Nota dell’autrice:
salve a tutti ^^
sono veramente contenta di aver ricevuto dei commenti. Sono solo cinque, ma è
un inizio, è un inizio! Scusate per la piccola scenata dell’altra volta ^^; me
ne vergogno un po’, ma si vedono in giro talmente tante storie senza
recensioni, mentre altre ne han centinaia… in questo senso mi sto impegnando
anch’io: cerco di recensire il più possibile e il più obiettivamente possibile.
Sto anche pensando di mettermi nel Gruppo Recensori, sapete?
Comunque, ecco qui le risposte ai miei commentatori:
Mazer – sì, mi ricordavo di te! Sei stata una delle mie
preferite ;-) in ogni caso grazie per esserti fatta sentire, è sempre un
piacere. Le tue parole son davvero lusinghiere – attenta, potrei contrarre
dipendenza XD Tra l’altro ho fatto un salto alla tua EFP page; scrivi molto
bene, ma ahimè, lo yaoi proprio non è il mio genere --_o quindi non mi sono
addentrata oltre. Sorry!
Spero di sentirti presto. Ps: a proposito, grazie
anche per la recensione su “Quel mondo là fuori”! Presto posterò un altro capitolo
*hint hint*
Driger – sono contenta che il mio stile ti piaccia. A dire
il vero, quello di “Chi ha detto che mi voglio sposare?!” è il più brioso che
mi sia mai uscito dalla penna… forse dovrei scrivere solo fic comiche, perché
mi vengon fuori battute su battute (almeno, a me sembra così ^^;), ma mi
piacciono troppo le atmosfere drammatiche! Con “Quel mondo là fuori” ne
avete già avuto un piccolo assaggio. *hint hint*
^^; Grazie ancora!
Nicla – anch’io penso che non ce ne siano abbastanza
sugli European Dream! In inglese, su Fanfiction.net, ce ne sono un po’, ma
vanno molto spesso sullo yaoi e, come dicevo a Mazer, quello non è proprio il
mio genere… Grazie mille anche a te ^^
Mewsana – davvero pensi che il mio umorismo sia
sofisticato? °_° Wow, grazie ^^ a me sembra di sparare delle gran stupidaggini
XD Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento!
Meereky02 – grazie anche a te per i complimenti ^//^ mi han
fatto un sacco piacere.
Mazer, Driger, Nicla, Mewsana e
Meereky02 ,
questo capitolo è dedicato a voi!
…e anche a tutti coloro che hanno letto ma non hanno
voluto/potuto lasciare due righe. Avanti, mes amours! Vi sto aspettando, commentate!
=3
Buona lettura
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_______Chi ha detto
che mi voglio sposare?!
by Melitot Proud Eye
II
“Fuga dal dirigibile”
Andrew crollò
contro i sedili del dirigibile, drenato d’ogni energia. Non poteva credere alle
sue orecchie.
‹‹Non posso
credere di aver perso.››
Gianni sedeva
immobile, con spalle curve, braccia conserte e gli occhi coperti dai ciuffi
biondi. L’altro guardò bene.
Per scoprire
che stava sogghignando.
‹‹Non abbiamo
perso.››
Andrew inarcò
le sopracciglia e vide nei suoi occhi uno strano scintillio, lo stesso che una
volta aveva visto in una volpe.
‹‹Cosa
penseresti di fare?›› brontolò, ‹‹Siamo controllati a vista. Quel maledetto
maggiordomo è passato dalla parte del diavolo.››
‹‹Non lo si
può corrompere?››
‹‹Dubito.››
‹‹No, infatti.
Attirerebbe soltanto l’attenzione sulle nostre intenzioni.››
‹‹E quali
sarebbero le nostre intenzioni?››
Gianni si
piegò in avanti, con fare aggressivo e cospiratore.
‹‹Scappare.››
Di punto in
bianco, Andrew si sentì sveglio. Specchiò la sua mossa e abbassò la voce.
‹‹Hai un
piano? Uno vero?››
‹‹Mi è venuto
in mente quando il cameriere ha riposto il telefono a video. Hai notato vicino
a cosa è passato?››
L’inglese
scrutò il soffitto, facendo mente locale.
‹‹L’uscita di
emergenza.››
‹‹Già. E cosa
c’è dopo quella porta?››
Un’altra
pausa. ‹‹Beh, c’è una scaletta. Una scaletta che porta a…›› fissò l’amico,
senza nascondere un sorriso. ‹‹Ma certo! All’aeroplano!››
Una scarica di
eccitazione li attraversò da parte a parte. Poi però, esaurita l’euforia della
scoperta, venne a galla un problema. Tipico.
‹‹Sì, ma come
ci arriviamo? Non possiamo mica aprire la porta, scendere e partire. Finiremo
legati.››
‹‹Senti, Drew.
Ordini o no, c’è un posto dove i maggiordomi non ci seguiranno mai›› l’altro
corrugò la fronte. ‹‹Il bagno. Conoscono i limiti, e anche che, se torneremo
nelle grazie dei nostri genitori, gliela faremo pagare cara già per il resto. E
poi, di solito i bagni sono innocui.››
‹‹Perché,
questo non lo è?››
L’italiano
scosse la testa, mentre i suoi occhi bruciavano come quelli di Amphisphena.
‹‹Olivier mi
ha detto in gran segreto che, il mese scorso, ha fatto qualche piccola
interessante modifica. Credo che sentisse inconsciamente puzza di rogne.
Diavolo, coi genitori che si ritrova! Ora c’è una botola segreta, sul
dirigibile. Una botola che ci condurrà direttamente all’esterno, vicino alla
scaletta di emergenza. E di lì…››
‹‹All’aeroplano.››
‹‹Esatto.››
‹‹Com’è che
non l’ha detto anche a me?››
‹‹Ah… avrei
dovuto farlo io›› sorrise Gianni, grattandosi la nuca.
‹‹…adesso è
chiaro.››
Sorseggiarono
il caffè, ultimo atto di una colazione che non avrebbero dimenticato
facilmente. Andrew parve trovare un ultimo intoppo.
‹‹Toglimi una
curiosità. Hai pensato a come entrare entrambi in bagno senza destare sospetti?
Anche se ci andiamo in tempi diversi, noteranno.››
Gianni cadde
dalle nuvole.
‹‹E’ vero.››
‹‹Io dico di
fingere un malore.››
‹‹Che tipo di
malore?››
‹‹Ricordi i
croissant che ci hanno propinato stamattina?››
‹‹Come
dimenticarli. Dirò due paroline ad Olivier, appena lo rivediamo.››
‹‹Non lo
farai, invece, perché ci ha dato la scusa perfetta per star male e correre in
bagno a vomitare.››
‹‹Wow. Certo
che ci fa dei favori inimitabili.››
‹‹Piantala. Il
sarcasmo lascialo a me.››
‹‹Permaloso››
rimbeccò l’altro, sottovoce.
Fissarono
l’orologio di bordo, che segnava le undici e un minuto. Erano in viaggio da
quasi sei ore. Ormai la Manica non doveva essere lontana. Certezza di questo
arrivò col continuo chiacchiericcio del secondo pilota, che indicava
animatamente le Fiandre.
‹‹Bene››
mormorò Andrew, incrociando lo sguardo di Gianni. ‹‹Da qui, con l’aereo ci
metteremo molto meno di quanto abbiamo fatto col dirigibile. Arriveremo
comodamente prima del tramonto.››
‹‹Andiamo.››
E, trattenendo
il fiato per sbiancare, caracollarono verso la toilette, le mani premute sulla
bocca.
‹‹Che succede,
signorini?!›› esclamò il maggiordomo. Gli sbatterono la porta in faccia.
‹‹Signorini! Signorini!››
Andrew chiuse
la porta a chiave, mentre Gianni dava prova di grande talento imitando alla
perfezione il rumore di uno che rivede la propria colazione.
‹‹Quelle
brioches!›› gemette, sperando di non scoppiare a ridere. ‹‹Ah, lo sapevo che
erano andate a male! Aah!››
‹‹Mio Dio››
boccheggiò il maggiordomo, ‹‹mio Dio! Tenete duro, corro a prendere le
aspirine!››
‹‹O magari un
digestivo?›› commentò Gianni, rialzandosi, quando lo sentirono allontanarsi.
‹‹Un giorno o l’altro quell’uomo sarà la nostra morte, giuro.››
Andrew, che
aveva cercato dappertutto, gli rivolse un’occhiata severa. Si stava piuttosto
stretti lì dentro, perché il cubicolo era stato progettato – a ragione, direi –
per ospitare una persona alla volta.
‹‹Allora?
Dov’è quella maledetta botola?››
‹‹Solo un momento.››
L’italiano si
accucciò e prese a tastare il pavimento, disegnando i più strani percorsi con
le dita. Andrew pestò il piede.
‹‹Possibilmente
prima che soffochiamo in questo buco!››
‹‹Hey,
calmati›› rispose Gianni, guardando su. ‹‹Nemmeno io mi sto divertendo. Ah,
eccola!››
Sollevarono un
pannello, scoprendo un quadrato di cielo.
Gianni
deglutì.
‹‹Non mi aveva
detto che era così.››
‹‹Come pensavi
che fosse? Guardiamo se ci sono delle funi di sicurezza›› suggerì Andrew,
piegandosi e sbirciando di sotto. L’amico rifiutò di guardare. ‹‹Accidenti, non
ce ne sono.››
‹‹Quello
svampito di Vier avrà dimenticato di finire il lavoro.››
‹‹Aspetta. Ho
visto… sì, scanalature!››
‹‹Oh, beh, è
fantastico›› rispose l’italiano, sedendosi in un angolo. ‹‹Sì, vai giù senza
guanti e funi di sicurezza. Io aspetterò qui, per dare l’allarme e riferire ai
tuoi genitori come sfortunatamente sei precipitato sul tuo piatto sedere nella
terra delle Fiandre.››
Era sul punto
di aggiungere “Proprio la terra che ha prodotto e produce i tuoi pannolini”,
quando l’altro lo tirò verso l’apertura, facendogli emettere un grido.
‹‹Ascolta,
playboy. Se ci tieni ad una futura, lunga, libera vita sentimentale, ebbene,
allora dovrai seguirmi. O forse hai scordato chi aspetta in Inghilterra il mio
perfetto fondoschiena, e il tuo?››
Gianni parve
in preda ad una crisi profonda. A cosa teneva di più? Alla vita, o alla
libertà? Era un quesito filosofico. Provate voi a risolverlo in trenta secondi!
‹‹Non abbiamo
le funi›› proseguì Andrew. ‹‹Ma possiamo aiutarci a vicenda
‹‹Ok. E’ la
prova: sei fuori di testa.››
‹‹Non riesco a
vedere il problema.››
L’italiano
sputò una risata nervosa, non del tutto sicuro se si parlava seriamente.
‹‹Non riesci? Non
riesci a vedere il problema? Cavoli, Andrew! Da quando siamo campioni di
freeclimbing?!››
‹‹A dire la
verità, l’anno scorso ho conseguito il secondo posto nazionale. Avanti. Abbi un
minimo di fiducia. Con l’aiuto delle scanalature arriveremo alla scaletta
dell’aereo, che è più sicura. Basterà che tu…››
‹‹Signorini!
Signorini, come state? Per l’amor del cielo›› gridò la voce del maggiordomo.
Entrambi
sobbalzarono. Accidenti, si erano dimenticati di quello scocciatore. Gianni
tornò ai suoi gemiti, cosa che, visto e considerato l’immediato futuro, non gli
riuscì troppo difficile.
‹‹Non ti
preoccupare›› rispose Andrew, con voce soffocata. Era sul ciglio della botola e
più che cercare di guadagnar tempo, cercava di guadagnar coraggio. Inspira.
Espira. ‹‹Ora non possiamo uscire… c’è… c’è sporco dappertutto e…›› ed era la
prima volta che gli mancava il fiato.
‹‹Siamo ancora
nel pieno della battaglia‹‹ finì Gianni per lui, strozzato. Aveva capito cosa
intendeva fare.
E’ una
pazzia! Pensò, abbrancando il
braccio dell’amico. ‹‹Vuoi davvero ammazzarti?!››
Fuori, il
maggiordomo supplicava ancora. Andrew non rispose. Guardò la botola, poi
Gianni.
Sotto c’era
l’uniforme, azzurra distesa della Manica.
‹‹Io non
perdo. Mai.››
Quindi prese
l’altro braccio di Gianni e saltò.
Raccontandolo
anni dopo, l’italiano avrebbe affermato d’esser sopravvissuto a quattro infarti
simultanei. Il peso dell’amico lo tirò giù di colpo e, allo shock di vederlo
penzolare nel vuoto, si aggiunse il terrore di non poter trattenere entrambi.
Fortunatamente,
grazie ai riflessi in cui Andrew aveva riposto la propria fiducia, riuscì ad
incastrarsi fra la porta e la tazza del gabinetto, senza perdere le braccia nel
processo.
Lo strattone
gli strappò comunque un grido di dolore.
‹‹Che
succede?!›› esclamò il maggiordomo, cominciando a picchiare contro la porta. ‹‹Signorini,
venite a stendervi! Non fa bene alla vostra salute…›› Gianni gridò ancora.
‹‹Signorino!››
‹‹Ignoralo››
ordinò Andrew, mentre la sua fronte scintillava di sudore. Gianni strinse i
denti. ‹‹Ora… calami giù.››
Così, pian
piano, cominciò a scendere. Un vento gelido lo colpì in piena faccia,
togliendogli il fiato. Ma, presto, vedeva la scaletta di metallo e l’aeroplano
di Olivier. Era magnifico; un gioiellino a due posti, con ali rosso amaranto.
Un gioiello molto vicino. Trovò una delle scanalature, e un’altra ancora.
Ognuna conteneva una piccola ma forte maniglia, ancorata saldamente al
dirigibile. Cercò di sollevare il piede fino ad una di esse. Fallì.
E prese ad
oscillare.
‹‹Andrew››
soffiò Gianni. ‹‹Credo di avere una spalla lussata!››
‹‹Ce l’ho fatta!››
I piedi
dell’inglese s’infilarono nelle maniglie, offrendo un valido punto di appiglio.
Egli guardò in su e vide il dolore dipinto sui lineamenti dell’amico.
‹‹Qual è la
spalla?››
‹‹La
sinistra.››
‹‹Bene›› e
lasciò la sua mano sinistra.
‹‹Andrew!››
‹‹Stai
tranquillo, sono aggrappato.››
‹‹Andrew,
stanno per sfondare la porta!››
Infatti si
udivano colpi molto insistenti, accompagnati da grida e imprecazioni.
‹‹Mi sento un
fuggiasco›› commentò Gianni, cercando di sdrammatizzare.
‹‹Siamo
fuggiaschi›› esclamò l’altro. ‹‹Ci sono!››
Aveva
guadagnato la scaletta, una robusta appendice d’acciaio, inscindibile dal
mezzo. Intrecciò le gambe ai pioli e vi salì del tutto, tirandosi dietro
l’amico.
Quando si
sentì scivolare oltre la botola, Gianni lanciò un grido che avrebbe potuto
risvegliare i morti. Davvero utile, visto che sarebbe morto. Sarebbe morto
odiando Olivier, però, che in un giorno lo aveva intenzionalmente costretto ad
affrontare due volte la sua peggiore paura: le vertigini.
Ma la presa di
Andrew era salda e lo sbatté contro la scala.
‹‹Aggrappati!››
Non c’era
bisogno di ripeterlo. Il ragazzo s’incollò al metallo con la forza di un koala.
Raggiungere
l’aeroplano da quel punto fu facile. Gianni affrontò l’operazione ad occhi
chiusi – uno sguardo di sotto, e sarebbe caduto di sotto davvero. Solo quando
fu in salvo nel vano del secondo pilota si concesse un respiro di sollievo.
In quel
momento di pace un ruggito li fece sobbalzare.
‹‹Signorini!
Tornate subito indietro!›› intimò il famigerato maggiordomo, ficcando il pugno
fuori da una finestrella.
‹‹Ci ha
scoperti.››
‹‹Che importa?
Ormai ce l’abbiamo fatta›› affermò Andrew.
Con fare
esperto alzò una leva, pigiò un bottone, controllò quota e carburante, premette
l’interruttore principale.
Le eliche
presero vita, accelerando in rotazione mentre il motore rombava.
‹‹Niente
male›› commentò Gianni, redivivo.
‹‹Già. Un
altro motivo per ringraziare Olivier.››
‹‹Uh oh,
stanno aprendo l’uscita che dà sulla scala!››
‹‹Troppo
tardi!›› esclamò l’amico, pigiando una tavoletta di colori lampeggianti.
Il contatto
elettrico aprì i ganci che trattenevano l’aereo. E precipitarono
vertiginosamente, tra le urla euforiche di Andrew.
Fu un salto
mozzafiato nel vuoto, una montagna russa a briglia sciolta. Il vento entrò loro
nei capelli, nei vestiti, gelandoli ma galvanizzandoli fino alle ossa. Quella
era la vera sensazione di volare.
Poi Andrew
tirò vigorosamente il volante verso di sé e l’aereo prese quota, rombando di
piacere. Trattenendo la fascia in fronte si voltò a guardare il dirigibile,
ancora sulla rotta di Londra. Virò di centottanta gradi.
La loro meta
era Parigi.
‹‹Quelli sono
delle lumache›› sghignazzò, godendosi la vista. ‹‹Non ci riprenderanno mai.
Vorrei proprio vedere le facce dei nostri genitori quando lo sapranno.››
Non ottenne
risposta. Sbirciò dietro.
Gianni era
nientemeno che svenuto.
‹‹E poi si fa
chiamare il Gladiatore›› brontolò. ‹‹Fortuna che so pilotare senza aiuto.››
Quella mattina
un aeroplano rosso tagliò il cielo di Francia, facendo levare le teste dei
contadini.
Più o meno a
quell’ora, in Germania aveva luogo una discussione che non ci suona del tutto
nuova.
‹‹Devo
sposarmi?››
‹‹Si, figlio
mio.››
‹‹Credevo
avessimo deciso di affrontare questo discorso al mio ventunesimo compleanno.››
‹‹I tempi sono
maturi, e l’ora propizia è arrivata›› rispose il signor Iurgens, un distinto
uomo di mezz’età, alto, ancora snello e con capelli e baffetti grigi. ‹‹Fallo
per noi, Ralf. Vogliamo soltanto il tuo bene.››
‹‹Desideriamo
soltanto vedere il nostro unico figlio sistemato›› soggiunse la donna che gli
sedeva accanto. ‹‹Prima di morire.››
Il figlio posò
su di lei uno sguardo di profondo affetto. Era minuta, consumata dalla malattia
e dalle numerose gravidanze che avevano dato, come unico frutto, lui. Per lei
avrebbe fatto qualunque cosa - sarebbe andato incontro alla morte senza paura.
Un matrimonio, quindi, se glielo chiedeva sua madre, diventava la cosa più
semplice del mondo.
Ralf non era
un sentimentale. Aveva sentito parlare dell’amore, ma credeva nel matrimonio d’interesse.
E poi, che gliene importava della passione? Una cosa del genere toglieva
stabilità ad una relazione, invece di donargliene.
Guardò i suoi
genitori ed annuì.
‹‹Lo farò.
Tuttavia, non saprei proprio chi sposare.››
‹‹Per questo
ci siamo presi la libertà di scegliere per te›› rispose suo padre. ‹‹Tenendo
scrupolosamente conto dei tuoi gusti. Una signorina di ottima famiglia, bella,
ricca e dotata di tutte quelle qualità che fanno di una donna la moglie
perfetta. Speravamo che tu la conoscessi ieri sera alla festa dell’erede
Boringer, ma siamo stati informati che non ha potuto partecipare a causa di un
malessere.››
Ralf annuì
ancora.
‹‹Dunque sei
d’accordo?›› chiese sua madre, ansiosa. ‹‹Non sei arrabbiato con noi?››
‹‹Affatto››
rispose lui, sorridendo. ‹‹Sono anzi impaziente di conoscere questa signorina,
che, conoscendo il vostro gusto, madre, sarà incantevole.››
La donna lo
abbracciò debolmente, piangendo. Il signor Iurgens invece non pronunciò parola,
ma gonfiò il petto e Ralf si sentì lusingato dall’orgoglio paterno che
trapelava dalla sua postura.
L’annuncio
venne dunque preso in Germania con la massima calma.
Mentre entrava
nelle sue stanze per riposare, il ragazzo si sfilò la giacca, preparandosi ad
un lungo sonno.
Dunque era
questo il motivo del richiamo in patria.
Era sereno.
Per lui non era un affronto, una limitazione della libertà – come invece sapeva
che l’avrebbero presa Gianni, Andrew ed Olivier. La sua educazione e il suo
carattere erano molto differenti. Anche se poteva sembrare aggressivo quando
giocava a beyblade, un buon osservatore avrebbe potuto notare che sotto
l’apparenza giaceva sempre un fondo di calma tranquillità. Era nato riflessivo,
composto - non acido come Andrew né esuberante come Gianni.
Inoltre, anni
di vita in famiglia gli avevano fatto sviluppare un profondo rispetto per i
suoi genitori. Pochissime cose avrebbero potuto spingerlo ad andare contro il
loro parere.
Il matrimonio
non rientrava nella categoria.
Posò le scarpe
nel salottino ed entrò in camera, deciso a riprendersi dalla strana festa di
Olivier. Poi gli venne in mente una cosa e rifece i propri passi, pigiando un
bottone dell’interfono.
‹‹Desidera,
signorino?››
‹‹Quando
arriveranno i signori Boringer, Tornatore e McGregor, portateli subito di
sopra.››
Era certo che
presto o tardi avrebbe ricevuto la loro visita.
‹‹Non abbiamo
abbastanza carburante da arrivare a Parigi›› annunciò Andrew, picchettando col
dito sul cruscotto. ‹‹Un paio di chilometri e dovremo atterrare.››
Gianni implorò
il cielo con gli occhi.
‹‹Tu sai
atterrare, non è vero?››
‹‹Su una
pista, sì›› pausa. ‹‹Vedi una pista?››
‹‹No›› gemette
l’altro.
‹‹Allora
dovremo arrangiarci.››
‹‹Odio sentir
dire così.››
Mentre Andrew
consultava una cartina e cercava di riconoscere qualche rilievo fra quelli che
sorvolavano, l’italiano ciondolò, curiosando intorno. Solo allora notò una
maniglia sul dorso dell’aeroplano. Dietro di lui c’era uno scomparto viveri.
Fantastico,
pensò. Moriva giusto dalla voglia di fare uno spuntino.
Ma lo
scomparto non conteneva cibarie. Conteneva benzina.
‹‹Hey››
esclamò, sollevando la tanica. ‹‹Guarda un po’ qui!››
Andrew alzò
appena gli occhi dalla cartina, per poi abbassarli e rialzarli dilatati.
‹‹Dove l’hai
trovata?!››
‹‹Qua dietro››
rispose l’altro, dando una pacca al velivolo. ‹‹Ora potremo arrivare fino a
Parigi senza problemi!››
L’inglese gli
prese di mano il contenitore, soppesandone il contenuto. Lo annusò, rigirò e
controllò tre volte.
‹‹E’ proprio
benzina›› disse, frase per cui ottenne da Gianni un’occhiata risentita. ‹‹Ma
anche aggiungendola nel serbatoio, non so se ci farà arrivare fino a Parigi.
Saranno giusto quattro o cinque litri, una pillola per i casi estremi.››
L’amico tornò
a ciondolare contro lo schienale.
‹‹Andiamo
bene.››
‹‹Ciononostante,
è davvero una buona cosa. Con un pizzico di fortuna raggiungeremo le piste
amatoriali disseminate intorno alla capitale. E questo è qualcosa.››
‹‹Oh, beh››
rispose Gianni, sentendosi un po’ meglio. ‹‹Hey, vedi di guidare quest’affare!
Se moriamo, giuro che ti faccio causa!››
‹‹Sì, sì,
certo.››
Ed eseguirono
un’altra virata, poiché Andrew aveva riconosciuto una città e corretto il tiro.
Il motore ruggì, potente. Il pilota invece rabbrividì, sentendo la mancanza
dell’estate a livello terra; e poi c’era qualcosa che continuava a pungolarlo.
‹‹Tu guarda
che avventura›› brontolò Gianni, dietro. ‹‹Chi l’avrebbe mai detto che,
credendo di andare a una festa, sarei finito in giro per il mondo, fuggitivo, a
calarmi giù dai dirigibili come un ragno e a parlare con te di carburanti,
bloccato su un aeroplano?››
‹‹Gianni,
rispondi a una domanda.››
‹‹Mh?››
‹‹Vedi
l’apertura per il serbatoio?››
Il ragazzo si
raddrizzò e guardò dappertutto, tastando i lati del velivolo. Normalmente il
serbatoio era dalle parti del vano passeggero. Solo che lì non c’era.
La bocca del
suo stomaco si chiuse.
Fissò davanti
ad Andrew. Fissò davanti a sé. Poi invocò tutti i santi e aprì il vano viveri,
speranzoso, anche se in un’altra situazione si sarebbe riso in faccia da solo.
‹‹No›› pigolò.
‹‹Guarda alla
fine della coda.››
Il
presentimento acuì. Si sporse con cautela, seguì le linee aerodinamiche e lo
vide. Eccolo lì. Piccolo e insignificante, eppure nel punto più lontano.
‹‹Il
bastardo›› imprecò, battendo un pugno sul corpo metallico dell’aereo.
‹‹Impossibile da raggiungere.››
Andrew si
voltò, un po’ pallido.
‹‹Abbiamo
bisogno di aggiungere quella benzina›› disse. ‹‹Guarda.››
Indicò la
terra sotto di loro, piccola e fumosa. Stavano sorvolando una zona di campagna,
che da quella distanza sembrava una coperta patchwork intervallata di
ciminiere.
‹‹Nessuno di
quei campi è abbastanza lungo. Andremmo a schiantarci contro una cascina o una
fabbrica, e il nostro atterraggio finirebbe ancor prima di cominciare. L’unica
soluzione è proseguire e cercare un luogo adatto.››
‹‹Abbassati.››
‹‹Cosa?! Sei
impazzito, non è perm…››
‹‹Abbassati un
poco!›› insistette Gianni.
L’amico eseguì
a malincuore. I campi ingrandirono e gli alberi presero forma.
‹‹Vedi quella
strada? Quella lunga e sottile, bloccata agli estremi per lavori?››
‹‹Sì›› fece
Andrew, spazientito.
‹‹Potremmo
usarla come pista. E’ anche troppo lunga.››
Andrew ponderò
la questione.
‹‹Non è una
cattiva idea, ma come la mettiamo coi lavori? Dove sono?››
‹‹Non li
vedo›› ammise Gianni.
‹‹Potrebbero
essere una spiacevole sorpresa quando fosse troppo tardi. E non dimentichiamo
le conseguenze di un atterraggio non autorizzato; saremmo nelle grane se
avvenisse in un aeroporto, figuriamoci in una strada provinciale!››
‹‹E allora,
cosa facciamo?›› concluse l’altro, depresso.
La campagna
rimpicciolì una seconda volta, mentre l’aereo riguadagnava quota.
‹‹C’è poco da
inventare. Dobbiamo aggiungere quella benzina.››
Il sole
batteva con insistenza, scaldando un poco l’aria. Gianni si passò una mano
sulla faccia, ma a dispetto di quel calore era livido.
‹‹Dovrò farlo
io.››
‹‹Non ho detto
questo›› disse subito l’inglese, allarmato dal suo colore. ‹‹Andrò io. Il vano
pilota è più largo. Potrai scivolare accanto a me, e io verrò al tuo posto,
proseguendo per la coda. Non soffro di vertigini: per me sarà più facile.››
Gianni scosse
perentoriamente la testa.
‹‹No. No, è
troppo rischioso. Io non so guidare un aereo, Andrew. Guarda, ho trovato questa
fune nello scomparto; me la legherò saldamente in vita, legando l’altro capo
qui, a questo gancio di sicurezza. Così se scivolerò potrai tirarmi su.››
‹‹Ma…››
‹‹Avanti!
Dopotutto sono o no il Gladiatore?›› rise, passandosi la corda intorno.
Il suo sorriso
scomparve non appena gli diede le spalle. Davanti a lui, lucido, si stendeva il
dorso del velivolo.
Non era un
aereo smisuratamente lungo, anzi, era piuttosto piccolo, ma lui avrebbe dovuto
procedere con una mano occupata dalla tanica.
‹‹Mio Dio,
questo devo raccontarlo ai miei nipotini, quando ne avrò.››
‹‹A chi lo
dici.››
Deglutì,
strinse l’ultimo nodo e partì in missione.
Probabilmente
non era lui a fare tutto quello. Più probabilmente era invasato dal demonio e
credeva di agire secondo la propria volontà, quando invece non era così.
Oh beh. In
ogni caso doveva farlo.
Andrew seguì
tutte le sue mosse, spaventato almeno quanto lui.
Gianni
procedette con estrema cautela. Evitò di guardare giù finché non arrivò
all’apertura del serbatoio. Era un rettangolino largo un palmo, e sadicamente
posto nella parte ventrale dell’aeroplano. Si consumava così il momento più
delicato.
Svitò il tappo
della tanica, ancorato all’aereo con le gambe.
Andrew volò
con la massima attenzione, cercando di contenere gli sballottamenti.
‹‹Gianni…
Gianni, sbrigati›› avvertì, alzando la voce. ‹‹Sta salendo vento.››
E vento
infatti saliva, ma era molto più somigliante ad una burrasca che ad una
semplice corrente ascensionale. Il serbatoio aveva ingollato solo due terzi del
carburante della tanica quando il velivolo diede la prima, vera sgroppata.
Gianni sentì le proprie viscere fare una capriola.
Non emise
suono. Il movimento era stato troppo fulmineo.
‹‹Sbrigati!››
insistette Andrew, adocchiando una zona scura all’orizzonte.
E così, Parigi
era sotto i ferri del maltempo. Brutta, bruttissima cosa.
Abbassò
l’aereo, sperando di evitare ulteriori sbandate. Ormai, però, la tromba d’aria
era vicina.
‹‹Sto cercando
di sbrigarmi! Se inclino troppo la tanica, va tutto di fuori!››
L’aereo
sgroppò ancora.
Stavolta
Gianni si sentì scivolare e gridò.
‹‹Santo Dio,
tieniti!››
‹‹Ci sto
provando!›› rispose, strozzato. Che non venissero mai più a vantarsi con lui di
prodezze sui videogiochi. Li avrebbe presi a pugni!
Finalmente la
tanica fu vuota. La lasciò cadere, lavandosene le mani, che usò prontamente per
assicurarsi un appiglio. Chiuse l’apertura e si ritrasse. Aveva appena
riguadagnato la sella che il vento divenne intensissimo.
Ci furono due
forti scrolloni, poi un altro, in cui qualcosa lo colpì alla tempia. Se la
tromba d’aria era tanto grande da sollevare pietre, allora erano nei guai. Per
un attimo infinito Andrew credette d’aver perso il controllo sul velivolo.
‹‹Gianni! Ci
sei?››
‹‹Sì! Aah!››
il ragazzo gridò a pieni polmoni, poiché una lama di vento aveva sollevato il
muso dell’aeroplano, facendolo scivolare fino agli alettoni. Andrew vide e imprecò.
‹‹Tieniti!››
Un nuovo
sgroppo fece alzare Gianni dal dorso di almeno venti centimetri.
‹‹Noo!››
Per fortuna,
le sue mani non cedettero e abbracciò con tutte le forze la coda del velivolo.
‹‹Adesso vengo
a prenderti!››
‹‹Cosa?!››
‹‹Non ti
muovere, vengo a…››
‹‹Resta dove
sei, disgraziato! Devi pilotare questo maledetto catorcio, o ci schianteremo
tutti e due!››
‹‹Ma…››
‹‹So badare a
me stesso, per la miseria! Ora abbassa più che puoi quest’affare e vediamo se
riusciamo ad evitare un po’ di questo vento!››
Andrew annuì,
piegando il volante. Il motore perse giri e rallentò.
Come avevano
sperato, sotto il vento era minore; ma ormai volavano radenti agli alberi. Era
rischioso almeno tanto quanto prima. Gianni si fece forza, implorò le sue dita
intirizzite di non tradirlo e, poi, fu nel vano passeggero. Sedette lì, in uno
stupore inspiegabile.
Lui ed Andrew
si fissarono. Quindi sorrisero, batterono cinque e lanciarono un ululato.
‹‹Wohoo!››
Sotto la
pressione del pilota, l’aeroplano virò e cambiò rotta, allontanandosi dal
maltempo.
‹‹Non possiamo
proseguire per Parigi›› spiegò Andrew, porgendo una coperta al compagno
intirizzito. ‹‹Anche se ora non sei più, là sopra, il vento potrebbe diventare
tanto forte da farci sbandare e precipitare. Dobbiamo cercare più a sud. Tieni.
Se hai ancora freddo, sotto il sedile ce n’è un’altra.››
E volarono
via, esausti ma ottimisti, poiché già due volte la fortuna si era mostrata loro
propizia.
Nel magnifico
parco di Villa Boringer, quel pomeriggio di giugno, un occhio attento avrebbe
potuto scorgere una figura vagare fra i pergolati. Il suo incedere non
possedeva nulla di triste o depresso: ricordava una marcia militare.
Era il
padroncino di casa, naturalmente.
Rivestito a
forza di bianco, angariato da una toeletta forzata, Olivier era riuscito a
sgusciar via dalle mani dei suoi carcerieri (mettendone KO qualcuno con l’aiuto
di Unicol) dopo molti tentativi. Ora perlustrava il perimetro del parco,
soffocando nel dolcevita – che pure era smanicato.
Si sentiva una
tigre in gabbia.
‹‹Vogliono che
la incontri›› disse, pronunciando ogni parola con uno scatto. ‹‹Vogliono che la
conosca. Ma soprattutto, vogliono che mi fidanzi con lei e la sposi! Devono
essere matti!››
Sì, in effetti
c’erano buone possibilità.
Unicol gli
danzò ai piedi, cercando di distrarlo. Olivier lo scavalcò.
‹‹E non è
tutto. No, no. Non potranno mai scegliere una ragazza normale! Hanno detto che
era alla festa›› un brivido lo scosse. ‹‹Non voglio neanche pensarci!››
Unicol
continuò a girargli intorno, disperato. Il ragazzino era grato per il supporto,
ma lo sarebbe stato anche di più se il suo beyblade avesse smesso di ronzare
come un moscone.
Guardò il
cielo, ancora plumbeo. Tutt’intorno i fiori brillavano di pioggia, mentre gli
alberi si scrollavano di dosso l’acqua.
‹‹Almeno
Sabine ha avuto Max. Mia sorella è sempre stata più sfortunata di me, ma non in
questo caso.››
Continuò sul
ciottolato, finché non raggiunse un bivio. Visivamente non si notava nulla,
perché il bivio era segreto. Difficilmente si sarebbe potuto affermare che, lì,
un sentiero secondario si staccava dal principale. Olivier però conosceva i
suoi boschetti, così come avrebbe riconosciuto quel mandorlo fra mille.
Controllò che Unicol fosse ancora con lui e si addentrò nella boscaglia.
Là dentro, gli
animali e le altissime querce custodivano il suo rifugio segreto, un luogo che
nessuna telecamera di sicurezza era mai arrivata a riprendere. I suoi genitori
ne ignoravano la esistenza – almeno sperava, poiché certezza era una
parola molto relativa con quei due in casa. Se, come davano a vedere, non
sapevano, allora solo il vecchio architetto di famiglia condivideva con lui il
segreto.
Risalì la
collina e, finalmente, lo vide.
Il suo
padiglione greco.
Olivier era
orgogliosissimo della propria creazione. Ai suoi occhi nessun edificio, dopo il
complesso dell’Acropoli, poteva eguagliarla. I marmi scintillavano di candore e
festoni di fiori delicati cingevano le sue colonne. Il luogo, poi, era una
piccola radura, ombrosa e soleggiata al tempo stesso.
Sedette sui
gradini, pensieroso.
Unicol nitrì
ed uscì dal beyblade, dandogli dei colpetti col muso. Il padroncino lo
accarezzò.
‹‹Che cosa
devo fare, Unicol?›› brontolò. ‹‹Sono in trappola. Mamma e papà ricordano fin
troppo bene come siamo scappati quando si trattava di fidanzare Sabine. Non mi
lasceranno mai uscire.››
Gli occhi
dell’unicorno scintillarono di malizia. Olivier inarcò le sopracciglia.
‹‹Cosa intendi
dire con “non è necessario che lo sappiano”? Lo so che non devono saperlo,
grazie, ma tutta la proprietà è tappezzata di telecamere. Un passo falso e mi
chiuderanno a chiave in camera.››
Gli occhi del
bit beast scintillarono ancora.
Il ragazzino
incrociò le braccia. La sua stanza. Cosa c’era nella sua stanza?
‹‹Ma certo! La
Ragnatela.›› L’esaltazione fu di breve durata. ‹‹Però i passaggi ruotano tutti
intorno alla villa. Non ce n’è uno che esc…››
Ce n’è uno.
‹‹E’ troppo
vecchio. Non l’ho più usato da…››
La scelta
spetta soltanto a te, padroncino.
Avvertì una
scarica d’eccitazione.
Era rischioso,
ma si poteva fare. Sapeva come arrivare a quel passaggio. Sbucava in una
fontana e perciò ci sarebbero state delle infiltrazioni d’acqua, senza contare
la doccia finale, però valeva la pena provare. La fontana era a qualche isolato
da casa sua. Scattò in piedi, determinato.
I suoi avi
avevano voluto la Rivoluzione Francese. Doveva mantenere la tradizione, in
qualche modo.
‹‹Non
aspetterò il mio destino con le mani in mano!›› esclamò. ‹‹Tutto, per la
libertà!››
Unicol gli
saltò in tasca e scesero la collina.
Molto lontano
da lì, in un campo lasciato a riposo, le eliche di un aeroplano giravano
ancora, languide. Gianni scese e baciò terra, molto più devotamente di quanto
fece Cristoforo Colombo quando sbarcò in America. Andrew saltò giù dal posto
pilota, limitandosi a un profondo sospiro di sollievo.
Il velivolo
aveva frenato appena in tempo. La ruota anteriore destra giaceva sospesa su una
roggia, larga e profonda. Erano stati fortunati.
Si stesero
sull’erba. Lentamente, i loro corpi riacquistarono sensibilità.
‹‹Non eravamo
equipaggiati per volare su un aeroplano scoperto›› disse l’italiano,
massaggiandosi le tempie. ‹‹Ho preso tanto freddo alla testa che è un miracolo
se ho solo l’emicrania. Potevamo restarci.››
Vide che
l’amico si sfregava insistentemente le mani.
‹‹Cristo, hai
le dita blu!››
‹‹No, stanno
tornando normali. Era inevitabile, dovendo tenere il volante. E ringrazio il
cielo d’aver avuto indosso i guanti.››
Gianni sbuffò.
Lanciò ancora un’occhiata preoccupata alle sue mani e, poi, lasciò perdere.
Andrew era capace di badare a se stesso. Sopra di loro, qualche nuvoletta
splendente macchiava l’azzurro liquido del cielo.
Era bello
stare lì al sole, tranquilli, rilassati, indisturbati.
‹‹Dove
saremo?››
‹‹La cartina è
volata via durante l’atterraggio. Mi spiace.››
‹‹Chi se ne
frega della cartina, l’importante è che siamo ancora vivi per chiedercelo.››
Andrew
sorrise.
‹‹Giusto.››
Poi si
guardarono bene. I loro occhi divennero grandi come palle da biliardo -
scoppiarono a ridere, additandosi a vicenda.
‹‹Hey, che hai
da ridere?!›› esclamò Gianni.
L’altro mostrò
i denti.
‹‹Che hai da
ridere tu?! Sembri una salamandra appena cotta!››
‹‹Cosa?! Io,
una salamandra? Hai già dimenticato chi ha una lucertola per bit-beast? E se io
sembro una salamandra, allora tu sei Amphisphena! Ecco, siete propri dello
stesso colore.››
Si guardarono
in cagnesco, pronti alla battaglia, poi le parole acquistarono significato.
Gianni spulciò nelle tasche ed estrasse l’infallibile Specchio delle Brame.
‹‹No!››
gemette. ‹‹No! Sono scottato! Bruciato!››
Andrew glielo
strappò di mano. Sarebbe impallidito… se solo fosse stato possibile.
‹‹Tu almeno
vivi sul Mediterraneo, hai la pelle abituata›› mise insieme.
‹‹Sì, ma sono
biondo. Biondo. Così sembrerò un emigrato tinto di platino!››
E a quella
frase, l’inglese non poté non scoppiare a ridere.
‹‹Non ce
niente di divertente›› rimbeccò l’amico. Incrociò le braccia, depresso, e stava
per ributtarsi sulla schiena quando scorse qualcosa in fondo al campo. Era una
persona.
Che si
sbracciava nella loro direzione.
‹‹Guarda.››
‹‹Uh?››
Un uomo li
raggiunse al trotto. Indossava una salopette tutta unta e, dalla chiave inglese
che impugnava, si sarebbe detto un meccanico. Li squadrò ben bene, senza
animosità, e si grattò la folta barba brizzolata.
‹‹Ragazzi, va
tutto bene?››
Aveva un forte
accento bretone.
‹‹Sì.››
‹‹Sapete di
chi è questo aeroplano?››
‹‹Ma certo: è
nostro.››
Il tipo parve
colto alla sprovvista, ma annuì senza obiettare. Poi guardò il velivolo.
‹‹E’ un po’
ammaccato. Non potete ripartire.››
‹‹E chi ha intenzione
di ripartire?›› commentò Gianni, strappandogli un sorriso.
‹‹Volo
amatoriale?››
‹‹Diciamo
obbligato›› rispose Andrew, raccattando le loro cose. ‹‹Scusi se le abbiamo
rovinato il campo. Non potevamo più proseguire.››
‹‹Oh, il campo
non è mio. Io ho soltanto l’officina del paese. Ecco, vedete quel capannone
laggiù?›› Con la mano pelosa indicò un caseggiato grigio, piuttosto lontano.
‹‹Stavo lavorando quando un rombo ha scosso tutte le pareti, e mia nipote ha
gridato che un aereo stava precipitando sul campo del vecchio Joachim.››
‹‹Può dirci
dove siamo?››
‹‹A Les Pêcheurs sur l’Eure. Un paesino a
sessanta chilometri dalla banlieue parigina.››
I due si
scambiarono un’occhiata.
‹‹E potrebbe
consigliarci un modo per arrivarci?››
‹‹Certamente!››
rise il meccanico. ‹‹Ci sono gli autobus di linea e il treno. Ma ora venite,
sarete affamati. Potete riposarvi un po’ nel mio capannone; mia nipote vi saprà
dire di più.››
Lo seguirono
di buon grado.
‹‹E l’aereo?››
chiese Gianni, sottovoce.
‹‹Che te ne
vuoi fare?››
‹‹…già. E’ che
mi spiace. Dopotutto è un gran bell’aeroplano.››
Andrew
sospirò, ma non si volse indietro. Non era così sentimentale.
Il capannone
sorgeva al limitare di uno spiazzo assolato, racchiuso da fienili e vecchie
rimesse. Il chiasso delle cicale copriva ogni altro rumore. Notarono un mucchio
di rottami e, accanto all’entrata dello stabile, tre cucce. Il meccanico
fischiò.
Un concitato
abbaiare precedette tre cani grandi come orsi, che voltarono l’angolo,
inseguiti da una ragazzina.
‹‹Aspettatemi,
birbanti!›› ansimò la nuova arrivata, cadendo in ginocchio. I cani invece
puntarono al padrone, un’espressione ilare sul muso.
‹‹Sono
Terranova!›› esclamò Gianni, accarezzandone uno. ‹‹Dei bellissimi Terranova.››
Andrew
adocchiò la bava che colava dalla bocca delle bestie.
‹‹Sì, davvero
stupendi.››
Poi vide che
l’amico s’irrigidiva. Non fu difficile leggere sul suo volto le avvisaglie del
Grande Latin Lover.
‹‹E quello è
uno stupendo esemplare di razza umana.››
‹‹Charlotte››
diceva il meccanico, ‹‹non ci crederai, ma quell’aeroplano era pilotato da
questi due ragazzi. Niente male, eh? Dovresti farti dare qualche lezione da
loro.››
La creatura si
rialzò, scrollò via un po’ di terriccio dai jeans logori e venne verso di loro,
sorridente. I suoi capelli erano una massa cespugliosa, tenuta indietro da due
piccole trecce.
‹‹Davvero
volavate da soli?!›› esclamò, facendo per afferrare le loro mani.
Gianni però
raccolse le sue con una mossa fulminea.
‹‹Certamente!››
cinguettò, dilatando gli occhioni azzurri. ‹‹Mademoiselle, abbiamo
vissuto mille avventure su quel meraviglioso aeroplano! Tempeste, gelo, fughe
precipitose…››
‹‹Vertigini››
aggiunse Andrew.
‹‹Eh eh, ehm… anche…››
‹‹E’
meraviglioso›› disse la ragazza. Strinse gentilmente le sue mani, e lui la
lasciò andare a malincuore. ‹‹Come avrete capito, io sono Charlotte. E questo è
il mio zione, Albert. Voi, invece? Quali sono i vostri nomi? E cosa vi porta in
questo paese sperduto?››
‹‹Abbiamo
dovuto effettuare un atterraggio di fortuna. In ogni caso, il mio nome è
Andrew. E lui è…››
‹‹Gianni, per
servirvi, mmmademoiselle!›› esclamò l’amico, baciandole la mano. Le
guance della ragazza si tinsero di rosa.
Ok, era
ufficiale: questo lato di Gianni proprio non poteva imparare a sopportarlo.
Perché doveva fare il cascamorto con qualsiasi cosa respirasse? Andrew sentiva
improvvisamente il bisogno di vomitare. Si mise una mano davanti alla bocca,
fingendosi assorto.
‹‹Volevano
arrivare a Parigi, Charlotte›› disse lo Zio. ‹‹Puoi aiutarli?››
‹‹Volentieri.››
‹‹Allora io
torno al lavoro.››
E scomparve
nel capannone, da dove proveniva un forte odore di lubrificanti. Charlotte li
condusse in paese, dove, inaspettatamente, entrarono in un bel ristorante.
Fecero per sedersi, ma lei rise.
‹‹Venite, non
qui›› e li introdusse nelle cucine. Lì una porticina dava su un bel giardino,
con un tavolo coperto da un ombrellone giallo.
Diede loro una
limonata e si scusò.
Dieci minuti
dopo tornava con una pila di orari. C’era l’orario dei treni, degli autobus, un
vecchissimo orario del tram che nemmeno più attraversava il paese e vari
depliant di taxi. Scaricò tutto sul tavolo, sbuffando.
‹‹Accipicchia,
questo pomeriggio fa un caldo.››
‹‹Hai
ragione›› concordò Gianni.
La ragazza,
più giovane di loro sì e no di due anni, s’asciugò i palmi delle mani sulla
maglietta e prese a sfogliare febbrilmente il primo libretto che capitò a tiro.
Andrew sorbì
tranquillamente la sua limonata. Pur vedendolo tanto calmo, Gianni sapeva che
la sua mente lavorava senza sosta.
‹‹Ecco››
esclamò Charlotte, puntando il dito su un mucchio di lettere illeggibili. ‹‹Qui
dice che alle cinque e tre quarti c’è un treno per Parigi. Binario 1, l’unico
esistente. Mi spiace, il treno non è un diretto… purtroppo nei paesi piccoli è
così.››
‹‹Non
importa.››
‹‹Non volete
che guardi gli autobus? O i taxi, magari. Arrivereste molto più rapidamente.››
Gianni scosse
la testa.
‹‹Preferiamo
il treno. I taxi son troppo cari e, al momento, siamo carenti di moneta
liquida.››
Dio, non
credeva che un giorno avrebbe dovuto dire così. L’unica carta di credito che
possedevano era volata via chissà quando e, ora che ci pensava, doveva andare a
bloccarla.
Andrew annuì.
‹‹Capisco›› fu
la risposta imbarazzata di Charlotte. ‹‹Allora vada per questo treno.
Aspettate, corro a prendere carta e penna; vi segnerò le stazioni dove dovrete
cambiare.››
‹‹Sei molto
gentile›› sorrise Gianni, e lei arrossì.
L’inglese
gettò la testa all’indietro, dondolando sulla seggiola. Un trillo di uccelli
riempiva l’appartato giardino.
‹‹Un posticino
davvero tranquillo.››
‹‹Vero.››
Passò
mezz’ora. Charlotte non tornava.
Andrew,
diffidente di natura, dovette sforzarsi per tener sotto controllo i sospetti.
Dopotutto le braccia dei loro genitori erano lunghe. E chissà quali e quanti
modi avrebbero potuto escogitare per incastrarli. Di una cosa era certo: non
era mai stato tanto arrabbiato con loro.
Charlotte
invece tornò, fresca, rosea e inguainata in un vestito giallo tarassaco. Uh oh.
Seduzione in atto.
Porse loro un
biglietto con scritte tutte le indicazioni, ma tu guarda la sua manina virò
verso Gianni. Poi sorrise ad Andrew e fece loro cenno di seguirla.
‹‹Ho una
sorpresa per voi.››
Li condusse a
ritroso del percorso d’andata, fermandosi nella grande sala da pranzo. Era
deserta. Il paesino faceva la siesta, cullato dal rumore delle cicale. Notarono
una tavola apparecchiata.
‹‹Wow››
esclamò Gianni, fregandosi le mani.
Charlotte non
poté che sorridere.
‹‹Vi ho
preparato uno spuntino.››
Effettivamente,
non mangiavano da quella mattina.
‹‹Ma non
possiamo accettare›› disse Andrew, ‹‹Abbiamo giusto qualche spicciolo e non
voglio contrarre debiti.››
La frase
poteva suonare scortese, ma la ragazza capì.
‹‹Non dovete
preoccuparvi. In fondo, anch’io ci guadagno qualcosa. Avete animato la mia
giornata e potrò, se vorrete, ascoltare le vostre peripezie. Questo è per me
molto prezioso! Qui non succede mai niente.››
Sorrise,
solare.
‹‹Certamente››
rispose Gianni, fulminando l’amico con un’occhiata. ‹‹E saremo più che felici
di accettare.››
‹‹Evviva!››
Da quel
momento sulla tavola si avvicendarono olive, tramezzini, paté di foie-gras e un
enorme cesto di frutta che non riuscirono neanche a dimezzare. Charlotte stessa
dimostrò un appetito da falegname. Era, del resto, una campagnola.
Le riassunsero
gli eventi degli ultimi due giorni; evitarono nomi e particolari, ma lei parve
ugualmente impressionata. Credette loro senza batter ciglio. Li aveva visti
atterrare con l’aereo, perché non avrebbe dovuto?
Finito di
mangiare spiluzzicarono davanti alle ampie finestre aperte, in attesa dell’ora
di partire. Il ristorante dava sulla via principale, una stradina a corsia
unica dove transitava una macchina l’ora. Il frinire degli insetti sovrastava
ogni cosa, ipnotico.
Charlotte
accese il televisore, appeso al muro, mentre Gianni riposava posandole la testa
in grembo. Ad un certo punto sentì la ragazza trasalire.
‹‹Guardate!››
I due lo
fecero… e sbiancarono. Era il telegiornale.
E il
telegiornale trasmetteva un inconfondibile primo piano della faccia di Olivier.
‹‹…il
famoso beyblader e cuoco Olivier Boringer è scomparso stamattina dopo una festa
di gala tenuta nell’illustre casa paterna. I genitori e il personale si sono
accorti della sua scomparsa alle undici e trentacinque. E’ questione della
massima importanza ritrovarlo, dal momento che, come asseriscono i dottori, il
ragazzo stava rapidamente perdendo la facoltà di intendere e di volere. Si
vocifera di tentato avvelenamento, fatto che avrebbe causato in lui lo shock e
l’avrebbe indotto alla fuga.›› Gianni ed Andrew inarcarono le sopracciglia.
‹‹E’ possibile che si accompagni a questi tre ragazzi.››
Lo schermo
mandò i loro volti, più quello di Ralf.
Andrew
deglutì.
‹‹Gianni
Tornatore›› la foto cambiò, ‹‹Andrew McGregor›› la foto cambiò
ancora, ‹‹e Ralf Iurgens. Questi tre ragazzi sono molto famosi per aver
conseguito, insieme al signorino Olivier, i primi quattro posti al campionato
europeo di beyblade, dove poi rifiutarono di formare una squadra. Gianni
Tornatore, in particolare, è amico d’infanzia del signorino Olivier…››
Seguirono
altre inutili informazioni e una lacrimosa intervista, in cui i genitori di
Olivier lo supplicavano di tornare a casa.
Poi il
servizio terminò.
‹‹Non hanno
perso tempo›› fu l’unico commento di Andrew.
‹‹Dunque hanno
fatto di Vier un pazzo con manie di persecuzione in fuga, e noi suoi complici?
Devi ammetter che è ingegnoso. Così avremo alle calcagna non soltanto i
cacciatori di ricompense, ma anche la polizia!››
Charlotte
spense meccanicamente il televisore. Di colpo si rammentarono della sua
esistenza.
‹‹…Ci
tradirai?››
La ragazza li
fissò, un po’ scossa.
‹‹No.››
‹‹Davvero?››
‹‹Non ne ho la
minima intenzione. Mi avete raccontato le vostre ragioni. Io le trovo giuste!
Perciò non solo vi coprirò, ma vi darò anche il denaro per raggiungere un luogo
sicuro.››
Respirarono di
sollievo.
‹‹La Germania››
esclamò improvvisamente Andrew. ‹‹Ralf è l’unico che può salvarci. Il suo
maniero è inespugnabile!››
Gianni annuì.
‹‹Non c’è un
minuto da perdere. Non siamo poi tanto lontani da Parigi.››
La mattina
dopo, anche se un po’ in ritardo, Ralf si ritrovò gli European Dream in
salotto. E questo per ribadire che aveva sempre ragione.
ab
Continua!
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