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La
morte è serena, facile. La vita è più
difficile.
Era sempre stata questa la mia convinzione più solida, una
certezza
inoppugnabile che aveva sempre rispecchiato appieno la mia esistenza.
La mia
vita – ne ero consapevole – non era mai stata
facile, e, in quell’ultimo
periodo, sembrava essere un dejà-vu continuo e persistente,
che mi feriva e consumava più di mille lame conficcate nel
cuore.
Due vite, due amori andati entrambi in rovina. Sembrava quasi una
maledizione.
E sembravo dannata a soffrire per sempre. Chiedevo soltanto che tutto
il
tormento e il dolore che mi si erano abbattuti contro sparissero, io
chiedevo
di sparire.
Per questo, quando mi si era presentata davanti agli occhi, avevo
accolto la
morte quasi a braccia aperte. Ormai non avevo più nulla da
perdere: l’amore
della mia nuova vita non ne voleva più sapere di me, e la
colpa era soltanto
mia.
Quindi, perché non troncare quella sofferenza insostenibile
subito?
In quel nulla assoluto pieno di dolore, provai a lasciarmi andare,
aspettando
la fine sempre più prossima. Attendevo l'epilogo di tutto
con bramosia, volevo
soltanto non patire più tutto quello che il destino inverso
aveva avuto in
serbo per me.
Ma quando iniziai ad avvertire un bruciore partire dal centro esatto
del mio
cuore, provai una delusione incredibile.
Dilaniante.
Sembrava quasi che lo strazio che avevo provato in vita volesse
accompagnarmi
fino alla fine, anzi, forse anche oltre. Era una sensazione orribile, e
sentivo
il mio corpo andare a fuoco.
Probabilmente, stavo venendo divorata dalle fiamme
dell’infermo. Probabilmente,
il fato aveva deciso di punirmi, dannandomi ad
un’eternità di dolore e
tormento.
La morte pacifica sulla quale avevo tanto sperato si infranse di colpo
come un
cristallo che va in mille pezzi, mentre il fuoco continuava a crescere
a
dismisura, sempre più ardente.
Schiacciata dalla consapevolezza di un’eternità
che avrei dovuto passare sul
rogo, urlai con quanto fiato avevo in gola.
La vita è difficile. L’eterna dannazione
ancora di più.
***
Sorpresa sorpresona! *_*
Allora ragazze, finalmente mi sono decisa a pubblicare il prologo e
dare ufficialmente
inizio ad Eternal Moonglow! Sento che con la scrittura inizia a
muoversi
qualcosa, ma è ancora tutto molto indefinito… ma
speriamo di essere sulla buona
strada :)
E’ stato un periodo abbastanza difficile, e continua ad
esserlo tutt’ora, ma la
scrittura mi aiuta a staccare un po’, e quindi non posso
farne a meno. Sinceramente
ho qualche perplessità su questa fan fiction… ho
paura che possa deludervi o
qualcosa di simile… la solita lagna sono :P
Mi raccomando, vi voglio sincere nelle recensioni, eh! Non abbiate
paura di
offendermi, mi raccomando u.u Intanto che siamo in argomento di
recensioni,
ringrazio di cuore Lea__91Sei_Nel_Anima
2oo9FaffinaHopeToSave(hai
dannatamente ragione, come sempre… e come sempre, non mi
sono
offesa, anzi, ho apprezzato moltissimo la tua sincerità ;3) Piccolo
Fiore del DesertoSaorioKekkaxxxeRein94
per aver recensito l’epilogo di Eyes On Fire.
Troppo troppo dolci,
come sempreeee
<3
Niente, vi saluto con la speranza che questo nuovo inizio sia stato di
vostro
gradimento ;)
E non preoccupatevi, presto vi sarà tutto più
chiaro!
Al prossimo, primo capitolo di Eternal Moonglow! Che, vi avviso,
sarà un bel
Jacob Black POV :D
Capitolo 2 *** Come rovinarsi la vita (e rovinarla alla ragazza che ami) in due semplici mosse ***
Eternal Moonglow
Eternal
Moonglow
capitolo 01:
Come rovinarsi la vita (e rovinarla alla ragazza che ami) in due semplici mosse - Jacob Black pov
-
Victoria
l’ha trovata.
La voce
angosciata di Sam produsse un eco nella mia testa che mi
perforò il
cervello; non tanto per l’intensità, quanto per
ciò che aveva
appena detto. I pensieri mi si ammassarono in calca, vorticando
furiosamente.
Bella.
Con Victoria. In pericolo. Bella, Bella, Bella…
«Dove
sono?!», domandò Edward concitato, che era
diventato, se possibile
ancora più bianco. Non lo guardai nemmeno: ero rimasto
pietrificato,
come se la testa fosse andata in stand-by.
Il mio
cervello assorbì la domanda senza che nemmeno me ne
accorgessi, e Sam
iniziò a darci indicazioni in risposta. Eravamo lontani da
dove si
trovava Bella, ancora più indietro di dove fosse Sam in quel
momento. Le
scie erano confuse, e il branco erano già andati fuori
strada diverse
volte.
Il tempo
passava.
DANNAZIONE!, imprecai,
riscuotendomi
dall’apatia giusto in tempo per vedere Edward sfrecciare via,
nella
direzione indicata dall’alfa. Una frazione di secondo e lo
seguii,
iniziando a correre ad una velocità sovrumana. Una parte del
mio
cervello era impegnata a seguire Sam, un’altra a far
sì che le
zampe mantenessero la loro andatura velocissima, e la terza gravitava
sempre
attorno a un unico pensiero: Bella.
Era tutta
colpa mia.
Prima di
scappare così avrei dovuto assicurarmi che non mi seguisse.
Un gesto del
genere era assolutamente da Bella, avrei dovuto prevederlo e prevenire:
dopotutto, non aveva fatto così anche col succhiasangue? E
poi ero io
quello che la conosceva bene, più di se stessa…
Se fosse
stato davvero così, Bella non si sarebbe cacciata in quella
situazione.
L’odio
che provavo nei confronti di me stesso mi travolse, e strinsi le zanne
per
concentrarmi: dovevo trovarla, strapparla dalla rossa prima
che…
Non
dovevo pensarci.
Dovevo
impegnarmi per trovare la scia giusta, perché ogni minuto,
ogni secondo
poteva esserle fatale: per fortuna Sam ci indicava le tracce da
evitare, ma
restavamo comunque lontani: la frustrazione, la rabbia, il ripulso
verso me
stesso mi stavano consumando.
Concentrati
Jacob, ci siete quasi!, mi ammonì Sam, abbandonando
l’ennesima
traccia falsa.
Il
plurale che usò mi fece ricordare che stavo correndo al
fianco –
l’avevo raggiunto, ormai – del succhiasangue:
correva concentrato,
l’espressione contrita e determinato. A ogni falcata sembrava
diventasse
sempre più veloce.
All’improvviso,
sentii l’eco di un urlo spaccare il rumore del vento che mi
fischiava
nelle orecchie: era la voce di Bella. Eravamo vicini.
Sfrecciammo
nel verde, ancora più veloci, vicinissimi alla meta, mentre
il ruggito
incitante di Sam mi riempiva la testa.
Vidi
soltanto di sfuggita la figura della vampira assassina che stava
massacrando
Bella, prima che la sagoma bianca di Edward le piombasse addosso a una
velocità impressionante.
Sparirono
qualche metro più in là, oltre una parete di
cespugli, nello
stesso istante in cui arrivavano Sam, Jared ed Embry. Li ignorai,
ritornando
umano e concentrandomi, finalmente, su Bella: se ne stava rannicchiata
in
posizione fetale, il volto e le mani sporchi di terra e sangue;
tremava,
singhiozzando, ed era pallida come un lenzuolo. Riuscivo a malapena a
guardarla, mentre l’odio verso me stesso continuava a
crescere.
«Bella!»,
esclamai affannato, chinandomi su di lei. La presi tra le braccia,
provando a
sciogliere quella posizione rigida; quando tentai di girarla emise un
mezzo
grido, contraendosi e prendendo a respirare affannosamente.
«L-La
sc-schiena…
m-mi fa male…»,
biascicò con voce tremula a occhi chiusi; dal tono in cui lo
disse
sembrava sul punto di perdere conoscenza, tanto pareva frastornata.
Provai a
farla sedere, sostenendola con un braccio dietro le spalle e facendole
appoggiare la testa contro il mio petto.
«Bells,
tesoro, sono qui, mi dispiace…», sussurrai,
baciandole la fronte.
Sperai
che Edward facesse in fretta, altrimenti sarebbe stato troppo
tardi…
Lei non
rispose, continuando a respirare a fatica, fin quando,
all’improvviso,
rovesciò la testa all’indietro.
«N-Non
respiro, Jake… A-Aiutami», soffiò,
boccheggiando; dai suoi
polmoni arrivava un sibilo strano, quasi raccapricciante. Respirava
agitata,
come quando si piange o si ha corso per miglia. L’espressione
nei suoi
occhi era di disperazione più totale. Il cuore mi si strinse
in una morsa.
In quel
momento, Edward spuntò al mio fianco,
l’espressione serissima.
«Dobbiamo
portarla subito da Carlisle», disse, prendendola in braccio
con cautela.
A quel minimo movimento, Bella spalancò gli occhi, chinando
la testa in avanti,
in uno spasmo; tossì un paio di volte, poi vomitò
sangue. Edward
le passò le dita sulla fronte, facendole poi un
po’ d’aria
con la mano.
«Sssh
Bella, va tutto bene. Presto finirà tutto», le
sussurrò
all’orecchio con fare tranquillizzante, prima di baciarle una
tempia. Non
potevo sopportare di vederlo comportarsi così, eppure non m
sentii in
diritto di protestare. Lui le stava per salvare la vita assieme al
vampiro
dottore, e io che avevo fatto per lei? L’avevo fatta braccare
da Victoria,
l’avevo fatta ridurre in fin di vita.
Vidi
Edward lanciarmi un’occhiata indecifrabile, e mi sentii
completamente
inutile. All’improvviso, sentii come se tutto il mio mondo
crollasse,
schiacciandomi il cuore.
Che senso
aveva per me, restare lì? D’altronde, non volevo
nemmeno lasciare
Bella…
«Seguimi, in direzione
nord», disse Edward frettoloso,
levandosi in piedi con Bella tra le braccia. Un secondo dopo, era
già
sparito.
Mi
trasformai in fretta, in modo da non perdere la sua traccia e gli corsi
dietro,
a tutta velocità.
Fu
davvero facile seguire la puzza di vampiro, perciò lo
raggiunsi in pochi
secondi. Sam, Jared ed Embry – sentii – si erano
già
occupati della rossa; un problema in meno.
Raggiungemmo
il covo dei succhiasangue in pochi minuti, anche se a me
sembrò di aver
sprecato ore; non facemmo nemmeno in tempo a saltare oltre il fiume che
il
dottore biondo ci venne incontro.
Mi
ritrasformai, senza dare troppo peso al fatto che fossi completamente
nudo, gli
occhi fissi su Bella che veniva posta tra le braccia
dell’altro vampiro.
«Carlisle,
temo che sia grave. Ha la spina dorsale a pezzi, i polmoni
danneggiati»,
spiegò Edward ansioso, mentre salivamo al primo piano di
quella enorme
villa bianca.
«Il
battito è debolissimo», disse Carlisle,
controllando il polso di
Bella. Era diventata bianchissima, e mugolava qualcosa di
indecifrabile.
Tremava ancora.
Entrammo
in una stanza che assomigliava molto ad uno studio medico: aveva le
pareti
nascoste da scaffali pieni di libri, c’era una scrivania e,
al centro
della stanza, un lettino alto da ambulatorio, ricoperto in pelle nera.
Vi
posarono sopra Bella, che lanciò un grido non appena la
schiena le
entrò in contatto con la superficie. Mi avvicinai fulmineo a
lei,
sistemandomi al lato opposto a Edward e al dottore, posandole una mano
sulla
fronte. Era sempre più gelida, e faceva sempre
più fatica a
respirare. La stavamo perdendo. Carlisle le infilò una
mascherina con
l’ossigeno, mentre le sfilava la giacca e la felpa, scoprendo
la camicia
insanguinata. Victoria l’aveva presa a calci…
«Non
sopravvivrà con ferite del genere, Edward»,
sussurrò
Carlisle, chiudendo gli occhi addolorato. Un brivido mi percorse la
schiena,
violento, e fissai lo sguardo sul dottore. Il dolore mi si
schiantò
addosso e abbassai gli occhi sul viso cadaverico di Bella, il suono del
suo
cuore zoppicante che mi riempiva le orecchie.
«Deve
esserci un modo per salvarla», mormorai, iniziando a tremare.
Era un
misto di rabbia e dolore, quello che scuoteva il mio corpo.
«Uno
c’è, in effetti», rispose il dottore,
guardando prima me e
poi Edward. Quest’ultimo si irrigidì, la mascella
tesa, e dopo
qualche secondo scattò.
«È
proprio per questo che l’ho lasciata! Per non arrivare a
questo
punto!», tuonò la sanguisuga, probabilmente in
risposta a un
pensiero del dottore. Che stava dicendo? «Non ti aspetterai
davvero
che…».
«Non
hai molto tempo, Edward. Devi scegliere», lo interruppe
Carlisle, teso.
«Non
riguarda solo me», replicò Edward, gelido,
indicandomi con un
cenno del capo. Mi sentii preso in causa.
«Scegliere
cosa?», domandai, aggrottando le sopracciglia, mentre il mio
sguardo si
spostava velocemente dal dottore a Edward, da Edward al dottore.
Carlisle
mi guardò, serio. «Vedi Jacob, per farla
breve… Bella sta
per morire, è in condizioni troppo gravi. L’unico
modo per salvarla
sarebbe morderla», mi spiegò, deciso.
«Farla diventare un
vampiro», aggiunse poco dopo, rincarando la dose.
Fu in
quell’istante esatto che il mondo mi crollò
addosso.
Mentre le
orecchie mi si riempivano di un ronzio insopportabile, nella mia testa
si
materializzò un’immagine che mi fece rabbrividire:
Bella, la mia
Bells, pallida e dalla forza sovraumana, una bellezza terrificante e
due occhi
rossi come carbonelle ardenti. Un moto di nausea mi partì
dallo stomaco,
e dovetti fare una fatica immane a ricacciare indietro la bile.
Quella fu
la mia prima reazione, dettata dall’istinto, il mio istinto
di
licantropo… nemico mortale di ciò che Bella
sarebbe potuta
diventare.
D’altra
parte, il cuore mi gridava: “cosa te ne frega?!”.
Era vero.
Cosa sarebbe cambiato, da parte mia, se Bella fosse diventata un
vampiro?
Nulla,
assolutamente nulla; i miei sentimenti, l’amore nei suoi
confronti…
non si sarebbero smossi di un centimetro, ne ero certo. O forse no.
Insomma,
come potevo esserne sicuro se avevo provato repulsione al solo pensiero?
Eppure,
pensare alla possibilità di vivere in un mondo senza di
lei… era
qualcosa di assolutamente inconcepibile.
Ma era
pur vero che, anche se fosse sopravvissuta, tra noi non sarebbe
più
stato lo stesso: primo perché, dopo tutto quello che le era
successo a
causa mia, mi avrebbe odiato per sempre – dubitavo, comunque,
allo stesso
modo in cui io odiavo me stesso per quello che le avevo fatto; secondo
perché conoscevo benissimo le storie sui vampiri
“neonati”,
creature incontrollabili, macchine assassine che, sino a un anno dalla
trasformazione, non pensavano a nulla che non fosse sangue. Sangue,
sangue,
sangue.
E se lo
stesso fosse capitato a Bella? Se, nel suo annebbiamento da sete da
neo-vampira,
avesse desiderato uccidermi? Magari non avrebbe desiderato il mio
sangue, ma
uccidermi sì, perché ero suo nemico naturale. E
probabilmente
lei, nel suo istinto di “violenza primordiale”, mi
avrebbe visto
come una creatura da distruggere… e, ciliegina sulla torta,
si sarebbero
creati un sacco di casini col branco per l’infrazione del
patto, secondo
il quale ai Cullen era categoricamente vietato mordere –
quindi,
trasformare – un essere umano.
Ma il
fatto che a Bella fosse stata concessa la possibilità di
sopravvivere era
la cosa più importante di tutte, la priorità
assoluta. Tutto il
resto sarebbe venuto dopo.
«Non
preoccupatevi per il branco, ci penserò io.
Trasformatela»,
sussurrai, gli occhi puntati su Bella. Non appena pronunciai quelle
parole mi
sentii come svuotato. Come se avessi dato via tutto ciò che
avevo.
Sentii il
respiro scioccato di Edward. «Cosa?! Jacob, ti rendi
conto—».
«Abbiamo
forse un’altra scelta? Io non posso stare senza di lei, tu
nemmeno,
immagino, quindi stai zitto e fai ciò che devi!»,
ringhiai,
sporgendomi verso Edward, furioso. Perché perdeva del tempo
così?
«Edward,
il battito sta diminuendo», gli fece notare Carlisle,
concitato.
Strinse
un pugno, ringhiando. «Dannazione»,
imprecò. Con una mossa
fulminea afferrò un braccio bianco di Bella e se lo
portò a pochi
centimetri dalle labbra.
Deglutì,
trattenendo il respiro e serrando gli occhi. Carlisle gli
posò una mano
sulla spalla, come per fargli forza, nello stesso istante in cui io
stringevo
la mano a Bella, preparandomi alle urla che sarebbero uscite dalle sue
labbra
viola. Posai la fronte contro la sua, digrignando i denti, dentro di me
un
tormento inimmaginabile.
«Bells,
mi senti? Sono Jake. Non ti preoccupare, amore, presto starai bene.
Diventerai
tanto forte, così tanto che non avrai più bisogno
della mia
protezione». Sarai così
diversa che non mi vorrai più al tuo fianco,
aggiunsi mentalmente.
«Sono qui Bells, non ti lascio, piccola. Ti amo Bells, ti amo
tanto», mormorai, con un groppo in gola.
Un
secondo dopo, i canini di Edward affondarono nel braccio di Bella; fu
in quel
momento che sentii il mio cuore strapparsi definitivamente, ridursi in
briciole.
Mentre sentivo ciò che avevo nel petto dissolversi, il
cervello si
riempì della certezza assoluta che, da quel momento in poi,
nulla
sarebbe più stato come prima.
Angolo
autrice. Come prima
cosa,
sono necessari un paio di chiarimenti :)
Ricordate Eyes On Fire, capitolo quindicesimo? Bella rincorre Jacob
–
trasformato in lupo – nella foresta, dopo che lui
l’ha lasciata, a
causa del ritorno di Edward.
La Tonna incontra Victoria nel bosco, che la massacra, ma Jacob e
Edward
riescono a salvarla.
Anche se non lo scriverò, ciò che Victoria
infligge a Bella
– ovvero, i danni che reca al suo corpo – in questa
storia è
qualcosa di più critico. Le spezza la schiena, quasi le
schiaccia i
polmoni e la prende a calci nella pancia, provocandole
un’emorragia.
Inoltre, non aiuta il fatto che Edward e Jacob si trovano lontani da
lei,
quindi ci mettono un po’ a raggiungerla; inoltre, Victoria li
depista,
assieme al branco, con scie false, e il tempo in tutto quel casino
scorre,
aggravando le condizioni di Bella.
Tanto che, come avrete letto, è necessario trasformarla
(brave, ci avete
preso tutte! XD).
E adesso
che succederà? Non lo so :D
Metti caso Bella scegliesse di tornare con Edward e vivere coi Cullen
–
dopotutto, adesso ha tutte le carte in regola per fare una cagata-ehm,
cosa
simile ^^ –… chi si offre come contentino di
Jake?! *.* Le
iscrizioni sono aperte! (tanto ci sono io in testa, muahah
>:3).
Okay, fine momento scleroso! Intanto, se volete vedere una specie di
copertina
di Eternal Moonglow, cliccate QUI!
:D
Ora, passiamo alle risposte alle recensioni e ai ringraziamenti ** marpy:
Diciamo che ritrovarsi è sempre un’emozione per
tutti :3 E
presto capirai un po’ di più in questa
storia… come si comporterà
Bella? Mah, vedremo ;)
Ti ringrazio di cuore, come sempre sei troppo gentile, Marpiuccia cara!
^w^ Un
bacione :*
Rein94:
La tua curiosità è stata assecondata, anche se
solo in
parte :P Devono succedere ancora tantissime cose, questo è
solo
l’inizio… spero che questo capitolo ti abbia
invogliato a
continuare a seguire questa storia :)
Comunque, grazie mille per la recensione, apprezzatissima
come sempre :3 Alla prossima! Un bacione :*
Sei_Nel_Anima
2oo9:
Beh, penso che per Jake non sarà affatto facile, anche se
Bella
sopravvive… uffa, critico tanto la Meyer
per
come la fa soffrire e guarda che cosa gli infliggo, povero cucciolo
ç_ç sono un mostro! *si auto-flagella*
Ehm, okay… o_ocooomunque,
ti ringrazio per l’entusiasmo con cui hai accolto questa
nuova storia :D
Sei troppo dolcina
>3< Alla prossima! Un
bacione :*
Kukiness:
Spero che questa piccola fettina di bistecca, per ora, non
l’abbia delusa, signorina ;) hai ragione,
sai, c’è tanta carne al fuoco, e
siamo solo l’inizio… spero che questo capitolo non
ti abbia fatto
passare la voglia di seguirmi e vedere che succederà :) Alla
prossima,
un bacione :* (e grazie di cuore per la correzione
nell’introduzione!)
_Starlight_: Mia topina francesinaaa
*_*
smettila di auto-flagellare la tua carne sacra >< Sono
troppo felice che,
questa volta, mi recensirai dall’inizio *w* Olèèè!
*me salta di gioia senza ritegno*
Mwahaha, voglio proprio vedere quali saranno i tuoi commenti a riguardo
di
questo God Of Sex POV
che non mi soddisfa per niente
=w=guh :P
A pvestoammove, ti voglio bèèène!
E anche tu aggiorna, okay?!
è_é Bacionè
<3
Cassandra_Wolf:
Spero con tutto il cuore di non deludere le tue aspettative, e spero
anche che questo primo capitolo ti sia piaciuto. Sei troppo gentile,
grazie
mille :3
Alla prossima, un bacione! :*
mammasaura:
Errr, purtroppo ho
postato dopo una settimana
– esatta, fantastico *_* - come vedi, ma spero che tu sia
riuscita a
chiarirti le idee, almeno un po’ ;)
Grazie mille per la recensione ^^ Alla prossima, un bacio :* E ora ringrazio le 9 persone che hanno aggiunto questa storia
tra i
preferiti, le 9 tra le seguite (ma lolxD) e l’una
persona a quelle da ricordare *-* Troppo dolciosi!
Ovviamente ringrazio anche chi legge soltanto, è sempre un
piacere
vedere che comunque la mia storia viene letta ^^
Ora fuggo che debbo fare matematica, domani ho la verifica =w=
Al prossimo capitolo, people! (Y)
Un bacione,
Bea
(che è riuscita a superare la
sua prima delusione sentimentale… viva me! XD) Mwahahah, suka stronzo
ù_ù *piccolo
sfogo personale*
Per il resto... PEACE
AND LOVE TO EVERYONE (Y)
Eternal
Moonglow
capitolo 02:
Essere Jacob Black
fa schifo - Jacob Black pov
-
Dopo il primo
morso, ne seguirono altri.
Le dita della
mano di Bella, in reazione ad un morso
che le aveva inferto Edward sul polso, si erano distese e il palmo si
era
allargato in maniera raccapricciante. Lo stomaco mi si
rivoltò.
Il succhiasangue iniziò a morderla dappertutto: sulle
caviglie, sulla
gola, nella piega all'interno del gomito, sul collo; sussultavo ogni
volta,
temendo che potesse perdere il controllo e potesse provare il desiderio
di
salassarla. Ma il suo sguardo era fermo, deciso; la sua
volontà di
salvarla sembrava inattaccabile, così forte da resistere
persino al
sapore e all’odore del sangue.
Oltre la paura, a farmi trasalire era il dolore provocato da ogni
coltellata al
cuore che avvertivo tutte le volte che la pelle di Bella veniva
sfregiata dai
canini di Edward.
A triplicare il dolore, arrivarono le urla di lei, provocate dal
veleno: non
sapevo quanto tempo fosse passato, ma la osservavo muto, disperato,
mentre si
dimenava urlante sul lettino.
Con la coda dell’occhio, vidi Edward che si appiattiva
ansimante contro
al muro, deglutendo. Aveva l’espressione stanca, il volto
cereo.
«Ottimo lavoro, Edward», disse Carlisle, in tono di
approvazione,
dandogli una pacca sulla spalla. Lui non rispose ma strinse gli occhi,
portandosi una mano alla gola. Carlisle lo guardò
comprensivo.
«Stai bene, figliolo?».
«I-Io ho bisogno di uscire un attimo», disse a voce
bassa. Mi
guardò. «Ti porto qualcosa da
indossare», mormorò,
uscendo dallo studio.
«Cos’ha?», domandai a Carlisle.
Il dottore sospirò. «È molto provato,
anche se è
riuscito a non farle del male. Mordere un umano e resistere alla
tentazione di
berne il sangue è difficile, ma per Edward lo è
stato il
doppio», spiegò, mentre toglieva la mascherina a
Bella.
Non gli chiesi il motivo, non mi interessava. Mi piegai di nuovo col
busto
sopra di lei.
Aveva il volto increspato in un’espressione di immane
sofferenza e di
tormento; dagli occhi serrati sembrava che stesse piangendo, ma non
uscivano
lacrime.
Forse il
dolore era troppo anche per quelle.
Strinsi la sua mano più forte che potei, ancora.
«Bella,
amore, sono qui. Sono Jacob. Presto
finirà tutto, te lo giuro. Resisti, amore mio», le
sussurrai
frenetico all’orecchio, sperando che mi potesse sentire;
pregando che le
mie parole si facessero spazio attraverso il dolore che in quel momento
la
stava travolgendo e potessero esserle di conforto.
Ma l’unica cosa che ottenni in risposta furono le sue grida.
In quel momento rientrò Edward; in mano teneva un paio di
pantaloncini
beige e una maglia polo nera.
«Tieni», disse atono, porgendomi i vestiti.
Arricciai il naso,
disgustato, e mi alzai per prenderli.
Puzzavano di vampiro.
«Grazie», dissi, secco. Li indossai in fretta,
cercando di non
concentrarmi sull’odore terribile che emanavano, poi tornai
vicino al
lettino che era la pira di Bella.
Richiusi la sua mano tra le mie.
«Vuoi sederti, Jacob?», domandò il
dottore, indicando una
poltrona lì vicino e guardandomi con compassione.
Lo squadrai
qualche istante, perplesso.
Perché tanta… gentilezza? Decisi di lasciar
perdere.
«Grazie», mormorai, prendendo la poltrona e
avvicinandola al
capezzale di Bella.
Edward non disse nulla. Si limitava a guardarmi, le braccia incrociate
e la
schiena appoggiata al muro. Negli occhi, uno sguardo indecifrabile.
Mi chiesi
come mai fosse così calmo e
permissivo nei miei confronti, perché lasciò che restassi
così, accanto a Bella, senza smuovere proteste. Aveva
sicuramente letto
nella mia testa ciò che avevo pensato, eppure
continuò a rimanere
in silenzio.
Ci pensai su, e la risposta arrivò da sola. Certo, era ovvio.
Anche Edward sapeva che, dopo la trasformazione, per me e Bella sarebbe
stato
impossibile recuperare ciò che avevamo costruito prima che
lui tornasse.
Perciò mi stava concedendo di stare con lei
finché non avesse
provato il desiderio di uccidermi.
Questo pensiero scatenò una rabbia indicibile, dentro di me.
«Ho
sentito Alice, prima. Arriverà in
serata con Jasper, Emmett, Esme e Rosalie», intervenne
Edward, come se
nulla fosse, rivolto a Carlisle. «Pensava che ci sarebbe
servita una mano
con Bella».
Carlisle annuì, meditabondo.
Perfetto. La magnifica famiglia di vampiri stava arrivando,
al completo.
Dopo quel
pensiero, più nulla. Posai di
nuovo lo sguardo sul volto sofferente di Bella e non mi mossi
più.
Come se attorno a me fosse sparito tutto quanto, o scorresse in maniera
talmente lenta – come a rallentatore – da sembrare
immobile; come
se il tempo si fosse fermato.
Ero circondato da un gran silenzio, riempito soltanto dalle urla di
Bella. Mi
sentivo come vuoto, mentre la consapevolezza che l’avrei
persa mi
consumava lentamente, spietata. Come se mi servissero quei giorni in
cui Bella
sarebbe stata “assente” per prenderne pienamente
coscienza.
Nonostante ci vedessi benissimo, i miei occhi sembravano coperti da un
velo
nero spesso, che mi impediva di percepire ciò che
c’era attorno a
me.
La testa e il cuore scoppiavano di emozioni e pensieri che mi stavano
distruggendo.
Sentii a malapena la battutina della vampira dai capelli neri:
«Abbiamo
comprato un cane?». Non ebbi nemmeno la forza o la voglia di
risponderle:
era come se sentissi che tutto quello che c’era non aveva
senso. Era uno
sforzo immane reagire a ciò che cercava di penetrare
l’involucro
di silenzio e passività nel quale mi ero rinchiuso.
Restavamo io e Bella agonizzante, e le sue grida indistinte che
crescevano un
secondo – che aveva la durata di un’ora –
dopo l’altro.
Era quello che si prova quando tutto il tuo mondo cade a pezzi? Forse
anche
Bella si era sentita così quando il succhiasangue
l’aveva
abbandonata… quando anche io l’avevo lasciata.
Come avevo potuto infliggerle un dolore simile? Come avevo potuto
respingerla
in maniera così… tremenda, dopo aver sentito
“ti amo,
Jacob” uscire dalle sue labbra? Come avevo potuto essere
così
dannatamente idiota?
Quei ricordi accrebbero il bruciore che mi arrivava direttamente dal
cuore,
perciò smisi di pensarci, e tornai con la mente al presente.
Mi
concentrai sul viso di Bella. Stonk,
il
cuore.
I miei occhi, più sensibili rispetto a quelli umani,
assorbirono
l’immagine del viso di Bella che, incredibilmente, cominciava
a cambiare.
Non era lo stesso di un tempo infinito prima. I suoi tratti si stavano
modificando, raffinandosi, perfezionando il suo viso incorniciato da
una folta
massa di capelli che tendevano al nero – non erano del suo
colore
naturale.
La mia Bells stava svanendo
lentamente.
E rimasi sorpreso anche quando mi accorsi che l’avevano
cambiata. I suoi
vestiti insanguinati e sporchi di terra erano spariti, e il suo corpo
esile era
stato fasciato da un tubino nero, elegante, per niente nel suo stile.
L’avrebbe odiato, ne ero certo.
Rabbrividii, poi, quando mi resi conto che il pallore che iniziava a
notarsi
sulle braccia, sulle gambe e sul suo volto non era il suo solito
candore: era
diverso, qualcosa di più soprannaturale. Vampiresco.
Inoltre, la sua mano stava diventando sempre più fredda e
vellutata,
granitica.
Non era la mano piccola e morbida che avevo stretto tante volte, che
aveva
sfiorato il mio volto e la mia pelle nel periodo in cui eravamo stati
insieme.
Mi rinchiusi di nuovo nel mio involucro, fissandomi ancora sul suo
viso, il mio
sguardo che si assentava. Qualcosa
di freddo mi strinse la spalla, all’alba del terzo
giorno, ma ero così preso a fissare Bella che non mi mossi
di un
centimetro. Al diavolo l’istinto di licantropo.
«Jacob», mi chiamò il dottore, a voce
bassa. «Penso che
tra poco Bella riprenderà conoscenza, ma avrà
sete. Sarebbe
opportuno che tu non ti facessi trovare qui…».
Capii subito a cosa si riferisse. «Dottore, il mio odore la
disgusterà, quindi non penso che vorrà
mangiarmi»,
replicai, continuando a guardare Bella: non si agitava più,
e aveva
smesso di urlare. Era perfettamente immobile.
«Nelle tue vene comunque scorre del sangue», mi
ricordò,
comprensivo. «Inoltre sei un licantropo, e il suo
istinto… insomma,
potrebbe non reagire bene. Ti vedrebbe come un suo nemico, e i vampiri
così giovani, oltre ad essere molto forti, sono molto
imprevedibili. Non
sappiamo come si comporterà».
Qualcosa dentro di me si spezzò.
Quindi, era
vero. Saremmo davvero arrivati a quel
punto? Allora non ero solo pessimista io… ciò che
avevamo vissuto
quando lei era ancora umana, a prescindere da ciò che le era
successo
per colpa mia, davvero non contava più nulla? I suoi
sentimenti erano
scomparsi con la sua umanità? Erano stati incendiati dal
veleno?
Cercai di dare un contegno alla mia espressione, e ci pensai su qualche
secondo, stavolta guardando Carlisle.
«Bella non mi farebbe mai del male, neanche
adesso», affermai,
sicuro. Carlisle mi guardò, compassionevole. Mi
mandò la bile al
cervello.
«Jacob, mi piacerebbe poterti dire che hai ragione, ma per oranon ne abbiamo la
certezza. Forse Bella
ti riconoscerà, e saprà controllarsi…
ma purtroppo, non
sappiamo se andrà davvero così. Non vorrei che
poi ti facessi del
male». I suoi occhi – non lo credevo possibile
– si
indurirono in un’espressione così sincera che mi
colpì.
Guardai da un’altra parte. «A te che importa di
me?».
Dalle sue labbra bianche uscì una risata debole.
«So che
può sembrarti strano, ragazzo, ma… ecco, provo
una specie di
gratitudine nei tuoi confronti. Ho sempre considerato Bella come una
figlia, e
abbandonarla ha recato dolore anche a me. Il punto è che, a
quanto mi
hanno detto, Bella avrebbe potuto morire in molteplici situazioni, ma
è
grazie a te se non le è successo niente». Ero
pronto a replicare,
ma tutto d’un colpo mi mancò la forza.
«Non è vero che non le è successo
niente», soffiai,
le spalle abbassate, guardando stancamente il volto pallido e stupendo
di
Bella. «È colpa mia se è in queste
condizioni…
l’ho strappata a Charlie, alla sua vita, ai suoi
amici… non che ci
passasse molto tempo, è vero, ma l’ho comunque
privata della sua
umanità».
«Non è stata colpa tua, Jacob»,
affermò Carlisle con
fermezza, e qualcosa mi disse che non sapeva con quali
”prove”
sostenere ciò che aveva appena detto. Invece, poco dopo,
parlò.
«Gli eventi hanno preso il sopravvento, e purtroppo sei stato
costretto a
una scelta», disse, posando di nuovo la sua mano fredda sulla
mia spalla.
«Sono certo che Bella ti sarà grata per averle
salvato la vita
ancora una volta».
«È stato Edward a salvarla, non io»,
mugugnai, per nulla
convinto dalle sue parole. «L’eroe della situazione
è il
succhiasangue: io sono il cattivo, la ragione per cui è
stata aggredita
da Victoria. Se solo mi fossi accorto che mi aveva seguito nella
foresta, se
fossi stato meno impulsivo… tutto questo non sarebbe
successo»,
dissi, stringendo i pugni e digrignando i denti.
Carlisle sospirò. «Il dolore e la rabbia posso
portarci ad essere
impulsivi… Hai reagito in maniera perfettamente normale,
Jacob».
Emisi uno sbuffo strano, misto a un ringhio.
«La
pianto di lamentarmi con te, tanto
saprai sempre come darmi torto, dire che sono pulito e che non ho fatto
una
stronzata».
Il dottore ridacchiò, sedendosi accanto a me.
«Dico
ciò che penso, e sei
liberissimo di non credermi… ma, davvero, non penso che tu
sia cattivo.
Hai voltato le spalle ai tuoi principi, permettendo a mio figlio di
salvare la
ragazza che ami. Trovo che sia davvero ammirevole da parte
tua».
Sbuffai, fissando lo sguardo per terra. «Se per questo ho
anche voltato le
spalle ai miei fratelli, e ho combinato questo casino senza il consenso
di Sam.
Lo sai che tutto questo scatenerà una guerra,
vero?». Mi voltai a
guardarlo, ma il suo volto era ancora sereno.
«Vedi, Edward mi ha spiegato un paio di cose… mi
ha detto che,
leggendoti nella mente, ha scoperto che dovresti esserci tu a capo del
branco,
e non Sam».
Dallo stomaco mi salì un moto di irritazione nei confronti
della
sanguisuga leggi-cervelli, ma decisi di lasciar correre. «E
questo cosa
centra?».
«Beh, a rigor di logica, essendo tu l’erede di
Ephraim e il vero
alfa del branco… hai avuto il pieno diritto di concederci
una deroga al
patto per salvare la vita a Bella», mi spiegò, e
sembrava
rincuorato dalle sue stesse parole. Ci riflettei su qualche secondo, e
mi accorsi
che non era un’ipotesi del tutto sbagliata. Forse una
speranza di
mantenere il patto ancora integro c’era, ma ne avrei parlato
a Sam in
seguito. Comunque, sorrisi a Carlisle.
«Sì, forse hai ragione».
Il dottore mi sorrise di rimando, guardando fuori dalla finestra.
«Manca poco», sussurrò, e i suoi occhi
sfiorarono la figura
immobile di Bella, poi passarono a me. Guardai da un’altra
parte, torvo.
«Non posso starle lontano, dottore… se non mi
vorrà
più vedere me lo dirà lei, nel caso
sarà nella
lucidità di farlo… e lo accetterò. Ma
non posso,
davvero», dissi a voce bassa, alzandomi e chinandomi su Bella
per
sfiorarle i capelli ormai neri.
«Ti capisco, ragazzo, ma è pericoloso per
te».
«Non mi importa», soffiai, ostinato. Carlisle
sospirò,
dispiaciuto. Rimanemmo in silenzio qualche istante, poi il dottore
parlò.
«Ascolta, Jacob:i neonati sono meno volubili quando sono
sazi,
perciò, se proprio vuoi vedere Bella, prima sarebbe
opportuno portarla a
caccia. Intanto che è fuori, potresti approfittarne per
andare a
discutere del patto con Sam», propose Carlisle, sorridente.
«E chi mi assicura che tuo figlio non ne
approfitterà per
portarmela via? Non aspetta altro», dissi, riducendo gli
occhi a due
fessure e guardando il dottore con diffidenza.
«Io. Andremo a caccia con lei, l’aiuteremo, e
quando sarà un
po’ più stabile, te la riporterò
qui».
Storsi le labbra.
«Preferisci
me a tuo figlio?», chiesi,
incerto.
Non seppi in
quale altro modo buttare giù
la domanda.
«Sto solo cercando di essere corretto nei tuoi confronti,
Jacob. La
questione tra te e Edward non mi riguarda, e la risolverete tra di voi.
Ma, a
quanto ho capito, sei molto importante per Bella, e farle credere, che
so, che
sei sparito sarebbe ingiusto anche verso di lei», mi
spiegò
Carlisle, stringendo una mano a Bella, con affetto.
Per qualche strana ragione, riuscii a credere alle sue parole, e la
certezza
che avrebbe mantenuto la promessa si consolidò nella mia
testa.
Non avrei mai pensato di poter provare qualcosa di simile alla
riconoscenza per
un succhiasangue, eppure il moto di simpatia che provai nei confronti
di
Carlisle era qualcosa di molto analogo alla gratitudine.
«Grazie Carlisle, davvero», dissi, fissando i suoi
occhi dorati,
incredibilmente sinceri. Il dottore si avvicinò a me, e
quando mi fu di
fronte posò entrambe le mani sulle mie spalle, con fare
quasi paterno.
Mi irrigidii per un istante.
«Figurati, ragazzo. Anzi, grazie a te», rispose,
sorridendomi. Poi
infilò una mano nella tasca e ne estrasse un cellulare. Mi
porse
l’oggettino nero.
«Ti telefonerò quando saremo tornati»,
disse, serio.
«Edward lo sa?», domandai, mentre prendevo il
telefonino e me lo
infilavo in tasca.
«Sì, ne ho già discusso con
lui», rispose,
tranquillo. Quando vide la mia espressione incerta,
ridacchiò.
«Non ti preoccupare, anche Edward ha convenuto che
è la scelta
più giusta nei confronti di Bella. Gli ho spiegato come la
pensavo e ha
capito, anche se, sono sincero, non ne è
entusiasta».
Ghignai. «Ma che strano», lo schernii, e sentii un
ringhio
provenire dal piano di sotto. Sorrisi, emettendo un verso stizzito con
la
lingua. «Come siamo permalosi».
Carlisle alzò gli occhi al cielo, senza nascondere un
sorriso.
«Dai, vai Jacob. E buona fortuna col branco», mi
augurò,
guardandomi deciso. «Tornerò
appena posso», e, dal tono in cui lo dissi,
sembrava quasi un avvertimento, ma più nei confronti di
Edward che in
quelli di Carlisle. Lo capirono entrambi.
Mi avvicinai nuovamente a Bella, trattenendo il respiro e baciandole di
sfuggita le labbra ghiacciate, chiedendomi se
avrei potuto farlo di nuovo; poi mi chinai, sussurrandole un
«ti
amo» all’ orecchio. Studiai il suo volto perfetto
per un istante
infinito, mentre una fitta mi trapassava il cuore. Poi, andando contro
l’aspettativa del dottore, mi lanciai fuori dalla finestra,
accennando un
saluto a Carlisle mentre prendevo la rincorsa.
Quando i miei piedi toccarono la terra umida e l’aria fresca
mi
riempì i polmoni, mi sentii un po’ meglio, come
rigenerato,
lontano dalla puzza di vampiro. La frescura dell’alba mi
aiutò
anche a riacquistare un po’ di lucidità, e tentai
di concentrarmi,
lo sguardo fisso all’orizzonte frastagliato dalle ombre
ancora scure
degli alberi.
Dovevo parlare con Sam, col branco. Sapevo che non
l’avrebbero presa
bene, ma dovevo fare di tutto per impedire che scoppiasse il putiferio
a
seguito dell’infrazione del patto.
In più – mi era appena tornato in mente
– avrei dovuto
rendere conto anche di Charlie; Bella mancava da tre giorni, e lui
aveva
sicuramente perso la testa. Chissà se aveva provato a
cercarmi a casa, o
a telefonare a Billy. Mio padre. Avevo cacciato nei guai anche
lui…
«Accidenti», imprecai, tra me e me. In quelle
settantadue ore si
era creato un casino dopo l’altro, era andato tutto a rotoli.
Ma, forse,
certe cose si sarebbero sistemate.
Adesso dovevo
solo aspettare di vedere che cosa
sarebbe andato completamente in pezzi.
Il mio cuore,
sotto quell’aspetto, era
già a buon punto; mi sentivo completamente vuoto, insensato. Dubitavo che sarei potuto
peggiorare ancora, anzi, mi
sforzavo di credere che non sarebbe potuta andare peggio di
così.
Ovviamente, tutti i miei pensieri convogliavano in uno sovrano: Bella.
Ma non era il tempo di pensarci e soffrirci ulteriormente; dovevo
salvare il
salvabile, e parlare col branco, in quel momento, era la
priorità
assoluta.
Feci un respiro profondo, voltandomi ancora una volta con lo sguardo in
direzione della casa, chiedendomi se, la prossima volta che ci sarei
entrato,
ne sarei uscito completamente distrutto o con un barlume di speranza
che, in
quel momento, non riuscivo proprio a cogliere.
Respirai profondamente ancora una volta, e mi voltai di nuovo verso la
foresta.
Trovai il modo di allacciare i pantaloni alla caviglia, in modo da mantenere integro il cellulare di Carlisle, poi lasciai che
il calore mi invadesse e sciogliesse i
miei muscoli, trasformandomi con uno strappo nell’altro me.
Con uno scatto repentino, mi fiondai nella vegetazione, diretto a La
Push. Mi
sembrò di correre alla velocità della luce, ma,
probabilmente,
non ero ancora abbastanza lontano da quella cripta maledetta,
perché mi
parve di sentire qualcosa provenirne dall’interno. Qualcosa
che mi fece
incomprensibilmente sussultare.
Ma forse, quella voce tanto familiare – ma in un qualche modo
sconosciuta, nuova – l’avevo solo immaginata.
Angolo
autrice.
Sì,
sì, sì! Finalmente ce
l’ho fatta ad aggiornare *-*
Sono incredibilmente di fretta, quindi spero vogliate perdonarmi se non
vi
ringrazierò una ad una, ma il tempo stringe
ç_ç
Ringrazio col cuore in mano le ragazze stupende che hanno recensito lo
scorso
capitolo (più di un mese fa -.- perdonoootwt) e tutti quelli che
continuano a inserire questa storia
tra le preferite e le seguite. Ve ne sono grata, davvero!
Non
pensò che aggiornerò fino alla
fine della scuola, primo perché ho un’ispirazione
pari a zero (mi
chiedo come farò col contest a cui sono iscritta, buuuh
ç_ç) e perché devo impegnarmi al
massimo per recuperare
ciò che ho sotto, e non sarà facile.
Ancora, vi
ringrazio infinitamente, per tutto.
Un bacio grande grande,
Bea :3
(ps: a chi
fosse sfuggito, chiarisco che il sussurro
che sente Jake è di Bella ^^ chissà che
avrà detto la
nostra neo-vampirozza…
boh! :P)
Il mio
corpo era dominato da un dolore che non mi lasciava via di fuga,
nemmeno se
provavo a concentrarmi per cercare di sopportarlo, usando tutte le mie
forze.
Si era fuso con la mia carne, mi era penetrato nelle mie ossa, le
stesse ossa
che sentivo andare in pezzi come il resto di me. Quella sofferenza mi
aveva
annebbiato, lasciandomi senza forze. Ero precipitata in un baratro
nero, in cui
non vi era nulla se non il dolore.
Eppure, allo stesso tempo ero perfettamente lucida, in grado di
ricordare gli
ultimi avvenimenti.
Ma ciò non faceva che provocarmi altro dolore.
Vedevo il viso perfetto di Edward che implorava il mio perdono.
Vedevo la delusione straziante e la rabbia negli occhi di Jacob, mentre
mi
diceva addio.
Vedevo il ghigno mostruoso di Victoria, a pochi centimetri da me, che
già si
stava pregustando la mia morte per mano sua.
Ecco perché ero lì, in mezzo a quella tortura.
Victoria mi stava uccidendo. Stavo morendo.
Morivo, ma non me ne importava niente. Nulla avrebbe avuto
più importanza da
quel momento in avanti, perché non c’era Jacob. La
vampira che continuava a
infierire contro il mio corpo, anche se non lo sapeva, mi stava facendo
un
regalo.
Non avrei sopportato di vivere senza Jacob. Era tutto finito, ormai.
Improvvisamente, l’oscurità davanti ai miei occhi
si diradò pian piano, e
un’ombra indistinta mi aleggiò di fronte. Strinsi
le palpebre e le riaprii,
trovandomi il viso di Victoria a pochi centimetri di distanza. Mi stava
tenendo
per il bordo della giaccone, spingendo il mio corpo contro qualcosa di
ruvido e
duro, probabilmente la corteccia di un albero.
Sentivo il mio respiro affannato e riempire lo spazio che separava i
nostri
volti.
Chinò la testa da una parte, piegando le labbra in un
sorriso maligno,
spietato, e mostrò i denti, lustrandosi i canini con la
punta della lingua.
Vedevo già il mio corpo straziato da un veleno al sapore di
vendetta.
«Addio, Bella», mormorò, ringhiando
sulle ultime sillabe in prenda
all’impazienza.
Il panico che scaturì da quelle parole fece nascere un grido
in fondo alla mia
gola, che uscì senza che potessi impedirlo. Urlai, per un
secondo. Poi persi i
sensi, all’improvviso, e tutto si fece buio.
Di nuovo, non c’ero più. Ma stavolta era diverso.
Non capii se Victoria aveva già iniziato a torturarmi, a
lacerare più parti di
me che poteva. Ero in uno stato di incoscienza totale: come se sapessi
che
esistevo ma in realtà non esistessi. Come se la vampira
stesse infierendo
contro un corpo vuoto, il mio, e io non avvertissi nulla. O il cielo mi
aveva
graziato, o ero già morta.
Così era quella, la morte... Un oceano infinito di buio,
immenso, senza inizio
né fine. Era arrivata così velocemente che me ne
ero a mala pena resa conto.
Sembrava un’anestesia, o uno svenimento. Era una sensazione
veramente assurda:
mi sentivo incosciente, ma sapevo di esserlo, ne ero consapevole. Non
sentivo
niente, non provavo nulla: freddo, dolore, paura… Era un
nulla totalmente privo
di emozioni.
Il tempo sembrava essersi fermato, e non riuscii a rendermi conto di
quanto
tempo passai in quello stato.
Ma ad un certo punto, in quel nero sconfinato, qualcosa
iniziò a cambiare.
Inizialmente avvertii un dolore leggero ma pungente in un punto
imprecisato del
mio non-corpo, che sembrava corrispondere al polso.
Cercai di muovere il braccio per scacciare quel fastidio, ma non feci
in tempo
a provare a muovere un muscolo – mi sentivo così
pesante – che il dolore si
intensificò immediatamente.
Il taglio – immaginai fosse un taglio –
iniziò violentemente a bruciarmi, e dal
dolore mi mancò il fiato. Sembrava che avesse preso fuoco,
un fuoco che dai
margini di quello squarcio scivolò nel sangue, come se
venisse risucchiato
dalle vene. Il tutto nel giro di pochissimi secondi.
Cercai di riprendere il controllo dell’altra mano, per
provare a bloccare
quell’incendio che continuava la sua corsa per propagarsi in
tutto il braccio,
ma non ci riuscii. Ma, all’improvviso, il dolore
raddoppiò, lasciandomi
spiazzata: i focolai si moltiplicarono, facendo arrivare quella
sensazione
orribile da più parti all’interno del mio corpo.
Era un dolore così intenso, così bruciante e
immenso, che avevo l’impressione
che il volume del mio corpo si fosse quadruplicato: alta come una
montagna ed
estesa come una radura. Di certo, tutto quel fuoco non poteva essere
contenuto
in uno spazio esiguo come me… Era troppo, troppo
grande… Poco a poco, con
l’aumentare dell’incendio e la sensazione di essere
messa al rogo, ritornai ad
avere cognizione di me. Mi scoprii improvvisamente lucida e urlante.
Stavo
urlando, disperata, stravolta, straziata. Mi sentivo sola, in mezzo a
quelle
fiamme crudeli che mi stavano masticando… e probabilmente
era così, perché per
quanto gridassi – chiaro segno che volevo essere aiutata
– nessuno stava
venendo per strapparmi a quell’inferno. Fatemi morire!, avrei voluto implorare, ma una
fiammata sconvolgente che
sentii avvampare dai polmoni me lo impedì, col risultato che
le mie grida
aumentarono di intensità. Tenevo gli occhi serrati, come se
le lingue di fuoco
mi avessero incollato le palpebre al bulbo oculare, ma sapevo benissimo
che,
anche se avessi avuto la forza di aprirli, avrei visto il nero spessore
delle
tenebre che mi avevano inghiottita. Le orecchie mi fischiavano, anche
loro
bruciavano, ma in mezzo a quel silenzio assordante sentii qualcosa. In
maniera
ovattata, ma lo sentii, sotto le mie grida.
Era una voce calda, roca, familiare e intrisa di tormento.
Era la voce di Jacob. «Bells, amore,
sono qui».
Sentii gli occhi gonfiarsi di lacrime, e il cuore che stava bruciando,
scoppiare.
Jake, il mio sole. Amore mio… Lui c’era, era
lì, al mio fianco, come sempre.
Volevo vederlo, vedere il suo volto e parlargli, ma il buio e le fiamme
non me
lo permettevano. Ti sento, amore mio. Parlami, ti prego…,
lo supplicai, in un pensiero
muto.
Parlò di nuovo. «Presto finirà
tutto, te lo giuro». Sto andando a fuoco, Jake. Ti prego, aiutami.
«Resisti, amore mio».
La voce di Jake si perse e l’assenza improvvisa della sua
voce mi spaventò. Le
sue parole sfociarono in un eco sordo che si dissolse nel nulla. No, Jacob! NON LASCIARMI!, gridai mentalmente,
mentre quella sofferenza
insostenibile aumentava di intensità, sconvolgendomi.
Precipitai di nuovo
nella, completamente inghiottita dalle fiamme.
Non mi sentivo più padrona del mio corpo, né
stavo capendo cosa mi stesse
succedendo.
Dolore, dolore, dolore.
Era rimasto solo quello, ormai. Forse ero già morta, e mi
trovavo nel mio
inferno. Forse la voce di Jacob l’avevo solo
immaginata… Probabilmente era
stata la reazione disperata del mio inconscio per contrastare il dolore
e la
solitudine, per farmi un po’ di forza.
Pensai al viso di Jacob, mentre le mie urla continuavano a rimbombare
in quel
nulla soffocante e pieno di tormento, e mi lasciai andare, sconfitta.
Sentivo la mente annebbiata da quello strazio incandescente, e
l’unico, ultimo
pensiero che riuscii a produrre rimbombò nel nulla, mentre
perdevo conoscenza
affondando in un dolore infinito. La vita è difficile,
l’eterna dannazione
ancora di più.
Jacob
Ti rendi
conto
dell’enorme cazzata che hai fatto, Jacob? ringhiò
Paul, iniziando a tremare.
Lo guardai, duro. Non ho fatto una
cazzata Paul. Cioè, forse sì… ma
c’era in ballo la vita della ragazza che amo,
e ho fatto la cosa che ritenevo più giusta.
Dici bene, Jacob, sbuffò Jared. Hai. Hai
fatto tutto tu, senza interpellarci! Non c’era tempo.
Con un cenno, Sam rimise Paul e Jared al loro posto, poi
parlò. Il tuo comportamento non è in alcun
modo
giustificabile, Jacob Black, e la tua incoscienza è davvero
deplorevole,
assentì Sam, in tono grave. Jared
ha
ragione: fai parte di un branco, e prendere iniziative per conto tuo
non è
accettabile. Siamo tutti affezionati a Bella, Jacob, ma il patto
è alle
fondamenta della nostra alleanza coi vampiri, e tu l’hai
mandato in malora con
le tue stesse mani. Hai spezzato l’equilibrio, e ora
scoppierà una guerra. Mi scaldai, iniziando a tremare. Una
vita umana è meno importante di uno stupido patto?
ringhiai, furioso. Mi piacerebbe vedere cosa
avresti fatto tu
se al posto di Bella ci fosse stata Emily.
Si sentì punto nel vivo, ed emise un suono basso, minaccioso. Dimmelo, Sam, avresti davvero lasciato
che Emily morisse per onorare qualcosa di fittizio? Non credo proprio.
Smettila immediatamente, Jacob. Schioccai con la lingua, sprezzante. No,
non smetto niente! E’ vero, avrei dovuto parlarvene, e mi
dispiace, ma sono
contento della scelta che ho fatto, e sono grato a quei vampiri per
aver
salvato la vita a Bella.
Preferisci una banda di schifosi succhiasangue al tuo branco, alla tua
famiglia? sbottò Jared, gli occhi spalancati.
Embry e Quil mi guardavano
con compassione, ma un leggero velo di condanna lo notai anche nei loro
occhi
scuri. Non preferisco niente a nessuno. Ma mi
chiedo come posso considerarvi una famiglia se mi puntate
così il dito contro
solo perché ho lasciato che le salvassero la vita.
Certo, a una che ti tradisce con uno di loro! Abbiamo visto tutti
cos’è
successo, Jacob, abbiamo visto come Bella si sia comportata da stronza,
osservò Paul, acido. Che cazzo centra? Avrei dovuto lasciarla
morire per una cosa del genere? Non lo so cosa avresti potuto fare…
ma
ora che l’hai salvata, pensi davvero di aver migliorato le
cose? Lei è una
succhiasangue, tu sei un licantropo: tra voi non potrà mai
funzionare. Quindi,
praticamente, hai mandato a puttane il patto per niente! Le sue parole mi colpirono veloci come un proiettile che mi
penetrò il
cervello. Aveva ragione, dannatamente ragione. Sì, è vero, ma non conta
niente: lei è
viva, più o meno, e questa è la sola cosa che
conta. Se dovessi rifarlo, lo
rifarei dieci, cento, mille volte. Molto probabilmente se ne andranno e
la
porteranno con loro, e non causerà problemi a nessuno, se
è la sua presenza a
Forks – visto che è una neonata – che vi
preoccupa. Va bene così. Il patto non
vale nulla rispetto alla vita di Bella. Le loro menti liberarono pensieri di discordanza totale,
misti a rabbia e
incredulità. Non posso ignorare ciò che hai
fatto,
Jacob, intervenne Sam, scuro in viso. Hai
combinato tutto questo senza il parere dell’alfa. Hai
concesso loro una deroga
al patto, ma non ne avevi il diritto, mi accusò. Appena finì di pronunciare queste parole, mi
ritornarono in mente il
discorso di Carlisle, la deduzione di Edward. Rimisi ogni dettaglio al
suo
posto.
Sam si stava sbagliando di grosso: io potevo. Avevo il pieno diritto di
agire
comeavevo fatto,
lui era nel torto.
Io ero il vero alfa, l’unico che avrebbe potuto prendere realmente una decisione del genere.
Ciò che mi spettava di diritto
era troppo importante in quel momento, e fu come se mi piombasse
addosso
nell’istante esatto in cui producevo quel pensiero. Era la
chiave per risolvere
quel macello nel modo più pacifico possibile.
Sentii le catene invisibili che mi legavano a Sam e alla sua
autorità
spezzarsi, nello stesso istante in cui avvertivo una nuova forza
crescere
dentro di me. Sapevo
cosa fare e nessuno, nemmeno Sam, poteva osare contraddirmi.
Bella
Il peso che mi aveva schiacciato fino a quel momento, spingendomi
giù in mezzo
alle fiamme e privandomi di ogni consapevolezza di me stessa,
iniziò a
dissolversi pian piano.
Ero sospesa ancora nel rogo, ignara di quanto tempo fosse passato
– se fosse passato
– e anche il dolore
immenso era rimasto.
Però non mi sentivo più soffocare: d’un
tratto, fu come se ricominciassi lentamente
a riavvicinarmi con il mondo al di fuori di me, che sembrava essersi
allontanato anni luce, per un lasso di tempo infinito.
Il contatto che riuscì a penetrare lo spesso strato di
tenebre da cui ero stata
avvolta fu un tocco caldo, che sfiorò la mia mano destra.
Inizialmente leggero,
sentii quel calore avvolgere tutta la mano, e mi sorprese il fatto che
riuscii
a distinguerlo e separarlo dalle fiamme che ardevano al di sotto della
mia
pelle.
Quel tocco tiepido mi ricordò qualcosa, e quel qualcosa fece
scattare nel mio
cervello una risposta che uscì, automatica, dalle mie labbra
serrate.
«Jacob».
Fu tutto quello che dissi, in un sussurro spezzato, prima di venire
risucchiata
di nuovo dalla solitudine e dal nulla.
Prima che il fuoco che mi stava incendiando crescesse ulteriormente di
intensità, rispendendomi nuovamente all’inferno.
In una tortura della quale non riuscivo a scorgere la fine.
Angolo
autrice. Ho pochissimo tempo, perciò sarò breve.
Finalmente sono riuscita a pubblicare dopo un sacco di tempo!
Sono davvero
felice, e spero che vi piaccia questo capitolo narrato da entrambi i
nostri
piccioncini :D
Questo pezzo è stato veramente un parto… ma
superato questo scoglio, sono certa
che la scrittura e la pubblicazione dei prossimi capitoli
filerà più o meno
liscia ^^
Di materiale ne ho parecchio, in vacanza ho scritto davvero tanto!
Vorrei ringraziare di cuore Erika (Saorio)
che mi ha
dato veramente degli ottimi consigli *_*
Ringrazio chiunque abbia letto, recensito, messo tra preferiti, seguiti
e “da
ricordare”… Insomma, tutte le persone che mi
seguono e che apprezzano la mia
storia! :)
Ora, ahimè, torno a studiare per gli esami a settembre =_=
fatemi un in bocca
al lupo! >< (Ovviamente il lupo deve essere Jacob *Q*)
…
Okay xD
Grazie di cuore, ancora! <3
Un bacio,
Bea :3
Ps: http://www.formspring.me/BlackieGloomAdoro
quest’affare! *_*
Perciò, fatemi pure tutte
le domande che volete, di ogni tipo… ma non chiedete troppi
spoiler, mi
raccomando ù_ù
Dopo un tempo
infinito, svanì tutto.
Il dolore, le fiamme, le mie urla. Per qualche attimo prevalse in me la
consapevolezza assoluta che ero finalmente riuscita a fuggire da
quell’inferno.
Mi sembrò di risvegliarmi da un incubo eterno, la mente
completamente sgombra.
E, incredibilmente, molto più spaziosa – o almeno,
così la percepivo io. Ero
ancora immersa nel buio, ma l’oscurità non mi
schiacciava più: avevo soltanto
gli occhi chiusi.
Esalai un respiro profondo, che portò con sé
tantissime fragranze differenti
che riuscii a distinguere perfettamente l’una
dall’altra, contemporaneamente.
Quell’ondata di odori mi distrasse, e per un secondo mi
dimenticai di riaprire
gli occhi.
Eppure avrei potuto farne a meno, perché riuscivo a sentire
ogni singolo rumore
ed ero in grado di percepire ogni minimo movimento intorno a me.
Incredibile.
Qualcosa – o qualcuno – si mosse alla mia destra, e
riprendere padronanza della
vista fu istintivo e istantaneo.
Aprii gli occhi, lo sguardo fisso verso l’alto, in una luce
abbagliante che non
recava alcun fastidio alla mia vista. Nessunissimo fastidio.
Vedevo lo spettro coi sette colori, ogni singolo filamento di luce che
fluttuava in quello spruzzo abbagliante. Spostai la mia attenzione sul
soffitto
costruito in travi di legno, dei quali riuscivo a distinguere ogni
singola
venatura.
Di nuovo, incredibile.
Mi sentivo come se il mio udito, il mio olfatto e la mia vista non
fossero mai
stati così percettivi e perfetti prima di quel momento.
Mi sentivo incredibilmente diversa… Eppure ero sempre io.
Quella nuova consapevolezza mi distrasse del tutto, facendomi
dimenticare di
ciò che mi aveva fatto riaprire gli occhi.
«Bella», sussurrò qualcuno di fianco a
me.
Nello stesso istante, qualcosa di caldo mi toccò la mano.
Balzai in piedi, e in un battito di ciglia – me ne accorsi a
mala pena – mi
ritrovai con le spalle al muro, sulla difensiva. Ma il ragazzo di
fronte a me,
lo avvertivo, non aveva nulla di pericoloso, e mi sentii sciocca per la
mia
reazione.
Anzi, lo sentivo incredibilmente simile a me.
Tese, molto lentamente, una mano verso di me, un sorriso rassicurante
sul suo
volto bellissimo. Qualcosa dentro di me si scosse. Quel volto mi era
incredibilmente familiare…
«Bella», ripeté. «Va tutto
bene, ora. Non avere paura di me», mi disse,
avvicinandosi ancora di più.
Azzardai un passo verso di lui, stendendo il mio braccio per
raggiungere la sua
mano.
«Così, brava», mormorò
dolcemente, mentre le nostre dita si intrecciavano sopra
il lettino che era stato la mia pira.
«Chi sei?», gli domandai, fissando i suoi occhi
dorati. Lui si avvicinò a me, e
la sua dolce fragranza mi inondò completamente.
«Sono Edward, Bella. Non ti ricordi?»,
domandò, senza smettere di sorridermi.
«Hai un volto familiare», mormorai, toccandogli la
guancia senza pensarci. «Ma
non riesco a ricordare chi tu sia».
Il suo sguardo si rabbuiò leggermente, dispiaciuto, ma il
sorriso non abbandonò
le sue labbra.
«Non ti preoccupare, è normale. Immagino che tu ti
senta confusa e che abbia
sete», disse, comprensivo.
Una parte del mio cervello esaminò la parola confusa:
è vero, mi sentivo molto confusa, vuota… Come se
non
avessi presente da dove fossi arrivata. Dove fossi,
chi fossi prima di riaprire gli occhi.
Mi sentivo appena nata, come se alle mie spalle non avessi passato.
Ero completamente smarrita, sola.
Invece la parola sete
mandò
completamente a fuoco la mia gola, tanto che lasciai la mano di Edward
per
afferrarmi il collo, in un inutile tentativo di bloccare
quell’incendio
divampato così improvvisamente.
Era un bruciore così intenso, mi chiesi come mai non fossi
riuscita ad
accorgermene prima. Strinsi gli occhi, emettendo un sibilo basso.
«Questo è… insopportabile»,
soffiai, cercando con tutte le mie forze di
sfruttare la mia nuova mente spaziosa per ignorare quel dolore.
Mi prese il volto tra le mani, guardandomi negli occhi. Questo
bastò, per
qualche strana ragione, a farmi diminuire il fuoco in gola.
«Lo so, Bella, lo so. Presto passerà, ti porteremo
a caccia e la tua gola starà
meglio», mi rassicurò, fissandomi concentrato.
«C-Caccia?», sussurrai, spaesata.
«Sì, servirà a nutrirti e a far passare
la sete. Carlisle sarà con me, e ti
aiuteremo, cacciando con te e insegnandoti come fare. Hai sempre voluto
vedermi
cacciare, no?», disse, sorridendo sulle ultime parole.
Non ricordavo di aver mai desiderato una cosa del genere. Come potevo,
se non
riuscivo nemmeno a ricordarmi chi fosse lui?
«Non ricordo…», risposi.
Fece un risolino, baciandomi la fronte. «Non ti preoccupare,
presto ricorderai
tutto. Ricorderai che io e te…».
«Bella!».
Volsi lo sguardo davanti a me, seguendo quella voce bella, nuova e
limpida. Un
uomo poco più grande di Edward, dai capelli biondi e dal
viso bellissimo, si
fece incontro a noi.
«Carlisle», mormorò Edward come saluto,
facendo scivolare via le mani dal mio
viso e mettendosi al mio fianco.
L’uomo mi posò le mani sulle spalle, sorridendomi.
Anche lui aveva le iridi di
quello strano color oro.
Mi ispirò un’immediata sicurezza.
«Bella, figlia mia, sono così felice che tu sia
qui. Come ti senti?», domandò,
stringendo leggermente la presa sulle mie spalle.
Sorridergli fu spontaneo.
«Mi sento… Bene, direi», risposi,
provando a bilanciare il mio stato d’animo.
«Vedo che la trasformazione è andata a buon fine.
Sei splendida, veramente».
«Trasformazione?», domandai, confusa.
Lo sguardo di Carlisle si fece più serio. Si
voltò leggermente verso Edward.
«Non ricorda nulla?», gli domandò.
Edward scosse la testa in segno di diniego.
«Capisco. Può succedere», disse, poi
tornò a guardarmi. «Avremo il tempo di
spiegarti tutto, Bella, stai tranquilla. Comunque, io sono Carlisle, il
dottore
che lavorava nell’ospedale di Forks».
«Non penso che Bella sappia di cosa stai parlando,
Carlisle», gli fece presente
Edward.
Carlisle gli sorrise, sereno. «Non importa. Più
cose le diciamo, più sarà
facile ricordare, anche se ciò che le dico, ora come ora,
per lei non vuol dire
assolutamente niente. I ricordi si costruiranno di nuovo poco alla
volta, e
tutto tornerà a posto da solo», gli rispose,
fiducioso.
Edward lo guardò qualche secondo, poi annuì.
«Vado a chiamarli», disse al dottore.
Strano, Carlisle non aveva aperto bocca.
Quest’ultimo sondò le mie perplessità e
ridacchiò, mentre Edward usciva dalla stanza.
«Edward sa leggere nel pensiero, Bella. Gli ho detto di
andare a chiamare il
resto della famiglia, per ripresentarteli», mi
informò, posandomi una mano
sulla testa.
«Leggere nel pensiero? Famiglia?», fu tutto quello
che riuscii a dire. Era così
frustrante non sapere ciò di cui stava parlando. Quanti
pezzi avevo perso? E
perché?
«Tranquilla Bella, presto sarà tutto
più chiaro», cercò di tranquillizzarmi
Carlisle, notando la mia agitazione. «Devi soltanto fidarti
di noi, vedrai che
andrà tutto bene».
Annuii, leggermente turbata.
La frustrazione, sommata alla sete che continuava a scorticarmi la
gola, mi
rendeva nervosa.
Mi voltai nell’istante esatto in cui percepii Edward varcare
la soglia.
Lo seguirono due ragazzi, uno biondo dalla chioma leonina, e
l’altro, enorme, coi
capelli ricci, corti e
scuri. Del primo, fece scattare in me l’istinto
dell’autodifesa il fatto che
avesse il viso coperto di cicatrici; del secondo, la stazza.
Il ragazzo biondo mi guardava diffidente e concentrato al tempo stesso,
come se
stesse cercando di studiarmi. Quello moro, invece, mi sorrise
amichevole, ma
restò a distanza.
Dietro di loro, comparvero tre femmine: una era piccolina, il viso
vispo
incorniciato dai capelli corti e neri; la seconda che vidi era
più alta, bionda
e slanciata, veramente bellissima. L’ultima, invece, era poco
più alta della
prima, il dolce viso a cuore incorniciato da folti capelli color
caramello.
Mi guardavano nascoste dagli energumeni davanti a loro; il folletto dai
capelli
corti si sporse da dietro il braccio del ragazzo biondo.
«Emmett, Jasper, tranquilli: non vi farà del male.
È stranamente controllata,
per essere una neonata», disse Carlisle ai due ragazzi.
Il ragazzo biondo – non sapevo se fosse Emmett o Jasper
– mi inchiodò con lo
sguardo, diffidente. «La sento innervosita, Carlisle.
Potrebbe scattare da un
momento all’altro. Sarebbe pericoloso».
Lo guardai, senza capire cosa intendesse. Io? Pericolosa?
Ero parecchio nervosa per via della sete, certo, e anche abbastanza
inquieta…
però se riuscivo a non pensarci, la cosa non mi procurava
poi tanto fastidio.
«Nel caso succedesse, Jasper, saremmo pronti. Non temere per
l’incolumità delle
ragazze: sapranno difendersi, senza fare del male a Bella»,
tentò di nuovo di
rassicurarlo Carlisle.
Jasper lo fissò qualche secondo, combattuto sul da farsi.
Poi si spostò dalla
soglia, facendo entrare le tre ragazze.
Un battito di ciglia, e lo ritrovai dietro di me; mi bloccò
le braccia dietro
la schiena. La mia prima reazione fu quella di levarmelo di dosso, ma
venni
subito invasa da una sensazione di calma che bloccò
l’istinto di autodifesa.
Mi sfuggì un ringhio.
«Piano, Jazz», lo rimproverò Edward.
«Ben ritrovata, Bella», disse al mio orecchio, in
tono più amichevole.
Provai a calmarmi, stringendo i denti. «Ciao,
Jasper».
«Anche se probabilmente non ricorderai nulla, ti chiedo scusa
per ciò che è
successo al tuo compleanno. Sono desolato», aggiunse in tono
più basso. Quella
frase distolse la mia attenzione dal fastidio che mi procurava il fatto
che mi
tenesse così bloccata, e non riuscii a capire cosa
intendesse.
Ma fu soprattutto lo sguardo di Edward, davanti a me, a distrarmi:
un’ombra era
calata sui suoi occhi, e non capii il perché.
«Oh, Bella, quanto tempo!», trillò la
ragazza più piccola, venendomi incontro e
circondandomi il collo con le braccia. Sentii la stretta di Jasper
raddoppiare.
«Mi sei mancata tantissimo», sussurrò
con una nota di dolore nella voce
squillante.
Non seppi come ribattere.
Si staccò da me, guardandomi per qualche istante, poi
ridacchiò. «Uhm, sì,
scusami… Io sono Alice», disse, sorridendomi, poi
mi accarezzò una guancia.
«Eravamo migliori amiche, e spero potremmo esserlo di
nuovo… Ma le previsioni
sono piuttosto rosee!», esclamò, un luccichio
negli occhi.
Poi mi squadrò dalla testa ai piedi. «Sei
spiccicata alle mie visioni, è così
che ti ho sempre vista! Anzi, forse sei ancora più bella e
straordinaria.
Veramente, sei splendida», aggiunse parlando velocemente,
emozionata.
Continuavo a guardarla senza dire niente, sorridendo imbarazzata. Mi
sentivo
così a disagio a non ricordarmi di lei.
«Alice, dalle un po’ di tregua», la
riprese bonaria la giovane donna con i
capelli caramello, avvicinandosi a me.
Alice mi lanciò uno sguardo di scuse e si fece da parte,
così che l’altra
potesse mettersi davanti a me e abbracciarmi.
«Ciao piccola, io sono Esme. Sono così felice di
rivederti», mormorò, mentre mi
stringeva delicatamente. Le sorrisi, a disagio.
La ragazza bionda non si era mossa dalla soglia, e mi guardava in
maniera
ostile, a braccia incrociate.
Al contrario, il ragazzone moro fece due lunghi passi verso di me,
nascondendomi tra le sue braccia in un abbraccio vigoroso.
«Ma guarda chi si rivede! Ciao Bella, io sono Emmett, e
quell’acida là in fondo
è Rosalie», disse, ridacchiando. Rosalie emise un
sibilo contro Emmett.
«Ce l’hai fatta a diventare una di noi, alla fine!
Ti va una sfida a braccio di
ferro?», domandò il ragazzo, strizzandomi un
occhio.
Edward rise, regalandogli un pugno sulla spalla.
«Non ti conviene, Em. È molto più forte
di te, potresti perdere un braccio. E
poi dobbiamo assolutamente portarla a caccia», disse,
guardandomi.
Il fuoco alla gola divampò istantaneo.
Edward mi poggiò una mano sulla spalla, e Jasper
mollò la presa. Scivolò vicino
ad Alice, circondandole la vita con un braccio.
«Io non so come si fa», mormorai, nel panico,
l’istante esatto in cui me ne
resi conto.
«Ci siamo noi apposta, Bella», mi
rassicurò Alice, sorridendomi. «E comunque,
è
molto semplice. Dovrai soltanto lasciarti andare, dovrai seguire
l’istinto».
«Ma cosa andremo a cacciare?», domandai.
«Qualsiasi animale si trovi nella foresta. Nei boschi della
zona abbondano
cervi, e se si è fortunati anche qualche pantera»,
mi rispose Edward,
sorridendomi.
Per qualche strana ragione, la sua risposta mi turbò. Come
se non l’avessi mai
fatto prima, e l’idea di farlo per la prima volta mi
terrorizzasse.
Esme si avvicinò a Carlisle, guardandomi preoccupata.
«Sembra spaventata, Carl», gli sussurrò
nell’orecchio, senza smettere di
guardarmi. «Non pensi che sia meglio
usare…».
Carlisle la interruppe, sorridendole con dolcezza.
«È meglio abituarla sin da ora al nostro stile di
vita», disse, sfiorandole una
guancia.
«Allora non ti dispiacerà se usciamo a modo
mio», esclamò Alice, affiancandomi
e circondandomi le spalle con un braccio. Mi spinse verso la finestra e
l’aprì,
Jasper che continuava a seguirla come un’ombra. Non capii
cosa volesse fare.
Edward volò al mio fianco. «Alice»,
sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
Il folletto lo ignorò, e si rivolse a me con lo sguardo.
«Nel caso te lo stessi chiedendo, Bella, dobbiamo
saltare», mi disse, indicando
la finestra spalancata.
Il paesaggio che si estendeva oltre quel quadrato erano alberi su
alberi. Una
distesa infinita di vegetazione che si protraeva per chilometri,
spezzata,
pochi metri più sotto, da un corso d’acqua che
rompeva il verde.
«Okay», mormorai, continuando a guardar fuori.
Inspirai l’aria, e mi arrivarono alle narici miriadi di odori
diversi: muschio,
tronchi, legno, acqua, aghi di pino, foglie, terra umida, resina,
cespugli…
Ne registrai più che potei e li assimilai, per non
dimenticarmene. Forse,
anch’essi facevano parte del passato che Carlisle mi avrebbe
svelato dopo.
Alice mi diede un colpetto sulla spalla per attirare la mia attenzione.
«Guarda ciò che faccio io, Bella, è
semplicissimo», disse, balzando sul
davanzale. Si voltò verso di me, guardandomi
dall’alto.
«Devi fare un passo avanti, tenendo la gamba sospesa, e
lasciarti cadere nel
vuoto».
Attuò le parole in fatti mentre mi spiegava, e un secondo
dopo aver completato
la frase era già atterrata sul manto verde scuro, qualche
metro più in
basso.
Ero allibita, ma presi il suo posto sul davanzale, fissando un piano
più giù,
indecisa.
«Non preoccuparti Bella, non ti farai niente»,
disse Edward, al mio fianco,
stringendomi la mano. «Saltiamo insieme».
Lo guardai, stiracchiando un sorriso. «Voglio provare da
sola», dissi, poco
convinta.
«Come desideri», asserì con un sorriso.
Lasciai la sua mano, chiudendo gli occhi e facendo un –
inutile – respiro
profondo.
Poi, avanzai un passo nel vuoto lasciandomi cadere, proprio come aveva
appena
fatto Alice.
Per un millesimo di secondo mi sentii inghiottire dal nulla, e il
millesimo
successivo mi ritrovai in piedi e saldamente stabile, proprio come se
fossi
scesa da uno scalino di pochi centimetri.
Riaprii gli occhi, sorpresa, guardando il sorriso smagliante di Alice.
«È vero», esclamai.
«È semplicissimo!». Lei rise, divertita
dalla mia euforia.
Edward, Jasper e Carlisle ci seguirono, atterrando morbidi
sull’erba uno dopo
l’altro.
Li osservai, perplessa. «Ho bisogno di così tanto
aiuto per cacciare?»,
domandai, ansiosa.
«Soltanto perché è la tua prima volta.
A dire il vero pensavamo di
accompagnarti solo io e Carlisle, ma poi Alice ha insistito per
aggregarsi a
noi», spiegò Edward. Guardò Jasper in
modo strano. «Jasper…»,
proferì.
«È soltanto il solito iper-protettivo»,
disse Alice con aria critica, finendo
la frase di Edward.
Jasper fece un breve sorriso. «Solo quando si tratta di
te».
Lei schioccò la lingua ghignando, poi si voltò in
direzione del fiume e
sfrecciò via. Con un salto, lo attraversò in
volo, atterrando sull’altra riva.
«Vieni Bella!», mi chiamò, agitando le
braccia sottili in alto.
Sorrisi, e raccolsi il suo invito, scattando verso di lei.
Ero padrona di ogni singola fibra del mio corpo.
Ogni mio movimento era controllato e straordinariamente preciso, come
se
seguisse uno schema ben definito e non avessi bisogno di sforzarmi per
mantenerlo. Veniva tutto da sé, spontaneamente.
Mi sentivo leggera, nonostante riuscissi ad avvertire la forza vigorosa
e
consistente che mi riempiva, una forza che non mi appesantiva affatto.
Per questo non feci alcuno sforzo a imitare i movimenti di Alice per
saltare il
fiume: con la rincorsa, arrivai fino ai massi che costeggiavano la riva
e vi
saltai sopra, usandoli come trampolino di lancio. Mi librai in volo
senza
alcuno sforzo, e l’atterraggio fu morbido e preciso come
quando ero saltata dal
primo piano.
Fantastico.
«Sei stata bravissima, Bella», si
complimentò Edward, quando ci raggiunse
insieme agli altri.
Mi illuminai. «È stato facile», mi
giustificai, emozionata. «Mi è piaciuto
tanto».
Edward sorrise, intenerito, poi mi appoggiò un braccio sulla
spalla.
«Andiamo», disse, facendo un cenno con la testa in
direzione nord.
Annuii, poco consapevole di ciò che mi stava aspettando, e
sparii assieme a
loro nel verde della foresta.
Angolo
autrice. Lol ho dovuto buttare un
occhio sui miei vecchi
capitoli per ricordare come intitolavo questo spazio ._. Mama,
che tristezza.
Beh, ecco qui. Dopo la bellezza di sei mesi, Bella ha riaperto gli
occhi.
E’ stato così difficile per me avere a che fare
con questa Bella tutta nuova ‘-‘
Insomma, sì, mi sento strana nei suoi riguardi…
boh.
Mi scuso per le parti descrittive e per la leggera confusione che
può farvi
provare un capitolo del genere, ma è ciò che
prova in questo momento la nuova vampitonna.
Senza ricordi sembra ancora più ameba XD
Niente panico per il vuoto mentale della tonna J presto si
ricorderà tutto! Dopo
la caccia sarà più concentrata, e
riuscirà a ricordare tutto… spero!
Vi chiedo inoltre di pazientare, per rincontrare Jake, almeno un paio
di
capitoli. Il prossimo sarà dedicato alla caccia della tonna,
nonché alle spiegazioni
di Carlisle, penso…
Ma quello dopo, il nostro Jacobbino
bello tornerà in
scena <3
Spero solo di non metterci tanto ç___ç anzi, ne
approfitto per scusarmi del
ritardo…
Sono un disastro T_T ma la colpa è anche di S., che mi
deconcentra perché sta
sempre al centro dei miei pensieri >_< (ahahah
ti amo idiota <3)
Ringrazio infinitamente le persone che hanno recensito, quelle che
hanno
inserito questa storia alle preferite, alle seguite e quelle da
ricordare.
Grazie di cuore, come sempre <3
Alla prossima, e spero presto!
un bacio,
Bea :3
Alla fine cacciare fu più semplice di quel
che mi sarei mai aspettata
Eternal
Moonglow capitolo 05:
Battito
Alla fine
la caccia si rivelò più semplice di quel che mi
sarei mai aspettata.
Si trattò solamente di riuscire a individuare la preda e
attendere il momento giusto
per attaccare. Non fu difficile concentrarmi per trovare e seguire la
scia
delle alci che Carlisle e gli altri avevano scovato nel cuore della
foresta, a
nord, vicino a un ruscello.
Edward mi suggerì di chiudere gli occhi e lasciarmi andare,
di seguire
completamente l’istinto.
E così feci.
Il rumore dei loro cuori pulsanti e la loro fragranza penetrante
mandò
completamente a fuoco la mia gola riarsa, e a quel punto venne tutto da
sé.
Nonostante
la smania di placare la sete annebbiasse una buona parte del mio
cervello,
riuscii comunque ad acquattarmi silenziosamente tra la vegetazione, in
modo che
i grossi animali che si stavano abbeverando non si accorgessero di me.
Il mio corpo si tese, pronto a scattare verso il maschio più
grosso.
Sentivo
dietro di me, nascosti tra gli alberi, Jasper, Alice, Carlisle ed
Edward, che
mi vegliavano dall’alto e, rassicurata dalla loro presenza,
uscii dal mio
nascondiglio, balzando addosso alla mia preda.
Puntai al punto più caldo e pulsante sul suo collo,
aggredendolo in meno di un
secondo.
Di sottofondo, riuscii a percepire i corpi dei miei compagni che si
lanciarono
sugli altri membri del branco.
I miei denti, affilati come rasoi, straziarono la carne
dell’epiglottide
dell’enorme animale, che, con un bramito, inizio a dibattersi
per liberarsi
dalla mia presa.
Quando avvertii il sapore di sangue sulla mia lingua, presi a
dissanguare
l’alce sempre con più foga, man mano che sentivo
la sete placarsi.
Il grosso
animale perse le forze in pochi attimi, e finirlo fu più
facile.
Non appena mi resi conto che dentro di esso non c’era
più nulla che potesse
saziarmi, spinsi via la carcassa con disgusto.
Mi rizzai in piedi, rinvigorita, e mi guardai da capo a piedi: ero
sporca di
terra e foglie, e si riusciva a notare il sangue dell’animale
sulla stoffa
scura del mio abito.
«Accidenti Bella, era nuovo quel vestito», si
lamentò Alice, comparendo
improvvisamente almio
fianco. La
osservai: nonostante anche lei avesse lottato e cacciato un animale di
notevoli
dimensioni, il suo aspetto era comunque ordinato e impeccabile.
«Scusami», mormorai, mortificata.
«Non preoccuparti Bella. Alice ti avrebbe comunque permesso
di indossare questo
abito solo una volta», mi rassicurò Edward,
guardandola male.
Lo guardai, e nemmeno lui, Carlisle o Jasper sembravano essere appena
usciti da
una caccia.
Erano tutti perfetti.
Alice ridacchiò. «In effetti, ha ragione Edward.
Non preoccuparti Bella, quel
vestito non era neanche un granché».
«Come ti senti Bella? Ti è passata la
sete?», domandò Carlisle, osservandomi
attentamente.
Annuii, sorridendo. «Sì, mi è passata,
almeno per ora».
Notai Jasper che mi fissava, attento.
«Davvero», ripetei, sentendomi a disagio per il suo
sguardo penetrante e
insistente.
«Ottimo, Bella. Se hai bisogno di cacciare ancora, basta
dirlo», disse
Carlisle, sorridendomi. «Non vergognarti, se ne senti il
bisogno».
Abbassai lo sguardo. «Io ora ho soltanto bisogno di capire
chi sono, chi ero»,
ammisi, a voce bassissima.
Edward appoggiò una mano sulla mia spalla.
«Cominci a ricordare qualcosa?».
«Sì», rivelai, senza pensarci troppo.
«Ma è tutto così confuso…
Vedo nella mia
testa volti e luoghi, ma non riesco a trovare loro un riscontro. Sono
immagini
che la mia memoria revoca da sola, senza il bisogno di andarli a
cercare»,
mormorai, provando a spiegare come mi sentivo.
«È un buon segno, Bella, un buonissimo
segno», esclamò Carlisle. «Il fatto che
ti sei nutrita deve essere stato d’aiuto per la tua
concentrazione. Quando
siamo assetati, una buona parte della nostra mente è rivolta
a percepire la
sete, ed è difficile concentrarsi completamente su
qualcos’altro. I neonati
poi, come te, sono molto soggetti a distrazioni, i primi tempi, e
questo ha
giocato a sfavore per quel che riguardava il ricordare».
«Allora
pensi che mi tornerà tutto in mente?», domandai,
nervosa.
«Ne sono certo». E, per il modo in cui lo disse,
non potei far altro che
credergli.
Edward mi
sfiorò una guancia. «Adesso torniamo a casa, ti
dai una ripulita e ti
spiegheremo tutto quanto», sussurrò morbido, poi
mi baciò la fronte. «Andrà
tutto bene, Bella».
Rimasi a occhi chiusi con la fronte appoggiata alle sue labbra,
rincuorata
dalle sue parole e dai suoi gesti.
«E c’è anche una persona che devi
incontrare», soggiunse Carlisle.
A
quest’affermazione, riaprii di scatto gli occhi,
allontanandomi da Edward e
voltandomi verso di lui.
«Una persona? Chi?», domandai, confusa.
Carlisle
mi sorrise, bonario. «Una persona molto cara a te. Capirai
molto presto di cosa
sto parlando, ma adesso è meglio se torniamo a
casa».
Annuii, presa
dalla curiosità e dall’impazienza di scoprire a
chi si riferisse; di ricordare
chi ero stata, di capire chi ero adesso.
Impiegammo poco tempo per tornare a casa, e, io, ancora meno per
cambiarmi.
I nuovi vestiti che mi consegnò Alice, a sua detta, mi
stavano
meravigliosamente, ma non mi interessava. Più di ogni altra
cosa, volevo
conoscere la verità.
Carlisle mi pregò di accomodarci in salotto, un luogo ampio,
arioso e pieno di
luce.
Ci
sedemmo sul divano, l’una di fronte all’altro, con
Edward al mio fianco.
«Allora, Bella», proferì Carlisle con un
sorriso, «hai qualche domanda su
quello che sei riuscita a ricordare o preferisci che ti racconti tutto
io? C’è
qualche “flash” che hai avuto che ti ha colpito il
particolare?».
«No… sono sporadici e improvvisi, e non fanno in
tempo a trovare riscontro
nella mia memoria», spiegai.
«Capisco», disse Carlisle, annuendo.
«Allora, Bella, lascia che ti racconti la
tua storia».
Nella restante mezz’ora, ripresi possesso dei miei ricordi,
di me stessa.
Carlisle mi raccontò tutto, ogni cosa di me: persone che
facevano parte della
mia vita, luoghi che avevo vissuto, situazioni che avevo affrontato, il
mio
passato… Ogni cosa.
Più
Carlisle parlava, più riprendevo coscienza di me. Stavo
ritornando lentamente
me stessa, e provai tutte le emozioni che il vampiro mi stava
raccontando.
Vampiro, come ero diventata io. Ricordavo vagamente che quello era
stato il mio
sogno, finché Edward non mi aveva lasciata e la mia vita era
totalmente
cambiata.
Io non volevo essere così, non più. Anche se non
capivo quale fosse la causa di
quel cambio di idee; provai a rifletterci, ma mi mancava un pezzo.
Ma provai comunque un immenso, repentino disgusto verso me stessa. Ero
diventata un mostro, un mostro che non volevo più essere.
Tanto tempo fa avevo
desiderato diventare bellissima, forte, resistente… Ma non
più. Nel momento
esatto in cui produssi questo pensiero, una strana rabbia
cominciò a montarmi
da dentro, mentre abbassavo gli occhi verso il pavimento.
Qualcosa mi distrasse: vidi il riflesso del mio nuovo volto perfetto
sulla
superficie del tavolino di vetro appostato di fronte al divano.
Mi venne un’improvvisa voglia di fare quel tavolino in mille
pezzi.
Sentii subito gli sguardi allarmati dei Cullen addosso a me. Non sapevo
cosa
fare, mi sentivo prigioniera del mio stesso corpo.
«Sta per perdere il controllo», ringhiò
Jasper, ponendosi subitamente davanti a
Alice per proteggerla.
Che avesse ragione? Non sapevo cosa mi stava succedendo, ma i
sentimenti che
stavo provando non erano dei più positivi, e Jasper
l’aveva certamente
intuito.
Edward mi
posò una mano sulla spalla; per qualche strano motivo, il
mio primo istinto fu
quello di staccargliela. «Bella, calmati»,
sussurrò ansioso. Ricordai quello
che mi aveva fatto, e lo odiai.
Nonostante tutto, però, non volevo fargli del male,
così sfrecciai via,
appiattendomi contro il muro opposto, l’unico senza vetrata.
Era maledettamente
difficile controllarmi.
«Edward, stai lontano», lo avvertì
Jasper, «ce l’ha con te».
Edward spalancò i suoi occhi ambrati su di me, socchiudendo
leggermente le
labbra.
«Con me? », domandò, basito. Eppure
continuava ad avvicinarsi, le mani
sollevate e tese verso di me, come a volermi calmare. Io ero piegata
col busto
verso di lui, in posizione d’attacco e i denti scoperti.
Non riuscivo a riprendere possesso di me, e allo stesso tempo non
capivo quella
mia reazione così violenta. Tum-tum.
Poi
arrivò quel suono, che mi bloccò. Sciolsi la mia
posizione rigida, raddrizzando
il busto, gli occhi spalancati dalla sorpresa.
Nei dintorni, non avevo ancora sentito un suono simile. In quella casa,
il
silenzio sovrannaturale, quasi come se ci trovassimo tutti in un museo
di
statue di cera, era stato improvvisamente spezzato da quel… battito?, così vitale.
Mi ricordava qualcosa.
Ascoltai con più attenzione, e localizzai la provenienza di
quel suono: veniva
dal confine col bosco, a nord, sulle rive del ruscello. Quello che poco
prima
avevo agilmente saltato per andare a caccia.
«Cos’è
stato?», domandai, a bassa voce.
Rosalie
ringhiò, mentre Edward si irrigidì; gli altri non
mostrarono alcun segno di
turbamento. Alice aveva soltanto arricciato il naso, infastidita da uno
strano
odore che mi ero appena accorta di avvertire anche io. Non mi piaceva
per
niente.
Quel
rumore era regolare, e continuava a riempire l’aria. Lo
sentivo sempre più
chiaramente.
Carlisle mi si avvicinò, tranquillo.
«Vieni, Bella», mi disse, e mi diresse verso la
porta d’ingresso.
Coi miei occhi riuscii immediatamente ad assorbire ogni dettaglio della
persona
che vidi al limitare del bosco: era un ragazzo alto, i capelli corvini
e gli
occhi color pece, di una profondità assurda percepibile
anche a quella distanza.
Aveva la carnagione ramata, il corpo era possente e indossava soltanto
un paio
di pantaloncini. Il suo odore fastidioso mi fece arricciare il naso.
Appena mi
vide sussultò, fissandomi negli occhi, e socchiuse
leggermente le labbra.
Qualcosa
di impercettibile si mosse dentro di me, e mi tornarono in mente le
parole di
Carlisle: c’è anche una
persona che devi
incontrare. Una persona molto cara a te.
Nello
stesso istante riuscii a capire che era da quando avevo riacquistato la
consapevolezza di me stessa che mi sembrava che Carlisle avesse
dimenticato
qualcosa.
Che fosse quel ragazzo il mio pezzo mancante?
Angolo
autrice.
Dopo due mesi esatti dall’ultimo capitolo, eccomi qui col
seguito (capitolo molto
di transito) :)
Ormai non sto qui a dilungarmi sulle solite cose, cioè che
non ho avuto tempo,
ispirazione e cose varie… Purtroppo sta andando
così, accipicchia .-.
Ovviamente spero sempre di cominciare a pubblicare con più
regolarità, ma gli
impegni sono sempre tanti e il tempo sempre troppo poco.
Non ho nemmeno tempo di rispondere decentemente chi ha recensito,
ovvero marpy,
Lea__91,raggiodisole90,
ma con la nuova possibilità che ci ha dato EFP, spero di
riuscire a rispondere
in seguito. Non so che dirvi se non GRAZIE DI
CUORE,
come sempre <3
Come avete letto, Jake è finalmente ricomparso, e il
prossimo capitolo, lo dico
subito, sarà tutto per lui e per Bella (: spero abbiate
apprezzato anche
questo! ^__^
Alla prossima!
Un bacio,
«Perché
non ha aspettato che tu lo
chiamassi?», chiese Edward a Carlisle, sibilando, quando il
ragazzo in
fondo al prato si mosse per dirigersi verso di noi.
Il dottore aprì la bocca per rispondere, ma fu preceduto.
«Attendere non è la mia specialità,
Edward Cullen».
Quella voce, mai udita prima di allora – così mi
sembrava –
mi spiazzò. Quel tono roco, caldo, ma con
un’inflessione
minacciosa smosse qualcosa nella mia coscienza. Era una voce
familiare…
era forse l’ultima cosa che avevo sentito prima di perdermi
nel nulla
assoluto di fiamme che mi aveva fatta diventare quello che ero?
Ne ricordavo solo il suono, non le parole che mi erano state dette da
quella
voce vigorosa.
Il ragazzo era già a pochi metri da noi, e non mi toglieva
gli occhi di
dosso. Forse era per quello che Edward non smise un momento di
ringhiargli
contro. Qualcosa, dentro di me, mi disse che avrei dovuto fare lo
stesso.
A prescindere dall’odore che mi faceva storcere il naso,
percepivo quanto
fosse diverso da me.
Il mio istinto, nonostante quella persona non mi avesse fatto nulla di
male e
non avesse mostrato alcun comportamento ostile nei miei confronti, me
lo
segnalò come nemico.
Eppure aveva un aspetto così umano, così diverso
dai Cullen.
Emanava… calore?
Il mio cervello calcolò reazioni diverse rispetto a quello
sconosciuto,
non sapevo come comportarmi.
Ero così confusa!
«Le buone maniere nemmeno», commentò
Edward, gelido.
«Ragazzi», li ammonì Carlisle,
frapponendosi tra i due,
bonario. La sua mano quasi toccò il petto ampio del ragazzo
da quanto
era vicino. Ai miei occhi fu lampante il contrasto di carnagione tra i
due: la
mano di Carlisle sembrava ancora più bianca su quello sfondo
bronzeo.
Lo sconosciuto non gli prestò attenzione, gli occhi fissi
nei miei. Gli
sfuggì un sorriso per metà, spento.
«Ciao, Bells», mormorò al mio indirizzo.
Lo squadrai,
incuriosita da quel nomignolo che aveva usato per rivolgersi a me.
Bells, Bells… «Bells,
amore, sono qui».
Sussultai, quando quell’eco, che aveva il sapore dei ricordi,
mi invase
la mente. Fu un flash velocissimo, che si dissolse
nell’attimo esatto in
cui era affiorato dalla mia memoria.
La voce di Carlisle mi riportò istantaneamente alla
realtà. «Potete
scusarci?», disse, rivolto agli altri.
Esme, Emmett, Alice e Rosalie annuirono e scomparvero
all’istante; Edward
non accontentò Carlisle così velocemente.
«Figliolo, ne abbiamo già parlato», gli
disse Carlisle,
guardandolo serio.
«Non mi fido di quel cane. Potrebbe perdere il
controllo»,
ribatté Edward, lanciando al ragazzo
un’occhiata sprezzante.
Ma lui non lo degnò di risposta, lo sguardo ancora perso nel
mio.
«Sai bene che non le farebbe mai del male».
«Penso che sia troppo presto adesso, Carlisle. Sono entrambi
imprevedibili».
«Più passa il tempo, più i ricordi
umani di Bella diventano
effimeri e instabili. Ora è nelle condizioni ideali per
lavorare sulla
sua memoria a trecentosessanta gradi».
«Ma–».
Carlisle lo interruppe: «È la cosa più
giusta Edward, lo
sai. Per favore, lasciaci soli».
Sotto lo sguardo intenso di Carlisle, Edward non poté
controbattere.
Sospirò, lanciandomi uno sguardo fugace, contrito, e
sparì.
Carlisle si passò una mano tra la chioma bionda, sospirando
a sua volta,
poi cercò di sorridere.
«Vuoi accomodarti dentro, figliolo?», chiese, con
cortesia, al
ragazzo.
Lui, in tutta risposta, si rivolse a me.
«Bella, sono io. Ti ricordi di me?»,
domandò cauto,
sorridendomi e compiendo un passo verso di me. Nonostante quel
trambusto,
eravamo rimasti ancora ad almeno due metri di distanza.
Anche a quella distanza, il suo calore pulsava contro la mia pelle,
infiammando
la mia gola. E spingeva il suo odore tremendo alle mie narici,
facendomi
provare disgusto.
Provai tutto questo il primo millesimo di secondo. Per il resto di
quell’attimo che scorse a rilento, rimasi completamente
ammutolita dai
suoi occhi neri, che produssero nel mio cervello una reazione
fortissima: un
ricordo sbiadito di un’emozione umana, come di una stretta
allo stomaco.
Poi, mi concentrai sulla sua immagine, sforzandomi con tutta me stessa
di
provare a ricordare.
Seguii con attenzione i suoi tratti, che stuzzicarono qualcosa, nella
mia
mente: studiai le sue labbra, i suoi zigomi alti, il suo volto stanco
scalfito
da un dolore a me sconosciuto, e tornai di nuovo ai suoi occhi neri.
Mi concentrai più che potei per ricordare chi
fosse… mi sembrava
familiare, tanto…
«I-Io sono confusa», biascicai, mortificata.
Qualcosa continuava a
premere contro la mia consapevolezza, qualcosa che, in quel momento,
non
riuscivo proprio ad afferrare e chiarire. Nella mia mente ampia,
avvertii nota
di dolore di fronte alla mia incapacità di ricordarmi di lui.
«È normale, Bella – mi disse Carlisle,
ma sembrava rivolto
anche a lui – Sei una vampira giovanissima, e
dimenticarsi…
può succedere. Prima non ti ricordavi nemmeno di noi, o
sbaglio?».
Annuii, senza lasciare lo sguardo del ragazzo abbronzato. Sul suo volto
si era
dipinta un’espressione di dolore autentico, e quando vidi
quel dolore
sussultai.
Carlisle mi circondò leggero le spalle. «Su,
avvicinati a lui,
Bella. Non ti farà del male».
Il ragazzo sorrise, cercando di tranquillizzarmi, ma la tristezza non
aveva
abbandonato i suoi occhi. Dentro di me, sentii che ciò che
mi avrebbe calmata
del tutto sarebbe stato proprio il suo sguardo libero da quel tormento.
Annuii, provando a sorridergli, e Carlisle mi guidò
lentamente verso il
ragazzo, che mi aspettava a braccia aperte.
«Bella, posso prenderti la mano?»,
domandò piano, quando gli
fui a meno di un metro di distanza.
La sua domanda mi lasciò spiazzata, per una qualche ragione
sconosciuta,
e una parte di me rifiutò, istintivamente, il suo invito.
Eppure, vidi la mia mano muoversi lentamente in direzione della sua,
protesa
verso di me.
I nostri sguardi non scioglievano la presa.
Afferrò il mio polso con delicatezza, e se lo
portò
all’altezza del cuore.
Sentire quel battito, che non aveva smesso un solo secondo di fare da
sottofondo a quella situazione, sotto le dita mi procurò un
brivido.
«Il cuore…», sussurrai, tenendo lo
sguardo fisso sulla mia
mano. «Il tuo cuore batte».
Ecco cos’era, quel suono così vitale.
«Sì, Bells», disse, guardandomi
teneramente.
Chiusi gli occhi, ascoltandone il ritmo irregolare ma vigoroso. Era
agitato.
«E’ un suono bellissimo» mormorai,
rapita. Schiusi le labbra
in un sorriso, beandomi della calma che il battito del suo cuore o
stava
diffondendo dentro di me. «Mi fa venire in mente il mare.
Caldo. Il sole,
il rumore delle onde…».
Da quelle emozioni scaturirono delle visioni, anche se sfocate, che
avevano il
sapore dei ricordi.
Ci misi più concentrazione.
Vidi due giovani, un ragazzo e una ragazza, che si tenevano per mano,
passeggiando su una spiaggia. Erano felici. Il ragazzo la baciava e lei
arrossiva. Se ne stavano stesi contro un tronco, a guardare
l’orizzonte.
Mi sembrava quasi di sentire ciò che la ragazza provava,
stretta tra le
braccia di lui.
Felicità. Serenità. Calore. Senso di rinascita.
Poi, capii.
Capii che quella ragazza ero io. Ero stata io. E il
ragazzo…
Riaprii gli occhi di scatto, focalizzando immediatamente il volto di
Jacob
– eccolo, il suo nome.
E tutti i pezzi tornarono al loro posto.
«Jacob», mormorai, gli occhi immersi nei suoi.
«Jake…».
«Sì, Bella. Sono io».
In un secondo, la tristezza svanì dai suoi occhi, mentre io
iniziai a
sentire pizzicare i miei. Era così che piangeva un vampiro?
«Jake… io…», mormorai
confusamente, avvicinandomi
ancora di più a lui.
Non aveva lasciato andare la mia mano.
«Ti ricordi?», domandò, lo sguardo
illuminato dalla gioia.
«Io… sì, ma…»,
risposi, sconvolta. Non conoscevo
affatto la natura delle emozioni che mi stavano travolgendo, tutte
assieme.
Alla mia affermazione, il cuore di Jacob mancò un battito, e
vidi la
speranza riempire i suoi occhi.
«Non sai come sentirti?», sussurrò a
voce bassa. Sembrava
che comprendesse perfettamente il mio stato d’animo.
«Esatto», mormorai, usando il suo stesso tono
dimesso, ma il mio
era più che altro stupito.
Mi guardò dritto negli occhi qualche secondo, intensamente,
e strinse
ancora di più le nostre mani intrecciate sul suo cuore.
«Allora abbracciami».
Rimasi basita alla sua proposta, e una piccola parte di me –
l’istinto di vampira – rifiutò
immediatamente; la parte
restante, invece, si stava chiedendo come mai non fossi ancora tra le
sue
braccia.
Guardai Carlisle, che annuì sorridendo.
Il mio sguardo si riallacciò a quello di Jacob, nello stesso
istante in
cui stava lasciando la mia mano.
Fece un passo indietro, poi, con estrema cautela, appoggiò
entrambi le
mani sulle mie spalle, per avvicinarmi a sé.
Con la stessa lentezza che aveva usato lui, posai le mie mani sui suoi
fianchi,
e lo sentii sussultare al contatto con le mie dita fredde.
Mi avvicinai ancora, avvertendo il suo calore tutto intorno a me, e
ciò
mi causava una sete impellente, che ero decisa a ignorare.
Il battito del suo cuore stava accelerando di secondo in secondo.
Fece scivolare le braccia attorno al mio collo, e istintivamente
trattenni
immediatamente il respiro, mentre mi mettevo in punta di piedi.
Affondai il volto nella sua spalla, con attenzione.
Quell’attimo rasentò l’infinito.
Mi tornarono alla mente tutti i nostri ricordi, dal primo
all’ultimo;
sembrava che quella vicinanza li rendessi più chiari,
vividi. I sorrisi,
le risate, le nostre mani intrecciate, i baci, gli abbracci: ogni
ricordo di
quei gesti che mi avevano legato giorno dopo giorno a Jacob si fece
strada
dentro di me, imprimendosi nel mio cuore e nella mia testa, tornando a
far
parte di me stessa. Ogni rimembranza sembrava essere trasmessa dalla
pelle
calda di Jacob alla mia, che assorbiva il suo calore e mi faceva
sentire viva. Viva, come altre mille volte, come altre mille
emozioni diverse che
Jacob mi aveva fatto provare.
E un’emozione su tutte si fece strada nel mio cuore morto:
l’amore.
L’amore per Jake, il mio immenso amore per lui, appena
riscoperto. Fu un
ricordo potente, improvviso, travolgente, che bruciò dentro
di me
più del fuoco che mi aveva trasformata.
Nessun altro ricordo, fino a quel momento, si era fatto così
vero dentro
di me più di quello.
Ma l’amore è inscindibile dal dolore, e, insieme a
quella
rimembranza di adorazione assoluta nei confronti di Jacob, mi tornarono
in
mente anche tutto il dolore e i problemi che gli avevo causato.
L’avevo ferito nel modo peggiore possibile, cadendo di nuovo
tra le
braccia di Edward, perché ero una stupida e debole umana.
Mi sentii orribile, ma in un modo ancora più amplificato. La
mia vecchia
mente non sarebbe riuscita a sopportare tutto quel disgusto e odio nei
miei
confronti e in quelli di Edward. La cosa che mi sorprese di
più fu la
sparizione assoluta di quella piccola parte di me che lo desiderava
ancora.
Non lo amavo, anzi… lo odiavo per
l’essere in cui mi aveva
trasformata.
Jacob, inconsapevolmente, calmò quella furia improvvisa
continuando
ancora ad abbracciarmi, chissà dopo quanto tempo.
Non meritavo che mi trattasse così, non dopo tutto quello
che gli avevo
fatto.
Non meritavo lui e il suo abbraccio. Non meritavo niente da Jacob,
nulla.
Dovevo sparire dalla sua vita, dovevo farlo, così non
avrebbe più
sofferto…
Era inaccettabile per quanto lo amavo, ma dovevo farlo, anche se il
solo
pensarlo mi dilaniava.
«Bella…».
Sussurrò il mio nome con una dolcezza tale che mi fu ancora
più
difficile anche soltanto concepire l’
ipotesi di stare lontana da
lui. Allo stesso tempo, mi chiesi come mai nel suo tono di voce o nel
suo
sguardo, fino ad allora, non avessi scorto neppure una nota di rancore,
o odio,
o rabbia.
Come se non fosse successo nulla, come se non stesse abbracciando
quello che
era diventato, ormai, il suo peggior nemico. O la persona che l'aveva fatto soffrire di più in assoluto.
Che fosse una facciata per tranquillizzarmi, dato la mia
imprevedibilità
di neo-vampira?
Se lui fingeva, avrei finto anche io.
Avremmo finto entrambi fino a quando non avrei trovato la forza
necessaria per
sparire dalla sua vita, o fino a quando lui non si fosse stancato di
indossare
quella maschera per non scatenare il mostro che era in me.
Nonostante stessi trattenendo il respiro, riuscii comunque a mormorare
il suo
nome: «Jacob…».
Jacob, ti amo, ti amo. Perdonami, sono un mostro, dimenticami, resta
con me…
Quanto avrei voluto dirglielo, e quanto sforzo mi richiese non aprire
bocca.
«Ricordi solo il mio nome?», domandò,
tra i miei capelli.
I vampiri sono bravi bugiardi, Bella. Sei un vampiro, sforzati di
essere
credibile.
Senza che potesse avvertirlo, strinsi un pugno, pronta a mentire.
«Non proprio. Qualche ricordo c’è, ma
è sfocato e
disconnesso».
Forse lo dissi con troppa sicurezza, senza nemmeno
un’esitazione; sperai
che attribuisse quella fluidità nel parlato alla nuova me
stessa.
«Ho capito», mormorò, la voce delusa.
«Beh, non
importa», aggiunse subito, aumentando, ma di pochissimo, la
presa.
Come faceva a fingere così bene? Probabilmente, se fossi
stata ancora
umana, gli avrei creduto.
«Sul serio, Bella?», si intromise Carlisle.
Chiusi gli occhi, digrignando i denti, sperando di riuscire ad
ingannare anche
lui. «Sì», fu la mia risposta lapidaria.
«Capisco… beh, non ti preoccupare, è
normale che per certi
ricordi ci voglia più tempo. Forse fai fatica a ricordarti
pienamente di
lui perché Jacob è un licantropo»,
ipotizzò
Carlisle, dubbioso.
Mi staccai da Jake, irrequieta, ma lui mi poggiò una mano
sul braccio
per non interrompere quel contatto.
«Adesso ho capito cos’erano quelle
emozioni… negative che ho
provato nei tuoi confronti, quando ti ho visto», dissi con
finta aria
casuale, rivolgendomi a Jacob.
Lui ridacchiò, provato, probabilmente per allentare la
tensione. E non
disse nulla, ma affondò di nuovo lo sguardo nel mio.
Mentre mi arrendevo nuovamente ai suoi occhi neri e profondi e a quella
perfetta maschera indecifrabile, mi chiesi per quanto tempo sarei
riuscita a
sopportare tutte quelle bugie, mie e sue.
*L’amore
è inscindibile dal dolore
è una frase che ho tratto dal manga
‘Nana’, che adoro.
Angolo
autrice. Non mi sento
di
aggiungere nient’altro a questo capitolo…
l’ho scritto di
botto ieri, e credo che sia completo così. Questo capitolo
solo spazio
alle emozioni! Per le chiacchierate, il prossimo ;)
Ringrazio immensamente jakefane
raggiodisole90che
hanno recensito lo scorso capitolo… non vi ho fatto
attendere tanto, dai J
Spero che il loro
incontro vi sia piaciuto ^_^ come avete visto, le pare di Bella non
mancano
mai!
«Ti
va di entrare, Jacob? Hai l’aria
stanca», commentò Carlisle.
Distolsi gli occhi da quelli di Jake e lo scrutai in viso: non aveva
una bella
cera.
Lui fece una smorfia, sospirando. «In effetti ho avuto
giornate migliori».
«Se vuoi accomodarti, sei il benvenuto. Abbiamo alcune cose
di cui parlare»,
gli disse Carlisle, indicandogli la porta di ingresso.
Jacob sembrava combattuto, tentennava, storcendo il naso e fissando
l’interno
della casa che riusciva a intravedere dalla porta aperta. Subito non riuscii a capire il perché della sua
indecisione, poi un altro
particolare mi tornò in mente: a me non piaceva il suo odore
come a lui non
piaceva il mio.
E casa Cullen, abitata
da ben otto vampiri,
non aveva un’aria proprio
respirabile, per lui.
Odiai – totalmente priva di raziocinio – me stessa,
per quello.
Abbassai gli occhi, amareggiata, ma subito dopo sentii la sua mano
calda che si
appoggiava leggera contro la mia schiena.
«Entriamo, dai. Ho proprio bisogno di sedermi su qualcosa di
morbido», disse,
paralizzandomi con un sorriso. «Prego», disse
Carlisle, invitandolo
dentro con un gesto. Jacob lo seguì, spingendo anche me, con
la mano ancora sulla
mia schiena.
Io e Jacob occupammo il divano, mentre Carlisle si sedette sulla
poltrona, di
fronte a noi.
«Cosa volevi chiedermi, Carlisle?», disse Jake,
guardandosi intorno leggermente
a disagio. Lo guardai, in apprensione. «Ovviamente mi preme sapere come
è
andata col branco», disse Carlisle. Branco. Quella semplice parola fu capace di
scatenare dentro di me
un’ansia assurda, e riempire la mia testa di domande: come
avevano reagito i
licantropi alla mia trasformazione? Si era scatenata una guerra? Il
patto era
rotto? La chiarezza con cui ricordai
quei particolari e tutto ciò che riguardava i miei
– ex? – amici licantropi di
La Push mi
frastornò per un secondo. Jacob aggrottò le sopracciglia
folte, e il suo volto si inscurì.
«Non l’hanno presa bene, ma non dovete
preoccuparvi: non la toccheranno»,
disse, «non lo permetterò».
«Credi che si organizzeranno per un attacco?»,
domandò Carlisle, irrequieto.
«Non lo so, e non potrei saperlo nemmeno se volessi. Ormai
non faccio più parte
del branco, e, sfortunatamente, non posso più sentire i loro
pensieri. Quando
mi sono ribellato al volere di Sam ho sentito le catene che mi legavano
a lui
spezzarsi; essendo io un alfa non posso far parte di un branco in cui
ne è già
presente uno, per questo non ho più legami psichici con
loro», rispose.
Era rimasto da solo. Aveva voltato le spalle ai suoi fratelli, per me.
Si era
schierato contro di loro, pur di proteggermi. Era ingiusto.
Non riuscii nemmeno a guardarlo in faccia, per quanto mi vergognavo.
«Perché l’hai fatto, Jacob?»,
domandai, fissando il pavimento.
«Prima o poi saremmo arrivati a uno scontro, Bella. Un alfa,
anche se latente,
non può sottostare ad un altro per molto tempo»,
rispose, tranquillo.
Forse non aveva capito bene la domanda.
«Perché ti sei messo nei guai per
proteggermi?», riformulai, alzando la voce.
Carlisle sospirò, mentre Jacob mi guardò
interrogativo, per una manciata di
secondi.
«Guai? Bells,
mi sono semplicemente ribellato a una
decisione che non condividevo, e ho avuto il pieno diritto di farlo.
Capo
Jacob, ricordi?», rispose, cercando di sdrammatizzare.
Rimuginai su quel capo Jacob, ma
non
mi venne in mente nulla.
Osservò la mia espressione concentrata e, vedendomi in
difficoltà, venne in mio
soccorso.
«Mi hai affibbiato questo soprannome la prima volta che ti ho
parlato di questa
storia: il ruolo di alfa, per diritto di nascita, spetterebbe a me
invece che a
Sam. Oggi ho fatto valere questo mio diritto, tutto qui»,
disse, sorridendomi.
Non potei fare a meno di imitarlo. Sorrisi, ma per un decimo di
secondo.
Tornai istantaneamente – lo sentii – una maschera
di rimorso e preoccupazione.
«Non importa», mormorai, «lo hai fatto
comunque per proteggere me. E non me lo
merito».
Prima che Jacob potesse ribattere, Carlisle intervenne.
«Non devi sentirti responsabile, Bella, né
preoccuparti: se ci saranno problemi
col branco li affronteremo tutti insieme. Non lasceremo Jacob da
solo», cercò
di tranquillizzarmi.
Sospirai, tentando con tutta me stessa di mettere da parte
l’ansia; nella mia
mente di vampira, anche quella era amplificata notevolmente.
«Giusto», dissi, e guardai Jacob.
Lui, di rimando, mi sorrise; il salotto dei Cullen
era così illuminato ed arioso che il suo sorriso era
smagliante il doppio.
Mi persi a notare i suoi zigomi sollevati, l’espressione nei
suoi occhi quando
sorrideva.
Avevo ricordi confusi del viso di Jacob dalla mia vita umana, ma ero
sicura
che, al tempo, avevo ammirato solo una parte minima della sua bellezza
e mi ero
beata di una parte infinitamente inferiore della vita
e del calore che emanava in realtà.
Ora che potevo osservarlo con occhi più acuti e cogliere
ogni suo minimo
particolare, Jacob era ancora più straordinario.
La voce di Carlisle mi riportò con i piedi per terra.
«Il branco non è il
nostro unico problema… Jacob, sai qualcosa del tenente Swan?».
Mi bloccai, fissandolo. In una manciata di secondi, la dura
realtà mi piombò
addosso.
Mancavo da casa da tre giorni e sicuramente Charlie aveva perso la
testa.
Charlie.
Cosa avrei fatto con lui? Come potevo vederlo, parlargli o stargli
vicino se
ero diventata un mostro? Anche se fossi stata in grado di non
ucciderlo, dove
potevo trovare il coraggio di guardarlo in faccia? Ero una figlia
tremenda, che
non sapeva fare altro oltre che mettere sottosopra la propria vita e
quella
delle persone che la circondavano.
Io attiravo disgrazie e Charlie ci finiva sempre in mezzo.
Già una volta lo
avevo abbandonato, e adesso la storia si ripeteva.
La risposta di Jacob sembrava lontanissima, persa com’ero
nella mia nebbia di
pensieri. «Sam mi ha detto che Charlie sta cercando Bella
dappertutto. Avrà
chiamato Billy una trentina di volte per sapere se era con me, ma
quando ha
capito che anche io mancavo da casa ha dato di
matto…». Si voltò per guardarmi,
sorridendo. «Crede che Billy stia facendo da complice ad una
nostra fuga
d’amore», disse, tentando di sdrammatizzare.
Risi brevemente: un po’ perché la preoccupazione
per la salute mentale di
Charlie stava crescendo di secondo in secondo, un po’
perché l’idea di una fuga
d’amore con Jacob (sebbene non fosse possibile) mi
elettrizzò momentaneamente.
Se fossi stata ancora umana, probabilmente sarei arrossita. Il mio
aspetto congelato, se non altro,
mascherava bene
le mie emozioni, nascondendo anche le mie illusioni.
«E’ un bel problema», commentò
Carlisle, sospirando preoccupato. Poi si voltò
verso di me. «Sei molto controllata per essere una neonata,
quindi, con le
giuste precauzioni e misure di sicurezza, si potrebbe provare a farvi
incontrare».
«Ma sono troppo diversa… Non voglio dargli anche
questo dolore», sussurrai,
guardando in basso.
«Non credi che sparire dalla sua vita senza una spiegazione
lo farebbe soffrire
di più? E poi Charlie è più tosto di
quello che pensi, Bella, davvero», mi
disse Jacob, sorridendo.
Mi voltai di scatto verso di lui. «Ma, Jacob, come posso
farmi vedere da lui così?!».
Quasi urlai, disperata, indicandomi con un gesto della mano.
Già, come poteva Charlie accettarmi se persino io detestavo
il mio nuovo
aspetto, la mia nuova natura? Era assurdo. Totalmente assurdo.
«Calmati Bella, tranquilla», intervenne Carlisle,
toccandomi il braccio con
mano. Forse avevo esagerato.
«Stiamo solo facendo delle ipotesi»,
continuò dolcemente. «Stiamo pensando alla
mossa giusta da fare nei confronti di tuo padre».
Mi alzai, poi mi mossi velocemente e arrivai ad affacciare la grande
vetrata.
Guardai fuori, dando loro le spalle.
«Mi sento confusa, non so cosa fare», ammisi,
stringendo i pugni. «Da una parte
vorrei vedere mio padre, vorrei tranquillizzarlo e dimostrargli che
sono viva…
ma dall’altra, nutro solo un gran desiderio di scappare il
più lontano
possibile». Iniziai a perdere il controllo della voce sulle
ultime parole. «Non
voglio che mi veda così», sussurrai infine.
Udii istantaneamente dei passi alle mie spalle e poco dopo avvertii il
calore
di Jacob contro la mia schiena, come un’aura irradiata dal
suo corpo. Il suo
respiro caldo intiepidì la mia nuca e il mio collo
– ero più bassa di lui –
sebbene si fosse tenuto a qualche centimetro di distanza.
Se fossi stata ancora umana, probabilmente il mio cuore sarebbe
impazzito.
«Qual è il problema, Bells?»,
domandò serio.
Chinai la testa, sperando che non riuscisse a scorgere la mia
espressione nel
riflesso del vetro, sperando di riuscire a nascondermi.
«Ho paura», ammisi, scrollando le spalle come se
fosse un’ovvietà.
Ero una vampira neonata, adesso: lo sentivo dalla forza vigorosa che
scorreva
dentro di me. Grazie a quella forza e alle mie nuove attitudini sarei
stata in
grado di compiere le imprese più straordinarie; ero
indistruttibile, tutto ciò
che mi circondava era più fragile di me. Avrei potuto
affrontare persino
Victoria in quel momento, da sola, senza nessuna paura.
Eppure c’era ancora qualcosa che riusciva a spaventarmi: le
emozioni, l’ignoto,
il futuro.
Da una parte mi sentivo invincibile – obiettivamente lo ero
– ma dall’altra
provavo disagio nel mio nuovo corpo. E, lo sapevo, con lo sguardo di
Charlie
puntato addosso mi sarei sentita ancora più fragile,
vulnerabile.
Sentii Jacob fremere, ma non si scompose.
«Di cosa?», domandò.
Appoggiai la mano contro il vetro, freddo quasi quanto me.
«Ho paura di non riuscire a controllare le mie emozioni; ho
paura di quello che
succederà, ho il terrore del futuro», mormorai,
atona. «Mi sono già cacciata
nei guai, ma questa volta l’ho combinata davvero grossa. Sono
sparita
improvvisamente da un giorno all’altro e quel che
è peggio è che non posso
tornare alla mia vita normale come se niente fosse, perché
sono diventata un
pericolo per tutte le persone che amo e che conosco. Non posso tornare
indietro
in nessun modo. E, come se non bastasse, la mia trasformazione ha
portato alla
rottura del patto tra i Cullen
e i Quileute, il che
provocherà sicuramente una guerra». Mi
sfuggì un singhiozzo. «Non so cosa fare».
Jake si fece ancora più vicino, e il suo calore mi avvolse
quasi completamente.
Appoggiò una mano sulla mia spalla sinistra, stringendola
appena. Avvertii una
leggera scossa.
Era incredibile quanto considerassi quel gesto naturale, quanto poco mi
dovessi
impegnare per mantenere il controllo con lui nonostante fosse un mio
nemico
naturale. Il mio istinto aggressivo o di autodifesa non
scattò nel modo più
assoluto, anzi, i miei sensi assorbirono ogni cosa di lui come se fosse
la più
normale al mondo.
Eccetto l’odore, che mi infastidiva leggermente.
«Ti ho già detto che per il branco non ti devi
preoccupare nella maniera più
assoluta», replicò. Dal tono di voce capii che
stava sorridendo.
«Pensa a quello che vuoi fare con Charlie, invece. Tu
vorresti vederlo, non è
vero?», domandò comprensivo.
Il suo tono così rassicurante e morbido mi costrinse a dire
la verità.
«Sì», ammisi in un sussurro inudibile ad
orecchie umane. «Vorrei vederlo, ma
non so se sono ancora pronta a incontrarlo di persona»,
spiegai. «E poi mi
manca casa mia. Vorrei rivedere la mia casa, la mia camera».
Mi voltai verso Carlisle, scostandomi da Jacob. «Credi che
sia possibile?»,
domandai.
Lui sorrise e mi volò accanto, accarezzandomi la nuca.
«Sei così umana, Bella.
E’ sorprendente quanto tu sia ancora attaccata al tuo
passato, e quanto questo
attaccamento prevalga su ogni tua nuova
necessità», proferì con dolcezza.
«Certo, certo che è possibile. Possiamo
accompagnarti, se lo desideri»,
propose.
Annuii, sorridendo timidamente. «Lo preferirei. Non sono
ancora sicura di
riuscire a controllarmi, visto che Charlie è un umano che
abita in un quartiere
di umani», risposi.
Jacob ridacchiò per un istante, poi assunse
un’espressione pensierosa. «E se
Charlie fosse in casa?».
«Potremmo aspettare stanotte», rispose prontamente
Carlisle. Stanotte. Sì, era una
buona idea.
Volevo accertarmi di riuscire a resistere all’odore del
sangue caldo e umano di
Charlie prima di provare a incontrarlo, e tastare il terreno mentre lui
dormiva
mi rassicurava. Forse non ero ancora pronta a incrociare il suo sguardo
ferito,
addolorato, deluso…
«E’ un’ottima idea»,
commentò Jacob, sorridendo.
Lo guardai per qualche secondo, di sfuggita, senza dire nulla. Lui
notò il mio
sguardo.
Avrei avuto bisogno di lui quella sera, lo sentivo.
Jacob mi tranquillizzava, era pazzesco: la sola presenza di un mio
nemico
riusciva a placare la mia ansia più delle parole
rassicuranti e dette con
dolcezza di Carlisle.
Ma, mentre stavo per aprir bocca, mi tornò in mente la
promessa che avevo
fattoa me stessa
un istante dopo
essermi resa conto di quanto lo amassi ancora: prendere le distanze e
lasciarlo
in pace.
In quel momento ero pericolosa per tutti, anche per lui. Non potevo
lasciarmi
sopraffare dal mio egoismo e dal mio desiderio di volerlo sempre
accanto, non
potevo. Dovevo lasciare che fosse felice lontano da me, non
approfittare di
ogni occasione per stargli attorno. Dovevo proteggerlo da me stessa e
dal
nostro rapporto che non poteva portargli altro se non guai e sofferenza.
Perciò scostai lo sguardo etacqui,
sforzandomi di tenere la bocca chiusa.
«Che ne pensi, Bella?», domandò Carlisle.
Smisi di lasciarmi distrarre dai miei pensieri. «Uh,
sì. Per me va bene».
«Perfetto», convenne lui con un sorriso.
«Mentre voi sarete da Charlie, mi offro volontario per
controllare la
situazione attorno al perimetro», intervenne Jacob.
Da una parte fui contenta che Jake mi avesse risparmiato il disagio di
chiedergli di persona di non venire con me, dall’altra invece
pensai che
l’irruzione notturna a casa di Charlie sarebbe stata meno
pericolosa rispetto
alla ronda.
«Perimetro?», domandò Carlisle, curioso.
«Sì, la zona circostante al vostro territorio. Non
credo che Sam e gli altri
varcheranno quei confini; o almeno, lo spero»,
spiegò, aggrottando le
sopracciglia sulle ultime parole, pensieroso.
«Qualunque cosa decideranno di fare, noi saremo pronti:
alcuni di noi
rimarranno qui stanotte, se avrai bisogno di aiuto», gli
assicurò Carlisle,
deciso.
Colsi l’occasione al volo: non volevo che Jacob mi seguisse,
ma non volevo nemmeno
Edward.
«A me basterebbe che mi accompagnassi tu», gli
dissi, a bassa voce. «Gli altri
potrebbero rimanere qui con Jake».
Carlisle mi sorrise. «Certo, Bella. Ci sarò io con
te, non preoccuparti».
Quanto avrei voluto sentire quelle parole uscire dalle labbra di Jacob.
Non
osai nemmeno guardarlo, in quell’istante.
«Grazie».
Angolo
autrice. Ehm,
sì, chi non muore si rivede…
Lo so, è da un anno (e più) che non aggiorno
questa storia. Mioddio, il picco di
“crisi da pagina bianca”, “blocco
dello scrittore” o come lo volete chiamare non è
mai stato così alto. Un anno.
Mamma mia.
Comunque ora sono tornata, anche se non so davvero dirvi quando
uscirà il
prossimo capitolo… Spero che questo aggiornamento mi serva
da trampolino di
lancio per ricominciare con aggiornamenti più frequenti (:
Magari ricevere
qualche bella recensioncina mi darà una spinta…
Nel prossimo, lo dico subito,
Bella tornerà a casa sua e un capitolo difficile (da
scrivere) si prospetta.
Help @_@
Ringrazio tantissimo jakefan,
fufe,
nalu,
raggiodisole90, Lea__91,
Atomo e GiulsWeasleyper aver recensito lo scorso capitolo.
Spero che anche questo sarà di vostro gradimento :)
A presto!
Un bacione,
Bea xxx
Dedica personale ~
Il sentimento principale che fa da fondamento a queste mie storie
è l’amore;
fino a due anni fa, scrivevo di questa emozione senza averla mai
vissuta fino
in fondo.
Se, da ora in poi, l’amore che trapelerà da queste
pagine sembrerà più reale,
sarà solo merito tuo, che me lo fai vivere ogni giorno. Grazie.