Find a Way

di Myname89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


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Capitolo 1

 

 

 

Mi guardavo intorno spaesata.

Cavolo.

Ero appena scesa dalla metropolitana e un freddo cane mi colpii in tutto il corpo, come al solito avevo sbagliato coincidenza. Dovevo smettere di farmi distrarre dalla musica del mio mp3. Guardai il tabellone di fronte a me, due grosse lacrime si affacciarono sul bordo dei miei occhi. No… merda… mancava ancora mezzora alla passaggio del prossimo treno.

Eravamo a Gennaio e faceva un freddo polare. Quella mattina avevo avuto l’assurda idea di indossare una stupida gonna, che arrivava a malapena fino a metà ginocchio.

Cosa ne sapevo io che avrei perso la metro?

Mi sedetti sulla panchina di ferro, almeno non ero sola. C’era parecchia gente davanti ai binari.

Tutte persone che non vedevano l’ora di tornare a casa, dopo una stressante giornata di lavoro.

Sbuffai, iniziai a torturare il mio cellulare guardando in continuazione l’ora sul display.

Quei maledetti minuti non passavano mai, in più avevo anche la cena con mia madre e il suo nuovo “boyfriend”.

O almeno credevo… chissà quanto sarebbe durata questa volta.

Non ci scommettevo neanche mezzo dollaro. Ero certa che neanche due mesi e si sarebbero mollati.

Ancora mi chiedevo come facevo a cedere – ogni santa volta- alle assurde richieste di conoscere il suo New “fidanzatino/giocattolo”.

Era tutto maledettamente assurdo. Avevo solo 24 anni e mia madre alla veneranda età di 54 anni aveva avuto più uomini di me. Certo matematicamente i calcoli era anche giusti, ma non concepivo come riusciva ad innamorarsi cosi facilmente di una persona.

Nella mia anonima vita avevo avuto una sola storia – che poi definire storia era un parolone- durò circa sei mesi. Niente di speciale… giusto la brezza di aver provato il sesso.

Già … il sesso… mia nonna di sicuro ne praticava più di me.

Ero così concentrata nel darmi della patetica, che non mi accorsi del treno. Questa volta, feci in tempo. Con un salto degno di un’ atleta riuscii a intrufolarmi nel mucchio di gente, ammassata.

Cristo… in quei posti si moriva… a volte erano così pieni che facevi fatica perfino a respirare.

 

***

Otto precise ed io mi trovavo sotto casa di mia madre. Nonostante il mio mega ritardo lei ancora non aveva chiamato per rompere le palle, perfetto.

Se ve lo chiedete… io e mia madre non vivevamo insieme da circa due anni. Da quando lasciai l’università, per iniziare a lavorare in un bar del centro. Era stata come una liberazione non averla tra i piedi – a parte le sue chiamate a qualsiasi ora della giornata e della notte – i nostri rapporti grazie a quella lontananza – forzata da me- erano decisamente migliorati.

Mi avvicinai al portone, schiacciando il pulsante del citofono.

“Rebecca! Sei in tremendo ritardo… è questa l’ora di arrivare?” mi urlò ancora prima di dirle che fossi io.

Roteai gli occhi al cielo, alzando un dito medio che non vide mai. Risposi molto tranquillamente, contenendo i miei nervi.

“Mamma, scusa. Apri”

Ero un’ottima attrice.

Aprì senza rispondere.

Fu inutile lasciarsi andare in strane fantasie sul fantomatico uomo di mia madre. Speravo solo che la fase del – baby boy- fosse superata.

Era imbarazzante avere come “padre” qualcuno più piccolo di te.

***

Ola, ho deciso di scrivere questa storia, immaginandomi cosa succederebbe se una ragazza un giorno si innamora del nuovo ragazzo di sua madre! Ehehehe… ancora siamo all’inizio, quindi si capisce poco e niente… ma già nel prossimo capitolo entreremo nel vivo della storia…

Nel frattempo spero commentiate anche per avere un parere!
vi saluto!

Alla prossima

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

Prospettavo che la serata finisse come tutte le altre volte… io che fuggivo disperata, dall’appartamento di mia madre.

Ormai conoscevo a memoria i suoi approcci. Come al solito cercava di farmi piacere l’ennesimo fidanzato, giurandomi che fosse l’uomo della sua vita. Dopo la quinta volta che venni sottoposta a quella tortura smisi di crederle.

Odiavo di dirlo, ma mia madre, a volte – o sempre- era una bambina.

Suonai al campanello, scostando dietro l’orecchio una ciocca di capelli. Incrociai le mani sul grembo e picchiettando un piede aspettai.

“Tesoro!” la voce squillante di mia madre mi fece alzare gli occhi. Sforzai un sorriso tirato e mi lasciai soffocare dal suo abbraccio stritolatore.

Mia madre – nome anagrafico : Melinda - era la classica donna cinquantenne che si portava bene la sua età.

La sua pelle olivastra risaltava il suo viso,incorniciato da un caschetto platino. I suoi occhi – oltre al fisico formoso- erano il suo punto forte. Due pozzi azzurri, taglio mandorla. Avevo sempre inviato il colore dei suoi occhi.

Da mia madre avevo preso ben poco. La mia pelle al contrario della sua era molto bianca, stile mozzarella.

I miei occhi di una banalissimo castano e i mie capelli - neri - arrivavano a malapena alle spalle.

“Mamma” mormorai con il capo posato sulla sua spalla. Mi staccai poco dopo osservandola attentamente. Aveva qualcosa di strano. Era dimagrita? No… non mi sembrava.

Indossava un tubino rosso, che risaltava la sua quarta abbondante.

Le sue tette me le sognavo, portavo una terza scarsa e in poche occasioni lievitano, grazie a dei reggiseni imbottiti.

“Sei in ritardo, ma ti perdono … per questa volta” mi riprese con tono da rimprovero e attaccandosi al mio braccio mi trascinò dentro.

Sbuffai lasciandomi trascinare in salotto. Tutto era perfettamente apparecchiato, per tre persone.

Al centro del tavolo giaceva una teglia di pollo arrosto… almeno qualcosa che non avrei disprezzato, il cibo.

“Aspetta qui!” eccitata posò le sue mani sulle mie spalle e mi obbligò a sedermi su una sedia.

“Vado a prendere Owen!!!” oddio… era completamente pazza, spruzzava gioia da tutti i pori.

Senza attendere la mia risposta sparì. Presi un bel respiro e posai una mano sulla tavoglia di finissimo ricamo. Non mi aveva neanche dato il tempo di togliermi il capotto!

Nervosa accavallai una gamba, stava per entrare il nuovo boy di mia madre.

“Tesoro questo è Owen!” delle forti mani cingevano la vita di mia madre. Lentamente risalii e incollai i miei occhi sul viso dello sconosciuto.

Cazzo…

Non avevo parole.

L’uomo di fronte a me era sicuramente più piccolo di mamma, ma non fu quello a bloccarmi, ma la sua bellezza o per meglio dire il suo fascino.

Era abbastanza alto… forse una quindicina di centimetri più di me… la sua carnagione leggermente abbronzata era così perfetta.

Una leggera peluria ricopriva le guance paffutelle, i suoi capelli spettinati tirati all’indietro e i suoi occhi … di un’ intenso verde smeraldo.

Pensai di sentirmi male davanti a quella visione celestiale… boccheggiai in cerca di aria e tentai di trattenermi, dal non cadere dalla sedia.

“Tesoro stai bene? Sei tutta rossa!” disse allarmata mia madre, lasciando la presa di Owen.

La sua mano calda mi accarezzò una guancia preoccupata, scossi la testa. “Mamma sto bene! Scusa” sussurrai e mi sorpresi di avere ancora l’uso della parola.

“Ci penso io… infondo sono un medico” una voce estranea a me fino a quel momento riempii il mio animo… mi voltai nella sua direzione e con passo dannatamente sicuro venne verso di me. Si abbassò alla mia all’altezza, piegandosi sulle ginocchia. Mia madre nel frattempo si era spostata, per fargli spazio.

“Allora… Rebecca giusto?” annuii incapace di fare altro. “Hai capogiri, mal di testa, nausea?” mi tempestò di domande, mandandomi nel pallone.

Merda.. ero solo arrossita! Non stavo morendo. Mi incantai nei suoi occhi e dissi di stare bene. Rapidamente mi alzai dalla sedia, lasciando entrambi di stucco.

“Vado in bagno a rinfrescarmi” balbettai dando le spalle, prima di guardare quattro paia di occhi smarriti dal mio comportamento.

 

***

Merda … cazzo… merda!

Che cosa mi era successo?

Appoggiai i palmi sul lavandino di marmo per sostenermi. Il mio cuore batteva alla velocità della luce. La testa mi scoppiava e avevo una terribile voglia di piangere…

Stavo impazzendo?

Era una crisi isterica?

Diamine. Non era da me comportarmi in quella maniera. Avevo fatto una figuraccia di cacca e chissà cosa stava pensando Owen di me.

Cristo… non dovevo pensare a quell’uomo… non dovevo assolutamente desiderare di toccarlo e magari chiedergli il numero di telefono.

Lui era il fidanzato di mia madre ed io ero… “solo” la figlia.

No, mi rifiutavo categoricamente di credere che … mi piacesse.

Però… lui era così affascinante… così particolare e anche se lo conoscevo da meno di un minuto qualcosa si era smosso dentro di me.

Scombussolata era la parola giusta.

Totalmente frastornata da uno sconosciuto.

Esistevano i colpi di fulmine?

Io ero una vittima …

Mi sciacquai velocemente la faccia, con dell’ acqua – rigorosamente – gelata. Dovevo uscire da quella casa, fuggire dalla grinfie di mia madre e da quei gli occhi verdi.

Presi la borsa e passando per il salotto rivolsi un fugace sguardo a mia madre, evitai – volutamente - lui.

“Mamma devo andare mi ha chiamato Cherry… ciao”

“Ma tes-

Il resto della frase non la sentii. Ero già uscita dall’appartamento.

Avevo bisogno di bere… quella era la soluzione – momentanea – perfetta in quell’ istante.

 

_____

Buonasera! Allora rieccomi con il secondo capitolo. Grazie mille hai due commenti *_* sono contentissima che il cap vi sia piaciuto. Allora vorrei dire che i primi capitoli non sono lunghissimi, come questo, ma si allungheranno parecchio. Cercherò di sistemarli meglio.

Ringrazio anche le eseguite e i preferiti *_*

Spero continuerete a seguirmi in questa avventura e di ricevere sempre le vostre preziose opinioni! Se avete qualche domanda, fate pure!

Alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

 

Capitolo 3

 

 

Diavolo, era possibile sconvolgersi con così poco?

Stavo seriamente pensando di farmi rinchiudere in qualche clinica!

Era una settimana che non vedevo - ne sentivo – mia madre. Avevo chiesto a Cherry di non passarmi nessuna sua chiamata.

Notti che non dormivo pensando ai suoi occhi verdi. Giornate che a lavoro sbagliavo qualsiasi cosa. Mi ero ridotta uno straccio e la cosa più fastidiosa in tutto quel caos era che, avevo iniziato – di nuovo- a fumare.

Lo stress, mischiato al nervoso era letale per il mio povero cervello e la nicotina sembrava l’unico antidoto, fatto apposta per me.

Tornai a casa dopo l’ennesima giornata di lavoro, completamente bagnata. Avevo dimenticato l’ombrello a casa e la mia testa ancora non comprendeva che fosse inverno inoltrato.

“Oddio, ma sei tutta bagnata!” Cherry si portò una mano sulla bocca, sconcertata. Avrei voluto risponderle male, avrei voluto dirle di fottersi e che lo sapevo benissimo che fossi fradicia, ma mi limitai a un sonoro sbuffo. Poco dopo mi rinchiusi in camera, lasciandola in cucina, intenta a maneggiare del sugo dentro a una padella.

Cherry era la mia coinquilina, con lei condividevo l’appartamento, l’affitto, le bollette e le mega mangiate di gelato nelle nostre fasi depressive. Era una ragazza piuttosto sveglia, a differenza mia Cherry frequentava ancora l’università. Esattamente biologia, non capivo come una ragazza così frivola e a volte – se non sempre- superficiale potesse studiare, una materia così… complicata? I miei anni all’università li ricordavo vagamente, l’indirizzo ancora non lo avevo deciso e quando abbandonai, trovandomi lavoro in un bar del centro non mi curai molto della mia carriera scolastica. Ero stufa di tutti e soprattutto di mia madre, non volevo dipendere da lei.

“Rebecca… tua madre a chiamato di nuovo!” sbuffò, puntando i suoi occhietti neri verso di me.

“Ancora? Ma che diavolo vuole!” sbottai irritata. Perché quella santa donna non mi lasciava in pace? Non volevo parlarle, era così difficile?

E se proprio dovevo… Owen si doveva tenere a debita distanza, almeno 300° km da me. Che situazione di merda, come potevo cacciarmi in quei guai assurdi? Eppure non riuscivo a smettere di pensare ai suoi occhi verdi, al suo sorriso dannatamente perfetto.

Chissà che dentifricio utilizza per renderli così splendenti.

Pazza, ero pazza!

“Non lo so, ma se non le rispondi col cazzo che ti lascia in pace. Lo sai che prima o poi verrà qua?” domandò come se fosse ovvio.

Certo che sapevo che mia madre sarebbe venuta a rompere, ma non mi sarei fatta trovare. Cherry avrebbe inventato una scusa per me e il gioco era fatto!

“Si lo so, per questo ci sei tu!” le sorrisi e feci gli occhioni dolci. Il mio punto forte erano gli occhi, due grandi pozzi marroni che all’occorrenza erano molto utili.

“I tuoi occhi da cerbiatta non attaccano, rifilali a qualche ragazzo!” con una punta di acidità mi lasciò da sola nel divano.

“Ti prego Cherry! Sei mia amica aiutami!” le strillai dal piccolo salotto, adiacente alla cucina.

“Non credo proprio!” rispose mentre la vedevo intavolare i due piatti di pasta.

“Eddai!” la supplicai nuovamente, sperando in una sua benevolenza.

“No! E ora vieni a cena!”

 

***

Camminavo per la strada pensando a come diavolo avevo fatto a cacciarmi in quella situazione?

Stavo andando da mia madre. Mi aveva chiamata il giorno prima, in piena notte. I miei sensi erano ancora alle Hawaii quando risposi, mi ero dimenticata di leggere il nome nel display. Quando sentì la mia voce scoppiò in lacrime, chiedendomi che fine avessi fatto, insomma le solite stronzate. Forse per pietà o per compassione accettai il suo invito a colazione ed ora mi trovavo proprio di fronte al bar dell’appuntamento.

Entrai titubante, incerta se scappare o no, ma ormai ero lì. Sicuramente mi avrebbe visto. Lentamente mi avvicinai al suo tavolo, era di spalle. Posai una mano sulla sua spalla e sussultò spaventata. Appena si voltò mi saltò addosso felice, sorrisi della sua esuberanza. Era la solita.

“Tesoro, ma che fine hai fatto?!” mi chiese in lacrime. Le dissi di non preoccuparsi, che il lavoro era aumentato e che forse avrei lavorato tutti i giorni. Era una piccola bugia, ma utile per tenermi lontana dai casini.

Dopo una mezzoretta circa, ero ancora intenta ad ascoltare gli sproloqui di mia madre. Blaterava sulla nuova moda, sul fatto che dovessi lavorare di meno, di pensare magari all’università. Tutte cose sentite e risente mille volte. Presa dal nervosismo decisi di buttarmi su una coppa di cioccolato e panna. A prima mattina era una bomba, ma non importava, visto che non potevo fumare, la cioccolata era l’unica soluzione.

“Becca evita di mangiare quelle schifezze! “ mi rimbeccò guardando disgustata il cucchiaino pieno di panna montata.

“Mamma piantala, non mi interessa della cellulite o di altro, mangio come voglio”

Di solito evitavo di controbattere, ma ero piena, piena delle sue stronzate e di tutto quello che mi girava intorno.

Mi guardò per un’ attimo allibita, non si aspettava una risposta tanto acida da parte mia.

“Va bene” sospirò, lasciandosi andare sullo schienale della sedia “Comunque, ho bisogno di te” sfoderò il suo sorrisino a trentadue denti e tremai.

Poteva dirmi tutto, potevo sopportare tutto, ma questo no!

“Devo organizzare una festa di compleanno!” trillò felice, senza neanche chiedersi se l’ avrei aiutata o no.

“Ah si?” domandai distrattamente, affogando i miei nervi nel gelato.

“Si, indovina chi è il festeggiato!?”

“Zio”

“No!”

“Zia”

“Il gatto” dissi esasperata, volevo un po’ sdrammatizzare, ma la mia risposta non le piacque molto.

“è Owen!” strillò così forte, che mezzo locale si girò nella nostra direzione.

Il cucchiaino mi cascò dalle mani, cercai di elaborare l’ultima parola, anzi, l’ultimo nome.

No, non era possibile!

Non l’avrei aiutata, neanche morta.

Perché questa dannata storia stava durando più delle altre? Non si potevano lasciare… un motto di rabbia mischiata a qualcos’ altro mi assalii. Stavo impazzendo ne ero certa. Ero spregevole, mi piaceva il ragazzo di mia madre. Nonostante la detestassi in alcuni momenti, era sempre mia madre, cazzo.

“Allora tesoro?Svegliati e pulisciti la cioccolata dalla camicetta!”

Portai lo sguardo sul colletto della camicetta completamente macchiato.

“Cazzo” imprecai strofinandogli un fazzoletto raccattato dal tavolo.

“Non parlare così, lo sai che mi da fastidio”

Presi un bel respiro e con tutta la calma del mondo non risposi.

***

“Un compleanno ti rendi conto?” bofonchiai sconvolta a Cherry che mi guardava senza capire.

“Allora, Che c’è di strano? è il ragazzo di tua madre e tu saresti la figliastra?” domandò accigliandosi. Certo che ero la figliastra! Porca puttana.

“Cherry ti devo dire una cosa…” deglutii e mi preparai a confessargli il mio piccolo segreto che da giorni mi tormentava.

“Dimmi!” sospiro e si sedette accanto a me, si accese una sigaretta e un po’ impaziente mi invitò a parlare.

“Mi piace un ragazzo” le confessai incerta, se raccontare o no la verità.

“Uh ma è fantastico! Finalmente smetterai di fare la zitella” sorrise e mi canzonò un po’.

“Cherry non è come credi” la interruppi, prima che iniziasse a parlare a vanvera.

“E come è?”

“è complicato… è impegnato, e non mi guarderebbe mai“ abbassai gli occhi certa di essere arrossita. Non me la sentivo di raccontarle tutta la verità, non ero ancora pronta.

“Ha una storia seria?”

“Non lo so, all’inizio pensavo di no, conoscendo mia m… questa mia amica, ma poi è cambiato tutto” ero sul punto di piangere, sentivo le lacrime premere per uscire.

“Oh… troveremo una soluzione!” trillò felice.

“No, lo devo dimenticare!” strillai buttando un cuscino sul pavimento.

 

 

 

***

Scusate il ritardo ho avuto problemi con la connessione. Grazie a chi ha recensito ^^ alla prossima.

 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

I preparativi per il compleanno procedevano frettolosamente, accompagnavo mia madre in ogni tipo di negozio, in cerca degli ultimi dettagli o di qualche regalo assurdo. Un dubbio però mi assaliva ogni volta; non sapevo quanti anni compiva Owen… era assurdo mi stavo sfaticando per lui e in realtà non conoscevo niente della sua vita.

Così, un pomeriggio, camuffando la mia curiosità, lo domandai a mia madre.

“Il mio Owen compie trentotto anni!”

Trentotto anni ?!

La mia reazione fu simile ad un’ attacco cardiaco.

Non potevo crederci! Owen era di ben 15 anni più grande di me.

Trovavo insensato pensare alla nostra differenza di età, quando sapevo benissimo che tra noi due non sarebbe successo, in nessun caso, nulla, ma era più forte di me. Ero preda dei miei sensi di colpa – verso mia madre- ma la mia mente non smetteva di viaggiare e di fantasticare…su di lui.

“Allora, dobbiamo andare dal fioraio. A Owen piacciono le rose blu!” cinguettò lungo il viale che portava dritto al negozio di fiori.

A Owen piacevano le rose blu? Che razza di gusti sono?!

“Uhm… mamma io dovrei andare, sai devo preparare la cena”

Cercare una scusa per scappare era un’abitudine. Una settimana nelle sue grinfie era peggio di una settimana all’ inferno. Non rimpiangevo affatto di averla esclusa dalla mia vita negli ultimi due anni.

Era solo un’ impiccio. Una vera rottura di palle.

“Di già? Sono solo le… 19:45!!!!” strillò accorgendosi- finalmente- di quanto si fosse fatto tardi.

Forse, la possibilità di sfuggire dalle sue mani non era svanita.

“Esatto… io vado eh” feci per girarmi, ma una sua mano mi bloccò per il polso.

“Vieni a cena da me… dai”. E i suoi occhioni da povera cagna bastonata trionfarono sul suo visetto abbronzato. Come dirle di no? Anche se lo avrei fatto, mi avrebbe obbligato. Sbuffai e senza nascondere il mio disappunto accettai.

E’ solo una stupida cena Rebecca, poi torni a casa a dormire.

**

Entrammo dentro l’appartamento con mille bustine, di vario genere, in mano.

Era stata la giornata più stressante della mia vita, non avevo mai fatto così tanto shopping in tutta la mia misera esistenza.

“Appoggia tutto sul divano. Vado a scaldare le lasagne, lo preparate oggi pomeriggio”

Annuii e dirigendomi in salotto notai che non quadrava qualcosa. La prima cosa che risaltò ai miei occhi fu un capotto maschile. Ok che mia madre aveva dei gusti strani, che il suo modo di vestirsi durava meno di uno starnuto, ma non pensavo che fosse passata a gusti, decisamente, troppo maschili. Senza soppesare troppo la cosa posai tutto sul divano di pelle rossa.

Approfittando dell’assenza di mia madre mi stravaccai sul sofà. Sospirai beatamente, togliendomi le scarpe.

Che giornata di merda era stata, un po’ di relax non mi avrebbe fatto male. Chiusi gli occhi e con un sorrisino immaginai di trovarmi alla terme, immersa in quelle strane acque termali, tutte vaporose e calde.

Che goduria sarebbe stata…

“Uhm…” uno schiarimento di voce mi fece aprire gli occhi.

Sbiancai più del solito e mettendomi in posizione eretta lo vidi.

Owen. Owen. Owen. Proprio davanti a me.

I capelli leggermente bagnati, la camicetta rosa sbottonata sul davanti e i jeans neri che fasciavano alla perfezione le sue gambe toniche e muscolose… quanto era sexy? Troppo!

Deglutii e presa dal panico incrociai le braccia dietro la schiena.

“Ciao” dissi, prima di rendermi conto del suo sguardo calamitato sui miei piedi.

Merda. Mi ero tolta le scarpe, dimenticandomi degli assurdi calzini che indossavo.

Verdi con delle ranocchiette rosse.

Perfetto. Se pensasse che fossi infantile, i miei calzini gli davano tranquillamente la conferma.

“Stavi dormendo?” si avvicinò, facendomi indietreggiare di qualche passo.

Mi guardò male. Come dargli torto? Sembrava che stessi scappando dall’orco cattivo.

“Mhm.. no.. sono solo molto stanca” bofonchiai imbarazzata al massimo.

“Vieni di là? La cena è pronta” e prima che aggiungesse altro si voltò, permettendomi una piena visuale del suo di dietro. Sodo, tondo e tonico.

L’uomo perfetto a pochi passi da me.

**

Nella classifica delle situazioni più imbarazzanti della mia vita avrei aggiunto, sicuramente, questa cena al primo posto. Che cavolo ci facevo in mezzo a loro due? Mi sentivo un’ estranea. Il terzo in comodo in mezzo alla coppietta di innamorati.

Rigiravo con la forchetta la mezza poltiglia che avevo creato, con le lasagne. Mai come allora il mio appetito era meno di zero.

“Tesoro, non mangi?” la domanda di mia madre fece puntare gli occhi di Owen su di me.

Al diavolo! Che cazzo ci facevo ancora là? Era ora di scappare, bastava poco per alzare i tacchi e fuggire, ma non volevo risultare, nuovamente, una pazza squilibrata.

“Non ho molta fame” mormorai, abbassando gli occhi sul piatto.

“Ma come, prima ti lagnavi tanto che avevi fame e ora non mangi niente?” disse criticando i miei, oramai, famosi sbalzi d’umore.

C’era una cosa che odiavo più di tutte ; essere trattata da bambina piccola dinanzi a degli estranei o in questo caso dinanzi ad Owen. Arrossii e trattenendo con difficoltà la rabbia posai la forchetta sul piatto.

Mi veniva da piangere, assurdo. Mancava davvero poco ad una mia crisi in piena regola.

Essere trattata da perfetta idiota davanti ad Owen, mi causava un disagio pazzesco.

Neanche seppi spiegare il mio stato d’animo quando incrociai i suoi occhi verdi come il mare.

Il cuore prese a battere all’impazzata, proprio come nei grandi romanzi d’amore, dove descrivono attimo per attimo tutte le fasi del momento. Battito accelerato, temperatura corporea gravemente alzata, guance rosso fuoco. Tutto combaciava alla perfezione e proprio in quel preciso istante, di quella maledetta sera, capii i miei sentimento per lui.

Ero fottutamente innamorata di Owen.

Spacciata dal sentimento piantato nelle mie membra.

Un colpo di fulmine, un colpo di strega, fato, destino, chiamatelo come volete, ma io ero nella merda.

Niente da quel momento contò quanto il suo sguardo immerso nel mio.

 

Perdonate l’immenso ritardo, ma la connessione fa i capricci ;___; mi dispiace davvero tanto, cmq passando a noi prometto di aggiornare in settimana il quinto capitolo per lo più è scritto. Ringrazio le mie sostenitrici che hanno commentato lo scorso capitolo. Grazie !! un bacio!

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


 

Capitolo 5

Negli anni passati non avevo mai creduto nell’amore.

Non mi era mai capitato nulla del genere; innamorarmi di un perfetto sconosciuto dopo pochissimi secondi.

Fu dura accettare per due ore intere le loro smancerie ed evitare di pensare a cosa avessi realizzato qualche minuto prima.

Mi ero innamorata di quel bastardo che si dava da fare con mia madre.

Così, armata di buona pazienza arrivai al termine della cena senza morire davanti ai loro bacetti. E soprattutto senza tentare il suicidio, con la forchetta, udendo le loro paroline d’amore.

Che cosa avevo fatto di male? Che cosa… per meritarmi tutto quello?

Probabilmente ero stata ripagata per l’odio che da anni covavo, verso la mia genitrice.

“Cherry, cherry, io non so che fare!” da una mezzoretta buona mi dimenavo nel piccolo salotto del mio appartamento. Cherry mi guardava stralunata, non riusciva a comprendere perché di punto in bianco ero scoppiata in una crisi isterica, fatta di urli e lamenti vari.

“Ma Rebecca se non mi dici cosa diamine hai, come faccio ad aiutarti?”

Come potevo confessarle una cosa del genere.

Non era stato facile ammettere a me stessa di essere innamorata del fidanzato di mia madre.

Figuriamoci dirlo a qualcun’ altro.

Che cosa poteva pensare di me?

“La situazione è questa : Mi sono innamorata di un perfetto sconosciuto, quello di cui ti ho accennato l’altro volta, ma lui è impegnato. Te lo detto no?” nervosamente accesi una sigaretta, piantando i piedi sul pavimento.

Stentavo a riconoscermi. Stentavo a credere che quella persona mentalmente instabile per un ragazzo, fossi io.

“Oh… è un guaio” soffiò sgranando gli occhi.

“Vedi! E’ un grosso guaio! Non posso fare questo torto a questa mia amica. Non posso!non posso!” mi lagnai con i lacrimoni agli occhi.

Sfioravo i limiti del patetico ma che potevo farci io? Era l’amore a farmi reagire in questa maniera.

Forse, probabilmente, non lo sapevo! Non ero mai stata innamorata di nessuno prima di allora!

Diamine non ero più la stessa Rebecca di qualche settimana prima.

Rivolevo la mia sicurezza, rivolevo il mio cuore libero da tutto…un cuore Single, ok?

Merda. Oltre ad essere assurda avevo pensieri assurdi!

“Ma dai… evita di incontrarlo, di pensarci e vedrai che sarà fatta”

Facile per lei.

Evitarlo era impossibile, se non immaginabile. Mia madre era, volente o non volente, un pezzo della mia vita.

Lei ci sarebbe stata sempre nella mia quotidianità...

“E’ impossibile, lavora al bar con me” un’altra piccola bugia a fin di bene.

“Uhm…- mise una mano sotto al mento- allora sei fottuta. Cambia orientamento sessuale”

“Cherry!” strillai scandalizzata. La sigaretta era finita da un pezzo e il mio cervello non si era per niente rilassato.

Maledetta nicotina.

“Dai scherzavo! – ridacchiò – non so che dirti, non sono mai inceppata in queste situazioni. Non me la sento di darti nessun tipo di consiglio”

Perfetto anche lei non era d’aiuto.

“Ok” sbuffai, dirigendomi in camera mia.

La mia vita era ufficialmente a pezzi per un’ affascinante dentista da quattro soldi.

**

Passare la notte in bianco sapendo che il turno l’indomani al bar era di mattina, non era proprio da persone normali. Dire che stavo di merda non era un’ esagerazione. Stavo di merda, anzi che dico, peggio, peggio della merda che poteva esserci? Immaginatelo e capirete come ero io quando mi alzai dal letto tutta intontita.

Presi la metropolitana appena in tempo. Ero così assonnata che i miei sensi tramortiti dalla stanchezza viaggiarono per cavoli loro, fino all’ arrivo al bar.

Svogliatamente, indossai il grembiule nero. Sbadigliai circa ventidue volte prima di prendere pieno possesso delle mie facoltà. Dopo tre caffè, dei quali due senza zucchero, potevo definirmi parzialmente lucida. Ero entrata nella fase rincoglimento, fase decisamente migliore di quella di merda.

Certo servire la maggior parte delle persone ammassate al bancone, affamati e assettati, era come sottoporsi ad intervento senza anestesia. Nella mia testa rimbombavano le loro voci cariche di fretta e odio. La maggior parte dell’odio era diretto, ovviamente, a me, visto che ad ogni ordine impiegavo il 0,5% della mia voglia, inferiore a quella di un’ orso in letargo.

La gente sbraitava, come se fossimo in un’arena, e più lo faceva e più tutto intorno a me diventava confuso.

Clienti dispettosi e arroganti, ecco perché detestavo al 80% il mio lavoro.

“Rebecca. Dove hai la testa? Quella vecchietta aspetta il cappuccino da dieci minuti buoni!” mi rimbeccò Manuel, il mio collega, nonché rompiballe, di lavoro.

“Ecco, un’ attimo!” risposi piccata. Rapidamente mi diressi alla macchinetta, macinando il caffè e preparando la schiuma con il latte.

Che rottura di marroni… tutti a me oggi.

Preparare un cappuccino non mi era mai sembrato così faticoso. Il cucchiaino tra le mie mani pesava come una pala da campo. Lo zucchero, dall’odore nauseabondo, come delle feci essiccate al sole.

La mia fantasia stava viaggiando talmente tanto che non mi ero accorta che, come un’ automa mi stavo dirigendo verso la vecchietta dalla faccia rugosa. Fu un’ impresa astronomica tenere in mano quel bicchiere, senza pensar per un’ attimo che fosse un secchio pieno di letame.

Poi, all’improvviso accade l’immaginabile…Ricordo soltanto di essere inciampata su qualcosa di maledettamente duro, e poi il buio a farmi compagnia.

Prima di chiudere gli occhi un pensiero mi colpii in pieno, mandandomi nella disperazione più pura.

La mia nuova camicetta era stata rovinata da quel cazzo di cappuccio. Che palle!

**

Sentii qualcosa di umido e freddo sulla mia fronte, mugolai parole scoordinate e senza senso, prima di riaprire gli occhi e trovarmi la faccia di Manuel, che con i suoi occhietti grigi mi guardava preoccupato.

“Ei… ti sei ripresa?”

Sbattei le palpebre un paio di volte, prima di mettere a fuoco dove stessi e soprattutto capire in che posizione ero messa!

Le mie gambe erano sollevate, appoggiate a qualcosa di morbido somigliante ad un cuscino. Poi inclinai la testa per capire dove fossi. Mi trovavo nell’ufficio del grande capo.

Grande capo che non si faceva vedere mai e che a malapena metteva piede a lavoro.

“Si…che è successo?” strascicai come un ubriacona.

“Sei svenuta… hai avuto un calo di pressione”

Sospirai lasciando andare il capo sul bracciolo di pelle.

Oh, ci mancava soltanto quello e potevo dire di aver fatto tredici.

“Ho dimenticato di fare colazione, ho bevuto soltanto 3 caffè” risposi, abbassando le palpebre e lasciando scorrere il panno umido sul mio collo. Finalmente un po’ di sollievo, stavo andando a fuoco.

“Non è che hai la febbre?” mi domandò Manuel accigliandosi e sporgendosi verso la scrivania del grande capo.

Si sedette sopra, accavallando una gamba.

“Ma che ne so… mica sono un medico io” risposi lievemente infastidita.

Che domande mi fa?

“Non è che invece sei nella tua fase pre-ciclo?” mi chiese.

Sospirai pesantemente, pregando in tutte le lingue del mondo che non continuasse a pormi domande del genere.

“Non credo, forse quella pre-ovulazione” dissi ironica, ma capì la battuta.

“Esiste anche quella? Oh ma voi donne quanto siete complicate?”

“E voi uomini quanto siete stupidi?”

“Se noi siamo stupidi, voi siete delle vipere!”

“Sei noi siamo delle vipere, voi siete degli avvoltoi!”

Potevamo continuare all’infinito con questo stupidate, ma per fortuna qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” rispose Manuel senza spostare il suo culo dalla scrivania.

Non osavo immaginare cosa gli avrebbe fatto il grande capo, se lo avesse beccato col culo sul suo preziosissimo legno pregiato.

“Volete tornar di là? C’è un mucchio di gente!”

Queste erano le lamentele di Valerì unica presenza femminile, dopo di me, in quella banda di pazzi.

“Arriviamo!” disse Manuel, saltellando giù dalla scrivania.

**

Dopo lo svenimento, avvenuto dietro al bancone del bar, andai in giro con un bel taglio da tre centimetri sulla fronte. Ero inciampata sul filo della macchinetta delle granite, prendendo direttamente in faccia il pavimento.

All’inizio il dolore era quasi inesistente, probabilmente dovuto allo shock iniziale.

Mi accorsi dell’enorme taglio quando andai in bagno, per darmi una rinfrescata. Menomale mancava poco alle fine del mio turno e quando varcai la porta del bar gioii con le lacrime agli occhi.

Una volta in strada, l’incessante suono della suoneria del mio cellulare aumentò il mio mal di testa. Lo presi e leggendo il nome sul display fui tentata di non rispondere.

mmm… fatti coraggio.

“Mamma” mi lasciai scappare un bello sbuffo.

“Tesoro? Che vocetta.. che hai fatto?” la sua vocetta, a differenza della mia, era sempre squillante alla pari di un megafono.

“Niente…comunque che c’è?”

“Ti volevo invitare a cena stasera. Ho chiamato a casa, mi ha risposto Cherry e mi ha detto che avevi il turno di mattina, quindi se per te va bene, direi verso le otto … ok?”

La solita, programma e fa tutto da sola. Che bellezza.

“No! Cioè.. forse mi vedo con un’ amica … ti faccio sape-..”

Stavo per concludere la mia banalissima scusa quando davanti a me apparse l’ultima persone che volevo vedere in quel momento.

Owen.

Era vestito in modo differente, da come ero stata abituata a vederlo. Indossava un completo elegante, corredato dalla sua ventiquattrore nera, da lavoro. Mi sorrise accigliandosi quando il suo sguardo si posò sulla mia fronte, degna di un lottatore di lotta libera.

“Mamma.. ti… richi-amo ok?” attaccai senza attendere oltre.

La mia bocca si era spalancata automaticamente e non accennava a chiudersi.

La mia espressione da pesce lesso era uno spettacolo orripilante.

Più si avvicinava e più mi gustavo il suo corpo muscoloso e tonico.

Immagini di lui nudo attorcigliato al corpo della mia genitrice mi fecero arrossire fino all’inverosimile.

Già è dura per una figlia immaginare i propri genitori fare sesso, figuriamoci la propria madre farlo con l’uomo di cui si è perdutamente innamorate. Al sol pensiero il cuore mi andava in gola. Stupida Rebecca.

La rabbia mi assalii, pensando alla fortuna sfacciata che aveva lei, ed io no.

“Rebecca?” la sua voce, calda e penetrante, mi fece tremare. Lo guardai estasiata, prima di rimproverarmi mentalmente e tornare in me.

“Owen” fu un sussurro sottilissimo a fuoriuscire dalla mia bocca.

Fui in impaurita da tutte quelle emozioni che mi colpirono, stordendomi.

“Stai bene? Sei diventata tutta rossa” constatò, facendomi arrossire ancora di più. Ecco una cosa che non doveva dire!

“Si…si… stavo tornando a casa. Io vado eh”

Dileguarmi da là era il miglior modo di dirgli addio, iniziando a dimenticarlo. Dopo la festa avrei smesso di frequentare mia madre, al costo di andare a vivere al culo al mondo, avrei smesso di rivederla pur di non rivedere lui.

“Aspetta”

Mi bloccai, lasciandogli lo spettacolo della mia schiena.

Aspetta? Aspettare cosa… io non potrò mai averti… lasciami andare.

“Vuoi venire a bere qualcosa? Dopo mi devo vedere con Melinda, ma vorrei poter chiacchierare con te un po’, mi servirebbe un consiglio e visto che sei a portata di mano.. che ne dici?” il suo discorso fu detto così rapidamente che capii la metà delle parole.

Chiusi gli occhi, conscia che non mi potesse vedere, e malincuore mi voltai. Accennai un sorriso e senza attendere oltre ci dirigemmo assieme in un piccolo bar, dietro l’angolo.

Che grande cazzata sto facendo. Fu un pensiero che mi accompagnò durante il tragitto.

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Eccomi ^^ sono in anticipo lo ammetto… xD

Wow… 4 commenti sono felicissima ^^ sono contenta che la storia comincia a piacervi.

Riguardo al capitolo ancora non siamo entrati nel vivo della storia, ma ci arriveremo molto presto. Ci saranno sviluppi abbastanza movimentati xD

Alla prossima!

 

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