Chains of Blood - Le catene del sangue

di Yu Lunae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo sigillo - Spettro ***
Capitolo 3: *** Secondo Sigillo - Lettera dall'Inferno ***
Capitolo 4: *** Terzo Sigillo - Alienazione parte I ***
Capitolo 5: *** Terzo Sigillo - Alienazione parte II ***
Capitolo 6: *** Quarto Sigillo - Rivelazioni ***
Capitolo 7: *** Quinto Sigillo - Il mietitore ***
Capitolo 8: *** Sesto Sigillo - Scomparsa ***
Capitolo 9: *** Settimo Sigillo - Destino Ridente ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nota
Ecco dunque, salve a tutti XD
Spero vi piaccia questa mia storia. So che è particolarmente strana, un pò fuori dal normale e certe volte può sembrare complessa, ma spero che voi mi possiate aiutare con le vostre recensioni a migliorarla ogni capitolo di più. L'ho scritta ispirandomi molto allo stile manga e di conseguenza ho immaginato i personaggi disegnandoli. Magari poi più in là li posto anche. Ogni capitolo (prologo e primo capitolo con lo stesso) sono state scritte ascoltando una particolare canzone che mi ha ispirato, che metterò ogni volta metterò all'inizio del capitolo così potrete decidere di leggerlo o meno ascoltando la canzone che ho segnalato oppure una vostra XD Più che altro è perché molto spesso le musiche danno riesco a far immaginare meglio le situazioni, e per farle immaginare a voi come le ho pensate io, vi do questo piccolo input *-* (L)

Track    The Noose - A Perfect Circle

Per il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia

Yu Lunae

Prologo

I miei occhi erano vitrei nel vuoto. Occhi grandi e ricolmi di tristezza, ma privi di lacrime. Una tristezza senza sofferenza. Una sofferenza suggerita da quei singhiozzi che si accrescevano alle mie spalle. Quante contraddizioni distinguevo in ognuno dei loro pianti. La mia matrigna al mio fianco, abbigliata di lussuosi abiti neri e sontuosi gioielli, di ogni sorta, fingeva di frignare come una bambina, tenendo stretto tra le sue dita, ricoperte da soffice velluto nero, un fazzoletto in bianca seta. Era così irritante ogni suo gemito, teatralmente studiato prima di recarsi al capezzale del mio povero padre. Ma io tacevo, perché di lei non mi importava. Il suo falso supplizio era ora, l'ultimo dei miei problemi. Al suo fianco, la sua stessa figlia la emulava, inscenando una pena bugiarda, verso quel corpo freddo e pallido, alla quale tenevo ancora stretta la mano, con la speranza di poter scorgere in essa il solito, vivido tepore.
Nei miei occhi, limpidi come l'acqua di un mero ruscello,il disegno di quella sottile linea senza curva alcuna, era più chiaro, che sullo stesso monitor, sulla quale si disegnava monotona. Nessun battito, nessun respiro. In quel momento mio padre era definitivamente deceduto.

Encefalogramma piatto.

Al suono ininterrotto, che confermava la sua morte, quelle due insopportabili donne, cominciarono ad aumentare il ritmo delle lacrime, sature di menzogna. Spostai lo sguardo verso il volto rilassato di lui e questo mi bastò per trattenere il dolore. Sulla mascherina dell'ossigeno, ormai limpida e trasparente, cominciavo a vedere i flash dei fotografi, di chissà quanti quotidiani e telegiornali.
Strinsi le lenzuola con rabbia e riposi il capo nell'incavo delle braccia incrociate. Non piangevo. Volevo solo attutire quel frastuono. Nonostante amassi mio padre, non nutrivo legami profondi con nessuna altra mia conoscenza. Non mi ero mai innamorata. Non avevo un'amica o un amico più importante degli altri. Mi sentivo priva di emozioni, perché l'unica persona che avevo amato, mi era stata portata via, quando ancora era un candido bocciolo di loto dormiente. E con sé si portò via ogni mia emozione, lasciandomi vivere, con il cuore stretto in una morsa di eterno sconforto. Mia madre, Venusia.
Un sospiro mi accarezzò il collo, sottile, delicato. Alle mie orecchie giunse scandito, il mio nome. Eveline. Alzai appena il capo e mi guardai attorno. Tutti erano in silenzio e solo il fischio persistente e assordante, interrompeva continuo quell'oblio.
Eppure qualcuno ripeteva il mio nome. Ancora e ancora. Una voce sempre più debole. Una voce che sembrava provenire da ogni angolo della stanza. Mi alzai in piedi, perpetuando la medesima espressione di qualche attimo prima, lasciando che la sua mano, stanca ed esente di vita, ricadesse sul morbido lenzuolo, niveo, proprio come la sua pelle.
Avanzai di alcuni passi, scansando i fotografi e i giornalisti, venuti apposta per assistere alla morte di un importante archeologo, che durante la sua breve vita, aveva fatto scoperte colossali. Contenti ma celati loro, del nuovo scoop che stava per sconvolgere le loro vite, povere di valori e rispetto. Io invece non ero affatto lieta della loro presenza.
Cercavo la fonte di quella voce, osservandomi attorno, ed estraniandomi dai rumori alternativi. Ma il suono mai interrotto di quel monitor maledetto, interrompeva le sue parole. Non riuscivo a comprenderle, non riuscivo a distinguerle.
Quando non riuscii più ad udire verso alcuno, sentii pervadere il mio corpo, da un freddo piacevole. Un brivido sconosciuto che fuggiva lungo la mia pelle.

Accadde tutto in pochi secondi.

Una lunga corda di un azzurro macabro e spento mi si parò davanti. Ma non era davanti a me. Lei mi stava... attraversando.
Non capivo come fosse possibile, ma capivo che il freddo proveniva dalla zona in cui la corda attraversava il mio corpo vivo. Non sentivo più il sangue scorrere. Non sentivo il mio cuore battere. Non riuscivo a ragionare lucidamente. E' per quello che non volevo credere a ciò che i miei occhi mi mostrarono quel giorno. L'apice della fredda e immateriale catena, proveniva dal petto del cadavere di mio padre, e proseguiva, attraversando il mio corpo, oltre di esso, alle mie spalle. Riuscivo solo ora a chiarire la direzione di quelle parole e quei lemmi stessi:

«Infrangi il legame, Eveline. Lascia andare lo spettro.»

Erano così chiare ora le parole, ma meno chiaro era il loro significato. Poi ancora, quella voce familiare ripeteva il mio nome. Eve. Ed ancora una volta, la direzione tornava ambigua.

Man mano che la voce si faceva lontana, i miei occhi si spegnevano e tutto ciò che vidi dopo, non furono altro che profonde tenebre.

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Capitolo 2
*** Primo sigillo - Spettro ***


Nota

Bene eccomi di nuovo qui, con il primo capitolo. . . non volevo lasciarvi soli con il prologo XD. La storia comincia a delinearsi dopo questo prologo che lascia tanti dubbi una sorta di intro, per farvi comprendere cosa dovete aspettarvi da Chains. Comincia ad avere un inizio e spero un seguito. Presto vi posterò anche le immagini dei personaggi!

Track    The Noose - A Perfect Circle

Per il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia

Love
Yu Lunae

Primo sigillo

Spettro


Erano passati ben nove anni ormai dalla morte di mio padre. Nove lunghi anni trascorsi insieme a quella che avrebbe dovuto essere la mia famiglia, ma che io non consideravo tale, per ovvi motivi.
Ero molto più forte rispetto a tutte le altre diciassettenni, impegnate a farsi belle e a curare il loro aspetto esteriore, tralasciando quell'aspetto che io ritenevo il più importante. Un bel visino non ti salva dagli scherzi del destino. Devi riuscire a tenere testa al Signor Futuro e di certo non curando ciò che è fuori. Molti umani, non lo capiscono ancora. Ma quelli come me, lo hanno compreso ormai da diverso tempo.
Mentre camminavo per strada, non potevo affatto trascurare quanto i miei occhi, diversi da tutti gli altri occhi umani, mi mostravano. Ma cercavo di ignorarli, cercavo di convincermi, che niente di tutto ciò che vedevo esisteva davvero. Scuotevo appena la testa e ritornavo sulla mia strada, stringendo morbosamente, i libri della biblioteca al petto, proprio come se il loro calore immateriale, mi desse il coraggio di cui avevo bisogno, per continuare a camminare. Aumentando il passo, mi affrettavo ad attraversare l'uscio del grande ingresso della biblioteca, dalla quale alcuni giorni prima, avevo prelevato quei libri che proprio in quel momento tenevo stretti a me. Erano libri particolari, che trattano dei temi, amati da molti adolescenti, e in verità anche da molti adulti: Occultismo e mistero si intrecciavano in trame da documentario, che illustravano cronache ed eventi trascorsi, che gli occultisti legavano ad eventi sopranaturali. Molto interessanti certo, ma fino ad oggi non avevo trovato nulla che, anche lontanamente, incrociasse il mio problema. Probabilmente ero pazza, oppure ero l'unica al mondo che sognava ad occhi aperti cose così orribili. Si infatti mi ero convinta che tutto ciò di inverosimile che i miei occhi incrociavano, era frutto di un mio qualche problema mentale o semplicemente, del troppo stress che la matrigna e le sue figliole adorate, che avevano tutta l'aria di squillo di alto borgo, mi procuravano nell'arco della giornata.
Si in fin dei conti era una buona ipotesi.
Non avevo rivelato a nessuno questo mio problema. Fingevo semplicemente che il problema non ci fosse. Ma tenevo un diario nascosto in camera, che chiamavo Winslet, a cui confidavo i miei strani sogni e le mie strane visioni. Era un ottimo consigliere, seppure muto.
Alzai il volto verso l'immenso soffitto, decorato da travi in legno scuro e possenti arcate, dipinte da chissà quale famoso pittore dell'epoca rinascimentale. O si, quell'edificio risaliva al tardo rinascimento, anzi io oserei definirlo manierista, per quelle sue azzardate falcate di colore denso e brillante. Quegli angeli che abbracciavano famelici le mura illusoriamente sfondate, un tipico vezzo dei pittori dell'epoca, davvero deliziosa da guardare, tra una lettura e l'altra. Proprio come capitava nelle stanze vaticane dipinte da Raffaello. La stanza della Signatura, con la famosissima scuola di Atene. Ma l'autore, era tutt'oggi sconosciuto. Si sa solo, che questo splendido edificio, fu commissionato da un potente vescovo Italiano, che stanco della vita corrotta della religione cristiana, voleva trasferirsi in un luogo tranquillo, costruito solo per lui e la sua deliziosa famigliola. Si credo volesse costruire una casa o un archivio. Ma non riuscì nel suo “nobile” intento.
Osservando la grande struttura, meravigliata, se non definitivamente rapita da quei dipinti, i miei occhi caddero sul primo uomo che riuscii a scovare.
Niente visioni. Questo mi tranquillizzò, ed un sospiro sollevato sfuggì alle mie labbra, dipinte di mogano. Nulla di più piacevole, di evitare quelle strane visioni.
Avanzai verso il bancone, dove i dipendenti della grande biblioteca accoglievano i visitatori. Il Signor Kellington era lì, come al solito. Continuai a camminare verso il suo bancone e quando lui alzò lo sguardo verso di me sorridente, esordendo con uno dei suoi:
« Buongiorno signorina, cosa posso fare per lei?» io gli sbattei i pesanti libri di cronaca e narrativa, sulla superficie lignea del lucente banco in ciliegio, provocando un inadeguato tonfo e disturbando tutti i presenti, come era nel mio intento fare.
« Questi non sono i libri che volevo io...guarda che è inutile che mi mandi quel ragazzino con libri che io non ho mai chiesto.» dissi con voce sottilmente adirata.
« Mi perdoni signorina, devo chiederle di abbassare la voce.
» mormorò lui avvicinandosi appena a me, intimorito, dalla possibile reazione dei suoi “ospiti”.Alzò il viso, dal tipico aspetto di maggiordomo troppo invecchiato, e sorrise ad un di loro.
« Non mi interessa quello che vuoi chiedermi tu...piuttosto dimmi perché continui a mandarmi questo libro.» Dissi, rispettando minimamente la sua richiesta e lasciando cadere il discusso libro, dalla copertina rigida color cobalto, proprio davanti ai suoi occhi grigio vivido. Lui lo afferrò con un certa agilità e vi diede una rapida occhiata. Infatti capitava spesso, che per via dei simpaticissimi impegni che mi assegnavano in casa, io non potessi prelevare personalmente i libri che mi interessavano. Di solito, era il “facchino bibliotecario” che li portava gentilmente a casa mia. Ma ultimamente, chissà per quale assurdo motivo, il ragazzino il cui nome era Luke, confondeva tra i libri da me richiesti, quello che avevo appena lanciato all'uomo dietro il bancone. Lui era già a conoscenza della situazione, visto che il disguido era già capitato diverse volte.
« O ancora...ti dico che non te l'ho mandato io questo libro, Eveline. Non so davvero perché quel ragazzino te lo consegni di continuo. Ma lo hai letto almeno? » mormorò poi, dandomi del tu. In effetti Il Signor Kellington era solito darmi del tu, se la sua biblioteca non era eccessivamente ricolma di gente. Quell'anziano signore lo conoscevo da parecchi anni.
Aveva circa 62 anni, aspetto elegante e fine, proprio come il suo volto, che ispirava gentilezza e servilità da ogni punto di vista. Sempre in giacca e cravatta e con elegantissimi guanti bianchi. Sembrava un delizioso maggiordomo, appunto.
« Non voglio leggerlo!» alzai appena la voce e nuovamente il povero Signor Kellington mi pregò di controllarmi. Lo esaudii visto che in un certo senso aveva ragione. In effetti, ci avevo solo dato una rapida occhiata. Trattava di argomenti decisamente poco opportuni.
« Ne parlerò con quel ragazzino appena torna. Ti farò sapere.» Disse il gentile vecchietto.
Lo fulminai nuovamente per poi voltarmi innervosita, prendendo la via d'uscita, senza volgermi a guardare, ciò che mi lasciavo alle spalle.. Mentre aspettavo che le lentissime guardie, più che imbellettate, con i loro costumi di antica fattura, aprissero il grande portone color noce, il cellulare prese a squillare all'interno della borsa, molto spaziosa, color mattone, con decorazioni davvero esigue. Mi creò grande imbarazzo. In una biblioteca i cellulari vanno spenti. Il volto dall'incarnato limpido, mi si corrugò in una smorfia stufata e le guance si arrossirono appena. Infilai il braccio all'interno della spaziosa sacca, alla ricerca del Nokia 5220. Odiavo quel cellulare. Però aveva molte funzionalità. In realtà odiavo i cellulari in genere. Preferivo i computer, i portatili specialmente.
Finalmente le due immense ante si allontanarono dal loro punto d'incontro, permettendomi di uscire celermente, da quel luogo così silenzioso e ammuffito, da molti detto biblioteca.
Finalmente fuori afferrai il cellulare e lessi sullo schermo. Era un Privato.
«Pronto, qui Eveline.» dissi forse con un po' troppa formalità.
« Eveline cosa ci fai ancora in girooooo???» si lamentò una gracchiante voce piuttosto...nervosa.
« Emh....Jade?» domandai con aria circospetta.
« Chi vuoi che sia il Papa? Certo che sono io....» disse con un filo di calma in più.
« Oh ciao cara...credo che farò un po' di ritardo alla conferenza...dovevo portare i libri in biblioteca, ma dammi 10 minuti e sono da te.»
« Che non si trasformino in 11...» concluse lei interrompendo la chiamata. Io affrettai il passo, sorridendo divertita dal suo modo isterico di agitarsi per nulla.


°°°

h: 7.53

Jade aspettava ansiosa all'entrata della grande sala delle conferenze, con aria irritata dal ritardo di Eve. In realtà erano solo passati 5 minuti dalla sua chiamata, ma lei aveva il brutto presentimento, che avrebbe ritardato come al solito, di qualche minuto di troppo. Sperava di sbagliarsi. L'unica cosa positiva, era il fatto, che i loro posti in prima fila, erano preservati da sua sorella Greta, già seduta lì da più di 20 minuti ormai. Stringeva in mano la cartellina della scaletta, piuttosto nervosamente. Era una conferenza scolastica, dove i vari rappresentati, illustravano progetti e obiettivi, del loro programma elettorale. Lei era tra le candidate e Eve, era il suo sostegno.
Era il 2 Ottobre, non era nemmeno passato un mese dall'inizio della scuola e già c'erano state discussioni piuttosto accese, sui candidati all'elezione. Era sempre così ogni anno, e sicuramente dopo 5 anni di permanenza nell'istituto, non era affatto sorpresa di quanto accadeva.
Tornava a battere nervosamente il piede sul pavimento cementato che seguiva la possente scalinata verso la prima sala conferenze, la centrale, la più grande.
Sbuffò e guardò l'orologio: le 7.58.
«Se non arriva entro un minuto le faccio fare bungee jumping dalla Muraglia Cinese, attaccandola per gli intestini.» mormorò tra se e se digrignando i denti e sorridendo amabilmente a qualche amica che si affrettava ad entrare. Alzò gli occhi al cielo imprecando chissà quale Dio, e quando li riabbassò, notò la figura tanto attesa che era in ritardo di 4 secondi.
Ma almeno non era un ritardo considerevole.


°°°

«Guarda che non sono in ritardo sono le 7.59 e 40 secondi...» dissi ironica, conoscendo la sua conseguente reazione altamente isterica di lei. Molto spesso avevo pensato che il regalo giusto per lei fosse una museruola. Ma in ogni caso le volevo bene.
« Sta zitta che è tardi e sono nervosa...» abbaiò Jade con passo celere verso i posti conservati dalla sorella. A Quel punto decisi che era meglio zittire, mentre lei mi tirava violentemente da un polso. La grande sala sembrava non avesse termine. Aveva un pavimento in parquet mogano, lucido ed elegante, che se calpestato, provocava un tonfo sordo, tipico dei pavimenti in legno. Il resto della stanza sembrava un tribunale. Ci mancava solo il banco del giudice e la scritta in caratteri cubitali “
La legge è uguale per tutti”. Nulla di più falso e mordace di una battuta simile in un tribunale.
Finalmente trovammo i posti e ci sedemmo. Jade non la smetteva di agitarsi.
Sul palco finalmente, salì il dirigente d'Istituto che aveva una logorroica parlantina, poco gradita dai più. Faceva qualche battuta ogni tanto, ma tutti si limitavano al solito sorriso di circostanza. Anzi molti non ridevano affatto, annoiati com'erano.
« Vuoi calmarti Jade? Fai innervosire anche me se fai così...» commentai fermandole il frenetico movimento della gamba con una mano.
«Si certo....ci provo...» asserì lei con gli occhi fissi sul palco, distruggendo il suo povero labbro inferiore. Scuotei il capo tornando ad osservare anch'io il palco.
Dopo la sua lunga arringa, da cui fuggì deluso, finalmente i primi candidati. In ordine alfabetico, presentarono le loro liste e i progetti in cantiere. Io e Jade eravamo alla lettera T, dal suo cognome Thompson. Il mio,Logan, non contava visto che non ero candidata.
Aspettammo circa 15 minuti prima di poter salire sul palco, dalla scalinata laterale, 15 minuti in cui Jade non si era data pace. Arrivò al banco che quasi tremava, mentre io al suo fianco la incalzavo a parlare.
Prese un respiro profondo e cominciò il suo discorso.
«Buongiorno a tutti i presenti. Mi chiamo Jade Thompson e propongo la mia candidatura per... »
Lei continuava a parlare, mentre io annuivo soddisfatta che non si stesse inceppando, com'è era spesso accaduto durante le prove. Guardai in basso verso Greta, sua sorella. A stento le prestava attenzione. Era li immobile, non sono nemmeno sicura stesse respirando. Volto pallido e sempre indifferente a tutto quanto.
Portava la sua lunga treccia castana sulla spalla sinistra e il viso era caratterizzato dai sottili occhiali neri. Mi domandavo come mai, pur essendo gemelle, quelle due ragazze erano una l'opposto dell'altra. Jade era vitale, un po' isterica ma simpatica e amava vivere e aiutare le persone più che poteva. Greta invece era...spenta. Forse questo suo menefreghismo era dovuto al comportamento poco carino dei genitori. Infatti ormai, le due ragazze vivevano da sole, visto che i loro genitori lavoravano in continuazione, fuori città. Grata non deve averla presa troppo bene.
Corrugai la fronte perdendomi nei miei pensieri e quasi ignorando il discorso di Jade. Non capivo nemmeno dov'era arrivata. Cercai di prestare un po' di attenzione alla copia della scaletta che avevo in mano e notai con un certo sollievo che lei procedeva benissimo. Alla fine della prima presentazione, le diedi il malloppo di fogli appena stampati, con tutti i punti relativi al suo programma.
Il mio lavoro in effetti era finito lì. Una corsa incredibile e un'ansia pazzesca, solo per sostituirle i fogli sul banco. Che cosa inutile, davvero. Spostai lo sguardo verso l'altra parte della sala, la porta si era aperta. Erano entrati i soliti ritardatari, che vidi scorrere velocemente verso i posti che erano rimasti infondo. Ma l'uscio rimase socchiuso.
Assottigliai lo sguardo in sua direzione per cercare di capire se era rimasto in quel modo, perché stava per entrare un'altra persona.
Cominciai a sentire uno strano ronzio nella mia testa, pensai fosse qualche malfunzionamento del microfono, così mi allontanai di poco. Ma il brusio continuava. Era come se nel mio cervello ci fosse un apparecchio elettronico sul punto di rompersi definitivamente. Cercai di farlo sparire scuotendo la testa e socchiudendo gli occhi. Il suono si alleggerì. Gli occhi tornarono verso la porta. Era entrato un ragazzo. La sua figura spiccava tra tutte le altre. Una perla nera tra migliaia di perle bianche. Giacca rossa in pelle e il resto degli abiti batteva sul nero. La sua pelle era pallida, i suoi occhi, erano troppo lontani perché io ne potessi distinguere il colore, eppure mi sembrarono splendidi anche quelli, mentre i cuoi capelli erano neri, particolari visto il taglio, folto sulla parte centrale e alleggerito sui lati. Ma non fu la sua bellezza che mi sorprese. Fu l'essere che sembrava seguirlo, ammanettato da una catena rossa, direttamente collegata al corpo di quel ragazzo.
Era orribile.
Non capivo cosa fosse ne tanto meno se umano oppure no.
Basso con il corpo sottile curvato in avanti come un gobbo, ed un testone bianco, che aveva tutte le sembianze di un teschio, sulla quale spiccava un cilindro somigliante a quello dei prestigiatori.
Mi sentii trasalire.
Era come quelli che spesso vedevo tra la gente. Ma lui era peggiore ed io sentivo di avere paura.
Il brusio nelle orecchie aumentò di frequenza fino a che non mi costrinse ad inginocchiarmi, per una perdita di equilibrio improvvisa. Jade arrivò subito a soccorrermi, ma quando cercai la figura di quel ragazzo in lontananza, non vidi altro se non un esercito di quelli strani esseri, a cui, durante questi nove anni, avevo dato il nome di Spettri.

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Capitolo 3
*** Secondo Sigillo - Lettera dall'Inferno ***


Nota


Bene bene, questa volta vi do un pò più da leggere. E' un capitolo bello pieno, qualcosa accade, qualcosa si spiega, qualcosa rimane in sospeso. La nostra eroina comincia a trasportarci lentamente nel suo mondo, e spero che trasporti tutti voi che lo leggete. 
Aspetto vostre risposte e vostri pareri!!!

Tracks    Billy Talent - The Dead can't testify  
       
         Frou Frou - Must be dreaming


Per il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia

Yu Lunae

Secondo Sigillo

Lettera dall'Inferno


Al mio risveglio mi ritrovai in una stanza luminosa, protetta da tende bianche e sottili. Sbattei un paio di volte le palpebre perché la luce mi dava fastidio, e quando finalmente mi ci abituai mi alzai per vedere l'ora dall'orologio sul comodino accanto al mio letto.
Era ormai l'ora di pranzo, anzi era molto più tardi. Erano le 14.00. Scossi la testa e scesi i piedi dal letto per infilarmi le Converse rosse che indossavo da prima. Feci un paio di passi in avanti, scostando le tendine. Nella camera c'era uno specchio e mi accinsi a raggiungerlo, per vedere, in quale stato pietoso era ridotta la mia faccia.
Come immaginai, il mio riflesso non mi deluse.
I capelli corvini discendevano appena mossi sulle punte, lunghi fino a quasi sfiorare il petto, mentre la frangia andava un po' per i fatti suoi. Cercai di aggiustarla con le mani e mi arrangiai. Non potevo chiedere di meglio per ora. Sotto gli occhi, altrettanto neri, si evidenziarono 2 pesanti occhiaie, che sfiorai con le dita delicata. Non avevo affatto un bell'aspetto.
Proprio in quel momento entrò l'infermiera della scuola che noi chiamavamo Ironicamente Madame Butterfly per il suo fisico un po'...robusto.
«Come va signorina?» chiese gentilmente lei.
«Credo di stare meglio ora. Posso sapere che mi è successo?» chiesi io mentre proprio ora mi voltavo ad osservarla. Non era poi così grossa. Difatti non avevo mai capito come mai avesse un soprannome simile. Forse ultimamente era dimagrita. Mah...
«Oh beh, sei svenuta sul palco davanti a circa 1200 persone mentre la tua amica presentava la sua scaletta.» disse lei sorridendo.
Avvampai in viso. Ora ricordavo, una di quelle stupide visioni. Addirittura mi avevano fatto svenire davanti a così tanta gente. Che figura. Raccolsi il viso tra le mani, lamentandomi di quanto fossi stupida, mentre Madame Butterfly rideva sonoramente.
«Eveliiiiiiiiine!!!» mi sentii chiamare insistente. Ero sicura che fosse Jade. Difatti entrò nella camera sbaragliando l'infermiera come se fosse una pallina da ping pong.
«Eveline che ti è successo???? mi hai fatto preoccupareeeeeeee....» asserì quasi piagnucolante.
Io tra il riverito e il perplesso annuii con il capo.
«Sono svenuta...» ammisi e dovetti accogliere il suo sguardo ghiacciante, non molto volentieri però.
«Lo avevo notato anch'io...non sono così stupida.»
Girai gli occhi come per dissentire. Le mi allontanò offendendosi e ritirandosi in un angolino. Solo così riuscii a vedere che alla porta c'erano anche sua sorella Greta e un nostro compagno di classe che si era allarmato evidentemente.
«Eveline cara come stai...?» mi disse lui. Non era quel che si dice essere un eterosessuale.
«Bene James grazie!» Gli dissi sorridendo. Era molto dolce il suo modo di comportarsi e per questo motivo aveva ragazze a flotte che gli stavano appiccicate. Talvolta gli omosessuali sono così fortunati.
«Oh mamma mia mi sono preso un grosso spavento quando ti ho vista accasciare a terra il tuo bel sederino.» disse lui con la solita vocina stridula ed effeminata.
Io alzai un sopracciglio. «Oh...ma tranquillo sto bene. Anche il mio sederino sta bene. Sono solo un po' stanca...» annuii e Jade tornò all'attacco.
«Ma se ti sei appena svegliata come fai ad avere sonno?» chiese lei incredula ed io feci spallucce. Ero stanca e basta non c'era un vero e proprio motivo. Più che stanca ero scossa. Ma il termine stanca era più che sufficiente.
«Oh si dovremmo accompagnarla a casa...» intervenne James. Io cercai di rifiutarmi ma Jade era già stata travolta dall'entusiasmo e io non potei fare a meno di accettare.


°°°


Tornammo a casa, tra una risata e l'altra, ( naturalmente quelli che ridevano eravamo solo io,Jade e James visto che Greta non conosceva nemmeno lontanamente il concetto di risata...) e sapevo già che la mia adorata matrigna, Hanne, da tutti i miei amici chiamata simpaticamente Crudelia, per via della sua pettinatura ambigua e del suo carattere appunto...crudele, sarebbe andata in escandescenza.
Davanti ai nostri occhi, si presentò una grande reggia, dall'intonaco bianco, reclusa in un vasto recinto in ferro battuto, che si riuniva in un maestoso cancello di antica fattura. Quella casa fu di mia padre e della mia famiglia quando erano tutti ancora in vita. Al cancello mi aspettava il signor Grey, nostro maggiordomo da prima ancora che io nascessi.
James aggrottò la fronte nel vedere che eravamo già a casa. « Oh povera cara Eve. Ti prego ignora quella bacucca e vai subito in camera tua. Non voglio che ti stressi.» disse lui gentilmente e come al solito io mi intenerii.
« Si la checca ha ragione...entra in incognito e scappa in camera.» Annuì Jade determinata.
Ma io sapevo che dietro la finestra c'era già la Crudele Crudelia e spiarmi, attendendo l'istante in cui avrei varcato la porta d'ingresso per rimproverarmi del ritardo, o comunque di qualche cosa campata per aria che aveva messo su nelle ultime ore in mia assenza.
Salutai tutti quanti più o meno sorridente,e li accompagnai con lo sguardo mentre si allontanavano verso il tramonto. Era già così tardi?
Mi affiancai al Signor Gray mentre lui richiudeva le ante del cancello e mi precedeva lungo il vasto viale fiancheggiato da abeti invernali.
Mi voltai felina e vidi Hanne sull'uscio dell'ingresso. Non aveva nemmeno aspettato che fossi entrata in casa per paralizzarmi con i suoi occhi verdi e vispi, ma freddi come il tagliente ghiaccio nordico. Mi rabbuiai.
«Alla buonora signorina.» Asserì lei con la sua voce melliflua e terribilmente inasprita.
«Sono rimasta a scuola per sbrigare alcune faccende.» Mentii sfilandole accanto, quasi ignorandola totalmente, mentre lei mi osservava severa. Me ne infischiavo.
«Sono stanca di non essere ascoltata da te, Eveline Logan, e dei tuoi comportamenti menefreghisti, nei miei confronti, nei confronti delle tue sorelle e dei tuoi doveri.» disse lei accarezzando il fastidioso barboncino che le abbaiava ai piedi. Strinsi i denti trattenendomi dal dire qualcosa di spiacevole.
«Non vedo il motivo per la quale debba considerare voi la mia famiglia e soprattutto i vostri doveri come miei. Mio padre ha lasciato tutto a lei, Madame Logan. Questa casa, tutto il denaro di mio padre, le sue azioni. Tutto questo non mi riguarda. Voglio solo il mio spazio di silenzio in...»
«Questa casa è anche la tua casa e fino a quando non avrai compiuto i 18 anni farai quello che dico io, e qui non si discute. Ora fila nel tuo squallido “spazio di silenzio” e attendi la cena.» disse lei interrompendomi bruscamente e subito dopo dandomi le spalle, cominciando ad allontanarsi.
«Non ho fame.» dissi io con un filo di evidente rabbia nella voce, per poi affrettarmi a raggiungere il secondo piano, dove avrei trovato la mia camera.
Non so quale fu la reazione di lei, visto che entrai in camera così velocemente da non accorgermi nemmeno di Sue e Lauren che chiacchieravano allegre nel lungo corridoio. Appena in camera mi buttai sul letto e mi rannicchiai su me stessa in posizione fetale. Non piangevo, non ne valeva la pena. Non valeva la pena nemmeno arrabbiarsi ma per lei sembrava inevitabile. Non era affatto giusto l'atteggiamento che la mia matrigna assumeva nei miei confronti. Sembravo tanto una piccola Cenerentola. Solo che non aspettavo il Principe Azzurro, cosa a cui non credevo affatto, aspettavo di piantare in asso tutto per non rivedere mai più nemmeno un capello di loro. Ma non sapevo che in realtà un Principe Azzurro, era lì da qualche parte ad osservarmi.
Toc Toc
La porta rintoccò due volte ma i maleducati ospiti non aspettarono alcun permesso per entrare in quella stanza.
« Hei Signorina che razza di libri ti fai portare dal moccioso della biblioteca?» disse Sue con quella sua aria un po' troppo superba. Aveva lunghi boccoli biondi che le lambivano il collo denudato dall'ampia scollatura, occhi sottili e verdi proprio come sua madre. Taglienti.
Io mi voltai stizzita per mandarla via, ma il i miei occhi ricaddero sul libro che aveva tra le mani. Ancora lui.
«Come hai avuto quel libro?» le chiesi spalancando gli occhi quasi spaventata dalla presenza di quel tomo. Mi alzai e mi avvicinai a lei per prenderlo.
«Te l'ho detto, lo ha lasciato quel bambino che viene sempre a portarti i libri.» si limitò a ripetere, poi annoiata dalla mia espressione perplessa, scosse la testa e se ne andò dalla mia stanza. Gesto da me molto gradito.
Mi allontanai dalla porta di qualche passo, mentre dalla finestra ancora spalancata, raggi di sole morente penetravano egoisticamente le tende bianche che svolazzavano gioiose verso di me.
Carezzai la copertina del libro come se qualcosa mi stesse invitando ad aprirlo. Ma io lo avevo già aperto mille volte e li nulla, aveva attirato la mia attenzione a tal punto, da poterlo definire, qualcosa di strano o di diverso.
Pervasa da un senso di rabbia istintiva, lanciai il tomo verso la finestra. Ovunque fosse capitato non mi importava. L'importante era non rivederlo più ne in camera ne tra le mie mani. Mi avventai contro le ante della finestra e le richiusi violentemente, provocando un brusco tonfo. Rimasi ferma davanti ai suoi vetri, osservando il cielo tremante di nuvole, che ormai il sole, non colorava più con i suoi toni perversi e inquietanti. La sua tela prediletta, ora, diventava buia.
Nel riflesso del freddo vetro riuscii a scorgere un immagine. I miei occhi ferventi d'ira, bruciavano dalla voglia di vendetta, ma come al solito, qualche istante dopo, quell'ira scomparve lasciando spazio ad immensa tristezza e nostalgia.
Il volto dietro la maschera.
Mi allontanai dalla finestra celandola oltre il semplice tendaggio, forse il più semplice di tutta quell'immensa casa, e mi preoccupai di riordinare la camera. Non perché ne avessi voglia, ma semplicemente perché quelle innocue azioni, mi distraevano da tutti i miei pensieri.


°°°


Quando mi addormentai, la luna aveva già attraversato gran parte del suo immenso giardino, accompagnata da stelle immote e dormienti.

Ma i miei sogni come tutto il resto della mia vita, erano un tormentato aspetto della mia esistenza.

Eve cara sei troppo ostinata. Non ascolti mai...

Il pianto di una bambina echeggiava in sottofondo. Non c'erano volti precisi, non c'era una persona definita...

Ma io volevo prenderti quel fiore mamma. Ti piacciono così tanto gli Iris

Bambina mia, io ho già l'Iris più bello che una madre possa desiderare.

Davvero? Ma io non l'ho mai visto...

L'immagine sfocata di una donna che abbracciava una bambina e l'alzava verso uno specchio, cominciò a delinearsi, in modo distorto e poco chiaro.

Guarda Eveline è proprio qui davanti a te. E' uno splendido Iris azzurro, grande e pieno di petali. Ma non tutti riescono ancora a vederlo, perché lui sa nascondersi bene in ognuno di noi, ed inganna la gente con il suo delizioso scudo, e sa che alla gente comune quella protezione sembrerà deliziosa. Ma arriverà un giorno qualcuno che non si fermerà ad osservare lo scudo, ma cercherà oltre di esso. Lo splendido fiore che c'è in ognuno di noi...

La figura nello specchio divenne più nitida.

Era una donna molto giovane dall'aspetto serafico e dal sorriso gentile, con lunghi capelli biondo grano che le carezzavano il viso pallido con ricci poco composti. Stringeva a se una bambina, con un caschetto nero e grandi occhi azzurri, che osservava estasiata lo specchio, cercando ciò che quella donna le suggeriva di rintracciare.

Qualcuno che troverà il mio Iris...

la loro voce divenne un lontano mormorio e anche le loro immagini, pian piano si dissolsero , scomparendo nella foschia.

Nel buio seppure assonnata riuscii a riconoscere qualcosa. Non intesi bene a cosa rimandasse quell'ombra tetra che inghiottiva la poca luce nella mia camera, ma quel cilindro che aveva sulla testa mi sapeva di familiare.


°°°


Quella mattina mi svegliai con la fronte impregnata di sudore freddo e la pelle secca sulle guance. Evidentemente durante la notte qualche lacrima era sfuggita al mio controllo ed aveva rigato il mio viso.
Capitava, anche troppo spesso.
Mi voltai verso la sveglia e notai che era ancora presto. Circa le 6. Difatti fuori il cielo cominciava a liberarsi dalla pesante tinta della notte, puntando su un cobalto molto più genuino. Mi alzai con tutta calma dal mio letto, e mi diressi svelta verso l'armadio per scegliere, cosa mi sarei messa quella mattina. Confidai che un paio di jeans e una maglietta a maniche lunghe fossero più che sufficienti. Mentre mi dirigevo in bagno voltai lo sguardo verso la scrivania e non credetti a quanto i miei occhi mi stavano rivelando.
Quel libro era ancora lì.
Lasciai cadere i libri delle lezioni di oggi, che stavo sistemando nella cartella,e mi fiondai sulla scrivania, per afferrarlo ed osservarlo proprio come se non l'avessi mai visto.
Pensai subito ad una gentilezza di Lauren, la sorellastra più piccola che sicuramente era meno acida e più disponibile delle altre due donne di casa. Ma lei non era solita uscire in giardino dopo il tramonto, visto che odiava il buio. Nonostante questa constatazione, non avevo voglia di declinare la mia ipotesi, e continuai a pensare che fosse merito suo.
Così mi decisi a riportarlo in biblioteca come facevo sempre e mi affrettai a ripiegare sugli ultimi preparativi.
Uscii dalla mia stanza forse un po' troppo rumorosamente e notai che Sue era già sveglia e gironzolava per il corridoio con i suoi bigodini rosa confetto, tra i capelli biondo platino. Mi vide e fece spallucce, probabilmente chiedendosi il motivo di tanta foga. Ma di certo non avrebbe mai avuto la voglia di chiedermi direttamente qualcosa che riguardasse esclusivamente me.
Scesi le scale in gran fretta e cercai di passare inosservata uscendo dalla porta sul retro. Ma fallii visto che Crudelia era già in piedi come la sua amata figliola.
«Ci siamo svegliate presto stamane.» si limitò a dire lei pacatamente. Io mi voltai ed annuii.
«Si devo passare dalla biblioteca prima di andare a scuola. Devo lasciare alcuni libri. dissi e non capii nemmeno il motivo per la quale le stessi dando spiegazioni.
«Vediamo di non tardare questa sera, almeno cenerai con ogni tanto.»
Io non ci tenevo granché, ma avevo fretta di andare quindi annuii e passai per la porta principale, visto che la mia copertura era saltata. In gran fretta mi misi a correre lungo il viale, verso il grande cancello e finalmente raggiunsi la strada che affrontai con passo celere.


°°°


Nonostante fossero ancora le sette del mattino, la strada era già affollata proprio come se nell'ora di punta, le tredici. Non mi meravigliai molto, la strada della biblioteca era circondata da grandi palazzi, dove avevano sede diverse agenzie. Era piuttosto normale un traffico simile a quell'ora.
Rallentai appena visto che ero quasi arrivata. Ma con mia grande delusione, notai già da lontano che l'ingresso era ancora sigillato. Non era ancora aperta. Sbuffai
Effettivamente era prestino. Di solito la biblioteca non apriva prima delle 8 e difatti cominciai a chiedermi come mai non me ne fossi ricordata prima.
Beh la foga era troppa. Una distrazione ammissibile e perdonabile.
Non le rimase che riprendere la strada per la sua scuola, con passo più tranquillo questa volta.
Se ti va puoi lasciarlo a me quel libro. Lo porterò dentro quando la biblioteca sarà aperta....
Una strana voce fermò il mio incedere. Non l'avevo mai sentita prima e a dir la verità, mi parve così sommessa che mi sembrava qualcuno avesse parlato direttamente nella mia testa. Mi voltai cercando la fonte di tale affermazione. L'unica figura abbastanza vicina da farsi sentire, era quella di un ragazzo a qualche metro da me. Lo squadrai con attenzione.

Il suo volto.

I suoi capelli.

I suoi occhi.
Quella sensazione di disagio.

Le avevo già sentite.

« Scusami...mi hai forse detto qualcosa?» chiesi con sguardo perplesso, dimenticando addirittura le buone maniere. Ma ero troppo rapita da lui per ricordarmene.
«Ti ho chiesto se vuoi lasciarlo a me. Lo riporterò dentro appena la biblioteca avrà aperto...» disse lui con voce profonda e gentile, allargando un sorriso malizioso, che aveva tutta l'aria di essere solo di circostanza.
«Oh...Oh si mi faresti un grosso favore.» dissi io sorridendo amichevole facendo per avvicinarmi a lui, così da porgli il tomo. «Io devo andare a scuola e non posso aspettare e per quest...»
«...ma anche se lo riportassi in questa biblioteca, sono sicuro che ti tornerebbe indietro un'altra volta.» mi interruppe lui perpetuando lo stesso sorriso, che ora assumeva persino note beffarde.
« Come?» chiesi io quasi balbettando sorpresa.
«Sei ostinata Eveline...» ammise lui e queste parole mi raggelarono il sangue. «Ti darò un aiuto se proprio non capisci perché alla fine questo libro torna sempre nelle tue mani.» sorrise sghembo inarcando un sopracciglio ed estraendo una mano dalla tasca per portarla verso il libro che tenevo io. « Ti sei sforzata di cercare qualcosa che fosse al suo interno, ma mai hai provato ad osservarne l'aspetto.» spiegò lui enigmatico. «Chi ti ha detto che un libro non si giudica dalla copertina?» concluse per poi lasciar scivolare la mano nella propria tasca ed allontanarsi nella direzione opposta alla mia.
Rimasi sgomenta per qualche istante, mentre lo seguivo con lo sguardo, si allontanava. Non avevo la forse di parlare e a stento respiravo.
Abbassai lo sguardo verso la copertina del libro e l'osservai attenta. Non mi sembrava ci fosse qualcosa di strano. Lo rigirai e rigirai, ma ancora nulla. Quando rialzai lo sguardo per cercarlo, lui non c'era già più.
Non rimasi più di tanto a pensarci sopra. Era tardi e dovevo andare a scuola. Rimisi il libro nello zaino e presi a correre verso l'istituto. Un lontano campanile, rintoccava otto apatiche volte.


°°°

Le lezioni furono piuttosto noiose, ma per fortuna c'era Jade con me che alleggeriva i miei pensieri come al solito.
Durante l'ora di pranzo, al nostro gruppo si unì anche James e finalmente potevamo rilassarci qualche minuto.
«Ma che razza di voti da quella vecchie baldracca della Berger. Io meritavo molto di più!» lamentava Jade mentre James come al solito rideva. Con un occhiata furbetta lei lo colse in fragrante mentre mandava un SMS.
«A chi scrivi?» chiese insospettita mentre si avvicinava silenziosa. «Al tuo Boyfriend?» spostò appena lo sguardo sul display del cellulare quando James cominciò ad urlare come una femminuccia, tanto che quasi mi fece affogare.
«C'E' IL TIPO DI 5A NELL'ALA EST DEL GIARDINO!!!!!» esclama con troppo entusiasmo attirando l'attenzione di molte ragazze che si voltarono verso di lui, domandandosi se ciò fosse vero o meno. Molte di loro emigrarono in zona Est per vedere il belloccio della scuola ed anche James e Jade ebbero la stessa idea.
«Dai Eve vieni con noi!» disse con occhi lucidi e teneri lei, mentre io declinai gentilmente l'offerta, visto che non ero molto interessata Loro fuggirono portandosi dietro anche la povera Greta, indifferente anche al belloccio della scuola.
Rimasi sola.
Le parole di quel ragazzo mi ritornarono in mente, così ne approfittai per riprendere in mano la questione “Libro del mistero”. Già per una volta il mio libro non trattava del mistero, ma era un vero e proprio mistero di per se.
Lo afferrai farfugliando nell'ampia borsa e finalmente lo trovai. Esaminai la copertina ancora una volta, cominciando ad innervosirmi. D'improvviso un lampo di genio. Aprii il libro esaminando la rilegatura all'apertura, ma nulla. Così puntai verso la rilegatura alla fine, ed effettivamente notai una rientranza. Vi passai sopra i polpastrelli, delicata e sentii che li sotto c'era qualcosa.
Con l'aiuto di un taglierino portai via la rilegatura color terra di Siena, e notai un vecchio foglio appena stropicciato. Lo afferrai. Aprendolo riconobbi subito la scrittura. Ma solo alla firma ne ebbi conferma. Incredula lasciai cadere il libro sul prato inglese, su cui ero seduta.
La firma era proprio la sua.

Venusia Jane Rosemberg

Mia madre.

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Capitolo 4
*** Terzo Sigillo - Alienazione parte I ***


Nota


Eccomi di nuovo qui con la prima parte del terzo capitolo. L'ho divisa in due perché temevo fosse troppo lungo e poi la seconda parte la devo meglio rivedere. Bene ora, la nostra cara Eveline ha scoperto la strana lettera nel libro della biblioteca e ci ha messo su le mani per leggerla. Nuovi dubbi e rivelazioni che continuerano presto nella prossima parte.

Tracks    Diary of Dreams - The Valley

               Diary of Dreams - Oblivion

Per il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia
Love
Yu Lunae

Terzo Sigillo
Alienazione parte I


Mia cara Eveline
Speravo nella pace eterna dopo la morte, eppure, non trovo pace in nessun luogo.
Rinchiusa oltre queste sbarre ardenti e nere, sporche di cenere, il cui sospiro non viene da nessuna fiamma, ho atteso per lungo tempo, ho domandato quale fosse il mio peccato, e non ne ho ricevuto alcuna risposta.
Poi un giorno, ho capito.
Non sconto le mie colpe oltre queste sbarre ma quelle di colui, che in vita, amai più di chiunque altro. Ho sentito il tuo dolore, madido di lui alla sua ultima spira. Ed è lì che iniziò il tuo tormento, vero figlia mia? Non dovevo permettere a tuo padre di fare ciò che fece a suo tempo. Perdonami bambina mia. Ora so perché la mia anima non avrà pace. Ora so di meritarlo.
So che ciò che sto per dirti, ti turberà, ma ormai sei grande e puoi sapere, puoi sopportare.
La mia Lugubre Dimora è immersa nell'Oblio e nel caos assoluto. Le pecore che pascolavano nel nero gregge hanno perso il loro pastore, dannato in eterno. Non c'è traccia di lui qui.
Nessuno sa dov'è, nessuno sa se tornerà mai. Ed il suoi regno è disperato come lo sono io, poiché dell'anima di tuo padre, non c'è traccia tra gli spiriti.
Non è suddito di alcun re, ma temo, sia lui stesso re di un reame che non gli appartiene. Ed ha coinvolto anche te nella sua spudorata diavoleria. Cercalo Eveline.
Cerca tuo Padre e fa si che si penta di ciò che sta facendo.

Con amore

Venusia Jane Rosemberg


Rimasi immobile e quasi dimenticai che era necessario respirare di tanto in tanto mentre i miei occhi scorrevano tra le righe confuse e poco chiare, scandite da una calligrafia elegante che per me era impossibile non riconoscere.
Eppure non potevo credere ad una cosa del genere. Doveva essere uno scherzo, uno scherzo di cattivo gusto, architettato da qualcuno che non aveva nulla di meglio da fare. Ma perché a me?
Perché mia madre?
Le mie mani tremavano mentre cercavo di tenere fermo quel ridicolo pezzo di carta giallastra, sulla quale vi erano vergate parole senza senso alcuno. Non era possibile.
Non era giusto.

Lascia andare lo spettro, Eveline.


Te lo avevamo detto che dovevi lasciarlo andare, ragazza.


Non ci ascolti mai, vero Eve?


Sentivo quelle voci, così soffuse, profonde, che man mano scemavano per fare spazio ad altri mormorii ambigui e pressanti. Strinsi il foglio e mi raccolsi la testa tra le mani. Ma quelle voci non la smettevano di rinfacciarmi il misfatto.



Sciocca non ti nascondere a noi, non ti nascondere all'evidenza.


Devi essere forte e non piagnucolare come se fossi una bambina.


Non sei più una bambina.


Mormorai, cercando di farle stare zitte, e quel fischio che avevo sentito tanto spesso, tornò acuto a folgorarmi.
Cercai di alzarmi raddrizzando le gambe e barcollando inizialmente, cedendo di due passi alle mie spalle, accolta sulla ruvida corteccia di un pesco. Sentivo gli occhi bruciare e la voce tremante. Non avevo la forza di muovermi da lì. Eppure volevo andarmene, volevo che la smettessero di parlarmi. Erano anni che chiedevo loro di zittire, ma più imploravo quelle voci, più aumentavano. Fino a che nelle mie orecchie non si era venuta a creare la stessa confusione che c'è all'ora di pranzo in un Fast-Food.


...Tacete...


Le sentii zittire tutte insieme, come se qualcuno avesse spento all'improvviso, una radio troppo petulante, all'interno del mio povero cervello. Sospirai, e mi rilassai su quel tronco, che forte, mi sorreggeva. Allungai lo sguardo verso il gruppetto di ragazzi e vidi che i miei amici stavano tornando da me. Mi chinai verso il libro e la lettera, per raccoglierle e nasconderle. Guardai ancora una volta quel pezzo di carta con disprezzo, e poi lo accartocciai nella mia borsa.
Tra gli oggetti che allontanavo per far spazio a quel libro, vidi uno specchietto e, mi resi conto di una sgradevole sorpresa.
Piangevo.


Arrivai a casa esausta ormai e riuscii a stendermi sul materasso, tra le lenzuola morbide e fresche che avevo appena cambiato.
Per tutto il resto del giorno, non avevo fatto altro che pensare a chi sarebbe potuto esser stato l'ideatore di quel maledetto scherzo, poiché per me, come per chiunque conservasse un minimo di razionalità, quello non poteva essere altri se non uno scherzo. Ma come potevo io sperare che in me fosse rimasta anche la più remota idea del razionale. Io che di razionale non avevo nemmeno l'apparenza. Chiusi gli occhi e presi a massaggiarmi le tempie, agitata e nervosa. Chi poteva essere stato a fare una cosa del genere? Jen? Lauren? No nemmeno loro erano capaci di tanta cattiveria. La sua Matrigna? No lei non era una persona così...scherzosa. I suoi amici nemmeno li includeva. Non era possibile.
Ma allora chi?
Pensai per un lungo minuto che sembrò risultare interminabile. Sentivo accanto a me la lancetta dell'orologio analogico, dallo stile sobrio e ordinario, avanzare lentamente, come se avesse paura ad aumentare la sua corsa.
Qualche particolare tralasciato mi tornò alla mente e non fu piacevole.
Una luce d'ira mi illuminò le iridi. C'era qualcuno che non avevo considerato. Colui che sin dall'inizio insisteva affiché leggessi quel libro. Affinché mi accorgessi dell'insulso pezzo di carta invecchiata. Il ragazzino.
Mi alzai di scatto dal materasso, con un colpo di reni piuttosto secco, e rimasi seduta qualche istante di troppo su di esso. Ragionai.
Doveva essere stato per forza lui, non c'erano alternative. Era stato lui che mi aveva portato il libro per la prima volta, e man mano ogni volta che lo riportavo in biblioteca, puntuale il ragazzo ritornava a restituirlo. Sfiorai la fronte imperlata di freddo sudore e mi alzai così velocemente che ebbi un fugace attimo di smarrimento.
Scossi la testa per riprendermi e a tentoni cercai la giacca e la borsa, che nemmeno mi curai di indossare. Avevo troppa fretta per futili particolari. Scesi le scale a gran velocità, che quasi rischiai di cadere e raggiunsi la porta con altrettanta foga.
Non diedi nemmeno spiegazioni al maggiordomo che mi veniva incontro, né alla mia matrigna che stava per aprire bocca. Per fortuna fuggii in tempo. Sfrecciai lungo il viale alberato, mossa dalla rabbia e dall'odio. Possibile provarne tanto?
Correvo, rapida lungo la strada scansando i passanti, attraversando senza nemmeno guardare se le macchine arrivassero o meno. Il vento mi scompigliava i capelli, sciolti distrattamente sulla mia schiena e li allontanava dal mio viso. Appena mi resi conto di essere più vicina alla mia meta, rallentai, continuando ad evitare le persone che passeggiavano tranquille, o almeno più tranquillamente di me. Sentivo il cuore sussultare troppe volte e a quel punto decisi di fermarmi definitivamente. Ansimavo ormai e cercavo di prendere quanta più aria possibile, mentre il mio petto si sollevava e si abbassava ritmicamente. Sentivo la lingua secca e così la gola tanto che l'ossigeno sembrava graffiarmi la trachea.
Alzai lo sguardo verso l'edificio che ora mi trovavo di fronte, la biblioteca. Era aperta e le due guardie stavano li ferme come salami a proteggere l'entrata. Credo che la loro presenza fosse un semplice strumento di decorazione o almeno questo mi sembrava. Che cosa si poteva rubare in una biblioteca?
Scossi la testa e una volta ripresa abbastanza aria presi a camminare verso la porta e i due, che ormai mi conoscevano perfettamente, mi lasciarono passare. Attraversai il metal detector poggiando sull'apposito banco a sinistra la mia cinta e la mia giacca, che altrimenti avrebbero fatto scattare l'allarme.
Una volta raggiunta l'altra parte e recuperate le mie cose, mi incamminai verso il banco, occupato dal mio conosciutissimo bibliotecario.
sbottai e sembrò sobbalzare tanto che i suoi occhialini gli si spostarono dal naso fine ed elegante.
disse con voce pacata e sommessa, così che solo io potessi udirlo.
< Dov'è il ragazzino che porta i libri a casa mia?> chiesi quindi moderando i toni, che nonostante tutto rimasero appena adirati.

alzai ancora la voce, sbigottita, e mi scusai subito. .
Questo mi suonava tanto di scusa.


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Capitolo 5
*** Terzo Sigillo - Alienazione parte II ***


Nota

Dunque, ecco qui la seconda parte del terzo capitolo.  Nuove scoperte per la nostra Eve, che finalmente sembra aver trovato chi risponderà a tutte le sue domande. 

Track    Diary of Dreams - The Valley

Questo è quanto, buona lettura
spero Vi piaccia
Love
Yu Lunae

Terzo Sigillo

Alienazione parte II


Lasciai la biblioteca più nervosa di prima e cominciai a passeggiare lentamente sul lungo e affollato marciapiede, nascondendo le mani infreddolite, nelle tasche del cappotto in panno rosso, il primo che avevo trovato per uscire di casa. Alzai lo sguardo verso i passanti, annoiata. Una donna bionda teneva in mano un bambino, che agitato, saltellava a destra e a manca. Ma a lei non sembrava poi fregare molto, visto che con una rapidità assurda mandava sms dal suo cellulare. «Sta fermo Jebril...» diceva con poca autorità ogni tanto senza prestare alcuna attenzione al fare del piccolo birbante.
Mi voltai verso una vetrina, ammaliata dalle mille luci che provenivano da essa. Abbassai di poco lo sguardo verso un uomo, che inginocchiato e con il viso rivolto al terreno, allungava il suo cappello, sudicio e vecchio, verso i passanti in cerca di qualche soldo. Lo guardai e mi si strinse il cuore. Un groppo mi rimase in gola, ansioso di trovare la libertà, ma io lo trattenni tra le sue sbarre facendolo ricadere nell'abisso del mio mondo sconfinato, di cui neppure io conoscevo i limiti. Diedi le spalle alla lunga vetrina e mi guardai attorno. Le persone sorridenti e felici passavano davanti ad i miei occhi, ignorando me quanto quel pover'uomo che, chino ad umiliarsi, chiedeva misericordia ed un briciolo di pietà. Mi voltai verso una coppia ferma a pochi metri da me. La loro felicità stonava incondizionatamente in quella situazione. La mia mano fuggì dalla tasca destra. Lasciai cadere delle monete nel cappello marcio del disgraziato che alzando il capo mi sorrise. Quel sorriso gli donò una bellezza inconsueta che strappò un trasognato sorriso persino a me, che provavo pietà per lui. Nonostante tutto non riuscivo a sentirmi affatto soddisfatta.
Presi un lungo sospiro e proseguii per la mia strada, che si faceva sempre meno affollata, fino a diventare buia e sola. Ero come caduta nella ragnatela appiccicosa e derisoria dei miei affollati pensieri e non mi accorsi di essere . . . lontana. Mi guardai attorno, attentamente senza rendermi conto che non c'era nessuno a farmi compagnia, se non la tetra e cupa me stessa.
D'un tratto, sentii dei passi dietro di me e mi voltai. Non vidi nessuno se non un cane di piccola taglia che passeggiava tranquillo con il suo passo svelto e sculettante, e sembrava buffo e divertente quell'atteggiarsi a grande cagnone, con la sua minuta statura. Decisi che era meglio tornare indietro e feci dietrofront, quando un paio di ombre scure mi si presentarono davanti. Sussultai.
Erano immobili, alte, scure e mi fissavano con occhi bramosi. Il buio non mi permetteva di vedere bene i loro volti, ma quelle iridi, brillavano come rubini. Rimasi lì ferma per lunghi attimi osservandoli, senza avere il coraggio di muovermi. Non ne avevo la forza. Tremavo come una foglia al vento d'autunno.
Con un po' di sana buona volontà, trovai il coraggio per voltarmi cercando di ignorarli, ma dall'altro lato ne vidi altri due. Erano identici ai primi. Si riflettevano, proprio come se davanti a me ci fosse un enorme specchio, la cui presenza, mi era sfuggita. Poi mi resi conto che in realtà, quelle erano le stesse figure che credevo fossero ferme alle mie spalle. Sgranai gli occhi voltandomi per cercarli. Non c'erano. Con mia spiacevole sorpresa, una volta tornata a guardare davanti a me, non li trovai più nemmeno lì. Per un secondo pensai di aver sognato ad occhi aperti. Poi...
« Le brave bambine se ne dovrebbero stare a casa al calare delle tenebre...» una voce, inizialmente metallica, poi man mano più umana, irruppe nel silenzio tombale della zona.
Mi osservai intorno alla ricerca di qualcuno che stesse parlando con me, confermandomi la mia sanità mentale. Ma il mio non era certo ciò che si definisce stato mentale stabile.
«Potresti fare brutti incontri, cara.» un'altra voce fece capolino dal nulla, una voce femminile a tratti risucchiata, come se provenisse da una trasmissione ad intermittenza.
Indietreggiai di due o tre passi cauta, ma andai a sbattere contro qualcosa, che lesto mi cinse le spalle e mi costrinse a poggiare le mie spalle contro il suo possente petto, o almeno così mi sembrò fosse. Il mio respiro si appesantì e lo sentii io per prima, ma non mancò occasione per loro, di farmelo notare con una tagliente e succosa ironia.
«
Non avere paura gattina. Non ti faremo nulla.» mi rivelò la voce pericolosamente vicina al mio orecchio sinistro. Io mi ribellai e cercai di allontanarmi. Dopo un po’ di resistenza da parte sua, riuscii a liberarmi e cominciai a correre nella direzione opposta alla loro. Dovevo trovare un luogo dove nascondermi, o almeno dovevo trovare posti affollati dove probabilmente non mi sarebbe accaduto nulla di male. L’occasione mi si presentò poco più avanti, quando svoltai per una vicolo, che con tutta probabilità, mi avrebbe portato sulla strada principale, dove passeggiavo tranquillamente poco prima. I miei passi erano rapidi e il cuore mi batteva così forte che potevo sentirlo ribellarsi nelle mie orecchie, eppure sentivo i loro movimenti alle mie spalle e le loro fastidiose risatine stridule, come quelle di cornacchie, ammesso che queste ultime ridano. Alla fine della mia corsa, mi resi conto che avevo sbagliato a fare i miei calcoli e mi ritrovai davanti ad un vicolo cieco. Mi voltai svelta alle mie spalle e li notai, li vidi perfettamente. Un uomo e una donna, alti e dagli occhi luccicanti,come quelli dei gatti. Lui, possente e con la stazza di un armadio. Lei, longilinea e dall’aspetto agile e curato. Sorridevano entrambi e non mi faceva stare molto sicura.
« Cosa volete?» chiesi con un tono che sarebbe dovuto sembrare minaccioso, ma che in realtà tradì tutta la paura che nascondevo discretamente.
« Anime.» la loro non era una voce normale ora. Sembrava un riluttante ringhio di una qualche creatura demoniaca. Me ne spaventai e urlai aiuto ben quattro volte, ma loro continuavano ad avvicinarsi indisturbati ed avevano una camminata simile a quella di uno zombie. Solo ora li vidi che si materializzavano alle loro spalle. Come un segnale disturbato, alle loro spalle prendevano forma quelle strane creature, quegli orribili esseri che avevo sempre temuto. Mi portai una mano alla bocca spaventata e sussurrai “aiuto” un’ultima volta.
Da sopra la mia testa sentii muovere qualcosa. Rivolsi gli occhi verso quello che sembrava un grosso cane e senza pensarci due volte, colsi l’occasione di scappare mentre lui li teneva occupati. Mentre mi allontanavo, sentii un urlo soffocato. Fermato dalla morte supposi. Strinsi gli occhi e cercai una via d'uscita facendo appello a tutta la lucidità che mi era rimasta. Usai una delle porte laterali al grande muro e cominciai a correre alla cieca verso l’ardita salvezza. Mi buttai sulla prima porta su cui misi mani e l’aprii. La luce che esplose all’esterno fu letale per i miei occhi che si chiusero per istinto, lasciandomi alla deriva con gli altri quattro sensi. Senza accorgermene andai quindi a sbattere contro qualcosa, o almeno così sembrava. Cercai di riprendere dimestichezza con la luce e provai a mettere a fuoco quella figura. Non era qualcosa, ma qualcuno e quel qualcuno lo conoscevo bene. Mi fermai ad osservarlo e arricciai il naso stizzita, ma subito mi ricordai delle strane creature e la sua presenza mi sembrò relativa.
« Dobbiamo scappare. Oltre quella porta ci sono delle… delle … cose strane e sono pericolose… Cerchiamo una macchina e allontaniamoci da qui e presto o potrebbero…»
« Hei.» mi riprese lui, con un sorrisetto sornione.Il suo sguardo mi teneva salda alla realtà, e avevo la strana sensazione che quegli occhi potessero rovistarmi l'anima, come si fa con una busta della spesa. Per un istante il suo sguardo si volse verso la seconda uscita del vicolo quasi come per suggerirmi di guardare e io lo feci. Una coppia di ragazzi sorridenti e dall’aspetto gentile,venne fuori chiacchierando amabilmente. Avrei sorvolato la questione se solo non fossero proprio i tizi di poco prima sbranati da quell’enorme cane. Per poco non strappai la camicia del tipo davanti a me, quando gliel’afferrai per fargli presente il fatto. Ma lui rideva come un’idiota mentre cercavo di parlare, invano.
« Cosa ridi maledizione, ti sto dicendo che quei tizi hanno cercato di aggredirmi e poi non erano così carini…sembravano….diabolici!!!» strinsi gli occhi mentre lui continuava a ridere, sempre più divertito. Indispettita lo lasciai andare e tornai a guardare i ragazzi più in là. « Sto impazzendo.»
« Forse si. Forse no. Chi può saperlo se non tu Eveline.» disse lui con la sua solita voce ammaliante. Io lo guardai nervosa. Non sapevo ancora il motivo per la quale lui conosceva il mio nome e io non conoscevo il suo.
« Chi sei?» chiesi, anzi,pretesi di sapere.
« Un amico.» disse ridacchiando. E mi sembrò scherzasse. « Hai letto la lettera?»
« La lettera?» chiesi inarcando un sopracciglio ricordandomi di quella lettera un istante dopo. « Sei stato tu a farmi quello scherzo allora. Tu maledetto…»
« In realtà non faccio molti scherzi, anche se quelli su cui lavoro alla fine sono capolavori, ma ti posso assicurare che quella lettera non è mia. Tu sai benissimo di chi è…» annuì lui guardandomi attento.
« Mia madre è morta e i morti non scrivono lettere.» asserii prendendo un profondo respiro distogliendo il mio sguardo da lui, per concentrarmi sulla coppia che lentamente stava scomparendo oltre l'isolato. Lentamente, la vidi sfocare.
« Ma sbaglio o ne hai visti due che camminavano poco fa?» rise beffardo e divertito, soprattutto dalla mia rabbia.
Lui aveva assolutamente ragione. Uno di quei due lo avevo visto morire sotto i miei stessi occhi. Scossi il capo contrariata sussurrando no, tra me e me. « Io non… non sono sicura di quello che ho visto.» mormorai ancora mandandomi i capelli indietro con la mano destra e poi, con la sinistra, spremendo la mia testa tra entrambe.
« Non mentire a te stessa. » mi suggerii mentre mi si avvicinava. Mi voltai di scatto e lo guardai storto.
« Non sto mentendo a me stessa. Io…mi sono sbagliata. Non…ho visto nulla di strano…» cercavo introvabili scuse, cercavo di dimostrare a lui quanto a me stessa che non ero una pazza, eppure lui non mi dava l’impressione di guardarmi come se lo fossi. Che lui mi potesse capire? Forse involontariamente, i miei occhi gli stavano chiedendo di dirmi che potevo ammettere di aver visto quanto effettivamente avevo visto. Mi si avvicinò lentamente e posò le sue mani sulle mie e alleviò la mia presa sulla mia testa. Mi sentii stranamente rilassata.
« Tua madre mi aveva detto che sarebbe stato difficile farti ragionare. »
Cercai di parlare ma non riuscivo a farlo. Non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo, nulla. Mi aveva immobilizzato con il suo tocco.
« Non sei pazza. Quello che hai visto lì dentro è reale. E’ la conseguenza di quanto sta accadendo all’inferno in questo momento, lo stesso inferno dove si trova tua madre, prigioniera di tuo padre.»
Volevo urlare, volevo fargli tante domande ma non riuscivo a farne nemmeno mezza.
« Hai letto la lettera Eve?» mi chiese ancora e non gli risposi, non perché non volessi, ma perché non potevo farlo. « Tua madre è il sacrificio che tiene lontano mio padre. L’anima di pura luce che in vita è stata custode di un letale segreto insieme a tuo padre. Se solo tu sapessi…» non so come, la rabbia che stava crescendo dentro di me, mi diede un momento di libero arbitrio e riuscii a divincolarmi dalla sua presa, indietreggiando con le lacrime agli occhi.
« COSA DIAVOLO SEI??» urlai piena di rabbia e lui sorrise, sorpreso. Sembrò pensarci a lungo prima di rispondere, mentre continuava a guardarmi.
« Mi chiamo Kein e il diavolo è mio padre.»
Sgranai gli occhi e il respiro mi si fermò. Ora non era più lui a bloccarmi, ne ero sicura. Ero io che avevo perso la parola da sola.
Lui. L'Inferno.

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Capitolo 6
*** Quarto Sigillo - Rivelazioni ***


Nota
Ed eccomi di nuovo, dopo la lunga assenza estiva. Mi scuso innanzitutto per questa mia lunga pausa, ma ho dovuto prenderla, causa stress da esami XDD. Spero non mi odierete troppo ç__ç. Comunque ringrazio tutti per le recensioni che mi avete lasciato, fa sempre piacere sapere se gradite o meno *_*. Quindi ecco per voi, che cominciate ad impazzire come la nostra Eve dalla curiosità XD il quinto sigillo che vi spiegherà molte cose, e vi farà venire molti più dubbi di prima. Ma tranquilli. A poco a poco dissiperemo ogni nebbia u.u

Track       Plumb – Cut

Per il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia

Yu Lunae


Quarto Sigillo

Rivelazioni


Per qualche istante rimasi in silenzio, voltandomi lentamente in sua direzione, con gli spalancati, devastati da quella rivelazione senza senso. Il lato sinistro della bocca mi si alzò appena non dovettero passare molti secondi prima che scoppiassi in una fragorosa risata, tra le lacrime che ancora non ero riuscita a sopprimere.
« Non ti facevo così simpatico. » asserii mentre poggiando la mia schiena al muro, scivolavo verso il freddo e ruvido asfalto. Alzai i miei occhi lucidi e colmi di lacrime verso di lui, mentre il mio sorriso lentamente scompariva.
« Cosa vuoi da me?»
Lui non rispose limitandosi ad osservarmi con aria seria e lungi dall'esser simpatica. Rimanemmo lì ad osservarci a lungo, come se stessimo giocando a chi per primo distoglieva lo sguardo o a chi prima scoppiava a ridere. Ma lui non sembrava voler giocare e nemmeno io.
« Cosa vuoi...?»
Ripetei in un mormorio stanco e interrotto, mentre il mio viso si bagnava nuovamente di lacrime. Poi. . .

Fiamme dai toni più svariati e accesi: arancio, rosso, giallo, blu notte. Nero. La zona era avvolta da un perpetuo incendio che lentamente stava divorando qualsiasi cosa incontrasse sul suo cammino. Era veloce e affamato e tra le fiamme, acute urla si propagavano disperate. Urla di uomini e donne. Bambini che piangevano. Riuscivo a vedere le loro ombre correre verso una meta non chiara. Vedevo ogni immagine risucchiata in un vortice immenso di colori accesi e luminosi, ma allo stesso tempo cupi.
Ad un certo punto la scena cambia, come in un flashback, vedo una scala, e sui suoi gradini, dei corpi totalmente carbonizzati. Facevo persino fatica a credere che quei corpi fossero umani, che fossero stati vivi un tempo. I gradini, un tempo bianchi evidentemente, erano sporchi di cenere e fuliggine. Il fuoco circondava perenne quel lugubre paesaggio, eppure non sembrava violento e atroce come nell'immagine precedente. Qualche voce lontana ancora si percepiva, nascosta tra il silenzioso riverbero delle alte fiammate.
Si sale lungo i numerosi gradini bianchi che mano diventano grigi, poi neri e poi si tingono di un rosso acceso e rivoltante. Delle alte sbarre s'innalzano come arbusti possenti dal vecchio marmo. Null'altro se non semplici ossa messe insieme a formare quella devastante visione. Una cella, il cui interno era buio e anonimo.
L'ultima scena, come in una perfetta sceneggiatura, compiuta ad arte in tutta perfezione. Un viso dall'incarnato diafano emerge dalle tenebre come una lucciola luminosa nella notte più nera. Le affusolate dita di una mano candida cercano di raggiungermi, ma non è come tutto quello che avevo visto prima. Lei era una visione beata in un demoniaco bordello.

Eveline.

Una voce femminile mi richiama facendo scomparire, come in un risucchio, tutto quello che avevo appena visto, nel buio dell'oblio. Una donna.
Mamma

«Eveline. . . » sentii chiamare ancora, ma stavolta non era una voce femminile. Era la voce di lui. Di scatto mi alzai sedendomi come se mi fossi appena destata da un incubo e mi fossi svegliata impaurita e smarrita, sudata e fredda come la carcassa di un cadavere. Lui era seduto vicino alla mia testa. A quanto pare mi aveva portato su di una panchina e mi aveva adagiata lì. Si ero evidentemente svenuta, all'improvviso senza nemmeno accorgermi di essere scivolata tra le braccia di morfeo e poi, nelle sue.
« Ti prego. Spiegami. . . » sussurrai appena ripreso fiato. Lui mi guardò di sottecchi e poi tornò a giocherellare con uno stelo che aveva raccolto, quando era ancora svenuta evidentemente.
«Davvero vuoi sapere?» si rivolse verso di me, sorridendo sghembo e vedendomi annuire, tirò un sospiro.
« Ci sono degli oggetti particolari su questa terra. Oggetti in grado di trasportare un corpo nei mondi paralleli, che voi con insulsa semplicità chiamate regno dei morti, oppure Inferno o Paradiso, oppure chissà cos'altro. Questi regni si possono raggiungere semplicemente morendo, o con l'utilizzo di questi particolari oggetti di cui ti parlavo prima. Il problema è che morendo, la materia viene abbandonata su questo. . . barile della spazzatura che voi chiamate terra. Questi oggetti, permettono invece di riacquistare anche il corpo una volta raggiunto il mondo oltre questo. Ma non un corpo qualsiasi: un corpo immortale. » si fermò qualche istante, per riprendere fiato evidentemente. Per un momento pensai che avesse finito di parlare e mi voltai a guardarlo incuriosita. Fissava stranito il vuoto e sembrava una statua di marmo nero, avvolto da un drappo scarlatto.
« Un corpo immortale, ma non invincibile. La particolarità di quelli che voi chiamate angeli, o dei, nel nostro mondo è che sono legati alla materia e controllano le anime, ovvero hanno un corpo anche in uno dei due regni. Anche le anime hanno, una specie di corpo, ma in confronto ai nostri, che siamo abitanti di quel regno, sono corpi fragili, proprio come i vostri, ma hanno una durata più lunga dei vostri: circa 200 anni. Mentre ci sono corpi immortali e invincibili, che di solito governano o proteggono questi mondi. » si fermò ancora e si voltò a guardarmi. Credo cercasse di capire se lo seguivo o meno, ma pur sforzandomi la mia espressione aveva lo stesso aspetto contrariato di quello di un babbuino a cui si cerca di spiegare la composizione chimica e biologica di una banana. Ma provai comunque a pensare ad una domanda da fargli, per fargli notare il mio interesse. « B-Beh, non. . . non sembra. . . difficile. . . » era risaputo che non sapessi recitare e a quanto pare lui l'aveva notato. L'osservai con un sorriso imbarazzato qualche minuto poi tornai seria. « Oh. . . insomma mi stai dicendo che in realtà quelli che noi credevamo essere regni dell'oltretomba sono . . .mondi paralleli? E che le anime sono i loro abitanti e che quelli che noi chiamavamo angeli, demoni, dei, sono . . . Gli abitanti di questi mondi? » cercai di rielaborare ma non ci stavo capendo granché.
« Che orribile rielaborazione. Si ci sei vicina. Le anime, che abitano i mondi, sono un po' come gli animali sul vostro pianeta, per noi che lì possediamo un corpo vero e proprio. Stupide, inutili anime. Un modo divertente che abbiamo per passare il tempo è studiare modi per farle soffrire. Inoltre le utilizziamo nei nostri castelli come servi, e come schiavi per costruire le nostre città e i nostri monumenti. » Un sorriso beffardo si delineò sulle sue labbra mentre mi guardava. In un momento vidi sul suo volto il più profondo e disgustoso frammento di malvagità. Mi attirò e distolsi lo sguardo come per riprendermi. Lentamente la mia espressione diventava sempre più sinistra. « E' . . . orribile!» dissi io scuotendo il capo.
« No, non lo è. Il mondo da cui provengo io, voi lo chiamate o lo definite, Inferno, ma il suo vero nome è Rederva, che nella vostra lingua significa, terra delle larve. Le Larve sono le anime, è così che noi le chiamiamo.» ridacchiò congiungendo le manie stiracchiandosi.
« Le Derve, e tu hai visto spesso una derva. » sussurrò quasi queste parole, mentre sul mio volto si dipingeva una certa curiosità. « Gli spettri. . . » mi vennero in mente quasi subito, e lui sorrise soddisfatto. Nella mia testa, decine di immagini si facevano limpide e scorrevano rapide. Tutte le volte che avevo visto una derva, l'avevo vista legata ad un corpo umano. « Ma perché sono collegate al corpo umano?» chiesi, inarcando un sopracciglio. «Come?» Lui mi guardò smarrito per un momento e decisi di spiegarmi meglio anch'io.
« Ogni volta che ho visto una derva, l'ho vista collegata ad un corpo umano. Una catena che partiva dal petto dell'umano e finiva attorno al collo di queste....creature. Perché?» chiesi quindi spostando lo sguardo verso il suo viso, un po' perplessa. Sembrò pensarci poi d'un tratto il suo viso si illuminò e cominciò a ridere grossolanamente. Io lo guardai indispettita. « Perché ridi?» chiesi.
« Le derve siete voi umani sciocca. Quelle che hai visto, sono le anime degli umani. » disse e continuò a ridere di gusto.
Aggrottai la fronte e cercai di collegare quanto mi aveva detto, e ci pensai su parecchio, tant è che Kein aveva già smesso di ridere. « Ciò vuol dire che noi siamo. . . vostri schiavi?» chiesi
« No, non i vostri corpi. Le vostre anime potrebbero essere nostre schiave, se alla morte del corpo i giudici lo decideranno. Infatti, i giudici ci mandano le anime reiette e disobbedienti che hanno disertato il loro lavoro, preferendo una vita devota al male. » disse
« Ma il vostro è un mondo orribile.»
« Non poi così diverso da questa terra infondo. » asserì lui per poi fare spallucce. Io lo guardai emulandolo. « Ok e dove vanno le anime se sono state buone?» chiesi dunque a lui mentre storceva il naso, evidentemente disgustato dal pensiero che gli stava passando per la mente, in questi istanti.
« C'è un altro mondo, il Regaerte che voi chiamate... Paradiso, ma che letteralmente significa Terra del Silenzio.» S'interruppe disgustato al solo pensiero. Io attesi impaziente e lui se ne accorse. Rivoltante all'idea di continuare, cercò di deviare il discorso. « I regni hanno dei sovrani, che mantengono l'ordine nei mondi. Sono creature che non hanno forme definite. Essenze più che corpi fatti di materia. Un tempo ne avevano uno, si dice. Molto tempo fa. Queste essenze generano delle creature speciali, a cui delegano il compito di regnare. Queste hanno dei corpi e... »
« E perché non lo fanno loro?» lo interruppi, reclinando appena il capo come una bambina curiosa.
« Perché hanno bisogno di un corpo da dirigire per compiere azioni. Hanno grandi poteri e forniscono l'energia necessaria al funzionamento corretto dei regni. Ma non possono compiere direttamente delle azioni. Così hanno creato delle creature che svolgano i loro ordini. » si spiegò inarcando un sopracciglio e io lo imitai.
« Burattini nelle loro mani, insomma. » puntualizzai e il suo volto si fece scuro.
« E' un onore essere scelti.» commentò con voce profonda e inquietante. Io rimasi in silenzio guardandolo contrariata. Avevo evidentemente da obiettare ma non lo feci, e aspettai che lui si decidesse a continuare.
Il buio lo rendeva ancora più inquietante in realtà. Il suo volto, nella penombra della luce di un debole lampione, era reso ancora più tetro. Solo gli occhi, fessurizzati su di me, si intravedevano più chiaramente. Più di tutto il resto.
« Mio padre è stato scelto.» asserì poi con voce ferma e vagamente saggia. Nonostante di saggio non avesse nulla quel volto. Quel volto pieno di disprezzo e disdegnato da quello che chiamava, il mondo spazzatura. Io attesi ancora senza chiedere nulla.
Lui mi osservò concentrandosi appena di più sul mio viso. Poi lentamente si alzò e cominciò a camminare verso un sentiero. Io lo seguii con lo sguardo e poi mi resi conto che si stava allontanando.
« HEI ! Aspetta !» dissi mentre mi alzavo e correvo verso di lui. Mi portai al suo fianco e con un leggero affanno cercai di recuperare la lucidità. « Non puoi piantarmi così, ho delle domande. » dissi, corrucciata.
Lui mi guardò come per dire “ Problema tuo!”
« Pff.» Mi limitai a snobbarlo, incrociando le braccia al petto.
« Torna a casa mostriciattolo. È tardi. Si preoccuperanno per te se non torni. » disse lui per poi fermarsi e voltarsi a guardarmi. « Presto avrai le tue risposte, Eveline. » mi disse e poi, rapidamente il suo corpo si dissolse, in quelle che mi sembrarono essere ombre. Ombre che si distaccavano l'una dall'altra e si allontanavano nella notte, invisibili. Una risata sinistra, a cui poi se ne unì un'altra. Poi rimasi sola. Rimasi sola a contemplare il nulla più profondo. Respirai piano. Non sapevo ancora se credere o meno a quanto vedevo.
Non so su quante cose avesse ragione Kein, ma sicuramente su di una di esse mi trovavo profondamente d'accordo. Dovevo tornare a casa prima che la Matrigna e le sorellastre cominciassero a far rastrellare tutta la zona da duecento pattuglie. Sbuffai e quindi feci retrofront per tornare sui miei passi verso casa.
Il ritorno verso casa fu appena più lungo del solito o almeno, così mi parve. Avevo così tante cose a cui pensare, che a stento badavo alla strada, alla gente che vi passava, alla luce che man mano scompariva poiché era ormai tardi per i negozietti. Quando arrivai al cancello di casa, per poco non ci sbattei contro. Nel più assoluto silenzio, entrai in casa dalla porta principale e, con passo felpato attraversai l'atrio e poi il salone. Al corridoio sentii un rigiro di chiavi provenire dalla stanza in fondo, la stanza della padrona di casa. Con rapidità felina, mi fiondai nella mia camera e mi infilai nel letto, tutta vestita. Come sospettavo alle mie spalle la porta si aprì.
«Tsk. » la sentii lamentare per poi chiudere la porta, anche piuttosto bruscamente. Mi rilassai, sedendomi sul comodo materasso. Presi un respiro profondo e notai la finestra aperta. Mi alzai e mi avvicinai per chiuderla, alzando lo sguardo al cielo.

Quella notte, il sipario calò sulla luna. 
Quella notte, fu una notte inghiottita dalle ombre.

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Capitolo 7
*** Quinto Sigillo - Il mietitore ***


 Nota
Si ecco un altro avvincente (?) capitolo della mia storia. Si è vero è avvincente questo ò.ò. Comunque voglio ringraziare  Sachi Mitsuki
per la segnalazione dei dialoghi. E Rose 93, per le sue recensioni *_* mi rendono felice XD.Comunque qui di seguito per tutti voi le tracks con cui ho scritto il Quinto capitolo. u.u
Eeeeeh adesso inizia il gioco vero e proprio. u.ù Temete prodi lettori ò.ò TEMETE ! ò.ò

Tracks    Plumb - Hang up
                 Plumb - I can't do this


Per il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia

Love
Yu Lunae




Quinto Sigillo

Il mietitore

 

« Non è possibile !!!» una vocina agitata strillò istericamente. « Guarda quell'idiota mi rovinato il libro.»
Ammazzatela...” ecco ciò che con tutte le mie forze, tentavo d'implorare. Proprio quella mattina non volevo nessuno tra i piedi. Avevo passato la notte in bianco, a pensare a quello che era successo. Avevo a malapena 2 ore di sonno. Inoltre la testa mi faceva male e anche il più sottile tra i suoni mi recava un esagerato fastidio. Figuriamoci, la mia compagna di banco.
« Eve, quel cane deve sparire da casa mia !» la sentii dire mentre la guardai esausta, con un paio di borse sotto gli occhi che potevano tranquillamente fare invidia a due bagagli di Paris Hilton.
« Chi Rocky o tuo fratello? » dissi, poiché non capivo davvero a chi si riferisse, se davvero al cane o se al suo fratellino minore, teneramente soprannominato Tragedia dalla sorella, che lo ripeteva continuamente durante i suoi discorsi. In realtà il povero piccolo, i chiamava Bill.
« Ma mio Bill ovvio.» ammise, facendo spallucce con quella sua solita aria da snob incallita.
Il suono della campanella, mi salvò da ulteriori blasfeme da parte di lei, ma in compenso dovetti tapparmi le orecchie per sfuggire all'acuto rumore che proveniva dai corridoi.
La lezione proseguì tranquillamente, senza intoppo alcuno. Io non la seguii molto a dire il vero. Ero persa, smarrita nel labirinto di fitti pensieri che aveva catturato la mia mente. E proseguivo in questo labirinto, cercando di arrivare al suo centro. No non cercavo l'uscita. Cercavo il tesoro che il labirinto custodiva. E l'avrei trovato, ad ogni costo. Ma per questo, avevo bisogno di lui.
Lui che sarebbe diventato la mia guida.
Il dolore alla testa cominciò a crescere, e nelle mie orecchie, s'insinuò un fischio acuto e fastidioso. Portai le mani entrambe a coprire le orecchie e a stringere la testa.
Di nuovo.
Lo sguardo si spostò verso la cattedra. Li vidi ancora, con l'unica differenza che, ora sapevo. Darve, ovunque, disseminati come inutili pezzi di carte su di un marciapiede. Ma il dolore cresce
va. Mai l'avevo percepito così intenso, così forte. Indistinta, una nuova figura emerse dal nulla. All'inizio indistinta, un cumulo di nebbia bianca, che vagamente aveva i tratti di un essere umano, poi sempre più nitida: Prima l'abito, che aleggiava nell'aria mantenendo la figura in levitazione, poi le mani, adornate d'insoliti quanto pericolosi artigli. I capelli, bianchi anche loro e lunghi e lucidi come sete. Poi, il volto. Un orrendo volto, sfigurato e rivoltante. Dalle sue labbra sottili e schiuse, emerse un urlo raccapricciante. I vetri dell'aula cominciarono ad esplodere, uno dopo l'altro. Prima il più vicino, poi il pi lontano da lei. Esplosero tutti e nell'aula si generò il caos.
« Oddio!
» urlò Jade mentre, mi si avvicinava scuotendomi, come a destarmi da un incubo.
« Oddio Eve, stai bene?» io annuii vagamente mentre mi alzavo, senza mai distogliere lo sguardo dalla creatura. Così com'era apparsa, scomparve, dissolvendosi nel vento al di fuori di una delle finestre.
« Non capisco. » disse Jade mentre guardava bene dal mettere i piedi sui vari vetri sul pavimento.
Io la guardai perplessa e annuii. « Nemmeno io. » mormorai continuando a guardare fuori dalla finestra, posando una mano sul banco, per darmi lo slancio adatto ad alzarmi. Mi sentivo veramente debole.
Per fortuna, accadde tutto, non lontano dalla pausa pranzo, quindi i docenti l'anticipare, per permettere agli inservienti di pulire e per scegliere un'altra aula, in attesa di un'imminente riparazione di quella. Nemmeno loro si spiegavano il motivo di quel trambusto ed infatti, parlottavano tra loro sbigottiti. Di certo questo, alleggerì la giornata a molti studenti, visto che molti professori incuriositi, si presero qualche minuto in più di pausa per indagare.
Quando arrivammo nel giardino, il dolore alla testa era quasi completamente svanito. Ringraziai il cielo, mentre ancora mi massaggiavo le tempie. James ci raggiunse poco dopo.
« Hei state bene ? » chiese guardandoci entrambe, rassicurandosi nel vederci tutte intere. « Ho sentito dell'esplosione. » annuì lui
« Si stiamo bene.» disse Jade guardandolo corrucciata. « Non è stata un esplosione, l'avremmo sentita. » scosse il capo, mentre si portò una mano al mento, pensante. « All'improvviso sono saltati tutti i vetri, senza motivo. » proseguii. « Secondo sono stati... Gli UFO ! » Disse annuendo come per autoconvincersi della sua nuova teoria.
Scoppiamo a ridere sia io che James. Anche se effettivamente, lei non aveva tutti i torti. L'evento aveva qualcosa di paranormale. Solo che non aveva visto tutto, come me.
Mi apprestai a prendere il pranzo dal mio zaino, quando una puntura sulla mano, me la fece tirare fuori. « Ahi !» mi lasciai scappare involontariamente.
« CHI? COSA ? QUANDO?» Si allarmò subito Jade, saltando in piedi.
Mi guardai la mano e mi accorsi di un pezzo di vetro entrato nella pelle. « Oh, mi è entrato un pezzo di vetro nel palmo. » asserii. Pensandoci mi venne in mente il probabile momento dell'incidente. Dovevo stare più attenta.
« OMMAMMA ! Andiamo in infermeria. » asserì Jade convinta mentre io la guarda sbigottita.
« Ma che infermeria è solo un pezzo di vetro.» dissi prelevandolo delicatamente con l'ausilio dell'altra mano. Il problema sovvenne quando la ferita comincio a sanguinare copiosamente. «Mh.» dissi cercando di non farlo notare né a James né tanto meno a Jade. « Vado in bagno.» li avvertii, per poi dirigermi con passo lesto verso l'interno della Toilette.

L'acqua fresca mi aveva dato un po' di sollievo e il sangue sembrava aver rallentato la sua fuoriuscita. Sorrisi soddisfatta, per fortuna era una feritina piuttosto stupida. Presi della carta e la tamponai, tenendola un po' premuta.
Alzai gli occhi allo specchio che mi stava di fronte. Eh no, non ero proprio in condizioni lontanamente decenti. Con un soffio cercai di aggiustarmi un ciuffo che sfuggiva ribelle alla perfetta frangia altrimenti squadrata. Inarcai un sopracciglio, quando notai la sua non-collaborazione.
Lasciai per un attimo la ferita, per acconciarmi meglio. Ero così concentrata su di me che non vidi cosa stava accadendo.
Dalla piccola finestrella del bagno, stava entrando la nebbia che in precedenza avevo visto diradarsi nell'aula. Il processo si ripeté, ma stavolta nessun fischio, nessun avviso. La vidi alle mie spalle, quando mi allontanai abbastanza dallo specchio, per avere una visuale più completa.
« NO!» urlai sorpresa, mentre vidi quella sua brutta faccia da strega e quegli occhi neri come la pece, totalmente neri, squadrarmi come se fossi un pollo arrosto. « Chi diavolo sei? » dissi con voce tremante.
« Tu mi veeeedi...» disse lei con voce sibilante e spirata.
Io non le risposi, corrucciando il volto, intimorita.
« Mi serve un corpo. » continuò lei, mentre con una fragorosa risata, scomparve di nuovo, per poi riapparire, sul soffitto.
« Beh, non avrai il mio.» dissi con una briciola di grinta nella voce, che evidentemente la divertì visto che continuava a ridacchiare come una vecchia befana. Corsi verso la porta d'uscita, buttandomici praticamente sopra. La corsa continuò lungo il corridoio per fortuna vuoto dei piani inferiori. Corsi più veloce che potevo, ma la sentivo alle mie spalle, che mi seguiva, veloce come un fantasma. Non era come le solite darve, anzi, non era una darve. Lei era, qualcosa di nuovo.
Lo sguardo, si fermò rapidamente su di una delle porte adiacenti il corridoio. Una che risultò essere semi aperta e mi ci fiondai dentro. La chiusi con violenza rigirando la chiave ben due volte. Era un'aula come tante, per fortuna anche ben illuminata. Mi ritrovai quasi subito spalle al muro e ripresi lentamente fiato, tenendo sempre d'occhio la porta.
Lei era nebbia. Lei passava da qualsiasi spiraglio ed ogni stanza in cui entrava, diventava improvvisamente gelida. Il suo soffio era gelido e lo sentivo sulla mia pelle. Mi rannicchiai cercando di scaldarmi, mentre i miei occhi non si distolsero nemmeno per un momento da quella porta.
La chiave si spostò dalla sua consueta posizione, allontanandosi dalla serratura. Sospesa a mezz'aria da chissà quale forza si congelò. La mano invisibile la lasciò cadere, e il resistente metallo congelato, s'infranse al terreno in mille minuscoli frammenti.
Deglutii lentamente mentre la nebbia tornò a ricomporsi. Di nuovo lei.
« Lasciami in pace!» urlai contro di lei, nel vano tentativo di spaventarla. Ma accadde il contrario.
« Voglio un corpo, non ti farò male. » disse poi, con uno strano accento.
« STAMMI LONTANA!» Le urlai ancora contro.
All'improvviso una fitta di dolore. La mia mano, mi faceva male, un male pazzesco, tanto che cominciai ad urlare. Lei si muoveva da sola e si alzava contro la creatura. Il mio braccio si portò teso a mezz'aria contro di lei. Il palmo della mia mano si aprì mostrando a lei, la ferita che ancora grondava sangue.
La ferita cominciò a pulsare il sangue sembrò cristallizzarsi e percepii una grande energia, fiorire nel mio corpo. Poi la vidi, quell'energia. La stessa che dieci anni prima vidi alla morte di mio padre. L'energia blu. Era lei che ora comandava il mio corpo. Come una fedele compagna mi tirò su, come a spingermi verso la lotta.
E mi procurò anche un'arma.
Il mio sangue prese a luccicare, da quell'unica goccia, l'energia plasmò quella che aveva le apparenze di una falce. La stessa falce con cui è rappresentato il Tristo mietitore.
Ne rimasi sconvolta. Non capivo, cosa mi stava succedendo. Cosa stava succedendo in quell'istante. Poi ancora. Non controllavo più il mio corpo, sentivo in me una presenza estranea che mi guidava.
Afferrai involontariamente l'arma e la brandii anche con una certa dimestichezza. « Wo. » dissi sorpresa, sorridendo. Il mio avversario mi stava davanti, e sembrava famelico e affamato. « Va bene. Vediamo che sai fare. » Dissi convinta che avrei guidato io lo scontro.
Lei mi venne incontro, attaccando per prima, in maniera rapida e ben architettata. Quando stavo per parare il primo colpo, mi sentii di nuovo controllata. « Hei, Wowo ferma !» dissi mentre l'energia faceva con me di testa propria. La mia velocità era esponenzialmente aumentata. Mi muovevo come un gatto, saltando da una parte all'altra. Mi bastò poco infatti per distrarla e falciarla in due.

Merek'na

Disse prima di spirare. Ma non capii ovviamente. Nonostante fosse fatta di nebbia, la mia falce la taglio nettamente in due e questo colpo le risultò mortale. Evidentemente non era una semplice falce. L'energia lentamente, mi fece tornare me stessa, liberandomi dal suo controllo. La luce blu, ritornava all'interno della mia mano, che l'assorbiva lentamente e con cautela, fino all'ultima goccia. Anche la falce scomparve, tornando ad essere la sfera cristallizzata di sangue, da cui era nata. A gran velocità torno nel palmo della mia mano, disintegrandosi e disegnando uno strano simbolo su di essa, che scomparve in un battito di ciglio.
Cascai sulle mie ginocchia, esausta quanto sconvolta.
« Questo è troppo.» mi dissi scuotendo il capo.
« Non è ancora nulla.» disse una voce nella stanza. Subito alzai lo sguardo e mi accorsi della presenza di Kein.
« Non ci capisco più nulla.» dissi mentre poggia la fronte al pavimento, raccogliendo la testa tra le mani. « Dannazione.»

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Capitolo 8
*** Sesto Sigillo - Scomparsa ***


Nota

Bene rieccomi qui con il nuovo capitolo della mia storia. u.u Ringrazio tutte le persone che mi hanno recensito, per i loro complimenti e consigli *_* Spero tanto che questo capitolo sia gradito da tutti voi e spero che come lui tutti i precedenti e i prossimi °_°
Tra poco vi farò una bella sorpresina, ma dovete avere un pochino di pazienza *_*
Intanto vi lascio il capitolo e la musica di sottofondo XDDD

Tracks   Plumb - Hung On ( si di nuovo XD)
                 Kent - Somnen


Per il resto Buona lettura
Spero vi piaccia
Yu Lunae




Sesto Sigillo

Scomparsa



« Dannazione.» lo avevo già ripetuto due volte, ma lui non aveva ancora cominciato a parlare. Lui, che se ne stava fermo, in un angolo, con le braccia incrociate ad osservarmi inveire contro qualsiasi divinità a scelta. Ovviamente se quella era la situazione, era proprio loro la colpa di quello che mi stava accadendo. Coloro che venivano definite divinità.
« Puoi spiegarmi, per favore? » dissi senza nemmeno alzare lo sguardo verso il suo viso, lì atterrita dal terrore.
Ma lui rimase in silenzio, senza battere ciglio, senza nemmeno emanare un suono. Spostai la testa, in modo tale da poterlo guardare dritto in faccia, che distinguevo nettamente nonostante fosse ben lontana da me. Sempre la solita posizione, ma con un volto molto più burbero del solito.
« Puoi spiegarmi?» ripetei con un po' più di grinta, mentre mi alzavo e mi mettevo in ginocchio. Non ebbi da lui nessuna risposta. Lui continuava a guardarmi, e sembrava adirato. Adirato, lui? E allora io che cosa avrei dovuto dire? Cosa avrei dovuto dire? Io che ero stata trasportata da un momento all'altro, in mondi di cui non conoscevo l'esistenza. Io che avrei soltanto voluto vivere una vita tranquilla, andare a scuola e uscire con i miei amici. Senza quei tormenti, quelle continue visioni. Senza qualcosa di estraneo che ogni volta, disturbasse la mia quiete.
Ero io quella adirata.
Mi alzai di scatto, e comincia a correre verso di lui. Con violenza inaudita, e sicuramente non da me, afferrai il colletto della sua giacca di pelle rossa e, con tutta la forza che avevo, sbattei contro il muro. E lui me lo lasciò fare.
« PUOI?» gli urlai contro, con tutta la rabbia che avevo dentro, e la mia voce tradì una sorta di odio, che lentamente stava avviluppando i miei sensi.
Mi resi conto, del gesto poco carino che avevo compiuto, accecata dall'ira, non riuscivo più a controllarmi. lo lasciai e feci due passi indietro.
« Perdonami.» mormorai, scuotendo il capo, ma senza alzare lo sguardo nel suo.
Lui mi fissò per un paio di secondi buoni, con i suoi occhi azzurri e nitidi. Si allontanò dal muro e si risistemò il colletto della giacca, che io gli avevo sgualcito. Poi prese un sospiro profondo e sorrise sghembo, com'era solito fare lui.
« Sono rimasto sorpreso. Non mi aspettavo questo.» disse finalmente mentre mi osservava. Per un attimo, quando alzai il mio sguardo nel suo, mi parve di leggere timore, in quelle profonde iridi adamantine.
« Merek'na. » dissi. « Ha detto questo prima di sparire.Cos'è? » chiesi ora leggermente più pacata di pochi istanti prima.
« E' la lingua di Rederva. Significa, mietitore. » si limitò a dire lui, in modo esiguo. Io rimasi in silenzio, fiduciosa che avrebbe continuato da solo.
« I Merek'na, hanno il compito di eliminare le anime corrotte, quelle che fuggono da Rederva e si rifugiano qui, speranzose di non essere trovate.» si fermò facendo una breve pausa, mentre cercava di riordinare le idee, evidentemente per rendermi più semplice e comprensibile quella situazione.
« Quella che hai visto è un'anima fuggita da Rederva. Quelle come lei si chiamano Siderva, significa Larva Parassita. Sono anime parassita, cannibali in un certo senso. » storse il naso, disgustato. « Si cibano delle anime ancora legate ai corpi, anime vive e poi prendono il possesso del corpo ospite, al posto loro.» ancora una pausa e io lo lasciai continuare. Ero ferma davanti a lui e lo ascoltavo, con attenzione. « L'altra sera hai visto delle Siderva in due corpi umani. » ci pensai su un attimo, facendo mente locale.
« I due tizi? » chiesi io, ora che qualche ricordo era tornato Ero così impegnata a fuggire, che avevo veramente pochi ricordi di quei momenti.
Lui annuì, e poi tacque per qualche secondo.
« Ma non capisco perché tu. » disse poi, divenendo serio in volto, senza compiere un movimento, bloccandosi quasi tant'è che avevo dubbi sul fatto che respirasse ancora.
« I merek'na, sono sangue puro, sono originari di famiglie di Rederva. Tu...» premette tra loro le labbra. Sembrava non lo sapesse nemmeno lui.
« Io non dovrei...» lo aiutai sospirando.
« No.» confermò lui, secco.
Rimasi in silenzio a guardarlo, senza parole. Socchiusi gli occhi e poi, Sentii di nuovo le ginocchia cedere. Ero molto debole.
Lui mi afferrò quasi al volo. Ma il suo tocco, inspiegabilmente m'infastidii e lo respinsi, facendo altri due passi indietro.
« Parlami di loro. » dissi e il mio, sembrò quasi un comando.
Lui esitò, osservandomi, contrariato. Poi si raddrizzò, facendo qualche passo avanti, prendendo a gironzolare per la stanza. « Sono capaci di utilizzare il loro sangue come arma contro queste anime. Il loro sangue è l'unica cosa che può distruggerle. I Merek'na sono solitamente nobili di Rederva, nati con questa caratteristica e addestrati a combattere contro questi ribelli. È difficile riconoscerli, perché si travestono perfettamente nel ruolo dell'umano. L'unico modo per riconoscerli, è il simbolo che portano, un tatuaggio, come quello che tu hai sulla mano. » disse, fermandosi poi, per riprendere fiato probabilmente, o per permettermi di assimilare il tutto.
Inevitabilmente mi portai a guardare il palmo, ma non vidi nulla. Lui mi notò e sorrise appena.
« Compare solo quando il Merek'na lo richiama. Bella fregatura, no? » disse poi grattandosi la punta del naso. « Questi bastardi sanno come nascondersi bene. » mormorò inarcando un sopracciglio. Oh giusto, ora anche lei era una di loro. Un po' la infastidii quell'insulto gratuito ma si limitò a guardarlo male.
« Forse è per questo che vedo anche i semplici Derva.» dissi io, spostando lo sguardo su di lui.
« Può darsi.» annuì lui, mentre si avvicinava alla porta. La serratura esplose, e le ante si schiusero. « Tu sei un caso particolare, ragazzina. Per questo sono qui. »
« Kein.» Lo richiamai, e azzardai un passo in sua direzione, senza completarlo. Lui si voltò e con aria di attesa. Aspettava che gli parlassi.
« Io voglio... voglio riprenderla.» dissi, biascicando qua e la qualche parola. Lui aggottò la fronte smarrito.
« Voglio salvarla.» proseguii io. Lui evidentemente capì e mi sorrise annuendo. Poi scomparve, oltre la soglia, lontano dalla mia vista. Feci per fermarlo, ma evitai. Non era certo il caso, né il momento.


°°°

« Finalmente signorina!» disse Jade, quando mi vide arrivare da lontano. Mi sfuggii un sorriso vedendo la sua faccia buffa.
Notai con piacere, che al gruppetto si era aggiunta anche Greta, e sorrisi allietata, visto che non la vedevo da un po' oramai e vederla, mi piaceva piacere infondo. Dal giorno del discorso, per essere precisi.
« Greta, ci si rivede.» dissi io sorridendo.
Anche lei accennò un sorriso. « Piacere mio, cara. Come stai? L'ultima volta non ti ho visto molto in forma. » disse, dimostrando una certa loquacità per i suoi standard.
« Molto meglio, grazie. » dissi io annuendo. In realtà la situazione era, molto più incasinata di prima, ma questi erano, insignificanti particolari.
Lei di tutta risposa mi sorrise compiaciuta dalla notizia. « Bene, meglio così. » disse poi.
« Beh quel giorno, sarà stata l'emozione del momento. Non credevo lei fosse nervosa a tal punto.» interruppe Jade, mentre io inarcavo un sopracciglio. Beh meglio che la si pensi così, piuttosto che sappia il vero motivo dello svenimento.
La campanella delle due, ci avvertì che l'ora di pausa era terminata e che dovevamo rientrare per riprendere le lezioni.
Lo feci di malavoglia, ma m'incamminai con gli altri. Ero molto stanca e non avevo voglia di tornare a scuola, ma mi dovetti sacrificare, per altre due ore circa. Per mia fortuna, il tempo sembrò essere dalla mia e queste due ore passarono in fretta, senza intoppi di nessun genere, permettendomi di trascorrere alla meglio quella giornata che ormai stava sgusciando verso il termine.
Non lo rividi più quel giorno. Alle soglie del cancello, lo cercai con lo sguardo, indugiando su centinaia di volti. Ma in nessuno di questi riconobbi il suo.


°°°

Come al solito, la strada del ritorno, la percorsi insieme ai miei amici e come al solito, davanti casa mia, sia Jade che James, erano restii a lasciarmi, promettendomi di ammazzare quella vecchia gallina baffuta un giorno e inveendo in vari modi contro le mie sorellastre.
Entrai in casa, che fortunatamente era ancora vuota. Non c'era nessuno , dovevano ancora rientrare tutti, a parte il Signor Gray ovvio, che mi aspettava come al solito sulla soglia di casa, sorridente.
La loro assenza mi fece tirare un lungo sospiro di sollievo. Raggiunsi la mia stanza e, di gran fretta, mi fiondai sopra il morbido materasso del mio letto. Le lenzuola erano state evidentemente cambiate quella mattina stessa, perché profumavano di bucato. Una sensazione magnifica e disarmante. Erano le 16.20 circa.
Ero così stanca, che mi addormentai ancora con la divisa addosso.


°°°

Il mio risveglio non fu proprio uno dei migliori. Svegliarsi con la brutta e antipatica faccia di Lauren a due centimetri dalla mia, non è proprio il massimo.
Sbattei una paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il suo viso ridacchiante, come al solito. Chissà cosa diavolo aveva in mente di chiedermi, o cosa stava per dirmi.
« Non hai nemmeno preparato la cena, sei proprio inutile. » Disse con una smorfia sprezzante dipinta sul viso.
« Perché, è ancora presto sono ancora le 6. » dissi io, convinta di aver dormito massimo un'ora. Ma non c'era nemmeno più luce ormai, e me ne accorsi in ritardo quando la mia vista si fece più nitida.
« Ma come lo hai visto l'orologio? Guarda che sono sono le 9 ormai.» Mi fece notare lei, alzandosi dal mio letto e avvicinandosi alla porta, dalla quale uscì lesta, sbattendosi la porta alle spalle e lasciandomi al buio.
Io balzai in piedi con così tanta foga che per per qualche secondo dovetti tener ferma la testa convinta che stesse andando per i fatti suoi. « Ahi.» mi lamentai, mettendo sul pavimento il primo dei miei due piedini. Avevo ancora le scarpe, non mi ero cambiata da quando ero tornata a scuola. Constatando questo, un sospiro rassegnato sfuggi alle mie labbra, mentre di evidente controvoglia, mi apprestai a raggiungere il corridoio, cercando la porta a tentoni e trovandola dopo una dolorante botta alla mano, così da scendere verso le cucine.

Vi Trovai il Signor Gray, visibilmente indaffarato con scodelle e posate. Ma nonostante questo, non disdegnò di voltarsi e sorridermi paterno, come faceva di solito. « Buona sera signorina. Ben sveglia.» disse poi e io ricambiai con un cenno del capo ed un sorriso ammaliato da quella sua adorabile gentilezza.
Cucinare non era proprio il forte del maggiordomo. Lo sapeva fare bene si, ma se lo faceva, raramente perché quella che d solito cucinava ero io, lo faceva di controvoglia. E lo faceva notare, visto che dalla sua faccia, si potevano immaginare le mille bestemmiacce che avrebbe voluto pronunciare contro tutti quegli affari, ma che ogni volta tratteneva per sé, com'era ovvio che fosse. Non sarebbe stato un comportamento da maggiordomo altrimenti. Sorrisi divertita vedendolo con quel broncio dispettoso e quindi mi decisi a intervenire.
« Lascia pure a me la cucina, adesso. » dissi quindi avvicinandomi ai fornelli. Lui mi sorrise e quello bastò a farmi comprendere la sua immensa gratitudine. Si allontanò subito dopo, per apparecchiare la tavola, lasciandomi sola, con i miei pensieri.
Mentre preparavo un po' di verdure grigliate, piatto semplice visto il poco tempo che avevo a disposizione, mi tornò alla mente la lettera di mia madre.
Ci pensai su, segnandomi come promemoria, quello di rileggerla appena possibile. Ora, con questi nuovi occhi, ci avrei capito qualcosa. O così speravo almeno.
« Muoviti signorina. Abbiamo fame. » disse Hanne dalla Sala Pranzo, provocandomi immenso fastidio con il solo suono della sua stridula e pacchiana voce. Brr.
Portai a tavolo la pietanze, piuttosto misere, visto i pochi minuti che mi erano stati concessi dalle tre. Il Signor Gray mi aiutò e mi lasciò sedere, servendo lui la maggior parte delle portate. Mi diceva sempre che non avrei dovuto permettere a quelle tre streghe di trattarmi come una cenerentola, perché su quella casa avevo più diritti di loro, ma io gli dissi che non mi importava fino a che mi lasciavano vivere come volevo io, che andava bene così.
Ma era davvero così che volevo vivere?
Domande troppo riflessive per la cena, che divorai in pochi bocconi, sia perché come mi premuro di sottolineare, le portate erano esigue, sia perché a pranzo non avevo mangiato nulla. Già il pranzo, quanti pensieri maledizione.
Sbuffai, infastidita da me stessa, alzandomi quando fui sicura che tutti avevano terminato. Come al solito tutte facevamo di testa nostra dopo cena. Potevamo uscire, ma solo io avevo il coprifuoco. Quando si tratta di pari opportunità. Hanne diceva che il coprifuoco era necessario visto che ero la più piccola. Ma con i miei diciassette potevo contare su di una maturità ben maggior della loro. Anche della matrigna cattiva. Un coprifuoco che ieri notte avevo rotto. Ma Hanne non mi stava dicendo nulla. Forse, c'era davvero cascata a quella sceneggiata della sera prima. Ne dubitavo. Ogni tanto la guardavo di sottecchi, sospetta, accorgendomi che anche lei faceva lo stesso, per poi distogliere lo sguardo.

Finito di ripulire tutto, mi ritirai nella mia camera. Ero sfinita si, ma avevo abbastanza forze da dedicare a Winslet, un po' del mio tempo prezioso. Erano giorni che non ci scrivevo su..
Winslet, il mio diario, dove avevo nascosto la lettera.
Mi recai nel suo nascondiglio, posizionato in una scatola, sotto l'armadio. Mi piegai verso il pavimento acquattandomi e allungando la mano sotto lo spazio vuoto tra il mobile e il terreno. Oltre che ad un bel pò di polvere, che mi ricordò che forse ogni tanto dovevo pulire anche lì sotto, trovai finalmente la scatola. Felice di ritrovarmela tra le mani, sciolsi il fiocco con cui era legato il nastro di raso rosso. Si era, una scatola Fai da Te, insomma, come i lavoretti che si fanno a scuola. Una scatola di legno sottile, che avevo decorato con vari disegni dei tovagliolini quando facevo il corso di decoupage insieme a ...James. Bei tempi quelli.
Lentamente sollevai il coperchio della scatola, attenta a non far uscire il nastro dai fori.

E poi...

...Il mio sguardo sfiorò il vuoto.

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Capitolo 9
*** Settimo Sigillo - Destino Ridente ***


Nota
Eccomi di nuovo qua con un nuovo capitolo di Chains u.ù
Da questo capitolo, possiamo dire che, comincerà la nostra avventura nel vero e proprio mondo di Chains of blood *_*
Non vi dico altro u.u come al solito ecco la colonna sonora XDDD

Track    Conductor ( We Were Promised Jetpacks )

Per il resto, Buona lettura
Spero vi piaccia
Yu Lunae





Settimo Sigillo

Destino ridente

Ciao Winslet

sai oggi mi sono divertita un mondo, perché è tornato a casa il mio papà. Mi ha portato a giocare al parco, insieme alla mamma e, indovina un po' cosa abbiamo fatto?
Abbiamo fatto volare il nostro aquilone, alto nel cielo, fino a toccare le nuvole su. Era papà che lo teneva stretto, io lo rincorrevo per tutto il parco. La mamma, che ora sta scrivendo questo per me, si era seduta a guardarci e a farci qualche foto.
Si beh, non che a me piacciano particolarmente le foto, ma a mia madre piacciono tanto, così, mio padre ogni tanto mi costringeva a fermarmi e a guardare verso di lei. Mi muovevo così tanto, che mi doveva tenere ferma con tutte e due le braccia. Una volta per tenermi ferma ha addirittura lasciato andare l'aquilone, e poi siamo andati subito a rincorrerlo per tutto il parco. Che faccia buffa aveva il mio papà.
Alla fine lo abbiamo recuperato e poi siamo tornati a casa. La mamma doveva ancora preparare la cena.
Ora sto dormendo e mia madre sta scrivendo tutto questo a mia insaputa. Ma va bene, un giorno lo leggerò e farò mio anche questo prezioso ricordo.

Con amore
Eveline & Venusia



Fu l'ultima pagina scritta da lei sul mio diario. Il giorno dopo venne portata all'ospedale e morì dopo poche ore, divorata dal cancro che l'aveva resa un gracile stelo di rosa.
Erano passati due giorni, dalla sua scomparsa ma io non avevo nemmeno provato a cercarlo. Certo è che non avevo nemmeno provato a tornare a casa.
Ero stata due giorni a casa di Jade che mi aveva gentilmente accolta come faceva sempre da quando ci conoscevamo.
« Forse dovresti avvertirla.» diceva ogni tanto, preoccupata, ma io nemmeno le rispondevo. Non volevo il diario, ma avevo bisogno della lettera. In ogni caso, non volevo fare ritorno in quella maledetta casa, che mi aveva causato guai, dal primo giorno in cui ci misi piede insieme a loro.
Da quando era accaduto questo, non avevo mai smesso di vedere i Darva tutti intorno a me. Era come se il segnale si fosse danneggiato e mandasse continuamente, la stessa cosa sul mio canale di trasmissione. Vedevo esseri umani e larve, tutto insieme.
Ad un certo punto, persino quella casa, al solito così dolce e accogliente, mi fece soffocare. Quelle presenze, a cui ancora non ero abituata, mi rendevano labile.
Mi alzai dalla sedia stiracchiandomi appena. Lei mi notò.
« Io esco. » le dissi, mentre imboccavo la porta d'uscita. Prima di sentire quanto aveva da dirmi ero già uscita di casa.
Non sarei andata lontana. Avrei raggiunto solo il parco di fronte casa di Jade.
Sospirai rassegnata, quando attraversai la strada e mi trovai a due passi dal mio gioco preferito. L'altalena. Mi vennero in mente tanti ricordi, in quel momento e mi sfuggì un sorriso.
Decisi di sedermici sopra, e cominciai a ondeggiare lentamente, avanti e indietro, sfiorando appena il terreno con la punta delle mie all stars nere. La mani si strinsero attorno alle catene che reggevano su il seggiolino in legno. Avevo l'aria triste, si notava da un miglio di distanza. La tipica aria malinconica di chi è lontano da casa. Ma se non sai qual'è casa tua, allora non hai di che preoccuparti.
Una casa. Il luogo dove puoi fare ritorno e non verrai giudicato. Questa è una casa.
Decisi di spingere appena più forte l'altalena e di ondeggiare con più vigore. Su e giù, mentre gli occhi puntavo al cielo che si imbruniva, alla ricerca delle prime stelle, alla ricerca di qualcosa che non potevo vedere durante il giorno, con la luce.
D'un tratto, mi sentii fermare e rimasi in sospeso, all'indietro, mentre osservavo il terreno sotto di me. Voltai appena il viso, giusto per inquadrare l'immagine del nuovo giunto, anche con la coda dell'occhio. Mi accorsi subito che era lui.
« Oh, sei tu. » dissi con voce rassegnata.
« Che entusiasmo. » disse lui, lasciandomi andare in avanti e spostandosi verso l'altra altalena, prendendovi posto, accuratamente. Io mi curai di osservare tutti i suoi movimenti senza però, valorizzarne uno in particolare.
« Cosa ci fai qui? » dissi io mentre tornai ad ondeggiare.
« Sono qui per te. » disse lui emulandola.
Io lo guardai con aria perplessa, cercando di capire cosa esattamente volesse dire quanto da lui era appena stato detto.
« Dobbiamo andare. » disse poi lui dopo una lunga pausa di silenzio, mentre oscillava leggermente e senza rivolgermi lo sguardo.
Io mi voltai appena verso di lui, schiudendo le labbra. Non potevo ribattere, ero stata io a chiederlo. « Di già? » dissi io sconsolata, mentre lui si voltò finalmente a guardarmi.
« Si. La situazione sta precipitando a Rederva. Dobbiamo agire subito. » disse lui mentre io sorrisi nel constatare che non sapevo nemmeno qual'era la situazione di Rederva. Non conoscevo nemmeno la Terra delle Larve.
Ma il mio pensiero, fisso tornava lì. Alla lettera. Chi avrebbe recuperato il diario e la lettera, se non ci fossi stata io? Le avrei rimaste qui.
Infondo lui mi aveva detto che non dovevo lasciare questioni in sospeso su questa terra, prima di andare a Rederva. Sarei potuta non tornare mai più. Nulla era sicuro lì. Avevo provveduto che il Signor Gray si prendesse cura della piccola Jade una volta andata via, ed altri piccoli particolari, che grazie a Dio avevo dissolto in meno di mezza giornata. Ero persino passata a salutare in biblioteca.
Richiamò la mia attenzione allungandomi qualcosa.
« Tieni, questa è tua. » sentii dire lui, mentre mi voltai a guardarlo. Abbassai appena i miei occhi verdi su di un pezzo di carta. Lo afferrai e mi apprestai ad aprirlo.
« Ma...» dissi quando lessi la calligrafia di mia madre. Era la famosa lettera.
« La tua matrigna la stava bruciando, insieme a tutto il resto. » disse lui continuando ad ondeggiare.
« Come?» sbottai io scendendo dall'altalena per posizionarmi di fronte a lui. « Non è vero. » dissi e senza accorgermene, muovevo il capo, negando qualsiasi cosa. « Il mio diario. » mormorai ancora.
La mia Winslet, quella che avevo sempre scritto insieme a Mia Madre. Lei che rappresentava l'unico ricordo che avevo di mia madre. Divorata dalle fiamme di un camino.
« Perché non hai preso anche il mio diario?! » urlai verso di lui, quasi disperata.
« Perché non ci serviva. » disse lui, molto semplicemente, senza troppi giri di parole.
Rimasi quasi sconvolta. « Serve a me. » mormorai, tra me e me, dandogli le spalle e portandomi le mani agli occhi.
« No non ti servirà. L'unica cosa di cui abbiamo bisogno per salvare tua madre e mio padre è quella » disse portando alla sua attenzione la lettera, indicandola con l'indice. « Questa è quanto di più utile ti abbia lasciato tua madre. » e il suo dire risultò essere così freddo.
Sconfortata abbassai le braccia e le portai al bacino.
« Ma non può passarla liscia. NON STAVOLTA! » dissi voltandomi di scatto verso di lui.
« Lei che si è prepotentemente infiltrata nella mia famiglia. Che voleva prendere il posto di mia madre. E ora ha distrutto tutto quello che mi era rimasto di lei. » mi fermai, chiudendo gli occhi. « In quelle pagine c'erano tutti i miei ricordi con loro. Tu hai idea di quello che ho perso? » dissi scuotendo il capo. Le dita cominciarono a contrarsi, le labbra premevano tra loro con forza e la rabbia pervase per intero tutto il mio corpo.
Lui si alzò, e lentamente cominciò a muovere dei passi verso di me. Mi afferrò per le spalle. La sua presa era così salda, che per un attimo credetti mi avrebbe spezzato le ossa. Alzai il volto verso di lui, poiché a quanto pare era quello che desiderava facessi.
« Smettila di fare la bambina. » mi disse, freddo come sempre. « Non hai perso più del dovuto. » continuò. « I ricordi con tua madre. Quelli con tuo padre. Quelle giornate passate insieme a loro, tu le hai ancora, dentro di te. Quindi smettila di piagnucolare. » ripeté ancora, mentre io lo guardavo allibita. Il suo era evidentemente un tentativo per farmi sentire meglio. Non era molto bravo, ma qualche progresso lo feci.
Mi lasciò andare passandomi oltre. « Ho lasciato una lettera nella tua camera e una da un agente di polizia in cui fai sapere che sei andata via e che non tornerai, perché troppo soffocata dall'ambiente che ti circondava. » disse lui. Io non replicai, anche perché non avrei avuto nulla da dire, rimanendo in silenzio con lo sguardo a fissare il vuoto.
Lui mi guardò di sottecchi, notandomi ancora sconfortata.
« Fatti coraggio, ragazzina. » mi disse.
Ci provai, voltandomi e annuendo. Prima di raggiungerlo, mi avvicinai all'altalena, intenta a fare qualcosa. Cosa poi non lo capì nemmeno Kein. Lo raggiunsi con pochi passi. Sembravo una gattina perduta in un bosco pieno di lupi. E mi sarei sentita così, anche lì. Forse lì sarebbe stato peggio, ma c'era lui.
Lo guardai negli occhi e sentii che man mano sotto i miei piedi, l'appoggio veniva meno.
Una voragine nera si aprì sotto di noi e del fumo nero, cominciò ad uscire da quel profondo buco. Il fumo ci avvolse, abbracciandoci nella maniera più materna. Osservai il suo viso, finché ne ebbi l'occasione. Perché mi dava sicurezza, perché sentivo di volerlo avere con me. Con l'ausilio della ormai giunta notte, i nostri corpi sparirono. E con loro anche le nostre anime.


« Eveeee? EVE è pronto! » disse Jade raggiungendo il parco giochi.
Non trovò nessuno lì. « Ma dove diavolo è finita? » si chiese mentre avanzava verso l'altalena.
Un oggetto sventolante attirò la sua attenzione. Era un foulard, quello che spesso aveva visto al collo di Eve. Era attaccato alla catena di una delle due altalene.
Lo sfiorò con le dita e fu percorsa da un brivido.
« Eve...» mormorò osservandosi intorno, piena di paura. Un presentimento l'assalì. Un presentimento che poi, si rivelò verità.
Infatti la mattina, ai telegiornali parlarono di lei. La ragazza scomparsa, forse rapita forse scappata.
Lei non c'era più.




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