Chains of Blood - Le catene del sangue di Yu Lunae (/viewuser.php?uid=97573)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo sigillo - Spettro ***
Capitolo 3: *** Secondo Sigillo - Lettera dall'Inferno ***
Capitolo 4: *** Terzo Sigillo - Alienazione parte I ***
Capitolo 5: *** Terzo Sigillo - Alienazione parte II ***
Capitolo 6: *** Quarto Sigillo - Rivelazioni ***
Capitolo 7: *** Quinto Sigillo - Il mietitore ***
Capitolo 8: *** Sesto Sigillo - Scomparsa ***
Capitolo 9: *** Settimo Sigillo - Destino Ridente ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Nota
Ecco
dunque, salve a tutti XD
Spero vi piaccia questa mia storia. So che è particolarmente
strana, un pò fuori dal normale e certe volte può
sembrare complessa, ma spero che voi mi possiate aiutare con le vostre
recensioni a migliorarla ogni capitolo di più. L'ho scritta
ispirandomi molto allo stile manga e di conseguenza ho immaginato i
personaggi disegnandoli. Magari poi più in là li
posto anche. Ogni capitolo (prologo e primo capitolo con lo stesso)
sono state scritte ascoltando una particolare canzone che mi ha
ispirato, che metterò ogni volta metterò
all'inizio del capitolo così potrete decidere di leggerlo o
meno ascoltando la canzone che ho segnalato oppure una vostra XD
Più che altro è perché molto spesso le
musiche danno riesco a far immaginare meglio le situazioni, e per farle
immaginare a voi come le ho pensate io, vi do questo piccolo input *-*
(L)
Track
The
Noose - A Perfect Circle
Per
il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia
Yu
Lunae
Prologo
I
miei occhi erano vitrei nel vuoto. Occhi grandi e ricolmi di
tristezza, ma privi di lacrime. Una tristezza senza sofferenza. Una
sofferenza suggerita da quei singhiozzi che si accrescevano alle mie
spalle. Quante contraddizioni distinguevo in ognuno dei loro pianti.
La mia matrigna al mio fianco, abbigliata di lussuosi abiti neri e
sontuosi gioielli, di ogni sorta, fingeva di frignare come una
bambina, tenendo stretto tra le sue dita, ricoperte da soffice
velluto nero, un fazzoletto in bianca seta. Era così
irritante ogni
suo gemito, teatralmente studiato prima di recarsi al capezzale del
mio povero padre. Ma io tacevo, perché di lei non mi
importava. Il
suo falso supplizio era ora, l'ultimo dei miei problemi. Al suo
fianco, la sua stessa figlia la emulava, inscenando una pena
bugiarda, verso quel corpo freddo e pallido, alla quale tenevo ancora
stretta la mano, con la speranza di poter scorgere in essa il solito,
vivido tepore.
Nei
miei occhi, limpidi come l'acqua di un mero ruscello,il disegno di
quella sottile linea senza curva alcuna, era più chiaro, che
sullo
stesso monitor, sulla quale si disegnava monotona. Nessun battito,
nessun respiro. In quel momento mio padre era definitivamente
deceduto.
Encefalogramma
piatto.
Al
suono ininterrotto, che confermava la sua morte, quelle due
insopportabili donne, cominciarono ad aumentare il ritmo delle
lacrime, sature di menzogna. Spostai lo sguardo verso il volto
rilassato di lui e questo mi bastò per trattenere il dolore.
Sulla
mascherina dell'ossigeno, ormai limpida e trasparente, cominciavo a
vedere i flash dei fotografi, di chissà quanti quotidiani e
telegiornali.
Strinsi
le lenzuola con rabbia e riposi il capo nell'incavo delle braccia
incrociate. Non piangevo. Volevo solo attutire quel frastuono.
Nonostante amassi mio padre, non nutrivo legami profondi con nessuna
altra mia conoscenza. Non mi ero mai innamorata. Non avevo un'amica o
un amico più importante degli altri. Mi sentivo priva di
emozioni,
perché l'unica persona che avevo amato, mi era stata portata
via,
quando ancora era un candido bocciolo di loto dormiente. E con
sé si
portò via ogni mia emozione, lasciandomi vivere, con il
cuore
stretto in una morsa di eterno sconforto. Mia madre, Venusia.
Un
sospiro mi accarezzò il collo, sottile, delicato. Alle mie
orecchie
giunse scandito, il mio nome. Eveline. Alzai appena il capo e mi
guardai attorno. Tutti erano in silenzio e solo il fischio
persistente e assordante, interrompeva continuo quell'oblio.
Eppure
qualcuno ripeteva il mio nome. Ancora e ancora. Una voce sempre
più
debole. Una voce che sembrava provenire da ogni angolo della stanza.
Mi alzai in piedi, perpetuando la medesima espressione di qualche
attimo prima, lasciando che la sua mano, stanca ed esente di vita,
ricadesse sul morbido lenzuolo, niveo, proprio come la sua pelle.
Avanzai
di alcuni passi, scansando i fotografi e i giornalisti, venuti
apposta per assistere alla morte di un importante archeologo, che
durante la sua breve vita, aveva fatto scoperte colossali. Contenti
ma celati loro, del nuovo scoop che stava per sconvolgere le loro
vite, povere di valori e rispetto. Io invece non ero affatto lieta
della loro presenza.
Cercavo
la fonte di quella voce, osservandomi attorno, ed estraniandomi dai
rumori alternativi. Ma il suono mai interrotto di quel monitor
maledetto, interrompeva le sue parole. Non riuscivo a comprenderle,
non riuscivo a distinguerle.
Quando
non riuscii più ad udire verso alcuno, sentii pervadere il
mio
corpo, da un freddo piacevole. Un brivido sconosciuto che fuggiva
lungo la mia pelle.
Accadde
tutto in pochi secondi.
Una
lunga corda di un azzurro macabro e spento mi si parò
davanti. Ma
non era davanti a me. Lei mi stava... attraversando.
Non
capivo come fosse possibile, ma capivo che il freddo proveniva dalla
zona in cui la corda attraversava il mio corpo vivo. Non sentivo
più
il sangue scorrere. Non sentivo il mio cuore battere. Non riuscivo a
ragionare lucidamente. E' per quello che non volevo credere a
ciò
che i miei occhi mi mostrarono quel giorno. L'apice della fredda e
immateriale catena, proveniva dal petto del cadavere di mio padre, e
proseguiva, attraversando il mio corpo, oltre di esso, alle mie
spalle. Riuscivo solo ora a chiarire la direzione di quelle parole e
quei lemmi stessi:
«Infrangi
il legame, Eveline. Lascia andare lo spettro.»
Erano
così chiare ora le parole, ma meno chiaro era il loro
significato.
Poi ancora, quella voce familiare ripeteva il mio nome. Eve. Ed
ancora una volta, la direzione tornava ambigua.
Man
mano che la voce si faceva lontana, i miei occhi si spegnevano e
tutto ciò che vidi dopo, non furono altro che profonde
tenebre.
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Capitolo 2 *** Primo sigillo - Spettro ***
Nota
Bene eccomi di nuovo qui, con il
primo capitolo. . . non volevo lasciarvi soli con il prologo XD. La
storia comincia a delinearsi dopo questo prologo che lascia tanti dubbi
una sorta di intro, per farvi comprendere cosa dovete aspettarvi da
Chains. Comincia ad avere un inizio e spero un seguito. Presto vi
posterò anche le immagini dei personaggi!
Track
The
Noose - A Perfect Circle
Per
il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia
Love
Yu
Lunae
Primo
sigillo
Spettro
Erano
passati ben nove
anni ormai dalla morte di mio padre. Nove lunghi anni trascorsi
insieme a quella che avrebbe dovuto essere la mia famiglia, ma che io
non consideravo tale, per ovvi motivi.
Ero molto più forte
rispetto a tutte le altre diciassettenni, impegnate a farsi belle e a
curare il loro aspetto esteriore, tralasciando quell'aspetto che io
ritenevo il più importante. Un bel visino non ti salva dagli
scherzi
del destino. Devi riuscire a tenere testa al Signor Futuro e di certo
non curando ciò che è fuori. Molti umani, non lo
capiscono ancora.
Ma quelli come me, lo hanno compreso ormai da diverso tempo.
Mentre camminavo per
strada, non potevo affatto trascurare quanto i miei occhi, diversi da
tutti gli altri occhi umani, mi mostravano. Ma cercavo di ignorarli,
cercavo di convincermi, che niente di tutto ciò che vedevo
esisteva
davvero. Scuotevo appena la testa e ritornavo sulla mia strada,
stringendo morbosamente, i libri della biblioteca al petto, proprio
come se il loro calore immateriale, mi desse il coraggio di cui avevo
bisogno, per continuare a camminare. Aumentando il passo, mi
affrettavo ad attraversare l'uscio del grande ingresso della
biblioteca, dalla quale alcuni giorni prima, avevo prelevato quei
libri che proprio in quel momento tenevo stretti a me. Erano libri
particolari, che trattano dei temi, amati da molti adolescenti, e in
verità anche da molti adulti: Occultismo e mistero si
intrecciavano
in trame da documentario, che illustravano cronache ed eventi
trascorsi, che gli occultisti legavano ad eventi sopranaturali. Molto
interessanti certo, ma fino ad oggi non avevo trovato nulla che,
anche lontanamente, incrociasse il mio problema. Probabilmente ero
pazza, oppure ero l'unica al mondo che sognava ad occhi aperti cose
così orribili. Si infatti mi ero convinta che tutto
ciò di
inverosimile che i miei occhi incrociavano, era frutto di un mio
qualche problema mentale o semplicemente, del troppo stress che la
matrigna e le sue figliole adorate, che avevano tutta l'aria di
squillo di alto borgo, mi procuravano nell'arco della giornata.
Si
in fin dei conti era una buona ipotesi.
Non avevo rivelato a
nessuno questo mio problema. Fingevo semplicemente che il problema
non ci fosse. Ma tenevo un diario nascosto in camera, che chiamavo
Winslet, a cui confidavo i miei strani sogni e le mie strane visioni.
Era un ottimo consigliere, seppure muto.
Alzai il volto verso
l'immenso soffitto, decorato da travi in legno scuro e possenti
arcate, dipinte da chissà quale famoso pittore dell'epoca
rinascimentale. O si, quell'edificio risaliva al tardo rinascimento,
anzi io oserei definirlo manierista, per quelle sue azzardate falcate
di colore denso e brillante. Quegli angeli che abbracciavano famelici
le mura illusoriamente sfondate, un tipico vezzo dei pittori
dell'epoca, davvero deliziosa da guardare, tra una lettura e l'altra.
Proprio come capitava nelle stanze vaticane dipinte da Raffaello. La
stanza della Signatura, con la famosissima scuola di Atene. Ma
l'autore, era tutt'oggi sconosciuto. Si sa solo, che questo splendido
edificio, fu commissionato da un potente vescovo Italiano, che stanco
della vita corrotta della religione cristiana, voleva trasferirsi in
un luogo tranquillo, costruito solo per lui e la sua deliziosa
famigliola. Si credo volesse costruire una casa o un archivio. Ma non
riuscì nel suo “nobile” intento.
Osservando la grande
struttura, meravigliata, se non definitivamente rapita da quei
dipinti, i miei occhi caddero sul primo uomo che riuscii a scovare.
Niente visioni. Questo
mi tranquillizzò, ed un sospiro sollevato sfuggì
alle mie labbra,
dipinte di mogano. Nulla di più piacevole, di evitare quelle
strane
visioni.
Avanzai verso il
bancone, dove i dipendenti della grande biblioteca accoglievano i
visitatori. Il Signor Kellington era lì, come al solito.
Continuai a
camminare verso il suo bancone e quando lui alzò lo sguardo
verso di
me sorridente, esordendo con uno dei suoi:
« Buongiorno signorina,
cosa posso fare per lei?» io gli sbattei i pesanti libri di
cronaca
e narrativa, sulla superficie lignea del lucente banco in ciliegio,
provocando un inadeguato tonfo e disturbando tutti i presenti, come
era nel mio intento fare.
« Questi non sono i
libri che volevo io...guarda che è inutile che mi mandi quel
ragazzino con libri che io non ho mai chiesto.» dissi con
voce
sottilmente adirata.
«
Mi perdoni signorina, devo chiederle di abbassare la voce.
» mormorò
lui avvicinandosi
appena
a me, intimorito, dalla possibile reazione dei suoi
“ospiti”.Alzò
il viso, dal tipico aspetto di maggiordomo troppo invecchiato, e
sorrise ad un di loro.
« Non mi interessa
quello che vuoi chiedermi tu...piuttosto dimmi perché
continui a
mandarmi questo libro.» Dissi, rispettando minimamente la sua
richiesta e lasciando cadere il discusso libro, dalla copertina
rigida color cobalto, proprio davanti ai suoi occhi grigio vivido.
Lui lo afferrò con un certa agilità e vi diede
una rapida occhiata.
Infatti capitava spesso, che per via dei simpaticissimi impegni che
mi assegnavano in casa, io non potessi prelevare personalmente i
libri che mi interessavano. Di solito, era il “facchino
bibliotecario” che li portava gentilmente a casa mia. Ma
ultimamente, chissà per quale assurdo motivo, il ragazzino
il cui
nome era Luke, confondeva tra i libri da me richiesti, quello che
avevo appena lanciato all'uomo dietro il bancone. Lui era
già a
conoscenza della situazione, visto che il disguido era già
capitato
diverse volte.
« O ancora...ti dico
che non te l'ho mandato io questo libro, Eveline. Non so davvero
perché quel ragazzino te lo consegni di continuo. Ma lo hai
letto
almeno? » mormorò poi, dandomi del tu. In effetti
Il Signor
Kellington era solito darmi del tu, se la sua biblioteca non era
eccessivamente ricolma di gente. Quell'anziano signore lo conoscevo
da parecchi anni.
Aveva circa 62 anni,
aspetto elegante e fine, proprio come il suo volto, che ispirava
gentilezza e servilità da ogni punto di vista. Sempre in
giacca e
cravatta e con elegantissimi guanti bianchi. Sembrava un delizioso
maggiordomo, appunto.
« Non voglio leggerlo!»
alzai appena la voce e nuovamente il povero Signor Kellington mi
pregò di controllarmi. Lo esaudii visto che in un certo
senso aveva
ragione. In effetti, ci avevo solo dato una rapida occhiata. Trattava
di argomenti decisamente poco opportuni.
« Ne parlerò con quel
ragazzino appena torna. Ti farò sapere.» Disse il
gentile
vecchietto.
Lo fulminai nuovamente
per poi voltarmi innervosita, prendendo la via d'uscita, senza
volgermi a guardare, ciò che mi lasciavo alle spalle..
Mentre
aspettavo che le lentissime guardie, più che imbellettate,
con i
loro costumi di antica fattura, aprissero il grande portone color
noce, il cellulare prese a squillare all'interno della borsa, molto
spaziosa, color mattone, con decorazioni davvero esigue. Mi
creò
grande imbarazzo. In una biblioteca i cellulari vanno spenti. Il
volto dall'incarnato limpido, mi si corrugò in una smorfia
stufata e
le guance si arrossirono appena. Infilai il braccio all'interno della
spaziosa sacca, alla ricerca del Nokia 5220. Odiavo quel cellulare.
Però aveva molte funzionalità. In
realtà odiavo i cellulari in
genere. Preferivo i computer, i portatili specialmente.
Finalmente le due
immense ante si allontanarono dal loro punto d'incontro,
permettendomi di uscire celermente, da quel luogo così
silenzioso e
ammuffito, da molti detto biblioteca.
Finalmente fuori
afferrai il cellulare e lessi sullo schermo. Era un Privato.
«Pronto, qui Eveline.»
dissi forse con un po' troppa formalità.
« Eveline cosa ci fai
ancora in girooooo???» si lamentò una gracchiante
voce
piuttosto...nervosa.
« Emh....Jade?»
domandai con aria circospetta.
« Chi vuoi che sia il
Papa? Certo che sono io....» disse con un filo di calma in
più.
« Oh ciao cara...credo
che farò un po' di ritardo alla conferenza...dovevo portare
i libri
in biblioteca, ma dammi 10 minuti e sono da te.»
« Che non si
trasformino in 11...» concluse lei interrompendo la chiamata.
Io
affrettai il passo, sorridendo divertita dal suo modo isterico di
agitarsi per nulla.
°°°
h:
7.53
Jade
aspettava ansiosa
all'entrata della grande sala delle conferenze, con aria irritata dal
ritardo di Eve. In realtà erano solo passati 5 minuti dalla
sua
chiamata, ma lei aveva il brutto presentimento, che avrebbe ritardato
come al solito, di qualche minuto di troppo. Sperava di sbagliarsi.
L'unica cosa positiva, era il fatto, che i loro posti in prima fila,
erano preservati da sua sorella Greta, già seduta
lì da più di 20
minuti ormai. Stringeva in mano la cartellina della scaletta,
piuttosto nervosamente. Era una conferenza scolastica, dove i vari
rappresentati, illustravano progetti e obiettivi, del loro programma
elettorale. Lei era tra le candidate e Eve, era il suo sostegno.
Era il 2 Ottobre, non
era nemmeno passato un mese dall'inizio della scuola e già
c'erano
state discussioni piuttosto accese, sui candidati all'elezione. Era
sempre così ogni anno, e sicuramente dopo 5 anni di
permanenza
nell'istituto, non era affatto sorpresa di quanto accadeva.
Tornava a battere
nervosamente il piede sul pavimento cementato che seguiva la possente
scalinata verso la prima sala conferenze, la centrale, la
più
grande.
Sbuffò e guardò
l'orologio: le 7.58.
«Se non arriva entro un
minuto le faccio fare bungee jumping dalla Muraglia Cinese,
attaccandola per gli intestini.» mormorò tra se e
se digrignando i
denti e sorridendo amabilmente a qualche amica che si affrettava ad
entrare. Alzò gli occhi al cielo imprecando
chissà quale Dio, e
quando li riabbassò, notò la figura tanto attesa
che era in ritardo
di 4 secondi.
Ma almeno non era un
ritardo considerevole.
°°°
«Guarda
che non sono in
ritardo sono le 7.59 e 40 secondi...» dissi ironica,
conoscendo la
sua conseguente reazione altamente isterica di lei. Molto spesso
avevo pensato che il regalo giusto per lei fosse una museruola. Ma in
ogni caso le volevo bene.
«
Sta zitta che è tardi e sono nervosa...»
abbaiò Jade con passo
celere verso i posti conservati dalla sorella. A Quel punto decisi
che era meglio zittire, mentre lei mi tirava violentemente da un
polso. La grande sala sembrava non avesse termine. Aveva un pavimento
in parquet mogano, lucido ed elegante, che se calpestato, provocava
un tonfo sordo, tipico dei pavimenti in legno. Il resto della stanza
sembrava un tribunale. Ci mancava solo il banco del giudice e la
scritta in caratteri cubitali “La
legge è uguale per tutti”.
Nulla di più falso
e mordace di una battuta simile in un tribunale.
Finalmente trovammo i
posti e ci sedemmo. Jade non la smetteva di agitarsi.
Sul palco finalmente,
salì il dirigente d'Istituto che aveva una logorroica
parlantina,
poco gradita dai più. Faceva qualche battuta ogni tanto, ma
tutti si
limitavano al solito sorriso di circostanza. Anzi molti non ridevano
affatto, annoiati com'erano.
« Vuoi calmarti Jade?
Fai innervosire anche me se fai così...» commentai
fermandole il
frenetico movimento della gamba con una mano.
«Si certo....ci
provo...» asserì lei con gli occhi fissi sul
palco, distruggendo il
suo povero labbro inferiore. Scuotei il capo tornando ad osservare
anch'io il palco.
Dopo la sua lunga
arringa, da cui fuggì deluso, finalmente i primi candidati.
In
ordine alfabetico, presentarono le loro liste e i progetti in
cantiere. Io e Jade eravamo alla lettera T, dal suo cognome Thompson.
Il mio,Logan, non contava visto che non ero candidata.
Aspettammo circa 15
minuti prima di poter salire sul palco, dalla scalinata laterale, 15
minuti in cui Jade non si era data pace. Arrivò al banco che
quasi
tremava, mentre io al suo fianco la incalzavo a parlare.
Prese un respiro
profondo e cominciò il suo discorso.
«Buongiorno a tutti i
presenti. Mi chiamo Jade Thompson e propongo la mia candidatura
per... »
Lei continuava a
parlare, mentre io annuivo soddisfatta che non si stesse inceppando,
com'è era spesso accaduto durante le prove. Guardai in basso
verso
Greta, sua sorella. A stento le prestava attenzione. Era li immobile,
non sono nemmeno sicura stesse respirando. Volto pallido e sempre
indifferente a tutto quanto.
Portava la sua lunga
treccia castana sulla spalla sinistra e il viso era caratterizzato
dai sottili occhiali neri. Mi domandavo come mai, pur essendo
gemelle, quelle due ragazze erano una l'opposto dell'altra. Jade era
vitale, un po' isterica ma simpatica e amava vivere e aiutare le
persone più che poteva. Greta invece era...spenta. Forse
questo suo
menefreghismo era dovuto al comportamento poco carino dei genitori.
Infatti ormai, le due ragazze vivevano da sole, visto che i loro
genitori lavoravano in continuazione, fuori città. Grata non
deve
averla presa troppo bene.
Corrugai la fronte
perdendomi nei miei pensieri e quasi ignorando il discorso di Jade.
Non capivo nemmeno dov'era arrivata. Cercai di prestare un po' di
attenzione alla copia della scaletta che avevo in mano e notai con un
certo sollievo che lei procedeva benissimo. Alla fine della prima
presentazione, le diedi il malloppo di fogli appena stampati, con
tutti i punti relativi al suo programma.
Il mio lavoro in
effetti era finito lì. Una corsa incredibile e un'ansia
pazzesca,
solo per sostituirle i fogli sul banco. Che cosa inutile, davvero.
Spostai lo sguardo verso l'altra parte della sala, la porta si era
aperta. Erano entrati i soliti ritardatari, che vidi scorrere
velocemente verso i posti che erano rimasti infondo. Ma l'uscio
rimase socchiuso.
Assottigliai lo sguardo
in sua direzione per cercare di capire se era rimasto in quel modo,
perché stava per entrare un'altra persona.
Cominciai a sentire uno
strano ronzio nella mia testa, pensai fosse qualche malfunzionamento
del microfono, così mi allontanai di poco. Ma il brusio
continuava.
Era come se nel mio cervello ci fosse un apparecchio elettronico sul
punto di rompersi definitivamente. Cercai di farlo sparire scuotendo
la testa e socchiudendo gli occhi. Il suono si alleggerì.
Gli occhi
tornarono verso la porta. Era entrato un ragazzo. La sua figura
spiccava tra tutte le altre. Una perla nera tra migliaia di perle
bianche. Giacca rossa in pelle e il resto degli abiti batteva sul
nero. La sua pelle era pallida, i suoi occhi, erano troppo lontani
perché io ne potessi distinguere il colore, eppure mi
sembrarono
splendidi anche quelli, mentre i cuoi capelli erano neri, particolari
visto il taglio, folto sulla parte centrale e alleggerito sui lati.
Ma non fu la sua bellezza che mi sorprese. Fu l'essere che sembrava
seguirlo, ammanettato da una catena rossa, direttamente collegata al
corpo di quel ragazzo.
Era orribile.
Non capivo cosa fosse ne
tanto meno se umano oppure no.
Basso con il corpo
sottile curvato in avanti come un gobbo, ed un testone bianco, che
aveva tutte le sembianze di un teschio, sulla quale spiccava un
cilindro somigliante a quello dei prestigiatori.
Mi sentii trasalire.
Era come quelli che
spesso vedevo tra la gente. Ma lui era peggiore ed io sentivo di
avere paura.
Il brusio nelle orecchie
aumentò di frequenza fino a che non mi costrinse ad
inginocchiarmi,
per una perdita di equilibrio improvvisa. Jade arrivò subito
a
soccorrermi, ma quando cercai la figura di quel ragazzo in
lontananza, non vidi altro se non un esercito di quelli strani
esseri, a cui, durante questi nove anni, avevo dato il nome di
Spettri.
|
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Capitolo 3 *** Secondo Sigillo - Lettera dall'Inferno ***
Nota
Bene bene, questa volta
vi do un pò più da leggere. E' un capitolo bello
pieno, qualcosa accade, qualcosa si spiega, qualcosa rimane in sospeso.
La nostra eroina comincia a trasportarci lentamente nel suo mondo, e
spero che trasporti tutti voi che lo leggete.
Aspetto vostre risposte e vostri pareri!!!
Tracks
Billy Talent - The Dead can't testify
Frou Frou - Must be dreaming
Per
il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia
Yu
Lunae
Secondo
Sigillo
Lettera
dall'Inferno
Al mio risveglio mi
ritrovai in una stanza luminosa, protetta da tende bianche e sottili.
Sbattei un paio di volte le palpebre perché la luce mi dava
fastidio, e quando finalmente mi ci abituai mi alzai per vedere l'ora
dall'orologio sul comodino accanto al mio letto.
Era ormai l'ora di
pranzo, anzi era molto più tardi. Erano le 14.00. Scossi la
testa e
scesi i piedi dal letto per infilarmi le Converse rosse che indossavo
da prima. Feci un paio di passi in avanti, scostando le tendine.
Nella camera c'era uno specchio e mi accinsi a raggiungerlo, per
vedere, in quale stato pietoso era ridotta la mia faccia.
Come immaginai, il mio
riflesso non mi deluse.
I capelli corvini
discendevano appena mossi sulle punte, lunghi fino a quasi sfiorare
il petto, mentre la frangia andava un po' per i fatti suoi. Cercai di
aggiustarla con le mani e mi arrangiai. Non potevo chiedere di meglio
per ora. Sotto gli occhi, altrettanto neri, si evidenziarono 2
pesanti occhiaie, che sfiorai con le dita delicata. Non avevo affatto
un bell'aspetto.
Proprio in quel momento
entrò l'infermiera della scuola che noi chiamavamo
Ironicamente
Madame Butterfly per il suo fisico un po'...robusto.
«Come va signorina?»
chiese gentilmente lei.
«Credo di stare meglio
ora. Posso sapere che mi è successo?» chiesi io
mentre proprio ora
mi voltavo ad osservarla. Non era poi così grossa. Difatti
non avevo
mai capito come mai avesse un soprannome simile. Forse ultimamente
era dimagrita. Mah...
«Oh beh, sei svenuta
sul palco davanti a circa 1200 persone mentre la tua amica presentava
la sua scaletta.» disse lei sorridendo.
Avvampai in viso. Ora
ricordavo, una di quelle stupide visioni. Addirittura mi avevano
fatto svenire davanti a così tanta gente. Che figura.
Raccolsi il
viso tra le mani, lamentandomi di quanto fossi stupida, mentre Madame
Butterfly rideva sonoramente.
«Eveliiiiiiiiine!!!»
mi sentii chiamare insistente. Ero sicura che fosse Jade. Difatti
entrò nella camera sbaragliando l'infermiera come se fosse
una
pallina da ping pong.
«Eveline che ti è
successo???? mi hai fatto preoccupareeeeeeee....»
asserì quasi
piagnucolante.
Io tra il riverito e il
perplesso annuii con il capo.
«Sono svenuta...»
ammisi e dovetti accogliere il suo sguardo ghiacciante, non molto
volentieri però.
«Lo avevo notato
anch'io...non sono così stupida.»
Girai gli occhi come per
dissentire. Le mi allontanò offendendosi e ritirandosi in un
angolino. Solo così riuscii a vedere che alla porta c'erano
anche
sua sorella Greta e un nostro compagno di classe che si era allarmato
evidentemente.
«Eveline cara come
stai...?» mi disse lui. Non era quel che si dice essere un
eterosessuale.
«Bene James grazie!»
Gli dissi sorridendo. Era molto dolce il suo modo di comportarsi e
per questo motivo aveva ragazze a flotte che gli stavano appiccicate.
Talvolta gli omosessuali sono così fortunati.
«Oh mamma mia mi sono
preso un grosso spavento quando ti ho vista accasciare a terra il tuo
bel sederino.» disse lui con la solita vocina stridula ed
effeminata.
Io alzai un
sopracciglio. «Oh...ma tranquillo sto bene. Anche il mio
sederino
sta bene. Sono solo un po' stanca...» annuii e Jade
tornò
all'attacco.
«Ma se ti sei appena
svegliata come fai ad avere sonno?» chiese lei incredula ed
io feci
spallucce. Ero stanca e basta non c'era un vero e proprio motivo.
Più
che stanca ero scossa. Ma il termine stanca era più che
sufficiente.
«Oh si dovremmo
accompagnarla a casa...» intervenne James. Io cercai di
rifiutarmi
ma Jade era già stata travolta dall'entusiasmo e io non
potei fare a
meno di accettare.
°°°
Tornammo
a casa, tra una
risata e l'altra, ( naturalmente quelli che ridevano eravamo solo
io,Jade e James visto che Greta non conosceva nemmeno lontanamente il
concetto di risata...) e sapevo già che la mia adorata
matrigna,
Hanne, da tutti i miei amici chiamata simpaticamente Crudelia, per
via della sua pettinatura ambigua e del suo carattere
appunto...crudele, sarebbe andata in escandescenza.
Davanti ai nostri occhi,
si presentò una grande reggia, dall'intonaco bianco, reclusa
in un
vasto recinto in ferro battuto, che si riuniva in un maestoso
cancello di antica fattura. Quella casa fu di mia padre e della mia
famiglia quando erano tutti ancora in vita. Al cancello mi aspettava
il signor Grey, nostro maggiordomo da prima ancora che io nascessi.
James aggrottò la
fronte nel vedere che eravamo già a casa. « Oh
povera cara Eve. Ti
prego ignora quella bacucca e vai subito in camera tua. Non voglio
che ti stressi.» disse lui gentilmente e come al solito io mi
intenerii.
« Si la checca ha
ragione...entra in incognito e scappa in camera.»
Annuì Jade
determinata.
Ma io sapevo che dietro la finestra c'era già la
Crudele Crudelia e spiarmi, attendendo l'istante in cui avrei varcato
la porta d'ingresso per rimproverarmi del ritardo, o comunque di
qualche cosa campata per aria che aveva messo su nelle ultime ore in
mia assenza.
Salutai tutti quanti più
o meno sorridente,e li accompagnai con lo sguardo mentre si
allontanavano verso il tramonto. Era già così
tardi?
Mi affiancai al Signor
Gray mentre lui richiudeva le ante del cancello e mi precedeva lungo
il vasto viale fiancheggiato da abeti invernali.
Mi voltai felina e vidi
Hanne sull'uscio dell'ingresso. Non aveva nemmeno aspettato che fossi
entrata in casa per paralizzarmi con i suoi occhi verdi e vispi, ma
freddi come il tagliente ghiaccio nordico. Mi rabbuiai.
«Alla buonora
signorina.» Asserì lei con la sua voce melliflua e
terribilmente
inasprita.
«Sono rimasta a scuola
per sbrigare alcune faccende.» Mentii sfilandole accanto,
quasi
ignorandola totalmente, mentre lei mi osservava severa. Me ne
infischiavo.
«Sono stanca di non
essere ascoltata da te, Eveline Logan, e dei tuoi comportamenti
menefreghisti, nei miei confronti, nei confronti delle tue sorelle e
dei tuoi doveri.» disse lei accarezzando il fastidioso
barboncino
che le abbaiava ai piedi. Strinsi i denti trattenendomi dal dire
qualcosa di spiacevole.
«Non vedo il motivo per
la quale debba considerare voi la mia famiglia e soprattutto i vostri
doveri come miei. Mio padre ha lasciato tutto a lei, Madame Logan.
Questa casa, tutto il denaro di mio padre, le sue azioni. Tutto
questo non mi riguarda. Voglio solo il mio spazio di silenzio
in...»
«Questa casa è anche
la tua casa e fino a quando non avrai compiuto i 18 anni farai quello
che dico io, e qui non si discute. Ora fila nel tuo squallido
“spazio
di silenzio” e attendi la cena.» disse lei
interrompendomi
bruscamente e subito dopo dandomi le spalle, cominciando ad
allontanarsi.
«Non ho fame.» dissi
io con un filo di evidente rabbia nella voce, per poi affrettarmi a
raggiungere il secondo piano, dove avrei trovato la mia camera.
Non so quale fu la
reazione di lei, visto che entrai in camera così velocemente
da non
accorgermi nemmeno di Sue e Lauren che chiacchieravano allegre nel
lungo corridoio. Appena in camera mi buttai sul letto e mi
rannicchiai su me stessa in posizione fetale. Non piangevo, non ne
valeva la pena. Non valeva la pena nemmeno arrabbiarsi ma per lei
sembrava inevitabile. Non era affatto giusto l'atteggiamento che la
mia matrigna assumeva nei miei confronti. Sembravo tanto una piccola
Cenerentola. Solo che non aspettavo il Principe Azzurro, cosa a cui
non credevo affatto, aspettavo di piantare in asso tutto per non
rivedere mai più nemmeno un capello di loro. Ma non sapevo
che in
realtà un Principe Azzurro, era lì da qualche
parte ad osservarmi.
Toc Toc
La porta rintoccò due
volte ma i maleducati ospiti non aspettarono alcun permesso per
entrare in quella stanza.
« Hei Signorina che
razza di libri ti fai portare dal moccioso della biblioteca?»
disse
Sue con quella sua aria un po' troppo superba. Aveva lunghi boccoli
biondi che le lambivano il collo denudato dall'ampia scollatura,
occhi sottili e verdi proprio come sua madre. Taglienti.
Io mi voltai stizzita
per mandarla via, ma il i miei occhi ricaddero sul libro che aveva
tra le mani. Ancora lui.
«Come hai avuto quel
libro?» le chiesi spalancando gli occhi quasi spaventata
dalla
presenza di quel tomo. Mi alzai e mi avvicinai a lei per prenderlo.
«Te l'ho detto, lo ha
lasciato quel bambino che viene sempre a portarti i libri.»
si
limitò a ripetere, poi annoiata dalla mia espressione
perplessa,
scosse la testa e se ne andò dalla mia stanza. Gesto da me
molto
gradito.
Mi allontanai dalla
porta di qualche passo, mentre dalla finestra ancora spalancata,
raggi di sole morente penetravano egoisticamente le tende bianche che
svolazzavano gioiose verso di me.
Carezzai la copertina
del libro come se qualcosa mi stesse invitando ad aprirlo. Ma io lo
avevo già aperto mille volte e li nulla, aveva attirato la
mia
attenzione a tal punto, da poterlo definire, qualcosa di strano o di
diverso.
Pervasa da un senso di
rabbia istintiva, lanciai il tomo verso la finestra. Ovunque fosse
capitato non mi importava. L'importante era non rivederlo
più ne in
camera ne tra le mie mani. Mi avventai contro le ante della finestra
e le richiusi violentemente, provocando un brusco tonfo. Rimasi ferma
davanti ai suoi vetri, osservando il cielo tremante di nuvole, che
ormai il sole, non colorava più con i suoi toni perversi e
inquietanti. La sua tela prediletta, ora, diventava buia.
Nel riflesso del freddo
vetro riuscii a scorgere un immagine. I miei occhi ferventi d'ira,
bruciavano dalla voglia di vendetta, ma come al solito, qualche
istante dopo, quell'ira scomparve lasciando spazio ad immensa
tristezza e nostalgia.
Il volto dietro la
maschera.
Mi allontanai dalla
finestra celandola oltre il semplice tendaggio, forse il più
semplice di tutta quell'immensa casa, e mi preoccupai di riordinare
la camera. Non perché ne avessi voglia, ma semplicemente
perché
quelle innocue azioni, mi distraevano da tutti i miei pensieri.
°°°
Quando
mi addormentai,
la luna aveva già attraversato gran parte del suo immenso
giardino,
accompagnata da stelle immote e dormienti.
Ma
i miei sogni come
tutto il resto della mia vita, erano un tormentato aspetto della mia
esistenza.
Eve
cara sei troppo ostinata. Non ascolti mai...
Il
pianto di una bambina echeggiava in sottofondo. Non c'erano volti
precisi, non c'era una persona definita...
Ma
io volevo prenderti quel fiore mamma. Ti piacciono così
tanto gli
Iris
Bambina
mia, io ho già l'Iris più bello che una madre
possa desiderare.
Davvero?
Ma io non l'ho mai visto...
L'immagine
sfocata di una donna che abbracciava una bambina e l'alzava verso uno
specchio, cominciò a delinearsi, in modo distorto e poco
chiaro.
Guarda
Eveline è proprio qui davanti a te. E' uno splendido Iris
azzurro,
grande e pieno di petali. Ma non tutti riescono ancora a vederlo,
perché lui sa nascondersi bene in ognuno di noi, ed inganna
la gente
con il suo delizioso scudo, e sa che alla gente comune quella
protezione sembrerà deliziosa. Ma arriverà un
giorno qualcuno che
non si fermerà ad osservare lo scudo, ma cercherà
oltre di esso. Lo
splendido fiore che c'è in ognuno di noi...
La
figura nello specchio divenne più nitida.
Era
una donna molto giovane dall'aspetto serafico e dal sorriso gentile,
con lunghi capelli biondo grano che le carezzavano il viso pallido
con ricci poco composti. Stringeva a se una bambina, con un caschetto
nero e grandi occhi azzurri, che osservava estasiata lo specchio,
cercando ciò che quella donna le suggeriva di rintracciare.
Qualcuno
che troverà il mio Iris...
la
loro voce divenne un lontano mormorio e anche le loro immagini, pian
piano si dissolsero
,
scomparendo nella foschia.
Nel
buio seppure
assonnata riuscii a riconoscere qualcosa. Non intesi bene a cosa
rimandasse quell'ombra tetra che inghiottiva la poca luce nella mia
camera, ma quel cilindro che aveva sulla testa mi sapeva di
familiare.
°°°
Quella
mattina mi
svegliai con la fronte impregnata di sudore freddo e la pelle secca
sulle guance. Evidentemente durante la notte qualche lacrima era
sfuggita al mio controllo ed aveva rigato il mio viso.
Capitava, anche troppo
spesso.
Mi voltai verso la
sveglia e notai che era ancora presto. Circa le 6. Difatti fuori il
cielo cominciava a liberarsi dalla pesante tinta della notte,
puntando su un cobalto molto più genuino. Mi alzai con tutta
calma
dal mio letto, e mi diressi svelta verso l'armadio per scegliere,
cosa mi sarei messa quella mattina. Confidai che un paio di jeans e
una maglietta a maniche lunghe fossero più che sufficienti.
Mentre
mi dirigevo in bagno voltai lo sguardo verso la scrivania e non
credetti a quanto i miei occhi mi stavano rivelando.
Quel libro era ancora
lì.
Lasciai cadere i libri
delle lezioni di oggi, che stavo sistemando nella cartella,e mi
fiondai sulla scrivania, per afferrarlo ed osservarlo proprio come se
non l'avessi mai visto.
Pensai subito ad una
gentilezza di Lauren, la sorellastra più piccola che
sicuramente era
meno acida e più disponibile delle altre due donne di casa.
Ma lei
non era solita uscire in giardino dopo il tramonto, visto che odiava
il buio. Nonostante questa constatazione, non avevo voglia di
declinare la mia ipotesi, e continuai a pensare che fosse merito suo.
Così mi decisi a
riportarlo in biblioteca come facevo sempre e mi affrettai a
ripiegare sugli ultimi preparativi.
Uscii dalla mia stanza
forse un po' troppo rumorosamente e notai che Sue era già
sveglia e
gironzolava per il corridoio con i suoi bigodini rosa confetto, tra i
capelli biondo platino. Mi vide e fece spallucce, probabilmente
chiedendosi il motivo di tanta foga. Ma di certo non avrebbe mai
avuto la voglia di chiedermi direttamente qualcosa che riguardasse
esclusivamente me.
Scesi le scale in gran
fretta e cercai di passare inosservata uscendo dalla porta sul retro.
Ma fallii visto che Crudelia era già in piedi come la sua
amata
figliola.
«Ci siamo svegliate
presto stamane.» si limitò a dire lei pacatamente.
Io mi voltai ed
annuii.
«Si devo passare dalla
biblioteca prima di andare a scuola. Devo lasciare alcuni libri.
dissi e non capii nemmeno il motivo per la quale le stessi dando
spiegazioni.
«Vediamo di non tardare
questa sera, almeno cenerai con ogni tanto.»
Io non ci tenevo
granché, ma avevo fretta di andare quindi annuii e passai
per la
porta principale, visto che la mia copertura era saltata. In gran
fretta mi misi a correre lungo il viale, verso il grande cancello e
finalmente raggiunsi la strada che affrontai con passo celere.
°°°
Nonostante
fossero
ancora le sette del mattino, la strada era già affollata
proprio
come se nell'ora di punta, le tredici. Non mi meravigliai molto, la
strada della biblioteca era circondata da grandi palazzi, dove
avevano sede diverse agenzie. Era piuttosto normale un traffico
simile a quell'ora.
Rallentai appena visto
che ero quasi arrivata. Ma con mia grande delusione, notai
già da
lontano che l'ingresso era ancora sigillato. Non era ancora aperta.
Sbuffai
Effettivamente era
prestino. Di solito la biblioteca non apriva prima delle 8 e difatti
cominciai a chiedermi come mai non me ne fossi ricordata prima.
Beh la foga era troppa.
Una distrazione ammissibile e perdonabile.
Non le rimase che
riprendere la strada per la sua scuola, con passo più
tranquillo
questa volta.
Se
ti va puoi lasciarlo a me quel libro. Lo porterò dentro
quando la
biblioteca sarà aperta....
Una strana voce fermò
il mio incedere. Non l'avevo mai sentita prima e a dir la
verità, mi
parve così sommessa che mi sembrava qualcuno avesse parlato
direttamente nella mia testa. Mi voltai cercando la fonte di tale
affermazione. L'unica figura abbastanza vicina da farsi sentire, era
quella di un ragazzo a qualche metro da me. Lo squadrai con
attenzione.
Il
suo volto.
I
suoi capelli.
I
suoi occhi.
Quella
sensazione di disagio.
Le
avevo già sentite.
«
Scusami...mi hai
forse detto qualcosa?» chiesi con sguardo perplesso,
dimenticando
addirittura le buone maniere. Ma ero troppo rapita da lui per
ricordarmene.
«Ti ho chiesto se vuoi
lasciarlo a me. Lo riporterò dentro appena la biblioteca
avrà
aperto...» disse lui con voce profonda e gentile, allargando
un
sorriso malizioso, che aveva tutta l'aria di essere solo di
circostanza.
«Oh...Oh si mi faresti
un grosso favore.» dissi io sorridendo amichevole facendo per
avvicinarmi a lui, così da porgli il tomo. «Io
devo andare a scuola
e non posso aspettare e per quest...»
«...ma anche se lo
riportassi in questa biblioteca, sono sicuro che ti tornerebbe
indietro un'altra volta.» mi interruppe lui perpetuando lo
stesso
sorriso, che ora assumeva persino note beffarde.
« Come?» chiesi io
quasi balbettando sorpresa.
«Sei ostinata
Eveline...» ammise lui e queste parole mi raggelarono il
sangue. «Ti
darò un aiuto se proprio non capisci perché alla
fine questo libro
torna sempre nelle tue mani.» sorrise sghembo inarcando un
sopracciglio ed estraendo una mano dalla tasca per portarla verso il
libro che tenevo io. « Ti sei sforzata di cercare qualcosa
che fosse
al suo interno, ma mai hai provato ad osservarne l'aspetto.»
spiegò
lui enigmatico. «Chi ti ha detto che un libro non si giudica
dalla
copertina?» concluse per poi lasciar scivolare la mano nella
propria
tasca ed allontanarsi nella direzione opposta alla mia.
Rimasi sgomenta per
qualche istante, mentre lo seguivo con lo sguardo, si allontanava.
Non avevo la forse di parlare e a stento respiravo.
Abbassai lo sguardo
verso la copertina del libro e l'osservai attenta. Non mi sembrava ci
fosse qualcosa di strano. Lo rigirai e rigirai, ma ancora nulla.
Quando rialzai lo sguardo per cercarlo, lui non c'era già
più.
Non rimasi più di
tanto a pensarci sopra. Era tardi e dovevo andare a scuola. Rimisi il
libro nello zaino e presi a correre verso l'istituto. Un lontano
campanile, rintoccava otto apatiche volte.
°°°
Le
lezioni furono
piuttosto noiose, ma per fortuna c'era Jade con me che alleggeriva i
miei pensieri come al solito.
Durante l'ora di pranzo,
al nostro gruppo si unì anche James e finalmente potevamo
rilassarci
qualche minuto.
«Ma che razza di voti
da quella vecchie baldracca della Berger. Io meritavo molto di
più!»
lamentava Jade mentre James come al solito rideva. Con un occhiata
furbetta lei lo colse in fragrante mentre mandava un SMS.
«A chi scrivi?» chiese
insospettita mentre si avvicinava silenziosa. «Al tuo
Boyfriend?»
spostò appena lo sguardo sul display del cellulare quando
James
cominciò ad urlare come una femminuccia, tanto che quasi mi
fece
affogare.
«C'E' IL TIPO DI 5A
NELL'ALA EST DEL GIARDINO!!!!!» esclama con troppo entusiasmo
attirando l'attenzione di molte ragazze che si voltarono verso di
lui, domandandosi se ciò fosse vero o meno. Molte di loro
emigrarono
in zona Est per vedere il belloccio della scuola ed anche James e
Jade ebbero la stessa idea.
«Dai Eve vieni con
noi!» disse con occhi lucidi e teneri lei, mentre io declinai
gentilmente l'offerta, visto che non ero molto interessata Loro
fuggirono portandosi dietro anche la povera Greta, indifferente anche
al belloccio della scuola.
Rimasi sola.
Le parole di quel
ragazzo mi ritornarono in mente, così ne approfittai per
riprendere
in mano la questione “Libro del mistero”.
Già per una volta il
mio libro non trattava del mistero, ma era un vero e proprio mistero
di per se.
Lo afferrai farfugliando
nell'ampia borsa e finalmente lo trovai. Esaminai la copertina ancora
una volta, cominciando ad innervosirmi. D'improvviso un lampo di
genio. Aprii il libro esaminando la rilegatura all'apertura, ma
nulla. Così puntai verso la rilegatura alla fine, ed
effettivamente
notai una rientranza. Vi passai sopra i polpastrelli, delicata e
sentii che li sotto c'era qualcosa.
Con l'aiuto di un
taglierino portai via la rilegatura color terra di Siena, e notai un
vecchio foglio appena stropicciato. Lo afferrai. Aprendolo riconobbi
subito la scrittura. Ma solo alla firma ne ebbi conferma. Incredula
lasciai cadere il libro sul prato inglese, su cui ero seduta.
La firma era proprio la
sua.
Venusia
Jane Rosemberg
Mia
madre.
|
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Capitolo 4 *** Terzo Sigillo - Alienazione parte I ***
Nota
Eccomi di
nuovo qui con la prima parte del terzo capitolo. L'ho divisa in due
perché temevo fosse troppo lungo e poi la seconda parte la
devo meglio rivedere. Bene ora, la nostra cara Eveline ha scoperto la
strana lettera nel libro della biblioteca e ci ha messo su le mani per
leggerla. Nuovi dubbi e rivelazioni che continuerano presto nella
prossima parte.
Tracks
Diary of Dreams - The
Valley
Diary of Dreams - Oblivion
Per
il resto, Buona Lettura.
Spero Vi Piaccia
Love
Yu Lunae
Terzo
Sigillo
Alienazione
parte I
Mia
cara Eveline
Speravo
nella pace eterna dopo la morte, eppure, non trovo pace in nessun
luogo.
Rinchiusa
oltre queste sbarre ardenti e nere, sporche di cenere, il cui sospiro
non viene da nessuna fiamma, ho atteso per lungo tempo, ho domandato
quale fosse il mio peccato, e non ne ho ricevuto alcuna risposta.
Poi
un giorno, ho capito.
Non
sconto le mie colpe oltre queste sbarre ma quelle di colui, che in
vita, amai più di chiunque altro. Ho sentito il tuo dolore,
madido
di lui alla sua ultima spira. Ed è lì che
iniziò il tuo tormento,
vero figlia mia? Non dovevo permettere a tuo padre di fare
ciò che
fece a suo tempo. Perdonami bambina mia. Ora so perché la
mia anima
non avrà pace. Ora so di meritarlo.
So
che ciò che sto per dirti, ti turberà, ma ormai
sei grande e puoi
sapere, puoi sopportare.
La
mia Lugubre Dimora è immersa nell'Oblio e nel caos assoluto.
Le
pecore che pascolavano nel nero gregge hanno perso il loro pastore,
dannato in eterno. Non c'è traccia di lui qui.
Nessuno
sa dov'è, nessuno sa se tornerà mai. Ed il suoi
regno è disperato
come lo sono io, poiché dell'anima di tuo padre, non
c'è traccia
tra gli spiriti.
Non
è suddito di alcun re, ma temo, sia lui stesso re di un
reame che
non gli appartiene. Ed ha coinvolto anche te nella sua spudorata
diavoleria. Cercalo Eveline.
Cerca
tuo Padre e fa si che si penta di ciò che sta facendo.
Con
amore
Venusia
Jane Rosemberg
Rimasi immobile e quasi
dimenticai che era necessario respirare di tanto in tanto mentre i
miei occhi scorrevano tra le righe confuse e poco chiare, scandite da
una calligrafia elegante che per me era impossibile non riconoscere.
Eppure non potevo
credere ad una cosa del genere. Doveva essere uno scherzo, uno
scherzo di cattivo gusto, architettato da qualcuno che non aveva
nulla di meglio da fare. Ma perché a me?
Perché mia madre?
Le mie mani tremavano
mentre cercavo di tenere fermo quel ridicolo pezzo di carta
giallastra, sulla quale vi erano vergate parole senza senso alcuno.
Non era possibile.
Non era giusto.
Lascia
andare lo spettro, Eveline.
Te
lo avevamo detto che dovevi lasciarlo andare, ragazza.
Non
ci ascolti mai, vero Eve?
Sentivo quelle voci,
così soffuse, profonde, che man mano scemavano per fare
spazio ad
altri mormorii ambigui e pressanti. Strinsi il foglio e mi raccolsi
la testa tra le mani. Ma quelle voci non la smettevano di
rinfacciarmi il misfatto.
Sciocca
non ti nascondere a noi, non ti nascondere all'evidenza.
Devi
essere forte e non piagnucolare come se fossi una bambina.
Non
sei più una bambina.
Mormorai, cercando di farle stare zitte, e quel fischio che avevo
sentito tanto spesso, tornò acuto a folgorarmi.
Cercai di alzarmi
raddrizzando le gambe e barcollando inizialmente, cedendo di due
passi alle mie spalle, accolta sulla ruvida corteccia di un pesco.
Sentivo gli occhi bruciare e la voce tremante. Non avevo la forza di
muovermi da lì. Eppure volevo andarmene, volevo che la
smettessero
di parlarmi. Erano anni che chiedevo loro di zittire, ma più
imploravo quelle voci, più aumentavano. Fino a che nelle mie
orecchie non si era venuta a creare la stessa confusione che
c'è
all'ora di pranzo in un Fast-Food.
...Tacete...
Le sentii zittire tutte
insieme, come se qualcuno avesse spento all'improvviso, una radio
troppo petulante, all'interno del mio povero cervello. Sospirai, e mi
rilassai su quel tronco, che forte, mi sorreggeva. Allungai lo
sguardo verso il gruppetto di ragazzi e vidi che i miei amici stavano
tornando da me. Mi chinai verso il libro e la lettera, per
raccoglierle e nasconderle. Guardai ancora una volta quel pezzo di
carta con disprezzo, e poi lo accartocciai nella mia borsa.
Tra gli oggetti che
allontanavo per far spazio a quel libro, vidi uno specchietto e, mi
resi conto di una sgradevole sorpresa.
Piangevo.
Arrivai a casa esausta
ormai e riuscii a stendermi sul materasso, tra le lenzuola morbide e
fresche che avevo appena cambiato.
Per tutto il resto del
giorno, non avevo fatto altro che pensare a chi sarebbe potuto esser
stato l'ideatore di quel maledetto scherzo, poiché per me,
come per
chiunque conservasse un minimo di razionalità, quello non
poteva
essere altri se non uno scherzo. Ma come potevo io sperare che in me
fosse rimasta anche la più remota idea del razionale. Io che
di
razionale non avevo nemmeno l'apparenza. Chiusi gli occhi e presi a
massaggiarmi le tempie, agitata e nervosa. Chi poteva essere stato a
fare una cosa del genere? Jen? Lauren? No nemmeno loro erano capaci
di tanta cattiveria. La sua Matrigna? No lei non era una persona
così...scherzosa. I suoi amici nemmeno li includeva. Non era
possibile.
Ma allora chi?
Pensai per un lungo
minuto che sembrò risultare interminabile. Sentivo accanto a
me la
lancetta dell'orologio analogico, dallo stile sobrio e ordinario,
avanzare lentamente, come se avesse paura ad aumentare la sua corsa.
Qualche particolare
tralasciato mi tornò alla mente e non fu piacevole.
Una luce d'ira mi
illuminò le iridi. C'era qualcuno che non avevo considerato.
Colui
che sin dall'inizio insisteva affiché leggessi quel libro.
Affinché
mi accorgessi dell'insulso pezzo di carta invecchiata. Il ragazzino.
Mi alzai di scatto dal
materasso, con un colpo di reni piuttosto secco, e rimasi seduta
qualche istante di troppo su di esso. Ragionai.
Doveva essere stato per
forza lui, non c'erano alternative. Era stato lui che mi aveva
portato il libro per la prima volta, e man mano ogni volta che lo
riportavo in biblioteca, puntuale il ragazzo ritornava a restituirlo.
Sfiorai la fronte imperlata di freddo sudore e mi alzai così
velocemente che ebbi un fugace attimo di smarrimento.
Scossi la testa per
riprendermi e a tentoni cercai la giacca e la borsa, che nemmeno mi
curai di indossare. Avevo troppa fretta per futili particolari. Scesi
le scale a gran velocità, che quasi rischiai di cadere e
raggiunsi
la porta con altrettanta foga.
Non diedi nemmeno
spiegazioni al maggiordomo che mi veniva incontro, né alla
mia
matrigna che stava per aprire bocca. Per fortuna fuggii in tempo.
Sfrecciai lungo il viale alberato, mossa dalla rabbia e dall'odio.
Possibile provarne tanto?
Correvo, rapida lungo la
strada scansando i passanti, attraversando senza nemmeno guardare se
le macchine arrivassero o meno. Il vento mi scompigliava i capelli,
sciolti distrattamente sulla mia schiena e li allontanava dal mio
viso. Appena mi resi conto di essere più vicina alla mia
meta,
rallentai, continuando ad evitare le persone che passeggiavano
tranquille, o almeno più tranquillamente di me. Sentivo il
cuore
sussultare troppe volte e a quel punto decisi di fermarmi
definitivamente. Ansimavo ormai e cercavo di prendere quanta
più
aria possibile, mentre il mio petto si sollevava e si abbassava
ritmicamente. Sentivo la lingua secca e così la gola tanto
che l'ossigeno sembrava graffiarmi la trachea.
Alzai lo sguardo verso
l'edificio che ora mi trovavo di fronte, la biblioteca. Era aperta e
le due guardie stavano li ferme come salami a proteggere l'entrata.
Credo che la loro presenza fosse un semplice strumento di decorazione
o almeno questo mi sembrava. Che cosa si poteva rubare in una
biblioteca?
Scossi la testa e una
volta ripresa abbastanza aria presi a camminare verso la porta e i
due, che ormai mi conoscevano perfettamente, mi lasciarono passare.
Attraversai il metal detector poggiando sull'apposito banco a
sinistra la mia cinta e la mia giacca, che altrimenti avrebbero fatto
scattare l'allarme.
Una volta raggiunta
l'altra parte e recuperate le mie cose, mi incamminai verso il banco,
occupato dal mio conosciutissimo bibliotecario.
sbottai e sembrò sobbalzare tanto che i suoi occhialini gli
si
spostarono dal naso fine ed elegante.
disse con
voce pacata e sommessa, così che solo io potessi udirlo.
< Dov'è il ragazzino
che porta i libri a casa mia?> chiesi quindi moderando i toni,
che
nonostante tutto rimasero appena adirati.
alzai
ancora la voce, sbigottita, e mi scusai subito.
.
Questo mi suonava tanto
di scusa.
|
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Capitolo 5 *** Terzo Sigillo - Alienazione parte II ***
Nota
Dunque, ecco qui la seconda
parte del terzo capitolo. Nuove scoperte per la nostra Eve,
che finalmente sembra aver trovato chi risponderà a tutte le
sue domande.
Track
Diary
of Dreams - The Valley
Questo è quanto,
buona lettura
spero Vi piaccia
Love
Yu Lunae
Terzo
Sigillo
Alienazione
parte
II
Lasciai
la biblioteca
più nervosa di prima e cominciai a passeggiare lentamente
sul lungo
e affollato marciapiede, nascondendo le mani infreddolite, nelle
tasche del cappotto in panno rosso, il primo che avevo trovato per
uscire di casa. Alzai lo sguardo verso i passanti, annoiata. Una
donna bionda teneva in mano un bambino, che agitato, saltellava a
destra e a manca. Ma a lei non sembrava poi fregare molto, visto che
con una rapidità assurda mandava sms dal suo cellulare.
«Sta fermo
Jebril...» diceva con poca autorità ogni tanto
senza prestare
alcuna attenzione al fare del piccolo birbante.
Mi voltai verso una
vetrina, ammaliata dalle mille luci che provenivano da essa. Abbassai
di poco lo sguardo verso un uomo, che inginocchiato e con il viso
rivolto al terreno, allungava il suo cappello, sudicio e vecchio,
verso i passanti in cerca di qualche soldo. Lo guardai e mi si
strinse il cuore. Un groppo mi rimase in gola, ansioso di trovare la
libertà, ma io lo trattenni tra le sue sbarre facendolo
ricadere
nell'abisso del mio mondo sconfinato, di cui neppure io conoscevo i
limiti. Diedi le spalle alla lunga vetrina e mi guardai attorno. Le
persone sorridenti e felici passavano davanti ad i miei occhi,
ignorando me quanto quel pover'uomo che, chino ad umiliarsi, chiedeva
misericordia ed un briciolo di pietà. Mi voltai verso una
coppia
ferma a pochi metri da me. La loro felicità stonava
incondizionatamente in quella situazione. La mia mano fuggì
dalla
tasca destra. Lasciai cadere delle monete nel cappello marcio del
disgraziato che alzando il capo mi sorrise. Quel sorriso gli
donò
una bellezza inconsueta che strappò un trasognato sorriso
persino a
me, che provavo pietà per lui. Nonostante tutto non riuscivo
a
sentirmi affatto soddisfatta.
Presi un lungo sospiro e
proseguii per la mia strada, che si faceva sempre meno affollata,
fino a diventare buia e sola. Ero come caduta nella ragnatela
appiccicosa e derisoria dei miei affollati pensieri e non mi accorsi
di essere . . . lontana. Mi guardai attorno, attentamente senza
rendermi conto che non c'era nessuno a farmi compagnia, se non la
tetra e cupa me stessa.
D'un tratto, sentii dei
passi dietro di me e mi voltai. Non vidi nessuno se non un cane di
piccola taglia che passeggiava tranquillo con il suo passo svelto e
sculettante, e sembrava buffo e divertente quell'atteggiarsi a grande
cagnone, con la sua minuta statura. Decisi che era meglio tornare
indietro e feci dietrofront, quando un paio di ombre scure mi si
presentarono davanti. Sussultai.
Erano immobili, alte,
scure e mi fissavano con occhi bramosi. Il buio non mi permetteva di
vedere bene i loro volti, ma quelle iridi, brillavano come rubini.
Rimasi lì ferma per lunghi attimi osservandoli, senza avere
il
coraggio di muovermi. Non ne avevo la forza. Tremavo come una foglia
al vento d'autunno.
Con un po' di sana buona
volontà, trovai il coraggio per voltarmi cercando di
ignorarli, ma
dall'altro lato ne vidi altri due. Erano identici ai primi. Si
riflettevano, proprio come se davanti a me ci fosse un enorme
specchio, la cui presenza, mi era sfuggita. Poi mi resi conto che in
realtà, quelle erano le stesse figure che credevo fossero
ferme alle
mie spalle. Sgranai gli occhi voltandomi per cercarli. Non c'erano.
Con mia spiacevole sorpresa, una volta tornata a guardare davanti a
me, non li trovai più nemmeno lì. Per un secondo
pensai di aver
sognato ad occhi aperti. Poi...
« Le brave bambine se
ne dovrebbero stare a casa al calare delle tenebre...» una
voce,
inizialmente metallica, poi man mano più umana, irruppe nel
silenzio
tombale della zona.
Mi osservai intorno alla
ricerca di qualcuno che stesse parlando con me, confermandomi la mia
sanità mentale. Ma il mio non era certo ciò che
si definisce stato
mentale stabile.
«Potresti fare brutti
incontri, cara.» un'altra voce fece capolino dal nulla, una
voce
femminile a tratti risucchiata, come se provenisse da una
trasmissione ad intermittenza.
Indietreggiai di due o
tre passi cauta, ma andai a sbattere contro qualcosa, che lesto mi
cinse le spalle e mi costrinse a poggiare le mie spalle contro il suo
possente petto, o almeno così mi sembrò fosse. Il
mio respiro si
appesantì e lo sentii io per prima, ma non mancò
occasione per
loro, di farmelo notare con una tagliente e succosa ironia.
«
Non
avere paura gattina. Non ti faremo nulla.»
mi rivelò la voce
pericolosamente vicina al mio orecchio sinistro.
Io mi ribellai e cercai di allontanarmi. Dopo un po’ di
resistenza
da parte sua, riuscii a liberarmi e cominciai a correre nella
direzione opposta alla loro. Dovevo trovare un luogo dove
nascondermi, o almeno dovevo trovare posti affollati dove
probabilmente non mi sarebbe accaduto nulla di male.
L’occasione mi
si presentò poco più avanti, quando svoltai per
una vicolo, che con
tutta probabilità, mi avrebbe portato sulla strada
principale, dove
passeggiavo tranquillamente poco prima. I miei passi erano rapidi e
il cuore mi batteva così forte che potevo sentirlo
ribellarsi nelle
mie orecchie, eppure sentivo i loro movimenti alle mie spalle e le
loro fastidiose risatine stridule, come quelle di cornacchie, ammesso
che queste ultime ridano. Alla fine della mia corsa, mi resi conto
che avevo sbagliato a fare i miei calcoli e mi ritrovai davanti ad un
vicolo cieco. Mi voltai svelta alle mie spalle e li notai, li vidi
perfettamente. Un uomo e una donna, alti e dagli occhi
luccicanti,come quelli dei gatti. Lui, possente e con la stazza di un
armadio. Lei, longilinea e dall’aspetto agile e curato.
Sorridevano
entrambi e non mi faceva stare molto sicura.
« Cosa volete?» chiesi
con un tono che sarebbe dovuto sembrare minaccioso, ma che in
realtà
tradì tutta la paura che nascondevo discretamente.
« Anime.» la loro non
era una voce normale ora. Sembrava un riluttante ringhio di una
qualche creatura demoniaca. Me ne spaventai e urlai aiuto ben quattro
volte, ma loro continuavano ad avvicinarsi indisturbati ed avevano
una camminata simile a quella di uno zombie. Solo ora li vidi che si
materializzavano alle loro spalle. Come un segnale disturbato, alle
loro spalle prendevano forma quelle strane creature, quegli orribili
esseri che avevo sempre temuto. Mi portai una mano alla bocca
spaventata e sussurrai “aiuto” un’ultima
volta.
Da sopra la mia testa
sentii muovere qualcosa. Rivolsi gli occhi verso quello che sembrava
un grosso cane e senza pensarci due volte, colsi l’occasione
di
scappare mentre lui li teneva occupati. Mentre mi allontanavo, sentii
un urlo soffocato. Fermato dalla morte supposi. Strinsi gli occhi e
cercai una via d'uscita facendo appello a tutta la lucidità
che mi
era rimasta. Usai una delle porte laterali al grande muro e
cominciai a correre alla cieca verso l’ardita salvezza. Mi
buttai
sulla prima porta su cui misi mani e l’aprii. La luce che
esplose
all’esterno fu letale per i miei occhi che si chiusero per
istinto,
lasciandomi alla deriva con gli altri quattro sensi. Senza
accorgermene andai quindi a sbattere contro qualcosa, o almeno
così
sembrava. Cercai di riprendere dimestichezza con la luce e provai a
mettere a fuoco quella figura. Non era qualcosa, ma qualcuno e quel
qualcuno lo conoscevo bene. Mi fermai ad osservarlo e arricciai il
naso stizzita, ma subito mi ricordai delle strane creature e la sua
presenza mi sembrò relativa.
« Dobbiamo scappare.
Oltre quella porta ci sono delle… delle … cose
strane e sono
pericolose… Cerchiamo una macchina e allontaniamoci da qui e
presto
o potrebbero…»
« Hei.» mi riprese
lui, con un sorrisetto sornione.Il suo sguardo mi teneva salda alla
realtà, e avevo la strana sensazione che quegli occhi
potessero
rovistarmi l'anima, come si fa con una busta della spesa. Per un
istante il suo sguardo si volse verso la seconda uscita del vicolo
quasi come per suggerirmi di guardare e io lo feci. Una coppia di
ragazzi sorridenti e dall’aspetto gentile,venne fuori
chiacchierando amabilmente. Avrei sorvolato la questione se solo non
fossero proprio i tizi di poco prima sbranati da quell’enorme
cane.
Per poco non strappai la camicia del tipo davanti a me, quando
gliel’afferrai per fargli presente il fatto. Ma lui rideva
come
un’idiota mentre cercavo di parlare, invano.
« Cosa ridi
maledizione, ti sto dicendo che quei tizi hanno cercato di aggredirmi
e poi non erano così
carini…sembravano….diabolici!!!»
strinsi
gli occhi mentre lui continuava a ridere, sempre più
divertito.
Indispettita lo lasciai andare e tornai a guardare i ragazzi
più in
là. « Sto impazzendo.»
« Forse si. Forse no.
Chi può saperlo se non tu Eveline.» disse lui con
la sua solita
voce ammaliante. Io lo guardai nervosa. Non sapevo ancora il motivo
per la quale lui conosceva il mio nome e io non conoscevo il suo.
« Chi sei?» chiesi,
anzi,pretesi di sapere.
« Un amico.» disse
ridacchiando. E mi sembrò scherzasse. « Hai letto
la lettera?»
« La lettera?» chiesi
inarcando un sopracciglio ricordandomi di quella lettera un istante
dopo. « Sei stato tu a farmi quello scherzo allora. Tu
maledetto…»
« In realtà non faccio
molti scherzi, anche se quelli su cui lavoro alla fine sono
capolavori, ma ti posso assicurare che quella lettera non è
mia. Tu
sai benissimo di chi è…»
annuì lui guardandomi attento.
« Mia madre è morta e
i morti non scrivono lettere.» asserii prendendo un profondo
respiro
distogliendo il mio sguardo da lui, per concentrarmi sulla coppia che
lentamente stava scomparendo oltre l'isolato. Lentamente, la vidi
sfocare.
« Ma sbaglio o ne hai
visti due che camminavano poco fa?» rise beffardo e
divertito,
soprattutto dalla mia rabbia.
Lui aveva assolutamente
ragione. Uno di quei due lo avevo visto morire sotto i miei stessi
occhi. Scossi il capo contrariata sussurrando no, tra me e me.
« Io
non… non sono sicura di quello che ho visto.»
mormorai ancora
mandandomi i capelli indietro con la mano destra e poi, con la
sinistra, spremendo la mia testa tra entrambe.
« Non mentire a te
stessa. » mi suggerii mentre mi si avvicinava. Mi voltai di
scatto e
lo guardai storto.
« Non sto mentendo a me
stessa. Io…mi sono sbagliata. Non…ho visto nulla
di strano…»
cercavo introvabili scuse, cercavo di dimostrare a lui quanto a me
stessa che non ero una pazza, eppure lui non mi dava
l’impressione
di guardarmi come se lo fossi. Che lui mi potesse capire? Forse
involontariamente, i miei occhi gli stavano chiedendo di dirmi che
potevo ammettere di aver visto quanto effettivamente avevo visto. Mi
si avvicinò lentamente e posò le sue mani sulle
mie e alleviò la
mia presa sulla mia testa. Mi sentii stranamente rilassata.
« Tua madre mi aveva
detto che sarebbe stato difficile farti ragionare. »
Cercai di parlare ma non
riuscivo a farlo. Non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo, nulla.
Mi aveva immobilizzato con il suo tocco.
« Non sei pazza. Quello
che hai visto lì dentro è reale. E’ la
conseguenza di quanto sta
accadendo all’inferno in questo momento, lo stesso inferno
dove si
trova tua madre, prigioniera di tuo padre.»
Volevo urlare, volevo
fargli tante domande ma non riuscivo a farne nemmeno mezza.
« Hai letto la lettera
Eve?» mi chiese ancora e non gli risposi, non
perché non volessi,
ma perché non potevo farlo. « Tua madre
è il sacrificio che tiene
lontano mio padre. L’anima di pura luce che in vita
è stata
custode di un letale segreto insieme a tuo padre. Se solo tu
sapessi…» non so come, la rabbia che stava
crescendo dentro di me,
mi diede un momento di libero arbitrio e riuscii a divincolarmi dalla
sua presa, indietreggiando con le lacrime agli occhi.
« COSA DIAVOLO SEI??»
urlai piena di rabbia e lui sorrise, sorpreso. Sembrò
pensarci a
lungo prima di rispondere, mentre continuava a guardarmi.
« Mi chiamo Kein e il
diavolo è mio padre.»
Sgranai gli occhi e il
respiro mi si fermò. Ora non era più lui a
bloccarmi, ne ero
sicura. Ero io che avevo perso la parola da sola.
Lui.
L'Inferno.
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Capitolo 6 *** Quarto Sigillo - Rivelazioni ***
Nota
Ed eccomi di nuovo, dopo la lunga
assenza estiva. Mi scuso innanzitutto per questa mia lunga pausa, ma
ho dovuto prenderla, causa stress da esami XDD. Spero non mi odierete
troppo ç__ç. Comunque ringrazio tutti per le
recensioni che mi
avete lasciato, fa sempre piacere sapere se gradite o meno *_*.
Quindi ecco per voi, che cominciate ad impazzire come la nostra Eve
dalla curiosità XD il quinto sigillo che vi
spiegherà molte cose, e
vi farà venire molti più dubbi di prima. Ma
tranquilli. A poco a
poco dissiperemo ogni nebbia u.u
Track
Plumb – Cut
Per il resto, Buona
Lettura.
Spero Vi Piaccia
Yu Lunae
Quarto
Sigillo
Rivelazioni
Per
qualche istante
rimasi in silenzio, voltandomi lentamente in sua direzione, con gli
spalancati, devastati da quella rivelazione senza senso. Il lato
sinistro della bocca mi si alzò appena non dovettero passare
molti
secondi prima che scoppiassi in una fragorosa risata, tra le lacrime
che ancora non ero riuscita a sopprimere.
« Non ti facevo così
simpatico. » asserii mentre poggiando la mia schiena al muro,
scivolavo verso il freddo e ruvido asfalto. Alzai i miei occhi lucidi
e colmi di lacrime verso di lui, mentre il mio sorriso lentamente
scompariva.
« Cosa vuoi da me?»
Lui non rispose
limitandosi ad osservarmi con aria seria e lungi dall'esser
simpatica. Rimanemmo lì ad osservarci a lungo, come se
stessimo
giocando a chi per primo distoglieva lo sguardo o a chi prima
scoppiava a ridere. Ma lui non sembrava voler giocare e nemmeno io.
« Cosa vuoi...?»
Ripetei in un mormorio
stanco e interrotto, mentre il mio viso si bagnava nuovamente di
lacrime. Poi. . .
“ Fiamme
dai toni più
svariati e accesi: arancio, rosso, giallo, blu notte. Nero. La zona
era avvolta da un perpetuo incendio che lentamente stava divorando
qualsiasi cosa incontrasse sul suo cammino. Era veloce e affamato e
tra le fiamme, acute urla si propagavano disperate. Urla di uomini e
donne. Bambini che piangevano. Riuscivo a vedere le loro ombre
correre verso una meta non chiara. Vedevo ogni immagine risucchiata
in un vortice immenso di colori accesi e luminosi, ma allo stesso
tempo cupi.
Ad un certo punto la
scena cambia, come in un flashback, vedo una scala, e sui suoi
gradini, dei corpi totalmente carbonizzati. Facevo persino fatica a
credere che quei corpi fossero umani, che fossero stati vivi un
tempo. I gradini, un tempo bianchi evidentemente, erano sporchi di
cenere e fuliggine. Il fuoco circondava perenne quel lugubre
paesaggio, eppure non sembrava violento e atroce come nell'immagine
precedente. Qualche voce lontana ancora si percepiva, nascosta tra il
silenzioso riverbero delle alte fiammate.
Si sale lungo i numerosi
gradini bianchi che mano diventano grigi, poi neri e poi si tingono
di un rosso acceso e rivoltante. Delle alte sbarre s'innalzano come
arbusti possenti dal vecchio marmo. Null'altro se non semplici ossa
messe insieme a formare quella devastante visione. Una cella, il cui
interno era buio e anonimo.
L'ultima scena, come in
una perfetta sceneggiatura, compiuta ad arte in tutta perfezione. Un
viso dall'incarnato diafano emerge dalle tenebre come una lucciola
luminosa nella notte più nera. Le affusolate dita di una
mano
candida cercano di raggiungermi, ma non è come tutto quello
che
avevo visto prima. Lei era una visione beata in un demoniaco
bordello.
Eveline.
Una voce femminile mi
richiama facendo scomparire, come in un risucchio, tutto quello che
avevo appena visto, nel buio dell'oblio. Una donna.
Mamma
“
«Eveline.
. . » sentii
chiamare ancora, ma stavolta non era una voce femminile. Era la voce
di lui. Di scatto mi alzai sedendomi come se mi fossi appena destata
da un incubo e mi fossi svegliata impaurita e smarrita, sudata e
fredda come la carcassa di un cadavere. Lui era seduto vicino alla
mia testa. A quanto pare mi aveva portato su di una panchina e mi
aveva adagiata lì. Si ero evidentemente svenuta,
all'improvviso
senza nemmeno accorgermi di essere scivolata tra le braccia di morfeo
e poi, nelle sue.
« Ti prego. Spiegami. .
. » sussurrai appena ripreso fiato. Lui mi guardò
di sottecchi e
poi tornò a giocherellare con uno stelo che aveva raccolto,
quando
era ancora svenuta evidentemente.
«Davvero vuoi sapere?»
si rivolse verso di me, sorridendo sghembo e vedendomi annuire,
tirò
un sospiro.
« Ci sono degli oggetti
particolari su questa terra. Oggetti in grado di trasportare un corpo
nei mondi paralleli, che voi con insulsa semplicità chiamate
regno
dei morti, oppure Inferno o Paradiso, oppure chissà
cos'altro.
Questi regni si possono raggiungere semplicemente morendo, o con
l'utilizzo di questi particolari oggetti di cui ti parlavo prima. Il
problema è che morendo, la materia viene abbandonata su
questo. . .
barile della spazzatura che voi chiamate terra. Questi oggetti,
permettono invece di riacquistare anche il corpo una volta raggiunto
il mondo oltre questo. Ma non un corpo qualsiasi: un corpo immortale.
» si fermò qualche istante, per riprendere fiato
evidentemente. Per
un momento pensai che avesse finito di parlare e mi voltai a
guardarlo incuriosita. Fissava stranito il vuoto e sembrava una
statua di marmo nero, avvolto da un drappo scarlatto.
« Un corpo immortale,
ma non invincibile. La particolarità di quelli che voi
chiamate
angeli, o dei, nel nostro mondo è che sono legati alla
materia e
controllano le anime, ovvero hanno un corpo anche in uno dei due
regni. Anche le anime hanno, una specie di corpo, ma in confronto ai
nostri, che siamo abitanti di quel regno, sono corpi fragili, proprio
come i vostri, ma hanno una durata più lunga dei vostri:
circa 200
anni. Mentre ci sono corpi immortali e invincibili, che di solito
governano o proteggono questi mondi. » si fermò
ancora e si voltò
a guardarmi. Credo cercasse di capire se lo seguivo o meno, ma pur
sforzandomi la mia espressione aveva lo stesso aspetto contrariato di
quello di un babbuino a cui si cerca di spiegare la composizione
chimica e biologica di una banana. Ma provai comunque a pensare ad
una domanda da fargli, per fargli notare il mio interesse. «
B-Beh,
non. . . non sembra. . . difficile. . . » era risaputo che
non
sapessi recitare e a quanto pare lui l'aveva notato. L'osservai con
un sorriso imbarazzato qualche minuto poi tornai seria. « Oh.
. .
insomma mi stai dicendo che in realtà quelli che noi
credevamo
essere regni dell'oltretomba sono . . .mondi paralleli? E che le
anime sono i loro abitanti e che quelli che noi chiamavamo angeli,
demoni, dei, sono . . . Gli abitanti di questi mondi? »
cercai di
rielaborare ma non ci stavo capendo granché.
« Che orribile
rielaborazione. Si ci sei vicina. Le anime, che abitano i mondi, sono
un po' come gli animali sul vostro pianeta, per noi che lì
possediamo un corpo vero e proprio. Stupide, inutili anime. Un modo
divertente che abbiamo per passare il tempo è studiare modi
per
farle soffrire. Inoltre le utilizziamo nei nostri castelli come
servi, e come schiavi per costruire le nostre città e i
nostri
monumenti. » Un sorriso beffardo si delineò sulle
sue labbra mentre
mi guardava. In un momento vidi sul suo volto il più
profondo e
disgustoso frammento di malvagità. Mi attirò e
distolsi lo sguardo
come per riprendermi. Lentamente la mia espressione diventava sempre
più sinistra. « E' . . . orribile!»
dissi io scuotendo il capo.
« No, non lo è. Il
mondo da cui provengo io, voi lo chiamate o lo definite, Inferno, ma
il suo vero nome è Rederva, che nella vostra lingua
significa, terra
delle larve. Le Larve sono le anime, è così che
noi le chiamiamo.»
ridacchiò congiungendo le manie stiracchiandosi.
« Le Derve, e tu hai
visto spesso una derva. » sussurrò quasi queste
parole, mentre sul
mio volto si dipingeva una certa curiosità. « Gli
spettri. . . »
mi vennero in mente quasi subito, e lui sorrise soddisfatto. Nella
mia testa, decine di immagini si facevano limpide e scorrevano
rapide. Tutte le volte che avevo visto una derva, l'avevo vista
legata ad un corpo umano. « Ma perché sono
collegate al corpo
umano?» chiesi, inarcando un sopracciglio.
«Come?» Lui mi guardò
smarrito per un momento e decisi di spiegarmi meglio anch'io.
« Ogni volta che ho
visto una derva, l'ho vista collegata ad un corpo umano. Una catena che
partiva dal petto dell'umano e finiva attorno al collo di
queste....creature. Perché?» chiesi quindi
spostando lo sguardo
verso il suo viso, un po' perplessa. Sembrò pensarci poi
d'un
tratto il suo viso si illuminò e cominciò a
ridere grossolanamente.
Io lo guardai indispettita. « Perché
ridi?» chiesi.
« Le derve siete voi
umani sciocca. Quelle che hai visto, sono le anime degli umani.
»
disse e continuò a ridere di gusto.
Aggrottai la fronte e
cercai di collegare quanto mi aveva detto, e ci pensai su parecchio,
tant è che Kein aveva già smesso di ridere.
« Ciò vuol dire che
noi siamo. . . vostri schiavi?» chiesi
« No, non i vostri
corpi. Le vostre anime potrebbero essere nostre schiave, se alla
morte del corpo i giudici lo decideranno. Infatti, i giudici ci
mandano le anime reiette e disobbedienti che hanno disertato il loro
lavoro, preferendo una vita devota al male. » disse
« Ma il vostro è un
mondo orribile.»
« Non poi così diverso
da questa terra infondo. » asserì lui per poi fare
spallucce. Io lo
guardai emulandolo. « Ok e dove vanno le anime se sono state
buone?»
chiesi dunque a lui mentre storceva il naso, evidentemente disgustato
dal pensiero che gli stava passando per la mente, in questi istanti.
« C'è un altro mondo,
il Regaerte che voi chiamate... Paradiso, ma che letteralmente
significa Terra del Silenzio.» S'interruppe disgustato al
solo
pensiero. Io attesi impaziente e lui se ne accorse. Rivoltante
all'idea di continuare, cercò di deviare il discorso.
« I regni
hanno dei sovrani, che mantengono l'ordine nei mondi. Sono creature
che non hanno forme definite. Essenze più che corpi fatti di
materia. Un tempo ne avevano uno, si dice. Molto tempo fa. Queste
essenze generano delle creature speciali, a cui delegano il compito
di regnare. Queste hanno dei corpi e...
»
« E perché non lo
fanno loro?» lo interruppi,
reclinando appena il capo come una bambina curiosa.
« Perché hanno bisogno
di un corpo da dirigire per compiere azioni. Hanno grandi poteri e
forniscono l'energia necessaria al funzionamento corretto dei regni.
Ma non possono compiere direttamente delle azioni. Così
hanno creato
delle creature che svolgano i loro ordini. » si
spiegò inarcando un
sopracciglio e io lo imitai.
« Burattini nelle loro
mani, insomma. » puntualizzai e il suo volto si fece scuro.
« E' un onore essere
scelti.» commentò con voce profonda e inquietante.
Io rimasi in
silenzio guardandolo contrariata. Avevo evidentemente da obiettare ma
non lo feci, e aspettai che lui si decidesse a continuare.
Il buio lo rendeva
ancora più inquietante in realtà. Il suo volto,
nella penombra
della luce di un debole lampione, era reso ancora più tetro.
Solo
gli occhi, fessurizzati su di me, si intravedevano più
chiaramente.
Più di tutto il resto.
« Mio padre è stato
scelto.» asserì poi con voce ferma e vagamente
saggia. Nonostante
di saggio non avesse nulla quel volto. Quel volto pieno di disprezzo
e disdegnato da quello che chiamava, il mondo spazzatura. Io attesi
ancora senza chiedere nulla.
Lui mi osservò
concentrandosi appena di più sul mio viso. Poi lentamente si
alzò e
cominciò a camminare verso un sentiero. Io lo seguii con lo
sguardo
e poi mi resi conto che si stava allontanando.
« HEI ! Aspetta !»
dissi mentre mi alzavo e correvo verso di lui. Mi portai al suo
fianco e con un leggero affanno cercai di recuperare la
lucidità. «
Non puoi piantarmi così, ho delle domande. »
dissi, corrucciata.
Lui mi guardò come per
dire “ Problema tuo!”
« Pff.» Mi limitai a
snobbarlo, incrociando le braccia al petto.
« Torna a casa
mostriciattolo. È tardi. Si preoccuperanno per te se non
torni. »
disse lui per poi fermarsi e voltarsi a guardarmi. « Presto
avrai le
tue risposte, Eveline. » mi disse e poi, rapidamente il suo
corpo si
dissolse, in quelle che mi sembrarono essere ombre. Ombre che si
distaccavano l'una dall'altra e si allontanavano nella notte,
invisibili. Una risata sinistra, a cui poi se ne unì
un'altra. Poi
rimasi sola. Rimasi sola a contemplare il nulla più
profondo.
Respirai piano. Non sapevo ancora se credere o meno a quanto vedevo.
Non so su quante cose
avesse ragione Kein, ma sicuramente su di una di esse mi trovavo
profondamente d'accordo. Dovevo tornare a casa prima che la Matrigna
e le sorellastre cominciassero a far rastrellare tutta la zona da
duecento pattuglie. Sbuffai e quindi feci retrofront per tornare sui
miei passi verso casa.
Il ritorno verso casa fu
appena più lungo del solito o almeno, così mi
parve. Avevo così
tante cose a cui pensare, che a stento badavo alla strada, alla gente
che vi passava, alla luce che man mano scompariva poiché era
ormai
tardi per i negozietti. Quando arrivai al cancello di casa, per poco
non ci sbattei contro. Nel più assoluto silenzio, entrai in
casa
dalla porta principale e, con passo felpato attraversai l'atrio e poi
il salone. Al corridoio sentii un rigiro di chiavi provenire dalla
stanza in fondo, la stanza della padrona di casa. Con
rapidità
felina, mi fiondai nella mia camera e mi infilai nel letto, tutta
vestita. Come sospettavo alle mie spalle la porta si aprì.
«Tsk. » la sentii
lamentare per poi chiudere la porta, anche piuttosto bruscamente. Mi
rilassai, sedendomi sul comodo materasso. Presi un respiro profondo e
notai la finestra aperta. Mi alzai e mi avvicinai per chiuderla,
alzando lo sguardo al cielo.
Quella notte, il sipario
calò sulla luna.
Quella notte, fu una
notte inghiottita dalle ombre.
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Capitolo 7 *** Quinto Sigillo - Il mietitore ***
Nota Si ecco un altro avvincente (?) capitolo della mia storia. Si è vero è avvincente questo ò.ò. Comunque voglio ringraziare Sachi Mitsuki per la segnalazione dei dialoghi. E Rose 93, per le sue recensioni *_* mi rendono felice XD.Comunque qui di seguito per tutti voi le tracks con cui ho scritto il Quinto capitolo. u.u Eeeeeh adesso inizia il gioco vero e proprio. u.ù Temete prodi lettori ò.ò TEMETE ! ò.ò
Tracks Plumb - Hang up Plumb - I can't do this
Per il resto, Buona Lettura. Spero Vi Piaccia Love Yu Lunae
Quinto Sigillo Il mietitore « Non è possibile !!!» una vocina agitata strillò istericamente. « Guarda quell'idiota mi rovinato il libro.» “Ammazzatela...” ecco ciò che con tutte le mie forze, tentavo d'implorare. Proprio quella mattina non volevo nessuno tra i piedi. Avevo passato la notte in bianco, a pensare a quello che era successo. Avevo a malapena 2 ore di sonno. Inoltre la testa mi faceva male e anche il più sottile tra i suoni mi recava un esagerato fastidio. Figuriamoci, la mia compagna di banco. « Eve, quel cane deve sparire da casa mia !» la sentii dire mentre la guardai esausta, con un paio di borse sotto gli occhi che potevano tranquillamente fare invidia a due bagagli di Paris Hilton. « Chi Rocky o tuo fratello? » dissi, poiché non capivo davvero a chi si riferisse, se davvero al cane o se al suo fratellino minore, teneramente soprannominato Tragedia dalla sorella, che lo ripeteva continuamente durante i suoi discorsi. In realtà il povero piccolo, i chiamava Bill. « Ma mio Bill ovvio.» ammise, facendo spallucce con quella sua solita aria da snob incallita. Il suono della campanella, mi salvò da ulteriori blasfeme da parte di lei, ma in compenso dovetti tapparmi le orecchie per sfuggire all'acuto rumore che proveniva dai corridoi. La lezione proseguì tranquillamente, senza intoppo alcuno. Io non la seguii molto a dire il vero. Ero persa, smarrita nel labirinto di fitti pensieri che aveva catturato la mia mente. E proseguivo in questo labirinto, cercando di arrivare al suo centro. No non cercavo l'uscita. Cercavo il tesoro che il labirinto custodiva. E l'avrei trovato, ad ogni costo. Ma per questo, avevo bisogno di lui. Lui che sarebbe diventato la mia guida. Il dolore alla testa cominciò a crescere, e nelle mie orecchie, s'insinuò un fischio acuto e fastidioso. Portai le mani entrambe a coprire le orecchie e a stringere la testa. Di nuovo. Lo sguardo si spostò verso la cattedra. Li vidi ancora, con l'unica differenza che, ora sapevo. Darve, ovunque, disseminati come inutili pezzi di carte su di un marciapiede. Ma il dolore cresceva. Mai l'avevo percepito così intenso, così forte. Indistinta, una nuova figura emerse dal nulla. All'inizio indistinta, un cumulo di nebbia bianca, che vagamente aveva i tratti di un essere umano, poi sempre più nitida: Prima l'abito, che aleggiava nell'aria mantenendo la figura in levitazione, poi le mani, adornate d'insoliti quanto pericolosi artigli. I capelli, bianchi anche loro e lunghi e lucidi come sete. Poi, il volto. Un orrendo volto, sfigurato e rivoltante. Dalle sue labbra sottili e schiuse, emerse un urlo raccapricciante. I vetri dell'aula cominciarono ad esplodere, uno dopo l'altro. Prima il più vicino, poi il pi lontano da lei. Esplosero tutti e nell'aula si generò il caos. « Oddio!» urlò Jade mentre, mi si avvicinava scuotendomi, come a destarmi da un incubo. « Oddio Eve, stai bene?» io annuii vagamente mentre mi alzavo, senza mai distogliere lo sguardo dalla creatura. Così com'era apparsa, scomparve, dissolvendosi nel vento al di fuori di una delle finestre. « Non capisco. » disse Jade mentre guardava bene dal mettere i piedi sui vari vetri sul pavimento. Io la guardai perplessa e annuii. « Nemmeno io. » mormorai continuando a guardare fuori dalla finestra, posando una mano sul banco, per darmi lo slancio adatto ad alzarmi. Mi sentivo veramente debole. Per fortuna, accadde tutto, non lontano dalla pausa pranzo, quindi i docenti l'anticipare, per permettere agli inservienti di pulire e per scegliere un'altra aula, in attesa di un'imminente riparazione di quella. Nemmeno loro si spiegavano il motivo di quel trambusto ed infatti, parlottavano tra loro sbigottiti. Di certo questo, alleggerì la giornata a molti studenti, visto che molti professori incuriositi, si presero qualche minuto in più di pausa per indagare. Quando arrivammo nel giardino, il dolore alla testa era quasi completamente svanito. Ringraziai il cielo, mentre ancora mi massaggiavo le tempie. James ci raggiunse poco dopo. « Hei state bene ? » chiese guardandoci entrambe, rassicurandosi nel vederci tutte intere. « Ho sentito dell'esplosione. » annuì lui « Si stiamo bene.» disse Jade guardandolo corrucciata. « Non è stata un esplosione, l'avremmo sentita. » scosse il capo, mentre si portò una mano al mento, pensante. « All'improvviso sono saltati tutti i vetri, senza motivo. » proseguii. « Secondo sono stati... Gli UFO ! » Disse annuendo come per autoconvincersi della sua nuova teoria. Scoppiamo a ridere sia io che James. Anche se effettivamente, lei non aveva tutti i torti. L'evento aveva qualcosa di paranormale. Solo che non aveva visto tutto, come me. Mi apprestai a prendere il pranzo dal mio zaino, quando una puntura sulla mano, me la fece tirare fuori. « Ahi !» mi lasciai scappare involontariamente. « CHI? COSA ? QUANDO?» Si allarmò subito Jade, saltando in piedi. Mi guardai la mano e mi accorsi di un pezzo di vetro entrato nella pelle. « Oh, mi è entrato un pezzo di vetro nel palmo. » asserii. Pensandoci mi venne in mente il probabile momento dell'incidente. Dovevo stare più attenta. « OMMAMMA ! Andiamo in infermeria. » asserì Jade convinta mentre io la guarda sbigottita. « Ma che infermeria è solo un pezzo di vetro.» dissi prelevandolo delicatamente con l'ausilio dell'altra mano. Il problema sovvenne quando la ferita comincio a sanguinare copiosamente. «Mh.» dissi cercando di non farlo notare né a James né tanto meno a Jade. « Vado in bagno.» li avvertii, per poi dirigermi con passo lesto verso l'interno della Toilette. L'acqua fresca mi aveva dato un po' di sollievo e il sangue sembrava aver rallentato la sua fuoriuscita. Sorrisi soddisfatta, per fortuna era una feritina piuttosto stupida. Presi della carta e la tamponai, tenendola un po' premuta. Alzai gli occhi allo specchio che mi stava di fronte. Eh no, non ero proprio in condizioni lontanamente decenti. Con un soffio cercai di aggiustarmi un ciuffo che sfuggiva ribelle alla perfetta frangia altrimenti squadrata. Inarcai un sopracciglio, quando notai la sua non-collaborazione. Lasciai per un attimo la ferita, per acconciarmi meglio. Ero così concentrata su di me che non vidi cosa stava accadendo. Dalla piccola finestrella del bagno, stava entrando la nebbia che in precedenza avevo visto diradarsi nell'aula. Il processo si ripeté, ma stavolta nessun fischio, nessun avviso. La vidi alle mie spalle, quando mi allontanai abbastanza dallo specchio, per avere una visuale più completa. « NO!» urlai sorpresa, mentre vidi quella sua brutta faccia da strega e quegli occhi neri come la pece, totalmente neri, squadrarmi come se fossi un pollo arrosto. « Chi diavolo sei? » dissi con voce tremante. « Tu mi veeeedi...» disse lei con voce sibilante e spirata. Io non le risposi, corrucciando il volto, intimorita. « Mi serve un corpo. » continuò lei, mentre con una fragorosa risata, scomparve di nuovo, per poi riapparire, sul soffitto. « Beh, non avrai il mio.» dissi con una briciola di grinta nella voce, che evidentemente la divertì visto che continuava a ridacchiare come una vecchia befana. Corsi verso la porta d'uscita, buttandomici praticamente sopra. La corsa continuò lungo il corridoio per fortuna vuoto dei piani inferiori. Corsi più veloce che potevo, ma la sentivo alle mie spalle, che mi seguiva, veloce come un fantasma. Non era come le solite darve, anzi, non era una darve. Lei era, qualcosa di nuovo. Lo sguardo, si fermò rapidamente su di una delle porte adiacenti il corridoio. Una che risultò essere semi aperta e mi ci fiondai dentro. La chiusi con violenza rigirando la chiave ben due volte. Era un'aula come tante, per fortuna anche ben illuminata. Mi ritrovai quasi subito spalle al muro e ripresi lentamente fiato, tenendo sempre d'occhio la porta. Lei era nebbia. Lei passava da qualsiasi spiraglio ed ogni stanza in cui entrava, diventava improvvisamente gelida. Il suo soffio era gelido e lo sentivo sulla mia pelle. Mi rannicchiai cercando di scaldarmi, mentre i miei occhi non si distolsero nemmeno per un momento da quella porta. La chiave si spostò dalla sua consueta posizione, allontanandosi dalla serratura. Sospesa a mezz'aria da chissà quale forza si congelò. La mano invisibile la lasciò cadere, e il resistente metallo congelato, s'infranse al terreno in mille minuscoli frammenti. Deglutii lentamente mentre la nebbia tornò a ricomporsi. Di nuovo lei. « Lasciami in pace!» urlai contro di lei, nel vano tentativo di spaventarla. Ma accadde il contrario. « Voglio un corpo, non ti farò male. » disse poi, con uno strano accento. « STAMMI LONTANA!» Le urlai ancora contro. All'improvviso una fitta di dolore. La mia mano, mi faceva male, un male pazzesco, tanto che cominciai ad urlare. Lei si muoveva da sola e si alzava contro la creatura. Il mio braccio si portò teso a mezz'aria contro di lei. Il palmo della mia mano si aprì mostrando a lei, la ferita che ancora grondava sangue. La ferita cominciò a pulsare il sangue sembrò cristallizzarsi e percepii una grande energia, fiorire nel mio corpo. Poi la vidi, quell'energia. La stessa che dieci anni prima vidi alla morte di mio padre. L'energia blu. Era lei che ora comandava il mio corpo. Come una fedele compagna mi tirò su, come a spingermi verso la lotta. E mi procurò anche un'arma. Il mio sangue prese a luccicare, da quell'unica goccia, l'energia plasmò quella che aveva le apparenze di una falce. La stessa falce con cui è rappresentato il Tristo mietitore. Ne rimasi sconvolta. Non capivo, cosa mi stava succedendo. Cosa stava succedendo in quell'istante. Poi ancora. Non controllavo più il mio corpo, sentivo in me una presenza estranea che mi guidava. Afferrai involontariamente l'arma e la brandii anche con una certa dimestichezza. « Wo. » dissi sorpresa, sorridendo. Il mio avversario mi stava davanti, e sembrava famelico e affamato. « Va bene. Vediamo che sai fare. » Dissi convinta che avrei guidato io lo scontro. Lei mi venne incontro, attaccando per prima, in maniera rapida e ben architettata. Quando stavo per parare il primo colpo, mi sentii di nuovo controllata. « Hei, Wowo ferma !» dissi mentre l'energia faceva con me di testa propria. La mia velocità era esponenzialmente aumentata. Mi muovevo come un gatto, saltando da una parte all'altra. Mi bastò poco infatti per distrarla e falciarla in due. Merek'na Disse prima di spirare. Ma non capii ovviamente. Nonostante fosse fatta di nebbia, la mia falce la taglio nettamente in due e questo colpo le risultò mortale. Evidentemente non era una semplice falce. L'energia lentamente, mi fece tornare me stessa, liberandomi dal suo controllo. La luce blu, ritornava all'interno della mia mano, che l'assorbiva lentamente e con cautela, fino all'ultima goccia. Anche la falce scomparve, tornando ad essere la sfera cristallizzata di sangue, da cui era nata. A gran velocità torno nel palmo della mia mano, disintegrandosi e disegnando uno strano simbolo su di essa, che scomparve in un battito di ciglio. Cascai sulle mie ginocchia, esausta quanto sconvolta. « Questo è troppo.» mi dissi scuotendo il capo. « Non è ancora nulla.» disse una voce nella stanza. Subito alzai lo sguardo e mi accorsi della presenza di Kein. « Non ci capisco più nulla.» dissi mentre poggia la fronte al pavimento, raccogliendo la testa tra le mani. « Dannazione.» |
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Capitolo 8 *** Sesto Sigillo - Scomparsa ***
Nota
Bene
rieccomi qui con il nuovo capitolo della mia storia. u.u Ringrazio
tutte le persone che mi hanno recensito, per i loro complimenti e
consigli *_* Spero tanto che questo capitolo sia gradito da tutti voi e
spero che come lui tutti i precedenti e i prossimi °_°
Tra
poco vi farò una bella sorpresina, ma dovete avere un
pochino di pazienza *_*
Intanto
vi lascio il capitolo e la musica di sottofondo XDDD
Tracks
Plumb - Hung On ( si di nuovo XD)
Kent - Somnen
Per
il resto Buona lettura
Spero
vi piaccia
Yu
Lunae
Sesto
Sigillo
Scomparsa
«
Dannazione.»
lo avevo
già ripetuto due volte, ma lui non aveva ancora cominciato a
parlare. Lui, che se ne stava fermo, in un angolo, con le braccia
incrociate ad osservarmi inveire contro qualsiasi divinità a
scelta.
Ovviamente se quella era la situazione, era proprio loro la colpa di
quello che mi stava accadendo. Coloro che venivano definite
divinità.
« Puoi spiegarmi, per
favore? » dissi senza nemmeno alzare lo sguardo verso il suo
viso,
lì atterrita dal terrore.
Ma lui rimase in
silenzio, senza battere ciglio, senza nemmeno emanare un suono.
Spostai la testa, in modo tale da poterlo guardare dritto in faccia,
che distinguevo nettamente nonostante fosse ben lontana da me. Sempre
la solita posizione, ma con un volto molto più burbero del
solito.
« Puoi spiegarmi?»
ripetei con un po' più di grinta, mentre mi alzavo e mi
mettevo in
ginocchio. Non ebbi da lui nessuna risposta. Lui continuava a
guardarmi, e sembrava adirato. Adirato, lui? E allora io che cosa
avrei dovuto dire? Cosa avrei dovuto dire? Io che ero stata
trasportata da un momento all'altro, in mondi di cui non conoscevo
l'esistenza. Io che avrei soltanto voluto vivere una vita tranquilla,
andare a scuola e uscire con i miei amici. Senza quei tormenti,
quelle continue visioni. Senza qualcosa di estraneo che ogni volta,
disturbasse la mia quiete.
Ero io quella adirata.
Mi alzai di scatto, e
comincia a correre verso di lui. Con violenza inaudita, e sicuramente
non da me, afferrai il colletto della sua giacca di pelle rossa e,
con tutta la forza che avevo, sbattei contro il muro. E lui me lo
lasciò fare.
« PUOI?» gli urlai
contro, con tutta la rabbia che avevo dentro, e la mia voce
tradì
una sorta di odio, che lentamente stava avviluppando i miei sensi.
Mi resi conto, del gesto
poco carino che avevo compiuto, accecata dall'ira, non riuscivo
più
a controllarmi. lo lasciai e feci due passi indietro.
« Perdonami.» mormorai,
scuotendo il capo, ma senza alzare lo sguardo nel suo.
Lui mi fissò per un paio
di secondi buoni, con i suoi occhi azzurri e nitidi. Si
allontanò
dal muro e si risistemò il colletto della giacca, che io gli
avevo
sgualcito. Poi prese un sospiro profondo e sorrise sghembo, com'era
solito fare lui.
« Sono rimasto sorpreso.
Non mi aspettavo questo.» disse finalmente mentre mi
osservava. Per
un attimo, quando alzai il mio sguardo nel suo, mi parve di leggere
timore, in quelle profonde iridi adamantine.
« Merek'na. » dissi. «
Ha detto questo prima di sparire.Cos'è? » chiesi
ora leggermente
più pacata di pochi istanti prima.
« E' la lingua di
Rederva. Significa, mietitore. » si limitò a dire
lui, in modo
esiguo. Io rimasi in silenzio, fiduciosa che avrebbe continuato da
solo.
« I Merek'na, hanno il
compito di eliminare le anime corrotte, quelle che fuggono da Rederva
e si rifugiano qui, speranzose di non essere trovate.» si
fermò
facendo una breve pausa, mentre cercava di riordinare le idee,
evidentemente per rendermi più semplice e comprensibile
quella
situazione.
« Quella che hai visto è
un'anima fuggita da Rederva. Quelle come lei si chiamano Siderva,
significa Larva Parassita. Sono anime parassita, cannibali in un
certo senso. » storse il naso, disgustato. « Si
cibano delle anime
ancora legate ai corpi, anime vive e poi prendono il possesso del
corpo ospite, al posto loro.» ancora una pausa e io lo
lasciai
continuare. Ero ferma davanti a lui e lo ascoltavo, con attenzione.
«
L'altra sera hai visto delle Siderva in due corpi umani. » ci
pensai
su un attimo, facendo mente locale.
« I due tizi? » chiesi
io, ora che qualche ricordo era tornato Ero così impegnata a
fuggire, che avevo veramente pochi ricordi di quei momenti.
Lui annuì, e poi tacque
per qualche secondo.
« Ma non capisco perché
tu. » disse poi, divenendo serio in volto, senza compiere un
movimento, bloccandosi quasi tant'è che avevo dubbi sul
fatto che
respirasse ancora.
« I merek'na, sono
sangue puro, sono originari di famiglie di Rederva. Tu...»
premette
tra loro le labbra. Sembrava non lo sapesse nemmeno lui.
« Io non dovrei...» lo
aiutai sospirando.
« No.» confermò lui,
secco.
Rimasi in silenzio a
guardarlo, senza parole. Socchiusi gli occhi e poi, Sentii di nuovo
le ginocchia cedere. Ero molto debole.
Lui mi afferrò quasi al
volo. Ma il suo tocco, inspiegabilmente m'infastidii e lo respinsi,
facendo altri due passi indietro.
« Parlami di loro. »
dissi e il mio, sembrò quasi un comando.
Lui esitò, osservandomi,
contrariato. Poi si raddrizzò, facendo qualche passo avanti,
prendendo a gironzolare per la stanza. « Sono capaci di
utilizzare
il loro sangue come arma contro queste anime. Il loro sangue
è
l'unica cosa che può distruggerle. I Merek'na sono
solitamente
nobili di Rederva, nati con questa caratteristica e addestrati a
combattere contro questi ribelli. È difficile riconoscerli,
perché
si travestono perfettamente nel ruolo dell'umano. L'unico modo per
riconoscerli, è il simbolo che portano, un tatuaggio, come
quello
che tu hai sulla mano. » disse, fermandosi poi, per
riprendere fiato
probabilmente, o per permettermi di assimilare il tutto.
Inevitabilmente mi portai
a guardare il palmo, ma non vidi nulla. Lui mi notò e
sorrise
appena.
« Compare solo quando il
Merek'na lo richiama. Bella fregatura, no? » disse poi
grattandosi
la punta del naso. « Questi bastardi sanno come nascondersi
bene. »
mormorò inarcando un sopracciglio. Oh giusto, ora anche lei
era una
di loro. Un po' la infastidii quell'insulto gratuito ma si
limitò a
guardarlo male.
« Forse è per questo
che vedo anche i semplici Derva.» dissi io, spostando lo
sguardo su
di lui.
« Può darsi.» annuì
lui, mentre si avvicinava alla porta. La serratura esplose, e le ante
si schiusero. « Tu sei un caso particolare, ragazzina. Per
questo
sono qui. »
« Kein.» Lo richiamai,
e azzardai un passo in sua direzione, senza completarlo. Lui si
voltò
e con aria di attesa. Aspettava che gli parlassi.
« Io voglio... voglio
riprenderla.» dissi, biascicando qua e la qualche parola. Lui
aggottò la fronte smarrito.
« Voglio salvarla.»
proseguii io. Lui evidentemente capì e mi sorrise annuendo.
Poi
scomparve, oltre la soglia, lontano dalla mia vista. Feci per
fermarlo, ma evitai. Non era certo il caso, né il momento.
°°°
«
Finalmente signorina!»
disse Jade, quando mi vide arrivare da lontano. Mi sfuggii un sorriso
vedendo la sua faccia buffa.
Notai con piacere, che al
gruppetto si era aggiunta anche Greta, e sorrisi allietata, visto che
non la vedevo da un po' oramai e vederla, mi piaceva piacere infondo.
Dal giorno del discorso, per essere precisi.
« Greta, ci si rivede.»
dissi io sorridendo.
Anche lei accennò un
sorriso. « Piacere mio, cara. Come stai? L'ultima volta non
ti ho
visto molto in forma. » disse, dimostrando una certa
loquacità per
i suoi standard.
« Molto meglio, grazie.
» dissi io annuendo. In realtà la situazione era,
molto più
incasinata di prima, ma questi erano, insignificanti particolari.
Lei di tutta risposa mi
sorrise compiaciuta dalla notizia. « Bene, meglio
così. » disse
poi.
« Beh quel giorno, sarà
stata l'emozione del momento. Non credevo lei fosse nervosa a tal
punto.» interruppe Jade, mentre io inarcavo un sopracciglio.
Beh
meglio che la si pensi così, piuttosto che sappia il vero
motivo
dello svenimento.
La campanella delle due,
ci avvertì che l'ora di pausa era terminata e che dovevamo
rientrare
per riprendere le lezioni.
Lo feci di malavoglia, ma
m'incamminai con gli altri. Ero molto stanca e non avevo voglia di
tornare a scuola, ma mi dovetti sacrificare, per altre due ore circa.
Per mia fortuna, il tempo sembrò essere dalla mia e queste
due ore
passarono in fretta, senza intoppi di nessun genere, permettendomi di
trascorrere alla meglio quella giornata che ormai stava sgusciando
verso il termine.
Non lo rividi più quel
giorno. Alle soglie del cancello, lo cercai con lo sguardo,
indugiando su centinaia di volti. Ma in nessuno di questi riconobbi
il suo.
°°°
Come
al solito, la strada
del ritorno, la percorsi insieme ai miei amici e come al solito,
davanti casa mia, sia Jade che James, erano restii a lasciarmi,
promettendomi di ammazzare quella vecchia gallina baffuta un giorno e
inveendo in vari modi contro le mie sorellastre.
Entrai in casa, che
fortunatamente era ancora vuota. Non c'era nessuno , dovevano ancora
rientrare tutti, a parte il Signor Gray ovvio, che mi aspettava come
al solito sulla soglia di casa, sorridente.
La loro assenza mi fece
tirare un lungo sospiro di sollievo. Raggiunsi la mia stanza e, di
gran fretta, mi fiondai sopra il morbido materasso del mio letto. Le
lenzuola erano state evidentemente cambiate quella mattina stessa,
perché profumavano di bucato. Una sensazione magnifica e
disarmante.
Erano le 16.20 circa.
Ero così stanca, che mi
addormentai ancora con la divisa addosso.
°°°
Il
mio risveglio non fu
proprio uno dei migliori. Svegliarsi con la brutta e antipatica
faccia di Lauren a due centimetri dalla mia, non è proprio
il
massimo.
Sbattei una paio di volte le palpebre per mettere a
fuoco il suo viso ridacchiante, come al solito. Chissà cosa
diavolo
aveva in mente di chiedermi, o cosa stava per dirmi.
« Non hai nemmeno
preparato la cena, sei proprio inutile. » Disse con una
smorfia
sprezzante dipinta sul viso.
« Perché, è ancora
presto sono ancora le 6. » dissi io, convinta di aver dormito
massimo un'ora. Ma non c'era nemmeno più luce ormai, e me ne
accorsi
in ritardo quando la mia vista si fece più nitida.
« Ma come lo hai visto
l'orologio? Guarda che sono sono le 9 ormai.» Mi fece notare
lei,
alzandosi dal mio letto e avvicinandosi alla porta, dalla quale
uscì
lesta, sbattendosi la porta alle spalle e lasciandomi al buio.
Io balzai in piedi con
così tanta foga che per per qualche secondo dovetti tener
ferma la
testa convinta che stesse andando per i fatti suoi. «
Ahi.» mi
lamentai, mettendo sul pavimento il primo dei miei due piedini. Avevo
ancora le scarpe, non mi ero cambiata da quando ero tornata a scuola.
Constatando questo, un sospiro rassegnato sfuggi alle mie labbra,
mentre di evidente controvoglia, mi apprestai a raggiungere il
corridoio, cercando la porta a tentoni e trovandola dopo una
dolorante botta alla mano, così da scendere verso le cucine.
Vi Trovai il Signor Gray,
visibilmente indaffarato con scodelle e posate. Ma nonostante questo,
non disdegnò di voltarsi e sorridermi paterno, come faceva
di
solito. « Buona sera signorina. Ben sveglia.» disse
poi e io
ricambiai con un cenno del capo ed un sorriso ammaliato da quella sua
adorabile gentilezza.
Cucinare non era proprio
il forte del maggiordomo. Lo sapeva fare bene si, ma se lo faceva,
raramente perché quella che d solito cucinava ero io, lo
faceva di
controvoglia. E lo faceva notare, visto che dalla sua faccia, si
potevano immaginare le mille bestemmiacce che avrebbe voluto
pronunciare contro tutti quegli affari, ma che ogni volta tratteneva
per sé, com'era ovvio che fosse. Non sarebbe stato un
comportamento
da maggiordomo altrimenti. Sorrisi divertita vedendolo con quel
broncio dispettoso e quindi mi decisi a intervenire.
« Lascia pure a me la
cucina, adesso. » dissi quindi avvicinandomi ai fornelli. Lui
mi
sorrise e quello bastò a farmi comprendere la sua immensa
gratitudine. Si allontanò subito dopo, per apparecchiare la
tavola,
lasciandomi sola, con i miei pensieri.
Mentre preparavo un po'
di verdure grigliate, piatto semplice visto il poco tempo che avevo a
disposizione, mi tornò alla mente la lettera di mia madre.
Ci pensai su, segnandomi
come promemoria, quello di rileggerla appena possibile. Ora, con
questi nuovi occhi, ci avrei capito qualcosa. O così speravo
almeno.
« Muoviti signorina.
Abbiamo fame. » disse Hanne dalla Sala Pranzo, provocandomi
immenso
fastidio con il solo suono della sua stridula e pacchiana voce. Brr.
Portai a tavolo la
pietanze, piuttosto misere, visto i pochi minuti che mi erano stati
concessi dalle tre. Il Signor Gray mi aiutò e mi
lasciò sedere,
servendo lui la maggior parte delle portate. Mi diceva sempre che non
avrei dovuto permettere a quelle tre streghe di trattarmi come una
cenerentola, perché su quella casa avevo più
diritti di loro, ma io
gli dissi che non mi importava fino a che mi lasciavano vivere come
volevo io, che andava bene così.
Ma era davvero così che
volevo vivere?
Domande troppo riflessive
per la cena, che divorai in pochi bocconi, sia perché come
mi
premuro di sottolineare, le portate erano esigue, sia perché
a
pranzo non avevo mangiato nulla. Già il pranzo, quanti
pensieri
maledizione.
Sbuffai, infastidita da
me stessa, alzandomi quando fui sicura che tutti avevano terminato.
Come al solito tutte facevamo di testa nostra dopo cena. Potevamo
uscire, ma solo io avevo il coprifuoco. Quando si tratta di pari
opportunità. Hanne diceva che il coprifuoco era necessario
visto che
ero la più piccola. Ma con i miei diciassette potevo contare
su di
una maturità ben maggior della loro. Anche della matrigna
cattiva.
Un coprifuoco che ieri notte avevo rotto. Ma Hanne non mi stava
dicendo nulla. Forse, c'era davvero cascata a quella sceneggiata
della sera prima. Ne dubitavo. Ogni tanto la guardavo di sottecchi,
sospetta, accorgendomi che anche lei faceva lo stesso, per poi
distogliere lo sguardo.
Finito di ripulire tutto,
mi ritirai nella mia camera. Ero sfinita si, ma avevo abbastanza
forze da dedicare a Winslet, un po' del mio tempo prezioso. Erano
giorni che non ci scrivevo su..
Winslet, il mio diario,
dove avevo nascosto la lettera.
Mi recai nel suo
nascondiglio, posizionato in una scatola, sotto l'armadio. Mi piegai
verso il pavimento acquattandomi e allungando la mano sotto lo spazio
vuoto tra il mobile e il terreno. Oltre che ad un bel pò di
polvere,
che mi ricordò che forse ogni tanto dovevo pulire anche
lì sotto,
trovai finalmente la scatola. Felice di ritrovarmela tra le mani,
sciolsi il fiocco con cui era legato il nastro di raso rosso. Si era,
una scatola Fai da Te, insomma, come i lavoretti che si fanno a
scuola. Una scatola di legno sottile, che avevo decorato con vari
disegni dei tovagliolini quando facevo il corso di decoupage insieme
a ...James. Bei tempi quelli.
Lentamente sollevai il
coperchio della scatola, attenta a non far uscire il nastro dai fori.
E
poi...
...Il
mio sguardo sfiorò il vuoto.
|
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Capitolo 9 *** Settimo Sigillo - Destino Ridente ***
Nota
Eccomi
di nuovo qua con un nuovo capitolo di Chains u.ù
Da
questo capitolo, possiamo dire che, comincerà la nostra
avventura nel vero e proprio mondo di Chains of blood *_*
Non
vi dico altro u.u come al solito ecco la colonna sonora XDDD
Track
Conductor ( We Were Promised Jetpacks )
Per
il resto, Buona lettura
Spero
vi piaccia
Yu
Lunae
Settimo
Sigillo
Destino
ridente
Ciao
Winslet
sai
oggi mi sono divertita un mondo, perché è tornato
a casa il mio
papà. Mi ha portato a giocare al parco, insieme alla mamma
e,
indovina un po' cosa abbiamo fatto?
Abbiamo
fatto volare il nostro aquilone, alto nel cielo, fino a toccare le
nuvole su. Era papà che lo teneva stretto, io lo rincorrevo
per
tutto il parco. La mamma, che ora sta scrivendo questo per me, si era
seduta a guardarci e a farci qualche foto.
Si
beh, non che a me piacciano particolarmente le foto, ma a mia madre
piacciono tanto, così, mio padre ogni tanto mi costringeva a
fermarmi e a guardare verso di lei. Mi muovevo così tanto,
che mi
doveva tenere ferma con tutte e due le braccia. Una volta per tenermi
ferma ha addirittura lasciato andare l'aquilone, e poi siamo andati
subito a rincorrerlo per tutto il parco. Che faccia buffa aveva il
mio papà.
Alla
fine lo abbiamo recuperato e poi siamo tornati a casa. La mamma
doveva ancora preparare la cena.
Ora
sto dormendo e mia madre sta scrivendo tutto questo a mia insaputa.
Ma va bene, un giorno lo leggerò e farò mio anche
questo prezioso
ricordo.
Con
amore
Eveline
& Venusia
Fu
l'ultima pagina
scritta da lei sul mio diario. Il giorno dopo venne portata
all'ospedale e morì dopo poche ore, divorata dal cancro che
l'aveva
resa un gracile stelo di rosa.
Erano passati due giorni,
dalla sua scomparsa ma io non avevo nemmeno provato a cercarlo. Certo
è che non avevo nemmeno provato a tornare a casa.
Ero stata due giorni a
casa di Jade che mi aveva gentilmente accolta come faceva sempre da
quando ci conoscevamo.
« Forse dovresti
avvertirla.» diceva ogni tanto, preoccupata, ma io nemmeno le
rispondevo. Non volevo il diario, ma avevo bisogno della lettera. In
ogni caso, non volevo fare ritorno in quella maledetta casa, che mi
aveva causato guai, dal primo giorno in cui ci misi piede insieme a
loro.
Da quando era accaduto
questo, non avevo mai smesso di vedere i Darva tutti intorno a me.
Era come se il segnale si fosse danneggiato e mandasse continuamente,
la stessa cosa sul mio canale di trasmissione. Vedevo esseri umani e
larve, tutto insieme.
Ad un certo punto,
persino quella casa, al solito così dolce e accogliente, mi
fece
soffocare. Quelle presenze, a cui ancora non ero abituata, mi
rendevano labile.
Mi alzai dalla sedia
stiracchiandomi appena. Lei mi notò.
« Io esco. » le dissi,
mentre imboccavo la porta d'uscita. Prima di sentire quanto aveva da
dirmi ero già uscita di casa.
Non sarei andata lontana.
Avrei raggiunto solo il parco di fronte casa di Jade.
Sospirai rassegnata,
quando attraversai la strada e mi trovai a due passi dal mio gioco
preferito. L'altalena. Mi vennero in mente tanti ricordi, in quel
momento e mi sfuggì un sorriso.
Decisi di sedermici
sopra, e cominciai a ondeggiare lentamente, avanti e indietro,
sfiorando appena il terreno con la punta delle mie all stars nere. La
mani si strinsero attorno alle catene che reggevano su il seggiolino
in legno. Avevo l'aria triste, si notava da un miglio di distanza. La
tipica aria malinconica di chi è lontano da casa. Ma se non
sai
qual'è casa tua, allora non hai di che preoccuparti.
Una casa. Il luogo dove
puoi fare ritorno e non verrai giudicato. Questa è una casa.
Decisi di spingere appena
più forte l'altalena e di ondeggiare con più
vigore. Su e giù,
mentre gli occhi puntavo al cielo che si imbruniva, alla ricerca
delle prime stelle, alla ricerca di qualcosa che non potevo vedere
durante il giorno, con la luce.
D'un tratto, mi sentii
fermare e rimasi in sospeso, all'indietro, mentre osservavo il
terreno sotto di me. Voltai appena il viso, giusto per inquadrare
l'immagine del nuovo giunto, anche con la coda dell'occhio. Mi
accorsi subito che era lui.
« Oh, sei tu. » dissi
con voce rassegnata.
« Che entusiasmo. »
disse lui, lasciandomi andare in avanti e spostandosi verso l'altra
altalena, prendendovi posto, accuratamente. Io mi curai di osservare
tutti i suoi movimenti senza però, valorizzarne uno in
particolare.
« Cosa ci fai qui? »
dissi io mentre tornai ad ondeggiare.
« Sono qui per te. »
disse lui emulandola.
Io lo guardai con aria
perplessa, cercando di capire cosa esattamente volesse dire quanto da
lui era appena stato detto.
« Dobbiamo andare. »
disse poi lui dopo una lunga pausa di silenzio, mentre oscillava
leggermente e senza rivolgermi lo sguardo.
Io mi voltai appena verso
di lui, schiudendo le labbra. Non potevo ribattere, ero stata io a
chiederlo. « Di già? » dissi io
sconsolata, mentre lui si voltò
finalmente a guardarmi.
« Si. La situazione sta
precipitando a Rederva. Dobbiamo agire subito. » disse lui
mentre io
sorrisi nel constatare che non sapevo nemmeno qual'era la situazione
di Rederva. Non conoscevo nemmeno la Terra delle Larve.
Ma il mio pensiero, fisso
tornava lì. Alla lettera. Chi avrebbe recuperato il diario e
la
lettera, se non ci fossi stata io? Le avrei rimaste qui.
Infondo lui mi aveva
detto che non dovevo lasciare questioni in sospeso su questa terra,
prima di andare a Rederva. Sarei potuta non tornare mai più.
Nulla
era sicuro lì. Avevo provveduto che il Signor Gray si
prendesse cura
della piccola Jade una volta andata via, ed altri piccoli
particolari, che grazie a Dio avevo dissolto in meno di mezza
giornata. Ero persino passata a salutare in biblioteca.
Richiamò la mia
attenzione allungandomi qualcosa.
« Tieni, questa è tua.
» sentii dire lui, mentre mi voltai a guardarlo. Abbassai
appena i
miei occhi verdi su di un pezzo di carta. Lo afferrai e mi apprestai
ad aprirlo.
« Ma...» dissi quando
lessi la calligrafia di mia madre. Era la famosa lettera.
« La tua matrigna la
stava bruciando, insieme a tutto il resto. » disse lui
continuando
ad ondeggiare.
« Come?» sbottai io
scendendo dall'altalena per posizionarmi di fronte a lui. «
Non è
vero. » dissi e senza accorgermene, muovevo il capo, negando
qualsiasi cosa. « Il mio diario. » mormorai ancora.
La mia Winslet, quella
che avevo sempre scritto insieme a Mia Madre. Lei che rappresentava
l'unico ricordo che avevo di mia madre. Divorata dalle fiamme di un
camino.
« Perché non hai preso
anche il mio diario?! » urlai verso di lui, quasi disperata.
« Perché non ci
serviva. » disse lui, molto semplicemente, senza troppi giri
di
parole.
Rimasi quasi sconvolta. «
Serve a me. » mormorai, tra me e me, dandogli le spalle e
portandomi
le mani agli occhi.
« No non ti servirà.
L'unica cosa di cui abbiamo bisogno per salvare tua madre e mio padre
è quella » disse portando alla sua attenzione la
lettera,
indicandola con l'indice. « Questa è quanto di
più utile ti abbia
lasciato tua madre. » e il suo dire risultò essere
così freddo.
Sconfortata abbassai le
braccia e le portai al bacino.
« Ma non può passarla
liscia. NON STAVOLTA! » dissi voltandomi di scatto verso di
lui.
« Lei che si è
prepotentemente infiltrata nella mia famiglia. Che voleva prendere il
posto di mia madre. E ora ha distrutto tutto quello che mi era
rimasto di lei. » mi fermai, chiudendo gli occhi. «
In quelle
pagine c'erano tutti i miei ricordi con loro. Tu hai idea di quello
che ho perso? » dissi scuotendo il capo. Le dita cominciarono
a
contrarsi, le labbra premevano tra loro con forza e la rabbia pervase
per intero tutto il mio corpo.
Lui si alzò, e
lentamente cominciò a muovere dei passi verso di me. Mi
afferrò per
le spalle. La sua presa era così salda, che per un attimo
credetti
mi avrebbe spezzato le ossa. Alzai il volto verso di lui,
poiché a
quanto pare era quello che desiderava facessi.
« Smettila di fare la
bambina. » mi disse, freddo come sempre. « Non hai
perso più del
dovuto. » continuò. « I ricordi con tua
madre. Quelli con tuo
padre. Quelle giornate passate insieme a loro, tu le hai ancora,
dentro di te. Quindi smettila di piagnucolare. »
ripeté ancora,
mentre io lo guardavo allibita. Il suo era evidentemente un tentativo
per farmi sentire meglio. Non era molto bravo, ma qualche progresso
lo feci.
Mi lasciò andare
passandomi oltre. « Ho lasciato una lettera nella tua camera
e una
da un agente di polizia in cui fai sapere che sei andata via e che
non tornerai, perché troppo soffocata dall'ambiente che ti
circondava. » disse lui. Io non replicai, anche
perché non avrei
avuto nulla da dire, rimanendo in silenzio con lo sguardo a fissare
il vuoto.
Lui mi guardò di
sottecchi, notandomi ancora sconfortata.
« Fatti coraggio,
ragazzina. » mi disse.
Ci provai, voltandomi e
annuendo. Prima di raggiungerlo, mi avvicinai all'altalena, intenta a
fare qualcosa. Cosa poi non lo capì nemmeno Kein. Lo
raggiunsi con
pochi passi. Sembravo una gattina perduta in un bosco pieno di lupi.
E mi sarei sentita così, anche lì. Forse
lì sarebbe stato peggio,
ma c'era lui.
Lo guardai negli occhi e
sentii che man mano sotto i miei piedi, l'appoggio veniva meno.
Una voragine nera si aprì
sotto di noi e del fumo nero, cominciò ad uscire da quel
profondo
buco. Il fumo ci avvolse, abbracciandoci nella maniera più
materna.
Osservai il suo viso, finché ne ebbi l'occasione.
Perché mi dava
sicurezza, perché sentivo di volerlo avere con me. Con
l'ausilio
della ormai giunta notte, i nostri corpi sparirono. E con loro anche
le nostre anime.
«
Eveeee? EVE è pronto!
» disse Jade raggiungendo il parco giochi.
Non trovò nessuno lì. «
Ma dove diavolo è finita? » si chiese mentre
avanzava verso
l'altalena.
Un oggetto sventolante
attirò la sua attenzione. Era un foulard, quello che spesso
aveva
visto al collo di Eve. Era attaccato alla catena di una delle due
altalene.
Lo sfiorò con le dita e
fu percorsa da un brivido.
« Eve...» mormorò
osservandosi intorno, piena di paura. Un presentimento
l'assalì. Un
presentimento che poi, si rivelò verità.
Infatti la mattina, ai
telegiornali parlarono di lei. La ragazza scomparsa, forse rapita
forse scappata.
Lei non c'era più.
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