Purple Shadow: Quale Vita? di Ayako_Chan (/viewuser.php?uid=11360)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tempo del destino: ATTO I ***
Capitolo 2: *** Il tempo del destino: ATTO II ***
Capitolo 3: *** Il tempo del destino: ATTO III ***
Capitolo 4: *** Il tempo dell'oscurità: ATTO I ***
Capitolo 1 *** Il tempo del destino: ATTO I ***
Pandora CAP 1
Titolo: Quale Vita?
Rating:
Giallo
Capitolo: 1
di 9
Personaggi:
Pandora
Disclaimer:
I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon
genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi
Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction
non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro
divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice:
Dunque. Alla fine ce l'ho fatta ad esordire su questo fandom *C*" Con
una certa incertezza, dato il numero incredibile di autori bravissimi
che vi girano, ma ci tengo molto a questa storia. E, per il momento, ne
sono anche piuttosto soddisfatta.
Pandora è un personaggio che mi piace moltissimo. Troppo
sottovalutato, secondo me.
Questa storia è nata mentre leggevo - per l'ennesima volta -
l'Hades chapter, chiedendomi come deve aver vissuto la guerra questa
Povera ragazza che, diciamocelo, non ha avuto una vita propriamente
allegra. Senza contare che trovo anche che sia un incredibile
contrasto, con il suo aspetto delicato e quasi etereo, in mezzo ad
un'armata di 108 specter grandi e grossi *O* Detto questo, buona
lettura!
Ah, le frasi in viola sono prese da "Le opere e i giorni" di
Esiodo.
Dedica: a
tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity.
In particolare a Milo, perché è grazie alle sue
drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi
ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*
Il tempo del destino: ATTO I
«
così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di
Crono.
E subito
l’inclito Ambidestro,
per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a
una
vergine casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e
l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione
veneranda
intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida
chioma, l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade
Atena
adattò alle membra ornamenti di ogni genere. »
La notte in cui la bambina nacque pioveva.
Una spessa coltre di nubi oscurava completamente il cielo di Tubinga,
lasciando cadere sulla città una pioggerella fitta e
fastidiosa;
di quelle che non portano sollievo ai raccolti, ma soltanto disagi agli
uomini.
In quel momento, comunque, Maria Heinshtein non badava affatto al
tempo, né a nient’altro che non fosse la creatura
che
stringeva fra le braccia, che ancora piangeva tendendo le manine verso
l’alto, alla ricerca di un appiglio che trovò
presto nel
seno della madre.
“E’ bellissima.”
Mormorò il marito, commosso, con un tiepido sorriso di
ringraziamento alla levatrice e uno denso d’amore per la
donna
che giaceva, sudata, stanca, eppure mai così bella ai suoi
occhi, sulle coltri sfatte del letto.
“Hans.”
Maria ricambiò il sorriso, allungando una mano per stringere
quella che l’uomo le porgeva, mentre cullava dolcemente la
bambina.
“Guarda.” Gli indicò il ciuffo di
capelli scuri che
spuntava sul piccolo capo, con tono esausto eppur pregno di un vago
divertimento “Ha preso i colori di tuo padre!”
Lui rise, sedendosi sul letto e allungando la mano libera ad
accarezzare i capelli della moglie, scostandole una ciocca bagnata
dalla fronte.
Si piegò a sfiorarle quel punto con le labbra.
“Ma è bella quanto te.”
Lei, troppo stanca per ribattere come suo solito, si limitò
a sorridere.
“Hai cambiato idea sul nome?”
“No.” Hans scosse il capo, osservando con affetto
quel corpicino fragile.
Maria, felice, si chinò a sussurrare alla bambina:
“Benvenuta al mondo, Pandora.”
***
Fin da subito, quella bambina divenne il cuore della casa.
Cullata nell’amore incondizionato dei genitori, la piccola
Pandora conquistò ben presto anche l’intera
servitù
del castello, con la sua intelligenza e, soprattutto, con la sua
innata, inestinguibile curiosità, che la portava spesso a
infilarsi in luoghi impensabili.
Hans Heinshtein, ricco per eredità di famiglia ed archeologo
per
passione, esperto di mitologia greca, ne rideva insieme alla moglie.
“Abbiamo trovato il nome giusto, caro.” Gli disse
lei, una volta, mentre commentavano il comportamento della figlia.
“E’ proprio vero!” Rispose, ripensando
divertito a quel vecchio mito.
C’era un motivo, ovviamente, se i coniugi Heinshtein avevano
dato
alla figlia proprio quel nome, tradizionalmente associato alla sventura
e alla punizione degli uomini.
Era stata Maria, soprattutto, ad insistere.
Pandora.
Pandora come la prima donna creata da Efesto.
Una donna a cui erano stati dati tutti i doni, come lo stesso nome
affermava; lei stessa che, come dono, era stata recata ad Epimeteo,
colui-che-vede-dopo.
“Un dono ingannevole.” Le aveva fatto notare il
marito, all’inizio, più di una volta.
“Ma pur sempre un dono.” Aveva semplicemente
ribattuto,
dolce ma decisa. “Come lei lo è stata per
noi.”
Così, alla fine, fu deciso.
«
Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre
lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le
infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna
Pandora,
perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano
donata in
dono, sciagura agli uomini laboriosi. »
Pandora crebbe, nell’agio e colmata di regali e attenzioni
che il padre, generoso per natura, mai le negava.
Al suo secondo compleanno, Hans le regalò un cucciolo di
cane:
un alano di appena pochi mesi, dall’aspetto adorabile.
Sarebbe
cresciuto con lei, rappresentando con la sua assoluta
fedeltà
una costante, qualcosa a cui Pandora avrebbe potuto sorreggersi anche
nei momenti più bui – aggrappandosi a
quell’amore
istintuale che trascende le azioni compiute e, almeno Hans lo sperava,
aggrappandosi anche al ricordo dei giorni felici
dell’infanzia,
trascorsi con loro.
Questo era ciò che egli si augurava per la figlia, mentre la
osservava precipitarsi verso quella palla di pelo.
“Hündchen!
Hündchen!”
Trillò la bambina, felice, stringendo le braccia attorno al
collo del cucciolo e ricevendo per tutta risposta
un’entusiasta
leccata sulla guancia.
“Come si chiama, Papa?”
domandò, ridacchiando e rivolgendo un sorriso al padre.
“Adolf, tesoro.”
“Ed è tutto mio?”
“Tutto tuo.”
Ancora ridendo, Pandora stampò un bacio sulla guancia del
genitore, e corse subito in giardino a giocare col nuovo regalo.
Fu circa qualche mese dopo, che Hans iniziò a provare una
strana
inquietudine ogni volta che si parlava del nome della figlia; non
sapeva spiegarsene l’origine, ma era come un indefinito
presagio
che gli impediva di riposare serenamente.
Era come l’attesa di un qualcosa
– misterioso e impenetrabile - di latente, una forza sepolta
sotto l’immenso spessore della Terra stessa, in attesa di
venire
liberata.
Incapace di trovare una motivazione razionale, non ne fece parola con
nessuno, interpretando quelle sensazioni come le paranoie di un padre
troppo attaccato alla figlia.
Passarono giorni, poi settimane; eppure, quella paura non accennava a
svanire, anzi si acuiva di giorno in giorno, in una sorta di climax
perverso che lo logorava istante dopo istante.
Infine, quando arrivò al punto in cui il solo posare lo
sguardo
sul piccolo viso ovale della bambina gli provocava un senso di angoscia
quasi patologica, gli tornò in mente – quasi a
caso, o per
un beffardo scherzo del destino – un avvertimento che suo
nonno
gli aveva dato molti anni prima.
«
Poi, quando compì l’arduo inganno, senza rimedio,
il Padre
mandò a Epimeteo l’inclito Argifonte portatore del
dono,
veloce araldo degli dèi; né
Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto:
mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro,
perché non divenga un male per i mortali »
C’era, nell’immenso giardino del Castello, una zona
più appartata, da dove scendeva il ruscello che andava ad
alimentare lo splendido lago dei cigni neri. Al di là del
corso
d’acqua si ergeva un tempietto circolare, di vaga forma
classica,
sprangato da un pesante portone chiuso a lucchetto.
Da più di duecento anni – così gli aveva detto
il nonno, anni prima
– quel portone non veniva aperto, né si sapeva
dove fosse
la chiave. Tuttavia, era proibito avvicinarsi, poiché luogo
di
sventura.
Quel ricordo, ritenuto evidentemente di poco valore, rimosso da molto
tempo, riaffiorò in modo così improvviso e
illogico che
Hans non dubitò neanche un istante che fosse collegato con
la
sua recente inquietudine.
Quando finalmente si decise a raccontarlo a Maria, tuttavia, lei si
limitò a sorridere con indulgenza.
“Caro, è solo la storia di un nonno anziano che
voleva
prendere un po’ in giro il nipotino. O..” e qui gli
rivolse
un’occhiata divertita “..impedirgli di giocare in
una zona
pericolosa del parco, ben conoscendo la sua attitudine
all’esplorazione. Ricordi quando eri così restio a
dare il
nome Pandora a nostra figlia? Eppure eccola qua, bella e vivace, senza
un’ombra davanti a lei. Sono soltanto miti.”
“E questa sensazione?”
Con un sospiro di amorevole sopportazione, scosse appena il capo,
guardandolo corrucciata. “Sono anni che ti dico che lavori
troppo, ma non hai mai voluto ascoltarmi.”
Lui rimase a osservarla per un po’, pensieroso, chiedendosi
se in
effetti non fosse tutto un parto di una mente stanca e troppo immersa
nei reperti di un’epoca remota.
Non ne era così convinto, ma annuì comunque,
seguendo con
lo sguardo la figura slanciata della moglie che si dirigeva in giardino.
“Ma ogni mito
ha un fondo di verità.”
Aggiunse poi, a mezza voce, rivolto a se stesso.
Col passare dei giorni, continuando a riflettere sulla questione giunse
alla conclusione che, in ogni caso, sarebbe stato meglio se Pandora non
si fosse mai avvicinata a quel luogo.
Dopotutto, non le avrebbe arrecato alcun danno un semplice avvertimento.
Glielo disse, quindi; ma, reso poco previdente dalla preoccupazione, lo
fece suonare come un’ imposizione.
Imposizione che ebbe soltanto l’effetto di stimolare la sua
innata curiosità.
“Va bene, Papa.
Se tu non vuoi, non ci andrò.”
“E’ una promessa?”
“Sì.”
«
Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre
lusinghe e indole astuta »
Piccola, ingenua bambina, vittima di un destino più grande
di lei.
Un destino che, implacabile, si compie, incurante delle preghiere degli
uomini. Su di esso difatti presiede una forza più grande,
che
tutto trascende: non è data ai mortali la facoltà
di
cambiarlo con poche raccomandazioni, e persino Zeus onnipotente,
dominatore delle folgori, può soltanto rinviarlo.
Le Moire, nel loro giardino, tessono le vite degli uomini.
Un anno dopo, Chloto creò un altro filo.
Anni dopo, Atropo ne avrebbe recisi a decine.
«
né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli
aveva
rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro,
perché non divenga un male per i mortali.
Lui lo accolse e
possedeva il male, pria di riconoscerlo.
»
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Capitolo 2 *** Il tempo del destino: ATTO II ***
Pandora CAP 2
Titolo:
Quale Vita?
Rating:
Giallo
Capitolo: 2
di 9
Personaggi:
Pandora
Disclaimer:
I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon
genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi
Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction
non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro
divertimento
dell'autrice.
Note dell'Autrice:
Ri-eccomi col secondo capitolo! Devo dire che mi sto divertendo molto a
manovrare Pandora da piccola ^O^.
Ultimamente sono incasinatissima, tra studio per la maturità
e problemi familiari... ma sono riuscita lo stesso a mettervi questo
secondo capitolo *O* Tutto perché vi voglio troppo bene!
Per questo capitolo, un grazie speciale a Calliope *O* La gemella che
non sapevo di avere. Che in questo momento sta morendo nell'attesa di
leggere il capitolo! XD Grazie mille per l'aiuto con l'alfabeto greco
°O°"
Dedica: a
tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity.
In particolare a Milo, perché è grazie alle sue
drabble se mi sono
riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a
pubblicare
la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*
Il
tempo del destino: ATTO II
“Der Bruder”
mormorò Pandora, accovacciata vicino al laghetto e fissando
intensamente negli occhi Adolf, come se potessero svelarle le risposte
che cercava.
“Woof!” abbaiò il cucciolo,
scodinzolando felice.
“Un fratellino. Sai che cosa significa, Adolf?”
borbottò fra sé e sé, continuando
quella
conversazione unilaterale. “Vuol dire che Mama e Papa penseranno
più a lui che a me.”
Lo affermò con convinzione, totalmente certa della
veridicità di quella affermazione.
Pandora era una bambina acuta per la sua età, e non aveva
impiegato molto per notare come – da quando i genitori le
avevano
comunicato quell’improvvisa notizia – i loro
sguardi
fossero rivolti più l’uno all’altro che
a lei, e a
come tutti i loro discorsi fossero incentrati su quella nuova creatura
che sarebbe venuta al mondo da un momento all’altro,
rubandole un
po’ della sua Mama e del suo Papa. O almeno, lei la vedeva
così.
“Ma tanto io ho te, vero Adolf?” aggiunse poco
dopo, sorridendo al cucciolo.
“Wooof! Wof!”
Soddisfatta, arricciò le labbra e raccolse il guinzaglio,
trotterellando verso il castello.
“Pandora?”
La bambina sollevò lo sguardo dal libro illustrato che
teneva
tra le mani, felice di trovarsi davanti la figura della madre.
“Mama!”
“Tesoro, come stai?”
La guardò senza capire. “Bene.”
Maria sorrise, sedendosi accanto alla figlia e sfilandole il libro
dalle mani.
“Lewis Carrol, Alice in Wonderland.” La
guardò sorpresa. “E’ una lettura
difficile.”
Pandora sollevò appena le spalle, indicando le numerose
figure
che adornavano le pagine. “Non capisco molto, ma i disegni
sono
belli.”
“Mh-hm. C’è qualcosa che ti
preoccupa?”
“Cosa?”
“Parli poco, ultimamente.”
La figlia strinse le labbra. “E’ che..”
lanciò
un’occhiata furtiva al ventre della madre, che negli ultimi
giorni aveva iniziato a ingrossarsi. “Il..fratellino. Quando
arriverà voi mi guarderete ancora?”
“Oh, tesoro.” Si chinò a stamparle un
bacio sulla guancia. “Certo.”
“Davvero?”
“Sì. Guarda.” Maria si alzò
con i consueti
movimenti misurati, segno della rigida educazione ricevuta fin dai
primi anni di vita. Aveva un portamento perfettamente posato, elegante,
che rivelava in ogni più piccolo gesto la sua origine
aristocratica; lo stesso portamento che avrebbe poi contraddistinto la
figlia, rendendola quasi una figura eterea, e conferendole il fascino
di una fragile e troppo delicata bellezza, in mezzo ad
un’armata
di guerrieri infernali.
“Ecco.” Sfilò un atlante dalla libreria,
aprendolo
su una cartina dell’Europa e riprendendo poi posto accanto
alla
bambina.
“Tuo padre te l’ha mai raccontato cosa significa il
tuo nome?”
“No.” Scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi
capelli neri.
“Viene dal greco. Una lingua molto diversa e molto
più
antica del tedesco. Si parla qua, in Grecia.” Le
spiegò,
indicandole un Paese sulla cartina.
“Qui? Che forma strana!”
“Quella è la città più
importante, si chiama Atene.”
“Atene.” Mormorò più volte
quel nome, famigliare. “E’ il posto dove va spesso
Papa?”
“Sì. Il tuo è un nome greco, e
significa tutti i doni.
E’ collegato a una storia molto antica, che prende il nome di
mito. E sai
perché ti abbiamo chiamata così?”
Fece nuovamente segno di no, aggrottando appena le sopracciglia per
cercare di seguire quel discorso, pieno di tante parole ancora
sconosciute.
“Perché tu sei stata per noi il dono
più grande. Come potremmo non amarti?”
A quel punto, Pandora sorrise, abbracciando la madre.
“Ti voglio bene, Mama.”
“Anch’io, piccola.” Rise, scompigliandole
i capelli. “E anche Papa.
E te ne vorrà anche il tuo fratellino. Perciò
cerca di volergli bene anche te, d’accordo?”
“D’accordo.”
Annuì, più rasserenata. Non aveva capito tutto di
quello
che la madre le aveva detto; ma aveva inteso l’essenziale. Il
suo
amore.
Ci avrebbe provato, davvero, a voler bene a quel fratellino che ancora
non conosceva.
***
Qualche settimana dopo, approfittando della bella giornata di sole,
Pandora uscì nuovamente in giardino, tirandosi dietro come
sempre anche il compagno di avventure.
“Sei pronto, Adolf?”
“Woaf!”
“Bene! Oggi voglio andare verso quel boschetto là.
Pensa quanti strani animali potremmo trovare!”
Era allegra, quel giorno, la bambina: il padre era tornato la sera
precedente dal suo ultimo viaggio in Grecia
– quel paese straniero e dalla forma strana di cui ora
conosceva
l’esistenza – e le aveva portato un regalo
bellissimo, una
collana a girocollo evidentemente molto antica, decorata con delle
bellissime incisioni, che avrebbe potuto indossare non appena fosse
diventata più grande.
Non vedeva l’ora.
Non conosceva, ovviamente, il reale valore di quel monile; ma ne
apprezzava la forma e i disegni.
“Adolf!” chiamò, sentendo strattonare il
guinzaglio
e facendo appena in tempo a scorgere la coda rossastra di uno
scoiattolo prima che il cane si mettesse a rincorrerlo, trascinandola
con lui.
“Adolf, fermo! Lo sai che Papa non vuole che ci allontaniamo
troppo di qua!” urlò, mentre correva dietro al
cucciolo
per cercare di calmarlo. Quando finalmente ci riuscì, o
meglio
quando lui prese atto dell’effettiva scomparsa
dell’animaletto, si accorse anche di essersi spinta
più
oltre di quanto mai avesse fatto. Quella parte del boschetto non le era
così famigliare, anzi – si rese conto con un
brivido
– era passata di lì solo una volta, con il padre.
Mossa da un’acuta curiosità, si mosse piano lungo
il
sentiero, sbucando poco dopo fuori da quella macchia di alberi.
Trattenne il respiro.
Lo spettacolo davanti a lei era bellissimo: il sole splendeva sulle
acque cristalline del ruscello, facendolo brillare come i gioielli
preziosi della sua mamma; splendeva sulle foglie verdi dei rami, sui
fiori che adornavano il prato. Splendeva su tutto, tranne che su quel
tempietto di marmo bianco, immerso nell’ombra. Ma questo
particolare, la bambina non lo notò.
Era già stata lì una volta, quando il padre le
aveva
mostrato il luogo cui non avrebbe mai dovuto avvicinarsi. Quel giorno
lei aveva provato una sensazione brutta, che non riusciva a definire; e
il posto non le era piaciuto.
Eppure ora – ora! – era tutto così bello!
Non fece caso al fatto che il rumore del corso d’acqua,
più che un allegro sciabordio, era un gorgogliare sommesso;
non
si accorse che tra le fronde non aleggiava nemmeno una leggera brezza.
Non si rese conto di essersi mossa e di aver attraversato il
ponticello, né di Adolf che, al suo fianco, aveva rizzato la
schiena, emettendo un basso ringhio.
Come mossa da una forza invisibile, affascinata da ciò che
vedeva, continuò ad avanzare, diretta verso la porta
intarsiata
e chiusa da quel vecchio e pesante lucchetto.
Lucchetto che, nell’esatto istante in cui lei le fu davanti,
si aprì.
Sobbalzò, inspirando rumorosamente, all’udire quel
colpo secco.
“WOOF!”
“Adolf!”
Solo in quel momento si accorse che il cane stava ringhiando, il pelo
ritto sulla schiena e i canini scoperti, al piccolo tempio.
“Adolf, cosa…?”
Il battente si aprì lentamente; e il ringhio si
trasformò in un guaito.
Dalla porta semi aperta uscì un’aria gelida,
avvolgente.
Il cane scappò.
“ADOLF!”
Cercò di richiamarlo, ma il cucciolo le aveva strappato il
guinzaglio di mano, e già scompariva in direzione del
castello.
C’erano cose da cui non poteva proteggerla.
Pandora si voltò verso la voragine scura che si apriva oltre
l’ingresso.
Pandora..
Qualcosa…qualcosa
la chiamava.
Pandora.
In seguito, sull’orlo di un baratro dimensionale, avrebbe
descritto quella sensazione come una forza demoniaca, che
l’aveva
attirata all’interno; in quel momento, comunque, la bambina
non
avvertì nessun pericolo, nessun segno del maligno.
Tesoro, ascoltami. Non
dovrai mai avvicinarti a quel tempio.
Si fermò, con le parole del padre che le risuonavano nelle
orecchie. Era forte, il richiamo che esse esercitavano, unito
all’espressione delusa che Hans avrebbe sicuramente fatto nel
momento in cui l’avesse scoperta.
Se
l’avesse scoperta.
La voce del padre era forte; ma ancor più forte era quella
che
la richiamava dall’interno. Una voce incorporea e appena
percettibile, che sussurrava non alle sue orecchie ma a qualcosa di
più recondito, di più sepolto dentro di lei.
Affascinata, si inoltrò nel buio.
Non c’era nulla di male, in fondo. Il papa era
probabilmente preoccupato che lei si potesse spaventare o perdere.
L’aria fredda e immobile l’avvolse. Curiosamente,
non c’era odore di chiuso.
Tutto era immobile, come se il tempo all’interno di quella
costruzione si fosse fermato.
«
Prima infatti le stirpi degli uomini abitavano la terra del tutto al
riparo dal dolore, lontano dalla dura fatica, lontano dalle crudeli
malattie che recano all’uomo la morte;
(rapidamente nel dolore gli uomini avvizziscono.) »
Si guardò intorno, incuriosita. Il luogo era spoglio, con
pochi
ornamenti. Troneggiava soltanto, in mezzo al tempio circolare, un
basamento di pietra a forma di colonna, con poggiato sopra un cofanetto.
Pandora si avvicinò per osservarlo meglio.
Allungò la mano destra per sfiorare gli intarsi del legno,
sempre più affascinata, prima di spostarla sul foglio bianco
che
la chiudeva.
Αθηυα
Che strani segni,
pensò divertita.
Chissà cosa conteneva quella scatola! Magari gioielli
bellissimi…
Pandora…
Sfiorò l’orlo del foglio di pergamena.
Le pareti sembrarono trattenere il fiato.
«
Ma la donna di sua mano sollevò il grande coperchio
dell’orcio e tutto disperse, procurando agli uomini sciagure
luttuose. Sola lì rimase Speranza nella casa infrangibile,
dentro, al di sotto del bordo dell’orcio, né se ne
volò fuori; ché Pandora prima ricoprì
la giara,
per volere dell’egioco Zeus, adunatore dei nembi. »
La carta cedette facilmente, e cadde sul pavimento di pietra,
dimenticata.
Improvvisamente, nel silenzio innaturale del tempio, nello stesso esatto momento in
cui Pandora sollevò il coperchio,
iniziò a soffiare uno strano vento.
Pandora!
Lo richiuse di scatto; ma era troppo tardi.
Quando sollevò lo sguardo, due grandi ombre nere
dall’aspetto umano troneggiavano su di lei.
Pandora, ti ringrazio
per aver liberato le nostre anime, aleggiò la
voce di una delle due figure. Siamo
stati rinchiusi in quella scatola per più di 250 anni.
Un senso di paura iniziò a strisciare dentro di lei.
“Chi.. chi siete?”
Io sono Hypnos, colui
che domina il sonno. Continuò la prima figura.
Io sono Thanatos, colui
che domina la morte. Aggiunse la seconda.
“H-Hypnos e..Thanatos?” Mormorò quei
nomi difficili, in un idioma che certamente non era il tedesco.
Greco,
qualcosa le disse dentro di lei. Erano nomi greci. Come il suo.
La bambina non capiva. La sua mente – seppur acuta
–
risentiva dei suoi soli tre anni di età, e lei si ritrovava
inerme di fronte a quelle due ombre che emanavano una forza palpabile,
di un’origine a lei sconosciuta, e che ora continuavano a
parlare, spiegandole cose che lei non si sentiva in grado di
comprendere.
Ascolta, Pandora. Presto
l’anima di sua maestà Hades rinascerà
in questo mondo come tuo fratello.
“Sua mestà Hades? Come.. mio fratello?”
Il fratellino cui avrebbe dovuto voler bene?
Sì. Generato
dal corpo di tua madre, il Re del Mondo dei Morti ritornerà
sulla terra.
Non era stupida, Pandora. E dall’alto della sua intelligenza,
se
non riconosceva il nome “Hades”, aveva ascoltato
fin troppi
racconti per sapere che un nome come Re del Mondo dei Morti era
in genere associato ai cattivi.
Iniziò a pentirsi di aver aperto quella scatola.
Pandora, tu dovrai
proteggere l’anima di sua maestà Hades.
..Finché non
verrà il tempo.
“Il tempo..?”
Sì. Presto,
nel lontano
Oriente, i guerrieri del mondo dei morti, i 108 Spectre
rinasceranno a loro volta. Quello sarà il momento in cui Sua
Maestà scatenerà l’ultima Guerra Sacra
per
conquistare la Terra!
Parole come quella avrebbero dovuto atterrirla. Eppure, la stessa
sensazione che l’aveva spinta ad entrare nel tempio si fece
ora
strada dentro di lei, placando il suo animo spaventato, senza che
potesse fare nulla per contrastarla.
Capisci, Pandora? Ti
stiamo dando
fiducia con una grande responsabilità. In cambio ti doniamo
il
potere di controllare i 108 Spectre. Fino a quel giorno,
dovrai
proteggere Sua Maestà Hades.
Pandora rimase immobile, le mani strette ai fianchi, cercando
disperatamente di capire.
Non sentiva più quella sensazione di aver fatto qualcosa di
sbagliato; ma non si sentiva neanche orgogliosa del suo gesto.
Osservando quelle due ombre maestose, non provò nulla.
Capisci, Pandora?
Annuì.
In cambio, riceverai la
vita eterna..
Le due figure, soddisfatte, scomparvero così
com’erano
apparse; e nel tempio rimase soltanto ad aleggiare la risata beffarda
di Thanatos.
Pandora, ancora incerta su quello che era accaduto, uscì dal
tempio, pensierosa.
Quando il suo sguardo si posò sul mondo davanti a lei, tutto
aveva perso un po’ del suo colore.
« E altri mali,
infiniti, vanno errando fra gli uomini. »
___________________________________________________
*Angolino
recensioni*
Beat:
Sì! *O* Lei... lei è Pandora. E' viola e figa.
Come si fa a non amarla? *spuccia anche lei*
Diana924:
Grazie mille! >o< Purtroppo il suo destino è
arrivato fin troppo presto, eh? >.< Mi sto già
preparando psicologicamente a scrivere il resto...
LeFleursDuMal: Aw
<3 Beh, tu questo capitolo l'avevi già letto in
anteprima... comunque grazie mille per tutto *O* Per gli
incoraggiamenti, il sostegno e i complimenti! *O*
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Capitolo 3 *** Il tempo del destino: ATTO III ***
Pandora CAP3
Titolo:
Quale Vita?
Rating:
Giallo
Capitolo: 2
di 9
Personaggi:
Pandora
Disclaimer:
I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon
genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi
Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction
non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro
divertimento
dell'autrice.
Note dell'Autrice:
Ora. Sinceramente. Io sono MORTA scrivendo questo capitolo. Ma ho
stoicamente ignorato la sensazione che mi stringeva lo stomaco mentre
digitavo sulla tastiera, e alla fine ce l'ho fatta.
Spero appreziate, e soffriate almeno un po' un con me
çOç Vi voglio bene.
Groβmutter, in tedesco, vuol dire nonna.
I tre versi a inizio fics sono un haiku.
Dedica: a
tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity.
In particolare a Milo, perché è grazie alle sue
drabble se mi sono
riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a
pubblicare
la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*
Il
tempo del destino: ATTO III
Languore d'inverno:
nel mondo di un solo
colore
il suono del vento.
Il castello di Heinshtein, quella notte, era in preda alla confusione.
Erano già passate diverse ore da quando Maria era stata
condotta
dal medico e dalla levatrice nella sua stanza, a seguito della rottura
delle acque.
Ora Hans - gentilmente sbattuto fuori dalla camera perché, a
detta del dottore, con la sua agitazione non giovava certo alla salute
della donna – passeggiava nervosamente avanti e indietro
lungo il
corridoio, cercando di contenere la sua preoccupazione per la moglie e
il futuro nascituro. Cameriere facevano continuamente la spola tra la
lavanderia e la camera, portando asciugamani puliti e catini pieni
d’acqua per meglio assistere la Signora, e rassicurando
meglio
che potevano il povero Padrone che non mancava occasione per chiedere
conto della situazione.
Un parto difficile,
gli rispondevano sempre. Ma
la Signora pare stia bene, e non c’è pericolo per
il bambino.
Lui tirava un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi. Per i successivi
dieci minuti.
Poi, riprendeva a misurare a lunghi passi il corridoio.
Pandora lo osservava incuriosita, comodamente seduta su di una poltrona
del corridoio, chiedendosi se anche quando era nata lei Papa
era
così agitato.
“Papa?”
“Mh?” Hans si bloccò di colpo,
voltandosi verso la
figlia come se si stesse riprendendo da una trance.
“Dimmi.”
“Come mai non riesci a stare fermo?”
“Semplice preoccupazione.”
Pandora corrugò appena la fronte. “La Mama sta
bene?”
“Sì.” Rispose subito lui, rifiutandosi
di pensare il contrario. “Certo.”
Anche se quel parto era
molto più lungo di quello che aveva dato luce a Pandora.
Anche se le cameriere
erano molto più agitate.
Anche se le nubi gravide
di pioggia, cupe annunciatrici di una vicina tempesta, non sembravano
preannunciare nulla di buono.
La bambina annuì, sprofondando di più nei
cuscini; e tacque.
Non aveva dimenticato, Pandora, ciò che era successo nel
piccolo
tempio pochi mesi prima. Ovviamente, non ne aveva nemmeno fatto parola
coi genitori. Non c’era niente da guadagnarci e tutto da
perdere,
e lei aveva sempre saputo valutare attentamente la situazione. Qualcosa
era cambiato, però, dentro di lei: l’aveva notato
la
servitù, e anche i genitori.
Era più indifferente, come se l’allegra
spensieratezza
dell’infanzia avesse lasciato posto a una pacatezza quasi
irreale, in una bambina così piccola. La sua innata
curiosità, che l’aveva portata a essere curiosa di
ogni
più piccola parte del mondo, da ogni colore, sfumatura, o
odore
che fosse, era come scomparsa.
Seppur preoccupati, avevano ricondotto questo cambiamento a una sopita
gelosia nei confronti del futuro nascituro e, nella speranza che
sarebbe presto svanita, avevano lasciato correre.
Passarono un altro paio d’ore, nel corridoio, prima che una
domestica uscisse dalla camera con in volto un’espressione
stanca
ma felice.
Fece un cenno affermativo ad Hans, rispondendo alla sua tacita domanda
che risplendeva nello sguardo ansioso.
“Sta bene. E’ nato.”
“Grazie a Dio.” Sospirò, il padrone di
casa,
voltandosi con un sorriso verso la figlia. “Hai sentito
tesoro?
E’ nato il tuo fratellino!”
Pandora annuì, inclinando appena il capo verso destra, al
ricordo di parole sentite dentro mura di pietra.
“Papa?”
Lo richiamò, mentre lui già si dirigeva verso la
porta della camera.
“Sì?”
“Come chiamerete il fratellino?”
“Avevamo pensato a Karl. Ti piace?”
“No.”
Hans Heinshtein sbatté un paio di volte le palpebre,
perplesso.
“Non ti piace?”
“No. Cioè… sì.”
Pandorà
corrugò ancor ala fronte, accigliata. “Mi piace,
ma il
fratellino non si chiama così.”
Lo affermò, decisa.
Cosa avevano detto le
due ombre grandi? Che si chiamava… Sua Maestà
qualcosa.
Un nome greco, come il
suo!
“E come lo vorresti chiamare?” chiese,
più curioso.
Adi..Hada..Hades! Ecco,
sì, era Hades.
Pandora aveva una buona memoria, e ne era orgogliosa quando la maestra
glielo faceva notare.
“Hades.” Rispose, con un tranquillo sorriso sul
volto.
Lasciando spiazzato il padre, che credette di aver sentito male.
“Come hai detto?”
“Hades,” ripeté lei, senza cambiare
inflessione del
tono di voce. Semplicemente come un dato di fatto. “Il
fratellino
si chiama Hades.”
Forse Papa ancora non lo
sapeva. Lei
invece era stata avvertita, glielo avevano detto Hypnos e Thanatos, le
due ombre grandi; ma questo era meglio se a lui non lo diceva.
Hans si umettò nervosamente le labbra, sentendo quel nome.
Perché
diavolo avrebbe dovuto chiamare suo figlio come il Sovrano dei Morti?
E soprattutto,
perché sua figlia ne era così convinta?
“Dove hai sentito questo nome, Pandora?”
Lei si limitò a sollevare appena le spalle con un sorriso.
Il padre fece per indagare oltre, ma la debole voce della moglie che lo
chiamava dalla camera vicina lo fece desistere.
Lanciò un’ultima occhiata – insieme
preoccupata e
perplessa – alla bambina, prima di scomparire dietro il legno
della porta, che si chiuse con un secco ‘click’.
***
Pandora sbuffò, seccata; era passata quasi mezzora da quando
Papa era entrato nella stanza. E ancora nessuno era venuta a chiamarla.
Insomma, aveva pur diritto di vedere questo famigerato Bruder Hades!
Scivolò agilmente a terra, decidendo che, se nessuno si
prendeva
la briga di invitarla ad entrare, allora tanto valeva che andasse a
giocare con Adolf.
Lui, almeno, non l’avrebbe fatta aspettare.
Rasserenata da quel pensiero, si mosse velocemente per i corridoi,
diretta verso la sua camera.
“Adolf!” Lo chiamò, guardandosi intorno
per vedere da dove sarebbe arrivato.
Nulla.
Perplessa, chiamò ancora, più forte.
“Adolf!”
Niente.
“ADOLF!”
Ancora più arrabbiata, spalancò di colpo la porta
della
stanza, decisa a trovare quel traditore di un alano, che non veniva
più se chiamato.
Lo individuò ai piedi del letto, rannicchiato su se stesso e
profondamente addormentato.
Sospirò, avvicinandosi, ancora irritata.
Generalmente, per quando pesante fosse il suo sonno, Adolf accorreva
sempre al suono della sua voce.
“Adolf..Sacco di pelo, vieni qua! Perché adesso
non vieni quando ti chia--?”
Le parole le morirono strozzate in gola.
China sulle ginocchia davanti al cucciolo, la sua mente
iniziò ad elaborare dei dettagli che si rifiutava di
accettare.
“Adolf..?”
Perché non si
muoveva?
“Adolf…”
Perché la sua
pancia non si alzava ed abbassava al ritmo del respiro?
Con mano tremante, il respiro che le si mozzava in gola,
allungò una mano per scuoterlo.
“Adolf, svegliati!”
Fu una supplica, più che un ordine.
Il suo corpo era strano. Appena tiepido, come se tutto il calore lo
stesse abbandonando.
Iniziò a tremare in modo incontrollato, le lacrime che
scendevano dagli occhi scuri spalancati.
No. Nonononononono.
Perché il suo
Adolf non si muoveva?!
In lacrime, si alzò nuovamente in piedi.
Incontrando con lo sguardo la gabbia dei canarini. Entrambi riversi sul
fondo.
Soffocò un singhiozzo.
In lacrime, si lanciò fuori dalla stanza.
In cerca di qualcuno – chiunque – che potesse
spiegarle che cosa era successo ai suoi animali.
Corse.
Corse lungo i corridoi, diretta alle stanze più vicine,
quelle della servitù.
Aprì di colpo la porta, cercando con lo sguardo il corpo
amico, caldo e accogliente della cuoca, a cui aggrapparsi.
Non lo trovò.
Non dove si aspettava, e di certo non come si aspettava.
Katie – la cuoca grande e dolce, che le passava sempre i
pasticcini di nascosto – giaceva a terra, a pancia in su,
accanto
al giardiniere; gli occhi vuoti rivolti al soffitto, la bocca
spalancata in un muto e vano grido d’aiuto.
Pandora si girò.
Riprese a correre.
E' un incubo, si ripeteva, la visuale accecata dalle
lacrime. E’
tutto un incubo.
Mama. Papa.
Doveva andare da loro.
Esitò, sulla porta della stanza; la mano le tremava talmente
tanto che dovette appoggiarsi con tutto il suo esiguo peso al pannello
di legno per riuscire ad aprirla.
Si catapultò all’interno con un singhiozzo,
volgendo selvaggiamente lo sguardo intorno per trovare i genitori.
Maria giaceva estenuata nel letto, vinta dal sonno e sommersa dalle
coltri; Hans, a sua volta, era collassato su di una sedia posta
lì accanto.
“Papa! Mama!”
Chiamò, con un singulto di sollievo, precipitandosi verso il
padre per cercare svegliarlo, farsi avvolgere dal suo abbraccio, farsi
cullare e rassicurare, sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene.
Il papa,
però, non si svegliò.
"Papa? Papa
ti prego, svegliati, è tutto brutto, non capisco che
succede..”
La bambina cercò di scuoterlo, tirandogli una manica; ebbe
solo
l’effetto di far cadere il capo a peso morto sul petto.
Sgranò gli occhi, incredula.
Incapace di capire.
Girò lo sguardo verso la madre.
“M-Mam..?”
non
riusciva quasi a pronunciare quella parola, da quanto la voce le
tremava, da quanto il suo respiro era accelerato. “M—Mam..a?”
Pandora, cresciuta nell’agio e nell’amore, non
comprendeva la morte.
L’aveva già incontrata, tuttavia: l’anno
precedente, la groβmutter
era stata chiamata in cielo; lei l’aveva salutata per
l’ultima volta, e aveva pensato che dormisse. Poi Papa le
aveva
spiegato che purtroppo questa volta non si sarebbe svegliata, ma anche
che si trovava in un posto migliore, dove tutte le sue sofferenze erano
finalmente finite. Che avrebbe continuato a vegliarla e a prendersi
cura di lei da lassù.
La bambina, ovviamente, non aveva capito: inizialmente si era
arrabbiata, perché la groβmutter
non poteva più giocare con lei e perché per colpa
sua la
Mama stava male; poi aveva iniziato a sentirne la mancanza: e aveva
pianto anche lei.
Aveva dimenticato, dopo un po’, perché la sua vita
era
proseguita come sempre; ma ora, il corpo immobile di Adolf e dei
domestici le avevano fatto ricordare tutto.
Che la nonna si era addormentata come loro. E non aveva più
aperto gli occhi.
In quel momento, in preda ai singhiozzi, pensava soltanto al fatto che
la Mama e il Papa rimanevano freddi e inerti sotto le sue mani, che per
quanto forte li scuotesse non si svegliavano, non le sorridevano, non
la abbracciavano.
Come la groβmutter.
“MAMA! PAPA!”
Urlò. Urlò il suo dolore, la sua confusione e il
suo smarrimento.
Singhiozzando, un fuoco ad arderle nel petto e il gelo nel cuore e
nella mente. Gli occhi le bruciavano per le lacrime, mentre si
aggrappava alle coltri del letto della madre, scuotendo disperatamente
il capo per negare l’evidenza.
No. Nononononono! NO!!
Non riusciva quasi a respirare.
Pandora.
Persa nel suo dolore, non sentì quella voce che la chiamava.
Pandora.
Ripeteva soltanto i nomi dei genitori, come un mantra, come se questo
avesse potuto riportarli da lei.
Pandora!
Con un singulto, sollevò lo sguardo da quel letto di morte.
Davanti a sé, trovò le due grandi ombre.
Pandora…
Fece per rispondere, per chiedere spiegazioni, ma i singhiozzi glielo
impedirono.
Pandora, il momento
è arrivato.
Scosse il capo, senza capire. Il
momento? Ma la mama, e il papa…
L’ombra di Hypnos sorrise condiscendente, espandendo il suo
cosmo sopra la bambina
Riposa, Pandora. Le
disse. Riposa, e quando ti sveglierai, tutto sarà diverso.
Pandora avvertì quell’energia misteriosa farsi
strada
nella sua mente, cancellando la percezione del mondo attorno a lei.
Perse coscienza a poco a poco, senza avvertire più nulla,
neanche il dolore della perdita.
Invitata dal dominatore del sonno, Pandora svenne, in quel castello
dove tutto taceva.
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Capitolo 4 *** Il tempo dell'oscurità: ATTO I ***
Capitolo 4
Titolo:
Quale Vita?
Rating:
Giallo
Capitolo: 4
di 9
Personaggi:
Pandora; Speciale presenza di Zellos (?!), Ikki e Shun.
Disclaimer:
I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon
genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi
Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction
non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro
divertimento
dell'autrice.
Note dell'Autrice:
Entriamo
nella parte "oscura", per così dire, della storia. Non
quella
più viola, perché gli spectre non ci sono ancora,
ma
quella più buia.
Ho un po' di precisazioni da fare, ma le darò a fine
capitolo.
Per il momento, solo due note:
Der
Bruder: il fratello.
Fräulein: signorina.
Dedica: a
tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity.
In particolare a Milo, perché è grazie alle sue
drabble se mi sono
riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a
pubblicare
la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*
Il
tempo dell ' oscurità: ATTO I
Sono preoccupato.
La voce, che era soltanto tale, priva di un corpo tangibile,
riempì il silenzio denso della stanza.
Quella che era l’ombra – o meglio,
l’anima - di
Hypnos si girò verso il fratello; se avesse avuto un corpo,
le
labbra sarebbero state distese in un sorriso divertito.
Riguardo a cosa?
Thanatos indicò con un cenno la bambina svenuta.
Le altre sacerdotesse
erano state preparate fin dalla nascita. Non avevano legami con questo
mondo.
Temi che questo possa
compromettere il suo ruolo?
Il silenzio del signore della Morte fu sufficiente. Hypnos riprese:
Capisco le tue
perplessità. Ma
purtroppo in quest’epoca è stato impossibile
educarla fin
dall’inizio. Lo sai.
Sì.
Ciò non dissipa comunque i miei dubbi.
Mh. Il
dominatore del Sonno sorrise, incorporeo. Io
non mi preoccuperei troppo. Quando l’ho fatta sprofondare nel
sonno, ho sondato la sua mente: probabilmente l’impatto
emotivo
che ha subito nel vedere i cadaveri dei genitori è stato
troppo
traumatico, e ha creato una sorta di blocco. Non credo si
ricorderà gli eventi dell’ultimo giorno, una volta
sveglia.
Thanatos annuì. Se
sarà davvero così, allora è un
ostacolo in meno. E
poi avverto che il richiamo dell’anima della sacerdotessa
originaria è già molto forte in lei.
Sì,
convenne il fratello. Manca
solo la spinta finale, per risvegliarla.
Ancora poco. Pochi anni,
e arriverà il tempo della guerra.
Labili, le due ombre si confusero con l’oscurità
della stanza.
***
Pandora mosse piano la punta delle dita, avvertendo sotto di esse un
tessuto morbido.
Tossì, aprendo gli occhi e sollevandosi sui gomiti, cercando
di
capire dove si trovasse. La stanza era buia, e l’unica fonte
d’illuminazione era il leggero chiarore che Eos,
l’aurora,
spandeva come annuncio di un sole non ancora sorto.
Perplessa, si guardò intorno. Era la camera di Mama e Papa,
la riconosceva; ma i genitori non c’erano.
Cos’era
successo? Avvertiva la gola secca e gli occhi bruciare.
“Mama? Papa?”
Il letto era vuoto.
Scivolò lentamente giù da esso, avviandosi alla
porta ed
incamminandosi per il corridoio. I piedi scalzi non producevano nessun
rumore sui pavimenti ricoperti dai pregiati tappeti, che attenuavano il
freddo delle pietre sottostanti.
Tutto era immerso in un silenzio innaturale, sospeso.
Un silenzio che le
ricordò il tempietto di pochi mesi prima.
Non capiva dove potessero essere finiti tutti;
aprì diverse porte, ma ovunque era quiete e vuoto.
“Mama, Papa? Dove siete?”
La voce acuta, di bambina, riecheggiò tra le pareti.
Percorse i principali corridoi della casa, affacciandosi anche alle
finestre per sbirciare il giardino, finché i passi non la
ricondussero inconsciamente alla camera da cui era partita.
Aggrottò la fronte, perplessa, non ricordando
com’era
tornata lì. Stava per andarsene, quando –
improvvisamente
– sentì
qualcosa
dentro di sé. Una sensazione come quella che
l’aveva
spinta nel buco d’ombra del Tempio, ma più
intensa; trasse
un lungo respiro, avvertendo un profondo bisogno di entrare
di nuovo in quella stanza.
Assecondandolo, socchiuse l’uscio. E la vide immediatamente.
Era collocata in un angolo, a fianco del letto matrimoniale: una grossa
culla, protetta da tende colorate e piene di disegni infantili.
Der Bruder!
Sorrise fra
sé e sé: l’avrebbe finalmente visto, e
senza
neanche i genitori cui dover dire per forza che le piaceva.
Si avvicinò, curiosa, alzandosi in punta di piedi per
sbirciare.
Lo sguardo incontrò la figura addormentata di un neonato; ma
fu
solo per un attimo, prima che tutto, attorno a lei, si distorcesse.
Perse la cognizione dello spazio, e qualunque tipo di riferimento.
E furono galassie, e una moltitudine di stelle.
Fu una conoscenza antica e nobile.
Universi che si succedevano uno dopo l’altro, vita dopo vita,
reincarnazione dopo reincarnazione.
Cosmo.
Fu un immenso potere di quiete e di morte, che le fece venire la pelle
d’oca e che scosse qualcosa di profondo e radicato in lei:
un’altra anima antica, richiamata alla luce da colui che
aveva
sempre servito, secolo dopo secolo. Un’anima che, pronta,
emerse
fino alla superficie dalla quale prima era bandita, fondendosi con
l’identità della bambina in una nuova secolare
coscienza.
Con un singulto, Pandora si sentì richiamare alla sua
realtà.
Tornò improvvisamente nella stanza del castello di
Heinshtein,
in Germania, ritrovandosi in ginocchio davanti alla culla.
Tremando, alzò a fatica una mano davanti al volto, cercando
qualche segno di cambiamento.
Pandora.
Sobbalzò, voltandosi di scatto e incontrando nuovamente le
due
grandi ombre. Aprì la bocca per dire qualcosa, per chiedere
spiegazioni, ma nessun suono ne uscì: non sapeva neanche da
dove
iniziare.
Thanatos si avvicinò. Pandora,
ricordi il tuo compito?
La nebbia che le aveva ottenebrato la mente, impedendole di pensare, si
dissipò.
Ricordò parole ascoltate tempo prima: su una Dea, su una
Guerra,
su un Signore dei Morti. Tuttavia, non era più confusa come
la
prima volta che le aveva sentite, anzi sentiva dentro di sé
una
certezza che ciò che le due anime dicevano era giusto, che
quella era la causa per cui doveva combattere.
Quindi, semplicemente rispose: “Sì.”
Il signore della Morte parve soddisfatto. Bene.
“Cosa…” la bambina cercò le
parole giuste.
Non trovandole chiese soltanto: “Cosa è successo
prima?”
Fu Hypnos, questa volta, a rispondere.
Come ti avevamo
annunciato il Signor
Hades è tornato sulla terra, come tuo fratello. Egli
però
non è un mortale a cui puoi rivolgerti come a un semplice
consanguineo. La sua anima è immortale, è
l’anima
di un Dio. E come tale va venerata.
Pandora annuì. Lo capiva. Lo sentiva.
Pandora, noi stessi
siamo dèi, ma egli è l’Oscuro
dominatore dell’Oltretomba, Re del mondo dei morti.
A quel punto, Thanatos iniziò a raccontarle
dell’era dei miti; di come il mondo fosse stato spartito fra
i
tre dèi fratelli – Zeus, Poseidon e il Sommo Hades
–
e di come a quest’ultimo fosse toccato il regno sotterraneo.
Le
raccontò dell’immensa generosità del
signore
dell’Erebo e, soprattutto, le raccontò delle
guerre che
Egli aveva affrontato fin dai tempi più antichi contro la
sua
principale nemica, la Pallade Athena.
“Athena?”
Sì. Athena
è la dea
della saggezza, della strategia e della giustizia. Ciononostante, non
è mai stata in grado di comprendere le motivazioni del Sommo.
Pandora inclinò appena il capo verso destra, perplessa.
C’è
giustizia, nella
Morte, Pandora. Una profonda giustizia a cui tutti sono soggetti.
Athena protegge il mondo degli uomini, ma la giustizia terrestre
è imperfetta; gli uomini saccheggiano il mondo e spesso i
malvagi non ricevono la giusta punizione. Nell’Oltretomba,
invece, non conta la ricchezza o la posizione sociale. Tutti vengono
giudicati in base alle loro azioni.
Hypnos lo interruppe, voltando il viso incorporeo verso la bambina. Ci
sarà tempo, per questo. Capirai col tempo, quando avrai una
maggiore consapevolezza. Ora, basta che tu comprenda
l’essenziale.
“Lo sento.” Rispose lei, innaturalmente tranquilla.
“Questo è il mio compito.”
Chissà come
l’avrebbero presa, però, la Mama e il Papa.
Tra circa
dieci anni, il
sigillo che tiene imprigionata l’armata del signor Hades, i
centootto spectre, si scioglierà. Allora Egli
condurrà la
sua ultima guerra contro Athena rinata in questo mondo. E tu, Pandora,
condurrai quell’armata.
Annuì, mordicchiandosi nervosa l’interno della
guancia.
No. Mama e Papa
l’avrebbero presa decisamente male.
Quella che hai visto
prima nella
culla, riprese Hypnos catturando la sua attenzione, era
l’anima
del Signor Hades. La forma di neonato col quale appare è
soltanto un simulacro. Un involucro fittizio creato
dall’anima,
non un corpo vero. Quello sarà tuo compito trovarlo,
affinché si riunisca alla sua anima legittima. Capisci?
“Sì.”
A quel punto, si intromise Thanatos. Ti doniamo il potere di muoverti
liberamente, da viva, nel mondo dei morti.
Una collana di perle nere e ossa si
materializzò attorno al suo collo. La guardò,
sorpresa.
Grazie a quella, nessun
luogo ti sarà precluso. E ti doniamo anche il potere di
controllare gli Spectre.
Avvertì una stranissima sensazione farsi strada dentro di
sé. Sollevò lo sguardo sulle due ombre, perplessa.
Il come, ti
verrà spiegato in un secondo momento. Per ora, hai qualcosa
da chiedere?
“Ecco… sì.”
Mormorò, ricordandosi del
giro che aveva fatto per il castello. “Dove sono tutti? La
Mama,
il Papa?”
Hypnos e Thanatos si scambiarono uno sguardo. Fu il primo a rispondere.
Il loro compito
è finito. Hanno ricevuto in dono la salvezza. Da oggi, tu
inizi una nuova vita.
Secco, lapidario.
Pandora avvertì, nonostante tutto in lei le dicesse che
quella era davvero la sua strada, una sensazione di gelo.
“Quindi…non potrò più
vederli?” La voce le uscì tremante.
Il Signore del Sonno annuì.
Si morse un labbro, mentre le scappava un singhiozzo.
Abbassò lo sguardo a terra, annuendo ancora una volta
perché sentiva che era quello che doveva fare.
Poi, quando le due anime scomparvero, si rannicchiò sul
letto dei genitori; e pianse.
***
Dopo qualche mese, il castello di Heinshtein non era più lo
stesso; non v’era più il rigoglioso verde
del
giardino, l’allegria degli animali che lì
vivevano, il
vociare dei servitori. A circondare l’imponente costruzione
ora
c’era soltanto la nuda roccia, e un silenzio di morte ad
aleggiarvi intorno.
Col tempo, anche Pandora era cambiata: il ricordo dei genitori e della
sua vita precedente si era fatto sempre più vago, fino a
sparire. L’anima risvegliata della Sacerdotessa era ormai un
tutt’uno con quella della reincarnazione.
Non c’era più Maria, né la governante,
a fare in
modo che tutto fosse in ordine, e quindi la bambina si aggirava tra
corridoi polverosi, riscoprendo stanze dimenticate.
Hypnos e Thanatos ogni tanto ricomparivano, per istruirla: fu
così che la sacerdotessa imparò gli antichi miti
che, in
realtà, leggende non erano; ma soprattutto, i due
Dèi le
insegnarono cosa fosse il Cosmo.
“Uffaaaaa.” Sbuffò fra sé e
sé, la
bambina, affacciandosi nell’ennesima stanza in cerca di
qualcosa
da fare. Passò davanti a uno specchio, dandogli
un’occhiata distratta, senza registrare i capelli tutti
annodati
e scompigliati, né il vestito strappato.
“Zellos!” Chiamò, improvvisamente.
Mentre aspettava quel nuovo domestico, arrivato qualche tempo prima
– non si ricordava esattamente quanto prima, i
ricordi erano confusi - si mise a battere nervosamente un piede per
terra, irritata che ci mettesse così tanto.
“Fräulein
Pandora?
Mi avete chiamato?” le chiese l’uomo, con un tono a
metà fra il rispetto e il timore, mentre entrava a sua volta
nella stanza.
La bambina rimase ad osservarlo per qualche istante, perfettamente
immobile, studiandolo come aveva fatto fin dalla prima volta che lo
aveva visto. Sapeva che, a tempo debito, in lui si sarebbe risvegliata
l’anima di uno dei centootto spectre –
così le era
stato detto, ma lo avrebbe avvertito comunque - ma continuava a
chiedersi come fosse possibile: guardandolo, non riusciva a definirlo
come un guerriero.
Da parte sua, Zellos distolse in fretta lo sguardo. Quel posto, a
volte, gli dava i brividi. Era arrivato qualche mese prima, e ancora
non si capacitava di come fosse possibile che una bambina
così
piccola vivesse da sola in quel posto lugubre. Ma, in fondo, era
proprio lei ad inquietarlo maggiormente.
Era strana: a volte sembrava una bambina come tante, quando la vedeva
correre in giro per i corridoi; altre invece rimaneva immobile e
perfettamente posata, come se avesse il quadruplo dei suoi anni.
Più di tutto però a metterlo in soggezione erano
i suoi
occhi – troppo seri e troppo consapevoli.
Antichi.
Nonostante tutto, però, non riusciva ad andare via da
lì:
c’era qualcosa, dentro di lui, che l’aveva attirato
verso
quel castello, e che lo spingeva a rimanere.
“Zellos. È pronta la cena?”
“Non ancora. Tra qualche minuto…”
Ancora quello sguardo. Irritato.
Rabbrividì involontariamente. Non riusciva a capire in quale
rapporto porsi di fronte a Pandora: aveva poco più di tre
anni,
quindi l’adulto era lui, eppure aveva la sensazione di essere
infinitamente inferiore di fronte a lei.
“Fai in fretta.”
Chinò appena il capo come assenso, ritirandosi.
Pandora sospirò, voltandosi… e trattenne
bruscamente il
fiato per la sorpresa, quando si trovò davanti le anime dei
due
dèi.
“Hypnos… Thanatos…”
C’è
un compito per te.
Spalancò gli occhi. Era la prima volta che le veniva
affidato un incarico.
“Cosa devo fare?”
È nato il
corpo destinato ad ospitare l’anima del Sommo Hades.
A quel punto, sorrise.
Ti abbiamo
già spiegato tutto. Gestisci la situazione nel modo che
ritieni più opportuno.
Senza fare una piega, chiese: “Dove si trova?”
In Giappone, molto
distante da qua. Ti apriremo un varco dal Mondo dei Morti.
La sacerdotessa annuì, avviandosi verso la lunga scalinata
che dava accesso agli inferi, dimentica della cena.
***
Doveva ammetterlo: si stava divertendo.
Le strade della città, immerse nella notte, erano deserte.
Se
fosse stato per un caso fortuito o proprio a causa della sua presenza
lì, non avrebbe saputo dirlo; ma non aveva importanza.
Camminava senza fretta, mentre l’aria fredda le scompigliava
i
capelli, stringendo al petto le fasce che racchiudevano
l’anima
di un Dio - di suo
fratello
– con una cura estrema, sfiorandole a tratti con la punta
delle
dita, attenta a non sgualcirle. Avvertiva la sacralità e
l’importanza di ciò che le era stato affidato,
grazie a
una memoria riaffiorata dagli abissi del Tempo.
Davanti a lei, un bambino correva, tenendo in braccio un fagotto simile
al suo: più piccolo, ma non meno importante.
Correva, cercando di sfuggirle.
Pandora sorrise: non
poteva riuscirci.
Ikki – così si chiamava il bambino, anche se lei
ancora
non lo sapeva – strinse più forte il fratello,
guardandosi
intorno per vedere se fossero ancora seguiti.
Se non fosse stato la persona che era, avrebbe pensato che tutto quello
fosse soltanto un incubo. E, in effetti, successivamente sarebbe quasi
arrivato a considerarlo tale, un vago ricordo sepolto in un angolo
della sua mente, surclassato da anni di battaglie e di sangue.
In quel momento, tuttavia, era fin troppo reale.
“Siamo in salvo, Shun.” Sussurrò al
fagotto fra le sue braccia, ancora addormentato, prendendo fiato.
Sussultò di colpo però, quando, voltandosi, si
trovò davanti ancora una volta quella bambina.
Non è
possibile, pensò. Era più indietro di
me.
“Non hai vie di fuga.” Gli disse, quasi
cantilenando. Il
sorriso sul suo volto gli trasmetteva un’inquietudine mai
provata. “Credevi davvero di poter sfuggire a me,
Pandora?”
La sacerdotessa, decisamente, si divertiva. Soprattutto al vedere la
sua espressione confusa.
“Avanti,” intimò. “Dammi quel
bambino.”
“Tu chi sei? Cosa vuoi da Shun?!”
Si era aspettata quella domanda.
“Quel bambino è mio fratello.”
“Non è possibile!” Ikki lo strinse
più forte a sé, protettivo. Non era possibile.
“Shun e io siamo nati dalla stessa madre. Sono io il suo unico
fratello!”
Pandora sospirò, senza tuttavia smettere di sorridere.
“Tu non capisci.” Gli umani non possono capire.
“Se a quel bambino è stato concesso un corpo
umano,
è stato grazie a un disegno divino! Per questo,”
il tono
si fece più duro, “non hai nessun diritto di
tenerlo!”
Il ragazzino, tuttavia, non sembrava intenzionato a capire.
Né a collaborare.
Strinse le labbra, cominciando ad irritarsi.
“Guarda,” aggiunse, “a partire da ora,
sarà tutt’uno con questo spirito.”
Gliela mostrò, l’anima del Dio,
concedendogli un onore che pochissimi altri avevano avuto.
Onore che, tuttavia, Ikki sembrò non apprezzare,
perché
rafforzò la presa sul corpo del neonato, facendo un passo
indietro.
Come poteva essere
così cieco!
Come poteva non capire
il destino di grandezza riservato a quel bambino!
Era finito il tempo delle parole: quello era il corpo destinato al
signor Hades, suo fratello, suo Dio e suo padrone; e lei aveva il
compito di ricondurlo al suo giusto posto.
Si concentrò, come Hypnos le aveva insegnato, fino a sentire
il
cosmo dentro di sé, fino a proiettarlo contro quel ragazzino
arrogante.
Sorrise, quando lui urlò di sorpresa e di dolore, crollando
a terra.
Sorrise di una sottile crudeltà che apparteneva,
più che
all’anima dell’antica sacerdotessa, alla bambina
che ancora
era.
Si avvicinò per prendere il neonato; ma il ragazzino,
resistendo
al dolore di quelle scariche elettriche, stringeva ancora il fratello.
Arrogante!
“Lascialo!” Ordinò, continuando a
colpirlo e ad avanzare.
Allungò una mano per sciogliere la sua presa, ma venne
respinta.
Spalancò gli occhi, sorpresa, mentre ogni suo tentativo di
avvicinarsi ulteriormente falliva, perché c’era
una sorta
di barriera ora, attorno ai due bambini, che la respingeva.
Non è
possibile.
È solo un
essere umano!
“Non…” Ikki ansimò, per il
dolore e la fatica
di resistere. “…ti lascerò mai
Shun!”
Pandora tentò ancora, ma questa volta venne allontanata con
più forza.
Aggrottò le sopracciglia, mentre alla perplessità
e
confusione della Sacerdotessa si aggiungeva l’irritazione
della
bambina.
Rimase a fissare il ragazzino ancora un po’, prima di
decidere cosa fare.
“Non importa. Dovranno passare ancora molti anni prima che il
sigillo degli spectre si sciolga.”
Sospirando, con un gesto della mano fece comparire un ciondolo attorno
al collo del neonato.
Yours Ever.
“Tutto ciò è stato inutile. Lo
troverò
comunque.” Mormorò rivolta a Ikki, che iniziava a
perdere
conoscenza.
“L’anima del signor Hades è legata a
quel ciondolo.”
Solo a quel punto liberò il ragazzino dalla pressione del
suo attacco.
Si voltò, allontanandosi da quelle strade deserte. Irritata,
perché avrebbe dovuto spiegare parecchie cose ai due
dèi
gemelli.
Yours Ever.
Sorrise, comunque.
C’era tempo.
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Come
dicevo, servono precisazioni. Su quella che è la mia idea di
Pandora e della sua evoluzione.
Se
il
capitolo precedente è stato difficilissimo scriverlo per la
carica emotiva che mi ha prodotto, questo è stato (e anche i
prossimi due) dieci volte più difficile dal punto di vista
logistico. Perché a questo punto si aprono mille punti di
domanda: Pandora ha solo tre anni, chi si prende cura di lei in un
castello che respinge ogni creatura vivente? Come ha imparato ad
utilizzare il cosmo?
Non
solo,
ma c'é il grande problema di come abbia potuto dimenticare
la
sua vita precedente. Questa è la mia spiegazione:
è
scientificamente provato che i nostri ricordi risalgono dal terzo anno
di vita in poi. Prima, non si riesce a ricordare nulla. Pandora vede la
sua vita stravolta ad un'età precocissima, quindi lo shock,
unito alla nuova vita che inizia ben presto tendono a rendere i ricordi
più sfumati, fino a relegarli in un angolo dimenticato della
memoria. Quando poi scoppierà la guerra lei avrà
dodici
anni, e sarà passata talmente tanta acqua sotto ai ponti da
farglieli praticamente dimenticare. Finché un forte shock e
una
fort emozione non li riportano a galla. Sembra quasi sensato, vero?
Poi:
gli
spectre. Nel fumetto Kurumada ci dice cheil sigillo si rompe in un
determinato momento, e poi si vede subito l'attacco al Santuario.
Ora
io mi
chiedo: ma allora la coscienza degli spectre si risveglia solo in quel
momento? E tutti si riuniscono per andare subito in guerra, senza
addestramento né niente, perché ricordano tutto?
Oè una cosa graduale, e lo spezzarsi del sigillo corrisponde
solo al momento in cui la guerra può iniziare?
Io
cercherò di attenermi il più possibile al
fumetto, quindi
anche nel prossimo capitolo di spectre non se ne vedranno, o al massimo
ci saranno i tre generali. Vedrò.
Zellos
di
Frog: perché lui? Sono stata indecisa fino all'ultimo se
metterlo oppurBe no, ma in fondo era possibile che una bambina di tre
anni vivesse da sola e, sinceramente, non ci vedo Hypnos e Thanatos a
farle da balia [questa considerazione ha portato, su msn, ad un
imbarazzante imbizzarrimento nell'immaginarsi Hyp e Than con un
grembiulino rosa. Tremate.]. Quindi dovevo trovare qualcuno.. e visto
che nella serie Zellos sembra sempre lo
zerbino
ehm.. il portavoce di Pandora - o se non altro lo spectre che
è
sempre nelle sue vicinanze - ho optato per lui. Anche
perché il fatto di starl così vicino spiegherebbe
il
sacro terrore che prova nei suoi confronti xD
Infine.
Il
comportamento di Pandora. So che generalmente si pensa a lei come alla
ragazza perfettamente posata che suona l'arpa ecc, ma DAVVERO, ce
l'avetepresente com'é nelle sue apparizioni di
sacerdotessa-bambina? Col vestito strappato, pallidissima, i capelli
scompigliati, il sorrisetto inquietante? Ecco. Caratterizzare QUESTA
Pandora è stato molto difficile, perchè a questo
punto in
lei è come se convivessero due anime: c'é la
sacerdotessa
calma, consapevole, posata. Ma c'é anche la bambina, che non
si
cura del suo aspetto e si sente lusingata ed esaltata per il compito
che le è stato dato. Amalgamare queste due cose -
infantilità e consapevolezza - è stato molto,
molto
difficile. Spero di esserci riuscita. E infine, quando parlo
di
"crudeltà", è sempre riferito alla sua anima
"infantile".
Perché, e io ne rimango convinta, i bambini quando vogliono
sanno essere infinitamente bastardi. Non badano alla cortesia o a
queste cose qua. Avete presente gli scherzi, le prese in giro, le frasi
che si dicono alle elementari? Sull'aspetto fisico, o anche quelle
mirate semplicemente a ferire, del tipo "non sei più mio
amico!"? Ecco. E' di questa crudeltà che parlo.
E
non
dimentichiamo che Zellos stesso ci dice che "la signorina Pandora sa
essere davvero terribile". Insomma, fa urlare di dolore Rhadamantys
della Viverna semplicemente suonando, non so se mi spiego.
Ok,
ho scritto un papiro. Scusate. Se siete arrivati fin qua a leggere vi
adoro çOç
beat: Che bello!
Quel passaggio mi ha fatto morire, seriamente, quindi sono
contentissima che sia stato apprezzato. Pandora è una cosina
carina da coccolare e spucciare. Finché non diventa
sacerdotessa. Poi, fa paura. Ma va adorata lo stesso. Spero di aver
gestito altrettanto bene questo quarto capitolo!
çOç Un bacione!
Clayre: Eccomi!
Eccomi! Visto che ho aggiornata? Sei morta di astinenza? No! Resuscita
ti prego! Come faccio senza di te? Ecco la tua dose mensile di "Quale
Vita?". Spero che ti piaccia e ti basti. Anche perché quest
chap è inedito anche per te! <3 Sono stra-felice che
il capitolo precedente abbia fatto star male un po' anche te. Vuol dire
che ci sono riuscita. Yay! Possiamo continuare il discorso
Eros-Thanatos-Sigari di Freud quando e dove vuoi. Sei sempre la
più che benvenutah <3 *spuccia tantissimo*
Diana924: Il
passaggio da bambina felice a sacerdotessa, come vedi, è
più complicato del previsto, ma ce la farà. Sono
felice di essere riuscita a trasmetterti delle amozioni! Un bacio!
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