Purple Shadow: Quale Vita?

di Ayako_Chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tempo del destino: ATTO I ***
Capitolo 2: *** Il tempo del destino: ATTO II ***
Capitolo 3: *** Il tempo del destino: ATTO III ***
Capitolo 4: *** Il tempo dell'oscurità: ATTO I ***



Capitolo 1
*** Il tempo del destino: ATTO I ***


Pandora CAP 1
Titolo: Quale Vita?
Rating: Giallo
Capitolo: 1 di 9
Personaggi: Pandora
Disclaimer: I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice: Dunque. Alla fine ce l'ho fatta ad esordire su questo fandom *C*" Con una certa incertezza, dato il numero incredibile di autori bravissimi che vi girano, ma ci tengo molto a questa storia. E, per il momento, ne sono anche piuttosto soddisfatta.
Pandora è un personaggio che mi piace moltissimo. Troppo sottovalutato, secondo me.
Questa storia è nata mentre leggevo - per l'ennesima volta - l'Hades chapter, chiedendomi come deve aver vissuto la guerra questa Povera ragazza che, diciamocelo, non ha avuto una vita propriamente allegra. Senza contare che trovo anche che sia un incredibile contrasto, con il suo aspetto delicato e quasi etereo, in mezzo ad un'armata di 108 specter grandi e grossi *O* Detto questo, buona lettura!
Ah, le frasi in viola sono prese da "Le opere e i giorni" di Esiodo.
Dedica: a tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity. In particolare a Milo, perché è grazie alle sue drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*



Il tempo del destino: ATTO I




«  così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di Crono.
E subito l’inclito Ambidestro, per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a una vergine casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione veneranda intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida chioma, l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade Atena adattò alle membra ornamenti di ogni genere. »




La notte in cui la bambina nacque pioveva.
Una spessa coltre di nubi oscurava completamente il cielo di Tubinga, lasciando cadere sulla città una pioggerella fitta e fastidiosa; di quelle che non portano sollievo ai raccolti, ma soltanto disagi agli uomini.
In quel momento, comunque, Maria Heinshtein non badava affatto al tempo, né a nient’altro che non fosse la creatura che stringeva fra le braccia, che ancora piangeva tendendo le manine verso l’alto, alla ricerca di un appiglio che trovò presto nel seno della madre.

“E’ bellissima.”

Mormorò il marito, commosso, con un tiepido sorriso di ringraziamento alla levatrice e uno denso d’amore per la donna che giaceva, sudata, stanca, eppure mai così bella ai suoi occhi, sulle coltri sfatte del letto.

“Hans.”

Maria ricambiò il sorriso, allungando una mano per stringere quella che l’uomo le porgeva, mentre cullava dolcemente la bambina.

“Guarda.” Gli indicò il ciuffo di capelli scuri che spuntava sul piccolo capo, con tono esausto eppur pregno di un vago divertimento “Ha preso i colori di tuo padre!”

Lui rise, sedendosi sul letto e allungando la mano libera ad accarezzare i capelli della moglie, scostandole una ciocca bagnata dalla fronte.
Si piegò a sfiorarle quel punto con le labbra.

“Ma è bella quanto te.”

Lei, troppo stanca per ribattere come suo solito, si limitò a sorridere.

“Hai cambiato idea sul nome?”

“No.” Hans scosse il capo, osservando con affetto quel corpicino fragile.

Maria, felice, si chinò a sussurrare alla bambina:

“Benvenuta al mondo, Pandora.”



***



Fin da subito, quella bambina divenne il cuore della casa.
Cullata nell’amore incondizionato dei genitori, la piccola Pandora conquistò ben presto anche l’intera servitù del castello, con la sua intelligenza e, soprattutto, con la sua innata, inestinguibile curiosità, che la portava spesso a infilarsi in luoghi impensabili.
Hans Heinshtein, ricco per eredità di famiglia ed archeologo per passione, esperto di mitologia greca, ne rideva insieme alla moglie.

“Abbiamo trovato il nome giusto, caro.” Gli disse lei, una volta, mentre commentavano il comportamento della figlia.

“E’ proprio vero!” Rispose, ripensando divertito a quel vecchio mito.

C’era un motivo, ovviamente, se i coniugi Heinshtein avevano dato alla figlia proprio quel nome, tradizionalmente associato alla sventura e alla punizione degli uomini.
Era stata Maria, soprattutto, ad insistere.
Pandora.
Pandora come la prima donna creata da Efesto.
Una donna a cui erano stati dati tutti i doni, come lo stesso nome affermava; lei stessa che, come dono, era stata recata ad Epimeteo, colui-che-vede-dopo.

“Un dono ingannevole.” Le aveva fatto notare il marito, all’inizio, più di una volta.

“Ma pur sempre un dono.” Aveva semplicemente ribattuto, dolce ma decisa. “Come lei lo è stata per noi.”

Così, alla fine, fu deciso.




« Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi. »




Pandora crebbe, nell’agio e colmata di regali e attenzioni che il padre, generoso per natura, mai le negava.

Al suo secondo compleanno, Hans le regalò un cucciolo di cane: un alano di appena pochi mesi, dall’aspetto adorabile. Sarebbe cresciuto con lei, rappresentando con la sua assoluta fedeltà una costante, qualcosa a cui Pandora avrebbe potuto sorreggersi anche nei momenti più bui – aggrappandosi a quell’amore istintuale che trascende le azioni compiute e, almeno Hans lo sperava, aggrappandosi anche al ricordo dei giorni felici dell’infanzia, trascorsi con loro.
Questo era ciò che egli si augurava per la figlia, mentre la osservava precipitarsi verso quella palla di pelo.

Hündchen! Hündchen!” Trillò la bambina, felice, stringendo le braccia attorno al collo del cucciolo e ricevendo per tutta risposta un’entusiasta leccata sulla guancia.

“Come si chiama, Papa?” domandò, ridacchiando e rivolgendo un sorriso al padre.

“Adolf, tesoro.”

“Ed è tutto mio?”

“Tutto tuo.”

Ancora ridendo, Pandora stampò un bacio sulla guancia del genitore, e corse subito in giardino a giocare col nuovo regalo.

Fu circa qualche mese dopo, che Hans iniziò a provare una strana inquietudine ogni volta che si parlava del nome della figlia; non sapeva spiegarsene l’origine, ma era come un indefinito presagio che gli impediva di riposare serenamente.
Era come l’attesa di un qualcosa – misterioso e impenetrabile - di latente, una forza sepolta sotto l’immenso spessore della Terra stessa, in attesa di venire liberata.
Incapace di trovare una motivazione razionale, non ne fece parola con nessuno, interpretando quelle sensazioni come le paranoie di un padre troppo attaccato alla figlia.

Passarono giorni, poi settimane; eppure, quella paura non accennava a svanire, anzi si acuiva di giorno in giorno, in una sorta di climax perverso che lo logorava istante dopo istante.
Infine, quando arrivò al punto in cui il solo posare lo sguardo sul piccolo viso ovale della bambina gli provocava un senso di angoscia quasi patologica, gli tornò in mente – quasi a caso, o per un beffardo scherzo del destino – un avvertimento che suo nonno gli aveva dato molti anni prima.




« Poi, quando compì l’arduo inganno, senza rimedio, il Padre mandò a Epimeteo l’inclito Argifonte portatore del dono, veloce araldo degli dèi; né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro, perché non divenga un male per i mortali »




C’era, nell’immenso giardino del Castello, una zona più appartata, da dove scendeva il ruscello che andava ad alimentare lo splendido lago dei cigni neri. Al di là del corso d’acqua si ergeva un tempietto circolare, di vaga forma classica, sprangato da un pesante portone chiuso a lucchetto.
Da più di duecento anni – così gli aveva detto il nonno, anni prima – quel portone non veniva aperto, né si sapeva dove fosse la chiave. Tuttavia, era proibito avvicinarsi, poiché luogo di sventura.
Quel ricordo, ritenuto evidentemente di poco valore, rimosso da molto tempo, riaffiorò in modo così improvviso e illogico che Hans non dubitò neanche un istante che fosse collegato con la sua recente inquietudine.
Quando finalmente si decise a raccontarlo a Maria, tuttavia, lei si limitò a sorridere con indulgenza.

“Caro, è solo la storia di un nonno anziano che voleva prendere un po’ in giro il nipotino. O..” e qui gli rivolse un’occhiata divertita “..impedirgli di giocare in una zona pericolosa del parco, ben conoscendo la sua attitudine all’esplorazione. Ricordi quando eri così restio a dare il nome Pandora a nostra figlia? Eppure eccola qua, bella e vivace, senza un’ombra davanti a lei. Sono soltanto miti.”

“E questa sensazione?”

Con un sospiro di amorevole sopportazione, scosse appena il capo, guardandolo corrucciata. “Sono anni che ti dico che lavori troppo, ma non hai mai voluto ascoltarmi.”

Lui rimase a osservarla per un po’, pensieroso, chiedendosi se in effetti non fosse tutto un parto di una mente stanca e troppo immersa nei reperti di un’epoca remota.
Non ne era così convinto, ma annuì comunque, seguendo con lo sguardo la figura slanciata della moglie che si dirigeva in giardino.

Ma ogni mito ha un fondo di verità.

Aggiunse poi, a mezza voce, rivolto a se stesso.



Col passare dei giorni, continuando a riflettere sulla questione giunse alla conclusione che, in ogni caso, sarebbe stato meglio se Pandora non si fosse mai avvicinata a quel luogo.
Dopotutto, non le avrebbe arrecato alcun danno un semplice avvertimento.
Glielo disse, quindi; ma, reso poco previdente dalla preoccupazione, lo fece suonare come un’ imposizione.
Imposizione che ebbe soltanto l’effetto di stimolare la sua innata curiosità.

“Va bene, Papa. Se tu non vuoi, non ci andrò.”

“E’ una promessa?”

“Sì.”



« Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta »



Piccola, ingenua bambina, vittima di un destino più grande di lei.


Un destino che, implacabile, si compie, incurante delle preghiere degli uomini. Su di esso difatti presiede una forza più grande, che tutto trascende: non è data ai mortali la facoltà di cambiarlo con poche raccomandazioni, e persino Zeus onnipotente, dominatore delle folgori, può soltanto rinviarlo.
Le Moire, nel loro giardino, tessono le vite degli uomini.
Un anno dopo, Chloto creò un altro filo.

Anni dopo, Atropo ne avrebbe recisi a decine.




« né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro, perché non divenga un male per i mortali.
 Lui lo accolse e possedeva il male, pria di riconoscerlo. »

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Capitolo 2
*** Il tempo del destino: ATTO II ***


Pandora CAP 2 Titolo: Quale Vita?
Rating: Giallo
Capitolo: 2 di 9
Personaggi: Pandora
Disclaimer: I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice: Ri-eccomi col secondo capitolo! Devo dire che mi sto divertendo molto a manovrare Pandora da piccola ^O^.
Ultimamente sono incasinatissima, tra studio per la maturità e problemi familiari... ma sono riuscita lo stesso a mettervi questo secondo capitolo *O* Tutto perché vi voglio troppo bene!
Per questo capitolo, un grazie speciale a Calliope *O* La gemella che non sapevo di avere. Che in questo momento sta morendo nell'attesa di leggere il capitolo! XD Grazie mille per l'aiuto con l'alfabeto greco °O°"
Dedica: a tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity. In particolare a Milo, perché è grazie alle sue drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*






Il tempo del destino: ATTO II







Der Bruder” mormorò Pandora, accovacciata vicino al laghetto e fissando intensamente negli occhi Adolf, come se potessero svelarle le risposte che cercava.

“Woof!” abbaiò il cucciolo, scodinzolando felice.

“Un fratellino. Sai che cosa significa, Adolf?” borbottò fra sé e sé, continuando quella conversazione unilaterale. “Vuol dire che Mama e Papa penseranno più a lui che a me.”

Lo affermò con convinzione, totalmente certa della veridicità di quella affermazione.
Pandora era una bambina acuta per la sua età, e non aveva impiegato molto per notare come – da quando i genitori le avevano comunicato quell’improvvisa notizia – i loro sguardi fossero rivolti più l’uno all’altro che a lei, e a come tutti i loro discorsi fossero incentrati su quella nuova creatura che sarebbe venuta al mondo da un momento all’altro, rubandole un po’ della sua Mama e del suo Papa. O almeno, lei la vedeva così.

“Ma tanto io ho te, vero Adolf?” aggiunse poco dopo, sorridendo al cucciolo.

“Wooof! Wof!”

Soddisfatta, arricciò le labbra e raccolse il guinzaglio, trotterellando verso il castello.






“Pandora?”

La bambina sollevò lo sguardo dal libro illustrato che teneva tra le mani, felice di trovarsi davanti la figura della madre.

Mama!

“Tesoro, come stai?”

La guardò senza capire. “Bene.”

Maria sorrise, sedendosi accanto alla figlia e sfilandole il libro dalle mani.

“Lewis Carrol, Alice in Wonderland.” La guardò sorpresa. “E’ una lettura difficile.”

Pandora sollevò appena le spalle, indicando le numerose figure che adornavano le pagine. “Non capisco molto, ma i disegni sono belli.”

“Mh-hm. C’è qualcosa che ti preoccupa?”

“Cosa?”

“Parli poco, ultimamente.”

La figlia strinse le labbra. “E’ che..” lanciò un’occhiata furtiva al ventre della madre, che negli ultimi giorni aveva iniziato a ingrossarsi. “Il..fratellino. Quando arriverà voi mi guarderete ancora?”

“Oh, tesoro.” Si chinò a stamparle un bacio sulla guancia. “Certo.”

“Davvero?”

“Sì. Guarda.” Maria si alzò con i consueti movimenti misurati, segno della rigida educazione ricevuta fin dai primi anni di vita. Aveva un portamento perfettamente posato, elegante, che rivelava in ogni più piccolo gesto la sua origine aristocratica; lo stesso portamento che avrebbe poi contraddistinto la figlia, rendendola quasi una figura eterea, e conferendole il fascino di una fragile e troppo delicata bellezza, in mezzo ad un’armata di guerrieri infernali.

“Ecco.” Sfilò un atlante dalla libreria, aprendolo su una cartina dell’Europa e riprendendo poi posto accanto alla bambina.

“Tuo padre te l’ha mai raccontato cosa significa il tuo nome?”

“No.” Scosse il capo, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri.

“Viene dal greco. Una lingua molto diversa e molto più antica del tedesco. Si parla qua, in Grecia.” Le spiegò, indicandole un Paese sulla cartina.

“Qui? Che forma strana!”

“Quella è la città più importante, si chiama Atene.”

“Atene.” Mormorò più volte quel nome, famigliare. “E’ il posto dove va spesso Papa?”

“Sì. Il tuo è un nome greco, e significa tutti i doni. E’ collegato a una storia molto antica, che prende il nome di mito. E sai perché ti abbiamo chiamata così?”

Fece nuovamente segno di no, aggrottando appena le sopracciglia per cercare di seguire quel discorso, pieno di tante parole ancora sconosciute.

“Perché tu sei stata per noi il dono più grande. Come potremmo non amarti?”

A quel punto, Pandora sorrise, abbracciando la madre.

“Ti voglio bene, Mama.

“Anch’io, piccola.” Rise, scompigliandole i capelli. “E anche Papa. E te ne vorrà anche il tuo fratellino. Perciò cerca di volergli bene anche te, d’accordo?”

“D’accordo.”

Annuì, più rasserenata. Non aveva capito tutto di quello che la madre le aveva detto; ma aveva inteso l’essenziale. Il suo amore.
Ci avrebbe provato, davvero, a voler bene a quel fratellino che ancora non conosceva.




***




Qualche settimana dopo, approfittando della bella giornata di sole, Pandora uscì nuovamente in giardino, tirandosi dietro come sempre anche il compagno di avventure.

“Sei pronto, Adolf?”

“Woaf!”

“Bene! Oggi voglio andare verso quel boschetto là. Pensa quanti strani animali potremmo trovare!”

Era allegra, quel giorno, la bambina: il padre era tornato la sera precedente dal suo ultimo viaggio in Grecia – quel paese straniero e dalla forma strana di cui ora conosceva l’esistenza – e le aveva portato un regalo bellissimo, una collana a girocollo evidentemente molto antica, decorata con delle bellissime incisioni, che avrebbe potuto indossare non appena fosse diventata più grande.
Non vedeva l’ora.
Non conosceva, ovviamente, il reale valore di quel monile; ma ne apprezzava la forma e i disegni.

“Adolf!” chiamò, sentendo strattonare il guinzaglio e facendo appena in tempo a scorgere la coda rossastra di uno scoiattolo prima che il cane si mettesse a rincorrerlo, trascinandola con lui.

“Adolf, fermo! Lo sai che Papa non vuole che ci allontaniamo troppo di qua!” urlò, mentre correva dietro al cucciolo per cercare di calmarlo. Quando finalmente ci riuscì, o meglio quando lui prese atto dell’effettiva scomparsa dell’animaletto, si accorse anche di essersi spinta più oltre di quanto mai avesse fatto. Quella parte del boschetto non le era così famigliare, anzi – si rese conto con un brivido – era passata di lì solo una volta, con il padre.
Mossa da un’acuta curiosità, si mosse piano lungo il sentiero, sbucando poco dopo fuori da quella macchia di alberi.

Trattenne il respiro.

Lo spettacolo davanti a lei era bellissimo: il sole splendeva sulle acque cristalline del ruscello, facendolo brillare come i gioielli preziosi della sua mamma; splendeva sulle foglie verdi dei rami, sui fiori che adornavano il prato. Splendeva su tutto, tranne che su quel tempietto di marmo bianco, immerso nell’ombra. Ma questo particolare, la bambina non lo notò.  
Era già stata lì una volta, quando il padre le aveva mostrato il luogo cui non avrebbe mai dovuto avvicinarsi. Quel giorno lei aveva provato una sensazione brutta, che non riusciva a definire; e il posto non le era piaciuto.
Eppure ora – ora! – era tutto così bello!
Non fece caso al fatto che il rumore del corso d’acqua, più che un allegro sciabordio, era un gorgogliare sommesso; non si accorse che tra le fronde non aleggiava nemmeno una leggera brezza.
Non si rese conto di essersi mossa e di aver attraversato il ponticello, né di Adolf che, al suo fianco, aveva rizzato la schiena, emettendo un basso ringhio.

Come mossa da una forza invisibile, affascinata da ciò che vedeva, continuò ad avanzare, diretta verso la porta intarsiata e chiusa da quel vecchio e pesante lucchetto.
Lucchetto che, nell’esatto istante in cui lei le fu davanti, si aprì.

Sobbalzò, inspirando rumorosamente, all’udire quel colpo secco.

“WOOF!”

“Adolf!”

Solo in quel momento si accorse che il cane stava ringhiando, il pelo ritto sulla schiena e i canini scoperti, al piccolo tempio.

“Adolf, cosa…?”

Il battente si aprì lentamente; e il ringhio si trasformò in un guaito.
Dalla porta semi aperta uscì un’aria gelida, avvolgente.
Il cane scappò.

“ADOLF!”

Cercò di richiamarlo, ma il cucciolo le aveva strappato il guinzaglio di mano, e già scompariva in direzione del castello.
C’erano cose da cui non poteva proteggerla.
Pandora si voltò verso la voragine scura che si apriva oltre l’ingresso.

Pandora..
Qualcosa…qualcosa la chiamava.
Pandora.

In seguito, sull’orlo di un baratro dimensionale, avrebbe descritto quella sensazione come una forza demoniaca, che l’aveva attirata all’interno; in quel momento, comunque, la bambina non avvertì nessun pericolo, nessun segno del maligno.

Tesoro, ascoltami. Non dovrai mai avvicinarti a quel tempio.

Si fermò, con le parole del padre che le risuonavano nelle orecchie. Era forte, il richiamo che esse esercitavano, unito all’espressione delusa che Hans avrebbe sicuramente fatto nel momento in cui l’avesse scoperta.
Se l’avesse scoperta.
La voce del padre era forte; ma ancor più forte era quella che la richiamava dall’interno. Una voce incorporea e appena percettibile, che sussurrava non alle sue orecchie ma a qualcosa di più recondito, di più sepolto dentro di lei.
Affascinata, si inoltrò nel buio.
Non c’era nulla di male, in fondo. Il papa era probabilmente preoccupato che lei si potesse spaventare o perdere.
L’aria fredda e immobile l’avvolse. Curiosamente, non c’era odore di chiuso.
Tutto era immobile, come se il tempo all’interno di quella costruzione si fosse fermato.




« Prima infatti le stirpi degli uomini abitavano la terra del tutto al riparo dal dolore, lontano dalla dura fatica, lontano dalle crudeli malattie che recano all’uomo la morte;
(rapidamente nel dolore gli uomini avvizziscono.) »





Si guardò intorno, incuriosita. Il luogo era spoglio, con pochi ornamenti. Troneggiava soltanto, in mezzo al tempio circolare, un basamento di pietra a forma di colonna, con poggiato sopra un cofanetto.
Pandora si avvicinò per osservarlo meglio.
Allungò la mano destra per sfiorare gli intarsi del legno, sempre più affascinata, prima di spostarla sul foglio bianco che la chiudeva.

Αθηυα

Che strani segni, pensò divertita.
Chissà cosa conteneva quella scatola! Magari gioielli bellissimi…

Pandora…

Sfiorò l’orlo del foglio di pergamena.
Le pareti sembrarono trattenere il fiato.




« Ma la donna di sua mano sollevò il grande coperchio dell’orcio e tutto disperse, procurando agli uomini sciagure luttuose. Sola lì rimase Speranza nella casa infrangibile, dentro, al di sotto del bordo dell’orcio, né se ne volò fuori; ché Pandora prima ricoprì la giara, per volere dell’egioco Zeus, adunatore dei nembi. »





La carta cedette facilmente, e cadde sul pavimento di pietra, dimenticata.
Improvvisamente, nel silenzio innaturale del tempio, nello stesso esatto momento in cui Pandora sollevò il coperchio, iniziò a soffiare uno strano vento.

Pandora!

Lo richiuse di scatto; ma era troppo tardi.
Quando sollevò lo sguardo, due grandi ombre nere dall’aspetto umano troneggiavano su di lei.

Pandora, ti ringrazio per aver liberato le nostre anime, aleggiò la voce di una delle due figure. Siamo stati rinchiusi in quella scatola per più di 250 anni.

Un senso di paura iniziò a strisciare dentro di lei.

“Chi.. chi siete?”

Io sono Hypnos, colui che domina il sonno. Continuò la prima figura.
Io sono Thanatos, colui che domina la morte. Aggiunse la seconda.

“H-Hypnos e..Thanatos?” Mormorò quei nomi difficili, in un idioma che certamente non era il tedesco.

Greco, qualcosa le disse dentro di lei. Erano nomi greci. Come il suo.
La bambina non capiva. La sua mente – seppur acuta – risentiva dei suoi soli tre anni di età, e lei si ritrovava inerme di fronte a quelle due ombre che emanavano una forza palpabile, di un’origine a lei sconosciuta, e che ora continuavano a parlare, spiegandole cose che lei non si sentiva in grado di comprendere.

Ascolta, Pandora. Presto l’anima di sua maestà Hades rinascerà in questo mondo come tuo fratello.

“Sua mestà Hades? Come.. mio fratello?”

Il fratellino cui avrebbe dovuto voler bene?

Sì. Generato dal corpo di tua madre, il Re del Mondo dei Morti ritornerà sulla terra.

Non era stupida, Pandora. E dall’alto della sua intelligenza, se non riconosceva il nome “Hades”, aveva ascoltato fin troppi racconti per sapere che un nome come Re del Mondo dei Morti era in genere associato ai cattivi.
Iniziò a pentirsi di aver aperto quella scatola.

Pandora, tu dovrai proteggere l’anima di sua maestà Hades.
..Finché non verrà il tempo.

“Il tempo..?”

Sì. Presto, nel lontano Oriente, i guerrieri del mondo dei morti, i 108 Spectre rinasceranno a loro volta. Quello sarà il momento in cui Sua Maestà scatenerà l’ultima Guerra Sacra per conquistare la Terra!

Parole come quella avrebbero dovuto atterrirla. Eppure, la stessa sensazione che l’aveva spinta ad entrare nel tempio si fece ora strada dentro di lei, placando il suo animo spaventato, senza che potesse fare nulla per contrastarla.

Capisci, Pandora? Ti stiamo dando fiducia con una grande responsabilità. In cambio ti doniamo il potere di controllare i 108 Spectre. Fino a quel giorno, dovrai proteggere Sua Maestà Hades.

Pandora rimase immobile, le mani strette ai fianchi, cercando disperatamente di capire.
Non sentiva più quella sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato; ma non si sentiva neanche orgogliosa del suo gesto.
Osservando quelle due ombre maestose, non provò nulla.

Capisci, Pandora?

Annuì.

In cambio, riceverai la vita eterna..

Le due figure, soddisfatte, scomparvero così com’erano apparse; e nel tempio rimase soltanto ad aleggiare la risata beffarda di Thanatos.

Pandora, ancora incerta su quello che era accaduto, uscì dal tempio, pensierosa.
Quando il suo sguardo si posò sul mondo davanti a lei, tutto aveva perso un po’ del suo colore.



« E altri mali, infiniti, vanno errando fra gli uomini. »










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*Angolino recensioni*


Beat: Sì! *O* Lei... lei è Pandora. E' viola e figa. Come si fa a non amarla? *spuccia anche lei*

Diana924: Grazie mille! >o< Purtroppo il suo destino è arrivato fin troppo presto, eh? >.< Mi sto già preparando psicologicamente a scrivere il resto...

LeFleursDuMal: Aw <3 Beh, tu questo capitolo l'avevi già letto in anteprima... comunque grazie mille per tutto *O* Per gli incoraggiamenti, il sostegno e i complimenti! *O* 

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Capitolo 3
*** Il tempo del destino: ATTO III ***


Pandora CAP3 Titolo: Quale Vita?
Rating: Giallo
Capitolo: 2 di 9
Personaggi: Pandora
Disclaimer: I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice: Ora. Sinceramente. Io sono MORTA scrivendo questo capitolo. Ma ho stoicamente ignorato la sensazione che mi stringeva lo stomaco mentre digitavo sulla tastiera, e alla fine ce l'ho fatta.
Spero appreziate, e soffriate almeno un po' un con me çOç Vi voglio bene.
Groβmutter, in tedesco, vuol dire nonna.
I tre versi a inizio fics sono un haiku.
Dedica: a tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity. In particolare a Milo, perché è grazie alle sue drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*







Il tempo del destino: ATTO III






Languore d'inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.





Il castello di Heinshtein, quella notte, era in preda alla confusione.
Erano già passate diverse ore da quando Maria era stata condotta dal medico e dalla levatrice nella sua stanza, a seguito della rottura delle acque.
Ora Hans - gentilmente sbattuto fuori dalla camera perché, a detta del dottore, con la sua agitazione non giovava certo alla salute della donna – passeggiava nervosamente avanti e indietro lungo il corridoio, cercando di contenere la sua preoccupazione per la moglie e il futuro nascituro. Cameriere facevano continuamente la spola tra la lavanderia e la camera, portando asciugamani puliti e catini pieni d’acqua per meglio assistere la Signora, e rassicurando meglio che potevano il povero Padrone che non mancava occasione per chiedere conto della situazione.
Un parto difficile, gli rispondevano sempre. Ma la Signora pare stia bene, e non c’è pericolo per il bambino.
Lui tirava un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi. Per i successivi dieci minuti.
Poi, riprendeva a misurare a lunghi passi il corridoio.
Pandora lo osservava incuriosita, comodamente seduta su di una poltrona del corridoio,  chiedendosi se anche quando era nata lei Papa era così agitato.

Papa?

“Mh?” Hans si bloccò di colpo, voltandosi verso la figlia come se si stesse riprendendo da una trance. “Dimmi.”

“Come mai non riesci a stare fermo?”

“Semplice preoccupazione.”

Pandora corrugò appena la fronte. “La Mama sta bene?”

“Sì.” Rispose subito lui, rifiutandosi di pensare il contrario. “Certo.”

Anche se quel parto era molto più lungo di quello che aveva dato luce a Pandora.
Anche se le cameriere erano molto più agitate.
Anche se le nubi gravide di pioggia, cupe annunciatrici di una vicina tempesta, non sembravano preannunciare nulla di buono.

La bambina annuì, sprofondando di più nei cuscini; e tacque.
Non aveva dimenticato, Pandora, ciò che era successo nel piccolo tempio pochi mesi prima. Ovviamente, non ne aveva nemmeno fatto parola coi genitori. Non c’era niente da guadagnarci e tutto da perdere, e lei aveva sempre saputo valutare attentamente la situazione. Qualcosa era cambiato, però, dentro di lei: l’aveva notato la servitù, e anche i genitori.
Era più indifferente, come se l’allegra spensieratezza dell’infanzia avesse lasciato posto a una pacatezza quasi irreale, in una bambina così piccola. La sua innata curiosità, che l’aveva portata a essere curiosa di ogni più piccola parte del mondo, da ogni colore, sfumatura, o odore che fosse, era come scomparsa.
Seppur preoccupati, avevano ricondotto questo cambiamento a una sopita gelosia nei confronti del futuro nascituro e, nella speranza che sarebbe presto svanita, avevano lasciato correre.

Passarono un altro paio d’ore, nel corridoio, prima che una domestica uscisse dalla camera con in volto un’espressione stanca ma felice.
Fece un cenno affermativo ad Hans, rispondendo alla sua tacita domanda che risplendeva nello sguardo ansioso.

“Sta bene. E’ nato.”

“Grazie a Dio.” Sospirò, il padrone di casa, voltandosi con un sorriso verso la figlia. “Hai sentito tesoro? E’ nato il tuo fratellino!”

Pandora annuì, inclinando appena il capo verso destra, al ricordo di parole sentite dentro mura di pietra.

Papa?” Lo richiamò, mentre lui già si dirigeva verso la porta della camera.

“Sì?”

“Come chiamerete il fratellino?”

“Avevamo pensato a Karl. Ti piace?”

“No.”

Hans Heinshtein sbatté un paio di volte le palpebre, perplesso.

“Non ti piace?”

“No. Cioè… sì.” Pandorà corrugò ancor ala fronte, accigliata. “Mi piace, ma il fratellino non si chiama così.”

Lo affermò, decisa.
Cosa avevano detto le due ombre grandi? Che si chiamava… Sua Maestà qualcosa.
Un nome greco, come il suo!

“E come lo vorresti chiamare?” chiese, più curioso.

Adi..Hada..Hades! Ecco, sì, era Hades.
Pandora aveva una buona memoria, e ne era orgogliosa quando la maestra glielo faceva notare.

“Hades.” Rispose, con un tranquillo sorriso sul volto.

Lasciando spiazzato il padre, che credette di aver sentito male.

“Come hai detto?”

“Hades,” ripeté lei, senza cambiare inflessione del tono di voce. Semplicemente come un dato di fatto. “Il fratellino si chiama Hades.”

Forse Papa ancora non lo sapeva. Lei invece era stata avvertita, glielo avevano detto Hypnos e Thanatos, le due ombre grandi; ma questo era meglio se a lui non lo diceva.

Hans si umettò nervosamente le labbra, sentendo quel nome.
Perché diavolo avrebbe dovuto chiamare suo figlio come il Sovrano dei Morti?
E soprattutto, perché sua figlia ne era così convinta?

“Dove hai sentito questo nome, Pandora?”

Lei si limitò a sollevare appena le spalle con un sorriso.
Il padre fece per indagare oltre, ma la debole voce della moglie che lo chiamava dalla camera vicina lo fece desistere.
Lanciò un’ultima occhiata – insieme preoccupata e perplessa – alla bambina, prima di scomparire dietro il legno della porta, che si chiuse con un secco ‘click’.





***




Pandora sbuffò, seccata; era passata quasi mezzora da quando Papa era entrato nella stanza. E ancora nessuno era venuta a chiamarla.
Insomma, aveva pur diritto di vedere questo famigerato Bruder Hades!
Scivolò agilmente a terra, decidendo che, se nessuno si prendeva la briga di invitarla ad entrare, allora tanto valeva che andasse a giocare con Adolf.
Lui, almeno, non l’avrebbe fatta aspettare.

Rasserenata da quel pensiero, si mosse velocemente per i corridoi, diretta verso la sua camera.

“Adolf!” Lo chiamò, guardandosi intorno per vedere da dove sarebbe arrivato.

Nulla.
Perplessa, chiamò ancora, più forte.

“Adolf!”

Niente.

“ADOLF!”

Ancora più arrabbiata, spalancò di colpo la porta della stanza, decisa a trovare quel traditore di un alano, che non veniva più se chiamato.
Lo individuò ai piedi del letto, rannicchiato su se stesso e profondamente addormentato.
Sospirò, avvicinandosi, ancora irritata.
Generalmente, per quando pesante fosse il suo sonno, Adolf accorreva sempre al suono della sua voce.

“Adolf..Sacco di pelo, vieni qua! Perché adesso non vieni quando ti chia--?”

Le parole le morirono strozzate in gola.
China sulle ginocchia davanti al cucciolo, la sua mente iniziò ad elaborare dei dettagli che si rifiutava di accettare.

“Adolf..?”

Perché non si muoveva?

“Adolf…”

Perché la sua pancia non si alzava ed abbassava al ritmo del respiro?
Con mano tremante, il respiro che le si mozzava in gola, allungò una mano per scuoterlo.

“Adolf, svegliati!”

Fu una supplica, più che un ordine.
Il suo corpo era strano. Appena tiepido, come se tutto il calore lo stesse abbandonando.
Iniziò a tremare in modo incontrollato, le lacrime che scendevano dagli occhi scuri spalancati.
No. Nonononononono.
Perché il suo Adolf non si muoveva?!

In lacrime, si alzò nuovamente in piedi.
Incontrando con lo sguardo la gabbia dei canarini. Entrambi riversi sul fondo.
Soffocò un singhiozzo.

In lacrime, si lanciò fuori dalla stanza.
In cerca di qualcuno – chiunque – che potesse spiegarle che cosa era successo ai suoi animali.





Corse.

Corse lungo i corridoi, diretta alle stanze più vicine, quelle della servitù.
Aprì di colpo la porta, cercando con lo sguardo il corpo amico, caldo e accogliente della cuoca, a cui aggrapparsi.
Non lo trovò.
Non dove si aspettava, e di certo non come si aspettava.
Katie – la cuoca grande e dolce, che le passava sempre i pasticcini di nascosto – giaceva a terra, a pancia in su, accanto al giardiniere; gli occhi vuoti rivolti al soffitto, la bocca spalancata in un muto e vano grido d’aiuto.

Pandora si girò.
Riprese a correre.

E' un incubo
, si ripeteva, la visuale accecata dalle lacrime. E’ tutto un incubo.
Mama. Papa.
Doveva andare da loro.

Esitò, sulla porta della stanza; la mano le tremava talmente tanto che dovette appoggiarsi con tutto il suo esiguo peso al pannello di legno per riuscire ad aprirla.
Si catapultò all’interno con un singhiozzo, volgendo selvaggiamente lo sguardo intorno per trovare i genitori.
Maria giaceva estenuata nel letto, vinta dal sonno e sommersa dalle coltri; Hans, a sua volta, era collassato su di una sedia posta lì accanto.

Papa! Mama!” Chiamò, con un singulto di sollievo, precipitandosi verso il padre per cercare svegliarlo, farsi avvolgere dal suo abbraccio, farsi cullare e rassicurare, sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene.

Il papa, però, non si svegliò.

"Papa? Papa ti prego, svegliati, è tutto brutto, non capisco che succede..”
La bambina cercò di scuoterlo, tirandogli una manica; ebbe solo l’effetto di far cadere il capo a peso morto sul petto.
Sgranò gli occhi, incredula.
Incapace di capire.

Girò lo sguardo verso la madre.

M-Mam..?” non riusciva quasi a pronunciare quella parola, da quanto la voce le tremava, da quanto il suo respiro era accelerato. “M—Mam..a?

Pandora, cresciuta nell’agio e nell’amore, non comprendeva la morte.
L’aveva già incontrata, tuttavia: l’anno precedente, la groβmutter era stata chiamata in cielo; lei l’aveva salutata per l’ultima volta, e aveva pensato che dormisse. Poi Papa le aveva spiegato che purtroppo questa volta non si sarebbe svegliata, ma anche che si trovava in un posto migliore, dove tutte le sue sofferenze erano finalmente finite. Che avrebbe continuato a vegliarla e a prendersi cura di lei da lassù.
La bambina, ovviamente, non aveva capito: inizialmente si era arrabbiata, perché la groβmutter non poteva più giocare con lei e perché per colpa sua la Mama stava male; poi aveva iniziato a sentirne la mancanza: e aveva pianto anche lei.
Aveva dimenticato, dopo un po’, perché la sua vita era proseguita come sempre; ma ora, il corpo immobile di Adolf e dei domestici le avevano fatto ricordare tutto.
Che la nonna si era addormentata come loro. E non aveva più aperto gli occhi.
In quel momento, in preda ai singhiozzi, pensava soltanto al fatto che la Mama e il Papa rimanevano freddi e inerti sotto le sue mani, che per quanto forte li scuotesse non si svegliavano, non le sorridevano, non la abbracciavano.
Come la groβmutter.

“MAMA! PAPA!”

Urlò. Urlò il suo dolore, la sua confusione e il suo smarrimento.
Singhiozzando, un fuoco ad arderle nel petto e il gelo nel cuore e nella mente. Gli occhi le bruciavano per le lacrime, mentre si aggrappava alle coltri del letto della madre, scuotendo disperatamente il capo per negare l’evidenza.

No. Nononononono! NO!!
Non riusciva quasi a respirare.

Pandora.

Persa nel suo dolore, non sentì quella voce che la chiamava.

Pandora.

Ripeteva soltanto i nomi dei genitori, come un mantra, come se questo avesse potuto riportarli da lei.

Pandora!

Con un singulto, sollevò lo sguardo da quel letto di morte.
Davanti a sé, trovò le due grandi ombre.

Pandora…

Fece per rispondere, per chiedere spiegazioni, ma i singhiozzi glielo impedirono.

Pandora, il momento è arrivato.

Scosse il capo, senza capire. Il momento? Ma la mama, e il papa…
L’ombra di Hypnos sorrise condiscendente, espandendo il suo cosmo sopra la bambina

Riposa, Pandora. Le disse. Riposa, e quando ti sveglierai, tutto sarà diverso.

Pandora avvertì quell’energia misteriosa farsi strada nella sua mente, cancellando la percezione del mondo attorno a lei.
Perse coscienza a poco a poco, senza avvertire più nulla, neanche il dolore della perdita.
Invitata dal dominatore del sonno, Pandora svenne, in quel castello dove tutto taceva.

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Capitolo 4
*** Il tempo dell'oscurità: ATTO I ***


Capitolo 4 Titolo: Quale Vita?
Rating: Giallo
Capitolo: 4 di 9
Personaggi: Pandora; Speciale presenza di Zellos (?!), Ikki e Shun.
Disclaimer: I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice: Entriamo nella parte "oscura", per così dire, della storia. Non quella più viola, perché gli spectre non ci sono ancora, ma quella più buia.
Ho un po' di precisazioni da fare, ma le darò a fine capitolo.
Per il momento, solo due note:
Der Bruder: il fratello.
Fräulein:
signorina.

Dedica: a tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity. In particolare a Milo, perché è grazie alle sue drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*







Il tempo dell ' oscurità: ATTO I



Sono preoccupato.

La voce, che era soltanto tale, priva di un corpo tangibile, riempì il silenzio denso della stanza.
Quella che era l’ombra – o meglio, l’anima - di Hypnos si girò verso il fratello; se avesse avuto un corpo, le labbra sarebbero state distese in un sorriso divertito.

Riguardo a cosa?

Thanatos indicò con un cenno la bambina svenuta.

Le altre sacerdotesse erano state preparate fin dalla nascita. Non avevano legami con questo mondo.

Temi che questo possa compromettere il suo ruolo?

Il silenzio del signore della Morte fu sufficiente. Hypnos riprese:

Capisco le tue perplessità. Ma purtroppo in quest’epoca è stato impossibile educarla fin dall’inizio. Lo sai.

Sì. Ciò non dissipa comunque i miei dubbi.

Mh. Il dominatore del Sonno sorrise, incorporeo. Io non mi preoccuperei troppo. Quando l’ho fatta sprofondare nel sonno, ho sondato la sua mente: probabilmente l’impatto emotivo che ha subito nel vedere i cadaveri dei genitori è stato troppo traumatico, e ha creato una sorta di blocco. Non credo si ricorderà gli eventi dell’ultimo giorno, una volta sveglia.

Thanatos annuì. Se sarà davvero così, allora è un ostacolo in meno. E poi avverto che il richiamo dell’anima della sacerdotessa originaria è già molto forte in lei.

, convenne il fratello. Manca solo la spinta finale, per risvegliarla.

Ancora poco. Pochi anni, e arriverà il tempo della guerra.

Labili, le due ombre si confusero con l’oscurità della stanza.







***






Pandora mosse piano la punta delle dita, avvertendo sotto di esse un tessuto morbido.
Tossì, aprendo gli occhi e sollevandosi sui gomiti, cercando di capire dove si trovasse. La stanza era buia, e l’unica fonte d’illuminazione era il leggero chiarore che Eos, l’aurora, spandeva come annuncio di un sole non ancora sorto.
Perplessa, si guardò intorno. Era la camera di Mama e Papa, la riconosceva; ma i genitori non c’erano.
Cos’era successo? Avvertiva la gola secca e gli occhi bruciare.

“Mama? Papa?”

Il letto era vuoto.
Scivolò lentamente giù da esso, avviandosi alla porta ed incamminandosi per il corridoio. I piedi scalzi non producevano nessun rumore sui pavimenti ricoperti dai pregiati tappeti, che attenuavano il freddo delle pietre sottostanti.
Tutto era immerso in un silenzio innaturale, sospeso.
Un silenzio che le ricordò il tempietto di pochi mesi prima.

Non capiva dove potessero essere finiti tutti; aprì diverse porte, ma ovunque era quiete e vuoto.

“Mama, Papa? Dove siete?”

La voce acuta, di bambina, riecheggiò tra le pareti.
Percorse i principali corridoi della casa, affacciandosi anche alle finestre per sbirciare il giardino, finché i passi non la ricondussero inconsciamente alla camera da cui era partita.
Aggrottò la fronte, perplessa, non ricordando com’era tornata lì. Stava per andarsene, quando – improvvisamente – sentì qualcosa dentro di sé. Una sensazione come quella che l’aveva spinta nel buco d’ombra del Tempio, ma più intensa; trasse un lungo respiro, avvertendo un profondo bisogno di entrare di nuovo in quella stanza.
Assecondandolo, socchiuse l’uscio. E la vide immediatamente.
Era collocata in un angolo, a fianco del letto matrimoniale: una grossa culla, protetta da tende colorate e piene di disegni infantili.
Der Bruder! Sorrise fra sé e sé: l’avrebbe finalmente visto, e senza neanche i genitori cui dover dire per forza che le piaceva.
Si avvicinò, curiosa, alzandosi in punta di piedi per sbirciare. Lo sguardo incontrò la figura addormentata di un neonato; ma fu solo per un attimo, prima che tutto, attorno a lei, si distorcesse.


Perse la cognizione dello spazio, e qualunque tipo di riferimento.
E furono galassie, e una moltitudine di stelle.
Fu una conoscenza antica e nobile.
Universi che si succedevano uno dopo l’altro, vita dopo vita, reincarnazione dopo reincarnazione.
Cosmo.
Fu un immenso potere di quiete e di morte, che le fece venire la pelle d’oca e che scosse qualcosa di profondo e radicato in lei: un’altra anima antica, richiamata alla luce da colui che aveva sempre servito, secolo dopo secolo. Un’anima che, pronta, emerse fino alla superficie dalla quale prima era bandita, fondendosi con l’identità della bambina in una nuova secolare coscienza.

Con un singulto, Pandora si sentì richiamare alla sua realtà.
Tornò improvvisamente nella stanza del castello di Heinshtein, in Germania, ritrovandosi in ginocchio davanti alla culla.
Tremando, alzò a fatica una mano davanti al volto, cercando qualche segno di cambiamento.

Pandora.

Sobbalzò, voltandosi di scatto e incontrando nuovamente le due grandi ombre. Aprì la bocca per dire qualcosa, per chiedere spiegazioni, ma nessun suono ne uscì: non sapeva neanche da dove iniziare.

Thanatos si avvicinò. Pandora, ricordi il tuo compito?

La nebbia che le aveva ottenebrato la mente, impedendole di pensare, si dissipò.
Ricordò parole ascoltate tempo prima: su una Dea, su una Guerra, su un Signore dei Morti. Tuttavia, non era più confusa come la prima volta che le aveva sentite, anzi sentiva dentro di sé una certezza che ciò che le due anime dicevano era giusto, che quella era la causa per cui doveva combattere.
Quindi, semplicemente rispose: “Sì.”

Il signore della Morte parve soddisfatto. Bene.

“Cosa…” la bambina cercò le parole giuste. Non trovandole chiese soltanto: “Cosa è successo prima?”

Fu Hypnos, questa volta, a rispondere.

Come ti avevamo annunciato il Signor Hades è tornato sulla terra, come tuo fratello. Egli però non è un mortale a cui puoi rivolgerti come a un semplice consanguineo. La sua anima è immortale, è l’anima di un Dio. E come tale va venerata.

Pandora annuì. Lo capiva. Lo sentiva.

Pandora, noi stessi siamo dèi, ma egli è l’Oscuro dominatore dell’Oltretomba, Re del mondo dei morti.

A quel punto, Thanatos iniziò a raccontarle dell’era dei miti; di come il mondo fosse stato spartito fra i tre dèi fratelli – Zeus, Poseidon e il Sommo Hades – e di come a quest’ultimo fosse toccato il regno sotterraneo. Le raccontò dell’immensa generosità del signore dell’Erebo e, soprattutto, le raccontò delle guerre che Egli aveva affrontato fin dai tempi più antichi contro la sua principale nemica, la Pallade Athena.

“Athena?”

Sì. Athena è la dea della saggezza, della strategia e della giustizia. Ciononostante, non è mai stata in grado di comprendere le motivazioni del Sommo.

Pandora inclinò appena il capo verso destra, perplessa.


C’è giustizia, nella Morte, Pandora. Una profonda giustizia a cui tutti sono soggetti. Athena protegge il mondo degli uomini, ma la giustizia terrestre è imperfetta; gli uomini saccheggiano il mondo e spesso i malvagi non ricevono la giusta punizione. Nell’Oltretomba, invece, non conta la ricchezza o la posizione sociale. Tutti vengono giudicati in base alle loro azioni.

Hypnos lo interruppe, voltando il viso incorporeo verso la bambina. Ci sarà tempo, per questo. Capirai col tempo, quando avrai una maggiore consapevolezza. Ora, basta che tu comprenda l’essenziale.

“Lo sento.” Rispose lei, innaturalmente tranquilla. “Questo è il mio compito.”
Chissà come l’avrebbero presa, però, la Mama e il Papa.

Tra circa dieci anni, il sigillo che tiene imprigionata l’armata del signor Hades, i centootto spectre, si scioglierà. Allora Egli condurrà la sua ultima guerra contro Athena rinata in questo mondo. E tu, Pandora, condurrai quell’armata.

Annuì, mordicchiandosi nervosa l’interno della guancia.
No. Mama e Papa l’avrebbero presa decisamente male.

Quella che hai visto prima nella culla, riprese Hypnos catturando la sua attenzione, era l’anima del Signor Hades. La forma di neonato col quale appare è soltanto un simulacro. Un involucro fittizio creato dall’anima, non un corpo vero. Quello sarà tuo compito trovarlo, affinché si riunisca alla sua anima legittima. Capisci?

“Sì.”

A quel punto, si intromise Thanatos. Ti doniamo il potere di muoverti liberamente, da viva, nel mondo dei morti.

Una collana di perle nere e ossa si materializzò attorno al suo collo. La guardò, sorpresa.

Grazie a quella, nessun luogo ti sarà precluso. E ti doniamo anche il potere di controllare gli Spectre.

Avvertì una stranissima sensazione farsi strada dentro di sé. Sollevò lo sguardo sulle due ombre, perplessa.

Il come, ti verrà spiegato in un secondo momento. Per ora, hai qualcosa da chiedere?

“Ecco… sì.” Mormorò, ricordandosi del giro che aveva fatto per il castello. “Dove sono tutti? La Mama, il Papa?”

Hypnos e Thanatos si scambiarono uno sguardo. Fu il primo a rispondere.

Il loro compito è finito. Hanno ricevuto in dono la salvezza. Da oggi, tu inizi una nuova vita.

Secco, lapidario.
Pandora avvertì, nonostante tutto in lei le dicesse che quella era davvero la sua strada, una sensazione di gelo.

“Quindi…non potrò più vederli?” La voce le uscì tremante.

Il Signore del Sonno annuì.



Si morse un labbro, mentre le scappava un singhiozzo.
Abbassò lo sguardo a terra, annuendo ancora una volta perché sentiva che era quello che doveva fare.

Poi, quando le due anime scomparvero, si rannicchiò sul letto dei genitori; e pianse.


 




***







Dopo qualche mese, il castello di Heinshtein non era più lo stesso; non v’era più il rigoglioso verde del  giardino, l’allegria degli animali che lì vivevano, il vociare dei servitori. A circondare l’imponente costruzione ora c’era soltanto la nuda roccia, e un silenzio di morte ad aleggiarvi intorno.

Col tempo, anche Pandora era cambiata: il ricordo dei genitori e della sua vita precedente si era fatto sempre più vago, fino a sparire. L’anima risvegliata della Sacerdotessa era ormai un tutt’uno con quella della reincarnazione.
Non c’era più Maria, né la governante, a fare in modo che tutto fosse in ordine, e quindi la bambina si aggirava tra corridoi polverosi, riscoprendo stanze dimenticate.
Hypnos e Thanatos ogni tanto ricomparivano, per istruirla: fu così che la sacerdotessa imparò gli antichi miti che, in realtà, leggende non erano; ma soprattutto, i due Dèi le insegnarono cosa fosse il Cosmo.





“Uffaaaaa.” Sbuffò fra sé e sé, la bambina, affacciandosi nell’ennesima stanza in cerca di qualcosa da fare. Passò davanti a uno specchio, dandogli un’occhiata distratta, senza registrare i capelli tutti annodati e scompigliati, né il vestito strappato.

“Zellos!” Chiamò, improvvisamente.
Mentre aspettava quel nuovo domestico, arrivato qualche tempo prima – non si ricordava esattamente quanto prima, i ricordi erano confusi - si mise a battere nervosamente un piede per terra, irritata che ci mettesse così tanto.

Fräulein Pandora? Mi avete chiamato?” le chiese l’uomo, con un tono a metà fra il rispetto e il timore, mentre entrava a sua volta nella stanza.

La bambina rimase ad osservarlo per qualche istante, perfettamente immobile, studiandolo come aveva fatto fin dalla prima volta che lo aveva visto. Sapeva che, a tempo debito, in lui si sarebbe risvegliata l’anima di uno dei centootto spectre – così le era stato detto, ma lo avrebbe avvertito comunque - ma continuava a chiedersi come fosse possibile: guardandolo, non riusciva a definirlo come un guerriero.
Da parte sua, Zellos distolse in fretta lo sguardo. Quel posto, a volte, gli dava i brividi. Era arrivato qualche mese prima, e ancora non si capacitava di come fosse possibile che una bambina così piccola vivesse da sola in quel posto lugubre. Ma, in fondo, era proprio lei ad inquietarlo maggiormente.
Era strana: a volte sembrava una bambina come tante, quando la vedeva correre in giro per i corridoi; altre invece rimaneva immobile e perfettamente posata, come se avesse il quadruplo dei suoi anni. Più di tutto però a metterlo in soggezione erano i suoi occhi – troppo seri e troppo consapevoli. Antichi.  

Nonostante tutto, però, non riusciva ad andare via da lì: c’era qualcosa, dentro di lui, che l’aveva attirato verso quel castello, e che lo spingeva a rimanere.

“Zellos. È pronta la cena?”  

“Non ancora. Tra qualche minuto…”

Ancora quello sguardo. Irritato.
Rabbrividì involontariamente. Non riusciva a capire in quale rapporto porsi di fronte a Pandora: aveva poco più di tre anni, quindi l’adulto era lui, eppure aveva la sensazione di essere infinitamente inferiore di fronte a lei.

“Fai in fretta.”

Chinò appena il capo come assenso, ritirandosi.


Pandora sospirò, voltandosi… e trattenne bruscamente il fiato per la sorpresa, quando si trovò davanti le anime dei due dèi.

“Hypnos… Thanatos…”

C’è un compito per te.

Spalancò gli occhi. Era la prima volta che le veniva affidato un incarico.

“Cosa devo fare?”

È nato il corpo destinato ad ospitare l’anima del Sommo Hades.

A quel punto, sorrise.

Ti abbiamo già spiegato tutto. Gestisci la situazione nel modo che ritieni più opportuno.

Senza fare una piega, chiese: “Dove si trova?”

In Giappone, molto distante da qua. Ti apriremo un varco dal Mondo dei Morti.


La sacerdotessa annuì, avviandosi verso la lunga scalinata che dava accesso agli inferi, dimentica della cena.









***








Doveva ammetterlo: si stava divertendo.
Le strade della città, immerse nella notte, erano deserte. Se fosse stato per un caso fortuito o proprio a causa della sua presenza lì, non avrebbe saputo dirlo; ma non aveva importanza.
Camminava senza fretta, mentre l’aria fredda le scompigliava i capelli, stringendo al petto le fasce che racchiudevano l’anima di un Dio - di suo fratello – con una cura estrema, sfiorandole a tratti con la punta delle dita, attenta a non sgualcirle. Avvertiva la sacralità e l’importanza di ciò che le era stato affidato, grazie a una memoria riaffiorata dagli abissi del Tempo.  

Davanti a lei, un bambino correva, tenendo in braccio un fagotto simile al suo: più piccolo, ma non meno importante.
Correva, cercando di sfuggirle.

Pandora sorrise: non poteva riuscirci.





Ikki – così si chiamava il bambino, anche se lei ancora non lo sapeva – strinse più forte il fratello, guardandosi intorno per vedere se fossero ancora seguiti.
Se non fosse stato la persona che era, avrebbe pensato che tutto quello fosse soltanto un incubo. E, in effetti, successivamente sarebbe quasi arrivato a considerarlo tale, un vago ricordo sepolto in un angolo della sua mente, surclassato da anni di battaglie e di sangue.
In quel momento, tuttavia, era fin troppo reale.

“Siamo in salvo, Shun.” Sussurrò al fagotto fra le sue braccia, ancora addormentato, prendendo fiato.
Sussultò di colpo però, quando, voltandosi, si trovò davanti ancora una volta quella bambina.
Non è possibile, pensò. Era più indietro di me.

“Non hai vie di fuga.” Gli disse, quasi cantilenando. Il sorriso sul suo volto gli trasmetteva un’inquietudine mai provata. “Credevi davvero di poter sfuggire a me, Pandora?”

La sacerdotessa, decisamente, si divertiva. Soprattutto al vedere la sua espressione confusa.

“Avanti,” intimò. “Dammi quel bambino.”

“Tu chi sei? Cosa vuoi da Shun?!”

Si era aspettata quella domanda.

“Quel bambino è mio fratello.”

“Non è possibile!” Ikki lo strinse più forte a sé, protettivo. Non era possibile. “Shun e io siamo nati dalla stessa madre. Sono io il suo unico fratello!”

Pandora sospirò, senza tuttavia smettere di sorridere.

“Tu non capisci.” Gli umani non possono capire. “Se a quel bambino è stato concesso un corpo umano, è stato grazie a un disegno divino! Per questo,” il tono si fece più duro, “non hai nessun diritto di tenerlo!”

Il ragazzino, tuttavia, non sembrava intenzionato a capire. Né a collaborare.
Strinse le labbra, cominciando ad irritarsi.

“Guarda,” aggiunse, “a partire da ora, sarà tutt’uno con questo spirito.”

Gliela mostrò, l’anima del Dio, concedendogli un onore che pochissimi altri avevano avuto.
Onore che, tuttavia, Ikki sembrò non apprezzare, perché rafforzò la presa sul corpo del neonato, facendo un passo indietro.

Come poteva essere così cieco!
Come poteva non capire il destino di grandezza riservato a quel bambino!

Era finito il tempo delle parole: quello era il corpo destinato al signor Hades, suo fratello, suo Dio e suo padrone; e lei aveva il compito di ricondurlo al suo giusto posto.
Si concentrò, come Hypnos le aveva insegnato, fino a sentire il cosmo dentro di sé, fino a proiettarlo contro quel ragazzino arrogante.

Sorrise, quando lui urlò di sorpresa e di dolore, crollando a terra.
Sorrise di una sottile crudeltà che apparteneva, più che all’anima dell’antica sacerdotessa, alla bambina che ancora era.

Si avvicinò per prendere il neonato; ma il ragazzino, resistendo al dolore di quelle scariche elettriche, stringeva ancora il fratello.

Arrogante!

“Lascialo!” Ordinò, continuando a colpirlo e ad avanzare.

Allungò una mano per sciogliere la sua presa, ma venne respinta. 
Spalancò gli occhi, sorpresa, mentre ogni suo tentativo di avvicinarsi ulteriormente falliva, perché c’era una sorta di barriera ora, attorno ai due bambini, che la respingeva.

Non è possibile.
È solo un essere umano!  

“Non…” Ikki ansimò, per il dolore e la fatica di resistere. “…ti lascerò mai Shun!”

Pandora tentò ancora, ma questa volta venne allontanata con più forza.
Aggrottò le sopracciglia, mentre alla perplessità e confusione della Sacerdotessa si aggiungeva l’irritazione della bambina.
Rimase a fissare il ragazzino ancora un po’, prima di decidere cosa fare.

“Non importa. Dovranno passare ancora molti anni prima che il sigillo degli spectre si sciolga.”

Sospirando, con un gesto della mano fece comparire un ciondolo attorno al collo del neonato.


Yours Ever.


“Tutto ciò è stato inutile. Lo troverò comunque.” Mormorò rivolta a Ikki, che iniziava a perdere conoscenza.

“L’anima del signor Hades è legata a quel ciondolo.”

Solo a quel punto liberò il ragazzino dalla pressione del suo attacco.
Si voltò, allontanandosi da quelle strade deserte. Irritata, perché avrebbe dovuto spiegare parecchie cose ai due dèi gemelli.


Yours Ever.


Sorrise, comunque.
C’era tempo.









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Come dicevo, servono precisazioni. Su quella che è la mia idea di Pandora e della sua evoluzione.
Se il capitolo precedente è stato difficilissimo scriverlo per la carica emotiva che mi ha prodotto, questo è stato (e anche i prossimi due) dieci volte più difficile dal punto di vista logistico. Perché a questo punto si aprono mille punti di domanda: Pandora ha solo tre anni, chi si prende cura di lei in un castello che respinge ogni creatura vivente? Come ha imparato ad utilizzare il cosmo? 
Non solo, ma c'é il grande problema di come abbia potuto dimenticare la sua vita precedente. Questa è la mia spiegazione: è scientificamente provato che i nostri ricordi risalgono dal terzo anno di vita in poi. Prima, non si riesce a ricordare nulla. Pandora vede la sua vita stravolta ad un'età precocissima, quindi lo shock, unito alla nuova vita che inizia ben presto tendono a rendere i ricordi più sfumati, fino a relegarli in un angolo dimenticato della memoria. Quando poi scoppierà la guerra lei avrà dodici anni, e sarà passata talmente tanta acqua sotto ai ponti da farglieli praticamente dimenticare. Finché un forte shock e una fort emozione non li riportano a galla. Sembra quasi sensato, vero?
Poi: gli spectre. Nel fumetto Kurumada ci dice cheil sigillo si rompe in un determinato momento, e poi si vede subito l'attacco al Santuario.
Ora io mi chiedo: ma allora la coscienza degli spectre si risveglia solo in quel momento? E tutti si riuniscono per andare subito in guerra, senza addestramento né niente, perché ricordano tutto? Oè una cosa graduale, e lo spezzarsi del sigillo corrisponde solo al momento in cui la guerra può iniziare? 
Io cercherò di attenermi il più possibile al fumetto, quindi anche nel prossimo capitolo di spectre non se ne vedranno, o al massimo ci saranno i tre generali. Vedrò.

Zellos di Frog: perché lui? Sono stata indecisa fino all'ultimo se metterlo oppurBe no, ma in fondo era possibile che una bambina di tre anni vivesse da sola e, sinceramente, non ci vedo Hypnos e Thanatos a farle da balia [questa considerazione ha portato, su msn, ad un imbarazzante imbizzarrimento nell'immaginarsi Hyp e Than con un grembiulino rosa. Tremate.]. Quindi dovevo trovare qualcuno.. e visto che nella serie Zellos sembra sempre lo zerbino ehm.. il portavoce di Pandora - o se non altro lo spectre che è sempre nelle sue vicinanze -  ho optato per lui. Anche perché il fatto di starl così vicino spiegherebbe il sacro terrore che prova nei suoi confronti xD

Infine. Il comportamento di Pandora. So che generalmente si pensa a lei come alla ragazza perfettamente posata che suona l'arpa ecc, ma DAVVERO, ce l'avetepresente com'é nelle sue apparizioni di sacerdotessa-bambina? Col vestito strappato, pallidissima, i capelli scompigliati, il sorrisetto inquietante? Ecco. Caratterizzare QUESTA Pandora è stato molto difficile, perchè a questo punto in lei è come se convivessero due anime: c'é la sacerdotessa calma, consapevole, posata. Ma c'é anche la bambina, che non si cura del suo aspetto e si sente lusingata ed esaltata per il compito che le è stato dato. Amalgamare queste due cose - infantilità e consapevolezza - è stato molto, molto difficile. Spero di esserci riuscita. E infine, quando parlo di "crudeltà", è sempre riferito alla sua anima "infantile". Perché, e io ne rimango convinta, i bambini quando vogliono sanno essere infinitamente bastardi. Non badano alla cortesia o a queste cose qua. Avete presente gli scherzi, le prese in giro, le frasi che si dicono alle elementari? Sull'aspetto fisico, o anche quelle mirate semplicemente a ferire, del tipo "non sei più mio amico!"? Ecco. E' di questa crudeltà che parlo.
E non dimentichiamo che Zellos stesso ci dice che "la signorina Pandora sa essere davvero terribile". Insomma, fa urlare di dolore Rhadamantys della Viverna semplicemente suonando, non so se mi spiego.


Ok, ho scritto un papiro. Scusate. Se siete arrivati fin qua a leggere vi adoro çOç


beat: Che bello! Quel passaggio mi ha fatto morire, seriamente, quindi sono contentissima che sia stato apprezzato. Pandora è una cosina carina da coccolare e spucciare. Finché non diventa sacerdotessa. Poi, fa paura. Ma va adorata lo stesso. Spero di aver gestito altrettanto bene questo quarto capitolo! çOç Un bacione!

Clayre: Eccomi! Eccomi! Visto che ho aggiornata? Sei morta di astinenza? No! Resuscita ti prego! Come faccio senza di te? Ecco la tua dose mensile di "Quale Vita?". Spero che ti piaccia e ti basti. Anche perché quest chap è inedito anche per te! <3 Sono stra-felice che il capitolo precedente abbia fatto star male un po' anche te. Vuol dire che ci sono riuscita. Yay! Possiamo continuare il discorso Eros-Thanatos-Sigari di Freud quando e dove vuoi. Sei sempre la più che benvenutah <3 *spuccia tantissimo*

Diana924: Il passaggio da bambina felice a sacerdotessa, come vedi, è più complicato del previsto, ma ce la farà. Sono felice di essere riuscita a trasmetterti delle amozioni! Un bacio!

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