VII Age di Chaosreborn_the_Sad (/viewuser.php?uid=20818)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cacciatore e la preda ***
Capitolo 2: *** Cap II Le due Bionde ***
Capitolo 3: *** Lachol Celeb ***
Capitolo 4: *** Cap IV Minas Duin ***
Capitolo 5: *** Cap V Alastegiel Thalien e Tar Eglerion ***
Capitolo 6: *** Cap VI The Long Night ***
Capitolo 7: *** Cap VII Decisioni Lungimiranti ***
Capitolo 8: *** Cap VIII Un Tabagista e Due Alcolizzati ***
Capitolo 9: *** Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine ***
Capitolo 10: *** Cap X The Inn Accident ***
Capitolo 11: *** Cap XI Blue Eyed Meldarion ***
Capitolo 12: *** Cap XII Passi e Cenge ***
Capitolo 1 *** Il cacciatore e la preda ***
VII Age I
VII
Age
Cap I
Il Cacciatore e la Preda
L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava
scappare una preda come quella. Il cervo correva in ciò che restava
dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque
anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e
tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a
rallentare la sua folle corsa. Eglerion si avvicinò ed estrasse il coltello da
caccia.
- Mi dispiace…- disse, rivolto all’animale. Con un repentino gesto taglio la
gola al cervo, che si accasciò inerte al suolo. Non sapeva ancora a cosa andava
incontro. Eglerion legò i lunghi capelli dorati con un nastro e si caricò in
spalla la cena per se e per il suo equipaggio.
Questo è proprio il colmo…, si disse. Siamo nella settima Era del Sole e sono costretto a
procurarmi il cibo alla maniera della seconda.
Il suo pensiero andò alle tragedie che i menestrelli solevano cantare nei
momenti di cerimonia, che narravano della Più Grande Disgrazia Della Terra di
Mezzo. Di come dopo la Guerra dell’Anello e dopo il regno di Elessar Telcontar
venne il buio.
Gli elfi continuarono a diminuire, insieme a nani e altre razze primogenite,
come gli Ent o le Grandi Aquile. Ma, chiusi nei loro reami boscosi e
sotterranei, misero a punto le tecnologie necessarie alla sopravvivenza. Le lame
e gli archi furono messi da parte, mentre la polvere nera aveva cominciato a
diffondersi sempre di più. Le prime armi, come quelle usate da Curunir l’Istar
nel grande assedio del Fosso di Helm, erano imprecise, e spesso danneggiavano
anche chi le usava. Con il passare degli anni però, l’industria bellica si
evolse, fino a raggiungere il punto di non ritorno. Mentre gli elfi e i nani,
che oramai avevano messo da parte la maggior parte dei disguidi e delle
divergenze, conducevano i loro esperimenti in segreto; gli uomini seguivano pian
piano la stessa strada, raggiungendo risultati sempre più simili. Così giunsero
infine, negli ultimi anni della quarta Era, all’energia nucleare. Di pari passo
con la tecnologia bellica si erano evolute anche l’elettronica e la meccanica,
dando vita a cose impossibili, fino a qualche secolo prima. Automobili, case
illuminate da luce elettrica e grandi metropoli con grattacieli, non erano
neanche presenti nei sogni degli esseri più potenti, come Mithrandir o Sauron. E
mentre nella Terra di Mezzo tutto ciò accadeva, nell’Ovest i Valar osservavano
preoccupati lo svilupparsi delle cose.
Nel terzo anno della quinta Era, il cui inizio corrispondeva alla scoperta
dell’energia nucleare e delle armi basate su essa, un’ambasceria di uomini
provenienti da Gondor si presentò a Imladris, che era diventato il maggior
complesso di armerie di tutto l’Eriador. Elladan, uno dei due figli gemelli di
Elrond Peredhel che governava quella zona (il fratello Elrohir al momento era
impegnato nel controllo dei confini con l’Enedwaith), ricevette quegli uomini.
Essi proposero lui un accordo sullo sviluppo degli armamenti, poiché altrimenti
Gondor avrebbe mosso guerra contro di loro. L’elfo avrebbe dovuto presentarsi
nella capitale entro pochi giorni, per siglare questo trattato insieme al Re.
Elladan convocò i capi dei suoi alleati, e insieme decisero di opporsi
all’accordo. Uno degli inviati sparò ad Elladan nella sala del consiglio, mentre
una squadra speciale d’infiltratori Gondoriani penetrò l’avamposto presidiato da
Elrohir e uccise anche lui. Non è necessario dire che né gli ambasciatori né i
militari Gondoriani sopravvissero per raccontare l’esito delle loro missioni ma
in ogni caso la notizia del rifiuto di disarmo arrivò anche nelle alte sale di
Minas Tirith, che col passare dei secoli si era espansa e la residenza regia era
passata dal settimo cerchio della città vecchia ad un sontuoso palazzo nel
centro della città nuova extra-muraria.
Il Re di Gondor all’epoca era un uomo di cui si sapeva poco. Il suo nome di
nascita era sconosciuto, si faceva chiamare Adunakhor, "Signore dell’Ovest",
come l’antico Re Numenoreano che mise in testa alla sua gente l’idea della
conquista di Aman. Di certo si sapeva che aveva poco a che fare con la linea di
Isildur, poiché essa si era estinta dopo Arathorn III, primogenito di Eldarion.
Egli era morto dopo solo cinque anni di regno, probabilmente vittima di una
congiura, lasciando la moglie incinta. Ma ciò che il popolo non sapeva era che
il figlio in questione, chiamato poi Mardil, come il primo dei sovrintendenti
reggenti, era figlio della regina Usahtiel e dell’allora sovrintendente Cirion
II. Ella aveva avuto una relazione extraconiugale, ed era rimasta pregna un mese
prima del matrimonio. Dopodiché aveva partecipato alla congiura per avvelenare
il marito e far ricadere la colpa sul cuoco di corte, che fu giustiziato dal
sovrintendente stesso. Da quel momento la virtù di Gondor era tornata in
declino, com’era successo prima di Telcontar.
Adunakhor non accettò che una banda d’immortali rifiutasse le sue condizioni,
quindi mobilitò l’esercito verso Nord. E così si tirò addosso l’ira divina. Nel
medesimo istante in cui il Re stava per dare l’ordine di lanciare le prime bombe
nucleari; un corpo celeste, probabilmente una cometa o un asteroide, (che gli
elfi identificarono come "Punizione di Eru") cadde su Anfalas. Le conseguenze
furono disastrose.
Gli unici che si salvarono in tutta la Terra di Mezzo, furono alcune tribù
Haradrim che al momento si trovavano in pieno deserto (e quindi passarono anni
immersi nelle tempeste di sabbia) e alcuni elfi e nani, che erano nascosti nelle
profondità delle montagne o in zone di poca turbolenza. Pochi furono i Rohirrim
o i Gondoriani che scamparono. Quasi tutto ciò che era conosciuto fu raso al
suolo, per due interi secoli le placche si mossero, inabissando catene montuose
e distruggendo città, inondando continenti e facendone emergere nuovi. Le
Montagne Nebbiose, Bosco Atro e parte dell’Eriador, furono letteralmente
divorati dall’onda. Persino alcuni porti dei Teleri, a Valinor, furono
sottoposti a violente ondate per mesi. Come millenni prima, il Beleriand era
franato, la storia si era ripetuta. Intere zone erano affondate, mentre nuove
catene montuose si erano innalzate.
Dove un tempo sorgevano orgogliose le Montagne Nebbiose, ora vi era un lungo
tratto di mare, chiamato Anduin in onore del grande fiume. Sulla sponda est vi
era una regione chiamata Rohan, che probabilmente faceva parte dell’antico
Rhovanion, o forse altro non era che l’innalzamento degli Emyn Muil. Più a sud
di questo sorgeva una catena montuosa, che faceva da confine con l’antico
Ithilien, divenuto reame degli elfi silvani. Ad est e a sud di questa contrada
c’erano il Vallo di Elessar e il Vallo di Isildur, grandi muraglie erette dagli
uomini di Nuova Numenor. Essi erano i discendenti dei gondoriani sopravvissuti
al cataclisma, che avevano fondato il loro nuovo paese nella zona dove un tempo
era Mordor. Quest’area, un tempo arida e incolta, era diventata rigogliosa e
coperta di foreste e praterie. Protetti dal Vallo e da ciò che rimaneva
dell’Ephel Duath, gli uomini ricominciarono a costruire città alla maniera di un
tempo, con alte torri e possenti mura. A nord di Nuova Numenor c’era una zona
chiamata Pinnath Gelin, in ricordo del feudo appartenuto tempo prima a Gondor.
Purtroppo per loro, quella regione fu reclamata da qualcuno che non si sarebbero
mai aspettati. I pochi Noldor rimasti avevano trovato dimora nell’arcipelago
denominato da loro Manwetol, "Isola di Manwe". Questo arcipelago era formato da
cinque isole, che gli abitanti avevano nominato come cinque degli "Amici degli
elfi": Beren, Turin, Earendil, Hador, e Gimli. Questi elfi si erano dedicati poi
alla pirateria, sotto il comando di Tegalad, loro signore; conquistando così
Pinnath Gelin e fondando il porto di Dol Calan, sulla punta estrema
settentrionale. In questo modo dissuasero gli uomini dal marciare nuovamente
contro gli elfi. Invece questi fondarono varie città portuali sulle loro coste
(le maggiori furono Porto Malo e Porto Veliko), e si espansero a sud
dell’Ithilien. Non ebbero il coraggio di attaccare quest’ultimo, temendo una
rappresaglia da parte d’entrambe le nazioni elfiche. Li espansero il loro
possedimento sotto la bandiera di Nuova Numenor e edificarono il Vallo di
Isildur, a protezione contro eventuali incursioni da parte dei Sindar
dell’Ithilien.
In quanto alle terre ad ovest dell’Anduin si sa ben poco. Eccetto una foresta
sotto il dominio di Rohan (più che altro si trattava della loro riserva di
legname), le altre lande erano inesplorate e portavano il classico nome di Terre
Selvagge. Pochi sanno che la lunga catena montuosa che sorge adiacente alla
costa altro non è che l’Ered Luin, mentre sono ancora meno coloro che sanno
della sopravvivenza del Mithlond e dei Rifugi Oscuri. Questo porto elfico passò
in mano ai figli di Elrond, dopo che Cirdan partì con l’ultima nave e rimase
sotto il governo dei loro satrapi fino alla catastrofe. I pochi che
sopravvissero elessero autonomamente il proprio Signore, ed elli ancora comanda
quest’area. Beriadan è il suo nome, "il difensore degli uomini". Egli era il
solo a sapere che nella zona tra l’Anduin e il Mithlond, vicino ad una foresta e
degli antichi tumuli, in riva ad un fiume chiamato Calanduin, sorgeva una
piccola casetta dove un omino vive, calzando i suoi gialli stivali, indossando
la sua giacca blu cielo, portando una lunga piuma azzurra sul cappello e
cantando inni alla sua amata Figlia del Fiume.
Infine nell’estremo nord esiste un’isola, dalla forma che ricorda vagamente
una stella, sopra di cui sorge Erebor: la Montagna Solitaria era sopravvissuta
senza troppi danni dalle scosse; mentre all’estremo sudest vi è una terra
desertica, reduce dell’Harad, ancora abitata da uomini dalla carnagione
scura.
Il giovane elfo stava per ricominciare la sua marcia verso la costa.
Nonostante fosse meno di un miglio, il peso sulle sue spalle lo rallentava non
poco. Aveva fatto pochi passi quando udì un grido.
- Daro!-. Fermati. Eglerion si voltò, cercando la provenienza
dell’ordine.
- Iston le?- chiese. Ti conosco?
- Pedich edhellen?!- fu la risposta sorpresa della sua misteriosa
interlocutrice. Parli l’elfico?!
- Tancave-. Certamente. Eglerion mise in mostra le orecchie
appuntite.
- Man sâd telil?-. Da dove vieni?
- Telin o Manwetol-. Provengo da Manwetol.
- Sen tîr?-. E’ vero? Chiese di nuovo la ragazza.
- Gwanno ereb nin!- esclamò l’elfo, spazientito da tante domande.
Lasciami solo.
- Sedho!- lo zittì lei.
- Inizio a stufarmi di questa situazione. Mostrati!- disse.
- No diriel- rispose la voce. Fai attenzione.
Eglerion lasciò cadere in terra il cervo e mise mano alla cintura, dove la
sua lunga spada pendeva.
- Non lo farei se fossi in te. Sei a pochi metri di distanza da me e una
freccia in pieno petto non fa mai bene-. Eglerion imprecò ad alta voce contro i
mantelli degli elfi Sindar e cominciò a sondare la zona circostante, cercando
colei che lo stava minacciando. L’elfa decise di farsi vedere, lasciando cadere
il cappuccio del manto dietro la nuca. Eglerion rimase attonito. Gli occhi
smeraldini della sconosciuta incrociarono i suoi, mentre ella tendeva l’arco
verso di lui. I suoi capelli, di un colore biondo aureo ma mescolati a qualche
ciocca castana, erano tagliati all’altezza delle spalle. Una ciocca intrecciata
in una maniera sconosciuta ad Eglerion simboleggiava la casata della ragazza.
Egli non poteva sapere di trovarsi al cospetto di un’elfa d’alto lignaggio. La
fanciulla sorrise ad Eglerion, e gli parlò ancora.
- Cosa ci fa un Noldo da solo in una foresta con un cervo in spalla?
Probabilmente cerca di rimediare un pasto ai suoi compagni, accampati poco
lontano…- disse.
- Non ti rendi conto di con chi hai a che fare- rispose Eglerion, con una
punta d’orgoglio.
- Dimmelo tu, allora, visto che sembra essere una cosa tanto importante-.
- Ti dice nulla il nome Tegalad?-.
- Sono una semplice guardavia. Di certo non posso conoscere i nomi dei vostri
condottieri-.
- Lasto lalaith nîn-. Ascolta la mia risata, la canzonò
lui.
- E va bene. Conosco quel nome. Ma cosa importa… egli non ha potere
qui…-.
- Forse perché non si hanno più sue notizie da tre secoli ormai?-. Aveva
colto nel segno. La sconosciuta era stata brava a nascondere le proprie
conoscenze fino a quel momento, ma un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi.
Quella era una notizia che giungeva nuova alle sue orecchie.
- Come prego?-.
- La corona dei Noldo è passata a suo figlio- disse l’elfo.
- Interessante. E tu magari provieni da un’illustre casata di sanguinari
pirati che rientra nelle grazie di questo giovane sovrano-.
- Ci sei andata vicino- rispose. Lei proruppe in una risata, scuotendo la
chioma. Lui colse l’attimo. Sguainò la spada e in un momento le fu vicinissimo.
Ma aveva sottovalutato il nemico. Non appena Eglerion si era mosso, la Sindar
aveva estratto un corto pugnale dalla cintura e glielo aveva piantato senza
troppi complimenti nella coscia. L’alto elfo rovinò al suolo, e l’elfa gli fu
sopra in un attimo. Teneva in mano una freccia, molto vicino alle iridi blu mare
di lui.
- Se non la smetti di fare queste stronzate ti cavo i tuoi bellissimi occhi
piano piano, hai capito?-.
- Nai Valaraukar tye -mátar - le disse sprezzante. Possano i Balrog cibarsi di te.
- Simpatico il ragazzo. Ora dimmi: chi sei?-.
- Nin estar Eglerion- disse in un sussurro. Lei si portò una mano alla
bocca.
- Non può essere!-.
- E invece sì…- disse lui, stiracchiando un sorriso. La Sindar estrasse una
borraccia dalla sacca verde che portava a tracolla, sotto il mantello.
- Bevi-. Il liquore scese nella gola di Eglerion, che si addormentò poco
dopo. Lei fece un fischio, simile al richiamo di un uccello, e due guerrieri
elfi vestiti di mantelli apparvero.
- Aiutatemi a portarlo al rifugio più vicino- disse. I due non dissero una
parola, ma presero Eglerion e se lo caricarono in spalla. Durante la marcia
verso il nascondiglio la fanciulla rifletteva. Sperava di tutto cuore che
l’antidoto facesse effetto velocemente, perché altrimenti il veleno del pugnale
avrebbe portato presto il ragazzo alla follia.
Sicuramente la sua regina non avrebbe gradito che lei girasse nei boschi
rendendo folli i Re delle altre nazioni.
Ed ecco finalmente la mia prima fanfic su LotR... il
secondo capitolo è in lavorazione, ditemi come vi sembra per
favore... |
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Capitolo 2 *** Cap II Le due Bionde ***
VII AGE II
Cap II Le Due
Bionde
Eglerion aprì gli occhi lentamente. Chissà quanto aveva dormito. L’ultima
cosa che ricordava erano gli occhi verdi della sentinella e un bruciore alla
gola. Probabilmente lei gli aveva versato un qualche liquore nella gola.
Si guardò attorno.
Si trovava in uno dei rifugi usati dagli elfi che presidiavano i confini come
luogo di riposo e di ritrovo. Il rifugio si sviluppava su tre talan, collegati
da passatoie. Quello dove era disteso lui era adibito a dormitorio, mentre
quello centrale e quello più a sinistra erano rispettivamente l’armeria e la
cambusa.
Stranamente il luogo era silenzioso. Eglerion guardò verso il Sole. Dovevano
essere le sei del mattino o qualcosa di simile. In verità erano passate due ore dal Meriggio, ma egli non poteva saperlo.
Eglerion sbadigliò e si mise seduto.
Il silenzio era leggermente scalfito dal rumore dell’acqua. Osservò il terreno
circostante e individuò un lago, poco lontano.
Si alzò in piedi, deciso a farsi un bagno. Trovò dei teli vicino al tronco
dell’albero, dove stavano anche i suoi vestiti. Infatti, in quel momento,
indossava una toga che qualcuno gli aveva messo addosso. Afferrò uno degli
asciugamani, se lo mise in spalla e si diresse verso il lago.
Quando arrivò là, il Noldo si lasciò sfuggire un sorrisetto. Un’elfa,
probabilmente la stessa che lo aveva ferito, stava nuda al centro del lago,
dandogli le spalle.
- Sai, non è carino spiare una fanciulla immersa nelle sue abluzioni- gli
disse la ragazza.
- Contavo sul fatto che tu mi sentissi arrivare-. Lei gli sorrise.
- Chiudi gli occhi-. Eglerion eseguì, ridacchiando sommessamente. Stava
chiudendo gli occhi di fronte una perfetta sconosciuta, che per di più aveva la
sfacciataggine di dargli del tu. Se lo avesse visto Lancaeriel in quel momento,
avrebbe detto che era patetico…
***
- Dove diamine è finito, per tutti i Valar!-.
L’elfa bionda, in piedi sulla tolda della nave stava sbraitando contro un suo
sottoposto.
- Come sarebbe a dire "non lo abbiamo trovato"! Un elfo di sei piedi non
svanisce nel nulla!-.
I suoi occhi, di un colore indefinito tra verde, grigio e azzurro,
osservavano i due elfi a cui aveva incaricato di ritrovare il suo capitano.
- Mia signora…- cominciò uno dei due.
- Sedho! Non voglio udire altre scuse per oggi. Piuttosto mandatemi
Meldarion… serve che qualcuno abbia successo dove il nostro comandante ha
fallito-. I due annuirono e se ne andarono con la coda tra le gambe.
Lancaeriel si appoggiò alla balaustra. Dove poteva essere finito,
quell’inetto di Eglerion… Non lo sapeva. Si rassettò la veste blu e argento
con aria assente, mentre rifletteva. Se non ci fosse stata lei, gli abitanti di
Manwetol avrebbero già rovesciato il governo da un pezzo. Eglerion era un bravo
comandante, questo lo riconosceva, un buon condottiero in battaglia… ma per
quanto concerneva il governare… L’alta elfa si lasciò sfuggire un sospiro…
Quell’elfo era incorreggibile… non aveva preso moglie, si era fatto vedere in
veste di Re in due occasioni e, per completare l’opera, soleva ubriacarsi di
birra Haradrim una volta a settimana almeno… Ma perché ho accettato il posto
di comandante in seconda della flotta… perché ho pensato al profitto e non alle
conseguenze… Mai mettere il lavoro di un’elfa nelle mani di un elfo… pensò.
Un altro ricordo affiorò nella sua mente: "Shei l’elfa più bbbela che io abia
mai vishto…"
Questo le aveva fatto accettare… un complimento che egli le aveva fatto una
sera mentre tracannava nella locanda dove lavorava al tempo…
- Mia signora-. Una voce profonda la fece voltare. Un elfo s’inchinò
velocemente e punto i suoi occhi scuri su di lei.
- Mi avevate fatto chiamare?-.
- Sì Meldarion… raduna una squadra di cacciatori… Desidererei cenare questa
sera…-.
- Come desiderate-. L’elfo moro fece un altro breve inchino e si allontanò.
Il classico Noldo… occhi scuri, capelli neri… potrebbe benissimo far parte
della linea di Feanor, si disse la giovane bionda. Si girò di nuovo verso il
mare e maledì il giorno in cui Eglerion aveva avuto la brillante idea di
scendere lungo l’Anduin. Erano partiti con tre navi; ma, mentre la Anor e la
Galad erano tranquillamente ormeggiate a Minas Falas, l’ammiraglia della flotta
Noldorin, comandata da quella spugna del loro Re, aveva continuato il viaggio
verso Sud. La Ithil, quindi, si trovava ancorata al largo di una spiaggia poco
più a sud del confine di Rohan con l’Ithilien.
Lancaeriel fissò i flutti che s’infrangevano contro la chiglia di legno della
nave. Faceva caldo quel giorno. Troppo caldo. Aveva fatto male ad indossare un
abito scuro e lungo. Avrebbe dovuto mettersi una tunica da cacciatore. Sarebbe
stata più libera nei movimenti e non avrebbe sofferto per la temperatura. In due
mosse scostò le spalline della veste dalle scapole e il vestito scivolò in
terra. Prima che qualcuno dell’equipaggio potesse notarla, (Per fortuna,
pensò ella), l'elfa salì sul parapetto e si lanciò nel mare sottostante.
***
Eglerion uscì dall’acqua e si asciugò.
Certo che quella sentinella è premurosa, si disse.
Infatti aveva trovato i suoi vestiti sulla sponda e nel punto dove il coltello
lo aveva colpito vi era una fasciatura. Quella ferita gli doleva da matti, ma
egli non voleva darlo a vedere. Mentre si stava rivestendo, ringraziò i Valar e
quella neurotossina per averlo fatto dormire un sonno umano, invece di spedirlo
in quel coma meditativo che gli elfi hanno mentre riposano. Il Noldo odiava quei
trip di visioni elfiche, "degne di un’indigestione di Lembas", come soleva dire.
Questo anche perché gli riusciva difficile meditare con un’eccessiva dose
d’alcol nel sangue. Il suo secondo, un’elfa con venti centimetri buoni in meno
di lui ma che era capacissima di farlo sentire in colpa per le sue sbronze,
aveva ragione… doveva moderarsi, altrimenti sarebbe andato incontro a brutte
conseguenze.
L’elfo si alzò in piedi e si mise in cammino verso i Talan.
- Eccoti finalmente- disse l’elfa, quando Eglerion si presentò sulla
cambusa.
- Grazie- disse egli, riferendosi a ciò che ella aveva fatto per lui.
- Dovere… non posso accoltellare un Re in un bosco e poi non accettarne le
conseguenze. A proposito, spero che tu non sia seccato se non mi riferisco a te
con titoli come "mio signore" o non ti do del voi… ma se devo essere sincera non
ci riesco…-.
- In che senso?- chiese l’elfo, con un sorriso beffardo sulle labbra.
- Sembri così… immaturo! Non hai la faccia da Re…-.
- Sai, mi ricordi una mia amica ora… ma ad ogni modo poco importa. I titoli
mi fanno accapponare la pelle…-.
- Anche a me…- sospirò l’elfa.
- Come prego?- chiese Eglerion interessato.
- Niente...- rispose velocemente la guardavia.
- Mmh… sarebbe anche ora che tu mi dicessi il tuo nome…-.
- Ogni cosa a suo tempo- rispose la Sindar.
-Ora si mangia- aggiunse poi.
I due elfi si misero a sedere e cominciarono il loro pasto.
Il cibo era appoggiato su un tavolino, se quello era il nome che gli si
poteva dare, alto una decina di centimetri rispetto al pavimento d’assi; mentre
i due commensali sedevano su alcuni cuscini.
Gli elfi mangiarono in silenzio, studiandosi a vicenda. Era la prima volta
che Eglerion vedeva colei che l’aveva catturato in tutto il suo splendore.
I capelli ondulati erano raccolti, lasciando libere un paio di ciuffi, tra
cui la ciocca che simboleggiava il suo rango. Gli occhi verdi lo osservavano
attenti, mentre ella mangiava tranquillamente. Indossava una tunica di cuoio,
decorata da frange, che terminava sopra le ginocchia. Ai piedi calzava degli
stivali da viaggio logori e al suo fianco pendeva una lunga lama elfica, simile
a quella di Eglerion.
Mentre Eglerion osservava l’elfa, ella a sua volta studiava i suoi tratti. I
capelli gli ricadevano sulle spalle, mentre egli mangiava. Aveva addosso una
veste color azzurro e argento tipica dei Noldor, formata da vari strati ma che
lasciava i movimenti abbastanza liberi.
I due terminarono il proprio pasto in tranquillità.
- Ora cosa intendi fare? Trattenermi qui o bendarmi e riportarmi dove mi hai
incontrato?- domandò il Noldo.
- Resterai qui… chiunque veda l’entrata deve in Gondolin vivere o in Gondolin
morire- disse la bionda con voce grave, prima di scoppiare a ridere.
- Scherzavo… intendo fidarmi di te, a patto che tu ti fidi di me-.
- Vediamo quali sono le tue condizioni-.
***
Lancaeriel uscì dall’acqua e iniziò ad asciugarsi. Aveva fatto portare un
paio di teli sulla spiaggia da uno dei cuochi di bordo. Si avvolse negli
asciugamani come meglio poteva e si diresse dove la aspettavano il capo-cuoco e
suo fratello, il timoniere.
I due erano umani, figli di un Rohirrim e di una donna di Nuova Numenor.
Vivevano a Pinnath Gelin e vi erano rimasti dopo la conquista da parte degli
elfi. Il primo aveva ereditato i tratti della madre, capelli neri e occhi scuri,
mentre il secondo, di chiara discendenza del Riddermark, aveva i capelli color
del lino e occhi grigi.
- Avete fatto un buon bagno, mia signora?- domandò il timoniere.
- Molto buono Gelirion, grazie per aver chiesto-.
Tuarwaithion, il ragazzo moro, cominciò a remare verso la Ithil. Lancaeriel
approfittò del momento per riflettere. Il bagno nel mare le aveva decisamente
schiarito le idee. Avrebbe guidato lei stessa la seconda squadra di ricerca.
Doveva solo sperare che la notizia non si diffondesse. Sarebbe scoppiato il
pandemonio se a Manwetol il popolo fosse venuto a conoscenza della sparizione
del Re e della rottura della linea.
Doveva solo attendere che Meldarion tornasse per mangiare qualcosa.
***
- Ancora non capisco- disse Eglerion, incespicando in una radice con la gamba
ferita.
- Che cosa c’è di tanto strano?- rispose la giovane.
-Che cosa ti fa pensare che arrivati in quella radura io non tenti di
lasciarti là e tornare da solo alla nave?-.
L’elfa sospirò ed emise un fischio. Tre sentinelle apparvero tra le fronde
degli alberi, con gli archi tesi verso Eglerion.
- Non ho intenzione di ficcarti quell’antidoto in gola una seconda volta-
disse poi.
- Quindi sono nelle tue mani…-.
-Tancave-.
Eglerion imprecò a mezza voce e si fermò.
- Cosa c’è adesso?- disse la guardavia, spazientita.
- Tu non vuoi perdere tempo, io neppure. Ma c’è una cosa che voglio sapere e,
a costo di rischiare la sanità mentale, non farò un altro passo prima di
conoscerla-.
- E cos’è, di grazia, ciò che il gran signore vuole sapere?!- disse l’elfa
sarcastica.
- Il vostro nome, mia signora-.
La ragazza restò interdetta, indecisa se dirglielo o meno.
- Sei disposto a rischiare la follia pur di sapere come mi chiamo?-.
- Sì-.
- Non so se considerarlo un complimento o meno…- disse la bionda in un
sussurro. Egli sorrise.
- Nin estar Rhavanwen- asserì ella.
Eglerion sorrise nuovamente.
- Visto? Non era così difficile-. Rhavanwen roteò gli occhi.
- Forza, rimettiamoci in marcia-.
***
- Piano, piano…- sussurrò Meldarion. I due cacciatori alle sue spalle tesero
gli archi. Il cinghiale si girò e so preparò a caricare. Meldarion lo fissò
negli occhi, pronto a saltare. L’animale cominciò la folle corsa, puntando verso
l’inguine dell’elfo. I due arcieri lasciarono le frecce, colpendo le zampe
anteriori del cinghiale, che caracollò a terra. Meldarion saltò verso esso,
pugnalandolo nel dorso.
- E con questo siamo a tre. Dovrebbero bastare per un paio di giorni-.
- Dovrebbero…- asserì uno dei due dietro di lui. Meldarion si girò, per
incrociare gli occhi bruni di Castiel, l’elfa che aveva parlato.
- Desideri andare a cercarne un altro?- disse egli, in tono di sfida.
- Certo che no!- esclamò, - non vorrai mandare una ragazza a cercare un
cinghiale da sola!-.
- Beh… è un’idea…- rispose l’elfo. I due si guardarono negli occhi con aria
accigliata per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere.
- Vieni qua amore!- disse Meldarion, abbracciandola. Si baciarono, finché
l’altro cacciatore non si schiarì la voce.
- Ops! Scusaci Stephane-.
- Nessun problema Meldarion. Pensavo che magari sarebbe meglio se portassimo
la cena alla nave, così che voi possiate continuare nei vostri quartieri-
rispose l’uomo.
I tre risero.
L’uomo e l’elfo si caricarono il cinghiale in spalla e cominciarono a
camminare verso la Ithil.
***
- Mia signora?- disse Gelirion, bussando.
- Entrate-. I due fratelli fecero il loro ingresso nella stanza dell’elfa.
Tuarwaithion poggiò la teiera che portava su un tavolino e riempì una delle
tazze.
- È bizzarro come, dopo tutti questi anni, l’Athelas esista ancora e abbia
ancora la proprietà di alleggerire i cuori- disse Lancaeriel, sorseggiando la
bevanda.
- Concordo…- disse il cuoco, versandosi una dose di decotto a sua volta.
- Ma non era di questo che volevo parlarvi. Vi ho convocati in mancanza di
Eglerion, per alcune decisioni-.
- Diteci- la esortò il Rohirrim.
- Prima di tutto, lasciate perdere i formalismi, almeno in privato. Mi duole
aver mandato Meldarion con i cacciatori, ma con lui posso stare sicura che
qualcosa ci porterà indietro-.
- Sì… un elfetto nel grembo di Castiel…- borbottò Gelirion, sotto lo sguardo
divertito del fratello. Lancaeriel ridacchiò, chiaramente divertita
dall’affermazione del timoniere.
- Intendevo qualcosa per cena...- disse la dama, sorridendo.
- Ad ogni modo, - continuò, - stamattina ho deciso di scoprire che cosa il
nostro Re avesse in serbo per noi, quindi ho letto il diario di bordo del
capitano-. Si interruppe per respirare, mentre i due uomini aspettavano che ella
arrivasse al punto.
- Nelle ultime annotazioni fa spesso riferimento a dei trattati e a Nuova
Numenor. Per farla breve, egli teme che Nuova Numenor abbia intenzione di
attaccare il Mithlond e gli altri reami elfici-. Tuarwaithion la guardò
preoccupato.
- Il Mithlond non è mai stato una grande potenza bellica… a meno che non
riceva aiuto da qualche altra regione, non può resistere a lungo- disse.
- Da quando Cirdan è partito, il Mithlond e le Falas sono a rischio
d’invasione. Sotto Adunakhor, Gondor assoldò più di una volta flotte di corsari
per attaccare quella regione. Se non fosse stato per le legioni d’arcieri sulle
sponde, i porti sarebbero caduti in pochissimo tempo…- rincarò la dose il
fratello.
- Non vi facevo così informati su noi elfi- disse Lancaeriel. I due le
sorrisero, aggiungendo che ella non sapeva molte altre cose di loro.
- L’ironia è proprio il vostro forte…- sospirò ella.
- Insomma Eglerion ha intenzione di raggiungere il Mithlond e contattare i
Sindar dell’Ithilien, giusto?- disse uno dei due, riportando la discussione sui
binari predefiniti.
- Esatto. Intendevo indire un concilio stasera, ma ho preferito dirvelo
subito. Informerò Meldarion non appena torna e poi andrò a cercare quello
sciagurato…-.
- Come mai hai deciso di dirlo a noi?- domandò Tuarwaithion.
- Semplicemente perché mi fido di voi due e di Meldarion… dopotutto, non è un
caso se Eglerion ha messo voi tre al terzo posto nella scala gerarchica-.
Ci fu un’altra pausa, in cui Gelirion si versò un’altra tazza di Athelas.
- Ma è vera la leggenda che Eglerion porta sempre con sé la chiave
dell’armadietto dei liquori?- domandò poi, per ravvivare la conversazione.
- Non è una leggenda, è un fatto… è così da quando lo conosco…- rispose la
bionda.
- E io che speravo di fregargli un goccio della tequila nanica…- asserì il
cuoco, sospirando.
Detto ciò si alzò.
- Vado a vedere se i cacciatori sono di ritorno… il sole tramonterà tra una
mezz’ora, quindi è meglio se ordinò di accendere i fuochi per la cena, già che
ci sono-.
- Se ti serve una mano chiamami… non ho nulla da fare a pensarci bene…- lo
avvisò suo fratello.
Uno ad uno si congedarono dall’elfa, lasciandola sola nella stanza.
Dove sei Eglerion... inizi a farmi preoccupare… Finì
la sua tazza di Athelas e si stese sulla branda, per riposare un po’, prima di
andare a cercare il proprio Re.
***
- Valar se è lontano!- disse Eglerion.
- Non è tanta strada in linea d’aria, sto solo tentando di fare il giro più
sicuro e più vicino alla costa- rispose Rhavanwen.
- Capisco-.
- Tra poco saremo in quella radura, quindi passerò a te la guida- affermò
ella. Egli annuì.
Camminarono per un altro tratto, finché Eglerion non riconobbe il posto dove
aveva incontrato la Sindar.
- Eccoci- disse.
- Ssh- lo zittì l’elfa. Si fermarono e si misero in ascolto. Udivano
chiaramente dei passi. Probabilmente due o tre persone. Di certo uno era un
uomo. Un elfo non poteva avere il passo così pesante. L’elfa si tolse l’arco
dalla spalla, spinse Eglerion dietro un albero e si avvolse nel mantello. Attese
fino a quando i passi non furono più vicini e urlò, come aveva fatto il giorno
prima.
- Daro!-.
- Hai sentito?-.
- Era un’elfa-.
- Non lo so, ma non mi piace-. Rhavanwen n’ebbe la conferma. Erano tre. Stava
per dire qualcos’altro, ma fu fermata da Eglerion.
- Meldarion!- gridò.
- Eglerion!- fu il grido di risposta. I due sentirono un tonfo provenire da
dietro un gruppetto d’alberi e videro un elfo moro uscirne correndo. Eglerion
gli andò incontro, abbracciandolo.
- Mae govannen, mellon nìn!- disse Eglerion. Ben incontrato, amico
mio.
- Im gelir ceni ad lín- rispose Meldarion. Sono felice di
rivederti.
Dalle fronde uscirono altre due persone. Una giovane elfa, dai capelli
castani e gli occhi bruni e un uomo, dagli occhi azzurro cielo e i capelli rossi
che gli scendevano fin sulle scapole.
- Lady Rhavanwen, permettimi di presentarti Meldarion, figlio di Daeron,
Castiel, della stirpe di Idhron e Stephane, discendente di Ciaran di Rohan-
disse il Re. I tre s’inchinarono quando Eglerion pronunciò i loro nomi.
- Suilaid- rispose l’elfa. Salute.
Il biondo guardò i tre e sorrise.
- Allora, come va? Lancaeriel ha dato di matto perché sono sparito?- domandò.
I tre lo guardarono storto. Meldarion decise di rispondere.
- Mah… abbastanza… Athradien si è beccato una strigliata perché non è
riuscito a trovarti, ma nulla di più-.
- Niente di nuovo, insomma… poveraccio… se la prende sempre con lui quando ha
i nervi a pezzi…- disse Eglerion pensieroso.
- Voi cosa ci facevate qui, invece?-.
- Citando il comandante in seconda, "serviva qualcuno che avesse successo
dove il nostro Re ha fallito". Stavamo rimediando la cena-.
Stephane intervenne: - Io penso sia meglio se ci affrettiamo, altrimenti Lady
Lancaeriel se la prenderà con te stavolta, Meldarion-.
Rhavanwen assisté allo scambio di battute senza parole. Le sembrava di vedere
il ritrovo di amici in una birreria, non al ritrovamento di un Re da parte di
alcuni suoi sudditi. L’uomo la risvegliò dai suoi pensieri.
- Se volete seguirci, dama Rhavanwen-.
Il gruppo si rimise in marcia verso il punto dove la Ithil era ancorata. Si
fermarono a riprendere il cinghiale morto e camminarono speditamente attraverso
lo stesso sottobosco dove Eglerion aveva inseguito il cervo il giorno prima.
Ed ecco finalmente il secondo capitolo. Come potete
vedere ho introdotto qualche nuovo personaggio ("qualche"?!).
Allora, come vi sembra Lancaeriel?
Ad ogni modo ringrazio Uriko e Valentina per le
recensioni.
@Uriko: grazie, contento che ti piaccia come ho descritto
gli avvenimenti che scuotono la Terra di Mezzo durante tutti quegli anni. Come
puoi vedere da questo capitolo, Eglerion è un elfo elfico quanto gli Dei omerici
sono divini...
@Valentina: Grazie, addirittura la "reincarnazione di
Tolkien"! Sono felice che ti piacciano storie del genere... la fic è nata
soprattutto perché avevo voglia di scrivere qualcosa di Fantasy, ma partendo da
zero avrei comunque scritto qualcosa di troppo somigliante al "Signore degli
Anelli" per ambiente e razze, quindi non mi è venuto in mente niente di meglio
che ambientarlo anni dopo.
@Silvì: ecco finalmente la fantomatica storia fantasy di cui parlammo tempo fa (Silvia, rimembri quel tempo in cui ti parlai della fantastica storia? =)) felice che ti sia piaciuta. E no, Lancaeriel non sarà una pervertita come tu predicesti
Infine devo menzionare il fatto che l'idea del corpo
celeste è ispirata al libro "Atlantis Found", di Clive Cussler e che la fantomatica ciocca di Rhavanwen non è altro che una ciocca rasta, ma non ho idea del nome che un elfo potrebbe darle.
Arrivederci al prossimo capitolo, che non so quando
arriverà purtroppo o_O
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Capitolo 3 *** Lachol Celeb ***
VII age cap III
Cap
III Lachol
Celeb
- È… è…
-.
- Splendida, vero? Di
solito sortisce quest’effetto su chi la vede per la prima volta- disse Eglerion,
osservando divertito lo sguardo dell’elfa silvana, che a sua volta guardava la
nave con gli occhi spalancati.
- Gelirion! Spero tu non
stia tracannando dalla mia riserva di liquori!- gridò egli, una volta arrivato a
portata di voce.
- TU!-. Non fu di Gelirion
la risposta. Fu del comandante in seconda.
- Bella!- la salutò
calorosamente Eglerion.
- TU! Tu come puoi
presentarti così… così… spensieratamente qui, dopo avermi fatto preoccupare per
un giorno intero!- gli urlò, quasi senza respirare. Gli corse incontro e lo
abbracciò, gli occhi le lacrimavano per la felicità.
- Sia dannato Manwe, se tu
non mi sei mancato!-. L’elfo le sorrise, asciugandole le
lacrime.
- Fammi un favore ora: non
piangere più e dì a Tuarwaithion di dare fuoco alle polveri, che stasera si
mangia. Digli anche di impegnarsi, perché stasera abbiamo
un’ospite-.
- E chi sarebbe, di
grazia?- domandò la Noldo, ritrovando un po’ di contegno.
- Dama Rhavanwen, figlia
di Gawain e Naerwen, al vostro servizio, mia signora- disse Rhavanwen,
sentendosi chiamare in causa. Lancaeriel lanciò un’occhiata eloquente al proprio
capitano. Possibile che, pur perdendosi
in un bosco, egli fosse riuscito a trovare una dolce compagnia femminile?
Possibilissimo.
Sorrise alla nuova
arrivata, inchinandosi a sua volta.
- Farò preparare una
camera per voi, in caso vogliate riposare- le disse.
- Vi
ringrazio…-.
Il gruppetto di elfi salì
sulla nave, seguito da Stephane, che si occupò di assicurare la lancia con cui
avevano raggiunto la Ithil alle cime di sostegno.
***
- Posso
entrare?-.
- Tu sei sempre
ben’accetta qui, amica mia- rispose il Re, osservando il mare dalla finestra
sulla poppa della nave.
- Devo parlarti- disse
Lancaeriel.
- Dimmi, allora-. Eglerion
non si mosse, preparandosi mentalmente alla discussione. Infatti, le prime cose
che aveva fatto arrivato nei suoi quartieri erano state, nell’ordine:
controllare che nessuno avesse violato la riserva personale delle bevande del
capitano, controllare il sigillo del diario di bordo. Chi altri se non l’elfa
che gli stava alle spalle, avrebbe potuto ardire a tanto. Di certo c’era che
aveva nascosto bene le tracce, ma, dopo secoli di controlli, Eglerion aveva
l’occhio allenato a riconoscere eventuali infrazioni della sua privacy.
- Ho letto il tuo diario
di bordo- disse ella.
- L’ho notato- rispose il
capitano, indicando il libretto rosso rilegato in pelle che era appoggiato sul
tavolo. L’elfa sospirò.
- Quando intendevi
dircelo?- chiese, tentando di non sembrare troppo acida.
- Se tutto fosse andato
normalmente, tra un paio di giorni, una volta arrivati a Minas Duin; ma visto
l’intoppo, che risponde al nome di Rhavanwen, te l’avrei detto appena tornato. A
quanto pare, però, sei abbastanza autonoma-. Egli sorrise.
- Sono fiero di te,
Lancaeriel. Non potevo scegliere persona migliore per assumere il comando in mia
vece- le disse. La bionda era a dir poco sbalordita. Si aspettava tutto tranne
che complimenti.
-Vi ringrazio, mio
signore- disse, assumendo un’aria sottomessa.
- Lancaeriel, quante volte
devo ripeterti che tu non devi sottometterti, inchinarti o trattarmi con onore?-
le domandò.
- Lo so, lo so… devo
trattarti come un amico ed essere schietta…-.
- Pane, pane e pero al
pero, cantava un poeta…- rispose Eglerion. Fece il giro della scrivania e si
mise di fronte a lei.
- Stai tremando- le disse.
Ella annuì.
- Mi hai fatto preoccupare
tantissimo- gli rispose, autocitandosi.
- Esiste un modo per farmi
perdonare?- domandò lui. Lancaeriel sorrise maliziosa.
- Penso di
sì-.
Egli le cinse la vita con
le braccia e la baciò. Si staccarono dopo qualche secondo. L’elfa girò la chiave
nella serratura, in modo da chiudere la porta, prima di essere nuovamente
baciata dal Re. Si lasciarono prendere dalla passione, mentre la campana della
cena suonava.
***
- Come mai né Lord
Eglerion né Lady Lancaeriel si sono presentati?- domandò l’elfa silvana a
Stephane, che sedeva accanto a lei. Egli sorrise all’ingenuità della
Sindar.
- Probabilmente saranno
occupati- disse evasivamente. Era compito di Eglerion spiegare alla dama il suo
legame con il suo secondo. Nonostante tutto l’equipaggio n’era a conoscenza,
ella non poteva sapere che i due erano amanti. L’uomo ridacchiò. Amanti… si disse. Amanti vuol dire che trombano quando hanno
voglia, senza impegno…
L’elfa lo guardò poco
convinta, ma non fece altre domande e si concentrò sulla fetta d’arrosto che
giaceva nel suo piatto.
I cuochi si erano
veramente impegnati, per riuscire a portare in tavola pietanze degne delle alte
sale della sua regina. Ma d’altra parte,
è un Alto Re dei Noldor a governare la nave, si disse. Osservò la
sala.
Si notava che Eglerion non
era in buoni rapporti con il suo titolo.
A differenza delle navi
degli uomini o dei Teleri, dove il capitano e gli ufficiali di grado più alto
cenano con cibo migliore in sede separata dal resto della ciurma, la Ithil aveva
una sola grande sala. In essa vi erano tre lunghe tavolate, dove elfi e uomini,
ufficiali e marinai, sedevano mescolati tra loro. Eglerion stesso non voleva
posti d’onore, anzi, spesso si avvicinava ai mozzi o alle sguattere più giovani,
chiedendo se fosse libero il posto accanto. Non serve dire che spesso gli
interpellati restano esterrefatti e stupiti. Tutti ricordano con il sorriso la
sera in cui il Re alzò troppo il gomito e salì sul tavolo centrale con il
boccale in mano, incitando gli altri a cantare.
Rhavanwen ripensò a come
aveva passato l’ora precedente: visitando la nave, guidata da Castiel, l’elfa
mora che aveva conosciuto nel bosco.
La Ithil era l’orgoglio
della flotta Noldorin. Lunga circa centoquindici piedi dalla punta della polena
a forma di sirena (che, Rhavanwen ne era sicura, aveva i tratti molto
somiglianti a quelli di Lancaeriel), alla poppa; si sviluppava su cinque ponti.
Il ponte A, il più basso
prima della sentina, era adibito a magazzino per attrezzature varie da sbarco,
come tende e attrezzi da lavoro. Sempre nel ponte A vi erano due barili di
tabacco, un’erba scoperta da poco dagli Haradrim nelle foreste che
caratterizzano la loro costa occidentale. Gli uomini e talvolta qualche elfo,
solevano fumarla come tempo prima la gente fumava l’erba-pipa dei mezz’uomini.
Essendo però sprovvisti di pipe, i marinai Noldorin avevano trovato un modo per
farne a meno, arrotolando le foglie sbriciolate in una o due foglie più ampie.
Infine nel ponte A, cosa più importante, stavano le riserve
d’acqua.
Sopra al ponte A stava il
ponte 1, che veniva utilizzato come cucina e cambusa. Esso era il regno di
Tuarwaithion, in cui venivano creati i manicaretti come quello servito quella
sera.
Nel ponte 2 vi era il
refettorio e le brande dei marinai.
Il ponte 3 univa infine le
funzioni di armeria e ponte d’offensiva. Infatti, in quel punto della nave stava
la maggior parte delle armi, insieme alle baliste. Là si potevano trovare anche
le poche celle, dove venivano messi i prigionieri.
A tutti questi ponti si
accedeva tramite due scale di legno che scendevano attraverso la nave, una
vicino al castello di poppa e una vicino alla prua.
Nel castello di poppa
c’erano gli alloggi del capitano e del suo secondo, lo studio del capitano e i
quartieri di alcuni personaggi di spicco dell’equipaggio, come Meldarion (che
divideva la cabina con Castiel, da qualche giorno), Gelirion, Tuarwaithion e
Stephane (che dividevano la stessa cabina). Per finire c’erano due cabine vuote
in fondo al corridoio, utilizzate da eventuali passeggeri in più (come
Rhavanwen) e una delle tre latrine. Le altre due erano situate nei ponti A e
3.
La nave procedeva grazie
alle vele dei tre alberi ed era manovrata con maestria da Gelirion (o, talvolta,
da Eglerion stesso), dalla cima del castello di poppa, ove era la ruota del
timone.
Più di una volta era stata
protagonista di scorrerie ai danni di Nuova Numenor e aveva avuto un ruolo di
spicco durante l’assedio di Dol Firith, il colle del tardo autunno, ove ora
sorge Dol Calan.
È proprio una gran bella
nave… pensò l’elfa, rivolgendo
di nuovo l’attenzione al suo pasto.
***
- Ti ho mai detto che sei
fantastica?- chiese Eglerion.
- Probabilmente- rispose
Lancaeriel sorridendo. I due giacevano sul ponte della nave, abbracciati. Il Re
baciò la fronte dell’elfa e le parlò nuovamente.
- Meglio rivestirsi...
sicuramente il resto dell’equipaggio starà ridacchiando per via della nostra
assenza…- disse, inconsapevole che la ciurma stava sì, facendo commenti
maliziosi, ma rivolti a Castiel e a Meldarion, anche loro assenti alla
cena.
- Allora- asserì
Lancaeriel, mentre indossava la sottoveste, - cosa è nato tra te e la
Sindar?-.
- Come prego? No… non c’è
nulla…- disse Eglerion.
- Sì, come no- rispose
l’elfa in tono strafottente.
- Solo perché ci diamo del
tu, non significa che c'è qualcosa di più tra noi-.
- Mh… Spero tu abbia
notato che la tua amica è di famiglia nobile-.
- A dire il vero no. È
stata molto evasiva per quanto concerne se stessa. Pensa che, fino a questo
pomeriggio, non conoscevo nemmeno il suo nome… d’altronde, come lo potevo
capire?-.
- La ciocca intrecciata
alla maniera Haradrim che ha tra i capelli, magari?- proruppe ella, con il tono
di chi spiega qualcosa ovvia per l’ennesima volta.
- Scusami se non sono
colto come te nella cultura degli elfi grigi…- disse Eglerion, con una punta di
risentimento nella voce. Lancaeriel sospirò. Era un tasto dolente quello. Se
c’era qualcosa a cui Eglerion teneva, era la cultura che si era fatto negli
anni, fosse essa di vini, liquori, strategie di battaglia o storia antica, non
aveva importanza. Egli ci teneva e infierire sulla sua scarsa conoscenza di un
qualche argomento lo rendeva in uno stato di freddezza, caratterizzato da
risposte secche e poco amichevoli.
- Lasciamo perdere- disse
poi la ragazza.
- Come vuoi tu…- rispose
il Re.
- Io vado a darmi una
lavata. Ti consiglio di mangiare qualcosa, poiché stasera desidererei indire un
concilio per decidere sul da farsi e tu dovrai esserci-. Il suo tentativo di
sviare l’attenzione dalla tensione di un momento prima
riuscì.
- Va bene, amica mia.
Passerò a vedere se è rimasto qualcosa in cambusa… di solito Tuarwaithion mangia
per ultimo, quindi gli andrò a fare compagnia-. Il solito calore era tornato
nella voce dell’elfo. Ella sorrise.
- Non bere troppo, che stasera vorrei
continuare ciò che abbiamo cominciato prima- lo canzonò ella. Il Re le sorrise
di rimando. Lancaeriel uscì, chiudendo la porta dietro di se, mentre Eglerion si
diresse verso il mobiletto che conteneva i suoi liquori. Estrasse una bottiglia
di Tequila del Sud chiamata Lachol
Celeb e si riempì un bicchiere. Assaporò l’alcolico con un paio di piccoli
sorsi, prima di bere il resto tutto d’un fiato. Arricciò le labbra mentre la
bevanda gli scivolava giù per la gola, provocandogli un piacevole bruciore. Più
tardi avrebbe offerto un bicchiere alla sua ospite, per cortesia. Se poi le
sarebbe piaciuto ne avrebbe versato un secondo. Poggiò il bicchiere sul mobile e
chiuse l’anta, dopo aver riposto la bottiglia al suo posto. Si stiracchiò e uscì
dallo studio, diretto verso la cambusa.
***
Rhavanwen era sul castello
di poppa, appoggiata alla balaustra posteriore. Stava osservando la luce che
pian piano scemava. Sebbene ella avesse spesso osservato i tramonti e apprezzato
quei momenti crepuscolari, vederli da una nave come la Ithil era tutt’altra
cosa. I suoi pensieri volavano veloci tra le fronde dell’Ithilien, diretti verso
le Sale di Alastegiel, la città centrale dell’Ithilien, invisibile a chi non
conosceva la strada per arrivarci. Era lì dove era nata e cresciuta, alla corte
di Re Alyan. La roccaforte prendeva il nome dall’unica figlia di Alyan,
Alastegiel.
Era tradizione che le Sale
avessero il nome del primogenito, o della primogenita, del Re. Alastegiel era
salita al trono ancora giovane, quando suo padre non tornò da una spedizione a
Sud, per fermare le incursioni dei raminghi Numenoreani, che da qualche tempo
tentavano d’infiltrarsi nei suoi domini. Il suo elmo fu trovato spezzato mentre
galleggiava placidamente nel Celebduin, il fiume che attraversa l’Ithilien, le
Sale e Rohan, prima di sfociare con un ampio delta nello Stretto di Theoden, che
“separa” l’Anduin dal resto del mare. I pochi uomini che tornarono, portarono
indietro il corpo esanime del Re.
Alastegiel giurò vendetta.
Fece adattare alle sue forme femminili l’armatura del padre e guidò l’esercito
in un cruento assedio al vallo di Isildur. Un uomo sopravvisse per raccontare ai
propri compatrioti l’ira della nuova Regina. Infatti in quella battaglia
Alastegiel si era guadagnata l’epiteto di Thalien, l’intrepida. L’uomo narrò la
vicenda con l’orrore negli occhi, riferendosi alla neo-regina come se ella fosse
una Valchiria. Secondo chi aveva ascoltato, l’uomo aveva incrociato la strada
della degna sposa di Orome.
Dopo l’assedio al Vallo,
Alastegiel aveva deciso di restaurare una divisione militare caduta in disuso
dopo la catastrofe: le sentinelle. Arruolando dall’esercito e prendendo anche
volontari, era stata creata così una folta schiera di elfi dediti al
pattugliamento dei confini e alla guardia dei boschi, con lo scopo di prevenire
le incursioni da parte degli uomini. Chiunque non fosse un immortale veniva
fermato e catturato. I Rohirrim avevano presto imparato a portare stendardi
insieme alle carovane di mercanti per evitare spiacevoli errori (Rohan e
l’Ithilien erano in pace e spesso mercanti di entrambi i paesi viaggiavano tra
le città delle due nazioni) e i Numenoreani erano stati ricacciati indietro più
di una volta.
Rhavanwen sospirò. Si
chiese quando il Re Noldorin le avrebbe detto cosa intendeva
fare.
In quel momento sentì dei
passi dietro di lei. Un uomo, di chiara provenienza Rohirrim, camminava verso di
lei.
- Mae govannen, hareth Rhavanwen-. Ben
incontrata, dama Rhavanwen.
- Suilainnon- rispose ella, stupita che
l’uomo parlasse il Sindarin.
- Mi chiamo Gelirion. Re
Eglerion mi manda a dire che siete invitata a partecipare al concilio che si
terrà a breve nel suo studio- disse egli. L’elfa annuì. Osservò meglio l’uomo,
mentre lo sguardo di lui si perdeva all’orizzonte. Dagli occhi traspariva
malinconia e saggezza, nonostante egli non potesse avere più di trent’anni.
- Guardavate il tramonto?-
chiese Gelirion d’improvviso, guardando di nuovo verso lei. Ella distolse
velocemente lo sguardo.
- No, osservavo il
crepuscolo… il Sole era già calato quando sono arrivata
qui-.
- Vi comprendo… spesso io
stesso vengo qua ad osservare l’effimera bellezza delle giornate che muoiono…
effimera come la vita mortale…-.
- Questa è la grande
differenza tra voi e i primogeniti- asserì l’elfa.
- Voi sapete cogliere,
grazie alla brevità della vita, le cose buone in ogni momento, mentre gli elfi
non fanno altro che vivere lasciando che gli avvenimenti scivolino loro addosso…
immortali come il mare, ma altrettanto indifferenti alle sofferenze
altrui-.
- Se vi sentisse Lady
Lancaeriel direbbe che siete una depravata- disse Gelirion,
sorridendo.
- Sarà meglio andare-
disse Rhavanwen, sorridendo di rimando all’uomo. I due si avviarono, mentre le
stelle cominciavano a brillare.
***
Le due ore del concilio
passarono velocemente. Erano presenti, oltre al Re ed al comandante in seconda,
i due fratelli, Meldarion, Stephane e Rhavanwen. Nella prima parte Eglerion
disse, a chi ancora non ne era al corrente, qual’era lo scopo del viaggio. Poi
discussero se era necessario esplorare la costa di Nuova Numenor a Sud
dell’Ithilien ed infine decisero di fare scalo a Minas Duin, roccaforte
Sindarin, posta circa metà dell’Anduin.
- Bene signori, potete
andare. Gelirion, non preoccuparti, penso io alla rotta- disse Eglerion. I
presenti si alzarono e cominciarono ad uscire dallo studio del
capitano.
- Dama Rhavanwen, potete
fermarvi un momento?- domandò. L’interpellata si fermò e tornò sui suoi
passi.
-
Desiderate?-.
- Volevo chiederti se
potessi darmi una mano- rispose il Re, abbandonando il tono formale ed estraendo
una carta della terra di Mezzo.
- Castiel, che oltre a far
parte della guarnigione è la nostra cartografa, non conosce ancora bene queste
terre, quindi, come puoi ben vedere, non sono segnate città o luoghi importanti.
Mi servirebbe sapere circa a che distanza da qui, dove ci troviamo noi- indicò
un punto sulla carta, - si trova Minas Duin-.
L’elfa osservò la carta.
Era ben disegnata, nonostante l’Ithilien fosse solo una macchia verde a sud di
Rohan. Chiese uno strumento per misurare le distanze, che Eglerion le fornì e
ricordò la carta dell’Ithilien che avevano nel Talan. Prese un paio di minuti e
poi parlò:
- Circa qui. Siamo
abbastanza vicini. Sono circa dieci leghe di distanza-.
- Bene- asserì Eglerion.
Prese un goniometro e la bussola e tracciò una rotta
approssimativa.
- Se tutto va bene
dovremmo arrivare domani, un paio d’ore dopo il meriggio-.
- Così tardi?- domandò
ella.
- Purtroppo sì… la
bonaccia in questo tratto è praticamente perenne e gli eventuali venti sono poco
più di aliti- rispose.
-
Capisco-.
I due rimasero in silenzio
un paio di minuti.
- Prima di andare, c’è una
domanda che vorrei farti-.
- Parla pure- disse il
Re.
- Posso sapere come
mai né tu né Lady Lancaeriel eravate presenti a cena?- disse l’elfa. Egli
abbozzò un sorriso.
- Lo scoprirai crescendo-
rispose il Re, ironicamente. Ella rimase interdetta.
- Quindi… tu e
lei…-.
- Siamo amanti, niente di
più. Nessuno dei due è abbastanza serio da prender moglie o marito, quindi siamo
sempre pronti l’uno per l’altra-.
- Ora capisco il
sorrisetto di Stephane, quando gliel’ho chiesto-.
- Ormai lo sa l’equipaggio
intero. Chi non lo sa, viene presto messo al corrente-. Ella si
alzò.
- Se non ti dispiace, io
andrei a riposare. Grazie per aver chiarito i miei dubbi, l’insonnia di stasera
sarà meno pesante, avrò poco su cui arrovellarmi-.
- Vedo che anche tu
preferisci il sonno vero alla meditazione. Se soffri d’insonnia però posso
offrirti un rimedio- disse il Re, armeggiando con le chiavi che teneva appese
alla cintura.
- Che rimedio?- domandò
Rhavanwen.
- Ti avverto, è un po’
casereccio- rispose Eglerion, trovando finalmente la chiave cercata e aprendo
l’armadietto vicino alla parete. Ritirò fuori il liquore Haradrim, insieme ad un
paio di bicchieri.
- È tanto forte quella
roba?-.
- Dipende da quanto sei
abituata. Se non lo sei, allora sì-.
Versò il Lachol Celeb nei due bicchieri e ne
offrì uno alla sua ospite.
- Alla pace- disse
l’elfa.
- Molto nobile come
brindisi… alla tua salute- rispose l’elfo, facendo cozzare il bicchiere con
quello di lei. Bevvero il liquore e riappoggiarono i
bicchieri.
- Oh Eru!- esclamò l’elfa,
sentendo il bruciore della bevanda.
- Ti accompagno alla tua
cabina, se vuoi-.
- Non serve, grazie. Passa
una buona notte-. L’elfa si avviò, barcollando leggermente. Non appena arrivò
nella sua cabina, si spogliò e si stese sul letto, addormentandosi molto
velocemente.
***
L’elfa sospirò
stancamente. Si alzò dalla poltrona che stava dietro alla sua scrivania e si
diresse verso la porta. I burocrati continuavano a tartassarla di richieste e
proposte, di giorno in giorno. Si ritirò nelle sue stanze, pensando alla
giornata che sarebbe seguita. Si sdraiò sul letto e iniziò. Un respiro profondo.
Due. Tre. Entrò in trance. Alastegiel Thalien, regina dei Sindar dell’Ithilien,
cominciò a meditare. Ormai mancava poco. Gli assalti ai confini erano sempre più
frequenti e i membri del concilio non facevano altro che inneggiare alla guerra.
Non accetterò una linea di
condotta che ci porti alla guerra! Aveva risposto quel
giorno, quando anche Galadhwen, la sua conciliata più fidata, aveva proposto di
muovere l’esercito e invadere Nuova Numenor. Si mise in posizione seduta e
incrociò le gambe. I lunghi capelli biondo scuro le coronavano la testa come un
cespuglio. Oramai non sapeva più come fare. L’idea di riunire il concilio a
Minas Duin le aveva fatto guadagnare un paio di giorni, ma non erano pochi i
conciliati che fomentavano il popolo, descrivendola come una traditrice o come
una nullafacente. Elfi troppo giovani per ricordare la sua cavalcata contro il
Vallo Sud, o addirittura troppo giovani per averla vissuta. I figli della
Settima Era cominciavano a divenire corrotti. Ella, nata agli inizi di
quell’era, aveva ormai visto passarle davanti agli occhi più di mille anni, ma i
più giovani non capivano la situazione.
Sospirò nuovamente e
continuò la sua meditazione. Ormai solo un miracolo, degli alleati spuntati dal
nulla, avrebbero potuto salvarla.
***
- Uno, due,
tre!-.
- Uno due, tre! Più
veloce-.
Il clangore metallico
risuonò nell’armeria. Tuarwaithion si fermò un momento, permettendo a Castiel di
respirare. Il sole stava sorgendo in quel medesimo
momento.
- Sei molto veloce- asserì
ella. Si erano trovati per caso nello stesso momento e avevano deciso di
allenarsi insieme.
Castiel alzò le due lame e
si mise in posa di guardia, pronta a respingere gli assalti del cuoco. Ella,
Eglerion e Meldarion erano gli unici a saper combattere sia con una lama che con
due.
Tuarwaithion strinse la
spada con entrambe le mani e cominciò a vibrare colpi. Castiel li parò con
maestria, schivando l’ultimo. I due furono interrotti nuovamente da un applauso.
Meldarion sorrise, quando i due lo guardarono.
- Chi sta insegnando a
chi?- domandò poi. Gli elfi e l’uomo risero.
Tuarwaithion gli passò la
lama e gli disse:
- Continua tu, io devo
andare a preparare colazioni-.
- Che cosa offre la
cambusa oggi?- chiese l’elfa.
- Vinci un premio se
indovini- rispose l’uomo.
- Il solito pan di via che
abbiamo caricato su a Minas Falas e mele semi-marce?-.
- Abbiamo un vincitore.
Oggi serviamo le ultime. Quelle che non vengono mangiate oggi finiscono fuori
bordo-.
Il rumore delle armi che
s’incrociavano riecheggiò ancora mentre il cuoco usciva.
***
Il sole era alto, quando
Rhavanwen si svegliò. Aveva dormito bene, cullata dallo sciabordio delle
onde.
Fuori dall’oblò vedeva la
costa che scivolava via.
Si alzò in piedi,
rischiando di perdere l’equilibrio per via del rollio della nave, e si rivestì.
La bionda uscì dalla cabina, diretta verso la coperta in cerca di Eglerion o
Lancaeriel. Trovò la seconda vicino all’albero maestro, mentre dava istruzioni
all’equipaggio.
Rhavanwen si voltò verso
il castello di poppa, incrociando lo sguardo di Gelirion, che seguiva la rotta
tracciata dal Re la sera prima, aiutato da Castiel.
- Ben svegliata!- la
salutò Lancaeriel con calore.
- Buongiorno!- rispose,
utilizzando, inconsapevolmente, le stesse parole che segnarono l’avvento della
grande avventura di un Istar, tredici nani ed un hobbit.
- Avete per caso visto
Eglerion- domandò la silvana.
- Mh… ieri sera sono
ripassata dopo che tu sei uscita… l’ho praticamente portato a letto… altrimenti
avrebbe passato la notte con quella bottiglia-.
- Lachol Celeb- mormorò
Rhavanwen.
- Sì… non ha un cattivo
sapore… ma quell’elfo è capace di mandarla giù come acqua, quindi non voglio
immaginare cosa possa succedere se ne beve troppa...-. In quel momento furono
interrotti dalla troppo ben nota voce del capitano.
-
Wher’m I gonna live, when I get home?… my
ol’ lady stood out every plain now…-.
- Oh no…- gemette
Lancaeriel.
Eglerion stava
caracollando verso di loro, con una bottiglia vuota in mano, canticchiando una
vecchia ballata, storpiandone alcuni tratti.
-
She make what she said… she wish I was
dead… so wher’m I gonna live, when I get home?...-.
Rhavanwen soffocò una
risatina. Decisamente quell’elfo aveva poco di reale. Lei lo aveva intuito
subito. Il sangue che scorreva nelle vene di lui era molto nobile, su questo non
c’erano dubbi, ma per quanto riguardava i costumi... adesso comprendeva perché
Lancaeriel era così severa con sé stessa. Almeno una testa a posto al governo ci
voleva.
- Buonasera, signorine-
biascicò. Perse l’equilibrio e si avvinghiò alle due per non sbattere sulla
tolda della nave.
Tentò di riassumere una
posizione eretta. Dopo un paio di tentativi, aiutato dalle due ragazze, ci
riuscì. Circa.
- Hai passato una buona
nottata?- domandò Lancaeriel, con la voce più posata che riusciva ad avere in
quel momento. Quindi simile ad un ringhio.
- Mah… quando la quarta
bottiglia è finita, è andata un po’ peggio… ma poi ho visto le luci qui fuori e
ho pensato: “Non è che stanno facendo un
festino sul ponte senza di me?” Allora sono venuto a vedere- rispose il
disgraziato. Il comandante in seconda, il cui viso era color Magenta, lo guardò
negli occhi. Stava per mettersi ad urlare, fregandosene altamente dei vari
testimoni, quando si trovò le sue labbra attaccate alle proprie. Un bacio. Uno
tra i più dolci. Quando si separarono, il capitano rispose al suo sguardo e
parlò.
- Non sono ubriaco. Ho
messo su questa piccola recita per mostrare alla nostra ospite perché sei spesso
così tesa. La colpa è mia. Volevo lo capisse il prima possibile e non si facesse
cattive idee su di te-.
- Sei irreprensibile… non
so cosa dirti…- rispose Lancaeriel. La tensione era svanita. La ciurma aveva
ormai ripreso a svolgere i propri compiti. Il capitano ubriaco e il secondo che
sbraita non erano mai state cose insolite, ma le effusioni tra i due si vedevano
poco. Persino Gelirion aveva distolto gli occhi un momento dall’orizzonte per
lanciare uno sguardo ai due.
- Mi stavi cercando?-
domandò poi il Re a Rhavanwen.
- Sì, ma è poco
importante-.
- Invece lo è!
L’ospitalità è sacra su questa nave, specialmente visti i comportamenti del
comandante!- esclamò la Noldo, con una lieve punta di rimprovero nella
voce.
- Beh…- cominciò ella
imbarazzata, - mi chiedevo se fosse possibile mangiare
qualcosa…-.
- Certo che sì.
Lancaeriel, vuoi fare tu gli onori e accompagnarla da
Tuarwaithion?-.
- Con
piacere-.
Le due elfe si avviarono,
mentre Eglerion saliva la rampa di scale che portava sul castello di poppa.
- Com’è la situazione?-
domandò alla mora e all’uomo che stavano dirigendo la
nave.
- Per ora bene- asserì
Gelirion.
- Nessuna secca, niente
scogli?-.
- No, per
fortuna-.
- Cazzate di più la vela
maestra, altrimenti finiremo inesorabilmente verso la scogliera!- gridò Castiel,
prendendo le veci di Gelirion. Uomini ed elfi afferrarono le scotte e
cominciarono a tirare, in modo da far virare leggermente la nave, mentre il
Rohirrim girava la ruota del timone.
- Vi do il cambio;
prendetevi pure un paio d’ore di pausa- disse Eglerion.
- La Ithil è tutta tua-
rispose l’elfa. Castiel scese la scala e si ritirò nelle sue cabine, mentre
Gelirion andò ad aiutare gli addetti alle vele.
Eglerion prese il timone e
iniziò a pensare. Che cosa avrebbero fatto, una volta arrivati a Minas Duin? Non
lo sapeva. Probabilmente si sarebbero presentati con stendardi e bandiere,
chiedendo un’udienza con la Regina. O forse avrebbero attraccato molto
discretamente e avrebbero bussato alla porta di Alastegiel. Si soffermò un
momento sul nome. Significava “portatrice di beatitudine”. Bel nome…
Sperava solo di non
invischiarsi nella burocrazia locale, che, a detta di Rhavanwen, era
onnipresente e pressante.
Virò pian piano verso
sud-ovest, controllando di tanto in tanto la carta. Si ritrovò a pensare alla
sua ospite. La osservò mentre sgranocchiava un po’ di lembas, appoggiata al
parapetto di babordo in compagnia di Lancaeriel. Vederle insieme gli faceva uno
strano effetto. Che si stesse innamorando? Sorrise a sé stesso. Sarebbe stata
un’emozione nuova. Da quando la mora che gli aveva spezzato il cuore era
sparita, non aveva mai provato quel sentimento di nuovo. Lancaeriel era sì, la
sua amante, ma non le avrebbe mai chiesto di sposarlo. No… si disse… merita di meglio. Io saprò farmi da parte
quando arriverà il momento…
Non mancava molto, lo
sentiva dentro di sé.
Le due elfe proruppero in
una risata. Eh sì… sentiva proprio il bisogno
d’innamorarsi…
- Hai visto il
Re?-.
- Al momento sta
governando la nave… lo vedo molto pensoso. Continua a guardare il nostro secondo
e la nostra ospite-. Meldarion s’incupì, alla risposta di Stephane. Si sporse
dal cassero di prua per osservare il capitano. Sospirò. Conosceva bene quello
sguardo, malinconico e assorto allo stesso tempo. Non presagiva nulla di buono.
È lo sguardo che ha un uomo mentre
s’innamora…
***
Mancavano ancora un paio
d’ore al tramonto, quando apparve loro la vista di Minas Duin, la Torre del
Fiume.
Ed ecco finalmente il
capitolo III, dopo un lungo travaglio.
Capitolo un po' "Sex and
Drugs and Rock'n'Roll", nonostante la canzone sia country (odio il genere, ma
quella è un'eccezione).
Innanzitutto, grazie Silvi
per la recensione. Come puoi vedere Rhavanwen comincerà ad essere più partecipe,
ma senza mettere in ombra Lancaeriel. Eglerion forse metterà la testa un po' a
posto, o forse butterà al vento la dignità visti i sentimenti. Per quanto
riguarda Alastegiel, tu dovresti capire che sarà un po' pazza anche
lei (basta che guardi al significato del nome...). E sì, se l'hai
notato, cito quel film che a entrambi piace. Per essere più
obbiettivi, quello del '99.
Finalmente ho parlato un
po' di più dell'Ithilien e di Alastegiel, il prossimo capitolo parlerà per lo
più del suo incontro con i nostri eroi.
Il testo della canzone che
Eglerion canta non è esatto al 100%, poichè al momento mi basavo su ciò che
sentivo, non sul testo scritto (che non ho rimediato). Può essere intesa come
una conseguenza della Tequila (sì, ne faccio uso anche io, questo è un tantino
autobiografico).
La scena però (lo
ammetto, è un po' debole, ma erano le dieci e mezza e avevo studiato Aristotele
tutto il pomeriggio) serve anche a far capire che Eglerion tiene a Lancaeriel,
quindi non è solo sesso ciò che c'è tra i due.
Ci si risente per il
IV...
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Capitolo 4 *** Cap IV Minas Duin ***
VII age cap IV
Cap
IV Minas Duin
La maggior parte
dell’equipaggio rimase meravigliata alla vista della città. Nonostante gli
abitanti di Manwetol fossero abituati allo sfarzo della loro capitale, molti dei
marinai erano originari di Dol Calan o di Minas Falas (la roccaforte Rohaniana
dove avevano ormeggiato la Anor e la Galad).
Minas Duin si sviluppava
su quattro cerchie di mura, due esterne pentagonali e due interne, a forma di
stella.
Al centro stava la reggia,
circondata dalle residenze nobiliari. Sempre nel cerchio più interno stava il
palazzo conciliare, ove i conciliati e la regina si riunivano durante le sedute
amministrative.
Nel terzo cerchio stavano
le case di cura e le caserme di addestramento dei soldati, insieme alle
scuderie.
Nel secondo e nel primo
infine si trovavano le fucine, i mercati, le armerie e la città vera e
propria.
Ad ogni angolo delle mura
sorgeva una torre, come ai lati di ogni portone o cancello ce n’era un
paio.
Dal primo cerchio, infine,
si accedeva al porto, posto poco più a Nord della città.
- Innalzate i vessilli!-
gridò Lancaeriel. Eglerion sorrise tra sé. Aveva scelto la prima opzione senza
neanche consultarlo.
Gli stendardi Noldorin
salirono sulle cime degli alberi, mentre la Ithil si avvicinava lentamente alla
banchina.
Un elfo biondo, dal molo,
afferrò la cima che Meldarion gli lanciò, mentre Tuarwaithion si calò a terra
dalle sartie per assistere il silvano.
Quando la nave fu
assicurata alle bitte, il cuoco andò a presentarsi.
- Suilaid, edhel-
disse.
- Le suilon, adan- rispose
l’altro.
- Io sono Tuarwaithion,
cuoco di bordo della Ithil. È un piacere incontrarti- continuò
l’uomo.
In quel momento la
passerella fu calata dalla nave. Il giovane Sindar s’inchinò mentre i Noldor
scendevano, finché non udì una voce familiare.
-
Daeron!-.
- Rhavanwen?!- disse
incredulo, alzando la testa. La ragazza gli gettò le braccia al
collo.
- È bello rivederti,
fratello mio!-.
Eglerion trasse un
impercettibile sospiro di sollievo dentro di sé. Poi si chiese il motivo di
quell’azione. Scacciò dalla mente quei pensieri e decise di passare al
dovere.
- Mi chiamo Eglerion-
cominciò, abbozzando un sorriso. Era importante mostrarsi
cordiali.
- Sono un legato di
Tegalad e vengo a chiedere udienza alla somma Thalien-. Avevano deciso quello
stratagemma contando sulla disinformazione degli abitanti dell’Ithilien, in modo
da potersi muovere più liberamente.
Tuarwaithion li salutò e
tornò sulla nave. Sarebbero stati egli e Meldarion ad avere il comando, mentre
Gelirion, Rhavanwen e Lancaeriel avrebbero seguito il
Capitano.
Il gruppo si mise in
marcia per le vie della città. I due Noldor non poterono fare a meno di sentirsi
osservati. Dopotutto era la prima volta che qualcuno della loro stirpe visitava
la città, quindi era la prima volta che gli abitanti vedevano persone di tale
lignaggio. Durante la salita Rhavanwen narrò al fratello parte di ciò che le era
accaduto durante i mesi in cui non si erano visti, soffermandosi più sul periodo
nei boschi come sentinella che sul periodo passato a
bordo.
Marciarono attraverso le
cerchie della città, fino ad arrivare al Caw, la vetta della città. Arrivati
nella quarta cerchia, Daeron si fermò e si voltò a guardarli.
- Vi affido a mia sorella,
che vi guiderà nella nostra casa, in modo che possiate riposare. Io andrò a
parlare a Lady Galadhwen, la conciliata più vicina alla regina, per farvi avere
un’udienza domattina-.
- Vi ringrazio per la
vostra ospitalità, messer Daeron, spero di poterla ricambiare prima o poi-
rispose Eglerion.
Qualcuno ridacchiò
sommessamente alle sue spalle.
- Rhavanwen! Ma ti pare-
la riprese il fratello, alquanto accigliato.
- Hanno già ricambiato la
nostra ospitalità, se proprio vuoi
saperlo. O credi che, avendo visto la nave avvicinarsi, mi sia gettata
nell’Anduin e sia salita a bordo mentre attraccavano, per poi
scenderne?!-.
Daeron
sospirò.
- Ne parliamo più tardi.
Ora conducili a casa e fa preparare delle stanze per
loro-.
Daeron si avviò verso il
palazzo conciliare, mentre Rhavanwen guidava gli altri verso la loro
casa.
***
- Allora, come vanno le
cose?-. Il cuoco si voltò per guardare il suo
interlocutore.
- Calma piatta, Meldarion.
Non c’è nulla da fare. Penso che scenderò per far rifornimento di cibo… Zoe
verrà con me-.
- Va bene… prendo io le
redini-.
Tuarwaithion si avviò
verso la scala che portava alla cambusa, per andare a chiamare la sua
assistente.
- Ehi!- lo richiamo
l’elfo.
- Sì?- rispose l’altro,
fermandosi e voltandosi.
- Passa da Castiel sulla
strada. Ha un paio di cose da chiederti-.
- Come vuoi. A
dopo-.
-
Zoe!-.
- Eccomi,
arrivo-.
Una ragazza snella, dalla
fluente chioma scura e dagli occhi grigi uscì dalla cambusa, indossando un
grembiule sopra le vesti.
- Lascia il grembiule,
dobbiamo passare al mercato e rimediare qualcosa da accompagnare alla
carne-.
- Va
bene-.
I due salirono la scala e
arrivarono sul ponte.
- Tu fai calare la
passerella, io devo andare da Castiel. A quanto pare ha un paio di richieste per
gli acquisti-.
- Si direbbe che qualcuno
ha finito certe bacche e spera di rimediare un qualche metodo per evitarsi la
gravidanza- asserì la ragazza.
- Ma come siamo maliziose
oggi- rispose il cuoco ridendo. Si voltò ed entrò nel castello di
poppa.
***
- Eccoci
qui-.
Il gruppo si fermò di
fronte ad un edificio di due piani, in fondo alla via. Oltrepassarono i cancelli
e si avvicinarono verso l’ingresso. Una giovane venne ad aprire loro la
porta.
- Buongiorno Limwen. Per
favore, prepara delle camere per i nostri ospiti-.
- Bentornata signorina-
rispose l’ancella inchinandosi.
I tre ospiti furono fatti accomodare in
una saletta d’attesa a sinistra rispetto l’ingresso.
- Gli ospiti desiderano
qualcosa da bere?- domandò Rhavanwen, sorridendo loro. I tre sorrisero di
rimando, carpendo l’ironia della situazione. Ormai persino Gelirion aveva
cominciato a darle del tu, nonostante alcuni attimi di timidezza in
principio.
- Volentieri- rispose
Lancaeriel, mentre gli altri due assentivano con il capo. Rhavanwen si girò
verso un uomo dall’aria anziana che stava ritto vicino alla
porta.
- Puoi portare una
bottiglia di 1358?- disse.
- Con mio sommo piacere,
signorina Rhavanwen- disse egli inchinandosi e scomparendo attraverso la
porta.
- Addirittura 1358! Non
credevo ci tenessi in così grande considerazione- disse
Eglerion.
- Guarda che non è l’anno
di produzione, altrimenti sarebbe aceto- rispose l’elfa
silvana.
- Lo sapevo, tranquilla. È
un vino tra i migliori, però, o sbaglio?-.
- Sì. Le bottiglie che
abbiamo in cantina risalgono a circa cinquant’anni fa. Mio fratello le portò qui
da un viaggio a Rohan. Ricordo che ero sconvolta, pensavo avesse dilapidato metà
del patrimonio famigliare in vino. Invece le aveva trovate in una bettola a
Ghal, ad un prezzo molto buono-.
- Molto buono?- chiese
Gelirion, guardandola divertito.
- E va bene, aveva fatto
ubriacare il proprietario, che gliele ha regalate verso l’alba-. Tutti quanti
risero.
Il maggiordomo tornò,
portando seco un vassoio su cui troneggiava la bottiglia, accompagnata da
quattro calici.
- Mille grazie Rilien-
disse la padrona di casa. L’elfo appoggiò il vassoio sul tavolino e stappò la
bottiglia.
- Quale dei vostri ospiti
avrà l’onore di degustare?- chiese Rilien alla Sindar.
- Eglerion, volete avere
voi l’onore?-.
- Io penso che Lancaeriel
sia più adatta. D’altronde, è lei che ha accettato per prima
l’offerta-.
Il maggiordomo versò una
piccola quantità di vino in uno dei calici e lo porse alla Noldo. Lancaeriel
prese il bicchiere e bevve il vino a piccoli sorsi, assaporando il
gusto.
- Divino- fu il suo
commento.
Rilien riempì i calici
degli ospiti quasi fino all’orlo, ma arrivò solo a metà quando si trattò di
versare la bevanda nel bicchiere di Rhavanwen.
- Rilien, non ho più
diciassette anni!- disse l’elfa, divertita.
- Vi prego di scusarmi, le
vecchie abitudini sono dure a morire- rispose imperturbabile il maggiordomo,
sorridendo per la prima volta.
Eglerion studiò l’elfo da
sopra al bicchiere. Si trattava di un individuo molto anziano, nonostante non lo
si potesse notare dall’aspetto fisico, emanava come un’aura di bonaria
severità.
- Se mi permettete la
domanda, Rilien, da quanti anni lavorate per la famiglia di Lady
Rhavanwen?-.
- Da molti. Ho perso il
conto ormai. Vi basti sapere che lavoro per questa casata da quando il padre
della signorina era un elfo di venti anni-.
Quell’elfo è un figlio
della Sesta Era, ha visto la fine del grande cataclisma! Ecco come mai mi ha
colpito.
Gli elfi e Gelirion
finirono il vino, brindando alla pace, come Rhavanwen aveva fatto la sera prima.
Il sole stava tramontando fuori delle finestre, ma all’interno la casa era
illuminata da varie candele e fiaccole.
- Bene- disse la Sindar
alzandosi.
- La cena sarà pronta fra
un’ora, vi mostrerò i vostri alloggi e le stanze da bagno, in caso vogliate
darvi una rinfrescata prima di mangiare- continuò, adempiendo i suoi doveri di
anfitrione.
- Prima di tutto devo
ringraziarvi per l’aperitivo. Un vino di qualità è ciò che spesso manca nella
stiva della Ithil- disse Gelirion.
I due Noldor si alzarono a
loro volta e, insieme a Gelirion, seguirono Rhavanwen su per una
scalinata.
- Le cameriere hanno
preparato due stanze, pensando che voi due-, indicò Eglerion e Gelirion, -
avreste diviso la stessa-. Gli ospiti annuirono.
- Ad ogni modo, qua c’è la
stanza “doppia”, possiamo dire, mentre qui di fronte c’è quella “singola”-
disse, mostrando loro due porte.
- Ci sono problemi se…-
cominciò Lancaeriel.
- Se tu e Gelirion vi
scambiate? Per me, no di certo. Basta che non facciate troppa confusione-
aggiunse maliziosamente.
- Vedo che la nostra amica
ha capito al volo- disse Eglerion.
La silvana li guidò in
fondo al corridoio, mostrando loro due stanze da bagno pronte all’utilizzo.
- Direi che le due
signorine dovrebbero andare per prime- asserì il Rohirrim, precedendo Eglerion
di pochi millesimi di secondo. Infatti, il Re stava per dire la stessa
cosa.
- Siete voi gli ospiti. Va
prima tu, Gelirion, io attenderò- rispose Rhavanwen.
- Ne sei sicura?- disse
l’uomo.
-
Certamente-.
Gelirion entrò nel bagno
ringraziando l’elfa, mentre ella ed Eglerion si avviavano nel
corridoio.
- Ti toccherà sopportarmi
ancora per un po’, a quanto pare- disse egli, sorridendo
beffardamente.
- Povera me- rispose
l’altra.
***
- Siamo a posto?- disse
Tuarwaithion, sperando in una risposta positiva.
- Sì. Ciò che abbiamo
preso dovrebbe durare quanto la carne- rispose Zoe.
- Possibile che pesi così
tanto? È verdura e frutta, non piombo!- disse, vedendo che il Numenoreano
minacciava di cedere sotto il peso del sacco che avevano riempito di beni
alimentari.
- Tu non hai portato ‘sto
affare su e giù per la collina per due ore, di corsa, perché altrimenti le
botteghe avrebbero chiuso prima che tu potessi assaltarle-.
Zoe lo fissò negli occhi
scuri.
- Scusami. Non intendevo
suonare così acido. Ad ogni modo direi che è meglio affrettarci e tornare alla
Ithil prima che faccia buio-.
- Concordo con te- rispose
la ragazza.
I due scesero attraverso
le banchine, fino ad arrivare alla Ithil.
- Eccovi finalmente, non
ci speravo più- disse Meldarion vedendoli arrivare, con una sigaretta, rollata
probabilmente qualche minuto prima, che gli penzolava da un angolo della
bocca.
- Ma Castiel non dice
nulla al fatto che tu fumi quella roba?-.
- Nah… non vuole che la
baci subito dopo, ma niente di più-. L’elfo accese la cicca utilizzando un
fiammifero.
- È un bene che la
fabbricazione di questi affari sia sopravvissuta alla Tragedia- mormorò,
riferendosi al fiammifero, che gettò in mare. Tirò un paio di boccate e aiutò i
due a salire.
- Sì, devo ammettere che
anche per cucinare ti fanno risparmiare un sacco di tempo- ammise il
cuoco.
Zoe mise in mano a
Meldarion un sacchetto.
- Queste erbe sono ciò che
Castiel ha chiesto. La prossima volta, però, dille che se le vada a comprare da
sola. Il venditore continuava a sorridermi in una maniera odiosa… scommetto che
stava immaginando come sono senza vestiti-.
- Beh, di certo non un
brutto spettacolo- disse l’elfo. La ragazza arrossì.
- Forza, portiamo questa
roba in cambusa e mettiamo su qualcosa per la cena- intervenne
Tuarwaithion.
La ragazza lo seguì giù
per la scala che portava sottocoperta, mentre l’elfo finiva di fumare la
sigaretta artigianale.
***
- Mia signora, Daeron,
figlio di Gawain, chiede di potervi parlare-.
L’elfa alzò gli occhi
castani dai fogli che stava leggendo e posò il suo sguardo
sull’ancella.
- Fallo accomodare,
arriverò tra qualche minuto-.
La ragazza s’inchinò e si
dileguò, mentre l’elfa finiva di leggere il plico che teneva in mano.
Probabilmente la richiesta
di Daeron centra con la nave che era apparsa all’orizzonte un’ora
fa, pensò
ella. Egli si è sempre interessato nel
conoscere nuove persone; per questo spesso lo si incontra nelle vicinanze del
porto.
Galadhwen si alzò in
piedi.
Era bassa per essere
un’elfa, raggiungeva sì e no il metro e sessantacinque. La corporatura era molto
minuta e il viso, incorniciato da una cascata di capelli corvini, aveva un che
di fanciullesco.
Non era sposata, ma aveva
da tempo sposato il suo lavoro. Ligia in tutti i suoi doveri, si concedeva ben
poche volte lo svago insieme a compagnie maschili. Eppure quelle volte sembrava
totalmente un’altra persona. Quando si trovava nel palazzo conciliare, era di
una serietà quasi maniacale. Al di fuori del contesto politico, invece, tornava
una spensierata ragazza, incline a sorridere e a trarre il massimo divertimento
dalla situazione.
Uscì dalla stanza e si
diresse verso la sala dove Daeron sedeva.
- Buonasera. A cosa devo
l’onore della vostra visita?- domandò, una volta arrivata. Daeron si alzò, in
segno di rispetto.
- Ospiti- rispose molto
semplicemente.
- Ha a che fare con la
nave Noldorin che è ancorata nel nostro porto?-.
- Sì, mia
signora-.
- Lo immaginavo.
Raccontatemi come stanno le cose, allora. Ve ne prego-.
- Semplicemente, il
comandante della nave, un certo Eglerion, dice di essere un ambasciatore di
Tegalad, il Re di Manwetol. Egli chiede un’udienza con la regina Alastegiel e ho
deciso di rivolgermi a voi per tentare di fargliela
avere-.
- Parlerò alla Regina, ma
mi servono un paio d’informazioni in più. Quante persone fanno parte della
delegazione scesa a terra? Quali sono i loro nomi?-.
- Tre. Il capitano,
un’elfa di nome Lancaeriel ed un Rohirrim chiamato
Gelirion-.
- Bene. Tenterò di
arrangiare un incontro per i tre. Se non ci sono altre informazioni importanti,
direi che potete andare. Vi terrò informato-.
- Come volete. Passate una
buona notte-. Daeron si alzò e s’inchinò, prima di uscire.
Galadhwen si rilassò e
affondò nella poltrona, sorridendo.
***
-
Posso entrare?-.
-
Certamente-. Rhavanwen entrò nella stanza che Eglerion e Lancaeriel avrebbero
diviso per quella sera.
- Ti
va di chiacchierare mentre aspettiamo che quei due finiscano?-.
-
Solo se mi permetti di lasciarti andare per prima, quando uno di loro avrà
finito- rispose Eglerion.
-
Allora, che te ne pare della città?-.
-
Molto bella… Mi ricorda i vecchi dipinti di Minas Anor…- disse il Noldo.
-
Malinconico per una città scomparsa prima che tu nascessi? Ti capisco… anche io
avrei desiderato nascere in Gondolin, o vivere quando i priminati non avevano
ancora visto una tale decadenza-.
-
Gondolin...-. Eglerion ridacchiò.
- Che
cosa c’è?-.
-
“Chiunque veda l’entrata deve in Gondolin vivere o in Gondolin morire”!- rispose
egli, con voce grave.
Rhavanwen scoppiò in una risata, mettendo in mostra una
fila di denti che avrebbero reso fieri un qualunque odontoiatra della quarta
Era.
-
Suonavo davvero così pomposa?- chiese la bionda.
- No,
tranquilla. Ti stavo prendendo un po’ in giro-. I due sospirarono, mentre
Gelirion bussava alla porta.
- Io
avrei finito. Se uno di voi vuole approfittare, adesso c’è una stanza libera-.
Si
fermò per guardare i due.
- Non
ho… interrotto nulla, vero?-.
- No,
no, tranquillo. Rhavanwen, direi che è il tuo turno-.
L’elfa si alzò, salutando i due con la mano.
Che
cos’era quella sensazione? Si
domandò una volta fuori. Mentre rideva si era sentita talmente strana. Una
sensazione mista tra fiducia e timore. Timore di cosa?, si chiese. Di cosa dovrei aver
paura?
Questi quesiti non trovarono risposta, mentre incrociava
Lancaeriel nel corridoio. La salutò e le disse che Eglerion era nella camera a
loro assegnata.
Rhavanwen entrò nella stanza da bagno. Lentamente si
svestì, con la testa da tutt’altra parte, poi s’immerse nella vasca che era
stata riempita di nuovo dopo che Gelirion si era lavato.
Infatti, il Caw di Minas Duin era fornito, tramite un complesso
sistema di pompe idrauliche, di acqua corrente. Il sistema era molto rudimentale
e spesso si guastava, ma era molto comodo in situazioni del genere.
Velocemente si lavò e si concesse qualche minuto ammollo,
per riflettere, rilassandosi.
Quando stava con Eglerion avvertiva uno strano sentimento,
come di sicurezza. Qualcosa le aveva detto che poteva fidarsi di lui nel momento
in cui l’aveva obbligata a rivelargli il suo nome. Potevo benissimo fargli
sibilare una freccia davanti al naso e indurlo a continuare, ma non l’ho
fatto…
Si
alzò e si avvolse in un asciugamano, dopo essere uscita dalla vasca.
Mentre si frizionava il corpo e i capelli, pensò al
pomeriggio del giorno prima, quando aveva deciso di farsi un bagno nel lago. Di
solito era molto pudica, per i suoi eventuali bagni sceglieva i momenti in cui
era sicura al cento per cento che non ci fosse nessuno nelle vicinanze e di
solito li faceva nelle prime ore del mattino, quando i suoi capelli si
asciugavano più velocemente. Invece quel giorno aveva scelto un’ora più tarda,
sapendo che c’era un elfo in procinto di risvegliarsi su un flet poco lontano.
Infine, quando sentiva il passo di qualcuno che si avvicinava, s’immergeva fino
al collo il più velocemente possibile. Quella volta no. Era rimasta
coraggiosamente esposta, dando le spalle ad un perfetto sconosciuto. Perché al
momento non poteva neanche essere sicura che egli fosse chi diceva di essere.
Potevano benissimo esserci altri Eglerion provenienti da Manwetol.
Sospirò, tornando alla realtà. Forse si era sentita sicura
fin dal primo momento. C’era qualcosa nel suo comportamento, nel suo sguardo,
che le faceva percepire questa sensazione. Egli si preoccupava per lei. In
questo le ricordava suo fratello. Solo che Daeron era sempre preoccupato che lei
si comportasse in maniera rispettosa, che tenesse alto il nome della famiglia.
Invece Eglerion si preoccupava di farla sentire a suo agio. Questo particolare
la colpì. Durante quelle poche ore che aveva trascorso sulla nave, per esempio,
non le aveva fatto mancare nulla.
Uscì
dalla stanza indossando solo l’asciugamano e si diresse verso la sua camera. Ci
avrebbe pensato più tardi.
***
- Quindi Manwetol è sul piede di guerra?-.
- No,
state tranquillo messer Daeron. Manwetol si limita ad occasionali scorrerie
sulle coste di Nuova Numenor- rispose Gelirion, rassicurando il Sindar. Certo che quello non
era un buon modo per cominciare la conversazione, si disse, pensando alle
parole di Daeron.
- Vi
narreremo tutto dopo aver parlato con la Regina- interloquì Lancaeriel,
lanciando un’occhiata imperiosa ad Eglerion, che annuì.
Si
trovavano nella sala da pranzo della casa dei due fratelli e avevano da poco
finito di cenare. Daeron aveva intavolato la conversazione tentando di capire lo
scopo della loro visita.
Rhavanwen era rimasta stranamente quieta per tutta la
durata della cena. Daeron dal canto suo non aveva dato troppo peso
all’atteggiamento della sorella. Giustificava il suo silenzio con la stanchezza
per il viaggio.
A
vedere oltre la “beata ignorantia” di Daeron, ci pensò non Eglerion,
bensì Lancaeriel. Eglerion, ovviamente, si lambiccò su cosa turbasse quella
bionda, che era da poco entrata nella sua vita. Ma non riuscì a venirne a capo e
si rassegnò.
Lancaeriel invece intuì che qualcosa avvenuto da poco
occupava la mente della ragazza. Promise a se stessa che le avrebbe parlato,
perché aveva la netta sensazione che la causa dei suoi problemi fosse seduta
poco lontano da lei.
Infatti, ella aveva notato il legame formatosi tra la
Sindar e il capitano. Nonostante si fossero incontrati solo due giorni prima per
la prima volta, tra i due c’era un’intesa simile a quella tra Eglerion e
Lancaeriel stessa.
Promise a sé stessa che avrebbe parlato ad entrambi, quella
sera. Tanto, il Re avrebbe dovuto sorbirsela per l’intera nottata.
***
- Mia
signora?-. L’elfa s’inchinò al cospetto della Regina.
-
Dimmi Galadhwen, ma sii concisa. Sono stanca, questa sera-. Galadhwen si stupì
dell’uso del “tu” da parte della Regina. Solitamente in udienze ufficiali, anche
se dopo il tramonto, era distaccata come l’etichetta imponeva.
-
Riguarda la nave che ha attraccato questa sera al porto- cominciò la
conciliata.
- Ah,
sì. Mi stavo giusto chiedendo quando qualcuno fosse venuto a parlarmene-.
- Si
tratta di Noldor, ambasciatori di Re Tegalad venuti a chiedere udienza alla
Regina. Uno di loro è Eglerion, il figlio di Tegalad stesso-.
- E
attuale Re, per tua informazione-.
Galadhwen rimase interdetta.
- Se
tu meditassi in stato di lucidità e non sotto gli effetti della Falchonlass,
scopriresti molte cose-.
-
Volete farmi credere che questa notizia vi è giunta durante le
meditazioni?-.
- Sì.
Parlai con Lord Tegalad, anni fa. La notte della Dagor Ram,
l’assedio al Vallo. Egli era partito da venti anni. Si mise in contatto con me
durante la mia meditazione, la sera prima della battaglia. Discorremmo a lungo
sulla situazione della Terra di Mezzo e mi rammaricai di non aver potuto
parlargli prima. Verso la fine della conversazione, mi disse che egli aveva
lasciato il trono al figlio ed era partito verso l’Ovest, ma senza una meta
precisa. Intendeva navigare anche verso Nord e vedere il mondo. Mi avvertì che
prima o poi suo figlio Eglerion, mi disse il suo nome, sarebbe venuto a Minas
Duin portando con sé la rinnovazione-.
-
Quindi voi credete che la comparsa di quella nave nel porto, questa sera, non
sia casuale-.
-
Esattamente. La preveggenza degli elfi è quasi svanita, limitandosi a pochi
eletti. Mi fido delle profezie di Lord Tegalad e sono sicura che in qualche modo
la venuta di questi Noldor porterà gli immortali ad uscire dalla semi-decadenza
di questi tempi-. Alastegiel si alzò dal trono, che altro non era che una
poltrona decorata finemente, posta su un palco rialzato di poco dal
pavimento.
-
Domani sera indirò un banchetto in onore dei nostri visitatori. Davanti ad una
tavola imbandita ed ad un calice pieno si discute meglio, nella mia opinione.
Fai pervenire l’invito a coloro che fanno parte della delegazione-.
-
Come volete, mia Regina- rispose la conciliata, inchinandosi nuovamente.
- Ah,
un’ultima cosa. Mi farebbe piacere sapere dove alloggiano questa notte?-.
-
Sono ospiti di Lord Daeron e Lady Rhavanwen, i figli di Gawain Glirdir-.
-
Estendi l’invito anche a loro due. Gawain Glirdir trovò la morte proteggendomi sotto il Vallo. Mi
pare il minimo accogliere i suoi figli al nostro desco. Ovviamente desidero che
anche tu sia presente, insieme a Megildur-.
Galadhwen represse un’imprecazione verso Melkor e si chiese
come mai la Regina volesse quel guerrafondaio seduto al tavolo dell’ambasciata.
Tenne per sé la domanda, sapendo che Alastegiel aveva i suoi buoni motivi per
chiamare anche lui.
-
Sarà fatto- disse. Si congedò ed uscì dalla reggia, volgendo i suoi passi verso
casa.
***
-
Posso entrare?-. Lancaeriel entrò, non udendo una risposta da parte di
Rhavanwen.
La
Sindar era seduta sul letto, immersa nella lettura di un libro.
-
Scusami, non ti avevo sentito bussare-.
-
Innanzi tutto, volevo ringraziarti per la cena. Dopo mesi in mare è stato bello
riassaggiare cibo cucinato in una cucina che non ondeggi. Senza togliere nulla a
Tuarwaithion, ma dopo un paio di giorni che mangi la stessa cosa, è bello
cambiare-.
Rhavanwen annuì. Posò il libro sul letto e guardò la
Noldo.
-
Volevi dirmi qualcosa?- domandò.
-
Volevo semplicemente parlarti-.
- È a
proposito della cena, vero?-.
- Sì.
Eri molto taciturna e credo che la stanchezza non c’entra.
- Hai
inteso bene…-. La Sindar sospirò.
- Il
problema è Daeron- disse poi.
-
Daeron? Come mai?-.
- Per
via di come si comporta, di come agisce…-.
- A
me pare sia stato molto ospitale, anzi…-.
- Non
intendevo questo. È per come mi tratta-. Lancaeriel annuì. Nonostante li avesse
visti assieme per poco tempo
- Ho
notato che il rapporto tra voi due non è dei più rosei. Vuoi parlarne?-.
-
Ogni volta che io sono con lui, si preoccupa dell’immagine come un ossesso. È
preso più dall’onore che dalle buone maniere. Sempre a dirmi come devo
comportarmi, cosa devo fare, come devo rivolgermi alle persone. Non lo sopporto.
Pensavo che arruolandomi nell’esercito egli mi avrebbe apprezzata di più e, nel
frattempo io avrei potuto abituarmi di più a prender ordini. Perché è questo che
mio fratello fa-.
Lancaeriel si sedette accanto a Rhavanwen.
-
Invece, anche tra le sentinelle c’è un livello di cordialità a lui
sconosciuto-.
-
Almeno ha cambiato atteggiamento verso di te?- domandò l’altra.
-
No!- esclamò la prima.
-
Continua, imperterrito, a trattarmi come fossi una bambina che non sa come
comportarsi in pubblico-.
-
Daeron, di certo, non sopravivrebbe nemmeno un giorno sulla Ithil. È un ambiente
troppo rilassato per lui-. Anche Rhavanwen rise.
- Va
meglio ora che ne hai parlato con qualcuno?- chiese Lancaeriel, dopo che ebbero
ripreso fiato.
-
Molto. Non sai da quanto mi tenevo dentro queste parole-.
- Fa
male trattenere le emozioni, sai? Lo so per esperienza- disse la Noldo,
ripensando al suo passato. O meglio, a quello del suo capitano. La prossima volta che
s’innamora, farò in modo di esserci, altrimenti ripetiamo la situazione del
secolo scorso…
***
Meldarion si svegliò. Nonostante fosse ormai ottobre
inoltrato, grondava di sudore. Si guardò attorno nella camera buia. Il respiro
lieve e regolare di Castiel era l’unico rumore che poteva udire. La nave
ondeggiava leggermente ma Meldarion non lo percepiva. Dopo anni a fare il
marinaio ci si abitua.
Si
mise a sedere sul letto. Una visione. L’ennesima.
E
pensare che aveva smesso di meditare, la notte, per evitarle. Erano anni che
visioni di preveggenza lo tormentavano. “Tormentavano”, perché spesso vedeva le
morti di persone che conosceva. Poche volte invece riguardavano sconosciuti. E,
purtroppo, la maggior parte delle volte si avveravano.
Tentò
di calmarsi, mentre i suoi occhi si abituavano all’oscurità.
Era
solo una visione,
continuò a ripetersi mentalmente. Castiel si girò nel sonno, facendolo
sussultare per il rumore improvviso.
Non
morirà nessuno, si
disse. Lo ripeté ad alta voce, nel buio, sperando che la cosa lo potesse
convincere.
-
Amore…-. Castiel si era svegliata.
-
Dimmi?-.
- Che
cosa c’è? Perché non dormi?-.
- Un
sogno- mentì egli.
- Un
sogno ti ha svegliato? Che tipo di sogno?-.
- Un
incubo-. Sospirò.
-
Spiegati, altrimenti non vedo come posso aiutarti-.
-
L’Ithilien bruciava, Manwetol bruciava. Persino le Falas ardevano, mentre gli
Uomini uccidevano senza pietà-. I suoi occhi scuri si erano come tramutati. Il
suo sguardo era vacuo, la sua voce, fredda. La voce della Morte.
- Ho
visto elfi, bambini, persone indifese, morire sotto lame crudeli, mentre
imploravano pietà; mentre un tronfio individuo, passeggiava tra le macerie delle
Sale di Alastegiel, riverito e osannato. Ho visto drappelli di uomini scoccare
frecce verso elfi bendati e legati, come se essi potessero costituire una
minaccia. Ho visto il sangue delle valorose, bagnare la neve. Ho visto elfe di
stirpe regale, stuprate da soldati rozzi e violenti, sotto lo sguardo impotente
delle loro madri e dei loro padri. Ho visto Eglerion in ceppi, sbeffeggiato
dalle peggiori milizie di Nuova Numenor, colpito dai loro sputi. Ho visto
Lancaeriel, ridotta a concubina di un uomo disgustoso, mutilata e ferita. Ho
visto…- s’interruppe. La voce gli morì in gola.
-
Cosa? Che cosa hai visto ancora?- lo esortò l’elfa, allarmata.
- Te.
Bruciata sul rogo, avvolta da bianche vesti-. Gli occhi gli si riempirono di
lacrime.
Castiel lo abbracciò. Era freddo e sudato. Meldarion
rabbrividì, sentendo il calore della sua amata avvolgerlo. Si avvoltolarono di
nuovo nelle coperte ed ella gli parlò.
- Era
un incubo. Niente di più- disse, tentando di rassicurarlo.
- Non
capisci… questo è ciò che accadrebbe se noi fallissimo-.
-
Intendi dire che ciò che hai visto è ciò che il futuro ci riserva?-. L’elfo
annuì.
- Sì.
Se non riusciamo a riunire tutte le persone possibili sotto lo stesso stendardo,
per fermare Nuova Numenor, i più fortunati di noi incontreranno Mandos nella
maniera più dolorosa-.
- Non
succederà. Non finché qualcuno s’impegnerà per evitarlo-. Egli la guardò.
- Hai
ragione… il futuro è nostro e sta a noi definirlo, checché Mandos mi mostri-.
L’elfa sorrise.
- Mi
chiedevo quando ti saresti deciso ad ammettere di essere Mandos beriannen,
protetto da Mandos-.
- È
un grave peso da portare. Corch, sarebbe il nome appropriato-.
-
Beh, - disse ella baciandolo, - io non ho nulla contro i corvi-.
-
Promettimi che sarò solo il tuo corvo- asserì lui.
- Lo
sarai. Ti prometto che resterà tra noi-.
Egli
la strinse a sé e la baciò nuovamente. Il contatto con i seni di lei gli provocò
un altro brivido. La abbracciò più forte e continuò a baciarla a lungo, senza
che nessuno dei due dicesse altro.
***
-
Buongiorno!-.
-
Mh-.
- Ho
detto: buongiorno!-.
Eglerion non si mosse. Lancaeriel si avvicinò al letto e
diede uno scossone al proprio Re.
-
Forza, alzati! È già la terza!*-. La reazione fu fulminea.
- La
terza?! Ma…-**.
-
Eglerion! Non essere scurrile, qui non sei sul ponte di una nave!- lo rimproverò
l’elfa.
Eglerion si alzò dal letto e prese i suoi vestiti. Poi
guardò la sua amica.
- Già
pronta? Ma da quanto sei sveglia?-.
-
Dall’alba. Medito dall’alba-. Eglerion emise un verso indistinto, per
manifestare i suoi sentimenti verso la meditazione.
- Di
pure quello che vuoi. Intanto io so che Zoe non ha dormito stanotte-.
-
Come mai?- chiese Eglerion. Zoe era da poco a bordo della Ithil e quello era il
suo primo viaggio impegnativo. Per questo molte persone dell’equipaggio tenevano
a farla sentire bene, Eglerion incluso.
- Non
so. Ho preferito non interferire. In ogni caso dava l’impressione di non essere
nelle migliori condizioni-.
-
Vuol dire che faremo una capatina veloce al porto, più tardi-.
-
Intanto scendi, che c’è un’altra bionda che si chiede cosa tu stia facendo-. Il
capitano non se lo fece ripetere. Si vestì e scese al piano terra, dove trovò
Rhavanwen ad attenderlo.
- Ho
fatto metter da parte qualcosa per la colazione. Hai dormito bene?- domandò
questa.
-
Splendidamente- rispose l’altro, sorridendo.
I tre
si diressero verso la sala dove avevano cenato, dove trovarono Gelirion che
parlava con Rilien, il maggiordomo della casa.
- Ben
svegliato, Lord Eglerion- disse quest’ultimo, quando lo vide entrare.
-
Buongiorno Rilien-.
Eglerion prese posto accanto al timoniere, mentre una
cameriera lo serviva.
-
Abbiamo in programma qualcosa per oggi?- domandò agli altri.
- Per
ora nulla. Daeron è tornato al palazzo conciliare per sapere se avete ottenuto
quell’udienza o meno, ma finché non torna non sapremo nulla- rispose
Lancaeriel.
-
Capisco-.
-
Beh… se volete potrei mostrarvi la città- si offrì Rhavanwen.
I tre
si scambiarono un’occhiata e accettarono l’invito con piacere.
***
-
Meldarion, l’equipaggio freme- disse Tuarwaithion. I due si trovavano sul
castello di poppa, guardando verso l’orizzonte. La maggior parte delle persone
dell’equipaggio oziava, mentre altri svolgevano lavori quotidiani, come lavare
il ponte o preparare le pietanze per il pranzo.
- Lo
so, ma Eglerion è stato chiaro: nessuno tranne me, te o Zoe può scendere dalla
nave. Non sai quanto vorrei prendere Castiel e visitare la città, ma non
posso-.
- Per
quanto mi riguarda, potresti spacciarla per Zoe e farti tutti i giri che
vuoi-.
- E
Zoe? Dopo ieri, non so quanta voglia avrà di far favori a Castiel-.
-
Proverò a convincerla. Dopotutto, Castiel è una sua amica, capirà la
situazione-.
-
Come vuoi-.
Il
cuoco si voltò e si diresse verso la scala che portava sottocoperta, sicuro di
trovare la sua assistente ancora nella sua amaca.
Zoe
si rivoltò nell’amaca. Non aveva dormito e si notava. La chioma nera
scompigliata e le occhiaie, erano i chiari segni di una notte passata male.
Tentava inutilmente di prender sonno, cullata dal lieve rollio, ma ormai non ci
sarebbe più riuscita. Si mise a sedere come meglio poteva, guardandosi intorno e
cercando i suoi vestiti.
Dei
colpi sulla porta.
- Si
può?-. Tuarwaithion.
- Un
attimo, mi devo cambiare- rispose ella, con la voce impastata dal sonno.
- Va
bene-.
Si
alzò e si tolse la veste che metteva per dormire.
Indossò un paio di pantaloni, che assomigliavano ad una
calzamaglia ed erano tenuti su da una cintura di cuoio; una camicia ampia e
sopra di essa mise il farsetto. Le gonne proprio non poteva sopportarle. E poi,
in cucina, le erano solo d’intralcio. Scrutò il pavimento, in cerca dei suoi
stivali. Nel mentre disse al cuoco che poteva entrare.
Quando Tuarwaithion entrò lei stava saltellando su un piede
solo, tentando d’infilarsi lo stivale sinistro.
-
Cosa c’è?- domandò al moro.
- Mi
potresti fare un favore?-.
- Che
tipo, di favore?-.
-
Dovresti permettere a Castiel di spacciarsi per te, in modo che lei possa
scendere dalla nave- disse, stringendo i denti, aspettandosi una risposta
acida.
- Mi
stai chiedendo di confinarmi qua dentro?- domandò ella, indicando le pareti del
dormitorio femminile.
-
Questo è ciò che forse Meldarion si aspetta. Ma forse non è necessario- disse
egli, guardando gli indumenti di lei.
***
- Se
ho ben capito, il porto è da quella parte, giusto?-.
-
Sì-.
- Ok,
tenterò di arrivarci, qualcuno viene con me?-.
Eglerion aveva finito di fare colazione e aveva chiesto
indicazioni a Rilien su dove si trovava il porto.
-
Forse sarebbe meglio se io ti accompagnassi. Così eviteresti di perderti- si
offrì Rhavanwen.
- Mi
farebbe piacere. Voi due restate qui?- domandò poi, ai suoi due compagni.
- Non
so. Se Gelirion ne ha voglia, potremmo far un giro per la città-.
- A
me farebbe molto piacere. Troviamo un punto di riferimento e ci ritroviamo tutti
quanti là, tra un paio d’ore-.
-
Buona idea. Scendendo vi mostrerò la piazza dedicata a Fingolfin. Direi che come
punto d’incontro va bene-.
Il
gruppo s’incamminò verso i cancelli della villa, sotto lo sguardo di Rilien.
Quando furono scomparsi dietro l’angolo, l’anziano elfo rientrò in casa,
riflettendo sullo sguardo della sua superiore, mentre parlava con Eglerion. Era
felice, dopo anni che l’aveva vista nascondere la tristezza dentro di sé,
guardare il mondo con sguardo opaco.
I
colori sono tornati anche per voi, Nethros…
***
- Ma
sei tutto deficiente?!-.
- Non
credo…-.
-
Siamo su una nave elfica, attraccata al porto elfico di una città
popolata da elfi. Tu pensi che, se mi travesto da Meldarion, nessun
elfo capirà che non sono ciò che dovrei sembrare?- domandò Zoe.
-
Stavo scherzando, ovviamente. Il mio piano era: tenerti qui un attimo mentre
quell’altro spariva con la sua amata, facendogli credere di aver trovato un
accordo e poi scendere dalla nave e vagare un po’ per la città in tua compagnia,
se tu acconsenti a concedermi la tua dolce presenza-.
- Si
può fare. Ma adesso, per favore, passiamo in cambusa. Sto morendo di fame!-.
I due
uscirono dal dormitorio, diretti verso la cambusa, parlando del più e del meno.
Ella non accennò minimamente al fatto di non aver dormito.
Una
volta arrivati, Zoe prese una mela dal barile che stava vicino alla porta.
-
Avevo quasi dimenticato che sapore avessero le mele fresche- disse,
addentandola.
-
Sono d’accordo. Però non puoi negare che ti sei divertita a smaltire quelle non
mangiate-.
-
Siamo a tre gabbiani di vantaggio per te. Quando anche queste inizieranno a fare
schifo riprenderemo il gioco-.
-
Colpire i gabbiani con le mele… ma quanto riusciamo a cadere in basso?!- disse
Tuarwaithion.
-
Tanto- ammise Zoe.
I due
finirono la colazione e si diressero sul ponte.
-
Athradien!-.
-
Ditemi- rispose l’elfo interpellato.
-
Lascio a te e a Stephane il comando. Sia io che Meldarion saremo fuori bordo per
qualche ora. La signorina Zoe verrà con me. Voglio che questa nave resti
esattamente nelle condizioni in cui l’ho lasciata. Stephane è l’unico ad avere
il permesso di entrare in cambusa per procurare il pranzo al resto di voi,
nessun altro. Sono stato chiaro?- disse, con il tono autoritario che lo
caratterizzava in alcuni momenti.
-
Cristallino- rispose Athradien.
-
Bene. Spero che tutto vada per il meglio-.
L’uomo e la donna si diressero verso la passerella e
scesero sul molo.
***
-
Perché continuo ad avere questa brutta sensazione?-.
-
Dai, la Ithil è ancora al suo posto-.
- Il
problema è se l’equipaggio è ancora al suo posto…- rispose l’elfo.
Eglerion e Rhavanwen scesero lungo le banchine, osservando
pescatori e mercanti, oltre a barche di vario genere. Finalmente raggiunsero la
Ithil, che spiccava tra i vari bastimenti.
- C’è
nessuno?- gridò il capitano.
Come
risposta gli giunsero imprecazioni degne delle taverne più fumose di
Pelargir.
- Non
si aspettavano una visita, a quanto pare- disse Rhavanwen, imperturbabile. A
dire il vero avrebbe voluto ridere, ma la faccia di Eglerion le sconsigliava di
farlo.
Il Re
salì lungo la passerella ed arrivò sul ponte.
-
Allora! Che cosa sta succedendo qui?-.
- Mio
signore- esclamò velocemente Athradien. Stephane invece non disse una parola. Si
limitò a mettere la testa fuori del boccaporto collegato alla scala, per
controllare chi stesse disturbando la sua siesta. Quando riuscì a mettere a
fuoco il visitatore, non cambiò minimamente atteggiamento.
-
Buongiorno- disse.
Si
alzò dal gradino dove era sdraiato e si diresse verso i due. Era a torso nudo,
capelli sciolti e piedi nudi. La veste adatta per ricevere il proprio Re.
- Mi
potresti gentilmente dire, dove si trovano quei due sciagurati
al comando?-.
- Ce
li hai davanti agli occhi, Eglerion. Il nostro cuoco ha eseguito un piccolo
“trasferimento di potere”. Lui e Zoe sono scesi, così anche Meldarion. Sospetto
che anche Castiel sia stata fatta scendere, perché il sacco di “immondizie” che
Meldarion ha portato fuori bordo profumava ed emetteva leggeri lamenti-.
Rhavanwen non poté trattenere più le risa. Per poco non si
aggrappò ad Eglerion.
-
Capisco. Quindi voi siete al comando. E gli altri?-.
-
Sottocoperta. Alcuni ad eseguire le loro mansioni, altri a passare il loro tempo
come meglio credono. Nessuno però riusciva a sopportare la calura sul
ponte-.
- E
tu come mai eri qui?- domandò la Sindar, curiosa. L’uomo le mostrò una sigaretta
artigianale, ancora non accesa.
-
Quello non è tabacco- osservò Eglerion.
-
Infatti, è Falchonlass- rispose Stephane. Eglerion non poté fare a
meno di evocare nella sua mente l’immagine di un’elfa dai capelli corvini.
-
Come te la sei procurata?-.
-
Minas Falas- asserì semplicemente il rosso.
-
Basta che il vizio non si diffonda in tutto l’equipaggio-.
-
Tranquillo. L’unica che la fuma, oltre a me, è Castiel-. Eglerion rimase
interdetto.
-
Questa mi mancava- disse.
- Ma
Meldarion lo sa?- chiese la bionda.
- No,
è questa la cosa divertente-.
- Ora
capisco perché non fa storie, quando Meldarion fuma le altre erbe-.
-
Vero. Comunque mi chiedo dove siano-.
-
Spero che si stiano divertendo al momento, perché quando torneranno avranno meno
da ridere-.
-
Tutti quanti?-.
- No
Rhavanwen. Se li conosco, so che gli unici da biasimare sono Meldarion e
Castiel. Capisco i sentimenti, ma se ho dato un ordine, preferirei che venisse
eseguito. Tuarwaithion potrebbe essere estraneo alla faccenda, per quanto ne so,
ma dovrò comunque discutere anche con lui. Spero solo non facciano troppo casino
in città-. Sospirò. Speriamo che non causino incidenti diplomatici o chissà
cos’altro…
***
-
Megildur-.
- Mae govannen,
Galadhwen. A cosa devo questa gradita sorpresa?- rispose il conciliato,
sardonicamente gentile.
L’elfo era alto, anche per i loro canoni. I suoi occhi
erano di un azzurro chiarissimo. Fissarli era come guardare una lastra di
ghiaccio. Aveva i capelli castani, tagliati corti, e il viso affilato. Non era
lo stereotipo di elfo, per parlar chiaro.
- La
Regina Thalien
mi manda a dirti che sei convocato questa sera, ad un banchetto insieme agli
ambasciatori Noldor-.
- E
tu, da brava galoppina, fai tutto ciò che ti viene ordinato,
giusto?- le sue parole erano affilate come lame, ma ella non diede loro peso. Si
era abituata al disprezzo da parte di quell’elfo.
- No.
Io lo faccio perché ciò che la regina ordina dev’essere fatto-.
-
Anche subire continui e ripetuti assalti da parte degli Uomini?-.
- Sì,
se necessario- rispose Galadhwen, senza esitare minimamente.
-
Eppure un paio di giorni fa, persino tu le hai proposto di mobilitare le truppe-
disse l’altro.
Galadhwen sospirò. Si trattava dell’ennesimo duello
politico tra lei e l’elfo castano.
-
Vedi, non rispondi- rincarò la dose Megildur.
- Era
la terza volta in due settimane che i loro raminghi attaccavano una carovana di
Rohan- rispose ella.
- Ma
adesso non è più importante, vero?-.
- Non
ho mai detto questo. La somma Thalien vuole evitare in tutti i modi possibili la
guerra aperta. Dopo le perdite della Dagor Ram…-.
- Ah,
sì… la gloriosa
carica della nostra Regina. E dopo un solo anno, i Numenoreani dimenticarono
la battaglia e continuarono ad attaccarci senza sosta. Quella non è stata una
vittoria! Quando mandammo in rotta il loro esercito, eravamo un quarto di coloro
che erano partiti!-.
- Lo
so benissimo. Anche io, se non ti ricordi, ho combattuto quella battaglia-.
- E
della tua fuga in Harad cosa mi dici?!-. Oramai i due politici stavano quasi
gridando. Era una fortuna che fossero da soli, in quell’ala del palazzo
conciliare.
-
Fuga? FUGA?! Se non ricordi, foste tu e un paio d’altri guerrafondai, a
pretendere che le coste dell’Haradwaith venissero perlustrate, per cercare
eventuali disertori. Come tutto l’Ithilien sa, cademmo in un’imboscata-. Il
conciliato sbuffò.
-
Girano molte versioni di questa storia. Come quella in cui compare un Noldo che
ti avrebbe fatto compagnia durante le settimane in cui eri dispersa-. Galadhwen
arrossì leggermente, ma non cambiò espressione.
-
Questo non è ciò per cui sono venuta a parlare con te. La Regina vuole che tu
partecipi a questa cena insieme agli ambasciatori di Manwetol, a me e ai figli
di Gawain Glirdir-. - Ci sarò- rispose
sprezzante l’elfo. Un lampo impercettibile gli attraversò gli occhi.
Ella
gli voltò finalmente le spalle ed uscì dalla stanza.
Aveva
vinto lei.
Quella volta.
***
-
Castiel?!-.
-
Cazzo!-.
-
Meldarion!-.
Una
risata.
Lancaeriel e Gelirion avevano incrociato la strada di
Castiel e Meldarion.
- Lei
cosa ci fa qui?- domandò Lancaeriel.
- Lo
sai benissimo. È venuta insieme a me, a visitare la città-.
- Se
non ricordo male, l’ordine esplicito era che solo tu, Zoe e Tuarwaithion,
sareste potuti scendere dalla nave-.
- Lo
so. Intendi farmi la predica?- rispose l’elfo moro.
-
Meldarion, evita…- cominciò la sua amata.
- No!
Non ho intenzione di smetterla. Tu, Lancaeriel, non ne hai colpa, ma io non ho
intenzione di seguire quell’ordine di Eglerion-.
- Hai
almeno una buona ragione?- chiese Gelirion.
- No. Io rispetto Eglerion,
nonostante i suoi difetti. So che lei-, fece un cenno con la testa verso la
bionda, - si fa un mazzo tanto, per far in modo che Eglerion non faccia cazzate,
sia quando è ubriaco che quando è sobrio. Ma deve anche capire che, se scendo
dalla nave per vedere una città, vorrei avere Castiel al mio fianco-.
- Lo sai che è solo questione di
tempo, dopo l’udienza, potrete girare liberamente-.
- E se la Regina rifiutasse di
ricevervi? O se rifiutasse di farci restare? Non sempre va bene- disse.
- Lo so, ma non è un motivo per
infrangere un ordine esplicito-.
- Non importa. Io sono pronto ad
accettare le conseguenze delle mie azioni. Se Eglerion ha qualcosa da ridire,
dovrò ricordargli la tempesta di sabbia- continuò Meldarion, accennando ad
eventi passati.
L’elfo si voltò e cominciò a
camminare verso il porto.
- Mi dispiace. Ha i suoi motivi
per essere scosso, ma non avrebbe dovuto prendersela con te- disse Castiel,
prima di dirigersi anche lei verso le banchine.
Quando Castiel e Meldarion furono
arrivati all’ingresso del porto, egli si fermò improvvisamente.
- Che cosa c’è?-. Egli non disse
una parola.
L’elfa lo fissò negli occhi. Le
sue pupille si erano contratte sempre più, mentre le iridi d’ebano erano
diventate di un azzurro pallidissimo. Due anelli color ghiaccio, immersi nel
bianco. Poi egli parlò, con la voce fredda della Morte. Lo stesso tono
inespressivo di quella notte.
- La Ithil… dobbiamo…
organizzare… difese…-.
Così com’era cominciato,
improvvisamente terminò. I suoi occhi tornarono normali.
- Cosa?! Che cosa accadrà alla
Ithil?-. Egli non rispose. Perse momentaneamente l’equilibrio e si aggrappò a
Castiel.
Sulla Ithil, nel mentre, Eglerion
scrutava la strada che portava al porto. Accanto a lui Stephane fumava e
Rhavanwen lo osservava, in silenzio. Avvertiva la sua tensione. Volse lo sguardo
nella stessa direzione del Re e capì cosa lo turbava. Poteva facilmente
distinguere Castiel e Meldarion. Ma egli pareva star male. Era molto pallido.
Improvvisamente lo vide perdere l’equilibrio ed aggrapparsi all’elfa.
Si alzò in piedi, seguita da
Eglerion, e insieme si diressero verso i due Noldor.
***
- Certo che questa città è
faticosa- disse Zoe. Ella e Tuarwaithion continuavano a far su e giù attraverso
le stradine di Minas Duin da almeno due ore.
- Pensa alla fatica fatta
portando un sacco in spalla- ribatté il ragazzo. Gli bruciava ancora la fatica
del giorno prima.
I due avevano visitato la maggior
parte delle due cerchie inferiori, ed al momento stavano salendo verso il Caw.
- Tu ed io stoniamo un po’ qui,
sai?- disse la ragazza.
- Che cosa intendi?-.
- Beh, per lo più questi Sindar
sono biondi. E poi, hanno una bellezza ultraterrena-.
- Mai quanto la tua, Lendhun- rispose il
cuoco. La sua amica arrossì. Doveva ancora abituarsi ai complimenti da parte del
resto dell’equipaggio, anche se così educati.
- Chissà come se la cavano gli
altri- disse ella, tentando di muovere il discorso lontano dal suo aspetto
fisico.
- Non lo so. Spero solo che
Meldarion non si sia fatto beccare, perché mi pare di aver visto Eglerion e la
sua amica silvana scendere per una via, qualche ora fa-.
- Mah… Però devo ammettere che
Rhavanwen è veramente il tipo d’elfa per cui perdere la testa… viso dolce,
educata nel comportamento-.
- Che pettegola!- esclamò
l’altro, sorridendo.
- Che cosa ci posso fare?-.
Mentre continuavano a camminare,
videro parecchie cose insolite ai loro occhi. Innanzi tutto, poche locande.
Oramai erano entrambi abituati agli standard di Manwetol, dove ce n’era una ad
ogni angolo della strada, quindi, vederne solo quattro o cinque parve loro molto
strano.
Poi notarono che c’erano poche
guardie di ronda nella città. Per le strade della capitale c’erano drappelli
interi, mentre a Minas Duin incrociarono solo un paio di guardie, che
presidiavano i cancelli delle cerchie.
Inoltre le case nelle cerchie più
basse erano prive di camini ed avevano i tetti piatti, come nelle poche città
Haradrim rimaste.
- Torniamo alla nave, che
dici?-.
- Mi pare una buona idea. Tanto
ormai abbiamo visto praticamente tutto-.
Il ragazzo e la ragazza
s’incamminarono verso il porto, inconsapevoli di ciò che stava accadendo là in
quel momento.
***
- Ti capisco Meldarion; hai le
tue ragioni. Ma ciò non toglie che tu hai disobbedito ad un ordine
esplicito-.
- Che cosa intendi fare?
Lasciarmi qui? Gettarmi fuori bordo quando riprenderemo il largo?-.
- No. Semplicemente ti sollevo
dall’incarico che hai ora. Stephane prenderà il tuo posto, mentre tu resterai
confinato sulla Ithil per tutto il resto della nostra visita- disse Eglerion
calmo.
- Bene. Allora resterò qui. Ma tu
ripensa alla tempesta di sabbia. Alle perdite che avremmo potuto subire, se io
non ti avessi avvertito-.
L’elfo non mutò espressione,
anche se nella sua mente dava ragione a Meldarion. Il fatto che egli sapesse
esattamente quando la tempesta sarebbe arrivata, aveva dato loro un grande
vantaggio. Tutta la colonna d’elfi e uomini sopravvisse. L’unica nota negativa
fu la sua scomparsa per un certo periodo. Durante gli attimi prima della
tempesta era rimasto separato dal resto del gruppo, ed aveva cavalcato con la
tempesta alle spalle, fino ad arrivare alla giungla, a poche leghe dalla costa.
Da lì riuscì a risalire uno dei tanti torrenti pluviali, fino a raggiungere di
nuovo i suoi compagni. Ciò era accaduto un secolo prima.
- Non intendo cambiare idea.
Questa volta faresti meglio ad ascoltarmi- disse, freddo. Voltò le spalle
all’elfo e scese dalla nave, seguito da Rhavanwen.
- Non hai accennato al pericolo
che la nave corre- disse Castiel.
- No. È già abbastanza teso senza
che io aggiunga ulteriori preoccupazioni alla sua mente. Hai sentito la sua
freddezza. Solo questo può essere il motivo-.
***
- Non pensi di essere stato un
po’ troppo duro?- domandò cauta l’elfa silvana.
- Forse. Ma è necessario in
questo momento-.
I due elfi stavano risalendo
verso il Caw,
diretti alla casa dei fratelli Glirdir. Eglerion neanche si accorse di Tuarwaithion e
Zoe, quando gli passarono accanto. Rhavanwen rivolse loro un silenzioso saluto,
accompagnato da uno sguardo eloquente riguardo Eglerion, all’occhiata
interrogativa della ragazza.
Continuarono per la loro strada,
fino ad arrivare alla piazza di Fingolfin. Al centro della stessa, troneggiava
un immenso monumento del Re elfico, durante il suo duello contro Morgoth.
Attesero là una mezz’ora, finché
non furono raggiunti da Gelirion e Lancaeriel. Le due elfe cominciarono a
chiacchierare, mentre Gelirion rivolse qualche veloce parola ad Eglerion,
riguardo l’incontro con Meldarion ed Eglerion gli riferì dello sviluppo delle
cose.
Finalmente arrivarono
all’abitazione di Rhavanwen, dove trovarono Limwen ad attenderli al
cancello.
- Mia signora, la stavamo
attendendo-.
- Che cosa è successo?-.
- Venite- rispose frettolosa
l’ancella.
Il gruppo di persone entrò in
casa. Limwen li scortò dentro la saletta dove erano stati fatti accomodare il
giorno prima. Lì videro Rilien, intento a versare del vino in un calice, tenuto
in mano da un’elfa graziosa, eppur dall’espressione austera. Quando la vide,
sorrise e si alzò in piedi.
- Buon pomeriggio. Mi chiamo
Galadhwen, mi trovò qui sotto ordine della somma Thalien.
Innanzitutto, devo ringraziare Lady Rhavanwen per l’ospitalità. In queste mura
si respira un’aria molto confortevole. Ma veniamo al dunque. La Regina mi ha
chiesto di comunicarvi che siete attesi ad un banchetto questa sera, per
ascoltare i motivi della vostra venuta. Ovviamente siete invitati anche voi,
Lady Rhavanwen, e vostro fratello Daeron. Siete attesi alla dimora reale tra un
paio d’ore-. L’elfa disse ciò tutto d’un fiato, senza mai fermarsi per
riprendere un respiro.
Eglerion s’impietrì.
- Galadhwen…-.
- Sono felice di rivederti,
Eglerion-.
Ok. Si era capito no, che quei
due già si conoscevano. Avete il permesso d'insultarmi quanto volete per aver
interrotto la narrazione in questo punto.
E
finalmente ecco anche il capitolo IV. Ce n'è voluto di tempo!
Ad ogni
modo, grazie ad Elfa per la recensione, sì, la trama sta prendendo pian piano
forma, ma ancora non c'è nulla di definito. Sono felice che ti piacciano i
personaggi, sono ciò che danno spessore alla storia, nella mia
opinione.
La
scorsa volta avevo detto che in questo capitolo si sarebbe visto l'incontro dei
nostri eroi (Alla faccia! ndLancaeriel) con Alastegiel. Ho deciso di dividere in
due il capitolo, perché altrimenti ne sarebbe venuto fuori un tomo da venti
pagine word (già questo è di quattordici!).
Comunque, come potete vedere, si sono uniti al cast
anche Zoe e Daeron. La prima, in quanto parte dell'equipaggio, continuerà a
stare tra i piedi (Scherzo Zoe! Nota dell'autore, che è stato incenerito da
un'occhiata della mora) per ancora un po', mentre Daeron, probabilmente, lo
lasceremo nella sua città, tanto ci sta bene e non si lamenta.
Quanto alla
Falchonlass, si dovrebbe capire che non è altro che Cannabis. Il nome deriva da
"Lass", "foglia" e "Falchon", "ascia a doppio taglio".
Piccolo
disclaimer, non faccio uso di droghe e non è mia intenzione incoraggiarne
l'utilizzo, né tantomeno voglio incoraggiare il consumo di alcol. I personaggi
sono tutti originali e di mia proprietà, per utilizzarli dovete avere il
mio esplicito permesso.
Mi
pareva di dovere aggiungere queste righe, dopo aver descritto scene in cui i
personaggi fumano stupefacenti o bevono alcolici.
*
Terza= terza ora dopo l'alba, quindi le nove di mattina.
** Ho
preferito lasciare alla vostra immaginazione le imprecazioni che Eglerion
potrebbe usare in quel momento.
Ma ora,
lasciamo spazio al Meldarion horror picture show!
Il
sipario si apre su uno studio televisivo, dove alcuni membri dell'equipaggio
della Ithil (tra cui spicca Tuarwaithion, che ha un'aria molto scazzata) ballano
costretti in stretti costumi da bagno, tipicamente femminili. In sottofondo si
sente una canzone truzza dal ritmo ripetitivo. Finito lo stacchetto dei "Velini"
entra in scena Meldarion. Egli indossa un orrido frac di una sfumatura tra
il melanzana e il viola livido, corredato da pantaloni e cilindro dello stesso
colore. I capelli gli coprono gli occhi e l'autore sospetta che l'elfo stia
tentando di assomigliare a Slash, ma con scarsi risultati.
"Benvenuti, signore e signori, al Meldarion Horror Picture
Show". Degli applausi preregistrati scattano nonappena Meldarion finisce di
parlare. Infatti il pubblico è piuttosto scarso: una decina di persone, tutte
quante facenti parte dell'equipaggio, eccetto Rhavanwen, Galadhwen ed
Alastegiel, che ancora si chiedono perchè siano lì. Quando gli applausi si
fermano (cioè dopo due minuti buoni) Meldarion ricomincia a
parlare:
"Facciamo entrare i concorrenti di questa
sera!".
Entrano Eglerion, che sta ancora ridendo alla visione
del suo equipaggio costretto a fare lo stacchetto e che in mano tiene
una bottiglia di Four Roses mezza piena, e Lancaeriel, che indossa una
veste molto succinta e lancia baci a destra e a manca.
"Cominciamo subito con la nostra 'Intervista doppia'!"
dice Meldarion estatico. I due concorrenti roteano gli
occhi.
"Nome".
"Lancaeriel".
"Eglerion".
"Occupazione".
"Comandante in seconda della Ithil e del regno di
Manwetol".
Alcuni tra il pubblico ridacchiano, osservando la
bottiglia tenuta in mano da Eglerion e capendo l'allusione
dell'elfa.
"Re di
Manwetol e comandante della flotta Noldorin".
"Vera
occupazione".
"Parare
il culo al Re di Manwetol".
"Alcolista anonimo".
Eglerion si siede in terra e beve due lunghe
sorsate dalla bottiglia, mentre Lancaeriel lo guarda male.
"Stato
civile".
"Nubile".
"Celibe".
Meldarion si gratta la testa, guardando i
due.
"Innamorato/a?".
"No".
"Sì".
"Di
chi?".
"Ma ho
detto no!".
"Dovresti capirlo" risponde Eglerion, fissando con
sguardo adorante il liquido ambrato. Meldarion lo guarda
male.
"Demente! Comunque, attore preferito".
"Diego
Luna".
"John
Belushi".
"Attrice preferita".
"Uma
Thurman, lei sì che è una donna con i controcoglioni".
"Piper
Perabo".
Meldarion si scervella per capire chi sia, ma non
ricorda di averla mai sentita. decide di continuare con le sue
domande.
"Il
posto più strano dove hai fatto l'amore".
"Ma ti
paiono domande da fare! Comunque, sotto un palcoscenico".
Il
pubblico mormora allusioni, divertito.
"Mh", ci pensa su, "In un oasi
nell'Harad".
Galadhwen arrossisce violentemente, ma nessuno sembra
notarla.
"Quando
è stata l'ultima volta che lo hai fatto".
I
due controllano l'orologio e rispondono in coro:
"Trentasei minuti fa".
Eglerion e Lancaeriel si guardano
stupiti.
"Anche
tu?!".
"E tu
con chi eri?".
Lancaeriel si volta verso il presenatore, che tenta di
allargarsi il colletto, visibilmente sudato.
"No! Io
ero con Castiel!". I concorrenti ridono, mentre sia il presentatore che
la sua ragazza arrossiscono in maniera vistosa. Meldarion tenta di ridarsi
contegno e di continuare ad intervistare i due.
"C'era
proprio bisogno di scoparsi la mia ragazza, Eglerion?"
"Beh,
la mia attuale amante era un po' impegnata, e lei mi pareva un po' triste!".
Ormai il pubblico sta sghignazzando senza contegno.
"Andiamo avanti, che è meglio. Gruppo o cantante
preferito?".
"Orishas".
"Gli
Squall" (omaggio ad Alagos... Hary, non ci posso far nulla, mi ha preso troppo
quella tua fic! nda).
"Canzone preferita".
"Represent Cuba".
"November Rain".
"Ti sei
mai fumato/a una canna?".
"Mai".
"Trentasette minuti fa".
Meldarion decide di sorvolare sulle allusioni fatte dal
pubblico.
"Libro
preferito".
"Il
Signore degli Anelli".
"Il
Silmarillion".
"Perché
hai i capelli così lunghi".
"Ma che
c-beeep di domanda è?".
"Perché
sono uno Hippie". Eglerion svuota la bottiglia in un ultimo sorso e resta
seduto sul palco con un sorriso ebete.
"Lancaeriel, cosa pensi di Eglerion".
"Che è
un alcolizzato, continuando così il popolo si ribellerà e lo spodesterà, che non
ha mai voglia di fare un cazzo e tocca a me fare tutto. Però a letto ci sa
fare".
"Eglerion, cosa pensi di Lancaeriel".
"Che,
nonostante mi dia un sacco di aiuto nella conduzione del regno, continua a
tazzarmi l'anima per ogni minima questione. Però a letto è
semplicemente fantastica".
Meldarion lo osserva mentre oscilla
leggermente.
"Perché
Eglerion sta oscillando".
"Perché
è un deficiente e ha bevuto durante la trasmissione".
"A
forza di... stare su una nave... " Eglerion si interrompe per voltare la
testa da una parte e buttare fuori ciò che ha ingerito.
"Ci
scusiamo per l'interruzione, ma cause di forza maggiore ci impediscono di
continuare il nostro programma. Alla prossima puntata!" dice Meldarion,
tentando di salvare la faccia al programma. Si volta e, insieme a Lancaeriel,
trascina il corpo di Eglerion dietro le quinte. I "Velini" tentano di chiudere
con lo stacchetto finale, ma scivolano sulla "produzione" del Re, cadendo in
un'ammucchiata di corpi in calzamaglia. Il pubblico è a metà tra il divertito e
lo schifato. I "Velini" provano a ricomporsi, inutilmente, mentre cala il
sipario. Sullo sfondo rieccheggia la musichetta truzza
dell'inizio. Ore 3:30 del mattino, l'autore ha finito di scrivere.
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Capitolo 5 *** Cap V Alastegiel Thalien e Tar Eglerion ***
aaaV
Cap V Alastegiel Thalien e Tar Eglerion
Gli occhi di Lancaeriel squadrarono la sconosciuta che affermava di chiamarsi
Galadhwen. Non l’aveva mai vista, eppure conosceva Eglerion. Il quesito restò
senza risposta, dentro di lei, mentre il suo capitano, nello stupore generale,
abbracciava la conciliata.
- Eglerion… conoscevi già Lady Galadhwen?- domandò Rhavanwen.
- Sì. La conobbi anni fa, nell’Harad-.
Lancaeriel rise dentro di sé. Anche quella volta, aveva trovato una compagnia
femminile. Si fece avanti.
- Sono felice di conoscervi, Lady Galadhwen. Io sono Lancaeriel, comandante
in seconda della Ithil-.
- Piacere di conoscervi-.
Il gruppo si accomodò nella saletta, mentre Galadhwen ripeté loro i dettagli
per il banchetto. Per tutta la conversazione Eglerion non le tolse gli occhi di
dosso. E Lancaeriel non fu l’unica a notarlo.
Dopo che la mora ebbe finito di parlare, si alzò, dicendo di dover andare
via. Ringraziò nuovamente Rhavanwen e li salutò.
- È lei! E’ lei quella che gli ha fatto perder la testa, un secolo fa!-.
- Che cosa intendi?-.
Gelirion e Lancaeriel si trovavano nella camera di lui, mentre Eglerion era
impegnato a lavarsi.
- Un secolo fa eravamo impegnati in una scorreria sulla costa dell’Harad.
Mentre stavamo inseguendo i nemici che avevano disertato, ci siamo trovati una
tempesta di sabbia davanti. Eglerion è rimasto diviso dalla sua compagnia e si è
trovato da solo. A quanto ci ha riferito, ha passato una settimana vagando nelle
giungle Haradrim, seguendo il corso di un fiume che si getta nel mare a Nord. Lo
avevamo notato in pochi, ma era cambiato, dopo quella solitudine. Spesso
guardava a Sud con sguardo malinconico e cantava odi a Tinuviel e ad una
fantomatica dama dai capelli corvini. A quanto pare, l’abbiamo incontrata
oggi-.
- Intendi dire che la politica che abbiamo incontrato oggi è l’elfa di cui
Eglerion si è innamorato un secolo fa?- domandò Gelirion, ancora incredulo.
- Sì- rispose laconica la bionda.
- C’è solo da sperare che non faccia cazzate- aggiunse, ripensando agli anni
passati, in cui il Re passava da stati di tristezza profonda a malinconia in un
batter d’occhio, si prendeva sbronze colossali e scriveva, scriveva e scriveva
su un taccuino ormai semi-distrutto, con un’anatra sulla copertina.
***
- Mi potresti, per favore, ripetere cosa dobbiamo fare?-.
- Mollare gli ormeggi ed ancorare la nave al largo-.
- E potresti, per favore, spiegarmi perché?-.
- No-.
Tuarwaithion sospirò. Nel momento in cui egli era salito sulla Ithil,
Meldarion glia aveva detto di dovergli parlare. Si erano chiusi nella camera che
il cuoco divideva con il fratello e Stephane, in compagnia di quest’ultimo e
Castiel.
Una volta dentro, Meldarion aveva detto loro che la Ithil correva un grande
rischio, restando ormeggiata nel porto e che, secondo la sua opinione, sarebbe
stato meglio portarla al largo al calar delle tenebre. Non aveva dato un motivo
preciso per cui loro avrebbero dovuto agire in quel modo, aveva solo detto di
aver un brutto presentimento e ciò doveva bastare.
Ora si trovava sulla tolda, in compagnia dell’elfo, che si ostinava a non
volergli dire nulla.
- Mettiamola così: se la Ithil resta nel porto, questa notte potremo fare
conoscenza con le persone più spregevoli della città. Ora sta a te credermi o
meno, fidarti di me o no. In caso Eglerion se la prenda, mi assumerò la totale
responsabilità. Se proprio non vuoi muovere la Ithil, allora consiglio di far
armare l’equipaggio, perché c’è la possibilità di una battaglia-.
- Scendiamo ad un compromesso. Lasciamo degli arcieri di guardia sul ponte,
questa notte, e portiamo la nave un po’ più al largo, ma comunque non troppo-.
Meldarion annuì.
- Come vuoi. Vado a radunare gli arcieri-.
- C’è solo un problema: chi farà da timoniere?-.
Meldarion sorrise.
- Io un’idea ce l’avrei-.
***
Quando Daeron rientrò in casa, restò piacevolmente sorpreso dalla notizia
della visita di Galadhwen. Mentre gli ospiti si preparavano, egli prese da parte
Rhavanwen.
- Questa cena è molto importante, quindi ti chiedo di restare in silenzio
durante la maggior parte delle discussioni. Non voglio che, a causa nostra,
l’Ithilien si trovi a dover combattere Manwetol-.
Rhavanwen represse il desiderio di rispondergli male e assentì, silente.
- Bene- disse Daeron, con un veloce sorriso.
Quando se ne fu andato, Rhavanwen si concesse di sorridere a
sua volta. Le parole del fratello erano andate insieme ad Eru. Avrebbe sicuramente preso
parola anche lei, poiché conosceva già i piani dei Noldor.
***
- Non se ne parla neanche!- esclamò Castiel.
- Sei l’unica che ha le capacità di governare la nave, ora. Non c’è nessun
altro a cui possiamo affidarci- disse Meldarion. Stava tentando in tutti i modi
di convincere l’elfa a far da timoniere.
- Un conto è provare in mare aperto. Un altro è governare una nave da cento
piedi in un porto-.
- Dobbiamo solo arrivare ad un miglio dal molo. Non ci vorrà nulla- rincarò
la dose il cuoco, anch’egli presente.
- Ma se non c’è un alito di vento!-.
- Per questo esistono i remi-.
Ella sospirò, sconfitta.
- Se la nave cola a picco, la colpa è vostra. Io andrò a rifugiarmi tra i
Rohirrim-.
- Accordato- disse Meldarion, per terminare il discorso.
- Siano dannati tutti gli Ainur, cazzo!-.
La nave avanzava lentamente, nelle acque calme dell’Anduin, mentre Castiel
faceva uscire dalla sua bocca volgarità degne di Eglerion.
- Castiel!- disse Meldarion, che le era accanto.
Il resto della ciurma remava con foga, a coppie sui grandi remi che uscivano
dalle fiancate della nave. Come un’antica trireme greca, la Ithil raggiunse la
meta prefissata.
- Meldarion! Gli arcieri sono pronti!- gridò Tuarwaithion, dal castello di
prua.
- Perfetto! Hai fatto riempire d’acqua i secchi?- urlò, di rimando. La
risposta fu affermativa e Meldarion si dichiarò soddisfatto.
Ora c’era solo da aspettare l’attacco che aveva previsto.
***
Esattamente un’ora dopo, i due Noldor, i fratelli Glirdir e Gelirion
stavano camminando verso la reggia.
L’entrata era presidiata da due guardie, vestite con cotte di maglia e
tuniche verde e oro. In una mano tenevano una lunga lancia, mentre con l’altra
reggevano uno scudo che portava lo stemma di Minas Duin, una stella a cinque
punte sormontata da due rami d’alloro.
I cinque ospiti entrarono e furono scortati da un altro elfo, vestito anche
lui con un’armatura, dentro la sala del banchetto.
La stanza era molto ampia. Nel centro vi era un lungo
tavolo, con quattro seggi da ogni lato. Due delle sedie erano state rialzate
rispetto alle altre e poste l’una di fronte all’altra. Vicino ad uno dei capi
della tavola stava un gran camino, dove un fuoco ardeva, mentre all’altra
estremità, erano appoggiati dei cuscini.
Ad accoglierli c’erano Galadhwen, vestita in un lungo abito rosso scuro, ed
un elfo castano, dai capelli corti, che si presentò come Megildur.
Essi li fecero accomodare al tavolo. Eglerion fu fatto sedere sul seggio
rialzato sul lato sinistro del tavolo. Alla sua destra sedeva Lancaeriel, mentre
dall’alto lato stava Gelirion. Accanto al comandante in seconda, sedeva
Rhavanwen. Di fronte ad ella stava il fratello.
Di fronte ad Eglerion stava l’altro seggio d’onore, riservato alla Regina.
Galadhwen prese posto di fronte a Gelirion e Megildur sedé accanto a Daeron.
Dopo qualche minuto la regina arrivò. I commensali si alzarono in segno di
rispetto ed attesero che ella prendesse posto tra i due conciliati.
Quando anche Alastegiel si fu sistemata, Eglerion parlò.
- Sono onorato di potervi incontrare, somma Thalien-.
- Sono onorata di ricevervi, Tar Eglerion-
rispose ella, utilizzando il Prefisso Tar , cioè "Re" . Eglerion non
diede segno di stupore, udendo che ella sapeva che egli era Re, al momento.
Daeron invece rimase senza parole.
- Vi ringrazio per il vostro invito, mia signora. Spero che, dopo aver
assaggiato le pietanze che voi ci proporrete, potremmo parlare. C’è una
questione che desidererei portare alla vostra attenzione-.
- Sarò felice di ascoltarvi, ma dopo che avremmo terminato il nostro pasto-
rispose ella, sorridendo. Un sorriso gentile ed accogliente. Sembrava essere
molto felice di vederli, nonostante Eglerion non sapesse dire come mai.
I camerieri portarono i vassoi con le pietanze e servirono i convitati, che
gustarono una cena a base di carne, verdure fresche e un dolce proveniente da
una pianta Haradrim detta "cacao".
Quando anche l’ultimo dei convitati ebbe finito di mangiare, la Regina porse
ad Eglerion un Cìatus, cioè un calice molto capiente, per adempiere al
rito della Commissatio. Verso del vino nel calice del Re e nel proprio,
dopodiché brindò con lui e bevve il bianco assaporando ogni sorso.
A turno, tutti i presenti brindarono con colui, o colei, che gli o le stava
davanti.
Dopo che anche la Commissatio fu eseguita, entrò dalla porta un
vecchio dalla barba canuta. Egli prese posto sui cuscini disposti alla fine del
tavolo, portando con se uno strumento musicale di legno. Era formato da una
semisfera di legno, bucata nel mezzo, e da una tavola lunga e stretta. Alla fine
della tavola erano attaccate cinque corde, che correvano fino all’estremità
della semisfera. Dopo che ebbe pizzicato le corde un paio di volte, per
saggiarne il suono, il bardo parlò.
- Buonasera, gentili signori e graziose signore, permettetemi di intrattenere
la vostra serata-.
- Buonasera a te, o Merilairon. Quale storia intendi narrarci, questa
sera?-.
- Una storia che risale ai tempi dell’inizio della quarta Era, quando Elessar
era il Re e la razza degli uomini prosperava. La storia di Zahal Laurevorn e di
Zefiro Luinsul, alla ricerca del tesoro di Aule, l’Harma Ondo- disse in tono
solenne.
Il menestrello cominciò a suonare il suo strumento e a cantare con voce
profonda la vicenda dell’uomo e l’elfo alla ricerca del tesoro insieme ai loro
vari compagni di viaggio.
Passò un’ora, mentre egli narrava e i commensali ascoltavano, rapiti dalle
sue parole, finché la storia non raggiunse il suo epilogo.
- Poiché solo questo poco tempo mi è stato concesso, vi narrerò in un altro
momento la seconda avventura dei protagonisti- disse Merilairon, dopo aver
cantato l’ultimo verso.
- Ti ringraziamo, Merilairon- disse la Regina, alzandosi e congedando
l’aedo.
Il resto degli invitati si alzò a sua volta e, tutti quanti, si diressero in
una stanza adiacente.
- Questa è la sala dello stato maggiore- esordì Alastegiel. Il gruppo prese
posto sulle sedie disposte intorno ad una tavola circolare.
- Molto bene- rispose Eglerion.
La Regina silvana aprì sul tavolo un’ampia carta dell’attuale Terra di Mezzo.
Era molto dettagliata per quanto concerneva Rohan e l’Ithilien, ma molte zone
erano appena accennate, come le regioni oltre i Valli o le terre al di là
dell’Anduin. La costa dell’Harad era rappresentata da una lunga macchia verde,
la foresta pluviale che ricopriva il litorale Ovest, mentre Manwetol e Pinnath
Gelin erano dipinti in maniera molto vaga. Era ora di riallacciare i rapporti
tra le due razze sorelle.
- La parola a voi, Eglerion-.
- Grazie. I motivi della nostra visita sono molti, il più importante di tutti
è la richiesta di alleanza.
Come avrete notato anche voi, Nuova Numenor sta tentando di espandersi oltre
i confini attuali-. Indicò sulla carta la zona a sud dell’Ithilien, oltre il
Vallo di Isildur.
- Temiamo che i Numenoreani stiano tentando di espandersi tramite i
possedimenti a Sud dell’Ithilien fino ad arrivare qui-. Detto ciò, indicò un
altro punto della carta, la punta più a sud-ovest di tutte le terre
conosciute.
- Le Falas ed il Mithlond-.
- Le Falas sono una leggenda- intervenne Megildur, con tono acido. Non gli
andava giù che la Regina desse credito alle parole di un Noldo piovuto dal
cielo, piuttosto che a quelle di più della metà del concilio.
- Voi come potete saperlo?- disse Rhavanwen. Il silenzio calò sulla sala,
mentre i due Noldor si scambiavano un fugace sorriso.
- Come potete saperlo?- ripeté, non udendo alcuna risposta.
- Avete forse viaggiato fino alle Terre Selvagge e avete trovato solo rovine
e desolazione?-.
Megildur la fissò, immobile come una statua.
- Vi ringrazio per il sostegno, Lady Glirdir- disse Eglerion, rompendo
il silenzio.
- Ritornando ai motivi della nostra visita, siamo venuti qua da Manwetol per
stringere un’alleanza con il vostro popolo, contro la minaccia di Nuova Numenor
e con una richiesta-.
- Che richiesta?- domandò Galadhwen, precedendo la Regina.
- Tre rappresentanti dell’Ithilien disposti ad imbarcarsi sulla Ithil, la
nave ancorata in questo momento al porto, per allargare tale alleanza agli
abitanti del Mithlond. Sì, credo nell’esistenza di tale Regno- aggiunse,
aspettandosi un altro intervento caustico da parte di Megildur.
- Io sarei disposta ad accogliere con piacere tale richiesta, ma non posso.
Domani indirò una seduta del concilio e presenterò entrambe le proposte.
Ovviamente siete invitati anche voi- disse Alastegiel.
- Vi ringraziamo, Somma Thalien-.
- Se esse verranno accettate, sceglieremo tre esponenti del popolo di Minas
Duin. Avete già qualche idea su chi sarebbe utile ai fini della missione che
intendete portare a termine?- domandò la Regina.
- Non saprei. Sicuramente un vostro rappresentante, un politico abile, che
possa darci manforte quando esporremo le nostre opinioni ai Signori del
Mithlond-.
- Bene. Domani chiederò se ci siano conciliati disposti ad imbarcarsi con
voi- disse con un sorriso.
- Direi che possiamo chiudere qui la riunione. In caso non siate presenti
alla seduta, invito voi tre ad una cena informale, domani sera- disse
Alastegiel.
- Ne saremmo onorati- disse Eglerion.
Si alzarono dai loro seggi e Galadhwen e Megildur li scortarono nuovamente
nella sala dove avevano cenato. Lì s’inchinarono nuovamente di fronte alla
Regina e furono congedati. Stavano per uscire dalla porta quando un suono di
campane lontane ruppe il silenzio della notte.
Un elfo entrò nella stanza, trafelato e, dopo essersi inginocchiato,
parlò:
- Mia signora, al porto!-.
La Regina diede una veloce occhiata ai Noldor, che ricambiarono confusi.
Insieme uscirono e videro ciò che stava succedendo.
Ed ecco finalmente il tanto sospirato
incontro. Innanzitutto, grazie ad Hareth, che mi ha dato il permesso per
citare la sua fanfiction "Harma Ondo". Potete trovarla in questa sezione del
sito, se vi
piace questa fiction, o l'AU in generale, vi
piacerà. Dopo questo, un grazie ad Elfa per la recensione. Certo che farò uno
schema dei personaggi (lo trovi più in fondo). un unica nota che ti faccio è
farti notare che ho un cromosoma Y, quindi, per favore,
non dirmi "Ciao bella" ad inizio recensione =P. Colpa anche mia che dovevo
fartelo notare nell'altro capitolo... Grazie poi a Silvì, che anche se non ha
recensito so che tenta di leggere (ma, tra me che ti faccio i discorsi su
Uppsala, i tuoi studi e l'ispirazione
per le tue fic ti capisco). Ed ora, per la gioia di
Elfa, e per quella di tutti coloro che si son persi tra i vari personaggi, ecco
per voi un breve riassunto.
Nome: Tar Eglerion Capelli: Biondi Occhi:
Blu Occupazione: Capitano della Ithil e Re di Manwetol Razza:
Noldo Note: Etilista militante, amante di Lancaeriel Nome tradotto: Può
esser sia Sebastian che Jude
Nome. Lancaeriel Capelli: Biondi Occhi:
Grigio-verde-blu (non si capisce) Occupazione: Comandante in seconda della
Ithil, Bubbetz (Factotum) delle questioni politiche di Manwetol, "coscienza" di
Eglerion Razza: Noldo Note: Amante di Eglerion Nome tradotto.
Morgana
Nome: Rhavanwen Glirdir Capelli: Biondi Occhi:
VERDI Occupazione: Sentinella dell'esercito dell'Ithilien Razza.
Sindar Note: di famiglia nobile, ha una ciocca rasta che simboleggia il suo
casato, i Glirdir (Letteralmente, "bardo"). Nome tradotto: Selvaggia (o
Yrsa)
Nome: Meldarion Corch Capelli: Neri Occhi: Scuri, o
azzurro chiaro (colo husky, per capirsi) Occupazione: Comandante della
guarnigione di stanza sulla Ithil Razza: Noldo Note: Tabagista militante,
amico di Eglerion fin dalle prime battaglie, gode di grande stima da parte del
Re, perseguitato da visioni di disgrazie, da
qui il nome Corch, "corvo", fidanzato con Castiel Nome
tradotto: Davide
Nome: Castiel Capelli: Castani/Neri Occhi:
Bruni Occupazione: Cartografa della Ithil e
schermagliatrice/cacciatrice Razza: Noldo Note: Fidanzata di Meldarion,
fumatrice di erbe stupefacenti, una delle poche a saper governare la
Ithil Nome tradotto: Agnese
Nome: Gelirion Capelli: Biondi Occhi:
Grigi Occupazione: Nocchiero della Ithil e diplomatico Razza:
Umano Note: Fratello di Tuarwaithion, uno dei pochi membri razionali
dell'equipaggio Nome tradotto: Letteralmente sarebbe "Felice", quindi Joy
Nome: Tuarwaithion Capelli: Neri Occhi:
Scuri Occupazione: Capo-cuoco della Ithil Razza: Umano Note: Fratello
di Gelirion, spesso incline alla risata Nome tradotto: Nicola
Nome: Stephane Capelli: Rossi Occhi:
Azzurri Occupazione: Milite appartenente alla guarnigione della Ithil,
schermagliatore/cacciatore Razza: Umano (Rohirrim) Note: Fumatore di
Falchonlass Nome tradotto: Stephane =P resta così...
Nome: Alastegiel Thalien Capelli: a cespuglio, biondo
scuro Occhi: verdi/nocciola Occupazione: Regina dell'Ithilien Razza:
Sindar Note: L'aggettivo Thalien, con cui i sudditi si rivolgono a lei, le fu
dato dopo la battaglia al Vallo di Isildur e significa "L'intrepida" Nome
tradotto: Beatrice ("portatrice di gioia")
Nome: Galadhwen Capelli: Neri Occhi:
Castani Occupazione: Politica Razza: Sindar Note: Fumatrice di
Falchonlass, conobbe Eglerion nell'Harad, quando entrambi si trovarono separati
dai loro gruppi. Amata da Eglerion, che
continuò a pensarla per lunghi anni, finché non si
rassegnò. Nome tradotto: Laura (come quella petrarchesca, bella ed
irraggiungibile)
Nome Daeron Glirdir Capelli: Biondi Occhi:
Bruni Occupazione: N/A (non ci ho ancora pensato, si accettano
suggerimenti) Razza. Sindar Note: Fratello di Rhavanwen, ha una
preoccupazione maniacale per tenere in piedi le apparenze Nome tradotto:
Magnus
Nome: Rilien Capelli: Argentati Occhi: Chiari (a
voi la scelta del colore) Occupazione: Maggiordomo della casa dei Glirdir da
anni ormai Razza: Sindar Nome tradotto: Clarence ("Luminoso", poiché egli
ha visto la catastrofe con i suoi occhi)
Nome: Megildur Capelli: Castani Occhi: Azzurro
ghiaccio Occupazione: politico Razza: Sindar Note: non condivide
affatto la politica della Regina Nome tradotto: Brandon
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Capitolo 6 *** Cap VI The Long Night ***
VII_Age_cap_VI
Cap VI The Long Night
- Dartho!-.
La fila d’arcieri tese gli archi.
- Leithio i
phillin!-.
La salva di frecce s’innalzò in cielo, compiendo una
parabola e ricadendo sulle banchine. Gli attaccanti si rifugiarono sotto gli
scudi.
Tuarwaithion correva da una parte all’altra della Ithil,
gridando ordini, mentre Meldarion sorvegliava le botti d’acqua e i sacchi di
sabbia, pronto a radunare gente per spegnere eventuali incendi.
L’attacco era venuto, precisamente quando se lo
aspettavano.
Per tutto il pomeriggio avevano visto gruppi di persone
radunarsi sulle banchine, osservare la Ithil e fare avanti e indietro tra i moli
e la città.
Poi, non appena la luce aveva cominciato a calare, i primi
dardi avevano cominciato a fischiare, cadendo in acqua a pochi metri dalla nave.
Non erano elfi, ma mercenari.
- Tangado a chadad!- gridò il
cuoco, improvvisato generale.
La linea d’elfi e uomini sulla murata del veliero continuò
a scoccare le frecce, colpendo alcuni degli uomini.
Videro alcuni di loro montare su delle barche a remi e
cominciare ad avanzare verso di loro, coperti dal fuoco nemico.
- Leithio! Salpate l’ancora,
Castiel, al timone!-.
Meldarion si unì agli arcieri, portando con se un piccolo
recipiente di latta.
- Pronti con le frecce incendiarie- ordinò. Intinse le
punte di un fascio di frecce dentro la sostanza e le incendiò con un fiammifero.
Poi le distribuì velocemente alla linea. Gli arcieri ripresero a tirare,
incendiando così due delle imbarcazioni nemiche.
Le barche avevano già compiuto un quarto del miglio, quando
finalmente la nave fu pronta a muoversi.
- Non possiamo usare le vele, le renderebbero inutili in
pochi secondi. Ci servono i remi- gridò la cartografa, dalla poppa. Tuarwaithion
annuì e chiamo alcune delle persone che non erano impegnate a tirare contro le
barche che si stavano avvicinando.
In pochi com’erano, però, non esercitavano una forza
sufficiente a muovere la nave.
Il cuoco corse velocemente verso il ponte.
- Ci servono altre persone!-.
Vide gli elfi gettare gli archi in terra e sguainare le
lame elfiche. Meldarion in testa a loro, con una spada in ogni mano. Tornò
velocemente sottocoperta, incitando i rematori a seguirlo.
- Proteggete Castiel!- disse Meldarion, a due degli elfi
più vicini alla poppa.
Gli uomini continuarono a tirare sulle barche in continuo
avvicinamento. Oramai mancavano sì e no duecento metri.
Improvvisamente, un colpo partito dalla nave divelse una
delle barche, uccidendo la maggior parte dei suoi occupanti e lasciando gli
altri in mare.
Le baliste! Tuarwaithion deve aver ordinato ai rematori di
utilizzarle!
Le baliste continuarono a far fuoco, insieme con alcuni
membri dell’equipaggio, mentre gli elfi si preparavano a respingere l’imminente
abbordaggio.
Una delle barche riuscì a farsi strada attraverso il fuoco
di sbarramento dei difensori, arrivando pericolosamente vicina alla
Ithil.
- Fatemi spazio!- gridò Stephane. Era ancora a torso nudo,
da quel pomeriggio, e teneva una gigantesca spada a due mani. Corse dalla
balaustra di babordo fino a quella di tribordo, il fianco assediato, fece leva
sul parapetto stesso e saltò verso la barca più vicina, atterrando con i piedi
sull’uomo più vicino alla prua e cominciando a mulinare lo spadone, spaccando
scudi, armature, crani e costole.
La nave, nel mentre, aveva preso a muoversi
impercettibilmente, grazie ad una leggera corrente poco lontana dalla costa, la
stessa che avevano sfruttato in quei giorni.
Castiel cominciò a girare il timone, facendo così virare la
nave e posizionandola al centro della corrente. In poco tempo distanziarono le
barche dei mercenari e si trovarono lontani abbastanza da poter spiegare le
vele.
Con l’ausilio delle vele superarono velocemente la città e
ancorarono la nave poco più a Sud. Dopodiché, Stephane, che, nel frattempo, era
risalito sulla Ithil, e Tuarwaithion presero una delle scialuppe e remarono fino
a terra, per andare a cercare Eglerion ed il resto della delegazione.
***
- Mardion, li abbiamo persi!-.
- Dannati siano i Valar!- imprecò l’uomo. Egli era alto,
aveva i capelli neri e la carnagione chiara. Sarebbe potuto sembrare attraente
se non fosse stato per lo sfregio che gli correva attraverso la parte destra del
viso. Portava una benda a coprire l’occhio destro, probabilmente reso inutile
dalla stessa lama che aveva causato la cicatrice. Era vestito di una semplice
tunica, che copriva però una cotta di maglia finemente lavorata.
Si rivolse al suo accolito.
- Prendi alcuni uomini e inseguili. La taglia sulla loro
testa è troppo grande perché noi possiamo permetterci di perderla-.
- Come faremo con gli elfi del luogo? Sicuramente si
saranno accorti che qualcosa è successo-.
- Oh, ma è ciò che voglio. In caso non abbiano sentito
nulla, darò loro un grande aiuto-.
L’uomo di rango inferiore si voltò e chiamò a sé un paio di
altri. Insieme salirono su una delle barche rimaste e si misero a remare, verso
il punto in cui la Ithil era scomparsa.
Mardion si avvicinò ad un altro dei suoi sottoposti, che
reggeva una fiaccola. Prese la torcia dalla sua mano e mandò verso il bosco il
resto dei suoi. Poi cominciò ad appiccare fuoco alle navi ed alle barche
rimaste, una ad una.
***
L’acre odore di fumo colpì le narici di Revion. Fuoco. Si
chiese come mai nessuno avesse ancora suonato le campane dell’allarme. Si alzò
dalla sedia, prendendo la lancia, ed uscì sulla cinta muraria. Era di guardia
alle porte del secondo cerchio. Da là riusciva a vedere con chiarezza l’Anduin,
ma solo uno scorcio del porto. Corse lungo il muro, diretto verso la torre più a
Nord rispetto a quella dov’era lui. Le due sentinelle giacevano in terra,
sgozzate. Chi poteva essere stato?
Guardò fuori della finestra e davanti ai suoi occhi si
presentò la causa del fumo: il porto era totalmente immerso nelle fiamme. Salì
al piano superiore della torre ed incendiò il segnale. In pochi secondi anche
dalla torre gemella a quella dove stava, si accese un lume. Presto tutte le
torri con occupate avevano i segnali accesi. Presto udì anche le campane
suonare, in lontananza. Non ci pensò due volte. Scese ed uscì dalla torre,
correndo su per la strada, diretto al Caw.
Arrivò il più veloce possibile, entrò nella reggia senza
dire una parola alle due guardie fuori delle porte ed irruppe dentro la stanza
del banchetto, trovandosi davanti la Regina insieme a due dei conciliati, due
Sindar dall’aria nobile e tre sconosciuti. Uno di loro emanava un’aura di
regalità che non aveva mai sentito in nessuno di coloro che aveva conosciuto, se
non in Re Alyan. Doveva sicuramente far parte dei Noldor che erano arrivati la
sera prima in città.
Revion s’inginocchiò e parlò: - Mia signora, al
porto!-.
La Regina lanciò un’occhiata ai Noldor e fece loro cenno di
seguirla.
***
- Fermi! Nessuno può entrare dopo il tramonto!-.
- Dobbiamo entrare, è una questione
importante!-.
- Mi dispiace, dovrete attendere domani mattina. Ora
abbiamo abbastanza problemi con l’incendio al porto per poter ascoltare due
forestieri-.
Tuarwaithion e Stephane si scambiarono due occhiate gravi.
Si trovavano fuori dei cancelli principali di Minas Duin. Le guardie non
volevano farli entrare.
- Fateci entrare e vi aiuteremo. Vi assicuro che non
tenteremo di scappare. Potete assegnare ad una guardia il compito di
sorvegliarci e lasciare le nostre armi a voi- disse Stephane.
Una delle due guardie rimase pensierosa un momento,
considerando la proposta dell’uomo.
- E sia. Ma sappiate che verrete uccisi, se tenterete la
fuga-.
- E sia-.
I cancelli si aprirono lentamente. I due entrarono,
trovando le due guardie ad attenderli. Le guardie puntarono le lance alle gole
dei due, intimando loro di lasciare ogni arma. Stephane estrasse la spada dal
fodero, che teneva sulla schiena, dandola ai soldati, per poi estrarre un
pugnale dallo stivale destro. Si era messo indosso un paio d’indumenti in più
durante il tragitto fino alla spiaggia.
- Conservatele con cura- disse. Tuarwaithion, nel mentre,
aveva estratto anch’egli la lama elfica dalla guaina e l’aveva messa in mano ad
una guardia, per poi consegnargli due coppie di pugnali da lancio.
Le due guardie rimasero esterrefatte, vedendo la fattura
elfica di tali armi.
- Ma…-.
- Sì, sono strumenti molto buoni. Ora per favore,
consegnateci a qualcuno e mandateci a quel dannato porto- disse Tuarwaithion,
che ancora non aveva capito perché Stephane fosse sceso a tale
compromesso.
Mentre stavano camminando verso il porto, sotto l’occhio
vigile di una delle due guardie, che disse di chiamarsi Sadron, glielo chiese,
parlando in uno stretto dialetto Rohirrim.
- Intendi dirmi che piani
hai?-.
- Nessuno. Ho solo pensato che se
la notizia raggiungerà la Regina, anche Eglerion lo saprà. E se Eglerion lo
saprà, di sicuro vorrà andare al porto, per due motivi-.
- Controllare le condizioni della
Ithil e…-.
- Mostrare ai Sindar, ed alla sua
bella, che tiene a questa città come fosse sotto il suo dominio. Sono sicuro
che, se lo troveremo là, si starà dando da fare per aiutare gli altri a spegnere
l’incendio-.
- Capisco- disse il cuoco, soddisfatto dalle spiegazioni
del rosso.
Sadron li guardò, sospettoso. Del discorso aveva capito che
tale Eglerion doveva far qualcosa con la Luna e con i Sindar. Si ripromise
d’imparare al più presto anche il Rohirric.
***
Eglerion ed Alastegiel furono i primi ad uscire dalla
reggia. Il fumo colpì subito i loro polmoni, mentre le campane d’allarme
continuavano a suonare.
- Mia Signora, devo chiedervi il permesso di recarmi al
porto. La mia nave, insieme con i miei uomini, si trova là. Non mi potrei mai
perdonare che qualcuno di loro perisca mentre io sono qui- disse Eglerion,
rivolto alla Regina.
- Andiamo, verrò con voi-.
Lancaeriel, Gelirion, Daeron e Rhavanwen si accodarono ai
due sovrani, mentre Galadhwen e Megildur andavano a chiamare il resto del
concilio.
Velocemente il gruppo arrivò al porto, dove trovarono molti
elfi e uomini che tentavano di domare le fiamme.
Si stupirono quando notarono la mancanza della
Ithil.
- Eglerion!-.
Il Re si voltò, sentendo il suo nome. Si stupì non poco
quando vide Stephane e Tuarwaithion, entrambi sporchi di fuliggine, che
gesticolavano verso di lui.
Si avvicinò a loro, mentre gli altri si davano da fare per
dare una mano, compresa la Regina stessa.
- A dopo le spiegazioni- disse concisamente
Eglerion.
I tre ripresero a lavorare con foga.
Quando, finalmente, riuscirono a domare l’incendio, il Re
si avvicinò ai due uomini, che gli raccontarono dell’attacco alla Ithil e della
fuga.
- Non avete la più pallida idea di chi potessero essere?-
domandò Eglerion, quando essi ebbero finito di parlare.
- Di certo non elfi, altrimenti non penso saremmo qui per
raccontarlo. Probabilmente si trattava di mercenari. Avremmo dovuto catturarne
uno o due per interrogarli-.
- Avreste…- fece loro eco una voce alle loro
spalle.
Il gruppo si voltò, cercando la provenienza della voce.
Apparteneva ad uno sconosciuto, che al momento era appoggiato ad una delle
bitte. L’uomo era alto ed aveva uno sfregio lungo la guancia destra, che si
prolungava sopra e sotto l’occhio, coperto da una benda.
- Mi permettiate, mia signora. Io ho assistito a ciò che è
successo qui, stanotte-.
- Come ti chiami, mortale?- chiese Alastegiel.
- Il mio nome è Mardion. Vi potete fidare di me, mia
Regina, a differenza di quanto fate con questi stranieri- disse egli. I due
Noldor e i tre uomini lo guardarono male. Daeron e Rhavanwen fissarono l’uomo e
poi parlarono.
- Come puoi dire queste cose?- disse Rhavanwen.
- Eglerion e i suoi compagni sono persone affidabili-
rincarò la dose Daeron, nascondendo il titolo di Eglerion.
- Allora ditemi, come mai, di tutte le navi, solo la loro è
fuggita?-.
- Siamo stati attaccati, la cosa più logica da fare era
fuggire!- esclamò Tuarwaithion.
- Silenzio! Seguitemi, dobbiamo parlare in
privato-.
Il gruppo si avviò verso i cancelli del porto, quando una
voce li chiamò.
- Fermatevi!-.
Si voltarono e videro chi aveva parlato.
La creatura era alta sì e no quattro piedi e mezzo. Aveva
una lunga barba castana, che gli copriva la maggior parte del petto e in cui
erano intrecciati dei pendagli di legno. Indossava un lungo tabarro color
sabbia, sotto il quale stava una cotta di maglia, e sul capo era posato un elmo
metallico. Al suo fianco pendeva un’ascia, mentre in spalla portava uno zaino
dall’aria pesante.
Stavano guardando un nano.
Egli si avvicinò al gruppo, si fermò di fronte Alastegiel
ed abbozzò un inchino.
- Somma Regina, vi prego di ascoltare anche le mie parole,
prima di giudicare la faccenda- disse.
Alastegiel rimase interdetta. Un nano era l’ultima cosa che
si aspettava di vedere, quella sera. Manca solo che si
presenti Morgoth, insieme al redivivo Finrod Felagund e ad Elu Thingol, si
disse la Regina.
- Ditemi, messer nano, il vostro nome e il motivo della
vostra presenza, poi deciderò se ascoltarvi o meno-.
- Il mio nome è Burin, figlio Bornin. Mi trovo in queste
belle lande per via del mio mestiere: sono un commerciante. Ero imbarcato su una
delle navi Rohirrim che sono bruciate. Siamo arrivati questo pomeriggio e i
proprietari hanno deciso di scendere a terra, per vedere com’era la situazione
in città e passare ad una locanda. Io ho declinato il loro invito poiché avevo
alzato un po’ troppo il gomito già ieri sera e non volevo bissare l’esperienza
questa notte-.
- Io direi che è stato abbastanza esauriente, Somma Thalien- disse Eglerion.
- Sono d’accordo. Potete seguirci, mastro
Burin-.
Giunsero finalmente dentro la città e seguirono la Regina
fino ad una casa nel primo cerchio.
- Questa fu una delle prime case di Minas Duin. Vi prego di
portar rispetto e di far attenzione-.
Si sederono intorno ad una lunga tavolata, come avevano
fatto poche ore prima al banchetto ed attesero che Alastegiel prendesse parola.
Guardò per primi Tuarwaithion e Stephane.
- Voi due affermate che la vostra nave sia stata attaccata
da una banda di mercenari, se non sbaglio-.
Essi confermarono.
- E voi, mastro Burin, confermate la loro
versione-.
- Sì, mia signora-.
Ella si voltò, guardando Mardion.
- Quale sarebbe, invece, la vostra versione dei fatti?-
domandò.
- Mi trovavo su una delle navi andate distrutte, come il
nostro amico nano…-.
- Non chiamarmi “amico”- disse Burin, acido. Mardion lo
ignorò.
- Sono stato svegliato dall’odore del fumo. Sono uscito a
vedere che cosa stessa succedendo ed ho visto la loro nave dirigersi fuori del
porto, mentre degli arcieri sopra di essa scoccavano frecce incendiarie sulle
altre imbarcazioni-.
- Questa è una calunnia!- esclamò Stephane, facendo
sussultare gli altri. Solitamente era una delle persone più calme, quando si
trattava di discutere.
- Tentiamo di guardare alla cosa con logica. Secondo voi,
se noi siamo fuggiti, perché Stephane ed io saremmo tornati in città, litigando
con le sentinelle, ed avremmo aiutato a spegnere l’incendio al porto?- domandò
Tuarwaithion.
- Molto semplice: per aiutare i vostri amici ancora in
città- rispose Mardion.
- Queste sono…- cominciò il nano.
- Silenzio. Io non posso sapere chi di voi sta dicendo il
vero. Che il concilio decida la vostra sorte. Nessuno di noi si muoverà da
questa stanza fino a domani mattina, eccetto Rhavanwen, che ora andrà ad
informare Megildur e Galadhwen. Dopodiché tornerà qui. Sono stata
chiara?-.
In risposta ricevette un mormorio d’assenso.
Rhavanwen si alzò, si diresse verso la porta ed uscì dalla
casa, mentre gli altri rimasero seduti.
Lancaeriel continuava a spostare lo sguardo dal nano a
Mardion. Del secondo, ovviamente, non si fidava, ma si chiedeva quale fosse il
proposito di Burin.
Eglerion, dal canto suo, era felice di aver trovato un
nuovo alleato. A Morgoth le divergenze razziali, era sicuro che quel nano non
potesse avere cattive intenzioni. O, almeno, non nei suoi confronti. Si sorrise,
pensando che avrebbe potuto sfidarlo in una gara in osteria, una volta discussa
la loro situazione.
Alastegiel si rilassò sulla sedia. Sarebbe finita bene, ne
era sicura. Nonostante tutto, era la parola di un uomo contro quella di un
intero equipaggio e di un testimone imparziale. Il concilio sarebbe stato dalla
sua parte, non c’erano capri espiatori.
Stephane, seduto il più lontano possibile da Mardion,
continuava a lanciargli occhiatacce. Quell’uomo aveva tentato di ucciderli
tutti, quindi lo riempiva d’ira non poter agire avendolo a pochi metri di
distanza. Non sarebbe servita nessun’arma. Gli sarebbe bastato un colpo ben
assestato, tra capo e collo, e Mardion non avrebbe più potuto calunniare
nessuno.
- Man mathach?- gli chiese
Gelirion, vedendolo turbato.
- Rachol-. Imprecante. Gelirion rise, mentre Alastegiel li
guardava, incuriosita. Non si aspettava che due uomini dell’equipaggio
parlassero Sindarin.
Daeron osservò i due. La risata di Gelirion gli pareva
fuori luogo, ma evitò di fare commenti. Doveva ancora fare i conti con sua
sorella.
Egli era rimasto letteralmente senza parole, sentendola
contraddire Megildur. C’era solo da sperare che il politico non se la fosse
presa troppo.
Dopo quelle che parvero ore, sentirono bussare alla porta.
Rhavanwen rientrò nella stanza, seguita dai due conciliati.
Essi si scambiarono uno sguardo, vedendo Mardion ed il
nano, poi Megildur parlò.
- Abbiamo informato il concilio della situazione.
Nonostante la maggior parte dia la colpa agli stessi Noldor, siamo riusciti a
convincerli ad ascoltare le loro testimonianze. È stata indetta una seduta per
domattina, durante la quale potrà prendere parola chiunque ha
assistito-.
- Vi ringrazio. Siete liberi di andare- disse la
Regina.
I due si scambiarono un’altra occhiata.
- Se permettete, preferiremmo restare- disse la
mora.
- Come volete- disse Alastegiel, abbozzando un
sorriso.
In quel momento, i tre uomini e il Capitano s’alzarono,
lasciando il posto libero ad uno dei due elfi. Galadhwen si sedé al posto di
Tuarwaithion, mentre Megildur rimase in piedi, al fianco di
Galadhwen.
Son tutti molto galanti, su quella nave, si disse Rhavanwen, che aveva avuto occasione di notare la
gentilezza degli uomini dell’equipaggio nei confronti dei membri femminili anche
a bordo.
Tuarwaithion osservò il conciliato. Sentiva una tacita
ostilità da parte di quell’elfo, nei confronti di Eglerion e del resto
dell’equipaggio, che si mostrava nelle azioni. Infatti, gli era stato raccontato
dal fratello e dai due Noldor della sua ostilità durante l’udienza. Anche i quel
momento, spostava lo sguardo freddo da Eglerion a Mardion. Probabilmente, non si
fidava di nessuno dei due. Decise di sorprenderlo.
- Non ci siamo ancora presentati- disse, guardando
Megildur.
Si fece avanti e tese la mano.
- Sono Tuarwaithion, cuoco di bordo della Ithil, onorato di
conoscervi-.
Megildur rimase interdetto. Non si aspettava una tale
azione.
- Piacere di incontrarvi. Io sono Megildur, faccio parte
del concilio dell’Ithilien- disse, stringendo la mano al cuoco.
- Direi che delle presentazioni sarebbero di rito-
interloquì la Regina.
- Mi scuso per la scortesia. Io sono Alastegiel, Regina
dell’Ithilien- disse, rivolta ai due uomini della Ithil che aveva appena
conosciuto.
- L’avevamo intuito- disse Stephane, sorridendole. Poi
passò a presentare sé stesso.
- Io sono Stephane, faccio parte della guarnigione della
Ithil. Onorato di esser tra voi, nobili signori- disse, riferendosi anche ai
conciliati ed ai Glirdir.
Galadhwen prese parola a sua volta.
- Per coloro che non mi conoscono, io sono Galadhwen. Come
Megildur, faccio parte del concilio dell’Ithilien-.
Il gruppo mosse lo sguardo verso Daeron, che
sorrise.
- Manco solo io, a quanto pare. Sono Daeron, fratello della
qui presente Rhavanwen. Ci siamo già conosciuti, se rimembrate- aggiunse,
rivolto al cuoco.
- Vero, ora ricordo. Mi avete aiutato durante
l’attracco-.
La conversazione cadde nuovamente nel silenzio.
***
- Rapporto danni?-.
- Allora, tre buchi sulle vele, due feriti e un remo perso.
Direi che ce la siamo cavata egregiamente-.
Castiel sospirò. Per via degli ordini di Eglerion,
Meldarion non poteva avere il comando, per cui i due uomini avevano lasciato a
lei le redini.
- Bene. Ora non ci resta che attendere gli altri-
disse.
Si rilassò un momento, sedendosi sul ponte del castello di
poppa.
- Meldarion-.
- Dimmi?-.
- Era questo ciò che avevi visto?-.
- No. Avevo visto solo l’attacco. Tutta la nostra fuga non
c’era-.
- Bene. Ti devo ringraziare sentitamente. Se non fosse
stato per te, al momento potremmo essere stati morti, se non peggio-.
- Non sei tu quella che deve ringraziarmi e nemmeno
l’’equipaggio- rispose Meldarion, con voce grave.
- Lo so bene, Meldarion. Ma ora possiamo solo attendere che
tornino Stephane e Tuarwaithion- rispose la fanciulla.
Ella sospirò. Si sdraiò sul ponte, fissando le stelle,
mormorando un canto rivolto ad Elbereth. Meldarion le si sdraiò
accanto.
- Eglerion capirà, ne sono sicura. E so che ti ringrazierà-
disse ella.
***
Finalmente, l’eterna danza del giorno e della notte compì
un altro giro, mentre Anor, il sole, sorgeva in lontananza.
Del gruppo di persone dentro la casa, poche s’erano
concesse il lusso di riposare.
Stephane era crollato verso la quarta ora dopo la
mezzanotte, tra uno sbadiglio e l’altro. S’era quindi accasciato in un angolo,
poco lontano da Gelirion.
Tuarwaithion e Mardion sembravano decisi a vincere una gara
di resistenza, mentre Eglerion aveva trovato un compagno di conversazione in
Burin.
Dopo averlo ringraziato, s’erano trovati a parlare di un
po’ di tutto. Cominciarono con Manwetol, di cui il nano aveva visitato Gimli un
paio di volte. Dopodiché, Burin narrò ad Eglerion dell’attuale Erebor, dove egli
abitava. La montagna aveva resistito alla furia dei Valar, ma molte delle sale
più profonde erano ora sommerse. Lo stesso si poteva dire della ridente città di
Dale.
Nel mentre, gli altri elfi avevano deciso di meditare.
Tranne Galadhwen, che rimase anch’ella seduta in un angolo, armeggiando con
delle foglie. Ogni tanto Eglerion le lanciava uno sguardo, per poi ritornare
velocemente a parlare con Burin, che non dava segni di stanchezza.
- Amrûn- mormorò Lancaeriel, stiracchiandosi ed alzandosi in
piedi. Fissò Eglerion per un momento, vedendolo ancora impegnato in una
conversazione con Burin sugli usi medicinali del Canad
Meril, un liquore ambrato proveniente dalla parte occidentale di
Rohan.
Scosse la testa, capendo che quell’irresponsabile del
capitano non aveva chiuso occhio, e gli si avvicinò.
- Buongiorno, Faengwend- le
disse Eglerion, vedendola.
- Mah… non mi pare d’essere raggiante- rispose ella,
riferendosi al soprannome.
- Ma certo che lo sei, fidati- asserì Gelirion, da dietro
di lei, iniziando ad alzarsi. Lancaeriel non poté far altro che
sorridere.
Nelle ore che seguirono, anche il resto del gruppo
cominciava a svegliarsi o ad uscire dalla meditazione.
Tuarwaithion sbadigliò. Nessuno dei due aveva ceduto, ma il
sonno perso si faceva sentire. Doveva anche recuperare le sue armi.
Quando tutti furono in piedi, Mardion puntò il suo occhio
nero sulla Regina, attendendo informazioni. Alastegiel parlò al
gruppo.
- Adesso ci dirigeremo al palazzo conciliare. M’aspetto la
collaborazione da parte di tutti voi- disse, passando gli occhi sui Noldor, i
quattro uomini e Burin. Essi annuirono, silenti.
- Se qualcuno ha bisogno di darsi una sistemata, c’è una
stanza da bagno, dietro quella porta- aggiunse, indicando una porta in fondo
alla sala.
- Tra non molto andremo. Il concilio si ritrova due ore
dopo l’alba. È tutto-.
***
- Nessuna notizia-.
Zoe sospirò, mentre Castiel distoglieva gli occhi dalla
riva, voltandosi verso l’amica.
- Stanno bene, fidati- le disse. Zoe non parve troppo
rassicurata.
- Lo spero. Ma vorrei poterne essere sicura- rispose
l’umana.
Castiel la guardò e si sentì veramente vecchia. Nonostante
fosse molto giovane, per i criteri elfici -aveva meno di due secoli-, vedere
l’apprensione di Zoe, appena ventenne, le aveva fatto sentire il peso della
responsabilità.
Mise una mano sulla spalla della ragazza e la rassicurò
nuovamente. Zoe si rasserenò, almeno un poco.
Dopodiché, si voltò e guardò Castiel.
- Vuoi che ti dia il cambio? Non riposi da ieri- disse.
Nonostante neanche Zoe stessa avesse dormito bene, nelle ultime due notti, aveva
notato la stanchezza presente nell’animo dell’elfa.
Castiel accettò l’offerta, piena di gratitudine, e si
diresse verso i suoi quartieri.
Zoe si appoggiò alla balaustra di babordo, quella che era
stata soggetta all’attacco, e volse il suo sguardo verso il bastione elfico,
sperando di scorgere segnali da parte del gruppo sceso sulla
terraferma.
Sentì dei passi dietro di sé.
Si voltò appena in tempo per vedere Meldarion crollare sul
ponte, a pochi pollici da lei.
***
- Suilaid, Alastegiel Thalien
Rîs-.
- Suilannon- rispose la Regina al coro dei conciliati,
entrando nella sala.
Si trovavano nella
Sala del Concilio di Minas Duin, uno dei cuori politici
dell’Ithilien.
Burin osservò la
stanza con occhi sgranati. Riconosceva il lavoro della sua stirpe, ma non aveva
mai visto un lavoro di tale cura. Ed era sicuro che gli artefici non
provenissero da Erebor.
La sala era
perfettamente circolare, scolpita, sembrava, in uno sperone di roccia viva,
attorno al quale era sorto il palazzo. Duecento seggi erano scolpiti, lungo le
pareti della stanza, mentre al centro della stessa stavano due tavolate, poste
una di fronte all’altra.
Eglerion scorse
velocemente i conciliati. Vide Galadhwen prendere posto vicino ad un elfo
dall’aria nobile, mentre Megildur si sedé dall’altra parte della stanza, di
fronte alla mora, insieme con un altro paio d’elfi dai capelli tagliati
corti.
Alastegiel si sedé
dietro di una delle due tavolate, invitando il gruppo a sistemarsi dietro al
tavolo di fronte.
E così,
cominciò.
- Si apra la
riunione straordinaria del concilio, indetta per richiesta dei conciliati
Megildur e Galadhwen- disse un elfo, seduto dietro alla
Regina.
L’elfo si schiarì
la voce e cominciò a leggere da una pergamena.
- In seguito agli
accadimenti della notte passata, durante i quali il porto e la maggior parte
delle navi dentro di esso ospitate sono arsi, siamo ivi ora per definire la
sorte dei qui presenti Noldor e abitanti di Manwetol, proprietari dell’unica
nave riuscita a salvarsi e, per questo motivo, sospettati d’essere
colpevoli-.
Eglerion roteò gli
occhi. Ora capiva perché Rhavanwen l’aveva messo in guardia di fronte alla
politica del luogo: i conciliati potevano essere di un pomposo mai
visto.
- La parola viene
lasciata al nobile Maeglad, che esporrà l’accusa-.
Un elfo dai
capelli corvini e corti, di quelli seduti accanto a Megildur, s’alzò dal suo
seggio e camminò in mezzo ai due tavoli.
Cominciò a
parlare, mantenendo però un tono meno pomposo e notarile dell’elfo che aveva
parlato precedentemente. Stava dando fondo a tutto il suo carisma, soppesando
ogni frase detta e dando il tempo al resto dei conciliati di pensare a ciò che
aveva appena detto. Nel mentre, camminava tra le due tavolate, ogni tanto
guardando uno degli accusati negli occhi, ma mai per più di qualche secondo.
Sembrava quasi una danza. Una danza che Maeglad conosceva molto bene, dovuta ad
anni d’esperienza. Ogni tanto si fermava, per fare qualche domanda a Mardion o a
Burin, ma estrapolando dalle risposte solo ciò che poteva essergli utile. Fece
molta attenzione a non rivolgere la parola a nessuno dell’equipaggio. Nonostante
nessuno gliel’avesse detto, probabilmente sentiva che entrambi i Noldor, insieme
a Gelirion, potevano riuscire a stargli alla pari, se non batterlo,
dialetticamente.
Quando egli
terminò la sua filippica, circa un’ora dopo, la Regina decise di dare a tutti
qualche minuto di pausa.
- Amica mia, siamo
finiti- disse Eglerion, guardando Lancaeriel negli occhi. Sorrise,
mestamente.
- Questo dipende
anche da chi ci difenderà. Penso uno dei conciliati, se non noi stessi- disse
ella decisa.
Quando la Regina
dichiarò la pausa conclusa, i membri dell’equipaggio si
guardarono.
L’elfo pomposo si
rialzò e, schiarendosi nuovamente la gola in quel modo che sia Eglerion che
Stephane oramai odiavano, riprese in mano la pergamena.
- In difesa degli
accusati-cominciò, - ha insistito per prendere la parola Lady
Galadhwen-.
L’elfa dalla
chioma corvina si eresse in tutti i suoi cinque-punto-cinque piedi d’altezza e
cominciò anch’ella a danzare. Eglerion notò che ciò che a Galadhwen mancava, per
ciò che riguardava il carisma, veniva coperto dalla sua passionalità
nell’eloquio.
Chiese a Burin di
ripetere ciò che aveva narrato agli altri la sera prima, gettando le fondamenta
della difesa in tal modo, e chiamando a testimoniare vari elfi che avevano visto
i Noldor e gli uomini aiutare a domare le fiamme, giù al
porto.
- Per ultimo,
intendo chiamare a testimoniare Sadron, figlio di Aranhil, guardia del primo
cerchio-.
Stephane e
Tuarwaithion non poterono fare a meno di rasserenarsi, quando videro entrare
Sadron, lo stesso Sadron che li aveva accompagnati al porto, la sera
prima.
Egli entrò,
s’inchinò, come di rito, di fronte alla Regina e poi fronteggiò la
sala.
- Sadron, figlio
di Aranhil, siete stato chiamato in difesa dei Noldor e degli uomini provenienti
da Manwetol, presenti in questa stanza. Ne conoscete alcuni- cominciò la
Sindar.
Sadron annuì e
disse di aver conosciuto Tuarwaithion e Stephane, la sera prima. Narrò per filo
e per segno che cosa era accaduto, di come i due uomini avevano acconsentito a
lasciare le armi e di come si erano impegnati per aiutare gli abitanti di Minas
Duin nel domare le fiamme.
Come prova di
tutto ciò estrasse da sotto la tunica un pugnale di evidente fattura
elfica.
- Quest’arma-
disse Galadhwen, dopo essersi fatta dare la lama dall’elfo, - appartiene al qui
presente Tuarwaithion. La riconoscete?-.
Il moro allungò la
mano e si fece dare il pugnale. Lo rigirò tra le mani e lo soppesò per qualche
secondo, finché non trovò ciò che cercava.
- Vi prego di
notare, mia signora, come qui siano presenti delle rune incise. Esse sono le
iniziali di mio fratello Gelirion, di mia madre e di Iris, figlia di Alassë, la
fanciulla che io ho amato e che, purtroppo, perì di febbre, cinque anni fa.
Chiunque sappia leggere le rune Angerthas potrebbe comprenderlo. In più, mio
fratello Gelirion- indicò il fratello con un gesto, - può confermarlo
anch’egli-.
- Come potete
vedere da tale prova, le parole di Sadron sono state
veritiere-.
Galadhwen continuò
la sua danza, mettendo sempre più passionalità nelle sue parole, riuscendo a
muovere gli animi. Improvvisamente, però, scattò, quasi come un
serpente.
- Messer Mardion.
Secondo le testimonianze, voi siete apparso sulla scena del porto durante
l’incendio, dicendo di essere un passeggero di una delle navi. Eppure, nessuno
dei capitani sembra aver riconosciuto la sua descrizione. E, come i presenti
possono notare, non penso che la sua sia una sembianza facilmente
obliata-.
Mardion non
rispose alla provocazione, ma restò silente, aspettando che Galadhwen
finisse.
- Potreste dirmi
qual'è la vostra opinione sul motivo del ritorno dei due uomini dell’equipaggio
nella città che, secondo voi, avevano appena attaccato?-.
Egli non rispose
neanche questa volta.
La Regina
Alastegiel intervenne per la prima volta.
- Non avete nulla
da dire? Eppure a me è parso che voi avevate una vostra teoria, ieri notte-
disse, per poi ripetere le parole di Mardion.
Egli non sembrò
reagire neppure in questo momento, seppure a Lancaeriel parve di scorgere un
brillio rossastro passare attraverso l’occhio di Mardion, per una frazione di
secondo.
- Se non c’è altro
da aggiungere, io passerei ai voti, Lady Galadhwen- disse la Regina. La mora
annuì una volta e poi si voltò verso il concilio.
- La mia opinione,
dopo aver esaminato i fatti, è che i rappresentanti di Manwetol siano innocenti
e che per questo debbano essere assolti- disse. Dopodiché, prese posto su un
seggio, alla destra della Regina.
Simultaneamente,
Maeglad si sedé alla sinistra di lei. Il resto del concilio si alzò in piedi,
dirigendosi o a destra, accanto all’elfa, o a sinistra.
Il sorriso di
Lancaeriel s’allargò sempre di più, quando vide che i seggi alla destra di
Alastegiel si riempivano con una velocità di molto maggiore rispetto a quelli
alla sua sinistra. Eglerion, dal canto suo, fu sorpreso nel vedere Megildur
alzarsi e sedersi anch’egli alla destra di Galadhwen.
Quando tutti i
conciliati ebbero preso posto, Alastegiel lanciò uno sguardo da entrambe le
parti.
Sorrise, quando
vide che alla sua destra erano sedute venticinque persone in più di quelle dalla
parte di Maeglad.
- Il concilio ha
deciso. La delegazione di Manwetol non è colpevole di aver appiccato l’incendio
al porto-.
Ed ecco,
finalmente, anche il VI capitolo.
Come potete
vedere, la storia si fa più intricata e il cast si sta ampliando sempre di più.
E, per colpa del sottoscritto che non può farne a meno, continuerà ad ampliarsi
man mano che la vicenda si svilupperà.
Chi è Mardion?
Perché ha tentato in tutti i modi di far finire male i nostri protagonisti? Come
mai Megildur ha votato per la loro innocenza? E, soprattutto, che cos'ha
Meldarion? Che cosa vedrà questa volta?
Passando ai
ringraziamenti, grazie mille a Silvì, per la tua recensione, e grazie a tutti
coloro che hanno solo letto, sperando gli sia piaciuta e sperando che la
prossima volta recensiscano: fa sempre piacere.
p.s.
Eglerion si trova
sul castello di poppa della Ithil.
Non si ricorda
come ci è arrivato. Accanto a lui è steso Meldarion.
Entrambi hanno un
sorriso che và da un orecchio all'altro. I due elfi si fissano per qualche
secondo negli occhi, per poi scoppiare a ridere.
-Mldrion- riesce a
biascicare il biondo.
- Eh?- risponde
l'altro. Sghignazzando senza motivo apparente.
-
Cshaifttocaplli?-. Meldarion non comprende una parola, ma, in compenso, ride
ancora. Eglerion si unisce a lui.
- Che cosa hai
fatto ai capelli- riesce a domandargli, dopo aver
preso fiato qualche minuto.
- Cosa hai fatto
tu, ai tuoi- risponde l'altro. Eglerion si prende una ciocca, allarmato,
trovandosi in mano una treccina.
*Espressione di
Eglerion: O_o - WTF?-* (perdonatemi, ma non ho potuto resistere =)
NdChaos).
Meldarion scoppia
a ridere di nuovo. Ormai ha le lacrime agli occhi. Eglerion lo guarda meglio e
ripete la domanda.
- Io non ho fatto
nulla ai miei capelli, vedi?- risponde egli. A sostenere la sua tesi, si passa
una mano nella chioma.
L'espressione di
beato divertimento svanisce pian piano, lasciando il posto ad un'espressione
d'orrore. La sua fluente chioma scura è sparita. Ciò che sente con la mano sono
ciocche rasta. Eglerion scoppia a ridere nuovamente. Anche se non ci trova nulla
di divertente.
I due si fissano,
stavolta seri.
- Chi può essere
stato?- domanda Eglerion.
- Non ne ho idea.
Non ricordo nemmeno come sono arrivato qui!-.
I due sforzano le
meningi, cercando di ricordare che cosa avessero fatto quella
sera.
*La serata di Eglerion* (Mr Sandman di sottofondo)
(Immagini in bianco e nero partono nella mente di Eglerion,
come un film muto).
"Vado a farmi un
goccetto, con Meldarion".
(L'espressione di Lancaeriel non è per niente
felice).
"Versa qui, versa
qui..."
(Eglerion e Meldarion sono sul tavolo della bettola, con il
braccio l'uno intorno alla spalla dell'altro, cantando).
Nero.
Nero.
Nero.
(Eglerion e Meldarion vengono gettati fuori della bettola
da un oste con la faccia poco allegra, atterrando in mezzo alla strada
fangosa).
Nero.
Nero.
Nero.
(Eglerion si sveglia, trovandosi accanto a Meldarion che ha
già quella ridicola pettinatura).
(Fine di Mr. Sandman)
La serata di
Meldarion assomiglia a quella di Eglerion. L'unica differenza è una scena
dell'oste che li rincorre brandendo la scopa attraverso il
locale.
- Io non ne ho la
più pallida idea- ripete.
Nel mentre, sul
castello di prua, due elfe ed un uomo dai lunghi capelli rossi stanno ridendo
anch'essi come dei folli, passandosi una sigaretta artigianale. Che
probabilmente non contiene tabacco.
- Fargli fumare la
Falchonlass è stata la più grande idea che potesse
venirti- dice Stephane, guardando Castiel. Ella aspira un tiro della canna e la
passa all'elfa alla sua destra.
- Ma senza l'aiuto
della nostra conciliata non saremmo mai riusciti a trovarli e portarli fin qui-
asserisce Castiel, ridacchiando.
Galadhwen lancia
uno sguardo al castello di poppa.
- Modestamente,
siamo tre menti diaboliche- dice, sorridendo.
Passa la cicca a
Stephane, mentre tutti e tre cominciano a sghignazzare ancora una
volta.
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Capitolo 7 *** Cap VII Decisioni Lungimiranti ***
VII Age VII
Cap VII Decisioni Lungimiranti
- TALIA! Talia, svegliati!-. La ragazza prese sua sorella per le spalle
e la scosse, tentando di farla rinvenire. Talia ebbe una convulsione ed aprì gli
occhi verdi. - Hestia, non preoccuparti- disse alla sorella, con voce
tranquilla. Gli occhi cerulei di Hestia osservarono Talia. Non sembrava essere
troppo convinta. - Che cosa è successo?- domandò. - Nulla di che. Gli
eventi prenderanno una piega inconsueta, però- rispose l’altra. Talia si mise
a sedere su una sedia poco lontana. Le due ragazze si trovavano in una casa
formata da due stanze. In quella dove erano adesso c’era un tavolo, qualche
sedia ed il camino. Contro di uno dei muri esterni c’era una cassapanca, sopra
della quale stava un’ampia finestra. Alle spalle di Hestia c’era la porta
(ancora aperta), mentre alla loro destra vi era la camera dove stavano i loro
letti. Hestia si abbassò al livello della sorella, per poterla guardare negli
occhi, come se stesse cercando qualcosa. Entrambe le fanciulle dimostravano
circa venticinque o ventiquattro anni ed entrambe avevano i capelli di un rosso
fiamma molto intenso. Ma, mentre quelli di Hestia erano lisci, quelli di Talia
le coronavano la testa con una massa di ricci. Hestia si erse di nuovo in
tutti suoi cinque-punto-sette piedi e si diresse verso la porta. Si chinò a
raccogliere la lancia e l’arco, che aveva lasciato cadere in terra quando aveva
visto Talia in preda agli spasmi, insieme alla coppia di conigli che aveva
cacciato. - Sei in grado di cucinare? Pensavo di farmi un bagno, questo
dannato mi ha fatto sprecare mezza dozzina di frecce e m’ha costretta a
corrergli dietro per un miglio- disse, alzando uno dei due conigli. -
Ammettilo che ti sei divertita. Lo fai apposta a lasciar loro una minima
possibilità di fuga- disse Talia, sorridendo. - Perché negarsi un po’ di sano
divertimento? Se avessi avuto tempo, sarei andata a cercare un cinghiale, ma non
ne avevo voglia- rispose Hestia, abbozzando anch’ella un mezzo sorriso. Lasciò
armi e cena sul tavolo, si sfilò la tunica di cuoio che indossava e afferrò un
telo di lino ed uscì di nuovo. - Sempre in movimento- sospirò Talia. Prese
una pentola dalla cassapanca e seguì i passi della sorella, dirigendosi verso la
vicina sorgente.
***
- Tutto a posto?-. - Come sta?-. Meldarion aprì gli occhi. Era
ancora steso sul ponte della Ithil. Una coperta lo avvolgeva quasi del tutto ed
aveva un panno bagnato appoggiato sulla fronte. Sentiva un odore salubre intorno
a lui e comprese che qualcuno doveva avergli strofinato dell’Athelas sulla
fronte. Castiel era china su di lui, che gli teneva la mano sinistra. -
Amore, che cosa…?- cominciò a domandare. - Sei stato senza sensi per più di
due ore- disse lei. Aveva la voce rotta, probabilmente doveva essersi
preoccupata molto. Zoe era seduta alla sua destra. - Come ti senti?- domandò
quest’ultima. - Da schifo. Che aspetto ho?-. - Da schifo-. Nessuno dei tre
poté nascondere un sorriso. - Ho preparato un decotto di Athelas, se lo vuoi.
Castiel, dovresti prenderne un po’ anche tu, sei troppo stressata-. Entrambi
declinarono l’offerta, seppur con gentilezza. - Neanche se ve lo correggo un
po’?- domandò, mostrando una piccola chiave. - Dove diamine hai trovato
quella…- cominciò Castiel. - Eglerion sa che sarebbe stupido tenere solo una
copia. Ma ancora più stupido è stato nasconderla in cucina tra le altre, il
giorno prima che facessi un inventario- disse, sorridendo. S’alzò e si diresse nel castello di poppa,
per poi uscirne pochi minuti dopo, portando una bottiglia di
Miruvor
. Versò il cordiale in tre tazze (-Pensate che lasci
brindare solo voi? D’altronde, la chiave l’ho trovata io!-) e le passò ai due
elfi. Il trio bevve, mentre intorno a loro il resto dell’equipaggio passava a
salutare Meldarion, chiedendogli se andasse tutto bene, o a chiedere a Castiel
se c’erano informazioni o ordini da eseguire. - Che cosa hai visto tale da
farti restare svenuto per così tanto tempo?- chiese Zoe sottovoce, dopo che
ebbero finito. Gli altri due ammutolirono. - Tu come sai?- domandò Castiel.
Zoe arrossì. - L’altra notte ero insonne e non ho potuto fare a meno di udire
la vostra conversazione- disse, un po’ esitante. - Vi prometto che potete
fidarvi. Non ne ho parlato con nessuno- aggiunse dopo. Meldarion si aprì in
un sorriso. - Grazie. Ad ogni modo, era molto contorto. Ho visto molte
immagini di vari luoghi alternarsi. Ricordo un porto delle Falas, le dune
dell’Harad, un esercito di nani caricare la cavalleria Numenoreana, una tribù di
Haradrim combattere, Porto Malo e, soprattutto, una donna- disse, aspettandosi
uno sfogo di gelosia da parte di Castiel. Che non tardò ad arrivare. - Che
donna?- domandò l’elfa. - Non lo so. Non l’ho mai vista, se non in
quest’ultima visione. Emetteva un grande potere, comunque-. Castiel emise un
verso indistinto. - Tranquilla, non provo attrazione per le rosse ricce- le
disse, sorridendo.
***
- Ti dobbiamo i nostri più sentiti ringraziamenti- disse Eglerion. Si
trovavano nell’anticamera che portava alla sala del concilio. Essendo stati
assolti, avevano ricevuto il permesso di lasciare l’aula. Ma la seduta non era
ancora finita, la Regina aveva solo indetto altri dieci minuti di pausa. - Ho
solo fatto ciò che dovevo. Non pensavate che vi avrei lasciato alla mercé dei
Maethor- rispose Galadhwen, alle parole dei Noldor. - Maethor?- domandò
Lancaeriel. - “I guerrieri ”. Sono uno dei partiti politici. Proclamano la
guerra come unica risoluzione. La sventura è che sono anche molto influenti. Chi
per carisma- lanciò uno sguardo a Maeglad, - chi con altri mezzi-. - Ne
parleremo in un altro momento- interloquì Gelirion, notando alcune occhiate
piene d’astio che gli erano rivolte dagli elfi che avevano preso posto alla
sinistra della Regina. - Piuttosto mi chiedo come mai Megildur non si sia
schierato ancora una volta contro di noi-. - Semplicemente, perché non
n’aveva ragione. È un elfo ragionevole, dopotutto- rispose la conciliata. In
quel momento una campana suonò. - Devo tornare dentro. Spero di potervi
incontrare di nuovo- disse Galadhwen. - Lo speriamo
anche noi, nìn Hiril-
disse Eglerion, con un mezzo sorriso. Ella sorrise al gruppo e si diresse di
nuovo nella Sala del Concilio.
- Se volete, mia sorella potrà scortarvi fino a casa nostra. Io resterò qui
per ascoltare gli ulteriori sviluppi- disse Daeron, una volta che Galadhwen fu
sparita oltre la porta. I membri dell’equipaggio si voltarono verso
Rhavanwen. - Se non è
un peso per voi, Lady Glirdir …- cominciò Gelirion. -
Non lo è, anzi. Sarò felice di ospitarvi per pranzo, poiché è quasi il
meriggio-. Aveva detto ciò con voce calma, ma nei suoi occhi era sceso un velo
di tristezza. - Perché non ci accompagnate voi, messer Daeron?- disse
Lancaeriel, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più ammalianti. L’elfo ed i tre
uomini si scambiarono occhiate divertite. Conoscevano bene i modi di Lancaeriel,
quando doveva convincere qualcuno. Infatti, riconobbe Eglerion una volta, non
importava quanto eri ubriaco nella locanda dove lavorava Lancaeriel: finché il
tuo borsello era pieno, ella t’avrebbe convinto ad ordinare un’altra birra. -
D’altronde, né Stephane né io abbiamo avuto l’onore di desinare con voi-
continuò Tuarwaithion, con lo stesso tono lusinghiero. - Come volete- disse
l’elfo. Rhavanwen sorrise. - In tal caso, resterò qui e parlerò con i
conciliati quando essi usciranno, per scoprire che cosa hanno deciso-
disse. Fecero per avviarsi verso le porte, quando notarono Burin venirgli
incontro. - Salve, sire Eglerion. Volevo solo esprimere la mia gioia nel
vedervi tutti quanti assolti- disse. - Vi ringrazio, mastro Burin. Senza il
vostro intervento, non penso ce l’avremmo fatta-. - Piuttosto, vi devo
mettere in guardia verso Mardion. A quanto pare se n’è andato subito dopo la
sentenza, mormorando minacce. Vi siete fatti un nemico pericoloso-. - Per
caso lo conoscete?- interloquì Stephane. - No, per mia fortuna. Ma alcuni
della mia razza hanno avuto problemi con un “assassino con un occhio solo”,
tempo fa. Sospetto si tratti dell’uomo che abbiamo incontrato stanotte-. -
Dovremo guardarci le spalle, a quanto pare- asserì Eglerion. Il gruppo uscì
dal palazzo conciliare. - Ed ora? Dove andrete?- domandò Tuarwaithion al
nano. Il cuoco, infatti, aveva sviluppato presto una simpatia verso di lui. -
Non saprei. Potrei cercare il capitano della nave su cui ero imbarcato, ma penso
sarebbe inutile. La mia merce è bruciata, quindi mi sa che dovrò mettermi in
marcia verso Minas Falas, al più presto. Magari mi prenderò qualche giorno di
riposo, in una locanda, ma poi dovrò ritornare ad Erebor-. I due elfi e i
tre uomini si scambiarono un’occhiata. - Perché non vi unite a noi?- propose
Lancaeriel. - Non so se il Signor Daeron qui presente è d’accordo. Non vorrei
autoinvitarmi-. - Non intendevo a pranzo. A quello ci penserà Lord Daeron.
Intendevo sulla Ithil-. Il nano rimase silente per alcuni secondi,
ponderando l’offerta. - Non saprei. Vorrei sapere dove siete diretti,
prima-. - Direi che a questo punto è più facile se voi pranzate con noi. Così
che Eglerion e i suoi compagni potranno spiegarvi la situazione- disse Daeron,
comprendendo, ormai, di non poter negare l’offerta di fronte a Lady
Lancaeriel. Il nano accettò l’invito e
seguì il drappello d’elfi e uomini, verso la casa dei Glirdir
.
Il gruppo arrivò in pochi minuti e si sistemò nella sala da pranzo.
Rilien servì loro del vino, mentre attendevano il pranzo. Quando arrivò a
Burin, però, si fermò. Senza perdere la sua flemma, squadrò il nano. - Forse il nostro insolito
ospite preferisce un’altra bevanda- disse, calcando
sull’”insolito”. Nonostante i tempi in cui gli elfi ed i nani non potevano
sopportare la presenza reciproca nella stessa stanza erano finiti con l’Anello
Sovrano, restava un vago tono di canzonamento, da parte d’entrambe le
razze. Burin incassò con un sorriso la frecciata. - Il vino andrà
benissimo. Nonostante preferisca la birra, sto già usufruendo abbastanza della
vostra ospitalità- disse, alludendo alla pila di pesanti volumi che erano stati
posti sulla sua sedia per pareggiare l’altezza del tavolo con la sua. Rilien
versò il rosso nel calice del nano, che n’assaggiò un paio di sorsi. -
Decisamente buono- disse, pensoso. - Vi ringrazio, messer Burin- disse
Daeron. Il nano continuò a gustare il vino. - I miei complimenti. Tenere le
vigne vicino al confine di Rohan è stato un colpo da maestro. Infatti, siete
riusciti ad ottenere una perfetta miscela tra il gusto… campestre dei vini di
quelle zone, senza perdere il gusto forte che caratterizza i vini di queste
terre- asserì. La tavolata si voltò verso di lui. - Non vi facevo così
esperto, i miei complimenti, messere- disse Eglerion. Burin abbozzò un
inchino. In quel momento arrivarono le pietanze. I commensali mangiarono
l’ottimo arrosto di cervo, condito da erbe aromatiche tipiche della costa, con
gioia. - Mi sa tanto che torneremo sulla Ithil con più di un’oncia di troppo.
Senza offesa per la tua cucina, fratello, ma è da quando siamo scesi che
mangiamo pasti di proporzioni immani, confrontate alle razioni che abbiamo sulla
nave- disse Gelirion, a fine pranzo. Tuarwaithion sorrise. - Io,
piuttosto, vorrei parlare con il cuoco. Quel cervo aveva un che d’insolito,
desidererei chiedergli con che cosa è stato insaporito-. - Ogni cosa a tempo
debito- disse Eglerion. Si voltò verso Burin e gli espose la situazione.
***
- Ancora nessuna notizia?-. - No, signora, sono desolato- rispose l’elfo,
con un’espressione mesta. Castiel sospirò. Era già passato il meriggio e non
avevano ancora ricevuto notizie dalla terraferma. Ma era restia a mandare in
città un’altra ambasciata. N’avevano perse già due. Tornò nel castello di
poppa, diretta verso lo studio d’Eglerion. Magari quel posto l’avrebbe
tranquillizzata. - Castiel!-. Si voltò, sorpresa di trovarsi davanti Zoe.
Quella ragazza non dormiva da più di ventiquattr’ore, eppure continuava a
battere la nave palmo a palmo, in cerca d’eventuali danni non riferiti, a
scrutare la costa in cerca di segni di vita e a confortare gl’animi come meglio
poteva. - Dimmi, Zoe-. - Se vieni in cucina t’ho preparato qualcosa da
mangiare. Starai morendo di fame, poiché hai saltato a piè pari il pasto che ho
messo in tavola verso le nove- disse, quasi tutto d’un fiato. - Ho scelta?-
domandò retoricamente l’elfa. Zoe sorrise. Sconfitta, la comandante
improvvisata seguì la cuoca. Le due si sederono al piccolo tavolo nella
cucina, solitamente ingombro di pentole che né Tuarwaithion né Zoe volevano
lavare (e che alla fine lavava sempre lui), o di cibi in preparazione. Zoe
passò una scodella di zuppa a Castiel, prendendone una anche per sé. -
Nessuna novità?-. L’elfa scosse la testa. La ragazza annuì in silenzio,
prendendo una cucchiaiata della bevanda. - Spero che stiano tutti bene-
asserì poi Castiel. - Meldarion s’è ripreso?- chiese Zoe. L’elfa abbozzò
un sorriso. - Non appena è stato in grado d’alzarsi, ha preso e s’è
rintanato in camera a dormire. Ma non prima di scolarsi il resto del
Miruvor
-. Zoe
rise. - L’infame…-. Le due ragazze finirono di pasteggiare parlando del
più e del meno, evitando di pensare alla sera prima. - Ma, secondo te, la
ragazza vista da Meldarion chi poteva essere?- domandò la ragazza, verso la fine
del pasto. - Mah… chi può saperlo. Ha solo detto che emanava un grande
potere, era rossa ed era riccia-. - Un’elfa?-. -
Secondo me è una sua vecchia “amica
” e non vuole dirmelo- disse Castiel, sorridendo. - Chi può
saperlo, finché il nostro veggente dorme-. - Stavate parlando di me?- disse
una voce, dalla porta della cambusa. Entrambe si voltarono, vedendo Meldarion
entrare. - Sei tu quello che ha le premonizioni, dovresti saperlo- rispose la
sua metà. Egli s’avvicinò, si sedé e baciò Castiel. - Com’era il Miruvor ?-
domandò la ragazza, quando i due ebbero finito. - Dei migliori-. - E
adesso al capitano chi gliela spiega la mancanza di una bottiglia intera dalla
sua riserva?- chiese Castiel, con un altro sorriso. - Penso che avremo cose
più importanti di cui parlare, quando sarà qui. Ogni cosa a suo tempo- rispose
il moro, incupendosi.
***
Ma perché dovevo essere la primogenita
reale? Ma perché dovevo entrare in politica?!
Queste erano le domande che Alastegiel si stava ponendo in quel
momento. Aveva appena esposto la proposta dei Noldor al concilio, e per
questo era scoppiato il putiferio. Da una parte v’erano i Maethor , che
strepitavano riguardo ai problemi ai confini, le dicevano che avrebbe dovuto
mobilitare l’esercito, anziché ascoltare i primi venuti. Tra loro si faceva
riconoscere Maeglad, che continuava ad incolpare i Noldor dell’incendio,
nonostante ne fossero già stati scagionati. Dall’altra parte v’erano
gli appartenenti al Gwannen Moth
, il partito lealista. Spesso Galadhwen, l’esponente
più in vista di tale partito, aveva preso parola in difesa della proposta. -
È inutile litigare, mentre oltre i Valli gli uomini riuniscono i loro eserciti!-
proruppe Megildur, ad un certo punto. S’alzò in piedi e scese al centro della
platea. - Per quale motivo ci stiamo riducendo ad urlarci contro come
barbari? Perché non possiamo fermarci un momento e respirare?-. I conciliati
ammutolirono. Maeglad fece per parlare, ma Megildur lo bloccò. - So che
cosa stai per dire, amico mio. Che è inutile sprecare forze nella ricerca di una
terra inesistente- disse, spostando lo sguardo sulle persone dentro la sala. Si
fermò quando notò Rhavanwen che lo fissava, da un angolo della stessa. Un
sorrisetto gl’incurvò le labbra, aspettandosi che ella lo contraddisse di nuovo.
Ma la sentinella rimase in silenzio. - Resta da dire, però, che la richiesta
postaci dal capitano Eglerion non è troppo folle, considerando che il governo
Manwetol ha spedito l’ammiraglia della flotta in questa ricerca-. Maeglad sorrise a sua volta. Megildur continuò,
rivolgendosi direttamente ai Maethor
. - Per questo motivo, miei compagni, vi chiedo di cessare le
polemiche e dichiararvi favorevoli alla proposta dei Noldor. Dopotutto, si
tratta solo di tre persone-. L’elfo seduto al fianco di Galadhwen, lo stesso
notato da Eglerion al suo ingresso nella sala, s’alzò in piedi. Nonostante non
si potesse vedere, era uno degli elfi più anziani della sala. L’unica traccia
dell’età sul suo corpo erano i lunghi capelli argentei, che gli ricadevano sulle
spalle, mentre scrutava la sala con gli occhi grigi. Come Megildur, aveva un
mento molto pronunciato e la fronte alta. - Per quanto strano possa sembrare,
mi trovo d’accordo con Megildur- disse. Si voltò verso gli elfi seduti intorno a
lui. - Se non ci sono obiezioni, dichiarerei che anche noi, del Crepuscolo
Dipartito, siamo favorevoli a mandare un’ambasciata di tre persone con i Noldor,
alla ricerca di nuovi alleati- disse. I Gwannen Moth si scambiarono qualche
occhiata, per poi annuire. Le Regina prese di nuovo la parola. - Megildur,
Bellrauthien, mi devo congratulare con voi, per essere riusciti a far calmare
ciò che poteva degenerare in una lite degna d’una bettola. Ma resta comunque una
questione in sospeso: chi di voi è disposto a seguire i Noldor alla volta del
Mithlond?-. Galadhwen s’alzò. - Eglerion ha chiesto specificatamente
almeno un appartenente a questo Concilio. Io m’offro volontaria per imbarcarmi
sulla Ithil e seguire la delegazione di Manwetol verso Ovest-. I lealisti
esplosero in applausi, seguiti dal resto della sala. Persino Megildur batté le
mani un paio di volte, insieme agli altri Maethor. Quando l’ovazione
s’acquietò Alastegiel parlò ancora. - C’è nessun altro che vuole seguire
l’esempio di Galadhwen ed imbarcarsi?-. - Mia signora- esordì una voce, da un
angolo della sala. I presenti si voltarono, stupendosi di vedere
Rhavanwen. Indossava ancora l’abito con cui aveva cenato la sera prima, non
avendo avuto occasione di cambiarsi. I capelli erano sciolti e spettinati, ed
appariva alquanto stanca. Ma, nonostante l’apparenza, riusciva comunque a
mantenere un certo contegno. - Ditemi, Lady Glirdir -. - Se nessuno dei qui
presenti conciliati intende offrirsi, volevo comunicarvi che sono pronta ad
unirmi all’ambasciata. In quanto sentinella dell’esercito dell’Ithilien, potrei
adempiere il ruolo di guardia del corpo di Lady Galadhwen -seppur io non metta
in dubbio ch’ella sia sicuramente capace di difendersi- e, in quanto di nobile
famiglia, potrei aver una certa influenza nel convincere gli abitanti delle
Falas ad aiutarci-. I conciliati guardarono la ragazza seduta in disparte,
vicino alla porta, per poi applaudire anch’ella, con un entusiasmo pari a quello
per Galadhwen. Il silenzio calò di nuovo. - Nessun altro?- chiese la
Regina, dopo lunghi minuti. - In tal caso, ho deciso: andrò io stessa. Se c’è
da trattare con un’altra nazione, è giusto che vada io, in quanto
Regina-. L’intera platea era stupefatta. Nessuno s’immaginava tale azione da
Alastegiel stessa. - Somma Thalien … ne siete sicura?- domandò Bellrauthien,
stupito. - Sì. Più che sicura- rispose concisa. Dopo pochi silenziosi
secondi, si levò un applauso anche per la Regina. - Direi che anche
quest’argomento dell’ordine del giorno è risolto. Prima di concludere la
riunione, v’è un’ultima cosa che devo fare. Bellrauthien, Megildur,
avvicinatevi-. I due elfi interpellati s’alzarono e s’avvicinarono al centro
della sala, dov’era seduta la Regina. - Nel periodo in cui sarò lontana,
sarete voi due a governare in mia vece. Il vostro potere è eguale, quindi
nessuno dei due sarà superiore all’altro. So di potermi fidare di voi due. Non
deludetemi- disse Alastegiel. Vedendo che nessuno aggiungeva commenti, s’alzò
in piedi. - La riunione è aggiornata. Le
hannon a tholel -. Detto ciò, si
diresse fuori della sala.
***
Burin sorseggiò l’ultimo goccio di vino rimasto nel bicchiere, soffermandosi
a pensare a ciò che Eglerion gli aveva narrato. - La vostra impresa è ben
pianificata. Ma avete dimenticato un particolare- disse. - Che
particolare?-. - Come potremo avere informazioni su ciò che Nuova Numenor
intende fare, se saremo tutti impegnati nell’esplorare le terre più a Sud di
qui?-. Le labbra di Eglerion s’incurvarono in un sorriso cospiratore. -
Non prevedo nulla di buono- disse Stephane, a Tuarwaithion. - No, Stephane? E
come puoi saperlo?- chiese il capitano. - Sono ormai anni che navighiamo
assieme, Eglerion, - intervenne Tuarwaithion, gettando alle ortiche la finta
deferenza, - riconosco quell’espressione. Stai tramando qualcosa. Qualcosa di
estremamente avventato e folle-. - E qualcosa per la quale tu e Stephane vi
siete offerti volontari- aggiunse Eglerion. Stephane prese un paio d’attimi per
respirare. Poi si rivolse a Daeron. - Lord Glirdir , vi recherebbe dispiacere
se io m’assentassi per qualche minuto dal tavolo?- domandò. - Nessun
problema- rispose Daeron. Stephane s’’alzò e si diresse fuori della porta.
Una volta oltrepassata quella, continuò a camminare, fino ad uscire dalla casa.
Arrivato al cancello della villa, imprecò a voce alta e a pieni polmoni, in un
dialetto Rohirric. Quando rientrò dentro la casa, i convitati sorrisero.
L’avevano tutti udito, anche se non tutti l’avevano capito. - Adesso,
Eglerion, illustraci la missione suicida per la quale ci siamo offerti- disse,
con calma. Eglerion era sul punto di cominciare, quando furono interrotti
dall’arrivo di Rhavanwen. - Buongiorno, signorina- disse Eglerion, voltandosi
a guardarla. Ella salutò il gruppo e prese posto al capo della tavola, opposta
al fratello. - Buone notizie- esordì. Spostò lo sguardo sul gruppo e
sorrise. - La proposta è stata accettata e ci sono tre volontari disposti ad
imbarcarsi sulla Ithil-. Rilien stappò un’altra bottiglia e riempì i
calici. - Mi pare un ottimo motivo per festeggiare, signore- disse a
Daeron. Daeron levò il bicchiere, seguito dagli altri. Brindarono, bevvero e
guardarono di nuovo Rhavanwen. - I
Maethor han dato problemi?- chiese
Lancaeriel, memore delle parole di Galadhwen. - Alcuni. Ma, stranamente,
Megildur è accorso in vostro aiuto-. - Come?-. - Ha
detto che, nonostante tutto, si trattava solo di tre persone. Quindi ha pregato
i Maethor
di approvare
la proposta-. L’elfa prese un altro sorso di vino, prima di continuare. - Ad
ogni modo, è andata più che bene-. - E potresti dirci chi sono i tre che si
sono offerti per seguire Sire Eglerion e il suo equipaggio?- chiese Daeron. -
Lady Galadhwen ha deciso d’imbarcarsi, poiché avevate richiesto qualcuno con
buone nozioni di politica- disse. Lancaeriel trattenne uno sbuffo. Non voleva
veder Eglerion ripiombare nello stato di un secolo prima. Avrebbe di gran lunga
preferito veder Rhavanwen salire a bordo. - Chi altri a deciso di venir con
noi?- domandò Lancaeriel. - Questa è stata una gran sorpresa per tutti: la
Regina stessa vuole salire a bordo. Sospetto che non voglia far pensare agl’elfi
del Mithlond che la Regina dell’Ithilien abbia di meglio da fare, mentre il Re
di Manwetol si prende la briga di far tutta la strada fin laggiù- disse
Rhavanwen. Fece un’altra pausa, aspettando che il fratello le chiedesse
dell’ultimo volontario. Daeron non si fece attendere molto. - E il terzo
rappresentante? Chi sarà?-. Rhavanwen sorrise, dentro di sé. - Qualcuno che
funga da guardia del corpo per la Regina e Lady Galadhwen- cominciò a dire.
Eglerion la interruppe, avendo compreso la situazione. - E chi meglio di
una sentinella, discreta e silenziosa, può adempiere tale ruolo?- domandò. -
Avete inteso bene, sire Eglerion. Di una sentinella trattasi, infatti- disse
Rhavanwen. Daeron la fissò, sperando che le sue prossime parole non
confermassero i suoi timori. Cosa che, però, fecero. - Spero sarete lieti di
riaccogliermi a bordo, poiché io sono la sentinella che s’è offerta per tale
ruolo-. - Raich !- imprecò Daeron, infischiandosene beatamente dell’etichetta
da lui tanto osannata. - Qualcosa non va, fratello mio?-. Senza una
parola, l’elfo s’alzò in piedi e lasciò la tavola. - Se posso esprimere il
mio umile giudizio, siete stata forse un po’ troppo diretta, milady- disse
Rilien, nel silenzio generale.
***
- Eglerion…-. Nulla. - Eglerion!-. Ancora nessuna risposta.
Alastegiel sospirò. S’alzò in piedi e comincio a camminare avanti ed indietro.
Non riusciva ad avviare la risonanza con la mente d’Eglerion. Sarebbero
dovuti partire il prima possibile, la sera stessa, al massimo. Ma prima sentiva
il bisogno di scambiare due parole in privato con il Re. Aveva percepito solo
un forte sentimento di sorpresa, nella mente del capitano, quando aveva tentato
di contattarlo. Probabilmente, Rhavanwen aveva annunciato i nomi di coloro che
sarebbero partiti assieme ai Noldor. Sospirò nuovamente e si sedé. Entrò in
trance e diresse i propri pensieri verso una mente che aveva notato essere più
attenta. -Lancaeriel-. Lancaeriel sussultò. Le era parso che qualcuno
l’avesse chiamata. Nessuno attorno a lei, però, sembrava averle rivolto la
parola. - Lancaeriel-. Di nuovo. E fu
allora che comprese. La voce le era familiare, ma sembrava remota. La riconobbe
come quella della Regina Thalien
. - Ditemi, somma Thalien-. - Mi scuso per
quest’intrusione nella vostra mente, Lady Lancaeriel, ma il vostro Re sembra non
voler rispondere. Desideravo comunicarvi un paio di notizie-. -
V’ascolto-. - Come penso che Rhavanwen v’abbia detto, saremmo io, ella e Lady
Galadhwen a partire assieme a voi. A capo del concilio saranno Megildur e
Bellrauthien, nel mentre. Appartengono a due partiti opposti, quindi saranno
costretti a collaborare per il bene comune e il potere sarà comunque diviso.
Dopo di ciò, volevo comunicarvi che sia io che le altre due vostre ospiti sono
tenute ad essere pronte a partire entro stanotte, vi pregherei di convincere
Eglerion a preparare la nave per il tramonto-. Non era tutto quello che avrebbe
dovuto dire al Re, ma poteva bastare. Avrebbero sicuramente trovato dei momenti,
durante la traversata. La Regina s’alzò e si diresse nei suoi quartieri.
La stanza era ampia ad ariosa, in una delle pareti era incassata una grande
vetrata, che mostrava un ampio tratto dell’Anduin e della città. Sulla sinistra
della finestra stava un letto a due piazze, mentre adiacente alla parete opposta
c’era una scrivania, riempita da scartoffie varie. Alastegiel sospirò,
vedendo quest’ultime, e si segnò mentalmente di portarle nella sala del trono,
una volta finito il bagaglio. Facevano parte dei disegni di legge futuri, di cui
si stava discutendo in quel periodo, quindi sarebbe stato meglio lasciarli dove
i due conciliati avrebbero potuto trovarli. L’elfa finì in poco tempo il suo
bagaglio. Dopodiché, si chinò ed estrasse una pesante scatola di legno da sotto
il letto. Era passato un secolo, da quando l’aveva riposta. Dopo qualche
minuto perso a rimembrare, prese coraggio e l’aprì. Levò dal contenitore un
lungo involto, che srotolò sul letto. L’impugnatura della sua lama elfica
scintillò alla luce del sole. Sfoderò l’antica arma e riprovò qualche affondo.
Se la sarebbe cavata. In più, era sicura che avrebbe avuto occasione
d’allenarsi, durante il viaggio. Ripose la spada nel fodero e prese in mano
l’altro oggetto uscito dalla scatola. Saggiò la corda del suo lungo arco,
trovandola ancora in ottime condizioni. Dopotutto, si disse, sono i
miei capelli, a formare questa corda. Appoggiò anche l’arco, con la
lama, in cima al proprio bagaglio, e prese il mucchio di fogli e pergamene dal
tavolo, decisa ad apportare un paio d’ultime correzioni, prima di partire.
***
- Ehi! Voi della nave!-. Castiel e Zoe accorsero, sentendo delle grida
dalla terraferma. Si stupirono di trovare un’elfa dalla fluente chioma scura,
una veste elegante ed un bagaglio in spalla a fissarle dalla riva. Castiel
guardò Zoe, che s’affrettò a far calare la passerella. Dopodiché, le due
scesero. - Sto cercando la Ithil di Manwetol, direi d’averla trovata-. -
Sì. Io sono Castiel, cartografa della nave e temporaneo Capitano. Sapete
qualcosa delle ambasciate in città?-. - Stanno tutti bene, sono vivi e
indenni. Io sono Galadhwen, conciliata dell’Ithilien e vostro futuro ospite. Ma
non penso che la notizia vi sia ancora giunta- disse la conciliata,
presentandosi e leggendo le occhiate stupite che s’erano dipinte sulle facce
delle due. Galadhwen appoggiò il bagaglio in terra. - A quanto pare Sire
Eglerion non vi ha lasciato informazioni su dove avrebbe condotto la nave dopo
essere passati a Minas Duin, se non sbaglio- disse, vedendo le ragazze ancora
incredule. Per loro fortuna, Meldarion accorse in loro aiuto. - Buon
pomeriggio Miss. Anche voi siete pronta per imbarcarvi verso l’ignoto?- disse,
in tono scherzoso. Galadhwen restò interdetta. Era mai possibile che su
quella nave ci fosse qualcuno serio, oltre Lancaeriel? - Seguitemi, Lady…- si
fermò, per farsi dire il nome dalla conciliata. - Galadhwen-. -
Galadhwen… bel nome avete, signorina. Seguitemi, vi mostrerò il vostro alloggio-
continuò Meldarion, dopo un attimo di pausa. Quel nome gli era familiare, ma non
sapeva dove collocarlo. Prese il bagaglio di Galadhwen e si fece seguire nel
castello di poppa. Castiel e Zoe risalirono silenziose sulla nave, domandandosi
che cosa poteva ancora attenderle.
La risposta arrivò un’ora dopo quando, finalmente, le ambasciate
tornarono. Assieme a loro c’erano anche Rhavanwen, la sentinella che avevano
incontrato qualche giorno prima, ed un’elfa che, seppur fosse vestita in modo
semplice, emanava un gran potere. Infatti, persino Eglerion si rivolgeva a lei
con deferenza, durante il tragitto. Seguivano due elfi dagl’occhi grigi, vestiti
molto elegantemente. Il più anziano dei due aveva una lunga chioma argentea,
mentre l’altro aveva i capelli molto corti. Zoe si chiese chi fossero quei
due, poiché non rientravano nel gruppo di persone contato da Galadhwen, che
aveva preso quell’ora di tempo per informare le due, assieme a Meldarion, su ciò
che sarebbe successo. In fondo al gruppo, che chiacchierava con Tuarwaithion,
c’era un nano. Zoe spalancò gli occhi. Le pareva impossibile, nonostante ci
fossero leggende di nani ancora vivi, nelle Terre Selvagge, trovarsene uno
davanti. Aiutata da Meldarion, calò di nuovo la passerella ed accolse il
gruppo di nuovi arrivati. - Benvenuti sulla Ithil, miei nobili ospiti- esordì
Eglerion, voltandosi verso la folla. I membri dell’equipaggio si unirono a
Castiel, Meldarion e Zoe, contro le balaustre di dritta, mentre Eglerion e
Lancaeriel discutevano le ultime cose con i due sconosciuti che, Zoe scoprì
tramite Tuarwaithion, erano due dei conciliati dell’Ithilien e attuali reggenti.
Quanto all’elfa, le disse Gelirion, altri non era che la Regina. Le
ambasciate raccontarono ai tre che cosa era avvenuto in città, dal momento in
cui il Re aveva messo piede a terra, fino al loro ritorno; mentre i politici
terminavano le loro raccomandazioni. - Un’ultima cosa, somma
Thalien-. - Ditemi-. - Devo chiedervi il permesso di lasciar
attraversare a tre dei miei marinai l’Ithilien, in direzione di Nuova
Numenor-. - Raich- imprecò Tuarwaithion. Aveva capito a che cosa si
riferiva Eglerion, durante il pranzo. - Tuarwaithion, mi sa che ci tocca fare
i bagagli- disse Stephane, accanto a lui. Zoe li guardò, non capendo. -
Ovviamente il permesso vi è accordato, Sire Eglerion- stava dicendo la Regina,
mentre i due scendevano sottocoperta. Eglerion sorrise. - Vi ringrazio.
Lancaeriel, potresti mostrare alle due nostre ospiti il loro alloggio, mentre
attendiamo Lady Galadhwen?-. Prima che il secondo potesse rispondere, una
voce dal castello di poppa parlò. - Non serve che tu attenda a lunga,
Eglerion-. Galadhwen scese la scala e si unì dal gruppo. Castiel s’avvicinò
al gruppo. - È arrivata qua un’ora fa. Se permettete, potrei mostrarvi io i
quartieri a voi riservati. Li abbiamo preparati durante l’attesa-. Le due
elfe seguirono Castiel, mentre Eglerion si voltava verso Burin, che era rimasto
silente durante tutto il colloquio. - Purtroppo non abbiamo alloggi pensati
per i nani, amico mio, ma se hai la pazienza d’attendere ancora un po’, ti
mostrerò la nave, per farti trovare un’adeguata sistemazione-. - Onorato,
Sire- disse. Nella mezz’ora che susseguì, i preparativi per la partenza
furono ultimati. Restava solo una questione da risolvere. Tuarwaithion e
Stephane fecero un giro della nave, per raccogliere le cose che sarebbero state
loro utili durante il viaggio che sapevano stare per percorrere. - Sai-
cominciò Stephane, mentre prendevano degli archi dall’armeria, assieme ad un
paio di faretre ben ricolme, - potrebbe essere l’ultima volta che vediamo la
Ithil-. - So… speriamo non lo sia- disse Tuarwaithion. Il suo tono mesto,
comunque, lasciava trasparire il suo pessimismo. Ritornarono sul ponte, poco
dopo, con i bagagli in spalla, pronti a partire. Eglerion era là, assieme a
Zoe. - Direi che ci siamo, Eglerion- disse il rosso, avvicinandosi. - Sì,
amici miei. Goheno nin-. Perdonatemi. - Rachon le,
Eglerion- rispose Stephane. Che tu sia maledetto, Eglerion. Ma lo
disse con un sorriso. Tuarwaithion guardò Zoe. - E tu? Anche tu qui per
vedere due pessimi elementi partire?- domandò. - Veramente no. Son qui per
vedere tre elementi partire- disse, muovendosi di lato e mostrando il suo
bagaglio. I due rimasero senza parole. - No. Sarebbe troppo pericoloso,
amica mia…- cominciò Stephane. - Stephane, ho solo pochi anni meno di te.
Saprò cavarmela. E se non riuscirò perfettamente, avrò due ottimi mentori- disse
la ragazza. I due non parvero convinti, ma sapevano che la determinazione di
Zoe era tale che discutere non sarebbe stato utile. - Belain na le, Aran
nin- disse Tuarwaithion, mettendo una mano sulla spalla di Eglerion.
Che i Valar siano con te, mio Re. Eglerion ricambiò il gesto. -
Che siano con voi- rispose. I tre scesero dalla nave e si avviarono verso
l’entroterra della Landa della Luna, rivolgendo alla Ithil un ultima occhiata.
Il sole stava tramontando, ad occidente, mentre gli ormeggi venivano levati
e i tre viandanti prendevano la strada.
Un po’ malinconico, questo finale, so… E così, il
gruppo comincia a dividersi e finalmente si parte da Minas Duin. L’azione
pian piano comincerà, mentre Eglerion&co andranno a cercare aiuto nel
Mithlond e i tre si dirigono verso la tana del lupo. Ma passiamo ai
ringraziamenti: @Silvì: grazie mille, amica mia, per la recensione. Mardion è
abbastanza un verme, ma ti toccherà attendere prima di scoprire chi è
veramente. @Elfa: so, forse come capitolo è un po’ veloce, ma era necessario,
come questo, per mandare avanti il tutto. Meldarion il suo spazio lo avrà,
tranquilla, è uno dei personaggi che sto iniziando ad apprezzare di più anche
io. Mi dispiace solo averti fatto attendere così a lungo prima di sfornare
questo VII. @Hareth: grazie mille, anche a te. Perdonami per le due ragazze
all’inizio, t’assicuro che i personaggi resteranno quelli che sono ora, ma le
due sono necessarie, si vedrà più avanti. Spero di non far sforzar troppo i
poveri neuroni, che son già impegnati a dirigere quel cast di maghi indemoniati
ed elfe più o meno elfiche, a ritmo di CCR. Zahal e Rain li avranno i numeri,
prima o poi, anzi, Eglerion manda i suoi saluti ad entrambi, invitandoli a
passar una serata tra bettole. Meldarion invece lascia un saluto a Verugast, il
mago di Morte da Harma Ondo, compagno di preveggenza. Ma cosa temevi, quando
leggevi di Eglerion e la mora? Una ripetizione di Rhi-Zefiro?
Detto ciò, vi saluto, mie lettrici ed eventuali lettori
che non recensiscono. Ci si risente per il capitolo VIII
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Capitolo 8 *** Cap VIII Un Tabagista e Due Alcolizzati ***
VII Age VIII
Cap VIII Un Tabagista e Due Alcolizzati
- Da quant’è che stiamo marciando?-. - Quattro ore,
Zoe. Ma non intendo fermarmi prima di un'altra lega- rispose il rosso. Zoe
sospirò, chiedendosi come facesse l’uomo a tenere il conto dello spazio
percorso. Tuarwaithion mosse lo sguardo su Zoe. - Stephane, pausa- disse,
semplicemente. La ragazza, nonostante non volesse farlo vedere, era
esausta. Stephane si voltò a guardare i due. - Come volete-. Appoggiò il
proprio bagaglio sotto un albero e tirò fuori un pacchetto. Estrasse del
tabacco, notando con tristezza che gliene rimaneva poco, e cominciò a girarsi
una sigaretta. Gl’altri due posero la loro roba sul terreno e si
sedettero.
Erano al terzo giorno dalla partenza dalla Ithil. I
due avevano concordato con Eglerion un piano per far in modo che potessero
infiltrarsi a Nuova Numenor senza destare troppi sospetti. Avrebbero finto di
non conoscersi, arrivati oltre i confini. Stephane si sarebbe presentato alla
corte di Salph, la capitale, sotto le mentite spoglie di un maestro di spada. La
sua destrezza non aveva pari, ormai, tra gl’uomini dell’equipaggio, ed arrivava
quasi a rivaleggiare con quella d’alcuni elfi. In quel modo avrebbe avuto
l’occasione di essere dentro il cuore governativo della nazione e di venire a
conoscenza d’eventuali mosse militari. Tuarwaithion, invece, avrebbe preso
posto ad una locanda, offrendosi di pagare cucinando ed aiutando i gestori, così
da avere una base all’interno della città. Zoe si sarebbe finta la sorella di
Tuarwaithion ed avrebbe condiviso con lui il lavoro.
- Che dite, ci accampiamo qua vicino?- disse
Tuarwaithion. Stephane alzò gli occhi. Stava leggendo una delle mappe
disegnate da Castiel ultimamente, confrontandola con una dell’Ithilien che
gl’era stata fornita prima di partire. Di questo passo, sarebbero giunti alle
Sale di Alastegiel tra due giorni, se non la sera dell’indomani. - Direi che
è una buon’idea, mancherà un’oretta, al tramonto…-. Zoe s’alzò. - Andrò a
cercare della legna per la cena, allora- disse, calandosi il cappuccio sul capo
ed avviandosi tra le fronde alla sua sinistra. Tuarwaithion e Stephane
cominciarono ad accerchiare delle pietre per il fuoco, dopo aver mosso le loro
cose un poco più in là dal sentiero. Il moro si sedé, una volta aver
finito. - Non mi piace la situazione. È troppo pericoloso per lei, Waith-
disse Stephane. - Lo so. Ma è stata una sua scelta. Neanche Eglerion era
troppo felice-. Stephane prese un ultimo tiro dalla sigaretta, prima di
gettarla in terra e spegnerla con il tacco dello stivale. - Dovrò sperare che
ci sia qualcuno che venda tabacco, alle Sale. Sperando che sia importato
dall’Harad- disse. - Speriamo. Passami la mappa un attimo, che vorrei vedere
di nuovo il nostro itinerario-. Il rosso passò la cartina all’uomo, che
cominciò a scorrere gl’occhi sull’Ithilien. - Dove intendevi passare il
Vallo?- domandò. - Più a sud possibile, dove i monti sono più
bassi-. Waith sospirò e cominciò ad estrarre ciò che gli occorreva per
cucinare.
Dopo aver cenato, i tre discussero brevemente sul da
farsi. L’indomani avrebbero avanzato il più possibile, per arrivare alle Sale la
sera stessa o, comunque, il più vicino attuabile. Dopodiché, Stephane
estrasse dal suo fagotto uno stocco e lo lanciò alla ragazza. Zoe guardò
l’arma, confusa, poi alzò gli occhi sull’uomo. - Con questo che cosa dovrei
farci? Pelarci le patate?- chiese. - No, bella. È l’arma in dotazione alle
milizie di Nuova Numenor. Non possiamo presentarci là con delle armi elfiche.
Poi, io necessito d’allenamento- continuò, estraendo un altro fioretto dai
bagagli, - e tu devi imparare a difenderti un po’ meglio. Non metto in dubbio
che Waith t’abbia insegnato qualcosa, ma tentare di migliorare non è mai un
male-. - Dovresti vederla lanciare coltelli- intervenne il moro, ricordando
la volta che Zoe aveva cominciato a scagliargli contro ogni lama della cucina,
perché egli era entrato mentre la ragazza aveva deciso di cambiarsi. Stephane
sorrise. - Ti sarà utile anche quello, ma ora non c’è abbastanza luce- disse.
Poi si mise in posa di guardia, invitando la mora a far lo stesso. Ella
piantò i suoi occhi grigi sull’uomo ed attese. Cominciarono a camminare piano,
formando un immaginario cerchio sul terreno. Improvvisamente, ella tentò una
stoccata contro il rosso. Egli scartò di lato e attaccò velocemente. Zoe riuscì
a parare per un soffio e fece un passo indietro. Attaccò di nuovo, incalzando
l’uomo. Stephane rimase sulla difensiva, finché non si trovò con la schiena
contro un albero. Si ritrovarono in un aggancio, dal quale si liberò facilmente,
per poi riprendere spazio, effettuando un ampio colpo davanti a sé. Il duello
continuò. Gli scambi di colpi si susseguivano sempre più feroci, finché la lama
di Zoe non volò in aria dopo un’abile torsione del polso di Stephane. Waith la
recuperò. Zoe ansimò e si sedé. Stephane le mise la mano sulla spalla. - I
miei complimenti. Ho fatto male a dubitare di te. Ma dovremmo comunque
continuare, le prossime sere-. - Grazie- ansimò la ragazza. Tuarwaithion le
passò un otre d’acqua e le fece bere qualche sorso. Stephane s’accese una
sigaretta sulle braci del fuoco, che cominciò a riattizzare. Poi diede ai due la
buonanotte, dicendo a Waith che avrebbe fatto lui il primo turno di guardia.
***
La mattina dopo Waith svegliò gli altri due. Dopo una
frugale colazione, si rimisero in marcia. Non parlarono molto, nel mentre,
presi ognuno da pensieri diversi. Stephane continuava a ripetersi nella mente
il piano. Ritenendolo sempre più folle, ogni minuto che passava. Era convinto
che non gliel’avrebbero fatta. Ma ciò non lo faceva desistere. In più, temeva
che il passaggio del Vallo sarebbe stato molto più arduo di quanto loro
s’immaginassero. Tuarwaithion continuava, dal canto suo, a preoccuparsi per
Zoe. Nonostante egli sapesse di che pasta era fatta la ragazza, nonostante ella
stesse dando tutta sé stessa per dimostrare di potercela fare, Waith non era
ancora sicuro che l’averla lasciata venire fosse stata una buona idea. Sospirò e
si affrettò a seguire Stephane, in cima all’ennesimo colle della
giornata. Zoe arrancò sulla cima, scacciando alcuni pensieri. A differenza
degli altri, non vedeva la missione verso la quale si stavano dirigendo come una
fredda nube scura, che scendeva verso di loro. Le porte delle Aule di Mandos
erano ben lontane. - Che dite, ci fermiamo un po’?- esordì. Stephane la
zittì con gesto della mano. Poi si voltò, sorridendole. - Mi sa che ti
toccherà metter in atto ciò che hai imparato ieri- disse. Posò in terra il
bagaglio ed estrasse di nuovo le spade. Le avrebbe tenute lui fino al confine,
affinché non fossero state di troppo impiccio a Zoe. Waith, accanto al rosso,
aveva appoggiato anche lui il suo zaino per terra, e stava saggiando la corda
del suo arco. I due si spostarono, per mostrare a Zoe il motivo del loro
armamento. Un fuoco era acceso, giù nella valle, circondato da tre figure
vestite di verde. Avevano lunghi mantelli, i cui cappucci erano tirati giù.
Delle lunghe barbe coprivano le guance dei tre uomini. - Numenoreani?-
domandò la ragazza, seppur conoscendo la risposta. - Esatto. Waith resterà
qui, con l’arco puntato sul collo di quello più a sinistra. Non so se l’hai
notato, ma ha un mantello più pesante e decorato degli altri due. Di certo è un
superiore. Tu ed io, invece, scenderemo laggiù a disarmarli- disse tranquillo
Stephane. Zoe annuì e prese lo stocco che Stephane le stava porgendo. Waith
incoccò una freccia e puntò l’uomo indicato dal rosso, coperto alla vista di
quelli dalla boscaglia. La ragazza ed il suo mentore scesero silenziosamente
il pendio. Dopo anni di convivenza con gli elfi, avevano imparato egregiamente
l’arte del camminare nei boschi senza farsi sentire. Certo, se i tre raminghi
fossero stati sentinelle elfiche, non avrebbero avuto speranze. Ma per le
orecchie mortali di quei tre, era come se non esistessero. Arrivati in fondo,
i due cominciarono ad avvicinarsi lentamente, facendo attenzione a non far
frusciare i mantelli in cui s’erano avvolti. Stephane si calò sul capo il
cappuccio e si coprì naso e bocca con un drappo di stoffa. Ne passò un altro
alla ragazza, invitandola a fare lo stesso. Non potevano rischiare, una volta
arrivati a Nuova Numenor, di farsi riconoscere. I due della Ithil erano a
pochi metri dai tre uomini, quando si fermarono ad ascoltare i loro
discorsi. - Mi chiedo quando il Re si deciderà a mobilitare l’esercito. Sono
stufo di queste incursioni. Per quanto ne sappiamo, potrebbero esserci centinaia
di quegli assassini elfici a guardarci, in questo momento-. Stephane rise tra
sé. - Ah… ma dovresti saperlo, Arcelt, il Re è il Re…- cominciò un
altro. - Il Re è un caprone- lo interruppe Arcelt, stizzoso. Il loro
superiore ghignò. - E se il Re è un caprone, perché siamo qui?- domandò
ironico ai due. - Tu meglio di noi dovresti saperlo, Rabastan. Non sei stato
tu a dire che le redini del Regno sono in mano al consigliere Mardion? Non sei
stato tu a dire che ci ricompenserà profumatamente, se restiamo più tempo
possibile ad esplorare questa terra di stregoneria?-. Zoe e Stephane si
guardarono. Negli occhi d’entrambi si leggeva una grande preoccupazione. - Al
mio tre- sussurrò il rosso. - Sì, l’ho detto. E sono certo che lo farà, quel
bastardo da un occhio solo- stava dicendo Rabastan. - Uno…-. - Altrimenti?
Che cosa gl’accadrà, Rabastan? Lo metterai alle strette?- rispose il terzo. -
Due…-. - Fosse l’ultima cosa che faccio, Pavles- disse Rabastan. - Se non
mi paga- continuò, -lo inseguirò fin in capo al mondo, per infilargli questa
spada dritta nel…-.
Né i due raminghi, né Zoe e Stephane seppero mai in
quale orifizio di Mardion Rabastan avrebbe messo la spada -seppur ognuno di loro
aveva una propria teoria-. La frase gli si spense in gola, assieme ad un grido
strozzato, mentre una freccia lo colpiva alla spalla sinistra. Zoe e Stephane si
guardarono confusi: non era una freccia Noldorin. Lasciarono stare tale
questione ed uscirono allo scoperto. I due raminghi estrassero le spade, ma
furono troppo lenti: in pochi secondi furono sopraffatti dall’azione combinata
di Stephane, Zoe e di due elfi silvani usciti dalle fronde alla loro
sinistra. Nella radura calò il silenzio. Stephane osservò le sentinelle,
senza smettere di puntare la spada alla gola d’Arcelt. Levò la sinistra, in
segno di saluto, per poi levarsi il cappuccio. - Mae
govannen-. Gl’elfi si guardarono confusi, mentre pure Zoe si calava il
cappuccio sulle spalle. Altri tre elfi, armati di lance, uscirono dalle
fronde alle loro spalle. Due di loro avevano degli archi a tracolla, assieme a
delle faretre. Tutti e tre erano incappucciati. Senza una parola, puntarono
le loro armi ai due marinai. - Ma che diamine…?-. - Sedho- lo
zittì uno degli incappucciati. Un’elfa. Stephane continuava a tenere lo
stocco sul collo del numenoreano. - Vorreste darci una spiegazione?- continuò
a domandare Stephane. I due raminghi avevano rinunciato a comprenderci qualcosa,
mentre Rabastan restava inerte accanto a loro. - Man carel le?-
domandò di nuovo l’elfa. Che cosa state facendo? - Heniach nin
ae pedin Ovestron?- domandò a sua volta Stephane, sempre più spazientito.
Mi comprendi se parlo in Ovestron? L’elfa, che sembrava avere il
comando, lo scrutò da sotto il cappuccio. Poi abbassò la lancia e si levò il
cappuccio. Stephane si ritrovò a guardare due iridi d’un azzurro profondo,
poco dissimili dalle sue. Il volto dell’elfa era circondato da una chioma
castano rossiccio scura. - Io sono Manwathiel- disse, -capitano delle
sentinelle delle Sale di Alastegiel. Voi due chi siete, così gentili da fare il
nostro lavoro-. - Non sei un po’ giovane per esser capitano?- disse Stephane.
Arcelt rise, con l’unico risultato di esser punzecchiato distrattamente dallo
stocco del rosso, che stava ancora fissando il capitano. - Taci, mortale.
Portate le armi dei Numenoreani, eppure siete vestiti come se proveniste da
Rohan. In più, il vostro amico in cima al colle sta ancora tendendo un arco di
chiara fattura elfica. Qual è il vostro proposito qui?-. Stephane e Zoe si
guardarono. Poi lanciarono un veloce sguardo ai due raminghi e tornarono a
fissare l’elfa. - Non possiamo parlarne qui. Ma, - disse Stephane,
utilizzando lo stesso espediente di qualche sera prima, - se voi sareste così
gentili da condurci nella Capitale, saremmo più che lieti nell’esporvi la
situazione. Siamo disposti a consegnar voi tutte le armi che abbiamo, finché non
avrete deciso di rendercele-. Manwathiel sembrò pensarci su. Poi, fece un
lieve cenno con la testa ai due elfi che tenevano sott’occhio i due raminghi.
Simultaneamente, le else di due spade calarono sul capo dei due Numenoreani,
facendo perder loro i sensi. Stephane porse l’elsa del suo fioretto al
capitano, che lo prese senza troppi complimenti. Zoe diede il suo ad uno degli
elfi ancora incappucciati. Dopodiché, il rosso aiutò i silvani, caricandosi in
spalla Pavles. - Raggiungiamo il vostro compagno. Poi vi scorteremo alle
Sale. La Regina non è in città, al momento, ma son sicura che potrete esporre a
me la vostra situazione- cominciò Manwathiel, mentre il gruppo cominciava a
salire su per la collina. In poco tempo arrivarono da Tuarwaithion, che nel
mentre aveva raccolto attorno a se il loro bagaglio. - Tutte le armi sono tra
le varie sacche. Tu- disse, rivolgendosi ad uno degli elfi, che portava in
spalla il corpo esanime di Rabastan, - dammi quel corpo e portate voi le
sacche-. Anch’egli aveva compreso subito la situazione. Manwathiel gli lanciò
un’occhiata veloce, per dopo rimettersi in marcia. Percorsero in poco tempo
il miglio che li separava dalla città, per arrivare di fronte a due immensi
battenti. Manwathiel non bussò, i cancelli s’aprirono di fronte all’elfa
senza preavviso. - Abbiam fatto una buona caccia, vedo…- li accolse una voce
sardonica. - Risparmiati i commenti, Naerwen- rispose il capitano,
sorridendo. Detto ciò, si volto verso i tre marinai. - Vi presento Naerwen,
il mio secondo- disse. I tre alzarono lo sguardo, trovandosi davanti un’esile
elfa che li scrutava con gli occhi color acquamarina. Aveva la fronte alta e il
capo coronato da ricce ciocche castane. Naerwen li salutò con un cenno del capo,
mettendosi dopo in marcia in testa al gruppo. Una volta dentro la cinta
muraria, Stephane, Zoe e Waith ebbero occasione di posare gli occhi sulla
capitale dell’Ithilien.
A differenza di Eärendil, la capitale di Manwetol, le
Sale mancavano dell’austerità, la grazia e la sinuosità che caratterizzava le
città elfiche. Nonostante gl’architetti e gl’artisti avessero comunque dato
molto spazio alle curve, nelle sculture e nei Talan, la città manteneva una
vitalità non indifferente. La città intera sembrava sorgere su vari Flet,
riportando alla mente i dipinti della gloriosa ed antica Caras Galadhon. Le
strade erano piene di bancarelle, elfi, uomini e donne vendevano le loro merci,
Rohirrim ubriachi riposavano accasciati sulle panche fuori delle taverne,
scrivani e scrivane offrivano i loro servigi ai forestieri meno colti, suonatori
di cetra, flauto e mandolino ravvivavano l’ambiente ai lati delle piazze. Una
giovane fanciulla dalla chioma castana scriveva, seduta ad un tavolo, con un
ottavo di rosso accanto al foglio, fuori d’una bettola. Sorrideva, ed il suo
sorriso pareva esser contagioso. Dai suoi occhi si leggeva la vitalità
preponderante del luogo e la felicità dei giorni e delle notti. Le guardie
pattugliavano le vie a coppie e facevano la ronda sull’estesa cinta muraria,
mentre carovane di mercanti provenienti da Ghal, da Minas Duin o addirittura
dalla lontana Host, passavano attraverso i cancelli a nord della città. Il
fiume Celebduin passava attraverso la città, dividendola in due. Al centro,
costruito su di un isolotto in mezzo al lento fiume, stava il mastio, uno dei
pochi edifici in muratura, al centro della seconda cinta, intra
moenia. A causa della grande estensione della città, ad intervalli
regolari di cinquecento iarde stavano delle torri d’osservazione di legno, da
cui le guardie potevano comunicare con il resto della città tramite segnali
luminosi fatti con degli specchietti. In più, oltre a quelli da segnalazione,
tutte le torri avevano montato uno specchio più grande orientabile, del diametro
di cinque piedi, utilizzato a scopo difensivo.
Il drappello di persone arrivò nei pressi del fiume, per
poi svoltare in una stretta stradina. Arrivarono così alle caserme delle
Sale. - Lasciate pure quei due raminghi. Se n’occuperanno i miei uomini-
disse Manwathiel, - Naerwen, assicurati che vengano messi in celle separate e
controllateli finché non si risvegliano-. Naerwen annuì e cominciò a dare
ordini, dirigendosi con le altre sentinelle verso le prigioni. Il capitano
invitò i marinai a seguirla. Salirono d’alcuni piani, fino ad arrivare sul Talan
più alto dell’albero. L’arredamento era essenziale. Come sui Talan delle
sentinelle, sparsi nei boschi, anche su questo si trovava un basso tavolo e vari
cuscini. Sotto di uno dei supporti di quest’ultimo, stavano vari rotoli di
pergamena e di papiro, mentre alcune penne bianche erano poggiate in una
scatola, assieme a calamai e boccette d’inchiostro. Accanto alla scatola
spiccava un trespolo, di certo l’oggetto più insolito del Flet, su cui erano
appollaiate due colombe bianche come la neve. Waith guardò i compagni, poi
prese parola. - Mi chiamo Tuarwaithion, i miei compagni sono Stephane e Zoe.
Tutti e tre proveniamo dall’equipaggio della Ithil, nave Noldorin proveniente da
Manwetol. Partimmo quattro giorni fa da Minas Duin, con il permesso della Somma
Thalien. Non mi stupirei se non ve ne fosse giunta notizia, poiché la
nostra missione era conosciuta solo alla Regina stessa, oltre che a tre
conciliati, Galadhwen, Megildur e Bellrauthien, oltre che al nostro Re e alle
persone ai vertici dell’equipaggio-. L’elfa li guardò, per un attimo
pensierosa. - Ditemi, quali sono i vostri ruoli, sulla nave?- chiese. - Io
sono il cuoco di bordo o, meglio, il capo cuoco. Zoe, è la mia aiutante, mentre
Stephane fa parte della guarnigione-. Con loro gran sorpresa, l’elfa
sorrise. - Direi che tutto combacia. Alba è arrivata ieri, con questo
messaggio- disse, riferendosi ad una delle due colombe. Mostrò loro una
pergamena, firmata da Megildur, che la informava dell’eventualità d’un incontro
con i tre. - Quindi? Siamo liberi di andare, lady Manwathiel?- domandò
Zoe. - Prima preferirei che voi tre mi ribadiste il vostro proposito.
Secondo, chiamatemi solo Thiel- disse. Stephane sospirò e cominciò ad esporle
il piano concordato, con la promessa che sarebbe dovuto restare tra loro. Nel
mentre, Thiel annuiva e scriveva una risposta per il conciliato. Quando
Stephane ebbe finito di parlare, l’elfa fece un fischio. Una delle due colombe
volò sul tavolo. Ella firmò la lettera e la legò alla zampa dell’animale, per
poi lanciarlo verso il cielo. Zoe lanciò un’occhiata a Waith. - “Melon
le, lîn Muinthel”?- sussurrò, sorridendo. Aveva notato la peculiare firma
dell’elfa. Thiel non fece caso ai loro bisbigli, nonostante li avesse
sentiti. - Direi che siete liberi di andare. Prima, però, vi accompagnerei
volentieri in cambusa. Sarete affamati, da Minas Duin a qui resta comunque una
lunga marcia. Potremmo pranzare e vi farò dare qualche provvista per il viaggio
che vi accingete a compiere-. - Quanto dista da qui il Vallo d’Elessar?-
domandò Stephane. - Più o meno venti leghe, circa le stesse che avete
percorso da Minas Duin a qui. Dovrete uscire dai boschi, per l’ultimo tratto, e
passare attraverso le piane. Questo, ovviamente, restando nell’Ithilien. Andando
più a Nord vi troverete nelle piane di Rohan- disse Thiel, mentre cominciavano a
scendere dal Flet. I tre della Ithil si scambiarono uno sguardo.
Improvvisamente, l’attraversamento del Vallo sembrava loro molto più
facile. - Sai dirci per caso dove potremo comprare dei cavalli?- domandò
Waith. - V’accompagnerei io stessa, ma purtroppo i doveri mi chiamano. Dovrò
interrogare quei due raminghi e decidere che cosa far di loro e del loro
compagno-. - Mh… sai, dubito fortemente che sia sopravvissuto a quella
freccia- disse Zoe. - Poco male. Sono sicura che gl’altri due sapranno dirci
tutto ciò che sanno- rispose l’elfa, cinica. Stephane la guardò, vagamente
incredulo. - Una freddezza degna di tuo fratello, Thiel- le disse,
ironico. - Siamo in guerra, rosso. Nonostante non sia una guerra aperta,
queste incursioni si stanno facendo troppo frequenti. E a Sud del Vallo di
Isildur sta accadendo qualcosa- affermò ella. - In ogni caso, posso farvi
accompagnare da Naerwen alla ricerca d’un mercante. Siete stati fortunati ad
arrivare proprio oggi, poiché ieri sera è arrivata una delle carovane da Rohan.
Sono loro i responsabili di tutto il casino nelle strade- aggiunse con un
sorriso.
Dopo che ebbero desinato, Thiel chiamò il suo secondo e
la istruì sul suo immediato compito. Stephane, Waith e Zoe seguirono la riccia
nelle strade delle Sale, discorrendo sulla strada migliore da farsi. Vagarono
a lungo tra le bancarelle del mercato, chiedendo di tanto in tanto se qualcuno
avesse tre cavalli da vendere. Tre ore dopo il meriggio la loro ricerca s’era
rivelata ancora infruttuosa. Passarono per l’ennesima volta la strada
principale della città, ormai stanchi ed assetati. - Se a voi non dispiace, i
miei compagni ed io preferiremmo fermarci per qualche momento- disse Waith,
rivolto a Naerwen. Ella sorrise. - Allora so io dove andare-. Li
condusse attraverso una strada laterale, per arrivare di nuovo vicini alla cinta
muraria. Di fronte a loro, tra le bancarelle e sotto i Talan, sorgeva una
casa. Waith la riconobbe come una delle tante davanti alle quali erano passati
entrando in città. - La “Vite del Sud”. Gode della nomea di peggiore bettola
di tutte le Sale. In verità, ha il vino più buono che potreste trovare in questa
zona- esordì. I quattro s’avviarono verso l’ingresso della locanda. Stephane
si staccò un momento dal gruppo. - Vi raggiungo tra poco-. Ancora seduta,
allo stesso tavolo, stava la ragazza che avevano visto scrivere. L’uomo
s’avvicinò alle sue spalle, curioso di leggere qualche sprazzo dello scritto
della fanciulla. Sbirciò oltre la chioma della scrittrice, cogliendo qualche
parola.
“Quegl’impercettibili frammenti di
segreti che non hanno fine, quelle cose che non smetterò mai di scoprire,
misteri inspiegabili che mai finiranno di attrarmi, di stuzzicarmi, di
incuriosirmi.
Inafferrabili
istanti, incomprensibili sguardi, impenetrabili pensieri”.
Più in basso v’era una domanda, posta forse al foglio o
forse al mondo.
“And it makes me wonder… …Or
wander?”
- Siete molto poetica, miss- esordì Stephane,
ancora alle spalle della ragazza. Ella lanciò un grido e si voltò di scatto,
rovesciando il bicchiere di vino accanto a sé sul pavimento. - Voi chi
siete?- chiese a Stephane, ancora con il fiato corto. - Scusatemi, non
intendevo spaventarvi. Ero solo curioso di dare un’occhiata al vostro scritto.
Sapete, v’ho notata entrando in città e mi sono sorpreso di vedervi ancora qui,
ore dopo-. Ella sorrise e si voltò per raccogliere le pergamene e raddrizzare
il bicchiere, ormai vuoto. - Ho giusto finito. Son felice che vi sia
piaciuto, quel poco ch’avete letto-. La ragazza prese il bicchiere vuoto, per
riportarlo dentro. - Mi dispiace solo per il vino- disse. - Lasciate che
rimedi al danno, signorina…?-. - Mad. Solo Mad-. - È un piacere
conoscervi. Io mi chiamo Stephane-. I due entrarono nella locanda e si
diressero verso il tavolo dove già stavano Zoe, Waith e Naerwen. L’elfa
sorseggiava del bianco da un calice, mentre gl’altri due sorridevano di fronte
ai boccali di bionda che gl’erano appena stati portati. Stephane presento Mad
al gruppo, per poi invitarla a sedere con loro. Dopo di che, fermò una cameriera
ed ordino una caraffa di rosso. - E voi donde arrivate?- domandò Mad ai
tre. - Siamo mercanti- disse Waith. Anche quello faceva parte del piano: a
meno che non potessero sicuramente fidarsi di coloro con cui parlavano,
avrebbero detto d’esser mercanti provenienti da Rohan. - Non vedo merci-
disse Mad, sorridendo. Naerwen li scrutò da sopra il calice. Anch’ella era
curiosa di saperne di più su questi stranieri, non avendo sentito la loro
storia. - Non so se la notizia è giunta fin qui, ma cinque notti fa, un
incendio ha devastato il porto di Minas Duin, compresa la nave dove erano le
nostre mercanzie. Noi alloggiavamo in una locanda e, una volta vista la
situazione, abbiamo deciso di tornare verso Ghal. Per questo ci servono dei
cavalli- disse Stephane. - Comprendo- disse Naerwen. Poco dopo arrivò
anche il rosso ordinato da Stephane. I cinque brindarono, scordando per un
momento i propri crucci e discorrendo del più e del meno. - Mi chiedo quando
il Concilio deciderà che cosa fare contro i Numenoreani. Quei tre ch’avete
incontrato oggi sono la prova che stanno diventando sempre più sfrontati. Erano
ad un miglio dalla capitale, voglio dire…- disse Naerwen, dopo un’ora. I boccali
eran vuoti, la caraffa era stata sostituita da una seconda e tutti sembravano
più rilassati. Ma ci voleva più che un po’ di vino o birra a scioglier le
lingue a tre marinai della ciurma di Eglerion -un Capitano con troppo sangue nel
suo flusso d’alcol-. - Speriamo nulla di troppo aggressivo- disse saggiamente
Mad. - Concordo. Ma almeno Thiel dovrebbe decidersi a mobilitar di più le
sentinelle attorno alla capitale- rispose la riccia. Il discorso cadde nel
vuoto. Waith si voltò verso il bancone ed alzò due dita in direzione della
cameriera, sorridendole. Ella non si fece aspettare ed arrivo in poco tempo con
altri due boccali di chiara. - Quanto vi dobbiamo, signorina?- le chiese
poi. La cameriera pose gl’occhi sul tavolo e fece due rapidi calcoli nella
sua mente. - Allora, quattro chiare, un bianco e due caraffe di rosso, son
tredici Celeb- disse. Prima che gl’altri potessero far un mossa, Stephane
stava porgendo quindici monete d’argento alla ragazza. - Tenetevi pure
gl’altri due, per il servizio impeccabile- affermò. La cameriera arrossì ed
abbozzò un inchino, per poi allontanarsi con i boccali e i bicchieri vuoti. -
Ma da quando i Rohirrim sono così galanti?- domandò Mad. - Da quando le belle
fanciulle fioccano ad ogni angolo della strada, Mad- le rispose Zoe, tra le
risate generali. Dopo che tutti i recipienti furono vuotati, i tre si
rialzarono, assieme all’elfa. - E' ora che riprendiamo la nostra ricerca.
Speriamo di rivederci, prima o poi, Mad- disse Stephane. Mad salutò il gruppo
e li seguì con lo sguardo.
Il sole descrisse il suo corso ed era già basso, quando
finalmente trovarono ciò che cercavano. Il mercante stava per chiudere le
stalle con il catenaccio, quando lo fermarono e gl’esposero la loro
situazione. Egli sembrò squadrarli per qualche momento, per poi invitarli a
seguirlo nell’edificio. - A voi, signorina, posso dare Gareth- disse l’uomo,
rivolto a Zoe, mostrandole un cavallo snello dal manto grigio. - Proviene
dalle savane dell’Harad, è un animale molto veloce e dal buon cuore-
continuò. Ella s’avvicino al cavallo e pose gentilmente un’esile mano sul suo
muso. Il cavallo chiuse gl’occhi e mosse il capo orgogliosamente. - Potrebbe
andare- disse la mora. - Per voi, signore- cominciò, rivolto a Tuarwaithion -
potrebbe andare Frealaf-. Gli indicò un grande cavallo bruno dal portamento
fiero. Waith s’avvicino al cavallo, che nitrì amichevolmente. Il cuoco
rivolse un sorriso all’allevatore. - Per voi, infine…- cominciò una terza
volta. - Quanto vuole per lui?- chiese Stephane, interrompendolo. Stava
indicando un grande stallone che li fissava, dal fondo della stalla. - Son
restio a darlo via. Quello è Guthwine, uno dei migliori cavalli da guerra che si
siano mai visti in queste stalle- disse l’uomo. - Cinquanta Celeb?- domandò
Stephane. - Non saprei…-. - Sessanta? Sessantacinque?- lo incalzò il
rosso. - Voi mi state veramente tentando…-. - Settanta? Badate che è la
mia ultima offerta- disse. Zoe e Waith si scambiarono un’occhiata. Doveva
tenerci veramente a comprare quel cavallo. - E sia- cedette l’uomo.
Pochi minuti dopo, stavano salutando Naerwen ai cancelli
orientali della città. - Grazie di tutto-. - Speriamo di rivederci, alla
fine di tutto- disse Stephane. - Anche perché devo offrirti un calice, se non
erro- rispose l’elfa, sorridendo. Nonostante fosse sicura che i tre erano più di
ciò che dicevano essere, le erano risultati simpatici fin da subito. - Non
sia mai!- esclamò Waith. Dopo un ultimo saluto, i tre viaggiatori si misero
in marcia, conducendo i cavalli per le briglie attraverso i sentieri nei boschi,
tra radici e cespugli.
***
Zoe si stiracchiò, svegliandosi. Poco più in là Waith
montava la guardia, avvolto nel pesante mantello, spada alla mano, di tanto in
tanto riattizzando il fuoco, ormai ridotto a braci. - Buongiorno-. - Ciao
Waith. Che cosa c’è per colazione?-. L’uomo s’alzò e si diresse verso il suo
fagotto. - Lembas, ma lo terrei per dopo… poi… vediamo… ah!- mormorò,
rovistando tra le provviste. - Cosa c’è?-. - Proviamo le tecnologie
Sindarin?- propose Tuarwaithion, estraendo dal sacco uno strumento di metallo
somigliante ad una clessidra, di pianta esagonale. - Che cosa sarebbe quel…
coso?!-. - La nostra amica sentinella me ne ha parlato durante il viaggio
verso Minas Duin, dopodiché, ce ne ha fornito uno prima di partire, assieme
all’alimento che cucina- spiegò il moro. - Intendi dire che quella sarebbe
una pentola che cucina solo un determinato tipo di cibo? Che spreco- commentò la
ragazza. - Vedremo- disse l’uomo, sorridendo. Estratte un sacchetto
contenente della polvere marrone e ne versò abbastanza da riempire parte dello
strumento, che nel frattempo aveva smontato, rivelandone così le tre
parti. Riempì la parte inferiore d’acqua, poi richiuse il tutto e lo pose
sulle braci. - Ed ora s’attende-. Ben presto, l’aroma del caffè si diffuse
tra le fronde degli alberi. Avevano percorso poche leghe, il giorno addietro,
e ancora non sapevano quanto avrebbero benedetto la bevanda, di lì a poche
ore. Ben presto il caffè fu pronto. Stephane apparve tra gl’alberi, nel
momento in cui Waith versava il liquido nelle tazze dei tre. - Valar se è
amaro!- esclamò la ragazza, sorbendone un po’. - Devi zuccherarlo, dolcezza-
le disse il rosso, sarcastico ma sorridente, vedendo la bevanda, già conosciuta
nelle piane di Rohan. Tuarwaithion osservò l’altro. - Dove sei stato?-.
Stephane non smise di sorridere. - Non lo vuoi sapere- disse. - Sì che lo
voglio, in caso tu abbia trovato qualcosa d’interessante sulla strada davanti a
noi-. Stephane sospirò. - A dire il vero, dopo averti svegliato per
l’ultimo turno, sono tornato in città. La strada non è molto lunga e in
un’oretta l’ho percorsa. Dopo tutto il trambusto di ieri, avevo scordato una
cosa di vitale importanza- disse. - Salutare la tua moretta?- interloquì Zoe,
vendicandosi della frecciata ricevuta poco prima. Stephane l’ignorò, ma estrasse
un pingue sacchetto. Poi, con tono solenne, declamò: - Tabacco Haradrim di
prima qualità, proveniente dalle foreste pluviali del Sud-. - Drogato- gli
disse la ragazza, ridendo. - Passami il caffè, su. E quale mora avrei dovuto
salutare? N’abbiamo conosciute tre, tutte molto belle-. Zoe preferì
tacere. In poco tempo, i tre erano pronti a ripartire. Percorsero altre
quattro leghe, quel giorno, avanzando più spediti dopo aver caricato i cavalli
con la maggior parte dei loro bagagli. Intendevano raggiungere le piane il prima
possibile, per poi raggiungere Rohan e passare attraverso il Vallo da Rohan,
anziché attenersi al piano concordato giorni prima. Alla sera erano quasi del
tutto usciti dai boschi. Le radure si facevano più frequenti e l’aria più fresca
ed umida, di notte, segno che si stavano avvicinando sempre più alle praterie
dell’Est del paese. Dopo una cena frugale, Zoe estrasse una sorpresa dalla
sua sacca. - Dopo il caffè, per cui dovremo tanto ringraziare Rhavanwen, ho
pensato anche io a qualcosa per consolarci, durante le marce- disse. Mostrò
loro una bottiglia, contenente una bevanda ambrata. - Ma tu come…?- stava
chiedendo Waith, osservando la bottiglia, quando Stephane gliel’aveva già presa
di mano, stappata e n’aveva bevute due lunghe sorsate. - Cazzo, se c’era
qualcosa che mi mancava, è il Rum!- disse, memore delle razioni di Rum a cui
avevano diritto i marinai. - Eccolo qua, il vero marinaio, - lo rimbeccò Zoe,
mentre egli s’accendeva una sigaretta, per poi prender un altro sorso, -
volgare, drogato e alcolista-. - Zoe, dai pace- le disse Waith, dopo aver
bevuto anch’egli. Passò la bottiglia alla ragazza. - Piuttosto, come te lo
sei procurata? È uno dei migliori di Manwetol, non proviene di certo dalle
nostre dispense- disse poi. Ella non rispose, ma sorrise e bevve un altro
sorso. Passarono qualche ora a parlare, intorno al fuoco, passandosi la
bottiglia di tanto in tanto, pensando a ciò che li aspettava e sperando di
arrivare alle piane il giorno seguente. - Chissà come se la cavano gli altri-
disse Stephane, pensieroso. - Staranno bene, dai. Eglerion si sarà già
portato a letto la sentinella, Castiel sarà incinta e Lancaeriel starà sclerando
malamente per far restare a galla quella nave- disse Zoe. Dopo l’ultime
risate, decisero d’andare a dormire, in vista della marcia del giorno dopo.
Waith prese il primo turno di guardia, dando la buonanotte ai due.
L’indomani, dopo un’altra dose abbondante di caffè e di
lembas, i tre si misero in marcia. Dopo appena un’ora di percorso, uscirono
definitivamente dai boschi, trovandosi di fronte ad un’immensa piana erbosa. Ad
Est, torreggiava minaccioso il Vallo di Elessar, mentre a Nord non v’era altro
che erba, colline, assieme a qualche rara formazione rocciosa. I viaggiatori
montarono a cavallo e partirono sfrecciando attraverso le pianure, in direzione
Nord, per leghe e leghe.
E rieccoci qua, a fine capitolo. Avete visto le Sale,
conosciuto qualcuno del posto, visitato la sua bettola migliore e il mercato
della città. Che parto questo capitolo! Scusatemi se ci metto sempre tempi
così lunghi ad aggiornare, ma è stata un’estate un po’ così, tra montagne,
Grado, debiti formativi… che poi, questa legge la trovo sempre più
inutile. Sì, ok, non m’è andato bene l’esame. Ma passiamo ai
ringraziamenti. In primis, la mia amica Maddy, che m’ha dato l’ispirazione
per le Sale, una sera in cui ero fermo a pensarci, con un solo aggettivo. Non a
caso, appare anche lei (infatti, parte dello scritto di Mad è stato scritto da
lei, anche se rivendico la paternità della domanda “It makes me wonder… or
wander?”, che le è stata molto gentilmente prestata). Dopodiché, le mie
irriducibili lettrici. @Silvì: per Talia ed Hestia dovrai attendere ancora un
po’, che non ho ancora le idee chiare su quando riappariranno, ma almeno ho le
idee chiare su chi sono. La battuta, non ho resistito, devo ammetterlo, era
perfetta. Quanto al partito Lealista, è passato un annetto, ormai, da quando
t’ho detto a cosa mi sarei ispirato per la politica dell’Ithilien (la battuta di
Alastegiel nel cap III, la struttura del concilio, l’architettura della sala
delle udienze… non ti ricordan nulla?). Meldarion, in questo capitolo non c’era,
ma sono certo che avrà il suo spazio quando riapparirà, comunque il miruvor è
qualcosa ch’assomiglia più all’idromele che al vino. A proposito, felice che ti
piaccia anche Burin, son sempre stato incerto sul suo fato. @Hareth: eccomi,
finalmente. Grazie mille per la pubblicità tramite la tua fic (accanto a Rhi
velina appare Lancaeriel in vesti succinte -e dall’aria un po’ contrita,
convinta che sia stato Eglerion a sceglierle- che regge un cartello con scritto
“Leggete Harma Ondo e Alagos - War, sempre in questa sezione). Il Rocky
Horror è un ovvio omaggio al Zahal Show (se noti, sia lui che Meldarion han la
passione per i capi viola). Quando quei due si troveranno sotto le coperte,
chiedi? Beh, dipende da quando la smettono di chiedermi l’aumento per fare una
scena del genere. Nel mentre ci si consola con le scene d’ubriacatura (loro e
tue, Rain, la prossima volta chiama anche me, che così lascio tutto in mano a
Zoe, che si sta rivelando molto furba, e vengo a sbronzarmi anch’io. Ah,
Eglerion mi dice che sarebbe onorato per l’intervista, c’è solo da trovare il
momento). Quanto alle abbreviazioni, come vedi, per Tuarwaithion ho trovato un
degno sostituto del nome, che mi suona anche bene, così come per Manwathiel.
Quanto a Rhavanwen, non saprei, ci sto pensando in vista dei prossimi capitoli.
Non disperare, riusciremo a trarne qualcosa. Detto ciò, vi saluto, sperando
che il prossimo capitolo arrivi in tempi migliori.
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Capitolo 9 *** Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine ***
VII Age Cap IX
Cap IX Ciocche Bionde e Ciocche Corvine
- Eglerion!-. Zoe n’aveva azzeccata solo una su tre. Castiel non era
ancora in procinto di diventare madre e il Capitano, ahimè, non s’era ancora
portato a letto Rhavanwen. - Sto arrivando! Aspetta un secondo!-. -
Muoviti, che Nimloth sta per dare di matto!-. D’altra parte, la povera
Lancaeriel era decisamente sull’orlo d’un esaurimento nervoso. - Che cos’ha
il mio povero cavallo, adesso?!-. - A forza di stare con il suo padrone, ha
finito per assomigliargli, ecco cosa!-. - Che cosa intendi insinuare con
questo?!-. Alastegiel osservò, dall’alto del castello di poppa, l’Alto Re dei
Noldor correre attraverso il ponte verso la scala di poppa, seguendo le urla del
suo secondo. - Ma quei due son davvero amanti?- domandò a Gelirion, al timone
in quel momento. - Non preoccupatevi, mia signora. Questa è normale routine.
E, sì, quei due sono amanti. Per cui non si sposerebbero mai l’uno con l’altra-
rispose l’uomo, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte. - Capisco-. -
Lady Galadhwen s’è ripresa?- domandò poi l’uomo, riferendosi alle condizioni in
cui verteva la politica durante quei cinque giorni di viaggio passati. -
Inizia a star meglio, forse stasera riusciremo anche ad avere la sua compagnia
per cena. Povera elfa, non è fatta per le navi- disse sorridendo la
Regina. L’elfa s’alzò. - Meglio che vada in cucina. È quasi il meriggio,
tra poco sarà tempo di mangiare. Chissà se Rhavanwen mi darà una mano,
oggi-.
Insomma, la situazione, sulla Ithil, non era delle più rosee. Lancaeriel ed
Eglerion avevano aumentato esponenzialmente il numero dei loro battibecchi. La
Regina, nello stupore generale e dopo molte insistenze da parte di quest’ultima,
aveva gentilmente preso il posto di Waith in cambusa, talvolta aiutata da
Rhavanwen o dal nano Burin. Galadhwen aveva scoperto a sue spese (e a spese di
Rhavanwen, con cui condivideva i quartieri) di soffrire di mal di mare. Castiel
e Meldarion non avevano ancora fatto parola con nessuno dell’ultima visione di
lui. Ella, dal canto suo, continuava a tartassarlo di domande, convinta che la
rossa apparsa fosse una sua vecchia conoscenza. Gelirion, infine, riusciva a
mantenere il contegno dietro ad una maschera di stoicismo, con cui accoglieva
ogni disgrazia. Se questi son cinque giorni, spero proprio che le città
della sponda occidentale si mostrino presto, si disse il timoniere, vedendo
la sentinella svuotare l’ennesimo secchio fuori bordo. - Raich!-
imprecò quest’ultima. Un improvviso rollio della nave le aveva fatto versare
metà del secchio sul ponte. - Castiel!- chiamò il timoniere. L’elfa alzò
gl’occhi dalla carta che stava consultando per l’ennesima volta. - Prendi tu
il timone, che laggiù c’è bisogno d’una mente razionale, prima che questa nave
vada a fondo definitivamente- disse, sorridendole. Ella ricambiò con un sorriso
mesto. Gelirion scese dal castello di poppa e s’avvicinò alla Sindar. -
Come va? Sembra che ti serva una mano-. - No, tranquillo, basta che mi dici
dove trovare qualcosa per lavar via questa schifezza dal ponte- rispose la
sentinella, voltandosi. - Sinceramente, tu sembri aver necessità di un po’ di
sonno, più che altro-. Ella non si trattenne. - È impossibile, son tre
notti che non dormo! Ed in quella stanza è impossibile anche respirare, ormai!
Mi dispiace per la Ithil, ma penso che l’unico modo per togliere l’odore ormai
sia un rogo purificatore-. - Vedrò cosa fare una volta raggiunta la costa
Ovest. Se vuoi una stanza meno odorosa, puoi usare uno dei letti di Waith o
Stephane. Le lenzuola sono pulite ed io non entrerò fino a stasera in quella
stanza, quindi hai tutto il tempo che vuoi- le disse, porgendole una
chiave. - Gelirion, batti per gentilezza persino il più nobile degl’elfi-
rispose ella, mostrandogli un sorriso a trentadue denti. Felice di potersi
finalmente liberare delle occhiaie, Rhavanwen si diresse verso i quartieri del
timoniere, pronta a dormire. Gelirion sospirò e, armatosi di ramazza e santa
pazienza, cominciò a togliere il vomito della politica dal ponte della Ithil,
sotto lo sguardo divertito di Castiel.
- Mandos, che cos’hai contro di me? Per quale dannato motivo continui ad
essere così criptico?-. Meldarion si abbandonò sulla sedia. Aveva già
discusso un’altra volta con Eglerion, il giorno prima, quando questi s’era
accorto della mancanza di una bottiglia di Miruvor e di una di rum, nel
suo armadietto etilico. Aveva deciso di prendersi la colpa anche per quello, non
voleva che la povera Zoe c’andasse di mezzo. Per di più, una visione della
cavalleria numenoreana che caricava una falange elfica l’aveva tormentato, la
stessa sera. In quel momento sedeva, solo, nel refettorio, davanti ad un
boccale di birra ch’aveva spillato da una delle botti caricate a Minas
Duin. Il pranzo era passato e la nave continuava ad avanzare, nella corrente
dell’Anduin. Ma mancavano parecchie miglia al punto in cui sarebbero
approdati. Osservò il liquido scuro nel boccale, prima di vuotarlo. Una
voce fioca lo fece voltare. - Di solito non si beve in compagnia?-. Una
pallida Galadhwen avanzava a passi malfermi attraverso il refettorio. Meldarion
si alzò ed andò ad aiutarla. - Vedo che vi sentite meglio, Lady- le disse,
dopo che si furono entrambi seduti. - Sì, più o meno. Non sono proprio fatta
per le navi-. Meldarion le sorrise. - Dopo il settimo giorno di solito
sparisce, fidatevi- le disse. - Comunque, devo dire che resta una gran bella
nave, la Ithil. Non avevo mai visto qualcosa del genere. Anche quando dovetti
andare nell’Harad, qualcosa come cent’anni fa, ho viaggiato su qualcosa che
assomigliava più ad una chiatta-. - Chiatte in quel tratto di mare? Avete
decisamente un bel coraggio- commentò il moro, rimuginando sulle parole della
dama. Continuavano a fargli venir in mente un Qualcosa, che sembrava
irraggiungibile. - Anche in quel frangente il viaggio fu una vera esperienza-
disse l’elfa, perdendosi nei ricordi. Meldarion tacque, continuando a cercare
nella sua mente. - E voi, perché siete qui solo?- domandò la fanciulla. -
Beh… la mia compagna è al timone, al momento. Ieri ho discusso con il Capitano
ed ora affogo i pensieri- disse, accennando al boccale. - Comprendo… e come
mai avete discusso?-. - Nulla di tale, tempeste di sabbia e bottiglie che
scompaiono- le disse, sorridendo. Poi si rese conto. Tempesta di sabbia,
Harad, un secolo prima. - Dunque siete voi!- esclamò. - Come prego?-. -
Ora ho capito dove avevo udito il vostro nome prima. Siete voi che avete
incontrato Eglerion nell’Haradwaith, un secolo fa!-. - Ne aveva
parlato?-. - Sì… insomma, non molto, ma si capiva che qualcosa era successo,
in quella settimana in cui era stato dato per disperso-. Ella arrossì. -
Cantava odi alle dame dalle chiome corvine… avreste dovuto vedere Lady
Lancaeriel-. - Era gelosa?-. - Abbastanza. Al tempo era molto più legata,
solo negl’ultimi decenni hanno definito il loro rapporto-. -
Comprendo-. Ci fu una pausa silenziosa. - Non sarei troppo indiscreto, se
vi chiedessi di narrarmi che cosa accadde?- domandò poi Meldarion. - Oh
Valar… è passato un sacco di tempo… però se proprio lo volete, potrei
raccontarvi la storia dal mio punto di vista-. Galadhwen si sistemò sulla
panca e cominciò a narrare. - Erano passati solo sei mesi dalla Dagor
Ram, la battaglia del Vallo, in cui la nostra Regina si guadagnò
l’appellativo di Intrepida. Avevamo subito molte perdite, nonostante la
vittoria, e i Maethor -il partito guerrafondaio dell’Ithilien-
insistevano che qualcuno andasse in cerca dei disertori del nostro
schieramento. Non ricordo perfettamente le peripezie politiche e dialettiche
che mi misero al comando della spedizione, fatto sta che il giorno della
partenza ero là, sulla costa meridionale dell’Ithilien, in armatura e con un
battaglione di quattrocento elfi, tra picche, spade, asce ed
archi-. Meldarion annuì, visualizzandosi il battaglione nella mente. -
Decisi di lasciarne metà a guardia delle chiatte, assieme ad uno dei miei
migliori capitani, e di condurre io stessa l’altra metà delle
truppe. Marciammo per giorni attraverso pantani, paludi e giungla
ininterrotta. Ringrazio Eru che gl’Eldar non possano ammalarsi, altrimenti avrei
perso chissà quanta gente, in quella zona. Certi insetti che non ti dico, mi
meraviglio ancora che le punture siano andate via, altrimenti avremmo avuto
duecento elfi butterati-. Meldarion rise, seguito dalla conciliata. -
Poveracci, non li vedo proprio, duecento elfi butterati. Ma, ti prego, va’
avanti- commentò il moro. - Al quinto giorno senza aver trovato nessuno,
cominciammo a meditare di tornare indietro. Probabilmente tutta la spedizione
era stata organizzata dai Maethor in modo che io non potessi essere
sulla scena. Bellrauthien è più bravo di me, quanto a nozioni di politica, ma in
quei mesi si stava compiendo la mia ascesa e probabilmente avranno ben pensato
che sarebbe stato utile togliermi dalla scena per un po’-. - È così meschina
la politica, nell’Ithilien?- domandò Meldarion. - Purtroppo sì. Spesso ci son
lotte interne tra i partiti, anche dello stesso schieramento-. - Allora son
felice del nostro Capitan Etilico e dei suoi metodi di governo,
sinceramente-. Galadhwen sorrise e continuò il racconto: - All’alba del
settimo giorno fummo attaccati. I numenoreani ci superavano di numero ed erano
assistiti da una fiera tribù di Mahud, gli Haradrim delle zone più a
Sud. Sopraffacemmo molti nemici, ma era inutile. Il sangue bagnava la
foresta, l’aria era pesante per l’umidità, il caldo insopportabile. Molti non
fecero neanche in tempo a raccogliere le armi che le frecce dei mori li avevano
già trafitti. Chi ebbe il tempo di mettersi l’armatura, fece uno dei più grandi
errori: il caldo e l’umidità, aggiunti al peso dell’usbergo rendevano ancora più
difficile combattere. Dopo poco tempo il muro di scudi cedé, gl’arcieri si
trovarono senza nulla da scagliare. I nostri nemici avevano usato bene le loro
conoscenze riguardo al territorio e ci ritrovammo circondati. Io stessa mi
trovai in una selva di lance e fui costretta alla resa. Uccisero tutti i
sopravvissuti tranne me. Forse speravano di utilizzarmi come ostaggio per
invadere l’Ithilien-. Meldarion si alzò e versò della birra in due
bicchieri. - Forse non sarà un toccasana per il tuo stomaco, ma son certo che
ti ridarà un po’ di colore- disse. - Come?-. - Sei più pallida di prima-
disse Meldarion. - Non preoccuparti, è la mia carnagione- disse. Bevve un
paio di sorsi e continuò a parlare. - Mi portarono al loro accampamento, a
poche miglia di distanza, ai margini del deserto. Quella sera fu una
delle peggiori della mia vita. La maggior parte degli uomini s’ubriacò, e venne
il momento in cui mi tirarono fuori della tenda. Mi spogliarono, pronti a
lanciarsi su di me uno dopo l’altro. Ma, come il primo dei numenoreani
s’accingeva a violentarmi, due frecce lo trafissero. Una al collo e una tra le
gambe-. - Poco dopo apparve.- disse ella, - Un elfo dalla capigliatura
dorata, che combatteva con furia contro tutti quegli uomini. Mi pareva d’aver di
fronte un eroe delle antiche leggende, pensavo d’aver incontrato l’ennesima
reincarnazione di Glorfindel o di Fingolfin. Quando l’ultimo degli uomini cadde,
sotto la sua lama, s’avvicinò a me-. Si fermò un momento, a ricordare la
scena, per poi riprendere a narrare: - La sua espressione era mutata, da
quella di fredda ira ad una di notevolmente calda gentilezza. Mi porse i vestiti
che m’erano stati tolti e mi chiese se stavo bene. Attese ch’io mi fui
rivestita e mi fece cenno di seguirlo. Poco più in là trovammo il suo
cavallo, assieme ai suoi bagagli. Fu solo in quel momento che si presentò. Mi
parlò in Ovestron. “Mi chiamo Eglerion” disse. “Io sono
Galadhwen”. “E che cosa ci faceva un’elfa così bella nelle mani di
quegl’uomini?” mi domandò-. - Sempre il solito. Se può far un
complimento, non si trattiene- commentò Meldarion. - Gli feci un riassunto di
ciò che m’era capitato da quella mattina fino a quel momento. Non domandò
altro. Semplicemente, mi fece salire sul suo cavallo e lo diresse verso
Est. “C’è un’oasi, più avanti, se non ricordo male. Mi sembra il posto
migliore dove passare il resto di questa notte”. Cavalcammo per un’ora o
poco più, sotto le stelle di Varda in pieno deserto, finché non arrivammo in una
macchia di vegetazione. Lì scese e condusse l’animale a piedi, dicendomi di
restare in sella. Poco più avanti v’era un lago, da cui partiva un
fiume. “Questo” disse, “è il Duin, il Fiume. Parte da
qui, luogo di comunione tra Yavanna, Ulmo ed Aule, per poi correre verso Nord.
Ci sono vari punti in cui s’inabissa, più avanti nel deserto, ma sbocca comunque
nel grande Mare, dopo esser passato attraverso il Santuario
d’Ulmo”. “Come prego?”. “Il Santuario d’Ulmo. Non ne
avevi mai sentito parlare?”. “No”. “È uno dei templi dei
grandi di Arda. Esistono da molte ere, ormai. Una volta erano la culla della
magia elementale, ma dopo il cataclisma ne sono rimasti solo due, qui
nell’Haradwaith: quello di Ulmo e il Santuario di Varda, sulla costa più a
Nord-est”. Ascoltai in silenzio le sue parole. È strano come tutto sia
collegato. Solo pochi giorni fa il menestrello di corte c’ha narrato un’antica
leggenda che accenna anche all’esistenza di questi templi. Ma, se non avessi
visto il Santuario di Ulmo con i miei occhi, dubito che avrei creduto ad ogni
singola parola, sia di Eglerion, sia di Merilairon. Tralasciando la
parentesi, campeggiammo in quell’oasi, per quella sera e per maggior parte del
giorno dopo. Non che fossimo tanto stanchi, ma Eglerion non accennava a partire,
la mattina dopo, ed io accolsi con gioia il riposo, dopo i giorni di ricerca-
disse l’elfa. Meldarion annuì. Peccato non ci sia un Santuario di
Mandos, pensò, forse lì riuscirebbero a chiarirmi le idee. Scacciò
tali pensieri, per tornar ad ascoltare la politica. - Sul calar della sera,
egli s’allontanò dicendomi qualcosa riguardo alla cena. Tornò poco dopo con
un paio di conigli, che furono la nostra colazione e cena nello stesso
momento. A fine pasto raccolse la sua roba e mi guardò. “Io seguirò il
corso del Duin, fino alla costa. Tu sembri aver bisogno d’aiuto. Vuoi venire con
me o preferisci tornare indietro in cerca dei tuoi compagni?”. Decisi
che sarei stata certamente più al sicuro, con lui, anche perché avevo perso le
mie armi nella lotta e di certo non sarei tornata a cercarle. Cavalcammo a
lungo, quella notte, seguendo il corso del fiume -che poi era poco più d’un
ruscello, nonostante il nome così altisonante- fermandoci a metà d’una larga
ansa di quello. Ormai cominciava ad albeggiare-. - Viaggiavate di notte,
quindi. Ecco perché le vedette non riuscivano a vedervi-. - Come?-. - Dopo
la tempesta di sabbia, noi ci dirigemmo ad Alas, una città Haradrim poco più ad
Est dell’ansa del Fiume. Rimanemmo là tre giorni, nei quali le nostre vedette
scrutarono il Duin in ogni suo singolo miglio, dalle torri di Alas. Poi,
perdemmo la speranza e ci muovemmo verso Kadura, a Nord-Est- disse
Meldarion. Galadhwen annuì. Eglerion insisteva per viaggiare di notte per
evitare incontri con Numenoreani che, nella sua opinione, erano ancora in giro
per quelle contrade. Oltre a ciò, il caldo del giorno desertico lo patiscono
anche gli elfi, purtroppo per loro. - Eglerion scese da cavallo e si voltò
verso di me. “Se hai freddo, dimmelo. Ho una coperta e non esiterei a
dartela, per le traversate notturne” mi disse. La sua premura nei miei
confronti gl’aveva fatto dimenticare che gl’elfi non provano il freddo. Glielo
ricordai, poco dopo. Mi sorrise, per la prima volta in quel paio di
giorni. “Vedi che cosa accade, a preoccuparsi troppo?” mi disse.
Ridemmo. Mangiammo del Lembas per “cena”, se così la si può chiamare,
parlando un po’ di tutto. Gli chiesi da dove veniva e che cosa ci facesse
nell’Harad, ma mi disse soltanto che proveniva da Manwetol. All’epoca ero
vagamente a conoscenza della sua esistenza, per cui gli chiesi di narrarmi
qualcosa di più sull’arcipelago. Mi parlò a lungo della storia di esso e di come
Tegalad costruì il suo reame negl’anni successivi alla catastrofe, sulla
falsariga degli antichi reami come l’Hithlum. “Devi conoscere veramente
bene il Re, se sai tutte queste cose” gli dissi, ad un certo
punto. “Certo che lo conosco. È mio padre” mi disse,
sorridendo. Rimasi interdetta, per utilizzare un eufemismo-. - Sempre il
solito, Eglerion. Preferisce che gli altri non sappiano chi egli sia veramente,
prima di conoscerli. Un’eccezione è stata la nostra amica sentinella, ma penso
che gliel’abbia detto solo per istinto di sopravvivenza- disse Meldarion. Ella
confermò, per poi ricominciare a parlare. - “Quindi tu…?"
chiesi. “Sì, sono l’erede al trono… e anche l’unico,
purtroppo”. “Perché “purtroppo?”. Non rispose, ma fissò le
dune per qualche momento. “Splendido spettacolo, non trovi?” mi
disse, riferendosi al sole, che in quel momento si stava alzando sopra le dune
più grandi. Decisi di non ritornare sul discorso di prima. Solo qualche
giorno fa seppi che, in quel momento, era già Re. Quella giornata la passai
meditando, mentre Eglerion, dopo avermi esposto le sue teorie sull’inutilità e i
danni della trance elfica, si stese sulla sabbia e passò il tempo russando,
svegliandosi solo di tanto in tanto per chiedermi come stavo. Verso
l’imbrunire mangiammo e ripartimmo, pronti ad un’altra notte al galoppo-. -
Che atmosfera romantica- disse Meldarion. Galadhwen sorrise. - Devo
ammetterlo, lo era molto, tra le albe e i tramonti, le stelle, le sabbie e
l’aria stessa. Ad ogni modo, le sabbie correvano sotto i piedi del destriero, ed
Eglerion era ben attento a seguire il corso del Duin, la nostra unica risorsa
d’acqua. Dopo poche ore, però, egli fermò il cavallo, in vista d’un’altra
oasi. “Qui il fiume s’inabissa e non riemerge per miglia. Potremmo anche
fermarci qui, per le poche ore di buio rimasti e per domani. Poi riempiremo le
otri e continueremo. Di questo passo raggiungeremo il Santuario dopodomani, se i
miei calcoli sono esatti” disse. Annuii e scendemmo dal dorso
dell’animale. Anche qui il fiume formava un lago, profondo solo poche
braccia. S’inabissava poi in un pertugio sul fondo petroso, per cui passava una
violenta corrente, pericolosa per chi decideva di sfidarne le
acque. “Puoi farti un bagno, se vuoi. Attenta solo a non andare troppo al
centro del lago. Io caccerò qua intorno, ma, tranquilla, non ho intenzione di
spiarti. Poi, penso tu mi sentirai, al mio avvicinarmi” mi disse. Colsi la
sincerità, nelle sue parole. Attesi che si fosse allontanato abbastanza, per
poi spogliarmi e immergermi nell’acque del lago. Rimasi ammollo per ore, o
almeno così mi pareva, mentre intorno a me cominciavano a vedersi le prime luci
ed il cielo s’ingrigiva, prima di diventare azzurro. Uscii dall’acqua -nuda-
per dirigermi verso il mio bagaglio-. - Rischioso, però-. - Mi fidavo di
Eglerion, in quel momento. Dopotutto, m’aveva già vista senza nulla addosso,
no?-. Meldarion non rispose, ma ridacchiò, invitandola a continuare. -
Estrassi una veste ed una busta di cuoio, che giaceva in fondo al fagotto da
troppo tempo. Mi asciugai le mani e mi procurai una foglia di tabacco, che
cresceva selvatico nei dintorni. Dopodiché mi dedicai al rollo della sigaretta.
Trovai un’esca e riuscii ad accendere una fiammella da delle foglie secche,
raccattate là attorno. Mi accesi la sigaretta e tornai nell’acqua. Mi stavo
godendo la mia Falchonlass quando sentii un trambusto alle mie spalle.
Era Eglerion che tornava con qualcosa da mangiare e stava facendo più rumore
possibile, per avvertirmi. Sentii la sua voce chiamarmi e parte di me mi
suggerì d’asciugarmi e rivestirmi. Ma me ne fregai altamente. Stavo così bene in
mezzo a quell’acqua, e gli effetti della foglia stavano pian piano rilassando la
mia mente. Quando arrivò, si stupì di trovarmi ancora nel
lago. “Galadhwen, ancora lì?” mi domandò, con una punta
d’ironia. Mi coprii il seno con un braccio e mi voltai a
guardarlo. “Sì. Perché non ti unisci a me?” gli domandai-. -
Molto ardita. Devo ritenere quella domanda effetto della
Falchonlass?-. - No. Ho un lucidissimo ricordo delle mie intenzioni.
La sua gentilezza mi aveva fatto sciogliere, come direbbe una ragazzina
di Rohan, e sentivo un prurito dalle parti dell’inguine ogni volta che
sorrideva, che mi trattava gentilmente o, semplicemente, mi guardava, con quegli
occhi, profondi come il mare aperto- disse la ragazza. Meldarion non diede voce
al suo pensiero sul ripetersi dei paragoni sul mare. - “Mi prendi in
giro? Su, esci fuori e rivestiti, che tra un poco preparo la cena. Tranquilla
che non ti guardo”. “Oh, ma io voglio che tu mi guardi”
pensai. “Come?”. Il mio pensiero era risuonato nella sua mente,
che io lo volessi o meno. Piuttosto, direi che il recondito di me, liberato da
quella situazione, lo voleva eccome, ma non l’avrei mai detto così
sfacciatamente. Ma, poiché ormai sapeva, decisi d’ardire ancora di più. Tolsi
il braccio che mi copriva il petto e lo guardai negli occhi, tirando un’altra
boccata e buttando fuori l’ultima voluta di fumo, per poi buttar il mozzicone
lontano, nel centro del lago-. - Alla faccia della Femme Fatale!- esclamò
Meldarion. Entrambi gl’elfi risero di gusto. - Sì, quella penso fosse la
Falchonlass. Ad ogni modo, non ero mica contenta. “Ancora non ti
muovi?” gli urlai. Mi alzai. L’acqua mi lambiva le ginocchia, per cui
non lasciai nulla alla sua immaginazione. Egli non distolse lo sguardo dalle
mie iridi. Lentamente, si avvicinò. Mi strinse in un abbraccio e mi
baciò. Non ti racconto i dettagli di ciò che accadde dopo, ti basti sapere
che eravamo entrambi nudi, nelle acque basse del lago. Ciò ti dovrebbe far
capire che, di certo, non stavamo parlando di filosofie o della storia della
nostra vita- disse l’elfa. - Ah! E io che pensavo avreste parlato proprio di
quei due temi!- esclamò Meldarion. Galadhwen fu lieta ch’egli sdrammatizzasse
l’argomento.
- Quella sera ripartimmo, entrambi con un sorriso ampio ed il cuore più
leggero. Arrivammo in quei due giorni al Santuario d’Ulmo. Ci fermammo a
poche centinaia di metri da esso. “Qui termina il nostro viaggio assieme,
Eglerion” gli dissi, triste. La sera prima, le dune sabbiose erano state le
testimoni al nostro amore, come le acque del lago il giorno ancora prima. Mi
guardò, mesto. “Capisco. Devi tornare alla tua terra. Ci sarà qualcuno ad
aspettarti, immagino” mi disse. Non pareva ferito, nei sentimenti -o,
almeno, non lo dava a vedere-, piuttosto, era malinconico-. - Tipico
d’Eglerion. Non vuole far pesare sugl’altri la propria tristezza, ma preferisce
tenerla per sé. Solo con pochi si confida-. - Capisco. Comunque, mi parlò
ancora. “Son felice d’averti conosciuta, nìn hiril”
disse. “Non è come credi. Non c’è nessuno. Le malelingue, ormai, dicono
che ho sposato il mio lavoro. E forse hanno ragione, perché è per quello che
devo tornare. I Gwannen Moth hanno bisogno d’aiuto, e devo esser io a darglielo.
Questi giorni con te mi son sembrati la vita di un’altra”. “Forse
perché eri un’altra, in questi giorni. E adesso stai tornando colei ch’ha
sposato la sua causa. Per cui posso solo dirti vai, Galadhwen. Capisco quanto tu
abbia a cuore ciò in cui credi, ma non scorderò mai questi giorni. Fammi solo un
favore: ricordali anche tu e, se mai ci rivedremmo, siine felice”. Mi
baciò un’ultima volta, alle ultime luci di Anor. Ci staccammo e mi disse solo
una parola: “Ricordami”. Poi, salì sul suo cavallo e si diresse
verso Est, mentre io volgevo i miei passi verso il santuario, sperando di
trovare aiuto. Ma di ciò non m’è lecito parlare, per cui il mio racconto termina
qui.
Meldarion guardò la conciliata da sopra il boccale. - Soddisfa la tua
curiosità?- chiese Galadhwen al moro, sorridendo. - Si riunì a noi due giorni
dopo. Ci disse che aveva ricevuto asilo nel Santuario e null’altro. Mi chiedo
solo il perché di quel “Ricordami”- rispose egli. - Mi sono
interrogata a lungo anch’io su questo. Penso sapesse che non avrebbe potuto
funzionare, ma voleva solo ch’io ricordassi la felicità provata in quei giorni
assieme a lui, nonostante tutti i diverbi politici ed il mio lavoro-. -
Probabilmente è così. Altrimenti, penso avrebbe rivolto la prua della prima nave
verso Ovest, non appena gli sarebbe stato possibile. Non l’ha fatto perché
sapeva di dover passare avanti-. I due rimasero silenti, a meditare sulle
ultime parole, finché Meldarion non riempì di nuovo i due boccali. - Non c’è
due senza tre, si suol dire- disse, offrendo un bicchiere alla dama. Ella
rise.
***
Eglerion sospirò. S’accese la sigaretta con un fiammifero e rimase in
piedi pensoso, sul cassero di poppa. Il mare era liscio come l’olio. Prese un
paio di boccate, tenendo fermo il timone. Anche quel giorno era giunto alla
sua fine. Osservò la posizione di Valacirca e corresse di qualche grado la
direzione della nave. La Luna non c’era, quella notte. Ma le stelle facevano
sì tanta luce da esser sufficienti. - E resto solo con i pensieri
miei…- mormorò Eglerion, citando una vecchia canzone. Continuò a
canticchiare, con i pensieri che s’inseguivano nei meandri della mente. E
lui? Che cosa voleva? La fredda aria notturna gli lambiva il volto. Degli
occhi smeraldini erano ben fissi nella sua mente. Erano cinque giorni che non
riusciva a parlarle per bene, come qualche tempo prima. Sempre a correre da una
parte all’altra della nave, per evitare ch’essa affondasse. Oggi l’aveva
vista solo a pranzo, per quanto era preso a far su e giù. Sospirò di
nuovo. Non riusciva a levarsela dalla testa.
Vide una figura solitaria attraversare il ponte. - Ehi! Vieni qua un
secondo!- abbaiò. Oltre ai pensieri per la sentinella, era ancora irritato con
Lancaeriel, che gli aveva sbraitato contro tutto il giorno. Dannata la mania di
quell’elfa sul voler tener alte le apparenze. La persona si avvicinò,
rivelandosi essere Alastegiel. - Oh, scusatemi, vi prego. Non volevo
rivolgermi in così malo modo a voi, ma è una giornata tendente allo
storto-. - Non è un problema, Eglerion. E basta con questi titoli, che
cominciano a stufarmi- rispose ella, aprendosi in un ampio sorriso. Egli
ricambiò, riconoscente. - Senti, puoi farmi un favore?-. - Dimmi
pure-. - Potresti tener il timone fermo in questa posizione, mentre vado a
gettare l’ancora? Preferirei fermarmi, stanotte-. - Sicuro-. La Regina prese
il timone, tenendolo saldo, mentre Eglerion s’allontanava sottocoperta. Pochi
minuti dopo l’elfo biondo riapparve sulla tolda. - Ti ringrazio sentitamente.
Ci son certe notti in cui si rischia d’addormentarsi sulla ruota- disse,
accendendosi una seconda sigaretta. - Ti dispiace?- domandò alla Regina,
indicandole il tabacco. - No, anzi, ne avresti una? Non son riuscita a
procurarmi del tabacco, prima di partire-. Eglerion sorrise e le porse quella
già accesa, mentre se ne girava un’altra. - E così, anche tu presa da questo
vizio- disse. Ella annuì. I due sovrani si appoggiarono alla balaustra a
poppa, dove giorni prima Gelirion aveva trovato Rhavanwen. Alastegiel ruppe
il silenzio. - La nostra politica sembra si stia riprendendo. O, meglio, l’ho
vista parlare con Meldarion, questo pomeriggio, nel refettorio-. - Capisco.
Povera lei… per fortuna tra non molti giorni dovremmo arrivare alla costa
occidentale-. Fumarono, silenti, finché Alastegiel non fece una domanda. -
Tu la conoscevi già, giusto?-. - Sì, la conobbi un secolo fa.
Nell’Haradwaith- tagliò corto Eglerion. - Non ti vedo troppo propenso a
parlarne- commentò l’elfa. Il Capitano sbuffò. - Sapevo che sarebbe stato
doloroso lasciarla. Ma l’ho fatto, perché si vedeva che aveva più a cuore il suo
lavoro che me. Avrebbe sofferto per l’inedia, a restare con me-. - Sarebbe
diventata Regina di Manwetol, però- gli fece notare Alastegiel. - Seh… allora
avrebbe divorziato da un lavoro per sposarne un altro, lasciandomi nel mezzo. A
ben pensarci sarebbe stato più doloroso restar con lei-. - Direi che hai
fatto bene, allora. E di Lancaeriel che mi dici?-. - Te l’avran detto. Siamo
solo amanti, nel senso che ci siam l’uno per l’altra, ma non ci sposeremmo. Può
sembrare strano, forse immorale, ma non importa. Quell’elfa si merita molto
meglio di me-. - E tu chi ti meriteresti?- domandò Alastegiel. Eglerion
prese un paio di boccate, mentre pensava alla risposta. - Nessuna. Non sarei
degno neanche d’una contadina del Rhovanion-. - Perché sei così duro con te
stesso? Fidati che non è vero-. - Mah… con il carattere che mi ritrovo sarei
un pessimo marito-. - Il carattere che ti ritrovi ha conquistato Galadhwen,
che aveva da tempo preso il lavoro per marito-. - È un po’ diverso. Penso che
anche tu saresti molto grata se io t’avessi appena salvato da un’orda di uomini
che stava per stuprarti-disse Eglerion. Alastegiel sorrise. - Devo darti
ragione, ma non esser così disilluso. Avrai sicuramente una qualità che ti farà
piacere-. - Mh… l’essere fin troppo premuroso non la calcolerei come qualità-
disse egli. - Che cosa intendi dire?-. Eglerion le narrò dell’episodio
della coperta, nell’Harad con Galadhwen. Entrambi risero. - Ah, ma io sono
certa che c’è un’elfa che accetterebbe con piacere tutte le premure che le dai,
essendo abituata ad una famiglia fin troppo dura con lei- disse Alastegiel,
sibillina. Eglerion le sorrise. - E tu, invece? Hai intenzione di donare
l’Ithilien d’un regal consorte?- chiese il biondo. - Non c’ho mai pensato.
Nessuno di coloro che conosco, però, m’ha colpito a tal punto- rispose la
Regina, brevemente. Eglerion comprese che non era il caso d’insistere.
Fu così che i due si conobbero veramente, continuando a parlare per la durata
di quella notte, osservando le stelle, dissertando e domandando, finché il Sole
non sorse ed il pacco di tabacco fu finito; fu così che divennero come
fratelli.
- Fame?- domandò poi Eglerion. Doveva esser passata mezz’ora dall’alba. -
Abbastanza. Direi d’andare a frugare in cambusa- rispose ella. I due si
diressero verso le dispense, tentando di far meno rumore possibile. Rumori
d’acciaio che strideva provenivano dalle armerie dei ponti sottostanti. Si
stupirono non poco di trovare Rhavanwen già sveglia, seduta davanti ad una tazza
di caffè fumante. - Buongiorno, mia signora, buongiorno, Capitano- li salutò,
vedendoli. O, biascicò, più che altro. - Altra notte in bianco?- domandò
Eglerion. - Mio malgrado. Lady Galadhwen non ha avuto malori, durante
stanotte, ma ho preferito restar sveglia a controllare-. -
Capisco-. Rimasero in silenzio, mentre la sentinella si abbandonava di nuovo
sulla sedia e sorseggiava dell’altro caffè. La Regina ne preparò dell’altro, per
sé e per il Capitano. Parlarono poco, preferendo bere il caffè tentando di
darsi una svegliata dall’abbiocco post-veglia. Al quinto sbadiglio,
Alastegiel s’alzò. - Vi dispiacerebbe pensar voi alla colazione? Purtroppo
non penso riuscirei a fare qualunque cosa che non sia dormire, al
momento…-. I due annuirono. - Siete stati svegli tutta la notte?- domandò
Rhavanwen, curiosa, dopo che la Regina fu uscita. - Sì, più o meno. Abbiamo
avuto occasione, finalmente, di conoscerci…- disse egli, assonnato. -
Conoscervi?- chiese l’elfa. Ad Eglerion parve di sentire una punta di gelosia,
nel tono di lei. Egli annuì. Bevve un altro sorso di caffè -l’ultimo- e poi
rispose: - Sì. Abbiamo parlato, un po’ di tutto. Mi trovo a volerle bene,
nonostante la conosca poco-. Ella lo guardò con un’espressione indefinita.
Eglerion dovette sforzarsi molto per non perdersi in quelle iridi verdi. -
Invitami, quando Manwetol e l’Ithilien diverranno un unico stato-. - Come?
No! Non è nulla di tale!- disse Eglerion. Ella non parve ammorbidirsi. - La
sento quasi fosse una sorella. Non penso convoleremo a nozze. E, ad ogni modo,
stai certa che saresti stata la prima ad essere invitata al mio eventuale
matrimonio- spiegò l’elfo. Anche perché, pensò, di questo passo
saresti la prima a cui chiederei la mano. Rhavanwen si rilassò e,
finalmente, sorrise. - Grazie per la gentilezza- disse, ritornando al tono
allegro di sempre. - Di niente. Lo sai, oramai, che fa parte dei miei
innumerevoli difetti, quest’ultima-. Alastegiel aveva ragione. Risero un’ultima
volta, per poi lasciare che il silenzio calasse sulla nave ancora quasi del
tutto addormentata. Rhavanwen finì di bere il suo caffè e poi, sempre in
silenzio, si mise a preparare il refettorio per la colazione della ciurma,
aiutata da un altrettanto silente Eglerion. Chiunque fosse entrato, in quel
momento, avrebbe potuto respirare un misto d’imbarazzo e complicità
nell’aria.
Ed ecco finalmente il cap IX. Capitolo un po’ di passaggio,
questo… La vita sulla Ithil è sempre quella e finalmente sappiamo cosa
accadde tra la mora e Capitan Alcol, quel secolo fa. MA, mi son scordato un
paio di credits del capitolo VIII. Innanzitutto, c’è una libera citazione a
Stairway to Heaven che tutti -spero- conoscerete. Poi, nascosta, troviamo una
citazione a Dylan e alle porte del Paradiso, altra canzone che DOVETE
conoscere. Poi, citazione cinematografica, l’uscita sul caprone dei tre
raminghi è liberamente ripresa dal film “Alatriste - Il Destino di un
Guerriero”. Oh, io l’ho visto in originale (in spagnolo, per cui), se nel
doppiaggio han cambiato han fatto una grande cagata. Infine, l’idea degli
specchi ovviamente è di Archimede a Siracusa. Confido nella vostra cultura per
non dover riportare il fatto. Casomai, una breve ricerca dovrebbe darvi le
nozioni cercate. Fine parte riguardante il cap VIII. In questo cito solo
il Cesco (Guccini) e la sua “Vorrei”, che tra l’altro ho già citato nel capitolo
III. Dopodiché, ringrazio Dama Gilraen, che ha gentilmente concesso la
citazione alle sue piccole storie, riguardo rigetti e fuochi purificatori. E,
infine, un immenso Grazie a Hareth, consulente, betareader improvvisata e
lettrice accanita. Dai, che hai avuto la scena a luci rosse che tanto
chiedevi. Tanto io quei due non li pago, che si so' pure divertiti. E, poi, dopo
Harma Ondo, penso tu sappia quanto costa portare negli studios tutta quella
sabbia per avere un Harad credibile, per cui siamo a corto. Senza scordare i
Santuari. Per fortuna qua me la son cavata con una sagoma di cartone.
Tralasciando gli scherzi, grazie anche per quelli... sono e non sono gli stessi,
dopo tutti i cataclismi. E pensare che tra non molto mi toccheranno anche le
montagne... Ad ogni modo, grazie mille per la recensione e per il
beta-reading. Mi è piaciuta veramente l’idea di questo finale silenzioso,
sai. Quanto agli altri, spero che vi sia piaciuto, statemi bene. Ci si
sente al prossimo.
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Capitolo 10 *** Cap X The Inn Accident ***
VII Age X
Cap X The Inn Accident
La sera dopo apparve alla loro vista un faro, dapprima
nascosto dai più alti promontori settentrionali. - Quella dev’essere
Anduintirion-. Galadhwen si voltò verso Burin, che buttò fuori una nube di
denso fumo acre. - Anduintirion? Non n’avevo mai sentito parlare-. La
Sindar ed il nano si trovavano sul castello di prua della nave. L’ora era
tarda, sul ponte non c’era nessuno tranne Castiel, nuovamente al timone.
Gelirion voleva a tutti i costi che lei imparasse a governare la nave, dopo
l’incidente al porto di Minas Duin dove, nonostante tutto, s’era destreggiata
molto bene. Burin prese un altro tiro dalla sua pipa, per poi illuminare
l’elfa sulla città in vista. - È una delle poche città su questa sponda
dell’Anduin. Mi pare siano quattro, in totale: Anduintirion, Yelinta, Gothlam ed
Arva. Non son troppo conosciute nel resto d’Arda ma, dopotutto, quanti
conoscevano la Contea dei mezzuomini, prima della Guerra dell’Anello? Ad ogni
modo, gli uomini di queste città non sono dissimili dagli Eotheod dell’antico
Nord-. - Fieri cavalieri o, semplicemente, gente onesta?-. - I pochi che
ho conosciuto, ai confini con Rohan, appartengono alla seconda categoria, ma
preferirebbero far parte della prima-. - Ai confini con Rohan? Non pensavo tu
avessi viaggiato così tanto- esclamò la politica. - Il mio cuore appartiene
all’Erebor, ma nel mestiere di mercante ne ho viste di città-. L’elfa
sorrise. Non avrebbe mai pensato di poter effettivamente imparare
qualcosa da un nano, ma dovette ricredersi. - Immagino che Anduintirion sia
l’unica sulla costa-. - Esatto. In linea con essa, verso Ovest, c’è Yelinta.
Più a Nord di Yelinta c’è Gothlam, con il suo lago, mentre dalla parte opposta
di quest’ultima, verso Nord-Est, troviamo Arva-. Galadhwen fissò il faro
lontano, interessata. Si chiese che cosa l’attendeva, oltre quella luce. Poi
decise che c’avrebbe pensato una volta arrivata a quell’oltre. - Grazie per
avermi erudita, messer Burin- disse. - È stato un piacere, lady-. - Andrò
a riposare. Molto probabilmente domani arriveremo a quel faro e comincerà la
marcia- disse l’elfa, avviandosi verso i quartieri. Burin la salutò
inchinandosi, per poi restar solitario a fumare la sua pipa, in compagnia dello
sciabordio delle onde e della silente Castiel alla ruota.
***
- Elfi? Ma che diamine…?!-. L’uomo salì in cima alla
torre del faro e cominciò a suonare una campana. In breve, buona parte della
popolazione d’Anduintirion era ai moli, nonostante l’ora tarda. Eglerion ed
Athradien scesero sulle banchine dalle sartie, assicurando la nave alle
bitte. - Meldarion! Cala la passerella!- gridò Athradien, scostandosi una
ciocca castana da davanti agli occhi. Dalla Ithil, Meldarion e Gelirion
calarono l’asse sul molo, permettendo ai due elfi di risalire a bordo. Un
cavallo nitrì poderosamente, quando il Re fu risalito. Eglerion gli pose una
mano sul muso grigio. - Dispiace anche a me, amico mio, vederti ridotto a
bestia da soma, ma non pensare sia un compito ingrato. Porti molte delle cose
che ci saranno indispensabili- gli disse. Esso sollevò la testa fieramente e
batté una delle zampe anteriori sul ponte. - Siamo pronti?- disse Eglerion,
rivolgendosi al resto del gruppo che sarebbe sceso a terra. Un mormorio
d’assenso gli arrivò per risposta. Si voltò verso Gelirion e Lancaeriel, che
erano dietro di lui. - La Ithil è vostra- disse. - Fino al tuo ritorno-
aggiunse Lancaeriel. Eglerion sospirò. In questi ultimi giorni s’era
ritrovato ad esser molto fatalista. - Amata mia, non so neanche se tornerò,
stavolta. E mi rammarico molto d’aver mandato Waith, Stephane e Zoe al mio
stesso fato- asserì. Prima che Lancaeriel potesse rispondere, egli l’abbracciò,
stringendola a lungo, temendo ch’esso fosse l’ultimo abbraccio che le potesse
mai dare. - Sei tu al comando, in mia vece. Sempre- le disse poi. I due si
staccarono ed ella sorrise, nonostante il nodo che le si stava formando in
gola. Il Capitano mise una mano sulla spalla di Gelirion. - Prenditi cura
della nostra Lancaeriel, ch’avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile- gli disse,
non sapendo bene neanche egli a che tipo d’aiuto si stesse riferendo. Egli
annuì. - Troverai tutta la tequila nanica al suo posto, quando tornerai- gli
rispose. Dopodiché, Eglerion si volse verso le tre Sindar ed il nano, che
avrebbero seguito lui e Meldarion nella loro ricerca del Mithlond. - Spero
che il soggiorno a bordo sia stato di vostro gradimento, perché ci toccherà
avventurarci tra le terre più selvagge, ora-. Detto ciò, condusse Nimloth e
scese dal bastimento. Le tre elfe lo seguirono, a loro volta seguite da Burin
-carico di bagagli come non mai- e da Meldarion, che aveva approfittato d’ogni
minuto prima della partenza per salutare Castiel. L’elfo moro e il nano
slegarono la Ithil, appena arrivati a terra, mentre qualcuno ritirava la
passerella e la nave salpava nuovamente verso Sud. - Hai dato te l’ordine di
continuare verso Sud, una volta che noi saremmo scesi?- domandò la Regina. -
No. Hanno la libertà totale, ora. Probabilmente stanno solo prendendo spazio per
virare più ampiamente e ritornare a Minas Duin- rispose egli. Poi,
finalmente, gl’elfi e il nano volsero lo sguardo al comitato di benvenuto che li
attendeva. Sembrò che tutto il paese si fosse riunito al porto. - Salve. C’è
per caso qualcuno che sappia darci le indicazioni per una buona locanda?
Vorremmo passar la notte al chiuso- disse Burin. Nessuno rispose all’appello
del nano. Burin ripeté la domanda, mentre le tre elfe dietro di lui fissavano
la folla sgomente ed i due Noldor parlottavano in Sindarin. Dopo un altro
minuto di religioso silenzio -qualcuno stava effettivamente pregando i Valar,
tra gli uomini del posto- Galadhwen proruppe: - Insomma, m’è stato detto che
gl’abitanti di queste terre son gente onesta ed ospitale. Devo forse chiamar il
mio amico un bugiardo?-. Un uomo calvo, con un prominente girovita e una
barba nera si fece avanti e parlò, con una voce squillante. - No sia mai,
mia Signora. Ve podessi ospitar mi nela mia de locanda, ma xé che go solo quatro
leti liberi- disse, con un pesantissimo accento che rischiò di causare un
accesso di risa nella politica. - Come ti chiami?- chiese Eglerion,
gentilmente. - Osvald, mio Signore- rispose quello, intimorito. Si
trattava d’una delle poche volte in cui Eglerion mostrava la luminosità latente
dei Noldor, notò Meldarion. - Sei assolutamente certo che le altre locande
siano piene?-. - Sì mio Signore. Anca perché l’unica locanda verta in
‘sta città xé la mia. Comunque, vo’ e una dele putele podessi ‘ndar fin Yelinta.
Ghe vivi mi cugin, che fa anca lui el locandier. Ghe dixé che ve mando mi, cussì
ve fa anca un preso più basso-. Eglerion prese due respiri profondi,
prima di rispondere ad Osvald. Non poteva farci nulla, ma anche lui rischiava
d’esser preso da risa incontrollabili. - Intanto, buon Osvald, conducici alla
tua locanda. Là decideremo-. Il gruppo sfilò in mezzo alla folla, guidato da
Osvald e chiuso da Eglerion e Nimloth. In poco tempo arrivarono alla locanda,
seguiti da metà del paese. - È vuota- disse il nano, calmo, guardando
Osvald. - Xé perché semo vignudi tuti al porto per vederve arivar-
disse questi. Eglerion si rivolse all’oste, dalla soglia. - Fai sedere i
miei ad un tavolo, in modo che noi possiamo decidere- disse. Poi si voltò e
tolse la maggior parte dei carichi dal dorso del suo cavallo. Dopo aver preso
posto assieme agli altri, scrutò ognuno negli occhi. - Il suo consiglio non è
da buttare. Una di voi tre, mie ospiti, potrebbe venire con me fino a Yelinta-
disse. - Eglerion, non sarebbe meglio se andassimo noi due?- interloquì
Meldarion. - Forse. Ma allora rimarrebbe solo il nobile Burin a proteggere le
nostre care fanciulle- disse, sorridendo. - Non facevo il Re di Manwetol così
sessista. T’assicuro che non abbiamo bisogno di protezione, Eglerion- disse la
Regina, con tono duro. - Non sto insinuando che tu non sappia difenderti, mia
Somma Thalien. Al contrario, sono sicuro che lo sappiate fare
egregiamente tutte e tre. Ma gli abitanti del posto non lo sanno e, come avevamo
concordato l’altra sera, sarebbe meglio se non lo scoprissero, non credi?- disse
Eglerion. Ella gli sorrise. - Non posso darti torto- rispose. - Bene. Chi
delle tre andrà, allora?- domandò Burin, guardando le tre Sindar. Le tre si
guardarono in silenzio finché Galadhwen parlò. - Andrò io-. - Riterrei sia
il meglio che io vada. Lady Galadhwen, voi siete stata praticamente malata,
durante quest’ultimo periodo, e ci son stati casi di febbri anche tra gli elfi,
se ben ricordate le saghe della Tempesta di Vento- asserì
Rhavanwen. Il resto del gruppo si trovò d’accordo con Rhavanwen. - È
deciso, allora. V’attenderemo a Yelinta domani pomeriggio. Passate una buona
notte- disse Eglerion, prendendo parte dei bagagli. Gli altri salutarono ed
osservarono i due uscire. Burin s’alzò. - Direi che è ora di testare la
birra della zona- disse, dirigendosi al bancone. Ormai il locale si stava
riempiendo di persone, ma nessuno prestava più troppa attenzione agli
ospiti. Alastegiel s’alzò a sua volta. - Andrò a parlar con Osvald
riguardo alla nostra sistemazione. A tra poco- disse. Fece un paio di passi, per
poi voltarsi di nuovo. - Se passa una cameriera o se qualcun altro prende da
bere, io assaggerei volentieri del bianco della casa- disse. I due risero.
Sembrava esser complementare ad Eglerion, in certi casi. La parte razionale
della stessa mente. - Ritorno di fiamma, dopo le parole dell’altro giorno?-
domandò Meldarion, dopo. - Come prego?-. - Dai, che hai capito-. - Ah,
quello… no, non direi. Era solo per toglier l’impaccio della decisione- disse la
politica. Meldarion ne fu convinto: era sincera. Ed aveva seriamente sposato
il suo lavoro, ormai.
***
- E si ritorna agli inizi, parrebbe- disse
Eglerion. Rhavanwen annuì. I due marciavano speditamente lungo la strada
per Yelinta. In due ore l’avrebbero raggiunta. Avvolti nei mantelli elfici
procurati a Minas Duin, sembravano due flebili ombre che si muovevano per
volontà propria lungo la strada. La luna aveva cominciato a crescere, nel
mentre, ed emanava una flebile luce che permetteva loro di vedere il
percorso. Camminarono in silenzio per lunghi minuti. Ad un tratto, l’elfa si
fermò, d’improvviso. - Hai udito qualcosa di strano?-. - M’è sembrato. Ma
dev’esser suggestione. E, poi, di che mi preoccupo, ho qui il mio gentile
cavaliere che mi proteggerà, in caso accada qualcosa d’imprevisto-. Eglerion
rise ma, sotto il mantello, allento l’elsa della spada dal fodero. Percorsero
molte altre miglia, fermandosi solo ogni tanto per bere qualche sorso d’acqua.
Dalle ultime parole si muovevano con più circospezione: suggestione o no, è
sempre meglio non rischiare. Quando le flebili luci di Yelinta si mostrarono,
in lontananza, rallentarono il passo, concedendosi più tranquillità. - Sei
così fatalista su questa ricerca?- domandò la Sindar. - Come?-. - Beh, da
come hai salutato la Ithil ed il suo equipaggio, sembra quasi che tu non li
debba mai più rivedere…-. Eglerion sospirò. - Non so. Questa è una ricerca
verso l’ignoto, ammettiamolo. Le altre volte che lasciavo la Ithil per andare in
terre straniere o era per cacciare o gl’altri erano con me e stavamo razziando
qualche avamposto Numenoreano-. - Avamposti? Non villaggi?- domandò
l’elfa. - I paesani non c’hanno fatto nulla. Sono i soldati che continuano ad
attaccare Pinnath Gelin e Manwetol-. - I soldati, però, spesso eseguono
ordini. Chi meglio di te, ex generale ed ora Re, può saperlo-. - Non a caso
tentiamo di limitare le uccisioni. Ma, purtroppo, ci toccherà uccidere molti
uomini, più avanti. Me lo sento e non ne sono felice-. Percorsero l’ultimo
tratto sprofondando di nuovo nel silenzio, finché non arrivarono ai cancelli di
Yelinta. La città non s’estendeva molto, era poco più che un villaggio, ma
era cinta da una palizzata alta almeno otto piedi. Eglerion chiamò, nel
buio. - Chi siete?- rispose qualcuno dal muro, probabilmente una
sentinella. - Pellegrini che cercano ricovero ad una locanda di Yelinta. Ci
manda Osvald d’Anduintirion, poiché là non c’è più posto- rispose
Rhavanwen. Con loro sorpresa, il cancello gli fu aperto. S’aspettavano di
restar chiusi fuori. Un uomo -lo stesso che aveva parlato loro- gli venne
incontro. - Ben incontrati, in questa notte- disse. I due si stupirono.
S’aspettavan d’udire un pesante accento al corrente, com’era accaduto ad
Anduintirion. - Se vi manda Osvald, dovete prendere la terza strada sulla
destra e poi voltare a sinistra. La locanda la riconoscerete sicuramente. Una
volta dentro, chiedete di Bepi- continuò la sentinella. - Grazie. Passa una
notte tranquilla- disse Eglerion al portiere, lanciandogli una moneta
d’argento. Le porte furono richiuse alle loro spalle, mentre i due
s’avviarono lungo la via.
- Aveva di certo ragione, dicendo che l’avremmo
riconosciuta- disse Rhavanwen, dopo che furono arrivati fuori della
locanda. Un paio di nani e qualche uomo, dormivano sulla strada fuori
dell’edificio, mentre dal suo interno provenivano urla e canti. Eglerion
volse lo sguardo all’insegna che penzolava sopra alla porta. - “De Bepi”.
Beh, ormai siamo qui- disse, togliendo lo sguardo dal cartello e girandosi a
guardare l’elfa. I due entrarono. Il piano terra era accogliente e caldo.
L’odore non era dei migliori ma, ammise Eglerion, era stato in bettole peggiori.
Il pavimento d’assi scricchiolava ad ogni loro passo, mentre gli avventori
attorno a loro continuavano nelle loro gare di bevute e nei loro canti. I due
s’avvicinarono al banco, senza levarsi i cappucci. - Scusatemi, messere.
Stiamo cercando Bepi, che dovrebbe esser il proprietario di questa
locanda-. L’uomo dietro al bancone si voltò a guardarli. Aveva due occhi
azzurro cielo molto profondi, la faccia rasata di fresco, la fronte alta, un
anello dorato all’orecchio sinistro ed una lunga chioma castana, raccolta in una
coda. - Bonasera. Son mi Bepi, in cossa posso esserve utile?- disse
gentilmente, ma con lo stesso accento del cugino. - Ci manda Osvald. La sua
locanda era piena. Stiamo cercando un posto dove passare quel che resta della
notte- rispose Eglerion. - No xè problemi. Seguime su e ve mostrerò le
camere che go libere. Ovviamente, se gavé soldi con cui pagarme- aggiunse,
con un sorriso. - Stanne certo. Ma ne riparleremo dopo aver visto le
camere-. Bepi si volse verso un uomo alto, dall’aria truce e dalla barba
nera, che stava assistendo ad una delle gare di bevute. La più chiassosa, per
esser precisi. - Ou Toni, fa un favor, da un’ociada al banco, intanto che
ghe fazo veder le camere ai ospiti-. Quello sorrise, togliendo ogni
traccia di cupezza dal suo volto. - Va ben, ma no staghe metter come
sempre una vita, te prego- disse, canzonando Bepi. I due dovevano
conoscersi da molto. Bepi scosse la testa e menò i due al piano
superiore. - Alora, per la signorina gavemo questa. Per voi, sior, xé
quela là, in fondo al coridoio. A meno che, ovviamente, no volé dormir
assieme- disse, mostrando loro delle porte. Quella di Eglerion aveva un tre
attaccato sopra, mentre quella assegnata a Rhavanwen un numero uno. - No,
penso vadano bene queste due- disse il Noldo. Bepi sfilò due chiavi da un
largo anello che portava alla cintura e le consegnò ai due. - Sistemeve
come che preferì. Mi go de ‘ndar zo, ora, prima che Toni cominci a buttar de
bever a metà dela gente-. I due elfi sistemarono i loro bagagli nelle
camere, per poi ritrovarsi in cima alle scale. - Vuoi bere qualcosa, prima
d’andare a dormire?- domandò Eglerion alla compagna. - Volentieri. Questo
posto m’ispira-. Rhavanwen ed il Capitano scesero di nuovo nella sala e si
sederono ad un tavolo un po’ discosto dal casino centrale. Presto Toni fu da
loro. - Alora, cossa posso portarve? Volé qualcossa de bever?-. -
Che cosa ci proponi di buono?- domandò l’elfa. - Qua xè tuta roba bona:
malvasia nostrana, vin nero, un bianco frizzantin, del rosso un poco più
forte...- disse, cominciando ad elencare vari vini. - A me interessa il
frizzantino. Che dici, prendiamo una brocca di quello?- chiese Eglerion. -
Andata. Dopotutto, sei tu l’intenditore-. - Benon, la riva subito-
disse Toni. Toni s’allontanò, lasciando i due nel loro angolo di
locanda. - Mi piace questo posto… ha un che di vitale. Un po’ come le Sale-
disse l’elfa. Eglerion la guardò. - Da come ne parli, dev’esser veramente
un bel posto, la tua Capitale- disse. - Penso proprio ti piacerebbe- affermò
ella. Toni ritornò con il vino, poco dopo. - Ecco qua, siori. El
bianco più bon che podé trovar in questa città- disse, versandone un po’ in
un bicchiere, che passò ad Eglerion. Egli assaggiò ed assaporò. Era
effettivamente molto buono, doveva dar credito agli osti. - I miei
complimenti. Ottimo- disse. Toni sorrise. - Per qualunque cosa, chiedé
de mi o de Bepi, semo al vostro servizio-. Poggiò la brocca sul tavolo,
dopo aver riempito i due bicchieri, e si diresse di nuovo verso la gara al
centro della locanda, che stava raggiungendo gli stadi finali: tre nani
dormivano sulle panche, assieme ad un uomo. Restavano svegli solo un nano dalla
lunga barba chiara ed un uomo dal viso avvolto in bende, quasi alla maniera
Haradrim. Toni tifava spudoratamente verso il nano. - Daghe zo, Urich, no
‘sta a farte batter da un de fora!-. Il nano alzò per l’ennesima volta
due dita verso Toni, che sparì brevemente per tornare con due vassoi, carichi di
cinque boccali l’uno. - Qua gareggiano a vassoi, a quanto pare- disse
Eglerion, sorseggiando il vino. Rhavanwen seguiva anch’ella interessata la
gara. - Birra… non riuscirei a superare il terzo boccale, di quella
roba-. - Non ti piace?-. - Mh… non troppo. Ho altre passioni- disse,
levando il calice. - Al nostro vinello, dunque- disse Eglerion, brindando con
lei. Batterono i bicchieri sul tavolo e beverono. Nel momento in cui
poggiarono i calici vuoti sul tavolo, s’udì un tonfo ed una raffica
d’imprecazioni miste a lamenti vari. - Ciò, Urich, te me ga fatto perder
venti Celeb!-. - T’son ‘na bevandela che no’ reggi un
cazzo!-. - Urich! La prossima volta usa un’altra panca!- biascicò uno
dei nani, svegliato dal tonfo. In poche parole, Urich non aveva retto il
terzo boccale dei cinque del vassoio ed era caduto, sbilanciando la panca e
facendo cadere anche i suoi compagni addormentati. Oltre a ciò, s’era preso
gl’insulti di chi aveva scommesso su di lui. - Urich! No’ sta ‘spetarte
credito! Tra ti e quel’altro me gavé fatto fora quaranta pinte! Te ga el conto
de pagar!- gli gridò Bepi, da dietro al bancone. L’uomo dal volto
coperto rise. Salutò gli avventori e si diresse fuori della porta.
- Valar, che masnada di folli- rise Rhavanwen. - Ed
io che pensavo che Manwetol fosse la culla dell’etilismo-. Entrambi risero
nuovamente. - Che dici, saliamo?- domandò Rhavanwen, poi. - Tu intanto
vai. Ti raggiungo tra un po’- disse Eglerion. - Mi raggiungi?-. -
Passo a salutarti, intendo- rispose egli, sorridendo. Ella bevve l’ultimo
sorso del suo bicchiere e lasciò Eglerion al tavolo. Egli vuotò il fondo
della brocca e si alzò, portando brocca e bicchieri al bancone. - Ma vi
capita spesso di assistere a spettacoli del genere?- chiese a Bepi, poggiando i
recipienti. L’uomo gli rispose, senza smetterei pulire un bicchiere con uno
straccio. - Ara, quasi due sere sì e una anche. Xé routine,
ormai-. - Per fortuna dalle mie parti si limitano ad alternare le sere-
disse Eglerion. - Comunque, ve ga piasso el vin?-. - Molto,
grazie. Decisamente buono-. - Doman però gavé de provar el nostro rosso,
che fa sangue- disse Bepi, ripescando un vecchio detto delle sue
parti. Eglerion sorrise e salutò l’uomo, per poi dirigersi al piano
superiore. In quel momento gli venne una strana sensazione. Qualcosa non
andava.
***
Rhavanwen salì le scale. Arrivata in cima, davanti
alla sua camera, prese una candela dallo scrittoio posto a pochi piedi dalla sua
porta e l’accese, tramite una delle lanterne appese ai muri. Prese la chiave
ed aprì la porta, per poi entrare nella camera. Lì trovò un altro paio di
candele, che accese per dar più luce alla stanza. Essa era ampia. Il letto
era a ridosso della parete destra, al centro stavano un tavolino basso ed una
poltrona. Una finestra era di fronte a lei, rivolta verso Oriente. Notò
un’altra porta, sul lato sinistro della stanza. Vi s’avvicinò, per scoprire una
piccola stanza da bagno. Posò la candela vicino al rudimentale lavello e
ritornò nella camera. Si spogliò dei suoi abiti da viaggio, estrasse una
leggera veste di lino da uno dei bagagli e la poggiò sul letto. Entrò in
bagno per darsi una veloce rinfrescata e ne uscì dopo qualche
minuto. S’infilò la veste e fece per voltarsi. Le si mozzò il respiro. Non
era sola. Dita d’acciaio le serrarono i polsi, mentre il piatto di una fredda
lama le si poggiava sul collo. Tentò di divincolarsi, ma il suo silente
aggressore le premé il coltello più forte sotto il mento. - Ferma- le disse
una voce, fredda e maligna. Che, ne era sicura, aveva già sentito da qualche
parte. Eglerion! I suoi pensieri si rivolsero a lui, l’unico che
poteva far qualcosa. Nonostante non potesse raggiunger la concentrazione
necessaria per una risonanza, sapeva che sarebbe riuscita a trasmettergli il suo
stato d’animo. Lo sconosciuto le strinse più forte il polso, fino a farle
male. Sembrava felicitarsene. - Brava, la mia piccola elfa. Adesso sta buona,
mentre attendiamo il tuo amico. Dopo che egli sarà morto, potremmo finalmente
concentrarci sulle tue grazie- disse. Eglerion, ti prego, non lasciare
che quest’uomo mi stupri. - Rhavanwen? Stai bene?-. La voce di Eglerion
proveniva da dietro la porta. Entra! Ti prego… L’uomo la strinse
a sé. Poteva sentirne l’alito pesante sul collo, l’odore ripugnante così vicino
a lei. Eglerion batté un colpo sulla porta. - Rhavanwen?-. Sfonda
quella porta, ti prego! E così Eglerion fece.
***
Eglerion si fermò di fronte alla porta di
Rhavanwen. - Rhavanwen? Stai bene?-. Il silenzio dentro quella stanza era
troppo irreale. Da una parte sentiva qualcosa che lo chiamava verso quella
stanza. Come se, in quel silenzio, la Sindar stessa lo stesse cercando. Ma
dall’altra, v’era una sensazione d’imminente pericolo, nelle vicinanze. -
Rhavanwen?- chiamò, di nuovo. Questa volta lo sentì chiaramente. La voce
supplichevole dell’elfa gli rimbombò nella mente. Sguainò la spada e spalancò
la porta con un calcio. Per trovarsi a guardare le spaventatissime iridi
verdi di Rhavanwen. Dietro di lei, torreggiava un volto familiare:
Mardion. Questi lo fissò, senza abbassare il coltello dalla gola dell’elfa, e
sorrise sprezzante. -Chi si rivede- disse. In due rapidissime mosse,
diede un forte schiaffo a Rhavanwen, facendola cadere in terra e perdere i
sensi, ed estrasse una spada anch’egli. - Vedo che sei venuto a salvare la
tua sgualdrina. Ottima scelta, devo dartene atto. Il suo corpo è perfetto. Per
ora- disse l’uomo, senza distogliere lo sguardo da Eglerion. Le due lame
cozzarono, nel silenzio del piano. Lentamente, i due cominciarono a muoversi
in circolo, studiandosi a vicenda. - Chissà se potrai vedermi ancora, quando
calerò il coup de grace sulla tua testa- disse Eglerion. Mardion
sputò. - Quella puttana che m’ha reso guercio sapeva il fatto suo. Dovrai
esser più bravo di lei, se vorrai accecarmi- rispose Mardion. Poi,
improvvisamente, ci fu un altro rapido scambio di colpi, che terminò con una
stoccata da parte d’Eglerion, che Mardion schivò. Mardion calò il suo spadone
su Eglerion, che scartò di lato per evitare il colpo. La lama batté con violenza
sul pavimento. Ormai il resto della gente dovrebbe cominciare a
svegliarsi o ad insospettirsi riguardo a tutto questo casino, pensò
l’elfo. Mardion incalzò Eglerion, costringendolo ad arretrare verso la porta.
E fu in quel momento che l’aiuto giunse. Non da fuori, come Eglerion
s’aspettava, ma da Rhavanwen. Ella, dopo essersi svegliata, era lentamente
strisciata verso il suo bagaglio ed aveva estratto una freccia dalla sua
faretra. Velocemente, l’aveva piantata nel polpaccio di Mardion che, perso
l’equilibrio, era rovinato in terra. Eglerion gli fu sopra in un momento, ma
l’uomo era innaturalmente veloce, o resistente. Dopo aver sferrato un calcio
all’elfa, s’era rialzato e, parando i colpi di Eglerion, era tornato ad
attaccarlo. In una manciata di secondi i due erano di nuovo impegnati in un
aggancio. Eglerion, sfruttando la ferita dell’avversario, riuscì a premer
abbastanza da far cedere Mardion. Egli, però, non si diede per vinto e tentò di
piantare la lama nell’inguine di Eglerion. Il Noldo evitò il colpo ma, quando
si trovò pronto a ricominciare l’offesa, Mardion era già uscito zoppicando dalla
stanza ed era fuggito giù per le scale. L’elfo lo inseguì al piano inferiore,
ma desisté quando lo vide montare a cavallo. Non sarebbe stata quella la sera in
cui avrebbe sconfitto il suo avversario.
Rientrò dentro la locanda. Stava per salire le scale,
quando un gemito attirò la sua attenzione. S’avvicinò al bancone e trovò,
dietro di esso, Bepi e Toni distesi per terra. Il primo sembrava esser
addormentato, mentre il secondo si stava muovendo lentamente, tentando di
rialzarsi. L’elfo lo aiutò a sedersi. Il barbuto si massaggiò la testa.
Pareva aver ricevuto una bella botta. - Come va?-. - Un mal… grazie,
comunque…-. - Hai visto chi è stato?-. - Iera quel stronzo che ga
vinto, dei, quel co’ la testa bendada... el xé entrà, el se ga cavà le bende e
ga da un colpo a Bepi. Mi me son avvicinà, pronto a darghele, ma me ga da una
per la testa anca a mi-. - Quanti occhi aveva?- domandò Eglerion. -
Un. Su l’altro el gaveva un benda-. Eglerion sospirò. Almeno aveva
la sicurezza che Mardion avesse agito da solo. - Devo andare su. Ti consiglio
di metter dell’acqua fredda sulla botta e provar a svegliare il tuo amico. Ci si
vede domattina- disse. Salì le scale e tornò da Rhavanwen. - Fuggito.
Quell’infame aveva un cavallo-. Ella non rispose. Sembrava sotto choc.
Restava seduta sul pavimento, abbracciata alle ginocchia. Una macchia nera
sporcava la veste nel punto in cui lo stivale di Mardion l’aveva colpita, poco
sopra l’anca. - Rhavanwen?- la chiamò. Ella parve risvegliarsi. Scosse un
momento la testa per poi voltarsi a guardarlo. Gli occhi inespressivi. Egli
le si sedé accanto e la strinse a sé. - Grazie- la sentì mormorare. - Non
devi. Sono o non sono il tuo gentile cavaliere?- le disse. Ella
abbozzò un sorriso. - Ho avuto paura. Molta, troppa paura-. - Non
pensarci, ora. Piuttosto, il fianco come va?-. - Fa male, ma non penso sia
grave-. - Se vuoi controllar meglio, esco un attimo-. Ella annuì. L’elfo
l’aiutò ad alzarsi e a sedersi sul letto, prima d’uscire. Dopo pochi minuti,
si sentì chiamare. Rhavanwen era seduta sul letto. La coperta la copriva
dalla vita in giù, mentre ella teneva la veste alzata fin sotto il seno. -
Non riesco a fasciarmi da sola, mi servirebbe una mano- gli disse. Eglerion
richiuse la porta dietro di sé e si avvicinò alla fanciulla. - Brutta botta-
disse, osservando il livido bluastro sul fianco di Rhavanwen. - Riesci a
muoverti normalmente?- le chiese. - Non fluidamente come prima-. - Può
esser ch’abbia incrinato una costola, allora-. - Non penso, sai. Se si fosse
incrinata, mi sarebbe stato molto più difficile alzarmi-. - Ad ogni modo,
meglio fasciare ed attendere. Non possiam far di più, adesso-. L’elfo prese
le bende dalla sacca di Rhavanwen e avvolse la vita della sentinella. -
Troppo stretto?-. Ella fece un paio di respiri profondi. - No. Anzi, è
perfetta- disse. - Allora vado. Ci si vede domattina- disse egli,
alzandosi. Le diede un bacio sulla fronte, augurandole una buonanotte, e si
diresse verso la porta. - Eglerion?-. L’elfo si voltò. -
Grazie-. Egli sorrise. - Non t’ho già detto che non devi?-. Sorrise
anche lei. - Non m’importa. Non la smetterò- disse ella, stendendosi sul
letto come meglio poteva. Sia a causa della ferita, sia per non mostrar nulla ad
Eglerion. - Spengo le candele?- le domandò questi. - Veramente, vorrei
chiederti un altro favore- disse ella, esitante. Egli la guardò, non
capendo. - So che è stupido, forse. Ma son ancora molto scossa. Ti
dispiacerebbe restare?-. Eglerion richiuse la porta e si avvicinò
all’elfa. - La tua presenza mi da sicurezza- disse ella. Eglerion sorrise:
era lievemente arrossita. - Va bene, non c’è problema. Ad una
condizione-. - Quale?-. - Che tu dorma tranquilla e fino a tardi. Se provi
ad alzarti all’alba, ti ricaccio nel letto e ti ci lego- le disse. Ella
rise. - Grazie. Buonanotte, Eglerion-. L’elfo spense le candele, mentre
Rhavanwen si voltò da un lato e s’addormentò presto.
L’elfo però non dormì. Non tentò neanche, a dire il
vero. Si sedé con la schiena contro il letto e s’immerse nei suoi
pensieri. Il più grande interrogativo restava su chi fosse veramente
Mardion. Doveva esser rimasto nelle vicinanze del palazzo conciliare, per
aver sentito del loro viaggio, altrimenti non si spiegava come avesse potuto
trovarli. Poi, restava la questione sul perché ce l’aveva con loro. -
Magari è qualcuno a cui ho fatto un torto da bambino- si disse Eglerion, nel
buio della camera. Sorrise a sé stesso per la cazzata detta. Però, qualcosa
d’incognito restava. Non è un elfo. Ma non può esser neanche un normale
uomo. È troppo veloce. Escluse la probabilità delle orecchie tagliate. Gli
mancavano proprio i lineamenti della razza elfica. Forse è Mandos, deciso
ad estinguere definitivamente la razza dei Noldor, si disse, ripensando
alla maledizione caduta sulla casa di Finwe, millenni prima. Si concesse un
altro sorriso. Era alquanto irreale che un Vala si scomodasse per uccidere un
singolo Noldo. Avrebbe fatto molto prima facendo inabissare Manwetol e Pinnath
Gelin. Sentì Rhavanwen muoversi, alle sue spalle, ma non ci fece
caso. Stava sognando, intuì. Eglerion represse uno sbadiglio. Forse era
meglio se si concedeva anch’egli qualche minuto di riposo.
***
Le prime luci dell’alba baciarono il viso di Rhavanwen,
svegliandola. Si stiracchiò leggermente, evitando di sforzare troppo la
fasciatura. Guardò più in là e vide Eglerion. Russava, seduto per terra e con
la testa poggiata al letto. Sembrava sul punto di scivolare definitivamente sul
pavimento. Ma, Rhavanwen n’era certa, pur battendo la testa sul pavimento di
legno avrebbe continuato a dormire, il Noldo. Le tornarono alla mente le
parole dell’elfo, la sera prima. Se provi ad alzarti all’alba, ti
ricaccio nel letto e ti ci lego. Avrebbe rischiato. Il più
silenziosamente possibile tento di uscire da sotto le coperte ma, purtroppo per
lei, urtò leggermente la testa di Eglerion con il piede. Quello neanche aprì
gl’occhi. - Devo andare a cercare una corda?- le disse. Ella rise. -
Sei alquanto inquietante, sai?- gli rispose. Egli alzò la testa e volse lo
sguardo verso di lei. - T’ho detto io che avrei vegliato su di te. Anche nel
sonno-. La fanciulla rise di nuovo. Eglerion si alzò, chiedendole se
volesse proprio alzarsi in quel momento. - Inizio ad avere un po’ di fame,
non per altro- disse Rhavanwen. - Andrò a vedere se c’è qualcosa, qua sotto.
Nel mentre, puoi cambiarti in tranquillità- asserì Eglerion. Ella annuì.
L’elfo l’aiutò ad alzarsi, per poi uscire dalla stanza e dirigersi giù dalle
scale. Nonostante tutto, non era ancora giunto ad una conclusione, riguardo a
Mardion. Né chi potesse essere né perché ce l’avesse tanto con loro. Gli
tornò in mente una frase detta da Mardion durante il loro duello: era stata una
donna a rendergli inutile l’occhio. Vuoi vedere che è meno abile di
quanto lascia credere, si disse. Ad ogni modo, se mai avesse incontrato
quella ragazza, le avrebbe offerto da bere a vita, si ripromise. Non sapeva
quanto vicino era quell’incontro.
E fuor dieci anche per VII Age. Ne mancano…?
Molti, direi. Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto, questo cambio di scena. Da
terre elfiche siam passati alle selvagge terre degli uomini. Chissà che cosa
avrebbe detto Elendil, vedendo il suo Arnor ridotto in questo modo.
Sinceramente, penso sarebbe più felice di vederlo così che diviso nei tre
staterelli. Ma basta con le cazzate, che c’è gente da
ringraziare. Innanzitutto, Hary e Silvì, irriducibili lettrici che leggono e
leggono. A proposito, andate a legger anche l’ultimo cap di Alagos War, che c’è
l’intervista di Rain ad Eglerion. Due menti del genere assieme fan paura anche a
me. Quanto al “More Naked Eglerion”, dovrò veder come comportarmi più avanti.
Quanto al sangue, invece, stai tranquilla Hareth, che arriverà. E dai una
carezza a Pan da parte mia, che da brava e furba gatta nera ti salva il sistema
binario dei neuroni e ti farà notare la citazione alle “malattie”. Silvì, te
invece devi smettere di farti venire ispirazioni per i tuoi scritti leggendo
VII, ch’altrimenti sarai ancora a questo capitolo quando avrò venduto i diritti
alla Saul Zaentz =D (seh, come no…). Comunque, son felice che ti sian
piaciuti entrambi i precedenti. L’VIII è stato lungo da scrivere, ma alla fine è
venuto bene e ne son felice. E quell’aria di complicità tra i tre è proprio ciò
che tien su tutto, tra le frecciate e tutto il resto. Il titolo è venuto di
conseguenza. Quanto al IX, l’intermezzo del vomito serviva sia a dar un altro
frammento di carattere a Gelirion sia a mostrare quanto era veramente disastrata
la situazione sulla Ithil. Il flashback, invece, andava fatto al più presto:
serviva spiegare che cosa era effettivamente successo tra i due, senza nasconder
indizi qua e là come ho fatto negl’altri capitoli.
Ah, vi prego, non sparatemi per l’accento degli
abitanti. Era mia intenzione dar loro un accento peculiare, ma l’unico che
conosco abbastanza da poterlo scrivere per bene (o quasi) è quello triestino,
per cui i miei locandieri parlano triestino. Bepi e Toni, nello specifico,
assomigliano molto a due miei amici tra una ventina d’anni, perché ce li vedo
molto a far tale lavoro.
Note sulla pronuncia. A: tutte le X nel triestino
sono lette come la S in “rosa”, per cui un misto tra S e Z. B: dicasi
“bevandela” una persona (o nano) molto dedito al bere. C: per qualunque
traduzione necessaria contattatemi o domandate in recensione, risposta sarà
data. D: (per il Sindarin, cosa ch’avrei dovuto far prima) in caso non ne
siate al corrente (confido che le due irriducibili non abbiano bisogno di questa
nota, come la maggior parte dei lettori), tutte le C e le G dei nomi elfici
hanno suono duro, SEMPRE.
Detto ciò, vi saluto. Ci si sente per
l’undicesimo.
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Capitolo 11 *** Cap XI Blue Eyed Meldarion ***
VII Age cap XI
Cap XI Blue Eyed Meldarion
Aveva qualcosa nella schiena. Era piantato proprio in mezzo alle scapole.
Aprì gl’occhi. La sala della locanda era in una situazione
disastrosa. Sedie e panche erano rovesciate in giro, boccali e bicchieri
erano abbandonati sui tavoli e vari uomini dormivano sulle poche panche ancora
in piedi. Meldarion fumava, sulla porta. Il sole era a metà del suo cammino
verso lo zenit. Chiuse di nuovo gl’occhi. Fitte di emicrania attraversarono
la sua testa. Lasciò perdere anche il dolore alla schiena, tentando di ricordare
che cosa fosse accaduto la sera prima. Nero. Non ricordava nulla. Forse
qualcosa. Ma era troppo stancante pensarci. Era ora di chiedere aiuto. Provò
a chiamare Meldarion. Dalle sue labbra uscì un verso indistinto. Non
apparteneva a nessuna lingua conosciuta ma bastò ad attirare l’attenzione
dell’elfo. Egli si voltò e s’avvicinò. Dopo essersi chinato all’altezza
del suo volto, parlò. - Ben svegliata, somma Thalien-.
***
- Ed ora?- chiese Rhavanwen, dopo che i due ebbero finito la loro
colazione. - Ed ora s’attende- rispose Eglerion, reprimendo uno sbadiglio.
Se non dormire è male, dormire poco è peggio, si disse. Erano ancora
in camera di Rhavanwen, seduti sui cuscini. Eglerion aveva portato del caffè e
dei biscotti al piano superiore, in modo da poter mangiare in tranquillità.
- Intendevo: nel mentre noi che cosa facciamo?- domandò la
Sindar. Eglerion sorrise, pensando al commento cinico che sarebbe potuto
uscir dalle labbra di Stephane in un momento del genere. - Non ne ho idea. Ma
ho il vago sospetto che tu abbia già qualche programma per la
mente-. Manwe, Ulmo, Varda e tutti quanti, vi prego, fate che non abbia
voglia di visitare questa città, vi prego dal profondo! Rhavanwen gli
regalò uno dei sorrisi più belli. - A dire il vero sì. Son curiosa di veder
il resto di questa città- disse. Eglerion sospirò. - I Valar non mi
ascoltano- borbottò. Ella s’alzò, mentre egli estrasse un sacchetto dalla
tasca. - Eglerion?-. - Mh…- rispose egli, armeggiando con tabacco e
cartina. - Ti dispiacerebbe uscire? Non son riuscita a cambiarmi, nel tempo
che mi hai dato prima- disse ella. Eglerion s’alzò anch’egli, cicca ancora
aperta in mano. - Vado. A tra poco- le disse. Chiuse la sigaretta ed uscì
dalla stanza, dirigendosi al piano inferiore. Una calma innaturale regnava
nel luogo. Bepi dormiva ancora, su una sedia dietro al bancone. Eglerion
uscì in strada e s’accese la sigaretta. Chissà come stanno
quegl’altri, pensò. Poco dopo sentì i passi della sua amica scendere le
scale. - Eccomi. Che dici, andiamo?-. Egli spense il mozzicone e s’avviò,
assieme all’elfa per le stradine.
Se c’era un aggettivo per descrivere quella città, pensò Eglerion, più tardi,
poteva essere Archetipo. Oppure Folk. Era viva, sempre scossa da un viavai di
gente. Videro mercanti di Gothlam, nani e, i due rimasero stupefatti, vedendolo,
un centauro. - Questo viaggio sta mostrando cose sempre più inaspettate-
disse Rhavanwen. - Nel senso?-. - Beh, nani a Minas Duin, uomini decisi
fino all’ultimo ad ucciderci, Noldor che spuntano dal nulla, nel momento più
inaspettato, ed ora centauri. Mancano giusto i Valar- disse. - Ti sei
scordata qualcosa- disse Eglerion. - Come?-. - A me han mostrato anche
sentinelle, avvezze a battaglie e sotterfugi che affermano d’essere molto scosse
dopo un tentativo d’assassinio- le disse. Al momento non c’aveva fatto troppo
caso -era anche felice che ella trovasse sicurezza nella sua presenza- ma
c’aveva pensato quella mattina: com’era possibile che un avvenimento del genere
potesse scuotere così tanto Rhavanwen. Sorrise, notando ch’ella arrossiva
leggermente. - Sarà stato quell’uomo ad inquietarmi. Poi, non avevi affermato
tu d’essere pronto a proteggermi?- domandò, sulla difensiva. - Allora la mia
presenza non ti fa bene, se poi non t’accorgi che qualcuno è nella tua stanza-
rispose, canzonandola. Ella parve offendersi. O, perlomeno rabbuiarsi. -
Su, che scherzo- le disse, cingendole la vita con un braccio. Continuarono a
vagare per le stradine, fermandosi talvolta a qualche bancarella. Verso il
meriggio presero un paio di mele dalla bancarella d’un’anziana signora, che
insisté per regalargliele. - Non potrei mai far pagare due esseri così
luminosi- disse, mostrando loro un sorriso. Evidentemente, coprire le orecchie
tra i capelli e con i copricapo più orrendi -Eglerion indossava un cappello che
a noi rimembrerebbe subito il Texas- che fossero riusciti a trovare non era
bastato per nascondere la loro natura. E pensare che ci tenevano a non dare
nell’occhio. - I Valar siano con voi, signora- risposero,
grati. Continuarono ad errare per le strade, finché, verso la prima dopo il
meriggio -o la settima dopo l’alba, che dir si voglia- ritornarono verso la
locanda. - Bepi, te ne porti una caraffa de nero?- disse Eglerion,
entrando. Rhavanwen rise, sentendo la cadenza dialettale delle sue parole e lo
stesso fece Toni, che stava giocando a scacchi con Bepi dietro del bancone. -
Da quando te parli cussì, ti?- domandò Bepi, portando la caraffa allo
stesso tavolino della sera prima, dove avevano di nuovo preso posto. Eglerion
rise e si verso un calice di nero. Assaggiò e guardo Rhavanwen. - Questo è
ottimo, consiglio di berlo anche a te- disse, versando del vino anche nel suo
bicchiere. Ella prese qualche sorso, mentre la porta della locanda si
apriva. - Non si dovrebbe bere in servizio- disse una voce conosciuta, in
tono scherzoso. - Da che pulpito…- rispose un’altra. I due si voltarono,
per vedere il resto del gruppo sceso a terra sull’ingresso del locale. - Ben
arrivati!- disse Eglerion, alzandosi. Essi si avvicinarono al tavolo, per poi
sedersi, mentre Bepi segnava sul conto di Eglerion altre due caraffe di rosso. E
una di birra per il nano. L’oste portò il vino al tavolo, mentre Eglerion
studiava i suoi compagni di viaggio. La Regina Alastegiel sembrava provata.
Dagli occhi iniettati di sangue s’intuiva che non aveva passato la migliore
delle notti. Meldarion, seduto accanto a lei, continuava a sorridere
beffardamente, fissando il bicchiere vuoto della Regina. Burin e Galadhwen,
infine, sembravano freschi e riposati come non mai, se non fosse stato che il
primo aveva delle foglie di edera impigliate nella barba e la seconda mostrava
una chioma tra le più scarmigliate. - Meldarion, vuoi dirmi che cosa c’è da
ridere? E voi due, che diamine avete fatto ai capelli?- disse Eglerion. Il
primo scoppiò a ridere, mentre gl’altri due cominciarono a narrare della sera
precedente. Galadhwen era stata la prima a cedere, dopo aver sfidato un uomo
che le faceva gl’occhi dolci fino all’ultimo boccale. Era crollata a dormire sul
pavimento della locanda, con Meldarion che le vegliava accanto, mano sull’elsa
della spada. Alastegiel aveva dato prova di sé battendo un paio di uomini, ma
poi s’era improvvisata direttrice d’orchestra di cori da bettola, in piedi su
uno dei tavoli. Per poi rovinare giù ed addormentarsi, con il gomito di
Galadhwen piantato tra le scapole. Burin, infine, dopo essersi ubriacato
anch’egli, era finito a litigare con l’oste, che l’aveva gettato -aiutato da
altri tre nani- nel vicolo dietro alla locanda. Dopo varie minacce in Kuzdhul -e
parecchie secchiate d’acqua- Burin s’era addormentato beatamente tra l’edera del
vicolo. - Non quella che si dice una serata tranquilla- concluse Rhavanwen,
dopo un secondo bicchiere. Risero nuovamente tutti. Eglerion poi
s’alzò. - Andrò a prendere i nostri bagagli. Dopodiché direi di pagare e di
rimetterci in marcia. Abbiam già speso troppo tempo qui, almeno noi due-
disse. Il resto del gruppo gli lanciò occhiate interrogative. -
Ab- disse, in Sindarin. Dopo.
Pochi minuti dopo si trovavano tutti all’esterno della locanda. Avevano
calorosamente salutato i due osti, che avevano insistito per fargli uno sconto
tanto quanto Eglerion aveva insistito per dar loro un’extra. Alla fine nessuno
dei due l’ebbe vinta e pagarono solo ciò di dovuto. - Qualche idea sulla
strada da farsi?- chiese Galadhwen. - N’abbiamo parlato, Eglerion ed io,
pochi giorni prima di approdare. L’idea era di proseguire a Sud, da Yelinta,
fino ad incrociare il Calanduin. Da là proseguiremo leggermente a Sud-ovest,
arrivando poi nel Mithlond- disse la Regina. Il gruppo si mise in marcia,
uscendo dal cancello Sud della città. Lì Burin si fermò. - Qualcosa non va?-
domandò Eglerion, lasciando le redini di Nimloth. - Ho meditato a lungo ed ho
preso una decisione: amici miei, le nostre strade si dividono qui. Non intendo
proseguire verso Sud, ma continuerò verso Ovest, fino ad arrivare alla sorgente
del Calanduin. Ivi sorge il Santuario di Aule, dove vivono molti della mia
razza. Vi ringrazio molto dell’ospitalità, ma è giunto il momento di
separarci-. Alastegiel si avvicinò. - Ti comprendo, Burin. È stato un
piacere ed un onore conoscerti. Spero che i nostri sentieri s’incroceranno
nuovamente, prima o poi- disse. Il resto degl’elfi salutò Burin, augurandogli
ogni fortuna per il suo viaggio. Eglerion parlò per ultimo. - Che Aule
t’illumini il cammino, amico mio. E ricorda che dobbiamo ancora vedere chi dei
due regge di più, poiché non ne abbiamo ancora avuto occasione. Infine, -
continuò, abbassando la voce per evitar di farsi sentire dagli altri, - ti
avverto: tieni l’ascia pronta ed il passo svelto, perché Mardion potrebbe esser
ancora nelle vicinanze. Se ti capiterà d’incontrarlo, mi auguro che la tua lama
conoscerà il piacere di spiccargli la testa dal capo-. Udendo gl’ultimi
avvertimenti, il nano si rabbuiò. - Che i tuoi auguri possano realizzarsi,
Eglerion Tegaladion- rispose. Esitò, come sul punto d’aggiungere qualcosa, ma
poi si congedò definitivamente, inchinandosi e volgendo i suoi passi ad
Ovest. Eglerion lo lasciò andare, sebbene le parole del nano l’avevano
lasciato turbato: come conosceva Burin il nome di suo padre? Decise di
lasciar correre e si riunì al resto dei suoi compagni.
Quel pomeriggio marciarono silenti lungo sentieri antichi, residui della
Terra di Mezzo che ancora non aveva visto il cataclisma. Camminarono a lungo, a
passo svelto, fino al tramonto. Senza una parola, Eglerion fermò Nimloth ed
il gruppo s’arrestò. Non persero tempo a cacciare ma mangiarono una cena
fredda con il cibo portato dalla Ithil. Non accesero neanche un fuoco, non
avendone effettivo bisogno. Si sederono nello spiazzo erboso e mangiarono,
senza parlare. Quando tutti ebbero finito, Alastegiel guardò Eglerion e
Rhavanwen. - Adesso vorrei che ci comunicaste i motivi di questa frettolosa
dipartita da Yelinta-. Non parlò in tono freddo, ma fece sentire ogni briciolo
d’autorità in quelle parole. Eglerion sospirò, per poi estrarre dal suo
bagaglio il tabacco. Cominciò a girarsi una sigaretta nello stesso momento in
cui prese a parlare. In poche parole raccontò della sera prima e di Mardion,
sempre rollando, lasciando Alastegiel basita. - Questo Mardion ce l’ha con
te, sembrerebbe- disse Meldarion, rompendo il silenzio. Aveva da pochi momenti
fregato l’armamentario da rollo ad Eglerion e si stava dedicando anche lui al
suo piccolo cancro al polmone. Eglerion accese un piccolo fuoco di paglia ed
infiammò la punta della sua cicca. Prese una lunga boccata, pensoso, per poi
rispondere a Meldarion. - Sembrerebbe di sì. Peccato che io non abbia la più
pallida idea di chi sia-. - Di certo c’è che non si tratta di un elfo-
interloquì Galadhwen. - Ma non è neanche umano. Ed escluderei la possibilità
che si tratti di un nano: difficilmente raggiungono i sei piedi d’altezza- disse
Eglerion. - Ne sei certo, Eglerion, che non si tratti di un uomo? Magari un
qualche Lord numenoreano che hai attaccato precedentemente-. - Più che certo.
E lo saresti anche tu, se l’avessi visto combattere. Nessun uomo, neppure se
cresciuto tra gl’elfi, come Stephane, può combattere con quella velocità e
forza-. - Non vorrai mica dire che si tratta di un Maia- disse Meldarion,
dando alle fiamme la punta della sua sigaretta con un fiammifero. - Non lo
escluderei, sai- disse Eglerion, serio. Meldarion ridacchiò. - Sì. E,
magari, si tratta di uno dei sette in persona, ancora arrabbiato per la storia
dei Silmaril. O, magari, Mandos stesso, pronto a adempiere le sue maledizioni,
dopo millenni. Perché, se non erro, c’era anche la tua linea, immischiata in
quegl’intrallazzi. O sbaglio?-. Eglerion prese un paio di boccate, prima di
rispondere, incurante degli sguardi confusi delle Sindar. - Più o meno. Mi
pare che qualcosa l’abbia perdonato, ai miei avi. Penso sia dovuto, dopo
quell’immensa camminata tra i ghiacci che gli toccò fare. Ma, tralasciando la
genealogia, escluderei tale probabilità. Se Mandos volesse distruggere i Noldor,
non gli basterebbe inabissare Manwetol e feudi vari?- rispose, riprendendo la
conclusione che aveva raggiunto la sera prima. - Per cui resti dell’idea che
sia un Maia- asserì Rhavanwen, estraendo una bottiglia da una delle sacche di
Nimloth. - Non posso esserne certo, ma andando per esclusione direi di sì-
rispose il biondo, prendendo l’ultimo tiro. Rhavanwen passò la bottiglia a
Galadhwen, che l’aprì e n’annusò il contenuto. - Tequila?- domandò al
Capitano. - Aye. Ottima tequila-. Galadhwen bevve due sorsi, per poi
passare la bottiglia alla Regina, alla sua sinistra. Anch’ella bevve, per poi
passarla a Meldarion. Il Noldo gettò anch’egli il suo mozzicone, per poi bere un
paio di sorsi. Passando la bottiglia ad Eglerion, parlò nuovamente: -
Quindi resti della tua opinione- affermò, incerto. - La mia opinione è
incerta quanto il tuo tono. Possiamo far ben poco, al momento-. Detto ciò, il
Re bevve qualche sorso. - Yoho, beviamoci su- asserì, laconico,
Meldarion.
***
La mattina dopo Galadhwen svegliò il resto degli elfi. Era toccato a lei
l’ultimo turno di guardia. Dopo una veloce colazione si misero di nuovo in
marcia. Camminarono a lungo, sempre in silenzio, quasi per non disturbare la
Terra dormiente: eran secoli che un elfo non posava i suoi piedi su quei
sentieri. Gl’unici ad utilizzarli erano i fuorilegge delle città, in fuga, o
gl’animali selvatici, per quanto ne sapevano. Presto apparve loro la vista,
in lontananza, d’alcuni colli. Meldarion s’arrestò, improvvisamente. Sembrò
crollare sotto il suo stesso peso e restò in ginocchio a fissare il terreno di
quello che -nonostante non lo sospettassero- una volta veniva chiamato
Verdecammino. - Man mathach?- gli chiesero. Egli non rispose. -
Meldarion?- chiamò Eglerion. Il moro non disse parola neanche stavolta. Alzò
semplicemente il mento in direzione di chi lo aveva interpellato e lo fissò con
sguardo gelido. E con delle iridi di un azzurro talmente intenso da far
rabbrividire il più coraggioso degl’uomini. Eglerion non disse nulla, ma tese
solo la mano verso l’amico. Questi l’accettò e si rialzò da terra,
ringraziandolo. - Che cosa è successo, Meldarion?- domandò Galadhwen. -
Nulla di tale, son inciampato in una radice- rispose egli. - Meldarion, -
cominciò Eglerion, in tono serio, - tu puoi beccare tutte le radici di questa
terra, ma nessuna, nessuna di nostra conoscenza può farti cambiare il
colore degli occhi-. Meldarion si rabbuiò. Non poteva più nasconderlo,
l’odiato dono che Mandos gl’aveva concesso. - Le spiegazioni le rimanderei a
stasera. Adesso è meglio se ci rimettiamo in marcia. Possiamo ancora raggiungere
quei colli entro l’imbrunire, per poi accamparci là- interloquì
Alastegiel. Gl’altri annuirono. Senza una parola sull’accaduto, ripresero ad
avanzare verso il punto indicato da Alastegiel.
Verso il tardo pomeriggio fecero un’ulteriore scoperta: non si trattava
affatto di colli. Erano tumuli. Sparsi in gruppetti di due o tre, essi
chiudevano una piccola radura, il cui centro era segnato da un monolito, eroso
dalle intemperie. Il gruppo si fermò, sul far della sera, tra quei tumuli;
avendo concordato qualche ora prima di utilizzare il luogo per quella
notte. Stavolta Meldarion raccolse della legna ed accese un piccolo
falò. - E quello? Per la suggestione?- domandò Rhavanwen,
sorridendo. Meldarion le scoccò un’occhiata gelida, ma rispose con voce
calma: - Fidati di me, è meglio averlo-. Eglerion non prestò attenzione ai
due, ma estrasse la bottiglia di tequila della sera prima e ne prese un sorso:
la situazione cominciava a farsi troppo contorta, senza concentrarsi
sui battibecchi dei compagni. Guardò la bottiglia, sospirando, e prese un
ulteriore sorso. Per fortuna aveva portato una riserva sufficiente, per quel
viaggio. Quando si voltò, si trovò faccia a faccia con Alastegiel. -
Abbiam bisogno di parlare- disse ella. Gli fece cenno di seguirla, mentre
s’avviava verso il tumulo più vicino. I due s’inerpicarono sul colle e si
sedettero sulla sommità di esso, poco lontani da una pietra intagliata. - Che
cosa c’è che volevi dirmi?- domandò il Noldo, cominciando a girarsi l’ennesima
cicca. - Sono preoccupata. Tra Mardion e Meldarion che adesso comincia a
recitare la parte del folle, comincio a pensare che questo viaggio non ci
porterà alcun bene- disse ella. - Mardion è un problema non da poco,
concordo. Non penso sarebbe strano se spuntasse da uno di questi tumuli,
stanotte-. Alastegiel rabbrividì. - Paura?-. - No. O, meglio, non di
questo luogo, nonostante si possa percepire il male che porta-. I due si
guardarono attorno, mentre l’umidità della sera li avvolgeva in una spessa
nebbia. - Lo so. È antico. Probabilmente c’è qualcosa di più antico di
entrambi, sotto quest’erba-. - I problemi sono: s’interesserà a noi? E: sarà
benigno, in caso lo faccia?-. - Dubito, riguardo alla seconda. E comprendo
perché Meldarion ha acceso quel fuoco-. - Ritornando a lui, non sei
preoccupato?-. - Non molto, veramente-. - Come mai? Non mi par normale che
una radice possa cambiarti il colore delle iridi- incalzò Alastegiel. - Vero.
Ma lo conosco abbastanza da comprenderlo. Sta bene, per ora- rispose
Eglerion. Com’aveva finito di dir quelle parole, un grido proveniente dalla
radura attirò la loro attenzione. L’eco di questo riecheggiò tra le colline.
Eglerion raggelò quando udì un grido di risposta. Scesero velocemente lungo
il crinale, per trovare le due Sindar inginocchiate vicino a Meldarion,
disteso. Il suo corpo era scosso da tremiti, le dita si flettevano veloci, ma
i suoi occhi, mai così azzurri, erano immobili e fissi. - Rhavanwen, prendi
l’arco e mettiti vicino al fuoco- disse Eglerion, conciso. Ella eseguì, senza
fiatare, mentre Eglerion afferrava un tizzone dal falò. - Che cosa c’è,
Eglerion?- domandò Alastegiel. - Ti ricordi quella presenza? Probabilmente
s’è accorta di noi e non è per niente benigna. Voi due pensate a Meldarion,
Rhavanwen ed io vedremo che fare se decide di farci visita- rispose.
Alastegiel annuì. I due attesero, tesi come la corda dell’arco di
Rhavanwen, mentre Galadhwen ed Alastegiel vegliavano su Meldarion, che aveva
cominciato a mormorare qualche parola in una lingua a loro sconosciuta. -
Adveniunt… celere colles descendunt…-. Nel mentre sembrava
contorcersi, spaventato da qualcosa che non vedevano. Eppure percepivano, più
forte di prima, il male avvicinarsi. - Hic sunt- concluse il Noldo,
prima di svenire definitivamente. Tre pallide figure emersero dalle
nebbie. Erano vestite di stracci, che una volta erano probabilmente stati
ricchi abiti, e d’armature consunte, su cui la luce delle fiamme si rifletteva e
guizzava, rendendo le apparizioni ancora più tremende. Sul capo d’ognuna v’era
una corona di foggia diversa, e stringevano, nelle dita ossute e coperte
d’anelli, delle spade arrugginite. Eglerion sguainò la sua lama, mentre
scambiava due parole in Sindarin con Rhavanwen, dicendole di tenersi pronta a
scoccare. Quando il primo dei tre fu abbastanza vicino, Eglerion si rivolse a
loro. - Chi siete, ch’ancora vagate per quest’erme lande? Tornate al vostro
riposo, più vostra quiete non turberemo- disse. Lo spettro emise un suono
strano, a metà tra un ringhio e una risata cavernosa, per poi parlare. - Fini
nostri turbare audete. Ciò che già siamo, a breve sarete- rispose esso, in un
sibilo minaccioso. Gl’altri due spettri s’unirono al primo nelle risa, per
poi levare le spade. Eglerion si preparò, brandendo sia spada che tizzone.
Lanciò una rapida occhiata a Rhavanwen, che intese il segnale. La freccia
dell’elfa si piantò nella mano dell’avversario più a destra, subito seguita da
una dritta all’altezza del cuore, mentre Eglerion incrociava la lama con
gl’altri due. Il Noldo si ritrovò a fissare due paia d’orbite vuote, ad udire
due risate prive d’ogni gioia, a sentire l’immondo puzzo di decomposizione
emanato dai suoi nemici. - Ch’ei a noi venga, lascia!- disse uno dei due,
mentre l’elfo premeva per rompere l’aggancio. Eglerion si staccò, arretrando
di un paio di passi, per poi tornare ad incalzare i due nemici, mentre il terzo,
a cui le frecce non parevano aver fatto alcun effetto, veniva combattuto da
Rhavanwen, che aveva lasciato l’arco per estrarre anch’ella la sua spada. I
due elfi continuarono a scambiare colpi con i loro nemici, perdendo e
guadagnando terreno ogniqualvolta Eglerion allungava il tizzone ardente verso
essi. Con un colpo di maestria, Rhavanwen riuscì a spiccare la testa dal capo
di uno dei tre. Il corpo cadde a terra, lasciando cadere l’arma, ma la testa
rotolò poco lontana e continuò a fissarli con le sue orbite buie, lasciando
uscire la sua macabra risata da una gola inesistente. Rhavanwen indietreggiò,
impietrita da ciò che vedeva. - Avo ‘osto, Rhavanwen, avo ‘osto!- le
disse Eglerion. Non temere. Stavolta comprendeva l’eventuale paura
della sentinella: per quanto i mortali, vivi o deceduti, non l’avessero mai
spaventato, le fredde dita dell’incertezza cominciavano ad afferrare anche il
suo animo. Rhavanwen non rispose ma, ripresa la fredda lucidità, calciò
lontano la testa del nemico abbattuto e, con un grido, si avventò assieme al
Capitano contro gl’altri due spettri. Dopo un rapido, ulteriore, scambio di
colpi, Eglerion improvvisò una stoccata verso lo spettro alla sua sinistra,
contro cui si stava accanendo anche la Sindar. Il colpo riuscì ed il ramo
incendiò le consunte vesti e le carni in decomposizione dell’essere. Ma pagò
caro il rischio preso: lo spettro rimanente, approfittando della momentanea
distrazione di Eglerion, lo colpì alla coscia. L’elfo emise un verso di dolore,
ma fu un momento soltanto. Pochi secondi dopo, grazie agli sforzi combinati dei
due elfi, il corpo dell’ultimo spettro giaceva in pezzi sul suolo. Rhavanwen
prese il tizzone dalle mani di Eglerion e, mentre anche questo spettro
s’accomiatava da loro ridendo, glielo piantò in gola. I due tornarono al
falò, dove trovarono le due elfe intente a vegliare su Meldarion, armi alla
mano. - Bisogna cauterizzare quel colpo: quella lama era arrugginita come non
mai, farà infezione se non agiamo in fretta- disse Rhavanwen, dopo essersi
assicurata che gl’altri fossero illesi. - Fammi girare una sigaretta, prima,
poi hai il permesso di darmi fuoco totalmente, se vuoi- rispose Eglerion,
nervosamente. Impiegò qualche minuto di troppo, nel rollarsi la cicca, per via
delle mani tremanti, ma riuscì. Poggiò la creazione accanto a sé e si voltò
verso l’elfa bionda. - Meglio se mordi qualcosa, non sarà quello che si dice
“un piacere”- disse ella. Galadhwen, nel mentre, si era avvicinata, portando
con sé un otre d’acqua. Il Re estrasse un corto pugnale dalla cintura e ne
morse la lama dalla parte smussata. - Pronto- mugugnò. Rhavanwen prese un
altro legno acceso dal falò morente e fissò Eglerion. - Uno. Due.
Tre!-. Eglerion strinse i denti sul freddo acciaio, quando il tizzone
incandescente venne a contatto con la sua carne, procurandogli lunghi secondi di
dolore intenso. Subito dopo Galadhwen versò dell’acqua sulla carne viva, per
raffreddarla. Rhavanwen concluse la medicazione disinfettando la ferita con il
primo liquido utile che trovò -la tequila di Eglerion- e fasciandola. -
Zoppicherai un paio di giorni, ma dovresti rimetterti presto-. - Bene-
rispose egli, accendendosi la sigaretta e afferrando la bottiglia dalle mani di
Rhavanwen. Fece un lungo tiro, per poi bere un paio di sorsi. Gli ultimi. -
Cazzo, un’altra bottiglia finita. Dannati spettri, porca troia- imprecò. Le
due elfe risero. - Degno… degno d’un Haradrim sbronzo... Eglerion…- sentirono
farfugliare, poi. Si voltarono, per vedere Meldarion che avanzava, sorretto
da Alastegiel. I suoi occhi erano ancora dello stesso azzurro intenso di
prima, ma meno freddi. - Dobbiamo muoverci di qui- asserì quest’ultima. -
Concordo. Meldarion, Sali su Nimloth, ché non sei in condizioni di camminare-
assentì Eglerion. Si guardò un attimo attorno, per poi trovare, abbandonato
vicino al falò, un ramo abbastanza lungo. Si caricarono i bagagli in spalla e
si rimisero in marcia, attraverso le nebbie che andavano diradandosi.
Al mattino avevano messo una lega tra loro e i tumuli e si concessero
qualche ora di riposo. Si trovavano sulla riva d’un ruscello che scorreva
veloce, ai margini d’una piccola radura, immersi in un fitto bosco. Galadhwen
montò la guardia, assieme ad Alastegiel, entrando nella trance meditativa
utilizzata dagl’elfi come forma di riposo. Consce ed inconsce di tutto ciò che
accadeva loro attorno. Gl’altri preferirono gettarsi sotto l’ombra dei pini
odorosi e dormire. Il mattino passò pigramente e, verso il meriggio, si
svegliarono per mangiare qualcosa. - Tutto calmo?- domandò Meldarion. S’era
ripreso, una volta lasciati i tumuli, ma possedeva ancora gl’occhi azzurri che
non gl’appartenevano. - Nessun suono- replicò la Regina, senza interrompere
la meditazione. Eglerion si stiracchiò, dietro di loro, guardandosi attorno.
Si sentiva riposato, finalmente, e le fronde sopra di lui, con il loro odore di
pioggia, gli davano una sensazione di pace. Ma v’era comunque una vaga,
remota, nota stonata. Galadhwen fu la prima a notarla: ad un certo punto,
quando s’apprestavano ad alzarsi per decidere sul da farsi, s’irrigidì nella
meditazione e si rivolse agl’altri. - Lo sentite?-. I quattro elfi si
misero in ascolto, cercando d’udire ciò di cui Galadhwen li aveva
avvertiti. Zoccoli, lontani, assieme a passi leggeri e clangore di
metallo. Meldarion ed Eglerion si scambiarono un’occhiata. - Tu su
Nimloth, io correrò- disse il primo. - Accordato-. Assieme, cominciarono a
togliere le sacche dalla sella di Nimloth, poggiando il bagaglio per terra. -
Dove credete di andare? Veniamo anche noi- disse Alastegiel, vedendoli
indaffarati. - Meglio di no, meglio non rivelare il nostro numero fin da
subito. Vi prego, rimanete qui e state pronte a tutto- le rispose
Eglerion. Il Capitano salì sul suo cavallo e guardò Meldarion. -
Pronto?-. - Andiamo-. E i due partirono, inoltrandosi più in fretta
possibile nella foresta.
***
Le lame cozzarono per l’ennesima volta, mentre piedi e zoccoli si bloccavano,
sulla riva del Calanduin. La ragazza eseguì una complicata mossa per
liberarsi dall’aggancio in cui il suo avversario l’aveva costretta, per poi
attaccare con il manico della sua lancia. Il centauro parò con una delle sue
lame, muovendo repentinamente la seconda verso il fianco scoperto della
fanciulla. Con un movimento fluido ella schivò, in un turbinio di ciocche
fiammeggianti, per poi tornare ad attaccare. Le armi s’incrociarono nuovamente,
quando ella si bloccò. - Che cosa accade?- domandò il centauro. - Abbiamo
ospiti. Un elfo, assieme ad un cavaliere, stanno venendo verso di noi. E sento
la presenza d’altri elfi, più in là- rispose ella. - La radura di confine,
giusto?-. - Esattamente. Vai tu? C’è qualcosa di strano, nell’elfo che sta
arrivando, sono curiosa di scoprire chi egli sia-. - Come preferisci, Hestia.
Ci si vede tra poco-. Detto ciò, il centauro saltò lo stretto fiume e
cominciò a galoppare verso la radura, dove le tre elfe attendevano, quasi
ignare. Hestia si guardò attorno, ascoltando i rumori causati dai due in
arrivo e cercando il luogo migliore da dove disarmarli, in caso ce ne fosse
stato bisogno. Si nascose, quindi, dietro un affioramento roccioso e
attese. - Hai sentito? L’altro cavaliere è andato verso le altre- sentì dire
da una voce. Era profonda, ma comunque gioviale e, in quel momento, alquanto
preoccupata. - Ho sentito, Meldarion. Speriamo solo sappiano cavarsela, in
caso si tratti di colui che temo- rispose un’altra voce. Era arrivato il
momento d’interrompere la loro conversazione. Uscì dal suo nascondiglio, con la
lancia in pugno, pronta a difendersi. - Chi siete voi?- domandò loro, con una
voce non sua, baritonale ed antica. I due elfi sussultarono ed alzarono le
armi. La ragazza vestiva una tunica di cuoio e puntava verso di loro una
lancia che sembrava uscita dalle forge della scomparsa Gondolin, o da Nan
Elmoth, per quanto era splendida. Li fissava con i suoi occhi azzurri, ancora
più azzurri e profondi di quelli di Meldarion ed Eglerion in quel momento. -
Chi siete?- domandò di nuovo. I due elfi decisero di abbassare le armi.
Eglerion scese da cavallo e si avvicinò, con le mani alzate in segno di
resa. - Mi chiamo Eglerion. Io ed alcuni compagni stiamo viaggiando per
queste terre, diretti verso il Mithlond, non pensavamo fossero abitate. In più
pensavamo che il cavaliere che abbiamo sentito vi stesse attaccando e che fosse
una nostra vecchia conoscenza, di cui non desideriamo incrociare di nuovo il
cammino. Questi è Meldarion, uno dei miei sodali. Vi dispiacerebbe dirci il
vostro nome?-. - Sono Hestia. Vivo in queste terre dagli albori di quest’Era,
nonostante cammini su Arda da molto più tempo. Il messere di queste terre ha
concesso l’ospitalità a me, mia sorella e ad un altro nostro amico, il
cavaliere che udiste prima- disse ella, non nascondendo un sorrisetto
quando definì la natura del centauro. - Onorati di conoscervi- disse
Meldarion. Eglerion, invece, non rispose, ma fissò la donna. Se tale poteva
esser definita. - Voi non siete un’elfa, mia signora- le disse, quasi più per
obbligarsi a crederlo. Ella sorrise, mentre gl’occhi di Meldarion si
muovevano velocissimi verso le orecchie di lei. - Arguta osservazione,
giovane elfo. Non sono né una primogenita né una dei figli minori di Iluvatar.
Questo ti lascia poche opzioni sulla mia stirpe-. - Vedi, Eglerion? Parli del
nano e ne spunta la barba- disse Meldarion, riferendosi ai discorsi della sera
prima. - Come, prego?- domandò Hestia. - Nulla di tale. Mi sta ricordando
che, giusto ier sera, parlavamo di un possibile Maia. Che, però, ci vuole
morti-. Ella si ricordò improvvisamente dei discorsi dei due, riguardo al
centauro. Sorrise, per rassicurarli. - Potete star tranquilli, riguardo al
mio amico: lui appartiene ad un’altra razza e, in più, non s’è mosso da questi
boschi negl’ultimi giorni-. Cominciò, poi, a camminare, nella direzione presa
dal suo compagno. Si fermò, poco dopo, vedendo che i due elfi non si
muovevano. - Allora? Non volete riunirvi alle vostre compagne e conoscere
questo fantomatico cavaliere?- disse loro, per poi cominciare a correre verso la
radura da dove erano partiti. - Maiar- borbottò Meldarion, accodandosi ad
Hestia nella corsa, seguito a sua volta da Eglerion, ch’era risalito su
Nimloth.
Impiegarono meno tempo, stavolta, poiché Hestia li aveva condotti per un
sentiero ben nascosto di sua conoscenza. - Come state?- domandò Meldarion,
trafelato, una volta uscito dalla selva. - Noi stiamo bene, Meldarion. Te,
piuttosto, continui ad avere l’aria di chi ha visto negli occhi di
Morgoth-. Eglerion soggiunse poco dopo, accompagnato da Hestia, che aveva
rallentato la sua corsa per parlare con il Capitano. - Tutto bene?-. -
Tutto a posto, - rispose Alastegiel, - poi, con Diomede a proteggerci, che cosa
vuoi che ci sia accaduto?-. Fu in quel momento che Eglerion notò il centauro
che lo guardava. Due spade erano poste nelle guaine, che Diomede portava a
tracolla. Una curata barba nera gli copriva il mento, mentre i capelli,
anch’essi corvini, erano tagliati corti, eccetto che per un gruppo di ciocche,
raccolte in una coda che gli ricadeva sulle spalle nude. Dal busto in giù aveva
in tutto e per tutto l’aspetto d’un baio. Parlò con voce profonda, ma che
manteneva una vaga nota ironica, mentre lo scrutava con le iridi scure. -
Benvenuti, signori, nelle terre del Messere-. - Ben incontrato a voi- rispose
Eglerion.
***
Gl’elfi camminarono, a lungo, attraverso i boschi, risalendo il Calanduin,
guidati da Hestia e da Diomede, che avevano offerto loro
ospitalità. Arrivarono nel pomeriggio inoltrato in vista d’una casupola. -
Talia!- chiamò Hestia. - Non occorre che tu gridi, son qui- rispose la
sorella, uscendo dalle fronde accanto a loro con una pentola piena d’acqua.
Dietro di lei si sentiva il gorgogliare del fiume. Talia, vestita d’un peplo
candido, posò in terra la pentola e si presentò al gruppo, fissandoli uno ad uno
negl’occhi. Eglerion sorrise, quando si trovò a guardare in quelle iridi: il
“rituale” gli riportò alla mente l’incontro della Compagnia dell’Anello con dama
Galadriel, millenni prima. Sorridi, Capitano, sorridi, finché
puoi. Il sorriso d’Eglerion svanì, mentre ne nasceva uno sulle labbra di
Talia. Infine venne il turno di Meldarion, ch’era rimasto in disparte, in
attesa. - Mia signora, è un onore incontrarvi- disse, ricambiando lo sguardo
di Talia. - L’onore è mio-. Mandos beriannen. La tua venuta non
poteva causare meno scompiglio. Meldarion abbassò velocemente gl’occhi,
turbato. I venti possono cambiare, mea domina, le rispose, con la
mente. - Venite, immagino vorrete riposarvi- propose Hestia, interrompendo il
colloquio tra Meldarion e Talia. Il gruppo entrò nella casa delle due Maiar,
seguiti da Diomede. - Hestia, c’è ancora quel cinghiale che hai catturato
ieri?- domandò il centauro. - È legato poco lontano, verso il Calanduin. Fai
tu gli onori?- rispose la rossa. Diomede annuì, prendendo un coltello
acuminato dalla cassapanca posta sotto la finestra, ed uscì. Le due Maiar
fecero accomodare gl’elfi attorno al tavolo, informandosi sulla loro
provenienza. Prese la parola Alastegiel. - Io, assieme a Galadhwen e
Rhavanwen, vengo dall’Ithilien. I nostri due accompagnatori, invece, sono Noldor
di Manwetol- disse, concisa. Talia sorrise. Gl’elfi s’ostinavano ad omettere
i titoli, e le piaceva: era ora che i primogeniti -Noldor o Sindar o che altro-
imparassero l’umiltà. - Siam felici di avere ospiti di così alto lignaggio
sotto il nostro tetto, somma Thalien- le rispose Talia, facendo
sussultare la Regina. - Son loro, dunque, la piega inconsueta di cui mi
parlasti qualche tempo fa, sorella?- domandò Hestia. - Esattamente- rispose
Talia, soffermandosi a guardare Meldarion. - Di che piega inconsueta state
parlando?- domandò Eglerion. Aveva un pessimo presentimento. - Lascia perder
la commedia, Eglerion. Lei sa- disse Meldarion. Le elfe lo guardarono,
confuse. - Come sarebbe a dire, “sa”?- domandò Galadhwen. - È più semplice
di quanto pensi, mia giovane elfa- disse Talia, muovendo da davanti agl’occhi
una ciocca color fiamma. Meldarion sospirò ed iniziò ad esporre la
situazione. - Hestia e Talia, come avete potuto intuire, sono due Maiar.
Talia, nello specifico, serve Mandos, per cui possiede il dono della
preveggenza. Ed è a conoscenza d’ogni possibile motivo per il quale siamo qui,
ora-. Gl’elfi rimasero interdetti, mentre Talia s’accendeva una sigaretta,
con un sorriso beffardo sulle labbra. - Vedo che ha studiato, il nostro
amico. Ma sono certa che non ha raccontato al suo Re il motivo per cui i suoi
occhi non sono scuri, ora- disse. Sembrava divertirsi molto. Volse il suo
sguardo verso Eglerion. - Non è così, Sire?- gli domandò. - Non
ne sbagliate una- rispose, conciso. - Non sembrano felici d’avervi
conosciuto. Scommetto che Talia ha fatto l’onnisciente come suo solito-
l’interruppe una voce dall’esterno. Diomede entrò nella casa con la carne pronta
ad essere cucinata. Poggiò sul tavolo la cena e si diresse ad accendere il
fuoco. - Avete ragione, Diomede. Sospetto che avrei preferito rincontrare
Mardion- borbottò Eglerion. Rhavanwen lo fulminò con lo sguardo, seguita da
Meldarion e -con sorpresa degli elfi- Hestia. Talia mosse lo sguardo da
Eglerion a Hestia con una rapidità incredibile. - Mardion?! Quel
Mardion?-. - È a lui che vi riferivate prima, quando parlavate di un
possibile Maia che vi vuole morti?- domandò Hestia ai due Noldor. - Suppongo
sia lo stesso. Moro, con un occhio solo e uno sfregio sulla parte destra del
viso-. Un silenzio calò nella casa. - Sì. È lui, Hestia-. Eglerion
cominciò a perdere le staffe. - Mia carissima Talia, non tutti siamo degli
stracazzo di Maiar onniscienti come te. Forse Meldarion sa qualcosa ma, come hai
notato, non m’ha ancora voluto dire niente. Per cui, potresti dare una cazzo
d’illuminazione a questo cazzo di Noldo che sta sbraitando nella tua cucina?-
disse. Talia gli rivolse un sorrisetto, dopo aver buttato fuori una voluta di
fumo. S’appoggiò allo stipite dietro di lei, cominciando a parlare. -
Finalmente mostri un pochino d’autorità, mio caro Eglerion. Ma ti pregherei di
evitare d’usare quel tono in questo contesto: neanche noi abbiamo ricordi felici
di questo Mardion- disse. Eglerion rimase silente, attendendo che la Maia
proseguisse. Meldarion gli porse una sigaretta che aveva girato nel mentre. Il
Capitano la prese e se l’accese. Poi qualcosa lo colpì. Un’illuminazione, dovuta
a qualcosa che era rimasto nei recessi della sua mente. - Siete state voi?!-
domandò, esterrefatto. - A cavargli l’occhio? Esattamente. È stata Hestia,
per esser precisi- disse Talia. Il gruppo sposto la sua attenzione verso
l’altra Maia, che sedeva dandogli le spalle, attizzando il fuoco del camino per
cucinare la loro cena. - Tentò di stuprarmi- cominciò, senza voltarsi. -
Tentò di stuprarmi, ma con un pessimo finale. Gli strappai l’occhio e lo
calpestai con il tacco dello stivale. Sono certa che si sogna ancora il rumore,
durante le notti. Nel duello che seguì gli procurai lo squarcio sulla faccia.
Capì di non essere in grado di battermi e fuggì. Accadde circa centocinquanta
anni fa. Non so cos’abbia fatto, nel mentre, ma sembra esser rimasto su Arda, a
quanto pare-. La Maia si alzò, prendendo dal tavolo i pezzi di carne ben
tagliati da Diomede, per buttarli nella pentola, dove l’acqua già bolliva. -
Ma - riprese a dire, mentre supervisionava la cottura della cena, - non
roviniamo la serata parlando di quell’essere. Preferirei di gran lunga parlare
d’altro, se non vi dispiace-. Gli ospiti assentirono, impegnandosi a mantener
altri temi nei discorsi futuri.
Qualche ora dopo Alastegiel si trovava fuori della casa. La stretta radura
dove stavano era bagnata dalla fioca luce di uno spicchio di luna, mentre
attorno sorgevano alti pioppi, mandorli ed agrifogli. L’elfa fumava, pensosa,
rivedendo nella mente gl’avvenimenti degl’ultimi giorni. In poco meno di due
settimane i Noldor avevano portato parecchio scompiglio nella sua vita. Ed ora
si trovava nel giardino di due Maiar, nel pieno delle Terre Selvagge, senza
alcuna certezza riguardante il domani. - Dubbiosa?- le fece una voce
profonda. Ella si voltò per trovarsi faccia a faccia con Diomede. Dietro al
centauro stava Eglerion, intento per l’ennesima volta a fumare. - Parecchio.
Comincio a chiedermi il motivo di questo viaggio- rispose Alastegiel. - Non
posso risponderti, mia cara, non m’interesso a ciò che accade al di fuori di
queste radure da fin troppi anni, ormai. Ma puoi fidarti del giudizio di
Talia-. - Dici? Non lo so-. - Ella sapeva della vostra venuta, da almeno
una decina di giorni-. Alastegiel fece un paio di calcoli a mente. Undici
giorni prima c’erano stati l’incendio al porto, l’attacco alla Ithil e i diverbi
tra Eglerion e Meldarion. Nessuno sembrava saperne di più, su questi ultimi,
per cui si ripromise di chiedere informazioni ad Eglerion non appena ne avrebbe
avuta l’occasione. Alastegiel spense la sigaretta, sedendosi sul manto
erboso. - Non lo so. Non tutti siamo veggenti come lei. Se io provo a
figurarmi come sarà ciò che m’attende, vedo solo un’informe massa nebulosa-
disse. - Ben detto, thêl- le fece eco Eglerion, che aveva seguito la
conversazione. Il Noldo si avvicinò, sedendosi di fianco ai due. -
Sinceramente, son sempre meno convinto dei miei propositi, e mi dispiace avervi
trascinati con me in questa folle crociata. Verso dove, poi? A cercare i nostri
consanguinei che non si son fatti sentire per secoli? Per quanto ne sappiamo
potrebbero non esserci affatto-. - Non dire così. Probabilmente i tuoi
sospetti su Nuova Numenor sono fondati: anche nell’Ithilien la situazione
comincia ad esser critica-. - Per questo son scettico: sarebbe stato meglio
se fossimo rimasti nell’Ithilien ed avessimo agito da là- disse Eglerion. -
Forse- rispose Alastegiel, - ma forse non saremmo riusciti comunque a resistere.
A sud del Vallo d’Isildur qualcosa è in movimento, non possiamo negarlo. E poi
c’è il problema di Mardion: che cosa può volere un Maia da noi?-. - Per
quanto ne so son secoli che a Nuova Numenor c’è una taglia sulla mia testa.
Potrebbe esser semplicemente in cerca di denaro, ma non ne son troppo sicuro-
asserì Eglerion. - No. C’è qualcosa di più losco nel ritorno di
quell’individuo- interloquì Diomede. - Devo dartene atto. Suona strano che un
Maia sia interessato solo ad arricchirsi-. Eglerion spense la sua sigaretta
sotto il tacco dello stivale, mentre Hestia s’univa a loro. - Cos’è questo,
l’angolo dei tabagisti? Questi elfi stanno trovando ogni modo per sfuggire alla
loro immortalità- disse, con tono di rimprovero. Diomede sospirò. - Hestia
è una Maia al servizio d’Oromë, per cui non vede di buon occhio l’utilizzo di
sostanze che possano causare male all’organismo. Sua sorella invece è l’estremo
opposto- disse, informando i due elfi. - Mi è già più simpatica- disse
Eglerion, sorridendo. - E Mardion? Quale dei grandi soleva servire, prima di
ribellarsi?- domandò Alastegiel. - Nienna- rispose Hestia. - Colei che
piange? Ora capisco…- disse Eglerion, pensoso. Gli altri lo guardarono,
confusi. - L’altra notte Rhavanwen ed io siamo stati attaccati da Mardion, a
Yelinta. Rhavanwen, essendo una sentinella, dovrebbe esser abituata
all’adrenalina nelle vene, ai possibili attentati, al muoversi sempre
circospetta. Ma quella sera non s’è accorta di Mardion nella sua camera ed è
rimasta molto scossa, anche dopo la sua fuga-. - Sospetti sia colpa del
Maia?- domandò la Regina. - È sicuramente colpa sua. Essendo stato un tempo
fedele a Nienna, ha imparato il controllo sulla sfera delle emozioni.
Ovviamente, ribellandosi ha perso la maggior parte dei suoi poteri, ma sembra
aver acuito la capacità di far percepire le emozioni più spiacevoli come
disperazione, paura e agitazione. Deve aver trovato il modo di farle sentire
tranquillità e pace, di farla rilassare, prima di rivelarsi. Al che gl’è bastato
farla disperare, tentando di farle perdere le speranze in modo che non potesse
più far altro- spiegò Hestia. Eglerion s’accese un’altra sigaretta,
riflettendo sulle ultime informazioni. I suoi sospetti erano confermati e, in
più, gl’era stata rivelata l’arma più pericolosa di cui il suo nemico potesse
disporre.
Il mood si tranquillizzò quando ai quattro in giardino s’unirono gl’altri
ospiti della casa. Talia si redense completamente agl’occhi d’Eglerion quando
gli porse una bottiglia di vino bianco fruttato estratto dalla sua cantina. -
Son certo che questo ti piacerà- gli disse, porgendogli una bottiglia. Egli le
sorrise e le porse la sigaretta appena rollata. - Grazie. E mi scuso per il
tono di questo pomeriggio, ma -comprendimi- ero alquanto irritato dal tuo
atteggiamento- rispose. - Nessun problema, Capitano-. Al che la Maia s’era
accesa la cicca sulla candela accesa appositamente per quest’intento,
guadagnandosi l’ennesima occhiata di rimprovero da parte della sorella. Ithil
viaggiava, nel cielo, ridotta ad uno spicchio crescente, mentre Noldor, Sindar,
Maiar e un centauro discorrevano sotto le stelle di Varda, chiedendo consiglio,
esponendo i loro piani o, semplicemente, raccontando aneddoti di ciò ch’avevano
vissuto. Meldarion fu preso da risa incontrollabili quando Talia raccontò
della volta in cui era riuscita a far bere Hestia, con risultati
disastrosi. Alastegiel, però, restava taciturna. Spesso il suo sguardo si
perdeva nel vuoto o indugiava verso Meldarion, tanto che egli se ne accorse, ad
un certo punto. - Manen nalyë?- le domandò, con la mente. Come
stai? - Prestannen- rispose. Preoccupata. - È
per gl’occhi?-. - Sì. Non è normale. Lo siamo tutti, in
effetti-. - Non esserlo. Presto vi spiegherò tutto- rispose.
Stava per aggiungere “Non devi preoccuparti”, ma non vi riuscì. Nello stesso
momento sia lui che Talia s’irrigidirono. Gl’occhi di Talia passarono dal
verde all’azzurro intenso, di sfumatura perfettamente uguale a quelli di
Meldarion. Poi ella parlò. - Mandos Beriannen inter vos
est-. - Hic sum, mea domina- rispose Meldarion. Le due voci
avevano lo stesso timbro, profondo e freddo. Il dialogo tra i due continuò
per qualche minuto, finché Eglerion non s’alzò, deciso a versare il proprio
bicchiere in faccia a Meldarion, per farlo rinvenire. Hestia lo trattenne per
un braccio. Egli si voltò a guardarla, gelido, ma ella scosse la testa,
facendogli intendere ch’era meglio non intervenire. La cantilena dei due
raggiunse toni sempre più alti ed inquietanti, per poi interrompersi
bruscamente. I due smisero simultaneamente di parlare e cominciarono a
prendere respiri profondi e boccheggiare, come se appena usciti dalle gelide
acque di un lago. Meldarion appoggiò la schiena sul prato, cercando di
riprendere fiato. Talia gli poggiò una mano sul petto. - Stai bene?-. -
Sì, mia signora. Solo scosso-. Galadhwen muoveva lo sguardo rapidamente
dall’elfo alla Maia, cercando di capire che cosa fosse appena
successo. Eglerion s’avvicinò al duo. Non sapeva bene che cosa dire, ma
sentiva che le domande gli s’accavallavano nella mente. Fu Hestia a rompere
il silenzio per lui. - Dove?- chiese. - Naind i Haudh-o-Linnaid-
rispose la sorella, in un sussurro. - I “Campi del Tumulo dei Canti”?-
domandò Galadhwen. - A sud-est da qui, in fondo all’Anduin. È dove fu
combattuta la Battaglia della Sesta Era. Ma le spiegazioni a dopo, vado a
prender dell’acqua- rispose Diomede, avviandosi dentro casa e uscendone poco
dopo con un otre. - Eglerion?- chiamò Talia, con voce flebile, - Non avresti
una sigaretta per la povera veggente, così che lei ti possa spiegare che cosa è
appena successo?-. Fragili sorrisi illuminarono i volti degli astanti,
sentendo che la Maia -nonostante provata- avesse ancora voglia di
scherzare. Meldarion alzò la testa. - Se ne rolli una anche a me spiego io
che, ormai, penso di dovertelo-. Eglerion sorrise di nuovo e rollò di buona
lena le due sigarette. - Yenì ve lintë yuldar avànier, mi oromandi
lisse-miruvoreva,* - disse Talia, - ma non per me. E non per il nostro
comune amico-. - Mandos Beriannen, lo hai chiamato. Che cosa
significa?-. - Trattasi d’un dono e di una maledizione, allo stesso tempo.
Sono secoli che Mandos mi grazia con visioni. Visioni che spesso parlano di
morte e distruzione, che tento sempre di far in modo che non avvengano,
invano-. - “Invano”?- domandò Galadhwen. - Sì-. Si rivolse ad
Eglerion: - Ti ricordi di Arandion?- disse, parlando del secondo che Eglerion
aveva quando era ancora generale e Meldarion era appena arruolato. -
Tancave-. - La sua morte. La vidi la sera prima. Quella fu
la prima-. - Ma in tutti questi anni non l’ha mai saputo nessuno?-. - No.
Era il mio peso da portare. Dopo Arandion ho sempre avvertito chi potevo, seppur
poche volte m’hanno dato ascolto. La tempesta di sabbia è una delle poche
eccezioni-. - Mi son sempre chiesto come tu potessi saperlo prima- rispose
Eglerion. - Quando avvenne?- domandò Talia. - Circa un secolo fa-
risposero assieme Meldarion, Eglerion e Galadhwen. Il Capitano si voltò verso
quest’ultima, sorpreso. - Mh… quadra. Fu la prima volta che ti avvertii-
rispose la riccia. - Poi, improvvisamente, s’interruppero- continuò
Meldarion. Gl’elfi lo guardarono, interrogativamente, mentre egli prendeva un
paio di sorsi d’acqua. - Sono stata io. Durante la tua visione della tempesta
sei riuscito a trasmettermi il peso delle tue visioni. Ero dunque al corrente
della tua esistenza e, ogni volta che percepivo qualcosa di similare, tentavo di
schermarti-. - Devono esser stati anni difficili- osservò Rhavanwen. - Non
troppo. Un secolo, secondo i nostri standard, non è molto-. - In ogni caso te
ne ringrazio, Talia- disse Meldarion, - ma hanno ripreso a mostrarsi comunque,
da circa…-. - Poco più di una decina di giorni?-. - Sì-. - Lo so.
Sospetto che la sola presenza di Mardion nelle tue vicinanze sia
riuscita a bloccar le mie difese. Per questo mi sono mostrata, dopo la terza
visione- disse. - La sera dell’attacco al porto- disse Meldarion, informando
gl’altri. - Ad ogni modo- continuò Talia, rispondendo alla domanda inespressa
del gruppo, - di queste ultime visioni solo quella dell’assalto alla vostra nave
era specifica. Le altre son alquanto generiche-. - E in questa? Avete visto
solo i Naind i Haudh-o-Linnaid?- domandò Galadhwen. - Il posto era quello. Si
vedeva la costa di Vylsiach sullo sfondo, le falangi di picchieri prepararsi
allo scontro e voi- disse Talia. - Noi?- chiese Alastegiel. - Sì, voi. Te,
Alastegiel, il nostro amico Eglerion e un terzo elfo, chiaramente della stirpe
dei Teleri, in testa allo schieramento. V’è una battaglia, nel vostro futuro più
prossimo-. Eglerion sospirò. Che cos’altro dovevano aspettarsi?
No, non è un miraggio, è veramente un capitolo undici che avete appena
letto. Finalmente ci siamo inoltrati un po’ di più nelle terre selvagge e
spero che sia piaciuto alle varie fan di Meldarion. Ringrazio parecchio
Hareth, Elfa e Silvì, facendo un appunto alle ultime due: bestemmia! È
triestino, NON veneziano, quello parlato dai tre osti! Che non
ricapiti! Scherzi a parte, son felice sia piaciuto come capitolo. E, sì,
Hary, come ormai sai ho preferito andarci leggero su Rhavanwen, che già m’hai
detto che sto scendendo sempre più nei meandri del Pulp. Infine, m’è stato
fatto notare che in questo capitolo i miei elfi stanno fumando e bevendo un po’
troppo, al che scatta l’avvertimento: ascoltate questo scrittore, loro non
esistono, ma i polmoni e i fegati nostri sì, non seguite il loro esempio. Ah,
sì, si ringrazia Tarantino per aver ispirato alla lontana il dettaglio
dell’occhio di Mardion. Detto ciò, vi lascio a questo piccolo fuori
scena.
Cose che accadono, su un set del genere.
Studios di VII Age. Refettorio esterno. 14:27. - Che è ‘sta
morchia?!-. - Oi, come osi?-. - Dai, Meldarion, ‘sta tranquillo…-. -
Lascia perdere, Castiel, è incazzato amaro-. - Che cosa succede
qui?-. Chaos si avvicina all’angolo del tavolo dove Meldarion sta
sbraitando. Meldarion, Castiel, un fonico e la costumista stanno discutendo
animatamente. Meldarion in particolare sembra alquanto adirato con il fonico in
questione, un ragazzo sui venticinque con i capelli lunghi castani, gl’occhi
azzurro intenso, la barba sfatta e un’anda da tossico resa ancor più accentuata
dalla miriade di pendagli e cianfrusaglie attaccate ai polsi. - Meldarion?-
chiama di nuovo Chaos, togliendosi dalla testa il berretto da baseball che
dovrebbe conferirgli il grado di regista (in realtà gli da un’aria da idiota
patentato, ma nessuno ha avuto il cuore di dirglielo). - Che c’è?!- risponde
questi. - Che-cosa-succede?- domanda di nuovo, scandendo bene le parole. -
Assaggia!- gli dice Meldarion, porgendogli il suo calice di vino. Chaos
afferra il bicchiere e prende un paio di sorsi del bianco contenuto. Reprime un
conato. - Fa cagare, vero?! Sa di pop-corn!- strepita Meldarion. - Voi non
apprezzate l’arte…- afferma il fonico, con aria affranta. - L’hai comprato
te?- domanda il regista, riconoscendolo come uno dei compagni di bevute di
quella sera in cui s’è preso una piomba fenomenale assieme ad Eglerion
e Talia. Anzi, a ben pensarci, glielo aveva presentato proprio Eglerion, quando
il tecnico del suono precedente s’era licenziato dopo aver notato il livello di
serietà nullo sul set di tutti. Chaos sorride. Era quando ho finto di essere Eglerion con un sombrero in testa, durante
la scena della partenza da Minas Duin, si dice. - Sì.
L’altra sera m’hai firmato un foglio che mi dava piena padronanza dei soldi del
catering per comprare il vino dei prossimi giorni- risponde il fonico,
accendendosi una paglia. Chaos se n’accende una a sua volta. - E allora
perché questo fa schifo? Mi pare che tu avessi una buona conoscenza dei
vini-. Il fonico sospira, tirando fuori un portafoglio. Lo apre, buttando
fuori una voluta di fumo, per estrarne uno scontrino. Chaos lo prende e
comincia a leggere. - Hrvatska Republika?! Macheccaz? Ma dove sei andato a
comprarlo? Che cosa sono le KUNE?!-. - Son dovuto andare fino ad Umago, dove
me lo hanno fatto a quattordici kune al litro e mezzo- risponde il tecnico. -
Che sarebbe?-. - Due euro-. Chaos non sa più se strangolare il fonico con
i lacci delle sue stesse Converse, uccidersi con il vino al delicato aroma di
pop-corn o chiudere gli studios dichiarando fallimento. - Capisco il
risparmiare, ma un minimo di qualità-prezzo…- comincia Chaos. - Sai che cosa
vuol dire che tu m’hai dato quaranta, dico quaranta euro per comprare il vino?!
Lo sai che stiamo mangiando cibo cinese e kebab comprati all’ingrosso per pochi
euro? Stiamo per andare in bancarotta e vi lamentate se non possiamo permetterci
del vino decente? Cazzo, io mi dimetto, ci si rivede al baretto,
Chaos-. Chaos si lascia cadere sulla panca tra la costumista e Zoe. - Ok.
Non abbiamo vino. Non abbiamo un tecnico del suono. Non abbiamo come pagar la
colonna sonora, perché il fonico doveva frodare in qualche modo i detentori dei
vari diritti. Dobbiam ancora trovare una modo per andar a in Cadore a girare
gl’esterni del dodici. Devo trovare uno stuntman per Waith, che altrimenti mi
sviene per le vertigini…- comincia a cantilenare il regista. - Bluescreen?-
propone Zoe, al suo fianco. - Ha detto che gli fa venire il mal di mare. Ti
ricordi per la scena dell’attracco? È quasi caduto due volte dal Molo Audace! Da
fermo!- commenta Chaos, con una nota di isteria nella voce. Si ferma un
secondo a guardare Zoe, che gli sorride tentando di rassicurarlo. Il sorriso
di Zoe comincia a svanire mentre quello di Chaos si allarga. Il regista cinge
le spalle alla ragazza e, con fare professionale, comincia a parlarle. - Sai,
Zoe… stavo pensando: che cosa vuole vedere la gente? Vuole violenza, e gliela
daremo; vuole ridere, e ridono; e vuole sesso-. - A che cosa vuoi arrivare,
Chaos?- risponde ella, nervosamente. - Beh, te sei una bella ragazza…
potresti essere… un po’ più lasciva, potrei aggiungere qualche scena nel dodici
in cui potresti mostrarti per la bellezza che sei…- dice. Zoe si ferma a
pensarci un momento. Sorseggia un po’ di vino, per poi sputarlo dietro di lei.
Poi si volta verso Chaos. - Ok- comincia. Chaos sembra sprizzare gioia da
tutti i pori, ha trovato il modo di salvare la sua fic. - Doppio stipendio-
continua ella. Il sorriso di Chaos comincia a svanire anch’esso. - Doppio
stipendio. Suite prepagata. Un nuovo paio di scarpe-. Il sorriso di Chaos è
ormai un ricordo. - 10% dell’incasso totale. Del vino decente. Possibilità di
scegliere la controparte maschile…-. Chaos si alza, sconfitto. - EHI!
Guarda che non ho mica finito-. Chaos neanche si volta, va diretto a passo
spedito verso l’osmizetta di Cavana, dove è sicuro di trovare conforto. - Ben
arrivato boss- lo saluta Lancaeriel, vedendolo arrivare. Rain è seduto poco
più in là, acustica in mano, che canticchia. - Rollin’… rollin’… rollin’
on a river…-. L’ex fonico lo saluta con un cenno del capo. Dietro di
lui Eglerion è intento a pomiciare con Rhavanwen, evidentemente
alticcia. Chaos s’accascia sulla sedia più vicina. - Pensavo- comincia
Lancaeriel, - che ne diresti se facciamo far una scena a quei due in cui solo
lei è sbronza?-. Chaos lancia un’occhiata ai due e nota quanto accaldata sia
lei e quanto sobrio -per i suoi standard- sia lui. - Potrebbe essere un’idea.
Torno subito-. Ritorna al tavolo poco dopo con due bicchieri e una caraffa di
vino. - Scena notturna senza stipendio- esordisce l’elfa bionda. Chaos,
preso da uno slancio affettivo, la bacia appassionatamente per poi versarsi un
bicchiere di vino decente. - Parliamone-.
Si ringrazia Hareth per avermi prestato Rain, mago di vento chitarrista che
strimpella Proud Mary dei Creedence, presente in Alagos Rain’s Rioters e Alagos
War, sempre in questa sezione. Il vino di Umago che sa di pop-corn esiste e fa
veramente schifo: se capitate in Hrvatska, attenzione a quale vino
comprate.
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Capitolo 12 *** Cap XII Passi e Cenge ***
Cap XII
Passi e Cenge
Il sentiero scendeva, ripido,
perdendosi nel ghiaione sul fianco est della montagna. Più in basso v’era un
bosco di conifere. Abeti, sembravano, visti dal passo.
Stephane strizzò gli occhi, guardando in basso. Sì, erano proprio abeti.
- Waith! Muoviti!-.
- Arrivo!- rispose il moro, muovendosi con circospezione, tenendo Frealaf per
le redini.
Guthwine, accanto a lui, stava immobile. Stephane gli diede una pacca sul
collo, mormorando:
- Non preoccuparti, presto saremo fuori da questi dannati monti-.
Era passata una settimana da quando avevano cominciato la traversata delle
piane. Grazie ai cavalli, in tre giorni avevano coperto un tratto che avrebbe
portato via loro almeno una settimana, a piedi.
Stephane sorrise, ricordandosi la prima sera dopo una giornata al galoppo.
- Cazzo!- aveva detto Zoe - Non ero così rigida da... da... cazzo, non ricordo
di esser mai stata così rigida! Cazzo!-.
- E poi sarei io, quello volgare, eh?- aveva risposto egli, sorridendole.
Al terzo giorno di traversata avevano ricevuto la prima sorpresa di quel
viaggio.
Si trovavano ancora in territorio Rohirric -seppur molto vicini al Vallo-
quando avevano visto in lontananza una linea di cavalieri.
- Quanti sono?- aveva domandato Zoe, fermando il cavallo in cima al colle sul
quale erano saliti i suoi due compagni.
- Molti. Troppi- aveva risposto Waith.
Stephane le aveva dato un mezzo sorriso, che aveva un che di sardonico.
- Che ne dite, andiamo a far conoscenza?-.
Senza attendere risposta, aveva lanciato Guthwine giù per la collina, andando
incontro alla linea ordinata.
I due non avevano potuto far altro che seguirlo.
S'erano fermati a un miglio di distanza, vicino ad un affioramento roccioso, e
lì avevano atteso.
Non era passato molto tempo, quando l'inizio della compagnia s'era fermata
accanto a loro.
I cavalieri erano vestiti di cotte di maglia, coperte da sorcotti neri.
Portavano lunghe lance e sui loro scudi v'era un rilievo di metallo
raffigurante una torre cuspidale argentata.
Numenoreani.
Il capitano, in testa alla fila, aveva fatto fermare la sua compagnia e si era
accostato ai tre, senza smontare.
- Che cosa abbiamo qui?- aveva detto, sguainando la spada.
Zoe poté notare che Stephane non si sbagliava: portavano effettivamente dei
ridicoli stocchi.
Waith aveva preso parola.
- Buon pomeriggio, sior capitano. Che cosa possiamo fare per aiutarvi?- aveva
detto, dando al suo tono di voce tutta la cadenza dialettale che gl'era
possibile.
- Dirmi quale sia il vostro proposito in questa desolazione. Non vi sono
villaggi per miglia, che cosa dovrebbe portare tre viaggiatori male in arnese
in questa zona?-.
- Mia sorella ed io siamo in viaggio verso Salph. Partimmo due giorni fa da
Ghal. Egli invece non so che propositi abbia ne dove sia diretto, lo abbiamo
incontrato poco prima voi arrivaste-.
Il capitano si era tolto l'elmo, mostrando dei cortissimi capelli castani e una
barba curata.
- Tu. Dove sei diretto?- aveva chiesto.
Stephane era rimasto impassibile.
- Ti ho fatto una domanda. Rispondi!- aveva domandato di nuovo il capitano.
- Purtroppo comprende poco l'Ovestron, sior capitano: parla solo uno stretto
dialetto Rohirric di cui conosco qualche parola- aveva detto Waith, reggendo il
gioco all'amico.
Il capitano aveva sbuffato, impaziente, mormorando improperi contro le altre
lingue: era da così tanto tempo che tra le due nazioni non v'erano contatti che
nessuno della fila conosceva il Rohirric.
- Ottima trovata- aveva detto Stephane, rivolgendosi a Waith.
- Che risposta volere che gli do?- aveva risposto Waith, fingendo
un'incertezza nel tono e nella grammatica.
Stephane aveva riso.
- Digli che può ficcarsi quella lancia su per il culo-.
Waith aveva imprecato contro la leggerezza d'animo dell'amico.
- Ha detto che è diretto verso Kye. Non ha specificato quali propositi, ma
suppongo sia originario di quella zona-.
Il capitano aveva sbuffato di nuovo.
- Se siete diretti a Salph, dovete arrivare al Vallo entro il tramonto. Da
domani sarà chiuso per ordine del Re- li aveva avvertiti.
Poco dopo la compagnia di soldati era ripartita, in uno sventolare di stendardi
nero e argento, dirigendosi verso sud.
- Simpatico, eh?- aveva asserito Zoe, quando anche l'ultimo della fila era
ormai lontano da loro.
- E pensa che mi toccherà aver a che fare con gente del genere, una volta
arrivati. Diamoci una mossa, dai, non vorrei dover scalare un muro, stanotte-
aveva risposto Stephane, montando di nuovo su Guthwine.
Stephane guidò Guthwine giù per il sentiero, imprecando di tanto in tanto
contro Eglerion: quelle povere bestie non erano fatte per inerpicarsi su e giù
per i monti e le forcelle.
- Stephane, vedi di rallentare, cazzo!-.
Il rosso si voltò per vedere Zoe scendere a piccoli passi, seguita da Gareth.
Il cavallo s'era dimostrato un ottimo animale, veloce e affidabile, ma non
sembrava troppo felice di trovarsi continuamente tra quei monti.
Stephane ignorò le grida della ragazza e continuò a scendere a passo sostenuto,
seguito dai due compagni.
Presto giunsero in una piccola radura, tra le conifere che avevano potuto
vedere dalla forcella.
Zoe si sedé sull'erba, con il fiatone, dopo aver legato i cavalli ad uno dei
pini.
- Non m'interessa nulla di quello che tu possa dire, Stephane, ma io adesso mi
piglio un'ora di pausa. Fumati tutte le sigarette che vuoi, caccia la cena, fai
quel cazzo che ti pare, ma io da qui non mi muovo- disse la ragazza.
Stephane sospirò, mentre le mani erano già impegnate nel rollo.
***
Quella sera i tre si accamparono in una stretta valle. Waith insisteva per
proseguire ancora, ma Stephane e Zoe lo fecero desistere: i cavalli erano
stanchi, loro erano stanchi ed era quasi un suicidio tentare d'inerpicarsi al
buio per quei monti.
Accesero un fuoco e, mentre Waith preparava la cena, Zoe prese parola.
- Era da un paio di giorni che ci pensavo, ma non abbiamo ancora avuto
occasione per parlare per bene: vi ricordate i Numenoreani?-.
- Certamente. Come potrei scordarmi capitan pomposo e la sua allegra
marmaglia?- rispose Stephane, frugando nel suo bagaglio impegnato nella solita
ricerca.
- Avete notato l'umore del resto delle truppe? C'era il capitano che faceva
domande, serissimo, l'alfiere, accanto a lui, che sembrava avesse il palo dello
stendardo infilato nel fondoschiena e il resto della compagnia che aveva
un'aria veramente annoiata e rassegnata- disse Zoe.
- “Fondoschiena”, addirittura? Dov'è finita la Zoe volgare di sempre?- domandò
Waith, senza distogliere gl'occhi dal coniglio che stava cucinando in una
pentola.
- Fottiti, tu, e rispondete alla mia domanda-.
Stephane sospirò, trovando finalmente la sua busta di tabacco.
- Certamente l'abbiamo notata. Ne discutevamo giusto l'altra sera, vero
Waith?-.
- Ricordo. Questo loro atteggiamento ci renderà le cose parecchio più facili,
una volta nella capitale-.
Zoe assunse un'espressione oltraggiata.
- Ed io dov'ero, mentre voi ne parlavate?!-.
- Dormivi, mia cara, e non ho avuto cuore di svegliarti-.
- Stephane, se tu solo provi a combinarmene un'altra del genere, giuro che ti
spengo una di quelle tue sigarette in una narice!-.
- Va bene! La prossima volta ti sveglierò- rispose il rosso.
Stephane s'alzò e si inoltrò nel bosco alle sue spalle.
- Dove vai, ora?!- gli gridò dietro la ragazza.
- A pisciare!-.
Waith sospirò.
- Ma dovete tirarla così per le lunghe, voi due?-.
Zoe lo guardò, non capendo.
- Si nota- disse semplicemente l'uomo.
- Non capisco di che cosa tu stia parlando- rispose la ragazza, nonostante il
lieve rossore che le colorò le guance.
- Come vuoi, indianeggia pure-.
Zoe sbuffò.
Qualche ora dopo, Stephane gettò l'ennesimo mozzicone nel falò morente e si diresse
verso Waith, che dormiva poco più in là.
L'aria era fredda e l'umidità pesante.
Strano, si disse, mi sarei aspettato di trovar neve, a queste altezze.
- Waith- sussurrò il rosso, scuotendo l'amico.
- È già ora? Che palle- rispose questi.
- O, io non ho sonno, ancora, resto a farti un po' di compagnia-.
Tuarwaithion si alzò e si stiracchiò, voltandosi verso l'amico.
- Però, non male come scena. Con questa nebbia sfido chiunque a trovarci-
osservò, guardandosi attorno.
Stephane s'accese un'altra sigaretta, reprimendo un colpo di tosse.
- Scommetto che ne hai appena spenta una- fece Waith.
Stephane non gli rispose. Il moro si sedé accanto a lui, avvolto in uno scuro
mantello da viaggio. I mantelli Sindar giacevano ripiegati sul fondo dei loro
bagagli, per evitare di destare sospetti.
- Fumi troppo. E di certo questo non ti fa bene- continuò l'uomo.
Stephane, in risposta, soffiò fuori una voluta di fumo che si perse nella
nebbia pesante. Poi si voltò verso Waith.
- Mi basta che lei non cominci- rispose.
Waith guardò verso la ragazza, che dormiva sul suolo, raggomitolata sotto una
coperta.
- Certo che la state tirando veramente per le lunghe, voi due- disse Waith,
ripetendo le parole di qualche ora prima.
Stephane lo guardò.
- Chi? Zoe ed io? Ma no, dai-.
- Stephane, basta che me lo diciate. Io son capacissimo di sprecar due ore a
cercar legna, prima di tornare all'accampamento, domani sera-.
Stephane s'alzò in piedi e fece un paio di passi verso gl'alberi.
- Ehi, non c'è bisogno di offendersi, ora!- gli disse Waith.
Un secondo dopo Stephane s'era lanciato in terra. Anche Waith udì chiaramente
il sibilo nell'aria e vide la freccia conficcarsi su un albero, poco lontano da
dov'era seduto in quel momento.
Strisciando lentamente, s'avvicinò a Stephane.
- Quanti?-.
- Ne vedo solo uno. Ma solitamente nessuno viaggia mai da solo, in queste
zone-.
Altre due frecce volarono, conficcandosi sugl'alberi attorno a loro.
I due uomini non si mossero, tenendo d'occhio il loro assalitore e scrutando la
zona circostante per individuare altre minacce.
- Rischio e prendo l'arco. Magari vederlo crollare in terra farà saltar fuori i
suoi amici- disse Waith. Rotolò dietro un masso e strisciò fino al suo
bagaglio. Prese l'arco e, avvoltosi nel mantello, incoccò una freccia. Coperto
da un albero tese la corda e cercò il suo avversario, nella foschia.
Una freccia si conficcò nel tronco, a pochi pollici dal suo viso.
Cambiando subito la direzione del suo sguardo, Waith individuò il secondo
tiratore e scoccò.
Il colpo andò a segno, penetrando nella coscia dell'uomo, che rovinò in terra
con un lamento.
Stephane, nel mentre, disfatosi del mantello e della spada, s'era avvicinato
all'arciere che per primo aveva tirato, tenendo il pugnale stretto nella
sinistra.
Silenzioso come non mai, si muoveva di ombra in ombra, passando da una
copertura all'altra, avvicinandosi sempre di più all'uomo.
Waith si avvicinò all'uomo che aveva abbattuto. Lo trovò boccheggiante, che
cercava di estrarsi la freccia dalla ferita.
Senza troppi complimenti, Waith gli mollò un manrovescio che gli fece perdere i
sensi e lo trascinò per quei pochi metri che lo separavano dall'accampamento.
Stephane era sempre più vicino. Un passo dopo l'altro, aveva percorso quasi
tutta la distanza tra l'assalitore e lui. Ancora poche decine di piedi.
L'uomo era vestito come i raminghi che avevano incontrato vicino alle Sale.
Raich, pensò Stephane.
Il ramingo gli dava le spalle. Il cappuccio gl'era scivolato via dalla testa,
mostrando dei capelli corvini lunghi e mal curati.
Impegnato com'era a scrutare nel buio, l'uomo non si accorse dei movimenti alle
sue spalle. Un braccio muscoloso gli cinse la gola, mentre sentiva il freddo
del metallo poggiato sulla sua gola.
- Lascia cadere quell'arco-.
Il ramingo eseguì.
- Cammina, ora. Muoviti- ordinò Stephane, spingendolo verso l'accampamento.
In pochi minuti Stephane condusse l'uomo e lo fece sedere vicino al fuoco
morente. Volse lo sguardo verso Waith e l'altro uomo, steso.
- Ha cuiol?- domandò, il rosso. È vivo?
- Per ora-.
Waith mosse lo sguardo verso l'altro uomo. Nonostante la situazione in cui si
trovava, continuava a guardarli con un espressione tra le più sprezzanti.
- Pensi ci toccherà ucciderli?- chiese Waith, passando al Sindarin.
- Non dobbiamo rischiare. I due nelle Sale non possono nuocerci, questi due
sì- rispose Stephane.
Waith annuì. Il moro si avvicinò all'uomo ancora cosciente.
- Sei parte dell'esercito?- gli chiese.
- Non parlo con i traditori- rispose quello.
- Ti conviene rispondermi. Perché ci hai attaccato?-.
- Vi ho riconosciuto. Voi siete quei bastardi della nave elfica!- disse.
- Abbiamo finalmente trovato qualcuno che lavora con quel bastardo da un
occhio solo-.
- Non sarà l'ultimo- rispose Stephane, ricordando le parole dei tre
raminghi.
- Che cosa volete da me? Io stavo facendo solo il bene per la mia patria!-.
I due lo ignorarono.
- Speriamo non se ne siano salvati molti altri-.
- In ogni caso, hai ragione: non possiamo tenerli in vita. Specialmente ora
che sappiamo che loro sanno- rispose Waith.
- Dago hain- disse Stephane, con un tono svogliato. Uccidili.
- E tu che cosa farai?-.
- Andrò a dormire. È ancora il tuo turno di guardia, almeno per un'altra ora-.
Waith sospirò, mentre costringeva il prigioniero ad alzarsi.
Guardò l'uomo cosciente, che sembrava aver capito la situazione.
- Namarië- disse Waith.
Prima che l'uomo potesse protestare, Waith gli spezzò il collo in un rapido
movimento.
Il corpo cadde con un tonfo, mentre l'uomo rivolgeva la sua attenzione al suo
compagno.
- Certo che sei proprio uno stronzo, Steph. Il lavoro sporco te lo pigli te-.
- Cioè?- domandò il rosso, che già si stava stendendo in terra.
- Io non li sposto da qua-.
- Ah, quello... non preoccuparti. Li carichiamo sui cavalli, domani, e li
lanciamo giù dal primo dirupo. Non ci vorrà molto-.
Waith si chiese come il suo amico potesse ironizzare anche in un frangente
tale.
Provò a chiederlo all'amico, ma Stephane lo zittì.
- Sh! Ascolta!-.
Waith tese le orecchie, pronto a cogliere un altro rumore minaccioso.
Non capendo, volse di nuovo lo sguardo verso l'amico, che ridacchiava.
- Cosa?- domandò.
Stephane lasciò che fosse il silenzio a rispondere per lui.
O, meglio, il russare di Zoe, che ancora dormiva, nella posizione in cui
l'avevano lasciata.
***
- Piano, Frealaf, piano!-.
Waith guardò avanti. La cengia si allargava, pochi metri più avanti, ma in quel
punto erano stati costretti a procedere con le schiene attaccate alla parete e
a condurre i cavalli uno per volta, molto lentamente.
- Ci siamo?- domandò l'uomo, una volta arrivato dall'altra parte.
Stephane gli rispose affermativamente, mentre osservava il dirupo sottostante.
- Direi che abbiamo trovato il punto giusto, Waith- disse.
I due presero i corpi esanimi dei Numenoreani e li spinsero oltre l'orlo del
burrone, senza troppi complimenti.
- Bene, anche questa è fatta. Direi che possiamo avviarci. Se non erro, dietro
quella forcella dovrebbe esserci la vallata dell'Uruiduin. Ancora un paio di
giorni e saremo a Salph- disse Stephane. Dopodiché, s'avviò con passo sostenuto
lungo la cengia, che a poco a poco ritornava ad essere un sentiero,
canticchiando una vecchia canzone.
- I
see the bad moon rising, I see trouble on the way...-.
- Proprio ottimista, Stephane- disse Zoe.
- Meglio non prendersi in giro, dolcezza, e cantar il proprio futuro tranquillamente-
rispose il rosso, con un sorriso.
Continuarono imperterriti a camminare per i sentieri degli antichi Ephel Duath,
attraversando radure e guadando torrenti di tanto in tanto, senza fermarsi se
non per un breve pranzo.
Al tramonto i tre si fermarono in una macchia di conifere, sull'ultimo versante
che avrebbero dovuto salire.
***
- Ci siamo, finalmente!- esclamò Waith.
Accanto a loro scorreva un torrente impetuoso, ma non più largo di sei piedi.
- Questo sarebbe l'Uruiduin?- disse Zoe.
- Esattamente. Questo torrente crolla in una cascata, tra qualche lega,
raccogliendosi in un lago che ha dato vita al fiume che ha scavato la valle
dell'Uruiduin. Quel fiume scorre per miglia, passa per la capitale e poi si
dirige a Nord, verso Porto Veliko. Non dobbiamo far altro che scendere oltre la
cascata e seguire il corso del fiume. Se abbiamo fortuna ed evitiamo incontri
molesti, dovremmo arrivare a Salph al tramonto- spiegò Stephane.
Seguirono il torrente finché non udirono il rombo della cascata. Il sentiero, che
fino a quel punto aveva costeggiato il torrente, deviava verso Nord.
I marinai condussero i cavalli lungo il sentiero, che discendeva a circa mezzo
miglio dalla cascata in ripidi tornanti.
In quel punto il sentiero sembrava scavato direttamente nel fianco della
montagna, ma mostrava vari segni di trascuratezza. In un punto furono costretti
a fermarsi per mezz'ora, il tempo necessario a Waith e a Stephane per aprire un
varco abbastanza largo da far passare i cavalli nel punto in cui parecchie
rocce erano franate.
Dopo aver mosso l'ultima pietra, Waith si sedé in terra.
- Prendiamoci dieci minuti- disse semplicemente. Stephane estrasse il tabacco e
si dedicò al suo vizio, mentre Zoe si guardava attorno.
- Ragazzi, sospetto che la nostra solitudine sarà interrotta, a valle-.
I due la guardarono, non capendo.
- C'è una casa, alla fine del sentiero. E ha tutta l'aria di essere un
avamposto-.
- Ottimo. Direi che è ora di mettere in moto la nostra messinscena- disse
Stephane.
- Concordo pienamente. Zoe, prima di tutto, le tue armi- disse Waith.
- Come?-.
- Nuova Numenor è un paese estremamente sessista, rimasto alle concezioni umane
della Terza Era secondo le quali le donne dovrebbero restare a casa.
S'insospettirebbero parecchio, se trovassero delle armi tra i tuoi bagagli. Le
terrò io-.
La ragazza sbuffò, cominciando ad armeggiare sul proprio bagaglio.
- Secondo, chiamatemi Nick, d'ora in poi. Non posso presentarmi con un nome
Sindarin- continuò Waith.
- Sinceramente, non penso sappiano distinguere l'etimologia di una parola
derivante dal Sindarin da quella di una parola Haradrim. Ma hai ragione,
Tuarwaithion è alquanto appariscente, come nome- concordò Stephane.
Mezz'ora dopo avevano raggiunto la base del precipizio e stavano sfilando
silenziosi accanto all'avamposto.
Non c'era anima viva, intorno, e la cosa li insospettì non poco.
- Ci stanno sicuramente osservando. Espressioni tranquille, non abbiamo nulla
da temere- mormorò Waith a Zoe.
Stephane camminava un po' più indietro rispetto a loro, con lo sguardo attento
che scorreva la vegetazione circostante. Avevano deciso di cominciare fin d'ora
a far finta di non conoscersi.
I tre costeggiarono il lago, finché gli abitanti di quella zona non si fecero
finalmente vedere.
Erano una decina, vestiti di lunghi mantelli verdi e incappucciati. Le armature
erano fatte di cuoio e portavano -almeno loro- delle spade a doppio taglio alla
cintura.
Waith si trovò in mezzo ad una selva di lance, mentre Zoe faceva del suo meglio
per assumere un espressione impaurita. Stephane, dietro di loro, mise mano al
fioretto, ma i raminghi risposero puntando le lance anche verso di lui.
Un uomo si tolse il cappuccio, mostrando il volto segnato dalle intemperie. La
barba castana aveva parecchi giorni e la fronte era segnata da parecchie rughe.
- Nominatevi e dichiarate i vostri propositi- disse, con un tono inflessibile.
- Mi chiamo Nick Ulrichsson, questa è mia sorella Zoe. Siamo diretti a Salph
per trovare lavoro in una locanda- disse.
- E tu, Rohirrim? Sei con loro?- domandò il capitano a Stephane.
- Non li conosco. Scendevano lentamente il dirupo e li ho raggiunti camminando
dietro di loro. Mi chiamo Stephane-.
- Per quale motivo vaghi per queste terre. Così armato, poi?-.
- Sono un mercenario e un maestro di spada. Anch'io sono diretto a Salph, in
cerca di un'occupazione-.
L'uomo lo guardò, dubbioso.
- Avvicinati e dimostramelo- disse, estraendo la spada dal fodero.
Stephane si disfò del bagaglio, diede le redini di Guthwine ad uno dei raminghi
e, estratto lo stocco, si avvicinò all'uomo.
- Al disarmo, messere?- domandò al capitano.
- E sia-.
Il ramingo e il marinaio s'avventarono l'uno sull'altro. Le lame cozzarono più
volte, mentre i piedi dei due componevano una bizzarra e veloce danza, sul
terreno.
Il ramingo pensava di essere avvantaggiato per via della sua spada ad una mano
e mezza, ma dovette presto ricredersi: la destrezza di Stephane unita alla
leggerezza dello stocco lo costringevano a parare continuamente con mosse che
sarebbero state scomode per chiunque combattesse con un'arma diversa da quella
del rosso.
Il duello durò lunghi minuti, mentre il resto dei presenti assisteva in
silenzio.
Il ramingo era sudato e si stava stancando sempre di più, finché l'ennesima
stoccata di Stephane non lo costrinse a parare con una strana torsione. Il
Rohirrim non perse l'occasione e incalzò con un altro colpo, che il ramingo
parò con ancora più difficoltà. Il capitano tentò un flebile attacco, ma poi,
gettata la spada in terra, alzò le palme delle mani in resa.
- Ti credo, messere, e spero troverai presto lavoro tra le fila del nostro
esercito: con un maestro come te, neppure un elfo potrà sconfiggere i nostri
guerrieri- disse. Poi si rivolse a tutti e tre i viaggiatori:
- Potete andare-.
Sul far della sera giunsero finalmente nella capitale.
Al centro della città sorgeva un castello dalle linee morbide, le cui murature
avevano assunto un colore rosato, mentre il sole tramontava ad Ovest. Le torri
a pianta circolare erano poste ad ogni angolo dell'esagono formato dalle mura,
mentre il mastio sorgeva alto sopra le case. Ad una distanza di circa un miglio
dal castello sorgeva un'altra cinta muraria, di fattura decisamente più antica.
Queste mura segnavano il confine tra la città vecchia e le costruzioni più
recenti, infatti al di fuori di esse le case erano ammassate, coprendo una
vasta porzione di pianura.
L'Uruiduin scorreva lento tra le case, costeggiando la cinta muraria esterna,
per poi curvare verso Nord, dove i tre riconobbero dei moli ai quali molte
zattere e chiatte erano ancorate e un piccolo porto fluviale.
Mentre le tenebre avanzavano, i tre viaggiatori entrarono nella città.
Le strade erano quasi deserte, se non per qualche drappello di guardie messo a
pattugliare le vie più esterne. Le case ammassate proiettavano lunghe ombre
sulle strade e formavano molti vicoli bui ai lati di esse.
Ogni tanto incrociarono dei mendicanti, appoggiati agli angoli delle
abitazioni, o uomini dall'aria poco raccomandabile.
Delle donne semi-svestite sorrisero, vedendoli passare, e fischiarono a
Stephane.
- Vieni a divertirti con noi, dai! Non te ne pentirai!-.
Raggiunte le mura esterne, i tre cominciarono a costeggiarle, chiedendo
informazioni ad una sentinella per una locanda a buon mercato.
Poco dopo, Waith e Zoe entrarono nell'edificio a due piani denominato l'Osteria
del Mirtillo, mentre Stephane restava con i cavalli.
Alla loro sinistra v'era il bancone, dove un uomo con una folta barba e
l'attaccatura dei capelli che arretrava s'occupava di prendere le ordinazioni.
La maggior parte dei tavoli era occupata da persone dall'aria poco
raccomandabile, che bevevano le loro birre guardandosi attorno circospetti e
parlando per mormorii. Tutta la sala comune era immersa nella penombra, e
l'odore di tabacco regnava sovrano.
Un piccolo palcoscenico era posto sulla destra, dove cinque uomini suonavano un
tango.
I tre viaggiatori si avvicinarono al bancone.
- 'Sera, stranieri. Che volete?- chiese il barista.
- Avete posto per dormire?- domandò Waith.
- Certamente. Dormite assieme?- rispose l'uomo, lanciando un sorrisetto a Zoe.
- Stessa camera, letti separati. Mia sorella dice che russo- rispose Waith.
- Bene. Vi serve altro?-.
- Spazio nelle stalle per i nostri cavalli. E due birre scure-.
Il barista fece un fischio ad un uomo alto e allampanato seduto ad un tavolino
poco lontano.
- Tim, mostra le stalle ai signori. E dagli le chiavi di una camera-.
L'uomo si alzò e accompagnò i due, mentre Stephane entrava a sua volta nella
locanda.
- Interessante, come posto. Mi chiedo come sarà lavorarci- disse Waith, una
volta che egli e Zoe furono seduti davanti alle loro birre.
- Di certo c'è che quel fumatore se la sta passando- disse Zoe, accennando a
Stephane.
Il rosso era seduto da solo ad uno dei tavoli, il fioretto bene in vista, che
sorseggiava la sua birra con fare tranquillo, mentre fumava l'ennesima
sigaretta.
- Di certo c'è che ha attirato l'attenzione degli altri avventori- mormorò
Waith. Zoe seguì il suo sguardo e notò che due uomini dietro il Rohirrim
s'erano alzati e si stavano dirigendo verso di lui. La ragazza trattenne il
respiro, per poi sospirare di sollievo vedendo che questi oltrepassavano
Stephane e si dirigevano al banco.
In quel momento i suonatori smisero di suonare per prendersi una pausa.
- Guarda un po' cosa abbiamo qui!-.
Waith e Zoe si voltarono verso il punto da cui proveniva la voce. In piedi
dietro Zoe stava un uomo dalla mascella squadrata e le spalle larghe, con un
boccale in mano.
- Desiderate, signore?- domandò Waith.
- Oh, stavo solo facendo un apprezzamento alla ragazza. Non se ne vedono spesso
di così belle, da queste parti-.
L'uomo mise la mano sulla spalla di Zoe, che tentò invano di divincolarsi dalla
stretta.
- Mia sorella accetta il complimento. Ora vi consiglio di lasciarci in pace-
rispose Waith, mettendo mano all'elsa del pugnale, sotto il mantello.
- Perché tanta fretta?- domandò lo sconosciuto. Finì il boccale in due sorsi e
lo poggiò sul tavolo più vicino.
- Se stai cercando rogne, ti consiglio di andartene. Potrebbe finire male-.
- Ne sei certo?-.
I due uomini estrassero le lame.
- Signori, vi prego di tranquillizzarvi. La notte è giovane e sono certo che
entrambi preferireste un'altra birra. Offro io- intervenne una voce.
Entrambi si girarono. Stephane si era alzato e silenziosamente s'era avvicinato
ai due.
Lo sconosciuto lasciò la spalla di Zoe e fronteggiò il nuovo arrivato.
- E tu chi saresti?- domandò, mentre i suonatori attaccavano un'altra canzone.
- Qualcuno che non ama vedere le ragazze importunate- disse il rosso, lanciando
un'occhiataccia all'uomo.
Lo sconosciuto non parve apprezzare l'intrusione e puntò il coltello verso
Stephane.
- Vi sconsiglio di non puntare quell'arma verso di me. Siete solo contro due
persone e visibilmente ubriaco. Tornate a sedervi-.
- Solo?!- esclamò l'uomo. Rise e fece un cenno dietro di lui. Quattro persone
si alzarono, avvicinandosi ai due.
- Chi è solo, adesso?- disse l'uomo.
- Vi avevo avvertito- rispose Stephane.
In un fluido gesto, estrasse lo stocco e disarmò l'uomo che aveva di fronte,
per poi rivolgere la sua attenzione verso gl'altri. Questi avevano a loro volta
estratto vari tipi di armi.
A breve Stephane e Waith erano uno di fianco all'altro, mentre tenevano a bada
i cinque ubriachi. Attorno a loro si creò il vuoto, Zoe si allontanò verso il
bancone e altre persone si unirono alla bolgia.
Lo scontro degenerò e, quando molti si trovarono disarmati, ogni suppellettile
divenne buona per picchiare. Stephane era l'unico con ancora la spada in mano,
e menava fendenti a destra e a manca, allontanando gli assalitori. Waith invece
aveva presto lasciato perdere il pugnale, e al momento usava uno sgabello per
tenere buoni quelli attorno a lui.
I suonatori continuarono imperterriti a suonare, cambiando canzone e
cominciandone una dal ritmo parecchio veloce.
I'll wait for you till I turn blue
There's nothin' more a man can do
Don't get your bollocks in a twist
Settle down, don't take a fit
Stephane saltò su uno dei tavoli, mentre con un ampia rotazione della spada
allontanava le tre persone più vicine.
Provò poi una stoccata verso un quarto, che parò con uno sgabello. La spada si
incastrò nel legno, costringendo Stephane a lasciarla. Senza perdersi d'animo,
Stephane saltò sull'uomo, continuando lo scontro a mani nude.
The ship went down we all near drowned
Ya stood there on the deck
Till the Elves came and flogged yer arse
And dragged you from the wreck
Parecchi avventori che s'erano uniti alla rissa s'allontanarono dal locale,
boccali volavano senza sosta, Waith atterrò due uomini con un singolo fendente
dello sgabello, spaccando le gambe di quest'ultimo.
Abbandonò anch'egli l'arma, continuando a però a picchiare chi gli si parava
davanti.
One flew down plucked out
yer eye
The other he had in his sights
Ya snarled at him, said leave me be
I need the bugger so I can see
Un uomo volò oltre il bancone e il barista vi salì sopra, con uno strano arnese
in mano.
S'udì uno scoppio fragoroso e tutti ammutolirono, mentre il moschetto
del barista ancora fumava.
- Che cosa diamine pensate di fare?! Dovrei uccidervi uno ad uno!- esclamò.
- Ben detto, Grant- disse un'altra voce, da uno dei recessi bui.
L'uomo s'alzò, lentamente. I capelli ingrigiti stavano arretrando, sul suo
capo, e gli occhi castani avevano un brillio inquietante in loro. Indossava
abiti ricchi e la faccia era rasata, eccetto per i baffi e la barba che gli
circondava la bocca, piegata in un sorriso ironico. Dal labbro gli pendeva una
sigaretta.
L'uomo si avvicinò ai due viaggiatori e all'uomo che per primo aveva cominciato
ad importunarli, che al momento era tenuto per il bavero da Waith.
- Signori, permettetemi di presentarmi. Sono Francesco Costello, padrone di
questo locale. Sareste così gentili da darmi il mio dipendente?- disse, facendo
un gesto con la sigaretta verso l'uomo.
Waith rimise l'uomo in piedi, che si avvicinò a Costello, quasi con un timore
reverenziale.
- Jackie, mi deludi. Non saresti dovuto essere qui, oggi, se non erro- disse
Costello, calmo.
Jackie ebbe un tremito.
- No, avete ragione...-.
- E dove saresti dovuto essere?-.
Jackie mormorò qualcosa che solo Costello poté udire. L'altro annuì.
- E dunque, che cosa dovrei fare di te, Jackie?-.
Non udendo risposta, Costello sospirò.
- Vai a casa. Sei fin troppo sbronzo per capire qualcosa. Ma non finisce qui-
aggiunse, con tono minaccioso.
Stephane e Waith erano stupefatti dal potere di quell'uomo. Con un semplice
gesto, Costello invitò i due a seguirlo. Si fermò e si voltò verso Zoe, che era
ancora rannicchiata vicino al bancone.
- Signorina, venite anche voi-.
I tre seguirono l'uomo in un salottino privato adiacente. Qualche poltrona e un
paio di sedie circondavano un tavolino. Costello prese posto su una di esse,
invitando gl'altri a sedersi. Stephane e Waith presero posto sulle sedie,
invitando Zoe a sedersi sulla poltrona in mezzo a loro. Nel caminetto alle loro
spalle ardeva un fuoco.
- Arnold- fece Costello, rivolgendosi al barista, che li aveva seguiti, -
portaci una bottiglia di Scotch e cinque bicchieri-.
Il barista uscì e tornò poco dopo con quanto richiesto. Distribuì i bicchieri e
prese posto accanto a Costello. I suonatori avevano ripreso a suonare la prima
delle canzoni di quella sera.
- Ah, di nuovo “Il Tango del Defunto”. Ma non divaghiamo e veniamo al dunque.
Signori, vi starete chiedendo perché vi ho chiesto di venire qui con me- disse
Costello, spegnendo la sua sigaretta in un posacenere poggiato sul tavolino.
Sorseggiò il suo Scotch, invitando i presenti a fare altrettanto.
- Se volete esser ripagato dei danni, signore, devo avvertirvi che il primo ad
estrarre la lama è stato il vostro dipendente, Jackie- asserì Stephane.
- Ne sono certo. Jackie può esser molesto, specialmente in casi del genere. Ma
mi è molto utile, quando è sobrio-.
Stephane bevve un sorso di Scotch, per poi estrarre il tabacco.
- Posso?-.
- Fate pure, non v'è problema- rispose, con un sorriso. Zoe sentì il sangue
gelare, vedendo di nuovo quel sorriso. Bevve due sorsi di Scotch, per
tranquillizzarsi. Quell'uomo la metteva a disagio, nonostante i suoi modi
gentili.
- Bene. Stavo dicendo prima, che vi ho chiamati qui per un motivo. Voi tre siete
volti nuovi, da queste parti-.
- Siamo arrivati oggi in città- affermò Waith, - mia sorella ed io siamo in
cerca di un'occupazione. Potremmo ripagarvi per i danni causati lavorando qui,
se volete. Entrambi eravamo imbarcati come cuochi su varie navi-.
Costello annuì.
- Mi sembra onesto. Grant, falli cominciare dopodomani. Per quanto riguarda
domani, hanno il diritto di riposarsi dal viaggio- disse.
Poi si rivolse di nuovo a tutti e tre:
- Potrei conoscere i vostri nomi? D'altronde, io v'ho detto il mio-.
- Mi chiamo Nick, mia sorella è Zoe. Per quanto riguarda il nostro benefattore,
qui presente, non lo conosciamo, né abbiamo avuto occasione di presentarci,
prima-.
- Mi chiamo Stephane- rispose semplicemente egli, accendendosi la sigaretta.
- E che intenzioni avevate, qui a Salph?-.
- Sto cercando un impiego. Pensavo di presentarmi domani alla corte reale, per
diventare uno dei maestri di spada- rispose.
Costello annuì di nuovo, pensoso.
- Questo è un caso fortuito. Decisamente fortuito-.
- Come, prego?-.
Costello sorrise.
- Diciamo solo che potreste avere il mio aiuto ad ottenere un posto simile, se
vi presenterete domani al palazzo, diciamo verso la quarta ora dopo l'alba-
disse, versandosi un altro bicchiere di liquore.
- Ovviamente, se decidete di restituire il favore, quando sarà il momento-.
Stephane annuì, esalando lentamente una voluta di fumo.
Costello batté le mani una volta.
- Allora, è deciso. Un brindisi, signori, che questo momento possa esser
ricordato come l'inizio di una buona amicizia-.
Bevve il liquido ambrato tutto d'un fiato, mentre gl'altri vuotavano i loro
bicchieri.
Costello li congedò e i tre seguirono Grant fuori della stanza, fino ai loro
alloggi.
- Benvenuti a bordo- li salutò Grant, fuori delle porte.
- Che cosa ne pensi?- domandò Zoe a Waith, una volta che si furono sistemati.
- Non lo so. Questo Costello ha potere, potrebbe aiutarci molto-.
- M'inquieta, quell'uomo- disse Zoe. Waith sorrise.
- Su questo concordo, ha un aspetto alquanto inquietante. Ma non penso sia
malvagio-.
- Speriamo. Buonanotte, Nick-.
- Buonanotte-.
Finally! Cominciavo a perdere le speranze di riuscire a scrivere questo
capitolo.
Mi mancavano questi tre, in verità, e una volta cominciato a scrivere di loro
non c'era voglia di finire.
Ovviamente, si ringraziano i lettori INFAMI che non commentano, oltre alle due
irriducibili.
Silvia, i Maia sono delle semidivinità, inferiori ai Valar. Per darti un'idea,
nel libro se ne incontrano ben cinque: Gandalf, Radagast, Saruman, Sauron e il
Balrog.
In ogni caso sono felice ti sia piaciuto il capitolo. Gli spettri dei tumuli
son venuti fuori all'improvviso, mentre le scene in latino e gli scleri di
Talia e Meldarion risalgono ad anni fa, ormai, quando decidi di introdurre
Hestia e Talia.
Giorgia, lo so che fumo troppo, te lo dico sempre e tu mi dici che dovrei
smettere. Non avendone voglia, invece, ti tiro colpi bassi facendo cambiare gli
occhi ai miei personaggi =D
In ogni caso, son felice ti piaccia la contaminazione. Come hai potuto leggere
qua, non è l'unica. E visto, meno di un anno!
Infatti, si ringrazia Scorsese per avermi “prestato” il suo Francis Costello,
da “The Departed”, un film che consiglio a tutti quanti, ispirandomi Francesco
Costello. Non accusatemi di aver poca fantasia con i nomi, vi prego, perché sapete
benissimo che non è così. Semplicemente, suona benissimo e preferisco lasciarlo
là come omaggio.
Passando alla soundtrack, ci sono ben quattro canzoni da citare:
Bad Moon Rising, dei Creedence Clearwater Revival, cantata da Stephane mentre
marcia felice tra i monti, The Departed Tango la sentiamo due volte nel locale
e infine, mentre tutti si pestano allegramente, l'orchestrina suona Sway, di
Dean Martin, e Salty Dog, dei Flogging Molly, di cui è riportata parte del
testo. Un premio a chi nota il piccolo cambio nel testo, per renderla più in
linea con la fiction.
Ci si risente tra qualche mese.
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