Dark Outside

di LunarBlade Valentine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dark Outside ***
Capitolo 2: *** Infinity Point ***
Capitolo 3: *** Lies Awake ***
Capitolo 4: *** Shores of Vulnerability ***
Capitolo 5: *** Where To Put It ***
Capitolo 6: *** Blindness & Faith ***
Capitolo 7: *** Idle Banter ***
Capitolo 8: *** Her Tears ***
Capitolo 9: *** Quandary Lullaby ***
Capitolo 10: *** Dilly Dally ***
Capitolo 11: *** Nothing New Under The Sun ***
Capitolo 12: *** Never ***
Capitolo 13: *** Losing Ground ***
Capitolo 14: *** Madness ***
Capitolo 15: *** Catharsis - Parte Uno ***
Capitolo 16: *** Catharsis - Parte Due ***
Capitolo 17: *** Miles To Go Before I Sleep ***



Capitolo 1
*** Dark Outside ***


Descrizione: Una storia sul Vincent di Advent Children. Perché lui e Marlene sembrano essere buoni amici? La cosa mi ha sorpreso. Come ha fatto il suo mantello a ridursi in quelle condizioni disastrose in soli due anni? E perché, perché i suoi piedi sono così dannatamente GROSSI? In realtà mi sono detta che era abbastanza tenero che riuscisse comunque a muoversi così velocemente con quei cosi giganteschi… Povero Vince. Per non parlare di quant'è pucciosamente figo quando fa le sue entrate…

Genere: Dramma con un velo di umorismo. Vince sembra essere dotato di un'arguzia sottile nel film… Nelle due frasi in cui parla di qualcosa che non sia la Geostigma.

Spoiler: Nessuno, veramente. Se non avete ancora visto il film sappiate che lì dentro Vince è figo.

Note: Questa è la prima fanfic che scrivo da, tipo, due anni. Credo di aver perso il mio stile, e ho bisogno di ritrovarlo. Per favore, aiutatemi con recensioni intelligenti!
Ah, ho anche dato la Cerberus a Vincent, quella pistola/fucile a tre canne che ha in Dirge of Cerberus e AC. Non ho la più pallida idea di dove l’abbia presa. Non vedo l’ora che arrivi DoC!
… Perché ha i piedi così grandi?

Nota della traduttrice (youffie): … Hanno aggiunto il genere "Fluff". OH GAUDIO Uh… Come avrete intuito la fanfic è di qualche anno fa, ed è a questo che si devono le eventuali incongruenze con quel… gioco… chiamato Dirge of Cerberus. Inoltre la traduzione è completa e corretta (lo so: ;O; - a proposito, grazie ancora a Arli :*) e posterò un capitolo a settimana. Nelle mie intenzioni. Vincent solitamente è il personaggio dell'AVALANCHE che meno reggo, quindi immagino che questa fic su di lui sia un evento. Comunque nel 2006 questa fic ha partecipato a un concorso di fanficiton (o una cosa del genere) e ha vinto gli award per 'Best Novella' e 'Best story: Angst'. E LunarBlade ci tiene a farvi sapere che è molto felice di aver raggiunto il pubblico italiano, quindi se leggete battete un colpo :D Vi invito anche a segnalarmi eventuali errori, così io sono meno paranoica e le storie arrivano prima e siamo tutti (?) più contenti =)
… IL GENERE FLUFF XD



Dark Outside



E' bastato poco per distrarmi nei giorni che hanno seguito Meteor. So che questo mondo è diverso da quello in cui sono cresciuto. Sono un dinosauro. Obsoleto e fuori posto. Non sarà mai il mio mondo. Non sarà mai casa mia.

E quando tutto sarà finito, quando le celebrazioni saranno concluse e tutti saranno andati per la loro strada, io sarò solo. Ma questo volevo. Non c’è nulla che mi spaventi della solitudine, a parte il pensiero di una bara angusta e chiusa. Penso di essere diventato mezzo claustrofobico. Non che importi.

Una parte di me ha fame di un qualcosa che nessun cibo potrà mai sostituire, e so già che probabilmente avrò bisogno di una vita intera per capire di cosa si tratti. È sempre stata lì? Dove ho perso la grinta che avevo un anno e mezzo fa? Un anno e mezzo lontano di una generazione intera. Un sonno che mi ha portato via la mia generazione, il mio scopo, il mio posto nel mondo.

Ho mai avuto un posto in questo mondo? Forse no. Mi ero fatto una posizione con i cadaveri di altri uomini. Il pensiero di star facendo qualcosa della mia vita era piacevole, mi metteva a mio agio. Il sangue caldo degli altri per saziare un cuore freddo. Forse quello che stavo cercando era-

Qualcuno mi tira il mantello, e io mi volto. Forse la mia espressione ha lasciato trapelare qualcosa della mia avversione per le interruzioni, perché la piccola Marlene indietreggia prima di ricordare il motivo per cui ha attirato la mia attenzione.

“Tifa ha detto di dirti che vogliono che tu vai dentro e ti diverti con loro.”

Non ho bisogno di dar loro spiegazioni. Specialmente se non possono neanche prendersi la briga di venire di persona e mi mandano invece questa bimba di sei anni. Torno a guardare gli alberi mossi dal vento. Il crepuscolo li sta tinteggiando di meravigliose tempere scure, ma riesco ancora a cogliere i dettagli: le foglie della prima fase dell'autunno che s'ingialliscono, un paio di uccellini che si nascondono dal vento grazie alle loro cortecce. Le ombre si allungano. L’inverno non è lontano, e gli animali cercano cibo. Forse anch’io dovrei trovare qualcosa che possa sostenermi durante l’inverno. Non ho nemmeno un posto in cui stare.

Sono sorpreso di quanto poco me ne importi.

Loro mi offriranno luoghi in cui dimorare, e io rifiuterò, e loro sentiranno di aver ottemperato al loro obbligo sociale e metteranno a tacere i loro sensi di col-

“Um.”

Guardo in basso. È ancora qui.

“Mi annoio.” dice.

Ma le hanno proibito di tornare senza di me? Ah, non attacca. Non sento alcuna responsabilità nei confronti di questa bambina. Se si becca un raffreddore qui fuori non perderò il sonno. Qui l’aria è fresca. Avevo dimenticato quanto il gelo potesse mordere le guance; avevo dimenticato quanto un polmone pieno di quest’aria riuscisse a farti credere di poter vincere il mondo. Beh, sono l’ultima persona che può essere ingannata dalla falsa promessa di una brezza vuota. Sono l’ultima persona che-

“Non sei amico loro?”

Sospiro tra me e me. E' difficile darsi a tacite fantasticherie quando ci sono bambini in giro.

“Non sei contento che abbiamo vinto?”

Noi? Noi? Ha sei anni, o cinque, o giù di lì. Cosa ne sa lei della nostra vittoria? È stata vacua, e la gente del mondo è la vera vincitrice. Noi abbiamo sacrificato così tanto. Ora siamo coperti di cicatrici, dovute non solo ai colpi ricevuti, ma anche alla consapevolezza di quanto sia deturpato questo mondo. Non riusciremo mai a lasciarcela semplicemente alle spalle, a dimenticare i nostri peccati e i nostri dolori.

“Non ti annoi?”

No. Non mi annoio.

“Sei depresso?” chiede.

“Depresso?” Dalla mia voce traspare parte dell’incredulità che provo. Ragazzina insolente. Invece di vergognarsi della sua sgarbatezza, lei annuisce soltanto e dice, “Secondo me sei depresso. Sei una facciona depressa.”

Con questo la mia indignazione scompare. Si trasforma in tiepido divertimento che irrita qualcosa nel mio stomaco. Mi è stato appena dato della ‘facciona depressa’. Non mi capitava da… Beh, mai capitato. Un anno e mezzo fa ero un Turk. Una divisa blu che indicava che potevo uccidere e farla franca in un mondo in cui la tecnologia fioriva. Ora sono uno strambo naufrago in un mondo in cui la tecnologia sta morendo. Il massimo che mi proponevo di essere a quest’ora è morto.

“Ho freddo.” dice, abbracciandosi per farsi calore.

“Va' dentro.” replico io, cercando di raggelarla ulteriormente col mio tono.

“Non voooglio.” risponde con eloquenza, “Voglio stare qui con te.”

Se me ne importasse abbastanza avrei inarcato un sopracciglio, ma così non è. Torno al panorama. Può pure congelare a morte, se lo desidera.

“Ho freddo.” ripete.
Cosa vuole che faccia, esattamente? Io ho il mio mantello e la fascia e lei ha un vestitino rosa. Anche lei sembra essersene accorta, e quello che fa dopo mi sorprende tanto che per poco non precipito dall’Highwind. Alza una piega del mio mantello, ci si acquatta sotto e si accuccia abbastanza vicino da toccarmi la gamba; lo sta usando come coperta.

Io la fisso, ma il suo viso è nascosto dal panno rosso. Ma cosa crede di fare? Sento la sua presenza calda contro la mia gamba, e il contrasto mi manda un brivido lungo la spina dorsale. Sbatto le palpebre un paio di volte per dissipare la confusione e sospiro. Marmocchi, questi sconosciuti. Se lì sotto è felice fatti suoi. Può anche saltare giù dall’aereonave per quel che mi riguarda.

Dopo un lungo periodo di pensieri ininterrotti, Barret sguscia fuori dalla festa per venire sul ponte dove ci troviamo noi.

“Hai visto Marlene?” domanda. La sento agguantare con più forza il mantello nel tentativo di svanire alla vista. Io annuisco e lo sollevo, rivelandola. Lei emette uno strillo di disappunto e mi tocca soffocare un sorriso quando Barret la raccoglie tra le sue braccione. Lei mi guarda come si guarda un traditore. Vincent, sei un cretino. Io mi arrendo e sorrido dietro la fascia del mantello, assicurandomi che Barret non veda. Lui, dal canto suo, mi premia con un’occhiataccia torva per aver nascosto sua figlia. Dentro di me io faccio spallucce. Può pensare quello che vuole.

Con un “Vieni, Marlene.” ritornano alla festa, e io rimango indietro. Ma ora fa più freddo, e sento un tremore iniziare a scorrermi lungo le gambe abbandonate dal calore, quindi torno sottocoperta passando per un piccolo corridoio, nel tentativo di sfuggire alla baldoria.

Per una qualche ragione il resto dell’AVALANCHE ha deciso che è nel loro migliore interesse volare insieme ancora per un po’. Hanno deciso di volare di città in città per aiutare gli altri, partendo da Midgar. Dato che abbiamo passato settimane nel sottomarino affondato per sbarazzarci di tutti quei mostri, la nostra attuale situazione finanziaria è notevole. Progettano di destinare quei gil alla ricostruzione del mondo e alle vite dei bisognosi. Non potrebbe importarmene di meno di quello che fanno. Non ho nessuna pretesa su questi soldi. Mi sono unito alla loro causa a metà cammino, per così dire. Ho detto loro che li seguirò. Avrei l'opportunità di vedere un’altra fetta del mondo, e di decidere dove andare quando avremo finito. Non l'ho fatto per rimandare l'inesorabile addio, lo nego sinceramente.

E negarlo, ovviamente, significa ammetterlo.

Più tardi, quella notte, succede una cosa stupida. Ancora non capisco come posso aver fatto una cosa simile.

Cloud è con Marlene sul ponte. Come al solito io sono accanto all'inferriata, e sto cercando di stare alla larga da eventuale ed eccessiva attenzione. Ho giocato una parte minuscola nella salvezza del mondo. Lascerò la gloria agli 'eroi'.

È stata una combinazione di eventi, veramente, a causare l’incidente: c'è stato il fatto che Cloud ha preso in braccio Marlene e l'ha lanciata giocosamente in aria; c'è stato il fatto che è autunno e il vento soffia forte; c'è stato anche il fatto che Cid ha deciso di cominciare a volare proprio in quel momento. Il risultato è che Marlene sta svolazzando via. O forse lei è rimasta dov’era a mezz’aria e noi ci siamo spostati. Comunque sia eccola lì, che precipita giù verso una foresta nera come l’inchiostro.

E, ovviamente, eccomi qui, che precipito sulla sua scia. Perché? Per colpa del vento. E della nave. E del mio dannato senso di Non-So-Cosa che mi fa fare queste cose e poi mi trova delle scuse per averle fatte. Forse so di poter reggere l’atterraggio, forse una parte di me spera che non ci riuscirò. Non so che cosa ho in mente. Forse trasformarmi dopo averla raggiunta? Sì, così poi magari Chaos se la mangia.

L'afferro per il braccio quando ha quasi raggiunto gli alberi e la scaravento di nuovo in alto verso la nave con tutta la mia potenza. Ho una buona mira, e riesco a colpire Cloud. Fronte contro fronte. Ben gli sta, reggersi alla ringhiera mentre io cado… Le ultime cose che vedo prima di urtare i rami sono Cloud e lei rimessa al sicuro a bordo. Spero ti abbia fatto male, Cloud.

Fa male. Il lancio mi ha girato il corpo, così invece di beccare i rami con la faccia vado giù di spalle. Mi si appiccicano al mantello e alla schiena e alla testa e sento qualcosa rompersi con un sonoro crack quando finalmente tocco terra.



Note dell'autrice: Ciao! Non posto nulla da, tipo, secoli! Nel corso dell'ultimo anno (e mezzo) ho perso tutta la sicurezza che avevo nelle cose che scrivo. Non so perché. Beh, il modo migliore per superare questo momento è scrivere e scrivere e vedere che ne viene fuori! Ecco qui il mio ultimo lavoro. Ci sono altri capitoli, o almeno ci sto lavorando. Fatemi sapere se c'è qualcosa che vorreste vedere di più e cosa ne pensate di questo stile.
Per favore?
Grazie!

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Capitolo 2
*** Infinity Point ***


Infinity Point



Rimango sdraiato lì per un lungo istante nel tentativo di adunare i miei sensi e di placare il dolore diffusosi nel mio corpo. Alla mia vista germogliano fiori neri, e sento l’oppressione fantasma di innumerevoli collisioni. Quando finalmente riesco a vedere il cielo e a respirare con più regolarità provo a muovere le dita. Il braccio di metallo sta bene, è solo ammaccato. Mi sa che dovrò lavorare sul legamento del mignolo. Il mio braccio umano si è incrinato. Riesco a sentire le ossa protestare ad ogni singolo movimento. Almeno non è rotto. Farà male, ma guarirà da solo. Non è una situazione bruttissima. Potrebbe andare peggio. Mi drizzò a sedere dolorosamente e mi guardo intorno. Tutto nella foresta sembra imperturbato. Non vorrei attrarre grande attenzione nello stato in cui mi trovo. Sto bene, ho soltanto un dolore considerevole. Riesco ancora sentire vagamente l’Highwind in lontananza, ma poi sparisce anche quel rumore. Cloud sa che sono caduto, torneranno indietro.

La mia schiena è piuttosto ammaccata, mi fa male la testa e ho delle leggere vertigini. Però seriamente- nulla di cui preoccuparsi.

Quando provo ad alzarmi sono lieto che non ci sia nessuno a guardarmi. Ricado giù immediatamente e il mantello mi si rivolta in testa. Lo rigetto rabbiosamente indietro e guardo la gamba colpevole di non aver retto il mio peso. Il mio sguardo si perde nell’erba, dato che a quanto pare la mia gamba è stata strappata via. Non che sia troppo preoccupante, di per sé, solo che mi irrita. Non che faccia male. Vedete, per buona parte le mie gambe sono state rimpiazzate dagli stinchi in giù. Grazie, Hojo. Dove avrebbero dovuto esserci la mia caviglia e il mio piede trovo metallo lacerato e qualche filo. Mi siedo e mi metto comodo. Non potrò andare troppo lontano su un piede solo. Se guardandomi attorno non sono riuscito a trovare un arto tagliato, farmi un giretto zoppicante per andarlo a cercare sarebbe un invito perfetto per una compagnia indesiderata. Mi appoggio con cautela ad un albero e aspetto.

Mentre fisso la volta notturna con qualche stella che brilla debolmente attraverso il fogliame, mi ritrovo a chiedermi se davvero verranno per me. Mi piace pensare di sì, ma quello è solo perché io sono una persona egoista. Nulla dice che verranno. Non riesco più a sentire l’Highwind, e nel nostro rapporto non c'è nulla che implichi un'eventuale interruzione dei loro piani per venire a cercare me. Non ne valgo la pena. Loro hanno un buon cuore e delle buone intenzioni; io ho un cuore cattivo e intenzioni egoistiche. Io lo so, loro lo sanno. Nulla dice che debbano venire.

Logicamente parlando devono tornare, perché altrimenti diserterebbero qualcuno, e non lo farebbero mai. Buone intenzioni, ricordate?

Forse pensano che stia bene? Non potrebbero mai sapere che sono… ‘rotto’. “Vincent sa badare a se stesso.”, ho sentito dire una volta a Cloud, quando le cose si stavano mettendo male e dovevamo coprirci le spalle a vicenda.

Qual è la città più vicina? Non so neanche dove sono. Dannazione. Dovrei smetterla di fantasticare ad occhi aperti.

Dannata marmocchia, dannata gamba, dannato Hojo e dannato me.

Ho anche perso la mia bandana.

Due ore dopo mi annoio da morire. Sono stanco, ma il dolore al braccio m’impedisce di prendere sonno e quello alla testa di pensare con chiarezza. Non è che muoia neanche dalla voglia di diventare lo spuntino di mezzanotte di qualche mostriciattolo, perciò faccio del mio meglio per rimanere sveglio.

Man mano che il tempo passa neanche il dolore al braccio è più sufficiente, e mi sento le palpebre tanto pesanti. Il sonno ha un aspetto così dolce. La notte è tranquilla, l’aria fresca. Nulla cercherà di mangiarmi. Che poi qui c’è davvero poca carne da mangiare. La mia testa pulsa incessante, e il mio cervello nuota in un mare di piombo, tra le vertigini e il torpore.

La notte sembra protrarsi all'infinito. Gli alberi ondeggiano al vento freddo che poi mi accarezza il viso, congelando il sangue dei miei tagli.

È quasi una conversazione: la prima mossa tocca agli alberi, poi ci sono io. Domande nel vento, risposte nelle foglie che cadono. Trascorro il tempo ad ascoltare la foresta, gli stridori e gli scricchiolii delle foglie e dei rami morti. Un suono in particolare comincia ad attrarre la mia attenzione, destandomi dal mio pseudosonnellino. Un rumore regolare sulle foglie, come di passi pesanti. Ad accompagnarlo c’è un fruscio fra gli alberi, come se qualcosa stesse giocando precariamente tra i rami alti. Mi raddrizzo. Il rumore diventa sempre più vicino e a intermittenza, ma a un certo punto comincia a muoversi nella mia direzione.

Cresce sempre di più. Un rumore regolare e un fruscio di foglie. Mi abbasso lentamente e afferro la pistola con le dita insensibili che tremano sul metallo gelido. Tre canne, tre possibilità di morte. Agguanto l’impugnatura e allungo un dito al grilletto. Una roulette mortale attende qualunque cosa pensi che Vincent sia un pasto facile. La carico dolorosamente e aspetto. Di solito non la tengo carica attorno ai miei alleati– è la ricetta perfetta per una strage. Specialmente quando ci sono dei marmocchi in giro…

Mi ci vuole qualche pesante battito di ciglia per rischiararmi gli occhi. Mi sembra di avere il cervello troppo grande, nulla è veramente chiaro. Dettagli appaiono e scompaiono mentre i miei occhi perdono e riacquistano la messa a fuoco.

Adesso è molto vicino… molto vicino… Quel brusio di foglie tra i rami smette, ma i tonfi pesanti continuano da diverse strade. E così la creatura non è sola. Mi sento osservato. C’è qualcosa negli alberi che mi osserva. Molto vicino. Chiudo gli occhi e tendo le orecchie. Sento un respiro, uno sbuffo, sento dei muscoli pronti.

So cos’è. So dov’è. Certe cose te le dice il sangue che ti scorre nelle vene, le vedi con le orecchie.

Con gli occhi ancora chiusi miro in aria e sparo un proiettile solo. Yuffie grida e si accascia a terra. Se non fossi così stanco e se la testa non mi facesse così male, avrei puntato un dito verso di lei e sarei scoppiato a ridere. Tra me e me, quantomeno. Lei impreca fragorosamente e si mette in piedi.

“Cosa cavolo pensi di fare, Vince!” Sbatte i piedi a terra. “Siamo qui per salvarti!” Subito dopo il colpo d'arma da fuoco i tonfi si sono fatti più vicini e rumorosi, e ora si rivelano come proprietà di Cid, che trascina i piedi pesanti tra le foglie.

“Cos'è successo?” chiede. Lei gli dice che le ho sparato. Io dico che se le avessi sparato sarebbe morta. Cid dice: “Effettivamente.” Yuffie sostiene di aver schivato il colpo.

“Torniamo alla nave, Vince.” fa Cid, tendendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.

“Ottima idea.” ribatto io, cercando di fingere di stare bene quanto loro vogliono credere che io stia bene. “Ti spiacerebbe prestarmi una gamba?”

Per un attimo Cid sbatte le palpebre in silenzio. Non è propriamente il pastello più brillante della scatola, Cid Highwind. Beh, più brillante della maggior parte di loro, eccetto Nanaki e Tifa. Allora mi guarda per bene, nota il modo in cui mi stringo il braccio con quello metallico, si accorge del mantello stracciato, e poi sgrana gli occhi alla vista della mia nuova amputazione.

Io odio il mio corpo. Lo odio. Lo odio. LO ODIO.

“Porca #)!”

“Se lo dici tu.” borbotto io abbassando la testa. Ho freddo, sono intontito, sono tutto un dolore e tutta questa situazione mi fa soltanto sentire più stanco e frastornato. Voglio dormire. “Preferirei non andarmene senza la mia gamba. È difficile reperire parti biomeccaniche di ricambio, al giorno d’oggi.” Riesco a stento a terminare la frase che Yuffie esclama, “Trovato!”

Se non altro, quella ragazza è bravissima a localizzare gli oggetti che luccicano. Saltella di nuovo davanti ai nostri occhi brandendo trionfante il mio piede.

“Era finita laggiù.” spiega, additando in modo vago una direzione qualunque. Prendo in considerazione l’idea di ringraziarla, ma un’ondata di capogiri mi rovescia a terra su di un fianco. La notte della foresta attorno a me si offusca improvvisamente, il mondo si inclina in una strana angolatura. Quando rinvengo Cid è al mio fianco che mi tira su, preoccupato. Ho avuto un collasso? A quanto pare sono scivolato dall’albero. Com’è successo? Sento allentarsi la presa sui miei sensi. Dannazione. Odio essere così debole. Almeno è solo Cid. Almeno so sempre come comportarmi con Cid. Lui pensa che io sia un mostro e un tipo strano, però lo accetta. Scuoto la testa come per svuotarla, ma non serve proprio a molto. Allungo una mano e mi tocco con cautela la parte della testa che mi fa male. La mano torna sporca di sangue. Ho sanguinato per tutto questo tempo? Ho solo il tempo di pensare ‘Maledizione, Valentine. Ti stai rammollendo’ prima di svanire nel punto infinito che si raggiunge quando si perdono i sensi.



Note dell'autrice: Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare abbastanza presto dal momento che questo non è stato interessante come sperato. Potreste dirmi, per favore, se il ritmo della storia finora va bene? Ho paura che sia un po' lento. Scrivere in prima persona tende a farmi questo. Provo a darci dentro con tutta la cosa del ‘flusso di coscienza’… Gah. Non ho idea di quello che faccio!
Seguire il flusso- ecco quello che sto cercando di fare. Forse dovresti provarci anche tu, Vincent!
Recensite se avete un minuto :D
Nota della traduttrice: sì, ho già postato questa storia sul sito di Elly
Nel mio profilo trovate più informazioni riguardo a questo mezzo trasloco (che poi non è un vero trasloco, visto che la mia casa era e rimane S.o.a.P.) che sto facendo.

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Capitolo 3
*** Lies Awake ***


Lies Awake



Mi sveglio. La mia vita assomiglia ad una serie di risvegli. Mi sveglio e mi rendo conto di aver passato la notte più bella della mia vita con la donna dei miei sogni, mi sveglio e mi dicono che lei è morta di parto, mi sveglio e trovo Hojo che gioca a fare il macellaio con il mio corpo, mi sveglio in una bara, mi sveglio e i miei occhi rivedono la luce dopo trent’anni e poi mi sveglio e mi accorgo che Hojo è morto e io sono ancora qui.

E adesso: mi sveglio in un letto caldo circondato dal ronzare dell’Highwind. Fingo di continuare a dormire, trucchetto che ho imparato un po’ di tempo fa. Nemmeno un elettrocardiogramma potrebbe percepire il mio risveglio. Con Hojo ci ho provato un milione di volte nel tentativo di rimandare il dolore, ma lui conosceva i Turk, maledetto bastardo.

Le orecchie si possono utilizzare come sensori, sapete. Si può percepire la grandezza di una stanza, si può percepire la presenza di una persona. Nella stanza c’è qualcuno, e la stanza è la camera in cui alloggio a bordo dell’Highwind. Do alle mie orecchie il tempo di regolarsi e svegliarsi prima di provare a indovinare chi sia. Piedi piccoli, passi leggeri, sicuri, tranquilli. Troppo pesanti per appartenere a Marlene. O è Tifa o è Yuffie. Ascolto un altro po’. Sta riordinando la mia scrivania. Non è Yuffie.

“Tifa.” dico. Cavolo, ho la gola secchissima, e dalla mia voce sembra che sia stato fuori per un po’. Sento le mie tanto pesanti. Non voglio ancora aprire gli occhi, perciò li tengo chiusi anche se le mie pupille seguono istintivamente i suoi rumori.

“Sono contenta che tu sia sveglio.” Riesco a sentire il suo sorriso addirittura nella sua voce.

Io non sono certo di essere altrettanto contento.” replico io. Devono avermi dato qualche potente ibuprofen; antinfiammatori. La sento prendere un bicchiere e versare un po’ d’acqua. È come se il mio cervello fosse stato imbottito di cotone invece che di piombo. È tutto ovattato e sfocato e non mi piace proprio per niente.

“Grazie.” risponde semplicemente lei, appoggiando il bicchiere accanto al letto. Così, nessuna spiegazione, niente fronzoli. Lei sa che io so cosa intende.

Non voglio che lei mi ringrazi, non l’ho fatto per lei. Anche se l’avrei fatto, se fosse stato necessario. Comunque non saltellate giù dall’Highwind finché non mi sarò ripreso. Penso che limiterò i salti come minimo ad uno al mese.

Tifa è una ragazza a posto, nella mia enciclopedia. Non fa domande stupide come ‘stai benÈ o dice cose come ‘bel volo, eh’ o frasi su questa riga. Lei… accetta le cose. Questo mi piace. È una guerriera forte, e il suo sorriso ha tenuto per la maggior parte degli orrori a cui abbiamo dovuto assistere. Chiunque riesca a continuare a sorridere in questo mondo, sapendo quello che sappiamo noi, dopo aver visto quello che abbiamo visto noi… Merita di essere lodato. Non da me, ovvio. Io non sono il tipo che elogia apertamente qualcuno se non è per una cosa veramente sbalorditiva. È uno spreco d’aria se non si tratta di qualcosa di stupefacente. Come l’abilità di Cid con l’elettronica e la meccanica. Non ho mai afferrato quella roba. D’altro canto io sono cresciuto in un’epoca in cui un orologio pubblico era considerata una notevole innovazione. Dite quello che volete sulla Shinra, ma hanno davvero cambiato il mondo.

“Marlene era molto preoccupata per te.” continua Tifa con quel sorriso ancora presente nella voce. Per quel sorriso sono lieto di non avere gli occhi aperti. Fa delle cose strane al mio stomaco. Mi fa venir voglia di rispondergli soltanto per vederlo allargarsi.

Lei probabilmente pensa che sia ‘carino’ che Marlene si sia preoccupata per me. Lei probabilmente pensa che sia stato ‘carino’ che io sia saltato giù per salvarla. A me i ‘carini’ stanno sullo stomaco. L’aggettivo ‘carino’ è la mia disgrazia. Sto zitto.

La sento raggiungere la porta e aprirla. Dice qualcosa a qualcuno fuori e poi c’è uno scalpiccio di piedini che sfrecciano verso di me. Prima che possa anche solo costringere le mie palpebre pesanti ad aprirsi sento un peso sul petto e un paio di braccia attorno al collo.

Marlene… mi sta abbracciando?

Incredulo, apro gli occhi. Spazzo via con un paio di battiti di ciglia la stanchezza residua e mi ritrovo a fissare lo sguardo nel più grande paio di occhi castani al mondo. Due mondi di marrone pieni di emozione che mi restituiscono lo sguardo fisso, sbarrati. Il suo peso è strano. Non spiacevole, e certamente non gravoso al punto da impedirmi di respirare; solo… strano.

“Hai pianto?” domanda. Io sbatto nuovamente le palpebre. I marmocchi sono disorientanti di proposito?

“No.” ribatto io con cautela dopo un momento. Poi c’è una pausa molto lunga.

Non sono abituato a vedere una faccia così vicina alla mia. Non mi muovo, non respiro troppo. Si spaventerebbe se mi muovessi troppo velocemente? Intensificherebbe la stretta attorno al mio collo? Deglutisco forte. Non avevo mai notato che avesse le lentiggini. Non ho mai avuto una ragione per guardarla più del necessario. Vorrei che si staccasse, ma dalla mia bocca non esce suono. Ho quasi… paura.

Quando appare ovvio persino a Tifa che non sono a mio agio e che non dirò più niente, si avvicina e chiede, “Cosa ti fa pensare che stesse piangendo, Marlene?” Dischiude delicatamente le mani della marmocchia dal mio collo. Tifa, sei una santa.

“Perché ha gli occhi rossi.”

Tifa comincia a ridacchiare ma mi ci vuole un momento per comprendere la confusione della bambina. Ora se n’è andata dal mio letto, e i miei muscoli si rilassano. I marmocchi sono strambi, e il metodo migliore che uso quando ho a che fare con loro è evitarli. Marlene viene accompagnata fuori, e vorrei ringraziare Tifa, ma non lo faccio. La marmocchia mi fa ciao con la manina e poi si fa piccina piccina quando si accorge che non posso rispondere al saluto. Tifa richiude dolcemente la porta dietro di lei, ma rimane nella stanza.

È così che a volte vanno le cose, con me: quando capisco cosa dovrei dire il silenzio si è già protratto talmente tanto che se lo dicessi in quel momento non avrebbe più contesto, o magari si è già passati ad un altro argomento. Non è che io sia lento, vedete, è solo che tutti gli altri sembrano lavorare ad un’andatura diversa dalla mia. Le parole sono difficili da infilare una dietro l’altra. Sono illogiche e ingombranti e io sono maldestro nell’usarle. Non esistono parole per trasmettere la verità, ma solo per mascherarla. Non mi piace.

Io mi prendo il mio tempo per pensare alle cose, altre persone dicono semplicemente la prima cosa che gli viene in mente, che di solito non vuol dire niente. C’è un proverbio a Wutai che dice qualcosa come, “Una prova dell’intelligenza è il silenzio”. Il risultato finale è che io non parlo molto perché non c’è molto da dire e di conseguenza le persone non mi parlano molto.

Guardo il mondo piroettarmi intorno e ancora devo raggiungerlo.

Fuori tempo.

Fuori posto.

Credo che la parola che sto cercando sia ‘anacronistico’.

Provo a mettermi a sedere, ma il braccio brucia ancora, anche avvolto com’è in una solida benda. A quanto pare anche il mio braccio metallico è andato disperso. Fisso il moncone che c’è al posto suo per un istante, perplesso. Di solito lo tolgo nella doccia o per le riparazioni. Toglierlo fa male come una ferita d’arma da fuoco, e risistemarlo è ancora peggio. Odio vedere quel moncone. Odio sentirmi uno storpio.

Potrei chiederle dov’è finito, o quanto tempo sono stato a letto, o cos’è successo dopo il mio svenimento, ma queste cose le chiederebbe chiunque una volta sveglio. Quindi mi preparo all’‘Approccio alla Vincent’ quando sento Tifa uscire un attimo.

La guardo fermamente e aspetto. Lei torna dalla porta e si siede sul mio letto.

“Cid ti ha riportato qui.” comincia. “Hai perso molto sangue.”

Per citare Tifa, “L’ ‘Approccio alla Vincent’ è mettersi in attesa dell’ovvio perché sta ovviamente per succedere”. Una volta fissato il concetto che certe domande vengono sempre poste, posso semplicemente aspettare che la natura umana faccia il suo corso e riempia il vuoto creato da una domanda ovvia latitante. Molte delle domande che una persona fa vengono fatte soltanto perché il suo interlocutore vuole dirgli la risposta. Io salto soltanto la parte obbligatoria della domanda. Ho usato questo ‘Approccio’ per buona parte del viaggio, e ha funzionato come un incantesimo. Inizialmente non mi ero nemmeno accorto di farlo. È stato solo dopo che Tifa me l’ha fatto notare che ho cominciato a usarlo consapevolmente. Sincero.

“Sei stato a letto per due giorni.”

Solo due? Pensavo peggio.

Dopo una pausa mi schiarisco la gola e dico, “Le mie scuse.”

Tifa mi sorride dolcemente. È lo stesso sorriso che fa ogni singola volta che mi scuso. Lei sa che io mi scuso per essere stato di peso, e io conosco la sua risposta, la sua bugia.

“Tu non sei mai di peso, Vincent. Sei nostro amico.”

Beh, nella mia enciclopedia spesso gli amici possono essere delle maledettissime seccature. Inoltre io non solo loro ‘amico’, sono un loro ‘compagno’. Gli ‘amici’ non si trasformano in giganteschi mostri che maneggiano una motosega portatile. Gli ‘amici’ non si trovano nelle bare, come uno dei pupazzi inscatolati che si possono comprare per un gil a una macchinetta. Loro mi compatiscono, ogni tanto mi temono. Io sono l’incognita, il jolly, il proverbiale asso nella manica. Sei finito nei guai? Aspetta solo che Vincent prenda abbastanza legnate. Aspetta solo che i meccanismi di autopreservazione del suo corpo… che altri organismi entrino in gioco. Almeno non mi guardano dall’alto al basso, e hanno tentato in maniera piuttosto leale di non nominare le trasformazioni. Eludono la questione con grazia encomiabile.

… Almeno quasi tutti cercano di trattarmi come un essere umano. Ci provano e mi fanno sentire un pochino meglio. Significa molto.

“Dirò a Cid che sei sveglio. Non dimenticarti di prendere le tue medicine. Non vorrai mica un’infezione.” conclude Tifa, alzandosi e dirigendosi di nuovo verso la porta. Se ne va, e la stanza sembra improvvisamente vuota.



Note della traduttrice: stavolta niente note dell’autrice perché sostanzialmente riguardavano dettagli tecnici sugli aggiornamenti. L’unica cosa importante che ha detto è che i capitoli sono così brevi per permettere aggiornamenti più veloci.
Scusate se non ho postato l’altro giorno, già cominciamo con i ritardi… °_°

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Capitolo 4
*** Shores of Vulnerability ***


Shores of Vulnerability



Rimasto solo, espiro profondamente e sprofondo tra i cuscini, rilassandomi. Dopo un po’ riesco a prendere il bicchiere d’acqua che Tifa aveva lasciato accanto al letto. La testa mi fa male, ma mi è possibile eseguire movimenti semplici. Le dita sono libere dalla benda che mi avvolge quasi tutto il braccio. Comunque non riesco a reggere niente di più pesante del bicchiere d’acqua. Fa già abbastanza male sollevarlo per provare a portarlo alle labbra. La medicina mi fa sentire rigido e appesantito come una tonnellata di mattoni, e l’acqua va giù come olio, scivolando sulla mia gola inaridita.

Mi ributto sul cuscino, soffice e invitante, e occupo il mio cervello frastornato guardando fuori dalla finestra. Dagli spicchi di sole sul pavimento e sul letto che ogni tanto si spostano, e dalla leggera e occasionale variazione della pressione atmosferica, deduco che l’Highwind è in volo.

… L’Highwind. Che macchina meravigliosa. Credo che potrei essere contento di starci per sempre, senza mai affezionarmi ad un posto specifico, entrando e uscendo dalle vite delle persone sottraendo all’umanità meschina la possibilità di ferirmi. Desiderando un tempo più civilizzato…

Ricordo il tempo in cui gli elicotteri erano una teoria che la Shinra voleva studiare, e tutti ridevano degli ingegneri e dicevano che non avrebbero volato. La Shinra ha costruito talmente tanti sogni, e ne ha distrutto altrettanti. Io non li odio. Mai odiati. Non ho niente contro la Shinra. Mi hanno raccolto da Wutai e mi hanno insegnato a stare da solo o in una squadra. Mi hanno insegnato il linguaggio comune e incoraggiato a migliorare la mente leggendo tanto- mi hanno insegnato a leggere. Mi hanno insegnato ad osservare le persone e a conoscerle. Hanno preso un fattorino di basso rango della Yakuza come me e mi hanno dato un mestiere e qualcosa di molto vicino ad una vita. Senza di loro probabilmente avrei continuato ad essere un fattorino ignorante per il resto dei miei giorni. So che sono stati loro a ridurre Wutai al suo stato attuale, ma quella non è casa mia da troppo tempo perché possa importarmene. Nella mia testa la Wutai che esiste oggi e la Wutai in cui sono cresciuto sono due luoghi distinti e separati.

Volete sapere chi è che odio? Hojo. Un milione di volte Hojo.

Dite quello che volete sul variegato gruppo dell’AVALANCHE, ma io senza Cloud e gli altri sarei ancora bloccato in una piccola bara ad aspettare la morte. Non so cos'è che sto aspettando adesso, ma sento che l'impulso di morire si è smorzato rispetto a prima. Penso di volere solo un po’ di tempo- un po’ di pace e tranquillità per rimuginare meglio sulle cose.

… Un po’ di ‘pace e tranquillità’ che non sperimenterò nel prossimo futuro, dal momento che già sento Cid che arriva, e lui è rumoroso. Spalanca la porta della stanza senza bussare, raggiunge il letto ed estrae i miei arti mancanti da una borsa.

“È la prima volta che faccio manutenzione alle persone.” annuncia con un sorriso vibrante e un pizzico di formalità. Non ‘come stai?’, non ‘scusa se ti ho amputato qualcosa mentre dormivi’. Nulla.

“Non dico che è quello che vorrei fare per campare, ma è veramente più interessante di quel che pensassi.” Il suo sorriso è snervante. Sono tentato di ribattere con un ‘Sono lieto che ti sia divertito a studiarmi’, ma trattengo la lingua. Lui non voleva dire quello. Sono soltanto meschino… e paranoico.

Il braccio ha un ottimo aspetto, un aspetto che io non avrei mai potuto conferirgli. Le ammaccature sono praticamente sparite, il bronzo luccica come nuovo e sono certo che funzioni impeccabilmente. Cid può andare molto fiero del suo lavoro. Suppongo che abbia notato il modo in cui ammiravo la sua opera perché mi intima, “Rimettitelo.”

Io lo guardo male, tanto per, e poi mi puntello lentamente a sedere fino ad appoggiarmi alla testiera del letto. Mi riprendo con cura il braccio. Mi sembra… sbagliato. Un’altra occhiataccia, e pare quasi che Cid stia aspettando, attendendo qualcosa. Cosa sta tramando?

Mi sento improvvisamente smascherato, vulnerabile. Sono qui con una mano nell’altra, una gamba in una borsa e la testa talmente gonfia di antinfiammatori che probabilmente non riuscirei ad alzarmi neanche se il mio letto prendesse fuoco. Antinfiammatori o meno, rimetterlo sarà doloroso, e non voglio che lui mi veda soffrire. È già stato abbastanza terribile svenirgli praticamente in braccio nella foresta. Ho la mia dignità, se non altro. Ma non ho scelta; Cid non mi darà il piacere di mantenerla. Devo farlo.

Più facile a dirsi- lo provo un paio di volte, ma la sottile fenditura nella mia carne è più che sufficiente ad ostacolare l’applicazione di quel genere di pressione laterale di cui ho bisogno. Provo a girarlo qualche volta, ma la carne del braccio mi fa troppo male e non ho una presa forte. Do un’occhiata a Cid e noto che mi sta osservando con uno di quegli sguardi. Allora sorride e inarca le sopracciglia.

Vuole che lo dica, il bastardo. Vuole che gli chieda aiuto. Mi ha sempre preso in giro per il fatto che vado orgoglioso della mia capacità di risolvere da solo i miei problemi. Una volta mi ha detto che gli esseri umani non possono vivere nel vuoto. Bah.

Lo guardo torvo un’altra volta, come a dirgli che non accadrà. Non lo dirò. Dopo un po’ di questa silenziosa lotta di volontà Cid ride e tende una mano per aiutarmi. Non ho dovuto dirlo. Anche se non significa che non abbia bisogno del suo aiuto.

Però per il momento inghiottisco il mio orgoglio e lascio che sia lui a incastrarlo sulla base. Io distolgo lo sguardo e traggo un rapido respiro, preparandomi per il dolore con una mascella serratissima.

Ma il dolore non arriva. La mia espressione deve mostrare il mio stupore, perché Cid ride di nuovo.

“Quello $†®#!%o di Hojo,” spiega quando vede la mia espressione sconvolta mentre io fletto le dita con facilità, “Ci ha messo dentro un piccolo gadget.” Indica la zona del polso, “Lì dentro c’è un piccolo aggeggio che manda la risposta neurale alle dita- ci deve aver armeggiato un po’ per fare in modo che fosse il più doloroso possibile.” Scuote la testa e sfila una sigaretta dal pacchetto, “Meccanismi elettronici del cazzo. Ti mollavano scosse elettriche quando tu collegavi la mano.” Io sto ancora fissando il braccio. È leggero. Non mi ero mai accorto del dolore residuo che sentivo quando avevo il braccio, ma ora che è svanito va molto meglio.

“L’ho rimesso a posto.” continua Cid, e sembra un po’ assonnato, anche se fossi in lui sarei infuriato. Apro la bocca, ma ci metto qualche altro secondo e qualche respiro prima di mormorare un pacato, “Grazie.” Lui batte appena la sigaretta sulla parte superiore del pacchetto prima di riporvela dentro.

Vorrei dire qualcosa come, “Grazie per essertene fregato abbastanza da voler fare la differenza.” Ma non lo dico. Non so come arrivarci e non mi viene in mente un buon modo per dirlo. Non fraintendetemi; non penso che l’AVALANCHE mi odi. Non penso che loro vogliano che me ne vada per sempre.

Ancora una volta ci metto troppo tempo per formulare quello che volevo dire. Mi fissa per un bel po' con la coda dell’occhio, il che mi dice che forse ha capito quello che stavo cercando di dire. È più intelligente di quanto lasci trasparire?

Ti sono grato, Cid. Davvero. Lui sorride ancora; quello sguardo intenso è già scomparso. “È bello vederti senza la tua robaccia addosso.”

Io abbasso lo sguardo e mi accorgo che sto indossando una semplice T-shirt bianca. Dalla differenza di taglia posso desumere che sia sua. Questo vuol dire anche che il mio viso è scoperto. Non mi piace. Mi mette a disagio, come se gli altri potessero vedermi direttamente per quello che sono. Non dico nulla.

Io non sono bello, ho una faccia orrenda. Mostra cosa sono davvero. Io lo vedo quando mi guardo allo specchio e a me non piace. Non mi piace che lo vedano altre persone, perché neanche a loro piace. Ma loro non mi odiano, come ho già detto, sto solo dicendo che l’AVALANCHE stava benissimo prima che arrivassi io e ce l’avrebbe fatta lo stesso pure se non ci fossi stato io. Se me ne andassi loro verrebbero a farmi visita, ma non sentirebbero la mia mancanza per molto tempo, o spesso. In un certo senso è come se io fossi ‘opzionale’ al loro viaggio. È stato comodo avermi come supporto, ma non sono stato vitale. Avrebbero potuto tranquillamente buttare la nota di Hojo e lasciarmi marcire.

“…..” ‘dico’ io, mettendomi l’artiglio in grembo e cercando di non sentirmi troppo imbarazzato. Ormai ho questo corpo da un anno e mezzo. E ancora non mi sento totalmente a mio agio. E ancora mi permetto di sentirmi nudo negli abiti normali. La maglia mi cade troppo larga sulle spalle, troppo corta sulla pancia.

L’‘Approccio alla Vincent’ non funziona con Cid. Anche se lo capisce, finge il contrario. Così mi costringe a parlare. Io apro la bocca per chiedere ‘chi mi ha cambiato’, ma suonerebbe troppo idiota. Perciò finisco per richiuderla e per afferrarmi la maglietta, guardandolo significativamente. Provo persino a sollevare un sopracciglio. Lo stronzo mi guarda con finta curiosità. Vuole che lo dica. Cedo, stavolta.

“Chi.”

Puoi portare un chocobo alla fonte, ma non puoi costringerlo a bere.

“‘Chi’ cosa? Se intendi la maglia è mia.” Sorride. Sai cosa intendo, cretino.

“Chi…” Come posso parafrasare il mio pensiero senza dargli quello che vuole o senza suonare infantile? “Chi ha pulito le mie ferite?”

“Me e Tifa.”

‘Io e Tifa’ correggo mentalmente, ma sto zitto. Almeno è stata Tifa. Ha già visto il mio torace; in un certo senso ha fatto sua la responsabilità di curarmi quando rimanevo ferito durante la nostra ‘avventura’. Non so perché. Tutti gli altri pensavano che stessi bene. Ha commentato il fatto che fossi troppo magro, ma mai le cicatrici e i segni. Ha visto il tatuaggio Cerberus III sulla mia scapola, ma non mi ha giudicato o fatto domande. Hojo amava marchiare i suoi esperimenti. Non gli ho mai chiesto perché Cerberus, o chi fossero i due che mi precedevano. Non ho mai desiderato delle risposte così orrende. Non ho mai voluto ammetterlo, non ho mai voluto riferirmi a me stesso in quel modo. Ho imparato ad accettare le compulsioni infermiere di Tifa perché non aveva alcuna intenzione di andarsene, e ci ho provato a mandarla via, credetemi.

Mi piacciono le persone come lei e Cid. Persone che accettano le cose e basta e hanno opinioni ferme su cose che altri non avrebbero il coraggio di dire ad alta voce. Per quanto Cid adori rendermi la vita difficile, mi piace. Sotto differenti circostanze avremmo potuto essere amici. Quali differenti circostanze? Quando smetterà di fare il coglione. Però mi piacciono lui e Tifa. Davvero.

Sono diversi da Barret, che invece ha urlato e strepitato e mi ha sventolato il braccio armato in faccia quando ha sentito che ero stato con i Turk. Tutti facciamo quello che dobbiamo. Qualcuno mi ha visto per caso accusarlo di essere a tutti gli effetti un eco-terrorista, eh?

Ad ogni modo mentre il giorno procede mi sento peggio. Gli antidolorifici che mi avevano dato nel sonno cominciano a scomparire, e il dolore comincia a comparire. I miei pensieri semi-coerenti vengono rimpiazzati dal vuoto febbrile di un corpo troppo occupato a badare a se stesso per permettersi di pensare.

Ricordo qualcosa circa un tavolo operatorio e delle siringhe, ma svanisce non appena la mia mente sfiora le sponde della coscienza. Apro gli occhi e mi ritrovo a fissare due pozzi di buon vino. Mi ci vuole un momento per chiarire il quadro. Sono occhi, e sono di Tifa. La stanza è buia, il che suggerisce un passaggio significativo di tempo di cui non mi sono accorto. Tifa è seduta di nuovo sul letto, con un catino d’acqua e un panno sul grembo. Accanto a lei ci sono una Heal e una Cure Materia.

Sento il mio ritmo affannoso del respiro calmarsi, e il mio battito rallentare, e il sangue scorrere avanti e indietro. I dettagli della stanza sono sfocati e ci vuole un momento prima che possa schiarirli. So che i miei occhi sono stati aperti per un po’, ma non riesco proprio a ricordare che cosa dovessi aver visto.

Do un’occhiata a Tifa. Sembra preoccupata, e l’ ‘Approccio alla Vincent’ consegna i suoi frutti, “Per un momento sei stato infelice.” dice diplomaticamente. Io pondero la cosa e decido di evitare il sarcasmo alla ‘quando sarei felice’. Si avvicina con delicatezza e mi sposta dei capelli dalla faccia. Sa che non sono un grande estimatore del contatto fisico, ma lo fa lo stesso. Non importa; l’unica sensazione che trovo nel petto e nello stomaco attualmente adesso è il sollievo causato dalla liberazione di un dolore passato che io non ricordo consciamente, ma ricordano il mio corpo e i miei polmoni e le mie braccia, che finalmente si rilassano dopo aver artigliato le lenzuola e il mio cuore. Suppongo di aver di nuovo sottovalutato le mie ferite. Emergono diverse domande nel mio cervello sbatacchiato, come ad esempio qual è l’attuale estensione delle mie ferite rimanenti e quanto a lungo lei è stata qui.

“Forse la prossima volta che ti raccomanderemo di prendere le medicine ascolterai?” Non è una critica quanto un rimprovero compassionevole. Dopo un istante in cui frugo nella memoria ricordo che ieri mattina presto a un certo momento mi aveva chiesto di prendere la medicina, ma essendo così risolutamente contrario a qualsiasi cosa anche abbia anche solo vagamente qualcosa a che fare con la medicina, mi sono rifiutato… o l’ho dimenticato. O dimenticato in una maniera Freudiana- cancellando deliberatamente l'argomento.

Sono un idiota.

Scusa, Tifa.

Lei si alza e lascia la stanza, ma si assicura di farmi un sorriso rassicurante e di socchiudere la porta, nel caso faccia un rumore angustiato. Costringo il mio corpo a rilassarsi e a prendere dei respiri profondi e tremanti. La porta semi-aperta dipinge una riga di luce sul letto che si riflette sul metallo del mio braccio. L’Highwind è parcheggiata da qualche parte e guardando la finestra riesco a vedere delle enormi fonti di luce- probabilmente siamo arrivati a Midgar.



NdA: Salve di nuovo! Come promesso ecco il capitolo. Tutto sommato questa storia non sarà molto lunga, credo. In termini di lunghezza penso sarà più o meno come "Blind Love" [intorno alle 25.000 parole] che come "Sether" [intorno alle 70.000]. Spero che vi piaccia ancora lo spettacolo! Grazie a tutte le persone che hanno recensito l'ultimo capitolo. Questa storia è un'esperienza veramente istruttiva per me, e spero che vi piacerà quello che ho in serbo per voi!
L'inglese è la mia seconda lingua, anche se ho imparato molto da quando mi sono trasferita in Canada.

NdT: ovviamente le note sono adattate perché fa riferimento ai recensori della versione inglese eccetera :D E effettivamente non sarà così lunga. Almeno per i miei standard.

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Capitolo 5
*** Where To Put It ***


Where To Put It



Tifa torna da me circa un’ora dopo. Ora mi sento molto meglio. Praticamente nuovo. Insomma, forse ‘nuovo’ no, più ‘usato, in buono stato’.

Mi ha portato un vassoio pieno di cibo, e il mio cervello non sa bene come sentirsi al riguardo; il mio stomaco realizza tutto d’un tratto che non mangia da due giorni, e sta cercando di convincere il cervello di cui sopra che Tifa è la cosa migliore che mi sia mai capitata dopo la morte di Hojo. Il mio orgoglio, però, mi dice che sto bene e che potrei tranquillamente alzarmi e mangiare con gli altri. La mia autostima, da parte sua, argomenta che è meglio che mangi qui da solo.

Nel caso ve lo stiate chiedendo non ho una scarsa autostima. So semplicemente quanto valgo. Credo sia importante conoscere se stessi. E io so di essere ben lungi dalla perfezione. Sono marcio. Marcio fino al midollo. Sono discretamente intelligente, sì, ma così fuori sincrono con il resto del mondo che questo mio pregio risulta quasi insignificante e inutile.

Tifa accende la lampada sul comodino, e i miei occhi bruciano. Per me la luce della finestra era sufficiente. Lei si scusa, e io le assicuro che va tutto bene. Lei allora mi lancia uno sguardo indagatore, e io quasi mi sento in imbarazzo.

“Cosa c’è?” chiedo finalmente, prendendo cortesemente il vassoio dalle sue mani esitanti. Il mio stomaco sta brontolando così forte che ho paura mi senta. Cerco di mangiare lentamente- non importa quanta fame possa avere, la maleducazione non ha scuse.

“Nulla.” risponde lei con un sorriso, risedendosi. Mentre lo dice giocherella con la cintura dei jeans. Significa che ha qualcosa in mente- sta bluffando. Incontra i miei occhi solo per poco tempo, poi stranamente trova qualcos’altro da guardare e sistemare o riordinare. Qualsiasi cosa le passi per la testa c’entro io. La fisso con uno sguardo Approccio, e lei si lascia andare ad un sorriso a trentadue denti. Sa di essere stata beccata.

“Non ti piacerà sapere cosa stavo pensando.” Il suo tono mi sfida, e io non provo neanche a resistere.

“Ah sì?” Tra un boccone e l’altro alzo le sopracciglia, lasciando che un po’ di divertimento colori la mia espressione. Probabilmente ha qualche critica sul mio rifiuto cocciuto di prendere la medicina. Non la biasimo- io mi sarei preso a schiaffi, fossi stato in lei. Probabilmente mi ha aiutato quando stavo combattendo la febbre causata dall’infezione. Probabilmente si è seduta proprio lì dove si trova adesso… Tutto per colpa mia… Per me. Non voglio che lei si preoccupi per me, però…

La lampada è vecchia; l’ha presa Tifa stessa dalla Shinra Mansion per decorare la stanza. La luce che emana è molto arancione - quasi come quella di un camino - ma ferma. La fa sembrare matura, rende i suoi occhi di un colore ricco e incredibilmente espressivo come il vino. Fortunatamente lei interrompe le mie fantasticherie.

“Stavo pensando che stai molto meglio.” Poi si muove nel suo spazietto e mi guarda dritto negli occhi, sincera e molto soddisfatta. “Non da quando sei caduto- in generale.” Io aspetto. Lei prosegue, “Da quando è morto Hojo.” dice, non notando (o scegliendo di non notare) che io afferro frettolosamente il bicchiere. Non spiattellarmi quel nome mentre mangio! Penso di aver ingoiato un boccone grosso quanto una palla da golf. “Da quando è morto tu… tu sei cambiato- per il meglio. È come se ti fossero stati rimossi diec’anni, e tutto quel dolore e l’odio che avevi… È come se fossero scomparsi.”

Io rimango in silenzio.

C’è davvero poco che possa dire al riguardo. Non so se ha ragione, o se vede solo quello che vuole vedere. Mangio, e fingo che il mio purè di patate necessiti una risistemata. Costruisco un giardinetto in miniatura con la forchetta.

“Perché quella faccia?” Ridacchia sotto i baffi del mio disagio. “Era un complimento.” Si china verso di me e cerca di sbirciare la mia espressione. Io non la evito, ma non incontro nemmeno i suoi occhi. Sì, lo so che era un complimento. Solo non so che fare o dire. Presumo dovrei ringraziarla, ma non sono d’accordo con lei. Lo sta dicendo solo per farmi stare meglio. O qualcosa del genere. È una bella persona. Probabilmente la più bella tra quelle che conosco io.

Troppo lento, Valentine.

“Vincent, sei davvero bello quando sei disinvolto.” Quasi vorrei dirle di star zitta. Non voglio ascoltarla. Il mio stomaco si annoda in un piccolo groviglio e la mia faccia si arrossa. “Dovresti mostrare la faccia e il collo più spesso.” Ritorna al suo posto e si raddrizza. La seguo con gli occhi. Non mi infastidirebbe tanto se fosse una qualsiasi altra persona. Ma è Tifa. Lei sa dirlo come se ci credesse. Anche se non è vero.

“Sei troppo gentile.” è tutto quello che riesco a biascicare prima di distogliere lo sguardo. Non posso nascondere il viso, e sento di nuovo quella seccante vulnerabilità. La consapevolezza che chiunque possa guardarmi in faccia e vedermi per come sono. Tutti, forse, eccetto Tifa. Non farti tante aspettative, Tifa. Sono molto peggio una volta che impari a conoscermi. Forse ti piaccio perché non hai ancora scovato le parti di me che non conosci. Se solo tu potessi vedere…

Lei cambia argomento, ma quando le do un’altra occhiata fugace qualcosa nei suoi occhi mi suggerisce che non abbiamo ancora finito.

“Questo pomeriggio andremo tutti quanti a Midgar a vedere cosa possiamo fare per loro.” dice, quindi si alza e si stiracchia, tirando i gomiti sopra la testa fino a far schioccare le ossa delle spalle. “Tu farai da baby-sitter a Marlene.”

Come prego? Aspetta. No. Mi stupisce che abbiano anche solo potuto considerare un’eventualità del genere. Quella bambina chiaramente mi disprezza, e io sono l’ultima persona a cui importi qualcosa di lei.

… Sono impazziti?

“Dovremmo essere di ritorno già domani pomeriggio.” Lei si alza e fa per andarsene, poi aggiunge come a rassicurarmi, “Tra poco andrà a dormire, quindi in realtà dovresti occuparti di lei soltanto domani.”

Ma io non voglio.

È già sulla porta, e chiedo rapidamente, “Dov’è il mio soprabito?” Immagino dovrei chiamarlo mantello, ma dire ‘mantello’ è come dire che ho anche una tutina corredata. ‘Super Vincent’, con i suoi fantasmagorici Vincent poteri: la capacità di sognare anche in pieno giorno e di innamorarsi delle mogli altrui.

“A lavare.” Mi fa l’occhiolino. Donna insopportabile.

“E il mio stivale?” Gamba. È la mia gamba. Le parole che mi escono dalla bocca non sono quelle che invia il mio cervello. Dovrei sparare ai miei segnali neurali. Il suo sorriso si affievolisce.

“Cid ha detto che doveva ancora lavorarci. Ha detto che sarà la prima cosa che farà quando tornerà a bordo.”

Allora mi lascerà qui come uno storpio? Odierò quell’uomo a vita. Ovviamente non dico niente. Che diritto ho io di lamentarmi quando sta facendo un lavoro talmente splendido? Che diritto ho io di rubargli il tempo che potrebbe dedicare ai feriti e agli assediati di Midgar solo per la mia gamba?

Tifa esce, chiudendo completamente la porta. Io sospiro pesantemente. Almeno non ci sarà nessuno a vedermi zoppicare e saltellare. E perlomeno il mio braccio sta molto meglio.

Anzitutto, però, finisco il mio pranzo.



Nota dell'autrice: Ciao! Dal prossimo capitolo comincia a succedere veramente qualcosa. I capitoli sono volutamente corti – un ritmo lento va somministrato con moderazione. Credo che altrimenti sarebbe un po’ troppo.

Nota della traduttrice: ho tagliato ancora una volta parte della nota dell'autrice perché scendeva in dettagli tecnici sui tempi di aggiornamento e altre cose che, visto che la fanfiction è già completa, possono interessare il lettore in maniera molto relativa. Comunque stiamo per entrare nel cuore della storia, ovvero la parte che mi piace di più di tutta la fanfiction, quindi lol, stay tuned 8D

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Capitolo 6
*** Blindness & Faith ***


Blindness & Faith



È stato solo diverse ore dopo, quando ormai tutti se ne erano già andati da tempo, che mi sono azzardato a lasciare il mio letto. Al momento mi tengo occupato nel salone delle riunioni, dove sto leggendo un libro di storia recente. Ho molto da studiare per rimettermi in pari. L’orologio si avvicina pigramente alle undici di sera. L’Highwind è silenziosa. Marlene dorme, e quantomeno posso avere un po’ di pace e tranquillità.

Suppongo che dovrei riporre il libro e concedermi di riflettere sulla più grande questione che mi si pone davanti: il mio futuro. Vivo nel passato, questo lo so. Per me è come se fossero passati solo pochi mesi, non una vita intera. Magari è una vita fa. Penso che avrei dovuto cambiare dall’inizio di questo viaggio. Forse sono soltanto io.

Il peccato non può mai essere perdonato. Quando dormivo non lo sentivo. Ho davvero la forza di proseguire? Ho la forza di buttarmi il passato alle spalle? Ne ho il diritto? Ho il diritto di continuare a vivere, molto tempo dopo che tutti coloro che ho ucciso sono stati dimenticati? Cosa potrei mai fare della mia vita? Trovarmi un lavoro? Cosa, qualcosa tipo, ‘L’Antiquariato Di Vincent: con molta probabilità lui è più vecchio della roba che portate a restaurare!’? Non lo so.

Non lo so.

Non voglio andare a dormire perché non voglio svegliarmi domani mattina. Non voglio pensarci. Non voglio più sentirmi così. Non c’è un luogo al mondo che mi appartenga a parte la mia insignificante stanza sull’Highwind.

Sono così confuso. Sono così perso.

Perciò riprendo la lettura. È molto più facile che affrontare le mie paure e i miei dubbi. E molto più semplice che ammettere e dimenticare e andare avanti.

Non sono forte abbastanza.

Scorgo qualcosa che si muove e alzo lo sguardo, incontrando gli occhi da gazzella di Marlene. Ma non dormiva? Maledizione. Non so che fare con i marmocchi…

“Sono usciti tutti?” chiede docilmente. È mezza acquattata dietro l’uscio: fa capolino con la testa e si copre la bocca con una manina.

Ho mai avuto delle mani così piccole io? Non riesco a resistere all’impulso di adocchiare le mie dita di carne. Sono lunghe e affusolate e le nocche sono grosse, contornate da tante rughe. Quanti anni ho, tecnicamente?

Quando torno su Marlene non è più lì. Che sollievo.

“Che leggi?”

Argh, mi si appiccicata al gomito!

Non ha notato il mio sobbalzo. Per la miseria, come ha fatto ad arrivare fin qui senza fare rumore? Dannata marmocchia

“Un libro.” le rispondo. Aggrotta le sopracciglia e poi dimentica tutta la questione. Giuro, la durata dell’attenzione di questa marmocchia è di cinque secondi netti. Si arrampica e si siede accanto a me. Marmocchia, non ti ha mai detto nessuno che sulle sedie reclinabili c’è posto per una sola persona? Va’ a sederti sul divanetto.

Non cerco nemmeno di fermarla perché immagino si renderà conto che due masse fisiche non possono occupare lo stesso luogo allo stesso tempo. Questa è fisica, bimba.

Ne viene fuori che mi sbaglio; perché i marmocchi sono piccoli e… beh… ora ha deciso che sono il suo nuovo cuscino. Si raggomitola in una palla nel mio grembo come un dannatissimo gatto, e sento lentamente ogni muscolo del mio corpo contrarsi a causa del contatto indesiderato. Ogni volta che mi è vicina ho paura di muovermi. Non voglio spaventarla o farle del male. Il mio artiglio non è mica finto.

Cosa stai facendo?” le domando, forse con più severità di quanto voluto. Lei tira fuori il peggio di me. Volta quegli occhi innocenti verso di me, ma io mi rifiuto di togliere il cipiglio minaccioso.

“Nella mia cameretta ho paura.” replica. Sì, la sua stanza è spaventosa - ho visto camera sua - trovo quell’ammontare di animaletti di peluche alquanto inquietante, ma a rigor di logica a lei dovrebbero piacere. Perché collezionarli altrimenti? Io non ho mai potuto sopportare tutte quelle paia di occhi morti che mi fissano, senza mai battere le palpebre…

“Cosa ti fa paura?” chiedo. Magari se riuscissi ad eliminare l’elemento pauroso - devono essere le tendine rosa - mi lascerà in pace.

“Non torna più nessuno.” risponde lei in modo enigmatico. Sa anche essere enigmatica? Forse è solo tonta? Sospiro. Non se ne andrà via se non la spingo io, e nemmeno io sono così senza cuore.

“Di che parli?” Volevo dire ‘di che cazzo parli’, ma lei è piccola. Bisogna osservare un certo linguaggio attorno ai bambini. Almeno è questo ciò che Tifa continua a ripetere a Cid.

“Quando fuori fa buio non torna più nessuno.” spiega, “Io posso rimanere sdraiata per ore, non importa dove, ma loro non torneranno.” Sembra triste. Mi sento a disagio. Perché me lo sta dicendo?

“Chi non torna?” provo, ancora accigliato.

“Papi, Tifa, Cloud… Tutti… Nessuno.”

“Torneranno domani.”

“Ma adesso non ci sono. Potrebbero non tornare mai più.” Si rannicchia in posizione fetale.

Povera piccola. Barret, sei un idiota. Non hai pensato a cosa avrebbe potuto provocare la Crisi ad una bambina piccola? Non hai pensato che essere vicina a tutto quello che è successo potrebbe seriamente scombussolarla?

Scopro con sorpresa di essere piuttosto arrabbiato con Barret, e piuttosto solidale nei confronti del dolore di questa ragazzina. Forse sono soltanto io.

“Perché sei venuta da me, allora?”

“Tu sei qui.”

Perbaccolina, grazie.

… Che cosa mi aspettavo?

Poi mi guarda dritto negli occhi e dice con una purezza che solo una bambina di sei anni potrebbe raggiungere, “Tu sei fighissimo.”

Sto sicuramente arrossendo per la sua cieca sincerità, ma credo sia troppo ingenua per accorgersene. Certo, non ha la minima idea di quello che sta dicendo, ma è comunque commovente quella… quella… fiducia in quegli occhioni giganteschi. Per me è un’esperienza tutta nuova.

“Quando tutti sono usciti quella volta hanno detto che non saresti tornato. Ma invece sei tornato, e Tifa e tutti quanti erano molto felici.” Mi sorride radiosamente. Lo sapevate che un marmocchio che vi sorride non dà una sensazione poi così spiacevole? Vero, lei non sa nulla, va bene. Ma resta comunque… adorabile.

Per un lungo istante ci guardiamo a vicenda perché si aspetta che io dica qualcosa e io non so cosa dire. Alla fine mi limito a ripetere schifosamente, “Torneranno domani.”

Lei annuisce e affonda la testa nelle pieghe della mia maglia. I muscoli del mio stomaco sono così agitati attualmente che oso appena respirare. Sei così abituata alle persone che ti coccolano, bambina, che diventi cieca con coloro che non sanno cosa fare con te? Anche se volessi prenderti in braccio e riportarti a letto dovrei saltellare. Non sarebbe un giretto comodissimo né per te né per me.

“Grazie per avermi protetto.” mormora alla fine rotolando sulla schiena sulle mie gambe. Scendi, ti prego.

“Non rifarlo più.” le dico, e osservo i suoi occhi divenire - impossibile - ancora più grandi. Forse il mio tono è di nuovo troppo duro? Con lei sono sempre più cattivo di quanto vorrei. È perché ha bisogno di capire che il mondo è difficile e che io non sono una buona persona. Ad ogni modo è troppo tardi per rimediare dato che sento la mia voce dire, “La prossima volta che farai una cretinata del genere potresti morire. Io non sarò sempre vicino a te tutto il tempo e non potrò salvarti sempre.”

Ahi. Che qualcuno mi uccida in questo preciso istante. E poi dopo che mi ha confessato di aver paura che le persone l’abbandonino? Tu sì che sei furbo, Vincent.

I suoi occhi brillano di lacrime non versate, e dentro vi vedo un terrore che mi stringe il cuore- Perché?

Santo cielo, fa fisicamente male guardarla negli occhi. Vuole che io sia il suo eroe? Io non sono l’eroe di nessuno. Non mi servono le grandi speranze altrui. Non l’ho fatto per te, marmocchia.

Non so perché l’ho fatto, ma non l’ho fatto per te.

Maledizione, fa male. Come se qualcuno stesse inzuppando il mio cuore in idrogeno liquido. Il mio petto si contrae e si espande incomprensibilmente recandomi dolore e stupore. Ma sono arrabbiato con lei, per qualche motivo- sono arrabbiato con lei che si fida ottusamente, così ciecamente. E sono arrabbiato con l’incantevole sensazione che provi quando qualcuno vuole credere in te, anche se si tratta di una poppante ritardata.

È proprio allora che alzo lo sguardo e vedo Tifa che ci scruta dall’uscio. Ha uno sguardo pensieroso sul viso.

Imbarazzante.

Mi alzo in tutta fretta per salutarla.

Lei sgrana gli occhi.

Oops.

C’è uno squittio, e poi un ‘thump’ mentre Marlene capitombola sul pavimento.



Note dell’autrice: Bene! Un altro capitolo. Povera Marlene. Mentalmente la tratta veramente malissimo, vero? Non badategli- è solo un musone. Non pensa davvero che sia ritardata: semplicemente non capisce i bambini. Spero di non deludere nessuno man mano che vado avanti - per favore, fatemi sapere se avete qualcosa di cui lamentarvi. Sto cercando di imparare a prendere meglio le critiche, tra l’altro…

Ci saranno più parti dedicate a Marlene e Vincent nei prossimi capitoli. E fino ad allora, ci sarà qualche accenno Vincent/Tifa! Spero che vi piaceranno. Ho sempre paura di rovinare la storia ad ogni capitolo…Ho bisogno di coraggio. Datemi tempo :o

Lucian’s Angel87 (una tizia di una recensione inglese, ndY) ha detto giustamente che le gambe di Vincent non sono artificiali, e l’artiglio? Chi lo sa. Devo ammettere che la prima volta che ho giocato a FFVII ero certa che le sue gambe fossero finte per via delle sue caviglie- sono così sottili! E’ impossibile che un piede si possa infilare nelle caviglie di quegli stivali. Ma *fa spallucce* consideratelo qualcosa che fa parte del mio universo. Per il bene di questa storia le sue gambe sono artificiali. Spero che la cosa non vi infastidisca.

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Capitolo 7
*** Idle Banter ***


Idle Banter



Siamo seduti tutti nel salone. Io con il mio libro, Tifa con Marlene. C’è voluto poco per calmare la bimba. Tifa le ha portato il suo dolcetto preferito di quando abitava a Midgar: un bastoncino ricoperto di zucchero. A me ha comprato una barretta al cioccolato. Non mangio cioccolato dal mio risveglio. Adesso non l’ho mangiato perché sto aspettando che il rossore e l’umiliazione passino mentre mi nascondo dietro il mio libro. Inoltre… Ho un po’ paura di mangiarlo – ricordo che il cioccolato aveva un sapore quasi divino. Ho paura di infrangere quel ricordo. Ci sono pochi ricordi come questo nella mia testa. Come l’amore… Da quel che rammento doveva essere stupendo, ma l’unica cosa a cui ora riesco a pensare è il dolore che può causare – e i cavoli. Ricordo che quelli di solito mi soffocavano. Non so perché mi viene in mente questo.

“La verità è che,” inizia Tifa, riposizionando Marlene su un ginocchio, “Barret mi ha mandato qui per accertarmi che Marlene stesse bene.”

“… Non si fida di me?” Inarco un sopracciglio. Lei può vedere soltanto i miei occhi che spuntano sopra il libro. L’ho messo così apposta. È un po’ come la fascia del mio mantello solo in forma di libro. Tifa sembra imbarazzata per il suo amico. O forse per se stessa? Non mi sono mai disturbato ad indagare se lei si fidi di me.

“Nah.” replica prontamente, distogliendo però lo sguardo, “È solo incredibilmente protettivo con te. Non è vero, Marlene?”

La bambina sorride. Sembra non serbare rancore per il mio precedente trattamento o per la risata di Tifa immediatamente successiva. Che tanto rideva di me. Lei torna a guardarmi e mi dice con un sorriso delizioso, “Riporto fedelmente: ‘non voglio che succeda niente di divertente’.”

“Ma come, proprio io che sono così divertente.” protesto, e la guardo mentre ride. Sono lieto di riuscire a farla ridere ogni tanto. Ha bisogno di ridere di più e di non vergognarsi del suono che ne esce fuori.

Marlene dice di voler stare in piedi, e in barba alla mia mortificazione, Tifa glielo concede. Entrambe giurano via mignolo che Barret non lo verrà a sapere. Cercano di costringermi a partecipare a questa assurdità, ma io le ignoro; mi fingo assorto nella lettura. Si arrendono, con la consapevolezza che il loro ‘segreto’ con me è al sicuro.

Tifa sembra un po’ stanca, ma era prevedibile.

Mi sto avvicinando ai periodi terribilmente trascinati del libro; quelli che seguono la guerra della Shinra con Wutai. La guerra in sé era interessante. Io sono di Wutai, come sapete, ed è stato bello leggere una chiarificazione sullo stato della città. Ad essere sincero mi ha pizzicato una corda vedere la mia patria così ridotta, ma è stato il mio paese tanto di quel tempo fa… Non credo riconoscerei nemmeno casa mia se le passassi accanto. L’ultima volta che ho visto la mia ‘casa’ e la mia ‘famiglia’ avevo quindici anni.

… Chissà se qualcuno delle persone che conoscevo è ancora vivo.

Nel frattempo Tifa mi chiede della mia salute, e metto da parte la questione per riesaminarla in seguito. Forse dovrei tornare a Wutai e verificare un po’ di cose - pura curiosità.

“Come stanno laggiù?” chiedo con fare conversevole, dopo averle assicurato che sto bene. Non mento quando lo dico perché il dolore asfissiante non è neppure degno di essere menzionato.

“Bene.” dice con un sorriso impercettibile, “C’è molto da fare.”

“E tu come stai?” chiedo con genuina premura. È un’amica. Non voglio vederla a terra.

“Bene.” mente lei. Torno al mio libro per poter risolvere l’indovinello: dovrei spingere per sapere di più con la possibilità di infastidirla, o dovrei lasciare correre come se niente fosse? Una parte di me insiste che se avesse bisogno del mio aiuto lo chiederebbe. Non sono fatti miei. È una donna forte. Non le piacerebbe che io ficcassi il naso negli affari suoi.

Probabilmente non è nulla.

Ora sto fissando il libro, scorrendo sulle righe di inchiostro che potrebbero significare qualcosa se mi prendessi la briga di leggerle. Gli scarabocchi si tramutano in un serpente che divora la mia concentrazione.

Cosa c’è che non va?

… Dubito riuscirò a leggere granché.

Do una rapida occhiata in su per vedere che stanno facendo le ragazze: Marlene sta giocando con il telecomando, puntandolo a vari oggetti e facendo dei rumori col laser. Tifa è seduta sul divanetto, abbracciata alle ginocchia. Ha posato lo sguardo su di me, ma è come se mi oltrepassasse. Non sono sicuro che mi stia veramente fissando o vedendo.

“Giochiamo a qualcosa.” dice, come se non fosse qui.

“D’accordo.” accetto io, non sapendo bene cosa abbia in mente. Non riesco nemmeno a ricordare l’ultimo gioco a cui ho partecipato.

“Come te la cavi con le domande sui giochi di parole e di cultura generale?” Si sta mordicchiando il labbro inferiore.

“Scadente.” Sono fuori dal giro da quasi una generazione.

“Fantastico!” La notizia, con mio sgomento, la rallegra istantaneamente. Si alza e balzella a prendere lo scatolone del gioco, con Marlene al seguito per aiutarla.

Estrae una vecchia scatola polverosa che Shera ci aveva dato un po’ di tempo fa. Sopra c’è scritto: “Ricerca Esoterica”. Sollevo un sopracciglio e raddrizzo la mia postura molle in qualcosa di un pizzico più attenta. Non sono bravissimo nei giochi.

Guardo le ragazze ridacchianti dall’alto del mio libro e sopprimo un sospiro.

Mi spiegano brevemente le regole e poi si impuntano sul fatto che il mio libro mi darebbe uno svantaggio sleale. Acconsento dopo un rapito dibattito a leggerne un altro. Tifa mi porge un coso chiamato ‘Il Conte di Monte Cristo’. A quanto pare è andato molto di moda pochi anni dopo la mia inumazione.

Presto minima attenzione al gioco mentre procede. Tifa dice che il libro mi piacerà; a quanto pare io e l’eroe siamo molto simili.

Vinco quasi senza accorgermene. Considerando che era una vecchia versione, e considerando che ho elegantemente evitato ogni domanda sulla tecnologia, mi sono trovato di rado a corto di risposte.

Le ragazze sono visibilmente frustrate dalla mia facile vittoria - o forse sono solo turbate dal fatto che io fingo di non esserne compiaciuto.

“Insomma, Vincent,” borbotta Tifa, “C’è qualcosa che non sai?”

Io le recapito un paio di occhi sgranati da sopra il mio libro. Sta scherzando, presumo. Io non so nulla: non so cosa la disturbi, cosa le passi per la testa, perché Marlene mi confonde così tanto, non capisco i gadget di quest’epoca, cosa stesse pensando Lei quando ha sposato Hojo, cosa abbia posseduto Hojo fino a portarlo a compiere tutte quelle atrocità…

E soprattutto, io non conosco me stesso. Non so cosa farò la settimana prossima. Non so dov’è casa mia. Non so se morirò mai di cause naturali, non so come funzioni davvero il mio corpo. Non so perché sto male, non so cosa sto cercando. Sta arrivando l’inverno e io non ho fatto provviste di cibo per il mio cuore e non so se gli sopravviverò.

In silenzio, riporto la mia concentrazione al libro.

Dopo qualche istante sento, “Giochi con noi?” da parte di Marlene. Una sbirciatina da sopra il libro mi rivela che le ragazze hanno liberato il tavolo e si stanno ora preparando a giocare a… Candy poker?

Può giocarci la marmocchia? Certo, al posto delle fiche ci sono caramelle colorate, ma il valore etico di insegnare ad una semplice infante le intricate complicazioni del poker mi sembra discutibile.

“No.” rispondo. Ho fatto follie a sufficienze per una notte sola. Voglio solamente leggere il mio libro. Voglio avere il tempo di pensare e stare da solo. O di fingere che sto pensando per trovare delle distrazioni alle faccende reali…

“Non chiedergli di giocare; probabilmente fa schifo a poker!” dice Tifa alla piccola.

Prego?” La fisso con uno sguardo accusatorio. Quand’ero più giovane amavo giocare d’azzardo. Essendo povero, l’idea di diventare malsanamente ricco con un semplice colpo di fortuna mi attirava. Poi sono entrato nella Turk e ho imparato a leggere le persone. Il poker divenne il mio gioco preferito, e poco dopo quello più odiato. A nessuno piace un vincitore.

Tifa incontra la mia occhiata truce con un’espressione di puro divertimento. Fantastico, sono stato appena costretto a partecipare. Lei sa benissimo che adesso non posso tirarmi indietro e che devo preservare il mio onore.

“Molto bene.” Mi siedo più comodo. Per dimostrare la mia indifferenza ai loro mezzucci psicologici, appoggio il piede che mi rimane sul tavolo e sotto stendo tranquillamente l’altro. Sollevo una mano e chiedo le carte nel gesto più sicuro che mi venga in mente. Una volta Cid ha brontolato qualcosa che si addice alla situazione: ‘dacci dentro’. Posso vincere anche mentre leggo il libro. Farò vedere a queste novelline cosa succede a prendere in giro un Turk. Ex-Turk. Siamo lì.

Mi aspettavo che Tifa insegnasse le regole alla bambina, ma ammetto di essere rimasto stupito quando la suddetta bambina ha cominciato a mischiare le carte con un’esperienza e una naturalezza tipiche di un mazziere anziano. Suppongo che avrei dovuto prevedere che sapesse giostrarsi con questo genere di cose - in fondo era una barista del Seventh Heaven, no?

Giocheremo a Costa Del Sette e Mezzo.

Dopo un paio di giri inizio a vincere e decido di non fermarmi fino a che non avrò dimostrato la mia tesi. Comunque tanto per la cronaca Marlene mi guarda con quei terribili occhi da cane bastonato ogni volta che le prendo una caramella. Cosa cavolo dovrei farci? Tu dovresti smetterla di perdere e mangiare quello che ti è rimasto. Non è colpa mia se una bambina di sei anni non sa fare quello che si chiama un’impassibile facepoker.

Bene. Bene, bene, bene! Perderò un paio di mani per te. Solo… Solo smettila di fissarmi così.

Tifa, devi insegnare alla bambina a perdere con dignità, e a smetterla di mangiare le sue fiche da gioco.

“Come fai ad essere così bravo?” domanda quest’ultima a un certo punto, gettando a terra la sua Scala mentre io dispongo con nonchalance il mio Colore. “Anche se mi accorgo che bluffi dietro quella tua schifosissima faccia da poker tu sai sempre quando chiudere!”

“È vero!” pigola rabbiosamente Marlene.

Io do ad entrambe uno sguardo fermo, cercando di sembrare il più sdegnoso possibile senza realmente mutare la mia espressione. “Tifa,” comincio, rivolgendomi a lei, “Quando bluffi giochi con la tua cintura.” Lei sobbalza perché è vero. “E quando hai una bella mano ti lecchi le labbra. Marlene,” Mi sento ridicolo in questo contrasto con il suo semplice sguardo supplichevole, “Tu sei facile da leggere come questo libro.” Lei sbatté le ciglia, poi arrossisce come un peperone. “Inoltre,” aggiungo senza poter reprimere un sorriso soddisfatto, “Io conto le carte.”

Che cosa!” L’espressione di Tifa non ha prezzo. Sono discretamente sicuro che voglia picchiarmi. È qualcosa a metà tra lo sbigottimento, la collera e una risata. È così che si diventa quando si gioca con un Turk in vena di imbrogli. Il Turk più marcio che abbia mai fatto la muffa.

Per la fine della partita tutte le caramelle finiscono nello stomaco di Marlene e lei si addormenta. È quasi l’una, e Tifa la riporta a letto.



Nota dell’autrice: ciao a tutti! Ecco un altro capitolo. Sto già pensando ad un sequel. Alla fine della storia mi farete sapere se la cosa può interessarvi?
Comunque che dite, questa storia è più divertente che seria? C’è il giusto equilibrio? Le parti drammatiche hanno un impatto adeguato? Prenderà un tono più serio per un po’- ma mi sto chiedendo se forse anche le parti serie sono troppo leggere. Vorrei sapere… che gusto ha questa storia. Ce l’ho talmente fissata in testa che è dura per me dirlo. Please help?
Alcune persone hanno commentato il fatto che Vincent sembra un pochino diverso nel capitolo precedente. Ci sono due motivi; il primo, è che sto cercando di farlo cambiare lentamente. Forse lo sto facendo troppo velocemente perché il lettore possa accorgersi del progresso in mezzo… La seconda ragione è che Marlene lo irrita e lo confonde- una persona confusa è molto difficile da scrivere, specie se in prima persona (almeno per me…!). Ma sto facendo del mio meglio, e aspetto di vedere la reazione a questo capitolo e ai successivi.
Tra l’altro, sempre per rispondere alle domande di un recensore:
-Vedremo soltanto piccoli frammenti del passato di Vincent. Perché a lui non piace pensarci troppo. Il possibile sequel potrebbe averci molto più a che fare…
-Credo fermamente che Vincent sia il padre di Sephiroth.
Alla prossima!
Nota della traduttrice: l'autrice poi lo sta scrivendo questo sequel, uh XD Comunque vengo qui soltanto per pararmi il sedere (:D), gh. In questo capitolo si parla, come si è capito, di poker, e in particolare del poker alla texana, il ‘Texas Hold’em’, che nella versione inglese di questa fanfiction è stato chiamato ‘Costa Del Hold’em’, facendo così anche un po’ la rima con ‘Sol’. Per regalare lo stesso effetto di buffa familiarità, io ho tradotto ‘Costa Del Sette e mezzo’ che ovviamente non è poker, ma spero mi perdonerete *_* (la mia beta non ha detto niente, quindi…XD) Tra l’altro, essendo una schiappa che non ha mai capito niente di poker spero di non aver inteso male qualche espressione. Nel caso, adesso sapete che sono a conoscenza della mia ignoranza XD Grazie mille per le recensioni e a chi segue/ha favvato la storia <3
Piccola anticipazione: il prossimo capitolo si chiama ‘Her tears’… lol :D*

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Capitolo 8
*** Her Tears ***


Her Tears



Rimetto le carte sul tavolo insieme alle altre, cercando di accatastarle in maniera graziosa con il mio artiglio meccanico. Non funziona. Mi appoggio dolorosamente alla sedia. Per quanto mi senta meglio il dolore è ancora consistente. Francamente alle volte so essere incredibilmente viziato. Le mie costole rotte guariranno più velocemente se non mi lagno di loro.

Poggio la testa sopra lo schienale della sedia e guardo il corridoio sopra di me. Conduce alla cabina di pilotaggio. Quante ore ho passato lì dentro? Per quante ore sono stato nella sezione inferiore del ponte, accanto al computer che calcolava la pressione del motore? Ora che è di nuovo tranquilla il mio spirito sprofonda. Fa sempre così. Sono orribile in queste cose. Posso dimenticare le mie sofferenze per qualche istante, ma poi quando mi tornano in mente mi pesano ancora di più sulla testa. Odio questa sensazione. Sento i miei muscoli irrigidirsi di nuovo; sento il mio cuore schiacciarsi nel petto. Mi fa sentire sporco e indegno. Non posso fare a meno di ripercorrere con la mente ogni singolo momento delle ultime ore. Ripercorro ogni cosa che ho detto e ogni cosa che ha detto lei. Porca miseria, sono un idiota. Ho fatto la figura del perfetto imbecille in almeno venti differenti occasioni. Dovrei esercitarmi a stare più zitto. Piccole cose che ho detto o e altre su cui ho taciuto, piccole cose che avrei o non avrei dovuto fare. Però mi sono divertito. Ma sul serio. Per un momento, mentre spodestavo quelle due ragazze a poker, ho dimenticato. Mi sono sentito… libero? Provo a ricordare l’ultima volta che ho giocato a poker col resto dei Turk…

Non ci avevo pensato. Non proprio. Non mi era venuto in mente. Solo pensare a loro mi innesca un doloroso incendio nel petto e dietro gli occhi. Tutte le persone che consideravo ‘amici’… Tutti morti.

Alle volte mi chiedo se lei non passi del tempo con me soltanto per pietà o per la grande gentilezza del suo cuore.

L’autocommiserazione non la condono. Odio sguazzare nella compassione, con tutto il mio cuore. Proprio non ci riesco. Non riesco a scorgere un singolo tratto del mio carattere che possa redimermi. Sono egoista, intrattabile, egocentrico, negligente e pure una spiacevole compagnia.

Uno di questi giorni se ne accorgerà anche Tifa e non sprecherà un minuto di più con me. Durante ogni attimo che passiamo insieme ho paura che lei impari di che pasta sono fatto e se ne vada via. Lo stesso per tutti loro. Per tutta l’AVALANCHE.

Sono miei ‘amici’ solo perché non mi conoscono. Se mi conoscessero davvero mi volgerebbero le spalle. Se sapessero non solo cosa ho fatto io, ma cosa hanno fatto a me.

Odio odiarmi, e il che mi fa soltanto odiare di più. Odio tutto questo odio. Ma non so come smetterla. Alle volte vorrei non essere mai esistito. Più che semplicemente ‘mai nato’ vorrei non essere mai esistito. Ma esisto. Dolorosamente, incresciosamente, esisto. Visto? Sto di nuovo sguazzando nell’autocommiserazione. Come si ferma questa giostra infernale? Come si può lasciare andare il passato, colui che ero prima? Come posso concedermi la possibilità di scoprire chi posso diventare? Come posso andare avanti? Come posso liberarmi di un Peccato eterno? E c’è anche qualcos’altro, qualcosa che sento e a cui non voglio pensare perché consumerebbe l’ultima stilla della mia forza e crollerei come un inutile sacco di patate…

A volte ho la sensazione di guardarmi da fuori. È quasi come se mi stessi osservando, in attesa di provare qualcosa. La maggior parte delle volte mi punto un dito addosso e rido di me stesso. Come potrei fare altrimenti - se qualcun altro sapesse quanto sono miserabile, riderebbe anche lui.

Disconnesso. Mi sento… Disconnesso.

Anacronistico.

Perso.

Dove sono? A bordo dell’Highwind. Cosa faccio? Sto barando a carte. Dove vado? In bagno.

Al momento questa è la dimensione della mia vita. Zoppicare su un piede solo verso il nulla.

Quanto torno nel salone penso che forse è ora di ritirarmi. Si sta facendo tardi. Non sono stanco, ma…

Dovrei fuggire stanotte. Credo sarebbe meglio per tutti. Sono tutti via. Le feste sono concluse. Nessuno mi vedrebbe e nessuno sentirebbe la mia mancanza.

Poi entra anche Tifa. Mi risiedo nuovamente e sotterro la faccia nel libro.

Accidenti. Mi sa di aver perso l’occasione, per ora.

Lei sembra afflitta, soprappensiero e sconvolta. Non esattamente in quest’ordine. Ha un aspetto peggiore di prima.

Aiutare chi ti sta vicino significa celare i tuoi guai. Significa essere abbastanza forti da accollarsi i fardelli di qualcun altro senza ostentare i tuoi. In un certo senso, è come una partita a poker: devi sapere cosa condividere, cosa tenere per te e come capire cosa ha in mente la persona di fronte a te. Vorrei poterti aiutare, Tifa. Vorrei averne la forza.

Sento profumo di bucato pulito proprio quando sento un panno sfiorarmi delicatamente il piede. Lei stende il soprabito sulle mie gambe. Sembra molto più pulito, devo ammetterlo.

Cavoli, si è fatto tutto strappato e cencioso. Sta cominciando a prendere le sembianze della mia mente: è sfilacciato ai bordi e ha impellente bisogno di qualcuno che rammendi le giunture.

Poi lei si risiede sul divano di fronte a me e si riabbraccia le ginocchia, disperdendo gli occhi in un errare assorto.

Rimaniamo in placida contemplazione per un certo periodo di tempo, lei persa nei suoi stessi pensieri, io nel mio libro e nelle mie meditazioni.

L’orologio ha appena battuto l’una e mezza quando dico, “Qualche altro sospiro e andrai in iperventilazione.”

Mi fa un debole sorriso che tecnicamente dovrebbe convincermi che sta bene. La mia inquietudine raddoppia, e metto da parte i miei problemi. La sua faccia è tiratissima. Sta stringendo fortissimo le ginocchia, e mentre la guardo vedo che il suo labbro inferiore sta lottando contro le lacrime.

Non l’ho mai vista piangere. L’unica volta in cui l’ho vista tremare così è stato quando abbiamo ritrovato Cloud a Mideel.

Cloud. C’entra Cloud.

Lo stronzo l’ha ferita.

Trascino nel retro della mia testa le domande più spietate. Ci vuole qualcosa di neutrale, qualcosa che le consenta di evitare la risposta, una parola discreta. Le domande mi intasano la gola e l’unica cosa che riesco a farfugliare è: “Cos’è successo?” Sento il mio cuore attanagliato dalla preoccupazione.

Forse stava cercando la stessa pace e tranquillità che cerco io. Forse voleva solo evitare tutta questa storia. Forse lo stress causato dalla salvezza del mondo si sta finalmente facendo sentire. Quel sorriso è ancora lì, e si morde il labbro inferiore. Non permetterà a una sola lacrima di scendere. Lei è più forte di me. La persona più forte che abbia mai conosciuto. È straziante vederla in questo stato.

Mi rizzo a sedere, puntellandomi sulle ginocchia con l’artiglio. Dovrei alzarmi e sedermi vicino al suo fianco? No. Non accetterebbe di essere consolata così. Offenderei il suo orgoglio. Quantomeno, quella sarebbe la mia reazione. Sono mezzo tentato di andarmene, di lasciarla da sola al suo dolore, perché è questo che vorrei al posto suo; odio apparire debole, di fronte a chiunque. In realtà non voglio vederla soffrire. Non voglio preoccuparmi, non voglio occuparmi di lei. Non possiedo la forza emotiva necessaria. Non so come affrontarlo. Non so come affrontare i problemi degli altri. Sì, per essere un amico bisogna assorbire i problemi degli altri e farli propri - ma mi avete visto seccare qualcuno con i miei, per caso? Riesco a malapena a vivere con me stesso… Ma lei sembra così infelice, abbandonarla sarebbe come abbandonare qui anche il mio cuore - dopo averlo strappato.

Cosa sono le mie preoccupazioni paragonate alle sue? Come oso dispiacermi per me stesso? Qui c’è una ragazza lacerata dall’amore dopo aver visto il mondo che amava e conosceva precipitare e andare in frantumi. Io mi dispero per un mondo che non esiste più. Lei si dispera per il vero dolore che la circonda.

Sono un bastardo egoista.

“… Se n’è andato.” dice, la voce incrinata. È al punto in cui le parole accelerano le lacrime.

“Se n’è andato?” domando incredulo prima di riuscire a fermarmi. Sì, Valentine, l’ha appena detto lei. Idiota.

Lei annuisce, con il suo labbro che perde rapidamente terreno contro la piena di lacrime. È sempre stato un tipo particolare, quel Cloud.

Ops, forse sono come il bue che chiama cornuto l’asino? Chi se ne frega. Aveva accennato qualcosa su un lungo viaggio in moto. È quello che ha fatto? Dev’esserci qualcos’altro sotto, altrimenti lei non starebbe così male.

Forse se n’è andato per sempre, o forse ha solamente bisogno di tempo per ritrovare se stesso e non sa quando tornerà o dove andrà a finire. Lo rispetto, ma ad essere sincero non l’ho mai capito.

Dannazione a te, Cloud. Non dovresti far del male proprio a lei: lei che è sempre stata al tuo fianco, lei che avrebbe dato tutto pur di stare con te.

Marlene aveva ragione. Quando fuori è buio, non sai mai chi se ne andrà per sempre.

Oh Tifa, sospiro, Mi dispiace.

“Abbiamo parlato e lui è stato così freddo.” Ora piange apertamente, “So che sta soltanto scappando, ma è stato così freddo…!” Ha chiuso forte gli occhi. “Gli ho proposto di seguirlo, ma lui ha detto che c’è bisogno di qualcuno che si prenda cura dei bambini colpiti dalla catastrofe di Meteor. Sapeva che io non avrei mai detto di no a una cosa del genere. L’ha detto apposta per potersene andare da solo!”

Io distolgo lo sguardo brevemente, cercando di trovare il coraggio di guardare il suo dolore.

“Vorrei poter essere come te.” singhiozza, “Vorrei poter essere forte e non arrendermi mai alla sofferenza e al dolore.” Sotterra la testa tra le ginocchia mentre singulti soppressi le scuotono il corpo. “Vorrei poter essere abbastanza coraggiosa da sapere sempre qual è la cosa giusta da fare, nonostante le circostanze!”

Si è persa la mia espressione trasalita. Se però la mia simulazione di forza le dà coraggio, fingerò fino alla fine dei miei giorni.

Stendo la gamba buona, poi vi poggio sopra il mio peso e mi muovo con cautela verso di lei prima di sedermi anch’io sul divano.

Le parole sono difficili. Non mi viene in mente nulla, per cui non dico niente. A un tratto ricordo una cosa che una volta mi aveva detto mio fratello.

“Non puoi vivere le vite degli altri per loro. Anche se sai che quello che stanno facendo è sbagliato… Puoi solo dirglielo. Dovranno comprenderlo da sé.”

C’è silenzio. Non so se ho sprecato fiato o meno. Probabilmente sì.

Non sapendo che fare, avvolgo il mantello attorno alle sue spalle tremanti. Sta piangendo silenziosamente tra le gambe e singhiozza dei grazie. Io annuisco anche se lei non può vedermi.

Così rimango seduto qui come uno scemo, le mani giunte tra le gambe. Un braccio è racchiuso tra le bende, l’altro nel metallo. Nessuno dei due si addice alla sua spalla. Varrà come adeguata forma di conforto? Non ricordo come funzionino queste cose.

Lei continua a piangere, e non so per quanto a lungo. Ogni singhiozzo mi lacera il cuore, e la mia mente proietta di fronte a me tutti i singhiozzi che ho sentito in vita mia. Dai miei pietosi guaiti sul lettino operatorio o nella bara, al dolore sommesso di mia madre, alle lacrime di Lei mentre faceva la scelta che l’avrebbe distrutta…

E in ogni lacrima c’è il mio riflesso, impotente e fragile.



Nota dell’autrice: Grazie per tutti i commenti riguardo l’equilibrio della storia. È bello sapere che è un mix che non infastidisce. Questo capitolo è stato fondamentalmente serio (e comunque questa era la mia intenzione!), perciò spero che sia altrettanto piacevole da leggere. Continuate a farmi pervenire i vostri pensieri, per favore!
A proposito del sequel: beh, questa storia prende luogo immediatamente dopo il gioco, circa un anno e mezzo (o due) da AC. Stavo pensando che il sequel potrebbe ambientarsi immediatamente dopo il film.
Per quanto riguarda il poker: so che è stato fatto fino alla noia [in inglese], ma non ho visto molte (nessuna?) fanfiction in cui bara. Ero davvero indecisa se mettere quella parte, ma ci ho pensato, ho studiato un po’ il ritmo, e mi sono detta che un Vincent baro avrebbe forse sbiadito il cliché.
Una volta un professore mi ha detto che si può scrivere solo di quello che si conosce; per esempio non si può scrivere di un personaggio cattivo senza conoscere la cattiveria.
Mi chiedevo… cosa potrebbe dire questo Vincent della mia personalità? Sono un po’ spaventata. Per scrivere in prima persona devo attingere a emozioni vere, ma non so se sto attingendo alle mie o ad altre fonti che mi stanno attorno. Mi chiedo se questo Vincent venga da me. Il mio cuore collima di una gratitudine che non so come esprimere… Ho cominciato questa storia con tanta paura e incertezza che ora non sapete quanto sono felice di scrivere ancora. Grazie ancora :3
Ci saranno persone che leggono davvero queste note? Chissà…

Nota della traduttrice: … avete notato che c’è una parte in cui Vincent ricorda puffo brontolone? … No?

Okay, no, non dovevo dire solo questo XD Dunque, note dell’autrice adattate come al solito, e per quanto riguarda la domanda che puntualmente mi è stata riproposta, stavolta da LadySnape (“Vincent è proprio di Wutai?”): è una delle tante teorie che circolano su di lui. Quando postai per la prima volta la fic aprii un topic al riguardo sul forum di S.o.a.P. – perché altrimenti queste note sarebbero davvero troppo lunghe XD
Per rispondere invece alla domanda di White Shadow: il gioco dovrebbe essere questa variante del poker, cui l’autrice ha cambiato leggermente il nome per meglio calarlo nell’atmosfera del videogioco. Non trattandosi di un particolare veramente rilevante e poiché non credo che il Texas Hold’em sia molto famoso da noi ho adattato il nome scelto dall’autrice (Costa del Hold’em) sfruttando un gioco di carte più conosciuto in Italia che mi permettesse un vago gioco di parole (Sette e mezzo); del gioco italiano però c’è solo il nome: tecnicamente stanno giocando a poker texano.
Contare le carte nelle partite di poker viene spesso considerato barare perché chi riesce a contare e quindi a memorizzare le carte (su cinquantadue) già uscite può più facilmente prevedere, anche solo in maniera approssimativa, quelle che rimangono nel mazzo. Di conseguenza sa con maggiore sicurezza se gli conviene puntare molti o pochi soldi o quando è il caso di ritirarsi o di passare o che so io.
Almeno, questo è quello che ho capito :D E scusate per il numero di volte in cui è comparsa la parola “gioco” XD
Vorrei infine chiarire (e faccio un discorso generale, non mi riferisco alla recensione di White Shadow XD) che ho deciso sin dall’inizio di postare qui solo un capitolo a settimana (ogni venerdì salvo rari casi eccezionali), le recensioni non c’entrano <3 Mi fa chiaramente piacere se ne lasciate (e vi ringrazio molto per quelle che avete lasciato finora <3), ma non è certo obbligatorio.

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Capitolo 9
*** Quandary Lullaby ***


Quandary Lullaby



Non so quanto tempo ci abbia messo per calmarsi. Io non mi sono mosso. Mi trovo ancora sul divano. Non perché lo voglia, no. Io vorrei scappare. Vorrei scappare e lasciare che se ne occupi da sola. Non mi piace sapere che è triste perché io non sono capace di tirarla su di morale. Non può aspettarsi che io la consoli. La mia inettitudine sociale è nota. Non so neanche se lei abbia voluto che vedessi il suo crollo emotivo. Non sono più abituato a provare qualcosa con tanta intensità, e non sono certo di voler ricordare quanto può essere doloroso preoccuparsi per qualcuno. Che diamine, Tifa! Trovati la spalla di qualcun altro su cui piangere. Qualcuno che possa veramente aiutarti.

“Scusa.” dice dopo un po’. Io mi limito a scuotere la testa. Vorrei spiegarle che non dovrebbe scusarsi per il suo cuore spezzato, che è suo diritto piangere dove e quando le pare. Vorrei, ma sto zitto.

“Insomma, come posso starmene qui a piangere come una bambina dopo tutto quello che è capitato a te?”

A me? E io che c’entro? È stato un caso che mi trovassi nella stessa stanza in cui si è sfogata.

“L'infelicità non è una gara,” rispondo quietamente, non certo di come la prenderà. “E io non ne possiedo il monopolio.” Raduno qualche parola e un po’ di coraggio per aggiungere, “Inoltre, ho trascorso una piacevole serata.”

“E io ho rovinato tutto!” Ricomincia a singhiozzare, e io sobbalzò un’altra volta. Non era questo quello che intendevo! Maledizione, Vincent!

“Non-”

Non voglio farla stare ancora peggio!

“Non l’hai rovinata.”

No, aspetta-

“Non che guardarti piangere mi faccia piacere.”

Ma-

“Neanche mi secca.”

Potrei continuare a rendermi ridicolo ma lei ridacchia dolcemente.

“Sei così strano.” Si allontana da me per posare la testa sul bracciolo. Ha le gambe piegate sotto il mio mantello, ma le dita dei piedi sono scoperte. Chissà, magari dovrei coprirle. Ha delle ditine piccolissime, rosa, e le tiene rannicchiate per combattere l'aria fredda della stanza. Avevo quasi dimenticato come sono fatte le dita dei piedi. Hanno un aspetto piuttosto idiota, no?

Ha gli occhi gonfi e iniettati di sangue. Ha un aspetto avvilito, ma il peggio è passato. Incontro i suoi occhi e aspetto.

“A volte è come se di noi non te ne potrebbe fregare di meno, e altre volte sei così premuroso…”

Io sto zitto. Non mi piace parlare di me. Non so come mi vedano le altre persone. Sì. Ammetto che forse qualcosa dell'AVALANCHE m’importa, per quanto possa negarlo. Ma non voglio affezionarmi troppo perché la separazione è inevitabile e non voglio che faccia più male del dovuto.

Non ho paura della solitudine, come ho già detto. Allora di cosa ho paura?

Di cosa ho paura?

La domanda non è di quelle senza risposta. Temo molte cose. La vera domanda è se ho il coraggio di ammetterle. Al momento ho paura di provare troppe emozioni, e avendone paura, ne provo ancora di più. Un circolo vizioso.

“Sei così riservato.” prosegue, “Non si può mai dire cosa ti salti per la testa.” Si stringe nel mio mantello, le dita rosa spariscono, e io lascio perdere ogni idea che riguardi il recupero del soprabito. È ancora un po' caldo per via della stiratura - che si goda il calore che io non posso offrirle. Non ho il cuore di rubarglielo.

…Cuore. Bah. Il mio è appassito molto tempo fa. Ma lei mi ha fatto ricordare i tempi in cui batteva pieno di trepidazione, sentimento, passi-

“Riservato?” chiedo, fermando deliberatamente quel treno di pensieri. “Non è mia intenzione.”

“Ah no? Forse mi sono sbagliata.” Sorride. Se non ho niente da dire non parlo. Questo si chiama essere ‘riservati’? Se di fronte a te c’è una scatola e tu non la apri, la scatola in questione sta facendo la riservata?

“Se hai una domanda ti risponderò.” la sfido. La maggior parte dell’AVALANCHE non saprebbe comunque cosa chiedere. Avrebbero paura delle possibili risposte. In pochi oserebbero aprire la scatola per la paura di scoprire che una volta era appartenuta ad una ragazza di nome Pandora.

Tra l’altro avendo svolto per qualche mese la funzione di puntaspilli umano non sono una persona molto interessante, temo.

Lei ci pensa per un po’, guardandomi sovrappensiero. Io cerco di non mostrarmi troppo imbarazzato. Tifa, se guardi con troppa attenzione scorgerai l’insegna che dice, ‘Ritrovo per mostri’.

“Penso che potrei averne una.” Raccoglie la sfida con quel sogghigno che sembra così… “Un giorno ti costringerò a raccontarmi la storia della tua vita.” Gulp. Perché mai dovrebbe voler ascoltare quella? “Ma prima; voglio un po’ di quei maccheroni che ha comprato Shera e che sono rimasti.”

Io mi alzo automaticamente, e lei pure, per un attimo, con apprensione dipinta in viso. Credo che intendesse che lei sarebbe andata a prenderli, ma non glielo permetterò. Ricaccio un’ondata di nausea mentre mi raddrizzo. Mi sto sentendo gradualmente peggio, ma è probabilmente perché si sta facendo tardi. Non sono un invalido. Posso andarti a prendere una cosa dalla cucina. Non sono inutile, né talmente debole da dover ricorrere all’aiuto altrui anche per fare una cosa così semplice.

Saltello fino in cucina. Lei si ributta sul divano ma mi tiene d’occhio, diffidente. Apro il frigo (che congegno geniale!) ed estraggo gli avanzi richiesti.

“Sei molto leggiadro - Io non riuscirei mai a muovermi così bene su un piede solo.” commenta. Devo proprio trovare un modo per farla smettere di farmi i complimenti. Mi mette a disagio.

“Sono un acrobata.” ribatto, “Faccio acrobazie aeree, è risaputo.”

“Com’è?”

Con artiglio e braccio ferito non riesco ad aprire subito il contenitore di plastica.

“Prego?”

“Le… Le tue gambe.”

Svuoto quello che rimane dei maccheroni con formaggio su un piatto. In un certo senso è divertente che il contenuto freddo abbia ancora la forma del contenitore. Un pasticcio capovolto di pasta e formaggio, barcollante e semi-solido. Devo avere qualche problema serio se mi diverte il formaggio.

Fisso sospettoso il prossimo aggeggio.

“È come camminare sui trampoli.” rispondo io, evitando deliberatamente ogni inflessione, ricordando mio malgrado l’atroce sensazione di quando mi svegliai e mi trovai senza gambe. Ridotto a un animale…

“Fa male?” domanda con cautela. Spingo il bottoncino dell’apparecchio un paio di volte, cercando di obbligarlo con le buone ad obbedirmi. Emette un blip di protesta, ma per il resto si comporta come se io non esistessi.

“Solo all’inizio.” Perché questo coso non funziona? Sta facendo blip e beep ma non funziona. Non capisco.

“Ma quando ti sei unito a noi-”

“Ho finto.” Perché questo maledetto mostro non la pianta di fare casino e comincia a scaldare il cibo? Non l’ho mai usato personalmente, ma ho visto Tifa e gli altri usarlo. Non sembrava tanto complicato. Uno di questi pulsanti dovrebbe accendere una fiamma, o qualcosa del genere.

Avverto lo sguardo stupito di Tifa alle mie spalle.

“Ho imparato a camminare a dovere solo a Rocket Town.” Per questo ho passato tanto tempo per aria fra saltelli e roba simile. Era più facile che cercare di mantenere un’andatura regolare su questi trabiccoli. Era meno doloroso.

Lei mi sta fissando, riesco a sentirlo, ma non saprei dire a cosa stia pensando. Quando le lancio un’occhiata, la sua espressione è soltanto pensierosa e stanca. Probabilmente pensavano che mi stessi mettendo in mostra, quando in realtà solo stando fermo potevo avere la certezza che non sarei caduto faccia a terra. Balzellavo di passo in passo. Stupido, lo so, ma così ho ricominciato a camminare.

“‘Cucina’, 35 secondi.” è il suo suggerimento. Grazie, Tifa, forse tu saprai parlare la magica lingua di questo rifiuto tecnologico, ma io no. Passo al setaccio i vari pulsanti per trovare quello ‘cucina’ e di lì in poi fila tutto liscio. Oh. Era più semplice di quello che stavo tentando di fare. Immagino non si accenda nessun fuoco. Non c’è bisogno della fiamma? Davvero? Roba da romanzo.

Lei è abbastanza garbata da coprirsi la bocca col mio mantello mentre ride.

In questo periodo sta succedendo tutto così in fretta. Dai cambiamenti del mondo alla cucina al microonde.

Le porto la sua pietanza e lei mangia tranquillamente per un po’, masticando e guardandomi. Sembra piuttosto piccola tra le pieghe del mio ampio mantello. Sono contento che si senta meglio, o che almeno per il momento non pensi ai suoi guai.

“Grazie per il tuo aiuto.” mormora tra i bocconi. Vedere che sta meglio fa star meglio anche me.

“Non ho fatto nulla degno di nota.” Diamine, che snob.

“Che farai quando tutto finito sarà finito?” indaga poi. “Voglio dire, in un mondo ideale, cosa ti piacerebbe fare?”

Io deglutisco. Perché doveva chiedermi proprio questo? Probabilmente sta solo cercando di pensare ad altro, e non a lui. So come ti senti, Tifa, ma non puoi fuggire dal dolore. Quando lo ignori quello si costruisce una casa nel tuo cuore, e prima che tu te ne accorga ecco che si ammassano attici su attici di dolore. Cosa farei in un mondo ideale? La prima risposta che mi viene in mente non è quella giusta.

Stare con Lei. RenderLa felice.

Questo avrei risposto tempo fa, in ogni attimo della mia vita, da quando avevo posato gli occhi su di Lei. Ma è davvero questo che voglio oggi? O è quello che mi sono abituato a pensare? Lei… Quando ci siamo rivisti nella caverna Lei ha chiarito quello che vuole da me.

Cosa voglio io?

Cosa voglio io?

“Io… Non lo so.” dico. “Voglio un posto in cui pensare in pace, credo.” Un posto in cui le persone non mi pongano domande per cui non ho risposte.

“Credo sia la prima volta che mi dici di volere qualcosa.”

Le rivolgo uno sguardo interrogativo. Sarebbe a dire? Ho desiderato parecchie cose da quando mi sono svegliato.

“Non chiedi mai niente.” spiega, “Non ti lamenti mai, non pretendi mai, non urli mai.” Prende un profondo respiro; la spossatezza le ha socchiuso gli occhi. È bellissima. “Non sei mai arrabbiato o triste, non ti arrendi mai, non smetti mai di combattere finché non sei a terra…” Sì, beh, la linea di confine tra l’audacia e la stupidità è sottile, e io l’ho superata da un pezzo. Perché tutto d'un tratto questa psicoanalisi? Beh, suppongo che persino parlare con me sia meglio che pensare al proprio cuore infranto. Con mio grande imbarazzo, aggiunge, “Ricordi quella volta contro il Tomberry? Alla Northern Cave? Hai preso quella coltellata al posto mio.”

“Me l’ha fatto fare la Cover Materia.”

“Bugiardo.” Sorride. Ha gli occhi chiusi e la voce mite, “Lo so che ce l’aveva Cloud…” E si addormenta.

Meno male; sospiro di sollievo. Il sonno è l’unico rimedio per il male del cuore. La lascerò dormire quanto vuole.

Mi fa fin troppi complimenti, e per cose che non ne meriterebbero. Il Cielo me ne guardi, ma se mi ci abituassi, cosa ne sarebbe di me? Ne sarebbe un Vincent grosso, grasso e viziato, ecco cosa ne sarebbe.



NDA: Bene bene bene. stiamo andando lentamente avanti. Siamo più o meno a metà. Considerato il ritmo lento della storia, la prossima metà costruirà pian piano il climax. Spero vi piacerà.
Questa storia è una vera sfida per me! Erano secoli che non mi divertivo tanto a scrivere. La mia domanda di oggi ai lettori: all’inizio questa storia era scritta al passato nella solita terza persona. Poi ho deciso di cambiare e ho messo il presente, prima persona. Pensate che la storia avrebbe funzionato meglio in terza persona? Vi piace il fatto che Vincent stia parlando di quello che succede in contemporanea? Ditemi pure quello che pensate. E continuate a farmi sapere quali frasi e quali pezzi vi hanno colpito di più. È una sensazione bellissima sapere che ce ne sono, e tra l’altro sento che studiando loro e la loro posizione potrei imparare a diventare una scrittrice migliore. Al prossimo aggiornamento!

NDT: visto che non sono parole molto conosciute, sappiate che Quandary significa dilemma, mentre Lullaby cantilena, ninnananna. Lol.
Al solito, grazie per le recensioni… <3

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Capitolo 10
*** Dilly Dally ***


Dilly Dally



Ora che faccio? Le feste sono finite. Il resto dell’AVALANCHE non c’è. Tecnicamente, questo è il momento ideale per sgattaiolare via di nascosto. In una qualsiasi altra situazione avrei sfruttato questo esatto istante per afferrare il necessario e sparire senza lasciar traccia. Avrei forzato la stanza di Cid e avrei preso la mia gamba, avrei racimolato qualche scorta dalla cucina e poi via. Non sarebbero riusciti a farmi restare in nessun modo. Nulla. Avrei fatto così se fosse stato un altro giorno.

Non so dove sarei andato, e non avrebbe avuto importanza. Solo lontano da qui. Avrei ricordato la loro compagnia con affetto e nient’altro. Avrei saputo che nella loro mente ero solo l’indifferente-terrificante-vecchio Vincent, ma almeno non mi avrebbero ricordato come qualcosa di molto peggio.

… Ma lui doveva proprio andarsene. Lei doveva proprio confidarsi con me. Lei doveva proprio piangere, non è vero? Lei doveva proprio imprimere quel viso piangente nei miei ricordi già carichi di lacrime. Non capisci che se non l'avessi fatto ora chi sa dove sarei?

Incapace di sopportare il pensiero del suo volto lacerato dalla sofferenza che ora è immerso in un placido sonno, mi alzo, acchiappo il libro e sto per filare dritto verso la mia camera quando sento qualcosa.

Qualcuno sta camminando sul corridoio di fronte che porta alla cabina di pilotaggio. Stivali pesanti, passi fermi. Si tratta di qualcuno che sta cercando di fare meno rumore possibile pur avendo una fretta percepibile. Alzo lo sguardo e vedo la parte inferiore di un paio di stivali militari. Mentre l’intruso sconosciuto avanza, io mi preparo e salto.

Ferite o no, la necessità ha la precedenza.

Atterro mio malgrado con un grugnito. I polmoni mi urlano addosso, e la gamba rimanente minaccia di seguire la strada della sua controparte. Mi fanno male tutti i muscoli e ho anche un po’ di vertigini. Sto bene. Di solito riesco a saltare da una piattaforma all’altra senza sforzo. Dannazione.

La persona si volta in un lampo, allarmata. Se il mio vecchio comandante Turk Aleonde potesse vedermi mi licenzierebbe.

È Cloud.

Sembra turbato, stanco, ma determinato.

“Vincent…!” esclama. Presumo abbia avuto bisogno di un momento per riconoscermi tra le ombre e in assenza del mio mantello. Quant’è giovane! E quant’è sciocco. Un ragazzo coraggioso, non c’è dubbio. È rimasto fedele al suo cuore e non si è mai arreso. O forse quello era Zack? Non che importi. L'ho seguito tra il fuoco e la mako e la possibilità di finire tra le aguzze fauci di qualche mostro. Io gli ho salvato la vita e lui ha salvato la mia. Lo rispetto, anche se non siamo mai diventati amici.

“Ho sentito che parti.” dico. Restando accucciato dove sono atterrato in equilibrio su un piede solo. Il corridoio è poco illuminato. Non dovrebbe riuscire a vedere molto oltre al mio contorno. Io posso vederlo alla perfezione. Forse è così che lo ricorderò per sempre? Il suo viso è un misto impossibile di incertezza e determinazione. La gente potrà pure chiamarlo Eroe, ma per me resterà sempre un ragazzino che cerca di capire cosa serve per essere un uomo.

“Già.” replica lui. Cos'hai in mente, giovane guerriero? Perché provi così tanto dolore anche se è tutto finito?

Tutti attorno a me sono distrutti. Siamo tutti infelici. Le feste si sono concluse e ora dobbiamo fare i conti con la realtà. E fa male. Abbiamo perso, Cloud. Abbiamo perso nel momento in cui siamo finiti in una situazione in cui non avevamo più nulla da perdere. Abbiamo perso nel momento in cui abbiamo capito che avremmo dato volentieri le nostre vite per il Pianeta.

Abbiamo perso perché abbiamo vinto e adesso non avere nulla da perdere significa soltanto che non ci è rimasto più niente.

“Io devo andare.” mi spiega, quasi prega. Cosa c’è, Cloud, pensavi che ti avrei giudicato? È solo il dolore che stai causando a lei ad agitarmi.
“Tu mi capisci, no? Devo redimermi. Devo sapere certe cose- ho bisogno di risposte.” Lo stai facendo per te stesso, immagino. Cos'altro potresti fare? Stare con lei è diventato impossibile da quando hai conosciuto Aeris. Se non stai con lei le spezzi il cuore, se stai con lei lo fai solo per pietà. Lei sarebbe il premio di consolazione e tutti lo saprebbero - anche lei.
“Di questo parlavamo prima.” riprende. “Mi metterò a viaggiare e troverò un lavoro. Lei ha detto che voleva aprire un orfanotrofio qui a Midgar, o nei paraggi.”

Un orfanotrofio? Ovvero un’infinità di Marlene scalpitanti? Che l'Holy ci aiuti. Io me ne terrò alla larga. Mi terrò alla larga da tutta Midgar. Ma prima devo trovare il modo di impedire alla stanza di turbinare quando muovo la testa.

Lui dà una sbirciatina oltre le mie spalle e la vede dormire sotto il mio mantello. Fortuna che non può vedere il mio rossore. Mi guarda con un cipiglio preoccupato.

“Come sta?”

Lo sai che l’hai ferita.

Come ho fatto a capitare nel bel mezzo di questo dramma? Il posto sbagliato al momento sbagliato. La storia della mia vita.

“Come c'era da aspettarsi.” rispondo. Nient’altro sembra equo. La verità ferirebbe Tifa, una bugia spudorata non sarebbe giusta nei confronti di Cloud. Lui china il capo.

“Mi spiace.” E perché lo dici a me? A te non dispiace davvero. Se così fosse cercheresti di farti perdonare da lei, non di strisciartene via mentre dorme. Riecco lo sguardo supplicante. “La terresti d'occhio?”

Io? Non coinvolgere me. Rimango in silenzio. Non ti faccio promesse, Cloud. Non tenterò di riparare la frattura che hai aperto, né di placare i tuoi sensi di colpa con un sì vuoto. Finora sei stato coraggioso, ora perché scappi?

Perché scappi, Vincent?

Mi si avvicina e io mi alzo in piedi. Si ferma non appena mi raddrizzo completamente e mi squadra da capo a piedi, deglutendo nervosamente. Forse è per la differenza di altezza, forse è perché mi manca una gamba. Poi mi guarda negli occhi.

“Non posso vivere con il rimpianto di non aver fatto nulla. Non voglio vivere sapendo di averla guardata morire. Tu lo sai come ci si sente, no? A non aver fatto nulla?”

Non osare, Cloud. Non osare. Sì. Ti capisco. Ma - non dirlo in quel modo. Non dirlo come se non volessi fare la mia fine. Non dirlo come se fosse la stessa cosa. Non dirlo come se io non potessi provare nulla - come se io avessi dimenticato, come se tu avessi il diritto di giudicarmi. Adesso sono arrabbiato, Cloud. Faresti meglio ad andare.

Lui sorride semplicemente e porge la mano. Oh? Quale preferisci? Quella contusa e bendata, o quella che ti dilanierebbe il polso? Bravo. Abbassala.

Se ne va.



NDA: Ciao! Ecco il nuovo capitolo, e sono a posto con la tabella di marcia. So che questo capitolo è piuttosto corto (due pagine). Di solito cerco di fare i capitoli lunghi almeno tre pagine. In compenso, il prossimo capitolo sarà più lungo del solito.
Questo capitolo è stato abbastanza doloroso. Insomma, il prossimo capitolo ci porta al giorno successivo, e non sono sicura che questo pezzo sia necessario. Ero indecisa se buttare questo capitolo dalla finestra e passare direttamente alla parte seguente. Al solito, parlatemi, e ditemi pure se pensate che questo capitolo sia superfluo. Una cosa: la frase in cui si dice che non aver niente da perdere significa che non è rimasto più nulla mi piace tanto. Sono fiera di quella frase. Yum, ecco. L’ho detto. :/ Come sempre, i vostri commenti sono la mia aria, dolcissima da respirare.
Grazie mille per tutto :)

NDT: poor Cloud D: Sì, LunarBlade sta pubblicando il sequel, che è sicuramente diverso da Dark Outside. A parlare è sempre Vincent, ma Tifa e Marlene hanno un ruolo ancora più importante e centrale. A me piace…
Non vi faccio promesse neanch'io XD Magari quando Dark Outside sarà finita mi farete sapere se volete leggerlo oppure no. Forse non è molto "professionale" da parte mia sondare in questo modo il terreno, ma più o meno per me è lo stesso, quindi…
Me lo direte tra sette settimane o giù di lì :D
Grazie ancora per le recensioni e il vostro sostegno. I luv u <3

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Capitolo 11
*** Nothing New Under The Sun ***


Nothing New Under The Sun



Il mattino dopo mi trovo sul ponte, dove vado di solito quando voglio far credere che non me ne freghi niente di nulla. Credo che stia diventando tutto un po’ troppo.

Lo ammetto.

Mi importa.

Ecco. L’ho detto. Contenti?

Mi importa di quello che succede a questa zotica banda di buffoni.

Dannazione.

Tifa è uscita prima che mi svegliassi, il che è stupefacente.

Ha provato a piegarmi il mantello, che ha preso le sembianze di un quadrato con delle punte che sprizzano da tutti i lati. Tipo piovra assassina. Non ho potuto non sorridere. Mi ha lasciato un bigliettino.

‘Vincent, torno stasera - tu aspettami, okay? Marlene può dormire finché vuole. Tifa.’ E a fondo pagina ha aggiunto un piccolo scarabocchio spigoloso che dovrei essere io, con tanto di cuoricino che esce dalla faccia sorridente. È una disegnatrice atroce, bisognerebbe proibirle di toccare una matita. La sua calligrafia invece è piuttosto gradevole, e mi piace il piccolo ghirigoro che mette nella V maiuscola.

Fa un effetto un po’ strano riavere il mantello. Mi ero quasi abituato a muovermi senza. Alle volte è come se fosse l’unico amico che mi è rimasto. L’unica cosa che mi è familiare e che è sempre con me. D’altro canto mi ricorda anche di luoghi chiusi, di combattimenti e di morte. Continuo a indossarlo comunque, più perché la gente potrebbe cominciare a farmi domande se non lo metto che per un bisogno vero e proprio. Non mi va di spiegarmi.

Oggi mi sento peggio, ma era prevedibile. Prendo gli antinfiammatori. Che altro posso fare? Devo soltanto aspettare di riprendermi e poi partirò. Dovrò andarci cauto. Non voglio che Tifa e Marlene soffrano. Per ora hanno sofferto abbastanza. Dovrò maneggiare delicatamente la questione, anche se sono già sicurissimo di distruggere tutto.



Di fronte a me c’è Midgar. O meglio, le rovine di Midgar. Non credo che a qualcuno verrà mai in mente di venirci a vivere. L’altera torre Shinra è stata denudata della sua gloria e ridotta a un misero pilastro di metallo, che si erge verso il cielo nuvoloso come la mano supplicante di chi sta per morire.

Migliaia di persone sono morte sotto le macerie. Io le guardo e non riesco a credere che queste siano le ceneri di una città come Midgar. Come potrebbe? Non posso neanche immaginare un numero così grande di persone cadute. Non conoscevo nessuno di loro e per loro non posso fare nulla. Non mi è rimasto neanche il dolore del lutto. L’ordine di un nuovo mondo sta arrivando. L’intero pianeta deve abituarsi a quello che il futuro ha in serbo. Ci sono ancora delle armi in giro, e ora la Materia diventerà alquanto rara. Le istituzioni mediche dovranno trovare una fonte di energia alternativa per tutti coloro che vivono grazie ad apparecchi che vanno a corrente. Probabilmente moriranno tutti.

Tanta di quelle morti, tanti di quei cambiamenti. Penso di aver perso ogni sensibilità: ho visto troppi morti. Devo reggere troppi cambiamenti. Ormai non me ne importa più niente. La cosa mi rende una persona senza cuore? O fredda? Non posso farci nulla. Io non posso sentire nulla. Non è mia intenzione essere freddo. Vorrei credere di avere qualcosa che mi batte nel petto. È così sbagliato non sentire niente? Non posso costringermi a provare qualcosa.

Ho ucciso delle persone, e i morti che ho di fronte per me sono uguali a loro.

Mi sento piuttosto inutile, appoggiato qui alla ringhiera mentre qualcuno muore proprio davanti a me. Beh, posso fare poco su un piede solo.

O è una scusa? Se ora potessi usarli entrambi, andrei ad aiutare? Probabilmente. Mi sarebbe importato qualcosa di chiunque avessi salvato? Probabilmente no.

Salvare una vita è più importane del sentimento che vi si cela dietro? Se salvi qualcuno e non senti niente per averlo fatto, questo sminuirebbe il salvataggio? Suppongo di no, perché quella persona sarebbe viva, e magari ti sarebbe grata – anche se questo non sfiora il tuo cuore.

È proprio come uccidere: non conta se non provi niente nei confronti della persona che uccidi - tanto è morta lo stesso.

Avere a cuore qualcuno o qualcosa cambia un uomo? Forse- L’ho sperimentato personalmente quando mi sono innamorato di Lei. La mia vita ruotava attorno a Lei. Anche solo essere consapevole della sua grazia mi rendeva una persona diversa. Mi bastava sapere che lei per me c’era sempre e che mi conosceva - anche solo il pensiero che forse potesse pensare a me - per trasformarmi. Come un bruco che diventa una farfalla; sentivo la mia anima librarsi in volo. Quasi invidio chi ero allora per aver provato tutte quelle cose contemporaneamente. Vorrei provarle di nuovo. Ma maledizione, precipitare da tanto in alto ha fatto male.

Allora come ora la mia anima aveva fame di qualcosa. Quella fame e quella sete che si agita nel mio cuore. Mi sembra di volere ogni giorno più bene a questi idioti. A Tifa e a Cid e a tutti quanti. Perfino alla piccola Marlene. E quando si vuole bene… È un po’ come bere un bicchiere d’acqua o mangiare una fetta di pane. Sa di buono. È appagante. Come trovare un’oasi nel deserto.

Ma è veramente acqua? Non è l’incantesimo di una Morgana? L’ultima volta che ho pensato di aver trovato nutrimento sono stato avvelenato. Come faccio a sapere se sto bevendo acqua o sabbia? All’uomo assetato e disperato non importa se beve acqua rinfrescante o sabbia cocente. Vuole soltanto bere…

Se beve la sabbia e muore felice, è davvero peggio di chi beve l’acqua e muore infelice? Chi lo sa.

Aleonde diceva spesso: “Le cose che desideriamo di più sono sempre quelle che non possiamo avere.”

Questa sensazione - queste persone - la mia salvezza o la mia rovina? Tenere a loro mi renderà felice o distruggerà l’ultimo briciolo di forza rimastomi?

Ormai è quasi pomeriggio. Ho meditato qui fuori per ore. Torno dentro e trovo Marlene che gioca nel salone. Mi sorride e mi saluta. Io annuisco per farle capire che l’ho vista. Mi offre una bambola per giocare con lei.

Declino con garbo.



Mi prendo cura di lei per il resto della giornata. Per ‘prendo cura’ intendo ‘bado a che non muoia per un atto di stupidità infantile’. Tipo leccando una presa della corrente o saltellando di nuovo giù dall’Highwind.

Anche ora, mentre passa il tempo, i miei pensieri rimangono gli stessi.

Rimango qui?

Dove andrei se partissi?

Cos’è la cosa giusta da fare?

Forse dovrei tornare in quella caverna? Forse Lei…

Lei cosa? Voglio davvero vivere per il passato?

Non ho niente per cui vivere. È per questo che ho potuto combattere con tutta la mia forza. Se avessi avuto qualcosa per cui vivere non sarei tornato quando Cloud ci ha dato la possibilità di andarcene.

Non so cosa fare. Il mio stomaco si attorciglia in un nodo. Come se qualcuno mi avesse infilzato le interiora con una forchetta e le stesse girando come un paio di spaghetti. Ansia, ecco come si chiama. Mi sembra di sentirmi come quando mi preparavo per una missione. Era sempre così. Mi pare che addirittura usavo la stessa metafora degli spaghetti.

Marlene poi mi fa notare che i popcorn hanno smesso da tempo di esplodere nel microonde. Dentro quel coso non c’è nessun fuoco - ho controllato. Sono l’unico a trovare la cosa inquietante? Ci si mette dentro il cibo, quello si accende e il cibo gira. Poi il cibo è caldo. Non ha alcun senso dal punto di vista scientifico.

Ha fatto bruciacchiare i popcorn del pranzo, e ha l’intelligenza di non lagnarsi dopo una mia occhiataccia. Neanche io potrei sbagliare a fare i popcorn. Prima li preparavo continuamente - in una pentola, come le persone normali.

Gioca, e la guardo di sottecchi mentre leggo il mio libro.

Non è spiacevole. Io so che lei è qui e lei sa che io sono qui. Riusciamo, in un certo qual modo, a stare insieme senza interagire. La cosa che più mi preoccupava era l’eventualità di doverla far divertire. Per fortuna è molto brava a divertirsi da sola.

A un certo punto mi dice di tenerle uno dei pezzi del puzzle gigante, che nascondo prontamente nelle pieghe del mantello. Non so perché l’ho fatto. Suppongo di voler vedere la sua reazione. Voglio testare la sua abilità nella risoluzione dei problemi. Voglio vedere se ha ancora speranza. Inoltre, è divertente.

Quando mi chiede se ce l’ho io faccio spallucce e proseguo la lettura. Solo dopo che sembra abbastanza certa di averlo perso lo faccio ricomparire e glielo restituisco.

Vorrei tanto poter sorridere così: in quel sorriso ci sono tutte le speranze e il futuro che il Pianeta può offrire. Cosa gli accadrà? E io sono mai stato così? Credo di essere nato vecchio.

Sono mai stato così innocente e spensierato? Il mio sorriso allontanava tutte le preoccupazioni?

Non ricordo proprio. Mi sa di no.

Lei è una macchia solare. Conoscendomi, dovevo essere una chiazza d’olio.

È molto meno seccante di quanto temessi inizialmente. Potrei anche abituarmici. Semplicità; da me vuole solo la mia presenza e un po’ di protezione. Nessun secondo fine, nessun segreto o complotto. Lei è quello che vedi, e quello che vedo è una bambina felice e vivace. È così che dovrebbero essere i bambini. La guerra invecchia la gente. Fa qualcosa agli occhi. Dagli occhi di una persona riesco a capire se ha visto la guerra e la morte. Ce l’hanno scritto sull’anima e dipinto nel cuore.

Continuo a nascondere oggetti nel mantello. Ogni volta mi dà qualcosa e sa che lo nasconderò. Mi fissa intensamente le mani finché una cosa qualsiasi non la distrae. È solo allora che nascondo quello che mi ha dato, e ogni volta lei si meraviglia come se fosse la prima. Non mi becca mai. Mi fa venir voglia di sorridere.



NDA: dannazione, un altro capitolo triste. Per me adesso andrà sempre peggio perché siamo a un passo dal climax. Queste parti mi rendono davvero ansiosa, proprio come Vinnie prima di una missione. Vorrei davvero inquadrare questi capitoli. Trovo importante farli bene prima di proseguire. So che ci saranno parti che un giorno mi faranno vergognare, ma al momento questo è il meglio che so fare. Conta anche questo, no?
Il prossimo capitolo è troppo corto, questo mi è venuto troppo lungo. Non riesco a trovare un modo decente per staccarli senza interrompere il flusso regolare. È frustrante.
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Never ***


Never



Marlene dorme. Mi ha costretto a starle accanto fino a quando non ha preso sonno. Ha detto che la faceva sentire ‘sicura’. Che differenza fa se ci sono o no? Suppongo le dimostri che ci sono. Suppongo che quando si è in compagnia di un killer capace di mimetizzarsi con le ombre, il brutto quarto d’ora lo si passa quando non si sa dov’è finito. Ma dubito che abbia fatto questo ragionamento. Forse ha paura del buio. È strano- proprio io, che forse potrei essere considerato una di quelle cose che colpiscono di notte. Un tempo mi avvicinavo di soppiatto alle persone e le uccidevo nel sonno, non le cullavo per farle addormentare.

Beata ignoranza. È solo che non vuole stare sola.

Non è quello che vogliamo tutti?

Dopo che si è addormentata le ho puntato un dito contro. Sapevo che teoricamente mi sarebbe bastato schiacciarlo per fingere di premere il grilletto. Semplicissimo. Guardando il suo viso addormentato ho ricordato tutte le facce addormentate della mia vita. Non ho facevo mai vere domande su chi dovevo uccidere. Non erano affari miei. Proprio come nell’AVALANCHE. Non ho mai chiesto perché tutti quei banditi, soldati semplici o SOLDIER dovessero morire.

Quand’ero un Turk mi ero spesso chiesto cosa ci fosse scritto nei libri non portati a termine e nei progetti sulle scrivanie, ma non ho mai avuto il coraggio di aprirli. Sapevo che la persona che li aveva lasciati lì il giorno dopo non avrebbe visto sorgere il sole. Dal giorno dopo tutti quei progetti sarebbero rimasti incompiuti per sempre, e nessuno avrebbe più voltato le pagine dei libri, e nessuno avrebbe più scritto un’altra riga nel diario…

“Siamo amici, giusto?” Marlene mi ha fissato con quei suoi grandi occhioni preoccupati prima di crollare. Io ho risposto ‘sì’ perché ero stanco, era tardi e volevo che andasse a dormire.

“Te ne andrai mai?” mi ha chiesto poi. Io ho risposto ‘sì’ perché è la verità e non volevo che poi dopo facesse una scenata. La cosa ha sembrato rattristalla, ma ha poi dichiarato con un sorriso, “Tanto tornerai.” Non era una domanda.

È stato strano. Non mi era mai successo. Anche se le ho puntato contro soltanto un dito… anche se abbassare il pollice non le avrebbe fatto neanche un graffio…

Non ci sono riuscito.

Non so se ho perso il mio tocco, o se ho dimenticato cosa si provava. Cosa canticchiavo per convincermi a premere il grilletto? Ricordo che ripetevo una cosa all’infinito. E alla fine ci voleva solo un attimo di decisione perché il silenziatore strappasse un’altra vita.

Non sono sicuro se essere inorridito dal fatto che l’ho perso, o dal fatto che ho addirittura finto di spararle.

Sono di nuovo sul ponte, a pensare.

Perché ci ho provato? Che stavo cercando di dimostrare? Che ultimamente nemmeno io posso uccidere i bambini? Che ho un cuore? Quando ho preso la mira… Ho rivisto il guanto senza dita sulla mia mano; sono riuscito a sentire il peso della mia P-99. Allora era facile? No, ma era necessario per il lavoro allora come lo è stato di recente. La storia marchia gli infami, e quand’ero un Turk ho combattuto contro quelli che si ergevano contro la Shinra perché avevano ‘torto’ ed erano ‘cattivi’ e io cercavo di aiutare il mondo. Quando sono stato un membro dell’AVALANCHE ho ucciso perché stavo cercando di salvare il mondo dalla ‘cattiveria’ e dai ‘torti’.

Sì, prima venivo pagato. Ma siamo stati ‘pagati’ anche nell’AVALANCHE. La nostra Materia si è potenziata, e abbiamo imparato a combattere meglio.

Dipende tutto dal tuo punto di vista.

Prima di ogni missione mi concedevo sempre questa piccola mania o rituale: stendevo i vestiti per il giorno dopo e lasciavo volutamente aperto sul letto il libro che stavo leggendo senza segnalibri, in modo che se fossi morto e qualcuno avesse chiuso il libro, non avrebbero mai saputo chi fossi. Non avrebbero mai saputo a che pagina ero e quale pagina non avrei mai letto. Mi dava la sensazione che sarei dovuto tornare per forza.

Tornerei se me ne andassi? Tornerei mai all’Highwind se la lasciassi? È una notte fredda, il cielo è coperto da nuvole che promettono pioggia. Si sente nell’aria che qualcosa sta per esplodere. La brezza gelida e silenziosa mi congela fino alle ossa, soffia terribile sulla mia pelle. È come se la combustione interna al mio corpo bruciasse di ghiaccio, non fuoco. Dei brividi mi corrono lungo la schiena.

Eppure rimango qui perché voglio provare qualcosa. Voglio una risposta. Per cosa? Per la fame, e il dolore, e per quello che mi arde in petto. Voglio sapere che succederebbe se mi allontanassi dall’AVALANCHE, l’unica cosa che ho conosciuto nell’ultimo anno e mezzo, la mia unica ‘casa’.

Un’esplosione accende il Settore 2. Uno dei reattori deve aver ceduto.

Dannazione! Staranno bene? In quale settore avevano detto che stavano lavorando? Non mi ricordo! Spero che Tifa stia bene. Deve. Cid, Barret, Red…

…Yuffie, Reeve con Cait…

Sono forti. Sono molto forti. Più forti di me, più forti di quanto potrei mai diventare.

Stanno bene, devono star bene. Nel mio cervello so che starebbero tutti bene anche se finissero sotto un edificio. Ci vuole molto per ucciderci.

… Ma da quando in qua la logica influenza i sentimenti?

Cosa succederebbe se rimanessero uccisi? Schiacciati da qualche detrito cadente abbastanza massiccio? In quel caso sarei…

Non so perché, ma il solo pensiero mi conficca il cuore.

Mi piego su me stesso.

Fuori fa buio.

Potrebbero non tornare mai.

Non torneranno mai più. O perché verranno uccisi da qualche forza della natura o perché scopriranno di non volermi come compagno… Continuerò ad aspettarmi di rivederli, ma non li rivedrò mai più. Non li rivedrò mai più.

Anche se guardassi Midgar per sempre non li rivedrei mai più.

È come una botta alle camere dove risiedono le mie paure, dalle quali si liberano come Titani che fuggono dalla loro prigione senza tempo.

Solo.

Quando fuori fa buio, è molto più facile stare da soli. E ora ricordo… ricordo con dolorosa chiarezza…

Hojo, nel mezzo del suo gioco perverso: “Puoi urlare quanto ti pare, siamo soli soletti quaggiù.”

Lei, dopo aver scelto Hojo: “Starai bene da solo? Sei sempre così forte.”

Mio fratello, prima di andarsene: “Ora dovrai badare a te stesso da solo, capito?”

I Turk e Aleonde: “Lavori bene da solo.”

Mia madre, quando partii per diventare Turk: “Starai bene da solo?”

Come possono pensare una cosa del genere!

Non sono mai stato bene da solo!

Mai…! Non ho mai voluto stare da solo. Non ho mai voluto essere un lupo solitario! Ero semplicemente troppo codardo per dire loro ‘no!’. Ero semplicemente troppo stupido e orgoglioso per sapere come fare amicizia o mantenerla. Sono sempre stati abbastanza intelligenti da vedermi per quello che ero, voltandomi sempre le spalle…

Persino il mio stesso sangue, la mia famiglia. A malapena ricordo il significato del termine.

Ora tutto è perso e sono l’ultima cosa rimasta di tutta la mia generazione.

Non sono mai stato bene.

Mai.

Sono perduto. Sono morto. Sono stato sbattuto in galera e devo rimanerci fin quando tutto ciò che io abbia mai conosciuto sarà passato sotto il ponte del tempo. Mi è stato tolto tutto. Il mio tempo, la mia giovinezza, il mio amore… Fino a poco tempo fa avevo il mio odio, il desiderio massimo di eliminare Hojo dalla faccia della terra, e in un certo senso Lei mi ha accompagnato nel compimento di quel giuramento terribile. Ora anche Lei se n’è andata. Dal mio cuore e dalla mia vita. Ormai nulla mi stringe al suo ricordo. Non posso più fare nulla per lei. È stata la mia unica preoccupazione per così tanto tempo…

Sono il tipo di persona per cui una bella giornata non fa che cozzare con tutto ciò che ha perso. Sono un’anima tormentata che non riesce a trovare pace senza vederne le imperfezioni. Prima d’ora non ho mai trovato il tempo di comprendere l’enormità di questa perdita fino a questo momento. Non avevo avuto il coraggio di affrontarla. Le piccole cose come incontrare qualcuno che conosci mentre passeggi per un viale, pranzare al solito ristorante o trovare qualcuno che si ricorda di quand’eri “piccolo così”. Ho provato a espiare i miei peccati, e mi sono addirittura azzardato a pensare di esserci riuscito, ma questo non significa che la mia punizione non debba essere eterna.

No?

Dio, fa male.

Chi avrebbe mai pensato che una domanda così piccola potesse infliggermi tanto dolore? Che un’agonia tanto amara mi strappasse il cuore dal petto. Ah, provare qualcosa con tanta forza- quanto tempo è passato?

Per la prima volta da quando mi sono svegliato… per la prima volta da quando sono finito su quel tavolo operatorio riesco a ricordare…

… Sto piangendo.

In ginocchio, sul ponte, di notte.



NdA: Bene…
Dunque…
È questa la piega che prenderà la fic da ora in avanti. Vi prego, fatemi sapere le vostre reazioni! È molto importante per me sapere che effetto vi ha fatto questo capitolo e cosa avete sentito. Scrivere in prima persona serve a far identificare il lettore con il personaggio, giusto? Beh, voglio sapere se siete riusciti ad identificarvi con lui, se siete riusciti a provare qualcosa con e per lui.
Davvero, siate sinceri. Se questo capitolo ha avuto poco impatto emotivo, ho fallito.
Volevo mostrare un Vincent più umano possibile, perché è quello che.
A tutti coloro che hanno recensito: sappiate che mi avete commosso e fatto un immenso piacere. Mi date coraggio.
Grazie ;)
NdT: io, uh, ahr ahr
Venerdì ero troppo stanca per pensare all’aggiornamento, e poi me ne sono dimenticata. Scusate ;o; *offre biscotti a mo’ di scusa*
Ah: fuori fa buio=it’s dark outside. : D

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Capitolo 13
*** Losing Ground ***


Losing Ground



Vedo soltanto le palme delle mie mani premute sugli occhi, che creano un buio terrificante. Vorrei che le lacrime si fermassero. Non so perché sono crollato così. È patetico. L’aria fugge dai miei polmoni febbricitanti, forzando singhiozzi silenziosi. Non riesco a smetterla; ad ogni respiro corrisponde una fitta. Tutta la mia anima brucia.

Fa male. Il mio petto- il mio cuore. Fa male. Non capisco perché. Non mi sentivo così da moltissimo tempo. È liberatorio, ma straziante. Basta, basta! Per favore… Fa male. Lo combatto come se fosse il nemico più feroce che abbia mai avuto di fronte. Soffoco le lacrime. Vorrei alzarmi. Vorrei bloccare i tremiti.

Sono solo.

Ormai sono sveglio da un anno e mezzo. In questo periodo sono riuscito a conoscere le forze e le debolezze del mio nuovo corpo. Sono riuscito a vendicare Lei: ho trafitto Hojo con l'artiglio. Ho aiutato ad uccidere semidei e ad allontanare il mondo dal baratro della distruzione. Ho incontrato e fatto amicizia con l’ultima Ancient. Ho scambiato qualche parola con Sephiroth in persona. Ma la fame… la solitudine… non se ne sono mai andate. Non mi hanno mai abbandonato.

Sento dei piccoli passi avvicinarsi a me. Cazzo! È ancora sveglia? Mi chiede se sto bene.

No, deficiente. Non sto bene. È tutta colpa tua…! Tu hai aperto questa diga soltanto per mostrarmi tutto ciò che non sono. Dovevi proprio soffermarti sull’unica cosa che non volevo ammettere!

Diamine… Fa male. Non voglio pensarci. Non voglio più sentire questo pugnale nel petto. Lo sfilerò con il potere della convinzione. Il mio dolore è una vergogna, e avergli ceduto così bruscamente è semplicemente imperdonabile. E non ho forse appena incolpato una bambina di sei anni dei miei problemi? Vincent… Sei il più grande codardo del mondo.

Ora non c’è tempo per questa roba. Tifa potrebbe tornare, o qualcuno potrebbe entrare e vedermi in questo pessimo stato.

Smettila, Vincent. Smettila.

Patetico.

Una parte di me vorrebbe farla finita e piangere senza ritegno- perché dovrei tenermi tutto dentro? Qui c’è solo Marlene. E se qualcuno si imbattesse per caso in questa scenetta deprimente? Pazienza. Sono umano anch’io, nonostante tutto.

Ma Marlene ha già troppe cicatrici per i suoi sei anni. Non ha bisogno di vedere anche un uomo adulto piangere.

Sono la cosa più disgustosa di questo mondo. Non ho alcun diritto di essere triste. Non ho alcun diritto di piangere. Ogni lacrima che riesce a sfuggirmi dalle dita mi lacera l’anima e mi fa sentire soltanto ancora più disgustoso- risultato: altre lacrime.

Basta!

Sento la mano di Marlene sulla mia schiena, ma non voglio guardarla. Non ho bisogno di essere consolato da qualcuno che arriva appena al dieci percento del mio arco vitale.

“Su, su.” Mi dà un buffetto sulla schiena, e mi tocca domare l’impulso di digrignare i denti e gettarla oltre la ringhiera.

Non mi piace piangere di fronte agli altri. Non mi piace ostentare i miei sentimenti agli esseri viventi. È per qualcosa che mia madre mi diceva spesso, “Tutti passano momenti difficili. Non peggiorarli.” Si mostra il proprio dolore a qualcuno solo per ottenere la sua attenzione. Se non vuoi, tienitelo per te.

Non so perché non riesco a smettere di piangere. Non so perché il mio cervello è completamente andato. Forse è per questa schiacciante preoccupazione per l’AVALANCHE, forse è perché ho avvertito e compreso veramente tutto quanto solo adesso- la mia età, il mio male fisico, il senso di vuoto, la solitudine. Forse è perché ho avuto i nervi a fior di pelle da quando mi sono svegliato e solo ora sento di potermi lasciar andare. Forse è perché fuori fa buio e quello lì non è neanche il mio mondo. Comunque sia, mi ha frastornato come un missile del Sister Ray. L'argine che frenava le mie emozioni è stato infranto. Sto facendo del mio meglio per trattenerle. Sul serio.

“Perché sei agitato?”

Non sono ‘agitato’, sono un relitto emotivo. C’è differenza.

“Qualcuno ti ha fatto male?” chiede dolcemente. È buffo. È un po’ quello che ha detto Tifa. Non rispondo. Non ha senso.

“Non essere triste.” sussurra. Ha un tono tremendamente calmo. Vorrei strangolarla. Va' via, o mi trasformerò in Chaos e farò di te il mio spuntino. Ti odio, Marlene. Odio tutti e tutto.

Sento i miei singhiozzi soffocati come distanti, come se provenissero da chissà dove, e da fuori il mio corpo mi indico e rido. Che aspetto penoso devo avere. I capelli ovunque, il cuore in mano. Midgar brucia ancora alle mie spalle e io oso piangere per un mondo che non esiste più. Piango per le rovine invisibili di quella cosa che chiamavo vita. Non ho scuse. Non ho un vero motivo per piangere. Nessuno. Piangere non mi ha riportato Lei, e non ha convinto Hojo a pentirsi. Non sistemerà ogni cosa e di certo non mi darà la forza che mi serve per affrontare questo mondo.

Vincent, piantala!

È allora che lei mi sorprende. Toglie la mano dalla mia schiena e con l'altra la posa sulle mie. Gentilmente, fa leva sulle mie dita per scoprirmi la faccia. Sono troppo confuso per resistere. Troppo stanco emotivamente, maledizione.

Vuoi vedere la mia faccia. D’accordo. Adesso estirperò ogni traccia di emozione. Ecco.

È sempre stato facilissimo per me. Nascondere le mie emozioni è sempre stato estremamente più semplice che trovare modi per esprimerle. Se le mostrassi, gli altri le userebbero contro di me. Ridere troppo è segno di stupidità, piangere troppo è segno di debolezza. Ho sempre avuto qualcosa dietro cui nascondermi: rabbia, un ghigno facile, un completo blu, una bara. Ora ho un mantello di semplice tessuto rosso sfrangiato. Devo sempre nascondermi, no?

Sicuramente devo far schifo. Ora i miei occhi sono davvero rossi, Marlene. Il vento marchia gelido la scia delle lacrime sulle mie guance. Penso che l’aereonave si stia muovendo, ma so che non è così. Sono soltanto un po' instabile.

Scruta il mio viso, e devo aver un aspetto veramente pietoso perché le sue piccole sopracciglia si fondano in un'unica linea nello sforzo colossale del pensiero. Io la fisso nei grandi occhi lucidi. Quant’è semplice la vita per te, Marlene. Quant’è innocente. Quanto bello deve apparirti il mondo, adesso che ne ignori il suo vero e atroce volto. Quanto bello deve apparire a chi ignora il mio.

“Non va bene.” dice. Cosa non va? Ma di che blateri? Hai la minima idea di quello che stai dicendo? Capisci che non mi è rimasto nulla? “Non piangere.”

“Io n-” Ah no? Invece sì, ha ragione lei. Non posso mentire al riguardo; mi sta guardando dritto in faccia. “Io sono…” Cosa? “È stato un anno difficile.” È una scusa e anche piuttosto avvilente. Anche se avessi trascorso l’anno peggiore della storia del Pianeta non avrei comunque il diritto di caricarne il peso sugli altri. “Dovresti t-tornare a letto.”

Mi guarda triste, quasi solidale. Come se avesse il sospetto di come mi senta. Spreme di nuovo le meningi- due volte in un giorno solo! e poi…

Mi abbraccia.

… Più semplice di così.

Fa scivolare le sue manine sotto il mantello e non riesce neanche a cingermi completamente.

Sono diventato improvvisamente enorme, in confronto a lei. È piccolissima! Io sono vecchio, grosso e terribilmente sproporzionato. Mi ricompongo lentamente, per non spaventarla. Perché si sta comportando così?

Non la scaccio, i miei muscoli non si tendono. Probabilmente sono troppo esausti. O forse è che ora non voglio stare da solo. Non… io non…

Il calore che emana il suo corpo raggiunge il mio torace. Non è male. C’è un qualcosa che… che mi fa sentire sollevato. Come se un letargo mi avvolgesse il cuore.

Mi ricorda un po’ di quella volta in cui ero un Turk e mi spararono. Una delle tante volte il cui la mia pelle è stata maciullata dal piombo caricato dall'odio.

Ci fu questo intenso scontro a fuoco: una delle peggiori esperienze della mia vita. Avevo un’ansia assurda, ma continuavo a sparare, a scansare colpi e a proteggere gli altri. Quando venni colpito mi sentii così sollevato! Il proiettile mi attraversò il petto, e fu bellissimo. Sapevo cosa sarebbe successo. La battaglia per me era finita- conoscevo già la conclusione. Sapevo di aver perso. Non avevo più bisogno di preoccuparmi, di correre, di sparare. Rivivevo. Tutta la paura era scomparsa… E non faceva nemmeno male. Non fece male nemmeno quando caddi. Era un enorme sollievo.

In questo momento mi sento un po' così.

La mia inspiegabile tristezza è stata in qualche modo lavata via, e ha lasciato dietro di sé una specie di sospensione, di vuoto, che so che non durerà, ma nel frattempo… Appoggio la testa sulla sua. Non cercherò neanche di abbracciarti Marlene, sono troppo stanco.

Ho perso, ma… ma non so contro chi. Non ero neanche troppo sicuro che ci fosse stata una battaglia, ma immagino che sia scoppiata e già finita. Contro la mia forza e il mio coraggio.

Ho perso.

Non sento più il bisogno di piangere. So come finirà. Perdo. Ci ho fatto l'abitudine. Almeno l’unica persona che ha visto la mia sconfitta è stata Marlene.

Ora mi sento prosciugato, spento e, soprattutto, malato.

“Non dirlo a Tifa.” sussurro. La mia intenzione era dirlo normalmente, ma sono tanto spossato. Lei annuisce gravemente e si ritrae. Mi porge il piccolo pugno. Mi ci vuole un momento per capire che ha il mignoletto alzato.

Una promessa col mignolino? Oh, per favore. Ma lei sembra davvero seria, e devo far mantenere questo segreto. Non ho scelta.

“… Che mano?” chiedo io, sconfitto. Non credo che le piaccia il mignolo dell'artiglio. È grande più o meno quanto la sua testa.

“Non importa.” Fa spallucce. “Sono tutte e due mani tue.” Hm? Ah già, penso di sì. “Una vale l’altra.”

Facciamo una promessa col mignolino.

Poi mi accorgo che i dettagli iniziano a svanire, che la mia unica gamba non basta più a tenermi in equilibrio, che mi sto quasi sciogliendo.

Male. Molto male.



NdA: Salve a tutti! Sono contenta di essere tornata, anche se sono certa che Vincent vorrebbe che lo lasciassi in pace. Per un po' le cose non gli andranno bene, ma non preoccupatevi – non finisco mai troppo male una storia. Sento che la vita faccia già abbastanza schifo da sé – perciò almeno le storie dovrebbero finire bene, no?
Come sempre, aspetto nervosamente le vostre reazioni al capitolo. Questo qui è stato rimandato all'infinito perché stavo pensando di rimuovere il finale su cui stavo lavorando per farne uno nuovo. Tuttavia, ho deciso che ci sono dei motivi per cui ho strutturato la storia in questo modo e praticamente ho già scritto tanta di quella roba che le altre idee me le tengo per il sequel. Le cose stanno già andando malissimo per Vincent, ma se vuole ricostruire tutto, deve perdere tutto. Ditemi che ne pensate, sì?

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Capitolo 14
*** Madness ***


Note dell'amata traduttrice: entro oggi posto anche l'altro. Ecco, sì, okay, FORSE mi ero dimenticata di aggiornare la settimana scorsa, ma! could be worse. Could be raining. *citazioni colte* *sorriso di circostanza : D* *viene linciata*

Madness



Non ricordo di essere andato nella mia stanza, ma è qui che mi trovo, adesso.

Bambini, quando sarete grandi ricordate la storia di Vincent Valentine: assassino, traditore e perdente. Qualsiasi cosa facciate, bambini, non diventate serial killer, non innamoratevi della moglie di qualcun altro per poi abbassare la guardia di fronte al suddetto marito.

Dite ‘no’ all’adulterio.

Ho le vertigini, mi sento male. Non ci vedo, non ci sento. Mi fa di nuovo male il petto, ma sono troppo debole per alzarmi da terra. Come ci sono finito, per terra? Che importa.

Sento odore di sangue. Il mio sangue. Ha un odore diverso da quello delle altre persone. È putrido. Si mischia all’odore dei disinfettanti.

È nella mia testa. Non sono lì. Non sono sul tavolo operatorio!

Non sono…

No…

L’odore mi porta delle visioni. Chiudo gli occhi per scansarle, ma non è con gli occhi che le vedo, no?

Bisturi e coltelli e pezzi di carne e tubicini che mi collegano al tormento dei tormenti.

Siringhe, alcune usate e altre pulite.

Il suono della carne che si apre sotto una lama.

Il suono dei miei battiti cardiaci assordanti e rimbombanti.

Il suono delle mia stessa voce, che soffoca un grido, che trattiene un singhiozzo.

Non c'è via di scampo- Qualsiasi cosa faccia è lì- Lui è lì- Lui continuerà a venire fino a quando morirò o avrà finito e mi farà desiderare di essere morto.

So di non essere riuscito a proteggere la mia bellissima Lucrecia, che non la rivedrò mai più- Lui ha vinto e io ho perso. Sono solo. Mi imprime dolore nelle membra, mostri nella testa e un odio così profondo nel cuore che solo la sua morte mi darebbe tregua.

Sono… Qui?

Sono solo.

Disertato da tutte le persone che ho conosciuto, lasciato a crepare nelle mani di un pazzo che mi strapperà ogni brandello di umanità. Mi riduce a un animale, nudo e piagnucoloso di fronte al suo rapitore. Se potessi mi ucciderei all’istante. Ma non posso… E so che quando avrà terminato la sua opera, Jenova non mi permetterà di morire…

Faccio dei sogni, a volte… Sogno di non essere sul tavolo. Sogno una ragazza e una bara e qualcosa che ha a che fare con la salvezza del mondo. Il sogno non era poi così male. Non mi trovavo qui, e non soffrivo così tanto. Nessuno cercava di uccidermi.

Lui cerca di uccidermi più che può senza portarmi realmente alla morte. Come vorrei che mi finisse!

Era un bel sogno, in confronto a qui. Ero lontano e distrutto in un mondo che mi era estraneo. Però avevo superato tutti i sensi di colpa, il dolore, l’angoscia, il terrore, la paura… no… La paura no… Non temo di non avere accanto la presenza fisica di qualcuno… Io temo…

La solitudine.

Quella fame consumante, quel bisogno disperato…

Nel mio sogno, avevo fatto degli amici. Buoni come gli amici Turk che avevo. Erano brave persone… Un vecchio pilota biondo e una ragazza dai capelli castani dalla bellezza talmente perfetta che dev’essersi per forza trattato di un’invenzione della mia immaginazione… Non esiste un angelo del genere, non esiste un sorriso così. Quel sogno mi è venuto a trovare soltanto per tormentarmi. Mi manca. Lì avevo una possibilità, se non altro.

È così buio qui. È così solo, sono così solo…

Chissà come, aver salvato il mondo aveva aggiustato tutto quanto. Ma proprio non ricordo come…

Sono tutto solo, qui, nel seminterrato del palazzo.

Sono solo per l'eternità. Nessuno verrà mai da me. Nessuno sa che sono qui. Dei Turk non frega niente a nessuno. Nessuno mi libererà mai. Ho tanta paura- Ho tanta paura- Per favore… Per favore aiutatemi… Sono solo…

Sono solo…

Ho tanta paura…




Sono solo



Nero.

Il cuore mi pulsa nelle orecchie.

Basta.

Lasciatemi morire, non li voglio più sentire. Lasciatemi morire, voglio che questo mal di testa se ne vada.

Un momento, se questi sono i miei battiti… Perché sono così irregolari?

Non ci vedo. Ho gli occhi chiusi, giusto? Oppure sono diventato cieco. Che succede? Dove sono? Il seminterrato? Il tavolo?

No.

La… L’Highwind. La sento ronzare. Sto sognando. O questa è la realtà e l’altro mondo è un sogno?

Sono un uomo che sogna di essere una farfalla, o una farfalla che sogna di essere un uomo? È un detto che ho sentito una volta. Al momento non sono nemmeno sicuro di essere un uomo, tanto per cominciare. I miei pensieri svolazzano come la farfalla del proverbio, ed è come se mi bruciasse il petto.

Sento il mio nome. È il mio nome, vero? …Vincent… Vincent… Ho avuto altri nomi, ma questo è quello che ho ora, no?

Lui mi parlava mentre si prodigava nel suo terrificante lavoro. Mi diceva cose come:

“Riesci a sentirla, Vincent?”

“Cosa si prova, Vincent?”

“Sei un mostro, Vincent.”

“Urla un altro po’, Vincent. È divertente.”

“Fa male, Vincent?”

“Vincent! Vincent! Stai bene?” -Un secondo, no, questo non l’ha mai detto.- “Vincent!

Sento del legno scricchiolare, rompersi. Sento dei passi. Alzati, Vincent, alzati! Magari, posso appena muovermi. Non capisco perché… Che sta succedendo? Non voglio ritrovarmi di nuovo incatenato… Non a quel tavolo. Non un’altra volta. Mi volto e mi contorco per tentare di allontanarLo. Non voglio più soffrire! Voglio quel sogno con la ragazza bellissima e l’uomo burbero. Voglio il sogno con la bambina dagli occhi che scacciavano gli incubi… Voglio sognarlo di nuovo, mi piaceva quel mondo. Era perfetto per me, anche se ero troppo stupido per capirlo.



Per favore.



Mani sulla schiena, mani fredde. Però di un freddo diverso. Un freddo delicato in confronto alla mia pelle. Sento di nuovo quella voce.

Cid.

Si chiama Cid. L’altra voce… Tifa.

Non mi trovo . È stato solo un sogno. Un sogno. Deo gratias. Un’esplosione di sollievo mi invade il corpo e mi riaccascio a terra. Per ora non mi frega più niente, sono solo contento di non essere più .

Senza i sensi di colpa ad infiammarmi il petto, senza i tubi, senza le siringhe e il terrore.

Hai visto, Lucrecia? Per te ha significato niente la vendetta che ho preso per quello che ti è stato fatto? So di non essere riuscito a impedirlo. Lo so. Ma non succederà mai più. Ho dato pace a tuo figlio e un futuro a tutti gli altri bambini del mondo. Hai visto?

Per te ha significato niente?

No, credo di no. Altrimenti la seconda volta che siamo venuti alla caverna ci saresti stata.

Sono fuori dalla tua vita, e tu sei fuori dalla mia. Rendermene conto è bello, sai? Fa male, ma è anche liberatorio; come se in qualche modo lo sapessi già ma avessi avuto qualche remora ad ammetterlo. Le due persone di cui mi sfugge (nuovamente) il nome continuano a parlare freneticamente. Chissà che cosa c’è che non va. Menzionano la parola ‘dottore’, e io vado in allarme. Non ricordo perché.

Credo che mi abbiano sollevato e messo su una cosa morbida. Sto molto più comodo di qualche secondo fa…

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Capitolo 15
*** Catharsis - Parte Uno ***


Catharsis - Parte Uno



Sono sveglio.

Ancora.

Dio, che mal di testa. Posso non svegliarmi, per piacere?

No? Ah, vabbè.

Aaaahia.

Almeno ora riesco a pensare. L’altra… notte? Non ho la più pallida idea di quanto tempo sia stato privo di sensi, stavolta - dicevo, l’altra notte è stata alquanto movimentata. La mia mente è come uno strato sottile di burro spalmato su un toast enorme.

Comincio a sentire le voci nella stanza. Forse se fingo per molto tempo di dormire diverrà realtà. Mi devono somministrato ancora dei farmaci, e probabilmente è meglio così. Al posto del mio cervello c’è un grosso blocco di marmo. Mi sento come se mi avessero fustigato. Le mie palpebre sono come sigillate con la colla vinilica, e il mio cuore pulsa battiti pesanti e affaticati.

Le voci appartengono a Cid, Tifa e a un’altra persona che non riconosco. La mia mente sconquassata ha bisogno di qualche istante per trasformare le sillabe fugaci in parole.

“–così?” chiede Tifa. Dal tono sembra impensierita. Che c’è che non va? Sta bene? C’è stata un’esplosione a Midgar…

Tocca alla voce sconosciuta. “Penso che si sia trascinato così per un paio di giorni.” Si riferisce a me? “Si è trattato di una febbre piuttosto forte, ma l’abbiamo fermata in tempo.”

Non penso che Tifa e Cid abbiano chiamato un dottore. Non quando sanno benissimo quanto li disprezzi. Probabilmente è solo una persona ben informata in medicina. Deve essere così. Non l’avrebbero mai fatto. Inoltre, io sto bene.

“Starà bene.” Visto?

Sono lieto che loro siano sani e salvi. Io… credo di essere stato un po’ in pena per loro.

“… Credo sia anche disidratato… e… e che soffra di PTSD.”

Tifa trattiene il respiro. Perché? Cos’è 'sta PTSD? È contagiosa?

Ma lei è preoccupata per me?

Mi spiace.

Cid grugnisce. Oh, se sei un medico, vattene via. Smettila di dire cose che capisci solo tu. Smettila di parlare. Smettila di ricordarmi da cosa sono appena scappato. Non parlare. Non parlare di me, di quanto sono stato debole. Non rovinare quello che ho adesso gettando luce sulle ombre del mio passato.

“Il suo corpo è stato alterato… artificialmente, non so se mi spiego… Non sono nemmeno certo che… sia più completamente umano.”

Quest’uomo è un medico, vero? Dio, fammi morire. Anzi, dammi solo la forza di ucciderlo. Mi piace questo posto. Fammici restare.

Ti prego.

“Ne eravate a conoscenza? È accaduto di recente?”

“No!” esclama Tifa, rispondendo a entrambe le domande. Sembra profondamente sconvolta. Fantastico, pezzo di idiota- come se non avesse già abbastanza problemi!

“Penso sia sveglio.” esordisce Cid.

La mia smorfia deve averlo messo in allerta. Non voglio vedere come mi guarderanno.

Costringo comunque i miei occhi ad aprirsi. È inutile.

Non voglio vedere la paura o la pietà nei loro occhi.

Nel peggiore dei casi, parto stanotte. Posso sparire. Non mi troveranno mai. Correrò ai più lontani confini del Pianeta – mi costruirò una casa nella neve e ammazzerò a randellate cuccioli di foca per placare la mia ira.

Tifa ha incisi nei suoi incantevoli lineamenti l’apprensione più cupa. Cid sta torturando una sigaretta non accesa. La terza persona è vestita come un dottore. Lo odio.

Me ne frega di quanto paffuto e bonario possa essere: a un camice bianco assocerò per sempre quel viso scarno e chiazzato. Dio, allontanatemelo!

“Via.” gli dico. Forse ‘dire’ non è il verbo esatto; ‘ringhiare’ rende meglio l’idea.

“Signore, lei non dovrebbe-”

Via!” abbaio, quasi alzandomi dal letto.

‘Non ti incazzi mai’, Tifa? Concedimi di mostrarti un’esibizione della mia collera. La mia vita si sta sgretolando attorno a me. Come posso finire ancora più in basso di così?

Il medico si scambia degli sguardi con Tifa e Cid. Non guardarli - vattene e basta! Via, prima che ti vengano altre idee brillanti. Tifa annuisce e lui si richiude la porta alle spalle. Mi siedo per bene.

No, me ne infischio che sei tutto un dolore, corpo, te lo giuro.

Sono stanco di tutto. Stanco di essere buttato a destra e manca come se la mia opinione non contasse.

Sono stanco, stanco, stanco di persone che giocano con la mia vita, che mi dicono dove andare e come essere.

Non.

Ne.

Posso.

Più.

Lasciate che sia io, per una volta in tutta la mia vita, a prendere il controllo. Comincerò da adesso. Spiegherò le mie ragioni nel modo più chiaro possibile, e poi probabilmente me ne andrò.

Il dottore tornerà. Devo prendere un po’ di vantaggio.

Li fisso torvamente senza nemmeno vederli realmente; sono troppo arrabbiato.

Prima guardo l’uno, poi passo all’altra. Sanno quanto odi i dottori. Ne sono pienamente consapevoli. L’avevo spiegato a sufficienza. Non ho questo corpo perché l’ho voluto io. Sono certo che anche il membro più cretino dell’AVALANCHE avrebbe potuto immaginare come me lo sono procurato, anche se non nei particolari. Neanche il frutto della loro più fervida e perversa immaginazione potrebbe paragonarsi a com’è stato davvero. Hojo non mi ha strappato solo l’umanità, ma anche la dignità. Mi ha strappato ogni possibilità di stringere rapporti con gli altri, e sono impotente di fronte ai suoi poteri.

Sento gli eventi più recenti della mia vita attraversare di corsa come un bambino ribelle che scappa dalla madre i fragili corridoi da poco ricostruiti della mia autostima mentre le pareti cedono. Sono crollato. Ho pianto. Ho perso la mia dignità, la mia forza, il mio tempo. Ancora sento la sconfitta negli occhi - quella sensazione appiccicosa e gonfia che si prova quando si piange, quel saporaccio in bocca. Probabilmente loro lo sanno già.

L’hanno capito. È tutta colpa loro. Se mi avessero semplicemente lasciato nella bara, se non mi avessero fatto desiderare di diventare qualcosa di più di quello che sono… Non mi sentirei così!

L’occhiataccia da ‘Approccio alla Vincent’ funziona con Tifa, che quasi rimpicciolisce visibilmente di fronte alla mia furia, ma mai con Cid.

“Ma che vuoi?” domanda sulla difensiva.

Tifa mi fissa e basta. È spaventata; non la biasimo. Sono incazzato nero con voi. Non so perché mi avete tradito. Non lo so davvero. Pensavo…

Vorrei urlare con tutto il fiato che ho nei polmoni, ma non lo faccio, ovviamente.

Credo di starmi facendo male in questa posizione. Quasi ogni singola cellula del mio corpo sta protestando, ma non ho alcuna intenzione di mostrarmi ulteriormente debole di fronte a loro, visto i guai che mi ha portato - ingannato per ben due volte in una. Anche i miei polmoni mi disapprovano ad ogni respiro. Non saprei se è la rabbia pura a darmi questa sensazione, o se si tratti di un sintomo di questo dolore.

Che cos'ho io? Suppongo potrei illustrare fin nei minimi dettagli le mie ragioni, ma so che sarei troppo furioso per dire quel che intendo veramente. Sono troppo livido per non dire cose di cui poi potrei pentirmi.

“Oh, no, non lo farai.” Cid mi guarda minaccioso, come se l’avessi offeso. “Adesso non ti ritirerai nel tuo guscio di m&$#@ dopo aver spaventato a morte quel poveretto. Ora parli, dovessi anche spremerti di bocca le parole.”
Tifa cerca di protestare, ma lui la blocca.

“L’abbiamo svegliato alle cinque del mattino e l’abbiamo fatto precipitare qui, Tifa! Ci stava facendo un favore! Non aveva alcun diritto di gridargli in quel modo!”

“Nessun diritto!” mi ritrovo a ribattere. Mi spiace, ma non posso starmene qui seduto e tenermi tutto! Non ne posso più di gente che mi dice quello che dovrei fare, dove dovrei andare, cosa dovrei sentire. La mia voce si sta incrinando. Mi fa male tutto.

Nessun diritto? Voi non avevate nessun diritto di farlo venire.” Praticamente sto parlando a denti digrignati. Una parte di me vorrebbe tacere, ma non riesco a contenere la rabbia. Temo dirò troppo.

Perché se ne devono sempre andare tutti? Perché vengo sempre lasciato indietro, tradito?

Perché?

…mia madre…

…mio fratello…

…Aleonde…

…Lucrecia…

Ma che ho da perdere, a questo punto?

“Non importa quanto grave fosse la mia condizione. Chi se ne frega se stavo morendo. Quelli che fanno la sua professione mi danno la nausea con la loro ipocrisia. Ti guariscono un giorno e ti uccidono il successivo!”

Sto tremando e ho paura. Tanta paura di quel tavolo, e di quelle siringhe e di quegli odori. Voi non avete idea… Nascondi la tua rabbia, Vincent, è quello che sai fare meglio. Cid dice, “Parole toccanti, dette da un Turk di #&;%$.”

Stronzo insopportabile! Aggiungi pure l’insulto all’ingiuria. Che c’entrano i miei anni da Turk? Prosegue, “Noi non siamo esattamente grandi amici dei Turk, sai? Hanno provato ad ucciderci più di una volta! Da quel che ho sentito hanno rapito la fioraia e l’hanno spedita ad Hojo! Hanno fatto a pezzi il Sector Seven - ucciso centinaia di persone - pensi che i Turk ci piacciano? Che vogliamo avere qualcosa a che fare con loro? No! Ma quando mai noi abbiamo giudicato te per quello che loro hanno fatto!”

Non so cosa risponderti qui, Cid. Hai ragione, e per questo ti odio. Ma sono ancora arrabbiato. Non è la stessa cosa. No. Le loro morti non mi hanno fatto piacere; non li ho torturati solo per vederli contorcersi. Non l’ho fatto per un mio beneficio diretto. Non è la stessa cosa.

Ma tu non capisci–

Che cosa?” muggisce con evidente frustrazione, “Non pensarlo solamente- dillo, schifoso asociale!”

“Tu non capisci!” grido quasi, e chino la testa perché ora devo per forza spiegarmi. Ho perso di nuovo! Ho ceduto alle lacrime e al dolore! Non sono forte come Tifa – sono una delusione! Mi ci metto da solo in queste situazioni. È stata la mia debolezza che le ha rese possibili allora e adesso. Non sono nemmeno stato capace di andare a cercarli a Midgar. E se fosse successo loro qualcosa? Ne sarei rimasto… devastato.

Io voglio stare con voi, ragazzi. Non voglio stare da solo.

Se Tifa lo venisse a sapere mi volterebbe le spalle perché non sono forte quanto lei vorrebbe. Non posso più fare nulla… Il dottore tornerà con altri del suo rango e renderanno il mio incubo realtà. Mi porteranno nell’inferno terrestre e non mi lasceranno mai andare finché la mia anima non lascerà finalmente il mio corpo, e allora lo stesso inferno mi apparirà come una gradita sospensione delle sofferenze.

“Voi non capite.”

C’è un momento di silenzio, poi Cid ricomincia a ringhiare.

“Allora diccelo, stupido. Noi non possiamo leggere in quella c@$$# di mente che ti ritrovi, sai.”

Mi copro la faccia con la mano buona per cercare di non tremare più, per calmare i miei nervi. Non voglio che loro vedano che sto tremando, o che sono terrorizzato. Non voglio che loro vedano che sono un codardo. “Mi strapperanno pezzo per pezzo per scoprire quello che ha fatto.” Riesco a controllare la mia voce un po’ di più solo nella parte successiva. “Non sono abbastanza forte per rifare tutto da capo. No.” Prendi un bel respiro, Vincent, non far tremare così tanto la tua voce. “Mi toglieranno la mia libertà e quel che rimane della mia umanità. Mi sezioneranno come se non fossi nulla più che un mostro…” Inspira lentamente, non singhiozzare. “Mai più- non voglio che accada mai più.” Ecco. L’ho detto. Andatevene pure se volete. Guardatemi dall’alto se vi fa star meglio.

Ho preso tutto, adesso anche casa mia.

Casa? Per caso l’ho appena chiamata casa? Credo che lo fosse. ‘Ti accorgi del valore di una cosa solo quando la perdi.’ come diceva spesso Aleonde. Mi è piaciuto stare sull’Highwind. Mi è piaciuto trascorrere del tempo con Tifa. In questi giorni riesco persino a tollerare Cid.

Questo mondo aveva un ottimo potenziale, a differenza del sogno, ma io ho mandato tutto a monte. Ho voluto osare, sognare di riuscire a ricostruirmi una vita, ho voluto credere di poter impedire che Tifa e Cid scoprissero chi sono veramente e cosa ho passato.

Quasi ne sono lieto. Sono lieto di non tenermi più questo peso nella testa. Non ho più bisogno di preoccuparmene. Come il proiettile che mi ha attraversato il torace: qualunque cosa accada ora, almeno sanno la verità.

Una parte del mio cervello sta ancora piangendo, pregando che qualsiasi cosa succeda, loro non mi abbandonino. E se mi sbagliassi come al solito?

“Noi…” comincia Tifa. Ho paura di quello che potrebbe dire. “Noi ci prenderemo cura di te.”

Si prenderanno… cura… di me?

Abbasso la mano e volto lentamente la testa verso di lei.



Note dell'autrice: Percepite quella sorta di sensazione liberatoria? Voglio che Vincent si sfoghi completamente. Lasci andare le paure o le affronti. Come dice il proverbio, piove sempre sul bagnato, giusto? Povero Vince.
Le parole “ti proteggeremo” dovrebbero rivelargli una prospettiva che non ha mai considerato - che può contare sugli altri. Finora non l'ha mai fatto.
Aleonde, comunque, era (nel mio mondo) il suo vecchio leader quando era un Turk. La loro relazione era peculiare. Vincent lo vedeva come una sorta di figura paterna, e ad Aleonde piaceva stuzzicarlo ed era segretamente molto orgognoso della sua intelligenza e del suo acume. È stata la prima persona che abbia provato ad aiutarlo e a dargli una vera possibilità. Che sia morto o meno lo lascio al possibile sequel, dato che stavo pensando di trattare del passato di Vincent in modo diverso da come popolarmente descritto.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che vogliate leggee la Seconda Parte di Catharsis sabato prossimo!

NdT: … DX Se ce la faccio, metto anche la seconda parte di Catharsis stasera.
Scusate il ritardo immenso DX

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Capitolo 16
*** Catharsis - Parte Due ***


Catharsis - Parte Due



I suoi occhi sono grandi e belli e incredibilmente sinceri. Ma dietro le rose c’è l’acciaio. Penso che abbia detto sul serio.

Si prenderanno cura… di me?

Ma che dice? Non possono - non lo faranno.

“Non voglio, né ho bisogno della vostra protezione.” Misuro ogni parola. Voglio che mi capiate. Non sono tanto fragile; non mi piace muovere a pietà. Non guardatemi così. Non è questo quello che voglio. Voglio che pensiate che io sia freddo e impenetrabile. Voglio che la conversazione termini qui. Voglio andarmene via.

Non guardatemi.

“Oh, ma porca &#@!”

…!

Un attimo dopo vengo schiaffato contro la testiera del letto.

Cid mi tiene per il colletto. Se avessi mostrato metà della sorpresa che provo, gli occhi mi sarebbero già sgusciati fuori dalle orbite. Le mie costole protestano per il trattamento rude, ma sono troppo shoccato per parlare. È impazzito?

“Cid!” pigola Tifa. Lui la ignora, tutta la sua furia è concentrata su di me.

“Stammi a sentire, stronzetto da quattro soldi- Me ne sbatto di quello che tu pensi di volere e non volere.” Mi sta parlando a un centimetro di distanza dalla faccia, e non posso far altro che fissarlo. I suoi occhi chiari riescono chissà come a bloccare i miei.

Non è facile intimidirmi, ma lui è riuscito nell’impresa senza particolari problemi. Spero solo che non mi colpisca - sembra seriamente infuriato.

“Eravamo tremendamente preoccupati per il tuo culo anoressico! Eri mezzo morto, porca miseria! Avevi una febbre che un Flare in confronto era una stronzata, e so che non hai mangiato niente, deficiente!” Oops. “Una febbre da quaranta e mezzo, va bene? Cazzo credi che me ne fotta della tua §°*ç@ merda su quello che volevi, bastardo egoista!”

Io sbatto le palpebre, mentre la vergogna mi accende lentamente il cuore, disperdendo la rabbia. No, torna qui, rabbia! Non lasciarmi qui da solo con l’umiliazione… Cid stringe la presa sul colletto della mia - cioè sua maglia.

“Se morire è una tua @#&-;@ prerogativa-” -non sapevo nemmeno che conoscesse quella parola- “-Allora prima di tutto non andare a farti degli amici! Noi ci preoccuperemo per il tuo culo ossuto di @#&§ coperto dal tuo bel mantellino rosso anche se a te non va!” Sta diventando piuttosto creativo con questi insulti. Sono vagamente offeso, ma decisamente impressionato. Almeno lo è la parte di me che non teme di essere presa a pugni.

Tifa è in piedi dietro di lui; riesco a malapena a scorgerla da dietro l’orecchio di Cid. Una delle sue mani è vicina alla spalla di Cid, pronta a fermarlo nel caso si spingesse troppo oltre. Credo che sia d’accordo con tutto quello che ha detto altrimenti l’avrebbe già fermato. Cid inspira profondamente.
Oh no, non ha finito? Mi ritrovo quasi a rimpicciolire.

“E non me ne frega neanche di cosa cazzo ti hanno fatto- Cioè, sì, ma- Abbiamo ucciso Hojo! Non c’è più niente, @#%&, che possiamo fare ora. Ora tu puoi anche aprire i rubinetti e farmi un lago di lacrime, costruirci sopra un ponte e attraversarmelo! Sapere cosa ti ha fatto mi fa soltanto desiderare che tu ce l’abbia detto prima, @#&%! Così gli avremmo dato qualche altro calcio, @#&%@#&%!” Poi comincia praticamente a urlarmi in faccia, “Perché siamo amici, amante della tragedia, cervello improvvisato, faccia di culo, stronzo egoista! Ed è a questo che servono gli amici!” E poi mi lascia andare. Scivolo giù.

Ahi.

Sono… mortificato. Esterrefatto e un po’ offeso, ma mortificato.

… Cervello improvvisato…?

Vorrei controbattere. Vorrei dire qualcosa di terribilmente forbito che mi aiuti a rimediare alla mia esplosione di poco fa. Ma riesco solo ad aprire e richiudere stupidamente la bocca.

È abbastanza strano, mi sento come se mi fosse stato tolto dalle spalle un enorme peso. Non ci rifletto troppo su - sono certo che passerà e che mi sentirò molto male tra pochissimo.

“Perché non hai detto che non ti sentivi bene?” chiede lei, con preoccupazione tangibile nella voce e nell’espressione. Non ha paura che io disprezzi il suo essere emotivamente aperta? Suppongo di no. Suppongo che se anche se lo facessi lei non cambierebbe. Suppongo che questo sia autentico coraggio. Qualcosa che non sarò mai in grado di replicare - essere fedele alle mie emozioni nonostante le reazioni degli altri. Mi sono sempre accontentato della semplice via dell’apatia.

“Non pensavo di stare tanto male.”

Sposto lentamente la mia attenzione alla ringhiera del letto. Sono ancora semi-accasciato sulla testiera; non ho più energie per muovermi. Il risveglio della rabbia mi ha prosciugato e il dolore mi ha derubato del mio fervore.

“Niente stronzate, Sherlock.” dice Cid. Mi azzardo a guardarlo torvo, ma devo continuare dolorosamente, “E poi perché avrei dovuto farvene menzione?” Non sono così malandato da dover piagnucolare per ogni mezzo disturbo che mi viene.

“Perché noi siamo tuoi amici!” esclama Tifa, prostrandosi in ginocchio accanto al letto, e afferrandomi la mano. Presumo l’abbia fatto d’impulso, perché me la stringe molto forte.

Mi rifiuto di distogliere gli occhi dalla ringhiera. È così compassionevole…

“Guardaci, stronzetto.” ordina Cid.

Presumo fosse anche lui preoccupato. Presumo di essere stato uno stronzo. Presumo che nonostante tutto siamo diventati amici, per quanto io abbia fatto tutto ciò che fosse in mio potere per evitare di essere ferito di nuovo.

Sono così contento che siano ancora qui…! Una particina di me in qualche angolo remoto del mio cervello sta gridando che è meraviglioso, e che finalmente sono felice.

Averli qui accanto a me, al momento… non fa male. Dà calore. Dà piacere. Al momento non mi stanno causando dolore per via della nostra amicizia… E forse… Alla fine è tutto qui? Forse sono stati lì ad aspettarmi per tutto questo tempo ma io ero troppo concentrato su di me per accorgermene?

Li guardo: prima Cid, poi mi rivolgo con cautela a Tifa. I suoi occhi sono come specchi liquidi. Beh, come mio solito ho combinato io questo casino, e merito di sentirmi in colpa.

Dio, il mio cuore è un vortice di emozioni che turbinano e creano dei mulinelli che si infrangono l’uno sull’altro. Umiliazione, sollievo, dolore, gioia, rabbia, speranza, paura…

Lascia che la speranza vinca la paura,

Lascia che la gioia scacci l’umiliazione,

Lascia che il sollievo spazzi via il dolore…

Ti prego.

Lasciami sognare.

Lasciami sognare e non farmi svegliare mai da un mondo in cui ho qualcosa, a cui sento di appartenere.

Ti prego.

Lei mi sta ancora tenendo la mano, stringendo le dita e le bende. Io non mi ritraggo. I miei muscoli non si tendono.

Per la prima volta da un sacco di tempo, voglio provarci. Voglio rischiare! I suoi occhi mi scrutano il viso in cerca di qualcosa. Vi vedo dentro il mio riflesso. Sembro malato. Con tutto quello che sto provando… Nemmeno io riesco a trovare dell’emozione sul mio viso. E loro ci riescono? Io sono soltanto un freddo bastardo, no? Ho paura che se tentassi di fare una qualsiasi espressione, sceglierei quella sbagliata. È possibile una cosa del genere?

“Scusa, Tifa.” mormoro. Volevo dirlo con convinzione, ma mi è uscito così. Vorrei nascondermi sottoterra e rimanerci fino allo straripamento del Lifestream.

“Di che ti scusi, ora?” Quasi singhiozza e una sola lacrima scende a rigarle il viso. La seguo con gli occhi. È come se ci fosse scritto sopra “colpa tua”. “Non sei mai stato un peso, Vincent. Sei nostro amico. Noi ti vogliamo bene e eravamo preoccupati per te.” Però fa ancora male sentirlo.

“Anche se a te non te ne sbatte un @#$%“ di niente.” interviene Cid.

“Non è così.” bisbiglio, ancora una volta con meno forza di quanto voluto. “È solo che non… non so come…” Non è da me balbettare in questo modo. “Non sono abituato a essere…”

“Umano?” Il mio carissimo amico inarca un sopracciglio.

Pensavo di poterla fare solo io quella cosa col sopracciglio. Questo è plagio.
Distolgo lo sguardo. E ora che dovrei dire? Non so… ‘interagire’. Stupido Cid.

Sì, “Ho perso.” Ho perso la battaglia col mio dolore. Ho perso la battaglia contro questi due.

Tifa piega appena la testa, continuando a guardarmi in faccia. Mi piace il modo in cui mi guardi. Lo amo. Il perché mi è sconosciuto.

“Cosa hai perso?” chiede.

“Tutto.” E poi?! Di’ quello che pensi, Vincent! Vorrei dirtelo, Tifa, ma non lo faccio. Non so come schierare le parole e nel frattempo quelle mi si fermano proprio in punta di lingua. Non posso pronunciarle. Ho troppa paura.

“Ma non è un po’ come Midgar? Midgar ha perso. Adesso è ridotta a un cumulo di macerie - ma ci sono delle persone laggiù, persone che stanno cercando di dare una mano; stanno ricreando tutto dalle macerie. Solo perché Midgar ha perso una volta, dovrebbe essere andata distrutta per l’eternità? Ora è arida e distrutta, ma lavorandoci, con il sostegno delle persone che ci tengono – non potrebbe risorgere più vigorosa di prima?”

Quand’è che è diventata così saggia?

Ha ragione. Spero abbia ragione. Spero che ci sia ancora qualcosa dentro di me che possa rivivere. Voglio che qualcuno se ne curi abbastanza da volermi aiutare. Voglio crederci.

Credo di aver bisogno d’aiuto.

Credo di aver bisogno di una risistemata. Non è… ‘normale’, vero? Forse ho davvero quello di cui parlava il dottore? PTSD?

Ora ricordo… Post Traumatic Stress Disorder, ovvero Disturbo Post-traumatico da Stress. Ai miei tempi la chiamavano ‘psicosi traumatica’.

Mentre rimugino su questi pensieri noto uno spunzone addizionale accanto al mio piede. Muovo la caviglia. Oh, eccolo lì…! Il mio stivale… Posso di nuovo camminare.

Mi domando vagamente se sia in qualche modo simbolico, se adesso sono completo, ma so che non è così facile. Il mio cuore necessiterà di molte altre cure per rendermi completo.

Cid l’avrà riparato mentre ero privo di sensi. Carino da parte sua. Immagino che si siano occupati di me mentre la mia testa era troppo lontana dalle chiappe per accorgersi di nulla. Carino da parte loro.

Guardate le mie mani. Guardatele. Una di metallo e una di carne. Mezzo uomo, mezzo qualcos’altro. Un killer che legge poesia, un romantico senza speranza costretto nella mente di un realista. Un fatalista che ha fiducia nella vita.

Sono tutte e due tue’, aveva detto Marlene. Qualunque io usi rimango sempre io, no? Se uccido con la mia mano di carne o guarisco con l’artiglio, sono sempre io a farlo. Non avevo mai considerato questa prospettiva.

Quindi… se sono sempre io… Cosa sono io? Metà passato, metà presente? Posso essere di nuovo completo? Posso - ho il diritto di cercare di afferrare una porzione del mondo e di tenermelo per me? L’uomo di latta riceve un cuore, alla fine? Anche lui ha dovuto lottare per trovarlo. Mio fratello diceva spesso, ‘Se non soffri, non impari’.

Dalla finestra entra della luce. Non penso sia passato troppo tempo dall’alba.

Voglio provare a fare una cosa.

Indico il mio mantello, che ciondola su una sedia portata per l’occasione nella stanza. Cerco di non pensare al dottore. Sono al sicuro. Devo crederci, perché non posso credere invece che le persone che me l’hanno appena promesso siano cattive. Devo. Voglio.

Sono al sicuro.

Sto per ricadere nel sonno. Bene, non sono ancora abituato a provare così tante emozioni e con tale intensità. Meglio dormirci su che pensarci.

Una Tifa perplessa mi porge il mantello e pesco goffamente nelle tasche finché non trovo quello che stavo cercando. Mentre loro mi fissano sbalorditi, rompo un pezzo di cioccolata dalla barretta e me lo butto in bocca.

Si scioglie seduta stante.

Dio.

Quanto adoro la cioccolata. È buona quanto ricordavo, se non di più. È dolce e cremosa e fa venir voglia di sorridere. Do il resto a Tifa. È tutto loro; io ho avuto quello che cercavo…

L'affetto… è altrettanto dolce? È stupendo quanto nei miei ricordi?

L’unico modo per saperlo è provare.

Sento le ultime briciole della mia lucidità abbandonarmi, ma il sapore dolce e la consapevolezza che i miei amici sono qui e ci rimarranno il più a lungo possibile mi accompagnano nel sonno.



Note dell'autrice: Che ne pensate? Altre quattro pagine e un altro capitolo verso la fine. Credo proprio che manchi un solo capitolo! Oh no! Stavo pensando di aggiungere un epilogo, ma sarebbe veramente inutile. Mi farete sapere le vostre opinioni dopo il prossimo capitolo. Ci metterò un po' di tempo in più per il prossimo perché voglio finire bene questa storia.
Beh, per quanto riguarda la PTSD… Diciamo solo che ho avuto l'opportunità di vederla in azione di persona.

Volevo che il titolo della storia includesse la parola ‘steps’ (=passi) da qualche parte, perché ogni capitolo in teoria è un passo verso il cambiamento. Scartai l'idea e adesso ho qualche ripensamento. Ma davvero, non sono proprio riuscita a trovare la combinazion giusta. Ho avuto, tipo, tre titoli prima di scegliere a caso ‘Dark Outside’ a causa di Marlene.
E LilTigre ha realizzato una fanart per la fic! Potete trovarla qui su <3
Alla prossima!
"Attendi il tuo momento e continua a sperare", LunarBlade.

NdT: sì, manca solo un capitolo. Spero di postarlo nei prossimi giorni, ma conoscendomi non prometto niente XD

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Capitolo 17
*** Miles To Go Before I Sleep ***


Miles To Go Before I Sleep





Cambiare è difficile. Ma voglio cambiare, e questo potrebbe essere il primo passo. Voglio imparare.


Troverò consolazione. Devo. Non so quando verrà la morte, per me. Non so se arriverà mai. Devo prima smaltire un bel po’ di rimasugli di Jenova perché possa accadere…


Non posso continuare a vivere sapendo che continuerà così. Devo essere a mio agio nella mia pelle altrimenti finirò coll’uccidermi. In qualche modo.


Ho bisogno di aggrapparmi a qualcosa. Il vuoto abissale lasciato da Hojo e da Lei dev’essere colmato da qualcosa. Devo trovare qualcosa a cui appassionarmi. Assolutamente.


La proverbiale ‘ragione per cui svegliarsi al mattino’.


In questo preciso istante sto guardando fuori dalla finestra, e penso a tutto e niente allo stesso tempo. L’incendio di Midgar è sotto controllo, e il crepuscolo sta calando sui loro valorosi sforzi di ricostruzione. Presto dovranno tutti andare a riposare, rimandando il proseguimento dei lavori a domani mattina.


Mi sono arrabbiato. Ora probabilmente ce l’avranno con me. Ho fatto un gran pasticcio. Non è stato il dottore a rovinare tutto - sono stato io. Ero arrabbiato. Ho detto una parola di troppo. Pensavo che mi avrebbero guardato diversamente. Che mi avrebbero visto sotto una luce peggiore perché ho perso il controllo e ho rivelato troppo di me. Avrebbero potuto torturarmi con questo errore, schiaffarmelo in faccia e abbandonarmi.


Quando ho aperto gli occhi ho rimpianto immediatamente questi pensieri.


Al momento Cid russa sulla sua sedia, e Tifa… Tifa ha poggiato la testa sul letto, sopra le mani giunte. È stato il russare di Cid ad avermi svegliato.


Mi si forma un magone in gola ogni volta che riguardo la scena.


Sono rimasti. Non mi hanno lasciato da solo. Nemmeno nel sonno.


Una parte di me vorrebbe che se la prendessero con me. Sarebbe tutto più semplice. Potrei rimproverarli e sentirmi ferito e ripiegarmi in me stesso senza parlare mai più. Questa… questa premura… è più difficile da gestire. Sono quasi terrorizzato dalla prospettiva della felicità.


Più che dalla felicità in sé, anzi, dal contrasto che creerebbe. Conoscendo la contentezza conosci anche il dolore. Se sei costantemente a terra, ti ci abitui. Chiudere con la droga è più doloroso che non cominciare mai, per quanto quella droga possa farti sentire Dio quando la assumi.


Non voglio più dolore, mi capisci, Tifa? E tu, Cid?


Siate crudeli con me. Odiatemi. Disprezzatemi e isolatemi. Qualsiasi cosa pur di dissolvere il timore che un giorno il vostro affetto mi venga strappato via. Quello che per chiunque altro è scontato per me è un sogno. Già una volta ne ho avuto una quantità immensa tra le mani e mi è stata portata via. Potrebbe succedere di nuovo in un batter d’occhio.


… Si sveglieranno e mi compatiranno…


No! Non lo farebbero mai. Voglio crederci.

Devo crederci perché non mi sono rimaste le forze per non farlo. Queste sono brave persone. Sono miei amici. Sono gli amici del Vincent che vive nei giorni che seguono la catastrofe di Meteor. Sono miei amici.


Prendo un respiro tremante.


Voglio permettermi di sognare.


Voglio permettermi di pensare che l’amicizia che un tempo avevo condiviso possa ripetersi. Che l’arrogante Vincent Turk che tanto invidio si è nascosto da qualche parte dentro di me.


‘Non più interamente umano’? Beh, sono ancora abbastanza umano da potermi arrabbiare per quella confessione. Ancora abbastanza umano da desiderare alle volte di non esserlo.


Qualcuno bussa alla porta, che quasi crolla a terra. Noto solo ora che è stata sradicata da un cardine ed è precariamente appesa all’altro. Com’è successo? Non è da me essere così poco intuitivo.


Tifa si stiracchia, e non sapendo cosa fare distolgo lo sguardo e lo fisso intensamente fuori dalla finestra.


Le mie orecchie dipingono ogni passo: si alza frettolosamente e si dirige alla porta. La solleva in modo da poterla far scivolare sul rimanente cardine, la apre e bisbiglia qualcosa alla persona dall’altra parte.


“Sì? Oh, salve.”


“Temperatura?” È il medico. Mi pare di udire un leggero tremore nella sua voce. Ops, mi sa di averlo spaventato un po’ troppo. Tifa mormora un ‘Un secondo’ e si volge di nuovo verso di me.


Dovrei girarmi verso di lei? Ma così potrebbe aver paura di controllarmi la temperatura e sarebbe imbarazzante. D’altro canto non è certo giusto imbrogliarla in questo modo.


Ah-


Troppo lento, Valentine. Le sue mani sono fredde e soffici contro la mia fronte. È una sensazione insolita. È soltanto quando toglie la mano che riprendo a respirare.


È proprio da Tifa. Niente domande, niente scampanellii e fischietti. Lei fa solamente quello che si deve fare e non c’è nulla che possa fermarla. Neanche la mia natura reticente.


“Sta molto meglio.” dice una volta tornata alla porta. Temo di aver quasi perso i sensi.


Riesco ancora a sentire la sua mano sulla fronte. Che strano.


Sto ancora guardando fuori dalla finestra. Non so che altro fare.


Mi sento sollevato. Da quando mi sono svegliato è come se il mio cuore fosse stato alleggerito di diversi quintali. Quasi che ci fosse un enorme macigno a ostacolarlo, e ora fosse sparito.


Quanto durerà? Il mio cuore può ancora contenere gioia? Ogni tanto mi chiedo se il mio cuore non sia poi tanto diverso da un filtro. I sentimenti più grandi e pesanti come l’angoscia e i sensi di colpa rimangono, mentre i più piccoli e fugaci istanti di gioia e soddisfazione scivolano via nei fori.


Non pretendo di essere felice. Mai preteso. A mio parere la felicità non è una posizione raggiungibile dagli esseri umani. È un viaggio.


Spero di essere contento. Ecco il mio obiettivo. Trovare un modo per vivere con me stesso che mi permetta di non odiarmi tutto il tempo. Voglio potermi di nuovo sedere a tavolino con me stesso e pensare senza ricadere nella spirale del disgusto che serbo contro di me. Questa sì che sarebbe una novità.


“'giorno, tesoro.” mi saluta Tifa.


Mi si avvicina, e come se riuscisse a leggermi nel pensiero mi rimette una mano sulla fronte. I suoi sorrisi gentili invitano gli angoli della mia bocca ad alzarsi. Ve l’avevo detto che il suo sorriso è scaltro visto da questa prospettiva.


Mi sfiora la fronte con la mano per allontanarmi i capelli dal viso. Movimento inebriante.


Non mi ci soffermo più di tanto, però. Ora sono tanto emotivamente svuotato che non ammetterei nemmeno di aver fame per il timore che causi indebita sofferenza.


Avete presente quando si mischiano i colori e si finisce con l’ottenere un grigio orrendo, e qualsiasi colore aggiungiate, non muterà se non di qualche lieve sfumatura? Sento che le mie emozioni abbiano raggiunto quel grigio. Non riesco a distinguere l’una dall’altra e non ho idea di cosa stia provando in questo momento.


“Ho una domanda per te.” continua placidamente. Credo stia bisbigliando, ma io riesco a sentirla benissimo. Le do un'occhiata ‘Approccio’.


“Perché dormi con una mano sotto il cuscino?” Il suo tono lascia intuire che potrebbe già conoscere la risposta. Gliela darò lo stesso.


“Nascondo la pistola sotto il cuscino quando in giro non ci sono… alleati.”


Il suo sorriso si allarga, “Come pensavo.”


Dopo un istante aggiunge quasi con cautela, “Stai bene?”


Vediamo un po’:


Catarsi. Ecco come si dice.


Innumerevoli paure rilasciate in un attimo fatale. Ho così tante cose da imparare.


Sento come se la semplice ammissione di avere degli amici mi abbia riempito del potenziale di una nuova forza. Mi sento come se… Beh, magari non conquisterò il mondo, ma forse una sua parte grande quanto una stanza sì.


E senza paura.


O quantomeno con la consapevolezza che se dovessi cadere… Quando cadrò… Qualcuno potrebbe essere lì a prendermi prima che tocchi terra, o anche soltanto a puntarmi un dito addosso e ridere, che è quasi altrettanto bello.


No, non so che farò ora. Non ne ho idea. La cosa continua a terrorizzarmi e annodarmi lo stomaco. Ma non è brutta come prima.


È come se fossi un marinaio che giunge alla fine di un fiume e scopre che questo non conduceva a un vicolo cieco, ma semplicemente a una curvatura del sentiero fluviale oltre il quale si trova il mare.


La fame non è sparita, neanche per idea. Ma almeno adesso so come nutrirla. La fame è la solitudine, la cura l’Amicizia. Una cosa così piccola. Un’ammissione così grande. A momenti non so che farmene. Non so come ho fatto a non capirlo prima.


Anche se dovessi perdere la loro amicizia, un giorno, avrò dei ricordi con me. Ed è tutto ciò che abbiamo, alla fine, giusto?


Avrò pure perso la mia vita e il mio tempo, ma ne ho ancora il ricordo, giusto? I bei ricordi dovrebbero conferirmi l’energia per procedere e la forza per eclissare quelli brutti. Non ci si dovrebbe mai trovare nella posizione di desiderare di poterli dimenticare.


Anche quando stiamo per morire e per esalare il nostro ultimo respiro… Tutto ciò che abbiamo, i nostri amici, i nostri sforzi… Alla fine ci rimane soltanto il loro ricordo.


Il cambiamento si può attuare soltanto un passo alla volta. Ma bisogna sempre essere convinti di farlo, il primo passo. Quel primo passo che porta a milioni di altri passi.


Un passo alla volta.


Ci sarà dolore, oh, se ce ne sarà.


Ma sono pronto ad affrontarlo.


Io penso… penso di…


Penso di avere le forze necessarie.


Penso di poter affrontare quello che deve venire.


Ho paura del cambiamento, lo so. Ma penso che Tifa, Cid e Marlene siano importanti tanto da farmi venire voglia di cambiare per loro.


Credo.


Spero.


Voglio stare con loro.


Ci impiegherò molto più di un giorno e molto probabilmente anche più di un anno. Senza contare che non ho idea di dove cominciare. Voglio farcela. Voglio sentire i polmoni vibrare di paura prima di espellerla tutta fuori. Voglio vivere senza paura.

Senza paura.


Il mare di fronte a me è vasto, e io sono un semplice marinaio. Le loro parole affettuose- la loro amicizia- comporranno il vento delle mie vele.


Un giorno toccherò la riva e sbarcherò da uomo nuovo, un uomo che forse saprà persino cosa attendersi dal futuro, o un uomo che forse non lo saprà mai, ma che come minimo ha capito che il viaggio è la parte più importante.


Almeno credo.


Non sono in vena di riflessioni corrette.


Voglio imparare a cambiare. Voglio meritarmi la loro amicizia. Voglio cambiare in modo che quando loro cominceranno a conoscermi, sarò qualcuno che varrà la pena conoscere. Voglio garantirmi che non mi voltino le spalle.


La guardo. Attende ancora la mia risposta con il capo inclinato in una curiosa angolazione. Sono passati diversi secondi dalla sua domanda. Cerco di sorridere. Con scarso successo. Lei mi guarda disorientata.


“Sì, sto bene.” rispondo. Con calma, Valentine. Un passo alla volta. Non sei ancora capace di sorridere senza scadere in ghigno sarcastico.


Non è colpa mia se viene così.


Lei replica con un sorriso raggiante e poi mi sorprende gettandomi le braccia al collo in un abbraccio così stretto che diventa difficile respirare.


“Ne sono lieta.” sussurra, “Ne sono veramente lieta.” Si ritrae dopo un lungo momento. Se non sto arrossendo adesso allora non sono un uomo. Stiamo pur sempre parlando di Tifa.


“Ah-” Che dovevo dire?


Hai il sorriso più bello del mondo, donna.


Oh, giusto, “Dici al… ehm… alla persona lì fuori che mi scuso per aver perso la calma.”


Lei ridacchia e mi promette che lo farà. Poi giocherella con la cintura e il suo sorriso si indebolisce appena. Cos’ha in mente? Riguarda me? Mi si secca la bocca.


“Ascolta…” inizia. Non sono certo di volerlo fare. “Cid dice che ha intenzione di girare il mondo con l’Highwind per vedere che cosa c’è fare.”


Eh? Dove vuole andare a parare?


“Penso che tu dovresti andare con lui.”


Eeecco.


Alza lo sguardo per incontrare i miei occhi. È determinata, ma guardinga. È in pena per un possibile rifiuto?


“Io rimarrò qui e aprirò quel famoso orfanotrofio.” prosegue. “Sono convinta che ti farà bene.”


Ah. Forse non vuole darmi l'impressione che mi stia cacciando via?


Va bene, Tifa, capisco; sarà davvero un’ottima opportunità per me. Una buona occasione per esplorare gli angoli del mondo che non ho ancora avuto la fortuna di vedere. Forse guardando in prospettiva ne ricaverò qualcosa di utile.


Chissà, non potrei scoprire un paio di cose sulle persone che conoscevo? Verissimo, non sono tanto certo di volerle sapere. Saranno molto vecchi, no? Riesco a pensare solo ad una manciata di persone su cui mi piacerebbe indagare, e solo una o due che gradirei veramente incontrare.


Non voglio lasciarti, Tifa, ma l’ultima cosa che voglio fare al momento è andare a Midgar. Non credo riuscirei ad essere di grande aiuto, né sarei in grado di contenere le mie inaffidabili emozioni di fronte a una distruzione tanto insensata. Penso che potrebbe adattarsi troppo a casa mia.


“Credo che ti meriti una vacanza.”


Accentua il tutto con una convinzione non indifferente e un cenno del capo. Guarda che non stiamo discutendo, Tifa. Non credo sia una cattiva idea. Sono solo un po’ incerto sui passi che dovrei compiere. È un periodo un po’ traballante.


Ho bisogno di scoprire chi è Vincent Valentine: non chi è stato finora, non chi era da Turk o da ragazzo della Yakuza. Non l’animale in cui Hojo l’ha tramutato o la bestia che Chaos vuole che sia. Ho bisogno di trovare il Vincent Valentine che vive nel mondo post-Meteor. Il Vincent Valentine che era lì quando il mondo era prossimo alla fine e a cui non danno fastidio certi marmocchi. Voglio vedere come se la cava questo Vincent a stare da solo per forse la prima volta in vita sua dopo che vi è entrata Lei.


Lei?

Lucrecia. Lucrecia Crescent che preferì un altro a me. Ecco, non ho più paura di te, Lucrecia. Capisco perché tu non mi abbia scelto. Me ne rendo conto soltanto ora: tu non sei mai stata mia.


Dio, questa non è la mia settimana, eh?


“Allora?” sembra preoccupata. Mi prende la mano buona tra le sue, morbide e calde. Avverto la punta delle unghie mentre mi accarezzano la pelle.


Reprimo un sospiro. Devo combattere. Devo combattere per riacquistare la mia forza. Per i miei amici, così potrò avere degli amici. Così varrò abbastanza.


Non s’impara niente senza soffrire. Io voglio imparare - voglio crescere. Se non lo farò morirò. Evoluzione, sapete com’è.

 

“D’accordo. Andrò con Cid.”


“Allora è così? Ci abbandoni tanto facilmente?” Ritira le mani, un sorriso evidente negli occhi.

 

Come? Non è questo che intendevo.


“No.”


Cade un silenzio durante il quale lei mi studia con un altro sguardo buffo. Suppongo di dovermi spiegare di nuovo. Abituatici, Vincent.


“Io…” Che dico? Che sarei rimasto se me l’avesse chiesto? Non è per niente da me. Sono certo che le persone abbiano delle aspettative riguardo il mio comportamento. “Sono restio a rinunciare a te.”


Perché suono sempre così rigido? Sono scemo?


“Oh.” Finge delusione. Mi volta la schiena. “Se è così.


Sento incombere un sorriso. Adopera il tono più indignato che le riesce quando dice, “Vincent è tanto freddo. A volte mi chiedo se gli importa davvero qualcosa di noi. Gli piaccio solo per la cioccolata che gli ho regalato.” È divertita, e forse è la mia immaginazione a segnalarmi la presenza di un pizzico di reale apprensione nella sua voce.


Vorrei dirle che a me importa di loro.


Hanno vinto, io ho ceduto e ho ammesso a me stesso che a loro ci tengo.


Cosa vuole che faccia per dimostrarle il mio affetto? Non voglio fare qualcosa di formale. Voglio metterci del sentimento. Come si fa? Mia madre diceva sempre che le azioni parlano più forte delle parole, ma non ho niente da offrirle. Nei paraggi non c’è nessun pegno di amicizia che io possa donarle, né ho una qualche parola potente. C’è solo una cosa che posso dare, ora come ora.


Voglio dirlo, e lo dirò.


“Tifa.” Devo procedere con cura. Devo fare questa cosa - fosse anche la prima e l’ultima della mia vita - bene. Voglio farla bene.


Lei si volta con uno sguardo incuriosito, le braccia incrociate sul petto. Emette un piccolo ‘hmm?’ per intimarmi di continuare.


Inspiro. No, non ci siamo ancora. So che ho i miei problemi, quindi l’unica opzione che mi rimane è scegliere una maniera esageratamente complessa che mi darà il coraggio di dire una cosa semplice come ‘Ci tengo a te’.


Tenere a una persona vuol dire mostrare debolezza, ma io riporrò tutta la mia vulnerabilità nel tuo cuore. So che con te le crepe della mia anima potranno trasformarsi in punti di forza. So che non getterai all’aria il mio umile tentativo.

Mi fido di te.


Non pensarlo, dillo!


Mi alzo e rinforzo il mio respiro.


“Te lo prometto,” No, in piedi non è sufficiente.


Mi inginocchio ai suoi piedi.


Lei sembra molto sorpresa. La luce del sole che va affievolendosi proveniente dalla finestra crea un alone quando incontra i suoi capelli.


Non pensarci, giù la testa e dillo.


“Ti prometto che se tu dovessi mai finire nei guai, io verrò. Lo giuro. Ovunque io mi trovi. Verrò da te se mai tu ne avessi bisogno.”


Sto dicendo che sono tuo amico. Anche se Cloud ti ha abbandonato avrai un protettore. Sto dicendo che cercherò di proteggerti perché lo voglio. Perché rispetto le tue decisioni e resterò al tuo fianco a qualunque costo. Sto dicendo che ti voglio bene. Sono solo troppo antiquato per dirlo chiaramente, Tifa.

 

Scusa.


Mi azzardo ad alzare lo sguardo e mi si mozza il fiato. Quel sorriso non è di questo mondo.


Sono stato io a farla sorridere così? Ho una fortuna esagerata se il destinatario sono io.


Sono… sono stato così bravo? Quel sorriso significa che ho trasmesso il messaggio giusto? Non è un sorriso derisorio, vero?


Nah.


Perfino il sole impallidisce di fronte a questo splendore.


Devo fare le cose a modo mio, e il modo mio è stupido e involuto.


‘Ma falla finita,’ come aveva detto una volta Cid.


Quel sorriso mi rimarrà impresso come a fuoco nella memoria. Qualunque cosa accada in futuro, saprò che questo sorriso era dedicato a me e sono stato io a suscitarlo. Avete mai provato qualcosa di così dolce?


Ho fatto sorridere la mia amica. Annoto mentalmente un’altra cosa sulla lista delle cose da ricordare a proposito degli amici.


Sorridere è bello. Provare per credere.


Lei si piega verso di me, dato che sono ancora inginocchiato di fronte a lei, e con molta cura, lentamente, allunga le braccia. Non mi muovo e cerco di non irrigidirmi. Mi darà un pugno in testa per aver fatto un’idiozia? Una volta l'ha fatto con Cid.


No: mi poggia le mani calde e sublimi in cima alla testa e si china per piantarmi un castissimo bacio sulla fronte.


Profuma di coraggio. Non so come sia possibile, ma è così. Davvero.


…


Trascorre qualche istante durante il quale riesco a non pensare a nulla.


Mi sorride vivacemente mentre dice, “So che tornerai, e accetto la tua promessa.”


…


Dio, nemmeno il cioccolato dà certe sensazioni.


…


“C@zzo Vincent,” Cid, mezzo addormentato, fa a pezzi il momento: “Non sai proprio fare niente senza essere tanto schifosamente melodrammatico?”


Dunque Tifa gli molla un pugno in testa. Lui dà il via a una lunga serie di improperi.


Magari fuori non c'è troppa luce, ma dentro ce n’è in abbondanza.


Non sono solo.


Per un momento…


Sono contento.



Note dell’autrice: Credo che… sia finita.
Dubito ci sarà un epilogo. Ma un sacco di cose da scrivere qui, a tutti quelli che hanno seguito la storia dall’inizio, a chi l’ha letta in silenzio e a chi potrebbe farlo nel futuro.
A chi è stato con me dall’inizio e a chi si è unito a noi a metà percorso:
Grazie.
Ho cominciato questo piccolo parto spaventata e senza alcuna fiducia nella mie capacità. Ero certa di aver perso il mio tocco e il mio stile, e pensavo che non avrei mai dovuto rimettermi a scrivere. Voi mi avete aiutato a rendermi conto che solo perché uno stile cambia non vuol dire che sia morto, o che quel cambiamento sia necessariamente negativo.
A guardarmi indietro adesso sento di essere cresciuta. Dall’ultima volta che ho scritto fino all’inizio di Dark Outside, ma anche di capitolo in capitolo. La vostra gentilezza e le vostre critiche mi hanno aiutato a crescere come persona quanto come scrittrice. Forse la sto prendendo troppo sul personale, ma questa storia ha attinto profondamente dalle mie emozioni, e mi è molto cara.
Ho tentato di trattarla come se fosse qualcosa di più di una fanfiction, ho cercato a farne qualcosa che possa toccare le persone e far provar loro emozioni e far riflettere sulle proprie vite. Non so se ci sono riuscita, ma so di aver dato il meglio di me mentre la scrivevo.
Devo ammettere di non essere interamente soddisfatta di quest’ultimo capitolo. I finali sono molto difficili, così come lo sono gli inizi. Senza un buon inizio la gente non continuerà a leggere, ma una brutta conclusione può rovinare un’intera storia di per sé buona. Spero di avervi lasciato un buon sapore in bocca e una bella sensazione in petto. Una buona storia è come un buon pranzo – ogni portata deve servire al suo scopo, e il dessert dev’essere perfetto!
Questa storia ha ricevuto oltre 300 recensioni (in originale, eh! XD ndT)! Sento veramente di non meritarle. Mi avete fatto un grandissimo onore.
Come promesso: voglio dare a tutti voi qualcosa di bello! Ma non so cosa… Indigo Angel e qualcun altro volevamo un sequel, e Myhi ha detto che le sfide sono popolari negli ultimi tempi.
Quindi sto pensando a cosa potrebbe andare bene! Voglio sinceramente farvi contenti perché oltre le oltre 300 recensioni di certo hanno reso felice me! E ci sono pure le oltre diciassettemila visite (non individuali, ovvio!)… sob, grazie mille, gente!
Thank you, everyone, from the bottom of my heart.

Note della traduttrice: mai fidarsi delle mie parole XD Tra l’altro vi posto il capitolo perché mi sono ricordata della storia per un disguido tecnico successo a un altro sito, figuratevi un po’ : D
Beh, almeno adesso è finita. Piaciuta? :D No? Così così? Leeeet me know.
MA SOPRATTUTTO. Ho segato la parte delle note (lunghe, eh? XD) dell’autrice in cui parla del sequel che all’epoca stava pensando perché tanto ormai lo sta scrivendo. Quindi. You know.
Quello che volevo sapere è: vi interesserebbe leggere il sequel? È ambientato qualche anno dopo, se non erro, è più Vincent/Tifa, e Marlene è anche lì molto presente, anche se cresciuta. Sia chiaro che comunque devo parlarne con l’autrice per capire se crede che la finirà prima o poi (i capitoli sono più lunghi e gli aggiornamenti più lenti, so idk), ma mi piacerebbe sapere le vostre opinioni prima di imbarcarmi nell’ennesima long-fic.
Insomma, apriamo questa specie di sondaggio. Potete comunicarvi il vostro pensiero sia tramite recensione che tramite mail che tramite piccione viaggiatore. Davvero, come volete.
Non comincerei a pubblicarla comunque prima di settembre, quindi… Boh. Pensateci su, magari, e fatemi sapere.
Alla prossima :*
EDIIIIT: GRAZIE ARLI! XD Arli è la beta-reader che ha affrontato con me questa storia. Dovevo ringraziarla anche qui :*
youffie

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