The last good day of the year

di Blustar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***



Capitolo 1
*** Uno ***


The last good day of the year


“Mancano dieci minuti al coprifuoco. Affrettatevi a rientrare!”
L’altoparlante tuonò da un angolo, facendomi sobbalzare.
“Accidenti… perché non tengono il volume un po’ più basso?” mormorai a me stesso.
Era il dieci dicembre dell’anno 2289, un giorno come tanti a New York, ed erano quasi le otto della sera. Faceva un freddo terribile, anche se non era ancora caduta la prima neve.
Avevo appena finito il turno, ma prima di tornare a casa c’era un posto dove dovevo assolutamente andare. L’avevo promesso a mio padre.
Aumentai i miei passi, procedendo ora quasi a ritmo di corsa. Svoltai a destra all’incrocio e proseguii dritto fino alla fine della via.
Suonai con insistenza al citofono, finché non ottenni risposta.
“Ma insomma… chi sei e cosa vuoi a quest’ora?”
“Signor Flanders, sono Jamie… vengo per mio padre. Mi scusi l’insistenza, ma gli ho promesso che sarei passato”
“Fai in fretta ragazzo, sai che questo non è un buon momento… fra poco inizia il coprifuoco” disse, e mi aprì la porta.
Salii le scale il più velocemente possibile, per trovarlo già sulla porta ad aspettarmi.
“Ecco… queste sono le medicine per tuo padre”
Afferrai il piccolo pacchetto e con un cenno ringraziai, ritornando sui miei passi.
A quel punto stavo veramente correndo.
“Manca un minuto al coprifuoco”
Fortuna che casa mia non stava molto lontano da Flanders altrimenti sarei stato sicuramente nei guai.
Farsi beccare a gironzolare per la strada poteva essere davvero molto pericoloso.
Passai dal retro, aprendo la porticina che portava ad una finta cantina. Subito dopo c’era il nostro vecchio garage in disuso, dove immaginavo che papà stesse ancora lavorando su quella 500 del 1963.
“Coprifuoco attivo” Aprii la porta, e scoprii che la mia previsione era esatta.
Papà era chino sul motore dell’auto, ma quando entrai mi venne incontro raggiante, togliendosi gli occhiali da saldatore.
“Ciao Jamie! Era ora che tornassi, è appena iniziato il coprifuoco! Tua madre è di sopra, ha fatto la pizza”
“Addirittura la pizza? Meno male, avevo giusto bisogno di qualcosa di buono. Questo è per te” dissi, lanciandogli il pacco accartocciato.
“Le hai prese? Wow, pensavo non ce la facessi… grazie!”
“Di nulla, ma dovresti imparare a controllare un po’ le tue esigenze. Lo sai vero cosa ti accadrebbe se venissi scoperto? E tutte le bottiglie di brandy, poi?”
“Sssh, zitto. Vuoi che ci scopra tua madre, prima di tutto? Comunque vedo che anche questa volta Bob ha avuto buon gusto. Sigari cubani… li adoro” disse scartando l’involucro ed estraendone i lunghi sigari profumati.
“Tu e le tue finte medicine… A proposito, cosa stai pensando di fare a quest’auto?”
“Ci sto mettendo dentro un impianto stereo di tutto rispetto e uno schermo, così mi farò una postazione sicura dove fumare in santa pace i miei sigari mentre guardo un bel film” disse senza fare una piega.
“Santo Dio, tu devi essere pazzo… come se non bastasse già tutto quello che hai. Già io sarei da sbattere in prigione per i libri che mi hai fatto leggere, figuriamoci tu!”
“E’ questo il bello della vita figliolo, essere delinquenti!”
“Ha! se ti sentisse Raymond… lui sì che ne andrebbe matto! Un padre delinquente e il figlio poliziotto, o per meglio dire, crono - poliziotto! Questa sì che sarebbe da scrivere”
“Non me ne parlare… è di sopra. Sta raccontando le sue avventure” aggiunse con un sorriso.
“Ray è tornato? Bene, vado a sentire anche io” dissi e salutai, salendo di fretta la scala a chiocciola che portava ai piani superiori.
Come al solito la prima a venirmi incontro fu Lola, un cyborg progettato dallo Stato per far fronte ad ogni incombenza familiare. Badante, babysitter, colf… una tuttofare a cui era stato dato un viso d’angelo.
“Buonasera signorino Jamie… bentornato a casa” disse con un lieve sorriso.
“Grazie Lola. Mamma e Raymond?”
“Sono in cucina. La stanno aspettando. Io finisco di pulire i vetri, poi mi spegnerei con il suo permesso”
“Certo Lola, fai pure”
Non eravamo così ricchi da poterci permettere due o più cyborg, ma a noi andava bene così.
D’altronde soltanto io e Raymond lavoravamo, e se io avevo uno stipendio non proprio cospicuo, Raymond d’altro canto era davvero ben pagato, e ciò ci permetteva di vivere in tranquillità.
Aprii la porta della cucina e mio fratello mi venne incontro per stringermi in un forte abbraccio, com’era tipico di lui.
“Jamie, fratellino! Come stai? Sono contento di vederti. Mamma ha appena messo sul piatto anche per te, e ho un sacco di storie da raccontarti”
Mamma mi salutò con una carezza sulla guancia, mentre mi sedevo a tavola.
Sinceramente ero un po’ imbarazzato, non essendo abituato negli altri giorni a tutte quelle attenzioni.
“Tuo padre ne avrà ancora per molto laggiù con i suoi modellini?”
“Ehm… penso che fra poco verrà su. Sta tentando di attaccare un pezzo importante e sai quanto lui ci tenga”
“Va bene, ma voi intanto mangiate, d’accordo?”
Addentai la mia pizza precotta con voracità, mentre mio fratello riprendeva a raccontare.
“Ah sì, stavo dicendo della promozione giusto? Jamie, dicevo a mamma che sono appena stato promosso! Mi alzano lo stipendio di 1000 dollari e dal prossimo anno potrò pure formare la mia squadra di agenti! Ci pensate?”
“Wow… complimenti, fratello! E adesso a che grado sei quindi?”
“Tenente. E’ una bella responsabilità” disse lui soddisfatto.
“In effetti sì. Caspita Ray, devi aver preso un bel po’ di criminali in questo periodo”
“Direi! Il capitano Ersatz mi ha pure fatto i complimenti. Ha detto che sto diventando davvero bravo. Pensa, ce ne sono alcuni di insospettabili. Questa settimana per esempio ho arrestato un industriale abbastanza conosciuto a Brooklyn per le sue donazioni in beneficenza. Domani avrebbe ucciso a martellate il vicino se noi non l’avessimo fermato. Dopo avergli rimosso tutti i ricordi l’abbiamo spedito in un campo di lavoro in California, pensa”
“Così lontano? E andrà a fare?”
“Reparto meccanica. Ogni giorno che passa mi sento sempre più soddisfatto. Pensare che tanta gente cadrebbe in tentazione e ucciderebbe, ruberebbe, stuprerebbe… ma noi li salviamo, e li mandiamo pure a lavorare per il Paese. La macchina del tempo è stata davvero l’invenzione più geniale in assoluto nella storia. Così noi che viviamo nel passato possiamo stare tranquilli”
“E cosa succederebbe se un giorno qualcuno venisse ad arrestarti, Ray?” aggiunsi scherzando.
Sapevo bene che il mio massiccio fratello Ray, con i muscoli di un pugile e il volto di un divo delle soap, aveva un cuore capace di pompare sangue per due persone. Vitale, energico, attivo… e fondamentalmente altruista. Non avrebbe mai potuto essere arrestato, nemmeno nel futuro.
“Ovviamente combatterei fino all’ultimo sangue. Non mi avranno mai vivo” disse ridendo.
“E poi lo sai che noi membri della Crusade abbiamo un certo grado di immunità… compresi i nostri familiari. E questo è un bel vantaggio non credi?” aggiunse, palesemente orgoglioso.
“Direi di sì. Ma ora meglio che io vada a farmi una doccia, e poi a nanna. Domani mi aspetta un’altra giornata di lavoro”
“No Jamie aspetta! E il dolce? Non mi hai ancora raccontato niente di come ti va la vita!”
“Sarà per un’altra volta Ray. E poi non c’è nulla di particolare da dire. Faccio il cassiere in un market… cosa vuoi che ci sia da raccontare? Faccio la mia vita, come tutti. Tu piuttosto, fino a quando starai a casa? Ti ho appena visto, e non vorrei ripartissi subito”
“Partirò tra due giorni Jamie, poi sarò a casa per Natale. Ma tu… non hai proprio nulla da raccontare?”
“No… sul serio. Non sto cercando di fare il difficile! L’unica cosa che potrei dirti è che domani mattina dobbiamo sistemare i festoni natalizi. Siamo all’inizio di dicembre e il Natale si avvicina” aggiunsi con un sorriso.
“Va bene Jamie… allora notte”
“Notte figliolo” intervenne mia madre, che stava caricando la lavastoviglie.
Così me ne andai di là, alla ricerca di tranquillità.
Ero davvero stanco per la giornata sfiancante che avevo passato.
Magari fossi stato contento del mio lavoro come mio fratello lo era del suo.
Ma dopo il mio diploma era stato deciso così. La nostra era una società gerarchica e se ti assegnavano un posto, quello doveva essere e non altrimenti.
Come operai di una gigantesca fabbrica, c’era chi faceva i piani e chi li eseguiva, chi era privilegiato e chi no.
Aprii l’acqua della doccia ed entrai. Domani sarebbe stato un altro giorno pesante e l’acqua mi avrebbe aiutato a rilassarmi più in fretta.
Avrei dovuto mettere a posto tutta la merce in arrivo, catalogarla e fare l’inventario di quanto era rimasto in magazzino. Poi avrei dovuto occuparmi di tutte le decorazioni natalizie e infine tornare ad occuparmi della spesa dei clienti.
Non capivo perché il governo non si decideva a togliere definitivamente quella festa.
Non si stava nemmeno a casa per tutto il giorno, che senso aveva sprecare tanto tempo per aspettare qualcosa che poi si festeggiava si e no per un paio d’ore?
Mio padre ripeteva sempre che tutto ciò era fondamentalmente ridicolo. Cancellare tutte le tracce del nostro passato per ritrovarsi a mantenere formalmente una tradizione come quella.
Io invece non lo trovavo del tutto insensato.
Dopo che il governo era venuto in possesso della macchina del tempo e aveva fondato la Chronologic U.s.a. Departement, alias Crusade, l’intera società era stata riformata da capo a piedi, salvo quelle tradizioni che per valore morale potevano venire in aiuto nel fondare la nuova classe americana. E cosa c’era di più utile del Natale? Una festa dove erano le famiglie a farla da padrone sarebbe stata utilissima per mantenere vivo lo spirito moralizzatore che avrebbe investito tutti gli Stati Uniti.
E così poi era successo. Ma con l’andare del tempo la smania di controllo e di ordine erano cresciute, e lo Stato aveva finito con l’insinuarsi pesantemente nella vita privata di ognuno di noi, senza che noi stessi ce ne accorgessimo e soprattutto senza percepirlo come un pericolo.
Lo Stato aveva il controllo su di noi come se fosse una madre premurosa, capace però di trasformarsi nella peggiore delle bestie ogni qual volta un cittadino violava i suoi limiti.
In tutta l’America, erano poche le persone che come me e papà pensavano che il mondo creatosi con la Crusade non sarebbe mai stato perfetto come si voleva far credere. Mio padre d’altronde era un ribelle per natura e aveva cercato di trasmettere le sue conoscenze anche a me, dopo che Raymond si era rivelato deludente. Mio padre perciò mi guardava sempre con la speranza che io, un giorno o l’altro, mi sarei unito a lui nella creazione di folli piani sovversivi.
E’ vero che io ero più consapevole di molti altri di quanto lo Stato fosse opprimente, ma ero anche un’amante della vita tranquilla, cosa che secondo mio padre non andava a mio favore.
Diceva che così avrei finito per arrendermi e sarei diventato come il resto della mia famiglia.
Non che Ray e mamma fossero cattive persone, anzi. A loro volevamo davvero bene, ma avevano una fiducia incondizionata nel governo e nelle sue decisioni.
Uscii dalla doccia, finalmente ristorato, e mentre mi stavo asciugando i capelli non potei non notare le occhiaie che mi si erano formate sotto gli occhi. Decisamente stavo lavorando troppo, e ormai non avevo neanche più tempo per curarmi. I miei folti capelli biondi erano davvero disordinati, e avevo lasciato che crescesse anche una leggera barba, ma avrei rimediato per il fine settimana. Così mi infilai il pigiama e pochi minuti dopo mi addormentai nel mio letto, quasi senza accorgermene.

* * *

Un trillo e la radio si accese.
“Buongiorno amici ascoltatori! Sono le ore 7 e mezza e il vostro speaker preferito vi da il buongiorno! Anche oggi non dovrete preoccuparvi di nulla! E intanto mancano dieci giorni al Natale! Non è…”
Spensi la radio con una mano e balzai giù dal letto.
Cercai di fare tutto il più in fretta possibile. Mi lavai, rifeci il letto, e mi vestii.
“Jamie scendi che è tardi! Devi andare a lavoro!” urlò mio padre dal fondo del corridoio.
“Mi sto infilando il maglione! Arrivo subito!”
Come al solito ero in ritardo. Inutile farsi promemoria mentali.
Attraversando la casa per andare in cucina vidi l’orologio. Erano le 8 meno un quarto, così salutai alla svelta, presi una brioche e mi infilai il cappotto per uscire.
Controllai di avere il tesserino del market e poi mi fiondai in strada.
Accanto a me le persone passeggiavano tranquille, guardando i negozi o chiacchierando al telefono.
Dandomi un’occhiata intorno osservai il paesaggio familiare del quartiere.
I caseggiati e i grattacieli erano belli, colorati vivacemente e spesso fiancheggiati da alberi. Qui il macellaio, lì la pescheria. E sopra uffici, saloni di bellezza e altro ancora.
Di là della strada il fiorista e poi il barbiere. Tutto era perfetto, come in una città virtuale.
Svoltando all’angolo vidi che il camioncino della segnaletica si era messo al lavoro per addobbare le strade con le luci natalizie.
Dritto di nuovo, poi destra, ancora un po’ di strada e infine eccomi arrivato.
Ci avevo messo come al solito dieci minuti spaccati. Solo che quel giorno tutto il personale mi stava aspettando prima dell’apertura, il che era insolito.
“Buongiorno… mi state aspettando?”
Il padrone del locale, un uomo pelato sulla cinquantina, mi fece cenno di sì e mi invitò a prendere posto assieme agli altri.
“Purtroppo ho una notizia da darvi… fra poco il negozio dovrà chiudere”
“Come?” disse una ragazza dai capelli scuri vicino a me. “Non dovevamo semplicemente trasferirci?”
“Sì in teoria avrebbe dovuto essere così… ma tra poco verrà inaugurato un nuovo market, e io sono ormai troppo vecchio per continuare questa attività. Sapete bene che per legge due attività uguali non possono coesistere nello stesso luogo se non ad una certa distanza tra loro”
“E hanno dato il permesso agli altri?” sbottò un ragazzino dall’accento spagnolo.
“Sì, perché hanno previsto che all’interno ci sarà anche un’edicola. Inoltre hanno già assunto parecchio del personale necessario. Mi dispiace molto, ragazzi”
Ci mancava solo questa. Perdere il lavoro. Cos’avrei fatto altrimenti? Avevo una qualifica bassa e non potevo applicarmi in molti altri settori. Già per fare l’impiegato in un’azienda si richiedeva il grado successivo al mio, figuriamoci per altro.
“E ora datevi da fare, che la giornata è lunga. Io vado ad aprire”
Mentre mi avviavo verso il magazzino, non potei fare a meno di pensare alla sera precedente. Non erano in fin dei conti contraddittorie queste leggi per tutelare il cittadino? Avevano lo scopo di favorire la tranquillità ma finivano solo per creare problemi.
Mia madre in fondo sarebbe stata contenta che avessi cambiato lavoro, ma sapeva bene quanto me che lo stipendio sarebbe rimasto lo stesso. Mio padre invece avrebbe vivacemente protestato, finendo col dirmi “E’ ora che ce ne andiamo nel futuro!” come se lì la situazione fosse migliore.
Il nostro mondo non era certo il massimo ma era sicuramente più civilizzato del futuro.
Eravamo il popolo più protetto da minacce criminali, di qualunque tipo fossero. E non solo da quelle. L’ordine e la sicurezza erano ciò che più stava a cuore allo Stato, e ciò aveva finito per rivoluzionare completamente il nostro modo di vivere.
Grazie alla Crusade e alla macchina del tempo, il governo aveva fatto proprio il motto “Conoscere il futuro per migliorare il passato”.
Così mentre da noi vizi come fumo e alcol erano stati debellati, nel futuro continuavano a dilagare come peste. Chi come mio padre si ribellava alla legge doveva rivolgersi al mercato nero, che comunque era un’eccezione. Il divorzio non era più ammesso e la famiglia era la più sacra delle istituzioni. I programmi televisivi prima di essere mandati in onda venivano controllati più volte perché non contenessero informazioni capaci di danneggiare moralmente il nostro cervello. Tutta la cultura passata era stata a poco a poco soppressa a favore di nuove forme artistiche, letterarie e musicali controllate dal sistema.
Grazie alla Crusade, che manteneva il segreto del viaggio del tempo, tutti gli orrori che avvenivano nel futuro erano prontamente cancellati nel passato e lo stile di vita della popolazione modificato al fine di proteggerci da noi stessi. Ogni reato punito ancora prima che venisse commesso, ogni eccesso smorzato dal sistema che come un’amorevole madre ci portava via dagli ostacoli della vita.
Mentre il futuro era l’inciviltà. Assassini e barboni, ladri e stupratori, eccesso e vizio, sporcizia e crudeltà dominavano questo inferno.
C’erano centinaia di persone che, come mio fratello, credevano ciecamente nel sistema, abbandonandosi ad esso.
C’erano alcuni che, come mio padre, si opponevano fermamente ad esso pur non potendo fare nulla.
E c’era chi, come me, era nel mezzo e tentava di capire cosa era verità e cosa era bugia, senza avere risposte.
La giornata trascorse veloce senza intoppi, tra una fatica e l’altra come ogni giorno.
Passavo la spesa dei clienti senza badare troppo a ciò che prendevano, dato che erano sempre le stesse cose.
Il caffè, il detersivo, una torta, i biscotti. Non avevamo nemmeno la difficoltà di scegliere cosa prendere dagli scaffali, dato che tutto era fornito dallo Stato. Ed era rigorosamente di ottima qualità.
Insomma, vivevamo in una campana di vetro.
Uscii alle 8, poco prima del coprifuoco, come al solito.
Poi sulla strada di casa vidi un capannello di persone rannicchiate contro qualcosa, senza dire nulla.
Trovai la cosa un po’ buffa, ma avvicinandomi vidi una cosa che non avrei mai osato pensare.
C’era una persona a terra, un uomo. Le persone tentavano di svegliarlo ma non succedeva nulla.
Era tutto sporco di sangue, gli occhi fissi nel vuoto, un buco nella fronte.
Era stato ucciso.
C’era stato un omicidio.

* * *

Mi bloccai, consapevole di ciò che era appena successo.
Com’era possibile che gli agenti della crono polizia non avessero previsto l’omicidio? Com’era possibile che avessero lasciato che ciò succedesse?
Le altre persone fissavano imbambolate l’uomo a terra, come se stessero osservando una rarità. Mi guardai intorno: tutti procedevano come al solito, ognuno per la propria strada senza badare a ciò che succedeva accanto.
Possibile che nessuno si rendesse conto della gravità della situazione?
Se la notizia si fosse propagata, sarebbe scoppiato il caos.
Era difficile ammetterlo, ma ero spaventato soprattutto dalla calma che accompagnava quel delitto.
Tutto era perfettamente immobile.
In un angolo del mio cervello qualcosa scattò: non dovevo restare lì. Lasciai alle mie spalle il cadavere e la gente che gli stava attorno, voltandomi indietro di tanto in tanto. La scena non era minimamente cambiata. Chi si era fermato guardava il corpo come se in realtà stesse fissando il vuoto, mentre tutti gli altri sembravano non realizzare quanto era successo, anzi.
Rientrai a casa ancora stordito dall’accaduto.
Era tutto così calmo che ora quasi faticavo a credere di aver visto quell’uomo a terra, in una pozza di sangue. Me l’ero solo immaginato? Ma no, era impossibile. L’avevo visto, lo ricordavo bene.
Quando entrai dal retro, non sentii nemmeno una parola di quello che mio padre mi disse.
Probabilmente dovevo avere una faccia parecchio strana.
“Jamie… tutto ok? Che ti succede?”
Mio padre mi guardava ansioso, le rughe del suo volto tese per la preoccupazione.
Che cosa dovevo fare? Raccontargli quello che avevo visto?
“Sì… mi sento solo un po’ stanco. Forse mi sono preso qualcosa, con tutto questo vento. Ho un po’ di mal di testa”
“Oh, mi dispiace figliolo. Ci dev’essere ancora un po’ di quello sciroppo contro l’influenza, guarda nella credenza sopra il frigo!”
“Ok, grazie pà”
Non me la sentii di dirgli nulla. Cos’avrebbe detto Raymond? Sapeva già quello che era successo?
Andai veloce di sopra, trovando Lola intenta a innaffiare le piante e mio fratello sul divano a guardare la tv. Era uno di quei documentari sulla natura africana.
Sul tavolino accanto al divano c’erano carte di caramelle. Lui andava matto per quelle alla fragola, mi ricordai sorridendo.
“Ehi ciao Jamie! La mamma ti ha lasciato un toast in cucina. Lei starà da una sua amica stasera… sai guardano quella soap spagnola che va tanto di moda. Ah, le donne… su, prendi il toast e vieni a farmi compagnia!”
Sorrisi. Raymond non sapeva ancora nulla... Ma quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno si decidesse ad entrare in azione? Decisi di accantonare momentaneamente il problema e fare come mio fratello aveva detto. Forse parlare un po’ con lui mi avrebbe distratto.
“Ah Jamie, sai che a volte non ti capisco proprio? D’accordo che tu e io siamo sempre stati diversi… io espansivo, tu introverso, ma mi sembra che ultimamente le cose siano un po’ peggiorate… o no? Ricorda che sono pur sempre tuo fratello, so vedere quando c’è qualcosa che non va”
Mi sedetti accanto a lui, sgranocchiando il toast che sapeva di pane vecchio.
“Non lo so Ray. Forse è il lavoro sempre uguale che mi stanca. Pensa, oggi mi hanno detto tra poco apriranno un nuovo market e quindi verremo sicuramente licenziati. Se perdo il lavoro…”
“Non ti devi preoccupare. So cosa potrebbe pensare mamma, ma devi contare sulle tue capacità. E’ stata una sfortuna che ti abbiano classificato con un grado così basso. Sei riflessivo e intelligente…”
“Avanti, ora non esagerare. Non mi pento della vita che faccio, cerco di tirare avanti come tutti, ma a volte mi sembra quasi di vivere fuori dalla realtà. Non so se riesco a spiegarmi…”
Le immagini di leoni e gazzelle si susseguivano veloci davanti ai miei occhi, mentre cercavo di trovare le parole giuste. Allora c’era veramente un problema nella mia vita? Un qualcosa che non riuscivo bene ad esprimere?
“A volte mi sembra che la vita mi stia stretta Ray”
Le parole mi uscirono spontanee. Era vero in fondo. Mi mancava qualcosa, ma non sapevo esattamente cosa.
Mia madre aveva con le amiche e il suo sentimentalismo, anche se si era costruita un suo mondo. Non si curava infatti della famiglia come avrebbe dovuto essere, ma lasciava fare tutto a Lola, che anche con tutta la buona volontà rimaneva sempre un cyborg.
Mio fratello aveva il suo lavoro pieno d’azione, nel quale ci si buttava con entusiasmo.
Mio padre invece aveva le sue automobili, i suoi sigari e le bottiglie di brandy, che lo distraevano da una fastidiosa realtà.
Mentre io avevo solo la routine.
“Stai passando un brutto periodo Jamie e ti capisco. Caspita, la prospettiva di perdere il lavoro proprio sotto Natale non è la cosa più entusiasmante… però ti rifarai, vedrai. Ecco, secondo me ti dedichi troppo al lavoro. Non hai mai tempo per guardare un po’ la tv, ascoltare buona musica… dovresti prenderti un periodo di ferie, dopo che le cose si saranno sistemate”
“Sì, forse hai ragione. Dici che non c’è motivo di preoccuparsi?”
“Ma no che non c’è. Poi in un mondo come questo, anche se perdi il lavoro ne troverai subito un altro, fidati” disse lui, sorridendomi sornione. “E comunque se alla fine non lo trovi potresti sempre iscriverti come recluta alla Crusade. Quello è l’unico posto dove puoi fare carriera, lo sai. Per il resto il mondo del lavoro è statico. A proposito… ci sono le giornate d’apertura tra poco. Potresti venire a dare un’occhiata”
“Wow… beh, grazie fratello. Ora vado a dormire, sono stanco e con il lavoro che faccio non riesco a stare sveglio a lungo”
Quanto avrei voluto possedere l’ottimismo di mio fratello! Ma forse chissà, le sue previsioni si sarebbero avverate, non si poteva mai dire.
“Notte fratellino” mi rispose lui, continuando a guardare il documentario.
“Buonanotte signorino Jamie” mi disse Lola, che stava raccogliendo tutte le carte dei dolci che Raymond aveva lasciato vicino al divano.
In quel momento papà chiuse la porta che portava al garage, raggiungendoci in salotto.
“Come mai su così presto? Io stavo andando a dormire” dissi.
Che qualcuno l’avesse informato di quello che era successo? Non era escluso. Ma le sue parole smentirono i miei dubbi.
“Oh, niente di che, stasera ho finito di montare i pezzi che mi servivano, così sono venuto di sopra prima. Hai preso lo sciroppo?”
“Ehm no… mi è passato”
“Che sciroppo Jamie?” intervenne mio fratello.
“Niente, solo quello per l’influenza… prima non stavo tanto bene”
“D’accordo. Notte allora!”
Appena chiusa la porta della camera, il silenzio mi invase. Ero di nuovo solo e i pensieri che mi avevano abbandonato prima, ritornarono ad assillarmi.
Che cosa poteva essere successo? Qualche crono poliziotto aveva commesso un errore e aveva permesso così che un assassino girasse a piede a libero per New York?
Era improbabile, ma non impossibile.
Mi sedetti sul letto a gambe incrociate, osservando pigramente la mia stanza: il mio letto nell’angolo, l’armadio a muro sopra di esso, e dall’altra parte la mia scrivania da qualche anno piena di polvere.
Sapevo che i libri di testo appoggiati lì sopra non mi sarebbero serviti. Avevo bisogno di distrarmi.
Così con una mano cercai sotto il letto, finché la trovai: un piccolo scanso e una serratura.
Quello era il mio personale baule del tesoro, pieno dei libri messi all’indice che mio padre aveva procurato per me diversi anni fa. La chiave era al solito posto, in un cassetto dimenticato del mio armadio.
Da quanto tempo non l’aprivo? Decisamente dovevo essere davvero nervoso perché mi mettessi a leggere.
Ma quella notte non avevo affatto sonno, così perché non approfittarne?
Presi due libri a caso, senza guardare: “Uno studio in rosso” e “Il segno dei quattro”.
Era incredibile quanto le coincidenze riuscissero a stupirmi.
Le avventure di Sherlock Holmes, senza dubbio le mie preferite, erano perfettamente indicate al momento.
Da piccolo avevo sognato parecchie volte di ritrovarmi nei panni dell’investigatore inglese più celebre, anche se sapevo che non sarebbe mai stato possibile.

“… il suo sguardo era acuto e penetrante; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia”

Tutto mi era estremamente familiare.
Sapevo che era questo che avrei voluto fare, se mi fosse stato possibile. Ma gli agenti della Crusade non erano investigatori, loro vedevano e applicavano la legge senza sconti, senza farsi domande.
Io me ne facevo fin troppe, e andando avanti con il racconto, immerso in un clima piacevolmente intriso di suspense e mistero, ne affiorarono in me delle altre.
Cosa avrebbero fatto gli agenti della Crusade quando avessero scoperto che delle persone avevano visto il corpo? Ci avrebbero cancellato la memoria? Ci avrebbero deportato in qualche altro Stato, nei campi di lavoro per il bene della comunità? O tutti avrebbero continuato a fare finta di nulla? E se non fosse stato un errore di un poliziotto, cos’altro avrebbe potuto essere?
Ma di certo non avrei potuto, né dovuto indagare su fatti così oscuri, così al di fuori della portata di noi comuni cittadini.
Avrei finito solo con il cacciarmi in qualche pasticcio, nel quale avrei coinvolto anche la mia famiglia, e questo era l’ultima cosa che volevo.

“… eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità”

Ma quale verità c’era dietro a tutto questo? Se ci pensavo, potevo ancora vedere l’uomo riverso sul pavimento. Sembrava avere più o meno la nostra età: aveva capelli neri corti, quasi rasati, il viso rotondo e un po’ paffuto e gli occhi scuri. Un buco in fronte, esattamente al centro.
Che fosse stato solo un caso?
Con queste domande in testa mi addormentai, sognando di essere inseguito da un killer.

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Capitolo 2
*** Due ***




Due


Un trillo e la radio si accese.
“Buongiorno amici ascoltatori! Sveglia!! Sono le 7 e mezza del mattino, e anche oggi non avete nulla di cui preoccuparvi! Ma ascoltiamo le prime notizie della giornata: sei in linea, Dorothy?”
“Certo Gary, buongiorno! Una notizia sorprendente: nuovo Guinness dei Primati a Kirkburg, dove un gruppo di panifici ha sfornato il nuovo sfilatino più grande del mondo! L’eroe della giornata è il signor Mandelson, che…”
Chiusi la radio con un colpo, come al solito. Dunque non c’era nulla di nuovo.
Con uno scatto mi rigirai nel letto: mi accorsi che mi ero addormentato con i vestiti del giorno prima, e Sherlock Holmes era ancora lì tra le coperte, pericolosamente in vista.
Anche se di malavoglia mi alzai e in fretta rimisi tutto a posto. Se qualcuno fosse entrato e avesse visto, a meno che non fosse mio padre, non mi avrebbe certo fatto i complimenti.
Rimisi la chiave al solito posto, appena in tempo perché qualcuno bussasse alla porta.
“Jamie, ma quante volte devo chiamarti? Scendi immediatamente. Sei sempre in ritardo, cosa dovrò mai fare perché tu sia puntuale?”
“Grazie mamma, anche io ti voglio bene. Faccio in fretta”
Ma anche correndo come un fulmine, ci misi più di dieci minuti per cambiarmi e rendermi presentabile.
Quasi inciampai andando in cucina, dove gli occhi verdi di mia madre mi stavano aspettando, pieni di rimprovero. Ma non ci badai, causa l’assenza di Raymond.
“Dov’è mio fratello?”
“E’ uscito per lavoro. Si è svegliato presto, povero caro, ha avuto una chiamata urgente ma ha promesso di essere a casa per il coprifuoco. Tu invece oggi hai poltrito più del solito” mi fece notare.
“Mi sono addormentato tardi. Avevo un po’ di mal di testa… ma com’è andata la serata ieri?”
“Bene grazie. Ci siamo divertite un sacco”
“Mh, bene direi. Prendo qualche biscotto ed esco” dissi, cominciando a rovistare nel sacchetto dei biscotti alla vaniglia.
“Esci dal retro però. Tuo padre è già di sotto che traffica con i suoi modellini e ha detto che ti deve chiedere un favore. Non capirò mai perché tu lo assecondi nelle sue stramberie” disse lei, i suoi capelli dorati che ondeggiavano di qua e di là mentre metteva in ordine la tavola assieme a Lola.
“Faccio quello che posso per renderlo felice. Ciao, a stasera!”
Mi diressi subito al garage. Certe mattine era davvero insopportabile, ma non gliel’avrei data vinta.
Pensai alla proposta di mio fratello. Chissà se la mamma avrebbe iniziato ad adorarmi come con Ray se avessi accettato di diventare una recluta della Crusade.
“Ah, Jamie sei tu. Guarda come sta venendo bene! Visto?”
Mio padre, i capelli bianchi disordinati e il viso sporco di olio del motore, mi stava mostrando le modifiche che aveva apportato alla 500. Ora era completamente bianca, verniciata a puntino, le gomme nuove e alcune luci di sua invenzione attaccate vicino ai fanali davanti.
All’interno invece era ancora un ammasso di fili aggrovigliati tra loro.
“Beh dai direi che ti sei dato parecchio da fare. Ora è davvero bella”
“Già” disse, visibilmente soddisfatto.
“Hai bisogno di pezzi nuovi, non è vero?”
“Sì esatto. Ho bisogno che tu vada a prenderli per me. E’ da Joe che devi andare però. Sai dove abita, no?”
“Sì. Nella 143esima, no? Una delle prime case a sinistra. Passerò di sicuro se mi avanza del tempo, ok?”
“Bravo figliolo. Ecco qui i soldi”
“Ma… 770 dollari?? Ti rendi conto che…”
“Sì sì lo so, Jamie, non farmi la predica. Mi servono. Sono dei pezzi particolari… originali, oltretutto! Fili e un piccolo apparecchio per installare lo schermo. E il lettore blu ray, anche”
“D’accordo. Però non ti stupire se un bel giorno mi cancelleranno la memoria ok?”
“Tranquillo, non lo faranno” se la rise mio padre. “Abbiamo una protezione speciale, lo sai. E poi, cosa vuoi che succeda?”
Salutai e uscii in strada, il vento gelido sul viso. Già. Cosa vuoi che succeda, quando c’è appena stato un omicidio?
Mio fratello Raymond era stato richiamato prima del solito però. Era sicuramente legato a quella faccenda.
Ero davvero curioso di sapere cosa ci avrebbe raccontato a casa. La verità o una bugia? O avrebbero raccontato bugie pure a lui?
Passando per la via che portava al market, non notai niente di strano.
O meglio: non vidi nulla. Il che significava che il cadavere era stato rimosso e il sangue asciugato e poi pulito. Incrociando i passanti, nessuno avrebbe mai potuto dire che era stato ucciso un uomo.
Sul viso tutti avevano la solita espressione tranquilla e sicura di sempre. Alcune coppie si davano la mano, camminando felici, altre persone parlavano con il video talk andando a lavoro.
Anche la giornata al market fu delle più tranquille. I ragazzi che come me erano impiegati lì, svolgevano tutti le loro mansioni in silenzio, collaborando quel poco che bastava per riordinare gli scaffali al meglio.
Io passavo la spesa dei clienti, ascoltando le loro conversazioni, sicuro che avrei trovato qualcuno che avesse visto, o sentito qualcosa.
“Hai visto la soap ieri sera? Ah, com’è intrigante Terence! Quello sguardo farebbe sciogliere chiunque, credimi…”
“Uff, per Natale mi hanno assegnato un turno straordinario come giardiniere… ma tornerò in tempo per il cenone e i regali. A mia moglie ho preso un libro da cucina. Non le piace lasciare tutto a Betsy, il nostro cyborg…”
“Oggi alla radio hanno detto che la prossima settimana nel Queens organizzano delle partite di carte. Io ci vorrei andare, e tu?”
Niente da fare.
Per tutta la giornata tesi l’orecchio, ma non sentii niente di inquietante, o quantomeno strano.
Arrivarono presto le sette, e così chiesi al ragazzino spagnolo che lavorava con me di darmi il cambio.
Porché? Hai qualche impegno?”
“Sì, devo andare a ritirare dei farmaci per mio padre”
Era incredibile come quella scusa funzionasse sempre. Non mi piaceva mentire certo, ma lo facevo unicamente per lui.
“Ah ok amigo. Vai pure, resto io qui. Tanto tra un po’ finiamo no?”
Presi le mie cose e me ne andai.
L’oscurità delle sere di dicembre mi avvolse, mentre svoltavo a destra, diretto verso casa Rubens.
Joe non stava così vicino a noi come Bob Flanders, e non potevo presentarmi a casa sua cinque minuti prima del coprifuoco.
Girai a destra e mi diressi verso Flower Park. Dopo aver attraversato i viali di ghiaia mi mancavano solo due isolati, che superai velocemente. Il palazzone giallo ocra dove Joe abitava mi stava aspettando.
Questa volta però non dovetti salire le scale, bensì scendere in uno scantinato simile al nostro garage, solo molto più disordinato e senza vecchie 500 bianche.
“Entra ragazzo, entra”
Joe era davvero un omone, anche se qualcuno avrebbe potuto dire che somigliava a Babbo Natale. Ovviamente se quel qualcuno l’avesse detto davanti a Joe, sarebbe stato molto sfortunato.
“Buonasera, signor Rubens. Come va il lavoro?”
“Bene, ti ringrazio, ma come già saprai le maggiori soddisfazioni le ho dal riparare oggetti. E ancora di più nell’aiutare chi come me li ripara” disse rivolgendomi un sorriso bonario.
“Sì, mio padre è veramente contento di come stanno andando le cose. Spera di riuscire a mettere a posto quella vecchia 500 entro la fine dell’anno”
“Cosa? E’ per questo che gli servono tutti questi trabiccoli?” se la rise. “Herbert è davvero coraggioso”
“Ah, non le aveva detto su che cosa stava lavorando?”
“No. Mi ha detto solo che quando l’avrei visto sarei rimasto senza fiato… e ora capisco perché!”
Mi sentii arrossire. Non potevo sapere che fosse una sorpresa, e avevo svelato il segreto con troppo anticipo.
“Beh ecco tieni i pezzi. Augura buona fortuna a Herbert anche da parte mia! Prima o poi verrò a fargli visita”
“La ringrazio signor Rubens. Arrivederci” dissi prendendo il sacchetto con tutte le strane cose metalliche che servivano a mio padre, e poi pagai.
“E chiamami Joe! Ormai ci conosciamo no?”
“Oh beh, certo. Ciao Joe” dissi.
Che persone strane conosceva mio padre. Ma erano tutte anche molto simpatiche, pensai sorridendo.
Stavo per uscire dalla via, quando un sibilo sordo attirò la mia attenzione.
In quel momento ne fui certo. I guai mi volevano perseguitare.
Nel vicolo che tagliava la via di lato, c’era una donna con una pistola in mano, a fianco a lei un uomo riverso a terra, certamente morto.
Sentii un peso in fondo allo stomaco, mentre il mio cuore iniziava a martellarmi in petto. Sarebbe stato imbarazzante ammetterlo, ma ero paralizzato dalla paura.
Cos’avrebbe fatto? Io non riuscivo a muovermi.
Lei si avvicinò, fino ad essere illuminata dalla luce del lampione poco distante.
Era la ragazza più sorprendente che avessi mai visto.
Aveva capelli rosso fuoco tagliati corti, che le ricadevano con grazia sul viso. Era piccola, minuta, ma le sue mani tenevano saldamente la pistola, ora bassa, ma sempre pronta a scattare verso l’alto.
E mi guardava con gli occhi grigi, spalancati da un’emozione non ben definita.
Cosa fare? Come avrei potuto reagire in modo da salvarmi la pelle e allo stesso tempo catturarla?
Perché lei era un’assassina e doveva pagare.
“Jamie…” sussurrò, come se davanti a sé avesse un fantasma.
Mi si seccò la gola. Come faceva a sapere il mio nome? Sapeva chi ero?
Ma soprattutto, sembrava che si stesse aspettando una risposta.
Provai a parlare, senza successo.
Perché mi stavo fermando lì? Ero coinvolto da un’emozione strana. Ero spaventato e curioso allo stesso tempo.
Come faceva… come faceva a sapere il mio nome? Io di certo non l’avevo mai vista.
Alla fine le parole mi uscirono, rotte e più acute del normale.
“Conosci il mio nome?”
“Sei tu…” disse, abbassando definitivamente la pistola.
Mi conosceva? Sì, era evidente. Peccato che non l’avessi mai vista.
“Jamie, vai via da qui. Vai a casa, ti prego”
Io restai immobile. Cosa voleva dire?
A quel punto mi puntò la pistola in faccia, venendo più vicina.
Guardandomi intorno, non c’era nessuno.
“Corri hai capito? Vai via, altrimenti ti sparo. Giuro che lo faccio” ringhiò.
“Perché lo fai? Perché l’hai ucciso?”
La mia domanda la spiazzò. Era confusa.
“Perché è giusto”
E poi, prima che potessi aggiungere altro, corse via, allontanandosi da me e dalla strada principale.
Correva come se qualcuno la stesse inseguendo, finché non scomparve girando l’angolo.

* * *

Era giusto uccidere? Ma in quale mondo possibile un’azione così disumana poteva essere giusta?
Solo uno: il futuro. Quella ragazza, ne ero certo, veniva da lì.
Non soltanto perché nel nostro tempo la polizia era l’unica forza che poteva disporre di armi, ma anche per il suo stesso aspetto fisico. Le donne della nostra epoca trovavano ripugnante l’idea di tagliarsi i capelli e soprattutto di tingerseli con un colore così vistoso come il rosso fuoco!
Mi avvicinai senza un perché all’uomo disteso a terra nel vicolo.
Il suo viso era contorto in una maschera di paura. Come poterlo biasimare? Nessuno si aspetterebbe mai di venire ucciso, non in un mondo così.
Girandomi per tornarmene a casa però, vidi qualcosa luccicare poco distante. Avvicinandomi, vidi con orrore che era un tesserino della polizia. Quell’uomo doveva essere un agente.
Perché proprio io dovevo essere coinvolto in un affare simile?
Una volta sarebbe anche potuta bastare.
Tornai indietro il più in fretta possibile, cercando di indovinare un’espressione che fosse la più tranquilla possibile.
Speravo di riuscirci, ma in cuor mio sapevo che non ce l’avrei mai fatta.
Pensai al cadavere dell’altro giorno.
Se la polizia non mi aveva ancora scovato significava che ero stato molto, molto fortunato.
Aver visto un cadavere per strada e poi continuare a vivere con la memoria intatta era senza dubbio qualcosa di unico. O forse mi avevano trovato, ma Ray era intervenuto in mio soccorso.
Ma se fosse andata veramente così me ne avrebbe parlato in privato e invece non era ancora successo nulla.
In ogni caso l’episodio appena accaduto andava ben oltre le mie possibilità di sopravvivenza.
Ero arrivato a vedere in faccia l’assassina, ed eccomi qui a camminare verso casa come se niente fosse.
Sinceramente cominciavo a sentirmi un’idiota.
Avrei potuto provare a bloccarla, fermarla in qualche altro modo, o dirlo prontamente a Raymond sperando che non mi cancellassero la memoria e invece mi mandassero in qualche altro Stato.
Però lei aveva con sé una pistola, mentre io ero disarmato. E soprattutto sembrava conoscermi. Come se quasi tenesse a me! Che cosa strana.
Perché altrimenti mi avrebbe detto di andare via, di fuggire da lei?
Sapeva che sarei stato in pericolo?
E poi, domanda ancora più fondamentale, perché non era stata individuata e fermata dagli agenti?
Sicuramente mi stava sfuggendo qualcosa, ma più ci pensavo più non ne venivo fuori.
Attorno a me le luci dei lampioni si stavano affievolendo e la gente affrettava il passo.
Mancava un quarto d’ora al coprifuoco.
I volti delle persone che osservavo erano sereni come al solito. Stavano tornando a casa, pronti per rilassarsi, mangiare e guardare in pace la tv. Probabilmente la giornata era andata secondo la norma: alcuni a scuola, altri a casa a studiare per l’università, altri a lavoro.
Qualcuno magari aveva avuto un incarico interessante da svolgere, qualcun altro si era divertito a parlare con i colleghi... ma nessuno aveva un’aria preoccupata, la mente tormentata da domande come lo era la mia.
La faccenda era oltremodo pericolosa: ci doveva essere sicuramente un motivo dietro questi omicidi, un filo conduttore. E se anche l’altra persona uccisa fosse stata un’agente della Crusade?
Quanti avevano subito il loro stesso destino? Che cosa stava succedendo, in realtà?
E perché, se la polizia era già entrata in azione, questi omicidi non erano ancora stati fermati?
Che qualcuno stesse complottando contro il governo? Forse dietro quell’assassina c’era un’organizzazione più potente, ecco perché non l’avevano individuata.
Ma anche se così fosse stato, come avrebbero potuto procurarsi le tecnologie per eludere la sorveglianza? Scivolai silenziosamente per le vie, tornando in tempo a casa.
Papà era al settimo cielo:
“Ah, vedere questi pezzi fa così bene alla salute! Sai, credo stiano diventando davvero una droga per me… mi sento ringiovanito di almeno dieci anni!”
“Dovresti stare attento invece, sai bene che non sei più quello di una volta” dissi, protettivo.
Non volevo che andasse a farsi male per niente.
“Sciocchezze, Jamie! Riuscirò a finire la 500 in un mese al massimo, e poi potrò tranquillamente dedicarmi a cercare un Picasso originale”
Incredibile quanta energia avesse ancora alla sua età.
Mamma, com’era prevedibile, era preoccupata per Raymond. Lo ero anche io, ma per tutt’altro motivo.
Se erano gli agenti della Crusade ad essere colpiti, questo significava che anche mio fratello poteva essere ucciso.
Mi tornavano in mente le parole di quella ragazza: uccidere per lei era giusto, ma per me non avevano significato. Era solo un’assassina.
Quell’assassina però aveva scelto di risparmiarmi.
Perché dovevo avere una coscienza, accidenti?
Per fortuna, Raymond rientrò quel giorno. Erano circa le undici quando sentii lo scalpiccio familiare di mio fratello in cucina.
Mia madre scese di corsa gettandosi tra le sue braccia, singhiozzando.
“Un’assenza di ben due giorni… nessuna notizia… e la tua partenza così improvvisa! Mi hai fatto stare in pensiero, lo sai?”
“Non preoccuparti mamma, sono fatto d’acciaio” se la rise Ray, abbracciandola.
Ma scendendo dalla mia stanza, avevo notato il colorito pallido di mio fratello, l’espressione tesa.
Ardevo dalla voglia di sapere le ultime novità.
E mi pareva incredibile l’ipotesi per cui io potevo anche essere più informato di lui.
“Cos’è successo?” chiese lei.
Il nostro vecchio non era ancora sceso. Probabilmente non aveva sentito nulla ed era ancora nel mondo dei sogni. Herbert era fatto così.
“C’è stato una specie di problema con gli agenti… hanno commesso un errore nel futuro, hanno preso la persona sbagliata e abbiamo dovuto controllare che fosse tutto apposto. Ci sono voluti due giorni per rintracciare il fuggitivo”
Ma la sua voce era incerta. Forse solo io l’avevo notato, ma sapevo che c’era qualcosa che non andava. Quella ragazza stava creando un sacco di problemi.
O forse, pensai raggelandomi, lei era solo una dei tanti.
Poi lui mi notò in piedi sulla scala, e mi sorrise.
“Ehi Jamie… anche tu alzato fino a tardi stanotte?”
“Non riuscivo a dormire e così ti ho sentito arrivare. Ci hai fatto prendere un bello spavento eh?”
“Già. Ma ora è tutto risolto”
“Con te in giro ci credo. Hai due spalle che metterebbero paura a chiunque” dissi, cercando di sollevare un po’ l’atmosfera.
Ray e la mamma risero, poi lei gli diede un pizzicotto sulla guancia.
“Me ne torno a letto. E voi due non state alzati ancora a lungo, va bene? Dovete entrambi riposare”
A me diede una piccola pacca sulla spalla e poi se ne tornò in camera.
“Caffè, fratellino?”
Era evidente che mi voleva parlare.
“Ma certo” dissi, scendendo e andando in cucina, dove lui stava preparando la caffettiera.
Mi sentivo in colpa. Raymond si stava fidando di me, mentre io non avevo avuto il coraggio di parlargli di ciò che era successo. E se lui fosse stato vittima di un agguato? Come avrei potuto perdonarmi il fatto di aver contribuito a lasciare in libertà un’assassina?
Stavo indugiando in un errore che non avrei mai dovuto commettere.
“Forse non sei l’unico che perderà il lavoro, Jamie”
La notizia mi colse impreparato.
“Come sarebbe a dire? Non eri stato promosso?”
“Sì ma… questi ultimi problemi… l’ho soltanto rassicurata, hai visto anche tu. Sai bene che non sono portato per mentire”
“Ho visto sì, e mi stavo appunto chiedendo cosa potesse essere successo. Ma da qui a perdere il lavoro?”
Ci prendemmo una pausa per bere. Il caffè fumava piacevolmente nelle nostre tazze, e il suo sapore dolce amaro ci aiutò a proseguire la conversazione.
Ray si fece più vicino, la sua voce un sibilo.
“Forse… forse c’è più di un assassino in libertà. Qui, nel nostro tempo. Stanno cercando di colpire la Crusade. E non sappiamo come questo sia potuto accadere”
Mi guardò, grave.
I miei sospetti erano stati confermati. Mi sentii pietrificare e Ray mi prese la mano, comprensivo.
Non immaginava nemmeno quali fossero i miei pensieri.
“Lo so, lo so che sembra impossibile, ma bisogna mantenere il più assoluto riserbo su questa faccenda. Posso contare su di te?”
“Certo che puoi contare su di me, fratello. Solo, la cosa mi spaventa. Potrebbero colpire anche te…”
Lui annuì. Era evidente però che questo non lo preoccupava.
“Io ho avuto l’onore di essere stato scelto come uno dei membri per quest’operazione speciale. Se falliamo però… verremo costretti a lasciare il Paese. Non ci sarà posto negli Stati Uniti per chi dovesse tradire la patria con un fallimento”
“Io ho fiducia in te. So che ce la farai. Se c’è qualcuno che può, quello sei tu”
“Grazie fratello. Ma in questi giorni abbiamo setacciato la città e i dintorni nel futuro, ma non siamo riusciti a trovare nemmeno uno straccio di indizio che ci possa portare a scoprire qualcosa di più. La gente lì si comporta come al solito… ogni caso di omicidio è stato vagliato fino all’esasperazione, ma sono sempre gli stessi. Un marito che uccide la moglie e il suo amante… un sicario che fa fuori un concorrente della banda rivale… un incidente stradale. Niente di sospetto, accidenti. Nemmeno un po’”
“Cavoli. Io però direi che non hai considerato bene il caso”
“Come?”
Raymond pareva piuttosto perplesso.
“Se gli omicidi sono avvenuti nel nostro tempo e colpiscono gli agenti della Crusade che si trovano qui… beh, allora sai già chi tenere d’occhio” dissi.
Almeno quest’aiuto glielo dovevo. Era vero che la strana ragazza dai capelli di fuoco mi aveva risparmiato, ma Raymond era mio fratello, e sentivo di doverlo aiutare.
Lui sorrise.
“Jamie… sai che se fossi in una delle nostre squadre ti avrebbero tenuto seriamente in considerazione per una promozione? A te può sembrare facile, ma c’è chi fa il crono - poliziotto perché non ha altre possibilità. Ripeto: se perdi il lavoro, considera l’opportunità di venire da noi. Potrai partire da soldato semplice dato il grado che hai, ma ci scommetto che con un cervello così farai carriera!”
Era visibilmente sollevato, e anche io.
“Grazie Jamie… domattina andrò al quartier generale e organizzerò subito una spedizione in borghese”
“Di niente Ray. Diciamo che è il mio modesto contributo per la sicurezza”
Ero contento di essere stato utile a mio fratello. Almeno a lui potevo risparmiare certe preoccupazioni. Ma, complice il caffè, non riuscii ad addormentarmi.
Il letto mi sembrava troppo scomodo, caldo e soffocante, e poi io ero decisamente troppo poco assonnato.
Sperando di riuscire almeno a dormire qualche ora, ritirai cautamente fuori i libri sulle avventure di Sherlock Holmes, che però richiusi poco dopo.
Non avevo voglia di leggere, né di dormire, né di fare altro. Mi sentivo in trappola.
Rimasi seduto sul mio letto per non so quanto a osservare il soffitto, prima di aprire gli occhi e guardare fuori dalla finestra. Era mattina.
Mi ero sicuramente addormentato senza saperlo, eppure non mi sentivo stanco, proprio come la sera prima.
E, caso strano, ero in anticipo. A mamma sarebbero venuti i capelli bianchi per la sorpresa!
Così mi lavai, mi vestii con un maglioncino beige e i miei soliti jeans, e mi diressi tranquillo di sotto.
“Buongiorno signorino Jamie! Siamo in anticipo questa mattina?” mi salutò Lola, intenta a pulire un ripiano con sopra vecchie foto di famiglia.
“Direi di sì. Dev’essere l’atmosfera natalizia”
La sua strana risata metallica rimbombò per il salotto.
E poi li trovai tutti a fare colazione.
Mamma mi stava guardando incredula, mentre mio padre diede in un “Oh!” di stupore.
“Finalmente in anticipo! Aspettavo questo momento da tanto tempo” disse mia madre, porgendomi subito un piatto con uova, pane e burro.
“Dev’essere per via della ragazza” disse mio papà, un tono di voce a metà tra il malizioso e l’accusatorio.
Alzai la testa di scatto, spaventato. Era finita. Erano venuti a sapere di quell’assassina. Sapevano che l’avevo incontrata in quel vicolo, che non avevo fatto niente per catturarla. Ero finito.
Raymond mi guardava, una strana luce negli occhi.
Oh, santo Dio, perché tutto questo era dovuto capitare a me?
“Avanti, confessa Jamie. Ecco perché ieri sera non riuscivi a dormire” disse Ray, ora divertito.
Si stava prendendo gioco di me? Quando c’era in pericolo la mia vita? In quel momento lo odiai, poi risposi con l’unica cosa che avrei mai potuto dire per cercare di salvarmi la pelle.
“Non è come pensate voi”
Mia madre si mise a ridere. Perfino lei? Ero sicuro che prima o poi sarei scoppiato.
“Sempre così voi uomini quando dovete nascondere i vostri sentimenti! Avanti Jamie, perché non ci hai parlato di lei?”
Mio padre tirò fuori una lettera da dietro la schiena. Era già aperta.
“Scusa ma non abbiamo resistito! Ci siamo chiesti: da quando in qua il nostro piccolo Jamie riceve lettere da una ragazza? Ora devi raccontarci tutto”
Ero senza parole. Ero sicuro di essere spacciato, che diamine! Ma c’era qualcosa che non tornava.
Una lettera? Per me? E da parte di una ragazza? Non poteva essere.
“Visto? L’abbiamo colto con le mani nel sacco” fece mio fratello.
“Come vi siete permessi di leggere la mia posta?”
“Ma su Jamie, non è niente di speciale. Ti ha scritto il suo indirizzo. Questo varrà pur qualcosa no? Un appuntamento o forse…”
Ma Ray non fece in tempo a finire la frase, perché mia mamma l’aveva appena fulminato con lo sguardo.
“Dai qua papà”
Lui mi porse la lettera, ancora divertito.
Guardai il mittente.
Lei era una certa Verity Rosebud. Non c’era scritto altro.
Ero sicuro di non aver mai conosciuto nessuno che si chiamasse Verity. Al massimo Veronica, ma nessuna Verity.
Che fosse lei? Come diamine faceva a sapere il mio indirizzo?
Eppure quella lettera era proprio intestata a me, Jamie Naite.
Notai che il timbro postale era 0111, cioè quello del quartiere vicino a Flower Park.
Proprio quello in cui avevo incontrato la ragazza. Dunque si chiamava Verity? Che nome strano.
Guardai il foglio che c’era all’interno.
Al centro, in una calligrafia ordinata e tondeggiante, c’era scritto un indirizzo:

16, Hesterville Road, 0187

Che significava?
“Allora? Chi è questa Verity?” chiese mia mamma, elettrizzata dalla novità.
“A noi puoi dirlo Jamie!”
“Su fratellino, ti puoi fidare!”
Li guardai uno ad uno, le loro espressioni raggianti di giubilo, ansiose di sentire una risposta.
Sinceramente mi veniva da ridere. Chi ero io per non soddisfarli?
“E’ una ragazza che ho conosciuto un po’ di tempo fa al supermarket. Ci siamo fermati a fare una conversazione, lei mi ha invitato al bar e poi ci siamo tenuti in contatto”
Era la balla più colossale che mi potessi inventare, ma tanto valeva se li faceva stare buoni.
“E tu ci nascondi questa notizia?” disse Ray.
“Beh, aspettavo il momento giusto!”
Guardai l’orologio. Caspita, ora sì che ero in ritardo!
“Però non posso rispondere alle altre domande, devo andare a lavoro ora!”
Scappai, salutando in fretta la mia famiglia. “Traditore! Questa sera aspettati un interrogatorio di terzo grado! Voglio sapere tutto su quella ragazza! Verity… che nome incantevole!” berciò mio padre, mentre io uscivo.
Aveva ragione. Era un nome strano, ma suonava proprio bene. Era insolito il fatto che non avesse scritto assieme alla data un giorno preciso.
Se voleva che ci incontrassimo, perché aveva scritto solo l’indirizzo?
A lavoro erano tutti indaffaratissimi a fare l’inventario del magazzino.
Il ragazzino spagnolo però aveva preteso cinque dollari per avermi sostituito il giorno prima. Che razza di sanguisuga!
Ma quel giorno le sorprese non erano finite. Durante la pausa pranzo il titolare mi chiamò nel suo ufficio, ed era un evento unico!
Non ci ero mai entrato: la stanza sapeva di muffa e i pochi mobili di plastica erano disposti in disordine, mentre pile e pile di carte ornavano la scrivania.
“Mi ha fatto chiamare signore?”
“Ah sì. Ho una lettera per te”
“Un’altra?”
“Come scusa?”
“Oh no signore, scusi, è la seconda che ricevo oggi, per quello”
“Si tratta di una proposta di lavoro in un nuovo locale che aprirà l’ultimo dell’anno. E’ un sollievo, perché da quel che ho sentito assumeranno quasi sicuramente alcuni di voi. Forse quel ragazzino spagnolo no, però ho convinto il padrone a prendere in considerazione almeno chi lavora qui da tanto, come te”
“Sono sollevato signore”
“Anche io, anche io figliolo. Dopo tanti anni potrò finalmente andare in pensione”
“Congratulazioni. Si goda il riposo”
“Grazie ragazzo. Mi raccomando, che non ti ho salvato il posto di lavoro per niente, eh?”
“Si, certo signore”
Uscito dall’ufficio, lessi attentamente la lettera. Dovevo un favore a quel vecchio. Almeno avrei conservato il posto di lavoro!
Era una presentazione lunga e noiosa.
Dopo aver descritto tutto il progetto del locale e le diverse attività proposte dallo stesso, il titolare diceva di aver esaminato il mio caso, e per quello mi offriva un posto di lavoro come cameriere.
Non sarebbe stato poi così male. Era pur sempre una nuova esperienza.
Mi invitava dunque a presentarmi nel locale per un colloquio di lavoro.
Lessi l’indirizzo e maledissi le coincidenze.
Il bar/supermarket si trovava al 14 di Hesterville Road, nel quartiere contrassegnato dal numero 0187.
Qualunque cosa sapessero, gli abitanti del futuro dovevano avere un pessimo senso dell’umorismo.



Ecco qui il secondo capitolo... volevo ringraziare in particolar modo sophia90 che ha aggiunto la storia ai preferiti, e Naotokun92 per averla inserita tra le seguite. :)
Spero che anche questo vi piaccia!

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Capitolo 3
*** Tre ***




Tre




Come previsto, non feci nemmeno in tempo a mettere piede in garage che subito mio padre mi venne incontro, pronto per iniziare l’interrogatorio.
Aveva perfino smesso di lavorare alla macchina per venire di sopra a sentire cosa dicevo!
Per fortuna però avevo avuto tutta la giornata per preparare il mio alibi.
Verity ora era una ragazza socievole, cortese ma dal carattere forte, che si adattava facilmente ad ogni situazione. Le piaceva fare giardinaggio e prendersi cura degli animali.
Aveva capelli lisci castani lunghi fino alle spalle e gli occhi grigi.
Probabilmente solo un paio di cose erano vere.
Infatti mi ricordavo bene i suoi occhi, e avevo immaginato per certo che fosse una ragazza forte se non aveva paura di uccidere. I capelli rossi meglio lasciarli perdere.
Le reazioni furono le più diverse: mio padre già l’adorava e ci avrei scommesso che, se fosse stato possibile, ci avrebbe fatti sposare il giorno dopo; mia madre non approvava molto il fatto degli animali, ma in fondo era solo una copertura. Mio fratello invece era curioso di conoscerla, e solo quella sera mi aveva chiesto già due volte di portarla a casa.
“State tranquilli, prima o poi la conoscerete. Siamo ancora alle fasi iniziali, quindi non vorrei che vi entusiasmaste subito per una relazione che non so nemmeno come andrà a finire”
“Se è la ragazza giusta lo capirai, Jamie” mi disse Raymond.
“Sai, ora che ci penso in questi giorni eri più distratto del solito… dovevo immaginarlo che c’era qualcosa sotto” borbottò mio padre, ancora tutto preso dalle sue fantasie.
“Comunque ho un’altra novità da annunciarvi: cambierò lavoro”
“Sul serio?” disse incredula mia madre.
“Sì. L’altro giorno il nostro capo ci ha annunciato la chiusura del market… ma proprio oggi mi ha dato delle carte che dovrò presentare per un colloquio in un nuovo negozio. Mi ha detto che ha già accennato di me e alcuni altri dipendenti al titolare di questo bar… e la cosa non può farmi che piacere, ovvio”
“Ah, non lo sapevo che aprisse un nuovo locale. Sono così contenta che non andrai più in quel buco… lavorare in un bar è certo un impiego più dignitoso”
“Quando apre? Magari potremo fare un salto” chiese Ray.
“L’ultimo dell’anno. Giornata un po’ strana, ma comunque si prevede ci sarà molta clientela”
“E sicuramente ci sarà. Mi raccomando, fatti onore Jamie! E porta a casa un bel gruzzoletto”
“Sì, giusto, quant’è la paga? Spero non sarà come quella del supermarket” aggiunse mia madre, che a quanto pareva era ansiosa di conoscere tutti i dettagli.
Purtroppo dovetti deluderla.
“Non so ancora quanto sarà. Nelle carte che il capo mi ha dato, c’è scritto che il contratto verrà firmato individualmente dopo il colloquio, se questo sarà soddisfacente. Quindi per orari, paga e permessi credo sarà tutto ancora da decidere”
“Ora prendi soltanto duemila dollari al mese… quasi peggio di un operaio. Almeno questa volta cerca di non farti mettere i piedi in testa e conquista un buono stipendio!”
“Ci proverò” dissi, e con questo chiusi la discussione. Ero davvero troppo stanco per continuare, e così me ne andai a letto cercando di dormire sonni tranquilli.
Le ultime notti infatti non erano state troppo rilassanti: continuare a pensare ai cadaveri e a quell’assassina non mi avrebbe fatto per niente bene, e così relegai a forza i brutti pensieri in un angolo della mia mente, cercando di concentrarmi sulle mie nuove opportunità di lavoro.
Nei giorni che seguirono l’arrivo della lettera, non ci fu più nessuna novità rilevante e la vita tornò a scorrere lenta e banale come sempre.
L’unica differenza era il clima più sereno che si respirava in famiglia: sarà stato forse per via del mio nuovo lavoro o per via della mia finta ragazza, ma tutti badarono a trattarmi bene e a farmi sentire il loro appoggio ogni qual volta parlavo delle mie piccole avventure quotidiane con clienti che spesso sbagliavano a comprare i prodotti, o con scatole di cereali ritirati dal mercato.
E poi stavo cercando di farmi arrivare dei libri di cucina.
Anche se sapevo bene di non poter superare il mio grado, almeno avrei potuto presentare qualche garanzia in più al titolare del bar.
Tralasciando le difficoltà iniziali, potevo dire di star imparando piuttosto in fretta e, con dispiacere di Lola che voleva sempre essere utile, una sera avevo provato a preparare la cena per tutti, stupendo perfino mamma.
Raymond però sembrava ancora indeciso se essere contento per il colloquio che avrei dovuto affrontare oppure no.
Più che altro sperava che all’ultimo momento cambiassi idea e che gli confidassi le mie intenzioni di presentarmi alla Crusade come recluta.
Io in tutta onestà ci stavo facendo un pensiero, ma era più per il fatto della paga che avrei potuto ottenere che non perché mi attirasse davvero quel genere di lavoro.
Comunque avevo ancora abbastanza tempo per pensarci: le giornate di apertura sarebbero iniziate dopo Natale e chiunque poteva partecipare. Volendo avrei potuto fare un salto all’ultimo minuto, anche solo per fare una sorpresa a mio fratello.
A volte prima di addormentarmi la sera, tornavo a pensare a quella ragazza e a quel misterioso indirizzo: ero sicuro che l’occasione per saperne di più si sarebbe presentata non appena fossi andato al colloquio nel nuovo bar.
Nonostante la curiosità si risvegliasse ogni tanto prepotente, cercavo di buttarmi a capofitto su qualsiasi attività che potesse occupare il mio tempo libero, impedendomi di pensare troppo.
Ma ero veramente sicuro di voler cancellare tutto dalla mia testa?
Impossibile resistere completamente, e d’altro canto… mi sentivo abbastanza sicuro di poter rischiare.
Chi avrebbe badato a me?
No… non avrei dovuto dire questo. Dovevo stare attento, se mi avessero preso…
Ma sì, al diavolo tutto!
Avrei affrontato il colloquio, e poi sarei solo andato a dare un’occhiatina a quell’indirizzo, niente di più.
Così come avevo programmato, il venti dicembre mi alzai presto, non senza entusiasmo, e aprii l’armadio alla ricerca dei vestiti adatti.
Non avrei avuto problemi al market, perché avevo avvertito il direttore che mi sarei preso un giorno libero.
Quindi avevo tutto il tempo per occuparmi di quella faccenda, e inoltre dovevo di nuovo passare a prendere dei pezzi per papà.
Per fortuna era qualcosa di molto più modesto dei costosi marchingegni che aveva prenotato la scorsa volta: si trattava soltanto di una cassetta di birra e una di gazzosa.
E per dirla come lui, “non quella roba sintetica che ci rifila lo Stato! Vera birra! Con la B maiuscola! E vera gazzosa! Con la G maiuscola!”.
Le sue esclamazioni riuscivano sempre a farmi sorridere, anche solo ricordandole.
Scelsi una camicia bianca, abbinata ai miei soliti jeans e a una giacca verde militare, che mi dava perlomeno un’aria distinta, anche se non troppo formale.
Dopo aver preso tutti i documenti e aver trangugiato una tazza di caffelatte, uscii.
Mi dovetti però stringere subito nel cappotto scuro: un vento gelido infatti spazzava l’aria mattutina e sembrava volersi infilare dappertutto.
Il quartiere 0187 non era altrettanto vicino come quello del supermarket, dunque dovetti andare alla più vicina fermata del tram e aspettare.
Già. Non esistevano mezzi privati, o almeno non per noi comuni cittadini.
Basta con le sporche, costose e inquinanti automobili. Il tram e il servizio pubblico aereo potevano soddisfare tutte le nostre esigenze di trasporto.
“Hai un viso familiare” disse all’improvviso una voce accanto a me.
Voltando la testa, scoprii una signora anziana dal viso paffuto e gentile che mi guardava con l’aria interessata.
“Come, scusi?”
“Dicevo che hai un’aria familiare. Non sei per caso il fratello di Dharma?”
“No signora… mi dispiace, ma dev’essersi confusa. Non conosco ragazze con questo nome, e ho soltanto un fratello”
“Oh… mi spiace. No, è impossibile! Sei sicuro di non essere il fratello di Dharma, vero?”
“Sì, al cento per cento”
“Che peccato. E tu come ti chiami?”
“Jamie”
“Ma che coincidenza! Proprio come mio nipote! E cosa fai di bello nella vita?”
Dopo questa domanda mi rassegnai definitivamente a subire l’interrogatorio.
Era chiaro che aveva utilizzato un pretesto per poter chiacchierare e, nella mia perfetta previsione, nemmeno l’arrivo del tram mi salvò.
Aveva preso a parlare del più e del meno: del tempo sempre più pazzo che imperversava a dicembre, di come lei – fatalità – avesse sempre adorato il lavoro di noi cassieri e della sua giornata.
Ora sapevo che stava andando a comprare un paio di scarpe per il compleanno di sua figlia.
“Bene, signora… ah, mi dispiace, ma questa è la mia fermata”
“E’ un peccato, davvero. In bocca al lupo per il colloquio!” disse, agitando verso di me un candido fazzolettino.
“Ehm… crepi. Grazie di tutto, signora, arrivederci”
Finalmente, scesi. Ma dove avevano imparato le donne anziane a flirtare così con i poveri passanti?
La mia attenzione però fu immediatamente catalizzata da un cartello poco più avanti, che indicava una laterale.

Hesterville Road, n° 10 – 21

Dunque era lì che dovevo entrare?
Mi avvicinai a grandi passi, per scoprire che la via non era altro che un agglomerato di nuove case residenziali.
In fondo, di fronte a quello che sembrava un ampio cortile dotato anche di fontana, un insegna ancora spenta recitava “Henry’s Bar”.
Avvicinandomi, vidi che sulla vetrina era affisso un cartello:

Cercasi personale. Siamo aperti dalle 9 alle 12. Per un colloquio, si prega di suonare il campanello qui a lato.

Feci per avvicinarmi e premere il pulsante, quando scoprii che la porta era soltanto socchiusa.
Esitai un attimo, poi entrai.
Il locale sembrava, a dispetto della bella insegna esterna, completamente abbandonato.
Le piastrelle erano quasi tutte rotte, alcune sbeccate, altre crepate; il bancone in fondo alla sala era polveroso e coperto parzialmente da un telo bianco, mentre due travi di legno appoggiate al muro completavano il quadro di desolazione.
Ma che razza di bar era?
Se non fosse stato per una piccola porta a lato del banco, su cui era appeso il cartello Selezione personale, avrei sicuramente giurato di aver sbagliato posto.
Mi feci coraggio e bussai. Niente. Possibile che non ci fosse anima viva il quell’edificio?
Feci scattare la maniglia: nella stanza la luce era accesa, ma ancora nessuna traccia di vita.
Tutto era in ordine: i fogli sulla scrivania, la poltrona in pelle, gli oggetti di cancelleria.
Sulle pareti, un calendario di bambini giocosi e foto naturalistiche.
“E lei che ci fa qui?”
Girandomi di scatto, colto in flagrante, vidi un’avvenente signora bionda squadrarmi sorpresa.
Dunque era lei la titolare?
“Oh, mi scusi, non vedevo nessuno e allora ho pensato di dare un’occhiata. Mi scusi”
Lei rispose con un sorriso, ravvivandosi i capelli.
“Non fa nulla. Bene allora” disse attraversando a grandi passi la stanza. “Immagino che sia qui per il colloquio”
Sedendosi prese un foglio da un cassetto interno, esaminandolo attentamente. Doveva essere il mio curriculum. “Dunque lei è Jamie Naite, se non sbaglio”
“Sì, sono io”
“Ha soltanto un grado E”
“Sì… è vero. Però ultimamente sto seguendo dei corsi per farmi aggiungere qualche stella”
“Sa che non può aggiungerne più di due, vero? E in ogni caso non può passare al livello successivo. Però mi fa piacere sapere che sta cercando di migliorarsi”
Sorrisi, teso.
Caspita, stava già andando abbastanza male… non sembrava troppo predisposta ad assumere personale con un grado basso, e i suoi occhi avevano spesso un’espressione severa.
“Leggo qui però, che lei è sempre molto puntuale e preciso, e svolge le sue mansioni con grande attenzione. Mi dica allora, come se la cava con gli straordinari?”
“Beh… non ho mai fatto straordinari… sa, il coprifuoco…”
“Non si preoccupi per questo. Possiamo procurarci dei permessi, in caso fosse fermato da alcuni agenti. Quello che volevo sapere è se lei è disposto a fare delle ore in più la mattina per sistemare il locale”
“Oh… certamente. Non ci sarebbe nessun problema, tutt’altro”
“D’accordo. Beh, in questo caso non credo ci sia altro da dire. Qui ho il suo numero di Video talk, in caso la contatterò e le farò sapere” disse, alzandosi.
Alzandomi anche io, le strinsi la mano mormorando un “Grazie, arrivederci”.
No, non dovevo starle assolutamente simpatico, a giudicare dal modo in cui mi aveva stritolato le dita.
Merda! Era andato tutto storto.
Già non ero riuscito a sembrare convinto di quello che dicevo, poi il tono freddo con cui mi aveva parlato aveva abbassato ulteriormente le mie aspettative. E dire che ci speravo tanto…
Maledetta ansia!
Mentre mi incamminavo per tornare alla fermata del tram, ricordai.
C’era qualcos’altro che dovevo fare prima di andare a prendere le gazzose, qualcosa di molto più importante.
Subito feci retromarcia e camminai spedito verso l’insegna del bar.
Se l’indirizzo che mi aveva lasciato la ragazza era giusto, non doveva essere lontano.
Controllai l’orologio. Erano appena le dieci del mattino.
Il numero 16 di Hesterville Road era giusto poco più in là dell’insegna spenta, ma diceva ancora meno.
Anzi, pareva una casa costruita male.
C’era una piccola porta di ferro con la chiave inserita, e un’unica finestra chiusa.
Quasi trattenendo il respiro, girai la chiave ed entrai.
Rimasi basito. Niente. Non c’era assolutamente nulla degno di nota.
Quello doveva essere un semplice capanno per i contatori elettrici delle palazzine qui attorno.
Attaccati al muro stavano infatti due grossi pannelli con centinaia di interruttori, e sul pavimento due scatole di cartone che, come scoprii presto, erano vuote. Chiusi la porta, restando nella penombra.
Forse quello che dovevo trovare era nascosto. Ma lì, anche cercando, non c’era proprio nulla se non la polvere.
Che razza di stupido scherzo era quello? Mi sentivo ribollire di rabbia.
Tutti quei giorni a pensare, a rodermi dalla curiosità per trovare uno sgabuzzino.
Uno sgabuzzino e basta.
“Jamie, sei un idiota…” mormorai. Sì, ero stato proprio un idiota!
Fregato da quella che non era altro che un’assassina. Ma che senso aveva farmi arrivare fin qui, allora?
Oh, certo. Si sarebbe fatta quattro risate a prendere in giro un povero scemo che cascava subito nel più ingenuo degli scherzi.
Erano cose che ci si inventava da bambini. Il tuo compagno di banco ti diceva di andare in un posto perché aveva scoperto un oggetto meraviglioso, tu ci andavi e non trovavi nulla, se non i tuoi amici che ridevano per lo scherzo.
Ero deluso e arrabbiato. Avrei dovuto capire. Avrei dovuto accorgermene.
Giusto per fare qualcosa, sollevai l’interruttore più grosso vicino alla porta.
Nemmeno la luce funzionava in quel capanno, accidenti! E poi, senza sapere perché, mi misi a ridere.
“Oh, andiamo Jamie, nemmeno un bambino ci sarebbe cascato, di questi tempi!”
Sospirai, riprendendo un po’ di calma.
Perfetto, allora. Avevo una giornata intera da dimenticare!
Il colloquio era andato malissimo, e in più ero stato talmente sciocco da farmi prendere in giro da un’assassina. Davvero patetico.
Scuotendo la testa, aprii la porta e il frastuono mi invase.
Luci, risate, grida, musica, persone. Per un folle secondo fui invaso dalla paura.
Richiusi la porta con uno scatto, arretrando vicino ai pannelli elettronici. Era tornato il silenzio.
Mio Dio… cos’era tutto quello? Era comparso così all’improvviso!
Fuori non c’era nessuno prima… come aveva fatto tutta quella gente ad arrivare in due minuti?
Da dov’erano spuntate tutte quelle luci nella via? Erano le dieci del mattino, non c’era illuminazione accesa in strada! Per non parlare della musica. Cos’era tutto quel baccano? Sembravano tamburi e parole non meglio identificate.
Poi gli occhi mi caddero sull’interruttore, quello che poco prima avevo sollevato.
Il dubbio mi invase. Che non servisse per l’elettricità? Tutto ciò era semplicemente assurdo.
Però fare una prova non costava nulla.
Lo rimisi su “Off”. Aprendo piano la porta, vidi il timido sole di dicembre e la via drasticamente uguale a come avrebbe dovuto essere. Nessuno in vista.
Chiusi di nuovo la porta e riprovai. Ora la leva era puntata su “On”.
Sempre aprendo piano la porta, ritrovai la strana, anomala situazione.
Gente con bicchieri in mano, stretti nei loro cappotti colorati, che parlavano senza badare a me.
Alcuni se ne andavano, altri venivano. Alcuni sembravano davvero felici, altri invece indifferenti o tristi.
In un angolo c’era una ragazza che piangeva e urlava “Come hai potuto, Bob! Potevi dirmelo che ti piaceva un’altra, non aspettare che lo sapessi da Anne! Sei un bastardo!”
Un gruppo di ragazzi rideva mentre una coppia si baciava.
Dov’era finito il protocollo e il buon gusto? Nessuno avrebbe mai osato baciarsi in pubblico… e nemmeno fare tutto questo baccano.
La sorveglianza avrebbe provveduto a sparpagliare subito questa gente.
Anche la musica poi era abbastanza alta, e sembrava provenire da un locale vicino. Forse il bar?
E poi, avevo visto bene. Adesso era quasi sera e c’erano molti lampioni accesi.
Quello era… il futuro?
Tutto era così strano, nuovo e sorprendente al tempo stesso.
Mi decisi ad uscire.
Era questo che voleva quella ragazza? Che venissi nel suo mondo? O forse era una trappola?
Un rombo mi fece voltare.
Non potevo crederci. Quella era un’automobile? Non se ne vedevano più in giro da secoli, letteralmente parlando. A prima vista mi sembrò quasi una tigre di metallo, rossa fiammante.
L’uomo all’interno era visibilmente soddisfatto, e anche la sua ragazza. Chissà che faccia avrebbe fatto mio padre nel vederli passare! Si sarebbe roso dall’invidia, immaginavo.
“E’ la prima volta che vedi un’auto del genere, non è vero?” disse una voce accanto a me.
Era lei. Aveva i capelli corti, di un rosso vivo, e gli occhi grigi sorridevano insieme alle labbra sottili.
Come poteva un’assassina sorridere in un modo così dolce?
“Tu… sei Verity? Come hai fatto a trovarmi in mezzo a tutta questa gente?” chiesi.
Il tono calmo della mia voce non mi sorprese. In quel momento ero come sospeso in un sogno astratto, dove tutto era ovvio e irreale al tempo stesso.
“Sì sono io, Verity. E’ da giorni che ti sto aspettando. A dire la verità, pensavo che saresti venuto prima. Seguimi”
“Perché? Dove andiamo?”
“Da me. E’ un posto sicuro, dove potremo parlare senza essere visti, né ascoltati”
Spostandoci dalla confusione, potei osservare meglio la scena in cui ero piombato improvvisamente: come avevo ipotizzato, la massa di persone si affollava davanti all’ingresso del “Henry’s Bar”, la cui insegna luminosa mandava bagliori blu, rossi e verdi.
“E dopo che avremo parlato che farai? Hai intenzione di uccidermi?”
Lei per tutta risposta, rise.
“Se sei così convinto che ti farò del male… beh, allora perché sei venuto?”
“Io… non lo so. Forse sono masochista” dissi, e lei rise ancora. “Però, pensandoci, forse sono venuto perché volevo sapere se sei davvero solo un’omicida”
La vidi abbassare la testa e scuotere il capo.
Io ero in attesa di una risposta, ma quando lei si girò dall’altra parte per non guardarmi, capii che forse era meglio lasciar perdere e così mi limitai ad affiancarla. Eravamo adesso sul marciapiede che costeggiava la strada principale.
Tutto era completamente diverso da come me l’ero sempre immaginato.
Nel nostro tempo la propaganda della Crusade aveva costantemente descritto il futuro come un luogo infestato di sudiciume e nel quale le persone, a causa del dilagare di vizi come alcool e fumo, somigliavano più a bestie che a esseri umani, sia nell’aspetto che nel carattere.
Non si poteva certo dire che con carte e cicche lasciate per strada, quella fosse una metropoli pulita, ma in quanto alle persone, stavo iniziando a sviluppare un’opinione diversa.
C’era qualcosa di insolito nel loro comportamento, qualcosa di diverso che tuttavia era… affascinante.
Alcuni fischiettavano, altri borbottavano tra loro, oppure avevano un’aria stanca. C’era chi parlava entusiasta al cellulare, chi imprecava se gli cadeva la borsa, chi aveva lo sguardo fisso davanti a sé o cercava di correre a casa portando via una torre di cartoni di pizza, sperando che non si freddassero.
Non c’era nessuno che camminasse in fila ordinata, tranquillo e con un passo regolare. Tutti erano dappertutto, spingevano o si scansavano, mentre chi si conosceva e per caso si incrociava, si fermavano e si salutavano calorosamente, con grandi abbracci e strette di mano, per poi ripartire per chissà dove qualche secondo più tardi. E questo valeva non solo per i più giovani.
Vidi anche alcune vecchie signore dall’aria malandata lanciare improperi a chi per sbaglio le spintonava passando.
Però molti effettivamente fumavano, e mi dava fastidio. Non potevo reprimerlo, e spesso mi sorpresi a osservare in malo modo chi passava gettandomi quell’aroma di bruciato addosso.
Come faceva mio padre a mettere in bocca quelle orribili sigarette? Lui non aveva mai osato fumare in mia presenza, ma ora che sapevo che odore avevano… era ripugnante anche solo pensare di farlo.
“Dev’essere difficile per te vedere tutto così diverso, non è vero?”
“Come?”
“Ho visto come guardi quelle persone… tu pensi che sia sbagliato”
“Perché? E’ giusto, forse?” ribattei, in modo brusco.
L’istante successivo mi resi conto di essere stato troppo duro nei suoi confronti e feci per parlare, quando lei rispose.
“Non lo so. Può darsi che tu abbia ragione, come no. Tu ti senti in diritto di giudicare quel che fanno? Quello che a loro da sollievo?”
Stavolta fui io a tacere. Per la prima volta nella mia vita, mi sentii completamente fuori posto.
“Scusami. Avevo dimenticato che… che nel posto dove abiti non ti è quasi permesso vivere” sussurrò lei.
Ero perplesso, quasi offeso.
“Che stai dicendo? Non ci è permesso vivere? Non è assolutamente vero”
Lei si fermò, carbonizzandomi con gli occhi. Era evidente che secondo lei, mi stava sfuggendo qualcosa di importante.
“Basta. Non voglio discuterne qui in mezzo alla strada, e tu sai perché. Per favore, non parliamone più finché non arriviamo da me”
Per qualche strano, imprecisato motivo, ero io ora a sentirmi triste.
Avevo dimenticato quanto eravamo distanti, e non solo perché vivevamo in due mondi diversi.
Che cosa mi stava succedendo? Non avrei dovuto trovarmi lì. Riflettendo, era evidente che se non voleva parlare, aveva paura di essere intercettata da qualche agente della Crusade. Che strano. Com’era possibile che sapessero della crono – polizia?
Agivano in incognito e avevano soltanto l’obbligo di monitorare il crimine nel futuro. Era nel mio tempo che cancellavano la memoria ai potenziali criminali e li inviavano ai lavori forzati.
Gliel’avrei chiesto più tardi, insieme ad altre domande che da troppo tempo ronzavano nella mia testa.
Sempre se mi avesse lasciato dettare le condizioni dell’incontro. Non ero esattamente sicuro di poter negoziare con lei, ripensando alla scena dell’omicidio.
Tornai a guardare la città: non avrei saputo dire dove eravamo.
Verity mi stava guidando tra vicoli e boulevard, verso una meta che mi era ancora sconosciuta.
Non ero mai stato fuori fino a un’ora così tarda. Mentre nel mio tempo i volti delle case si spegnevano, di sera quest’altra New York cambiava soltanto colore. Mille luci si accendevano e i locali si affollavano.
Nell’aria, il profumo di patatine fritte mi fece venire l’acquolina in bocca.
Come se mi avesse letto nel pensiero, lei si fermò.
“Che ne dici se ci prendiamo qualcosa? Io inizio ad avere fame, e poi si parla meglio a tavola”
Non mi diede neppure il tempo di rispondere che si fiondò all’interno di una rosticceria, trascinandomi.
Poco dopo uscimmo con due borse cariche di ogni ben di dio. Olive ripiene, crocchette di patate, due vaschette di salsa, pesce fritto e praline di pollo, più qualche altra diavoleria appetitosa.
“Ma… sei sicura che riusciremo a mangiare tutto?” chiesi, timidamente.
Lei tornò a guardarmi sorridendo. “Io mangio per dieci!” annunciò allegra.
Poi, mentre stavo contemplando un vistoso cartellone pubblicitario, mi disse che eravamo arrivati.
Era un semplice palazzo di mattoni rossi, con ai balconi qualche indumento ad asciugare e vasi di gerani.
“Dobbiamo fare un po’ di scale. Abito all’ultimo piano” disse aprendo il portone.
“E l’ascensore?”
“Rotto” disse lei con un sospiro. “Sono stati dei ragazzini con i waveboard, la settimana scorsa. Pensavano di essere divertenti, si sono messi a fare acrobazie e hanno schiacciato i bottoni a ripetizione con tanta forza da mandare in tilt il software”
Mh. Ancora teppisti, dunque. Chissà cos’era questo waveboard… forse un’arma.
“E…?”
“E, cosa?”
“Sono stati presi?”
“La polizia non li arresta per così poco! Sono fuggiti, figurati. E nessun agente ha voglia di mettersi a rintracciarli” aggiunse, vedendo che stavo per obiettare.
“Però hanno rotto l’ascensore. Dovrebbero punirli, almeno!”
“Sì, hai ragione… ma non sempre è facile individuarli, e se è solo per una questione del genere, non vale neanche la pena”
Ci fermammo davanti a una porta di legno, decorata con una bella ghirlanda natalizia.
Quanto tempo era passato da che ne avevo visto una del genere? Molti non appendevano più nulla ai balconi o sulle porte … solo l’amministrazione cittadina provvedeva ad illuminare le strade con qualche festone.
Mi stupì anche la presenza di un albero decorato con luci e palline, proprio nell’ingresso . Suonava una melodia allegra, e un robot dall’aria felice ci raggiunse saettando.
“Bentornata, signorina Verity! Buonasera signorino Jamie! Non dovevate comprare da mangiare, ci avrei pensato volentieri io!”
“Non ti preoccupare Dex, questa è una serata speciale. Hai fatto tutto?”
“Certo, ho messo a posto ogni cosa. Pulito, lavato, stirato. Il gatto ha di nuovo rotto il vaso sul terrazzo, ma l’ho sistemato”
“Ottimo. Puoi spegnerti, allora”
“Grazie, signorina. Buona serata!” disse ammiccando, prima di sparire dietro una porta.
Appoggiando le borse piene di fritto nella piccola cucina, mi rivolsi di nuovo a Verity.
“Signorino Jamie? Cos’è questa storia?”
“L’ho avvertito che saresti arrivato” disse, iniziando a mettere le vaschette in forno.
Era una casa piccola ma confortevole, la sua.
Guardando un po’ in giro vidi che il salotto era formato solo da un piccolo divano rosso bordeaux e una vecchia tv con un’antenna storta appoggiata sopra ad un mobiletto. Sui muri c’erano mensole e mensole piene di libri. Una pianta dai fiori gialli dava un ulteriore tocco di colore all’ambiente.
La cucina invece era ancora più piccola, con un tavolo azzurro pallido e con poco spazio per muoversi, dato che i lati erano occupati dal frigo, il forno, le credenze, il lavello e un ripiano un po’ più largo dove era appoggiata una grande sveglia a forma di leopardo.
“Hey, ci sei?”
“Oh sì, stavo… guardando la casa. Mi piace, è… particolare” dissi, anche se in realtà avrei dovuto dire una cosa come “meravigliosamente anormale”.
Forse stavo di nuovo sognando, ma non potevo darmi pizzicotti di continuo per sapere se era vero. Verity mi guardò, poi scosse la testa e ritornò a preparare la tavola.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, no. Solo che… è così difficile capirti. Sembra che tutto in questo tempo ti spaventi e ti affascini allo stesso tempo”
Sorrisi. “In effetti è proprio così. Ho almeno un milione di domande in testa… e non riesco a capire cosa sto facendo. Se avessi un po’ di sale in zucca me ne andrei subito da qui, credo”
“Sapresti ritrovare la strada?”
“Ecco un altro problema che mi costringe a restare”
“Sarà solo per un pò… e poi nel tuo tempo sarà ancora pomeriggio, per cui non dovrai preoccuparti del coprifuoco. Ora ti va se mangiamo? Dovrebbe essere pronto” disse, controllando il forno.
Era tutto delizioso, anche più buono di come ricordavo. Era proprio da una vita che non mangiavo del fritto, e comunque era una vaschetta preconfezionata. Questo invece aveva tutto un altro sapore: sembrava più pesante da digerire, ma anche più saporito. L’unica cosa che non assaggiai furono le alette piccanti di pollo, perché Verity le aveva letteralmente divorate.
“Come fai allora a sapere così tante cose del nostro tempo?” le chiesi verso la fine della cena.
“Questo non posso dirtelo. E’ una cosa riservata, non sono autorizzata a parlarne con nessuno”
“Allora solo a te è permesso fare domande?”
Sperai che l’ironia funzionasse, ma lei non ci fece caso.
“La mia non è una posizione facile. Il fatto è che… ho commesso un grave errore. Ti ho coinvolto”
“Perché allora non hai lasciato stare anche quei due agenti? Perché me sì e loro no?”
“Ne hai visti due?” disse lei sorpresa.
“Sì… e il guaio è che il primo l’hanno visto anche altre persone. Ma rispondi alla mia domanda”
“Non l’ho ucciso io, il primo che tu hai visto… dev’essere stato un altro, perché quella era la prima volta che affrontavo una missione del genere”
“Non sei solo tu, quindi…”
“Non posso dirti altro, Jamie. Non posso. Comunque, il fatto è che non vogliamo colpire i civili. Non capite? Sia noi che voi siamo soggetti all’autorità di persone che… beh, pretendono di controllare la nostra vita! Questo non è giusto. Chi sono loro per dirti che lavoro devi fare? Come ti devi vestire? Se devi fumare o no?”
Ora mi era perfettamente chiaro il punto di vista di Verity.
“Ma non è forse necessario sacrificare qualcosa per il bene comune?”
Lei si alzò cominciando a gesticolare, presa dalle sue idee.
“E quale sarebbe questo bene? Dove vedi tu il bene in tutto questo? Certo, non dico che non sarebbe bello se tutti pensassero alla propria salute o se nessuno uccidesse. Sarebbe più bello, certo. Ma il mondo non è fatto così… ha bisogno di bianco e di nero, non solo di uno dei due. Se vivi nella luce non sarai più tentato di raggiungerla”
Rimasi senza fiato. Come se dentro di me improvvisamente avessi afferrato qualcosa… e poi mi fosse sfuggita.
“E se ti sbagliassi? La nostra in fondo è una società tranquilla… forse è ciò di cui l’umanità ha bisogno. Non ci manca nulla, viviamo la nostra vita con semplicità” Lei si risedette. Sembrava triste.
“Non lo so, Jamie. Ma se tutti fossimo uguali… cosa ne sarebbe di noi?”
Non risposi, limitandomi a guardala negli occhi. Poi mi ricordai una cosa.
“Un momento… non ti ho chiesto come fai a sapere il mio nome, se io non ti ho mai vista prima d’ora”
Lei vacillò un attimo e distolse lo sguardo. Poi lo disse tutto d’un fiato.
“Io ti conoscevo. Qui in questo tempo. Però poi sei…” “Sono cosa?”
“Ti hanno ucciso”
Ero morto? No, impossibile. Cavolo, sembrava peggio di una soap opera di quelle che guardava mia madre.
“Stai scherzando spero!”
“No. Sono stati loro”
“Loro chi?”
Ero impaziente! Perché dovevo tirarle fuori le parole col contagocce?
“La tua polizia. Tu avevi offeso uno di loro, e per ripicca ti hanno ammazzato”
Fu il mio turno di alzarmi. Ero quasi arrabbiato. Come poteva essere?
“Ti sbagli. I crono poliziotti sono addestrati da anni a resistere a questi impulsi, ad operare per il bene comune e a proteggere tutti noi dai futuri omicidi… è impossibile che…”
“Jamie, l’ho ucciso. Sapevo che erano del tuo tempo, li stavo tenendo d’occhio. E poi mi hanno mandato ad ucciderlo. Di certo era lui”
“No, io ti dico che ti stai sbagliando. Conosco molto bene la crono - polizia”
Lei mi guardò curiosa.
“Mio fratello ha appena ottenuto il grado di tenente”
Impallidì. “Sul serio? Allora perché non mi hai denunciato? O forse lo stai facendo?” mi chiese non senza paura.
Provai una strana sensazione di potere.
Avrei dovuto dirle di sì. Avrei dovuto dirle che erano sulle sue tracce, che non ce l’avrebbe fatta a fuggire, che l’avrebbero presa perché lei era soltanto un’assassina. Avrei dovuto dirle che era stato il mio piano fin dall’inizio.
“No io… nessuno lo sa. Non l’ho detto a nessuno. Non lo so perché l’ho fatto, però è possibile che mi stiano tenendo d’occhio dato che non mi hanno ancora cancellato la memoria”
“Giusto, ecco vedo che siamo arrivati al succo della questione” disse, frugandosi nelle tasche ed estraendone una bottiglietta azzurrina.
“Pensavo che ti avrebbero catturato subito a dir la verità, ma forse il fatto che tuo fratello sia un tenente deve averti scagionato dai sospetti. Ho deciso di fare lo stesso un tentativo e provare a proteggerti. Questo – disse indicando la boccetta – è un potente sedativo di recente sperimentazione… un mio amico chimico me l’ha dato, ma non è in commercio. Oltre ad essere un sedativo, può essere usato come farmaco resettatore, se preso in dosi maggiori. Ti cancellerà la memoria, almeno quella recente. Così potrai riprendere la tua vita normale, e dimenticare di avermi vista. A quanto vedi è la cosa più giusta sia per me che per te”
Guardai la boccetta, curioso. Avrebbe potuto essere la soluzione a tutti i miei problemi. Avrei dimenticato, e sarei stato protetto, al sicuro.
Ma davvero volevo dimenticare?
“Grazie. Non so se lo fai per rispetto verso la persona che hai conosciuto qui, nel tuo tempo, però ti ringrazio ugualmente. Ci eviterà dei guai” dissi, intascandomi la bottiglietta.
“Di niente. Comunque… lui era un mio caro amico e, per quanto possa sembrarti strano, non era poi così diverso da te” disse, e improvvisamente un grande sorriso le illuminò il volto. “Sono contenta di averti dato quella boccetta”
“Grazie. Cavolo… dovrò convivere con l’idea che sono morto, almeno finché non prenderò questa medicina” scherzai, e lei rise.
“Pensavo però che quello che accadeva nel futuro avesse delle ricadute sul mio tempo. Come faccio ad essere ancora vivo?”
“Lo credevo anche io. Non so dare una risposta a questo. Forse resterà un mistero irrisolto” disse.
Ci guardammo ancora una volta negli occhi, alla ricerca di qualcosa che non sapevamo.
“Forse. Adesso però è il caso che…”
“Che tu vada. Sì, è giusto”
Così in un baleno prendemmo i cappotti e uscimmo di nuovo nella notte. La strada al ritorno sembrò molto più lunga, e né io né Verity parlammo più finché non arrivammo all’Henry’s Bar.
La ringraziai per tutto, anche per la cena che aveva insistito ad offrirmi, e le augurai Buon Natale per i prossimi giorni. Mi stupì però la sua risata.
“Pensavo che lo sapessi!”
“Cosa?”
“Evidentemente non sei così informato come pensi. Tra me e te c’è una settimana di differenza. Natale è già passato, siamo il 27 oggi”
Mi sentii uno stupido. Perché Raymond non me ne aveva mai parlato?
Ci salutammo, e così tornai nel paesaggio pulito, tranquillo e familiare della Hesterville Road del mio tempo. Era incredibile passare dal giorno alla notte, o dalla notte al giorno, in modo così brusco.
Come aveva detto Verity era appena il primo pomeriggio.
Feci un salto da Flanders a prendere la gazzosa e la birra, e poi finalmente tornai a casa.
Respirai profondamente il profumo del garage di mio padre, mentre mi ringraziava a non finire. Tutto per una semplice partita di bibite.
Per il resto del giorno non successe nulla di particolare: mamma e Raymond vollero sapere ogni cosa del colloquio, e risposi anche inventandomi alcuni particolari, pur di non far vedere la mia inquietudine.
Ogni volta che mi toccavo la tasca destra del pantalone sentivo la boccetta che mi aveva dato Verity, e questo mi calmava, perché mi dava la certezza di non aver avuto un’allucinazione. Era tutto vero.
Non avrei saputo dire se si fossero accorti di quanto avessi la testa fra le nuvole, ma a volte mi pareva che mi guardassero curiosi, come in attesa di una confidenza. Andai a letto presto, per restare solo: avevo molto su cui riflettere.






Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui!! :)
Spero che questo capitolo vi possa piacere :)

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Capitolo 4
*** Quattro ***





Quattro



Un trillo e la radio squillò.
“Buongiorno, amici ascoltatori! Meno quattro giorni al Natale! Non trovate che sia…”
“Maledettamente fastidioso?” dissi, la bocca ancora intorpidita dal sonno.
Mi ributtai con violenza sotto le coperte, cercando di riprendere il sogno che stavo facendo, anche se ormai non lo ricordavo già più. Tutta colpa di quella sveglia che mi disturbava ogni giorno…
Avrei tanto voluto liberarmene, ma non mi sarei mai alzato dal letto spontaneamente. Sarei senza dubbio rimasto lì a poltrire per ore e ore, mandando all’aria anche il lavoro.
Mi sentivo stanco come se avessi passato la notte in bianco, e in più la spalla destra mi faceva male.
Dovevo essermi addormentato in qualche stupida posizione scomoda.
Poi, improvvisamente, ricordai.
Mi alzai di scatto, con l’unico risultato di far apparire uno sciame di luci psichedeliche davanti ai miei occhi, e andai a sbattere il piede destro contro il comodino, mentre quasi perdetti l’equilibrio.
Ripresomi, cercai in fretta la botola al di sotto del letto e ne tirai fuori un piccolo sacchettino nero.
Non appena sentii la forma della bottiglietta intatta, tirai un sospiro di sollievo.
Era ancora lì, per fortuna.
“Jamie… sei sveglio?” mi chiese la voce di Raymond da dietro la porta.
“Sì, sì…” balbettai, richiudendo immediatamente tutto e nascondendo la boccetta sotto il cuscino, proprio mentre mio fratello entrava in camera mia.
“Scusa, ho sentito dei rumori strani, pensavo che fossi caduto…”
“Qualcosa di simile: ho sbattuto il piede sul comodino, con mia grande gioia” ribattei, sarcastico.
“Ahia… ok dai, mettiti un po’ di pomata, Lola sta preparando le ciambelle”
“Arrivo” dissi, passandomi le mani sulla faccia, sperando che così un po’ del mio sonno se ne andasse.
Il viaggio nel futuro doveva avermi scombussolato parecchio, per aver dormito otto ore di fila ed essere ancora in quello stato pietoso. Mi infilai le prime due cose che vidi nell’armadio, fregandomene per una volta di stare lì a controllare di essere a posto.
Dopo aver nuovamente preso il flacone ed essermelo infilato in tasca, corsi giù e uscii poco dopo aver mangiato di fretta.
Il freddo pungente era ancora più fastidioso del solito. La notte inoltre doveva aver piovuto, perché qua e là sull’asfalto c’erano ancora pozze d’acqua e l’aria era impregnata d’umidità.
Al market erano arrivate le nuove scorte di prodotti, e per tutto l’orario di pre apertura fui impegnato a sistemare scatole e pacchetti sugli scaffali. Inoltre, quel sabato dovevamo anche inaugurare l’angolo per i regali, e addobbarlo come si deve. Erano le solite cianfrusaglie che si sarebbero rotte nel giro di una settimana o poco più: portachiavi con false pietre preziose, peluche per i bambini, portafoto, portafogli e portamonete, alcuni anche con disegnato Tinky, un orsetto colorato protagonista dei cartoni della mattina.
Come facesse a piacere a tutti quei bimbetti, rimaneva un mistero. Era così… zuccheroso. Proprio perché trasudava simpatia e amore da tutti i pori mi era decisamente antipatico. Sapeva di falso, ecco.
In pratica, era il genere di cosa che forse Verity avrebbe potuto trovare carina.
Verity.
Con una fitta allo stomaco, il suo nome mi piombò di nuovo in testa, con tutto quello che questo comportava.
Mi ero ripromesso di non pensarci, ma ovviamente non ne ero stato capace.
Mi sentii depresso. Tutto sembrava fastidiosamente normale: la sveglia, mio fratello, le pozze d’acqua sul marciapiede. Tutto era così anonimo che quasi mi sentivo soffocare.
Non avrei mai dovuto andare nel futuro né parlare con Verity.
Un sorriso amaro comparve improvvisamente sul mio volto: non avrei dovuto fare tante cose, ma invece eccomi qui, a combattere contro i sensi di colpa.
Se quella sera me l’ero praticamente trovata davanti, cosa ci potevo fare? Dovevo prendere quel farmaco, altrimenti mi sarei ammalato sul serio, di una “futurite” acuta.
E non volevo diventare come mio padre, a cercare di rimediare pezzi senza valore al mercato nero o inseguire un sogno che non si sarebbe mai potuto avverare.
Dovevo restare con i piedi per terra.
Cercai quindi di concentrarmi sul mio respiro. Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Respiri calmi, lenti, misurati.
Che cosa sarebbe successo se io fossi ritornato nel futuro? Mi avrebbe chiuso la porta in faccia? Avrebbe fatto finta di non conoscermi? Invidiavo mio fratello. Lui avrebbe potuto incontrarla per caso, tutti i giorni, magari mentre guardava le vetrine o tornava a casa con qualche cartone di pizza, forse per festeggiare il compleanno di un’amica.
Di vero, in tutto quello, c’era che mi sentivo diverso. Ma in pochi giorni, può davvero cambiare una persona?
Ero soltanto uno stupido egoista. Avevo visto che c’era qualcosa di meglio lì fuori, di un lavoro al supermarket, di guardare programmi visti e rivisti o ascoltare musica ripetitiva, e così mi veniva voglia di buttare tutto all’aria? Ma per cosa? Per chi?
Quella posizione era dannatamente pericolosa. Verity aveva ragione: solo l’immunità garantita dal grado di Raymond aveva potuto salvarmi da un’indagine della memoria, e io ora osavo sentirmi triste perché facevo una vita onesta, dignitosa! Dovevo stare impazzendo.
Non potevo mettere a rischio tutta la mia famiglia solo per le mie fantasie. Fantasie insensate e completamente fuori luogo, tra l’altro.
La verità era che non volevo prendere quel liquido. Non volevo dimenticare quello che mi era successo, perché per la prima volta nella mia vita mi sentivo… reale.
Era come accorgersi di essere una marionetta, e cercare di tagliare i fili che il tuo creatore ti aveva imposto.
Com’è che si chiamava quella favola? Quella del burattino che voleva diventare un bambino vero?
Mio padre me la doveva aver letta quand’ero ancora molto piccolo, perché non ricordavo affatto il titolo.
Una storia triste, quella di un piccolo pezzo di legno, una marionetta che sognava di diventare una persona in carne ed ossa. Con un nuovo sorriso, mentre passavo il caffè ad una signora troppo anziana per arrivare all’ultimo scaffale, ricordai la fata turchina, protettrice dello sfortunato protagonista.
Improvvisamente immaginai Verity con un lungo vestito azzurro e una bacchetta magica in mano, che mi faceva l’occhiolino. Sì, ero pazzo.
Se quelli erano i primi sintomi della “futurite”, non osavo immaginare il resto!
Io però continuavo a sentirmi proprio come quel piccolo legnetto che desiderava a tutti i costi essere umano.
Nel mio caso, la differenza era che diventare umano significava andare contro ogni regola, ogni buon senso e precauzione. C’era una cosa però che non avrei mai potuto perdonarmi: perdere la mia famiglia.
Era vero che non avevo amici, perché non mi era mai interessato averne, o forse perché tutti si erano dimostrati più attaccati al loro grado di classificazione piuttosto che a coltivare un rapporto serio e disinteressato, e quindi tutto ciò che mi rimaneva erano mio padre, mia madre e mio fratello.
Questo pensiero mi riscaldò, e per un po’ riuscii a non pensare più a nulla.
D’altronde, sarebbe stato sciocco cercare di scambiare la mia vita con quella di una persona morta.
Incredibile pensare che nel futuro io non esistevo più. Mi domandavo anche com’era possibile che vivessi ancora nel mio tempo, che riuscissi a muovere le mani, anche solo per grattarmi la punta del naso.
Se immaginavo di non poter più fare gesti semplici come quello, mi sembrava decisamente impossibile, quasi irreale, anche se prima o poi quel momento sarebbe venuto per tutti.
Lei quindi aveva sofferto per la mia scomparsa? Ero un suo caro amico… e mi aveva spinto a venire nel suo tempo per darmi la boccetta, per tentare di proteggermi… no, non me. Il suo amico. Anche se, come aveva detto, eravamo simili, non potevamo essere la stessa persona. Era un Jamie diverso quello che aveva conosciuto, che certamente non faceva il cassiere in un market e magari usciva tardi la sera, o fumava.
Anche se era un’altra persona però, mi faceva sentire bene che lei avesse pensato a me, che si fosse preoccupata.
In un attimo però, un pensiero attraversò la mia mente.
Con il mio aiuto, gli agenti della Crusade avrebbero potuto facilmente identificarla e forse era per questo che mi aveva aiutato. In fondo poteva anche avermi mentito, io di certo non lo potevo sapere. Chi mi garantiva che io non fossi ancora lì da qualche parte nel futuro? O meglio, l’altro me.
D’altronde tutti avevano un altro sé, ovunque fossero.
Se doveva pararsi le spalle, e insieme anche quelle della sua organizzazione, avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di non essere rintracciata. Ma allora perché mi avrebbe scritto quella lettera? No, sapeva il mio nome e il mio indirizzo… doveva per forza avermi conosciuto in qualche modo.
Però il sospetto rimaneva. Può darsi che effettivamente mi conoscesse ma non le importasse nulla di me, e mi avesse ugualmente usato per non farsi scoprire.
Pensieri su pensieri turbinavano nella mia testa, uno dopo l’altro, come una catena infinita di sogni ad occhi aperti: da varie teorie sul suo comportamento, a ipotesi su come potrebbe essere stata la mia vita nel futuro.
E ad ogni minuto che passava, le mie fantasie diventavano così assurde e fantasiose che subito cercavo di rimuoverle. Però, ripensando seriamente a quella sera, non avrei saputo dire cosa fosse stato, se gli odori della strada, la rosticceria o il nostro dialogo riguardo l’ascensore rotto, oppure le luci di natale, avevo avvertito un’affinità tra me e lei, un po’ come se ci fossimo tenuti per mano senza saperlo… ma non avrei saputo spiegarlo. Come un legame nascosto, un filo sottile che univa i nostri pensieri, eppure non era esattamente così. Era una sensazione così strana e nuova per me che non riuscivo a smettere di pensarci, di elaborare ipotesi, e ripensarci ancora, come se fosse qualche complicato enigma da risolvere.
Quella sera a casa mio padre mi accolse con il solito entusiasmo: aveva quasi finito di riparare la 500, gli mancavano solo due cavi e un alimentatore, e poi avrebbe provato a farla partire.
Aveva messo in conto però di dover installare altri dispositivi antisuono per non farsi sentire di sopra e dai vicini, che sicuramente sarebbero stati messi in allarme dai rumori poco rassicuranti del nostro vecchio garage. Io rimasi indifferente a quelle novità, che commentai con qualche pigra esclamazione di gioia.
Pur di togliermi dalla testa il pensiero di Verity, ascoltai anche mia madre raccontarmi della sua giornata, passata tra shampoo e clienti un po’ troppo affezionate, che avevano addirittura eletto la sua bottega “Miglior acconciatrice del quartiere”.
Spesso non mi curavo del suo lavoro, quasi come se lei non lavorasse. Mi rendevo conto che non mi comportavo esattamente come un figlio dovrebbe fare per la propria madre, e così a volte cercavo di migliorarmi, portandole a casa qualche regalo o dandole più attenzioni e affetto, ma proprio non riuscivo a cambiare. A volte io e mia madre eravamo divisi da un velo di silenzio pesante come piombo, che ci impediva realmente di conoscerci per quello che eravamo.
“Un bel taglio di capelli è proprio quello che ti ci vuole, caro, non credi? I tuoi capelli si stanno pericolosamente allungando, e credimi, i ragazzi con i capelli lunghi sono sciatti ed assolutamente non eleganti. Tuo padre per fortuna ha sempre saputo come vestirsi e acconciarsi, da giovane era un perfetto gentiluomo. Oh, non che adesso non lo sia, però credo che il suo charme si sia sbiadito con gli anni”
“Forse li accorcerò un po’ per Natale”
“Ma Jamie, mancano soltanto quattro giorni! Quando hai intenzione di darti una sistemata?”
“Non so… credo che andrò la sera del 24: uscirò prima da lavoro, così riuscirò a fare un salto al barbiere di Sheldon Avenue”
“Oppure potresti farti fare qualche ritocco da me e risparmiare”
“Mamma, credimi, è meglio che vada dal barbiere. Mi ricordo ancora quando mi hai tagliato i capelli a tredici anni: sembravo un porcospino!” dissi, cercando di esprimere con forza il mio disappunto.
“Ma se è il miglior taglio che hai mai avuto!” ribatté lei sfogliando le pagine di Today Women.
Lasciai perdere, e continuai a mangiare la mia bistecca, che ormai era diventata fredda.
“Ray è partito per lavoro?” chiesi, avendo notato l’assenza di mio fratello.
“Sì, ha detto comunque che non sarebbe stato via per molto. Una questione di due giorni al massimo, o così sperava. Non vorrei che andasse a infettarsi, con tutte quelle malattie che girano nel futuro. La Crusade dovrebbe darsi da fare anche lì per ripulire quell’immondezzaio”
Una nuova fitta allo stomaco mi colpì, ma scelsi di ignorarla.
“Lo sai, hanno l’attrezzatura migliore di tutti gli Stati Uniti. Non credo ci sia effettivamente pericolo, in quel senso”
Mia madre sospirò. “Speriamo che tu abbia ragione, anche se non ne sarei così sicura”
“Io ho finito, vado di là. Grazie per la cena”
Lei mi sorrise, e io cercai di distrarmi accendendo lo schermo in salotto.
Un concorso di giovani talenti promosso dallo stato, un film romantico, un film catastrofico, un talk show, un documentario sulle nuove scoperte spaziali e il commento dell’ultima partita di football.
In altre occasioni, avrei ascoltato volentieri il programma sullo spazio, ma questa volta non ero in vena.
Solo una cosa poteva salvarmi, e quella era la doccia.
In momenti di crisi come questo, non si smentiva mai: aveva il magico potere di sciogliermi i nervi e farmi dimenticare qualsiasi preoccupazione. D’altronde, dopo aver trascorso una giornata all’insegna dell’umidità, valeva proprio la pena di premiarmi con un po’ di sano relax, no?
Dopo essermi asciugato e aver indossato un pigiama pulito, andai di corsa a letto: non vedevo l’ora di ributtarmi a capofitto nella dolce trance del sonno.
Silenzio: ecco tutto quello che mi ci voleva. Bastava restare lì, cullati dalla calma della notte, per affogare i miei pensieri tormentati nel mare dell’oscurità.
Neanche cinque minuti dopo, sentii uno spiffero sul viso.
Alzai la testa: la finestra era aperta? Sì, la tenda si muoveva, anche se di poco.
Chi era venuto in camera mia?
Non appena girai lo sguardo verso la scrivania, trasalii.
Lei era lì appoggiata al tavolo, vestita di un abito nero di paillettes lungo fino al ginocchio, le braccia incrociate, e sorrideva.
I suoi occhi grigi parevano brillare nella stanza, improvvisamente chiara come se fosse stato giorno.
“Mio Dio… Verity? Non dovresti essere qui, lo sai che non…”
Lei si avvicinò e mi premette una mano sulla bocca, per farmi poi cenno di non parlare.
Prese dalla tasca un piccolo orecchino e lo lasciò vicino alla sveglia, prima di sedersi accanto a me.
Fu un attimo e mi baciò. Sentii un fuoco esplodermi dentro, mentre ricambiavo, ancora troppo sorpreso di quello strano momento così perfetto, così eterno. Quando ci staccammo la guardai negli occhi, meravigliato.
“Sai perché siamo qui?” mi chiese lei.
Non capivo. Distesi sul mio letto, guardavamo il soffitto e mi sembrò che si riempisse di nuvole, nuvole che vorticavano, danzavano di fronte a noi, e poi le stelle.
“No” risposi. “Perché?”
“Perché stiamo sognando, Jamie. Cosa farai quando ti sveglierai? Te ne andrai lontano da me”
“No, io non…”
Non riuscii a finire la frase, perché mi sentii sprofondare.
Verity mi afferrò la mano, spaventata, ma una forza invisibile mi trascinava giù, lontano da lei, e non riuscivo più a respirare.
Scivolai nel vuoto.
In quel momento aprii gli occhi, balzando a sedere sul letto, madido di sudore e il cuore che batteva a mille.
Nell’oscurità della mia camera, nulla si muoveva. Il silenzio era rimasto al suo posto, indisturbato.
Era stato un sogno. Mi stesi, mentre iniziavo di nuovo a prendere coscienza della realtà.
Mi passai una mano sulla fronte, cercando di riacquistare la calma.
Ripensandoci, tutto era stato folle, a cominciare da quel bacio; per non parlare del resto, che era ovviamente irrealtà allo stato puro.
Tesi l’orecchio: nessuno spiffero. La finestra sembrava ancora chiusa. Allungai una mano sul comodino, vicino alla sveglia, ma anche lì non trovai nulla.
Che sciocco… credevo ancora ai sogni!
Però, quanto avrei voluto tornare indietro, lasciare che lei si sedesse di nuovo qui, a fianco a me… anche se non c’era mai stata. No, non dovevo pensare. Non dovevo, non dovevo, non dovevo.
Nonostante cercassi di calmarmi, non riuscii più a chiudere occhio. Continuavo a pensare a quello stupido sogno, non mi si staccava di dosso l’immagine di quel vestito nero di paillettes, dei suoi capelli e del suo sorriso.
Non andò meglio il giorno seguente. La “futurite” era peggiorata: ormai non ascoltavo più nessuno, ero distratto. Mi sentivo ancora più stanco del giorno precedente, le gambe indolenzite e la testa come piena d’acqua. A colazione combinai un disastro in cucina, rovesciando la caraffa del caffè sul pavimento. A lavoro mi sorbii un sacco di critiche dai miei compagni, perché avevo urtato e rovesciato parte di una delle ultime torri di doni di Natale che avevamo appena finito di preparare, per non parlare di aver dato più di una volta il resto sbagliato ai clienti, che mi rimproveravano o si limitavano a lanciarmi occhiate stranite.
Per fortuna quel giorno era domenica e lavoravamo soltanto mezza giornata, il che di fatto mi aveva risparmiato altre brutte figure. Non tornai però a casa: non avevo voglia di vedere nessuno.
Non sapevo esattamente dove andare, e così mi lasciai trascinare dalle mie gambe, finché non mi trovai di fronte a Flower Park: lì cercai un piccolo angolo riparato dove far finta di osservare una famiglia di anatre che sfidava il freddo invernale, sguazzando tranquilla in uno stagno protetto.
Che cosa mi stava succedendo? Da molto tempo non mi capitava di avere una giornata così storta, la mente annebbiata e confusa. Invece, era la prima volta che i miei pensieri sembravano tutti voler andare verso un’unica persona. Sempre lei. Non importava che cosa stessi facendo: se mi sforzavo di non pensarla, mi tornava in mente anche per un motivo insignificante.
Allora iniziavo nuovamente a fantasticare: com’era stata la mia altra vita nel futuro? E se davvero la conoscevo, perché lì sì e nel mio tempo no? In fondo era così diversa la gente rispetto a qui?
Era possibile essere ossessionati da una persona dopo così poco tempo da che ci eravamo conosciuti?
Le domande vorticavano nella mia testa sommergendomi, fino a farmi male.
Dovevo prendere una decisione: non potevo continuare ad essere masochista, non se dovevo stare così male.
Che fare? Non volevo dimenticarmi di Verity né del futuro, ma nemmeno volevo essere così distante dalle persone a cui tenevo, non volevo farle soffrire.
Alla fine, sapevo bene che non avevo scelta: quella boccetta era la mia unica via d’uscita. La tirai fuori dalla tasca, ancora perfettamente intatta. Feci per aprire il tappo, ma ancora una volta esitai.
C’era troppa gente lì intorno. Famiglie, bambini e anziani perfettamente tranquilli e sereni. Che cosa avrebbero pensato se da un momento all’altro mi fossi buttato a terra e poi svegliato in stato confusionario? La polizia avrebbe indagato, forse avrebbero potuto farmi ricordare con qualche strano aggeggio quello che io volevo rimanesse sepolto negli strati profondi della mia memoria. O magari io avrei trovato la boccetta accanto a me, e non mi sarei dato pace finché non avessi scoperto che cosa ci facevo con quella in mano a Flower Park. Anche se non sarei mai riuscito a capire cosa fosse e chi me l’avesse data, sapevo che la curiosità mi avrebbe divorato per molto tempo. No. Dovevo fare in modo che tutto andasse per il meglio.
L’avrei svuotata in un bicchiere prima di cena, stando ben attento che qualcuno non mi vedesse, e avrei gettato la bottiglietta vuota nella pattumiera. Sarei stato libero, e una perdita della memoria avrebbe potuto essere stata facilmente classificata come stress. Sì, avrei fatto così.
Avrei protetto tutti: la mia famiglia e anche Verity, che già rischiava molto a venire nel nostro tempo. Lei sarebbe stata al sicuro, o comunque più tranquilla sapendomi all’oscuro di tutto, senza dover stare all’erta anche per me.
Mi alzai, sicuro della mia decisione, e tornai soddisfatto verso casa.
Anzi, più che soddisfatto direi che mi ero rassegnato. Per quanto avessi voluto vederla ancora, non desideravo affatto metterla in pericolo. Gli agenti l’avrebbero rintracciata e uccisa, e io questo non potevo sopportarlo.
Il vecchio proverbio in questo caso calzava alla perfezione: occhio non vede, cuore non duole!
O almeno, avrei sofferto meno che non vedendola.
Erano da poco passate le quattro del pomeriggio quando entrai nel garage di casa con cupa determinazione.
Quello che mi sorprese però fu mio padre, che mi aspettava immobile seduto su una vecchia poltrona accanto alla 500.
Quando mi vide mi sorrise e mi venne incontro per abbracciarmi, lasciandomi basito.
“Papà, ma che…?”
“Aspetta prima di andare di sopra, siediti un attimo qui con me”
“D’accordo. C’è qualcosa che non va?”
Non era da lui questo comportamento insolito. Si limitò a guardarmi sempre sorridendo.
“Verity” mi disse soltanto.
Mi sentii sprofondare dentro. Cosa c’era adesso? Era possibile che avesse scoperto tutto? Dall’espressione di muta comprensione di mio padre, capii che dovevo essere sbiancato.
“Sei innamorato di lei. Innamorato perso, oserei dire”
“Cosa?” dissi, spiazzato.
Possibile? Io, innamorato?
“E’ evidente. Sono giorni che hai la testa da un’altra parte. Sei distratto, mangi poco, resti sempre da solo, sei depresso e parli a monosillabi. Questi sono tutti segnali che nemmeno io posso ignorare! Tu sei proprio cotto a puntino, figliolo”
Il suo sorriso a trentadue denti mi imbarazzò tanto che distolsi lo sguardo, puntandolo dritto a terra.
“Ma… ci vediamo talmente poco… è impossibile che…” cercai di rispondere, sulla difensiva.
“Oh, direi che questo non è importante. Potrei scommettere tutte le mie casse di brandy stravecchio che in questo periodo non hai fatto altro che pensare a lei, a chiederti cosa pensa di te, a immaginare di rivederla di nuovo, e via dicendo”
Arrossii, perché era assolutamente vero. Ero quindi stato così cieco da non accorgermi nemmeno dei miei stessi sentimenti? Ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Tutto era successo così improvvisamente, così spontaneamente da non farmi nemmeno rendere conto di quello mi stava capitando.
Come se mi stesse leggendo dentro, mio padre parlò di nuovo:
“E’ naturale, credimi. Tutto succede come per caso, ma in realtà niente lo è. Non conta se vi siete visti una, due o cento volte: due persone che non sono destinate a stare insieme non lo saranno mai, nemmeno se si incontrano tutti i giorni allo stesso bar. Tu cosa provi per lei?”
Presi un bel respiro profondo. Non volevo spiattellargli i miei sentimenti in faccia, però era anche vero che non avevo nessuno con cui parlarne.
“Penso sia ancora presto per parlare di amore, ma… sento che senza di lei la mia vita sarebbe come vuota”
Era vero. Avevo appena preso la decisione di cancellarla dalla mia esistenza, e mi sentivo allo stremo delle forze, privato di ogni volontà, come se sapessi di dover morire il giorno dopo. Purtroppo però, quella era la cosa giusta da fare, e dovevo andare avanti.
“Non credo però che io e lei ci vedremo più” dissi, annullando istantaneamente la sua felicità.
“Perché dici così?”
Esitai, cercando di trovare una via di fuga.
“Lei si… sta per trasferire in un altro stato e so che c’è un altro ragazzo a cui tiene molto, che non può dimenticare”
Mio padre era a bocca aperta.
“E tu hai intenzione di arrenderti per colpa di qualche chilometro e un tizio qualsiasi?” ribatté, la voce indignata.
“Sono un bel po’ di chilometri, e poi il tizio qualsiasi non è detto che sia tanto qualsiasi per lei!”
“Beh, secondo me sbagli. Se sei veramente innamorato di lei, niente dovrebbe fermarti!! Ricorda, quando ancora mi stavo conoscendo con tua madre, ho attraversato tutti gli Stati Uniti in due giorni per andare a trovarla!”
“Sì, mi ricordo… ma erano altri tempi papà, non puoi paragonare la mia storia a…”
“Resto della mia opinione. Se la pensi così sei soltanto un debole” mi disse, duro.
“Tu non capisci!” esclamai, alzandomi in piedi. “Non lo farei se non fosse per il suo bene! Non sai come stanno le cose! Credi che mi faccia piacere non vederla, allontanarmi da lei?? Ma è intelligente, e deve trasferirsi perché… perché ha delle buone possibilità di lavoro, molto buone, e non sono così egoista da chiederle di restare qui solo per me! E poi credo che mi consideri soltanto un amico, andrei a rovinare tutto per perderla definitivamente! Comunque, fammi un favore: non mi parlare più di lei, d’accordo? Non voglio più sentire il suo nome! Mi fa solo stare male. E adesso lasciami in pace” conclusi, andando di corsa di sopra e chiudendomi in camera mia.
Mi aveva fatto veramente arrabbiare. Anche se non potevo dirgli la verità, mi feriva il fatto che lui mi incoraggiasse a non lasciare perdere quando invece dovevo prendere la decisione opposta.
Speravo che ascoltasse il mio consiglio e non me ne parlasse più. Come avrei fatto altrimenti a dimenticarla, anche dopo aver preso il farmaco?
Non potevo più rimandare. Quella sera avrei messo fine alle mie paure come al mio amore.





Salve a tutti!
Grazie a voi che avete letto anche questo capitolo, anche se è più corto del solito... in verità avrebbe dovuto essere molto più lungo, ed è proprio per questo che ho deciso di tagliarlo in due parti... spero che la cosa non vi dispiaccia anche se qui mi sono concentrata di più sui pensieri di Jamie.
Un ringraziamento speciale a chi ha inserito la storia tra i preferiti, cioè sophia90 e a Naotokun92 per la sua lunghissima recensione. Non saprei davvero come ringraziarti! :)
Detto questo, vi aspetto tutti nel prossimo capitolo, recensori e non :)
Ciao!

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