Encyclopedic Crisis

di Yuri_e_Momoka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amore ***
Capitolo 2: *** Bipolare ***
Capitolo 3: *** Caffè ***
Capitolo 4: *** Dedizione ***
Capitolo 5: *** Esitazione ***
Capitolo 6: *** Fotografia ***
Capitolo 7: *** Gola ***
Capitolo 8: *** Ira ***
Capitolo 9: *** Luce ***
Capitolo 10: *** Medicina ***
Capitolo 11: *** Negligenza ***
Capitolo 12: *** Orgoglio ***
Capitolo 13: *** Punizione ***
Capitolo 14: *** Qualità ***
Capitolo 15: *** Resistenza ***
Capitolo 16: *** Sospiro ***
Capitolo 17: *** Tepore ***
Capitolo 18: *** Unico ***
Capitolo 19: *** Verità ***
Capitolo 20: *** Zero ***
Capitolo 21: *** Extra ***



Capitolo 1
*** Amore ***


ff-EC 1
Encyclopedic Crisis


Siamo solite introdurre le nostre fanfiction con qualcosa di intelligente (Ahahahah! XD). Questa volta però non esiste alcuna giustificazione sensata a questo tripudio di miele, lacrime e yaoi. È nato tutto, come al solito, da una combinazione di birra e aspirina che non mi ha ucciso, ma ci è andata vicino. La domanda che mi sono posta al mio difficile risveglio è stata: “Cosa accadrebbe se, in un mondo in cui i piccioncini sono felicemente conviventi, quello stupido acquistasse un’intera enciclopedia da un venditore a domicilio?”
 
Yuri


Cosa potrei aggiungere ad una spiegazione così? Ovviamente sono stata coinvolta ancora una volta nel degenero di Yuri e ho dato il meglio (?!) di me per essere sadica ma allo stesso tempo fluffosa nei confronti dei nostri beneamati Kurofay. Spero apprezziate il nostro piccolo capolavoro (sì, siete autorizzati a ridere!), concepito tra Roma, Verona e Brescia. Siamo due menti bacate,noi, ma on the road! Buona lettura e… commentate!
 
Momoka


1. AMORE: “Amore è innanzitutto un rapporto e, come tale, implica due termini (l’amante, soggetto, e l’amato, oggetto dell’amore). Costitutivo del rapporto d’Amore è il desiderio dell’oggetto da parte del soggetto; il desiderio presuppone che l’oggetto desiderato sia un bene per chi lo desidera, e implica la mancanza e quindi il bisogno dell’oggetto amato, poiché non si può desiderare ciò che si possiede. La realizzazione del desiderio, il conseguimento del fine cui tende, potrebbe dunque distruggere l’Amore: lo trasforma invece nel desiderio di mantenere quel possesso e nel timore di perderlo.” [¹]
 
Le giornate trascorse in solitudine in quel piccolo appartamento sembravano non avere mai fine. Il padrone di casa usciva la mattina presto e rientrava la sera. Lavorava come addetto al marketing in un’azienda di ottica, ma a causa della sua posizione non troppo privilegiata nel settore, si impegnava assiduamente negli straordinari. Era senza dubbio dipendente dal successo, pensava Fay sorridendo tra sé e sé quando lo sentiva uscire di casa alle 6 per recarsi in stazione.
Tuttavia, il biondo conosceva bene il vero motivo che spingeva Kurogane a lavorare anche fino a notte fonda. La consapevolezza di questa verità, però, era molto, troppo dolorosa per lui, perciò non si soffermava mai ad indagare la questione. Preferiva fermarsi prima, al desiderio di successo del suo uomo.
In compenso, cercava sempre di fargli trovare qualcosa di pronto al suo ritorno. Era difficile accontentare i gusti di Kuro-sama e Fay aveva dovuto imparare a cucinare alla perfezione i suoi piatti preferiti – tra i quali anche quel disgustoso pesce crudo che lui adorava.
Kurogane non lo ringraziava mai per quei gesti, ma non ce n’era bisogno. Faceva anche troppo. Era meglio così, lo faceva sentire meno in colpa.
Fay sapeva che tutto quello che il moro stava facendo era per lui e gli era grato. Però la solitudine stava diventando insostenibile. Aveva provato a colmarla con la televisione – che però prenderva solo due canali di televendita – poi con la cucina, ma quando si era reso conto di essersi pericolosamente avvicinato allo stereotipo di casalinga disperata o di annoiata pensionata si era costretto ad occupare il tempo in maniera più costruttiva. Perlopiù leggeva, ma Kuro-tan non si poteva certo definire un grande amante dei libri. Durante il mese trascorso in casa sua, Fay aveva già letto diverse volte L’arte della spada, Tutti i tipi di sakè e Il sushi, che passione.
Per un periodo aveva trascorso le mattine a passeggiare, imparando i nomi dei negozi di quel quartiere per lui nuovo, ma quando Kurogane l’aveva scoperto si era arrabbiato. Non gli andava bene che Fay passasse tutto quel tempo fuori e il biondo davvero non riusciva a capirne il motivo. Kuro-rin non aveva voluto spiegarglielo, si era limitato a sgridarlo con quell’espressione da vecchio burbero e con un leggero rossore sulle guance. Che si trattasse forse di un malsano desiderio di possessione? In ogni caso, Kurogane doveva capire che Fay non poteva sopravvivere sempre chiuso in casa. Come faceva a non rendersene conto? Perché lo teneva segregato? Ma, soprattutto, perché lo lasciava da solo tutto quel tempo?
Doveva lavorare molto per entrambi, questo Fay lo sapeva bene anche se faticava ad accettarlo, ma tutto quel tempo fuori casa era eccessivo.
E così, durante un grigio giorno di pioggia, mentre osservava distrattamente l’acqua scivolare lungo il vetro della finestra, nella mente di Fay iniziarono a vorticare strani pensieri. Che lo facesse per stare lontano da lui? Forse si era pentito di averlo accolto in casa sua? Forse non gli voleva più bene, come quando glielo aveva fatto credere? Voleva abbandonarlo in quella casa e lasciarlo lì finché non fosse morto di solitudine?
La verità era che Fay non era nessuno senza Kurogane. Quando lui non c’era, si sentiva vuoto, si sentiva invisibile. Non esisteva più. Lo voleva tutto per sé.
 
Il campanello. Finalmente! Quella mattina era in ritardo. Fay aspettava sempre con ansia il postino delle 10, anche se non era sempre lo stesso gli piaceva intrattenersi con lui e chiacchierare di futilità finché questi non fuggiva con una scusa.
Fay si precipitò ad aprire desideroso di raccontare al malcapitato, chiunque fosse, la sua ultima avventura in cui era incorso sbattendo il tappeto, ma quando spalancò la porta non fu il postino che si ritrovò a guardare con un sorriso che il moro definiva “assolutamente idiota”. Dovette abbassare di molto lo sguardo per poter guardare in faccia il ragazzino castano e  dagli occhi grandi che se ne stava lì con un mucchio di libri in mano e almeno il doppio in un carrellino che si trascinava dietro.
Prima di dargli il benvenuto, Fay non poté fare a meno di chiedersi fino a che punto si fosse spunto lo sfruttamento minorile.
Il ragazzino iniziò a parlare a macchinetta: “Buongiorno, signore. Sono qui per mostrarle questa aggiornatissima e…”
“Perché non entri?” lo bloccò Fay allargando il suo sorriso a dismisura. “Accomodati, ti vorrei offrire un tè! O preferisci una limonata? O un succo di frutta?”
L’altro indietreggiò imbarazzato. “Ma no, veramente non dovrei… Devo soltanto…”
“Insisto!” ribatté Fay e lo spinse dentro assieme a tutti i suoi libri. Lo fece sedere sul divano e iniziò a sommergerlo dei biscottini frutto degli esperimenti di quella mattina.
“Allora, cosa volevi mostrarmi?” domandò Fay con fare materno, porgendo altri dolcetti al ragazzo castano che non sapeva più come reggerli.
“Ah… sì, volevo farle vedere l’aggiornatissima e completa Enciclopedia Ichihara. Un volume per ogni lettera, più di 10.000 voci, ottima rilegatura, indice dettagliato…”
“Va bene, la prendo!”
Il ragazzino rimase interdetto. “Ma… non vorrebbe prima conoscere il prezzo?”
“No, va bene così. Sei stato così convincente!”
L’altro arrossì violentemente.
“Scommetto che ne hai già vendute un sacco.”
“Ehm… veramente questa è la prima.”
“Come ti chiami?” volle sapere Fay, mentre gli riempiva nuovamente il bicchiere di succo di ciliegia.
“S-Shaoran.”
“Non essere timido, Shaoran! Raccontami un po’ di te.”
Persino Fay si rendeva conto del tono disperato che traspariva dalla sua voce. Probabilmente, se fosse stato il ragazzo sarebbe scappato da se stesso.
Shaoran parve cogliere l’assoluto bisogno di attenzioni di Fay, così gli concesse un’ora del suo tempo e gli raccontò un po’ di sé e del motivo che lo aveva spinto a vendere enciclopedie porta a porta: doveva mantenere le cure della sua fidanzatina che soffriva di narcolessia.
“Sei molto maturo per la tua età, Shaoran” gli disse Fay dandogli degli incoraggianti colpetti sulla testa.
“Anche mio fratello gemello mi dà una mano. Dobbiamo anche aiutare nostro padre a pagarci gli studi. Lui è archeologo ed è spesso via.”
Più la storia proseguiva e più Fay la trovava patetica. Possibile che esistessero davvero dei ragazzini così sfortunati?
Dopo qualche insistenza, Shaoran riuscì a convincere Fay a lasciarlo andare.
“È stato davvero gentile” lo ringraziò inchinandosi sulla soglia.
“Figurati! Grazie a te che mi hai tenuto compagnia! Sai, mio marito mi trascura…” e sospirò drammaticamente.
Shaoran spalancò gli occhi. “Ma… ma allora lei…”
“Non fare caso a quello che dico! Il maritino dice sempre che sono capace solo di dire idiozie! Mi raccomando, riguardati e salutami la tua fidanzatina.”
Shaoran tentennò ancora qualche attimo, poi se ne andò trascinandosi dietro il carrellino.
Silenzio. Di nuovo. Fay rimase immobile, in piedi di fronte alla porta come in attesa che il rumore ricominciasse. Ma non accadde.
Gettò un’occhiata alla pila di volumi sparsa sul divano e sul tavolino basso. Di sicuro, il paparino Kurogane si sarebbe arrabbiato per quell’acquisto insensato, ma poi avrebbe capito. Questa volta avrebbe compreso la solitudine insopportabile che stava consumando Fay come una malattia.
Si sedette sul divano e aprì il primo volume, quello della A. Rimase alquanto stupito quando si accorse della parola che svettava sul margine sinistro della pagina. Gli venne quasi da ridere.
Dopo qualche titubanza, lesse d’un fiato la definizione che l’Enciclopedia Ichihara dava di Amore.
Non poté fare a meno di sentirsi personalmente toccato da quelle parole. I suoi occhi azzurri si soffermarono sull’ultima parte della spiegazione: desiderio di mantenere quel possesso… timore di perderlo…
Già. Lui desiderava possedere. Non aveva mai avuto niente, o meglio, niente che valesse la pena di avere. In fondo, si era sempre considerato un fallito. Non aveva mai avuto un lavoro decente, né una casa decente, né una famiglia decente… Poi, quando era arrivato lui, si era convinto di poter avere, per una volta, qualcosa di valore. Immenso valore. Ma adesso… lo stava forse perdendo? Stava perdendo l’unica cosa importante della sua vita?
Lui non era nessuno, senza Kurogane. Era vuoto, invisibile. Era solo.
Avere scoperto tutto ciò, durante la loro convivenza, era stato, se possibile, ancora più doloroso, perché ora sapeva che se avesse perso Kurogane avrebbe perso tutto. Prima, almeno, viveva nell’attesa di trovare qualcosa di importante, ma ora che l’aveva trovata ne era del tutto dipendente.
Quasi come per dimostrare di non avere bisogno di nulla, al di fuori di Kurogane, non mangiò. In realtà non aveva proprio voglia di cucinare, quel giorno. Lo avrebbe fatto solo per il suo compagno.
La sera giunse dopo quello che gli parve un anno. Mai come quel giorno aveva bisogno di vedere il moro rincasare con il suo completo nero, la cravatta rossa e la ventiquattrore tenuta in malo modo e sbattuta senza complimenti sul divano.
Quando sentì il rumore di chiavi nella toppa si precipitò alla porta come un cagnolino fedele. Appena i suoi scompigliati capelli corvini fecero capolino, Fay gli rovinò addosso e non si scollò nemmeno quando Kurogane iniziò ad inveire, come suo solito.
“Bentornato, Kuro-poooooon!” miagolò Fay, strusciandosi sul suo petto.
“Vuoi che i vicini ci vedano sdraiati per terra nel corridoio?! Levati subito!” Questo era il suo abituale saluto, ma Fay tralasciava le parole scorbutiche e si concentrava soltanto sul rossore che invadeva la faccia di Kurogane ogni volta che lui gli saltava addosso.
“Dai, portami dentro in braccio, Kuro-rin! Come due sposini!”
Kurogane tentò di divincolarsi da quell’abbraccio a tenaglia. “Smettila di dire idiozie e fammi entrare!”
“In braccioooooo!”
Kurogane lo accontentò. Lo sollevò di peso dai fianchi e lo scaricò a terra, senza un briciolo di grazia, non appena ebbero varcato la soglia.
“Ho una grave carenza di affetto, Kuro-cchi!” piagnucolò Fay, ancora disteso sul pavimento, protendendo le braccia verso Kurogane.
“Prenditi un integratore.”
Fay fece una smorfia. Non capiva se quello del moro fosse una risposta ironica o se non avesse minimamente ascoltato quello che gli aveva detto. Decise di lasciar perdere, doveva essere molto stanco.
Kurogane lanciò la ventiquattrore sul divano e fu solo allora che vide l’invasione di libri.
“E quelli?” domandò stupefatto.
“Oh, niente, è solo un’enciclopedia che mi ha dato un ragazzino…”
Kurogane sembrava shockato. “ Quanto maledettamente l’hai pagata?”
Eccolo lì, istinto dell’uomo d’affari. “Ah, nemmeno molto… Poverino, doveva aiutare la fidanzatina malata…”
“Me ne frego delle fidanzatine! Si può sapere cosa ti è saltato in testa?!”
Fay si rialzò lentamente. Questa volta lo avrebbe capito.
“Mi annoio così tanto qui da solo, Kuro-sama. Cosa vuoi che sia, non è una gran spesa…”
“Parla per te, idiota senza il senso della misura! La prossima volta che vuoi buttare i soldi, avvisami, così farò in tempo a cercare un bel ponte accogliente sotto il quale dormire.”
Fay sospirò, lui non doveva perdere il controllo. “Sei esagerato, Kuro-…”
“Sto lavorando come un matto per mantenerti, potresti almeno risparmiarti simile idiozie!”
Fay indietreggiò, senza volerlo, perché quelle parole lo avevano colpito come una pugnalata in pieno petto. Quasi gli mancò il respiro. Non capiva, proprio non capiva.
Ciò che aveva detto non era stato uno sfogo. Certo, era stanco e arrabbiato, quasi come tutte le sere, ma le sue parole erano vere. Fay glielo leggeva negli occhi ardenti. Era riuscito a cogliere tutto ciò in quella frazione di secondo, prima che Kurogane esibisse una, seppur lieve, aria pentita.
“Beh? Non hai niente da dire?” chiese il moro, visibilmente intimorito dall’improvviso e insolito silenzio di Fay, che non riusciva più a sollevare la testa. Se lo avesse guardato in faccia era certo che non sarebbe più riuscito a trattenersi dal piangere.
Avrebbe voluto dire molte cose, ma allo stesso tempo non trovava la voce per farlo.
Voleva accusare Kurogane per il suo comportamento egoista, ma voleva anche scusarsi con lui per tutti i disagi che gli aveva procurato.
Dopo qualche estenuante minuto di silenzio, si voltò e andò nella camera che dividevano. Si chiuse dentro, incurante del fatto che Kurogane sarebbe stato costretto a dormire sul divano.
Nessun richiamo lo fermò, né una mano salda sul suo braccio.
Fay si gettò sul letto, senza sapere se ridere o piangere.

 





[¹] Enciclopedia La Repubblica

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Capitolo 2
*** Bipolare ***


ff-EC 2 Nell'introduzione abbiamo tralasciato un particolare che però chiunque ci abbia già seguito conoscerà già... i capitoli di Fay sono scritti da Yuri, quelli di Kurogane da Momoka e sono sempre alternati. Questa volta si tratta di una fic di ruolo a tutti gli effetti.




2. BIPOLARE:
“Disturbo classificato nel gruppo dei disturbi dell’umore, in cui le oscillazioni fisiologiche fra la tristezza e la gioia avvengono con durata ed intensità eccessiva, comprendendo due quadri clinici fondamentali: depressione e mania. Questi disturbi possono risolversi in un arco di tempo limitato o alternarsi intermezzati da periodi di relativo o completo benessere.” [¹]
 
“Stupido idiota mingherlino” continuava a ripetere tra sé Kurogane mentre si sistemava su quel piccolo divano scomodo che aveva comprato il suo coinquilino. Lui aveva bisogno di dormire, il giorno dopo lo attendeva il lavoro! Ma ovviamente questo il biondo non poteva capirlo, visto che non faceva niente dalla mattina alla sera.
Kurogane, anche se non voleva darlo a vedere, era frustrato dal suo lavoro che gli portava via tanto tempo ma che sembrava non dargli soddisfazioni, fino ad allora. E, una volta tornato a casa, raramente aveva voglia di sorbirsi tutti quei discorsi straripanti di idiozia ma… insomma era giustificato! Perché l’altro non lo capiva?!
Fissando continuamente uno spicchio di luce che si proiettava sul muro, ripensò a quell’ultimo mese. Ricordava perfettamente il momento in cui aveva capito che avrebbe chiesto a Fay di venire a vivere da lui: si erano sentiti per telefono, l’idiota come sempre cercava di non dare a vedere nulla, ma qualcosa nella sua voce si era incrinato… se lo immaginava, aggrappato alla cornetta sforzandosi di sorridere nonostante non ci fosse nessuno a guardarlo.
“Ohi, cos’è successo?”
“Ma niente kuro-tan! Tutto a posto… solo che… mi hanno licenziato di nuovo.” Aveva pronunciato quelle parole senza respirare, lo sentiva e ora un sospiro gli era sfuggito.
Sapeva che Fay aveva avuto spesso problemi col suo lavoro di promoter a causa della sua stravaganza ed esuberanza. Più volte l’aveva visto all’opera, nel grande centro commerciale del paese, e non aveva dubbi sul perché più volte venisse rimproverato: si fermava a parlare con tutte le vecchiette, non riusciva a vendere nulla, essendo estremamente sincero sui difetti dei prodotti che pubblicizzava, giocava coi bambini. Erano mesi e mesi che vagava da un’agenzia all’altra, senza ottenere niente se non licenziamenti su licenziamenti. Aveva cercato di aiutarlo, di consigliarlo ma a poco serviva: non riusciva a non essere così con la gente, e questo lo irritava.
“E cosa farai adesso?”
La risposta aveva tardato ad arrivare, mentre in sottofondo si sentiva una voce metallica annunciare l’arrivo del treno.
“Dove sei? Rispondi.”
“Sono in stazione, Kuro-rin.” Ma per ritornare a casa l’idiota non aveva bisogno di prendere mezzi di trasporto, abitava vicino al suo posto di lavoro.
Il sorriso si era guastato, lo percepiva. Cosa gli stava tenendo nascosto, quello stupido?
“Arrivo.” Si limitò a rispondere allora e l’altro non fece nulla per fermarlo, perché evidentemente lo voleva anche lui.
Quei ricordi lo irritarono, facendolo alzare dal divano per andare alla ricerca di qualcosa da bere. Sulle mensole trovò del sakè e si mise a gustarlo, seduto sulla sedia della cucina, ammirando la luna piena che illuminava buona parte di quella casa buia e silenziosa. Troppo silenziosa.
Si stupì egli stesso di quel pensiero, perché era sempre stato abituato a vivere da solo e si trovava benissimo. Il suo mondo si limitava alle cose essenziali che gli erano sempre bastate, prima dell’arrivo di quell’idiota nella sua vita. Eppure ora sembrava più difficile del solito ritornare alla sua routine di prima… esattamente come era stato difficile allora non offrire un po’ di protezione allo stupido, un mese prima.
“Allora, mi dici cos’è successo davvero?”
A quella domanda il biondo si avvicinò a lui, nascondendosi nella sua giacca, in un gesto che imbarazzò tantissimo Kurogane
“Ho perso il lavoro e… mi hanno tolto la casa.” Sì, era stato quello il momento, in cui finalmente non aveva più la maschera che si portava dietro da troppo tempo… in cui finalmente mostrava ciò che davvero provava senza nascondersi dietro sorrisi e idiozie. Ma fu una frazione di secondo in cui il silenzio regnò sovrano, prima che il biondo si rendesse conto di ciò che stava mostrando e si preparasse a dire qualcosa di abbastanza stupido.
“Dai, andiamo.”
“E dove, Kuro-wanwan?”
“A casa.”
Quello sguardo così spento da essere quasi irriconoscibile, si era illuminato e lui era tornato il solito scemo. Almeno fino a quel momento.
Una gran rabbia si impossessò di lui e gli fece quasi andare di traverso l’ultimo sorso di sakè. Tutta colpa di quella stupida enciclopedia! La prese e con disprezzo cominciò a guardarla, sfogliandola. Prese il volume della B quasi per caso, e lo aprì:
“Binomio, bioritmo, bipolare, birra…”
Ma una parola aveva catturato la sua attenzione, distogliendolo dalla spiegazione del luppolo e della fermentazione della birra.
“Disturbo classificato nel gruppo dei disturbi dell’umore, in cui le oscillazioni fisiologiche fra la tristezza e la gioia...”
Quella definizione parlava di Fay, non aveva dubbi.
In realtà aveva sospettato delle sue due personalità sin dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, ma ora ripensandoci, guardando quel testo, ne aveva avuto la conferma. Un lato di lui usciva raramente e per la prima volta era emerso proprio un mese prima, in quella stazione.
La cosa che Kurogane non si spiegava era il perché si ostinasse a nasconderlo così tanto e soprattutto la domanda che ora gli martellava in testa, sia davanti al sakè, sia rotolandosi sul divano cercando di prendere sonno senza cadere per terra era: qual era il vero Fay?
Ormai erano passate le quattro e mezza, eppure il sonno non sembrava arrivare. Doveva rassegnarsi a restare da solo coi suoi pensieri senza trovare una soluzione a quel dubbio che lo assillava. Perché perdeva tempo e riposo per colpa di quell’imbecille?!
Lo infastidiva la recita che si ostinava a mandare avanti in certi momenti, come se si vergognasse dei suoi stessi pensieri, lo infastidivano i suoi sorrisi e il suo negare i problemi anziché affrontarli, lo infastidiva quel suo infantilismo e la sua eccessiva fragilità, che però sicuramente nascondeva una forza che aspettava solo di uscire.
Lui l’avrebbe aiutato a tirarla fuori, a trovare un equilibrio tra quei suoi due lati. Sì, avrebbe posto fine al suo bipolarismo perché voleva parlare, toccare e conoscere il vero Fay, chiunque egli fosse e l’avrebbe accettato così com’era.
“Ma perché proprio a me doveva capitare uno del genere?!!” si disse, arrabbiato.
Ormai il buio si andava dissolvendo per lasciare spazio al sole e alla luce mattutina. Luce e ombra, felicità e tristezza.
E ora che i raggi entravano dalle imposte, obbligandolo a chiudere gli occhi infastidito, si alzò scocciato per la notte di sonno mancata e deciso a porre fine a quel litigio.








[¹] Enciclopedia La Repubblica

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Capitolo 3
*** Caffè ***


ff-EC 3 3. CAFFE’: “La pianta del caffè cresce nei paesi a clima tropicale, dove crescono circa venticinque specie di caffè selvatico, ma solo due di queste specie possono essere usate per produrre un caffè commestibile. Quando gli arbusti fioriscono, i fiori bianchi danno alla piantagione un bellissimo aspetto.” [¹] 
 
Nonostante non avesse assolutamente sonno, gli occhi gonfi di pianto lo avevano costretto a dormire, almeno finché la debole luce dell’alba non si era infiltrata nella stanza attraverso le tende che non aveva tirato.
Tuttavia non si mosse, rimase raggomitolato sopra le coperte, incurante dei dolori che la posizione prolungata gli aveva procurato.
Quando la porta si aprì lentamente si trattenne dal voltarsi. Kurogane non entrò, come aspettando il suo permesso, ma quando un delicato aroma di caffè giunse fino a Fay, egli non poté fare a meno di girarsi.
Il suo compagno di stanza era in piedi proprio sotto lo stipite, reggendo un vassoio con due tazze fumanti. Lo fissava con occhi penetranti, senza espressione, aspettando.
“Caffè?” chiese dopo un lungo silenzio, notando che Fay non aveva intenzione di parlare.
Senza attendere risposta, si sedette sul letto e portò la tazza invitante proprio davanti alla faccia del biondo.
“Tre cucchiaini e mezzo di zucchero, giusto?”
Fay si mise lentamente a sedere, appoggiandosi al cuscino. Prese la tazza in mano, sentendo il suo calore risalirgli lungo le braccia infreddolite. Si perse a guardare quel liquido impenetrabile.
“Se continui a dormire senza coperte ti prenderai qualcosa.”
L’altro seguitava nel suo silenzio. Kurogane si sistemò meglio, seduto accanto a lui, e iniziò a sorseggiare il suo caffè.
“Quattro cucchiaini.”
Kurogane quasi si soffocò col caffè nell’udire quell’inaspettato commento.
“Ne metto quattro nel caffè, tre e mezzo nel tè. Ma mi piace lo stesso.”
Ora lo stava guardando e sorrideva mentre assaggiava la sua bevanda.
“Non dovresti… essere al lavoro?”
Porre quella domanda era stato molto difficile per Fay, riportava in superficie la discussione della sera prima e, inevitabilmente, anche i suoi infiniti sensi di colpa.
“Stamattina no” si limitò a rispondere l’altro.
Fay lo studiò, cercando di non farsi notare, per cercare di capire se quel sacrificio gli pesasse. Kurogane non dava segno di preoccupazione, rabbia o dispiacere. Stava semplicemente bevendo il caffè senza guardare nulla in particolare della parete di fronte.
Non fu facile per Fay, questa volta, nascondere la propria felicità. Anche se sapeva di doversi sentire in colpa, non ci riusciva.
“Il caffè si raffredderà” fece notare Kurogane, interrompendo i suoi contorti pensieri.
Come in risposta a quella parola, Fay rabbrividì. In effetti, dormire senza coperta in ottobre inoltrato non era stata una buona idea.
Si avvicinò le ginocchia al petto per riscaldarsi, ma senza preavviso sentì una mano calda entrargli nella maglietta e salirgli lungo la schiena.
“Che incosciente” brontolò il moro, senza aggiungere altro. Senza preannunciare ciò che stava per fare, afferrò Fay per le spalle con l’altra mano e se lo portò vicino. La testa di Fay poggiava sul petto di Kurogane, tanto che ne poteva distintamente sentire il respiro e i battiti del cuore che andavano pian piano accelerando.
Lo teneva stretto, come se volesse proteggerlo da qualcosa, o da qualcuno… forse semplicemente da se stesso.
Non rievocò il loro infantile litigio, né espresse commenti sugli occhi arrossati di Fay, né lo rimproverò per averlo costretto a dormire sul divano. Non era vero che Kurogane non capiva, pensò Fay addolorato e felice allo stesso tempo, lui aveva capito tutto già da tempo. Fin da quel giorno che al biondo sembrava ancora surreale. Quel giorno, senza sapere il motivo, dopo aver vagato senza accorgersene fino alla stazione, aveva composto il numero di Kurogane a un telefono pubblico, nel quale aveva lasciato a cadere le sue ultime monete, come per affidare a quell’uomo le sue ultime speranze. Eppure quando udì la voce di Kurogane, così sicura – lo era sempre, lui non doveva fingere, era così per natura – Fay si era come impietrito e nella sua testa avevano iniziato ad affollarsi mille dubbi, domande, ripensamenti che come farfalle impazzite lo avevano bloccato lì dove si trovava, con la cornetta stretta in mano, unico contatto con colui che voleva che fosse la sua salvezza ma che, allo stesso tempo, non voleva gravare di quel peso di cui, sapeva, avrebbe volentieri fatto a meno.
E la sua insicurezza aveva di nuovo avuto il sopravvento e lo aveva condotto a mentire per l’ennesima volta, facendolo addirittura sorridere in direzione di un telefono, tutto pur di non creare problemi a lui. Ma Kurogane aveva capito subito. Fay non aveva idea di come facesse, ma forse era proprio per quello che, fin dalla prima volta in cui l’aveva visto, aveva desiderato che diventasse il suo sostegno.
Aveva sempre saputo tutto questo, ma era come se la solitudine di quei giorni interminabili, il silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio a muro, gli avessero impedito di ricordare una cosa così importante. Ora tornava tutto alla luce grazie al calore e alla forza di quell’abbraccio.
Il corpo di Kurogane era caldo quasi tanto la tazza di caffè che Fay stringeva tra le mani senza essere capace di muovere un solo muscolo per la paura di rovinare quel momento. Il calore scaturiva da quella tazza e si propagava attraverso entrambi. Fay aveva il viso in fiamme.
La mano che Kurogane gli aveva fatto scivolare lungo la schiena iniziò ad accarezzarlo. Quel movimento ripetitivo assomigliava a un’amorevole ninnananna. Non c’era niente, in quel gesto, che assomigliasse a delle scuse o ad una consolazione. C’era semplicemente affetto.
Fay si sentiva strano. Non aveva mai provato una sensazione del genere. Ma resistette all’impulso di ricambiare quel gesto solo per dire: “Mi dispiace di essermela presa. Io lo so che lo stai facendo per me. Non sono mai stato arrabbiato con te, ho solo pensato che…”
La raffica di parole fu arrestata improvvisamente da morbide labbra calde, un intenso profumo di mirto lo investì, mescolato al sapore del caffè, amaro come piaceva a Kurogane. Il groviglio di pensieri svanì lasciando la testa di Fay completamente sgombra, libera di accogliere quella novità.
Senza accorgersene si ritrovò sdraiato, ma l’impeto successivo che si sarebbe aspettato non giunse, perché in quel bacio non vi era alcuna pretesa. Soltanto una mano salì ad accarezzargli i capelli, mentre l’altra gli sorreggeva la schiena.
Come poteva Fay non ricambiare quell’affetto inspiegabile? Così sfiorò i lineamenti di quel viso che mai aveva visto così da vicino, nemmeno durante le lunghe notti trascorse nello stesso letto, senza mia toccarsi, né parlarsi, con inconfessabili pensieri che volteggiavano sopra di loro, mai espressi.
La sua mano scivolò lungo il collo di Kurogane e poi sulla spalla, guidata da una logica irrazionale che lo spingeva a non fermarsi. Esplorò ciò che la camicia celava e che mai si sarebbe aspettato di scoprire così direttamente.
Il moro, a gattoni sopra si lui, si faceva analizzare senza fretta, dando il tempo a Fay di contargli le costole, studiare la linea dei pettorali e le convessità degli addominali, la lieve sporgenza delle anche, la curva della schiena e…
Fay capì che era giunto il momento di scoprire tutto, anche se stesso.
Le tazze di caffè affiancate sul comodino non fumavano più. Tutto il calore della stanza proveniva da loro.







[¹]  Enciclopedia dei Ragazzi Mondadori







E' stata un'esperienza davvero velata, ma con questo capitolo ho finalmente potuto fare pratica con lo yaoi, anche se implicito. Niente di particolare, ma mi sentivo in dovere di lasciarvi un mio pensiero al riguardo: so solo che d'ora in poi gusterò il caffè con molto più entusiamo e molto più sbavo! :Q______

Aggiungo anche una fanart made by me ---> Kuro-coffee

Yuri

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Capitolo 4
*** Dedizione ***


EC 4 Salve a tutti, qui è Momoka che vi parla!
Dopo il capitolo Caffè a me è capitato un chap di transizione, dove si indaga di più nella mente del nostro Kurotan!
Innanzitutto vorrei ringraziare i commentatori degli scorsi capitoli, coloro che seguono la storia e quelli che l’hanno inserita tra i preferiti! *inchin*
Siamo felicissime che la storia vi piaccia così tanto e speriamo di non deludervi con i prossimi capitoli! Continuate così, per la gioia di noi scrittrici che non dormiamo la notte pensando ai capitoli da scrivere XD
Ora vi lascio alla lettura, onde evitare di scrivere altre cavolate, facendovi addormentare prima di iniziare XD
A presto! J
PS: Se volete ucciderci, assalirci o semplicemente conoscerci, noi saremo domenica a Lucca (Hitsuzen permettendo) tra la folla… ovviamente non vi chiediamo di fermare ogni passante, ma se vedete due dementi vestite da Fay e Kurogane che attendono solo richieste di pose Yaoi… ebbene saremo noi!
Momoka


 
4. DEDIZIONE: “Atto del dedicarsi completamente e con passione a un’attività, un ideale, una persona.” [¹]  
 
Kurogane si svegliò quando il sole ormai stava per tramontare. Si sentiva strano, non era abituato a dormire di giorno. All’inizio credeva di aver udito il segnale della sveglia, ma poi capì che quel suono proveniva dalla televisione in salotto. Si vestì con particolare lentezza, percepiva un certo disagio in lui, una vocina nella sua mente temeva il cambiamento che quella mattina avrebbe portato nella sua vita.
Si avvicinò alla cucina e vide il biondo ridere ad un programma comico, tutto rannicchiato sul divano. Il rumore di passi lo destò dalle battute del conduttore e, girandosi con gli occhi pieni di lacrime, lo guardò con un sorriso così luminoso da farlo arrossire.
“Ti sei svegliato Kuro-cicci!”
Gli saltò al collo in un istante, noncurante della risposta imbarazzata di Kurogane, e lo guardò negli occhi per qualche istante prima di baciarlo.
“Dai piantala idiota!” fu la risposta dell’altro, che però ricambio il bacio.
“Ti ho preparato la cena, Kuro-shy! Mi prenderò cura di te in questo giorno di malattia improvvisa… perché è questo che hai detto al tuo capo, vero?”
Il sorso di acqua che stava trangugiando quasi gli andò di traverso a quella frase. Sperava che quella scusa non venisse mai scoperta, ma evidentemente il “boss” aveva deciso di chiamare a casa per verificare…
“Quell’uomo è un demonio! – esclamò, stringendo il pugno e fissando il soffitto, facendo sorridere il biondo – E tu cosa sghignazzi!”
“Rido perché il mio Kuro-tan è proprio un gran timidone!”
Lo osservò a lungo, mentre lo prendeva in giro, mentre si avvicinava per coccolarlo con le sue guancie che arrossivano leggermente, mentre puliva i piatti canticchiando per vedere se era davvero felice. Ora non aveva dubbi, avrebbe conosciuto il vero Fay.
Il giorno dopo al lavoro fu difficile svicolare le domande del suo capo, ma sedersi davanti a quella scrivania, salutare i suoi colleghi così tediosi per lui, obbedire alle richieste strampalate dei superiori si rivelò meno complicato del solito. Non si spiegava il perché, ma il tempo volò sorprendentemente e in un baleno si trovò sul treno per tornare a casa.
“Salve, Kurogane-sama!” disse all’improvviso una voce da dietro di lui.
“Oi!” si limitò a dire lui. Non aveva voglia di parlare con Subaru, un suo ex collega, cacciato perché beccato in atteggiamenti compromettenti con il capo. Quell’individuo lo irritava, perché aveva gettato via la possibilità di un’ottima carriera solo per un rapporto del quale non aveva nessuna certezza.
Dopo qualche frase di circostanza, il silenzio regnò sovrano e il moro si trovò a fissare con insistenza l’orologio e le fermate che gli mancavano all’arrivo a casa.
“Come siamo impazienti oggi!”
“Tsk! Non è vero. È colpa dei treni che sono sempre in ritardo.”
Il sorrisino di risposta dell’altro non gli piacque neanche un po’.
“E il lavoro come procede?” continuò poi, ignorando quegli occhi rossi ridotti a fessure che lo squadravano.
“Come al solito. E te invece, hai trovato un nuovo impiego?”
“Oh sì, proprio una settimana fa! Sono impiegato in un’azienda di latticini!”
Kurogane rabbrividì alla sola idea di tutto quel latte, che lui odiava così tanto. Quel lavoro era notevolmente inferiore alle sue capacità, visto che stava quasi per diventare il suo vicecapo, meno di due mesi prima. Eppure il sorriso di quell’uomo era sincero, felice.
“Mi piace davvero molto poter lavorare e non dovermi preoccupare della mia relazione con Seishiro-chan. Presto riusciremo ad andare a vivere assieme, e questo lo devo anche al mio nuovo impiego.” Disse quella frase senza imbarazzo e Kurogane si ritrovò ad arrossire per lui. Non sarebbe mai riuscito a palesare la sua relazione con Fay in quel modo.
Nel frattempo la frase di una donna davanti a lui attirò tutta la sua attenzione e ciò non sfuggì a Subaru.
“Guardi, non vedo l’ora di tornare a casa da mio marito. È bello avere qualcuno a cui dedicarsi, non trova?”
Infine la voce metallica annunciò la sua fermata e si congedò piacevolmente dallo sguardo indagatore del suo ex-collega.
Ora si trovava finalmente solo coi suoi pensieri, mentre la frase sentita poco prima gli risuonava nella mente, unita alla sua conversazione con Subaru. L’autunno aveva colorato tutti gli alberi della sua via, mentre il cielo, ormai scuro come in piena notte, sembrava inghiottire lui e il suo cappotto nero. Si rifugiò nel bavero, portandosi le mani in tasca più per concentrarsi che per il freddo.
Felicità, appagamento e affetto sembravano essere tre parole collegate nella vita della gente che lo circondava e, ora si rese conto, anche nella propria. Il tempo quel giorno era volato perché aveva qualcuno per cui lavorare, qualcuno per cui impegnarsi e qualcuno per cui tornare a casa, dopo la giornata impegnativa.
Ora che il suo rapporto con Fay era cambiato, sembrava essersi modificato anche ciò che lo circondava, il suo modo di porsi nei confronti di ciò che faceva, ciò che vedeva e ciò che si aspettava. Aveva finalmente trovato la motivazione che per anni e anni era andato cercando in orari straordinari, maratone lavorative e incarichi faticosi.
Dopo quelle riflessioni si ritrovò davanti a casa e non vedeva l’ora di entrare e farsi accogliere da quel calore familiare.
“Bentornato a casa Kuro-pyon! Ci sei mancato tanto oggi!” gli disse il biondo, investendolo e saltandogli al collo. Aveva sempre fatto così, talvolta aspettando il momento giusto in cui la porta si apriva, altre volte precedendolo e correndogli incontro e questo l’aveva fatto andare su tutte le furie.
“E staccati idiota! Quante volte te lo devo dire che devi stare buono e calmo?” ma stavolta, mentre una mano lo rimproverava, cercando di liberarsi dalla sua presa, l’altra finì inevitabilmente per abbozzare una carezza su quel viso così allegro e gioioso.
“Guarda cosa ti ho preparato: primo, secondo e un dolcetto bello zuccheroso per te!” Una smorfia di disgusto si disegnò spontanea sulle labbra di Kurogane. Non l’aveva mai visto così, e anche se di solito gli preparava la cena, dietro non c’era tutta quella cura e attenzione che sembrava averci messo stavolta. La motivazione era cambiata e aveva scacciato via le insicurezze e i timori, lasciando spazio soltanto a una semplice… dedizione.
Anche Fay dunque aveva visto l’evoluzione del loro rapporto ed era cambiato di conseguenza, forse senza nemmeno rendersene conto.
“Sei proprio un’idiota, lo sai?!” disse tra un boccone e l’altro, sorprendendo l’altro che lo fissava mangiare, felice e soddisfatto dei suoi manicaretti e del successo che sembravano riscuotere. Gli era venuto spontaneo dirglielo, manifestare solo quella frase di tutte le riflessioni che sembravano affollargli la mente.
“Wahaaaa! E perché Kuro-tan?”
Ma la risposta restò sigillata nei suoi pensieri e in un bacio che aveva il sapore di riso e gamberetti.
 
 





 
[¹]  Vocabolario della lingua italiana Zingarelli




PPS: Ebbene sì, non vi lascio in pace nemmeno alla fine del chap… spero abbiate apprezzato l’arrivo di Subaru e il riferimento all’odio per i latticini del povero Kurogane [di cui le Clamp parlano in un omake non ancora tradotto qui in Italy] 

Ora me ne vado sul serio… *viene trascinata via dal pc da Yuri*
Ciaooooooooo!
E commentate XD *viene chiusa nell’antibagno*

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Capitolo 5
*** Esitazione ***


EC 5 Yuri's speaking:
Questa volta è d'obbligo una breve introduzione al capitolo! All'inizio si trattava semplicemente di una parentesi che sicuramente avrebbe sconcertato molti di voi e suscitato domande del tipo: "Ma che c'entra tutto questo? Fay che pensa queste cose? Ok che è complessato ma questo genere di pensieri non si è mai visto!" eccetera... Tutto ciò era semplicemente nato da mie personali esperienze ed elucubrazioni che volevo assolutamente esternare attraverso Fay. La mia amata sensei mi ha riportato sulla retta via consigliandomi bene e portandomi a integrare il capitolo con pensieri decisamente più fayeschi e a creare un capitolo più IC. Perciò ci tengo molto a dedicare questo scritto alle sensei Mistral e LetyJR (non so ancora se si tratta di un complimento o un'offesa) che mi/ci consigliano sempre dall'alto delle loro esperienza angst (e non solo XD).
Ora mi tappo la bocca e vi lascio alla lettura!!



5. ESITAZIONE: “Indugiare prima di fare qualcosa, essere indecisi o incerti.” [¹] 
“In biologia, modo di essere porzioni di materia che forma un sistema adattativo aventi le proprietà specifiche di individualità, capacità di percepire gli stimoli e reagire ad essi, il metabolismo, ciclo di vita, la manutenzione e le funzioni di forma, di riproduzione, di eredità dei caratteri, mutabilità, la capacità di evolvere, congruenza con l’ambiente.”
 
Quella mattina era iniziata nel solito modo. O meglio, nel solito modo che caratterizzava le mattine degli ultimi tre giorni, da quando le cose erano cambiate.
Al suo risveglio, Fay si era trovato la consueta tazza di caffè bollente con quattro cucchiaini di zucchero – “Ti verrà il diabete di questo passo, oltre che a una quindicina di carie” aveva borbottato Kurogane la prima mattina.
“Il Kuro-coffee!!!” aveva esultato Fay lanciandosi sulla tazza. Quell’abitudine, così misera in apparenza, era ciò che gli confermava, ogni mattina, che quel cambiamento era reale, come lo era la sua felicità. Aveva sempre avuto bisogno di concretezza quando si parlava di sentimenti, e in questo era molto simile al moro. Gli piaceva pensare che anche lui affidasse a quel gesto quotidiano, battezzato “il momento Kuro-coffee”, l’esistenza del loro legame.
Quell’inestricabile matassa che era stata la sua vita fino ad allora sembrava essersi sciolta e ricomposta in un modo talmente semplice da sembrargli ancora impossibile. Bastava davvero così poco per incastrare gli innumerevoli frammenti della sua vita che aveva spezzato con le sue stesse mani? Come aveva potuto non tentare prima di raggiungere quella perfezione? Aveva sempre saputo di essere incompleto, anzi, imperfetto. E sicuramente lo era ancora. Ma adesso, con accanto qualcuno nei cui occhi potersi specchiare la mattina, tutte quelle manchevolezze parevano futili, affrontabili, superabili.
Era sufficiente una persona a trasformare il difetto nel desiderio di annullarlo. Era sufficiente aprire appena gli occhi e trovarselo al fianco, nello stesso letto.
Quella mattina, però, aveva dormito un po’ troppo e così aveva perso l’occasione di vedere l’altro andar via.
Il programma del giorno prevedeva una lauta spesa, dato che Fay aveva preso gusto nel preparare mille pietanze diverse al suo compagno, svuotando la dispensa con una velocità invidiabile. Era uscito poco prima di mezzogiorno, diretto al supermercato lì vicino. Passeggiava allegro, finalmente sollevato per essere potuto uscire senza provocare le lamentele di Kurogane che si comportava proprio come un papà apprensivo.
Non aveva ancora deciso quale manicaretto avrebbe fatto trovare pronto al paparino, quella sera, perciò si mise a vagare tra gli scaffali, così, con lo sguardo per aria, non si accorse del commesso che stava riordinando dei barattoli proprio lì davanti e lo centrò in pieno. La piramide di scatole di latta rovinò a terra con un fracasso infernale.
“Oooooh! Ecco cosa potrei fare! Una zuppa calda è quello che ci vuole!” esultò Fay a quella scoperta.
Si chinò ad aiutare il ragazzo col grembiule che tentava di raccogliere con una bracciata più barattoli possibile e non farsi scoprire dal capo.
“È tanto che non ci si vede, Kazahaya-kun!” salutò Fay, porgendogli una confezione di zuppa.
“Mi fa piacere rivederla, Fay-san” ricambiò il ragazzo, anche se non pareva molto convinto.
“Perdonami per questa confusione!”
“Ah… non fa niente. Ma sbrighiamoci a riordinare, non voglio che lo scemo mi scopra…”
“Sei proprio un idiota.” L’insulto giunse tetro da dietro le spalle di Kazahaya.
“Rikuo!” Il ragazzo riuscì a far cadere nuovamente tutti i barattoli che era faticosamente  riuscito ad impilarsi sulla mano. “Non è stata colpa mia, va bene?! E non chiamarmi idiota, idiota!”
“Sono stato io, Rikuo-kun! Non prendertela con il povero Kaza-chan, siete così carini quando andate d’accordo!” La risatina allegra di Fay si interruppe all’improvviso. Fu come se per una frazione di secondo ogni cosa avesse smesso di esistere, lasciando spazio soltanto ad un’oscurità invincibile e a un brivido di terrore. Quando la mente di Fay tornò al negozio, si accorse che Kazahaya lo stava fissando con espressione interrogativa, le mani di entrambi stringevano il barattolo.
“Ehm… Fay-san, può lasciarlo?”
Fay mollò subito la presa e, cono qualche sforzo, riprese a ridere per allentare la tensione. “Ah, scusa!”
“È tutto a posto?” chiese il ragazzo con circospezione.
“Gli acciacchi dell’età, caro mio! Niente di cui preoccuparsi, sarà un principio di artrite.”
“Ma lei ha soltanto…”
“Non si dice l’età di una signora!” lo zittì Fay sigillandogli la bocca. “Comunque una scatola di zuppa me la prendo e, se non vi dispiace, mi dareste il solito assortimento alcolico?”
Rikuo tornò poco dopo con due sacchetti tintinnanti. Fay pagò e se ne andò velocemente, trascinandosi dietro tutti quei chili di alcool, ansioso soltanto di potersene tornare a casa, da solo.
Si era spaventato non poco per quell’improvviso black-out, ma tentò di tranquillizzarsi convincendosi che era accaduto perché si era svegliato da poco e probabilmente il suo cervello faticava a rimettersi al lavoro. Quel fastidioso brivido era stato causato di sicuro dal freddo, non si era vestito molto prima di uscire, dato che il supermercato si trovava a pochi minuti da casa sua.
Infilò precipitosamente le chiavi nella toppa e spalancò la porta, richiudendosela alle spalle. Questa volta diede anche un paio di giri alla chiave, non voleva che per caso qualcuno entrasse e lo vedesse in quelle condizioni.
Posò le borse a terra, in cucina, e si sedette su una sedia, nascondendo il viso tra le mani. Ora si sarebbe tranquillizzato. Respirò profondamente. Non era successo niente di grave.
Lentamente, quando si fu convinto di aver ripreso il controllo, iniziò a mettere via la spesa sugli scaffali. Per disperdere la tensione provò anche a sorridere, era molto tempo che non si esercitava. Avrebbe dovuto pensare che non ce ne sarebbe più stato bisogno, ma era più forte di lui. Era dura perdere un’abitudine in così poco tempo.
Stava riponendo una bottiglietta di sakè quando accadde di nuovo. Il blocco, il buio, il terrore. Una sequenza agghiacciante e inspiegabile che si impadroniva di lui. Fu risvegliato dal rumore del vetro infranto e dall’odore dell’alcool spanto sul pavimento. Era ancora immobile, col braccio alzato e le dita tese a reggere la bottiglia che non c’era più.
Che stava succedendo?
“Sorridi”, pensò Fay tentando con tutte le sue forze di riprendere a muoversi. “Sorridi e andrà tutto bene. Il sorriso è la tua arma di difesa migliore”.
Non capiva cosa gli fosse preso. Era come se il suo corpo gli impedisse di fare qualcosa, come se lo stesse mettendo in guardia su un possibile futuro. Gli imponeva di esitare di fronte a ciò che stava per fare. Quella paura che lo sopraffaceva durante quei momenti di blocco era insormontabile.
“Non devo pensarci!” pensò, tentando di scacciare quell’orribile sensazione. “Devo… sorridere.”
Il suo sguardo cadde sulle dieci bottiglie ancora per terra, nei sacchetti. In quel momento gli parve l’unica soluzione. E iniziò a bere.
 
Aprì gli occhi sentendo qualcuno armeggiare con la serratura della porta.
“Dannazione!” imprecò una voce. “Perché diamine hai dovuto fare tutti questi giri? Avevi paura che potessi rientrare a casa mia?!”
Fu solo una vaga sagoma scura quella che intravide affacciarsi nella cucina.
“Che accidenti fai per terra?”
Fay impiegò un po’ per fornire una risposta sensata che fosse diversa da un mugolio. “Miaaaaa! Mi sto solo rilassando, Kuro-bau! Tu non ti rilassi mai…”
“Rilassarsi non vuol dire spalmarsi sul pavimento e miagolare” dissentì la voce di Kurogane.
“Miaaaaao!” confermò in risposta Fay.
Poi, Kurogane notò le bottiglie. Anche da ubriaco, il biondo poté percepire del rimprovero in quel silenzio prolungato. Ma non gli importava assolutamente, ciò che contava era riuscire nuovamente a sorridere.
“Scusa se non te ne ho lasciato neanche un po’, cagnolone, ma era davvero trooooooppo buono!”
“E lo hai bevuto tutto solo perché era buono?” fu la domanda fatale di Kurogane, il quale diede un lieve calcio a una bottiglia vuota.
Fay rise senza motivo.
“Smettila di fare il cretino, rispondi!” insistette il moro, con l’unico risultato di farlo miagolare ancora di più. Sentì dei passi allontanarsi e un commento disgustato.
Andava tutto bene, ora. Era quello ciò che voleva. Stava tornando tutto come prima, Kurogane che si arrabbiava e Fay che sviava le sue domande con stupide risate. Non poteva permettere che tutto cambiasse. Rimaneva disperatamente aggrappato a quel vecchio e sicuro mondo che non portava in serbo nessun cambiamento e nessuna sorpresa. Era riuscito a tenerlo stretto a sé nonostante, per qualche giorno, avesse rischiato di perderlo per sempre.
Cosa gli era saltato in mente? Come aveva potuto soltanto pensare di poter cambiare, di poter far entrare Kurogane nella sua vita? Era stato difficile, ma era riuscito a fermarsi in tempo, tutto era tornato come prima e quella sensazione di terrore non si era più fatta sentire.
L’unico effetto collaterale era stata la sbronza. Non sapeva quante bottiglie avesse svuotato, ma come sempre il liquore del Drugstore aveva soddisfatto le aspettative e si era dimostrato davvero forte.
Non riusciva a muovere nemmeno un muscolo, se lo avesse fatto avrebbe sicuramente vomitato. Il mal di testa gli pulsava in fronte e iniziava ad avere freddo. Ma n’era valsa la pena: Kurogane l’aveva abbandonato lì per terra, lo disprezzava di nuovo. Era tornato tutto come prima.
Si tranquillizzò, tanto che smise di tremare per il freddo. Qualcosa di soffice era caduto sopra di lui, ma non riusciva ad aprire gli occhi per capire cosa fosse. Ora c’era qualcos’altro che lo avvolgeva e si rese conto di non sentire più il pavimento duro e freddo sotto di sé.
Non poté fare a meno di domandarsi se stesse morendo. Era tutto così strano, così confortevole, così…
Aprì lentamente gli occhi. Attorno al suo corpo era stata avvolta una coperta di lana e Kurogane lo teneva in braccio, conducendolo al loro letto. Stava così bene appoggiato a quel petto che dovette impiegare tutte le forze rimastegli per afferrargli la camicia.
“Aspetta…” Kurogane si fermò, forse pensando che Fay soffrisse per quei movimenti. “Ti prego… non farlo.”
“Di cosa parli?”
Fay sospirò. Perché gli riusciva così semplice confidarsi con lui? Perché quegli occhi lo costringevano ad aprirsi senza remore? Perché, oltre a quell’affetto smisurato, tutto ciò che intravedeva erano buio e terrore?
Si era sentito così bene fino a quella mattina. Credeva di aver trovato il suo posto nell’universo, un cantuccio costruito apposta per lui, proprio di fianco a Kurogane. Si era sbagliato? Oppure, più semplicemente, non era in grado di raggiungere quel luogo confortevole con le sue forze? Non era niente di tutto ciò. Era solo la consapevolezza di non avere il coraggio di affrontare tutto questo, perché la verità era che non poteva abbandonare la valle solitaria in cui aveva vissuto fino ad allora, perché le sue pareti erano troppo alte e lui, in fondo, temeva ciò che avrebbe trovato al di là di queste.
La verità era che il vero Fay, quello che Kurogane era riuscito a portare alla luce con tanta fatica, era solo un vigliacco.
“Io… ho paura.” Strinse la camicia più forte. “Quello che sto facendo adesso… non l’avevo mai fatto prima. Ho paura.”
Riuscì a scorgere Kurogane che arrossiva. “Stai… stai parlando di quello che noi…”
“No. Parlo del fatto di mostrarmi per quello che sono.” L’angoscia era troppa per impedirgli di versare qualche lacrima. “So che tu vuoi conoscere tutto di me e mi rendo conto di avertelo quasi permesso. Quando tu saprai ogni cosa, io non avrò più nulla con cui nascondermi e proteggermi. Tra noi due ci sarà soltanto… affetto, ma… se questo dovesse cessare, allora di me… cosa rimarrebbe?”
Voleva fermarsi, doveva fermarsi! Ma era impossibile. Quell’abbraccio, quel calore, l’alcool che aveva in corpo, tutto giocava a suo sfavore e ormai si stava rovinando con le sue stesse mani. Perché doveva essere così semplice confidarsi con lui? Perché Kurogane doveva rappresentare una simile contraddizione? Perché doveva dilaniare in quel modo la sua anima?
“Non voglio che tu mi dica tutto. Voglio solo che quello che mi dici sia sincero.”
“Lasciami, ti prego. Se mi lasci qui da solo, tutto potrà tornare come prima:”
La risposta di Kurogane fu semplice e repentina. Strinse a sé Fay e lo portò fino al letto. Lo adagiò delicatamente e gli sistemò la coperta.
“Ora che finalmente sono riuscito a prenderti, dove credi che possa lasciarti?”
Fay non si staccò dalla sua camicia. “Ti prego. Non ho nessun altro modo… per proteggermi. I segreti, e le bugie… sono tutto ciò che mi compone.”
Kurogane gli posò una mano calda sugli occhi, come per arginare le lacrime. “Perché credi di avere bisogno di proteggerti?” Fay non conosceva la risposta a quella domanda. “Non puoi affidarti solo alle tue forze. Ti devi fidare degli altri. Ti devi fidare di me.”
“E se tu… te ne dovessi andare?”
Fay non poteva vedere e, a causa dell’alcool, poteva sentire a stento, ma percepì ugualmente il corpo di Kurogane che si stendeva accanto al suo.
“Non vado proprio da nessuna parte.”
Perché tutto questo? Perché sprecare il proprio tempo con uno come lui, che non meritava il suo affetto? Fay, a causa della sua vigliaccheria, non aveva nemmeno osato allungare le mani verso la felicità che Kurogane gli porgeva senza richieste. Cosa significava quella fiducia smisurata nei suoi confronti?
Aveva paura di se stesso, aveva paura di poter ferire Kurogane. Non voleva che una persona come lui si sacrificasse per colmare il suo immenso vuoto.
“Ehi.” Fay trovò a stento il coraggio di voltare la testa per ricambiare quello sguardo di fuoco con l’incertezza. “È stata una mia decisione. Io ho scelto di prendermi cura di te e non temo le conseguenze di questo gesto. Smettila di guardare il passato e accettati per come sei adesso, perché a me va bene così.”
Ed eccola affiorare di nuovo, quella cascata di parole e sentimenti che non riusciva assolutamente ad arginare quando Kurogane lo guardava con quegli occhi, con quella fiducia velata ma tangibile.
“C’era una persona… che amavo. Stavamo sempre insieme, molti anni fa, e ciò che ci legava era qualcosa di misterioso che nessuno riusciva a comprendere. Era come se fossimo una persona sola.” Una parte di lui desiderava che Kurogane lo interrompesse, che si dimostrasse annoiato o infastidito da quella confessione non richiesta, invece le sue parole venivano ascoltate con attenzione. Già, quando Fay diceva la verità, Kurogane cercava di carpirne ogni dettaglio più insignificante, consapevole di trovarsi di fronte a un evento estremamente raro di cui doveva approfittare. Fay non poteva negargli qualcosa che si era guadagnato con la sua pazienza.
“Un giorno accadde qualcosa che non avevamo previsto e così io… ho fatto una scelta.”
Quanto desiderava essere consolato da quelle braccia forti e rassicuranti, come voleva sentire pronunciare quelle parole che agognava da anni, parole di perdono, parole dolci, parole che fossero in grado di sollevargli quell’enorme peso dalle spalle che lo opprimeva impedendogli di camminare verso un futuro felice.
“Ho fatto la scelta sbagliata e adesso… quella persona non c’è più.”
Non aveva mai intravisto la pietà negli occhi di Kurogane, e non la vide neanche in quel momento di silenzio assordante. Si sentiva in dovere di dare una giustificazione a quello sfogo.
“Da quel giorno io non sono più riuscito a scegliere la cosa giusta da fare perché… ho sempre temuto quello che la mia decisione avrebbe provocato.”
Il mutismo di Kurogane gli pesava enormemente. Non faceva altro che guardarlo, come se stesse chiedendo maggiori spiegazioni. Ma Fay non aveva altro da aggiungere, si era già messo in ridicolo abbastanza. Ora voleva solo che il moro iniziasse ad insultarlo come al solito.
“Sei proprio un idiota. Hai paura delle scelte e decidi comunque di compierle con leggerezza?”
Fay chiuse gli occhi per attenuare il dolore che lo aveva preso al petto. “Kurogane, è proprio questo il punto. Se scegliessi di stare con te io non potrei sopportare…”
“Se una persona volesse darti il suo affetto, e tu decidessi di rifiutarlo, che conseguenze credi che comporterebbe tutto questo?”
Era impossibile. Fay non riusciva proprio a capacitarsi dei ragionamenti di Kurogane. Come riusciva a fargli ritorcere contro ogni sua confessione? Come poteva trovare un secondo punto di vista, completamente opposto al suo, ogni volta che lui dimostrava un’esitazione?
Ora Fay si sentiva davvero un idiota. Si sentiva un bambino troppo pauroso sdraiato a letto e consolato da un padre che trovava assolutamente futili tutte quelle preoccupazioni, ma che tentava comunque, con tutta la pazienza di cui disponeva, di fargli capire con ragionamenti semplici che al mondo le paure che bisognava temere erano ben altre.
Ancora una volta Kurogane era riuscito a dimostrargli che era stupido sobbarcarsi della preoccupazione di sbagliare, perché tanto aveva già sbagliato, senza neanche accorgersene, e adesso l’unica cosa davvero importante non era tentare di rimediare, ma riuscire a proseguire anche dopo il proprio errore.
Era quello il coraggio che Fay non aveva mai conosciuto.








[¹]  Dizionario della lingua italiana Sabatini-Coletti
[²]  da “Considerazioni sulle proprietà dei viventi”, Giovanni Pilato, Università di Catania





Ringraziamo di nuovo tutti per le bellissime recensioni! E tranquillizziamo ViKi_FrA dicendo che le altre lettere sono già quasi tutte pronte, in attesa di revisioni (compresa la Z che, purtroppo, non è zuzzurellone XD)
Disgraziatamente a Lucca, prese com'eravamo ad ammirare tutti quei fantastici cosplay, ci siamo dimenticate di fare delle foto a noi XD Ne abbiamo un paio abbastanza penose che magari linkeremo tra pochi giorni, appena internet deciderà di collaborare... in compenso abbiamo una sorpresa per tutti coloro che amano il KuroFay e per la quale dovremo ringraziare a vita i nostri collaboratori :) Attendete speranzose e tenete d'occhio la pagina!


Eccole!!!! Specifichiamo che nel cartello c'è scritto CANON! e non CANONI.... --->Our Canon----Original Canon

Chiediamo scusa per le nostre condizioni pietose ma l'unico cosplay che avevamo pronto era quello di Infinity e il clima non era proprio quello adatto.. immaginiamo che abbiate capito che siamo le due pirla nella prima foto XD

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Capitolo 6
*** Fotografia ***


EC 6 Salve a tutti ^.^/
Oggi è il turno mio di parlare (E tu chi sei? Come chi sono?!!!! Sono Momoka, of course!), quindi sappiate che mi sfogherò! XD *scappano disperati*
Innanzitutto ci tengo a ringraziare, come sempre, tutti coloro che seguono la nostra ff, che la commentano e che aspettano i capitoli successivi: in particolare Tomoyo93, Viky_Fra, Yua, Covianna e tante altre, che continuano a farci sentire la loro presenza vicina! :3
A proposito! Ci tengo a ricordarvi che abbiamo postato due foto alla fine di esitazione, una nostra e una di alcuni nostri amici, giusto affinché anche voi vi togliate qualche soddisfazione! :) Inoltre, vale sempre lo stesso invito: se qualcuno di voi partecipa alla Fumettopoli (Milano) di domenica… noi ci saremo e porteremo Tsubasa versione Infinity!
Detto questo *coff coff* torno un po’ in Kurogane-mode e vi lascio alla lettura del chappy… alla fine scriverò un altro piccolo commentino per spiegarvi alcune cosucce!



 
6. FOTOGRAFIA: “ Fotografare significa appropriarsi della cosa che si fotografa. Significa stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere.” [¹]  

 
Dopo quella serata nessuno dei due aveva più parlato di quella loro conversazione, né tantomeno aveva più toccato uno di quegli argomenti così delicati e tristi. Avevano semplicemente cercato di vivere con naturalezza e trasporto il loro rapporto, ridendo e scherzando come se nulla fosse mai accaduto. Era un fragile equilibrio, ma sembrava essere stabile, per il momento. Nonostante ciò erano tante le volte in cui si trovava a ripensare al passato dell’altro, alla sua persona speciale che ora non c’era più e temeva che quel dolore, in apparenza superato, sarebbe emerso sicuramente ancora e lui avrebbe avuto ben poco da fare se non continuare a consolarlo. Ma sarebbe arrivato anche il giorno in cui la tristezza era troppa da dipanare, come della nebbia che cresceva e li circondava e lui non sarebbe bastato. Perché contro nemici invisibili come quelli c’è poco da fare.
Si destò scocciato da quel pensare che a lui non apparteneva affatto. Figurarsi, un nemico era un nemico e lui l’avrebbe fatto a pezzi, annientato, distrutto. Anche se il biondo non l’avrebbe permesso, perché sapeva che avrebbe sicuramente fatto storie, si sarebbe fatto del male da solo per l’ennesima volta. Che rabbia gli faceva!
Una volta immersosi nella solita routine lavorativa i dubbi che pochi minuti prima lo attanagliavano sembravano aver lasciato spazio ad un pacifico senso di sicurezza, e anche se temeva che sarebbe stata solo una cosa momentanea, vi si abbandonò piacevolmente. A casa avrebbe rialzato la sua guardia per sostenere anche Fay, ma ora poteva permettersi di abbandonare la sua corazza da ninja, come lo chiamava l’idiota per farlo arrabbiare
Guardò il calendario e si perse in quei numeri, in quelle date: era passata ormai una settimana, nondimeno il moro sentiva che era come se fosse passato tanto tempo e non riusciva a non pensare a quella spiacevole sensazione che gli diceva di stare attento, perché una novità diventata già abitudine non poteva portare a nulla di buono. Eppure quel senso di familiarità gli piaceva e non poteva negarlo. E poi, anche se fosse stato troppo avventato, troppo attento e troppo “paparino”, come diceva sempre il biondo, ormai era troppo tardi per tornare indietro, e lui lo sapeva bene.
Ma che diavolo gli prendeva! Si era appena ripromesso di abbandonarsi al lavoro, di rilassarsi e invece, come uno scemo, non riusciva a non pensare a lui, a non preoccuparsi… e pensare che un sacco di moduli aspettavano di essere compilati, mentre lui stava a tormentarsi fissando lo screensaver del computer! Dannazione, quell’uomo era piombato nella sua vita e l’aveva sconvolta, peggio di un tornado. Tutti quei pensieri da femminucce non sarebbero mai stati formulati, senza il biondo. Per non parlare dei problemi da risolvere, dei sospiri che gli uscivano spontanei dalla bocca, ragionando per la felicità di Fay.
Stava digitando parole a caso sulla tastiera, preso com’era dai suoi pensieri quando sentì una figura avvicinarsi alle sue spalle. Convintissimo che fosse il suo capo, cercò di pensare al più presto ad un senso da dare alla parola che lampeggiava sullo schermo: aweibvwtyenchaoòcm, ma nulla sembrava venirgli in mente. Invece, fu una voce femminile  a scuoterlo dal suo inutile cercare.
“Salve, Kurogane-san!”
Conosceva quel tono, quel modo di pronunciare il suo nome in una maniera così provocatoria da farlo imbarazzare, quell’ondeggiare di capelli e quel profumo che subito lo investì.
“Ohi, buongiorno Daidouji. Cosa ci fa qui?” Aveva troppe domande da porle, troppi interrogativi che gli aleggiavano in testa e l’unica cosa che gli era uscita era quella domanda troppo scortese e informale da porre ad un proprio superiore. Ma lei sapeva già com’era fatto lui, e lo manifestò con un sorriso dei suoi, facendo arrossire il moro.
“Finalmente sono riuscita a trovarti! Ti ho cercato così tanto!”
Questa frase lo fece sobbalzare.
“Cosa diavolo…?”
“Oh, ma è così che si parla ad una carissima amica dopo tutto questo tempo? Senza considerare che se ti sentisse Seishiro-chan parlare così ti darebbe una bella tirata di orecchie!”
“Che siamo carissimi amici lo dici tu!”
“Ahhh, noto che sei sempre il solito timidone!” gli rispose lei, tirandogli le guancie.
Gli sguardi dei colleghi erano tutti rivolti verso di loro, e questo irritò tantissimo Kurogane. Se solo Tomoyo non fosse stata così rumorosa! Con lei non riusciva mai a intavolare una conversazione seria, soprattutto dopo la sua partenza. Si destò da quel ricordo così doloroso per lui e si trovò a specchiarsi in quei due occhi viola che lo fissavano, in un’espressione canzonatoria.
“Ora lasciami lavorare!”
“Va bene.. vorrà dire che ti aspetto dopo il lavoro! Cosa dici, ceniamo assieme?”
Avrebbe voluto risponderle che non poteva, perché aveva qualcuno che lo aspettava a casa e non voleva farlo preoccupare inutilmente, ma non ci riuscì. Si limitò ad annuire come uno stupido e non fece che maledirsi per tutto il giorno di questa sua mancanza di coraggio.
Le sei sembrarono arrivare ancora prima dei giorni precedenti, e in un baleno si trovò in una caffetteria, davanti alla ragazza in una mise alquanto compromettente.
“Cosa volevi dirmi?”
“Passerò subito al sodo, come sempre con te… è bello vedere che sei sempre il mio solito Kurogane! Vorrei ricominciare da dove eravamo rimasti più di un anno fa, prima della mia partenza.”
A quella risposta il caffè che aveva ordinato gli andò di traverso. Cercò di pensare ad un qualcosa da dire, ma specchiandosi in quella tazzina, il pensiero volò subito a Fay e gli venne spontaneo alzarsi e congedarsi.
“Devo tornare a casa.”
Una volta aperta la porta del suo appartamento, notò immediatamente che il biondo non lo accolse nel solito modo, nonostante fosse presente il profumino della cena che evidentemente gli aveva preparato. Lo trovò su una delle sedie, mentre la sigla di una soap opera riempiva col suo chiasso il salotto.
“È tardi…”
“Lo so, scusami. Ho dovuto fare gli straordinari.” Gli venne spontaneo mentirgli, dopo averlo visto così, e il senso di colpa si impossessò di lui in una maniera così brutale da farlo sentire male. Non che avesse voglia di spiegargli di Tomoyo… ormai per lui quello era un capitolo chiuso. Si mise davanti al suo volto, per poter catturare quell’immagine dei suoi occhi, l’unica che poteva fargli scordare quella giornata infernale, ma l’altro si voltò e gli diede le spalle.
Lui gli accarezzò i capelli, ma di risposta ebbe solo una scrollata.
Gli baciò il collo e le guancie che tremavano di paura. Finalmente a quei gesti di tenerezza l’altro si sciolse e ricambiò con un bacio possessivo e pieno di incertezze.
“Ora mangia, sennò si fredda tutto.” Esitò Fay, riprendendo a respirare.
“Non ho fame. Vado a riposarmi un attimo in camera.”
Kurogane chiuse con un tonfo la porta della stanza e si decise a tirar fuori una scatola che non apriva da tanto tempo, nascosta nei meandri dell’armadio affinché potesse sfuggire agli occhi curiosi e agli attacchi di pulizia del biondo. E c’era riuscito con successo, tanto che uno spesso strato di polvere l’aveva coperta… in fondo non l’apriva da più di un anno.
Scoperchiarla, come un vaso di Pandora, gli diede un brivido alla schiena. Perché aveva deciso di farlo? E se l’altro avesse visto quelle foto, capitando silenziosamente alle sue spalle?
Le fotografie erano sparse in maniera disordinata e la prima che gli capitò in mano fu una foto di quasi due anni prima, al suo arrivo alla ditta: in fila tutti i dipendenti, mentre ai lati, proprio accanto a lui Seishiro e Tomoyo sorridevano alla camera. Era stata la prima volta che l’aveva vista e non era riuscito a capire quali sentimenti riuscisse a provocare in lui una persona così. Lui non si era mai innamorato prima di quell’istante, neanche una cottarella al liceo, niente. Non si era mai lasciato toccare né tantomeno travolgere dalla passionalità. Ma con lei… era stato tutto diverso.
Gettò quella foto tra il mucchio e ne prese in mano un’altra, fatta con l’autoscatto: la sua faccia era imbronciata come sempre, mentre la ragazza accanto a lui stringeva la sua mano attorno alla sua spalla e sorrideva felice. Alcune lunghe ciocche nere erano finite davanti all’obbiettivo e coprivano, dispettose, quel vestito che invece lui ricordava alla perfezione. Un rumore in cucina lo destò dai ricordi, spingendolo a cambiare immagine.
Quella che gli capitò in mano fu la loro ultimissima foto, poco prima della sua partenza: il suo volto era rilassato, pronto a celare il profondo disagio che sentiva dentro di sé. Tomoyo invece era appoggiata sulla sua spalla e il suo sorriso era contaminato da un velo di malinconia, provocato dal loro addio.
“Questa sarà la nostra ultima fotografia assieme, te lo prometto Kurogane-san.”
“Perché sei così formale con me adesso?”
“Perché voglio soffrire meno quando sarà il momento dell’addio.”
“Non andare.”
Ma lei non l’aveva ascoltato e l’aveva lasciato lì, a ritornare alla vita di prima, alla solitudine che tanto gli piaceva prima che arrivasse lei, che piombasse nella sua vita come un ciclone, sconvolgendogli ogni cosa.
Proprio come aveva fatto Fay.
A quel pensiero si destò nuovamente, mentre il rumore dei piatti si confondeva con i finti pianti che uscivano dal televisore. Non poteva farlo soffrire per colpa di alcuni stupidi ricordi. Eppure tenne con sé quell’ultima foto, e la nascose nella giacca, prima di riporre la scatola e ritornare dall’altro… colui che in quel momento aveva davvero bisogno di lui, colui al quale ora lui teneva più della sua stessa vita.
Quella notte, dopo aver fatto l’amore, il biondo si ancorò a lui e lo strinse a sé con un’intensità tale che lui non poté che ricambiare, sentendosi sollevato a sua volta.
Fu difficile, poche ore dopo, alzarsi e staccarsi da quella morsa per andare al lavoro, temendo l’incontro con Tomoyo. Ma non sarebbe scappato, non era da lui. L’avrebbe affrontata.
Le sue previsioni si rivelarono esatte, la ragazza lo attese al parco della stazione, da cui passava tutti i giorni scendendo dal treno, portandogli la colazione come faceva tempo prima.
“Buongiorno Kurogane!”
“Ho già mangiato.”
“Oggi a pranzo andiamo al sushi-bar all’angolo? È stato il luogo del nostro primo appuntamento, te lo ricordi?” e detto ciò gli toccò il naso, facendolo sobbalzare.
“Ho il pranzo pronto. Ora scusami ma ho da fare.” Proprio mentre manteneva tutto il suo contegno e cercava di ignorare il fastidio che andava crescendo, si tolse la giacca e un angolo di fotografia sbucò fuori, catturando l’attenzione di Tomoyo.
“Allora l’hai conservata! La nostra ultima foto assieme.” Ora la sua voce non era più carica di finta allegria, ma di nostalgia.
“Tsk! Volevo buttarla.”
“Ma non ci sei riuscito, vero? Anch’io la conservo e la porto sempre con me. Ti amo ancora Kurogane. Ti prego, facciamo come se non fossi mai partita. Resterò con te, ci sposeremo se tu lo vorrai, costruiremo assieme quella famiglia che tanto ti è mancata.”
Non ebbe il tempo di rispondere, di negare, di parlarle di Fay e del sentimento che ora lo dilaniava, così diverso da quello che aveva provato per lei, perché in un istante vide annullarsi la distanza tra loro due, mentre una mano lo prendeva per la camicia e lo trascinava ancora più vicino coinvolgendolo in un bacio forzato.
Il tutto mentre la loro fotografia usciva dalla tasca, cadeva a terra e si allontanava da loro, trasportata dal vento assieme alle foglie autunnali, lontana da quella scena, dalla persona che stava assistendo a tutto questo, e dalle sofferenze che avrebbe causato.





[¹] Susan Sontag


 
Bene bene bene! Eccomi qui! Il capitolo è finito e spero che vi sia piaciuto. Ovviamente alla fine ho ceduto pure io all’angst, contagiata dalla mia cara coinquilina, cioè Yuri, ed ecco cosa ne è uscito! Non speravate mica che tutto andasse bene fino alla Z, veeero?! *muahahaha*
Avrete notato certamente (e se non lo avete notato scommetto che ora state salendo col cursore per verificare… perché anch’io faccio così XD)  che fotografia non ha una definizione tratta dall’enciclopedia.. ebbene sì, chiediamo venia, ma non c’era una definizione che potesse soddisfare le nostre richieste e volevamo decisamente risparmiarvi definizioni su diaframma, tempi di esposizione, luce ecc ecc. Ecco dunque che Yahoo answer ha saputo darmi una risposta, e questa frase era talmente bella e perfetta che ho dovuto metterla! ^___^ perdono!
Ora è d’obbligo invece parlare di Tomoyo! Ovviamente il ruolo della “cattiva” non poteva non capitare a lei, visto che le relazioni sociali di Kurogane sono praticamente nulle già in Tsubasa, figuriamoci qui XD Spero che le sue fan non se l’abbiano a male e che ci perdonino, ma siamo delle fan girl e non riusciamo a non essere un po’ gelose per Fay del loro rapporto <.<
Coooomunque, perdonateci e continuate a seguirci, mi raccomando! Ovviamente non seguiteci armate di piccone e vanga per ucciderci, eh! E con l’ultima cazzata quotidiana direi che mi sembra di aver detto tutto… a presto! ^w^
Momoka

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Capitolo 7
*** Gola ***


ff-EC 7 Domando scusa per il ritardo con cui ho pubblicato il chap 7, ma la febbre ha scovato anche me e, siccome scrivo già sufficienti cavolate da lucida, ho preferito aspettare che i miei neuroni si riprendessero dalla cottura.
Sono felicissima dell’entusiasmo che l’ultimo capitolo della mia Momo-chan ha suscitato in voi e le vostre recensioni sono fantastiche come sempre XD Il fatto che abbiate espresso più volte il desiderio di scoprire la storia di Yuui mi ha fatto pensare, dato che questo squarcio di storia all’inizio non era previsto ed è stato inserito un po’ all’ultimo momento…. Insomma sappiate che non ho ancora idea di cosa sia successo al povero gemellino!
Comunque, torniamo al nostro nuovo chap. Nello scorso episodio vi abbiamo sorpreso con un triangolo amoroso….. e se diventasse un quadrato? (Lo so, dopo questo ci odierete XD)
Mi raccomando, continuate a recensire, criticare e consigliare perché grazie a voi possiamo migliorare ogni capitolo e concedermi, per esempio, di trascorrere notti insonni a costruire un credibile passato di Yuui! Grazie grazie grazie!
 
 
7. GOLA: “Golosità, ingordigia; nella teologia cattolica, uno dei sette peccati con cui si eccita la golosità, proprio di cibi o bevande, ma figurativo anche di altre cose.” [¹]
 
Faceva caldo, per essere ottobre. Nei momenti in cui il sole compariva tra gli squarci delle nubi plumbee riscaldava le strade con insperato vigore. Ormai gli alberi si erano quasi del tutto spogliati del loro allegro abito autunnale e le loro foglie ricoprivano i marciapiedi come lunghi tappeti arabescati.
Era davvero una giornata splendida.
 
La scatola del bento si trovava proprio dove Fay aveva previsto: abbandonata sul tavolo. E lui che ci aveva messo tanto amore nel prepararlo! Se Kurogane si vergognava così tanto a portarsi dietro il pranzo in una confezione rosa e viola con un cane e un gatto che si rincorrevano in un immaginario paesaggio floreale poteva anche dirlo, invece che far finta di dimenticarlo! Ma era talmente adorabile che Fay non aveva potuto fare a meno di comprarla per il suo cucciolone, ben consapevole delle lamentele che avrebbero seguito.
Afferrò il bento con decisione e indossò il cappotto. Gliel’avrebbe portato personalmente, costringendolo a subire gli scherni e l’ironia dei suoi colleghi che l’avrebbero visto assoggettato a una mogliettina asfissiante che lo andava addirittura a trovarlo al lavoro. Così imparava a rifiutare i suoi bento d’amore!
Mentre procedeva a passo spedito per le vie della città, ripercorse mentalmente il tragitto che avrebbe dovuto fare. Non era mai andato a trovare Kurogane al lavoro, ma aveva insistito per farsi  rivelare l’indirizzo in vista di “romantiche sorprese” che il moro aveva educatamente palesato di non gradire. Fay ricordò di dover passare davanti alla stazione e così la decisione di recarvisi era sopraggiunta come una specie di illuminazione.
Aveva compreso di essere in grado di accettare l’amore di Kurogane, o almeno aveva intenzione di provarci, ma per poter compiere quel grande passo aveva il bisogno di ricordare il motivo che lo aveva spinto a decidere di cambiare.
Era sicuro di sé, una volta tanto. Sapeva che se fosse tornato nel luogo in cui tutto era iniziato avrebbe trovato il coraggio per iniziare la sua nuova vita. Una frase del genere lo metteva un po’ a disagio dato che era sempre stato convinto che mai avrebbe rinunciato a quello che riteneva essere un suo personale obbligo, quello di soffrire. Ma adesso doveva scegliere: la sua sicura e crogiolante solitudine o il solido e impegnativo amore di Kurogane. Se avesse deciso di tenere entrambi il loro rapporto si sarebbe di sicuro sgretolato in poco tempo, questo lo sapeva persino lui.
Le gambe di Fay si muovevano sicure verso la sua meta, nel cuore aveva la sensazione di andare incontro all’inevitabile e, a mano a mano che procedeva, sentiva crescere nel petto un inspiegabile senso di disagio poiché sentiva avvicinarsi la soluzione a quel dilemma che era sempre stata la sua vita. Forse non era del tutto pronto, ma ormai aveva deciso di andare fino in fondo.
Passò vicino al parco che fronteggiava la stazione. Non avrebbe voluto temporeggiare proprio ora, ma ciò che lo portò a voltarsi verso il guardino tinto d’oro fu un’impellenza inspiegabile. Il suo sguardo vagò senza meta per qualche istante, quando il motivo di quell’esigenza improvvisa gli si rivelò: un uomo alto, vestito di nero, era in piedi poco lontano da un albero, dandogli la schiena. Fay non dovette neanche fermarsi a pensare perché in lui riconobbe immediatamente il suo Kurogane. Poiché quella mattina non aveva avuto modo di salutarlo decise di raggiungerlo, magari sorprendendolo da dietro in uno di quegli abbracci appiccicosi che il moro non sopportava e che si concludevano sempre in una raffica di lamentele e maledizioni che si mescolavano all’imbarazzo e ai baci rubati che seguivano. Poi, magari, sarebbero andati in stazione insieme e Fay avrebbe finalmente trovato il coraggio necessario per farsi accogliere nella vita di Kurogane e lasciarsi alle spalle tutte quelle sofferenze che il biondo si era accollato.
Attraversò speditamente la strada e fece attenzione ad avvicinarsi senza fare rumore sul ghiaino. Aveva sempre pensato che Kurogane avesse l’istinto di un ninja per come si accorgeva sempre della sua presenza, sventando ogni piano di Fay di prenderlo di sorpresa. Ma questa volta Fay pensò di essere stato più abile del solito nel mascherare la sua furtiva avanzata perché il moro non parve proprio accorgersi di lui. Fay si nascose dietro l’albero che li separava, attendendo il momento giusto per aggredirlo.
Sarebbe stato sufficiente arrivare solo qualche istante più tardi per evitare la scena che ora si stava consumando sotto i suoi occhi.
 
Faceva caldo, per essere ottobre. Nei momenti in cui il sole compariva tra gli squarci delle nubi plumbee riscaldava le strade con insperato vigore. Ormai gli alberi si erano quasi del tutto spogliati del loro allegro abito autunnale e le loro foglie ricoprivano i marciapiedi come lunghi tappeti arabescati.
Era davvero una giornata splendida.
E allora perché lui non riusciva a cogliere nemmeno un sospiro di quell’aria gioiosa? Non ricordava più il motivo, perché tutto a un tratto era come se la sua vita si fosse interrotta e fosse ripartita da un momento indefinito. Si ritrovò a domandarsi perché si trovasse in quel parco da cui si udiva lo stridore dei treni in arrivo che gli riportavano alla memoria un giorno particolarmente felice. Eppure, nemmeno quel ricordo sembrava invaderlo completamente. Rammentava vagamente di aver gettato una scatola colorata in un cestino della spazzatura, ma non sapeva esattamente quando.
Mosse qualche passo nella speranza di riuscire a ricomporre i frammenti della sua vita spezzata e fu allora che si rese conto di tenere qualcosa stretto in mano. Osservò pensieroso ciò che stava nascondendo a se stesso: una fotografia. Ritraeva due giovani in un momento di tenerezza e, al contempo, sicuramente doloroso. Dalle loro espressioni sembrava che fossero stati felici, una volta.
La ragazza aveva dolcemente posato la testa sulla spalla dell’uomo, come per affermare, in un ultimo gesto, il proprio possesso su colui che una volta era stato suo.
Ma c’era qualcosa di sbagliato in quel puro quadretto. Fay tuffò lo sguardo in quegli occhi incandescenti che ora riconosceva. Sapeva a chi appartenevano.
Al suo uomo.
Dunque era questo ciò che era accaduto. Tradito da colui che si era insediato nella sua fortezza con l’inganno, nella speranza di cogliere tutti i suoi segreti, e poi abbandonato, privo di difese e di supporto.
Per quanto si sforzasse non riusciva a distogliere lo sguardo da quella fotografia. E ora, come avrebbe dovuto comportarsi? Odio? Vendetta? Rassegnazione? Non era pronto ad affrontare quel cambiamento. Non era in grado di raccogliere i propri sentimenti e attribuire loro un senso.
Voleva soltanto sparire, perché ora lui era soltanto un corpo vuoto. Aveva donato tutta la sua essenza a Kurogane, senza ricevere la sua in cambio.
Non sapeva nemmeno cosa avrebbe dovuto provare. Non era mai stato tradito, prima di allora. Più che altro non aveva mai avuto nessuno che gli stesse così a cuore da potersi sentire tradito da lui.
Dove sarebbe andato adesso? Sarebbe tornato a casa? Sarebbe stato capace di continuare la propria vita con Kurogane come se niente fosse, sempre ammesso che il moro fosse tornato?
Mentre le domande si affollavano e si sovrapponevano si ritrovò a percorrere una strada familiare. Davanti a lui si stagliava la porta a vetri di un negozio, sovrastata da un’insegna che non riusciva a decifrare a causa della nebbia che gli era scesa sugli occhi.
“Oh sì… devo comprare qualcosa per la cena di stasera. Se Kurogane non trova qualcosa di pronto si arrabbierà.”
Le porte automatiche si aprirono appena mosse il primo passo, accompagnate dal suono di un campanello che annunciava il suo ingresso. L’interno del negozio era deserto.
“Bentornato, Fay-san.” La voce proveniva da un punto indefinito alla sua destra. Un uomo alto e dai capelli chiari si avvicinò, gli occhi intelligenti lo fissavano attraverso un paio di occhiali dalla montatura sottile. Non ottenendo alcuna risposta, gli posò una mano leggera sulla spalla.
“Che ne dici di venire nel retro con me? Ti posso offrire qualcosa di caldo.”
Fay lo seguì senza fiatare. Avere qualcuno che lo guidava, in quel momento di smarrimento, era tutto ciò che desiderava.
Entrarono in una stanza accogliente con un divano, sul quale l’uomo lo fece sedere. Poco dopo si ritrovò in mano anche una calda tazza di caffè. Fissando quella bevanda scura avvertì un forte dolore al petto. La posò sul tavolino lì davanti senza assaggiarla.
“È vero, tu preferisci il tè!” ricordò l’uomo con gli occhiali, sedendosi di fianco a lui, molto vicino.
“C’è qualcosa che vorresti dirmi?” chiese, dopo un lungo silenzio, interrotto dal campanello della porta che suonava nuovamente.
Fay alzò lentamente lo sguardo, trovandosi davanti il volto sorridente di Kakei.
“Non so dove andare” ammise infine con un filo di voce.
“Hai perso di nuovo il lavoro?”
L’altro annuì. Ormai gli pareva un passato talmente lontano.
La mano di Kakei, che poggiava ancora sulla spalla di Fay, si mosse verso l’alto, dal collo e fino alla guancia. “Non hai nessuno che ti possa accogliere?”
All’improvviso, a Fay parve di trovarsi nel posto sbagliato. “Io… credevo di averlo, ma… non credo che potrò più tornare.” Si rese conto che il volto di Kakei era più vicino.
“E questo ti fa soffrire tanto da farti piangere?”
Fay fu sorpreso da quella domanda perché non si era accorto della lacrima che scorreva fino a bagnare le esili dita di Kakei, che ora si trovavano in prossimità delle sue labbra.
“Il giorno in cui ti ho conosciuto, ti ho detto che qui avresti sempre trovato un posto in cui stare e un lavoro sicuro. Quest’offerta è ancora valida. Assieme a qualcos’altro che ti ho proposto molto tempo fa.”
Il dito morbido di Kakei percorse con prepotenza le labbra di Fay il quale, però, non seppe sottrarsi a quel gesto: gli sembrava di rivivere quei momenti intimi e unici trascorsi con Kurogane. Anche lui gli sfiorava a bocca con quel gesto invitante che lo liberava da ogni inibizione, dandogli il permesso di avventurarsi in quel mondo proibito che era il loro insolito rapporto.
Fay afferrò la mano di Kakei per indurlo a fermarsi, ma questi interpretò male la sua debole stretta, oppure la prese come uno stimolo in più, e improvvisamente le sue labbra lo aggredirono voluttuose e la sua lingua invadente non si fece scrupoli.
“Quando ti vedo così triste” disse Kakei tra una boccata e l’altra “non posso proprio fare a meno di consolarti. E ultimamente sei sempre triste.”
Non aveva torto. Kurogane lo aveva salvato dalla sua caduta, ma quell’amore si era rivelato così travagliato da portarlo inesorabilmente verso una lenta agonia. Sebbene quel bacio caldo e incontenibile non appartenesse a colui che davvero desiderava, gli offriva un appiglio in mezzo a quell’oscurità in cui era precipitato.
Era così che si era sentito Kurogane, mentre baciava la ragazza della foto sotto gli alberi spogli? Se era così, allora loro due non erano destinati a stare insieme. Si stavano solo trascinando a vicenda in un baratro senza ritorno. Forse, l’unica possibilità che aveva per salvare Kurogane era farsi trascinare in quell’atto vergognoso e liberarlo dal legame che gli aveva imposto con tutti i suoi capricci, le sue pretese e i suoi pianti.
Alla fine, era stata solo colpa sua. Era Fay che non era riuscito a renderlo felice, non poteva rimproverarlo.
E allora era meglio abbandonarsi al peccato.
I cuscini del divano incatenavano il suo corpo disteso e indifeso, mentre la mano di Kakei che non era impegnata ad analizzare ogni lineamento del suo viso slacciava gli ultimi bottoni dando così inizio all’atto finale dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro.
Fu una mano a mettere fine a tutto questo, una mano più grande che afferrò con delicatezza il mento di Kakei e lo costrinse a voltarsi verso l’alto.
“Che sta succedendo?” domandò una voce profonda. Quando i capelli di Kakei liberarono il suo campo visivo, Fay scorse colui che, in un primo momento, gli parve Kurogane. Il suo cuore si fermò e il respiro affannoso gli si bloccò in gola. Ma poi notò gli occhiali scuri e un sorriso che Kurogane non aveva mai esibito. Non a lui, almeno.
“Buongiorno, Saiga!” salutò Kakei, come se fosse stato interrotto durante un piacevole tè pomeridiano. “Stavo consolando il povero Fay-san.”
“Ci sei riuscito?” La curiosità di Saiga era sincera, non vi era alcun rimprovero in quella domanda.
“Non credo. Non sono io colui che lo può consolare.”
Kakei tornò composto, lasciando Fay in quella posizione provocante come se nulla fosse. Quei quattro occhi puntati su di lui lo fecero vergognare terribilmente, tanto che si ricoprì con una velocità inaspettata e si schiacciò contro il bracciolo del divano, il più lontano possibile dagli altri due, soprattutto da Kakei.
Fu proprio lui a parlare, col solito sorriso di chi conosce già la risposta alla domanda che sta per porre: “Ti è piaciuto?”
Fay non riusciva a rispondere, l’imbarazzo gli aveva spezzato la voce.
“Se fossimo arrivati fino in fondo, ti saresti sentito meglio?”
Non poteva rispondere a Kakei, ma sapeva benissimo cos’avrebbe voluto dirgli.
 
 
 
 
 
 
 
[¹] Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti
 
 
 
 
 
E per concludere in bellezza (forse) non possiamo fare a meno di annunciare un lietissimo evento! Alla Fumettopoli di Milano del 15 novembre io e Momoka abbiamo incontrato…….oh no, non riesco a dirlo >/////<   *anf anf*   ok, mi concentro…… abbiamo incontrato Wren!!!!!!! Il nostro dio delle fanfiction, il nostro modello di vita ci ha degnato del suo incoraggiamento durante la gara dei cosplay! Purtroppo ci siamo rese conto della sua identità soltanto a casa, mentre sorseggiavamo in stato catatonico la nostra minestrina… ma è stata un’esperienza talmente bella da risollevarmi dalla perdita della mia macchina fotografica (con tutte le foto di Fumettopoli ovviamente….). L’Hitsuzen pretende sempre qualcosa in cambio….
 
Yuri

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Capitolo 8
*** Ira ***


ff-EC 8 Konnichiwa, Momoka desu!
Innanzitutto chiedo venia per il ritardo con cui pubblichiamo, ma tra impegni universitari e altro è stato davvero difficile rispettare i tempi!
Ringraziamento d’obbligo per tutti coloro che, come sempre, seguono e commentano nonostante i nostri capitoli angst e sconvolgenti XD
E nonostante la vostra proposta di ampliare la figura geometrica per la Z, non avete nulla da temere, ora ci pensa Kuro-tan a sistemare tutto! Ok, ok basta spoiler U.U
Per cambiare argomento un attimino, vi avviso che se, nel girovagare per la rete, vi trovate “casualmente” sul sito di Giorgia Cosplay… beh trovate pure le foto del nostro gruppo Infinity! XD
*siete autorizzati a gridare in coro: e chissenefrega!*
Bene, come al solito pongo freno al mio sparar cavolate e vi lascio alla lettura… a dopo!
 
8. IRA: “Impeto rabbioso e incontrollato, indignazione, violenza generate da faziosità, da discordia. Nella teologia cattolica, uno dei sette peccati capitali. Il giorno dell’ira equivale al giorno del Giudizio Universale in cui gli uomini verranno giudicati da Dio e puniti per i loro peccati.” [¹]  
 
Quando le sue labbra si allontanarono tremanti da quelle di Tomoyo, Kurogane si sentì pervaso dai brividi. Ma non erano gli stessi perturbamenti che gli provocavano i suoi baci tempo prima, era solo e semplice ira. Le mani gli fremevano mentre la staccava con forza a sé.
“Che succede Kurogane?”
“Non posso e non voglio. Ora sei pregata di lasciarmi in pace.”
“Ma cosa stai dicendo? Ti ho detto che ti amo e che voglio stare con te.”
“Io no… ora ho una persona ed è molto più importante per me.”
“Kurogane… sono il tuo capo. Sai che potrei farti perdere il lavoro per questo?”
“Non mi interessa. Ora me ne vado.”
L’orologio segnava le dieci, avrebbe dovuto essere già al lavoro da mezzora, eppure non gli interessava. Doveva andare da Fay, correre da lui, raccontargli di Tomoyo e stargli accanto, perché era quello che desiderava in quel preciso istante. La rabbia doveva ancora passargli, e questo rese ancora più lungo il tragitto in treno e il pezzo di strada a piedi. Si trovò a scalciare con foga le foglie a terra, che gli ricordavano vivamente il momento appena passato con la ragazza e quel contatto indesiderato. Era infuriato con se stesso perché aveva permesso ai ricordi di sopraffarlo, di lasciarsi prendere dalla debolezza, rischiando di perdere ciò a cui teneva, come uno stupido, come un bambino nostalgico. Si promise di eliminare tutte le foto, gettare la scatola nella spazzatura e con essa tutto ciò che avrebbe potuto riportargli alla mente la sua relazione passata.
Aprì la porta con foga, facendo cadere più volte le chiavi e quando davanti a se vide ancora i piatti della colazione sporchi sul tavolo, il letto da rifare e Fay che sembrava non esserci da nessuna parte, un triste sospetto si insinuò in lui. Non ce la faceva ad aspettarlo in casa come un inetto, ma non sapeva dove andare, da che parte cominciare. Si trovò davanti all’ingresso dell’edificio guardando in lungo e in largo la via in cui vivevano, ma fatta eccezione per alcuni bambini che giocavano felici nei loro giardini, sembrava non esserci nessuno. Forse era andato al Drugstore, magari era stato sopraffatto da una delle sue stupide voglie di dolce ed era corso a comprarsi qualcosa…
Corse come un pazzo per la strada, allentandosi la camicia e la cravatta senza fermarsi un attimo. Il brutto presentimento non se n’era andato e stringeva come una morsa il suo petto, rendendo più difficoltosa la respirazione.
Finalmente, dopo tutto il suo vagare, arrivò al negozio e lasciò che la porta si aprisse col suo tintinnio rassicurante, lasciandolo avvolgere dal tepore delle ventole che giravano, rinfrescando quella giornata così soffocante, nonostante fosse autunno. Ma non c’era nessuno ad accoglierlo e non un commesso si fece avanti per aiutarlo. Dov’erano quei due idioti che stavano sempre a litigare? E quel maniaco del proprietario e il suo amante? Ma soprattutto dov’era Fay?
Se non era nemmeno lì dove poteva cercarlo?!
Dopo alcuni minuti si udì il rumore di una chiave e di una porta che si apriva e due figure rientrarono dal retro nel negozio. Erano Kakei e quel tizio che portava sempre gli occhiali... Saiga.
“Oh, tu guarda chi c’è qui. Finalmente! È di là.”
“Co… come diavolo…?”
“Cosa aspetti? Vai di là!” e il suo tono sembrava non lasciare spazio a repliche.
Kurogane temeva che lo stesse prendendo in giro, ma non poteva non fidarsi di lui, con quell’angoscia che non faceva che crescere e il respiro che calava.
Spinse la porta velocemente, quasi temendo ciò che avrebbe trovato aldilà… e ciò che vide non gli piacque affatto.
“Ohi, che fai qui? Dai che torniamo a casa.”
“No.” L’aveva pronunciato con una fermezza che non gli apparteneva e che non prometteva nulla di buono.
“Cosa? E perché?” la rabbia cresceva e cresceva, rendendo il tutto tremendamente difficile… sentiva che stava per perdere il suo proverbiale sangue freddo.
“Ti ho visto.” Gli era scappato un singhiozzo, l’aveva udito distintamente, prima di vedere nero davanti a sé per qualche istante.
Cosa gli stava succedendo?
“Prima?”
L’altro annuì debolmente, esausto da tutto quel dolore che ora stava colpendo pure lui.
“Ti devo spiegare.”
“No, basta.” E si alzò ma cadde nuovamente sul divano, sprofondando tra i cuscini.
“Sì invece.”
“Ti ho tradito anch’io, con Kakei. Siamo pari ora. Ma io sono troppo stanco per continuare tutto questo. Troppo dolore, per un briciolo di felicità, non ne vale la pena… noi non siamo fatti per stare assieme, me ne sono reso conto solo ora. Non è troppo tardi per tornare indietro, fare come se non fosse successo nulla. Io e te non ci siamo mai conosciuti, resterò qui e lavorerò presso questo Drugstore. E ora vai via.”
“No. Non me ne vado senza di te. Non mi interessa di nessuno, tantomeno di quel pervertito biondo! Figuriamoci di Tomoyo… ormai è un capitolo chiuso di cui ti voglio parlare.”
“Non ti disturberò più… torna a casa, Kurogane.” Sussultò. Non l’aveva mai chiamato così, nemmeno la prima volta che si erano conosciuti, quando si erano stretti la mano la prima volta e l’altro aveva iniziato coi suoi fastidiosissimi soprannomi, sempre più strani, suscitando in lui un’irritazione nuova, mista ad uno strano sentimento che molto più tardi era riuscito a decifrare. Ma ora, quel nome lo aveva infastidito ancora di più dei nomignoli con cui si sentiva chiamare. Il modo in cui era stato pronunciato sembrava contenere una lama a doppio taglio più dolorosa di tanti altri discorsi. Quei soprannomi che li avevano avvicinati e poi uniti, che avevano aiutato a scolpire il loro rapporto, erano stati spazzati via in un istante da quel “Kurogane”.
Quante volte aveva desiderato che lui lo chiamasse in una maniera normale, come si addiceva ad un adulto? Quante volte si era sentito imbarazzato quando quegli appellativi venivano usati in pubblico? Eppure ora ne sentiva la mancanza, in una maniera sviscerale.
Sapeva che a degli occhi estranei poteva parere normale tutto quello che stava succedendo, ma entrambi sapevano che non era così, perché poteva percepire la barriera che si era alzata tra di loro. Era debole, troppo debole, ma efficace per colpirlo al punto giusto. Fay ne aveva consapevolezza, e anche il sorrisino con cui l’aveva detto era ritornato ad essere studiato, programmato e terribilmente finto. No, non avrebbe permesso di essere allontanato, non proprio ora che era riuscito ad avvicinarlo a sé.
Il loro vociare doveva aver attirato l’attenzione del gestore del negozio, che accorse per vedere cosa stava accadendo.
“Sai benissimo che non lo farò.” Nella sua voce c’era tutta la convinzione di cui era capace, perché il suo corpo lo costringeva davvero a rimanere lì, a trascinarlo via con sé. L’arrivo dei due commessi che lo fissavano allibiti, fu la goccia che fece traboccare il vaso. La sua ira aumentava, lo percuoteva. In quel mentre il cellulare squillò e vide lampeggiare il nome di Tomoyo sullo schermo… non voleva rispondere e pigiò con decisione il tasto rosso sulla tastiera. Lo spense, ma non prima di udire il tono sprezzante di Fay dire:
“Scommetto che è lei.”
Kurogane abbassò lo sguardo e i suoi occhi cremisi si illuminarono, fiammeggianti. Ora basta, quel nodo alla gola lo avrebbe soffocato. Aprì la porta e uscì, chiudendola alle sue spalle con una forza tale da far vibrare i muri. Era arrivato il momento di andarsene davvero, perché non c’era più nulla da fare in quel momento. Ma prima o poi ce l’avrebbe fatta a riportarlo a casa… aveva gettato la spugna, ma solo per poco. Perché lui lottava per ciò a cui teneva, l’aveva sempre fatto e con Fay non sarebbe stato da meno.
Tornò a casa mestamente, e trovarsi a contatto con quella realtà così dolorosa fu più difficile di quanto avesse creduto. Vedere quei piatti in cui poche ore prima stavano facendo colazione come se nulla fosse lo fece talmente imbestialire che gli venne voglia di spaccarli. Ma si trattenne perché sapeva che tra poco tutto sarebbe tornato alla normalità. Dovevano soltanto chiarirsi, ne era certo.
Il suono del telefono di casa lo destò da quel pensare e si precipitò a rispondere, casomai fosse stato l’idiota che si era pentito di quel gesto.
“Pronto.”
“Buongiorno Suwa-san. Sono Sakurazukamori. – stava già per interromperlo, inventando un’altra malattia per la sua assenza immotivata, ma quel chiamarlo per cognome e la formalità del suo tono lo preoccupò – La chiamo per comunicarle che da oggi la nostra azienda non ha più bisogno di lei.”
“Mi state licenziando? E per quale dannatissimo motivo?” ma si pentì subito della sua arroganza. Tomoyo…
“Lei ha mancato di rispetto più volte a me e ai suoi superiori. Non siamo più disposti ad accettarlo. È pregato di venire a ritirare le sue cose entro la fine della settimana.”
Riattaccò. Non aveva voglia di ascoltare altro di quel discorso patetico. E così aveva mantenuto la sua promessa: si era liberata di lui, si era vendicata, attaccando l’unico punto debole a sua disposizione, ovvero quel lavoro a cui lui tanto teneva e per cui si era impegnato sin dal principio.
A cosa era valso tutto quel sudore sprecato, quelle ore di straordinario chino sulla scrivania, davanti ad un computer, nella vana speranza di una promozione? A nulla, perché ora l’avevano lasciato per strada, come un rifiuto, solo per una cosa di cui non aveva colpa.
Ora che Fay non era con lui, non c’era più nessuno ad accoglierlo la sera al ritorno.. ma non aveva neanche più niente che lo spingesse ad uscire di casa.
“Non lo accetto.” Si disse, alzandosi dalla sedia su cui si era accasciato, come una delle notti precedenti, dopo il suo primo litigio con il biondo. In quell’istante poteva anche dirsi sconfitto sul piano del lavoro, decidere di lasciarsi licenziare, ma sarebbe andato a recuperare Fay, a costo di trascinarlo via contro la sua stessa volontà.
“Noi due non siamo fatti per stare insieme…” quelle parole amare gli riecheggiavano nella mente.
“Idiota, cosa vuoi sapere tu! Ti insegno io a predicare a vanvera e a dire certe stupidaggini!” lasciò cadere il bicchiere a terra, il quale si ruppe con un tonfo e, prese le chiavi, uscì di nuovo. Stavolta determinato a non tornare da solo.
Tornò a malincuore al Drugstore, con la testa alta e fiera, mentre i suoi occhi, come carboni ardenti, vagavano di scaffale in scaffale, alla ricerca di lui.
“Se n’è andato.”
“Dove?” sapeva che era Kakei, anche senza bisogno di voltarsi. Era troppo orgoglioso per farlo, per fargli ammettere per la seconda volta di averlo sconfitto, precedendolo.
“Non lo so. Ha lasciato il negozio pochi minuti dopo di te. Se lo sapessi te lo direi.”
“Tu… ringrazia il cielo che non ti uccida per aver messo le mani su di lui.”
“Sei stato tu che l’hai tradito per primo, non puoi negarlo. Ma puoi rimediare. Ha bisogno di te e lo sai. Ora piantala di fare lo stupido arrogante e corri.”
“Grazie.” Lo disse a voce bassa, quasi come un sospiro. Almeno non aveva scelto l’altro, significava che c’era ancora speranza.
Lasciò il negozio in fretta come lo aveva raggiunto, vagò come un disperato fino a tornare sui suoi passi, nel viale di casa loro. E fu lì dove lo trovò, seduto sugli scalini dell’ingresso che conduceva al loro appartamento.
“Ti ho cercato dappertutto… avevi detto che non saresti più tornato.” Il fiatone rendeva il suo parlare tremendamente difficile e fu costretto ad appoggiarsi al muro per non soccombere alla stanchezza. L’altro si destò dal pianto e si guardò attorno, stupito da se stesso, scuotendo violentemente il capo. Fece per andarsene ma lui lo bloccò con forza, stringendogli il polso e costringendolo a sedersi.
“Non ce l’ho fatta. È più forte di me… cacciami pure, ma sento che continuerei a tornare, anche senza che tu mi veda. Magari ti guarderei da qui giù, mentre tu vivi felice con la ragazza. Io appartengo a questa casa, a te e non so dove andare senza la tua presenza al mio fianco.”
“Tu… sei uno stupido!” finalmente non c’era più rabbia nella sua voce, nei suoi gesti, solo felicità.
Era riuscito a placare la sua ira, grazie alla presenza di Fay.
“Un idiota, imbecille, patetico bambino… sì, sono fatto male.”
“No non lo sei. Stavolta lo stupido sono stato io e lo ammetto. Non è da me, lo so e non mi guardare con quell’espressione da babbeo! – si interruppe, imbarazzato, scompigliandosi i capelli – Sono felice che tu sia qui, e non vorrei che ci fosse nessun altro su quegli scalini.”
“Ho sofferto così tanto quando ti ho visto con quella donna… e ho temuto che fosse colpa mia, perché ti avevo spinto a fare una scelta che tu non volevi. Io mi sono esposto completamente a te, per la prima volta nella mia vita, e ho avuto paura di averti spaventato.”
“Cosa diavolo stai dicendo? Ora, non credere di farmi dire cose sdolcinate, perché lo sai che non ne sono capace, ma è te che voglio. Così come sei e come ti sei aperto a me, proprio così. Perché io voglio proteggerti e non voglio più vederti così. Ma soprattutto non voglio che tu dica più delle parole come quelle che hai pronunciato al Drugstore. Te l’ho già detto e te lo ripeto, se ce n’è bisogno, ma non qui ti prego… sono già sufficientemente in imbarazzo! Continuiamo dentro, va bene? A casa nostra.”
Ma il biondo tremava, scosso dal pianto, e non riusciva ad alzarsi da lì e Kurogane si sentì in dovere di prenderlo in braccio come aveva già fatto tante volte, di proteggerlo, di porre fine a quel suo enorme dolore, nonostante potesse vederli qualcuno. L’emozione era troppo grande per essere ignorata.
Una volta in casa lo distese sul divano e si sedette accanto a lui, scostandogli una ciocca in un gesto che lo fece arrossire ancora una volta.
“Ma guarda te che mi fai fare. Mi stai rimbecillendo.”
Fay finalmente rise e fu bellissimo sentire la sua risata spargersi contagiosa per tutta la casa. Parlarono di Kakei, di Tomoyo, del lavoro e di tutte le incomprensioni che c’erano state tra di loro. Anche Kurogane sentiva il dovere di aprirsi definitivamente a lui, nonostante il suo carattere burbero. Poteva attribuire con sicurezza una buona parte della colpa a sé stesso e al fatto che non avesse detto subito della ragazza al biondo. Come poteva pretendere sincerità se lui in primis gli mentiva su certe cose? E pensare che era sempre stato uno di azione, senza inutili problematiche né drammi da telefilm. Gli sembrava strano che tutto si fosse risolto tutto in così poco tempo, visto che fino a qualche ora prima credeva che tutto fosse distrutto e difficile da ricostruire, però, mentre ascoltava e si specchiava negli occhi azzurri dell’altro trovò la risposta a quel suo sospetto: non era vero ciò che aveva udito quel pomeriggio, e il loro bisogno di stare vicini, di chiarire tutto, di abbassarsi a vicenda e mostrare le ultime debolezze lo palesava ancora di più. Le parole crudeli, le lacrime erano state scacciate dall’automatismo dei gesti e da ciò che li univa. Il loro legame si era stretto così tanto da non riuscire a stare lontani nemmeno dopo una difficoltà del genere e non poteva essere ignorato. Il filo che li univa era stato scalfito, ma non spezzato e finiva col riavvicinarli sempre.
Le mani di Fay che si avvicinavano sempre di più alle sue glielo mostravano. Era successo sin dall’inizio ed era così che doveva andare.
Si grattò la testa, vergognandosi dei suoi stessi pensieri e si ripromise di non guardare più i programmi televisivi che il biondo gli propinava di sera… lo stavano facendo ammattire! Che pensieri da idiota! Ma rimaneva ancora una piccola cosa da chiarire, ed era quella che gli premeva di più.
“Ah, vedi di non chiamarmi più come hai fatto oggi, intesi?”
L’altro sembrava non capire, ma d’improvviso il suo sorriso si allargò, ritornando sincero.
“Va bene, Kuro-rin!”
E finalmente ebbe la certezza che da quel momento non ci sarebbero state più bugie né ferite provocate dalla stupidità, dall’ingenuità e dalla superficialità dell’uno nei confronti dell’altro.
“Te lo prometto, e lo sai che io mantengo sempre le promesse.”
Il biondo sorrise di nuovo e lo baciò, stringendolo forte. Era un bacio salato, che sapeva di lacrime ma anche di sincerità.
“Awww, Kuro-tan, sei arrossito. Quanto sei carino quando diventi tutto rosso rosso!”
Sì, stavolta era la volta buona. Anche se lui restava un’idiota, era pur sempre il SUO idiota.







[¹]  Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti




 



 

Bene bene bene, eccoci qui dunque! Tutto è ritornato alla normalità (anche se parlando dello stupido biondo mingherlino e di Kuro-chan non so quanto si possa nominare tutto questo “normalità”!)… insomma, non potevamo farvi soffrire troppo! XD
Inoltre non vi preoccupate, vi dico già che per un po’ si presenteranno solo scenette fluffose e casalinghe… parola di Momoka! ^.^7 Va beh, ora la pianto di dirvi tutto sennò ci manca solo che vi spoileri pure il finale!
Altra cosa da dire… nonostante fosse frutto di grandi discussioni e curiosità (anche se mai quanto la Z!) non abbiamo fatto la H, per vari motivi che non interessano a nessuno… e vi sto già annoiando anche troppo.
Ultimo particolare… annuncio con sommo gaudio che la mia Yuri ha finalmente pensato e messo su word il passato di Fay… ringraziate i fumi dell’alcool (etilico) che è costretta a sorbirsi in quanto studentessa di restauro! XD
E con questo è tutto… vi aspettiamo al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 9
*** Luce ***


ff-EC 9 Dunque dunque… eccoci finalmente riuniti per la lettura di un capitolo “normale”! Finalmente i nostri piccioncini si sono chiariti e vivono felicemente i loro problemi quotidiani in questa fic che sta diventando sempre più capitalista e straripante di caffeina. O almeno….. così pare… tranquille, l’angst tornerà, più nero e diabolico che mai -_- … ma nel frattempo godetevi questi 4 o 5 capitoli di tranquillità, condite dalle sane e immancabili paranoie di Fay e all’insegna del cross-over u_u/
 
 
9. LUCE: “Potere di liberare dalle tenebre dell’ignoranza intellettuale e spirituale, proprio della ragione, della conoscenza, della virtù.” [¹]
 
Era strano sentirsi l’uomo di casa, ma la cosa lo stuzzicava parecchio. Non poteva propriamente definirsi tale, dato che ora entrambi erano nelle stesse, patetiche condizioni, ma il fatto di doversi preoccupare così tanto per lo stipendio e la motivazione di farlo per Kurogane lo stimolava nella sua ormai eterna ricerca.
Il giorno prima era entrato, quasi sulla via della disperazione, in un fast-food dall’aspetto caotico, pieno fino all’ingresso di gente affamata che attendeva con impazienza il proprio turno, ragazzini svogliati, vecchietti oltraggiati, impiegati impazienti. Gli avevano proposto di tornare per un giorno di prova dietro al bancone che nascondeva la frenesia delle cucine.
Gli vennero consegnati una maglietta e un cappellino di una tonalità arancione alquanto discutibile, ma fu costretto a indossarli. Non credeva che l’arancione gli donasse, ma non era un problema se poteva servigli a portare a casa un po’ di soldi per il suo Kuro-fired.
Il suo “senpai” era un ragazzo più giovane di lui, dai capelli neri e dall’aria annoiata, che si mise pazientemente a spiegarli come funzionasse quella diavoleria di nome cassa.
“Non credo che sia il lavoro per me, Doumeki-san!” fece notare Fay quando, premuto il fatale tasto, il cassetto della cassa si aprì inaspettatamente colpendolo sullo stomaco e mandando tutte le monetine a spargersi sul pavimento appiccicoso.
“Va bene Doumeki-kun.”
“Va bene, Doumeki-kun!” ripeté Fay gioviale. Sentiva che sarebbe stata un’esperienza divertente, soprattutto quando vedeva l’altro ragazzo sfrecciare tra le casse e le cucine con una pila traballante di patatine.
“Non portarle tutte in una volta” lo rimproverò Doumeki-kun, col suo solito tono sterile.
“Non darmi ordini!!!” sbraitò il ragazzino con gli occhiali.
“Servono altri panini al formaggio.”
“Preparali tu, sono impegnato! Ooooh, le mie doti culinarie sprecate così!!” si lagnò il ragazzo, strusciandosi sul bancone.
“Che gioventù spensierata!” esclamò Fay sorridente.
“Ehi.” Doumeki-kun lo distolse da quella scena. “Hai clienti.”
Di fronte alla sua cassa c’erano un ragazzo alto e coi capelli scuri, accompagnato dalla carinissima fidanzatina coi capelli biondi lunghissimi e gli occhi grandi.

“Ma che splendida coppietta!” gioì Fay e notò subito l’anello che spiccava sul piccolo dito della ragazza. “Siete fidanzati? Sareste un marito e una moglie stupendi!”
Il ragazzo sorrise imbarazzato, ma l’altra sembrava avvezza a quel genere di complimenti.
“Hideki è l’uomo solo per me. Chii l’ha scelto.”
“Hai scelto bene! È un bravo fidanzato?”
“Hideki è buono con Chii! Fa sempre tutto con lei. Leggiamo anche i giornali con le donne in posizioni strane e Chii si diverte un mondo.” Hideki si agitava tentando di frenare l’improvvisa parlantina della sua ragazza. “Tu hai trovato l’uomo solo per te?” chiese Chii con una tale sincerità negli occhi grandi che nessuno avrebbe potuto fare a meno di risponderle.
“Chii, si dice donna solo per te” la corresse Hideki sconcertato.
“Sì, ce l’ho! Anche il mio uomo si imbarazza sempre per niente, diventa tutto rosso e per questo poi si arrabbia!”
Fay e Chii risero insieme mentre Hideki tentava un sorriso forzato.
“Ehi.” Doumeki-kun apparve alle sue spalle. “Dovresti prendere le ordinazioni.”
“Ah, è vero! Devo fare il mio lavoro altrimenti il capo si arrabbierà.”
Hideki elencò i loro ordini con estrema lentezza, consapevole delle difficoltà di Fay, ma nonostante questo il biondo proprio non andava d’accordo con la cassa. Per tre volte dovette ripetere tutto da capo e quando finalmente sembrò riuscire a digitare tutti i prezzi correttamente non fu più capace di ritrovare il pulsante per aprire il cassetto con i soldi.
“Ehi” chiamò Doumeki-kun, stavolta rivolto al ragazzo con gli occhiali. “Vieni ad assisterlo, io ho da fare.”
“Credi di essere l’unico?!” sbraitò l’altro mentre rigirava le patatine nella friggitrice, ma venne comunque in soccorso di Fay a grandi passi. “Premi qui” disse, svelando l’arcano e il cassetto finalmente si aprì.
“Mi dispiace!” si scusò Fay sorridendo mestamente.
“Non è colpa tua, è quello scemo di Doumeki che non si sa spiegare.”
Quando finalmente riuscì a servire i due fidanzati, a Fay parve di aver lavorato per dieci ore di fila. Ma non poteva darsi per vinto, doveva assolutamente riuscire a portare a casa almeno uno stipendio.
Arrivò un’altra cliente, accolta dall’assordante saluto del ragazzo occhialuto.
“Himawari-chaaaaan! Benvenuta!” L’aria si colorò improvvisamente di rosa.
“Buongiorno, Watanuki-kun!” salutò solare la ragazza dalle lunghe code ricciolute.
“Dolce Himawari! Sei venuta qui per sostenermi durante questo turno massacrante?”
“Ero venuta a vedere come ve la cavavate tu e Doumeki-kun.”
Watanuki-kun collassò sul bancone e Fay, ormai immedesimato nel suo ruolo, prese in mano la situazione con entusiasmo.
“Cosa desidera, bella signorina?”
Himawari si portò pensosamente un dito alle labbra, cosa che la rese assolutamente adorabile. Watanuki-kun non poteva vederla, sprofondato com’era nella sua autocommiserazione, ma Fay non si preoccupò per questo perché il suo sesto senso gli stava dicendo qualcosa.
Himawari dichiarò il suo ordine e questa volta Fay dovette sbagliare solo due volte prima di portare a termine il pagamento. Quando si trattò di portare a Himawari il suo panino e le sue patatine, però, Watanuki-kun si precipitò come un razzo in cucina.
“Himawari-chan, questi li ho fatto con le mie mani solo per te!”
“Ti ringrazio! Speravo di poter salutare Doumeki-kun…”
“Lascialo perdere!! Quell’irriconoscente non ti merita!”
“Buongiorno, Kunogi.” La voce alle loro spalle fece sobbalzare Watanuki che emise uno di quei suoi urli striduli che tanto divertivano Fay e, a prima vista, anche Himawari-chan.
“Buongiorno, Doumeki-kun! Noto che avete una nuova recluta” disse, sorridendo in direzione di Fay.
“È il mio apprendista.”
“Che però è davvero un disastro!” si intromise il biondo con allegria.
“No, invece sei stato molto gentile” rispose Himawari. “Dovreste assumerlo, Doumeki-kun.”
“Pensavo di dargli un’altra possibilità.”
Fay fu estremamente felice nell’udire quelle parole, per una volta era riuscito bene in qualcosa. Si protese sul bancone e prese la mano di Himawari.
“La ringrazio, graziosa signorina. Per merito suo potrò portare a casa un po’ di soldi per il mio cagnolino scorbutico e affamato.” E la baciò sul dorso della mano.
Himawari rise deliziata e Watanuki lo scrutò con sguardo omicida.
Fu una lunga giornata, all’insegna degli errori, dei bicchieri rovesciati e della patatine troppo salate, ma Doumeki-kun si rivelò comprensivo e disse a Fay di tornare il giorno dopo. Questi poté finalmente liberarsi della divisa e si incamminò sulla strada del ritorno. Voleva assolutamente raccontare a Kurogane i suoi quasi successi, rassicurarlo sulle loro finanze che in quegli ultimi giorni avevano mandato il moro in uno stato di paranoia e depressione che aveva fatto preoccupare Fay.
Quando rincasò raggiante, infreddolito e ancora mezzo accecato dalle luci e dalle decorazioni natalizie che avevano iniziato prematuramente ad inondare le strade, trovò Kurogane sul divano del salotto, raggomitolato sotto una coperta troppo corta per lui.
“Cucciolone, porto buone notizie! Il primo giorno è andato meglio del previsto e probabilmente mi assumeranno.”
Kurogane rispose con un grugnito, ma non accennò a girarsi. La disoccupazione per lui era una situazione molto dolorosa e Fay si sentì in dovere di andarlo a consolare più da vicino. Premette l’interruttore della luce per riuscire a vedere almeno dove metteva i piedi ma non accadde niente. Provò di nuovo ma invano.
“Che è successo?”
“Ci hanno tolto la luce” rispose Kurogane rigorosamente rivolto allo schienale del divano.
Fay sospirò. Ci era già passato, l’avrebbe presa bene, ma per il moro doveva essere difficile da accettare.
“Ma a noi non serve, giusto?” disse, tentando di incoraggiarlo e allo stesso tempo di provocarlo. Siccome Kurogane non accennava a rispondere, si avvicinò al divano schivando abilmente le bottiglie e le scatole vuote di pizza e sushi sul pavimento. Quando gli sfiorò il viso capì subito cos’era che non andava.
“Hai la febbre” constatò con calma. “Questa faccenda del lavoro ti ha stressato troppo.”
“Mh” fu l’unica reazione.
“Conosco un buon modo per farla abbassare. Vieni a letto?”
Forse perché un po’ intontito o forse perché l’idea non gli dispiaceva, Kurogane non protestò e fece come gli era stato detto.
Quando furono entrambi a letto, Fay lo spogliò con delicatezza e poi si tolse i vestiti a sua volta. Lo abbracciò stretto sotto le coperte per condividere il suo calore.
“Se ci toglieranno anche il riscaldamento non avremo problemi” scherzò Fay, ma Kurogane dormiva già e il biondo si accoccolò più comodamente vicino a lui e chiuse gli occhi.







[¹] Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti






Ecco qui un capitoletto fluffoso e praticamente inutile, ma penso sia un gradito intermezzo tra i problemi di cuore e....... beh......................... spero di avervi ancora con me almeno fino alla P..........

Yuri

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Capitolo 10
*** Medicina ***


ff-EC 10 Ma salve a tutti! Per la legge del fifty fifty, enunciata dall'esimio Gerry Scotti, oggi è il turno di Momoka! XD
Ed è anche il mio turno di pubblicare la parte fluffosa della fanfic...
Che dire? A scrivere questo capitolo mi sono divertita da matti, soprattutto facendo entrare in scena due comparse decisamente autobiografiche! Chissà se le riconoscerete... :P  E' un capitolo non lunghissimo, ma spero risulti piacevole da leggere... ci saranno capitoli più lunghi, eccome se ci saranno! XD Ovviamente non dico nulla sulla ormai celeberrima P, essendo di proprietà della mia conquilina! ^w^
Ho inoltre notato che l'assenza della H si è fatta sentire nei vostri cuoricini e dunque direi che è arrivato il momento di giustificarlo.
Ebbene, dovete sapere che in realtà la H è un incubo ricorrente di Yuri a causa di una recita dell'asilo...
*Un tuono rimbomba nella casa, la luce va via e mentre la pioggia scende copiosa, si ode soltanto una voce inquietante provenire dall'antibagno: "La H....tuuutti muti... tuuuutti muti......"* ORA CAPITE PERCHE' SONO STATA COSTRETTA A SALTARLA?! YURI MI FA PAURAAA!
Beh, che dire... sento una presenza oscura alle mie spalle... vi saluto! E buona lettura!






10. MEDICINA:
“Tutto ciò che può alleviare o curare un male fisico, una sofferenza morale, una situazione difficile e simili.” [¹]

 
 
Quando il rumore del trapano dei vicini lo svegliò era troppo tardi persino per pranzare. La giornata sembrava essere tremendamente buia e questo gli riportò alla mente la chiamata del giorno prima da parte della società della luce, e poi come se non bastasse, era seguita pure la telefonata da parte dei suoi colleghi… quegli stupidi! Si fingevano dispiaciuti con lui, come se gliene importasse qualcosa!
In realtà la cosa peggiore era che si sentiva di aver tradito ancora le aspettative di Fay.
Scosse il capo violentemente perdendosi a guardare tutte quelle luci colorate che addobbavano le strade, nonostante fosse solo novembre. Il freddo ora era giunto, condensando i respiri delle persone che passeggiavano allegramente lungo la sua via. Alcuni si erano spinti fuori per vendere delle caldarroste ai passanti, altri distribuivano dolciumi appena sfornati.
L’unica che correva era la solita ragazzina con la divisa da marinaretta, stringendo tra i denti un pezzo di pane, correndo a casa dopo le sue lezioni. La gente salutava divertita quella presenza costante:
“Salve Miyuki, sempre in ritardo vero?”
Anche il suo respiro si condensava sul vetro della finestra e lui vi appoggiò la fronte, coi brividi per quel contatto così inaspettato. Ricordava cosa gli aveva detto il biondo, ovvero che lui aveva la febbre e che si sarebbe dovuto riguardare, ma non gliene importava granché. Aveva bisogno di uscire, di fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Si era ripromesso di aspettare a trovarsi un lavoro, per dare la possibilità all’altro di riscattarsi, di fare un qualcosa che gli potesse piacere, ma non sapeva quanto avrebbe resistito.
Dopo essersi tolto il termometro lo gettò scocciato sul letto, noncurante del fatto che segnasse più di 38 gradi. Gettò nel cestino il biglietto amorevole di Fay posto sopra le medicine, che recitava:
“Buongiorno Kuro-sick! Prendi queste pastiglie e resta a letto, mi raccomando! Appena torno a casa ti kuro io!!”
Si diresse a passi pesanti verso la cucina e vide che gli aveva preparato anche del brodo da riscaldare e degli infusi alla menta contro l’influenza. Chissà a che ora si era svegliato per preparargli tutte quelle cose! Che scemo…
Fu in quel momento che lo sguardo gli cadde vicino alla porta dove giaceva abbandonata la sciarpa del biondo. La prese tra le mani e l’odore di fritto gli invase le narici, aumentando la nausea che lo colpiva.
“Ma tu guarda! Dimentica sempre qualcosa, quell’idiota!”
Guardò l’orologio, sarebbe tornato tra due ore. E se poi si fosse ammalato? Correva il rischio che lo licenziassero, e poi sarebbe toccato sopportare a lui il suo frignare. Si mise la giacca borbottando e infilò in una delle sue tasche la lunga sciarpa azzurra.
Il freddo era peggio di quello che si aspettava e lo strinse in una morsa gelata che lo fece tentennare, ma la porta si chiuse in un tonfo e si rese conto che non aveva con sé le chiavi… dannazione.
Si avvolse nella sciarpa di Fay e, nascondendo le mani sotto il risvolto del cappotto si incamminò alla stazione dei treni.
La febbre non fece che aumentare il suo malumore e si lamentò da solo per tutto il tempo di tutto quel trambusto, del ritardo delle ferrovie, dei vagoni pieni, di tutte le adolescenti urlanti che gli capitavano accanto, troppo vicino per il suo mal di testa.
Due ragazze su tutte lo infastidivano alquanto… non la piantavano un attimo di parlare di manga, cosplay, shonen’ai e yaoi. Ma diamine, con cosa crescevano tutte quelle ragazze?!
All’ennesimo discorso su quattro autrici pazze e sadiche, sul loro finale del cavolo e sull’assenza del loro pairing preferito, le superò sbottando qualcosa di incomprensibile e si imbottigliò tra le vecchiette. Le preferiva a quelle due tizie strane.
Si era appoggiato ad uno dei sostegni e si era quasi appisolato, quando alzando lo sguardo assonnato si accorse di aver mancato la sua fermata. Ma perché aveva deciso di uscire di casa? Tutta colpa di quell’idiota!
Si maledisse e scese a quella dopo, insieme alle due ragazzine che ancora discutevano di seme e uke. Che lingua parlavano? Poi capì che stavano parlando, senza vergogna alcuna e con una certa eccitazione nella voce, di relazioni e di sesso tra gay (in pubblico! Ma diavolo, se lo avessero saputo i loro genitori!) e si decise a superarle a grandi passi il prima possibile.
Dopo una lunghissima scarpinata di mezzora, si trovò davanti al fast-food e cercò di resistere all’impulso di guardare dentro e spiare Fay al lavoro.
Mancava ancora un’ora alla fine del suo turno, constatò a malincuore guardando il grande orologio della piazza. E intanto lui stava congelando.
Per più di una volta fece per tornare a casa, ma entrambe le volte si fermò a metà tragitto, ricordandosi che non aveva le chiavi… e di sicuro non avrebbe chiesto ai suoi vicini di casa, che odiava. Inoltre la paura che potessero sapere della sua relazione lo inchiodava tutte le volte.
Si guardò attorno, passeggiò in lungo e in largo, ma il tempo sembrava non passare mai. Aveva ancora più di mezzora davanti e ormai non si sentiva più le mani.
Odiava il freddo e soprattutto quell’influenza che sembrava indebolirlo troppo per i suoi gusti. Finalmente gli venne in mente di rifugiarsi in uno dei bar  della piazza, prendendo una cioccolata calda amara per lui e una super zuccherosa per Fay.
Si sedette sulla panchina esattamente di fronte al fast-food e stringendo nelle mani e inspirando i caldi vapori della bevanda, gli sembrava già di sentirsi meglio. Si avvolse ancora di più nella sciarpa, sprofondandovi e chiuse gli occhi, esausto da tutto quell’inutile vagare.
“Ahhh e un’altra giornata è finita!”
“Sei andato meglio stavolta, sai? Tornerai anche domani?”
“Oh sì, Doumeki-kun mi ha annunciato giusto poco fa che lavorerò qui per tutta la settimana, e che se continuo a migliorare così potrò restare addirittura per qualche mese!”
“Finalmente quel pesce lesso ha combinato qualcosa di giusto!”
“Ahahahah! Watanuki-kun, sei così ingiusto nei confronti del povero Doumeki!”
Chi erano quei due che stavano parlando a pochi metri da lui? Una delle due voci gli sembrava familiare, ma era troppo assonnato per aprire gli occhi… si costrinse a sbirciare, non vedendo l’ora di tornarsene a casa. Non poteva essere venuto fin lì per niente!
“Ora torno a casa dal mio povero Kuro-etciù!” Sì era sicuramente l’idiota! Come osava dargli dei soprannomi del genere e davanti a sconosciuti! Lui era un uomo di tutto un pezzo e non uno da chiamare… così!
“È tutto il giorno che parli di Kurogane! Dai torna a casa a curarlo! A domani! Ciao.” Finalmente il moro con gli occhiali se n’era andato con passo saltellante, per poi cadere dentro una pozzanghera.
Intanto poteva udire le risate divertite del biondo. Possibile che non l’avesse ancora visto?
“E così osi chiamarmi in questo modo davanti ad un ragazzino?”
“Kuro-tan! Che ci fai qui?! Non ti avevo neanche visto... pensa ti avevo scambiato per un barbone! Ma non è importante – si corresse, notando lo sguardo cremisi accendersi – piuttosto dimmi, cosa sei venuto a fare qui? Hai la febbre!”
“E calmati idiota, invece di sbraitare in mezzo alla strada… mi fa male la testa! Sono venuto a…” Si era alzato per farsi notare da Fay, ma si dovette risedere a causa di un giramento di testa, rischiando di rovesciarsi addosso le cioccolate. Dopo aver preso fiato, riprese a parlare:
“Sono venuto a portarti la sciarpa, visto che l’hai dimenticata a casa. Sei sempre il solito, e se poi ti ammali chi lavora al posto tuo? Tieni!” concluse, passandogli la cioccolata e cominciando a sfilarsi la sciarpa.
“La cioccolata calda con la panna! Kuro-rin… non dovevi! Tieniti la sciarpa, fa freddo! Ne hai più bisogno tu di me in questo momento. Potevi portarmela al lavoro e poi tornare a casa, e poi lo sai che io sono un uomo forte e non mi ammalo!”
Il moro abbozzò una risata e chinò lo sguardo, incantandosi a fissare i riflessi delle luci sulla pozzanghera proprio sotto di lui.
“In realtà sono rimasto chiuso fuori. E quindi ti ho aspettato.”
Il biondo finì la cioccolata in un sorso e si allungò, vistosamente sollevato dal calore e dalla dolcezza della bibita.
“Così possiamo tornare assieme, Kuro-sweet! Sono felice che tu sia qui, anche se avrei preferito che stessi a casa. In fondo è solo una stupidissima sciarpa! Però tu… eri preoccupato per me, nonostante l’influenza…”
L’altro sbuffò, lasciando nell’aria una vistosa nuvoletta e si scostò, quando vide l’altro avvicinarsi troppo per i suoi gusti, soprattutto in pubblico. Alla fine riuscì a sedersi a cavalcioni su di lui, e cercò il suo viso sotto i pesanti strati del cappotto e della sciarpa.
“Eccoti qui! Trovato!” esclamò come un bambino dopo una caccia al tesoro.
“Alzati immediatamente.” Doveva ringraziare il cielo che lui fosse così debole in quel momento, sennò gliel’avrebbe fatta pagare sicuramente.
“Naaa, e perché? Uh, forse qualcuno si è svegliato, qui sotto? Kuro-chin, sei sempre il solito birbantello!”
“MA CHE DIAVOLO STAI DICENDO, IDIOTA?”
Ma Fay l’aveva tratto in inganno e in quell’istante, quando le difese erano completamente nulle, lo baciò. E lui si trovò a ricambiare quel bacio, aggrappandosi alle sue ultime energie, anziché usarle per liberarsene. Forse era colpa della febbre, del freddo, della cioccolata, della stanchezza, del bacio, del profumo del biondo che si mischiava al suo, ma mentre le sue labbra si staccavano da quelle dell’altro, finalmente sazie, si disse che aveva fatto proprio bene ad uscire di casa. E che forse aveva trovato una medicina migliore da prendere per porre fine ai suoi problemi, quel giorno.
 

 
 



 
 
[¹] Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti




 
 
 
 
 
 Allora, siccome non c'abbiamo voglia di lasciarvi in pace troppo presto, abbiamo aggiunto un piccolo special proprio qui sotto, anche per punirv...emh, intendevo premiarvi della vostra fedeltà alla fanfic, con quei commenti che taaanto innalzano la mia scarsissima autostima! :)
Ovviamente i protagonisti sono loro, i nostri piccioncini preferiti! 
Buona lettura dunque, e al prossimo capitolo!! :)
Grazie ancora, la vostra Momoka.
PS: Sappiate che ho scritto questi commenti sdraiata sul termosifone alla ricerca della linea internet, quindi i miei degeneri sono alquanto giustificati (QUESTA VOLTA) XD Abbiate pietà di me!




 
-------------------------------Kurogane e Fay nell’antibagno di Fei Wong-----------------------------------

 
Kurogane: Tsk, ma tu guarda cosa mi tocca vedere…
Fay: Awwwww! Hai ragione Kuro-puk, è assolutamente adorabile!!
Kurogane: Cosa stai dicendo?!! Tutta colpa della febbre… sei tu quello terribilmente e pateticamente appiccicoso dei due… questo capitolo non mi rende giustizia!
Fay: A me sembra che abbiano colto alla perfezione il tuo carattere permaloso :3
Kurogane: E proprio per questo un uomo come me non avrebbe mai fatto una figura del genere solo per uno come te.... tzè! Addirittura finire chiuso fuori di casa....
Fay: Però il fatto che tu mi abbia preso la cioccolata... nel mondo reale non sarebbe mai successo, sei troppo pigro.
Kurogane: Io, pigro?!!! Tu invece avresti dimenticato la sciarpa sicuramente, ma col corno che te la portavo... un po' di freddo ti avrebbe svegliato!
Fay: Ahahaha! In effetti la mattina il mio stato è anche peggiore di come hanno descritto qui!
Kurogane: Magari fossi sempre così silenzioso come sei di mattina...! Idiota...e  invece già da subito inizi a fare casino....
Fay: Tutti questi nomignoli adorabili mi hanno dato mooooolte ispirazioni!
Kurogane: COSA?! Non ci provare! Soprattutto a chiamarmi così davanti a tutti, specie se sono idioti come quel tizio moro con gli occhiali... se poi penso che lì mi salti pure addosso in mezzo alla strada...
Fay: Ooooh! Povero Kuro-lovely, scusa se non l'ho mai fatto! Prometto che domani mi farò perdonare!
Kurogane: Tu.... se solo osi fare una cosa del genere non rispondo delle mie azioni... e non sarò clemente come quel Kurogane!
Fay: Ma… Kuro-hyuu! Metti sempre su quest’aria da vecchio brontolone ma in realtà sotto sotto sei dolce proprio come Momo-chan ti ha descritto!
Kurogane: Tsk! E invece quell'altra tipa descrive alla perfezione le tue pare inutili! Come quella volta con il gestore del Drugstore! Che se penso poi a cosa ti ha fatto fare con quel maniaco.... *arrossisce*
Fay: Che tenero, Kuro-red! Ma sai bene che non farei mai  una cosa del genere!
Kurogane: Beh insomma, non che mi interessi, certo... è che quella tipa è proprio pazza e mi preoccupo di cosa potrebbe uscirne in futuro anche sul mio conto! Tsè!
Fay: I ragionamenti che Yuri-chan mi fa fare non sono molto distanti dalla realtà… infatti la vado a trovare tutte le notti…
Kurogane: COSA?! *si alza sconvolto indicando prima il biondo e poi lo schermo del computer*
Fay: Ahahaha! Non è come pensi tu, Kuro-angry! Ogni notte tormento i suoi sogni con immagini angst della mia vita che le diano l’ispirazione adatta!
Kurogane: Ma allora è tutta colpa tua se queste due ci perseguitano con queste storiacce da quattro soldi?! Dannato mago... preparati a correre!! Ti meriti un pugno in testa anche da parte di tutte le lettrici di questa ff! Se solo ti prendo......
Fay: Se continui a fare il permaloso in questo modo non farai che stuzzicarle! Ahahahah!
Kurogane: Piantala di dire certe assurdità, io non sono permaloso! Sono un uomo… al contrario di qualcuno!
Fay: Facile lamentarsi quando siamo entrambi vestiti, neeee?
Kurogane: *sguardo omicida*
Fay: Aaaaaah! Eccolo! E’ arrossito!!!
Kurogane: Non sono arrossito, idiota! E’ colpa del freddo…
Fay: Comunque tutte queste descrizioni di momenti romantici hanno suscitato molte idee… non trovi?
Kurogane: Oh sì, stavo giusto pensando ai modi per ucciderti e fartela pagare… per il momento sono arrivato a 56, continua così e aumenteranno…
Fay: Ammettilo, Kuro-blush, che quando hai letto la fine del capitolo anche a te si è svegliato qualcosa :3
Kurogane: L’istinto omicida!!
Fay: Se non lo ammetti dirò a tutti che dormi con i miei calzini con le pecorelle perché hai freddo ai piedi.
Kurogane: ……TU…. IDIOTA!!
Fay: Sei assolutamente adorabile, Kuro-sheep!
Kurogane: Maledetto! E poi quante volte ti ho detto di non chiamarmi in questi modi cretini davanti a tutti?
Fay: Ma… Kuro-shy, non c’è nessuno qui!
Kurogane: Sarà… ma io mi sento osservato… brrr….
Fay: Non avere paura, ci sono io qui con te…
Kurogane: Un motivo in più per andarsene, direi…
Fay: Fantastico! Stavo pensando la stessa cosa! E’ ora di ritirarsi, io e te…. *lo trascina per il colletto*
Kurogane: Ohi, tu! Cosa stai facendo! Staccati, idioooooooooooooooooo…..
*strusc, strusc……………………….*
*porta che sbatte*
*….rumori intraducibili…..*

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Capitolo 11
*** Negligenza ***


ff-EC 11
Ohssantocielo, questo capitolo è stato un parto! Vi abbiamo detto in precedenza che la maggior parte della storia è già bella che scritta, che siamo arrivate senza problemi fino alla T, ma ciò che non sapevate era mi sto tirando dietro il capitolo N da qualche mese ormai, nella certezza che, quando sarebbe arrivato il momento di pubblicare, avrei trovato l’ispirazione adatta. Questo non è assolutamente vero! Purtroppo mi sono ritrovata per le mani il capitolo natalizio e, purtroppo, mi sono ritrovata a terminarlo alle 23.57 della vigilia, tutto per potervi fare gli auguri in tempo!
Temo che questo capitolo non rispecchi proprio il vostro ideale di “auguri”, ma sappiate che, a dispetto dell’inutilità che tra poco leggerete, ci ho messo davvero tanto impegno >_<





11. NEGLIGENZA:
“Atteggiamento di chi adempie svogliatamente e con scarso impegno i propri doveri.” [¹]

 
 
 
Svegliarsi col buio era assolutamente fastidioso, soprattutto quando Fay, convinto di avere ancora l’elettricità dalla sua, si sottraeva a malincuore dal caldo abbraccio di Kurogane, premeva assonnato l’interruttore della luce e puntualmente inciampava, incagliandosi tra i suoi vestiti abbandonati sul pavimento gelato.
Il suo turno iniziava la mattina. Doumeki-kun gli aveva proposto di lavorare durante le prime ore del giorno, quando la clientela scarseggiava, in modo da avere il tempo per ambientarsi. Fay, dal canto suo, non era solito alzarsi presto e finiva per trascinarsi per casa senza meta, chiedendosi perché la sveglia fosse suonata così presto. Per di più aveva trascorso la sera precedente rannicchiato sul divano assieme a Kurogane, entrambi strettamente infagottati in una coperta e armati di fazzoletti e caramelline alla menta, assaliti dal raffreddore.
Si sentiva la testa pesante come un macigno e l’idea di trovarsi a fronteggiare nuovamente la cassa non lo mise di buonumore. A malincuore, lasciò il calore dell’appartamento e di colui che ancora vi dormiva per dirigersi al fast-food.
Doumeki-kun e Watanuki-kun erano a scuola, perciò si ritrovò in compagnia, se così si poteva dire, di Yukito e Touya, i quali però si mostravano raramente: Fay li aveva scovati più volte rinchiusi nello sgabuzzino e non aveva mai voluto distoglierli dai loro giochetti.
Nell’ampio locale riecheggiavano solo le notizie di cronaca trasmesse dalla radio, seguite dallo sport, dal meteo e infine dai gossip. Solitamente a quell’ora il fast-food era frequentato soltanto da studenti che si attardavano a fare colazione con quelle pietanze scadenti che Fay non avrebbe consigliato a nessuno. Ma la sua esperienza da promoter lo aveva portato a convincersi che dissuadere la gente dall’acquistare ciò che avrebbe dovuto vendere non era per nulla produttivo.
Ben presto si presentarono due ragazze dall’aria un po’ svampita che Fay aveva già avuto modo di notare all’interno del locale. Come sempre ordinarono caffè e ciambelle e si sedettero a un tavolo abbastanza vicino da permettergli di captare i loro discorsi, perlopiù sempre uguali: dissertazioni su manga conclusi e non, imprecazioni rivolte alle autrici, lamentele su coppie mancate. Fay si divertiva ad ascoltarle, ogni tanto gli sembrava di cogliere riferimenti alla sua situazione amorosa e così ammazzava il tempo in attesa dei clienti che avrebbero affollato il fast-food di lì a poche ore.
Si era perso ad ascoltare una lunga discussione su eventuali fanfiction ambientate nel fast-food quando un brivido lo percorse da capo a piedi e starnutì.
“Raffreddore, eh? Oppure qualcuno sta parlando male di te.” Yukito apparve alle sue spalle con una tazza di caffè in mano. Fay accettò di buon grado quella fonte di calore che ormai associava inevitabilmente a Kurogane, sciogliendoci dentro quattro bustine di zucchero.
“Se Kendappa-sama lo viene a sapere ci licenzierà entrambi” disse Yukito sorridendo, ignorando totalmente la gravità di ciò che aveva appena detto. “Non vuole che si mangino o si bevano gratis prodotti del locale.” Quelle parole riuscirono a fare andare di traverso il caffè a Fay.
“Non posso perdere anche questo lavoro” lo informò il biondo.
“Ma non lo scoprirà! Sono anni che io e Touya…” Il silenzio lasciò intendere anche più del necessario.
“E Doumeki-kun e Watanuki-kun?” La domanda gli era sorta spontanea.
“In che senso?” volle sapere Yukito, ma nei suoi occhi sinceri si leggeva già un barlume di risposta.
“Volevo sapere in che rapporti sono.”
“Lo vedi anche tu. Litigano sempre.”
“È vero, però…”
“Capisco quello che vuoi dire. In realtà qui stiamo tutti aspettando che uno dei due faccia la prima mossa e metta fine a questa farsa.”
Fay gettò un’occhiata malinconica a ciò che rimaneva del suo caffè. “In realtà la loro situazione è molto simile alla mia. Per questo ci tenevo a farli riappacificare in fretta, perché so che è inutile cercare di evitare la questione. Alla fine è sempre meglio fare ciò che dice il cuore.”
“Sempre con questi discorsi da vecchie signore impiccione” si intromise Touya, al di là degli scaffali.
Fay rise a quel complimento. “Queste parole non mi giungono nuove. Anche Touya-san ha sempre da brontolare?”
“Meno di quanto sembri.”

Trascorsa quella lunga e noiosa mattinata, per Fay giunse la fine del turno e con essa anche il senpai e Watanuki-kun, che venivano al lavoro dopo la scuola.
Fay si stava già avvolgendo nella sciarpa quando l’espressione delusa e amareggiata del ragazzo occhialuto catturò la sua attenzione e innescò inevitabilmente il suo senso del dovere da mammina protettiva.
“Watanuki-kun, cos’è questa faccia imbronciata?” chiese amorevolmente appoggiandogli una mano sulla spalla. “La tua bellissima fidanzatina ha rifiutato il tuo bento, oggi?”
“Fay-san… lascia perdere, non è importante” rispose lui, distogliendo lo sguardo e fulminando il pavimento.
“Ma nelle questioni amorose ti posso aiutare! Approfitta della mia esperienza da adulto!” Fay non capì se l’espressione sconcertata di Watanuki fosse causata dalla parola esperienza o adulto.
“Ma non voglio sembrare uno stupido ragazzino che si lamenta…” tentò di giustificarsi il ragazzo moro, arrossendo.
Fay gli assestò un paio di pacche sulla spalla. “Confidati con me.”
Watanuki sospirò. “La causa del mio malumore, come sempre, è lui.” Il biondo seguì il suo sguardo fino a Doumeki-kun. “Oltre a preparargli il bento tutti i giorni sono anche costretto a lavorare sotto il suo comando. Mi va bene, lui ha più esperienza di me, ma non sopporto la sua arroganza e il fatto che non il mio lavoro non venga mai riconosciuto. Mai un grazie, mai un complimento per quello che faccio e la cosa mi fa davvero imbestialire.” Parlò velocemente, come se si vergognasse, e strinse i pugni come un bambino imbronciato. Ma Fay comprendeva il suo stato d’animo e non riuscì ad impedire al proprio cervello di iniziare a lavorare freneticamente.
Con un ampio sorriso disse: “Lascia fare a me, Watanuki-kun!”
“Ma, Fay-san! Sapevo che saresti voluto intervenire, per questo io…” Ma Fay si era già precipitato al telefono.
“Kuro-daddy? Oggi faccio tardi, resisti a casa da solo senza di me?” Il grugnito di risposta gli consentì di riagganciare e mettersi al lavoro. Si intrufolò nel magazzino e si procurò gli ingredienti necessari per il suo piano geniale.
 
“Doumeki-kun!” chiamò affacciandosi dal retro. Il ragazzo si voltò un po’ incerto e lo raggiunse.
“Cosa fai qui? Non dovresti aver già finiti il turno?”
“Stavo facendo qualche straordinario e, mentre riordinavo, mi sono imbattuto in questa!”
Forse con un po’ troppo orgoglio presentò a Doumeki il suo piccolo capolavoro: una torta di cioccolato a quattro piani farcita di crema e panna, glassata di zucchero e decorata con una scritta multicolore che recitava “A Doumeki-kun”.
“Cos’è?” domandò il ragazzo dopo qualche minuto di silenzio e immutabile espressione.
“E’ da parte di Watanuki-kun! L’ho visto mentre la scartava e la lasciava qui per te.”
Doumeki era ancora un po’ perplesso, o almeno così parve di capire a Fay studiando la sua espressione, ma poi non fece complimenti e si accaparrò una generosa fetta.
Anche con la sua sterilità di commenti, Doumeki gli diede comunque più soddisfazioni di Kurogane soltanto assaggiandola. Erano passati anni da quando Fay aveva preparato qualcosa di buono a qualcuno che l’aveva gradito, anche se questa volta non avrebbe potuto prendersi il merito.
“E’ stato davvero un gesto carino” disse, avvicinandoglisi di soppiatto e saggiando la sua reazione. “Non pensi che meriterebbe un ringraziamento per questo?”
Doumeki finì la sua fetta pensieroso – forse… era difficile da capire – e lasciò lentamente il retro del locale. Ovviamente, Fay si affrettò a spiarlo.
Watanuki sopraggiunse mentre tentava di sistemarsi i ciuffi ribelli sotto il berretto della divisa quando Doumeki gli si piazzò davanti interrompendo la sua determinata avanzata.
“Che vuoi?” domandò Watanuki evidentemente scocciato.
“Grazie.”
Il berretto cadde a terra con un tonfo soffocato, ma nessuno dei due si mosse per raccoglierlo: Doumeki attendeva paziente una reazione, mentre Watanuki lo fissava con la bocca spalancata e un’espressione assolutamente allibita.
“C-c-che…”
“Hai fatto un buon lavoro.”
Poiché Watanuki non dava segno di voler pronunciare nulla di sensato, Doumeki lo lasciò solo con la sua confusione e tornò ai suoi compiti.
“E questo?!”
Fay perse l’equilibrio precario che lo sosteneva aggrappato allo scaffale di ferro che separava la cucina dalla zona bancone. Si voltò e vide avanzare verso di lui con passo minaccioso due donne: una aveva l’aria di chi sta attendendo la fine del mondo, l’altra aveva l’aria di chi avrebbe portato alla fine del mondo.
“Chi è stato a usare questi ingredienti?”
“Kendappa-sama” salutarono in coro Watanuki e Doumeki sprofondando in un inchino.
La donna più bassa e più arrabbiata puntò il suo  sguardo tagliente su Fay. “E’ lui il nuovo assunto, Souma?”
“Sì” rispose prontamente l’assistente. “Fai Flourite.”
“Sai chi è stato a preparare quel dolce con il materiale di proprietà del negozio?”
“Certamente!” ammise Fay senza una punta di esitazione. Quella situazione gli risultava familiare. “Sono stato io.”
Kendappa-sama lo guardò per qualche istante per valutare la veridicità delle sue parole. “Lo sai, vero, che non consento l’uso personale del materiale del fast-food?”
“Lo so.”
“Bene. Mi dispiace, allora, ma saprai anche cosa accadrà adesso.”
Fay annuì convinto. “Sono licenziato.”
“Esattamente. Souma” chiamò voltandosi e tornandosene da dove era apparsa, “occupati delle scartoffie.”
“Sì.”
Senza esternare alcun tipo di disagio, Fay si diresse verso lo spogliatoio per andare a recuperare i suoi oggetti personali.
“Fay-san!” chiamò qualcuno, afferrandolo per un braccio. Watanuki lo guardò con occhi colmi di compassione e preoccupazione. “Perché hai usato quegli ingredienti? Che cosa hai preparato…”
“Watanuki-kun, non essere in pensiero” cercò di rassicurarlo Fay sorridendogli. “Combinavo troppi pasticci, non era il lavoro per me. E poi il mio uomo non sopporta proprio l’odore che mi rimane addosso.”
Con delicatezza e decisione si separò da quella stretta e andò a prendere le sue cose.
Non si pentiva minimamente di quello che aveva fatto. Quando aveva deciso di preparare quella torta sapeva che non se la sarebbe cavata bene. Sapeva anche che quella sera sarebbe venuta Kendappa-sama per il suo solito giro d’ispezione settimanale. In realtà sapeva fin dall’inizio che l’avrebbe licenziato.
Tuttavia era anche consapevole di aver compiuto una buona azione ed era solo questo pensiero a renderlo fiero di ciò che aveva fatto.
Uscì in fretta salutando gli altri da lontano perché voleva evitare assolutamente altre scene come quella con Watanuki. Se gli avessero chiesto delle spiegazioni sul suo comportamento non sarebbe riuscito a fornire una vera e propria risposta, e così era meglio evitare del tutto altri contatti.
Appena uscito dal fast-food mosse qualche passo, attraversò la strada e giunse fino alla panchina dove, qualche giorno prima, Kurogane era venuto a prenderlo. Si fermò lì davanti, accorgendosi di non sapere dove andare.
Il buio era già sceso da un pezzo, la temperatura stava calando e la scelta migliore sarebbe stata quella di tornare a casa. Però qualcosa lo faceva esitare.
Tutte le volte in cui era stato licenziato non aveva dovuto fornire spiegazioni a nessuno, non aveva mai dovuto giustificarsi, né chiedere scusa, né rassicurare qualcuno dicendogli che se la sarebbe cavata e che avrebbe trovato un altro lavoro. Non aveva mai dovuto vergognarsi con nessuno per i suoi fallimenti.
Però, questa volta – e non capiva come aveva potuto dimenticarsene – sarebbe dovuto tornare da Kurogane e avrebbe dovuto dirgli che aveva rinunciato al lavoro perché aveva voluto preparare una torta. Non gli riusciva difficile immaginare la reazione del moro. Ma ciò che più lo faceva star male era l’idea di aver gettato al vento l’unica possibilità che aveva avuto di provvedere al suo uomo e ricambiare tutti i sacrifici che aveva fatto per lui.
Era stato un perfetto egoista, aveva agito d’impulso come aveva sempre fatto. Si era fatto licenziare solo per il gusto di sentirsi maltrattato per un po’, per sentirsi autorizzato ad essere triste, per ricordarsi che lui non poteva essere altro che un fallito.
Questa volta non poteva permetterselo.
Sospirò, sprofondò nella sua sciarpa azzurra alla ricerca di un po’ di coraggio, gliene bastava davvero poco, appena il necessario per dirigersi verso il Drugstore.

 
 
 
 
 
 
 
 
[¹] Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti
 
 
 
 
 
 
 
 
Eccoci qua, ce l’abbiamo fatta! So che non è stato proprio il massimo come chap, ma vi prego di perdonarmi! L’entrata in gioco di Souma e Kendappa la progettavo da tempo, ma non vorrei mai che pensiate che abbia in odio questi personaggi. Li adoro, specialmente Kendappa e il fatto che mi sia riuscita un po’ troppo scorbutica mi dispiace un po’, ma purtroppo non ho avuto molto spazio per sviluppare la sua personalità.
Vi lascio con due regalini freschi freschi: uno special di Natale e i nostri più sentiti auguri sottoforma di fanart! CLIC!
Alla prossima!!!
 
Yuri
 
 
 
 
 
 
~Christmas Carol Canon~      *SPECIAL!*
 
 
Fay: Kuro-rin?
Kurogane: Ohi…
F: Sei sveglio?
K: ....sì....
F: Non credi che dovremmo stare più vicini?
K: Direi che siamo già vicini a sufficienza.
F: Ma c'è freddo.... dai fatti un po' più in qua.
K: Io sto benissimo così.
F: Ti vergogni perché c'è tutta questa gente? Tanto non fanno caso a noi!
K: Sì invece! Prima hai visto come ci guardavano? Ci hanno anche indicato.
F: Per forza, Kuro-myu! Continui a fare versi strani, non c'è bisogno di essere così rumorosi!
K: Io? Strani versi? Parla per te!! E poi non stai fermo un attimo.
F: Eeeh, questa posizione è un po' scomoda.... ti va se ci scambiamo?
K: No, io sto bene così. E ora lascia fare a me.
F: Ah! Kuro-pon...as-aspetta! C'è qualcosa... che mi è entrato.....
K: Allora... prova a spostarti... alzalo così....ecco ci siamo quasi… fammi arrivare fino in fondo.
F: Oh no, ti prego, toglilo, non ce la faccio più!!!!
K: Resisti, è questione di un attimo!
F: Ooooh! Sì, ora ci siamo! Grazie, Kuro-run, ora va meglio! Sei stato così delicato... non me l'aspettavo da te! Accipicchia, quel filetto di paglia mi era finito proprio sotto la maglietta! Ahahah! Grazie per averlo tolto!
K: Tzè, sempre il solito idiota. Neanche quello sei capace di fare da solo...
F: Ogni cosa è migliore quando sei tu a farmela!
K: Sgrunt…. Idiota di un mago.
F: No, Kuro-muu! Devi dire MUUUUUUUUUUUUUUUUUago!
K: E perché dovrei???
F: Perché sei un bue! Avanti, recita bene o ci cacceranno via dal presepe!
K: MUUUUUUUUUUUUUUUUUori!!!!
F: Awwww~! Assolutamente perfetto! Visto che sei così bravo mi insegni anche a fare il verso dell’asino?
K: Quello lo sai fare benissimo da solo, stupido mingherlino....
F: Zitto, Kuro-cow!! Stanno arrivando! Oooh, che bambino adorabile… è proprio identico al suo papà. E la mamma sembra così felice… Kuro-papi!!! Ho voglia di famiglia!!
K: Cosa diavolo stai dicendo, dannato mago?!!
F: Oooh! La stella cometa si è illuminata! Buon Natale, Kuro-chuu!

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Capitolo 12
*** Orgoglio ***


ff-EC 12 Ma salve a tutti! :)
Oggi è il turno di Momoka e inizio subito augurandovi un felicissimo anno nuovo, all'insegna dello yaoi, se possibile!
Ok, anche dello shonen ai va benissimo! XD
Chiedo perdono per il ritardo con cui pubblico, ma queste feste mi scombussolano tutto e non capisco più nulla! @__@ Inoltre la soffertissima distanza *asciuga una calda lacrima* dalla mia coinqui Yuri, ha reso ancora più difficile la pubblicazione!
Ma eccomi qui, pronta a rovinarvi il sonno e i giorni futuri con un altro dei miei capitoli! XD
Questo chap perde un po' della sua fluffosità (ma poca poca poca! Insomma, quella pro angst è l'altra XD) per cercare di risolvere i problemi di questi due poveri squattrinati, e soprattutto del povero Kuro-casalingo! Insomma, non poteva starsene troppo a lungo con le mani in mano e per aiutarlo intervengono altri tre personaggi, uno già apparso in un precedente capitolo XD
Spero che apprezziate il tutto, magari commentando! Fateci questi regalini, no?! Ok, natale è passato, ma c'è ancora la
befana! :)
Buona lettura!
 
Momoka
 
 
 
 
12. ORGOGLIO: “esagerata valutazione dei propri  meriti e qualità per cui ci si considera superiori agli altri in tutto e per tutto.” [¹]
 
Sicuramente era stato tutto un sogno, forse la colpa era ancora delle ultime linee di febbre che non se ne volevano andare o forse era semplicemente ancora troppo addormentato per mettere ben a fuoco quella cosa che si trovava sul tavolo. Si rinfrescò il viso, aprì le finestre, provò addirittura con il caffè ma a niente serviva… non era un frutto dell’immaginazione, quel grembiule era davvero davanti a lui. Quell’orribile grembiule rosa con pizzi, che riportava a grandi caratteri la scritta:
“I’m Kuro-colf #1”
Inspirò ed espirò per farsi passare il nervoso, ma il cartoncino che stava leggendo ancora vibrava sotto le sue mani, mentre una vena pulsava sulla sua fronte:
“Kuro-daddy, questo è un regalino tutto per te che ti ho preso ieri prima di andare al lavoro! Mi piacerebbe vedertelo indossare stasera, al mio ritorno!”
“Quell’idiota, aspetta che torni a casa stasera e lo uccido!!”
Si accasciò sul divano con un sospiro, lontano da quell’obbrobrio che lo perseguitava. E ora cosa avrebbe fatto? Si sarebbe limitato ad aspettarlo per tutte quelle ore che mancavano, magari pasticciando qualcosa di immangiabile ai fornelli, avrebbe riletto per l’ennesima volta il suo manga preferito, avrebbe pulito la casa da cima a fondo con cura maniacale?
No, quella vita non faceva per lui, era già stanco di quella monotonia, di quella noia che sembrava riempire le sue nuove giornate… ed era disoccupato da poco più di una settimana. Aveva bisogno di lavorare, e subito. Così le cose sarebbero tornate come prima, Fay avrebbe potuto ricominciare a starsene a casa, senza doversi abbassare a certi livelli. Gli scocciava ammetterlo, ma uno strano istinto di protezione si era insinuato in lui e non vedeva l’ora di mettere a tacere quella vocina nella sua testa che gli ripeteva di preoccuparsi per il biondo. Però sapeva anche che l’altro avrebbe sofferto di un obbligo forzato a rimanere a casa, proprio ora che sembrava così felice di rendersi utile. Aveva persino pagato, con enorme soddisfazione, la bolletta della luce, e quanto erano diventati luminosi i suoi occhi quando aveva detto che di lì a qualche giorno, per tutto il mese avrebbero potuto ricominciare a guardare la tv e accantonare finalmente le candele!
Sentiva che tutta la sua vita era diventata come un campo minato, ma lui era abituato a studiare bene le sue mosse con discrezione, come un ninja prima di attaccare i suoi nemici e dunque sapeva già cosa fare con esattezza.
Si fece leva sulle ginocchia e si alzò di scatto, pronto ad uscire per dare una spronata alla sua esistenza e partire alla ricerca di un nuovo lavoro.
L’edicola di fronte a casa poteva essergli di grande aiuto, gli annunci dei quotidiani potevano essere un buon inizio.
“Mi dispiace signor Suwa, Maganyan esce la settimana prossima.” Gli disse immediatamente il ragazzino che lavorava lì, col suo tono petulante.
“Tsk, non sono qui per questo. – come se non sapesse quando usciva il numero del suo manga preferito, che attendeva con ansia – ho bisogno del giornale di oggi.”
“Oh, ma certo. Lo sa che il primo quotidiano della storia fu fatto nel ‘400 per avvolgere le caldarroste nelle giornate invernali come queste? Poi pensarono anche di scriverci qualcosa per abbellirli e fu così che…”
Eccolo che ricominciava con tutte le sue storielle false e inutili, che nessuno ascoltava. Fortunatamente intervenne la ragazza al suo fianco, che prontamente gli tappò la bocca e porse al moro il suo giornale.
“Piantala Yamazaki, finirai per annoiare i nostri clienti come sempre con le tue bugie!”
E finalmente Kurogane, ignorando il litigio tra i due, se ne poté andare con il proprio giornale sotto il braccio diretto verso il parco più vicino.
Gli alberi spogli gocciolavano brina e l’erba aveva quasi perso il suo colore verde, lasciando spazio ai toni del marrone, celato sotto il ghiaccio. Una sottile striscia di nebbia copriva le case attorno, mentre qualche passante camminava a passo spedito, calciando il ghiaino che lo circondava. A causa della febbre per qualche giorno era stato costretto in casa e non gli dispiacque quindi sentire nuovamente quel freddo pungente arrossargli le guancie e il naso.
La panchina era congelata al contatto con la sua pelle, ma cercò di non farci caso, per poi aprire il giornale e dedicarsi alla lettura, saltando con decisione le prime pagine di cronaca e i necrologi. Chissà perché poi la gente si ostinava a leggere quegli annunci funebri… lui li odiava. Per non parlare della rubrica femminile, dove un titolo sui pizzi gli riportò alla mente il grembiule che lo aspettava a casa, pronto solo ad umiliarlo.
Dopo aver spiegazzato e gettato via tutte le pagine che riteneva inutili, si trovò con solo due fogli in mano e constatò piacevolmente che erano proprio quelli che stava tentando di trovare da mezzora.
Stava leggendo l’annuncio: “Cercasi piume di principessa, no perditempo, chiamare ore pasti” quando un rumore di passi sull’erba ghiacciata attirò la sua attenzione e lo costrinse a girarsi.
“Oh, ma salve Kurogane-sama! Anche lei qui?”
Riconobbe quella voce con la stessa sorpresa e lo stesso entusiasmo di qualche settimana prima.
“A quanto sembra...”
La figura di Subaru scoprì che ora lo irritava ancora di più, visto che entrambi avevano perso il lavoro e lui non aveva più un qualcosa di cui vantarsi e dietro cui nascondersi. Anzi, ora le cose si erano invertite e si aspettò che l’argomento del suo licenziamento venisse a galla a momenti. E così fu. L’altro spiò con la coda dell’occhio i fogli in bella vista sulla panchina, che si stavano inumidendo e rovinando, cancellando alcuni annunci.
“Ma lo sa che stavo proprio venendo a cercarla! Che fortuna averla trovata subito, non sapevo se avrei riconosciuto il suo appartamento dalla cartina di Seishiro-chan.”
“E perché diavolo mi stavi cercando?” chiese, piegando in due i suoi fogli e ciò che ne rimaneva, pronto ad andarsene.
“Per aiutarla, ovviamente! Ho saputo del suo licenziamento e volevo farle una piccola offerta!”
“No grazie, non mi serve niente. Me la so cavare benissimo da solo.” Si alzò, scocciato da quella interferenza nei suoi progetti del giorno e pensò seriamente di prendere in considerazione uno dei pochi annunci che aveva letto. Come si chiamava la tizia che necessitava di un dog sitter? Kotato, Kodano, Kobato… sperò che il numero fosse ancora leggibile.
“La prego, Kurogane-san. Metta da parte il suo orgoglio per una volta e mi ascolti. Le sto offrendo un’ottima possibilità lavorativa nella stessa azienda in cui lavoro io. Sarà ben retribuito sin da subito e credo che questo sia molto importante per lei.”
“Io non ho bisogno di aiuto da parte di nessuno, ti ripeto.”
“Va beh, ho capito. Le lascio il mio numero e l’indirizzo dell’azienda, sperando che ci ripensi.” E detto questo se ne andò, lasciandolo in mezzo alla strada mentre la figura di Subaru si allontanava e spariva nella nebbia. Un rumore di macchina, una sgommata e si trovò solo, a fissare quel bigliettino finché quell’oscurità che inghiottiva la città sempre prima nelle giornate d’inverno lo rese illeggibile ai suoi occhi.
Fu allora che si ricordò di dover tornare a casa, di preparare la cena al biondo per il suo ritorno a casa.
Nelle sue tasche però, quel piccolo foglio di carta pesava come un macigno e quella sensazione aumentò ancora di più quando vide Fay rientrare stanco e amareggiato, con una strana smorfia a dipingergli il volto.
Perché doveva essere così orgoglioso? Se fosse stato da solo, probabilmente avrebbe preferito andare a fare il dog sitter, ma ora c’era qualcun altro con lui, per cui doveva pagare le tasse, le bollette e poter spendere liberamente qualche soldo in più, senza doversi limitare a comprare le cose più scadenti del supermercato.
Dopo il caldo saluto del biondo, si allontanò ed iniziò a mettersi la giacca, cercando qualche monetina nelle lunghe tasche nere.
“Ora devo fare una cosa, ma dopo parliamo della sorpresa di stamattina… inizia ad allenarti le gambe per correre veloce, molto veloce.”
Estrasse il bigliettino e lo lisciò per leggere sotto la luce dei lampioni, per poi entrare nella prima cabina telefonica del quartiere.
“Pronto.”
Non fece in tempo a dire niente di più, né ad udire altro se non dei rumori familiari quasi quanto quelli che coloravano casa sua nell’ultimo periodo.
“Oh, Kurogane-san! Domattina alle 8.30! Puntuale, mi raccomando!”
Subaru l’aveva fregato, programmando ogni cosa, persino le sue reazioni.
Era così banale?
Già s’immaginava la scena, con Seishiro che rideva della sua stupidità, complimentandosi col compagno della buona riuscita del suo piano. Il nervoso salì e stava per ritornare in cabina e richiamarlo, dicendogli che si era sbagliato, che non voleva più lavorare per lui, ma si fermò e proseguì sulla strada del ritorno.
Lui e il suo stupido orgoglio, per la paura di abbassarsi si era fatto prendere in giro.. e questo era decisamente peggio! Eppure in quel momento sentì di aver fatto la cosa giusta, al diavolo Seishiro, Subaru e tutti gli altri! Perché in una situazione come quella valeva la pena scendere a qualche compromesso, chinare la fronte ed accettare ciò che gli altri ti danno, non avendo paura di ammettere il proprio bisogno di aiuto.
“Ahhh, Kuro-chibi, allora sei pronto a metterti il mio regalino?” lo accolse Fay, stringendo il grembiulino rosa nelle mani con occhi sognanti e un sorrisone.
Ovviamente a tutto c’era un limite.
“Vieni qui stupido idiota, aspetta che ti prendo!”
“Ma dai, oggi ti ho preso anche la crestina abbinata! Guardala che amore, con tutti questi bellissimi fiocchetti! Fai il bravo paparino, accontenta la mammina!”
Finalmente riuscì ad acchiapparlo e gli strappò un bacio, così intenso e forte da lasciarlo quasi senza fiato.
“Uhm, sei proprio sicuro di non volerlo? Penso che ti starebbe molto bene, senza niente sotto ovviamente!”
Quanto odiava quella sua espressione finto pensosa, picchiettando l’indice sul mento, sorridendo come un ebete… chissà cosa si stava immaginando.
“Non ci pensare nemmeno!”
“Eddai, Kuro-pink, ho lavorato tutto il giorno…” A quella frase nei suoi occhi qualcosa era mutato e Kurogane si specchiò nell’azzurro alla ricerca del problema che aveva causato quell’improvviso buio, ma vi trovò solo il suo cremisi.
“Ti ho detto di no! Ti devo parlare di cose importanti ora.” E detto ciò si scostò dall’ennesimo bacio che l’altro voleva dargli.
L’altro mise il broncio e si accomodò sul divano, pronto ad ascoltare.
“Domani inizio a lavorare da un mio ex collega, quindi a breve vedremo risolti tutti i nostri problemi.”
“Oh ma è fantastico!” esclamò saltandogli al collo. “Oh ma è fantastico!” esclamò saltandogli al collo. “Comunque non che mi dispiacesse questo scambio di ruoli!”
 “Che stupido.” Mentre sentiva le sue guancie arrossarsi in maniera incontrollata il biondo gli baciò il naso, facendolo imbarazzare ancora di più.
 
La mattina trovò strano alzarsi al suono della sveglia del suo compagno, ma in fondo era piacevole fare colazione con qualcuno, dopo un po’ di tempo che la faceva da solo.
“Guarda cosa ti ho preparato per darti la carica!” e gli mostrò una serie di frittelle trasbordanti di zucchero e cioccolato.
“Prendo solo il caffè. E non mangiarle nemmeno tu quelle perché ti viene il diabete a vita.”
“Ahh, Kuro-tan stavo scherzando. Ho cucinato per te un bel toast con il prosciutto, così hai l’energia giusta per affrontare il tuo primo giorno di lavoro!”
Lo addentò con gusto, mentre osservava Fay mangiare quella schifezza iperglicemica.
Ad un tratto fissando l’orologio si accorse che erano terribilmente in ritardo. Corsero alla stazione del treno e si trovarono entrambi circondati da giovani studenti nevrotici e infreddoliti.
“Questo mi ricorda tanto quando ero un liceale anch’io… eravamo sempre stipati in vagoni fatiscenti e sporchi come questi, poveri noi! Anche per te era lo stesso, Kuro-study?”
Il moro si trovò a guardarlo con una strana espressione stupita e questo non sfuggì nemmeno all’altro, che si affrettò a cambiare discorso come se nulla fosse.
Non gli aveva mai parlato del suo passato prima di quel momento, e lui non gliel’aveva mai chiesto… perché ora gli era sfuggito quel piccolo ricordo della sua adolescenza? Faceva parte del suo nuovo desiderio di aprirsi? Lui sarebbe stato lì ad ascoltarlo, non aveva dubbi, soprattutto ora che la curiosità si era insinuata in lui.
Una vocina dentro la sua mente gli ripeteva di chiedergli qualcosa in più, ma sapeva che non avrebbe ottenuto assolutamente nulla… doveva soltanto aspettare che le difese cadessero ancora di più, lasciando scorrere il suo passato in lui come un fiume in piena.
“Oh, ma è la tua fermata la prossima, Kuro-pon!”
“Non mi chiamare così davanti a tutti, idiota… anzi, non mi chiamare così punto e fine! Quante volte dovrò ripetertelo ancora?!”
“E secondo te lo farò?! Dai che tra un po’ devi scendere, Kuro-darling!” E detto ciò gli sistemò la cravatta, come un’abile mogliettina avrebbe fatto con il suo maritino.
“Piantala idiota! Stai fermo! Mollami la camicia!” cercò di liberarsi da quella presa appiccicosa, ma la calca gli limitava i movimenti e rischiò più volte di dare una gomitata alla gente che lo circondava. In quell’istante, mentre si stava per scusare con una ragazza per la botta che gli aveva dato accidentalmente, l’altro lo baciò.
Non sapeva come reagire, era senza parole. La vergogna si era impossessata completamente di lui, lasciandolo interdetto con la bocca spalancata, davanti a Fay e al suo sorriso soddisfatto.
“Ora ti uccidooo!”
“Oh, eccoti arrivato! Buon primo giorno di scuola, Kuro-pippi!”
Fortunatamente la calca lo aveva trascinato giù dal treno, impedendogli di compiere una strage davanti a tutti quegli innocenti. Riconobbe, poco prima di scendere, le due stesse ragazze che lo avevano perseguitato pochi giorni prima, guardarlo con occhi sognanti.
“Si sono baciati, si sono baciati! Yaoiiiiii!!!”
Possibile che dovesse essere circondato da idioti?!
Per fortuna quella tortura mattutina sembrava essere finita, lasciando che alla rabbia si sostituisse un leggero senso d’ansia per quel nuovo inizio.
La ditta era a pochi minuti dalla fermata, in una zona che conosceva molto bene.
Cercò il portinaio per farsi annunciare a Subaru, ma non lo trovò.
“Ha bisogno di aiuto?” si voltò e vide due uomini dietro di lui.
Uno era alto quasi quanto lui, moro coi capelli corti e gli occhi color oro, mentre l’altro era leggermente più basso, con i capelli più lunghi e spettinati, gli occhi di un viola intenso.
Annuì leggermente a quella domanda, perso com’era a fissare quei due nuovi tizi che erano arrivati.
“Io sono Fuuma, mentre lui è Kamui-chan.” Mentre faceva le presentazioni, si attaccò al braccio del suo collega, provocando una reazione scocciata nell’altro.
“Io sono Kurogane Suwa e sto cercando Subaru, dovrei iniziare oggi.”
“Oh, bene bene! Allora ti ci portiamo subito! Che bello un nuovo amico qui a lavorare con noi!”
“Piantala di fare l’idiota. Venga pure, la guideremo noi.”
“Oh, Kamui-chan sei sempre così gentile ed altruista… come si fa a non adorarti?!”
Quel botta e risposta sfociò presto in un battibecco che lo accompagnò per tutto il viaggio in ascensore e poi nei corridoi.
Ad un tratto Fuuma si congedò, guardando con ansia l’orologio.
“Io devo scappare, ma spero di rivederti presto Kurogane! A dopo Kamui-chan, ti penserò per tutto il tempo e non vedo già l’ora di rivederti.”
I due si trovarono dunque a fissare in silenzio quella strana figura allontanarsi da loro, mentre l’altro esclamò scocciato: “Imbecille.”
Era pazzesco quanto quei due gli ricordassero un po’ lui e Fay e si chiese cosa doveva esserci tra di loro. L’imbarazzo evidente che colorò il volto di Kamui, accendendogli gli occhi viola, gli diede la risposta alla domanda che si era posto.
“Signor Suwa, le chiedo scusa per ciò che ha detto il mio collega, spero non l’abbia messo a disagio.”
“Tsk, non si preoccupi, sono abituato anch’io ad avere a che fare con un’idiota molto simile a lui.”
Si trovò a dire, grattandosi i capelli e pensando infastidito alla scena del treno. Immaginava che anche il moro accanto a lui fosse costretto a subire scenate del genere.
Finalmente dopo altri minuti di pesante silenzio camminando in quei lunghi corridoi, arrivò all’ufficio di Subaru.
“Prego, signor Suwa, si accomodi pure. Io ora vado devo andare in ufficio, ma se per caso dovesse avere bisogno di aiuto, non esiti a chiamarci. Ci siamo passati tutti, ma vedrà che le piacerà molto questo lavoro!” si congedò stringendogli la mano e elargendo un piccolo e timido sorriso, che gli socchiuse leggermente gli occhi, celando per pochi istanti il viola scuro.
Stette per alcuni istanti davanti alla porta senza riuscire a bussare, bloccato dall’orgoglio. Si stava abbassando a elemosinare un posto di lavoro, ecco cosa sentiva. Si picchiettò la fronte, nervoso.
Alla fine riuscì ad alzare la maniglia ed entrò nella stanza senza annunciarsi ne senza chiedere permesso.
“Oh, Kurogane-san! La stavo aspettando! Pronto ad iniziare?! Ho già parlato al mio capo, abbiamo un posto perfetto per te! Ti occuperai della compravendita dei formaggi.”
“Cosa?!”
“Sì, ha capito bene… il suo compito sarà quello di pubblicizzare i nostri prodotti. Mi aspetto tutto l’entusiasmo di cui è capace.”
Il moro notò che il sopracciglio del suo nuovo collega si era alzato impercettibilmente, quasi in maniera ironica e ciò lo infastidì alquanto.
Sentiva l’umiliazione a cui veniva sottoposto al solo stare in quella stanza e, anche se sapeva che non dipendeva dal giovane uomo di fronte a lui, si trovò a prendersela con lui.
Sbuffò e si alzò dalla sedia girevole su cui si era seduto.
“E sia… dove devo andare?!”
L’altro sorrise e lo guidò nel suo nuovo ufficio.
 
Finalmente dopo due lunghissime ore di lavoro, per Kurogane arrivò la pausa pranzo. Ispirare un po’ di aria fresca per lui si rivelò un vero toccasana, mentre già sentiva che quell’orribile odore di formaggi si era insinuato in lui, provocandogli un fortissimo senso di nausea.
La sola idea di mangiare gli suonò rivoltante, ma si sforzò, sentendosi troppo stanco per colpa della tensione che il nuovo impiego gli provocava.
“Allora lei mi consiglia questo Emmental?”
Non era riuscito a rispondere, lui era fatto così. Non ce la faceva a mentire, soprattutto su delle cose che lo disgustavano così tanto. E così il suo secondo cliente se n’era andato senza aver acquistato nulla, mentre il volto accigliato del suo nuovo superiore lasciava ad intendere molto più di quanto dicesse a parole.
Seguì le indicazioni per la mensa e si trovò costretto in una fila piena di gente impaziente che non fece altro che aumentare il suo malumore. Subaru intanto lo fissava sorridendo dal suo tavolo, accompagnato dagli altri responsabili. Dopo quelle che gli erano parse ore riuscì a prendersi un misero piatto di riso e del pollo al curry piccante e si avviò alla ricerca di un tavolo libero in cui sedersi, lontano da tutti quei volti irritanti e sconosciuti.
“Oh, ma salve Kurogane-san! Prego, si sieda con noi! Dobbiamo festeggiare, oggi Kamui ha accettato di mangiare con me in pausa!” esclamò Fuuma, alzando il bicchiere d’acqua che stringeva nella mano e facendo l’occhiolino. L’altro sedeva accanto a lui con un’espressione mista tra l’arrabbiato e l’imbarazzato.
Mentre addentava il suo pranzo, cercò di ignorare i discorsi scemi del personaggio che si trovava davanti, ma si rivelò più difficile del previsto, specialmente quando l’altro gli pose una domanda che sperava non venisse mai formulata.
“Ma cos’è quel broncio? Non le piace forse il suo nuovo lavoro?!”
Non riuscì a rispondere, non gli andava certo di raccontare i fatti suoi a quei due sconosciuti.
“Sa, lei mi ricorda tanto il mio Kamui-chan… siete tutti e due così seriosi e… orgogliosi.”
“Piantala, lascia in pace il povero signor Suwa! Non lo ascolti e continui pure a mangiare.”
“Va bene, starò zitto, ma solo se tu mi dai un bacino!” e ricominciò l’ennesimo battibecco.
Gli scocciava ammetterlo, ma Fuuma sembrava aver fatto centro nel pieno del suo problema. Era vero, in quel momento ciò che odiava di più dei latticini a cui era obbligato a stare a stretto contatto era il fatto di aver accettato il favore di Subaru e di ritrovarsi a lavorare alle sue dipendenze, come l’altro sembrava aver programmato sin dall’inizio.
Doveva cambiare, migliorare, accettare quella subordinazione… aveva bisogno di quei soldi. Ma non ce la faceva. Proprio non ci riusciva. Certo, forse era fatto male, ma non poteva modificare la propria natura.
“Sì, sarò orgoglioso, ma sono fatto così” disse infine, intromettendosi in quel botta e risposta già visto, che sembrava tanto divertire le colleghe dei tavoli attorno quanto infastidire Kamui.
I due lo fissarono allibiti, non si sarebbero certo aspettati una risposta del genere a una frase ormai dimenticata.
Si alzò rumorosamente dal tavolo, gettando nel cestino i resti del suo pranzo, e si diresse a grandi passi verso il tavolo dei dirigenti.
“Ohi, posso parlarti?”
Subaru rispose di sì con un lieve cenno del capo e lo condusse su una delle panchine esterne, dove alcuni operai fumavano, lamentandosi del lavoro e del freddo.
“Devo andarmene, mi licenzio.”
“Ma…”
“Non è per te, anzi… ti… - quanto gli fu difficile continuare il discorso – ringrazio per l’opportunità che mi hai offerto, ma proprio non ce la faccio.”
“Lo sapevo, Kurogane-san, sei proprio un orgoglioso. Ma va bene così, sono felice di averti dato una piccola mano. Buona fortuna per il tuo futuro.” E stringendogli la mano, si alzò per ritornare dentro la mensa. Lui si trovò a fissare le porte chiudersi al suo passaggio, chinando il capo e, una volta all’uscita dell’edificio ridiede con sollievo il proprio badge e il cartellino di riconoscimento. Salutò silenziosamente lo stabile e si diresse verso la stazione, guardando l’orologio: aveva resistito ben poco, meno di quattro ore… però non gliene importava granché. Certo, ora si poneva il problema della ricerca di un nuovo impiego, ma sentiva che non sarebbe stato poi così difficile. Inoltre sarebbe stato di sollievo anche per il biondo... l’aveva notato come il suo sorriso si era guastato alla notizia del giorno prima.
Nel viaggio di ritorno ripensò al tutto e capì che era davvero un dannato orgoglioso, sia nei confronti di Subaru, del nuovo lavoro e di Kamui e Fuuma, ma anche di Fay.
Ricordò della sua stupida idea del grembiulino rosa, delle sue finte proposte indecenti che avevano l’unica finalità di metterlo in imbarazzo.
Prima di rientrare a casa si fermò in un piccolo negozio rosa confetto e si preparò ad accogliere il biondo a casa, mettendosi ai fornelli cercando di preparare qualcosa di abbastanza commestibile. Se sarebbe dovuto cambiare non l’avrebbe certo fatto per uno stupido tizio che si era fatto cacciare dal lavoro, ma per qualcun altro davvero importante per lui, anche se gli costava tanto ammetterlo.
Finalmente arrivarono le sette e con esse lo scatto delle chiavi che annunciavano l’arrivo del compagno.
“Kuro-tan, che ci fai già qui? Oh…” Le sue domande furono interrotte da un’espressione sorpresa, mentre i suoi occhi brillavano fissando ciò che lo aspettava sul tavolo.
“Ma… ma questo è un fondant au chocolate! Tu li odi… perché l’hai preso?”
“Per il gatto… Idiota, è per te!”
Dopo quella risposta non riuscì più a capire niente, mentre l’altro lo baciava con passione accarezzandogli i capelli e stringendosi a lui.
“Calmino, non è nulla di eccezionale, solo un pasticcino!”
“No, Kuro-cicci, non è solo un pasticcino. Io… io…” Stavolta fu lui a zittirlo, con un profondo bacio. Si fermò giusto in tempo, cercando di calmare il fuoco che li stava per travolgere. C’erano cose che prima avevano la precedenza.
“Ho perso il lavoro… anzi, mi sono licenziato. Non resistevo, alle dipendenze di quel tizio. Sarò orgoglioso, ma proprio non ce la facevo. Avrei finito per spaccare il muso a qualcuno, se fossi rimasto per un’altra ora dentro quel posto. Lo so, sono orgoglioso e blablabla… dai spara qualche stupidata anche tu, come tutti quei tipi oggi…”
“Oh, nuuu Kuro-pon, non dire così! È vero, forse un po’ orgoglioso lo sei, ma sei il mio cagnolone e non ti vorrei se non fossi così.”
Si ritrovò a fissarlo e a perdersi ancora in quel profondo mare che erano i suoi occhi. Era sorpreso da quell’affermazione, ma allo stesso tempo si sentì leggermente sollevato.
“E ora, direi che avrai bisogno di essere consolato a dovere dopo questa brutta giornata. Inoltre a me spetta ancora il mio dolce. Che ne dici di un bel bagnetto, Kuro-pippi?” E dopo questa frase si fece trascinare nel bagno, dove i caldi vapori li avvolsero, lasciando che l’acqua lavasse via le preoccupazioni e la fatica di quella giornata.
Mentre lo strinse per aiutarlo ad entrare nella vasca pensò che in fondo sapeva mettere da parte il suo orgoglio, quando serviva, specialmente se si parlava di Fay.
“Mi lavi la schiena Kuro-bubble?” Le sue guancie arrossate dal desiderio e dal calore dell’acqua lo imbarazzarono, ma obbedì silenzioso.
Insomma, ogni tanto qualche soddisfazione poteva pur dargliela, no? Farlo vincere, in qualche campo.
Ovviamente non quando si parlava di grembiuli rosa, pizzi e fiocchi... non che a qualcuno dei due importasse qualcosa di quello stupido regalo, in quel momento.
 
 
 
 
 
 
 
[¹] Vocabolario della lingua italiana Zingarelli
 
 
 
 
 
 
 
Bene bene bene, eccomi qui! *è tentata di scappare via ma viene trattenuta da una forza oscura*
Direi che qualche spiegazione è d'obbligo, neee?!
Sappiate che io adoro, e davvero tanto, SeishiroXSubaru e KamuiXFuuma... sono due coppie che amo *w* Ahimè, qui Subaru sembra avere un ruolo negativo, ma non è colpa mia ç___ç Mi è uscito così! E poi riveste un ruolo fondamentale per Kurogane, facendogli capire un altro lato del proprio carattere... [e sì, avrei voluto descrivere tante scene a rating rosso tra lui e Seishiro ma... sarà per un'altra volta XD]
Per quanto riguarda Fuuma e Kamui... ho dovuto risolvere così la situazione, rendendo il seme un gran iperattivo rompiscatole e il nostro uketto un lunatico scorbutico... ma come potevo fare a renderli degli aiutanti, se sono uno più emolo di quell'altro?! Direi che si allontanano alquanto dalla loro personalità di X per avvicinarsi un poco a quella di TRC, quindi... PERDONATEMI! [anche qui, le scene R-18 sono posticipate ad altri luoghi...]
Fatemi sapere che ne pensate... per chi volesse venirmi a trovare coi forconi, posterò anche l'indirizzo dell'appartamento mio e di Yuri... T___T
Buona settimana a tutti, godetevi queste vacanze nel modo migliore e... a presto! :)
 
Momoka

 
PS: Forse in pochi l'hanno notato, ma hanno fatto una breve apparizione pure due personaggi di CCS, nel ruolo dell'edicolante e della sua aiutante! Spero li abbiate notati e riconosciuti! ^.^ Visto che amo quel manga, far entrare anche altri pg nel mio chap mi sembrava doveroso...

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Capitolo 13
*** Punizione ***


ff-EC 13 Bene, è finalmente giunto… il capitolo in assoluto più paranoico e yaoi della fanfic è qui proprio di fronte a voi! Ora che vi ho avvertito, potete anche fuggire urlando…. Se notate, è parecchio lungo, di sicuro il più lungo capitolo di Fay perché riuscire a destreggiarsi tra le sue pare, mescolandoci un po’ di flash-back, cross-over, yaoi, giardinaggio (sì, che pure quello!) e una punta di fluff è stato alquanto arduo e non sono pienamente sicura di esserci riuscita.
Ci è voluto parecchio tempo per completarlo ed è stato proprio questo stupendo pargoletto a costringermi a cambiare molti dei miei capitoli successivi, cosa che, come ormai sapete, mi è costata ulteriori notti in bianco, casse di birra, vapori etilici da laboratorio, ecc ecc! Ahaha!
Dopo questa introduzione davvero inutile consiglio un respiro profondo, una sedia comoda e, magari, una buona dose di zucchero al vostro fianco.
 
 
13. PUNIZIONE: “Conseguenza del sottomettersi a una pena e/o a un castigo.”[¹]
 
Bloccò la sveglia appena questa iniziò a trillare con il suo suono assordante. Ancora col braccio teso sul comodino si voltò circospetto verso Kurogane, attendendo una sua reazione. Nulla. Tirò un sospiro di sollievo. Il tenue chiarore dell’alba si era intrufolato nella camera attraverso le fessure delle imposte e illuminava il corpo del moro sommerso dalle strette coperte che durante la notte gli aveva sottratto. Soffriva troppo il freddo e se gli avessero tolto anche il riscaldamento non avrebbe resistito a lungo. L’unica cosa che Fay desiderava, in quel momento di silenzio assoluto riempito solo dai suoi intricati pensieri, era rimanere lì a riscaldarlo. Purtroppo non ne aveva il tempo, era già abbastanza tardi. Si concesse solo un altro po’ di quell’istante pacifico, appoggiando la testa sul cuscino a pochi centimetri da quella di Kurogane, disegnandone con lo sguardo i lineamenti addolciti dal sonno e beandosi di quell’inesplicabile profumo di mirto che lo avvolgeva sempre, dolce e misterioso allo stesso tempo che invitava a scoprire cosa celasse alle persone comuni. L’impulso di assaggiarlo divenne irresistibile, ma non poteva lasciarsi andare o lo avrebbe svegliato.
Si alzò senza far rumore e la gelida aria mattutina sferzò il suo corpo nudo.
“Te ne vai già?” La domanda giunse come una voce dall’oltretomba.
“Sì, Kuro-freeze! Ho il turno.”
“Mi sembrava di aver capito che avresti lavorato il pomeriggio.”
Le braccia di Fay si tesero stringendo il lenzuolo. Anche se dava le spalle a Kurogane, si sforzò ugualmente di sorridere… una vecchia abitudine.
“Doumeki-kun ha deciso di assegnarmi ancora qualche turno alla mattina per permettermi di ambientarmi completamente e finire il mio apprendistato.”
Che vergogna. Non sarebbe mai riuscito a correggere quel suo maledetto carattere.
“Mh.”
Fay evitò di proseguire quella spiacevole conversazione e si alzò velocemente, recuperando i suoi vestiti. Fuggì dall’appartamento prima che il cervello di Kurogane si svegliasse abbastanza da permettergli di formulare altre domande. Non prese nemmeno l’ombrello e così in pochi minuti si ritrovò infradiciato dalla pioggia che quella mattina non accennava a concedergli tregua.
I lampioni ancora accessi proiettavano luci tremanti nelle pozzanghere, le decorazioni natalizie stavano ormai prendendo possesso delle strade. Doveva iniziare a pensare a un regalo per Kurogane, aveva gusti difficili, quella ricerca gli avrebbe richiesto almeno un mese. Forse il ritorno della luce nell’appartamento sarebbe stato sufficiente, anche se a Fay, sotto sotto, quella situazione non dispiaceva. Era bello stare fermi, spalla contro spalla o, perché no, anche più vicini, seduti sul divano lasciando che il silenzio parlasse per loro e il buio li costringesse a tentare di interpretare cosa l’altro stesse pensando, ad ascoltare il suo respiro e a conferire al senso del tatto il potere assoluto. Ma non era certo che a Kurogane piacesse quel livello di romanticismo pericolosamente tendente alle carie, aveva avuto modo di verificarlo più volte: lui preferiva l’azione.
Quei dolci pensieri gli fecero salire il sangue alla testa, mentre camminava con gli occhi rivolti al cielo, completamente perso. Una voce alle sue spalle lo fece arrestare all’improvviso, proprio in mezzo a una pozzanghera.
“Fay-san?” Dalla porta a vetri del Drugstore spuntava il volto sorridente di Kakei. “Hai sbagliato civico.”
Fay rise in un modo che suonò stupido persino a lui ed entrò nel negozio deserto.
“Dove sono Kaza-chan e Rikuo-kun?” domandò togliendosi il cappotto fradicio e lottando con la sciarpa bagnata che tentava di strangolarlo
“Sono fuori per un lavoro speciale” gli rispose Kakei venendo in suo aiuto. Prese un panno dal bancone vicino all’ingresso e gli frizionò per bene i capelli, lasciandolo poi tutto arruffato. “Per te, invece, ho riservato un compito semplice ma importante, per fare pratica.” Gli fece segno di seguirlo sul retro. Quando Fay intravide il divano dove, qualche tempo prima, era stato così vicino dall’unirsi a Kakei, ebbe l’impulso di indietreggiare.
“Non temere, non ti farò niente stavolta!” lo tranquillizzò l’altro a cui, come sempre, non si poteva nascondere nulla. “Non mi sembri più triste, o sbaglio?”
Fay agitò la mano in segno di diniego. “Assolutamente no! Il mio Kuro-hot si sta prendendo cura di me e io ho smesso di preoccuparmi come una mogliettina apprensiva nel pieno di una crisi di mezza età!”
Kakei non rispose, si limitò a sorridere. Fay sentiva sempre un vago disagio quando gli stava vicino, e non solo perché ricordava fin troppo bene l’esperienza che avevano avuto insieme, ma per il semplice motivo che Kakei-san, sebbene in modo diverso, si comportava come Kurogane: capiva sempre più di quanto gli mostrasse, e il fatto che il gestore biondo reagisse semplicemente liquidando la cosa con un sorriso lo metteva ancora più in difficoltà. Era facile sfuggire alle indagini di Kuro-wanko, una frase stupida e un movimento disarticolato gli permettevano di sostituire la sua curiosità con una reazione furibonda, ma con Kakei questo trucco non avrebbe sicuramente funzionato.
Fay immaginò la scena, lui che correva per il negozio come un acrobata e Kakei che lo inseguiva con una katana. No, non avrebbe funzionato.
Il gestore lo distolse ancora una volta dai suoi vaneggiamenti mentali indicando un vecchio armadio appoggiato alla parete. “Vorrei che riordinassi gli oggetti qui dentro. Fai attenzione, sono fragili.”
“Nessun problema!” replicò Fay intraprendente, aprendo curioso l’armadio. Si era quasi aspettato di venire travolto da una valanga di articoli invenduti, in realtà sui ripiani si trovavano soltanto pochi oggetti. Con delicatezza prese tra le mani un libro dall’aspetto estremamente antico che era sul punto di cadere in pezzi. Il titolo era scritto a mano con una calligrafia che Fay non riuscì a decifrare.
“Che cos’è?”
“È un libro speciale che parla di un amore sofferto e non corrisposto.”
Il biondo lo studiò ancora per un attimo, decidendo di non aprirlo. Non era proprio il caso di perdersi in argomenti così deprimenti. Lo spolverò delicatamente e lo ripose sul ripiano. Accanto a lui c’erano anche una bottiglia d’acqua mezza vuota e un vaso dipinto con gigli. Fay non riusciva a capire perché Kakei volesse che riordinasse un armadio praticamente vuoto, ma sapeva che il gestore era avvezzo alle stranezze e decise di non fare più domande.
“Vorrei che portassi quel vaso a una persona.”
“Ah, una consegna a domicilio?”
“Sì. Ecco l’indirizzo.”
Fay lesse il biglietto. Conosceva il posto, ma ciò che lo sconcertò fu l’annotazione sotto il nome della via.
“Kakei-san, ma questo…”
“Non preoccuparti. Segui solo quello che dicono le istruzioni. Se porterai a termine questo incarico con successo ti darò un extra.”
Fay inclinò la testa, perplesso. “In pratica, mi stai chiedendo di fare uno dei lavori speciali che assegni a Kaza-chan e Rikuo-kun?”
Kakei sorrise enigmatico. “Non esattamente. Quel vaso è frutto proprio di uno dei loro lavori.” A quella risposta non seguì un’ulteriore spiegazione e Fay pensò che se avesse guadagnato qualche soldino in più poteva anche accettare quell’incarico.
Uscì dal negozio col vaso impacchettato, sotto un cielo plumbeo e nebbioso da cui l’acqua non scendeva più. Giunto nei pressi della via trovò l’occasione di mettere in pratica le indicazioni del biglietto. Guardò l’orologio, contò qualche secondo, e poi si infilò nell’angusto spazio che separava il muro di una casa da un palo della luce. Svoltò l’angolo e imboccò la strada indicata, fino a raggiungere una piccola vetrina che esponeva una gran varietà di fiori e piante. Non fece nemmeno in tempo a mettere piede sul gradino della soglia che due bambine gli vennero incontro dalle oscure profondità della jungla.
“Benvenuto!”
“Benvenuto!”
“Buongiorno!” salutò Fay con cortesia, chinandosi per raggiungere la loro altezza. “Sono qui per consegnare questo vaso a Yuuko-san.”
“La padrona non c’è.”
“Puoi lasciarlo a noi.”
Fay si soffermò pensieroso a valutare la proposta. Kakei non aveva dato istruzioni al riguardo e poiché non poteva permettersi di attendere il ritorno di Yuuko-san scelse di accontentare le due bambine che sparirono subito dopo nel negozio saltellando pericolosamente col vaso in mano.
Fay era sul punto di voltarsi e rimettersi sulla strada del ritorno quando qualcun altro lo venne ad accogliere. Era una terza bambina, dall’aria più composta e matura delle altre, con un viso grazioso e lunghi capelli ondulati. Quando fu di fronte a lui non lo salutò, non parlò nemmeno, rimase solo a guardarlo.
Fay cercò di superare quella timidezza sorridendole calorosamente e salutandola con la mano. “Salve, graziosa signorina. Io sono Fay-chan.”
“Mi chiamo Kohane.”
“Che nome delizioso! Posso chiamarti Kohane-chan?”
La bambina annuì seria. “Come si chiama l’altro ragazzo che sta con te?”
Fay rimase perplesso, si voltò ma, ovviamente, non vide nessuno. Decise comunque di assecondare i giochi della piccola Kohane. “Che maleducato, non si presenta mai! Si chiama Kuro-taro ed è sempre arrabbiato…”
“Non mi sembra” lo interruppe lei senza dare il benché minimo segno di apprezzare quel gioco infantile. “Piuttosto mi pare che sia triste. E poi è identico a te.”
Una sensazione di gelo rischiò seriamente di far perdere a Fay il suo sorriso di circostanza. Sentiva chiaramente che qualcosa non andava, quella bambina sembrava parlare seriamente.
“È quello il peso che porti sulle spalle? È per questo che non stai mai dritto?”
Stava accadendo tutto troppo in fretta e Fay non riusciva ad analizzare tutte quelle domande che giungevano così inaspettate e così in profondità.
Kohane dovette comprendere il suo disagio e così fornì una semplice spiegazione: “Io posso vedere i fantasmi e quello che si trova alle tue spalle è sicuramente uno spirito.” Afferrò la mano di Fay prima che questi avesse tempo di indietreggiare. “Sei consapevole di averlo costretto tu ad accompagnarti?”
Sostenere la sua maschera non era mai stato così difficile, era perfettamente cosciente del fatto che il suo sorriso stesse per crollare e si impegnò al massimo per tentare di riprendere il controllo di sé. “Kohane-chan, fai discorsi molto seri per la tua età.”
“Portare questo peso non ti farà sentire meglio. Lui non vuole procurarti altre sofferenze.”
“Non porto nessun peso” tentò di convincerla con gentilezza, ma la sua tecnica perdeva efficacia.
“Non senti quello che cerca di dirti? Ti chiede di lasciarlo andare. Lo stai costringendo in questo mondo perché possa essere la tua punizione?”
Le difese di Fay crollarono inesorabilmente e il biondo smise di tentare di sfuggire alla bambina. Kohane-chan sapeva troppe cose, era perfettamente inutile continuare a mentire. Con un semplice sguardo aveva già compreso tutto ciò che lui ancora faticava ad accettare. Forse era riuscita a penetrare la sua corazza ancora più in profondità di Kurogane, che ogni giorno scavava in lui qualche centimetro in più. Forse Kohane era riuscita a vedere persino la ragione per cui Fay, quando usciva, cercava di vestirsi il più leggero possibile. Forse aveva capito perché non curava il suo aspetto e se ne andava sempre in giro spettinato e trasandato. Forse sapeva perché, da anni, Fay non aveva più il coraggio di vedere la sua immagine riflessa in uno specchio.
“Come puoi sapere tutte queste cose?” domandò Fay, mentre una familiare tristezza lo avvolgeva.
“Me l’ha detto lui” rispose Kohane, accennando allo spazio vuoto dietro di lui. “Mi ha detto anche che cerchi di espiare le tue colpe costringendoti sempre a scelte sbagliate che ti portano a soffrire. Sai che questo si chiama egoismo?”
Se non si fosse trattato di una bambina probabilmente Fay non si sarebbe trattenuto e le avrebbe intimato di tacere, perché la tensione ormai era insostenibile e tutto ciò che desiderava era allontanarsi da quella voce che, con somma tranquillità, gli stava rovesciando addosso tutte le colpe di una vita.
“Neghi a tuo fratello la pace e procuri dolore a coloro che ti amano. Le tue azioni non hanno conseguenze solo su di te, ma anche su coloro che ti sono vicini. Non stai punendo solo te stesso, ma anche persone che non hanno colpa. Sei sicuro di voler continuare in questo modo?”
Nonostante stesse ricorrendo a tutto il suo autocontrollo, il respiro di Fay risultava affannoso. “Come… come puoi saperlo? Come fai a dirlo? Non ho mai voluto fare del male a nessuno perché io…” Dopo quella confessione improvvisa e indesiderata il fiato gli mancava.
“Lui lo sa e vuole che tu sia felice.” Kohane sollevò la mano che teneva dietro la schiena, porgendogli un piccolo fiore bianco che ricadeva di lato, su se stesso. Sorpreso e sconcertato, Fay non fece niente per accettarlo.
“È un bucaneve. Ed è per te.” Titubante, Fay lo afferrò con due dita, timoroso della sua fragilità. “Quando Adamo ed Eva vennero cacciati dal Paradiso terrestre, furono trasportati in un luogo gelido e buio, dov’era sempre inverno. Eva si sentiva molto triste, e così un angelo prese un pugno di fiocchi di neve, vi soffiò sopra e ordinò che si trasformassero in boccioli. È un simbolo di vita e di speranza.” Dopo quella spiegazione, Fay fu tentato di rifiutarlo. Ma gettarlo significava negare tutto ciò che Kohane aveva detto e lui sapeva che non c’era nulla di sbagliato in quello che la bambina gli aveva messo davanti agli occhi. Sconfitto, si inginocchiò a terra per celare il tremore alle gambe. Kohane gli sfiorò una guancia con la sua piccola mano.
“Non devi essere triste. Nessuno vuole che tu lo sia. Me lo prometti?” Sollevò il mignolo speranzosa.
“Kohane-chan, sei davvero molto intelligente, ma cambiare non è così semplice.”
“Allora prometti che ti impegnerai a essere felice, prima o poi. La prossima volta che tornerai mi piacerebbe regalarti un crisantemo… Fay-chan.”
“E quello cosa significa?”
Kohane sorrise, per la prima volta. “Lo scoprirai.”
Fay fu confortato da quella naturalezza ed entrambi incrociarono i mignoli. “Promesso, allora.”
Colta da un’improvvisa curiosità, la bambina si protese verso il biondo e avvicinò il viso ai suoi capelli. “È debole, ma sento anche profumo di mirto. Se lo segui il tuo cammino sarà più semplice.”
 
Ciò che si rivelò essere meno facile del previsto fu tornare al Drugstore senza far trapelare le sue emozioni. Quando lo vide rientrare, Kakei sorrise, con quella solita espressione enigmatica che Fay ricollegava alla propria e ogni volta lo costringeva a chiedersi quali domande essa suscitasse in Kurogane.
“Hai fatto la consegna? Nessun problema?” domandò Kakei.
“Sì, tutto a posto!” Fay era consapevole di non risultare convincente.
“Bene, allora puoi andare.”
“Come?” domandò Fay, stavolta senza tentare di nascondere la sorpresa. “Così presto? Non ho fatto praticamente nulla…”
“Al contrario. Hai fatto ciò che volevo che facessi. Puoi tornare a casa.”
Un po’ esitante, Fay fece come gli era stato detto. A dire il vero, si sentiva in colpa a guadagnarsi lo stipendio in quel modo e, pur essendo ancora scosso dall’incontro di quella mattina, non poteva fare a meno di sentirsi un po’ in colpa. Ormai quella fastidiosa sensazione era diventata parte della sua routine quotidiana.
Inoltre, qualcosa gli suggeriva di non tornare a casa. Si sentiva a disagio, ora che era venuto a conoscenza, anzi, che era stato messo di fronte ai suoi difetti e alle sue colpe in modo così violento e inaspettato. Non se la sentiva di sfoggiare le sue debolezze di fronte a Kurogane perché sapeva che il moro avrebbe iniziato a fargli domande e lui, che non si sentiva ancora pronto a rivelargli completamente il suo passato, sarebbe stato costretto a mentire. Di nuovo.
Si appoggiò stancamente alla balaustra che affiancava le scale che conducevano al loro appartamento, cercando una scusa per non rincasare.
Era diventato davvero un circolo vizioso.
Ormai era davanti alla porta dell’appartamento, con la mano destra in tasca a stringere le chiavi, ma senza il coraggio per estrarle.
Che cosa stava facendo? Non immaginava di covare, dentro di sé, ancora così tanti dubbi. Non si era reso conto di essere ancora così attaccato al passato e così incapace di accogliere in sé il presente, con tutto l’amore che esso portava. Forse… non lo meritava? Non si era impegnato nel suo cambiamento come si era ripromesso di fare, si era solo illuso. Forse, per lui, era davvero impossibile separarsi dalle sue colpe.
Un rumore improvviso di stoviglie che cadevano lo fece sussultare e l’imprecazione di Kurogane, proveniente dall’altro lato della porta, gli fece calare un peso sul petto. Che stava combinando? Forse si era fatto male… Abbandonò temporaneamente le sue riflessioni e inserì la chiave nella serratura, entrando velocemente.
Ciò che si trovò davanti, quando aprì la porta, fu la scena più sconvolgente e allo stesso tempo più commovente a cui avesse mai assistito.
Sicuramente Kurogane non lo aspettava così presto. Quando sentì la porta richiudersi era già troppo tardi. Colto in flagrante, si girò di scatto, come un ladro sorpreso sul fatto, stringendo con fare protettivo una grande ciotola e un frustino e con la guancia sinistra imbrattata di qualcosa che sembrava pastella. Ma ciò che lo costrinse in uno stato di blocco totale fu ciò che Kurogane indossava sopra alla maglia nera: il grembiulino a pizzi che Fay gli aveva regalato per scherzo, solo per il gusto di assistere alla sua reazione di imbarazzo esagerato. Un silenzio tesissimo aveva preso il sopravvento sulla stanza, mentre Fay assisteva sbalordito a quell’insolito atteggiamento.
“Co… cosa fai già a casa?!” domandò Kurogane mezzo terrorizzato.
“Kuro-teddy…” fece Fay senza degnarlo di una risposta. “Stai… cucinando?”
Kurogane sussultò, come se si fosse reso conto solo in quel momento di ciò che stava stringendo tra le mani e dell’aspetto ridicolo con cui si presentava.
“Ah…” Trovare una giustificazione che non lo mettesse in imbarazzo era impossibile. “Ho messo questo coso solo perché era l’unico grembiule in tutta la casa e, visto il modo in cui fai la lavatrice, non era il caso che mi sporcassi… ecco, insomma…”
Fay abbassò la testa, scomparendo dietro la frangia. “Kuro-cook… io…”
“Ma che diavolo fai?! Ti metti a piangere?”
Il biondo lo placcò. “Sognavo questo momento da una vita!”
“Non dire stupidaggini!” replicò l’altro tentando di divincolarsi dalla stretta senza rovesciare l’intero impasto, frutto delle sue fatiche.
“Sei il cucciolone brontolone più fedele del mondo!” gridò Fay, leccandogli la pastella dalla guancia. “Cosa mi hai preparato?”
Kurogane arrossì ancora di più, distogliendo lo sguardo “Pollo al miele.”
“Ma come facevi…”
“So che ne vai matto. Aggiungi sempre una tonnellata di miele quando credi che non ti veda.”
Fay iniziò a fare le fusa. Sapeva benissimo che la conclusione di quella serata sarebbe stata ancora più dolce di quel dorato condimento.
 
Nonostante i suoi desideri e le sue intenzioni, quando furono a letto, nel pieno della loro passione, Fay non riuscì ad affogare in quelle emozioni tumultuose che lo assalivano in quei momenti. Ciò che era accaduto quel giorno lo bloccava, come un peso sul petto. E non si trattava della testa di Kurogane che poggiava sul suo stomaco, impegnata nel suo rituale.
Fay non riusciva a darsi pace, sentiva di non meritare tutto quell’impegno da parte del moro, né tutta quella tenerezza. Mentre osservava il soffitto, si rese conto di ciò di cui aveva bisogno, si rese conto che il momento di adempiere alla promessa fatta a Kohane non era ancora giunto.
Già, cambiare non era facile, ma forse ci sarebbe riuscito con l’aiuto di Kurogane, guidato dal suo profumo. Doveva immergersi nel suo dolore un’ultima volta, assaporarlo, analizzarlo e separarsene, una volta per tutte, cambiare. Doveva espiare quella colpa, quello che sarebbe stato l’ultimo torto fatto al moro.
“Kurogane…”  L’altro era troppo impegnato per rispondere. Fay lo distolse dai suoi intenti prendendogli il viso tra le mani.
“Mordi” disse, porgendogli il polso. Kurogane rimase perplesso per qualche momento, ma poi ubbidì, forse incuriosito da quella nuova prospettiva. I denti affondarono senza remore e il dolore lo raggiunse come piacere. Si sentiva meglio, ma non era ancora abbastanza. Non aveva il diritto di accettare l’amore del suo uomo, in quel momento. Non poteva restare indifferente a quell’affetto mentre nel suo cuore il senso di colpa lo consumava. Quando il sangue affiorò sulla sua pelle chiara, Kurogane mollò la presa.
“Non ti fermare” lo incoraggiò. L’altro sembrava titubante. Fay si mise seduto, appoggiandosi al petto del moro, afferrò le sue mani e le accompagnò sulla propria schiena.
“Non ti trattenere, ti prego.” I loro volti erano a pochi millimetri l’uno dall’altro, ma Fay non riusciva a guardarlo negli occhi. Posò la testa sulla sua spalla. “Ti prego.”
Le unghie di Kurogane affondarono nella carne e Fay inarcò la schiena in un gesto inconsapevole.
Ora sì, si sentiva meglio. Non era in grado di farsi carico delle sue carezze, non in quel momento. Voleva solo che gli facesse male, illudendolo di essere punito. Voleva solo purificarsi dalle sue colpe e l’unico che poteva aiutarlo era Kurogane.
La schiena gli bruciava, i solchi si facevano via via più profondi. I denti sprofondarono nella sua spalla.
“Continua” implorò Fay. Doveva espiare la sua colpa. Doveva liberarsi da quel peso. Aveva mentito a Kurogane, un’altra volta, anche dopo aver udito le sue parole sincere che gli chiedevano di dirgli solo la verità. Aveva mentito di nuovo e non aveva potuto farne a meno, ma quel peccato lo stava distruggendo. Cosa doveva fare per migliorare? Kurogane era cambiato e si era impegnato per farlo. Si era addirittura messo a cucinare per lui! Ma per quanto si sforzasse Fay, alla fine ricadeva sempre in quella spirale di errori che lo trascinavano nell’impotenza e nell’inadeguatezza. Doveva essere Kurogane e costringerlo con la forza, poiché da solo non era in grado di compiere quel passo, e ci stava riuscendo divorandogli il collo e disseminandolo di segni che il giorno dopo avrebbe sicuramente dovuto nascondere con una sciarpa.
L’aria era satura del calore dei loro corpi e il silenzio spezzato dagli ansiti rapidi. Fay si tratteneva dal gemere di dolore mordendosi le dita, per paura che l’altro si preoccupasse e interrompesse quella cerimonia di purificazione.
Inevitabilmente, la sua mente ripercorreva incontrollata il suo passato. La distruzione di tutte le sue inibizioni lo aveva portato senza fatica ad analizzare ogni sua più piccola macchia. C’erano tante, troppe cose per cui doveva essere perdonato, ma per nessuna di queste meritava l’assoluzione.
Soprattutto per quello… Non poteva mantenere la promessa fatta a Kohane, non sarebbe mai tornato a prendere quel crisantemo. Lo spirito di suo fratello, assieme alla colpa che esso rappresentava, non l’avrebbero mai abbandonato. Ma se provare dolore era un espediente per avvertire un po’ di sollievo da quel fardello, e se Kurogane era in grado di donarglielo, allora non vedeva il motivo per non proseguire in quell’atto perverso.
Kurogane fu violento, come gli era stato chiesto. Ma una piccola parte di Fay, quella che ancora era lucida, gli diceva che anche quell’aggressività non era altro che affetto, pura accondiscendenza, dimostrazione d’amore.
La voce di Kurogane lo ridestò dal dormiveglia che l’aveva colto alla fine del loro caotico e insano rapporto.
“Ohi.” Fay aprì lentamente gli occhi. “Ho fatto ciò che mi hai chiesto. Tuttavia non credo che tu meritassi di essere punito.”
Quella confessione gli procurò molto dolore. Kurogane non sapeva, non immaginava. Eppure aveva capito qualcosa, aveva compreso che Fay aveva un bisogno costante di rassicurazioni, così aveva assecondato le sue assurde e infantili pretese, solo per amore.
“Sei autorizzato a chiamarmi idiota” gli disse il biondo con un sorriso triste.
Gli occhi di Kurogane lo scrutavano fin dentro l’anima. Fay si chiese se fosse stato davvero possibile nascondergli qualcosa. Si chiese se anche stavolta il moro lo avrebbe accontentato.
“Idiota.”
Fay gli circondò il collo con le sue esili braccia disseminate di lividi sospirati e si strinse a lui. Nonostante le sue incertezze e le sue colpe, non poteva fare a meno di lui. Il terrore lo assaliva al solo pensiero di doverlo perdere, come quella volta, quando avevano litigato, e Fay era inconsciamente tornato da lui, ad aspettarlo sulle scale. Non poteva rinunciare a Kurogane, la sua unica fonte di espiazione… e di amore.
“Anch’io ti amo, Kuro-sama!”


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[¹] Vocabolario della lingua italiana Zanichelli
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se siete riuscite a giungere incolumi fino a qui avete tuuuutta la mia stima! E per concludere una piccola curiosità per cui non c’è stato abbastanza spazio nel capitolo: il significato del mirto è amore e passione, e il bello è che l’abbiamo scoperto dopo averlo attribuito a Kurogane! Ah, l’Hitsuzen non smette mai di sorprenderci……. AAAAAAH!!!! Il mio mignolo!!! Dannato tirchio, una cosa del genere non può costare così tantooooo!!!!
*ferma l’emorragia in qualche modo*
Comunque, mai come in questo periodo ci sentiamo vicine al nostri cuccioletti, dato che abbiamo ricevuto le bollette in ritardo e temiamo che ci tolgano la luce in qualunque momento! XD
Se qualcuna di voi avesse notato un brevissimo riferimento alla ff di Wren Scales and Ashes, ha visto giusto! ^__^ Grazie, o nostra dea dell’Enel, colei che ci illumina dall’alto della sua saggezza!
Infine, e giuro che è davvero l’ultima cosa, se ritenete che a causa di questo capitolo il rating debba essere alzato esprimetevi pure! Noi non l’abbiamo ritenuto così necessario, ma sappiamo che qualcuno potrebbe pensarla diversamente…
Ci vediamo alla Q!!!!!!!!
 
Yuri

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Capitolo 14
*** Qualità ***


ff-EC 14 Hy everyone! ^.^/
Qui, come usuale, è Momoka che vi parla del suo capitolo… vedo con piacere che siete sopravvissute alla Punizione inflittavi da Yuri, e dunque sono pronta a partire con la mia! XD Questo capitolo è l’ultima parte di pseudo normalità, in cui finalmente Kurogane si da una mossa e si trova un lavoretto! Visto che in orgoglio (e ho particolarmente apprezzato il commento ultimo fattomi a tal proposito, oltre al fatto che non mi avete ucciso per il povero Subaru, Kamui e Fuuma XD) si fa prendere dalle pare, in questo chap avviene la svolta lavorativa definitiva! Ovviamente il crossover sarà sempre presentissimo, in questo tripudio di citazioni clampiane, visto che entrano in scena altri personaggi che apprezzo molto! ^.^
Per quanto riguarda il commento di Tomoyo93… ebbene sì, c’hai beccate! Siamo pure su deviantart! I disegni sono tutti opera della bravissima Yuri (io sono la sua prima fan XD), mentre io per il momento mi limito alla poca parte grafica e alle fotografie… ma appena migliorerò con PS, prometto che vedrete altre mie schifezze… XD Dunque, vi invito tutte ad andarci! *pubblicità occulta* il link è il seguente: yuri-to-momoka.deviantart.com
Bene, ora vi lascio alla lettura del capitolo… a dopo! *sì, è una minaccia*
 
 
14. QUALITA’: “Insieme delle caratteristiche di un’entità che ne determinano la capacità di soddisfare esigenze espresse ed implicite.[¹]

 
 
Quando Kurogane, uscendo da casa come al solito per prendere il giornale ed andare alla ricerca di un nuovo lavoro, era strato travolto da un tizio insopportabilmente vivace, conosciuto nel vicinato come Ryu, pensò che la giornata non poteva iniziare in un modo peggiore. Non solo era caduto con entrambi i piedi in una pozzanghera, ma era anche finito contro la signorina Karura, che finì col picchiarlo con un quotidiano. Non solo era tutto indolenzito dalla notte agitata che gli aveva fatto passare quello stupido biondo (e chissà cosa gli nascondeva, poi) ma veniva pure picchiato da mezzo vicinato! Il tutto, ovviamente, sotto gli occhi divertiti di Kujaku, un barbone che passava sempre di lì e che non faceva altro che prendere in giro chiunque.
“Tsk, ma guarda te che mi capita! Peggio di quell’idiota con cui vivo!” Sì, forse era colpa di ciò che era successo poche ore prima tra le loro lenzuola. Forse gli aveva attaccato la sua perenne sfortuna per cui era noto prima che lo conoscesse o forse era semplicemente una vendetta per ciò che gli aveva fatto fare… quei morsi… come se fosse tipo lui da fare quelle cose perverse! Mentre si rimestava tra tutti quei dubbi, finì col nascondere il viso arrossato dalla vergogna sotto la sciarpa di lana e cominciò a grattarsi la testa imbarazzato, guardandosi attorno e sperando che nessuno vedesse quanto doveva essere babbeo in quel momento. Mentre i freddi ciuffi mori correvano leggeri sotto la sua mano, disordinati, percepì un qualcosa che si era insinuato tra la sciarpa e i capelli, all’altezza della nuca. Sembrava essere carta. Probabilmente era un residuo dello scontro tra la sua testa e il giornale di quella tipa, Karura. Deciso a buttarlo via, questo era più che mai ostinato a restare attaccato alle sue mani, spinto un po’ dall’elettricità che era nell’aria, un po’ da una strana energia che Kurogane non percepiva e in cui non aveva nemmeno voglia di credere. Alla fine capì che non se ne sarebbe liberato facilmente e si decise a leggerlo, per vedere almeno di cosa parlava. Scommettendo sulla sua fortuna giornaliera, indovinò che fosse una pubblicità di pompe funebri o peggio ancora, e invece ciò che si trovò davanti fu una domanda di lavoro, da parte di una certa palestra RGV:
“Cercasi istruttore di kendō per bambini fino ai 12 anni. Non è richiesto nessun livello di studio, solo pazienza e voglia di insegnare. All’inizio sarà fatta una valutazione delle abilità. Vi aspettiamo numerosi!” Seguiva l’indirizzo e il numero di telefono.
Fissò allibito l’annuncio per dei minuti che sembravano durare un’eternità. Non riusciva a darsi una spiegazione a ciò che era successo.
“Che casualità assurda!” si trovò a commentare ad alta voce. Mentre pronunciava ciò, sentì il rumore di una scopa che puliva avvicinarsi sempre di più, e all’improvviso un volto sorridente sbucò dalle sue spalle, per fissare l’annuncio con un largo sorriso.
“A questo mondo non esistono casualità, c’è solo l’inevitabile!” Kurogane credette di fare un infarto.
Si allontanò, premendo la mano sul cuore che batteva a ritmo accelerato a causa dello spavento preso, e fissò con in volto un’espressione terrorizzata, colui che aveva appena parlato.
Un uomo dai lunghi capelli corvini, raccolti in una coda all’altezza della nuca, gli occhiali calati sin sul naso continuava ad osservarlo e gli sorrideva con uno sguardo misto tra il beota e il beato. Indossava un lungo mantello nero, probabilmente per coprirsi, e sotto aveva degli abiti di provenienza cinese. Stringeva poi la scopa, con cui riprese a spazzare, tutto allegro, dopo pochi minuti. Non l’aveva mai visto prima, probabilmente doveva essersi trasferito da poco, o semplicemente non doveva uscire molto. Quando lo vide allontanarsi a sufficienza, spiò sulla buca delle lettere il suo nome: “Clow Reed” Che accidenti di nome era mai quello? Scrollò le spalle e si decise ad ignorare quello strano individuo, per dedicarsi a ciò che si trovava davanti. Fortunatamente conosceva l’indirizzo, era vicino a quel dannatissimo Drugstore! Tornò in casa e bevendosi una tazza di the caldo per riprendersi da quella mattinata, decise di recarvisi nel primo pomeriggio. Sul tavolo, accanto alla bevanda fumante, faceva bella vista ancora un po’ di pollo al miele, avanzato dalla sera prima. Lo fissò a lungo, indeciso se ricominciare a pensare a ciò che era successo durante quella notte o se ignorare il tutto e buttarlo con un colpo secco nel cestino. Alla fine si trovò a cercare di togliere quella nauseante sostanza giallastra, per riuscire a mangiarne almeno qualche boccone. Non aveva voglia di mettersi a cucinare, non ne valeva la pena se era solo per se stesso. Interruppe il suo minuzioso lavoro di restauro del pollo per soffermarsi sui suoi stessi pensieri. Che diavolo stava pensando?
“Anch’io ti amo Kuro-sama!” dannato idiota! Avrebbe sbattuto volentieri la testa contro lo spigolo del tavolo sei o sette volte, se si fosse rivelato necessario, piuttosto di ripensare a ciò che si erano ritrovati a fare!! E se gli avesse fatto davvero male? Magari quei morsi gli avevano provocato delle infezioni gravi, magari doveva andarsi a far controllare da qualcuno, ma poi come avrebbe giustificato il tutto ad un dottore?
Stavolta davvero si picchiò con la tazza ormai vuota, ma ancora vagamente tiepida, del tè. Doveva piantarla di perdersi in certe cogitazioni da smidollato! Dannazione! Si alzò di scatto, infastidito dal pollo al miele, dalla cucina e dal letto disfatto che gli faceva capolino dalla loro camera…
Prese l’annuncio, accartocciato su sé stesso e se lo ficcò violentemente in tasca, per poi dirigersi a grandi passi veloci verso la palestra.
Stava finalmente per riuscire a smettere di pensare a Fay, quando passando davanti alla vetrina del Drugstore, gli sembrò di vedere la zazzera bionda dell’idiota in questione pulire il vetro. Il tempo di percepire il tutto e di tornare indietro per spiare chi si nascondeva dietro la vetrina appannata e trovò per terra Kakei, sdraiato sopra qualche povero malcapitato! Dannato maniaco, divertirsi così davanti a tutti!
Girò scocciato l’angolo, finendo col sbattere contro il muro del palazzo, e trovandosi così davanti un enorme edificio in legno, nel più classico stile giapponese. Un cartello che precedeva l’entrata annunciava il nome dell’attività e i suoi proprietari. Neanche il tempo di finire di leggere, che la porta si aprì a pochi centimetri dal suo volto, lasciandolo senza parole. Davanti a lui c’era un uomo, avvolto in un bellissimo kimono azzurro e verde, i lunghi capelli neri raccolti con un fermaglio poco sopra l’orecchio destro. Degli orecchini d’oro illuminavano ancora di più il volto femmineo, aperto in un grandissimo sorriso.
“Benvenuto! In cosa posso esserle utile?” Kurogane era rimasto senza parole, chino ancora davanti al cartello, incapace di rispondere alla domanda. Sentiva le guancie infuocarsi, imbarazzato di fronte a tanta eterea bellezza.
L’altro gli pose una delle sue lunghe mani, che gli ricordavano molto quelle di Fay, per aiutarlo ad alzarsi da quella scomoda posizione, permettendogli di riprendersi da quello strano intorpidimento.
“Oh, mi chiamo Kurogane e sono qui per questo.” e gli porse con finta indifferenza il volantino, che ormai era ridotto ad uno straccio.
Gli occhi oro si soffermarono solo per pochi istanti su quelle frasi che dovevano sembrargli più che familiari e infine si spostarono, luminosi, su quelli di Kurogane.
“I vostri occhi ardono della stessa fiamma calda e passionale di quelli della mia persona più importante. Accomodatevi e seguitemi, vi condurrò da lui.”
Kurogane rimase perplesso dalle ultime parole sui suoi occhi, ma alla fine si limitò a togliersi  le scarpe e a seguirlo, lasciandosi accompagnare dal loro rumore di piedi scalzi sul pavimento. Passò accanto al dōjō principale, dove si stava tenendo un’esercitazione tra due uomini della sua età, poi affiancarono altre stanze dove probabilmente si tenevano i vari allenamenti. Gli piaceva l’aria che si respirava in quel luogo, gli ricordava la sua infanzia, la sua adolescenza, passata tra scontri
 e incontri, gare e sacrifici. E poi la scelta, sofferta, di lasciare tutto per intraprendere il mondo solido e stabile del lavoro. Si ridestò da quei ricordi quando vide l’uomo che lo accompagnava aprire una porta con uno scatto rapido, ma elegante. Davanti si trovò la stanza dove venivano conservate tutti i bokuto e le katane, e certe di queste lo lasciarono a bocca aperta tanto erano belle,pregiate e antiche. Al centro un uomo stava pulendo una di quelle spade, la più lunga e la più maestosa che avesse mai visto.
“Un altro aspirante insegnante, Yasha.” Gli disse colui che l’aveva accompagnato, avvicinandosi all’uomo, facendo ciondolare elegantemente il suo kimono.
“Grazie Ashura.” Rispose l’altro, lasciandosi baciare la fronte. Era una scena che sembrava essere uscita da un quadro. Kurogane si limitò a guardare la scena senza riuscire a pensare a qualcosa di coerente. Dove diavolo si trovava? Non aveva mai visto due persone… così. Non erano normali! Doveva trovarsi in un’altra epoca, in un altro mondo, in un’altra dimensione! Non c’erano altre spiegazioni! L’uomo si alzò, sistemandosi il bogu, la sua armatura, e si avvicinò a lui.
“E’ pronto ad affrontare questa nuova sfida?” Era vero, gli occhi di quell’uomo, muscoloso dai lunghi capelli corvini, ardevano di una fiamma che rendeva difficile il confronto.
“Sì.” Si limitò a rispondere. Vide lo sguardo che i due si lanciarono e fu questione di un istante trovarsi a pensare a Fay. Scosse il capo violentemente e fissò con insistenza le listarelle di legno che formavano il pavimento.
Ma che diavolo gli stava succedendo?! Lui non era così, dannazione! Picchiare qualcuno con la spada l’avrebbe aiutato, ne era certo!
Yasha prese un bokuto e glielo lanciò, per poi invitarlo a seguirlo lungo la palestra, alla ricerca di un dōjō dove sfidarlo. Tutto era stranamente silenzioso attorno a loro, nonostante la presenza di molte persone, ma nonostante ciò l’atmosfera non era tesa.
Kurogane si stiracchiò e sperò di essere ancora in forma e soprattutto in grado di affrontare uno all’altezza di colui che si trovava davanti. Era la prima volta che si poneva quel problema e si diede dello stupido da solo, mentre le sue spalle protestavano rumorosamente. Yasha si tolse l’armatura, e si trovò a petto nudo, lasciando scoperti i suoi addominali scolpiti.
Dopo il saluto iniziale, il combattimento ebbe inizio, mentre Ashura guardava il combattimento facendo da arbitro e raccomandando loro di limitarsi a toccare il corpo dell‘altro senza colpire e ferire. Dopo pochi istanti la situazione era già in parità, bastava un solo colpo da parte di uno dei due e il combattimento era concluso.
Proseguirono a schivarsi e a provare ad attaccare per molti minuti,mentre il sudore bagnava la camicia di Kurogane, che man mano si apriva sempre più.
Fu mentre il suo avversario attaccava che lui scoprì il suo piccolo punto debole e riuscì ad attaccarlo, sconfiggendolo. I due si guardarono ansimanti, mentre il loro arbitro li fissava, sorridendo.
“Vince Kurogane, lo sfidante! Direi che abbiamo il nuovo maestro per i nostri piccoli iscritti!”
“Complimenti, davvero! Era da molto che non trovavo un avversario del tuo calibro! Sei davvero degno di entrare in questa palestra!” Aggiunse lui, con un sorriso pieno e soddisfatto.
“In ogni caso, sapevamo già che eri tu la persona più adatta per noi. L’ho capito sin da subito, dal primo momento in cui ti ho visto davanti a quel cartello.”
“Eh?”
“Sì, ricordi cosa ti ho detto sui tuoi occhi? Ci sono delle cose che non si possono ottenere con titoli di studio, soldi e con sfide come queste. Tu hai qualcuno che ami da proteggere, ed è ciò che ti infiamma l’anima e gli occhi, che mobilita ogni tuo gesto, che giustifica ogni tuo respiro. E per quanto tu cercherai di negarlo, di dirci che non è così, il rosso delle tue iridi non mente.”
“Cosa?!” Era rimasto allibito dalle parole che aveva udito. Non era assolutamente così! Era vero, aveva preso consapevolezza del suo affetto verso Fay, ma non aveva mai pensato che potesse essere così preso da lui. Non aveva mai provato a dare un nome a quella confusione in testa, né quando era apparsa Tomoyo e aveva rischiato di perderlo, né quando si preoccupava per lui per delle stupidaggini. Quando si era ritrovato a pensare a ciò che si agitava in lui non immaginava certo che avesse delle dimensioni come quelle di cui parlavano loro.
“Sì, hai capito bene. Tu sei una delle poche persone che sanno cos’è la vera forza. Ecco chi stavamo cercando. E’ questa la migliore qualità che una persona possa avere.”
“Vera forza? Qualità?!”
“Sì, esatto. Non mi dire che non c’hai mai pensato. Non serve essere i più forti, i più allenati, i più preparati, perché le persone che si amano non si possono proteggere con la sola forza. E tu questo l‘hai capito. Serve quel qualcosa in più e tu ce l‘hai, anche se non hai imparato a nominarlo, a capirlo.”
“Anch’io ti amo Kuro-sama!” Riecheggiò una voce nella sua mente per l’ennesima volta quel giorno.
Di risposta a quel ricordo cominciò ad agitarsi e a prendersela con il nulla, facendo ridere i due spettatori di quella sfuriata.
“Quell’idiota! Non è vero! E poi che si aspetta da me?! Mi ha già rimbecillito a sufficienza! Dannazione, dannazione! Perché proprio a me?!” Avrebbe colpito il pavimento all’infinito, se non fosse intervenuto Yasha.
“Non è una cosa che si può decidere, non si può frenare o controllare. Ti travolge e basta. Sia nei lati positivi che in quelli negativi. Ora noi dobbiamo andare - e detto ciò intrecciò la mano di Ashura con la sua - ma la aspettiamo dal mese prossimo a lavorare qui con noi. Se ci lascia qualche dato in più, la contatteremo per darle le ultime informazioni. A presto, dunque.” E detto ciò se ne andò, lasciando accanto alla spada di legno di Kurogane un quaderno vuoto, dove c’era scritto il suo nome.
Era tutto così strano, troppo strano. Onirico, quasi. Forse era solo questione di tempo, abituarsi a nuovi ritmi e atteggiamenti, così legati alla tradizione, ma era sicuro che gli sarebbe piaciuto, come lavoro.
Uscì in maniera silenziosa, com’era entrato, e rimettendosi le scarpe, lasciò che il vento freddo lo risvegliasse dall’intorpidimento che l’aveva in parte colpito in quell’ora. Finalmente aveva un lavoro e poteva sentirsi nuovamente soddisfatto di sé. Voleva dirlo a Fay, non vedeva l’ora che l’altro tornasse per comunicargli che finalmente aveva un impiego, e che non vedeva l’ora di cominciare.
Quando rientrò non sapeva che fare, se mettersi a cucinare o cosa. Mise sul fornello dell’acqua pronto a preparare degli spaghetti, quando sentì girare la chiave nella serratura. Accidenti, possibile che lo precedesse sempre? Quell’idiota! Almeno stavolta non indossava strani grembiuli… e maledetta quella volta che aveva pensato anche solo lontanamente di metterlo!
“Awww, Kuro-pasta, non mi stanco mai di vederti aspettare me ai fornelli, lo sai?!”
“Tsk, che stupido! Come se fosse vero. Comunque preparati, tra poco tornerai tu a cucinare! Oggi ho trovato lavoro… inizio dal prossimo mese.”
Gli occhi azzurri che si trovava davanti si illuminarono ancora di più. Con le guancie arrossate dai vapori della cucina, gli provocò delle strane sensazioni all‘altezza dello stomaco. Sempre lì, dannazione.
“E che lavoro è stavolta, Kuro-job?” Gli chiese, picchiettandogli le guance.
“Maestro di Kendo in una palestra vicino al Drugstore.”
L’espressione del biondo si congelò per pochissimi istanti, forse perché temeva in qualche suo atto sconsiderato nei confronti di quel maniaco del proprietario.
“E’ fantastico Kuro-ninja, sono così felice per te…” Il suo sorriso era sincero, era accanto a lui, stretto tra le sue braccia, manifestandogli tutta la sua gioia e il suo affetto. Si ricordò dei due uomini della palestra e lo baciò sulla fronte.
Vera forza. Persone da amare, da proteggere. Qualità.
“Grazie.” si trovò a dire, non sapeva nemmeno da dove gli era uscito e lasciò Fay sgomento quanto lui. Era merito suo se aveva imparato a conoscere ed affrontare un sentimento di quelle entità, lasciandovisi travolgere a dispetto del suo carattere burbero e scorbutico. Era dunque tutto merito suo se aveva quella qualità, come l‘aveva definito Ashura. Certo, poteva anche essere una cosa innata in molte persone, ma, in lui, se era uscita, e in tale maniera, era solo grazie a Fay.
Sì, lui era la sua qualità migliore. Ma non gliel’avrebbe mai detto. L’unica cosa che Kurogane non sapeva e non percepiva, era che anche il biondo certe cose le capiva senza che lui le dicesse ad alta voce. Come il rimestio dei sentimenti a cui lui non riusciva a dare un nome, una definizione. Ma per cui bastava un bacio intenso, come quello che si accingeva a dargli.
 
 
 
 
 
[¹] Wictionary
 
 
 
 
 
Ed eccoci qui! E’ un capitolo bello lungo e spero lo abbiate apprezzato!
Finalmente entrano in scena un po’ di personaggi di Rg Veda, altro manga clampiano che amiamo, nonostante siamo solo alla metà e temiamo che il peggio debba ancora venire.. sig! Miss Ohkawa non ci deluderà nemmeno stavolta, temo! In ogni caso, Yasha x Ashura sono uno dei pairing che più adoro, e finalmente sono riuscita a rendere loro un po’ di giustizia, anche se il povero Ashura è sempre più effemminato e Yasha ha poco spazio…  Anche Clow Reed mi piace un sacco e porterò il suo cosplay a Cartoomics! Non vedo l’ora! Ok sto divagando come sempre!
Volevo solo scusarmi se sono andata un po’ OOC con il povero Kurotan e le sue pare, ma davvero è stato difficile per me scrivere questo chap di transizione, nonostante Wikipedia mi abbia fornito parecchie info sul Kendo, per rendere almeno l’ambientazione un po’ più realistica… puff! Beh insomma, fatemi sapere! Le critiche sono sempre costruttive!
Ora la pianto di degenerare e scrivere cose a caso e vi lascio liberi di andarvene in pace! Apprezzo come sempre i commenti ^___^ * Kuro mode: On, sfodera la katana* sono stata convincente?! XD
Alla prossima! E grazie ancora per aver lettoooo! :)
Momoka

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Capitolo 15
*** Resistenza ***


ff-EC 15 Ebbene, ci troviamo al punto di svolta, ovvero il fatidico capitolo (amorevolmente soprannominato da noi “Revolver” XD) in cui tutto cambia e ha inizio la vera e propria fine. Devo ammettere che mi sento molto Ohkawa in questo momento, dato che sin dalla prima volta in cui ho concepito la traccia di questa ff avevo comunque già chiaro nella mia mente contorta questo episodio e ho fatto di tutto per poterci giungere in maniera scorrevole e piacevole *strofina le mani con ghigno malvagio*
In questo chap avremo a che fare con due special guest: uno si presenta direttamente, l’altro dovrete identificarlo. Mi auguro che riusciate a capire di chi si tratta!
Scusate l'immenso ritardo, ma come sapete siamo in periodo esami e Yuri sta pagando per aver cazzeggiato allegramente fino adesso scrivendo fanfiction e producento fanart senza ritegno.......
Ci vediamo giù!
E buona lettura!
Yuri
 
15. RESISTENZA: “Capacità di non lasciarsi rompere, annientare, spezzare o frammentare. In psicoanalisi, opposizione ad ogni tentativo di rivelare i contenuti dell’inconscio.” [¹]
 
Quella del nuovo lavoro era stata una notizia non molto gradita. Ovviamente era felice per Kurogane – o meglio, sapeva di doverlo essere – ma la sua gioia si guastava inevitabilmente  quando si ritrovava a pensare a due cose: l’appagante, egoistica sensazione di poter provvedere finalmente a Kurogane e di poterlo ripagare per tutti i suoi sforzi, e, soprattutto, il fatto che il dojo si trovasse proprio vicino al Drugstore. Quest’ultimo particolare lo turbava in maniera non indifferente, specialmente dopo aver trovato la conferma ai suoi sospetti di quel giorno, quando, intento a spazzare per terra, Kakei lo aveva inaspettatamente aggredito alle spalle in un gioco non proprio innocente. Non era un evento che si allontanava dalla normalità: ciò che gli aveva quasi procurato un infarto era stato intravedere un individuo pericolosamente simile a Kurogane entrare nella cornice della vetrina, al punto che si era ritrovato istintivamente a trascinare a terra Kakei in un disperato e folle tentativo di mascherare la propria presenza. Successivamente aveva tentato di convincersi che colui che aveva visto doveva per forza essere Saiga-san, dato che quella zona non rientrava affatto in quelle solitamente frequentate da Kurogane, ma ora aveva avuto la dolorosa conferma delle sue errate supposizioni.
Ma, si disse, questo non poteva distrarlo dal suo intento. Non poteva assolutamente permettersi di essere scoperto, e ancora meno di far sapere a Kurogane del suo vergognoso licenziamento. Quella situazione sarebbe durata poco, appena il tempo di guadagnarsi uno stipendio e avere il tempo di trovarsi un altro lavoro decente, il più lontano possibile dal Drugstore. A questo punto non poteva fare altro che impegnarsi al massimo e pensare soltanto a svolgere bene i suoi compiti – e a tenersi stretto quel lavoro di fortuna.
Pensava questo mentre spolverava lo scaffale dei vini, osservando le bottiglie con l’acquolina e decidendo di portarne una al suo omaccione alcolizzato.
Iniziò a fischiettare allegramente, anche se il suono prodotto assomigliava più a un fastidioso spiffero, ma al momento non era importante.
“Fay-san?”
“Kakei-saaaaan!” gridò Fay più felice del solito, gettandosi al collo del gestore. “Hai visto come ho pulito bene lo scaffale?”
“Molto bene” gli concesse Kakei, assestandogli delle pacche sulla spalla. “Siamo allegri oggi, eh?”
“Sì, devo esserlo perché sennò il paparino mette il muso e tu mi violenti di nuovo.”
Fay intravide Kazahaya svanire sotto una pila ti tovaglioli di carta che gli erano precipitati dalle mani.
“Immagino che sarai ancora più felice quando saprai cos’ho qui” continuò Kakei.
“Mmmmmh, non sarà un altro giochetto strano che vuoi regalare a Saiga-san?”
“No, questa è per te” e gli mise davanti al naso una busta bianca.
Fay era ancora incredulo quando l’afferrò con mani tremanti. “La mia prima paga?” Il gestore assentì con un sorriso.
“È un assegno, devi andare in banca.”
“Ma… adesso? Il mio turno non è ancora finito.”
Kakei si sistemò gli occhiali che stavano ancora sghembi sul suo naso dopo il violento incontro con Fay. “Vai pure, so che ne hai bisogno. Quando tornerai ti farò finire il lavoro”
Gli occhi del biondo si illuminarono. “Kakei-san… se non fossi già occupato con un adorabile brontolone ti coccolerei!”
“Allora vai a prendere i soldi per la pappa del tuo brontolone” propose Kakei incitandolo ad andarsene.
Fay si arrotolò stretto nella sciarpa che ancora profumava di Kurogane, dopo quell’unica volta in cui l’aveva indossata, e uscì di corsa. Mentre si dirigeva a passo spedito verso la banca, osservò di nuovo l’assegno. Saltellava convinto lungo la via principale della città, incurante dei commenti dei passanti e della ragazza in uniforme che quasi si scontrò con lui durante la sua corsa frettolosa.
La banca era affollata, piena di gente che vagava dispersa tra gli uffici e gli sportelli. Fay si armò di pazienza e si mise in coda dondolandosi, proprio dietro a una giovane donna elegante coi lunghi capelli ricci e corvini. Senza pensarci riprese il suo tentativo di fischio, attirando l’attenzione della donna.
“È intonato, signore” constatò lei con un sorriso divertito.
“Il mio uomo direbbe che assomiglia più al rantolo di un moribondo, ma comunque grazie!”
“Io me ne intendo e le assicuro che la melodia non è male.”
“È molto gentile” ringraziò Fay con un inchino. “Anche lei fischia?”
“Qualche volta. Ma prevalentemente canto in un locale.”
“Allora ho ricevuto i complimenti da una professionista! Mi lusinga, bella signorina. Dove posso venire ad ascoltarla?”
“Al Clover. Chieda di Oluha.”
“Piacere, signorina Oluha. Il mio nome è Fay Flourite.”
Oluha sorrise quando il biondo le baciò la mano in un atto di galanteria sorpassato. “Che nome musicale. Potrei comporre una canzone su di lei.”
“Ahahah! Non credo di meritare simili attenzioni.”
La donna gli scoccò un’occhiata eloquente. “Ma ho la sensazione che invece lei le riceva da qualcun altro, queste attenzioni.”
“Fortunatamente sì.”
Oluha sorrideva, ma nei suoi occhi Fay leggeva quel barlume di tristezza che lui conosceva bene, avendoci dovuto fare i conti ogni volta che, per errore, finiva per vedere la sua immagine riflessa da qualche parte.
“Amo cantare. Ma questo genere di attenzioni non si possono compensare nemmeno con la musica. Le auguro di non perdere mai questo privilegio.”
Fay rispose al sorriso. “L’importante è riuscire a guadagnarselo ogni giorno, giusto?”
“Giusto.” Ma Oluha aveva cambiato espressione. “L’importante è anche riuscire a vivere fino a quel giorno.”
“TUTTI A TERRA!”
Fay stava ancora tentando di decifrare lo sguardo e le parole di Oluha e non prestò subito attenzione alle grida che lo aveva circondato all’improvviso. La donna si abbassò lentamente e si stese a terra, con tutta calma, facendo compagnia a tutti gli altri clienti e agli impiegati.
“Ehi, tu! Non hai sentito?! Voglio che ti stendi a terra!”
Fay si voltò. Un giovane con i lunghi capelli neri raccolti in una coda bassa e un paio di occhiali tondi lo fronteggiava con una pistola stretta nelle mani inferme.
Dopo qualche istante di incertezza, senza sapere realmente il motivo, gli sorrise tranquillamente. “Scusa, giovanotto, ma cosa intendi fare?”
“È una rapina, idiota! E adesso stenditi a terra con gli altri!”
Fay non si mosse e mantenne il suo sorriso. “Perché dovresti rapinare questa povera gente?”
“Non fare domande e fai come ti ho detto, se non vuoi morire!”
Il biondo sospirò melodrammatico. “Mi spiace, ma non posso proprio morire. Ho una persona da cui devo tornare.”
“Signor Fay,” lo chiamò Oluha sottovoce “faccia come dice.”
“Cos’hai in mano?” la interruppe il rapinatore, agitando la pistola verso di lui.
“Oh, questo? È solo un assegno, ma per me è molto importante.”
“Dammelo” ordinò l’altro senza complimenti.
“Non posso.”
Il ragazzo gli si avvicinò senza abbassare l’arma. Nei suoi occhi c’era paura.
“Non fare ciò di cui potresti pentirti. Perché devi ricorrere a questi mezzi violenti? Tutte queste brave persone che stai cercando di derubare si sono guadagnate onestamente ciò che tu vuoi sottrarre loro.”
“Risparmiami la paternale! Se continui a fare di testa tua sarò costretto a sparare.”
Ma Fay rimase dov’era, con il suo sorriso.
“Ti darò un’ultima possibilità: dammi quell’assegno.”
“Ti ho già detto…”
Lo spazio chiuso fece rimbombare l’esplosione e qualcuno gridò. Fay si ritrovò con un ginocchio a terra senza rendersene conto. Il rapinatore ansimava dietro la pistola ancora fumante. Il biondo si perse a fissare la macchia di sangue che si allargava velocemente sotto di lui. Il dolore sopraggiunse poco dopo. Per quanto si sforzasse, non riuscì più a reggersi e dovette assecondare le richieste del ragazzo, stendendosi sul pavimento. Non credeva che il dolore potesse raggiungere tali livelli, non aveva mai provato nulla di simile. Ma non mollò la presa su quel misero pezzo di carta nemmeno quando il rapinatore tentò di strapparglielo con la forza.
“Lascialo” gli intimò questi.
Fu una sorpresa quando le parole gli uscirono a stento. “Non… non posso.”
“Lascialo e ti salverai. Perché non vuoi capirlo?!”
“Non è mio… e nemmeno tuo. Questo è… per Kurogane.”
Il ragazzo non demorse e tentò ancora una volta di sottrarglielo dalle mani. A causa di quella forza, Fay fu costretto a rimettersi in ginocchio, mentre una fitta di dolore partiva dalla gamba destra e si espandeva in tutto il corpo, implorandogli di cedere.
Il rapinatore sollevò il braccio libero e la pistola tremante fu proprio di fronte alla faccia di Fay.
“Se non lo lasci…”
Fay sospirò profondamente per mantenere il controllo e restare lucido. Non avrebbe deluso Kurogane, non un’altra volta. La stanza vorticava attorno a lui, il freddo iniziava ad attanagliarlo. Lentamente, perdeva la sensibilità di ogni parte del corpo. Ma non mollò la presa.
Si rendeva conto della stupidità di quella resistenza, ma non poteva permettersi di cedere. Cosa avrebbe fatto Kurogane, al suo posto? Gli sfuggì un debole sorriso, pensando che lui non si sarebbe mai fatto sorprendere in quel modo, avrebbe combattuto con più fervore, non con semplici parole. Ma Fay non possedeva la sua forza, né il suo coraggio. Poteva solo armarsi di tutta la determinazione che aveva per non deluderlo ancora. Non sapeva se stesse facendo la cosa giusta, era solo certo che non si sarebbe arreso. Perché lui voleva cambiare e voleva che Kurogane lo sapesse.
“Non posso darti ciò che non è mio. Questo è per…”
Questa volta non udì nemmeno lo sparo. I suoi occhi furono invasi da scintille incandescenti e sentì il dolore esplodergli in testa, solo per un attimo.


 
 
 
 
 
 
 
 
[¹] Volcabolario della lingua italiana Zingarelli
 
 
 
 
 
 
 
 
Ormai lo sappiamo, quando c’è in giro Oluha non c’è da stare tranquilli, soprattutto quando si diverte a predire le morti altrui! Ahahah! Ah-ehm… comunque, avete capito chi è il personaggio misterioso? Ebbene sì, è lui, il dottor Kyle! Non ho potuto presentarvelo direttamente perché era già abbastanza patetico così, figuriamoci se si metteva anche a raccontare la storia della sua vita.
Finalmente qualcosa si muove verso la conclusione! Vi aspettiamo con impazienza al prossimo capitolo e magari anche alle fiere di Novegro e Mantova XD

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Capitolo 16
*** Sospiro ***


ff-EC 16 *sbuca da dietro un angolino*
un’orda impazzita di lettrici la assale
*ritorna nel suo angolino ciondolando*
Emh… b-b-b-bene, eccomi qui… sono Momoka, quindi vi prego di aver pietà di me e non tirarmi i pomodori addosso! XD Ho in dono cioccolatini per farmi perdonare! So che il capitolo precedente vi ha alquanto sconvolto, ma per noi è stato sorprendente vedere recensioni anche da parte di ragazze che prima d’ora non conoscevamo ed è stato bello fare la vostra conoscenza, nonostante il contesto! :) Dunque… grazie a tutte voi che avete letto, commentato e ci seguite con assiduità nonostante l’angst stia regnando sovrano! Purtroppo questo capitolo non sarà da meno… ebbene sì, sono stata contagiata anch’io! Anche qui si verrà a conoscenza di un nuovo personaggio alquanto riconoscibile… o almeno così credo XD Dunque…. A dopo!
Buona lettura!
 
 
 
16. SOSPIRO: "Talvolta nella vita le cose cambiano nel tempo di un sospiro, ancor prima che riusciamo ad abituarcene." [¹]
 
Esattamente non ricordava quando il suo respiro si era fermato, lasciando spazio ad una paura che non provava da troppo tempo e che sperava di non provare mai più. Ma era tornata e stava correndo ad affrontarla, come un disperato, dimenticandosi completamente di sé stesso.
Era ormai ora di cena, masticava annoiato un pasticcio riscaldato in malo modo, con i pezzi di ghiaccio che gli si scioglievano sotto i denti provocandogli piccoli brividi fastidiosi. L’idiota non era tornato, probabilmente era stato costretto a fare degli straordinari o forse si era perso ancora una volta per strada… ultimamente i suoi orari erano diventati sempre più assurdi e le giustificazioni non sempre giungevano. E ogni volta, anche se non lo ammetteva, un lieve senso di preoccupazione si insinuava in lui, fino a quando non udiva lo scatto della serratura nella porta e la voce stanca di Fay annunciare il suo ritorno. Anche stavolta era così e si trovò a gettare la sua cena nella spazzatura, accompagnata dalle sue inutili lamentele che nessuno poteva ascoltare.
Tutto quello gli sapeva tremendamente di già vissuto, e scorci della sua infanzia riemergevano, aiutati da quella strana solitudine e attesa. Da quanto non si sentiva così? Da tanto, troppo tempo… era prima che lui diventasse l’uomo che tutti conoscevano. Lui non era più così, si ricordò.
Mentre puliva le posate dai resti del pasticcio il suono del campanello lo fece sussultare. Eccolo, era lui, sicuramente aveva dimenticato le chiavi… sempre il solito!
“Diavolo, le hai dimenticate anche stavolta! Ti sembra questa l’ora di…”
Ma chi si trovò davanti non era chi si aspettava.
“Buonasera Kurogane.” Era Kakei.
Non aveva voglia di perdersi in stupide formalità, con quel disagio in corpo provocato dalla presenza di quell’individuo.
“Che vuoi?”
“Sono qui solo per farti un piacere, non fare il solito cagnone da guardia! Stamattina Fay doveva andare in banca a ritirare lo stipendio e non è ancora tornato al Drugstore… volevamo sapere se era a casa o se era uscito con te.”
“Cosa?” Il moro sentì un brivido violento percorrergli la schiena. Non capiva nulla di quel discorso, dov’era Fay? Banca, Drugstore… no, non ancora bugie!
“Tu, spiegami immediatamente tutto! E il fast-food?”
Ma la bocca spalancata di Kakei lo distolse dai suoi pensieri vorticanti e lo costrinse a voltarsi e a seguire il suo sguardo. Il telegiornale imperversava, mentre una donna in completo elegante spiegava in tono tranquillo e fastidioso di una rapina in banca, con tanto di primi piani scabrosi che tanto sembrano piacere al pubblico. Mentre parlavano dei feriti, un’inquadratura scivolò proprio su dei capelli biondi e su una pelle diafana che gli ricordava tremendamente Fay. C’era sangue attorno a lui, macchiava il suo volto e i suoi vestiti. La scena cambiò velocemente e la notizia fu seguita dal gossip di turno. Anche se per lui il tempo si era fermato in quel momento, ne era certo.
E sì, era stato proprio in quell’istante che lui aveva cessato di respirare.
Non si era neanche messo la giacca, lo sentiva ora che il freddo si stava insinuando nel suo corpo, nonostante il caldo della corsa lo rendesse meno acuto e crudele contro la sua pelle. Aveva al suo fianco Kakei senza sapere il perché né da quanto lo seguisse nonostante la folla e il traffico.
Non sapeva come raggiungere l’ospedale, e fu trascinato dall’altro dentro un taxi terribilmente lento e seccante, che non faceva altro che incolonnarsi e farlo aspettare ancora di più, mentre il respiro gli mancava e la paura si impossessava sempre più di lui.
Le luci della città lo accecavano e cercò di distrarsi fissando il tachimetro che lampeggiava davanti a lui. Non disse nulla, non chiese tra quanto sarebbero arrivati anche se quella domanda gli ossessionava la mente. Si limitò ad aspettare, con una pazienza che non sapeva di avere.
Finalmente dopo quelli che sembravano secoli, si trovò a correre fuori da quella claustrofobica macchina gialla per rifugiarsi dentro l’ospedale, lasciandosi avvolgere dall’odore di disinfettanti, alla ricerca frenetica di qualcuno che potesse portarlo da lui, al suo fianco. Doveva smetterla di comportarsi così, doveva ritrovare la sua calma e tornare a comportarsi come sempre. Non tanto per sé stesso e per gli altri che potevano vederlo, ma per lui. Perché se l’avesse visto così agitato sarebbe stato peggio, si sarebbe preoccupato come sempre, quell’idiota.
“Ohi, tu!” disse, urlando contro la prima infermiera che gli capitò davanti.
“Signorina, stiamo cercando Fay Flourite. Dov’è?” continuò per lui Kakei, lasciandogli modo di riprendersi dalla corsa.
“Mi scusi ma voi chi siete?”
“Sono… un amico.” Rispose immediatamente Kurogane.
“Mi dispiace ma non può vedere nessuno. I medici lo stanno operando.”
“Mi dica almeno cos’ha e se sta bene.” Non era certo di essere stato sentito, le ultime parole gli erano uscite come un rantolo. Doveva calmarsi, maledizione pure a lui! Non era più un bambino, era un uomo!
“Non posso dirle niente, mi dispiace. Se vuole aspettare fuori dalla sala operatoria si accomodi lì.” E detto questo se ne andò, squadrandolo e ignorando i suoi borbottii scocciati.
Si sedette sulla seggiolina pesantemente, producendo un cigolio fastidioso. Ma non riusciva a stare seduto lì, gli sembrava di stare sulle spine… dopo aver cambiato posizione più volte si alzò di scatto e si appoggiò al muro, finché non udì accanto a lui la voce di Kakei dirgli qualcosa. Non lo ascoltò né cercò di rispondergli, non gliene fregava niente di lui.
Si allontanò scocciato e si mise a camminare nevroticamente, onde evitare che lui si avvicinasse di nuovo.
L’altro intanto si era accasciato sulle sedie e aveva preso sonno e poi… poi erano passate ore, interminabili lunghissime ore. Finalmente la porta si aprì, facendolo sussultare e i dottori uscirono, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno con cui parlare. Il tono della loro voce gli risuonò come un dejavù che ignorò violentemente.
“Lei è un familiare?”
“Diciamo di sì. Come sta?”
“È stata un’operazione lunga e difficile e non si è potuto fare niente per la sua vista. Il proiettile gli ha sfiorato la tempia e ha danneggiato l’occhio sinistro, potrebbe rischiare di perdere il suo utilizzo per sempre. Fortunatamente siamo riusciti ad intervenire in tempo e dunque, con la giusta terapia, potrà ricominciare a vedere già tra qualche mese. Ora il problema è la ferita alla gamba destra, ha perso molto sangue e dovremo fare delle trasfusioni…”
“Posso vederlo?” L’aveva interrotto in malo modo, ma non gli interessava.
“Sì, ma si ricordi che la sua situazione è ancora critica.”
Non gli aveva risposto e si era limitato a seguirlo, aspettando il momento in cui si sarebbe trovato finalmente davanti il biondo.
E dopo qualche passo nei corridoi azzurri e bianchi di quell’ospedale, lo vide. Era davanti a lui, vivo e a separarli c’era solo quella barriera di vetro. Indossò degli strani abiti verdi, si mise la mascherina, si coprì persino le scarpe e infine poté entrare.
Il suono metallico dei macchinari rimbombava tra quelle pareti e il tempo si era radicalmente fermato, dilatando tutto attorno a lui.
Lo schermo davanti a lui segnava il battito regolare del cuore, il suo petto si alzava in un respiro lungo e cadenzato, l’attività cerebrale era costante.
Una sedia usurata, testimone di storie e sofferenze, era stata posta accanto al letto e lui vi si sedette, per poterlo vedere da vicino e stargli accanto.
Gli accarezzò i polpastrelli, timoroso di ciò che stava facendo e degli sguardi dei dottori che stavano dietro quei vetri riflettenti. Quel contatto era così piacevole che si trovò a percorrere tutto il dorso della sua mano, fino a raggiungere il polso, dove il tubo della flebo gli iniettava nutrimento. Davanti a tutto quello si sentiva così dolorosamente impotente… cosa poteva fare lui, per evitare che quella persona così importante per lui se ne andasse? Niente, solo aspettare, per l’ennesima volta.
“Svegliati!” si trovò a gridare, come uno stupido, davanti a tutti.
Un infermiere si avvicinarono a lui e lo richiamarono con un tocco delicato sulla spalla, intimandogli di uscire. Non poteva stare lì, il dottore era venuto a controllare la sua situazione. Un po’ per inerzia, un po’ per dovere acconsentì, ma già dopo qualche minuto il bisogno viscerale di tornare da lui si fece sentire, doloroso e sovrano.
“Fatemi tornare dentro.”
“Non possiamo…”
“Vi ho appena detto di farmi tornare da lui subito!” Al diavolo ciò che stavano pensando ora. Sì, stavano assieme! Non era quello il momento di imbarazzarsi, voleva solo toccargli ancora una volta la mano, stringerla a sé, riscaldarla.
Quanto ci aveva messo a convincerli non lo ricordava, ma ce l’aveva fatta e ora era accanto a lui, percepiva il loro contatto ed era certo che anche l’altro lo sentisse.
“Svegliati.” Ripeteva mentalmente quella semplice parola come un mantra, non riusciva a dire altro.
L’aveva già fatto, anni prima, quando la sua voce era ancora infantile e rotta dalle lacrime:
“Mamma svegliati, non mi lasciare da solo.”
Aveva otto anni, era una giornata invernale proprio come quella e lui stava aspettando con sua madre l’ora di cena, ammirandola ai fornelli mentre gli preparava un piatto dei suoi. Si lasciava avvolgere dall’odore di pollo e di verdure, giocando a mescolare le pentole come lei. Suo padre era in ritardo, ma era normale, non tornava per lunghi periodi e lo aspettavano dopo quasi un mese di assenza. Il suo lavoro nell’esercito lo impegnava tanto, ma era bello attenderlo a casa per abbracciarlo poi al suo ritorno, lasciarsi prendere in giro e farsi scompigliare i capelli.
La cena era già in tavola e si stava raffreddando quando bussarono alla porta più volte, in modo frenetico. Era strano, ormai era tardi per le visite. Sua madre si alzò dalla sedia stringendogli la mano, preoccupata e guardò nello spioncino con fare sospetto.
“Ho notizie di suo marito.”
Aprì titubante, ordinando al piccolo di andare in camera sua. Sua madre aveva sempre avuto una specie di sesto senso per certe cose, avrebbe dovuto ricordarselo.
Lasciò la porta della propria camera socchiusa e spiò cosa stava accadendo nel salotto. Non aveva mai visto quell’uomo, era alto e imponente, con dei capelli scuri, mentre delle lunghe basette gli scendevano sulle guancie, unendosi alla barba sotto il mento. Era vestito di scuro e nell’insieme gli metteva i brividi, anche se non sapeva spiegarsi il perché.
In realtà quell’individuo aveva altri scopi e lo scoprì solo dopo qualche istante, quand’era troppo tardi ormai.
“Cosa vuole? Cos’è successo a mio marito?”
Quella domanda non ricevette risposta. L’uomo la assalì, sbattendola contro il divano, ignorando le sue grida e i suoi tentativi di liberarsi da quella morsa crudele.
Kurogane stringeva la maniglia della porta così forte da farsi male, ma la paura lo bloccava lì, impedendogli di uscire. Fu quando l’uomo tolse la maglietta di sua madre che lui capì che doveva reagire, uscire da quella stanza e salvarla. Ma dov’era suo padre? Lui li avrebbe salvati, era un uomo forte, un guerriero, come gli piaceva chiamarlo.
“Lasciala!” si trovò a gridare radunando tutto il suo coraggio, ma a ben poco servirono i suoi pugni. Fu scacciato via quasi subito, sbattendo contro il freddo pavimento.
Il respiro di sua madre si stava facendo più difficile, la sentiva boccheggiare, mentre radunava le sue ultime forze per allontanarlo da sé e proteggere suo figlio.
Doveva correre ad avvisare qualcuno, chiamare aiuto… aveva una sola possibilità e doveva giocarsela bene. Si alzò e percorse tutta la sala di corsa, riuscendo a scappare alla presa di quell’uomo per un soffio, si aggrappò alla porta ed uscì come un disperato, bussando a tutte le porte che si trovava davanti, sperando che qualcuno gli aprisse, ma nessuno sembrava rispondere. Doveva raggiungere la strada, là ci sarebbe stato sicuramente qualcuno.
Trovò un uomo di mezz’età annaffiare il prato, lo conosceva, l’aveva visto tante volte e l’aveva sempre trattato bene, regalandogli qualche dolcetto, e anche se a lui non piacevano li aveva sempre accettati e mangiati.
“La prego, venga con me, la prego!” era l’unica cosa che era riuscito a dire, trascinandolo su per le scale stringendogli il polso con forza. L’altro non capiva, ma sembrava aver colto che qualcosa non andava e lo seguì in silenzio.
Quando arrivarono a casa, la porta era rimasta spalancata e l’uomo era fuggito lasciando la donna esanime sul divano, mentre la casa era stata ribaltata. Pezzi di vestiti erano ovunque, sparpagliati per terra, mentre la cena che avevano preparato con tanta cura era rovinata sul pavimento.
La corsa in ospedale fu veloce, non ricordava nulla: un istante prima era nel calore di casa sua, un attimo dopo si trovava seduto su una di quelle sedie in plastica tutte uguali, aspettando che tutto tornasse come prima. Ma la sua vita era cambiata irrimediabilmente e se ne stava rendendo conto solo in quell’istante. Attendeva che almeno suo padre arrivasse, ma il tempo passava e lui continuava a restare solo, circondato da estranei.
“Tu devi essere Kurogane.” Disse una voce alle sue spalle. Si girò spaventato e il suo sguardo vuoto si soffermò su quell’uomo. Era spaventato, temeva che anche lui gli avrebbe fatto del male, come quell’uomo prima. Le lacrime gli scesero spontanee e non riuscì a fare altro che restare lì ed annuire, attendendo il proprio destino.
“Io sono un collega del tuo papà. Lui ti vuole tanto bene e ti pensa sempre, te lo giuro. Mi parla sempre di te… e tu, gli assomigli così tanto!”
“Dov’è il mio papà?”
“Devi essere forte, piccolo… lui non c’è più. È morto per salvare altri bambini come te, devi essere fiero di lui.”
Sapeva di aver gridato ma non riusciva a percepirlo. Scuoteva la testa violentemente, si liberava dalle prese forzate degli infermieri e dei dottori, ma gli sembrava di vivere in un altro mondo, in un altro tempo… non poteva essere, non il suo papà!
Solo più tardi, quando si era calmato, aveva scoperto che quell’uomo cattivo era un amico di suo padre, di cui lui si fidava, ma che in realtà celava un animo crudele e criminale. Continuavano a ripetere che l’avrebbero punito, che sarebbe finito in carcere, ma a lui non interessava nulla di tutto ciò… voleva solo abbracciare la sua mamma, starle accanto e baciarla. Ne sentiva il bisogno.
Il giorno dopo si svegliò accecato da una luce bianca su un lettino, dove era stato imbottito di medicinali per tranquillizzarlo.
Si alzò, noncurante di ciò che gli dicevano quelli attorno a lui, camminò rasente il muro , ancora intontito da quel sonno forzato e sentiva il freddo e il ruvido sotto la sua pelle. Quando finalmente raggiunse il letto di sua madre si trattenne dal piangere e ignorò tutti quei macchinari fastidiosi accanto a lui, per concentrarsi su quel corpo addormentato. I capelli lunghi e mori le cadevano sulle spalle, contrastando il bianco pallido del suo volto. Non era più la donna che lui aveva amato per tutti quegli anni, era il suo fantasma e questo lo ferì.
“Mamma…” ma lei non rispondeva. Si arrabbiò con lei, con quell’uomo, con suo padre che l’aveva abbandonato a sua volta… perché era successo tutto questo? Cos’avevano fatto di male per meritarsi tutta quella sofferenza?
Dopo qualche ora la vide svegliarsi e si sentì così felice di rivedere quegli occhi neri, luminosi, che sorrise con tutto sé stesso.
“Kurogane… devi essere forte… io non ce la faccio.” Non capiva quel discorso, i tubi la facevano parlare a fatica, inoltre sembrava essersi svuotata di tutta la sua vita.
“Non capisco.” Si limitò a dire, perché l’altra sembrava voler parlare ancora.
“Ti…voglio…bene.”
Sospirò, non capì di cosa, se di sollievo o se di dolore ma quel suono sofferente gli entrò dentro, risuonandogli nella mente. Kurogane non respirò né parlò per riuscire a udire altri suoni uscire da sua madre, ma non sentì altro se non sospiri, terribili e dolorosi sospiri.
Ad un tratto i macchinari sembravano essere impazziti, cominciarono a fare dei rumori fastidiosi che attirarono l’attenzione di tutti i medici attorno a lui.
“Mamma svegliati, non lasciarmi da solo…”
Ma lei non l’aveva ascoltato, aveva ignorato le sue lacrime, tutte le sue preghiere e se n’era andata con un sospiro, lasciandolo ad affrontare una vita troppo crudele per un bambino così piccolo.
Non seppe quando, ma si svegliò da quei tristi ricordi e si trovò ancora una volta in ospedale, ricordandosi del perché era lì , ma soprattutto per chi…
Al sentire vibrare, anche se impercettibilmente, quelle dita sotto le sue si ricordò di respirare, emettendo un lungo e pesante sospiro di sollievo, così diverso da quello che gli aveva tormentato la mente per anni, lo percepiva da come gli aveva riempito i polmoni e il cuore: era finalmente pieno di speranza.
 








[¹] Paulo Coelho





 
 
 
Voilà, c’est ça! *porge piccola rosa*
Avete riconosciuto il fantomatico cattivone del chap? E’ lui… er basetta! Ora ci perseguita pure nelle fanfiction… [se ne sentiva il bisogno eh? -.-]
Qui appare il passato del nostro Kurotan.. volevo farlo affinchè richiamasse quello del manga, ovviamente senza tirare in ballo Oni e altre cose, quindi… mi sono sfogata con l’angst! So che io sono quella da cose pucciosefluffosedemenziali, ma quando mi ci metto sono capace di dare il peggio di me [e non solo grammaticalmente parlando] XD
Nel frattempo avete tirato un momentaneo sospiro di sollievo pure voi? Vi ho rassicurato un pochetto, almeno per questo capitolo? Mi merito la vostra pietà?
Ok… scappo prima che mi uccidiate!
A presto!
Momoka

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Capitolo 17
*** Tepore ***


ff-EC 17 The final countdown!! Ha inizio la definitiva discesa verso la fine, e Yuri ha già i lacrimoni... Ma non piangiamo troppo in anticipo e concentriamoci su questo capitoletto. Dopo avervi fatto soffrire ingiustamente (ma, dovete saperlo, è davvero troooooppo appagante dopo la fatica fatta per costruire una storia credibile... che comunque non lo è XD) in questo chap scoprirete finalmente cos'è accaduto a Fay, sia nel presente che nel passato. Ecco a voi il passato dei gemellini architettato durante una lezione all'insegna dei vapori tossici da laboratorio (e con questo ho detto tutto). Ho fatto del mio  melgio per renderlo verosimile e, allo stesso tempo, originale. Nono credo di aver raggiunto il mio scopo, ma diciamo che è un'alternativa alla storia originale che può stare in piedi, con qualche aiuto...
Intanto, buona lettura! ^___^

17. TEPORE:
“Lieve e piacevole calore; sentimento di affettuosa disponibilità verso il prossimo, generosità d'animo” (rif. Calore). [¹]

 
 
Provava dolore, un dolore insopportabile e desiderò con tutte le sue forze di tornare a dormire ma per qualche motivo non riusciva a capire se avesse gli occhi aperti o meno. Non vedeva nulla attorno a sé, c’erano solo tenebre impenetrabili e pesanti. Tutt’intorno rimbombava un suono, una specie di segnale, un bip, che si ripeteva di continuo come a scandire i secondi. Era angosciante.
Ma più di ogni altra cosa sentiva dolore. Gli pareva di avere la testa divisa in due e non riusciva più a sentire la gamba. Solo in quel nulla, immobilizzato dalla sofferenza, iniziò a farsi prendere dal panico.
Aveva un bisogno disperato di aiuto, qualcuno che lo sollevasse, che gli dicesse dove si trovava. Si sentiva sperduto, inerme come un bambino. Le lacrime presero a sgorgare incontrollate come le sue parole.
“Non c’è nessuno? Mi fa male...”
Non venne nessuno in suo soccorso. Non si udì nessuna voce di conforto. Solo quel fastidioso suono intermittente.
“Aiutatemi… mamma… papà. Fratellino…” Non sapeva perché li stesse invocando, era consapevole che se n’erano andati da tempo, ma in quel momento gli apparivano come l’unico appiglio possibile. “Venite ad aiutarmi… vi prego!”
Era steso a terra, in mezzo al buio. Sentiva freddo.
Freddo… Un freddo insopportabile.
“Fay? Lo zio ci ha abbandonato?”
Era la sua immagine riflessa in uno specchio a parlare: era Yuui.
L’albero contro cui si erano seduti i due bambini li proteggeva dalla neve che continuava a cadere senza sosta, silenziosa come la morte.
“No, Yuui. Si è solo dimenticato di venirci a prendere.”
“Come facciamo? È quasi buio, non riusciamo a uscire dal bosco…”
“Non avere paura, ci verranno a cercare.” Ma in verità, Fay temeva la notte imminente. Non amava il buio e sapeva che per il suo gemello era lo stesso.
I due fratelli si presero per mano, stretti in quei cappotti che non proteggevano a sufficienza dal gelo notturno.
Ad un tratto, gli occhi di Yuui si illuminarono. “Lo scialle della mamma!” Si frugò in tasca e ne estrasse una sciarpa di lana candida ben ripiegata. La portava sempre con sé, da quando la mamma non c’era più, e Fay era sollevato dal fatto che lei li avrebbe protetti e riscaldati durante quella notte solitaria.
“È troppo piccolo per tutti e due” osservò Yuui quando vide che, anche stringendosi, a entrambi restava fuori quasi metà del corpo. “Forse anche così andrà bene” propose il bambino intimidito, “è meglio di niente no?”
Fay però non era convinto. “In questo modo non ci riscalderemo abbastanza. Facciamo così, ci copriremo a turno. Fidati di me” lo rassicurò, notando i dubbi di Yuui. “Mettilo prima tu.”
“Ma così avrai troppo freddo!” protestò l’altro.
“A metà della notte faremo cambio, non ti preoccupare.”
Fu difficile resistere così a lungo, il freddo era davvero pungente, lo indeboliva, a furia di tremare sentiva male dappertutto. Quando fu il suo turno di indossare la sciarpa era talmente infreddolito che non si era reso conto di quanto la temperatura fosse calata. Se avesse saputo…
Si era stretto nello scialle che profumava ancora come la sua mamma, accogliendo nel cuore quel tepore.
“Yuui! È mattina. Ci stanno chiamando, lo senti? Sono venuti a cercarci. Yuui! Che fai, dormi ancora? Yuui… Yuui!”
Fay si portò le mani sulla testa, nel disperato gesto di acquietare il violento pulsare che gli impediva di pensare lucidamente. Non voleva stare lì. Quel luogo gli metteva paura. I ricordi di quella notte gli avevano invaso la mente senza lasciargli alcuna via di fuga, costringendolo a rivivere ogni istante, rinchiuso in quel buio dov’era caduto.
“E’ stata colpa mia… E’ sempre colpa mia!” Quella parola lo schiacciava. Erano anni che ci conviveva.
“Non riesco a muovermi…”
Ancora una volta nessuno rispose.
 “Fa male… aiutatemi. Qualcuno…”
Anche piangere gli procurava dolore. Ogni minimo movimento, ogni respiro rappresentavano per lui un’agonia.
“Mamma, papà… dove siete?”
Mancava qualcosa, in quel luogo. Qualcosa di estremamente importante che fino a un attimo prima sapeva di avere vicino.
“Kurogane…” pregò piano, stava troppo male per gridare, ma sperava che qualcuno lo sentisse ugualmente.
Solo il bip proseguiva nel suo conteggio, incurante delle sue sofferenze.
“Aiutami, Kurogane.”
Stando lì non avrebbe concluso niente. Aveva paura di quel luogo, si sentiva troppo esposto. Mosse lentamente un braccio per tentare di scoprire cosa si celasse attorno a lui. Non c’era niente, eccetto quella superficie liscia e fredda su cui giaceva.
Svegliati.
Trattenne il respiro. Si concentrò su ciò che aveva appena udito. Era una voce, parlava con lui.
Svegliati.
Era Kurogane!
“Sono qui!” gridò con uno sforzo sovrumano. “Aiutami!”
Svegliati.
“Sono già sveglio. Ti prego, vieni da me!”
Si accorse solo allora del fioco bagliore davanti a sé. Splendeva, debole e lontano, immobile come se lo stesse aspettando.
“Già, ci hanno tolto la luce. Kurogane non può vedermi, forse non mi sente nemmeno. Devo raggiungerlo io.”
Saggiò con circospezione le sue capacità motorie. La gamba destra non accennava a muoversi, ma la sinistra rispondeva ancora. Le sue braccia erano incolumi, ma il dolore alla testa rischiava di farlo impazzire. Doveva alzarsi. Doveva andare da Kurogane.
Diede fondo a tutte le sue forze per fare leva sulle braccia e tirarsi in piedi. La gamba protestò, ma lui non si arrese. La testa gli imponeva di sdraiarsi di nuovo e terminare lì la sua agonia, ma non le diede ascolto. Doveva andare da Kurogane.
Svegliati.
Il bip continuava imperterrito, accompagnandolo nei suoi passi incerti e zoppicanti. Più di una volta desiderò ardentemente lasciarsi cadere a terra,  ma continuò a trascinarsi verso la luce che, a poco a poco, si faceva più grande e più luminosa. Da lì proveniva un tenue calore e più si avvicinava, più sentiva il dolore diradarsi. Era lì che doveva andare. Kurogane lo chiamava.
Qualcosa iniziò a cambiare. Il suono si fece meno frequente, anche se l’intensità di quel rumore proseguiva angosciante. Il dolore diminuiva, il tepore aumentava.
Tentò di accelerare il passo ma non ci riuscì. Era difficile muoversi, gli pareva di galleggiare ed era  rallentato da una strana forza, come se stesse camminando in acqua.
Svegliati, ti prego.
“Sto arrivando, Kurogane. Riesci a sentirmi?”
L’intervallo tra un bip e l’altro si fece più lungo. Ormai era quasi giunto alla luce e iniziava a sentirsi leggero e sollevato, come se ad attenderlo ci fossero solo pace e tranquillità. Tuttavia avvertiva anche distintamente che qualcosa non andava. Quella luce non lo convinceva del tutto, gli incuteva un po’ di timore. Ma doveva andare da Kurogane, una volta giunto da lui si sarebbe fatto aiutare.
Eccola, la luce. Ormai ne era stato quasi avvolto. Che pace incredibile. Mentre allungava il braccio per addentrarsi definitivamente in lei, il bip, dapprima intermittente, divenne un unico, piatto, assordante suono. Era fastidioso, voleva liberarsene. Fece un altro passo.
Non andare.
Di nuovo la voce di Kurogane. Ma c’era qualcosa di sbagliato: questa volta proveniva distintamente da dietro le sue spalle.
“Perché non devo andare?” chiese Fay disperato, senza capire. “Dove sei?”
Non andartene.
“Kurogane… non capisco…” La voce rotta dai singhiozzi invocò un’altra volta quel nome agognato.
Non andare.
Se quella luce non era la risposta, allora dove avrebbe dovuto dirigersi? Si voltò, verso il nulla che aveva faticosamente abbandonato. Non voleva tornare lì, avrebbe sentito ancora quel dolore insopportabile, sarebbe stato di nuovo solo.
Svegliati.
Ora ne era sicuro. Kurogane lo chiamava attraverso il buio. Fay rimase immobile, incerto. Quella luce lo attirava con voce propria, lo invitava ad abbandonarsi a lei e al sollievo. Il corpo sofferente gli diceva di darle ascolto. Poi sentì… un’altra voce. Erano trascorso talmente tanto tempo, dall’ultima volta in cui l’aveva udita così distintamente che sussultò e a stento contenne le lacrime: era la voce di Yuui che gli parlava con infinita dolcezza.
Fay… nessuno crede che sia stata colpa tua… non venire qui… torna… da lui…
Dietro di sé c’erano solo il buio, il freddo, il dolore.
Ma c’era anche Kurogane.
 
Ora si trovava nel mondo reale. Lo capì immediatamente. Quel luogo non aveva nulla a che fare con il buio infinito in cui aveva giaciuto.
Lì non provava dolore, era come attutito. Si sentiva pesante, intontito. Si rese anche conto di non stare respirando. O meglio, non era lui a respirare. Era come se l’aria gli venisse iniettata direttamente nei polmoni, il suo petto si alzava e si abbassava senza che fosse lui a volerlo. Era molto sgradevole.
Lentamente, il suo corpo iniziò ad avvertire delle sensazioni. Sentiva freddo e gli sembrava di essere incatenato da qualcosa che lo avvolgeva. Era forse una coperta? C’era un’unica parte di lui che non congelava.
Abbassò lo sguardo sulla sua mano e fu più difficile del previsto perché, per qualche motivo, non riusciva a cogliere perfettamente le distanze: era stretta in quella di Kurogane, la sua testa corvina poggiava a pochi centimetri sul materasso.
Era lì con lui, era venuto ad aiutarlo! Doveva parlargli, doveva fargli sapere che era sveglio. Aveva bisogno di udire la sua voce rassicurante, le sue carezze sulla pelle.
Tentò di parlare ma non ci riuscì. La sua gola era bloccata da qualcosa. Se non poteva chiamarlo in quel modo, avrebbe almeno voluto stringergli la mano a sua volta. Ma non poté nemmeno quello.
Era completamente senza forze. Era come se avesse prosciugato tutte le sue energie per aprire gli occhi.
Ma non temeva più quel buio perché sapeva che lì, a pochi centimetri da lui, c’era Kurogane a vegliarlo.
Sarebbe tornato. Prima o poi si sarebbe svegliato di nuovo per lui.









[¹] Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti









Inizio subito spiegando la presenza dello "zio". Abbiamo letto che in molte AU il sovrano cattivo è il nonno, ma leggendo la versione italiana del manga (specifichiamo quella italiana dato che siamo tutti i conoscenza dell'abilità dei traduttori della Star Comics) il grado di parentela dell'imperatore con i gemelli è quella di zio, perciò abbiamo voluto mantenerla tale, anche se ci rendiamo benissimo conto che come nonno ci stava meglio.
Ci scusiamo per la qualità della definizione iniziale che fa davvero pena, ma trovarne una decente sul "tepore" era impossibile quindi abbiamo dovuto arrangiarci così.
Alcune di voi avranno poi notato qualche riferimento a un certo volume di xxxHolic e a un certo avvenimento che ha a che fare con Watanuki... ne siamo consce e io h o voluto riproporlo perchè ho trovato il momento molto toccante.
Siamo felicissime di aver conosciuto altre lettrici che per sgridarci si sono fatte vive con le recensioni! Grazie, continuate così! Per conoscervi tutte ci toccherà allungare la storia di una decina di capitoli all'insegna dell'angst!
Continuate a farci sapere cosa ne pensate, dato che siamo alla fine abbiamo bisogno più che mai dei vostri pareri... il finale, si sa, spesso è il punto dolente delle storie.......e ogni riferimento è puramente casuale!!!!
Noi ci vediamo alla V! Il prossimo appuntamento è con Momo-chan!!!!

Yuri

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Capitolo 18
*** Unico ***


ff-EC 18 Buongiorno!! Qui parla Yuri, sì avete capito bene, ho gentilmente spintonato via Momo-chan dal suo spazio per spiegare un paio di cose del mio capitolo precedente!
Innanzitutto grazie a tutte quelle che si sono impegnate a consolarmi e/o criticarmi per le scelte da me fatte per la storia dei Yuui! Ogni commento mi ha fatto moltissimo piacere ma vorrei specificare che soprattutto FireAngel ha colto esattamente ciò che volevo trasmettere della psicologia del povero Fay colpevolizzato.
Ora, Viky_Fra aveva sollevato la questione delle ferite di Fay. Il motivo della ferita all’occhio, come ha detto, è evidente ;) La gamba, invece, non contiene alcuno spoiler. Semplicemente quando si trovano a Oto, Fay si ferisce alla caviglia destra combattendo contro gli oni prima di andare al bar Clover: ecco spiegato l’arcano. C’è inoltre un altro vago riferimento a Sakura e alla sua gamba destra data in pegno alla Strega: infatti Sakura ha un legame molto particolare con Fay e siccome è uno dei pochi personaggi che non è mai apparso l’ho voluta citare in questo modo (anche se, sinceramente, non mi dispiace non averla tra i piedi XD)
Cambiamo un attimo argomento a concentriamoci su questo nuovo capitolo: è importante specificare che ciò che leggerete avviene contemporaneamente al chap precedente! Ricordatevelo quando leggerete!
Grazie ancora tanto tanto a tutti i commenti, continuate così, non abbandonateci proprio adesso! E noi ci vediamo al mio ultimo *sigh* capitolo….
Yuri
 
 
18. UNICO: “Che non ha eguali quanto a valore, virtù, importanza, pregio, prestigio e simili.” [1]
 
Chissà se sentiva dolore, imbottito com’era di medicinali, chissà cosa percepiva, cosa stava sognando in quel suo sonno indotto. Aveva sempre avuto dei sogni agitati, anche quando dormivano assieme lo sentiva sempre muoversi, arruffandosi e scoprendosi come un bambino.
Abbozzò un sorriso tra sé e sé, a quel ricordo che gli sembrava così lontano, in quel momento.
Gli strinse ancora di più la mano, ancorandosi a lui… Fay aveva bisogno di aiuto, lo percepiva ed era lì per quello, sfidando i dottori e gli infermieri che continuavano nel loro andirivieni, guardandolo ogni volta con quello sguardo carico di pietà mista ad indifferenza. Dovevano essere abituati a scene del genere, così tanto da esserne immuni, lo sapeva, ma non sopportava lo stesso quelle occhiate.
“Non sei solo. Ci sono io qui per te.” Se lo ripeteva tante volte, non ricordava nemmeno quante, sperando che lui lo percepisse, che servisse a qualcosa.
Dopo quell’ultimo, leggerissimo movimento, non era più riuscito a sentire niente che lo facesse aggrappare ad una minima speranza.
“Buongiorno Kurogane” gli disse la voce di quel medico che conosceva ormai troppo bene.
Il dottor Kudo arrivò accompagnato come sempre da quel biondo che gli ricordava tanto Fay, l’infermiere Kohaku. I suoi capelli biondi ondeggiavano dolcemente ad ogni suo movimento, proprio come quelli dell’uomo che giaceva accanto a lui, i suoi occhi oro brillavano della stessa luce che tanto gli mancava, nascosta sotto quelle pesanti bende. Dal canto suo, l’infermiere gli aveva detto sin dal primo istante che Shuichiro assomigliava molto a Kurogane, sia fisicamente, con quei corti capelli mori e quegli occhi piccoli e scuri, che di carattere, avendo entrambi l’aria burbera. Ma non si era spinto oltre a quei particolari così palesi, e lui si sentiva troppo stanco per chiedere i dettagli e per interessarsi a quei paragoni.
Ora aveva ben altro per la testa.
Sentì il respiro di Kohaku dietro di lui, troppo vicino per i suoi gusti, lasciandolo sgomento.
“Sei sempre più stanco, Kurogane-san. Dovresti riposarti.”
Lui scosse il capo violentemente.
“Sto bene. Lasciatemi in pace.” Non voleva essere scortese, ma quei due lo infastidivano.
Aveva sentito dagli inservienti che stavano assieme e loro erano diventati il suo specchio… rivedeva in loro il rapporto che aveva con Fay, quella felicità che avevano catturato per pochi istanti, vedendosela subito portare via. Loro sembravano così fortunati, mentre lui aveva visto troppe volte crollare tutto per colpa della sfortuna e non gli sembrava giusto, maledizione.
“Forse farebbe meglio ad ascoltarci e andare almeno a mangiare qualcosa.”
“No. Avete finito?”
“Dobbiamo cambiarlo, devi uscire, lo sai.”
“E voi sapete già che io non lo farò, giusto? Quindi fate quello che dovete e andatevene.”
Kohaku sospirò, stringendo automaticamente il polso di Shuichiro, implorandolo di chiudere un occhio anche stavolta.
Kurogane lasciò la mano di Fay per lasciare loro il tempo di adempiere al loro dovere e quando la riprese, dopo pochi istanti la ritrovò nuovamente fredda come il resto del suo corpo.
La porta si chiuse alle sue spalle, ma percepiva qualcuno dietro di lui. Era il giovane infermiere, col respiro accelerato dalle lacrime che gli sgorgavano spontanee.
“Ohi, perché piangi?”
“Perché so cosa stai provando, dico davvero. Io posso capire il tuo stato d’animo, perché se Kudo dovesse trovarsi al posto del signor Flourite io credo che morirei di dolore e che lo veglierei anche per cent’anni.”
 “Siete davvero simili, tu e quest’idiota qui. Andreste d’accordo. Ora basta piangere e torna dal tuo uomo, tu che puoi.” Era un’uscita triste e amara, ma gli era venuta spontanea.
“Parlagli, non avere timore dei giudizi della gente. Non ti tenere tutto dentro. Lo sai che anche tu sei come Shuichiro, te l’ho già detto, sin dal primo momento in cui ti ho visto l’ho pensato.”
Lui non rispose, era davvero stanco di essere commiserato, non aveva bisogno di consigli da nessuno, tantomeno da uno del genere, che andava in giro per l’ospedale canticchiando e parlando con gli uccellini nel giardino.
Ma come faceva quel medico così serio e rispettabile a stare con lui? Non se lo spiegava! Certo, anche lui e Fay erano diversi, ma la loro storia era differente.
“Ma Kuro-tan, non bisogna mai giudicare nessuno senza conoscerlo.” Cosa gli veniva in mente ora?
Maledetto biondo e le sue frasi. Non l’aveva capito allora e non l’avrebbe capito ora, era fatto così e non gli doveva interessare.
Parlagli.
Dopo quel grido non gli aveva più detto niente… temeva gli sguardi degli altri, si sentiva in imbarazzo era più forte di lui, non ce la faceva.
Si inumidì le labbra e le aprì per cercare di dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non usciva alcun suono, la vergogna era troppa.
Alcune ore più tardi Kohaku rientrò nuovamente nella stanza, in silenzio per non disturbarlo, probabilmente ricordando ancora la loro ultima conversazione.
“Ohi, scusa per prima. Cercherò di parlargli, ok?”
Stava sorridendo, immaginava la sua espressione e per un attimo la sovrappose a quella di Fay.
“Sei davvero una persona stupenda, Kurogane.”
“Non è vero!!” gridò, facendolo ridere. Era tutto così terribilmente familiare e doloroso, che strinse automaticamente più forte la mano del giovane accanto a lui.
Si trovò da solo ancora una volta e si fece coraggio, cercando di superare i suoi assurdi limiti.
“Hai visto, ho capito cosa mi hai detto tempo fa… sei soddisfatto adesso? Avevi ragione.”
Il suo riso era amaro e si trovò ad abbassare la fronte, appoggiandola stancamente sul letto. Quando la rialzò, il suo sguardo si era velato nuovamente di tristezza.
“Ora svegliati, per favore, svegliati.”
Si picchiò il volto usando le loro due mani, unite in un intreccio molle.
Il tranquillo sottofondo dei macchinari a cui ormai si era abituato mutò improvvisamente, facendolo sobbalzare. Era in preda ad una crisi, il suo cuore stava cedendo… pigiò violentemente il pulsante di emergenza, gridando aiuto come un pazzo.
“Non andare. No!”
Doveva ascoltarlo, si sarebbe salvato ancora. Non poteva lasciarlo!
Mentre i medici cercavano di salvarlo, Shuichiro lo prese da parte con lo sguardo sconvolto, preoccupato come mai prima.
“Kurogane, il signor Flourite ha perso troppo sangue per sopravvivere. Ha bisogno di una trasfusione e subito, se vogliamo tenerlo in vita.”
“Dategli il mio sangue, veloci!”
“Ma non sappiamo nemmeno che gruppo sanguigno hai, se sei compatibile…”
“Lo sono.”
Ricordava la loro conversazione, era successo tutto in una delle loro notti assieme.
“Kuro-cchi lo sai che io e te abbiamo lo stesso gruppo sanguigno? L’ho visto riordinando le tue carte ospedaliere!” Un sorriso dolce e trasognante si era dipinto sul suo volto, mentre lo abbracciava baciando le sue clavicole.
“E allora?”
“Siamo proprio fatti per stare assieme, Kuro-blood” aveva concluso ridendo, puntando un dito sul suo cuore, fermandosi ad ascoltare il suo battito e lasciandosi cullare da quel suono, per poi addormentarsi appoggiato a lui. Ma il moro era rimasto sveglio per alcuni minuti, ripensando a quella sua frase. E ora gli era tornata in mente, proprio nel momento propizio.
“Dovremmo fare dei controlli, ma se tutto è in regola si può procedere.” La voce di Kudo lo aveva risvegliato da quella riflessione.
L’importante è che facciate in fretta, pensò guardando la scena oltre la finestrella oscurata, spiando dalle veneziane.
Dopo cinque minuti, scandagliati dal ticchettio rumoroso del grande orologio della sala e dal via vai notturno, il medico tornò accaldato, impartendo ordini alle infermiere.
“Si proceda alla trasfusione.”
La puntura dell’ago lo pizzicò, scalfendo leggermente la sua espressione accigliata, e osservò il suo sangue salire veloce nel tubicino per raggiungere una sacca bianca, che si tinse quasi subito di rosso. Il prelievo lo lasciò intontito, rifiutò la cioccolata e il cibo che gli veniva dato.
Voleva ritornare dal biondo, anche se le gambe si rifiutavano di alzarsi dalla sedia.
Ignorò le raccomandazioni delle inservienti e si diresse a grandi passi verso la sala, appoggiandosi a quel muro freddo e ruvido, lo stesso che l’aveva sorretto anni prima, mentre raggiungeva sua madre.
Ad un tratto il suo braccio venne sollevato e appoggiato sulla spalla di Kohaku, che lo aiutò a muoversi.
“Ti aiuto io.”
Era troppo debole persino per ringraziarlo, e sperò che il suo sguardo fosse abbastanza eloquente, per una volta.
Finalmente si accasciò sulla sedia che l’aveva accolto i giorni prima e si riposizionò vicino al biondo, riprendendo la sua mano per riscaldarla.
“Non andare.” Ripeté, mentre osservava il proprio sangue entrare nel corpo debole e sempre più pallido di Fay. Sperava di rivedere le sue guancie colorarsi di rosa, una volta recuperate le energie, ma non accadde nulla.
Era l’unico che potesse ottenere qualcosa, parlandogli, l’aveva capito dal discorso dell’infermiere… ecco perché si era deciso a superare il suo imbarazzo.
Era l’unico che potesse infondergli calore, stringendogli quella mano gelida.
Era l’unico che potesse salvarlo donandogli il proprio sangue.
Era l’unico che l’aspettava sveglio, dimenticando tutto se stesso solo per lui.
E tutto questo perché Fay era unico per lui.
“Svegliati.”
E proprio mentre ripeteva quelle parole, si accasciò sulle coperte e si addormentò.
Svegliandosi non seppe quantificare quanto tempo era passato, ma si sentiva ancora stanco e indolenzito da quella scomoda posizione e dai sogni agitati che l’avevano perseguitato. Si stava sciogliendo il collo con dei lenti movimenti circolari, quando percepì uno sguardo su di lui.
Era l’occhio azzurro del biondo quello che lo stava guardando, proprio davanti a lui.
“Era ora, dormiglione!” si trovò a dire, abbozzando un sorriso.
Quante volte gli aveva detto una frase del genere, quando vivevano assieme? L’aveva sempre fatto ridere chiamandolo così, e in quelle ore di stasi, seduto sulla sedia, si era chiesto cosa gli avrebbe detto, una volta che l’altro si fosse svegliato. Quella frase gli era uscita spontanea in quel momento, cancellando tutto, riportando alla sua mente la loro vita prima di quell’incidente, come la speranza di una nuova normalità che sarebbe ricominciata presto.
Fay aprì la bocca per parlare ma quei tubi glielo impedivano.
“Stai buono, sei sempre il solito. Ora riposati.” L’altro finalmente gli strinse la mano con le poche forze che aveva e una piccola lacrima gli rigò le guancie, scendendo fino al mento. Kurogane gliela asciugò e sentì finalmente un po’ di calore sprigionarsi da quel corpo sofferente.
Solo quando si specchiò nuovamente nell’azzurro di quell’unico occhio aperto, si rese conto di quanto gli era mancato e di quanto avesse aspettato di rivederlo.
Lo osservò mentre richiudeva le palpebre, lasciandosi andare ad un nuovo sonno e anche lui fece lo stesso, perché la sua lunga sofferenza e l’attesa sembravano essere finite.
 
 
 
 
 
 
[1] Dizionario della Lingua Italiana Zingarelli
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti!
Qui Momoka, rilegata in fondo al proprio capitolo XD Ho ceduto più che volentieri lo spazio necessario alla mia coinquilina per farle spiegare un po’ di cosucce del suo scorso chappy!
Bene e ora passiamo alla nostra U! Spero tanto vi sia piaciuto.. succedono un po’ di cosucce, a partire dall’apparizione di Kohaku e Shuichiro, due personaggi che mi piacciono molto, considerando che li abbiamo pure portati come cosplay! :) Oltre a questo, molto più importante è il dono di sangue di Kurogane che richiama il manga e il pezzo tragico di Tokyo *asciuga lacrimuccia di commozione davanti ai tristi ricordi provocatogli da quei capitoli* spero l’abbiate apprezzato!
Non so che altro dire se non che: vi adoro! E’ fantastico sentire il vostro affetto a così poco dalla fine della nostra fan fiction, sia grazie alle visite ma soprattutto per merito delle recensioni *w* Grazie, spero continuiate così! Soprattutto ora che lo sconforto si fa sentire! :P
Bene, ho finito le cose da dire! Se domani siete a Mantova e vedete una Road e un Lavi… beh, siamo noi! Ci vediamo per… per… per… la Z! Non riuscivo a dirlo ç____ç
A presto *sigh*
Momoka

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Capitolo 19
*** Verità ***


ff-EC 19 Ben trovate a tutte!!!! Allora, siamo tutti un po’ emozionati, quindi per evitare di mettermi subito a piangere in diretta farò alcuni ringraziamenti speciali: oltre ai soliti inchini profondi per tutte le vostre recensioni e l’entusiasmo col quale ci seguite, vi devo annunciare che il primo capitolo, Amore, ha appena superato le 1000 visite!! Incredibile, non immaginavo assolutamente questo successo!
Comunque, piccola parentesi: anche noi siamo reduci di 5 anni di psicologia, e guardate come sfruttiamo (male) le nostre conoscenze! XD
E ora, passiamo alle consuete scuse: questo chap giunge in ritardo a causa degli esami appena conclusi con taaanta fatica e del cosplay per Cartoomics che ci ritroviamo a dover preparare in pochissimo tempo (specifico che sto facendo una fatica immane per digitare le lettere correttamente a causa dei numerosi cerotti che coprono le ferite da ferro da stiro, aghi e forbici….)
Ora vi lascio alla VERITA’ e vi aspetto giù!
 
P.s. Ritroverete anche il passato di Fay. Per quanto vi sembri uguale al precedente, leggetelo con attenzione! ;)
 
19. VERITA’:  “Nessuno può a lungo avere una faccia per sé stesso e un'altra per la folla, senza rischiare di non sapere più quale sia quella vera.” [¹]
 
Era strano che, nonostante lo avessero liberato dai tubi, non riuscisse comunque a pronunciare parola. Kurogane aveva già tentato di parlargli, perlopiù con le sue solite frasi monosillabiche e laconiche, ma dopo due o tre tentativi, quando si era reso conto che Fay non rispondeva, aveva rinunciato. Non era colpa della stanchezza, né dei farmaci che lo lasciavano ancora un po’ stordito: Fay aveva solo bisogno di riflettere.
Si rendeva perfettamente conto di quanto fosse stato vicino alla morte, a quel limite fatale a cui aveva sempre guardato con una punta di desiderio. Eppure, trovarvisi effettivamente di fronte era una cosa ben diversa.
Se le mani di quel ragazzo non avessero tremato, facendogli deviare il colpo di pochi millimetri, lui sarebbe morto senza nemmeno accorgersene. Per una pura casualità si era salvato e aveva potuto vedere nuovamente Kurogane, avvertire il suo tocco e sentire la sua voce. Nel momento in cui si era ritrovato di fronte quella pistola non aveva pensato a quello che avrebbe potuto perdere e ciò era davvero assurdo, visto quanto teneva al suo Kurogane. Però, comunque, non aveva fatto nulla per evitare la morte, al contrario, si era gettato tra le sue braccia, pensando di fare la cosa giusta.
Un debole sole illuminava la stanza spoglia, Kurogane sedeva sempre al solito posto, sulla sedia alla sinistra del letto. Stringeva ancora forte la mano di Fay, senza guardarlo. Nei suoi occhi, che scrutavano distrattamente il mondo oltre il vetro, il biondo poteva scorgere stanchezza e amarezza, ma in quella stretta vi era determinazione. Non lo aveva mai lasciato, come se temesse che potesse andarsene di nuovo.
La vista che gli era rimasta non gli concedeva di vederlo come prima, Fay aveva colto subito le limitazioni nel possedere un occhio solo. Forse, non avrebbe mai più potuto vedere Kurogane nello stesso modo, e per poter scorgere in lui le stesse sfumature, gli stessi dettagli, la stessa luce avrebbe dovuto fare affidamento unicamente sulla sua memoria. E forse, anche Kurogane stava pensando alla stessa cosa: Fay non sarebbe più stato quello di prima, perché una benda sull’occhio sinistro gli avrebbe sempre ricordato quel doloroso giorno.
Anche adesso Fay non faceva che causargli sofferenze, le stesse che aveva pensato di evitargli rischiando la sua vita in modo così penoso. Ogni volta che pensava di sacrificarsi per gli altri, alla fine riusciva soltanto a peggiorare le cose. Proprio come con Yuui.
Perciò era arrivato, il momento in cui avrebbe dovuto compiere quella scelta che da anni rimandava grazie a bugie e sorrisi. Non poteva più fuggire, era incatenato a quel letto dalla presa di Kurogane e dalla sua presenza. Gli doveva una risposta, almeno quella per ripagarlo di tutti i problemi e i dolori che aveva dovuto sopportare, e se poi non avesse accettato la sua scelta, Fay avrebbe compreso e avrebbe potuto separarsi da lui, definitivamente, soddisfatto e in pace con se stesso, per una volta.
“Ti chiedo perdono.”
Kurogane abbandonò lentamente la contemplazione della finestra, come per accertarsi che Fay avesse realmente parlato, dopo quel lungo silenzio. I suoi occhi cremisi si puntarono in quello di Fay, in attesa. La vista di quel viso pallido e affaticato, dei capelli scomposti e degli abiti stropicciati diedero al biondo un motivo sufficiente per avventurarsi in quel discorso impervio.
“Ho dovuto aspettare di trovarmi a un passo dal perderti per capirlo. Ho sempre pensato che le conseguenze delle mie azioni si sarebbero ripercosse solo su di me e che sarebbero state la punizione per tutto ciò di cui mi pentivo, però ora ho capito che non è così. Sicuramente con i miei gesti ho punito più te, che non avevi colpa, che me.”
Anche se era difficile interpretare le emozioni di Kurogane, ora Fay riusciva a scorgere in lui una leggera sorpresa.
“Volevo risparmiarti la sofferenza di dover vivere con un uno come me, e invece ti ho costretto a stare in pensiero, a dover sopportare le mie bugie e anche a donarmi il tuo sangue.”
Kurogane dischiuse le labbra per parlare, ma comprese che quel discorso non era ancora finito, e così, come aveva sempre fatto, attese paziente tutte le giustificazioni di Fay.
“Sono così felice di aver trovato una persona che vuole bene a uno come me… nonostante tutti i miei imperdonabili difetti...”
Dannazione, proprio adesso gli doveva tremare la voce? Ora che finalmente aveva trovato il coraggio per dirgli tutto questo…
La stretta alla mano si allentò. Kurogane posò la sua su quella di Fay mutando la determinazione in sostegno. Era incredibile come riuscisse, con dei gesti così semplici, a provocargli emozioni così intense, a infondergli coraggio e forza di volontà. Fay si fece forza per proseguire.
“Io ho capito… che tentando di punire me, in realtà quello a cui faccio del male… sei tu. E l’unica cosa di cui sono sicuro, ora… è che non voglio mai più farti soffrire.”
Cercò i suoi occhi con il suo, era davvero difficile mantenere quel contatto visivo, ma in quel momento gli avrebbe concesso di vedere il suo coraggio, quel poco che gli restava.
“Però io non cambierò. Non ne sono capace, ogni volta che ci ho provato ho scatenato gravi conseguenze. E poi non mi sembra giusto, perché io sono diventato quello che sono vivendo tutti i giorni. Quello che sono è anche frutto dei giorni vissuti con te. Non cambierò ciò che sono. Cambierò ciò che voglio diventare. Colui che sarà in grado di stare al tuo fianco per sempre, che avrà la forza per sostenerti nelle difficoltà e che non si tirerà indietro di fronte agli ostacoli. Colui che non ti mentirà e che non ti nasconderà mai l’amore che prova per te. Colui che ti farà sentire amato e felice di essere ciò che è.”
Kurogane non parlava ancora. Fay si domandò come fosse riuscito a sconvolgerlo così tanto con le sue parole. Non avrebbe voluto metterlo in difficoltà.
Inclinò leggermente la testa e gli sorrise per rassicurarlo. “Sei sorpreso perché ho fatto un discorso così lungo senza infilarci dentro soprannomi strani?”
Ancora silenzio.
“Sapevo che il mio vero me ti avrebbe spaventato, per questo sono preparato a quello che stai per dirmi. Non devi farti riguardi a…”
La sua voce si spense all’improvviso quando l’indice di Kurogane gli ebbe sigillato le labbra. Pareva arrabbiato.
“L’unica cosa che sicuramente non riuscirò mai a capire di te” iniziò con un tono di voce più alto di quello rispettoso che aveva tenuto negli ultimi giorni, “è come tu possa infilare e ingarbugliare nella tua testa bacata tutte queste paranoie.”
“Kuro…”
“Voglio che la smetti di chiedere perdono, che la smetti di sentirti in colpa per ogni cosa e che la smetti di avere così poca fiducia in me.”
Sembrava davvero offeso, e non nel modo in cui reagiva ai soprannomi imbarazzanti, piuttosto appariva ferito nel profondo. Questa volta era Fay a essere rimasto senza parole.
“Voglio anche che tu non smetta di fare tutto quello che ti ho detto prima, così potrò starti vicino e assicurarmi che tu non compia qualche idiozia, proteggerti e picchiarti quando fai lo scemo. Voglio essere l’unico responsabile delle tue sofferenze, così in questo modo sarò sicuro di non doverti più vedere ridotto in questo stato penoso.”
Si bloccò col fiato corto e il volto arrossato, come dopo aver rincorso qualcosa che gli stava sfuggendo. Lo guardava dritto negli occhi con un barlume di sfida nel fuoco vermiglio.
“Come siamo presuntuosi, Kuro-ego!” rise Fay, intenerito da quella inusuale dimostrazione d’affetto.
Borbottando Kurogane salì sul letto e si stese accanto a lui, con il braccio destro sotto la testa di Fay e il sinistro a cingergli schiena e fianchi. “Risparmia le tue scemenze per quando ti sarai rimesso. Ora taci e dormi, domani finalmente lasceremo questi postaccio.”
Chiuse gli occhi per tentare di scoraggiare ogni proseguimento di quella conversazione per lui imbarazzante, ma Fay aveva un ultimo desiderio da esaudire.
“Non hai più paura degli ospedali, vero?”
Kurogane si irrigidì leggermente. “No. Adesso so che qui dentro si può anche guarire.”
Dunque, era così che ci si sentiva a smascherare i sentimenti nascosti di qualcuno. Non poteva definirsi propriamente piacevole, ma di certo lasciava in petto una gran voglia di vicinanza.
 
“Fay? Lo zio ci ha abbandonato?”
Era la sua immagine riflessa in uno specchio a parlare: era Yuui.
L’albero contro cui si erano seduti i due bambini li proteggeva dalla neve che continuava a cadere senza sosta, silenziosa come la morte.
“No, Yuui. Si è solo dimenticato di venirci a prendere.”
“Come facciamo? È quasi buio, non riusciamo a uscire dal bosco…”
“Non avere paura, ci verranno a cercare.” Ma in verità, Fay temeva la notte imminente. Non amava il buio e sapeva che per il suo gemello era lo stesso.
I due fratelli si presero per mano, stretti in quei cappotti che non proteggevano a sufficienza dal gelo notturno.
Ad un tratto, gli occhi di Yuui si illuminarono. “Lo scialle della mamma!” Si frugò in tasca e ne estrasse una sciarpa di lana candida ben ripiegata. La portava sempre con sé, da quando la mamma non c’era più, e Fay era sollevato dal fatto che lei li avrebbe protetti e riscaldati durante quella notte solitaria.
“È troppo piccolo per tutti e due” osservò Yuui quando vide che, anche stringendosi, a entrambi restava fuori quasi metà del corpo. “Forse anche così andrà bene” propose il bambino intimidito, “è meglio di niente no?”
“Sì” rispose Fay, abbracciando suo fratello. “In ogni caso ci faremo caldo a vicenda.”
La notte divenne sempre più fredda, Fay batteva i denti, non sentiva più i piedi e le mani, ma verso la metà della notte gli parve di avvertire più caldo e smise di tremare. Si strinse nello scialle che profumava ancora come la sua mamma, accogliendo nel cuore quel tepore.
La mattina dopo, quando si svegliò, si accorse di avere la sciarpa tutte per sé. Yuui gli aveva ceduto la sua parte di calore, quella che gli sarebbe servita per restare in vita.
“Yuui! È mattina. Ci stanno chiamando, lo senti? Sono venuti a cercarci. Yuui! Che fai, dormi ancora? Yuui… Yuui!”
 
“Ohi.”
Fay aprì lentamente l’occhio destro. Il paesaggio innevato era sparito, si trovava ancora nel letto, abbracciato a Kurogane.
“Tutto bene?”
Fay sospirò. Sentiva un estraneo senso di serenità. “Sì.”
Kurogane analizzò con cura la sua reazione. “I tuoi sonni sono sempre agitati, ti lamenti, piangi e ti muovi qua e là. Questa è stata la prima volta in cui non ho assistito a niente del genere. A un certo punto hai sorriso. Non avevo mai visto quel sorriso su di te.”
Lo fece di nuovo. Era un sorriso che non era possibile premeditare e che raggiungeva persino gli occhi. A Fay sembrava di essere stato in grado di sorridere in quel modo molti anni prima.
“Ho sognato la notte in cui mio fratello è morto. Però questa volta l’ho sognata per davvero.
La tristezza per la sua perdita mi aveva portato a crearmi una realtà artefatta, per il semplice fatto che il senso di colpa è più facile da gestire di un dolore di fronte al quale si è impotenti. Sicuramente è presuntuoso da parte mia sentirmi sollevato al pensiero che mio fratello abbia consapevolmente dato la sua vita per salvare la mia, ma…” Le lacrime annebbiarono la sua vista già scarsa. Kurogane sospirò e lo abbracciò, come un adulto che consola un bambino.
“Sei proprio un idiota.”
“Anch’io ti amo, Kuro-sama.”
“Però, per essermi scelto un idiota come te, ammetto di essere un po’ idiota anch’io.”
Fay rise. Al di là delle spalle di Kurogane si specchiò nella porta di vetro della stanza. Yuui gli stava sorridendo.
 
“Guarda, Kuro-snow! Sembra che qualcuno stia spargendo dello zucchero a velo sul mondo!” Fuori dall’ingresso dell’ospedale erano stati sorpresi da una neve leggera che vorticava confusamente sospinta dal vento.
“Perché devi fare per forza paragoni così dolci?” domandò Kurogane, scocciato da quell’atmosfera mielata.
“Perché mi ricordi un dolce pasticcino” rispose Fay, stringendogli ancora più forte il braccio al quale si era aggrappato per arrivare fino al taxi. Non aveva intenzione di usare la stampella che gli aveva dato l’infermiere Kohaku, non per il momento almeno.
L’auto si immise nel traffico festivo mentre la neve iniziava a cadere più fitta.
“Domani è Natale, Kuro-santa?” chiese Fay, osservando le vetrine addobbate. Il grugnito di Kurogane esprimeva perfettamente il suo amore per quell’evento. “E io non ho nemmeno un regalo per te…”
“Tsk!” fece lui, incrociando le braccia e mettendo il broncio. “Il mio regalo… l’ho già ricevuto.”
Fay si arrampicò sul sedile e poi su Kurogane, che tentava di nascondere il volto dallo sguardo invadente del biondo.
“Sei tutto rosso, Kuro-blush!!!”
“Non è vero, sta’ zitto!” sbraitò Kurogane coprendosi la faccia.
“Invece sì! Sei adorabile! Allora anch’io ho già ricevuto il mio regalo di Natale. Merry Kuro-smas!” E baciò quella guancia imbarazzata.
Costretto a mettersi composto vide di sfuggita un luogo che riconobbe subito.
“Si fermi qui, per favore!” disse al tassista e scese dall’auto senza aspettare la stampella o l’aiuto di un Kurogane alquanto irritato. Superò un lampione e un giardino recintato, fino a trovarsi di fronte a una vetrina che esponeva fiori e piante variegate.
“Ohi” chiamò Kurogane, che sicuramente lo stava seguendo sforzandosi di stare al suo passo incerto. “Ti vuoi dare una calmata e spiegarmi dove vorresti andare?”
“Mi è venuta voglia di fiori, Kuro-rose.”
Mentre pronunciava quelle parole, le due bambine del negozio di Yuuko-san apparvero dal nulla, come la prima volta, superandolo di corsa e gettandosi addosso a Kurogane, seguite da Kohane.
“Cosa desideri?” domandò lei con un lieve e candido sorriso.
“Sono venuto a prendere il mio crisantemo” rispose Fay, sorridendo a sua volta.
La bambina sbirciò discretamente alle sue spalle: non stava guardando il povero Kurogane atterrato che cercava di scrollarsi di dosso le due ragazzine.
“Dunque tuo fratello se n’è andato” osservò Kohane senza troppi giri di parole.
Fay annuì. “Per questo sono venuto a scoprire il significato del crisantemo.”
“Il crisantemo è soltanto un simbolo: il suo significato lo porti già dentro di te.” La voce profonda provenne dall’interno del negozio, accompagnata dalla nebbia… no, si trattava di una nuvola di fumo bianco. Dall’oscurità apparve una donna alta e sensuale, dai lunghi capelli neri e un vestito che lasciava poco all’immaginazione.
Si prese il tempo necessario a produrre un nuovo nastro di fumo dalle labbra rosse, prima di riprendere a parlare. “Ti devo ringraziare per il vaso.”
Fay ritrovò il filo dei suoi pensieri qualche istante più tardi. “Lei è Yuuko-san.”
“Esattamente. Tu sei il ragazzo che è venuto a consegnarmi il vaso che mi occorreva e per questo ti devo una ricompensa.”
Fay sollevò le mani in un educato gesto di diniego. “Non ce n’è bisogno, sono già stato pagato a sufficienza per questo.”
Yuuko posò il suo sguardo sulla sua gamba e sorrise con una sfumatura di furbizia. “Da quel che posso vedere i conti non sono ancora stati pareggiati.”
Fay lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, con un sorriso sconsolato. Non gli andava molto di rivangare ancora una volta l’avvenimento, ma le espressioni delle due dimostravano l’attesa di una risposta.
“Sono già stato troppo fortunato per meritare qualcosa in più.” Non si voltò, ma il suo sguardo si volse mentalmente a Kurogane che litigava animatamente con le bambine, sdraiato sull’erba del giardino. “Mi trovo ancora qui solo per caso, solo perché le mani di qualcuno hanno tremato quel poco sufficiente a risparmiarmi la vita, solo perché qualcuno col mio stesso gruppo sanguigno mi ha voluto abbastanza bene da volermi salvare.”
Yuuko ridacchiò, come chi conosce già la soluzione a un enigma ma si diverte a osservare i comuni mortali che tentano inutilmente di risolverlo. “Tu credi che si tratti di un caso? Non ti pare, invece, che tutto questo sia accaduto proprio perché tu potessi trovarti qui, in questo preciso momento, ad ascoltare la mia proposta?”
Fay non riuscì a fornire una risposta sensata: ciò che Yuuko-san gli aveva detto gli risultava completamente nuovo. Forse perché mai, nella sua vita, si era ritrovato a pensare di avere un obiettivo che lo aspettava.
“Questa è la verità” proseguì Yuuko, “è piacevole, vero?”
Il sorriso loquace che gli rivolse fece capire subito a Fay il reale significato di quella frase. Conoscere la verità su Yuui l’aveva liberato da un peso immenso; rivelare i suoi veri sentimenti a Kurogane gli aveva assicurato infiniti momenti felici con lui, in futuro.
“Alla fine di tutto, è la verità la soluzione ad ogni domanda.”
Era già la seconda volta che le persone di quello strano negozio facevano sentire Fay un idiota integrale, perciò gli venne spontaneo riderci su. “Grazie, allora, per avermi messo di nuovo di fronte alla verità. Ogni volta che avrò bisogno di qualcosa tornerò in questo negozio.”
Era il momento di andare a salvare Kurogane dai giochi improbabili a cui le due bambine lo stavano sottoponendo, così sollevò la mano in un gesto di saluto e fece per voltarsi.
“Ci vediamo dopo Natale, dunque” concluse Yuuko, con una certa spavalderia. Fay la guardò con aria interrogativa.
“Riesce persino a prevedere quando avrò bisogno di aiuto?”
“Ovviamente sì, ma non mi riferivo a questo. Da dopodomani lavorerai qui. E’ questa la mia ricompensa.”
Un urlo di Kurogane spezzò il silenzio stupefatto in cui era precipitato Fay. “Staccatevi, dannate marmocchie, o non risponderò più delle mie azioni!”
La neve cessò con discrezione di cadere, lasciando il giardino sotto una coltre candida che a Fay era tristemente familiare ma che, stranamente, non lo soffocava più con i proprio ricordi.
“Andiamo, Kuro-sugar!” Spazzolò la giacca di Kurogane dalla neve. “Ti sei rotolato dappertutto, sei proprio un cane.”
“Non dire idiozie!”
Quando il moro fu nuovamente in piedi, libero dalle bambine, Fay si aggrappò al suo braccio e sollevò l’altro per salutare.
“Accetto volentieri la sua offerta, Yuuko-san! Ci vediamo dopodomani.”
La donna rispose con una nuova boccata di fumo e una delle sue occhiate eloquenti, ma allo stesso tempo indecifrabili.
 
Con un po’ di delusione da parte di Fay, l’appartamento si presentò molto più ordinato di come lo aveva lasciato. Approfittando della sua assenza, Kurogane non si era risparmiato nelle pulizie.
Il pavimento era del tutto sgombro, non c’era più traccia dei calzini, libri e bicchieri da vino sparsi ovunque, i tappeti erano ordinatamente disposti, il divano non era più sommerso dai volumi dell’enciclopedia e nell’angolo del salotto c’era persino quello che Fay, con stupore, interpretò essere un’umile interpretazione di un albero di Natale. In realtà era un grosso bonsai con un paio di palline rosse e una stella dorata attaccata sulla cima. E poi c’era la luce, quella che era costata assai più di una normale bolletta.
Senza pensarci – non aveva più bisogno di farlo, ormai, bastava affidarsi al suo istinto - si voltò e abbracciò Kurogane.
“Grazie. Grazie.” Lo disse due volte. Non gli sembrò sufficiente. “Grazie.”
Il moro rispose all’abbraccio, probabilmente per farlo smettere.
“Mi porti al divano?” chiese Fay, sorridendo candidamente.
Kurogane virò al rosso in meno di un secondo. “Sei scemo? Cosa intendi fare in queste condizioni?”
“Ma a cosa pensi, Kuro-porn?! Mi voglio sedere!”
Kurogane si ammutolì e lo accompagnò al divano. Appena seduto, Fay si mise a trafficare con il cuscino quadrato appoggiato al bracciolo, aprì la cerniera della fodera e ne estrasse un pacchettino. Il moro, nel frattempo, si era seduto di fronte a lui, per terra, sul tappeto.
“Questo è il mio regalo per te!” annunciò felice Fay, tendendo le braccia.
Kurogane fissò il pacchetto con un sopracciglio sollevato. “Avevi detto di non avere regali.”
“Ti ho detto una bugia. Questo l’ho preso quando sei stato assunto al dojo.”
Kurogane prese il pacchetto con una delicatezza a lui estranea e lo scartò lentamente, come se temesse di essere aggredito dal nastrino rosa che lo chiudeva.
L’espressione che assunse quando estrasse l’oggetto fu ancora più sconcertata, ma si avvicinava anche molto allo schifato.
“….cos’è?” domandò dopo aver ritrovato la parola.
Fay gli prese dalle mani il piccolo pupazzetto di una ragazzina vestita di rosa, con un tamburello in mano e un fischietto in bocca, lo appoggiò sul pavimento e premette il pulsante per azionarlo. Questa si esibì immediatamente in un concerto di sonagli e fischi e incitazioni a muovere il bacino.
“Con questo lavoro avrai bisogno di essere in forma fin dal mattino” spiegò Fay, “questa è una bambola che ti tiene in esercizio! Non è adorabile?”
Kurogane non si sprecò in parole, ma spinse con decisione il bottone per spegnerla. Il biondo non si aspettava altro. Fu ripagato dalla fugace, quasi impercettibile ombra di gratitudine che attraversò gli occhi di Kurogane, il quale si alzò e scomparve per qualche minuto in camera. Quando tornò reggeva tra le braccia una montagna di vestiti.
“Cosa sono?” chiese Fay sinceramente stupito.
Senza rispondere si inginocchiò di fronte a Fay e iniziò a prendere un vestito alla volta dalla pila che aveva appoggiato di fianco.
Il primo fu un maglione azzurro che fece indossare a Fay senza costringerlo ad alcun movimento. Pareva stesse vestendo un bambino. Il biondo era troppo curioso e sorpreso da quei gesti per collaborare.
Fu la volta di un altro maglione, arancione, con cappuccio, poi un altro, più pesante, verde.
Dalla pila di vestiti emerse una giacca leggera bianca, poi una più pesante, di un bianco diverso, una foderata di pelo, blu, un cappotto corto, due, un terzo più lungo.
Poi le sciarpe, tante, avvolsero il collo di Fay che rischiava di soffocare, ma non mosse un muscolo, ammaliato dal quel rito che portava in sé una strana tenerezza.
Fu il turno dei cappelli, cinque, e per finire tre paia di guanti.
Kurogane si allontanò leggermente per osservare il risultato finale.
“Non voglio più che prendi freddo, ti vieto di uscire senza coprirti abbastanza. Questo è il mio regalo.”
Fay era consapevole di avere l’aria di un pulcino schiacciato sotto quella montagna di lana e stoffa, ma non fu per il caldo che le sue guancie si arrossarono e gli occhi iniziarono a lacrimare.
“Ma… Kuro-tan, tu…” Non fu in grado di terminare la frase.
Non capisci. Tu, il regalo, me l’hai già fatto. Mi hai regalato la vita.
Fay fu ancora più contento del dono nel momento in cui Kurogane iniziò a spogliarlo con estrema gentilezza. Avere così tanti strati gli consentì di assaporare a lungo quel dolcissimo momento.
La mano di Kurogane accompagnò la testa di Fay sul divano, mentre il resto del suo corpo veniva disteso, con la stessa grazia e attenzione con la quale si maneggia una bambola di porcellana.
I guanti e i cappelli vennero sfilati con estrema cura, mentre il suo viso veniva accarezzato come per accertarsi che non venisse danneggiato. Le dita di Kurogane passarono sopra alla benda sull’occhio sinistro, sulle labbra che accolsero le sue in un morbido incontro, poi scesero a liberarlo dall’abbraccio delle sciarpe per lasciare il posto al suo.
Negli occhi di Kurogane vi era una dolcezza che il biondo non avrebbe mai immaginato di vedere. Qualcosa di totalmente nuovo ma così rassicurante che Fay ebbe l’assoluta certezza di volerlo rivedere all’infinito.
Forse si trattava della reale espressione di Kurogane, forse anche lui l’aveva inconsciamente nascosta fino a quel momento, forse no, ma se era così allora Fay ammise che la verità era ciò che di più caldo e delicato c’era al mondo.
 
 
 
 

 
 
[¹] Marguerite Yourcenar
 
 



 
 
Bene, ora posso sciogliermi in lacrime? Sì? Avete visto quanto fluff??? Non è da me! E’ colpa della disperazione! Non posso credere di essere arrivata davvero alla fine… a dire il vero non credevo nemmeno di arrivare a un inizio. L’idea che ha dato vita a questa fanfiction era talmente assurda e campata in aria che non avrei mai immaginato di poter scrivere così tanti capitoli e, soprattutto, di ricevere così tanti pareri positivi.
Finora ho scritto pochissime ff, nessuna che non fosse one-shot. Avere così tante persone che ci seguono mi ha reso davvero felicissima e non finirò mai di ringraziarvi.
Questo capitolo era interminabile, ogni volta che credevo di essere arrivata alla fine non avevo il coraggio di smettere e così proseguivo. In realtà potrei andare avanti ancora per una buona ventina di pagine ma per il meglio di tutti è meglio finirla qui.
Riflettiamo solo qualche istante su Kurogane. Non ho voluto – e non penso di averlo fatto – andare OOC. Semplicemente ho pensato a una naturale evoluzione del suo rapporto con Fay. Se non ci fossero stati re da infilzare e braccia da tagliare, come si sarebbe comportato il caro ninja una volta accortosi di tenere in modo particolare allo stupido mago? Ho pensato che il desiderio di proteggerlo da se stesso e dalla simpatica propensione di Fay all’autolesionismo – che non è poi molto distante dall’originale – potesse andare bene, quindi il puccioso Kuro-love decide di impedire a Fay di andare ancora in giro mezzo nudo (disgrazia per noi) a prendere freddo. Non è kawaiiii???!
Sì, ho finito, ora levo le tende. Sicuramente riapparirò alla fine della Z per i ringraziamenti finali e, foooorse…. anche una sorpresa! ^___^
Arrivederci a tutte e grazie ancora, davvero!
 
Yuri

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Capitolo 20
*** Zero ***


ff-EC 20 Eccoci qui, dunque.
Il grande momento è arrivato. Mi sembra davvero passato un giorno dalla pubblicazione del primo capitolo, e invece sono quasi passati cinque mesi! Settimana dopo settimana, nonostante i vari ritardi, abbiamo creato questa sorta di rituale che, inutile a dirsi, ci mancherà tantissimo. Vedere le recensioni, tutte le visite, i preferiti e i seguiti ci da una soddisfazione enorme, e per questo lasciatemi dire un semplice ma sentitissimo grazie. A tutte voi, a Tomoyo93, Yua, FireAngel, ViKy_FrA, Oceanredwhite, Thyarna, Covianna, Roy4Ever, Julia_Urahara, alla mitica Vale, che nell’ombra ha sempre letto e sopportato i miei discorsi Kurofayosi su questa “crisi enciclopedica” e a chiunque abbia seguito questa fan fiction sopportandoci per tutto questo tempo e soffrendo con noi (e con il Kurofay, ovviamente…) ^___^ *inchin*
Infine eccomi, da brava smelensa, a ringraziare colei senza la quale non avrei scritto questa ff, visto che l’idea è nata tutta da lei e che mi ha supportato (ma soprattutto sOpportato) durante i miei lamenti e crolli di autostima vari (e ce ne sono stati parecchi) XD Grazie Yuri J [e anche se in questo istante è al mio fianco, ci tengo a ringraziarla pubblicamente lo stesso]
Dunque è arrivato il momento dell’ultimo capitolo. Sappiate che per me è stato davvero difficilissimo da scrivere, un po’ perché mi sentivo la responsabilità del finale, che non è da poco, un po‘ per il solito timore dell’ OOC! ^.^’7 Spero davvero tanto di non avervi deluso: è fluffosità allo stato puro, proprio come si addice a me! XD Non mi resta altro che augurarvi una buona lettura… ci vediamo in fondo al capitolo per i saluti!
Momoka
 
 
ZERO: “Il punto di partenza di una serie, di una successione. Cominciare da capo, spesso usato in contesti lavorativi e affettivi.” [¹]
 
Quando Kurogane si svegliò, accecato da un piccolo raggio di sole che si rifletteva sulla neve morbidamente appoggiata sul davanzale, fece fatica a riconoscere la propria stanza, abituato dopo tutte quelle settimane a dormire in una brandina ospedaliera. Si ricordò violentemente che tutto era finito e a questo pensiero gli venne quasi spontaneo spostare la mano alla sua destra per verificare che quella massa disordinata di capelli e coperte fosse realmente accanto a sé, e non fosse solo un sogno. Lo fissò: la testa affondata nel cuscino, le coperte ai suoi piedi, lasciandolo del tutto scoperto. Gli venne automatico coprirlo con la propria porzione di lenzuolo, prima di alzarsi. Lo sguardo si soffermò sui suoi capelli biondi, resi ancora più chiari dalla luce nella stanza per poi cadergli sulla benda ospedaliera che ancora copriva il suo occhio. Senza nemmeno rendersene conto scostò una ciocca e gli baciò proprio quel punto. Mentre lo faceva però sentì l’altro emettere dei piccoli mugolii, cominciando a muoversi e riconoscendo quei momenti si spostò veloce prima che si svegliasse del tutto e lo beccasse in un gesto così poco usuale per lui.
“Buongiorno, Kuro-chan!” disse Fay, con la bocca ancora intorpidita dal sonno, aprendo appena l’occhio e perdendosi in un sorriso appena abbozzato, ma luminoso.
“Umh, ‘giorno.” rispose il moro, vagamente imbarazzato da quella scena così bella.
“Non mi piace questo buongiorno! Ne voglio un altro… come quello di prima!”
“Cosa stai dicendo?” era inutile fingere di non saperne nulla, perché il suo tono di voce si era automaticamente alzato nel pronunciare l’ultima frase. Beccato.
Sentì l’altro ridere alle sue spalle, affondando il volto nel cuscino. Un’improvvisa voglia di farlo smettere prese possesso delle sue mani che andarono a cingere il collo del pigiama del ragazzo per avvicinarlo a sé e avvolgerlo in uno dei suoi abbracci improvvisati e disordinati, ma che Fay sembrava apprezzare, spesso con degli strani versi terribilmente somiglianti a quelli di un gatto.
Sentì il volto dell’altro alzarsi, la mano salire fino al suo mento per abbassarlo e consentirgli di baciarlo. Kurogane si trovò a ripensare, mentre le loro labbra si staccavano dolcemente, a come potessero essere assurdamente complementari: il corpo così mingherlino e fragile di Fay sembrava fatto per essere accolto nel suo.
“Buon natale Kuro-pon!” gli soffiò sulle labbra.
“Sì sì, buon natale anche a te… dai ora alzati che andiamo a fare colazione.” rispose, imbarazzato da tutta quella scena, mentre le guancie cominciavano ad imporporarsi. Cercò di ignorare le proposte di nuovi dolcetti melensi per festeggiare, mentre Fay gli ronzava attorno entusiasta come un bambino. Prepararono la colazione assieme per poi gustarla sul divano, davanti al loro bonsai, mentre la neve continuava a scendere.
Kurogane fissò più volte il biondo, sbirciando dalla tazza del caffè, o tra un boccone e l’altro del suo toast perdendosi tra i pensieri. Era felice di averlo di nuovo lì, davanti a lui. Vederlo immerso di nuovo nel loro solito ambiente era rassicurante, non c’era più il triste e anemico sfondo dell’ospedale e finalmente si rese conto di quanto la loro vita fosse effettivamente ricominciata per il verso giusto.
Era talmente perso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse che l’altro aveva iniziato a parlare.
“E dunque, Kuro-bim, cosa ne dici?”
“Umh, va bene.” si trovò a dire prima di poter chiedere delucidazioni a riguardo o di ammettere di non aver ascoltato nemmeno una parola, perso com’era in certi stupidi e smidollati pensieri. Peccato che il volto tutto illuminato di gioia e infantile entusiasmo di Fay non facesse presumere niente di buono.
“Ehy aspetta, che diavolo hai in mente di fare?!” troppo tardi.
Un secondo dopo la tazza di caffè del biondo fu abbandonata per terra, mentre questo, zoppicante e malfermo, ma determinato, si fiondò in camera.
Quando il moro lo raggiunse lo trovò a ripescare dall’armadio i maglioni e gli accessori che il giorno prima gli aveva messo addosso.
“Cosa diavolo hai intenzione di fare?!”
“Ma te l’ho appena detto Kuro-smemo! Andiamo fuori a giocare a palle di neve!”
Non riuscì a rispondere per alcuni momenti, mentre dentro di lui lottava la preoccupazione per Fay e il rifiuto automatico che quel tipo di attività provocavano in lui. Quando finalmente aprì la bocca per esprimere la giusta reazione al tutto un maglione rosso fiammante gli volò in testa coprendolo. E fu così che acconsentì.
Accompagnò fuori il biondo con calma, continuando a raccomandargli di stare attento, di evitare il ghiaccio e la neve poco stabile. Sapeva che suonava assolutamente patetico, si sentiva peggio di una madre apprensiva, e questo aumentava continuamente il suo disagio, facendolo arrossire fino alla punta delle orecchie, nonostante desse la colpa al freddo.
A causa del gelo le strade erano pressoché deserte, l’unico presente era il vicino di casa, il signor Clow Reed, impegnato a spazzare via la neve dal vialetto e che si limitò a salutarli appena con un cenno del capo.
Stava rispondendo al saluto dello strano individuo della casa accanto, quando sentì qualcosa di molto bagnato e freddo piombargli in faccia.
“Suuuu, Kuro-fight! Combattiamo!”
“Ehy idiota! Cosa stai combinan…” non riuscì a terminare le frase che un’altra palla di neve gli finì tra il naso e la bocca.
“Tsk, vuoi la guerra? Non sai chi hai contro.” Un ghigno sadico si dipinse sul suo volto, mentre i suoi occhi si accesero di sfida.
Dopo una decina di minuti di schivate e lanci mirati, capì che se voleva vincere quella battaglia, avrebbe dovuto puntare su un attacco improvviso e soprattutto che prendesse l’altro di sorpresa. Approfittò di un momento di distrazione di Fay per raccogliere più neve possibile e con uno scatto rapido riuscì a sorprenderlo alle spalle, sommergendolo con l’enorme palla di neve. L’altro si voltò, rosso in volto, con un piccolo cocuzzolo di neve sui capelli e la bocca aperta in un’espressione di sorpresa. Kurogane lo fissò, soddisfatto di sé stesso e della sua vittoria. Era riuscito a batterlo in quello stupido gioco in cui l’aveva trascinato e l’aveva lasciato muto come uno stoccafisso, aveva ben due motivi per gongolare in quel momento!
Poté gustarsi la vittoria solo per qualche istante, prima che l’altro reagisse buttandolo a terra tra la neve. Nel farlo doveva aver perso l’equilibrio perché cadde a sua volta accanto a lui, ridendo come un bambino.
Kurogane cercò subito di alzarsi quando il biondo lo prese per la mano e rotolò dolcemente sopra di lui.
“Ti ho sconfitto Kuro-Rudolphe!”
“Che diavolo di soprannome è questo! Dannato idiota!”
“Hai il naso rosso come la renna di Babbo Natale!”
“Che assurdità vai dicendo!” stava per scrollarselo di dosso quando l’altro si avvicinò avvolgendolo in un caldo bacio, stringendogli le mani nelle sue.
Riaprì gli occhi e si trovarono a fissarsi, a pochi centimetri l’uno dall’altro, i loro nasi che si sfioravano ancora, i loro respiri che si riscaldavano a vicenda e Kurogane si perse nell’azzurro di quell’unico occhio che brillava per lui.
Per la prima volta dopo tanto tempo non si stava preoccupando di quelli che potevano vederli, ai vicini che avrebbero potuto giudicare negativamente la scena, non sentiva nemmeno il freddo o il fastidio dello scomodo appoggio, perché una violenta sensazione lo scosse.
Era la percezione che tutto stava ricominciando da zero. La perdita del lavoro, l’incidente, la sofferenza in ospedale erano cose successe in una vita passata, ormai distante da loro, che non li avrebbero più toccati. Ma quando era iniziato il tutto?
Chiuse nuovamente gli occhi coprendo quella piccola distanza che separava le loro labbra, unendole in un dolce bacio. Se lo ricordava bene, il momento in cui la sua vita era davvero ricominciata da zero.
Era una afosa domenica estiva, stringeva tra le mani un piccolo pacchetto regalo e aspettava impaziente Sorata e la sua nuova mogliettina, una certa Arashi. Non vedeva l’ora di consegnare quel dannato set di argenteria preso a caso dalla lista nozze e tornarsene al suo piccolo e fresco mondo con l’aria condizionata. Aspettare per quasi un’ora alla stazione dei treni si stava rivelando molto più fastidioso di quanto credesse, senza considerare che aveva avuto la pessima idea di vestirsi completamente di nero, attirando così ancora di più tutto il calore circostante.
“Tsk, altri cinque minuti e me ne vado! Tu guarda se è possibile aspettare questi due per tutto questo tempo” continuava a borbottare da solo, calciando ogni tanto il cartello pubblicitario dietro di lui, nella speranza di sbollentarsi un po’, ma questo non faceva altro che aumentare il suo cattivo umore, specie quando il piede mirò con troppa forza sul pannello di plastica, facendolo cadere a terra con un tonfo.
Stava indietreggiando per allontanarsi dal pasticcio che aveva combinato, quando sentì qualcuno finirgli addosso, facendogli cadere il pacchetto con un tonfo metallico.
“Dannato idiota, sta attento a dove vai!” Quando si voltò vide un uomo a terra, mentre davanti a lui c’erano finalmente Sorata e una ragazza che immaginò essere Arashi.
“Ciao Kurogane! Scusaci per il ritardo, ma la mia honey mi distrae con la sua bellezza e il tempo vola da innamorati...”
L’altro, di risposta, non si preoccupò minimamente del biondo a terra, preso com’era dal sistemare al volo il regalo danneggiato per consegnarlo ai novelli sposi, quando ad un tratto sentì il ragazzo chiamarlo:
“Ehy tu, uomo nero! Mi dai una mano ad alzarmi?!”
“Chi diavolo hai chiamato uomo nero?”
“Tu! Su aiutami, uomo nero!”
“Ahahahah, vedo che andate d’accordo!” esclamò Sorata, divertito da quella scena, mentre il biondo cercava di alzarsi da solo, massaggiandosi la schiena dolorante.
“Lo conosci?” commentò sorpreso Kurogane, immaginandosi che fosse soltanto uno sprovveduto che capitava lì per caso.
“Certo che sì! Lui è stato il damigello al matrimonio con la mia bellissima honey, era un mio collega, ci tenevo a presentartelo!” rispose di rimando l’altro, mantenendo un sorriso divertito sul volto e aiutando l’amico a sistemarsi dopo la caduta.
“Sono Fay D. Flourite. Mentre tu sei… Kuro-chan, giusto?”
“Come mi hai chiamato?!” si trovò a gridare, mentre persino i passanti li fissavano, straniti. Gli strinse la mano, indifferente, e spostando lo sguardo dall’amico a colui che aveva davanti a sé, si soffermò, anche se per pochi, impercettibili secondi, sui suoi occhi. Era sicuro di aver già visto quell‘azzurro così intenso, da qualche parte. Stava per chiedergli se si erano incontrati precedentemente da qualche parte, quando l’altro ricominciò di nuovo con le sue stupidaggini, interrompendo il corso dei suoi pensieri.
“Umh, preferisci Kuro-pon?”
“Mi chiamo Kurogane, brutto idiota!”
“Hai visto Arashi, te l’avevo detto che sarebbero diventati amici!”
Il battibecco continuò per molti minuti, tra i commenti divertiti di Sorata e il solito silenzio di sua moglie.
“Bene, io e la mia dolce metà dobbiamo salutarvi, abbiamo tante cose da fare prima di partire per il viaggio di nozze, ma ti lasciamo in buona compagnia! Divertitevi!”
“Cosa diavolo? Non mi lascerai mica con questo qui!” esclamò furioso Kurogane.
“Oh, com’è cattivo Kuro-koi nei miei confronti! Non ti preoccupare, Sorata-chan, ci penso io a lui! Andate pure! E buona partenza per domani!” E detto ciò, li salutò con la mano, mentre prendeva per il braccio Kurogane e lo trascinava via.
“Dove accidenti mi stai portando?”
“Ahhh, Kuro-pippi, sei sempre così scorbutico con tutti?! Per forza che poi fai paura alla gente!”
Continuarono così per parecchio tempo, tra un nuovo soprannome di Fay e l’ennesimo improperio del moro. Finalmente raggiunsero il parco vicino e il biondo si fermò ad una panchina, lasciandovisi cadere stancamente.
“Beh senti, non so cosa devi fare tu, ma io me ne voglio tornare a casa.”
Lo sguardo dell’altro si spense mentre diceva queste parole, per poi riaccendersi, animato da ciò che solo più avanti avrebbe riconosciuto come l’ennesimo, e terribilmente falso, sorriso.
“Ma Kuro-tan, sei proprio un bruto! Abbandonare così una persona, al primo appuntamento!”
“Che oscenità vai dicendo, brutto idiota!!”
La risposta dell’altro fu una sonora risata, che investì il moro in una maniera che non immaginava possibile. Si ridestò subito da qualsiasi tipo di pensiero per alzarsi dalla panchina e andarsene. Non aveva intenzione di diventare l’oggetto dello scherno di quel tizio!
“Va bene, va bene, non dirò più certe frasi, Kuro-wanko! Solo conversazioni serie, d’ora in poi!” L’aveva raggiunto e dicendo questa frase s’era aggrappato al suo braccio, ciondolandosi contro di lui.
“Tsk, ok. Ora staccati però.”
Si riaccomodarono sulla panchina e iniziarono a parlare di sé, del lavoro e di tutto il resto. Sebbene agli inizi Kurogane si limitasse a rispondere a monosillabi, alla fine si sciolse e prese parte più attivamente al dialogo.
In un momento di silenzio, lasciandosi rinfrescare dal venticello che attraversava gli alberi, si trovò a pensare che quell’idiota non lo era poi così tanto e, quando non ricorreva a certi soprannomi o a frasi stupide, poteva anche essere una persona interessante. Non che questo capitasse spesso, ma ogni tanto sembrava riuscire ad intavolare una conversazione sensata.
Alla fine il sole cominciò a calare ed entrambi fissarono l’orologio stupiti. Erano su quella panchina da quasi cinque ore.
“Ma tu guarda che ora è! Ho perso tutto il pomeriggio…” esclamò Kurogane, alzandosi con uno scatto, mentre Fay si limitava a guardarlo sorridendo.
“Sì, sarà meglio tornare a casa ora.”
“Va beh, ci vediamo” concluse secco il moro, già perso a ricordare gli orari dei treni per il ritorno.
“Aspetta, ti accompagno alla stazione! Tanto casa mia è in quella direzione.”
L’altro si limitò ad annuire, scrollando le spalle.
Una volta arrivati al binario di partenza del treno del moro, si trovarono nella classica situazione di impaccio ed imbarazzo prima del saluto.
Kurogane si limitò ad un abbozzato “ciao”, prima di voltargli le spalle per salire sul treno, ma Fay lo prese per il braccio, estraendo una penna dalla propria borsa e scrivendogli sul palmo della mano quello che sembrava un numero di cellulare.
Mentre il moro lo fissava, stranito da quel gesto inaspettato, l’altro si avvicinò e lo baciò sulla guancia, per poi correre via, sparendo nella folla.
Kurogane si trovò così solo ed inebetito da quello strano tizio che era entrato prepotentemente nella sua vita e che lo infastidiva sopra ogni cosa, ma che provocava in lui un qualcosa alla bocca dello stomaco che non riusciva a definire. Il suo cuore doveva aver saltato qualche battito, nel momento in cui Fay si era avvicinato per baciarlo sulla guancia, arrossata a causa dell’imbarazzo.
Ora Kurogane, mentre si staccava per la seconda volta dalle labbra del biondo immerso nella neve, poteva affermare con assoluta certezza che era stato quello il momento in cui la sua vita era cominciata da zero.
Con un nuovo meraviglioso inizio.
“Ti amo, stupido idiota.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[¹] Dizionario online
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E così è finita.
Non solo il capitolo è pieno zeppo di Fluff e ammmmore ma vi ho anche servito un finale con tanto fan service sooooolo per voi! ^.^// L’ultima parte è stata a lungo sofferta ma, dopo lunghe riflessioni e richieste di consigli asfissianti, non credo che la dichiarazione di Kurogane sia così OOC, se detto nel modo giusto e se a questa segue la giusta reazione ;) *si perde a fantasticare* Sì, avrei scritto altri km, proprio come Yuri!! T___T E’ un vizio comune! :P E così si è anche scoperto come i nostri due piccioncini si sono conosciuti… l’idea di concludere la fan fiction con il loro primo incontro è sempre rimasta nella mia mente, sin dall’inizio di questa avventura, ma non l’avevo assolutamente pensata in questo modo… anzi, non ne avevo proprio la minima idea di come i due si fossero conosciuti! Scrivendo mi è uscito così, e spero possa essere apprezzato! Sorata e Arashi sono i primi due personaggi che appaiono nel loro viaggio dimensionale, e i soprannomi che Fay appioppa a Kurogane sono proprio i primi che gli da anche nel manga! Sono stata brava, vero?!
Beh, è ora di finirla di tergiversare… vi avevamo promesso una sorpresina, vero?! E siccome siete stati davvero bravi, direi che ve la siete meritata! ^__^7 Lascio dunque la parola a Yuri!
 
Ciaoooooo~  =___= (Feliciano-mode) Come promesso sono riapparsa alla fine della fine… e sono qui per annunciarvi che in realtà non siamo alla fine! XD Come avrete notato non abbiamo ancora dichiarato conclusa la fic perché a breve pubblicheremo, di seguito, un capitolo extra dove risponderemo puntualmente ad ogni recensione che scriverete a proposito di Zero! Perciò rivolgo un appello a tutte: è l’occasione anche per coloro che finora hanno letto nell’ombra delle loro stanzette (vero Vale? Ti vediamo! XD) di scrivere, criticare e domandare qualunque cosa sulla fic.
E, per concludere, pubblicheremo per voi quattro drabble su…… (rullo di tamburi che non importa a nessuno) il seguito di Encyclopedic crisis! Anzi, si tratta più che altro di un prequel, della storia di come i nostri pucciosi compagniucci di giochi *si perde un po’ tra stelline e ricordi yaoi* si sono conosciuti. Gli approfondimenti su questa nuova fic nell’Extra.
Perciò, una volta per tutte, vi saluto e vi mando tanti baciiiiiii!
 
*Momoka si rimpossessa della sua postazione al computer* Bene, tocca a me! Spero che la non-fine sia una cosa gradita quanto lo è per noi… proprio non ce la facciamo a separarci da voi, c’è poco da fare! Vi adoriamo troppo! :) Siccome, come ho già detto nei miei precedenti monologhi, questo capitolo oltre ad essere l’ultimo è stato uno dei più difficili da scrivere per me, cosa ne dite di bearci di tanti tanti commenti?! Vi preeeeego! Vogliamo il pienone! :P Accetto di tutto, dalle critiche (e ce ne saranno, visti gli errori che avrò sicuramente fatto nonostante io l’abbia riletto e strariletto, scritto e riscritto) ai complimenti (Tsk, illusa -.-)… ^___^ Di solito non sproniamo i poveri lettori alle recensioni ma stavolta facciamo un’eccezione.. l’ansia e la tristezza si fanno sentire ç___ç
Concludo, per il momento, dicendo che saremo al Cartoomics di domenica con il gruppo di XxxHolic… Yuri sarà Yuuko, mentre Momoka sarà Clow Reed (il vicino inquietante che passa il suo tempo a spazzare il viottolo e a spiare i nostri piccioncini con il suo sorriso beota, proooprio lui XD)! Dunque, spero che qualcuno di voi ci sia per incontrarvi dal vivo! <3
Mando un bacione enorme e un grandissimo abbraccio ad ognuno di voi, salutandovi per il momento e sperando di vedervi ancora numerosissimi come sempre al chap extra! *asciuga lacrimuccia di commozione*
Momoka

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Capitolo 21
*** Extra ***


EC-extra
_-_EXTRA_-_
 
 
 
Ben trovate!! Ve l’abbiamo fatto sospirare questo extra, eh??? *silenzio* …ma forse no…
Non c’eravamo dimenticate di voi, non temete! Colpa di tutti questi cosplay da preparare e del fatto che, ogni tanto, ci ricordiamo anche del mondo reale e ci mettiamo a studiare.
Siamo qui pronte, come promesso, a rispondere singolarmente ad ogni recensione che ci avete lasciato dopo l’ultimo capitolo, per salutarvi come si deve (neanche partissimo per l’Alaska… che pateticheeeee!)
Partiamo in ordine cronologico.
 
@Adrienne Riordan: Ci ha fatto particolarmente piacere la tua sincerità, ma, ancora di più, il fatto che nonostante la fic non ti coinvolgesse tu sia riuscita a sopravvivere fino ai capitoli angst! Davvero, complimenti per la determinazione e la sopportazione! Tutto ciò ci onora davvero.
E’ chiaro che l’angst attira, è l’oppio delle fanwriter e delle fanreader e stai sicura che, se vorrai continuare a seguirci, non mancherà, anzi! Stiamo cercando di affinare le nostre capacità per regalarvi altri momenti di pura e stuzzicante sofferenza (anche se non mancheranno mai le fic idiote, di quelle abbiamo il cervello che straripa -___-)
 
@Tomoyo93: A te dobbiamo un sentito ringraziamento per il tuo sostegno costante che ci spronava a pubblicare i capitoli con regolarità (o almeno, ci abbiamo provato) sapendo che ci aspettavi fedele al di là dello schermo XD
Ciò non toglie, ovviamente, che questo ringraziamento vada a tutte, ma proprio tutte, anche a coloro che non recensiscono. Non ci limitiamo certo ad affezionarci solo a chi ci elogia.
Speriamo davvero di averti come nostra mascotte anche nelle nostre future sfornate!
A presto!!
 
@Fire Angel: Non credere che ci spaventiamo se recensisci con un garbuglio incomprensibile di versetti da fan girl. E’ la modalità con cui ci esprimiamo costantemente anche noi. Anche a te rivolgiamo le stesse parole che abbiamo detto a Tomoyo: grazie per il continuo supporto! Siamo felicissime di saperti con noi anche nei prossimi trip (perché questo sono e niente di più XD)
 
@Yua: Che dire… in effetti siamo parecchio ripetitive. Come avremmo fatto senza le tue inesauribili e interminabili recensioni?? XD Ci hai dato delle soddisfazioni che non immagini nemmeno, i tuoi commenti sono sempre stati completi e costruttivi, perciò grazie!
Siamo felici che tu abbia gradito la fine, davvero sofferta! Alla fine, volendo assolutamente agganciarci un seguito, ma soprattutto cercando di dare un senso al titolo “Zero”, quella di ripescare le origini ci è sembrata l’idea migliore e a quanto pare ci abbiamo azzeccato. Chissà cosa sarebbe successo se avessimo scelto “Zuzzurellone?! XD (non sarebbe stato molto diverso, tanto la lascivia ce la mettiamo sempre!)
Sorvoliamo sull’ooc e sulla costante paranoia di Momoka che ha rischiato di far impazzire Yuri e che, alla fine, trovava in voi sempre sufficiente e anche esagerato perdono!
Riguardo al finale del manga…. Beh, noi l’abbiamo letto e… diciamo soltanto che il fatto che abbiate apprezzate il nostro è positivo per noi ma anche moooolto per voi XD
 
Perciò concludiamo con la sorpresa promessa, l’anticipazione del seguito ovvero del prequel (se non ci incasinavamo anche nell’annunciarlo non eravamo contente)
Si tratta di una fic in 21 capitoli strutturata nello stesso modo di EC, per capitoli alternati, con un titolo per ognuno. La novità sta nel fatto che questi titoli non si ispireranno ad un enciclopedia ma a un vocabolario giapponese e si partirà dalla Z per giungere alla A. Tutto questo ha un motivo, non disperate.
Per quanto riguarda il rating, stavolta dovremo fermarci al verde. Non perché sarà un trionfo di fluff e coccole, ma per il semplice fatto che i protagonisti saranno bambini e noi non ci sentiamo ancora in grado di descrivere nel dettaglio gli strani divertimenti di Kuro-porn XD
L’angst ci sarà, e tanto, accompagnato anche da approfondimenti di personaggi da noi poco o per nulla trattati, quali Ashura-ou, la madre di Fay, i genitori di Kurogane e, ovviamente, il puccioso gemellino.
Per ora abbiamo solo stabilito i momenti salienti e scritto praticamente nulla. Si rivela essere un lavoro impegnativo, quindi non lo leggerete subito, ma promettiamo di impegnarci e di procurarvi, nel frattempo, tante simpatiche idiozie delle nostre e qualcosa (qual cosina….) di puramente angst.
Godetevi le drabble!!! <3
 
 
 
Spelling meeting
 
La neve cadeva spesso, in inverno.
Non aveva mai lasciato quel paese, ma credeva che la neve scendesse lenta anche nel resto del mondo.
Quando cadeva, saliva sul letto che divideva con suo fratello e insieme contemplavano la sua lenta discesa, così discreta, così indifferente, così eterea. Spesso la vedevano per molti giorni di fila, sembrava assurdo che non si stancasse mai di lasciare il cielo.
La vegliavano in silenzio, ma non sapeva se provare gioia o paura al suo cospetto. I sentimenti della neve erano imperscrutabili.
L’unica cosa certa era che la neve copriva le urla di suo padre.

***
 
La mano di suo fratello tremava, quando prese la sua. Negli occhi azzurri c’erano confusione e paura. Quando suo fratello rispecchiava le emozioni nell’espressione, lui non poteva fare a meno di farle proprie: dopotutto avevano lo stesso viso.
“C’è qualcosa di strano.” Guardò la porta della camera da letto.
I suoi timori si trasmisero immediatamente al fratello solo grazie al suo tocco.
Percorsero a piedi scalzi il corridoio tenebroso, fino a quell’altissima porta di legno scuro, che al buio appariva come una grotta senza fine. L’aprirono.
Suo fratello gli strinse la mano più forte.
“La mamma… è sospesa in aria.”*

***
 
Il caldo si stava facendo insopportabile, mentre le urla degli altri bambini in giardino lo raggiungevano nonostante le finestre fossero chiuse. Odiava gli altri bambini, non gli piacevano, non lo facevano mai giocare con loro perché dicevano che era antipatico e sbruffone.
Aveva chiesto alla mamma un fratellino o una sorellina, ma il suo papà non c’era mai e non voleva.
“Non giochi con gli altri?” gli chiedevano sempre le maestre, ma lui scuoteva sempre il capo.
“Io gioco da solo.”
Le maestre finivano sempre per scrollare le spalle, desolate e lasciarlo lì, a distruggere i giochi dei suoi compagni.

***
 
Quel giorno si sentiva contento, perché il suo papà sarebbe tornato a casa e lui l’avrebbe riabbracciato dopo tanto tempo. Non vedeva l’ora di fargli vedere quanto era diventato alto. Avrebbe voluto dirlo anche a quel bambino strano che ultimamente gli era diventato amico, ma erano giorni che era tutto triste e non gli parlava più. Quella mattina non era nemmeno venuto all’asilo. Forse aveva mal di pancia… glielo diceva sempre che non gli faceva bene mangiare tutti quei dolci, ma lui non l’ascoltava mai!
Il giorno dopo sarebbe tornato sicuramente e lui gli avrebbe raccontato tutto del suo papà!
 
 
 
*Chi ha letto Mars ha capito bene di cosa stiamo parlando e ha anche capito che ho scopiazzato :P (ma, probabilmente, ha anche compreso il perché XD)



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