The Scream of the Hawk

di cartacciabianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Antefatto ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I. Antefatto ***


The Scream of the Hawk (Il Grido del Falco) è una long-fiction yaoi sulla coppia Malik/Altaїr post-game.
Nella narrazione delle vicende, che non comprenderanno più di 15-20 capitoli, saranno presenti scene di medio contenuto “lemon”, un alto tasso di spoiler e un finale a sorpresa che si ricollega ad Assassin’s Creed II.
Premetto che potrò non essere costante negli aggiornamenti.
Per il sostegno alla causa “Non dimentichiamoci AC, anche se è uscito AC II” ringrazio PotterWatch – Elisa, che come me ed altri ama molto questa coppia. La fan fiction è inoltre dedicata a lei e alla sua bellissima raccolta, View Points.
Detto questo, mi faccio silenziosamente da parte e vi lascio alla lettura. ^^
P.S. Recensioni gradite :3


I
Antefatto


[…] Il vecchio Maestro si era spento per la mia lama giusto quella mattina, e da allora, dopo la dissipa della verità, sulla gente di Masyaf aveva regnato un’oscura nube di pensiero che io, Malik e gli altri assassini ci eravamo adoperati a stemperare nell’arco delle poche ore che avevano preceduto il calare del sole. Il rito funerario si sarebbe tenuto l’indomani al tramonto, per volere della stessa gente alla quale, sia io che il mio compagno, eravamo stati costretti a mentire. […] Scegliere di non rivelare cosa realmente fosse successo, da una parte ci aveva privato del potere che ci spettava di diritto; avevamo scelto di liberare il popolo da un pensiero negativo di noi e di ciò che era stato prima di noi, ma di questo potevamo facilmente fare a meno. Dall’altra, aveva contribuito ad aumentare l’inquietudine e il sospetto nei nostri confronti, mettendo in forse per la nostra gente il proseguirsi di una vita normale. […] La bugia architettata da me e Malik ci aveva esortati verso un cammino diverso che la nostra gente aveva accettato di buon cuore, non c’erano dubbi su questo, ma ancora ci inquietava il fatto che molti sapessero ugualmente la verità. Gli uomini che Al-Sayf si era portato dietro da Gerusalemme per accorrere in mio aiuto alla cittadella, ovvero gli unici dentro la mente dei quali Al Mualim non era riuscito ad intrufolarsi, ora stentavano a mantenere un rigoroso controllo di sé, predicando tra loro una possibile opposizione che sia io che Malik ci eravamo prefissi di soffocare sul nascere.
I segreti custodi da un così portentoso oggetto sarebbero dovuti essere racchiusi altrove, in un luogo più sicuro di quanto poteva esserlo la nostra impenetrabile fortezza. Stolti, noi uomini col potere di Dio tra le mani, saremmo potuti cadere senza problemi due volte nella stessa buca. Era di questo che io e Malik ci occupammo nelle successive ventiquattro ore, ed era di questo che io e lui avremmo dovuto “serenamente” discutere quella sera, all’insegna di un segreto incontro notturno che, se saputo, avrebbe fatto correre voci.
[…] In tale circostanza, però, sapevamo di poterci fidare di quegli uomini che Malik ancora chiamava “miei fedeli”, “sicari” oppure “apprendisti”, come se il suo tenore di vita fosse una guida spirituale alla quale tutti i più giovani adepti aspiravano. Malik Al-Sayf non era celebre nella Confraternita solo per il braccio e il fratello persi, ( per mia colpa, ovviamente) ma il suo nome era stato e sarebbe continuato ad essere sulla bocca di tutti anche accanto alle parole “assassino” e “educatore”.
Prima della missione nel Tempio di Salomone, chiunque a Masyaf sarebbe stato in grado di raccontare delle sue nobili gesta di uomo acculturato, saggio e ponderante, oltremodo cauto, severo e intransigente al cospetto di regole, imposizioni, leggi o comandi. Malik lo ricordo ancora oggi sempre chino a studiare antichi testi polverosi, spesso accanto allo stesso Al Mualim che tradì la nostra, ma soprattutto la sua fiducia.
Un’altra cosa è certa: non sarò mai in grado di eguagliarlo in astuzia, di carattere, prontezza e forza di mente, tantomeno come uomo pieno di spirito e sentimento. […] In poche parole, se Masyaf avesse chiamato un nuovo Maestro, sarei stato il primo a spingere avanti il mio carissimo amico.
[…] Malik aveva tutte le qualità per diventare un ottimo Mualim, cento volte migliore di quello che era stato prima di lui. Dalla sua parte aveva l’ammirazione della gente e il rispetto dei suoi pari, me compreso. Soprattutto ora, dopo le ultime vicende, non potevo negare a me stesso di sentirmi tanto inferiore a lui quante erano state le volte che avevo osato alzargli contro la voce. […] Malik sapeva che rischi stava correndo, era pienamente consapevole di che mondo ci fosse là fuori ad attenderlo. Nonostante lo avessi implorato di non insistere su queste tematiche, obbligandolo a contraddire se stesso e ciò che il profondo del suo cuore gli sussurrava ogni notte di fare, non c’era stato verso di fermarlo. Ancora una volta la determinazione aveva brillato nei suoi occhi e il permaloso, avido spirito umano era emerso da lui, sovrastando ogni residuo di freddezza, obbiettività, relativismo. In lui rivedevo quella temibile parte di me venuta a galla nel Tempio di Salomone.
[…] Malik aveva smesso di combattermi tempo addietro ed io gliene ero stato grato ogni giorno, da allora, rispettandolo a mia volta. Cominciai a pregare che l’odio provato nei miei confronti non fosse stata la causa di tutto, e che la ripicca viaggiasse ormai lontana. Le mie preghiere furono accolte, ma presto sostituite da un temuto dolore. […] Già caduto in tentazione una volta, io non sarei stato capace di compiere nuovamente lo stesso errore. Ma siccome non ci sono limiti sui poteri d’infatuazione del Frutto verso una mente vergine e sana, temevo che il mio Malik sarebbe morto per sempre, consumandosi nel gesto apparentemente così banale di impugnare un oggetto tanto piccolo e potente allo stesso tempo.
[…] No, purtroppo il falco ferito non ero io, o sarei stato in grado di controllarmi.

{ 1-160, Pagina 31*, Codice di Altaїr }



L’oscurità della notte avvolgeva la sala del Maestro conferendo all’intero edificio un aspetto funereo e spettrale. Per la Fortezza di Masyaf non volava una mosca e fuori dalle mura, dove la gente riposava nelle proprie case, un cane solitario abbaiava alla luna. La cittadella si era assopita sotto un magnifico cielo limpido sgombro di nuvole e punteggiato di stelle, sereno così come aveva donato la morte di Al Mualim.
Gli stendardi degli assassini erano sospinti da una forza invisibile: la brezza autunnale veniva dalle grate senza vetri alle spalle di Malik. Questi sedeva sullo scrittoio nel centro della stanza con i piedi a penzoloni; su un ginocchio riposava il gomito dell’unico braccio piegato a sorreggere il peso del Frutto dell’Eden, prigioniero tra le dita del ragazzo.
Malik si rigirava la sfera nella mano, saggiando la lucentezza dell’acciaio dorato con il pollice e stupendosi di come quell’oggetto sapesse essere tanto freddo quanto scottante. L’assassino seguiva con l’indice una delle arabesche incisioni geometriche che ne traversavano il perimetro, carezzandolo col polpastrello del medesimo dito.
-A cosa stai pensando?- chiese una voce fuori campo, maschile e penetrante.
Dopo un silenzio che parve lungo un’eternità, Malik si assentò dalla sua contemplazione e alzò gli occhi in quelli del suo osservatore nascosto nell’ombra. Fu un contatto che durò giusto un istante.
-Dicono che i poteri del Frutto siano illimitati…- cominciò Al-Sayf per poi interrompersi, tornando a posare lo sguardo assorto sulla Mela.
-Dove vuoi arrivare?- eruppe l’altro con voce profonda.
Emergendo dall’ombra, la misteriosa figura si mostrò: addosso non aveva altro che una tenuta serale da riposo; era nudo delle sue armi, con un sottile strato di lino grezzo che copriva la muscolatura superiore, pantaloni e stivali leggeri. Era in piedi a pochi passi dall’amico, lo fissava con la stessa intensità con la quale lui scrutava il Tesoro dei Templari nella propria mano. Immobile come un chiodo fisso nel pavimento, Altaїr studiava ogni suo piccolo gesto o respiro. Le sue intenzioni erano più forti della luce della candela posata sulla scrivania dove lui stesso sedeva, Altaїr captava i suoi pensieri ancor prima che Malik riuscisse pronunciargli. Ma nonostante l’aquila sapesse già il motivo per il quale l’amico l’aveva convocato quella notte, inizialmente si limitò ad osservare senza agire.
-Il Potere di Dio sulla terra- rise Malik con una nota d’isterismo. –Che sciocchezze…- borbottò gettando la mela da parte sul tavolo.
Altaїr restò allungo interdetto di quell’improvviso cambio di stato, e tacque. Dalla contemplazione più assorta, Malik aveva respinto l’oggetto da sé con scetticismo, disprezzo.
-Eppure…- ma Malik indugiò ancora, lanciando un’altra occhiata alla Sfera scintillante che, tracciando piccole orbite concentriche, lentamente si stava assestando sopra il legno della scrivania. Quando raggiunse l’immobilità, Al-Sayf allungò l’unico braccio e strinse nuovamente la sfera tra le dita. Questa s’illuminò più intensamente nel momento in cui il calore di un palmo umano ne sfiorò la superficie.
Malik si portò l’oggetto in grembo e tornò ad ammirarlo col doppio dell’infatuazione.
-Eppure penso che, nonostante il numero sempre crescente di leggende che gli gravitano attorno, abbia la sua utilità- disse. –La vera domanda è… saremmo mai in grado di controllarlo?- si chiese guardando verso l’amico per attendere una risposta.
Altaїr ignorò del tutto la domanda. -Perché non sei a letto, Malik? Oggi è stata una giornata molto dura- tentò facendosi avanti.
-Oh, non lo metto in dubbio- pronunciò pensieroso aggrottando la fronte. –Ma la verità è che non riesco a dormire, amico mio- confessò scrollando le spalle.
-Come mai?- domandò cupo.
-Non dormo da tempo, in realtà- confessò Malik smontando dal tavolo con un balzo. –Tutto è successo così in fretta ed io ne soffro molto-.
-Di cosa parli?-.
-Di questo- disse sollevando il palmo con la Mela.
Altaїr continuava a non voler capire, ignorando il suo incubo peggiore anche adesso che lo avevo di fronte, a portata di mano. Avrebbe potuto alzare il braccio e toglierglielo da sotto il naso, fermandolo prima che fosse troppo tardi, ma Malik non si sarebbe mai permesso di violare la sua fiducia. Era con questo pensiero che pigramente andava giù nel baratro… e diventava sempre più cieco di fronte alla realtà.
-Quelle notti che i miei occhi stentavano a chiudersi ho studiato, studiato più di quanto non abbia mai fatto in tutta la mia vita, Altaїr. Al Mualim aveva riempito pagine, volumi scaffali dei suoi pensieri su questa… cosa, ed io ho letto e riletto i suoi appunti dal primo all’ultimo rigo. Ora che posseggo le conoscenze necessarie, anch’io, come lui, posso controllarlo-.
-Malik, stai vaneggiando, non…-.
-Taci!- gli urlò contro d’un tratto, azzittendolo. –Sei ancora così pieno di te stesso che dimentichi pigramente quello che hai imparato dai nostri conflitti?!- il suo tono si era fatto imponente all’improvviso. I residui di calma e compostezza erano scomparsi del tutto dal suo volto.
-Non puoi controllarlo, Malik. Nessuno può farlo- precisò l’aquila.
-Il lupo perde il pelo ma non il vizio, eh? L’arroganza, la presunzione, Altaїr! Ciò che pensi tu non sempre è legge per altri!- ringhiò cominciando a camminare avanti e indietro sul pavimento.
-Sentiamo, allora! Cosa avresti intenzione di fare?- domandò secco.
Malik arrestò i suoi passi nel centro della stanza, continuando a fissare il Frutto nella propria mano. Tacque allungo, fin quando non si accorse che Altaїr gli si era fatto troppo vicino per i suoi gusti. A quel punto si spostò indietro di un metro, senza acquietare quei suoi occhi fiammanti di una collera senza pari.
-Lo rivoglio, Altaїr- disse, freddo.
-A cosa ti riferisci, ora?- chiese l’assassino seriamente confuso.
Malik indugiò un istante. –A lui, Altaїr… a Kadar-.
Tutto si fece chiaro come il giorno.
Le sue parole avevano solo confermato le ipotesi di Altaїr, le stesse che pregava ogni giorno di non veder realizzate. Sarebbe stato un peso troppo grande da sopportare, una responsabilità enorme. Altaїr non poteva, si disse, non doveva permetterlo …
-Malik, sai bene che non potrà mai succedere-.
-Tu dici?- formulò ilare. –Pensi che Dio come toglie la vita non possa ridarla? È questo quello che pensi, Altaїr?-.
Il suo tono da saputello cominciava a dargli sui nervi, ma soprattutto a farsi molto pericoloso. L’aquila di Masyaf si tese sulle zampe e preparò a spiegare le ali.
-Sì. È questo quello che penso- annunciò freddamente, sperando che Malik gli desse retta e rinunciasse alle sue intenzioni di partenza.
-Allora non sei cambiato affatto in meglio…- mormorò Al-Sayf avviandosi dietro la scrivania e sedendo ad essa. –Sei sempre il solito testardo presuntuoso,- sottolineò -ed io ti dimostrerò che hai torto-.
Prima che Altaїr riuscisse ad avvicinarsi abbastanza da fermarlo, Malik sollevò la Sfera sopra la propria testa e, mentre le sue labbra si tendevano in un sorriso felice al ricordo del fratello, dal palmo chiuso si sprigionò una luce dorata e accecante.
Altaїr non indietreggiò, ma preferì pararsi dietro all’ombra del braccio. -No, Malik! NO!- gridò correndo e gettandosi su di lui.
A quel punto l’incantesimo si ruppe: mentre Malik e Altaїr cadevano, avvinghiati, ai piedi della scrivania, nella sala del Maestro ripiombò un oscuro silenzio, rotto solo dal tonfo metallico della Sfera che, per l’impatto, il falco si lasciò sfuggire di mano.
Il Frutto dell’Eden cozzò a terra tre volte, poi rotolò giù per le scale. Ogni suo saltello sui gradini diffondeva tra le pareti di rocca della Fortezza uno squillante scampanellio.
-Stupido! Non intralciarmi!- gridò Malik spingendo via l’amico, alzandosi e correndo dietro l’oggetto.
Ancora disteso sul tappeto, Altaїr strinse i denti e lo afferrò per la caviglia prima che potesse allontanarsi. A Malik sfuggì un urlo isterico quando ricadde al fianco dell’assassino, mentre velocemente quest’ultimo si alzava e correva a riprendere il Frutto dell’Eden.
Malik si gettò su di lui con tutto il suo peso e un grido euforico. Insieme ruzzolarono sulle scale e, tra un gemito e un altro, si riempirono di lividi, la maggior parte dei quali inferti a suon di pugni e morsi. Il tintinnio del metallo contro la pietra scandiva la loro come una lotta forsennata tra leoni che si contendono una vecchia carcassa.
Spiattellati sul pavimento del pian terreno, Altaїr e Malik si alzarono allo stesso tempo, si guardarono attorno ed individuarono assieme la Sfera.
Questa era rotolata ai piedi di un alto scaffale colmo di libri e li aspettava impaziente.
Entrambi col fiatone e i sudori freddi, si scambiarono una lunga occhiataccia.
La lotta a mani nude che ne nacque aveva buttato giù dal letto i primi spettatori, che a poco a poco si affacciarono dalla balaustra del piano superiore osservando sbigottiti lo spettacolo messo in scena dai due.
Una furia portentosa alimentava quell’uomo. Altaїr non aveva mai visto Malik così virilmente capace, persino senza un braccio e, nonostante fosse un scontro ad armi impari, era nettamente in svantaggio. L’aquila si ritrovò segni di morsi e calci nei punti più impensabili: era un duello senza regole, privo di tattica o stili d’improvvisazione, più comunemente chiamata “rissa”.
Nell’aria si sentivano già alcuni sussurri di voci estranee che commentavano quella follia. Due guardie dal cappuccio grigio entrarono nella sala con le armi alla mano, ma non mossero un solo passo oltre l’ombra dell’ingresso che la luna e le sue stelle proiettavano sul pavimento.
-Non ti lascerò tenerlo tutto per te!- ruggì Malik colpendolo con una medesima ginocchiata.
Altaїr indietreggiò piegandosi dal dolore. –Malik, per favore, fermati! Hai perduto il senno!-.
-No, fratello, tu hai perduto il senno!- strillò.
Il Frutto dell’Eden sembrò balenare alle spalle dell’assassino, e la sua luce si rifletté negli occhi neri di Malik. Questi tentò di sorpassare il suo avversario con uno scatto di gambe degno di un maestro, ma non prevenendo il più fulmineo spostamento di Altaїr, per quella volta toccò a lui trovarsi un suo ginocchio tra le costole. Altaїr approfittò della sua breve debolezza per farlo voltare e spingerlo via, di nuovo a parecchi metri dalla meta tanto ambita.
-Malik! Basta!- tentò ancora, disperato.
L’assassino senza un braccio sondò nuovamente il muro invalicabile che il corpo dell’amico forniva attorno al perimetro della Sfera. Sfortunatamente per Altaїr, fu solo una banale finta: Malik afferrò dal tavolo accanto un penna d’oca e gliela scagliò contro con violenza. Altaїr schivò l’oggetto torcendo la spina dorsale, ma non riuscì a sottrarsi alla trattoria di un secondo: la boccetta d’inchiostro lo colpì in faccia. I frammenti di vetro gli graffiarono la pelle del viso, l’inchiostro gli entrò in gola.
Momentaneamente cieco, Malik gli venne incontro, gli afferrò il polso e gli contorse dolorosamente il braccio dietro la schiena. Di fronte alla sua forza disumana, Altaїr non poté trattenere un gemito.
Successivamente, governandolo come una marionetta, Al-Sayf spinse l’aquila contro il tavolo più vicino e lo costrinse a premere la faccia su di esso. L’impatto causò il rovesciarsi di un calamaio per l’inchiostro e qualche volume impilato con ordine in verticale.
-Siamo un po’ arrugginiti, eh?- ridacchiò prendendosi gioco di lui.
Altaїr strinse i denti. –Malik, fermati, basta- sibilò.
L’assassino irrobustì la presa arrecandogli ulteriore dolore. –Non mi fermerò finché non sarà di nuovo insieme a noi-.
-Guarda cosa ti ha fatto, Malik. Guarda in cosa quel malefico oggetto ti ha trasformato. Il Frutto fa promesse che non può mantenere. Ti ha reso schiavo dei tuoi stessi desideri!-.
-Smettila di ciarlare su quello che non conosci. Tu non sai nulla del Frutto-.
-È qui che ti sbagli. Lo conosco sicuramente meglio di te!-.
Un colpo di reni e Altaїr riuscì a capovolgere la situazione, comprimendo Malik tra la sua schiena e la superficie del tavolo. Lo stordì con una capocciata, dopodiché lo fece voltare, sollevare dal tavolo e lo sbatté in fine sulla libreria accanto.
-Malik, guardami- s’impose.
Per un attimo gli sembrò di sentirlo esitare, tremare là dove stringeva con violenza l’unico polso che gli restava. Il suo sguardo smarrito, agitato, guizzava spesso tutt’altra parte pur di non assecondare quel semplice ordine. Approfittando della sua debolezza Altaїr permise maliziosamente al proprio corpo di adagiarsi meglio al suo, aderendo completamente ad esso, imprigionandolo tra sé e gli scaffali pieni di libri. Dimezzò la distanza dei loro visi così da poter finalmente incatenare i suoi occhi nei propri.
Malik serrò la mascella e portò indietro la testa, irrigidendosi. La presenza di Altaїr così vicina alla sua, in quel momento di grande furore e agitazione, lo metteva fortemente a disagio.
Trascorsero alcuni lunghi istanti di silenzio, spesi ad ascoltare i loro respiri accelerati e i cuori battere forsennati nel petto. Altaїr percepiva, fissandolo, l’odore della paura che Malik aveva di lui in quel momento, mai come prima di allora. L’aquila era riuscita a catturare il falco nella maniera che lo infastidiva.
-Parti dal presupposto che io non ne abbia sofferto. Ed è qui che ti sbagli-.
-Spiega meglio, se ne sei capace- ringhiò di tutta risposta.
Altaїr inarcò un sopracciglio, irritato dalla sua reazione almeno quanto Malik si sentiva impotente di fronte a lui in una circostanza così ovvia. D’altronde non era altro a tenerlo inchiodato con le spalle alla libreria se non l’incompetenza: se ne avesse avuta la forza, o anche solo l’opportunità, Malik avrebbe afferrato la prima cosa che gli fosse capitata a tiro scagliandola contro all’assassino con un grido di rabbia, esattamente come aveva fatto poco prima che quella scomoda conversazione avesse inizio.
Altaїr si permise un istante per pulirsi il viso dall’inchiostro, strusciandoci la manica della camicia di lino. –C’era bisogno di arrivare a questo?- chiese alludendo alla macchia viola comparsa sul tessuto, dovuta al mescolarsi di inchiostro e sangue.
Malik sembrò calmarsi un poco. Rilassò il collo e le spalle. Scosse la testa, e in fine guardò a terra.
-No- mormorò quasi piangendo.
Finché si era trattato di qualche innocuo pugnetto sullo stomaco, Malik aveva saputo confrontarsi con lui senza mai tirarsi indietro. Adesso che sotto al naso aveva il puzzo del sangue di un caro amico, si sentiva estremamente in colpa.
-Perdonami…- disse. –Ero fuori… di me-.
Altaїr sorrise. –Lo so-.
-È solo che…- singhiozzò Malik, sollevando il mento e guardandolo negli occhi, mentre i suoi s’inumidivano. –Lui era tutto per me, capisci?-.
L’altro annuì. –Anche per me. Gli volevo bene, Malik, sicuramente non quanto te, ma gli volevo bene anch’io-.
La loro zuffa notturna si concluse in un caloroso abbraccio.
Altaїr sentì le sue unghie graffiargli la carne della schiena e la sua fronte premere con forza sulla clavicola, quasi da far male. Strinse a sé Malik con altrettanta intensità, tenendolo per la nuca e baciandolo in testa. -È tutto finito- sussurrò Altaїr per compiacere l’amico, i singhiozzi del quale si facevano più intensi. A quel punto qualcosa di caldo ed umido prese a scorrergli sul petto, certo che non era inchiostro.
-Malik, è tutto finito- ripeté, capendo che si trattava, piuttosto, delle sue lacrime.









*La pagina 31° del Codice è una mia invenzione adattata alla trama di questa storia*




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Capitolo 2
*** II ***




II

Le imposte alla finestra erano aperte, le tende un poco dischiuse per lasciar transitare un filo di vento. Il paesaggio che si apriva all’esterno era il solito limpido cielo stellato, qualche fiaccola accesa in mano alle guardie che pattugliavano la cittadella, e un mostruoso silenzio, rotto solo da un lontano canto di gufo.
Altaїr aprì la porta ed entrò nella stanza per primo, dove l’assassino mosse due passi sul tappeto per poi sentire Malik sciogliere la presa del braccio attorno al suo collo. Il ragazzo si trascinò sul letto a baldacchino e si abbandonò su di esso, prima seduto poi disteso e appoggiato allo schienale. –Grazie- disse in un flebile sussurro, guardando l’amico. –Per avermi portato via di lì, intendo, prima che qualcuno si arrabbiasse sul serio-.
Altaїr gli sorrise sincero, andando a sedersi tra i cuscini in un angolo della stanza e dando le spalle all’amico. Lì aveva adocchiato un piccolo mobiletto sopra al quale c’era una brocca di ceramica piena d’acqua, che l’assassino versò in un catino improvvisando qualcosa con cui pulirsi il viso, ancora sporco d’inchiostro.
-Guai a te se mi combini un altro scherzo del genere. L’inchiostro costa, Malik- lo rimbeccò catturando dell’acqua tra le mani chiuse a coppa, per poi gettarsela in faccia.
A Malik sfuggì una risatina. –Su questo non posso darti torto- sospirò lasciando cadere la testa all’indietro. –Sono stato uno stupido… avrei dovuto prevederlo-.
-No,- lo interruppe Altaїr. –Non prevederlo. Controllarlo- lo corresse.
Malik annuì convinto, ma allo stesso tempo dispiaciuto, senza distogliere lo sguardo dal soffitto della camera. –Perdonami se una parte di me cede a queste stupide tentazioni-.
-Sei un uomo, Malik. Non considerarti un Dio- lo ammonì, divertito dalla sua stessa affermazione.
Il falco tacque per nulla allegro.
Trascorse un lungo minuto di silenzio, durante il quale Altaїr continuò a lavarsi la faccia aiutandosi con lo specchio da terra posto al suo fianco. Ad un tratto, come risvegliato dai propri pensieri, Malik si voltò e aspettò che, attraverso la sua immagine riflessa nello specchio, Altaїr si accorgesse della sua espressione terribilmente pentita.
L’aquila corrugò la fronte, perplesso. –Cos’hai?- chiese incatenando gli occhi di Malik nei propri dentro lo specchio.
-C’è ancora tanto che non capisco, e che forse non capirò mai, di te-.
Altaїr si girò del tutto verso di lui, ma, sembrando più confuso di prima, rimase ad ascoltarlo.
-Per esempio, mi piacerebbe sapere se sono stato io il debole che si è lasciato vincere dal Frutto, oppure tu l’idiota che mi ha permesso di tenerlo in mano-.
La cicatrice si tese assieme alle sue labbra, che sorrisero. –Devi sempre dare la colpa a me, vero?-.
Malik si strinse nelle spalle. –Nel corso di quest’ultimi anni ho capito che riusciresti a scaricare le tue pene su altri, in qualsiasi caso-.
-Anche quando il caso vuole una dozzina di guardie molto arrabbiate- rise tra sé e sé Altaїr, tornando a strofinarsi il viso.
-Te lo ricordi- constatò l’altro, commosso.
-Come dimenticare le nostre prime indagini?-.
-Al Mualim non è stato affatto corretto nei tuoi confronti-.
-E quando mai lo è stato?-.
-Certo, ma almeno avrebbe potuto darti un’arma con la quale difenderti-.
-Eravamo bambini, Malik! E poi… avevo queste- Altaїr mostrò le mani, ma quando le immerse di nuovo nell’acqua del catino, si accorse che questa si era tinta completamente di nero.
Malik notò la smorfia che comparve sul suo volto e si alzò dal letto. –Vuoi che te ne prenda dell’altra?- chiese.
-No, grazie- si apprestò a rispondere Altaїr. –Non ce n’è bisogno, penso di aver finito- disse alzandosi e ammirandosi allo specchio.
-Veramente hai saltato un punto-.
Altaїr aggrottò le sopracciglia. –Dove?- domandò avvicinando di più il viso alla lastra di vetro.
Malik gli posò delicatamente due dita sul collo, indicando un punto preciso.
Sulla pelle erano ancora visibili, ma prima di tutto palpabili, i resti dello scontro di poco prima, si disse Malik, percependo il suo calore sui polpastrelli come se avesse appena messo le mano sopra una candela accesa.
Accorgendosi della macchiolina d’inchiostro incrostatosi a metà tra la gola e l’osso sporgente della clavicola, Altaїr lo ringraziò. Si spogliò della maglia per non rischiare di macchiarla con dell’acqua già abbastanza sporca e tolse anche quell’ultimo residuo d’inchiostro secco.
Malik, alle sue spalle e per metà nascosto dietro la sua immagine riflessa nello specchio, indugiò allungo su quest’ultima, soffermandosi specialmente sul braccio sinistro dell’amico, lo stesso che da quel fatidico giorno gli invidiava più di qualsiasi altra cosa. Dalla muscolatura sviluppata del bicipite alla spalla possente: divorò con gli occhi quel che a lui era negato rimpiangere tutte le volte che, accorgendosi di non potersi allungare sulla sinistra, era costretto a voltarsi e portare avanti la mano destra per afferrare gli oggetti più comuni.
Quand’ebbe finito di sottrarre alla sua pelle ramata anche quella macchiolina bastarda, Altaїr era già pronto a portare fuori dalla stanza il catino sporco, ma per qualche strano motivo rimase immobile, con gli occhi fissi sullo specchio, a guardare l’immagine di Malik tornare seduta sul bordo del letto.
Il ragazzo si posò l’unica mano in grembo e gettò lo sguardo fuori dalla finestra, accompagnato da uno stanco sospiro.
Altaїr si schiarì la voce per attirare la sua attenzione, ma Malik non si voltò. –Ti serve altro? Vuoi che faccia qualcosa per te, oltre a sbarazzarmi di questa schifezza?- chiese alludendo all’acqua nera nel catino.
Malik sorrise con malinconia. –Per quello che sei abituato a fare per me, può bastare-.
Altaїr tremò.
Un Malik così abbattuto, soprattutto dopo aver appena assistito alla sua “apocalisse” personale, rendeva Altaїr schiavo di un qualche temuto sentimento di pena mai provato in precedenza. La compassione, in tutte le sue forme, era una brutta bestia che lo divorava dall’interno dello stomaco.
Altaїr voleva molto bene al suo migliore amico. Avrebbe fatto davvero come si era promesso di fare qualsiasi cosa pur di leggergli sulle labbra un sorriso accettabile. Era stanco di tutto quel cinismo almeno quanto Malik non voleva darlo a vedere. Sarebbe stato bello tornare ai vecchi tempi, ai solari ricordi che Altaїr aveva di tutta Aleppo che inseguiva due minute figure incappucciate di bianco come piccoli uccelli. In quei agrodolci momenti in cui battaglioni di guardie erano sulle loro tracce, Malik e Altaїr avevano saputo ritrovarsi e aiutarsi a vicenda anche quando la distanza tra loro raddoppiava, durante la fuga. Se uno dei due era in pericolo, l’altro accorreva a dargli man forte guidato da un richiamo silenzioso che oltrepassava muri, giardini, fiumi e palazzi. Ma come Altaїr temeva di aver compreso, i capitoli legati a quel tenore di vita si erano conclusi, non lasciando altro che rancore, astio e tormento in attesa di un epilogo che doveva ancora essere scritto.
Altaїr rimise il catino al suo posto e raggiunse Malik, sedendosi accanto a lui. –Sento che hai ancora bisogno di aiuto, Malik, e se le mie ulteriori scuse possono farti sentire meglio, prendile- disse.
Malik accennò un lieve sorriso. -Apprezzo la tua compassione: pentirtene in questo modo, di fronte a me, ti costa un grande sacrificio che sembri disposto a compiere- cominciò per poi prendersi una pausa. –Ho vissuto i giorni successivi alla morte di Al Mualim in un costante aggravarsi della mia mente. Mi capitava sempre più spesso di pensare a Kadar, alla missione nel Tempio di Salomone, ma soprattutto a te e a come avrei dovuto continuare a trattarti nel modo che meritavi, invece che perdonarti con poche parole. Attimo dopo attimo, mangiavo un pezzo sempre maggiore della mia misericordia senza accorgermi di quanto stessi cadendo in errore. I miei timori si sono condensati assieme solo questa notte, quando ho commesso lo sbaglio più grande della mia stessa vita, che non ripeterò. Il destino ci ha scelti, Altaїr, perché divenissimo le nuove guide del nostro popolo, i pastori di un gregge che ha smarrito la via, ed io non voglio tirarmi indietro a quella che ci è stata assegnata come nostra nuova missione. Tu sembri aver superato ogni ostacolo, diventando l’uomo che pensavo non avrei mai visto nascere in te dopo la morte di mio fratello. Mi hai stupito, e molte volte, anche quando non volevo mostrartelo, e ignoravo gli insegnamenti che tu stavi offrendomi. Sono rimasto troppo a lungo nell’ombra sprecando il mio tempo a criticarti, piuttosto che aiutarti a comprendere ciò di cui io stesso stavo diventando parte comportandomi in quel modo; parte del piano che Al Mualim stava architettando per distruggerti, per distruggerci tutti, e che avrebbe visto realizzato se io non avessi aperto gli occhi in tempo. Adesso sono il primo a doverti delle scuse, il primo a dover accettare le cose come stanno e il primo a dover dimenticare per sempre il passato. Dopotutto, le menti più sagge tra noi non dicevano altro- sospirò Malik.
Altaїr sorrise sincero. –Dicevano anche: niente è reale-.
-Tutto è lecito- concluse Malik guardando l’amico negli occhi.
I pastori di un gregge smarrito… si ripeté Altaїr, ammaliato dal carattere profetico che solo Malik sapeva dare alle sue sentenze. La nostra nuova missione, pensò anche, proteggere il popolo. Già, ma da cosa? Qual è la minaccia che affligge il mondo, ora? I Templari insistono col braccare la nostra terra alla ricerca del Frutto che custodiamo avidamente… ma sono nulla in confronto alla forza che serbiamo. Malik, che l’accaduto ti abbia turbato non lo metto in dubbio, ma avverto che come la vittoria si avvicina, tu ti allontani…
La Guerra è appena cominciata, pensava invece Malik, sconsolato. Presto i nostri nemici torneranno, più agguerriti che in passato, e solo se il destino lo vorrà saremo forti abbastanza per difenderci da loro. Quel che possiamo fare, nel frattempo, è combattere una battaglia ancor più antica, celata nel nostro spirito di esseri umani: non cedere alla tentazione, resistere alle invitanti promesse del Frutto. Questa è l’unica sfida che dobbiamo porgerci, affrontare e vincere, ma che io ho perso in partenza…
Tacquero entrambi per un tempo che parve infinito, rincorrendosi con lo sguardo attraverso lo specchio che rifletteva all’uno l’immagine distorta dell’altro.
-Scusa se te lo dico in faccia con tanta naturalezza, ma non posso saperti in questo stato. Se ti lasciassi solo, il minimo che potresti fare sarebbe buttarti dalla finestra- constatò Altaїr ad un tratto e con una nota scherzosa.
Era divertente come battuta, Malik non rise, ma l’aquila aveva previsto che non l’avrebbe fatto.
Altaїr cominciò a temere che il suo amato falco ci stesse davvero pensando…
-Malik- lo chiamò, adombrandosi. –Stavo scherzando, lo sai, vero?-.
-Certo, proprio come scherza un bambino- arrise quello voltandosi finalmente verso l’amico, ma con un’aria da fantasma che lo rendeva meno credibile. –Un bambino ignorante, viziato e presuntuoso che gioca con i giocattoli degli adulti-.
In quel momento Malik parlava di se stesso, e Altaїr impiegò qualche istante a capirlo. Inizialmente aveva pensato che si stesse riferendo ad un altro avvenimento della loro infanzia, o peggio ancora, di pochi mesi prima. Nonostante i suoi pensieri, Altaїr preferì tacere, studiando nei particolari l’immensa tristezza che come un’aurea grigiastra avvolgeva la figura del suo compagno. –Se ti è rimasto dentro qualcosa che vuoi dirmi, fallo adesso, e non pensiamoci più- disse con serietà. –Qualsiasi cosa, Malik, dai peggio insulti a tutto il resto…-.
Finalmente Malik sprigionò un vero sorriso. –Non ce n’è bisogno, anch’io penso di aver finito-.
Si fissarono allungo negli occhi, l’uno a caccia dei sentimenti dell’altro attraverso le impenetrabili barriere delle loro menti, un tempo state così unite, ora così distanti.
Altaїr ripensò alle volte di quand’erano ragazzi. Confrontandosi a duello, non c’era mai stata via o modo col quale l’uno riuscisse a prevalere sull’altro. All’inizio avrebbero potuto dirsi tanto uguali quanto diversi, ( come i gemelli opposti in tutto ) ma opposti a tal punto da riuscire a toccarsi dalle due estremità. Bastavano ancora pochi centimetri, ed effettivamente si sarebbero toccati, congiunti, tornando a possedersi com’era successo molto, troppo, tempo prima…
Ma ora sapevano entrambi che non c’era più spazio per quelle sciocchezze. La vita, i doveri e le responsabilità erano crollati loro addosso con la potenza di un macigno, ispessendo la barriera che li aveva divisi per mesi, creatasi precisamente alla morte di Kadar. Tutto il resto veniva prima di loro: la città, il popolo, il Frutto. Schiena a schiena, senza mai voltarsi per guardarsi (come quand’erano ragazzi, nei duelli con le guardie saracene) Malik e Altaїr dovevano portare fede ad un cammino stato imposto loro dallo stesso destino che, tempo addietro, li aveva uniti e poi divisi.
Troppo orgogliosi per cedere alle semplici tentazioni, troppo impauriti dalle conseguenze: chiedersi, volersi, desiderarsi erano verbi scomparsi dalle loro labbra. Eppure, lo sapevano entrambi: sarebbe bastata una scintilla, un flebile sfregamento di due pietre, una delicata piuma per far scattare l’ingranaggio. Come le lame celate che era stato concesso loro di portare ai polsi: nascoste nell’oscurità ad attendere un impercettibile sussulto, scattano sull’ultimo affondando un unico colpo, netto, preciso, letale.
-Veramente c’è un’ultima cosa che potresti fare per me- Altaїr osservò Malik alzarsi in silenzio dal letto e andare verso il centro della stanza.
-Dimmi- acconsentì l’aquila, disponibile.
-Ti sarei grato se…- s’interruppe, iniziando a sfilarsi la casacca da solo.
Altaїr balzò in piedi all’istante, captando da subito le sue intenzioni senza che aggiungesse due parole di più, e lo aiutò a spogliarsi prima di quell’abito e poi del resto, sempre in un religioso silenzio carico di tristezza, ma soprattutto, di rispetto.
-Sono mesi ormai che convivo con questa mancanza, ma ancora, come vedi…- cominciò Malik tradendo un minimo di confusione nelle parole dovuto a quello che in lui si manifestava, raramente, come un timido imbarazzo.
-Non serve che tu dica nulla- lo interruppe Altaїr, dolce, slacciandogli la cinta col tessuto color porpora che gli circondava la vita.
-Ti ringrazio- scappò di bocca a Malik, sedendo nuovamente sul bordo del letto perché l’amico gli sfilasse i calzari.
Altaїr ripiegò ordinatamente ciascun abito al suo posto e posò a terra, in un angolo, gli stivali di Malik. –Ti viene in mente altro?- chiese senza voltarsi, per il mero timore che la vista del compagno semi-vestito potesse arrecargli più dolore di quanto ne sopportasse già.
Non era solo il braccio amputato a dargli fastidio, nel perenne ricordo dei suoi sbagli, ma anche ciò che restava.
L’immagine di Malik si rifletteva per intero sulla superficie di quel dannato specchio, sul quale Altaїr posò sbadatamente gli occhi giusto mezzo secondo, prima d’inclinare il capo tutt’altra parte con una smorfia. Per calmare i violenti battiti del cuore nel petto, l’assassino prese un considerevole numero di respiri profondi.
-No, nient’altro, ma… Altaїr, tutto bene?- osò domandare Malik, con innocenza e apparente confusione.
No, non va tutto bene! avrebbe voluto rispondere.
Il suono della sua voce improvvisamente troppo vicina e squillante nelle orecchie, risvegliò in Altaїr una fame insaziabile dettata dal solo desiderio umano, al quale era impossibile sottrarsi. Si voltò e andò incontro all’amico sussurrando la parola “perdonami” nella propria mente, anche se, immaginando la reazione di Malik, non sarebbe stato necessario. Gli bastò muovere pochi passi silenziosi nell’oscurità della camera, che giocò a suo vantaggio quando l’aquila accompagnò il falco disteso sulle lenzuola assieme al proprio corpo. Lo baciò premendo avidamente le labbra sulle sue, percependo il calore ma anche la rigidezza del suo incarnato.
Dietro quell’unico gesto azzardato e presuntuoso si nascondeva un groviglio di sentimenti impossibile da descrivere diversamente.
Fargli del male era l’ultima delle sue intenzioni e quindi, per quella notte, Altaїr non avrebbe osato di più. L’amore per Malik si limitò a qualche semplice carezza sul suo corpo, sul suo viso, perché capisse quanto affetto celassero i suoi occhi che giorno dopo giorno avevano divorato la sua immagine solo attraverso (ecco…) uno specchio. Le ginocchia dell’altro gli avvolsero i fianchi, mentre questi sollevava il bacino beandosi della virilità di Altaїr tra le proprie gambe.
Imprigionato dal bisogno di essere amato dopo tanto tempo, Malik non tentò nemmeno di sottrarsi a quella lenta agonia dei sensi e della ragione. Permise alle labbra del suo compagno di violarlo ogni dove preferisse, ogni dove s’irradiasse una nuova scossa di piacere. Era inutile negare a se stessi quale immensa soddisfazione veniva alla luce ora che quei muscoli tonici lo riscaldavano come un fuoco nei punti a lungo stati freddi. Malik strinse tra le dita dell’unica mano i capelli del compagno e permise alla sua lingua di varcare il confine dei propri denti. Nella mente continuava a ringraziare Altaїr di essere lì, di aver osato e poi intrapreso quella strada, perché Malik era l’unico tra i due ancora troppo orgoglioso per chiedere.
Il falco perse ciò che restava del suo piumaggio e se ne fece del nuovo col tessuto delle lenzuola. L’aquila, dal canto suo, vegliò su di lui tutta la notte infagottandolo tra le proprie ali soffici e calde. Se era cosa andante contro natura che due uomini si amassero così, Altaїr e Malik avevano imparato ad ignorarlo molto prima di allora. Nella gioventù era accaduto più volte, quando le fatiche di un giorno di allenamento e le gloriose vittorie in missione concedevano loro del tempo per consolarsi a vicenda, con quell’unico ed ultimo desiderio, prima di coricarsi, di amarsi e ricordarsi l’un l’altro che niente avrebbe potuto dividerli.
Forse era stupido comportarsi ancora come ragazzini, serbando gli stessi sogni e le stesse paure di quel tempo. Ma era anche vero che agli uomini non può essere tolto senza arrecar danno ciò di cui sono stati viziati. Può essere un giocattolo, può essere un oggetto, come può essere una persona.








Scappo con un piccolissimo Angolo d’Autrice, ringraziando innanzitutto RebyEMiko per aver commentato (ma soprattutto apprezzato) il primo capitolo, ovvero quell’Antefatto che può sembrare porti un po’ fuori strada nella trama, ma in realtà…
Insomma, pensate davvero che sia capace di riempire 20 capitoli di sole scene... eh-ehm… c’è! Non ne sarei mai capace, anche perché il mio affidato compagno di scrittura si defila nei momenti più… <.<
Come stavo dicendo: la vicenda romantica a carattere AltMal è solo lo sfondo di questa storia! Scusate, ma io senza un po’ di sana azione (sangue, spade, e… ho già detto sangue? <.<) non riesco a scriverla! XD Quindi mi sono davvero inventata di… hmmm! Hmmm! Hmm! Hmmmm!!! HMMM!
*Una mano misteriosa tappa la bocca all’autrice prima che sveli un graaaaande spoiler*
Hmmm! Hmmm!!!! Hm! Ma che modi!
Un medesimo ringraziamento a PotterWatch – Elisa, senza la quale un microscopica parte di questo capitolo avrebbe contenuto più errori di quanti se ne possano trovare nel tema di un ragazzino di II elementare! XD
Grazie anche ai lettori silenziosi ^^
Eh, vi ho beccato! Sì, voi! Proprio voi! Sì, esatto, tu! Vedi di lasciare una recensione se non vuoi che venga lì e hmmm!! Hmmmm! Hm! HMMMMM!

LOL

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Capitolo 3
*** III ***






Quando Malik rinvenne dal sonno, poté bearsi qualche altro momento del calore attorno al proprio corpo. Nonostante fosse una sensazione alquanto piacevole, rinunciò a sorridere nel momento in cui riacquistò parte del senno perduto. Fuori dalla finestra, oltre lo spiraglio che le tende permettevano e dove l’orizzonte tracciava il suo magico confine rosato, scorse il cielo schiarire sulle punte delle montagne. Si sollevò lentamente aiutandosi con l’unico braccio che gli restava e mettendosi seduto con le gambe distese sotto le coperte, si accorse di essere solo nella stanza.
Per un breve istante, Malik aveva davvero creduto che Altaїr fosse rimasto al suo fianco tutta la notte, ma era stata una breve illusione dettata da un’erronea speranza, scaturita unicamente da quei falsi desideri che Malik doveva assolutamente imparare a contrastare.
Il falco socchiuse gli occhi e guardò accanto a sé. Le pieghe delle lenzuola mostravano i chiari segni di un corpo stato allungo immobile. Malik carezzò delicatamente quel punto e sentì come Altaїr avesse lasciato già da tempo la sua camera, abbandonando il compagno nella profonda oscurità della notte che ancora avvolgeva Masyaf.
Rivivendo le suggestioni della serata precedente, Malik tornò sdraiato sul letto. Non cercò di riprendere sonno, sapeva bene che sarebbe stato pressoché impossibile oltre che inutile, ormai. Ancora poche ore e sarebbe tornato a mostrare la maschera che più di tutte lo dilettava indossare: indifferenza, compostezza, pazienza. Cosa sarebbe stato quel misero gesto infantile al cospetto delle avverse responsabilità quotidiane che Malik e Altaїr si erano assunti con tanta misericordia? Nulla. Malik doveva trovare la forza per dare un freno a quelle debolezze, o la nebbia della fanciullezza li avrebbe tenuti ciechi entrambi per quel tempo che non potevano permettersi. Se Altaїr era ancora troppo pieno di sé come Malik temeva che fosse, sarebbe stato lui a ritentare di sistemare i tasselli di quel puzzle Fissando il soffitto sopra la sua testa, ripensò a quanto avesse nuovamente contraddetto se stesso, dando ad Altaїr, col suo peccato, l’opportunità di sentirsi troppo vicino a lui.

~ ۞ ~

Un’ombra bianca si muoveva silenziosa sulle scale della Fortezza. I suoi agili e piccoli passi lo condussero sino al pian terreno della costruzione, dove trovò ad attenderlo un tombale silenzio.
L’ingresso principale era presieduto all’esterno da due guardie che gli davano le spalle, mentre tutto il resto era un pozzo nero in cui perdersi nuotando. Per un brevissimo istante, quando Altaїr attraversò la sala da un capo all’altro, i suoi occhi neri riflessero non solo il bagliore argenteo della luna che filtrava i suoi raggi dalle vetrata in alto, ma anche il luccichio appariscente e dorato di un piccolo oggetto celato nel buio.
Altaїr individuò il Frutto dell’Eden, che giaceva a terra tra i piedi di uno scaffale della biblioteca. L’assassino andò in quella direzione; più Altaїr si avvicinava, e più la Mela brillava intensamente nell’oscurità dell’androne. Il ragazzo si piegò sulle ginocchia e scrutò a lungo l’oggetto sotto al suo naso. Scordatelo… pensò Altaїr rivolto alla Sfera, che con i suoi canti angelici e le sue sinuose rotondità dorate provava a tentarlo come una qualsiasi prostituta. Immaginando la triste sorte toccata alla povera Eva e al suo compagno, Altaїr avvolse il Frutto in un panno color porpora, attento a non permettere una fessura una da cui sarebbe potuta scaturire la tentazione. Con la premura di una madre che porta in braccio il neonato, l’aquila di Masyaf risalì le scale a grandi passi svelti e silenziosi. Appena fu sopraelevato rispetto al salone d’ingresso, lanciò un’occhiata oltre il parapetto per accertarsi che nessuno, a parte i due soldati a guardia dell’esterno distratti e mezzi assopiti, avesse colto i suoi spostamenti.
Si era permesso di indugiare già troppo, si disse, poiché aveva lasciato incustodito (seppur ben nascosto ad occhio nudo) il Frutto dell’Eden così a lungo. L’unica scusa che aveva per coprire la sua disattenzione, chiunque sarebbe stato in grado di reputarla sciocca e insignificante rispetto all’immensa responsabilità che Altaїr aveva messo nelle mani del destino. Il Frutto dell’Eden gelosamente custodito tra le sue braccia e avvolto nel panno, com’era stato capace di tentare Malik, avrebbe potuto promettere qualsiasi cosa al primo novizio che gli fosse passato accanto. Quell’oggetto doveva essere tenuto lontano dalla portata di tutti e di nessuno. In un luogo verso il quale persino Altaїr, conoscendone l’ubicazione, avrebbe dovuto provare timore ad avvicinarsi. Subito dopo che ebbe scrutato a lungo l’oscurità, in cerca di un minimo spostamento dell’aria che testimoniasse occhi od orecchie curiose, Altaїr pensò pigramente di sospendere la ricerca del nascondiglio perfetto, preferendo rinchiudere il Frutto in una cassetta di legno intarsiato della libreria accanto alla vetrata che dava sul cortile, assieme a delle vecchie piume bianche sporche di sangue. L’unico autorizzato a toccare con mano quelle penne era unicamente il Maestro della Confraternita che, purtroppo date le circostanze, non era più tra loro. Pertanto, nessuno, se non Malik o Altaїr stesso, l’indomani mattina avrebbe aperto quello scrigno e scoperto la sorpresa nascostavi all’interno.
Quel che Altaїr si era promesso di fare il più in fretta possibile, era tornare dal suo compagno prima che si accorgesse della sua assenza. L’alba ormai prossima, come notò l’assassino voltandosi a guardare attraverso la vetrata, schiariva l’orizzonte e cancellava le prime stelle dal firmamento.

~ ۞ ~

Il mattino seguente Masyaf non era mai stata più caotica. Faceva un caldo infernale e il sole spaccava le pietre, troneggiando sul mondo e facendosi beffe dei mortali dalla sua immensa volta azzurra. Per le strade si era improvvisamente riversata una marea di gente che entrava e usciva dalle mura della cittadella, catturando l’attenzione delle guardie e agitando la popolazione locale. Il frastuono attorno al mercato era assordante: bestiame, grida di bambini, lamenti di vecchi, canti e quant’altro alimentasse il vociare della folla che arrivava sino alla torre più alta della Fortezza.
Accompagnato da alcuni assassini di rango inferiore, Altaїr si era preso il fardello di spostare dalla biblioteca alla torre alcuni grossi e pesantissimi tomi. Quell’ala della fortezza ospitava, come pochi sapevano, una vasta cantina, il cui unico accesso era una stretta botola nascosta sotto la tappezzeria. Ritrovarsi in quel luogo dopo tanto tempo, ad Altaїr suscitò strani sentimenti nell’animo. Poiché i ricordi di quando i Templari avevano attaccato Masyaf reclamando, con voce di Roberto, il Frutto dell’Eden si annidavano ancora, dolorosamente, in lui, non riusciva certo ad ignorare l’immenso fastidio che la visita a tale luogo gli procurava. Le piattaforme dalle quali si erano gettati lui e due altri assassini, al fine di attivare la trappola coi tronchi che avrebbe salvato la cittadella, erano ancora lì, del resto, come tutta la mobilia circostante. Persino le tre guardie che facevano loro da scorta avevano gli stessi volti tenebrosi di chi sta studiando nei dettagli i movimenti di un traditore.
Tentando disperatamente di ignorare quei pensieri, Altaїr accolse la torcia che una guardia gli porse e si avviò per primo attraverso la botola.
Si poteva entrare nella cantina per due vie: una era la rampa di scale e impalcature che dalla botola arrivavano fino al livello più basso della cantina. Il complesso in legno divideva l’immensa profondità della cantina in cinque mezzi piani, l’uno ospitante una vasta gamma di scaffali pieni di libri o vuoti di cui riempirne. L’altro mezzo che consentiva l’accesso era la carrucola, usata per accompagnare lentamente sul fondo della cantina quel che vi si voleva mettere a risposo all’interno. In quella circostanza, Altaїr e i novizi si erano avvalsi di entrambe, aiutandosi con la fune della carrucola per portare i pesanti tomi in fondo alla cantina, e poi smistarli nei vari scomparti e scaffali manualmente.
Altaїr dirigeva l’operazione in prima persona, assistendo con una fiaccola due ragazzi che si occupavano di impilare i volumi. La cantina era molto profonda e altrettanto buia, poiché non c’erano né finestre né lucernari.
Nella cantina, nel corso dei secoli, gli Assassini avevano riposto le reliquie più antiche, le armi più leggendarie, gli oggetti più preziosi, i libri più sacri. A grandi linee, in quel pozzo oscuro di ricchezza e sapienza, cadeva tutto ciò che non doveva andare perduto, ma forse dimenticato.
Approfittando del fatto che alcuni testi di Al Mualim, sotto ordine di Malik, dovevano essere isolati, perciò spostati dalla biblioteca alla cantina, Altaїr aveva portato con sé anche il cofanetto con le piume e, cosa più importante, il Frutto dell’Eden.
Non aveva idea di quanto tempo sarebbe stato necessario nasconderlo lì. Altaїr riteneva insignificante tale particolare, ma respirava l’aria viziata della cantina pregando che la Mela non corresse alcun rischio per secoli, se necessario. Si era prefisso altrettanto duramente l’obbiettivo di studiarne la consistenza, il potere, senza lasciare ad altri l’occasione per farlo. La cantina sarebbe stata come per la Mela, un rifugio per le conoscenze che sarebbero sprigionate da essa.
I due novizi rimasti all’esterno fecero scendere dalla botola un nuovo carico di libri. Sulla cima della pila di tomi, quando la pedana della carrucola fu alla sua altezza, Altaїr riconobbe il cofanetto sigillato così come l’aveva lasciato la notte scorsa. Alle sue spalle i ragazzi avevano finito di sistemare il carico precedente di libri e attendevano che Altaїr desse loro ordine di cominciare a smistare anche quelli.
L’aquila di Masyaf, asciugandosi un rivolo di sudore che gli solleticava la tempia, afferrò il cofanetto e lo mise da parte, promettendosi che se ne sarebbe occupato in privata sede il più tardi possibile. Poi fece cenno ai suoi collaboratori che potevano smistare il nuovo carico di volumi.
Fu un lungo e straziante tormento, ma alla fine Altaїr e i suoi silenziosi inservienti conclusero l’opera commissionata su stesso ordine dell’assassino. A cose fatte, Altaїr diede congedo ai due novizi col cappuccio grigio che l’avevano accompagnato sul fondo della cantina, e li osservò risalire due gradini alla volta e con una certa fretta la spirale di scale che portava sino alla botola. Non appena fu solo, il figlio di nessuno tornò ad accarezzare il legno intarsiato del cofanetto che racchiudeva piume, sangue e conoscenza.
Quelle tre parole, il caldo afoso e il fascio di luce che proiettava su di lui il foro sul soffitto, lo riportarono contro la sua volontà ai giorni trascorsi nella Dimora di Gerusalemme durante le indagini per conto della sua terza vittima. Nella mente si materializzò la figura di Malik, tesa come un chiodo dietro al bancone della Dimora. Con il minimo sforzo, Altaїr ricostruì l’intera scena dalla prima all’ultima battuta tagliente del suo compagno. Il dolore di quel ricordo era pari all’acqua di un torrente che va verso un fiume in piena: lento, potente, agonizzante.
Ma ormai Malik l’aveva perdonato. Sarebbero potuti tornare ad essere chi erano stati una volta, sottolineando oltremodo ciò che li aveva resi così uniti e tanto temuti e rispettati quand’erano solo ragazzini.
Era stata l’idea del perdono raggiunto a scacciare le nuvole della tempesta. La forza che era servita ad Altaїr per combattere e sconfiggere Al Mualim gliela aveva infusa un’unica grandiosa visione: il sorriso, il pentimento e la comprensione sul volto di Malik sarebbero bastati a colmare non uno, ma due cuori di pace e serenità.
L’ultimo tuono che riecheggiava nel cielo, si disse, era tra le sue mani.
Altaїr abbandonò la torcia ad un gancio sulla parete in pietra, e cominciò a scendere le restanti rampe di scale in legno che lo separavano dal fondo della cantina.
-Maestro Altaїr!- lo chiamò uno dei giovani assassini dall’alto della botola aperta. –Dove state andando?!- la sua voce riecheggiò tutt’attorno e giunse alle orecchie di Altaїr irrigidendogli appena le spalle. Nonostante il richiamo, l’aquila continuò a scendere.
-Zitto, scemo!- lo rimbeccò un compagno. –Non dobbiamo intrometterci-.

~ ۞ ~

Malik sedeva nella biblioteca, al piano inferiore del salone d’ingresso della fortezza. Le vesti bianche degli Anziani che si spostavano come fantasmi da una parte all’altra della sala gli passavano sotto al naso senza turbarlo. Era troppo concentrato nella lettura anche solo per accorgersi del continuo via vai di soldati che entravano e uscivano dall’ingresso principale carichi di libri, gli stessi che Malik aveva incaricato Altaїr di far spostare dalla sala del Maestro alla cantina nella torre.
Altaїr e Malik si erano visti giusto in quella circostanza. Nessuno dei due aveva osato accennare parola sull’accaduto della notte passata, e forse era meglio così: a Malik piaceva pensare che meno ne discutevano, più l’obbiettivo che si era prefisso gli tornava semplice.
La luce che entrava dalle piccole finestre con grate lungo le pareti bastava ad illuminare l’ambiente, assieme al candelabro che penzolava dal soffitto e la vetrata dietro la scrivania del Maestro. Era una torrida giornata estiva, e nonostante Malik fosse seduto con la schiena contro la fresca parete in pietra, sentiva ugualmente caldo. Addosso aveva le sue solite vesti, più leggere rispetto a quelle indossate l’inverno scorso, ma ugualmente troppo ingombranti per i suoi gusti. Col passare del tempo, man a mano che la temperatura si alzava col giungere del mezzodì, leggere e concentrarsi gli tornava sempre più difficile, almeno in un ambiente coperto come poteva esserlo il salone d’ingresso.
Richiudendo il libro e mettendoselo sotto l’unico braccio, Malik si alzò in piedi, uscì dalla fortezza, e si avviò sul sentiero che conduceva al villaggio. Abbandonate le ombre del salone, le torride stradine di Masyaf gli sembrarono ancora più calde di quanto ricordasse dalle estati precedenti. I piccioni si appollaiavano sotto i tetti delle case, i bambini giravano a torso nudo o se ne stavano seduti all’ombra di una palma trattenendo il desiderio di correre dietro ad una palla, che li avrebbe cotti a puntino. Le donne indossavano veli leggerissimi, quasi trasparenti. Alle fontanelle c’era la fila per bere o riempire caraffe dopo caraffe. Il caldo favoriva il diffondersi di profumi culinari, ma anche di odori sgradevoli: Malik affrettò il passo vicino alla stalla.
Durante il passeggio per la cittadella, chi lo riconosceva gli faceva un cenno con la mano, col capo o s’inchinava rispettosamente. Guardie, assassini o gente comune, tutti sembravano lieti di incontrarlo sul proprio cammino. Al-Sayf mascherava lo sconforto dietro un soddisfatto sorriso, come se cogliere di nuovo l’equilibrio del mondo tra la propria gente fosse un’impareggiabile liberazione, piuttosto che un immenso sollievo.
In realtà era distratto da molte cose al dì fuori del caldo.
In cima a tutte c’erano le sue iniziative della notte precedente verso il Frutto. Quel che aveva fatto era imperdonabile. Si vergognava sopra ogni dire a camminare tra la sua gente fingendo che non fosse successo nulla. Gli unici informati di cosa era accaduto tra Altaїr, Malik e la Mela del Peccato avevano gelosamente custodito il segreto, dimenticando o semplicemente tacendo ad altri quel che avevano visto succedere.
In secondo luogo, giaceva il nebuloso ricordo delle emozioni provate nel trascorrere la notte col suo compagno di disavventure. Il segno delle sue labbra era ancora impresso sul suo collo, il profumo inebriante del suo corpo lo avvertiva ancora nel profondo, il calore delle sue mani lo solleticava ancora sulla schiena e sul petto.
Malik si fermò ad un tratto nel mezzo del mercato, immerso nel mare di folla che gli camminava ai lati. Ebbe la sensazione di soffocare in un mare in tempesta: oltre al fatto che quel genere di ricordi rischiavano di suscitare in lui certe reazioni, non aveva mai visto tanta gente tutta assieme, soprattutto in una giornata così calda. Sembrava di essere rimasti bloccati nel traffico quotidiano di Damasco durante un’importante festività: fiumi di volti mai visti affollavano la strada e si restava incastrati tra una schiena e l’altra, costretti ad avanzare per la direzione in cui punta la corrente.
Malik trovò e sedé sul bordo di un muretto, riuscendo a tirare un respiro di sollievo dopo essere sfuggito a quel girone infernale.
Ma da dove viene tutta questa gente? Si chiese con un moto di ansia, stupore e scetticismo.
Masyaf contava al massimo la metà delle persone che affollavano il mercato in quel momento. Lanciando un’occhiata fuori dalle mura della cittadella, Malik si accorse di un’altra valanga di donne e bambini accampati come nomadi, mentre sul sentiero che serpentava per le bancarelle se n’era sparpagliata già una prima.
D’un tratto, l’attenzione di Malik cadde su una giovane donna coperta da un velo giallo, che si faceva largo tra la folla con difficoltà, fermandosi ogni tanto ad interpellare qualcuno con alcune domande. Lo spiraglio che il velo consentiva mostrava profondi occhi neri traversati dalla disperazione. Quando la donna si accorse che Malik l’aveva fissata per tutto quel tempo, venne verso di lui con passi infermi.
-Vi prego, dovete aiutarmi!- supplicò lei, inginocchiandosi ai suoi piedi.
Malik aggrottò la fronte, inizialmente perplesso, ma poi si concesse di ascoltare.
-Ho perduto mio figlio!- strillò ella, tra le lacrime. –Vi prego, aiutatemi! Aiutatemi a ritrovarlo! L’avete visto?!-.
-Calmatevi, una cosa alla volta- disse Malik sorreggendola per i gomiti, affinché si alzasse. –Ditemi: cosa sta succedendo qui? Chi è tutta questa gente?- cercò di mostrarsi il più sereno possibile nella speranza che anche la donna si acquietasse.
Ma lei, piuttosto, ignorò le sue parole e ripeté nuovamente: -Mio figlio, signore, l’ho perduto! Vi prego, se potete aiutarmi, ditemi se l’avete visto!- aveva un viso giovane e fino, un corpo non troppo magro e un seno piccolo. Nascosta dagli abiti, poteva avere venti come una quarantina d’anni per via della statura nella media.
Malik, sull’orlo dell’insofferenza, serrò le labbra in una smorfia. Fece per replicare, ribadendo nuovamente la domanda più importante, ma dall’altra parte della strada due guardie col cappuccio grigio vennero di gran corsa verso di lui.
-Malik, grazie al cielo!- il primo azzardò un inchino e l’altro lo imitò.
-Perfetto, non ditemi che anche voi cercate i vostri figli!- eruppe il falco.
Quelli lo guardarono interrogativi per un istante, poi lo stesso che lo aveva chiamato per nome, quello più anziano, mosse un passo avanti e indicò alle proprie spalle. –Guarda che roba, Malik! Sono arrivati durante la notte! Il grosso è accampato fuori dalla città, ma donne e bambini intralciano i carri dei mercanti sul sentiero! Non c’è verso di farli spostare!-.
Malik indugiò un istante. –Da dove spuntano fuori, piuttosto, si può sapere?-.
Quelli alzarono le spalle.
-Avete provato a parlare con loro civilmente?-.
Quella gente aveva tanto l’aria di chi ha passato una brutta esperienza. La donna dietro di sé doveva per forza farne parte, e probabilmente risentiva il dolore nel modo peggiore: con la pazzia.
-Sì, Malik, ma sono sconvolti: le donne piangono, i bambini non ne parliamo! Gli uomini si rifiutano di aprire bocca con chiunque indossi delle armi!-.
-È il caos! Cosa facciamo?- chiese l’altro, terrorizzato.
-Amjad, Jaber, dovete mantenere la lucidità, almeno voi, ve ne prego. Prenderò in mano la situazione personalmente. Amjad, raduna altre guardie e vedete se tra questa gente c’è qualcuno che può far loro da rappresentate e portatelo da me alla Fortezza. Nel frattempo, Jaber voglio che ti occupi di questa donna e l’aiuti a ritrovare suo figlio- dettò Malik alludendo alla fanciulla dietro di sé.
Jaber allungò un’occhiata alle spalle del falco, ma sul suo volto comparve un’espressione confusa. –Certo, ma… quale donna?- chiese.
Malik si voltò, ma trattenne a stento un sobbalzo quando si accorse che la povera dama sembrava essersi volatilizzata nel nulla. Guardò di qua e di là cercandola tra i corpi che animavano le affollate vie del mercato, ma nulla da fare: era scomparsa.
-Dimentica ciò che ho appena detto…- mormorò poco convinto delle sue parole tornando a rivolgersi ai due. –Piuttosto, corri alla Torre e di’ ad Altaїr che ho urgente bisogno anche di lui-.
Jaber annuì e scattò di corsa verso la Fortezza.
Amjad scrutò a lungo il volto del suo superiore, prima di decidersi ad entrare in azione. Malik, non accorgendosi del suo insistente sguardo puntato su di sé, finì per ignorarlo dando ad Amjad il tempo necessario per studiare lo sconforto che si annidava in lui.
-Tutto bene?- volle chiedere quello.
-Sono solo molto turbato, Amjad. Nel caso non avessi assimilato la gravità della cosa, che non è affatto normale, ti suggerisco di attenerti ai miei ordini- rispose Malik in un cupo mormorio.
-No, fratello, io mi riferivo a te- lo contraddisse.
Malik gli scoccò un’occhiata confusa.
Amjad lo fissò dritto negli occhi. -Non ho visto nessuna donna- disse prima di allontanarsi.

~ ۞ ~

Pochi sapevano che dove ora sorgeva quella torre, vi riposavano i resti di un ancor più antico luogo di culto islamico: un edificio tondeggiante il cui ingresso si mostrava sotto forma di otto archi monumentali, pitturati di colori sgancianti rovinatisi nel tempo.
Nessun testo come nessuna mappa indicava la posizione di quel tempio. Altaїr ne aveva abbastanza di leggende e superstizioni che gravitavano attorno a tale costruzione, ma non biasimava chi aveva timore di addentrarvisi. Il mito che proteggeva gli otto archi bastava a tenere lontani occhi curiosi di giovani assassini, perciò erano pochi quelli che acconsentivano a recarsi nella cantina al fine sistemare vecchi libri polverosi.
Altaїr conosceva a mala pena quel luogo che, come molti, prima di lui, aveva imparato a rispettare. Il volere di Malik affinché le carte e gli appunti di Al Mualim venissero isolati nella cantina era solo il pretesto che l’aveva spinto a prendere la fatale decisione di custodire là il Frutto dell’Eden. L’oscurità lo inghiottì quando giunse sul freddo suolo di pietra, il punto più profondo della cantina. Lì gli scaffali coi libri lasciavano aria agli imponenti otto archi decorati, in uno dei quali si diceva dormisse il vero e proprio accesso al tempio, che scavava ancor più negli abissi della terra assieme alle sue leggende: non solo creature mostruose o trappole mortali custodivano segreti e tesori, ma tutti i dolori dell’uomo, quasi il tempio stesso fosse un grande Vaso di Pandora.
Altaїr non credeva a quelle scemenze. Chiunque avrebbe potuto costruire quattro mura sulla cima di una montagna, dove ora sorgeva la Fortezza degli Assassini, e battezzarle col nome di “Tempio Sacro”. La sua, ma la fede di tutti gli uomini vacillava attaccata ad un fragile filo, la cui essenza poteva essere riassunta in sei semplici parole, che a lui erano state insegnate a pronunciare fin dalla più soffice età: Niente è Reale. Tutto è Lecito.
Il duello con Al Mualim gli aveva aperto gli occhi, mostrandogli quanto l’illusione e la menzogna fossero state troppo a lungo gli unici peccati nei quali l’uomo avesse mai galleggiato per secoli. Se era vero tutto ciò che si diceva del Frutto, tutto ciò che Al Mualim sembrava aver scoperto su di esso, persino il possente assassino figlio di nessuno stentava a credere di possedere tanto potere nelle sue mani, e di essere riuscito a sfuggirne prima che fosse troppo tardi.
La sala circolare nella quale si ritrovò era troppo buia per vedere oltre il proprio naso. Altaїr mosse alcuni passi verso il centro e portò avanti la mano libera. Quando arrivò a toccare con le quattro dita quel che si aspettava di trovare dove vagamente ricordava che fosse, si spostò sulla destra e seguì il profilo della colonna portante il primo degli otto archi. Finalmente raggiunse a sfiorare con il palmo la superficie lignea di un tavolo basso, attorno al quale, se ricordava bene, dovevano esserci due mobiletti e alcuni cuscini. Sotto ai propri piedi Altaїr percepì improvvisamente la morbidezza di un tappeto ricamato, seppur pieno di polvere. L’aria era satura, compatta, consumata dalle centinaia di antichi volumi, oggetti e pergamene rinchiusi nei livelli superiori, che respiravano come esseri pulsanti, pieni di vita, pronti ad implodere della loro nobiltà rinnegata.
Altaїr posò il cofanetto sul ripiano e, sedendo in ginocchio a poca distanza da esso, attese per un tempo che gli parve eterno. Scrutò a lungo la minuta figura del bauletto davanti ai suoi occhi neri, che in un ambiente tanto buio, si confondevano con l’oscurità tutt’attorno alla sua figura. Inginocchiato come un umile discepolo dinnanzi ad una possente divinità, Altaїr svuotò la mente e abbandonò i sensi del proprio corpo come gli era stato insegnato dai suoi predecessori, in preparazione ad un omicidio.

“L’anima e il corpo comunicano attraverso un sottile canale che attraversa sia uno che l’altra. Le carni e lo spirito diventano un tutt’uno, mentre la natura sussurra il suo volere e il destino si compie. Rammenta, Altaїr: l’essere umano è sempre una marionetta nelle mani di altri, una macchina costruita da altri, uno schiavo che anche quando pensa di poter vivere libero compiendo azioni che lo facciano sentire tale, è prigioniero di chi o di cosa lo ha forgiato. Io sono il tuo maestro: ti insegnerò l’arte della spada, e sarà con ciò che ti ho insegnato che ti userò e ti comanderò. Anche quando penserai che i miei fili non siano legati ai tuoi, sarà allora che dovrai compiacerti di come il mio semplice ricordo ti dia pena e dolore. Sarai cosciente di aver fatto tutto quello che hai fatto solo grazie a ciò che ti ho insegnato. Quel giorno tornerai da me, invocherai il mio perdono, perché avrai scoperto che quel di cui sei stato sfamato, non potrai mai vivere senza…”

Altaїr si destò con un brivido che gli corse lungo la spina dorsale. Si accorse di avere i pugni stretti sul tavolo, ai lati del cofanetto, e la mascella serrata. Il corpo, quello che credeva di aver assopito assieme ai sensi, era teso come un ciocco e freddo come la pietra.
Le parole che aveva rivissuto nella sua mente appartenevano ad Al Mualim, il giorno in cui aveva dettato lui il nome della sua prima vittima. All’epoca Altaїr era ancora un bambino, appena dodicenne, ma con un grande spirito di osservatore e quel silenzio nell’anima che Al Mualim aveva cercato in molti, prima di trovare lui.
Ora lo stesso silenzio di allora lo inghiottiva, e Altaїr soffocava nel proprio dolore.
Ciascun uomo morto per la sua lama, Altaїr si rendeva conto di averlo ucciso solo perché non gli era mai stato insegnato altro. L’occultamento delle altre possibilità lo aveva rinchiuso in una dimensione forzata delle cose e della ragione, in cui sia corpo che spirito giacevano inermi al servizio altrui. Eppure, Altaїr colse una piccola consolazione nel falso di alcune sue parole: Al Mualim diceva che sarebbe tornato da lui, che avrebbe invocato il suo perdono. Altaїr non aveva mai cercato di ribellarsi. Era successo una volta soltanto nel Tempio di Salomone, ma ormai capiva di essere stato condizionato da altro, non da quella che Al Mualim chiamava ribellione e voglia di libertà. Quel senso di oppressione sarebbe svanito solo successivamente, dopo l’assassinio di Roberto de Sable, solo con la consapevolezza della menzogna e dell’inganno. Solo allora Altaїr aveva osato “ribellarsi”, insorgere, mordere la mano che lo nutriva. Il grandioso guadagno era stato vedere il sole mentre la nebbia dell’illusione svaniva, mentre la cortina dell’occultamento si scioglieva in un’impetuosa tempesta del deserto. Quella dimensione forzata dettata da una religione fasulla era morta, e Al Mualim era precipitato nel baratro che lui stesso aveva creato, ma per altri.
Ma Al Mualim aveva sempre avuto ragione su ogni cosa, fin da principio. Si era accorto della menzogna prima di chiunque altro, e il suo fine di svelarne l’esistenza era nobile, ma i mezzi per ottenerlo inqualificabili… Quindi perché avrebbe dovuto sbagliarsi proprio ora?
Mettere da parte i suoi appunti, le sue ricerche, non avrebbe tenuto lontano l’ingordigia di quelli che sarebbero venuti dopo di loro. Altaїr aveva paura nell’essere costretto ad affidare il proprio sapere, le proprie conoscenze e le proprie conclusioni, assieme alle proprie esperienze, in mani di sconosciuti ai quali sarebbe venuto da porgersi un dubbio infame, che già nei tempi aveva mietuto le sue vittime.
Ma nessuno aveva ben chiaro che il più grande errore umano stava per ripetersi.
Qualcuno stava ricominciando a tessere la tela dell’illusione: decretando che nessuno entrasse nella dimensione veritiera dei fatti, l’aquila e il falco avevano scelto di stendere un nuovo telo della menzogna. Il ciclo si stava ripetendo, anche quando ci si era prefissi di interromperlo.
L’unico modo per fermare tutto questo una volta per tutte, era accertarsi che esistesse un mezzo capace di interrompere la catena e sostituire gli anelli mancanti con un qualcosa di diverso, di fresco.
Altaїr fece un lungo respiro profondo e guardò il cofanetto di fronte a sé. Ormai prossimo al gesto di aprirlo, una penetrante e giovane voce rimbombò nella cantina, richiamando la sua attenzione verso l’alto. Il fascio di luce proiettato dal foro della botola venne oscurato da un cappuccio grigio.
-Maestro Altaїr, presto, salite subito! Malik desidera vedervi, è urgente!-.

~ ۞ ~





















.:Angolo d’Autrice:.
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Incredibile dire a parole che fatica mi sia costata questo capitolo: cercavo disperatamente qualcosa di plausibile da scrivere senza cadere nell’assurdità, ma ora sta a voi decidere cosa merita davvero come critiche e commenti. Esigo ringraziare RebyEMiko e PotterWatch per l’interesse col quale seguono e (spero) continueranno a seguire la fan fiction.
Vorrei rispondere ad entrambe dicendo che, da un punto di vista yaoi, la storia avrà poche (ma buone, speriamo) scene di quel genere. Il carattere della trama è variato: da che era un romantico – avventura – sovrannaturale, si è visto crescere in malinconico – mistero – introspettivo. Il rating, pertanto, non è più rosso, bensì arancione.
Detto ciò, parto con le premesse.
Il personaggio di Malik in questo capitolo è combattuto. Oltre ai problemi nati per via dei “nomadi” di Masyaf, vedremo il nostro assassino senza un braccio alle prese col rifiutare Altaїr, e di conseguenza sé stesso. Maggiori dettagli nel prossimo capitolo.
Altaїr, dal canto suo, ha altrettanti semi in zucca a cui pensare: avverte che la responsabilità del Frutto dell’Eden è tutta nelle sue mani e proprio per questo non ha la minima intenzione di coinvolgere nuovamente Malik. I due vivranno un certo periodo di distacco (durante il quale darò maggior peso alle faccende esterne – nomadi, invasioni, templari…- basta spoiler, dannazione!).
La cantina e successivamente il l’antico tempio sono di mia invenzione. Perciò non vi salga in mente di vagare come anime in pena per tutta la Fortezza del gioco cercando quella maledetta botola, che non esiste! (lol) La location, però, corrisponde alla piazzola dalla quale si getta Altaїr nel primo blocco di memoria, quando arrivano i Templari a Masyaf e lui ha il compito di attivare la trappola. La torre di cui parlo non è quella dalla quale cadono i tronchi, ma quella che è parte integrante delle mura della Fortezza ed è possibile raggiungere con una scaletta in legno. Non so voi, ma io adoro quella piazzola. (La botola è nascosta sotto uno dei tappeti dell’arredo).
Il tempio, così come la cantina, nasce dalla mia fantasia. I tipici archi a volta li conosciamo, e le tradizionali pitture anche! Basti pensare che i cortili di Damasco sono pieni di quel genere di archi!
Chi avrà attirato (spero) la vostra attenzione in questo capitolo immagino sia la misteriosa donna che si dilegua all’improvviso, col beneficio del dubbio lasciatoci da Amjad che sostiene di non aver visto nessuna donna. La fanciulla avrà un ruolo cruciale nella fan fiction, tenete d’occhio lei e come si comporta chi la circonda!
Amjad significa il più glorioso.
Jaber sta per consolatore.
Credo di aver detto tutto.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo ^-^ (sperando che anche questo vi sia piaciuto).
A presto!
Caltaccia.

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Capitolo 4
*** IV ***



IV

Gli occhi dell’aquila si erano sporsi a guardare oltre la balaustra della torre e avevano visto in città tutto quel trambusto non senza lasciare che le sopracciglia si aggrottassero. Quando il novizio dal cappuccio grigio, Jaber, gli aveva fatto sapere che Malik lo attendeva nello studio del Maestro nel salone della Fortezza, Altaїr si era precipitato lì ignorando il traffico cittadino mal gestito dalle guardie. Era accorso dall’amico sperando di poter avere delle spiegazioni migliori di quelle che non aveva saputo dargli lo stesso ragazzo che Malik aveva mandato a chiamarlo.
-Si può sapere cosa…-.
Altaїr comparve correndo sulle scale e spezzò a metà la frase, fermandosi con un piede sul pianerottolo e l’altro sul gradino più in basso. La sua avvenenza era rotolata giù per le scale, il suo viso era il ritratto dello stupore.  
La scena che si trovò di fronte era del tutto inaspettata.
Incoerente.
Il suo compagno era impegnato in un’accesa discussione con un uomo dal volto sudato e solcato dalle rughe dell’anzianità. La barba folta e bianca gli nascondeva il mento e buona parte del collo, i vestiti erano di stracci e alla cintola portava un pugnale in un fodero improvvisato con della stoffa. Era accompagnato da due giovani che potevano essere tanto i suoi figli quanto altra gente venuta a lamentarsi, perché quella che inizialmente ad Altaїr era parsa una “discussione”, ora aveva preso i toni di una lamentela popolare. I due giovani intervenivano spesso e a danno di Malik, che era in difficoltà sul come gestire le voci prepotenti di quegli stranieri.
Altaїr irruppe nella conversazione accorgendosi di essere stato ignorato fino a quel momento. –Ordine- disse. Si frappose tra Malik e i forestieri intimando a quest’ultimi di allontanarsi. Quello di estrarre la lama dal polso per ingrassare la propria autorità fu un gesto del tutto naturale.
L’uomo e i due ragazzi si rabbonirono all’istante. Uno dei giovani, però, tacque per poco prima di urlare: -Vi chiediamo ospitalità e voi ci porgete soccorso puntandoci contro le vostre armi?! Bella gente! Meno male che ci è stato consigliato di venire qui!-.
Altaїr lo ignorò e si voltò. Vide Malik rilassare le spalle e concedersi di asciugarsi la fronte imperlata di sudore con la manica dell’unico braccio. Scoccò un’occhiata all’aquila sussurrando: -Finalmente, grazie al cielo sei qui-.
-Che cosa sta succedendo? Chi sono?- chiese Altaїr alludendo ai tre dietro di sé. Alcune guardie avevano scelto spontaneamente di intrattenere gli “ospiti” lontano dalla conversazione tra l’aquila e il falco.
Quest’ultimo poté sedere più tranquillo dietro la scrivania, sospirando. –Non dovevi spaventarli, non ce n’era bisogno, avevo tutto sotto controllo-.
-Il tuo orgoglio ti precede. A me non è sembrato- ne rise l’altro con una nota isterica.
Malik lo fulminò con un’occhiataccia. –Sono sfollati, Altaїr. Un esercito di armati li ha scacciati dalle loro case e sono venuti qui senza altro posto dove andare. Sono centinaia, sono affamati e sono molto arrabbiati- borbottò.
L’aquila inarcò un sopracciglio. L’ombra del cappuccio non tardiva nessuna emozione. -È tutto?-.
Malik sembrò non capire.
-È tutto quello che sai?- spiegò meglio.
-No, è tutto quello che sono riuscito a comprendere! Prego, accomodati, interrogali!- lo incitò con un gesto sfrontato dell’unico braccio. –Vediamo se al luccichio dell’acciaio s’inventano una storia diversa! O magari si tranquillizzano, vedi un po’ te!-.
Altaїr girò il capo e per un istante dimenticò lo stressato compagno. Volse la propria attenzione al giovane che aveva osato parlare nonostante il suo “ordine” abbastanza chiaro. Facendo oscillare appena i lembi della veste, Altaїr andò incontro al ragazzo intimando alle guardie che circondavano i tre di lasciargli spazio. Gli armati indietreggiarono e il giovane, quando Altaїr gli fece cenno, avanzò. Gli altri due tacquero osservando la scena.
-Sarai tu a parlare per tuo fratello e tuo padre. Pertanto misura i toni e le parole, e rammenta che il destino della tua gente dipenderà da esse-.
Il ragazzo, imbronciato e con una massa di capelli selvaggi e bagnati di sudore davanti al viso, respirava in modo agitato e sembrava tutt’altro che incline ad una conversazione tranquilla. Altaїr aveva scelto lui forse per ripicca, forse per giustizia o forse per divertimento, ma sembrava comunque aver indovinato il legame di sangue che univa quei tre. Nonostante la compostezza avvenente che l’aquila nascondeva sotto l’ombra del suo becco, il giovane dagli occhi azzurri non si lasciò intimorire. Un’occhiata del padre, che lo invitava a mantenere la calma, e un’ammonizione silenziosa del fratello, gli fecero riacquistare un po’ del senno perduto nell’agitazione. Raddrizzò le spalle e rilassò i muscoli contratti di braccia e gambe. Altaїr gli concedette tutto il tempo necessario.
Quando parlò, il ragazzo seppe farlo con onore e convinzione.
-Un gruppo di uomini armati, due sere fa, hanno saccheggiato il nostro villaggio nella valle del fiume. Io e la mia gente siamo ciò che resta del popolo di Al Quadmus. Su consiglio dello stesso uomo che guidava gli artefici del saccheggio, ci siamo spinti a sud fino ad entrare nelle vostre terre. Le guardie, non lasciandoci passare con le buone, sono andate incontro alla disperazione della mia gente che, pur di assicurarsi riparo prima della prossima notte, ha viaggiato senza sosta in questa direzione. Ora, vi prego, vi imploro, proteggeteci…-.
Ecco perché nessuna staffetta è arrivata prima di questa plebaglia… pensò Altaїr.
-Al Quadmus?- Malik scattò in piedi, esterrefatto. –Ma è a pochi chilometri da qui. Chi ci dice che i vostri assalitori non tentino di colpire anche noi e siano già alle porte?-.
-Vi avremmo spiegato anche questo se ce ne aveste lasciato il tempo!- eruppe l’anziano padre del ragazzo.
L’altro fratello aggiunse: -Quando ci hanno attaccato hanno fatto in modo che ci spingessimo nei vostri territori! Ci hanno rinchiusi nella valle con un’unica destinazione possibile: Masyaf! Ed ora eccoci qui, a portarvi il loro messaggio di guerra! Vogliono attaccarvi! Voi dovete combattere! Per noi, certo, ma per difendere anche voi stessi!-.
Il caos aveva ripreso a regnare. Invano le guardie tentarono di trattenere i due forestieri non interpellati da Altaїr, che, nel frattempo, aveva dato filo da torcere ai suoi istinti più feroci.
Richiamò l’ordine facendo scattare di nuovo la lama dal polso e minacciò di tagliare la gola al portavoce ufficiale. Il padre e l’altro figlio tacquero all’istante con gli occhi gonfi di lacrime.
-Se non terrete la lingua a posto, sarà costui a pagare per voi- sibilò Altaїr. Non era giornata per i mal di testa.
Tornando a rivolgersi al ragazzo che aveva interpellato, senza allontanare l’arma dalla sua gola, chiese: -Sapresti descrivermi gli uomini che vi hanno attaccato?-.
Il giovane indugiò un istante e inghiottì. Ricostruendo gli ultimi e dolorosi ricordi della sua patria, pensò in silenzio.
Malik, frattanto, aveva compreso i timori e le intenzioni di Altaїr e appoggiava la sua richiesta pur aspettando, impaziente, una risposta.
-Croci, mio signore- disse ad un tratto.
Altaїr si destò e tornò a studiare l’espressione smarrita del giovane che sembrava tutt’altro che convinto delle proprie parole.
Per un attimo credé che si trattasse dei Templari e scambiò con Malik un’occhiata turbata, ma il fratello del ragazzo intervenne dicendo: -Sì, croci d’argento, alcune in campo bianco, alcune in campo nero. Il loro generale vestiva di entrambi i colori. La sua croce era d’oro. Mi è passato davanti e…- s’interruppe cercando il sostegno negli occhi del padre, che lo abbracciò con vigore.
-Ha decapitato nostra madre- terminò il ragazzo di fronte ad Altaїr; chiudendo gli occhi e chinando il capo da una parte porse la guancia.
L’assassino richiamò la lama nel polso, ma il suono che ne venne fece intendere al ragazzo, per un istante, di aver contratto la morte. Strizzò e schiuse le palpebre, poi andò ad abbracciare i familiari in un angolo dello studio.
L’aquila e il falco s’incontrarono a metà strada.
-Non sono Templari- disse Altaїr, inquieto.
-Quelli li hai uccisi- apostrofò Malik. –Tutti- precisò. –E’ ovvio che non si tratta di loro-.
-E allora cosa ti aspetti da me?!- digrignò l’assassino. –Non ho idea di come risolvere la faccenda, se non mostrando a quei maledetti mercenari quanto sono solide le nostre mura e affilate le nostre spade!-.
-Siamo ancora troppo deboli per affrontare uno scontro, Altaїr- gli ricordò Malik, sbuffando. –E poi, sembrano tutt’altro che mercenari. Hai sentito, no? Croci argentate, vessilli bianchi e neri. Rifletti con me invece di giungere a conclusioni affrettate. Forse potremmo parlamentare, concordare pace-.
Altaїr sfociò in una fragorosa risata. –Ne sei così convinto, eh?-.
Malik aggrottò la fronte, offeso. –Caparbio come un caprone. Stupido, non ti lascerò guidare i nostri soldati al macello contro nemici che non conosciamo-.
-Chi sei per ordinare la ritirata?- sibilò.
-Un tuo superiore, e questo basta-.
-La gerarchia è caduta con Al Mualim-.
-Non osare farmi la predica-.
-E tu non starai mica insinuando che aspetteremo quei macellai a braccia aperte!-.
-Non ho detto questo-.
-Allora dobbiamo combattere. Preparo i miei uomini-.
Prima che potesse muovere un passo, Malik lo afferrò saldamente per la manica. I due si fissarono a lungo negli occhi anche quando l’ombra del cappuccio consentiva poco all’uno di scrutare quelli dell’altro. Malik riuscì ugualmente a leggere l’irritazione sul viso del suo compagno e non riuscì ad ignorare i sentimenti contrastanti rievocati assieme ai ricordi della notte scorsa.
Altaїr sembrò leggergli in faccia quei pensieri e sorrise debolmente.
-L’unica cosa che preparerai sarà il tuo cavallo. Voglio vederti in sella prima del mezzogiorno e nella valle prima del pomeriggio- disse il falco piantando le unghie nella veste del compagno.
Altaїr posò le proprie sulle dita del compagno. Il falco sfuggì a quel flebile tocco ritraendo gli artigli. Prendendo la giusta distanza dall’amico, visibilmente dispiaciuto del suo rifiuto, continuò impettito: -Sarai il nostro ambasciatore: chiederai civilmente un incontro con il generale dalla croce dorata e farai tutto ciò che sarà in tuo potere per ottenere un accordo pacifico. Inoltre, e come spero tu abbia dato per scontato, voglio saperne di più su chi sono, da dove vengono, cosa vogliono e perché hanno fatto quel che hanno fatto. Tornerai da me non prima di aver ricevuto un numero di risposte in eguale misura alle mie domande. Se dovessero mostrarsi poco avvenenti nei tuoi confronti, avrai con te le tue armi, ma ti ordino di spargere il meno sangue possibile- disse precedendo i dubbi di Altaїr, che aveva considerato quella di un rifiuto di pace come prima tra tutte le ipotesi.
-Poni in me tanta fiducia mandandomi da solo?- chiese l’aquila inarcando un sopracciglio.
-Ti sarebbe piaciuto, eh?- ridacchiò Malik tornando seduto dietro la scrivania. –Temo di essere costretto a privarti di questa gioia: no, non sarai solo; Khalid verrà con te ma, in caso di pericolo, voglio che tu lo costringa a rientrare, precedendoti-.
-Temi più per la vita di quel l’incapace piuttosto che la mia?!- si stupì l’assassino.
-Certo, quant’è vero che ti voglio morto. Ora puoi andare, se lo desideri- Malik non attese repliche e, con gli occhi sgranati dell’aquila puntati su di sé, ordino alle guardie di scortare i forestieri fuori dalla fortezza e riunirli alla gente in piazza.
Sta scherzando, spero… pensò Altaїr con una smorfia restando dov’era.
-Faremo tutto il possibile. Vi terrò aggiornati- aveva Malik detto all’anziano, che di nome faceva Mansur. I suoi figli erano rispettivamente Imad, il maggiore e Maher, il minore, quello caparbio, sfrontato e ancora nervoso come un toro.
Altaїr aveva guardato Malik stringere la mano al vecchio per infondergli conforto e acconsentirgli la protezione chiesta. Il figlio maggiore aveva accompagnato l’anziano, come una badante, giù per le scale seguito da alcune delle guardie. Maher sembrava aver messo i chiodi sul pianerottolo.
Malik e Altaїr lo scrutarono di sottecchi.
-Cosa fai lì imparato?- l’aquila gli mosse un passo incontro. –Torna dalla tua gente con la tua famiglia-.
Lo sguardo cagnesco del ragazzo fu un chiaro rifiuto. Piuttosto avanzò ponendosi di petto di fronte all’assassino. –Voglio venire con voi- annunciò. –Voglio guardare in faccia l’uomo che ha staccato la testa a mia madre- aggiunse, temibile e determinato. Con quella scintilla negli occhi azzurri avrebbe potuto incutere terrore ad una donna stizzita, ma non ad Altaїr.
L’assassino fece un cenno col capo all’ultima guardia rimasta, che si apprestò ad afferrare il ragazzo per i polsi e trascinarlo a forza sulle scale. Il giovane si dimenava e ringhiava come un animale tentando invano di sfuggire alla presa salda del soldato incappucciato di grigio.
-Amjad, fermo-.
La voce di Malik aveva spezzato la scena e lasciato calare sulla fortezza un silenzio innaturale.
Sia la guardia sia il ragazzo coi gomiti imprigionati tra le sue grinfie erano diventati all’improvviso statue di cera.
Voltandosi a guardarlo, Altaїr strinse i pugni. Malik si stava preparando a contraddire ancora la sua autorità sopravvalutando la propria. La cosa lo innervosiva sopra ogni dire, ma rimase ugualmente a bocca chiusa.
-Per mostrarci oltremodo indulgenti con i nostri ospiti, acconsentirò la tua partenza assieme ai miei uomini, ragazzo, ma ad una condizione-.
Che cosa stai facendo, Malik? Si chiese Altaїr, esasperato.
Amjad lasciò al giovane libertà di movimento e Maher avanzò, volendo mettere più distanza possibile tra lui e Altaїr, rigido in un angolo dello studio. S’inchinò a Malik. –Qualsiasi cosa per voi, mio signore-.
Altaїr alzò gli occhi al cielo. Questo è troppo…
Malik rimase neutrale a quel gesto. Si limitò a scrivere qualcosa su una pergamena che poi, sotto gli occhi dei presenti, cedé ad una nuova guardia appena convocata. –Tu e tuo fratello presterete servizio in questa e nelle nostre battaglie future, se ce ne saranno, come membri a pieno titolo della fratellanza-.
-Pazzo!- gridò Altaїr battendo il pugno su uno scaffale della libreria. Si avvicinò a Malik resistendo all’impulso di afferrarlo per la collottola e frullarlo fuori dalla vetrata alle sue spalle. –Questa confraternita ora protegge segreti che non possiamo permetterci di condividere coi primi sfollati che passano per le nostre terre!- gli sibilò a voce troppo bassa perché Maher, il diretto interessato, lo sentisse. La mascella serrata e i pugni stretti lungo i fianchi. –Smettila di dire stronzate e fare cretinate, dannazione!-.
Malik lo ignorò del tutto. Sapeva che il suo amico non si sarebbe spinto oltre in presenza di guardie. Avrebbe preferito discutere in un secondo momento con il compagno, chiarendo quello e ben altri suoi “comportamenti”.  
Maher drizzò le spalle e gonfiò il petto, orgoglioso. –Per mio fratello e me sarebbe un onore, Maestro-.
Questa volta a subire un’occhiataccia di Altaїr fu quel giovane innocente, che non si lasciò intimidire per nulla. Ad un tratto Altaїr era diventato potente quanto un visir ciarlatano e poco affidabile, ignorato e dipartito da tutti.
Malik congedò il ragazzo e Amjad affidando a quest’ultimo il compito procurare una tunica da novizio al nuovo adepto e di far chiamare il fratello maggiore, Imad, nel pomeriggio. Per coprire l’assenza di Altaїr, Malik aveva deciso di avvalersi di tutto l’aiuto possibile per sistemare le questioni interne e il ragazzo che aveva scelto per rattoppare il fianco scoperto era il primo figlio di Mansur.
Altaїr fu assalito dalla collera quando vide Maher perdersi nei corridoi della fortezza scortato da Amjad. Malik non solo aveva scelto d’ignorare la sua voce in capitolo, ma anche i fasti e le cerimonie che la Confraternita prevedeva per l’ingresso di un nuovo seguace. Forse un taglio delle tradizioni potevano anche permetterselo, Altaїr non era tanto arrabbiato per questo, quanto per il fatto che Malik aveva usurpato la sua autorità, quand’era stata sua la mano che aveva guidato la lama nella carne di Al Mualim.
Finalmente furono soli. Il quieto silenzio che regnò nella fortezza durò giusto qualche istante, il tempo perché una rara folata di vento estivo s’insinuasse nell’androne attraverso l’ingresso principale e finisse a rinfrescare il volto accaldato di entrambi.
Fu Malik, socchiudendo gli occhi e godendosi lo sbuffo rinfrescante sulla pelle, a parlare per primo: -Non posso smentirti quando mi dai del pazzo. Non nego di aver fatto molti sbagli in passato, tra cui quello di sopravvalutarti, ma sto lottando per mio conto affinché non se ne presentino in futuro. Voglio sbrigliare questo nodo almeno quanto te, fratello, perciò lasciamene la possibilità-.
-Non ti sto negando di poterci guidare, Malik- sottolineò l’aquila. –Ma esigo che tu mi renda partecipe delle tue scelte. Non mi sembra di chiedere troppo- si beffò con una risata isterica. –Ora spiegami cosa vuoi ottenere da quel giovane, prendendo lui e suo fratello con noi. In loro sembri aver visto qualcosa che a me deve essermi sfuggito- ammise con una smorfia.
Malik annuì senza staccare gli occhi dalla figura dell’uomo che aveva di fronte. –Precisamente, ti è sfuggito molto, amico mio. L’animo di uno e la saggezza dell’altro ci saranno molto d’aiuto; poi, se vorranno tornare alla loro famiglia e aiutare la ricostruzione della loro città saranno liberi di farlo. Ma per adesso preferisco che vestano i nostri vessilli-.
Altaїr annuì, seppur poco convinto.
Una nuova ventata risalì i gradini venendo a scompigliare le piume bianche dell’aquila e il mantello del falco. Quando i loro occhi s’incontrarono, fu per un breve istante.
Malik si affrettò ad alzarsi e trovarsi qualcosa da fare. Dietro il pretesto della distrazione nascose il desiderio di abbraccialo e pregarlo d’ignorare i suoi ordini, restandogli affianco invece di partire con Khalid e Maher verso i misteriosi crociati. Fece per prendere alcuni volumi dagli scaffali, ma s’interruppe nel momento in cui il calore delle braccia di Altaїr si materializzò attorno al proprio corpo. L’aquila affondò il becco nell’incavo della spalla del compagno, continuando ad abbracciarlo da dietro, e Malik voltò il capo leggermente. Il suo unico braccio era ancora proteso verso lo scaffale e il tomo che aveva puntato.
Restarono a lungo incatenati in quella posa, come due amanti che stanno prendendo direzioni diverse e si abbracciano per quella che potrebbe essere l’ultima volta. Scacciando simili macabri pensieri, Malik rinnegò il libro che stava per prendere e si voltò per scrutare l’ombra nel cappuccio dell’assassino.
Altaїr lo accompagnò dolcemente con le spalle contro la libreria e adagiò con altrettanta delicatezza il proprio corpo al suo. Chinandosi a baciarlo ricordò quando, giusto meno di ventiquattrore prima, lo aveva spinto con violenza contro quella stessa parete per impedirgli di raggiungere il Frutto dell’Eden che, poco dopo, aveva rotolato giù per le scale beffandosi di entrambi.
Fu un bacio lungo, ma immobile e delicato come lo sfiorarsi dei loro corpi. Il cuore di ambedue, però, batteva fortissimo in petto e l’emozione minacciava di fargli inciampare in qualcosa di più compromettente. Altaїr lo desiderò di nuovo e più della sera precedente; forse sarebbe riuscito a scansare parte del cappuccio dalle sue spalle per baciarlo sul collo, se solo Malik non l’avesse allontanato ad un tratto senza proferire parola.
-Al tuo ritorno…- cominciò, per poi interrompersi, guardando fuori dalla vetrata e dandogli le spalle. Sospirò. -Al tuo ritorno parleremo anche di questo- aveva concluso, inquieto. Parte della sua immagine era riflessa sul vetro, oltre il quale lo spettacolo cittadino non aveva subito cambiamenti.
Altaїr camminò come i gamberi finché non incontrò il primo gradino delle scale. Solo allora si voltò e corse giù dalla rampa ed oltre l’ingresso della fortezza. Rallentando un po’ il passo, appena fu all’esterno, chiese ad una guardia di trovare Khalid e chiamarlo a raccolta nelle stalle dove l’avrebbe trovato ad attenderlo per la partenza. La guardia annuì e scattò ad eseguire il comando.
Attraversando la parte alta della città, meno trafficata, Altaїr poteva ancora sentire il sapore delle sue labbra sulle proprie; l’aver dimenticato quello della sua pelle cominciava a fargli vorticare lo stomaco. Lo preoccupava pure il fatto di cosa Malik avesse voluto parlargli e del perché avesse tagliato i suoi sentimenti con così poco preavviso. Forse aveva captato le intenzioni del suo compagno e aveva preferito scansarle prima di fare troppi danni. O forse era semplicemente intimorito dal poco pudore che Altaїr aveva mostrato così all’improvviso. Era la prima volta che si baciavano fuori da una camera da letto o comunque in un luogo di pubblico accesso, come lo studio del Maestro. Avrebbe dovuto capire, invece di etichettare quello di Malik come un rifiuto verso i suoi sentimenti o un prepotente orgoglio e senso del dovere.
Tutte brutte cose che stavano minando il campo del loro amore.














.:Angolo d’Autrice:.
Eccomi tornata, dopo un’attesa che sembrava infinita! Finalmente mi sono potuta dedicare a questa storia come si deve. Vi basti sapere che riscritto tutte le scene descritte almeno cinque volte prima di trovare la versione migliore che, spero, sia di vostro gradimento.
I nomi che compaiono nel capitolo sono i seguenti – con rispettivi significati.
Imad: supporto, conforto.
Maher: capace, bravo.
Mansur: vittorioso.
Khalid (variante de Khaled): eterno.
Ringrazio RunaMagus per aver aggiunto la storia tra le seguite. PotterWatch per il sostegno alla causa e le recensioni passate, presenti e future, assieme a RebyEMiko per lo stesso motivo.
Come avrete notato, accorgendovi della storia aggiornata, ho cambiato l’introduzione. Vi consiglierei di dare un’occhiata – se non l’avete già fatto – perché è molto importante per quello che sarà lo sviluppo futuro e conclusivo della trama.
Come invece penso di aver spoilerato in giro, non ricordando a chi, voglio condividere con voi che il collegamento di questa storia con AC II riguarda il nostro amatissimo Leonardo da Vinci.
^-^ Ora vi lascio.
P.S.
Voglio anticiparvi che per il prossimo capitolo potrebbe volerci anche una settimana di stesura. Inoltre potrei faticare (o meglio, arrancare faticosamente) nel mio ruolo di lettrice e mancare di commentare molte storie o capitoli (le varie one-shot aggiunte da poco mi mancano tutte!!) non uccidetemi, per questo, o non leggerete il proseguimento della storia! ;D
A presto ^-^
Caltaccia.

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Capitolo 5
*** V ***


Attenzione!
Capitolo altamente non-sense (senza senso…).
Istruzioni per l’uso: evitare la lettura per menti fragili o facilmente influenzabili da istinti omicidi. Insultare la scrittrice al concludersi della consultazione, al fine educativo di evitare che la cosa si ripeti.
Grazie per l'attenzione.




V




Il silenzio della valle era rotto dallo scalpiccio degli zoccoli ferrati. I tre cavalli apparvero nella gola, al galoppo, mentre inseguivano l’ombra di un’aquila che vegliava sul loro cammino dall’alto. Il suo grido s’infranse sulle pareti screpolate dai venti e tuonò sino all’orizzonte, dove la boscaglia arida e mediterranea scompariva inghiottita dalla cavità rocciosa sotto ai raggi del sole estivo.
Malik aveva detto “voglio vederti in sella prima del mezzogiorno”; per attraversare tutta la valle e giungere sui confini dei territori degli Assassini ci sarebbe voluta qualche ora. L’andatura dei cavalli era quella che era e non potevano certo rischiare di stremarli ancor prima di concludere i patti. Cosa ne sarebbe stato di loro se fossero stati costretti a fuggire e i mezzi a corto di energie? Sotto quel sole bollente, che insabbiava la terra e arroventava la pietra sul cammino, Altaїr malediceva le parole di Malik venute fuori dalle sue labbra, immaginando l’investitura ad ambasciatore come una sorta di punizione. Ma cosa aveva fatto per meritarsi tanto… disprezzo? Forse continuare a tormentarsi sugli atteggiamenti insoliti del suo compagno avrebbe finito per distrarlo e Altaїr non poteva permetterselo; più precisamente, non poteva permettersi di regalare a Malik un altro fallimento e qualche buon pretesto per deriderlo ancora.
Alle sue spalle Khalid e Maher, in quest’ordine, procedevano ad un galoppo sostenuto, rispettivamente in sella ad un baio e un pezzato grigio. Il nero stallone di Altaїr era forse, tra le tre, la bestia che soffriva di più.
La caluria dipingeva goccioline di sudore sulla loro fronti; un bavero davanti alla bocca impediva alla polvere sollevata dagli zoccoli d’impastare la lingua o intasare il respiro. Sarebbe sembrato di galoppare nel deserto, se qua e là non avesse fatto la sua comparsa qualche cespuglio di sempreverdi bruciate dal sole o un ulivo che metteva i frutti acerbi tra le piccole foglie. Il cielo azzurro era sgombro di nuvole, il caro sole si prendeva gioco delle loro ombre, divertendosi a modellarle nelle forme più bizzarre una volta contro le strette pareti della cavità rocciosa, una volta tra gli arbusti di una felce, una volta semplicemente distesa sulla terra infuocata.
Gli sbuffi dei cavalli si confondevano ai gemiti d’insofferenza dei rispettivi cavalieri; gli occhi incollati sul sentiero da percorrere e l’andatura costante erano una danza ipnotica, un insieme di costanti che addormentavano i sensi; se poi ci si metteva anche il sibilo di un serpente a sonagli nascosto tra le felci, ecco che a quella si aggiungeva una nuova melodia assuefante. L’aria diventava irrespirabile e il richiamo dell’aquila pareva la supplica di un avvoltoio che insegue le sue prede.
Altaїr aveva imparato ad ignorare gli agenti atmosferici: camminare per giorni sotto la pioggia, scalare le vette delle montagne più fredde o arrancare intere settimane nelle tempeste di sabbia più violente avevano formato il suo fisico come parte stessa delle intemperie. La natura l’aveva plasmato fin da bambino, il destino l’aveva affibbiato ad una setta incline al sacrificio quanto al bisogno di dissetare la mente col sangue. Sopportare il caldo e il freddo, il vento e la pioggia, la neve e la grandine non era nulla in confronto al tremore delle mani di un primo omicidio; ecco perché accanto al naturale insegnamento di vita, la setta insisteva con l’imprimervi affianco quello di morte.
Le correnti dell’oceano che trascinano due volte indietro la tua barca quando tu arranchi di una, insegnano a non smarrire la speranza.
E dove c’è speranza, c’è vita.
La guardia che ti corre incontro per piantarti la spada nella carne, lasciandoti assaporare il tuo sangue, t’insegna a non smarrire la fede.
E dove c’è fede, c’è morte…

“Maestro!” un fanciullo dagli occhi scuri alzò la mano di colpo. Il cappuccio, per il gesto affrettato, gli ricadde sulle spalle. Un bambino che aveva la metà dei suoi anni, vedendo gli altri attorno ridere di lui, gli rialzò il copricapo sulla testa con la premura di una madre, anche se in modo un po’ goffo.
Il vecchio Mualim, che sedeva a terra in mezzo al cerchio di ragazzi, acconsentì la sua richiesta con un cenno del capo. L’intero viso era nascosto dall’ombra del cappuccio verde smeraldo, unico colore a troneggiare in quel tripudio di bianco candido che erano le tuniche degli scolari.
“Maestro, perché dite che avere fede è come morire?” chiese quello. “Avere fede non dovrebbe significare poter vivere e continuare a vivere, anche dopo la morte stessa?” aggiunse oltremodo con tono saputello.
Nel gruppo girarono i primi brusii.
Al Mualim rimase composto nell’erba, ma non rispose subito o direttamente. Piuttosto, sorridendo, decise di cedere il fardello della parola ad un ragazzo del quale mai si era udita la voce, fino ad allora. Il fanciullo prescelto era inginocchiato e un po’ curvo, in tutt’altro luogo con le orecchie che il cappuccio molto calato sul volto nascondeva. Le vesti da novizio lo identificavano tale assieme ai suoi confratelli attorno.
“Altaїr” chiamò Al Mualim. Il ragazzo aveva lo sguardo assorto nel terreno e, quando sentì pronunciare il suo nome, irrigidì le spalle. “Perché non condividi con Malik e i tutti i tuoi compagni quello che ti ho detto alcune sere fa?”.
Il silenzio si fece pesante. Era la prima volta che Al Mualim interpellava il misterioso figlio di nessuno, o almeno, era la prima volta che lo faceva in pubblico stante.
Kadar si arpionò con le unghie delle dita piccole e sottili alla manica del fratello maggiore. Malik era una maschera di serietà e imbarazzo assieme; non sapeva se temere cosa ne sarebbe stato della sua domanda o il fatto di aver scomodato sia il Maestro sia quello strano ragazzo.
Altaїr, senza alzare il mento dal petto e immobile come una statua di marmo, ridusse gli occhi a due fessure. Per qualche interminabile istante nel giardino non si udì altro che il fruscio del vento primaverile che soffiava tra gli alberi e sulle loro tuniche bianche, giocando a rincorrere una coppia di rondini cinguettanti.
“Altaїr” lo chiamò un ragazzo dall’altra parte del cerchio. “Il Maestro ti ha fatto una domanda. Rispondi” gli ordinò. Era di qualche anno più grande, perciò poteva permettersi una sorta di rimprovero, ma Al Mualim non tollerò comunque il suo intervento e lo fece rigar dritto con un impercettibile tremore dell’occhio felino solcato dalla cicatrice.
Era vero: Altaїr non aveva mai parlato. Alle volte i suoi compagni interpretavano il suo silenzio come una ribellione, dovuta al fatto che il giovane assassino si sentiva prigioniero della setta piuttosto che suo fedele sottomesso. E non avevano tutti i torti. Era stato quel pensiero a far nascere tra lui ed Al Mualim il discorso della “fede” in senso di complicità, lealtà e fiducia in un fine o entità superiore.
Lo stupore di quando i suoi compagni udirono la sua voce fu pari a quello della vittoria di Davide sul gladiatore Golia.
“La vita è una lunga e buia galleria. Poniamo la fede in ciò che crediamo di conoscere. La fede accende una candela e a noi non resta che seguirla. Ma dove conduca o quanto ancora resti da percorrere nessuno lo sa. L’uomo trascorre la sua esistenza sperando di raggiungere qualcosa che, al momento della separazione dell’anima dal corpo, compensi quella mancanza. La morte è la fine della galleria. La candela non ci serve più, la fede non ci serve più. La fede è la morte.”
Concluso il discorso, non passarono che pochi secondi prima di una nuova domanda:
“Ma il Salto della Fede che mio padre ha fatto la scorsa stagione cosa c’entra con la morte?” chiese un ragazzo.
Al Mualim accennò un sorriso, compiaciuto dell’eccellente risposta, ma non aggiunse niente né al suo né agli interventi che vennero dopo.
Altaїr tornò a rinchiudersi nel suo mutismo con le spalle curve, mentre Al Mualim congedava i ragazzi invitandoli a farsi una bella nuotata nel lago a valle. Quelli, rispettosamente e non come ci si sarebbe aspettato da una mandria di ragazzini, s’inchinarono uno per volta e lasciarono i giardini della Fortezza.
Ultimo ad alzarsi dal prato fu Malik, preceduto dal fratellino che gli tirò la manica lamentandosi di avere caldo e anche un po’ sete. Il maggiore lo azzittì e lo mandò via, scorbutico, dicendo che lo avrebbe raggiunto più tardi. Kadar trottò fuori dal giardino. Il vecchio Maestro, rimasto ad osservare la scena da sotto il cancello, gli posò entrambe le mani sulle spalle e lo accompagnò fin nel salone della Fortezza, dove lo affidò ad un assassino più grande per il tragitto dalla cittadella al lago.
Nel frattempo Malik si avvicinò alla figura inginocchiata nell’erba di Altaїr, che non si era mosso per tutto il tempo. Se il vento non gli avesse scomposto i lembi della veste da novizio, si sarebbe potuto dire di lui una statua davvero. Il mento affondato nel petto, i pugni stretti sulle cosce, gli occhi chiusi. Stava pregando o piangendo? Si chiese Malik avvicinandosi ancora. O magari si tratteneva a stento dallo strozzarlo? Forse la sua pidocchiosa domanda lo aveva infastidito, o forse aveva semplicemente voglia di ammazzare qualcuno, come ce l’avevano tutti lì dentro.
“Hai una bella voce” disse il giovane falco con le braccia lungo i fianchi. Sembrava tranquillo, ma un qualsiasi occhio ben attento avrebbe potuto notare l’indice della mano sinistra che grattava nervosamente l’unghia del pollice. “Non capisco perché te ne vergogni tanto” concluse con un timido sorriso.
Silenzio, ma un impercettibile tremore dei gomiti tradì l’interpellato.
Malik si morse la lingua. Cos’altro aveva sbagliato? Il complimento era sincero e sapeva che Altaїr l’aveva capito. Non poteva essere realmente entrato in uno stato di trans come dava a vedere. Ci sentiva benissimo, forse anche meglio di lui, che stava cominciando ad innervosirsi sul serio: adesso nemmeno otteneva risposta! Tanto la sua voce ormai l’avevano sentita tutti quanti… perché quel ragazzo si ostinava a volerla tenere solo per sé?
Malik s’inginocchiò di fronte a lui. Altaїr sobbalzò appena, ma non staccò gli occhi da terra e il mento dal petto. Affondò le unghie nel palmi così forte da farseli sanguinare.
“Ehi, ti ricordi almeno come si respira?” domandò Malik allegro quel tanto da far distendere la cicatrice sulle labbra sottili dell’aquilotto.
Il falco sorrise a sua volta. Forse adesso gli avrebbe parlato da persona normale. Ma prima che potesse aggiungere qualche altro commento divertente, l’aquila tornò al suo volto di pietra e spiegò le ali, scegliendo di cambiare aria.
Alzandosi dal prato in un fruscio del vento, Altaїr gli diede le spalle e abbandonò il giardino.
Malik guardò la sua ombra perdersi nella Fortezza, oltre il cancello, e rimase inginocchiato nell’erba esattamente come c’era stato il figlio di nessuno fino a pochi attimi prima.

-Maestro Altaїr- lo chiamò Khalid, sbuffando assieme al suo baio che batteva gli zoccoli sul terreno arido, sollevando la polvere. –Maestro Altaїr, siamo arrivati… penso-.
L’aquila abbandonò i ricordi all’improvviso, concentrandosi sullo spettacolo che si stagliava poco sotto di loro. Si erano posizionati su un’altura rocciosa che abbracciava buona parte della valle ancora da attraversare. I profili delle montagne si confondevano ai prati ingialliti dal sole. Le pietre scintillavano come argento in quella distesa di grano dorato dove, come tanti piccoli funghi selvatici, era sorto l’accampamento più strano che Altaїr avesse mai visto.
Da una parte, nel luogo in cui le onde del lago s’infrangevano sulla costa, era stato improvvisato un ponticciolo con tanto di quattro imbarcazioni ormeggiate. Le vele sbattevano ad un vento che non c’era, le croci argentate sul petto dei soldati dalle tuniche luccicavano come pietre preziose incastonate in un mosaico bianco/nero. Dall’altra, una trentina di tende di stoffa ospitavano il via vai di un formicaio nel pieno del lavoro. Non c’era il solito trambusto delle fucine, non c’era il rumore del metallo contro il metallo; voci e suoni di passi si mescolavano a quelli della natura, unica a regnare su quel paesaggio inconsistente… magico, anzi.
Altaїr fece impennare il suo cavallo mentre nitriva. Dietro l’ombra del cappuccio non tradiva emozione alcuna se non un interiore stupore.
-Sono loro- disse Maher accarezzando la criniera del suo maculato grigio. -Sono i saccheggiatori della mia città- aggiunse coi denti che si frantumavano per quanto stringeva la mascella.
-Calma, ragazzo- lo ammonì Altaїr. -Rammenterai che siamo qui per chiedere un’udienza pacifica. E quando saremo in quella tenda,- proseguì l’aquila senza staccare gli occhi da un campeggio in particolare, la più grande di tutte le tende, sormontata da una croce dorata, -ti converrà avere le mani in tasca- gli suggerì con un’occhiata.
Maher sbuffò fumo dal naso. –Terrò conti del consiglio.-
Altaїr accorciò le redini. -Fidati di me… per esperienza personale- concluse l’assassino; l’ultima delle sue intenzioni era ricordare a Malik la missione nel Tempio di Salomone.
Il gruppo iniziò la discesa nella valle.

Il bianco dei tendoni era accecante. Il sole vi si rifletteva come su uno specchio e conferiva all’ambiente un’atmosfera… paradisiaca.
I tre, vestiti di stracci a confronto col candore maniacale di quel bianco, raggiunsero a passo misurato quello che parve loro l’ingresso dell’accampamento, presieduto da quattro guardie. Smontarono da cavallo, ma nessuno, nemmeno mentre avanzavano sempre più vicini ai cancelli, venne loro incontro per domandare chi fossero e quali le intenzioni.
Altaїr, in testa al triangolo, avanzava spedito senza guardarsi alle spalle. Dietro di lui, ai lati, c’erano il furente Maher e il silenzioso Khalid, che si guardava attorno circospetto. Ad un tratto, muovendo i primi passi nell’accampamento vero e proprio, quel poco di rumore che c’era stato fino ad allora s’interruppe e l’intero presidio militare sembrò calare nel silenzio di un cimitero. La sola melodia era quella del vento che agitava i vessilli e le vele delle quattro barche ormeggiate sul porticciolo. I soldati li lasciavano passare, facendosi da parte e interrompendo le mansioni da svolgere voltandosi a guardarli attraversare l’accampamento. Al posto degli elmi indossavano una maschera che ne nascondeva il volto, ma le particolari vesti svelarono che tra loro c’erano anche delle donne. Altaїr osservò quanto poté e apprese tutto ciò che Malik, in caso non fosse stato il generale a parlargliene pacificamente, avrebbe voluto sapere sui misteriosi mercenari. Ora che ci faceva caso, però, tutto quell’argento e quell’oro sulle uniformi e sulle tende facevano pensare poco ad un gruppo di cavalieri erranti. Forse erano stati sufficienti a seminare scompiglio in un villaggio di contadini, ma non sarebbero mai bastati a sopraffare la Fortezza. Masyaf contava un centinaio di guardie; in quell’accampamento potevano esserci al massimo una cinquantina di persone, metà delle quali erano donne, e anche molto silenziose.
Dove la sabbia della spiaggia del lago non veniva inghiottita dalle acque del lago, sorgeva, arroccata sulla scogliera, la tenda del generale; la più grande e la più bella, per così dire, i cui decori ornamentali e colori non si limitavano al bianco/nero intarsiato d’argento, come nel resto dell’accampamento, ma variavano dai più prestigiosi arabeschi orientali alle raffigurazioni delle battaglie più sanguinose, ove il rosso porpora della linfa mortale era stato sostituito da fiumi di oro bianco e argento vetrato. Vi erano cucite, ed era bello ammirarle solo dall’esterno, creature leggendarie ed esseri mostruosi al tempo stesso; figure, quelle, che s’incastravano perfettamente le une alle altre; come il cielo e la terra, l’acqua e il fuoco, il bianco e il nero.
Altaїr cominciava a sospettare che fosse tutto solo un sogno, ma Maher, al suo fianco, gli teneva svegli i sensi pronti a scattare nel caso il ragazzo avesse ceduto alla tentazione di staccare la testa a chi l’aveva staccata a sua madre.
Due lanceri sull’ingresso della tenda aprirono loro uno spiraglio per passare, mostrando un interno tanto spazioso da ospitare quattro colossi africani dalle grandi orecchie e la piccola coda. Dal soffitto pendevano strani gingilli astronomici, le pareti erano tappezzate di scaffali colmi di libri e pergamene senza età. Oro e argento di bigotteria e ammennicoli vari, sparsi qua e là tra cuscini, un tavolo e un paio di sedie non minavano la tranquillità di quella che, invece della tenda di un generale di battaglia, pareva il rifugio di un qualche sciamano egiziano. A tradire un po’ la presenza di tanta cultura e sapienza, erano le due lame incrociate appese alla parete di fondo, di fronte ad un uomo in casacca bianca e nera che dava loro le spalle. Il lungo mantello si allargava sul pavimento, mostrando in bella vista la croce dorata di cui aveva parlato Maher.
-Vi aspettavo, Assassini-.
Altaїr portò istintivamente il braccio sinistro all’indietro, sgranchendosi le dita della mano che era pronta ad azionare il meccanismo della lama nascosta. Il palmo destro era mollemente adagiato lungo il fianco. Khalid, su quel lato dell’aquila, era pronto ad estrarre i pugnali dalla cintura. Guardando Maher, che a malapena sarebbe stato in grado d’impugnare una spada, Altaїr non seppe dire se tremava di paura o di rabbia repressa.
L’ingresso della tenda si richiuse alle loro spalle senza che vi entrasse nessun’altra guardia. L’uomo si voltò, mostrando il volto coperto da una maschera a dir poco inquietante. Una prima metà era dipinta di bianco e decorata d’oro: le labbra tese verso l’alto in un sorriso e le sopracciglia sollevate. Una seconda, dipinta in nero: un ghigno crudele e gli occhi arcigni.
Maher indietreggiò con un balzo. Altaїr non si lasciò intimorire dall’aspetto del generale armato che, sul petto ampio, aveva tanti pezzi di una prestigiosa armatura da far invidia ai fasti di Saladino. La croce dorata di cui avevano parlato Imad e Maher, da vicino, pareva tutt’altro che un vessillo Templare. Più che un Crocifisso, aveva l’aria di un geroglifico egizio. Ma Altaїr conosceva l’Egiziano male quanto il Fenicio e il greco arcaico, pertanto non sarebbe stato capace di stabilire la natura di quel simbolo. Forse, se ne avesse parlato con Malik, forse…
-Chi siete?!-.
Altaїr si era distratto giusto un attimo, ma questo aveva permesso a Maher di avanzare minacciosamente impugnando una piccola arma. La punta del pugnale tremava assieme a tutto il braccio. Le lacrime gli rigavano il volto.  –Perché avete saccheggiato la nostra terra?! Cosa volete?! Schiavi?! Donne?! Oro?! Mi sembra che ne abbiate già abbastanza!- gridò.
-Maher- Altaїr guardava il ragazzo con la coda dell’occhio, pesando soprattutto il modo in cui stava reagendo il generale. –Maher, torna qui. Ora- ordinò.
-Rispondimi, bastardo!- il giovane paesano ignorò del tutto il comando, continuando a rivolgersi al misterioso mascherato.
Altaїr non volle attendere oltre: prima che la situazione si compromettesse, diede ordine a Khalid d’immobilizzare il ragazzo. L’assassino afferrò Maher per il braccio e glielo contorse con un gesto fulmineo. Il ragazzo, con un gemito, perse la presa sul pugnale non appena sentì l’osso piegarsi come non avrebbe dovuto. Maher cadde in ginocchio sul tappeto che copriva il pavimento della tenda, ma Khalid sostò all’ordine di Altaїr di continuare a vigilare su di lui anche se innocuo.
-Quello che il mio confratello intendeva dire…-  cominciò l’aquila, respirando piano.
-Lascialo a me-.
Altaїr incontrò gli occhi scuri dell’uomo attraverso le fessure della maschera. –…Cosa?- chiese senza capire.
-Se la sua presenza t’infastidisce, Assassino, lascialo a me-.
Khalid aggrottò la fronte, scoccando un’occhiata al suo superiore, ma Altaїr era altrettanto colpito da quell’offerta. –Non…- esitò, ma si maledisse. –Non siamo qui per contrattare esseri umani-.
-Cosa resta di umano in chi è disposto ad uccidere un suo simile?- domandò con voce profetica il generale.
Maher soffocò un grido. –Allora il primo a non essere umano siete voi!-.
-Chi ha mai sostenuto il contrario?-.
Ad Altaїr vorticava vertiginosamente la testa; doveva chiudere quella conversazione prima di collassare. –Avete attaccato il villaggio di Al Quadmus e ora minacciate le nostre terre. Il mio Signore chiede chi siete, da dove venite e cosa cercate- disse di punto in bianco.
Il mascherato, che apparentemente era sembrato disarmato, estrasse dal mantello una lama sottile come un ago. –Lascio a voi, Assassini, il decidere del vostro destino-.
Altaїr strinse i denti. –In questo periodo siamo poco inclini a versare del sangue- ammise. –V’è possibilità di stabilire… un accordo?-.
-C’è altro di più importante che occupa la vostra mente, Assassino? Mi sembri… distratto- la parte allegra della sua maschera di beffava di lui con una risata malsana.
L’aquila strizzò gli occhi. Non aveva mai avuto a che fare con generali così poco abbienti alla loro mansione primaria. Piuttosto che un residuo di guerra, l’uomo che aveva di fronte sembrava un giullare di una qualche corte francese; le glorie dell’estremo oriente sull’armatura e sul volto ne abbellivano la natura inquietante. Sì, Altaїr era distratto da molti pensieri al di fuori del suo ruolo di ambasciatore.
Il desiderio di tornare a Masyaf, anche a mani vuote, e di stringere Malik tra le proprie braccia tornò a farsi più vivido. Il sapore della sua pelle che aveva assaggiato la notte scorsa tornò a mancargli sulla lingua, e il mogano dei suoi occhi che si scioglieva mentre lo possedeva fu…
-Rispondete alle mie domande!- eruppe Altaїr, spazientito.
Cosa gli stava succedendo?! D’un tratto qualcosa o qualcuna sembrava essere entrato nella sua mente rievocandogli simili emozioni! Poteva davvero essere il misterioso mascherato l’artefice di un nuovo desiderio di peccato?
L’uomo sembrò soddisfatto di se stesso; rinfoderò la sua lama sottilissima in un fodero quasi invisibile, nascosto tra le pieghe del mantello. –Sai chi siamo, Assassino, e sai benissimo cosa vogliamo e perché-.
-Perdonatemi, mio Signore, ma così offendete la mia ignoranza: di grazia, illuminatemi!-.
Il mascherato tacque a lungo e, come se lo avesse ordinato loro col pensiero, nella tenda fecero irruzione quattro armigeri che trascinarono a forza gli incappucciati fuori dai suoi appartamenti. Maher si alzò da terra con l’aiuto di Khaled, che non gli mollava il braccio nemmeno per far circolare il sangue. Quel ragazzino aveva messo a dura prova la pazienza di troppe persone assieme.
Altaїr prese quel gesto come diniego, ma quando il generale mascherato si ripresentò al loro cospetto, nel centro dell’accampamento e sotto l’attenzione di tutti i soldati, in una qualche strana maniera il discorso si riallacciò alle sue condizioni di partenza.
-Due giorni e due notti a partire dalla prossima luna. Questo è il tempo che vi diamo per assecondare la nostra richiesta e ridarci ciò che ci appartiene. La Conoscenza non è nata per essere prigioniera dell’uomo, e pertanto dovete restituircela. In caso contrario, sappiate che non ci saranno altre possibilità contrattare e questa sarà l’ultima volta che vedrete le nostre maschere, prima di battervi faccia a faccia con il collasso della vostra civiltà-.
Altaїr sentì bruciare la cicatrice sul labbro mentre le figure dei soldati bianchi e neri, come pedine degli scacchi, stringevano lui e i suoi compagni in un cerchio sempre più piccolo. L’aquila tentò di oltrepassare la barriera di corpi, ma appena sfiorò la spalla di un soldato, questi lo respinse come se Altaїr si fosse abbattuto contro un muro. Khalid fece la sua parte, mostrando la spada se necessario, ma nessuno degli armigeri sembrava in vena di lasciarli uscire da quella morsa. L’unica possibilità sarebbe stata librarsi in volo con un paio di ali proprio come faceva l’aquila sopra le loro teste.
Ma cosa diavolo vogliono ancora?! Altaїr strinse i denti, già pronto a mietere vittime con la lama nascosta. Forse il generale aveva qualcos’altro da dire prima di lasciarli andare, ma si era dissolto nel nulla prima che l’aquila si fosse potuto voltare a guardarlo.
Solo quando i tre assassini furono schiena a schiena, stretti a tal punto da non poter stendere le braccia, si decisero a sfoderare le armi.
Khalid fu il primo a trapassare la stoffa di un usbergo avversario, piantando la spada nel torace di quella che si presentò, gridando, come una donna.
Forse agire in quel modo avrebbe significato morte certa: erano tre…
L’aquila ci pensò un attimo.
Si corresse: erano due addestrati assassini e un pivellino con la rabbia contro una cinquantina di soldati; durante il travagliato cammino verso Arsuf, lui solo ne aveva sbaragliate forse il doppio, pur di arrivare ad infliggere il colpo di grazia a Roberto de Sable. Ma le circostanze erano diverse, il primo sangue era stato per lui, e il fine per la vittoria era sensato!
Quando la donna colpita da Khalid cadde in terra senza versare una goccia di sangue, dissolvendosi poi nella polvere, Altaїr ebbe la conferma di arrancare tutt’altro che nella realtà. Più di un dettaglio aveva tradito l’assurdità della situazione e solo ora un barlume leggerissimo si era acceso nella sua mente ancora troppo sconvolta. Ma per portare la sua conclusione a Malik, prima che fosse troppo tardi, doveva uscire vivo da quello che si prospettava un martirio.
Maher aveva impugnato mal fermo la sua lama corta, faticando a tenere il braccio alzato. La prima linea di armati era indietreggiata di qualche passo, ma non abbastanza da aprire spazio sufficiente per fuggire. Khalid stava per mietere un’altra guardia, ma l’aquila gli afferrò il gomito imprecando sotto voce di aspettare; ma aspettare cosa? Una reazione di qualsiasi genere, una risposta all’aggressione che tutti sembravano aver ignorato, a parte i tre incappucciati. L’avvertimento non era stato sufficiente; la donna colpita non solo si era dissolta in termini di materia, ma anche nelle menti dei suoi compagni, che sembravano averne ignorato e dimenticato in fretta la morte.
Basta, tutto questo è assurdo!
Il sudore freddo si accumulava sulle sue tempie senza che Altaїr sapesse come agire. Il sole alto nel centro esatto del cielo affondava, come artigli, i suoi raggi bollenti nelle vesti, riscaldando il corpo fino al limite della sopportazione. L’assassino non era lucido abbastanza per dettare ordini o semplicemente gesticolarne qualcuno. Stava lentamente perdendo coscienza; i sensi si affievolivano, la vista calava e così la presa delle dita sul gomito di Khalid che, dopo aver visto inginocchiarsi inerme il suo superiore, aveva cominciato ad affondare la spada nel primo soldato a tiro. Le guardie cadevano come fantocci ai suoi fianchi, mentre Altaїr era due ginocchia e un palmo per terra. La consistenza della sabbia bollente tra le dita era quasi fastidiosa quanto poteva esserlo ustionarsi al sole. Nel frattempo il suo unico accompagnatore capace mieteva vittime accompagnando il fruscio della lama nella carne con gemiti sommessi, trattenuti: anche lui stava cedendo.
I sensi si addormentavano: chiudere gli occhi, ormai inutili poiché una nebbiolina soffusa ne occultava la mansione, fu un gesto voluto dalla natura. Altaїr stava cadendo, cadendo come si cade nel sonno dopo essersi distesi a letto al fine di una giornata pregna di fatiche. Dalle labbra dischiuse, mentre sia Maher sia Khalid si accasciavano ai suoi fianchi lasciando cadere le armi, salì un’ultima supplica. La pietà era rivolta a chi avesse osato stregare o avvelenare lui e i suoi uomini in quel modo. Non poteva trattarsi d’altro, si disse l’aquila. Magia, veleno… non c’era differenza alcuna: era barare contro qualsiasi regola d’onore, e di onore se ne parlava tanto e poco allo stesso tempo.
Sentendosi mancare addirittura le forze di tenere alta la testa, col viso proteso verso lo stesso sole bastardo che gli aveva assopito la cognizione, Altaїr lasciò che il mento sprofondasse nel petto e le spalle s’incurvassero.
Il suo ultimo pensiero sensato, prima di abbracciare forse la morte o forse una semplice, amara e vile sconfitta, fu il seguente:
Se quella era davvero magia e se i loro fittizi nemici erano davvero capaci di padroneggiarla, chi lo raccontava a Malik che l’aquila aveva collezionato un altro fallimento?















.:Angolo d’Autrice:.
ATTENZIONE! Una promettente artista emergente col berretto rosso si è cimentata in una rappresentazione sensazionale del Malik di questa storia, onorandola con la sua bravura! *ç* Date un’occhiata voi stessi e preparatevi ad invidiare le doti con la tavoletta grafica di questa ragazza!
[The Scream of the Hawk by ilaEfra-chan on DeviantArt]


Quando ho cominciato questa storia, nelle note iniziali che esplicavano un po’ come si sarebbe evoluta la faccenda, ho dimenticato di aggiungere “alta presenza di flashback sull’infanzia di aquila e falco”. Spero che questa mia pallosa/profetica/filosofica (a seconda dei gusti…) interpretazione della fede non vi abbia… annoiati troppo, o peggio, sconvolti. Al momento del colloquio nel flashback, Altair e Malik li ho immaginati sui 12 anni circa. Il piccolo Kadar lo vedo un po’ come mio fratello, attualmente di sette anni e mezzo.

A parte il flash back, sarebbe da idioti pensare che non ci sia altro da “spiegare”.
Ecco, io sono idiota.
Lascio a voi la parola. Parolacce e insulti bene accetti, per il semplice fatto che io me ne sono detti tanti da sola da impastarmi la bocca! XD
La verità è che mi vergogno da morire di quello che ho scritto, ma un’altra verità dice anche che è l’unica cosa che scrivo da parecchio tempo… la famosa citazione “ispirazione bastarda torna da me” si unisce a quella “voglia di scrivere abbatti la pigrizia e non farti spaventare dal caldo!”. E che diavolo, noi comuni mortali patiamo quest’Inferno… be’, diciamo che c’è un po’ di autobiografico nel viaggio dei tre assassini verso l’accampamento dei soldati. Insomma, ho fatto delirare Altair un po’ come delirerebbe chiunque stando seduti su una sedia imbottita in una stanza quattro per quattro davanti a un monitor che sprizza energia! W l’estate!
Col cavolo!
Io odio l’estate. Non so voi, ma odio la sua nullafacenza, il doversi costruire da soli qualcosa da fare. Almeno personalmente la mia estate la passo così, trascinandomi sudaticcia da una stanza all’altra, arrancando e strisciando sul pavimento con la lingua di fuori; fantasia vagabonda che saltella da un disegno all’altro e l’ispirazione alla scrittura che va a farsi benedire…
Vabbe’, basta, cerchiamo di essere seri.
E’ stata proprio lei, l’artista di quel disegno, a farmi tornare la voglia di lavorare su questa storia, sperando ovviamente di non aver deluso nessuno… (almeno non troppo…). Perciò, un ringraziamento speciale a RebyEMiko. Subito dopo abbiamo dark dream, che ormai si sorbisce ufficialmente tutte le mie storie senza più riuscire a distinguerne una dall’altra (cosa che potrebbe succedere anche a me… speriamo che Elena non salti fuori all’improvviso O.O ). Tendo a ribadire che l’intera fan fiction è dedicata a tutti coloro che sostengono la causa “non dimentichiamoci di AC anche se è uscito AC II – e io aggiungerei Brotherhood”, ma con un riferimento speciale a PotterWatch, appena rientrata dalle vacanze e volenterosa di rimettersi al pari con le ultime novelle Ubisoft, al fine di deliziarci con le sue non fan fiction, ma profezie! *ç*
Si ringrazia anche Ama, RunaMagus (Dio, leggete la sua Bianca come il Peccato, è un ordine!) e Phantom G per aver aggiunto la storia alle seguite. ^^
Spero di ricevere presto vostri commenti :D oltre alla mela di Newton sulla testa per l’ispirazione!
Come direbbero i miei compagni del corso di matematica di recupero…
Bellaaaaaaaa! :D

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Capitolo 6
*** VI ***



VI


Gli sfollati di Al Quadmus si erano accampati temporaneamente fuori dal villaggio, lungo la strada sterrata che costeggia il lago e il crepaccio, occupandola tutta – tra carri, tende e bestiame – fino alla prima arcata pietrata. La scelta non era stata casuale: Mansur, in quanto ospiti, aveva scelto (poco) saggiamente di mantenere le distanze tra il suo e il popolo di Masyaf per non caotizzare oltremodo la cittadella. Quell’uomo poteva avere tutto il senso altruista che voleva, ma se i misteriosi soldati fossero avanzati nelle terre degli Assassini senza alcuna intenzione di pace, la sua gente sarebbe andata incontro alla morte prima del tempo. Malik apprezzava il contegno e il rispetto dimostrato in cambio dell’ospitalità, ma avrebbe di gran lunga preferito che il popolo di Al Quadmus si stabilisse all’interno della cittadella o addirittura nella fortezza stessa, al fine di garantire efficacemente la protezione promessa. Durante la mattina, perciò, il falco era stato molto occupato.
Poco dopo la partenza di Altaїr, aveva fatto disporre il cortile interno della fortezza nel modo più propizio ad ospitare un centinaio di persone. Aveva ordinato alle guardie di sradicare i manichini per l’addestramento al lancio di pugnali ed erigere dei tendaggi dove improvvisare giacigli. Anche le stalle erano state trasformate in una confortevole capanna, simile a quella ove alloggiarono Maria, Giuseppe e Gesù nei racconti della Sacra Bibbia. Le cavalcature degli assassini Malik aveva richiesto che fossero spostate fuori dai cancelli o nei pressi del mercato: una nottata o due sotto le stelle non avrebbe fatto loro alcun male; anzi, si sarebbero irrobustiti le ossa in vista dei prossimi viaggi.
La Fortezza degli Assassini, in tutto ciò, era un andirivieni di guardie, servi e fratelli che si rendevano utili nel migliore dei modi possibili. Malik dirigeva il traffico direttamente sul campo, correggendo dove poteva errori o intransigenze ai suoi ordini. Gli era capitato di riprendere uno stesso confratello più volte: i pali reggenti di quel tendaggio andavano piantati più affondo nel terreno o tutto sarebbe crollato al primo starnuto. I cappucci grigi passavano lui sotto agli occhi ormai tutti uguali; era giunto addirittura a confondere il nome di una guardia cittadina per quello di un apprendista assassino. E il caldo non aiutava.
-Maestro, io sono Hijar. Lui è Yasef.-
-Sì, perdonami. Tu: va’a prendere altre lenzuola, e nel tragitto convocami Imad S’Il-Kaahed. Lo troverai sulle mura in compagnia del comandante Husam.-
Il novizio annuì e si affrettò a scomparire dal suo campo visivo.
Il figlio di Mansur si era dimostrato subito utilissimo in fatto di azioni preventive. Malik aveva inizialmente pensato d’impiegarlo altrove, ma era stato Imad stesso, appena indossate le vesti da confratello, a mettersi in ballo con ottime ragioni. Aveva detto di ricordare molto sulle armi adottate dai misteriosi mercenari e di saperla lunga persino sulla “dinamica” che avrebbero impiegato in caso d’assedio alla fortezza. Il falco era rimasto un po’ dubbioso: è raro imbattersi in un giovane uomo capace di calcolare tanti dettagli minuziosi, che sarebbero sfuggiti ai migliori condottieri, durante la messa a ferro e fuoco della propria patria. Mantenere la lucidità tattica di uno stratega nelle situazioni più contorte era un grande valore che Malik stentava a riconoscere così presto.
Imad era in compagnia del più valoroso tenente siriano, conosciuto col nome di Husam, a discutere dell’eventuale futura battaglia. Il figlio di Mansur si sarebbe rilevato fondamentale nella difesa della fortezza, nel qual caso il misterioso esercito di mercenari avesse deciso di attaccare la cittadella. Imad l’aveva colpito già una volta, a confronto di suo fratello minore, per la tranquillità e la quiete di spirito. Malik sapeva di aver catturato una mente saggia e forse avrebbe trovato più fruttuoso compiacersene in un altro momento. Ma il tempo stringeva e bisognava mettere al riparo la gente di Al Quadmus prima che all’orizzonte si fosse delineata l’avanzata nemica.
Mansur era tornato dal suo popolo per rassicurarli che la loro richiesta di protezione era stata pienamente accolta, e che l’intera cittadella era nel pieno delle attività al fine di garantire spazio sufficiente per tutti. In caso di assedio, e se il nemico si fosse dimostrato più abile di quanto sperato, all’interno della fortezza sarebbe stato necessario accogliere non solo gli sfollati di Al Quadmus, ma l’intero popolo di Masyaf, che misurava all’incirca sei o sette volte quello del piccolo villaggio saccheggiato.
Imad e Husam, tra i merli delle mura, mettevano in discussione i vaghi ricordi dell’uno e l’esperienza militare dell’altro, mescolando il tutto in un unico pentolone strategico. Malik pregò vivamente che, in quel breve lasso di tempo concesso loro assieme, i due fossero riusciti a disporre un buon piano di difesa. La fortezza non contava su altro che archi e frecce, in fatto d’armi. Poi c’erano gli oli bollenti e quella lunga serie di trappole dimenticate, i segreti dei quali i grandi maestri costruttori del passato avevano portato con sé nella tomba. Restava poco da fare a parte disporre alla bell’e meglio gli arcieri sui merli e sperare di non veder spuntare catapulte o arieti tra le file nemiche.
Maher era l’unico membro della famiglia S’Il-Kaahed per il quale Malik cominciava a temere il peggio. Affidarlo nelle mani di Altaїr era stato come mettere su una zattera un orbo e un cieco. Se ne rendeva conto solo ora perché aveva trascorso gran parte della mattina, mentre dirigeva il traffico nella fortezza, a rimuginare sulle contestazioni dell’aquila senza mai compiacerle davvero. Ma veniva il tempo di ammettere che Altaїr era stato più cosciente di lui nel calcolare razionalmente l’utilità di Maher nella missione. A compensare le teste calde, però, sapeva di poter contare su Khalid, un nome piuttosto noto nella nuova generazione di assassini. La veste di medio rango, corta ma bianca per intera, parlava per lui se si contava che aveva raggiunto quel prestigio dopo solo qualche anno di addestramento. Con tutto se stesso Malik sperò, pertanto, che nessuno si facesse male e rientrassero tutti per cena.
Imad giunse al suo cospetto dopo aver vagato errante tra un gruppo di saggi che si contestavano a vicenda sul terrazzo davanti all’ingresso della fortezza. Il figlio maggiore di Mansur aveva corso fin lì per poi tornare indietro senza più fiato. Malik si annotò che, in caso Imad avesse dimostrato interesse nella confraternita, il suo ruolo sarebbe potuto convergere unicamente nel settore strategico: sarebbe stato inutile o difficile addestrarlo alla corsa sui muri, se dimostrava tanta pigrizia di corpo.
-Mi avete chiamato, mio Signore- azzardò un inchino col capo, asciugandosi la fronte.
Il sole cadeva a picco nel cortile: Malik aveva imitato quel gesto almeno trenta volte prima di lui. –Sì, volevo chiederti come sta andando il tuo colloquio col generale Husam.-
-Ottimamente, oserei dire. Il comandante è un grand’uomo e ammette che i miei consigli stanno tornandogli utili.-
-Ti spiace se assito?-
Sul viso d’Imad si stampò un festoso sorriso. –Non era necessario chiedere-.
Un modo gentile per dire: “potevi salire quando ti pareva risparmiandomi la corsa fin qui!”, pensò Malik sorridendo a sua volta.
Affidò la gestione ad Hijar, che aveva da poco concluso d’innalzare un nuovo tendaggio, e seguì il giovane Imad su per la scaletta in legno che si arrampicava fino ai bastioni. Tenere eretto il busto nel vuoto giusto qualche istante e afferrare il piolo successivo con una mano sola mentre sollevava un piede alla volta, per lui fu tutt’altro che una fatica. Se spesso e volentieri spolverava i muscoli intorpiditi di braccio e addominali lo doveva solo a quelle gracili scalette di legno. Il resto della fortezza, tra erranti passeggiate per giardini e biblioteche, teneva in allentamento solo la mente e le gambe. Imad, pur arrossendo, si era offerto di aiutarlo ma Malik aveva rifiutato subito senza mostrare alcuna esitazione. Non era un debole, e ne aveva dato prova in più occasioni durante la giornata. Aveva sradicato lui stesso e per primo un manichino d’allenamento, incitando le guardie a fare altrettanto. Aveva piantato nella terra ben quattro paletti, futuri sostegni di un tendaggio sufficiente ad ospitare una famiglia di otto elementi. In fine aveva montato il suo fedele cavallo baio dalle stalle alla piazza del mercato, guidando le sue e le redini di altre due bestie con una mano soltanto. Dietro di lui si erano alzati, assieme alla polvere, elogi e sguardi commossi di guardie e cittadini. Non era proprio tipo da dare quel genere di spettacolo, anzi, il suo mettersi in ballo era un chiaro modo di sottolineare oltremodo l’urgenza delle faccende. Poi, se da una parte Malik aveva gestito il traffico della fortezza affidando ai suoi fratelli i compiti più faticosi, dall’altra si era dimostrato disponibile a rimboccarsi le maniche tanto quanto guardie e allievi. Ecco quale, probabilmente, sarebbe stata la differenza che lo avrebbe distinto dai Mualim del passato. Il falco aveva contrastato a sufficienza le ostilità dell’avere un’ala soltanto. Più precisamente aveva imparato a conviverci a tal punto da poter ricominciare a prendere lezioni di volo. Certo: avrebbe dovuto dimenticare trucchi ed esperienze sostituendoli ad una tecnica del tutto nuova capace di sfruttare l’arto mancante a suo vantaggio senza più considerarlo uno handicap – pensiero che aveva lasciato appassire nei meandri dei primi tempi, quando vestirsi, lavarsi o anche solo camminare, per la mancanza di equilibrio, erano diventate imprese degne di un semi-dio.  
Ma poiché adesso era tornato padrone del proprio quotidiano, ambiva a fare altrettanto per gli altri. Rifugiarsi nella Dimora di Gerusalemme, abbandonando la sua gente nelle mani di un vecchio pazzo, era stato un errore che tutt’ora ambiva di sopprimere nella propria mente. Gli fosse costata una vita intera, l’accudire Masyaf e il suo popolo sarebbe stata la sua prima ed ultima missione per redimersi. Non aveva bisogno di scusarsi di altro. Almeno per ora.
Giunto sul pianerottolo, Imad si voltò indietro esitando se tendere un braccio o meno in soccorso del Maestro. Non appena videro spuntare la capoccia di Al-Sayf, le guardie vicine si affiancarono al giovane Imad fino a sovrastarlo. Questa volta Malik dovette arrendersi, sorridendo, alla concezione che qualche mano in più avrebbe fatto comodo. Staccò la propria dall’ultimo piolo e la tese verso una guardia che, in una sincronia perfetta, gli afferrò il braccio saldamente. Malik si lasciò aiutare a venir issato sul pianerottolo da più incappucciati e ringraziò tutti, congedandoli, stirandosi le pieghe della veste con l’unica manica. Le due guardie tornarono ai propri appostamenti e Imad, visibilmente rosso d’imbarazzo, s’incamminò su ordine del falco.
Giunsero tra i merli della facciata anteriore della fortezza. Da quella terrazza Al Mualim aveva assistito all’esecuzione di un loro confratello e dichiarato ufficialmente aperte le ostilità tra Assassini e Templari. Sotto il suo comando, però, stava in realtà affermandosi un ordine intermedio del quale Al Mualim si era posto vertice assoluto. Poi, in un secondo momento e al cospetto del suo allievo migliore, aveva chiamato a testimone la luce volendo dimostrare la menzogna dell’ombra; ed aveva così cercato di abbattere il pilastro fondamentale del Credo.
Niente è reale. Tutto è lecito.
I coraggiosi che avevano messo in discussione questa frase si contavano sulle dita di una mano.

“Colpiscimi Kadar, avanti.”
“No!”
“Se non lo fai, non diventerai mai un Assassino!”
“Nooo!”
“No cosa?!”
“No! Io non  voglio non diventare un Assassino!”
“…Allora colpiscimi, dai, e fa’ alla svelta.”
“…No!”
“Se non riesci a colpirmi come le uccidi le persone?!”
“Sei mio fratello!” lagnò scoppiando in lacrime, “Non voglio ucciderti…” Il bambino si asciugò le ciglia con la manica e tirò su col naso, prima che Malik potesse vedergli colare il moccolo sulle labbra.
“Kadar, non devi uccidere tuo fratello”, intervenne il Mualim fuori campo, “devi semplicemente colpirlo. Un pugno, un calcio, quello che più di aggrada. Ripeti cosa stiamo imparando oggi, avanti.”
Kadar esitò a lungo. Sul cerchio di allievi riuniti attorno al cortiletto per gli addestramenti piombò un angoscioso silenzio. Il piccolo Al-Sayf guardò a terra, osservando le proprie lacrime precipitare al suolo e, quando parlò, il pianto gli solleticava ancora la gola: “I nemici più astuti si nascondono tra gli amici” disse riempiendo la voce di singhiozzi.
“Esatto”, esordì il Maestro, “non dovete esitare a confrontarvi anche con chi vi è caro: finireste col venirne travolti se mai vi fosse l’urgenza di combatterlo”, spiegò ai ragazzi. “E questo, Kadar, perché?” domandò tornando a rivolgerglisi.
Kadar deglutì strizzando le labbra, bagnate di lacrime salate. Il cuore di Malik, immobile di fronte al fratellino, batteva fortissimo per l’emozione. Aveva capito cosa stava chiedendo il Mualim a suo fratello. Ma suo fratello avrebbe risposto quello che il Mualim avrebbe voluto sentire?
“Perché…”, balbettò Kadar, “perché…”, tirò ancora su col naso, prendendo tempo. “Perché niente è reale”, s’interruppe alzando finalmente il mento dal petto e piantando gli occhi in quelli oscurati dal cappuccio del Maestro. “Neanche l’amicizia” concluse serio come suo fratello non lo aveva mai visto e come lui non era mai stato.
Malik lasciò cadere le spalle lentamente, trafitto dalla lingua biforcuta del mostro che lui stesso aveva contribuito a creare.
Soltanto la sera prima, nel letto che i fratelli Al-Sayf condividevano in una stanza assieme ad altri quattro allievi, Kadar aveva confessato di non riuscire a capire il significato di quelle parole pronunciate tanto spesso da tutti. Mentre Malik fissava il basso soffitto sopra il proprio naso, Kadar si era rannicchiato sotto le coperte, tirate fino alle labbra. Aveva concluso i suoi infantili ragionamenti sulle cose vere e le cose false così: “Non ha senso, è stupido.”
A quel punto Malik lo aveva fulminato con un’occhiataccia, e per poco non l’aveva anche picchiato. “Se è questo che pensi, tu sei l’unico stupido.”
Il modo in cui l’aveva guardato Kadar, dopo essersi sentito insultato dal fratello maggiore, Malik non l’avrebbe mai più dimenticato. E nemmeno l’altro.

-Maestro Malik- il comandante Husam s’inchinò pronunciando per la prima volta quell’elogio accanto al suo nome. Il falco non ricordava d’essersi mai proclamato tale, ma a tutti lì dentro veniva spontaneo chiamarlo in quel modo.
-Generale Husam- sorrise Malik, ricambiando con la stessa moneta.
L’uomo nascosto sotto il cappuccio bianco e in vesti grigie chinò nuovamente la testa. –Imad si sta dimostrando indispensabile come pensavate, mio Signore. C’è molto dei nostri nemici che avrei stentato solo a immaginare- disse mentre il ragazzo gli si avvicinava, ancora rosso in viso.
-Del tipo?- domandò Malik avvicinandosi al tavolo improvvisato con due casse e un’asse di legno, sulla quale era stata stesa una cartina del territorio circostante; come una minuscola annotazione, incastonato nella valle appariva il nome del piccolo villaggio predato. I misteriosi mercenari erano personificati da quattro pedine nere, pezzi importanti da scacchi, mentre gli assassini erano tre semplici pedoni bianchi arroccati sulla loro fortezza tra le montagne.
-Imad ci ha confidato che i nostri avversari hanno attaccato il suo villaggio senza risparmi: dalle frecce infuocate alle armi d’assedio, mio Signore. Per quanto ne sappiamo, Al Quadmus è stata rasa al suolo e i misteriosi soldati potrebbero aver esaurito le munizioni oppure averne tante da rivoltare due volte Gerusalemme.-
Pesando il suo tono di voce assieme alle parole del generale, Malik capì che erano nello sterco fino al collo. Era cosa rara che il comandante Husam si facesse intimidire fino a questo punto. La sua prestigiosa esperienza militare era mancata loro in un primo assedio di Masyaf, quando i Templari decimarono la popolazione costringendoli a rifugiarsi nella fortezza. In quel momento un uomo come Husam avrebbe fatto comodo e, sicuramente, rovesciato le sorti della battaglia.
Questa volta Masyaf contava, al contrario, di minimizzare l’effetto sorpresa e farsi trovare pronta alla battaglia.
Gli uomini migliori dell’intero corpo di guardia cittadina erano già schierati agli ingressi della cittadella, come rivelò Husam frantumando un angoscioso silenzio. La notizia era confortante, Malik dovette ammetterlo, ma c’era ancora molto da fare prima di mettersi seduti e aspettare. Husam disse, inoltre, che due falchi da caccia erano stati liberati e, se fossero rientrati prima di una certa ora, il tempo del volo avrebbe comunicato loro la distanza effettiva dei mercenari dalla cittadella. Come terzo punto fondamentale, il generale chiamò in causa il giovane Imad, che fece un passo avanti.
-Hanno delle imbarcazioni- comunicò costui.
Malik s’irrigidì. –Quante?- chiese.
-Quattro, per essere precisi- disse Imad guardando prima il generale Husam e poi la reazione sul volto del Maestro.
Malik, pallido, scrutò a lungo e in silenzio la cartina. –Non è possibile…-, commentò, -se così fosse avrebbero dovuto risalire il fiume dalla parte opposta e arrivare al nostro lago da sud. A meno che…-.
-A meno che non le abbiano costruite alle pendici, passandoci sotto al naso, per riscendere il corso lungo corrente- s’intromise Husam, che aveva l’autorità per farlo. –Una mossa astuta. Ci avevano quasi confusi.-
-Quasi-, sottolineò Malik, -ma non ci sorprenderanno come sperano. State svolgendo un ottimo lavoro, Generale, ma per adesso conto che manteniate le formazioni di difesa coi vostri uomini migliori.-
L’uomo annuì gonfiando il petto. –Sarà fatto- ufficializzò.
A quel punto Malik si tirò indietro e guardò Imad negli occhi. -Appena avremo notizie degli ambasciatori,- disse sfiorando un tasto personale per entrambi, -sapremo meglio che strada seguire- concluse abbandonando i merli.
Il giovane S’Il-Kaahed rabbrividì, e parve ricordarsi solo allora del fratello mandato in missione suicida in braccio al destino.


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.:Angolo d’Autrice:.
Ditemi voi: continuo? Ma se continuo, sarà ad aggiornamenti tutt’altro che costanti. E questo capitolo ne è pura prova.
Datemi i pro e i contro di questa storia. Vediamo se le vostre opinioni combaciano con i miei progetti e scopriamo assieme la strada di questa storia. È un aiuto, quello che vi chiedo. Come scrittrice e recensore veterano della sezione, certo, ma anche come quasi-sedicenne perdutamente innamorata di una cosa e una persona nella vita, entrambe momentaneamente irraggiungibili. Scrivere adesso, perciò, sarebbe il modo più facile e breve per rovinare le aspettative di quelli che, come voi, seguono le mie storie.
Grazie per l'attenzione.

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