The Scream of the Hawk di cartacciabianca (/viewuser.php?uid=64391)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Antefatto ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 1 *** I. Antefatto ***
The
Scream of the Hawk
(Il
Grido del Falco) è
una long-fiction yaoi
sulla coppia Malik/Altaїr
post-game.
Nella narrazione
delle vicende, che non comprenderanno più di 15-20 capitoli,
saranno presenti scene di medio contenuto “lemon”,
un alto tasso di spoiler e un finale a sorpresa che si ricollega ad
Assassin’s Creed II.
Premetto che
potrò non essere costante negli aggiornamenti.
Per il sostegno alla
causa “Non
dimentichiamoci AC, anche se è uscito AC II” ringrazio
PotterWatch
– Elisa,
che come me ed altri ama molto questa coppia. La fan fiction
è inoltre dedicata a lei e alla sua bellissima raccolta, View
Points.
Detto questo, mi
faccio silenziosamente da parte e vi lascio alla lettura. ^^
P.S. Recensioni
gradite :3
I
Antefatto
[…]
Il vecchio Maestro si era spento per la mia lama giusto quella mattina,
e da allora, dopo la
dissipa della verità, sulla gente di
Masyaf aveva regnato un’oscura nube di pensiero che
io, Malik e gli altri assassini ci eravamo adoperati a stemperare
nell’arco delle poche ore che avevano preceduto il calare del
sole. Il rito funerario si sarebbe tenuto l’indomani al
tramonto, per volere della stessa gente alla quale, sia io che il mio
compagno, eravamo stati costretti a mentire. […]
Scegliere di non rivelare cosa realmente fosse successo,
da una parte ci aveva privato del potere
che ci spettava di diritto;
avevamo scelto di liberare il popolo da un pensiero negativo di noi e
di ciò che era stato prima di noi, ma di questo potevamo
facilmente fare a meno. Dall’altra, aveva contribuito ad
aumentare
l’inquietudine
e il sospetto nei nostri confronti, mettendo
in forse per la nostra gente il proseguirsi di una vita normale.
[…] La bugia architettata da me e Malik ci aveva esortati
verso un cammino diverso che la nostra gente aveva accettato di buon
cuore, non c’erano dubbi su questo, ma ancora ci inquietava
il fatto che molti sapessero ugualmente la verità.
Gli
uomini che Al-Sayf si era portato dietro da Gerusalemme per
accorrere
in mio aiuto alla cittadella, ovvero gli unici dentro la mente dei
quali Al Mualim non era riuscito ad intrufolarsi, ora stentavano a
mantenere un rigoroso
controllo di sé, predicando tra loro
una possibile opposizione che sia io che Malik ci eravamo prefissi di
soffocare sul nascere.
I
segreti custodi da un così portentoso oggetto sarebbero
dovuti essere racchiusi altrove, in un luogo più sicuro di
quanto poteva esserlo la nostra impenetrabile fortezza. Stolti, noi
uomini col potere di Dio tra le mani, saremmo potuti cadere senza
problemi due volte nella stessa buca. Era di questo che io e Malik ci
occupammo nelle successive ventiquattro ore, ed era di questo che io e
lui avremmo dovuto “serenamente” discutere quella
sera, all’insegna di un segreto incontro notturno che, se
saputo, avrebbe fatto correre voci.
[…]
In tale circostanza, però, sapevamo di
poterci fidare di quegli uomini che Malik ancora chiamava
“miei fedeli”, “sicari” oppure
“apprendisti”, come se il suo tenore di vita fosse
una guida spirituale
alla quale tutti i più giovani adepti
aspiravano. Malik Al-Sayf non era celebre nella Confraternita solo per
il braccio e il fratello persi, ( per mia colpa, ovviamente) ma il suo
nome era stato e sarebbe continuato ad essere sulla bocca di tutti
anche accanto alle parole “assassino”
e
“educatore”.
Prima della
missione nel Tempio di
Salomone, chiunque a Masyaf sarebbe
stato in grado di raccontare delle sue nobili gesta di uomo
acculturato, saggio e ponderante, oltremodo cauto, severo e
intransigente al cospetto di regole, imposizioni, leggi o comandi.
Malik lo ricordo ancora oggi sempre chino a studiare antichi testi
polverosi, spesso accanto allo stesso Al Mualim che tradì la
nostra, ma soprattutto la sua fiducia.
Un’altra cosa è certa: non sarò mai in
grado di eguagliarlo in astuzia,
di carattere,
prontezza e forza di
mente, tantomeno come uomo pieno di spirito e sentimento.
[…]
In poche parole, se Masyaf avesse chiamato un
nuovo Maestro, sarei stato il primo a spingere avanti il mio carissimo
amico.
[…]
Malik aveva tutte le qualità per diventare un
ottimo Mualim,
cento volte migliore di quello che era stato prima di
lui. Dalla sua parte aveva l’ammirazione della gente e il
rispetto dei suoi pari, me compreso. Soprattutto ora, dopo le ultime
vicende, non potevo negare a me stesso di sentirmi tanto inferiore a
lui quante erano state le volte che avevo osato alzargli contro la
voce. […]
Malik sapeva che rischi stava correndo, era pienamente
consapevole di che mondo ci fosse là fuori ad attenderlo.
Nonostante lo avessi implorato di non insistere su queste tematiche,
obbligandolo a contraddire se stesso e ciò che il profondo
del suo cuore gli sussurrava ogni notte di fare, non c’era
stato verso di fermarlo. Ancora una volta la determinazione aveva
brillato nei suoi occhi e il permaloso,
avido spirito umano era emerso
da lui, sovrastando ogni residuo di freddezza,
obbiettività,
relativismo.
In lui rivedevo quella temibile parte di me venuta a galla
nel Tempio di Salomone.
[…]
Malik aveva smesso di combattermi tempo addietro ed io gliene ero stato
grato ogni giorno, da allora, rispettandolo a mia volta. Cominciai a
pregare che l’odio provato nei miei confronti non fosse stata
la causa di tutto, e che la ripicca viaggiasse ormai lontana. Le mie
preghiere furono accolte, ma presto sostituite da un temuto dolore.
[…]
Già caduto in tentazione una volta, io non
sarei stato capace di compiere nuovamente lo stesso errore. Ma siccome
non ci sono limiti sui poteri d’infatuazione del Frutto verso
una mente vergine e sana, temevo che il mio Malik sarebbe morto per
sempre, consumandosi nel gesto apparentemente così banale di
impugnare un oggetto tanto piccolo e potente allo stesso tempo.
[…]
No, purtroppo il falco
ferito non ero io, o sarei stato
in grado di controllarmi.
{ 1-160, Pagina 31*, Codice di
Altaїr }
L’oscurità della notte avvolgeva la sala del
Maestro conferendo all’intero edificio un aspetto funereo e
spettrale. Per la Fortezza di Masyaf non volava una mosca e fuori dalle
mura, dove la gente riposava nelle proprie case, un cane solitario
abbaiava alla luna. La cittadella si era assopita sotto un magnifico
cielo limpido sgombro di nuvole e punteggiato di stelle, sereno
così come aveva donato la morte di Al Mualim.
Gli stendardi degli assassini erano sospinti da una forza invisibile:
la brezza autunnale veniva dalle grate senza vetri alle spalle di
Malik. Questi sedeva sullo scrittoio nel centro della stanza con i
piedi a penzoloni; su un ginocchio riposava il gomito
dell’unico braccio piegato a sorreggere il peso del Frutto
dell’Eden, prigioniero tra le dita del ragazzo.
Malik si rigirava la sfera nella mano, saggiando la lucentezza
dell’acciaio dorato con il pollice e stupendosi di come
quell’oggetto sapesse essere tanto freddo quanto scottante.
L’assassino seguiva con l’indice una delle
arabesche incisioni geometriche che ne traversavano il perimetro,
carezzandolo col polpastrello del medesimo dito.
-A cosa stai pensando?- chiese una voce fuori campo, maschile e
penetrante.
Dopo un silenzio che parve lungo un’eternità,
Malik si assentò dalla sua contemplazione e alzò
gli occhi in quelli del suo osservatore nascosto nell’ombra.
Fu un contatto che durò giusto un istante.
-Dicono che i poteri del Frutto siano illimitati…-
cominciò Al-Sayf per poi interrompersi, tornando a posare lo
sguardo assorto sulla Mela.
-Dove vuoi arrivare?- eruppe l’altro con voce profonda.
Emergendo dall’ombra, la misteriosa figura si
mostrò: addosso non aveva altro che una tenuta serale da
riposo; era nudo delle sue armi, con un sottile strato di lino grezzo
che copriva la muscolatura superiore, pantaloni e stivali leggeri. Era
in piedi a pochi passi dall’amico, lo fissava con la stessa
intensità con la quale lui scrutava il Tesoro dei Templari
nella propria mano. Immobile come un chiodo fisso nel pavimento, Altaїr
studiava ogni suo piccolo gesto o respiro. Le sue intenzioni erano
più forti della luce della candela posata sulla scrivania
dove lui stesso sedeva, Altaїr captava i suoi pensieri ancor prima che
Malik riuscisse pronunciargli. Ma nonostante l’aquila sapesse
già il motivo per il quale l’amico
l’aveva convocato quella notte, inizialmente si
limitò ad osservare senza agire.
-Il Potere di Dio sulla terra- rise Malik con una nota
d’isterismo. –Che sciocchezze…-
borbottò gettando la mela da parte sul tavolo.
Altaїr restò allungo interdetto di
quell’improvviso cambio di stato, e tacque. Dalla
contemplazione più assorta, Malik aveva respinto
l’oggetto da sé con scetticismo, disprezzo.
-Eppure…- ma Malik indugiò ancora, lanciando
un’altra occhiata alla Sfera scintillante che, tracciando
piccole orbite concentriche, lentamente si stava assestando sopra il
legno della scrivania. Quando raggiunse
l’immobilità, Al-Sayf allungò
l’unico braccio e strinse nuovamente la sfera tra le dita.
Questa s’illuminò più intensamente nel
momento in cui il calore di un palmo umano ne sfiorò la
superficie.
Malik si portò l’oggetto in grembo e
tornò ad ammirarlo col doppio dell’infatuazione.
-Eppure penso che, nonostante il numero sempre crescente di leggende
che gli gravitano attorno, abbia la sua utilità- disse.
–La vera domanda è… saremmo mai in
grado di controllarlo?- si chiese guardando verso l’amico per
attendere una risposta.
Altaїr ignorò del tutto la domanda. -Perché non
sei a letto, Malik? Oggi è stata una giornata molto dura-
tentò facendosi avanti.
-Oh, non lo metto in dubbio- pronunciò pensieroso
aggrottando la fronte. –Ma la verità è
che non riesco a dormire, amico mio- confessò scrollando le
spalle.
-Come mai?- domandò cupo.
-Non dormo da tempo, in realtà- confessò Malik
smontando dal tavolo con un balzo. –Tutto è
successo così in fretta ed io ne soffro molto-.
-Di cosa parli?-.
-Di questo- disse sollevando il palmo con la Mela.
Altaїr continuava a non voler capire, ignorando il suo incubo peggiore
anche adesso che lo avevo di fronte, a portata di mano. Avrebbe potuto
alzare il braccio e toglierglielo da sotto il naso, fermandolo prima
che fosse troppo tardi, ma Malik non si sarebbe mai permesso di violare
la sua fiducia. Era con questo pensiero che pigramente andava
giù nel baratro… e diventava sempre
più cieco di fronte alla realtà.
-Quelle notti che i miei occhi stentavano a chiudersi ho studiato,
studiato più di quanto non abbia mai fatto in tutta la mia
vita, Altaїr. Al Mualim aveva riempito pagine, volumi scaffali dei suoi
pensieri su questa… cosa, ed io ho letto e riletto i suoi
appunti dal primo all’ultimo rigo. Ora che posseggo le
conoscenze necessarie, anch’io, come lui, posso controllarlo-.
-Malik, stai vaneggiando, non…-.
-Taci!- gli urlò contro d’un tratto, azzittendolo.
–Sei ancora così pieno di te stesso che dimentichi
pigramente quello che hai imparato dai nostri conflitti?!- il suo tono
si era fatto imponente all’improvviso. I residui di calma e
compostezza erano scomparsi del tutto dal suo volto.
-Non puoi controllarlo, Malik. Nessuno può farlo-
precisò l’aquila.
-Il lupo perde il pelo ma non il vizio, eh? L’arroganza, la
presunzione, Altaїr! Ciò che pensi tu non sempre
è legge per altri!- ringhiò cominciando a
camminare avanti e indietro sul pavimento.
-Sentiamo, allora! Cosa avresti intenzione di fare?- domandò
secco.
Malik arrestò i suoi passi nel centro della stanza,
continuando a fissare il Frutto nella propria mano. Tacque allungo, fin
quando non si accorse che Altaїr gli si era fatto troppo vicino per i
suoi gusti. A quel punto si spostò indietro di un metro,
senza acquietare quei suoi occhi fiammanti di una collera senza pari.
-Lo rivoglio, Altaїr- disse, freddo.
-A cosa ti riferisci, ora?- chiese l’assassino seriamente
confuso.
Malik indugiò un istante. –A lui,
Altaїr… a Kadar-.
Tutto si fece chiaro come il giorno.
Le sue parole avevano solo confermato le ipotesi di Altaїr, le stesse
che pregava ogni giorno di non veder realizzate. Sarebbe stato un peso
troppo grande da sopportare, una responsabilità enorme.
Altaїr non poteva, si disse, non doveva permetterlo …
-Malik, sai bene che non potrà mai succedere-.
-Tu dici?- formulò ilare. –Pensi che Dio come
toglie la vita non possa ridarla? È questo quello che pensi,
Altaїr?-.
Il suo tono da saputello cominciava a dargli sui nervi, ma soprattutto
a farsi molto pericoloso. L’aquila di Masyaf si tese sulle
zampe e preparò a spiegare le ali.
-Sì. È questo quello che penso-
annunciò freddamente, sperando che Malik gli desse retta e
rinunciasse alle sue intenzioni di partenza.
-Allora non sei cambiato affatto in meglio…-
mormorò Al-Sayf avviandosi dietro la scrivania e sedendo ad
essa. –Sei sempre il solito testardo presuntuoso,-
sottolineò -ed io ti dimostrerò che hai torto-.
Prima che Altaїr riuscisse ad avvicinarsi abbastanza da fermarlo, Malik
sollevò la Sfera sopra la propria testa e, mentre le sue
labbra si tendevano in un sorriso felice al ricordo del fratello, dal
palmo chiuso si sprigionò una luce dorata e accecante.
Altaїr non indietreggiò, ma preferì pararsi
dietro all’ombra del braccio. -No, Malik! NO!-
gridò correndo e gettandosi su di lui.
A quel punto l’incantesimo si ruppe: mentre Malik e Altaїr
cadevano, avvinghiati, ai piedi della scrivania, nella sala del Maestro
ripiombò un oscuro silenzio, rotto solo dal tonfo metallico
della Sfera che, per l’impatto, il falco si lasciò
sfuggire di mano.
Il Frutto dell’Eden cozzò a terra tre volte, poi
rotolò giù per le scale. Ogni suo saltello sui
gradini diffondeva tra le pareti di rocca della Fortezza uno squillante
scampanellio.
-Stupido! Non intralciarmi!- gridò Malik spingendo via
l’amico, alzandosi e correndo dietro l’oggetto.
Ancora disteso sul tappeto, Altaїr strinse i denti e lo
afferrò per la caviglia prima che potesse allontanarsi. A
Malik sfuggì un urlo isterico quando ricadde al fianco
dell’assassino, mentre velocemente quest’ultimo si
alzava e correva a riprendere il Frutto dell’Eden.
Malik si gettò su di lui con tutto il suo peso e un grido
euforico. Insieme ruzzolarono sulle scale e, tra un gemito e un altro,
si riempirono di lividi, la maggior parte dei quali inferti a suon di
pugni e morsi. Il tintinnio del metallo contro la pietra scandiva la
loro come una lotta forsennata tra leoni che si contendono una vecchia
carcassa.
Spiattellati sul pavimento del pian terreno, Altaїr e Malik si alzarono
allo stesso tempo, si guardarono attorno ed individuarono assieme la
Sfera.
Questa era rotolata ai piedi di un alto scaffale colmo di libri e li
aspettava impaziente.
Entrambi col fiatone e i sudori freddi, si scambiarono una lunga
occhiataccia.
La lotta a mani nude che ne nacque aveva buttato giù dal
letto i primi spettatori, che a poco a poco si affacciarono dalla
balaustra del piano superiore osservando sbigottiti lo spettacolo messo
in scena dai due.
Una furia portentosa alimentava quell’uomo. Altaїr non aveva
mai visto Malik così virilmente capace, persino senza un
braccio e, nonostante fosse un scontro ad armi impari, era nettamente
in svantaggio. L’aquila si ritrovò segni di morsi
e calci nei punti più impensabili: era un duello senza
regole, privo di tattica o stili d’improvvisazione,
più comunemente chiamata “rissa”.
Nell’aria si sentivano già alcuni sussurri di voci
estranee che commentavano quella follia. Due guardie dal cappuccio
grigio entrarono nella sala con le armi alla mano, ma non mossero un
solo passo oltre l’ombra dell’ingresso che la luna
e le sue stelle proiettavano sul pavimento.
-Non ti lascerò tenerlo tutto per te!- ruggì
Malik colpendolo con una medesima ginocchiata.
Altaїr indietreggiò piegandosi dal dolore. –Malik,
per favore, fermati! Hai perduto il senno!-.
-No, fratello, tu hai perduto il senno!- strillò.
Il Frutto dell’Eden sembrò balenare alle spalle
dell’assassino, e la sua luce si rifletté negli
occhi neri di Malik. Questi tentò di sorpassare il suo
avversario con uno scatto di gambe degno di un maestro, ma non
prevenendo il più fulmineo spostamento di Altaїr, per quella
volta toccò a lui trovarsi un suo ginocchio tra le costole.
Altaїr approfittò della sua breve debolezza per farlo
voltare e spingerlo via, di nuovo a parecchi metri dalla meta tanto
ambita.
-Malik! Basta!- tentò ancora, disperato.
L’assassino senza un braccio sondò nuovamente il
muro invalicabile che il corpo dell’amico forniva attorno al
perimetro della Sfera. Sfortunatamente per Altaїr, fu solo una banale
finta: Malik afferrò dal tavolo accanto un penna
d’oca e gliela scagliò contro con violenza.
Altaїr schivò l’oggetto torcendo la
spina dorsale, ma non riuscì a sottrarsi alla trattoria di
un secondo: la boccetta d’inchiostro lo colpì in
faccia. I frammenti di vetro gli graffiarono la pelle del viso,
l’inchiostro gli entrò in gola.
Momentaneamente cieco, Malik gli venne incontro, gli afferrò
il polso e gli contorse dolorosamente il braccio dietro la schiena. Di
fronte alla sua forza disumana, Altaїr non poté trattenere
un gemito.
Successivamente, governandolo come una marionetta, Al-Sayf spinse
l’aquila contro il tavolo più vicino e lo
costrinse a premere la faccia su di esso. L’impatto
causò il rovesciarsi di un calamaio per
l’inchiostro e qualche volume impilato con ordine in
verticale.
-Siamo un po’ arrugginiti, eh?- ridacchiò
prendendosi gioco di lui.
Altaїr strinse i denti. –Malik, fermati, basta-
sibilò.
L’assassino irrobustì la presa arrecandogli
ulteriore dolore. –Non mi fermerò
finché non sarà di nuovo insieme a noi-.
-Guarda cosa ti ha fatto, Malik. Guarda in cosa quel malefico oggetto
ti ha trasformato. Il Frutto fa promesse che non può
mantenere. Ti ha reso schiavo dei tuoi stessi desideri!-.
-Smettila di ciarlare su quello che non conosci. Tu non sai nulla del
Frutto-.
-È qui che ti sbagli. Lo conosco sicuramente meglio di te!-.
Un colpo di reni e Altaїr riuscì a capovolgere la
situazione, comprimendo Malik tra la sua schiena e la superficie del
tavolo. Lo stordì con una capocciata, dopodiché
lo fece voltare, sollevare dal tavolo e lo sbatté in fine
sulla libreria accanto.
-Malik, guardami- s’impose.
Per un attimo gli sembrò di sentirlo esitare, tremare
là dove stringeva con violenza l’unico polso che
gli restava. Il suo sguardo smarrito, agitato, guizzava spesso
tutt’altra parte pur di non assecondare quel semplice ordine.
Approfittando della sua debolezza Altaїr permise maliziosamente al
proprio corpo di adagiarsi meglio al suo, aderendo completamente ad
esso, imprigionandolo tra sé e gli scaffali pieni di libri.
Dimezzò la distanza dei loro visi così da poter
finalmente incatenare i suoi occhi nei propri.
Malik serrò la mascella e portò indietro la
testa, irrigidendosi. La presenza di Altaїr così vicina alla
sua, in quel momento di grande furore e agitazione, lo metteva
fortemente a disagio.
Trascorsero alcuni lunghi istanti di silenzio, spesi ad ascoltare i
loro respiri accelerati e i cuori battere forsennati nel petto. Altaїr
percepiva, fissandolo, l’odore della paura che Malik aveva di
lui in quel momento, mai come prima di allora. L’aquila era
riuscita a catturare il falco nella maniera che lo infastidiva.
-Parti dal presupposto che io non ne abbia sofferto. Ed è
qui che ti sbagli-.
-Spiega meglio, se ne sei capace- ringhiò di tutta risposta.
Altaїr inarcò un sopracciglio, irritato dalla sua reazione
almeno quanto Malik si sentiva impotente di fronte a lui in una
circostanza così ovvia. D’altronde non era altro a
tenerlo inchiodato con le spalle alla libreria se non
l’incompetenza: se ne avesse avuta la forza, o anche solo
l’opportunità, Malik avrebbe afferrato la prima
cosa che gli fosse capitata a tiro scagliandola contro
all’assassino con un grido di rabbia, esattamente come aveva
fatto poco prima che quella scomoda conversazione avesse inizio.
Altaїr si permise un istante per pulirsi il viso
dall’inchiostro, strusciandoci la manica della camicia di
lino. –C’era bisogno di arrivare a questo?- chiese
alludendo alla macchia viola comparsa sul tessuto, dovuta al mescolarsi
di inchiostro e sangue.
Malik sembrò calmarsi un poco. Rilassò il collo e
le spalle. Scosse la testa, e in fine guardò a terra.
-No- mormorò quasi piangendo.
Finché si era trattato di qualche innocuo pugnetto sullo
stomaco, Malik aveva saputo confrontarsi con lui senza mai tirarsi
indietro. Adesso che sotto al naso aveva il puzzo del sangue di un caro
amico, si sentiva estremamente in colpa.
-Perdonami…- disse. –Ero fuori… di me-.
Altaїr sorrise. –Lo so-.
-È solo che…- singhiozzò Malik,
sollevando il mento e guardandolo negli occhi, mentre i suoi
s’inumidivano. –Lui era tutto per me, capisci?-.
L’altro annuì. –Anche per me. Gli volevo
bene, Malik, sicuramente non quanto te, ma gli volevo bene
anch’io-.
La loro zuffa notturna si concluse in un caloroso abbraccio.
Altaїr sentì le sue unghie graffiargli la carne della
schiena e la sua fronte premere con forza sulla clavicola, quasi da far
male. Strinse a sé Malik con altrettanta
intensità, tenendolo per la nuca e baciandolo in testa.
-È tutto finito- sussurrò Altaїr per compiacere
l’amico, i singhiozzi del quale si facevano più
intensi. A quel punto qualcosa di caldo ed umido prese a scorrergli sul
petto, certo che non era inchiostro.
-Malik, è tutto finito- ripeté, capendo che si
trattava, piuttosto, delle sue lacrime.
*La pagina 31°
del Codice è una mia invenzione adattata alla trama di
questa storia*
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Capitolo 2 *** II ***
II
Le imposte alla finestra erano aperte, le tende un poco dischiuse per
lasciar transitare un filo di vento. Il paesaggio che si apriva
all’esterno era il solito limpido cielo stellato, qualche
fiaccola accesa in mano alle guardie che pattugliavano la cittadella, e
un mostruoso silenzio, rotto solo da un lontano canto di gufo.
Altaїr aprì la porta ed entrò nella stanza per
primo, dove l’assassino mosse due passi sul tappeto per poi
sentire Malik sciogliere la presa del braccio attorno al suo collo. Il
ragazzo si trascinò sul letto a baldacchino e si
abbandonò su di esso, prima seduto poi disteso e appoggiato
allo schienale. –Grazie- disse in un flebile sussurro,
guardando l’amico. –Per avermi portato via di
lì, intendo, prima che qualcuno si arrabbiasse sul serio-.
Altaїr gli sorrise sincero, andando a sedersi tra i cuscini in un
angolo della stanza e dando le spalle all’amico.
Lì aveva adocchiato un piccolo mobiletto sopra al quale
c’era una brocca di ceramica piena d’acqua, che
l’assassino versò in un catino improvvisando
qualcosa con cui pulirsi il viso, ancora sporco d’inchiostro.
-Guai a te se mi combini un altro scherzo del genere.
L’inchiostro costa, Malik- lo rimbeccò catturando
dell’acqua tra le mani chiuse a coppa, per poi gettarsela in
faccia.
A Malik sfuggì una risatina. –Su questo non posso
darti torto- sospirò lasciando cadere la testa
all’indietro. –Sono stato uno stupido…
avrei dovuto prevederlo-.
-No,- lo interruppe Altaїr. –Non prevederlo. Controllarlo- lo
corresse.
Malik annuì convinto, ma allo stesso tempo dispiaciuto,
senza distogliere lo sguardo dal soffitto della camera.
–Perdonami se una parte di me cede a queste stupide
tentazioni-.
-Sei un uomo, Malik. Non considerarti un Dio- lo ammonì,
divertito dalla sua stessa affermazione.
Il falco tacque per nulla allegro.
Trascorse un lungo minuto di silenzio, durante il quale Altaїr
continuò a lavarsi la faccia aiutandosi con lo specchio da
terra posto al suo fianco. Ad un tratto, come risvegliato dai propri
pensieri, Malik si voltò e aspettò che,
attraverso la sua immagine riflessa nello specchio, Altaїr si
accorgesse della sua espressione terribilmente pentita.
L’aquila corrugò la fronte, perplesso.
–Cos’hai?- chiese incatenando gli occhi di Malik
nei propri dentro lo specchio.
-C’è ancora tanto che non capisco, e che forse non
capirò mai, di te-.
Altaїr si girò del tutto verso di lui, ma, sembrando
più confuso di prima, rimase ad ascoltarlo.
-Per esempio, mi piacerebbe sapere se sono stato io il debole che si
è lasciato vincere dal Frutto, oppure tu l’idiota
che mi ha permesso di tenerlo in mano-.
La cicatrice si tese assieme alle sue labbra, che sorrisero.
–Devi sempre dare la colpa a me, vero?-.
Malik si strinse nelle spalle. –Nel corso di
quest’ultimi anni ho capito che riusciresti a scaricare le
tue pene su altri, in qualsiasi caso-.
-Anche quando il caso vuole una dozzina di guardie molto arrabbiate-
rise tra sé e sé Altaїr, tornando a strofinarsi
il viso.
-Te lo ricordi- constatò l’altro, commosso.
-Come dimenticare le nostre prime indagini?-.
-Al Mualim non è stato affatto corretto nei tuoi confronti-.
-E quando mai lo è stato?-.
-Certo, ma almeno avrebbe potuto darti un’arma con la quale
difenderti-.
-Eravamo bambini, Malik! E poi… avevo queste- Altaїr
mostrò le mani, ma quando le immerse di nuovo
nell’acqua del catino, si accorse che questa si era tinta
completamente di nero.
Malik notò la smorfia che comparve sul suo volto e si
alzò dal letto. –Vuoi che te ne prenda
dell’altra?- chiese.
-No, grazie- si apprestò a rispondere Altaїr. –Non
ce n’è bisogno, penso di aver finito- disse
alzandosi e ammirandosi allo specchio.
-Veramente hai saltato un punto-.
Altaїr aggrottò le sopracciglia. –Dove?-
domandò avvicinando di più il viso alla lastra di
vetro.
Malik gli posò delicatamente due dita sul collo, indicando
un punto preciso.
Sulla pelle erano ancora visibili, ma prima di tutto palpabili, i resti
dello scontro di poco prima, si disse Malik, percependo il suo calore
sui polpastrelli come se avesse appena messo le mano sopra una candela
accesa.
Accorgendosi della macchiolina d’inchiostro incrostatosi a
metà tra la gola e l’osso sporgente della
clavicola, Altaїr lo ringraziò. Si spogliò della
maglia per non rischiare di macchiarla con dell’acqua
già abbastanza sporca e tolse anche quell’ultimo
residuo d’inchiostro secco.
Malik, alle sue spalle e per metà nascosto dietro la sua
immagine riflessa nello specchio, indugiò allungo su
quest’ultima, soffermandosi specialmente sul braccio sinistro
dell’amico, lo stesso che da quel fatidico giorno gli
invidiava più di qualsiasi altra cosa. Dalla muscolatura
sviluppata del bicipite alla spalla possente: divorò con gli
occhi quel che a lui era negato rimpiangere tutte le volte che,
accorgendosi di non potersi allungare sulla sinistra, era costretto a
voltarsi e portare avanti la mano destra per afferrare gli oggetti
più comuni.
Quand’ebbe finito di sottrarre alla sua pelle ramata anche
quella macchiolina bastarda, Altaїr era già pronto a portare
fuori dalla stanza il catino sporco, ma per qualche strano motivo
rimase immobile, con gli occhi fissi sullo specchio, a guardare
l’immagine di Malik tornare seduta sul bordo del letto.
Il ragazzo si posò l’unica mano in grembo e
gettò lo sguardo fuori dalla finestra, accompagnato da uno
stanco sospiro.
Altaїr si schiarì la voce per attirare la sua attenzione, ma
Malik non si voltò. –Ti serve altro? Vuoi che
faccia qualcosa per te, oltre a sbarazzarmi di questa schifezza?-
chiese alludendo all’acqua nera nel catino.
Malik sorrise con malinconia. –Per quello che sei abituato a
fare per me, può bastare-.
Altaїr tremò.
Un Malik così abbattuto, soprattutto dopo aver appena
assistito alla sua “apocalisse” personale, rendeva
Altaїr schiavo di un qualche temuto sentimento di pena mai provato in
precedenza. La compassione, in tutte le sue forme, era una brutta
bestia che lo divorava dall’interno dello stomaco.
Altaїr voleva molto bene al suo migliore amico. Avrebbe fatto davvero
come si era promesso di fare qualsiasi cosa pur di leggergli sulle
labbra un sorriso accettabile. Era stanco di tutto quel cinismo almeno
quanto Malik non voleva darlo a vedere. Sarebbe stato bello tornare ai
vecchi tempi, ai solari ricordi che Altaїr aveva di tutta Aleppo che
inseguiva due minute figure incappucciate di bianco come piccoli
uccelli. In quei agrodolci momenti in cui battaglioni di guardie erano
sulle loro tracce, Malik e Altaїr avevano saputo ritrovarsi e aiutarsi
a vicenda anche quando la distanza tra loro raddoppiava, durante la
fuga. Se uno dei due era in pericolo, l’altro accorreva a
dargli man forte guidato da un richiamo silenzioso che oltrepassava
muri, giardini, fiumi e palazzi. Ma come Altaїr temeva di aver
compreso, i capitoli legati a quel tenore di vita si erano conclusi,
non lasciando altro che rancore, astio e tormento in attesa di un
epilogo che doveva ancora essere scritto.
Altaїr rimise il catino al suo posto e raggiunse Malik, sedendosi
accanto a lui. –Sento che hai ancora bisogno di aiuto, Malik,
e se le mie ulteriori scuse possono farti sentire meglio, prendile-
disse.
Malik accennò un lieve sorriso. -Apprezzo la tua
compassione: pentirtene in questo modo, di fronte a me, ti costa un
grande sacrificio che sembri disposto a compiere- cominciò
per poi prendersi una pausa. –Ho vissuto i giorni successivi
alla morte di Al Mualim in un costante aggravarsi della mia mente. Mi
capitava sempre più spesso di pensare a Kadar, alla missione
nel Tempio di Salomone, ma soprattutto a te e a come avrei dovuto
continuare a trattarti nel modo che meritavi, invece che perdonarti con
poche parole. Attimo dopo attimo, mangiavo un pezzo sempre maggiore
della mia misericordia senza accorgermi di quanto stessi cadendo in
errore. I miei timori si sono condensati assieme solo questa notte,
quando ho commesso lo sbaglio più grande della mia stessa
vita, che non ripeterò. Il destino ci ha scelti, Altaїr,
perché divenissimo le nuove guide del nostro popolo, i
pastori di un gregge che ha smarrito la via, ed io non voglio tirarmi
indietro a quella che ci è stata assegnata come nostra nuova
missione. Tu sembri aver superato ogni ostacolo, diventando
l’uomo che pensavo non avrei mai visto nascere in te dopo la
morte di mio fratello. Mi hai stupito, e molte volte, anche quando non
volevo mostrartelo, e ignoravo gli insegnamenti che tu stavi
offrendomi. Sono rimasto troppo a lungo nell’ombra sprecando
il mio tempo a criticarti, piuttosto che aiutarti a comprendere
ciò di cui io stesso stavo diventando parte comportandomi in
quel modo; parte del piano che Al Mualim stava architettando per
distruggerti, per distruggerci tutti, e che avrebbe visto realizzato se
io non avessi aperto gli occhi in tempo. Adesso sono il primo a doverti
delle scuse, il primo a dover accettare le cose come stanno e il primo
a dover dimenticare per sempre il passato. Dopotutto, le menti
più sagge tra noi non dicevano altro- sospirò
Malik.
Altaїr sorrise sincero. –Dicevano anche: niente è reale-.
-Tutto è
lecito- concluse Malik guardando l’amico negli
occhi.
I pastori di un gregge
smarrito… si ripeté Altaїr,
ammaliato dal carattere profetico che solo Malik sapeva dare alle sue
sentenze. La nostra
nuova missione, pensò anche, proteggere il popolo.
Già, ma da cosa? Qual è la minaccia che affligge
il mondo, ora? I Templari insistono col braccare la nostra terra alla
ricerca del Frutto che custodiamo avidamente… ma sono nulla
in confronto alla forza che serbiamo. Malik, che l’accaduto
ti abbia turbato non lo metto in dubbio, ma avverto che come la
vittoria si avvicina, tu ti allontani…
La Guerra è
appena cominciata, pensava invece Malik, sconsolato. Presto i nostri nemici
torneranno, più agguerriti che in passato, e solo se il
destino lo vorrà saremo forti abbastanza per difenderci da
loro. Quel che possiamo fare, nel frattempo, è combattere
una battaglia ancor più antica, celata nel nostro spirito di
esseri umani: non cedere alla tentazione, resistere alle invitanti
promesse del Frutto. Questa è l’unica sfida che
dobbiamo porgerci, affrontare e vincere, ma che io ho perso in
partenza…
Tacquero entrambi per un tempo che parve infinito, rincorrendosi con lo
sguardo attraverso lo specchio che rifletteva all’uno
l’immagine distorta dell’altro.
-Scusa se te lo dico in faccia con tanta naturalezza, ma non posso
saperti in questo stato. Se ti lasciassi solo, il minimo che potresti
fare sarebbe buttarti dalla finestra- constatò Altaїr ad un
tratto e con una nota scherzosa.
Era divertente come battuta, Malik non rise, ma l’aquila
aveva previsto che non l’avrebbe fatto.
Altaїr cominciò a temere che il suo amato falco ci stesse
davvero pensando…
-Malik- lo chiamò, adombrandosi. –Stavo
scherzando, lo sai, vero?-.
-Certo, proprio come scherza un bambino- arrise quello voltandosi
finalmente verso l’amico, ma con un’aria da
fantasma che lo rendeva meno credibile. –Un bambino
ignorante, viziato e presuntuoso che gioca con i giocattoli degli
adulti-.
In quel momento Malik parlava di se stesso, e Altaїr impiegò
qualche istante a capirlo. Inizialmente aveva pensato che si stesse
riferendo ad un altro avvenimento della loro infanzia, o peggio ancora,
di pochi mesi prima. Nonostante i suoi pensieri, Altaїr
preferì tacere, studiando nei particolari
l’immensa tristezza che come un’aurea grigiastra
avvolgeva la figura del suo compagno. –Se ti è
rimasto dentro qualcosa che vuoi dirmi, fallo adesso, e non pensiamoci
più- disse con serietà. –Qualsiasi
cosa, Malik, dai peggio insulti a tutto il resto…-.
Finalmente Malik sprigionò un vero sorriso. –Non
ce n’è bisogno, anch’io penso di aver
finito-.
Si fissarono allungo negli occhi, l’uno a caccia dei
sentimenti dell’altro attraverso le impenetrabili barriere
delle loro menti, un tempo state così unite, ora
così distanti.
Altaїr ripensò alle volte di quand’erano ragazzi.
Confrontandosi a duello, non c’era mai stata via o modo col
quale l’uno riuscisse a prevalere sull’altro.
All’inizio avrebbero potuto dirsi tanto uguali quanto
diversi, ( come i gemelli opposti in tutto ) ma opposti a tal punto da
riuscire a toccarsi dalle due estremità. Bastavano ancora
pochi centimetri, ed effettivamente si sarebbero toccati, congiunti,
tornando a possedersi com’era successo molto, troppo, tempo
prima…
Ma ora sapevano entrambi che non c’era più spazio
per quelle sciocchezze. La vita, i doveri e le
responsabilità erano crollati loro addosso con la potenza di
un macigno, ispessendo la barriera che li aveva divisi per mesi,
creatasi precisamente alla morte di Kadar. Tutto il resto veniva prima
di loro: la città, il popolo, il Frutto. Schiena a schiena,
senza mai voltarsi per guardarsi (come quand’erano ragazzi,
nei duelli con le guardie saracene) Malik e Altaїr dovevano portare
fede ad un cammino stato imposto loro dallo stesso destino che, tempo
addietro, li aveva uniti e poi divisi.
Troppo orgogliosi per cedere alle semplici tentazioni, troppo impauriti
dalle conseguenze: chiedersi, volersi, desiderarsi erano verbi
scomparsi dalle loro labbra. Eppure, lo sapevano entrambi: sarebbe
bastata una scintilla, un flebile sfregamento di due pietre, una
delicata piuma per far scattare l’ingranaggio. Come le lame
celate che era stato concesso loro di portare ai polsi: nascoste
nell’oscurità ad attendere un impercettibile
sussulto, scattano sull’ultimo affondando un unico colpo,
netto, preciso, letale.
-Veramente c’è un’ultima cosa che
potresti fare per me- Altaїr osservò Malik alzarsi in
silenzio dal letto e andare verso il centro della stanza.
-Dimmi- acconsentì l’aquila, disponibile.
-Ti sarei grato se…- s’interruppe, iniziando a
sfilarsi la casacca da solo.
Altaїr balzò in piedi all’istante, captando da
subito le sue intenzioni senza che aggiungesse due parole di
più, e lo aiutò a spogliarsi prima di
quell’abito e poi del resto, sempre in un religioso silenzio
carico di tristezza, ma soprattutto, di rispetto.
-Sono mesi ormai che convivo con questa mancanza, ma ancora, come
vedi…- cominciò Malik tradendo un minimo di
confusione nelle parole dovuto a quello che in lui si manifestava,
raramente, come un timido imbarazzo.
-Non serve che tu dica nulla- lo interruppe Altaїr, dolce,
slacciandogli la cinta col tessuto color porpora che gli circondava la
vita.
-Ti ringrazio- scappò di bocca a Malik, sedendo nuovamente
sul bordo del letto perché l’amico gli sfilasse i
calzari.
Altaїr ripiegò ordinatamente ciascun abito al suo posto e
posò a terra, in un angolo, gli stivali di Malik.
–Ti viene in mente altro?- chiese senza voltarsi, per il mero
timore che la vista del compagno semi-vestito potesse arrecargli
più dolore di quanto ne sopportasse già.
Non era solo il braccio amputato a dargli fastidio, nel perenne ricordo
dei suoi sbagli, ma anche ciò che restava.
L’immagine di Malik si rifletteva per intero sulla superficie
di quel dannato specchio, sul quale Altaїr posò sbadatamente
gli occhi giusto mezzo secondo, prima d’inclinare il capo
tutt’altra parte con una smorfia. Per calmare i violenti
battiti del cuore nel petto, l’assassino prese un
considerevole numero di respiri profondi.
-No, nient’altro, ma… Altaїr, tutto bene?-
osò domandare Malik, con innocenza e apparente confusione.
No, non va tutto bene! avrebbe
voluto rispondere.
Il suono della sua voce improvvisamente troppo vicina e squillante
nelle orecchie, risvegliò in Altaїr una fame insaziabile
dettata dal solo desiderio umano, al quale era impossibile sottrarsi.
Si voltò e andò incontro all’amico
sussurrando la parola “perdonami”
nella propria mente, anche se, immaginando la reazione di Malik, non
sarebbe stato necessario. Gli bastò muovere pochi passi
silenziosi nell’oscurità della camera, che
giocò a suo vantaggio quando l’aquila
accompagnò il falco disteso sulle lenzuola assieme al
proprio corpo. Lo baciò premendo avidamente le labbra sulle
sue, percependo il calore ma anche la rigidezza del suo incarnato.
Dietro quell’unico gesto azzardato e presuntuoso si
nascondeva un groviglio di sentimenti impossibile da descrivere
diversamente.
Fargli del male era l’ultima delle sue intenzioni e quindi,
per quella notte, Altaїr non avrebbe osato di più.
L’amore per Malik si limitò a qualche semplice
carezza sul suo corpo, sul suo viso, perché capisse quanto
affetto celassero i suoi occhi che giorno dopo giorno avevano divorato
la sua immagine solo attraverso (ecco…) uno specchio. Le
ginocchia dell’altro gli avvolsero i fianchi, mentre questi
sollevava il bacino beandosi della virilità di Altaїr tra le
proprie gambe.
Imprigionato dal bisogno di essere amato dopo tanto tempo, Malik non
tentò nemmeno di sottrarsi a quella lenta agonia dei sensi e
della ragione. Permise alle labbra del suo compagno di violarlo ogni
dove preferisse, ogni dove s’irradiasse una nuova scossa di
piacere. Era inutile negare a se stessi quale immensa soddisfazione
veniva alla luce ora che quei muscoli tonici lo riscaldavano come un
fuoco nei punti a lungo stati freddi. Malik strinse tra le dita
dell’unica mano i capelli del compagno e permise alla sua
lingua di varcare il confine dei propri denti. Nella mente continuava a
ringraziare Altaїr di essere lì, di aver osato e poi
intrapreso quella strada, perché Malik era l’unico
tra i due ancora troppo orgoglioso per chiedere.
Il falco perse ciò che restava del suo piumaggio e se ne
fece del nuovo col tessuto delle lenzuola. L’aquila, dal
canto suo, vegliò su di lui tutta la notte infagottandolo
tra le proprie ali soffici e calde. Se era cosa andante contro natura
che due uomini si amassero così, Altaїr e Malik avevano
imparato ad ignorarlo molto prima di allora. Nella gioventù
era accaduto più volte, quando le fatiche di un giorno di
allenamento e le gloriose vittorie in missione concedevano loro del
tempo per consolarsi a vicenda, con quell’unico ed ultimo
desiderio, prima di coricarsi, di amarsi e ricordarsi l’un
l’altro che niente avrebbe potuto dividerli.
Forse era stupido comportarsi ancora come ragazzini, serbando gli
stessi sogni e le stesse paure di quel tempo. Ma era anche vero che
agli uomini non può essere tolto senza arrecar danno
ciò di cui sono stati viziati. Può essere un
giocattolo, può essere un oggetto, come può
essere una persona.
Scappo con un
piccolissimo Angolo d’Autrice, ringraziando innanzitutto RebyEMiko
per aver commentato (ma soprattutto apprezzato) il primo capitolo,
ovvero quell’Antefatto che può sembrare porti un
po’ fuori strada nella trama, ma in
realtà…
Insomma, pensate davvero
che sia capace di riempire 20 capitoli di sole scene...
eh-ehm… c’è! Non ne sarei mai capace,
anche perché il mio affidato compagno di scrittura si defila
nei momenti più… <.<
Come stavo dicendo: la
vicenda romantica a carattere AltMal è solo lo sfondo di
questa storia! Scusate, ma io senza un po’ di sana azione
(sangue, spade, e… ho già detto sangue?
<.<) non riesco a scriverla! XD Quindi mi sono davvero
inventata di… hmmm! Hmmm! Hmm! Hmmmm!!! HMMM!
*Una mano misteriosa
tappa la bocca all’autrice prima che sveli un graaaaande
spoiler*
Hmmm! Hmmm!!!! Hm! Ma
che modi!
Un medesimo
ringraziamento a PotterWatch
– Elisa, senza la quale un microscopica parte di
questo capitolo avrebbe contenuto più errori di quanti se ne
possano trovare nel tema di un ragazzino di II elementare! XD
Grazie anche ai lettori
silenziosi ^^
Eh, vi ho beccato!
Sì, voi! Proprio voi! Sì, esatto, tu! Vedi di
lasciare una recensione se non vuoi che venga lì e hmmm!!
Hmmmm! Hm! HMMMMM!
LOL
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Capitolo 3 *** III ***
Quando Malik rinvenne dal sonno, poté bearsi qualche altro
momento del calore attorno al proprio corpo. Nonostante fosse una
sensazione alquanto piacevole, rinunciò a sorridere nel
momento in cui riacquistò parte del senno perduto. Fuori
dalla finestra, oltre lo spiraglio che le tende permettevano e dove
l’orizzonte tracciava il suo magico confine rosato, scorse il
cielo schiarire sulle punte delle montagne. Si
sollevò lentamente aiutandosi con l’unico braccio
che gli restava e mettendosi seduto con le gambe distese sotto le
coperte, si accorse di essere solo nella stanza.
Per un breve istante, Malik aveva davvero creduto che Altaїr fosse
rimasto al suo fianco tutta la notte, ma era stata una breve illusione
dettata da un’erronea speranza, scaturita unicamente da quei
falsi desideri che Malik doveva assolutamente imparare a contrastare.
Il falco socchiuse gli occhi e guardò accanto a
sé. Le pieghe delle lenzuola mostravano i chiari segni di un
corpo stato allungo immobile. Malik carezzò delicatamente
quel punto e sentì come Altaїr avesse lasciato
già da tempo la sua camera, abbandonando il compagno nella
profonda oscurità della notte che ancora avvolgeva Masyaf.
Rivivendo le suggestioni della serata precedente, Malik
tornò sdraiato sul letto. Non cercò di riprendere
sonno, sapeva bene che sarebbe stato pressoché impossibile
oltre che inutile, ormai. Ancora poche ore e sarebbe tornato a mostrare
la maschera che più di tutte lo dilettava indossare:
indifferenza, compostezza, pazienza. Cosa sarebbe stato quel misero
gesto infantile al cospetto delle avverse responsabilità
quotidiane che Malik e Altaїr si erano assunti con tanta misericordia?
Nulla. Malik doveva trovare la forza per dare un freno a quelle
debolezze, o la nebbia della fanciullezza li avrebbe tenuti ciechi
entrambi per quel tempo che non potevano permettersi. Se Altaїr era
ancora troppo pieno di sé come Malik temeva che fosse,
sarebbe stato lui a ritentare di sistemare i tasselli di quel puzzle
Fissando il soffitto sopra la sua testa, ripensò a quanto
avesse nuovamente contraddetto se stesso, dando ad Altaїr, col suo
peccato, l’opportunità di sentirsi troppo vicino a
lui.
~ ۞ ~
Un’ombra bianca si muoveva silenziosa sulle scale della
Fortezza. I suoi agili e piccoli passi lo condussero sino al pian
terreno della costruzione, dove trovò ad attenderlo un
tombale silenzio.
L’ingresso principale era presieduto all’esterno da
due guardie che gli davano le spalle, mentre tutto il resto era un
pozzo nero in cui perdersi nuotando. Per un brevissimo istante, quando
Altaїr attraversò la sala da un capo all’altro, i
suoi occhi neri riflessero non solo il bagliore argenteo della luna che
filtrava i suoi raggi dalle vetrata in alto, ma anche il luccichio
appariscente e dorato di un piccolo oggetto celato nel buio.
Altaїr individuò il Frutto dell’Eden, che giaceva
a terra tra i piedi di uno scaffale della biblioteca.
L’assassino andò in quella direzione;
più Altaїr si avvicinava, e più la Mela brillava
intensamente nell’oscurità dell’androne.
Il ragazzo si piegò sulle ginocchia e scrutò a
lungo l’oggetto sotto al suo naso. Scordatelo…
pensò Altaїr rivolto alla Sfera, che con i suoi canti
angelici e le sue sinuose rotondità dorate provava a
tentarlo come una qualsiasi prostituta. Immaginando la triste sorte
toccata alla povera Eva e al suo compagno, Altaїr avvolse il Frutto in
un panno color porpora, attento a non permettere una fessura una da cui
sarebbe potuta scaturire la tentazione. Con la premura di una madre che
porta in braccio il neonato, l’aquila di Masyaf
risalì le scale a grandi passi svelti e silenziosi. Appena
fu sopraelevato rispetto al salone d’ingresso,
lanciò un’occhiata oltre il parapetto per
accertarsi che nessuno, a parte i due soldati a guardia
dell’esterno distratti e mezzi assopiti, avesse colto i suoi
spostamenti.
Si era permesso di indugiare già troppo, si disse,
poiché aveva lasciato incustodito (seppur ben nascosto ad
occhio nudo) il Frutto dell’Eden così a lungo.
L’unica scusa che aveva per coprire la sua disattenzione,
chiunque sarebbe stato in grado di reputarla sciocca e insignificante
rispetto all’immensa responsabilità che Altaїr
aveva messo nelle mani del destino. Il Frutto dell’Eden
gelosamente custodito tra le sue braccia e avvolto nel panno,
com’era stato capace di tentare Malik, avrebbe potuto
promettere qualsiasi cosa al primo novizio che gli fosse passato
accanto. Quell’oggetto doveva essere tenuto lontano dalla
portata di tutti e di nessuno. In un luogo verso il quale persino
Altaїr, conoscendone l’ubicazione, avrebbe dovuto provare
timore ad avvicinarsi. Subito dopo che ebbe scrutato a lungo
l’oscurità, in cerca di un minimo spostamento
dell’aria che testimoniasse occhi od orecchie curiose, Altaїr
pensò pigramente di sospendere la ricerca del nascondiglio
perfetto, preferendo rinchiudere il Frutto in una cassetta di legno
intarsiato della libreria accanto alla vetrata che dava sul cortile,
assieme a delle vecchie piume bianche sporche di sangue.
L’unico autorizzato a toccare con mano quelle penne era
unicamente il Maestro della Confraternita che, purtroppo date le
circostanze, non era più tra loro. Pertanto, nessuno, se non
Malik o Altaїr stesso, l’indomani mattina avrebbe aperto
quello scrigno e scoperto la sorpresa nascostavi all’interno.
Quel che Altaїr si era promesso di fare il più in fretta
possibile, era tornare dal suo compagno prima che si accorgesse della
sua assenza. L’alba ormai prossima, come notò
l’assassino voltandosi a guardare attraverso la vetrata,
schiariva l’orizzonte e cancellava le prime stelle dal
firmamento.
~ ۞ ~
Il mattino seguente Masyaf non era mai stata più caotica.
Faceva un caldo infernale e il sole spaccava le pietre, troneggiando
sul mondo e facendosi beffe dei mortali dalla sua immensa volta
azzurra. Per le strade si era improvvisamente riversata una marea di
gente che entrava e usciva dalle mura della cittadella, catturando
l’attenzione delle guardie e agitando la popolazione locale.
Il frastuono attorno al mercato era assordante: bestiame, grida di
bambini, lamenti di vecchi, canti e quant’altro alimentasse
il vociare della folla che arrivava sino alla torre più alta
della Fortezza.
Accompagnato da alcuni assassini di rango inferiore, Altaїr si era
preso il fardello di spostare dalla biblioteca alla torre alcuni grossi
e pesantissimi tomi. Quell’ala della fortezza ospitava, come
pochi sapevano, una vasta cantina, il cui unico accesso era una stretta
botola nascosta sotto la tappezzeria. Ritrovarsi in quel luogo dopo
tanto tempo, ad Altaїr suscitò strani sentimenti
nell’animo. Poiché i ricordi di quando i Templari
avevano attaccato Masyaf reclamando, con voce di Roberto, il Frutto
dell’Eden si annidavano ancora, dolorosamente, in lui, non
riusciva certo ad ignorare l’immenso fastidio che la visita a
tale luogo gli procurava. Le piattaforme dalle quali si erano gettati
lui e due altri assassini, al fine di attivare la trappola coi tronchi
che avrebbe salvato la cittadella, erano ancora lì, del
resto, come tutta la mobilia circostante. Persino le tre guardie che
facevano loro da scorta avevano gli stessi volti tenebrosi di chi sta
studiando nei dettagli i movimenti di un traditore.
Tentando disperatamente di ignorare quei pensieri, Altaїr accolse la
torcia che una guardia gli porse e si avviò per primo
attraverso la botola.
Si poteva entrare nella cantina per due vie: una era la rampa di scale
e impalcature che dalla botola arrivavano fino al livello
più basso della cantina. Il complesso in legno divideva
l’immensa profondità della cantina in cinque mezzi
piani, l’uno ospitante una vasta gamma di scaffali pieni di
libri o vuoti di cui riempirne. L’altro mezzo che consentiva
l’accesso era la carrucola, usata per accompagnare lentamente
sul fondo della cantina quel che vi si voleva mettere a risposo
all’interno. In quella circostanza, Altaїr e i novizi si
erano avvalsi di entrambe, aiutandosi con la fune della carrucola per
portare i pesanti tomi in fondo alla cantina, e poi smistarli nei vari
scomparti e scaffali manualmente.
Altaїr dirigeva l’operazione in prima persona, assistendo con
una fiaccola due ragazzi che si occupavano di impilare i volumi. La
cantina era molto profonda e altrettanto buia, poiché non
c’erano né finestre né lucernari.
Nella cantina, nel corso dei secoli, gli Assassini avevano riposto le
reliquie più antiche, le armi più leggendarie,
gli oggetti più preziosi, i libri più sacri. A
grandi linee, in quel pozzo oscuro di ricchezza e sapienza, cadeva
tutto ciò che non doveva andare perduto, ma forse
dimenticato.
Approfittando del fatto che alcuni testi di Al Mualim, sotto ordine di
Malik, dovevano essere isolati, perciò spostati dalla
biblioteca alla cantina, Altaїr aveva portato con sé anche
il cofanetto con le piume e, cosa più importante, il Frutto
dell’Eden.
Non aveva idea di quanto tempo sarebbe stato necessario nasconderlo
lì. Altaїr riteneva insignificante tale particolare, ma
respirava l’aria viziata della cantina pregando che la Mela
non corresse alcun rischio per secoli, se necessario. Si era prefisso
altrettanto duramente l’obbiettivo di studiarne la
consistenza, il potere, senza lasciare ad altri l’occasione
per farlo. La cantina sarebbe stata come per la Mela, un rifugio per le
conoscenze che sarebbero sprigionate da essa.
I due novizi rimasti all’esterno fecero scendere dalla botola
un nuovo carico di libri. Sulla cima della pila di tomi, quando la
pedana della carrucola fu alla sua altezza, Altaїr riconobbe il
cofanetto sigillato così come l’aveva lasciato la
notte scorsa. Alle sue spalle i ragazzi avevano finito di sistemare il
carico precedente di libri e attendevano che Altaїr desse loro ordine
di cominciare a smistare anche quelli.
L’aquila di Masyaf, asciugandosi un rivolo di sudore che gli
solleticava la tempia, afferrò il cofanetto e lo mise da
parte, promettendosi che se ne sarebbe occupato in privata sede il
più tardi possibile. Poi fece cenno ai suoi collaboratori
che potevano smistare il nuovo carico di volumi.
Fu un lungo e straziante tormento, ma alla fine Altaїr e i suoi
silenziosi inservienti conclusero l’opera commissionata su
stesso ordine dell’assassino. A cose fatte, Altaїr diede
congedo ai due novizi col cappuccio grigio che l’avevano
accompagnato sul fondo della cantina, e li osservò risalire
due gradini alla volta e con una certa fretta la spirale di scale che
portava sino alla botola. Non appena fu solo, il figlio di nessuno
tornò ad accarezzare il legno intarsiato del cofanetto che
racchiudeva piume, sangue e conoscenza.
Quelle tre parole, il caldo afoso e il fascio di luce che proiettava su
di lui il foro sul soffitto, lo riportarono contro la sua
volontà ai giorni trascorsi nella Dimora di Gerusalemme
durante le indagini per conto della sua terza vittima. Nella mente si
materializzò la figura di Malik, tesa come un chiodo dietro
al bancone della Dimora. Con il minimo sforzo, Altaїr
ricostruì l’intera scena dalla prima
all’ultima battuta tagliente del suo compagno. Il dolore di
quel ricordo era pari all’acqua di un torrente che va verso
un fiume in piena: lento, potente, agonizzante.
Ma ormai Malik l’aveva perdonato. Sarebbero potuti tornare ad
essere chi erano stati una volta, sottolineando oltremodo
ciò che li aveva resi così uniti e tanto temuti e
rispettati quand’erano solo ragazzini.
Era stata l’idea del perdono raggiunto a scacciare le nuvole
della tempesta. La forza che era servita ad Altaїr per combattere e
sconfiggere Al Mualim gliela aveva infusa un’unica grandiosa
visione: il sorriso, il pentimento e la comprensione sul volto di Malik
sarebbero bastati a colmare non uno, ma due cuori di pace e
serenità.
L’ultimo tuono che riecheggiava nel cielo, si disse, era tra
le sue mani.
Altaїr abbandonò la torcia ad un gancio sulla parete in
pietra, e cominciò a scendere le restanti rampe di scale in
legno che lo separavano dal fondo della cantina.
-Maestro Altaїr!- lo chiamò uno dei giovani assassini
dall’alto della botola aperta. –Dove state
andando?!- la sua voce riecheggiò tutt’attorno e
giunse alle orecchie di Altaїr irrigidendogli appena le spalle.
Nonostante il richiamo, l’aquila continuò a
scendere.
-Zitto, scemo!- lo rimbeccò un compagno. –Non
dobbiamo intrometterci-.
~ ۞ ~
Malik sedeva nella biblioteca, al piano inferiore del salone
d’ingresso della fortezza. Le vesti bianche degli Anziani che
si spostavano come fantasmi da una parte all’altra della sala
gli passavano sotto al naso senza turbarlo. Era troppo concentrato
nella lettura anche solo per accorgersi del continuo via vai di soldati
che entravano e uscivano dall’ingresso principale carichi di
libri, gli stessi che Malik aveva incaricato Altaїr di far spostare
dalla sala del Maestro alla cantina nella torre.
Altaїr e Malik si erano visti giusto in quella circostanza. Nessuno dei
due aveva osato accennare parola sull’accaduto della notte
passata, e forse era meglio così: a Malik piaceva pensare
che meno ne discutevano, più l’obbiettivo che si
era prefisso gli tornava semplice.
La luce che entrava dalle piccole finestre con grate lungo le pareti
bastava ad illuminare l’ambiente, assieme al candelabro che
penzolava dal soffitto e la vetrata dietro la scrivania del Maestro.
Era una torrida giornata estiva, e nonostante Malik fosse seduto con la
schiena contro la fresca parete in pietra, sentiva ugualmente caldo.
Addosso aveva le sue solite vesti, più leggere rispetto a
quelle indossate l’inverno scorso, ma ugualmente troppo
ingombranti per i suoi gusti. Col passare del tempo, man a mano che la
temperatura si alzava col giungere del mezzodì, leggere e
concentrarsi gli tornava sempre più difficile, almeno in un
ambiente coperto come poteva esserlo il salone d’ingresso.
Richiudendo il libro e mettendoselo sotto l’unico braccio,
Malik si alzò in piedi, uscì dalla fortezza, e si
avviò sul sentiero che conduceva al villaggio. Abbandonate
le ombre del salone, le torride stradine di Masyaf gli sembrarono
ancora più calde di quanto ricordasse dalle estati
precedenti. I piccioni si appollaiavano sotto i tetti delle case, i
bambini giravano a torso nudo o se ne stavano seduti
all’ombra di una palma trattenendo il desiderio di correre
dietro ad una palla, che li avrebbe cotti a puntino. Le donne
indossavano veli leggerissimi, quasi trasparenti. Alle fontanelle
c’era la fila per bere o riempire caraffe dopo caraffe. Il
caldo favoriva il diffondersi di profumi culinari, ma anche di odori
sgradevoli: Malik affrettò il passo vicino alla stalla.
Durante il passeggio per la cittadella, chi lo riconosceva gli faceva
un cenno con la mano, col capo o s’inchinava rispettosamente.
Guardie, assassini o gente comune, tutti sembravano lieti di
incontrarlo sul proprio cammino. Al-Sayf mascherava lo sconforto dietro
un soddisfatto sorriso, come se cogliere di nuovo
l’equilibrio del mondo tra la propria gente fosse
un’impareggiabile liberazione, piuttosto che un immenso
sollievo.
In realtà era distratto da molte cose al dì fuori
del caldo.
In cima a tutte c’erano le sue iniziative della notte
precedente verso il Frutto. Quel che aveva fatto era imperdonabile. Si
vergognava sopra ogni dire a camminare tra la sua gente fingendo che
non fosse successo nulla. Gli unici informati di cosa era accaduto tra
Altaїr, Malik e la Mela del Peccato avevano gelosamente custodito il
segreto, dimenticando o semplicemente tacendo ad altri quel che avevano
visto succedere.
In secondo luogo, giaceva il nebuloso ricordo delle emozioni provate
nel trascorrere la notte col suo compagno di disavventure. Il segno
delle sue labbra era ancora impresso sul suo collo, il profumo
inebriante del suo corpo lo avvertiva ancora nel profondo, il calore
delle sue mani lo solleticava ancora sulla schiena e sul petto.
Malik si fermò ad un tratto nel mezzo del mercato, immerso
nel mare di folla che gli camminava ai lati. Ebbe la sensazione di
soffocare in un mare in tempesta: oltre al fatto che quel genere di
ricordi rischiavano di suscitare in lui certe reazioni, non aveva mai
visto tanta gente tutta assieme, soprattutto in una giornata
così calda. Sembrava di essere rimasti bloccati nel traffico
quotidiano di Damasco durante un’importante
festività: fiumi di volti mai visti affollavano la strada e
si restava incastrati tra una schiena e l’altra, costretti ad
avanzare per la direzione in cui punta la corrente.
Malik trovò e sedé sul bordo di un muretto,
riuscendo a tirare un respiro di sollievo dopo essere sfuggito a quel
girone infernale.
Ma da dove viene tutta
questa gente? Si chiese con un moto di ansia, stupore e
scetticismo.
Masyaf contava al massimo la metà delle persone che
affollavano il mercato in quel momento. Lanciando un’occhiata
fuori dalle mura della cittadella, Malik si accorse di
un’altra valanga di donne e bambini accampati come nomadi,
mentre sul sentiero che serpentava per le bancarelle se n’era
sparpagliata già una prima.
D’un tratto, l’attenzione di Malik cadde su una
giovane donna coperta da un velo giallo, che si faceva largo tra la
folla con difficoltà, fermandosi ogni tanto ad interpellare
qualcuno con alcune domande. Lo spiraglio che il velo consentiva
mostrava profondi occhi neri traversati dalla disperazione. Quando la
donna si accorse che Malik l’aveva fissata per tutto quel
tempo, venne verso di lui con passi infermi.
-Vi prego, dovete aiutarmi!- supplicò lei, inginocchiandosi
ai suoi piedi.
Malik aggrottò la fronte, inizialmente perplesso, ma poi si
concesse di ascoltare.
-Ho perduto mio figlio!- strillò ella, tra le lacrime.
–Vi prego, aiutatemi! Aiutatemi a ritrovarlo!
L’avete visto?!-.
-Calmatevi, una cosa alla volta- disse Malik sorreggendola per i
gomiti, affinché si alzasse. –Ditemi: cosa sta
succedendo qui? Chi è tutta questa gente?- cercò
di mostrarsi il più sereno possibile nella speranza che
anche la donna si acquietasse.
Ma lei, piuttosto, ignorò le sue parole e ripeté
nuovamente: -Mio figlio, signore, l’ho perduto! Vi prego, se
potete aiutarmi, ditemi se l’avete visto!- aveva un viso
giovane e fino, un corpo non troppo magro e un seno piccolo. Nascosta
dagli abiti, poteva avere venti come una quarantina d’anni
per via della statura nella media.
Malik, sull’orlo dell’insofferenza,
serrò le labbra in una smorfia. Fece per replicare,
ribadendo nuovamente la domanda più importante, ma
dall’altra parte della strada due guardie col cappuccio
grigio vennero di gran corsa verso di lui.
-Malik, grazie al cielo!- il primo azzardò un inchino e
l’altro lo imitò.
-Perfetto, non ditemi che anche voi cercate i vostri figli!- eruppe il
falco.
Quelli lo guardarono interrogativi per un istante, poi lo stesso che lo
aveva chiamato per nome, quello più anziano, mosse un passo
avanti e indicò alle proprie spalle. –Guarda che
roba, Malik! Sono arrivati durante la notte! Il grosso è
accampato fuori dalla città, ma donne e bambini intralciano
i carri dei mercanti sul sentiero! Non c’è verso
di farli spostare!-.
Malik indugiò un istante. –Da dove spuntano fuori,
piuttosto, si può sapere?-.
Quelli alzarono le spalle.
-Avete provato a parlare con loro civilmente?-.
Quella gente aveva tanto l’aria di chi ha passato una brutta
esperienza. La donna dietro di sé doveva per forza farne
parte, e probabilmente risentiva il dolore nel modo peggiore: con la
pazzia.
-Sì, Malik, ma sono sconvolti: le donne piangono, i bambini
non ne parliamo! Gli uomini si rifiutano di aprire bocca con chiunque
indossi delle armi!-.
-È il caos! Cosa facciamo?- chiese l’altro,
terrorizzato.
-Amjad, Jaber, dovete mantenere la lucidità, almeno voi, ve
ne prego. Prenderò in mano la situazione personalmente.
Amjad, raduna altre guardie e vedete se tra questa gente
c’è qualcuno che può far loro da
rappresentate e portatelo da me alla Fortezza. Nel frattempo, Jaber
voglio che ti occupi di questa donna e l’aiuti a ritrovare
suo figlio- dettò Malik alludendo alla fanciulla dietro di
sé.
Jaber allungò un’occhiata alle spalle del falco,
ma sul suo volto comparve un’espressione confusa.
–Certo, ma… quale donna?- chiese.
Malik si voltò, ma trattenne a stento un sobbalzo quando si
accorse che la povera dama sembrava essersi volatilizzata nel nulla.
Guardò di qua e di là cercandola tra i corpi che
animavano le affollate vie del mercato, ma nulla da fare: era
scomparsa.
-Dimentica ciò che ho appena detto…-
mormorò poco convinto delle sue parole tornando a rivolgersi
ai due. –Piuttosto, corri alla Torre e di’
ad Altaїr che ho urgente bisogno anche di lui-.
Jaber annuì e scattò di corsa verso la Fortezza.
Amjad scrutò a lungo il volto del suo superiore, prima di
decidersi ad entrare in azione. Malik, non accorgendosi del suo
insistente sguardo puntato su di sé, finì per
ignorarlo dando ad Amjad il tempo necessario per studiare lo sconforto
che si annidava in lui.
-Tutto bene?- volle chiedere quello.
-Sono solo molto turbato, Amjad. Nel caso non avessi assimilato la
gravità della cosa, che non è affatto normale, ti
suggerisco di attenerti ai miei ordini- rispose Malik in un cupo
mormorio.
-No, fratello, io mi riferivo a te- lo contraddisse.
Malik gli scoccò un’occhiata confusa.
Amjad lo fissò dritto negli occhi. -Non ho visto nessuna
donna- disse prima di allontanarsi.
~ ۞ ~
Pochi sapevano che dove ora sorgeva quella torre, vi riposavano i resti
di un ancor più antico luogo di culto islamico: un edificio
tondeggiante il cui ingresso si mostrava sotto forma di otto archi
monumentali, pitturati di colori sgancianti rovinatisi nel tempo.
Nessun testo come nessuna mappa indicava la posizione di quel tempio.
Altaїr ne aveva abbastanza di leggende e superstizioni che gravitavano
attorno a tale costruzione, ma non biasimava chi aveva timore di
addentrarvisi. Il mito che proteggeva gli otto archi bastava a tenere
lontani occhi curiosi di giovani assassini, perciò erano
pochi quelli che acconsentivano a recarsi nella cantina al fine
sistemare vecchi libri polverosi.
Altaїr conosceva a mala pena quel luogo che, come molti, prima di lui,
aveva imparato a rispettare. Il volere di Malik affinché le
carte e gli appunti di Al Mualim venissero isolati nella cantina era
solo il pretesto che l’aveva spinto a prendere la fatale
decisione di custodire là il Frutto dell’Eden.
L’oscurità lo inghiottì quando giunse
sul freddo suolo di pietra, il punto più profondo della
cantina. Lì gli scaffali coi libri lasciavano aria agli
imponenti otto archi decorati, in uno dei quali si diceva dormisse il
vero e proprio accesso al tempio, che scavava ancor più
negli abissi della terra assieme alle sue leggende: non solo creature
mostruose o trappole mortali custodivano segreti e tesori, ma tutti i
dolori dell’uomo, quasi il tempio stesso fosse un grande Vaso
di Pandora.
Altaїr non credeva a quelle scemenze. Chiunque avrebbe potuto costruire
quattro mura sulla cima di una montagna, dove ora sorgeva la Fortezza
degli Assassini, e battezzarle col nome di “Tempio
Sacro”. La sua, ma la fede di tutti gli uomini vacillava
attaccata ad un fragile filo, la cui essenza poteva essere riassunta in
sei semplici parole, che a lui erano state insegnate a pronunciare fin
dalla più soffice età: Niente è Reale. Tutto
è Lecito.
Il duello con Al Mualim gli aveva aperto gli occhi, mostrandogli quanto
l’illusione e la menzogna fossero state troppo a lungo gli
unici peccati nei quali l’uomo avesse mai galleggiato per
secoli. Se era vero tutto ciò che si diceva del Frutto,
tutto ciò che Al Mualim sembrava aver scoperto su di esso,
persino il possente assassino figlio di nessuno stentava a credere di
possedere tanto potere nelle sue mani, e di essere riuscito a sfuggirne
prima che fosse troppo tardi.
La sala circolare nella quale si ritrovò era troppo buia per
vedere oltre il proprio naso. Altaїr mosse alcuni passi verso il centro
e portò avanti la mano libera. Quando arrivò a
toccare con le quattro dita quel che si aspettava di trovare dove
vagamente ricordava che fosse, si spostò sulla destra e
seguì il profilo della colonna portante il primo degli otto
archi. Finalmente raggiunse a sfiorare con il palmo la superficie
lignea di un tavolo basso, attorno al quale, se ricordava bene,
dovevano esserci due mobiletti e alcuni cuscini. Sotto ai propri piedi
Altaїr percepì improvvisamente la morbidezza di un tappeto
ricamato, seppur pieno di polvere. L’aria era satura,
compatta, consumata dalle centinaia di antichi volumi, oggetti e
pergamene rinchiusi nei livelli superiori, che respiravano come esseri
pulsanti, pieni di vita, pronti ad implodere della loro
nobiltà rinnegata.
Altaїr posò il cofanetto sul ripiano e, sedendo in ginocchio
a poca distanza da esso, attese per un tempo che gli parve eterno.
Scrutò a lungo la minuta figura del bauletto davanti ai suoi
occhi neri, che in un ambiente tanto buio, si confondevano con
l’oscurità tutt’attorno alla sua figura.
Inginocchiato come un umile discepolo dinnanzi ad una possente
divinità, Altaїr svuotò la mente e
abbandonò i sensi del proprio corpo come gli era stato
insegnato dai suoi predecessori, in preparazione ad un omicidio.
“L’anima
e il corpo comunicano attraverso un sottile canale che attraversa sia
uno che l’altra. Le carni e lo spirito diventano un
tutt’uno, mentre la natura sussurra il suo volere e il
destino si compie. Rammenta, Altaїr: l’essere umano
è sempre una marionetta nelle mani di altri, una macchina
costruita da altri, uno schiavo che anche quando pensa di poter vivere
libero compiendo azioni che lo facciano sentire tale, è
prigioniero di chi o di cosa lo ha forgiato. Io sono il tuo maestro: ti
insegnerò l’arte della spada, e sarà
con ciò che ti ho insegnato che ti userò e ti
comanderò. Anche quando penserai che i miei fili non siano
legati ai tuoi, sarà allora che dovrai compiacerti di come
il mio semplice ricordo ti dia pena e dolore. Sarai cosciente di aver
fatto tutto quello che hai fatto solo grazie a ciò che ti ho
insegnato. Quel giorno tornerai da me, invocherai il mio perdono,
perché avrai scoperto che quel di cui sei stato sfamato, non
potrai mai vivere senza…”
Altaїr si destò con un brivido che gli corse lungo la spina
dorsale. Si accorse di avere i pugni stretti sul tavolo, ai lati del
cofanetto, e la mascella serrata. Il corpo, quello che credeva di aver
assopito assieme ai sensi, era teso come un ciocco e freddo come la
pietra.
Le parole che aveva rivissuto nella sua mente appartenevano ad Al
Mualim, il giorno in cui aveva dettato lui il nome della sua prima
vittima. All’epoca Altaїr era ancora un bambino, appena
dodicenne, ma con un grande spirito di osservatore e quel silenzio
nell’anima che Al Mualim aveva cercato in molti, prima di
trovare lui.
Ora lo stesso silenzio di allora lo inghiottiva, e Altaїr soffocava nel
proprio dolore.
Ciascun uomo morto per la sua lama, Altaїr si rendeva conto di averlo
ucciso solo perché non gli era mai stato insegnato altro.
L’occultamento delle altre possibilità lo aveva
rinchiuso in una dimensione forzata delle cose e della ragione, in cui
sia corpo che spirito giacevano inermi al servizio altrui. Eppure,
Altaїr colse una piccola consolazione nel falso di alcune sue parole:
Al Mualim diceva che sarebbe tornato da lui, che avrebbe invocato il
suo perdono. Altaїr non aveva mai cercato di ribellarsi. Era successo
una volta soltanto nel Tempio di Salomone, ma ormai capiva di essere
stato condizionato da altro, non da quella che Al Mualim chiamava
ribellione e voglia di libertà. Quel senso di oppressione
sarebbe svanito solo successivamente, dopo l’assassinio di
Roberto de Sable, solo con la consapevolezza della menzogna e
dell’inganno. Solo allora Altaїr aveva osato
“ribellarsi”, insorgere, mordere la mano che lo
nutriva. Il grandioso guadagno era stato vedere il sole mentre la
nebbia dell’illusione svaniva, mentre la cortina
dell’occultamento si scioglieva in un’impetuosa
tempesta del deserto. Quella dimensione forzata dettata da una
religione fasulla era morta, e Al Mualim era precipitato nel
baratro che lui stesso aveva creato, ma per altri.
Ma Al Mualim aveva sempre avuto ragione su ogni cosa, fin da principio.
Si era accorto della menzogna prima di chiunque altro, e il suo fine di
svelarne l’esistenza era nobile, ma i mezzi per ottenerlo
inqualificabili… Quindi perché avrebbe dovuto
sbagliarsi proprio ora?
Mettere da parte i suoi appunti, le sue ricerche, non avrebbe tenuto
lontano l’ingordigia di quelli che sarebbero venuti dopo di
loro. Altaїr aveva paura nell’essere costretto ad affidare il
proprio sapere, le proprie conoscenze e le proprie conclusioni, assieme
alle proprie esperienze, in mani di sconosciuti ai quali sarebbe venuto
da porgersi un dubbio infame, che già nei tempi aveva
mietuto le sue vittime.
Ma nessuno aveva ben chiaro che il più grande errore umano
stava per ripetersi.
Qualcuno stava ricominciando a tessere la tela
dell’illusione: decretando che nessuno entrasse nella
dimensione veritiera dei fatti, l’aquila e il falco avevano
scelto di stendere un nuovo telo della menzogna. Il ciclo si stava
ripetendo, anche quando ci si era prefissi di interromperlo.
L’unico modo per fermare tutto questo una volta per tutte,
era accertarsi che esistesse un mezzo capace di interrompere la catena
e sostituire gli anelli mancanti con un qualcosa di diverso, di fresco.
Altaїr fece un lungo respiro profondo e guardò il cofanetto
di fronte a sé. Ormai prossimo al gesto di aprirlo, una
penetrante e giovane voce rimbombò nella cantina,
richiamando la sua attenzione verso l’alto. Il fascio di luce
proiettato dal foro della botola venne oscurato da un cappuccio grigio.
-Maestro Altaїr, presto, salite subito! Malik desidera vedervi,
è urgente!-.
~ ۞ ~
.:Angolo
d’Autrice:.
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Incredibile dire a parole che
fatica mi sia costata questo capitolo: cercavo disperatamente qualcosa
di plausibile da scrivere senza cadere
nell’assurdità, ma ora sta a voi decidere cosa
merita davvero come critiche e commenti. Esigo ringraziare RebyEMiko
e PotterWatch
per l’interesse col quale seguono e (spero) continueranno a
seguire la fan fiction.
Vorrei rispondere ad entrambe dicendo che, da un punto di vista yaoi,
la storia avrà poche (ma buone, speriamo) scene di quel
genere. Il carattere della trama è variato: da che era un
romantico – avventura – sovrannaturale, si
è visto crescere in malinconico – mistero
– introspettivo. Il rating, pertanto, non è
più rosso,
bensì arancione.
Detto ciò, parto con le premesse.
Il personaggio di Malik in questo capitolo è combattuto.
Oltre ai problemi nati per via dei “nomadi” di
Masyaf, vedremo il nostro assassino senza un braccio alle prese col
rifiutare Altaїr, e di conseguenza sé stesso. Maggiori
dettagli nel prossimo capitolo.
Altaїr, dal canto suo, ha altrettanti semi in zucca a cui pensare:
avverte che la responsabilità del Frutto dell’Eden
è tutta nelle sue mani e proprio per questo non ha la minima
intenzione di coinvolgere nuovamente Malik. I due vivranno un certo
periodo di distacco (durante il quale darò maggior peso alle
faccende esterne – nomadi, invasioni, templari…-
basta spoiler, dannazione!).
La cantina e successivamente il l’antico tempio sono di mia
invenzione. Perciò non vi salga in mente di vagare come
anime in pena per tutta la Fortezza del gioco cercando quella maledetta
botola, che non esiste! (lol) La location, però, corrisponde
alla piazzola dalla quale si getta Altaїr nel primo blocco di memoria,
quando arrivano i Templari a Masyaf e lui ha il compito di attivare la
trappola. La torre di cui parlo non è quella dalla quale
cadono i tronchi, ma quella che è parte integrante delle
mura della Fortezza ed è possibile raggiungere con una
scaletta in legno. Non so voi, ma io adoro quella piazzola. (La botola
è nascosta sotto uno dei tappeti dell’arredo).
Il tempio, così come la cantina, nasce dalla mia fantasia. I
tipici archi a volta li conosciamo, e le tradizionali pitture anche!
Basti pensare che i cortili di Damasco sono pieni di quel genere di
archi!
Chi avrà attirato (spero) la vostra attenzione in questo
capitolo immagino sia la misteriosa donna che si dilegua
all’improvviso, col beneficio del dubbio lasciatoci da Amjad
che sostiene di non aver visto nessuna donna. La fanciulla
avrà un ruolo cruciale nella fan fiction, tenete
d’occhio lei e come si comporta chi la circonda!
Amjad
significa il
più glorioso.
Jaber sta
per consolatore.
Credo di aver detto tutto.
Vi do appuntamento al prossimo capitolo ^-^ (sperando che anche questo
vi sia piaciuto).
A presto!
Caltaccia.
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Capitolo 4 *** IV ***
IV
Gli occhi dell’aquila si erano sporsi a guardare oltre la
balaustra della torre e avevano visto in città tutto quel
trambusto non senza lasciare che le sopracciglia si aggrottassero.
Quando il novizio dal cappuccio grigio, Jaber, gli aveva fatto sapere
che Malik lo attendeva nello studio del Maestro nel salone della
Fortezza, Altaїr si era precipitato lì ignorando il traffico
cittadino mal gestito dalle guardie. Era accorso dall’amico
sperando di poter avere delle spiegazioni migliori di quelle che non
aveva saputo dargli lo stesso ragazzo che Malik aveva mandato a
chiamarlo.
-Si può sapere cosa…-.
Altaїr comparve correndo sulle scale e spezzò a
metà la frase, fermandosi con un piede sul pianerottolo e
l’altro sul gradino più in basso. La sua avvenenza
era rotolata giù per le scale, il suo viso era il ritratto
dello stupore.
La scena che si trovò di fronte era del tutto inaspettata.
Incoerente.
Il suo compagno era impegnato in un’accesa discussione con un
uomo dal volto sudato e solcato dalle rughe
dell’anzianità. La barba folta e bianca gli
nascondeva il mento e buona parte del collo, i vestiti erano di stracci
e alla cintola portava un pugnale in un fodero improvvisato con della
stoffa. Era accompagnato da due giovani che potevano essere tanto i
suoi figli quanto altra gente venuta a lamentarsi, perché
quella che inizialmente ad Altaїr era parsa una
“discussione”, ora aveva preso i toni di una
lamentela popolare. I due giovani intervenivano spesso e a danno di
Malik, che era in difficoltà sul come gestire le voci
prepotenti di quegli stranieri.
Altaїr irruppe nella conversazione accorgendosi di essere stato
ignorato fino a quel momento. –Ordine- disse. Si frappose tra
Malik e i forestieri intimando a quest’ultimi di
allontanarsi. Quello di estrarre la lama dal polso per ingrassare la
propria autorità fu un gesto del tutto naturale.
L’uomo e i due ragazzi si rabbonirono all’istante.
Uno dei giovani, però, tacque per poco prima di urlare: -Vi
chiediamo ospitalità e voi ci porgete soccorso puntandoci
contro le vostre armi?! Bella gente! Meno male che ci è
stato consigliato di venire qui!-.
Altaїr lo ignorò e si voltò. Vide Malik rilassare
le spalle e concedersi di asciugarsi la fronte imperlata di sudore con
la manica dell’unico braccio. Scoccò
un’occhiata all’aquila sussurrando: -Finalmente,
grazie al cielo sei qui-.
-Che cosa sta succedendo? Chi sono?- chiese Altaїr alludendo ai tre
dietro di sé. Alcune guardie avevano scelto spontaneamente
di intrattenere gli “ospiti” lontano dalla
conversazione tra l’aquila e il falco.
Quest’ultimo poté sedere più tranquillo
dietro la scrivania, sospirando. –Non dovevi spaventarli, non
ce n’era bisogno, avevo tutto sotto controllo-.
-Il tuo orgoglio ti precede. A me non è sembrato- ne rise
l’altro con una nota isterica.
Malik lo fulminò con un’occhiataccia.
–Sono sfollati, Altaїr. Un esercito di armati li ha scacciati
dalle loro case e sono venuti qui senza altro posto dove andare. Sono
centinaia, sono affamati e sono molto arrabbiati- borbottò.
L’aquila inarcò un sopracciglio. L’ombra
del cappuccio non tardiva nessuna emozione. -È tutto?-.
Malik sembrò non capire.
-È tutto quello che sai?- spiegò meglio.
-No, è tutto quello che sono riuscito a comprendere! Prego,
accomodati, interrogali!- lo incitò con un gesto sfrontato
dell’unico braccio. –Vediamo se al luccichio
dell’acciaio s’inventano una storia diversa! O
magari si tranquillizzano, vedi un po’ te!-.
Altaїr girò il capo e per un istante dimenticò lo
stressato compagno. Volse la propria attenzione al giovane che aveva
osato parlare nonostante il suo “ordine” abbastanza
chiaro. Facendo oscillare appena i lembi della veste, Altaїr
andò incontro al ragazzo intimando alle guardie che
circondavano i tre di lasciargli spazio. Gli armati indietreggiarono e
il giovane, quando Altaїr gli fece cenno, avanzò. Gli altri
due tacquero osservando la scena.
-Sarai tu a parlare per tuo fratello e tuo padre. Pertanto misura i
toni e le parole, e rammenta che il destino della tua gente
dipenderà da esse-.
Il ragazzo, imbronciato e con una massa di capelli selvaggi e bagnati
di sudore davanti al viso, respirava in modo agitato e sembrava
tutt’altro che incline ad una conversazione tranquilla.
Altaїr aveva scelto lui forse per ripicca, forse per giustizia o forse
per divertimento, ma sembrava comunque aver indovinato il legame di
sangue che univa quei tre. Nonostante la compostezza avvenente che
l’aquila nascondeva sotto l’ombra del suo becco, il
giovane dagli occhi azzurri non si lasciò intimorire.
Un’occhiata del padre, che lo invitava a mantenere la calma,
e un’ammonizione silenziosa del fratello, gli fecero
riacquistare un po’ del senno perduto
nell’agitazione. Raddrizzò le spalle e
rilassò i muscoli contratti di braccia e gambe. Altaїr gli
concedette tutto il tempo necessario.
Quando parlò, il ragazzo seppe farlo con onore e convinzione.
-Un gruppo di uomini armati, due sere fa, hanno saccheggiato il nostro
villaggio nella valle del fiume. Io e la mia gente siamo ciò
che resta del popolo di Al Quadmus. Su consiglio dello stesso uomo che
guidava gli artefici del saccheggio, ci siamo spinti a sud fino ad
entrare nelle vostre terre. Le guardie, non lasciandoci passare con le
buone, sono andate incontro alla disperazione della mia gente che, pur
di assicurarsi riparo prima della prossima notte, ha viaggiato senza
sosta in questa direzione. Ora, vi prego, vi imploro,
proteggeteci…-.
Ecco perché
nessuna staffetta è arrivata prima di questa
plebaglia… pensò Altaїr.
-Al Quadmus?- Malik scattò in piedi, esterrefatto.
–Ma è a pochi chilometri da qui. Chi ci dice che i
vostri assalitori non tentino di colpire anche noi e siano
già alle porte?-.
-Vi avremmo spiegato anche questo se ce ne aveste lasciato il tempo!-
eruppe l’anziano padre del ragazzo.
L’altro fratello aggiunse: -Quando ci hanno attaccato hanno
fatto in modo che ci spingessimo nei vostri territori! Ci hanno
rinchiusi nella valle con un’unica destinazione possibile:
Masyaf! Ed ora eccoci qui, a portarvi il loro messaggio di guerra!
Vogliono attaccarvi! Voi dovete combattere! Per noi, certo, ma per
difendere anche voi stessi!-.
Il caos aveva ripreso a regnare. Invano le guardie tentarono di
trattenere i due forestieri non interpellati da Altaїr, che, nel
frattempo, aveva dato filo da torcere ai suoi istinti più
feroci.
Richiamò l’ordine facendo scattare di nuovo la
lama dal polso e minacciò di tagliare la gola al portavoce
ufficiale. Il padre e l’altro figlio tacquero
all’istante con gli occhi gonfi di lacrime.
-Se non terrete la lingua a posto, sarà costui a pagare per
voi- sibilò Altaїr. Non era giornata per i mal di testa.
Tornando a rivolgersi al ragazzo che aveva interpellato, senza
allontanare l’arma dalla sua gola, chiese: -Sapresti
descrivermi gli uomini che vi hanno attaccato?-.
Il giovane indugiò un istante e inghiottì.
Ricostruendo gli ultimi e dolorosi ricordi della sua patria,
pensò in silenzio.
Malik, frattanto, aveva compreso i timori e le intenzioni di Altaїr e
appoggiava la sua richiesta pur aspettando, impaziente, una risposta.
-Croci, mio signore- disse ad un tratto.
Altaїr si destò e tornò a studiare
l’espressione smarrita del giovane che sembrava
tutt’altro che convinto delle proprie parole.
Per un attimo credé che si trattasse dei Templari e
scambiò con Malik un’occhiata turbata, ma il
fratello del ragazzo intervenne dicendo: -Sì, croci
d’argento, alcune in campo bianco, alcune in campo nero. Il
loro generale vestiva di entrambi i colori. La sua croce era
d’oro. Mi è passato davanti e…-
s’interruppe cercando il sostegno negli occhi del padre, che
lo abbracciò con vigore.
-Ha decapitato nostra madre- terminò il ragazzo di fronte ad
Altaїr; chiudendo gli occhi e chinando il capo da una parte porse la
guancia.
L’assassino richiamò la lama nel polso, ma il
suono che ne venne fece intendere al ragazzo, per un istante, di aver
contratto la morte. Strizzò e schiuse le palpebre, poi
andò ad abbracciare i familiari in un angolo dello studio.
L’aquila e il falco s’incontrarono a
metà strada.
-Non sono Templari- disse Altaїr, inquieto.
-Quelli li hai uccisi- apostrofò Malik. –Tutti-
precisò. –E’ ovvio che non si tratta di
loro-.
-E allora cosa ti aspetti da me?!- digrignò
l’assassino. –Non ho idea di come risolvere la
faccenda, se non mostrando a quei maledetti mercenari quanto sono
solide le nostre mura e affilate le nostre spade!-.
-Siamo ancora troppo deboli per affrontare uno scontro, Altaїr- gli
ricordò Malik, sbuffando. –E poi, sembrano
tutt’altro che mercenari. Hai sentito, no? Croci argentate,
vessilli bianchi e neri. Rifletti con me invece di giungere a
conclusioni affrettate. Forse potremmo parlamentare, concordare pace-.
Altaїr sfociò in una fragorosa risata. –Ne sei
così convinto, eh?-.
Malik aggrottò la fronte, offeso. –Caparbio come
un caprone. Stupido, non ti lascerò guidare i nostri soldati
al macello contro nemici che non conosciamo-.
-Chi sei per ordinare la ritirata?- sibilò.
-Un tuo superiore, e questo basta-.
-La gerarchia è caduta con Al Mualim-.
-Non osare farmi la predica-.
-E tu non starai mica insinuando che aspetteremo quei macellai a
braccia aperte!-.
-Non ho detto questo-.
-Allora dobbiamo combattere. Preparo i miei uomini-.
Prima che potesse muovere un passo, Malik lo afferrò
saldamente per la manica. I due si fissarono a lungo negli occhi anche
quando l’ombra del cappuccio consentiva poco
all’uno di scrutare quelli dell’altro. Malik
riuscì ugualmente a leggere l’irritazione sul viso
del suo compagno e non riuscì ad ignorare i sentimenti
contrastanti rievocati assieme ai ricordi della notte scorsa.
Altaїr sembrò leggergli in faccia quei pensieri e sorrise
debolmente.
-L’unica cosa che preparerai sarà il tuo cavallo.
Voglio vederti in sella prima del mezzogiorno e nella valle prima del
pomeriggio- disse il falco piantando le unghie nella veste del
compagno.
Altaїr posò le proprie sulle dita del compagno. Il falco
sfuggì a quel flebile tocco ritraendo gli artigli. Prendendo
la giusta distanza dall’amico, visibilmente dispiaciuto del
suo rifiuto, continuò impettito: -Sarai il nostro
ambasciatore: chiederai civilmente un incontro con il generale dalla
croce dorata e farai tutto ciò che sarà in tuo
potere per ottenere un accordo pacifico. Inoltre, e come spero tu abbia
dato per scontato, voglio saperne di più su chi sono, da
dove vengono, cosa vogliono e perché hanno fatto quel che
hanno fatto. Tornerai da me non prima di aver ricevuto un numero di
risposte in eguale misura alle mie domande. Se dovessero mostrarsi poco
avvenenti nei tuoi confronti, avrai con te le tue armi, ma ti ordino di
spargere il meno sangue possibile- disse precedendo i dubbi di Altaїr,
che aveva considerato quella di un rifiuto di pace come prima tra tutte
le ipotesi.
-Poni in me tanta fiducia mandandomi da solo?- chiese
l’aquila inarcando un sopracciglio.
-Ti sarebbe piaciuto, eh?- ridacchiò Malik tornando seduto
dietro la scrivania. –Temo di essere costretto a privarti di
questa gioia: no, non sarai solo; Khalid verrà con te ma, in
caso di pericolo, voglio che tu lo costringa a rientrare, precedendoti-.
-Temi più per la vita di quel l’incapace piuttosto
che la mia?!- si stupì l’assassino.
-Certo, quant’è vero che ti voglio morto. Ora puoi
andare, se lo desideri- Malik non attese repliche e, con gli occhi
sgranati dell’aquila puntati su di sé, ordino alle
guardie di scortare i forestieri fuori dalla fortezza e riunirli alla
gente in piazza.
Sta scherzando,
spero… pensò Altaїr con una smorfia
restando dov’era.
-Faremo tutto il possibile. Vi terrò aggiornati- aveva Malik
detto all’anziano, che di nome faceva Mansur. I suoi figli
erano rispettivamente Imad, il maggiore e Maher, il minore, quello
caparbio, sfrontato e ancora nervoso come un toro.
Altaїr aveva guardato Malik stringere la mano al vecchio per
infondergli conforto e acconsentirgli la protezione chiesta. Il figlio
maggiore aveva accompagnato l’anziano, come una badante,
giù per le scale seguito da alcune delle guardie. Maher
sembrava aver messo i chiodi sul pianerottolo.
Malik e Altaїr lo scrutarono di sottecchi.
-Cosa fai lì imparato?- l’aquila gli mosse un
passo incontro. –Torna dalla tua gente con la tua famiglia-.
Lo sguardo cagnesco del ragazzo fu un chiaro rifiuto. Piuttosto
avanzò ponendosi di petto di fronte all’assassino.
–Voglio venire con voi- annunciò.
–Voglio guardare in faccia l’uomo che ha staccato
la testa a mia madre- aggiunse, temibile e determinato. Con quella
scintilla negli occhi azzurri avrebbe potuto incutere terrore ad una
donna stizzita, ma non ad Altaїr.
L’assassino fece un cenno col capo all’ultima
guardia rimasta, che si apprestò ad afferrare il ragazzo per
i polsi e trascinarlo a forza sulle scale. Il giovane si dimenava e
ringhiava come un animale tentando invano di sfuggire alla presa salda
del soldato incappucciato di grigio.
-Amjad, fermo-.
La voce di Malik aveva spezzato la scena e lasciato calare sulla
fortezza un silenzio innaturale.
Sia la guardia sia il ragazzo coi gomiti imprigionati tra le sue
grinfie erano diventati all’improvviso statue di cera.
Voltandosi a guardarlo, Altaїr strinse i pugni. Malik si stava
preparando a contraddire ancora la sua autorità
sopravvalutando la propria. La cosa lo innervosiva sopra ogni dire, ma
rimase ugualmente a bocca chiusa.
-Per mostrarci oltremodo indulgenti con i nostri ospiti,
acconsentirò la tua partenza assieme ai miei uomini,
ragazzo, ma ad una condizione-.
Che cosa stai facendo,
Malik? Si chiese Altaїr, esasperato.
Amjad lasciò al giovane libertà di movimento e
Maher avanzò, volendo mettere più distanza
possibile tra lui e Altaїr, rigido in un angolo dello studio.
S’inchinò a Malik. –Qualsiasi cosa per
voi, mio signore-.
Altaїr alzò gli occhi al cielo. Questo è
troppo…
Malik rimase neutrale a quel gesto. Si limitò a scrivere
qualcosa su una pergamena che poi, sotto gli occhi dei presenti,
cedé ad una nuova guardia appena convocata. –Tu e
tuo fratello presterete servizio in questa e nelle nostre battaglie
future, se ce ne saranno, come membri a pieno titolo della fratellanza-.
-Pazzo!- gridò Altaїr battendo il pugno su uno scaffale
della libreria. Si avvicinò a Malik resistendo
all’impulso di afferrarlo per la collottola e frullarlo fuori
dalla vetrata alle sue spalle. –Questa confraternita ora
protegge segreti che non possiamo permetterci di condividere coi primi
sfollati che passano per le nostre terre!- gli sibilò a voce
troppo bassa perché Maher, il diretto interessato, lo
sentisse. La mascella serrata e i pugni stretti lungo i fianchi.
–Smettila di dire stronzate e fare cretinate, dannazione!-.
Malik lo ignorò del tutto. Sapeva che il suo amico non si
sarebbe spinto oltre in presenza di guardie. Avrebbe preferito
discutere in un secondo momento con il compagno, chiarendo quello e ben
altri suoi “comportamenti”.
Maher drizzò le spalle e gonfiò il petto,
orgoglioso. –Per mio fratello e me sarebbe un onore,
Maestro-.
Questa volta a subire un’occhiataccia di Altaїr fu quel
giovane innocente, che non si lasciò intimidire per nulla.
Ad un tratto Altaїr era diventato potente quanto un visir ciarlatano e
poco affidabile, ignorato e dipartito da tutti.
Malik congedò il ragazzo e Amjad affidando a
quest’ultimo il compito procurare una tunica da novizio al
nuovo adepto e di far chiamare il fratello maggiore, Imad, nel
pomeriggio. Per coprire l’assenza di Altaїr, Malik aveva
deciso di avvalersi di tutto l’aiuto possibile per sistemare
le questioni interne e il ragazzo che aveva scelto per rattoppare il
fianco scoperto era il primo figlio di Mansur.
Altaїr fu assalito dalla collera quando vide Maher perdersi nei
corridoi della fortezza scortato da Amjad. Malik non solo aveva scelto
d’ignorare la sua voce in capitolo, ma anche i fasti e le
cerimonie che la Confraternita prevedeva per l’ingresso di un
nuovo seguace. Forse un taglio delle tradizioni potevano anche
permetterselo, Altaїr non era tanto arrabbiato per questo, quanto per
il fatto che Malik aveva usurpato la sua autorità,
quand’era stata sua la mano che aveva guidato la lama nella
carne di Al Mualim.
Finalmente furono soli. Il quieto silenzio che regnò nella
fortezza durò giusto qualche istante, il tempo
perché una rara folata di vento estivo
s’insinuasse nell’androne attraverso
l’ingresso principale e finisse a rinfrescare il volto
accaldato di entrambi.
Fu Malik, socchiudendo gli occhi e godendosi lo sbuffo rinfrescante
sulla pelle, a parlare per primo: -Non posso smentirti quando mi dai
del pazzo. Non nego di aver fatto molti sbagli in passato, tra cui
quello di sopravvalutarti, ma sto lottando per mio conto
affinché non se ne presentino in futuro. Voglio sbrigliare
questo nodo almeno quanto te, fratello, perciò lasciamene la
possibilità-.
-Non ti sto negando di poterci guidare, Malik- sottolineò
l’aquila. –Ma esigo che tu mi renda partecipe delle
tue scelte. Non mi sembra di chiedere troppo- si beffò con
una risata isterica. –Ora spiegami cosa vuoi ottenere da quel
giovane, prendendo lui e suo fratello con noi. In loro sembri aver
visto qualcosa che a me deve essermi sfuggito- ammise con una smorfia.
Malik annuì senza staccare gli occhi dalla figura
dell’uomo che aveva di fronte. –Precisamente, ti
è sfuggito molto, amico mio. L’animo di uno e la
saggezza dell’altro ci saranno molto d’aiuto; poi,
se vorranno tornare alla loro famiglia e aiutare la ricostruzione della
loro città saranno liberi di farlo. Ma per adesso preferisco
che vestano i nostri vessilli-.
Altaїr annuì, seppur poco convinto.
Una nuova ventata risalì i gradini venendo a scompigliare le
piume bianche dell’aquila e il mantello del falco. Quando i
loro occhi s’incontrarono, fu per un breve istante.
Malik si affrettò ad alzarsi e trovarsi qualcosa da fare.
Dietro il pretesto della distrazione nascose il desiderio di
abbraccialo e pregarlo d’ignorare i suoi ordini, restandogli
affianco invece di partire con Khalid e Maher verso i misteriosi
crociati. Fece per prendere alcuni volumi dagli scaffali, ma
s’interruppe nel momento in cui il calore delle braccia di
Altaїr si materializzò attorno al proprio corpo.
L’aquila affondò il becco nell’incavo
della spalla del compagno, continuando ad abbracciarlo da dietro, e
Malik voltò il capo leggermente. Il suo unico braccio era
ancora proteso verso lo scaffale e il tomo che aveva puntato.
Restarono a lungo incatenati in quella posa, come due amanti che stanno
prendendo direzioni diverse e si abbracciano per quella che potrebbe
essere l’ultima volta. Scacciando simili macabri pensieri,
Malik rinnegò il libro che stava per prendere e si
voltò per scrutare l’ombra nel cappuccio
dell’assassino.
Altaїr lo accompagnò dolcemente con le spalle contro la
libreria e adagiò con altrettanta delicatezza il proprio
corpo al suo. Chinandosi a baciarlo ricordò quando, giusto
meno di ventiquattrore prima, lo aveva spinto con violenza contro
quella stessa parete per impedirgli di raggiungere il Frutto
dell’Eden che, poco dopo, aveva rotolato giù per
le scale beffandosi di entrambi.
Fu un bacio lungo, ma immobile e delicato come lo sfiorarsi dei loro
corpi. Il cuore di ambedue, però, batteva fortissimo in
petto e l’emozione minacciava di fargli inciampare in
qualcosa di più compromettente. Altaїr lo
desiderò di nuovo e più della sera precedente;
forse sarebbe riuscito a scansare parte del cappuccio dalle sue spalle
per baciarlo sul collo, se solo Malik non l’avesse
allontanato ad un tratto senza proferire parola.
-Al tuo ritorno…- cominciò, per poi
interrompersi, guardando fuori dalla vetrata e dandogli le spalle.
Sospirò. -Al tuo ritorno parleremo anche di questo- aveva
concluso, inquieto. Parte della sua immagine era riflessa sul vetro,
oltre il quale lo spettacolo cittadino non aveva subito cambiamenti.
Altaїr camminò come i gamberi finché non
incontrò il primo gradino delle scale. Solo allora si
voltò e corse giù dalla rampa ed oltre
l’ingresso della fortezza. Rallentando un po’ il
passo, appena fu all’esterno, chiese ad una guardia di
trovare Khalid e chiamarlo a raccolta nelle stalle dove
l’avrebbe trovato ad attenderlo per la partenza. La guardia
annuì e scattò ad eseguire il comando.
Attraversando la parte alta della città, meno trafficata,
Altaїr poteva ancora sentire il sapore delle sue labbra sulle proprie;
l’aver dimenticato quello della sua pelle cominciava a fargli
vorticare lo stomaco. Lo preoccupava pure il fatto di cosa Malik avesse
voluto parlargli e del perché avesse tagliato i suoi
sentimenti con così poco preavviso. Forse aveva captato le
intenzioni del suo compagno e aveva preferito scansarle prima di fare
troppi danni. O forse era semplicemente intimorito dal poco pudore che
Altaїr aveva mostrato così all’improvviso. Era la
prima volta che si baciavano fuori da una camera da letto o comunque in
un luogo di pubblico accesso, come lo studio del Maestro. Avrebbe
dovuto capire, invece di etichettare quello di Malik come un rifiuto
verso i suoi sentimenti o un prepotente orgoglio e senso del dovere.
Tutte brutte cose che stavano minando il campo del loro amore.
.:Angolo
d’Autrice:.
Eccomi tornata, dopo un’attesa che sembrava infinita!
Finalmente mi sono potuta dedicare a questa storia come si deve. Vi
basti sapere che riscritto tutte le scene descritte almeno cinque volte
prima di trovare la versione migliore che, spero, sia di vostro
gradimento.
I nomi che compaiono nel capitolo sono i seguenti – con
rispettivi significati.
Imad:
supporto, conforto.
Maher:
capace, bravo.
Mansur:
vittorioso.
Khalid
(variante de Khaled): eterno.
Ringrazio RunaMagus
per aver aggiunto la storia tra le seguite. PotterWatch
per il sostegno alla causa e le recensioni passate, presenti e future,
assieme a RebyEMiko
per lo stesso motivo.
Come avrete notato, accorgendovi della storia aggiornata, ho cambiato
l’introduzione. Vi consiglierei di dare un’occhiata
– se non l’avete già fatto –
perché è molto importante per quello che
sarà lo sviluppo futuro e conclusivo della trama.
Come invece penso di aver spoilerato in giro, non ricordando a chi,
voglio condividere con voi che il collegamento di questa storia con AC
II riguarda il nostro amatissimo Leonardo da Vinci.
^-^ Ora vi lascio.
P.S.
Voglio anticiparvi che per il prossimo capitolo potrebbe volerci anche
una settimana di stesura. Inoltre potrei faticare (o meglio, arrancare
faticosamente) nel mio ruolo di lettrice e mancare di commentare molte
storie o capitoli (le varie one-shot aggiunte da poco mi mancano
tutte!!) non uccidetemi, per questo, o non leggerete il proseguimento
della storia! ;D
A presto ^-^
Caltaccia.
|
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Capitolo 5 *** V ***
Attenzione!
Capitolo altamente non-sense (senza senso…).
Istruzioni per
l’uso: evitare la lettura per menti fragili o
facilmente influenzabili da istinti omicidi. Insultare la scrittrice al
concludersi della consultazione, al fine educativo di evitare che la
cosa si ripeti.
Grazie per l'attenzione.
V
Il silenzio della valle era rotto dallo scalpiccio degli zoccoli
ferrati. I tre cavalli apparvero nella gola, al galoppo, mentre
inseguivano l’ombra di un’aquila che vegliava sul
loro cammino dall’alto. Il suo grido s’infranse
sulle pareti screpolate dai venti e tuonò sino
all’orizzonte, dove la boscaglia arida e mediterranea
scompariva inghiottita dalla cavità rocciosa sotto ai raggi
del sole estivo.
Malik aveva detto “voglio vederti in sella prima del
mezzogiorno”; per attraversare tutta la valle e giungere sui
confini dei territori degli Assassini ci sarebbe voluta qualche ora.
L’andatura dei cavalli era quella che era e non potevano
certo rischiare di stremarli ancor prima di concludere i patti. Cosa ne
sarebbe stato di loro se fossero stati costretti a fuggire e i mezzi a
corto di energie? Sotto quel sole bollente, che insabbiava la terra e
arroventava la pietra sul cammino, Altaїr malediceva le parole di Malik
venute fuori dalle sue labbra, immaginando l’investitura ad
ambasciatore come una sorta di punizione. Ma cosa aveva fatto per
meritarsi tanto… disprezzo? Forse continuare a tormentarsi
sugli atteggiamenti insoliti del suo compagno avrebbe finito per
distrarlo e Altaїr non poteva permetterselo; più
precisamente, non poteva permettersi di regalare a Malik un altro
fallimento e qualche buon pretesto per deriderlo ancora.
Alle sue spalle Khalid e Maher, in quest’ordine, procedevano
ad un galoppo sostenuto, rispettivamente in sella ad un baio e un
pezzato grigio. Il nero stallone di Altaїr era forse, tra le tre, la
bestia che soffriva di più.
La caluria dipingeva goccioline di sudore sulla loro fronti; un bavero
davanti alla bocca impediva alla polvere sollevata dagli zoccoli
d’impastare la lingua o intasare il respiro. Sarebbe sembrato
di galoppare nel deserto, se qua e là non avesse fatto la
sua comparsa qualche cespuglio di sempreverdi bruciate dal sole o un
ulivo che metteva i frutti acerbi tra le piccole foglie. Il cielo
azzurro era sgombro di nuvole, il caro sole si prendeva gioco delle
loro ombre, divertendosi a modellarle nelle forme più
bizzarre una volta contro le strette pareti della cavità
rocciosa, una volta tra gli arbusti di una felce, una volta
semplicemente distesa sulla terra infuocata.
Gli sbuffi dei cavalli si confondevano ai gemiti
d’insofferenza dei rispettivi cavalieri; gli occhi incollati
sul sentiero da percorrere e l’andatura costante erano una
danza ipnotica, un insieme di costanti che addormentavano i sensi; se
poi ci si metteva anche il sibilo di un serpente a sonagli nascosto tra
le felci, ecco che a quella si aggiungeva una nuova melodia assuefante.
L’aria diventava irrespirabile e il richiamo
dell’aquila pareva la supplica di un avvoltoio che insegue le
sue prede.
Altaїr aveva imparato ad ignorare gli agenti atmosferici: camminare per
giorni sotto la pioggia, scalare le vette delle montagne più
fredde o arrancare intere settimane nelle tempeste di sabbia
più violente avevano formato il suo fisico come parte stessa
delle intemperie. La natura l’aveva plasmato fin da bambino,
il destino l’aveva affibbiato ad una setta incline al
sacrificio quanto al bisogno di dissetare la mente col sangue.
Sopportare il caldo e il freddo, il vento e la pioggia, la neve e la
grandine non era nulla in confronto al tremore delle mani di un primo
omicidio; ecco perché accanto al naturale insegnamento di
vita, la setta insisteva con l’imprimervi affianco quello di
morte.
Le correnti dell’oceano che trascinano due volte indietro la
tua barca quando tu arranchi di una, insegnano a non smarrire la
speranza.
E dove c’è speranza, c’è
vita.
La guardia che ti corre incontro per piantarti la spada nella carne,
lasciandoti assaporare il tuo sangue, t’insegna a non
smarrire la fede.
E dove c’è fede, c’è
morte…
“Maestro!”
un fanciullo dagli occhi scuri alzò la mano di colpo. Il
cappuccio, per il gesto affrettato, gli ricadde sulle spalle. Un
bambino che aveva la metà dei suoi anni, vedendo gli altri
attorno ridere di lui, gli rialzò il copricapo sulla testa
con la premura di una madre, anche se in modo un po’ goffo.
Il vecchio Mualim, che
sedeva a terra in mezzo al cerchio di ragazzi, acconsentì la
sua richiesta con un cenno del capo. L’intero viso era
nascosto dall’ombra del cappuccio verde smeraldo, unico
colore a troneggiare in quel tripudio di bianco candido che erano le
tuniche degli scolari.
“Maestro,
perché dite che avere fede è come
morire?” chiese quello. “Avere fede non dovrebbe
significare poter vivere e continuare a vivere, anche dopo la morte
stessa?” aggiunse oltremodo con tono saputello.
Nel gruppo girarono i
primi brusii.
Al Mualim rimase
composto nell’erba, ma non rispose subito o direttamente.
Piuttosto, sorridendo, decise di cedere il fardello della parola ad un
ragazzo del quale mai si era udita la voce, fino ad allora. Il
fanciullo prescelto era inginocchiato e un po’ curvo, in
tutt’altro luogo con le orecchie che il cappuccio molto
calato sul volto nascondeva. Le vesti da novizio lo identificavano tale
assieme ai suoi confratelli attorno.
“Altaїr”
chiamò Al Mualim. Il ragazzo aveva lo sguardo assorto nel
terreno e, quando sentì pronunciare il suo nome,
irrigidì le spalle. “Perché non
condividi con Malik e i tutti i tuoi compagni quello che ti ho detto
alcune sere fa?”.
Il silenzio si fece
pesante. Era la prima volta che Al Mualim interpellava il misterioso
figlio di nessuno, o almeno, era la prima volta che lo faceva in
pubblico stante.
Kadar si
arpionò con le unghie delle dita piccole e sottili alla
manica del fratello maggiore. Malik era una maschera di
serietà e imbarazzo assieme; non sapeva se temere cosa ne
sarebbe stato della sua domanda o il fatto di aver scomodato sia il
Maestro sia quello strano ragazzo.
Altaїr, senza alzare il
mento dal petto e immobile come una statua di marmo, ridusse gli occhi
a due fessure. Per qualche interminabile istante nel giardino non si
udì altro che il fruscio del vento primaverile che soffiava
tra gli alberi e sulle loro tuniche bianche, giocando a rincorrere una
coppia di rondini cinguettanti.
“Altaїr”
lo chiamò un ragazzo dall’altra parte del cerchio.
“Il Maestro ti ha fatto una domanda. Rispondi” gli
ordinò. Era di qualche anno più grande,
perciò poteva permettersi una sorta di rimprovero, ma Al
Mualim non tollerò comunque il suo intervento e lo fece
rigar dritto con un impercettibile tremore dell’occhio felino
solcato dalla cicatrice.
Era vero: Altaїr non
aveva mai parlato. Alle volte i suoi compagni interpretavano il suo
silenzio come una ribellione, dovuta al fatto che il giovane assassino
si sentiva prigioniero della setta piuttosto che suo fedele sottomesso.
E non avevano tutti i torti. Era stato quel pensiero a far nascere tra
lui ed Al Mualim il discorso della “fede” in senso
di complicità, lealtà e fiducia in un fine o
entità superiore.
Lo stupore di quando i
suoi compagni udirono la sua voce fu pari a quello della vittoria di
Davide sul gladiatore Golia.
“La vita
è una lunga e buia galleria. Poniamo la fede in
ciò che crediamo di conoscere. La fede accende una candela e
a noi non resta che seguirla. Ma dove conduca o quanto ancora resti da
percorrere nessuno lo sa. L’uomo trascorre la sua esistenza
sperando di raggiungere qualcosa che, al momento della separazione
dell’anima dal corpo, compensi quella mancanza. La morte
è la fine della galleria. La candela non ci serve
più, la fede non ci serve più. La fede
è la morte.”
Concluso il discorso,
non passarono che pochi secondi prima di una nuova domanda:
“Ma il Salto
della Fede che mio padre ha fatto la scorsa stagione cosa
c’entra con la morte?” chiese un ragazzo.
Al Mualim
accennò un sorriso, compiaciuto dell’eccellente
risposta, ma non aggiunse niente né al suo né
agli interventi che vennero dopo.
Altaїr tornò
a rinchiudersi nel suo mutismo con le spalle curve, mentre Al Mualim
congedava i ragazzi invitandoli a farsi una bella nuotata nel lago a
valle. Quelli, rispettosamente e non come ci si sarebbe aspettato da
una mandria di ragazzini, s’inchinarono uno per volta e
lasciarono i giardini della Fortezza.
Ultimo ad alzarsi dal
prato fu Malik, preceduto dal fratellino che gli tirò la
manica lamentandosi di avere caldo e anche un po’ sete. Il
maggiore lo azzittì e lo mandò via, scorbutico,
dicendo che lo avrebbe raggiunto più tardi. Kadar
trottò fuori dal giardino. Il vecchio Maestro, rimasto ad
osservare la scena da sotto il cancello, gli posò entrambe
le mani sulle spalle e lo accompagnò fin nel salone della
Fortezza, dove lo affidò ad un assassino più
grande per il tragitto dalla cittadella al lago.
Nel frattempo Malik si
avvicinò alla figura inginocchiata nell’erba di
Altaїr, che non si era mosso per tutto il tempo. Se il vento non gli
avesse scomposto i lembi della veste da novizio, si sarebbe potuto dire
di lui una statua davvero. Il mento affondato nel petto, i pugni
stretti sulle cosce, gli occhi chiusi. Stava pregando o piangendo? Si
chiese Malik avvicinandosi ancora. O magari si tratteneva a stento
dallo strozzarlo? Forse la sua pidocchiosa domanda lo aveva
infastidito, o forse aveva semplicemente voglia di ammazzare qualcuno,
come ce l’avevano tutti lì dentro.
“Hai una bella
voce” disse il giovane falco con le braccia lungo i fianchi.
Sembrava tranquillo, ma un qualsiasi occhio ben attento avrebbe potuto
notare l’indice della mano sinistra che grattava nervosamente
l’unghia del pollice. “Non capisco
perché te ne vergogni tanto” concluse con un
timido sorriso.
Silenzio, ma un
impercettibile tremore dei gomiti tradì
l’interpellato.
Malik si morse la
lingua. Cos’altro aveva sbagliato? Il complimento era sincero
e sapeva che Altaїr l’aveva capito. Non poteva essere
realmente entrato in uno stato di trans come dava a vedere. Ci sentiva
benissimo, forse anche meglio di lui, che stava cominciando ad
innervosirsi sul serio: adesso nemmeno otteneva risposta! Tanto la sua
voce ormai l’avevano sentita tutti quanti…
perché quel ragazzo si ostinava a volerla tenere solo per
sé?
Malik
s’inginocchiò di fronte a lui. Altaїr
sobbalzò appena, ma non staccò gli occhi da terra
e il mento dal petto. Affondò le unghie nel palmi
così forte da farseli sanguinare.
“Ehi, ti
ricordi almeno come si respira?” domandò Malik
allegro quel tanto da far distendere la cicatrice sulle labbra sottili
dell’aquilotto.
Il falco sorrise a sua
volta. Forse adesso gli avrebbe parlato da persona normale. Ma prima
che potesse aggiungere qualche altro commento divertente,
l’aquila tornò al suo volto di pietra e
spiegò le ali, scegliendo di cambiare aria.
Alzandosi dal prato in
un fruscio del vento, Altaїr gli diede le spalle e abbandonò
il giardino.
Malik guardò
la sua ombra perdersi nella Fortezza, oltre il cancello, e rimase
inginocchiato nell’erba esattamente come c’era
stato il figlio di nessuno fino a pochi attimi prima.
-Maestro Altaїr- lo chiamò Khalid, sbuffando assieme al suo
baio che batteva gli zoccoli sul terreno arido, sollevando la polvere.
–Maestro Altaїr, siamo arrivati… penso-.
L’aquila abbandonò i ricordi
all’improvviso, concentrandosi sullo spettacolo che si
stagliava poco sotto di loro. Si erano posizionati su
un’altura rocciosa che abbracciava buona parte della valle
ancora da attraversare. I profili delle montagne si confondevano ai
prati ingialliti dal sole. Le pietre scintillavano come argento in
quella distesa di grano dorato dove, come tanti piccoli funghi
selvatici, era sorto l’accampamento più strano che
Altaїr avesse mai visto.
Da una parte, nel luogo in cui le onde del lago
s’infrangevano sulla costa, era stato improvvisato un
ponticciolo con tanto di quattro imbarcazioni ormeggiate. Le vele
sbattevano ad un vento che non c’era, le croci argentate sul
petto dei soldati dalle tuniche luccicavano come pietre preziose
incastonate in un mosaico bianco/nero. Dall’altra, una
trentina di tende di stoffa ospitavano il via vai di un formicaio nel
pieno del lavoro. Non c’era il solito trambusto delle fucine,
non c’era il rumore del metallo contro il metallo; voci e
suoni di passi si mescolavano a quelli della natura, unica a regnare su
quel paesaggio inconsistente… magico, anzi.
Altaїr fece impennare il suo cavallo mentre nitriva. Dietro
l’ombra del cappuccio non tradiva emozione alcuna se non un
interiore stupore.
-Sono loro- disse Maher accarezzando la criniera del suo maculato
grigio. -Sono i saccheggiatori della mia città- aggiunse coi
denti che si frantumavano per quanto stringeva la mascella.
-Calma, ragazzo- lo ammonì Altaїr. -Rammenterai che siamo
qui per chiedere un’udienza pacifica. E quando saremo in
quella tenda,- proseguì l’aquila senza staccare
gli occhi da un campeggio in particolare, la più grande di
tutte le tende, sormontata da una croce dorata, -ti converrà
avere le mani in tasca- gli suggerì con
un’occhiata.
Maher sbuffò fumo dal naso. –Terrò
conti del consiglio.-
Altaїr accorciò le redini. -Fidati di me… per
esperienza personale- concluse l’assassino;
l’ultima delle sue intenzioni era ricordare a Malik la
missione nel Tempio di Salomone.
Il gruppo iniziò la discesa nella valle.
Il bianco dei tendoni era accecante. Il sole vi si rifletteva come su
uno specchio e conferiva all’ambiente
un’atmosfera… paradisiaca.
I tre, vestiti di stracci a confronto col candore maniacale di quel
bianco, raggiunsero a passo misurato quello che parve loro
l’ingresso dell’accampamento, presieduto da quattro
guardie. Smontarono da cavallo, ma nessuno, nemmeno mentre avanzavano
sempre più vicini ai cancelli, venne loro incontro per
domandare chi fossero e quali le intenzioni.
Altaїr, in testa al triangolo, avanzava spedito senza guardarsi alle
spalle. Dietro di lui, ai lati, c’erano il furente Maher e il
silenzioso Khalid, che si guardava attorno circospetto. Ad un tratto,
muovendo i primi passi nell’accampamento vero e proprio, quel
poco di rumore che c’era stato fino ad allora
s’interruppe e l’intero presidio militare
sembrò calare nel silenzio di un cimitero. La sola melodia
era quella del vento che agitava i vessilli e le vele delle quattro
barche ormeggiate sul porticciolo. I soldati li lasciavano passare,
facendosi da parte e interrompendo le mansioni da svolgere voltandosi a
guardarli attraversare l’accampamento. Al posto degli elmi
indossavano una maschera che ne nascondeva il volto, ma le particolari
vesti svelarono che tra loro c’erano anche delle donne.
Altaїr osservò quanto poté e apprese tutto
ciò che Malik, in caso non fosse stato il generale a
parlargliene pacificamente, avrebbe voluto sapere sui misteriosi
mercenari. Ora che ci faceva caso, però, tutto
quell’argento e quell’oro sulle uniformi e sulle
tende facevano pensare poco ad un gruppo di cavalieri erranti. Forse
erano stati sufficienti a seminare scompiglio in un villaggio di contadini, ma
non sarebbero mai bastati a sopraffare la Fortezza. Masyaf contava un
centinaio di guardie; in quell’accampamento potevano esserci
al massimo una cinquantina di persone, metà delle quali
erano donne, e anche molto silenziose.
Dove la sabbia della spiaggia del lago non veniva inghiottita dalle
acque del lago, sorgeva, arroccata sulla scogliera, la tenda del
generale; la più grande e la più bella, per
così dire, i cui decori ornamentali e colori non si
limitavano al bianco/nero intarsiato d’argento, come nel
resto dell’accampamento, ma variavano dai più
prestigiosi arabeschi orientali alle raffigurazioni delle battaglie
più sanguinose, ove il rosso porpora della linfa mortale era
stato sostituito da fiumi di oro bianco e argento vetrato. Vi erano
cucite, ed era bello ammirarle solo dall’esterno, creature
leggendarie ed esseri mostruosi al tempo stesso; figure, quelle, che
s’incastravano perfettamente le une alle altre; come il cielo
e la terra, l’acqua e il fuoco, il bianco e il nero.
Altaїr cominciava a sospettare che fosse tutto solo un sogno, ma Maher,
al suo fianco, gli teneva svegli i sensi pronti a scattare nel caso il
ragazzo avesse ceduto alla tentazione di staccare la testa a chi
l’aveva staccata a sua madre.
Due lanceri sull’ingresso della tenda aprirono loro
uno spiraglio per passare, mostrando un interno tanto spazioso da ospitare
quattro colossi africani dalle grandi orecchie e la piccola coda. Dal
soffitto pendevano strani gingilli astronomici, le pareti erano
tappezzate di scaffali colmi di libri e pergamene senza età.
Oro e argento di bigotteria e ammennicoli vari, sparsi qua e
là tra cuscini, un tavolo e un paio di sedie non minavano la
tranquillità di quella che, invece della tenda di un
generale di battaglia, pareva il rifugio di un qualche sciamano
egiziano. A tradire un po’ la presenza di tanta cultura e
sapienza, erano le due lame incrociate appese alla parete di fondo, di
fronte ad un uomo in casacca bianca e nera che dava loro le spalle. Il
lungo mantello si allargava sul pavimento, mostrando in bella vista la
croce dorata di cui aveva parlato Maher.
-Vi aspettavo, Assassini-.
Altaїr portò istintivamente il braccio sinistro
all’indietro, sgranchendosi le dita della mano che era pronta
ad azionare il meccanismo della lama nascosta. Il palmo destro era
mollemente adagiato lungo il fianco. Khalid, su quel lato
dell’aquila, era pronto ad estrarre i pugnali dalla cintura.
Guardando Maher, che a malapena sarebbe stato in grado
d’impugnare una spada, Altaїr non seppe dire se tremava di
paura o di rabbia repressa.
L’ingresso della tenda si richiuse alle loro spalle senza che
vi entrasse nessun’altra guardia. L’uomo si
voltò, mostrando il volto coperto da una maschera a dir poco
inquietante. Una prima metà era dipinta di bianco e decorata
d’oro: le labbra tese verso l’alto in un sorriso e
le sopracciglia sollevate. Una seconda, dipinta in nero: un ghigno
crudele e gli occhi arcigni.
Maher indietreggiò con un balzo. Altaїr non si
lasciò intimorire dall’aspetto del generale armato
che, sul petto ampio, aveva tanti pezzi di una prestigiosa armatura da
far invidia ai fasti di Saladino. La croce dorata di cui avevano
parlato Imad e Maher, da vicino, pareva tutt’altro che un
vessillo Templare. Più che un Crocifisso, aveva
l’aria di un geroglifico egizio. Ma Altaїr conosceva
l’Egiziano male quanto il Fenicio e il greco arcaico,
pertanto non sarebbe stato capace di stabilire la natura di quel
simbolo. Forse, se ne avesse parlato con Malik, forse…
-Chi siete?!-.
Altaїr si era distratto giusto un attimo, ma questo aveva permesso a
Maher di avanzare minacciosamente impugnando una piccola arma. La punta
del pugnale tremava assieme a tutto il braccio. Le lacrime gli rigavano
il volto. –Perché avete saccheggiato la
nostra terra?! Cosa volete?! Schiavi?! Donne?! Oro?! Mi sembra che ne
abbiate già abbastanza!- gridò.
-Maher- Altaїr guardava il ragazzo con la coda dell’occhio,
pesando soprattutto il modo in cui stava reagendo il generale.
–Maher, torna qui. Ora- ordinò.
-Rispondimi, bastardo!- il giovane paesano ignorò del tutto
il comando, continuando a rivolgersi al misterioso mascherato.
Altaїr non volle attendere oltre: prima che la situazione si
compromettesse, diede ordine a Khalid d’immobilizzare il
ragazzo. L’assassino afferrò Maher per il braccio
e glielo contorse con un gesto fulmineo. Il ragazzo, con un gemito,
perse la presa sul pugnale non appena sentì l’osso
piegarsi come non avrebbe dovuto. Maher cadde in ginocchio sul tappeto
che copriva il pavimento della tenda, ma Khalid sostò
all’ordine di Altaїr di continuare a vigilare su di lui anche
se innocuo.
-Quello che il mio confratello intendeva dire…-
cominciò l’aquila, respirando piano.
-Lascialo a me-.
Altaїr incontrò gli occhi scuri dell’uomo
attraverso le fessure della maschera. –…Cosa?-
chiese senza capire.
-Se la sua presenza t’infastidisce, Assassino, lascialo a me-.
Khalid aggrottò la fronte, scoccando un’occhiata
al suo superiore, ma Altaїr era altrettanto colpito da
quell’offerta. –Non…- esitò,
ma si maledisse. –Non siamo qui per contrattare esseri umani-.
-Cosa resta di umano in chi è disposto ad uccidere un suo
simile?- domandò con voce profetica il generale.
Maher soffocò un grido. –Allora il primo a non
essere umano siete voi!-.
-Chi ha mai sostenuto il contrario?-.
Ad Altaїr vorticava vertiginosamente la testa; doveva chiudere quella
conversazione prima di collassare. –Avete attaccato il
villaggio di Al Quadmus e ora minacciate le nostre terre. Il mio
Signore chiede chi siete, da dove venite e cosa cercate- disse di punto
in bianco.
Il mascherato, che apparentemente era sembrato disarmato, estrasse dal
mantello una lama sottile come un ago. –Lascio a voi,
Assassini, il decidere del vostro destino-.
Altaїr strinse i denti. –In questo periodo siamo poco inclini
a versare del sangue- ammise. –V’è
possibilità di stabilire… un accordo?-.
-C’è altro di più importante che occupa
la vostra mente, Assassino? Mi sembri… distratto- la parte
allegra della sua maschera di beffava di lui con una risata malsana.
L’aquila strizzò gli occhi. Non aveva mai avuto a
che fare con generali così poco abbienti alla loro mansione
primaria. Piuttosto che un residuo di guerra, l’uomo che
aveva di fronte sembrava un giullare di una qualche corte francese; le
glorie dell’estremo oriente sull’armatura e sul
volto ne abbellivano la natura inquietante. Sì, Altaїr era
distratto da molti pensieri al di fuori del suo ruolo di ambasciatore.
Il desiderio di tornare a Masyaf, anche a mani vuote, e di stringere
Malik tra le proprie braccia tornò a farsi più
vivido. Il sapore della sua pelle che aveva assaggiato la notte scorsa
tornò a mancargli sulla lingua, e il mogano dei suoi occhi
che si scioglieva mentre lo possedeva fu…
-Rispondete alle mie domande!- eruppe Altaїr, spazientito.
Cosa gli stava succedendo?! D’un tratto qualcosa o qualcuna
sembrava essere entrato nella sua mente rievocandogli simili emozioni!
Poteva davvero essere il misterioso mascherato l’artefice di
un nuovo desiderio di peccato?
L’uomo sembrò soddisfatto di se stesso;
rinfoderò la sua lama sottilissima in un fodero quasi
invisibile, nascosto tra le pieghe del mantello. –Sai chi
siamo, Assassino, e sai benissimo cosa vogliamo e perché-.
-Perdonatemi, mio Signore, ma così offendete la mia
ignoranza: di grazia, illuminatemi!-.
Il mascherato tacque a lungo e, come se lo avesse ordinato loro col
pensiero, nella tenda fecero irruzione quattro armigeri che
trascinarono a forza gli incappucciati fuori dai suoi appartamenti.
Maher si alzò da terra con l’aiuto di Khaled, che
non gli mollava il braccio nemmeno per far circolare il sangue. Quel
ragazzino aveva messo a dura prova la pazienza di troppe persone
assieme.
Altaїr prese quel gesto come diniego, ma quando il generale mascherato
si ripresentò al loro cospetto, nel centro
dell’accampamento e sotto l’attenzione di tutti i
soldati, in una qualche strana maniera il discorso si
riallacciò alle sue condizioni di partenza.
-Due giorni e due notti a partire dalla prossima luna. Questo
è il tempo che vi diamo per assecondare la nostra richiesta
e ridarci ciò che ci appartiene. La Conoscenza non
è nata per essere prigioniera dell’uomo, e
pertanto dovete restituircela. In caso contrario, sappiate che non ci
saranno altre possibilità contrattare e questa
sarà l’ultima volta che vedrete le nostre
maschere, prima di battervi faccia a faccia con il collasso della
vostra civiltà-.
Altaїr sentì bruciare la cicatrice sul labbro mentre le
figure dei soldati bianchi e neri, come pedine degli scacchi,
stringevano lui e i suoi compagni in un cerchio sempre più
piccolo. L’aquila tentò di oltrepassare la
barriera di corpi, ma appena sfiorò la spalla di un soldato,
questi lo respinse come se Altaїr si fosse abbattuto contro un muro.
Khalid fece la sua parte, mostrando la spada se necessario, ma nessuno
degli armigeri sembrava in vena di lasciarli uscire da quella morsa.
L’unica possibilità sarebbe stata librarsi in volo
con un paio di ali proprio come faceva l’aquila sopra le loro
teste.
Ma cosa diavolo vogliono
ancora?! Altaїr strinse i denti, già pronto a
mietere vittime con la lama nascosta. Forse il generale aveva
qualcos’altro da dire prima di lasciarli andare, ma si era
dissolto nel nulla prima che l’aquila si fosse potuto voltare
a guardarlo.
Solo quando i tre assassini furono schiena a schiena, stretti a tal
punto da non poter stendere le braccia, si decisero a sfoderare le
armi.
Khalid fu il primo a trapassare la stoffa di un usbergo avversario,
piantando la spada nel torace di quella che si presentò,
gridando, come una donna.
Forse agire in quel modo avrebbe significato morte certa: erano
tre…
L’aquila ci pensò un attimo.
Si corresse: erano due addestrati assassini e un pivellino con la
rabbia contro una cinquantina di soldati; durante il travagliato
cammino verso Arsuf, lui solo ne aveva sbaragliate forse il doppio, pur
di arrivare ad infliggere il colpo di grazia a Roberto de Sable. Ma le
circostanze erano diverse, il primo sangue era stato per lui, e il fine
per la vittoria era sensato!
Quando la donna colpita da Khalid cadde in terra senza versare una
goccia di sangue, dissolvendosi poi nella polvere, Altaїr ebbe la
conferma di arrancare tutt’altro che nella realtà.
Più di un dettaglio aveva tradito
l’assurdità della situazione e solo ora un barlume
leggerissimo si era acceso nella sua mente ancora troppo sconvolta. Ma
per portare la sua conclusione a Malik, prima che fosse troppo tardi,
doveva uscire vivo da quello che si prospettava un martirio.
Maher aveva impugnato mal fermo la sua lama corta, faticando a tenere
il braccio alzato. La prima linea di armati era indietreggiata di
qualche passo, ma non abbastanza da aprire spazio sufficiente per
fuggire. Khalid stava per mietere un’altra guardia, ma
l’aquila gli afferrò il gomito imprecando sotto
voce di aspettare; ma aspettare cosa? Una reazione di qualsiasi genere,
una risposta all’aggressione che tutti sembravano aver
ignorato, a parte i tre incappucciati. L’avvertimento non era
stato sufficiente; la donna colpita non solo si era dissolta in termini
di materia, ma anche nelle menti dei suoi compagni, che sembravano
averne ignorato e dimenticato in fretta la morte.
Basta, tutto questo
è assurdo!
Il sudore freddo si accumulava sulle sue tempie senza che Altaїr
sapesse come agire. Il sole alto nel centro esatto del cielo affondava,
come artigli, i suoi raggi bollenti nelle vesti, riscaldando il corpo
fino al limite della sopportazione. L’assassino non era
lucido abbastanza per dettare ordini o semplicemente gesticolarne
qualcuno. Stava lentamente perdendo coscienza; i sensi si
affievolivano, la vista calava e così la presa delle dita
sul gomito di Khalid che, dopo aver visto inginocchiarsi inerme il suo
superiore, aveva cominciato ad affondare la spada nel primo soldato a
tiro. Le guardie cadevano come fantocci ai suoi fianchi, mentre Altaїr
era due ginocchia e un palmo per terra. La consistenza della sabbia
bollente tra le dita era quasi fastidiosa quanto poteva esserlo
ustionarsi al sole. Nel frattempo il suo unico accompagnatore capace
mieteva vittime accompagnando il fruscio della lama nella carne con
gemiti sommessi, trattenuti: anche lui stava cedendo.
I sensi si addormentavano: chiudere gli occhi, ormai inutili
poiché una nebbiolina soffusa ne occultava la mansione, fu
un gesto voluto dalla natura. Altaїr stava cadendo, cadendo come si
cade nel sonno dopo essersi distesi a letto al fine di una giornata
pregna di fatiche. Dalle labbra dischiuse, mentre sia Maher sia Khalid
si accasciavano ai suoi fianchi lasciando cadere le armi,
salì un’ultima supplica. La pietà era
rivolta a chi avesse osato stregare o avvelenare lui e i suoi uomini in
quel modo. Non poteva trattarsi d’altro, si disse
l’aquila. Magia, veleno… non c’era
differenza alcuna: era barare contro qualsiasi regola
d’onore, e di onore se ne parlava tanto e poco allo stesso
tempo.
Sentendosi mancare addirittura le forze di tenere alta la testa, col
viso proteso verso lo stesso sole bastardo che gli aveva assopito la
cognizione, Altaїr lasciò che il mento sprofondasse nel
petto e le spalle s’incurvassero.
Il suo ultimo pensiero sensato, prima di abbracciare forse la morte o
forse una semplice, amara e vile sconfitta, fu il seguente:
Se quella era davvero magia e se i loro fittizi nemici erano davvero
capaci di padroneggiarla, chi lo raccontava a Malik che
l’aquila aveva collezionato un altro fallimento?
.:Angolo
d’Autrice:.
ATTENZIONE!
Una promettente artista emergente col berretto rosso si è
cimentata in una rappresentazione sensazionale del Malik di questa
storia, onorandola con la sua bravura! *ç* Date
un’occhiata voi stessi e preparatevi ad invidiare le doti con
la tavoletta grafica di questa ragazza!
[The
Scream of the Hawk by ilaEfra-chan on DeviantArt]
Quando ho cominciato questa storia, nelle note iniziali che esplicavano
un po’ come si sarebbe evoluta la faccenda, ho dimenticato di
aggiungere “alta presenza di flashback
sull’infanzia di aquila e falco”. Spero che questa
mia pallosa/profetica/filosofica (a seconda dei gusti…)
interpretazione della fede non vi abbia… annoiati troppo, o
peggio, sconvolti. Al momento del colloquio nel flashback, Altair e
Malik li ho immaginati sui 12 anni circa. Il piccolo Kadar lo vedo un
po’ come mio fratello, attualmente di sette anni e mezzo.
…
A parte il flash back, sarebbe da idioti pensare che non ci sia altro
da “spiegare”.
Ecco, io sono idiota.
Lascio a voi la parola. Parolacce e insulti bene accetti, per il
semplice fatto che io me ne sono detti tanti da sola da impastarmi la
bocca! XD
La verità è che mi vergogno da morire di quello
che ho scritto, ma un’altra verità dice anche che
è l’unica cosa che scrivo da parecchio
tempo… la famosa citazione “ispirazione bastarda
torna da me” si unisce a quella “voglia di scrivere
abbatti la pigrizia e non farti spaventare dal caldo!”. E che
diavolo, noi comuni mortali patiamo quest’Inferno…
be’, diciamo che c’è un po’ di
autobiografico nel viaggio dei tre assassini verso
l’accampamento dei soldati. Insomma, ho fatto delirare Altair
un po’ come delirerebbe chiunque stando seduti su una sedia
imbottita in una stanza quattro per quattro davanti a un monitor che
sprizza energia! W l’estate!
Col cavolo!
Io odio l’estate. Non so voi, ma odio la sua nullafacenza, il
doversi costruire da soli qualcosa da fare. Almeno personalmente la mia
estate la passo così, trascinandomi sudaticcia da una stanza
all’altra, arrancando e strisciando sul pavimento con la
lingua di fuori; fantasia vagabonda che saltella da un disegno
all’altro e l’ispirazione alla scrittura che va a
farsi benedire…
Vabbe’, basta, cerchiamo di essere seri.
E’ stata proprio lei, l’artista di quel disegno, a
farmi tornare la voglia di lavorare su questa storia, sperando
ovviamente di non aver deluso nessuno… (almeno non
troppo…). Perciò, un ringraziamento speciale a RebyEMiko.
Subito dopo abbiamo dark
dream, che ormai si sorbisce ufficialmente tutte le mie
storie senza più riuscire a distinguerne una
dall’altra (cosa che potrebbe succedere anche a
me… speriamo che Elena non salti fuori
all’improvviso O.O ). Tendo a ribadire che l’intera
fan fiction è dedicata a tutti coloro che sostengono la
causa “non dimentichiamoci di AC anche se è uscito
AC II – e io aggiungerei Brotherhood”, ma con un
riferimento speciale a PotterWatch,
appena rientrata dalle vacanze e volenterosa di rimettersi al pari con
le ultime novelle Ubisoft, al fine di deliziarci con le sue non fan
fiction, ma profezie! *ç*
Si ringrazia anche Ama,
RunaMagus
(Dio, leggete la sua Bianca
come il Peccato, è un ordine!) e Phantom
G per aver aggiunto la storia alle seguite. ^^
Spero di ricevere presto vostri commenti :D oltre alla mela di Newton
sulla testa per l’ispirazione!
Come direbbero i miei compagni del corso di matematica di
recupero…
Bellaaaaaaaa! :D
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Capitolo 6 *** VI ***
VI
Gli sfollati di Al Quadmus si erano accampati temporaneamente fuori dal
villaggio, lungo la strada sterrata che costeggia il lago e il
crepaccio, occupandola tutta – tra carri, tende e bestiame
– fino alla prima arcata pietrata. La scelta non era stata
casuale: Mansur, in quanto ospiti, aveva scelto (poco) saggiamente di
mantenere le distanze tra il suo e il popolo di Masyaf per non
caotizzare oltremodo la cittadella. Quell’uomo poteva avere
tutto il senso altruista che voleva, ma se i misteriosi soldati fossero
avanzati nelle terre degli Assassini senza alcuna intenzione di pace,
la sua gente sarebbe andata incontro alla morte prima del tempo. Malik
apprezzava il contegno e il rispetto dimostrato in cambio
dell’ospitalità, ma avrebbe di gran lunga
preferito che il popolo di Al Quadmus si stabilisse
all’interno della cittadella o addirittura nella fortezza
stessa, al fine di garantire efficacemente la protezione promessa.
Durante la mattina, perciò, il falco era stato molto
occupato.
Poco dopo la partenza di Altaїr, aveva fatto disporre il cortile
interno della fortezza nel modo più propizio ad ospitare un
centinaio di persone. Aveva ordinato alle guardie di sradicare i
manichini per l’addestramento al lancio di pugnali ed erigere
dei tendaggi dove improvvisare giacigli. Anche le stalle erano state
trasformate in una confortevole capanna, simile a quella ove
alloggiarono Maria, Giuseppe e Gesù nei racconti della Sacra
Bibbia. Le cavalcature degli assassini Malik aveva richiesto che
fossero spostate fuori dai cancelli o nei pressi del mercato: una
nottata o due sotto le stelle non avrebbe fatto loro alcun male; anzi,
si sarebbero irrobustiti le ossa in vista dei prossimi viaggi.
La Fortezza degli Assassini, in tutto ciò, era un
andirivieni di guardie, servi e fratelli che si rendevano utili nel
migliore dei modi possibili. Malik dirigeva il traffico direttamente
sul campo, correggendo dove poteva errori o intransigenze ai suoi
ordini. Gli era capitato di riprendere uno stesso confratello
più volte: i pali reggenti di quel tendaggio andavano
piantati più affondo nel terreno o tutto sarebbe crollato al
primo starnuto. I cappucci grigi passavano lui sotto agli occhi ormai
tutti uguali; era giunto addirittura a confondere il nome di una
guardia cittadina per quello di un apprendista assassino. E il caldo
non aiutava.
-Maestro, io sono Hijar. Lui
è Yasef.-
-Sì, perdonami. Tu: va’a prendere altre lenzuola,
e nel tragitto convocami Imad S’Il-Kaahed. Lo troverai sulle
mura in compagnia del comandante Husam.-
Il novizio annuì e si affrettò a scomparire dal
suo campo visivo.
Il figlio di Mansur si era dimostrato subito utilissimo in fatto di
azioni preventive. Malik aveva inizialmente pensato
d’impiegarlo altrove, ma era stato Imad stesso, appena
indossate le vesti da confratello, a mettersi in ballo con ottime
ragioni. Aveva detto di ricordare molto sulle armi adottate dai
misteriosi mercenari e di saperla lunga persino sulla
“dinamica” che avrebbero impiegato in caso
d’assedio alla fortezza. Il falco era rimasto un
po’ dubbioso: è raro imbattersi in un giovane uomo
capace di calcolare tanti dettagli minuziosi, che sarebbero sfuggiti ai
migliori condottieri, durante la messa a ferro e fuoco della propria
patria. Mantenere la lucidità tattica di uno stratega nelle
situazioni più contorte era un grande valore che Malik
stentava a riconoscere così presto.
Imad era in compagnia del più valoroso tenente siriano,
conosciuto col nome di Husam, a discutere dell’eventuale
futura battaglia. Il figlio di Mansur si sarebbe rilevato fondamentale
nella difesa della fortezza, nel qual caso il misterioso esercito di
mercenari avesse deciso di attaccare la cittadella. Imad
l’aveva colpito già una volta, a confronto di suo
fratello minore, per la tranquillità e la quiete di spirito.
Malik sapeva di aver catturato una mente saggia e forse avrebbe trovato
più fruttuoso compiacersene in un altro momento. Ma il tempo
stringeva e bisognava mettere al riparo la gente di Al Quadmus prima
che all’orizzonte si fosse delineata l’avanzata
nemica.
Mansur era tornato dal suo popolo per rassicurarli che la loro
richiesta di protezione era stata pienamente accolta, e che
l’intera cittadella era nel pieno delle attività
al fine di garantire spazio sufficiente per tutti. In caso di assedio,
e se il nemico si fosse dimostrato più abile di quanto
sperato, all’interno della fortezza sarebbe stato necessario
accogliere non solo gli sfollati di Al Quadmus, ma l’intero
popolo di Masyaf, che misurava all’incirca sei o sette volte
quello del piccolo villaggio saccheggiato.
Imad e Husam, tra i merli delle mura, mettevano in discussione i vaghi
ricordi dell’uno e l’esperienza militare
dell’altro, mescolando il tutto in un unico pentolone
strategico. Malik pregò vivamente che, in quel breve lasso
di tempo concesso loro assieme, i due fossero riusciti a disporre un
buon piano di difesa. La fortezza non contava su altro che archi e
frecce, in fatto d’armi. Poi c’erano gli oli
bollenti e quella lunga serie di trappole dimenticate, i segreti dei
quali i grandi maestri costruttori del passato avevano portato con
sé nella tomba. Restava poco da fare a parte disporre alla
bell’e meglio gli arcieri sui merli e sperare di non veder
spuntare catapulte o arieti tra le file nemiche.
Maher era l’unico membro della famiglia S’Il-Kaahed
per il quale Malik cominciava a temere il peggio. Affidarlo nelle mani
di Altaїr era stato come mettere su una zattera un orbo e un cieco. Se
ne rendeva conto solo ora perché aveva trascorso gran parte
della mattina, mentre dirigeva il traffico nella fortezza, a rimuginare
sulle contestazioni dell’aquila senza mai compiacerle
davvero. Ma veniva il tempo di ammettere che Altaїr era stato
più cosciente di lui nel calcolare razionalmente
l’utilità di Maher nella missione. A compensare le
teste calde, però, sapeva di poter contare su Khalid, un
nome piuttosto noto nella nuova generazione di assassini. La veste di
medio rango, corta ma bianca per intera, parlava per lui se si contava
che aveva raggiunto quel prestigio dopo solo qualche anno di
addestramento. Con tutto se stesso Malik sperò, pertanto,
che nessuno si facesse male e rientrassero tutti per cena.
Imad giunse al suo cospetto dopo aver vagato errante tra un gruppo di
saggi che si contestavano a vicenda sul terrazzo davanti
all’ingresso della fortezza. Il figlio maggiore di Mansur
aveva corso fin lì per poi tornare indietro senza
più fiato. Malik si annotò che, in caso Imad
avesse dimostrato interesse nella confraternita, il suo ruolo sarebbe
potuto convergere unicamente nel settore strategico: sarebbe stato
inutile o difficile addestrarlo alla corsa sui muri, se dimostrava
tanta pigrizia di corpo.
-Mi avete chiamato, mio Signore- azzardò un inchino col
capo, asciugandosi la fronte.
Il sole cadeva a picco nel cortile: Malik aveva imitato quel gesto
almeno trenta volte prima di lui. –Sì, volevo
chiederti come sta andando il tuo colloquio col generale Husam.-
-Ottimamente, oserei dire. Il comandante è un
grand’uomo e ammette che i miei consigli stanno tornandogli
utili.-
-Ti spiace se assito?-
Sul viso d’Imad si stampò un festoso sorriso.
–Non era necessario chiedere-.
Un modo gentile per
dire: “potevi salire quando ti pareva risparmiandomi la corsa
fin qui!”, pensò Malik sorridendo a
sua volta.
Affidò la gestione ad Hijar, che aveva da poco concluso
d’innalzare un nuovo tendaggio, e seguì il giovane
Imad su per la scaletta in legno che si arrampicava fino ai bastioni.
Tenere eretto il busto nel vuoto giusto qualche istante e afferrare il
piolo successivo con una mano sola mentre sollevava un piede alla
volta, per lui fu tutt’altro che una fatica. Se spesso e
volentieri spolverava i muscoli intorpiditi di braccio e addominali lo
doveva solo a quelle gracili scalette di legno. Il resto della
fortezza, tra erranti passeggiate per giardini e biblioteche, teneva in
allentamento solo la mente e le gambe. Imad, pur arrossendo, si era
offerto di aiutarlo ma Malik aveva rifiutato subito senza mostrare
alcuna esitazione. Non era un debole, e ne aveva dato prova in
più occasioni durante la giornata. Aveva sradicato lui
stesso e per primo un manichino d’allenamento, incitando le
guardie a fare altrettanto. Aveva piantato nella terra ben quattro
paletti, futuri sostegni di un tendaggio sufficiente ad ospitare una
famiglia di otto elementi. In fine aveva montato il suo fedele cavallo
baio dalle stalle alla piazza del mercato, guidando le sue e le redini
di altre due bestie con una mano soltanto. Dietro di lui si erano
alzati, assieme alla polvere, elogi e sguardi commossi di guardie e
cittadini. Non era proprio tipo da dare quel genere di spettacolo,
anzi, il suo mettersi in ballo era un chiaro modo di sottolineare
oltremodo l’urgenza delle faccende. Poi, se da una parte
Malik aveva gestito il traffico della fortezza affidando ai suoi
fratelli i compiti più faticosi, dall’altra si era
dimostrato disponibile a rimboccarsi le maniche tanto quanto guardie e
allievi. Ecco quale, probabilmente, sarebbe stata la differenza che lo
avrebbe distinto dai Mualim del passato. Il falco aveva contrastato a
sufficienza le ostilità dell’avere
un’ala soltanto. Più precisamente aveva imparato a
conviverci a tal punto da poter ricominciare a prendere lezioni di
volo. Certo: avrebbe dovuto dimenticare trucchi ed esperienze
sostituendoli ad una tecnica del tutto nuova capace di sfruttare
l’arto mancante a suo vantaggio senza più
considerarlo uno handicap – pensiero che aveva lasciato
appassire nei meandri dei primi tempi, quando vestirsi, lavarsi o anche
solo camminare, per la mancanza di equilibrio, erano diventate imprese
degne di un semi-dio.
Ma poiché adesso era tornato padrone del proprio quotidiano,
ambiva a fare altrettanto per gli altri. Rifugiarsi nella Dimora di
Gerusalemme, abbandonando la sua gente nelle mani di un vecchio pazzo,
era stato un errore che tutt’ora ambiva di sopprimere nella
propria mente. Gli fosse costata una vita intera, l’accudire
Masyaf e il suo popolo sarebbe stata la sua prima ed ultima missione
per redimersi. Non aveva bisogno di scusarsi di altro. Almeno per ora.
Giunto sul pianerottolo, Imad si voltò indietro esitando se
tendere un braccio o meno in soccorso del Maestro. Non appena videro
spuntare la capoccia di Al-Sayf, le guardie vicine si affiancarono al
giovane Imad fino a sovrastarlo. Questa volta Malik dovette arrendersi,
sorridendo, alla concezione che qualche mano in più avrebbe
fatto comodo. Staccò la propria dall’ultimo piolo
e la tese verso una guardia che, in una sincronia perfetta, gli
afferrò il braccio saldamente. Malik si lasciò
aiutare a venir issato sul pianerottolo da più incappucciati
e ringraziò tutti, congedandoli, stirandosi le pieghe della
veste con l’unica manica. Le due guardie tornarono ai propri
appostamenti e Imad, visibilmente rosso d’imbarazzo,
s’incamminò su ordine del falco.
Giunsero tra i merli della facciata anteriore della fortezza. Da quella
terrazza Al Mualim aveva assistito all’esecuzione di un loro
confratello e dichiarato ufficialmente aperte le ostilità
tra Assassini e Templari. Sotto il suo comando, però, stava
in realtà affermandosi un ordine intermedio del quale Al
Mualim si era posto vertice assoluto. Poi, in un secondo momento e al
cospetto del suo allievo migliore, aveva chiamato a testimone la luce
volendo dimostrare la menzogna dell’ombra; ed aveva
così cercato di abbattere il pilastro fondamentale del Credo.
Niente è
reale. Tutto è lecito.
I coraggiosi che avevano messo in discussione questa frase si contavano
sulle dita di una mano.
“Colpiscimi
Kadar, avanti.”
“No!”
“Se non lo
fai, non diventerai mai un Assassino!”
“Nooo!”
“No
cosa?!”
“No! Io
non voglio non diventare un Assassino!”
“…Allora
colpiscimi, dai, e fa’ alla svelta.”
“…No!”
“Se non riesci
a colpirmi come le uccidi le persone?!”
“Sei mio
fratello!” lagnò scoppiando in lacrime,
“Non voglio ucciderti…” Il bambino si
asciugò le ciglia con la manica e tirò su col
naso, prima che Malik potesse vedergli colare il moccolo sulle labbra.
“Kadar, non
devi uccidere tuo fratello”, intervenne il Mualim fuori
campo, “devi semplicemente colpirlo. Un pugno, un calcio,
quello che più di aggrada. Ripeti cosa stiamo imparando
oggi, avanti.”
Kadar esitò a
lungo. Sul cerchio di allievi riuniti attorno al cortiletto per gli
addestramenti piombò un angoscioso silenzio. Il piccolo
Al-Sayf guardò a terra, osservando le proprie lacrime
precipitare al suolo e, quando parlò, il pianto gli
solleticava ancora la gola: “I nemici più astuti
si nascondono tra gli amici” disse riempiendo la voce di
singhiozzi.
“Esatto”,
esordì il Maestro, “non dovete esitare a
confrontarvi anche con chi vi è caro: finireste col venirne
travolti se mai vi fosse l’urgenza di combatterlo”,
spiegò ai ragazzi. “E questo, Kadar,
perché?” domandò tornando a
rivolgerglisi.
Kadar deglutì
strizzando le labbra, bagnate di lacrime salate. Il cuore di Malik,
immobile di fronte al fratellino, batteva fortissimo per
l’emozione. Aveva capito cosa stava chiedendo il Mualim a suo
fratello. Ma suo fratello avrebbe risposto quello che il Mualim avrebbe
voluto sentire?
“Perché…”,
balbettò Kadar,
“perché…”, tirò
ancora su col naso, prendendo tempo. “Perché
niente è reale”, s’interruppe alzando
finalmente il mento dal petto e piantando gli occhi in quelli oscurati
dal cappuccio del Maestro. “Neanche
l’amicizia” concluse serio come suo fratello non lo
aveva mai visto e come lui non era mai stato.
Malik lasciò
cadere le spalle lentamente, trafitto dalla lingua biforcuta del mostro
che lui stesso aveva contribuito a creare.
Soltanto la sera prima,
nel letto che i fratelli Al-Sayf condividevano in una stanza assieme ad
altri quattro allievi, Kadar aveva confessato di non riuscire a capire
il significato di quelle parole pronunciate tanto spesso da tutti.
Mentre Malik fissava il basso soffitto sopra il proprio naso, Kadar si
era rannicchiato sotto le coperte, tirate fino alle labbra. Aveva
concluso i suoi infantili ragionamenti sulle cose vere e le cose false
così: “Non ha senso, è
stupido.”
A quel punto Malik lo
aveva fulminato con un’occhiataccia, e per poco non
l’aveva anche picchiato. “Se è questo
che pensi, tu sei l’unico stupido.”
Il modo in cui
l’aveva guardato Kadar, dopo essersi sentito insultato dal
fratello maggiore, Malik non l’avrebbe mai più
dimenticato. E nemmeno l’altro.
-Maestro Malik- il comandante Husam s’inchinò
pronunciando per la prima volta quell’elogio accanto al suo
nome. Il falco non ricordava d’essersi mai proclamato tale,
ma a tutti lì dentro veniva spontaneo chiamarlo in quel
modo.
-Generale Husam- sorrise Malik, ricambiando con la stessa moneta.
L’uomo nascosto sotto il cappuccio bianco e in vesti grigie
chinò nuovamente la testa. –Imad si sta
dimostrando indispensabile come pensavate, mio Signore.
C’è molto dei nostri nemici che avrei stentato
solo a immaginare- disse mentre il ragazzo gli si avvicinava, ancora
rosso in viso.
-Del tipo?- domandò Malik avvicinandosi al tavolo
improvvisato con due casse e un’asse di legno, sulla quale
era stata stesa una cartina del territorio circostante; come una
minuscola annotazione, incastonato nella valle appariva il nome del
piccolo villaggio predato. I misteriosi mercenari erano personificati
da quattro pedine nere, pezzi importanti da scacchi, mentre gli
assassini erano tre semplici pedoni bianchi arroccati sulla loro
fortezza tra le montagne.
-Imad ci ha confidato che i nostri avversari hanno attaccato il suo
villaggio senza risparmi: dalle frecce infuocate alle armi
d’assedio, mio Signore. Per quanto ne sappiamo, Al Quadmus
è stata rasa al suolo e i misteriosi soldati potrebbero aver
esaurito le munizioni oppure averne tante da rivoltare due volte
Gerusalemme.-
Pesando il suo tono di voce assieme alle parole del generale, Malik
capì che erano nello sterco fino al collo. Era cosa rara che
il comandante Husam si facesse intimidire fino a questo punto. La sua
prestigiosa esperienza militare era mancata loro in un primo assedio di
Masyaf, quando i Templari decimarono la popolazione costringendoli a
rifugiarsi nella fortezza. In quel momento un uomo come Husam avrebbe
fatto comodo e, sicuramente, rovesciato le sorti della battaglia.
Questa volta Masyaf contava, al contrario, di minimizzare
l’effetto sorpresa e farsi trovare pronta alla battaglia.
Gli uomini migliori dell’intero corpo di guardia cittadina
erano già schierati agli ingressi della cittadella, come
rivelò Husam frantumando un angoscioso silenzio. La notizia
era confortante, Malik dovette ammetterlo, ma c’era ancora
molto da fare prima di mettersi seduti e aspettare. Husam disse,
inoltre, che due falchi da caccia erano stati liberati e, se fossero
rientrati prima di una certa ora, il tempo del volo avrebbe comunicato
loro la distanza effettiva dei mercenari dalla cittadella. Come terzo
punto fondamentale, il generale chiamò in causa il giovane
Imad, che fece un passo avanti.
-Hanno delle imbarcazioni- comunicò costui.
Malik s’irrigidì. –Quante?- chiese.
-Quattro, per essere precisi- disse Imad guardando prima il generale
Husam e poi la reazione sul volto del Maestro.
Malik, pallido, scrutò a lungo e in silenzio la cartina.
–Non è possibile…-,
commentò, -se così fosse avrebbero dovuto
risalire il fiume dalla parte opposta e arrivare al nostro lago da sud.
A meno che…-.
-A meno che non le abbiano costruite alle pendici, passandoci sotto al
naso, per riscendere il corso lungo corrente- s’intromise
Husam, che aveva l’autorità per farlo.
–Una mossa astuta. Ci avevano quasi confusi.-
-Quasi-, sottolineò Malik, -ma non ci sorprenderanno come
sperano. State svolgendo un ottimo lavoro, Generale, ma per adesso
conto che manteniate le formazioni di difesa coi vostri uomini
migliori.-
L’uomo annuì gonfiando il petto.
–Sarà fatto- ufficializzò.
A quel punto Malik si tirò indietro e guardò Imad
negli occhi. -Appena avremo notizie degli ambasciatori,- disse
sfiorando un tasto personale per entrambi, -sapremo meglio che strada
seguire- concluse abbandonando i merli.
Il giovane S’Il-Kaahed rabbrividì, e parve
ricordarsi solo allora del fratello mandato in missione suicida in
braccio al destino.
~ ۞ ~
.:Angolo
d’Autrice:.
Ditemi voi: continuo? Ma se continuo, sarà ad aggiornamenti
tutt’altro che costanti. E questo capitolo ne è
pura prova.
Datemi i pro e i contro di questa storia. Vediamo se le vostre opinioni
combaciano con i miei progetti e scopriamo assieme la strada di questa
storia. È un aiuto, quello che vi chiedo. Come scrittrice e
recensore veterano della sezione, certo, ma anche come quasi-sedicenne
perdutamente innamorata di una cosa e una persona nella vita, entrambe
momentaneamente irraggiungibili. Scrivere adesso, perciò,
sarebbe il modo più facile e breve per rovinare le
aspettative di quelli che, come voi, seguono le mie storie.
Grazie per l'attenzione.
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