La Tavola del Destino

di Dante Reaper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Un Brusco Risveglio ***
Capitolo 3: *** La Medium ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione
Prefazione

Talogane era una città di provincia di circa cinquantamila abitanti. Nonostante la popolazione non fosse troppo esigua, era una città tranquilla, il tasso di criminalità era molto basso, sia perché il posto non offriva grandi opportunità per furti sia perché gli abitanti erano perlopiù gente semplice anche se benestante. Gli spacciatori non trovavano acquirenti per le loro merci di contrabbando e la cordialità e l’ospitalità della gente del luogo non poteva offrire un movente per un’aggressione, né tantomeno per un omicidio, o almeno in apparenza...
La criminalità era veramente a livelli infimi, non solo per i motivi sopra citati, ma anche per la presenza di un corpo di polizia noto per la sua efficienza. Quest’efficienza era dovuta pare alla presenza di un abile comandante, un uomo con un grande fiuto e un’incredibile capacità di ragionamento nella risoluzione dei casi, il suo nome era Mihail Serafan.
L’abilità di Mihail era una dote di famiglia, suo padre era sergente nel corpo di polizia e da lui ha imparato i trucchi del mestiere. Alla morte del padre decise di continuare questa tradizione insegnando ai suoi due figli il nobile mestiere del poliziotto.
I figli del comandante erano Nicholas e Raziel, rispettivamente di ventitre e diciotto anni. Entrambi erano comuni ragazzi, non avevano niente di particolare a parte uno spiccato senso del dovere. Nicholas era già entrato nel corpo di polizia del padre come agente e aspirava a diventare anche lui un comandante un giorno. L’aspetto di Nicholas era abbastanza comune, era alto un metro e settantacinque, occhi azzurri, capelli castani, un viso dai lineamenti poco marcati e un fisico atletico scolpito dal duro addestramento cui Mihail sottoponeva i suoi uomini. Raziel, al contrario di suo fratello, non era ancora entrato nella polizia, poiché andava ancora a scuola, ma ciò non gli impediva di usare il suo intuito investigativo. Durante il suo tempo libero, infatti, era solito andare alla centrale di polizia a guardare i registri dei casi irrisolti. Raziel aveva libero accesso a quei registri, che normalmente dovrebbero essere riservati, poiché più di una volta era riuscito a risolvere uno di quei complicati casi e sia suo padre sia gli altri poliziotti erano sempre ben disposti a farsi dare una mano da quel ragazzo così abile e capace. Il ragazzo era molto simile al fratello, per quanto riguarda i tratti del viso sembravano quasi gemelli. I due erano, infatti, quasi indistinguibili se non fosse per il colore degli occhi di Raziel che presentavano delle sfumature color verde smeraldo. Inoltre il colore dei suoi capelli era di un castano molto più chiaro rispetto a quello di Nicholas, quasi biondi.

La famiglia Serafan era molto unita, soprattutto i due fratelli che erano indivisibili. Il 13 Luglio, però, accadde qualcosa che sconvolse la serenità di quella famiglia.
Nella mattinata arrivò una chiamata alla polizia, era in corso una rapina alla banca comunale.  Molte pattuglie della polizia furono mandate per risolvere il problema e con loro andò anche Nicholas, poiché era un abile oratore ed era quindi perfetto per trattare con i criminali in situazioni difficili come queste, in altre parole in presenza di ostaggi.
Arrivato sul posto Nicholas iniziò subito le trattative. Riuscì a trovare un accordo, il malvivente avrebbe dovuto rilasciare i quattordici ostaggi presenti in banca e in cambio avrebbe ottenuto un furgone blindato con il quale fuggire con i soldi, l’unica condizione era di non fare del male in alcun modo agli ostaggi.
Nel frattempo Raziel, che si trovava alla centrale, si stava impegnando a ottenere informazioni sul criminale. Cercando negli archivi online della polizia di stato, riuscì a trovare un dossier su questo malvivente chiamato “Kaiser la bestia”, ne stampò una copia e diede una sfogliata veloce. A un certo punto il sangue gli si gelò nelle vene, i fogli scivolarono dalle sue mani e caddero a terra, Raziel corse immediatamente fuori dalla centrale in cerca di un agente che lo potesse accompagnare d’urgenza da suo fratello per avvertirlo, ma non trovò nessuno, erano tutti impegnati in quella rapina. A quel punto Il giovane iniziò a correre con tutte le sue forze per raggiungere Nicholas.

Le trattative continuavano nel frattempo, il furgone blindato era stato parcheggiato di fronte all’ingresso della banca e Kaiser si apprestava ad uscire. Gli agenti tenevano le pistole puntate ad altezza d’uomo in modo da poter fare prontamente fuoco nel caso le cose fossero degenerate, ma il malvivente non era uno sprovveduto. Le pesanti porte dell’edificio si aprirono e ne uscì un uomo con le mani legate dietro la schiena pronto a fare da scudo umano contro i proiettili all’uomo che si nascondeva dietro di lui. Una grande figura si ergeva dietro l’ostaggio impaurito, si trattava di Kaiser la bestia. Il suo aspetto rispecchiava il suo soprannome, era un uomo enorme, alto due metri, robusto e muscoloso, lo scudo umano sembrava coprirlo ben poco data la differenza di stazza. Nicholas intimò al rapinatore di lasciar libero l’ostaggio.

Nel frattempo Mihail era tornato alla centrale, mentre si dirigeva verso l’ufficio, notò dei fogli a terra e li raccolse. Si trattava del dossier su Kaiser che aveva lasciato cadere Raziel. Il Comandante non poté fare a meno di darvi un’occhiata.
Il contenuto di quei registri era assurdo. Kain Razor noto come “Kaiser la bestia”, ricercato per pluriomicidi, rapina a mano armata, violenza sessuale, rapimento, possesso illegale di armi, spaccio e molti altri crimini. Fondatore di un’associazione a delinquere chiamata “La Lama Cremisi”. Tra i crimini più gravi compariva l’omicidio di diversi poliziotti...
Arrivato a quel punto, del dossier Mihail Serafan si bloccò e un brivido freddo percorse la sua schiena, aveva il presentimento che sarebbe successo qualcosa.

Da una strada secondaria giungeva in tutta fretta Raziel che si reggeva i fianchi per l’affanno e, con il poco fiato che gli era rimasto, urlava qualcosa a suo fratello, ma la sua voce, sfiancata dalla corsa, era sopraffatta dal rumore delle sirene delle volanti di polizia. Il giovane oramai con i crampi alle gambe continuò a correre verso suo fratello invocando il suo nome nella speranza che si accorgesse di lui. A metà della folle corsa verso il fratello, un crampo più forte degli altri lo fece cadere, ma fu a quel punto che Nicholas si accorse della presenza di suo fratello. L’agente si fermò un momento ad osservare con attenzione le labbra del fratello minore che urlava qualcosa, ma con troppa poca voce per farsi sentire in quel caos di suoni, nella speranza di capire cosa voleva dire. Ad un certo punto riuscì a capire il labiale del fratello, gli stava intimando di allontanarsi immediatamente dal rapinatore.
Nicholas d’istinto si voltò verso il malvivente, come per cercare una motivazione per poter seguire il consiglio del fratello. Kaiser alzò su di lui uno sguardo come di sfida. I suoi occhi azzurri come il ghiaccio penetravano la mente di Nicholas che rimase per un istante impietrito a guardare quell’uomo con i lineamenti marcati accentuati da un taglio di capelli molto corto, tanto che si intravedeva appena il biondo chiarissimo dei suoi capelli.
Il negoziatore decise di seguire il consiglio del fratello, ma era già troppo tardi. Appena si voltò per andarsene, il malvivente estrasse una pesante arma che aveva nascosto dietro le spalle dell’ostaggio, che quindi più che come scudo, serviva come “fondina umana” per nascondere un fucile mitragliatore gatling. Kaiser, senza esitare, puntò l’arma verso i poliziotti e fece fuoco a ripetizione finché non finì i colpi e corse dentro al furgone blindato per non subire la risposta al fuoco della polizia e fuggì via.
Inevitabilmente diversi colpi di quella pesante arma colpirono alle spalle Nicholas che cadde a terra già privo di vita. Il fratello a tal visione dimenticò il dolore, si alzò e, con le lacrime agli occhi, iniziò a correre verso il fratello più veloce di prima. Ma mentre si dirigeva verso il freddo corpo di Nicholas, un’esplosione immane lo scaraventò indietro, Kaiser aveva piazzato un ordigno esplosivo all’interno della banca che saltò in aria con ancora i quattordici ostaggi al suo interno. Raziel giaceva a terra senza riuscire a muoversi, ma ebbe la forza di voltare lo sguardo verso il corpo del fratello che era disteso sull’asfalto rovente, circondato da fiamme e scintille provocate dall’esplosione, infine dopo un ultimo sforzo perse i sensi e si addormentò.

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Capitolo 2
*** Un Brusco Risveglio ***


Un Brusco Risveglio

Buio intorno a me, ero completamente circondato dalle tenebre e non riuscivo a vedere niente:
- Si è già fatta notte? - pensai tra me e me, ma guardai in alto e non vidi né le stelle né tantomeno
la luna. Eppure era chiaro che mi trovavo in uno spazio aperto, perché intorno a me non percepivo la presenza di ostacoli e sentivo chiaramente la sensazione di uno spazio molto ampio, anche se non riuscivo a vedere nemmeno il pavimento lungo il quale camminavo spaesato. Ad un tratto sentii una voce sussurrare: - Raziel...
Mi voltai di scatto e vidi in lontananza la luna all’orizzonte, grande come non l’avevo mai vista prima, sembrava quasi che si fosse avvicinata alla terra per guardare cosa accadeva. La luna si fece poi più luminosa diffondendo un po’ di luce intorno a me. Io ne approfittai per dare uno sguardo a ciò che mi circondava per cercare di orientarmi, ma ciò che vidi era solo il vuoto più assoluto. Intorno a me non c’era niente, non c’erano alberi, non c’erano case, non c’erano animali o altri esseri viventi, solo il vuoto. Il pavimento su cui poggiavo era lucido, liscio, sembrava quasi un’infinita lastra di vetro nera, un appoggio che ben si addice al vuoto che permeava quel posto.
Una seconda volta udii il sussurro: - Raziel, aiutami!
Voltai nuovamente lo sguardo verso la luna e notai la sagoma di un uomo che mi veniva incontro. Lo riconobbi subito, era mio fratello Nicholas! Corsi subito verso di lui, ma i miei passi sembravano lenti, come se qualcosa mi trattenesse.
    - Nicholas, sono qui!
Urlai nella speranza di essere sentito, ma la voce non usciva, come se il vuoto intorno a me divorasse i suoni impedendomi di parlare. Per la terza volta udii la sua voce: - Raziel, dove sei? Salvami ti prego! - Riprovai quindi a correre, e notai che questa volta il mio passo era libero, riuscivo a correre verso di lui finalmente.
Stavo per raggiungerlo: - Non posso crederci, mio fratello è ancora vivo! - pensai durante la mia folle corsa, che sembrava durare più del previsto, come se la strada si allungasse sotto i miei piedi per burlarsi di me. Infine riuscii a raggiungerlo, allungai il braccio per afferrarlo, come se temessi che sarebbe svanito all’improvviso ma, prima di riuscire a toccarlo, dal pavimento cristallino si erse un’imponente muro di fuoco che mi circondò completamente impedendomi di raggiungerlo. Il fatto era strano, ma non ci feci caso, i miei pensieri erano concentrati su mio fratello che, in piedi, immobile d’avanti a me, mi chiedeva aiuto.
Ad un tratto dall’arcano pavimento si innalzò un’ombra gigantesca che si materializzò a fianco a mio fratello. Quando questa seconda presenza prese forma riconobbi il volto di Kaiser, che con sorriso beffardo cinse le spalle di Nicholas e lo portò lontano, verso la luna che splendeva all’orizzonte. Io volevo fermarlo, volevo raggiungerlo per salvare mio fratello: - Lascialo! - urlai, ma come prima la voce non usciva dalla mia bocca. Provai a superare il cerchio di fuoco, ma più mi avvicinavo a quelle fiamme color cremisi, più queste si facevano alte e roventi. L’unica cosa che percepivo in quel vuoto era il calore immane che scaturiva dalle fiamme, finché d’un tratto non avvertii un malessere e caddi al suolo.

Mi svegliai urlante completamente bagnato dal sudore: - Era solo un sogno... - dissi con voce smorta.
Appena mi ripresi dallo shock provocato da quell’orrendo incubo, mi accorsi del posto in cui mi trovavo. Ero in un letto d’ospedale, con fasciature che mi avvolgevano la testa e il petto, avevo l’ago di una flebo infilato nel braccio e, quando provai ad afferrarlo per toglierlo, mi accorsi che il mio braccio sinistro non rispondeva ai miei comandi, così come il resto dei miei arti. Il battito irregolare del mio cuore, scosso dalla terribile esperienza, fece scattare un allarme e un’infermiera si precipitò prontamente nella stanza.
   - Ti sei svegliato finalmente...
   - Cosa mi è successo?
   - C’è stata un’esplosione e tu ne sei rimasto coinvolto
   - Già... Ricordo...
In realtà sapevo bene cosa era successo, ma volevo chiedere nella speranza di sentire una diversa versione dei fatti. Speravo fosse stato solo un brutto sogno, ma era la realtà.
Controllai nella stanza nella speranza di vedere mia madre o mio padre, ma non vidi nessuno.
   - Non... Non è venuto nessuno a trovarmi?
   - Oh ti riferisci ai tuoi genitori? Si, certo che sono venuti, in questi giorni hanno vegliato sempre su di te, facendo a turno. Ma proprio oggi che ti sei svegliato loro non ci sono perché... beh perché oggi... oggi si tiene il funerale di tuo fratello Nicholas...
A tal parole ebbi un flashback dell’accaduto, abbassai lo sguardo e osservando i palmi delle mie mani piene di bende sussurrai: - Non, ho fatto in tempo ad avvertirlo... E’ colpa mia...
Riflettendo sulle parole dell’infermiera esclamai:
   - In questi giorni?! Ma è successo tutto questa mattina!
   - No, ti sbagli. Sono passati sette giorni dall’accaduto, in questo tempo hai dormito e abbiamo dovuto nutrirti per endovena. Eri come in coma, ma è durato solo sette giorni quindi più che coma si tratta solo di una bella dormita!
   - Sette giorni...
   - Ah e non spaventarti se non riesci a muovere le braccia e le gambe, sei stato immobile per una settimana, hai i muscoli atrofizzati. Non preoccuparti, con un paio di giorni di fisioterapia tornerai come nuovo!
Non aggiunsi altre parole, mi distesi nuovamente, chiusi gli occhi e iniziai a riflettere. Pensai a quello che era successo, ripercorsi quei momenti, ma nonostante mi trovassi in un letto d’ospedale ricoperto di bende, mi sembrava tutto lontano, come se non fosse accaduto a me, come se fosse stato solo un film, non riuscivo a rendermene conto.
   - Devo andare ad avvisare il dottore, se vuoi riposare posso farlo venire più tardi...
    - Riposare? - Suonava quasi come una battuta, riposare dopo aver dormito per sette giorni, ma riflettendoci ero davvero stanco. Decisi ugualmente di chiamare il dottore, perché la mia stanchezza era tanta, ma era ancora maggiore la mia voglia di tornare a casa dai miei genitori.

Un uomo in camice bianco entrò con un sorriso di gentilezza che illuminava il suo viso, si avvicinò a me e disse:
   - Ti sei fatto davvero una bella dormita Raziel! Le tue condizioni sono stabili, ora ti togliamo le bende e ti portiamo in fisioterapia per sgranchirti un po’!
   - D’accordo dottore, La ringrazio...
Il medico uscì dalla stanza dopo aver detto alcune cose all’infermiera che si avvicinò a me con un sorriso rassicurante.
   - Ora ti togliamo tutte queste fastidiose bende.
Mi afferrò il braccio ed estrasse l’ago della flebo dalla mia vena, quindi prese un paio di forbici con la quale si aiutò a tagliare le bende che mi avvolgevano. Mi distesi con gli occhi chiusi mentre mi rimuoveva le bende, cercando di non pensare al dolore che ogni tanto provavo, quando tirava via le fasciature che si erano incollate col sangue alla ferita.
   - Ecco fatto! Ora ti sentirai più libero immagino...
   - Si, molto più libero...
L’infermiera uscì dalla stanza e mi lasciò solo. Notai che il mio braccio destro cominciava a rispondere ai miei comandi, anche se era molto debole e ogni movimento sembrava pesantissimo.
Posai il braccio sul mio petto e con le dita tastai la pelle per farmi un’idea delle ferite che mi ero provocato. Quindi mi alzai e abbassai lo sguardo. La visione era orrenda. Avevo il petto completamente ricoperto di ustioni e lacerazioni, inoltre avevo un gigantesco taglio trasversale, ricucito da decine e decine di punti, che partiva dal pettorale sinistro e si dilungava per tutto il busto, fino alla parte bassa dell’addome: - Oddio! - esclamai a tale visione, e subito mi preoccupai di trovare uno specchio, per vedere se il mio volto era sfigurato come il mio corpo martoriato. Ma all’improvviso l’infermiera rientrò nella stanza portandomi degli indumenti puliti. Riuscivo, anche se a fatica, a muovere le braccia, ma le gambe non rispondevano affatto e l’infermiera dovette aiutarmi a vestirmi. Mi fece sedere su una sedia a rotelle e mi portò nella sala di fisioterapia.

Passai ancora tre giorni in ospedale, finché non riuscii a muovermi come prima, anche se come prima non era, perché ogni volta che sforzavo troppo un muscolo, le ferite si facevano sentire. In quei tre giorni i miei genitori mi venivano continuamente a trovare, mi tenevano compagnia, ma ogni volta che cercavo di parlare di Nicholas loro cambiavano subito argomento.
Uscito dall’ospedale tornai a casa dove trovai ad aspettarmi i miei amici e molti dei poliziotti della centrale che erano venuti per darmi il bentornato. Io apprezzai molto il gesto, nonostante l’accaduto ero quasi felice.
Il giorno dopo, però, decisi di andare al cimitero per andare a vedere la tomba di mio fratello. Giunsi d’avanti al suo sepolcro e la vidi, una tomba in marmo bianco, sopra vi erano posati fiori e corone e, in cima, una grande croce dorata con appesa una medaglia del corpo di polizia che faceva da cornice ad una sua foto. Fu in quel momento, in quell’istante, che mi resi conto di aver perso mio fratello. Sentii come un vuoto dentro, una vertigine mi fece cadere sulle ginocchia e un urlo di rabbia, che sembrava scaturire direttamente dalla mia anima, accompagnava il mio pianto. Lo sforzo immane di quell’urlo fece riaprire la grande ferita sul mio petto, dalla quale iniziò a sgorgare un po’ di sangue, ma non mi curai di ciò, ero troppo preso dalla mia rabbia che, assopita dentro di me fino a quel momento, sembrava voler venire fuori tutta in una volta.  Infine, per lo sforzo o per il sangue che perdevo, caddi a terra stremato e mi addormentai.
Mi risvegliai nuovamente all’ospedale, un passante mi aveva visto a terra in una pozza di sangue e aveva chiamato i soccorsi.
   - Raziel, se non vuoi ritrovarti qui anche domani, devi evitare di fare sforzi del genere! Stasera resterai in osservazione e domani potrai tornare a casa... di nuovo...
Io non risposi, mi limitai ad annuire, avvertivo un malessere, un male non tanto fisico quanto mentale, era una strana sensazione, non era rabbia, né delusione, né tristezza, era peggio di tutte e tre le cose messe assieme, era una sensazione indescrivibile, orribile.

Tornato a casa osservai i miei genitori negli occhi, ma non vidi disperazione, non vidi tristezza, non vidi la stessa rabbia che mi attanagliava.
Non capivo perché si comportassero come se non fosse accaduto niente, la testa mi scoppiava e quella strana sensazione, quel malessere, si faceva sempre più intenso, lo sentivo crescere dentro di me, capii che non potevo continuare ad andare avanti così, dovevo fare qualcosa. Spesso in televisione sentivo parlare dei medium, persone con dei speciali poteri in grado di mettersi in contatto con l’aldilà e parlare con gli spiriti, ma molti affermavano che si trattava di una truffa, che non erano veramente in grado di fare quello che dicevano. Ma se invece potessero? Pensai che provare non mi sarebbe costato nulla, che ne sarebbe valsa la pena.
Cercai sui giornali, sulle guide, chiesi in giro e girai per i borghi cercando di trovare uno di questi stregoni. Dopo ore di ricerche incontrai un signore:
   - Salve giovane, ti vedo spaesato, cerchi qualcosa?
   - Veramente si, sto cercando uno di quei posti dove praticano i medium... Me ne saprebbe indicare qualcuno?
   - Sei fortunato ragazzo, io conosco una medium molto brava, mi ha aiutato molto quando è morto mio padre. Si chiama Madame Antoniette!
Mi spiegò la strada da fare per raggiungere quel luogo dopo di che si congedò.

Dopo aver seguito le indicazioni di quell’uomo, mi ritrovai in una stradina buia e stretta. La strada  era deserta, non passava nessuno, aveva un tono sinistro, ma non ci feci molto caso e proseguii verso il mio obbiettivo. D’un tratto notai un’insegna: “un telefono per l’aldilà di Madame Antoniette”, avevo trovato il locale che cercavo.

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Capitolo 3
*** La Medium ***



La Medium


Fissai a lungo la porta di legno che mi separava dalla persona che, forse, avrebbe potuto aiutarmi. Pensai: «Ma cosa sto facendo? Io non ho mai creduto a queste cose, io ho sempre creduto nella scienza e nelle spiegazioni razionali, non sono un tipo superstizioso». Eppure ero lì, davanti alla porta di quel locale arcano a riflettere sul da farsi.
«No! Ci deve pur essere un altro modo!»
Chiusi gli occhi come per non vedere più la porta, quindi la tentazione di andare oltre, e mi voltai. Riaperti gli occhi vidi davanti a me l'uscita del vicolo e feci per imboccarlo quando, ad un certo punto, sentii un grido fanciullesco. Proseguii velocemente per la mia strada e mi affacciai da dietro il vivolo per scoprire cosa stesse accadendo e vidi una famigliola, madre, padre e figlio. I due genitori sedevano su una panchina, mentre il figlio, di età non superiore ai sei anni, si aggirava intorno a loro saltellando vivacemente e gridando di rabbia per il suo gelato, caduto a terra per una distrazione.
Il banbino reclamava il gelato o per lo meno un altro che lo sostituisse e... «ma perchè sto qui ad origliare?» pensai rendendomi conto di quello che stavo facendo. «è solo una famigliola come tante e un bambino, non devo nascondermi, anzi, non devo proprio stare qui ad origliare».
Uscii dal vicolo e assunsi un atteggiamento meno furtivo e più tranquillo. Mi voltai alla mia sinistra con l'intenzione di imboccare la strada per tornare a casa quando udii una seconda voce, questa volta più adulta e mascolina. Voltai nuovamente lo sguardo verso quella famiglia e vidi giungere verso di loro un ragazzo di circa diciannove o venti anni, con in mano un gelato. Rimasi immobile a fissare la scena di quel ragazzo che porgeva il dolce al bambino che, con espressione sollevata e felice, esclamò:
- Grazie, fratellone! -
A quelle parole un brivido freddo scosse la mia schiena, d'improvviso tornò quella sensazione di vuoto e, ancor peggio, quel malessere insopportabile, quel misto di rabbia, odio e disperazione. Corsi nuovamente nel vicolo e a metà di quella fredda strada mi fermai cadendo sulle mie ginocchia. mi chiusi a riccio poggiando la testa sul gelido asfalto, come se tentassi di proteggermi da un pericolo incombente. Una lacrima scese dai miei occhi lungo il viso, una sola lacrima, l'ultima che volevo versare. Aprii gli occhi e con fare deciso, bussai alla vecchia porta di legno.

Nessuno rispose. Riprovai una seconda volta, ma nuovamente non ottenni risposta quindi allungai la mano verso quel pomello arrugginito ma, prima di poterlo raggiungere, la porta si aprii dinanzi a me. Guardai oltre la soglia della porta, ma non vidi nessuno. La cosa mi impaurì leggermente, sembrava di stare in un film dell'orrore. Ma si trattava della realtà, non c'era quindi da aver paura perchè nella realtà i mostri e i demoni non esistono, ma esitono solo le persone malvagie. Con questa convinzione in testa sbirciai all'interno della stanza, ma poco vidi, poichè l'ambiente era buio. Intravidi solo dozzine di ripiani a muro che sorreggevano numerose candele accese e che, nell'insieme della loro fioca luce, illuminavano appena un tavolino circolare coperto da un drappo di seta rosso sulla quale poggiava una sfera di cristallo che luccicava riflettendo la poca luce emessa dai lumi e, dietro di essa, una figura incappucciata, coperta da un manto nero pece, sembrava attendermi. Mi soffermai solo un altro momento prima di addentrarmi in quelle tenebre. Timoroso rimasi in silenzio e mi voltai per chiudere le porta alle mie spalle.

Mi voltai verso la tetra sagoma e feci per parlare quando venni anticipato da una cupa voce femminile che proveniva da sotto il manto nero.
- Ti aspettavo, Raziel -
 Ella alzò lo sguardo per cercare il mio, ma io non riuscivo a vederla in volto, perchè il cappuccio faceva in modo di nasconderla bene nell'ombra. Quando i miei occhi si abituarono al buio riuscii a vedere il suo viso dalle narici del suo naso in giù, l'unica parte illuminata. Si capiva chiaramente che si trattava di una donna anziana, aveva la pelle molto chiara e piena di rughe, le labbra screpolate, e una macchia più scura, forse una voglia, a sinistra del mento.
- Come sai il mio nome? - chiesi perplesso con voce titubante.
- Oh, io so tutto su di te, Raziel. Io vedo tutto, è il mio lavoro, è il mio potere... - rispose.
Mi invitò a sedermi su uno sgabello situato di fronte al tavolino, un mobilio che prima non avevo notato. Iniziò a parlare in modo lento ma carismatico, alternando toni di voce alti a toni bassi e gesticolando in modo appariscente con le mani aperte, come se volesse incantarmi, e forse ci stava riuscendo. A lungo parlò esponendomi la grandezza del suo potere, che le permetteva di leggere nell'animo umano, liberare da malefici, vedere nel futuro e comunicare con gli spiriti dell'aldilà.
Proprio per quest'ultima sua capacità io la stavo cercando, ma non dissi nulla, volevo metterla alla prova.
- Se sai leggere nell'animo umano allora mi puoi anche dire perchè sono qui! - esclamai.
- Porgimi la tua mano destra giovine - chiese allungando la sua scheletrica mano in attesa della mia.
In risposta io tesi la mia mano destra come aveva chiesto e lei la afferrò lentamente poggiando il mio palmo sul suo. La sua mano era gelida, come quella di un cadavere e altresì pallida, mi fece uno strano effetto, ma la lasciai fare. Poggiò l'altra mano sopra la mia, fino a coprirla interamente sia da sopra che da sotto, ed alzò lo sguardo al cielo quasi come se entrasse in trans emettendo un flebile lamento. Successivamente abbassò nuovamente lo sguardo, poi allentò la presa, girò la mia mano col palmo rivolto verso l'alto e la fissò. Ero abbastanza sicuro che stesse leggendo la mano, una cosa abbastanza comune per le medium, ma non ci avevo mai creduto, così come non avevo mai creduto in queste cose in generale. La vecchia signora era stata molto convincente nel suo discorso precedente, tuttavia il mio scetticismo mi spingeva ad avere molti dubbi, tanto che pensai di andarmene. Ad un certo punto, però, ella esclamò:
- E così sei qui per tuo fratello... -

Rimasi allibito da tal parole. Quell'intervento cancellò d'un tratto ogni mio dubbio e scetticismo, come un onda che cancella un disegno sulla sabbia. «già era strano il fatto che conoscesse il mio nome, ma come può sapere anche il motivo per cui sono qui? Nessuno lo sa, con nessuno ne ho parlato, che sia davvero dotata di un qualche potere? Ma si non c'è altra spiegazione!»
- Si! Si sono qui per mio fratello! - esclamai ormai convinto che quella vecchia signora potesse aiutarmi.
- Cosa vuoi da tuo fratello? -
- Vorrei parlargli! E vederlo! E... -
- Ehi ehi ehi, giovane! - mi interruppe con tono svelto - Io sono una medium, non tu! -
- Che vuoi dire? Non pui mettermi in contatto con lui? -
- Si, ma non fraintendere... Io posso parlargli perchè posseggo il dono della stregoneria, ma ti posso solo riferire quello che dice, non puoi parlarci direttamente poichè tu non hai il mio stesso potere. Altrimenti sarebbe troppo facile non credi? -
- Beh, immagino di si... -
- Ad ogni modo il vederlo è altresì impossibile. Nemmeno io posso vedere gli spiriti con cui entro in contatto, posso solo comunicare con loro. -
Riflettei un momento su quanto aveva detto ed effettivamente il discorso aveva senso, quindi decisi di darle fiducia-
- Daccordo! Puoi allora chiamarlo per me e farmi da tramite? -
- Se è questo che vuoi... -

Poggiò i palmi aperti delle mani sul tessuto di seta cremisi che ricopriva il tavolino, lasciando al centro la sfera di cristallo.
- Uh, e io che credevo che la sfera di cristallo fosse solo uno stereotipo delle chiaroveggenti! - pensai ad alta voce.
- Sbagli, giovane Raziel. La sfera che è posta davanti a noi è realmente un oggetto con dei poteri. In effetti, non è altro che uno specchio, uno specchio che mostra l'oltremondo! E' con questo che troverò tuo fratello prima di potermi mettere in contatto con lui. - disse a voce sussurrante dopo aver udito le mie parole.
Alzò quindi le mani posizionandole intorno alla sfera e abbassò la testa in segno di concentrazione.
- Come si chiamava tuo fratello? - domandò
- Cosa? - chiesi, sperando di aver capito male
- Il nome di tuo fratello, devi dirmelo cosicchè io possa trovarlo -
- E'... Era... Ni-Nicholas, Nicholas Serafan - La risposta usciva con difficoltà dalla mia bocca. Era da tanto, troppo tempo che non lo nominavo. Quando era in vita lo chiamavo continuamente e il suo nome era diventato una cosa normale, ma ora, ora mi sembrava così strano, come se fosse un nome nuovo, mai sentito, eppure era il suo.
- Bene - Disse lei prima di tornare nel suo stato di profonda concentrazione.
All'improvviso, la sfera si fece più luminosa, e l'arcana signora esclamò: - Trovato! -

Una sensazione di sollievo interruppe il senso di agitazione che permeava il mio corpo fino a quel momento e con trepidazione chiesi subito di iniziare a comunicare con lui.
- Nicholas... Nicholas... Io ti invoco! -
La strega chiamava dall'oltremondo lo spirito del fratello affranto. Il tavolo tremava, l'aria carica di energia diventava sempre più cupa, i brividi salivano lungo la mia schiena.
D'un tratto tutto si acquietò, fu allora che la medium mi chiese di dirle cosa doveva comunicare al fratello.
- C-C-Ciao, Nick! - dissi alla vecchia come riferendomi al mio defunto fratello.
- Nicholas, tuo fratello, Raziel, ti saluta - disse lei facendo da tramite
Rimase in silenzio un attimo e subito rispose: - Tuo fratello ricambia il saluto, ma aggiunge di essere rammaricato e chiede venia per averti abbandonato -
Non ci potevo credere, stavo comunicando davvero con Nicholas. Ero pieno di entusiasmo, quasi felice per quello che era riuscita a fare quella vecchia.
- Gli dica che... -
- Giovane Raziel - interruppe una secona volta le mie parole - ti ho dato dimostrazione delle mie capacità, ma richiamare uno spirito non è cosa da poco, impegno una quantità enorme di energia mistica ed è molto stancante. Per questo io, ai miei clienti, chiedo di pagare una somma, in fondo è un lavoro e come tale richiedo un salario, se così si può dire -
Questo suo intervento sospese quel momento di entusiamo, ma pensandoci aveva ragione, e io stesso mi aspettavo che chedesse qualcosa in cambio, ma me ne ero del tutto dimenticato, preso dal corso degli eventi.
- Quanto chiedi per il tuo servizio? - domandai
- Il prezzo per questo tipo di pratica, proprio per la sua difficoltà e impegno, è di 80€ l'ora, giovane Raziel - rispose
Una cifra che andava ben oltre le mie tasche, e per un momento vidi sfumare quella possibilità.
- Vedi, io non posso permettermi questa cifra... - dissi
- Non preoccuparti, la prima seduta, ovvero quella che c'è appena stata, è gratuita - disse con voce tremante, mentre con un movimento sciolto, come di liberazione, fece tornare lo spirito di Nicholas al posto che gli era dato.
- Ho fatto tornare Nicholas nel suo mondo, è difficile mantenere uno spirito ed è anche pericoloso -
- Pericoloso? Perchè pericoloso? -
- Perchè c'è il rischio che lo spirito non torni nell'oltremondo e che quindi vaghi per l'eternità sulla terra come anima smarrita. Ma non preoccuparti, non permetterò che questo accada. Comunque, ogni volta che vorrai, se riuscirai a procurarti quella piccola somma, sarò lieta di ripetere l'esperienza per te - disse la vechia con tono rassicurante.
- Daccordo, Madame Antoniette - dissi, e con un cenno di gratitudine mi congedai.

Uscii da quella stanza e mi ritrovai nuovamente in strada. La debole luce del sole che filtrava attraverso gli alti palazzi mi accecava, sembrava di essere tornati da un'altro mondo, un delicato venticello mi colpì facendomi provare una piacevole sensazione. Avevo ritrovato la felicità, la voglia di vivere, ma per prolungare questa felicità avrei dovuto fare altre sedute. Così decisi di entrare nel corpo di polizia di mio padre, e seguire le orme della mia famiglia, anche se il vero motivo era il salario che avrei speso da Madame Antoniette.

Corsi a casa e presi mio padre da parte:
- Papà ho deciso di entrare a far parte del corpo di polizia e seguire le tue orme, e quelle di Nicholas. Che ne dici? Posso? - dissi allegramente
- Raziel, non so cosa ti abbia reso d'improvviso così sorridente, ma ne sono felice. Certo che puoi non speravo altro! Ora che hai finito la scuola e ti sei diplomato non c'è più alcun problema. Iniziamo domani stesso - rispose sorridendo
E così fu. Il giorno dopo mio padre mi presentò ai suoi colleghi formalmente come nuovo agente ache se in realtà conoscevo già tutti e non avevo ancora nemmeno fatto il concorso di ammissione. Tutti mi accolsero con un applauso e sembravano entusiaste della mia decisone.

Per quasi un anno ho lavorato nella polizia, e per quasi un anno, ogni settimana, andavo da Madame Antoniette per una chiaccherata, se così si può definire, con mio fratello il tutto senza dire niente a nessuno. Tutto sembrava volgere per il meglio, almeno fino al giorno in cui la mia felicità stava per essere nuovamente turbata.
Era il 17 Aprile, il sole picchiava e il caldo faceva pensare più ad una giornata estiva, che ad una primaverile. Come di consueto mi stavo dirigendo dalla vecchia indovina, quando notai un gruppo di passanti curiosi ammassati nel tentativo di vedere cosa stesse accadendo. Avvicinandomi notai i lampeggianti di una volante allora, capendo che si trattava di un blitz della polizia, mi feci strada tra la folla mostrando il mio distintivo in modo tale che mi facessero passare. Raggiunto un cordone di segnalazione mi fermai e osservai la scena. Un paio di pattuglie della polizia erano appostate l'una di fronte all'altra, e un poliziotto scriveva qualcosa su un blocco per gli appunti mentre un altro stringeva per i polsi una signora. L'agente ammanettò la donna e le fece poggiare la testa sul cofano della volante per poterla perquisire come imponeva la procedura standard. La donna era sulla sessantina, aveva lunghi ed esili capelli bianchi e dalle mani si vedeva una carnagione chiara accompagnata da una corporatura molto magra. Finita la perquisizione, l'agente tirò su la signora che con sguardo truce si voltò verso la folla di curiosi e mi vide. Aveva gli occhi azzurri chiarissimi, glaciali. Con fare amichevole mi fissò e accennò un sorriso, fu allora che mi accorsi di una voglia sul lato sinistro del mento e fu allora che mi resi conto di chi fosse quella donna.
Rimasi un momento immobile mentre la facevano sedere sul sedile posteriore della vettura, nel tentativo di rendermi conto della situazione, poi oltrepassai il cordone per andare a chiedere spiegazioni, sicuramente ci doveva essere uno sbaglio. Feci due passi verso il mio obbiettivo quando venni fermato da una voce:
- Ehi, Raziel! Hanno mandato anche te? -
Era Alex, un collega del mio distretto. Pensai che lui potesse saperne qualcosa di più sull'accaduto così chiesi.
- Ciao, Alex. No, ero solo di passaggio, ma cosa sta succedendo? -
- Abbiamo arrestato una truffatrice -
- Truffatrice? - chiesi con stupore
- Si, ingannava i suoi clienti dicendo di possedere strani poteri di parlare con i morti... Le solite stronzate da chiromante insomma! Riusciva a spillare ingenti somme ai poveri malcapitati. Ntz.. Certo che la gente quando è disperata crede proprio a tutto eh, Raziel? - chiese con tono sarcastico - Raziel?? Ehi Raziel??? -
Rimasi attonito. Non riuscivo a rispondere, ripensavo a tutte le volte che ero andato da lei per un consulto, non potevo credere che fosse tutto un imbroglio.
- Si, si... Credono proprio a tutto... Scusa ma ora devo scappare, ho una cosa urgente da fare - risposi con sguardo truce
- Va tutto bene? Non hai una bella cera -
- Si si, non preoccuparti. Sono solo un po' stanco. Ah senti, dove la stanno portando? -
- Da noi, nel nostro distretto. Perchè? -
- No no niente, semplice curiosità. Ora devo proprio andare, ci vediamo alla centrale -
- Ok, a presto allora -
- Si, a presto... -

Iniziai a camminare senza meta, volevo riflettere sull'accaduto. Non sapevo come avrei dovuto sentirmi, perchè non avevo più nessuna certezza, non ero sicuro che gli agenti avessero ragione sul suo conto, ma allo stesso modo non ero più nemmeno sicuro di Madame Antoniette.
Nel corso della camminata mi fermai ad un distribuore automatico e comprai un pacco di sigarette, uno qualunque, tanto non fumavo e non avevo mai fumato prima. Qualcosa mi spinse tuttavia ad iniziare quel vizio, forse perchè vedevo moltissime persone intorno a me che fumavano col sorriso stampato sul volto, e allora credevo anzi, mi illudevo che il fumare potesse rendermi felice. Fu pensando a questo che mi resi conto che la mia felicità di colpo era nuovamente svanita.


La storia non finisce qui, aggiungerò nuovi capitoli con cadenza settimanale (se riesco). Vi prego di avere pazienza e di recensire, anche le critiche sono accettate =). Grazie a tutti.

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