La Tavola del Destino di Dante Reaper (/viewuser.php?uid=97865)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Un Brusco Risveglio ***
Capitolo 3: *** La Medium ***
Capitolo 1 *** Prefazione ***
Prefazione
Prefazione
Talogane era una
città di provincia di circa cinquantamila abitanti.
Nonostante la popolazione non fosse troppo esigua, era una
città tranquilla, il tasso di criminalità era
molto basso, sia perché il posto non offriva grandi
opportunità per furti sia perché gli abitanti
erano perlopiù gente semplice anche se benestante. Gli
spacciatori non trovavano acquirenti per le loro merci di contrabbando
e la cordialità e l’ospitalità della
gente del luogo non poteva offrire un movente per
un’aggressione, né tantomeno per un omicidio, o
almeno in apparenza...
La criminalità era veramente a livelli infimi, non solo
per i motivi sopra citati, ma anche per la presenza di un corpo di
polizia noto per la sua efficienza. Quest’efficienza era
dovuta pare alla presenza di un abile comandante, un uomo con un grande
fiuto e un’incredibile capacità di ragionamento
nella risoluzione dei casi, il suo nome era Mihail Serafan.
L’abilità di Mihail era una dote di famiglia, suo
padre era sergente nel corpo di polizia e da lui ha imparato i trucchi
del mestiere. Alla morte del padre decise di continuare questa
tradizione insegnando ai suoi due figli il nobile mestiere del
poliziotto.
I figli del comandante erano Nicholas e Raziel, rispettivamente di
ventitre e diciotto anni. Entrambi erano comuni ragazzi, non avevano
niente di particolare a parte uno spiccato senso del dovere. Nicholas
era già entrato nel corpo di polizia del padre come agente e
aspirava a diventare anche lui un comandante un giorno.
L’aspetto di Nicholas era abbastanza comune, era alto un
metro e settantacinque, occhi azzurri, capelli castani, un viso dai
lineamenti poco marcati e un fisico atletico scolpito dal duro
addestramento cui Mihail sottoponeva i suoi uomini. Raziel, al
contrario di suo fratello, non era ancora entrato nella polizia,
poiché andava ancora a scuola, ma ciò non gli
impediva di usare il suo intuito investigativo. Durante il suo tempo
libero, infatti, era solito andare alla centrale di polizia a guardare
i registri dei casi irrisolti. Raziel aveva libero accesso a quei
registri, che normalmente dovrebbero essere riservati,
poiché più di una volta era riuscito a risolvere
uno di quei complicati casi e sia suo padre sia gli altri poliziotti
erano sempre ben disposti a farsi dare una mano da quel ragazzo
così abile e capace. Il ragazzo era molto simile al
fratello, per quanto riguarda i tratti del viso sembravano quasi
gemelli. I due erano, infatti, quasi indistinguibili se non fosse per
il colore degli occhi di Raziel che presentavano delle sfumature color
verde smeraldo. Inoltre il colore dei suoi capelli era di un castano
molto più chiaro rispetto a quello di Nicholas, quasi biondi.
La famiglia Serafan era molto unita, soprattutto i due fratelli che
erano indivisibili. Il 13 Luglio, però, accadde qualcosa che
sconvolse la serenità di quella famiglia.
Nella mattinata arrivò una chiamata alla polizia, era in
corso una rapina alla banca comunale. Molte pattuglie della
polizia furono mandate per risolvere il problema e con loro
andò anche Nicholas, poiché era un abile oratore
ed era quindi perfetto per trattare con i criminali in situazioni
difficili come queste, in altre parole in presenza di ostaggi.
Arrivato sul posto Nicholas iniziò subito le trattative.
Riuscì a trovare un accordo, il malvivente avrebbe dovuto
rilasciare i quattordici ostaggi presenti in banca e in cambio avrebbe
ottenuto un furgone blindato con il quale fuggire con i soldi,
l’unica condizione era di non fare del male in alcun modo agli
ostaggi.
Nel frattempo Raziel, che si trovava alla centrale, si stava impegnando
a ottenere informazioni sul criminale. Cercando negli archivi online
della polizia di stato, riuscì a trovare un dossier su
questo malvivente chiamato “Kaiser la bestia”, ne
stampò una copia e diede una sfogliata veloce. A un certo
punto il sangue gli si gelò nelle vene, i fogli scivolarono
dalle sue mani e caddero a terra, Raziel corse immediatamente fuori
dalla centrale in cerca di un agente che lo potesse accompagnare
d’urgenza da suo fratello per avvertirlo, ma non
trovò nessuno, erano tutti impegnati in quella rapina. A
quel punto Il giovane iniziò a correre con tutte le sue
forze per raggiungere Nicholas.
Le trattative continuavano nel frattempo, il furgone blindato era stato
parcheggiato di fronte all’ingresso della banca e Kaiser si
apprestava ad uscire. Gli agenti tenevano le pistole puntate ad altezza
d’uomo in modo da poter fare prontamente fuoco nel caso le
cose fossero degenerate, ma il malvivente non era uno sprovveduto. Le
pesanti porte dell’edificio si aprirono e ne uscì
un uomo con le mani legate dietro la schiena pronto a fare da scudo
umano contro i proiettili all’uomo che si nascondeva dietro
di lui. Una grande figura si ergeva dietro l’ostaggio
impaurito, si trattava di Kaiser la bestia. Il suo aspetto rispecchiava
il suo soprannome, era un uomo enorme, alto due metri, robusto e
muscoloso, lo scudo umano sembrava coprirlo ben poco data la differenza
di stazza. Nicholas intimò al rapinatore di lasciar libero
l’ostaggio.
Nel frattempo Mihail era tornato alla centrale, mentre si dirigeva
verso l’ufficio, notò dei fogli a terra e li
raccolse. Si trattava del dossier su Kaiser che aveva lasciato cadere
Raziel. Il Comandante non poté fare a meno di darvi
un’occhiata.
Il contenuto di quei registri era assurdo. Kain Razor noto come
“Kaiser la bestia”, ricercato per pluriomicidi,
rapina a mano armata, violenza sessuale, rapimento, possesso illegale
di armi, spaccio e molti altri crimini. Fondatore di
un’associazione a delinquere chiamata “La Lama
Cremisi”. Tra i crimini più gravi compariva
l’omicidio di diversi poliziotti...
Arrivato a quel punto, del dossier Mihail Serafan si bloccò
e un brivido freddo percorse la sua schiena, aveva il presentimento che
sarebbe successo qualcosa.
Da una strada secondaria giungeva in tutta fretta Raziel che si reggeva
i fianchi per l’affanno e, con il poco fiato che gli era
rimasto, urlava qualcosa a suo fratello, ma la sua voce, sfiancata
dalla corsa, era sopraffatta dal rumore delle sirene delle volanti di
polizia. Il giovane oramai con i crampi alle gambe continuò
a correre verso suo fratello invocando il suo nome nella speranza che
si accorgesse di lui. A metà della folle corsa verso il
fratello, un crampo più forte degli altri lo fece cadere, ma
fu a quel punto che Nicholas si accorse della presenza di suo fratello.
L’agente si fermò un momento ad osservare con
attenzione le labbra del fratello minore che urlava qualcosa, ma con
troppa poca voce per farsi sentire in quel caos di suoni, nella
speranza di capire cosa voleva dire. Ad un certo punto
riuscì a capire il labiale del fratello, gli stava intimando
di allontanarsi immediatamente dal rapinatore.
Nicholas d’istinto si voltò verso il malvivente,
come per cercare una motivazione per poter seguire il consiglio del
fratello. Kaiser alzò su di lui uno sguardo come di sfida. I
suoi occhi azzurri come il ghiaccio penetravano la mente di Nicholas
che rimase per un istante impietrito a guardare quell’uomo
con i lineamenti marcati accentuati da un taglio di capelli molto
corto, tanto che si intravedeva appena il biondo chiarissimo dei suoi
capelli.
Il negoziatore decise di seguire il consiglio del fratello, ma era
già troppo tardi. Appena si voltò per andarsene,
il malvivente estrasse una pesante arma che aveva nascosto dietro le
spalle dell’ostaggio, che quindi più che come
scudo, serviva come “fondina umana” per nascondere
un fucile mitragliatore gatling. Kaiser, senza esitare,
puntò l’arma verso i poliziotti e fece fuoco a
ripetizione finché non finì i colpi e corse
dentro al furgone blindato per non subire la risposta al fuoco della
polizia e fuggì via.
Inevitabilmente diversi colpi di quella pesante arma colpirono alle
spalle Nicholas che cadde a terra già privo di vita. Il
fratello a tal visione dimenticò il dolore, si
alzò e, con le lacrime agli occhi, iniziò a
correre verso il fratello più veloce di prima. Ma mentre si
dirigeva verso il freddo corpo di Nicholas, un’esplosione
immane lo scaraventò indietro, Kaiser aveva piazzato un
ordigno esplosivo all’interno della banca che
saltò in aria con ancora i quattordici ostaggi al suo
interno. Raziel giaceva a terra senza riuscire a muoversi, ma ebbe la
forza di voltare lo sguardo verso il corpo del fratello che era disteso
sull’asfalto rovente, circondato da fiamme e scintille
provocate dall’esplosione, infine dopo un ultimo sforzo perse
i sensi e si addormentò.
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Capitolo 2 *** Un Brusco Risveglio ***
Un
Brusco Risveglio
Buio intorno
a me, ero completamente circondato dalle tenebre e non riuscivo a
vedere niente:
- Si è già fatta notte? - pensai tra
me e me, ma guardai in alto e non vidi né le stelle
né tantomeno
la luna. Eppure era chiaro che mi trovavo in uno spazio
aperto, perché intorno a me non percepivo la presenza di
ostacoli e sentivo chiaramente la sensazione di uno spazio molto ampio,
anche se non riuscivo a vedere nemmeno il pavimento lungo il quale
camminavo spaesato. Ad un tratto sentii una voce sussurrare: - Raziel...
Mi voltai di scatto e vidi in lontananza la luna
all’orizzonte, grande come non l’avevo mai vista
prima, sembrava quasi che si fosse avvicinata alla terra per guardare
cosa accadeva. La luna si fece poi più luminosa diffondendo
un po’ di luce intorno a me. Io ne approfittai per dare uno
sguardo a ciò che mi circondava per cercare di orientarmi,
ma ciò che vidi era solo il vuoto più assoluto.
Intorno a me non c’era niente, non c’erano alberi,
non c’erano case, non c’erano animali o altri
esseri viventi, solo il vuoto. Il pavimento su cui poggiavo era lucido,
liscio, sembrava quasi un’infinita lastra di vetro nera, un
appoggio che ben si addice al vuoto che permeava quel posto.
Una seconda volta udii il sussurro: - Raziel, aiutami!
Voltai nuovamente lo sguardo verso la luna e notai la sagoma
di un uomo che mi veniva incontro. Lo riconobbi subito, era mio
fratello Nicholas! Corsi subito verso di lui, ma i miei passi
sembravano lenti, come se qualcosa mi trattenesse.
- Nicholas, sono qui!
Urlai nella speranza di essere sentito, ma la voce non
usciva, come se il vuoto intorno a me divorasse i suoni impedendomi di
parlare. Per la terza volta udii la sua voce: - Raziel, dove sei?
Salvami ti prego! - Riprovai quindi a correre, e notai che questa volta
il mio passo era libero, riuscivo a correre verso di lui finalmente.
Stavo per raggiungerlo: - Non posso crederci, mio fratello
è ancora vivo! - pensai durante la mia folle corsa, che
sembrava durare più del previsto, come se la strada si
allungasse sotto i miei piedi per burlarsi di me. Infine riuscii a
raggiungerlo, allungai il braccio per afferrarlo, come se temessi che
sarebbe svanito all’improvviso ma, prima di riuscire a
toccarlo, dal pavimento cristallino si erse un’imponente muro
di fuoco che mi circondò completamente impedendomi di
raggiungerlo. Il fatto era strano, ma non ci feci caso, i miei pensieri
erano concentrati su mio fratello che, in piedi, immobile
d’avanti a me, mi chiedeva aiuto.
Ad un tratto dall’arcano pavimento si
innalzò un’ombra gigantesca che si
materializzò a fianco a mio fratello. Quando questa seconda
presenza prese forma riconobbi il volto di Kaiser, che con sorriso
beffardo cinse le spalle di Nicholas e lo portò lontano,
verso la luna che splendeva all’orizzonte. Io volevo
fermarlo, volevo raggiungerlo per salvare mio fratello: - Lascialo! -
urlai, ma come prima la voce non usciva dalla mia bocca. Provai a
superare il cerchio di fuoco, ma più mi avvicinavo a quelle
fiamme color cremisi, più queste si facevano alte e roventi.
L’unica cosa che percepivo in quel vuoto era il calore immane
che scaturiva dalle fiamme, finché d’un tratto non
avvertii un malessere e caddi al suolo.
Mi svegliai urlante completamente bagnato dal sudore: - Era
solo un sogno... - dissi con voce smorta.
Appena mi ripresi dallo shock provocato da
quell’orrendo incubo, mi accorsi del posto in cui mi trovavo.
Ero in un letto d’ospedale, con fasciature che mi avvolgevano
la testa e il petto, avevo l’ago di una flebo infilato nel
braccio e, quando provai ad afferrarlo per toglierlo, mi accorsi che il
mio braccio sinistro non rispondeva ai miei comandi, così
come il resto dei miei arti. Il battito irregolare del mio cuore,
scosso dalla terribile esperienza, fece scattare un allarme e
un’infermiera si precipitò prontamente nella
stanza.
- Ti sei svegliato finalmente...
- Cosa mi è successo?
- C’è stata
un’esplosione e tu ne sei rimasto coinvolto
- Già... Ricordo...
In realtà sapevo bene cosa era successo, ma
volevo chiedere nella speranza di sentire una diversa versione dei
fatti. Speravo fosse stato solo un brutto sogno, ma era la
realtà.
Controllai nella stanza nella speranza di vedere mia madre o
mio padre, ma non vidi nessuno.
- Non... Non è venuto
nessuno a trovarmi?
- Oh ti riferisci ai tuoi genitori? Si,
certo che sono venuti, in questi giorni hanno vegliato sempre su di te,
facendo a turno. Ma proprio oggi che ti sei svegliato loro non ci sono
perché... beh perché oggi... oggi si tiene il
funerale di tuo fratello Nicholas...
A tal parole ebbi un flashback dell’accaduto,
abbassai lo sguardo e osservando i palmi delle mie mani piene di bende
sussurrai: - Non, ho fatto in tempo ad avvertirlo... E’ colpa
mia...
Riflettendo sulle parole dell’infermiera esclamai:
- In questi giorni?! Ma è
successo tutto questa mattina!
- No, ti sbagli. Sono passati sette
giorni dall’accaduto, in questo tempo hai dormito e abbiamo
dovuto nutrirti per endovena. Eri come in coma, ma è durato
solo sette giorni quindi più che coma si tratta solo di una
bella dormita!
- Sette giorni...
- Ah e non spaventarti se non riesci a
muovere le braccia e le gambe, sei stato immobile per una settimana,
hai i muscoli atrofizzati. Non preoccuparti, con un paio di giorni di
fisioterapia tornerai come nuovo!
Non aggiunsi altre parole, mi distesi nuovamente, chiusi gli
occhi e iniziai a riflettere. Pensai a quello che era successo,
ripercorsi quei momenti, ma nonostante mi trovassi in un letto
d’ospedale ricoperto di bende, mi sembrava tutto lontano,
come se non fosse accaduto a me, come se fosse stato solo un film, non
riuscivo a rendermene conto.
- Devo andare ad avvisare il dottore,
se vuoi riposare posso farlo venire più tardi...
- Riposare? - Suonava quasi
come una battuta, riposare dopo aver dormito per sette giorni, ma
riflettendoci ero davvero stanco. Decisi ugualmente di chiamare il
dottore, perché la mia stanchezza era tanta, ma era ancora
maggiore la mia voglia di tornare a casa dai miei genitori.
Un uomo in camice bianco entrò con un sorriso di
gentilezza che illuminava il suo viso, si avvicinò a me e
disse:
- Ti sei fatto davvero una bella
dormita Raziel! Le tue condizioni sono stabili, ora ti togliamo le
bende e ti portiamo in fisioterapia per sgranchirti un po’!
- D’accordo dottore, La
ringrazio...
Il medico uscì dalla stanza dopo aver detto
alcune cose all’infermiera che si avvicinò a me
con un sorriso rassicurante.
- Ora ti togliamo tutte queste
fastidiose bende.
Mi afferrò il braccio ed estrasse l’ago
della flebo dalla mia vena, quindi prese un paio di forbici con la
quale si aiutò a tagliare le bende che mi avvolgevano. Mi
distesi con gli occhi chiusi mentre mi rimuoveva le bende, cercando di
non pensare al dolore che ogni tanto provavo, quando tirava via le
fasciature che si erano incollate col sangue alla ferita.
- Ecco fatto! Ora ti sentirai
più libero immagino...
- Si, molto più libero...
L’infermiera uscì dalla stanza e mi
lasciò solo. Notai che il mio braccio destro cominciava a
rispondere ai miei comandi, anche se era molto debole e ogni movimento
sembrava pesantissimo.
Posai il braccio sul mio petto e con le dita tastai la pelle
per farmi un’idea delle ferite che mi ero provocato. Quindi
mi alzai e abbassai lo sguardo. La visione era orrenda. Avevo il petto
completamente ricoperto di ustioni e lacerazioni, inoltre
avevo un gigantesco taglio trasversale, ricucito da decine e decine di
punti, che partiva dal pettorale sinistro e si dilungava per tutto il
busto, fino alla parte bassa dell’addome: - Oddio! - esclamai
a tale visione, e subito mi preoccupai di trovare uno specchio, per
vedere se il mio volto era sfigurato come il mio corpo martoriato. Ma
all’improvviso l’infermiera rientrò
nella stanza portandomi degli indumenti puliti. Riuscivo, anche se a
fatica, a muovere le braccia, ma le gambe non rispondevano affatto e
l’infermiera dovette aiutarmi a vestirmi. Mi fece sedere su
una sedia a rotelle e mi portò nella sala di fisioterapia.
Passai ancora tre giorni in ospedale, finché non
riuscii a muovermi come prima, anche se come prima non era,
perché ogni volta che sforzavo troppo un muscolo, le ferite
si facevano sentire. In quei tre giorni i miei genitori mi venivano
continuamente a trovare, mi tenevano compagnia, ma ogni volta che
cercavo di parlare di Nicholas loro cambiavano subito argomento.
Uscito dall’ospedale tornai a casa dove trovai ad
aspettarmi i miei amici e molti dei poliziotti della centrale che erano
venuti per darmi il bentornato. Io apprezzai molto il gesto, nonostante
l’accaduto ero quasi felice.
Il giorno dopo, però, decisi di andare al
cimitero per andare a vedere la tomba di mio fratello. Giunsi
d’avanti al suo sepolcro e la vidi, una tomba in marmo
bianco, sopra vi erano posati fiori e corone e, in cima, una grande
croce dorata con appesa una medaglia del corpo di polizia che faceva da
cornice ad una sua foto. Fu in quel momento, in
quell’istante, che mi resi conto di aver perso mio fratello.
Sentii come un vuoto dentro, una vertigine mi fece cadere sulle
ginocchia e un urlo di rabbia, che sembrava scaturire direttamente
dalla mia anima, accompagnava il mio pianto. Lo sforzo immane di
quell’urlo fece riaprire la grande ferita sul mio petto,
dalla quale iniziò a sgorgare un po’ di sangue, ma
non mi curai di ciò, ero troppo preso dalla mia rabbia che,
assopita dentro di me fino a quel momento, sembrava voler venire fuori
tutta in una volta. Infine, per lo sforzo o per il sangue che
perdevo, caddi a terra stremato e mi addormentai.
Mi risvegliai nuovamente all’ospedale, un passante
mi aveva visto a terra in una pozza di sangue e aveva chiamato i
soccorsi.
- Raziel, se non vuoi ritrovarti qui
anche domani, devi evitare di fare sforzi del genere! Stasera resterai
in osservazione e domani potrai tornare a casa... di nuovo...
Io non risposi, mi limitai ad annuire, avvertivo un
malessere, un male non tanto fisico quanto mentale, era una strana
sensazione, non era rabbia, né delusione, né
tristezza, era peggio di tutte e tre le cose messe assieme, era una
sensazione indescrivibile, orribile.
Tornato a casa osservai i miei genitori negli occhi, ma non
vidi disperazione, non vidi tristezza, non vidi la stessa rabbia che mi
attanagliava.
Non capivo perché si comportassero come se non
fosse accaduto niente, la testa mi scoppiava e quella strana
sensazione, quel malessere, si faceva sempre più intenso, lo
sentivo crescere dentro di me, capii che non potevo continuare ad
andare avanti così, dovevo fare qualcosa. Spesso in
televisione sentivo parlare dei medium, persone con dei speciali poteri
in grado di mettersi in contatto con l’aldilà e
parlare con gli spiriti, ma molti affermavano che si trattava di una
truffa, che non erano veramente in grado di fare quello che dicevano.
Ma se invece potessero? Pensai che provare non mi sarebbe costato
nulla, che ne sarebbe valsa la pena.
Cercai sui giornali, sulle guide, chiesi in giro e girai per
i borghi cercando di trovare uno di questi stregoni. Dopo ore di
ricerche incontrai un signore:
- Salve giovane, ti vedo spaesato,
cerchi qualcosa?
- Veramente si, sto cercando uno di
quei posti dove praticano i medium... Me ne saprebbe indicare qualcuno?
- Sei fortunato ragazzo, io conosco una
medium molto brava, mi ha aiutato molto quando è morto mio
padre. Si chiama Madame Antoniette!
Mi spiegò la strada da fare per raggiungere quel
luogo dopo di che si congedò.
Dopo aver seguito le indicazioni di quell’uomo, mi
ritrovai in una stradina buia e stretta. La strada era
deserta, non passava nessuno, aveva un tono sinistro, ma non ci feci
molto caso e proseguii verso il mio obbiettivo. D’un tratto
notai un’insegna: “un telefono per
l’aldilà di Madame Antoniette”, avevo
trovato il locale che cercavo.
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Capitolo 3 *** La Medium ***
La
Medium
Fissai
a lungo la porta di legno che mi separava dalla persona che, forse,
avrebbe potuto aiutarmi. Pensai: «Ma cosa sto facendo? Io non
ho mai creduto a queste cose, io ho sempre creduto nella scienza e
nelle spiegazioni razionali, non sono un tipo superstizioso».
Eppure ero lì, davanti alla porta di quel locale arcano a
riflettere sul da farsi.
«No! Ci deve pur essere un altro modo!»
Chiusi gli occhi come per non vedere più la porta, quindi la
tentazione di andare oltre, e mi voltai. Riaperti gli occhi vidi
davanti a me l'uscita del vicolo e feci per imboccarlo quando, ad un
certo punto, sentii un grido fanciullesco. Proseguii velocemente per la
mia strada e mi affacciai da dietro il vivolo per scoprire cosa stesse
accadendo e vidi una famigliola, madre, padre e figlio. I due genitori
sedevano su una panchina, mentre il figlio, di età non
superiore ai sei anni, si aggirava intorno a loro saltellando vivacemente
e gridando di rabbia per il suo gelato, caduto a terra per una
distrazione.
Il banbino reclamava il gelato o per lo meno un altro che lo
sostituisse e... «ma perchè sto qui ad
origliare?» pensai rendendomi conto di quello che stavo
facendo. «è solo una famigliola come tante e un
bambino, non devo nascondermi, anzi, non devo proprio stare qui ad
origliare».
Uscii dal vicolo e assunsi un atteggiamento meno furtivo e
più tranquillo. Mi voltai alla mia sinistra con l'intenzione
di imboccare la strada per tornare a casa quando udii una seconda voce,
questa volta più adulta e mascolina. Voltai nuovamente lo
sguardo verso quella famiglia e vidi giungere verso di loro un ragazzo
di circa diciannove o venti anni, con in mano un gelato. Rimasi
immobile a fissare la scena di quel ragazzo che porgeva il dolce al
bambino che, con espressione sollevata e felice, esclamò:
- Grazie, fratellone! -
A quelle parole un brivido freddo scosse la mia schiena, d'improvviso
tornò quella sensazione di vuoto e, ancor peggio, quel
malessere insopportabile, quel misto di rabbia, odio e disperazione.
Corsi nuovamente nel vicolo e a metà di quella fredda strada
mi fermai cadendo sulle mie ginocchia. mi chiusi a riccio poggiando la
testa sul gelido asfalto, come se tentassi di proteggermi da un
pericolo incombente. Una lacrima scese dai miei occhi lungo il viso,
una sola lacrima, l'ultima che volevo versare. Aprii gli occhi e con
fare deciso, bussai alla vecchia porta di legno.
Nessuno rispose. Riprovai una seconda volta, ma nuovamente non ottenni
risposta quindi allungai la mano verso quel pomello arrugginito ma,
prima di poterlo raggiungere, la porta si aprii dinanzi a me. Guardai
oltre la soglia della porta, ma non vidi nessuno. La cosa mi
impaurì leggermente, sembrava di stare in un film
dell'orrore. Ma si trattava della realtà, non c'era quindi
da aver paura perchè nella realtà i mostri e i
demoni non esistono, ma esitono solo le persone malvagie. Con questa
convinzione in testa sbirciai all'interno della stanza, ma poco vidi,
poichè l'ambiente era buio. Intravidi solo dozzine di
ripiani a muro che sorreggevano numerose candele accese e che,
nell'insieme della loro fioca luce, illuminavano appena un tavolino
circolare coperto da un drappo di seta rosso sulla quale poggiava una
sfera di cristallo che luccicava riflettendo la poca luce emessa dai
lumi e, dietro di essa, una figura incappucciata, coperta da un manto
nero pece, sembrava attendermi. Mi soffermai solo un altro momento
prima di addentrarmi in quelle tenebre. Timoroso rimasi in silenzio e
mi voltai per chiudere le porta alle mie spalle.
Mi voltai verso la tetra sagoma e feci per parlare quando venni
anticipato da una cupa voce femminile che proveniva da sotto il manto
nero.
- Ti aspettavo, Raziel -
Ella alzò lo sguardo per cercare il mio, ma io non
riuscivo a vederla in volto, perchè il cappuccio faceva in
modo di nasconderla bene nell'ombra. Quando i miei occhi si abituarono
al buio riuscii a vedere il suo viso dalle narici del suo naso in
giù, l'unica parte illuminata. Si capiva chiaramente che si
trattava di una donna anziana, aveva la pelle molto chiara e piena di
rughe, le labbra screpolate, e una macchia più scura, forse
una voglia, a sinistra del mento.
- Come sai il mio nome? - chiesi perplesso con voce titubante.
- Oh, io so tutto su di te, Raziel. Io vedo tutto, è il mio
lavoro, è il mio potere... - rispose.
Mi invitò a sedermi su uno sgabello situato di fronte al
tavolino, un mobilio che prima non avevo notato. Iniziò a
parlare in modo lento ma carismatico, alternando toni di voce alti a
toni bassi e gesticolando in modo appariscente con le mani aperte, come
se volesse incantarmi, e forse ci stava riuscendo. A lungo
parlò esponendomi la grandezza del suo potere, che le
permetteva di leggere nell'animo umano, liberare da malefici, vedere
nel futuro e comunicare con gli spiriti dell'aldilà.
Proprio per quest'ultima sua capacità io la stavo cercando,
ma non dissi nulla, volevo metterla alla prova.
- Se sai leggere nell'animo umano allora mi puoi anche dire
perchè sono qui! - esclamai.
- Porgimi la tua mano destra giovine - chiese allungando la sua
scheletrica mano in attesa della mia.
In risposta io tesi la mia mano destra come aveva chiesto e lei la
afferrò lentamente poggiando il mio palmo sul suo. La sua
mano era gelida, come quella di un cadavere e altresì
pallida, mi fece uno strano effetto, ma la lasciai fare.
Poggiò l'altra mano sopra la mia, fino a coprirla
interamente sia da sopra che da sotto, ed alzò lo sguardo al
cielo quasi come se entrasse in trans emettendo un flebile lamento.
Successivamente abbassò nuovamente lo sguardo, poi
allentò la presa, girò la mia mano col palmo
rivolto verso l'alto e la fissò. Ero abbastanza sicuro che
stesse leggendo la mano, una cosa abbastanza comune per le medium, ma
non ci avevo mai creduto, così come non avevo mai creduto in
queste cose in generale. La vecchia signora era stata molto convincente
nel suo discorso precedente, tuttavia il mio scetticismo mi spingeva ad
avere molti dubbi, tanto che pensai di andarmene. Ad un certo punto,
però, ella esclamò:
- E così sei qui per tuo fratello... -
Rimasi allibito da tal parole. Quell'intervento cancellò
d'un tratto ogni mio dubbio e scetticismo, come un onda che cancella un
disegno sulla sabbia. «già era strano il fatto che
conoscesse il mio nome, ma come può sapere anche il motivo
per cui sono qui? Nessuno lo sa, con nessuno ne ho parlato, che sia
davvero dotata di un qualche potere? Ma si non c'è altra
spiegazione!»
- Si! Si sono qui per mio fratello! - esclamai ormai convinto che
quella vecchia signora potesse aiutarmi.
- Cosa vuoi da tuo fratello? -
- Vorrei parlargli! E vederlo! E... -
- Ehi ehi ehi, giovane! - mi interruppe con tono svelto - Io sono una
medium, non tu! -
- Che vuoi dire? Non pui mettermi in contatto con lui? -
- Si, ma non fraintendere... Io posso parlargli perchè
posseggo il dono della stregoneria, ma ti posso solo riferire quello
che dice, non puoi parlarci direttamente poichè tu non hai
il mio stesso potere. Altrimenti sarebbe troppo facile non credi? -
- Beh, immagino di si... -
- Ad ogni modo il vederlo è altresì impossibile.
Nemmeno io posso vedere gli spiriti con cui entro in contatto, posso
solo comunicare con loro. -
Riflettei un momento su quanto aveva detto ed effettivamente il
discorso aveva senso, quindi decisi di darle fiducia-
- Daccordo! Puoi allora chiamarlo per me e farmi da tramite? -
- Se è questo che vuoi... -
Poggiò i palmi aperti delle mani sul tessuto di seta
cremisi che ricopriva il tavolino, lasciando al centro la
sfera di cristallo.
- Uh, e io che credevo che la sfera di cristallo fosse solo uno stereotipo
delle chiaroveggenti! - pensai ad alta voce.
- Sbagli, giovane Raziel. La sfera che è posta davanti a noi
è realmente un oggetto con dei poteri. In effetti, non
è altro che uno specchio, uno specchio che mostra
l'oltremondo! E' con questo che troverò tuo fratello prima
di potermi mettere in contatto con lui. - disse a voce sussurrante dopo
aver udito le mie parole.
Alzò quindi le mani posizionandole intorno alla sfera e
abbassò la testa in segno di concentrazione.
- Come si chiamava tuo fratello? - domandò
- Cosa? - chiesi, sperando di aver capito male
- Il nome di tuo fratello, devi dirmelo cosicchè io possa
trovarlo -
- E'... Era... Ni-Nicholas, Nicholas Serafan - La risposta usciva con
difficoltà dalla mia bocca. Era da tanto, troppo tempo che
non lo nominavo. Quando era in vita lo chiamavo continuamente e il suo
nome era diventato una cosa normale, ma ora, ora mi sembrava
così strano, come se fosse un nome nuovo, mai sentito,
eppure era il suo.
- Bene - Disse lei prima di tornare nel suo stato di profonda
concentrazione.
All'improvviso, la sfera si fece più luminosa, e l'arcana
signora esclamò: - Trovato! -
Una sensazione di sollievo interruppe il senso di agitazione che
permeava il mio corpo fino a quel momento e con trepidazione chiesi
subito di iniziare a comunicare con lui.
- Nicholas... Nicholas... Io ti invoco! -
La strega chiamava dall'oltremondo lo spirito del fratello affranto. Il
tavolo tremava, l'aria carica di energia diventava sempre
più cupa, i brividi salivano lungo la mia schiena.
D'un tratto tutto si acquietò, fu allora che la medium mi
chiese di dirle cosa doveva comunicare al fratello.
- C-C-Ciao, Nick! - dissi alla vecchia come riferendomi al mio defunto
fratello.
- Nicholas, tuo fratello, Raziel, ti saluta - disse lei facendo da
tramite
Rimase in silenzio un attimo e subito rispose: - Tuo fratello ricambia
il saluto, ma aggiunge di essere rammaricato e chiede venia per averti
abbandonato -
Non ci potevo credere, stavo comunicando davvero con Nicholas. Ero
pieno di entusiasmo, quasi felice per quello che era riuscita a fare
quella vecchia.
- Gli dica che... -
- Giovane Raziel - interruppe una secona volta le mie parole - ti ho
dato dimostrazione delle mie capacità, ma richiamare uno
spirito non è cosa da poco, impegno una quantità
enorme di energia mistica ed è molto stancante. Per questo
io, ai miei clienti, chiedo di pagare una somma, in fondo è
un lavoro e come tale richiedo un salario, se così si
può dire -
Questo suo intervento sospese quel momento di entusiamo, ma pensandoci
aveva ragione, e io stesso mi aspettavo che chedesse qualcosa in
cambio, ma me ne ero del tutto dimenticato, preso dal corso degli
eventi.
- Quanto chiedi per il tuo servizio? - domandai
- Il prezzo per questo tipo di pratica, proprio per la sua
difficoltà e impegno, è di 80€ l'ora,
giovane Raziel - rispose
Una cifra che andava ben oltre le mie tasche, e per un momento vidi
sfumare quella possibilità.
- Vedi, io non posso permettermi questa cifra... - dissi
- Non preoccuparti, la prima seduta, ovvero quella che c'è
appena stata, è gratuita - disse con voce tremante, mentre
con un movimento sciolto, come di liberazione, fece tornare lo spirito
di Nicholas al posto che gli era dato.
- Ho fatto tornare Nicholas nel suo mondo, è difficile
mantenere uno spirito ed è anche pericoloso -
- Pericoloso? Perchè pericoloso? -
- Perchè c'è il rischio che lo spirito non torni
nell'oltremondo e che quindi vaghi per l'eternità sulla
terra come anima smarrita. Ma non preoccuparti, non
permetterò che questo accada. Comunque, ogni volta che
vorrai, se riuscirai a procurarti quella piccola somma, sarò
lieta di ripetere l'esperienza per te - disse la vechia con tono
rassicurante.
- Daccordo, Madame Antoniette - dissi, e con un cenno di gratitudine mi
congedai.
Uscii da quella stanza e mi ritrovai nuovamente in strada. La debole
luce del sole che filtrava attraverso gli alti palazzi mi accecava,
sembrava di essere tornati da un'altro mondo, un delicato venticello mi
colpì facendomi provare una piacevole sensazione. Avevo
ritrovato la felicità, la voglia di vivere, ma per
prolungare questa felicità avrei dovuto fare altre sedute.
Così decisi di entrare nel corpo di polizia di mio padre, e
seguire le orme della mia famiglia, anche se il vero motivo era il
salario che avrei speso da Madame Antoniette.
Corsi a casa e presi mio padre da parte:
- Papà ho deciso di entrare a far parte del corpo di polizia
e seguire le tue orme, e quelle di Nicholas. Che ne dici? Posso? -
dissi allegramente
- Raziel, non so cosa ti abbia reso d'improvviso così
sorridente, ma ne sono felice. Certo che puoi non speravo altro! Ora
che hai finito la scuola e ti sei diplomato non c'è
più alcun problema. Iniziamo domani stesso - rispose
sorridendo
E così fu. Il giorno dopo mio padre mi presentò
ai suoi colleghi formalmente come nuovo agente ache se in
realtà conoscevo già tutti e non avevo ancora
nemmeno fatto il concorso di ammissione. Tutti mi accolsero con un
applauso e sembravano entusiaste della mia decisone.
Per quasi un anno ho lavorato nella polizia, e per quasi un anno, ogni
settimana, andavo da Madame Antoniette per una chiaccherata, se
così si può definire, con mio fratello il tutto
senza dire niente a nessuno. Tutto sembrava volgere per il meglio,
almeno fino al giorno in cui la mia felicità stava per
essere nuovamente turbata.
Era il 17 Aprile, il sole picchiava e il caldo faceva pensare
più ad una giornata estiva, che ad una primaverile. Come di
consueto mi stavo dirigendo dalla vecchia indovina, quando notai un
gruppo di passanti curiosi ammassati nel tentativo di vedere cosa
stesse accadendo. Avvicinandomi notai i lampeggianti di una volante
allora, capendo che si trattava di un blitz della polizia, mi feci
strada tra la folla mostrando il mio distintivo in modo tale che mi
facessero passare. Raggiunto un cordone di segnalazione mi fermai e
osservai la scena. Un paio di pattuglie della polizia erano appostate
l'una di fronte all'altra, e un poliziotto scriveva qualcosa su un
blocco per gli appunti mentre un altro stringeva per i polsi una
signora. L'agente ammanettò la donna e le fece poggiare la
testa sul cofano della volante per poterla perquisire come imponeva la
procedura standard. La donna era sulla sessantina, aveva lunghi ed
esili capelli bianchi e dalle mani si vedeva una carnagione chiara
accompagnata da una corporatura molto magra. Finita la perquisizione,
l'agente tirò su la signora che con sguardo truce si
voltò verso la folla di curiosi e mi vide. Aveva gli occhi
azzurri chiarissimi, glaciali. Con fare amichevole mi fissò
e accennò un sorriso, fu allora che mi accorsi di una voglia
sul lato sinistro del mento e fu allora che mi resi conto di chi fosse
quella donna.
Rimasi un momento immobile mentre la facevano sedere sul sedile
posteriore della vettura, nel tentativo di rendermi conto della
situazione, poi oltrepassai il cordone per andare a chiedere
spiegazioni, sicuramente ci doveva essere uno sbaglio. Feci due passi
verso il mio obbiettivo quando venni fermato da una voce:
- Ehi, Raziel! Hanno mandato anche te? -
Era Alex, un collega del mio distretto. Pensai che lui potesse saperne
qualcosa di più sull'accaduto così chiesi.
- Ciao, Alex. No, ero solo di passaggio, ma cosa sta succedendo? -
- Abbiamo arrestato una truffatrice -
- Truffatrice? - chiesi con stupore
- Si, ingannava i suoi clienti dicendo di possedere strani poteri di
parlare con i morti... Le solite stronzate da chiromante insomma!
Riusciva a spillare ingenti somme ai poveri malcapitati. Ntz.. Certo
che la gente quando è disperata crede proprio a tutto eh,
Raziel? - chiese con tono sarcastico - Raziel?? Ehi Raziel??? -
Rimasi attonito. Non riuscivo a rispondere, ripensavo a tutte le volte
che ero andato da lei per un consulto, non potevo credere che fosse
tutto un imbroglio.
- Si, si... Credono proprio a tutto... Scusa ma ora devo scappare, ho
una cosa urgente da fare - risposi con sguardo truce
- Va tutto bene? Non hai una bella cera -
- Si si, non preoccuparti. Sono solo un po' stanco. Ah senti, dove la
stanno portando? -
- Da noi, nel nostro distretto. Perchè? -
- No no niente, semplice curiosità. Ora devo proprio andare,
ci vediamo alla centrale -
- Ok, a presto allora -
- Si, a presto... -
Iniziai a camminare senza meta, volevo riflettere sull'accaduto. Non
sapevo come avrei dovuto sentirmi, perchè non avevo
più nessuna certezza, non ero sicuro che gli agenti avessero
ragione sul suo conto, ma allo stesso modo non ero più
nemmeno sicuro di Madame Antoniette.
Nel corso della camminata mi fermai ad un distribuore automatico e
comprai un pacco di sigarette, uno qualunque, tanto non fumavo e non
avevo mai fumato prima. Qualcosa mi spinse tuttavia ad iniziare quel
vizio, forse perchè vedevo moltissime persone intorno a me
che fumavano col sorriso stampato sul volto, e allora credevo anzi, mi
illudevo che il fumare potesse rendermi felice. Fu pensando a questo
che mi resi conto che la mia felicità di colpo era
nuovamente svanita.
La storia non finisce
qui, aggiungerò nuovi capitoli con cadenza settimanale (se
riesco). Vi prego di avere pazienza e di recensire, anche le critiche
sono accettate =). Grazie a tutti.
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