behind your eyes

di Elendil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Morte e devastazione.

L’odore acre del sangue mischiato a quello di putrefazione dei morti.

Il clangore sordo delle armi che cozzano fra di loro, si allontanano vibrando minacciose nell’aria immobile per poi rincontrarsi ancora in una nuova danza mortale, una danza che deciderà la morte o la vita di coloro che ne prendono parte.

Una danza infernale, maledetta, ma incredibilmente affascinante.

Infine l’affondo.

La lama che affilata penetra nella carne del malcapitato tranciando sul suo cammino nervi,arterie e tutto ciò che di vivo incontra sul suo cammino.

La danza giunge finalmente al suo termine.

Il vincitore si gira verso un pubblico che solo i suoi occhi possono scorgere mentre il vinto, gli occhi sbarrati, guarda la morte avvicinarsi silenziosa per portarlo con se negli inferi.

Per lui non ci sarà più una nuova, travolgente esibizione.

L’unica cosa che può fare è rimettersi alla clemenza del pubblico.

Adoro la guerra.

Adoro il sangue e tutto ciò che lo provoca e che ci gira attorno.

Adoro l’odore di paura che vaga per il campo di battaglia prima dello scontro, le urla stridule e impaurite prima della carica.

Il penetrante puzzo di sudore degli uomini mischiato a quello del ferro delle armature e delle bardature dei cavalli.

Quello nauseabondo dell’urina dei meno coraggiosi che sanno di non potersi ormai più ritrarre al loro destino.

Io, Inuyasha Miyoshi,principe della prestigiosa casata Miyoshi, adoro la guerra, la morte e più di ogni altra cosa la devastazione.

 

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


Il campo di battaglia è ormai silenzioso, la battaglia conclusa, un basso strato di nebbia grigiastra sembra imputridire ancor

Il campo di battaglia è ormai silenzioso, la battaglia conclusa, un basso strato di nebbia grigiastra sembra imputridire ancora di più il terreno ingombro di cadaveri e sangue ancora fresco.

Una fanghiglia immonda, la fanghiglia di cui si ciba il diavolo e nessun altro.

Qua e là, i gemiti dei feriti e dei moribondi risuonano spettrali per la desolante pianura dove solo pochi istanti prima due imponenti eserciti hanno disputato una terribile battaglia.

Già orde di mosche infestano l’aria malsana mentre le loro larve si cibano della carne morta dei cadaveri mentre qualche corvo affamato cerca di raggiungere ingordo la propria cena.

In mezzo a tutto ciò si erge una figura umana.

Il busto ritto, il capo lievemente bilanciato all’indietro in una posa fiera e sprezzante.

Un maleodorante alito di vento scuote per un secondo i suoi capelli grondanti si sangue vermiglio anticamente di color argento vivo mentre il viso, piegato in un lieve ghigno malvagio porta i segni della battaglia appena disputata: sporco anch’esso del sangue di malcapitate vittime, porta ora il segno di una bruciante ferita sulla guancia destra.

Il sangue solo per metà umano del mezzo spettro gocciola regolare dalla mandibola per poi ricadere sullo yukata rosso fuoco.

E’ solo.

Vivo in mezzo ai morti.

In mano tiene una spada lucente e affilata che alcuni avrebbero potuto definire troppo grande e pesante per lui ma per chi, e sono  veramente pochi, ebbe la fortuna di vederla vibrare nelle mani del suo padrone e rimanere poi in vita, quella spada avrebbe per sempre rappresentato un’arma invincibile che solo il mezzo demone avrebbe potuto brandire.

Inuyasha osservò attentamente la lama macchiata di rosso e, con un ghigno se la portò al viso.

Con evidente piacere leccò lievemente quella sostanza dal sapore ferroso mentre la memoria degli esseri umani a cui apparteneva vagavano nella sua mente.

Sorrise con evidente soddisfazione.

Umani in meno da uccidere.

“Non dovresti gioire così tanto della morte di innocenti, Inuyasha”

Il mezzo demone si voltò lentamente verso il proprietario di quella voce bassa e profonda, solo lievemente annoiata.

“ Gli umani non sono mai innocenti, Sesshoumaru”

Il demone sorrise lievemente, un ghigno che poco aveva a cui spartire con quello di Inuyasha: meno crudele, divertito, ma ugualmente freddo e spietato.

Sesshoumaru, il fratello maggiore di Inuyasha, il legittimo erede al trono.

Inutaro Miyoshi, signore del regno di MItrendil, terra di Youkai e Anyou, aveva avuto due figli Sesshoumaru ed Inuyasha.

Sesshoumaru, concepito con la defunta moglie Youkai e legittimo erede al trono, era conosciuto, oltre che per la mirabile bellezza per la sua glaciale freddezza e spietatezza sia in ambito militare che politico: non aveva riguardi per l’avversario a cui non riconosceva nulla se non la sconfitta.

Ogni altro sentimento gli era sconosciuto, e questo faceva di lui un nemico temibile e inarrestabile.

Non risulta che egli avesse amici o consocianti a cui riconoscesse un atteggiamento differente.

Inuyasha, d’altro canto, concepito con la seconda moglie umana del re, una nobile di alto rango che sembrava avergli rubato il cuore morta purtroppo durante il parto, era estraneo alla gelida freddezza del fratello.

Tanto spietato quanto crudele, si batteva con furia inarrestabile in ogni battaglia che affrontava.

Le sue mani erano sporche del sangue di centinaia di vittime a cui non aveva mai riservato pietà o compassione.

Sesshoumaru osservò imperturbabile il sangue che ancora gocciolava dai capelli argentati del mezzo demone.

Sorrise beffardo:lui non aveva preso parte alla battaglia, tenendosi al riparo dalla furia e dall’odore nauseabondo che sembrava impregnare ogni cosa in quel luogo nelle retrovie.

“ E’ meglio che tu ti dia una lavata, fra poco entreremo nella città…e non credo che tu ti voglia perdere lo spettacolo”

Inuyasha sorrise maligno “ No…decisamente no”

 

Poco dopo entrambi i fratelli avanzavano in groppa a due fieri stalloni neri verso le porte della città ormai sguarnita di difese.

Dietro di loro, anch’essi a cavallo, vi erano i portabandiera che reggevano con sicurezza le insegne della nobile casata dei Miyoshi: un dragone in volo, metà bianco e metà nero.

Con sguardo attento Inuyasha osservò la fortezza ormai caduta: gli imponenti muri color sabbia alti fino al cielo si ergevano fieri alla difesa di una città ormai morta e senza difese.

Davanti a lui, una imponente porta color ebano portava inciso nel legno pittoresche figure rappresentanti scene di battaglia antiche come la memoria.

Sembravano robuste.

Se la città si fosse ostinata a non cadere, abbatterle sarebbe stato un problema non sottovalutabile.

Strinse maggiormente le redini del suo fedele destriero.

Lentamente, con la sicurezza di chi sa ormai di avere la vittoria in pugno, trottarono verso le imponenti porte della fortezza fino a che le mura furono così vicine da oscurare il grigio pallido del cielo.

Si fermarono.

Da dentro non proveniva nessun rumore, come se la città fosse deserta.

Inuyasha sbuffò: codardi.

Improvvisamente Sesshoumaru parlò “ Sono Sesshoumaru Miyoshi, principe della casata dei Miyoshi e futuro erede al trono.

Il vostro esercitò è stato distrutto e le vostre difese sono ormai cadute.

Arrendetevi, e non vi sarà fatto alcun male, le vostre vite saranno risparmiate così come la vostra integrità politica e spirituale, tentate di resistere ed allora per voi non vi sarà alcuna pietà: le vostre case verranno bruciate, le donne violentate e i bambini gettati in pasto alle belve feroci.”

Tacque.  

Silenzio.

Inuyasha si mosse stizzito sulla sua sella: la diplomazia gli faceva venir voglia di vomitare.

Pesanti gocce di pioggia iniziarono a cadere dal cielo ormai grigio piombo andando a tingere di chiazze più scure le mura color sabbia della città sotto assedio.

Silenzio.

Lo sguardo imperscrutabile di Sesshoumaru vagò attento verso le torrette di guarda miseramente vuote, le minuscole feritoie sguarnite di occhi scrutatori ed infine alle porte massicce ed imponenti.

Il mezzo demone sorrise beffardo: sapeva che cosa stava osservando il fratello, e questa consapevolezza lo riempiva di un’immensa gioia.

Improvvisamente un rumore metallico riscosse i suoi sensi.

Con uno scatto voltò nuovamente la testa verso le porte color ebano della città:si stavano dischiudendo.

Con un suono cupo e profondo misto al cigolio assordante delle giunture, le enormi ante si aprirono dinnanzi a loro mostrando così una lunga via lastricata in marmo bianco e rosa strettamente ridossata ad imponenti case bianche come la neve dalla forma alta e slanciata.

Le finestre dalla linea stranamente allungata erano contornate da mirabili cornici dipinte o scolpite a mano dai colori vivaci:blu, rosso, verde ed arancio erano quelli più ricorrenti.

Il mezzo demone fece vagare lo sguardo per le strette viottole che separavano una casa dall’altra e  per i piccoli e selvatici giardini che contornavano alcune abitazioni sorprendendosi di come, da ogni punto spuntassero occhi curiosi e vivaci e visi scavati dal tempo e dalle intemperie.

Guardò il fratello che ammiccò soddisfatto: solo donne, bambini e vecchi.

Con un movimento brusco, Inuyasha spinse lo stallone in avanti seguendo così quello di Sesshoumaru che già procedeva lento verso una figura magra e leggermente curva che sembrava attenderli a pochi metri dall’entrata.

Dietro di loro l’ampia schiera di soldati a cavallo si mise lentamente in moto verso le porte della città.

“ Siate i benvenuti, stranieri “ li accolse il vecchio.

Un sacerdote, a giudicare dalle vesti lunghe fino ai piedi di un tetro color blu notte e dal sottile bastone dorato che teneva fieramente nella mano destra.

L’uomo si inchinò leggermente in segno di saluto.

I due principi rimasero immobili sulla loro sella.

“ Principe Sesshoumaru,principe Inuyasha, ora la città di Sirion è vostra.

Vostra e di tutta la vostra famiglia” continuò senza smettere di fissare il terreno.

“ Ogni ricchezza in essa contenuta è ora a vostra disposizione così come ogni uomo, donna o bambino”

Sul volto di Sesshoumaru comparve un lieve sorriso gelido come il ghiaccio.

“ venerabile sacerdote.”

Il vecchio alzò lentamente il capo così da poter guardare in viso i nuovi signori di Sirion, rabbrividì visibilmente: I fratelli Miyoshi erano da tutti descritti come sanguinari conquistatori che non concedevano nessun diritto al nemico sconfitto, neanche quello della vita.

Con terrore si chiese se quelle voci fossero fondate.

Il principe ereditario lo scrutò un secondo con sguardo concentrato, soffermandosi poi insistentemente sugli occhi.

Il povero sacerdote distolse lo sguardo.

“Venerabile monaco…” una voce pungente lo costrinse ad alzare di nuovo lo sguardo per posarlo questa volta sul viso affilato del secondogenito.

Inuyasha era seduto in groppa ad un cavallo nero come la notte e guardava con sguardo a metà fra l’altezzoso e il divertito il sacerdote.

“ Voi dite…” con un leggero strattone fece avanzare di poco il destriero verso di lui “ Che tutte le ricchezze della vostra città sono nostre…giusto?”

“Certo principe, è quello che ho detto”

Sul volto dell’hanyou si disegnò un lieve ghigno malizioso “ E allora dimmi…bonzo:quali ricchezze custodisce Sirion?”

Una fredda goccia di sudore imperlò la fronte corrucciata del vecchio “si-signore…principe…noi-noi…noi custodiamo pietre preziose,oro,gioielli,sete pregiate,donne di rara bellezza, cibi e frutti mai visti, dipinti di inestimabile valore…”il mezzo demone alzò una mano per zittirlo.

“molto bene”disse freddamente”molto bene….”voltò con uno strattone il cavallo verso i soldati che se ne stavano allineati alle loro spalle. Prendete tutto quello che volete, tutto ciò che il bonzo ha descritto, perché è vostro.”Sesshoumaru voltò rapido anche il suo destriero”… e poi bruciate la città”.

Inuyasha guardò i volti esultanti degli uomini e fu preso da un senso di disgusto:gli uomini erano così stupidi.

Stupidi e sporchi.

Bastava dare loro qualche pietruzza colorata, fargli avere qualche sporca umana da violentare per soddisfare i loro desideri animaleschi e roteare un poco la spada per fargli capire che cosa gli sarebbe successo se si fossero ribellati e loro diventavano dei divertenti giocattolini nelle mani di chiunque.

Pronti a morire per il proprio comandante o per meglio dire capobranco e dotati di un’intelligenza pressoché esigua, erano ciò che di meglio serviva in battaglia:carne da macello.

Lo sguardo del mezzo demone si contorse in un’espressione indolente “ Non risparmiate nessuno, prendete tutto ciò che volete…..ORA ANDATE!!”

Un accorato urlo di gioia si sollevò dalle file di soldati fin oltre le porte color ebano accompagnato poi dal galoppare rapido degli zoccoli sul marmo bianco, dalle prime urla di donne e bambini, di porte abbattute, di grida terrorizzate e dal clangore sordo del ferro delle spade.

Senza voltarsi nemmeno una volta Inuyasha e Sesshoumaru uscirono lentamente dalla città.

Non c’era un motivo specifico per la loro decisione;semplicemente quella città non era di loro interesse.

Dietro di loro, una figura magra e un poco ingobbita fissava i riflessi argentei dei loro capelli divenire sempre più lontani fino a perdersi completamente nel fumo nero che aveva iniziato ad invadere Sirion come una marea nera.

Gli occhi spalancati per lo stupore e l’orrore celavano un’unica domanda insidiosa quanto semplice: Perché?

Perché bruciare la città?

Perché uccidere i suoi abitanti?

Perché distruggere un luogo di pace e prosperità fino alle fondamenta?

La vista per un secondo gli si annebbiò, coperta da un sottile velo che faceva apparire ogni cosa tremolante ed indefinita.

Il vecchio si girò.

Il bagliore rosso vivo delle fiamme lo accecò mentre il calore delle lingue di fuoco sembrava un respiro rovente pronto ad incenerirlo in un secondo.

Il sacerdote non si mosse.

Davanti a lui, una figura in controluce si stava avvicinando a grande velocità.

Sembrava un uomo a cavallo.

In mano aveva una lunga spada che rifletteva con tanto fulgore l’infernale luce delle fiamme da sembrare un’antica arma di un Dio caduta in mano ad una creatura delle tenebre.

Il cavaliere era sempre più vicino.

Il vecchio alzò lo sguardo.

Stava piovendo.     

 

Inuyasha fissò con sguardo truce i prigionieri

Inuyasha fissò con sguardo truce i prigionieri.

Pecore al macello.

Puzzavano di carne bruciata e sangue.

Disgustoso.

Piccoli occhi spauriti si guardavano intorno smarriti alla ricerca di una salvezza ormai negata.

Di una casa ormai sepolta sotto tonnellate di macerie.

“Il bottino di guerra, principe”esordì tronfio un uomo alla sua sinistra.

Il mezzo demone lo incenerì con lo sguardo “ Donne e bambini spauriti e bruciacchiati non mi sembrano un bottino”

Lo sguardo dell’uomo per un secondo si tinse di paura: quello era il piatto forte.

“ Mi-mi scusi principe…”ansimò “ il resto del bottino è in quella tenda, secondo ordine di suo fratello”

“Bene”.

Il soldato si dileguò alla velocità della luce.

Il suo sguardo vagò indifferente per il gruppo dei prigionieri seduti a terra con mani e piedi legati a pesanti catene.

Molti si ritrassero al suo sguardo mentre altri lo sfidarono apertamente a soffermarsi ad osservare.

Li ignorò.

Simili dimostrazioni di orgoglio erano tipiche di chi non ha ormai più nulla da perdere:solo la sua vita,la vita di chi ormai non ha più nulla per cui serva vivere, una vita che non ha più nessun valore soprattutto per il suo proprietario.

Finalmente la trovò.

Una ragazza dai capelli castani leggermente ondulati, gli occhi verde smeraldo dalla sottile pupilla sconvolti per la paura,  labbra carnose disidratate ed insecchite dal calore delle fiamme, il corpo ricoperto da lividi ed escoriazioni causate da un’impossibile fuga verso la salvezza.

Una youkai gatto.

Piccoli artigli anneriti spuntavano dalle dita affusolate e ricoperte di fuliggine.

Se li immaginò conficcati nella pelle della sua schiena.

Si leccò le labbra con evidente malizia.

“Lei” disse con voce piatta.     

 

Sesshoumaru, lo sguardo serio e concentrato,fissava una cartina spiegazzata e annerita dall’uso frequente.

Le sue dita affusolate disegnavano immaginarie traettoie e confini.

Era preoccupato.

Suo padre la faceva semplice:conquistare tutta le terre occupate dagli umani e ridurle in schiavitù.

Non importava come e con quali mezzi, l’unica cosa che contava era la rapidità:suo padre odiava le guerre lunghe e snervanti.

Già.

Lui, seduto al trono del suo magnifico palazzo d’oro la faceva semplice.

Ma per lui che ogni secondo doveva fare i conti con la dura realtà dei fatti, i progetti del padre erano tutt’altro che facili.

Certo, fin ora la loro avanzata era stata rapida e devastante.

Nessuno aveva saputo opporsi alla loro evidente forza.

Loro erano youkai, non semplici umani indifesi !!!

Ma ora le cose si stavano complicando;stavano per entrare nelle terre sotto l’influenza della potente città di Zaccar.

Oltre che fiorente centro di scambi e commerci, essa disponeva di un potente esercito di soldati scelti(non gli zotici e i nullafacenti che di solito componevano le milizie umane…)di moderne tecnologie di difesa come balestre e catapulte e di nuove quanto vincenti tattiche di guerra.

Ma non era questo che turbava maggiormente il giovane principe: ci voleva questo ed altro per fare paura ai suoi uomini, e di certo l’intelligenza per elaborare strategie non mancavano ne a lui ne a suo fratello.

Ciò che veramente lo preoccupata era il corpo speciale di guerriglia che,si diceva, il re stesso avesse scelto e formato reclutando i soldati più valorosi del suo esercito, prigionieri di guerra,ladri, banditi, selvaggi di ogni specie e genere e i membri delle tribù più sanguinarie che abitavano le sue terre.

Un esercito di maledetti.

La fronte del principe si aggrottò ancora di più.

Maledizione!

Ammesso che la loro esistenza fosse vera quanto la loro forza, non avrebbe avuto alcuna arma con cui affrontarli: il solo nome bastava per gettare gli uomini nel panico e, come un buon generale sa, la paura è ciò che di più pericoloso possa accadere in battaglia.

Figuriamoci il panico.

Era un rischio dannatamente grosso quello che stava per correre:per affrontare Zaccar gli servivano uomini coraggiosi e sprezzanti della morte….non coniglietti spaventati dal lupo cattivo.

Dannazione!

In quel momento entrò nella tenta color rosso india Inuyasha.

Gli bastò uno sguardo al volto corrucciato del fratello per capire che c’era qualcosa che non andava, e un secondo alla cartina per capire che si trattava di affari di guerra.

Sospirò scocciato andando ad accasciarsi scompostamente su di una poltrona posta non lontano da quella del fratello.

“ Avanti fratello”biascicò rassegnato”dimmi che cosa ti angustia”

Sesshoumaru,senza alzare lo sguardo dalla cartina stropicciata schioccò sonoramente la lingua sul palato.

“Avanti, sai che prima o poi me lo dovrai dire: sono io il capo delle forze armate, dell’esercito, e di tutto ciò che ha a che fare con battaglia e strategia…che cosa ti preoccupa?”

Il primogenito alzò lo sguardo preoccupato verso di lui “mi preoccupa la prossima città che dovremo assaltare, Zeccar”

Il viso del mezzo demone si piegò in una strana smorfia di scherno” ti preoccupa la città…o chi ci sta dentro, Sesshoumaru?”sorrise sarcastico “o forse ti preoccupano delle specifiche persone che vi abitano?”

“mi da di che pensare la squadra scelta del re, la carta vincente, e il suo mazzo già spaventosamente fornito”

“che paroloni fratello...ti spaventi per quattro contadini con in mano forconi e rastrelli?Hai forse paura che ti pettinino i c…”senza riuscire nemmeno ad accorgersene, Inuyasha si ritrovò schiantato a terra con una mano del fratello stretta con forza intorno alla gola.

“Quelli non sono contadini con in mano rastrelli e forconi!! Quelli sono soldati scelti appositamente dal re per difendere se stesso e la città nel caso di un attacco superiore alle loro forze!!”

“Noi siamo in numero maggiore e in forza nettamente superiore Sesshoumaru!” ansimò il mezzo spettro ancora schiantato al suolo.

“ Tu non hai visto di che cosa sono capaci fratello! Sono creature maledette che conoscono solo il sangue e la morte.

Nessuno dei nostri soldati resisterà alla loro fama una volta sul campo di battaglia!”

Inuyasha afferrò con uno scatto il braccio del fratello e, con una mossa fulminea si divincolò dalla stretta per poi portarsi a qualche metro di distanza” Resisteranno.”disse con tono deciso “ giuro su Dio che quando verrà il momento di combattere, loro saranno pronti ad affrontare il diavolo stesso”

Detto questo uscì dalla tenda lasciando un Sesshoumaru meno composto del solito a scervellarsi sul da farsi.

Il mezzo spettro sbuffò: farsi terrorizzare così da stupide storie passate di bocca in bocca per anni fino a che della trama originaria non sia resistita altro che l’idea era assurdo.

Scosse la testa:aveva altro a cui pensare ora.

Qualcosa di molto meno angoscioso e decisamente più piacevole.

Entrò nella sua tenda posta un poco in disparte dalle altre:sapeva benissimo che la posizione della sua tenda sarebbe dovuta essere esattamente in mezzo all’accampamento, accanto a quella del fratello.

In caso d’attacco quello sarebbe stato il luogo più protetto.

Ma lui aveva preferito restare ai margini dell’accampamento:ne aveva abbastanza del fetore degli uomini, delle latrine all’aperto, e dei cavalli.  

Entrò.

Lei era li.

Seduta come una principessa araba sulle dura lenzuola del letto, unico arredamento della tenda.

Lavata e profumata sapeva di fiori.

Il corpo perfettamente pulito era avvolto in una leggera veste color cielo che lasciava generosamente intravedere alcune parti molto interessanti.

Sorrise malizioso.

Lei alzò gli occhi verso di lui, con aria timorosa e affascinata allo stesso tempo.

Il ghigno di Inuyasha si trasformò rapidamente in un sorriso gentile e dolce come non era lui.

Si fermò quando le fu a poca distanza.

“come ti chiami?”

La vide tremare leggermente.

Era quasi troppo facile.

“Hai un nome?”chiese con tono gentile.

La ragazza annuì debolmente,gli occhi fissi al pavimento.

“E qual è?”

“Ari”

“Ari…”il mezzo demone saggiò il sapore di quel nome come se si trattasse di qualcosa di decisamente appetitoso e stuzzicante.

“ Ciao Ari….io sono Inuyasha”

“ Sei il principe che ha ordinato ai soldati di bruciare la città?”La ragazza sollevò timidamente lo sguardo andando ad incontrare i suoi occhi.

Erano verdi.

“Si. Sono io”

“perché lo hai fatto?”

Inuyasha si avvicinò lentamente al letto sul quale era seduta la ragazza.

Si chinò davanti a lei,così da incontrare direttamente il suo sguardo insicuro e timoroso.

“ Secondo te?”le chiese in un sussurro.

Lei lo guardò confusa”Io…io non lo so”

Inuyasha la guardò intensamente.

“Hai perso qualcuno a te caro?”

“S..si”

“Chi?”

Lei esitò, e lui lesse nei suoi occhi un dolore ancora pulsante.

Perfetto.

Fra un paio di minuti lei sarebbe stata li su quel letto sotto di lui, a gridare con tutto il fiato che aveva in gola il suo nome.

Non gli piaceva violentare le sue prede.

Urlavano troppo, si divincolavano e si irrigidivano.

Tutti inconvenienti che lo portavano a godere la metà di quello che avrebbe goduto con una scopata consensuale.

“ Hai perso i tuoi fratelli?”

Lei annuì debolmente.

“ Tua madre dov’è?”

I suoi occhi verdi si riempirono di limpide ed innocenti lacrime” E’…é…è morta anche lei….e anche mio padre e….”la voce le si spezzò in gola mentre scoppiava in lacrime.

Con un gesto lento e controllato Inuyasha allungò una mano verso di lei andando a sfiorare i lunghi capelli castani raccolti in una semplice treccia sulla schiena.

La ragazza ebbe un leggero sussulto ma non si ritrasse al contatto.

Si alzò lentamente in piedi e, leggero si sedette accanto a lei.

“mi dispiace” disse prima di circondarle le spalle con entrambe le braccia e attirarla dolcemente verso di se.

Immediatamente i singhiozzi della ragazza divennero più forti e disperati mentre sconvolta cedeva a quell’abbraccio consolatore.

Per un tempo che a lui sembrò infinito la tenne stretta fra le sue braccia accarezzando dolcemente la sua schiena che sembrava rilassarsi ogni momento di più fino a che,stanco di recitare la parte del santo consolatore decise di agire.

Le si scostò leggermente e con una mano le sollevò di poco il mento in modo da incontrare i suoi occhi arrossati dalle lacrime.

Lei lo guardò.

Non era spaventata.

Ormai si fidava di lui.

Con un dito le accarezzò dolcemente la guancia asciugando alcune perle salate che ancora la rigavano.

“Non piangere Ari”le disse in un sussurro a fior di labbra “ Loro non lo avrebbero voluto”

La ragazza continuò a fissarlo, incapace di parlare.

Inuyasha le scostò alcuni capelli dal viso” Sei così bella…”

Le si avvicinò andando a sfiorare le sue labbra in un bacio leggero.

La sentì immediatamente dischiudere le labbra permettendo alla sua lingua di incontrare quella di lei.

La strinse a se con forza.

Fra poco quella stupida youkai avrebbe iniziato a servire a qualcosa.

Si scostò dal bacio per andare a morderle il collo generosamente scoperto:sapeva di pesca ed era morbida da impazzire.

Affondò i denti in quella carne così appetitosa mentre la ragazza si lasciava scappare un gemito sommesso.

Percorse entrambe le morbide spalle per poi scendere più in basso, verso i seni.

Le sue mani volarono rapide alle spalline del vestito color cielo facendolo scivolare dolcemente fino alla vita della ragazza.

Lei aveva gli occhi chiusi, tutti i sensi avvolti dalle sensazioni che sapeva le stava trasmettendo.
Aveva il respiro pesante, il seno che si alzava ed abbassava con un ritmo affannato.

Sogghignò soddisfatto iniziando a sfilarsi lo yukata rosso fuoco.

 

Sesshoumaru si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona della sua tenda.

Era da poco arrivato un messaggero proveniente dalle terre di Mitrendil con il quale suo padre lo informava che l’opera di conquista doveva continuare, e specificatamente doveva essere rivolta verso Zaccar, potente città commerciale.

Dannazione a suo padre.

Se pochi minuti prima stava valutando la possibilità di attaccare un’altra città rinviando quello scontro, ora non aveva più nessuna scusa per temporeggiare.

Maledizione!

Si rialzò con uno scatto uscendo veloce dalla tenda.

Si fermò guardandosi intorno.

“Stan!”

Subito davanti a lui comparve un demone dalle sembianze umane piuttosto giovane e tarchiato.

“Si signore?”

“Vai a chiamare Inuyasha, gli devo parlare”

Lo youkai assunse un’espressione stranamente imbarazzata ed ansiosa.

“Emh…signore…”Sesshoumaru inarcò le sopracciglia:perché quell’idiota era ancora li?

“Che cosa c’è?”

“Emh…vede…signore…in questo momento Inuyasha è nella sua tenda con una…emh…prigioniera”Il suo tono tremante infastidì il principe ancora più della notizia.

“ E allora?Io ti ho detto di andare a chiamarlo.”

Il povero sottotenente chinò velocemente il capo per poi iniziare a correre in direzione della tenda di Inuyasha.

 

Il mezzo demone era ora sdraiato sopra il demone gatto e, le sue gambe avvolte intorno ai suoi fianchi, spingeva in lei con forza e determinazione.

Lo sguardo fisso su di lei la vide abbandonarsi completamente a quel gesto antico e primitivo come l’uomo stesso, muoversi febbrilmente contro di lui fino a che, con un grido strozzato la sentì inarcarsi in uno spasimo verso di lui, gli occhi dilatati ora rivolti nei suoi ed allora anche lui si lasciò andare all’orgasmo, gemendo insieme a lei il suo piacere.

Sorrise soddisfatto.

Decisamente aveva scelto bene.

Aveva fiuto per queste cose.

Le si staccò di dosso andando a sdraiarsi al suo fianco.

Si girò a guardarla notando che aveva lo sguardo fisso verso l’alto, gli occhi spalancati e il respiro ancora affannoso.

Non seppe come interpretare quei gesti.

Poi lei si girò verso di lui ed allora capì.

Quella gattina era soddisfatta.

Sorrise compiaciuto avvicinandosi al demone ansimante e la baciò con violenza affondando in lei la sua lingua avida.

La sentì sospirare nella sua bocca mentre con un braccio gli circondava le spalle muscolose.

Le si accostò maggiormente andando ad intrecciare le loro gambe:decisamente lei ci sapeva fare.

Sogghignò malizioso pregustando un secondo giro in quel corpo appetitoso quando una voce al di fuori dalla tenda interruppe bruscamente i suoi pensieri.

“Emh…si…signore?”era Stan, il galoppino di Sesshoumaru.

Sospirò scocciato andando ad interrompere il bacio “ cosa vuoi Stan?”

“ Emh…principe…il principe Sesshoumaru desidera vedervi…”

“Sono occupato”

“Emh…si…signore…ma...ecco…il principe desidera vedervi ora…ha detto che è importante”

Il mezzo demone digrignò i denti poi, scoccando un ultima occhiata al demone gatto che lo guardava con evidente desiderio mordicchiò piano il suo collo tenero e morbido sussurrandole nell’orecchio appuntito” Stai qui e dormi, fra poco tornerò”la sentì annuire piano.

Si alzò velocemente recuperando i suoi vestiti dimenticati ai piedi del letto.

Sotto lo sguardo attento della youkai si rivestì ed uscì dalla tenda dove un trepidante Stan lo attendeva.

Lo guardò freddamente”Mio fratello è nella sua tenda?”chiese gelido;lui annuì.

“bene” sogghignò un momento prima di tagliare di netto la povera testa del demone ed incamminarsi verso il cuore dell’accampamento.

 

Un momento dopo entrò nella tenda rosso india del fratello.

Lui lo guardò di sfuggita per poi chiedere indifferente “Stan?” ” mi aveva disturbato” “bene, raduna le truppe Inuyasha; si parte verso Zaccar”

 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


Una settimana dopo, l’esercito capitanato dai due fratelli si trovava a poche miglia dalle porte di Zaccar

Ciao a tutti!!!!

Prima di iniziare vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che hanno letto la mia ff senza lasciarsi spaventare dalla lunghezza del primo capitolo.

In particolare vorrei mandare un mega bacione a Chria la mia amicona 4ever che nonostante ne abbia piene le palle di manga anime and co.e della sottoscritta,ha deciso di leggerla e pure di lasciarmi un commento dolcissimo.

Thank you so much Chria!!

Cmq, ringraziamenti a parte, spero che questa fanfiction vi stia piacendo nonostante quest’ultima si discosti un pochino dalla reale storia della mitica Rumino….Se si, commentate per favore!!

 

 

 

Una settimana dopo, l’esercito capitanato dai due fratelli si trovava a poche miglia dalle porte di Zaccar.

Stavano attraversando una lussureggiante pianura ricoperta di rigogliosi cespugli di more e bacche a loro sconosciute mentre nell’aria si poteva avvertire un leggero profumo di pino probabilmente proveniente dalla foresta situata a poche miglia davanti a loro:quella foresta era l’arma più potente di cui la città disponeva poiché, naturale barriera contro i nemici era un luogo in cui imboscate e trappole potevano trovare terreno fertile.

Il morale degli uomini era alto:il bottino ottenuto dalla conquista di Sirion era stato oltremodo ghiotto.

Non sembravano affatto spaventati dall’imminente guerra e, ancor meno, dal fantasma del terribile esercito maledetto del re.

Perfetto.

Inuyasha inspirò a pieni polmoni l’aria proveniente dal bosco:5 uomini li stavano spiando,uno di loro era particolarmente sudato ed aveva il respiro corto…probabilmente aveva faticato per salire sull’albero…un altro invece stava masticando del tabacco e….

Il mezzo demone socchiuse gli occhi, cercando di concentrarsi maggiormente sulle informazioni che i suoi sensi gli stavano inviando in quel momento.

Un profumo leggermente diverso lo aveva colpito:più delicato di quello di un uomo, più fresco….una donna.

Il sesto uomo era una donna e a giudicare dal respiro controllato era molto più vicina a loro degli altri, forse così vicina da poter essere vista dai loro occhi.

Senza dare nell’occhio Inuyasha guardò nella direzione da cui aveva percepito l’odore ma non vide niente:chissà che cosa ci faceva una donna in avanscoperta….era un ruolo pericoloso per un uomo...figuriamoci per un rappresentante del sesso debole!

Volse disinvolto lo sguardo verso suo fratello.

Il suo volto impassibile lasciava intravedere che anche lui aveva scovato gli incauti osservatori…e la donna.

Anche lui si voltò a guardarlo, sorridendo lievemente ”ci stanno sottovalutando, fratello”

Un lieve ghigno comparve sul volto di Inuyasha.

Si piegò lievemente indietro ed estrasse con disinvoltura un arco di legno scuro sormontato ai vertici da preziose rifiniture d’oro giallo.

Con l’altra mano estrasse da sempre dietro la sella una lunga freccia anch’essa color ebano e con un gesto esperto la incoccò, tese il tessuto leggero e flessibile che componeva la corda e, senza nemmeno prendere la mira scoccò il dardo.

Sentì il respiro controllato della donna mozzarsi per la sorpresa mentre, come aveva calcolato, la freccia si conficcava a poca distanza dal suo braccio destro.

La sentì strusciare cauta indietro, alzarsi in piedi e scattare nel folto della foresta seguita subito dopo dagli altri incauti osservatori:per lo meno ora sapevano con chi avevano a che fare.

Si inoltrarono nel bosco di conifere alte ed imponenti puntando sempre verso nord:nonostante non ci fosse una strada maestra a confermarlo, sapevano che erano diretti proprio alle porte della città, fiorente capitale di scambi e commerci di tutte le terre conosciute.

Profondi solchi lasciati dai carri dei commercianti e dei viaggiatori tradivano il costante traffico che doveva affluire ogni giorno per quei boschi che altri non erano che un labirinto naturale inaccessibile per chi non conoscesse la strada esatta per attraversarlo:ma loro non erano fra coloro visto che potevano vantare fra le loro schiere demoni che avevano viaggiato per il mondo indossando le più svariate spoglie:delinquente, monaco,commerciante, filosofo e altri ancora.

La vegetazione fitta e ampia allo stesso tempo proteggeva contro i raggi infuocati di quella stagione dove ogni cosa sembrava piegarsi al volere di Zhural e Naerl, i soli che solcavano i cieli di Yarda.

Il mezzo demone assaporò i profumi di quell’antica foresta chiedendosi se la battaglia si sarebbe spinta fino a li, fino a quel luogo di pace immutabile.
Probabilmente si.

Passò ancora molto tempo fino a che, con un lento degradare della vegetazione, il bosco giunse alla fine.

Il lungo corteo si arrestò nell’osservazione della splendida città che svettava davanti a loro: circondata da imponenti mura color notte, la città sembrava un intricato groviglio di case, palazzi e finestre tutte di colore rigorosamente nero.

In mezzo a tutto quegli edifici che seguivano una curiosa scala piramidale verso probabilmente il centro della città, una torre imponente e allo stesso tempo affusolata svettava indicibilmente alta nel cielo giungendo fino a toccare le nubi color panna, quasi a voler fare gara con loro su chi per primo avrebbe potuto vedere sorgere il sole.

L’imponente torre era color perla e sembrava risplendere di luce propria:anche da quella distanza Inuyasha poté vedere le pareti esterne perfettamente lisce e levigate riflettere lo spettro di colori del sole con incredibile intensità.

Sui 4 punti cardinali, la torre aveva delle imponenti escrescenze sempre di madreperla che, dopo averla percorsa in tutta la sua altezza si aprivano a stella verso il cielo piegandosi poi in flessuose onde sempre più sottili.

Per un poco nessuno ebbe il coraggio di dire nulla, stupito dalla bellezza di Zaccar.

Poi, finalmente, Sesshoumaru con un potente strattone fece voltare il cavallo verso gli uomini e disse “ Questa è Zaccar, potente città nemica e nostra prossima conquista militare.

Non vi lasciate impressionare dalla sua magnificenza e bellezza:è come tutte le altre che prima abbiamo attaccato e distrutto, cambia solo l’involucro.”tacque guardando i visi dei soldati “ questa città è ciò che popola i sogni degli uomini:ricchezza, bellezza, e potenza sono i suoi attributi e,uomini, E’ VOSTRA!!”

Le sue ultime parole furono accolte con un accorato grido di gioia che sembrò far tremare la terra stessa.

“Inuyasha”disse poi secco “ Seguimi,dobbiamo andare salutare i nostri ospiti “

Il mezzo demone fece una faccia sarcastica “I nostri ospiti?”

Il primogenito sorrise beffardo “Certo”esclamò disinvolto “gli ospiti della nostra città”

Inuyasha scosse la testa, girò lo stallone e, senza aspettare un solo secondo partì al galoppo seguito da Sesshoumaru e due portabandiera.

 

Lo stallone scalpitò nervoso mentre si arrestava alle porte della magnifica città.

Anch’esse erano nere come la notte e, valutò Inuyasha,più pesanti di qualsiasi altra porta al mondo.

Il primogenito stava già prendendo fiato per cominciare la sua presentazione di circostanza quando, improvvisamente, un sordo rumore di chiavistelli che si sbloccano fece vibrare l’aria intorno a loro.

Con un rimbombo cupo le porte si dischiusero rivelando a poco a poco la città nascosta dietro di esse.

Inuyasha trattenne il respiro per la meraviglia:se da lontano la città appariva meravigliosa, vista da così vicino non poteva nemmeno essere descritta degnamente con parole come bellissima, maestosa, imponente, splendente o simili.

Senza capacitarsi di tutta quella magnificenza, si riempì completamente le iridi di quella visione:le strade lastricate di mosaici preziosi di mille colori, le case nere come la notte e splendenti come il sole allo stesso tempo dalla complicata ed affascinante struttura ricca di arcate, guglie e ogni genere di microscopiche accortezze, i canali piena di acqua limpida che percorrevano come una ragnatela ogni strada, costeggiando case, edifici, fontane e viali e le meravigliose piante rampicanti dai colori più sgargianti che percorrevano ogni facciata muro o insegna della città.

Gli occhi del mezzo demone si tinsero di meraviglia ed ammirazione.

Non avrebbero distrutto quella città.

Non quella.

Quella sarebbe diventato un trofeo di guerra, nonché prossima capitale delle terre unite sotto il potere dei Miyashi.

Finalmente abbassò lo sguardo per guardare le quattro figure incappucciate che gli stavano davanti.

Un uomo piuttosto robusto, dalla corporatura massiccia e vigorosa con piccoli occhi azzurro cielo dall’aria sveglia, i capelli neri e lucidi legati con cura dietro la nuca con un prezioso nastro d’oro gli stava davanti, seduto compostamente su uno stallone color ebano.

Indossava ricchi vestiti color mare intessuti da elaborati ricami argentei coperti solo nei punti critici come petto, spalle e braccia da una splendente armatura anch’essa color mare stranamente sobria.

“Il re”pensò immediatamente Inuyasha notando l’elaborato filo d’oro sormontato proprio sulla fronte da un prezioso quanto splendente diamante color ebano che circondava il suo capo.

Dal suo sguardo sembrava un tipo sveglio, intraprendente e moderatamente spietato e, a giudicare dal fatto che era sceso lui stesso ad accoglierli ben cosciente delle loro intenzioni, coraggioso e sicuro di se.

Inuyasha gli scoccò uno sguardo di leggero apprezzamento”Il primo fra tutti i sovrani delle città che abbiamo assaltato” pensò “ Probabilmente non è nemmeno un incapace…”

Conquistare quella città si prospettava più difficile del previsto.

Ma in quel momento non era il re a preoccuparlo maggiormente, ma bensì le tre figure incappucciate alle sue spalle.

Avvolti in cupi mantelli neri se ne stavano silenziosi e apparentemente immobili in groppa a tre destrieri altrettanto neri.

Il mezzo spettro li guardò attentamente:quelle figure non gli piacevano per niente.

Non per il loro aspetto,certo che no, se al re piaceva circondarsi di figuri del genere non era certo affar suo ma per il fatto che, inspiegabilmente, non sembravano emanare nessun odore.

Niente.

Il suo naso non riusciva a fiutare la loro presenza.

I cavalli si, i mantelli dal lieve profumo di erbe si,ma…

Erbe!?

Il principe si distese sulla sua sella.

Quelle erbe coprivano l’odore di coloro che si celavano dietro quei mantelli color ebano.

Furbo il re.

Sesshoumaru iniziò a parlare interrompendo così il flusso dei suoi pensieri “ Sono Sesshoumaru Miyashi e sono venuto qui per conquistare questa città.

Non opponete resistenza e non vi sarà fatto alcun male.

In caso contrario saremo costretti ad attaccarvi e distruggervi”

Il re rimase immobile fissando direttamente gli occhi in quelli di Sesshoumaru poi, dopo qualche secondo,sorrise amaramente “ Principe Sesshoumaru….”la sua voce era bassa e profonda come solo quella di un uomo adulto sarebbe potuta essere”La sua proposta è davvero galante, per non dire ragguardevole ma…scusi la domanda…con “Non vi sarà fatto alcun male” intende descrivere il trattamento riservato alla città di Sirion?Sa, su queste cose bisogna essere precisi e in alcuni casi puntigliosi visto che il radere al suolo una città deportando tutti i suoi cittadini e saccheggiando tutte le ricchezze in essa custodita non mi sembrano un trattamento che si possa esprimere con “nessun male” e, in caso contrario, mi sorge naturale chiedermi “l’attaccare e il distruggervi” fino a che gradino della scala delle atrocità si spinga… ”

Sesshoumaru, clamorosamente colto in contropiede, rimase per un secondo muto, evidentemente sorpreso dalle parole del sovrano.

Quell’uomo, nonostante fosse un uomo, cominciava a non dispiacere ad Inuyasha.

Il primogenito finalmente si riprese” Quando io dico nessun male, dico nessun male…il caso di Sirion non è da mettere nemmeno in conto in quanto quella città prima di arrendersi aveva schierato in campo tutte le sue milizie più potenti successivamente sconfitte”

Il re ascoltò assorto le parole del demone” Quindi lei, principe, sta dicendo che l’incidente accaduto a Sirion era solo una specie di…punizione?”

Il modo in cui il sovrano aveva per ben due volte puntualizzato il suo rango di principe fece visibilmente irritare Sesshoumaru che, quando riprese a parlare aveva assunto un colorito pericolosamente pallido” Gli alleati devono avere ben chiaro qual è la loro posizione nei confronti del sovrano e quali sarebbero le conseguenze di una rivolta o simili dimostrazioni ostili”

“Per alleati intende le donne schiavizzate e violentate dai suoi soldati o da lei stesso o i vecchi trucidati perché inutili o i bambini spediti nelle miniere d’oro per estrarre il prezioso metallo con il quale lei ricopre i suoi ricchi abiti? Mi illumini, principe,e chiarisca il concetto di “alleato” ”

Il primogenito ingoiò ancora una volta quel raffinato insulto schiarendosi con noncuranza la voce “ Gli alleati sono tutti coloro che vivono sotto la nostra potestà… i casi singoli non hanno mai fatto l’insieme”

“ E allora, mi dica, principe, quale sarebbe il nostro grado di alleati?”

“la vostra città sarà lasciata intatta, le ricchezze intatte,e nessuno attenterà alla vita di nessuno.

Conserverete il vostro governo, le vostre leggi e le vostre istituzioni e…” “ e l’altra faccia della luccicante medaglia?”lo interruppe il sovrano;Sesshoumaru serrò le mascelle per frenare l’impulso di staccargli di netto la testa dal collo” Lei dovrà essere destituito dal trono a cui subentrerà un membro della nostra famiglia reale, dovrete rinunciare al nome della vostra città e dichiararvi sudditi dei Miyashi.

Inoltre i vostri commerci saranno per lo più rivolti verso le nostre terre e città e ogni anno dovrete versare un tributo per restare indipendenti a tutti gli effetti”

Inuyasha guardò il volto rilassato e calmo del sovrano e immediatamente capì che avrebbe rifiutato.

Dietro di lui, le tre figure incappucciate ebbero un leggero tremito che lui sapeva essere stato causato dallo sdegno per quella proposta così assurdamente conveniente.

Si concentrò: voleva non essere più cieco al loro odore, sapeva che nessuna erba aromatica poteva ingannare il suo fiuto sviluppato.

Salvia, malva, lavanda, mirto, fico, arancia,rosa selvatica, menta, pino, mughetto…Santo cielo come facevano ad avere tutti quegli odori addosso?!

Poco distante da lui, il re aveva già dato la sua risposta all’allettante proposta di Sesshoumaru che, livido di rabbia lo fulminò con lo sguardo.

“Molto bene,avete fatto la vostra scelta e ora, nonostante avessi voluto evitarlo, ne subirete le conseguenze”s’interruppe fissando lo sguardo concentrato del sovrano” fra due giorni, al crepuscolo, vi attaccheremo”

Una delle tre figure, quella posta in mezzo si mosse impercettibilmente sulla sella del cavallo e quasi nello stesso momento il volto di Inuyasha si contrasse in una strana espressione di sorpresa.

“ Molto bene principe” fu la secca risposta del sovrano ”spero che mi farà l’onore di scontrarsi con me sul campo di battaglia piuttosto che restarsene a guardare nelle retrovie come lei suole fare”

Il volto di Sesshoumaru, se possibile, sbiancò ancora più “ Sarò li per lei “ e detto questo voltò di scatto il cavallo seguito da inuyasha e partì al galoppo.

Il mezzo demone nel frattempo aveva solo superficialmente registrato la reazione esagerata del fratello alle provocazioni del re preso com’era da un pensiero che ora trapanava la sua mente.

L’aveva riconosciuto.

Aveva riconosciuto quel respiro regolare e controllato a mala pena udibile per le sue orecchie.

La donna.

La donna che li aveva spiati prima che imboccassero il bosco.

Ancora lei.

Dannazione.

Quel re era veramente astuto: li aveva giocati.

Aveva portato con se 3 spie camuffate da comuni guardie del corpo e li aveva distratti con le sue domande e le sue allusioni mentre quelli, coperti dalla loro vista da spessi mantelli neri come la notte e dal loro fiuto da erbe aromatiche li scrutavano imprimendosi nella mente i loro tratti così da poterli riconoscere in battaglia.

Davvero astuto.

C’era solo una cosa di cui il re non aveva fatto conto, e li stava il suo unico ma imperdonabile errore:l’udito.

Aveva sottovalutato il suo udito sviluppatissimo e, ancora più grave aveva usato per ben due volte un elemento singolare che, sfortunatamente per lui, aveva da subito attirato la sua attenzione:quella donna.

Quella donna e il suo singolare respiro.

Sorrise compiaciuto di se stesso.

In un sol colpo aveva capito le intenzioni del re:ucciderli in battaglia così da privare le loro truppe dei loro comandanti più importanti, sventare la minaccia da loro rappresentata e lasciare il trono dei Miyashi sguarnito di eredi.

E aveva anche capito chi sarebbe stato incaricato di tale compito:la truppa speciale del re.

 

 

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti!

Scusate l’immenso ritardo ma questo capitolo, e soprattutto quello dopo(che posterò successivamente perché è abbastanza lungo…) sono stati veramente difficili da scrivere per una come me che di battaglie e duelli vari ne sa meno di niente.

Senza contare che, con l’inizio della scuola, il mio tempo si è pressoché dimezzato…scusate

Avrei preferito evitarli ma nella trama della storia sono necessari T_T.

Cmq sia, vorrei ringraziare tantissimo tutti coloro che hanno letto la mia fanfiction e che hanno commentato (in particolare un grazie immenso a tigereyes….sono contenta che ti piaccia!Spero di nono deluderti in futuro!!!(soprattutto con il prossimo capitolo e con gli errori di battitura che ne seguiranno….))e Chria che ha avuto la pazienza di leggere in anteprima questo capitolo pressoché disastroso.

Beh ora vi lascio alla storia e….ora mi ammazzerete….per favore commentate(anche in male, si intende)! ^////^

 

 

 

Un solitario soffio di vento sorvolava, leggero, una vasta distesa verde.

Una suggestiva e meravigliosa piana erbosa scampata al lento ed inarrestabile avanzare della foresta.

Leggero accarezzò le corolle ormai avvizzite degli ultimi fiori che ancora non si erano lasciati sopraffare dal gelo dell’autunno imminente.

Volteggiò su se stesso, sfiorando la lucente criniera di un cavallo sorpassando, invisibile, lo sguardo assente del cavaliere che stava sulla sua groppa.

Infine, con un ultimo guizzo di vita si nascose nei sottili fili argentei che, come candidi raggi di luna, ricadevano lucenti dietro le spalle di un mezzo demone.

Sapevano del profumo della notte.

Inuyasha socchiuse lievemente gli occhi, abbagliato dall’accecante fulgore di Naerl.

Il più piccolo fra gli astri dorati che ogni giorno solcavano il vasto cielo di Yarda ora tintosi di un abbacinante color porpora, brillava radioso nel pomeriggio ormai morente.

Senza fretta, apparentemente incurante di ciò che accadeva nel mondo  sul quale ogni giorno si affacciava, sfiorava ora con i suoi raggi infuocati l’aguzzo profilo di lontani monti dalle cime coperte di una candida neve.

Ogni cosa, dall’erba alle fronde degli alberi, alle lucenti armature dei soldati, investita da quella forte luce così incredibilmente simile al bruno colore del sangue, appariva stranamente vivida e reale.

Quasi minacciosa.

Mai prima di allora, le iridi color ambra del mezzo spettro avevano potuto colorarsi dei riflessi infuocati di un tramonto di tale bellezza.

Limpidi specchi di un cielo che, dall’ambra cristallina e pura sprigionata da Naerl, si tingeva di un ambra freddo e velato di oscurità.

Forse era un omaggio.

Un omaggio a tutti coloro per i quali, quel tramonto, sarebbe stato l’ultimo.

Ormai la notte era vicina.

Anche la battaglia lo era.

I capelli argentati del mezzo demone ora vagamente sfumati dal colore del tramonto, si mossero lievemente dietro la schiena fieramente dritta, protetta, come del resto tutto il corpo, solo dalla pesante e allo stesso tempo leggera stoffa dello yukata color rosso fuoco.

Davanti a lui, per più di un chilometro,si estendeva il grosso delle truppe dei Miyoshi: 10.000 fanti, 5.000 arcieri e balestrieri,1.000 soldati a cavallo, 500 orchi delle montagne, 200 draghi, 50.000 mostri, demoni non identificati e creatura che possedesse le qualità adatte alla battaglia, 30 catapulte corazzate, quasi un centinaio di scale per l’assalto ai muri, e in numero trascurabile Picchieri, Alabardieri e paladini.

Inuyasha fece scorrere lo sguardo sulla vasta schiera di demoni fermandosi poi su quelli che componevano la prima fila, quella che per prima sarebbe partita all’attacco.

Dalla postazione lievemente sopraelevata in cui si trovava,poteva a malapena scorgere la figura slanciata di Sesshoumaru spiccare fra quelle ingobbite dei comuni soldati di fanteria.

Da quella distanza pareva una fiamma bianca nel bel mezzo della marea rosso fiammante formata dalle corazze vermiglie dei demoni.

Anche lui indossava unicamente i suoi vestiti perché, come più volte gli aveva ricordato, prima di riuscire a ferirlo, bisognava avere abbastanza coraggio,agilità,velocità e prontezza, senza contare una buona dose di pazzia di avvicinarglisi.

E fino ad allora nessuno lo aveva mai ferito.

La sua figura fiera e nobile si intravedeva appena nell’oscurità incalzante e,molto più avanti,le sagome in nero dei soldati dell’esercito nemico, posti fuori dalle mura, erano a malapena distinguibili dal profilo scuro delle nera pietra.

Per un essere umano, quelle figure avrebbero potuto tranquillamente non esistere nemmeno.

E forse era stato proprio questo l’intento di colui che aveva scelto il colore con cui tingere le armature dei soldati.
Pezzenti.

Loro non avevano bisogno di nascondersi nell’oscurità per poter vincere una battaglia.

Li, davanti alle mura, vi erano fanti, lancieri e cavalieri a cavallo per un totale di 10.000 anime.

Relativamente poche se si prendevano in considerazione le voci che giravano in tutta Yarda sulla potenza e la grandezza militare della città.

Ma forse il grosso delle truppe aspettava all’interno delle mura.

Non si erano nemmeno scomodati ad uscire allo scoperto.

Idioti.

I casi erano due: o stavano sopravvalutando la loro forza offensiva e difensiva,o stavano sottovalutando la loro.

In entrambi i casi si stavano sbagliando.

Le armature e le vesti di un forte colore rosso, forse in onore dello Yukata che lui indossava e che, fin dall’inizio della guerra di conquista era sempre stato visto occhieggiare nelle prime file mentre lui, come una furia omicida, si divertiva a fare stragi dei nemici, macchiavano l’omogeneo verde della pianura come il vermiglio colore del sangue di una ferita appena aperta.

Se li stavano sottovalutando…allora erano o pazzo o idioti.

Ma si sa…entrambe le cose entravano nella lista delle qualità più ricorrenti nella razza umana.

Inuyasha ammiccò soddisfatto: da quella distanza, l’esercito dei Miyashi sembrava a tutti gli effetti una gigantesca marea color porpora.

Una mare perfettamente addestrata e votata ad un unico scopo:sterminare la razza umana.
Si rilassò sulla sella, inspirando l’umida fragranza della notte.

Un ghigno gelido increspò le sue labbra sottili e fredde.

Ora, attendevano solo il segnale.

Attendeva solo il segnale.

Il segnale dell’inizio della battaglia.

Anche se ormai sarebbe stato superfluo.

La battaglia stava già per iniziare.

Lo sentiva.

Era nell’aria.

Nell’odore pregnante del fiato dei cavalli, in quello malsano dei demoni rinchiusi nelle pesanti armature, in quello umido della nebbia che silenziosa si stava sollevando dai prati per avvolgere ogni cosa nel suo gelido mantello di rugiada.

La battaglia stava per iniziare.

Una battaglia finalmente degna di essere combattuta.

Il colore scarlatto del cielo ormai stava lasciando il posto a quello meno intenso e più scuro del viola tendente già a quello pregnante dell’indaco.

Una brezza improvvisamente gelida sorvolò il campo di battaglia ora avvolto in un irreale silenzio d’attesa.

Un silenzio che senza in realtà esprimere nulla, valeva più di mille parole, di mille canti, di mille poesie, di mille poemi.

Il silenzio dell’attesa.

Il silenzio della speranza.

Il silenzio del raccoglimento.

Il silenzio.

Unico.

Onnipresente.

O forse era solo la sua immaginazione.

La pianura non era in realtà silenziosa.

Ovunque i nitriti agitati dei cavalli, lo snervante sferragliare delle corazze, il febbrile confabulare degli uomini turbavanola gelida atmosfera d’immobilità.

Ma il fatto che per lui tutto quello non fosse nulla di più che silenzio, era comprensibile.

In fin dei conti, nonostante ormai avesse perso il conto delle battaglie in cui aveva combattuto, una parte di lui, quella più profonda, risentiva ancora vagamente delle emozioni comuni e allo stesso tempo profondamente diverse che tormentavano l’animo di ogni tutti prima di una battaglia.

Paure stupide, ricorrenti, morbose.

Spaventose.

Perché la guerra, quella vera, non è un gioco.

O si vince o si perde.

Non esistono vie di mezzo.
Si ha un'unica possibilità.

Ne una più, ne una meno.

Quella per lui più ricorrente era quella di essere sconfitto.

Non ucciso.

Sconfitto.

Essere sconfitto e rimanere poi in vita.

Per lui, un principe della prestigiosa casata dei Miyoshi, comandante delle più potenti truppe demoniache che mai avessero attraversato Yarda, l’essere sconfitto in battaglia e rimanere poi in vita per raccontarlo, era ciò che di peggio gli potesse accadere.

Peggio che morire sul campo.

Stava forse esagerando?

Al contrario.

quale soldato avrebbe mai voluto rischiare la vita per un re che sul campo di battaglia non era nemmeno capace di badare a se stesso?

Inuyasha godeva di grande fiducia e ammirazione fra le fila dell’esercito di certo non grazie al suo carattere o al suo aspetto fisico.

Lui uccideva.
Sempre.

Comunque.

Era per questo che lo ammiravano.

Oltre che certo, per la sua abilità nel formulare piani di guerra vincenti.

Nonostante la sua natura demoniaca, il mezzo spettro non era ancora del tutto insensibile alle sensazioni e alle paure che prima di una battaglia poteva scorgere negli occhi dei soldati e dei comandanti temprati da anni di guerre.

Probabilmente non lo sarebbe mai stato.
Ci sono cose che non si possono proprio cambiare.

E nel suo caso, una di quelle erano gli inconvenienti di essere per metà umano.
Fece nuovamente scorrere lo sguardo sulle figure in rosso dei componenti delle prime fila.

Sesshoumaru era li, proprio davanti alle imponenti mura nella posizione che solitamente sarebbe toccata a lui. Stranamente si erano scambiati di posto:il fratello moriva dalla voglia di assaggiare il sangue del re mentre lui non aspettava altro che misurarsi con le presunte truppe speciali incaricate del loro omicidio.

Contento lui….stare nelle retrovie nascosto nel folto della foresta insieme alla cavalleria pesante era un ruolo che per una volta poteva sopportare.

E poi non si sarebbe annoiato a lungo.

Il profilo infuocato di Naerl, continuava ad occhieggiare da dietro le aguzze creste dei monti senza accennare a voler tramontare.

Da dietro le imponenti mura di Zaccar proveniva ora un innaturale silenzio, come se in un secondo tutte le attività si fossero arrestate, in attesa di un unico preciso segnale.

Stavano aspettando.

Non si sapeva come, ma ormai era ben chiaro che la prima mossa sarebbe spettata a loro.

Agli aggressori, agli invasori, ai conquistatori.

Detestava il galateo guerriero.

Coloro ai quali era venuta la grandiosa idea di fissare delle regole civili in un contesto in cui la civiltà cadeva vergognosamente in frantumi dovevano essere dei geni…o qualcosa di simile.

Finalmente, con una lentezza che pareva sfiorare l’immobilità, il profilo dorato di Naerl si nascose dietro alle montagne imbiancate di neve.

La notte, silenziosa, iniziò ad a tendere i suoi tentacoli su Yarda.

Inuyasha vide Sesshoumaru voltarsi verso i suoi uomini, i capelli argentei che ricadevano eleganti alle sue spalle e lo sguardo fiero lo facevano assomigliare ad un leggendario spirito vendicativo la cui ira si sarebbe potuta placare solo con il sangue di innocenti ” SOLDATI!!”urlò ed improvvisamente la sua voce sicura e profonda vibrò nell’aria come uno squillante richiamo impossibile da ignorare per chiunque” Questo è il giorno che tutti voi stavate aspettando e temendo:il giorno della resa dei conti, il giorno in cui finalmente potrete dimostrare che non siete sopravvissuti invano a questi anni di lunghe e terribili battaglie!

E’ questa la battaglia che il destino vi ha dato la possibilità di affrontare:l’ultima battaglia, l’ultima roccaforte umana!

Dietro quelle mura vi aspettano più meraviglie di quanto ne abbiate mai viste o anche solo sognate in tutta la vostra vita!

Non vi resta altro che tendere la mano ed afferrarle perché esse sono li per voi, vi spettano di diritto da quando lasciaste le vostre famiglie e i vostri cari e nessuno, che sia demone, umano o creatura infernale potrà fermarvi perché siete ciò che di più immondo ed oscuro abbia partorito Yarda!

Siete i messaggeri della morte!

La stirpe che sola ha il diritto di dominare sul mondo!!”

Un urlo d’approvazione si levò dalla pianura.

Chissà se gli abitanti di Zaccar erano da considerarsi innocenti.

“CREATURE DELLA NOTTE!” tuonò Sesshoumaru “ DIMOSTRATE DI ESSERE DEGNE DEL SANGUE CHE FLUISCE NELLE VOSTRE VENE E PRENDETE CiO’ CHE VI SPETTA!!”

Un boato fece tremare la terra mentre all’unisono milioni di grida si disperdevano nell’aria come un’inarrestabile marea.

Un brivido di eccitazione scorse gelido lungo la schiena del mezzo demone mentre l’eco squillante delle terribile parole del fratello sembrava rimbombare in ogni dove intorno ai soldati seguita poi subito dopo da quello ruggente dei demoni che avevano risposto alla sua trionfante chiamata alle armi.

Dio quanto amava tutto questo.

Come se avesse potuto captare i suoi pensieri, il fratello, dopo essersi voltato verso di lui gli lanciò un’occhiata che, nonostante la lontananza, Inuyasha interpretò perfettamente.

Buona fortuna anche a te, fratello.

Sesshoumaru si girò nuovamente, il lunghi capelli color della luna ora scossi da un improvviso vento saturo delle grida dei soldati.

“Avanti!” il suo ultimo, deciso,ordine si disperse nel frastuono che sembrava far tremare l’aria e finalmente, dopo aver a lungo atteso, la battaglia iniziò.

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


Un saluto a tutti

Un saluto a tutti!!!

Eccomi di nuovo qui, con il capitolo più difficile della mia vita: UN CAPITOLO DI GUERRA!

Informo tutti coloro che avranno il coraggio di leggerlo, che questa è in assoluto la prima volta che io oso scrivere una cosa del genere (e visti i risultati, sono indecisa se riprovarci in futuro…T__T) e perciò sarà a dir poco disastroso.

Ma ho voluto provare, e quindi mi rifarò al vostro giudizio critico(per favore…..ditemi se vi è piaciuto o se invece mi dovrei ritirare a fare la calza in eterno piuttosto che fiondarmi in cose fuori dalla mia portata…).

Voglio però dire ( per tutti coloro che ormai hanno perso la speranza) che Kagome arriverà fra breve(prox capitolo ^ ^) ma che il suo personaggio non assomiglierà minimamente a quello della grande Rumiko.

Ah!

Un grazie enormissimo a tutti coloro che hanno letto la mia ff, a (ormai è di rito…^ ^) Chria e a Ray.

(volevo solo scusarmi con Tiger eyes per aver scritto il suo nick tutto attaccato: SCUSAMI!!!SPERO CHE TU NON TI SIA OFFESA…. ^///////^)

Ho finito!

Spero che vi piaccia!

Elendil.


Immediatamente, all’ordine dei comandanti, dall’informe mischia composta dai membri della fanteria leggera, emersero le figure degli arcieri che, ordinati, si disposero in prima fila.

“PUNTARE!”

Centinaia di frecce si volsero nello stesso istante verso il cielo in direzione delle mura di Zaccar.

Dalla sua postazione, Sesshoumaru piegò leggermente il capo in avanti.

“LANCIARE!”

Subito centinaia di dardi sfrecciarono veloci nel cielo indaco, descrissero un’elegante parabola in aria ed infine, senza trovare alcuno ostacolo sul loro cammino, si andarono a schiantare sulle imponenti mura di Zaccar e sul terreno ai loro piedi.

Alcune si infilzarono nelle scanalature della dura pietra vulcanica mentre altre, forse trasportate dal vento, riuscirono ad oltrepassare l’imponente muraglia.

Troppo corto.

“RICARICARE!”

L’ordine secco di Sesshoumaru attraversò vibrando l’aria immobile.

“LANCIARE!” il suono della sua voce si perse nel sibilo furente delle frecce la cui gittata questa volta più alta consentì loro di piombare all’interno di Zaccar.

Alcune figure poste sul profilo regolare delle mura scomparvero alla vista come risucchiate all’indietro da una forza invisibile.

“FANTERIA!”una pausa” AVANTI!!!”

Un grido disumano si sollevò dalla distesa verde mentre,compatta,la schiera dei soldati meno equipaggiati e meno istruiti all’arte della guerra cominciava ad avanzare verso la fanteria nemica, ora immobile all’ombra delle mura.

Sesshoumaru era con loro, lui, il principe ereditario, stava rischiando la vita per un insulsa prova d’onore.

Il rumore ritmico degli stivali dei soldati che schiacciavano sotto il loro peso la delicata bellezza della piana erbosa rimbombò per la pianura dapprima lento, poi più incalzante, per poi, mentre la marcia ordinata si trasformava velocemente in una furiosa corsa,perdere ogni struttura e confondersi in un unico selvaggio rombo.

Nello stesso istante,con un urlo furente,anche la fanteria di Zaccar partì all’attacco.

Da lontano,dalla postazione riparata in cui ora si trovava, Inuyasha riuscì a scorgere gli sguardi infiammati dalla furia omicida e dalla paura dei soldati che si erano lanciati all’assalto.

Carne da macello.

Lo sapevano tutti, così come lo sapevano loro, che le guerre non si vincevano con la fanteria.

Nel frattempo, i due eserciti nemici,lanciati in una corsa sfrenata l’uno contro l’altro, divoravano di secondo in secondo lo spazio che li separava .

Sempre più vicini allo scontro frontale, non sembravano accennare a voler diminuire la loro andatura.

Un furioso boato si sollevò da entrambi i fronti un secondo prima che,come attratti da una forza invisibile, i due squadroni si schiantassero l’uno contro l’altro con un frastuono assordante.

La nobile figura di Sesshoumaru, simile ad una lucente fiamma bianca,scomparve improvvisamente,come inghiottita

dall’informe groviglio di armature rosse e nere.

Nello stesso istante, dalle mura Zaccar, si levò un ordine e subito centinaia di frecce si librarono nell’aria per poi ricadere nella pianura gremita di soldati che, esaurita la furia della corsa, iniziavano ora a fronteggiarsi nel campo di battaglia in sanguinosi duelli.

Nuove frecce si sollevarono dalle schiere dei Miyashi per poi schiantarsi oltre le mura.

“SECONDA FILA AAVANTI!”

La seconda falange della fanteria leggera iniziò veloce ad avanzare verso il fulcro della battaglia ma, ancor prima che i soldati potessero percorrere i primi dieci metri in direzione del campo, immense porzioni di pietra, lanciate a folle velocità da dietro le mura di Zaccar, probabilmente da potenti catapulte celate alla loro vista,sfrecciarono letali nell’aria per poi schiantarsi fra le fila dell’esercito dei Miyashi.

Immediatamente il panico divampò nelle retrovie come una devastante marea mentre una nuova, terribile,raffica di massi si schiantava ovunque nella distesa verde.

Il terrore sembrò improvvisamente minare la compattezza delle retrovie.

Dannazione!

Inuyasha osservò lo scompiglio che si era creato fra le truppe dei Miyashi.

Idioti.

Agitarsi in quel modo non avrebbe di sicuro salvato loro la vita.

Al posto che strillare come maiali, avrebbero fatto meglio a sbrigarsi a caricare le catapulte!

Ai cupi rimbombi della pietra che mortale si sfracellava al suolo travolgendo al suo passaggio tutti coloro che avevano avuto la sfortuna di trovarsi nella loro traettoia si sovrapponevano gli strilli terrorizzati dei demoni soldato che colti di sorpresa avevano preso a disperdersi in ogni direzione come formiche che fuggono da un formicaio a cui il contadino ha dato fuoco.

Una nuova raffica di macigni travolse nuovamente al loro passaggio le fila dell’esercito creando ancora più scompiglio.

Nuovi acuti strilli di panico si sovrapposero ai risoluti comandi dei generali che, incuranti delle consistenti perdite nelle loro truppe tentavano di ristabilire l’ordine e allo stesso tempo di organizzare il caricamento delle catapulte altrettanto potenti in loro possesso rimaste ancora inutilizzate.

Nuovi massi si innalzarono dalla fortezza di Zaccar.

“LANCIAREE!”

Finalmente, massi dalla mole imponente volteggiarono letali verso la fortezza di Zaccar per poi, schiantandosi contro la dura roccia,frantumarsi con un frastuono sordo.

“RICARICAREE!”

Un momento dopo, nuovi devastanti macigni si schiantarono contro le mura nemiche che,all’impatto, sembrarono ruggire di dolore.

Dannazione.

Contemporaneamente,in mezzo alla pianura,le due fanterie continuavano a fronteggiarsi senza che ne l’una ne l’altra desse segno di cedimento.

Il clangore delle spade che cozzavano le une contro le altre ormai era quasi totalmente sopraffatto da quello rombante e di gran lunga più fragoroso dei massi lanciati dall’esercito dei Miyashi che, senza riuscire a scalfire la dura superficie delle nera roccia vulcanica delle mura, si frantumavano in mille pezzi contro di esse.
La seconda falange della fanteria leggera, finalmente, era riuscita a raggiungere il campo di battaglia.

Un nuovo perentorio segnale attraversò la piana e subito dopo, una dopo l’altra, la fanteria scelta e i guerrieri d’elite dell’esercito dei Miyashi si misero in movimento.

Inuyasha strinse con forza le nocche intorno alle briglie del cavallo.

Non toccava ancora a loro.

Non ancora.

Dietro i soldati che con passo di marcia si apprestavano a raggiungere il fulcro della battaglia, muniti di lunghe ed affusolate scale di legno flessibile e leggero, si affrettavano i componenti della fanteria pesante.

Visto che non si riusciva a buttarle giù,le avrebbero scalate quelle dannatissime mura.

Gli strilli terrorizzati di bambini, uomini e donne giunsero alle orecchie di Inuyasha mentre ai lanci delle catapulte, iniziavano ad intervallarsi ora anche quelli degli onagri e dei mangani.

Porzioni di roccia grandi come vere e proprie montagne solcavano ora la linea d’aria che collegava il loro esercito alle possenti mura di Zaccar.

Violente raffiche provenienti dalle maestose macchine da guerra iniziarono ora a seminare la morte e il panico anche sul campo stesso di battaglia, inizialmente risparmiato.

Il brulicante insieme rosso e nero, ora per la verità più rosso che nero,sembrò tremare per l’improvvisa svolta che aveva preso la guerra.

In quel modo, i due eserciti non sterminavano solo i nemici, ma anche gli alleati.

Anche coloro che in quel momento stavano strenuamente combattendo sul campo in onore di chi in quel momento stava decretando la loro fine.

Un soldato in rosso che un istante prima alzava trionfante la spada ancora macchiata dal bruno sangue di un nemico al cielo, venne travolto dalla furia di un masso che, rotolando come impazzito per il campo di battaglia si schiantò poco dopo contro un macigno poco distante.

Loro non erano importanti.

In fondo, come aveva prima detto, loro erano solo carne da macello.

Era su di loro, sulla cavalleria pesante, che si puntava per vincere una guerra.

Ma non era ancora il loro momento.

Dovevano aspettare il segnale.

Nel frattempo le imponenti scale che sarebbero servite per risalire le imponenti mura che ancora strenuamente resistevano agli attacchi delle catapulte e degli onagri, continuavano faticosamente ad avanzare trasportate dai soldati della fanteria pesante che, arrancando strenuamente nella mischia selvaggia, si facevano largo verso la fortezza assediata.

Per i demoni che le reggevano, non era affatto impresa facile: non potevano difendersi dagli attacchi nemici.

Quelli che cadevano sul campo trafitti da un nemico o colpiti da una freccia proveniente da entrambi i fronti, venivano immediatamente rimpiazzati da altri che si trovavano nelle vicinanze.

Gli arcieri di Zaccar infatti, intuendo il loro intento, avevano iniziato a bersagliare con maggiore accanimento i portatori delle scale.

“LANCIAREE!”dalle fila dell’esercito dei Miyashi si sollevò nuovamente una micidiale raffica di massi.

Inuyasha seguì il loro tragitto con lo sguardo.

Con uno schianto sordo, la pietra si frantumò contro le mura nemiche.

Dannazione.

Finalmente, non senza avere riportato consistenti perdite,le imponenti scale di legno raggiunsero i piedi delle mura.

Subito, senza aspettare alcun segnale, coloro che le avevano trasportate per tutto il campo di battaglia iniziarono ad arrampicarsi sui robusti pioli di legno.

Una miriade di frecce iniziò immediatamente a scagliarsi contro di loro.

Dannazione.

Le milizie di Zaccar erano tutto tranne che stupide.

“LANCIAREE!” nuovi imponenti massi provenienti dalle loro retrovie si scagliarono contro le imponenti mura di Zaccar.

“RICARICAREEE!”

La pioggia di frecce che ora bersagliava i componenti della fanteria pesante sembrava non accennare a smettere.

“LANCIAREEEE!”

Il rombo cupo dei massi che si sbriciolavano contro le mura si sovrappose al confuso trambusto della battaglia.

Alcuni soldati che tentavano ora di risalire una scala, investiti da una colata di olio bollente, perdendo la presa si schiantarono molti metri più in basso mentre la struttura di legno che era servita loro da appiglio, dotata di robusti uncini di ferro capaci di ancorarsi alla pietra delle mura, venne sganciata e fatta cadere inutile al suolo.

Avanti, maledizione!

Era essenziale prendere le mura!

Lo sapevano loro come lo sapevano le milizie di Zaccar.

Una raffica di dardi provenienti dalle mura seminò nuovamente la morte sul campo di battaglia.

Avanti!

Stupidi idioti!

Parecchie strutture di legno, ora completamente ricoperte dalle figure purpuree dei soldati al servizio dei Miyashi, caddero rovinosamente al suolo sotto il peso dei loro stessi occupanti ma altre, forse più robuste, o forse scampate all’offensiva di Zaccar, offrirono un saldo punto di scalata.

“LANCIAREEE!”

Le travi che componevano le strutture degli onagri e dei mangani gemettero dolorosamente, stremate dall’uso stackanovistico dei soldati.

Il graffiante stridio delle giunture giunse come un pericoloso segnale d’allarme alle orecchie del mezzo demone: non avrebbero retto ancora a lungo ad un uso così pressante.

Dovevano sbrigarsi a vincere quella dannatissima battaglia.

Finalmente, la marea scarlatta che risaliva senza sosta le scale di legno, sfondò le linee nemiche.

Finalmente.

Le mura erano prese.

Un urlo di gioia si sparse incontrastato nella pianura mentre le figure dei soldati dell’esercito demoniaco iniziavano ora a stagliarsi contro il massiccio profilo della fortezza di Zaccar, la fortezza che di li a poco sarebbe caduta sotto il peso della loro superiorità in battaglia.

Era solo questione di minuti, o addirittura secondi.

Nuovi strilli acuti e disperati si sparsero da dietro le mura.

Strilli di donne, bambini e uomini.

Inuyasha si ritrovò a chiedersi dove diavolo si trovasse ora l’imponente esercito per cui Zaccar andava tanto celebre in tutta Yarda.

Quelle grida non avevano niente a che fare con gli strilli furiosi e combattivi che solitamente echeggiavano nel campo do battaglia.

Non erano le grida di chi combatte.

Erano le grida di chi fugge.

Le grida degli abitanti di Zaccar.

I comuni, semplici, abitanti di Zaccar.

Non poteva essere…

Zaccar non poteva essere così debole.

Doveva esserci un esercito nascosto dietro le mura.

Era un trucco.

Doveva essere un trucco per ingannarli.

Per costringerli a pensare di avere ormai vinto.

Doveva essere così…altrimenti che razza di re era un re che lasciava morire la propria gente senza nemmeno provare a difenderla?

L’idea di Sesshoumaru, stranamente, iniziò a piacergli particolarmente.

Nel frattempo, le porte erano rimaste ancora, fieramente chiuse.

Nessuno tentò di aprire le porte.

Ne i soldati, ne le catapulte e gli onagri.

Nessuno.

Nonostante ormai solo quell’ostacolo separava il loro esercito se non dalla vittoria, per lo meno dall’assumere una posizione dominante nella battaglia, nessuno ne da fuori, ne d dentro, aveva tentato ancora di aprire le porte.

Non era quello il compito dei soldati, e loro lo sapevano bene.

Presto.

Molto presto.

Molto presto sarebbe arrivato il loro momento.

Il suo momento.

Il clangore lontano e nonostante tutto perfettamente udibile delle armi che strenuamente si opponevano le une alle altre sembrò divenire improvvisamente più forte e pressante.

Il suono graffiante dell’acciaio contro l’acciaio, quello scricchiolante delle armature, il sibilo veloce delle frecce…ogni cosa sembrava essersi fatta in un secondo più vicina.

Come se qualcuno avesse ad un tratto alzato il volume, Inuyasha poteva sentire ora il fiato di un soldato morente, lo stridente suono della molla di una catapulta che, oltre le mura, veniva faticosamente caricata.

Inuyasha si rilassò sulla sella, tentando di non perdere la calma.

Capitava ogni volta.

Ad ogni battaglia.

Il mezzo demone poteva sentire ora il suo stesso sangue ribollirgli nelle vene caldo, furente.

Si era risvegliato.

O per lo meno…l’aveva fatto svegliare.

Il suo sangue.

Il suo sangue demoniaco.

Ogni cosa davanti a lui appariva ora estremamente affascinante….attraente.

La battaglia stava crescendo in lui insieme alla sua tensione, alla sua smania di uccidere, alla sua natura demoniaca…alla sua voglia di sangue.

Ora quel liquido vermiglio sembrava ricoprire ogni cosa: l’erba, i massi, le mura nemiche, l’indaco stesso del cielo tinto ora di un viola livido.

Il mondo stesso sembrava ora un unico, gorgogliante, schiumoso, lago di sangue.

O forse era lui che lo vedeva in quel modo.

Un ghigno crudele deformò il suo viso contratto dall’impazienza.

Affascinante.

Si mosse teso sulla sella del suo purosangue che, intuendo lo stato d’animo del suo padrone, incrinò leggermente le orecchie all’indietro mentre con un agile zoccolo sfregò inquieto il terreno fittamente ricoperto da ciuffi d’erba.

Stava perdendo la pazienza.

Quanto diavolo ci stava mettendo?!

Dove si era cacciato quell’imbecille!?

Dannazione!

L’odore pungente del sangue fresco andò lapidario a solleticare le narici del mezzo spettro, come sfidandolo a reagire.

Strinse con spasmodica forza le cinghie del suo stallone.

L’acre fragranza della pelle fra le sue dita si mischiò a quella del bruno liquido.

Eccolo.

Finalmente.

Le iridi color ambra del mezzo demone si puntarono su di una figura slanciata e nobile che fiera si ergeva in mezzo al campo.

Immobile.

Sesshoumaru se ne stava perfettamente fermo davanti alle scure porte di Zaccar.

La sua sagoma color neve spiccava inconfondibile nella mischia selvaggia.

Intorno a lui, ad una considerevole distanza, se ne stavano i soldati di entrambi gli schieramenti impegnati a combattersi fra di loro.

Inuyasha vide che, incredibilmente, sembravano ignorarlo completamente: nessuno volgeva lo sguardo o la spada contro di lui, quasi che non esistesse.

Probabilmente,o il principe era così immobile da apparire invisibile nel confuso brulichio della battaglia, o la sua aura demoniaca era abbastanza potente da tenere distante chiunque.

Comunque sia, quell’idiota doveva sbrigarsi.

Lentamente, come se l’infuriare della battaglia intorno a lui non lo toccasse minimamente, estrasse la sua fedele spada Tokijin dal fodero.

In un nugolo compatto, orde di draghi al loro servizio sorvolavano ora come ombre infernali il cielo ormai scuro descrivendo ampi cerchi e virate improvvise che li portavano costantemente ad aggirarsi sul campo di battaglia e sui tetti stessi di Zaccar.

L’incandescente bagliore dei loro soffi infuocati a tratti illuminava a giorno la piana erbosa e l’affascinante rosso vermiglio delle loro dure pelli a scaglie si contrapponeva a quello scuro di un verde cupo e profondo di quelli al servizio degli uomini che, di pari maestria in volo e potenza in battaglia, si erano immediatamente alzati in volo dalla città.

Senza esitare, i draghi di entrambi gli schieramenti si erano avventati l’uno sull’altro ingaggiando immediatamente furiosi e spettacolari duelli aerei sia fra loro stessi che fra i cavalieri che cavalcavano agilmente il loro dorso.

Inuyasha, affascinato dalla potenza di queste creature antiche e potenti, si soffermò un secondo ad osservare quello spettacolo allo stesso tempo terribile e meraviglioso.

Il cielo che sovrastava il campo di battaglia sembrava bruciare per il calore delle fiammate e degli incendi.

Improvvisamente, un rombo superiore agli altri, costrinse il mezzo spettro a distogliere lo sguardo.

Gli bastò un’occhiata per capire: Zaccar sembrava essere passata ad un offensiva ancora più devastante: da qualche imperscrutabile punto da dietro le mura iniziarono a partire raffiche di quelli che sembravano essere dardi infuocati e bombe incendiarie.

Rischiarando la notte con il potente fuoco che ardeva al loro interno,si librarono veloci nel cielo come meteore incandescenti,descrissero un’ampia parabola in aria per poi schiantarsi nella pianura e, più precisamente, fra le file dell’esercito dei Miyashi.

Il furioso rimbombo delle esplosioni che, al contatto con il suono ne seguirono fu coperto dalle grida strazianti e confuse dei soldati.

Le bombe infatti, con loro somma sorpresa, appena toccato terra, esplosero schizzando da ogni parte fuoco e liquido incendiario che colpì chiunque si trovava nel raggio di 30 metri.

I corpi in fiamme dei malcapitati iniziarono ovunque a risplendere come macabre torce semoventi che oltre a strillare come maiali al macello, correvano da ogni parte appiccando il fuoco in ogni dove.

Parecchi furono abbattuti dai loro stessi compagni mentre, in un secondo, tutta la pianura sembrò prendere fuoco.

Secchi ordini mischiati alle grida di sorpresa e di terrore si levarono dalle fila del loro esercito mentre, raddoppiando la frequenza dei lanci di massi e proiettili,i soldati tentavano di resistere all’attacco.

Parecchie catapulte colpite malamente dalle bombe incendiarie, presero fuoco con incredibile facilità, per poi crollare su se stesse in un fragoroso frastuono di assi spezzate e grida convulse di coloro che si affaccendavano intorno ad esse.

Nello stesso istante Sesshoumaru,fino ad allora rimasto immobile nella sua posizione, come a studiare la struttura stessa delle porte di Zaccar, alzò la spada con un movimento fluido e controllato e, fendendo l’aria con la lama lucente, diede vita ad un potente flusso di energia distruttiva che si infranse con un rombo sordo sulle nere porte della città che tuttavia sembrarono resistere.

Inuyasha schioccò la lingua con evidente disappunto.

Forza…

Nuovamente un fendente ancora più potente del primo si schiantò contro le porte che incredibilmente resistettero nuovamente nonostante i gemiti strazianti del legno e del robusto ferro posto a protezione di quest’ultimo facessero presupporre che da li a poco avrebbero ceduto.

Abbondanti porzioni di mura ora ricoperte di brulicanti figure di demoni che risalivano le imponenti scale di legno iniziavano a dare segni di cedimento ai duri colpi delle catapulte, dei mangani e degli onagri.

Anche i draghi del resto sembravano stare adempiendo appieno al loro dovere: Il bagliore dei fuochi da loro appiccati oltre le mura rischiarava ora il buio della notte.

Un nuovo, potente e distruttivo fendente della spada di Sesshoumaru si schiantò contro le porte che questa volta brontolarono, gemettero, si incurvarono ed infine con uno schianto assordante esplosero.

Per un secondo, la marea cremisi e nera che infestava la pianura sembrò immobilizzarsi, come stupita dal fatto appena accaduto.

Le porte, insieme alle mura, erano cadute.

Improvvisamente un nuovo, esultante grido di gioia esplose per la pianura.

Inuyasha sorrise soddisfatto.

Immediatamente, seguendo un ordine mai espresso dai loro generali, tutto l’esercito dei Miyashi si diresse compatto verso quell’apertura.

Ma qualcosa andò storto.

Come se si fosse appena rotto un argine, una marea nera si riversò dai cancelli andando a bloccare l’avanzata delle truppe: le milizie nemiche nascoste all’interno della città avevano finalmente deciso di uscire allo scoperto.

Immediatamente la pianura fu invasa dai soldati a piedi e a cavallo dei nemici mentre una miriade di bombe incendiarie e dardi infuocati si riversarono come una valanga senza fine contro le truppe al loro servizio, bloccandone così la furiosa avanzata.

L’esercito sembrò rombare minaccioso alla nuova, inaspettata, reazione di Zaccar.

Stridule grida d’incitamento e gracchianti ordini d’attacco vibrarono decisi per la piana erbosa ormai disseminata di incendi e cadaveri mentre, incontrando sul loro cammino la ferrea resistenza delle truppe dei Miyoshi, le milizie di Zaccar cominciavano a tentare di aprirsi una strada verso la vittoria.

Improvvisamente, nel cielo ancora scuro sprizzò una lucente scintilla violacea che, arrivata ad alta quota esplose in un tuono sordo.

Il viso di Inuyasha si piegò in un ghigno sardonico:il segnale.

Finalmente anche lui sarebbe sceso in campo, avrebbe bagnato i suoi artigli del sangue di quei luridi esseri umani e assaggiato la loro carne ancora calda…un fischio acuto….si voltò per ordinare al sottoufficiale la carica….un fischio sempre più acuto….aprì la bocca per comandare l’ordine ma il sottoufficiale non poté mai udire le sua parole perché improvvisamente un boato sordo e uno schianto infernale lacerarono l’aria intorno a loro deformando ogni cosa.

Un forza incredibile lo strappò dalla sella del suo cavallo per catapultarlo in aria come se fosse stato meno che una piuma per poi schiantarlo contro qualcosa che quasi gli spezzò la schiena come uno stuzzicadenti.

Poco dopo ricadde bocconi a terra.

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Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


Buon Natale a tutti( in ritardo) e buon anno( in anticipo)

Buon Natale a tutti( in ritardo) e buon anno( in anticipo)!!!

Sono tornata!!!( e ke palle….=_____=)

Lo so, ho così tardato a spedire questo cap. che ormai anche io non sapevo se l’avrei mai postato o no, e vi devo confessare che la seconda chance mi attraeva particolarmente.

Perché??

Perché non riuscivo a finirlo e, perlomeno, a scriverlo decentemente come avrei voluto fare visto che, per così dire, questo periodo è stato per me particolarmente difficile e incasinato.

Ma preferirei sorvolare, sperando che questo capitolo smentisca le mie paure sul fatto che io sia rimasta in qualche modo traumatizzata ^////////^

Preannuncio, a costo di essere ripetitiva, che anche qui le scene da me descritte sono completamente ex novo, frutto della mia immaginazione e delle fonti come Inuyasha, final fantasy e il Signore degli anelli, per cui non aspettatevi troppo!!!!! ^ ^

E ora, passiamo ai ringraziamenti:

Per prima cosa ringrazio Chria, Luna e, per l’ultima volta, Ray per la loro pazienza e gentilezza nell’avere letto la prima stesura di questo capitolo.

Poi ringrazio Tiger eyes :Ho corretto gli errori che mi hai segnalato (grazie infinite *___* me onorata!) e ti sono grata per esserti disturbata nell’indicarmeli e per…credere in questa storia!!! Thanks! ( anche se mi hai detto di non farlo XD)

Bea: ringrazio di cuore anche te! Spero che ti possa piacere anche questo capitolo!Cmq…=///////= il medioevo non è il mio periodo storico preferito, anche se devo dire che mi piace particolarmente… so davvero poche cose!!!! Il resto, e cioè le cose che assolutamente ignoravo ( come i nomi delle macchine da guerra o le strategie d’attacco) me le hanno dette Ray e Chria, presi dallo sconforto per la mia ignoranza!!!!^ ^

Mewrobby:Grazie!!!^////////^ me commossa!!

Starli: grazie mille!!!! Anche io adoro i draghi, anche se in questa storia credo che non compariranno molto spesso….thanks!!!!!!!!!

E per finire, un grazie a tutti coloro che non hanno commentato ma hanno comunque letto!!!!!!

Scusate se mi sono dilungata così tanto, ma, non avendo mai ringraziato nessuno, mi sentivo di fare una cosa del genere…

Vi giuro che non lo farò più!!! ^ ^

Ancora buon Natale e buon anno a tutti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!


Per qualche secondo non capì più niente.

Le orecchie gli fischiavano furiosamente, il naso non riusciva più a percepire alcun odore, di riuscire a vedere non se ne parlava: in una frazione di secondo tutti i suoi finissimi sensi demoniaci l’avevano abbandonato.

Incapace di capire dove si trovasse,Inuyasha imprecò.

Cosa diavolo era successo?

La schiena gli mandò una fitta così dolorosa da mozzargli il fiato.

Dannazione!

Lentamente,tentando di mantenere la calma, mosse appena il capo sentendo, con suo immenso sollievo, una superficie ruvida e granulosa graffiargli il viso.

Terra.

Era steso a terra.

Perfetto.

Mosse appena le braccia lungo i fianchi e, appoggiando i palmi a terra, tentò di sollevarsi.

Un conato di vomito, seguito poi dalla rivoltante sensazione che la realtà intorno a lui si deformasse verso sinistra, lo schiantarono ansante a terra.

Maledizione!

Il convulso pulsare del cuore scuoteva furioso ogni fibra del suo corpo per poi rombare convulso nelle orecchie lacerate dallo spostamento d’aria.

Cupi scrosci di una pioggia inesistente, rombi cupi e profondi, paragonabili solo allo smuoversi stesso delle montagne, fischi assurdamente penetranti, tonfi sordi e ogni altro genere di echi e confuse distorsioni di qualsiasi suono dalla provenienza indecifrabile, giungevano come violente onde di tempesta o improvvisi brontolii stordendo Inuyasha con la loro selvaggia e devastante forza.

Inspirò profondamente,cercando di calmarsi,tentando di ordinare quell’accozzaglia di suoni che sembravano infrangersi nella sua testa come immense onde di tempesta per poi andare in mille, milioni di pezzi nel suo cranio, in un’infinità di affilate schegge sonore.

Calma.

Appoggiò lentamente entrambe le mani a terra, e finalmente riuscì a sedersi.

Di nuovo trangugiò quell’aria malsana e, lentamente,aprì gli occhi: il mondo intorno a lui si deformò, tremò, si contrasse su se stesso ed infine, si stabilizzò.

Fiamme.

Ovunque.

Il bagliore infernale delle lingue di fuoco intorno a lui gli fece per un secondo dolere gli occhi.

Socchiuse appena le palpebre, lasciando che i riflessi dorati delle vampe filtrassero appena fra le lunghe ciglia argentate come ambrati raggi di un livido tramonto infernale.

Poteva percepire la bruciante sensazione di un caldo abbraccio avvolgerlo pian piano con la lenta sicurezza del predatore, lambire piano i suoi vestiti, accarezzargli lento la pelle asciutta del viso.

Si scosse furioso: doveva sbrigarsi, o presto sarebbe morto soffocato.

Improvvisamente, come se la tempesta nella sua testa che con la sua violenza riduceva ogni suono in milioni di frammenti si stesse pian piano placando, Inuyasha poté distinguere un crepitio leggero alla sua destra.

Uno scricchiolio poco distante.

lo scoppiettio leggero delle fiamme che lentamente divoravano il legno.

Lo sfrigolio sibilante degli aghi di pino lambiti dalle lingue di fuoco.

Inuyasha socchiuse appena le palpebre.

Il confuso galoppio degli zoccoli di cavalli ormai abbandonati dai loro padroni, il disperato vociare di demoni ed esseri umani.

Il vibrante clangore di spade.

Dove diavolo era finito?

Un secondo prima si trovava nel bosco, e da poco il segnale d’attacco era brillato nel cielo e poi…

Poi…

Dannazione!

Inuyasha scosse rabbioso il capo, e con uno scatto riaprì gli occhi.

Una sagoma, imponente ed immensa contro il vermiglio profilo delle fiamme gli si parò davanti.

Preso dal panico, Inuyasha si buttò di lato, evitando per un soffio di essere calpestato ma la figura, evidentemente interessata a lui, si fermò pochi metri alle sue spalle e, tornando sui suoi passi, si preparò ad attaccarlo di nuovo.

Un cavaliere di Zaccar.

Ancora stordito, il mezzo demone si ritrovò a fissare il lucente profilo di una affusolata katana che questi brandiva nella mano destra.

Le lingue di fuoco, specchiandosi con malizia su quella fredda superficie metallica, si riflettevano su di essa, facendo quasi sembrare che la lama stessa brillasse.

Una luce stranamente livida e senza calore.

Il cavallo del soldato, lanciato al galoppo dal suo padrone, stava divorando a folle velocità la distanza che lo separava da un Inuyasha ancora apparentemente inerme.

Per un secondo l’uomo si ritrovò a pensare di essere stato fortunato: il suo avversario non accennava a muoversi, ed in più sembrava essere disarmato.

L’attimo dopo, l’idea che questo fosse un comune civile gli balenò nella mente ma, subito, la vista dello yukata rosso fuoco che questi indossava dissipò ogni suo dubbio: quell’indumento era rosso, il colore dell’esercito dei Miyashi.

Il fatto che il suo avversario non indossasse un’armatura non lo turbò particolarmente: magari era un soldato troppo povero per potersela permettere.

Spronò con più foga lo stallone contro il suo avversario.

L’aria riarsa e densa di fumo, gli fece per un secondo mancare il respiro.

Caricò il colpo.

Breve ed indolore.

Il soldato non si muoveva.

Seduto a terra, si limitava a guardarlo da dietro due iridi ambrate con sguardo attonito e spento, apparentemente incurante di tutto ciò che lo circondasse.

Strinse con più forza le dita intorno all’elsa della spada, e quando fu così vicino che gli zoccoli dello stallone avrebbero potuto quasi calpestare quella figura in rosso, abbassò la spada verso il suo nemico.

L’affilata lama della katana falciò l’aria.

Solo l’aria.

Il cavaliere sentì il respiro congelarglisi nella gola.

Scomparso.

Il soldato in rosso era scomparso.

L’uomo, gli occhi ora sgranati per lo stupore e la lama ancora tesa nell’atto di colpire un avversario ora svanito nel nulla, osservò il punto in cui un secondo prima se ne stava il suo nemico, ora incomprensibilmente vuoto.

Ma dove diavolo…

Ancora prima di rendersi conto di ciò che era successo, si ritrovò sbalzato in aria dalla furia del mezzo demone.

“Ecco dove era finito…” pensò per un secondo, mentre, inerme, il suo corpo si librava nell’aria come una rondine ferita.

Veloce, Inuyasha si mise in sella allo stallone e, prendendo sicuro le redini, gli diede un potente strattone.

Immediatamente l’animale si impennò sulle zampe anteriori nitrendo selvaggio.

La sua possente muscolatura guizzò sotto la presa decisa del mezzo demone che, con un forte strappo lo costrinse a voltare il capo verso sinistra così come il corpo ed infine ad atterrare con un tonfo attutito dalla cenere sugli zoccoli anteriori, nella direzione opposta dalla quale lo stallone era giunto.

“AH!” con un poderoso calcio negli stinchi, Inuyasha incitò l’animale a partire al galoppo.

Il crepitio confuso delle fiamme si unì al nuovo, rabbioso nitrito del cavallo che, impennandosi nuovamente, partì in corsa.

Ora sapeva che cosa fare.

Come se il suo cervello avesse in un secondo ricollegato tutti i fili che la furia dell’esplosione aveva tranciato, Inuyasha aveva in attimo realizzato la situazione:L’esercito di Zaccar aveva fatto esplodere una o più di quelle bombe incendiarie davanti a loro e, probabilmente, il clangore di spade che sentiva era dovuto all’attacco alle spalle che sicuramente la cavalleria nemica aveva sferrato contro il loro esercito.

Doveva raggiungere le sue truppe e da lì guidare l’offensiva.

Gli agili zoccoli affondarono pesanti nel terreno mentre, con movimenti bruschi e nervosi, l’animale scartò agilmente antichi alberi e cespugli ora ricoperti per intero dalle fiamme.

Grida lontane sfiorarono le sensibili orecchie canine del mezzo demone.

Con un secco strattone, Inuyasha fece voltare il cavallo nella direzione da cui essi erano provenuti sentendo sotto di sé, compatti, i possenti muscoli dello stallone contrarsi per lo sforzo, distendersi, ed infine contrarsi nuovamente mentre, spinto dalla foga, lo costringeva ad una corsa sfrenata in quell’inferno di fuoco.

Il cavallo scartò agilmente di lato, evitando di un soffio un tronco ormai divorato dalle fiamme.

Inuyasha poteva vedere il respiro rovente dell’animale fuoriuscire con spasmodica velocità dalle narici dilatate ed arrossate per poi, soffocato dalle brucianti esalazioni provocate dagli incendi, mischiarsi alla densa nebbiolina grigiastra.

Il bosco tremava davanti ai suoi occhi tinti della più meravigliosa sfumatura crepuscolare.

Gli alberi carbonizzati, i cespugli in fiamme, l’erba ormai seccata dal calore…ogni cosa sembrava ricambiare lo sguardo di Inuyasha con congestionata forza.

Il sudore causato dal calore e dallo sforzo, imperlava ora il nero manto dello stallone che, mordendo con forza il morso di ferro, scuoteva con rabbia la criniera a destra e a sinistra mentre,sotto la guida decisa del mezzo demone, avanzava in quella foresta ormai divorata dalla furia del fuoco e finalmente,come infrangendo il velo d’acqua che separa il cielo dall’abisso dell’oceano, entrambi si trovarono nel luogo in cui l’esercito nemico aveva attaccato alle spalle quello dei Miyashi.

Cavalieri e soldati si aggiravano fra le fiamme come spettrali figure le cui armature nere e vermiglie risplendevano dell’infuocato bagliore della battaglia.

Le lunghe spade dal freddo metallo stridevano selvaggiamente scontrandosi le une contro le altre, rilucendo dei riflessi dell’infuocato astro degli inferi mentre, come burattini manovrati da una mano folle, cavalli imbizzarriti abbandonati dal loro padrone nitrivano terrorizzati galoppando alla rinfusa, scartando presi dal panico, riprendendo a correre, e scartare di nuovo, come guidati da un filo invisibile, che altri non era che il loro istinto, il rovente abbraccio delle fiamme.

Improvvisamente, un soldato a cavallo gli sbarrò la strada.

I sodi muscoli dello stallone si contrassero fino allo spasimo mentre, tirando con foga a sé le briglie, Inuyasha scansò il mortale fendente di questi.

Senza aspettare che il cavaliere registrasse il fatto di averlo mancato per un pelo, Inuyasha gli afferrò il braccio, con un gesto fulmineo si impossessò della spada che teneva in mano e con gli artigli gli aprì uno squarcio netto nel ventre.

Vermigli schizzi di sangue, simili a preziosi rubini dalla rara bellezza, sporcarono il mantello corvino del cavallo e lo yukata rosso del mezzo demone.

Facendo con maestria volteggiare la spada nella mano destra, Inuyasha saggiò la robustezza e la fattura della sua nuova arma.

Sorrise lievemente.

Una buona spada.

Certo, nulla a cui spartire con la sua invincibile Tessaiga, certo che no, ma nonostante tutto un’arma sufficientemente adatta ad affrontare quel genere di scontro.

Perché quella volta non avrebbe estratto Tessaiga.

Non ne valeva la pena.

Non quella volta.

L’irregolare affondare degli zoccoli dello stallone nel terreno si interruppe bruscamente mentre un nuovo, incauto, avversario, osava mettersi sulla sua strada.

Con un movimento fluido, Inuyasha fece roteare la spada nelle sue mani artigliate e, rispondendo all’ordine del suo nuovo padrone, l’affusolata lama incontrò la fragile e scoperta pelle del collo del soldato, la fendette, tagliando senza intralcio la calda carne muscolosa, ed infine tranciò di netto la spina dorsale.

Il capo mozzato dell’uomo si librò per un secondo nell’aria, quasi che l’anima del morente contenuta al suo interno stesse tentando strenuamente di liberarsi da quell’insulso involucro di carne e ossa che ancora la imprigionava negandole la libertà.

La lama, ormai macchiata dal bruno colore della vita, vibrò ancora, e un istante dopo, il capo tranciato in due, curiosamente simile ad una carnosa mela matura, ricadde inerte nella polvere.

Finalmente.

Inuyasha si guardò intorno, mentre dentro di lui, come una improvvisa scarica elettrica, esplodeva una furiosa sensazione di gioia.

Quasi un’ebbrezza.

Per un istante, forse il primo nella sua vita, si sentì percorrere nelle vene da una tale felicità, da sentirsi quasi stordito.

Finalmente.

Assaporò quell’attimo, gustandone ogni impercettibile sfumatura, ogni delicata fragranza, retrogusto.

Finalmente.

Finalmente libero di esprimere la propria natura così a lungo segregata nel suo animo dalle rigide regole imposte dalla sua vita da principe, di diplomatico, Inuyasha si preparò a combattere.

Parò un fendente, ne diede uno a sinistra.

Vibrò la spada verso destra, poi nuovamente verso sinistra.

Il suono della carne che si lacerava sotto l’incedere furioso della Katana, delle arterie che si spezzavano, il sonoro rompersi delle ossa….

Una melodia.

Una travolgente, esaltante melodia.

Una melodia che Inuyasha sapeva essergli tremendamente mancata.
La spada nelle sue mani sibilò selvaggia, facendogli ricordare per un secondo il pericoloso soffio di un serpente.

Squarciò con un unico fendente lo sterno di un soldato in nero, lasciando che i caldi rubini del suo sangue gli imperlassero le labbra sottili.

Un ghigno gelido deformò il suo volto affilato.

Soltanto in quel modo.

Soltanto combattendo.

Soltanto così si sentiva vivo.

Si abbassò con uno scatto, schivando una lancia brandita da un piccolo soldato, e afferrandola con entrambe le mani, con un potente strattone, la puntò verso l’alto.

Il poveretto aggrappato ad essa, impotente, fu catapultato in aria come un pupazzo di stoffa, ricadendo poi pesantemente a terra diversi metri più in là.

L’impatto pose fine alle sue future sofferenze.

Soltanto uccidendo.

Strinse con foga le cinghie di cuoio del cavallo facendo immediatamente scattare l’animale verso destra.

L’albero in fiamme alle loro spalle mancò di un respiro la coda color notte dello stallone sfracellandosi poi a terra con un crepitio confuso di rami spezzati.

Soltanto così si sentiva vivo.

L’animale ansimò scalpitando rabbioso,le orecchie rivolte all’indietro,quasi stesse lottando contro l’istinto di fuggire.

Con un poderoso calcio negli stinchi, Inuyasha lo costrinse nuovamente al galoppo.

La spada ora infilata saldamente nella cintura del mezzo demone, sbatté lievemente contro il torace dell’animale lanciato in corsa.

“Eh no, caro mio”sogghignò il mezzo spettro facendo abilmente roteare la lancia nella mano sinistra.

Un secondo dopo, con un gesto fluido, la scagliò contro un soldato dall’armatura nera che gli si era lanciato contro.

“Deciderò io quando e come te ne potrai anda..non riuscì a finire la frase perché proprio in quel momento, una lancia scagliatagli contro, lo costrinse a scartare di lato.

Un secondo dopo, un fendente proveniente dall’alto lo obbligò ad alzare la sua spada verso l’alto, in modo da bloccare la furiosa avanzata di una katana lustrata a nuovo.

“Dannazione!” ringhiò furente il mezzo demone e proprio in quel momento, con curioso tempismo, lo stallone sembrò decidere che non avrebbe più potuto sopportare oltre quella situazione e, con un nitrito selvaggio si impennò sulle zampe anteriori.

Maledizione!

Stupido cavallo!

Ansimando per lo sforzo, il mezzo demone fece leva sulle braccia respingendo indietro il colpo e, subito dopo, sferzò l’aria con la katana.

Il suo nemico, però, quasi avesse intuito la sua mossa, spiccò un agile balzo verso l’alto, abbandonando così il suo cavallo ed evitando il suo fendente.

“Appunto…proprio quando deciderò io…” ringhiò il mezzo demone in direzione dello stallone e, spada in pugno, scattò verso l’alto.

Il cavallo, ancora fieramente in equilibrio sulle zampe anteriori,rimase per un secondo li, in bilico sulle sole zampe anteriori, i muscoli possenti che, con titanica forza, reggevano la sua figura ammantata di nero.

Per un solo, unico, istante, il suo profilo fiero,stagliato fra le fiamme come uno squarcio rabbioso di tenebra su di una tela color del sole, si erse in tutta la sua potenza in quell’inferno intessuto d’oro e vermiglio.

Poi, inaspettatamente, come per il fugace spezzarsi di un incantesimo,lo stallone perse l’equilibrio, le snelle gambe impensabilmente vinte dal peso stesso del loro padrone e, un secondo dopo, stramazzò a terra.

Nello stesso istante, Inuyasha vibrò un fendente verso l’alto che il cavaliere con maestria parò, la fredda lama della sua spada premuta contro quella sporca di sangue vermiglio di quella del mezzo spettro, per poi, facendo appena leva sulle braccia, darsi una leggera spinta all’indietro.

Toccando terra, i suoi piedi fasciati da un nero tessuto, sollevarono un poco di cenere e sabbia.

Sorpreso, Inuyasha atterrò proprio di fronte a questo.

Non male.

Per un essere umano.

Scattò in avanti e, appena fu abbastanza vicino, vibrò un fendente verso sinistra.

L'aria dove solo un istante prima si trovava il cavaliere, venne squarciata senza pietà.

Voltandosi con uno scatto, Inuyasha si preparò a ricevere il suo nemico che in un secondo si era spostato alle sue spalle e, veloce, si preparava a colpirlo con un calcio.

Inuyasha lo evitò per un soffio, chinandosi verso terra ma fu un errore: chinandosi anch’egli, diede una poderosa spazzata con la gamba destra, facendo così cadere il mezzo demone rovinosamente nella polvere.

L’ovattato scalpiccio dei piedi fasciati dell’uomo che veloci si allontanavano dal luogo del duello, filtrarono attraverso la fitta cortina di polvere che per un secondo avvolse il mezzo demone.

Quel maledetto stava fuggendo!!

Si rialzò furente e, brandendo la spada, scattò con un balzo verso il soldato che, con sua immensa sorpresa e allo stesso tempo, delusione, si era allontanato solo per riprendere una lancia che probabilmente gli apparteneva, rimasta conficcata ad un albero.

La lama della Katana sibilò minacciosa verso il capo dell’uomo, ma questi, saltando con un balzo verso di lui, fermò il fendente con la sua lancia.

Inuyasha, per una frazione di secondo, si ritrovò a fissare il dorato riflesso delle sue iridi ambrate, distorte e rese quasi grottesche dall’aurea superficie cilindrica dell’arma del suo nemico.

Stallo.

Inuyasha sentì i muscoli dell’uomo tremare per lo sforzo.

Le sue braccia, immobili, si opponevano alla potenza del suo avversario.

Sorrise, vagamente divertito da quella chiara dimostrazione di inferiorità ed improvvisamente, con un elegante scatto all’indietro, interruppe il contatto.

Entrambi toccarono agilmente terra a poca distanza l’uno dall’altro.

Il viso di Inuyasha si contrasse per un istante in un ghigno gelido, al notare la luce stupita che attraversò come una fugace ombra le iridi color mogano del suo avversario.

L’aveva fatto apposta.

Lo sapeva lui come lo sapeva il suo nemico.

E non l’aveva fatto per codardia o paura.

E nemmeno perché non fosse abbastanza forte per vincere quel duello di forza.

Affatto.

Voleva divertirsi.

Tutto qui.

Come il gatto che si diverte con il topolino tremante fra le sue zampe.

Perché terminare fin da subito un duello che, anche se di poco, superava il livello standard imposto dalla guerra?

L’inferno crepitava intorno a loro.

Perché uccidere subito un uomo la cui abilità in guerra superava quella dei comuni contadini a cui era stata affibbiata una spada di cui non sapevano nemmeno distinguere l’elsa dal taglio?

I bagliori infernali delle lingue di fuoco si mischiarono per un secondo al bruciante sentimento che sembrò per un istante divampare come un incendio negli occhi dell’uomo che gli stava davanti.

Il respiro lievemente accelerato, Inuyasha tese i muscoli per spiccare un nuovo balzo ma, come se avesse intuito le sue mosse, il suo avversario scattò verso di lui, brandendo fieramente il bastone sormontato da un grande anello d’oro contenente altri sei piccoli anellini.

Un bo a sei anelli.

I cerchietti aurei tintinnarono sonoramente quando, giunto abbastanza vicino, questi lo abbassò con forza verso la testa del mezzo demone.

Con un movimento fluido, Inuyasha lo schivò spostandosi a destra e, facendo subito partire a sua volta la spada verso sinistra, vibrò un fendente.

Il bo parò l’avanzata della lama e nello stesso istante questi diede una sgomitata verso lo stomaco del mezzo spettro.

”Ma che bravo” pensò freddamente Inuyasha mentre, usando la mano sinistra, parava il colpo.

Lo sentì imprecare sommessamente, intanto che con uno strattone deciso tentava di liberarsi dalla stretta esercitata dalle sue dita artigliate.

Un secondo dopo, un potente calcio del mezzo demone lo colpì duramente al fianco.

Sentì il respiro del suo avversario sfuggire in un rantolo strozzato dalla gola riarsa quasi come l’acuto sibilo del vento fra le rocce, mentre i fragili polmoni dell’uomo venivano compressi dalla sua forza demoniaca e un istante dopo, senza alcuna possibilità di reagire, il soldato venne sbalzato come un fantoccio in aria per poi ricadere pesantemente sul tronco di un albero crollato a terra.

Un grido di dolore esplose nell’aria rovente.

Inuyasha,ora immobile, gli occhi ridotti a due fessure ardenti, fece roteare la katana al suo fianco.

La tunica corvina dell’uomo, ora lacerata e strappata in più punti, era lambita dalle fiamme.

Due aguzze sfere color mogano velate ora da un dolore pulsante, ricambiarono il suo sguardo insistente.

Come si rompevano in fretta gli esseri umani.

Improvvisamente, come se un velo invisibile fosse appena stato calato davanti al viso ora mortalmente pallido dell’uomo, un ombra cinerea sembrò oscurare l’intensità di quello sguardo.

La vivida luce combattiva rinchiusa all’interno di quegli specchi color mogano, in un secondo,scomparve, lasciando, al suo posto, un anonimo grigio.

Il grigio della morte.

Inuyasha scattò in avanti.

Era suo.

Era stanco di giocare.

Il leggero graffiare degli artigli del mezzo spettro sulla terra ardente mentre, come trasportato da un infuocato soffio di vento, divorava i pochi labili metri che lo separavano dal corpo ormai esanime del suo avversario, raggiunse flebile le orecchie oramai assordate da un acuto, snervante, fischio, dell’uomo riverso a terra.

Le sue iridi color mogano si dischiusero ancora una volta, permettendogli di vedere, seppur confusa, la vermiglia sagoma del demone lanciato in corsa verso di lui.

Inuyasha caricò il colpo, distendendo le dita quanto più gli riuscì per catturare più aria possibile, gli artigli che sibilavano strappando pezzo per pezzo l’uniformità del paesaggio circostante.

La spada sbatacchiava stizzita al suo fianco, quasi stesse reclamando per sé quell’omicidio che di li a poco avrebbe aggiunto una nuova, indelebile,macchia sull’anima ormai incolore del mezzo spettro.

Un lieve ghigno deformò quel volto ora così incredibilmente duro e spietato.

In fondo non lo stava uccidendo.

Quel soldato era come se fosse già morto.

La sua era solo una semplice….esecuzione?

In fondo, così facendo, avrebbe solo accorciato il tempo delle sue sofferenze.

Aumentò anche se di poco la sua andatura, regolarizzò il respiro, nel tentativo di concentrarsi quel tanto che gli bastasse per colpire esattamente i punti vitali dell’uomo, quando, un rumore appena percettibile fra la miriade di urla, scricchiolii e crepitii delle fiamme, raggiunse le sue sensibili orecchie.

Puntò immediatamente i piedi a terra, e con uno scatto improvviso riuscì ad evitare per un pelo l’enorme oggetto lanciato a folle velocità contro di lui.

Mancato il suo bersaglio, l’arma si schiantò a terra sollevando detriti e sassi, per poi, come attratto da una forza irresistibile, rialzarsi in volo e venire afferrato con mano sicura da una figura.

Senza interrompere la sua corsa, il mezzo demone continuò la sua avanzata contro l’uomo ferito.

“Hiraikotsu!!” l’urlo selvaggio del guerriero raggiunse alle spalle Inuyasha.

Maledizione!

Con uno scarto deciso, il mezzo spettro scattò verso l’alto.

L’oggetto passò sibilando sotto i suoi piedi, descrisse un ampia parabola a mezz’aria e tornò indietro.

Un boomerang.

Inuyasha atterrò leggero sulle punte dei piedi, girandosi poi finalmente a guardare il suo nuovo, decisamente interessante, avversario.

Il profilo alto e snello della figura di questi si stagliava ora tremolante e quasi spettrale nel bagliore vermiglio delle fiamme.

I lunghi e lucenti capelli corvini, legati strettamente in una coda di cavallo, frustavano, simili alla coda inquieta di un felino, la schiena sottile del guerriero coperta, così come le altre parti vitali comprendenti torace e spalle, da una leggera armatura del colore scuro della notte.

La snellezza delle gambe, la finezza della vita, la morbidezza del profilo non sfuggirono allo sguardo attento del mezzo spettro che, dopo un secondo, si lasciò sfuggire un lieve ghigno gelido.

“una donna” pensò senza tuttavia staccare lo sguardo da quella figura dalla selvaggia bellezza “forse quella che avevo fiutato”.

La presa della donna sul boomerang, si rafforzò un poco.

Arma interessante per un essere umano.

Il mezzo spettro si concesse ancora qualche istante per scrutare attentamente quella figura avvolta dal riflesso infuocato delle fiamme poi, distogliendo sprezzante lo sguardo, schioccò la lingua sul palato riarso: non aveva tempo da perdere con una donna.

Nuovamente, intenzionato ad ignorarla, il mezzo spettro si voltò e, con uno scatto deciso, riprese a correre in direzione dell’uomo ferito.

L’urlo della donna, furioso, gli trapassò il cervello come una scarica elettrica ”Sono io il tuo avversario ora!!Hiraikotsu!!” di nuovo, come in un curioso flash back, la pesante arma demoniaca venne scagliata contro di lui.

Serrando le mascelle seccato, il mezzo spettro scartò di lato ma la donna, prevista la sua mossa, gli si parò davanti.

La lucente katana vibrò furente fra le sue dita affusolate mentre, intrecciandosi con quella di Inuyasha, si opponeva ad essa in uno scontro diretto.

Un duello di forza.

“Ciao, ciao bellezza…” pensò sogghignante il mezzo demone mentre, esercitando una lieve pressione, respingeva indietro la donna che, perdendo incautamente l’equilibrio, si espose inevitabilmente al fendente che lui immediatamente vibrò contro di lei.

Era quasi troppo facile.

Una donna.

Ci mancava solo che mandassero dei bambini in fasce ad attentare alla sua vita.

La lama tagliente come un rasoio si abbassò rapida verso il capo esposto della guerriera quando, impensabilmente, un oggetto affusolato fermò la sua avanzata.

Dannazione!

Il bo!

Sapeva che avrebbe fin da subito dovuto uccidere quel dannatissimo umano!

Il bo dell’uomo che un secondo prima giaceva inerte ai piedi dell’albero in fiamme, salvò la donna da una morte sicura.

Scansando il bastone, Inuyasha tentò un nuovo, rapido, affondo ma l’uomo, veloce, scacciò la lama con il bo, facendo subito dopo partire un calcio verso di lui.

Schioccando la lingua stizzito, Inuyasha scattò indietro.

Nello stesso istante, l’uomo, con una premura del tutto fuori luogo in quella situazione, aiutò la donna ad alzarsi, ed insieme si misero in posa di combattimento.

Il volto del mezzo spettro si contrasse in un ghigno crudele.

L’aveva notato.

Ad Inuyasha non era sfuggito il rapido, quasi invisibile, bagliore che aveva attraversato gli occhi dei due guerrieri quando i loro sguardi si erano, per una frazione di secondo, incontrati.

Ma che carini.

Due fidanzatini.

Il sorriso gelido che ora deformava il volto affilato del mezzo spettro si allargò ulteriormente.

Vuol dire che li avrebbe uccisi insieme.

Non si fosse mai detto che lui non trattasse con riguardo i suoi avversari!

Una lieve risata scorse fluida dalla sua gola asciutta: decisamente combattere lo metteva di buon umore.

Avrebbe dovuto farlo più spesso.

Strinse maggiormente la presa sulla spada del cavaliere preparandosi a ricevere l’attacco dei due componenti della truppa speciale del re, coloro che avrebbero dovuto ucciderlo.

L’eco di grida ormai lontane vibrò intorno a loro, sovrastando appena il bruciante scoppiettio delle fiamme.

Avanti.

Stava aspettando.

Immediatamente, come se avessero potuto leggere nel suo pensiero, i due partirono all’assalto, questa volta in un attacco sincronizzato.

“Hiraikotsu!”

La potente arma demoniaca, lanciata con forza contro di lui, divorò in un secondo lo spazio che divideva Inuyasha dai suoi nemici, sibilando minacciosa verso il suo obbiettivo.

Inuyasha, sogghignando, la evitò con un balzo verso l’alto, ma nello stesso istante, la donna gli si parò davanti brandendo la sua affusolata katana.

Le spade vibrarono furenti nelle mani dei due mentre nuovamente le lame si opponevano l’una all’altra in un duello dall’esito questa volta prevedibile.

Inuyasha, l’aria densa e malsana che gli bruciava la bianca pelle del viso, osservò la scintilla di rabbia che rese improvvisamente profondi e vividi gli occhi color cuoio della guerriera mentre, con la sua forza demoniaca, scagliava quel suo esile corpo di donna in quel palpitante inferno di fiamme.

La poveretta, incapace di reagire,si perse nell’incandescente bagliore delle lingue di fuoco.

Con un movimento fluido, il mezzo spettro atterrò poco distante, ma in quella, il bo dell’uomo giunto di soppiatto alle sue spalle lo colpì sul capo scaraventandolo a terra.

Per un secondo il mondo davanti agli occhi del mezzo spettro divenne rosso vermiglio.

Dannazione!

Non lo aveva sentito arrivare.

Immediatamente, Inuyasha rotolò di lato, evitando così di ricevere il bis e una raffica di coltelli lanciati dalla ragazza miracolosamente viva e vegeta.
”Pelle dura gli umani” digrignò il mezzo spettro serrando le mascelle in uno spasimo.

“Hiraikotsu!!”

Di nuovo!

Quei due stavano diventando ripetitivi!

Esasperato, Inuyasha si tirò in piedi e vibrando la lucente katana davanti a se, si preparò a fronteggiare direttamente l’avanzata del boomerang demoniaco che ancora una volta la guerriera gli aveva scagliato contro.

L’impatto però lo prese alla sprovvista:incontrando la fiera opposizione della spada, il boomerang sembrò ruggire la sua forza contro un Inuyasha che, sorpreso, si vide sbalzato all’indietro, la spada che, vibrando violentemente nelle sue mani, iniziava ad emettere scintille lucenti.

Maledizione!

Il boomerang, stridendo selvaggio a poche spanne dal suo viso, sembrò aumentare ulteriormente la sua forza.

Inuyasha non poté fare a meno di pensare ad un toro imbufalito lanciato alla carica.

La spada nelle sue mani vibrò con una violenza tale da far pensare che si sarebbe spezzata da un momento all’altro, l’elsa ormai bollente che feriva la dura pelle demoniaca dei suoi palmi e delle sue dita.

“Dannazione!!” dalle labbra del mezzo demone esplose un grido furioso mentre, facendo con forza spasmodica leva sulle braccia,tentava di piegare quell’infernale oggetto al suo volere.

Niente.

La dura terra bruciata continuò a scorrere inerte sotto i piedi del mezzo spettro che, senza possibilità di reagire, continuava inesorabilmente ad arretrare sotto l’invincibile incedere dell’arma demoniaca.

Tentò ancora.

Niente.

La furia dell’oggetto ruggì a pochi centimetri dal suo viso la sua impotenza.

Improvvisamente, socchiudendo appena le palpebre, Inuyasha serrò con spasmodica forza le dita affusolate intorno all’elsa rovente della katana, puntò gli affilati artigli nel terreno e, finalmente, con un grido strozzato generato dallo sforzo,riuscì a deviare la traettoia dell’arma verso sinistra.

Il boomerang, tranciando al suo passaggio alberi ormai carbonizzati, si schiantò a terra in un nugolo di detriti.

Sul volto del mezzo spettro, la spada ancora posta a sbarramento dinnanzi al suo viso ora innaturalmente pallido, si poteva scorgere una pericolosa espressione concentrata.

“Inuyasha!” l’urlo selvaggio della donna vibrò nell’aria densa di fumo costringendo Inuyasha a voltarsi.

Immediatamente una lama affusolata mancò di un soffio l’orecchia canina del mezzo spettro.

Di riflesso, il mezzo demone scattò con un balzo indietro ma la donna, chiaramente intenzionata a non lasciarlo scappare, gli andò dietro.

Probabilmente aveva fretta di morire, meditò il mezzo demone.

Atterrando nello stesso istante, intorno a loro si formò una leggera nuvola di polvere.

Caricando un nuovo colpo, la donna provò un nuovo affondo contro di lui che, scartando,lo evitò facilmente.

Volteggiando su se stesso, come in un elegante passo di danza che portò le sue vesti vermiglie ad ondeggiare intorno al suo corpo teso in ogni nervo e muscolo,Inuyasha vibrò la sua katana verso il suo ventre scoperto.

Subito la lama della spada della donna si oppose alla sua.

Sbuffando scocciato, il mezzo demone interruppe il contatto, vibrando subito dopo un colpo contro il suo collo.

Nuovamente, la spada della donna si pose ad ostacolo.

Inuyasha tentò ancora.

Niente.

Un altro affondo andò a vuoto.

Ancora.

Dannazione!

Con un balzo fulmineo, Inuyasha scattò verso l’alto.

Il bastone dell’uomo falciò inutilmente l’aria sotto i suoi piedi.

Inuyasha caricò il colpo.

“artigli di ferro!!”

Lame di luce si scagliarono con forza devastante contro i due guerrieri riversando però, per pochi centimetri, tutta la loro potenza sulla nuda terra infuocata.

Con disappunto, Inuyasha si avventò alle spalle dell’uomo ora rimasto inerme a terra.

Con un gesto rapido, fece scrocchiare tutte le articolazioni della sua mano destra, pregustando già l’affondo dei suoi artigli acuminati nella dura e muscolosa carne della schiena dell’avversario, ma questi, inaspettatamente, si girò a pancia in su, il bo posto trasversalmente a protezione del suo corpo inerme.

Soffiando come un cobra pronto a colpire, Inuyasha fu sopra di lui, ma con sua somma sorpresa, l’uomo aveva già previsto la sua mossa: sfruttando il suo stesso slancio, questi appoggiò un piede sul suo bacino, esercitò una lieve pressione, ed infine lo scaraventò alle sue spalle.

Inuyasha si sfracellò molto poco elegantemente a terra, sollevando zolle e polvere.

La terra arroventata, mischiata alla cenere ancora bruciante, gli si infilò in gola regalandogli per un secondo la sgradevolissima sensazione di stare soffocando.

Maledizione!

Tossendo con spasmodica forza, Inuyasha riaprì gli occhi e proprio in quel momento, nella folta cortina di terra, sabbia e cenere che la sua caduta aveva sollevato, emerse una figura.

Sibilando minacciosa, essa puntò direttamente a lui, quasi sapesse esattamente dove si sarebbe trovato in quel momento.

“Ora basta” ringhiò furente il mezzo demone e, alzando la mano, riuscì ad afferrare la cordicella del boomerang a cui di solito la ragazza si affidava per scagliarglielo contro.

L’arma sembrò vibrare rabbiosa nelle sue mani mentre, usando la sua stessa forza, il mezzo spettro tentava la folle impresa di farle deviare, ancora una volta, traettoia.

Improvvisamente, con un secco strattone che minacciò di strappargli per intero il braccio,la corda si tese spasmodicamente fra le dita di Inuyasha.

Lottando contro il dolore lancinante che ora gli attraversava come una scarica elettrica tutto il braccio fino ai nervi della spalla,il mezzo spettro pose per intero il suo corpo a zavorra di quell’arma dalla potenza inarrestabile tentando di fermarne l’avanzata distruttiva.

O perlomeno, di deviarne la direzione...

Finalmente,con un ultimo spasmodico strattone,il mezzo spettro riuscì a piegare il boomerang demoniaco al suo volere ed allora, con tutta la forza che aveva in corpo, scagliò l’oggetto nella stessa direzione da cui questi era venuto.

Sapeva che li, dietro la nuvola di detriti, stava sopraggiungendo l’uomo.

Lo vedeva correre a perdifiato nella tremula luce delle fiamme.

Il boomerang scomparve come inghiottito dal fumo e, subito dopo,la figura davanti ai suoi occhi sembrò venire inghiottita dal vermiglio riverbero delle lingue di fuoco.

Un grido lacerò l’aria ormai irrespirabile.

L’aveva colpito.

Aveva colpito quel lurido umano.

Come una furia, esaltato dal successo appena ottenuto, Inuyasha scattò in avanti inoltrandosi nella cortina di fumo denso, verso il punto dal quale era esploso quell’urlo di dolore ma dall’ombra, una figura si parò proprio davanti a lui, sbarrandogli la strada.

Il riflesso della katana che il suo nemico brandiva nella mano destra attraversò per un istante le iridi ambrate del mezzo spettro.

Inuyasha caricò il colpo, tendendo ogni nervo del suo corpo nel movimento fluido e controllato che lo portò a distendere il braccio destro verso l’esterno, ad estroflettere ogni dito della sua mano culminante in lunghi ed affilati artigli dal colore argenteo.

“Artigli di ferro!!” il suo grido furente sferzò la densa cortina di polvere e cenere, seguito poi dal graffiante squarcio dell’aria provocato dal suo micidiale attacco che, simile ad una lama dorata nell’oscurità, saettò veloce davanti a lui, travolgendo al suo passaggio la esile sagoma della donna.

Il suono della sua carne che, debole, veniva squarciata dalla furia dei suoi artigli, giunse nitido alle orecchie del mezzo demone, facendolo sorridere appena.

Soddisfatto,piantando appena i piedi a terra, si fermò.

La cortina di fumo, come rispondendo ad un suo tacito volere, si dileguò, come spazzata da un improvviso alito di vento che, complice, mostrò al mezzo demone il suo lodevole operato.

Inuyasha non si mosse.

I suoi occhi, freddi e spietati nonostante il colore impresso a fuoco in essi, si fissarono sulla scena davanti a lui: l’uomo era steso a terra, il respiro affannoso.

Un bruno mantello intessuto dei brillanti riflessi delle fiamme si allargava ora alle sue spalle, appoggiate, così come il resto del corpo, alla nuda terra incandescente.

La donna, riversa anche lei sul terreno tinto dallo scarlatto colore del sangue, aveva gli occhi socchiusi.

Lo stava guardando.

Il respiro affannoso che lentamente, lentamente, rallentava la sua frequenza trascinando con sé anche il furioso battito del cuore.

Sorrise, e i bianchi canini, al dischiudersi delle labbra sottili sembrarono per un secondo risplendere di un freddo bagliore niveo, risaltando ancora di più sul pallido chiarore della pelle ormai coperta di fuliggine e terriccio.

Mosse un passo in direzione dell’uomo ma, come se si fosse bruscamente risvegliata da un sonno inquieto, la donna che stava poco più a destra, si tirò con uno scatto in piedi.
Per un secondo, la folle idea che avesse ancora le forze per combattere attraversò la mente di Inuyasha che, veloce, si mise in posa di combattimento.

Fatica sprecata.

Un momento dopo, le braccia che il mezzo demone aveva portato ai fianchi come nell’atto di spiccare un balzo in avanti, ricaddero inerti ai suoi fianchi.

La donna, barcollante sulle sue gambe sottili e snelle, si avviò con passo malfermo verso la figura morente del compagno.
Alle sue spalle, una vivida striscia di sangue, sembrò seguire la tragica forza dei suoi passi.

Con determinazione, una determinazione che Inuyasha non ricordò aver mai visto prima di allora in nessun essere umano o demone che avesse incrociato la sua strada,raggiunse, un passo dopo l’altro il suo compagno e, appena gli fu abbastanza vicino, si accasciò stremata al suo fianco.

Il viso, ancora velato dal tessuto corvino, si appoggiò leggero alla spalla dell’uomo, come nell’intenzione di ascoltare il battito di un cuore che, Inuyasha poteva sentirlo, si sarebbe di li a poco arrestato.

Silenzio.

Per un secondo, solo il vivido crepitio delle fiamme accompagnò quei secondi in cui il respiro della morte sembrava aleggiare intorno a loro.

Improvvisamente, dalla gola dell’uomo, esplose un cupo gorgoglio, curiosamente simile ad un convulso colpo di tosse.

Un sottile rivolo vermiglio affiorò livido dalle sue labbra, tracciando veloce sul profilo teso della guancia un rigagnolo scarlatto, simile al succo di un frutto cremisi.

Stava morendo.

Probabilmente l’impatto aveva fatto collassate i suoi polmoni….o qualche organo interno.

Il mezzo spettro si strinse nelle spalle, il solito sorriso gelido, ora leggermente incrinato.

“Che quadretto commovente…”commentò acido,la voce come al solito, incolore e del tutto indifferente.

Si avvicinò, i piedi nudi che lentamente colmavano la distanza fra lui e i suoi ex-assassini.

Stranamente, sembravano non produrre alcun rumore, quasi che il mezzo spettro non ci fosse nemmeno stato.

Si fermò.

Era a meno di un metro di distanza.

Sospirando, levò l’affusolata katana verso l’alto ma in quella,la donna, in un ultimo disperato tentativo di difendere sia lei che il suo compagno,forse cupo riflesso dell’istinto di sopravvivenza radicato in lei, alzò con mano tremante un pugnale verso di lui.

La lama della misera arma tremolò fra le dita macchiate di sangue della guerriera.

Inuyasha gliela scacciò con un calcio facendola gridare di dolore “ Ora basta, mi sono stancato” concluse incolore prima di alzare nuovamente la spada.

Improvvisamente un brillio rosato guizzò in mezzo a loro separando le vittime dal carnefice.

Una freccia.

Inuyasha osservò il volto della giovane donna contrarsi in un lieve sorriso prima che il suo corpo inerte ricadesse su quello svenuto del compagno.

Sorrise.

Finalmente era arrivato.

Si voltò.

Fra le fiamme il mezzo demone vide stagliarsi una figura alta e snella.

Il corpo avvolto in uno stretto indumento rigorosamente nero ricoperto per intero da una leggera armatura color notte che proteggeva solo bacino, spalle e braccia, sembrava più minuto di quello di un uomo adulto e il volto, coperto per intero da un tessuto color ebano, non lasciava intravedere alcunché delle fattezze sottostanti.

Un ragazzo.

In mano teneva un grande arco con una freccia già incoccata, brillante di un’aura magica rosata.

Il terzo assassino era finalmente arrivato.

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Capitolo 7
*** capitolo 6 ***


Ciao

Ciao!

Sono tornata ( dopo quasi 2 mesi di silenzio…=__=) per proporvi un nuovo cap. che spero apprezzerete come quelli che lo hanno preceduto.

Preannuncio che è un poco lunghetto ( avrei voluto togliere qualcosa ma proprio non ci sono riuscita senza combinare dei tremendi pasticci…) e che la sua conclusione ( brevissima per vostra fortuna e, cosa incredibile, già pronta!)verrà dalla qui presente postata fra brevissimo.

Che dire?

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e che stanno per leggere questo cap. e tutti coloro che hanno commentato!

Commentate please!!


Per un poco, il mezzo spettro e il ragazzo si limitarono a fissarsi;

Il primo con sguardo incuriosito e per nulla sorpreso dalla tempestiva e alquanto puntuale comparsa del suo avversario e il secondo immobile, perfettamente in equilibrio sul ramo di un albero rimasto ancora miracolosamente intatto nonostante il furioso incedere delle fiamme.

Una freccia dalla mirabile fattura, brillante ora di una tenue aura rosata, puntava il suo dito accusatore in direzione del mezzo spettro.

L’arco che la tratteneva, imbracciato con presa sicura dal suo nuovo nemico, scricchiolò appena sotto le sue lunghe dita affusolate.

Inuyasha si mosse appena sul posto, spostando il peso del corpo da una gamba all’altra.

“Sei tu il loro capo?” chiese guardingo.

Il ragazzo non rispose.

Sospirò.

“Ti consiglio di andartene e di portare con te i tuoi compagni: nessuno di voi tre potrebbe mai sconfiggermi…”esitò per un istante “nemmeno se combatteste tutti e tre insieme”concluse con un ghigno divertito.

Silenzio.

Il crepitio delle fiamme si fece più vicino e incalzante, come se volesse, con i suoi scoppiettanti bisbigli e sfrigolanti brusii, colmare quei secondi immobili.

Silenzio.
Inuyasha incrociò le braccia al petto.

Un sospiro spazientito scivolò silenzioso dalle sue labbra sottili.

Forse non lo aveva sentito, considerò.

O forse…stava valutando la sua offerta.

Un freddo bagliore incredulo oscurò per un istante il limpido riflesso ambrato dei suoi occhi.

Decisamente era più probabile che non l’avesse sentito.

Si schiarì appena la voce per ripetere ciò che poco prima aveva detto, ma in quella il ragazzo allentò improvvisamente la tensione dell’arco abbassandolo poi elegantemente verso terra.

Con un gesto fluido e controllato, probabilmente dettato da anni d’esperienza, ripose la freccia nella faretra alle sue spalle, seguita poi subito dopo dal nero arco la cui corda sottile appuntò con un fermaglio argenteo appena sopra la scapola.

Il mezzo spettro ammiccò soddisfatto “ Bene…vedo che il buonsenso non ti manca, ragazzo”.

Nessuna risposta.

Forse era muto.

La mano del ragazzo, nel frattempo, dopo aver abbandonato il fermaglio, si era spostata lentamente verso il fianco sinistro dove, lucido ed elegante, se ne stava appeso un fodero di pelle rivestito in alcuni punti di un metallo argenteo.

Il sorriso del mezzo spettro s’incrinò appena quando, con un gesto fluido, le dita del ragazzo si serrarono una dopo l’altra intorno all’elsa della spada in esso contenuta e un nervo si tese sulla tempia di Inuyasha quando lo stridio graffiante del taglio della lama contro i bordi, mentre questi la estraeva in tutta la sua lunghezza, ferì il suo sensibile udito.

“ Mi sono sbagliato” riprese acido “mai sopravvalutare l’avversario”

Il ragazzo, senza dire una parola, si mise in posizione d’attacco.

Quell’idiota voleva anche attaccare per primo.

Un ghigno gelido deformò i lineamenti aguzzi di Inuyasha.

“ A te la prima mossa” concluse senza tuttavia muoversi di un millimetro.

Che attaccasse pure…

Se aveva così fretta di morire, lui sarebbe stato ben felice di assecondare i suoi desideri.

Immediatamente, come se non aspettasse altro, il suo avversario si slanciò verso di lui, brandendo l’affusolata katana davanti a sé.

Lo sguardo del mezzo spettro cadde per un istante sui due guerrieri riversi a terra in un abbraccio gelido come la morte. Si scostò di lato, evitando l’affondo del ragazzo.

Doveva ammettere che quel giovane aveva coraggio.

Scartò, abbassandosi, un calcio di questi.

Nonostante avesse visto la fine che i suoi compagni avevano fatto…

Puntellandosi sul piede sinistro, il ragazzo eseguì un elegante piroetta su se stesso e, nel momento in cui si ritrovò a dare esattamente le spalle al mezzo demone, usando la gamba destra rimasta ancora sospesa a mezz’aria, gli tirò un potente calcio al petto.

Sorpreso, Inuyasha si vide sbalzato all’indietro, un dolore acuto allo sterno che quasi gli impediva di respirare.

Il ragazzo, però, evidentemente insoddisfatto della reazione passiva del suo avversario, compiendo ancora un rapido giro su se stesso di 180°, scattò verso di lui, ancora sospeso a mezz’aria.

Nonostante quello…ora stava combattendo contro di lui…contro colui che li aveva ridotti così…

Silenzioso come un’ombra e incredibilmente veloce, il ragazzo raggiunse il mezzo spettro e, scattando verso l’alto, si preparò ad attaccarlo.

Il mezzo demone sorrise.

Non aveva paura?

La fredda lama della katana sembrava risplendere contro il profilo scuro del guerriero stagliato sullo sfondo infernale del bosco in fiamme.

No.

Probabilmente no.

Il sorriso ora dipinto sulle sue labbra si allargò ulteriormente.

Bene.

Gli avrebbe fatto capire quanta invece avrebbe dovuto averne.

La lama del ragazzo era a poco meno di un metro dal torace di Inuyasha quando, in un istante, il mezzo spettro estrasse la sua spada.

Con un rapido e preciso movimento, le due lame si scontrarono l’una contro l’altra sbarrandosi vicendevolmente la strada.

Per pochi, fugaci, secondi, il guerriero rimase sospeso a mezz’aria, la forza del suo peso e del suo slancio contrastata dalla potenza demoniaca del mezzo spettro.

Inuyasha vide le sue braccia tremare per lo sforzo, il respiro affannoso che trapelava appena da dietro il leggero tessuto corvino che ne celava perfino gli occhi, intensificarsi.

Il mezzo spettro sorrise per un istante prima di far scattare la gamba sinistra verso l’incavo di quelle del suo avversario in un potente calcio che lo catapultò come un fantoccio in avanti.

Compiendo una veloce capriola all’indietro, il mezzo spettro si tirò con uno scatto in piedi, girandosi immediatamente verso il punto in cui aveva scagliato il suo avversario per assisterne alla rovinosa quanto disonorevole caduta.

Ebbe una triste sorpresa.

Compiendo un elegante avvitamento a mezz’aria, incredibilmente immune al colpo appena ricevuto, questi andò a puntare entrambi i piedi sul tronco di un albero che, posto sulla sua traettoia di caduta, avrebbe potuto spezzargli la schiena in due.

Si molleggiò, lasciando che questo assorbisse il suo slancio ed infine, con uno scatto deciso, si catapultò nuovamente in avanti, verso di lui.

Inuyasha sgranò gli occhi.
Dannazione!

Come diavolo aveva fatto?!

Un graffiante stridore metallico vibrò nell’aria densa come il grido di un animale ferito a morte mentre le lame delle due affilate katane si fronteggiavano nuovamente in un duello mortale.

Maledetto umano!

Inuyasha rafforzò con spasmodica forza la presa delle sue mani sulla fragile elsa della spada mentre il suo avversario, avendo esaurito la forza dello slancio, per evitare che la forza demoniaca del mezzo demone potesse spazzarlo via come un fantoccio, piantava entrambi i piedi a terra.

Lucenti scintille saettarono veloci davanti allo sguardo vagamente sorpreso del mezzo demone.

Chi diavolo era quel ragazzo?

Si stava battendo contro un guerriero o contro un saltimbanco?

Facendo leva sulle braccia, iniziò ad esercitare una lieve pressione contro la spada del suo avversario che, quasi colto alla sprovvista, arretrò di un passo per poi, con febbrile determinazione, puntellare i piedi a terra.

Inuyasha vide i muscoli del suo avversario guizzare al di sotto del leggero tessuto corvino che ne celava le fattezze…

Il suo odore, quel dannatissimo odore d’erbe aromatiche che ormai Inuyasha sapeva di detestare con tutto se stesso, colpì l’olfatto sensibile del mezzo spettro con la violenza di uno schiaffo in pieno viso provocandogli un conato di vomito.

Quell’odore…

I bianchi canini demoniaci del mezzo demone splendettero per un istante sul profilo ormai nereggiante del suo volto mentre un nuovo, trionfante ghigno sardonico gorgogliava piano nella sua gola riarsa.

Ora n’era sicuro: senza ombra di dubbio quei tre, i due piccioncini e questo ragazzino, facevano parte della scorta speciale del re.

Sciogliendo bruscamente il vincolo che univa le due spade, il ragazzo tentò un nuovo, rapido affondo.

Povero stupido.

Con una mossa precisa e fulminea, Inuyasha inchiodò le due spade in un nuovo, fatale, contatto.

Mai sottovalutare l’intelligenza di un demone.

Senza alcuno sforzo, torchiò la spada del suo nemico che, incapace di contrastare la sua potenza, si ritrovò a dover pericolosamente inarcare la schiena all’indietro.

Sentì quel corpo ancora acerbo tremare sotto il suo sguardo ora gelido.

Fece un passo in avanti.

Il ragazzo cadde in ginocchio.

Fra poco quel ridicolo tentativo d’assassinio sarebbe giunto alla sua conclusione.

Spinse ancora più in avanti la lama della sua spada, facendo sì che il taglio andasse a lambire gli invisibili tratti del viso del suo nemico.

Lo sentì trattenere il respiro.

Era finita.

Con un ultimo, deciso affondo, Inuyasha lo costrinse a sedere sulle proprie caviglie per poi, allontanando la spada con uno scatto, prepararsi a finire il suo avversario.

Il ragazzo non si mosse.

Si limitò ad abbassare la spada fino a che il taglio della lama non toccò terra.

Almeno sapeva riconoscere la sconfitta.

Un unico colpo.

Preciso e indolore.

Solo un leggero freddo alla base del collo prima dell’oblio.

Alzò la lama verso l’alto, prendendo lo slancio per quell’ultimo, letale, colpo di spada.

Una morte da guerriero.

Caricò l’affondo.

Era il massimo che era disposto a concedere.

Scrutò per l’ultima volta quel volto senza viso tentando, invano, di scorgerne l’espressione almeno nella morte ed infine, vibrando la spada verso il capo del suo avversario, lasciò che la lama, ricamata dei riflessi bruni delle fiamme, sibilasse silenziosa verso il suo obiettivo.

Naturale estensione dell’animo di Inuyasha, essa ferì il sottile velo d’aria che la separava dalla sua vittima fino ad arrivare, silenziosa come il sospiro gelido della morte, alla gola inerme del ragazzo.

La mancò.

O almeno, fu il collo del ragazzo a mancare la lama della katana.

Il giovane, infatti, ignorando ogni senso di dignità e orgoglio, con uno scatto felino si era abbassato verso terra e, avendo aspettato quel tanto che bastasse per lasciare che la katana del mezzo spettro falciasse inutilmente l’aria sopra la sua testa, aveva sferrato un potente calcio alle gambe del demone.

Inuyasha lo evitò saltando verso l’alto e il suo nemico, evidentemente ristabilito, lo seguì.

Serrando con presa ferma le dita agguantate intorno all’elsa della spada, il ragazzo vibrò un deciso fendente contro il fianco del mezzo spettro.

Inuyasha lo deviò con la propria katana e ne parò uno subito dopo.

Volteggiando su se stesso questi tentò un calcio volante che il mezzo demone evitò, l’agile corpo demoniaco che sembrava quasi librarsi nell’aria ora irrespirabile.

L’affusolata katana del ragazzo falciò selvaggia la distanza che la separava dal capo ricoperto di fili color della luna del mezzo demone ma, nuovamente, la spada di Inuyasha si pose ad ostacolo e improvvisamente, con un nuovo, rapidissimo, scatto all’indietro, il ragazzo si sottrasse al duello.

Atterrò immediatamente a terra e quasi nello stesso istante, con la velocità di un gatto, si slanciò nuovamente contro di lui.

Inuyasha, che nel frattempo era atterrato leggero sulle punte dei piedi, al sopraggiungere del suo nemico, scattò agilmente verso l’alto.

L’aria densa e velenosa infilò le sue nere dita nella chioma lunare del mezzo spettro sostenendone, con la sua soffocante presa, l’elegante volteggio a mezz’aria.

Atterrò pochi metri più in la e subito scattò nuovamente all’indietro.

La stessa aria che poc’anzi l’aveva così generosamente sostenuto, fu squarciata senza pietà dalla fredda lama del suo nemico.

Ancora in volo, Inuyasha appuntò i suoi occhi ambrati su di lui.

Lo osservò fiondarsi con inquietante determinazione in un nuovo, feroce inseguimento, e un lieve ghigno divertito si dipinse sulle sue labbra sottili.

Gli faceva quasi tenerezza.

Povero, piccolo, acrobata

Forse gli era andato un poco il sangue alla testa….

Chissà se si stava accorgendo di stare facendo la figura dell’idiota….

Registrò con attenzione la convinzione con cui scartò una radice affiorante dal terreno.

No…probabilmente no…

Quindi…oltre che codardo era anche stupido….

Con un movimento leggero, Inuyasha atterrò nuovamente sulle punte dei piedi e di nuovo vide la figura del ragazzo stagliarsi a pochi metri da lui.

Ma che bel soggetto…

La spada posta parallelamente al terreno sembrava sibilare minacciosa al fianco del suo nemico i cui passi leggeri graffiavano silenziosi il terreno riarso che, complice l’ardere furioso delle fiamme, ne attutiva l’ovattato scalpiccio.

Inuyasha si mise nuovamente in posizione d’attacco.

Decisamente a quel ragazzo mancava tutto, tutto, fuorché la determinazione.

Questo, infatti, giunto abbastanza vicino al mezzo spettro, piantò entrambi i piedi a terra e, sbilanciandosi un poco a destra per caricare l’affondo, falciò l’aria con la katana.

Forse il ragazzo si aspettava che il mezzo spettro saltasse nuovamente verso l’alto perché, quando questi si abbassò evitando il suo fendente, sembrò rimanere spiazzato.

Subito Inuyasha gli fu addosso.

In una frazione di secondo, le sue dita artigliate si serrarono intorno alla gola inerme del ragazzo iniziando immediatamente ad esercitare una non indifferente pressione sulla trachea.

Per qualche istante, il suo nemico sembrò completamente inerme sotto la sua stretta decisa.

Decisamente non se lo aspettava.

Finalmente, come accortosi della situazione in cui la sua momentanea paralisi lo stava cacciando, il ragazzo si riscosse ed alzando con un gesto forse istintivo la katana in direzione del mezzo spettro, tentò di colpirlo.

Con uno scatto stizzito, Inuyasha si ritrasse per poi, schioccando la lingua sul palato, avventarsi nuovamente su di lui.

Le lame dei due contendenti si scontrarono nuovamente in un mortale duello mentre la mano di Inuyasha scattava di nuovo in direzione del collo del ragazzo che questa volta, preparato, la fermò con la propria.

Stizzito, Inuyasha liberò la mano solo un secondo prima che questa fosse un’altra volta immobilizzata da quella del nemico.

Maledizione!

Vibrò la spada.

Niente.

Serrando le mascelle per l’irritazione, Inuyasha tentò di pensare ad un modo per districarsi da quella situazione di stallo quando, improvvisamente, senza alcuna apparente ragione, l’assassino si divincolò da quel confuso insieme di prese e scattò, con l’agilità di un felino, all’indietro.

Questa volta, quello sorpreso fu Inuyasha.

Che diavolo…

Attonito, il mezzo demone lo vide voltarsi e, con la tranquillità di chi fino a quel momento non avesse fatto altro che sorseggiare una calda tazza di the, balzare in direzione dell’albero più vicino.

Maledizione!!!

Senza alcuna esitazione scattò come una furia all’inseguimento.

“ Artigli di ferro!” il suo grido rabbioso vibrò furibondo nell’aria riarsa, seguito subito dopo dalle lucenti lame di luce che, trovandolo ancora in volo, travolsero il ragazzo con la loro devastante potenza.

Gocce di sangue vermiglio si dispersero nell’aria come preziosi rubini perlacei i cui riflessi sanguinei si mischiarono per un istante allo scarlatto bagliore delle fiamme.

Il poveretto ricadde malamente nella polvere e un istante dopo, fu costretto a rotolare goffamente verso sinistra per evitare un nuovo attacco del mezzo spettro.

I mortali artigli del mezzo demone affondarono implacabili nel terriccio riarso, mancando di un soffio il loro reale bersaglio.

Nessuna pietà per i codardi.

Inuyasha sferzò nuovamente l’aria con gli artigli dell’altra mano, ma il ragazzo, compiendo ancora un giro su se stesso, si portò fuori della loro portata.

Maledizione!

Districando gli artigli dal terreno, il mezzo demone scattò nuovamente verso l’alto.

Il calore infernale dell’aria lo aggredì con la sua bruciante presenza, il fumo mefitico gli fece dolere i polmoni.

Si voltò, le vesti rosso sangue ormai annerite dalla cenere e dal fumo, i lucenti riflessi della chioma smorzati da quelli cenere della polvere, e puntò le sue iridi color tramonto, unica parte del corpo rimasta ancora invariata, sull’esile figura ancora riversa a terra.

Era suo.

Osservò il capo del suo nemico fasciato dal nero tessuto alzarsi lentamente verso l’alto.

Verso quel cielo ormai dipinto del bruno colore del sangue.

Lo vide, senza alcuna possibilità di essersi sbagliato, tremare impercettibilmente.

Come una foglia lambita appena dal tiepido vento che precede l’arrivo dell’inverno.

Lo vide tremare e subito capì il motivo di tale azione così inusuale per un guerriero: lì, in quel cielo infernale, al di sopra della spessa cortina di fumo denso come piombo fuso, sopra la tremolante foschia delle esalazioni degli incendi, c’era lui.

Stava arrivando.

Con uno scatto incredibilmente veloce, considerando le ferite appena riportate, il suo avversario si tirò in piedi e, con un’agilità del tutto inaspettata scattò nuovamente indietro, verso il folto della foresta rimasto ancora intatto.

“ Eh no, caro mio!” sbraitò Inuyasha la cui pazienza, lo sentiva, si stava velocemente esaurendo.

Atterrò poco distante dal punto in cui pochi istanti prima giaceva il ragazzo e subito scattò all’inseguimento.
”Non è carino da parte tua andartene così…di nuovo!!!”

Il suo avversario, apparentemente sordo alle sue parole, saltò verso l’alto atterrando su di un ramo, poi, senza fermarsi nemmeno per un attimo, su di un altro, e su un altro e un altro ancora, seguendo un percorso a zig-zag leggermente in salita.

Inuyasha lo seguì, imperterrito.

Non era sua abitudine lasciare a metà ciò che iniziava, e quel giorno non se la sentiva di fare eccezioni.

Il buio li avvolse.

Ora si trovavano nella parte di foresta che ancora non era stata aggredita dalla furia delle fiamme.

L’aria fresca ma nonostante tutto impregnata dall’odore degli incendi sferzò il viso accaldato del mezzo spettro facendolo rabbrividire.

La luna, ancora lungi dal mostrare il suo pallido volto, sembrò specchiare per un istante il suo vezzoso profilo nell’argentea chioma demoniaca di Inuyasha mentre qualche scintilla scarlatta, simbolo degli incendi che ancora ardevano alle sue spalle, occhieggiò furtiva fra quei fili simili a ragnatele di rugiada.

“Fermati e combatti!” urlò il mezzo spettro alla silenziosa ombra che, con surreale eleganza, balzava leggera da un ramo all’altro.

Maledizione!

Come diavolo faceva quel ragazzo a saltare in quel modo?

Silenzioso, l’assassino si gettò nel vuoto, si lasciò cadere per qualche istante per poi aggrapparsi ad un ramo e, usando questo come perno, si catapultò nuovamente in aria atterrando dopo un istante su un altro albero.

“Ho detto fermati!”.

La pianta sul cui ramo il suo nemico aveva appena appoggiato i piedi, si piegò grottescamente a sinistra, scricchiolò ed infine, con un gemito sommesso piombò a terra.

Dannazione!

“Non mi costringere ad abbattere tutti gli alberi di questo bosco, ragazzino!”

Il tono con cui aveva pronunciato quella frase, faceva chiaramente intuire che più che un avvertimento quella era stata una minaccia che il mezzo spettro non avrebbe esitato a mettere in atto perché, finalmente, il ragazzo sembrò reagire: giunto in prossimità di un albero più vecchio degli altri, al posto che accostarsi ad uno dei rami, puntò direttamente al tronco e, quando vi fu abbastanza vicino, puntò entrambi i piedi contro di esso.

Il mezzo demone, ancora in volo, sorrise impercettibilmente riconoscendo la mossa che in precedenza lo aveva tanto stupito.

Il ragazzo, infatti, lasciando che la dura corteccia e il fusto assorbissero la forza del suo slancio, si piegò sulle ginocchia e, quando fu completamente rannicchiato su se stesso, con uno slancio, si distese nuovamente.

La spada tesa davanti a se, il ragazzo gli si scagliò contro.

Pronto, un ghigno sardonico dipinto sulle labbra sottili, Inuyasha si preparò a ricevere il suo attacco: tese con un gesto controllato la katana davanti a se.

La sagoma scura del ragazzo, nel frattempo, si avvicinava con la velocità di una freccia alla sua ritrovata vittima.

Stava arrivando.

Inuyasha fece un respiro profondo, socchiuse per un istante le palpebre ormai dolenti e si concentrò.

Poi tutto accadde.

Il ragazzo, scagliato dalla sua stessa forza contro il mezzo demone, era ormai arrivato ad un respiro dal taglio affilato della lama del mezzo demone quando, inaspettatamente senza lasciare ad Inuyasha il tempo di reagire, portò entrambi i piedi in avanti, andandoli così a puntare sul petto del mezzo demone che, sorpreso, non riuscì a fare altro che osservare la punta della sua spada lambire appena la scura fibra del tessuto corvino che ricopriva interamente il suo avversario.

Un dolore lacerante al petto, seguito subito dopo dalla nauseante sensazione che il mondo intorno a lui rotolasse troppo velocemente in avanti, lo svuotò con la sua invincibile potenza di tutta l’aria che aveva nei polmoni.

Annaspò, tentando di riprendere fiato, con la tragica forza di chi sta per annegare e in quella, un bagliore argenteo saettò davanti ai suoi occhi ambrati.

Un bagliore argenteo che accecandolo, lo costrinse a serrare per un istante quegli specchi di cielo.

Il suo avversario, nel frattempo, completata la sua opera, esercitando una lieve pressione sul suo torace si allontanò da lui per poi, volteggiando nell’ombra come un uccello fatto di sola oscurità, andare a posarsi sul ramo di un albero.

Lo sguardo attonito del mezzo spettro si appuntò su di lui mentre, come un fantoccio senza vita, il suo corpo demoniaco si avvicinava all’umida terra del sottobosco.

Si stava avvicinando e nonostante questo, il mezzo demone non fece niente.

Niente.

Era vicina.

Niente.

Sempre più vicina.

Un riflesso scarlatto turbò l’ambrato tramonto riflesso nelle iridi sconvolte del mezzo demone.

Ma ormai era troppo tardi.

Si sfracellò sul terreno in un nugolo di detriti, sassi e terriccio.

Rotolò, si rivoltò su se stesso per una quantità di volte che a lui parve quasi infinita fino a che, dopo un’ultima, lenta, giravolta, si ritrovò ansante con il viso fastidiosamente premuto contro la nuda terra, sdraiato sul terreno.

Silenzio.

Vide il suo respiro far tremare qualche ciuffo d’erba verde smeraldo.

Si tirò a sedere.

Silenzio.

Il convulso pulsare del suo cuore nel petto.

Silenzio.

Nelle orecchie.

In ogni fibra del suo corpo.

Silenzio.

Un battito frenetico, convulso.

Come i primi rintocchi di un orologio che da troppo tempo aveva smesso di funzionare.

Come se non fosse stato veramente lui a farlo, il mezzo demone alzò piano la mano destra e se la portò al viso, esattamente sopra al sopracciglio sinistro.

La ritrasse, piano, e, quando le sue iridi ambrate si posarono su questa, per la prima volta nella sua vita, il suo sguardo ebbe un fremito.

Sangue.

Un liquido che, benché conoscesse perfettamente…stentò a riconoscere.

Le sue dita erano sporche di sangue.

Una lacrima color rubino gocciolò silenziosa sul rosso tessuto dello yukata del mezzo spettro.

Una bruna macchia umida sbocciò come un fiore sulla stoffa vermiglia.

Come un’adonide già bruciata dal calore delle fiamme.

Il suo sangue.

Il suo sguardo si spostò lentamente sulla figura ora immobile sul ramo di un albero poco distante dal luogo in cui ora si trovava lui.

Era stato ferito.

Lui…

Lui era stato ferito.

Ferito da un essere umano.

Un essere umano.

Una goccia di quel liquido così stranamente caldo colò piano sulla sua guancia annerita di fuliggine.

Un essere umano!

Dannazione!!

Rabbrividì come ridestandosi dallo stato di torpore in cui era caduto.

Maledizione!

Lui, Inuyasha Miyoshi, ferito da un essere umano!!!

Un lieve sorriso, amaro come mai ne erano comparsi su quel viso solitamente contratto in espressioni di sufficienza o scherno, si dipinse lentamente sulle labbra sottili del mezzo spettro mentre, nuovamente, si portava la mano destra alla fronte.

Il dito indice del mezzo demone scorse senza fretta su tutta l’ampiezza di quella che sembrava una ferita.

Ecco che cosa era stato quel bagliore argenteo.

Nuovo sangue zampillò da quella pelle color ceramica che mai aveva subito tale affronto inzuppando le lunghe ciglia di Inuyasha: dalla radice dei capelli alla tempia sinistra, passando per un breve tratto di sopracciglio.

Un silenzioso sospiro di sollievo sfuggì leggero dalle labbra del mezzo spettro: niente di grave.

Niente di più che una cicatrice di guerra.

La prima.

“ E mai sottovalutarlo”

La voce del ragazzo, più acuta di quello che in realtà si sarebbe aspettato, lo colpì come uno schiaffo in pieno viso.

Si tirò in piedi con uno scatto, puntando immediatamente lo sguardo sul suo nemico.

Lo vide, il braccio destro appoggiato contro il tronco in modo da sostenere il peso del corpo leggermente inclinato contro di esso, fissarlo immobile.

Qualcosa gli diceva che quella fosse la vera faccia del suo nemico.

Sentì una fastidiosa sensazione di bagnato all’altezza della guancia sinistra e, nel momento in cui socchiuse gli occhi per pulirsi il sangue con la manica dello yukata, la figura del ragazzo era scomparsa dalla sua vista, inghiottita dall’oscurità.

Inuyasha sorrise appena “Touché” sussurrò prima di gettarsi all’inseguimento.

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Capitolo 8
*** capitolo 7 ***


Ciao a tutti

Ciao a tutti!

Questa volta sono riuscita a postare con una velocità impressionante ( ke strano…. O.o) questo cap. un poco più corto degli altri e, finalmente, conclusivo dell’estenuante duello fra Inu e il misterioso ( ormai non più così tanto misterioso vista la vostra perspicacia…) assassino ( tranquilli… la sua identità verrà opportunamente svelata ).

Spero vivamente che anche questo cap. possa piacervi nonostante la sua fine, per così dire, scontata!!

Un grazie infinite a tutti i commentatori ( grazie davvero! Non avete idea di quanto mi faccia piacere sapere che apprezziate questa ff!) e ai lettori che, cattivi, non hanno fatto sentire la loro voce ( sigh….) e a Chria che ogni giorno mi sostiene e sopporta.

Un complimenti invece a Tigereyes per la sua acutezza!!

E ora vi lascio alla lettura!!!!( è vero…. non sono molto loquace…=_______=)

Un bacione

Elendil


Più veloce di qualunque essere umano e tuttavia meno veloce di un demone, Inuyasha balzò da un ramo all’altro.

Ne scartò un terzo ed usò un quarto come trampolino per gettarsi nel vuoto.

L’aria umida della notte, pesante per l’odore del fumo e allo stesso tempo leggera per la brina che, causa il gelo, lentamente tornava a posarsi sulle verdi foglie delle piante, infilò le sue fredde dita nello scollo del suo yukata.

Rabbrividì nella notte continuando, come un segugio, a seguire l’odore del sangue misto a quello di erbe aromatiche del suo nemico.

Era come una scia luminosa che, visibile solo agli occhi del mezzo demone, si perdeva nel folto della foresta.

Un profumo singolare, pensò il mezzo demone.

Un poco diverso dal classico puzzo di “uomo” che trasudava dai corpi che senza alcuna pietà si lasciava dietro durante le battaglie.

Meno penetrante.

Meno…animalesco.

Un sorriso furbo stuzzicò gli angoli delle labbra del mezzo spettro.

Forse era proprio per quella “non bestialità” che gli appariva particolare.

Che non gli sembrava umano.

Compì un veloce volteggio a mezz’aria, lasciando che i lunghi capelli demoniaci intrecciati di fili d’oscurità gli carezzassero leggeri il viso accaldato e in quell’istante, qualcosa sfrecciò ad un soffio dal suo orecchio sinistro.

Fece appena in tempo ad atterrare su di un ramo che, nuovamente, uno scintillio rosato trapassò il rosso tessuto del suo yukata all’altezza delle spalle.

Che violenza…

Un sibilo acuto, preceduto solo da una brillante luce magica, puntò direttamente alla sua fronte.

Si scostò evitandolo per un soffio e subito il suo sguardo volò al punto da cui esso era giunto.

Il ragazzo era lì.

Il suo arco color ebano nuovamente teso fra le mani e una freccia impregnata della sua aura spiritica già pronta a scattare.

Sbuffò.

“Non crederai davvero di potermi attaccare con quegli stuzzicadenti, ragazzo…” sogghignò.

Subito una freccia saettò dalle mani del giovane puntando direttamente al bacino del mezzo demone.

“Stupido” sibilò Inuyasha e, scattando verso l’alto, la evitò.

“Artigli di ferro!”

Immediatamente l’albero sul quale il suo nemico poggiava si piegò scricchiolando rumorosamente e, un istante dopo, divisosi in 3 parti, si schiantò a terra.

Una nuova freccia sibilò minacciosa nella notte.

Il ragazzo era riuscito a scagliarla in volo…

Notevole, dovette ammettere nuovamente Inuyasha.

Ma,ancora una volta, non abbastanza.

“Ora basta” concluse.

Improvvisamente il buio denso della notte fu squarciato dall’abbagliante falce di una lama splendente come oro e luminosa come il sole: Tessaiga.

Inuyasha aveva estratto Tessaiga.

Il terribile canino demoniaco che mai aveva conosciuto sconfitta.

Il mezzo demone lo sentì vibrare appena fra le sue dita artigliate come in segno di saluto e con un rapido, preciso, movimento della lama, la freccia sacra venne tranciata in due.

Il dardo, esaurito il suo potere spirituale, ricadde inerte a terra.

La spada fendette nuovamente l’oscurità davanti allo sguardo soddisfatto di Inuyasha e quello invisibile del ragazzo.

“taglio del vento!”il grido furente del demone ferì l’oscurità seguito poi subito dopo dalle potenti e brillanti lame di luce del suo terribile attacco che, come serpenti infernali dotati di vita propria, vennero sprigionate da Tessaiga.

Come le dita di una mano splendente, esse si allargarono a ventaglio davanti allo sguardo sornione del mezzo spettro distruggendo, spezzando, devastando l’oscurità che le precedeva e ogni altra cosa che trovarono sul loro cammino.

Il loro bagliore innaturale e tremendamente vivido sembrò per un istante illuminare a giorno quella fredda notte.

Inuyasha osservò soddisfatto la sua opera.

Era finita.

Finalmente era…

Alzò con uno scatto forse istintivo la lama della spada davanti a se, deviando la traettoia di una freccia.

Alzò lo sguardo, incredulo.

Ancora lui.

Ancora!

Un nervo si tese dolorosamente sulla tempia destra del demone.

Dannazione!

Dannato umano!

Furioso come mai prima d’’allora era stato, fece volteggiare Tessaiga sopra la sua testa preparandosi ad un nuovo colpo aereo quando uno schiocco sconosciuto vibrò secco nell’aria.

Cosa diavolo…

Come la lingua di un bavoso camaleonte o un viscido serpente, la dura pelle di una frusta si arrotolò intorno alla lama di Tessaiga.

No…

Un lieve strattone e la spada, fedele alleata e invincibile compagna del mezzo demone venne strappata dalle sue mani.

Un bagliore più intenso la avvolse e questa, privata del contatto che la univa al suo padrone, si trasformò in una comune katana.

NO!
Impietrito il mezzo demone la osservò levarsi leggera nell’oscurità per poi finire, orrore degli orrori, nelle sudice mani del suo nemico.

NO!

NO!

Nuovamente la fredda terra e le incendiate cime di alberi ormai aggrediti dalle fiamme infernali entrarono nel suo campo visivo.

Descrisse un frettoloso volteggio in aria per poi atterrare goffamente sul terreno.

Era livido.

Maledizione!!

Adesso ci si metteva anche la frusta!

Il ragazzo atterrò un secondo dopo, davanti a lui.

Tessaiga scintillava appena nelle sue mani.

Inuyasha strinse i pugni con così tanta forza da conficcarsi le unghie nella carne.

L’orrenda quanto sgradita, rivoltante, orripilante sensazione di essere stato giocato si agitava furente dentro di lui contraendo il suo stomaco fino alla nausea.

Lo scrutò per un istante, lasciandosi scrutare a sua volta.

Riusciva quasi ad immaginarsi la scena: lui lì, privato della sua unica arma ancor prima di averla potuta quasi utilizzare e il suo nemico di fronte, la consapevolezza di essere riuscito in almeno uno dei suoi intenti a distorcere in un ghigno trionfante quel suo viso invisibile.

Era stato uno stupido.

Aveva lasciato che quel poppante, con le sue finte, le sue improvvise fughe e quant’altro, lo manovrasse con la facilità di un burattino.

Si era lasciato fregare da sotto il naso la sua spada!

La spada capace di uccidere 100 demoni in un sol colpo!

Stupido!

Sapeva di avere il fiatone, così come il suo nemico, e di avere scritto in faccia “Ho perso il controllo”.

Ma questa volta, sapeva di essere il solo ad avere perso la calma.

Il suo assassino continuò per un po’ a fissarlo, immobile.

Poi, chinando appena il capo, distese entrambe le braccia culminanti in altrettante spade, lungo i fianchi.

Il mezzo demone fece sonoramente schioccare le articolazioni di entrambe le mani in un implicita quanto sgradevole, minaccia.

Era disarmato, ma questo non lo rendeva meno pericoloso.

Tessaiga era sua, di diritto e per merito, e ben presto se ne sarebbe accorto anche quell’assassino da strapazzo.

Lo sguardo del ragazzo si rialzò verso il suo.

Ora poteva attaccare.

Incapace di aspettare oltre, Inuyasha partì all’attacco sferzando l’aria con i suoi artigli.

Evitò prima una, poi l’altra spada.

Balzò in alto atterrando proprio dietro al suo avversario.

Si abbassò, evitando di un soffio tessaiga.

Si voltò, e nel farlo squarciò la carne delle sottili gambe del suo avversario.

Lo sentì urlare mentre questi cadeva in ginocchio.

Incurante di ciò, Inuyasha fece scattare nuovamente i suoi artigli in direzione della testa del suo nemico.

Una croce di ferro,spada nemica contro spada amica, gli sbarrarono la strada.

Un graffiante stridio metallico si mischiò al ringhio animalesco del demone mentre le sue unghie demoniache si scontravano contro quell’abbraccio indissolubile.

Maledizione!

Si abbassò sferzando il terreno con la gamba sinistra.

Il suo avversario scattò verso l’alto.

Perfetto!

In un istante Inuyasha gli fu addosso.

Gli si avventò contro sbattendolo con tutta la sua forza a terra in una posa curiosamente simile a quella adottata dal suo nemico solo pochi istanti prima.

Anche il suo avversario sembrò pensarla allo stesso modo perché alzando con uno scatto deciso la gamba destra, tentò di colpirlo all’inguine.

Mossa sbagliata.

Puntando entrambe le mani sulle spalle e ambedue i piedi sulle ginocchia del ragazzo, Inuyasha si catapultò in alto.

Le due lame delle spade sembrarono volerlo seguire, sciogliendosi dall’abbraccio difensivo in cui il suo nemico le aveva costrette, in una pioggia di scintille dorate.

Non lo raggiunsero.

“Artigli di ferro!”

La voce del principe dei demoni vibrò fatale nell’aria, seguita subito dopo dal suono della carne squarciata del suo avversario.

Come una furia Inuyasha calò nuovamente come un avvoltoio sul suo avversario e, afferratigli entrambi i polsi, li piegò con forza verso l’esterno.

Il sonoro crac e l’urlo straziante di dolore che lo seguì accompagnò il suo balzo all’indietro e il suo atterraggio leggero pochi metri più in là.

Silenzio.

Per un istante ogni cosa sembrò fermarsi, immobilizzarsi in quei pochi secondi sospesi.

Poi, un lieve, appena udibile, sospiro

Un ultimo, silenzioso, grido alla vita.

Un sussurro senza voce che sembrò volare leggero in direzione del mezzo spettro.

Lo sfiorò,senza tuttavia raggiungerlo ed infine il corpo del suo nemico si disfò davanti ai suoi occhi, afflosciandosi su sé stesso, stramazzando nella polvere come un sacco vuoto.

Il silenzio tornò nuovamente a regnare nel bosco.

Era finito.

Il duello era finito.

Era finito…e il vincitore era lui.

Lui.

Inuyasha.

Il mezzo demone sentì i muscoli di tutto il corpo distendersi e il respiro farsi nuovamente regolare mentre l’influsso di adrenalina al suo cervello iniziava lentamente a diminuire fino ad arrestarsi.

Finalmente.

Sospirò nella notte.

Nella notte nuovamente silenziosa e oscura.

Aveva vinto.

Sentì l’odore del suo sangue mischiarsi a quello del cadavere al suo fianco, in un'unica fragranza pungente e stranamente dolce.

L’odore della morte.

Un odore che veniva disperso dal vento che indifferente agli avvenimenti terreni volava leggero fra le fronde degli alberi.

Sospirò.

Si sentiva stanco.

Che strana sensazione.

Era la prima volta che un duello lo stancava.

Che lo lasciava privo della voglia di uccidere.

Si girò verso il cadavere dello sconfitto:giaceva scompostamente in una pozza di sangue vermiglio, i polsi rotti e ritorti verso l’esterno lungo i fianchi.

L’armatura nera ora recava profonde cicatrici color argento simbolo della potenza delle sue unghie demoniache e la divisa lacerata in più punti e strappata in altri non riusciva più a coprire svariate parti del corpo che ora, livide, occhieggiavano nel buio della notte.

Le ferite che sembravano ricoprire ogni centimetro di quel corpo continuavano a riversare senza sosta liquido vermiglio sulla terra ormai tinta di scarlatto.

Fu allora che Inuyasha lo notò.

Anzi.

Fu allora che notò ciò che prima,nell’infuriare della battaglia, il suo sguardo non aveva avuto il tempo di registrare.

Quel ragazzo aveva qualcosa che non andava.

Già.

Il suo corpo era esageratamente magro, longilineo…troppo stretto sulla vita e decisamente troppo largo sui fianchi…

Le gambe erano troppo sottili e le spalle troppo esili.

Improvvisamente Inuyasha la vide:una ciocca scura che fuoriusciva dal tessuto nero che ricopriva per intero il viso.

Una ciocca lunga e lucente.

Un terribile sospetto si insinuò nella mente del demone che incapace di resistere alla curiosità si avvicinò al cadavere.

Si chinò e un istante dopo pose le mani sul capo del ragazzo.

Tastò per qualche istante, alla ricerca del capo del tessuto e, quando riuscì a trovarlo, iniziò a sfilarlo piano.

Per un poco rimase li a scoprire il viso del suo presunto assassino senza sapere che cosa si aspettasse di trovare.

A poco a poco, alla sua vista comparve un mento fine, una bocca rosea e delicata, un naso piccolo e asciutto ed infine una cascata di morbide onde corvine si sciolsero fresche nelle sue mani.

Un dolce profumo di fiori si disperse nell’aria insieme a quello del sudore e del sangue.

Inuyasha sbarrò gli occhi davanti a quella visione.

Una ragazza.

La ragazza.

Quella che aveva fiutato.

Si era sbagliato quando aveva creduto che la ragazza con il boomerang fosse stata lei.

Ora che la vedeva era sicuro di essersi sbagliato.

Era lei.

Il bianco etereo della pelle, il livido rossore delle labbra appena dischiuse, la diafana lucentezza delle gocce di sudore intarsiate del persiano ricamo de fili scarlatti di sangue…

Si scoprì incapace di distogliere lo sguardo da quel viso.

Nella morte il volto di quella ragazza sprigionava una tale bellezza da mozzare il respiro.

Improvvisamente gli occhi della giovane si aprirono, sbarrandosi nei suoi.

Uno sguardo in cui il mezzo demone vi lesse dolcezza e tranquillità.

Non paura.

Non rabbia.

Non disperazione.

Senza spiegarsene il motivo, Inuyasha si sentì percorrere da un senso di…rispetto.

Verso un umana.

Un stupida umana che lo aveva sfidato ed aveva perso.

Una stupida umana che sebbene stesse per morire non dimostrava alcuna paura.

Ricambiò quello sguardo senza chiedersi che cosa trasmettesse il suo in quel momento.

Lei lo guardò a lungo, concentrata,con aria quasi di sfida.

Lo stava sfidando?

Poi… sospirò profondamente, lasciando che l’ultimo respiro le scivolasse leggero fuori dai polmoni insieme alla sua vita.

Quegli occhi lo stavano ancora fissando, ma Inuyasha sapeva che ormai non potevano più vederlo.

Socchiuse le palpebre, mentre una strana sensazione di inquietudine gli si insinuava nell’anima.

Parole mai dette, sentimenti ma provati, sensazioni mai esplorate…

Per un istante ogni cosa attraversò come un ombra quello sguardo color tramonto.

Con cautela dischiuse la stretta che la mano destra della ragazza, ora pallida come i candidi petali di un giglio, esercitava sull’elsa di Tessaiga.

Si tirò con uno scatto in piedi.

Il lieve clic della spada nel fodero.

Si voltò.

Prese a camminare.

Si fermò.

Uno strano pensiero aveva attraversato la sua mente.

Scosse il capo e si allontanò per sempre da quel corpo senza vita.

Quando ritornò sul campo di battaglia, Inuyasha scoprì che lo scontro era da poco terminato.

Vi erano solo poche sacche di resistenza che in poco tempo vennero sedate.

Diede una mano, anche se di malavoglia.

Più tardi, quando vive Sesshoumaru con in mano la testa del re grondante di sangue seppe che il sovrano era effettivamente sceso in campo per combattere contro di lui ma che in breve era stato sopraffatto.
Sconfitto il re, la battaglia si era subito trasformata in una veloce scalata alla vittoria.

Guardò il campo di battaglia ricoperto di cadaveri.

Umani e demoni si mischiavano per la prima volta in una pacifica convivenza.

Uniti nella morte, tutti quei corpi sembravano essere curiosamente uguali.

“ Ma che cosa vado pensare?” si chiese stupito Inuyasha.

Come un flash, gli occhi della ragazza morente gli attraversarono la mente.

Scosse la testa e si voltò verso le porte sfondate della città, sicuro che mai più avrebbe rivisto quegli occhi se non nei suoi incubi peggiori.

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Capitolo 9
*** capitolo 8 ***


Buongiorno

Buongiorno!

Eccomi di nuovo qui con un nuovissimo capitolo^^

Spero che vi possa piacere….

Grazie infinite a tutti coloro che hanno letto e commentato….in particolare a Chria ( la solita esagerata -____-)

Per tiger eyes: ti ringrazio davvero molto per i tuoi commenti sempre gentili ed utili….spero solo che le…emhhh…uscite di Chria non ti abbiano offeso….conto di poter leggere anche questa volta un tuo commento.

In caso contrario, va beh, non fa niente^^

Ciao!


La sala del banchetto era gremita di ospiti.

L’odore squisito del cibo proveniente dalle cucine faceva brontolare lo stomaco di inservienti e camerieri mentre le note della dolce melodia di un flauto sembravano vibrare leggere fra le splendenti sale del bianco castello di Zaccar.

Un mezzo demone percorreva imbronciato una vertiginosa scala a chiocciola.

I suoi passi leggeri parevano vibrare nel silenzio intorno a lui.

Completamente costituita dalla madreperla più pregiata che mai artigiano avesse avuto la fortuna di lavorare, quella scalinata sembrava un niveo serpente dai riflessi arcobaleno attorcigliato alla struttura centrale della torre che, per la sua imponenza e posizione, costituiva il corpo centrale del palazzo di Zaccar.

Le finestre erano le sue spire, e le immense sale che davano su queste la sua magnifica struttura.

Il mezzo demone non sapeva chi avesse progettato quella costruzione, ma di sicuro avrebbe dovuto trattarsi di un genio con un senso dell’ego altamente sviluppato: la torre era così alta e slanciata da parere lo stelo di un immenso fiore donato dalla terra stessa agli dei immortali la cui smisurata corolla, invisibile allo sguardo, dava l’idea di ergersi al di sopra delle nubi, oltre la volta celeste.

C’era da chiedersi come facesse a rimanere in piedi senza crollare al primo alito di vento

L’intenso odore di fiori che costantemente impregnava ogni angolo di quella torre, mischiato all’intenso sentore di cibi e bevande, ai raffinati profumi di dame e a quelli un po’ più grezzi delle cameriere, investì il finissimo olfatto del mezzo demone riuscendo, con la sua dolce intensità, a stordirlo per qualche istante.

Si portò una mano al volto, come a difendere i suoi sensi, forse un po’ troppo sviluppati per quell’accozzaglia di fragranze,da quella odorosa aggressione.

Morbide ombre color ambra, ultimi raggi di un sole ormai morente nel cielo, filtravano silenziose dalle sottili pareti di madreperla, proiettando le loro sfuggenti sagome celesti sui perlacei pavimenti delle sterminate sale, sui gradini di quelle scale che, figlie minori della gradinata centrale, si arrampicavano su questo o quell’altro piano, si snodavano attorno ad una colonna portante o costeggiavano un arco riccamente inciso.

Pareva di trovarsi in un mondo a parte, un mondo sospeso al di la del tempo e dello spazio, i cui soli rumori sembravano essere il dolce stormire del vento attraverso le ampie volte, specchi di una realtà relegata oltre la loro eterna sorveglianza, e il morbido fruscio delle vesti del mezzo demone.

Un’imprecazione rimbombò per le vaste sale, infrangendo la sonnolenta atmosfera crepuscolare.

Dannati fiori.

E dannati quelli a cui piacevano e che, per coronare il loro folle e rivoltante gusto dell’orrido, avevano deciso di trasformare un’opera di ingegneria e di architettura senza precedenti come lo era il palazzo di Zaccar in una sottospecie di foresta a più piani.

Le sue dita ora strettamente premute sul naso demoniaco rafforzarono la loro spasmodica presa, quasi temessero che il dolce olezzo potesse entrare in contatto con l’olfatto anche solo per osmosi.

Schioccò stizzito la lingua sul palato.

Per ordine degli antichi sovrani del passato, l’intera struttura era stata quasi completamente tappezzata di giardini artificiali, contenenti le più incredibili, meravigliose e, dulcis in fundo, rare specie di piante mai esistite sulla faccia di Yarda, rendendo, a parere di tutti, quello splendido edificio, una delle più famose e ineguagliabili meraviglie mai esistite sulla faccia della terra.

Un’opera senza tempo.

A Inuyasha sembrava solo un inutile spreco di spazio.

Al posto che usare tutte quelle immense sale per addobbarle di inutili piante che, prima o poi, sarebbero miseramente appassite, quei geni del passato avrebbero potuto costruire biblioteche, osservatori, laboratori di astronomia e alchimia ora come ora relegati ad una misera quanto esigua parte della torre…

E invece no.

Fiori.

Fiori.

E ancora fiori.

Inuyasha sbuffò: odiava quella torre.

La odiava con tutto e stesso, e il fatto di essere costretto ad abitarvi, gliela faceva odiare ancora di più.

Già.

Costretto, perché, a parer del generale supremo, nonché padre di Sesshoumaru e Inuyasha, quale esaltazione maggiore della vittoria sulle terre libere se non l’abitare nella città in assoluto più potente e prestigiosa, loro stesso simbolo?

Nessuna, appunto.

Peccato che il semplice chiedere se i due adorati figli in questione desiderassero o meno risiedervi non era stato nemmeno preso in considerazione…

E ora si trovavano lì.

In quella città e soprattutto in quella torre che, a suo parere, avrebbe potuto essere definita con un solo aggettivo: troppo.

Troppo lucente, troppo splendida…troppo luminosa.

Troppo.

Lui amava la notte, l’oscurità, il cupo mondo delle grotte e degli antri…

Non gli fronzoli, i dolci effluvi, le pianticelle appena sbocciate….

Lui era una creatura delle tenebre, Dannazione!

Un demone!

Sbuffò di nuovo.

Ma ultimamente sembrava essere l’unico a considerarsi come tale.

Sesshoumaru, infatti, a discapito della sua fama, si era adattato perfettamente quanto inaspettatamente a quel nuovo palazzo: passava le ore a passeggiare per le vaste sale, percorrendo senza fretta alcuna la nivea scalinata in lungo e in largo.

La sola idea di imitarlo, fece rabbrividire Inuyasha.

Lui nella torre non entrava mai.

Benché fosse aperta solo alla famiglia reale e ai suoi custodi, non ci metteva mai piede.

Mai.

A parte che di notte.

Di notte, quando gli ultimi bagliori del sole morente proiettavano nelle sterminate sale una tenue luce rossastra che man mano si affievoliva tendendo sempre di più al viola, all’indaco ed infine al nero.

Il nero delle tenebre.

Il nero del silenzio e della solitudine.

Era allora che la torre diveniva veramente il luogo di meraviglie e magie di cui tutti parlavano.

Ed era solo allora che Inuyasha vi metteva piede, quando ormai le stanze erano avvolte nel vellutato abbraccio del silenzio, quando ormai la dea della notte vagava leggera per il castello, i suoi vaghi passi accompagnati dal quieto sospirare dei dormienti.

Saliva come un’ombra fino all’ultimo piano e, stendendosi sull’ampio tetto, osservava il mondo avvolto nell’oscurità, coperto da un pesante mantello nero che lasciava intravedere solo qualche debole bagliore di lanterna o falò.

Osservava tutto ciò che un giorno sarebbe stato suo.

E tutto ciò che non avrebbe mai potuto avere.

Era un pensiero strano il suo, visto che praticamente aveva tutto.

Veniva lassù appena l’infinità di impegni che ogni giorno lo assillavano gli concedevano una tregua e solo, poiché nessuno oltre lui vi saliva.

Troppo rischioso, dicevano.

Lui ci andava proprio per quello.

Perché sapeva che nessuno l’avrebbe mai seguito.

Era passato un anno da che lui e suo fratello Sesshoumaru avevano conquistato Zaccar, la potente città delle meraviglie,come la chiamavano ora i soldati, ma ancora quest’ultima creava loro problemi.

I lavori di ricostruzione degli edifici che durante la battaglia erano stati rasi al solo non erano ancora terminati, il subentrare di un nuovo regime di governo stava creando non poche difficoltà e, cosa più grave, i cittadini, scontenti della loro nuova condizione(subordinata ai demoni invasori),davano vita a continue e snervanti rivolte che per la maggioranza dei casi si concludevano in inutili carneficine.

Gruppi di rivoltosi si nascondevano in ogni casa pronti ad insorgere contro il loro operato come se, nel loro governare, non avessero fatto altro che infierire contro di loro, poveri esseri umani sconfitti.

Finalmente Inuyasha raggiunse l’ampio salone della festa.

Preziose sete e tendaggi pendevano sfarzosi dal soffitto mentre ovunque tavoli riccamente forniti delle più ghiotte leccornie offrivano agli ospiti ogni genere di prelibatezze che il loro delicato stomaco avesse potuto contenere.

Demoni di ogni genere e specie affollavano l’ampio salone che riecheggiava ora di un costante brusio misto alla dolce musica dell’orchestra.

Sbuffò.

Se c’era una cosa che odiava erano le feste e i balli in maschera, ed in quella sala, per sua sfortuna, si concentravano entrambe le cose: Ricconi pieni di soldi che si divertivano a coprirsi di ridicolo indossando costumi degni del più fantasioso buffone di corte e ballando come degli idioti su una pista da ballo.

Per non parlare degli abiti che esibivano con tanto orgoglio:stupide esaltazioni della loro ricchezza che la dicevano ben lunga sulla loro intelligenza.

Lui indossava cupi abiti di un anonimo colore nero nascosti da una ampio mantello dello stesso colore, i lunghi capelli argentati portati sciolti lungo la schiena.

Sul viso, come imponeva la regola, una preziosa maschera bianca raffigurante il muso di un lupo con due preziosi rubini ai lati degli occhi e raffinate incisioni disegnate con l’oro e con l’inchiostro sulle orecchie, nascondeva il suo volto ora piegato in una smorfia tesa.

La luce soffusa delle candele rischiarava la sala diffondendo nell’aria un leggero profumo di cera fuso armoniosamente al delicato aroma di fiori e di rugiada portata dalla notte.

Dalle ampie volte che davano verso l’esterno della torre filtrava la pallida luce della luna che, curiosa, sembrava scrutare le strane creature che affollavano quel salone.

Creature che, pensò Inuyasha, avevano molto del…caramelloso.

Sospirò mentre, silenzioso, iniziava a farsi strada fra la folla simile in tutto e per tutto ad un unico scintillante mare di perle, zaffiri, diamanti e sete preziose.

Una mescolanza di opulenza e ricchezza così ostinatamente esibiti da stimolare nell’osservatore un senso di nausea.

Perché era ovvio, evidente, lampante che quelli non erano dei semplici ed innocui travestimenti.

La principessa del deserto, che con i suoi veli color della luna e i suoi trillanti campanellini d’oro intorno alla vita, leggera, si lasciava trasportare da un imponente cavaliere elfico in un turbinio di giravolte, non sembrava rammentarsi di essere la moglie di un conte di recente andato in rovina per la sua avventatezza nelle campagne militari.

E il grasso domatore di draghi in divisa ufficiale, seduto comodamente su una morbida poltrona indaco, pareva non rendersi conto che la sua consorte da che erano iniziate le danze non aveva fatto altro che conversare con un aitante nano dalla barba rosso acceso,la giovane età malcelata da un paio di fulvi baffoni.

Quello non era travestirsi.

Quello era la voglia di essere, almeno per un ballo, per una notte, per un solo, unico istante, qualcun altro.

Qualcos’altro.

E fuggire da se stessi.

Come se il travestirsi avesse veramente potuto nascondere ciò che in realtà si celava dietro quegli orletti pregiati e quelle sete finissime.

Il nano sussurrò qualcosa all’orecchio della fata del bosco, e questa, trillando un risolino divertito gli indicò con un leggero cenno del capo l’uscita della sala.

E dimenticare.

Inuyasha continuò ad avanzare, sfiorando per un istante con lo sguardo le brune sfumature vermiglie del suo abito, i freddi riflessi lunari che pallidi si insinuavano fra le morbide pieghe del mantello: lui era l’unico ad indossare il cupo colore della notte.

Almeno era stato onesto, evitando, per decenza, l’acidognolo verde muffa suggeritogli dal fratello in un eccesso di simpatia.

Nero.

Discreto e allo stesso tempo singolare: era l’unico ad indossarlo.

In quella folla, in effetti, staccava come un cadavere in un campo fiorito, pensò, osservando un goffo demone che, fra una giravolta e l’altra infilava un grasso dito al di sotto del parrucchino color neve, grattando con stoica noncuranza la sua sudaticcia cute bianca, nido di pidocchi e pulci.

Finalmente, nel turbinio di volti sconosciuti, una maschera rappresentante un ricco commerciante dagli abiti tempestati di pietre preziose gli si avvicinò silenzioso e, subito dopo, allontanando con una mano artigliata la maschera dal viso si rivelò essere suo fratello Sesshoumaru.

Una strana espressione di rimprovero era stampata sul suo volto.

Inuyasha si tolse la maschera, arrestandosi propri davanti a lui.

“Fratello…” biascicò Sesshoumaru “ Possibile che il tuo concetto di festa sia ciò che di più ricordi un funerale?”

Il mezzo demone inarcò un sopracciglio.

“ Dio mio, stiamo festeggiando l’anniversario della conquista di Zaccar! Non la morte di nostro padre!” continuò il fratello alzando gli occhi al cielo, in un’enfatica espressione di disappunto.

Inuyasha si trattenne dall’informarlo che solo in quel caso si sarebbe vestito dei più sgargianti colori dell’arcobaleno. “Perché diavolo ti sei vestito a quel modo?Sembri uno spirito dell’oltretomba!”insistette il fratello.

“Meglio sembrare uno spirito dell’oltretomba che una meringa vestita a festa” puntualizzò acido Inuyasha.

Sesshoumaru scosse la testa sconsolato e fece per rispondere, ma una sensuale Youkai vestita da fata si intromise fra i due “ Buonasera Inuyasha!” cinguettò mentre si sfilava dal volto la maschera raffigurante una farfalla, rivelando così un viso giovane e provocante.

Inuyasha le sorrise malizioso notando l’abbondante scollatura che lasciava ben poco all’immaginazione del vestito

“ Buonasera Cordelia” disse chinandosi per baciarle la mano “ quale onore avervi qui…”.

Lei scoppiò in una risata argentina notando lo sguardo per niente pudico che lui le rivolse mentre con le labbra le sfiorava la pelle di porcellana.

“Credevo vi trovaste nei vostri possedimenti nelle terre a sud” continuò Inuyasha senza staccarle gli occhi di dosso.

Lei sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi “ Lo ero…” trillò con la sua voce sottile e acuta” ma quando mi è giunto l’invito per questa festa in onore della conquista di Zaccar non ho proprio saputo resistere e…come vede sono qui”

Il mezzo spettro le rivolse uno sguardo sornione e, con un movimento fluido, avvicinò le labbra al suo orecchio appuntito “ Mi piace quando sei impulsiva…soprattutto in altri frangenti” le sussurrò appena.

La ragazza divenne improvvisamente rosso fuoco, tossicchiando subito dopo uno sdentato “non capisco a cosa lei si riferisca…”.

Al mezzo demone le sue parole ricordarono lo stonato spezzarsi di una corda di violino.

Le sorrise, aiutandola a ritrovare quel poco di grazia così miseramente smarrita “ Vuole concedermi l’onore di questo ballo?” le chiese.

Lei annuì, gli occhi che brillavano al tenue bagliore delle candele“ Ne sarei entusiasta” cinguettò, la voce tremante di una sfumatura di agitazione.

Subito Inuyasha le circondò con una mano la vita rinforzando con l’altra la presa del suo palmo nel suo e, seguendo la morbida marea di gonne a sbuffo e mantelli ricamati, la guidò sicuro al centro della sala da ballo.

Sentì la schiena della giovane fremere sotto le sue dita.

I battiti del suo cuore vibrare nella fragile cassa toracica.

Sorrise nella penombra.

La lenta melodia della musica accompagnò i movimenti dei loro corpi ora strettamente vicini l’uno all’altro.

Ad ogni giravolta, I serici capelli della donna sfioravano il petto del demone in una morbida carezza al profumo di narciso.

Inuyasha sorrise.

Erano così vicini da far si che i loro respiri si sfiorassero, che i loro sguardi, incontrandosi, si tingessero l’uno delle sfumature dell’altro…

Il morbido braccio di Cordelia circondò in un sensuale abbraccio le spalle del mezzo demone.

Aveva la pelle tiepida.

Inuyasha alzò gli occhi al cielo ora scuro e limpido.

Già si potevano vedere le prime stelle comparire timide nel firmamento.

Senza abbassare lo sguardo, Inuyasha strinse con maggior intensità la sottile vita di Cordelia cercando invano calore attraverso la morbida seta del bustino.

Aveva freddo…

Respirò il dolce profumo della ragazza che ora aveva abbandonato la testa sul suo petto, sospirando all’unisono con i battiti del suo cuore.

Battiti lenti e tranquilli.

Continuarono a volteggiare, come petali mossi dal vento per la sala sempre più fiocamente illuminata.

La musica, morbido sussurro del vento, volteggiava leggera intorno a loro mentre delicate come candidi fiocchi di neve le sue note sembravano lasciarsi trascinare e trascinare a loro volta coloro che, come spighe al vento, si abbandonavano a quella dolce melodia.

Il pallido chiarore lunare filtrava attraverso le pareti di madreperla in un brillante e candido disegno di ombre fluide e sinuose come seta trasportata dal vento.

Inuyasha sentì la sensuale Cordelia abbandonarsi ancor più contro il suo petto, i suoi passi incerti che parevano seguire non più la musica ma il solo volere del mezzo demone.

Un nuovo sorriso deformò il suo volto invisibile.

Sapeva che era pazza di lui.

Lo era lei come lo erano molte altre ragazze che gremivano la sala ballando con i più svariati compagni ma desiderando segretamente di stare fra le sue braccia.

Lo vedeva nei loro sguardi quella muta richiesta, quel tacito desiderio.

Ma questa volta aveva avuto la meglio Cordelia.

E anche lui aveva avuto il meglio.

Già…il meglio…

Guardò distrattamente la folla: sete danzanti e visi obliati si stringevano l’un l’altro dimentichi di ciò che li circondava.

Sospesi in una magica illusione creata dalla musica e dall’oscurità che lentamente si insinuava nella sala affievolendo il fatuo chiarore delle candele.

Il brusio era cessato, lasciando il posto al fruscio degli abiti, al volteggiare della musica.

Alla tiepida morbidezza della seta sotto i polpastrelli, della pelle sulle labbra.

Improvvisamente due occhi catturarono lo sguardo di Inuyasha.

Il mezzo demone si bloccò stordito, la magica illusione a cui si era abbandonato pochi istanti prima svanita per sempre, svegliando così Cordelia dal suo dolce sogno d’amore.

Scomparsi.

“Perché ti sei fermato?” gli bisbigliò lei all’orecchio.

Senza sapere nemmeno che cosa cercare, Inuyasha fece vagare lo sguardo sulla folla.

Poi guardò Cordelia.

Sorrise.

“scusa” le disse nell’orecchio stringendo nuovamente a se quel corpo morbido e provocante.

I suoi occhi però continuarono ad indugiare sulla folla.

Quegli occhi.

Sapeva di averli già visti da qualche parte.

Quegli occhi….

Improvvisamente la sensazione di essere osservato lo fece voltare verso sinistra e li, nuovamente, li trovò fissi ad osservarlo.

Un secondo dopo erano già spariti.

Si bloccò e senza nemmeno soffermarsi a pensare su quello che faceva lasciò andare Cordelia e si immerse nella folla.

Camminando a passo spedito iniziò a vagare senza meta per la sala, incespicando nei lunghi mantelli e strascichi, continuando a guardarsi intorno con febbrile attenzione.

Niente.

Non riusciva a trovarli.

Dannazione!

Per poco non fece cadere a terra una dama vestita da ninfa della pioggia.

Senza nemmeno scusarsi procedette in avanti scandagliando con lo sguardo ogni centimetro della sala ed ogni volto degli occupanti.

Quegli occhi.

Dannazione.

Probabilmente si sbagliava.

Non poteva essere….

Improvvisamente si sentì toccare dolcemente la spalla.

Si voltò con uno scatto stizzito pronto a mandare al diavolo Cordelia e le sue assidue quanto assillanti pretendenti.

Ma non lo fece.

Lei era li.

Avvolta in un lungo vestito nero che lasciava scoperte le fragili spalle dal niveo colore della porcellana.

Un tessuto trasparente punteggiato da lacrime di diamante ricopriva come un velo la nera stoffa dell’abito mentre i lunghi capelli corvini ricadevano in fluide onde lungo la schiena che Inuyasha immaginò essere scoperta.

Il viso era coperto da una anonima maschera da gatto.

La ragazza gli si avvicinò.

Lentamente.

I suoi passi che, soli, riecheggiavano nell’oscurità della sala ormai silente all’udito del mezzo demone.

Si fermò solo quando gli fu così vicino da far si che i loro corpi si sfiorassero.

Si alzò sulle punte avvicinando così le sue labbra all’orecchio canino del mezzo demone.

“Inuyasha…”sussurrò piano.

Come rispondendo ad un ordine lui la strinse a se, perdendosi nella morbidezza dei suoi fianchi.

“ Non mi piace che le persone che uccido ritornino in vita”disse piano nel suo orecchio.

La sentì ridere appena.

“ Ma io non sono morta…”

Poi tutto accadde in una frazione di secondo.

Improvvisamente la sala si riempì di grida di terrore e la folla che un secondo prima seguiva fluida, simile ad una lenta marea, la musica dell’orchestra sembrò prima immobilizzarsi e poi aggrovigliarsi su se stessa.

In un istante i preziosi abiti e le suntuose acconciature si sfaldarono, i bianchi pizzi si stracciarono, le collane di perle vennero strappate, lasciando che le preziose gocce marine si spargessero sul pavimento sotto l’urto di spintoni, cazzotti, scontri inconsulti.

Inuyasha alzò lo sguardo verso il soffitto.

Dalle ampie volte che fungevano da finestre, stavano accucciate centinaia di figure in nero che immobili scagliavano contro la folla urlante miriadi di frecce che, seminando il panico fra gli invitati, avevano già iniziato a mietere le prime vittime.

Riabbassò stordito lo sguardo sulla donna che con un gesto fluido si tolse la maschera.

Dannazione!

Non era lei!

Era la ragazza del boomerang!

Era convinto di averla uccisa!

Quest’ultima, con maestria infilò la mano nella veste e ne estrasse un lungo pugnale che immediatamente puntò contro di lui.

Il mezzo demone lo fermò stringendo il polso di lei, evitando così che questa potesse aprirgli uno squarcio nel ventre.

Vide la rabbia divampare nei suoi occhi.

Sorrise, anche se, si accorse, c’era veramente poco da ridere.

Spiacente carina.

Oggi proprio non aveva tempo per giocare.

Con un movimento fluido glielo sfilò di mano, preparandosi subito dopo a colpirla.

Qualcuno fu più veloce di lui.

Qualcosa trafisse la schiena del mezzo demone con così tanta forza da farlo barcollare.

Dannate frecce!

Fu un attimo.

In un secondo la folla impazzita lo travolse calpestandolo.

Si sentì schiacciare da una marea infinita di piedi, tacchi e suole che lo fecero urlare di dolore.

Nessuno lo sentì.
Non era l’unico.

Lottando contro la furia del panico rotolò di lato e, trovando un punto in cui nessun piede lo calpestasse, si alzò in piedi.

Un dolore lancinante lo fece cadere in ginocchio.

Aveva qualche costola rotta.

Si portò una mano ormai segnata dai lividi alla schiena e, trovando la sottile asta di una freccia conficcata proprio all’altezza delle scapole, ne circondò il flessibile corpo ligneo.

Un grido di dolore si aggiunse allo sciame di strida terrorizzate.
Si tirò nuovamente in piedi.

Doveva fermare la pioggia di frecce.

Subito.

Quella era la festa in onore della conquista di Zaccar, non l’avvento della resistenza ribelle!

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Capitolo 10
*** capitolo 9 ***


Salve di nuovo

Salve di nuovo!

Mi scuso tantissimo per la mia “pausa di riflessione” che in questi due mesi mi ha decisamente tenuto distante da questa fic

Premetto che i due capitoli che posterò in questi giorni erano, inizialmente, uniti ma, notando quanto insieme fossero esageratamente lunghi, ho deciso di spezzarli in due^^

Devo dire che non sono soddisfatta di come siano venuti e, questo fattore, spiega anche il perché del mio ritardo: in questi mesi mi sono accorta che, scrivendo, non riuscivo a trasmettere alcuna emozione se non parole stereotipate e frasi da me già usate.

Niente di nuovo e niente che potesse definirsi veramente come “scrivere” insomma….

Quello che è venuto fuori alla fine (questi due cap) è il miglior compromesso che sono riuscita a buttare giù e…beh a voi il verdetto^^

Vi lascio leggere…sperando in tempi migliori per la mia “creatività”

______________________________________________________________________________

Si molleggiò appena sulle agili gambe demoniache e subito scattò verso l’alto.

Un vento improvviso, fugace ricordo dell’illusione a cui il pallido chiarore lunare e le dolci note dell’orchestra avevano dato vita, si insinuò a tradimento fra le pieghe del suo mantello, nell’affilato taglio degli occhi senza pupilla della sua maschera, facendolo rabbrividire.

Con un movimento stizzito Inuyasha si strappò quell’insulso muso canino dal volto, gettandolo poi nel vuoto.

Per qualche istante quel viso latteo e candido come neve si librò leggero nella notte, il suo sguardo assente che pareva indugiare e allo stesso tempo scrutare nel livido gelo della notte.

Inuyasha sapeva che cosa quegli occhi stavano cogliendo, quali immagini, nel silenzio ormai ferito dell’oscurità, risalivano la pallida indifferenza di quel volto senza vita infrangendosi su di esso come una marea dall’inarrestabile violenza.

Fece scrocchiare nervoso le articolazioni della mano destra e, con l’altra, si aggrappò veloce ad un telone.

Le immagini della paura.

La paura di coloro che non sanno difendersi, che cercano disperatamente una via di salvezza da una minaccia ben oltre le loro possibilità che, tuttavia, non riescono a trovare.

Le immagini della morte.

I nervi tesi pronti a scattare, Inuyasha si guardò immediatamente intorno, i suoi occhi ambrati che, attenti, saettavano nell’oscurità pronti a colpire ancor prima del suo corpo.

Maledetti ribelli.

Sotto i suoi piedi, il confuso brulichio di dame, danzatori, fate, folletti e musicisti, crepitava confuso come il furioso divampare di un incendio nella sala le cui invisibili lingue di fuoco parevano risalire fino a lui come serpeggianti spire senza vita.

Dannazione!

Cominciò a dondolarsi con furiosa determinazione in avanti e in dietro, la gelida carezza della notte che, improvvisamente brutale, si trasformava ad ogni oscillazione sempre più in un violento schiaffo sulla sua pelle tesa fino a che, con uno slancio deciso, balzò in avanti.

Il vuoto serpeggiò sotto i suoi piedi, stuzzicando i fini sensi demoniaci con la propria esaltante vastità.

Si aggrappò ad un telone, sfruttandone la morbida elasticità per catapultarsi nuovamente in avanti ed afferrarne un altro, assicurarsi ad un terzo e, compiendo una brusca virata verso sinistra, assicurarsi ad un quarto.

Un secco strappo lacerò l’aria densa del sibilante mormorio delle frecce e dello sciamante stridio della folla.

Maledizione!

Come un’ombra fra le morbide trasparenze dei soffici tessuti che, simili a capelli di dame, ondeggiavano nell’oscurità venata dei pallidi raggi della luna, il mezzo demone si lasciò cadere in avanti e con un’ultima, decisa, capriola a mezz’aria, raggiunse finalmente una delle ampie volte.

Eccoli.

Simili ad occhi sgranati nel buio della notte, gli splendidi finestroni ospitavano le nere figure dei ribelli che, ignari della sua puntuale quanto sgradita presenza, se ne stavano appollaiati come corvi ingordi sui lucidi parapetti scagliando, con freddezza e precisione scanditi da un ordine che stranamente aveva del militare, orde di frecce in direzione della folla sciamante molti metri più in basso.

Livido,Inuyasha caricò il colpo.

“ Artigli di ferro!”

Il suo grido, seguito dal feroce incedere delle lame di luce sprigionate dal suo attacco, squarciò repentino l’aria alla volta dei ribelli che, senza possibilità di reagire, ne vennero immediatamente travolti dalla devastante e improvvisa violenza.

Senza curarsi di constatare l’effettivo successo del proprio attacco, Inuyasha riprese nuovamente a volteggiare nell’aria questa volta in direzione di un altro finestrone.

Sapeva di non averli uccisi tutti, ma per ora andava bene così: la cosa più importante era far cessare l’attacco.

Dei superstiti si sarebbe occupato più tardi.

Il viso contratto per la concentrazione, il mezzo demone giunse alla volta di un’altra finestra dove, senza nemmeno arrestarsi, ripeté lo stesso procedimento.

Le urla dei ribelli seguirono distanti l’implacabile avanzare di Inuyasha la cui figura agile e vivida nell’oscurità continuò indisturbata a librarsi al di sopra delle ombre immobili che già costellavano il pavimento del salone.

Al di sopra del gemito del vento fra le orbite sgranate delle volte della torre.

Il graffiante sibilo del suo attacco serpeggiò nuovamente nell’oscurità.

“Artigli di ferro!”

Quell’ultimo grido lacerò il nero velo della notte, rimbalzò sulle pareti, rincorse le ultime figure mascherate che ancora si affannavano a raggiungere l’uscita della sala per perdersi, infine, nel frenetico ticchettio dell’orologio da polso di un demone che, i baffi frementi per il terrore, si lasciava alle spalle la moglie riversa a terra.

Il silenzio della morte le macchiava le labbra cremisi.

Improvvisamente la calma atmosfera della notte tornò a regnare nella sala.
Di nuovo.

Finalmente.

Senza arrestarsi, Inuyasha si aggrappò ad un voluttuoso strascico che, fiocamente illuminato dal lieve pallore lunare, pendeva inerte dal soffitto.

Si lasciò trascinare dallo slancio e, con un balzo felino, si catapultò in avanti, oltre la nivea barriera rappresentata dal livido profilo dell’arco della finestra.

La vastità del vuoto lo aggredì in tutta la sua inafferrabile immensità.

Irresistibile illimitatezza.

Inuyasha sentì il proprio cuore vibrare convulso nel petto mentre una scarica d’eccitazione percorreva ogni fibra del suo essere facendo, per un solo, unico, secondo, increspare quelle labbra affilate nella peggior imitazione estatica di un sorriso.

Sospirò, lasciando che il proprio sguardo si perdesse nell’abbacinante riverbero di quell’immensità che, sola, si estendeva a perdita d’occhio davanti al suo sguardo e, compiendo una morbida parabola verso sinistra, puntò i piedi contro la liscia e candida superficie della torre.

Immediatamente, si guardò intorno guardingo, i nervi nuovamente tesi e pronti a scattare.

Un’espressione stupita increspò i freddi lineamenti del suo viso.

Era solo.

Lui e il cielo, un sottile brandello di stoffa che, solo, lo divideva dall’immensità dell’infinito.

Dei ribelli nessuna traccia.

Un vento gelido serpeggiò lungo tutto il diafano profilo della torre ululando, indisturbato nella silente oscurità della notte, la propria lamentosa solitudine.

Né una goccia di sangue, né un’impronta sulla polverosa superficie del parapetto…

Niente.

Nemmeno il tenue ricordo di un odore che non fosse stato quello umido della rugiada e quello gelido della brina argentea sulle nivee venature delle pareti.

Niente di niente.

Lo sguardo confuso del mezzo demone si agitò nell’oscurità, percorrendo ogni centimetro della superficie pallida e opalescente delle mura del palazzo di Zaccar.

Non aveva senso.

Con un improvviso scatto d’ira, sferrò un pugno contro la parete.

Loro c’erano!

C’erano, maledizione!

Quelle figure appollaiate sui parapetti delle volte intente a scagliare orde di frecce contro la folla urlante non se le era immaginate!

No, Dannazione! E a quell’altezza non era possibile sparire come se niente fosse, né tantomeno saltare giù.

Il suo sguardo livido si perse nell’oscurità.

Maledizione…

Poco dopo, con un leggero tonfo attutito, i suoi piedi toccarono nuovamente il freddo pavimento della sala dei banchetti.

Sospirò, stizzito, quello che, nel silenzio, apparve come un sibilo velenoso.

Davanti a lui, ciò che solo pochi istanti prima avrebbe potuto ricordare la rappresentazione vivente di un sogno, ora rifletteva solo il cupo ricordo dei campi di battaglia così familiari al mezzo demone: corpi senza vita o ansimanti dal dolore riempivano la sala avvolta nell’oscurità.

Le candele si erano spente.

Tutte.

Solo la luna si ostinava impietosa ad illuminare quella scena.

Lo sguardo di Inuyasha si perse per un istante nei riflessi ramati della chioma di una ragazza riversa a terra.

In effetti la somiglianza era evidente…

Si sorprese a pensare ai lavori che sarebbero occorsi per ripulire la sala da cima a fondo e per riguadagnarsi la stima e la fiducia dei potenti alleati così gelosamente attaccati alla loro vita rimasta, per un soffio, attaccata ai loro grassi e goffi deretani.

Dannazione!

Serrò con forza le mascelle, la rabbia che si agitava furiosa dentro di lui.

Doveva solo aspettare di trovarseli nuovamente fra gli artigli e avrebbe felicemente fatto passare la voglia a quegli stupidi esseri umani di giocare ai soldatini.

Una figura atterrò leggera al suo fianco, un’espressione tesa che induriva ancor di più i suoi lineamenti gelidi.

”Dove sono finiti?” chiese Sesshoumaru al fratello.

Inuyasha scrollò le spalle, stizzito.

“Non ne ho idea, sembrano essere scomparsi”

Un sospiro sibilò nell’aria.

“Le persone non scompaiono, Inuyasha: si nascondono, fuggono…ma sicuramente non si volatilizzano nel nulla” replicò secco il primogenito.

Ancor prima di accorgersene, la mano destra di Inuyasha era volata alla gola del fratello “questo lo so anche io…”

“ Signore!” una voce incrinata dall’agitazione fece voltare i due.

Un demone con indosso una preziosa giacca dalle maniche a sbuffo strette sotto le spalle e all’altezza dei gomiti da invisibili nastri e dai larghi pantaloni all’araba, si stava avvicinando loro correndo e incespicando fra i corpi dei morti e dei moribondi.

Dietro di lui, una schiera di altrettanti goffi e apparentemente ridicoli soldati si affannava a stargli dietro.

Sul viso, tutti portavano una bianca maschera da coniglio dalle lunghe ed affusolate orecchie.

La mano di Inuyasha abbandonò la presa sul collo di Sesshoumaru.

“Signore!” ripeté questi quando finalmente fu abbastanza vicino; il gruppetto si fermò a qualche passo dietro di lui.

Abbiamo avvistato i ribelli!”

Il cuore balzò nel petto del mezzo demone “dove?” sibilò.

Nei piani inferiori, Signore. Si sono confusi fra gli invitati che sfuggivano al massacro ed ora stanno scappando verso l’uscita!”

Un ghigno crudele increspò le labbra di Sesshoumaru.

“Corri e dai ordine di chiudere immediatamente le porte del palazzo…” trattenne per una manica il ragazzo che, rapido, stava già per scattare in direzione della porta della sala “…possibilmente prima che i ribelli le abbiano sorpassate”puntualizzò il primogenito.

Dopo un breve cenno di assenso e uno ancora più frettoloso di congedo, il soldato si dileguò nell’oscurità.

Il mezzo demone fece per qualche istante vagare lo sguardo sulla misera schiera di soldati che, silenziosi nella fredda penombra della sala, attendevano i loro ordini.

Schioccò stizzito la lingua sul palato, lasciando che quel suono secco e contrariato li raggiungesse uno per uno.

Troppo pochi.

Ricordava il numero dei ribelli, e le misere maschere che ora si reggevano a fatica in piedi davanti ai suoi occhi non sarebbero bastate nemmeno per la metà.

Scosse la testa.

Non c’era tempo.

“Andiamo!” ordinò infine, la voce che infrangeva il velo di silenzio così innaturale per quella sala e, voltandosi con uno scatto, si mise a correre in direzione della scala di madreperla.

Sesshoumaru, il viso più pallido del solito, lo seguì immediatamente così come, dopo pochi istanti, tutta la combriccola di guardie coniglio.

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Capitolo 11
*** capitolo 10 ***


In un istante il frenetico affrettarsi dei passi dei soldati e il lieve avanzare di quelli dei due principi iniziò, rapido, a

In un istante il frenetico affrettarsi dei passi dei soldati e il lieve avanzare di quelli dei due principi iniziò, rapido, a crepitare nell’aria immobile e tesa della gelida presenza della morte, inseguendo quella misera combriccola lungo i corridoi di madreperla, i saloni dal pallido biancore e le volte intarsiate.

Inuyasha accelerò il passo, un’espressione al limite fra la gelida freddezza del cacciatore e la frenetica ebbrezza del predatore ad incupire e allo stesso tempo macchiare di una livida bestialità il suo sguardo.

Poteva percepire l’odore della paura che ancora aleggiava nell’aria immobile della torre.

Che ancora macchiava del ricordo di grida disperate le nivee pareti di madreperla.

Improvvisamente dalle volte che davano sulla scalinata sbucarono, come boccioli nel candido manto innevato, i visi senza nome delle maschere di coniglio.

Altri soldati, considerò il mezzo spettro, forse quelli rimasti nei piani inferiori.

Un ghigno leggero increspò i tratti del suo viso mentre questi, dopo un attimo di esitazione forse necessario per comprendere la situazione, si aggregavano a loro andando così a incrementare il numero degli inseguitori.

Affrettò il passo, i selenici artigli demoniaci che, affilati, graffiavano la nivea trasparenza della madreperla animata dal freddo pallore lunare di bagliori esangui, azzurri tenui.

Viola intensi e screziati blu Magenta.

Inuyasha non poté fare a meno di pensare ad un mare venato dai gelidi riflessi dell’acciaio delle spade, dai freddi sorrisi senza calore delle sciabole, dalle leggere intarsiature degli archi.

Dal distante ghigno dell’astro della notte che, muto sguardo sgranato nel remoto abisso del cielo, pareva scrutare curioso il freddo pallore di quelle sale esangui, unicamente ricoperte del gelido tocco di una bellezza senza veli, senza pudore, senza tempo, il profilo rubicondo delle volte svettanti, dei parapetti slanciati, delle decorazioni ornate del superbo gusto di un tempo ormai obliato dalla memoria del passato.

Una smorfia di puro disgusto venò il volto del mezzo demone.

Dannazione…

Poteva sentire il denso puzzo di alcool misto a quello pungente del sudore dei soldati filtrare oltre quelle maschere senza sguardo, quei pizzi senza valore, quei veli stropicciati dal troppo stare seduti per poi giungere in tutta la loro pungente sgradevolezza al suo naso mentre questi, stancati dal lungo turno di guardia e dal troppo bere, arrancavano alle sue spalle, il ritmo troppo frenetico della corsa che, implacabile, metteva a dura prova la loro resistenza.

Sospirò mentre l’idea che il mezzo demone si era fatto su come, una volta raggiunti i ribelli, si sarebbe dovuta svolgere la sortita iniziava penosamente a svanire…altro che battaglia feroce e rapida, l’inferiorità numerica compensata dal valore degli uomini…sarebbe già stato tanto se quegli idioti non fossero caduti addormentati ancora prima di avvistare i fuggitivi…

Improvvisamente un movimento furtivo catturò lo sguardo di Inuyasha.

Eccoli!

Il respiro del mezzo demone crepitò nella sua gola mentre l’adrenalina, esaltante ebbrezza nelle vene, iniziava nuovamente ad invadere come una marea ogni fibra del suo corpo.

Con uno slancio accelerò ancor di più il passo.

Sorrise, un ghigno questa volta soddisfatto.

Solo 30 metri li dividevano.

La sua mano volò rapida all’elsa di Tessaiga, stringendone fra le dita affusolate l’apparente inoffensività: sarebbe bastato un solo fendente per finirne più della metà…

Solo uno.

Uno e uno soltanto…

Semplice e pulito…

Espirò lentamente tentando di regolarizzare il respiro ora increspato dall’agitazione, si concentrò sul bersaglio ora come mai esposto e, allo stesso tempo, lasciò che le gambe demoniache si tendessero quel tanto che bastasse per concedergli di spiccare un rapido balzo in avanti ma, proprio in quell’istante, una figura lo superò, slanciandosi in avanti con una velocità tale da bloccare il suo raggio d’azione.

Una figura elegante, silenziosa…

Un ringhio furioso vibrò improvvisamente nella gola del mezzo demone.

Sesshoumaru…

In un solo, unico, istante, ogni possibile sentimento di presunta simpatia nei riguardi del fratello che Inuyasha avesse mai potuto provare fino ad allora, parve improvvisamente svanire nel nulla mentre Sesshoumaru, sospeso a mezz’aria in una posa che sapeva insieme del più terribile guerriero infernale e della più raffinata ballerina di danza classica intenta ad esibirsi nel salto del cervo, estraeva in tutta la sua letale bellezza Tokijin.

Lurido bastardo…ma come osava intromettersi?

Come?

Schiumante di una rabbia che solo i fratelli minori posso comprendere in tutta la sua travolgente inappellabilità, opprimente intensità, folgorante irreversibilità, Inuyasha continuò impotente ad osservare la figura del fratello ergersi dinnanzi a lui come la rappresentazione divina di un Dio immortale, saggiare per qualche istante la mirabile fattura e affilata snellezza di Tokijin al pari di una donna dalle più morbide e sensuali fattezze ed infine, con un movimento morbido e preciso come solo anni di addestramento avrebbero potuto donargli, vibrare un potente fendente in direzione dei ribelli.

L’immagine di un pittore che, irto dinnanzi ad una tela ancora intatta, spandeva la prima, decisiva, pennellata, si sovrappose per un istante alla figura di Sesshoumaru davanti allo sguardo furioso del mezzo demone, donando, se possibile, al suo viso un colorito ancora più verdognolo.

Maledizione…

La presa che il mezzo demone esercitava ora sulla sua spada divenne quasi dolorosa, tanto questa si era fatta intensa e spasmodica.

Le mortali lame di luce screziate di un azzurro brillante e cristallino inseguirono ruggendo i fuggitivi.

Come belve infernali ne rincorsero il soffocato scalpiccio divorando, istante dopo istante, la labile distanza che le separava dalle loro prede, incombendo su di loro come una marea inarrestabile e oltre ogni modo distruttiva sempre più vicina, sempre più prossima ad investire il fugace scalpiccio dei loro passi.

Chissà come doveva essere il sentirsi inseguire dall’inferno in persona…

Il fiato rombante dell’attacco di Sesshoumaru divorò gli ultimi, flebili, metri che lo separavano dai ribelli, giocò ancora per qualche istante con il loro disperato affrettarsi ed infine, come una marea inarrestabile, li travolse nel suo cammino.

Che cosa si provava?

Le grida degli uomini colti alle spalle da una minaccia troppo potente per essere fronteggiata esplose nell’aria sovrastando per qualche istante il boato dell’attacco del primogenito che, la inarrestabile potenza ancora ben lungi dall’esaurirsi, continuò, distruttivo, la sua corsa attraverso le sale della torre.

Terrore?Disperazione?

Lo screziato colore del sangue imbrattò improvvisamente quella tela color neve, ne venò l’intensa sfumatura perlacea e la morbida candidezza.

Ne segnò con l’ indelebile firma le scale, le ampie volte, le pregiate incisioni alle pareti mentre le gemme di tale sfumatura cadevano riverse a terra come burattini a cui un bimbo dispettoso avesse appena tagliato i fili.

Un lieve ghigno soddisfatto prese per un istante il posto dell’espressione furiosa dipinta sul viso del mezzo demone mentre questi seguiva con lo sguardo il fugace riverbero della spada di Sesshoumaru sul pallido profilo delle pareti madreperla.

Bene…

Peccato che a compiere quel massacro fosse stato suo fratello e non lui…

Estrasse finalmente con uno scatto stizzito Tessaiga che, di tutta risposta, parve vibrare appena nelle sue mani artigliate.

Particolare a cui aveva intenzione di rimediare immediatamente…

I suoi occhi color tramonto si puntarono sulle figure dei ribelli che, sfortunatamente scampate all’attacco del primogenito, si affannavano ancora a fuggire la loro furia.

Ingenui…

Questa volta gli sarebbe veramente bastato un solo, unico, fendente, e quella patetica banda di balordi che si illudeva di poter sul serio attentare alla potente casata dei Miyoshi, avrebbe in un secondo cessato di esistere.

L’avrebbe cancellata come per un semplice colpo di spugna, e finalmente ogni cosa sarebbe filata liscia.

Pateticamente e noiosamente liscia, a dir la verità, ma era sempre meglio che quella chiara dimostrazione di incapacità e leggerezza nel governare una qualsiasi città appena conquistata…

Il lieve fruscio dei suoi passi sulla selenica trasparenza dei gradini di perla parve nuovamente sfuggire allo sguardo muto della notte mentre il mezzo demone, con un balzo, scattava in avanti con un sibilo dalla mortale leggerezza.

Fece appena roteare Tessaiga nelle sue mani artigliate, saggiando con una punta di malizia la leggera resistenza dell’aria sulla lama, il sibilo fremente di questa mentre ne fendeva la sottile e morbida inconsistenza e, nuovamente, si preparò ad attaccare quando, con sua nuova ed indicibile sorpresa, una figura in nero gli si parò davanti.

Non fece nemmeno in tempo ad identificarla con lo sguardo che questa, veloce come un gatto, vibrò contro di lui un fendente obliquo proprio all’altezza del suo petto con la lunga katana che, splendente nel riflesso lunare delle pareti, brandiva nelle mani guantate.

Maledizione!

Piantando entrambi i piedi a terra, Inuyasha tentò di arrestare la sua furiosa corsa ma, con sua immensa gioia, il pavimento, meravigliosa rappresentazione di un sogno ad occhi aperti, vanto della città di Isil e incredibile rappresentazione di ingegneria e magnificenza strutturale, lo tradì: i suoi passi, maledizione a loro, slittarono su quella liscia e levigata superficie, le unghie argentee graffiarono invano la fredda resistenza color neve delle incisioni astratte ricamate su di esso e, infine, in un morbido fruscio ovattato, tutto il suo essere perse aderenza e, con una leggiadria che non mancò di divertire il mezzo demone per la curiosa somiglianza con quella del fratello, cadde con un tonfo sordo a terra.

L’impatto con la superficie liscia e nonostante questo solidissima del pavimento gli strappò un rauco gemito di dolore mentre, gioia e tripudio, nello stesso istante Tessaiga sfuggiva alla sua presa.

Perfetto!

Il mezzo demone ne osservò per un istante, assente, il profilo sottile e affusolato, solo lievemente arcuato verso l’alto alla volta della punta mortalmente affilata e delicata nella sua precisa semplicità.

Lambita dal fulgido riverbero dello sguardo celeste, in qualche modo, la sua arma pareva un ghigno brillante mentre scivolava, silenziosa, lungo la sala.

Mentre la snella freddezza della sua lama vorticava leggera su se stessa come una ballerina che, di tanto in tanto,si lasciasse sfiorare vezzosa dall’avido tocco della luna capace, con il suo sospiro d’argento, di trasformarla di volta in volta in un ghigno squarciato nel volto esangue della pavimentazione.

Altra rabbia parve improvvisamente aggiungersi a quella che, già, schiumava dentro di lui.

Ma bene!

Adesso ci si metteva pure Tessaiga a render quella situazione ancora più divert

In quella, il suo sguardo catturò il movimento repentino e veloce della figura in nero che, dopo avergli precedentemente sbarrato la strada ed essersi subito dopo avvicinato a lui approfittando della sua imprevista…distrazione… si preparava ora a colpirlo direttamente al viso con a sua katana che, non mancò di notare il mezzo demone, poteva vantare una lunghezza ben superiore a quella standard.

Il movimento di Inuyasha fu repentino: proprio nell’istante in cui la lama del suo nemico giungeva alla portata del suo viso contratto dalla tensione, alzò contemporaneamente le mani verso l’arma e, come nell’atto di pregare un Dio i cui non credeva da molto, forse troppo tempo, le richiuse su di essa in una presa decisa e potente.

Immediatamente il sibilo furioso della lama verso di lui si arrestò, bloccato dalla forza della sua presa e, un istante dopo, alla silenziosa imprecazione che sfuggì dalle labbra dell’uomo in nero, si sostituì un potente calcio di Inuyasha in direzione del mento di questi che, attirato in avanti dal mezzo demone, non poté in alcun modo scansarsi.

Al secco spezzarsi delle ossa del collo seguì il duro schiantarsi del corpo all’indietro dell’uomo che, abbandonata la presa sulla sua arma, ricadde inerte sul freddo pavimento.

Inuyasha si tirò con uno scatto in piedi.

Ovunque nello spazio che lo circondava, occhieggiavano ora sagome in nero di ribelli come quello che inerme, giaceva in quell’istante poco distante da lui.

Un fugace scintillio scarlatto attraversò improvvisamente le iridi ambrate del mezzo demone.

Maledizione!

Con un balzo si precipitò a recuperare nuovamente Tessaiga, ghigno fortunatamente ignorato da tutti i presenti e, ancor più fortuitamente, dimenticato nel bel mezzo della sala.

“ Mia cara…” sussurrò con un ghigno gentile Inuyasha quando, nuovamente, le sue dita artigliate ne circondarono la solida bellezza dell’impugnatura e, non trovando altro modo per celebrare degnamente la rinnovata ricongiunzione con la sua arma, lasciò che questa si abbattesse fino all’elsa nel malcapitato collo di uno sfortunato ribelle che, ignaro, passava nelle vicinanze.

Il gorgogliare di parole ormai impossibili da pronunciare per chi, come questi, si trovava ormai ad un passo dalla morte, fece schiumare delle bolle sanguigne oltre il profilo rubicondo della maschera corvina che ne celava le fattezze, attraverso la sottile e leggera fibra dalla setosa lucentezza, oltre la scura prominenza di un naso e la curva morbida delle labbra in un farfugliante fiorire nell’oscurità di purpurei ricami scarlatti ora stillanti come lacrime brune attraverso il profilo etereo e insieme livido di quel volto, ora sgocciolanti lungo il gelido ghigno argenteo di Tessaiga.

Inuyasha schioccò la lingua sul palato, apparentemente seccato da un simile spettacolo.

Luridi umani…
Sempre li, tutti intenti a fare agguati, a macchinare tranelli, complotti…ad immaginare sortite, colpi di stato…rivolte, rivol
uzioni…

Uno spasimo più violento degli altri fece tremare convulsamente il corpo dell’uomo davanti a lui, quasi questi fosse appena stato sfiorato da un sospiro gelido come la morte.

Ed ora eccoli qui, i grandi strateghi: inermi, indifesi, perduti nel fulgido riflesso di una gloria che non potranno mai raggiungere…

A morire come cani per la loro semplice, irreversibile, impareggiabile stupidità.

Un bagliore di puro disgusto saettò nel suo sguardo, gelandosi dell’ambra in esso racchiuso.

“Nessuno ti ha mai insegnato che non si parla mai con la bocca piena?” sibilò mentre un ghigno affilato affiorava dalle sue labbra.

Un nuovo gorgoglio.

Disperato.

Perduto nell’invincibile intensità della sofferenza

“No…evidentemente no…” concluse il mezzo demone prima di squarciare completamente la gola del malcapitato.

Lividi schizzi di sangue imperlarono l’argentea lucentezza dei capelli del mezzo demone incastonandovisi attraverso come rubini dalla più rara bellezza.

Inuyasha si ritrovò a sospirare, l’imperversare dello scontro intorno a lui che, improvvisamente, perdeva ogni importanza al suo sguardo.

Chissà che cosa si provava a morire in quel modo…

In quel modo senza onore, senza dignità…

Una chiazza cremisi, vermiglio ricordo di una vita ormai spirata nel silenzio dell’inesorabile scorrere del tempo, iniziò ad allargarsi lentamente dal corpo esanime del cadavere.

Davanti ad uno sguardo sprezzante che, in te, non vede altro che un rifiuto…un essere inferiore, uno scarto la cui probabile infettività va immediatamente eliminata…

Morire come un parassita…una mosca da schiacciare…un insetto fastidioso…

Un umano…

“Inuyasha!”

Una voce, venata da un sentimento che avrebbe potuto ricordare il secco rimprovero e la fremente urgenza lacerò improvvisamente il filo dei pensieri del mezzo demone facendolo bruscamente sobbalzare.

“Inuyasha!!”

In un istante il glaciale clangore di spade, il brusco affrettarsi di passi rapidi e ansiosi, l’agghiacciante graffiare di lame le une contro le altre inseguite dal secco alternarsi di voci roche ed esasperate dall’ardere furioso dello scontro, sfondarono la sottile barriera dei suoi pensieri, irrompendo nella sua mente in tutta la loro urgente intensità e brusca impellenza, riscuotendolo improvvisamente quanto duramente da quel suo stato di torpore.

“Inuyasha!”

Di nuovo…

Un’espressione seccata venò lo sguardo distante del mezzo demone.

Forse era Sesshoumaru…fra tutti i presenti era l’unico che potesse chiamarlo in quel modo così…confidenziale..

Maledizione a lui e alla sua maledetta confidenza che, ma guarda un po’, si faceva viva solo in quei casi…

Scosse la testa, portandosi una mano agli occhi così da distogliere, in qualche modo, il suo sguardo dalla vista di quel corpo senza vita.

Maledizione…

Ma cosa cavolo andava a pensare in un momento come quello?

Come dovrebbe sentirsi un essere umano in quel momento…

Ma era forse impazzito?

Il suo sguardo cadde nuovamente su quel cadavere ai suoi piedi, sulla densa sfumatura di quel sangue mai come in quel momento ai suoi occhi bruno e livido nel candore lunare.

Scosse la testa.

Si…forse era impazzito.

“Inuyasha!Dannazione! Cosa diavolo stai facendo?!”

Il richiamo di Sesshoumaru, questa volta, lo raggiunse, allontanandolo finalmente dai suoi pensieri.

Livido, alzò nuovamente lo sguardo facendolo immediatamente saettare per quella confusione di corpi e armi che, ora, come formiche impazzite, parevano aggrovigliarsi le une sulle altre ferendo la pallida purezza delle sale individuando, proprio in mezzo a quelle, una decina di elementi che facevano al caso suo.

Con un balzo che non mancò di ferire a morte una figura in nero, li raggiunse.

“Tu, tu, tu e voialtri” il suo dito fendette ammonitore l’aria rincorrendo invano la secca durezza della sua voce “Seguitemi”

Si voltò e, nuovamente, sicuro della presenza dei soldati alle sue spalle, si preparò a percorrere la vertiginosa discesa delle scale.

Nonostante il suo imprevisto momento di “fase rem” non gli erano certo sfuggite le figure superstiti dei ribelli che, scampate ancora una volta all’attacco dei due principi e coperte dall’imprevisto attacco dei loro compagni, avevano ripreso a fuggire indisturbate.

Illuse…avrebbe gentilmente fatto provare loro le brezza della preda quando viene raggiunta dal cacciatore e sa, nonostante la propria scaltrezza e velocità, che ormai nulla può più salvarla dalla morte.

Nulla…se non la morte stessa.

Sorrise fra se e se.

Un ghigno crudele che macchiò di un vivido bagliore gelido le sue iridi ambrate.

Doveva avvertire Sesshoumaru, l’idiota che si permetteva di associare un rimprovero al suo nome in presenza dei soldati.

Subito.

Fece vagare febbrilmente lo sguardo attraverso la mischia informe e quasi subito lo trovò impegnato in un duello contro un uomo in nero che, reggendo in entrambe le mani visibilmente muscolose una mazza ferrata dalle dimensioni pressoché spaventose, si preparava ad attaccarlo.

Imprecò e, con un rapido gesto fece scattare Tessaiga nelle sue mani, prese appena la mira e, con un movimento felino ma nonostante questo preciso e veloce, la scagliò con tutta la sua forza contro di questi.

L’arma saettò rapida nell’aria, troppo veloce per essere individuata da qualsiasi individuo che non si trovasse sulla sua traiettoria e, quando giunse alla volta dell’uomo, lo colse del tutto impreparato.

Inuyasha lo vide alzare appena lo sguardo verso di questa con la stessa espressione in parte ignara e in parte infastidita di chi ha notato un movimento che sfugge alla propria classificazione di “normale” e ”innocuo” e, una volta individuata l’arma del mezzo demone che, rapida come una freccia e letale come una lancia si stava avvicinando a lui, mutare la sua espressione contrita e indispettita in terrorizzata e urgente.

Tradita.

Quando l’individuo riuscì, finalmente, a muovere un muscolo nell’estremo tentativo di difendersi dall’attacco del mezzo demone, la spada aveva già trapassato da parte a parte la sua cassa toracica.

In un lampo Inuyasha fu di fronte al fratello.

“ Tu resta qui” sibilò estraendo Tessaiga dal cadavere puntando un piede contro questo per fare leva “ Io inseguo gli altri”

Sesshoumaru si limitò ad annuire alla volta del mezzo demone, un’espressione impassibile che stonava nettamente con i lividi schizzi di sangue che coloravano il suo viso e, veloce, fece per scomparire nuovamente nel brulichio dello scontro circostante.

“Ah, una cosa…”

Fu la voce fredda e controllata di Inuyasha seguita immediatamente dalla spada di questi piazzatasi inavvertitamente contro la sua gola a fermarlo.

Lo sguardo del mezzo demone brillò ammonitore nelle iridi ambrate del fratello mentre questi, lentamente, si girava verso di lui.

Strana reazione, valutò il secondogenito, visto che, in teoria, in quel momento avrebbe potuto benissimo sgozzarlo sedutastante con uno spreco di energie pari a zero.

Per un istante entrambi si fissarono.

Oro nell’oro.

Ambra nell’ambra.

Iridi di un colore così incredibilmente simile eppure, allo stesso tempo, immensamente differente.

Si fissarono, ambedue forse cercando nello sguardo dell’altro ciò che, un tempo, avrebbe reso quella situazione così ridicolmente assurda.

“Prova un’altra volta a rimproverarmi e giuro che ti ammazzo” spezzò finalmente quel contatto il mezzo demone mentre sul suo volto si allargava un ghigno per nulla divertito.

Per un istante Sesshoumaru, la lama di Tessaiga che rifletteva livida il pallore della sua pelle, si limitò a scrutare Inuyasha con espressione seria, come al solito impassibile, fredda e concentrata.

Poi, cosa stupefacente, sembrò abbozzare un sorriso che avrebbe potuto avere del divertito.

Del seriamente divertito dati i suoi canoni.

“Permaloso eh?”sibilò con la solita voce noiosamente incolore e, in quella, con uno scatto felino, si portò a due metri di distanza da Inuyasha scomparendo, subito dopo, nella folla.

Il mezzo demone ne seguì immobile l’agile dileguarsi nel brulichio della mischia.

Ma che simpatico…

Fece seccamente schioccare la lingua sul palato, sospirando.

Se c’era una cosa che amava di suo fratello era proprio il senso dell’umorismo….

L’innato e trascinante senso dell’umorismo…

Bloccò con un sospiro l’attacco di una figura in nero che, lo sguardo spiritato dalla furia suicida classica dei combattenti, gli si era scagliato contro, e con un unico movimento secco e rapido, gli squarciò il ventre con gli artigli.

Si voltò con un gesto sconsolato verso i soldati alle sue spalle lasciando contemporaneamente cadere il cadavere dell’individuo ai suoi piedi.

Si accigliò.

Erano aumentati?

Li guardò dubbioso per poi, snervato da tutto quell’inutile spreco di tempo, sospirare.

“Andiamo!”sillabò nella confusione e, voltatosi nuovamente, ricominciò a correre.

Anonime maschere da coniglio lo seguirono a distanza ravvicinata lasciandosi, ben presto, l’infuriare della battaglia alle spalle, il secco stridore delle armi, il roco gridare dei feriti, il gelido ansimare dei morenti e il furioso affrettarsi dei vivi che, accompagnato dal confuso scalpiccio dei loro passi, sbiadiva come un brutto sogno alle loro spalle.

Inuyasha si passò la lingua sulle labbra, leccando distrattamente il ferroso sapore del sangue che indugiava già su di esse.

Perché altri soldati si erano aggiunti a quelli da lui scelti per inseguire i superstiti?

Non aveva chiesto loro di unirsi al gruppo che, francamente, aveva reclutato in maniera del tutto casuale visto che, senza contare le maschere da coniglio che celavano il volto di questi, non aveva la più pallida idea di chi fossero…

Dei soldati che avevano combattuto sotto il suo comando, a pensarci bene, non ne conosceva nemmeno la metà, e i rimanenti erano per lui meno che un viso che lo scrutava in attesa di un ordine prima della battaglia.

Per lui non erano nessuno.

Meno che un viso e meno che un oggetto da usare in battaglia, eppure loro avevano deciso di seguire lui e non di restare con suo fratello Sesshoumaru.

Inuyasha continuò imperterrito a divorare i gradini dell’ampia scala di madreperla.

Le maschere di coniglio continuarono a correre imperterrite dietro di lui.

Veloci.

Silenziose.

Per qualche istante il mezzo demone valutò come, in fondo, nonostante li avesse sempre considerati alla strenua di bestie, in quell’istante quelle figure alle sue spalle si stessero rivelando contro ogni aspettativa, quasi degne di lode:nonostante quei soldati fossero scampati solo pochi secondi prima ad una carneficina senza precedenti, ora correvano verso una nuova battaglia con la freddezza e la concentrazione di chi non ha paura di quello che gli potrebbe accadere.

Di chi non teme.

Di chi non ha nulla oltre che il coraggio al quale aggrapparsi e fare riferimento.

Quanti erano i ribelli che li avevano attaccati?

La sua corsa parve accelerare improvvisamente…

Dieci?Cento?

Quanti?

Inuyasha ricordò che per ogni vetrata ve ne erano almeno venti appollaiati sul parapetto.

Le figure alle sue spalle accelerarono per potergli, faticosamente, stare dietro.

Quante vetrate aveva quel piano della torre?

Venti? Trenta?

Alle sue spalle i soldati estrassero le spade affilate.

Non aveva ordinato loro di prepararsi alla battaglia.

Quanti erano i ribelli che ora stavano fuggendo?

Dieci? Venti?

Dannazione!!

Il mezzo demone spiccò un potente salto verso l’alto un momento prima che la lama del soldato più vicino a lui sferzasse l’aria nel punto esatto in cui un istante prima si trovava il suo collo.

Con un rapido avvitamento a mezz’aria, Inuyasha si voltò in direzione di questi.

“Artigli di ferro!” il sibilo furioso della sua voce, seguito dal devastante incedere del suo attacco, lacerò il silenzio della torre riversando in un istante tutta la sua potenza contro i soldati.

Soldati….

Brune cicatrici, ricordi di vite ormai infrante dalla furia del mezzo demone, si aprirono sulla bianca purezza di quella pelle color neve che, morbida e flessuosa come le spire di un serpente, snodava la sua eleganza per tutto lo scheletro della torre di Zaccar.

Quelli non erano soldati.

Atterrò su un soppalco, facendo in un secondo scrocchiare tutte le articolazioni della sua mano sinistra mentre, il divertimento che livido occhieggiava nuovamente dal suo sguardo, faceva scorrere le sue iridi ambrate sulle figure sotto di lui.

Quelli erano i ribelli.

Scartò con un balzo una schiera di scintillanti pugnali che qualcuno gli aveva appena scagliato contro e, balzando nuovamente verso l’alto, come una furia atterrò fra di loro.

Proprio in mezzo a loro, come una preda braccata che, volontariamente, si infila nella morsa che il cacciatore ha posizionato fra le foglie secche del sottobosco.

Si abbassò velocemente per evitare l’attacco di un ribelle che, brandendo in entrambe le mani due pugnali dalla mirabile e preziosa fattura vagamente orientalizzante, gli si era incautamente scagliato contro in un affondo dalla facilmente evitabile pericolosità.

Come una gazzella nel branco di leonesse.

Quando ormai la figura di questi incombeva su di lui, tradito dalla sua improvvisa schivata, Inuyasha gli trapassò con un rapido colpo di spada il torace da parte a parte.

Veloce, preciso, silenzioso.

Il ringhio strozzato di questi fece come da eco al lacerante quanto adorabile spezzarsi della sua carne, al lacerarsi degli organi interni, al frantumarsi delle costole e dello sterno che, fondendosi in un'unica, meravigliosa, agonia al pari di diversi strumenti che congiungono le loro voci dapprima disarmoniche onde formare una sinfonia dall’inimitabile bellezza, parvero, se possibile, acuire ancor più la ferocia dell’attacco del mezzo demone.

Come una gallina nella tana delle faine.

Si tirò in piedi in una pioggia di schizzi sanguigni scaraventando, subito dopo, con un movimento brusco e violento il corpo esanime dell’uomo ancora unito al gelido abbraccio della sua spada contro un altro paio di ribelli incautamente sportisi in sua direzione.

Scartò con il busto a destra, evitando un paio di lame affilate, e volteggiando subito dopo in avanti, in un affondo silenzioso come il sospiro di una brezza gelida nella notte, profondo come un grido nell’abisso, incise il suo marchio indelebile nel petto di un uomo-coniglio.

Come un cobra fra le comuni vipere.

Si tirò indietro, evitando bruscamente il calcio di un altro e parando subito dopo con la propria spada l’attacco di un secondo che, pateticamente, contava sulla forza di due comuni tirapugni in acciaio.

Lo stridio del ferro contro la lama di Tessaiga schiantò il sibilo frenetico della notte serpeggiante intorno a loro.

Voltandosi poi verso destra con un brusco movimento che non mancò di ferire un altro individuo avvicinatosi troppo a lui, il turbino del suo mantello che vorticava intorno alla sua figura come onde d’oscurità, si scagliò come un ombra verso sinistra, mozzò prima la testa di uno con gli artigli delle mani, e poi lo sterno di un altro con quelli dei piedi.

A quegli idioti piaceva giocare?

Evitò magistralmente una frusta che rapida schioccò verso di lui per poi, descrivendo un ampia giravolta in aria, afferrare alle spalle un uomo e scagliarlo con violenza verso altri due che, spade in pugno, si affrettavano a raggiungerlo.

Anche a lui…

I tre si schiantarono al suolo un secondo prima che il colpo mortale degli artigli di Inuyasha li facesse a pezzi.

Molto.

Era un giocatore nato.

Schivò con un rapido spostamento a destra l’attacco di un uomo che, due pugnali saldamente stretti in entrambe le mani, aveva cercato di colpirlo alle spalle e subito, con un veloce avvitamento su se stesso, vibrò un fendente in direzione di questi colpendolo, suo malgrado, proprio all’altezza della colonna vertebrale.

Il secco lacerarsi delle ossa fece eco al sibilo furioso della lama nella pelle, attraverso il tessuto corvino del vestito dell’improvvisato aggressore, lungo i suoi legamenti, le sue articolazioni le sue arterie e in fondo, in fondo fino ai nervi, agli organi, alla pura e semplice essenza di vita sopita dentro quel corpo ormai trafitto a morte, vibrando teso e secco nell’aria come lo spezzarsi di una corda di violino.

Inuyasha ritrasse la sua arma dal corpo ora immobile, fermo ed innaturalmente saldo sulle agili gambe come una statua sorretta da una forza che ormai le sue stesse membra non potevano più avere e, con uno scatto, si ritrasse da un nuovo attacco alla volta del suo viso contratto dalla tensione.

Si abbassò, schivando ancora la punta di una lancia e, puntando entrambe la mani a terra, spazzò il terreno con la gamba sinistra, facendo rovinosamente cadere il proprio avversario sul pavimento.

Inuyasha contrasse per un secondo i muscoli delle gambe e, con uno scatto, balzò su di lui.

Un grido di terrore lacerò l’aria, seguito immediatamente dal brutale schiantarsi degli artigli del mezzo demone su cranio dell’uomo.

Un giocatore, in effetti, anche piuttosto abile, a dir la verità.

Inuyasha alzò lo sguardo verso i suoi assalitori, e il suo viso si piegò in una smorfia cattiva.

Avanti miei cari…

Provate anche voi la sensazione di scoprire quanto, un cobra, all’apparenza inoffensivo e in trappola in un nido di vipere, può rivelarsi estremamente pericoloso…

Sorrise appena e, con un movimento felino, si alzò nuovamente in piedi schivando, un secondo dopo, un fendente obliquo rivolto al suo petto.

Fece un passo indietro, portando con studiata lentezza Tessaiga davanti a sé squadrando contemporaneamente l’uomo che, posto a poco meno di due metri da lui, due sciabole enormi in entrambe le mani, tentava invano di intimidirlo sferzando inutilmente l’aria che li separava.

Inuyasha lo guardò per qualche istante, concentrato.

Sorrise.

Intimidirlo…povero stupido…dall’espressione degli occhi di questi pareva che stesse più che altro tentando di tenerlo lontano da sé visto che, senza preavviso, il poveretto era rimasto solo davanti a lui mentre gli altri, incomprensibilmente, si erano improvvisamente ritratti a cerchio dalla alla loro ”preda”.

Preda…

Il mezzo demone si sorprese a sogghignare, maligno: ora quei sodati non sembravano più così coraggiosi.

Ora che il loro astuto piano era fallito, tutto il loro coraggio sembrava essersi misteriosamente volatilizzato.

Si…

Uno sguardo ghignante alla volta dell’uomo ora immobile davanti al suo sguardo.

Decisamente volatilizzato…

Nuovamente il ribelle sferzò l’aria con le sue sciabole ma, con suo sommo orrore, con un movimento veloce e rapido di Tessaiga, il principe fermò a mezz’aria entrambe le armi arrestandole davanti al suo sguardo proprio nell’istante in cui esse si incrociavano all’altezza del suo petto.

Inuyasha vide la paura avanzare veloce nei suoi occhi.

All’uomo sarebbe bastato un semplice movimento verso l’alto per liberarsi dall’ostacolo rappresentato dalla lama del mezzo demone ma, prima che questi avesse avuto anche solo il tempo di formulare un simile e ovvio pensiero, Inuyasha, con un ghigno divertito, puntò la sua arma verso l’alto in modo che, trascinando insieme alla sua spada entrambe le sciabole e approfittando, contemporaneamente, della presa ora inerme dell’uomo su di esse, riuscisse a strappargliele letteralmente di mano.

Disarmato e, ormai, impotente e indifeso, l’uomo puntò il suo sguardo negli occhi ambrati del mezzo demone.

E in un secondo, in un istante, in un fulgido, rapido, insignificante ma all’apparenza infinito secondo, il mezzo demone poté scorgere in quello sguardo, in quella sfumatura così intensamente bruna albergante in esso, la paura.

Quella vera, quella intensa, così intensa da far apparire ogni altro sentimento insignificante, vuoto, solo apparentemente surrogato di questo così vivido, oscuro, travolgente…estenuante in tutta la sua potenza distruttiva racchiusa, per ironia della sorte, in due piccole falci di cielo cupo e ostile dall’essere esposto ad un qualsiasi sguardo indagatore.

La pura…

Sorrise.

Ecco…ecco quello che lui voleva.

Finalmente…

Lentamente, senza apparente fretta, il mezzo demone si piegò appena all’indietro, caricando il colpo che, preciso, avrebbe trapassato da parte a parte il collo dell’uomo.

Voleva vedere il terrore…il puro e semplice terrore capace di porre, una volta per tutte, la parola fine ad ogni altro sentimento ribelle o altri che indugiasse negli sguardi di quegli stupidi esseri umani…

L’uomo ebbe uno spasimo.

In quegli sguardi così vividi da imprimere a fuoco il loro ricordo nella sua mente.

Il respiro del mezzo demone sibilò lento dalla sue labbra contratte in un ghigno leggero.

Così intesi da bruciare nell’anima di chi ne ha potuto, anche solo per un istante, cogliere la sfumatura più decisa.

Tese i muscoli del braccio, contrasse quelli delle gambe, serrò ancor più la presa delle sue dita intorno all’elsa della katana ma, in quella, un sibilo acuto all’altezza del suo fianco sinistro e, più precisamente, all’altezza della sua vita fece pericolosamente quanto improvvisamente scattare ogni suo senso.

Dannazione!

Per evitare l’irreparabile Inuyasha tentò di scattare con un balzo verso destra, in modo da evitare il fendente ma, con suo indicibile orrore, il corpo viscido, prensile e dannatamente resistente di una frusta si attorcigliò intorno al suo collo e, strattonandolo con una forza che, sommata al suo slancio, rischiò di staccargli di netto la testa, gli rese impossibile ogni movimento, esponendolo così in tutta la sua vulnerabilità al fendente.

Maledizione!

Un dolore lacerante al fianco esplose come una scarica elettrica dentro di lui, strappandogli un ringhio che, con furia omicida, si tramutò in un rapido scatto in direzione del malcapitato che aveva osato ferirlo.

Un’altra dolorosa fitta lacerante al collo lo fece tremare convulsamente ma, questo particolare ora per lui irrisorio, non gli impedì certo di raggiungere in meno di un secondo il poveretto, afferrare con furia omicida il suo collo ora incautamente scoperto e, con una brutalità che sfiorava l’animalesco, scagliare lui e il suo proprietario con tutta la forza che aveva contro cinque ribelli che stavano per seguire il suo esempio.

Tutti quanti, nessuno escluso, caddero malamente sui gradini della scala da dove non si rialzarono più.

Soddisfatto il mezzo demone estrasse dal suo corpo la spada che, un momento dopo, con un solo ed elegante affondo, usò per squarciare quello ancora immobile ed attonito dell’uomo delle sciabole.

Poveri stupidi…

Con un movimento stizzito Inuyasha si liberò della ferrea presa della frusta sul suo collo e, alzando lo sguardo, si preparò ad afferrare le affilate lame che volteggiavano mortali sulla sua testa ma, nuovamente, qualcosa mandò a monte i suoi piani.

Con uno schiocco secco, la robusta fibra della frusta di poco prima si attorcigliò improvvisamente intorno alle lame e, dopo un secondo, le trascinò via, lontane dalle mani del mezzo demone.
Una sfumatura vividamente scarlatta attraversò in un fugace scintillio lo sguardo ora furente di Inuyasha.

Dannazione!

Quella dannata frusta iniziava veramente a seccarlo!

Si girò con uno scatto verso il suo avversario, l’ultimo rimasto.

L’ultimo.

L’ultimo superstite.

L’ultimo spettatore che aveva assistito allo scatenarsi dell’anima nera di Inuyasha.

Il mezzo demone sorrise.

La figura ora davanti a lui, la misera distanza di pochi metri che li separava, brandiva in entrambe le mani distese lungo i fianchi le sciabole, immobile come una statua.

Il sorriso parve improvvisamente sfiorire dallo sguardo del mezzo demone.

Perfettamente quanto innaturalmente immobile, a dir la verità, se si pensava alla frenetica frenesia imperversante fino ad allora in quel luogo…

Di una immobilità quasi…Rilassata.

Come se l’idea di trovarsi davanti a lui, rappresentazione vivente di una belva infernale, non la turbasse minimamente come, invece, era successo per i suoi compagni.

Ma che diavolo…

Inaspettatamente Inuyasha si sentì gelare il sangue nelle vene mentre, in un secondo, cadeva vittima di un terribile deja-vu:quella posa…

Il silenzio vibrò intorno a loro.

Quella posa non era la prima volta che la vedeva.

Ma io non sono morta”

Le parole della ragazza del boomerang parvero rimbombare improvvisamente nella sua mente come gelide, sibilanti, intense ed eppure remote stonature di una melodia assurdamente sgradita al mezzo demone.

A chi si riferiva?

Il vuoto parve per un istante contorcersi nella sua mente.

A lei o….

Con suo immenso orrore l’uomo lasciò improvvisamente cadere entrambe le sciabole a terra in un assordante clangore metallico che sembrò, in un attimo, far tremare le mura congestionate del latteo lividore della madreperla e ora schizzate di sangue vermiglio, vibrare nell’aria ora gelida di quel silenzio innaturalmente denso e vischioso…quasi soffocante.

Il respiro del mezzo demone sembrò arrestarsi nella sua stessa gola, intrappolato dal fitto intreccio dei suoi pensieri e in quella, la mano destra del suo nemico iniziò a muoversi lenta, calma, apparentemente indifferente al vertiginoso scorrere del tempo, verso il viso del suo proprietario, celato dall’anonima maschera di coniglio.

Leggera, silenziosa, affilata di un guanto nero come la pece.

Raggiunse il sottile profilo di quel volto rubicondo, ghignante.

Si fermò.

Pareva che, per ogni istante, ve ne fossero milioni che vi si intrufolassero attraverso, sminuzzando e frantumando il tempo in un’infinita serie di interminabili ed inesauribili frammenti cristallini.

Per un secondo che ad Inuyasha sembrò senza fine le dita di quella mano non si mossero affatto.

Forse, inconsciamente, desiderava proprio quello mentre, in tutta la sua immobilità, ascoltava il roco sgretolarsi della sua sicurezza.

Poi, lentamente, esse cominciarono a sollevare la maschera dal viso.

Lentamente.

Non c’era fretta in quel movimento aggraziato e delicato, le dita sottili e affusolate che parevano librarsi leggere in quell’istante sospeso nel più assoluto silenzio come lancette forse troppo pigre per scostarsi dalla loro fragile immobilità.

Non c’era impazienza.

No c’era tensione...

Come se improvvisamente lo scorrere del tempo fosse tornato alla consueta velocità, la maschera volò leggera nell’aria per poi schiantarsi sulle gradinate color perla.

Lei.

Lei era li.

Lei.

Solo distrattamente Inuyasha registrò il secco frantumarsi del viso di porcellana contro il liscio pavimento d’alabastro.

I suoi occhi grigio perla erano fissi nei suoi.

Una scintillante fiamma di vita li rendeva incredibilmente profondi e limpidi.

Vivi.

Ardenti.

Occhi che esprimevano una determinazione e una forza combattiva che mai in altri Inuyasha aveva scorto.

Mai.

La dolcezza che l’ultima volta li aveva impressi a fuoco nella sua mente svanita, dimenticata, obliata per sempre e sepolta sotto un sentimento che aveva molto a che spartire con l’odio o la rabbia più profondi.

La Vendetta.

La bruciante, insaziabile, inarrestabile Vendetta.

Improvvisamente,come sotto l’effetto di un incantesimo, quella fiamma viva sembrò smorzarsi appena, la limpidezza del sentimento che animava quelle iridi cineree parve incomprensibilmente velarsi di un velo d’oscurità ed infine, con un profondo sospiro avvertibile da Inuyasha solo, la ragazza si accasciò a terra.

Silenzio.

Incapace di fare altro, il mezzo demone abbassò lo sguardo:sangue.

Era stata ferita.

Forse da lui.

Dannazione.

Il suo sguardo indugiò sul corpo esanime della fanciulla.

Era la seconda volta che quella donna gli moriva davanti agli occhi.

Sperò che almeno quella fosse quella buona.


Ed eccomi di nuovo qui!

Con un Ritardo pressoché immenso, lo so, ma che ci volete fare: troppi impegni--‘…la vita di una gdrrista a volte si può rivelare estremamente arduaXD.

Comunque sia, per la gioia di alcuni (spero molti^^)sono riuscita ad emergere dalla travolgente massa di contrattempi per postare un nuovissimo capitolo che (piccolo spoiler) segnerà un netto stacco con tutti quelli che ne seguiranno spero, spero, molto presto.

Ed ecco che, per la seconda volta, mi accingerò a rispondere ai vostri commenti di cui ringrazio anticipatamente tutti quanti: è davvero bello leggere i vostri complimenti (molto terapeutico per l’autostima ad essere sinceri^^)…dovreste però essere un filo più severi, però…

Lo so, sembra masochismo, ma la ragione per cui ho iniziato a postare su efp è che speravo, grazie ai commenti, di poter vedere, trovare e correggere i miei errori e migliorarmi col tempo per cui…non abbiate pietàXD

Ok…iniziamo:

Aky_750: Wow!Non credevo che il mio (possessivaXD) Inuyasha andasse così per la maggiore visto che, sinceramente io ADORO Sesshomaru anche se, dopo aver letto questo cap. tutti quanti potrebbero pensare il contrario…non mi uccidete…esigenze di trama e di prospettiva( quella di Inu)^^

Resha91 : grazie mille^^Sono davvero contenta che ti piacciano le battaglie per le quali, inizialmente, ero inizialmente entrata in crisi per…ehm…inesperienza^^Spero che questa fanfic possa continuare a piacertiXD

raska81: Grazie mille per l’incoraggiamento…spero di non averti deluso con questo cap^^

VaLe_chAn: thanks for all!!Descrivere sensazioni e pensieri è proprio la mia passione(non so se si fosse notato--‘mi sa di si eh?XD) per cui non sai quanto mi faccia sapere il tuo commento…grassie^^beh…come avrai letto, Kagome è tornata ( purtroppo non in forma smagliante come la prima volta…poveretta) e non era morta ( ma ci era andata parecchio vicino)…per la morte di ora ovviamente non posso ancora dire nulla^^

lalla86: grazie per il commento!!!E complimenti anche per l’intuizioneXD…sei la prima^^

ruka88: Urca…affezionata a Kagome eh?!XD

Elychan: Le risposte sono: no per la prima, si per la seconda^^grassie^^

betta91: Thanks per il commento^^…sono davvero contenta che la mia fanfic possa piacerti così tanto^^vedrò di aggiornare più spesso(oddio…speriamo…--‘)

Scusate per la smielata generale ma…a volte ci vuole^^

Ringrazio tutti coloro che hanno letto senza commentare e in particolare Ray.

Ciauuuuz!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Plic…

Plic….Plic….Plic….plic...plic.

Un rumore costante, ripetitivo,monotono.

Sempre uguale, quasi meccanico nel suo indifferente ripetersi, eguale avvicendarsi, come se il solo desiderio di variare di pochi, insignificanti, particolari in modo da spezzare quella noiosa monodia in una ben più piacevole armonia, non lo sfiorasse minimamente.

Plic…plic…plic.

Eguale…perfettamente eguale…

Lo scorrere del tempo scandito dall’atono sobbalzare del silenzio.

Dal suo rapido singhiozzare.

Plic…plic…plic….cinque secondi.

Il pulsare di un cuore nel petto scavato dell’oscurità.

Kagome aprì gli occhi.

Due candide falci di luna in un luogo dove non avrebbe mai potuto brillare il sole.

Il buio ricambiò assente il suo sguardo vigile.

Dove si trovava?

Il freddo di un pavimento troppo gelido per la sua pelle la fece rabbrividire appena, tremando su di lei come una carezza rapida e pungente che la costrinse a muovere leggermente i muscoli delle gambe e delle braccia.

Il tintinnio di una catena ferì improvvisamente il suo fine udito come il sibilare di una lama a pochi millimetri dal viso.

Si bloccò, senza fiato, paralizzata da quel delicato tintinnare nell’oscurità, ironicamente simile, per chi avesse il senso dell’umorismo, al fremente trillare di un campanellino come quelli che si usava portare al polso come vezzoso ornamento.

Il secco deglutire di Kagome rabbrividì viceversa terrorizzato nel silenzio.

Dove si trovava?

Sentì il proprio respiro accelerare improvvisamente, il semplice trarre aria che diventava di secondo in secondo un frenetico ingozzarsi di istanti.

Perché era legata con delle catene? 

Il gelido presentimento del panico che, viscido risalire della coscienza, velocemente si faceva strada dentro di lei, la costrinse suo malgrado a mordersi con violenza il labbro inferiore, il tentativo di spergiurare la perdita di quel poco di calma che ancora le rimaneva che, in un attimo, svaniva in quel semplice gesto.

Eppure a sua memoria non si trovava in quel luogo…
Affatto…

Tentò, invano, di tirarsi a sedere, le gambe che, con cedevole manchevolezza, le suggerirono istantaneamente che non si trovava affatto nello status fisico sufficiente per tentare una simile mossa.

Sebbene…

Parevano essere addormentate o paralizzate.

Sebbene…

Deglutì a vuoto.

Sebbene, dannazione, nemmeno in quell’istante riuscisse a ricordare dove, esattamente, si fosse trovata prima di finire in quel luogo sconosciuto.

Si impose, a vuoto, di racimolare nuovamente un minimo di calma per ordinare ciò che ora, febbrile convulsione, le si stava addensando di istante in istante e con sempre più foga nella mente.

Calma.

Invincibile torpore delle membra, il suo corpo tremò debolmente, freneticamente mentre Kagome, Inchiodata con la faccia a terra, costretta a saggiare il molle fradiciume della pietra, ascoltava contrita il tempestare dei battiti del suo cuore.

Calma.

Non importava.

Era solo questione di attimi, di minuti.

Giusto il tempo che la circolazione riprendesse a seguire il suo corso.

Giusto quell’attimo per ricordarsi che, probabilmente, in quel momento quella carcassa indolenzita giacente al suolo fosse più propensa alla vita che alla morte.

Dannazione Kagome…calma.

Parve allora che, lentamente, il suo respiro si regolarizzasse, la frequenza di ogni spezzato ansito che prendeva a scivolarle con sempre meno ansiosità dalle labbra quando, improvvisamente, come terrorizzato spezzarsi di quella estenuante stasi, una falce di luce la colpì in pieno viso facendola sussultare come un sudicio topo atterrito.

Accecata, la giovane serrò istantaneamente le palpebre doloranti a schermare la debolezza del suo sguardo sconvolto.

Sentì il rumore di una serratura che veniva aperta e subito dopo il caratteristico clac degli ingranaggi.

Rabbrividì, incontrollabile debolezza dell’animo.

Stava entrando qualcuno?

Alle sue orecchie, imperturbabile negazione ed insieme, scongiurato assenso, giunse il rigido cigolio delle giunture di una porta che veniva brutalmente spalancata.

Si ritrasse appena, le braccia che risalivano tremanti al viso come alla ricerca di una qualche forma di protezione che, suo malgrado, sembrò destare esclusivamente un risolino divertito da parte di chi, troppo distante per essere visto, pareva aver desistito dall’entrare in quella cella entro la quale, viceversa, qualcun altro ora pareva soggiornare senza alcun manifesto problema.

 

 “Ti sei svegliava a quanto vedo”

 

Quella futile affermazione, dettata esclusivamente dalla necessità di palesare chi fra i due presenti avesse il diritto di parlare e chi, viceversa, dovesse esclusivamente attendere, scivolò gelida sulla pelle della ragazza.

Fredda, distaccata ed inequivocabilmente, inconfondibilmente maschile.

Per un attimo Kagome ebbe quasi il tempo di chiedersi, stupida presunzione, se questa avesse anche potuto suonarle familiare prima che, con un fruscio ovattato, la seconda figura si spostasse trascinando con sé, stridente cigolio, la porta arrugginita che, poco dopo, si richiuse con un tonfo sordo.

 

“ Spegni la luce”.

 

Il dolore cessò di colpo, sostituito subito da un indescrivibile quanto imprevisto sollievo.

La giovane non potè trattenersi dal sospirare lievemente, un lungo e pesante descriversi del sollievo che, quale formicolio all’altezza delle tempie, irradiò la propria essenza fino alla base della schiena concedendole, poco dopo, di aprire gli occhi.

Di nuovo, onnipresente, avvertito ed insieme oscuro di comprensione alcuna, il buio la avvolse.

Immobile.

Assoluto.

“ Vedi di abituarti alla luce perché questa è l’unica volta che ti concedo un simile trattamento di riguardo” continuò, incurante di ogni sua possibile reazione, la voce dell’individuo, ora fattasi tagliente e vagamente canzonatoria.

Grazie tante, uomo dall’infinita clemenza…

Senza, tuttavia, replicare alcunché, Kagome mosse lentamente le braccia lungo i fianchi fino a portarle ai lati del viso e facendo una lieve pressione, tentò di sollevarsi.

Una fitta di puro e lancinante dolore alla spalla destra la fece istantaneamente gridare con quanto fiato aveva in gola, lacerando il silente aggregarsi del buio all’interno della cella come acuto e stridente sgretolarsi delle mura stesse.

Incapace di fare altro, ansimò a vuoto.

Era ferita?

Si mosse ancora, con più cauta e rinnovata lentezza, i ricordi che, improvvisamente, riaffioravano con violenza inaudita nella sua mente.

Ed ecco che, di nuovo, poco dopo, un singulto di dolore, questa volta ben differente dall’essere segregato alla sola sfera fisica, strappò l’orgogliosa resistenza delle sue labbra.

Ecco come era finita li.

Ecco come mai quella spalla le doleva in quel modo…

Mio Dio…

 

Boccheggiò, tentando invano di arginare quella nuova ondata di panico che minacciava questa volta di travolgerla senza  pietà alcuna, gli occhi che andavano ingenuamente a serrarsi nell’inutile tentativo di fermare l’inarrestabile avanzare della realtà attraverso di essi.

Invano.

Stupidamente, scioccamente, assurdamente, invano.

Invano attaccare nel bel mezzo della battaglia per approfittare della possibile, per quanto remota, distrazione di entrambi i principi impegnati sul campo.

Invano presupporre che addestramento e disciplina avrebbero potuto ovviare laddove la potenza e agilità demoniaca non sembrano avere eguali.

Irrimediabilmente, inconfutabilmente, irriducibilmente, invano.

Si morse un labbro, il corpo che ora tremava dello spasimante imperversare del rimorso per poi, fiera resistenza, determinata forza, tirarsi con un gemito sommesso a sedere.

Venne colta da un capogiro, le lacrime annidate negli occhi fieri che minacciavano da un momento all’altro di valicare quella strenua barriera posta fra sentimento umano e dovere guerriero.

Fra resistenza e abbandono che, assolutamente, ella non poteva permettersi di mostrare all’individuo che ora soggiornava con lei in quella cella.

 

“ Vedo che ti sei ripresa…” soggiunse infatti quello subito dopo, come accorgendosi della ritrovata “calma” ora a forza calata su di lei.

La ferita procuratagli dagli artigli affilati di Inuyasha pulsava vividamente sulla sua spalla destra.

“ Si…” rispose con pacata diffidenza lei, il fiato che si accorciava di un poco nella volontà di arginare il dolore “Mi avete curato voi?”si azzardò poco dopo a continuare.

“ Si ”

Silenzio.

Il costante gocciolio dell’acqua colmò quei secondi di tragica immobilità, sospesi nella volontà di aggiungere altro e, insieme, nel timore di farlo.

”Perché?”

Irriducibile, la curiosità prese nuovamente il posto di quel ritenuto ammutolire.

“ Ti interessa veramente saperlo?”

Infame raggiro.

“Si ” una pausa, il tono che si tendeva di improvviso nervosismo  “ Mi interessa”

Un lieve ghigno sibilò cauto nel buio, rabbrividendo sulla gelida pelle di Kagome.  

“ Perché? ”

Ed improvvisamente, la rivelazione, il palesarsi di quella comprensione oltre la quale ognuno sa di non poter mai più contare sulla dolce e confortevole ignoranza propria di chi è ancora in grado di sentirsi al sicuro, di non temere per il semplice fatto di avere “capito” di essere “cosciente” di quanto, talvolta, la vita possa essere gretta, meschina e perfino crudele con coloro i quali, anche solo per un attimo, hanno osato bearsi dell’infernale culla dell’inconsapevolezza.

“ Chi sei?”

Da qualche parte nell’ombra risuonò allora una beffarda risata, una di quelle risate a denti stretti che si fermano nella gola risuonando così gelide e prive di calore.

“Finalmente…”gelido palesarsi di una voce ora sgretolatasi di gentilezza alcuna, di un garbo qualunque “Mi chiedevo quanto avresti tardato a farmi questa domanda, umana”

Tragica, la succube ovvietà di quella affermazione si riversò implacabile sull’ora immobile staticità di Kagome, sospesa a metà fra la difficile espressione di un respiro e di un singulto.

Ciò che risultò, tuttavia, fu solo e semplicemente un tremulo sospiro che, manchevole debolezza, parve spezzarsi subito dopo nell’implacabile imperversare dell’oscurità, mortale sottrarsi della realtà.

Un leggero fruscio di stoffa giunse alle orecchie della ragazza e un secondo dopo qualcosa le sfiorò il viso.

Si ritrasse con uno scatto così improvviso che il dolore le fece letteralmente esplodere una miriade di scintille davanti agli occhi prima che quel contatto, trasformatosi istantaneamente in una feroce e implacabile presa al volto, non la sbattesse con furia animale contro la parete alle sue spalle.

La lacerante fitta alla spalla che ne seguì le strappò un altro gemito stridulo che, suo malgrado, la mano che era poco prima calata su di lei le impedì di esprimere serrandole violentemente le labbra.

“Zitta” fu il gelido avvertimento.

Uno squittio terrorizzato, banale compromesso fra dolore e panico, venne inghiottito recalcitrante dalla giovane.

“Zitta…” ripetè ancora questi, questa volta quasi in un sussurro ora tanto vicino a lei da consentirle quasi di cogliere fra una sillaba e l’altra il denso calore di un respiro vagamente accelerato.

In un muto assenso, in un flebile per quanto immobile annuire, Kagome non potè far altro che abbandonare lievemente la testa all’indietro rilassando il capo e il corpo a quel senso di mortale debolezza che, insito nelle sue vene come fiele implacabile, minacciava ora di farle perdere i sensi.

Probabilmente aveva perso molto sangue, valutò avvertendo la propria respirazione, ora ridotta ad un roco e stopposo ansimare, tremarle congestionata nei polmoni per poi filtrare debole fra quelle dita ancora strette su di lei.   

Sentì i vestiti che indossava inzupparsi d’acqua gelida, percorrerle il petto, scivolarle fra i seni, scorrerle sulla pancia per poi, insostenibile invadenza, insinuarsi fra le sue cosce come una lasciva carezza, morbosa di un’oscenità dettata dalla semplice consapevolezza che ora, nell’oscurità, Kagome sapeva che uno sguardo poteva seguire quel lento ed inesorabile tragitto su di lei.

Rabbrividì, la vergogna che la obbligava a portarsi imbarazzata le braccia al petto in un vano tentativo di sottrarsi ad un tale osservare che, tuttavia, l’uomo non le risparmiò afferrandola viceversa per entrambi i polsi che lasciò lì, a mezz’aria, futile barriera fra i loro corpi ora strettamente vicini.

Il lieve tintinnio delle catene che ancora trattenevano in quel luogo Kagome risuonò soave nel silenzio, facendo come da eco al nuovo, sibillino, ghigno sardonico di quell’individuo.   

“ Quando ottengo un trofeo mi piace guardarlo, ragazzina” fu la sommaria spiegazione mentre questi, lentamente, come sfidandola a reagire, le liberava i polsi per poi cominciare a risalirle con la punta delle dita, seducente indolenza, il tremante profilo del braccio sinistro.

La giovane si gelò.

“ Mi piace ammirarlo, rimirarlo e compiacermi di averlo finalmente ottenuto dopo tanto tempo passato nella contemplazione della brama di poterlo finalmente possedere ”

Le dita appena tiepide e decisamente umane percorsero il profilo del suo avambraccio, sfiorarono appena la gentile prominenza delle clavicole per poi saggiare con studiata lentezza la debole dolenza del collo teso, solo vagamente scosso dal ritmico pulsare delle vene sotto la pelle alabastro.

“ E più l’impresa è stata ardua, più la meta è sembrata irraggiungibile, più questo acquista valore ai miei occhi”

Scese ancora, fatale fiacchezza a circondare le spalle sottili.

“Più diventa necessario l’accertarmi che mi appartenga ora, di diritto”

Improvvisamente Kagome urlò di dolore.

Qualcosa di affilato le si era conficcato nella carne.

Unghie.

La figura nell’oscurità rise malignamente, divertita.

Spezzato, il respiro le si condensò in una densa bolla nella gola, il collo che si tendeva convulsamente all’indietro nell’inafferrabile gesto di ignorare quel inatteso dolore mostrando indifesa la pelle nuda, illividita dal gelido trasalire di nervi e legamenti.

 “ Sei tu…maledetto” fu la stridente replica della ragazza la cui voce, nodoso aggrovigliarsi di parole, rovinò dura nel nero catrame di quella cella.

Lui.

Si sentì quasi spezzare il fiato, il capo che, insostenibile tortura, andava ora a piegarsi in avanti, rigido, come sporco appassire di un petalo troppo bello per resistere all’incedere dell’ardente infiammarsi della morte.

Come la povera bestia che, soffocata dalle fauci della belva serrate attorno alla trachea, abbandoni allora ogni resistenza lasciando che la testa ricada, dolente, verso il basso, umile pendolo morente.

Lui.

Lui ed esclusivamente Lui, sua vittima, sua preda, suo trofeo mancato e tanto agognato da divenire dapprima turbamento,  poi mania, dunque ossessione ed infine maledetto tormento.

Lui, il frutto di una caccia forse troppo a lungo meditata.

Forse troppo ghiottamente e ingenuamente pregustata così da dimenticare che prima di prendere la mira e, sapientemente, scoccare la freccia, si doveva portare con sé l’arco a tracolla, i dardi nella faretra e il cuore nella bisaccia, chiuso laddove non potesse mai prendere aria e respirare, forse per un secondo, il profumo della bestia braccata.

Lui.

Inuyasha.

Preda sfiancata ora divenuto atroce carnefice.


Ed eccomi ritornataXD Inutile chiedere scusa per l'assenza (Durata ben due anni cavoloT___T) ma fra mancanza di ispirazione e altri impegni mi sono ritrovata a non volere e potere più continuare questo racconto...

Si tratta, come avrete già capito, solo di una piccola parte...giusto per ritrovarmi dopo tanto tempo, ma prometto che presto continuerò a postare come si deve^^'

Un bacio a tutti.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Altero, sornione, sfacciato eppure ancora crudelmente diffidente, il mezzo demone lasciò che il sangue di Kagome scivolasse caldo fra le sue dita per poi ricadere, rovente, sul petto sussultante della giovane, delizia tanto dei sensi quanto del suo personale diletto.


” Vedo che ci sei arrivata finalmente” soggiunse quindi, l’asprezza della voce che si velava appena del morbido fruscio delle sue vesti mentre ancora, sinuoso avanzare nell’oscurità, egli si approssimava ancor più alla figura della ragazza

…mirabile visu” aggiunse infine prima di estrarle con uno scatto gli artigli dalla spalla.

L’impronunciabile desiderio di strillare nuovamente tracciò un arco sanguineo sulle labbra di Kagome il cui corpo, esile spezzarsi di ogni renitenza, si arcuò immediatamente con uno schiocco secco in avanti.

Più vicino, più denso e terribilmente pregnante, il fiato di Inuyasha le fu allora tanto prossimo da sciogliersi nell’incavo del suo collo in un rovente ansito.

Si bloccò, terrorizzata.

Il mezzo demone l’aveva circondata con un braccio, la morbida curva dei suoi fianchi che si perdeva in una presa avida ed insieme insensibile a qualsiasi apparente lussuria o bramosia.

Trattenne il respiro.

Stordita.

Confusa.

Sbigottita nel sentirsi improvvisamente imprigionare da quel gesto, da quell’abbraccio.

Incapace di sostenere, forse per la prima volta nella sua vita, la morsa gelida che attanagli il timido agnello una volta che, indebolito dalla paura, sfiancato dall’inseguimento, sfinito dalle percosse, si trovi infine stretto fra le invincibili mascelle del lupo.

Senza possibilità di fuggire.

Senza modo di sottrarsi al proprio tragico destino.

Sbattè invano le palpebre, ceca a tutto fuorché all’insondabile buio in cui ella stava ora passo a passo sprofondando.

Semplicemente… in trappola.

Lentamente, con felina morbidezza, il mezzo demone la avvinse a sé.

Al suo profumo solo per metà umano.

 “Devo ammettere” le soffiò quindi nell’orecchio, le labbra che disegnavano la morbida curva di un ghigno sulla sua pelle “che il saperti viva per la seconda volta mi ha molto stupito se non irritato, umana”

Era forse stupido giocare con il proprio trofeo?

Per un secondo, immobile in quella lurida stanza sepolta nel rigurgito di una terra grondante lacrime e sudore, con la cortina di un nulla a scavare nelle orbite vuote di panico, Kagome pensò che no, che sentirsi sbatacchiare un poco fra le aguzze fauci di quella belva avvezza a tutto fuorché alla pietà fosse uno scotto sufficiente per chi, come lei, avrebbe di li a poco seppellito i propri compagni morti solo per la stupidità di un’ossessione, di uno sciocco puntiglio.

 

 “ Allora siamo in due…” rispose dunque, il fiato che scivolava da lei come ultimo spiro di lucida commiserazione.

La risata roca di Inuyasha esplose schiantandosi contro le pareti come una scarica di pura elettricità, rimbalzando fra i muri come crogiolo di ghiaia lanciata alla rinfusa in un pentolone di lucida lamiera.  

Dannazione.

Socchiuse gli occhi stanchi, la vergogna che le bruciava il volto.

Lui stava ridendo di lei.

Di lei e della sua impotenza.

Della sua rassegnazione a commiserarsi come un animale ferito che giaccia inerte nella pozza del suo stesso sangue.

Eccola qua la grande ningen incaricata di uccidere il potente principe dei demoni Inuyasha Miyoshi.

Osservate colei che con tanta fierezza ha osato sfidare la razza eletta dei demoni.

Maledetto.

 

Completamente in balia del suo carnefice.

Senza possibilità di scappare e ribellarsi.

Improvvisamente la sensazione di essere una bestia in gabbia la colpì con rinnovata violenza allo stomaco.

 

“Confesso che è mia speranza che questo tuo silenzio non perduri anche quando inizieremo ad interrogarti…” riprese quindi dopo un istante Inuyasha lasciando che il suo riso si arrestasse morbidamente in una sfumatura ghignante.

Istantaneamente, se già non fosse stato così, Kagome si sentì raggelare.

Paralizzare.

Inchiodare al suolo come se dal nulla si fossero riversati su di lei milioni di aghi che, insieme, avessero ricamato un gelido sudario.

Annaspò.

Sopresa?” la incalzò subito lui, emergendo dal nebbioso e rinnovato condensarsi del panico di lei come subdola serpe che, morsa la propria preda, la guardi agonizzare inerte a terra fino al suo, fatale, spegnersi “ Eppure, da brava  e rinomata assassina, soldato d’elite e guardia personale del re, dovresti pur sapere la funzione principale assegnata ai prigionieri di guerra. “ rimase un attimo in silenzio, immobile, come gustando l’effetto che la comprensione dell’essere stata scoperta e smascherata ancora prima che ella rivelasse la propria identità, nonché una velata critica sulle sue effettive capacità in ognuno dei tre campi descritti, esercitava immediatamente su Kagome.

Parve trovarla di suo gradimento perchè, quando poco dopo riprese, nella sua voce vi era un che di  soddisfatto e compiaciuto.

“Mi hai chiesto perché ti abbiamo curata…

La giovane esitò.

“Ebbene sappi che si tratta semplicemente della volontà di preservare integra ed…efficiente…la fonte delle nostre future informazioni. Non sei ora come non eri prima e non sarai in futuro una minacc…

“ Non vi dirò niente” fu la secca replica che, ancor prima di pensare lucidamente, esplose letteralmente dalle labbra della giovane.

Una improvvisa fitta alla guancia le fece serrare la mascella mentre l’artiglio del demone la percorreva in tutta la sua superficie.

“ Ma quanta originalità in sole quattro parole…e dire che avevo quasi dubitato che tu non fossi uno dei tanti cliché che rendono gli umani tanto simili quanto noiosi…”uno schiaffo in pieno viso le fece voltare la faccia di lato.

“ Non sarò la vostra spia…” balbettò Kagome, il fiato corto.

Il fiato denso del demone improvvisamente sul suo collo le mozzò quasi il respiro.

“Spia?” rimbeccò piano lui lasciando che quella sola parola, sussurrata come se celasse in sé un qualcosa di eccitante ed insieme terribilmente sporco, si posasse insieme alle sue labbra sulla nuda pelle di lei, proprio sull’arteria che ora ella sapeva stare pulsando con folle frenesia.

In un bacio leggero, morbido, sensuale, egli impresse a fuoco quel titolo infame sulla sua gola.

Sul suo corpo.

Nelle sue viscere.

Fin nell’anima.

Oh…si…invece” le soffiò poi all’orecchio mentre, risalendo il profilo inerme della giugulare, pareva respirare il profumo di lei.
Lo saggiò poco dopo, schiudendo le labbra proprio accanto all’attaccatura dei capelli.

“ Tu ci dirai tutto…e dopo questo morirai”.

Le palpebre di Kagome, rimaste fino ad allora sgranate nell’oscurità, la muta ribellione ad ognuno di quei gesti che tremava insieme al suo misero corpo di una rabbia quasi intollerabile, si serrarono improvvisamente.

Dolore.

Terrore.

Rancore.
Desiderio.

Il fiato di lei, per un secondo, parve divenire l’eco avvinta di quello di Inuyasha, un muto e furioso distorcersi di entrambi nell’inesplicabile corrompersi dell’essenza sia dell’uno che dell’altro.
Per la seconda volta, forse, ravvicinati dalla fatale espressione di quelle ultime parole.   

“ E a quest’ultimo particolare ho intenzione di provvedere personalmente” aggiunse egli in un sussurro pieno di veleno.

Detto questo Kagome lo sentì alzarsi con uno scatto, le giunture della porta che gemevano nuovamente nell’aprirsi della stessa e, subito dopo, nel suo cigolante richiudersi.
Una esitazione.

Un solo istante in cui, forse, egli si perse nella volontà di osservarla dall’altra parte delle inferriate.

Ed infine, con un cupo rimbombo, la serratura scattò nuovamente sigillando quella che da li a poco tempo entrambi sapevano sarebbe divenuta la sua tomba.


Ed eccomi di nuovo qui con il secondo, brevissimo, capitolo che segna il mio definitivo ritorno su Efp^^ Ringrazio davvero tutte quelle persone che mi hanno accolto nonostante il tempo trascorso, è meraviglioso sentire e vedere come la scrittura non sia sempre, come sostengono in molti, a fondo perso ma alsci comunque qualcosa in coloro che possono approcciarsi ad essa. MIlle grazie a tutti^^

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Oscurità

Oscurità.

Semplice definizione di nullafacenza.

Nullapresenza.

Essenza di niente.

Sostanza di vuoto.

Da quanto tempo si trovava in quella cella?

Parve pensarci un secondo.

Uno soltanto.

Solo lo sfuggire di un pensiero.

Non ne aveva idea.

Il tempo pareva qualcosa di relativo e superficiale in quell’oscurità perenne.

Non aveva senso contare le ore, i minuti, i secondi.

Sbriciolare il tempo in vili porzioni di frazioni, istanti e attimi validi e allo stesso tempo inutili solo ed esclusivamente per coloro che dello stesso ne possedevano a sufficienza sia per sprecarlo che per sfruttarlo.

Che potevano ancora contare su una vita i cui frammenti e unità che ora, pallide, scorrevano inutili davanti agli occhi ciechi di Kagome, avrebbero potuto incastonarsi in un unico percorso capace di condurli, solo, in qualunque direzione essi avessero voluto.

Inutile.

Quella strada, abbacinante arazzo dalle mirabili e affascinanti tinte, pareva ora essere invisibile in quella oscurità.

Lei sapeva che il suo tempo ora non era scandito da queste unità di misura, affatto.

Il suo tempo non scorreva in avanti, ma bensì all’indietro.

Il tempo che la separava dalla prossima visita di Inuyasha.

Il tempo che la separava dalle prossime torture subite in quella stanza piena di aggeggi innominabili costruiti da menti perverse solo in funzione di distruggere una vita, di far sgusciare via l’anima dal corpo e farvi rimanere il nulla più assoluto.

Il niente.

La stessa oscurità che ora, pian piano, dall’essere esclusivamente intorno a lei la stava riempiendo fin nelle più profonde viscere.

 

Il tempo che, ormai ci pensava sempre più di frequente, la separava dall’ora della sua morte: quell’istante in cui, ottenute le informazioni tanto bramate, la sua presenza sarebbe divenuta se non inutile, perlomeno sgradita.

Sorrise piano, timidamente, quasi fra sé e , le labbra che, brune di una ferita ancora lungi dal rimarginarsi, le lasciarono scivolare un caldo rigagnolo di sangue sul mento.

Sgradita.

Strano che avesse scelto proprio quella parola.

Avrebbe potuto dire necessaria.

Utile.

Doverosa.

O almeno, evitando di includere una accezione di “piacere “ e “dispiacere” nel descrivere le motivazioni che ancora la tenevano rinchiusa in quel luogo, non si sarebbe ritrovata ora a rievocare il sorriso che, poco prima di lasciare che il dolore le facesse perdere i sensi, era scivolato sulle labbra di Inuyasha.

Sospirò, un ansante rantolio della gola marchiata da scuri lividi che, anelli concentrici, impreziosivano col colore dello zaffiro la sua sudicia pelle.

Strano a dirsi, ma invero non ad immaginarsi, questi pareva provare una sorta di sadico piacere nel tormentarla.

Nel torturala.

Nell’inferirle le più fantasiose e perverse sevizie e osservare, studiare con minuziosa attenzione, le sue reazioni.

Quando nell’infilarle direttamente all’interno della carne spuntoni affilati ella non riusciva a trattenersi dal gridare con tutto il fiato che aveva in gola.

Quando, nel bruciarle la pelle con il ferro rovente, la sofferenza era tale da girarle all’indietro gli occhi.

Quando, nel distruggere pezzo per pezzo la bellezza del suo corpo, la morbidezza della sua pelle, ella sempre più si trasformava nello spauracchio di ciò che un tempo era stata.

Si divertiva.

Sentirla strillare per il dolore, piangere e imprecare contro Dei che non era nemmeno sicura di conoscere.

Puro e semplice divertimento.

Piacere allo stato puro e null’altro al di fuori di esso.

Niente se non questo.

Stancamente, con denudata fiacchezza, Kagome si passò la lingua sulle labbra, saggiando il sapore ferroso del suo stesso sangue.
Perché ormai l’aveva capito.

A pensarci bene, non è che ci avesse messe poi tanto a scoprirlo tanto era stato sin da subito palese.

Lampante.
inuyasha non la odiava.

Non provava rancore, rabbia, risentimento verso di lei.

Nulla affatto.

Inuyasha non aveva alcun movente che lo spingesse a torturarla fino alla pazzia se non il semplice, sadico, diletto.
E la necessità, ovviamente, ma qualcosa sembrava suggerirle che la clausola dell’ottenere informazioni era solo di contorno nel reale intento del demone.

Poiché non c’era possibilità che lei parlasse mentre le bruciavano i capelli con il fuoco.

C’era solo spazio per le grida mentre questo attecchiva fino a divorarle la carne giungendo alle radici.

Un nuovo, quieto, sospiro, esalò dolorante dalle labbra di Kagome.

Per lui tutto era un gioco.

Un meraviglioso gioco.

A volte si chiedeva come si facesse a torturare una persona senza provare odio nei suoi confronti.

Senza avere nulla contro di lei.

Eppure lui pareva esserne perfettamente capace.

Inuyasha si divertiva.

Solo questo.

Lo vedeva nei suoi occhi quando, invano, tentava di muoverlo a smettere.

Non rideva.

Mai.

Mai dopo quella volta che, prima che l’infinito supplizio divenuto ora sua odierna quotidianità avesse inizio, era venuto a trovarla nella sua cella.

Ma lei sapeva che si compiaceva delle sue sofferenze.

Il suo aguzzino.

Il suo personale tormento incaricato, probabilmente per merito, di estorcerle fino all’ultima infame informazione riguardo i ribelli rimasti tutt’ora in vita.

Colui che con regolare puntualità la veniva a trovare probabilmente ogni giorno.

Il responsabile di ogni più piccola ferita, bruciatura, escoriazione.
E tutto questo, mirabile visu, senza mai toccarla.

Senza mai sfiorarla.

Mai.

Non nel vero senso della parola.

Vi erano sempre nerboruti “esperti del mestiere” a reggere le pinze, le tenaglie, i ferri ardenti.

Ad intercedere fra i loro dolorosi contatti.

Da quel giorno, il suo primo giorno di prigionia, niente di lui, nemmeno un dito, aveva anche solo per un attimo marchiato la sua pelle.

E  questo non per qualche strano motivo impedente come ordini superiori o chissà cos’altro.

Affatto.

Inuyasha non la voleva toccare.

C’erano i sopraccitati “fedeli”servitori per questo, ed essi adempivano al loro compito con doverosa solerzia ed impegno.

E lei l’aveva capito.

Aveva capito perché, a discapito dell’iniziale “intimità” a cui egli l’avesse inizialmente sottoposta, ora egli non poteva nemmeno sopportare l’idea di infierire su di lei anche solo una carezza.

Lei era una donna.

O ancora meglio.

Lei era una umana.

Una sporca, lurida, puzzolente umana.

Servivano forse altre spiegazioni?

Spiegare l’atto di disprezzo perpetrato verso una singola donna ed estenderlo a tutta la razza umana, appare forse esagerato?

Appare poco convincente interpretare quel singolo atto come una chiara rimostranza di superiorità, di sdegno e sprezzo verso un qualcosa tanto meschino, rozzo, immondo ed ignobile da non meritare nemmeno la più basilare fra le forme di considerazione e comunicazione?

Come negare il saluto.

Come rifiutare il diritto di parola.

Come se, dopo aver guardato dall’alto in basso quella parvenza di “umanità”, la si definisca irrimediabilmente “animale”.

Demoni e umani.

Dominatori e dominati.

Il cavaliere che si erga, fiero della propria armatura, sulla propria cavalcatura e il cavallo che, misero, pieghi il capo e sanguini degli speroni del suo padrone.

Quando, forse per l’ennesima sevizia, ella si scopriva ancora una volta capace di gridare più forte di quanto non avesse fatto fino ad allora, ecco che era in grado di percepire quello sguardo.

Quell’indolenza.

Quel misto fra piacere e distacco proprio del mattatore che senta l’urlo dei porci stretti nelle fila in attesa del proprio macello. 

E che si chieda, sbuffando, perché debba sopportare quelle grida tediose piuttosto che tagliare la gola a tutti e fare il proprio lavoro in pace.

Ed era allora e solo in quei casi, che con vergogna ed orrore in verità, Kagome si concedeva di avere paura.

Di lasciare che l’orrore della morte inondasse improvvisamente la sua mente annegando ed affogando ogni pensiero razionale nel più denso e schiumante rigurgito del terrore.

Poiché egli ne sarebbe stato capace.

L’avrebbe fatto e nemmeno il più misero sentimento di rimorso o compassione avrebbero mai attraversato la sua mente.

L’avrebbe uccisa.

Così, sedutastante, immediatamente, semplicemente.

E nessuno lo avrebbe fermato.

L’avrebbe uccisa, ed allora il suo tempo si sarebbe fermato.

Si sarebbe fermato per sempre con la stessa tragica fatalità e allo stesso tempo naturalezza di quando, diciotto anni prima, aveva iniziato a scorrere e a scandire, ticchettando, le sue ore, i suoi minuti e i suoi secondi.

Basta.

Finito.

Il suo tempo si sarebbe concluso fra le buie mura di quella prigione fatta di silenzio e rimpianti.

Eppure, anche a costo di dare ragione ad Inuyasha che l’aveva definita un Cliché, lei sapeva di non temere realmente la morte.
Non, almeno, quando essa rimaneva il pensiero razionale e ponderato formulato da una prigioniera cosciente del suo costante e inarrestabile approssimarsi.

Che esso affiorasse nella propria animale ed impellente istintualità nel corso delle torture era altra cosa, in fondo.

Nulla a che vedere con la cupa accettazione o indifferenza a cui lei sembrava tristemente accostarsi sempre più.

A quella serena e avvinta beatitudine che pareva trarla a sé ogni qualvolta si concedeva di gustare il freddo umidore del pavimento contro le membra strappate e dilaniate, a contatto con la pelle trafitta dalle cicatrici infette sapendo che no, non aveva ancora parlato.

Non ancora.

Nel velo sottile fra addestramento e realtà, fra sopportazione e resistenza, fra pazzia e ragione, ella sapeva di poter ancora sussurrare, mite bisbiglio nelle tenebre, il proprio nome.

Poiché nessuno, nessuno a parte la sua stessa mente, sarebbe venuto a prenderla per riscuotere il pegno della sua anima.

 

Un sonoro clac la fece sobbalzare.

Sospirò.

Di nuovo.

 

Inuyasha entrò nella cella.

Passi cauti fra le mattonelle sudice.

Immediatamente si tappò il naso, la mano artigliata che correva a serrare fra pollice e indice le narici frementi.
Imprecò piano, mentalmente, una smorfia di disgusto che illividiva i suoi tratti demoniaci.
Dannazione...quel buco nel pavimento che faceva da latrina era perfettamente inutile se lei non riusciva ad usarlo.

Sospirò, prendendosi la libertà di scrollare con improvvisa noncuranza le spalle.

Ma perché prendersela?

Nessuno avrebbe mai dato per scontato che un cane facesse i propri bisogni nell’angolino a lui destinato se non adeguatamente e previamente “addestrato” per farlo.

Un essere umano avrebbe dovuto godere di maggiore considerazione forse?

Lentamente, risalendo i luridi contorni di quella cella senza finestre e arredo, Inuyasha giunse infine a posare lo sguardo sulla figura stesa sul pavimento, unico particolare che fosse degno del suo minimo interesse: la prigioniera.

Un fetido fagotto di gambe e braccia tinte di un misto e pastoso color melma tanto omogeneo quanto cosparso di sparute e vivide tinte cremisi e giallastre laddove ferite e graffi purulenti si erano presi il disturbo di infettare ampie porzioni di livida carnagione.

Gli ultimi rimasugli di capelli che ancora si ostinavano nel rimanere avvinghiati alla cute ricadevano crespi, simili in tutto e per tutto a grumi di polvere sul cranio teso, lucido del calore di fiamme crudeli, piagato nel sanguineo spuntare delle orecchie annerite, incrostate di muco e sangue.

Unico velo a frapporsi fra lo sguardo indagatore del demone e quel ripugnante scempio, uno straccio serrato fra le gambe smagrite dal digiuno forzato, pareo insozzato dall’incapacità della giovane a muoversi anche solo per defecare.

Sorrise malizioso a quello spettacolo così grottescamente raccapricciante.

Perché non parli?” Aveva detto un sapiente artista rimirando la perfezione della propria opera.

Inuyasha si limitò invece a proferire, suadente un “ Buongiorno Kagome” facendo cenno ai due demoni che stavano dietro di lui di entrare ed afferrarla da ambo le spalle così da sollevarla da terra.

Nel mentre che le venivano tolte le catene, Inuyasha ebbe modo di notare quanto il ferro fosse stato capace di scavarle la pelle sia dei polsi che delle caviglie, circoli sanguigni ad imprigionarla anche quando, apparentemente, gli artifici della sua detenzione non avevano il potere di sfiorarla.

“Buongiorno Kagome” ripetè piano quando fu sicuro che ella, il volto cadente ad un metro da terra, potesse effettivamente sentirlo.

Lei non rispose e non si mosse.

Aprì solo gli occhi.

Grigi, stanchi, incavati dalla testardaggine del dolore, eppure ancora fermamente limpidi.

Occhi che, loro malgrado, diedero chiaro segno di averlo riconosciuto, di avere inteso le sue parole e, non per ultimo, di stare meditando e ragionando su ognuno di quei semplici particolari.

Inuyasha, mai una volta di troppo, sorrise.

Perfetto.

 “ Più in alto” ordinò rapido.

I due demoni dagli avambracci muscolosi e dalle teste da cinghiale parvero ponderare per un attimo anch’essi sul significato delle sue parole e poco dopo, dopo essersi scambiati un’occhiata di titubante intesa, alzarono di un poco il corpo esanime della ragazza.

Dalla gola di Kagome proruppe istantaneamente un gemito soffocato.

Oh si…

Lentamente, con la placida sicurezza del felino che si pulisca gli artigli acuminati dopo aver cacciato e banchettato a sufficienza, Inuyasha si massaggiò piano il mento glabro di alcuna barba.

 “Dell’agile guerriera che veloce scattava da un ramo all’altro..disse allora mentre un vago ghigno crudele misto a soddisfazione gli increspava le labbra “è rimasto ben poco…Kagome”.

E fu cattiveria ciò che scivolò in quelle parole plasmandole una ad una in sottili e subdole carezze rivolte a quel volto martoriato.

E fu crudeltà ciò che inspirò piano l‘odore pungente della ragazza per poi insinuarsi, lesto, fin nelle radici più profonde del suo animo.

Perfidia.

Ma non voluta, non premeditata.

Nessuna volontà particolaristica di ferire, di mortificare, di infierire.

Semplicemente, dovuta.

Consona ad un essere inferiore che non avrebbe forse avuto nemmeno la sufficiente intelligenza per comprendere la complessa struttura di quella semplice, sintetica, constatazione.

Di nuovo, suo malgrado, Inuyasha si spense in un saccente sospiro.

Peccato.

Davvero un peccato.

 

“ Come ti senti?” riprese poi con voce atona.

Il viso di Kagome si contrasse in un leggero ghigno a metà fra il risentito e lo sprezzante “ Vai a farti fottere” sibilò con voce bassa e velenosa.

Inuyasha non si prese nemmeno il disturbo di fingersi accigliato.

Chi ha il potere non necessita di futili sentimenti come la rabbia o il risentimento.

Semplicemente, fece un cenno al demone che stava alla sinistra della ragazza e subito un ceffone in pieno viso le fece voltare la faccia dall’altra parte.

Socchiuse un attimo le palpebre, un che di annoiato ed indifferente che snaturava il reale divertimento che egli stava provando in quel momento.

“ Riproviamo” una breve pausa “Come ti senti?”

 

 

Kagome si costrinse a tenere fermamente spalancati gli occhi, sguardo sgranato al nulla, per non farvi fuoriuscire le lacrime di rabbia che sapeva essersi già sporte dal sottile e tremante margine.

Ogni volta la stessa storia.

Inspirò piano il denso fetore del proprio sudore grondarle dalla fronte accaldata per la febbre fin sulle palpebre frementi, congestionate nell’atto di riassorbire un rancore ben superiore alle sue umane possibilità.

Ogni volta la medesima domanda, il medesimo ceffone.

Sentì le gocce salate annodarlesi fra le ciglia, tremolando dei suoi stessi sussulti.
Le medesime lacrime ed infine, come se fosse necessario scrivere tutte le volte quel tragico finale 

Abbandonando nuovamente il capo avvinto, Kagome chiuse allora lentamente gli occhi stanchi, qualcosa di indistinto ma di tremendamente importante che scivolava insieme alle lacrime nell’addensarsi di orina e sangue ai suoi piedi.

“Bene” rispose, la voce che si spegneva nel ricordo di .

  “ Mi fa piacere” commentò sorridendo il mezzo demone.

E, atto finale di quella misera commedia,la stessa domanda.

 “Hai qualcosa da raccontarmi, Kagome?”.

 

Ora che ci pensava, tutta quella monotonia stava finendo per infiacchire anche lei.

Quel muto dissenso, quel neutrale allontanarsi del demone e il successivo fruscio dei suoi arti che venivano trascinati nel dedalo inaccessibile delle prigioni.

Scontato.

Inevitabile.

A volte le sarebbe quasi piaciuto vedere un finale diverso, un nuovo atto nel quale lei rispondeva “ Si “ e dove, anche solo per una volta, quel demone non si fosse divertito nel sorriderle furbescamente a pochi centimetri dal volto tumefatto.

Perché no, no dannazione, non aveva ancora nulla da raccontargli.

 

 

 

Ciao a tutti, ancora una volta^^


Tentando di non lasciarmi sommergere dalla ritrovata libertà donata dalle vacanze (*__*) ecco qui un nuovo capitolo per tutti voi ( o per chi ancora mi sopporta T___T).

Sto notando come questi nuovi “post” siano ben più brevi dei precedenti che postavo all’inizio e, francamente, non saprei dire se sia una cosa positiva o negativa…spero che per tutti voi sia una variante capace di rendere il tutto meno lungo e pesante ( poiché si, lo so, di sicuro la mia scrittura a lungo andare sfida anche i più forti di stomaco e i più pazienti…-.-‘’’).

In ogni caso, vi auguro una buona lettura anche questa volta sperando che il mio modo “crudo” di descrivere certe situazioni o immagini non vi faccia venire voglia di “abbandonarmi” per sempre.XD

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Le labbra parvero per un secondo tremare, indicibile sobbalzo, poi stirarsi appena, un sussulto che contraeva di un poco i mus

Le labbra parvero per un secondo tremare, indicibile sobbalzo, poi stirarsi appena, un sussulto che contraeva di un poco i muscoli facciali circostanti, ancorati ad esse come vibranti legamenti d’acciaio, ed infine si spalancarono di botto, voragine cocente, un mare di saliva e vomito che si riversava in una traboccante melma oltre i denti spezzati, rovinando e schizzando la pelle tumefatta del petto, della pancia scavata e delle gambe denudate.

Tutto ciò rovinò pesantemente a terra, un maleodorante fiotto di schiuma rossastra che impiastricciò il pavimento scricchiolante di croste di sangue rappreso e orina.

Densi colpi di tosse rimbombarono per un poco sulle scure pareti di marmo annerite dal fiato di mille torce appassite negli anni, il petto della giovane a cui essi appartenevano che si gonfiava con pesante affanno scoprendo le rotondità delle ossa toraciche, visibili come lische di un pesce già disossato.

La pelle si tese più volte, con tragica veemenza, in una lucida e malsana pellicola bluastra tanto sottile da rabbrividire del frenetico agitarsi dello stesso cuore imprigionato sotto di essa.

 

Ed infine il capo le ricadde debole di lato, abbandonato morente sulle spalle come se fosse stato troppo pesante, troppo gravoso per essere sorretto a dovere dal collo ora sottile come un giunco piegato dal vento.

 

Boccheggiò invano Kagome, sordida creatura traboccante una voglia di vivere chiara e melmosa, tanto simile alla patina sottile del latte appena rigurgitato dall’infante da richiamare una innocente e primitiva purezza impossibile da concepire se non in quegli strenui attimi.

In quei fatali secondi atti ad intercedere fra la dura compostezza della Mente, della Psiche, del fermo autocontrollo della Vita e l’Istintualità, l’atavico legame con il Primordiale, l’Originario. 

Inuyasha si scoprì a sorridere ancora un poco, leggermente, come lo spettatore che si veda finalmente presentare la scena preferita del film più amato.
Quel piccolo scorcio di immagini e sequenze capaci dl tendere le labbra in una piccola smorfia prima di attesa, poi di pregustazione ed infine di sincero compiacimento, gli occhi che febbrili scintillano grati di quelle parole a lungo presagite, a lungo bramate ed infine giunte solo per essere assaporate, saggiate come una succulenta pietanza per l’anima.

Meraviglioso, dovette suo malgrado convenire.

La nudità di quel corpo nelle sue più semplici componenti basilari quali il dolore, la disperazione, il sollievo, la paura.

La risposta delle membra ad ognuno di quei singoli impulsi e sentimenti.

Il manifestarsi della mente in quel trafficato addensarsi di cause ed effetti continuamente atti a riversarsi su un’unica meta, un solo bersaglio, un unico, avvinto, obbiettivo.

Kagome, spregiudicato concedersi agli occhi di colui che fosse stato in grado di osservare.


La vide, debole, tentare di staccare i palmi delle mani dagli spuntoni che, affilati, ricoprivano ogni centimetro della sedia sulla quale ora stava seduta, lacci di pelle ad annerirle di escoriazioni i polsi già dilaniati.

Nel rovente silenzio di quella stanza scurita dall’ondeggiante spegnersi delle torce imbevute di pece, il gocciolante stillare del sangue da ognuna di quelle livide punture di metallo pareva il regolare ticchettio di una miriade di orologi impazziti.

Metallico, lo sferragliare delle ganasce che, completata la loro opera, venivano gettate improvvisamente nella vasca insieme alle altre fece voltare appena lo sguardo del mezzodemone e sussultare nel medesimo istante la donna dinnanzi a lui costringendola ad un gemito strozzato.

Le scoccò uno sguardo vagamente interessato.

“ Spero che la tua aspirazione non fosse quella di divenire una pianista” disse quindi dopo un attimo, apprezzando nel contempo le pieghe innaturali assunte da tutte le dita della giovane.

“ Difficile attaccare con sufficiente precisione delle ossa così piccole” rincarò la dose abbandonandosi ancora di più contro lo schienale della sedia sul quale era rimasto fino ad allora seduto.

Rimase per un attimo in silenzio, il fiato corto di Kagome che giungeva ansante fino a lui, per poi, con un movimento leggero del capo, muovere un leggero cenno di assenso al terzo figuro presente nella stanza.

 “Anche se, in effetti, mi sembrava che tu propendessi molto di più verso la professione del giullare di corte” constatò dopo un secondo, il viso che si rischiarava appena di una lieve traccia di scherno.

Se non altro…” riprese quindi mentre, pesante, il grosso demone si avvicinava al corpo della ragazza munito di lunghe e affilate forbici.

La vide schiudere leggermente gli occhi ingialliti dalle infezioni e gonfi di capillari spaccati e, lo sguardo che immediatamente affogava nel muto risalire del terrore e del panico, tendersi nel suo posto come una corda sottoposta ad un peso eccessivo. 
Quasi ai capi del suo essere si fossero improvvisamente materializzati dei ganci che, insensibili ad ogni sua rimostranza, avessero preso a strattonarle con veemenza la pelle già martoriata da una parte all’altra.

A destra e a sinistra.
Sempre più forte.

Se non altro…” ripetè quindi di nuovo, quasi tentando con secca irritazione di catturare l’attenzione della ragazza  “ Grazie al mio prezioso intervento non dovrai mai più lambiccarti nell’imbarazzo della scelta…e sai perché?”

Per un secondo, per un solo ed ultimo istante prima che le lame a ghigliottina si chiudessero sulla morbida C dell’orecchio di Kagome, questa volse lo sguardo verso Inuyasha.

Sgomento, atterrito, ingiallito dal terrore.

Eppure…

Senza nemmeno accorgersene, il mezzo demone si ritrovò a serrare di un poco la presa che fino a quell’istante aveva beatamente esercitato sui braccioli della sedia.
Si sentì deglutire a vuoto, la gola che ingurgitava saliva in un movimento quasi forzato.
Eppure…

Sbattè piano gli occhi, una frazione di istante prima che il gelido urlo di dolore di lei esplodesse nella stanza sfilacciando il silenzio in milioni di roboanti sussulti.

Sai perché?...

In quella, la pressione della umana e lacerante agonia di Kagome che schizzava i muri circostanti di purpurei livori, Inuyasha si alzò dalla propria postazione, una smorfia di tediante insofferenza a velare come una maschera i tratti improvvisamente rigidi.

Perché…Quando avrò finito con te ti assicuro che non ci sarà più nessuna professione che ti si possa addire” concluse freddo, le parole che, roco sussurro rancoroso impossibile da udire per chiunque, scomparivano insieme alla sua figura oltre la soglia spalancata, inghiottite nel buio riverbero delle grida della giovane.

Sui braccioli dell’unica sedia che, a di trono, svettava fra le arrugginite macchine di tortura come guardinga torre di vedetta e dominio su quegli aggeggi infernali, dieci candidi segni di graffi, freschi rispetto al bruno insozzarsi del legno circostante, tremolarono appena alla luce delle lanterne.

 

 

Con una sorda esplosione il busto di marmo raffigurante un nobile antenato della Casata Miyoshi si sbriciolò in un milione di pezzi, il sorriso sghembo dell’attempato demone che si ritrovava a sfracellarsi in una desolata e desolante pioggia di marmo e gesso.

Nella fitta nebbiolina di detriti e polvere, Inuyasha si passò la mano incriminata di tale scempio nella folta capigliatura lunare, i suoi stessi passi che veloci percuotevano di una sana e del tutto atipica irritazione i corridoi deserti dei sotterranei.

Dannazione.

Superò senza nemmeno degnarli di uno sguardo alcuni soldati della sua compagnia, il frusciante porpora delle sue vesti che per un attimo scivolava sulla lucida superficie delle loro armature.

“ B-Buongiorno Signore…” sentì questi balbettare ma il mezzodemone era già sparito.

Dannazione.

Socchiuse per un attimo le palpebre, la voglia di prendere a calci altre preziose effigi della sua famiglia che quasi gli faceva formicolare le mani.

Raccogli informazioni.

Torturala un po’.

Niente di difficile in fondo.

Svoltò, con la stessa devastante precipitazione di un ciclone, un angolo, le torce che miseramente finirono per spegnersi al suo passaggio così che nel buio, più denso della stessa pece in quel dedalo di corridoi e pertugi, l’ambra delle sue iridi demoniache scintillasse di una mostruosa sfumatura purpurea.  

Niente di difficile, in fondo.

Senza darsi minimamente pena per quei poveri scalpellini che tanta cura avevano dedicato per cogliere ogni più piccolo particolare del bel volto di Sesshomaru, Inuyasha caricò un nuovo pugno da rifilare ad un altro busto di marmo quando una mano artigliata lo costrinse a bloccare a mezz’aria il colpo.

Suo fratello Sesshoumaru, per l’appunto.

“Questo gradirei conservarlo, se non ti è di troppo disturbo” lo redarguì questi con un mezzo sorriso.

“ E perché mai?” soffiò l’altro di rimando “…Vorresti negare il miglioramento generale dell’ambiente che seguirebbe alla rimozione del tuo regalissimo volto?”

Il ghigno asciutto del fratello parve non dare alcun segno di risentimento per quelle “dolci” parole.

“ Vedo che sei di ottimo umore, Inuyasha” commentò invece con un che di divertito nella voce.

“ Ottimo, aggiungerei, visto che mi sto anche dando alle pulizie di primavera ”rispose secco Inuyasha scoccando un’occhiata prima al suo polso ancora stretto nella presa di Sesshomaru e poi di nuovo in direzione di questi.

Immediatamente il demone mollò la presa per poi rimanere qualche istante a fissarlo, come assorto.

“ E’ per via di quell’umana?” chiese quindi dopo un attimo, serio, ogni traccia di divertimento scomparso dal bel volto.

Il principe, suo malgrado, si bloccò “ Affatto” rispose gelido.

Vi fu un attimo di silenzio.

Il busto raffigurante L’Erede al trono parve allora intento a squadrare entrambi, l’aria saccente e compunta che riscosse nuovamente le intenzioni distruttive del mezzodemone.

“ Penso che non sia necessario ricordarti che questa faccenda non deve divenire un fatto personale” riprese quindi poco dopo la voce di Sesshoumaru.

“ Personale?” sibilò cattivo il mezzo demone.

“Intendo dire…”cominciò lentamente l’altro “ Che ci sono ben altri polli da spennare per te senza che ti accanisca inutilmente su casi disperati come quella ragazzina petulante ”

Inuyasha lo fulminò con lo sguardo, i canini che, lentamente, si scoprivano in un ghigno affilato  “Ti ho forse mai permesso di insinuare simili idiozie a mio riguardo?”

“No, mai…” lo guardò freddo il fratello “ in modo che non debba cominciare proprio ora” concluse in un morbido sorriso e, detto questo, Sesshomaru si voltò sparendo nell’ombra.

“ Ah..” la sua voce, ultima eco della sua figura oramai troppo distante per poter essere intravista, raggiunse di nuovo il mezzo demone “ Ti prego di raggiungermi il prima possibile nella stanza dei Pannelli, gradirei discutere con te delle disposizioni di nostro padre” aggiunse e, finalmente, Sesshoumaru si dileguò nell’oscurità.

Inuyasha rimase allora immobile nelle tenebre delle segrete.

Assottigliò lo sguardo, il respiro che si scioglieva dalle labbra in un denso sibilo rancoroso.

Una faccenda personale…
Quell’umana non era una faccenda personale.

Quella prigioniera non era una faccenda personale.

Kagome non era una faccenda personale.

Serrò lentamente le palpebre e, poco prima di continuare nel suo tragitto lungo il corridoio, vibrò un potente pugno al mezzo busto di Sesshomaru che esplose immediatamente in una densa nebbiolina di polvere.

 

Qualche ora più tardi il corpo inanimato della ragazza venne ributtato nella cella.

La porta richiusa e il lucchetto sigillato.

 

 

E rieccomi!!!! ^^’


Di nuovo qui con un capitolo “laggiù nel tunnel delle tenebre” ( così li ho –simpaticamente- definiti visto che la “ luce” sembra proprio un optional più in-sperato che possibile-.-‘’).

Prima di tutto vorrei davvero ringraziarvi per i commenti che mi avete lasciato*sprizza gioia da tutti i pori*  è la prima volta da quando ho ricominciato a postare che mi ritrovo così tante risposte e, mirabile visu, tutte ottime per rinverdire la mia scarsa autostima*__*’’

Sono davvero contenta che apprezziate questo racconto sebbene, come al solito, i miei tempi siano flemmatici e composti da estenuanti sessioni di revisione e ripensamenti.

Purtroppo non ho idea del numero esatto di capitoli che ne deriveranno ma, per la vostra gioia, posso dirvi che la metà del racconto ( che ho già scritto e che quindi devo solo correggere…argh>__>’’’) è stata superata da un po’^^ e che la “svolta” che tutti desiderano arriverà a breve. 

Ancora mille grazie a chi apprezza ciò che scrivo e come lo scrivo…fa davvero effetto scoprire che in un sito dove si trovano milioni di racconti e fanfiction qualcuno dica “originale e diverso” indicando quello che si ha postato.

Un bacio e alla prossima*__*

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Nel grigio del cielo, nella scura patina di quella caligine fumosa greve di pioggia e gonfia di lampi, un Tuono parve improvvisamente gorgogliare, cupo, dalla propria prigione di nubi.

Rombare, sordo, alla ricerca di un pertugio dal quale affiorare e, inebriante libertà, spargersi nell’aere come un marea invisibile quanto inarrestabile.

Invano.
Come ghigliottina impenetrabile, il velo di nubi gli si impose dinnanzi tagliandogli ogni via di fuga, serrandosi sempre più fittamente intorno a lui circondandolo, accerchiandolo.

E lasciandolo li, il suo grido rabbioso ad origine e conseguenza della stessa cella nella quale ora si agitava, sconfitto.

E mentre gli umidori della sua disperazione avrebbero cominciato ad annerire le mura della sua torbida cella, ad appesantirne l’impenetrabile struttura fintantoché, lentamente, ogni lacrima sarebbe stillata dall’alto del cielo e precipitata sulla terra, un vecchio avrebbe allora alzato lo sguardo stanco verso l’alto.

Assorto.

 

“ Sta cominciando a piovere “ sussurrò questi al gatto che, acciambellato sulle sue gambe magre, si beava delle lente carezze sul dorso che egli, quasi automaticamente, gli riservava fra un tiro di pipa e l’altro.

“ Farai meglio a rientrare, vecchio” lo redarguì subito l’uomo in divisa seduto al suo fianco che, chino sulla propria arma, ne lucidava quietamente il taglio affilato con un panno cremisi.

“ E tu a restituire immediatamente quella gonna, mio caro, o non vorrai forse che tua moglie se ne debba andare in giro con le brache di un uomo?” lo apostrofò una bella Youkai dalla carnagione brunita sportasi leggermente da due piani più in alto, le spalle forti che si flettevano mentre tirava a sé un poco del filo libero che, teso a congiungere il palazzo dinnanzi, ospitava una serie di indumenti umidi.

Mentre un piccato “Donna!” sibilava dal basso, l’anziano vicino di due piani più in alto si ritrovò a sorridere quietamente, le dita uncinate che spuntavano la verdeggiante edera rampicante che, come un vestito elegante, avvolgeva l’affusolata struttura del palazzo ossidiana nel quale abitava.

Le foglie recise, colte dalla brezza oramai umida che, brivido di tempesta, spirava già da oriente, si innalzarono allora un poco verso l’alto, leggere, rabbrividendo un attimo della premessa ricolma in quell’alito di vento per poi, catturate da un’altra corrente, intrufolarsi nello spiraglio di una porta socchiusa.

“ Sbrigati con quei primi, sfaccendato!” tuonò la voce di un mastodontico demone dalle sembianze equine, i lunghi baffi posti proprio sopra le varici frementi che toccavano quasi il pavimento disseminato di chiazze d’olio e resti di cibi bruciacchiati che nessuno, nella fretta, si era dato la pena di ripulire.

“ Muoviti, imbecille!” fu, poco dopo, la nuova rombante imprecazione mentre questi, gonfio di rabbia, rovesciava in un recipiente bucherellato l’intruglio semi-solido che fino ad allora si era prodigato nel mescolare.

La giovane lontra, sobbalzando, si precipitò fuori dalle cucine, il dorso tremante che si scagliava contro le ante aprendole a forza sulla sala colma di ospiti.

Tutti gli sguardi, impazienti, si fissarono sui piatti che teneva questi fra le zampette artigliate per poi, nel rimbombo di uno sparo lontano, voltarsi dubbiose nella direzione opposta, seguendo la linea d’aria di quella familiare eppure mai del tutto benaccetta detonazione così da individuare ancora più in alto, ancora più su, un lontano brillio evanescente.

Pezzi e frammenti di un otre, l’argilla imbevuta di liquore, si disperdevano come una cascata oltre il parapetto del solaio dal quale era provenuto il colpo e giù, nell’aere sottostante.   

La canna fumante affiorò poco dopo, fiera  “o” spalancata in una secca risata mentre, poco lontano, il proprietario della ex-fiasca oramai in pezzi si appiattiva tremante contro il muro.

Deglutì a vuoto, gli occhi cremisi che balzavano da una parte all’altra della stanza alla ricerca di una via di fuga che, suo malgrado, sapeva essere assente per poi concentrarsi, finale sgomento, sull’affacciarsi di una rondine dalle assi del tetto spiovente.

Sospirò.

Speranza.

Le giovani ali presero quindi il volo, agili e rapide, una nuova detonazione che per un attimo tentava di raggiungere il suo fiero librarsi ma che, troppo pesante per reggere il confronto,  fu costretta a mordere invano il vuoto prima che, sferzante energia, ella si catapultasse ancora più in alto, ancora più su.

Oltre i passi frettolosi degli addetti di una biblioteca. Oltre il soave gorgheggio di una giovane intenta nel canto. Oltre le note musicali di un flauto.

Oltre i venti sempre più potenti. Oltre le nubi oramai prossime dallo scatenarsi inondando di lacrime il mondo sottostante.

Ed in quella venne bruscamente catturata. Una mano artigliata si serrò attorno all’esile corpicino, schiacciandone le ali, serrandone le zampette frementi, bloccandone ogni possibile movimento con una stretta né troppo forte né troppo blanda.

Giusto quel tanto per informare entrambi su chi avesse la meglio in quell’istante.

Il minuscolo cuore pressato e tamburellante contro l’indice della mano destra, Inuyasha scoccò un mezzo sorriso a quel piccolo esserino, la testolina arruffata che si irrigidiva mentre il pollice del demone, lento, ne sfiorava la nuca in una carezza pigra.

“ Hai intenzione di darti alla biologia o il tuo è un test culinario sul campo, Inuyasha?” lo raggiunse alle spalle, come al solito, la voce del fratello, il tono lievemente canzonatorio che assumeva quando, a suo dire, faceva delle battute per cui valesse la pena di ridere.
Smorzando un ghigno indolente il mezzodemone volse il capo in direzione del principe ereditario, la schiena mollemente poggiata al basamento di una colonna che si fletteva appena in avanti per dar modo alle gambe di incrociarsi nel breve spazio del davanzale sul quale era rimasto fino ad allora appollaiato. “Tutte e due proposte molto interessanti se paragonate al sentirti parlare, Sesshoumaru” fu la sonnolenta replica mentre uno sbuffo di vento coglieva i fili argentei della sua chioma.    

Lo youkai più anziano alzò brevemente gli occhi dalla pergamena sulla quale aveva fino ad allora continuato diligentemente a trascrivere, la piuma d’oca che si librava agile nelle sue dita affusolate dipingendo cerchi e volute asciutte e armoniose insieme. Non rispose. Si limitò a scrutarlo per qualche istante prima di ritornare al suo lavoro.

“Ancora di malumore a quanto vedo…” fu però il suo commento quando, come soprappensiero, si allungava sulla immensa scrivania sul quale era ancora chino alla ricerca della cera per sigillare quanto appena scritto “ Eppure mi sembra che l’aver distrutto metà dei mezzibusti dei sotterranei ti avesse ridato il sorriso” Un pigolio terrorizzato proruppe improvvisamente dal pugno destro di Inuyasha senza che questi si degnasse tuttavia di ribattere.

Sesshoumaru sorrise lievemente, questa volta grave in volto, e, dopo aver posato la lettera terminata, prese fra le dita la raffigurazione di un piccolo elefante in madreperla sul cui dorso svettava una bandierina dello stesso materiale.

Scoccò al fratello un mezzo sguardo divertito per poi avviarsi ad un tavolo poco distante sul quale giaceva un gigantesco rotolo di pergamena, i bordi consunti che parevano anneriti dal fuoco.

Esitò un attimo, meditabondo, ed infine posò la statuetta in un punto poco più a destra del centro, a metà fra il fine disegno indicante un fiume e le creste più basse di una catena montuosa.

Nel silenzio rotto solo dalla greve brezza spirante attraverso le ampie sale della torre e giù, lungo la scalinata, il sonoro Tac di quell’oggetto sulla pergamena interposta al legno vibrò nudo, teso, come lo scattare della faretra quando venga premuto il grilletto per rilasciare la freccia.   

“ O forse questa tua gioia trascinante è dovuta alla missiva di nostro padre?” azzardò quindi lo Youkai senza voltarsi, gli occhi felini che vagavano attenti lungo la planimetria di Yarda.

In quella, basso e profondo come il sordo tossire del cielo, un tuono lacerò l’aria.

Con un movimento noncurante Inuyasha pose il braccio sinistro dietro la nuca, il volto che si contraeva appena in un’espressione di disappunto prima che egli facesse schioccare la lingua sul palato.

“ Sapere che è scontento di me non è mai stata una novità, fratello, soprattutto se il come e il perché si intervallano con regolarità fra l’incompetenza e la stupidità” sputò il mezzodemone con semplicità, la chioma lunare che per un attimo nascondeva il contrarsi della mascella.

“ Come biasimarlo” Sesshoumaru piegò appena il capo mentre con l’indice faceva retrocedere un poco un’altra pedina madreperla “ La Grande Impresa che lui tanto si era prefigurato e su cui aveva investito tanta fiducia non è ancora giunta alla sua conclusione. Procede a rilento, di territorio in territorio con sempre più fatica nonostante il costante impiego di nuovi mezzi e sempre più ingenti fondi.“ si passò una mano nella capigliatura nivea “ E quindi le truppe dei Miyoshi al posto che essere qui, qui e qui” indicò tre punti sulla mappa ben distanti da dove si trovavano le pedine “ sono qui, qui e qui”.

Mentre il medio si posava sulla città di Zaccar, Sesshoumaru si concesse un sospiro snervato cui Inuyasha rispose con un ghigno sardonico.

Un lampo sfilacciò la consistenza del silenzio per poi rimbombare cupo nel tuono che seguì.

“ Stupido vecchio…” sibilò “ Si sente con l’acqua alla gola eh? Immagino non riesca neanche più ad alzarsi dal trono senza uno stuolo di servi che sorreggano le sue fragili gambe avvizzite”

“ Immagina piuttosto che si stia di nuovo preparando ad una campagna oltre il valico dello Tsiii e che, ovviamente, vuole che siano i suoi adorati eredi a portare avanti il grosso delle truppe” replicò freddamente Sesshoumaru spostando ancora, con piglio nervoso, l’elefantino indietro.

“ Dì piuttosto che come al solito lascerà a noi il lavoro sporco e lui si limiterà a fare il suo ingresso trionfale nella “città simbolo” di turno mentre noi, più dietro, saremo li a leccarci le ferite come degli idioti ” lo rimbeccò aspra la voce del mezzodemone  il cui sguardo ora pareva scivolare di piano in piano lungo le mura abbacinanti della torre sottostante.

Per un secondo, nonostante il colorito oramai plumbeo del cielo, il riverberò lo accecò.

Il principe ghignò piano, accondiscendente “ Che strane parole, Inuyasha” cominciò voltandosi nella sua direzione “ Ho sempre creduto che il leccarti le ferite non ti disturbasse se prima c’era la possibilità di prendere parte ad un sano massacro o ad una memorabile devastazione”.

In quella la mano destra dell’hanyou si aprì nel vuoto, lasciando che la rondine racchiusa in essa potesse, turbata da quell’imprevista reclusione ma tutto sommato ancora integra, spiccare il volo.

Fu allora che, con imprevista violenza, le nubi spalancarono le loro fauci cineree lasciando ricadere nel mondo sottostante il pesante rigurgito dei loro ventri.

“ Ed è così infatti” disse Inuyasha mentre, con uno scatto, si tirava in piedi, il battente abbattersi della pioggia che pareva ora far vibrare la torre stessa “ Ma non sono tanto stupido da non capire che è questo il solo onore che intende lasciarci fintantoché non ci degnerà di tirare le quoia“.

Con un gesto lento, controllato, si poggiò alla colonna incrociando le braccia al petto.
Per un attimo, Sesshoumaru parve stupito. Una pedina si mosse appena contro il peso del suo corpo mentre, stranito, si addossava alla scrivania.

Poi, lentamente, sorrise al fratello.

“ Pazienta, Inuyasha” le dita artigliate andarono a posarsi sul bordo del tavolo, stringendone appena la legnosa consistenza  “ Quando tutto sarà compiuto avremo ciò che ci spetta”.

Il mezzodemone socchiuse un attimo le palpebre, il denso ambra dei suoi occhi che si colorava di un che di affilato, di arguto che, tuttavia, il principe ereditario non riuscì a  notare.

Un lampo abbagliò per un attimo le figure di entrambi, cogliendo ed esaltando con sgranata intensità la diversità insita nei volti di coloro che, pur essendo fratelli, parevano essere stati volutamente divisi da madre natura.

“ Certamente…” concesse infine Inuyasha mentre, avvicinandosi, scivolava accanto alla figura di Sesshoumaru e afferrava la pedina che poc’anzi questi aveva accidentalmente spostato.

Se la rigirò un attimo fra le dita affusolate, incrociando lo sguardo dell’altro che, suo malgrado, si ritrovò ad abbassare gli occhi color dell’oro.
La pioggia, sempre più intensa, ruggì tutt’intorno a loro.

“…ciò che ci spetta” ripetè lentamente e, schioccando maliziosamente la lingua sul palato, come il genitore che colga in fallo il proprio figlio, si allungò sulla mappa per riposare l’elefantino sulla pergamena.

Ritirandosi dritto, avvolse con una mano la spalla del fratello. Solo per un attimo. Giusto per poter avvicinare le labbra all’orecchio dell’altro, come nell’intento di confessare un segreto.

  O quello che egli reputerà opportuno lasciarci” sussurrò per poi, senza aggiungere altro, voltarsi e scomparire lungo la scalinata in un baluginio d’argento e porpora.  

Solo allora, con un sospiro, Sesshoumaru si volse per rimettere la pedina nel posto che le sarebbe spettato.

Si irrigidì.

L’elefantino madreperla era posto direttamente sul disegno raffigurante la capitale del regno dei Miyoshi, il punto dal quale era partita la campagna di conquista.

Riverso.
Come se qualche cacciatore l’avesse appena abbattuto facendolo capitolare rovinosamente su un fianco, sconfitto.

 

I suoi passi riecheggiavano tetri attraverso le sale vuote della Torre, deserta se non per qualche umile servitore o ospite occasionale.

Cadenzati e precisi come il ticchettio di un orologio che spazzasse una porzione di quadrante ad ogni movimento, ad ogni respiro che, unica espressione vitale in quella rarefatta assenza di tutto, scivolasse sperduto lungo quell’interminabile fila di scalini, spire e volute cui un solo sguardo attento avrebbe potuto dare il nome di “ Follia”.

Interminabile la discesa. Interminabile la molteplicità di pensieri che desse modo di far affiorare quella infinita, inesorabile, planata nelle viscere della terra dove la Torre, serpe mai sazia, conficcava le proprie radici. Forse troppi.

Troppi per un’anima abituata a vivere nel sangue e nel dolore le proprie passioni. Abile nel ferire, nello schiacciare e nel mortificare quella altrui piuttosto che a scavare nella propria, nel saggiarne con sgradevole volontà la consistenza amara, acidula, acre di una incuria quasi patologica.

Inuyasha, passione crudele capace di esprimersi solo con rabbia, con violenza, con ferocia. Con quella insana e brutale spietatezza propria di chi, nonostante le apparenze, sappia di essere in gabbia, di dover avanzare di passo in passo con l’intollerabile giogo di una creatura imprigionata cui la vita stessa abbia reso impossibile liberarsi.
E che allora si dibatta, si dimeni fino a sanguinare ansimando in quell’angusto pertugio, in quel sozzo angolo dal quale sa, suo malgrado, di non poter uscire.

Inuyasha, rabbia infame, rancore indissolubile cui l’orgoglio abbia poggiato un sorriso beffardo, una pungente ed incrollabile irrisione ed indifferenza per chiunque e qualunque cosa al di fuori del proprio piacere personale, della solenne ed esecranda soddisfazione del proprio diletto immanente.

Inuyasha, scopo senza fine.

Consapevolezza arguta, lucida, quasi pericolosa per una figura che viceversa avrebbe dovuto accontentarsi di un titolo e di un ruolo. Di un semplice tributo a ciò che si sarebbe dovuti apparire piuttosto a ciò che si fosse stati realmente.

Principe ereditario. Secondogenito della casata dei Miyoshi. Comandante supremo dell’armata reale. Stratega bellico. Crudele leggenda di massacro e violenza.

Socchiuse un attimo gli occhi, una folata di umidore che improvvisamente lambiva i suoi zigomi tesi, che lo colpiva al volto come un carezza gocciolante mentre entrava nelle segrete della Torre.

Che idioizia.

Stupidi titoli che suo padre si metteva in bocca pur di nascondere il tremare della sua voce mentre dettava allo scriba reale che la campagna di conquista di tutta Yarda stava…rallentando.

Che i ribelli non erano ancora del tutto sedati. Che le città conquistate non erano ancora completamente tranquille. Che sarebbe stato meglio forzare i prigionieri con maggiore solerzia a rivelare l’ubicazione dei loro compagni ancora intenti ad attentare all’affermarsi dell’impero appena costituito.

Sorrise lievemente, con quel cipiglio nervoso ed insieme compiaciuto di chi sa di aver afferrato qualcosa, di aver intuito un che diversamente inaccessibile ad altri. Ma che, nello stesso istante, intuisca di non poterlo condividere con alcuno, di non poterlo confessare nemmeno a se stesso.
E allora attenda, le sbarre della propria prigione a scolpire sulla pelle i neri riflessi di un languire eterno, inalterabile, intollerabile.

 

Allungò una mano, la maniglia che si adattava quasi perfettamente alla sua stretta leggera, e subito, nello scricchiolio sommesso della serratura, spalancò quella porta.

 

“ Buongiorno Kagome, come ti senti?”

La giovane giaceva inerme a terra, il viso divelto e schiacciato contro il pavimento imputridito di bava, i vestiti stracciati e lordati delle uniche funzioni vitali cui il suo misero corpo non avesse ancora smesso di ricordarsi.

Non rispose.

Probabilmente le mancava la voce.

Un lieve cenno della testa del principe e il demone alla sua destra si mosse col solito passo goffo e malfermo verso di lei, stesa a terra su di un fianco, mollandole un potente calcio direttamente nello stomaco.

Mentre lo sterno di Kagome si incavava dolorosamente nell’impronta dello stivale di questi, Inuyasha avvertì il suo respiro esalare spento dalle labbra oramai stracciate ed esangui.

Per qualche istante la vide annaspare come se stesse per affogare.

Docilmente poggiato alla parete che dava  sulla cella, abbastanza distante per evitare che il puzzo più denso lo raggiungesse, la guardò diffidente tremare per la sofferenza e contorcersi come un piccolo vermicello cui il bambino cattivo avesse appena tranciato in due il corpo.

“ Stupida umana” fu il suo unico, sprezzante, commento.

Ella, un rivolo di saliva e sangue che andava via via colando dall’angolo della bocca sporcandole ed appiccicandosi alla guancia incavata, socchiuse lievemente le palpebre, lo sguardo oramai annebbiato dal dolore.

“Allora….” Riprese quindi il mezzodemone con voce atona, quasi annoiata ”Come ti senti?”.

Se il suo fu un tentativo di rispondere, la ragazza non riuscì a darlo a vedere.

Inuyasha riuscì solo a sentirla sbiascicare qualcosa nel bel mezzo dei denti rotti, del sangue rappreso e raggrumatosi in gola, Il petto che si alzava ed abbassa ad una velocità frenetica ed incredibilmente malsana.

“ Mi fa piacere” replicò quindi quasi laconico questi, lo stesso tono incolore che scivolava su di lei rabbrividendo appena.

Poi il Silenzio.

Per un attimo parve non trovare altro da dire. O non tentare di trovare altro da aggiungere, in realtà. Così perso nella routine delle sue stesse domande e risposte mancate da scordarsi quasi l’iter che ad esse stava associato ed il fine per il quale erano destinate.

Si limitò a fissarla.

Semplicemente attento.

Semplicemente Distratto.

Come perso in chissà quale pensiero.
Così lungamente che il demone al suo fianco si azzardò, intimorito, a piegare lievemente il capo verso di lui, l’espressione solitamente annebbiata propria delle menti più fervide che si colorava di un lieve stordimento tale da renderla ancora più palesemente imbelle.
Così diverso dal suo solito che, come risalendo dall’abbagliante cecità in cui oramai era solita soggiornare, parve accorgersene anche Kagome le cui iridi argentee si spalancarono lentamente in una lenta e dolente espressione di confusione.

Silenzio.

Cupo esitare di pochi, semplici, attimi che, incomprensibilmente, non sappiano più dove andare a parare la loro tragica inutilità.

Perire semplicemente?

Oppure nascondersi, indecisi, nella penombra, in attesa di poter riaffacciarsi in seguito, quando all’occorrenza fosse sembrato rilevante la loro presenza?

Uno, due tre e ancora quattro.

Minuti o secondi?

Ma avrebbe davvero avuto senso saperlo?

Tremanti quanto l’anima in esse rinchiusa, le iridi velate di lei si dischiusero appena, rivelando il nebuloso pallore dell’incoscienza, fissandosi per un attimo nella bruna superficie di quel pavimento sudicio, di quella sporcizia accumulata.

Forse non cogliendone nemmeno un particolare.

Forse non scorgendone nemmeno il colore catramoso, piceo e scuro come le grumose scorie di un incubo oramai estintosi.

Eppure risalendo attraverso di esso, vagandovi un poco da una parte all’altra, smarrite, come cercando qualcosa che, loro malgrado, pareva essere terribilmente arduo da scovare.

Finchè, eccole accendersi di un misero spiraglio di lucidità, lo spettrale profilo di un’ombra che proiettava improvvisamente in esse il riconoscimento di una figura vestita di rosso, slanciata e irta contro il profilo congestionato di un sommesso riardere di fiamme vermiglie.

Torce o fuochi fatui?

Oppure più semplicemente le torbide lingue di fuoco che avvincono per l’eternità i dannati?

Tale le parve tuttavia il fulgore di queste negli occhi stanchi, annebbiati, confusi dal ripercuotersi dell’agonia da costringerla a mordersi appena il labbro inferiore, un dolore sordo alla testa, proprio dietro gli occhi, che istintivamente le faceva corrugare la fronte nel caparbio tentativo di mettere a fuoco quella visione.

Inuyasha.   

Lo scomporsi della sua lunga chioma lunare in milioni di riflessi argentei, ghiacciati nella loro eterea bellezza, cristallini nella propria impalpabile leggerezza che in quel riverbero infernale sfolgorava e al tempo stesso pareva consumarsi.

Inuyasha.

Ed egli la stava fissando.

A lungo.

Concentrato.

Con la medesima intensità con cui si scruti un quadro complesso, astratto, dal senso tanto inafferrabile quanto percepibile li, ad un passo dall’essere pronunciato. E nel contempo, in realtà, non si stia guardando altro che se stessi, l’esterno che divenga solo una muta parodia del proprio io interiore. Dissenso inconscio che cerchi la propria risposta nell’altro.

Inuyasha.

Fu allora che le iridi del mezzodemone, come attirate da qualcosa, si fissarono improvvisamente in quelle di lei.

Unite.

Il vincolo di quell’esitare, di quell’indugiare del primo che si colmava nel protendersi dell’altro, nello sporgersi della coscienza dell’opera che acquisti inaspettatamente consistenza, anima, vita. Per la prima volta dopo, forse, troppo tempo.

Troppo tempo, forse, ma non abbastanza per scordare che differenza facesse quello sguardo, quegli occhi.

Un tramonto senza speranza di alba alcuna che, morente, cali ora sull’arazzo impietrito di un lago ghiacciato.

Il sole arroventato che bruci col suo solo tocco la nuda superficie del vento.

E che, suo malgrado, si scopri incapace di inabissarsi ancora nelle profondità delle Tenebre, nella voragine spalancata della terra che invochi ansiosa il proprio calore rubato.

Inuyasha.

Ma ancora prima che ella, che Kagome avesse il tempo di schiudere lievemente le labbra, abbassare nuovamente lo sguardo stanco e dire alcunché, la porta della cella si era già pesantemente richiusa alle spalle del mezzo demone, l’abissale oscurità delle prigioni che prendeva nuovamente il sopravvento su quell’immagine, su quella fiammeggiante concretizzazione di infernale bellezza.

Ciao^^


Sono ritornata con un nuovo capitolo questa volta dalle dimensioni moderate*__*

Volevo innanzitutto ringraziare le persone che hanno commentato il precedente anche se, a malincuore, sono state veramente pocheT__T…spero che questa volta riscuoterò più successo riuscendo a dare voce a chi sperava nel primo segno di svolta nella vicenda.

Ora però, purtroppo per voi, devo fare un paio di precisazioni. *aria seria*

1)       Nel mezzo dell’ultima parte, quando si ha l’incontro fra Inuyasha e Kagome ho deciso volutamente di cambiare la prospettiva da LUI a LEI per dare meglio l’idea di come queste si sfiorino nell’esitare del primo e del suo ritrarsi in corrispettiva allo sporgersi della seconda.

….Inoltre…mi sono anche accorta che il motivo per cui Inuyasha vada proprio da Kagome dopo la conversazione col fratello rimane decisamente soffuso.^/////^ Poiché però che preferisco che la consapevolezza di tale azione venga fuori di pari passo sia nella vicenda che nei “lettori” stessi…sarà rimandato tutto nel prossimo capitolo.

2)       All’inizio, dopo la descrizione astratta del tuono e le parole dell’anziano, il passaggio da un condizionale “avrebbe visto” etc si interrompe bruscamente per andare nel passato remoto abituale della narrazione. Mi sono accorta dopo che suonasse abbastanza “male” questo accostamento, ma non mi andava di continuare la narrazione sul profilo dell’ipotetico e volevo passare ad una più diretta e puramente descrittiva tagliando quindi il divagare. Spero che mi perdoniate la stonatura^^’

 

C’è però una cosa che volevo chiedere a chi sta leggendo dall’inizio questa fanfic.

A scopi di trama mi servirebbe sapere se, a discapito di questi capitoli “giù nel tunnel degli orrori“ ( ogni volta diventa sempre più atroce la mia considerazione nei loro confrontiXD)  che volutamente hanno aperto una parentesi nell’intera vicenda per dare luogo ad una sorta di cameratismo, mi stia riuscendo di rendere il contesto generale in cui si inserisce la vicenda.

Intendo clima medievaleggiante, luoghi e descrizioni fisiche che non siano solo quelle dei personaggi.

L’altro giorno infatti mi è capitato di vedere un film in cui “banalmente” si dice: si può parlare di ciò che si conosce. Ciò che non si conosce si corre il rischio di non esprimerlo nemmeno agli altri. E quindi penso che il mio dubbio sullo stare riuscendo a rendere credibile un’ambientazione che mi è completamente estranea sia…legittimo. Per favore, ditemi cosa ne pensate e, nel caso in cui troviate che vi siano difetti in questo campo….sono GRADITISSIMI dei consigli*__*.

 

Un bacio a tutti e…a presto^^

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Duecentrotrentamila alabardieri”

La lama scivolò silenziosa nella penombra, un riflesso argenteo che guizzò per un istante sulle pareti di madreperla, abbagliandone gli sfarzosi ed eleganti bassorilievi come una cicatrice esangue.

“ Ottocentosessantaquattromila arcieri“

Schizzò di un secco strappo i pochi arazzi incupiti dal tempo, le altezzose dame e i rudi cavalieri delle miniature in essi imprigionati che per un attimo parvero tremare come colti da quell’affondo, troppo brusco e selvatico se paragonato ai loro stolidi visi deformi di tessuto e ricami.  

Cinquemilaetrentatre archibugi”

E poi eccola di nuovo ritrarsi, sentimento che si sporga e si tenda fino al proprio inesorabile esaurirsi, il doppio filo che sibilava contrariato nel suo stesso rivoltarsi, tentando di fendere di nuovo lo spazio del nulla.

Un fruscio appena avvertibile mentre ella veniva a misurare nello spazio di un arco la propria figura affusolata.

Tremilaesettecentonovantotto Bestie delle Medere, più il loro generale capo attualmente in carica”

Una lieve parentesi nel flettersi del taglio in prossimità di poche candele che, riverbero soffuso, agitavano le loro favelle come assaporando il gusto del proprio misero consumarsi.

E poi eccola di nuovo scartare, seducente armonia, nella scia della propria aguzza vestigia.

Sempre più rapida.

Sempre più letale nel suo effimero concedersi e poi sottrarsi, volteggiare e infrangersi in una nuova spirale di parate e assalti alla fiera consistenza di un invisibile opponente.

Novecentovent-

Nell’improvviso lacerarsi della pietra, il profilo di Tessaiga parve vibrare per un istante di piacere per aver, finalmente, trafitto a morte qualcosa concludendo quell’inutile, seppur incredibilmente dilettevole, balletto.

Lo strozzato deglutire del paggio gorgogliò lentamente poco dopo. Terrorizzato.

Le sue palpebre vacillarono un attimo, un tremito atterrito provocato forse dal suo stesso domandarsi se fosse o meno il caso di sbatterle incappando nel rischio, poi, di non poterlo fare una seconda volta in seguito.  

Solo allora, lentamente, Inuyasha si passò una mano sulla fronte sudata, le dita artigliate che lasciavano sulla pelle il segno dell’irritazione.

“ Non ti ho chiesto di decantarmi le prodezze delle nostre perdite sul campo di battaglia…” fu la sua voce sibillina a raggiungere il già atterrito portavoce “ti ho chiesto l’esito” concluse asciutto.

Per un attimo gli occhi lesti del giovane guizzarono alla porta della sala per poi ritornare, le pupille sottili come due spilli, alla figura del mezzo demone “Siamo stati sconfitti, Signore” asserì quindi, in un sussurro.

Le palpebre di Inuyasha si chiusero per un istante, la gelida parvenza della stanchezza che attraversava il suo volto lucido e arrossato da calde perle di sudore.

“ Bilancio dei feriti? Degli armamenti persi?” riprese in un sospiro per poi, come ricordandosi di qualcosa, fulminare con un’occhiata lo youkai poco distante “ E bada, se oserai propinarmi ancora quell’assurda sfilza di numeri sarai tu a venire squarciato e non questo pavimento”.

Nell’immancabile gelarsi di questi, il mezzo demone sorrise per poi flettere il capo prima a destra, poi a sinistra, le vertebre del collo che schioccavano sommessamente.

“ Un disastro, Signore. Pare che la città che intendevamo conquistare conoscesse già le nostre tattiche e le forze di cui disponevamo. Ci ha preceduti così da realizzare il più tragico dei massacri…

Con un movimento brusco Inuyasha estrasse Tessaiga dal pavimento, la nuda forma della lama che scintillava sul suo ventre piatto, velato solo dall’asciugarsi della fatica appena sopportata.

“ Fammi indovinare” sorrise poco dopo, soppesando meditabondo l’arma fra le dita “ Hanno utilizzato la solita strategia di spionaggio usata anche per le altre città prima di lei, immagino” concluse riponendola nel fodero per poi scoccare un nuovo sguardo al suo interlocutore che annuì, rigido.

“ Si Signore…come tutte le altre province della regione, oramai”.

Un nuovo sogghigno baluginò sulle labbra del mezzodemone.

“ Mio padre?” continuò asciutto.

“ E’ riuscito a salvarsi “.

Un risolino beffardo fece nuovamente capolino sul suo volto.

“ Peccato.”

“Signore?” balbettò immediatamente il paggio, incerto sull’aver o meno inteso le parole del mezzo demone.

Ma Inuyasha si era già steso su un divanetto poco distante, i lunghi capelli che scivolavano in una cascata d’argento sulla fibra color porpora velando le spalle tornite, la schiena brillante del riverbero brunito delle candele. 

Tacque, il corpo che si rilassava in una dolorosa fitta di piacere mentre il braccio destro andava a coprire gli occhi, il capo che scivolava appena di lato.

Non si diede pena di congedare quel paffuto ragazzino dalla voce sussultante.

E nemmeno di leggere la missiva che gli aveva mandato suo fratello e che ora giaceva ancora intonsa sul suo letto, come il biglietto di scuse di un’amante dileguatasi nel calare delle tenebre.

Lasciò che il suo respiro scivolasse lento dalle labbra appena dischiuse, una morbida carezza laddove da molto, forse troppo tempo il capriccio di Inuyasha non aveva concesso a nessuna dama di posarvi un bacio.

“ Al Nobile Inuyasha Miyoshi,  principe ereditario e secondogenito dell’Imperatore Inutaro, sovrano e protettore di…

Gli era bastato intravedere quelle poche parole per scartare a piè pari l’idea di avventurarsi oltre nei geroglifici caratteri di Sesshoumaru.

Come se servisse realmente una lettera per constatare l’ovvietà.

Per dedurre la prossima mossa che Il Grande Imperatore in questione, ferito e mortificato dagli insuccessi delle sue stesse imprese belliche, avrebbe osato tentare.

Poco distante dal luogo in cui giaceva, un lieve fruscio attirò la sua attenzione ricordandogli che, a discapito del suo completo disinteresse, il giovane paggio se ne era rimasto quieto sulla porta in attesa di un suo ordine.

Sospirò, lasciando ricadere la mano al suo fianco e alzando lievemente il capo in sua direzione.

Lo vide irrigidirsi nuovamente, quasi lo avesse colto in fallo, per poi guardarlo con apprensione.

“Puoi andare” gli ordinò solamente, la voce annoiata che faceva da eco al nuovo posarsi della nuca contro il tessuto.

“ Cosa devo riferire al Principe Sesshoumaru, Signore?” chiese questi, la voce però che giungeva già da più lontano rispetto a prima.

Inuyasha sorrise quietamente.

“ Che al giorno stabilito, io sarò al suo fianco come sempre” rispose.

 

Mentre i passi svelti dello youkai scomparivano affrettandosi lungo la scalinata della Torre, il secondogenito si concesse un sospiro stanco, il suo stesso odore che si mischiava al lento bruciare delle candele in una fragranza al contempo grezza e per qualche ragione esotica.

Sospirò ancora, la curva del torace che si colmava in una gonfia C ossuta, le costole che spiccavano per un attimo come tanti semitoni di una tastiera per poi riaffondare nella serica superficie della pelle, bianca e candida come avorio.

Socchiuse le palpebre, il volto che invano tentava di rilassarsi nella ricerca del sonno.

Nel desiderio di un attimo di silenzio in cui non vi fossero parole da ascoltare o lettere da leggere. O pensieri da rievocare e continuamente, senza sosta, esaminare e ripercorrere.

Lentamente, con misurata lentezza, si schermò nuovamente gli occhi con l’avambraccio.

 

Voleva vederla

 

E nemmeno nomi, stupidi nomignoli o artificiosi Titoli da ricordare e con macchinosa puntualità ripetere ancora e ancora così da conoscerli e ri-conoscerli nell’infinita parata di strette di mano e convenevoli da salotto.

Cosa di assoluta e vitale importanza. Certamente.

Sentì la curva delle sue labbra arricciarsi appena in una smorfia di involontaria irritazione.

 

Voleva vederla

 

Ma per Sesshoumaru una faccia sfigurata a furia di sorrisi valeva la possibilità poi di riposarsi in eterno su di un trono d’oro. E da lassù costringere gli altri a fare la figura degli imbecilli. Finalmente.

Flettè piano le dita della mano destra, l’elsa di Tessaiga tanto vicina da risultare stranamente invitante.

 

Voleva vederla

 

Ma non si lasciò sedurre. Il lieve tremolio delle palpebre che pareva l’incresparsi della superficie di uno stagno sotto il quale qualcosa di molesto, di agitato e terribilmente vivo disdegnasse dal rasserenarsi, dal quietarsi.

 

Voleva vederla

Subito.

 

E addormentarsi. Finalmente.

 

 

Un grido lontano rimbomba tetro per le fredde gallerie delle prigioni.

Acuto. Stridulo.

Eppure lontano, sommesso, troppo distante perché alcuno dei visi che a quel suono si sono voltati in sua direzione possa riconoscerlo. Perché anche una sola di quelle bocche scavate dalla sete, sciupate dalla fame, sfibrate dalla solitudine possa sussurrare un nome, sbiascicare una sillaba. Mordere un richiamo.

Straziante. Penetrante. Lama cieca nel buio.

Ma non abbastanza perché ognuna non possa suo malgrado bisbigliare una sola parola.

Un Muto, silente, quasi vergognoso, sussurro contrito.

Uno sputo molliccio nella bacinella di speranze che ognuno tiene legata alle caviglie insieme alla catena che avvince i movimenti, che ferisce la pelle, che raschia e rosicchia le ossa come un topo affamato.
Grazie.

A Dio, a Nessuno, a Loro Stessi. O a chi la vergogna e la paura sono tali da non osare nemmeno nominare.
Grazie. Grazie.

Perché non sono io.

Non mia è quella voce. Non mio è quel dolore. Non mio è quell’ultimo, fatale, gemito senza fine.

Un secco schiocco vibra nell’aria, risalendo con dita artigliate i volti immobili nell’oscurità.

Scavando ancora di più le gote esangui, le orbite grigio fumo in cui la pupilla si sgrana come un puntino fremente su un foglio bianco.

Grazie. Grazie.

Poiché la parabola curva della frusta non sta spezzando la mia carne.

Perché i legacci di quella dannata seggiola non imprigionano me, il mio corpo, la mia mente.

Un nuovo strillo. Più acuto. Più acuto ancora.

Poiché non è mio quel respiro, quello strozzato inzupparsi del sangue, stillare delle lacrime.

E quei capelli scuri, neri, un tempo forse lucenti e bellissimi, che ora cadono raggrinzandosi con un sibilo a terra.
Come carta divorata dal calore.

Scuri come ossidiana, derubati della loro leggerezza, della loro perfetta sembianza ora buttata, calpestata, lasciata ammonticchiarsi ai piedi legati con cinghia di cuoio, uniti ai polsi nella strana posa di una bestia sacrificata.

E di nuovo schiocca, rovente, la frusta di quel diavolo senza titolo.

Grazie.

Poiché io non sono lei.

Non sono quella donna.

Quella donna il cui nome scivola in un risucchio sommesso per quei corridoi senza fine, lento, il riverbero di uno sguardo vuoto che scruta nel suo sudicio trascinarsi di gabbia in gabbia, di cella in cella.

Attento.

Eppure attonito.

E che poi risale, ricordo ansimante, su, sempre più su, oltre quelle porte chiuse a doppia mandata e mai, mai sfiorate dalla tentazione di lasciar uscire piuttosto che entrare.

Oltre le grate corrose dal respiro morente di mille anni.

Oltre gli scalini sempre più chiari, sempre meno sporchi e avvizziti dall’incurie. Poi bianchi come avorio, ed infine candidi come neve.

Per poi posarsi li, fatale sospiro, sulle labbra di colui che, nel sonno, ne evoca il nome, il volto, il pensiero.

Che si rigira appena, infastidito dal suo stesso trasalire, dal suo medesimo agitarsi appena, le dita che vibrano un attimo, come cogliendo la tentazione di sfiorare qualcosa, qualcuno.

 

Voglio vederla.

 

Il corpo ormai esanime della ragazza viene ributtato in malo modo nella cella.

Nuove ferite si aprono su di esso. Ma ormai il numero è cosa stupida da ravvisare.


Grazie grazie.

Perché io non sono lei.

Non sono colei che la sventura chiamò Kagome.

Il cui volto rivive nel pensiero e nel sospiro di Inuyasha.

La cui bellezza ogni notte fiorisce a nuovo splendore nei suoi sogni per poi appassire, miseramente, nella realtà del mattino.

Verso la propria inevitabile fine.

 

Il cui animo, leggera piuma che ancora sfugga alla mordace presa della gravità, ondeggia ora piano, quieta, da una parte all’altra, misurando nell’arco di un semicerchio, di una spirale, l’effimera consistenza dell’aria.

Argento il suo riflesso, selenico il suo colore.

Prima di la, poi di qua, nel disegnarsi di morbide e voluttuose asole di cielo che vaporose legano le sottili trame di quel Nulla.
Di quel cielo senza stelle e senza luna.

Tanto vago e soffuso da risultare quasi palpabile, tanto sensibile che forse, forse, tendendo due dita verso di esso, allora si, si riuscirebbe a carpirne l’effimero spessore e, trattenendolo con stretta tremante, scostarlo come un velo cinereo.

E al di là di questo scorgere, intravedere e quasi poter cogliere le vaghe sembianze di qualcosa.

Di un qualcuno.

Di una figura la cui linea oblunga giace rannicchiata a terra, quasi accartocciata su se stessa, quasi rattrappita nelle sue medesime sembianze.

Chi?

Ecco dunque affacciarsi il dubbio. La sensazione dell’errore.

Ecco sopraggiungere l’effimera concretizzazione di uno sguardo i cui occhi sgranati si chiudono e si riaprono per una volta, per due, storditi, il capo ad essi congiunto che si sporge prima e destra e poi a sinistra come alla ricerca di un particolare, di un preciso segno che si, vi sia un terribile errore in quella visione.

Che sia tutto frutto di un fraintendimento.

O di un terribile sbaglio. 

O, molto più semplicemente, del desiderio dell’aver sbagliato, dell’aver mal visto e quindi travisato.

Di aver equivocato la magrezza di quelle membra, di quelle gambe mezze rannicchiate su se stesse, deboli di una parentesi quasi infantile, puerile.
Di aver frainteso quelle mani ossute racchiuse a pugno, le dita a scomparsa nel palmo serrato, livido, appeso ai polsi sottili come la banderuola al pennone.   

E di aver distorto la nuca aguzza, marchiata dall’emergere delle ossa della cervice come dallo sporgersi del dorso di un grande animale dalla superficie del mare.

Eppure no.

Ecco allora la sembiante di quello sguardo tremolare appena, il volto che si abbassa, che si piega appena di lato, come desiderando, come tentando senza in realtà riuscirci di sottrarsi a quella visione. A quello spettacolo.

E ancora no.

No.

Malgrado tutto. Nessun errore.

Nessuno spazio concesso, lasciato o anche solo dato come pegno all’incertezza su quel corpo esanime, immobile, tanto fisso nella propria stolida inerzia da far quasi pensare alla più fatale delle conclusioni per quel mirabile sonno.

Per quel terribile sogno.


Kagome giace, dormiente, ai piedi di quella infima cella.

Ed il suo respiro langue, lento, nello stanco trascinarsi del tempo.

 

Assente il suo volto, teso ed insieme morbido di una tranquillità forse apparente, forse tale solo nell’onirico che ancora la rapisce, la tiene avvinta a sé per impedirle di capire, di percepire l’affacciarsi di un nuovo istante, di un nuovo attimo.

E per un momento sarebbe bello pensare che ella possa rimanere li in eterno. Quasi felice. Quasi dormiente. Prigioniera dell’estasi di un mondo fatto a misura per lei. Scritto ed intessuto per alleviare la sua agonia.

Ma si sa.

La verità è implacabile. Il mondo non è certo cosa cui competano tanti riguardi e frivolezze per coloro che nulla hanno fatto per compiacerlo, per deliziarlo e far si che, almeno per un secondo, esso si ricordi di loro.


Così, nel tremulo infrangersi di un istante, di un respiro forse più profondo degli altri, ecco la piuma posarsi infine sulle palpebre della giovane, palpitante riflesso di un mai tanto agognato fiore il cui nettare avrebbe potuto ispirare amore o odio al destarsi dell’addormentato.

Ed ecco quindi il velo di beatitudine turbarsi appena, tremolando in piccole e frementi onde increspate.

E poi sussultare, lievemente, la certezza della vita che rivive e risorge come una folata di vento gelido nel corpo abbandonato a se, schiavo dell’immagine beneamata della morte, del lungo e finale sognare.

 

 


Di nuovo un saluto a tutti quanti.^///^

Direttamente dall’inferno ecco riemergere me medesima con un nuovo – e tragico oserei direT__T – capitolo in cui, più che mai, si respira la mia difficoltà nello scrivere e nel pubblicare.

Vorrei innanzitutto scusarmi con coloro che, non a torto, hanno sicuramente iniziato a pensare che si era ormai all’alba di una nuova pausa di riflessione ( e via con altri due anni di meditazione -.-‘’’) ma, per rassicurarvi, vorrei aggiungere che questa volta il mio ritardo è dipeso esclusivamente dalla densità ( oddio…la statistica inizia a dare i suoi cattivi frutti….) dei miei impegni sia scolasti che non^^’.

Per cui…ora che il periodo “difficult” è finito, posso dire che ho un bel po’ di ispirazione da smaltire quindi, spiacente, non vi libererete in fretta di me X’D

 

Parlando di cose “serie”: questo capitolo è solo la metà di quello che mi ero prefissa di postare ma, visti i contrattempi, ho pensato che fosse meglio questo di niente, salvo che farò il possibile per completarlo con il suo seguito decisamente più…avvincente.

Mi sono accorta infatti, rileggendolo, che è un capitolo molto “immobile” e decisamente “turbativo”, forse il frutto della mia indecisione sul come rendere la scena che seguirà…

 

E per ultimo, ringrazio TUTTI coloro che hanno commentato. Grazie davvero anche per aver risposto alle mie domande da donna complessata *__* spero non vi stancherete di farmi da crocerossine X’D

 

UN bacio. Elendil.

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Kagome aprì gli occhi.

Nel gelo di quel nulla, potè quasi avvertire le proprie pupille dilatarsi, impercettibile nervosismo, alla ricerca del minimo e più sparuto spiraglio di luce sul quale focalizzarsi e da li, lentamente, dedurre tutto ciò di cui avessero bisogno per capire che ancora, di nuovo e come sempre, ella si trovava nella propria cella.

Sospirò piano, cautamente, il flettersi delle costole che scricchiolava in lei come il destarsi delle lancette di un orologio rimasto a lungo inerte a prender polvere.

E si prese poi un istante, un attimo di misera illusione, prima che infine le sue palpebre si richiudessero lentamente, la stanchezza che andava a giustificazione dell’incapacità di sforzarsi oltre, di provare di nuovo a dedurre ciò che la sola immaginazione poteva oramai chiarificare.

Sentì le sue labbra vibrare appena, lo sforzo di un movimento che le crepava come ghiaccio sottile sotto cui riposasse lo sguardo vacuo dell’inverno.

Niente di nuovo, insomma.

Tranne il gelo sulle tempie, il freddo nel ventre, il sapore dell’acido nella gola. Ovviamente.

Ma forse, pensandoci bene, nemmeno questo era qualcosa di nuovo, tutto sommato.

E cos’altro quindi?

Accorgendosi che, in fondo, non aveva poi tutta questa fretta di rispondersi, Kagome si concesse un lungo sospiro, ancora, la fragile consistenza del suo stesso fiato che le scivolava lentamente sul volto come brina prossima dal cristallizzarsi, insapore ed insipida del vuoto di uno stomaco da troppo tempo arido e avido di cibo vero. Digeribile.

Attese.

Aspettò.

E indugiò a lungo e ancora nei propri pensieri, la fiacchezza della mente che tardava a formalizzare tanto la domanda quanto la risposta che ne sarebbe dovuta seguire.

Cos’altro?

Esitò, cauta.

Cosa?

Espirò, la tentazione del dolore che le scivolava sulla pelle come una carezza appena avvertibile.

Come dedurre la sensazione del tempo fra le dita? La percezione dell’aria sul volto come se qualcosa, qualcosa di impercettibile fosse cambiato?

Sbattè piano le palpebre, come se tentasse a fatica e solo allora di ricordare il significato della parola “Concentrazione”.

Dove?

Forse intorno a lei. Si disse. Forse dentro di lei.

Forse li, in quella cella che, stranamente, ora sembrava avere qualcosa da dirle. Qualcuno di cui parlarle.

Qualcuno...

Si dilungò allora nella parvenza di un sorriso, il labbro che arrossiva dell’intenzione di schiudersi e mostrare i pochi denti rimasti.

 

Ma no.

Che pensava.

Sciocca bambina.

Nessun ospite a parte i topi e le cimici per lei. Nessun ammiratore ad attenderla oltre quella porta e li, fremente, chiederle un autografo.

 

La prego, la prego Miss! Miss! Un Autografo!

 

Oramai, con le mani rotte, non avrebbe più potuto firmare nemmeno la carta igienica.

Ammesso che mai si fosse ritrovata ad usarla, un giorno.

Si sentì tentare ancora di sorridere, miseramente, uno dei due incisivi che finalmente scavalcava il labbro inferiore provocando la sua inesorabile rottura.

Che tristezza…

Eppure sbattè di nuovo le palpebre.

Ancora.

Come per l’improvviso spiraglio di vento che, insinuandosi fra le ciglia, costringa l’occhio a socchiudersi, infastidito.

Deglutì goffamente, l’acidulo insorgere del dubbio che ora affiorava nuovamente dalla laguna dei suoi pensieri lattiginosi. Turbandola.

Ancora.

Sentì la gola rivoltarsi di nuovo in una dolorosa strozzatura, un gozzo di saliva e sangue che prendeva a scendere denso lungo la trachea, lubrificando la carne secca, sconvolta dall’arsura.

E poi eccolo.

Finalmente.
Il misero segno rivelatore che palesa laddove ogni altra cosa avrebbe lasciato orrendamente nell’ignoranza.

Che rende inconfondibilmente un sorriso ciò che prima era stato solo due occhi e un naso.

Che rende un semplice profumo, un solo misero odore, una persona reale, autentica.

Inuyasha.

Li, unico elemento di stonatura in quella orrida melodia che ora pareva essere divenuta la sua vita. Unico elemento di colore in quella melma marcescente che, prima fra tutte lei stessa, lentamente si putrefaceva in quello stanzino senza aria.

Inuyasha.

 

“ Buongiorno Kagome”

La raggiunse la sua voce.                                                                                                                                                                                                             

Senza tono, senza espressione. Semplicemente un ciao. Ma oramai era da troppo che Inuyasha non le si rivolgeva più direttamente. Era da troppo tempo che lasciava ad altri il piacere di curarsi di lei, fosse anche di torturarla, perché ella potesse pensare di aver effettivamente inteso il tono delle sue parole.

Sospirò quietamente, con una sorta di rassegnazione mista a rinuncia.

O forse, con molto meno slancio emotivo, era solo troppo stanca per capirlo. O solo anche per ascoltarlo.

Per dare un senso a quel suo solito modo cadenzato e singolare di parlare, come se ogni frase non fosse stata solo il frutto del vivendo ma di una ben più accurata riflessione. E intenzione.

 

Ciao. Kagome.

E lei, debole, socchiuse dunque le palpebre.

Appena.

Mortificata, assente, più semplicemente apatica, la fiacchezza del corpo che rabbrividiva un poco del suo respiro spossato. Come un pezzo di carne morta che, appeso al soffitto, si muova appena al più breve spostamento d’aria. Penzolando.

Senza volerlo, tuttavia, senza desiderarlo, in verità, ma incapace di far altro se non quello.

Di riflesso, Inuyasha si poggiò al muro alle sue spalle, la schiena che rigida aderiva a quella superficie umida, sdrucciolevole, impestata di scarafaggi e muffe. Sospirò lentamente, lasciando che il suo sguardo indiscreto soppesasse senza riguardo di galanteria o finezza alcuna il mese di assenza che l’aveva separato dalla ragazza.

Fiutandone la sfumatura marcescente delle membra, della pelle torbida, melensa come quella di una pietanza oramai ben prossima dal potersi definire “ avariata”.

E Sorrise. Come se qualcuno avesse appena fatto una battuta ed egli, per cortesia, si degnasse di incurvare appena quelle sue labbra tese, sottili come un graffio su una tela perfettamente bianca.

“ Immagino che sarebbe cosa sconveniente farti i complimenti per la linea, non è vero, Kagome?” abbozzò con un mezzo ghigno.

Scosse un poco il capo, come divertito dalle sue stesse parole per poi, con nuovo slancio, aggiungere “Permettimi però di lodare il tuo stato di conservazione. Non pensavo che saresti arrivata fino a questo punto” esitò, scoccando una breve occhiata al volto di lei per poi terminare con un ghignetto  “E nonostante tutto sembri ancora una donna“.

 

Immobile, il capo una densa schiuma di nervi ossidiana per metà raggrinziti, Kagome parve astenersi dall’interpretare la parte della femmina-offesa-e-oltraggiata.

Ancora…

Che si alzi improvvisamente da terra in un nugolo di vesti per metà strappate nei punti “migliori” e gridi “ Io SONO una donna, razza di Idiota!” e lo provi al suddetto cretino scagliandoglisi contro in un bacio mozzafiato.

Ancora…

Come se fosse stato possibile parlare di lei ancora al presente.

In termini di Donna o Uomo. O anche solo di essere umano, in realtà.

Oh, Inuyasha…

Inuyasha parve attendere un attimo, le dita che prendevano a tamburellare sulla stoffa dello yukata con regolarità misurata. Un motivetto, probabilmente. Poi, nel triste palesarsi dell’ovvietà, della realtà per cui la “donna” in questione se ne sarebbe rimasta inerme a terra e lui per metà poggiato al muro della cella, il mezzo demone schioccò la lingua sul palato, una vena di stizza che affilava improvvisamente il suo volto.

“Mai che le cose vengano fatte bene se lasciate in mano ad altri, eh?!” ridacchiò dunque in direzione della giovane. Si passò una mano fra i capelli così che, solo per un secondo, il suo profumo selvatico prevaricò su quello di lei aleggiante nella cella.

“ Avevo detto di fare quanto di dovere per rendere il più delizioso possibile questo tuo soggiorno e cosa ne ho ricavato?” un istante di silenzio “ Niente più che la tua data di nascita, il nome di tua madre e il nomignolo del Dio a cui tu ti rimetti quando sei più che certa di stare per morire” concluse incrociando le braccia al petto.

Dal nulla, pallida imitazione di un’interlocutrice, l’ombra di Kagome si diede la pena, solo, di respirare.

“Inutile. Del tutto inutile, come penso potrai convenire anche tu” sorrise tuttavia Inuyasha, i canini che per un attimo sporgevano dalle labbra socchiuse come piccoli diamanti incastonati in un volto di porcellana.

Una smorfia che, di rimando alla persistente apatia della giovane, al posto che accentuarsi parve inaridirsi.

“Ma non fraintendermi” riprese dopo un attimo, con una punta benevolente nella voce propria di chi si proponga di cominciare un lungo e dotto discorso pur consapevole che pochi, o forse nessuno, sarebbero stati capaci di afferrarne il senso  “ Non è che io dica così perché non mi interessi sapere quanto tu sia incredibilmente giovane ed essere informato che, nonostante l’aria da dura, pensi ancora alla mamma quando piangi da sola nella tua cella rammaricandoti di quanto tu possa essere stata sfortunata a finire qui…Ma vedi…” si interruppe accovacciandosi sulle ginocchia così da potersi meglio accostare alla giovane. Mimò un movimento stanco con il capo. “ La verità, vedi, è che non me ne frega niente. Assolutamente niente. Niente l’idea di chi fossi un tempo. Niente il nome del Dio che ti ha abbandonato a lasciarti marcire qui sbattendosene del tuo destino. Niente.”

Si perse di nuovo in un silenzio quasi d’attesa, come aspettandosi che finalmente quel mucchio di ossa si risvegliasse all’improvviso e sbraitasse qualche stupida obiezione alle sue offese. Un po’ come la scena della giovane mezza svestita di prima, ad occhio e croce.

Ma, non accadendo nulla di tutto ciò, si scoprì a sospirare quietamente, quasi annoiato. O forse, più tediato da tutto quello sproloquiare con se stesso che altro.

“ Non frega a nessuno chi fosse Kagome” aggiunse quindi ora voltando lo sguardo dall’altra parte, attirato forse da un pensiero improvviso, le parole che scivolarono allora più lente dalle labbra in una dura smorfia di disprezzo.

Esitò, immobile, lo sguardo che andava ancora a cercare il volto della giovane in una nuova, insperata, ricerca di reazione.

Di nuovo invano.

Il corpo riverso sul pavimento come un tappeto sgualcito dal tempo che nessuno si fosse mai curato di rammendare, Kagome pareva un animale selvatico, un tempo bellissimo e terribile, ora scuoiato e messo in bella mostra per i comuni visitatori.

“ E la verità è che non importa nemmeno a te “ decretò quindi infine Inuyasha, la voce che si abbassava quasi ad un sussurro.

Come se, tutto sommato, le avesse appena confessato un segreto.

Una intima rivelazione.

“ Altrimenti avresti parlato, avresti sputato subito quei nomi che ti avrebbero salvato da tutto questo” nel dirlo fece come per sfiorare la pelle della ragazza. Ritrasse subito la mano, il palmo che si richiudeva accartocciandosi su se stesso, come plastica bruciata dal calore di una fiamma.

Si rialzò di nuovo con uno scatto in piedi, il frustare delle vesti attorno a lui che spazzava il silenzio.

 

Kagome si sentì deglutire a vuoto, lentezza estenuante, le parole del mezzodemone che le scivolavano addosso in una cascata di lettere senza senso. Quasi prive di significato.

Impossibile da comprendere, suo malgrado. Impossibile da scioglierle da quella fitta matassa in cui egli aveva saputo aggrovigliarle. Nonostante ella si sforzasse. Nonostante ella ci provasse.

Poiché tanta pareva essere la loro importanza. Tanto il loro valore da costringere perfino Inuyasha ora a muoversi con gesti incerti nell’asfissiante rigidità della cella, ora a tentare di misurarne con i passi il perimetro per poi ricordarsi che ovunque le tracce di lei l’avrebbero insudiciato. Sporcato.

E allora se ne ritornava fermo, una stizza insolvibile che graffiava i bordi della sua figura per metà celata dal buio.

Poiché parevano essere le solite parole. I soliti modi per mostrarle quanto, nonostante tutto, ella fosse insignificante. Misera. Quanto ella non smettesse mai di essere l’inferiore deformità che era prima di finire in quel luogo e che sarebbe per sempre stata anche al di fuori dello stesso.

Le stesse medesime strofe di un ritornello che Kagome oramai pareva conoscere a memoria.

Stupida Umana, Buona solo come concime dei campi.

Stupida Umana, Bestia senza intelletto incapace di far altro se non grugnire nel fango della propria esistenza.

Litanie ritmate di scarsa convinzione e puerile volontà. Eguali nel proprio consueto avvicendarsi ed alternarsi.

Eppure ora differenti.
Ora diverse.

Anche rabbiose nonostante il tono fermo, compresso, rigido.

Anche febbrili, nonostante i lunghi silenzi ad intercedere fra l’una e l’altra.

Sospirò, una smorfia di dolore che le costò un gemito senza suono.

 

Perché, Inuyasha? Perché tanta furia di ricordarle l’ovvio, di spiegarle l’esatto?

Perché ora questa rabbia, questo risentimento? Da quando in qua il bambino dispettoso che fa a pezzetti i vermi prova reale ed autentico rancore verso di essi?

Esitò.

 

Dove devi andare Inuyasha?

 

Sai…” Mentre il sorriso ironico sbiadiva, il mezzo demone posò nuovamente le proprie iridi ambrate sulla giovane donna riversa ai suoi piedi. Socchiuse appena le palpebre, come per l’affiorare di un nuovo pensiero questa volta apparentemente poco incline a rinnovare il suo divertimento, il suo sorriso a metà fra il goliardico e il saccente che ingrigiva. Inspirò piano, con misurata lentezza. Forse cercando la labile sfumatura del Tempo più che di veri e propri profumi- o olezzi -.

Si toccò con un dito il sopracciglio destro, come disegnandone il contorno.

“C’è una leggenda che narra come La Morte e Il Sonno fossero in realtà due fratelli.” cominciò quindi col dire dopo un attimo di silenzio. Si schiarì un poco la voce, quasi si ritrovasse ad essere improvvisamente imbarazzato. Quasi si fosse accorto solo allora di ciò che aveva intenzione di dire. Suo malgrado.

Tuttavia, senza muoversi da quella posizione in cui ancora si trovava, a metà fra la porta e Kagome, quasi indubbio su quale dei due preferire, continuò a parlare. In un sussurro. “Due bellissime divinità figlie dello stesso padre ma consacrate a due volontà ben dissimili fra loro. Eppure così prossime ad essere l’una la radice dell’altra che talvolta si mancava di distinguerle e le si accomunava invece alla medesima sorte. Così, passando di secolo in secolo, nel pensiero comune la Morte finì un giorno per divenire il Sonno passeggero e il Sonno, la Morte eterna” continuò, il lento cadenzare della sua voce che, forse per la prima volta, riusciva comprensibile alla giovane accanto a lui “ In molti paesi questa superstizione ha così preso piede che vi è addirittura chi ha il terrore di addormentarsi nella medesima posizione distesa consona ai morti riposti nei propri feretri, poiché teme che la propria anima, vagando spensierata nel mondo dei sogni al calar della notte, tornando al mattino e vedendo un corpo non sopito in una sonnolenza passeggera ma già steso come defunto nel sudario delle lenzuola, cada in errore pensandolo spirato e se ne allontani per sempre, piangendo. E così, privata del luogo ove dimorare, l’anima del defunto si ritrova costretta a vagare in eterno nel mondo dei vivi. Senza pace.” Nel sussurro della propria voce, il mezzo demone si mosse piano, lentamente, un fruscio di vesti che scivolava silenzioso nell’aria. Come il sospiro di uno spirito irrequieto.

Attese un attimo, come preoccupandosi che anche Kagome afferrasse il senso di quanto aveva detto. Poi sospirò, una mano che andava a velare i suoi occhi ferini.

“ Poco fa, nel vederti dormire, mi è tornata in mente questa storia.” buttò li leggero, le dita che cadevano pesanti dal volto per raccogliersi sul grembo. Deglutì a vuoto, lo sguardo che si spostava da una parte all’altra della cella. E poi ritornava su Kagome.

“ Parevi così calma. Così quieta…Così in pace… “ esitò. “Che davvero per un secondo mi sono ritrovato a credere che fossi già morta ”  Esitò. Di nuovo. E ancora.

“ Mentre la tua anima…” aggiunse con una nota stonata nella voce. Suo malgrado si ritrovò a fare un vago gesto con il braccio, come misurando lo spessore dell’oscurità attorno a loro “ Fosse rimasta ancora intrappolata fra queste mura, imprigionata. Solo in attesa che io aprissi la porta per sgusciarsene impalpabile attraverso lo spiraglio e librarsi finalmente libera nei cieli”  

Tacque improvvisamente. Quasi sorpreso. Si schiarì nuovamente la voce. Poi scosse il capo, il barlume dell’inquietudine a mordere il susseguirsi dei suoi gesti.

Dannazione.

Dita fra i capelli.

Ma che diavolo si metteva a dire, adesso?

Per un istante, non senza una nota di nervosismo, Inuyasha realizzò di stare procedendo a parlare come lo scemo di turno ( alias galoppino di Sesshoumaru) che, ignaro di se stesso, se ne iniziasse a blaterare tutto convinto cercando in ogni modo di seguire un filo di pensiero davvero molto, molto, complesso. In realtà, ovviamente, tanto penoso da costringerlo ad arrossire suo malgrado, il corpo a rispondere della vergogna ancor prima del cervello -troppo ottuso per farlo-

Ma che, nonostante tutto, continui a sproloquiare. Non contento. Forse riflettendo di tanto in tanto, di sillaba in sillaba su cosa dire e come dirlo. Ed in realtà evitando accuratamente di farlo. Certamente. E poi, infine, portandosi una paffuta manona al petto, si permettesse di scuotere il capo e lasciarsi andare ad una grassa risata. Tanto sostenuta e ricca di belletto da spargere tutt’attorno uno sbuffo di talco e cipria. Quasi nevicasse intorno a quel ridicolo mondo in miniatura. Lui e la sua pancia.

Come se, fra sé e sé pensasse, semplicemente “Ma che importa?”

“ Curioso, vero?” riprese poi in una smorfia Inuyasha, un acre cipiglio che tendeva i nervi del suo volto “ Io vengo qui. E mi aspetto di vederti rantolare a terra. Di sentirti strillare ed invocare pietà. Di ricevere il tuo più sano odio e di ricambiare con il mio più sincero disprezzo e invece cosa trovo? “ quella strana espressione parve accentuarsi, una crepa melensa sulla cornice di un’affettazione senza gusto “ Trovo una dolce fanciulla assopita, le membra avvolte su se stesse come se ella fosse rannicchiata nel suo dolce lettino. Come se il tepore delle lenzuola la spingesse a goderne ancor più appallottolandosele tutt’intorno al corpo magro e longilineo, quasi adolescenziale. “ fece come per muoversi, ma poi sembrò ripensarci “ E sorride. Lei. Di quel sorriso nascosto che appartiene a chi possiede un meraviglioso segreto e non voglia rivelarlo a nessuno. Sorride come se quello che stesse facendo li, mezza moribonda e mezza morente, non fosse il suo proverbiale ultimo sonno ma solo uno dei tanti, fantastici, sogni che tanto popolano la mente felici dei fanciulli” espirò un attimo, la curva della schiena che si piegava nuovamente per volgersi alla figura di Kagome, al suo viso, come nell’atto di rievocare su quei tratti stanchi le sopracitate espressioni di poc’anzi.

Invano. Suo malgrado.

Ma cosa si era aspettato, in fondo?

Così, un fremito nello sguardo ruggine, Inuyasha sospirò.

“ Quella calma. Quella beatitudine.” Socchiuse piano le palpebre “ A pensarci viene quasi da ridere. Che nonostante gli interrogatori, nonostante la fame, la sete…Nonostante questo…con un movimento del capo indicò lo stesso corpo marcescente della giovane “ Tu te ne stessi li a sorridere. Come se, semplicemente, ti fossi assopita per un istante e, al tuo risveglio, fossi certa di trovare un mondo meraviglioso ad attenderti. Una gioia ineguagliabile ad aspettarti. Come se tutto questo non fosse stato altro che un brutto sogno, per te”.

Come se la mia intera vita non fosse altro che un brutto sogno, per te. Avrebbe voluto dire.

Ma non aggiunse altro. Inuyasha. Mordendosi a sangue le labbra senza avere la minima concezione di stare facendolo. Non si permise di aprire ulteriormente la sua mente ( mai il suo cuore, mai che egli si fosse dato pena di capire se ve ne fosse stato inserito uno nel suo corpo fin dalla tenera età) a quella sconosciuta che pareva stare ad ascoltarlo solo perché fra tutti i sensi l’udito sembrava essere stato l’ultimo ad abbandonarla.

Socchiuse allora le palpebre, sebbene non vi potesse essere alcuna luce in quella gabbia di pietra, la sensazione di dover assolutamente impedire a quel pensiero di risalire oltre nel suo subconscio che gocciolava insieme al sangue dal proprio mento. Lentamente. Un rivolo di parole cremisi che, valicando l’aguzzo profilo della mascella, se ne andava già colando lungo il collo teso allo spasimo, macchiando irrimediabilmente lo Yukata rosso fuoco. 

Ma non ci riuscì.

Non riuscì ad impedirsi di pensare ancora, e di nuovo, a quello sciocca associazione mentale. A quella stupida consecutio dei suoi pensieri.

Alla futile tragedia che era la sua vita. Tanto insopportabile da indurlo a supporre che fosse impossibile, per lui, dormire e nel contempo sorridere in quel modo. In quella maniera del tutto semplice, istintiva. Vera.

Quindi si accovacciò ancora ai piedi di lei, il capo che si protendeva per coglierne, nonostante tutto, la fragranza leggera, penetrante, esile come quella di un fiore prossimo dall’appassire.

Poiché se la sua vita era e sarebbe stata per sempre solo un brutto sogno per Kagome, cosa dire dunque dei suoi di Sogni?

E dei suoi incubi?

Espirò. Un tremito nel petto e fra le dita che gli ordinava di voltarsi ed uscire immediatamente da quella cella. Di andarsene e non tornare più. Mai più.

In fondo non era per quello che era ritornato da Kagome? Che era sceso nelle segrete del palazzo ad insozzarsi di tanfo e morte, il respiro mefitico del putridume a lordare le sue vesti preziose, i suoi capelli d’argento?

Per informarla che probabilmente quella era l’ultima volta che si vedevano. No? Che egli sarebbe partito e forse, forse, ella non sarebbe vissuta abbastanza a lungo per poter assistere al suo ritorno.

Sentì una smorfia nebulosa arrampicarglisi su per gli zigomi.

Sempre che vi fosse davvero stato un ritorno. Ora che la terribile armata dei Miyoshi pareva aver esaurito la sua forza propulsiva. Quella micidiale potenza che ai tempi le era valsa la nomea di “invincibile”.
Invincibile.

Smorzò un sospiro stizzito.

Ora Inuyasha non ne era più tanto sicuro.

Nonostante il parere assolutamente osannante di suo padre a riguardo. Ovviamente. E di Sesshoumaru, certamente. Come dimenticare quel suo sguardo nobilmente ed aristocraticamente invasato mentre, ancora una volta, gli spiegava che era tempo di partire “ TRIUNFANTEM!” per la guerra? 

Un nuovo, ghigno melenso.

Ma…com’era?...la speranza è l’ultima a morire. E la stupidità PURE.

Esitò. Una sbavatura ancora al suo agire solitamente impeccabile. Solitamente perfetto.

Non era forse corso li, i passi che procedevano rapidi per gli stretti corridoi delle prigioni come il rullare frenetico dei tamburi di battaglia fuori dalle porte della capitale solo per dirle, infine, Addio?

Addio, Kagome. A mai più rivederci.

A mai più rincontrarci. Spero.

So che, anche se perduta, dannazione, la tua anima non potrà mai avere il cuore di abbandonarti. Di rinnegare te, creatura tanto gelosa del proprio esistere da non sapervi rinunciare nemmeno ora. Figuriamoci. Nemmeno adesso che l’ultima contrazione fastidiosa del tuo cuore risuona stanca fra le vertebre incavate, fra i nervi sgualciti del collo, tentando invano di risollevare un volto oramai privo di espressione.

E che la mia…

Senza volerlo, Inyasha sentì il proprio  corpo irrigidirsi. Come una corda che, torcendosi oltre le proprie possibilità, vibrasse minacciosa avvertendo l’aria circostante del suo prossimo spezzarsi. Sibilando, fastidiosa.

La mia sarà come il cane randagio che, picchiato e preso a bastonate da chiunque, se ne vada ringhiando un po’ di qua e un po’ di là. Senza meta. Sempre affamato. Sempre stanco. Sempre colmo di rabbia e rancore verso la vita.

Avvertì i propri nervi inarcarsi sotto il vitreo imperlarsi della pelle, una massa ribollente che cominciava a rosicchiare, di istante in istante, la dura cardatura dei muscoli così da costringerli a scattare, loro malgrado, in una serie di schiocchi sommessi e terribilmente dolorosi di fibre e tendini.

Per sempre lacero di ferite vecchie e nuove. Le cicatrici ad accumularsi di anno in anno sulla pelle un tempo liscia come seta e ora irta di sfregi e lacerata da offese argento e rosso vivo. Sempre al guinzaglio del suo folle titolo, della sua inusitata bramosia tale da renderlo Inuyasha, la falce rossa della Morte, il segugio dell’…

In quella sentì qualcosa sfiorargli il mento e, con una leggera pressione, ripulirlo dal rivolo di sangue che vi si era oramai condensato.

Spalancò con uno scatto fulmineo gli occhi oramai rosso sangue, sconvolti dalla luce perversa di un agonia incontrollabile, malsana, più simile alla ceca disperazione di un animale che alla furia incontrollata di un uomo.

E ringhiò.

Come una bestia. Come una fiera che, sfiorata dall’incauto proiettile del cacciatore, gli si rivolti contro, pronta ad attaccarlo e sbranarlo senza pietà per il suo errore.

Ma che, nonostante tutto, gli artigli già pronti a scattare per affondare nella sua preda, esiti ancora un istante. Lo sguardo felino che metta lentamente a fuoco l’immagine spaurita del proprio avversario e lo veda così, la canna fumante del fucile ora tremante nelle mani insicure, la mente già ricca di rimpianti per aver sbagliato quell’unico, proverbiale, colpo.

E che ancora, nonostante per lei non vi sia già più il tempo di studiare e misurare il proprio nemico, si mantenga malgrado tutto fissa, indelebile immobilità, su quel volto ansante, terrorizzato, viziato dal panico.

E non si muova. Non tenti nemmeno di scostarsi per attaccare o per fuggire.

Semplicemente, incomprensibilmente, rimanga li. L’una nell’indugiare dell’altro. La visione della prima che scavi senza possibilità di recedere in quella del suo diretto oppositore.

Così che, forse per un istante, forse per più di quanto fosse possibile permettere ad entrambi, ella possa infine vedere se medesima, la bestia, negli occhi del suo nemico. Vedere la sua immagine. Il suo collo reclinato verso terra, i muscoli gonfi, il manto lucente, scuro contro il chiarore del sole.

E avvertire poi la stessa fiera, la medesima belva, far tuttavia capolino dai suoi stessi occhi. Riflesso involontario. Dal proprio addentrarsi e frugare nell’animo dell’altro infin dal riuscire a carpirne la più vivida essenza. Il più autentico sapore. Il volto più oscuro e incerto.

Eccola li. Ecco il vero riflesso di ciò che è.

Quella creatura per lo più dormiente, per lo più sepolta sotto infiniti strati di convenzioni e socialità. Quel suo essere, nonostante tutto, animale. Sebbene essere umano. Sebbene persona cosciente.

Quel suo riconoscersi, ad un passo dalla fine, eguale al riflesso della propria morte. Eguale all’abisso tanto temuto, tanto fuggito. Ed infine, nient’altro che l’altra faccia della Luna.

E avrebbe voluto scattare, Inuyasha. Scattare come la fiera che sapeva di essere ed aggredire quella misera vittima, tanto incauta da osare sfiorarlo. E sbranarla. E farla a pezzi. E distruggere ogni fibra del suo corpo e cibarsene a sazietà, la carne calda a mischiarsi nello stomaco alimentando il piacere, inondandolo di sazietà e soddisfazione.

Prima che fosse lei a farlo.

Ma già egli stava stringendo a sé Kagome. Già la stava baciando. Premendo con forza le proprie labbra alle sue così che il fiato annegasse di lei in una scomposta mistura di affanno e rancore. Di passione ed odio.

Odio.

Così tanto da indurlo a schiacciare con violenza quel corpo sottile contro il suo, ad artigliarne la pelle fragile fra le unghie, i palmi a rivendicare fino allo spasimo la bramosia di sentire le scapole e la schiena di lei piegarsi all’impellenza del suo volere, del suo bisogno. Insensibile a qualsiasi opposizione, a qualsiasi ritrosia.

E già avvertiva i propri capelli argentei scivolargli dalle spalle per precipitare sul corpo della ragazza mentre la costringeva a sdraiarsi a terra, mentre poneva sul suo volto da fanciulla una mano artigliata per obbligarla a voltare di lato la testa.

Kagome. Bestia senza fiato. 

La curva sottile della mandibola cedette, ed insieme alle labbra di Inuyasha, le dita di lui andarono ad inanellarsi nelle – manchevoli- ciocche brune della ragazza così da imporre il proprio ritmo, così da lasciare che il suo fiato sgorgasse con un gemito ovattato dal collo alle spalle di lei. E la desiderasse. E la possedesse. E parlasse del ruvido farsi strada di Inuyasha fra le sue gambe, la ricerca affannosa del proprio piacere che rendeva febbrile ogni movimento, ogni azione confusa, distorta da una fretta incontentabile.

Kagome. Kagome. Kagome.

Un gemito lieve, debole, disfatto.

Ed un ringhio basso, cupo, roco.

Kagome. Kagome.

Un lamento breve, un sussurro fra i denti.

Amami.

Un grido lacerante, convulso, lancinante. Una ferita nel buio.

E poi Inuyasha si fermò. Improvvisamente. Una mano alla base della schiena di Kagome per trarla a sé, finalmente, disperatamente. L’altra alla nuca. Le labbra sul suo collo, ad annaspare, affannose, nel morso di denti appuntiti, bianchi come diamanti nell’oscurità.

Per un secondo, un lungo ed interminabile secondo, Inuyasha parve non capire. Non riuscire ad afferrare cosa, esattamente, fosse successo. O cosa diavolo stesse facendo. O cosa avesse già fatto.

O, più semplicemente, che cosa l’avesse portato dal prima-di-quel-momento a quell’esatto istante.

Poi, con un movimento lento, torbido, rigido come se i muscoli faticassero a ricordare come si facesse a muoversi, il mezzo demone si scostò.

E, molle, la testa di Kagome vacillò un poco, come il moncherino reciso di un arto spezzato per poi, in un fruscio, ricadere all’indietro. Il busto a flettersi fra le dita del mezzo demone, il torcersi delle costole che pareva l’infossarsi dei tasti di un pianoforte.

E sospirò. Un rivolo di sangue a sbavare di porpora le sue labbra.


Kagome. Bestia senza voce.

Aspro. Ferruginoso. Acre. Inuyasha registrò senza in realtà avvertirlo il sapore di quella ragazza in gola. La lingua che misurava con una sorta di calma ponderata l’alone patinato della sua saliva rimastagli intrappolata fra i denti.

Un sapore di cadavere. Ora che ci pensava. Un sentore di morte.

Sentì le proprie mani perdere appena la presa attorno alla vita di Kagome, come se lo sforzo di sorreggerne il corpo fra le braccia fosse improvvisamente divenuto gravoso.

Rabbrividì, suo malgrado. E si ritrasse ancora di un altro paio di centimetri, nonostante se stesso.

Scusami.

Scusami. Parve tentato di dire.

E ciononostante, sbattè solo le palpebre. Lo sguardo attonito che perdeva il fuoco.

Scusami. Scusami, Kagome.

Di tutto. Di niente. Di cosa, in fondo?

Scusa.

Ma ciò che gli riuscì di fare fu solo voltare la testa di lato e sputare sul pavimento. Bava a insozzare il lurido piastrellato.

E accostarsi poi di un poco al capo inerte della ragazza. Sporgersi, con flemma trattenuta, all’orecchio di lei, le braccia che si stringevano nuovamente attorno alle sue spalle così da consentire al mezzo demone di disegnare con il proprio ghigno ipocrita la fiacca C del padiglione auricolare, alitandovi attraverso in un sibilo contratto.

 

“ Addio, Kagome.” Sogghigno senza fiato. ”Questo è il mio regalo per te. L’ultimo che riceverai. L’ultimo che io ti farò.” si umettò le labbra, riconoscendo sotto la lingua i solchi scavati poc’anzi dai suoi stessi denti “ Il mio vero volto”

C’era del sangue sulle sue dita. Sotto le sue unghie. Sangue fra le sue vesti. Sangue a sbocciare su di lui come il disperdersi di milioni di petali cremisi. Una tempesta di sudore e rubini ad arricchire ancor più la sua veste regale. I suoi nobili tratti da principe.

“ Ricordati di questo, Kagome. Di questo soltanto. Così che quando, presentandoti dinnanzi al creatore, egli ti chiederà “ chi ti ha fatto questo?” tu saprai esattamente contro chi puntare il dito”

 

Lentamente, come se solo allora egli si fosse accorto di stare stringendo fra le braccia un piccolo origami di cartapesta, il mezzo demone posò allora a terra l’esile figura di Kagome, la nuda carnagione di lei che aderiva al pavimento bagnato come garza su una ferita ancora sanguinante. Impregnandosi.

Avvertì il suo odore di donna indugiare per un secondo ancora su di lui, la misera carezza della sua inconsapevole sensualità passita ad aggrapparsi al rosso fulvo delle sue vesti, alle pieghe stropicciate delle maniche gonfie e cadenti sul marmo consunto. E poi lasciarsi scivolare sul fondo, l’unto racimolarsi di ogni cosa ai piedi del mezzo demone che formava una pozzanghera scura, spiacevole.

Mentre le sfuggivano dalla presa, le dita di Kagome vi finirono con un tonfo attutito nel mezzo, l’indice e il medio che affondavano fino all’unghia. Sulla punta del primo, proprio sotto l’unghia, una macchia scura. Rosso vivo.

Scricchiolando, Inuyasha avvertì i propri denti serrarsi l’uno all’altro, la bocca dello stomaco che, pericolosamente, si apriva in direzione dell’esofago, inondandolo dell’acidulo preambolo del vomito.

Senza pensarci trasse a sé quelle dita e, con un’unica lappata, pulì del proprio sangue la pallida carnagione di Kagome proprio nel punto in cui la sua dolcezza aveva in un ultimo gesto sfiorato il suo animo. Bruciandolo.

Poi pose il braccio accanto al fianco, i suoi movimenti che guidavano gli arti di lei a coprire il suo corpo come se egli, inconsapevolmente, stesse mettendo a riposo un corpo che egli sapeva non si sarebbe più svegliato.

 

“ Addio Kagome. Mi aspettano.” riprese in un sussurro, il gocciolare delle sue parole che annegava nel buio. Quasi stesse soffocando “ Meglio non far credere a tutti che io preferisca star qui a parlare da solo nel più schifoso buco di tutta Yarda piuttosto che gettarmi nella mischia.”

 

Sorrise. Il vuoto ridondare di un’espressione forse troppo abusata. E con un unico, morbido, movimento, Inuyasha si tirò in piedi, si pulì le vesti, si voltò, e attraversò la soglia della cella.

Fuori, la terra tremava del rullo dei tamburi, dello scalpiccio delle armature, del fremere dei cavalli. Dentro, il silenzio si chiuse infine sulla figura immobile di Kagome. Si serrò in ultimo dietro al lento allontanarsi del mezzo demone.

 

 “ Hai detto Addio, Inuyasha?”

La voce del fratello raggiunse il mezzo demone mentre questi, il passo lento e misurato, avanzava con il proprio cavallo appresso, le dita a trattenerne le redini in pelle.

Non rispose.

La polvere gli bruciava gli occhi, il sole pareva rendere ogni cosa di un congestionato rosso fuoco, i contorni che si sfuocavano nel tremolio dell’aria rovente. Tutto sembrava fiammeggiare, incendiato dal condensarsi di mille fiati e mille scintillii di armi e armature. Di bardature e stendardi.

Sesshoumaru si concesse un ghigno sghembo e con un sospiro canzonatorio diede un colpo di talloni ai fianchi del suo  cavallo, l’incedere impettito della bestia che scattava un poco in avanti a raggiungere l’andatura pesante del secondogenito.

Gli si accostò con uno sbuffo di stoffe e sete, la coda nivea del destriero che svolazzava un poco nel vento, leggera.

“ Le hai detto che ti  mancherà?” riprese con un sogghigno affilato, lo scoprirsi dei denti alabastro che scintillava nel riverbero del sole.

In quella Inuyasha fermò il suo cavallo, portò le mani alla base del collo dell’animale e con un unico movimento si issò sulla schiena. Tessaiga slittò appena al suo fianco, misurando in una morbida curva il vello ossidiana dell’animale.

Il primogenito si concesse un nuovo, laconico, sorriso.

Dietro di loro seguitavano i membri della guardia scelta. Lo scalpiccio delle loro cavalcature a misurare il lastricato di Zaccar e gli ultimi proverbiali metri prima di varcare le imponenti porte oltre le quali, immobili, le truppe attendevano l’arrivo dei due principi.

“ Le hai detto che penserai a lei mentre sventrerai i suoi amichetti?” riprese Sesshoumaru mentre una raffica di vento sollevava le sue ciocche argento.

Gelido, il volto che ingrigiva nel riardere dell’aria attorno a loro, Inuyasha strinse a sé le redini del cavallo e con un deciso colpo di reni fece scartare in avanti la bestia.

Non rispose. Ancora.

L’inarrestabile rullio dei tamburi tutt’intorno era tale dal non permettere alla sua voce di raggiungere il fratello.

 

 


Buonasera ^___^

Sono tornata, anche se questa volta estremamente in ritardo rispetto alla “tabella di marcia”…

Motivo? Solito: impegni, vita intensa, esami ( a proposito…domani la prova del 9 su Macroeconomia…che gioiaT____________T) etc.etc.

Mi scuso davvero con tutti quanti ma la fine di questo capitolo ( che già avevo spezzato in due) mi ha impegnato più di quanto pensassi. Molti noteranno il divagare e il tirarla per le lunghe che, alla fine, non ho voluto del tutto togliere proprio perché, credo, sia “vita vissuta della storia” anche quella. Non per questo vi esimo dal criticare e commentare ogni parola lettera però! XD

In ogni caso, proprio per il “parto difficile” chiedo a chiunque di lasciarmi un commento. Anche solo un “ ok” oppure “ Bleah”, giusto per sapere che ci siete….il silenzio spesso è ben peggio della critica ben assestata nel costatoXD. Ringrazio anche tutti/e coloro che hanno recensito il precedente capitolo. Sono contenta che vi piaccia! Spero che questo non vi abbia deluso.

Buona lettura!

Elendil.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


In uno scroscio di sangue e acqua, la ferruginosa sfumatura del riardere di poche torce che si fondeva al tingersi della pietra, il demone immerse il proprio avambraccio nella vasca.

Ne trasse, risalire di squame e scaglie, la bianca sembiante di un braccio pallido come neve. Solo poche echimosi bluastre ad illividire il punto in cui le dita di lui stringevano il polso magro come lo stelo di un fiore. Le dita affusolate parvero tremolare un attimo, quasi in un brivido di freddo.

Con uno sbuffo indifferente, il fiato che sgorgava in dense nuvole di vapore dalle narici, egli avvicinò l’altra mano, munita di spugna, a quella carnagione lattea e, con misurato nerbo, la passò per tutta la sua lunghezza. Dal polso all’ascella, lo spezzarsi del derma rigò l’omogeneo biancore della pelle di crepe sanguigne.

Kagome gemette piano, un guaito inconsapevole dalle labbra contratte, velate appena di gocce d’acqua sporca e nel farlo la sua testa si piegò all’indietro per poi, rilassandosi, scivolare oltre il bordo della vasca, il viso che sprofondava inesorabilmente nella laguna cremisi sottostante.

Con un nuovo, scocciato, brontolio, le braccia del demone sprofondarono nuovamente nell’acqua, le dita artigliate che subito ne riaffioravano in un gorgoglio stringendo con malagrazia la capigliatura di lei.

Senza indugiare oltre, quasi che tutta quella flemma non destasse in lui altro che fastidio, l’energumeno poggiò le spalle della giovane allo spigolo del lavatoio, l’incavarsi delle clavicole che costringeva il capo della stessa a reclinarsi all’indietro dove i bordi scoscesi davano modo alla cervice di posarvisi contro senza sforzo.

La mano nodosa si soffermò un attimo sulla fronte di lei, come valutando la fermezza di quella posa per poi, dopo qualche secondo, riprendere quanto interrotto.

Stesso trattamento, stesso gemito senza voce. Stessa smorfia di paziente, seppur costretta, insofferenza.

Il corpo di Kagome risplendeva, pallido, nello scuro bacino di pietra. Tutt’attorno a lei riflessi ambrati e rubinii velavano passeggeri e solo per pochi istanti la scheletrica nudità delle sue membra per poi disperdersi nell’ombra dei bordi ripidi, taglienti e grezzi come se la bellezza di quella vasca non fosse stata cosa di cui tener conto al momento della sua creazione.

Con un gesto sbrigativo, quasi stesse strofinando stracci e non pelle umana, il demone fece ricadere una gamba appena ripulita nell’acqua, il sommesso infossarsi dell’arto che sparpagliava ovunque schizzi dorati.

Immerse poi la spugna al di sotto della scura superficie, la massa porosa oramai imbevuta di una colorazione a metà fra il marrone castagna e il borgogna che, nello strizzarsi della sua mano, rilasciava tutt’attorno filamenti scuri di sangue, quasi che da misero strumento di pulizia quel sughero si fosse improvvisamente trasformando in una ninfea e stesse ora fiorendo. Poi passò a fregare il petto.

Immobile, vitreo riflesso senza movimento, la candida figura di Kagome  ebbe un sussulto.

Vista da lontano, al riparo dell’intenso odore di sporco e sangue che emanava, ella pareva l’imago sbiadita di uno spirito delle acque, di una dormiente ninfa degli stagni solo in attesa del proprio cavaliere per destarsi e risorgere a nuova vita. Il morbido incresparsi delle onde attorno a lei che diveniva il languido fluttuare delle sue chiome di fuoco, il vigile affaccendarsi attorno a lei del demone che costringeva ad una grottesca parodia di vita il suo altrimenti immoto sognare.

Con un grugnito l’aguzzino ritrasse infine la spugna dal ventre della giovane per poi, affondando entrambe le mani nell’acqua gelida, risalire con un braccio sotto alla schiena di lei e con l’altro dietro le ginocchia.

Trasse un sospiro, come preparandosi ad un grande sforzo, e con un borbottio la tirò di slancio fuori dalla vasca, la schiena ispida che si contraeva impercettibilmente per poi ritornare nella consueta postura, quasi stupendosi della pochezza di quel peso, della fragilità di quel carico.

Diamine. Gli umani erano sempre così delicati.

Mentre il capo di Kagome, ciondolando all’indietro, trovava infine di che appoggiarsi alla sua clavicola, questi avanzò di qualche passo nella sala, facendo ondeggiare quel corpo un po’ di qua e un po’ di la per poi, come individuando la sua destinazione, dirigersi verso un angolo riparato dove, poggiato su una sedia per metà sfondata, se ne stava un telo bianco e pulito.

Un braccio di Kagome scivolò molle oltre la presa delle forti braccia, e mentre di passo in passo il demone si avvicinava alla meta, esso parve scandire come un pendolo la distanza che lo separava dal sedersi su quella misera seggiola, lasciare la presa dalle ginocchia della giovane e afferrare il drappo che subito, con sbrigativa solerzia, avvolse attorno alle sue membra gelide. Si accigliò, suo malgrado.

Era fredda come il ghiaccio.

Con imprevista cautela, quasi il trovarsela addosso avesse inaspettatamente rivelato a quell’essere la fragilità della donna, egli si mise a sfregare un poco quella pelle intirizzita, il bianco dell’asciugamano che già portava ricami e sbavature rosso sangue.

Come il ghiaccio.

Kagome sussultò, vacillò fra le abnormi braccia di quella creatura e per una sola frazione di secondo le sue membra parvero farsi contemporaneamente di legno e di gelatina per poi ricadere inermi nella stoffa macchiata già sudicia.

Nuovo vapore sbuffò dalle narici di lui. Un vago occhieggiare alla fragilità di ciò che stringeva a sé che dipingeva nei suoi tratti bestiali la sembiante di un pensiero molesto. Di un dubbio imprevisto per quella mente più abile nello squartare e torturare che nel ponderare. Poco adatta a porsi quesiti cui di natura egli non poteva e non doveva rispondersi.

Chissà perché.

Una goccia rosso vivo sgorgò dalle ciglia di lei per finirle molle sulla guancia livida. Tremò un istante sui tratti duri e scheletrici degli zigomi, eppure ancora abili ad esprimere una qualche parvenza di bellezza. Di eleganza. Per poi scivolare giù per il collo, nell’incavo delle clavicole tanto sporgenti da lasciar pensare che l’anima di Kagome, con dita nodose, tentasse ostinatamente di fuoriuscirle direttamente dal petto.

Improvvisamente a disagio in tutto quel contesto, il demone posò lo strofinaccio in quel punto, l’assorbirsi di quella lacrima esanime che allargava uno scuro alone sulla stoffa.

Chissà perché, fra tutti, proprio lei.

Sbatté piano le palpebre, inconsciamente indugiando nello scrutare l’ossuta figura di lei. Scarna. Debole. Flaccida ed insieme dura come una carcassa già sfattasi dal rigor mortis.

E grugnì. Come chi, pensando fra sé e sé, si risolva infine in un sospiro sconsolato.

La nudità dei suoi tratti scheletrici, forse un tempo da donna ma ora più simili a quelli di un infante malnutrito, sprofondavano ora nel suo abbraccio nerboruto, solo per metà ottemperato dalla vastità del panno bianco. Così che, quasi ironicamente, ella pareva una neonata nella culla.

Sbuffò piano, quasi meravigliandosi di quanto la sua mente si fosse messa improvvisamente a macinare pensieri.

Proprio lei, una misera umana che tutto era fuorché importante,  Inuyasha si ostinava tanto nell’odiare. Si ostinava tanto nel distruggere pezzo a pezzo, attimo per attimo.

Debole, il respiro di Kagome sibilò roco fra le labbra di lei. Un sussulto del cuore che si riflesse tremante in tutta la sottile superficialità delle pelle. Come incresparsi di onde.

Quasi che ogni alito perduto da lei fosse stato un sospiro tratto da lui. Un sottrarre da cui dipendeva tanto la sua soddisfazione quanto il suo stesso sopravvivere.

Con un fremito di stupore per quell’assurdo filosofeggiare, il demone si volse a cercare la pezza che, su preciso ordine del principe, avrebbe dovuto rivestire il corpo della ragazza e trovandola, li buttata per terra, si sporse per prenderla con due dita.

Quando tornò nuovamente sulla figura di Kagome, trovò i suoi occhi a fissarlo.

Immobili. Fermi. Quasi che l’incoscienza mostrata fino a quell’istante non fosse stata altro che una simulazione. Un’abile prova di recitazione in cui egli, suo malgrado, era caduto come un dilettante.

Esitò. Incerto. La stoffa delle “ vesti” in una mano e il corpo della giovane nell’altra. E in mezzo, proprio fra il suo domandarsi e il suo decidersi, due pozze color cenere. Vigili. Scure della penombra circostante. Chiare del baluginio delle torce.

In un attimo di stupida lucidità, il demone si ritrovò quasi a capire perché, che diamine, Inuyasha si fosse tanto fissato con quella ragazza. Con il suo sguardo che ora, forse per un suo personale senso della sudditanza al potere, o forse per la sua incurabile predisposizione all’ubbidire, gli pareva carico di severità e ammonimento.

Bada, demone, che per ogni capello che mi torcerai Inuyasha te ne strapperà cento. Pensò che gli avrebbe detto fra i denti. Con voce sibillina.

Poi però, come spesso capita nella più infima e banale concretizzazione della realtà, l’aguzzino tornò a essere ciò che era e la vittima, suo malgrado, a reggergli la parte.

Improvvisamente il muscoloso youkai snudò con uno strattone Kagome per imporle i vestiti che Inuyasha aveva voluto per lei. E la ragazza, con ritrovata flemma, con rinnovato torpore, socchiuse ancora le sue palpebre, ora mortalmente stanche, e abbandonò il capo a se stesso, che con una  molle parentesi ricadde all’indietro, cornice perfetta dell’avambraccio del carceriere.

Bada demone, che per ogni capello che mi torcerai Inuyasha ti loderà. Loderà la tua malagrazia e la tua bestialità. Il tuo essere niente meno che un umile servo sbattuto nel più basso girone infernale a fare il proprio dovere. A fare il desiderio altrui. E al suo ritorno, entrando in quella cella che già sa di morte e disperazione, si complimenterà con te di tale scempio, di tale orribile dovizia. Poiché questi erano i suoi ordini. Questa la sua volontà: darmi l’estrema unzione ed infine lasciarmi morire a me stessa. Di fame. Di sete. Poco importava.

Ci sono tanti nomi per la morte. Tanti modi per morire. Inuyasha ti aveva semplicemente chiesto di scegliere quello che più si addiceva al contesto e metterlo in atto. E, per questo, per ogni gesto ed ogni infamia, sarà fiero di te.  

    

 

La figura grassottella del sovrintendente della città di Misir si muoveva nervosa sotto lo sguardo gelido di Inuyasha.

Prima da una parte e poi dall’altra. Poi di qui e poi di la. E poi ancora un poco più in la. Le pesanti balze delle sue rigogliose vesti che trasalivano come tanti doppi menti appiccicati alle sue ascelle e alle sue portentose natiche.

Seduto su una ricca poltrona in pelle, ovviamente appartenente al demone in questione, Inuyasha si sporse leggermente in avanti lasciando che entrambe le braccia si andassero a posare sulla scrivania poco distante.

Il tamburellio delle sue dita artigliate contro il legno scandì quegli attimi di teso silenzio. Le iride puntate sui frettolosi gesti dello youkai che, come il gatto intento a seguire il ronzio di un moscone, si socchiusero lentamente, con pacata insofferenza.

Quel patetico damerino lo stava facendo irritare. Parecchio.

Terribilmente, visto e considerato che oltre alla sua seccante presenza, egli l’aveva costretto a tollerare il suo insulso sproloquiare. Cosa sempre molto di moda, a quanto pareva.

Nell’irrigidirsi della mascella, due dita che andavano a circondare la dura parentesi delle sopracciglia incurvate, il mezzo demone ripercorse a mente l’insieme alquanto disturbante di aneddoti cui quell’individuo l’aveva costretto a prendere atto.

Sospirò.
Come spesso capitava negli ultimi tempi a quella parte, ogni notizia oscillava sempre fra lo sconfortante e il disastroso.

O era solo lui a pensarla in quel modo?

In ogni caso, ancora, una delle roccaforti dei Miyoshi era stata presa dai ribelli. Pochi giorni di tragica resistenza e Misir, secondo avamposto delle terre confinanti, era stata messa a ferro e fuoco da una combriccola di pochi balordi abili nel combattere e nello gettare scompiglio fra la popolazione. Ninja o samurai? Le testimonianze si facevano vaghe a riguardo.

Avevano saccheggiato, bruciato e ucciso quanti più possibili soldati della falange imperiale e, dulcis in fundo, erano perfino riusciti ad irrompere nel palazzo imperiale uccidendo il sovrano reggente. Ovviamente anch’egli affiliato con la loro Casata.   

Con un sibilo sommesso, Inuyasha tentò di avvertire l’omino balzellante dinnanzi a lui che, se lui ei suoi orripilanti merletti si fossero avvicinati di un passo ancora, probabilmente avrebbe ridotto entrambi a tanti stuzzicadenti perfettamente appuntiti.

Di nuovo, le dita artigliate picchiettarono sulla superficie in mogano.

Commento generale della faccenda?

Un insieme sfortunato di coincidenze.

Coincidenze.

Quei piccoli ninja da strapazzo intercettavano una carovana valori contenente oro e gioielli a palate, si sostituivano ai conducenti, svuotavano il vagone dai suoi tesori riempiendola di uomini ben armati e sotto mentite spoglie entravano  infine in città come un perfetto cavallo di Troia.

E loro avevano il coraggio di parlare di “ sfortunate coincidenze”.

Probabilmente l’idiozia iniziava ad occludere le menti non appena si veniva nominati vicesegretari di “ chicchessia”. Figuriamoci sovrintendente.

E poi suo padre si domandava perché la strategia dell’Impero proprio non funzionava.

Attendere fino a notte e solo allora aprire le porte di Misir per fare entrare il grosso dell’esercito ninja non era affatto una “sfortunata coincidenza”.

Ma solo a lui pareva passare per la mente. Ovviamente.

Il povero demone davanti a lui, captando forse l’entità omicida dei suoi pensieri, con un breve inchino chiese il permesso di congedarsi, ma Inuyasha lo ignorò.

“ Avete per caso capito da chi fosse capitanato l’esercito? Che stemma avesse? In quanti fossero? Il colore delle divise?”

Il sovrintendente lo guardò come se gli avesse appena chiesto di elencargli una per una le ragioni per cui era riuscito a scalare le gerarchie del potere fino a meritare quel titolo di cui si era fatto tanto vanto. Fino ad ora.

Non trovandone nessuna, si passò due dita sull’umida attaccatura dei capelli.

Inuyasha sospirò “ Allora?”.

In un sussulto, l’omino rimpicciolì di due centimetri fra le sue balze e merletti “ Io…” esordì con faticosa lentezza “ Io…non sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza per..” si umettò le labbra con un gesto nervoso “ non sono riuscito a..vedere” il suo viso ormai aveva assunto un colorito a metà fra il paonazzo e il verdognolo.

Probabilmente i succhi gastrici gli erano saliti fino al naso.

Senza battere ciglio, Inuyasha si limitò a fissare per qualche istante il poveretto “ Non è riuscito. A vedere” ripeté infine con tono pericolosamente calmo e basso.

“ A vedere…si ” gli sbuffi delle vesti annuirono.

Il secondogenito sbatté una volta le ciglia “ Vediamo se ho capito bene. Un’intera città è stata presa d’assalto e Voi, dall’alto della Vostra villa posta proprio sul promontorio accanto al palazzo reale non siete riuscito a…” parve soppesare le parole sulla punta della lingua. Lo youkai annuì convulsamente.

“ A vedere. Si. Io non…

“ E lo stratagemma di colpire durante la notte” riprese il principe senza far finire l’altro “…è stato solo il frutto di una fatale casualità….giusto?”

Prima che il sovrintendete potesse nuovamente assentire, la sua testa grassottella rotolò a terra a qualche metro dal resto del corpo. Per pochi istanti immobile, come stupito, il troncone stramazzò poco dopo a terra con uno Spluf di sete e ricami.

Ad Inuyasha vennero in mente le galline, che pur staccando loro la testa avevano la facoltà di andarsene ancora un po’ in giro come se niente fosse. Tanto insensibili alla perdita del proprio cervello da non accorgersi della sua dipartita che qualche momento dopo.

“ Perché sprechi tempo con quegli imbecilli, Inuyasha?” gli chiese con tono insofferente Sesshoumaru abbassando lentamente la mano destra. Le unghie affusolate risplendevano di brune macchie di sangue.

Un ghigno diffidente comparve sul volto del principe  “ Ero solo curioso”.

Il primogenito scosse la testa, pur non riuscendo a negare un sorriso complice “ Più curioso di assistere ai suoi sproloqui che di porre finalmente fine alle tue sofferenze nel doverlo ascoltare?”

Il mezzo demone si passò elegantemente una mano fra i capelli color argento. Sogghignò. “ Forse” concluse alzandosi con un gesto disinvolto.

 

La città di Misir era una delle tante fortezze che avevano da poco conquistato nella loro fortunata opera di colonizzazione del mondo conosciuto -e sconosciuto- .

Niente di speciale, era bene ricordarlo, niente in confronto allo splendore di Zaccar.
Era semplicemente una dei tanti utili avamposti che il loro adorato padre aveva deciso di far loro assaltare giusto per mettere una bandierina in più sulla cartina posta alle spalle del suo strabordante trono: commercio sviluppato ma per lo più incentrato sui beni di prima necessità come grano, riso e vino di cui essi erano ottimi produttori.  Mediocre potenza militare, per lo più fanteria leggera.

A vederla così, in tutto il suo rurale splendore, ci si sarebbe potuti chiedere perché il grande Inutaro avesse proprio voluto aggiungere Quella bandierina nel novero dei suoi giocattolini di piombo.

Con uno sbuffo contrito, Inuyasha riemerse dalla fucina completamente vuota. L’insegna un’incudine mezza carbonizzata e storta per metà.

Era stato per le armi.

Quella misera città di contadini e coltivatori era famosa per l’abilità dei suoi armigeri nel costruire armi la cui bellezza e potenza non potevano essere eguagliate in nessun altro luogo.

Armi. Niente di più banale. Niente di meno essenziale. Dalle sue fucine era nata Tessaiga, la zanna il cui aspetto mutevole celava dentro di se una potenza inesauribile e sempre dai suoi bracieri era stata forgiata Tokijin, la spada demoniaca la cui aura malvagia poteva essere domata solo da Sesshoumaru.

Con un gesto di stizza Inuyasha si pulì la fuliggine dalle vesti, lo sguardo svilito che passava in rassegna i cumuli fumanti di case e stalle. Di negozi e bancarelle. Strinse le palpebre, il calore delle fiamme e del fumo che pizzicava il naso e scuriva la bianca carnagione del suo volto.

Quel babbeo non aveva capito niente.

Il fatto che l’esercito ninja-balordi, dopo l’attacco, si fosse ritirato portando con sé la maggioranza delle armi custodite nei depositi degli armigeri, aveva tutto fuorché del casuale.

Per un istante, quasi un flash tanto abbagliante da costringerlo a socchiudere gli occhi come accecato, Inuyasha potè vedere una maschera da coniglio stagliarsi brillante sullo sfondo di una casa per metà inghiottita dal riardere degli incendi. Sbattè rapidamente le palpebre, la mano destra che volava immediatamente all’elsa di Tessaiga per poi rilassarsi l’istante dopo.

Non c’era nessuno. Ovviamente.

Evitò di dar peso all’occhiata che Sesshoumaru gli rivolse mentre, poco distante, un altro vice-qualcosa, li guidava fra le rovine incendiate di Misir.

Sbuffò, voltandosi dalla parte opposta in cui i due si stavano dirigendo per dedicarsi distrattamente a decifrare una scritta che, servendosi di un pezzo di carbone, era stata incisa su di un muro.

Si irrigidì. Per poi passare oltre. Polvere e fumo ad incrostare il dilatarsi del suo sguardo improvvisamente impallidito.

 

Kagome.

 

Ecco cosa c’era scritto.

Qualcuno, con il duro piglio di chi fosse stato più abituato a brandire armi che pennelli, aveva imbrattato la bianca calce con neri ideogrammi rappresentanti quel nome. Quell’insulso nome.

Uno fra i tanti. Certo. Comune.

Ma quanto di effettivamente comune poteva esserci in quell’unico, preciso, gesto? In una città in fiamme e in rovina, perché risparmiare un solo, unico, muro? Poteva dirsi un fatto del tutto casuale?

Mentre, lentamente, dentro la mente del mezzo demone iniziava a baluginare l’idea che il mondo attorno a lui avesse preso inesorabilmente a girare al pari di un infernale meccanismo a tempo, i secondi scanditi dallo scoppiettare dei fuochi tutt’intorno, egli si ritrovò inevitabilmente a chiedersi da quanto, in tutta quella storia, mani invisibili trasformavano la sua vita in un aneddoto fra i tanti. Un risvolto della trama principale, tanto oscura e fitta da rendere la sua vicenda niente più che un orlo di contorno. Un piccolo ricciolo di decoro.

 

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Plic…plic…plic…plic-plic-plic-plic….

Stava piovendo.

Lo sentiva dall’umidità che impregnava i muri freddi e segnati dallo scorrere del tempo.

fuori…la fuori ad un passo dal resto del mondo. La fuori.

Chissà quanti giorni come quello avevano scavato il volto di quelle silenziose pareti.

Quei muri gelidi come la morte.

Chissà quante figure come lei avevano scrutato nell’ombra.

Quante anime ammutolite, rannicchiate negli angoli di quelle celle senza finestre avevano visto avvizzire lentamente. Inesorabilmente.

I fiori appassiscono se li si tiene al buio, se non gli si fa vedere la luce.

Chissà se per gli esseri umani era lo stesso.

Come giunchi recisi, pur protendendosi verso la luce… sfiorendo loro malgrado. Infine spegnendosi. Lasciandosi, semplicemente, morire.

 

Forse anche lei stava appassendo, constatò senza pensieri.

Cadendo uno ad uno, i suoi petali ricadevano in uno sbuffo polveroso a terra, per poi marcire.

Una bellissima Genziana ridotta a fil d’erba senza più alcuna traccia di bellezza, le tracce delle sue lacrime un cumulo di resti anneriti tutt’intorno.

 

fuori…Là…stava piovendo.

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Inuyasha…” la voce gelida del fratello lo riscosse dai suoi spiacevoli pensieri.

Si voltò verso di lui scoprendo, non senza una certa irritazione, che sul viso del principe era dipinta un’espressione stizzita.

Dal basso della sua posizione accovacciata, il volto scurito dal calore delle fiamme a specchiarsi in una pozzanghera di fango, il mezzo demone si tirò con uno scatto in piedi. Le acque putride avevano la sfumatura del sangue. In esse, i suoi occhi parevano assumere il tanto pericoloso colore della razza dei Miyoshi.

Inarcando appena un sopracciglio, Sesshoumaru si limitò a fissare per qualche istante il suo fratellastro. Sul suo volto si potevano vedere i segni dell’arsura.

“ E’ un piacere notare quanto la rovina di questo luogo ti tocchi nel profondo, Inuyasha, ma preferirei averti accanto a me per intero, e non solo dalle spalle in giù, se fosse possibile” lo rimbeccò il primogenito con il solito tono canzonatorio. Le belle labbra che si curvavano in un’aristocratica pretesa di umorismo.

Ancora.

Il mezzo demone gli concesse un istante di distaccata insofferenza. Eccolo che ritornava a fare il simpatico. Mai che questi nobili si rassegnavano alla loro totale mancanza di senso dell’umorismo.

“ Averti dalle spalle in giù è un dato di fatto di cui io ho fatto tesoro fin dall’infanzia. Mi evita di pensare che tu possieda un cervello quando parli con me. Per questo ogni volta che apri bocca non mi meraviglio delle idiozie che ne escono” lo rimbeccò il secondogenito stiracchiandosi svogliatamente. 

Sesshoumaru, apparentemente immune alle offese, scosse la testa sconsolato facendo si che la lunga chioma color argento ondeggiasse leggera alle sue spalle “ Se non ti conoscessi abbastanza bene, direi che oggi sei piuttosto distante fratello…così come lo sei stato fin dal giorno in cui siamo partiti da Zaccar

Inuyasha schioccò stizzito la lingua sul palato, il suo stiracchiarsi che assorbiva ben più tempo del necessario “Non capisco a cosa ti stai riferendo...”

Bugiardo.

Sesshoumaru alzò lievemente un sopracciglio argentato “ Non mentire Inuyasha. Sai benissimo a che cosa, o per meglio dire, a chi mi sto riferendo”

“ Sentiamo...”lo incalzò annoiato il mezzo demone iniziando a camminare lentamente per le sale un tempo luminose del castello di Misir.  Ora portavano i tristi segni dell’assalto dell’esercito nemico: sedie rovesciate, tavoli fracassati, dipinti sfregiati con il freddo metallo dei coltelli o delle spade, tende strappate e ore lasciate a giacere scompostamente per terra così come i cadaveri dei servi o dei nobili che abitavano quella modesta ma gradevole reggia di campagna.

Sesshoumaru lo seguì tappandosi prudentemente il naso: il puzzo della morte impregnava quelle sale come una mefitica aura che velenosa impestava ogni mobile, ogni tessuto e ogni muro dove vermiglie strisce di sangue si intervallavano alle sapienti pennellate di celebri artisti dando vita ad affreschi di una bellezza forte e selvaggia.

“ Mi riferisco...”disse passando accanto ad una vetrina un tempo contenente un ricco servizio da the ora irrimediabilmente spalancata e depredata delle sue ricchezze “ Ad una certa prigioniera dai capelli corvini e dagli occhi grigi come l’acciaio…”Inuyasha si bloccò “…Che sembra in qualche modo occupare costantemente i tuoi pensieri…

Il mezzo demone rimase qualche secondo immobile mentre, lo sguardo fisso, sembrava osservare con eccessiva attenzione il braccio ripiegato in una grottesca posa di un inserviente riverso a terra.

“ Io non sto pensando a Kagome” replicò brusco per poi affondare immediatamente i canini nel labbro inferiore. Troppo tardi. Le labbra del fratello si erano già piegate in una smorfia sorpresa.

“Kagome?” il tono stupito di Sesshoumaru fece solleticare le mani ad Inuyasha “ Ma non mi dire…” la sua voce scivolò in un fruscio di vestiti “ Adesso quella insulsa umana ha anche un nome?”

Il mezzo demone tacque sapendo di avere appena commesso un terribile errore.

Kagome…non avrebbe dovuta chiamarla così davanti al fratello.

Suo malgrado, sentì le unghie penetrargli nella carne dei palmi, già stretti in una morsa glaciale mentre il corpo, spinto da una forza apparentemente esterna al mezzo demone, si spingeva con noncuranza in avanti. Fra le macerie.

Kagome….ma perché dannazione l’aveva costretta a rivelargli il proprio nome?

 

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Avanti….” Inuyasha era appoggiato con i gomiti ad un asse di legno che formava, insieme a tante altre sue gemelle in grandezza e robustezza, una complicata macchina delle torture.

Con occhi divertiti osservava il corpo di Kagome dibattersi appena sopra la superficie dell’acqua contenuta in un’ampia vasca di pietra a cui era collegato l’apparecchio dove lui ora era appoggiato.

Con un lieve cenno del capo fece segno ad uno dei due demoni addetti alle torture di concedere un attimo di tregua alla prigioniera. Un movimento appena avvertibile cui entrambi, grugnendo da dietro le loro facce suine, risposero tirando una piccola leva. Con un gelido Clanck  il meccanismo che teneva inchiodata sul fondo della vasca la sedia si sbloccò.

Vedendo riemergere in uno sbuffo di acqua e sangue il corpo intirizzito e scosso da violenti brividi della ragazza, Inuyasha non poté risparmiarsi un mesto ghigno sprezzante.  

Tremando come una foglia, la giovane fece vagare un istante i propri occhi per tutta l’ampiezza della stanza per poi, in un guizzo fulmineo, focalizzarsi su di lui.

Abbozzando un saluto con la mano, il mezzo demone si passò una mano fra i capelli argentei.

Allora….vediamo se il bagno ha sortito qualche effetto sulla tua memoria” Cominciò con disinvoltura “ Qualche ricordo sui tuoi compagni ?”

Kagome non rispose, il suo labbro inferiore che pareva tremarle tanto violentemente da rischiare di caderle sul mento da un momento all’altro. Nei suoi occhi, nonostante tutto, il più vivo disprezzo. La più lucida rabbia.

Un ghignetto sardonico si fece strada sul volto del secondogenito. Schioccò appena la lingua sul palato“ Se fossi in te non mi guarderei così…” la schernì con disinvolta sufficienza “ A meno che tu non preferisca farti un altro bagnetto in quell’acqua termale…” e detto questo fece segno di muovere nuovamente il meccanismo che avrebbe riportato la sedia sotto il pelo dell’acqua.

“NO!” gracchiò esasperata la ragazza, il terrore a far capolino dai suoi occhi adamantio.

Con un nuovo cenno del capo l’hanyou revocò l’ordine. Sorrise ancora. “ Ne deduco che la proposta non è di tuo gradimento”.

Kagome rimase in silenzio, apparentemente concentrata sul suo respiro accelerato, sull’aria fredda e pungente che entrava ed usciva dai suoi polmoni infiammati, sul battito sordo del cuore così potente da giungere perfino all’orecchio del mezzo demone.

Tum.Tum. Richiamo di una tanto primordiale forma di vitalità da rendere indubbio lo stato primitivo in cui gli umani serbavano ancora.

Che miseria. Rispetto agli youkai era come parlare con degli animali domestici.

Per un secondo Inuyasha vide se stesso porgere una banana alla curiosa rappresentazione animalesca di Kagome, il volto di lei che, illuminandosi di gioia, si ricopriva poco dopo degli schizzi giallognoli del frutto azzannato.

Con un risolino egli fece lentamente scivolare lo sguardo su quel corpo tremante costretto alla sedia di legno da cinghie di cuoio che già stavano lasciando delle profonde escoriazioni su polsi e caviglie. Sulle membra infreddolite, una casacca di lino oramai tanto peccaminosamente trasparente da lasciar intravedere più di quando fosse pudico dire.

Si leccò involontariamente le labbra. Suo malgrado.

“ Eppure non capisco il tuo risentimento” riprese poco dopo il mezzo demone “Dovresti essermi grata perché finalmente ti concedo di lavarti….Usanza che so non essere molto diffusa fra voi esseri umani…

Kagome sembrò ridestarsi bruscamente dai suoi pensieri mentre il suo viso diveniva improvvisamente di un rosso scarlatto. Gli occhi grigi della ragazza si fissarono furenti in quelli ambrati di lui.

Così incredibilmente diversi ed eppure così tremendamente simili.

Immediatamente la risata del mezzo demone si smorzò, l’ilarità che lasciava il posto ad una nuova e del tutto credibile crudeltà dei tratti “ Dimmi dove si nascondono i ribelli. E io farò finire tutto questo” sibilò incolore.

Un attimo di incertezza, un istante di nebuloso stordimento, poi le iridi di Kagome volarono altrove, come attirate da una forza invisibile. “ Mai ”.

Con un rapido cenno del capo di Inuyasha, il demone alla sua destra riabbassò nuovamente la leva facendo così scivolare ancora una volta la sedia di legno in acqua.

“Che noia” constatò osservando il gracile corpo della ragazza dibattersi con ancora più foga sotto il pelo dell’acqua “ Poco senso dell’umorismo e decisamente ancor meno propensione alla collaborazione…accoppiata devastante”. Si passò due dita sugli occhi, uno schizzo gelido che inumidiva lentamente le nocche della sua mano contratta.

Che strazio. Se avesse saputo che il verbo “ parlare “ era così difficile da afferrare per gli esseri umani avrebbe immediatamente lasciato un simile incarico a qualcun altro. Qualcuno molto meno simpatico di lui ma decisamente più fantasioso nelle tecniche di tortura.

Osservò con sguardo assente le increspature dell’acqua della vasca per poi concedersi una scrollata di spalle. “Stupida u…”.

Si bloccò. Un pensiero improvviso che inaspettatamente rinvigoriva i tratti ingialliti del suo volto. Un particolare molesto tale da riscuotere l’interesse già sopito dell’hanyou.

Esitò un istante, come meditando sul da farsi e poi volse il capo in direzione dei due demoni.

“Tiratela su” ordinò con voce piatta.

Immediatamente la figura della ragazza riemerse dai flutti tossendo a più riprese acqua ingurgitata. I capelli color ebano le ricadevano scomposti sul viso impedendo così al mezzo demone di vedere con precisione quanto sofferente fosse la sua espressione in quell’istante.

“ Ti sei rinfrescata le idee?” la canzonò questa volta senza parecchia convinzione: era un’altra la domanda che voleva rivolgerle. Qualcosa di decisamente meno prevedibile e molto più interessante. Come da copione la giovane non rispose, forse perché troppo occupata a tossire insieme all’acqua, niente di meno importante che la sua stessa anima.

“ Hai un nome? ”

I colpi di tosse cessarono immediatamente mentre quasi nello stesso istante i suoi occhi grigio perla, riuscendo incomprensibilmente a trovare uno spiraglio nella massa ingarbugliata dei capelli, si sbarravano in quelli di lui.

Con una punta di stizza, Inuyasha si ritrovò a pensare a quanto fosse odioso riconoscere ancora, nonostante tutto, quella chiara sfumatura di forza nelle sue ridi cineree. Ancora quel potere di rivaleggiare con il suo sguardo indagatore, per metà incuriosito ed insofferente.

Disinvolto, il secondogenito fece un passo nella sua direzione, incrociando le braccia al petto.

“ Allora?” la incalzò ruvidamente “ Hai un nome si o no?”

Le labbra di lei parvero tremare maggiormente per un istante. Quasi che le parole che ella non avesse voluto pronunciare fossero state comunque urlate in ogni fibra del suo essere, stordendola.

Socchiudendo gli occhi come il maestro che, dinnanzi alla stupidità dell’allievo, si decida a rispiegare un’altra volta il concetto, con un movimento fluido Inuyasha si scostò dalla sua posizione per poi portarsi esattamente davanti a lei.

Si appoggiò con entrambe le mani ai braccioli andando così a ridurre la distanza che li separava.

Espirò.

“ Nome.” la incalzò rigidamente “ Appellativo proprio di una cosa, oggetto o persona atto a definirla e a riconoscer…””So cos’è un nome!” sbottò improvvisamente la ragazza a pochi centimetri della sua faccia.

Inuyasha si ritrasse immediatamente con uno scatto, sul suo volto qualcosa di più che la semplice sorpresa del predatore.

“ Bene” soffiò quindi con un ghigno provvisorio. Alcuni l’avrebbero definito posticcio “ Allora dimmi qual è il tuo.”

Non era una domanda. Questa volta.

Era un ordine.

Kagome esitò.

“Sto aspettando” un bagliore pericoloso attraversò gli occhi del mezzo demone. E non ho intenzione di farlo ancora per molto.

Un brivido scorse lungo la schiena della ragazza. Suo malgrado. E quando, poco dopo, abbassando un poco il capo, ella sussurrò a mezze labbra uno sparuto “ Kagome ”, fu quasi certa che egli non avrebbe potuto sentirla.

Invece sul volto di Inuyasha si dipinse istantaneamente un’espressione soddisfatta. Quasi serena, rispetto alla grottesca smorfia di poc’anzi. Quasi che l’aver finalmente ottenuto quanto desiderato avesse dissolto in un solo istante tutta la malignità della sua anima.

 Kagome…” sillabò quindi con pacata lentezza. Come, inconsciamente, se egli stesse assaporando sulla punta della lingua il suono di quelle poche lettere solo poc’anzi sconosciute. Benché fosse per lui impossibile ricordarlo, ora nei suoi occhi si sarebbe potuta leggere la stessa espressione e, inconsapevolmente, i pensieri, della volta in cui l’ingenua Ari gli aveva rivelato il proprio nome in quella tenda ora così lontana dalla sua mente.

Kagome…” riprese nuovamente questa volta scivolando con lo sguardo in quello affannato della ragazza in questione. Scorse su di lei in una carezza leggera, appena accennata, per poi, con un cenno del capo, ordinare nuovamente ai due demoni di azionare il congegno a cui lei era avvinta.

Socchiuse le palpebre, lentamente, lo sciabordio dell’acqua che giungeva a lui come il sospiro di un indefinibile mare.

“ Decisamente un nome banale come colei che lo porta…

 

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Perché le avesse chiesto di rivelarle il proprio nome?

Kagome. Ed ora non era il semplice ed indefinito appellativo dei molti a richiamarla alla mente. Ed ora, proprio dinnanzi al primogenito, l’appellativo di una prigioniera faceva bella mostra di sé sulla labbra del Principe Hanyou.

Dannazione.

Perché Kagome e non, semplicemente, un’umana come tutti quanti?

Nel gelare del suo esitare, Inuyasha non trovò, suo malgrado, di che rispondersi. Forse non ci provò nemmeno, troppo impegnato ad evadere le reazioni del suo corpo per indagare maggiormente nel suo animo.

Kagome.

E ripensandoci ora, ora che il danno era stato fatto ed era impossibile porvi rimedio, sarebbe davvero stato meglio se quel nome non vi fosse mai entrato nella sua memoria così da rendere possibile il farselo scappare in situazioni come quella. Momenti in qui lo sguardo inquisitore di Sesshoumaru scorreva sornione su di lui giudicando senza possibilità di errore le reazioni del suo corpo.

Teso o rilassato? Menzogna o verità?

E ancora una volta, inevitabilmente, perché proprio il suo nome?

Kagome.

La sottile linea rossa oltre la quale il rapporto carceriere – prigioniero diveniva agli occhi del primogenito troppo confidenziale per potersi ancora definire tale. Come se, avendo quelle poche lettere sulle labbra, fosse istintivo per lui associarvi un volto ed un sentimento in particolare.

Con un gesto rigido, Inuyasha pose la propria mano destra sull’elsa di Tessaiga, le dita che scivolavano in una carezza contenuta sul rivestimento fibroso. Espirò.

Non significava niente.

Il suo nome non significava niente.

Era successo.

Punto.

Voleva sapere.

Tutto qui.

“ Così pare ” sibilò quindi in direzione di Sesshoumaru. L’invito a chiudere il discorso che tintinnava rigido al suo fianco. Gli occhi del primogenito corsero prima a Tessaiga e poi all’hanyou. Poi, senza proferire alcunchè, si risolse a sorridere mestamente.

“ Buono a sapersi. Visto il modo in cui vi siete lasciati, dovessi mai rincontrarla saprei almeno in che modo classificare i suoi resti marcescenti” commentò divertito per poi, in uno sbuffo di vesti e capelli color argento, scomparire nel fumo delle rovine di Misir.

 

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Plic…plic….plic…

Il lento scorrere del tempo scandito dal regolare picchiettio di una goccia d’acqua contro la roccia.

Ciò che rimaneva del rumore.

Del rumore estenuante che solo pochi giorni prima aveva scosso quelle gelide mura.

Ora i giorni in cui le sue grida disperate avevano lacerato il silenzio di quelle tenebre eterne le sembravano così lontani…

Così remoti…

Acqua

Cibo

Acqua

Cibo

Aveva continuato a gridare e gridare e gridare…e gridare…aveva gridato così tanto che la gola le si era gonfiata tutta impedendole quasi di respirare…

Ma nessuno le aveva risposto.
Nessuno.

Mai più dal giorno in cui era stata murata in quella cripta aveva visto occhieggiare il vermiglio bagliore di una torcia o di una lanterna.
Mai.

Nessuno aveva ascoltato i richiami della sua disperazione, della sua fame, della sua sete e della sua rabbia.

La sua rabbia contro chi le stava facendo tutto quello.

Inuyasha? L’intera casata dei Miyoshi?
Ma ormai era troppo tardi.

Troppo tardi per poter pensare ad un futuro in cui lei, Kagome, avrebbe potuto finalmente reclamare la propria vendetta.

Troppo tardi per pensare che lei avrebbe oramai potuto interpretare qualsiasi ruolo oltre a quella della morente prigioniera.
Troppo tardi per pensare che ci sarebbe stata una Kagome….domani.

Ma stranamente non le importava.

Ormai nulla importava.

Non avrebbe più potuto avere la sua vendetta… E allora?

Avrebbe almeno avuto una morte degna di tale nome.

Una morte per cui molti si sarebbero tolti il cappello dal capo e avrebbero sussurrato poche parole di rispetto, un giorno.

Una morte tale da non rendere il suo nome uno dei tanti sospiri del vento.

Forse.

Niente vendetta, probabilmente. Ma molta, moltissima gloria.

E dunque, in fondo, c’era da starsene contenti no? Divenire immortali morendo era un destino concesso a ben pochi eletti. Lei, cosa da nulla per metà della sua vita, ora era destinata all’eternità.

Non trovando modo di sorridere, Kagome pensò che bastasse immaginare una risata compiaciuta per renderla reale, in quell’oscurità. Nessuno sarebbe passato a controllare, in fondo.

Poi, lentamente, fu di nuovo il silenzio a parlare al suo posto.

Un chiaro, appena udibile, mormorio soffuso. Un gemito delle membra.  

Eppure c’era una cosa che rimpiangeva.

Solo una.

E non era il morirsene li, all’ombra del Nulla più infimo.

C’era una cosa che, malgrado tutto, non poteva togliersi dalla mente.

Una cosa. Una sola.

Sorrise nell’oscurità. I pochi denti rimasti che risplendevano come tanti mozziconi di sigarette nel buio.

Una Sola.

E poi, lentamente, furono le lacrime a stillare dai muri immoti.

 

 


Di nuovo un saluto a tutti!!!^__^

Sono ancora qui, di nuovo, dopo il letargo ( Anche se le vacanze non sono esattamente classificabili in questo modo XD). Vi sono mancata? Spero di si, anche se ad ogni capitolo le recensioni sono sempre meno.* soffre in silenzio*

In ogni caso, volevo ringraziare chi ha commentato lo scorso capitolo e chiedere scusa a chi, leggendo questo, potrà trovarlo un po’…sospeso.

Pochi avvenimenti. Poche cose, se è di azione e fatti concreti che si vuole parlare. Lo so T___T. Il problema è che il vecchio scheletro di questa fanfiction (e di questo capitolo in particolare) era ancora più lungo e io, nel tentare di ridurlo, ho dato spazio a quanto mi sembrava migliore. Ma, in ogni caso, niente toglie che sia…così. Si tratta più che altro di indagare sui cambiamenti di Inuyasha, sul suo, lento, vedere che ogni cosa crolla attorno a lui e al fratello, malgrado il secondo stenti ( o faccia finta ) a capirlo.

Spero di non sembrare una rompiscatole nel chiedervi, una volta finito, di scrivere anche solo due o tre righe per dirmi cosa ne pensate di tutto quanto. So che come scritto ha i suoi buchi neri e, ora che sto per raggiungere il punto da ideare completamente ex novo, un paio di dritte mi farebbero comodo XD

Un bacio a tutti quanti.

Elendil.   

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


A guardarla così, si sarebbe detta una figura eroica.

I capelli color della luna sparpagliati nel maestoso vento di una magnificenza irraggiungibile per chiunque. Gli occhi fieri, vincolati nello sguardo ad una immensità pressoché sterminata. Le dure labbra socchiuse nella smorfia del conquistatore che contempli il proprio dominio.

Eppure, nell’ultima superba pennellata dell’artista, chiunque avrebbe potuto notare una traccia di crudeltà in quell’espressione distante. Una nota di irruenza nelle mani poste l’una al fianco affusolato e l’altra all’elsa della spada, pronta per un’estrazione incolore.

Le vesti color del sangue brillavano e si torcevano nel riflesso brunito di un vento immaginario, fondendosi alla tinta delle terre antistanti come se ogni cosa, ogni misero brandello di terra di quel luogo, fosse stato cucito con la stessa stoffa con cui si copriva il principe.

“ E’ un bel quadro”  commentò in quella Sesshoumaru, spiando con la coda dell’occhio l’intorbidirsi dell’espressione di Inuyasha al solo vederlo “ Peccato per il soggetto” aggiunse con un sorriso.

Rigido dinnanzi a quella stentorea opera d’arte, il secondogenito si limitò a sbuffare, evadendo il solito siparietto di botta e risposta per soffermarsi invece un attimo ancora a studiare quelle sfumature gloriose. Chiedendosi con un vago senso di nervosismo da dove diavolo quell’imbianchino da strapazzo avesse tirato fuori una posa tanto patetica. La solita parabola dell’eroe consumato, un misto fra una penosa minaccia di crudeltà e una ancor meno convincente promessa di distruzione. Nelle sue mani il filo luccicante di uno stiletto brillò nel baluginio delle candele, la snellezza della lama così sottile rispetto a Tessaiga da dare la sensazione che il grande principe in questione, lo stesso che dalla tela scrutava un imprecisato punto oltre l’orizzonte, stesse ora brandendo un misero stuzzicadenti.

Come sovrappensiero il mezzo demone lo vibrò improvvisamente a mezz’aria, quasi mimando l’atto di squarciare in tanti piccoli pezzi quella stoffa oleosa. Sospirò. Esisteva forse un pittore al mondo che avesse almeno un briciolo di immaginazione, o il suo destino sarebbe stato quello di venire ricordato in eterno come colui che teneva la spada in una mano e la testa mozzata di un nemico nell’altra?

Evitò di rispondersi. Sapeva che la verità avrebbe nociuto al suo umore più di qualsiasi frase sbiascicata da Sesshoumaru.

Preferì quindi volgere il proprio sguardo in direzione delle altre due figure presenti nella stanza. Rigidamente sull’attenti e con il viso bianco come un lenzuolo il primo, seduta in disparte, quasi un cucciolo spaurito, la seconda.

Ecco l’ennesimo rimasuglio che quei dannati ribelli si lasciavano dietro nella loro inarrestabile avanzata. Ecco la nuova lancia conficcata nel terreno sulla cui punta i resti di una Principessa e del primo Ministro facevano bella mostra di sé al pari di un cranio mozzato, mosche e larve a ricoprire di tanti coriandoli pulsanti i capelli inturgiditi dal sangue. 

Attorno a loro la sala del trono divelta e depredata di ogni cosa pareva un misero cumulo di calcinacci. I tappeti strappati, le tende squarciate, i tavoli sfondati. Ed in mezzo, intatto, come una driade a guardia dell’inferno ai suoi piedi, il dipinto di Inuyasha. Uno dei molti. Il solo ad essere stato risparmiato.

 Quale tributo alla distruzione. Il mezzo demone indugiò un istante sulle figure dei due sopravvissuti, i soli che parevano essere stati risparmiati dagli assalitori.

In mezzo a quel finimondo la sua figura su tela pareva non mischiarsi al Caos ma troneggiare su di esso. I piedi truculenti che schiacciavano ogni cosa sottostante con meschina violenza, con lurida noncuranza. Un re tonante. Un dominatore indomito, fiero del proprio regno.  

Per un folle attimo Inuyasha fu tentato di gettare l’opera fuori dalla finestra. Un volo abbastanza spericolato da ridurla a brandelli una volta toccato il terreno.

Poi flesse il capo, scrocchiò le ossa del collo e, con noncuranza, rivolse la parola al Primo Ministro.

“ Come sono entrati?” chiese lentamente, lo sguardo ambrato che si posava un istante sulla tempia destra di lui, scura di un livido nerastro. Forse era caduto nella fretta di scappare, suppose.

Lo youkai lo fissò per pochi istanti, gli occhi vacui che lentamente mettevano a fuoco la sua figura. Solo dopo pochi secondi parvero intendere la sua domanda.

“ Non sono venuti dal fuori. Dal cancello. Nessuno da fuori li ha visti.” La voce vibrò dalla sua gola come la nota tesa di un violino “ Hanno risalito il palazzo partendo dalle segrete, di modo che nessuno desse l’allarme. Quando sono entrati nella sala del trono il Re stava pranzando” .

Accanto a lui, la giovane emise un lungo sibilo contrito, il desiderio di piangere che le sgusciava dalla gola serrata in un miagolio strozzato. Inuyasha non le badò.

“ Quindi sono entrati ed usciti senza che nessuno si accorgesse di niente?” ribatté poco dopo con diffidenza. “ No ” negò immediatamente lo youkai. “ Dopo aver ucciso il Re hanno dato ordine di suonare tutti i grandi Corni della Torre Sacra. E quando tutta la città si è voltata in quella direzione hanno buttato giù il suo corpo dal parapetto, facendolo schiantare nella Grande Piazza.”

Per qualche istante, Inuyasha si limitò a fissare il Primo Ministro. Egli abbassò lo sguardo, un fremito che lo percuoteva impercettibilmente mentre l’occhio selvatico del mezzo demone lo inchiodava senza molte cerimonie.

Lo vide deglutire, fare come per pulirsi le vesti macchiate di sangue e polvere ma poi ripensarci. E poi, con indubbia fatica, alzare nuovamente il volto verso di lui.

“ Ha lasciato un messaggio per voi” aggiunse lentamente.

A pochi passi di distanza, Sesshoumaru si voltò verso di loro. Fino ad allora rimasto esterno alla discussione, quasi sapesse perfettamente da che parte avrebbe portato, ora il primogenito voltò il capo alla sua sinistra, gli occhi felini che saettavano dallo youkai ad Inuyasha.

“ Un messaggio?” chiese quindi inarcando un sopracciglio. Nella mano sinistra stringeva il manico di una teiera in porcellana. Il restante corpo era stato appena ridotto in pezzi dalla destra.

Il Ministro annuì lentamente.

“ Una ragazza bruna. Occhi grigi…

Per un folle istante Inuyasha si vide scattare in avanti, cavare dalle labbra la lingua di quell’essere e strappargliela a forza. Prima che dicesse quel nome. Prima che anche quella stanza, anche quelle orecchie ingorde, sapessero. Venissero a conoscenza di quella pelle. Di quelle dita. Di quella voce. Di quella scellerata presenza, il vacuo e fatuo spettro che, in un momento imprecisato della sua vita, aveva cominciato a perseguitarlo.

Oddio.

Socchiuse le palpebre, fece un passo indietro e, portandosi una mano al volto, fece come l’atto di scostarsi i capelli dalla fronte. La trovò sudata. Appiccicosa. Un sudore freddo che, grondante, gli era già arrivato agli occhi. Fu quindi con un incredibile sforzo che dovette chiedere allo youkai di ripetere quanto aveva appena detto.

Avvertì, pur non vedendolo, pur evitando cioè di guardare in sua direzione, il fastidio di Sesshoumaru.

“ Ha detto che non vede l’ora di rivedervi” ripeté il Primo Ministro in un sibilo. Accanto a lui la principessa ebbe un lieve fremito, quasi impercettibile, quasi qualcuno l’avesse appena sfiorata alle spalle.

Gli occhi di Inuyasha scattarono su di lei, cogliendola in un’espressione a metà fra il terrorizzato e lo snervato. Alle sue spalle, Sesshoumaru le stava lentamente sfiorando la nuca. Un movimento indifferente, morbido e sciolto come se, del tutto casualmente, le sue dita fossero cadute su quel collo pallidissimo, smunto dalla paura.

Risalendo la figura del fratello, Inuyasha gli rivolse una rapida occhiata. Le dita del primogenito ritornarono fra le sue regali vesti come se nulla fosse.

“ E rivedermi dove, di grazia?” riprese l’hanyou dopo un attimo. Un movimento sciolto che riportava la sua attenzione al Ministro.

Questi lo fissò per qualche istante, come se fosse stato colto in contropiede. Poi scosse lentamente la testa. “ Non l’ha detto ”.

“ Ovviamente” sibilò Sesshoumaru, ora poggiatosi ad una finestra. Con un gesto elegante volse le dita della mano destra verso l’alto, scoccando un’occhiata diffidente alle sue unghie modellate. Poi piegò la testa di lato, il riverbero del sole che riempiva di iridescenti riflessi la sua capigliatura argentea.

Dio, che attore consumato. Si ritrovò a constatare non senza una punta di stizza Inuyasha.

Se non fosse stato suo fratello e se non avesse avuto modo di appurare di persona quanto l’indifferenza del primogenito avesse davvero poco a che fare con la noncuranza, perfino l’hanyou si sarebbe trovato a pensare che quelle velate minacce non l’avessero turbato affatto.

E che le sue parole fossero state, per la prima volta, un commento sinceramente piccato.

Sospirò.

Peccato che, purtroppo, Sesshoumaru fosse sempre e comunque Sesshoumaru. Un perfetto imbecille segregato in un corpo da adone. Un uomo che sfidi il mondo e le sue ingiustizie nel suo personalissimo modo:  mettendosi a pisciare controvento.

Sentì le sue labbra arricciarsi. E non in un sorriso. Quindi sviò ammorbidendo i tratti degli occhi, così che sembrasse stargli rivolgendo un ghigno buonista.

Povero Sesshoumaru.

Probabilmente quello era il suo miglior modo per gridare a tutti quanti “ Non abbiamo paura di niente e di nessuno, noi!”.

A tutti i presenti in quella stanza, perlomeno.

Luogo e tempo sbagliati. Come al solito. Ma comunque di grande effetto, a guardare la principessa poco distante. Aveva smesso di tremare.

“ Prima di deviare per questa città eravamo in marcia verso la Capitale dove il resto delle truppe dei Miyoshi si sarebbe unito a noi per convergere al valico dello Tsii. Nostra intenzione era radunare in tutta segretezza un esercito per attaccare in massa quel passaggio sguarnito. Pare però che alcune voci abbiano tempo addietro informato gli abitanti di quella zona delle nostre intenzioni bellicose e che ora la vera resistenza si stia concentrando proprio in quel luogo. Capirete quindi quanto è vitale per noi continuare per la nostra strada. Questo messaggio non è né abbastanza loquace né sufficientemente minaccioso da costringerci a rivedere i nostri piani” flautò con semplicità il primogenito. “ Seppur debba comunque ammettere che la strategia di fare terra bruciata dinnanzi ai nostri eserciti per impedirci di rifornire gli uomini di armi e viveri non è affatto malvagia. Ma non basterà a fermarci” aggiunse con sufficienza.

Il Ministro fissò per un istante Sesshoumaru, per poi scoccare una breve occhiata ad Inuyasha poco distante. Parve trovare un briciolo di sicurezza nello sguardo che questi gli rivolse perché solo allora, con un debole cenno del capo, annuì lentamente.

“ Capisco “ disse piano, gli occhi che cadevano sul pavimento con ineluttabile sussiego.

Voltandosi in un fruscio di sete e stoffe, il primogenito posò entrambi gli avambracci sul davanzale della finestra, i suoi occhi che volavano oltre l’orizzonte come alla ricerca di qualcosa.

“ Cosa è rimasto di truppe e armamenti?” chiese dopo qualche istante. Il Ministro sospirò piano, un suono del tutto simile ad una sacca piena d’aria cui sia stato appena inferto un buco.

“ Poco o niente. Se vorrete portare con voi dei combattenti dovrete accontentarvi di contadini e maniscalchi ”.

La secca risata di Sesshoumaru fece sobbalzare entrambi i sopravvissuti. “ Poco male. Sarà divertente vedere l’esercito dei Miyoshi avanzare con al seguito una accozzaglia di zoticoni armati di forconi e martelli “ rivolse al fratello un ghigno sardonico e volse il proprio sguardo ad un valletto immobile accanto alla porta della sala.

“ Date ordine a tutti gli ufficiali di reclutare chiunque sia in grado di tenere un piccone dalla parte giusta”.

Poiché alzare gli occhi al cielo sarebbe stato ben poco indicato in quella situazione, Inuyasha si limitò a socchiudere le palpebre una sola volta. Contrarre la mascella. Ed infine scrocchiare ancora il collo.

“ Vado a riposarmi, fratello” annunciò freddamente “ Quando saremo pronti per partire mandami a chiamare”.

Sesshoumaru gli rifilò un breve cenno d’assenso per poi, con il suo solito fare da nobile di alto lignaggio, fare cenno al Ministro di avvicinarglisi.

Con un rapido movimento, Inuyasha si voltò e, prendendo per un braccio la principessa, iniziare ad avviarsi al di fuori della stanza.

Non badò al suo gridolino sorpreso. E nemmeno ai suoi successivi urletti impauriti. Il braccio che ella tentava debolmente di divincolare gli pareva lo striminzito ramoscello di un albero secco.

P-principe!”

La voce di lei vibrò suadente per i corridoi semisommersi dall’oscurità. Un arrampicarsi di echi tali da moltiplicarlo all’esasperazione e giungere al pari di uno squillo di tromba alle orecchie del mezzo demone. Digrignando i denti, Inuyasha continuò imperterrito a trascinarla. Scavalcò una credenza rovesciata, un tavolo a pezzi, uno specchio in frantumi, e quando, giungendo ad un bivio, la giovine gli crollò praticamente addosso, non fece altro che prenderla in braccio e continuare ad avanzare verso il punto in cui i profumi di lei divenivano più intensi.

Le sue camere, ovviamente.

Quando questa semplice verità giunse anche alla comprensione della principessa, la sua reazione non fu altro che quella di mettersi ad urlare ancor più ferocemente, il suo scalciare e graffiare che si trasformava in uno sciabordio di stoffe dinnanzi allo sguardo stizzito del mezzo demone.

Solo dopo aver varcato la soglia della sua camera da letto Inuyasha si risolse lasciandola semplicemente ruzzolare a terra, il corpo di lei che stramazzava fra le assi del pavimento in un lurido involto di panni sporchi.

“ E Ora abbiate la decenza di stare zitta. Sono stanco.” le intimò gelido.

La vide riemergere dalla massa cisposa dei suoi capelli, passarsi una mano sul volto e rivolgergli un’occhiata di puro odio.

“ Lurido Verme.”

Era la prima volta che la sentiva parlare. Una frase completa.

“ Meglio la morte per mano di quegli animali che un solo momento con voi!”.

Con un sospiro Inuyasha si sedette sui resti sfilacciati di una poltrona. Il raso scuro pendeva dai braccioli in sbavi sanguigni sul pavimento. Quasi che, in un momento di disperazione, quel mobile si fosse tagliato i polsi. Cosa molto probabile visto lo stato in cui serbava quella camera.

Sospirò, fitte dolorose alla schiena che lo costringevano a flettere appena all’indietro il capo indolenzito. 

“ Sarò pur vestita di stracci e sudicia come la peggiore delle schiave, ma si ricordi che sono pur sempre una principessa e non mi lascerò certo macchiare da un barbaro come voi!”. In quella la donna si alzò da terra e, prendendo fra le dita irsute le vesti consunte, fece per precipitarsi fuori dalla porta.

Con un balzo Inuyasha fu su di lei. In una mano la maniglia della porta. Nell’altra la spalla di lei.

“ Mi sembrava di averle chiesto un unico, semplice, favore, ma a quanto pare i sangue blu sono duri d’orecchi” digrignò fra i denti il mezzo demone.

La sentì tremare sotto la sua stretta, la nuca che si ricopriva di brividi come un pizzo irto di spilli. Tuttavia ella non abbandonò la presa. La mano sulla porta che stringeva ancora convulsamente la maniglia.

“ Mi lasci andare, la prego. Non merito questo. ” pochi monosillabi. Un fremito debole. La voce supplichevole delle donne aveva sempre la medesima intonazione. Così come quella degli uomini quando si prendevano il piacere di rispondergli.

“ Non merita di starsene nelle sue stanze in compagnia di un uomo?” flautò Inuyasha. Da dove si trovava poteva sentire ad olfatto l’impellente necessità di quella donna di farsi un bagno. 

“ Le sto forse offrendo un onore troppo grande? O forse è scontenta perché preferirebbe che fosse mio fratello e non io? Dicono che abbia molto più tatto in questo genere di cose”

Con uno scatto ella si voltò verso di lui, lo sgomento che cedeva il passo al risentimento.

“ Siete dei mostri entrambi! Non importa cosa indossiate e in che modo vi facciate passare per esseri civili! Non ingannereste nemmeno vostra madre. Comunque vi si guardi siete e rimanete solo due bestie in gabbia

Ancora prima di rendersene conto il pugno di Inuyasha aveva sfondato la parete. Una lieve patina di gesso che prendeva istantaneamente a velare le chiome di entrambi. Il debole ansimare di lui. Il frenetico annaspare di lei.

“ Chi siamo o non siamo non è affar vostro, principessa” la voce dell’hanyou apparve solo qualche istante dopo, quasi un riverbero del silenzio. “ E Ora la prego di rimettersi in ordine e prepararsi per la partenza dell’esercito. Lei verrà con noi, poiché sono gli uomini del suo popolo che vanno a morire in battaglia.”

Estrasse il pugno dal muro, alzò il capo così da meglio fissare i propri occhi in quelli di lei. “ Finché resterà con me né mio fratello né chiunque altro la disturberà.” aggiunse e, dandole finalmente le spalle, prese ad avviarsi in direzione del letto.

Vi si stese con un sospiro contratto. Dio quanto era stanco. Tuttavia volse di nuovo lo sguardo verso di lei.

“ E fintantoché non tenterà di uccidermi nel sonno, di insultarmi o di crearmi fastidio in qualsiasi modo, non lo farò nemmeno io.”  

 


Ed eccomi qui^^

Lo so che come ritorno è un po’ misero ma da qualche parte dovevo pur iniziare ( mi sembra di averla già detta questa frase…).

Come di rito, ringrazio tantissimo coloro che hanno recensito e…a presto ( spero veramente, a prestoXD)

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Sette giorni di marcia. Sette giorni di vento, di sabbia, di mille e più profumi scaturiti dall’infiammarsi del giorno e dal sopraggiungere della notte.

Settemila cavalieri a spronare con cinghie di cuoio il recalcitrante avanzare di altrettanti destrieri, di altrettanti zoccoli graffiati dal sollevarsi della polvere. Dal nebuloso diradarsi dell’alito delle tenebre.

Settecentomila teste di cuoio chine nel riverbero del sole, nel torbido tremolio dell’aria resa irrespirabile da ancora più fiati, da ancor più  ansiti, bocche aride di pioggia e frescura.

Lungo la linea dell’orizzonte, così lontano da poter quasi tracciare il sottile confine fra luce e oscurità, l’esercito dei Miyoshi pareva snodarsi fra le nude curve della terra come le sinuose spire di un mastodontico serpente, le nere scaglie cornee a brillare al pari di duri topazi nel mentre del suo costante, irresistibile, muoversi. Passi nella sabbia. Passi nella polvere. Passi nel brullo mutare della terra.

Sterminato. Infinito. Bellissimo. La ruvida falange degli archibugieri ad avanzare nel mezzo. Gli alabardieri in fondo. I fanti in testa. Le pesanti catapulte e balestre nelle retrovie, niente più che le orme di quella bestia infernale. E innanzi, proprio laddove la lingua biforcuta dell’immonda fiera sarebbe dovuta spuntare fuori fiutando la paura del mondo, Inuyasha e Sesshoumau. Gli scellerati principi assassini. L’inizio e la fine della vanagloriosa parabola della casata Miyoshi.

Attorno a loro, tempestare di tinte ciclamino e genziana, i mille e più stendardi di città oramai cadute in rovina. Di capitali depredate, usurpate, saccheggiate. Sotto di loro, lo scuro sfrigolio di una terra prossima dal bruciare anch’essa.

“ Pensi che ci stiano aspettando?”

La voce di Sesshoumaru giunse ovattata, lievemente soffocata da dietro la stoffa che per intero ricopriva il suo volto.

Inuyasha strinse appena le palpebre per meglio mettere a fuoco il paesaggio antistante. Sentì gli occhi inumidirsi di un velo salato mentre le pupille ferine si restringevano nel riverbero accecante. Grugnì appena, per metà dolorante e per metà seccato dall’intera faccenda “ Penso che sia già tutto abbastanza sgradevole senza che tu ci ti metta pure a dire ovvietà, fratello”

La stoffa cinerea del primogenito ebbe un sussulto goliardico, una risatina strascicata che fece vibrare le fibre involte come un unico, butterato volto di vecchia. “ Oh andiamo, Inuyasha” pigolò questi “ Era solo per fare conversazione. La tua ritrosia a rivolgermi qualsiasi tipo di parola mi lascia sempre il dubbio che tu non odi tanto la conversazione quanto più il semplice parlare con me” “ Più che un dubbio, io parlerei di certezza” lo rimbeccò subito l’hanyou, pur mantenendo un tono neutro.

Incrollabile fiducia o più semplicemente avvezza accettazione, la risatina dello youkai tinteggiò ancora quegli attimi del suo vago senso dell’umorismo “ Chiamala come vuoi,fratello, ma talvolta questo tuo pacifico disdegno nei miei confronti ha il potere di ferirmi “ pausa, di cui Inuyasha non diede il minimo segno di sentire il peso. Dietro di lui, il corpo molle della Principessa assopita ebbe un sussulto, scivolando di un poco sulla sua schiena ricurva. Sospirò piano, muovendosi quel poco per riportare il capo di lei poco sopra la sua scapola destra.

“ Eppure, ti inviterei a pensare, io sono tutto ciò che ti rimane della nostra famiglia. Morto io, rimarreste solo tu e nostro padre, e non credo che si tratterebbe per certo di una buona compagnia” con un secco colpo di redini, il mezzo demone spronò appena il cavallo a tenere il passo, il brusco sussultare dell’animale che faceva ondeggiare il corpo della giovine dietro di lui. Attorno a loro, il frastagliato restringersi dei fianchi di una vallata, forse l’antico letto di un fiume prosciugatosi “ Intendi dire che ti devo sopportare perché sei l’unica alternativa presente sulla piazza? Mi stai prendendo per fame, Sesshoumaru?” ghignò poco dopo.

“ Ti sto solo dicendo che siamo soli, inuyasha. Ora più che mai. E l’essere soli comporta che né tu né io potremo aspettarci nulla di più che la nostra reciproca compagnia, da ora in avanti. Gradevole o sgradevole che sia.” L’incupirsi del tono del primogenito spinse l’hanyou a voltare il capo in sua direzione, cercando vagamente di intuire da che punto della conversazione egli avesse perso il senso dell’umorismo. E da quando la nuda verità sulla loro situazione fosse stata ben presente nella mente di entrambi.

Da quel momento? Da qualche giorno? Dalla loro partenza?

Senza nemmeno sapere come, Inuyasha era ben certo di sapere che tutti e due, tutti e loro due bugiardi omertosi avevano capito da molto, forse troppo tempo come stavano le cose. Cosa stava succedendo proprio sotto il loro regale naso. E avevano comunemente deciso di far finta di nulla.

Chi dandosi per idiota patentato. Chi spacciandosi per un rabbioso cane bastonato. E l’uno con lo sguardo instupidito, l’altro con la coda fra le gambe, si erano guardati, e insieme avevano voltato la testa dall’altra parte. Quasi che, semplicemente volendolo, quella cruda verità sarebbe scomparsa come un brutto sogno all’alba.

Dio mio. Con un sospiro, il mezzo demone si strinse placidamente nelle spalle. L’abbacinante chiarore del sole che, infrangendosi sui costoni della vallata tagliava in due metà il passaggio sottostante. Così che, di fianco l’uno all’altro, Inuyasha camminasse nell’ombra e Sesshoumaru nella luce. “ Pensavo che mi sarei ucciso, il giorno in cui avessi capito di avere solo te al mondo. Di essere rimasto con nulla più che uno del mio stesso sangue a spartire le puzzolenti lenzuola di una branda “ sorrise, pur sapendo che il fratello  non avrebbe potuto vederlo “ Anzi. Pensavo che ti avrei ammazzato prima io con le mie stesse mani, onde evitare il realizzarsi di tale sconveniente situazione” scosse la testa. Quasi ridendo di se stesso e della sua fin troppo rosea concezione della vita.

“ E invece?” la voce dello youkai aveva il tono condiscendente di chi sapesse già dove il discorso sarebbe andato a parare.

Inuyasha sorrise di nuovo, semplicemente troppo sincero per prendersela.“ E invece siamo qui. E l’unica persona che vorrei veder morta in questo preciso momento è questa donna che mi sta sbavando sulla schiena. “ concluse con macabro diletto.

La grassa risata di Sesshoumaru costrinse alcuni portabandiera a girarsi verso di loro. Stupiti. Forse chiedendosi da dove tutta quella complicità fra i fratelli Miyoshi fosse sbucata fuori. E al contempo domandandosi quanto tempo sarebbe trascorso prima che entrambi avessero sguainato le proprie armi minacciandosi reciprocamente di morte certa. Nei migliori casi il tutto si sarebbe verificato nell’arco di pochi istanti.

Tuttavia, nel proseguire del riso del primogenito, nel contemporaneo seguitare immobile del fratello e nel loro tutto sommato stabile sopravvivere, le aspettative di tutti quanti si ritrovarono ad essere incomprensibilmente deluse. Sfortunatamente.

Per un attimo, indeciso se contribuire o meno al delizioso siparietto creatosi fra di loro, Inuyasha si passò una mano sulla testa, punzecchiandosi la base della nuca come un ragazzino intimidito dalla situazione.

E fu proprio allora, a metà del riso dell’uno e dell’imbarazzarsi dell’altro, che la freccia colpì in pieno petto Sesshoumaru.

Un secco lacerio del silenzio e poi, in un nugolo di vesti e stoffe sgargianti, di capelli argentei e fermacapelli indiamantati, l’impennarsi del suo cavallo, lo sporgersi indietro della sua figura impertinente, il primogenito si schiantò a terra.

Per un attimo ad Inuyasha tornò in mente la loro immagine di poc’anzi, il risplendere del fratello in tutto quel suo bianco e avorio sotto il riverbero del sole. La sottile linea d’ombra che li separava, lui a destra e Sesshoumaru a sinistra, lasciando solo a lui la capacità di alzare lo sguardo al cielo senza rimanere del tutto abbagliato.

E ancor prima che il corpo del principe ereditario stramazzasse a terra nella polvere, sollevando ovunque schizzi infranti di pietra essiccata, sentiva già le sue labbra schiudersi, la gola che, infiammata dall’arsura, pareva come bruciare nell’intonarsi di poche, semplici, parole.

“ Prepararsi all’attacco! Arcieri, girarsi a Ponente!”

Come il tam-tam di antiche tribù primitive, Inuyasha avvertì il proprio comando diffondersi in mille e più voci sempre più distanti, la mastodontica mole delle truppe che, scivolando a destra come un sinuoso serpente per portarsi fuori portata dagli archi nemici, mutava la sua pelle per lasciar sprofondare da una parte la legnosa scorza degli arcieri, e dall’altra risalire la compatta armeria dei fanti.

Solo allora, con un balzo, il primogenito si decise a smontare da cavallo per andare in soccorso del fratello, la guardia personale di entrambi che già si affrettava a schermarli con i propri corpi corazzati. Con blando interesse, il terreno che già cominciava a tremare del calpestio di mille passi, registrò il caracollare veramente poco principesco della principessa dal posteriore del suo cavallo e subito dopo, come il destarsi di un nugolo di api impazzite, il sibilo confuso di centinaia e più di frecce scagliate in aria.

Digrignò appena i denti, le sue dita irsute che già affondavano nelle vesti del fratello in cerca del suo corpo prostrato, del suo volto contratto dal dolore e lievemente sudato per via dello sforzo di non impalarsi direttamente sul dardo.

“ Stupido Idiota” ringhiò tanto a se stesso quanto alla faccia ridacchiante che trovò dopo un attimo. Le Stoffe del turbante si erano svolte rivelando, tanto bello quanto solo un demone poteva essere, il volto pacato del primogenito. Non serviva di certo un genio per capire il perché, fra i due, avessero scelto di colpire proprio Sesshoumaru. O meglio, solo Sesshoumaru. 

Era il solo a trovarsi in bella mostra alla luce del giorno, il sole che, per metà nascosto dalla cresta di Ponente, avrebbe impedito a chiunque di scorgere le figure appostate in attesa del passaggio del loro esercito.   

Se le sue mani non fossero già state impegnate nel tentativo di afferrare la freccia conficcatasi nella spalla sinistra, l’hanyou non si sarebbe di certo risparmiato dal dimostrare al suo consanguineo la felicità provata nel saperlo ancora vivo e vegeto.

“ Come vedi, dovendo proprio scegliere, chiunque non può esimersi dal preferire me ad un cagnaccio come te, Inuyasha” fu la prima, ridacchiante, battuta che uscì dalle labbra di quest’ultimo non appena i suoi occhi si incontrarono. Di tutta risposta, il mezzo demone sradicò con un solo movimento la freccia dalla sua spalla, le palpebre dell’altro che, più d’istinto che per reale dolore, si chiudevano un attimo.

“ Dannato modaiolo tutto pizzi e sete” Sputò con voce al vetriolo “L’ho sempre detto che le checche come te sono destinate a morte prematura” spezzò con un solo gesto il dardo fra le dita “ Già che c’eri avresti potuto metterti uno stendardo legato al collo con scritto Colpire Qui, sono l’ultimo erede di una Casata in estinzione!

Con una smorfia placida lo youkai riaprì gli occhi ambrati, in essi una nota saccente che, improvvisamente, veniva rimpiazzata da una ben più urgente di pericolo.

“ Che diav…

Fu nel serrarsi tutt’ intorno a loro dei pesanti scudi e corazze delle guardie che la pioggia di frecce nemiche si esaurì fra le loro fila in un lacerarsi improvviso, imprevisto, immediato.

E ancora, stupidamente, Inuyasha ricordò che nel sibilo dei dardi di poc’anzi non aveva avvertito, particolare non irrilevante, lo schioccare degli archi.

Scoccò uno sguardo stizzoso a Sesshoumaru, piegato lui dinnanzi come una donnicciola in preghiera.

Ovviamente i loro nemici li avevano preceduti. Ovviamente essi si trovavano non solo su una cresta, dove la distanza forse avrebbe loro impedito di raggiungerli visto il repentino spostarsi sulla destra delle truppe. Essi si erano appostati su entrambe i costoni, chiudendoli da ambedue le parti come dei topi in gabbia.

“ Serrate i ranghi! Arcieri posizionarsi! Prepararsi all’assalto!”

Questa volta fu la voce di Sesshoumaru a vibrare imperiosa fra le fila dell’esercito. Fu la sua sagoma imbiancata a svettare nel subitaneo mobilitarsi di asce e stendardi, di baliste e archibugi. Fu il suo tono saccente ad intonare le prime sorde strofe della carica che poco dopo ne seguì, roboante calpestio di fiati e piedi pesanti.

Al suo fianco, Inuyasha non potè che estrarre Tessaiga, lo scintillante profilo dell’arma che rabbrividiva sul suo volto improvvisamente esangue, improvvisamente cinereo nel fluire dell’adrenalina.

Immobile, l’aria attorno a lui che improvvisamente diveniva satura dell’odore di sudore e stallame classico dei corpi che si preparino ad andare al macello, il secondogenito non poté che stringere a sé quella bianca falce intrecciata dei ricordi di mille e più battaglie, mille e più vittorie. Anticamente strumento di potere e soggezione. Cupo monito di nefandezza e crudeltà. Ora, mentre da entrambe le sponde il comparire di mille e più figure in nero tinteggiava le ombre attorno a loro di un formicolante brulichio in fermento, l’hanyou non potè che notare quanto la lama, all’apparenza traslucida e lucente, fosse in realtà venata di tanti scuri aloni di sangue. Piccole sagome brune i cui contorni, contorti e distorti, tracciavano i delta di tante vene e venuzze, capillari infimi di Tessaiga.

Un’ansa per una vita.

Avvertì, più che vederlo, il braccio di Sesshoumaru sollevarsi, lo slancio di dare il via alla carica che costringeva il gomito ad inclinarsi all’indietro in una parentesi di sete e orlature.

Su quella lama vi erano più curve e svolte di quante Inuyasha avrebbe mai potuto contarne. Troppe per una vita sola. Troppe per un’unica carneficina.

Ma già, nel sottile brivido dello slancio, il mezzo demone si era buttato in avanti. Il corpo ossuto teso allo spasimo e ridotto a saetta guizzante nello sconvolgersi di visi e corpi. Un rosso turbinio il cui riflesso pareva gareggiare con lo  schiumare tutt’attorno alla sua figura di nuovo, rossissimo, sangue.

Più veloce di chiunque altro, più feroce di tutto il suo esercito messo insieme.

E già volgeva in una mezzaluna con la mancina, il colpo che falciava a metà un uomo proteso verso di lui. Poi tornava indietro, il perno della destra che consentiva alla sinistra di vibrare un rapido fendente in quella direzione.

E poi ancora, con efferata semplicità, il balzare del corpo in alto, sopra tutto quello sciamare di teste, di dardi. “ Artigli di ferro!”.

E’ solo un sospiro il suo seguente poggiarsi a terra, il fluire rapido del respiro dai canini scoperti, il ringhio perenne delle labbra solo per un istante attenuato dalla fiacchezza di un pensiero, di un ripensamento.

La sua ultima battaglia era stata con Kagome.

Così, strizzando gli occhi, parve quasi di vedere il mezzo demone mordersi a sangue le labbra mentre, con più ferocia che maestria, fendeva ancora l’aria con i propri artigli. Una recluta poco distante che cadeva a terra prima il tronco, poi le gambe. Senza fermarsi, Inuyasha si concesse  uno scatto all’indietro, l’avvitamento a mezz’aria che distribuiva attorno a sé il nuovo scattare dei suoi artigli demoniaci.

Inuyasha!”

Atterrò poco distante, lo sguardo che volava subito a Sesshoumaru circondato da una combriccola di ribelli decisamente agguerriti. Solo, i bei vestiti così diversi e così sfarzosi se paragonati alle frugali armature dei suo assalitori, il primogenito pareva tanto meno adatto a quella situazione quanto la Principessa poco distante, ancora mezza rintontita e stesa a terra, le piccole braccia che andavano a fasciare il capo nel vano tentativo di ripararsi dalla pioggia di frecce.

Buffo. Pensò inuyasha mentre con la stessa frenetica agilità di un felino piombava al fianco del fratello. Anche in quelle situazioni i Nobili avevano l’inesplicabile potere di conservare sempre quella loro aria aristocratica e raffinata. Quasi che – o che caso- proprio a metà fra il tè delle cinque e la manicure del venerdì pomeriggio avessero avuto anche il tempo di infilarci una battaglia campale. Senza pensiero, o almeno, senza darsi il tempo di ridere dei propri pensieri, Tessaiga falciò uno dopo l’altro gli esosi attentatori.

“ Perché non dai Tokijin alla Principessa, fratello? Sicuramente lei saprebbe farne un uso migliore.” lo punzecchiò mentre, lesto, si muoveva di lato per schivare una freccia.

Con un secco schioccare della lingua sul palato, Sesshoumaru deviò un’alabarda spezzandola direttamente in due.

“ Penso invece che dovresti essere tu a delegarle l’arduo compito di ideare battute di spirito. Mi pare che in questo momento tu sia decisamente fuori forma”

Scattando all’indietro, Inuyasha si strinse nelle spalle. “ Al cattivo umore si può rimediare. All’incompetenza…

E detto questo, con un vago ghignetto, trasse a sé la giovane principessa per poi, con un balzo, scartare lontano dal combattimento.

La sentì scivolosa fra le dita, le belle vesti appiccicose mentre lei, più piccola e misera che mai nella sua paura, gli si stringeva addosso come un cucciolo smarrito.

“ Stia calma” le sibilò all’orecchio mentre, con un nuovo slancio, si portava quanto più poteva distante dal fulcro della battaglia. Le braccia di lei si cinsero attorno alle spalle, il suo respiro affannato che prendeva a raschiare il collo contratto dell’Hanyou.

Sospirò appena, contrariato, e fu proprio in quel momento che, abbastanza riparato perché nessuno lo notasse, scorse una piccola rientranza nella gola. Una sorta di concavità naturale visibile solo se ci si trovava a poca distanza dal punto.

Con un ghigno virò immediatamente in quella direzione, le sue braccia che rapidamente salivano ai polsi della giovane per invitarla ad una rapida separazione.

“ Non mi abbandoni qui, la prego”

Se lei non avesse alzato lo sguardo verso di lui inchiodandolo con i suoi occhi pervinca, Inuyasha avrebbe certamente mancato di udirla in quel fracasso di spade e armature.

La fissò per un attimo, stupito da quell’imprevista nota di fiducia nascosta nella sua voce, e poi le rivolse un sorriso sghembo.

“ Paura che mi dimentichi di lei, principessa?”

Lei parve esitare un secondo, i polsi ancora circondati dal mezzo demone che tremavano un poco, impercettibilmente. Poi abbassò lo sguardo, una vena di ostilità che le rabbuiava il volto.

“ Paura che fra le molte cose lei voglia proprio dimenticarsi di me”

Pur in quel contesto, Inuyasha non poté proprio trattenersi dallo scoppiare in una lieve risatina contratta, gli angoli delle labbra che trovavano ancora spazio su quel suo volto ingrigito dalla preoccupazione.

“ Stia tranquilla, madame. Di solito la mia tendenza alla dimenticanza si ripresenta dopo che una donna mi ha concesso le proprie grazie.” Con uno scatto il viso di lei fu di nuovo alla portata dell’hanyou. Non propriamente collaborativo ma nemmeno troppo scandalizzato dal suo senso dell’umorismo “ E lei, in questo campo, ha ancora tutto da giocarsela” la rimbeccò infine.

Mentre scioglieva la presa, Inuyasha la vide rivolgergli un ultimo sguardo apprensivo, i grandi occhi che si inumidivano tanto che, per un solo secondo, egli fu in grado di specchiarsi in essi. Non fu sorpreso di intravedere il sangue sul suo volto. Era cosa oramai tanto usuale che il vero shock sarebbe stato non notarlo.

Sospirò piano, gli occhi che si socchiudevano un istante per meglio imprimere nella mente l’odore di lei casomai, nel furore della battaglia, gli fosse davvero capitato di perdersela.

“ Stia nascosta.” Soffiò infine.

Il suo “ La prego….” gli giunse quando ormai si era già voltato, gli artigli affilati che scattavano verso destra nell’atto di falciare un ribelle che, forse notando la sua immobilità, aveva pensato bene di colpirlo alle spalle.

Sentì strillare tanto lui quanto la principessa alle sue spalle e tuttavia, digrignando i denti come se gli fosse appena toccato di mandar giù un boccone estremamente amaro, balzò in avanti, invischiandosi ancora nel vivo del confronto.

Già l’aria era satura dell’addensarsi di corpi e armi avvinti nella ferocia dell’assalto. Il solito pregno, appiccicoso, ferruginoso sentore di paura e sudore mille e più volte acuito dalla metallica pregnanza delle armature, gabbie medievali volte più ad ostacolare ogni sorta di movimento che a migliorare la difesa di un corpo già di per sé condannato alla morte.

Saetta cremisi e argento, Inuyasha estrasse nuovamente Tessaiga dal fodero, la lama snella dell’arma che, dopo una sola, breve, parabola a mezz’aria, lacerava il misero petto di un assalitore di passaggio costringendolo a capitombolare a terra. Senza darsi la pena di valutare il proprio operato, Inuyasha balzò di lato, la spada che con un movimento a gomito annegava nel cuore di un umano per poi calare subito dopo sul capo esposto di un altro. E ancora, senza darsi il tempo di respirare, le nuove, ferine, lame artigliate a sfondare il duro profilo dell’aria. “ Artigli di ferro! ”

Quasi lo stesso Inuyasha non fu in grado di udire la propria voce. La concavità della gola era tale da amplificare all’inverosimile qualsiasi suono tanto che, se non centomila, i suoi uomini e i ribelli parevano essersi moltiplicati oltre ogni modo onde formare una vera e propria nazione di guerrieri intenti a combattersi fino alla morte.

Guerra civile, avrebbero detto in molti.

Eppure non esisteva alcuna civiltà fra demoni e umani così come non ve ne era fra padroni e schiavi.

Scartò a destra, la curva delle sue spalle che si infossava come le spire di un serpente mentre con la manca afferrava per la nuca un malcapitato assaltatore e con l’altra gli sfondava in un solo fendente lo sterno, Tessaiga che profanava da parte a parte quel corpo fragile e misero.

Nessuna pietà, nessuna compassione.

Fu proprio allora che da un punto impreciso del campo udì il familiare richiamo alla ritirata. Non la loro, certamente, ma quella dei ribelli.      

E poco dopo, ancora più acuto e riconoscibile, l’urlo disperato della principessa alle sue spalle.

Spesso si dice che fra pensiero e azione non intercorrano che pochi istanti. Miseri attimi in cui il cervello, più veloce di qualsiasi macchina esistente, già abbia formulato il proprio responso e non debba far altro che ordinare a tutto il corpo, sferragliante schiavo ai servizio, quanto si debba fare.
Eppure, proprio in quel momento, quando Inuyasha si vide già sfrecciare in avanti, il corpo proteso nella spasmodica volontà di annullare i pochi secondi che ancora gli servivano per muoversi e raggiungere la propria meta, quasi si ritrovò a pensare che nel suo caso non si fosse trattato né di secondi né di attimi.

Immediato come il sopraggiungere del dolore e della paura, ecco, indefinibile quanto tangibile, il presentarsi della consapevolezza.    

Seppe già in quella chi avrebbe trovato accanto alla fanciulla inerme. Avvertiva già il perché del suo roco strillare, il suo brusco stramazzare a terra nel tentativo di divincolarsi dal proprio assalitore che già le ha provocato delle profonde ferite alle ginocchia e ai palmi delle mani.

Così quando, con la violenza di un ciclone, egli atterrò poco distante a lei, la mano destra serrata attorno all’elsa di Tessaiga e la sinistra poco più protesa in avanti, non fu con sorpresa che i suoi occhi felini incontrarono quelli di una giovane donna dalle iridi verde-grigio, i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo ondeggianti nel lieve riverbero del vento.

Le sorrise con la placida ed incurante benevolenza che si riservi ad una persona cara o gradita. Quasi che, tutto sommato, non gli dispiacesse affatto trovarsela ancora li, non per la prima e ultima volta certamente, nel bel mezzo di una battaglia, intenta in qualche modo a testare la sua resistenza a trabocchetti ed artifici di sorta.

“ Chi non muore si rivede.” fu il suo, anche questa volta non primo, commento.

Attorno alla gola della principessa un pugnale dalle sfumature verdognole brillò appena nel riverbero del sole, i ricchi intarsi su di esso appositamente studiati per intrappolare la densa sostanza in cui, probabilmente, era stato fino a pochi istanti prima immerso.

Ella parve studiarlo un attimo, forse incerta sull’indovinare o constatare qualcosa nel suo viso, ed infine si risolse per un mezzo sorriso a denti stretti. “ Principe Miyoshi”.

Poco di lato al viso della giovane donna, quello della principessa ebbe un sussulto. La lama posta sulla giugulare si era fatta più serrata.

“ Data la frequenza dei nostri incontri, mi stavo giusto chiedendo quando avrei avuto ancora il piacere di una vostra visita.” flautò lui con noncuranza. “ Ero quasi preoccupato, in tutta franchezza. Spesso la puntualità è garanzia di prevedibilità, che a sua volta è indice di certezza. Ma quando mancano entrambe…è proprio allora che bisogna iniziare ad avere un poco di timore del prossimo.”  Una pausa, giusto per notare lo sguardo un poco confuso che gli rivolse la principessa  al sentirlo colloquiare amabilmente con la sua presunta assassina. Non le badò. “ Ma per fortuna voi avete fugato anche questa preoccupazione. Vedendoci di nuovo tutti qui riuniti, ora mi posso sentire più tranquillo. Manca solo la vostra amica all’appello, ma temo ritarderà ancora un po’, ahimè. Impegni urgenti la trattengono a Zaccar

Attorno a loro, parve di sentire il brontolio della battaglia spostarsi un poco più distante, il richiamo delle trombe che costringeva il vorticoso chiasso delle armature e sferragliare altrove, come latranti cani da inseguimento.

Di nuovo, egli si vide rifilare un vacuo sorriso. Qualcosa a metà fra lo sprezzo e il risentimento “Gongolate pure nella vostra presunzione, Principe. Godetevi questi ultimi attimi.” Serrarsi della mascella “ Ancora per poco queste terre saranno costrette a sopportare la vostra presenza”

Pur senza volerlo, Inuyasha potè quasi avvertire la presa della propria mano su Tessaiga farsi un poco più serrata.

Ciononostante,  dopo un attimo schioccò la lingua sul palato con fare spiccio.

“ Parole coraggiose, calcolando che colei che le pronuncia sta per trovare la morte per mia stessa mano.” Lei sorrise ancora, quasi selvatica nel proprio sfidarlo senza apparente timore. Quasi che lo scontro tutt’attorno, il sangue e quel suo coltello fra le dita longilinee non avessero altro potere se non quello di rassicurarla, di renderla più spavalda di quanto mai fosse stata dinnanzi a lui prima d’allora.

O vi era qualcos’altro? Qualcosa ancora?

“ Volete dire che questo ostaggio non rappresenta una garanzia sufficiente per la mia salvezza?” gli sibilò contro andando a sfiorare con la guancia la mascella della Principessa.

Nella prima traccia di dubbio, di serio dubbio, il mezzo demone si concesse una risatina roca, affilata, più lo strisciare di una lama su una mola consunta.

“ Ne avete mai avuto la presunzione?”

Nel gemito strozzato della giovane sovrana, Inuyasha seppe che fra le due solo la prima aveva davvero creduto alle sue parole.  Alla sua compunta constatazione dell’ovvio.

Una vita come le altre. Un’anima in più mandata in pasto alle belve infernali e disposta, un giorno, a reclamare la propria vendetta sul proprio carnefice. Negli occhi dell’assassina, tuttavia, chiara si poteva leggere una sorta di noncuranza, di ferina compostezza ben superiore a quella di un mero bluff o di un’avventata presa di posizione.

Così, quando ella si esibì in una fredda risata senza gioia, il mezzo demone non poté che seguirla, guardingo, nel proprio raggrinzirsi di labbra.

“ Certo che no, Principe, certo che no ” sillabò lei a labbra strette “ Ed è proprio per questo che ho la assoluta certezza che voi mi lascerete andare”

Dal nudo sorriso dipinto sul suo volto, le labbra del mezzo demone si tesero immediatamente in un’espressione beffarda, la pelle che sbiancava nell’impallidire del suo volto improvvisamente aggressivo.

“ Ma non mi dite…

“ Sono io ad avervi trovato, Principe. Nel bel mezzo di questa guerriglia è cosa ben più strana pensare che io vi abbia per caso scovato piuttosto che deliberatamente cercato. “ Un lieve sogghigno “ Avrei potuto trovarmi dall’altra parte del continente insieme alle truppe che vi attendono. Oppure rimanere nascosta e fuggire nella ritirata ma, come potete vedere, fra tutte le alternative possibili io ho scelto proprio quella di ritrovarmi a meno di mezzo metro da voi, in balia delle vostre ire con solo una sciocca fanciulla a farmi da scudo”  piccola pausa, tessuta nel sonoro deglutire della Principessa “ Strano, vero? ”

Mentre la prossimità di quel Qualcos’altro calava su di lui come la mannaia del boia, Inuyasha non poté fare a meno di abbassare la spada un poco, lievemente, più una resa annunciata che effettiva.

“ Vi ascolto “ fu la sua secca replica.

Haman Yosei, figlio del legittimo sovrano ed erede al trono di Zaccar, vi manda i suoi saluti, ringraziandovi per la solerzia con cui le vostre truppe si apprestano a raggiungere il valico dello Tsii. Vi ringrazia perché, mentre tutte le vostre forze  disponibili si stanno dirigendo verso la battaglia, i sovrani dei regni orientali e delle reggenze occidentali si preparano ad imbracciare le armi nel riscatto della propria libertà.” Mentre parlava, ella indietreggiò di un passo trascinando con sé anche la giovane sovrana. Nonostante il lieve gemito di quest’ultima, il mezzo demone parve non accorgersene, o meglio non reagire a quel piccolo passo verso la salvezza. Per qualche ragione, i suoi occhi erano ora più concentrati sul volto della ribelle onde scovarne gli inequivocabili segni della menzogna.

Stava mentendo.

Piuttosto semplice da intuire, a dire il vero.

O forse no?

Lievemente, quasi indovinando i suoi pensieri, la ragazza gli rivolse un lieve sogghigno “Il nostro sovrano mi ha chiesto di informarvi che, nel caso di una resa senza condizioni, sia voi che vostro fratello verrete risparmiati”

Fu il turno del mezzo demone di sorridere. Una risata secca, fredda, fra i canini scoperti su un volto ora pallido, esangue. Al suo fianco, Tessaiga parve tralucere di un riverbero sanguigno.

“ La pietà degli esseri umani… ” sputò quindi dopo un attimo, il disprezzo che latrava pesante dalle sue labbra distorte in una smorfia cinica “ Piaga infetta mascherata a carezza amorevole.” Si concesse un attimo per raschiare la ruvida consistenza negli occhi della giovane donna e, al contempo, riversarvi la propria.” Fiele velenosa che essi hanno anche il coraggio di chiamare Benevolenza

“ E’ la sola cosa che il nostro Sovrano sia disposto a concedervi, Principe” fu la secca replica di lei “ Rifiutate, ed allora non vi saranno altre lusinghe, altre concessioni”

Per un attimo fu il silenzio. Il flebile tacere di entrambi nell’attesa della mossa dell’altro. Un confronto rigido, fisso. Più figurato che effettivo in realtà. Eppure, pur senza muoversi di un solo millimetro, Inuyasha capì che sarebbe stata la sua prossima mossa a decretare l’esito tanto della conversazione quanto della battaglia poco distante.

Una sua parola, e allora le trombe avrebbero di nuovo squillato, le armi taciuto, ed infine i ribelli si sarebbero ritirati senza un attimo di esitazione, incertezza. Scaltra macchina al servizio di poche, sapienti, menti.

Per quell’inesorabile istante di attesa, Inuyasha si concesse il beneficio del dubbio, la possibilità di valutare, anche solo per un inconfessabile attimo, quali avrebbero dovuto essere le sue parole.

Dopo il regime tirannico. Dopo le interminabili campagne di conquista. E la folle, vertiginosa, avanzata a macchia d’olio verso ogni dove e ogni punto di Yarda.

Cosa rispondere?

Come rispondere di tutto quello?

Solo ora poteva ben vederla, ben saggiarla con la punta delle dita la profondità del baratro che, oncia dopo oncia, i ribelli avevano scavato sotto i loro regali piedi per tutto quel tempo, approfittando della loro cecità, della loro incuria. Della loro inesauribile sete di potere.

La terra bruciata, le informazioni contrastanti, la caduta quasi inspiegabile delle più potenti città di Yarda. L’endemico soccombere di tutte le fortificazioni ad opera di sparuti, se non miseri drappelli di uomini.

Sospirò piano, lievemente, le palpebre che si chiudevano e aprivano una, due volte, quasi avvertendo solo in quell’istante il chiarore del sole.

Fino a che punto erano stati odiati, i Miyoshi?

Abbastanza da sacrificare centinaia di uomini, a quanto pare. Da bruciare le loro case, depredare i loro averi e costringerli alla fame, alla fuga, alla latitanza.

Abbastanza per distruggere Misir. Attaccare i nobili e costringerli all’esilio pur di non palesare la finzione, la grande verità: che i complotti, quelli veri, avevano bisogno di complici molto più che di morti vere e proprie.

Così ecco inscenata la progressiva perdita di potere e influenza dei Miyoshi. La loro decadenza tanto come casata regnante quanto come stirpe guerriera. Il venir meno della loro potenza bellica. L’affievolirsi dell’appoggio degli alleati.

Lo scostarsi, inesorabile, della loro grande mano su tutta Yarda.

In un attimo di breve rabbia, inuyasha si chiese quanto avessero pagato il sovrintendente per lasciar entrare i ribelli entro le mura di Misir. Che metodi avessero usato per convincere i reggenti a sacrificare le loro belle case, i loro preziosi mobili.

Sorrise, vago, il fastidio poco prima provato che sfociava in un’arrendevole amarezza.

Che domande inutili…

Probabilmente avevano promesso loro altrettanti posti di prestigio, altrettante cariche autorevoli dopo la disfatta dell’Impero. Qualche bello scranno fresco fresco per rimpiazzare il loro andato miseramente in fiamme. Poverini.

Chissà se avrebbe trovato il tempo, giusto un momento prima di essere portato dinnanzi alla corte marziale, per ringraziarli di persona per la loro fedeltà…

Sogghignò ancora, amaramente, incapace fino all’ultimo di trattenere quella sua insana propensione all’autoironia, e solo in quella, forse attirato da un fugace movimento poco distante, volse lo sguardo in direzione della battaglia.

Nell’immancabile svolazzo di stoffe e merletti, Sesshoumaru pareva quasi brillare di luce propria. Splendere, come solo le figure più regali e principesche avrebbero potuto fare.

Sesshoumaru, creatura  senza pensiero.

Incurante e ignaro del suo breve colloquio, il primogenito si stava dando corpo e anima nello sterminio dei ribelli.

“ Nostro padre verrà giustiziato, immagino” riprese quindi il secondogenito, lentamente.

La giovane annui piano, evitando di parlare, forse cogliendo l’importanza di quell’attimo. Ammesso che un umano potesse cogliere qualsiasi cosa che esulasse i propri bisogni fisiologici.

Di nuovo, leggero, il sorridere di lui.

E mentre, per una frazione di secondo, gli occhi del mezzo demone incontravano quelli del fratello (un puro caso, in realtà), Inuyasha non poté far altro che, forse per la prima volta, arrendersi.

All’evidenza.

All’inesorabilità.

Alla stanchezza.

A tutto, tutto ciò che a cui non si era mai arreso, non aveva mai avuto la forza di arrendersi.

“ Noi combatteremo fino alla fine” disse quindi. L’angolo destro della bocca che si torceva appena, mostrando il bianco riflesso di un canino.

Come altro avrebbe potuto essere una resa, in fondo?

“ Tutti noi sappiamo che non esiste altra possibile soluzione per una casata come quella dei Miyoshi. Non esiste morte peggiore che quella che voi ci offrite” continuò rapido. Nel suo volto, nella sua voce, una traccia commista di orgoglio e arroganza. Troppa per essere l’ultima parola di un principe che non riconosca ancora la propria fine.

“ Credo che anche mio fratello sarebbe d’accordo. Meglio essere ricordati come guerrieri che come diplomatici. Del resto i Miyoshi non hanno mai brillato molto in tutto ciò che non concernesse un’arma e i variegati metodi di utilizzarla. Sarebbe alquanto sgarbato mentire proprio all’ultimo”

Di nuovo, la giovane si concesse di guardarlo per alcuni istanti senza obiettare alcunché. Semplicemente. Nei suoi occhi, ora, la totale assenza di sorpresa o avversione nei suoi confronti. Solo una banale, grigia, accettazione. Quasi che, tutto sommato, ella non si fosse aspettata altro che quello da lui. Altra reazione se non un ultimo, proverbiale, sfregio molto più maschile che signorile.

Annuì ancora, guadagnandosi una smorfia contratta di Inuyasha mentre, la Principessa appresso, si azzardava a retrocedere di un passo.

“ Immagino che questa sia la parte in cui vi lascio andare entrambe, voi e la piccola principessa traditrice, senza attentare alla vostra vita” rimbeccò subito lui, trovando cosa decisamente più gradevole deviare il discorso su argomenti per così dire “consueti” che dilungarsi oltre sulla prossimità della loro morte.

Forse apprezzando la svolta, con nuovo slancio la giovane guerriera serrò immediatamente il coltello attorno alla gola del proprio ostaggio che di riflesso si lasciò sfuggire un ben poco “simulato” gridolino di terrore. Nel lieve intercorrere di quella scarsamente travisabile dimostrazione di panico, il mezzo demone si trovò a chiedersi se, forse, non proprio tutti gli attacchi messi a segno dai ribelli fossero stati fasulli. Probabilmente, qualche reale spargimento di sangue doveva esserci pur stato in ragione di evitare possibili sospetti. Alla principessa doveva essere andata abbastanza male.

“ Siete già pronto per passare oltre, Inuyasha?” lo punzecchiò con malcelato stupore la giovane.

“ E’ quello che avete appena fatto tutti voi con la mia famiglia, mi sembra. Trovo appropriato ripagarvi con il medesimo interesse” 

Un’ombra di sorriso, quasi certamente autentico, fece stranamente capolino sul volto della ragazza.

“ Voi e i vostri consanguinei non siete affatto stati qualcosa di poco interesse per tutti noi. Il terrore, il rispetto e il disprezzo vanno spesso a braccetto quando ci si riferisce alla casata Miyoshi.”

“ Sorprendente che voi umani siate in grado di provare tutte queste emozioni contemporaneamente” rimbeccò subito il mezzo demone.

Lei gli rivolse una rapida occhiata.

“ Addio, Principe.” concluse asciutta. Nell’istantaneo serrarsi della mascella del mezzodemone, ella arretrò di un paio di passi.  “Spero di non doverla incontrare mai più “ aggiunse freddamente.

Inuyasha non le rispose. Per un attimo si era già visto balzare in avanti e staccarle la testa con un unico, preciso, fendente di Tessaiga. Stupida umana. Ma l’attimo dopo qualcosa, probabilmente quel qualcosa che la giovane aveva poc’anzi tanto decantato, gli aveva rabbiosamente impedito di farlo.

Si umettò nervosamente le labbra, in parte sorpreso ed in parte stizzito dalla cosa, il gesto negato di attaccare che si traduceva inevitabilmente nel suo portare anche la mano sinistra all’elsa della spada.

La giovane gli rivolse uno sguardo di avvertimento.

Tu non mi attaccherai, Inuyasha. Parvero dirgli i suoi occhi. Non nelle condizioni in cui ti trovi ora.

Strinse maggiormente la presa attorno all’elsa, avvertendo distintamente lo scricchiolio della stringhe sotto le dita.

Non adesso. Non prima della Vera fine.

 


Ed eccoci di nuovo^___^

Ormai è di prassi cominciare con le scuse tanto per i tempi di risposta quanto per le molte piccole imperfezioni “stilistiche” che, pur continuando a guardare e riguardare e riguardare ( e riguardareç___ç), finiscono sempre per infilarsi qua e la nei miei scritti. Ho deciso comunque di “voltare” letteralmente pagina e postare, finalmente. Ecco dunque le prime avvisaglie della fine, gli inconfutabili ( e non primi) segni di una trama che si muove direttamente sotto i piedi dei protagonisti.  Non l’ho indicato nel testo poiché Inuyasha ignora il nome, ma la ragazza non è altri che Sango, ambasciatrice di una cortesia fra nemici probabilmente mai esistita ma di cui talvolta mi piacerebbe leggere.

Ringrazio moltissimo Timeless  e Irina per i commenti dolcissimiç____ç Ormai da tempo il mio “correttore ufficiale”  e la mia “incoraggiatrice ufficiale” mi hanno abbandonata nella stesura di questa storia ( dicono che ormai manca solo la fine e che so camminare da sola…mah°__°) quindi la mia storia continua in solitaria….non sapete quanto mi faccia piacere sapere che apprezzate il mio lavoro*____*

In ogni caso. Un bacio a tutti coloro che mi seguono e…a Presto! ( ORMAI la finisco, giuro!)

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Quando Sesshoumaru, visibilmente sconcertato dall’improvvisa quanto frettolosa ritirata del battaglione nemico, lo raggiunse poco dopo, Inuyasha era solo.

Tanto la guerriera quanto la Principessa erano sparite. Fuggite e volatilizzatesi nel nulla con la stessa semplicità del disperdersi della sabbia nel deserto.

Come tutte le donne, del resto.

Il viso contratto e per metà stravolto da una macchia sanguigna colante da un meno precisato punto della fronte, il primogenito gli si sedette accanto, guadagnandosi una rapida occhiata di circostanza. Le belle vesti di Sesshoumaru parevano ora i residui sfibrati di un abito da sposa costretto a passare una fin troppo avventurosa notte di nozze.

“ Mi stavo giusto chiedendo dove fosse sparito il mio caro fratello, invincibile guerriero e superbo combattente” gli sibilò con fare piccato “ Ma per fortuna eccolo qui, intento ad ammirare lo spuntare delle prime margherite. Avevo quasi paura che, per puro caso, ti fossi arrischiato ad imbracciare un’arma ma no, grazie al cielo, non ti è proprio passata per la testa una simile pazzia”

Gli angoli delle labbra del mezzo demone si flessero appena verso l’alto.

Una vita per una vita.

Una morte per una morte.

La loro in cambio di quella di Inutaro, padre scellerato. Prima della Fine.

“ Che c’è, troppo affaticato dalla raccolta di germogli?” lo punzecchiò ancora il fratello mentre, con sommo dispiacere, provvedeva a lacerare definitivamente ciò che rimaneva del suo vestito. In breve Sesshoumaru conservò solo quelli che a occhio e croce avrebbero dovuto essere le sottovesti. Bianche e screziate di turchese, ovviamente.

Inuyasha soppesò piano Tessaiga da una mano all’altra, la curva affilata della lama che passava senza uno sbavo sul suo palmo destro mentre, assorto, egli la faceva scorrere dinnanzi agli occhi pensosi “ Ho appena avuto un delizioso rendez-vouz con una ribelle di nostra conoscenza” si risolse poi a dire.

Immediatamente Sesshoumaru si bloccò. A metà di un nuovo ritocco estetico alle proprie vesti, il primogenito parve smarrire il filo dei propri pensieri.

Inuyasha sospirò piano, socchiudendo lentamente le palpebre ora irritate dal sole.

“ Una conversazione molto spiacevole, in effetti” continuò conficcando con un secco movimento Tessaiga nel terreno

“ Specialmente la parte in cui ci informava entrambi delle losche trame escogitate per dare il tempo ai nostri alleati di tradirci in tutta calma”.

Ancora fasciate da un marasma imprecisato di chincaglierie e gioiellame, le dita di Sesshoumaru parevano dei sottili ramoscelli di betulla assaltati da orde di bruchi affamati. Sembrarono improvvisamente sussultare, quasi che uno di quegli animaletti avesse appena deciso di mordere la mano che lo ospitava.

“ Sarebbe stupido dire che non avessimo in qualche modo previsto questa eventualità” riprese freddamente Inuyasha.

Sarebbe stupido fingere che non l’avessimo capito entrambi già da tempo avrebbe voluto dire, ma si astenne per il medesimo senso del rispetto che poco prima la guerriera aveva riservato a lui.

Si schiarì piano la gola, prendendosi qualche istante per decidere come continuare. Poi sospirò.

“ Tutti, vecchi amici e vecchi nemici, ci stanno ora aspettando al valico dello Tsii dove nostro padre, da quanto mi è stato detto, ha già potuto saggiare l’amaro gusto del tradimento.” Esitò un attimo “ E’ improbabile che sia ancora vivo.” Aggiunse poi lentamente.

Probabilmente non era vero. Non in quell’esatto istante in cui lui, figlio ingrato, già poneva con quelle parole una croce di parole sul feretro freddo del proprio padre, perlomeno. Certo che no. Probabilmente Inutaro era ancora li, nell’ultima e più remota fila del suo sterminato esercito a strillare ordini a destra e manca mentre, molto più avanti, i suoi uomini morivano come bestie al macello. E già, vedendo l’andamento poco rassicurante della battaglia, chiedeva che gli venisse sellato il proprio cavallo. E portati vestiti più umili, magari macchiati di sangue fresco, viste le circostanze.

“ Signore, signore, dove deve andare proprio ora?” “ E’ per l’assalto finale, ragazzo.” ( No, non credere che me la stia vergognosamente dando a gambe, ragazzo. Fidati di Inutaro Miyoshi).

Ma forse, forse, era meglio evitare che Sesshoumaru intendesse quella immagine di sopravvissuto-quasi-morto come una possibile quanto doverosa missione di salvataggio al padre accerchiato. Meglio evitare che l’unico figlio che ancora tollerasse la sua sgradita presenza morisse al suo fianco maledicendolo  e raccomandandolo al peggiore girone infernale.

Così, nello sguardo improvvisamente buio di Sesshoumaru, nel suo flettere il capo e sparire nella cortina argentea dei capelli, Inuyasha non potè che socchiudere le palpebre e volgere gli occhi dall’altra parte, in parte dispiaciuto ed in parte avvilito per essersi dimostrato, proprio alla fine, il figlio bastardo di cui tutti parlavano riferendosi a lui e alla sua deplorevole maternità.

“ Quante possibilità ci sono che ci stiano mentendo? Che sia semplicemente un inganno per impedirci di raggiungere nostro padre in combattimento?” da dietro la propria capigliatura lunare, la voce di Sesshoumaru dovette gareggiare con il costante sibilo del vento.

Il mezzo demone si strinse placidamente nelle spalle. “ Molte, in effetti” rispose asettico “ Ma in questo caso, ti faccio notare che le recenti rappresaglie ai nostri “alleati” hanno notevolmente affievolito la nostra potenza bellica e le forze a nostra disposizione. Fra le fila rimanenti ci sono contadini e mercenari in numero sufficiente ad affrontare niente più che un esercito regolare di medie dimensioni. Qualunque nuova aggiunta alle forze in campo nemico ci sarebbe senza dubbio fatale. Senza contare che il valico dello Tsii è una trappola naturale per eserciti che non conoscano bene il territorio.”

Il secondogenito soppesò appena con lo sguardo la bruciante linea dell’orizzonte “ Qualcosa a metà strada fra un salto nel vuoto e un canto del cigno” constatò con leggerezza. Non poté fare a meno di portarsi una mano alla fronte detergendo con pollice e indice il sudore raddensatosi attorno agli occhi e poi, con apparente noncuranza, abbandonare la mano li, proprio dinnanzi alle iridi ferine. Incapace, anche in quel contesto, di guardare in faccia il proprio fratellastro e soppesare l’intensità del proprio rammarico.

Poi qualcosa lo colpì. Uno strattone imprevisto che dal fianco si abbatté su di lui con la stessa violenza di un elefante in carica. Colto del tutto alla sprovvista Inuyasha non poté far altro che incassare il colpo ritrovandosi poco dopo disteso a terra con una mano del fratello attorno al collo e l’altra sospesa assieme a Tenseiga nell’aria.

“ Sei solo un fottuto vigliacco!” gli sputò in faccia questi, lo sguardo solitamente terso che ora annegava in uno sprezzo rancoroso. Nelle sue iridi il colore del sangue mentre, privo di alcuna compassione fraterna, questi troneggiava inclemente su Inuyasha.

“Solo un vigliacco!” ripeté serrando ancor più la presa attorno al collo. Vene scure gli pulsavano in viso “Dannato bastardo che non sei altro, mi stai forse dicendo che dovrei scappare e basta, lasciandomi alle spalle il nome dei Miyoshi e con esso nostro padre? Fuggire nella vergogna e nel disonore come uno dei tanti cani che se la svignano dinnanzi alla battaglia con la coda fra le gambe?” nella sua voce già si poteva avvertire la stridula nota dello sdegno, la gola che andava serrandosi riducendo le parole a poco più che un sussurro rabbioso. Quasi un ringhio. “ Mi stai dicendo di lasciare tutto e vivere da ora in avanti come un clandestino senza nome, senza patria e senza speranze? Io che ho conquistato popoli e capitanato armate? Maledetto mezzosangue!” sputò con il fiato corto “Ho ucciso e depredato più di quanto mille uomini potrebbero fare nel corso di tutte le loro misere vite. Ho versato tanto sangue da far sprofondare questo lurido mondo in un abisso insormontabile. Ho..” “ Ti sto solo proponendo la salvezza, Sesshoumaru!” lo interruppe con rabbia il secondogenito. Si sentì mancare il respiro mentre il fratello lo inchiodava ancor più a terra con un gesto omicida “ Mi stai consegnando alla viltà! “ fu la sua replica rauca “ Ti sto consegnando alla vita, invece! Una nuova vita!” un nuovo strappo mentre questi si alzava di scatto per puntargli immediatamente Tenseiga alla gola. Vi fu un lungo momento di silenzio nel quale il secondogenito poté avvertire il filo della lama sfiorargli la gola pulsante. Poi, il fremito di Sesshoumaru “ Nessuna vita varrebbe il gesto a cui mi chiedi di abbassarmi. Nessuna!” .

Nonostante la situazione, Inuyasha non poté proprio impedirsi di esibire un ghigno sarcastico  “Ma non farmi ridere” rimbeccò piccato “Rispetto a ciò che abbiamo fatto fino ad ora il salto non sarebbe poi così ampio, in fondo.” Impercettibilmente, in quella qualcosa cambiò nello sguardo del primogenito. Qualcosa il cui imprevedibile spegnersi parve mutarlo in un istante, il volto che si paralizzava nel riverbero delle ultime parole di Inuyasha.

Il mezzo demone potè quasi avvertire il suo respiro tremare, l’emozione di un attimo che stravolgeva gli occhi dorati del fratello. Poi, deglutendo “ E’ proprio per questo che non posso farlo, Inuyasha” sibilò questi lentamente.

Incapace di controllarsi, il mezzo demone percepì distintamente il proprio volto arricciarsi ancor più in un’espressione serpentina. Se avesse potuto avrebbe certamente sputato a terra. ”Ridicolo” sentenziò subito dopo. Soppesò un attimo sulle labbra la sensazione di aver nuovamente ripreso il controllo della situazione. Un che di dolce e al contempo elettrizzante. A prova del suo ritrovato potere tentò impercettibilmente di muoversi un poco all’indietro, ma il braccio di Sesshoumaru lo seguì. Sospirò. ” Pensi forse che un ultimo gesto disperato ti salverà, Sesshoumaru? Che insieme al nome potrai riscattare anche la tua anima? Non c’è mai stato onore nella casata dei Miyoshi. Mai. Tanto nel passato quanto ora. E non sarà certo il tuo plateale suicidio a donargliene uno.”

Con gesto febbrile, Sesshoumaru si passò la lingua sulle labbra, il sangue rappresosi che le colorava per un istante di vivo carminio. Parve prendere il respiro mentre, assorto, fissava attentamente Inuyasha, Tenseiga ancora stretta fra le dita. Poi, infine, sorrise. Con la medesima e meccanica arrendevolezza di chi dovesse aver ben studiato quel gesto prima di concederselo. “Forse hai ragione” ammise con imprevista calma, la voce che modulava appena in un tono sereno “ Non sempre è dovere dei figli riscattare gli errori dei padri, specie se questi hanno per lo più il carattere dell’incorreggibile.”

Distintamente Inuyasha riuscì a notare le dita del fratello distendersi appena attorno all’elsa della spada. Inconsapevolmente trasse un sospiro sollevato.

“Forse sto sbagliando.” continuò Sesshoumaru  “Forse mi sto semplicemente illudendo che un sanguinoso assassino possa trasformarsi improvvisamente in un eroe di guerra da tutti rimpianto” nelle mani di Sesshoumaru, Tenseiga parve abbassarsi di qualche centimetro “E certamente è stupido da parte mia sperare che questo mio desiderio di riscatto si prolunghi anche a te ma vedi, Inuyasha” solo allora, con un gesto incredibilmente lento, egli allontanò l’arma dalla gola di lui consentendogli di respirare liberamente.

Miyoshi è il mio nome. L’unico che mi sia stato dato alla nascita e il solo che ho scelto di conservare qualora avessi dovuto mai pensare a CHI io fossi. Morto quello, cosa pensi che mi resterebbe?” “Molto più di quanto tu creda, fratello” soffiò Inuyasha. Improvvisamente divertito, Sesshoumaru scoppiò allora in una mezza risata contrita “Forse più di quanto servirebbe a chiunque altro per sopravvivere. Forse. Ma non abbastanza per me” una pausa, i lunghi capelli d’argento che incorniciavano il suo volto come una cascata di diamanti “ Nessuno sopravvive alle Tenebre, Inuyasha, nemmeno il più forte dei guerrieri. Si ha sempre bisogno di una Luce, di una piccola luce che ci indichi il cammino così da evitare di perdersi in quel mondo di ombre ed oscurità quali è l’essere umano.” Socchiuse un attimo le palpebre, piccole gocce di sangue che si seccavano lentamente attorno alle orbite “Ho fatto e visto troppo per illudermi ancora di non essermi già smarrito. Di non aver poco a poco perduto tutto ciò che possedevo in quel nero sempre più fitto, sempre più pressante. Eterno.” Lentamente, abbassò il filo della spada fino a farle sfiorare il terreno. Un istante, e le dita di Sesshoumaru la lasciarono scorrere dolcemente nel fodero, nuovamente a riposo. “Quella Luce, quella misera Luce è la sola certezza che mi rimane, ormai. L’ultima speranza a cui ancora mi aggrappo per rassicurarmi di non aver, almeno, dimenticato chi sono.”

Signore!” un grido maschile poco distante fece sobbalzare entrambi, scuotendoli simultaneamente in uno shockante ritorno alla realtà. Stordito, Inuyasha vide Sesshoumaru spostare lentamente il proprio sguardo in direzione di chi aveva parlato, il serrarsi della mascella di lui che ben lasciava intuire quanto l’imprevista intromissione nel discorso avesse messo a dura prova la sua sopportazione. dopo qualche rapido scambio di sguardi con il terzo venuto, il primogenito volse in silenzio il capo prima a destra, le palpebre che si stringevano appena nel tentativo di mettere a fuoco qualcosa evidentemente lontano, e poi di nuovo, lentamente, alla volta di Inuyasha cui non era stato dato il permesso di voltarsi. Sul suo volto un che di perplesso e vagamente sconcerto.

“E’ la Principessa” fu il suo unico commento asciutto.

Nell’esatto istante in cui voltava lo sguardo nella direzione indicata, ogni traccia della conversazione appena avuta abbandonò  il mezzo demone, lo sguardo ora inaspettatamente ansioso che si fissava alla ricerca della figura ancora vacua nel profilo dell’orizzonte. La Principessa. Quella Principessa. Assottigliò appena lo sguardo, il riverbero del sole sulla piana che gli provocava una sensazione quasi dolorosa mentre con trepidazione delineava i tratti sottili, l’andatura stanca ed affaticata, l’odore pungente. Si. Concluse con un mezzo sospiro. Proprio la Principessa.

E avrebbe certamente preso a correre in direzione di lei se proprio allora la voce del fratello non l’avesse raggiunto bloccando sui suoi stessi passi. “Che diavolo ci fa li? Era scappata?” Inuyasha deglutì a vuoto, l’ansia che gli inaridiva la gola “Era stata rapita dai ribelli” spiegò in un soffio asciutto. Avvertì, pur non vedendolo, l’accigliarsi appena di Sesshoumaru “Bene. Non doveva valere poi molto se quei bifolchi l’hanno rilasciata dopo neanche mezzo miglio” fu il suo unico commento divertito. Nel duro delinearsi della mascella il secondogenito si concesse un mezzo sospiro contratto per poi, giallo di stizza, scoccare un’occhiata inviperita in direzione delle truppe assiepatesi tutt’intorno come mosche attirate dal miele.

" Cosa diavolo è questa atmosfera da sala da ? Serrate i ranghi e preparatevi a partire, razza di bifolchi!" latrò estraendo brutalmente Tessaiga rimasta fino ad allora conficcata nel terreno.

 

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Quando la giovane giunse finalmente alla portata del mezzo demone, i ranghi si erano fatti decisamente più serrati e la disposizione delle truppe aveva molto più a che spartire con la geometria piuttosto che con le fiere di paese.

Unico punto fermo in mezzo a quel vespaio ronzante, ritto e rigido dinnanzi al plotone degli archibugieri,  Inuyasha non si era ancora mosso dalla propria posizione. Bruna effige la cui latente tensione non sfuggì allo sguardo sottile di Sesshoumaru. Si concesse di sorridergli appena, una mezza risatina allo sguardo affannato di lui, all’ansia del suo attendere, passo dopo passo, l’arrivo della giovane.

Inuyasha. Freddezza Immatura.

A vederlo così lo si sarebbe detto uno sposino sull’altare, colmo d’amore e  in trepida agitazione per l’avvicinarsi della sua futura sposa.

E Sesshoumaru si sarebbe quasi certamente aspettato un bel bacio passionale quando, finalmente, ella si afflosciò in un gemito fra le braccia del mezzo demone. Lieto coronamento di un amore a dir poco inaspettato. Ma proprio allora, ad un passo dalla happy ending, al posto che stringerla a sé con ardore egli spostò le mani dalla vita alle spalle della donna e con forza a dir poco spropositata, diede un unico, brusco, strattone.

Per una frazione di secondo Sesshoumaru presagì lo staccarsi di netto della testa dal collo. Ma ciò, fortunatamente, non avvenne.

" Parla" fu l’unico piccato monito di Inuyasha, la rigidezza delle dita che scavava profondi segni rossi nella pelle di lei. Di tutta risposta ella diede un sonoro lamento a mezza voce, un miagolio a metà fra la sorpresa e il dolore, le palpebre arrossate che si spalancavano andandolo a fissare con timore e sconcerto.

" Cosa ti ha detto?" la rimbeccò lui ancora e poi, incapace di trattenersi “Che diavolo vi siete dette tu e la tua amichetta?”

Per un lungo, lunghissimo, attimo il volto della Principessa venne oscurato da un nugolo di capelli cisposi. Fu con un grido stridulo che la sua voce proruppe da quel groviglio informe “Non siamo amiche! Non l’ho mai vista prima!”

Con un ruggito rabbioso le dita di Inuyasha si arcuarono ancor più dolorosamente nelle spalle di lei “Non ho tempo da perdere con altri giochetti. So per certo che non vuoi testare di persona la mia pazienza quindi ti conviene essere sincera: che diavolo vi siete dette tu e quella donna? Se è vero che non siete amiche allora perché diavolo ti ha lasciata andare?!”      

La mano di Sesshoumaru sulla spalla lo fece sussultare. Un gesto semplice, in realtà, ma abbastanza intenso da bloccare il mezzo demone e la sua incontenibile furia. Sbattè una volta le palpebre, improvvisamente incerto, poi riprese lentamente.

“Parla”

Nell’esitazione di un attimo lei sollevò rapidamente lo sguardo su di lui, valutando l’affidabilità della calma di inuyasha. Quindi singhiozzò nervosamente.

" Ha detto che proprio adesso un esercito battente bandiera della "Nuova Unione" sta marciando contro Zaccar."

Poco distante, le palpebre di Sesshoumaru si chiusero in un sospiro.

Inuyasha non batté ciglio. “Quanti giorni?" il colorito del volto ora tendeva al cinereo "A quanti giorni di cammino da Zaccar?" "Non lo ha detto" questa volta lui diede un digrigno convulso dalla gola "Altro? Ti ha detto solo questo?"

Con un sussulto, la giovane gli scoccò una rapida occhiata. Solo per paura di causarle una nuova paralisi alla lingua Inuyasha si trattenne dal darle un’altra scrollata di incoraggiamento. Dunque soffiò piano, lentamente, l'adrenalina che quasi gli faceva pungere le mani. Lei si morse un labbro  "Ha aggiunto qualcosa riguardo ad una donna." una pausa, forse dovuta all'improvvisa stretta che Inuyasha, inavvertitamente, aveva esercitato sulle sue braccia "Qualcosa riguardo al fatto di non rivederla mai più..." parve faticare a trovare le parole " a meno che tu stesso non vada a Zaccar per cercarla"

Silenzio. Nei pochi istanti che seguirono, Inuyasha si concesse di scrutare, senza in realtà vederli, i lineamenti sfatti della giovane. Aveva detto questo? Aveva davvero detto questo? Incredulità. Sguardo assorto, sconcerto, l'anima di quel guardare che sorvolava gli zigomi alti, gli occhi verderame e i biondi capelli in una muta accondiscendenza, vacuità. Negazione. Quanto ricordavano quelli di lei? Quanto differivano dai suoi? Vi era la medesima traccia di debolezza in quelle labbra che solo una volta, solo una, si era concesso di desiderare perdutamente, disperatamente? 

Poi, lentamente, Inuyasha abbandonò la stretta che ancora avvinceva la Principessa lasciando che ella ricadesse come sacco vuoto ai suoi piedi. Sbattè una volta le palpebre, retrocedendo quanto bastava perché i capelli di lei non gli lambissero le dita dei piedi ed infine, con la stessa disperata incapacità di mentire ancora una volta, ancora una, si ritrovò a chiudere convulsamente entrambi gli occhi in una stretta dolorosa, furente, sottili rughe mai fino ad allora esistite che prendevano a rigare la sua espressione corrucciata e ansiosa.

Inuyasha, rabbia cieca.

Nel tendersi dei lineamenti del viso, nel gonfiarsi di tendini e nervi, egli per un istante lottò disperatamente contro se stesso, il soffocare della rabbia che moriva insieme al respiro dentro di lui asfissiandolo, congestionando di un rosso rubino le sue iridi demoniache.

E certamente vi fu qualcosa di ben al di la della comprensione quando Sesshoumaru, muto nel suo cauto avvicinarsi, gli si pose innanzi per chinarsi e prendere fra le braccia la Principessa semisvenuta. Non guardò il fratello in viso, preferendo puntare lo sguardo altrove, direttamente sul volto della giovane ora teso appena all'indietro, una cascata d'oro che dal braccio dello youkai quasi lambiva terra.

" Qui le nostre strade si dividono, Inuyasha" concluse questi lentamente, una vaga sfumatura di rassegnazione che incupiva il tono delle sue parole. Con uno scatto, lo sguardo del mezzodemone fu su di lui, la rabbia che cedeva solo per un attimo il posto allo stupore. Fece per replicare con qualche poco gentile insulto ma qualcosa lo trattenne, suo malgrado. Deglutì a vuoto, l'iride sanguinea che sbiadiva di nuovo nell'ambra.

"Penso che ormai sia palese tanto il mio cammino quanto il tuo" continuò dunque Sesshoumaru " Io andrò al Valico dello Tsii alla ricerca del Mio Nome e tu a Zaccar…” sulle sue labbra, la traccia di quel ghignetto sardonico che tanto tempo prima era stato l’oggetto delle loro liti più frequenti “…alla ricerca del Tuo”.

Con un movimento secco depose sulla propria sella il corpo semisvenuto della Principessa avendo appena la cura di assicurarla di modo che non cadesse al primo movimento. Poi guardò ancora Inuyasha, socchiudendo un attimo le palpebre per il riverbero del sole.

“ Il nome è Kagome, giusto?” riprese incrociando con una smorfia le braccia al petto. Il mezzo demone si irrigidì. Forse per la sorpresa di essere stato smascherato così, con due semplici parole. Oppure per il semplice sentire Quel nome pronunciato da altri che non fosse lui. Finalmente reale, vero, tangibile. Non più solo un pensiero, una fantasia, un sospiro fra le lenzuola.

Rabbrividì un istante, fremito di disagio inaspettato e poi, suo malgrado, annuì. Aveva alternative, forse? Si sentiva quasi come se quello fosse stato l’ultimo desiderio di un condannato a morte. Di suo fratello, condannato a morte. E di certo, non avrebbe potuto mentirgli proprio allora. Proprio in quell’ultimo, irripetibile, scambio di battute.

E’ Kagome?

Si.

Si.

Certo che si.

E’ sempre stata lei.

Kagome.  

Sesshoumaru gli sorrise brevemente, il chiarore del sole che rendeva i suoi denti splendenti come diamanti. Anche in ultimo, raffinato come una bambola di porcellana, suo fratello.

“ Almeno lei non ha baffi lunghi e un pessimo senso dell’umorismo” commentò con una mezza smorfia rassegnata, giusto per non ricadere proprio allora nel perché gli esseri umani fanno schifo ed è un oltraggio perfino ricordare i loro nomi. Figuriamoci il resto.

Automaticamente, Inuyasha sentì le proprie labbra piegarsi in un sorriso sfibrato. “ Mai pessimo quanto il tuo, fratello. Impossibile. Dopo di te tutto sembra inaspettatamente più divertente. “

La risata di Sesshoumaru vibrò roca nel silenzio mentre in un soffio egli montava in sella. Sistemò cautamente le briglie, assestando i piedi nelle staffe con marziale semplicità. “ Questo perché le mie battute sono ad effetto latente. Rilasciano i loro effetti quando meno te l’aspetti. E talvolta più volte nel corso del tempo” volse lo sguardo in direzione della testa dell’esercito già pronto per la partenza e poi, di nuovo, ad Inuyasha.

Nel silenzio, il suo sorriso svanì lentamente, lasciando il passo ad una lunga occhiata cui il mezzo demone rispose senza,  per la prima volta, aggiungere alcunché. Poi un breve cenno, lo strattonare delle redini e il seguente scattare del destriero.

“ Sesshoumaru!” gridò inuyasha, incapace di trattenersi. Già la polvere aveva per metà inghiottito il comune destarsi delle fila dei Miyoshi, un mare di piedi e zampe che in silenzio si mettevano in moto in direzione del valico dello Tsii. Nessuno rispose. Nessuno tornò indietro.

Non esistono addii fra i Miyoshi. Nessun abbraccio, nessuna commozione.

Solo un lungo, desolato, sguardo a voltarsi nella sabbia. E un sorriso fulgido senza parole nel tempestare di bianche sete e pizzi vellutati, ultima firma del Primogenito Sesshoumaru, legittimo erede della più potente stirpe di demoni che mai avesse calcato le terre di Yarda.

 

 


Ed eccomi di nuovo qui!

Questo è un brutto capitolo, purtroppo. Non sono affatto certa di quanto ho scritto ma la paura di arenarmi nella continua revisione mi ha convinta ad andare semplicemente avanti, sperando di non disgustarvi troppo. Tenete duro^___^.

Questo è l’ultimo incontro/scontro fra Inuyasha e Sesshoumaru, la fine del loro rapporto che si conclude con la prima verità fra i due. E’ un momento particolare, segnato dal volersi bene ma al contempo dall’antagonismo che mai li può abbandonare. Credo che scrivere di Sesshoumaru mi mancherà molto, in futuro: nonostante tutto, mi ero molto affezionata a lui e alla sua personalità disinvolta.

Detto questo, sperando di non stendervi con questo capitolo sdentato, ringrazio tutti quanti voi per le recensioni e….alla prossima!

Elendil

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Nel buio della sua cella, gli occhi di Kagome brillavano appena, tiepida luce cinerea. Un livore rosato, slavato, quasi il ricordo della nebbia prima del sopraggiungere del mattino. Mentre si accostava alla parete più vicina, la guancia sottile che incontrava il gelo della roccia, le sue iridi cieche ebbero come uno scatto, un fremito nervoso, ultimo ricordo di un’abitudine a voler guardare un mondo oramai invisibile, oramai perduto. Appoggiò lentamente le labbra alla pietra umida della sua cella, lasciando che alcune gocce fresche le scivolassero in gola, rugiadoso sollievo ad una sete smaniosa, capace fino ad allora di logorarla come rosicchio costante alla base della lingua.

Socchiuse lentamente gli occhi, un’espressione di concentrato piacere che addolciva per un attimo il suo sguardo. Acqua. Semplicemente.

Eppure per un attimo estasi. Eppure per un secondo ebbrezza.

Lasciandosi ricadere con un sospiro a terra, il suo corpo che si afflosciava prima contro il muro e poi molle fino al suolo, si concesse un gemito contratto, flebile spiraglio fra i capelli già assiepatisi dinnanzi alle iridi socchiuse.

Stare seduta era un lusso che non poteva permettersi per più di qualche minuto al giorno. Le ossa del bacino e delle costole sporgevano tanto che temeva potessero varcare il confine della pelle e spargersi li, tutt’intorno a lei, se solo avesse osato più dello stretto necessario.

Respirò a fondo l’aria gelida e umida, flebile contrazione dello sterno, trovandola insipida sotto i denti, muschiosa fra le narici, un misto fra ciò che era vivo e ciò che ben presto sarebbe stato morto. Sorrise piano, mesto spezzarsi delle labbra riarse. Forse non era la prigione ma solo lei stessa a puzzare così.

Con un movimento leggero, due dita le scostarono allora i capelli dalla fronte. Mani affusolate, pelle tiepida, un fresco tepore che si espandeva da quel semplice gesto inondandole il volto come brivido caldo d’estate. Gemette ancora, a metà fra la sorpresa e il sollievo, ma non si ritrasse. Era troppo stanca per  reagire. Per rifiutare, dopo tanto dolore, anche quel misero ricordo di gentilezza. Così, quando le sue labbra si schiusero per formulare un qualche tipo di domanda, non si sorprese affatto di non udire parole ma bensì un suono ruvido, monocorde, più simile alle fusa di un gatto che ad un susseguirsi di sillabe.

Cautamente, la carezza allora scese, leggera, a lambire la tensione del suo collo sottile, brivido sommesso in un punto imprecisato fra scapole e schiena, e poi di nuovo verso l’alto, le mani artigliate che si soffermavano per un istante a contare una ad una le sue ciglia socchiuse, curve morbide su un volto spigoloso.

Se si fosse trattato del primo ed unico episodio di questo tipo, certamente ora Kagome non se ne sarebbe sta li ferma e remissiva in un angolo, complice assente di quel meticoloso contatto. Avrebbe sicuramente tentato di reagire, di sottrarsi, di scostare quella gentilezza tanto fuori luogo in quella cella e gridare la propria agonia, la propria rabbia. Ma non era la prima volta che Inuyasha le faceva visita. Non era il primo giorno che egli, in silenzio, scendeva in quella prigione per studiarla nell’oscurità, concentrato e silenzioso, le dita uncinate che esploravano con severo interesse i tratti della sua mascella, i contorni delle sue labbra. Non le parlava mai. Nessuna frecciatina malevola, nessun solito commento caustico. Semplicemente, si limitava ad osservarla come ombra fra le ombre, il respiro lento e vicino che le donava suo malgrado involontari attimi di calore, istanti di tepore.

Poi, come di prassi, il ferruginoso schiudersi di una serratura, il gracchiante cigolio di cardini mal oliati e, proverbiale, il divampare ovunque di luce rossa, abbagliante, accecante. E con essi, il riprendere della pantomima.

Già la mano si era scostata, già il flebile tocco delle dita si era negato, lasciando al suo posto il manchevole ricordo di una sensazione mai più raggiungibile.

“Buongiorno Kagome” la voce di Inuyasha la raggiunse poco dopo, il tono abbastanza pacato da lasciar presumere una calma anche interiore “Come ti senti?”  

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Con un ringhio truce, il mezzo demone ingollò le ultime gocce d’acqua nella fiaschetta per poi, con la stessa veemenza quasi avesse dovuto annegarla, infilò la stessa al di sotto della superficie dell’acqua. Meditabondo osservò i contorni dell’oggetto sfocarsi appena, la corrente del fiume che faceva appena pressione sul suo braccio come una morbida carezza. Poco distante, il quieto riposare dei soldati tutt’attorno ai falò, alle tende posticce piantate giusto per evitare una notte all’addiaccio.

Mentre il riempirsi della borraccia mandava nel silenzio gorgoglianti borbottii, Inuyasha alzò appena lo sguardo lasciandolo scorrere sul paesaggio dinnanzi ai suoi occhi stanchi. Querce, noccioli e altri alberi pesanti coprivano con il loro verde manto ogni possibilità di visuale, negando la vista di ciò che l’indomani si sarebbe presentato dinnanzi ai loro occhi in tutta la sua imponenza, in tutta la sua magnificenza: Zaccar.

Senza curarsi affatto di aver riempito fino all’orlo la borraccia, il mezzo demone la estrasse dall’acqua tappandola nuovamente con un gesto secco.

Sospirò.

Non ricordava i giorni di viaggio. Non ricordava nemmeno le ore di sonno e quelle diurne passate in groppa ad uno stopposo ronzino incapace di sostenere un’andatura decente senza che ogni due santissimi minuti ci si dovesse fermare alla fonte più vicina per rimpinzarlo d’acqua. Ricordava solo il suo voltarsi di tanto in tanto, imprecando contro i suoi stessi soldati e spronandoli ad andare più veloce, a non cedere al sonno. Dannati incapaci. Aveva detto loro che sarebbe andato da solo a Zaccar, che avrebbe cavalcato in solitaria fino alle sue mura e, sempre in solitudine, avrebbe accettato qualunque sorte gli si sarebbe posta innanzi. Morte. Incarcerazione. Redenzione. Qualunque cosa. Ma da solo. Senza quel patetico corteo di suicidi che, con lui, avevano deciso di percorrere indietro le prodi strade delle conquiste dei Miyoshi.

“ E’ inutile che veniate, non ci sarà alcuna battaglia” aveva sibilato con piccata arroganza, un piede a terra e l’altro già nella staffa. Ma non c’era stato modo di seminarli. L’attimo dopo erano già alle sue calcagna, affannati e ansanti pur di sostenere la sua fuga verso la “libertà”. Idioti. Con un movimento secco scostò l’entrata della tenda, intravedendo al suo interno il tiepido luminare di una candela. Era tardi per commuoversi, tardi per poter anche solo avvertire l’ombra di un qualsivoglia orgoglio nel vedere una simile fedeltà, una tale abnegazione al dovere. Eppure, fra giorno e notte, fra digiuno e insonnia, Inuyasha poteva sentirli li, i suoi cavalieri, cavalcare silenti dinnanzi ad un destino improbabile, sicuri che, qualunque fosse stato, il loro generale avrebbe fatto qualcosa di grandioso, di stupefacente.

Ma di preciso, cosa, esattamente?

Si lasciò cadere stancamente sulla branda, un puzzo di stallatico e fieno che saliva immediatamente alle narici ricordandogli di come, nella fretta di inseguirlo, gli uomini non avevano avuto che il tempo di portare solo qualche pezza per farne dei giacigli e, fissatele ai cavalli, portarle così, alla bell’e meglio. Abbozzò una smorfia. C’erano stati tempi in cui era solito dormire in letti con lenzuola di seta, adornati di preziosi e incisi nei legni più pregiati. E camminava come un principe fra sale di madreperla, i riflessi del sole che proiettavano ovunque le sfumature di un mare apparente.

Poco distante, qualcuno si mosse nel sonno, sospirando appena. Girandosi su un fianco, anche Inuyasha non potè fare a meno di sbuffare. C’era stato anche un tempo in cui mai e poi mai si sarebbe ritrovato a dormir così, da solo, come un disperato cui mancasse il tempo anche di sfogare i propri capricci. Lui, che più di una volta era entrato in letti già scaldati da figure morbide e flessuose, le seducenti voci capaci di invocare solo il suo nome, di pregarlo, pur di avere Inuyasha Miyoshi per una sola notte. Ed ora eccolo li. Si girò su un fianco, lo yukata rossa che emanava, quasi quanto la branda, un che di equino. Arricciò il naso. Li a passare notti insonni, a girarsi e rigirarsi in una tenda che sapeva di muffa e sudore con la sola certezza che, malgrado la stanchezza, malgrado la spossatezza mai e poi mai avrebbe chiuso occhio. Nemmeno per un pisolino. No certo che no. Non quando, al solo chiudersi della palpebra, l’immagine di lei gli tornava alla mente, spauracchio grigio di un tormento ora impossibile da governare.

Digrignò piano i denti, una sensazione di stizza che gli faceva prudere le mani.

Ora ne era certo. Chiunque l’avesse mandata, qualunque calamità avesse deciso di far incrociare i loro destini, senza dubbio ce l’aveva con lui. Voleva punirlo. Castigarlo per tutto ciò che aveva fatto in quei luridi anni di guerre. E il solo modo che aveva trovato, quale genialità, era stato quello di dannarlo a vita, di piegarlo ed infine trafiggerlo con il più banale degli artifici, il più semplice degli stratagemmi: con la seduzione.

Sempre che di seduzione si potesse parlare.

Con un mezzo sogghigno, nella mente del mezzo demone tornarono i capelli crespi di lei, il suo sguardo scavato e, non per ultimo, il corpo macilento, più simile alla grottesca sembiante di un demone della fame che ad una creatura umana.

Eppure si, seduzione. Pura e semplice. Il fascino del predatore che, dinnanzi alla preda spacciata, non possa proprio desistere dal giocare un poco con lei. Dapprima con indifferenza. Poi con interesse ed infine, prima ancora di rendersene conto, con passione.

Si concesse un mezzo sospiro.

Qualcosa di malato. Certo. Ma c’era poco da stupirsi che uno come lui avesse trovato seducente qualcosa che di li a poco avrebbe potuto riversare li, sul pavimento della cella, bile, interiora e quanto di meglio vi fosse in un corpo morente. Probabilmente erano stati quei lividi scuri, quelle braccia rachitiche a destare il suo interesse.

O forse no?

Dalla stoffa rossastra della tenda, il fuoco mandò un bagliore improvviso, quasi il simpatetico partecipare di un ascoltatore alle riflessioni del mezzo demone.

Parve quasi sorridergli, Inuyasha, per la prima volta tremendamente consapevole di quanto, in fondo, gli era sempre mancato qualcuno con cui conversare. Con cui azzuffarsi e giocare la parte del sarcastico diffidente. Uno come Sesshoumaru, ad esempio. E quando finalmente si era accorto di come non fosse del tutto orribile stare con lui…bè, entrambi avevano deciso di farsi ammazzare e fine della storia.

Pessimo fratello, Sesshoumaru. Ma forse, un amico quasi accettabile. Almeno lui aveva saputo capirlo, alla fin fine.

Kagome…giusto?” gli aveva detto. Domanda retorica, ovvio. Eppure nel suo sorriso furbo c’era più di quel suo solito ho vinto io. C’era un per la prima volta mi spiace di aver ragione.

Così lui aveva detto, proprio in ultimo, ciò che tutti, a quanto pare sapevano. La sua strana passione. Quel suo attaccamento davvero poco professionale all’unica prigioniera che, nonostante tutto, aveva resistito dal parlare. E quel suo fissarla nell’oscurità, le dita che si tendevano a toccarla quasi lui fosse stato un affamato e lei la cosa più deliziosa del mondo. Umana che annegava nel suo stesso piscio.

Di nuovo, il suono dei suoi denti che masticavano, instancabili, decine e decine di imprecazioni.

Ancora adesso, nel silenzio della fedeltà cui pareva essere circondato, Inuyasha continuava a chiedersi chi avesse parlato. Chi avesse rivelato le sue visite assidue, il suo comportamento sempre più strano, quell’attaccamento viscerale che alla fine l’aveva perfino condotto a desiderarla non come preda ma come donna.

Chi aveva parlato? Chiunque avesse scritto il suo nome su quel muro bruciato, sapeva che lui l’avrebbe riconosciuto. E l’invito a Zaccar fugava ogni dubbio: loro sapevano. Sapevano che lui, come un disperato, avrebbe sellato il cavallo e sarebbe corso da lei sia che la città stesse bruciando o che fosse stata ancora in piedi, forte e difesa.

L’aguzzino? Le ancelle? I domestici?

Da fuori, un nuovo borbottio, qualcuno che nel sonno rimproverava suo figlio di qualcosa.

Inuyasha si mosse a disagio nella branda, le gambe piagate per il troppo cavalcare che gli mandavano delle fitte dolorose fino alla base del collo.

Impossibile saperlo. Troppa gente si aggirava per Zaccar. Troppi armaioli, troppi cavalieri, troppi carcerieri. Troppo di tutto, semplicemente, per pensare di indicare un giorno il colpevole e staccargli la testa con un unico, preciso fendente.

Chiunque fosse stato, insieme ai Lord traditori e ai Sovrintendenti venduti, avrebbe avuto ciò che meritava, prima o poi. Che fosse stato il nome Miyoshi a farlo o qualcuno meno clemente con chi, all’occasione, era capace di voltare faccia e darsi al miglior offerente. Magari proprio il nuovo Re delle terre “libere”….

Per un breve attimo, la tentazione del sonno che mirava il filo dei suoi pensieri, Inuyasha si concesse di socchiudere le palpebre, l’iride brunita che si nascondeva in un sospiro pensoso, più stanco di quanto egli stesso avrebbe mai  ammesso.

Avrebbero pagato. Si. Nessun re che si rispetti vuole delle serpi accanto al suo seggio.

Il lieve comparire di un sorriso sul suo volto fu l’ultima eco spenta di quello di Kagome, sagoma screziata che dal focolare pareva a tratti concretizzarsi dinnanzi al suo sguardo socchiuso. Per un attimo la vide così, i contorni sfumati nel guizzante bagliore al di là delle palpebre, guardarlo con fare severo e poi alzare entrambe le mani in direzione del suo volto, il calore di un sospiro che si infrangeva sulle labbra di lui. Ed Inuyasha immaginò se stesso chinare appena il capo ed affondare il volto nella curva della spalla di lei, saggiando con un sospiro il profumo screziato della sua pelle. Fiori ed incenso e, molto più soffuso, qualcosa di molto simile al fumo. Sentore denso e greve, unica nota stonata che dagli spiragli della tenda pareva insinuarsi fra le vesti di Kagome già per metà scostate onde mostrare le bianche rotondità.

Con uno scatto Inuyasha riaprì gli occhi, un silenzio glaciale che improvvisamente si raccoglieva attorno ai lenti battiti del suo cuore. Sincronia anomala, pulsazione fino ad un istante prima, dimenticata.

L’attimo dopo il mezzo demone si era precipitato fuori dalla tenda, i suoi passi affrettati che percorrevano con ampie falcate il campo ancora addormentato. Nessuno lo udì, salvo che poco dopo tutti quanti furono svegliati dallo spaventato nitrire di cavalli mentre, più rapido di qualunque essere umano, Inuyasha montava sul primo che gli fosse capitato a tiro.

“ Principe!” il più lesto nel destarsi e precipitarsi fuori dalla tenda riuscì per un pelo a posticipare il suo partire al galoppo. Irto sulla sella, il destriero che compiva qualche giro su se stesso mentre il suo cavaliere rifletteva rapidamente sul da farsi, Inuyasha gli concesse un’occhiata urgente. Gli occhi felini guardavano in avanti, ben più in là di quanto fosse realmente possibile vedere.

Zaccar sta bruciando” sibilò il secondogenito con una smorfia contrita “ Vi concedo il tempo della mia rinomata pazienza per prepararvi e partire, altrimenti andrò da solo” Con un nuovo mezzo giro, il cavallo si mosse a disagio, le orecchie che si giravano a più riprese all’indietro. Con una smorfia Inuyasha serrò la presa attorno alle redini, le dita che sbiancavano nel tentativo di non spezzarle sedutastante “Sbrigatevi” concluse asciutto.

 

Poco dopo, bardati alla bell’e meglio, i soldati si affrettavano attorno al mezzo demone, l’aria fredda della notte che rabbrividiva sui loro volti ancora cisposi di sonno. Tende e vettovaglie erano state lasciate indietro, troppo pesanti ed onerose per quell’ultimo tratto di viaggio così che gli uomini non avevano potuto che portarsi appresso solo le cose necessarie per sopravvivere ad un solo giorno di viaggio, quello che ancora li separava da Zaccar.

Dalla testa del gruppo, inuyasha scoccò un’occhiata bieca all’orizzonte nero come la pece. Le fiamme ancora non si vedevano, ma il vento basso che spirava per le piane di quelle terre aveva ben potuto portarli il sentore di quanto stava accadendo più avanti.

Nell’incupirsi del suo sguardo, non potè fare a meno di chiedersi da quanto fosse cominciato l’attacco e, soprattutto, per quanto ancora sarebbe durato viste le forze rimaste di stanza nella città.

Un giorno avrebbero resistito? Le mura di Zaccar potevano, sole, resistere ad un attacco senza difensori ma con soli attaccanti? C’era davvero la possibilità di organizzare una resistenza? Una nuova zaffata al sapore di cenere lo costrinse a socchiudere appena le palpebre.

Per la prima volta, un’esitazione da parte del soldato più vicino lo avvertì che, finalmente, anche la sua “scorta” aveva avvertito il puzzo del fumo.

Bene. Si stavano avvicinando.

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Inuyasha ricordava le leggende a proposito di Zaccar.

Era nato e cresciuto fra racconti fantastici e storie senza tempo e fra tutte le ballate a proposito della Città di Cristallo si aggiudicavano senza dubbio il primo posto. Città della Notte, Torre d’Avorio, Perla di Yarda. Ognuno di questi nomi aveva  da sempre significato qualcosa per tutto il mondo, rammentando che le meraviglie non sono fatte solo per esistere ma quanto più per essere vedute, raccontate, ammirate.

Ed anche in quell’istante, braciere avvolto dalle fiamme e contratto di urla, Inuyasha non potè fare a meno di ammirarla, Zaccar. Di perdersi in quella minuzia di particolari qual’era la pianta circolare, la planimetria a ragnatela delle strutture. La Torre, monumento ora rosato nell’accalcarsi delle fiamme al crepuscolo.

Con un ruvido movimento di briglie Inuyasha trattenne lo scartare del proprio destriero, la mano artigliata che scendeva subito dopo a carezzarne la ruvida criniera.

E’ quasi finita avrebbe voluto sussurrargli in un orecchio, certo che nessuno dei cavalieri li vicini avrebbe potuto sentire, presi com’erano anch’essi dalla visione della Città.

Zaccar brucia, e noi presto saremo con lei. Ma non ebbe in animo di parlare, sapendo che da li a pochi istanti quegli uomini avrebbero potuto trovare la morte in suo nome.

Così, tirando appena le redini a sé si concesse di avanzare di qualche passo per poi voltarsi verso di loro, un che di solenne nel risplendere alle sue spalle della Città della Notte che lo costringeva ad esitare un attimo, prima di parlare.

“ Questa è la vostra ultima possibilità” cominciò asciutto “Non sappiamo cosa troveremo a Zaccar, se una strenua resistenza o una sconfitta già consumata. Perciò, liberandovi da qualunque dovere nei miei confronti, vi concedo di scegliere per un’ultima volta: voltate i cavalli e andatevene e sicuramente nulla e nessuno attenterà alla vostra vita ed oserà chiamarvi codardi. Rimanete, e preparatevi dunque ad una possibile quanto certa morte” nervoso, il suo cavallo ebbe un guizzo a sinistra tale da costringere il mezzo demone ad un colpo di redini. Attese qualche istante, aspettando in silenzio che qualcuno gli voltasse semplicemente le spalle e prendesse a cavalcare nella direzione da cui tutti loro erano venuti. Ma quando fu chiaro che nessuno di quegli uomini se ne sarebbe andato, chinò appena il capo, la postura rigida che simulava un saluto orientale. Come preferite avrebbe voluto dire; ma forse in quel contesto non sarebbero certo state le parole più adatte. Così, più freddamente si lasciò sfuggire un vi ringrazio senza tono, il massimo che uno come lui avrebbe potuto permettersi. Davvero.

Mentre voltava il cavallo ed in silenzio prendeva ad avanzare in direzione di Zaccar, si ritrovò stupidamente a pensare che Sesshoumaru avrebbe certo gradito quel suo atteggiamento, per una volta. Quasi poteva vedere la sua faccia incipriata ravvivarsi di un mezzo ghigno sarcastico esprimendo, con la sua solita voce spocchiosa, le sue congratulazioni per l’improvvisa diplomazia guadagnata, o meglio, la capacità di esprimersi come un essere civile e senziente. Si. Proprio una reazione alla Sesshoumaru, carattere dal gusto agrodolce, sempre troppo speziato o pungente per uno come lui che avrebbe pasteggiato con sabbia e brina per tutta la vita

Dietro di lui, i cavalieri presero a seguire il suo passo, muti tanto nella voce quanto nel cuore. Nessuno chiese che tipo di formazione usare, che marcia suonare o a che andatura andare. Come un corteo funebre lanciato alla carica –il morto davanti-  essi si misero semplicemente poco distante da lui, insieme subalterni e, forse per la prima ed unica volta, eguali.

“Estraete le armi ” ordinò brevemente Inuyasha, le mura di Zaccar che cominciavano ad emanare i primi, deboli, riflessi madreperla nel riverbero del sole. “ Che sia già stata presa o ancora dibattuta, questa città non ci accoglierà con the caldo e sorrisi.” concluse monocorde.

Rigido, fra i suoi uomini il rumore delle spade estratte dai foderi, il tendersi di archi fra le dita. Ognuno con in volto la medesima domanda: cosa avrebbero trovato, una volta superate le soglie della Città? Nelle fiamme potevano distinguersi urla e sferragli, quasi il concitato animarsi di molte, moltissime anime. Ma cosa stava davvero accadendo a Zaccar?

Non dovettero attendere che pochi metri prima che dalle mura ossidiana si sollevasse in risposta una schiera compatta di frecce, sottili aghi stagliati nel brunire del giorno.

“Ripararsi!” gridò istantaneamente il mezzo demone senza rallentare l’andatura. Poco dopo, le sagome della Città della Notte che si intravedevano oramai distinte dai cancelli sfondati, la pioggia aerea si abbatté su di loro, le punte metalliche a conficcarsi sugli scudi imbracciati a difesa del gruppo.

Voltandosi, Inuyasha valutò rapidamente i danni. Sospirò, piano, il tempo di un istante di sollievo. Nessun ferito. Nessuna perdita.

Debole, fra i suoi uomini scorse una risatina nervosa, capace di distendere per un breve attimo i volti che facevano capolino da dietro gli scudi. Ed ecco giungere la seconda raffica.

Questa volta qualcuno venne colto impreparato venendo brutalmente disarcionato dal proprio destriero, ma la maggioranza, Inuyasha in testa, riuscì finalmente a varcare le soglie di Zaccar, la visione infernale incastonata al suo interno che li costrinse immediatamente ad un improvviso quanto brutale arresto.

Incapace di parlare, il mezzo demone avvertì se stesso trattenere dolorosamente il fiato, un denso fumo che inghiottiva in un istante tanto lui quanto il gruppo di cavalieri alle sue spalle. Tossì, la gola che si seccava nella nebbia grigio-rossa che ora li circondava.

“Restate vicini” gridò con sforzo, le parole che faticavano a trovare l’aria in cui espandersi. Frastornato, il suo cavallo mandò un basso nitrito nervoso, il crepitio degli incendi tutt’attorno che rischiarava di vivide fiamme l’infernale parodia di quella che un tempo era stata considerata la Città dei Sogni.

Stessi muri, stessa città. Tranne suo fratello, tranne le sue vesti non più da battaglia, Tranne i suoi uomini, misera combriccola se paragonata all’esercito del passato.

E così, in un attimo, tutto diverso.

Alzando una mano sulla fronte già imperlata di sudore, Inuyasha fu costretto a strizzare gli occhi per il riverbero degli incendi. Dall’alto delle mura si alzò un grido d’allarme, segnale che malgrado la confusione qualcuno sarebbe comunque sopraggiunto per accoglierli.

“ Avanziamo” ordinò ciononostante il mezzo demone. Ora non c’era Sesshoumaru con cui scambiare uno sguardo stizzito. Con cui condividere quell’ultimo attimo di tensione prima dell’assalto finale. Con cui, infine, commentare piccati la scarsa accoglienza ricevuta. Così, rammaricandosi –forse per la prima volta- di notare lamiera e acciaio piuttosto che pizzo e sete preziose, Inuyasha lasciò che il rumore di passi alla carica e spade sguainate lo raggiungesse, stemperando il fumo nebuloso attorno a loro di una marea informe di corpi e armi. Trasse un respiro contratto, serrò forte la mascella ed infine, nel liberarsi della sua vera natura, scattò in avanti.

Dimentico del cavallo. Dimentico del calore, delle fiamme, di quello stridio confuso quali erano i suoi denti l’uno contro l’altro, morso contratto.

Così di nuovo, poiché era questo che sapeva fare, uccise. Uno, due uomini, le loro carni che si sfaldavano fra le dita come calde pezze intrise di sangue. Ringhiò forte, orribilmente, i tratti demoniaci che acquistavano un che di mostruoso nell’allungarsi dei canini, nello scurirsi della sclera fino a che cremisi, solo cremisi, la riempì invadendola come eclissi lunare.

E mentre si sporgeva in avanti, falciata improvvisa, e mentre si catapultava allora all’indietro, schivata repentina, avvertì il suo nome serpeggiare come morbo fra le movenze ansiose degli assalitori.

Con terrore lo riconoscevano. Con sgomento si stringevano alle spade nell’istante in cui, implacabile, essi si trovavano proprio dinnanzi a lui, minaccia oramai inevitabile. Ed infine, Ccn orrore si lasciavano sfuggire grida insipide un attimo prima che la sua ferocia li assalisse facendo di loro un nulla.

Inuyasha. Inuyasha.

Seppe allora che l’avrebbero ricordato così. Così mentre, Tessaiga nella mano destra, affondava le dita uncinate nel corpo di un innocente. Un ghigno sul volto, un grido fra le labbra –quasi un ruggito di fiera, di bestia-.

“Inseguiamoli!” sputò dunque quando i pochi rimasti tentarono di darsi alla macchia fra le fiamme di Zaccar. A piedi prese a correre, nube cremisi in fumi ardenti. Dietro di lui, lo scalpiccio di zoccoli e di piedi armati.

Serrò di nuovo la mascella, prese ancora un lungo, doloroso respiro, ed in quella si slanciò in avanti, il corpo che compiva un mezzogiro prima di atterrare di peso sull’uomo alla testa del drappello.

Il sonoro crack delle ossa del poveretto mentre una dopo l’altra andavano in pezzi sotto i suoi piedi fu l’eco stordita del grido terrorizzato che si sparse istantaneamente nell’aere circostante. L’attimo dopo, come api impazzite, i ribelli si disperdessero tutt’attorno.

Troppo comodo, ragazzi. Davvero troppo comodo.

Subito lo scattare del mezzo demone. Subito il precipitarsi dei suoi soldati ad acciuffare i sopravvissuti ora starnazzanti ovunque come oche impazzite.

“Avanti” alla voce secca di Inuyasha seguì il frettoloso ricomporsi dei suoi fedeli e il nuovo, precipitoso, avanzare nel cuore di Zaccar.

Oramai l’aria era quasi irrespirabile, scuri addensati di fasciame e pietra che istante dopo istante si sgretolavano facendo rovinare ovunque cocci infuocati. Grida sempre più vicine, stridule richieste di aiuto a metà fra l’animalesco e l’umano parevano l’eco di ogni passo, di ogni singolo movimento. Grondante di sudore, Inuyasha si deterse la fronte con lo yukata già intriso di sangue. Sapeva che così facendo il suo volto si sarebbe trasformato in una maschera brunita, ma non se ne curò. Ghigno soffuso. Meglio quello altrui che il proprio, in fondo. Chiuse appena gli occhi, il riverbero dei fuochi tutt’attorno che lo accecava per un istante mentre di nuovo, ali ai piedi, si preparava a balzare in avanti.

Fu una guardia a fermarlo, la mano stretta al suo yukata che tremava impercettibilmente mentre con l’altra gli indicava un punto meno precisato alla sua destra. Volgendo lo sguardo, il mezzo demone notò allora un gruppo di donne – apparentemente dei semplici civili – che fuggivano in preda al panico. Dietro di loro, un nero drappello di ribelli.

“ Voi “ replicò allora secco il mezzo demone mentre rapido si arrestava per indicare circa metà dei soldati che erano con lui “Aiutate quelle donne e qualunque altro civile che si trovi in difficoltà” una pausa, la gola che si contraeva nella sgradevole sensazione dell’Addio “Zaccar è perduta, ma lo stesso non vale per i suoi abitanti”  da dietro l’elmo potè chiaramente avvertire i suoi fedeli strabuzzare appena gli occhi. A disagio, o forse solo per scostare una nuvola di fumo più denso, mosse appena Tessaiga nel palmo della mano. Tutti insieme, i suoi arretrarono di un passo. “Nessuno ama vedere la propria città bruciare, statene pur certi. Date loro la sensazione di essere in salvo e vedrete quanto è forte la disperazione di chi in un attimo sta per perdere tutto quanto” aggiunse con un ghigno richiamando allo stesso tempo il gruppo che avrebbe proseguito con lui.

“ Quando avrete finito raggiungeteci alla Torre “ concluse ed in quella, con un balzo, riprese la propria corsa in avanti, strade e rovine che riprendevano a snodarsi senza resistenza alcuna sotto i suoi piedi votati ad un’unica direzione, ad una sola meta. Dietro il fiato corto dei suoi. Dinnanzi, il mastodontico profilo di una struttura aggraziata e altezzosa come Dea troppo bella, troppo grande per disturbarsi a guardare anche solo una volta in basso. A lui che come un disperato si dava tanta pena di raggiungerla.

Balzò di lato, evitando con un movimento leggero l’affondo di una lama sospesa nel vuoto. Turbinò a destra, staccando nella giravolta il braccio al poveretto che aveva osato il gesto e nel grido di lui, nel suo accasciarsi a terra moribondo, alzò una mano verso l’alto, le dita tese che indicavano agli uomini alle sue spalle di fermarsi.

La Torre era ormai dinnanzi a loro. Bella, funesta, orribile nel proprio risplendere di oro e cremisi. Dentro, distintamente, i rumori di una battaglia ancora in corso.

“ Voi passerete per l’ingresso principale” ordinò con fiato corto. Il fumo aveva ridotto la sua gola ad una dolorosa crosta di carne e sangue “ Io scenderò dall’alto. L’uomo che stiamo cercando sarà sicuramente attorniato dai suoi ed in prima fila a massacrare quelli che ancora si stanno opponendo al suo regno libero e pacifico” la sfumatura gelida della sua voce non mancò di strappare qualche fredda risatina ai suoi, ora più sporchi e ammaccati di quanto ricordasse.

Li vide annuire in silenzio, le dita che si stringevano all’unisono all’else delle spade per poi picchiarle una ed una sola volta contro la placca frontale delle proprie armature.

Un saluto, realizzò il mezzo demone mentre di riflesso si voltava e scattava, felina agilità, in direzione della Torre alle sue spalle. Non replicò a quel gesto. Né con una smorfia né con un movimento.  Per quel che gli riguardava, non era ancora giunto il momento dei congedi e degli addii. Se mai vi fosse stato un saluto, quello sarebbe stato la morte.

Così, senza inizi e senza fini, il grande Inuyasha Miyoshi si separò per l’ultima volta dai suoi, dall’ultimo manipolo di uomini che aveva creduto in lui, che aveva voluto –malgrado tutto- affidargli le proprie vite certi che nel bene o nel male egli avrebbe saputo farne buon uso. E mentre il mezzo demone evitava di voltarsi, di guardarli un’ultima volta sparire entro le grandi porte della Torre non potè evitare di chiedersi, debolezza ben poco marziale. E loro? Loro come l’avrebbero ricordato?

Rinfoderò Tessaiga e rapidamente tese le mani dinnanzi a sé per aggrapparsi al parapetto più vicino. Si issò, e subito scattò in verticale verso l’alto afferrandone un altro.

Anche per loro sarebbe stato l’omicida implacabile, il mostruoso hanyou che, chino su una montagna di cadaveri, scavi come impazzito alla ricerca di gustose frattaglie?

Scattò ancora, finendo di un piano ancora più in alto. Da li potè avvertire il calore delle fiamme scivolargli lungo la schiena come una carezza peccaminosa. Rabbrividì.

O, ancora meglio, il guerriero infallibile, assetato di sangue e vendetta. Implacabile contro gli umani, insensibile verso i demoni?

Con uno sbuffo si issò ad un nuovo cornicione, il fiato che rapidamente si faceva più denso e rasposo. C’era più aria, lassù, eppure essa pareva non bastare comunque, affamandolo della rassicurante sensazione del vento e della frescura.

Oppure…oppure…

Andiamocene

Una voce lo fece immobilizzare. A metà di un colpo di reni, le dita strette attorno al cornicione più vicino, Inuyasha si bloccò improvvisamente. A pochi metri da lui qualcuno si stava aggirando frettolosamente all’interno della Torre. Con sforzo si sollevò di poco, sporgendo a fatica il capo oltre la cornice della finestra e li, chini su una non meglio precisata baraonda di vesti, chincaglierie e quant’altro, vide due uomini in nero. Avvertì il proprio sguardo assottigliarsi di disappunto, la bruciante sensazione della rabbia che prendeva di nuovo il proprio posto nel suo cuore.

Eccoli, gli uomini. Pensò velenosamente. In un fruscio si issò al cornicione. Eccoli mentre, al meglio delle proprie potenzialità, esprimono la più vera essenza della propria natura.

Caricò il colpo, preparò il balzo, scelse il bersaglio. E proprio allora uno dei due lo notò. Troppo tardi, sfortunatamente. Inuyasha già era in volo, gli artigli che rigavano il vento in un brutale sfilaccio mortale.

Ma un attimo prima dell’affondo, un istante prima di vedere quegli idioti scattare di tutta fretta all’indietro e voltarsi terrorizzati verso la porta della camera, proprio allora, uno dei due spinse l’altro di lato. Fatale, il colpo affondò nel suo sterno, abbastanza potente da sfondargli in un sol attimo la cassa toracica. Sufficientemente forte da bloccare il suo respiro così, d’improvviso. Quanto bastasse per dare il tempo al suo amico di rantolare a terra in preda al panico, individuare alla cieca la porta e defilarsi in un grido confuso.

Ma che diavolo…

Intontito da quello strano, certamente anomalo, comportamento, il mezzo demone estrasse i propri artigli dal corpo dell’uno per fiondarsi subito sull’altro ma non fece in tempo ad accostarsi alla porta che qualcosa di imprecisato – e decisamente affilato – lo raggiunse ad altezza volto.

Scartò abbassandosi sulle ginocchia, la lama che eseguiva un rapido taglio orizzontale alla volta dei suoi capelli d’argento e con un colpo di gambe fece cadere l’uomo di schiena. “ Dannato assassino…” lo sentì farfugliare prima che lo sopprimesse con un affondo alla gola.

Dopo di che, il silenzio. Ansimò con sforzo, gocce di sudore che scivolarono dal suo volto per rigare quello dell’uomo sotto di lui. Deglutì piano, a fatica, dita rosse che tremavano di adrenalina conferendo un che di fragile, di impaurito al suo tirarsi in piedi, pulirsi le vesti dal sangue, riprendersi dalle parole che il morente gli aveva appena rivolto.

Chiudendo gli occhi si chiese perché egli non fosse scappato. Perché, nel sacrificio del suo compagno, egli non avesse semplicemente deciso di salvarsi la vita ed informare contemporaneamente  gli altri di sotto che Inuyasha Miyoshi –proprio lui- era finalmente arrivato. Dilemmi irrisolvibili, come la quasi totalità di ciò che riguardasse gli uomini e le loro incomprensibili pulsioni. Che, in fondo, vi fosse davvero qualcosa in loro? Un che di affatto trascurabile?

Il sollevarsi di grida alcuni piani più sopra –forse la sala del trono- gli fecero brutalmente ricordare dove si trovasse e quanto ogni secondo fosse stato prezioso.

Ci sarebbe stato un tempo per pensare, ed oramai Inuyasha iniziava a credere che esso sarebbe stato ben più lungo di quanto mai avrebbe creduto possibile.

Avanzò in punta di piedi in quella che si sarebbe detta una comune sala da pranzo, tavolate e sedie sparse alla rinfusa per il pavimento madreperla, finché non trovò l’imboccatura della ciclopica scala che a perdita d’occhio si snodava per tutta la lunghezza della Torre.

Bella come la ricordava. Imponente come tutte le cose più belle dovrebbero essere.

Da li, i piedi nudi a calcare furtivi i fitti gradini, prese a salire un piano dopo l’altro, cadaveri sanguinanti e corpi moribondi che ostruivano il passaggio rendendo la pietra scivolosa e maleodorante. Quando fu certo di trovarsi esattamente sotto al piano da dove provenivano i rumori di battaglia tornò all’esterno della torre, lasciando che il suo agile corpo si sporgesse per afferrare i cornicioni più alti. Solo allora, solo dopo aver risalito un paio di ampi finestroni si arrischiò a sbirciare all’interno della Torre.

Ammiccò piccato, ancora una volta rammaricandosi che accanto a lui non vi fosse stato Sesshoumaru. Peccato. Avrebbe certamente trovato la cosa alquanto divertente. Goliardica, anzi. “ Non si può dire che al destino manchi il senso dell’umorismo, fratello” avrebbe detto con un mezzo sorriso.

Socchiudendo le palpebre in una smorfia snervata, Inuyasha non potè far altro che dargli ragione, piegare il capo di lato –per vedere meglio-  e scrollare le spalle. “ Si, Sesshoumaru ” sibilò ruvidamente, la mano che si sporgeva per afferrare ampi tendaggi posti ai lati di ampie vetrate “ Il Destino ha sempre avuto un ottimo senso dell’umorismo per quanto riguardasse noi. Sempre ” e con quell’ultima, piccata, frase, si buttò nel vuoto della sala da Ballo, luogo dove tutto era iniziato e dove, con tutta probabilità, tutto sarebbe finito.   

Ondeggiò una, due, tre volte, il corpo che trovava nell’aria la giusta armonia, la perfetta simbiosi fra vento e caduta finché, slancio distratto, prodezza leggera e silenziosa, egli si lasciò andare al vuoto. Braccia e gambe. E corpo. E quel busto un poco torto all’indietro, un poco flesso quasi una mano invisibile reggesse il semplice, pur perfetto, librarsi del mezzo demone nell’infinito, nell’eterna bellezza di una caduta.

Mezzo giro, e il contemporaneo estrarsi di Tessaiga, la lucentezza della lama che proiettava aguzzi riflessi tutt’attorno, ghigni sornioni di una creatura senziente.

Lama avida. Lama servizievole. Lama la cui anima pareva il sorriso, quel sorriso ghignante che un giorno Inuyasha aveva finito col perdere.

Sospirò, onde argento e neve che per un attimo si mischiavano dinnanzi ai suoi occhi coprendo ogni cosa –muri, archi, pietre e stelle- di un’unica patina soffice e candida. Poche gocce di sangue qua e là.

Ultimo slancio. Ultimo salto del vuoto prima della fatale ricaduta. Prima di toccare, forse per un’ultima volta, il terreno.

E proprio quando gli fu necessario respirare, recuperare fiato e vita da quell’unico, solo, respiro, Inuyasha atterrò improvvisamente nel bel mezzo della sala, Tessaiga che compieva un mezzo giro fra le dita del mezzo demone per poi posarsi sulla nuda gola di una donna in nero.   

Lunghi capelli color della notte, pelle alabastro e due occhi di fulgida, lucente, perla.

Sorrise, le labbra che si chiudevano sulla curva dell’orecchio di lei in un sussurro senza voce.

Bungiorno, Kagome”.

 

­­­­­­­­­­­­­­­

Ed eccomi di nuovo qui^__^

Meglio non ricordare quanto tempo è passato dall’ultimo capitolo, soprattutto perché UFFICIALMENTE posso dirvi che la storia è finita. L’ho scritta. L’ho –quasi- controllata tutta e quindi è molto probabile che io la posti prima dei soliti due anni di travaglio*__*

Spero davvero possano piacervi le scelte fatte in queste battute finali, compreso il tono sempre più umano dato ad Inuyasha su cui ho spessissimo avuto dei dubbi della serie “Ma così non perderà il suo tono da bel-tenebroso-me ne sbatto?”. Il ritorno alla Torre è un voluto –ritorno al principio- dove il tentativo sarebbe quello di far risaltare quanto ancora persiste e quanto invece è cambiato sia nell’animo del mezzo demone che del mondo che lo circonda, stravolto dagli eventi che più o meno coscientemente l’hanno visto partecipe. Vi prego, ditemi se vi piace questo “deja-vu”o se me lo potevo proprio risparmiare….ç__ç  

Come sempre ringrazio coloro che mi seguono/seguivano e che hanno commentato i miei LENTI capitoli uno dopo l’altro.*bacio* Spero ancora in un vostro commento/apprezzamento/critica.^___^ Besos!

Elendil.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Plic….Plic….Plic….plic...plic.

Un rumore costante, ripetitivo,monotono.

Sempre uguale, quasi meccanico nel suo indifferente ripetersi, eguale avvicendarsi, come se il solo desiderio di variare di pochi, insignificanti, particolari in modo da spezzare quella noiosa monodia in una ben più piacevole armonia, non lo sfiorasse minimamente.

Plic…plic…plic.

Eguale…perfettamente eguale…

Lo scorrere del tempo scandito dall’atono sobbalzare del silenzio.

Dal suo rapido singhiozzare.

Plic…plic…plic….cinque secondi.

Il pulsare di un cuore nel petto scavato dell’oscurità.

Plic…plic…plic….dieci secondi.

Il ripetersi, lugubre melanconia, del ciclo della morte. Dalla roccia al cielo. Dal cielo alla Roccia. Dalla roccia al…

Inuyasha aprì gli occhi.

Attorno a lui, il silenzio. Dinnanzi a sé, il nulla. Tenebre ed oscurità, e quella debole sensazione di perdizione. Quasi un mormorio, quasi un irriducibile fastidio per le sue membra immobili, per il suo corpo sopraffatto.

Esitò, il fiato che si dilungava in un ampio sospiro, avido espandersi di ossa ora appena visibili, ora languidamente affioranti dal pallore della pelle. E tossì. Piano, debolmente, con fatica mentre un sapore di stantio fuoriusciva dalle sue labbra come a ricordargli, giuda impenitente, che era da un po’ –giusto quel che bastasse per rammaricarsene- che non toccava cibo.

Eppure non sentiva fame. Non ora. Non ora che il suo corpo si era abituato all’idea che ben presto, molto presto, non avrebbe più avuto bisogno di nulla.

Socchiuse gli occhi. Buio dentro. E occhi di ghiaccio a scrutarlo nella miseria di quel limbo. Occhi fissi, lucenti, opali sgranati nella penombra come iridi fisse di predatore, di cacciatore.

Sospirò, la testa che scivolava piano all’indietro incontrando assi di legno rosicchiate dal tempo e dai topi. 

“Suvvia Inuyasha, non è il caso di essere così tristi” lo punzecchiò allora una voce docilmente. La placida benevolenza dell’aguzzino che giochi, futile diletto, con il proprio prigioniero preferito.

“I tuoi uomini sono in salvo” tendersi di labbra sornione “E tuo fratello è stato risparmiato. Il principe Haman ha promesso che non gli verrà torto un capello nemmeno dopo che i lunghi anni di esilio lo avranno ridotto ad un vecchio stanco, incurante di sicari e vendette”

Il mezzo demone si diede appena la pena di arricciare il naso in un’espressione infastidita. Quasi che qualcosa di molesto –forse una mosca- fosse proprio allora volato li, fra una narice e l’altra.

“Oh andiamo, Inuyasha” accendersi nel buio di un sorriso più chiaro degli altri, più limpido di molti “Non sarai ancora arrabbiato per lo scherzetto di Zaccar, vero? Alla fin fine, che fossi stata io o il Principe ad organizzare la presa della città non avrebbe fatto alcuna differenza no? Un trono in frantumi è pur sempre un trono in frantumi. Poco importa chi sia stato a vibrare il fatidico colpo.”

Il mezzo demone si sforzò di concedere un mezzo sorriso al proprio interlocutore. Un doloroso contrarsi di muscoli indolenziti, di pelle troppo secca, troppo sottile per non spaccarsi inevitabilmente sotto quel gesto.

Grazie. E’ questo che dovrei dire, no?

E ripensò a quando, atterrando nel bel mezzo della guerriglia che infuriava nella Sala da Ballo, egli non aveva potuto fare a meno di accostarsi a Kagome, unico volto riconoscibile in quella marmaglia e sibilarle, lentamente “Dov’è Haman Yosei?” per sentirsi rispondere con un sorriso sprezzante, la figura di Sango che faceva allora capolino dietro di lui ridacchiando un “ Non è qui. Credo che Sesshoumaru e Inutaro Miyoshi lo stiano tenendo impegnato più a Nord”

Che simpatia.

Si schiarì piano la gola riarsa, dita artigliate che si sollevavano scostando un paio di ciocche argentee dal viso “Il Vostro Principe non ha mai avuto interesse in Zaccar, non è vero?” chiese allora lentamente, il tono che già pregustava la più ovvia delle risposte  “Eravate voi, voi ribelli che bramavate la rivalsa, la riconquista di ciò che fino all’ultimo era stato vostro”

Per un attimo vi fu il silenzio, poi il suono di un sospiro leggero “Glielo dovevamo” ammise allora la voce con sincerità, verità inappellabile “Ben pochi Re avrebbero potuto essere paragonati a quello che il tuo caro fratello ha trucidato senza pietà. Io, Sango e Moriku eravamo i suoi più fedeli servitori e come tali prima ancora del trono, della guerra e di qualunque altra ribellione, era su di voi, sui fratelli Miyoshi, che pretendevamo soddisfazione” una pausa “Che tutto ciò fosse giocato a favore dei piani alti…è stata solo una fortuita coincidenza”

Nel buio, Inuyasha avvertì un fin troppo noto touche rimanersene intrappolato fra le sue labbra mentre, in silenzio, prendeva il più nobilmente possibile atto del fatto di essere stato ancora una volta ingannato – e non lui solo – da tre semplici, infimi, umani.

Tre umani che in silenzio avevano corrotto il carceriere di Kagome affinché questi al posto che ucciderla la salvasse. Che avevano disperso in tutta Yarda la voce che Zaccar fosse rimasta sola e sguarnita, facile bersaglio di qualunque fuggitivo, esiliato, reietto e vendicatore della conquista subita tempo addietro. Che avevano provveduto affinché ogni nobile, ogni vassallo e infimo servitore se ne rimanesse in religioso silenzio nel mentre che il golpe veniva ideato, studiato, pianificato.

I loro alleati.

L’attimo prima tutti uniti sotto il vessillo Miyoshi e quello dopo tutti stretti alle sottane del nuovo Re di turno, pronti a volgere le armi ovunque egli desiderasse. Chissà che manna per loro scoprire che il grosso dell’esercito Miyoshi si era allontanato dalla Città delle meraviglie, marciando alla carica verso la trappola ordita da Haman Yosei, il nuovo stendardo della resistenza all’oppressione.

Ed in tutto quello, nel mobilitarsi di traditori vecchi e nuovi loro, Sango Miroku e Kagome, fedeli servi di un Re oramai trapassato ed ora seduti tutti e tre attorno ad un unico tavolo intenti ad escogitare il modo più semplice, più indolore e sicuro per separare l’unica forza, l’unica certezza che ancora rimanesse ai Miyoshi per sopravvivere.

Come dividere Inuyasha e Sesshoumaru?

Con una smorfia, il mezzo demone avvertì se stesso sorridere ancora, piano, malcelata ironia.

Di sicuro l’idea non doveva aver tardato molto ad arrivare. In fondo le donne capiscono sempre quando le si sta guardando in quel modo. Magari il malcapitato di turno no, o dolce ignaro, ma loro certamente si.

E Kagome, malgrado tutto, malgrado si trovasse ad un passo dai Kami, doveva per certo avuto modo di intuire qualcosa dal loro ultimo incontro.

Che fosse stato il bacio? O quel suo modo abbastanza sanguigno di rivelarle quanto volentieri avrebbe voluto sbattersela a sangue? Possibile che il suo vago e rispettoso interesse fosse stato smascherato con tale facilità?

Un nuovo sorriso, il capo di Inuyasha che prendeva a scuotersi un paio di volte di propria sponte. “Lui mi desiderava. E anche ora mi desidera” doveva aver concluso Kagome mentre, viva e vegeta, si metteva seduta al tavolo dei traditori “Nel modo perverso, malato e abietto in cui solo un demone può bramare una donna ma si, certamente lui ha avuto e tuttora ha per me un riguardo che va al di là del semplice volermi morta”  E nell’eco delle sue parole il susseguirsi di quelle di Sango la quale qualche tempo lo raggiungeva in viaggio verso il varco dello Tsii

“ Se la vuoi vieni a prendertela. Lei è a Zaccar ed è molto probabile che solo separandoti dall’unica possibilità che hai di contrastare questa rivolta, nonché dal tuo unico e solo fratello, potrai rivederla”

Sorrise ancora tra sé e sé, Inuyasha, la triste panoramica della propria sconfitta che ora appariva quanto mai lineare, pulita, priva di qualsivoglia sbavatura che deviasse dall’inevitabile –quanto scontato- epilogo.

Se la vuoi.

Queste le parole di Sango.

E Lui la voleva, Kagome?

Questo il suo unico, semplice, pensiero.

La voleva davvero? Ripensandoci ora a mente fredda, un chiostro d’ombra a placare l’irrefrenabilità delle sue azioni, quante probabilità avrebbero potuto esserci che lui, semplicemente, le avesse riso in faccia chiedendole, cortesemente “Kagome chi?”

Proprio allora un alito di vento giunse al sottile olfatto di Inuyasha. Uno sbuffo dal sentore dolce, pungente ed insieme soffice come seta. Aspirò piano, lentamente, il puzzo di muffa e legno marcito che in un attimo smettevano di esistere in onore di quell’unica fragranza, di quel solo e meraviglioso ricordo di perfezione.

Che domanda ridicola.

Lei sapeva che lui sarebbe arrivato. No, meglio, che sarebbe corso da lei il più in fretta possibile. Un po’ per spezzarle l’osso del collo come aveva promesso. Un po’ perché in effetti era dal primo istante in cui l’aveva incontrata che ogni cosa –guerra, potere, vendetta- avevano assunto toni tutt’altro che nitidi se paragonati a lei, all’attrazione che quella stupida umana esercitava nei suoi confronti.

Esisteva qualcosa di più semplice, in fondo? Di più stupido e banale dell’aguzzino che si invaghisca del proprio prigioniero? Forse, solo il medesimo prigioniero che si infatui del proprio carceriere.

Se voleva Kagome?

Proprio allora, con un movimento impercettibile, la figura dinnanzi Inuyasha si mosse appena interrompendo il legame olfattivo che li univa. Sorrise ancora, questa volta con una nota triste.

“Immagino che l’ultimo bagno, l’ultimo che avevo appositamente chiesto ti venisse fatto sia stato un toccasana” sputò freddamente “Una rinascita fra rose e profumi” aggiunse.

Certo. Certo che la voleva, dannazione.

“Non avrei mai dovuto fidarmi di un tizio con la testa da maiale” continuò stancamente “Di sicuro il tradimento più a buon mercato della storia.” concluse con un sogghigno. Giusto il tempo di lasciar intendere a quale ricompensa stesse giusto alludendo.

La voce attese per un attimo nel silenzio. Poi la sensazione che dall’ombra, ella gli stesse cautamente sorridendo.

“Non così a buon mercato, in realtà” fu la docile replica ”Quel suino sapeva il fatto suo in quanto a zeri, ma alla fine siamo giunti ad un equo accordo.” il mezzo demone le scoccò uno sguardo sornione “Di certo più equo di quanto avrei mai potuto essere io” replicò piano. La voce gli sorrise di nuovo, un che di divertito che per un attimo si sommava al veleno naturale delle parole “Poco ma sicuro. Se fossi stato tu il secondino da corrompere l’unica mia chance sarebbe stata quella di offrirmi a te con un bel fiocco in testa” replicò leggera. Beffardo, Inuyasha scrollò piano le spalle. Un movimento a metà fra il complice e il piccato che l’attimo dopo si tradusse nel suo scattare brutalmente in avanti, il corpo ossuto a tendersi come una molla nella ferocia di un balzo, di uno slancio che terminò il proprio corso solo nel clangore delle catene ai suoi polsi, sordo tramestio ad un soffio, a pochi centimetri dalle labbra di Kagome.

Certo che la voleva. Che la desiderava. Che ora, forse per l’ultima volta, avrebbe dato ogni cosa per farla sua.

 “Giusta intuizione” sibilò con una smorfia. Tese, le sue braccia vibrarono di una forza viva, presente, giusto il preambolo di ciò che ancora avrebbero potuto fare se solo, se solamente avesse voluto “Anche se dubito che anche allora avrei accettato la gentile offerta. Il tuo pugnale conficcato nella schiena avrebbe per certo guastato gran parte della magia”

Kagome deglutì, il suo profumo che tradiva ora una nota più acre, quasi la sensazione dell’adrenalina che in un attimo era zampillata sottopelle nell’avvertire quanto, in realtà, la distanza che ora li separasse fosse apparente. Illusoria, frutto di un reciproco accordo di non belligeranza. Socchiuse una, due volte le palpebre, una che di gelido che traluceva improvvisamente negli occhi di lei “Non c’è mai stata magia” replicò seccamente. “Solo uno sciocco bambino che si diverte a rompere, uno dopo l’altro, i propri giochi” nel rispondere i suoi occhi trovarono quelli del mezzo demone intenti a fissarla da dietro l’oscurità. Ricambiarono lo sguardo, lasciando che le tracce di una sfida, di quell’antica sfida oramai dimenticata nelle trame del tempo, serpeggiasse fra di loro come tocco vibrante.

Arretrando, la catene che ricadevano ai suoi fianchi come tentacoli inerti, il mezzo demone abbandonò il capo all’indietro mentre, con un sospiro, ritornava seduto nell’angolo. Frusciarono appena le vesti, i piedi nudi che incontravano il caldo della pietra poc’anzi abbandonata e li restarono, un unico movimento per accovacciarsi e ritrovare le vecchie distanze fra lui e la ragazza. Portandosi una mano al volto si massaggiò un paio di volte gli occhi, lasciando che vividi spiragli di luce si accendessero improvvisamente dinnanzi al suo sguardo stanco.

“E’ davvero possibile odiare tanto una cosa da desiderare con tutto se stessi di distruggerla?” lo seguì poco dopo la voce di lei. E forse fu per l’improvvisa calma del tono o per la rassegnazione con cui ella gli rivolse quelle poche semplici parole che senza sapere come, Inuyasha avvertì il proprio sogghigno venir meno. E la rabbia. E la forza. Lasciò ricadere il braccio a terra, scintille di luce che si esaurivano nella sagoma della ragazza.

“E’ possibile odiare tanto se stessi da voler distruggere tutto ciò che si ama” fu la sua atona risposta. “E’ possibile credere che solo rinunciando a metà della propria anima si possa infine scomparire in un’assenza. In una vita da Youkai. La vita che avrei dovuto avere ma che mi fu negata.”

Chiuse stancamente gli occhi, avvertendo da dietro le palpebre socchiuse lo sguardo di Kagome assottigliarsi.

“Nessuna emozione. Nessun pensiero. Nessuna domanda” sospirò “Nulla per cui valesse la pena chiedersi, in fondo, se esistesse per davvero un confine fra bene e male, fra giusto e sbagliato. Un motivo per essere umano o solo un diavolo.” ed in quelle ultime parole egli avvertì il suono della propria voce farsi per un istante roco, debole, la caduca intonazione dell’uomo che affiorava a tradimento lasciando che le sue parole acquistassero quella flessione, quel timbro davvero troppo umano per passare inosservato.

 “Tu mi hai ucciso” replicò freddamente Kagome. Troppo presto e troppo rapidamente per lasciar sperare anche solo in una minima traccia di commozione nelle sue parole. Un soffio, un sospiro in quell’annegare silenzioso “Direi che c’è ben poco da chiedersi su quale scelta, infine, tu abbia fatto, Inuyasha” concluse atona.

Annuì lentamente, il mezzo demone, lasciando che fili argento scivolassero dinnanzi al suo volto in un velo lucente. Una ragnatela indistricabile.

“Si, certo” sorrise piegando la testa di lato, scoccandole uno sguardo in tralice “E allora perché ora sono qui?” in quel silenzio, pensò Inuyasha, vi era oramai davvero troppo poco da nascondere perché importasse celare ancora ciò che l’evidenza aveva reso palese. Così, ghigno impenitente, continuò laddove sapeva il discorso l’avrebbe portato “Senza più un regno, senza più una famiglia e un futuro. Solo l’ombra di ciò che ero e di ciò che pensavo sarei diventato.” Esitò. La gola che improvvisamente si seccava “Eppure l’unica cosa a cui ora riesco a pensare è a quanto morbida potrebbe essere la tua pelle se ora ti stringessi a me” sospiro “O a quando dolce è ancora il tuo profumo, nonostante tutto.” chiuse gli occhi. Un po’ per codardia. Un po’ perché, brivido sottile, gli parve proprio allora di avvertire la forza che quelle parole –per la prima volta vive, per il primo istante sue- esercitavano su di lui. Il loro potere, viscerale calore nel cui solo suono ogni parte del suo corpo, del suo io, vibrava ora in morbosa risposta. “Lavanda e vaniglia.” Come se nulla fosse mai accaduto, come se quei giorni non fossero stati altro che una trascurabile parentesi fra il loro incontrarsi e rincontrarsi. Prese fiato, concedendosi uno sbuffo divertito.“Ma l’ho fatto per davvero?” sorrise piano, suo malgrado, abbandonando sconfitto la testa all’indietro. Deprimente che, proprio ora nel bel mezzo del suo primo –o forse secondo?- attimo di onestà, la sola cosa che trovasse lecito fare fosse sorridere ogni cinque minuti come un perfetto ebete “Davvero mentre il Mio Regno andava in pezzi io sono corso qui da te? E non per ucciderti, non per sventrarti e finire ciò che avevo cominciato molto tempo addietro. Figurati.” smorfia stizzita “Solo per averti. Punto.” a ripensarci bene– sebbene non servisse poi tanto pensiero per arrivarci- tutta quanta la faccenda pareva davvero una battuta di pessimo gusto. Una specie di tiro mancino escogitato giusto per far fare a lui la figura dell’imbecille di turno, del damerino tutto salamelecchi e fronzoli come mai era stato fino ad allora, e a qualcun altro –un certo Haman Yosei ad esempio- la parte del grande stratega oh-mio-dio-ma-quanto-sono-geniale.

E giusto per rendere la cosa ancora più tragica-perché no- eccolo qui ora a sbrodolare dichiarazioni d’amore al lume di candela. Fuori il plotone d’esecuzione e lui dentro, stretto stretto a Kagome a supplicarla di amarlo solo un pochino, solo un pochetto malgrado, che sbadato, fino a due giorni prima l’avesse torturata a morte sperando nella sua rapida quanto liberatoria dipartita.

“Ho avuto prostitute molto meno problematiche” sputò quindi arcigno –in ricordo dei vecchi tempi, probabilmente- sperando che la reazione di Kagome lo salvasse da quella confessione davvero troppo patetica e penosa perfino per quella parodia di se stesso che ora era divenuto.

Il manrovescio lo colpì infatti in pieno viso, costringendolo a piegare il volto di lato nell’immediato arroventarsi della guancia lesa. Esitò, non ancora del tutto soddisfatto in verità, giusto in tempo perché un altro colpo lo raggiungesse a tradimento dall’altra parte, rubandogli una mezza smorfia contrita. Poi, brutale, il raggiungerlo di due mani alle spalle, uno strattone convulso che lo attirava in avanti e costringeva a volgere il proprio sguardo in alto laddove, flebile, uno spiraglio di luce solcava il nero fitto della cella. Laddove, grigio perla, due occhi lo stavano ora guardando scuri e vitrei, due pozze di un nulla profondo e denso.  

Ed ebbe finalmente modo di guardarlo per bene, quel viso. Giusto un attimo, un misero secondo a metà fra oscurità e penombra prima che la furia di Kagome lo investisse con tutta la forza di cui lui aveva sempre saputo lei fosse capace.

Eppure fu abbastanza. Fu sufficiente. Fu finalmente Lei – e nessun’altro doppione mal riuscito. E nessun’altro scambio d’identità - mentre con disprezzo ella lo avvinceva a sé. Una lama di luce fra i capelli, una falce ossidiana sul viso. Un sibilo come respiro.

“Guardami” gli ordinò con rabbia. Le sue iridi una nota stonata in ciò che un tempo era stata una bellissima melodia “Guardami” oltre di esse, il gelo di una prigione, il dolore dell’agonia, il rancore di lunghi giorni passati nella dimenticanza del sole, della luce, della vita. Come aveva potuto fare questo? Come?Possibile essere tanto stupidi in due sole mosse?

“Il mio regno per un ricordo” lo apostrofò con rabbia. E certamente Inuyasha si sarebbe aspettato di ricevere uno sputo di disprezzo, una molto umana manifestazione di odio e disgusto comunemente usata per umiliare e mortificare i propri nemici –lui l’aveva spesso usato.

“Ma sai cosa ricordo io?” eppure Kagome passò oltre “Ricordo un uomo fermo sulla soglia della mia cella. Ricordo fili d’argento attorno al suo viso e occhi crudeli fissi su di me. Ricordo la sua rabbia e la sua forza, e quell’odio viscerale nello scoprire quanto lo addolorasse, quanto lo ferisse il doversi separare anche solo per un poco da me. Dal suo giocattolo” Una pausa, nel suo sguardo il risplendere di quell’attimo, di quel solo ed unico momento “Tu mi dicesti di ricordarlo. Mi dicesti di non smarrirlo nemmeno nella tenebra che presto mi avrebbe preso così che un giorno, dinnanzi ai Numi, avrei ben potuto descrivere le fattezze del mio assassino. Di colui che senza un pensiero fece della mia vita suo diletto per poi gettarla via, capriccioso” nell’incupirsi dello sguardo, Inuyasha avvertì la stretta su di lui tremare appena, incontrollabile debolezza.

“E sai la cosa buffa?” non c’era proprio nulla di divertente nelle sue parole, eppure Kagome sorrise una volta. Forse per far piacere a lui. Forse per deridere se medesima. “Io ho davvero ricordato. Ho ricordato anche quando tutto il resto era già svanito. E quando mi hanno tirato fuori da quel buco puzzolente, quando mi hanno lavata e vestita, immagina la gioia dei miei compagni nel sentirmi esalare la prima parola dopo giorni di mutismo, di silenzio.” E nella sua voce Inuyasha potè a sua volta sentirla. Quella nota. Quella flebile flessione che, suo malgrado, anche lui aveva inutilmente tentato di nasconderle per molto, troppo tempo. Sbattè le palpebre, il chiarore delle iridi di Kagome che riflettevano in lui la sensazione di un gelo latente, incalzante.

Lo stesso che la ragazza gli rivolse poco dopo mentre, lentamente, allentava la presa su di lui così che questa divenisse poco più che un contatto accennato, vago gesto senza furore.

“Inuyasha” sillabò in un soffio.

Queste le sue prime parole. Questo il rancore che ella ora si permetteva di attribuirgli, colpa il non sapere se fu nell’odio o nell’amore che questa venne esalata.

Credettero ti stessi maledicendo” smorfia sofferta, Kagome bruciò il proprio viso di un ghigno amaro “Che piena di rancore per le torture a cui mi avevi sottoposta, di odio per l’avermi quasi ammazzata e stuprata non avessi altro desiderio che distruggerti e ucciderti” Mentre piegava il capo di lato, uno spiraglio di luce colpì la curva della sua gola mostrando un segno più chiaro, una lama di pelle dal colore perlaceo.

“Ed io, piena di vergogna, glielo lasciai credere. Annuii e ripresi ad essere la Kagome che ero stata molto, molto tempo fa” era una ferita, realizzò in quell’istante il mezzo demone. Una ferita che dal collo scendeva fino al petto per poi perdersi nelle pieghe dello yukata che ella indossava “In realtà non sapevo perché ti avessi nominato così come ignoravo il perché ora ucciderti e sbudellarti –e vendicarmi - non fosse affatto il primo fra i miei pensieri”

L’attimo dopo Inuyasha aveva serrato la propria mano destra attorno alla nuca di lei, saggiando con il pollice il contorno lunare di quella grinza, di quella parentesi disegnata sul corpo di lei.

“Sono stata io a fartela, questa” disse gravemente “E’ stato il giorno in qui ci siamo incontrati”

Ricordava quell’ultimo truce affondo. Quella molle sensazione di carne sfaldata, di legamenti che in un attimo perdevano consistenza nel lacerio dei suoi artigli. Ma non quella cicatrice.

Questa volta Kagome non ebbe alcuna reazione. Chiuse una volta le palpebre. Due. E poi con un mezzo sorriso portò entrambe le mani allo scollo dello yukata che, leggero, cedette alla pressione delle sue dita.

Ed eccola, visibile come squarcio di fuoco, il risalire di una lunga cicatrice, ombra chiara su pelle alabastro. Mentre in silenzio Inuyasha apriva la mano sulla sua lunghezza, il palmo che scendeva fino alla base del seno dove questa si interrompeva in bianchi filamenti grinzosi, fu quasi con dolorosa furia che un pensiero gli balenò alla mente. Lei non si era mai lasciata guardare così. Semplicemente, attentamente, dolore e sporcizia non più uniti a schermare ciò che ora nudo si mostrava innanzi ai suoi occhi.

“Eppure a volte mi chiedevo: quanto a lungo avrei potuto fingere di essere la Kagome di un tempo? Quanto inganno avrei potuto tessere prima di essere irrimediabilmente scoperta per ciò che ero?” il suo corpo tremò una volta, insieme alla voce “Tu eri sempre li. Pronto a ricordarmi che qualcosa –molto più di quanto avrei potuto accettare- era cambiato”

I loro occhi si incontrarono ancora e nel silenzio di parole impossibili da pronunciare, lei abbassò infine lo sguardo.

Lei è già mia.

Realizzò di colpo Inuyasha.

Il suo corpo è già mio.

Si ritrovò ad annaspare. Una chiara sensazione di vertigine che lo costringeva a ritrarre di scatto la mano dal corpo di Kagome, a piegare il capo di lato e lottare per un terribile istante contro un’imprevista e alquanto agghiacciante sensazione di vomito. Chiuse gli occhi, il terreno che slittava a tradimento sotto di lui facendolo scivolare all’indietro. Possibile riuscire in pochi istanti a fare così tante figure da idiota tutte insieme?

Quando li riaprì, Kagome lo stava baciando.

Un tocco leggero, gelido come la brezza di un mattino. Una sensazione appena accennata, appena percepibile insieme al respiro di lei sul volto del mezzo demone.

Ed immobile, Inuyasha si scoprì incapace di replicare.

Incapace di reagire a quel semplice gesto se non afferrando con entrambe le mani le spalle di Kagome e respingendola con forza, la ricerca d’aria che diveniva improvvisamente una necessità ancora più vitale dell’essere baciato da lei.

Strinse i denti ed inspirò, guadagnandosi di controparte un sogghigno amaro.

“Ancora troppo umano per te, Inuyasha?” lo raggiunse la sua voce asciutta. Vi era una traccia di dolore in quelle parole. La stessa che, pur non capendo come, il mezzo demone era stato in grado di avvertire fino ad allora, sottofondo bianco ad ogni sillaba, ad ogni frase pronunciata  da lei.

Sospirò, impedendosi comunque di lasciarla andare. Non ora. Non proprio adesso.

“L’hai detto anche tu” le disse con un sogghigno contratto “Io ho già scelto da che parte stare”.

Seppe di aver detto una menzogna nell’istante in cui, non sentendola replicare, alzò il proprio sguardo verso di lei.

Cogliendo i suoi occhi. Cogliendo quell’espressione così tanto simile, così tanto eguale a quella che quel giorno –il giorno del loro addio- ella gli aveva rivolto.

Un poco stupita. Un poco melanconica. Un poco ferita dal trovare li, proprio dietro quegli occhi abituati a scrutarla con crudeltà e perfidia, uno sguardo umano. Due occhi da uomo che da uomo non potevano fare altro che studiarla e desiderarla nel modo che solo fra affini e simili può accadere.

Ancora troppo umano, Inuyasha? Anche adesso? Anche ad un passo dalla fine?

Ma quanto poteva essere diverso il suo nome se pronunciato dalle labbra di lei? Quanto fragile il ricordo della sua vita se paragonato a quell’unica memoria che ella aveva saputo conservare di lui?

Un nuovo sguardo di Kagome, lungo, intenso, e poi il profumo dei suoi capelli sul viso lo colse di nuovo. Un tocco leggero, simile ad un respiro sulle vesti che dalla spalla attraversò il suo corpo intero per poi terminare nel sonoro Clang delle manette che cadevano improvvisamente inerti a terra. Distante dalla sua guancia, un sospiro soffice di derisione

“Sempre quella sbagliata, da che tutto questo è iniziato”.

Più tardi gli sarebbe piaciuto raccontare che proprio in quella, spirito nobile, egli avesse allora deciso di allontanarla per una seconda volta da sé, uno sguardo da vero uomo mentre, sicuro, le confessava per filo e per segno il suo eterno ed incompreso amore. Le diceva una volta e per tutte che l’aveva desiderata fin dal primo momento, dal primo istante in cui aveva avvertito il suo profumo da sotto le vesti con cui ella aveva tentato di nascondersi a lui.

E gli sarebbe piaciuto continuare aggiungendo che anche Kagome, colta da tutto quel sentimentalismo, avesse proprio allora deciso di ricambiare i suoi sentimenti, ricordando che anche lei –spia segreta- aveva fin da molto tempo prima iniziato a provare qualcosa per lui, una passione quasi del tutto cancellata dalla prigionia ma in seguito riemersa per il semplice fatto –che si- al cuore non si comanda e lui aveva un lato abbastanza umano da far innamorare una come lei.

Ma ciò che gli riuscì di fare, ciò che riuscì di fare all’ex principe di tutta Yarda, signore delle terre conosciute, incredibile guerriero e dominatore di folle prima che le guardie aprissero quella maledetta gabbia e venissero a prelevare lui per il suo ultimo viaggio verso il patibolo, fu semplicemente voltare appena la testa di lato e lasciare che, finalmente, le loro labbra si incontrassero.

E stringerla a sé, con quella disperata possessione e stordimento nel sentire il corpo di lei modellarsi perfettamente al proprio, costole ad aprirsi come dita sottopelle nel suo sospirare, nel suo piegare il capo all’indietro mentre, seta dopo seta, egli scopriva ogni centimetro di quella pelle un tempo perfetta.

Tentò di essere gentile. E dolce. E di trattarla come nei suoi sogni spesso aveva creduto di poter fare.

Eppure fu passandole una mano fra i capelli, fu circondandole la vita con un braccio che avvertì quanto anche lei sapesse quanto poco di quelle dolcezze le sarebbero state concesse. Quanta poca dolcezza vi fosse in Inuyasha anche ora, anche adesso ad un passo dalla fine.

Così, quando con un sospiro entrò in lei fu senza un lamento che ella accolse quel nuovo dolore, l’ultimo che forse Inuyasha sarebbe mai più stato capace di causarle.

Perdonami. Avrebbe voluto sussurrarle all’orecchio, uno sguardo a cogliere il breve luccichio dei suoi occhi. E rassicurarla che probabilmente al mondo esistono altre forme d’amore, altri modi d’amare che non regalino solo tormenti e disperazione. Ma lei, brutale dolcezza, glielo impedì. Non gli concesse di mentirle ancora una volta. Ancora una mentre ella, gesti senza voce, gli concedeva il proprio Addio così come, molto tempo prima, lui l'aveva donato a lei.

Semplicemente, nel socchiudersi di palpebre sottili come vetro ella contrasse la schiena una volta, il volto esangue a schermarsi nel suo abbraccio muto, in quel suo gemere contro la sua spalla mentre, affondare disperato, egli la trascinava per l’ultima volta nelle tenebre insieme a lui, anima senza meta.    

 

 


Ed ecco qui^__^

L'Addio di Kagome, un poco di luce in questa storia tetraXD Questo è il penultimo capitolo, dopo di che…la fine (si, ci siamo quasi, stento a crederci pure io).

Come sempre un grazie infinito a tutti quanti per le vostre recensioni! Spero che questo capitolo possa piacere^///^.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


“Questo non cambierà nulla, lo sai Inuyasha?” la voce di Sango lo raggiunse alle spalle, il vento fra i capelli che rendeva la sua figura una sfumata parentesi nera sulla spiaggia isolata.

Il mezzo demone si voltò lentamente verso di lei, gettando uno sguardo obliquo alla lunga barca che dalle terre conosciute di Yarda lo aveva condotto li, in quelle lande bruciate dal sole e risparmiate dalla vita. Alcuni le chiamavano Terre Libere, ma Inuyasha temeva che la sola libertà presente fosse stata il non essere mai state Terre Miyoshi da che la conquista imperiale era cominciata.

Neanche con tutto l’impegno del mondo –e decisamente lui non era tipo da arrendersi alla prima difficoltà-  si sarebbe sprecato ad esprimere anche un solo commento positivo nei confronti di quella brulla distesa di sabbia e sassi: nemmeno l’immaginazione poteva sopperire alla totale assenza di fantasia della natura nel modellare quel luogo.

Le sorrise piano, entrambe le mani ammanettate posate sulla fronte nel vano tentativo di schermarsi da tutta quella luce e chiarore, uniche fastidiose presenze in quell’inferno dimenticato da Dio-

“Vuoi dire che anche da miglia e miglia di distanza non potrai fare a meno di pensarmi con la medesima intensità e devozione mostrate finora?” nella sua voce, una traccia sibillina sufficiente ad increspare ancor più l’espressione della donna.

“Voglio dire che dovesse ricapitarmi l’occasione un giorno, non esiterò ad infilzarti da parte a parte come troppo spesso ho mancato di fare, Inuyasha”

“La parola Esilio è stata inventata per una sola ragione, mia cara: evitare di rincontrare persone sgradite.” una pausa, giusto il tempo di notare l’avvicinarsi del notaio di turno ed il suo accomodarsi poco distante da lui, il corpo incurvato che già trasudava uno sgradevole olezzo di sudore. Poi, leggero, un incurvarsi delle labbra. “Dubito dunque che si ripresenterà una così ghiotta occasione in futuro a meno che tu non prenda seriamente in considerazione l’idea di costringere entrambi ad una frustrante quanto sgradita rimpatriata”.

Se possibile, lo sguardo della ragazza si fece ancor più cupo e certamente ella avrebbe ribattuto con qualche poco raffinata maledizione se proprio allora lo schiarirsi della voce del vecchio non l’avesse interrotta. Come ogni anziano che si rispetti –o, per meglio dire, burocrate- egli pareva essere tanto sordo quanto perfettamente incurante di ogni altra cosa che non fosse la sua importantissima presenza. Del tutto insensibile all’occhiata malevola che la ragazza gli scoccò, egli si rivolse quindi ad Inuyasha.

“Per ordine di Haman Yosei, Sovrano delle Nuove Terre Libere…” il mezzo demone sospirò “…su approvazione del Concilio dei Nove, dei Nobili Riuniti e dell’Alto Circolo…fantastico che con tutta quella gente il signor Yosei trovasse anche il posto a sedere nella sala del trono di Zaccar……E’ stato dunque deciso di condannare il qui presente Inuyasha Miyoshi, secondogenito di Inutaro Miyoshi, legittimo pretendente….” incontrollabile reazione alla gradevolezza del luogo e di quel forbito discorso, il mezzo demone avvertì i propri occhi lacrimare. Pregò, poiché le catene ancora strette ai suoi polsi non gli davano certo molte alternative, che quell’omino tutto stoffe e pergamene si sbrigasse a decretare ciò che, come sempre, l’ovvio aveva già da tempo pensato ad esplicitare.

…all’Esilio a tempo indeterminato.”

Ecco, appunto.

Non che l’essere trattenuto per due interi mesi nell’umida stiva di una nave maleodorante a pane ed acqua, legato e slegato a seconda delle necessità ed infine buttato letteralmente sull’arida sponda di una terra sconosciuta avesse lasciato poi tanti dubbi a riguardo. Se era una esecuzione che voleva Haman Yosei, perché prendersi il disturbo di scarrozzarlo fino all’altro capo del mondo piuttosto che sbrigare il tutto proprio sotto casa propria, in onore del sommario funerale toccato al suo stesso padre?

Anche se, in effetti, la controversa visita di Kagome aveva insinuato qualche dubbio in lui. Per certi aspetti, infatti, gli era quasi sembrato un Addio in grande stile…

Da dietro le sue cappe nere, Miroku ebbe un lieve movimento nervoso. Impossibile definire se di gioia o di frustrazione anch’egli per la forbita sciorinata del vecchio.

…In presenza di codesti testimoni, membri favoriti del Concilio e Guardie Personali del Sovrano, accetti dunque la tua pena, Inuyasha Miyoshi?”

Il mezzo demone sbatté una volta le palpebre, un che di aspro che questa volta nasceva sul Suo di volto. Ma certo, come dimenticare la giustizia degli uomini? Abbastanza giusta ed imparziale da tollerare la sua stessa ipocrisia. Per un folle momento il mezzo demone si chiese se fosse stato alquanto masochistico rimpiangere le sommarie esecuzioni demoniache, tanto in voga nei bei tempi del Terrore Miyoshi.

Eppure, malgrado tutto, la sua unica reazione visibile fu un lungo cenno del capo, abbastanza marcato perché tanto il vecchio sordo quando i beneamati membri della Guardia reale potessero notarlo.

“Si.”

Sillabò atono. Aveva la gola secca per la polvere.

L’anziano notaio alzò gli occhi dalla pergamena per un istante, incontrando per una frazione di secondo gli occhi del mezzo demone. Non disse nulla –nulla che non fosse burocraticamente accettabile meritava di essere detto, evidentemente-  limitandosi poi a riabbassare lo sguardo con fare indifferente. Nella sua mano destra apparve come per magia, o forse il segreto delle maniche larghe era stupire i condannati a morte con questi trucchi dell’ultimo momento, una penna d’oca con la quale spuntò qualcosa sulla pergamena.

Sospirò, quasi lo sforzo lo avesse impegnato più del previsto per poi riprendere a leggere.

“Con il potere conferitomi da Haman Yosei condanno dunque te, inuyasha Miyoshi, all’Esilio imperituro. Non ti sarà mai più concesso di fare ritorno nelle terre Nuove Terre Libere qualunque siano i tuoi intenti, pena la morte per decapitazione.” una pausa, poi la breve frase di commiato  “Che i Numi possano avere pietà della tua anima, poiché nessun altro l’avrà mai.”

Mentre il vecchio si prendeva tutto il tempo di suo gradimento per ripiegare la pergamena e lentamente sigillarla con della ceralacca, Sango e Miroku si mossero verso di lui. Il primo recante con sé un nero cavallo dall’aspetto gioviale e l’altra con un fitto mazzo di chiavi in mano, il tintinnio del ferro a risuonare ad ogni suo passo corrucciato. Mentre ella si chinava per liberarlo, il mezzo demone piegò appena il capo di lato così da poterla meglio vedere in volto.

“Suvvia mia cara” la stuzzicò pacatamente “ Tutta questa inconsolabile disperazione non ti si addice. Prometto che ti scriverò ogni giorno. E che cospargerò le pergamene con il mio profumo così che vivido sarà il mio ricordo nell’istante in cui le aprirai.”

Lo scattare delle manette ai polsi fu quasi doloroso tale fu la forza con cui lei girò la chiave. Pareva intenzionata a ficcargli l’intero metallo in gola, più che nella serratura.

“Ed io prometto che se mai dovessi rivedere la tua faccia sul Continente non esiterò ad eseguire alla lettera le disposizioni di Haman Yosei” sillabò lei fra i denti. Inuyasha le regalò un caldo sorriso –cercando di non pensare al sudore che già minacciava di colargli dalla fronte- per poi posare una delle mani libere sul caldo collo dello stallone. Era morbido, malgrado tutto, e la stabilità di quel contatto ebbe l’inaspettata capacità di distendere per un istante i nervi del mezzo demone.

“E perché mai dovrei arrischiarmi a tornare?” replicò con naturalezza. Passò per tutta la sua lunghezza le dita nella criniera del cavallo ”Qui ho tutto quello che un uomo potrebbe desiderare: clima caldo, ampi orizzonti, terre selvagge e spiagge a sazietà per condurre una vita da re e, non dimentichiamocelo, una guardia del corpo di prim’ordine che farà di tutto per tenermi alla larga da qualunque rischio e pericolo”

Proprio allora la guardia del corpo in questione fece la sua comparsa poco distante. Anche lei in groppa ad un fiero stallone nero, anche lei bardata di quella nera tunica utilizzata nel primo ed ultimo momento della Storia di Zaccar.

Kagome, poiché era così che ella si chiamava, rivolse un lungo e silenzioso sguardo ai due, apparentemente ignara della discussione che stavano intrattenendo. Poi, riflesso condizionato, parve abbozzare un movimento del capo come in segno di saluto.

“Potrei forse chiedere di meglio?” concluse con un ghigno il mezzo demone. La reazione di Sango sarebbe stata decisamente poco ortodossa se dall’alto della sua posizione Kagome non l’avesse proprio allora zittita con un’occhiata.

Haman Yosei ha dato disposizioni affinché nessuno dal Continente sappia della sorte toccata agli eredi Miyoshi. Fate attenzione che nessuno ci abbia seguito” ordinò gelidamente. Con un breve cenno d’assenso, Sango e molto più indietro Miroku piegarono in contemporanea il capo verso terra. Ferito mortalmente, il monaco era rimasto azzoppato dall’ultimo scontro con inuyasha. Sarebbe mai più stato capace di cavalcare con la fierezza mostrata la prima volta? Il mezzo demone gli scoccò uno sguardo in tralice. A giudicare da come lo guardava quella mezza iena di Sango, certamente sarebbe bastato a fare a sufficienza.

Nella luce, gli occhi di Kagome parevano ora quasi bianchi, il colore della perla a scintillare di una strana luminescenza nivea.

“Fra quando potrai scriverci?” un breve luccichio fra le ciglia tralucé nel volto di Sango. Fra le sue dita, il pegno che Kagome le aveva regalato poco prima sulla nave, nella cabina dove tutti insieme lei e i suoi amici avevano potuto dirsi addio come era solito fare fra gli umani. Pianti, risate, non dimenticarmi di qui, non dimenticarmi di la. In poche parole Inuyasha era stato costretto a salire in sovraccoperta per non esser colto da uno spasmo di gonorrea.  

Infastidito dal vento, il cavallo della giovane mosse appena il muso da una parte all’altra, ciocche nere della folta criniera che si scompigliavano nell’are circostante.

“Quando nessuna delle cose che potrei raccontarvi desteranno sospetti se messe nelle mani sbagliate” replicò asciutta Kagome per poi, dopo un breve cenno di commiato, voltare l’animale in direzione del mezzo demone.

Le dita di Sango si strinsero d’istinto alla sua gamba, gli occhi ora rossi di pianto che richiamavano un’ultima volta la sua attenzione. “E’ davvero questo che vuoi, Kagome?” le chiese in un singhiozzo “Fare da guardia del corpo a colui che fino a poco tempo fa era il nostro più acerrimo nemico? Che per poco non ti consegnava personalmente ai Kami? Persi in una terra sconosciuta, soli in un mondo che poco o nulla ha a che spartire con le nostre faccende, con le nostre vite?”.

Kagome stessa aveva richiesto di essere assegnata a lui come “scorta personale” per assicurarsi che “non tentasse di tornare sul Continente”. Ma questo Sango evitò di dirlo.

 Per un secondo, Inuyasha ebbe timore dello sguardo che le due si scambiarono. Un’occhiata silenziosa, limpida e commossa come solo quella di due esseri umani avrebbe potuto essere. Uno sguardo velato dal pianto ed al contempo talmente sincero, talmente intenso da stringersi nel petto del mezzo demone in una morsa ansiosa.

Lui e Sesshoumaru si erano mai scambiati sguardi così? Si erano mai parlati in quel modo?  

Ed al contempo, quante possibilità c’erano che Kagome improvvisamente capisse di stare facendo il più grande sbaglio della sua vita e si tirasse indietro?

Per un secondo fu come vederla, quella scena. Lei che dopo un istante si girava verso di lui e, scrollando le spalle, sillabava con tono incerto “In effetti, Sango ha ragione. Perché diamine dovrei lasciare una vita di onori e ricchezze al fianco del nuovo Sovrano Tal dei Tali per arrancare come un’idiota insieme a te nel deserto del-morto-e-sepolto?” una smorfia stupita “Mica sono così tanto innamorata di te, io. Davvero.”

Ed ecco così, in due frasi dalla leggendaria brutalità, il farsi friggere di un’intera storia di premesse ed anticipazioni. E del suo cuore, ovviamente –ammesso che ne avesse avuto uno, ora-. Ma del resto, non era forse questa la fine che fanno i cattivi?

Li si salva, poveretti, ma certo non gli si da una vita felice da spendere in compagnia della donna che amano in un posto dalla shockante bellezza naturalistica.

Fortunatamente però, poiché non sempre le cose vanno per come le si prefigura, abbacinante riflesso sulla sua pelle, il sorriso di Kagome spuntò proprio allora su quel suo volto candido.

Spuntò e si schiuse con la semplicità di un sospiro laddove nessuno –Sango medesima- avrebbe mai potuto indovinare vi si potesse nascondere ancora Qualcosa.

Ancora un Niente. E di certo un alcunché per lui, Inuyasha, che meno di tutti pareva meritarselo.

Ma si sa, fin dalla prima volta –a modo suo- Kagome era stata buona con lui. Buona come, malgrado tutto, solo una vera Eroina avrebbe potuto essere.   

 

 


Ciao a tutti!

Finalmente ecco a voi l’ultimo capitolo, l’ultimo di questa storia*___*

Mi sento incredibilmente stupida ma sono davvero emozionatissima! Alla fine non ho proprio potuto resistere alla Happy Ending, specie perché dopo la sua conversione ad animo buono, mi si spezzava il cuore a far fare una brutta fine ad Inuyashaç_ç Ok. Forse l’esilio eterno in un deserto dei Tartari non è proprio quello che i più definirebbero –felici e contenti- ma a me bastava che Inuyasha e Kagome restassero insieme. Si, sono una romanticona senza speranza.

Che dire, dunque?

Questa storia è andata avanti fra alti e bassi – e con tempi lunghissimi- ma alla fin fine posso dire di essere felice per la sua conclusione. Spero che anche per coloro che hanno faticosamente letto ognuno dei capitoli questa storia non sia stata uno spreco di tempo/spazio su internet ma che, in fin dei conti, io sia riuscita a tirar fuori qualcosa di buono.

Sfacciatamente, posso chiedervi di sprecare un momento per un commento? Anche solo due righe, anche solo un “orrido” o “bello” o anche per qualche consiglio o correzione. Ora che la storia è conclusa, vorrei davvero capire se tutto ciò che ho scritto vi sia piaciuto o meno e se sia il caso di avventurarmi verso un’altra storia –magari non di Inuyasha- oppure di lasciar perdere a darmi alla cosiddetta “ippica”X’’D

Consigli?^__^’’

In ogni caso, grazie davvero a tutti quanti per l’attenzione.

Un bacio,

Elendil

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