Where are you, Gloria?

di hacky95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 924 Gilman Street, 25 ottobre 2007 ***
Capitolo 2: *** Non devo morire. Non ancora. ***



Capitolo 1
*** 924 Gilman Street, 25 ottobre 2007 ***


1990. 2007. Non avrei mai pensato di poterla riconoscere dopo tutto questo tempo. La solita aria annoiata, ma le iridi verdi erano vivide e attente. Lei. Gloria. Dimostrava appena venticinque anni, ma all'incirca ne avrà avuti almeno dieci in più. Ancora al 924 di Gilman Street, come me, Billie Joe , Mike e Jason, fra l'altro. Gli altri ridevano, facevano cazzate, e stranamente la gente non badava a noi. La guardavo così tanto dietro a quelle fottutissime lenti scure, che avrei finito molto probabilmente per sciuparla.  Ok, a questo punto era impossibile che non mi avesse riconosciuto. Solo lei, in quel locale, avrebbe capito chi si celava dietro sciarpa, cappuccio e occhiali da sole. La continuai a fissare, mentre si avvicinava lentamente al divanetto, con le mani nelle tasche del giubbotto di pelle da quattro soldi oramai consunto. Sollevò il sopracciglio destro, mentre io stavo per impazzire. Non capivo se Lei avesse intenzione di tirarmi un calcio nei mandarini, o che altro.
- So chi sei, stronzo.- Ok, mi aveva riconosciuto. Mi alzai a malavoglia, imprecando contro il signore con la barba lassù. Ero nella merda. Di sicuro mi avrebbe smascherato davanti a tutti, mettendomi in difficoltà. Una piccola vendetta, le era più che dovuta. Ma con mia grande sorpresa, fece un cenno con la testa verso l'uscita . Forse c'erano fuori dei suoi amici molto grossi e possenti, che non vedevano l'ora di ammaccare un batterista coglione. La seguii, anche io con le mani in tasca, anche se il mio giubbotto di pelle costava almeno cento volte il suo. Sentii dietro di me Billie chiedere spiegazioni, ma lo lasciai stare. Schivai un cretino indemoniato con il suo fottutissimo tentativo di Mosh. Pochi secondi ed eravamo già fuori. L'aria gelida di quell'ottobre mi punse il viso, come centinaia di pezzi di ghiaccio, rabbrividì un po', mentre lei restava impassibile a guardarmi negli occhi. Quelle maledette iridi, che sapevano leggermi meglio di chiunque altro, meglio anche di mia figlia Ramona.
-Trè.- Il nome in cui pronunciò il mio nome, con distacco e indifferenza, ferì più di un coltello in petto. Non sapevo che risponderle, chiesi aiuto a Chi è Lassù, anche se mi mandò emeritamente a cagare, visto quello che avevo detto prima. Sospirai, e lasciai parlare lei.
-Da quanto tempo. Vedo che hai realizzato il tuo sogno. Questo album, American Idiot,... più di 14 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Congratulazioni.- Il modo in cui lo disse, quasi con disprezzo, stava per uccidermi. E dire che fino a pochi minuti fa cazzeggiavo con quel demente di Dirnt.
-Gloria. Vedo che sei ancora in vita. Allora con la coca hai smesso, o no?- Sì, lo so bene,devo sempre fare lo stronzo, è uno dei miei principi. Quella volta mi beccai un sonoro ceffone, ma no mi fece certo più male di quel “Trè”.
-Bastardo! - Questa parola urlata squarciò le tenebre, fece voltare i pochi presenti nella nostra direzione. Tolsi gli occhiali, attiravano troppo l'attenzione in un contesto del genere.
-Mi hai chiamato fuori dal locale per chiedermi della mia carriera o per insultarmi? C'è sempre internet.- Tentai di usare un tono idifferente, ma la mia voce tremava appena. Di sicuro Lei lo notò.
-Volevo solo vedere in faccia la persona che mi ha fatto buttare la mia vita nel cesso. E quella cazzo di sberla te la sei meritata, eccome! Vuoi sapere che cosa è successo dopo quella merdosa sera di diciassette anni fa, proprio qui?-Era incredibile. Si comportava proprio come una ventenne, anche se teoricamente era una donna, era sempre “The Last of the American Girls”. Se non fosse che mi avesse appena rinfacciato l'errore più grande di tutta la mia esistenza, avrei quasi sorriso. Non le risposi, mi limitai a fissarla negli occhi. Cercavo di ucciderla di nuovo, usando lo sguardo. Sapevo benissimo che quello che Gloria stava per raccontarmi non mi sarebbe piaciuto, in più avrebbe riaperto una ferita profonda. I suoi capelli corvini, non lunghissimi, si muovevano grazie al vento, piuttosto forte, quella sera del venticinque ottobre del 2007
Che situazione stupida. Un fottutissimo cazzaro come me, pronto ad ascoltare il pietoso racconto di una ragazza scaricata sull'orlo della strada diciassette anni fa.
Lei sospirò con rabbia, e dopo avermi dato un altra sberla, cominciò. Ora non potevo più fermarla.

*Questa è un capitolo breve, prima di tutto per vedere se è il caso di continuare la fanfiction... Devo dire che non ho mai scritto nulla, a parte i temi di italiano... ^_^° Spero che vi sia  piaciuta, mi attirava la cosa di vedere Trè un po' diverso da quel Dio indemoniato qual'è sul palco...*

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Capitolo 2
*** Non devo morire. Non ancora. ***


 


* Ho fatto in fretta, a continuare... Sono lanciatissima! Comunque, per ginnyx: per adesso non posso svelare nulla di quella di “Last of the American Girls”, ma posso dire che visto che questa fanfiction l'ho progettata per essere una storia lunga, quando sarà il momento questa storia sarà svelata... XD Grazie per i complimenti!

E grazie anche a tutti quelli che hanno speso un minuto del loro tempo a leggere il primo capitolo, spero che vi piaccia anche il secondo... *

[Note: Il 924 di Gilman Street, è uno dei più famosi locali punk-rock dei sobborghi di L.A, molto frequentato realmente anche dai Green Day stessi (all'epoca). Qui è vietato fumare, drogarsi e bere alcolici, si viene solo per far casino e ascoltare musica. Almeno, è quello che si dovrebbe fare. °_° Detto ciò, ecco finite le pillole di curiosità! ]

 

Dio Santo, vorrei che non avesse mai cominciato. Nel momento in cui le labbra rosse si schiusero, avrei davvero voluto morire. Cercai di decifrare la sua incomprensibile espressione, fissandola negli occhi, mentre le portava le braccia incrociate al petto. Se si fosse messa a battere il piede a ritmo, mi sarebbe addirittura sembrata mia madre: al pensiero di questa scena, per un'altra volta mi misi quasi a ridere, la drammaticità di quello che stava per dirmi mi trattenne.

- Diciassette anni fa, in quella strafottuta notte del primo ottobre, tu mi lasciasti, proprio qui. E io cretina che mi fidavo, che avevo affidato a te tutte le mie speranze. Ma in dieci minuti mi sono ritrovata a piangere sull'orlo del marciapiede.- Già la prima frase, era stata per me una frustata. La voce di Gloria Madison era calda e bassa, come sempre. Ma perchè diavolo avevo deciso di venire qui proprio stasera? Adesso sarei già con la mia troia di turno, avrei fumato e mi sarei anche sbronzato alla grande in uno dei soliti locali-bordelli di L.A. E che cacchio! Maledizione a te, Dirnt, tu e le tue idee balorde! Sbuffai, cercando di farle capire che non mi sentivo affatto in colpa. Ma dissimulare non è e non è mai stata la mia migliore abilità. Decisi allora di non dire nulla , ma mi limitai a osservare la ragazza che avevo di fronte, silente. Gloria schiarì la voce, poi proseguì.

- E da quel momento cominciò la mia rovina. Non ti avevo più con me, ed ero sola al mondo. Pochi minuti dopo, un uomo su una macchina sportiva si fermò davanti a me,scese dall'auto e fece finta di volermi aiutare. E ci cascai ancora. Mi ritrovai poco dopo in una specie di covo per banditi, nel quale erano presenti dei vecchi che contavano i soldi. Non capii, all'inizio, poi mi spiegarono. Beh, ero diventata una puttana, dipendente da quei cretini. Non pensare che non cercai di oppormi, tentai di scappare più volte con altre compagne da lì, in quei successivi dieci anni, ma ci tenevano sempre d'occhio. Solo due anni fa, fuggimmo io ed un'altra ragazza. Quella scappò lontano, e fece bene, ma io restai in città. Inoltre avevo con me un bel gruzzoletto fregato a quei figli di puttana, non l'hanno presa bene. Infatti adesso sono una ricercata...- Scandì questa parola con enfasi.

-In ogni caso, se mi vogliono fare fuori o meno, non importa. Tanto morirò, a chi interessa quando? Passo tutta la giornata a bere superalcolici, qualche volta torno a sputtanarmi, ma solo se ho davvero bisogno di soldi. Tu intanto ti godi la vita, superstar.

Non avevo mai capito fino in fondo che vuol dire sentirsi una merda, feccia umana, fino a quel momento. Sentivo tutta la colpa addossarsi su di me, e mi sembrava di vedere come in un film questa ragazza che piangeva e poi la rapivano. Il modo in cui disse “superstar”, fu il colpo di grazia. Semplicemente, non avrei mai voluto incontrarla di nuovo, proprio in questo periodo di fuoco: dovremmo essere tutto il giorno dietro a quel maledetto nuovo album con i Foxboro Hottubs. E poi, Billie ha troppe canzoni in mente, un casino, e non ce n'è nemmeno una che mi piaccia completamente. Cazzo.

E naturalmente, quando il batterista dei Green Day è nella merda stramerda fino al collo, arriva la ragazza che non l'ha sedotto. Non l'ha ammaliato. Quella femmina mi ha completamente fatto suo, diciassette anni fa. Come può una femmina emanare così tanta bellezza? Certo, quelle con cui vado io di solito sono solo gnocche, zoccole, fighe eccetera eccetera. Ma lei è davvero strana. Restai lì a boccheggiare per qualche secondo, non sapendo poi cosa fare, feci l'ennesima cazzate: ritornai svelto nel locale, convinto di potermela lasciare completamente alle spalle, come feci nel lontano 1990. “ E che cazzo, Trè, pensi che un uomo (quasi) trentacinquenne si comporti così? Devi acquisire quel minimo di maturità intellettiva che ti permetta in seguito di ristabilire la tua vita sociale...!”

La mia povera e illusa coscienza tentò per un momento di prendere il controllo sulle mie azioni, ma io sono un fottuto bastardo, avrei dovuto mettermi ad ascoltare quella merda di coscienza proprio in quel momento? Non se ne parla nemmeno, poco ma sicuro. Rientrai svelto nel locale, adocchiai quei tre coglioni che ridevano e scherzavano come al solito, e con una faccia da funerale li raggiunsi svelto. Billie Joe sembrava sull'orlo di una crisi isterica dalle risate, ma quando mi vide smise improvvisamente. Coglione.

-Ehi, Trè... che è quella faccia?

Era spaparanzato sul divanetto dov'ero prima, a fianco di quel mito di Dirnt, che invece continuava a ridere con Jason. Tenevo le mani in tasca a fissavo il pavimento, senza capire più nulla: e adesso a questo che gli dico? Sospirai.

-Gloria. Gloria Madison.- sussurrai il suo nome fra i denti, mentre Billie Joe impallidiva. Anche Mike, che evidentemente aveva colto il nome maledetto si fermò, cominciò a fissarmi. Sentivo lo sguardo dei miei ragazzi trapassarmi il petto come delle pallottole. Non sollevai gli occhi da terra, mentre li sentivo alzarsi alzarsi in fretta, con Jason che continuava a fare domande, a cui ovviamente non otteneva risposte. Mi sentii tirare per la manica, mentre Dirnt mi trascinava verso la seconda uscita sul retro; la musica del 924 Gilman Street mi arrivava lontana, i suoni ovattati, mentre sentivo quello schiaffo bruciarmi ancora sulla guancia.

 

Bene, gli avevo raccontato tutto. Ok, non tutto tutto, avevo tralasciato qualcosa, ma sono solo dettagli, suvvia. Sapevo che non avrebbe potuto dire niente di niente, in quel momento, e quando lo vidi andarsene non sapevo se ridere o piangere. L'avevo perso di nuovo, l'avevo lasciato andare, senza rincorrerlo. Ma IO, Gloria Madison, non corro dietro proprio a nessuno. Quando gli raccontai la mia storia, lo feci solo per farlo stare male, ma anche questa volta il dolore più grande fu il mio. Cercai di non fare caso alle lacrime calde che minacciavano di scendere sulle mie gote gelide, le ricacciai dentro senza fatica: non ero più abituata a piangere. Una ferita enorme s'era riaperta, quella sera. Cercai frenetica una sigaretta in tasca, avevo bisogno di fumare, tanto per cambiare. Appena sentii il catrame scendermi nei polmoni, mi sentii subito meglio. Il fumo saliva al cielo, come anche un altro pezzo della mia anima, sempre se ce l'avessi avuta ancora, un'anima. Non avevo idea di quando l'avrei rivisto, ma sapevo che dovevo incontrarlo di nuovo al più presto. Trè è sempre stato parte di me. Non voglio fare la sentimentale, non lo sono mai stata, ma di certo ho sempre voluto distinguermi da quella massa di oche cretine e superficiali con cui Lui andava a letto di solito. Lo so che sono diversa, e lo sa anche lui.

Quegli occhi non hanno mai avuto segreti per me.

Ero soddisfatta? Può darsi. Ma più che altro, ricordare il tutto mi fece stare ancora più male. Avevo voglia solo di andare a casa, presi così a camminare con la sigaretta ancora fra le dita, mentre cercavo di guardare se c'era qualche stella in cielo. Nulla. “ L'inquinamento luminoso” aveva reso la coltre celeste una specie di colore indefinibile, un misto fra il viola scurissimo e il nero. Non avevo mai visto una vera stella, se non il televisione. Invidiavo quel bastardo, che ogni volta che desiderava qualcosa, bastava che aprisse il portafoglio ed era già sua.

Ma avevo deciso che se lui mi avesse voluta, da quel momento in avanti, non sarebbe certo bastato tirare fuori un centone. Sospirai, mentre gettai il mozzicone a terra. In men che non si dica, mi si piazzò davanti un uomo enorme, già visto. Spalancai gli occhi, e mi misi a correre a perdifiato verso casa mia, senza urlare. Sapevo che mi voleva far fuori, a lui e ai suoi amichetti avevo fregato circa cinquemila dollari in contanti, due anni prima. Corsi come una forsennata, scappavo dalla morte, ma dentro di me volevo solo morire. Due isolati dopo, l'avevo già seminato, ma nonostante questo non smisi di correre. Arrivai al mio condominio, salii le scale a due a due, e arrivai nel mio squallido appartamento. Ero in salvo, per quella sera. Puntai svelta al piccolo frigorifero malfunzionante, dove tenevo qualche birretta per le emergenze. E per “qualche”, intendo una quindicina. Me ne scolai più della metà , una dopo l'altra, per me non era niente, il mio corpo non ne veniva soddisfatto. Mi abbandonai sul letto, distrutto, ma pulito, comincia a sbattere la testa contro il materasso per la rabbia. Sapevo che avevo un'ultima possibilità, ma in quel momento non volevo, no, assolutamente no! Avevo deciso di farla finita con la Neve già uno o due anni fa, ma tenevo una scorta per i momenti critici nascosta in un buco nel muro. Posai lo sguardo verso quello strafottuto buco, ma ero troppo stanca anche per quello. Presi un bicchiere dal comodino e lo lanciai con forza verso il sacchetto con la Neve. Mentre guardavo il vetro ridursi in mille pezzi, pensavo che non dovevo ancora morire. Non ancora. Sospirai con rabbia. Mi coricai ancora vestita, benché fossero solamente le dieci di sera, e caddi in un sonno pieno di incubi

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