La verità del passato

di Alchimista
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio del passato ***
Capitolo 2: *** Cadavere ***
Capitolo 3: *** La stanza bianca ***
Capitolo 4: *** Fuggita ***
Capitolo 5: *** Among the men in black ***
Capitolo 6: *** Soggetto 75832 alias Marco ***
Capitolo 7: *** Soggetto 67259 alias Hector ***
Capitolo 8: *** In trappola ***
Capitolo 9: *** Dejà vu ***
Capitolo 10: *** Proiettili e Dolore ***
Capitolo 11: *** Tanatophobia ***
Capitolo 12: *** Il Bene e il Male ***
Capitolo 13: *** Missing moments ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'inizio del passato ***


                                                             LA VERITÀ DEL PASSATO

 

CAPITOLO 1°_ L’INIZIO DEL PASSATO

Un uomo con un capotto nero guarda da lontano una donna uscire dalla sua automobile. Il sole è alto nel cielo e la donna ha appena fatto la spesa: regge due buste nella mano destra e con la sinistra mantiene la manina di un bambino di circa tre anni. Sul suo volto ci sono delle piccole rughe che testimoniano il suo dolore, ma la sua bocca accenna un sorriso e sussurra amorevoli parole al figlio. Dall’ingresso del palazzo esce correndo un uomo anziano; prende la buste dalla mano della donna, le sorride e si avvia con lei ed il nipotino verso casa. Quante volte l’uomo in nero ha desiderato aiutarli, ma ora è impossibile. Un triste sorriso affiora lieve sul suo volto poi l’uomo scopare tra la gente di un caldo lunedì mattina.

«’Giorno Luca!»

«Buongiorno a te Raffè! Tutto ok?»

«Si…»

«Ancora nulla da Ale?».

L’ispettore scosse la testa: era da tempo che nessuno sentiva Alessandro; da quando era partito per quel viaggio coast to coast che aveva intenzione di fare con Irene.

 Irene. Luca e Raffaele pensarono a quell’amica che avevano perduto e il loro cuore fu preso dal dolore.

Mentre pensavano al passato Anna entrò nell’ufficio.

«È stato ritrovato il cadavere di un uomo nel suo negozio. È stato ucciso con una calibro 9»

«Andate tu ed Elena, ok?»

«Si… È tutto a posto ragazzi?».

I due annuirono, ma Anna uscì dalla stanza poco convinta.

«Raffè appena hai notizie di Ale informami!».

Il telefono squillò.

«Si? Si! Mmh… Si ho capito. Arriviamo subito!»

«Che succede?»

«È stata rapita una 17enne: dobbiamo andare dalla famiglia».

I due uscirono dal commissariato e salirono in macchina. Arrivarono a casa Diana in pochi minuti. La madre della ragazza con il volto contratto in una smorfia di dolore, accennò un falso sorriso e li fece accomodare su un divano di pelle chiaro; il marito le massaggiava delicatamente le spalle come a confortarla, ma anche il suo volto era scosso dal dolore.    

«Allora, signora…»

«Angela, Angela Diana…»

«Signora Diana, ci racconti tutto dall’inizio…»

«Ci siamo accorti della sparizione di Rita verso le 3 di questa notte quando non è rientrata. Era andata ad una festa di 18 di un suo compagno di classe, ma ci aveva promesso che sarebbe rientrata verso l’una… invece non l’ha fatto…»

La donna fu scossa da un fremito e cominciò a piangere tra le braccia del marito. Questo la strinse a se e guardando i poliziotti continuò il racconto.

«Abbiamo chiamato dei compagni di Rita, ma ci hanno solo detto di averla vista allontanarsi verso l’una…»

«Capisco… lei sa chi era il festeggiato?»

«Si: Giulio Motta; abita in corso Giulio Cesare n.55»

«La ringrazio… non preoccupatevi… vi terremo aggiornati…».

I coniugi annuirono e l’uomo li accompagnò alla porta. Luca era sovrappensiero.

«A cosa pensi?»

«Se fosse stato un rapimento per chiedere un riscatto avrebbero dovuto già chiamare…»

«Già, ma se non è così allora perché l’hanno rapita?»

«È quello che dobbiamo capire… per prima cosa dobbiamo andare da Motta…» 

Giunsero in poco tempo. Luca voleva vederci chiaro ed era particolarmente nervoso.

Quel sogno, ancora una volta quelle figure sfocate in lontananza… come se la vita gli stesse sfuggendo dalle mani… ma perché proprio ora? Dopo tutto quel tempo perché il dolore lo stava prendendo proprio ora? Sospirò e cercò di ritrovare quella calma e quel sorriso che non dovevano destare sospetti, perché ci sono dolori che non riusciva o, più semplicemente, non voleva confessare a nessuno, neanche ad Anna.

Scesero dalla macchina e bussarono al campanello della piccola casa. Dall’interno sentirono una voce che li invitava ad attendere e pochi istanti dopo un giovane aprì la porta.

«Buongiorno… posso esservi utile?» chiese gentilmente.

«Commissario Benvenuto»

«Ispettore Marchetti… dovremmo farle qualche domanda…».

Il ragazzo li fece entrare gentilmente, ma con un pizzico di inquietudine nascosto nel sorriso. I due si accomodarono e lo stesso fece Giulio.

«Sappiamo che ieri lei ha festeggiato i suoi 18 anni…» cominciò Luca e Giulio annuì

«… ed ha dato una festa invitando un po’ di amici, giusto?» continuò Raffaele ed il giovane annuì ancora.

«Vorremmo sapere più o meno a che ora è andata via Rita Diana»

«Mmh… Rita… credo se ne sia andata verso l’una… sa: lo aveva detto ai genitori… ma perché quest’interesse? Le è forse successo qualcosa?» chiese in tono preoccupato.

Raffaele guardò Luca come a chiedergli se poteva mettere al corrente il ragazzo dell’accaduto e questo annuì.

«Vede questa notte Rita non è tornata a casa: sospettiamo che le possa essere accaduto qualcosa, per questo siamo venuti a parlarle…»

Nel vedere gli occhi del giovane persi nel vuoto, Luca si fermò.

«Si sente bene?» provò a chiedere Raffaele «Ha bisogno di un bicchiere d’acqua?».

Il giovane annuì debolmente e Raffaele si avviò verso la cucina, mentre Luca si avvicinò al giovane.

«Io… l’amo…» cominciò a dire questo in stato confusionale «Non gliel’ho mai detto, ma l’amo…»

Raffaele gli porse il bicchiere d’acqua che Giorgio mandò giù in un sol fiato. Sembrò riprendersi, ma i suoi occhi erano ancora persi nel vuoto di qualche ricordo.

«In realtà noi avremmo bisogno della lista degli invitati… sa per escludere false piste e concentrarci su quelle più probabili…»

Il ragazzo sembrò rianimarsi.

«Credete che possa essere qualcuno di noi? Ma no! Che assurdità! Qui tutti le vogliono bene: del resto Rita riusciva a farsi amare da tutti…»

«Mi sta dicendo che non ha mai avuto un litigio? Con nessuno?»

Il ragazzo annuì sorridendo tristemente.

«In più di 5 anni che la conosco non l’ho mai vista litigare con nessuno… solo poche volte con i genitori, ma sono cose che capitano spesso con noi ragazzi… comunque vi farò avere la lista il prima possibile…»

«Grazie..» Raffaele cominciò ad uscire.

«Faremo il possibile per ritrovarla» disse Luca ed uscì anch’egli lasciando il ragazzo in balia di dolci ricordi.

Faremo il possibile per ritrovarla: che frase sciocca. Luca sapeva bene che ormai era inutile usarla, ma la convenzione riusciva ancora a fargliela pronunciare.

Ormai non consola più nessuno: se la dicessero a me non sarei consolato neanch’io pensò e salendo in macchina si avviò con Raffaele al distretto.

 

La vittima si chiamava Michele Albino, 52 anni, direttore di questo negozio di articoli per la casa» spiegò il medico legale ad Anna mentre Elena esaminava l’interno del negozio.

«Chi l’a trovato?»

«La moglie, questa mattina. Non si è sorpresa non trovando il marito a casa: ha detto che a volte usciva presto, ma quando ha trovato le serrande ancora per metà abbassate ha cominciato a farsi qualche domanda. Quando è entrata ha trovato quest’orribile spettacolo…»

Anna si voltò a guardare la donna visibilmente scossa.

«Grazie… chiamaci dopo l’autopsia, ok?»

Il medico legale sorrise, annuì e se ne andò, mentre Anna si avvicinò ad Elena.

«Che ne pensi?»

«Doveva conoscere il suo assassino… credo che lo abbia fatto entrare e poi, forse per non essere disturbato, ha abbassato a metà le serrande…»

«Mm… bisognerà comunque aspettare il referto della scientifica per capirne qualcosa in più…»

Elena no sembrava ascoltarla più… era perse in un ricordo…   

«Ele? Tutto ok?»

Le sfiorò il braccio e lei sussultò.

«Scusami Anna… mi sono distratta… il bracciale che indossava la vittima mi ha fatto ricordare quello che portava sempre Ale…»

Elena sospirò pensando a lui… era partito da ormai sei mesi e non aveva mai chiamato nessuno tranne due o tre volte Raffaele solo per informarlo che andava tutto bene e che non sapeva quando sarebbe ritornato. Lo amava, ormai lo sapeva, ma non aveva il coraggio di confessarlo: sentiva una strana sensazione di soggezione per la memoria di Irene e poi non sapeva cosa avrebbe detto… se l’avrebbe perso…

«Ci conviene tornare al distretto…» accennò Anna scuotendo l’ispettrice da quella catena di pensieri

«Si…» disse lenta e si avviarono verso l’automobile.

 

 

 

 

Lo Spazio dell’Autrice

 

Salve tutti! Premetto che questa è la mia prima fan fiction un po’ d’azione… quindi siate clementi.^^ Comunque questo capitolo è stato breve ed un po’ noiosetto e mi scuso con i lettori… ma bisognava pur scrivere un inizio e spiegare un po’ la situazione  no?? L’idea mi è venuta prima che si sapessero delle news sulla nona stagione quindi questa non c’entrerà affatto con quella ora in corso… e non arriveranno neanche nuovi personaggio (non so se purtroppo o per fortuna XD).

Spero di avervi incuriositi almeno in po’… Al prossimo capitolo intitolato CADAVERE (potevo risparmiarmelo qst titolo, eh?? Ma non me ne venivano di meglio… ^^’’’) dove si comincerà a intravedere qualcosina…

Mi raccomando leggete e recensite in molti! Mi farebbe davvero piacere sapere che ne pensate! A presto. Baci.

 

La vostra Alchimista!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Cadavere ***


CAPITOLO 2°_ CADAVERE

 

L’uomo in nero pensa. Migliaia di ricordi gli affollano la mente nonostante cerchi di mandarli indietro. “Ti amo… Ti amo più della mia vita…”. Le sue guance si rigano di lacrime salate, le ennesime, anonime, che scorrono incessantemente da ormai tre anni… E poi c’è quella rabbia, che urla nel suo cuore contro quella che ormai è arrivato a considerare un’ingiustizia…

Deve esserci un modo per tornare pensa nonostante tutto il tempo trascorso, deve esserci un modo… ho bisogno di tornare, non riuscirò a resistere ancora per molto, ho paura di dimenticare…

Altre lacrime bagnano il suo viso, mentre dalla finestra guarda la pioggia scendere lenta e silenziosa. C’era stato un tempo in cui l’aveva amata perché gli ricordava quello che considerava uno se non il più bel giorno della sua vita prima di quella mattina, quel risveglio in un posto straniero e la fine di tutto; ma ora gli è indifferente come quella vita che conduce.

Qualcuno bussa alla porta.

«Chi è?» grida quasi infastidito.

«Secondo te?»

L’uomo in nero si asciuga le lacrime e spera che l’atro non scorga i suoi occhi lucidi: odia farsi vedere così. Si calma, fa un respiro profondo, apre e lascia entrare un altro uomo in nero con un mezzo sorriso sul volto pallido.

«Che cosa hai da ridere?» gli chiede irritato.

«C’è un nuovo lavoro per te…»

Sospira: sembra felice di rischiare la vita. Il lavoro lo distrae, l’adrenalina che gli scorre in corpo durante le missioni non gli permette di pensare: in quei momenti è solo un’arma di giustizia e forse vuole essere solo quello, stanco di quel dolore. Non vuole soffrire… ora non più…

 

C’era qualcosa che non andava. Luca lo sentiva. Una ragazza sparita senza lasciare testimoni ed un killer che aveva ucciso un uomo senza compromettersi minimamente. Un rapimento ed un delitto

perfetti… non era possibile: chiunque nonostante tutte le accortezze che poteva avere doveva commettere qualche errore, anche minimo… bisognava solo cercare ed avere pazienza.

Continuava ad aggirarsi per l’ufficio pensieroso. Com’era cambiato in questi ultimi anni: solo poco fa era un agente scelto e poi ispettore, coordinatore e commissario in poco più di due anni… Quant’era stato duro l’anno appena trascorso: i fratelli Flaviano, la morte di Irene e poi Elena e Marco, vittima innocente del destino, e alla fine stava per perdere tutto.

Si sfiorò la spalla con un triste sorriso. Pensava ad Alessandro: l’ultima volta che lo aveva visto, sulla tomba di Irene, gli aveva detto che era stato un onore lavorare con lui e che era stato un grande amico e lui aveva ricambiato. Poi però gli aveva detto che il volo era per quello stesso giorno e si erano salutati.

Qualcuno bussò alla porta e Luca tornò con i piedi per terra.

«Avanti!»

Entrò Raffaele con un foglio in mano.

«Sono i tabulati telefonici di Rita» spiegò porgendolo al commissario.

«Nelle ultime ore prima di sparire ha ricevuto 5 chiamate dallo stesso numero» continuò «Ho controllato: il cellulare è di un certo Giovanni d’Ambrosio; ha  dei precedenti per furto, ma sembra aver rigato dritto per più di un anno».

Luca rifletté per qualche istante.

«Andiamo a parlate con lui: forse sa qualcosa…».

 

«Elena?»

«Anna… dimmi»

«Bisogna andare a parlare con la signora Albino?»

Annuì distratta: il telefono di Ale era ancora staccato. Salirono in macchina: Anna la scrutava attentamente, ma cercando di non dare nell’occhio.

«Che c’è?» chiese Elena accortasi degli sguardi della collega.

«Mi hai tolto le parole di bocca!»

La guardò interrogativa.

«Hai sempre la testa tra le nuvole: sembri sulla luna…».

«Sì lo so… è che…».

Non sapeva cosa dire. Per fortuna giunsero davanti all’abitazione degli Albino. Da una finestra si vedeva uscire del fumo.

«Cazzo Elena: la casa va a fuoco!»

«La macchina della donna è parcheggiata qui» disse indicando l’utilitaria blu metallizzato parcheggiata poco distante: «La donna è sicuramente in casa!».

Anna rifletté qualche istante.

«Io sfondo la porta; tu avvisa la centrale, poi seguimi».

Anna sfondò la porta e tossendo e, gridando il nome della donna, cominciò a cercarla. Elena, invece, avvisò la centrale chiedendo soccorso; poi si avviò anche lei dentro. Le fiamme erano ovunque: Elena si coprì la bocca con la manica della maglietta e cercò di capire dove fossero le due donne.

«Anna! Anna l’hai trovata? Anna, dove sei?» urlò tossendo ed aggirandosi sperduta per la casa. L’aria era ormai irrespirabile; Elena sentì qualcosa crollarle affianco: la casa stava andando a pezzi. La testa le girava, ma non si diede per vinta. Continuò a cercare le due donne fino a giungere in quella che doveva essere la camera da letto. Anna era accasciata sulla donna, bloccata dalle macerie cadute dal soffitto: l’incendio doveva essersi sprigionato da lì.

«Anna! Alzati, forza! Non mollare!»

Era difficile incoraggiarla: non ci credeva più neanche lei. Strinse i denti: se fossero svenute sarebbero morte, non c’era scampo. Bisognava uscire.

Alzò faticosamente Anna che sembrò riprendersi, poi sollevò la signora Albino e aiutata dalla collega che era animata dalle ultime forze, trovò l’uscita. Fuori anche il sole sembrava più pallido a causa del fumo. Anna si accasciò accanto all’automobile ormai priva di sensi; Elena controllò il respiro della donna, poi quello della collega: erano entrambe ancora vive. Avrebbe voluto svegliarle, dir loro di non mollare, ma ormai si stava arrendendo anche lei. Sentiva che le forze la stavano abbandonando e si scivolò lentamente contro la portiera dell’auto svenendo.

 

«Giovanni d’Ambrosio?»

«Si sono io…»

«Polizia» Luca e Raffaele mostrarono i loro distintivi.

«Posso fare qualcosa per voi?» chiese il giovane cordialmente.

«Dovrebbe seguirci in commissariato» lo informò Raffaele, ma vedendo il volto del giovane impallidire si affrettò a contare «Non si preoccupi: è solo per qualche domanda…».

Il giovane solo in parte rassicurato, salì in macchina e questa partì diretta al commissariato.

«Lei ieri sera ha più volte chiamato Rita Diana; non è così?»

«Si… è forse un reato?»

«No… ma può essere sospetto se, poco dopo le chiamate, la ragazza in questione scompare…»

«Rita… Rita è scomparsa?».

Il commissario annuì.

«Adesso vuole dirci perché l’ha chiamata più volte?» chiese Raffaele.

«Io… io e Rita siamo stati insieme per più di un anno, eravamo felici, sembrava che nulla avrebbe potuto separarci; poi con quella storia della rapina l’ho persa per sempre: non voleva saperne più di me, mi considerava un criminale e così dopo un po’ non ho potuto far altro che trasferirmi. Da allora però non ho fatto più alcun errore. Qualche giorno fa sono tornato qui a Roma e volevo incontrarla. Ho provato a chiamarla un paio di volte ma non ho ricevuto risposta, poi ieri sera finalmente ho sentito la sua voce. Mi ha detto che ora la sua vita stava andando bene e che non aveva alcun a intenzione di rovinarla incontrandomi…»

«Ma lei non l’ha accettato il rifiuto e si è recato alla festa dove l’ha incontrata e all’ennesimo no non ha capito più nulla, l’ha presa e l’ha portata via; non è così?»

«NO! È vero: mi sono recato alla festa e l’ho incontrata, ma quando lei mia ha detto che non voleva saperne, ho lasciato perdere e sono andato a casa di un mio amico»

«Più o meno a che ora?» chiese stranamente calmo Luca.

«Verso la mezza… potete controllare: questo è il numero di Paolo… anche il resto della sua famiglia mi ha visto a casa sua ieri perché ho dormito lì!» e preso un foglio di carta scrisse un numero telefonico che porse all’ispettore. Luca sospirò.

«Per ora lei può andare, ma si tenga a disposizione in qualsiasi momento d’accordo?»

Il ragazzo annuì e andò via in fretta. Dal corridoio si sentì squillare un telefono.

«Che ne pensi Luca?»

«Per me sta dicendo la verità…»

«Già anch’io lo credo… ad ogni modo controlla lo stesso la storia che ci ha raccontato» e così dicendo uscì dalla stanza. Anche Luca stava uscendo per andare nel suo ufficio, quando incrociò Vittoria con un’espressione preoccupata sul volto»

«Ehi Vittoria… che succede?»

«Luca…» le sue parole erano un sussurro: sembrava mancarle il respiro «Hanno chiamato dall’ospedale… Anna ed Elena hanno avuto dei problemi…».

Il cuore di Luca perse un colpo.

«C…Che tipo di problemi?» riuscì a balbettare.

«Pare che a casa Albino ci sia stato un incendio ed entrambe siano rimaste coinvolte… non mi hanno detto più di questo…».

Luca non riusciva a reagire: era come paralizzato dalle parole di Vittoria.

«RAFFAELE!» 

L’ispettore si sporse interrogativo dal suo ufficio.

«Vieni con me: ti spiego in macchina…» Luca respirava affannatamene.

Giunsero in ospedale in tempo record: Luca si sentiva mancare la terra sotto i piedi.

«Ma ti hanno detto come stanno?» chiese preoccupato Raffaele. Luca negò con la testa e anche Raffaele ammutolì dalla paura di poterle perdere. Scesero e corsero fino alla reception.

«Buongiorno» disse Raffaele che non sapendo bene come riusciva apparentemente a mantenere ancora la calma.

«Siamo della polizia» continuò Luca ancora con il fiatone «C’è stato segnalato che due nostre colleghe sono state ricoverate qui per il coinvolgimento in un incendio…».

La donna rifletté per qualche istante sotto gli occhi irrequieti dei due poliziotti; poi annuì controllando velocemente nel computer.

«Sono state portate al piano superiore: una delle donne ha riportato un’intossicazione da fumo e leggere ustioni al braccio destro, non ha voluto farsi ricoverare; l’altra ha riportato anche lei un’intossicazione, ma ha ferite e bruciature sulla schiena e sulle braccia».

Luca schizzò al piano superiore, Raffaele ringraziò cordialmente e seguì il commissario. In lontananza scorsero Elena che parlava con un dottore: era ancora stordita e si teneva il braccio che doveva bruciarle.

«ELENA!» urlarono i due all’unisono. La donna si voltò sorridendo. I tre colleghi si abbracciarono come se non si vedessero da tempo; poi Luca si voltò verso la stanza nella quale si trovava Anna.

«Se non fosse stato per lei la signora Albino ora sarebbe morta…» la elogiò Elena con sguardo triste.

«Come sta la donna?» chiese Raffaele con malcelata preoccupazione per Anna.

«Non male… forse anche meglio di Anna… tutto sta nel svegliarsi…».

Luca si accorse di avere lo sguardo offuscato dalle prime lacrime che scendevano lente sulle guance.

«Possiamo entrare?» chiese al medico con la voce rotta dal pianto.

«Come dicevo alla collega per ora non è possibile…»

«Non rimarremo a lungo: solo il tempo di dirle qualcosa e salutarla…» insistette Raffaele ed il medico abbassando la testa acconsentì indicando la porta della stanza con la mano.

I tre entrarono: che strano effetto vedere Anna tra tutti quei tubi e quei macchinari… mancò loro il respiro e si chiuse lo stomaco. Le si sedettero accanto e Luca le sfiorò i lunghi capelli neri.

«Ma cosa mi combini, eh?!» chiese Luca in tono tristemente scherzoso.

«Com’è successo?» chiese Raffaele rivolto ad Elena visibilmente provata. La donna scosse la testa.

«Quando siamo giunti» spiegò «L’incendio era già scoppiato… ho avvertito la centrale per chiedere soccorso e sono entrata. Quando l’ho trovata Anna era accasciata sulla signora Albino per proteggerla: erano cadute alcune macerie dal soffitto…» si interruppe, chiuse gli occhi e respirò affannosamente: la testa le girava e in pochi istanti svenne.

«ELENA!» urlarono i due «INFERMIERA! DOTTORE! PRESTO: STA MALE!».

Subito entrò in camera una donna ed il medico con cui avevano parlato poco prima.

«Maledizione: le avevo detto che non stava bene e che sarebbe stata meglio ricoverarla anche solo per un giorno! Ma lei no! Non ha voluto ascoltarmi: tutti così voi poliziotti, credete di essere immuni a tutto!» e ancora parlando più a se che a chi gli era intorno uscì portando via la ragazza e aiutato dall’infermiera. Luca e Raffaele si mossero.

«No aspetta!» disse Raffaele bloccando il collega «Vado io… bisogna che qualcuno rimanga con lei…» disse indicando con uno sguardo Anna «Appena Elena starà meglio torneremo qui…» e sorridendo scomparve tra i corridoi dell’ospedale.

Il volto di Luca fu attraversato da un fulmineo sorriso.

«Tutte così voi donne!» disse rivolgendosi alla collega «Avete sempre il bisogno di dimostrare quanto valete, quanto siete forti, anche quanto non ce n’è bisogno…».

Poi si avvicinò al letto sedendosi.

«Ma io lo so perché stai facendo tutto questo…» sussurrò come se le stesse raccontando un importantissimo segreto «…è per vendetta, non è così? Per farmela pagare per lo scherzo che ti ho fatto qualche mese fa…» e si sfiorò la spalla abbassando gli occhi. Si sentiva morire: se non ce l’avesse fatta cosa ne sarebbe stato di lui? Ora capiva in pieno quello che aveva provato lei durante le ore in cui era stato in coma.

«Hai… ragione… e per quella storia… non mi hai ancora chiesto… scusa» sussurrò Anna aprendo lentamente i suoi occhioni scuri.

«ANNA!» urlò Luca, mentre le lacrime di gioia gli rigavano le guance «Ti sei rispesa… mi hai fatto spaventare…».

«Ora siamo pari…» sussurrò lei stanca ma felice.

Proprio in quel momento Raffaele aiutando Elena entrò in camera.

«ANNA!» urlarono entrambi abbracciandole; Luca avvisò il medico del risveglio della collega.

I medici controllarono minuziosamente ogni cosa: tutto sembrava andare bene.

«Vi ho spaventati, eh?!» scherzò l’agente

«Sì, ma non farlo più ok?»

Luca la guardò seriamente e ad Anna si spense il sorriso sulle labbra. Per un attimo sai guardarono intensamente; poi Anna sorrise ancora, ma Luca rimase ancora un po’ turbato. Il suo telefono squillò interrompendo i suoi pensieri.

«Pronto? Sì, stanno bene… sì, si è svegliata...» sorrise guardando entrambe le colleghe «Cosa?! Hai avvertito familiari ed amici?! ... No scusa: è solo che… niente. Ci andiamo subito…»

«Cosa succede?» chiese Raffaele

«Hanno trovato un cadavere in una scarpata alla periferia Nord… credono sia Rita Diana…»

«E hanno già avvisato amici a parenti, giusto?»

Il commissario annuì abbassando la testa.

«Saranno già tutti lì…»

«Già: ci conviene andare…»

«Voi due rimanete qui è non muovetevi ok?»

«A suoi ordini Commissario!» dissero entrambe prendendolo in giro. Scoppiarono tutti a ridere, poi i due uscirono dalla stanza.

 

In un quarto d’ora giunsero alla scarpata: c’era una confusione enorme. Appena sceso dalla macchina, Luca sentì le urla disperate della madre di Rita: era davvero lei. Gli si strinse il cuore, lo stomaco si chiuse; Raffaele ebbe all’incirca la stessa reazione: glielo lesse negli occhi. Entrambi si avvicinarono ai genitori della ragazza: la donna era sorretta a fatica dal marito i cui occhi vuoti sembravano guardare qualcosa di inesistente al di là della morte stessa. Non dissero una parola, forse neanche li videro: solo continuarono a camminare lenti verso una vettura che li avrebbe riportati a casa. Luca fu quasi grato loro per non aver detto nulla: gli avrebbe fatto troppo male.

Maledizione! Maledizione! Perché? Perché! La vita di quelle persone ora che senso avrà? Hanno perso il bene più grande che avevano… la loro vita ora è vuota…

Non riusciva a capire perché il destino era stato così crudele con loro e poi… rivide quel volto. Sorrideva come solo lui sapeva fare e gli occhi gli luccicavano per la gioia di qualcosa che ora Luca non riusciva a ricordare. Chiuse gli occhi: qualcuno gli aveva assicurato che con il tempo quelli sarebbero diventati dolci ricordi, ma lui sapeva che era una bugia consolatrice. Il suo volto sarebbe sempre stato dolore, la ferita non si sarebbe mai rimarginata e sarebbe stata lì silenziosa come poche altre nell’attesa di un istante, come quello, per riemergere e fare male come la prima volta. Ma perché proprio ora? Perché da un po’ quello era un pensiero ricorrente? Scosse lievemente la testa: non era quello il momento di pensare; ora bisognava occuparsi del cadavere.

I due poliziotti si avvicinarono alla salma coperta dal classico telo bianco e Raffaele lo scostò per vedere il corpo. Non c’erano dubbi: era Rita Diana, freddata con un colpo alla nuca. Un lavoro da professionisti.

«Raffè parla con il medico legale: ogni informazione può esserci utile»

«E tu?»

«Io devo parlare con una persona…»

Luca si allontanò lasciando la frase a metà, mentre Raffaele si diresse verso il medico. Giulio Motta era poco lontano dal luogo del ritrovamento, le mani l’una dentro l’atra dietro la schiena, il volto pallido, le lacrime che gli rigavano le guance. Fissava qualcosa d’invisibile e lontano, come i genitori della vittima, mentre il sole tramontava all’orizzonte. Luca gli si fermò accanto e prese anche lui a guardare l’orizzonte, incapace di dire qualsiasi cosa. Si sentiva strano, quasi in colpa: per lui la frase che aveva detto al giovane prima di saturarlo aveva ancora valore… avrebbe davvero voluto fare tutto il possibile…

«Ha mai perso qualcuno d’importante, commissario?» chiese con un filo di voce come se la domanda fosse rivolta a lui più che al poliziotto.

Diverse facce affiorarono nella mente di Luca che annuì.

«Allora sa come ci si sente… è come un secchio d’acqua gelida…. Inaspettato… così inaspettato che per i primi momenti non ti capaciti dell’accaduto: sei convinto che tra poco ti sveglierai e sarà stato tutto un sogno. Poi, però, i minuti passano e tu stai sempre lì, davanti a quella scena irreale che pian piano assume consapevolezza; e mentre accade e le tue certezze diventano dubbi e scompaiono, quegli istanti cadono pesanti e ti schiacciano e tu ti senti soffocare e l’unica conclusione alla quale riesci ad arrivare è che vorresti morire…»

Tacque, come caduto in trance e non aprì più bocca: la sua mente però stava sicuramente viaggiando. Luca non sapeva che dire o cosa fare: a cose simili non ci si abitua mai. Solo stette ancora un po’ accanto all’uomo, in silenzio, a guardare gli ultimi raggi di sole scomparire; poi quando si eclissò del tutto, come animato da nuova forza, guardò l’uomo.

«L’ultima volta le avevo fatto una promessa, ma non sono riuscita a mantenerla…» l’uomo sembrò rianimarsi alle parole di Luca perché smise di guardare il cielo e puntò i suoi occhi in quelli verdi del commissario.

«… ora però le faccio un’altra promessa: Troverò quelli che l’hanno uccisa… glielo giuro…»

Il ragazzo divenne serio, chiuse gli occhi, poi sospirò ringraziando stancamente; in seguito andò via con la sua macchina.

Luca rimase a guardare ancora un po’ l’orizzonte, le sue ultime parole gli rimbombavano nella mente: questa volta non era routine, questa volta era convinto di quello che diceva e avrebbe fatto di tutto per mantenere quella promessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                            ***

Lo spazio dell’autrice

 

Eccomi di nuovo a voi miei cari lettori! Allora cosa ve ne è parso di questo secondo capitolo? Elena ed Anna vi hanno fatto spaventare, eh?? Almeno Luca e Raff si sono presi una bella paura! E così anche Rita ha fatto una brutta fine (non odiatemi x questo… poi capirete cosa c’è sotto) e Luca sembra davvero turbato da qst storia…

Intanto volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto: mi state dando la carica giusta x continuare!!

 

In particolare ringrazio:

Luna95  Mille, mille grazie x aver letto qst mia nuova ff… se non capisci qualcosa basta che me lo chiedi!! Allora cosa te ne pare di qst??

Uchiha_chan  Felice che questa ff ti stia piacendo, grazie per i tuoi complimenti. Allora qst capitolo come ti è sembrato??

Lyrapotter  Beh… neanch’io sono sicura di riuscire a scrivere i casi gialli… spero di non deluderti. Mille grazie per i tuoi complimenti (forse non li merito…tutti…. ^^’’’)  Beh… allora siamo in due ad aver intuito un certo feeling tra Ale ed Elena… poi vedrai cosa ho riservato alla cara ispettrice! Per quanto riguarda Mauro Belli… anch’io all’inizio avevo pensato di farlo tornare… ma, credimi, non è affatto facile quindi non penso che accadrà (ti prego non abbandonarmi solo per qst ç___ç) Cmq ci saranno belle sorprese…

 

Il prossimo capitolo, che si intitola LA STANZA BIANCA  comincia a spiegare un po’ di cose… ma non tutto… abbiate ancora un po’ di pazienza!! XD Mi raccomando non abbandonatemi!! Continuate a leggere e recensire (con qst ultima cosa mi fareste davvero felice!!). Alla prossima volta. Ah… quasi dimenticavo: essendo cominciata la scuola (=_=) potrei avere dei leggeri ritardi nella pubblicazione della ff… vi prego di non lasciarmi se farò qlche gg di ritardo… perché non ho alcuna intenzione di lasciarla incompiuta!! Un bacio.

La vostra Alchimista!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** La stanza bianca ***


CAPITOLO 3° _ LA STANZA BIANCA

 

È freddo, calmo, lucido.  Sa che ucciderà, che dovrà farlo: glielo hanno ordinato e nonostante tutto non può tirarsi indietro. La fascia gli brucia sul braccio: è il simbolo dell’organizzazione e nonostante sia piccola e sottile, ha un peso davvero grande. La realtà è che non aveva mai fatto nulla di così pericoloso. I suoi infiltraggi erano sempre stati brevi, i suoi ruoli marginali: solo il necessario per carpire informazioni; poi interveniva la squadra e lui spariva per ricomparire poco dopo in  un altro lavoro. Ora però è tutto diverso: gli uomini per cui lavora sono professionisti e lui deve mostrare la stessa professionalità perché in caso contrario…

È freddo, calmo, lucido. Sa che ucciderà ed ormai non gli importa più: finalmente ha capito che non uscirà più da quella situazione, che le cose saranno per sempre così. Ha smesso di sperare in qualcosa di diverso e sa che tra poco anche le lacrime finiranno e i ricordi saranno dimenticati. Attende quel momento quasi trepidante: l’annullamento di se stesso è l’unica cosa in cui spera e sente che quando arriverà non la temerà come prima. Solo aprirà le braccia e l’accoglierà troppo stanco per opporsi… perché forse lui non vuole più opporsi…

 

Il rumore degli aerei in partenza lo stordiva ancora. Mentre gli speaker facevano annunci sulle partenze e gli arrivi, lui cercava di isolarsi e concentrarsi: nonostante avesse deciso in fretta cosa fare non era affatto stata una scelta priva di riflessioni. Aveva sentito che era in momento giusto e semplicemente era partito. Uscì dall’aeroporto e il sole gli ferì gli occhi: aveva quasi dimenticato le giornate assolate di Roma; salì su uno dei taxi che attendevano in strada e gli diede un indirizzo. La macchina partì con una sonora sgommata, quasi stesse riflettendo l’ansia e la fretta del passeggero.

Durante il tragitto, che gli parve un’eternità, ebbe tempo per pensare. Perché, come ormai gli accadeva sempre, quello su cui era sicuro prima diventava insicuro poi, e ora non era più convinto della sua scelta. In un attimo gli venne in mente che forse la priva visita la meritava qualcun altro. Velocemente chiese all’autista di cambiare direzione chiedendogli di portarlo al cimitero.

Non ricordava precisamente quando era stato lì l’ultima volta, ma rivedere quella lapide per quanta tristezza potesse suscitargli, lo aveva fatto sentire a casa. Perché era quella la sua casa, quella la realtà che doveva affrontare ed ora era finalmente giunto il momento di tornare a vivere.

 

«Sicura di voler tornare oggi?»                                                    

«Uff! È la quarta volta in mezz’ora che me lo chiedi: ti si è incantato il disco?»

«No, è che…»

«…sei preoccupato per me» concluse Anna guardando Luca.

«E non dovrei?» chiese questo prendendo sul serio la discussione «Guarda che ti hanno dimessa solo ieri e oggi vuoi già tornare in servizio…»

«E vorresti impedirmelo, Commissario?» chiese lei scherzando.

Ma lui non scherzava affatto: si avvicinò a lei incazzato e le prese un braccio con la mano stringendolo; poi la guardò fisso negli occhi con fare minaccioso. Anna trattenne il respiro e nella sua mente si riproposero le immagini che qualche anno prima l’avevano vista quasi vittima di uno stupro.

«Se devo sì» disse Luca rabbioso.                         

Anna rabbrividì e i suoi occhi si riempirono di paura.

«Luca mi fai male… e paura» balbettò l’agente visibilmente scossa. Luca si rese conto solo allora di ciò che stava facendo e la lasciò subito spaventato da se stesso. Cosa gli era preso? Non era mai stato violento e men che meno con Anna: cosa gli era saltato in mente? Aveva avuto paura di perdere lei ed Elena in un solo giorno: ora non voleva che Anna rischiasse inutilmente. Se fosse morta lui non sapeva cosa avrebbe fatto.

«Scusami… io… non so… cosa mi sia preso… stai bene?» balbettò.

La giovane annuì e si lasciò scivolare sulla poltrona, il cuore che le andava ancora a mille.

«Vuoi che oggi rimanga a casa?» gli chiese piano.

A Luca sembrò una pugnalata nello stomaco: la sua voce spaventata gli fece male. Pregò con tutto se stesso che quella mattina non si fosse incrinato qualcosa nel loro rapporto.

«No…» mentì cercando di riparare ai propri errori «… solo non affaticarti troppo…»

La ragazza annuì e uscì senza aspettarlo. Luca rimase ancora un po’ a casa, poi uscì anche lui. Si diresse sconsolato al distretto, ma, quando vi fu davanti, gli tornarono in mente gli occhi sconvolti di Anna e si disse che era ancora troppo turbato per vederla. Prese a passeggiare per il viale alberato sotto il sole cocente cercando inutilmente di dimenticare gli occhi marroni spaventati che continuavano a tormentarlo, ma quando capì che era tutto inutile si diresse al commissariato sperando che il lavoro lo avrebbe distratto.

 

«Dovevi vedere il suo sguardo Elena… era infuriato nero… ho avuto paura e quello che mi sconvolge di più è che era Luca…»

Elena la guardava senza sapere cosa dire o come calmarla: Luca non l’aveva mai sfiorata, neanche con il pensiero, ed ora Anna si massaggiava nervosamente il livido viola sul polso destro.

«E poi…» riprese a raccontare.

«Poi?»

«Mi sono tornate in mente delle brutte immagini di qualche anno fa, quando un gruppo di ragazzi stava per stuprarmi…»

«Cosa?!» Elena non poteva crederci.

«Si, lo so: è stupido! Luca non voleva farmi del male: si preoccupava solo per me… ma cosa posso farci se ci ho pensato?»

Elena la strinse a se; poi qualcuno bussò alla porta: entrò Luca.

«Anna… potrei parlarti?»

Anna lo guardò incerta per alcuni istanti.

«Ecco… preferirei di no… scusami…» disse poi abbassando lo sguardo.

Luca aprì bocca come per dire qualcosa, poi gli mancarono le forze, abbassò lo sguardo e tornò nel suo ufficio pensando di aver fatto davvero una stronzata.

Intanto un uomo con un cappello scuro e gli occhiali da sole entrò nel distretto.

«Posso esserle d’aiuto?» chiese cortesemente Ugo.

«Cerco il commissario Benvenuto» disse l’uomo velocemente come se non volesse far sentire la sua voce.

«È nel suo ufficio: lo avverto subito»

«No, non serve! Vado da solo… mi aspetta: è importante…» disse e senza attendere risposta si avviò veloce verso l’ufficio di Luca. Entrò senza neanche bussare e il commissario sobbalzò.

«Ma cosa… chi è lei?!» chiese sorpreso e lievemente irritato.

Non arrivò alcuna risposta e per un attimo l’idea che volesse fargli del male attraversò la mente del commissario paralizzandolo.

La pistola è nel cassetto: troppo lontana…pensò Sono fregato: ora estrae la pistola e spara...

Inspirò nervosamente trattenendo il fiato e per alcuni attimi che parvero secoli nell’ufficio calò il silenzio. Poi l’uomo stranamente sorrise.

«Sta calmo Luca: cos’è, ti spaventa la vista di un vecchio amico?»

Non poté non riconoscere quella voce: Alessandro Berti.

«Ale!!» e senza dire altro lo strinse a se. L’ispettore ricambiò il gesto felice di essere tornato.

«Ti confesso che mi hai spaventato» disse Luca quando si furono seduti «Per un attimo ho pensato: cazzo questo mi ammazza, è finita»

Ale cominciò a ridere di gusto.

«Ridi, ridi te! Intanto ho rischiato un infarto! Che diavolo ti è saltato in mente di entrare così di soppiatto?! E poi in un momento simile…» si fermò: si era accorto di essersi lasciato scappare troppo e pensò velocemente ad un modo per tornare indietro senza trovarlo: ormai il guai era fatto e bisognava dare spiegazioni.

«Che momento scusa?» chiese Ale incupendosi tutto in una volta.

«Nulla di grave: non preoccuparti!» provò a rassicurarlo il commissario «Solo che stamattina ho litigato con Anna…»

«Come mai?»

«Ecco… pochi giorni fa lei ed Elena sono state ricoverate per delle ustioni e un’intossicazione da fumo riportate durante un incendio e allora stamattina…»

Luca si bloccò: di fronte a lui Ale aveva gli occhi spalancati e la bocce semiaperta. Il ragazzo si accorse di aver parlato con troppa leggerezza dell’incidente a casa della signora Albino.

«Ora e tutto ok… stanno benone» provò a rimediare rassicurando ancora una volta Ale «Solo che stamattina ho detto ad Anna che forse era meglio che almeno per oggi rimaneva a casa visto che è stata dimessa solo ieri…»

«E lei si è arrabbiata…» concluse erroneamente l’ispettore.

Luca scosse la testa.

«Anzi, l’ha presa a ridere: mi ha chiesto cosa avrei fatto se non avesse ascoltato il mio consiglio, se glielo avrei ordinato come suo superiore»

«E tu?»

«Qui sta il punto: mi sono arrabbiato perché non aveva preso sul serio la cosa e le ho preso bruscamente il polso stringendola e dicendogli che se ce ne fosse stato bisogno glielo avrei ordinato»

Alessandro guardava serio il collega che, finito il racconto, si era nascosto il volto con le mani: sapeva che la sua reazione era stata eccessiva, ma capiva anche che lo aveva fatto per proteggerla e non per farle del male.

«Ed ora?» chiese pur sapendo che la storia non aveva una buona conclusione.

«Quando le ho chiesto di parlare mi ha detto che preferiva di no, ma ho notato che dove l’ho stretta è nato un livido…» sospirò «Tu che mi consigli di fare?» gli chiese con aria affranta.

«Devi riprovare a parlarle… magari ora che li avverti del mio ritorno, così non avrà scuse…»

Luca aveva quasi dimenticato che Alessandro era appena tornato: parlare con lui e riaverlo al suo fianco aveva cancellato in una volta i quasi sette mesi in cui non c’era stato. Gli sorrise e si slanciò fuori dall’ufficio pronto a dare la bella notizia.

«Ragazzi! Ragazzi ascoltatemi tutti!» urlò mentre una decina di testa sbucavano fuori dagli uffici sorpresi dalle improvvise parole.

«Potete venire subito nel mio ufficio?» chiese sempre euforico.

Ancora sorpresi e non capendo bene cosa stava succedendo Elena, Anna, Raffaele e gli altri entrarono nell’ufficio di Luca e alla vista di Alessandro esplosero di gioia. Inutile dire che la più felice fu Elena anche se cercò di darlo a vedere il meno possibile: anche se lei aveva accettato il fatto di essere innamorata di Alessandro, non era ancora pronta a farlo sapere a tutti ed in particolare al diretto interessato.

Dopo aver stappato la bottiglia di Champagne delle grande occasioni ed aver fatto un brindisi al ritorno del collega, Luca si avvicinò ad Anna che parlava con Elena. La ragazza se ne andò lasciandoli soli, per quanto lo potessero essere in una stanza piena di gente che urlava felice, si abbracciava e parlava con l’ispettore Berti.

«Cosa vuoi?» chiese brusca Anna.

«Parlarti… scusarmi per quello che è successo…»

«Beh, ora l’hai fatto…»

«No Anna, no! Tu non hai accettato le mie scuse e… sei ancora arrabbiata con me!»

«E non dovrei?»

«Ascoltami, io non volevo farti male: è solo che come al solito prendi la tua salute troppo alla leggera e solo pochi giorni fa ho rischiato di perdere te e Elena. Stamattina quando ti sei messa a scherzare mi sono sentito male» prese fiato mentre Anna lo guardava stupita «Io che faccio senza te? Eh?! Se tu mi lasci che diavolo faccio… io… da solo… senza di te? Sono morto… non posso andare avanti Anna… senza di te… e tu scherzi…» sembrava non riuscire più a parlare mente gli occhi e la gola bruciavano e lottavano contro l’orgoglio che gli urlava di non piangere.

Anna era rimasta senza fiato: sapeva quanto bene le volesse Luca, ma sentirsi dire quelle parole l’aveva spazzata. Ora non sapeva più cosa dire.

Maledetto Luca! Hai il potere di passare dal torto alla ragione solo con poche, poetiche parole… ed io che mi ero preparata un bel discorsetto… ora ti guardo e…

Lo strinse a se mentre tutti gli altri, chi capendo chi no, avevano seguito la scena facendo finta di esserle indifferente. Ad un tratto un agente entrò veloce in commissariato.

«Commissario! È arrivata una chiamata dall’ospedale: la signora Albino si è svegliata»

«Bene» sorrise Luca sperando che la fortuna stesse cominciando a girare dalla loro «Anna, Elena andate voi?»

Le due donne annuirono ed andarono via.

«credo che dobbiate spiegarmi un paio di cose voi due…» annunciò Ale riferendosi ai casi in corso.

I due colleghi annuirono e cominciarono un lungo discorso.

 

«Non so come ringraziarvi: se non ci foste state voi ora non mi troverei qui»

«Si figuri…» rispose cortese Anna.

«Piuttosto» incalzò l’altra «Lei sa perché volevano ucciderla?»

«Uccidermi? N-non è stato un incidente?»

«No ci dispiace: qualcuno ha appiccato l’incendio» le rivelò Anna.

La donna le guardava impaurita dalla verità, poi sembrò venirle in mente qualcosa.

«I-io lo sapevo, lo sapevo: sono stati loro

«Chi?» chiesero in coro Anna ed Elena.

«Non conosco i loro nomi: non li ho mai visti; ma so che mio marito aveva fatto qualche cattivo affare con loro»

«Cattivo affare? Intende illegale?»

La donna annuì.

«E non le ha mai detto nulla?»

Questa volta la donna scosse la testa.

«Diceva che era pericoloso, ma che presto sarebbe finito tutto: dovevamo resistere solo un altro po’… e invece…»

La donna ruppe in un pianto silenzioso e nascose gli occhi con le mani; Anna scambiò uno sguardo d’intesa con la collega. Prima che il medico le cacciasse via la signora Albino riuscì solo a dire che era più che sicura che gli incontri con quegli uomini avvenivano in negozio; nel suo ufficio sul retro.

 

«Fatemi vedere se ho capito: abbiamo da una parte la morte di una diciassettenne precedentemente rapita e dall’altra quella di un uomo proprietario di un negozio di articoli per casa. Tutti e due senza un apparente motivo e senza un minimo indizio che possa condurci dagli assassini» ricapitolò Alessandro.

«Esatto»

«E inoltre la moglie dell’uomo ucciso ha rischiato anche lei di essere uccisa per un incendio di natura dolosa, giusto?»

«Sì» confermò Luca «Ed è molto probabile che ad appiccarlo siano stati gli stessi che hanno ucciso l’uomo» concluse.

In quel momento entrarono Anna ed Elena.

«Allora: che dice la donna?»

«È sicura che ad uccidere il marito e ad applicare l’incendio siano stati certi tizi con cui il marito era entrato in affari… affari poco puliti…»

«Ma non sa chi sono, giusto?»

Elena annuì.

«Dice che non sa molto perché il marito non voleva metterla in pericolo, ma che è sicura che i loro affari si svolgessero nel retro del negozio, dove c’era l’ufficio dell’uomo»

Rimasero in silenzio per alcuni istanti poi Ale alzò la testa.

«Non credi che bisognerebbe ricontrollare l’ufficio dell’uomo?» chiese rivolto a Luca «Ora che sappiamo che gli incontri avvenivano lì… forse troveremo qualcosa…»

«Sì… andiamo subito… tutti…»

I ragazzi si alzarono ed uscirono rapidi dal distretto con aria seria: non sapevano se o cosa avrebbero trovato, ma sentivano chiaramente che stavano giungendo ad un importante svolta.

Arrivarono in pochi minuti e ricominciarono a perlustrare quell’ormai familiare luogo.

«Nulla» concluse Anna delusa sedendosi su una sedia.

«È tutto come nel primo sopralluogo…» informò Elena.

«Dov’è Ale?» chiese Raffaele guardandosi intorno e poi posando lo sguardo su Luca al quale aveva posto la domanda.

Il commissario guardò istintivamente verso l’uscita.

«Ha detto che doveva procurarsi una cosa ed è schizzato via…» spiegò ai colleghi.

I ragazzi attesero per circa un quarto d’ora l’arrivo di Ale. Poi lo videro sfrecciare verso di loro con un foglio in mano.

«Cos’è?» chiese Raffaele.

«La piantina del negozio» rispose il ragazzo, ma notando gli sguardi perplessi dei colleghi cominciò a spiegare.

Si allontanò dal bancone dove aveva appoggiato la piantina e si diresse nell’ufficio dell’uomo seguito dagli altri.

«Ascoltate» disse poi battendo con le nocche contro il muro.

All’inizio si sentì il normale e debole rumore di qualcosa che batte contro la parete; poi qualcosa cambiò: il rumore divenne più acuto come se quella parete fosse… vuota!

«Qui c’è qualcosa!» esclamò Anna.

«Per l’esattezza una stanza» specificò l’ispettore e corse a riprendere la piantina. La mostrò agli altri.

«Sulla piantina la stanza è almeno il doppio!»

Guardarono di nuovo la parete come se potessero aprirla con la forza del pensiero, poi Elena si avvicinò alla libreria, unico mobile che, dietro la scrivania, si poggiava al finto muro. Cominciò ad estrarre i vari libri che c’erano fino a quando dietro due di questi non scorse una maniglia. Sorrise raggiante ed aprì la porta che li introdusse nel doppio fondo dell’ufficio.

I colleghi entrarono complimentandosi con la donna e davanti alla loro vista si aprì una stanza completamente bianca.

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                   

 

 

                                                                                                                                                                                ***

Lo spazio dell’autrice

 

Ok, ok lo so: questo capitolo è stato un po’… lento?? Sì… me ne rendo perfettamente conto… ma mica posso svelarvi subito chi sono gli assassini di Albino e quelli di Rita?! Altrimenti gli altri capitoli che facciamo? Hihihi… e allora? Avete visto? Il nostro Alessandro è tornato! Per la gioia di tutti e, soprattutto, quella di Elena… E Luca ed Anna… hanno momenti di crisi e momenti di gioia… faranno un po’ su e giù, ma non preoccupatevi!

 

Passando ai ringraziamenti… thanks a tutti i lettori e in particolare a:

Uchiha_chan  ancora grazie per i tuoi complimenti e spono felice che ti stia piacendo la linea gialla della storia… questo capitolo… non è stato poi così avvincente (me ne rendo conto) ma cmq che te ne pare??

Tinta87  addirittura sembra di essere nella fiction? ò_ò non starai esagerando?? Non mi reputo tanto brava! Cos’è che hai capito?? Mi sto facendo scappare troppe cose?? Hihihi vbb… che te n’è parso di questo capitolo??

Luna95  thanks mille! Felice che non ti stia scocciando!! E questo??

Lyrapotter  Hihihi… scusa per lo spavento… ma ti avverto che ce ne saranno degli altri del genere (poverini quelli del X) Per Rita… non ho potuto fare nulla… e per quanto riguarda i due casi su cui stanno indagando… si capirà molto – se non tutto – nel prossimo capitolo! XD… L’uomo in nero… beh… bisogna aspettare ancora un po’… e spero che qnd capirai… beh… lasciamo stare, eh?! Che ne pensi di qst??

Dani85  oh… addirittura si respira l’aria del distretto?? O_O Mi fa piacere che la storia ti stia piacendo! Per quanto riguarda l’uomo in nero… come ho già detto ci mancano ancora alcuni capitoli… e i ricordi di Luca… beh… ancora qualche capitolo anche per questo… sorry. Cosa te ne pare di questo capitolo?? Non preoccuparti per la lunghezza della recensioni… più lunghe sono più mi fa piacere… quindi sfogati e recensisci!!

 

Il prossimo capitolo intitolato FUGGITA spiegherà… più o meno le restanti cose(nei limiti del possibile… in quanti stiamo al 4 capitolo e ne prevedo una decina…) e anche x quanto riguarda l’uomo in nero… ci sarà una piccola info in più! Mi raccomando continuate a leggere e recensire! Un grosso bacio a tutti!

La vostra Alchimista!

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Capitolo 4
*** Fuggita ***


CAPITOLO_4° FUGGITA

 

«Mio Dio: come sei cinico!» si lamenta scherzando un uomo.

L’uomo in nero lo guarda: non c’è espressione nei suoi occhi, prova un’indifferente calma nel raccontare come è morto lo spacciatore e quasi fa paura al resto delle persone riunite oziosamente nella stanza.

«A volte mi chiedo se sei sempre stato così» continua quello che sembra essere il capo o almeno il più importante del gruppo.

«No, non credo… ma ora sono così» risponde lui infastidito.

«È anche permaloso…» osserva uno del gruppo guadagnandosi dall’uomo in nero uno sguardo che gli fa gelare il sangue nelle vene.

«Ah Giulio, Giulio: così fai innervosire il nostro amico!» dice il capo «Tieni per te questi commenti» lo minaccia poi e quello si zittisce spaventato.

Per alcuni secondi regna uno strano ed irreale silenzio interrotto dall’improvvisa irruzione nella stanza di un uomo.

«Signore!» chiama allarmato ed affaticato «È fuggita!»

Il capo sbuffa irritato.

«Spiegati meglio!» gli ordina.

«La ragazza, Luisa, è fuggita… stanotte»

«Come?!?!» urla quello scattando in piedi furibondo e l’altro scuote la testa.

Il capo guarda l’uomo in nero.

«Dimmi: sai che fine ha fatto Rita?» gli chiede con rinnovata calma.

Quello annuisce.

«Allora sai cosa fare: vai!» gli ordina e l’uomo in nero si alza.

«Un ultima cosa» lo blocca il capo «Non fallire, Hector!»

L’uomo in nero, Hector, annuisce meccanicamente ed esce dalla stanza pronto ad entrare in azione ancora una volta.

 

«Fatela portare via…» diede ordine Luca; poi si avvicinò ai suoi uomini.

«Allora era questo quello in cui era coinvolto: droga» osservò Raffaele guardando gli ultimi pacchi da un chilo che venivano portati via.

«Si… è probabile che avesse deciso di mettersi in proprio, con tutta la droga che c’era…» congetturò Ale.

«Non mi sembra che i superiori abbiano gradito tanto…» commentò Anna.

«Sì, ma questo non ci aiuta un granché» disse pratica Elena «Siamo arrivati a giochi conclusi… e non credo che qui troveremo indizi per risalire ai fornitori dell’uomo…»

Purtroppo aveva ragione.

Il telefono di Luca squillò facendolo quasi sobbalzare.

«Si? Ugo, dimmi… sì… va bene: mando subito qualcuno»

«Che succede?» chiese Anna.

«Una ragazza è stata portata in ospedale da un uomo che l’ha trovata per strada svenuta. È ferita, probabilmente è stata picchiata. Ci andate tu ed Elena?»

Le due ragazze annuirono.

«Se ci sono novità…»

«Vi informeremo» concluse Luca salutandole con un sorriso.

 

«L’hanno portata qui questa mattina» spiegò un’infermiera alla due poliziotte.

«Ha subito violenze?» chiese Anna.

«No… ma ha lividi su tutto il corpo…»

Entrarono nella stanza della giovane.

«Non so se può esservi d’aiuto, ma durante il sonno ha più volte fatto il nome di una certa Rita»

Elena ed Anna si guardarono in  volto folgorate da quel nome: Rita, come la ragazza uccisa. Era una semplice coincidenza? Proprio in quel momento la giovane si svegliò. Le due donne si avvicinarono.

«Buongiorno» cominciò Anna «Noi siamo della Polizia…»

Gli occhi della ragazza sembrarono animarsi.

«Finalmente…» sussurrò stanca «Ci sono riuscita…»

«Di cosa parla?» chiese Elena.

«Mi avevano rapita… ma sono riuscita a scappare»

«Chi?»

«Non so chi fossero… si sono sempre fatti vedere con i passamontagna…»

«Sai perché ti hanno rapita?»

«Traffico di donne credo. Ho sentito che volevano venderci ad un tizio…» spiegò, ma sembrava ancora molto confusa.

«Aspetti! Aspetti! Ci racconti tutto d’accapo. Anna chiama Luca: la Fortuna sta girando finalmente dalla nostra parte!»

Anna si affrettò ad uscire e compose il numero telefonico.

«Pronto?»

«Luca? Anna. Ascolta: vieni subito in ospedale e porta anche Ale e Raff. La Fortuna finalmente si è accorta del X Tuscolano!»

«Arriviamo subito!» fu la risposta un po’ perplessa del commissario.

 

«Il mio nome è Luisa Martini, ho 17 anni ed abito nella periferia Nord di Roma. Sono stata rapita… che giorno è oggi?» chiese confusa.

«Il 10 Aprile» la informò gentile Luca.

«Il 10… Allora sono… 3 mesi. Una sera, dopo un party, stavo tornando a casa quando due uomini con i passamontagna mi hanno presa, bendata, imbavagliata e caricata su un furgone. Quando ho potuto di nuovo vedere ero in una stanza buia e polverosa insieme ad una decina di ragazze più o meno della mia stessa età. Con il passare dei giorni il numero è aumentato: prima di fuggire eravamo circa 30. È lì che ho conosciuto Rita»

«Rita? Rita Diana?» chiese Ale sorpreso.

La ragazza annuì.

«Lei, oltre a me, era l’unica che avesse la voglia di ribellarsi, di provare a fuggire; le altre avevano già perso le speranze. Abbiamo provato ad ascoltare ciò che dicevano gli uomini: parlavano di venderci a qualcuno e poi di un traffico di droga… e… di un tizio… qualcuno che stava esagerando e che bisognava fermare»

Luca ebbe un brivido. Droga? Un uomo da uccidere? Era un’altra coincidenza? O forse… era fin troppo bello per essere vero… eppure…

«Quando ne abbiamo capito abbastanza io e Rita abbiamo deciso di fuggire. Lei però si è fatta scoprire e…»

Gli occhi le si riempirono di lacrime e Raffaele le porse un fazzoletto.

«Scusate… Rita è stata l’unica consolazione in quei tre mesi tremendi.,.. per questo quando è morta mi sono convinta a portare a termine ciò che avevamo progettato. Ci sono voluti giorni e notti, ma alla fine sono riuscita a scavare un tunnel e a scappare. Ora credo che si saranno accorti della mia assenza…»

«Di questo non deve preoccuparsi: metteremo un piantone fisso davanti alla porta della sua stanza. Non le accadrà nulla» la rassicurò Luca e la ragazza sorrise, ma aveva qualcosa di triste negli occhi.

«Piuttosto» continuò Anna «Dobbiamo avvertire qualcuno, i suoi genitori?»

Gli occhi di Luisa si illuminarono per qualche istante, poi prese carta e penna che si era fatta portare e scrisse un numero telefonico.

«Credo che li troverete a casa» li informò con voce ancora stanca.

Gli agenti sorrisero felici di come si fosse risolta la situazione.

 

«È sempre bello vedere una famiglia che si ritrova!» esclamò felice Anna.

«Sì…» la assecondò Luca impegnato a riflettere sulle parole di Luisa.

«Luca?! Mi stai ascoltando?!» chiese lei offesa.

«Sì…» fu la noncurante risposta.

«Già… e domani pensavo di salire sul tetto del palazzo e buttarmi giù per vedere se riesco a volare…» disse aspettando una reazione.

«Si… cioè no! Ma che cavolo dici Anna!»

«Era l’unico modo per attirare la tua attenzione!» si giustificò la ragazza ridendo per l’espressione sul volto del commissario «A che pensavi?»

«Alle parole di Luisa… Quelli che l’hanno rapita hanno avuto delle controversie con qualcuno che spacciava droga fornita da loro e che stava alzando un po’ troppo la cresta…»

«Pensi ad Albino?»

Il commissario annuì.

«Non credo sia solo una coincidenza…» spiegò.

«Quindi se prendiamo i rapitori di Luisa e Rita troviamo anche gli assassini dell’uomo… due piccioni con una fava: comodo» commentò Anna «Hai idea di come fare?» chiese poi.

«Forse… prima bisogna che io chieda una cosa a Luisa»

I due entrarono in ospedale ed incrociarono i signori Martini che stavano uscendo.

«Ah signori Martini! Come sta vostra figlia?» chiese cortese Anna.

«Ora bene… grazie a voi» disse la madre con gli occhi lucidi.

«Se non fosse stato per voi… non potremmo mai ringraziarvi abbastanza» continuò l’uomo stringendo la mano di Luca.

«Dovere» rispose il commissario, poi lasciò che i coniugi andassero via e si avviò con Anna verso la camera della giovane.

«Se non sbaglio anche Raffaele dovrebbe essere qui» disse Anna pensierosa.

Ma appena voltarono l’angolo videro il collega steso per terra svenuto.

«Raffaele!!» urlarono i due poliziotti correndo verso il collega.

Anna gli si inginocchiò accanto sollevandogli la testa: si accorse che perdeva sangue.

«Oddio Luca: perde sangue!» urlò mentre l’altro entrava nella stanza pregando di sbagliarsi su ciò che aveva pensato. Quando uscì il suo volto era pallido, gli occhi lucidi. Guardò Anna che incrociò il suo sguardo.

«L’hanno… l’anno uccisa… Anna… e Raffaele?»

«È ferito» disse lei respirando affannosamente «Un medico! C’è bisogno di un medico! Aiuto!» urlò poi spaventata man mano che si rendeva conto della situazione. Ad un tratto un rumore proveniente dalla fine del corridoio bloccò la sua voce.

«Anna! Sono ancora qui!» le urlò Luca, poi prese a correre nella direzione dalla quale proveniva il rumore.

Corse per alcuni corridoi senza vedere nessuno tranne medici, infermieri o pazienti; poi scorse qualcuno, un uomo con un passamontagna.

«Fermo!» gli urlò, ma ebbe appena il tempo di farlo che questo, voltatosi, gli puntò la pistola contro e sparò.

Luca ebbe appena il tempo di rendersene conto che sentì un dolore tremendo alla spalla, la stessa spalla dell’ultima volta. Si accasciò a terra senza emettere fiato e tentò di toccarsi la ferita sanguinante mentre l’uomo si avvicinava sicura e con la pistola puntata. Si fermò a pochi passi dal commissario, la pistola sempre impugnata; i loro occhi si incrociarono: quelli scuri dell’uomo in quelli verdi di Luca e per un attimo il commissario credette di vedere qualcosa di più dell’esteriore freddezza che traspariva.  Caricò la pistola e la puntò verso la testa di Luca. Il ragazzo deglutì: stava per svenire, le immagini cominciavano a farsi sfocate, i suoni si allontanavano; credette che fosse davvero giunta la sua ora quando un suono sembrò riportarlo alla vita.

«Hector vieni via! Hector ci sono agenti ovunque!» urlò qualcuno che Luca non vide.

L’uomo in nero rimase fermo per qualche istante, indeciso sul da farsi, poi abbassò rapido la pistola e corse verso l’uscita. Non seppe se per la ferita o per lo spavento, ma Luca svenne e l’ultima cosa che sentì fu un rumore in lontananza… forse una voce…

 

«Luca…? Sentì…? Avanti…»

Una voce destò Luca dal mancamento in cui era caduto. Riaprì lento gli occhi chiedendosi se gli fosse sempre costato tutto quello sforzo e voltò lo sguardo verso la voce che aveva sentito.

«Anna…» sussurrò stanco.

La ragazza si voltò verso di lui, gli occhi ancora lucidi, il volto pallido, un po’ trascurato e le labbra rosse di quando piangeva. Provò a sorriderle.

«Luca!» esclamò lei con rinnovate lacrime «Io… pensavo… ho creduto…»

«Ora va tutto bene» provò a rassicurarla lui.

Lei lo strinse a se ignorando i tubi ed il debole lamento di Luca; solo pochi istanti dopo il ragazzo riuscì a mettere a fuoco la situazione.

«L’hanno uccisa!» gridò facendo sobbalzare Anna «Luisa è morta!»

L’ispettrice annuì triste.

«E Raffaele… lui era ferito… perdeva sangue… era a terra…» continuò balbettando mentre la paura cresceva man mano che i ricordi si faceva più nitidi.

«Ah Raffaele… non devi preoccuparti… lui…»

«Voglio vederlo!» la interruppe lui con ansia; poi senza più ascoltare la collega si alzò, si tolse violento la flebo e corse fuori: aveva paura che Anna gli stesse mentendo per non agitarlo, che Raffaele stesse male… o peggio…

«Luca!» lo chiamò la ragazza preoccupata.

«Raffaele! Raffaele!» urlò il commissario guardandosi intorno senza vedere l’amico «Anna dov’è?! Dov’è Raff?!»

«Vuoi calmarti?! Eccolo!» disse Anna indicando il collega che aveva appena svoltato l’angolo; aveva una sottile fasciatura alla testa, ma per il resto sembrava stare meglio di prima.

Luca tirò un sospiro di sollievo; poi la spalla gli diede una fitta tremenda ed impallidì vedendo che perdeva di nuovo sangue.

«Luca!» urlarono insieme Anna e Raff vedendo il collega sanguinare. Lo riportarono in stanza e l’infermiera rimise la flebo al braccio.

Quando si riprese Ale e Raff erano accanto a lui.

«Anna ha detto che se ti azzardi di nuovo a muoverti ti attacca con le manette… e tu sai com’è quando si arrabbia» scherzò l’ispettore.

Luca sorrise.

«Cosa stai?» gli chiese.

«Mmh… tutto a posto» giudicò tastandosi la testa «Piuttosto te: che cavolo ti passa per la testa? Strapparti la flebo e correre in corridoio!»

«Io… non ti ho visto… e ho pensato che Anna non mi stesse dicendo la verità per non farmi preoccupare…»

Questa volta fu Raffaele a sorridere.

«Sta calmo: è tutto ok…»

In quel momento Elena entrò nella stanza.

«Ohi Luca! Ti sei svegliato! Come va?»

«Mmh… bene direi» rispose lui imitando i gesti che aveva fatto il collega poco prima.

«La scientifica ha appena ricostruito la scena dell’omicidio. Erano in due, hanno aspettato che in corridoio finisse il giro degli infermieri e poi hanno agito: prima hanno colpito Raff, poi la guardia; infine hanno ucciso la ragazza» concluse con una nota di dolore.

Anche gli altri ebbero un moto di rabbia: avevano ucciso la ragazza sotto i loro occhi, in più dopo che sembrava essersi sistemato tutto… che aveva rivisto i genitori… che l’odissea sembrava conclusa.

«Scusate» intervenne Anna, che era appena entrata «La scientifica ha trovato questo, dovreste leggerlo» disse porgendo un biglietto ad Ale.

Quando arrivò nelle mani di Luca, questi lesse ad alta voce.

 

So che se leggerete questo messaggio io sarò morta e so che morirò presto: sono troppo bravi per potermi tenere in vita e troppo organizzati per perdere tempo, quindi vi lascio questo messaggio perché so che non vi parlerò più. Non potete fermarli solo con indagini e tentativi (senza offesa). Avete bisogno di qualcosa di concreto, sicuro, di qualcuno che sappia come funzionano le cose nella banda. Il prossimo mese, il 24, al porto ci sarà uno scambio: droga con i soldi di una rapina. Sarà di sera… di solito è così. Ci sono voluti giorni per procurarmi quest’informazione… vi prego di non gettarla al vento…

Dite ai miei genitori che li voglio bene e gliene vorrò sempre… grazie…

 

Luca sospirò. Lei era consapevole di ciò che stava per accadere e anziché avvertirli aveva preferito informarli di quanto sapeva sulla banda. Gli si strinse il cuore ed un senso di amarezza ed impotente rabbia lo travolse: non avrebbe sprecato l’opportunità che Luisa aveva loro offerto.

«Luca che si fa?» chiese Anna.

«Un infiltraggio!» rispose serio il Commissario.

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                  ***

Lo spazio dell’autrice

 

Salve a tutti!! Vi ho fatto attendere, eh?? Perdonatemi ma la scuola mi stressa!!=_= Cmq… Cosa vi sembra?? Vi ho fatto spaventare di nuovo? Povero Luca, l’ho messo in un bel casino! Ed anche Raff… beh una volta per uno no?? Hihihi… a parte gli scherzi… ora sapete che il nome dell’uomo in nero è Hector… ma vi prego non ditemi che avete capito! Restate in dubbio ancora un po’… tanto tra poco il mistero verrà svelato!!

 

Intanto passo a ringraziare:

Luna95  -^^-  *me emozionata* Felice di spere che ti piace… e per quanto riguarda il documentarsi… Beh, senza impegno, eh?! Solo se ti fa piacere! XD Grazie x il tuo sostegno!! Che te n’è parso di qst capitolo? Mi sono impegnata x farlo un po’ più giallo… Beh, alla prossima!

Uchiha_chan  Qnd dici che alcuni personaggi è come se trasudassero terrore ti riferisci all’uomo in nero eh?? O meglio Hector che sarebbe il suo nome! Questa volta la linea gialla ho provato a farla più avvincente… ci sono riuscita? Spero ti sia piaciuto… alla prossima!

Dani85  Felice della tua lunghissima recensione! *Occhi luccicanti* Anch’io sono fiera del pezzettino iniziale sull’uomo in nero dello scorso cap: credo sia il riuscito meglio! Poi capirai come e per “colpa” di chi fa quello che fa… e… non posso anticipare nulla anche se… nono devo stare zitta!! Per i possibili sviluppi tra Ale ed Elena… bisogna aspettare ancora un po’… Concordo con te per la preferenza della coppia Luca/Anna (li adoro troppo *___*) E per loro… vedrai, vedrai… ^^. Non scusarti x la curiosità… anch’io sono molto curiosa!! Questo capitolo ha chiarito qlcs di più?? Come ti è sembrato?? Alla prossima!! Un bacio.

Tinta87  Mille grazie ancora x i complimenti! Credo di essermi rifatta x quanto riguarda la linea gialla e d’azione, no?? Cos’è che hai capito?? Anzi no non dirlo… lo darai quando svelerò tutto… dovrei tenere la bocca chiusa… ^^’’’ Cosa te ne pare di qst capitolo?? Un bacio!!

 

Nel prossimo capitolo, AMONG THE MEN IN BLACK,  le cose si faranno più… pericolose e… romantiche… (chi vuole intendere intenda…) e… vedrete ok?? Un bacio a tutti ed un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto!! Alla prossima un bacio!

La vostra Alchimista!

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Capitolo 5
*** Among the men in black ***


CAPITOLO 5°_ AMONG THE MEN IN BLACK

 

Entra veloce nella sala: suda freddo e forse trema, ma non deve dare agli altri alcun segno di ciò che sta accadendo.

«Dove vai così di corsa, Hector?» chiede il capo.

«Nella mia stanza» risponde serio cercando di non tradire l’impazienza che lo muove.

«E la missione?»

«Tutto secondo i piani: c’erano dei poliziotti, ma siamo riusciti a farla fuori e nessuno sa nulla…»

«Ottimo… eppure mi sembri agitato…»

Hector rabbrividisce.

«Anche il ghiaccio si scioglie… che delusione» commenta uno al fianco del capo.

La rabbia investe in pieno l’uomo in nero che in un attimo carica la pistola e la punta contro l’uomo.

«Prego?» chiede con rinnovata calma glaciale.

«Ora basta!» ordina il capo «Giulio è la seconda volta che lo provochi e noi tutti conosciamo il carattere del nostro Hector... Sta zitto! E tu Hector lascialo andare. Su, metti via quell’arma»

L’uomo in nero obbedisce, poi si dirige rapido nella sua camera che, però, osservandola meglio, sembra più la cella di un carcere. Chiude la porta alle sue spalle, poi vi si poggia contro scivolando verso il basso e respirando veloce ed ansioso, mentre gli tornano in mente quei maledetti occhi verdi.

«Calmati! Calmati!» si ripete «Erano solo un paio di occhi, nulla più! Non essere sciocco, non ha senso illudersi: prima o poi sarebbe accaduto, ma questo non cambierà nulla! Ormai è così!»

Dopo alcuni minuti il suo respiro torna normale ed il suo volto perde di nuovo espressione. Tutto è di nuovo come deve essere.

 

«Ma non capisci: se non agiamo subito il sacrificio di Luisa sarà sprecato!» urlò Luca.

«Questo lo so fin troppo bene! Ma perché tu?!»

«Anna ha ragione!» la sostenne Raffaele «Di solito è un ispettore che fa questo genere di missioni!»

«Non è una regola, solo una brutta abitudine»

«E utilissima: senza di te il Distretto andrebbe allo sbaraglio» insistette Anna.

Luca la guardò scettico.

«Ci sarebbe Alessandro» disse.

«Ma, visto che ci sono, perché non posso andarci io?» chiese l’ispettore.

«Perché sei appena tornato e non voglio riperderti»

«E perché non io?» chiese Raffaele.

«Ti hanno visto in volto… e sei ancora ferito»

«Lo stesso vale anche per te, commissario» gli ricordò lui.

«Mi ha visto solo uno di loro… e con un po’ di fortuna avrò un passamontagna prima di rivederlo»

«In quanto a noi» ed Elena indicò lei ed Anna «Neanche a chiederlo, giusto?»

Luca sorrise verso di loro.

«Credi che io faccia discriminazioni?» chiese gentile « Ho già avuto una volta la brutta esperienza di rischiare di perdervi… e non voglio rifarla una seconda volta»

«Insomma: ci devi andare tu, non è così?» chiese Anna un po’ stizzita.

«Sì» concluse lui di nuovo serio ed Anna lasciò l’ufficio sbattendo la porta.

Luca sospirò abbassando la testa.

«Non l’ha presa bene» commentò quasi sorpreso.

«Fossi in te non mi preoccuperei solo della sua reazione!» commentò fredda Elena e gli altri annuirono d’accordo.

«Ascoltatemi: la verità è che io non ce la farei ad andare avanti sapendo che uno di voi è infiltrato tra quelli, con il rischio di essere svegliato da uno squillo di un telefono, una notte,  ed essere avvertito da uno sconosciuto che è stato ritrovato il cadavere di un ispettore…» spiegò tutto d’un fiato.

Gli altri lo guardarono senza sapere cosa dire.

«Beh… beh… sei un‘egoista!» esclamò Elena.

«Noi ci sentiremo allo stesso modo se ad infiltrarti sarai tu!» spiegò Ale.

Luca non sapeva come controbattere: avevano ragione.

«Ma io… ecco…»

«Tu sei il capo ed hai la facoltà di scegliere, giusto?» chiese Raff «Quindi per quanto diciamo o diremo nulla ti farà cambiare idea. Ha i suoi privilegi essere il capo, eh?» concluse, poi uscì seguito dagli altri.

Luca sospirò ancora sedendosi dietro la scrivania. No, decisamente nessuno dei suoi uomini l’aveva presa bene, ma non si sarebbe tirato indietro per nulla al mondo.

Dopo qualche minuto entrò Ugo.

«Luca: il Magistrato e gli altri che avevi fatto convocare sono arrivati» lo informò.

«Bene Ugo: lasciali entrare»

Ugo uscì ed in poco tutte le autorità convocate furono nell’ufficio.

 

«Ma è vero che vuole infiltrarsi?» chiese Vittoria a Raffaele che annuì.

«Non c’è stato modo d fargli cambiare idea; è riuscito a trovare una scusante per ognuno di noi pur di non farci infiltrare… ma nessuno è d’accordo con lui»

«Per questo Anna è andata via così di mal’umore?» chiese, intromettendosi, Giuseppe.

«Sì… è quella che se l’è presa di più… potete immaginare perché…»

In quel momento il magistrato e le altre cariche convocate uscirono dall’ufficio augurando buona giornata e buona fortuna al commissario.

«Allora? Ti hanno dato l’ok?» chiese Ugo e Luca annuì.

«Ragazzi: so che nessuno di voi è d’accordo, ma io sento di doverlo fare… provate a capirmi…»

«Ma noi ti capiamo… è solo che…» provò a spiegare Alessandro.

«Anche noi abbiamo provato la brutta esperienza di rischiare di perderti… e non vorremmo riprovarla…» concluse Elena.

«Ma voi non mi perderete!» disse Luca con finta ingenuità «Andrà tutto x il meglio!» concluse abbracciando affettuosamente Elena.

«Sai bene che non crediamo a questa frase» disse Raff, dopodiché abbracciò Luca e lo stesso fece Ale: sentivano che ormai non avrebbero potuto più far nulle e che tutto era deciso.

«Comunque mancano ancora tre settimane! Non parto ora!» esclamò il commissario quasi commosso «Dov’è Anna?» chiese subito dopo.

«È andata via da un po’» lo informò Giuseppe.

Luca sbuffò e corse fuori a cercarla. Girovagò per un po’ prima di dirigersi a casa sperando di trovarla lì.

«Anna?» chiamò rientrando «Anna? Sei in casa?»

Nessuno rispose, ma il commissario notò le chiavi di Anna appoggiaste sul mobile all’entrata e il suo soprabito appeso all’attaccapanni e capì che doveva essere in camera sua. Vi si diresse e bussò leggero alla porta.

«Posso entrare Anna?» chiese gentile.

«Vattene!» fu la risposta dall’interno.

La voce di Anna era soffocata, probabilmente da un cuscino, e spezzata: stava piangendo.

«Anna… ascoltami: non è così grave… è una missione come tante»

«Allora ti hanno dato l’ok?» chiese quasi urlando.

«Sì…» sussurrò lui spaventato dalla possibile reazione di Anna.

Scese il silenzio, un silenzio irreale e carico di tensione; poi la porta della stanza si aprì e comparve un’Anna pallida e in lacrime.

«IO. TI. ODIO!» urlò in faccia al commissario prima che questo potesse dire qualcosa.

Poi sbatté la porta e Luca, completamente immobile per lo shock, la senti singhiozzare.

 

«Sto impazzendo: non posso andare avanti così!» esclamò Luca «È una settimana che non mi parla e se mi incontra mi evita!»

«Prova a capirla: è preoccupata per quello che potrebbe accaderti» disse Raffaele.

«Questo lo capisco! Ma non risolverà nulla così… ormai è tutto deciso!»

«Hai provato a parlarle tu?» chiese Alessandro.

«Sì! Una decina di volte! Ma non mi sente, fa come se non esistessi ed è… così…»

«Irritante?» chiese, concludendo, Ale.

Luca abbassò la testa. Era irritato per il comportamento di Anna? No… non gli sembrava. Lui era semplicemente triste. Sì: più guardava come quegli occhi lo evitavano, più si sentiva male. Si era pericolosamente reso conto di non poter sopravvivere senza guardarla negli occhi, senza vederla sorridere o senza sentire la sua voce. Lei aveva avuto ragione, come sempre, anche quella sera: il loro era amore. Pericoloso, strano, inaspettato eppure bellissimo ed atteso amore.

«Te ne sei reso conto alla fine, eh?» gli chiese sorridente Raffaele.

Luca alzò la testa impallidito: aveva pensato ad alta voce? Si era fatto scoprire?

«Io…cosa…?» chiese con aria da finto tonto.

«Ti sei finalmente reso conto di amare Anna?» chiese ancora Raff.

Luca arrossì violentemente.

«Era pur ora!» esclamò l’ispettore «Io l’ho sempre saputo»

«Io… non ne sono sicuro…» confessò il commissario.

«Perché?» chiese Alessandro interessato.

«Non è evidente?» disse Luca quasi irritato «Io… io… sono gay! Questo… non… non… è…»

«Normale?» concluse Raffaele «Luca è amore! Non è mai normale, solo è… e non puoi fare nulla perché cambi!»

Luca lo guardò: da quando Raffaele era così filosofico? Ma forse, visto che c’era… poteva anche chiedergli un’altra cosa.

«Il fatto è che… quello che ora c’è tra di noi è più di un’amicizia, più forte, più bello, più… Quello che intendo è che, se diventasse amore, non credete che possa banalizzarsi? Insomma “amore” è solo una parola… non può racchiudere tutto quello che provo per lei, tutto il nostro rapporto. Ho paura che cambiando tutto vada parso; che da rapporto unico e speciale diventi banale amore… e se la perdessi?»

«Oh, Luca… no!» disse Alessandro

«Banale?» chiese Raffaele «Luca un amore non è mai banale, soprattutto se è forte come il vostro; insomma il legame che c’è tra voi… è troppo forte perché si spezzi. E poi credi di poter andare avanti così?»

No, non poteva. Questa era l’unica cosa di cui era sicuro.    

«Sei ancora qui?» chiese Ale.

Luca lo guardò senza capire le sue parole.

«Ale ti stava gentilmente suggerendo di correre fuori di qui e di dire ad Anna ogni cosa!» spiegò lento Raffaele.

Luca strabuzzò gli occhi: dirlo a loro era una cosa, dirlo ad Anna era tutt’altra cosa! Eppure era l’unica soluzione…

Scattò dalla poltrona e corse fuori dall’ufficio e dal distretto. Nella fretta dimenticò di essere arrivato con la macchina e cominciò a correre a piedi fino al palazzo in cui abitava con Anna. Quando fu davanti alla porta aveva il fiatone ed un ansia strana ed indescrivibile. Si tocco le tasche in cerca delle chiavi dell’appartamento quando si ricordò che aveva lasciato la giacca nell’ufficio con le chiavi all’interno di una tasca.

Poco male si disse ora avrà un motivo per vedermi… se suono in continuazione il campanello, prima o poi mi aprirà…

 

«Non so se fa finta o veramente non capisce perché sto così male!»

«Anna: se non gli parli non lo capirà mai! Credimi…»

«Ma cosa dovrei dirgli Elena?!»

«Quello che provi??» chiese la collega.

Le due stavano parlando a telefono quando qualcuno bussò al campanello dell’appartamento.

«Scusa Ele bussano alla porta… ci sentiamo ok?»

«Si, certo. Anna: parlagli»

«Vedremo…» concluse lei per nulla sicura.

Scese dal letto e si diresse all’entrata. Non guardò neanche dallo spioncino, ma aprì istintivamente la porta. Di fronte a lei c’era Luca.

«Anna» la chiamò sorridendo, ma la ragazza, senza degnarlo di uno sguardo, gli diede le spalle diretta in camera sua.

Questa volta però Luca era pronto: corse più veloce di lei e bloccò la porta prima che la ragazza potesse aprirla.

«Devo parlarti» le disse.

«Beh, io no»

«Ma mi ascolterai!» rispose sicuro il commissario.

Senza alcuna possibilità di evitarlo, Anna si arrese ed incrociò le braccia irritata.

«Hai tutti i motivi del mondo per essere arrabbiata con me, Anna: la missione è pericolosa, e quell’uomo conosce il mio volto. Quello che devi capire però è che non poteva andare nessun’altro; e non per presunzione, ma per il semplice fatto che non sopporterei di perdervi…»

«Neanch’io…» sussurrò Anna, alla quale mancava la forza per parlare.

«C’è una cosa che, però, volevo dirti…» continuò Luca con evidente ansia «Ti prego… non odiarmi per questa decisione… Io… io non ce la faccio… mi sento davvero uno schifo se sei arrabbiata con me…» spiegò.

«Addirittura» commentò scettica Anna.

«Non scherzare per favore!» la rimproverò lui ferito «Quello che sto dicendo è serio!»

Anna non proferì parola.

«Anna io… insomma… non vorrei rovinare tutto… però… io…»

«Cosa?» chiese lei in un sussurro serio.

«Io… ti amo Anna. Per quanto possa sembrarti strano, folle o semplicemente impossibile ti amo e non posso più fare finta di nulla: sto per esplodere… e tu non mi parli… è tremendo…» disse con fare confuso.

Anna non sapeva cosa dire: da Luca si aspettava tutte le parole del mondo tranne quelle due: Ti Amo… Ti Amo…

Luca abbassò la testa.

«Ho rovinato tutto…» sussurrò.

Rovinato tutto? Era questo quello che aveva fatto? No. Lui era riuscito dove lei aveva avuto paura di provare: aveva confessato ciò che provava…

«Non è vero» disse lei e, appena lui alzò la testa, sorpreso, lo baciò.

Un bacio lento, insicuro, improvvisato a cui lui rispose con altrettanti sentimenti. Poi, pian piano, cominciarono a rendersi conto di ciò che stavano facendo ed il bacio divenne più sicuro e voluto. E fu un’esplosione di emozioni che li travolse facendo perdere loro la concezione di tutto ciò che era al di fuori delle loro labbra.

 

E adesso non ci sei che tu

Soltanto tu e sempre tu

Che stai scoppiando dentro il cuore mio…

Ed io che cosa mai farei

Se adesso non ci fossi tu

Ad inventare questo amore…

(E tu – C. Baglioni)

 

Inventare. Era quella la parola giusta. Il loro amore era unico, nessuno dei due ci aveva sperato, per quanto entrambi lo desiderassero più di ogni altra cosa al mondo… perché in fondo lo avevano sempre saputo ed ora stavano inventando ciò che in quel momento era la cosa più bella della loro vita…

Si resero conto di quello che stavano facendo solo quando furono entrambi nudi sul letto, nella stanza di Anna. Nessuno dei due però era spaventato, timoroso o indeciso: tutto sembrava tanto semplice, naturale che non c’era bisogno di inutili parole. I loro occhi erano fin troppo eloquenti.

 

24/05 ore 20:00

Luca sospirò: sarebbero arrivati tra qualche ora e tutto si reggeva su un precario equilibrio ed una bella dose di fortuna. Non negava a se stesso che la paura lo attanagliava, che, se quell’uomo lo avesse visto prima del tempo, sarebbe morto. Ora si chiedeva perché era stato così cocciuto da non mandare Alessandro: almeno lui non avrebbe avuto questo problema.

Ormai non ha senso pensarci e poi…. Non sarei resistito un giorno aspettando notizie da Ale.

Si guardò intorno: nonostante fosse lontano riusciva a vedere le macchine dei suoi colleghi pronti all’azione.

24/05 ore 21:30

Ancora non si era fatto vedere nessuno ed il sole era ormai tramontato. Luca guardò la sua immagine riflessa nello specchietto della macchina. Non c’era che dire: avevano fatto un ottimo lavoro. I capelli, di media lunghezza, erano tinti di nero; la barba, appena accentuata, gli dava un aspetto un po’ trasandato, ma il top erano gli occhi marrone scuro, quasi neri. Solo chi lo conosceva bene  era in grado di riconoscerlo eppure il commissario aveva il gran timore che, se lo avesse visto, anche quell’uomo lo avrebbe riconosciuto. C’era qualcosa nei suoi occhi marroni che aveva trafitto Luca e per molto tempo aveva avuto fisso nella mente quello sguardo.

Respirò lentamente e cercò di ritrovare la calma: ormai doveva essere lì a minuti e lui doveva essere pronto.

24/05 ora 23:00

Erano tre ore ormai aspettavano, ma degli “uomini in nero”, così li avevano soprannominati, non si era vista neanche l’ombra.

Forse hanno capito tutto e non verranno pensò Luca.

Non ebbe neanche il tempo di finire quel pensiero che dei fari bianchi illuminano l’oscuro porto. Luca era appostato ai margini di questo pronto all’azione. Da lontano riuscì a distinguere almeno tre macchine nere che si fermarono davanti ad una delle imbarcazioni; ne scesero almeno sei uomini, tutti rigorosamente in nero, come delle ombre tanto che il commissario faticò molto per distinguerli. Le torce illuminarono il loro tragitto verso l’imbarcazione e lungo il ponte che li avrebbe portati all’interno. Quando furono entrati tutti il porto tornò nel suo oscuro sonno e tutt’intorno cadde un profondo silenzio. Non restava che aspettare.

25/05 ore 00:30

Le luci ricomparvero nel porto e con esso Luca sentì le grida dei colleghi e i primi colpi di pistola. Fin’ora aveva pensato solo al rischio che correva lui in quanto infiltrato; in quel momento però si rese conto di quanto anche gli altri stavano rischiando in quell’operazione: gli uomini in nero avevano già dimostrato la loro astuzia e la loro determinazione… Avrebbero potuto benissimo uccidere uno o più dei suoi uomini e lui non avrebbe potuto far nulla. Luca si chiese come avevano fatto gli altri commissari prima di lui a combattere con la costante paura di perdere qualcuno. Fu istintivo pensare a lei, ad Anna. Tutto era diventato ancora più bello dal giorno in cui si erano dichiarati ed ora gli sembrava di essersi svegliato da un sogno ed essere tornato nella dura realtà: la folle paura di non rivederla lo attanagliava da giorni, per quanto cercasse di non farlo notare. I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di due uomini in corsa.

Si entra in scena pensò mettendo in moto la macchina.

Accelerò in modo violento e mise l’automobile proprio di fronte ai due uomini in fuga.

«E mo questo che cazzo vuole?!» chiese spazientito uno dei due.

«Dura la vita, eh?!» chiese Luca con fare beffardo «Oops… la polizia» commentò poi sempre prendendo in giro e facendo finta di essersi appena accorto delle volanti e delle sirene.

«Levati di mezzo, goglione!» lo minacciò l’altro infuriato puntando la pistola contro Luca, che però non sembrò dargli peso.

«Mmh… incazzati… Posso fare di meglio che togliermi: salite!»

I due parvero rifletterci per alcuni istanti indecisi, mentre la polizia si avvicinava.

«Tic-tac, tic-tac, tic-tac» scandì il tempo Luca.

«Vai parti!» gli urlò uno dei due salendo; l’altro fece lo stesso e la macchina parti a tutto gas.

Luca accelerò mentre una strana adrenalina si impadroniva del suo corpo: sarebbero potute andare mille cose di traverso e con molta facilità non sarebbe arrivato vivo al covo, ma in quel momento l’unica cosa che riusciva a sentire era la follia di quell’operazione, la precarietà della situazione e la velocità con cui riusciva a sfrecciare per quelle strade isolate. Dietro di lui non molto lontane c’erano due volanti della polizia; il commissario era sicuro che nella prima ci fosse Anna.

«Sai dove andare? Quelli ci stanno dietro!» urlò preoccupato quello seduto al fianco di Luca.

«Per ora… tra qualche minuto ce ne saremmo liberati!» affermò il commissario.

L’inseguimento durò ancora per qualche minuto in cui Luca sembrò dare sfogo a tutta la sua capacità di guidatore: in poco le pattuglie furono seminate e gli inseguiti si fermarono in un vecchio parcheggio in disuso.

«Et voilà» disse con sguardo di chi la sa lunga Luca.

I due uomini si guardarono di nuovo in volto, Luca poteva vedere solo i loro occhi,: quelli azzurri dell’uomo che gli sedeva accanto e quelli castano chiari dell’uomo dietro. Quando erano saluti aveva temuto per un attimo che fosse lo stesso uomo che lo aveva sparato, ma i suoi occhi erano completamente differenti: più scuri, più freddi e… rassegnati…

Scosse la testa per non ripensarci: farlo gli provocava una strana inquietudine; si concentrò sui due uomini e sul futuro imminente.

«Decidete la mia morte??» chiese calmo e quasi sfottendo, mentre continuava a ripetersi che tutto sarebbe andato per il meglio e che era solo un gioco, che non rischiava veramente la vita; ma non ci credeva… come avrebbe potuto?

«No…»

«Sarebbe uno spreco…»

Luca li guardò: possibile che fosse così facile?

«Come ti chiami?» gli chiese quello dagli occhi azzurri.

«Emilio Rondello, 29 anni»

«E perché ti metti contro la polizia? Lo sai che non è una bella cosa?» gli chiese con tono superiore l’altro.

Luca fece una smorfia con il viso: aveva studiato così bene la parte di Emilio Rondelli che non c’era più bisogno neanche di concentrarsi perché tutto gli venisse bene.

«Semplicemente perché non sono uno stupido! So che standosene buoni non si ottiene nulla… e quelli sembrano sempre voler rovinare i tuoi piani»

«Ma di che parli?» gli domandò ancora quello con gli occhi azzurri, mentre l’ìatro scese dalla macchina e si allontanò con il cellulare in mano.

«Tre anni fa… avevo bisogno di soldi… ero sul lastrico… e così ho rapinato una banca. Non volevo far del male a nessuno, ma quelli come al solito non hanno capito un bel niente e mi hanno arrestato»

«Scarcerato o evaso?»

«Riduzione della pena»

«E non hai messo la testa a posto…»

«No… anzi… Questa sera ero per caso al porto ed ho notato un appostamento… poi voi siete usciti ed allora ho pensato “se questo non è un segno…”»

«Lo sai che hai una bella faccia tosta ragazzo?!» chiese quello al fianco di Luca «Entrare così in confidenza con dei criminali…» poi cacciò la pistola e la puntò a pochi centimetri dalla faccia di Luca.

Il commissario divenne serio, ma tentando di mantenere il sangue freddo. L’uomo caricò la pistola.

Cazzo… ha capito tutto? Rifletté, ma un secondo dopo l’altro uomo rientrò nella macchina e fece segno al compagno di abbassare l’arma.

«Emilio Rondello, 29 anni, genitori morti, lavoro precario perso tre anni fa poco prima di una rapina in banca. Arrestato e scarcerato 2 settimane fa per buona condotta» disse rapido come se avesse letto le informazioni su un foglio. L’altro sorrise.

«Ed io cosa avevo detto?» chiese Luca offeso.

«La prudenza non è mai troppa, amico mio» si scusò quello.

«Ed ora che ne facciamo di lui?»

«Come ho già detto, sarebbe uno spreco… ucciderlo… Metti in moto» ordinò.

Luca non se lo fece ripetere due volte: mise in moto e sfrecciò come su una pista di formula 1. C’era riuscito. Ora era dentro.

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                             ***

Lo spazio dell’autrice

 

Ok: prima di dire qualsiasi cosa ci tengo a specificare che questo capitolo è stato scritto almeno una settimana prima che cominciasse la 9° serie di Distretto… quindi tutto ciò che è successo tra Luca ed Anna… non credevo (anche se ci avevo sperato) che succedesse anche nella serie… Vi giuro che qnd ho ascoltato le parole di Luca (simili a quelle che gli ho ftt dire io in questo capitolo) ci sono rimasta di stucco!! O_O… Ma cmq… tralasciando qst cosa… che ve ne pare di questo capitolo… romantico?? Non sono molto brava a scrivere queste cose…ma vi giuro che mi ci sono messa d’impegno!!

 

Intanto ringrazio i miei angeli:

Uchiha_chan  Un tantino sadica?? Beh… si… forse solo un pochetto…^^Cmq: cosa te n’è parso di questo capitolo? Ha soddisfatto le tue aspettative? Spero proprio di si…Per quanto riguarda l’uomo in nero… ancora un po’ di pazienza… Un bacio! A presto!

Lyrapotter  Non preoccuparti! Sono felice che tu abbia recensito lo scorso capito… e grazie x i complimenti -^^-  si… sono un tantino sadica in questa ff (e non è ancora finita…) X i vari sviluppi romantici uno l’hai visto in questo capitolo (che te n’è parso??) gli atri… ancora qualche capitolo di attesa… a presto. Un grosso bacio!

Luna95  Addirittura evidenziato?? Non stai esagerando O_O Felice di averti tenuto con la testa incollata al monitor… sono davvero felicissima! Cosa te n’è parso di questo capitolo???? Spero che ti sia piaciuto!! Un bacio… alla prossima!!

Tinta87  Scusa per il quasi infarto ^^’’’ ma la verità è che adoro queste scene di suspance e pericolo!! Se piacciono anche a te allora ho ancora qualche asso nella manica!! Cosa te n’è parso di questo capitolo?? Spero che ti sia piaciuto! Alla prossima. Un grosso bacio!

Dani85  Sì… l’ho notato anch’io… li ho messi un po’ in difficoltà tutti e le cose non sono ancora concluse!! Beh… credo che tu ti sia resa conto di chi si infiltrerà… e piaciuta la scelta?? Spero di sì… un grosso bacio e alla prossima!!

 

Nel prossimo capitolo intitolato SOGGETTO 75832 ALIAS MARCO (emh… lo so… è un po’ strano come capitolo… ma capirete) vedrete cosa succede all’interno dell’organizzazione degli uomini in nero… e… sarò un po’ cattivella con tutti voi lettori… ma non abbandonatemi d’accordo?? Un grosso bacio ed un grazie anche a tutti i silenziosi lettori! Mi raccomando continuate a leggere e recensire!

La vostra affezionatissima Alchimista!

 

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Capitolo 6
*** Soggetto 75832 alias Marco ***


CAPITOLO 6°_ SOGGETTO 75832 ALIAS MARCO

 

Il rumore della porta della cella che si chiudeva è un sollievo più grande di quello che immagina.

Maledizione pensa stava andando tutto così bene! Perché lo hanno fatto entrare?

E continua a maledire quel ragazzo e quello che sta succedendo anche se sa che l’unica cosa ad essere realmente maledetta è la sua vita… che ormai gira perennemente nel senso sbagliato.

Non ti azzardare a sperare che qualcosa cambi! Non provare neanche a farlo! Si minaccia, ma il suo cuore, che sempre anche allora, ha già fatto ciò che Hector gli vieta per quanto una nuova delusione potrebbe essergli fatale. Sospira e si guarda allo specchio per ricomporsi: nei suoi occhi scuri, ora, ci sono solo paura ed una profonda tristezza… vorrebbe provare a ritrovare la sua consueta tristezza, ma sa che ora è impossibile. Si stende sul letto provando ad addormentarsi e sperando che una bella dormita riesca a calmarlo. Deve resistere… almeno ancora un po’…

 

Anna è davanti ad una chiesa: sa di conoscerla bene, ma in quel momento non ricorda proprio come si chiami. Il sole è accecante e l’aria è afosa. Anna ha caldo e si toglie la giacca che scopre essere nera. Ma a cosa stavo pensando stamattina quando mi sono vestita? si chiede già c’è un’afa tremenda, poi mi vesto di nero… Si guarda intorno cercando di ricordare perché sia lì… ma proprio non le viene in mente. Per le strade non c’è nessuno mentre dalla chiesa comincia ad arrivare il suono di un organo. È stranamente attraente: suscita rispetto e curiosità allo stesso tempo e prima di rendersene conto Anna è entrata in chiesa. Le navate sono completamente vuote così come le panche: Anna è sola e la musica dell’organo sembra provenire da ogni parte. Si guarda intorno come in trance senza guardare davvero ciò che vede quando qualcosa colpisce a cattura la sua attenzione: c’è una bara davanti all’altare, di legno scuro, probabilmente mogano.  Ancora una volta i piedi si muovono prima che lei se ne renda conto e in pochi attimi riesca a sfiorare il liscio legno; il cuore comincia a batterle forte, ma ha paura di alzare la testa e scoprire il resto. A testa bassa comincia a girare intorno alla bara lasciando che le dita continuino a sfiorare il legno finché chiudendo gli occhi, non tocca le lettere in risalto sulla bara. Il suo cuore perde un colpo ed apre subito gli occhi per vedere se ciò che ha pensato è vero.

 

Luca Benvenuto

N. 8 7 1976      M. 26 6 2009

 

Le mancò il fiato. No: non è possibile! Luca non può essere morto! Le aveva promesso che sarebbe tornato, che sarebbero stati insieme: sicuramente quella bara è falsa… hanno sbagliato nome. Eppure la sua mente comincia a collegare le piccole cose strane che aveva notato fuori di lì: il suo vestito nero in un giorno tanto caldo… il fatto che per strada non ci fosse nessuno.

«Allora è tutto vero» sospira lasciandosi cadere sulle ginocchia, mentre le prime lacrime scendono sul suo volto sciogliendo la matita che aveva sempre odiato ,mettere.

«Tu non ne hai mai avuto bisogno…» gli sussurra una voce.

Anna alza la testa fiduciosa di rivedere i suoi occhi verdi… ma è sola ed il freddo la avvolge mentre all’esterno il sole ha lasciato posto alle nuvole. Luca ormai era andato via per sempre…

 

Anna diede un urlo straziante svegliandosi di soprassalto e in un attimo Elena fu sul bordo del suo letto. Gli occhi castani erano sgranati nel tentativo di vedere qualcosa che, pian piano si rese conto essere un sogno.

«Anna calmati: è tutto a posto… hai fatto solo un brutto sogno…» la rassicurò la collega.

Da quando Luca era andato in missione ad Anna capitava spesso di sognare la sua morte: il fatto peggiore era che ogni volta che accadeva era sicura che fosse la realtà e la paura ed il dolore la attanagliavano fino a farla soffocare. Quella sera non se l’era sentita proprio di stare a casa da sola ed aveva chiesto ad Elena se poteva ospitarla.

«Ormai Luca è partito da due mesi…Ho paura di non vederlo mai più» confessò alla collega.

«Devi avere fiducia in lui: Luca non è uno sprovveduto, sa perfettamente quello che fa»

«Ma io ho fiducia in lui… eppure…»

«La tua paura è più forte… è normale Anna… su vieni qui!»

Le due colleghe si abbracciarono mentre sorgeva l’alba.

 

«Ora basta! Ne ho abbastanza!»

«Marco… Marco… calmati!»

«Niente affatto!» esclamò Luca «Sono due mesi che sono entrati in quest’organizzazione ed ancora nessuno si fida di me!»

«E questo cosa te lo fa pensare?»

«Mmh… forse la microspia che avete piazzato nella mia automobile? O il GPS con cui monitorate ogni mio spostamento? Ah… sì ci sono: le tre guardie del corpo che mi “seguono” praticamente ovunque!» esclamò indignato.

«Impressionante!» fece Alan, uno dei capi dell’organizzazione «E dimmi quando ti saresti accorto di tutto questo?» chiese sinceramente interessato.

«Più o meno la prima settimana» lo informò orgoglioso Luca e l’atro annuì sicuro di non essersi sbagliato sul suo conto.

«Bene… quand’è così… signori: da oggi nessuno seguirà più Marco… ha superato i mesi di esame»

Luca tirò un sospiro di sollievo: quando gli avevano dato l’ok per entrare nell’organizzazione credeva che non avrebbe avuto nessun problema invece era stato un continuo stare attenti a dove andare e cosa fare e per ora non era ancora riuscito a comunicare con il distretto. Ma ora le cose sembravano essere sul punto di cambiare. Ormai il suo nome era 75832 – codice stampato sulla fascia di riconoscimento –  alias Marco ed indossava sempre un passamontagna nero così come il resto dei membri dell’organizzazione in modo da non poter identificare i compagni in caso di cattura. Era riuscito ad impressionare uno dei più alti in grado dell’organizzazione grazie al suo carattere basato sulla schiettezza e la furbizia ed ora sapeva molte cose su di essa. Avevano sede in un vecchio monastero abbandonato ed “ufficialmente” pericolante in aperta campagna, un luogo isolato in cui nessuno avrebbe avuto l’idea di fare un picnic; l’organizzazione era divisa a seconda dei gradi e dell’importanza dei membri. I nuovi avevano una sottile fascia bordò sulla spalla sinistra; quelli che, pur essendo arrivati da poco, avevano guadagnato fiducia e rispetto, come lui ora, portavano una fascia rossa; quelli presenti già da tempo e a cui erano affidate missioni di media importanza avevano il colore arancio e quelli più vicini ai capi e che, a loro volta, poteva essere considerati tali in assenza dei primi avevano il giallo: Luca aveva avuto la fortuna di “salvare” uno di loro, Davide, durante l’appostamento e gli era servita la sua garanzia per entrare. Un caso a parte erano i capi, quelli che avevano dato vita all’organizzazione e che ne guidavano l’operato. Loro, a detta di Davide, avevano una fascia bianca e si poteva vederli solo raramente e soprattutto alla vigilia di una missione importante. Hector era di fascia gialla. Quando era arrivato, si era creduto spacciato: solo pochi, tra quelli più alti in grado, avevano il diritto di conoscere i volti dei nuovi arrivati ed Hector aveva visto il suo. Nonostante lo avesse visto una sola volta e quelle poche immagini fossero ancora ora molto confuse, lo aveva riconosciuto: i suoi occhi scuri e gelidi gli erano ormai familiari e per quanto fosse fisicamente cambiato da quel giorno, Luca avrebbe giurato che anche Hector lo aveva riconosciuto perché un lampo di paura e consapevolezza era passato nei suoi occhi prima che tornassero normali. Forse però erano solo paranoie perché da quel giorno erano passati circa due mesi e lui era ancora lì, vivo e vegeto ed Hector non aveva mai provato ad avvicinarlo o a parlargli né lo aveva mai seguito per ordine di Davide o altri.

Lui era uno di quelli che non aveva nulla da perdere, Luca lo sapeva. Quando era arrivato Davide aveva classificato gli uomini dell’organizzazione in tre gruppi: quelli che semplicemente volevano godersi la vita; quelli che non avevano nulla da perdere e quelli che invece avevano fin troppo da perdere. Poi aveva chiesto a Luca in quale gruppo avrebbe dovuto collocarlo.

«Beh… potrei dirti il primo, ma commetterei un pericoloso errore visto che i primi sono i più pericolosi: vogliono godersi la vita, perciò quando le cose cominceranno a girare nel senso sbagliato saranno i primi a parlare; i secondi hai detto che non hanno nulla da perdere, ma sono più che sicuro che quando arriverà il momento si ricorderanno di avere ancora una vita… e molleranno; gli ultimi potrebbero sembrare i più inastabili ma, a mio avviso, sono gli unici di cui ci si possa fidare: se hanno qualcosa da perdere… qualcosa che non faccia parte di loro, ma li riguardi da vicino, come una moglie o dei figli non ti lasceranno. Resisteranno a tutto per loro. Per me quindi sarebbe più salutare collocarmi in quest’ultimo gruppo, ma ti starei dicendo una poco gradita bugia…» aveva  concluso con un sorrisetto compiaciuto. Davide lo aveva guardato positivamente sorpreso: Luca gli aveva fatto davvero un’ottima impressione.

Sospirò: credeva che sarebbe stato molto più facile di quello che in realtà si stava dimostrando. Essere un’altra persona 24 ore su 24 era faticoso… stressante. I pochi momenti di relativa pace riusciva a conquistarli nella sua cella, quando si stendeva sul letto e dava libero sfogo ai suoi pensieri. Ormai aveva scoperto molte delle operazioni illecite fatte dagli uomini in nero: acquistavano droga da fornitori locali poco distanti da Roma; la vendevano a gruppi mafiosi del Sud Italia e ne tenevano una parte per i traffici locali gestiti da gruppi distaccati e dotati di una certa autonomia. Era in questo che si era invischiato il signor Albino ed era stato ucciso perché aveva provato a mettersi in proprio e a rivendere la droga, che aveva acquistato “a scopi personali”, creando un suo personale giro d’affari: sperava di uscire presto da tutto quello e di riuscire a guadagnare quel poco che gli serviva per andare via con la moglie. Ma gli uomini in nero non avevano gradito molto i suoi piani. Quando Antonio, uno dell’organizzazione di un grado più alto di Luca, gli aveva raccontato la cosa aveva anche fatto notare che Albino, pur facendo parte del terzo gruppo, li aveva traditi; ma senza scomporsi, Luca aveva risposto che per lui il discorso non valeva, era un collegamento esterno e di quelli non c’è mai certezza. Aveva spiazzato di nuovo tutti e la fiducia in lui era aumentata.

Allo stesso tempo avevano dato vita ad un traffico di donne inizialmente provenienti dall’Est. Poi negli ultimi avevano avuto un calo di arrivi che erano stati costretti a compensare con rapimenti locali. Le donne erano destinate a ricchi possidenti o agli stessi mafiosi.

Luca riusciva facilmente a passarci su quando si parlava di droga, ma se la discussione deviava sulle donne che dovevano arrivare o quelle che qualche Boss aveva scelto faceva molta fatica a restare calmo e a scherzarci su come facevano gli altri. Una volta gli era capitato di vederne due che erano appena arrivate: non avrebbe mai dimenticato quegli occhi la paura perché non capivano cosa stava accadendo e la rassegnazione perché sapevano che in ogni caso non avrebbero potuto fare nulla. Una sera si era, senza ben sapere come, avvicinato al lato del vecchio convento dove erano tenute le ragazze; questo, pur non essendo esplicitamente vietato a quelli più bassi in grado, non era frequentato che da quelli di fascia gialla e raramente qualcuno di fascia arancio. Il pianto di una delle ragazze era giunto alle sue orecchie: disperato, rassegnato o forse semplicemente stanco e Luca aveva provato il fosse istinto do correre verso la cella della ragazza, rompere la serratura e liberarla. Riuscì a trattenersi solo grazie al suo buon senso che al momento giusto gli aveva ricordato che liberandola non avrebbe fatto altro che compromettere la sua missione e causare la morte di entrambi. Strinse i pugni finché le nocche non divennero bianche e corse il più in fretta possibile per chiudersi “al sicuro” nella sua cella. Doveva andare avanti ancora un po’… e poi finché erano lì quelle ragazze sarebbero rimaste in vita.

 

«Marco?» chiamò Andrea schioccando le dita «Sei con noi?»

Luca si destò dai suoi pensieri e scosse la testa più volte per riprendersi.

«Cosa dicevamo?» chiese ancora un po’ frastornato.

«Nulla più… Ma ti eri imbambolato…» spiegò il ragazzo, di qualche anno più giovane di Luca.

«Si… scusa… riflettevo…» sorrise.

«Beh… noi dobbiamo andare» lo informò il giovane «Ci aspetta una missione!» annunciò poi con fierezza: sarebbe stata la prima a cui partecipava.

«Missione?» chiese Luca sorpreso: non ne sapeva nulla.

«Sì» confermò lui «Una rapina alla banca in via Toleto»

Luca rabbrividì: voleva avvertire qualcuno, ma non sapeva come fare per non dare nell’occhio. Andrea si avviò con altri due e Luca andò ancora scosso in camera sua. Si distese sul letto e si mise le mani nei capelli alla disperata ricerca di una soluzione. Senza alcun preavviso le immagini della morte di Irene gli tornarono alla mente tanto vivide che avrebbe potuto giurare di essere tornato in dietro nel tempo fino a quella maledetta mattina. Si strinse le braccia intorno al petto cacciando indietro un grido di dolore: faceva ancora male… troppo male per poterci pensare e in un attimo la folle paura che in quella rapina avrebbe potuto perdere qualcuno gli fece mancare il fiato. Pensò ad Anna che passava spesso per quella via o ad Elena che abitava lì vicino; ma si sarebbero potuti trovare lì anche Ale o Raff e lui non avrebbe potuto fare nulla.

Si alzò di scatto, pallido ed uscì dalla stanza: avevano progettato un piano nel caso in cui avesse dovuto comunicare qualcosa al distretto, doveva trovare una cabina telefonica in alla periferia di Roma e chiamare un particolare numero. Trovò Davide poco lontano in una delle sale di ritrovo.

«Davide: ho bisogno di uscire. Posso?» chiese veloce: per quanto fosse irritante farlo doveva attenersi alle regole, non aveva alcun bisogno di cattiva pubblicità, soprattutto in quel momento.

L’uomo lo guardò in volto spaventato dall’espressione sconvolta e dal pallore.

«C’è qualche problema?» chiese con una nota di preoccupazione nella voce.

«Nessuno» lo rassicurò quello «Solo… ho bisogno di un po’ d’aria» e in effetti era vero…

«Beh… certo esci: qui non sei in carcere… se ci sono problemi chiama!» raccomandò.

Luca annuì rapido ed uscì. Se solo avesse potuto chiamare con il cellulare che aveva! Ma sicuramente era controllato… ed anche in caso contrario era fin troppo pericoloso rischiare così palesemente di buttare tutto a mare. Salì in macchina e sfrecciò via: sentiva l’ansia crescere man mano che si allontanava dal vecchio convento. Sarebbe potuto essere già troppo tardi, poteva essere già morto qualcuno e lui era ancora lontano dalla cabina telefonica. Era stato uno stupido, semplicemente uno stupido a proporsi per quella missione: era troppo inesperto, troppo emotivo… Chiunque al suo posto avrebbe saputo cosa fare in quella situazione, con calma e sangue freddo; chiunque tranne lui.

Cosa ti aspettavi? Si chiese Che ti avrebbero dato qualche giorno di anticipo? Che sarebbero venuti da te a dirti i prossimi colpi così da poter avvisare il commissariato? Che stupido,,, che stupido!

Accelerò di impulso e senza rendersene conto superò facilmente i 100 Km/h; più la velocità aumentava più il respiro si faceva pesante finché Luca si rese conto di aver superato i 150 e di non riuscire più a respirare: per poco non superò la cabina. Frenò di scatto e se non fosse stato per la cintura di sicurezza sarebbe sbattuto con la testa contro il volante. Quando arrivò davanti alla cabina gli sembrava che fosse passata un’eternità invece di pochi minuti. Compose nervosamente il numero telefonico; dopo tre squilli qualcuno alzò la cornetta senza però dire nulla.

«Ci sarò una rapina in via Toleto… alla banca» disse Luca sicuro che ci fosse qualcuno all’ascolto «Forse è già troppo tardi… dovete fare presto!»

Quello dall’altra parte attaccò il telefono senza rispondere e Luca tirò un sospiro di sollievo. Ora doveva tornare al convento, dire a Davide che era tutto a posto e continuare la sua pericolosa recitazione: il giorno seguente avrebbe visto sui giornali cosa era successo: ora tutto quello che poteva fare lo aveva fatto.

«Con chi parlavi?»

Quella voce fece sussultare Luca che trattenne il fiato alla vana ricerca di una buona scusa. Inutile. Si voltò lento e vide lo scintillio argenteo della pistola puntata contro il suo letto.

«Ti ho chiesto con chi parlavi!» ripeté Hector con i suoi glaciali occhi.

«Con la mia ragazza» disse con quanta più calma possibile.

«Da un telefono pubblico, nella periferia di Roma?» chiese quello scettico.

«Perché è un reato?»

«No… solo sospetto… poliziotto»

A quelle parole Luca sbiancò e si sentì mancare la terra sotto i piedi. Lo aveva scoperto: Hector sapeva tutto! Pensandoci bene però si scoprì a non esserne affatto sorpreso: in fondo lo aveva capito dall’inizio che quell’uomo sapeva qualcosa… il suo sguardo consapevole non gli aveva lasciato molti dubbi anche se aveva provato adirsi che erano solo paranoie.

«A chi hai detto che ci sarà una rapina?!» chiese Hector con tono minaccioso.

«A nessuno! A chi vuoi che l’abbia detto?» si difese Luca: se avesse confessato che lavorava per il X gli uomini in nero non avrebbero esitato a fare una strage al distretto.

«Non dire cazzate!» gli urlò l’uomo «Ti ho visto parlare a telefono! Dimmi chi c’era dall’altra parte della cornetta!»

Luca rimase in silenzio deciso a non parlare. Hector continuò a fissarlo per alcuni interminabili secondo, poi si mosse.

«Visto che non vuoi parlare… Avanti: sali in macchina! Andiamo a fare un bel giretto!» e spinse Luca nell’abitacolo della vettura.

«Metti in moto e vai verso Nord» gli ordinò salendo nel posto alla destra del guidatore.

Luca fece come gli era stato ordinato e in poco tempo intorno a loro c’era solo campagna. Luca sudava freddo, il cuore gli batteva a mille.

Fantastico! pensò Non solo non sono stato in grado di avvertire in tempo i colleghi, ma mi sono anche fatto beccare! Cazzo! Non potevo far attenzione a se qualcuno mi seguiva? Che stupido! Mi sono fidato della parola di Davide senza neanche controllare… ed ora… devo trovare una soluzione alla svelta!

«Svolta a destra!» gli disse secco Hector e Luca sterzò brusco, poi approfittando dell’attimo di sorpresa per il suo gesto aprì la porta e si gettò dalla vettura nella scarpata a lato della strada. Ruzzolò per alcuni metri e sentì una fitta di dolore al braccio: qualcosa lo aveva ferito. Si rialzò e cominciò a correre veloce per il campo: era un bersaglio fin troppo facile, non c’era nulla da usare come nascondiglio; doveva raggiungere il bosco il prima possibile e forse avrebbe avuto una possibilità di salvarsi anche se ormai la missione era andata. Il primo proiettile lo mancò di qualche centimetro e Luca cominciò a correre più veloce che poteva: la ferita al braccio gli bruciava da impazzire, cominciava a vedere sfocato mentre altri colpi di pistola lo mancavano solo di pochi centimetri, quasi come se Hector si stesse divertendo a non colpirlo di proposito per prolungare  quell’inferno. Quando il commissario riuscì a toccare la corteccia di un albero non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, ma l’ennesimo proiettile lo riportò con i piedi per terra e i due ripresero la loro folle corsa. Luca era allo stremo: andava avanti senza guardare, solo per inerzia, mentre le distanze tra lui ed Hector si riducevano ed ormai sentiva il fiato della morte sul collo. Inciampò e cadde con la faccia sulla dura terra. Ormai era la fine: lo sentiva. Delle assurde lacrime premevano sui suoi occhi. Perché piangere? Perché in quel momento? Per dare un’altra soddisfazione ad Hector? No… erano semplicemente i ricordi di una vita o quelli che sarebbero potuti diventare tali se fosse sopravvissuto: rivide Anna, bella come sempre, in una delle tante cene fatte insieme e la mente provò ad immaginare come sarebbe stato vivere con lei animato da quel sentimento scoperto da poco. Tutto il suo futuro gli stava sfuggendo inesorabilmente dalle dita quando sentì la voce di Hector che gli ordinava di alzarsi. Fece tutto meccanicamente: ormai la testa non rifletteva più, era solo intenta a ricordare ed immaginare.

Sentì uno strano freddo invaderlo: ormai non gli faceva più male neanche la ferita al braccio.

Se è questo quello che si prova nel morire rifletté allora non è così male.

Hector caricò la pistola.

«Fine della corsa» annunciò con una strana e malcelata enfasi «Addio»

Luca sospirò lento e chiuse gli occhi: il suo ultimo pensiero fu per Anna.

Ti Amo.

 

 

 

 

 

 

Lo spazio dell’autrice

 

Ecco… so che in questo momento vorreste uccidermi per come ho concluso questo (orrendo) capitolo, ma vi pregherei di non farlo, anche perche se io muoio chi continua questa fan fiction? Quindi… tenete a bada i nervi ancora un po’ ve ne prego…

 

Intanto ringrazio i miei angioletti recensori… con la speranza che rimangano tali…

Uchiha_chan  Felice che la scena romantica tra Luca ed Anna ti sia piaciuta… nutrivo davvero forti dubbi, come del resto in tutti i capitoli… e per l’infiltraggio… spero non ti sia dispiaciuto… Emh… che ne pensi di questo capitolo? So di essere stata un po’ cattiva, ma era mettere suspense… Beh, alla prossima, un bacio.

Tinta87  Sono contenta che non sia stata troppo romantica la scena tra Luca ed Anna e per quanto riguarda la linea gialla e ciò che ho in mente… l’avrai notato, no, che non sono molto normale… ma anche a me piace molto l’azione ed il rischio e quindi… eccone il risultato… Che te ne pare?? Un bacio.

Valentina78   Mille grazie per i tuoi complimenti -^^- Allora? Appagata un po’ della tua grande curiosità?? Dicevi che non avevo nulla di buono in mente, eh? Beh… da quanto hai potuto leggere in questo capitolo… ci hai azzeccato… Cmq non perdere la fiducia!! Un bacio.

Lyrapotter  -^^- Ti sono piaciuti davvero i cari piccioncini?? Mi sento realizzata!! Beh… io sono riuscita a farli mettere insieme, ma la serie… si sta facendo troppi problemi!! ç___ç Cmq… tornando a noi, ho pensato che Raffaele, per quanto potesse aver amato Anna, o, forse proprio per questo, voleva x lei il meglio… e dunque abbia spronato Luca a parlarle... e poi davvero non sono riuscita resistere all’immagine di Raffaele/Cupido… Cosa te n’è parso di qst capitolo?? Un bacio…

Luna95  Tu ripetitiva?? O_O Scherzi forse?? Non farti assurdi problemi!! Sono felice che il pezzo romantico non abbia suscitato alcun fastidio… e qst capitolo? Cosate ne pare?? Un bacio grande!

Dani85   Addirittura un tappeto rosso?? O_O non ti pare di esagerare?? Hihihi cmq sono felice che il rapporto tra Luca ed Anna abbia suscitato tanto successo… non ci speravo! E per quanto riguarda il caro commissario infiltrato… cosa ne pensi del chappy?? Per quanto riguarda Hector… non posso dire nulla lo sai! (perché continui a provocare…. *soffre* ) Cmq la curiosità durerà ancora poco… il prossimo è il decisivo! Qnd alla prossima, un bacio.

 

Mi sono appena resa conto di non aver ringraziato quelli che hanno messo la storia tra le preferite e le seguite quindi lo faccio ora. ^^

Thanks per aver messo la storia tra le preferite a:

Buffy86
Dani85
Mary899
SHUN DI ANDROMEDA
tinta87
Valentina78

E per averla inserita tra le seguite a:

Dani85
Luna Viola
Lyrapotter
Uchiha_chan 

 

Il diavoletto sulla mia spalla sinistra mi sta suggerendo di lasciare così la storia… ma non preoccupatevi gli ho già dato un bel calcio ed ora è dolorante a terra! (*pazza consapevole di esserlo*) Quindi… il prossimo capitolo, intitolato SOGETTO 67259 ALIAS HECTOR (sì ci ho preso gusto con questi titoli…) spiegherà fila molte tutto quello che volevate sapere sul caro uomo in nero… e ho una tremenda paura di deludervi tutti!! Quindi… corro a scrivere ringraziano come sempre tutti coloro che hanno letto e invitandovi a non lasciarmi!! Un grosso bacio a tutti.

La vostra (non so quanto cara) Alchimista! ^^

 

 

         

 

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Capitolo 7
*** Soggetto 67259 alias Hector ***


CAPITOLO 7°_ SOGGETTO 67259 ALIAS HECTOR

 

Ha mai creduto nel destino l’uomo in nero? Ha mai creduto in un futuro Hector? Non lo ricorda. Forse sì: c’è stato un tempo in cui, come chiunque altro, anche lui aveva avuto un futuro che fosse il suo e che potesse determinare con le sue scelte. Ma ora… non crede più che tutto ciò possa coinvolgerlo o interessarlo, o meglio, lo credeva prima di quel momento. Perché forse un Dio esiste e posando il suo sguardo su quello sciagurato mondo si è accorto di lui. Sennò come altro spiegare tutto quello che sta accadendo? Un sorriso. Da quanto tempo non sorride davvero? Non lo ricorda: sono molte le cose che non ricorda e si accorge che questo non lo fa affatto sentire meglio come si era sempre illuso che fosse; anzi fa male, male davvero. Annullarsi in fondo non è quello che vuole realmente e per capirlo Dio doveva mandargli quell’ancora di salvezza…

Il cuore esulta di gioia: in fondo è quello in cui ha sempre sperato ed il tempismo è stato perfetto, semplicemente perfetto. Sorride ancora. Due volte in pochissimo tempo: un record. Allora qualcosa è cambiato davvero! Si sente vivo… eppure negli occhi verdi della sua ancora di salvezza c’è la morte.

Naturale si dice Lui non sa.

E di nuovo un sorriso: era stato uno stronzo… ma ora è uno stronzo felice, felice per davvero.

 

Luca si accasciò a terra lento come se tutta la scena fosse sotto l’effetto del rallentatore e non fece rumore come se anziché perdere i sensi si fosse semplicemente addormentato. Hector spalancò gli occhi sorpreso: il ragazzo si era accasciato a terra prima che lui potesse sparare un colpo e non capiva il perché.

«Luca?!» chiamò preoccupato «Luca che ti prende?!»

Lo girò lentamente e con delicatezza prima di lato e poi con il volto rivolto verso il cielo e si rese conto che un grosso pezzo di vetro, probabilmente una bottiglia di birra, gli si era conficcato nel braccio.

«Accidenti!» esclamò «Possibile che tu riesca sempre a farti male?»

Si torse il passamontagna, poi strappò la maglietta di Luca all’altezza della ferita ed estrasse con mano ferma ed esperta il grosso pezzo verde conficcato nel braccio. Sentì un debole lamento da parte de ragazzo, segno che era ancora vivo; poi prese il passamontagna e provò a fermare l’emorragia.

Luca non capiva quello che stava accadendo, tutto era talmente strano: perché Hector lo stava aiutando? Perché era ancora vivo? Aprì gli occhi quel tanto che bastava per scorgere l’uomo: il sole lo accecava. Il suo cuore, già messo a dura prova, perse un colpo: no, non poteva essere lui… era semplicemente impossibile… stava delirando, la morte gli stava giocando un brutto scherzo.

La testa gli girò all’improvviso e si sentì così male da chiudere violentemente gli occhi e perdere in breve tempo i sensi.

Hector impallidì: la cosa era più grave di quanto sembrasse. Aveva paura: impressionante come tutto in una volta, avesse ritrovato la capacità di provare forti emozioni, se ne sentiva quasi sopraffatto. Prese Luca in braccio accorgendosi di quanto fosse leggero e lo adagiò sui sedili posteriori della macchina; poi mise in moto: non sapeva dove andare, ma ciò di cui era certo era che non potevano rimanere lì.

Quando Luca riuscì a riaprire gli occhi non aveva la più pallida idea di dove fosse: vedeva sopra di lui qualcosa di scuro che, concentrandosi, scoprì essere il tettuccio della sua macchina. Voltando lentamente la testa si accorse che al posto di guida c’era Hector libero dal classico passamontagna degli uomini in nero. Riusciva a scorgere i suoi corti capelli scuri ed il suo viso rotondo, aveva un espressione seria e preoccupata, come di chi non è sicuro al cento per cento di quello che sta per fare. Le ultime immagini che ricordava erano confuse eppure il volto di Hector era tanto chiaro quanto assurdo. Chiuse gli occhi per provare a fare un po’ di ordine nella sua testa, ma quello che ottenne fu solo l’aumentare della confusione. Avrebbe chiarito tutto in un secondo momento: ora doveva solo allontanarsi il più possibile da quell’uomo.

Provò ad alzarsi senza farsi vedere: la spalla gli doleva molto, ma doveva raggiungere la portiera della vettura pere uscire. Con uno slancio che gli costò una dolorosa fitta alla spalla si lanciò fuori dalla macchina.

«Ma allora è un’abitudine!» esclamò Hector spazientito prima di accostare e seguire a piedi il fuggitivo.

Non gli ci vollero più di dieci minuti per prenderlo: Luca era stremato e più che fermarlo l’uomo lo prese al volo prima che si accasciasse di nuovo a terra.

«Ora stammi bene a sentire!» gli urlò mentre lo riportava in macchina «Se avessi voluto farti del male ora non saresti qui! Quindi fammi la cortesia di non buttarti fuori dalla macchina ogni volta che riprendi conoscenza, d’accordo?!»

Luca annuì con quel poco di forza che gli rimaneva e l’ultima cosa che sentì fu il morbido dei sedili posteriori contro la sua schiena.

 

C’è solo bianco intorno a lui. Luca vede bianco a perdita d’occhio e lentamente perde la concezione delle dimensioni: gli sembra di fluttuare nell’aria. Prova a muoversi senza sapere se ha successo, ma stranamente tutto ciò non lo sorprende: è come se fosse normale muoversi in quel modo e con quell’incertezza. Dopo poco il bianco comincia lentamente a cambiare dissolvendosi come nebbia e Luca vede davanti a se una grande distesa verde: man mano che la nebbia si dilata il commissario comincia a distinguere vari particolari in quel prato verde e avvicinandosi scopre tante lapidi color crema con su incisi vari nomi in nero. Il giovane non ne è sorpreso o turbato: è come se, adesso che lo ha scoperto, abbia sempre saputo di trovarsi in un enorme cimitero.

Comincia a camminare, incerto sulla strada da prendere; sfila attraverso le lapidi distinguendo i vari nomi incisi in marmo nero: alcuni li conosce, gli suonano familiari e sforzandosi riesce a collegarli anche a dei volti, ma tutti i ricordi sono stranamente offuscati e anche lui si sente stanco, non ha voglia di riflettere; altri nomi, invece, non gli dicono proprio nulla, stranieri, inesistenti finché non li ha letti e comunque, anche allora, destinati all’oblio. Strani brividi gli attraversano la schiena: ad un tratto ha paura di poter scorgere anche il suo nome tra quelli.

È assurdo  pensa subito, sorridendo Se sono qui e sto guardando tutto ciò… non posso essere… morto…

Ma stranamente quella verità assoluta non lo tranquillizza. Continua a camminare con passo sempre più lento e stanco, fino a giungere ad una lapide dietro la quale c’è un grosso albero probabilmente centenario. Il marmo della lapide attira la sua attenzione: nonostante ci fossero diversi mazzi di fiori sulla tomba, a differenza degli altre, nessuno nome spezzava la morbida e candida armonia del bianco della lapide. Luca rimane a guardare stranamente interessato quell’insolito spettacolo: qualcosa lo attira, anche se non sa cosa sia; sente di conoscere il nome mancante sulla lapide, ma in quel preciso istante proprio non gli viene in mente.

«Luca…? Luca…»

Una voce scuote il commissario dal suo ragionamento. Si volta in cerca dell’uomo che lo ha chiamato, perché si tratta della voce di un uomo, ma non vede nessuno: è completamente solo mentre la piana verde sembra ingrandirsi e lui si rimpicciolisce sempre più.  

«Luca…? Luca… Apri gli occhi, su… Luca…»

Ancora quella voce che, con una nota preoccupata nel suono, lo chiama ed ora gli sembra così famigliare… Posa di nuovo il suo sguardo sulla lapide senza nome.

Aspetta pensa aspetta ancora un attimo: io conosco il nome che manca… so di conoscerlo… e anche la tua voce…

Ma ad un tratto ogni colore scompare e tutto ciò che lo avvolge è buio, oblio.

 

Il commissario riaprì stanco gli occhi verdi: la ferita al braccio non gli faceva più così male e sfiorandola si accorse che era fasciata. Provò ad alzarsi e con difficoltà uscì dalla macchina che, con tutti i disinfettanti e le bende che la decoravano, sembrava un’ambulanza improvvisata.

Hector era poco distante, fermo vicino al guard-rail con lo sguardo perso nel vuoto ed il volto scoperto. A Luca girò la testa: era ormai la terza volta che riusciva a guardarlo in volto e se la prima volta aveva potuto credere che fosse una semplice allucinazione e la seconda si era cominciato a fare qualche assurda domanda, ora non poteva più avere dubbi.

Con lentezza gli si avvicinò consapevole del fatto che lo aveva sentito; quando fu a pochi centimetri di distanza fece un profondo respiro e allungando la mano, gli sfiorò la spalla con il timore che i colori sarebbero scappati via lasciandolo nel buio proprio com’era accaduto nel sogno di poco prima. Il contatto gli provocò più e più forti emozioni di quelle che di aspettava: fu strano, triste, irreale e assurdamente felice. In un attimo capì ogni cosa: ora sapeva qual era il nome mancante sulla lapide bianca.

«Mauro…» sussurrò

L’uomo aprì gli occhi e li fece scivolare in quelli verdi di Luca. Il viso era un po’ scarno, ma comunque rotondo, i capelli più o meno della stessa lunghezza dell’ultima volta che lo aveva visto; solo gli occhi, dello stesso marrone cioccolato di un tempo, erano diversi: più seri, duri… innaturali., come quelli di un ragazzino cresciuto troppo in fretta. Luca era sicuro che avessero visto cose terribili.

«Va meglio?» chiese e Luca si domandò come avesse fatto a non riconoscere prima quella voce.

Annuì incapace di proferire parola: mille diverse domande gli rimbombavano nella mente, ma non era in grado di dare concretezza a nessuna di esse.

«Co…co… come…?» riuscì a pronunciare con voce insicura prima che questa sparisse di nuovo.

Mauro lo guardò: non sapeva da dove cominciare, come spiegargli tutto quello che era accaduto. 

Per alcuni istanti scese tra i due un irreale silenzio, poi Luca lo ruppe abbracciando con un affettuoso slancio Mauro. Lo strinse forte a se con la paura che sarebbe potuto svanire da un momento all’altro e combattendo con la sua razionalità che gli urlava l’assurdità di quella scena.

Mauro rimase ancora qualche istante paralizzato, poi ricambiò quell’abbraccio assaporandone il gusto di vecchia abitudine.

«Oh, Luca! Sono successe così tanta cose,,, non saprei neanche da dove cominciare» si scusò in risposta all’accenno e alle mille domande silenziose del ragazzo.

«Beh… potresti cominciare col dirmi che questa cosa… insomma è vera» suggerì il commissario sciogliendosi dall’abbraccio con un po’ di sospetto.

«Tranquillo: è tutto vero» confermò Mauro con naturalezza.

Luca non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi: per quanto ci avesse sperato, fin’ora la razionalità aveva avuto il sopravvento sul resto e si era detto che era solo l’ennesimo sogno… l’ennesimo pensiero… ed ora Mauro  – che fino a pochi istanti prima sapeva morto – gli diceva che questa volta era tutto vero con la stessa naturalezza con la quale un bambino afferma che il sole è giallo.  

«Impossibile…Come… noi… il funerale: tu eri morto. Il medico disse che eri morto…» spiegò in modo frammentario e sconnesso.

«Solo perché due agenti della DIA gli avevano ordinato di farlo» spiegò Mauro «Poco prima dell’intervento hanno detto al chirurgo che, qualunque fosse stato l’esito dell’operazione, avrebbe dovuto comunicare ad amici e parenti la mia morte. Del resto se ne sarebbero occupati loro…»

«E quindi… tu non sei mai morto…»

«No…» disse l’uomo sorridendo all’ingenuità dell’affermazione «Ma per quasi un anno sono stato in coma… in una stanza di un piccolo ospedale privato fuori Roma»

«Così vicino…» osservò Luca con un sussurro dando libero sfogo ai suoi pensieri durante il racconto dell’odissea di Mauro.

«Quando mi sono svegliato ero certo di trovare accanto a me Germana o Roberto o mio padre o magari tu e qualcun altro del X… e invece c’era un uomo in giacca nera. Mi sorrise dicendosi felice del mio atteso risveglio e poi, senza molti preamboli, mi spiegò ciò che era accaduto e le licenze che si erano prese i suoi superiori. Mi avevano strappato dalla mia famiglia, dai miei amici, dalla mia vita per assegnarmene una nuova che non sarebbe mai stata realmente la mia… ero uno di loro… anzi non ero più nessuno»

Per quanto fosse consapevole che parlarne gli avrebbe fato rabbia, non credeva che quel sentimento sarebbe stato così forte anche dopo tutto quel tempo: sorrise scoprendo, ancora una volta, come anche il minimo contatto con il suo passato lo avesse riportato così alla vita.

Spostò lo sguardo sul volto di Luca sul quale regnava una rabbia indescrivibile: il volto era pallido e contratto in una strana espressione resa tale dalla mascella serrata e dai denti stretti, le nocche delle mani erano ormai bianche e Mauro avrebbe giurato che se Luca le avesse aperte si sarebbero potuti notare i segni rossi delle unghie sulla carne.

«Con che diritto hanno potuto fare una cosa simile?!» chiese a denti stretti e con un tono di voce tanto basso, ma molto più minaccioso di un grido.

Mauro scosse la testa, quasi felice della rabbia dell’amico.

«Ho provato a ribellarmi, ma non ho potuto fare nulla… e così mi sono dovuto adeguare. Per la DIA ero un ottimo elemento ed ho partecipato a abbastanza missioni da farmi una certa reputazione»

Si fermò per riprendere fiato e si rese conto che era da molto che non parlava tanto.

«Ho sempre creduto che, prima o poi, in una missione o in un’altra, avrei incontrato qualcuno di voi… invece per due anni non ho avuto alcun contatto e probabilmente questo mi ha portato ad essere tanto passivo verso la mi esistenza. Stavo per mollare tutto… quanto sei arrivato tu! In quell’ospedale, quando ti ho ferito…»

«Hai capito subito che ero io, giusto?»

«All’inizio, nonostante i capelli corti e l’aria formale, ho sospettato che fossi tu…Ma gli occhi… quelli non mi hanno lasciato dubbi!»

Luca sorrise. Non gli risultava affatto strano parlare con il suo vecchio amico: si sentiva come se il tempo non fosse mai trascorso.

«Quando si dice “sogni premonitori”…»

«Prego?» chiese Mauro non capendo l’affermazione dell’ex collega.

«Sono mesi che faccio strani sogni e rivedo il tuo volto… il sorriso che è riuscito a rincuorarmi tante volte… È stato tremendo, per un certo senso: è tornato tutto il dolore di un tempo, comese te ne fossi andato solo da qualche giorni… Ora capisco perché…»

«Credi che siano stati davvero sogni premonitori?» chiese con un tono da presa in giro Mauro sorridendo.

«Beh… forse…» scherzò anche Luca e rivedere il sorriso dell’amico fu un colpo al cuore: quanto gli era mancato! Come era riuscito ad andare avanti senza? Mauro era stato il suo migliore amico per così tanto tempo, che, in quell’istante, l’idea di perderlo gli faceva avere le vertigini, per quanto lo avesse creduto morto per tre anni.

«Ora sarà tutto diverso!» esclamò felice animato dalle sue stesse parole.

Mauro lo guardò per qualche istante senza capire, poi un’intuizione lo fulminò. No: Luca stava sbagliando…

«No Luca: non cambierà nulla! Quando questa missione finirà, sarà tutto come prima: io ritornerò nell’ombra e tu al X per seguire nuovi casi»

Luca sbiancò: che in quei tre anni Mauro avesse preso una violenta botta in testa?

«Co… cosa? E come speri che io diriga il distretto sapendo che tu sei ancora vivo… ed in questo stato?» urlò sconvolto.

Mauro rimase in silenzio alla disperata ricerca di qualcosa che convincesse il giovane che nulla sarebbe potuto cambiare quando gli venne un’idea che giudicò perfetta.

«Sali in macchina Luca» lo invitò «Devo farti vedere una cosa»

Il ragazzo, ancora un po’ sconvolto, entrò nella vettura e Mauro si mise al volante. Durante il discorso non si erano accorti che il tempo era cambiato: ora il sole non risplendeva più ma le nuvole l’avevano coperto imbiancando il cielo. La macchina scusa di Mauro svoltò rapida per entrare in città e Luca si accorse che il volto dell’amico era stranamente alterato: c’erano ansia e dolore, ma era come se fossero presenti da tempo, intimi amici di quell’uomo solitario.

Avrebbe voluto chiedergli dove stavano andando, ma in quel momento aveva un strano rispetto per Mauro e per quel silenzio sceso nella vettura da quando si era messa in movimento; così si disse che avrebbe scoperto la meta del loro viaggio a tempo debito.  

Mauro parcheggiò la macchina quando ormai le prime gocce di pioggia cadevano sull’asfalto. Non se ne preoccupò e scendendo dalla macchina fece cenno a Luca di fare altrettanto. Camminarono per alcuni minuti fino ad arrivare sotto un grosso albero che li riparava dalla leggera pioggerellina primaverile. Di fronte a loro c’era un palazzo con un grande atrio coperto.

«Mauro…cosa?» provò a chiedere Luca, ma l’altro lo bloccò con un gesto della mano volgendo lo sguardo verso l’atrio nel quale era appena sceso un bambino di circa tre anni. Osservava la pioggia cadere con la piccola bocca semiaperta e quell’aria ingenua che fugge l’ipocrisia solo nei più piccoli.

«Ettore!» urlò una donna con i capelli legati in una lunga coda di cavallo castana «Cosa stai facendo fuori? Piove!»

«Ma mamma! La pioggia è bella!» rispose il piccolo con aria offesa.

«Si… è vero…» convenne la donna improvvisamente senza parole mentre i suoi occhi si perdevano nel grigio del cielo e la sua mente si riempiva di ricordi passati.

«Germana…» sussurrò Luca comprendendo solo allora perché fossero lì.

Mauro li osservava con sguardo forzatamente triste: era fisicamente così vicino a loro… eppure allo stesso tempo tanto lontano.

«Guardali Luca: non sono bellissimi? Eppure se osservi bene Germana ti accorgerai di quanto, ancora oggi, lei soffra. Riesco a sentire il dolore che i suoi occhi trasudano e la costante lotta per andare avanti che trasparisce da ogni piccolo gesto. Ettore è stato la sua ancora di salvezza, l’unico motivo per continuare a vivere: le loro esistenze sono ormai indivisibili. Germana ci ha messo molto, molto tempo ad accettare la mia “morte”: lo so perché la prima volta che l’ho vista dopo il coma stava ancora molto male; ogni volta che potevo scappare, correvo qui per poter vedere come andava… e non poter fare nulla per poterli aiutare è stato straziante.

Sai Luca in questi due anni ho capito fino a dove può giungere il masochismo di un essere umano: sono arrivato al punto di arrivare da loro non tanto per vedere come stavano, ma per farmi male. Ero… sono l’unico colpevole della loro sofferenza e merito il dolore che provo ogni volta che li vedo»

Luca lo osservò: non si era accorto di quanto avesse e stesse ancora soffrendo.

«Ci hanno messo tempo ad abituarsi alla loro nuova vita, Luca. Sia Germana che mio padre. Io non posso presentarmi da loro dicendo: Salve! Non sono morto! È solo che la DIA mi ha “rapito” e per due anni ho fatto l’infiltrato. Come va? Capisci, Luca? È sbagliato: causerei solo altro dolore!»

Luca continuava a guardarlo shoccato: non aveva mai riflettuto sul fatto che il rivedere Mauro avrebbe causato qualcos’altro oltre la gioia. Sapeva però che in un certo senso aveva ragione.

«Mamma…? Tu credi che papà la sta vedendo la pioggia da dove sai trova?»

La donna impallidì lievemente e a Luca parve vedere che i suoi occhi si inumidivano. Si avvicinò dolcemente al piccolo e lo strinse forte a se.

«Si, piccolo mio… Lui la vede»

Per Mauro fu troppo: gli occhi gli si erano ormai velati di lacrime e nonostante la pioggia ormai si fosse fatta violenta, abbandonò il suo precario riparo e corse via. Luca diede un altro fugace sguardo alla coppia che ormai si strava ritirando all’interno del palazzo; poi corse dietro Mauro.

«Aspetta! Aspetta Mauro!» gli urlò, ma l’uomo non diede segno di averlo sentito.

I due si fermarono solo quando entrarono nel parco. Avevano entrambi il fiatone, erano zuppi d’acqua e si sentivano oppressi da una strana ansia ed un forte dolore.

«Credo che dovremmo tornare al vecchio convento» convenne Mauro.

Luca lo guardò negli occhi e capì che l’argomento “passato” era ormai chiuso.

«Si… anche perché ho insospettito Davide con il mio comportamento»

«Hai insospettito un po’ tutti a dirla tutta…» accennò Mauro con il fantasma di un sorriso che si affacciava sul suo volto.

Anche il commissario sorrise: sì, ora sarebbe stato decisamente più facile andare avanti sotto le mentite spoglie di Marco, dato che il suo peggior nemico si era dimostrato il suo miglior amico… ma avrebbe fatto sicuramente qualcosa per riportarlo indietro…ora lui sapeva…

 

 

 

 

 

 

Lo spazio dell’autrice

 

Ok…Ok… Prima che mi sbraniate voglio semplicemente riferirvi la tesi a mia discolpa. Infatti sin dal primo capitolo (accidenti che intuito) alcuni di voi avevano capito che il tanto misterioso “Uomo in nero” altri non era che Mauro Belli; io però ho negato il tutto riferendo che l’ispettore non c’entrava nulla con questa ff. La verità è che quando ho letto che avevate già capito tutto mi sono sentita mancare. Come sarebbe potuta andare avanti la storia se al primo capitolo uno dei più importanti colpi di scena era già stato svelato?? E per questo che ho ritenuto opportuno provare a mascherare l’ormai svelata identità di Hector almeno fino a questo punto… quindi… vi prego di non volermene… in fondo era a fin di bene! Detto ciò… Tadaaaan… ecco a voi il ritorno del caro Mauro!! =) (ho versato lacrime amarre x la sua morte: il minimo che potessi fare era farlo tornare almeno in questa ff!). Cosa ve n’è parso? Vi ho spaventato all’inizio con Luca, eh? Perdonatemi: era solo x rendere il tutto + emozionante e spero di esserci riuscita!

 

Intanto ringrazio i miei angioletti:

Tinta87  Non sei affatto ripetitiva e, per quanto io mi reputi modesta, mi fa sempre sapere che la mia scrittura è apprezzata! Felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto… e… visto? Il caro commissario sta bene! Più che bene oserei dire!! Ho cercato di aggiornare il prima possibile, ma la scuola mi sta stressando! =_= che te ne pare del chappy?? Un bacio… alla prossima!

Valentina78  ^^ ancora thanks… forse stai un po’ esagerando con i complimenti… Mmh… finale decente… credi che con questo capitolo ci sia riuscita???? In quanto alle spiegazioni… credo di averne date abbastanza, no? Cosa te ne pare del chappy? Un bacio… alla prossima!

Uchiha_chan  Ormai sono convinta di essere sadica… Hihihi già avevo previsto che il sogno avrebbe fatto un brutto effetto e a dirla tutta contavo proprio si quello!! XD, XD Lacrime?? O_O mi dispiace tantissimo! Perdonami… non credevo che lo scorso capitolo avrebbe fatto questo effetto: tutte le mie + sentite scuse!!!! Allora questo chappy? Che ne dici?

Buffy86  Oh… felicissima della tua recensione! -^^- Sono contenta di essere riuscita a catturare la tua attenzione da subito tanto da fartene scrivere una! E pensa che io neanche volevo pubblicarla qst ff!(ancora mille grazie a quei due angioletti che mi hanno convinta!) Il tuo suggerimento sul scrivere un intero chappy su Hector o, come ormai possiamo chiamare, Mauro, mi ha dato uno spunto bellissimo che vedrai nel prossimi capitoli, quindi grazie mille!!!! ^^ Che te ne pare di qst? Spero che continuerai a recensire ad ogni capitolo xk mi faresti davvero felice… tu non immagini quanto!! Beh…un bacio e alla prossima.

Luna95  Ma no! Non preoccuparti: non sei affatto in ritardo… Cmq… ecco svelato il dubbio: il caro Luca non è morto! (almeno per ora) e in più ha ritrovato un vecchio amico che credeva morto 3 anni prima e a cui era molto legato… se non capisci qualcosa chiedi senza esitazioni amica mia… Beh… che te ne pare? Un bacio… a presto!

Dami85  Credo proprio che tutti i tuoi dubbi si siano estinti con questo capitolo, giusto?? Si… farvi venire l’ansia… non è una sensazione gradevole… almeno x me (perfida lo so…) Ancora mille grazie x tutti i tuoi complimenti… e non preoccuparti: terrò a bada il diavoletto ancora un po’! XD Che te ne pare di qst chappy? Un bacio… alla prossima!

Lyrapotter  Oh… davvero mi odi?? T_T  Dai… non sono stata così….cattiva… Cmq… No, Luca non è morto, come puoi ben notare tu stessa ed in quanto ad Hector segreti sì… ma non così sporchi… piuttosto direi tristi e di rabbia ed ingiustizia! Cmq non temere… per ora sono tutti salvi… Mi chiedi che fine hanno fatto Ale ed Elena?? Oh, beh… lo vedrai, lo vedrai nel prossimo capitolo… eccome se lo vedrai (Hihihi). Quindi…. Alla prossima, un grosso bacio!   

Thia  per aver inserito la storia tra le seguite! Mille grazie!^^

 

Il prossimo capitolo, intitolato  IN TRAPPOLA, si concentrerà finalmente sul Distretto che, pur con l’assenza del commissario, continua a lavorare!! E se qualcuno si stava chiedendo che fine avevano fatto tutti quanti (ed in particolare Alessandro ed Elena) beh… lo vedrete, lo vedrete! *Pregusta gongolando l’effetto che faranno su di voi i prossimi capitoli* Quindi non mi resta che ringraziare tutti quelli che hanno silenziosamente letto il capitolo e rinnovare l’invito a leggere e recensire i prossimi capitoli!! Un grosso bacio a tutti.

La vostra Alchimista!  

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Capitolo 8
*** In trappola ***


CAPITOLO 8°_ IN TRAPPOLA

 

Nella stanza regna il più assoluto silenzio, come se fosse congelata nel tempo; anche le lancette del grosso orologio chiaro in salone sembrano essersi ammutolite per rispetto del segreto di quella stanza. Segreto che sarebbe rimasto tale per poco. Il vento si scontra violento con le finestre della stanza da letto; le lenzuola bianche possono essere viste nonostante la totale oscurità della stanza. Il silenzio è spezzato dal respiro di un uomo, leggero e regolare. Si muove nel letto e lentamente si sveglia…. assonnato si strofina gli occhi e sbadiglia. Poi si mette seduto e si guarda intorno.

Dove mi trovo? Si chiede un po’ spaesato, ma con tutto quel buio non riesce a vedere nulla di familiare. Improvvisamente gli gira la testa e si sente tanto male da doversi stendere di nuovo. Chiude gli occhi e prova a calmarsi: tutto sembra aver preso a girare velocemente  e aggrappandosi alle coperte tenta di fermare quella maledetta giostra impazzita. Quando tutto sembra finito, l’uomo si rilassa e riapre gli occhi voltandosi e cercando intorno a se qualche indizio che lo aiuti a capire qualcosa di quello strano incubo. Si volta alla sua sinistra e a tentoni spera di trovare sul comodino una bajour. Quando trova l’interruttore finalmente riesce a fare luce nella stanza. Sobria e semplice, ha le pareti di un rosa chiaro e la porta è in legno, forse mogano; l’uomo fa una lenta panoramica di quella stanza sconosciuta chiedendosi come ci sia finito finché lo sguardo non si posa sul copriletto decorato con delle chiazze rosse su fondo bianco. L’uomo impallidisce: non sono macchie decorative… è… sangue! Gli occhi seguono istintivamente il vermiglio fino a scorgere un altro corpo. È una donna, i capelli castani le contornano il viso, gli occhi marroni spalancati in un eterno sguardo ed il corpo, nudo, coperto solo dal sangue riverso in una strana posa. L’uomo non può fare a meno di dare un grido di spavento: non capisce cosa sia successo, cosa ci faccia lui nudo – come si è appena accorto di essere – nel letto di una sconosciuta morta… ha paura e in un attimo capisce di essere fregato.

 

«Mi evita! È così evidente!» esclamò Elena stizzita.

«Si…» assentì Anna sovrappensiero.

«Se però glielo faccio notare nega… nega spudoratamente! È questo che mi fa arrabbiare!» continuò lei e più ripensava al comportamento di Alessandro più la rabbia aumentava «Io vorrei solo… chiarire! Non chiedo altro…» e in quelle ultime parole la voce si affievolì.

Anna la osservava senza guardarla, la sentiva senza ascoltarla persa in una miriade di pensieri, dubbi e preoccupazioni. Lo schiocco delle dita di Elena la riportò sulla Terra.

«Tesoro ci sei?» le chiese «Cos’hai?»

«Nulla… solo…»

«Luca?»

«No… cioè sì… io…» disse confusamente «Comunque… dicevi… di Ale?» chiese per sviare la conversazione da quell’argomento tanto pericoloso.

«Che mi evita… e nega di farlo…»

«Beh Elena prova a capirlo: la morte di Irene è un fantasma che lo tormenta ancora…»

«Lo so! Anch’io penso ancora molto a lei… e… non so… c’è qualcosa che mi frena… quasi un timore… però penso che sarebbe felice di vedere che Ale riesce ad andare avanti e ad essere felice»

«Sì lo credo anch’io… a proposito: dov’è?»

«Non lo so… ha detto che andava a fare un giro…»

 

Alessandro comminava pensieroso per la strana scalciando distrattamente una lattina vuota.

Non la evito si ripeteva Non la sto affatto evitando… solo… non mi va di parlarle. Tutto qui… tentava di convincersi, ma le sue parole non avevano alcun effetto: la verità lui la conosceva.

Ma perché mai sono tornato, poi? continuò Sapevo che sarebbe successo: era inevitabile… eppure…

Eppure non ce la faceva più a stare in esilio… a piangersi addosso… Aveva amato Irene come nessun’altra, ma ora una parte di lui voleva, aveva bisogno di andare avanti, di provare a vivere anche senza di lei, perché era solo sopravvissuto alla vita; un’altra parte, però, aveva ancora un certo pudore, rispetto per la memoria di Irene… o forse era solo un’ipocrita scusa per nascondere la semplice paura che gli attanagliava il cuore.

Sospirò stanco di tutti quei dubbi e tutti quei pensieri ed entrò in un locale dall’insegna blu al neon “Black Moon”. La musica ad alto volume gli rimbombava nello stomaco ed in un attimo pensò che svagarsi un po’ non avrebbe potuto fargli bene, si sedette al bancone e chiese qualcosa di forte a libera scelta del Barman mentre con lo sguardo faceva una paronimica della folla di uomini e donne che si scatenavano sotto la postazione del DJ.

Ad un tratto, mentre Ale sorseggiava passivo il drink si avvicinò al bancone una ragazza: i capelli corti che le arrivavano appena sul collo color cioccolato e gli occhi non molto grandi quasi della stessa sfumatura; aveva un’aria persa, sembrava quasi a disagio in quel posto.  Alessandro dovette sbattere più volte le palpebre per far dissolvere l’immagine di Irene che si era sovrapposta a quella della giovane sconosciuta.

«Cosa le porto?» chiese gentile il barman.

La giovane lo guardò spaesata quasi si fosse scordata di essere in un locale, davanti al bancone.

«Ecco… quello che ha preso lui…» disse incerta indicando il bicchiere quasi vuoto di Alessandro.

Il barman annuì sempre sorridente e si allontanò.

«È sicura della sua scelta? Guardi che non è leggero» la infornò gentile Alessandro senza rendersi davvero conto che quella era la prima volta da molto tempo che interagiva con una sconosciuta senza rifletterci e farsi mille complessi.

«Meglio così» rispose lei «Magari per un po’ riesco a dimenticare…»

«Problemi?» chiese ancora Ale che sentiva una strana voglia di parlare con quella sconosciuta.

«Semplicemente il mondo ormai gira al contrario… ed io non riesco a cambiare senso di marcia…»

«So che intendi…»

«Oh, no… non credo…» lo contestò la ragazza quasi volesse difendere la grandezza del suo dolore. Ale la guardò: inizialmente avrebbe voluto ribattere che perdere la persona che si ama era la cosa più brutta che potesse capitare e che quindi sapeva bene cosa significasse andare nel senso sbagliato, ma quando incontrò lo sguardo castano della ragazza le parole le morirono in bocca: conosceva fin troppo bene quello sguardo velato… da quando Irene era andata via lo aveva visto ogni volta che si era guardato allo specchio: anche lei aveva perso qualcosa di importante, un punto di riferimento.

«Si chiamava Irene… Era bella, ma bella davvero… ed io l’amavo tanto, credevo che avrei passato tutta la mia vita con lei… Volevo chiederle di sposarmi e invece… è bastato un proiettile, uno solo e l’ho persa per sempre…»

Non sapeva perché le stesse dicendo tutte quelle cose e di solito parlare di lei faceva male… eppure ora si sentiva quasi meglio. Sapeva che lei poteva capirlo più di chiunque altro: lei sapeva che cosa volesse dire soffrire…

«A me è stato molto più semplice: Francesco se n’è andato per un overdose»

Alessandro la guardò negli occhi: soffriva ancora, proprio come lui.

«Anche se…» continuò lei; poi si bloccò come se si fosse fatta scappare qualcosa di troppo e di pericoloso.

«Se?» chiese Ale interessato.

«Nulla… Senti perché non usciamo di qui e facciamo un giro? Questa musica mi sta facendo venire un mal di testa…» propose tempestiva per cambiare argomento.

Alessandro la guardò per qualche istante indeciso, poi si disse che non sarebbe successo nulla di male se avesse fatto un giro e sorridendo si avviò fuori con la ragazza.

 

Nella stanza regnava il più assoluto silenzio, come se fosse congelata nel tempo; anche le lancette del grosso orologio chiaro in salone sembravano essersi ammutolite per rispetto del segreto di quella stanza. Segreto che sarebbe rimasto tale per poco. Il vento si scontrava violento con le finestre della stanza da letto; le lenzuola bianche potevano essere viste nonostante la totale oscurità della stanza. Il silenzio fu spezzato dal respiro di un uomo, leggero e regolare. Si mosse nel letto e lentamente si svegliò… assonnato si strofinò gli occhi e sbadigliò. Poi si mise seduto e si guardò intorno.

Dove mi trovo? si chiese un po’ spaesato, ma con tutto quel buio non riusciva a vedere nulla di familiare. Improvvisamente gli girò la testa e si sentì tanto male da doversi stendere di nuovo. Chiuse gli occhi e provò a calmarsi: tutto sembrava aver preso a girare velocemente  e aggrappandosi alle coperte tentò di fermare quella maledetta giostra impazzita. Quando tutto sembrò finito, Alessandro si rilassò e riaprì gli occhi voltandosi e cercando intorno a se qualche indizio che lo aiutasse a capire qualcosa di quello strano incubo. Si voltò alla sua sinistra e a tentoni sperò di trovare sul comodino una bajour. Quando trovò l’interruttore finalmente riuscì a fare luce nella stanza. Sobria e semplice, aveva le pareti di un rosa chiaro e la porta era in legno, forse mogano; l’ispettore fece una lenta panoramica di quella stanza sconosciuta chiedendosi come ci fosse finito finché lo sguardo non si posò sul copriletto decorato con delle chiazze rosse su fondo bianco. Alessandro impallidì: non erano macchie decorative… era… sangue! Gli occhi seguirono istintivamente il vermiglio fino a scorgere un altro corpo. Era una donna, i capelli castani le contornavano il viso, gli occhi marroni spalancati in un eterno sguardo ed il corpo, nudo, coperto solo dal sangue, riverso in una strana posa. L’ispettore non poté fare a meno di dare un grido di spavento: non capiva cosa fosse successo, cosa ci facesse lui nudo – come si era appena accorto di essere – nel letto di una sconosciuta morta… aveva paura e in un attimo capì di essere fregato.

Si vestì velocemente mentre la testa, ancora confusa, provava a ricordare quello che era successo. Rivide il dialogo con la ragazza nel locale, la sua richiesta di uscire e poi… tutto si faceva confuso ed infine buio. Guardò di nuovo il cadavere della donna e si rese conto che non conosceva neanche il suo nome.

Improvvisamente lo fulminò un pensiero: dov’era la sua pistola? L’aveva portata con se? Perché quello che aveva freddato la giovane era stato un proiettile e riflettendoci bene lui portava sempre con se la pistola… anche quella sera…

Afferrò rapido il cellulare – erano le 04:43 – e compose veloce un numero. Dopo vari squilli che allo spaventato ispettore parvero davvero secoli rispose una voce assonnata.  

«Ma se tu non riesci a dormire… perché devi svegliare anche me…?» chiese più assonnato che mai Raffaele.

«Raff: è successo un casino! Sono nei guai! Ho bisogno di te…»

«Ale che succede?» chiese l’ispettore, ora più sveglio che di giorno «Dove sei?»

«Non lo so! Sono a casa di una ragazza… l’ho conosciuta in un locale… Raff è morta!» urlò agitato «E credo che ad ucciderla sia stata la mia pistola…»

«Cosa?!» chiese l’ispettore spaventato «Ale ascolta: vedi se affacciandoti alla finestra riesci a capire più o meno dove sei… almeno la zona: io arriverò il prima possibile…» provò a rassicurarlo.

L’uomo seguì le indicazioni dell’amico e affacciandosi alla finestra alla luce del palo gli sembrò di leggere il nome della via; di fronte a lui il numero civico era 2.

«Via Mazzini numero 3… almeno credo…» informò il collega.

«Bene… non è molto lontano: dieci minuti e sono lì. Tu non muoverti… non fare nulla!» poi attaccò il telefono lasciando Alessandro immerso in mille preoccupazioni.

I suoi pensieri furono interrotti dal suono di sirene spiegate. Non poteva essere Raffaele: sarebbe arrivato il più silenziosamente possibile… quella era la sua condanna. Si affacciò rapido alla finestra e grazie a quel po’ di luce che annunciava l’alba scorse le figure di tre carabinieri; uno di questi indicò la casa nella quale si trovava Ale e tutti si avviarono verso l’abitazione. Ale sussultò: cosa poteva fare? Di scappare non se ne parlava: lui non aveva fatto nulla… almeno credeva…

La mente riportò a galla un ricordo: anni prima Anna era stata accusata di omicidio e Raffaele era riuscito a dimostrare che era stata legittima difesa ritrovando la postola dell’uomo in una grondaia. Si affacciò veloce dalla finestra e scorse la grondaia scura, la sua salvezza. Vi incastonò l’arma, che aveva trovato per terra accanto al letto, in modo che non potesse essere vista, ma facilmente recuperata.

La prenderanno più tardi gli altri… ora già sono nei casini…

Fece appena in tempo a chiudere la finestra che uno dei carabinieri sfondò la porta ed entrò nella stanza da letto. Spostò rapido e serio lo sguardo la Alessandro al cadavere di nuovo ad Alessandro.

Condannato con sentenza immediata! si disse l’ispettore intuendo che non aveva scampo.

Gli altri due carabinieri entrarono nella stanza puntando le pistole contro di lui.

«Lei chi è? E cosa ci fa qui?» chiese quello che doveva essere il maggiore in grado.

«Ispettore capo Alessandro Berti… Sul cosa ci faccia qui… mi dispiace: non lo so neanch’io…»

«Mi faccia capire» continuò un secondo carabiniere «Lei non sa cosa ci fa nella camera da letto di una donna nuda e morta?!»

«Esatto» sospirò Alessandro ritenendosi ormai spacciato «Ma non l’ho uccisa io!» si difese chiedendosi che fine avesse fatto Raffaele.

«Questo starà a noi deciderlo. Per ora…»

«… Credo che non sarete i soli…» disse una voce alle spalle degli uomini e dal corridoio comparve Raffaele seguito da Elena ed Anna.

Alessandro tirò un respiro di sollievo come se con loro fossero arrivati anche tutti i tasselli mancanti, la soluzione ed il colpevole; nonostante non fosse cambiato nulla la loro semplice presenza lo rincuorava.

«E voi chi siete?» chiese un po’ irritato il superiore.

«Ispettore Raffaele Marchetti; loro sono le ispettrici Anna Gori e Elena Argenti. Siamo del X Tuscolano e lui è il nostro ispettore capo momentaneamente dirigente del distretto» lo informò serio e preciso Raffaele: sapeva che in quei momenti bisognava essere quanto più calmi, lucidi e sicuri possibili.

«Si rende conto che il vostro ispettore capo è indiziato per questo omicidio?» chiese con voce minacciosa il carabiniere «Si trova sulla scena del delitto in un evidente stato di shock…»

«Ma non mi sembra che abbia confessato né che abbiate trovato impronte o l’arma del delitto»constatò seria Elena.

«Solo questione di tempo»

«Beh, allora fino a quel tempo… l’ispettore Berti viene con noi»

«Ma…»

«Garantiamo noi tre per lui» disse Anna prima di voltare le spalle ai carabinieri e seguire i colleghi.

 

«Sono consapevole del fatto che sono arrivati prima i Carabinieri… sto solo chiedendo una collaborazione…»

«Non se ne parla ispettrice… siete troppo coinvolti: il vostro collega è uno dei sospettati!»

«Ma è proprio per questo che vogliamo indagare! Per capire cos’è successo al nostro collega! Procuratore non può estrometterci… la prego..» chiese ancora una volta, insistente, Elena: dopo il coinvolgimento di Alessandro lei aveva preso in mano le redini del caso e del commissariato.

«E come la mette con il numero di agenti disponibili?» continuò il PM «Tra il vostro commissario infiltrato» e nel pronunciare quelle parole fece una smorfia di disapprovo e biasimo che risultò alquanto irritante ad Elena «e l’ispettore Berti coinvolto non siete molti a poter lavorare…»

«Di questo lasci che me ne preoccupi io… Siamo più che operativi… e se costituiremo una “palla al piede” per i Carabinieri sarà libero di estrometterci: non opporrò alcuna resistenza»

Il PM rimase in silenzio per alcuni istanti valutando con attenzione la situazione; poi si voltò con lo sguardo verso il capitano dei Carabinieri che fino a quel momento era rimasto in silenzio e che annuì senza far trasparire alcuna emozione.

«E sia» acconsentì alla fina «Ma sia chiaro: il tutto sarà coordinato dai Carabinieri, ogni minimo passo avanti dovrà essere comunicato al capitano Martinelli e per nessun motivo devono essere prese iniziative personali, mi ha capito bene ispettrice Argenti?» chiese quasi minaccioso.

Elena annuì: per quanto gli rodesse essere un’appendice subordinata ai Carabinieri quello era l’unico compromesso nel quale poteva sperare… e soprattutto l’unico che potesse ottenere.

«Per quanto tempo ancora i suoi uomini dovranno interrogare Berti?» chiese poi rivolta al capitano.

«Per tutto il tempo necessario e sia chiaro: l’ispettore non deve muoversi da qui… Se dovrà tornare a casa sappiate che c’è una pattuglia pronta a seguirlo ed una appostata sotto il suo appartamento» rispose ostile.

«Mmh… peggio di un ricercato internazionale…» commentò sarcastica Elena.

Il capitano non replicò ed uscì dal commissariato con il procuratore. Elena sospirò  e si lasciò cadere sulla poltrona. Dirigeva il commissariato da sole poche ore e già si sentiva stressata: come ci stava riuscendo Luca senza dare alcun segno, neanche minimo, di stress? O forse era solo molto bravo a fingere e lei non si era accorta di quanto anche il collega fosse stressato.

«Elena?» chiese Raffaele sfiorandole il braccio.

La collega sobbalzò e spalancò gli occhi spaventata: non aveva sentito la porta aprirsi né l’ispettore entrare.

«Ohi Raff… non ti avevo sentito entrare… novità?»

«Ora sappiamo il nome della vittima: Claudia Gelone, 24 anni»

«Abbiamo qualcosa su di lei?» chiese la donna con poca speranza.

«Su di lei no… ma sappiamo che il suo ragazzo è morto circa un mese fa… overdose…»

«Questo però non ci dà alcuna informazione sulla ragazza… su chi potrebbe averla uccisa…»

Raffaele abbassò la testa: non avevano nulla, tranne l’accusa a carico di Alessandro.

«Cosa faceva il ragazzo?» chiese Elena quasi senza interesse.

«Francesco Pietroli, 25 anni. Orfano da quando ne aveva 14. Giocatore di pallanuoto in una squadra locale… l’AS Romana. Poi un mese fa è morto do overdose»

Elena annuì pensierosa: era quasi sicura che sarebbe stato un buco nell’acqua… ma forse…

«Senti Raff: perché tu ed Anna non andate a fare qualche domanda all’associazione sportiva? So che probabilmente non ne ricaveremo nulla, ma… tentar non nuoce, no?»

Raffaele fece per andare via, ma Anna non si mosse seduta sul divano dell’ufficio con lo sguardo perso nel vuoto.

«Anna…?» la chiamo l’ispettore.

La ragazza si scosse come sorpresa e guardò Raffaele interrogativa; poi si alzò.

«Tutto ok, tesoro?» le chiese Elena.

«Sì… sì… tutto ok…» rispose lei un po’ frastornata e confusa.

«Luca, non è così?» chiese sicuro Raff.

«Si… andiamo?» chiese per chiudere quella discussione.

Luca… sì certo… era proprio una bella scusa 

 

«Non lo so! Non lo so! Non ricordo… come devo dirvelo?!»

Alessandro era chiuso da ora nella stanza degli interrogatori e da ore continuava a ripetere sempre la stessa cosa: di quella maledetta notte lui non ricordava nulla! Ormai la testa gli scoppiava e più cercava di ricordare più aveva la sensazione che la verità si allontanasse. Avrebbe voluto solo un attimo di pace, di calma… ma sembrava impossibile.

Ad un tratto si aprì la porta della stanza ed entrarono Elena ed il capitano Martinelli.

«Ora basta! Dategli un attimo di respiro!» li rimproverò l’ispettrice.

I due guardarono interrogativi il capitano che annuì e fece segno con la testa di andar via. I carabinieri si alzarono e seguirono il capitano che prima di uscire guardò intensamente l’ispettrice come a ricordarle tutto ciò che era stato detto nell’ufficio del commissario pochi istanti prima.

Quando furono soli Elena strinse istintivamente a se Alessandro che sospirò stanco assaporando quel semplice gesto di conforto.

«Elena ti spero: aiutami…»

«E c’è bisogno che mi lo chieda? Ascolta: da quando siamo arrivati in quella stanza nessuno ha preso neanche un secondo di pausa. Stiamo tutti lavorando al massimo per capire quello che è successo stanotte…»      

«Se solo ricordassi…»

Elena gli mise una mano sulla spalla sorridendogli fiduciosa.

«Tranquillo: andrà tutto bene»

«La mia pistola…»

«Non è stata ancora ritrovata e per noi, in un cerco senso, è un bene: i carabinieri sono convinti che tu sia colpevole…»

«… è nella grondaia sotto la finestra della stanza da letto» la informò l’ispettore con voce atona.

Elena lo guardò sconcertata: come poteva saperlo? Allora lui…

«Sì: l’ho nascosta» disse lui quasi rispondendo ai pensieri della collega «Ero già troppo nei casini e so che è l’arma del delitto… in più è molto probabile che la prova del tampone sarà positiva… quindi…»

«Siamo fritti!» concluse Elena.

Alessandro sospirò: come aveva fatto a cacciarsi in un casino tanto grande e complicato?

«Senti Elena…Per tutto quello che ci siamo detti ieri… io…»

«Sshh…. Non dire nulla: prima risolviamo questo pasticcio. Poi ci sarà tempo per chiarire ogni cosa» gli sorrise lei.

 

«Sì amore: è tutto ok, non preoccuparti…»

«Stanotte sei scappato via così all’improvviso…»

«Sì… è successo un casino con Ale»

«Casino? State bene?» la voce divenne più preoccupata.

«Sì… sì, fisicamente sì, ma Ale è stato accusato di omicidio… è stato incastrato e dobbiamo capire da chi…»

«Omicidio?! Incastrato?! Raff mi devo preoccupare?»

«Ma no, ma no Antonella: vedrai che tutto si risolverà per il meglio… fidati…»

«Fammi sapere, ok? Ti amo»

«Certo, sta tranquilla… ti amo anch’io»

Raffaele chiuse la chiamata e si tolse l’auricolare: aveva fatto una bella paura ad Antonella correndo via nel cuore della notte.

Nonostante tutto sorrise: ora tra loro sembrava andare tutto bene. Anna ormai era solo una grande amica e appena se n’era reso veramente conto era corso da Antonella per chiederle scusa per come l’aveva lasciata ed entrambi avevano finalmente capito che la loro non era una di quelle banali storielle… no: era qualcosa di completamente differente…

«Si è spaventata, eh?» chiese Anna interrompendo i suoi pensieri.

«Si…» sorrise lui.

«Sono felice per voi: state davvero bene insieme! E sembra che tutto vada per il verso giusto, non è così?»

«Già… Antonella è fantastica ed ora io sono sicura di amarla davvero…»

Anna sorrise poi si perse in qualche ricordo lontano e la sua espressione, così come i suoi occhi, divenne triste.

«Tornerà presto» provò a consolarla l’ispettore «Bisogna resistere solo un altro po’»

Anna annuì. Ancora un altro po’ pensò e se io non avessi più tempo?

«Guarda: siamo arrivati! Disse poi vedendo l’insegna dell’AS Romana.

I due scesero ed entrarono nello stabile sperando di trovare qualcosa che potesse aiutare Alessandro anche se non sapevano proprio da dove cominciare.

«Scusi?» chiese gentile l’ispettore alla segretaria «Siamo della polizia: vorremmo parlare con l’allenatore e se possibile con i giocatori»

La ragazza li guardò per qualche istante, poi scomparve dietro una porta chiedendo ai due ispettori di attendere pochi istanti; infatti ne uscì quasi subito con un uomo.

«In questo momento la squadra e l’allenatore stanno simulando una partita in piscina… se volete seguirmi…» fece strada loro l’uomo.

I due lo seguirono fino a giungere alla piscina dove si stava svolgendo un’animata partita e l’uomo, che molto probabilmente doveva essere il presidente, si avvicinò all’allenatore sussurrandogli  qualcosa all’orecchio: poi entrambi voltarono lo sguardo verso Anna e Raffaele e l’allenatore si avvicinò loro.

«Buongiorno: io sono Giacomo Michelini, l’allenatore della squadra… mi è stato detto che volevate parlarmi…»

«Ispettori Marchetti e Gori. Sì: volevamo farle alcune domande riguardo Francesco Petroli…»

L’uomo sussultò e i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa: forse era da tempo che non sentiva quel nome.

«Perdonate la mia reazione… ma Francesco era un figlio per me, un po’ come tutti i ragazzi che alleno… anche se conoscendo Francesco da quando aveva 15 anni non posso negare che il legame che mi legava a lui era forte. Per me è stato… un vero shock trovarlo nel bagno con quella maledetta siringa conficcata nel braccio…» disse con voce tremante.

«Quindi è stato lei a trovarlo?» chiese Anna.

«Si… ero andato a casa sua perché aveva saltato un allenamento importante e non rispondeva né al telefono di casa né al cellulare. Quando sono entrato però era troppo tardi…»

L’uomo sembrava essersi stancato solo per aver ricordato quel giorno: sospirò e con una mano si mantenne ad una delle colonne decorative dello stabile.

«Si sente bene?» chiese Anna preoccupata.

L’uomo annuì, ma si vedeva chiaramente il pallore sul suo volto.

«Non avrei mai pensato che Frank si drogasse: se qualcuno me l’avesse detto gli avrei riso in faccia dicendogli che non conosceva affatto il mio ragazzo, che lui era rispettoso della vita e non avrebbe mai fatto una cosa tanto sciocca e controproducente… Ora mi sono reso conto che forse ero quello che lo conosceva meno…»

«E cosa mi dice dei genitori?» chiese Raffaele.

«Quello era ormai un capitolo chiuso: Frank aveva superato la cosa da anni. Ovvio che pensandoci, la loro morte gli procurava ancora dolore, ma qui aveva trovato degli amici, una seconda famiglia…»

I due ispettori annuirono comprendendo ciò che l’uomo intendeva dire: infondo anche loro nel distretto, oltre ad avere una seconda casa, avevano trovato anche una seconda famiglia.

«Si potrebbe fare qualche domanda anche agli altri ragazzi?» chiese poi Anna.

Il signor Michelini annuì e i tre tornarono a bordo piscina.

«Scusate» prese parola Anna «Avremmo bisogno di farvi qualche domanda»

Una quindicina di ragazzi si avvicinò al bordo piscina boccheggiando.

«Cosa sapete circa Francesco Pietroli?» chiese Raffaele forse con troppa superficialità.

Uno strano lampo di luce passò negli occhi dei ragazzi: c’era disapprovo, sconcerto, semplice tristezza, rabbia e… uno addirittura fuggiva gli occhi dei due ispettori probabilmente per il troppo dolore.

«Frank era un nostro amico… nessuno di noi si aspettava che potesse drogarsi. Certo tra gli sportivi ormai è quasi all’ordine del giorno… ma non capisco che motivo avesse per farlo! Lui era bravo, ma bravo davvero! Non per nulla era il nostro capitano… non aveva bisogno di quella robaccia!»

«Negli ultimi giorni avevate notato qualcosa di strano? Era diverso dal solito?»

«Ma perché tutte queste domande? Quello che sapevamo lo abbiamo già detto tempo fa ai vostri colleghi…»

«Si, lo sappiamo e ci dispiace rievocare il vostro dolore» si scusò Anna « Ma vedete… stanotte è stata trovata uccisa la fidanzata di Francesco… e non vogliamo tralasciare niente per capire come si sono svolti i fatti»

Un nuovo silenzio scese tra i ragazzi e lo stesso allenatore guardò basito i due ispettori. Anna maledisse la rinnovata semplicità e superficialità con la quale aveva dato quell’informazione.

«Claudia… Claudia è morta…?» disse un giovane in evidente stato di shock.

«Ci dispiace. La conoscevate bene?»

«Non molto: sapevamo che stava con Frank da qualche mese… nulla più…»

Anna  abbassò la testa: sapevano dall’inizio che c’era un’alta percentuale di possibilità che quello sarebbe stato un buco nell’acqua… ma inconsciamente  ci aveva sperato…

«Va bene» concluse Raff nascondendo la delusione «Se vi venisse in mente qualsiasi cosa… chiamateci»

I giocatori annuirono e i due ispettori andarono via.

 

«Quindi siamo punto e a capo» concluse Elena dopo il resoconto di Anna e Raffaele.

«Già…»

«E per la pistola?» chiese Raff.

«Ah… sì… Ale ha detto di averla nascosta in una grondaia sotto la finestra della camera da letto»

I due la guardarono come se fosse improvvisamente impazzita, Per qualche istante nell’ufficio regnò il silenzio, poi Elena si rese conto della gaff che aveva fatto e si affrettò a spiegare.

«Ho parlato con lui dopo l’interrogatorio dei carabinieri e mi ha detto che è sicuro che la sua pistola sia l’arma del delitto. Per questo l’ha nascosta: era già troppo coinvolto anche senza di essa. Figuratevi se i carabinieri l’avessero ritrovata…»

«Ale sarebbe in carcere e noi staremmo recuperando il sonno perso nei nostri letti con una preoccupazione in meno…» ironizzò Raff e nonostante il momento riuscì a strappare un sorriso alle ragazze.

«Sentite: perché non tornate nella stanza del delitto e recuperate la pistola? Magari ne ricaviamo qualcosa…»

«Ok. Tu che fai?» chiese Anna.

«Mah… prima di tutto chiamo il capitano Martinelli per sapere se ci sono novità, poi magari passo da Ale»

«Perché dov’è?»

«Gli hanno permesso di tornare a casa per una doccia veloce, ovviamente sempre sotto “scorta”…»

«Capito. Se ci sono novità facci sapere»

«Idem per voi»

I due ispettori uscirono dall’ufficio lasciando Elena ai suoi pensieri. Il suo cervello lavorava a mille ragionando su tute le possibile pieghe che avrebbe potuto prendere la situazione. Se avessero trovato la pistola e l’avessero fatta analizzare dalla Scientifica si sarebbero assicurati finalmente se fosse o meno l’arma del delitto. E poi? Come sarebbero andati avanti? Perché se Ale era praticamente sicuro che il proiettile assassino era stato sparato dalla sua pistola, lei era praticamente sicura che le uniche impronte rilevate sarebbero state quelle dell’ispettore.

L’irruzione agitata di Vittoria interruppe la sua catena di pensieri.

«Elena! C’è una ragazza che vorrebbe parlarti: dice di essere un’amica di Claudia e di avere importanti informazioni per noi» riferì.

«Falla entrare. Veloce Vittoria!» rispose l’ispettrice mentre il cuore accelerava la sia corsa: forse non tutto era perduto.

In pochi minuti la ragazza fu nell’ufficio.

«Mi chiamo Serena Levioli… io e Claudia eravamo grandi amiche»

«Ha detto di avere informazioni importanti» le ricordò l’ispettrice giungendo subito al dunque.

«Sì… ultimamente Claudia era cambiata, precisamente da poco dopo la morte di Francesco: lei non è mai stata sicura che si fosse trattata di una semplice overdose…»

«Cosa?!» esclamarono nello stesso tempo sia Elena che Vittoria.

«Ma sì: Frank non era il tipo… troppo rispettoso della vita e dello sport per poter prendere quella roba!»

«Beh, magari inizialmente non voleva, poi l’ha provata e c’è rimasto dentro» ipotizzò Elena.

«No… non è così: ultimamente Frank le aveva parlato di un cambiamento, di una brutta piega che stava prendendo l’associazione sportiva; ma non ha mai proseguito con i particolari: ogni volta che Claudia gli faceva qualche domanda lui le sorrideva e le diceva che sarebbe andato tutto ok. E poi…»

«Mi scusi, ma lei come sa tutte queste cose?»

«Dopo la morte di Francesco, Claudia  si è aggrappata a me: mi ha raccontato tutto dicendomi che voleva capire, che doveva parlare con l’allenatore e i compagni di quadra di Frank»

«Quindi credeva che la società c’entrasse qualcosa…»

«Sì… ma non ha avuto il tempo di scoprirlo…» constata triste la giovane.

Ora tutto era più chiaro: Claudia stava cercando di far luce su qualcosa. Per questo l’avevano uccisa. Molto probabilmente erano stati gli stessi che avevano ucciso Frank… perché anche quell’overdose non era più tanto sicura.

Elena scattò in piedi animata da una nuova forza.

«Vittoria fai firmare la deposizione alla ragazza: io devo scappare!»

Corse fuori dal commissariato e salì rapida nella macchina mettendo in moto e sfrecciando via a tutta velocità. Non si era neanche accorta che ormai era finita un’altra giornata ed il Sole aveva lasciato già il posto alla Luna e alle stelle.

Doveva vedere Alessandro, metterlo al corrente di questi nuovi, piccoli ma importanti sviluppi.

Quando arrivò fece un cenno ai carabinieri sottocasa che quasi inespressivi ricambiarono il saluto. Entrò nel palazzo e mentre stava salendo le scale le vibrò il cellulare. Sorpresa lesse il nome che appariva sul display: Anna. Cavoli! Con tutto quello che era successo si era dimenticata che aveva mandato lei e Raff a recuperare la pistola di Ale e non li aveva neanche informati delle novità.

Poco male  si disse sorridendo rimedio subito ed aprì la comunicazione.

«Anna?»

«Ohi Ele: abbiamo trovato la pistola dove aveva detto Ale. Ora stiamo tornando»

«Ehm… Anna… non mi trovate in commissariato. Sono da Ale: ci sono novità. Magari se mi ragg…»

L’ispettrice si bloccò: davanti a lei c’era l’appartamento di Ale con la porta socchiusa. Non era certo da lui rimanere l’appartamento aperto, ancor meno in un momento del genere: qualcosa non andava…

«Elena?» chiamò la collega preoccupata dall’improvviso silenzio.

«Anna: sono davanti all’appartamento di Alessandro e la porta è socchiusa. Qualcosa non va! Raggiungetemi il prima possibile, io entro» e senza aspettare la risposta chiuse  la chiamata ed afferrò la pistola.

Silenziosamente scivolò lungo il restante corridoio ed aprì la porta. Buoi. Un’altra cosa che non quadrava. Avanzò lentamente verso la cucina quando qualcosa colpì la sua mano e le fece cadere la pistola. Il resto fu troppo veloce perché Elena capisse. Una figura scura, un uomo le si parò di fronte colpendola al ventre con un coltello e fuggendo via. Elena si accasciò a terra portando la mano al ventre sanguinante.

Le immagini erano sfocate: c’era qualcun altro a terra poco lontano da lei. Poi il buio l’avvolse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo spazio dell’autrice

 

So che vorreste uccidermi per il kilometrico ritardo con cui ho postato questo capitolo, ma queste due settimane sono state… tremende. Sono viva x miracolo!! Come vi sarete accorti da questo capitolo in poi il pezzo iniziale in corsivo, di solito dedicato ad Hector, sarà dedicato a qualcosa inerente al capitolo stesso. Ho ritenuto inutile continuare con le enigmatiche scritte su Hector visto che ormai è stato svelato tutto! Inoltre è probabile che ci saranno degli errori xk nella fretta di postare non ho riletto; sono quasi certa che qualche volta il nome Claudia sarà confuso con Giulia: se ciò è capitato, vi prego di scusarmi, ma chissà xk mi sono fissata col confondere i nomi. Inoltre ho notato che qst capitolo è davvero enorme: beh, non abituatevi xk il prossimo sarà come gli altri se non più piccolo.

A proposito: che ne pensate? Il X è tornato più che mai non vi pare??

 

Intanto ringrazio i cari angioletti:

Uchiha_chan  Felice che qst volta le lacrime siano state di gioia… Ti avevo detto che i colpi di scena non sarebbero mancati e ce ne saranno ancora altri, puoi fidarti!! XD L’identità di Hector un colpo basso?? E perché mai?? Beh, si lo so… ho mentito a coloro che avevano capito tutto, ma quando ho capito di essere stata scoperta, stavo quasi per morire d’infarto! Quindi… Secondo me questa è una delle occasioni per affilare la falce: ho indovinato? *terrore puro* Vbb è stato bello vivere. Alla prossima (se ci sarò) un bacio.

Tinta87  hai atteso tanto, ma ecco finalmente l’8° capitolo! Credo che due settimane ti siamo bastate x riprenderti dallo shock Hector/Mauro e mi scuso ancora x la piccola bugia, ma era di vitale importanza… I tuoi complimenti mi fanno sempre arrossire… che dire? Mille grazie, sono felice che la storia ti piaccia sempre più! Ecco svelato parte di ciò che accadrà al distretto durante l’assenza di Luca… insomma non si annoiano mai i cari ragazzi!! Per la tua lunga recensione: non preoccuparti, come ho già detto più lunghe sono più mi fa piacere. Che ti pare di qst chappy?? Un bacio… alla prossima!

Luna95  Hihihi so di inquietarti e continuerò a farlo, qnd rassegnati! Eh, sì: Luca non è morto… e ha trovato un vecchio amico, anzi + che amico, un fratello!! Che te ne pare di qst capitolo? Alla prossima un bacio!

Buffy86  Beh, felice che tu non l’abbia capito… almeno il colpo di scena è stato autentico e forte!! Mille grazie x i tuoi complimenti e, sì, vedrai tra qlche capitolo gli spunti che mi hai dato. Sì si Luca è ancora vivo… per ora… e sono stupefatta dalla tua affermazione: davvero ti avrebbe attratta di più la serie se avesse avuto questa trama??? O_O me davvero lusingata… Che te ne pare di qst?? Un bacio alla prossima!

Lyrapotter  O.O dai non sono stata così bugiarda!! Solo un pochino… ma sono stata costretta!! Concordo: anch’io ho vissuto la morte di Mauro come un trauma ed un affronto personale!! Beh, per questo capitolo… hai detto tu che potevo far accadere di tutto e qnd… ti ho accontentata… Per inghippo tra Mauro e Germana, e Mauro e Roberto… mmh… non so: hai visto che ne pensa Mauro… Cmq tu continua a seguire qst ff e scoprirai!! Un bacio e alla prossima!!

Dani85  -^^- oh… ma quanti complimenti! Mille grazie! Felice di essere riuscita a convincere almeno te… così la sorpresa ed il colpo di scena è stato autentico!! XD Per mia fortuna… a Luca non è successo nulla, ma credo che anche tu non starai molto calma dopo qst chappy… *paura* Il “per ora” sì… è una precisazione del caro diavoletto… ma non preoccuparti… XD Ecco gli sviluppi ad X: che ne pensi??  Un bacio. Alla prossima.

SARAHPOXY  grazie x aver messo la storia tra le seguite.

Luna Viola  grazie x aver messo la storia tra le seguite.

 

Il prossimo capitolo, intitolato DEJA VU,, vedrà la conclusione di qst difficile caso che ha coinvolto, fin troppo, tutti gli uomini del X… con tutte le conseguenze, negative e positive e si rivedrà, anche se in minima parte, anche Luca.

Quindi continuate a leggere e recensire… xk ce ne saranno delle belle!

Un ringraziamento anche a tutti i silenziosi lettori…

Un bacio. La vostra Alchimista!  

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Capitolo 9
*** Dejà vu ***


CAPITOLO 9°_ DEJÀ VU

                

Succede così: succede che una mattina ti svegli, ti guardi allo specchio e sai che da adesso in poi niente sarà come prima. Per un attimo vorresti fermare il fiato, trattenere il respiro, ma non puoi…*

Impressionante come la calma possa invadere i momenti più tragici: quelli che non sai come andrà a finire; impressionante come il tempo sembri fermarsi, i suoni assottigliarsi così come ogni percezione. Aveva sempre pensato che le avrebbe fatto male, aveva sempre creduto che il d0olore sarebbe stato insopportabile invece ora si accorge che poi non è così male; certo il sentire il sangue fluire fuori dal proprio ventre, caldo e lento, non è il massimo, ma il tutto è come filtrato attraverso uno strano senso di lontananza, si sente come anestetizzata: il dolore non la sfiora, solo si sente stanca, stanca da morire…

A volte vorresti fermare il tempo, ma non puoi… un attimo solo… il tempo di un respiro…*

Un rumore lontano la costringe a riaprire gli occhi con uno sforzo immane: ha l’impressione di sentire qualcuno che corre finché il suo campo visivo, che – ora se n’è improvvisamente resa conto – è offuscato, è riempito dal volto di un uomo. Sembra preoccupato e si accorge che la paura con sorprendente sapidità sta mangiando il resto delle emozioni presenti sul suo viso. Lo conosce, sa di conoscerlo e vorrebbe urlare il suo nome, ha è così stanca, ha così freddo e le forze – lo sa – la stanno lasciando. Alessandro… Non è sicura che l’abbia sentito e, infatti, continua a parlare, ma della sua voce ad Irene giunge solo il suo, dolce, un po’ incrinato…Poi il tutto sembra offuscarsi, il cielo bianco sopra di lei si oscura, non sente più neanche la lieve sensazione dell’erba sotto il corpo finché il buio la inghiottisce e l’ultima cosa che vede è il volto supplichevole del suo amato.

A volte vorresti fermare il tempo, ma non puoi; non sempre ti dice bene e a volte arrivi troppo tardi. Basta un attimo, un battito di ciglia, il nome della persona amata: è tutto qui, è tutto il tempo che ci resta…*

 

Raffaele fermò la macchina con una sonora sgommata. L’agitazione era palpabile: erano ad una svolta, positiva o negativa che fosse. Non fece in tempo neanche a scendere dalla macchina che un uomo grosso e vestito di scuro uscì correndo dal condominio dove viveva Alessandro.

«Fermo!» gridò puntando la pistola verso di lui e allarmando i due carabinieri che uscirono veloci dalla loro vettura.

«Che cosa sta succedendo ispettori?» chiese uno dei due con fare autoritario.

Raffaele cominciò a correre senza degnarli di una risposta.

«Succede che il vostro assassino è quello!» spiegò Anna prima di inseguire l’uomo con il collega.

Era buio e la visuale non era delle migliori, inoltre l’uomo, vestito in quel modo, riusciva a mimetizzarsi facilmente con l’ambiente circostante tanto che più di una volta Anna credette di averlo perso; Raffaele invece continuava a correre imperterrito come dotato di una vista “notturna” finché voltando l’angolo l’ispettrice non gli sbatte quasi contro.

«Dove cazzo è andato?!» urlò irato l’ispettore voltandosi rapido da ogni parte.

«L’abbiamo perso!»

Intanto i due carabinieri avevano raggiunto gli ispettori e continuava a scrutare il luogo circostante come in cerca di indizi invisibili.

«Almeno ora vi sarete convinti che Alessandro non c’entra nulla!» li rimproverò Raff.

Ad Anna sembrò ricevere un secchi d’acqua gelata addosso: Alessandro ed Elena! Lanciò uno spaventato sguardo al collega prima di riprendere la corsa in senso opposto: la paura saliva ad ogni passo. Lo sapeva, sapeva che era successo qualcosa. Raffaele dietro di lei la seguiva con lo stesso strato d’animo nel cuore. In seguito, riflettendoci, si sarebbero accorti che di quella maledetta notte non avrebbero ricordato affatto quella disperata corsa. Le scale volarono in un attimo, ma quando Anna scorse la porta spalancata dell’appartamento e il corpo di Elena a terra immobile si sentì mancare il fiato come se fosse sbattuta contro un muro invisibile. Raffaele la superò e solo allora anche l’ispettrice riprese la corsa.

«Elena!» gridò appena si accorse della pozza di sangue nella quale era riversa la collega «Elena ti prego: apri gli occhi. Avanti. Elena!» la incitò.

Anche Raffaele guardava preoccupato la collega la cui ferita era pressata da Anna; poi si accorse che poco più a destra c’era qualcun altro per terra, immobile.

«Cazzo! Ale!» esclamò raggelandosi improvvisamente.

Si accovacciò accanto all’amico controllando il polso: era vivo. Tirò un primo respiro di sollievo, poi controllò se fosse ferito da qualche parte, ma con un secondo respiro di sollievo si rese conto che non aveva alcuna ferita.

«Come sta?» chiese urlando Anna che non poteva muoversi.

«È solo svenuto, credo. Comunque non ha ferite. Chiamo un ambulanza per Elena, poi provo a farlo rinvenire»

Intanto i carabinieri erano giunti nell’appartamento.

«Ma che diavolo è successo qui?» chiese uno dei due.

«Devo spiegarglielo?» chiese tra sfida e presa in giro Anna, mentre le sue mani ormai erano completamente vermiglie in netto contrasto con il suo volto e quello della collega che sbiancavano a vista d’occhio.

«E Berti?»

«Raffaele sta cercando di farlo rinvenire» li informò Anna indicando con la testa la cucina. 

Il carabiniere che aveva chiesto notizie di Alessandro si spostò nell’altra stanza e assistette al rinvenire dell’ispettore.

«Raff… cosa…?»

«Non agitarti: va tutto bene…» provò a calmarlo Raff mentendogli.

«C’era un uomo… Mi ha stordito con qualcosa; poi i ricordi si fanno confusi…» spiegò l’ispettore ancora shoccato.

«Lo ha visto in volto?» chiese il carabiniere, ma l’ispettore scosse la testa.

Intanto il suono della sirena dell’ambulanza inondò il silenzio della notte.

«Perché questa sirena? Raff che succede?» chiese allarmato l’ispettore.

«Elena era venuta per informarti di alcune novità… ma ha incontrato quell’uomo» sussurrò Raffaele.

Il volto di Alessandro divenne più bianco di quello di quello delle due colleghe nella stanza accanto. Si alzò ignorando il violento giramento di testa che lo fece sbandare e raggiunse la collega che i medici avevano già caricato sulla barella. E fu come vedere un flash back: lo stesso volto pallido, la stessa ferita al ventre, le stesse mani sporche di sangue.

No urlò dentro di se No, ti prego: non portarmi via anche lei… nello stesso modo…

Non sentiva più nulla, non vedeva più niente: le immagini si sovrapponevano, i ricordi tornavano, il dolore lo assaliva forte come allora. Aveva creduto di essergli sfuggito, ma ora si rendeva conto che era stato solo uno sciocco tira e molla, che si era solo illuso e in realtà il dolore non lo aveva mai lasciato del tutto.

«Ale…»

Fu un sussurro debole, forzato, ma alle sue orecchie giunse come un grido disperato.

In un attimo tornò in se e seguì la barella che stava per essere caricata sull’ambulanza. Salì anche lui e le si sedette accanto mentre un infermiere le metteva una mascherina per l’ossigeno e un altro faceva pressione sulla ferita.

Stava succedendo di nuovo e lui, ancora una volta, non poteva fare nulla: era costretto a guardare andar via anche lei. No… non voleva…

«Elena non mi lasciare… ti prego…» sussurrò prendendole una mano e bagnandola, senza rendersene conto, con le lacrime che ormai scendevano sul suo viso.

Quando giunsero in ospedale l’ispettrice fu immediatamente portata in sala operatoria ed Ale, shoccato e ancora in lacrime, si sedette con la testa fra le mani.

Ma perché? Perche! Si chiedeva furioso di dolore prima mi hai portato via Irene, ed ora anche Elena?! Proprio ora… che stavo provando a capire, ora che lo avevo accettato… Elena ti prego… non lasciarmi di nuovo solo… ho bisogno di te… io…

L’arrivo di Anna e Raff fermò i suoi pensieri.

«Come sta?» chiese Anna con voce incrinata.

L’ispettore scosse la testa.

«La stanno operando… Ha perso molto sangue… Se non ce la facesse…»

«Non devi neanche pensarlo!» esclamò Raffaele sedendosi accanto a lui «Elena è forte e lo sappiamo bene: ha superato tante cose… Ce la farà: fidati!»

«Grazie…» Sussurrò Alessandro abbracciando l’amico.

Anche Anna gli si sedette accanto e lui la strinse a se affettuosamente.

 

Il caffè, quella mattina, gli stava dando una grossa mano a riprendersi da quel sonno che non sembrava volerlo lasciare. Mauro sbadigliò sorseggiandone ancora un po’ da una grossa tazza ed il suo occhio cadde sul giornale che qualcuno dell’organizzazione, svegliatosi presto, aveva portato al vecchio convento. Alcune parole attirarono la sua attenzione su un articolo di poche righe che continuava nelle pagine. Posò la tazza sul tavolo e prese il giornale cercando il continuo di quelle poche righe che aveva letto con aria preoccupata; man mano che gli occhi scorrevano sulla pagina e la mente immagazzinava informazioni il suo volto impallidiva sempre più. Ad un tratto chiuse di scatto il giornale e corse via fino alle celle dove alcuni dell’organizzazione dormivano ancora compreso Luca. Bussò rapido ed agitato, ma non ottenne risposta.

«Marco! Marco apri maledizione! Marco! Svegliati!» gridò.

Dopo qualche istante un assonnato Luca aprì la porta strofinandosi gli occhi.

«Che succede Hector? Una missione?» sbiascicò confuso.

«Peggio» disse serio l’uomo entrando nella stanza dell’amico e sedendosi sul letto poggiò il giornale sul tavolo.

«Che succede?» chiese Luca preoccupato.

«Leggi l’articolo a pagina 10…» gli suggerì Mauro.

L’altro lo guardò ancora un po’ frastornato senza capire, poi andò alla pagina indicata e cominciò a leggere l’articolo.

Nuovo colpo alla polizia di stato.

Dopo il “ben nascosto” coinvolgimento di un agente di polizia nel cado d’omicidio di una 24enne, un’altra agente di polizia è rimasta gravemente ferita ieri notte durante una presunta missione. La donna – e qui il cuore di Luca perse un colpo – è stata trasportata nel più vicino ospedale e sottoposta ad un intervento urgente per cercare di salvarle la vita. Ora la sua prognosi è riservata…

Gli occhi sconvolti di Luca non seguivano più il filo logico dell’articolo, ma cercavano tra le righe parole che potessero escludere il coinvolgimento di un agente del X, ma la stoccata giunse nelle ultime righe della pagina.

…Fonti sicure ci indicano che l’agente coinvolto si chiama Elena Argenti e che lavora al X Tuscolano.

Il cuore di Luca si fermò, il giovane si sentì mancare e dovette impallidire tanto perché Mauro di alzò di scatto e gli si avvicinò preoccupato mettendogli una mano sulla spalla pronto ad intervenire in caso di bisogno.

La mente di Luca non elaborava alcun pensiero: muta, come resettata. Il peggior incubo del commissario, l’unico pensiero che forse avrebbe potuto frenarlo nel proposito di infiltrarsi si era realizzato.

«Devo… devo vederla…» sussurrò.

«Non dire cazzate Luca! Capisco che sia una tua collega, ma te la sei già cavata con molta fortuna l’ultima volta: così rischi sul serio di attirare attenzioni indesiderate!»

«No: tu non capisci!» gli urlò Luca guardandolo negli occhi «Io devo vederla… non posso permettere che muoia… io… no…»

«Perché pensi che con il tuo arrivo sarà salva?» lo sfidò l’uomo.

«No, però…» Luca non sapeva cosa dire: aveva la tremenda paura che tutto sarebbe andato come l'ultima volta «Io devo esserci! E se tutto andasse a finire come con Irene? No… voglio vederla…»

Nella stanza cadde il silenzio più assoluto: sembrava che le ultime parole del commissario avessero convinto Mauro, ma quando Luca alzò gli occhi sull’amico lo trovò con un’espressione sconvolta in viso e si rese conto dell’errore che aveva fatto.

«Che… cosa… è successo… ad Irene?» balbettò l’uomo.

«Io… oh Mauro scusami: avevo dimenticato che tu eri andato via prima che…» provò a scusarsi Luca senza sapere come rimediare.

«Irene è morta?» chiese Mauro che odiava i giri di parole.

Luca annuì abbassando la testa: sapeva che non l’avrebbe mai dimenticato. Mauro improvvisamente lo abbracciò: anche lui, nonostante avesse lavorato poco tempo con Irene, le aveva voluto davvero bene.

«Ti aiuterò a vederla: non preoccuparti…» lo rassicurò.

 

«L’ispettrice Argenti insieme al sovrintendente Guerra ha raccolto la deposizione di una ragazza, Serena Levioli, che ha dichiarato che Francesco nutriva dei sospetti verso la Società riguardo qualcosa di illecito e che, dopo la sua morte Claudia abbia cominciato a fare domande per capire di cosa stesse parlando il ragazzo» disse l’ispettore Berti per informare il Capitano Martinelli e i suoi uomini delle ultime novità sul caso. Dopo il ricovero di Elena e i successivi chiarimenti, che avevano cancellato Alessandro dal registro degli indagati, quest’ultimo aveva ripreso in mano le redini del Distretto indagando con la stessa forza della collega: lo face anche, anzi soprattutto per lei.

Nonostante tutto però nessuno poteva negare che si avvertiva l’assenza di Luca, di una stabilità che togliesse dal petto di tutti quella strana ansia che li teneva sempre in allerta.

«Credo che la cosa migliore sia risentire la ragazza e magari provare a vedere, ma non ci spero molto, se attraverso la sommaria descrizione che abbiamo riesce a riconoscere l’uomo di stanotte» convenne il capitano ed Ale annuì facendo cenno ad Anna e Raff che andassero dalla giovane.

Congedò in seguito i carabinieri ed uscì anche lui.

Ormai non riusciva a staccarsi per più di un’ora dall’ospedale senza avere la tremenda paura che Elena se ne sarebbe potuta andare. Dopo l’intervento, che aveva comunque avuto esito positivo, la donna era entrata in coma e per lei non si poteva fare altro che sedersi accanto al suo letto e parlare, parlare e parlare ancora sperando che quei semplici accostamenti di suoni potessero allontanare il male che la braccava e svegliarla; ma Ale lo sapeva: non era mai stato logorroico, anzi, al contrario, amava molto il silenzio perché spesso valeva e sapeva comunicare molto più di tante, infinite parole. E così durante quelle brevi ma frequenti visite il silenzio riempiva assordante la stanza. Silenzio che urlava mille rimproveri verso l’ispettore che forse avrebbe potuto fare qualcosa – ma poi cosa?

Silenzio che urlava mille parole all’ispettrice, tutte quelle che lui non aveva saputo dirle e che temeva non avrebbe più fatto tempo a dire.

Per ciò questa volta parlò, per paura di non avere più altre occasioni; perché forse, se anche si fosse svegliata, non avrebbe più trovato il coraggio di parlare.

«Mi avevi detto che quando avremmo risolto il pasticcio in cui mi ero cacciato avremmo parlato di quello che era successo, di quello che ci sta succedendo… Ora io “ne sono fuori”, ma non ce la faccio ad aspettare che tu ti scegli. Ho già provato la brutta sensazione di dire qualcosa di estremamente importante a qualcosa di inorganico, morto: qualcosa che non avesse la possibilità di sentirmi e non voglio farlo mai più. E poi forse se te lo dicessi guardandoti negli occhi perderei quel po’ di coraggio che mi è rimasto…

Ti sto evitando, è vero, e cerco di starti accanto il meno possibile: ma tu non sai il perché, o forse si… voi donne sapete sempre tutto. Io ti amo Elena… Ma l’idea, la paura di poter perdere un’altra persona che amo mi uccide. Vivere un dejà vu sarebbe troppo… fatale. Ora capisci perché cercavo di negare a me stesso quello che ormai è evidente? Ma è accaduto lo stesso… Nonostante mi sia detto che ciò che provavo non era vero, nonostante ti abbia allontanato, sto vivendo un dejà vu… e ho paura che finirà allo stesso modo. Ti prego Elena non lasciarmi…»

Ecco: l’aveva detto… e lei non l’aveva sentito. Ma almeno era servito per accettare la cosa: un passo avanti. Poi ne avrebbe fatto un altro quando si sarebbe svegliata: perché era sicuro che si sarebbe svegliata.

 

Erano in viaggio da almeno dieci minuti, ma il silenzio regnava sovrano: i due ispettori erano sommersi da mille pensieri. Tutto era accaduto troppo velocemente: prima l’accusa di Alessandro, poi il ferimento di Elena. Non riuscivano ancora a capacitarsene.

«Si sistemerà tutto» sussurrò Raff poggiando una mano su quella di Anna.

La ragazza sorrise, ma entrambi sapevano quanto fosse farlo quel gesto e del resto in quel momento nessuno dei due sperava in qualcosa di diverso. Dopo altri dieci minuti casa Levioli si stagliò davanti a loro.

I due scesero rapidi ed Anna bussò alla porta. Dall’interno nessuna risposta o qualsiasi altro rumore che facesse capire che c’era qualcuno in casa.

«Forse non c’è» ipotizzò Raffaele «Bisognerebbe provare a rintracciarla sul cellulare: se non erro dovrebbe aver…» le sue parole furono interrotte da un grido che proveniva dall’abitazione.

Non dovettero neanche pensarci o guardarsi per coordinare le loro azioni: Anna caricò la pistola, Raff sfondò da porta e in pochi istanti furono dentro. Fecero giusto in tempo: nel soggiorno trovarono Serena a terra spaventata ed un uomo – lo stesso che aveva aggredito Elena ed Ale – su di lei con un coltellino impugnato nella mano sinistra. L’irruzione in casa però aveva annullato l’effetto sorpresa: lo sconosciuto ebbe il preavviso necessario per scattare in piedi e, nonostante le intimidazioni dei due poliziotti e le armi puntate, darsi alla fuga. Anna guardò per qualche attimo la giovane spaventata poi si diede all’inseguimento del malvivente sicura che l’avrebbe soccorsa Raff; e poco dopo, infatti, non sentì più la presenza del collega alle sue spalle.

Lo sconosciuto aveva trovato l’uscita sul retro dell’abitazione ed ora correva quanto più veloce possibile, ma Anna era più rapida: sentiva che lo raggiungeva, che la distanza si riduceva sempre più finché il fuggitivo non svoltò a destra entrando in un vecchio casolare adibito a deposito di legna e affini. Anna si fermò e riprendendo fiato si guardò intorno alla ricerca dell’uomo: come diavolo aveva fatto a sparire in quel modo con così poco vantaggio?

Ad un tratto un rumore attirò la giovane ispettrice verso il lato destro dello stabile. Arma in pugno Anna cominciò a camminare con circospezione stando attenta ad ogni più piccolo rumore. La tensione era palpabile: sarebbe potuto succedere di tutto. Con un piede calpestò una foglia secchia e lo scricchiolio echeggiò nel silenzio facendo innervosire l’ispettrice. Svoltò l’angolo e si trovò in un piccolo spazio probabilmente destinato ad un parcheggio.

Ma dove cazzo è finito? Pensò irritata Questa caccia è fin troppo snervante per i miei gusti!

E non finì neanche di formulare quel pensiero che alle sue spalle echeggiarono fredde parole.

«Fine della caccia!» e le sembrò di essere stata letta nel pensiero.

Anna ebbe appena il tempo di voltarsi che un proiettile la colpì in pieno petto sbalzandola alcuni metri indietro e lasciandola per terra.

Sapeva che avrebbe fatto male, ma a queste cose non ci si abitua mai. Aveva il fiato mozzato, non riusciva a respirare e tentava invano di portare la mano al petto finché non sentì qualcuno che le sollevava delicatamente la testa e una voce che la chiamava.

«Raff è tutto ok…» provò a calmarlo con voce sottile «Ho il giubbotto…»

Il collega sorpreso l’aiutò ad alzarsi ed Anna ignorando il lieve giramento di testa portò la mano al petto toccando il foro lasciato dal proiettile nel giubbinetto di jeans ripetendosi che era stata davvero fortunata.

«Come mai hai il giubbotto?» chiese Raff ancora incredulo.

«Dopo quello che è successo ad Elena ho capito che questa è gente che non scherza… e l’istinto mi ha detto di proteggermi…»

«Beh allora complimenti al tuo istinto: ti ha salvato la vita»

No non è stato il mio istinto Non è stato il mio istinto.

«E Serena?» chiese poi: si era quasi scordata della ragazza.

«È a casa: è un po’ scossa ma sta bene. Vieni: andiamo» la informò e i due si riavviarono verso l’abitazione.

La giovane seduta sul divano del soggiorno aveva le mani intorno al petto e gli occhi chiusi. Ad Anna fece quasi tenerezza: è questo quello che si provava quando la più totale ed assurda paura ti attanagliava all’improvviso e quei pochi punti di riferimento venivamo improvvisamente a mancare e lei lo sapeva bene.

Le poggiò una mano sulla spalla e la giovane sussultò, poi la guardò e l’ispettrice le sorrise: era sempre stato così difficile fare quel gesto?

«Come si sente?» chiese, notando la stupidità della domanda.

«Un po’ meglio grazie… chi era quell’uomo?»

«Con molta probabilità l’assassino di Claudia» disse Raff temendo la reazione della giovane.

«E… voleva uccidere anche me… perché ho parlato con voi dei sospetti di Claudia e Frank…»

«Si Serena. Ma ascolta: la tua testimonianza è stata importantissima per le indagini. D’ora in poi sarai scortata da due agenti che ti assicureranno protezione 24 ore su 24: ti prego non abbandonarci ora» la scongiurò Anna che vedeva pian piano crollare anche le ultime speranze per la testimonianza della giovane.

La ragazza alzò la testa ed Anna sussultò: c’era una forza, un’energia nel suo sguardo che l’ispettrice non si sarebbe mai aspettata.

«Sta scherzando? No che non mollo! Non solo hanno ucciso Claudia e Frank, ora hanno minacciato anche me! Non la passeranno liscia: di questo sono sicura!» disse seria.

Anna sorrise sincera: per qualche istante si sentì leggera come se con quelle parole la ragazza avesse risolto non solo il caso ma anche tutti i problemi personali dell’ispettrice e le sue preoccupazioni. 

«In commissariato allora!» convenne Raff.

 

Quando arrivarono al distretto videro che anche Alessandro era tornato dall’ospedale. In realtà l’ispettore non aveva detto che sarebbe passato a trovare Elena, ma entrambi sapevano che quello era l’unico posto dove ormai andava l’uomo.

«Ohi ragazzi» li salutò; poi lo sguardo cadde casualmente sul giubbinetto di Anna «Ma cosa…?» chiese improvvisamente preoccupato.

«Non è nulla» si affrettò a rispondere Anna «Salvata da giubbotto antiproiettile e dal mio istinto» concluse sbrigativa per non aprire di nuovo la discussione.

Ale annuì ancora un po’ frastornato dalla leggerezza con cui era stata presa la cosa dalla diretta interessata.

«Pensi tu alla ragazza?» le chiese poi «Io e Raff dobbiamo tornare alla sede della squadra di pallavolo»

L’ispettrice annuì facendo strada alla ragazza e salutando con un cenno i due.

«Come sta Elena?» chiese Raff al collega mentre si avvicinavano a velocità sostenuta allo stabile.

«Sempre uguale: stazionaria. Il dottore dice che fisicamente l’emorragia interna si è riassorbita, ma lei continua a dormire… ed io non so se…»

Raffaele lo guardò: stava per dire anche a lui che sarebbe andato tutto bene… ma ormai quelle parole non le sentiva più sue: gli sembrava di prendere il giro la persona a cui erano riferite, quindi tacque pregando che tutto andasse per il meglio.

«E Anna?» chiese all’improvviso Alessandro «Non l’ho vista molto bene… che ha?»

«All’inizio credevo che stesse male per Luca… insomma starà male anche per lui, certo… ma non so: c’è qualcos’altro»

«E tu hai provato a chiederle cos’è?»

«Sì, ma è sempre di poche parole, evasiva… non riesco a capirla…»

Intanto Alessandro aveva parcheggiato e i due ispettori erano scesi dalla vettura.

«Beh… sarà agitata, è naturale: il fatto che, però, Luca non ci abbia fatto sapere più nulla dopo la rapina non significa che non stia bene» ed un brivido lo scosse «Dopo questa storia parleremo con Anna e l’aiuteremo»

Quella mattina gli allenamenti di pallanuoto si erano conclusi prima e i due trovarono tutti i giocatori nello spogliatoio.

«Cosa volete ancora da noi?» chiese uno dei ragazzi non appena li vide entrare.

«Farvi qualche altra domanda» rispose calmo Alessandro.

«Non abbiamo più nulla da dirvi…» continuò il ragazzo chiaramente ostile senza però un apparente motivo.

«Conoscete Serena Levioli?» chiese Raff, ma i ragazzi negarono con la testa.

«Sentite: il vostro amico non è morto accidentalmente.  Ormai abbiamo motivo di credere che sia stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa di troppo, qualcosa quest’associazione sportiva» confessò Alessandro per provare a smuovere i ragazzi.

«È assurdo!» gridò sempre lo stesso giocatore che, per come esprimeva il pensiero collettivo, poteva benissimo essere creduto il capitano.

«Potrà sembrarti assurdo… ma è la verità e crediamo che anche la sua ragazza sia stata uccisa per lo stesso motivo»

«No! Claudia è morta a causa di uno di voi! È stato un poliziotto a farla fuori e chissà cos’altro non ci dice la polizia per coprire un proprio agente!»

Raffaele rimase molto più impietrito do Ale che sorrise e si avvicinò al giovane; l’ispettore seguì il collega pronto ad intervenire in caso di necessità: conosceva il carattere poco pacato dell’amico.

«È per questo che ci stai trattando così, giusto? Un giornale accusa un poliziotto di essere coinvolto in un omicidio quando neanche il diretto interessato sa davvero quello che è successo e tutti lo credono senza fare una sola domanda. Beh allora ti dico una cosa: il poliziotto accusato sono io e, solo per informazione, sono stato prosciolto da ogni accusa»

Ale aveva pronunciato tutte quelle parole con una calma di cui Raff non lo credeva capace: allora, forse, quel viaggio in America era davvero servito a qualcosa. Sorrise felice.

Il ragazzo invece era rimasto senza parole: il discorso, detto con quella calma, era stato molto più efficace di se fosse stato urlato.

«Lascia stare Simo… ha ragione: i poliziotti non c’entrano nulla. Io sono stato un vigliacco, ma ora non starò più zitto…»

«Lu, ma di che cazzo stai parlando?»

Il giovane, Luigi, abbassò la testa.

«Io…» non sapeva come spiegare, che dire: tutto era diventato più grande di lui.

«Venga con noi: ci spiegherà tutto in commissariato» disse Raff.

Intanto squillò il cellulare di Alessandro; l’ispettore lesse il numero sul display e sembrò impallidire.

«Che succede?» chiese il collega vedendo il suo sguardo preoccupato.

«È l’ospedale» disse Ale tremando poi corse via lasciando tutti sorpresi.

 

Il cuore batteva forte: non aveva risposto al cellulare per non perdere tempo, ma ora si considerava un vero stupido perché non poteva sapere che quelle dell’ospedale sarebbero state notizie buone o cattive. Quando giunse al terzo piano il dottore era fermo davanti alla porta della camera di Elena e discuteva con un’infermiere.

«Dottore!» urlò Alessandro «Che cosa succede?»

L’uomo si voltò verso l’ispettore con un’espressione, che senza sapere bene il perché, lui giudicò di cattivo auspicio ed il suo cuore perse un colpo.

«Ispettore, si calmi! Perché non ha risposto al cellulare?! L’ispettrice Argenti a mostrato segni di ripresa»

«Si è svegliata?» chiese a mezza voce Ale senza intendere davvero quelle parole.

Il medico annuì sorridendo e fu come se il tempo si fosse improvvisamente fermato.

Era sveglia? Stava bene? Non rischiava più di lasciarlo solo? Possibile? Possibile che l’incubo fosse finito? Che il dejà vu non si fosse avverato fino in fondo? Che il destino gli avesse dato una seconda possibilità? Eppure che motivo poteva avere il dottore per mentirgli? Per fargli credere che tutto sarebbe andato bene? Quindi a rigor di logica avrebbe dovuto credergli…

«Ispettore? Si sente bene?» chiese con voce lievemente preoccupata il dottore.

Alessandro annuì con un lieve sorriso: chissà che faccia aveva dovuto fare…

«Posso vederla? Ora è sveglia?» chiese mentre la consapevolezza, prendendo sempre più vigore, portava in quel corpo, in quel cuore un calore, una gioia che mancava da molto, moltissimo tempo.

«Solo qualche minuto: è ancora debole e ha bisogno di riposo» concesse quello che non avrebbe in alcun modo potuto impedirgli di vedere la donna.

Ale gli sorrise di nuovo ringraziandolo ed entrò cercando di tenere a bada l’entusiasmo che lo animava. Il più silenziosamente possibile prese una sedia e si sedette accanto al letto di Elena che, nonostante sembrasse ancora dormire, aveva in viso un’espressione più serena e rilassata. O forse dipendeva tutto dal fatto che lui la sapeva salva?

Pochi istanti dopo l’ispettrice aprì gli occhi e ad Ale parve mancare il fiato nel vedere il loro castano.

«Ti ho svegliata?» le chiese con voce tremante.

Elena scosse lentamente la testa accennando uno stanco sorriso.

«Non preoccuparti…» sussurrò «…ti stavo aspettando…»

Lo sguardo di Ale si fece interrogativo: cosa voleva dire con “ti stavo aspettando”? Una qualunque altra persona non si sarebbe curato di quelle parole, ma non lui: conosceva bene Elena e sapeva che lei non diceva qualcosa tanto per dire.

«Lo sai che i medici dicono che molte volte le persone in come si svegliano perché sentono le voci delle persone care?» chiese ad un tratto Elena spiazzando l’ispettore.

«Si… devo averlo sentito da qualche parte…» rispose incerto.

L’ispettrice sorrise, stavolta più sicura e la sua espressione sembrò dire: “non fare il finto tonto con me perché so benissimo che hai capito quello a cui mi riferisco”. E a dirla tutta una parte di Ale aveva davvero capito ciò a cui si riferiva Elena, ma temeva la realtà.

«Ti ho sentito prima…» confessò lei apertamente e le parve – in verità ne era sicura – che Alessandro fosse sbiancato.

Il realtà l’ispettore avrebbe pensato a tutto fuorché che la ragazza lo avesse sentito durante il coma.

Ben mi sta! Si disse la prossima volta imparo a parlarle quando credo che non mi senta!

«Elena io…» si bloccò.

Maledizione Ale: sei in ballo no?! Allora balla! Tanto cosa potrebbe andare storto?... peggio di così…

«Ora sai cosa penso… e come la penso…»

Elena annuì.

«Il fatto è che ho sofferto tanto, Elena… e ho paura di soffrire ancora perché quei giorni sono stati tremendi e non posso, non voglio ripeterli. Nonostante questo non posso ignorare ciò che provo, non posso ignorare che ti amo»

«Lo so…»

«Io vorrei… essere… sicuro che… che non…»

«Non posso prometterlo. Io… non so come andrà. So solo che siamo qui, ora, entrambi; che mi amiamo. Il resto non è in mio potere… mi spiace…»

Alessandro la guardò: aveva sofferto tanto quanto lui… e aveva capito tutto prima di lui. Ma ora erano sulla stessa lunghezza d’onda… e ciò bastava, anzi, in realtà era tutto quello in cui aveva sperato.

Si avvicinò alla ragazza che sorrise consapevole e le loro labbra si sfiorarono, prima quasi con pudore e timore, poi sempre con più bisogno perché si erano cercate per troppo tempo ed ora potevano dare sfogo a tutta la loro fame.

Quando si separarono Alessandro l’abbracciò forte e sentì nascere in lui qualcosa di molto simile alla felicità.

«Temevo di perderti…» le sussurrò stringendola più forte.

«Ora sono qui… non ti lascerò…» lo rassicurò.

Se solo il tempo si fosse fermato sarebbero potuti rimanere così anche per secoli, ma solo uno sciocco avrebbe creduto che ciò sarebbe stato possibile.

«Amore…» e fu stranamente dolce sia pronunciare sia sentire tale parola «… devo andare: ho lasciato Anna e Raff ad una probabile svolta e voglio guardare negli occhi l’uomo che ha fatto tutto questo casino!»

Elena annuì: era stata per tanto tempo in attesa che lui si accorgesse del loro amore, di certo non sarebbe morta per una sua momentanea assenza.

Gli diede un veloce bacio e lo lasciò andare sdraiandosi e lasciandosi invadere da un senso di calma. Chiuse gli occhi e sorrise: per una volta sembrava andare tutto bene.

Ad un tratto sentì riaprirsi la porta, ma non si mosse né aprì gli occhi.

«Cos’hai scordato?» chiese.

Non arrivò alcuna risposta.

«Ale?» lo chiamò incuriosito dal suo silenzio, ma quando aprì gli occhi trattenne il fiato per l’improvviso spavento. Davanti a lei non c’era l’ispettore Berti, ma un uomo completamente vestito di nero e con un passamontagna.

Elena era paralizzata: in un attimo nella sua mente si formò la più probabile spiegazione a quella situazione. Gli uomini in nero avevano dovuto scoprire Luca e per vendetta non solo avevano fermato definitivamente lui – e cercò con un grande sforzo di non soffermarsi su quel pensiero – ma ora se la stavano prendendo anche con tutto il distretto e lei era la più vulnerabile in quel momento.

«Shh…» le intimò l’uomo, ma in ogni caso se anche avesse voluto Elena non sarebbe riuscita ad urlare.

«Sono io…» continuò quello e togliendosi il passamontagna Elena poté tirare un respiro di sollievo.

«Luca!» esclamò ed il commissario la strinse forte a se «Stai bene? Che succede?» chiese poi incuriosita dall’inaspettata visita.

«Io sto bene, non preoccuparti. Nell’organizzazione si muove qualcosa, ma per ora è solo a livello dei capi: le ultime indagini li hanno resi molto prudenti. All’inizio ho creduto che mi avessero scoperto e invece…»

«Invece?»

«Nulla… ti, anzi vi racconterò tutto quando ne saremo fuori. Voi tenetevi pronti: presto si muoverà qualcosa. Stamattina ho letto un articolo di giornale che parlava del ferimento di un agente di polizia; ci deve essere stata una dispersione di notizie perché è comparso il tuo nome nell’articolo. Mi sono sentito mancare: ho creduto che sarebbe finita come l’ultima volt, per questo ho deciso di venire a vedere che era successo…»

«Ora è tutto ok: io sono sveglia e le accuse contro Ale sono cadute. Piuttosto: sei un incosciente! Venire qui per vedere come stavo… e se ti avessero seguito? Se sospettassero qualcosa?»

«Tranquilla: ho portato un amico con me…»

«Un amico...? Luca…cosa… io…?»

«Tranquilla! È tutto a posto Elena, davvero! Poi spiegherò ogni cosa. Ora credo di dover andare… sicura che sia tutto ok?»

Elena annuì: avrebbe voluto dirgli di Anna, ma pensò che non era il caso di allarmarlo. Come aveva detto lui tutto sarebbe stato spiegato dopo la missione.

Si abbracciarono e di nuovo e poi lo vide andar via e pregò di rivederlo presto.

 

«Ok… ci ripeta tutto d’accapo… per l’ultima volta» disse Raff al giovane Luigi Pieri.

Ormai erano chiusi in quella camera degli interrogatori da ore ed avevano scoperto qualcosa che non avrebbero mai immaginato.

«Tutto è cominciato circa due mesi fa. La squadra aveva la possibilità di entrare in un campionato superiore. Io e Frank eravamo i più forti ed il presidente… insomma ci ha chiesto di aumentare le nostre presentazioni sportive…»

«Droga?» richiese Raff mentre Ale, di ritorno dall’ospedale, entrava nella stanza.

Il ragazzo annuì abbassando la testa.

«Ma Frank non voleva, non aveva mai voluto: era contro ogni principio in cui aveva sempre creduto. Io non ho fatto molte storie: era per la squadra e sarebbe stato per poco, ma lui diceva che una volta entrati in quel tunnel non si esce più e voleva che anch’io mi opponessi alla cosa. Parlava di trovare prove, di chiamare la polizia, di denunciare tutto; ma io non volevo: avevo paura. Gli ripetevo di non esagerare, di starsene buono perché sarebbe potuta andare male… e infatti…»

«Quindi è stato il Presidente Mori ad ucciderlo?» chiese Ale.

«Lui e l’allenatore volevano prendere provvedimenti: Frank era diventato pericoloso, ma non so se sono stati loro materialmente ad ucciderlo»

«Infatti l’uomo che ci ha aggredito non corrisponde fisicamente a nessuno dei due: loro sono magri ed atletici, mentre quello è robusto e più basso di almeno 5 cm» sussurrò Raff all’orecchio del collega che annuì.

«So che avrei dovuto parlarvene prima… che sono stato un vigliacco, ma ho avuto paura… il Presidente, lui mi ha detto che se avessi parlato avrei fatto la stessa fine di Frank… e allora…»

I due agenti lo guardarono: il giovane sembrava pentito del proprio errore. I suoi occhi erano velati da lacrime e il suo volto pallido e il tremore indicavano la lotta interiore dentro di lui.

«Ora è disposto a testimoniare riferendo tutto ciò che ha detto a noi in tribunale?» chiese Alessandro con serietà.

Il giovane lo guardò negli occhi: ora sembrava sicuro di ciò che stava dicendo.

«Sì, ora sono pronto. È troppo tardi per Frank e Claudia, ma posso ancora incastrare quei bastardi!»

Alessandro sorrise: sembravano essere arrivati alla conclusione del caso se non fosse per il fatto che l’assassino non corrispondeva a nessuno dei coinvolti nell’omicidio. Poco male: avrebbero prima arrestato gli istigatori ed in seguito sarebbero riusciti a trovare anche l’assassino.

Chiamò due agenti che portarono via il giovane, poi nella stanza entrò anche Anna.

«Che facciamo ora Ale?»

«È c’è da chiedere? Bisogna fare un salto alla Società Sportiva, non credi?»

Anna sorrise e i tre uscirono.

 

«No, Carlo, no! Non possiamo andare avanti così: ormai i poliziotti sono sulle nostre tracce e presto arriveranno qui! Hanno già parlato più volte con i ragazzi… e se Luigi dovesse parlare?»

«Calmati Giacomo! Non sanno nulla e Luigi non parlerà: quel ragazzo è troppo vigliacco e tiene troppo alla sua vita per permettersi una cosa tanto sciocca! Credimi: lo conosco bene…»

«Forse non troppo» disse una voce che fece sobbalzare i due uomini.

Dalla porta entrarono Alessandro Raffaele ed Anna con alcuni agenti di supporto.

«Vi dichiaro in arresto per gli omicidi di Francesco Pietroli e Claudia Gelone» pronunciò Ale «e per il tentato omicidio delle agenti Anna Gori ed Elena Argenti»

Gli agenti di supporto ammanettarono i due uomini e li trascinarono fuori.

«Non avete nulla contro di noi! Queste sono semplici accuse diffamanti!» gridò il presidente Mori.

Accanto a lui Michelini taceva con lo sguardo rivolto a terra e lo stesso pallore di quando lo avevano interrogato Anna e Raff.

«In realtà c’è chi è pronto a testimoniare…» disse Anna.

«E cosa? Che abbiamo ucciso Francesco? O forse Claudia? Non credo proprio… non avete nulla, semplicemente nulla!» disse l’uomo sicuro di se.

E in realtà i tre ispettori sapevano bene che in un certo senso aveva ragione: per quanto avessero la testimonianza di Luigi potevano fare ben poco senza conoscere l’esecutore materiale degli omicidi.

Uscirono dallo stabile e stavano per entrare nelle rispettive vetture quando Raff notò una figura che in qualche modo gli pareva familiare: un uomo, robusto e non molto alto, che portava uno scatolone all’interno dell’edificio. Bastò uno sguardo con Alessandro per capire che entrambi avevano pensato alla stessa cosa: era il tassello mancante, l’ultimo.

Raffaele scese rapido dalla macchina e gli si avvicinò con quanta più circospezione possibile. Quando però l’uomo si voltò verso l’ispettore sorrideva.

«Sapevo che sareste arrivati: vi attendevo da tempo…» disse e non ci fu bisogno di manette perché si diresse solo verso una delle pattuglie della polizia.

 

«Avevo bisogno d’aiuto, avevo bisogno di soldi: il mio stipendio mi permetteva a malapena di mandare avanti la mia famiglia. E un giorno si presenta Mori e mi dice che devo fargli un favore e che se tutto fosse andato bene mi avrebbe pagato e offerto un lavoro nella società. Io dovevo minacciare il ragazzo che non so quali problemi aveva con lui e se avesse fatto resistenza avrei dovuto farlo tacere»

Mentre raccontava Matteo Schizzi aveva lo sguardo perso nel vuoto.

«Io non volevo… non sono un assassino… ma voi che avreste fatto? Non avevo scelta: quei soldi mi servivano… E così… io…ho cominciato a minacciarlo, ma non è servito a nulla e intanto Mori mi faceva pressione. Un giorno sono andato a casa sua e gli ho ripetuto le solite intimidazioni, lui mi ha mandato al diavolo ed io ho agito. L’ho bloccato da dietro impedendogli di respirare, poi gli ho iniettato la droga e l’ho portato in bagno. Quando sono uscito ho chiamato Mori e l’ho avvertito di tutto; lui mi ha detto di sparire per qualche giorno ed io ho seguito le sue indicazioni. Ma i soldi non sono mai arrivati, né il posto di lavoro: ogni volta che provavo a chiederglielo temporeggiava dicendomi che dovevano prima calmarsi le acque e poi quando tutto sembrava essersi risolto la ragazza di Francesco ha cominciato a fare domande, a ficcare il naso dove non doveva ed aveva capito che la società c’entrava qualcosa. Così Mori è venuto da me e mi ha ordinato di togliere di mezzo anche lei; io mi sono opposto, gli ho detto che con questa storia non volevo più c’entrarci nulla, ma era troppo tardi: mi ha minacciato di rivelare ogni cosa e non ho potuto fare nulla. Ho seguito la ragazza, ma era in compagnia di un uomo; ho pensato che se fossi stato attento sarei riuscito a togliermi dai guai a far ricadere la colpa su quell’uomo. Lo so che non era giusto, che stavo sbagliando, ma in quel momento… io… non potevo…non potevo andare in carcere… mia moglie, i miei figli… Quando però siete arrivati voi ed avete cominciato ad indagare a fondo ho capito che la storia si sarebbe conclusa presto, che sarebbe venuto tutto a galla e ho avuto paura: mi sono reso conto che sarei stato l’unico a pagare per quello che era successo e allora… ho provato di nuovo ad uscirne e ho fatto altre mille casini! Prima la ragazza a casa dell’uomo che avevo coinvolto e poi quella nell’abitazione di Serena. Dopo averle sparato però mi sono sentito male: troppo morti e troppi feriti… e in quel momento ho solo pregato che arrivaste presto… e per fortuna le mie preghiere sono state esaudite… »

«In tutta questa storia cosa c’entra l’allenatore Michelini?» chiese Anna.

«Lui sapeva tutto… ma non credo ne fosse felice: per lui Francesco era come un figlio… ma non poteva opporsi: quello era il capo e una parola sbagliata sarebbe bastata a far licenziare chiunque!»

«Va bene… basta così» disse Alessandro e chiamò due agenti che portassero via l’uomo.

Finalmente quel caso si era risolto ed i colpevoli erano stati fermati, eppure nessuno degli agenti si sentiva appagato: il mondo non era diviso tra buoni che andavano protetti e cattivi che andavano sbattuti in carcere. C’erano buoni che erravano e pagavano e cattivi che rimanevano impuniti e questo non appagava affatto, anzi contribuiva solo ad accrescere un senso di profonda ingiustizia e rabbia.        

«Finalmente è tutto finito!» esclamò Anna sedendosi stanca.

«Già… ma questa storia è stata tremenda per entrambe le parti» osservò Alessandro.

«A proposito… non credete che dovremmo avvisare qualcuno di questo cosa?» chiese Raff con sguardo improvvisamente brillante.

Gli altri lo guardarono sorridendo ed uscirono rapidi dal Distretto.

 

«Quindi il caso è definitivamente chiuso!» dichiarò  felice Elena che sembrava aver riacquistato tutta la sua vitalità.

«Già… stavolta è stato terribile: in un modo o nell’altro abbiamo rischiato tutti…» disse Anna ed Elena notò un cambiamento nei suoi occhi: sembravano quasi tristi.

«Ora non pensiamoci più: il peggio è passato» la consolò Raff poggiandole una mano sulla spalla e la giovane ispettrice sorrise, ma anche quel sorrisi era impregnato di tristezza che per alcuni istanti sembrava essere nascosta con difficoltà.

«È  passato di qui poco fa» riferì Elena all’improvviso.

I colleghi la guardarono interrogativi.

«Luca» affermò lei con naturalezza ed Anna trattenne rumorosamente il fiato mentre un senso di panico l’avvolgeva «È stato qui perché ha saputo del mio ricovero: poverino, si è preoccupato» concluse con un sorriso.

«Come sta? Ha avuto problemi? E la missione?» chiese a raffica Anna sfogando l’improvvisa tensione che aveva in corpo.

«Calmati, Anna, calmati! Sta bene… è dentro e riferisce che tra poco si muoverà qualcosa. Dice di aver trovato un amico, ma non chiedermi come o chi sia perché non mi ha voluto dire nulla»

Anna parve calmarsi, ma c’era una strana paura nei suoi occhi ed Elena decise che voleva vederci chiaro.

«Va bene: noi saremo pronti!» disse serio Ale «Ora però credo proprio che dovremmo andare» e i tre fecero per uscire dalla stanza.

«Anna scusa: potresti restare qui ancora un po’? Vorrei parlarti…»

La ragazza guardò la collega ed intuendo che non aveva possibilità di scelta annuì e si risedette salutando con un sorriso gli altri.

«Tesoro cosa ti sta succedendo?» chiese diretta Elena.

«Nulla… è tutto ok…» provò a difendersi con poca convinzione l’ispettrice.

«All’inizio credevo che stessi male per Luca» continuò quella senza dar segno di aver sentito le parole di Anna «Ma ormai è evidente che non c’entra nulla lui…»

Anna la guardò con un mezzo sorriso: come faceva a sapere e capire sempre tutto?

«Io sono qui: ti ascolto…» la incoraggiò Elena.

«Hai ragione: Luca non c’entra nulla… ti spiegherò ogni cosa. Chissà che non faccia bene anche a me…»

 

* Frasi di Luca Benvenuto in Distretto di polizia 8 ep 1: Il tempo che ci resta.

 

 

 

 

 

 

 

Lo spazio dell’autrice

 

Prima che voi mi uccidiate (perché so che ne avete tutte le intenzioni) lasciate che vi spieghi i motivi di questo enorme, esorbitante ritardo.

La scuola mi ha ucciso, letteralmente. Ma almeno alcune interrogazioni sono andate (Latino, Greco e Chimica in primis). Quindi ora sono (o spero di esserlo) più libera e meno stressa il che mi aiuterebbe a scrivere questa ff…

Cmq… ora sono qui… che ne pensate di questo capitolo?

 Io lo odio in modo particolare. Sono sicura che il ritardo non sia l’unico attributo di questo chappy… un altro sarà sicuramente la sua qualità scadente, soprattutto il finale (che non sono riuscita a scrivere meglio… perdonatemi… ç_ç )

Finalmente tutti sono sani e salvi ed Ale e Elena… eh sì alla fine ce l’hanno fatta a dichiararsi!!! Avevo detto che il chappy sarebbe stato forse il più breve di tutti ed invece… è il più lungo… che imprevisto che capitano….spero mi perdoniate!!

 

Intanto ringrazio i miei angioletti:

Tinta87  Beh… ormai mi sono accorta che il mio lato sadico prende il sopravvento in questa FF. Ma come vedi sono anche capace di aggiustare le cose: Ale, Elena e Raff stanno benone, così come Luca… x Anna non si può dire la stessa cosa… ma non temere tutto si spiegherà presto… Spero che questo chappy ti sia piaciuto… un bacio, amore mio…ciao! Ps: aspetto ansiosa tuoi aggiornamenti!

Lyrapotter  Avresti dovuto specificare meglio ciò che quel “tutto” includeva… Hihihi… cmq ora è tutto ok, no?? Il caso è stato risolto nel migliore dei modi e tutti vissero felice e contenti… tranne Anna che hai i suoi problemucci… Per i vari inghippi su Mauro…beh continua a seguire la storia e vedrai cosa ho intenzione di fare XD Che te ne pare del chappy?? Un bacio, alla prossima.

Uchiha_chan  Non preoccuparti: come vedi anch’io sono in ritardo… posa quella falce dai… ^^’’’ visto? Tutto si è risolto bene, no? Che te n’è parso? Spero che ti sia piaciuto… a presto. Un bacio.

Luna95  Mille grazie x i tuoi incoraggiamenti!! So che mi faccio mille complessi… ma che posso farci… Dio ci sono voluti secoli per scrivere questo chappy e come al solito non ne sono soddisfatta… a te che ne pare?? Solo per chiarire: quello in corsivo all’inizio è la morte vista da punto di vista di Irene, la ragazza di Ale uccisa da un rapinatore… XD Spero ti sia piaciuto!! A presto… un bacio!!

Dani85  beh io sono famosa per i miei capitoli calmissimi no?? E sì è arrivato anche il turno di Ale… ma diciamo che questi ferimenti sono serviti a qualcosa, no?? Almeno quei due si sono finalmente parlati!! Per quanto riguarda Anna: le preoccupazioni continuano… la poverina non ne passa una buona… ma si risolverà tutto… bene o male ancora non posso svelartelo! XD Complimenti… pare che tu sia l’unica ad aver notato – o almeno commentato – le sue preoccupazioni!! E questo chappy?? Un bacio.

Exentia_dream  mille grazie x aver messo la storia tra le seguite… e spero che recensirai i prossimi chappy. Un bacio.

 

Il prossimo chappy che, provvisoriamente, si chiamerà PROIETTILI E DOLORI, vedrà un po’ più di azione da parte dell’organizzazione degli uomini in nero (che fin ora se n’erano stati un po’ troppo calmi, no??) ed un contato tra questa ed il X… ce ne saranno delle belle!! Quindi non mi abbandonate!!! Continuate a leggere e recensire!!! Aggiornerò il prima possibile!!!

Un bacio a tutti e mille grazie a tutti coloro che hanno letto.

La vostra Alchimista!

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Capitolo 10
*** Proiettili e Dolore ***


CAPITOLO 10_ PROIETTILI E DOLORE

 

Il fiato entra ed esce dai suoi polmoni con una velocità ed una forza che sembra quasi ferirla. Si guarda intorno chiedendosi dove siano finiti i fuggitive come abbiano fatto a sparire così rapidamente. Prova a respirare con il naso per eliminare il fastidioso rumore dell’aria che entra ed esce ed avere migliori facoltà uditive, ma intorno tutto tace.

Improvvisamente il rumore di passi veloci segna la ripresa della fuga e del relativo inseguimento. La giovane riprende fiato, per qualche istante si guarda alle spalle, ma non vede nessuno dei suoi compagni quindi riprende la corsa per non perdere contatto con i primi.

Il terreno di quel luogo deserto ed abbandonato a se stesso le rende più difficile la corsa, ma si consola sapendo che quella difficoltà la incontreranno anche loro.

Lo spazzale di terra termina per dare spazio al fitto bosco.

Di male in peggio riflette ci saranno più posti dove nascondersi e più ostacoli al mio inseguimento.

Si morde il labbro inferiore – ormai lo fa automaticamente ogni volta che le cosa cominciano a complicarsi – e riprende le ricerche: non sente più i passi veloci della fuga e immagina che anche loro si siano fermati per riprendere fiato protetti dalla natura.

In un attimo si rende conto di essere in pericolo più di quanto aveva inizialmente creduto: è da sola e insegue più di un uomo il che significa che i fuggitivi hanno tutto il tempo per tenderle una trappola.

Un fruscio di foglie attira la sua attenzione. Si muove con circospezione verso il cespuglio in questione quando da questo ne escono due uomini, uno dei quali tenta di colpirla con un bastone ottenendo, fortunatamente, solo di farle perdere l’equilibrio.

La ragazza però non perde tempo: si rialza veloce e riprende la corsa. Era poco lontana da loro quando spara un colpo che ferisce uno dei due ad un fianco; quello barcolla, ma con l’aiuto del compagno continua la sua corsa.

Nella giovane però in quel momento si rompe qualcosa… si ferma con sguardo sconvolto, perso camminando lentamente fino a giungere alla macchia vermiglia lasciata  dal ferito sul terreno.

Si accascia lentamente mentre la testa comincia a girarle ed una strana e triste stanchezza si impossessa del suo corpo.  

 

«Dove sei stato?»

Hector si sentì gelare il sangue nelle vene.

«Non mi pare che quando sono entrato nell’organizzazione m9i è stato detto che avevo l’obbligo di comunicare ogni mio spostamento» disse provando a far vedere quella freddezza che lo caratterizzava da alcuni anni, ma che ormai lo stava abbandonando.

«Hai ragione… nonostante tutto mi piacerebbe sapere dove sei stato…» insistette quello che doveva essere uno dei capi.

«Ho fatto un giro con Marco: perché tutto questo interessamento?»

«È proprio per Marco... sai quel ragazzo ha qualcosa che non va…»

Hector sbiancò da colpo ma nell’oscurità della stanza non si vide il suo cambiamento.

«È emotivo… troppo. Prima sbianca di colpo e corre via, poi una seconda fuga ieri con te ieri ed era più bianco di un lenzuolo… cos’ha che non va?»

«Nulla! Solo qualche sbalzo d’umore… gli ho parlato proprio di questo ieri…»

«In ospedale?»

«Ci hai seguito?»

«Ma no! Uno dei nostri si trovava di lì… e vi ha visti…»

«Credo siano cose personali… di Marco… Ma se non ti fidi mettici pure alla prova» lo sfidò, ma sudava freddo.

L’uomo annuì facendosi una risata ed andò via lasciando Hector nel dubbio e nella paura.

 

Si muoveva lento nel letto godendosi quegli ultimi minuti di sonno quando sia già di essere svegli, ma speri ancora di poterti riaddormentare per ore… o magari solo per alcuni istanti.

Un rumore che rischiava di diventargli fin troppo familiare scosse Luca e lo costrinse ad alzarsi con un espressione a metà tra preoccupata e seccata: c’era una sola persona capace di fare quel baccano e di avere un tempismo tanto perfetto.

Non ebbe neanche il tempo di aprire la porta che Mauro lo travolse.

«Te ne devi andare!» gli urlò superandolo e puntando i suoi occhi sulla schiena del compagno che era rimasto immobile per alcuni istanti, interdetto.

«Ma che cazzo dici?» chiese cercando di regolare il volume della voce e chiudendo la porta.

«Sospettano qualcosa! I tuoi ultimi comportamenti non li convincono. Ho provato a dire che erano problemi tuoi personali, ma Thomas ha fatto una risata tutt’altro che rassicurante ed è andato via…» spiegò quello quasi con il fiatone.

«Mauro! Così mi deludi! Che fine ha fatto la tua calma glaciale? Tra poco tremi…» ironizzò Luca.

«Che cazzo fai: scherzi? Io ti dico che te ne devi andare, che la situazione è seria e tu che fai: mi prendi in giro?» urlò Mauro profondamente infastidito dal fatto che Luca non lo prendeva sul serio.

«Hector!» urlò a sua volta il commissario dal cui volto era sparito il ghigno sorridente di qualche istante prima «Ora ascoltami bene: sarò troppo inesperto o emotivo, ma non sono stupido. So di aver tirato troppo la corda, ma non temere: ora rientro negli schemi. E poi, in ogni caso, non posso tirarmi indietro e se anche potessi non lo farei: non sono il tipo da lasciare le cose  metà, lo sai bene e poi i miei uomini hanno rischiato troppo a causa dell’Organizzazione. Non posso tornare da loro senza alcun risultato» pronunciò con decisione.

Mauro lo guardava con puro stupore e quando Luca se ne accorse in un certo senso se ne sentì offeso: cosa aveva da sorprendersi tanto? Avrebbe dovuto conoscerlo tanto bene da prevedere quelle parole! Poi però si rese ancora una volta conto di quanto fosse sciocco e che tre anni erano tanti… forse troppi… Erano successe così tante cose che faticava a ricordare di quali fosse a conoscenza Mauro e di quali no.

«I… i… tuoi uomini…?» balbettò quello ancora stupito.

«Già… visto come cambiano le cose? Un giorno sei un semplice agente… ed il giorno dopo dirigi il X» sorrise Luca.

Sul volto di Mauro si affacciò un bellissimo sorriso che in parte dimostrava anche quanto fosse fiero del suo amico.

«Luca! Ma è una cosa stupenda: complimenti!» gli disse abbracciandolo «Accidenti! Tre anni sono proprio tanti, eh?»

«Già…ma dopo questa missione tornerà tutto come prima: non ti perderai più nulla vedrai…»

Mauro lo guardò negli occhi ed annuì con un triste sorriso che però Luca non vide o forse non intese. Meglio così si disse l’uomo: in fondo avrebbe potuto illuderlo ancora un po’.

 

«Non me lo aspettavo sai… Ormai ci avevo tolto le speranze e invece… Sentirlo è stato uno shock»

«Ci credo!» esclamò Anna con un sorriso «Sono contenta per voi: era ora che vi capitasse… qualcosa di buono»

Poi però improvvisamente si incupì come le capitava sempre più spesso. Elena le poggiò una mano sul ginocchio.

«Si risolverà tutto Anna… andrà tutto bene!» la consolò.

«No! Nulla tornerà più come prima! Sai il significato della parola irreversibile?! Nulla tornerà come prima…» urlò lei improvvisamente in lacrime «Ti prego: non voglio più parlarne…» la scongiurò poi ricadendo sulla sedia dalla quale si era alzata di scatto.

Elena la guardò triste: perché il fato sembrava accanirsi contro di lei? E perché proprio in un momento simile?

Ad un tratto nell’ufficio delle due ispettrici entrò Alessandro.

«Ragazze è tutto ok? Vi ho sentite urlare…»

Anna lo guardò sconvolta: no… non voleva che anche lui sapesse. Avrebbe dovuto ridare spiegazioni e sarebbero rispuntate quelle lacrime che con tanta forza e qualche insuccesso stava tentando di ostacolare in quei giorni e poi… non sarebbe riuscita a sopportare i possibili e probabili sguardi di pietà e compassione che le sarebbero stati rivolti.

«Non è successo nulla Ale: va tutto bene» disse svelta Elena «Sì… abbiamo urlato, ma è tutto ok»

Anna la guardò con somma gratitudine e l’ombra di un pallido sorriso comparve sul suo volto. Ale, invece, rimase per qualche istante interdetto; poi andò via ancora un po’ perplesso mentre Elena senza dire nulla strinse forte a se la collega.

 

Era steso sul divano di una delle sale di ritrovo ed era stranamente calmo. Per quanto Mauro fosse nervoso, nulla di quel sentimento lo aveva sfiorato; nonostante quella in gioco fosse la sua vita si godeva in pieno l’adrenalina che scorreva nelle vene e lo animava: non si era mai sentito così, neanche agli atti conclusivi della caccia ai Flaviano – era stato troppo poco il tempo in quella sparatoria per rendersi davvero conto di quello che stava succedendo – e doveva ammettere che non era una cosa poi tanto sgradevole. Sorrise mettendo le braccia sotto la testa come cuscino e chiudendo gli occhi.

«È piacevole, non è così? Sentirti al di sopra di tutti perché sai più degli altri… e quell’adrenalina che ti anima ti fa sentire invulnerabile»

«Si… non è male…» convenne Luca.

«Stammi a sentire, Marco: questo non è un gioco, è la vita! E non ci vuole nulla a farla finire… Ti sarei grato se tu la prendessi un po’ più sul serio» ribatté Mauro: sembrava di nuovo nervoso.

Luca lo guardò: aveva ragione e lui lo sapeva, ma cosa gli era preso? Lui non era mai stato così sprezzante del pericolo… e fuori di lì c’era un distretto che lo aspettava, amici e colleghi che non vedeva l’ora di riabbracciare e… c’era Anna… la sua Anna… No non poteva permettersi di morire.

Si alzò pronto a scusarsi con Mauro quando un gruppo di uomini – circa sei – entrò nella stanza con aria seria e l’ultimo chiuse a chiave la porta. Un brivido freddo attraversò la schiena di Luca: l’avevano scoperto era la fine… che stupido che era stato…

«Un momento di attenzione» disse uno degli uomini.

Luca lo guardò attentamente ed ebbe l’impressione che anche lui gli stesse facendo un’attenta e profonda radiografia. Non l’aveva mai visto prima d’ora ed un secondo brivido lo percosse quando vide al suo braccio una fascia bianca: uno dei capi.

«I presenti sono stati scelti per la prossima operazione dell’organizzazione: da quando saprete tutte le informazioni a tal proposito sarete costretti al silenzio. Si tratta di comprare armi da alcuni Ungheresi che pagheremo con i soldi dell’ultima rapina e la droga appena consegnataci» sintetizzò un uomo con la fascia gialla accanto al capo.

«Niente donne stavolta?» chiese Hector quasi con noncuranza.

Luca si sentì rabbrividire: nonostante quel discorso lo avesse in parte rassicurato sul fatto che, almeno per ora, non sapevano nulla sul suo conto, la domanda di Mauro sembrava alquanto sospetta o almeno inappropriata. Si rese conto, però, che era l’unico a pensarla in quel modo perché gli altri non fecero una piega ed il capo sorrise.

«Ah Hector! Tu vuoi sempre strafare!» disse il capo «Delle donne ci occuperemo subito dopo questa operazione… abbi un po’ di pazienza e intanto comincia a divertirti con questa…»

«Quando ci sarà la missione?» chiese un altro uomo e Luca sussultò ancora una volta: da quando quell’uomo, in cui aveva riconosciuto uno dei capi, aveva posato gli occhi su di lui era come se tuta la sicurezza che aveva fosse scappata via ed ora ogni domanda posta era come se dicesse che lui era una spia.

Guardò Mauro: come aveva fatto a resistere, solo, per tutto quel tempo? Lui era stato fortunato perché a vedere il suo volto in ospedale e ad indagare sui suoi strani comportamenti era stato un infiltrato… Improvvisamente si rese conto di essere vivo per miracolo.

«Tra dieci giorni alle 5:00. Il luogo scelto si raggiunge imboccando una strada non asfaltata al Km 10 dell’autostrada, direzione Nord. Dopo pochi metri sulla destra c’è uno spiazzale in terra battuta: Lì incontreremo gli Ungheresi» spiegò ancora lo stesso uomo con voce quasi atona.

Tutti annuirono e Luca fece lo stesso; poi la porta fu aperta ed ognuno tornò alla sua occupazione come se nulla fosse successo.

 

«No! Non se ne parla, Luca! Non puoi avvisarli!»

«Scherzi?! È quello che aspettavo: finalmente, dopo mesi, sono coinvolto in prima persona in una missione… armi! Mauro, armi! Ti rendi conto di quello che significa? C’è la possibilità che sia l’unica volta che mi coinvolgano, l’unica volta che veda le armi… Poi potrebbero sparire e non saprei la loro funzione se non quando sarà troppo tardi! Mauro io devo fermarli… devo avvisare il distretto…»

«Ti farai scoprire… ormai la tua copertura, la tua vita è appesa ad un filo!»

«Andrà bene invece; con il tuo aiuto andrà tutto bene»

Mauro lo guardò. I suoi occhi erano calmi, freddi: sapeva di rischiare molto, ma sapeva anche che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l’unica occasione che aveva per prendere quelle armi; per intralciare, anche se solo in parte, i piani dell’organizzazione ed avvicinarsi a loro. In quel momento gli fece quasi paura: gli somigliava… troppo.

«D’accordo… alla stessa cabina dell’altra volta?» chiese arresosi infine alla decisione del compagno.

«Che settimana del mese è questa?» chiese a sua volta il commissario senza un apparente motivo.

«La seconda settimana…» rispose titubante quello «Perché?»

«Vieni: te lo spiego in macchina»    

  

«Fammi capire: ogni settimana chiami da una cabina diversa?»

«Si… la cabina dove ci siamo incontrati, ad esempio, è quella della quarta settimana… Ora siamo arrivati a quella della seconda settimana» disse Luca sorridendo fiero dell’organizzazione che aveva preparato con i suoi uomini.

«Le cabine risultano guaste: funzionano solo con un determinato codice che poi sarebbe il numero telefonico sulla cui segreteria rimangono impressi i miei messaggi. Ogni giorno il distretto controlla se c’è qualcosa di nuovo» spiegò.

«Quindi sapranno subito le novità» convenne Mauro e il compagno annuì.

Scese dalla macchina e si guardò intorno: ci avevano impiegato una buona mezz’ora per seminare l’uomo dell’organizzazione che li stava seguendo e con Hector alla guida, fortunatamente, non c’era rischio di inopportune domande sul perché dell’azione. Tutti conoscevano il suo caratterino e dovevano tenerselo così com’era; in compenso, però, era un elemento indispensabile.

Per fortuna nessun’altro aveva tentato di portare a termine l’opera del primo e Luca poté, senza alcun rischio, avvicinarsi alla cabina e digitare il numero telefonico.

Gli squilli del telefono stavolta gli parvero fin troppo pochi prima che partisse la segreteria telefonica: l’ultima volta aveva sperato con tutto se stesso che ci fosse qualcuno in quel momento pronto ad alzare la cornetta perché il tempo era troppo poco per aspettare che controllassero la segreteria, ma stavolta sapeva che non avrebbe avuto la stessa fortuna. In fondo però non gli importava molto: c’era tempo per fare tutto – l’operazione sarebbe scattata solo tra tre giorni – e, cosa molto importante, era calmo e questo gli permetteva di ragionare lucidamente e di vedere le cose per com’era. No: non c’era alcuna fretta ed era molto più sicuro che le cose andassero secondo i piani stabiliti. Dopotutto il fatto che, l’ultima volta, qualcuno avesse risposto era stata un’anomalia pericolosa che non sarebbe dovuta ricapitare.

«Dodici Agosto, ore cinque del mattino. Scambio di armi, soldi e droga con acquirenti ungheresi. Spiazzale raggiungibile attraverso una stradina non asfaltata al chilometro 10 dell’autostrada, direzione Nord. Uomini coinvolti dell’organizzazione almeno otto. Missione almeno di livello B a giudicare dalla presenza di uno dei capi e dalla serietà degli altri uomini» disse con voce fredda, quasi atona.

Che differenza tra questa e la scorsa volta! Luca sorrise: forse da questa missione avrebbe tratto anche una certa crescita personale psicologica…

Con aria indifferente tornò in macchina e Mauro mise in modo. L’uomo guardava il collega con aria preoccupata: solo poco tempo prima era un giovane commissario impaurito ed inesperto alle prese con la sua prima missione da infiltrato e con tutti i rischi ad esso collegati; ora, invece, sembrava aver recitato quel copione milioni di volte. Nonostante avesse acconsentito ad avvisare  i colleghi di Luca e, di conseguenza, a farlo rimanere nell’organizzazione, restava dell’idea che sarebbe stato meglio se fosse andato via non solo per la sua salute fisica, ma, soprattutto, per il suo equilibrio interiore che ora vedeva seriamente alterato in lui.

«Lo ascolteranno in tempo?» chiese.

«Sì… ogni giorno controllano i messaggi lasciati nella segreteria telefonica. In tre giorni avranno tutto il tempo di organizzare ogni cosa in modo perfetto» lo rassicurò Luca mentre si erano ormai allontanati dalla cabina.

 

Il rumore della serratura che scattava risuonò con un breve eco nel corridoio del condominio. Alessandro ne ebbe quasi timore come se quel suono svelasse ogni cosa. Entrò  rapido, con passo felino, e, come se al posto degli occhi avesse un sofisticato radar, la prima cosa che notò fu la spia rossa che lampeggiava sulla base del telefono ad indicare che c’era un nuovo messaggio nella segreteria. In barba al passo felino usato in principio, fece una veloce corsa e premendo il tasto accanto alla spia  ascoltò la voce atona che gli annunciava che era presente un nuovo messaggio; quando cominciò a scorrere la voce del commissario Alessandro faticò a riconoscerla e soprattutto a distinguerla da quella registrata.

Annotò veloce tutte le informazioni riguardanti lo scambio è scattò fuori dall’appartamento: avevano pochi giorni per coordinare tutto e poi… la voce di Luca era stranamente alterata: bisognava toglierlo di lì il prima possibile.

Entrò violento nell’ufficio di Elena ed Anna nel quale in quel momento si trovava anche Raffaele.

«Nuovo messaggio» pronunciò con il fiatone «Si entra in scena tra qualche giorno: il 12 alle 22:00»

Il sorriso scomparve dal volto di Raff, Elena si fece attenta ed Anna sbiancò.

«Co..come… sta…?» balbettò mentre Elena le prendeva una mano un po’ preoccupata.

«Bene… lui sta benone e forse questa è la volta buona che lo tiriamo fuori da ‘sta storia» disse Ale con un sorriso che tentava di infondere sicurezza ai presenti.

Agitarli condividendo con loro le preoccupazioni che lo avevano assalito all’udire la voce alterata o, meglio, atona di Luca non sarebbe servito a nulla.

Anna sembrò riprendere un po’ di colorito alla risposta dell’ispettore e rivolse un debole sorriso ad Elena che continuava a guardarla indagatrice. Raffaele  respirò rumorosamente ed un brivido freddo scosse il suo corpo: per quanto fosse ogni volta quello più allegro e scherzoso, quello sempre pronto a sdrammatizzare la situazione per quanto complicata fosse, neanche lui era immune all’ansia e alla tensione scesa nell’ufficio all’arrivo di Alessandro.

«Andrà bene» lo incoraggiò il collega e lui sembrò riacquistare il suo abituale sorriso «Ragazzi» aggiunse poi rivolgendosi a tutti «Io vedo ad avvertire il PM della situazione… qualcuno di voi potrebbe avvisare il resto del distretto? Non ho idea di quanti uomini potrò portare, maso che serva la partecipazione di tutti»

Elena annuì ed uscì dall’ufficio, seguita poco dopo da Alessandro.

«Anna… stai bene?»

«Sì, Raff: non vedo l’ora che tutto questo finisca…» lo rassicurò l’ispettrice, ma in cuor suo sentiva la violenta morsa della paura stringerla come non mai.

 

11/08 ore 24:00

Ancora una volta l’ansia stava avendo il sopravvento sul suo corpo, ancora una volta il respiro stava accelerando incontrollatamente e irregolarmente. Gli occhi erano pesanti, si chiudevano con lentezza. Anna fece scivolare quasi inerme la mano verso il sacchetto di carta che aveva posto sulla scrivania e lo portò alla bocca cominciando a respirarci dentro e tentando in tal modo di riacquistare la calma perduta. Lentamente sentì il cuore rallentare, gli occhi riaprirsi e tutto ciò che le era in torno smise di girare. Sospirò stanca chiedendosi quando tutto quello sarebbe finito: provava ad illudersi che con la fine di quella missione sarebbe tornato tutto a posto perché se solo provava a pensare il contrario ecco che risaliva in quella tremenda giostra impazzita ed il respiro accelerava fino quasi a farla morire per il troppo sforzo.

Magari le scappò di pensare, ma subito se ne pentì: una volta Luca le disse che non c’era nulla peggiore della morte e lei credeva ancora in questo.

Elena entrò nell’ufficio mentre Anna posava il sacchetto sulla scrivania.

«Tesoro… un nuovo attacco d’ansia?»

«Ormai non rispettano più neanche i miei pensieri: all’inizio mi capitava solo quando ci pensavo… invece ora arrivano quando vogliono, senza pretesto»

«Sicura di non voler andare a casa almeno un po’?»

L’ispettrice scosse la testa.

«Non riuscirei comunque a fare nulla, men che meno a riposarmi: preferisco restare qui così se dovessero esserci novità o cambiamenti…»

Elena annuì. La comprendeva bene: anche lei aveva scelto di restare al distretto fino all’ora x perché in ogni caso non sarebbe riuscita a fare nulla a casa. Alessandro e Raffaele invece erano dal pomeriggio nell’appartamento usato per la copertura pronti a ricevere un qualunque messaggio di Luca. Quelle ormai erano le ore decisive. 

«Resisti ancora un po’… tra poco sarà tutto finito…» la incoraggiò e lei annuì: ormai non aveva neanche più la forza di contraddire quelle stupide frasi di speranza.

11/08 ore 24:00

In quel momento il divano gli sembrava quanto di più scomodo potesse esserci o, forse, era il nervosismo? Sì: doveva essere quello. In fondo mancavano davvero poche ore – sei calcolò automaticamente la mente – all’operazione ed era pur normale che fosse nervoso… giusto?

Si voltò verso Mauro che poco distante da lui stava controllando un fucile ad alta precisione. Dovette sentire subito lo sguardo di Luca, perché si voltò e gli sorrise come se fosse tutto normale.

«È normale sai… intendo sentirsi un po’ nervosi prima di un’operazione…» disse come se gli avesse letto nel pensiero.

«E allora perché tu, invece, sembri pronto per andare ad una gita?» chiese il commissario.

L’altro sorrise.

«Ah, Marco… non puoi fare paragoni: io sono qui da tempo… ci ho fatto l’abitudine…»

«Perché… davvero ci si abitua?» chiese sorpreso intuendo ciò a cui Hector si stava riferendo.

«Non so… forse io ci sono riuscito perché in realtà sono morto…»

Luca si incupì: odiava quando Mauro ripeteva che legalmente era morto… gli faceva ricordare quanto aveva sofferto, quanto avevano sofferto tutti per colpa di qualche intelligentone che aveva deciso di far finire la vita di Mauro Belli e far nascere un anonimo Hector che sembrava aver perso del tutto – o, meglio, non aver mai avuto – voglia di vivere. I questi mesi lo aveva osservato bene e aveva notato come passasse anonimamente le giornate senza dar peso a ciò che accadeva… Le uniche volte in cui sembrava brillare di nuovo una scintilla nei suoi occhi era quando entrava in gioco la vita del commissario: in quel caso Mauro riusciva ad avere il sopravvento e a fare tutto il possibile per difenderlo.

Si stese di nuovo sul divano, dal quale si era alzato per guardare l’amico e sorrise lievemente: non gli importava cosa pensasse Mauro o Hector: appena ne avesse avuto l’occasione l’avrebbe tirato fuori di lì e forse avrebbe dovuto attendere solo poche ore…

12/08 ore 4:30

Il respiro regolare che aveva mentre dormiva era in netta contraddizione con l’ansia che di solito l’accompagnava quando era sveglia. Infine la stanchezza di tutti quei giorni – e soprattutto quelle notti – passate senza concedesi un attimo di sosta aveva avuto la meglio su tutto il resto. Elena sorrise osservando la collega che si era addormentata da qualche ora sul divano del’ufficio del commissario e che sembrava avere un po’ di tregua contro i demoni che da mesi la ossessionavano; demoni diversi, ma che contro di lei sembravano aver attuato la tattica del “il nemico del mio nemico è mio amico”.

«Dorme ancora?» chiese Vittoria e la collega annuì.

«Anche se tra pochi minuti arriveranno Ale e Raff e dovremmo avviarci… Quasi mi dispiace doverla svegliare: dopo tanto tempo sembra dormire così bene…»

«e se la lasciassimo qui?» ipotizzò la collega, ma l’ispettrice scosse la testa sorridendo.

«No… non credo che sia una buona idea, almeno che tu non voglia concludere in poche ore la tua vita…» ironizzò.

«C’ammazzerebbe, eh?»

«Già… e, a parte gli scherzi, questa missione per Anna è molto più importante di quello che possiamo immaginare…»

L’ispettrice si sedette sul bordo del divano e mosse con delicatezza il braccio della collega che aprì subito gli occhi.

«Tesoro dobbiamo preparaci: sono le 4:30 e tra poco Ale e Raff saranno qui…»

Anna si mise a sedere e rimase in silenzio per qualche istante; poi alzò gli occhi sulla collega e la fissò con guardo deciso: era il momento della verità. Questa sera, o meglio, questa mattina, in un modo o nell’altro si sarebbero decise molte cose.

12/08 ore 4:30

Poche ore prima avrebbe giurato che il rumore emesso la pistola al momento del caricamento lo avrebbe innervosito ulteriormente, che sarebbe stata la goccia che fa traboccare il vaso, ma ora che lo sentiva erano tutt’altri i sentimenti che provava: calma, una strana ma coinvolgente calma.

Per alcuni l’ansia cresce a dismisura nei pochi minuti precedenti l’azione; in altri, come lui, invece, è proprio quello il momento in cui la mente si svuota, il cuore torna a battere regolare ed una calma glaciale lo assale. Luca sapeva che era il momento decisivo e che non poteva permettersi errori e per fortuna il suo cervello, ma soprattutto il suo cuore lo aiutava molto in questo.

«Pronto?» chiese uno degli altri partecipanti.

Luca si voltò verso di lui: aveva il passamontagna calato sul volto, ma anche con quello avrebbe riconosciuto comunque la sua voce. Davide: uno al quale doveva la vita e che involontariamente aveva aiutato molto la sua operazione sottocopertura.

«Lo so sempre» disse con voce eccessivamente spavalda e con un sorriso che l’uomo ricambiò felice.

«Sono fiero di te Marco: sei riuscito a guadagnarti la fiducia di tutti in tempi davvero brevi! Complimenti: c’è gente che è qui da quasi un anno e non gode della stessa fama che hai tu»

Luca lo guardò stranito: quando era stato dall’altra parte della linea aveva sempre creduto che “i cattivi” di un organizzazione non provassero sentimenti come l’amicizia o il fatto di essere fieri l’uno dell’altro… insomma ognuno faceva per se e chi se ne frega del resto; ma ora che ci era dentro, nonostante la rigidità che poteva emanare l’organizzazione notava come in un certo senso potesse definirla quasi come una grande famiglia. Ognuno con i suoi problemi ed il suo passato, ma tutti pronti a sostenersi… almeno finché le cose andavano bene…

Scosse rapido la testa per scacciare quei pensieri: non doveva lasciarsi impietosire da quegli uomini solo per il fatto che stava vivendo tra loro. Avevano ucciso, rapito, rubato e dovevano pagarla… non poteva permettere che degli strani e in questo caso stupidi sentimenti offuscassero la sua lucidità, soprattutto in un momento decisivo come questo.

«Problemi?» chiese Davide.

«Nessuno» sorrise quello «Andiamo?»

12/08 ore 05:00

Parcheggiò la vettura poco distante dallo spiazzale e scese per avvicinarsi quanto più possibile al luogo dello scambio; Elena le stava dietro. Di nuovo l’ansia si stava impadronendo del suo corpo; un ansia, però, diversa da quella precedente: stavolta sentiva l’adrenalina dell’azione scorrere nelle vene perché – non poteva negarlo a se stessa – aveva bisogno di quell’operazione anche solo per vederlo, sentire la sua voce… vedere che c’era ancora una speranza, che non tutto era perduto.

Anna sospirò appiattendosi contro il muro di un vecchio casolare abbandonato, sentiva il respiro di  Elena sul suo collo, dolce presenza di chi non l’avrebbe mai lasciata sola e sulla quale avrebbe sempre potuto contare.

«Ale siamo in posizione» confermò l’ispettrice e ricevendo risposta affermativa si preparò ad un’attesa che sperava vivamente non fosse lunga.

Per fortuna dovette attendere solo un quarto d’ora prima che tre vetture nere giungessero nello spiazzale. Ne scesero una decina di uomini tutti rigorosamente vestiti di nero quasi fossero l’uno copia dell’altro.

Anna sentì il respiro venirle meno mentre lo stomaco le si chiudeva: tra quegli uomini c’era Luca… il suo Luca. Quasi senza accorgersene fece qualche passo avanti, incurante del fatto che ormai metà del suo corpo non fosse più coperto dal muro dello stabile: il suo pensiero era totalmente concentrato sul collega, sentiva l’irrazionale bisogno di abbracciarlo anche se – o forse proprio per quello – non sapeva precisamente quale di quelli fosse.

Si rese conto della follia che stava facendo solo quando ormai era troppo tardi: gli occhi di uno dell’organizzazione avevano incrociato i suoi e l’avevano inchiodata incapace di fare altro se non fissarlo.

Perfetto si disse sono riuscita a mandare all’aria tutta un’operazione con una semplice mossa… è finita…

E nello stordimento più totale che le causava quella pericolosa situazione, Anna riuscì a scorgere una paura folla negli occhi del suo osservato e un muto incitamento a rinsavire e a tornare dietro al muro nascosta. Fortunatamente anche Elena la pensava allo stesso modo perché la tirò via giusti in tempo, prima che qualcun altro potesse scorgerla. Trattennero entrambe il fiato consapevoli del fatto che ormai tutto era andato a farsi benedire… ma, contro ogni loro aspettativa nessuno si avvicinò al loro nascondiglio e tutti continuò come se nulla fosse accaduto…

12/08 ore 05:16

I suoi occhi alterati dalle lentine erano in quelli marroni di lei. Per qualche istante si perse in quello sguardo che – solo ora se ne rendeva conto davvero – gli era mancato da impazzire. In pochi attimi perse la lucidità e la concezione di tutto ciò che lo circondava sfumò in una dimensione irreale; solo per qualche istante… il tempo di rendersi conto della follia di quella situazione.

Anna. Un’ispettrice di polizia. Impegnata in un blitz. Allo scoperto. Sotto lo sguardo di coloro che dovrebbe sorprendere ed arrestare. Sola e spaesata. Semplicemente irreale, fosse e… stupido. Che diavolo le prendeva? Il suo sguardo, che inizialmente poteva far trasparire dolcezza, si ghiacciò in un istante e supplicò la ragazza di tornare in se e nascondersi. Il cuore accelerò improvvisamente e Luca si rese conto che stava sudando freddo.

Poi ad un tratto qualcuno – Elena ipotizzò sicura la mente – tirò di nuovo al sicuro l’ispettrice e fu come liberarsi di un carico di 100Kg che gli gravitava sullo stomaco. Tirò un silenzio respiro di sollievo ed accorgendosi che gli altri si stavano muovendo li seguì rimanendo con la coda dell’occhio fisso sul muro dietro il quale c’erano le ispettrici finché non entrò nello stabile di fronte al primo. All’interno, in fondo all’unica enorme sala che constava l’edificio scorse una decina di uomini, anche in abito neri o almeno scuri, ma senza volto coperto. In quell’istante anche il capo dell’organizzazione si scoprì il volto – più giovane di quanto il commissario si aspettasse – e con un sorriso salutò l’uomo ungherese che si era fatto avanti con le braccia aperte. I due si abbracciarono e si scambiarono rapide battute nella lingua madre degli acquirenti, dopodiché entrambi fecero segno ai rispettivi uomini di portare avanti le merci.

«Le vere protagoniste della mattinata» puntualizzò il capo degli ungheresi con uno strano accento che sembro, nonostante il momento, alquanto buffo a Luca.

L’altro sorrise mentre uno dei tre uomini recanti fascia gialla apriva un grosso borsone mostrando le svariate bustine bianche che conteneva ed Hector ne apriva un altro contenete banconote. Contemporaneamente due ungheresi aprirono alcuni borsoni nei quali brillava i ferro delle potenti armi.

«Come d’accordo» sentenziò quello «O, forse, hai voglia di controllare?»

Questa volta fu il turno dell’ungherese di sorridere.

«Ma no… ma no… Mi fido di te… e credo che tu farai lo stesso»

«Mi pare ovvio»

Gli uomini si scambiano i borsoni, non senza qualche sguardo di sospetto o almeno di sfida; poi tornarono ai rispettivi posti senza emettere un fiato. Luca aveva la mano premuta sull’impugnatura della pistola: il suo compito, così come quello di tutti coloro che non avevano partecipato in prima persona allo scambio appena effettuato, era quello di vigilare sulla situazione ed intervenire non appena fosse stato notato qualcosa di sospetto. A quel pensiero Luca sorrise: in fondo quella situazione era divertente fino al paradosso.

Ad un tratto con un sincronismo pazzesco le finestre dello stabile furono mandate in frantumi ed agenti si infiltrarono ovunque con un grido di guerra tremendo.

Allora è questo quello che provano i cattivi quando li prendiamo in flagrante, eh? pensò il commissario divertito per lo spettacolare arrivo dei suoi; poi realizzò che, come uomo dell’organizzazione, sarebbe stato meglio per lui darsi alla fuga come stavano facendo gli altri e corse verso una delle finestre del piano terra mandata in frantumi, giusto in tempo per scorgere alla sua sinistra gli occhi chiari di Alessandro Berti.

12/08 ore 05:45

Caos: una parola breve ma perfettamente in grado di descrivere tutto ciò che stava accadendo in quello spiazzale al kilometro 10 dell’autostrada. Anna si guardava intorno inerme, come se tutto quello che stava accadendo fosse troppo per lei. Ma allora perché tutti gli altri colleghi riuscivano ad agire efficientemente e con mille energie mentre lei era l’unica impalata che rischiava di prendersi una pallottola senza praticamente fare nulla?

Datti una mossa! Maledizione, Anna: tutti qui stanno rischiando grosso e tu te ne stai ferma come un pesce lesso senza fare nulla! si disse e proprio in quel momento vide due uomini in nero correre via. Senza neanche rifletterci prese ad inseguire i due fuggitivi. In pochi istanti si accorse che dietro di lei c’era qualcun altro e con la coda riuscì a scorgere Raffaele che con un sorriso le portava rinforzo. Sorrise anche lei di rimando felice di avere qualcuno che le proteggesse le spalle e continuò a correre aumentando la velocità per cercare di prenderli.

Ad un tratto sentì un frastuono provenire dalle sue spalle e la voce di Raff che le urlava di continuare a correre e che andava tutto bene. Anna non se lo fece ripetere due volte e continuò a correre svoltando a destra e accorgendosi che la strada cominciava a salire. Dopo qualche decina di metri si fermò disorientata. Il fiato entrava ed usciva dai suoi polmoni con una velocità ed una forza che sembrava quasi ferirla. Si guardò intorno chiedendosi dove fossero finiti gli uomini in nero e come avessero fatto a sparire così rapidamente. Provò a respirare con il naso per eliminare il fastidioso rumore dell’aria che entrava ed usciva ed avere migliori facoltà uditive, ma intorno tutto taceva.

Improvvisamente il rumore di passi veloci segnò la ripresa della fuga e del relativo inseguimento.

Anna riprese fiato, per qualche istante si guardò alle spalle, ma non vide nessuno dei suoi compagni; quindi riprese la corsa per non perdere contatto con i primi.

Il terreno di quel luogo deserto ed abbandonato a se stesso le rendeva più difficile la corsa, ma si consolò sapendo che quella difficoltà l’avrebbero incontrata anche loro.

Ad un tratto lo spazzale di terra terminava per dare spazio al fitto bosco.

Di male in peggio rifletté l’ispettrice ci saranno più posti dove nascondersi e più ostacoli al mio inseguimento.

Si morse il labbro inferiore – ormai lo faceva automaticamente ogni volta che le cosa cominciano a complicarsi – e riprese le ricerche: non sentiva più i passi veloci della fuga e immaginò che anche loro si fossero fermati per riprendere fiato protetti dalla natura.

In un attimo si rese conto di essere in pericolo più di quanto avesse inizialmente creduto: era da sola e inseguiva più di un uomo il che significava che i fuggitivi avevano tutto il tempo per tenderle una trappola.

Un fruscio di foglie attirò la sua attenzione. Si mosse con circospezione verso il cespuglio in questione quando da questo ne uscirono i due fuggitivi, uno dei quali tentò di colpirla con un bastone ottenendo, fortunatamente, solo di farle perdere l’equilibrio.

Anna però non perse tempo: si rialzò veloce e riprese la corsa. Era poco lontana da loro quando sparò un colpo che ferì uno dei due ad un fianco; quello barcollò, ma con l’aiuto del compagno continuò la sua corsa.

Nella giovane però in quel momento si ruppe qualcosa… si fermò con sguardo sconvolto, perso camminando lentamente fino a giungere alla macchia vermiglia lasciata dal ferito sul terreno.

Si accasciò lentamente mentre la testa cominciò a girarle ed una strana e triste stanchezza si impossessò del suo corpo.  

Non seppe dire quanto tempo rimase ferma in ginocchio su quella macchia di sangue, ma ad un tratto sentì la mano di Elena che la scuoteva.

«Anna…? Tutto a posto? Sei ferita?» chiese ma lei scosse la testa.

«Elena… io l’ho sparato: ho sparato uno degli uomini che inseguivo…»

Elena trattenne il fiato: in un attimo anche lei aveva capito quello a cui stava pensando Anna.

E sei avesse ferito proprio…

 

 

 

 

Lo spazio dell’AUTRICE

 

Ok… ok… prima che qualcuno di voi premi il grilletto della sua 9mm (perche so che tutte ne avete una voglia matta) vorrei scusarmi infinitamente per questo enorme ritardo promettendovi che non accadrà più!! ç__ç

Da oggi infatti – scolasticamente parlando – sono in pausa didattica (non si interroga, ne si spiega, ne si assegna XD) il che significa che avrò più tempo per dedicarmi alla scrittura… poi finalmente arrivano le vacanze di Natale quindi…

Allora: siete felici di non avermi ucciso?? (no?? ç___ç su, su non vi faccio neanche un po’ di pietà??).

Vbb a parte gli scherzi: che ve ne pare questo capitolo? Ero partita un po’ maluccio e diciamo che almeno fino a quando non cominciano le date (es. 11/08 ore 24:00) non sono soddisfatta del mio operato… ma devo dire che l’ultima parte mi soddisfa abbastanza… (che miracolo, eh??)

 

Intanto ringrazio i miei carissimi “sopportatori”

 Tinta87   -^^- Beh se seguiamo il tuo ragionamento anche questo chappy non sarà poi tanto brutto, no?? Sono davvero contenta che la storia ti piaccia e ti appassioni sempre più… e mille grazie x i tuoi immancabili commenti, complimenti e per il tuo sostegno!! Beh… diciamo che Luca… ha avuto il suo bel da fare e i suoi alti e bassi… come del resto anche Anna… ma il più lo si vedrà nel prossimo chappy! Un bacione…

Uchiha_chan   Brr… spero che quella falce se ne stia a riposo ancora per un po’… anche se io ho fatto un ritardo ancora più esorbitante dell’ultima volta (mi disp… ç__ç) Mille grazie x i tuoi immancabili complimenti: sono davvero felice che la storia ti stia piacendo XD… Come avrai potuto vedere anche in questo chappy le scene d’azione non sono mancate: sai credo che non mi vengano poi tanto male… Cmq q te che n’è parso?? Un bacio.

Lyrapotter   E chi ti dice che non farò morire nessuno?!?! Non essere così fiduciosa del mio lieto fine!! A parte questo… piaciuto l’incontro tra X e Men in Black?? Diciamo che neanche qui mi sono risparmiata con la fantasia ed ovviamente non posso far passare un giorno calmo a nessuno di loro. Insomma che te ne pare?? A presto kisses.

Dani85   Eh, eh… per ora si è risolto tutto per il meglio! Già finalmente quei due si sono accorti di avere una bocca x parlare… meglio tardi che mai, no?? Non sei assolutamente pazza: Anna è un po’… nei casini (?) non so se si possa definire così… ma cmq lei non sta molto bene e questo credo che ormai sia chiaro. Inoltre anche Luca mostra alcuni segni di cedimento… quindi.. sì, mia  cara, il giro dei casini è ricominciato! (Noiosa e monotona… lo so… -.-‘’) Il mio aggiornamento è stato molto tardivo… ma come ho già detto credo che non farò più così tardi! Un bacio… alla prossima!

Barby_19   ** Sono davvero felicissima che la mia storia ti piaccia!! Benvenuta!! ^^ quando ho letto la tua rece ho fatto i salti di gioia! Allora che te n’è parso di questo chappy?? Soddisfatta?? Mille grazie x i tuoi complimenti e per aver messo la storia tra le seguite: ne sono lusingata! Alla prossima e continua a recensire!! Kisses.

Luna95   Ma no: smettila si scusarti in continuazione!! Non sentirti obbligata a leggere questa schif… emh… ff: fallo solo se ti va!! Sono felice che la storia continui a piacerti! Che te ne pare di questo nuovo chappy? Come vedi i guai non sono finiti!! Alla prossima un bacio!

Mary899   mille grazie x aver messo la storia tra le preferite! Spero che continuerai a seguire questa ff e magari se ti va lascia un commentino XD

 

Nel prossimo capitolo che si chiamerà TANATOPHOBIA (forse un po’ eccessivo come significato… ma mi piace molto la parola XD) le cose precipiteranno e vedremo il rischio vero che si corre a fare l’infiltrato…

Quindi vi aspetto con impazienza!! Mille grazie  tutti i lettori e recensori!” Kisses.

La vostra Alchimista!

 

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Capitolo 11
*** Tanatophobia ***


CAPITOLO 11°_ TANATOPHOBIA

 

Cosa si prova a veder morire la persona che si ama? Cosa si sente nel cuore quando l’ancora alla quale si è aggrappati, l’unica, si dissolve improvvisamente tra le onde del mare in tempesta?

Tu lo sai, vero Ale? Sai cosa si prova a non aver più voglia di vivere, a voler morire perché sembra la cosa più bella del mondo…

Ti ho visto scivolare in una silenziosa depressione, in una disperata voglia di catturare gli assassini della sua, della tua vita come se quella doverosa azione potesse riportarla in vita, strapparla alla fredda morte.

Ma dimmi Alessandro: cosa si può fare, come si può seguire quello che diventa l’unico scopo nella vita – la vendetta… o giustizia –  se si è la causa di tutto? Come reagire quando in realtà è causa tua la morte della persona che ami?

Io… mi sento semplicemente soffocare…

Prendi me, ti prego, ma non lasciare che lui se ne vada… non lasciarmi sola… non ora… io…

Uno sparo echeggia nell’aria tanto semplice quanto terribile. Il gemito di un uomo, un respiro affannato e pesante. Il grido di una donna, un respiro mozzato.

Un tonfo. Quanti significati può avere un tonfo? A quanti pensieri può portare? In questo momento ne vedo solo uno: morte…

 

«Luca?... Stai sveglio, Luca…arrivati…senti…?»

Si sentiva sballottato avanti e indietro come se fosse portato in braccio da qualcuno e, in effetti, aprendo gli occhi e vincendo le vertigini e il giramento di testa, si accorse che, inerme, era fra le braccia di un pallido e preoccupato Mauro. Il fianco gli faceva male da impazzire: alla fine era stato ferito…

«Resta con me, Luca...»gli gridò Mauro guardandolo con disperazione.

Il commissario tentò di sorridere per rassicurare l’amico, ma, a giudicare dalla sua espressione, non doveva essere spuntata sul suo volto nient’altro che una strana smorfia di dolore.

«Che… cosa… è successo?» chiese con le poche forze che aveva e si rese conto che chiudendo gli occhi si sentiva lievemente meglio.

«Dopo l’irruzione della polizia, io e te siamo scappati per la strada del bosco, ricordi?»

«Si…» rispose resistendo ad un coniato di vomito.

«Ci hanno seguito… anzi solo un agente ci ha seguiti…»

«Anna» disse Luca, mentre un brivido – dovuto molto più a tale constatazione che alla ferita – lo attraversò scuotendolo tutto «È stata lei a sparare?» chiese con terrore anche se conosceva già la risposta.

«Già» confermò Mauro e il commissario notò una scintilla di tristezza attraversare i suoi occhi.

«La mia Anna…» si lasciò scappare e se il dolore non glielo avesse impedito avrebbe riso amaramente per il paradosso della situazione.

«Cosa?» chiese l’ex ispettore «La… tua Anna?» ripeté.

Un altro sorriso provò ad affiorare sul volto di Luca con un successo maggiore del precedente.

«Ci sono ancora tante cose che non sai, Mauro… e, forse, non farò neanche in tempo a raccontartele»

«Non dire stronzate Luca: ora noi arriviamo al punto di ritrovo del “piano B”, ti fascio alla meglio e torniamo al monastero dove avrai tutte le cure di cui hai bisogno» lo incoraggiò Mauro, ma era solo la disperazione a dar forza a quelle parole.

Quando Mauro di fermò adagiando Luca con la schiena contro un albero e guardò preoccupato la ferita, erano ormai quasi alla fine del bosco e da lontano si potevano già scorgere i primi abitati. Era quella la loro meta e, più precisamente, un casolare in affitto ad uno dei capi e di fatto disabitato. In quell’operazione era stato programmato tutto, comprese le vie di fuga: lui e Luca dovevano ritirarsi in quel casolare finché le acque non si fossero calmate e poi tornare al monastero.

Tutti coloro che non fossero tornati entro tre giorni sarebbero stati considerati persi.

Mauro riprese in braccio Luca e cominciò a correre verso il casolare. Quando fu arrivato, spalancò la porta con un calcio ed adagiò il giovane sul divano, poi corse in bagno a cercare bende, disinfettante e quanto potesse essergli utile in quel caso. Tornò in soggiorno con le braccia piene di roba che depositò per terra, poi mise un panno fresco sulla fronte sudata e bollente di Luca: la febbre stava salendo rapidamente. Strappò la maglietta e si accorse che la ferita era più brutta di quanto si aspettasse, la disinfettò cercando di ignorare il grido di dolore di Luca e la fasciò alla meglio: non era mai stato molto pratico in queste cose.

«Grazie…» sussurrò il commissario stanco.

«Ma zitto! Piuttosto: come ti senti?»

«Posso camminare…» e così dicendo provò ad alzarsi, ma un violento giramento di testa gli fece perdere quel po’ di colorito che ancora resisteva sul suo volto.

«Fermo!» gli urlò Mauro facendolo sdraiare di nuovo «Non essere stupido: ci muoveremo domani, se ti sentirai meglio…»

In quell’istante un’idea balenò della mente dell’uomo: e se fosse tornato da solo al monastero? Se avesse avvisato i colleghi di Luca della sua posizione in modo che lo recuperassero, salvandolo? Sarebbero stati risolti molti problemi, più di quanti lo stesso Luca potesse immaginare.

«Non ti azzardare neanche a pensarlo!» gli urlò – per quanto potesse farlo – Luca come se gli avesse letto nel pensiero «Non ti lascerò andare via»

«Non potresti impedirmelo»

Luca lo guardò sconvolto. Mauro aveva ragione: non poteva muoversi e se ora l’uomo se ne fosse andato lui non avrebbe potuto far nulla per fermarlo.

«Ti prego Mauro: non andartene… mi sono ripromesso che ti avrei riportato indietro…»

Lo sguardo di Mauro cadde improvviso sul commissario che ebbe un brivido non per la ferita, ma per il gelo che gli trasmise: era come la prima volta che l’aveva visto, lo stesso distacco, la stessa consapevolezza di non esistere.

«Non manterrai la tua promessa, Luca: non tornerò con te, non posso, sono cambiato. Come spiegherei tutto questo a Germana? A mio padre? Abbiamo già fatto questo discordo e ti ho detto come la penso… Non voglio parlarne più»

«Hai ragione: sei cambiato. Quando lavoravamo insieme non ti lasciavi fermare dalla paura; sei “morto” per disprezzo della paura. Ora invece…»

«Taci!» gli urlò contro Mauro zittendolo «Tu non sai! Tu non puoi giudicarmi!».

Per un attimo Luca ebbe il timore che Mauro gli avrebbe messo le mani addosso; poi, invece, vide l’uomo allontanarsi dal divano e, rivolgendogli le spalle, poggiare tremante la braccia tese sul tavolo. Aveva esagerato – solo ora se ne rendeva conto – con quelle parole: in fondo lui non poteva capire quello che aveva passato e stava passando ancora ora Mauro.

«Scusa… scusami Mauro… io non ho alcun diritto di parlarti così…» disse piano «Solo ti prego: non andartene senza di me…»

Per alcuni istanti nella stanza regnò un silenzio carico di tensione, poi Mauro si voltò con i suoi gelidi occhi e guardò prima Luca, poi la ferita.

«Torniamo al monastero domani… pensi di farcela?» chiese quasi atono.

Luca annuì ed uno strano freddo invase il suo corpo; chiuse gli occhi – come per voler riposare – e tentò con sofferto successo di ricacciare indietro le lacrime: ora era con Hector che stava parlando perché con le sue ultime sciocche frasi aveva fatto sì che Mauro sparisse di nuovo dietro quella farsa identità.

 

«Non puoi esserne sicura!» le ripeté per l’ennesima volta Raffaele.

«Invece lo sono… me lo sento!» rispose Anna gelida.

«Scusa, ma non ha detto che gli uomini erano due? Ammettendo pure che uno dei due fosse Luca, chi ti dice di non aver ferito l’altro? Infondo eravate di corsa ed il sole stava appena sorgendo: potresti benissimo esserti confusa» la incoraggiò Elena.

«No!» ripeté sicura quella «Sono sicura di quello che ho visto… era Luca» e le sue ultime parole persero il vigore delle precedenti, mentre quelle maledette lacrime premevano di nuovo su suoi occhi.

Non pensarci, non farlo! Si ripeté Non puoi concederti questo lusso, non ora. Resta lucida.

«In ogni caso ora non ha alcun senso discuterne adesso: abbiamo preso un campione del sangue trovato nel bosco e l’abbiamo mandato alla scientifica. Boni ci farà sapere il prima possibile» disse Ale interrompendo quella discussione che se anche proseguita non avrebbe portato a nulla.

Dopo l’irruzione nel luogo dello scambio per una buona mezz’ora aveva regnato il caos dei colpi d’arma da fuoco, delle grida e degli inseguimenti finché tutto non era finito; il bilancio era stato sicuramente positivo – nessuno dei loro era rimasto ferito – ma non quanto si aspettavano: dei dieci uomini dell’organizzazione uno era morto ed erano riusciti ad arrestarne un altro; tra gli ungheresi non c’era stato alcun arresto: solo due morti mentre gli altri erano tutti riusciti a scappare.

«Che cosa dice quello?» chiese Raff riferendosi all’ungherese che ora si trovava nella sala degli interrogatori.

«Nulla: non parla. L’unica cosa che ha detto è che non sa nulla» lo informò Ale.

«Vediamo se continua a non sapere nulla» disse Anna e alzandosi dalla sedia si diresse a grandi passi verso l’altra stanza.

Sentiva di dover fare qualcosa, qualsiasi cosa: doveva tenersi impegnata per non permettere alla sua testa di pensare, al suo cuore di annegare nella tristezza…

Spalancò la porta con impeto e sbatté le mani sulla scrivania. L’uomo non si fece cogliere di sorpresa e la guardò passivo, come se non fosse su quella terra.

«Stammi a sentire» urlò l’ispettrice «Ora tu mi dici dove cazzo stanno i tuoi capi, capito?»

Lo sguardo dell’uomo divenne alquanto divertito il che non fece altro che far montare ancora di più la rabbia della ragazza.

«E pensi di convincermi con quel bel faccino?» la sfidò.

Anna non ci vide più dalla rabbia: prese l’uomo per il colletto della maglia e lo portò a pochi centimetri dal suo volto. La risata dell’uomo le sfiorò il viso, ma l’ispettrice non ebbe neanche il tempo di continuare il suo minaccioso discorso che lo sguardo dell’uomo divenne stranamente vitreo ed il suo corpo le si accasciò addosso.

«Oddio…» sussurrò Anna mentre il suo corpo cedeva sotto il peso dell’altro «Aiuto!» urlò poi poggiandolo per terra.

In un attimo la sala degli interrogatori fu piena di agenti. Alessandro controllò il polso dell’uomo mentre Raffaele chiamava veloce l’ambulanza; Anna osservava la scena come se fosse un sogno: le immagini  – a tratti sfocate – sembravano andare a rallentatore e smisero il loro lento giro solo quando Elena le prese con forza il braccio. Anna la guardò in volto: vedeva le sue labbra muoversi, ma il cervello non riusciva a trasformare i suoni che gli giungevano in parole.

L’ispettrice cominciò a respirare in modo affannato: un nuovo attacco d’ansia; poi, senza alcun preavviso il cuore tornò a battere normale e le parole di Elena acquistarono un senso.

«Anna? Tesoro, ti senti bene?» le stava chiedendo con preoccupazione e insistenza «Vuoi sederti?  Ti porto dell’acqua?»

«No… sto bene, non preoccuparti» rispose ancora un po’ frastornata.

Intanto nella sala erano entrati due infermieri con una barella e con l’aiuto di Alessandro avevano caricato su di essa l’uomo dell’organizzazione.

«Seguiamo l’ambulanza» disse Anna  e si diresse con Elena fuori dal Commissariato. L’ispettrice volle salire sull’ambulanza, mentre l’altra salì in auto dopo aver assicurato ai due ispettori – che rimanevano al Distretto – che avrebbe dato loro notizie dell’uomo il prima possibile.

 

Egoista. Sì, era semplicemente un’egoista. Perché sperare che quell’uomo sopravviva solo per avere notizie di Luca non è altro che egoismo; ma, nonostante ne fosse consapevole, non poteva fare altro che sperare in quello. Doveva trovarlo e portarlo via di lì: aveva fatto abbastanza, scoperto tutto ciò che poteva; ora doveva solo tornare… solo questo.

«Lo stiamo perdendo!»

Quel grido la riportò alla realtà: si accorse che ormai erano arrivati all’ospedale, ma che il battito dell’uomo era assente.

«Cazzo!» si fece scappare, mentre uno degli infermieri ordinava di aumentare il voltaggio ed un altro continuava a stimolare il cuore con il defibrillatore.

L’acuto suono continuo che indicava l’assenza del battito divenne all’improvvisamente ad intermittenza segno che il cuore aveva ripreso il suo vitale compito.

La barella scese veloce dall’ambulanza ed entrò nella struttura. Altri medici circondarono la barella in corsa scambiando rapide informazioni tecniche con i primi; di tutti quei discorsi Anna riuscì solo a cogliere che nessuno di loro sapeva cosa stava uccidendo l’uomo. Ad un tratto la barella svoltò a destra e superò una porta ad apertura a saloon, ma una degli infermieri che la circondava bloccò Anna.

«Qui non può entrare…»

«Ma… io..»

«Non si preoccupi: faremo tutto il possibile per salvarlo…» la rassicurò l’infermiera, poi sparì anche lei dietro la porta.

Anna rimase bloccata, il respiro mozzato: e se fosse morto? Ancora una volta si considerò un’egoista, ma non poteva far altro che pensare che se fosse morto, loro sarebbero tornati al punto di partenza…

«Dov’è?» chiese una voce alle sue spalle.

Anna si voltò e vide Elena il cui petto si alzava ed abbassava con rapidità per la gran corsa che aveva fatto per seguire lei e la barella. In un attimo si rese conto che era proprio ciò di cu aveva bisogno in quel momento: qualcuno da porte stringere forte a se per non perdere contatto con quella realtà che le stava pericolosamente sfuggendo dalle mani. Con un grande slancio gettò le braccia al collo di Elena che ricambiò quel gesto con la sua stessa intensità.

«L’hanno portato dentro… ma non sta bene: già nell’ambulanza ha avuto un arresto cardiaco» spiegò Anna con voce incrinata.

Elena annuì e si sedette accanto alla collega in attesa dei medici. Attesa che durò circa mezz’ora dopo la quale alcuni medici uscirono dalla sala con aria tutt’altro che rassicurante.

«Abbiamo fatto tutto il possibile… mi spiace…» disse uno di loro scuotendo la testa.

«Ma… com’è possibile? Fino ad’un’ora fa era nella sala degli interrogatori e stava benissimo…» spiegò Elena, shoccata dalla notizia; Anna non riusciva ad aprire bocca: in cuor suo aveva sempre saputo che in un modo o nell’altro sarebbe finita così.

«Siamo convinti che ad ucciderlo sia stato del veleno» spiegò il medico «L’uomo aveva al collo questa medaglietta: gli è caduta mentre tentavamo di rianimarlo… dall’interno sono uscite alcune pasticche bianche: molto probabilmente il veleno che l’ha ucciso» e così dicendo le diede all’ispettrice che, indossando un guanto, le fece scivolare in un sacchetto di plastica trasparente: il responso della scientifica sarebbe stato decisivo.

Il medico salutò con un cenno del capo ed andò via mentre Elena aveva già composto il numero telefonico di Alessandro.

«Ohi Elena: novità?»

«È morto» disse quella, forse con poco tatto.

Dall’altra parte della conversazione ci furono attimi di silenzio che Elena sfruttò per spiegare come stavano le cose.

«I medici dicono che aveva delle pasticche di veleno nascoste in una catenina: deve averne ingerita una mentre non eravamo nella sala degli interrogatori»

«Si è ucciso pur di mantenere il segreto…» constatò sconvolto l’uomo «Arriviamo subito»

Elena chiuse la chiamata e ripose il cellulare in tasca: guardò Anna sul cui volto regnava ancora in pallore. La giovane alzò improvvisamente gli occhi ed incrociò lo sguardo della collega.

«Ma tra che razza di gente abbiamo infiltrato Luca?» chiese con le lacrime agli occhi.

 

Aveva il fiato corto e non sentiva più la schiena: per quanto in quei mesi fosse dimagrito, non si poteva certo dire che Luca fosse una piuma e trasportarlo per vari chilometri sulla schiena non era certo il massimo. Si ripeteva che ormai era arrivato da quasi mezz’ora ma sembrava che, man mano che tentava di avvicinarsi, il monastero si allontanasse sempre più. Luca ormai aveva perso di nuovo conoscenza ed il calore che sentiva all’altezza del proprio fianco gli suggeriva molto chiaramente che quello del compagno aveva ripreso a sanguinare.

Maledizione pensò se non mi sbrigo… e si accorse che faceva male anche solo pensare di poter perdere Luca.

Impressionante come semplicemente averlo rincontrato l’avesse cambiato tanto profondamente. Prima non gli importava più di niente e di nessuno e non si sarebbe mai sognato di provare qualcosa – un qualsiasi sentimento – per qualcuno. Aveva quasi dimenticato cosa si provasse quando si rischiava di perdere una persona alla quale si vuole bene:  quella morse che ti prende allo stomaco, il sudore freddo ed i brividi  che attraversano la schiena, la sensazione di essere sull’orlo di un baratro con il costante pericolo di cadere giù…

Si fermò per riprendere fiato stando attento a non sballottare o far cadere Luca ed alzando lo sguardo scorse finalmente la sinistra figura del monastero. Un sorriso amaro inondò il suo volto.

«Resisti Luca: ormai ci siamo…» sussurrò riprendendo a camminare con passo rapido.

Inizialmente avevano stabilito che sarebbero partiti all’alba con il favore della luce, ma nelle prime ore della notte le condizioni del commissario si erano aggravate e Mauro non aveva potuto far altro che mettersi in cammino e giungere al monastero il prima possibile.

Quando entrò, pallido e sudato, lo sguardo di tutti fu rivolto a lui e al corpo inerte che aveva sulle spalle. Mauro si rese improvvisamente conto che, nonostante stesse lì da tempo, non si era mai trovato in una situazione del genere e si scoprì impreparato ad un eventuale reazione dei presenti: cosa stavano pensando? Cosa avevano intenzione di fare? E se erano stati fuori troppo a lungo e adesso loro volessero eliminare ogni sospetto di un qualche contatto con le autorità?

Bel casino… rifletté in pochi istanti  bel casino davvero…  

«Hector!» esclamò Thomas, uno dei capi, con voce preoccupata «Sei qui finalmente! E… quello è Marco?» chiese sbiancando lievemente.

«Non è morto» si affrettò a rassicuralo Mauro «Solo ferito ed ha bisogno di cure»

«Andrea, Claudio» chiamò il capo «Andate con lui e medicatelo… fatemi sapere le sue condizioni il prima possibile e speriamo che vada tutto per il meglio…» concluse con un breve sospiro.

«Posso andare con loro?» chiese una voce nella mischia di uomini che si era creata all’arrivo di Hector e Marco.

«Certo Davide: va pure» e Davide seguì gli altri due per i corridoi umidi della struttura.

«Gli è affezionato….» constatò Hector con voce alquanto disinteressata e si rese conto che fortunatamente riusciva ancora a rimanere distaccato da ciò che lo circondava o, almeno, riusciva a fingere di esserlo.

«Come te» disse Thomas smentendo in parte ciò che Mauro aveva appena pensato.

Intanto la sala era rimasta quasi vuota: alcuni si erano ritirati nelle loro celle, altri cercavano di mettere ordine in quella caotica giornata fuori dal comune; perché quello era stato un vero colpo per l’organizzazione, ma soprattutto il primo.

«Cos’è successo?» chiese improvvisamente Hector «Come potevano sapere il luogo?» e pregò che il capo non sapesse dargli risposta.

«Vieni con me» disse quello e un brivido attraversò il corpo di Mauro, ma doveva mantenere la calma: ne andava della vita di Luca… e anche della sua.

Attraversarono due stretti corridoi fino ad arrivare ad un’altra sala di ritrovo, ma questa era presidiata da due uomini con sguardo vigile e una fascia verde: anche Mauro, che era lì da molto tempo, aveva avuto occasione di vederli solo una volta, durante una riunione dei capi che, con molta probabilità discutevano di affari di vitale importanza. Questa “guardie” erano chiamate a posta e reclutate tra ex soldati con estrema accuratezza, la loro identità era nota solo ad uno dei capi ed erano come varie e proprie ombre.

La faccenda è seria pensò Mauro rabbrividendo se hanno addirittura chiamato le fasce verdi… Questo colpo è stato davvero duro per tutti… in fondo non era mai accaduto prima che l’organizzazione venisse intercettata dalle autorità… Siamo nei casini…

Con un rapido sguardo indagatore i due uomini di guarda fecero passare Thomas ed Hector che spalancarono con una certa solennità la porta e fece i loro ingresso.

«Finalmente ecco qui anche Thomas!» esclamo uno dei restanti capi, William con un sorrisetto beffardo.

«C’è poco da essere allegro Will: abbiamo un morto, un ferito ed un arrestato. Il bilancio è critico»

«Chi è rimasto ferito?» chiese quello d’improvviso serio.

«Chi è morto?» chiese contemporaneamente Hector shoccato.

«Marco è rimasto ferito» disse Thomas rivolto a William «E Sam è morto… quei bastardi l’hanno ucciso senza alcuno scrupolo» concluse rivolto verso Hector.

«Ma Carlo?» chiese uno degli uomini di fascia gialla «che si fa con Carlo?»

«È Carlo che è stato preso?» chiese ancora Hector sedendosi al proprio posto.

«Carlo non sa molto… e comunque mi fido ciecamente di lui: non parlerà» proseguì William annuendo rivolto ad Hector per rispondere alla sua domanda.

«Quindi ora ci resta solo da capire come diavolo hanno fatto a sapere dell’incontro…» osservò un altro capo con fare serio e un po’ furioso.

«Signori!» gridò una voce e dalla porta entrò Giulio seguito da un pallido Davide.

«Che succede?» si fece scappare Mauro preoccupato dall’espressione di Davide.

«Carlo… si è ucciso…» disse Giulio ancora tremante.

Nella stanza scese il silenzio. Ognuno pensava al sacrificio che quell’uomo aveva fatto per la loro sicurezza e se, al suo posto, avessero fatto quella stessa scelta. Ma la verità è che non si può sapere realmente come si agirà in una determinata situazione finché non ci si trova davvero dentro.

«Sapevo che lo avrebbe fatto» disse piano Thomas «E noi gliela faremo pagare anche per questa morte!»

«Il ferito?» chiese uno del gruppo.

«Ora riposa…» li rassicurò Davide ancora pallido «Ma la ferita è più grave di quanto ci si aspettasse… non sappiamo se…» e le parole gli si mozzarono in gola senza trovare la forza di uscire.

Mauro impallidì, ma cercò velocemente di scacciare dalla mente il pensiero che aveva concluso la frase di Davide: non era quello il momento di lasciarsi andare a tale debolezza.

Rapidamente anche gli ultimi arrivati si sedettero al loro posto. Nella stanza regnava una strana tensione e qualcuno si faceva scappare uno sguardo sospettoso verso chi gli era accanto.

«Dell’operazione erano a conoscenza solo i 10 membri che ne avevano fatto parte» cominciò Thomas freddamente «Escludendo i due uomini che hanno perso, restiamo in 8»

«Sei» intervenne un altro dei capi presenti «Visto che io e te abbiamo partecipato alla missione e su di noi non c’è alcun dubbio di tradimento» e nel pronunciare quelle ultime parole fece una lenta panoramica dei volti presenti nella stanza con fare intimidatorio.

Tradimento rifletté Mauro con una certa preoccupazione era ovvio che pensassero subito a questo; ma non volendo l’artefice di tutto questo è quello che dovrebbe avere l’alibi più forte.

«Escludiamo, ovviamente, anche Marco: un poliziotto non sparerebbe mai ad un collega… perché è di questo che si tratta: una talpa che sicuramente lavora per quelli lì»

Proprio quello che pensavo concluse Mauro, ma un brivido lo attraversò: erano già indirizzati verso “la talpa”.

«Non così in fretta…» interruppe Giulio «…chi ci dice che questo non sia stato programmato nei minimi dettagli? Mi spiego: prevedendo che avremmo fatto questo ragionamento, avrebbero anche potuto ferire il loro infiltrato per dargli un sicuro alibi».

Un secondo brivido attraversò la schiena di Mauro: aveva sempre saputo che Giulio era molto intelligente e sapeva riconoscere la verità dal falso con abile maestria. Era uno dei più pericolosi del gruppo e per molto tempo aveva avuto dei sospetti anche su di lui; poi questi si erano calmati o almeno così sembrava.

«Scherzi, spero!» urlò una voce precedendo di poco Mauro che, contro ogni logica, solo per l’istinto di difendere Luca, stava per contestare la tesi di Giulio con quelle stesse parole.

A parlare era stato Davide e Mauro non ne fu affatto sorpreso.

«Davide i sentimenti offuscano la tua lucidità!» gli disse freddo Giulio «Ragiona: sarebbe perfetto, nessuno sospetterebbe di lui!»

«Ti sbagli! Marco non c’entra nulla… lui non è una spia!»

«E cosa ti rende tanto sicuro di questa cosa?» intervenne con tono superiore William.

«Io… insomma abbiamo già fatto tutti i controlli a tempo debito… e non è risultato nulla…» provò a giustificarsi.

«Potrebbe esserci sfuggito qualcosa: rifarai comunque un controllo» sentenziò Thomas.

«E per l’altra operazione?» chiese Hector cercando di non tradire l’ansia assoluta che si era impossessata del suo corpo al sentir menzionato un più accurato controllo su Luca.

«Rimane tutto confermato: domani vedremo gli acquirenti delle ragazze e chiederemo loro di prenderle tutte e 10 nonostante ne avessero chieste solo 7. Poi andremo via di qui il più velocemente possibile» rispose secco e deciso William e con quelle ultime parole l’assemblea fu sciolta.

 

Non ne fu sorpresa. Un mucchio di emozioni la travolsero, ma non la sorpresa. D’altronde lei l’aveva detto da subito, ne era sempre stata certa ed ora anche il volto di Boni non lasciava dubbi.

L’uomo entrò nell’ufficio con il volto pallido di chi non sa come dire qualcosa di brutto.

«È suo il sangue…» sussurrò Anna e l’uomo della scientifica annuì.

«Il sangue trovato nel bosco è di Luca… mi spiace…»

Nonostante, però, fosse mancata la sorpresa, la sensazione della terra che manca sotto i piedi non tardò ad arrivare, micidiale.

Sapevi che era così…

Ma fa comunque male…

Non puoi permetterti questo dolore, questa debolezza: devi trovarlo, salvarlo… ne va della vostra vita e non solo…

Ma come, come?! L’unico testimone è morto...

Troverai una soluzione, la troverai. Concentrati!

No! Non esiste, non esiste una soluzione… lasciami qui… lasciami morire…

Smettila! Non dire idiozie! Rialzati! Non mollare proprio ora!

Basta… sono semplicemente stanca… di tutto…

Anna chiuse gli occhi e si lasciò scivolare contro il mobile dell’ufficio sperando che la mancanza di sensi la cogliesse rapidamente. Ma quasi subito sentì qualcuno che la afferrava con forza e poi qualcosa di morbido sotto di lei; i suoni le giungevano opacizzati ed indistinti e creavano solo confusione nella sua testa. Poi il nero l’avvolse, dolce e silenzioso.

 

È davanti ad una chiesa: sa di conoscerla bene, ma in quel momento non ricorda proprio come si chiami. Il sole è accecante e l’aria è afosa. Anna ha caldo e si toglie la giacca che scopre essere nera.

Ma a cosa stavo pensando stamattina quando mi sono vestita? si chiede già c’è un’afa tremenda, poi mi vesto di nero…

E all’improvviso quelle parole la colpiscono nel profondo: sente di conoscerle già, di esserci già stata di fronte a quella chiesa, sola, con una giacca scura nonostante il caldo infernale.

Le gambe cominciano a tremargli mentre il ricordo ormai è nitido nella sua mente: l’ultima volta che era stata lì aveva visto la bara di Luca…

Sì, ma l’ultima volta che sono stata qui stavo solo sognando  si dice per rassicurarsi eppure il terrore e l’ansia l’hanno già presa.

Comincia a correre ed entra con violenza nella chiesa. Stavolta nessun suono d’organo l’accompagna, ma le navate e le panche sono ugualmente vuote. Anna volge direttamente lo sguardo verso l’altare per controllare se anche stavolta ci sia davanti una bara di mogano, ma anche lì vede il vuoto.

Tira automaticamente un respiro di sollievo: non è successo nulla.

Forse mi sono allontanata dal Distretto dopo l’arrivo di Boni e sono corsa fin qui  si dice anche se non ricorda nulla del tragitto appena compiuto

In ogni caso sarà meglio tornare: saranno preoccupati… e dando un ultimo sguardo all’altare vuoto si volta per andare via.

«Ne sei sicura?» le chiede una voce.

Anna sussulta: la conosce… non potrebbe in alcun modo dimenticarla.

«Luca…»

È davanti a lei, a metà tra l’altare e l’uscita. È come lei se lo ricorda: i capelli scuri e corti che gli danno quell’aria da commissario esperto, la barbetta intorno alle labbra corta e ispida, la giacca scura e nessuna cravatta: non le ha mai sopportate. Anna sorride a questo pensiero: sembra che tutto sia tornato alla normalità.

Comincia a correre: l’unica cosa che desidera il quel momento è abbracciarlo.   

«No!»

L’ordine duro di Luca la blocca spaesata: cosa gli prende? Perché ora l’allontana?

«Non avvicinarti!» continua lui con una nota di rabbia nella voce.

«Ma… cosa stai dicendo…? Luca… cosa…?» ma prima che possa concludere la frase il commissario ha già spostato la giacca lasciando vedere una grossa chiazza rossa sulla camicia bianca.

«Luca, mi dispiace tanto… io…»

«Non importa: ora nulla ha più importanza, né valore. Addio!» e senza perdere tempo esce dalla chiesa.

Anna non capisce: cosa diavolo significano le sue parole? Non c’è alcun senso in quella frase, nessuna logica. Eppure anziché corrergli dietro le sue gambe cedono e lei cade in ginocchio mentre il freddo la avvolge e all’esterno il sole ha lasciato posto alle nuvole. Luca ormai era andato via per sempre…

 

«Dorme?» chiese Boni con preoccupazione notando il volto contratto della ragazza.

«Sì: è da giorni che non chiude occhio… è solo stanca e questa notizia è stata il colpo di grazia…» lo rassicurò Elena «Lasciate che si riposi, almeno per un po’: con il giorno penseremo al da farsi» e anche a lei scappò uno sbadiglio.

«Forse è meglio se anche tu facessi qualche ora di sonno, amore» le disse Alessandro stringendola da dietro «Vieni: ti accompagno a casa…»

«No… se non ti dispiace preferirei che qualcuno rimanesse qui con lei… io ce la faccio a guidare, non preoccuparti…» e detto ciò salutò Ale con un bacio per non permettergli repliche, gli altri con un cenno di mano ed andò via.

Un secondo sbadiglio la colse mentre camminava verso la macchina: quella mattina aveva dovuto parcheggiare un po’ più lontano e le sue gambe sembravano quasi cedere sotto il peso del corpo che continuava a muoversi solo per inerzia.

Poi qualcosa la prese da dietro, troppo rapido perché potesse difendersi in qualche modo o, solamente, capire cosa fosse. Un grossa mano premette sulla sua bocca soffocandole un grido in gola e l’uomo – perché era un uomo che l’aveva aggredita – la sollevò di peso spingendola in uno stretto vicolo nonostante l’ispettrice tentasse di divincolarsi per sfuggirgli in qualche modo.

«Sta calma! Maledizione, fermati: non ho alcuna intenzione di farti del male!» gli disse la voce con tono duro e leggermente frettoloso.

Elena comprese che in ogni caso sarebbe stato meglio fare come diceva; si fermò ed attese di sentire di nuovo quella voce.

«Il vostro capo è in pericolo: il commissario Benvenuto ha bisogno di voi!» le disse allentando la presa sulle sue labbra.

«Come…? Che ne sai tu di…? Ma che cosa sta…?» farfugliò quella sorpresa.

«Non c’è tempo per le spiegazioni ora!» la bloccò lui brusco «Controlleranno ancora l’identità di Luca: stavolta hanno il suo sangue! Devi farlo sparire, almeno dall’archivio della polizia: non deve esistere o sarà tutto perduto! Muoviti: potrebbe già essere troppo tardi!» e detto ciò la lasciò andare sapendo che non si sarebbe voltata per vedere chi fosse.

Infatti Elena cominciò a correre scordandosi persino della stanchezza che pochi istanti prima le stava facendo strisciare i piedi per terra; in una mano il cellulare già aperti, nell’altra le chiavi dell’automobile. Appena fu dentro digitò rapida le 10 cifre e mesi in moto.

«Pronto?» chiese una voce stanca dall’altra parte delle conversazione.

«Maggiore Patrizi? Sono Elena Argenti: ho bisogno del suo aiuto. E accora in ufficio?»

«Sono appena uscito… ma di che si tratta?»

«Di Luca: è nei casini e noi dobbiamo farlo sparire dagli archivi. Rimanga lì sto arrivando»

«Ma cosa…? Farlo sparire?»

«Sì, almeno dagli archivi della polizia! Ed il prima possibile: potrebbero aver già fatto i dovuti controlli…» e a quel pensiero una morsa le avvolse lo stomaco.

«Corro subito e comincio a disporre il tutto: lei si sbrighi ad arrivare!»

La comunicazione si interruppe in quel brusco modo e da entrambi le parti rimasero bloccate parole di terrore e reciproco contorto che in quel momento entrambi cercavano di ripetersi senza avere il coraggio di crederci davvero e di usarle per l’altro.

 

Era solo nella stanza, solo con il suo portatile e le apparecchiature per l’estrazione del DNA sulla grande scrivania. Seduto sul letto con le mani nei capelli si chiedeva dove avesse sbagliato, perché gli fosse tanto difficile eseguire quell’ordine, perché fosse così affezionato a quel ragazzo di cui, in fondo, non sapeva praticamente nulla.

Debole. Debole e sentimentale! si ripeteva come fosse un’accusa, ma ogni volta che tentava di alzarsi per accedere il pc e cominciare la ricerca qualcosa lo fermava: la paura di sapere la verità era troppo forte perché se fosse stato come Giulio aveva supposto, allora tutto sarebbe finito; in un modo o nell’altro sarebbe finito.

Mandò a diavolo tutte le esitazioni ed accese il pc, che lasciò a caricare, ed la sofisticata macchina che avrebbe a breve sentenziato la condanna di colpevole o innocente: pensare non gli aveva mai fatto bene da quel giorno; perché avrebbe dovuto aiutarlo ora?

Mise il campione di sangue prelevato nel macchinario ed attese i pochi istanti che servivano per estrazione del DNA; quando il processo fu completato si mise a pc. Non ci volle molto a forzare le banali – almeno per lui – difese dell’archivio della polizia: al suo tempo era stato un ottimo programmatore di computer ed un ottimo hacker. Digitò rapido l’ordine di controllo incrociato con il DNA anonimo ed attese cercando di non pensare a nulla e tenendo gli occhi incollati allo schermo come per poter velocizzare il processo.

Per un attimo il pc sembrò aver trovato qualcosa; poi, però, la schermata scomparve e ne uscì un’altra vuota sulla quale una riga recitava: “Nessun risultato. Campione incompatibile.”

Non seppe se tirare un sospiro di sollievo o meno: cosa era successo? Perché quell’improvviso cambiamento? Un semplice calo di corrente? Ripeté il confronto, ma il risultato fu lo stesso, il che non fece altro che impensierirlo ancora di più: cosa c’era davvero sotto?

Non restava altro che chiederlo ad diretto interessato e farlo il prima possibile.

Chiuse il pc ed uscì dalla cella. In breve arrivò a quella di Marco: fortunatamente non vi era nessuno all’interno e la porta era appannata. Il rumore metallico che provocò la sua apertura fece muovere lieve il sudato ragazzo che pallido aveva sul volto un’espressione di puro dolore.

«Anna…» sussurrò – doveva sognare - «… non è colpa tua… è tutto a posto… sto… bene…»

Anna. Quel nome colpì Davide come un macigno dritto sulla testa: lo aveva già sentito di recente. Rimase in silenzio per qualche istante intento a scavare nella memoria e dopo poco estrasse quel nome. Lo aveva pronunciato un agente durante il blitz rivolto verso una ragazza che aveva preso a seguire alcuni degli uomini in nero, armata. Una poliziotta anche lei.

Coincidenza? Paranoia? Poteva essere solo quello? No. Ormai Davide aveva capito ogni cosa e in fondo una parte di lui aveva già capito prima del confronto: lo strano comportamento che in alcune occasioni aveva avuto il ragazzo fino ad ora non avevano significato nulla, ma alla luce di questi nuovi indizi, di queste nuove “coincidenze” tutto sembrava pericolosamente quadrare.

«Maledizione!» si trovò ad urlare. Ora sapeva… sapeva come era andato tutto… sapeva che Marco non era mai esistito…

 

 

 

 

 

 

Lo spazio dell’autrice

 

Salve a tutti e mille auguri di buon anno!! (si lo so che sono in ritardo… -.-‘’’).

Ancora una volta sarete costretti a sorbire le mie patetiche scuse x quest’enorme ritardo! Credevo che con l’arrivo delle vacanze natalizie sarei stata più rapida, ma mi sbagliavo… ^^’’’’

Allora cosa ve n’è parso di questo capitolo?? Ormai è inutile che io vi dice che a me non piace proprio… Luca si è messo davvero nei casini stavolta, eh?? E Giulio è stato davvero molto astuto… anche se il ferimento del commissario non era stato affatto programmato. Anna continua a non stare bene ed il fatto che abbia ferito lei Luca di certo non l’aiuta per nulla…

Devo dire che questi capitoli stanno venendo fuori dal nulla, senza che io li programmi e ciò mi rallenta un po’…

 

Intanto ringrazio i miei angeli:

Uchiha_chan  spero vivamente che anche oggi tu sia di buon umore così da perdonare il mio ritardo… XD Se mai dovessi risultare pesante basta dirlo e tenterò di alleggerire la cosa… ma solo felice che per ora tutto ti sembri a posto. Onorata di essere riuscita a farti apprezzare una ff sui telefilm ^^ e spero che anche stavolta sia valsa la pena di aspettare! Un bacio…

Tinta87  Non preoccuparti assolutamente x il ritardo… in fondo guarda me che vi ho fatto aspettare tre settimane!! Sono felicissima che lo scorso chappy ti sia piaciuto!! E scusami tanto x l’ansia e il finale da cardiopalma… Come avrai capito è stato proprio Luca a ferirsi… Mille grazie x i tuoi complimenti… e sono felice di riuscire a coinvolgerti così tanto!! *me onoratissima!* un grosso bacio e alla prossima! Attendo con ansia gli aggiornamenti della tua ff di Distretto!!!!

Dani85    Spero che anche stavolta il ritardo sia perdonato!! Beh il non lasciarti in ansia è una delle mie doti migliori… e sì: come avrai capito il colpo se l’è preso proprio Luca e Anna… tra poco (al 99% il prossimo capitolo) saprai cosa vi nascondo ( e allora mi manderai a quel paese xk la delusione sarà tantissima…) Don’t worry: Luca – in un modo o nell’altro – ne esce… Mille grazie x i tuoi immancabili ringraziamenti e che te ne pare dei nuovi guai?? Vbb un grosso bacione… e ribadisco: non sei assolutamente pazza!!!

Barby_19  -^^- sono contenta che la storia continua a piacerti e a tenerti incollata allo schermo, mille grazie x i tuoi complimenti e perdona il mio ennesimo enorme ritardo!!! Che ne dici di questo?? Piaciuto l’incipit in corsivo?? X ciò che succede ad Anna con molta probabilità si chiarirà tutto il prossimo capitolo. Mi spiace dirti che è stata proprio lei a sparare a Luca e sono strafelice che tu mi abbia incitato con un ulteriore recensione!!!!!! Mille grazie ed ancora scusa x il ritardo!! Le tue storie mi piacciono molto anche se non ho avuto ancora modo di leggere l’ultima che hai pubblicato… A presto. Un bacione.

Lyrapotter  Eh sì: con il lavoro che fanno al X è normale che siano sempre a rischio… però diciamo che anch’io mi ci metto d’impegno… Hihihi… Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, soprattutto lo scontro tra il X e i men in black! Beh con molta probabilità sì: sono sadica, almeno in questa ff, visto che Anna ha sparato proprio a Luca… X i problemi ad Anna tutto verrà chiarito molto probabilmente nel prossimo capitolo, ma non ti aspettare granché: ho paura che deluderò tutti!! Spero davvero che questo capitolo ti sia piaciuto! Alla prossima, un bacio…

Luna95  ^^ Allora siamo in due ad essere in ritardo… non farti alcun problema tesoro mio!! Piuttosto perdonami x la lunga attesa! Mille grazie x i complimenti ed ecco finalmente risolto l’atroce dubbio: sì, è stato Luca ad essere colpito!! Sadica, eh? Vbb spero che il chappy ti sia piaciuto! Alla prossima, un bacio…

 

Il prossimo capitolo, intitolato IL BENE E IL MALE, vedrà finalmente alcuni chiarimenti come, molto probabilmente, quello della situazione di Anna ed io ho una paura terribile che vi deluderò tantissimo e che tutto sarà una grande stronzata e voi mi manderete a quel paese… insomma sono terrorizzataaaaaa!!! Voglio anche informarvi che ormai siamo alla fine e che il prossimo dovrebbe essere il terzultimo… Felici eh??? Vbb alla prossima!! Un grosso bacione e grazie a tutti i lettori silenziosi (anche se un commentino farebbe sempre piacere ^^). Kisses.

 

La vostra Alchimista! <3      

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Capitolo 12
*** Il Bene e il Male ***


CAPITOLO 12°_ BENE E MALE

 

Chi può decidere cosa sia giusto o sbagliato? Chi può sapere dove risieda il bene e dove il male? Ogni cosa, in questi due frangenti, è puramente soggettiva. Ciò che per uno è sbagliato per un altro potrebbe risultare, al contrario, giusto e nessuno dei due avrebbe torto o ragione.

Un proverbio dice: “La verità sta nel mezzo”, dunque tra bene e male? E se si trova nel mezzo come fare a seguirla?

Né bene, né male; né carne, né pesce… nulla…

Bisogna agire come meglio si crede… ciò vale, anche se significa tradire tutto ciò a cui si è stati devoti per quasi un anno?

Troppe domande e nessuna certezza. Il dubbio sa uccidere molto più di mille parole; l’inattività rende pazzi e la pazzia è la fine di tutto.

Quindi, giusta o sbagliata che sia, bisogna prendere una decisione ed accettarne tutte le conseguenze senza alcun ripensamento.

Una risata amara.

A parole sembra tutto di una facilità assoluta, ma quando si viene ai fatti è tutta un’altra cosa e, dunque, di nuovo il dubbio ed il tormento. Che fare?

 

Davide tremava come poche altre volte in vita sua. L’alba era ormai sorta e lui era rimasto tutto il tempo lì a fissare il disturbato riposo di un dolorante Marco senza fare nulla, senza dire nulla; nonostante ormai sapesse la verità.

Un rumore sordo lo riportò alla realtà: qualcuno aveva aperto la porta ed era dietro di lui. Sussultò quando la voce di un uomo ruppe il silenzio.

«Riposa ancora?» chiese quasi senza espressione Hector.

Davide si limitò ad annuire perché se avesse parlato, la voce avrebbe sicuramente – e in realtà inspiegabilmente – tremato.

In quel momento Marco voltò il capo verso i due uomini in piedi e con un’immane fatica sussurrò il nome di Hector.

«Ci scuseresti qualche istante?» chiese, sempre con la stessa tonalità, l’uomo chiamato in causa.

Davide lo guardò per qualche istante, poi annuì con volto teso ed uscì.

Mauro si gettò al capezzale di Luca con uno slancio non indifferente ed un sorriso tirato si fece forza sul suo viso quando vide il verde dello sguardo dell’amico.

«Ma che scherzi sono questi?» sussurrò per sdrammatizzare quella strana e alquanto sconosciuta situazione.

Anche Luca tentò di sorridere, ma con minore successo.

«Come vanno le cose qui?» chiese con grande sforzo.

«Ancora bene, almeno per ora… anche se “siamo allarmati dalla situazione”: insomma una cosa simile non era mai accaduta… “bisogna” fare presto ora, prima che le cose si aggravino e si corra il rischio “di non poter più tornare indietro”…»

Luca annuì: la facilità con cui Mauro gli aveva spiegato la situazione, nonostante solo un muro li separasse da Davide, era sorprendente e dimostrava ancora una volta quanta esperienza avesse maturato in quel lavoro. Un’esperienza di vitale importanza, che lui non aveva.

Annuì e chiuse gli occhi: il fianco gli faceva male da impazzire.

«Tieni duro ancora un po’» lo incoraggiò Mauro con un’enfasi che non era certo di Hector «Tra poco andremo via di qui»

«Quando?» chiese Luca ravvivato da quelle ultime parole: possibile che si stesse davvero per concludere ogni cosa?

«Subito dopo l’operazione delle donne: i capi hanno deciso che sarà l’ultimo colpo, poi andremo via. “Abbiamo dovuto affrettare ogni cosa”» disse poi e anche questa volta non fu difficile cogliere il secondo significato della frase.

«Hector?»

Una voce interruppe i due. L’interpellato si voltò e vide William che lo attendeva sulla porta.

«È ora di andare» lo informò serio, poi il suo sguardo cadde sul ferito «Marco… come va?»

«Potrebbe andare peggio: potrei essere morto… Piuttosto mi dispiace: ho rovinato tutto…»

Il volto di William cambiò velocemente espressione più volte: ad un improvviso e fulmineo stupore, si sostituì una faccia quasi sorridente e poi una seria, come se Marco avesse detto qualcosa di assolutamente sbagliato.

«Non dire stupidaggini! Non è stata affatto colpa tua! Piuttosto riposati: andremo via di qui il prima possibile» lo rassicurò uscendo con Hector e lasciandolo solo nella cella.

Fuori Davide era appoggiato con la schiena contro il muro umido del corridoio.

«Hai già fatto ciò che ti era stato chiesto?» gli domandò il capo.

Un brivido attraversò la schiena dei due uomini accanto al capo. Cosa sarebbe successo ora? Chi avrebbe parlato? E soprattutto cosa sarebbe stato detto?

«Sto provvedendo…» disse Davide controllando stranamente la voce «… ma non ho ancora ottenuto risultati» e in parte non era una bugia: non sapeva che cosa fare… non ancora.

Aveva bisogno di accertarsi che ciò che aveva scoperto fosse vero e… parlare con Marco.

Il capo annuì e si allontanò; Mauro tirò un respiro di sollievo e lo seguì, lasciando comunque a malincuore la cella di Luca: in fondo, però, sarebbe finito tutto presto.

 

«E non sai chi fosse… giusto?» chiese Alessandro con ancora un po’ d’ansia nella voce, quando Elena concluse il suo lineare racconto “dell’aggressione” che aveva – almeno lo speravano con tutto il cuore – salvato la vita di Luca.

Elena annuì: in tutta l’agitazione del momento non si era di certo voltata per vedere chi fosse il suo “aggressore/salvatore”.

«Ma come poteva…? Insomma che ne sapeva lui di tutto questo?» chiese agitato.

Nessuno era in grado di rispondergli; Anna non riusciva neanche a parlare: la consapevolezza di quanto Luca stesse rischiando – e, soprattutto, del fatto che, almeno in parte, fosse colpa sua – la opprimeva sempre più…

«Noi… noi dobbiamo tirarlo fuori di lì! Basta: ciò che ha visto, ciò che ha scoperto… ciò che ha rischiato è più che sufficiente! E se anche non lo fosse, non mi importa! Deve andare via… non può più rimanere lì!»

Le parole uscirono dalla sua bocca istintive: erano quello sfogo dell’anima che la freddezza e la razionalità della mente avevano sempre bloccato, lasciandolo trasparire solo da qualche lacrima. Non le importava cosa avrebbero detto i suoi colleghi, se l’avrebbero considerata una bambina capricciosa o troppo emotiva per resistere a quella situazione o, anche, per fare quel mestiere. Ora voleva solo Luca accanto a lei.

«Chiamo la DIA e chiedo informazioni… faccio il prima possibile, scusate» disse Ale sorprendendo Anna che – ora si rendeva conto di quanto fosse stata stupida – si era sorpresa a quell’esclamazione.

«Presto sarà qui» le disse Elena e lei sorrise.

Alessandro digitò rapido il numero di Patrizi: l’ultima volta li aveva aiutati… forse avrebbe potuto fare qualcosa anche in questa situazione.

«Pronto?»

«Patrizi? Sono Berti, del X…»

«Ah, Berti: mi dica»

«Abbiamo bisogno del suo aiuto: noi… dobbiamo tirare fuori dall’organizzazione Luca…»

Il silenzio scene in quella telefonata.

«Si rende conto di ciò che mi sta chiedendo? Il suo commissario è in una pericolosa operazione sotto copertura: non posso fare improvvisamente irruzione lì, comprometterei tutto!»

«Ma è già tutto compromesso!» urlò Alessandro «In questo momento Luca potrebbe essere morto!»

«Lei non si preoccupi» disse all’improvviso Patrizi con una strana calma nella voce «Si risolverà tutto per il meglio, mi creda»

«E come? Ha forse la sfera di cristallo?» disse l’ispettore sarcastico.

«No… ora… devo andare! La chiamo il prima possibile e le faccio sapere…»

«Ma… cosa…?» Alessandro non riuscì a finire la domanda che il suono ad intermittenza del telefono gli segnalò che Patrizi aveva riattaccato.

Rimase per alcuni istanti interdetto, fissando il display del cellulare.

«Allora?» chiese Elena incuriosita dall’espressione del compagno.

«Io gli ho detto che con molta probabilità stanno per fare fuori Luca – se non è già accaduto –… e lui mi ha risposto che si risolverà tutto per il meglio e che non devo preoccuparmi» rispose l’ispettore ancora shoccato.

Elena sgranò gli occhi.

«Ma che diavolo di risposte sono?» chiese improvvisamente infuriata.

«Non lo so… ma non possiamo fare altro che aspettare notizie che, mi ha detto, ci farà avere il prima possibile»

«Come?»

Alessandro scosse di nuovo la testa: non c’era alcuna certezza in quella situazione.

 

Mezz’ora. Gli era servita mezz’ora per trovare la forza – e il coraggio? – per affrontare la verità ed ora il suo cuore batteva all’impazzata. Perché ormai era praticamente inutile, e soprattutto sciocco e patetico negare a se stesso che faceva male saperlo una spia, che gli si era affezionato, che gli ricordava in modo terribile suo figlio Pietro…

«Divertente, non trovi? Essere colpito da qualcuno che ritieni tuo amico?» cominciò con voce sorprendentemente sicura.

Luca aprì gli occhi e li puntò sull’uomo: non capiva ciò di cui stava parlando, o meglio, capiva, ma non voleva credere che fosse arrivata la fine di tutto.

«E pensare che questa cosa è capitata ad entrambi! Che sciocchi!»

«Non capisco di cosa tu stia parlando» disse Luca a fatica, sicuro che ormai non poteva porre rimedio alla situazione in alcun modo.

«Tu sei stato colpito da uno dei tuoi colleghi poliziotti, durante il loro blitz ed io sono stato tradito dall’unica persona nell’organizzazione per la quale ho provato un qualche sentimento d’affetto: tu!»

A quel punto Luca capì che era davvero tutto finito: Davide era stato astuto, aveva aspettato che tutti andassero via, che Hector andasse via e poi lo aveva messo alle strette senza dargli alcuna possibilità di scapo.

«Quello che mi fa davvero male è che io mi sono fidato di te! Ti ho preso sotto la mia ala per i primi tempi, quando eri seguito giorno e notte, quando nessuno si fidava di te ed erano indecisi se farti fuori o meno! Mi sono affezionato a te, ti volevo bene! Per un istante ho persino creduto di aver ritrovato…» poi si bloccò rendendosi improvvisamente contro di essere andato troppo oltre con le parole.

«Aver ritrovato… chi?» chiese Luca forse per guadagnare tempo o, più semplicemente, per quella strana curiosità che prende, senza alcun tempismo, pochi istanti prima della morte, come se ogni cosa chiesta, ogni informazione guadagnata potesse avere un più grande, immenso valore perche ricevuta negli ultimi istanti della propria vita.  

Davide lo guardò. Cosa poteva interessargli della sua vita? Dopo tutte le menzogne che gli aveva detto non aveva alcun diritto di fargli domande.

«Mio figlio» sussurro, invece ,contro ogni pensiero prima formulato e si rese conto che, per quanto lo odiasse, si sentiva meglio parlandogli, raccontandogli cose di cui nessuno sapeva nulla.

Luca lo guardò: davanti a se non vedeva altro che un uomo logorato dal dolore, un uomo senza alcuna speranza, che gli si era aggrappato con molto più bisogno e disperazione di quelli che immaginasse e che lui aveva brutalmente tradito. Si sentì un vigliacco, un verme e provò quasi disgusto per se stesso.

«Aveva 20 anni … una vita davanti a sé; diceva di voler fare il dottore, di voler aiutare la gente ed aveva cominciato a studiare nell’Università di Medicina qui a Roma. Sembrava andare tutto bene… e invece un bastardo ha rovinato tutto! Pietro quella mattina era in banca, stava semplicemente pagando una bolletta, quando un folle è entrato armato e li ha presi in ostaggio. Voleva quanti più soldi possibile e scappare via e per farlo prese in ostaggio una donna incinta; ovviamente Pietro si sentì in obbligo di aiutarla e così si gettò sul malvivente. Il colpo che partì dalla pistola lo prese in pieno petto: morì prima di giungere in ospedale; quel bastardo, invece, riuscì a scappare. Da quel giorno mia moglie cadde in una profonda depressione che la portò via in pochi mesi. Rimasi solo, contro l’uomo che aveva distrutto la mia vita…»

«Ma la polizia…» azzardò Luca, ma Davide lo fulminò con uno sguardo.

«La polizia?!» urlò «Mi chiedi dove fosse la polizia?! Per le prime settimane fece finta di cercare l’assassino di Pietro, poi si dimenticò completamente di quel caso… Ma in fondo non è così che va sempre? Provate per un po’ a vedere se riuscite a risolvere la situazione, poi vi scocciate e lasciate perdere, come se fosse solo tutto un gioco da buttar via quando vi annoia. Tanto quelli morti o sofferenti sono altri, non certo voi!»

«Ti sbagli!» urlò Luca ritrovando nella rabbia per quelle parole un po’ dell’energia perduta «Non è così, non è affatto così!»

«Ah, no? E allora spiegami perché l’assassino di mio figlio è ancora libero e impunito; spiegami perché, dopo le prime visite, i poliziotti che mi avevano promesso giustizia le hanno provate tutte per sfuggire ai miei incontri, fino a minacciarmi con provvedimenti legali se non avessi concluso una volta per tutte quella “persecuzione”! Avanti: trovami una spiegazione sensata a questi atteggiamenti Marco!» poi si bloccò preso per qualche fulmineo istante da un pensiero «In realtà non so neanche il tuo vero nome…» concluse con voce improvvisamente afflitta, come se fosse una gravissima mancanza.

«Luca, mi chiamo Luca…» disse il commissario con difficoltà; si fermò per riprendere fiato: quella strana discussione lo stava davvero sfinendo.

«Non siamo tutti così» rispese poi «Non posso negare che i poliziotti che hai incontrato siano stati superficiali e non abbiano fatto il loro dovere, ma tu non puoi fare di tutta l’erba un fascio: io e i miei uomini, ad esempio, facciamo quant’è possibile per assolvere ai nostri doveri e non è raro che qualcuno rischi anche la vita… Ho visto alcuni colleghi, alcuni amici andar via per sempre, mentre cercavano di portare alla luce la verità…»

Davide lo guardò con strano interesse: ammirava il modo in cui si stava difendendo da quelle accuse e aveva quasi dimenticato il suo tradimento.

«Perché sei finito così?» chiese all’improvviso il ragazzo e stavolta l’interesse nasceva sicuramente dall’affetto che, nonostante tutto, in quei mesi lo aveva legato a Davide; perché lui non riusciva a celare le sue emozioni o annullarle come faceva Hector e poi… lo aveva sempre saputo che Davide era diverso dagli altri dell’Organizzazione…

«Dopo la morte di Pietro e di mia moglie, sono rimasto solo… inizialmente mi sono aggrappato alla speranza di prendere quel bastardo, poi, quando anche quella è venuta meno, mi sono semplicemente sentito perso. La depressione ha colto anche me per alcune settimane; poco tempo, certo, ma sufficiente per farmi perdere il posto di lavoro. Facevo il programmatore di computer, sai? Ma dopo il licenziamento non sono riuscito più a trovare un lavoro. Avevo bisogno di soldi, ero sul lastrico e così ho fatto fruttare le mie conoscenze e da programmatore sono diventato un Hacker. Non facevo male a nessuno, in verità: toglievo pochi soldi – quelli necessari per andare avanti – dai conti di quelli che neanche si accorgevano della perdita. Per loro erano spiccioli, per me la vita. La fortuna – o sfortuna, non so bene come chiamarla – si è fatta avanti quando ho arrotondato il conto di un uomo dell’Organizzazione: William. Sono un abile Hacker, ma anche gli uomini che allora erano al suo servizio non erano principianti e in pochi giorni riuscirono a trovarmi. Ignaro di tutto, mi trovai con quattro pistole puntate alla testa ed una proposta: entrare a far parte della “banda”, la mia esperienza poteva tornare utile ai capi».

«E non avevano torto…» convenne Luca riportando entrambi alla realtà della situazione: un uomo che aveva scoperto una talpa nell’organizzazione a cui era devoto.

«Conosco la verità da ore» riprese Davide «Ma i tuoi colleghi sono stati bravi: non so come tu abbia fatto, ma sei riuscito ad avvertirli in tempo perché è stata una questione di attimi e tutti i dati sul tuo conto sono spariti»

Il commissario sorrise: ancora una volta era vivo solo grazie all’intervento di Mauro, ancora una volta il destino gli dava l’opportunità di capire che non era affatto pronto per missioni del genere.

Per quanto ancora vorrai ignorare questi avvertimenti? si chiese, poi si rese conto di quanto quell’osservazione fosse sciocca: lui non aveva più tempo.

«A quest’ora tu non dovresti essere neanche più qui» continuò l’uomo.

«E perché invece ci sono?» chiese Luca con finta ingenuità.

Davide fece cadere ancora una volta il suo sguardo sul “compagno”: più osservava i suoi atteggiamenti, più ascoltava le sue parole e più gli sembrava di aver di fronte suo figlio. La stessa sfacciataggine di fronte ai problemi, lo stesso atteggiamento sicuro di se che in realtà nasconde molte più preoccupazioni di quante non ne dimostri, e soprattutto, la stessa furbizia e dote di ragionamento che rendeva entrambi brillanti e carismatici. Era stato questo ad attirarlo, all’inizio, verso quel novellino che poteva finire davvero male senza un aiuto ed era questo che ora gli impediva di essere coerente con se stesso e fare la cosa più logica.

Non esiste un bene o un male oggettivo… bisogna agire come meglio si crede facendo in modo di poter convivere con le proprie scelte… rammentò.

«Sei qui perché io non voglio essere l’assassino di mio figlio… Se decretassi la tua morte, farei la cosa più giusta per l’Organizzazione, ma ucciderei me stesso: non posso sopportare di perdere di nuovo mio figlio, Luca; non posso. E poi ormai è tardi: presto saranno qui»

Lo sguardo di Luca si animò di entusiasmo e preoccupazione.

«E… e tu cosa… ne sai?»

«Se sanno che sei ferito e che ci sono possibilità che ti abbiano scoperto, non tarderanno ad arrivare: ormai è questione di minuti. È finito tutto e, a dirti la verità, non mi dispiace: non è questo che volevo fare…»

«Ma cosa diavolo stai dicendo? Che fine ha fatto tutta la tua determinazione?» urlò il commissario improvvisamente preoccupato per Davide.    

«In fondo io sono già diventato l’assassino di mio figlio… l’assassino dei figli e delle figlie di molti padri; ma prima di incontrare te non m’ero mai reso conto. Tu mi hai fatto riflettere davvero dopo molto tempo e te ne sono grato. Ora è tempo che mi fermi, che tutti si fermino e mettano fine a questa scia di sangue… abbiamo fatto male a molti e bisogna che paghiamo…»

«No no, smettila!» gridò ancora Luca «Tu non c’entri nulla con loro! Tu non sei cattivo, non hai fatto nulla di male… tu puoi ancora salvarti! Va via di qui e ricomincia una nuova vita: fa tesoro di queste esperienze e trova la serenità che meriti!» continuò in quello che, più che un grido, sembrava un gemito di dolore disperato.

L’uomo sorrise all’ingenuità del ragazzo.

«Non è possibile, Luca: mi sono spinto troppo oltre per poter tornare indietro e, se anche cominciassi d’accapo, ci sarebbe un intero passato a separarmi dal mondo. Non credere che io non abbia la mia parte di responsabilità, che non abbia fatto il mio male».

Luca non sapeva cosa dire: improvvisamente avrebbe voluto che Davide non fosse lì, che i suoi colleghi non lo arrestassero. Si era affezionato a quell’uomo in un modo che, fino a quel momento, neanche lui aveva compreso a pieno ed ora saperlo in carcere gli faceva davvero male. Perché era riuscito a leggere nel suo cuore e sapeva quanto fosse diverso dagli altri, quanta responsabilità il destino aveva nelle sue colpe e, soprattutto, era sicuro che il male che aveva fatto aveva dilaniato anche lui, che aveva passato notti in bianco ripensando ai genitori e parenti che non avrebbero più visto le loro figlie e i loro figli… Non era giusto che pagasse le stesse colpe di coloro che avevano fatto del male con consapevolezza, solo per profitto personale…

«Non straziarti con inutili pensieri, Luca: ormai non c’è più nulla che tu possa fare… ma sono felice: finalmente tutto questo è finito, solo libero e soprattutto, per la prima volta, ho fatto la scelta giusta»

Quando Davide smise di parlare Luca poté sentire in lontananza il ritmico rumore di sirene che si avvicinavano e comprese che, finalmente, stavano venendo a prenderlo. Poi i rumori si fecero ovattati, tutti parve annebbiarsi e l’ultima cosa che vide fu un sorriso sincero sul volto di Davide e sentì che con delicatezza lo faceva scivolare sul letto della cella. Poi il nero lo avvolse.  

 

Due uomini sostavano nel corridoio dell’ospedale, intenti in una fitta conversazione.

«È stato davvero bravo, Belli: grazie a lei abbiamo preso tutti i membri dell’Organizzazione e anche e gli emissari del boss a cui erano destinate le ragazze»

«Ed ora come stanno?»

«Bene. Sono un po’ scosse, hanno qualche graffio e sono un po’ disidratate e denutrite, ma sostanzialmente stanno bene»

«Riusciranno a superare tutto questo?»

«Sì… credo di sì» poi l’uomo della DIA sorrise «Da quanto le interessano queste cose

Mauro lo gelò con uno sguardo al quale, nonostante lavorasse con la DIA da anni, l’uomo non si era ancora abituato: vedeva tutta la rabbia, il dolore e la tristezza che poteva provare un uomo e rabbrividì al solo pensiero di come potesse sentirsi.

«Il commissario?» chiese Mauro con voce seria, cambiando argomento.

«È in sala operatoria: i dottori hanno detto che la ferita non è grave, ma che ha perso molto sangue. Ah, visto che ha introdotto l’argomento, deve andar via prima che si svegli…. Non avrebbe dovuto neanche vederla, ma di questo mi occuperò io…»

«Che intende?» fece quello con voce palesemente minacciosa.

«Oh, non faccia cattivi pensieri! Quando l’operazione sarà terminata e Benvenuto si sarà svegliato, gli spiegherò la situazione: non avrà scelta che stare in silenzio»

Come tutti del resto… con voi nessuno ha scelta… pensò Mauro; poi una seconda ipotesi su ciò che quell’uomo avrebbe potuto fare lo pervase ancora più violenta della prima.

«Tornerà alla sua vita, vero?» chiese con voce ugualmente minacciosa «Non interverrete nella sua vita, come avete fatto con me, giusto?»

L’uomo sorrise, un sorriso strafottente e quasi sdegnoso, che irritò l’ex ispettore.

«Oh, Belli: lei parla di noi quasi come esseri divini aventi poteri supernaturali… Non abbiamo di certo il potere di governare il destino altrui… Siamo semplici esseri umano, dopotutto…»

«Ah, davvero? Non l’avete? Eppure mi sembra che, con la mia vita, tale potere ve lo siate arrogato senza alcuno scrupolo! Quindi, per favore, ora non faccia la faccia d’ignaro santarellino e mi assicuri che Luca tornerà alla sua vita!»

«Le abbiamo già spiegato che il suo caso era completamente diverso: la sua esperienza, il suo coraggio e le sue precarie condizioni di vita del momento hanno reso il nostro intervento facile quanto necessario; inoltre avevamo bisogno di una persona come lei. Con Benvenuto non sarà lo stesso»

Mauro annuì con fare meccanico alle – ormai monotone – spiegazioni fornitegli dalla DIA sul suo caso e fu rassicurato solo quando sentì che tutto sarebbe andato come doveva.

Poi senza dire nulla si voltò e andò via: aveva sperato, nonostante tutto quello che aveva detto a Luca, aveva sperato che stavolta le cose sarebbero andate in modo differente, ma ora si rendeva conto che era stato semplicemente un illuso.

L’uomo della DIA si sedette su uno dei seggiolini del corridoio ed attese che la luce della sala operatoria si spegnesse.

 

Il buio lo avvolgeva, si sentiva soffocare come se fosse in mare aperto e le onde lo trascinassero giu. Seduta sul fondo del mare… gli aveva detto una volta Giulia, il suo ex commissario, quando era miracolosamente sopravvissuta ad un proiettile che le aveva trafitto il petto. Ora comprendeva in pieno quelle parole: la sensazione era proprio quella e poi… come se qualcuno ti tirasse su per i capelli e la luce del mondo esterno, una volta fuori, ti trafiggesse gli occhi.

Si svegliò, i suoi occhi rividero la luce della stanza bianca in cui si trovava e riprese fiato, come se fosse davvero uscito da una lunga apnea subacquea.

Era confuso, sentiva un fastidiosissimo cerchio alla testa e soprattutto non si era mai sentito così stanco in vita sua: faceva fatica anche solo a respirare e gli sembrava di poter svenire da un momento all’altro.

Ad un tratto però, con uno sforzo enorme, riuscì a fare mente locale e a ricordare cos’era successo: vedeva Davide che gli parlava, il suo sorriso e sentiva le sirene delle vetture della polizia in lontananza…

Allora doveva dedurne che ne era fuori? Che era tutto finito? Che finalmente era libero? Un’assoluta felicità, un senso di leggera liberazione s’impossessò del suo petto e gli parve di respirare improvvisamente meglio: tutto finito… ogni cosa sarebbe tornata come prima…

Quella liberazione, però, si trasformò improvvisamente in puro terrore: che fine aveva fatto Davide? E soprattutto dov’era Mauro? Perché non era lì con lui?

Mentre ancora la sua mente formulava tali pensieri, il suo udito percepì lo stridulo rumore della porta della stanza che si apriva e sentimenti contrastanti lo travolsero in modo tanto rapido che egli stesso non ne ebbe effettiva concezione: al placarsi della paura per il pensiero che colui che aveva aperto la porta fosse sicuramente Mauro, si sostituì, in poche frazioni di secondo, una lampante delusione e un certo stupore quando i suoi occhi si resero conto che colui che ora gli era di fronte non aveva nulla di simile al suo ex collega.

L’uomo, che sostava poco lontano dal suo letto, sfoggiava un rigoroso vestito nero ed un irritante sorriso che – Luca n’era sicuro – non prometteva nulla di buono.

«Comprendo il suo stupore: forse non sono la persona che si aspettava accanto al suo letto, ma era necessario che fossi io il primo a vederla, caro commissario. Ci sono cose urgenti di cui dobbiamo parlare senza alcuna interruzione esterna» disse tutto d’un fiato ed il sorriso – scomparso durante le sue parole – riapparve su viso spigoloso e lievemente pallido, forse stanco dell’uomo.

«Ma… lei chi è?»

«Mi perdoni, non mi sono presentato: il mio nome è Orlando di Melli, sono un uomo della DIA»

«DIA? Mauro…?» chiese in modo sconclusionato Luca.

«Perfetto: vedo che introduce proprio lei l’argomento» disse quello con aria di finto apprezzamento «Era proprio di questo che volevo parlarle: Belli sta bene ed ora è tornato alla base. La pregherei, quindi, di non fare parola a nessuno della sua presenza nell’Organizzazione, né della sua esistenza in generale: ne va delle sue future missioni».

«Missioni future? No, aspetti… Mauro ha una vita, una famiglia: lei, voi… non potete strappargliele così, non aveva alcun diritto di farlo!»

L’uomo sbuffò scocciato: ecco un’altra testa calda che voleva cambiare le cose quando ormai erano già state stabilite senza alcuna possibilità di tornare indietro. Che seccante scocciatura!

«Senta: ormai ciò che è fatto è fatto e non si può tornare indietro, soprattutto dopo tre anni! Inoltre – e queste sono parole dello stesso Belli – a lui sta bene così. Perciò, anche e soprattutto a nome suo, le prego di restare in silenzio e di fare come se nulla fosse accaduto: non vorrà procurare altro dolore oltre a tutto quello che è stato già provato…» concluse di Melli dando all’ultima frase una melodrammatica e falsa cadenza tragica, come se davvero gliene importasse di ciò che provava Mauro; la verità era che non aveva mai sopportato quell’uomo, troppo indipendente e poco rispettoso delle regole per potergli essere simpatico.

Luca non sapeva più cosa dire: alla fine, Mauro aveva fatto a modo suo, a nulla erano valsi i suoi discorsi e la promessa di riportarlo indietro; era andato via prima che lui potesse fermarlo ed ora doveva tornare tutto com’era. Un grande e fastidioso senso d’impotenza lo travolse: prima Davide e poi Mauro… non era riuscito a salvare nessuno dei due…

«Non si stressi ancora con inutili pensieri: non serve a nulla. Piuttosto dovrebbe essere felice: è tornato a casa, potrà rivedere i suoi amici, i suoi colleghi; anzi, prima che mi dimentichi, provvedo ad avvisarli personalmente. Lei si riposi: ha perso molto sangue, è debole».

Detto ciò l’uomo uscì veloce dalla stanza, così com’era entrato senza, però, portare via con lui il macigno di parole ed emozioni che ora opprimevano Luca: quell’uomo si sbagliava, lui non era tornato, non sarebbe mai tornato… ora non più…

Chiuse gli occhi e si distese senza però riuscire a rilassarsi, mentre lacrime cominciavano a rigare il suo viso.

 

Da quando aveva risposto al telefono, il suo cervello era entrato praticamente in tilt, come se non fosse più in grado di pensare. Le poche parole dell’uomo impegnavano tutta la sua concentrazione perché ogni istante doveva ripetersi che non le aveva immaginate, e che quello non era uno dei suoi tanti sogni, ma la realtà, pura, semplice e spaventosa.

Salì le scale in modo automatico, senza neanche rendersi conto di farlo e si fermò cercando di comprendere gli strani segni affissi su ogni porta di quel lungo corridoio.

«Stanza 103» gli sussurrò Elena che era riuscita a raggiungerla seguita da Alessandro e Raffaele.

Numeri! Ecco cos’erano quei simboli: numeri. Come se avesse assunto quell’informazione per la prima volta, Anna riguardò i simboli sulle porte e cominciò a riconoscere le varie cifre del sistema decimale.

87, 88, 89… era ancora lontana. Cominciò a correre facendo scorrere veloce lo sguardo sui vari numeri, per paura di poter involontariamente superare la stanza.

98, 99, 100… c’era quasi, mancavano poche stanze…

103. Il cuore perse un battito: solo una semplice barriera di legno spessa poco più di tre dita la divideva da Luca. Con lentezza aprì la porta, come se avesse paura di disturbare l’inquilino della stanza e finalmente poté scorgere Luca: il corpo coperto da un sottile lenzuolo, il volto stanco e forse un po’ pallido, i capelli, che al momento della partenza erano di media lunghezza, ora erano tornati corti come prima e allo stesso modo la barba, che allora gli circondava tutto il volto, ora si era ridotta solo intorno alle labbra rimaste rosse e carnose. Era lui… era tornato… era lì davanti a lei, non stava sognando!

«Luca…» sussurrò senza neanche rendersene conto ed il ragazzo aprì i suoi stanchi occhi verdi che, con gesto inconsapevole, incontrarono quelli marroni dell’ispettrice.

Entrambi trattennero il fiato in modo istintivo come se avessero dimenticato – e in un certo senso era così – quali sensazioni provassero a quell’incontro e in un istante compresero che si capisce la reale importanza di una persona non quando la si perde ma quando la si ritrova dopo tanto tempo…

Anna non dovette neanche pensarlo – e forse fu meglio – e in un attimo fu tra le braccia di Luca; si strinsero con foga nonostante nessuno dei due avesse le forze necessarie per farlo, come per rassicurare il proprio cuore che fosse la realtà e poi, finalmente, le loro labbra si ritrovarono in un connubio di sensazioni nuove e vecchie, ritrovate forse proprio perché, in verità, non le avevano mai perdute del tutto.

«Non sai quanto ho aspettato questo momento… siamo finalmente entrambi qui».

«Ho rischiato di impazzire…»

«Anch’io, ma ora è tutto finito: staremo insieme… per sempre, non ti lascerò più!» le promise Luca in un’esplosione di felicità.

Ad Anna, però, quelle parole non fecero lo stesso effetto: si staccò dall’abbraccio del compagno con sguardo sconvolto e stranamente vacuo.

«Che c’è? Anna?»

La ragazza non ebbe il tempo di rispondere che Elena, Alessandro e Raffaele entrarono nella stanza.

«Luca! Luca! Finalmente!» esclamò Elena stringendolo a se con le lacrime agli occhi felice di riavere con se il suo commissario; poi fu il turno di Alessandro e Raffaele che, anche se non furono allo stesso modo espansivi, mostrarono comunque tutta le felicità di aver ritrovato un collega, ma soprattutto un amico e, se si guardava con attenzione, si poteva notare il loro sguardo lucido, accentuato dal sorriso di chi vuole mascherare le lacrime.

Luca, dal canto suo, non si era mai sentito più felice di allora, ma il lieve e mal nascosto senso di spaesamento nello sguardo di Anna lo preoccupava: per i primi istanti era sembrato tutto normale, poi, però, si era adombrata senza un motivo e continua a sembrare a disagio.

«Ma cos’è successo?» chiese Elena, quando il primo entusiasmo si era calmato e nella stanza era tornata la calma.

«Dopo il blitz ed il mio ferimento» ed istintivamente guardò Anna che, però, non sembrava stesse realmente ascoltando «Ma…» si bloccò di nuovo ricordandosi di non poter far parole di Mauro «Maurizio ed Hector mi hanno portato di nuovo al nascondiglio e mi hanno fasciato al meglio» riparò evitando di raccontare un’intera bugia.

«Ti hanno scoperto?»

«Si… uno dell’Organizzazione ha notato delle incongruenze sui file nel database della polizia… e ha capito tutto… ma ha detto che voi avevate provato a cancellare i dati che mi riguardavano…»

«Sì» confermò Elena «La sera dopo il blitz ci hanno avvisato che eri in pericolo e che potevano scoprirti da un momento all’altro… così con l’aiuto di Patrizi abbiamo provato a parti sparire…»

«Ma senza successo…» disse Alessandro.

«Ed è ancora un mistero chi fosse l’uomo che ci ha avvisati» concluse pensieroso Raffaele.

Luca sudò freddo: lui lo sapeva, sapeva che ad avvertirli era stato Mauro, ma questa era un’altra delle cose che non avrebbe potuto rivelare loro. Si chiedeva quanti segreti sarebbero nati fra loro e quanti già li separavano.

Scrollò le spalle e puntò ancora una volta gli occhi su Anna che stavolta guardava distratta fuori dalla finestra della stanza.

«So che anche voi qui vi siete dati da fare» disse senza staccare lo sguardo dalla sua schiena.

Elena sorrise guardando istintivamente Alessandro e prendendogli la mano; gesto che non sfuggì al commissario che, guardando il brillare dei loro occhi, comprese ogni cosa e sorrise.

«Ora è tutto a posto…» disse Raffaele.

A quella frase, però, sia Elena che Anna si incupirono e quest’ultima si voltò puntando uno sguardo quasi accusatorio su Raffaele che però non lo colse.

«Forse è meglio se ci avviamo… tu dovresti riposare…» disse l’ispettrice veloce.

Gli altri annuirono e Raffaele e la coppia si avviarono fuori; anche Anna fece per seguire gli altri, ma Luca, slanciandosi rapido dal letto e ignorando un capogiro, la prese per il polso bloccandola.

«Aspetta! Non c’è nulla che devi dirmi?»

Anna lo guardò spalancando gli occhi.

«No…» sussurrò, ma neanche lei ci credeva.

«Pensi che io non mi sia accorto che c’è qualcosa che ti turba?»

«Ti sbagli…» fece ancora in un sussurro.

«Oh ti prego Anna, non farmi tanto stupido! Il fatto che non sia stato con te per quasi due mesi non vuol dire che non ti conosca: hai uno sguardo vacuo, perso e quasi terrorizzato ed io voglio capire perché!»

Il commissario non si accorse che in queste ultime parole aveva alzato di molto la voce, ma vide Anna tremare davanti a lui capì quanto aveva sbagliato.

«Scusa… scusami, non volevo urlare: è che sono preoccupato per te… Stai così per quello che è successo?» e parlando si sfiorò il fianco, ora adeguatamente fasciato.

Anche Anna posò il suo sguardo sulle bende con un triste sorriso.

«Sono stata male… ho creduto di aver distrutto tutto, di aver ucciso l’unica persona di cui ho davvero bisogno…».

«Ma non è questo… giusto?» concluse Luca.

Anna fu sorpresa: quando Luca aveva tirato in ballo la ferita credeva che sarebbe riuscita a sviarlo con quella, ma il commissario l’aveva immediatamente smentita. Non sapeva che fare: da una parte avrebbe voluto dirglielo, liberarsi di quel peso e magari farsi consigliare da lui o semplicemente sentirlo vicino; ma dall’altra non era sicuro della sua reazione l’ultima cosa che voleva era un’altra batosta…non avrebbe retto.

«Anna!» la richiamò Luca portando pollice e indice sotto il suo mento così da poterla guardare negli occhi senza che lei fuggisse i suoi.

«Che succede?»

«Vuoi sapere che succede? Succede che tu non saresti dovuto andare in questa missione, succede che in queste settimane sono stata malissimo, succede che… che…» mentre parlava aveva più volte colpito il petto il Luca con l’indice e le lacrime finalmente erano scese sul suo pallido volto.

Luca non comprendeva quella reazione: era spaesato, non sapeva cosa fare e guardava Anna allucinato.

«Luca… io sono incinta… e non fare quella faccia di felice sorpresa… perché non c’è nulla di cui essere felice!» disse infine liberando quel segreto che da troppo desiderava uscire.

Poi scappò via senza guardare Luca negli occhi, lasciandolo spazzato, al centro della stanza che ancora sentiva la pressione del suo dito sul petto e le sue ultime parole rimbombanti nella testa.

 

 

 

 

Lo spazio dell’autrice

 

Finalmente dopo secoli – più o meno un mese ^^’’’’ – riesco a pubblicare il terzultimo capitolo di qst ff!! Scusatemi tantissimo per l’attesa… ma tra l’influenza, la ricaduta che continua ancora oggi e il momentaneo decesso del mio pc… è stata un’impresa scrivere questo capitolo!

Allora che ve ne pare? Finalmente ho svelato cosa affligge Anna… Delusi, eh? *si prega di non lanciare pomodori… grazie* Qualcuno lo aveva già intuito, se non tutti, ma non ho potuto svelarlo… scusate x l’ennesima bugia… ^^’’’’

 

Intanto ringrazio i miei angeli:

Uchiha_chan  Ciao! Beh, la volta scorsa dicevi che l’attesa era una gioia… spero che tu la pensi ancora così! Sono contenta che la grande quantità di avvenimenti che assemblo in ogni chappy non sia pesante! Mille grazie per i tuoi immancabili complimenti! Che ne pensi di qst capitolo? Alla prossima, un bacio...

Tinta87  Sono lusingata del fatto che tu abbia letto lo scorso chappy prima di aggiornare la tua storia! I tuoi immancabili complimenti mi rendono davvero felice e mi spronano ad andare avanti… dunque grazie, grazie mille! Come puoi vedere tu stessa i problemi di Luca, che riguardano la missione, sembrano conclusi, anche se c’è ancora qualcosa da sistemare nei rapporti personali… Alla prossima… aspetto i tuoi aggiornamenti… un bacio…

Barby19  Ciao! Sono felice di vedere che leggi la mia storia con così tanto entusiasmo! Ne sono davvero onorata e lusingata! E mille Grazie anche per i tuoi immancabili commenti! Beh… credo che con questo aggiornamento siano tornate le visioni, no? Hihihi… Allora? Delusa dal perché del malessere di Anna, eh? Io avevo avvisato che sarebbe stato una calo di stile tremendo… Purtroppo si: questo è il terzultimo capitolo… per una nuova storia, non saprei… ma niente è impossibile! Un bacio…

Luna95  Hihihi… tra me e te non saprei dire chi delle due è più sadica, tesoro… per questo ho la netta impressione che non uscirà nulla di buono per i protagonisti della storia che stiamo progettando insieme! *ride sadica e gongola felice* Non dovresti stupirti: il fatto che Anna spari a Luca è una pazzia, ma neanch’io sono poi così sana di mente, no? Che te ne pare del capitolo? Non so in che razza di gente hanno infiltrato Luca, ma per fortuna ora ne è fuori! Ma come si dice: concluso un problema, ne esce un altro (ok, ok forse non era proprio così XD). Alla prossima, un bacione… 

Dani85  Oh… sono stata troppo prevedibile? Eh sì… devo dire che la situazione non era delle migliori, ma ora non posso lamentarsi: fisicamente stanno entrambi bene… psicologicamente un po’ meno… Spero che la spiegazione del problema di Anna non ti abbia deluso… anche se credo proprio di sì… Come puoi vedere Davide alla fine è stato coerente con se stessi più che con l’Organizzazione e ha fatto prevalere i buoni sentimenti al profitto personale. Ti ringrazio moltissimo per i tuoi immancabili complimenti! Non so se scriverò altre ff di Distretto… ma non si sa mai… se vengono le idee giuste non esiterò a scriverle! Un bacio… A presto!

Buffy86  *____*  Come sono felice di leggere di nuovo una tua recensione cara! Davvero, quando ho visto il tuo Nick ho fatto salti di gioia! ^^ Mille grazie x i tuoi complimenti, sono felice che i miei capitoli siano stati apprezzati! Spero che il ritardo sia perdonato anche oggi… Come vedi ora Luca sta abbastanza bene, ma ha comunque da risolvere alcuni problemini personali: spero che la rivelazione di ciò che affligge Anna non ti abbia deluso, non preoccuparti per i mancati aggiornamenti: sono felicissima che tu sia tornata! Alla prossima, un bacio…

dolcissima77  mille grazie x aver aggiunto la mia storia tra le preferite! Continua a seguirla e magari lascia un commento… bye

isaisaisa  mille grazie x aver aggiunto la storia tra le seguite! Continua a seguirla e magari lascia un commento… bye!

 

Il prossimo capitolo si intitolerà MISSING MOMENTS e… beh stavolta non posso anticipare nulla… dunque sarà un penultimo (ç___ç) capitolo a sorpresa!

Un grazie a tutti quelli che hanno letto silenziosamente la ff… un bacione!

 

Vostra Alchimista <3 

 

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Capitolo 13
*** Missing moments ***


Prima che leggiate questo (spero atteso) capitolo voglio dire un paio di cose…

Inizio con lo scusarmi per l’ennesimo ritardo… stavolta abissale… con cui posto… anche se ormai ci siete abituati, suppongo!

Inoltre volevo scusarmi con tutti i lettori, ma ho dovuto apportare una piccola modifica alla storia di Mauro durante i tre anni di lavoro alla DIA. Inizialmente avevo detto che Mauro era rimasto in coma per diversi mesi, ma ora, come leggerete, Mauro racconta di essersi svegliato subito, perché la ferita non era grave come sembrava all’inizio… Ho dovuto cambiare questo particolare per motivi narrativi che coinvolgono sia questo, sia il prossimo capitolo.

Infine voglio spiegare la contorta struttura di questo capitolo. Ogni pezzo è formato da un primo frammento scritto in corsivo che tratta un flash-back e che si collega al secondo frammento che tratta invece del nostro presente così come lo avete lasciato lo scorso capitolo; inoltre mentre i flash-back non seguono un ordine cronologico, i pezzi del presente vanno in ordine come sempre. Le righe scritte in corsivo nei flash-back riportano integralmente alcune battute di episodi del telefilm.

Detto ciò, vi lascio augurandovi buona lettura!

 

 

 

CAPITOLO 13°_ MISSING MOMENT

 

Pioggia. Monotona, lenta e triste pioggia: uno strano acquazzone bel mezzo dell’estate…

Non piangere pensa Anna rivolta al cielo Non puoi stare peggio di me… Perciò sta zitto!

Quindici giorni, sono passate solo due settimane da quell’ultimo bacio eppure si sente male come se l’avesse perso per sempre, come se non l’avrebbe mai più rivisto…

Ed ora il coraggio scivola, senza fermarsi, sulla sua pelle e lei non ha la forza di tenerlo stretto a se… perché la verità è che non vuole scoprire quello che già sa, non vuole avere la conferma di ciò che la mente ha già freddamente stabilito, ma il cuore non vuole, non può accettare…

Impossibile, deve essere impossibile continua a ripetersi la ragazza, ma ogni volta che le labbra pronunciano la frase, questa inesorabilmente perde forza.

Ora le braccia fanno con forza pressione sul lavandino del bagno, il volto ancora bagnato di gocce d’acqua  e pallido forse più per paura che per un reale malessere.

Si volta e i suoi occhi marroni puntano quella scatoletta di carta: dopo aver fatto il test, non ha avuto il coraggio di guardarlo e l’ha chiuso lì. Ma ora non riesce a non pensarci e l’ansia la soffoca…

Un bambino. Di nuovo un bambino si affaccia sulla sua vita. Che fare? Come reagire?

Respira riacquistando leggermente la calma.

Non serve a nulla fasciarsi la testa prima di essersela rotta si dice mossa da un istantaneo coraggio, come quello che ti invade quando stai per tuffarti nella gelida acqua estiva.

Prende la scatoletta e la apre di scatto: in ognuna delle due finestrelle della stecca compare una linea blu verticale. Significa una sola cosa: è incinta. Di nuovo.

Scivola contro il muro tenendo stretto in mano il test e lasciando che la testa si poggi senza forze sulle braccia: all’improvviso si sente così stanca, gli occhi si sono fatti pesanti ed una strana sonnolenza travolge la sua mente e le sue membra. Anna si lascia avvolgere da quel lieve e finanche piacevole torpore: ora non ha alcuna voglia di pensare… cerca solo di avere un po’ di pace…

 

Il rumore della porta che si chiudeva risuonò nella casa con un inquietante eco. Anna sospirò ed ebbe quasi l’impressione di sentire che quel suono si espandesse rapido per il corridoio. Poggiò il giubbotto sul gancio dell’attaccapanni e si diresse in cucina: un lieve strato di polvere ingrigiva i mobili: da quando aveva scoperto di essere incinta aveva cominciato a soffrire di insonnia e quella casa vuota non l’aiutava affatto; per questo aveva chiesto ad Elena se poteva trasferirsi a casa sua nella quale aveva comunque già dormito qualche volta nelle due settimane precedenti, quando la paura di perdere Luca era stata così forte da travolgerla senza possibilità di salvezza. L’ispettrice era stata felice di accoglierla perché, nonostante ora avesse Alessandro nella sua vita, quella casa le sembrava sempre troppo vuota.

Si diresse in soggiorno e si sedette sul divano; l’espressone prima di grande gioia, poi di puro sbalordimento che aveva assunto Luca, era ancora davanti ai suoi occhi, come legata ad essi con fili d’acciaio indistruttibili. Perché forse se Luca avesse mostrato qualche incertezza, qualche dubbio o semplice paura per quella notizia insieme alla gioia, per lei sarebbe stato più semplice parlare, confidargli le sue paure, i suoi dubbi, quelle parole del medico che Elena aveva giudicato di poco conto, ma che avevano fatto nascere in lei altri dubbi ed avevano rafforzato i primi.

Il lieve tocco di una mano sulla spalla la fece sobbalzare: si voltò e dietro di lei scorse il viso sorridente di Elena.

Com’è entrata? si chiese; poi ricordò che era stata proprio lei a darle le sue chiavi – tenendo per se quelle di Luca – così da poter entrare per qualsiasi emergenza.

L’ispettrice si sedette accanto alla collega intuendo dal suo sguardo che aveva dovuto parlare con Luca.

«Che ti ha detto?» chiese.

«Era felicissimo, mai più di così…»

«Lo dici come se fosse qualcosa di male» constatò Elena.

Anna sentì le lacrime pungerle gli occhi: faceva male, più di quando era sola.

«Forse se fosse stato più sorpreso, se avesse mostrato solo un po’ più di paura anziché solo felicità sarebbe stato meglio… Mi sento così sbagliata, Elena… Sono la sola ad avere paura, la sola che sa di non poter resistere se dovessi di nuovo…»

«Non lo perderai! Non stavolta!» la interruppe Elena con forza.

«E chi te lo dice? Anche il medico dice che c’è la possibilità che lo perda di nuovo… è già successo una volta…» urlò quella.

«Ed è per questo che stai facendo molti controlli… e mi sembra che vada tutto bene, no?» provò ad incoraggiarla Elena «Piuttosto: Luca che ne pensa?»

Anna la guardò come folgorata da quella ovvia domanda.

«Lui… lui… io… io non…» balbettò, poi le lacrime furono più forti delle parole e la ragazza scoppiò in un pianto quasi liberatorio.

Elena la tirò con dolcezza a se facendole poggiare la testa sul suo petto e accarezzandole amorevolmente i capelli.

«Non gliel’hai detto, vero?»

«Oh, Ele… avresti dovuto vederlo! Non ho avuto il coraggio di distruggere la sua felicità!» sussurrò quella tra le lacrime ed Elena sorrise.

«Prima o poi dovrai farlo, lo sai…»

Anna annui stringendo di più la collega.

«Non ora… non ce la faccio… ho solo bisogno di un po’ di calma… di pace…»

 

 

Il corridoio dell’ospedale sarebbe vuoto se non fosse per gli uomini dei X Tuscolano che lo hanno improvvisamente invaso. Vittoria si è sentita male ed è stata portata subito in ospedale.

Ora, chi in un modo, chi in un altro, tutti pregano che la situazione si risolva nel migliore dei modi.

Luca e Raffaele escono dalla sala con aria preoccupata: sono entrati per chiedere notizie della loro amica che i medici stanno ancora visitando ed ora tutti li accerchiano per sapere le condizioni di Vittoria.

«Sembra che si tratti di una brutta infezione…» spiega Raffaele con aria sconsolata.

«I medici dicono che potrebbe perdere la bambina…» conferma Luca scuotendo la testa e osservando la preoccupazione dei suoi colleghi. L’immagine del sorriso di Vittoria quando aveva detto loro di essere incinta si fa strada con prepotenza tra tutti i pensieri e gli toglie il fiato.

Andrà tutto bene si dice deve essere così non riesce ad immaginare cosa accadrebbe se succedesse il peggio.

Mentre tutti cercano di farsi coraggio a vicenda e qualcuno prova a congetturare ipotesi sul come sia potuta accadere una cosa simile, Luca, scusandosi con gli altri, prende Anna in disparte folgorato per ennesima volta da quello sguardo marrone fisso nel vuoto e finanche sconvolto che aveva avuto per tutta la mattinata.

«Anna? Si può sapere che c’hai? Sei strana… E poi c’è Raffaele che mi sta a fa ‘na testa così…»

Lei non lo guarda, i suoi occhi sono fissi davanti a se, come ipnotizzati da qualcosa che solo lei vede.

«Allora?» insiste Luca, che comincia a dubitare che la collega abbia sentito le sue parole.

Ad un tratto però, Anna si volta verso di lui, i suoi occhi puntati in quelli verdi dell’amico al quale si mozza improvvisamente il fiato in gola: c’è un intero mondo in quello sguardo e lui non sa descrivere l’emozione che lo travolge.

«Sono incinta, Luca!» sussurra lei con un sforzo immane.

«Incita?» ripete Luca sbalordito: non se lo sarebbe mai aspettato.

«Di quel figlio di puttana di Giorgio» continua lei animata da una strana forza, da un rabbia… come se potesse finalmente sfogarsi e fosse anche felice di aver finalmente confessato quel segreto che le sembrava quasi un peso sullo stomaco.

Luca è senza parole, e, in fondo, cosa avrebbero potuto fare quei suoni in una simile situazione? La strige a se e lei gli accarezza la schiena confortata da quel calore.

Si siedono. Anna sembra quasi rannicchiata in se stessa coma a volersi proteggere dal dolore; Luca le si avvicina.

«Ohi, qualsiasi cosa ti tu decida si fare, qualsiasi, io ci sarò! Hai capito?» le dice, ma Anna ha già capito quelle parole quando gliele ha dette con il suo abbraccio ed il suo sguardo verde.

«Grazie…» sussurra mentre lui le accarezza con delicatezza la guancia sorridendo…

 

Ormai non c’è più nessuno nella sua stanza, eppure Luca è ancora in piedi, accanto al suo letto impalato, bloccato dalle parole di Anna. Era incinta. Incinta. Di nuovo… ma stavolta il padre… era lui! Faticava a respirare e non riusciva a dimenticare, né capire il volto sconvolto, spaventato dell’ispettrice.

Perché era tanto sconvolta? si chiese ora è tutto finito… siamo di nuovo insieme, abbiamo arrestato tutti i membri l’Organizzazione; possiamo affrontare la situazione insieme… dovrebbe essere tutto a posto… a meno che…

Il pensiero che ci fosse qualcosa che non andava, che Anna avesse avuto qualche problema di cui non gli aveva parlato lo fece raggelare ed improvvisamente lo prese un violento capogiro che in pochi istanti lo fece crollare a terra privo di coscienza.

«Ha parso molto sangue e la ferita è profonda… non deve assolutamente prendere sottogamba la situazione o potrebbe aggravarsi!»

«Me ne rendo conto… ma Luca è così: non riesce a stare fermo…»

«Se vuole una completa guarigione dovrà rimanere in quel letto almeno per quindici giorni!»

Luca riconobbe solo una delle due voci che discutevano poco lontano dal suo letto: Alessandro stava parlando con un uomo che dal tono esperto e leggermente seccato doveva essere un medico. Ancora con gli occhi chiusi sentì dei passi allontanarsi ed altri avvicinarsi al suo letto e sedersi sul bordo di questo. Li aprì lentamente, infastidito dalla luce ed incontrò lo sguardo azzurro dell’ispettore Berti.

«Ma che diavolo ti passa per la testa?» gli chiede questo ancora scosso.

«Cos’è successo?» chiese il commissario confuso.

«Sei riuscito a far riaprire la ferita! Ti hanno trovato privo di sensi, accasciato al suolo in una pozza di sangue… Hanno temuto il peggio…»

Il tono di voce di Alessandro era spaventato; Luca comprese che stavolta aveva davvero rischiato molto. Poi, in un attimo, fu come folgorato da una successione di immagini: lui che blocca Anna, che le chiede cosa c’è che non va, lei che lo guarda sconvolta, poi sussurra che è incinta, il suo sorriso spezzato dalle parole di lei che mostrano una profonda angoscia e che gli dicono che non è un bella notizia; la sua fuga e le mille domande che lo invadono, poi un giramento di testa ed il buio.

«Anna!» grida, prendendo il polso di Alessandro con forza; una fitta al fianco lo fa sussultare e tremare.

«Sta calmo… Anna non sa nulla: ho chiesto ai medici di essere il primo ad essere avvisato dei tuoi eventuali peggioramenti, così da non spaventare nessuno e gestire la cosa…»

Luca scosse la testa guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte dell’ispettore.

«Dov’è Anna?» chiese.

«A casa vostra… Elena mi ha detto che la raggiungeva lì… non aveva una bella cera quand’è uscita…»

«Io devo parlarle!»

«È successo qualcosa? Avete… avete per caso litigato?» chiese Alessandro con non poco imbarazzo: di solito lui non faceva mai domande del genere, non si occupava degli affari altrui, ma era da settimane che Anna si comportava in modo strano e lui era seriamente preoccupato.

«Non ha detto nulla ha nessuno...» disse il commissario e più che una domande, era un affermazione.

«Di che parli?»

«Mi ha detto di essere incinta»

Alessandro sgranò gli occhi: ora comprendeva in pieno tutti gli sbalzi d’umore, le paura, il volto pallido e gli occhi lucidi… ed era anche sicuro che Elena fosse al corrente di tutto.

«Il fatto è che non mi è sembrata affatto felice… l’ho vista spaventata, c’era dolore nei suoi occhi» continuò Luca con maggiore preoccupazione.

«Un bambino non è una cosa da poco, è normale che sia spaventata» convenne Alessandro per rassicurarlo.

«Questo è vero, ma… lei era solo spaventata, solo triste… non ho visto gioia nei suoi occhi, neanche quel minimo dovuto… Sono preoccupato: sento che c’è qualcosa che non so…»

«Vuoi che la chiami? O magari chiamo Ele che è con lei?»

«No…» disse Luca scuotendo la testa «Non verrebbe; sono io che devo andare da lei, a sua insaputa… e forse riuscirò a farmi dire cosa c’è che non va…»

«Non puoi muoverti da qui, Luca! I dottori hanno detto che devi restare a letto almeno due settimane!»

«Non resisto qui due settimane Ale! Impazzirò prima! Ti prego… dammi una mano…»

Berti lo guardò titubante: Luca non si rendeva conto che stava giocando col fuoco… ma i suoi occhi dicevano che aveva disperatamente bisogno d’aiuto.

«D’accordo..» cedette alla fine con un mezzo sorriso «Controllo se c’è qualcuno fuori e poi usciamo» e pregò di non aver assecondato un suicidio…

 

 

La pioggia è forte, il cielo è grigio e si sentono in lontananza i tuoni rombare: uno scenario fantastico! Mauro e Roberto sono in macchina diretti verso il teatro Greco, dove il loro collega Ingargiola sta per fare il suo debutto sulla scena.

I tergicristalli che vanno su e giù impazziti sembrano quasi ipnotizzare Belli che guarda fisso davanti a se senza realmente osservare l’umido paesaggio. La sua mente vaga: da una settimana non sente Germana, non risponde alle sue chiamate, non si fa trovare né a casa né al distretto… e questo fa male, più male di quanto credesse all’inizio. Le parole del signor Mori, però, continuano a rimbombargli nella testa, fredde, serie e tanto tremende quanto vere: perché Mauro sa che l’uomo ha ragione, che Germana merita molto di più di ciò che lui, un misero poliziotto, può offrirgli ed è per questo che si è imposto di lasciarla, di interrompere qualsiasi contatto con lei, perché superi questa storiella e trovi qualcuno adatto a lei.

Non ci sarà mai nessuno più adatto di me! grida il suo cuore che non si è ancora arreso a quella decisione, ma l’ispettore scuote la testa per farlo tacere.

«Ohi, che c’è?» gli chiede Roberto incuriosito da quel gesto.

«Nulla» risponde quello evasivo «Quand’è che arriviamo?»

«Il tempo di parcheggiare, il teatro è lì… ma con ‘sta pioggia non si vede nulla e ci bagneremo tutti!» conclude mentre compie l’ultima manovra e spegne la macchina.

I due ispettori scendono dalla vettura e come previsto prima di giungere al coperto dell’ingresso del teatro si bagnano tutti.

«Prima bagnata, prima fortunata, eh?» commenta Mauro ironico.

«No, quella è la sposa» lo corregge ancora più ironico Roberto, cercando di togliere le goccioline d’acqua ancora non assorbite dal tessuto della giacca.

Voltandosi, però, i due scorgono una figura sotto la pioggia senza alcun ombrello; Germana, con le braccia intorno al corpo per il freddo, li fissa mentre le gocce di pioggia le sfiorano il pallido viso, reso ancora più chiaro dal freddo. In un attimo tutto l’entusiasmo di quelle banali battute sfuma dal volto di Mauro.

«Va bene io… io vado; ti aspetto dentro» dice Roberto impacciato e sparisce all’asciutto della sala.

Mauro guarda Germana con una strana intensità e quasi rabbia: ha provato ad evitarla in tutti i modi, a farle capire che non devono più vedersi, eppure eccola di nuovo lì, davanti a lui con quella serietà e cocciutaggine che da sempre l’avevano contraddistinta. Le si avvicina, senza dissimulare in alcun modo la rabbia.

«Che stai a fa qua?» le chiede brusco.

«Perché non rispondi al telefono? Perché non mi richiami?» gli chiede lei di rimando, con la stessa rabbia, che nasce dal dolore.

«Ci siamo detti tutto, no?» continua lui e spera in cuor suo di concludere lì quella conversazione, perché non sa per quanto ancora potrà reggere.

«No!» risponde Germana quasi sulle parole di Mauro alzando la voce.

Non si erano detti nulla, non si erano affatto parlato: lui era sparito così, all’improvviso, senza dire nulla e lei era stata male per giorni, senza capire, prima di trovare la forza di reagire e prendere l’iniziativa.

«Io devo andare, Germana…» dice lui con decisione, mostrando nella voce ciò che in cuore non ha e ripetendo a se stesso che quella è semplicemente una fuga.

«Aspetta!» lo prega la giornalista «Ti devo parlare…» e prendendogli il braccio gli si para davanti mentre la pioggia continua a bagnarli entrambi «Senti, io lo so cosa ti ha detto esattamente mio padre: che ho mandato all’aria un sacco di storie, che non sono affidabile… e tu ci credi?»

Mauro la guarda con un moto di sorpresa: cosa stava dicendo?

«Non è questo il punto» le dice, senza però approfondire la questione: vorrebbe solo scappare.

«Lui non doveva dirti niente» continua lei imperterrita «E se ti avesse detto la verità?» ora pare anche sfidarlo «Va bene: è così, sono così, anzi sono stata così…»

«Lo vedi?» dice allora Mauro animato dalla speranza che forse, con la scusante di quelle parole, sarebbe potuto uscire da quella situazione che si era fatta insostenibile.

«La verità ora è che ti amo!» pronuncia allora lei con forza, come se si stesse giocando la sua ultima carta «perché è quello che sento adesso! E guarda che non lo so se lo sentirò domani, o fra un mese…» conclude ormai stanca.

Lui la guarda, sa di non poter far nulla, di non poter controbattere perché gli manca la forza.

«Devo entrare» pronuncia semplicemente lasciandosi scivolare oltre il corpo bagnato di Germana e credendo che fosse finalmente tutto finito.

«Mi vuoi sposare?!» grida allora la giornalista, con un ultimo impeto di forza.

Le parole le sono uscite con liberazione: è stato l’istinto, l’amore, la paura di perderlo per sempre senza poter fare nulla a farla parlare, non ci ha riflettuto… eppure non vuole tornare indietro, non vuole rimangiarsi quelle parole perché sono la verità… pura, semplice verità e prega Dio che Mauro l’abbia sentita.

Lui si blocca: le sue parole l’hanno spiazzato.

Fa sul serio si dice non sta scherzando… mi ama, tanto quanto io amo lei…

E poi… non servono più parole. Tutto il fiume di discorsi fatto a se stesso, tutte le proposte di lasciarla per sempre, per il suo bene, crollano inesorabilmente: perché a volere la loro fine non solo loro, è la ragione, la razionalità… nulla che ora possa sfiorarli.

Si volta mentre lei abbassa il capo credendo di essere stata sconfitta, la guarda per qualche istante, il tempo per capire davvero quanto sia bella e quanto l’ami, poi si avvicina e semplicemente la bacia, rispondendo a quella domanda nel migliore dei modi.

Mentre la pioggia ancora scende i due si stingono, forse ancora scossi dal timore di potersi perdere e continuano a baciarsi, sicuri che non si sarebbero mai più separati…

 

Pioveva. Un’estate come quella come quella non l’aveva mai vista: pioggia e sole si susseguivano senza alcuno schema, ma con uno scambio di presenza molto frequente.

Si muoveva sulla sedia accanto alla finestra, incapace di stare fermo. Era la stessa stanza che aveva occupato prima della missione, la stessa in cui era cominciato tutto e per quanto continuasse a ripetersi che non era cambiato nulla da allora, sapeva benissimo che stava semplicemente mentendo a se stesso. Era come passata una vita dal giorno in cui uno degli uomini della DIA gli aveva portato le informazioni sull’Organizzazione degli uomini in nero e sulla sua prossima missione ed ora sentiva il suo passato più vicino che mai: Mauro Belli, dentro quell’uomo senza identità, si dibatteva, urlando per poter essere finalmente libero.

Ma ci poteva essere una libertà? Era ancora in tempo per reagire?

C’è sempre tempo per reagire… si disse Alzati, maledizione! Va via! Ora puoi farlo: ormai non sei più così invisibile… dopotutto lui già sa…

A quel appello disperato che lo aveva fatto quasi alzare, però, si sovrappose la paura che lo travolse: cosa avrebbe detto a Germana? Perché non c’era dubbio che, se fosse uscito allo scoperto, la prima persona dalla quale sarebbe andato, sarebbe stata lei…

Come le avrebbe spiegato che tutto il dolore che aveva provato per quei tre anni, tutta la sua sofferenza e le difficoltà affrontate non erano servite a nulla? Che erano state inutili, senza senso perché lui non se n’era mai andato…?

«Codardo, semplicemente un codardo!» si urlò contro alzandosi e sbattendo lontano la sedia di legno che andò in frantumi come un bicchiere di cristallo. Si prese la testa fra le mani: si sentiva scoppiare, impazzire: non riusciva a trovare una soluzione e si sentiva soffocare.

Poi ad un tratto, senza più razionalità, aprì violentemente la porta e scese in strada, sotto la pioggia e cominciò a correre, mentre la testa si ripeteva di non pensare, ma solo di guardare avanti a se e non fermarsi. 

Il rumore delle dita che battevano sui tasti le era ormai così abituale che non ci faceva più caso. Scriveva, quella mattina, senza realmente pensare a quello che stava facendo, presa – come ormai le accadeva sempre più spesso – da mille pensieri.

Tre anni, erano passati ormai tre anni e per quanto ormai si fosse data pace e fosse andata avanti, non poteva certo dimenticare, non voleva dimenticare: Mauro era ancora dentro di lei e ci sarebbe rimasto per sempre; avrebbe avuto un posto riservato, speciale nel suo cuore che mai nessuno avrebbe potuto rubargli, anche se fosse entrato nella sua vita un altro ipotetico uomo. Per ora, però, gli unici uomini che le erano accanto erano Ettore – suo figlio – e Tiberio – suo genero – che le era rimasto accanto per tutto questo tempo aiutandola ad andare avanti. Molto probabilmente ce l’avevano fatta proprio per questo: grazie ad un reciproco aiuto.

Sospirò accorgendosi che aveva scritto tutt’altra cosa seguendo il flusso dei suoi pensieri. Cancellò il pezzo e si riconcentrò sull’articolo: aveva ripreso a lavorare nella sede del giornale pochi mesi dopo la chiusura del caso riguardante il marito; era tornata nella vecchia casa di Mauro – che aveva scoperto esserle mancata tantissimo – e alle sue vecchie abitudini. 

Sbadigliò, dopo aver scritto poche righe: aveva sonno – quella notte l’aveva passata in bianco per chissà quale motivo – e quella mattina non era per nulla concentrata sull’articolo che le era stato sottoposto; decise di prendersi una pausa e salvato il file, uscì in strada e si diresse verso il bar più vicino per prendersi una bella tazza di caffè e cercare di svegliare quella giornata nebbiosa.

Il sole bianco di quel mattino le dava lievemente fastidio agli occhi: da pochi minuti aveva smesso di piovere ed ora i raggi del sole si riflettevano sull’asfalto provocando uno stano gioco di luci ed ombre. Germana camminava distratta per la strada e si accorse di aver superato il bar che cercava solo dopo aver svoltato l’angolo.

Ne troverò un altro  si disse senza alcun problema: aveva voglia di passeggiare.

Camminando, però, una strana inquietudine cominciò a farsi strada nel suo cuore: aveva l’impressione di essere seguita e un’ansia, che non provava dai giorni in cui aveva intervistato Liverani ed era quasi morta per questo, le alterò il respiro. Svoltando di nuovo un angolo, a grandi passi, scorse chiaramente un ombra che la seguiva e allora si bloccò attendendo una sua reazione e poi si voltò per vedere chi fosse il suo inseguitore. Nessuno, non c’era alcun uomo dietro di lei.

Fantastico! pensò ci manca solo che comincio a suggestionarmi!

Guardandosi intorno, però, si era resa conto di essere poco distante dal cimitero della città. In un attimo provò il forte istinto di andare sulla tomba del marito: non lo programmava mai, ma quando si trovava nei dintorni del cimitero non importava cosa stesse facendo, lasciava perdere tutto e correva da lui.

Ad Ettore non aveva precisamente detto che suo padre non c’era più: il piccolo sapeva che era lontano e che per ora non sarebbe potuto tornare; aveva fatto, però, in modo che lo amasse comunque e che ne conservasse il ricordo dolcemente.

Le sue sottili dita sfiorano le lettere nere incise sul marmo bianco della tomba. Un brivido – ormai abituale – le attraversò la schiena mentre un altro, l’ennesimo ricordo riaffiorava nella sua mente, segno dimenticato ma non cancellato di quella vita che con fatica era riuscita a buttarsi alle spalle e non senza rimpianti: aveva dovuto essere forte per Ettore, eppure quante volte aveva desiderato distruggere ogni cosa, dare sfogo a tutto il suo dolore, a tutta la sua rabbia in modo tanto inutile quanto appagante. Forse dopo si sarebbe sentita meglio o, forse, non sarebbe semplicemente cambiato nulla, ma almeno  avrebbe potuto dire di aver fatto qualcosa, una qualsiasi cosa.

Poggiò una rosa bianca, presa da una bancarella all’entrata, sul freddo marmo.

«È sempre stato il mio fiore preferito…» disse una voce proveniente dalla sinistra della giornalista «da quando ti ho conosciuta, poi, l’ho sempre paragonata a te…»

Germana si voltò, nonostante avesse perfettamente riconosciuto quella voce e non fu sorpresa di vedere poco distante da se la figura del marito. Sorrise triste: molto spesso, in quei tre anni, le era capitato  di vederlo e alcune volte avevano anche parlato.

Mauro le si avvicinò piano; la vide sorridere e in un attimo si sentì mancare il fiato: come aveva fatto ad andare avanti per questi tre anni senza vederla? Lui che si era sentito morire durante la settimana che lei  non gli era stata accanto, quando era stata in coma…

Allora però stava morendo si disse ragionando con quel poco di razionalità che ancora aveva, eppure in quel momento gli parve di provare tutto ciò che non lo aveva travolto in quegli anni. Si bloccò quando fu a pochi passi da lei che intanto aveva rivolto di nuovo lo sguardo verso la tomba.

«Germana…» sussurrò senza essere capace di dire altro mentre le lacrime gli bagnavano il volto e le sue dita sfioravano la spalla della giornalista.

Lei lo guardò con un moto di sorpresa: quel flebile contatto le era sembrato così reale da farla sussultare.

«Mauro…» rispose ancora un po’ sorpresa, scorgendo le lacrime dell’uomo.

Ad un tratto un folle pensiero le attraversò la testa provocandole un capogiro: le atre volte che lo aveva visto era stato solo per alcuni istanti, il tempo per qualche parola… ora, invece, era lì di fronte a lei, l’aveva sfiorata e quel contatto le era parso tanto vero… così come la lacrime che gli bagnavano il viso. Indietreggiò di pochi passi quasi d’istinto tenendo sempre lo sguardo fisso sull’uomo.

«Sono qui…» disse lui sorridendo tra le lacrime «…non temere»

Allora Germana comprese che non si sbagliava, che quel pensiero era tanto folle quanto vero ed ebbe paura. Fece ancora qualche passo indietro: non sapeva come reagire, tutto le pareva così surreale, assurdo, non aveva parole, non riusciva a capacitarsi che potesse essere vero.

«Aspetta Germana… io posso spiegarti ogni cosa…»

«Impossibile» sussurrò lei «Tu sei morto… Roberto… mi aveva detto che tu… che tu eri… Abbiamo fatto un funerale, c’è una tomba qui col tuo nome…» articolò in modo confuso rivolgendo poi lo sguardo alla lapide come per trovare conferma delle sue parole e non credere a quella voce che le diceva che era impazzita.

«Neanche Roberto sa nulla, nessuno sa nulla… E per quanto riguarda il funerale, lo avete fatto ad una bara vuota. Non ci sono io lì dentro…» e diede anche lui uno sguardo alla lapide leggendo il suo nome. Fu strano, da brivido: quello era un privilegio che non era mai stato concesso a nessuno o, almeno, a pochissimi… Gli ricordava lo scenario di un vecchio romanzo anche se, a differenza del protagonista, lui non aveva mai voluto fingere di essere morto ed ora stava cercando di rimettere le cose a posto. Germana lo guardava ancora allibita, senza comprendere in pieno quelle parole assurde. Mauro era realmente lì, accanto a lei e le aveva appena detto di non essere mai morto?

Un senso di impotenza e di rabbia la invase: chi gli aveva dato il diritto di andar via a quel modo e di tornare poi quando più gli aggradava? Chi gli dava il diritto di giocare con la vita altrui come aveva fatto lui in questi anni? Crollò a terra, scossa da un violento fremito.

Mauro si spaventò e temendo che potesse svenire le corse incontro per sostenerla.

«Non ti avvicinare!» gli urlò la giornalista spiazzandolo.

«Germana…  cosa…?» tentò quello facendo qualche altro passo avanti.

«Ti ho detto di non avvicinarti!» gli urlò di nuovo lei con voce minacciosa, alzando il volto rigato dalle lacrime come quello di Mauro «Chi ti dà il diritto di tornare qui dopo tre anni e dirmi che non sei morto? Che il mio dolore non ha avuto alcun senso? Io… io… Mi è servito tempo, molto, moltissimo tempo per accettare che te ne fossi andato per sempre; ci sono stati giorni in cui ho davvero creduto di non farcela, giorni in cui farla finita mi è sembrata una cosa tanto facile… Ed ora, ora che mi ero finalmente alzata, ora che avevo cominciato a guardare davvero avanti, arrivi qui e butti di nuovo tutto all’aria! Io… io ti odio! Tu… tu non puoi…»

«E pensi che sia stato io a volere tutto questo?» la interruppe lui alzando di molto la voce «Pensi che se avessi potuto decidere, non sarei rimasto con te, con mio padre ed Ettore? Pensi che me ne sia andato di mia volontà?! Germana, mi hanno portato via! Mentre dormivo, dopo l’intervento, mi hanno portato via e quando mi sono svegliato era già tutto successo! Mi hanno spiegato che da quel giorno Mauro Belli non sarebbe più esistito, che sarei stato un uomo senza nome e senza identità, alla mercé dello Stato e della giustizia. Quando mi sono svegliato dall’intervento era il giorno del mio funerale: l’unica cosa che mi hanno concesso è stata di vedere il suo svolgimento da lontano, anonimo, inesistente; ho visto le vostre lacrime, ho visto Roberto leggere la lettera che avevo scritto a nostro figlio Ettore, ho visto arrivare Giulia e stringerlo forte tra le lacrime, ho visto mio padre tremare ed il tuo pallore e mi sono sentito morire. Avrei voluto correre verso di voi, urlarvi di smetterla di piangere e soffrire perché io ero ancora vivo, ma non potevo… le lacrime hanno bagnato il mio volto, senza alcun senso e quando tutto è finito, quando ormai il cimitero era vuoto sono andato di fronte a questa tomba e mi sono detto che in ogni caso io ero morto quel giorno…»

Parlando l’uomo si era avvicinato alla donna, piegandosi sulle gambe a pochi centimetri da quel volto che avrebbe voluto stringere tra le sue mani e baciare.

«Quando ho potuto sono corso via da quella vita senza senso per giungere dov’eri e guardarti andare avanti, tra gli stenti e le difficoltà, tra le lacrime ed i sospiri; ma ho visto anche il tuo primo sorriso, il sole che provava a riaffacciarsi sulla tua vita, ti ho vista rialzarti, forte e guardare la vita con sfida, urlando al mondo che finalmente eri tornata. Germana, io voglio che tu sappia che non ti ho mai lasciato sola, che ovunque eri io ero dietro di te…» e le ultime parole furono straziate dal pianto che aveva travolto l’uomo.

Germana lo guardò, così fragile, così spaventato e comprese quanto anche lui avesse sofferto, forse anche più di lei, perché sapeva e non poteva dire nulla.

«In ogni caso» continuo lui «Non ho alcun diritto di sconvolgere ulteriormente la tua vita… e se vorrai io andrò via per sempre…» e detto questo si rialzò.

«Non muovere un passo!» gli urlò lei, alzandosi a sua volta «Mauro Belli! Tu vieni qui, di fronte a me, mi dici che non sei mai morto e pretendi che io ti lascia andare come se nulla fosse? Che, semplicemente, dimentichi questo incontro e torni a condurre la vita di pochi minuti fa?» disse con forza.

Poi si sporse verso di lui e finalmente lo strinse forte a se mentre il cuore batteva all’impazzata per quel contatto e la mente finalmente si arrendeva all’evidenza di quel presente: ora poteva dire con certezza che suo marito era lì con lei.

«Ti prego non andare…» sussurrò con voce rotta dal pianto.

Mauro sussultò e sbiancò a quel contatto che aveva sognato tante volte quanto la moglie. Poi con lentezza e acquistando anche lui consapevolezza di ciò che stava accadendo strinse le braccia intorno all’esile corpo della donna. Non seppero dire per quanto tempo rimasero così, forse fino a quando lei alzò il suo volto verso di lui e lo baciò, semplicemente un bacio nel quale c’erano mille parole o forse solo due: ti amo…

 

 

«Anna? Anna ti preparo la colazione, ti va?» urla Luca dalla cucina, sperando che la sua voce giunga fino alla camera della coinquilina che è ancora a letto.

Non riceve disposta e allora si dirige silenzioso nella sua camera facendo attenzione a non fare rumore mentre apre la porta; la guarda: è così bella quando dorme e quel gesto amorevole di tenere la mano sul ventre in cui c’è il suo bambino, la rende ancora più bella. Ormai è quasi il terzo mese di gravidanza e nonostante gli iniziali dubbi provocati dal fatto che il padre sia Giorgio, ora Anna ama quel bambino come nessun altro.

“Sono quasi geloso” aveva detto una volta Luca per scherzare. “Ma non dire stupidaggini!” aveva commentato lei poggiando la testa sulla spalla di lui “Ti voglio troppo bene… non lasciarmi” “Sai che non lo farò”.

«’Giorno…» biascicò Anna bloccando il flusso dei pensieri dell’allora ispettore.

«Come ti senti stamattina?» le chiese con un sorriso.

«Mmh… per ora bene, ma non credo che le nausee abbiano deciso di lasciarmi proprio oggi…»

«Preparo la colazione, ti va?»

«Ho una fame!» esclama lei e lui ride: quella è una frase che ha sentito fin troppo spesso in quei tre mesi e – tornando in cucina – pensa, continuando a ridere, a quante altre volte dovrà sentirla nei prossimi sei mesi. Fischietta mentre cuoce un uovo che – a dirla tutta – non ha proprio un bell’aspetto, ma è buono, o almeno così crede. Poggia il piatto su un piccolo vassoio di legno dove già c’è una bella tazza di latte e qualche fetta biscottata con burro e marmellata e facendo attenzione a non rovesciare tutto, si dirige con lentezza verso la camera di Anna.

A metà strada però un grido terribile lo blocca; Luca si fa scappare dalle mani il vassoio che si infrange sul pavimento con un gran fracasso e corre da Anna con il cuore in gola. Entrando gli si presenta davanti uno scenario raccapricciante: Anna nel letto con le mani sporche di sangue, il pantalone del suo pigiama anch’esso completamente vermiglio come le lenzuola; la giovane trema pallida e in lacrime e lo guarda in una muta richiesta d’aiuto. Luca non deve rifletterci più di due secondi: prende Anna fra le sue braccia e schizza nel corridoio stando attendo a non scivolare sulla colazione versata; prende le chiavi della macchina, esce e – scese le scale – la carica in macchina.

Il respiro di Anna è affannato e spezzato: sa che ciò che le sta accadendo non è normale per una donna incinta e in cuor suo teme il peggio; Luca, invece, non pensa, non ci riesce, solo preme quanto più possibile sull’acceleratore ed accende il lampeggiante per poter avere via libera.

Quando giungono in ospedale ormai Anna è in un lago di sangue, quasi priva di coscienza. Luca la prende di nuovo in braccio cercando di tenerla sveglia scuotendola lievemente e sussurrandole che sarebbe andato tutto bene… una frase a cui non crede neanche lui.

«Aiuto! Aiuto!» grida disperato, entrato in ospedale «Vi prego: sta male… è incinta…»

Un medico gli viene incontro con due infermieri che conducono una barella.

«La poggi qui» gli dice uno dei due.

«Che cos’è successo?» gli chiede il medico mentre la conducono di corsa.

«È incinta» ripete Luca, come se fosse l’unica cosa da dire «Stamattina stava bene, come al solito… ma ad un tratto ha dato un grido e quando sono arrivato in camera sua era tutta sporca di sangue…»

«Da quante settimane è incinta?»

«Dieci, dieci settimane…» dice lui quasi senza riflettere.

Il medico scambia con gli infermieri un’occhiata tanto eloquente quanto preoccupante che fa precipitare il cuore di Luca: era davvero successo? No… non poteva essere così… non poteva…

Ad un tratto uno degli infermieri lo ferma.

«Mi spiace, ma lei non può venire con noi… Attenda qui…»

«Ma cosa dovete farle? Come sta?»

«Bisogna operarla d’urgenza...» gli risponde evasivo l’infermiere; dopodiché sparisce dietro una porta a saloon lasciando Luca solo e con le mani sporche del sangue di Anna.

Luca ha sciacquato le mani, ma non è riuscito a lavare via il ricordo del sangue e ne sente ancora l’odore nonostante le sue mani profumino del sapone dell’ospedale. Continua a camminare avanti e indietro, senza trovare pace: sono quasi due ore che Anna è in sala operatoria e ogni minuto che passa aumenta la paura che possa accadere – o essere già accaduto – il peggio. Non vuole soffermarsi su quel pensiero: trema immaginando una vita senza la sua Anna.

Ad un tratto un medico gli si avvicina silenzioso e quasi lo fa sobbalzare.

«Dottore…» sussurra timoroso «Anna…?»

«Ora la ragazza non è in pericolo di vita: è stata fortunata» spiega l’uomo con mezzo sorriso.

Luca ha l’impressione di poter finalmente tornare a respirare, mentre sente dissolversi il macigno che ha sul petto.

«Ed il bambino?» chiede sorridendo ingenuamente.

Il medico si incupisce rapidamente e lo guarda negli occhi, forse alla ricerca delle parole più giuste da dire.

«Mi spiace» sussurra scegliendo il modo più facile e diretto «Lo aveva già perso quando è giunta qui: siamo stato fortunati a non perdere anche lei…»

Luca lo guarda come che fosse stato colpito da una violenta botta in testa: Anna ha perso il bambino… non c’è più… dopo tutto quello che ha dovuto affrontare, dopo i dubbi e le lacrime, quando infine aveva accettato di diventare mamma e si era finanche affezionata a quella tenera cosina che stava crescendo in lei… il destino gliel’aveva strappata. Era andata via così, senza preavviso, nello stesso modo in cui era venuta. Il ragazzo sentì un groppo formarsi all’altezza della gola e gli occhi pizzicargli.

«E… e… lei è sveglia? Sa già? Glielo avete detto?» chiede con voce incrinata.

«Sì, è sveglia… ma non occorre che sia io a dirglielo: lei sente ciò che è accaduto, nonostante non fosse ancora evidente lei già sa…»

«Posso vederla?» e stavolta il sussurro è tanto debole che lo stesso dottore a pochi centimetri da lui fa fatica ad ascoltarlo; annuisce e poi va via.

Luca si avvicina alla porta della stanza ancora stordito: non sa che fare, che dire, ma sa che non vuole lasciarla sola, non in un momento del genere.

Entrando si appoggia con la spalla contro il muro ed osserva la ragazza che, nel letto, ha gli occhi umidi chiusi e respira con lentezza mentre il vuoto del suo ventre, ancora coperto, ormai inutilmente da una mano, sembra quasi divorarla. 

 

Il respiro era lento, debole e in alcuni tratti affannato, come se non riuscisse a tenere il ritmo richiesto dal cervello. Luca si voltò a guardare il collega che pur dovendo tenere lo sguardo fisso davanti a se, con la coda dell’occhio non lo perdeva di vista neanche un istante.

Ad un tratto un violento giramento di testa lo costrinse a chiudere gli occhi; gli veniva da vomitare e sapeva benissimo di essere sul punto di perdere i sensi. Infatti pochi istanti dopo si accasciò in avanti poggiando la testa contro il cruscotto della macchina, privo di sensi.

«Luca?!» gridò Alessandro e accostando, lo sollevò facendogli poggiare di nuovo la schiena contro il seggiolino della vettura e dandogli lievi colpetti sul volto per farlo riprendere.

Il commissario rinvenì pochi istanti dopo e guardò confuso l’ispettore che tirò un sospiro di sollievo.

«Senti Luca… perché non lasci perdere per ora e ritorniamo in ospedale? Magari Elena riesce a convincere Anna a venire da te…» tentò lui, ma Luca scosse la testa.

«Non verrà, lo so…» disse con voce stanca «Se voglio risolvere ’sta situazione devo agire in prima persona… rimetti in moto!»

Alessandro fece come gli era stato detto e in una decina di minuti furono sotto casa di Luca. Scesero  e l’ispettore aiutò il commissario a salire le scale, ma solo quando furono di fronte alla porta, quest’ultimo si ricordò che le sue chiavi le aveva Anna.

«Bisogna bussare…» disse ed Alessandro premette sul campanello che risuonò nell’appartamento.

Pochi istanti dopo, la porta si aprì ed Elena sgranò gli occhi alla vista di Luca.

«Che… che ci fai qui?» gli chiese «Tu dovresti essere all’ospedale!»

«Questa l’ho già sentita… Anna è lì?» chiese sbrigativo e senza aspettare risposta superò l’ispettrice e si diresse in salone. Anna era lì, seduta sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto proprio come allora, nei mesi di depressione dopo l’interruzione della gravidanza, quando molte volte l’aveva trovata per terra svenuta o semplicemente scivolata e si era preso cura di lei standole accanto senza dire una parola, ma aiutandola con la sua semplice presenza.

«Anna…» sussurrò e la ragazza tremò nel sentire quella voce, unica che non si aspettava in quel momento.

Si voltò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime.

«Luca… che… che… ci fai tu qui…? Dovresti essere…»

«In ospedale? No, il mio posto è questo e tu lo sai bene! Anna che succede?»

«Mi pare di avertelo detto, no?» fece lei un po’ stizzita perché sapeva di essere con le spalle al muro.

«No! Tu mi hai detto di essere incinta… ma che non era una bella notizia; non mi hai spiegato il motivo, ti sei limitata ad andar via e a lasciarmi lì, imbambolato. È arrivato il momento di parlare!»

L’ispettrice lo guardò: nonostante il volto pallido e il corpo – solo ora di faceva caso – molto dimagrito, il suo sguardo verde non aveva perso la sua forza e lei sapeva di non potergli resistere a lungo.

«Luca, ho paura!» disse.

«Lo so… ne ho anch’io… ma questo non deve scoraggiarti, Anna! Io so quanto sei forte e quanto hai lottato per essere felice…» ma mentre parla, l’ispettrice scuote la testa.

«Non è vero… io… io non sono così forte»

Luca si siede accanto a lei prendendole il viso umido fra le mani.

«Ho paura, ho paura di affezionarmi di nuovo a lui» continua Anna poggiandosi una mano sul ventre «E di perderlo. Se solo ci penso mi sento mancare: non ce la farei a superare di nuovo tutto… non ne sarei capace»

«Non lo perderai, Anna! Non accadrà di nuovo… credimi!»

«Ma il dottore ha detto…»

Si fermò: lo sguardo di Luca, non appena lei aveva pronunciato quella frase, si riempì di terrore; perché fino ad allora aveva dovuto tener testa alle semplici parole di una ragazza spaventata e spaesata, ma ora doveva confrontarsi con i fatti, con il responso di un medico qualificato.

«Il dottore» riprese Anna senza riuscire a staccare gli occhi da quelli verdi «ha detto che c’è il rischio che si ripeta. C’è una ferita interna, una ferita cicatrizzata che mette a rischio tutto…»

Luca la guardò imbambolato, quasi come se fosse da un’altra parte: aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di più sotto quella reazione di paura di Anna, ma era stato più facile, meno preoccupante, credere che fosse solo paranoia, magari dettata da esperienze passate e nulla più. Ora si rendeva conto do quanto fosse stato sciocco.

«Beh… ma non è sicuro giusto?» sussurrò quasi senza forze «Insomma, il dottore ha detto solo che c’è la possibilità che riaccada, non che sia una certezza…»

«E se anche non accadesse» proseguì lei, in un certo qual modo felice di potersi finalmente sfogare «Chi ti assicura che andrà tutto per il meglio? Che sarò in grado di essere una buona madre? Di fare solo il meglio per lui?» chiese.

«Oh, Anna! Non essere sciocca! Già solo il fatto che tu ti stia facendo tutti questi problemi mi fa capire che sarà bravissima come madre!»

Anna scosse la testa: Luca la faceva fin troppo facile, era fin troppo sicuro che le cose sarebbero andate bene solo perché lo voleva. Per lei invece era diverso: lei sapeva cosa voleva dire non fare la scelta giusta, conosceva il dolore che ne poteva derivare, l’aveva provato sulla sua pelle e non aveva alcuna intenzione di fare del male a suo figlio come ne era stato fatto lei.

«E se andasse come con mia madre?» chiese.           

Luca la guardò e in un attimo capì quanto era stato cieco: era questo che le faceva male, allora! La paura di poter far soffrire suo figlio come era successo a lei…

Rabbrividì: Anna aveva scoperto di essere incinta mentre lui era in missione, con la costante possibilità di morire; inoltre il medico le aveva detto che c’era il rischio che perdesse il bambino e le paure del suo passato l’avevano attagliata dopo anni di apparente calma. Al solo pensiero di quel mix si sentì soffocare e gli si chiuse lo stomaco: quanto aveva sofferto? E quanta di quella sofferenza era causa sua? 

Ad un tratto la strinse a se, accarezzandole la testa con il mento ruvido.

«Perdonami…» sussurrò «Sono stato così cieco e non ho capito quanto stessi male… Io… io sono sicuro che andrà tutto bene proprio perché tu sai cosa vuol dire soffrire a causa di scelte sbagliate. Non farai gli stessi errori di tua madre: lui o lei crescerà con tutto l’amore che serve, con tutto quello che saremo in grado di dare…»

«E se invece, proprio perché quello di mia madre è l’unico esempio che conosco, non saprò fare diversamente?»

«Gli errori vengono capiti affinché non li si compia più…»

«Ne sei sicuro?»

«Ti ho mai mentito?»

Anna scosse la testa: di Luca si fidava molto più che di se stessa.

«Non lasciarmi…»

«Mai!» e dopo mesi di solitudine e paura finalmente le loro labbra poterono toccarsi di nuovo, sentire in quel muto gesto la sicurezza di un tempo e forse anche un po’ della stessa gioia e ingenuità di prima di quella separazione e che avevano creduto esser volate via con essa.

«Tutto è bene quel che finisce bene» sentenziò Alessandro ed Elena tirò un sospirò di sollievo: tutto si era finalmente sistemato.

«In fondo ciò di qui aveva bisogno Anna… era Luca, nulla più» disse sorridendo.

«Promettimi che, se mai dovessi avere un problema, me ne parlerai subito!» le disse lui guardandola negli occhi.

«Tranquillo: sarai il primo a saperlo; non ce la farei a resistere come ha fatto Anna…» poi lo baciò e stavolta gli spettatori dei loro gesti e delle loro parole erano Anna e Luca.

Almeno una situazione era risolta…

 

 

Giuda veloce: è in ritardo, in un ritardo stratosferico e per giunta al suo matrimonio! Perché se fosse un semplice appuntamento avrebbe tirato su la scusa del troppo lavoro, del caso complesso o delle indagini appena concluse, ma non ora, non al suo matrimonio. Lì è semplicemente in ritardo.

Germana sarà già arrivata pensa guardando l’orologio Questa sarà un’altra cosa che il mio “caro” suocero mi rinfaccerà ad ogni cena in famiglia.

Svolta l’angolo con un velocità fin troppo alta che fa stridere le gomme sull’asfalto. Il suo respiro è irregolare, come se anziché muoversi in auto stesse raggiungendo la chiesa a piedi. Le parole di Angela, nel sogno di quella notte, gli rimbombano ancora nella mente.

Ti stai sposando all’età giusta, con la persona giusta, nel modo giusto…

Certo, ne è sicuro… eppure sta tremando e non può dire che ha freddo perché siamo ormai in estate: no quella è proprio paura! Paura ed adrenalina: un mix perfetto. Ancora gli rimbomba nella mente lo sparo di Roberto che per poco non ammazzava Carla Monti, sente ancora battere il cuore per la corsa fatta all’inseguimento della malvivente, la testa che gli urlava: “tieni duro: vedo la fine; tieni duro: stavolta la prendete…” e poi era finito tutto: l’avevano arrestata ed era scomparsa nella volante dei colleghi. Angela poteva riposare in pace adesso e lui poteva sposarsi…

Una seconda morsa gli stringe lo stomaco mentre parcheggia in malo modo l’auto davanti alla chiesa e vede corrergli incontro il padre con il suo vestito da sposo ed un’aria agitata.

«Stanno tutti a ‘spettà a te!» gli grida mentre lo fa risalire in macchina e gli passa il pantalone dello smoking.

Mauro a fatica riesce ad infilarseli: una macchina non è certo un camerino adatto per uno sposo, poi Tiberio gli passa la camicia che infila più facilmente e mentre il vecchio tenta di prendere le misure della cravatta provandola sul suo collo, Mauro si infila un gilè dello stesso colore del pantalone.

«Ecco così va bene… se…» conferma Tiberio a se stesso, poi toglie la cravatta dal suo collo e tenta di infilarla al figlio.

«Aspetta: infila la cravatta…» gli dice «Girate un po’ di qua, un attimo!» ma la cravatta e troppo stretta per il “capoccione” dell’ispettore.

«Piano, papà! E piano!» grida l’ispettore che intanto pensa che se sopravvive a quel giorno può davvero dire di poter affrontare tutto.

«Mannaggia! C’hai un capoccione!» gli risponde agitato Tiberio riuscendo infine a mettergli la cravatta.

Poi continua a sistemarlo dicendo, più a se stesso che al figlio di fare piano, ma ad ogni parola che dice il tono di voce aumenta e le mani, che ora stanno sistemando la cravatta sotto il colletto della camicia, tremano vistosamente. Strige la cravatta agitatamente fino a quasi soffocare il figlio.

«No! Più lenta per favore, papà, più lenta! Mi sto a sentì male» si lamenta lo sposo senza sapere se quel malessere è dovuto alla semplice mancanza d’ossigeno o al grande passo che sta per fare; subito sente ritornare l’aria nei polmoni: ora il padre gli ha allargato il nodo.

«Così va bene?»

«Si… dammi ‘a giacca, dammi ‘a giacca!» ed il padre lo aiuta ad infilare anche quella: ora può finalmente dire di essere pronto.

«Mannaggia! Guarda che “ciancicaticcio” Ce vorrebbe una botta di ferro da stiro adesso!» osserva lui con l’occhio critico di un sarto anziano ma esperto.

«Apposto su!» lo sbriga Mauro «Se vedemo a casa papà» e scende di corsa dalla macchina.

«Si… tirati giù quel collo della camicia! Si se vedemo casa…» e per qualche istante si adagia in macchina stanco per quella fulminea faticata.

Poi la sua mente fa un rapido ragionamento: Mauro sta per sposarsi, Mauro, suo figlio… suo figlio! Lui deve andare con lui! È il padre dello sposo!

«Ma devo venire pure io! Se vedemo a casa!» grida ripetendo le parole del figlio e scendendo dalla macchina.

Mentre entra nella chiesa, Mauro sente risuonare dall’organo la classica musichetta dei matrimoni, mentre il padre lo raggiunge e dopo alcuni tentativi falliti riescono a mettersi a braccetto.

Germana è lì, di fronte a lui, in fondo alla navata: l’abito bianco si intona perfettamente con la sua carnagione chiara e quei capelli biondo scuro che le ricadono morbidi e mossi sulle spalle la rendono adorabile. Mauro l’osserva, in un attimo perde la concezione di tutto ciò che lo circonda: c’è solo lei e lui non ha occhi che per lei che gli sorride sollevata e felice di vederlo e forse anche un po’ divertita.

Ed lui ora lo sa, ne è convinto, quel suo semplice sorriso ha fugato tutti i suoi dubbi: la sua è stata la scelta giusta, è con lei che vuole passare la sua vita… perché, semplicemente, la ama.

[…]

Mauro scende dalla macchina bianco come un cencio. È agitatissimo, in quel momento non ricorda una volta in cui è stato più agitato di quella sera. Spera che al Distretto sia già arrivata Germana perché attenderla sarebbe ancora più snervante.

Ma guarda quante agitazione me ‘sta a fa venì un cosino come quello pensa entrando: quella sera lui e Germana sarebbero andati in ospedale a prendere il piccolo Ettore… Ettore Belli, da quella sera…

Sua moglie è lì davanti alla guardiola a parlare con Ugo e Giuseppe: almeno non avrebbe atteso ulteriormente.

«Ciao amore» la saluta baciandola.

«Ciao amore» ripeté lei con un sorriso.

«Non capisco come fai a sta’ così tranquilla te!» le dice e dalla voce affannata si capisce che quasi non respira.

«Amore, ma se ci agitiamo tutti e due che facciamo, eh?» gli fa notare lei e Mauro si rende conto che ha ragione: se andassero tutti e due in panico come sta facendo ora lui, sarebbe la fine. Escono salutando i due poliziotti e salgono in macchina.

«Perché ci vuole così tanto?» chiede per l’ennesima volta l’ispettore.

Sono da più di venti minuti seduti nel corridoio dell’ospedale e ancora non hanno visto l’ombra di quello che sarà il loro bambino, né dell’infermiera che li aveva accolto gentilmente chiedendo loro di attendere in corridoio.

«Beh lo staranno preparando» suppone lei accorgendosi che l’ansia la sta prendendo tanto quanto sta prendendo il marito e sospirando.

«Certo che per lui sarà un bel trauma» considera Mauro «Da un giorno all’altro cambia tutto!»

«In meglio, però: ora avrà un padre ed una madre» lo rassicura lei.

«E se non gli pace stare a casa con noi?»

«Embè, ci sta lo stesso!» risponde lei un po’ brusca: l’ansia ormai l’ha presa.

«Ammazza, già sei severe, oh! Manco l’hai preso!» nota con un sorriso sorpreso l’uomo.

Ad un tratto, finalmente, la porta della stanza si apre. Mauro e Germana si alzano di scatto e vanno incontro alla donna che porta un braccio un minuscolo fagottino azzurro. I due non possono non ridere ammaliati da quello spettacolo.

«Oddio, quanto sei piccolo!» esclama Germana con la voce ancora condizionata dal sorriso.

«Ammazza quanto è bello, però, eh?» non può fare a meno di notare Mauro.

«È bellissimo, eh?»

«E quando usciva così bello se lo facevo io?» si chiede sorridendo.

Germana sporge la sua esile mano verso il mento del piccolo, quasi timorosa di potergli far del male.

«Si può toccare?» chiede ingenuo il poliziotto; poi valuta la sua grossa mano e la ritrae: è davvero troppo grande per quel piccolino.

«Chi lo prende?» chiede con un sorriso gentile l’infermiera.

«Piglialo tu… piglialo tu…» dice lui facendosi indietro: non si sente così pronto, e se lo facesse cadere?

«Lo dia a me» si fa coraggio la giornalista «Così, eh?» chiese e la donna annuisce.

I due sorridono ai piccoli vagiti del bambino che si sta lentamente svegliando. È ancora più bello ora che è sveglio ed i suoi occhi incontrano quelli che da ora in poi saranno i suoi genitori.

 

Erano rimasti seduti lì, su una panchina del cimitero, per secondi che si erano presto trasformati in minuti ed ore semplicemente a guardarsi, senza rompere il silenzio e lasciando che fossero gli occhi a colmare i tre anni di parole taciute. Ogni tanto qualche lacrima solcava questa o quella guancia e l’una o l’altra mano la scostava con delicatezza.

«Ancora prego che non sia un sogno» sussurrò lei.

«Anch’io credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato… E più vi ero vicino più sentivo di allontanarmi»

«Ora sarà tutto diverso…» lo rassicurò Germana stringendolo a sé.

Mauro sussultò: erano le stesse parole che gli aveva detto Luca, ma allora lui non l’aveva creduto… Ora poteva farlo? Non ci sarebbero stati più ostacoli? No… ce ne sarebbero stati tanti altri, ma stavolta lui era pronto ad affrontarli, non si sarebbe più nascosto, avrebbe lottato per quella vita che gli avevano negato perché ora sapeva che, se anche era in ritardo di tre anni, valeva ancora la pena di combattere.

«Cosa facciamo ora?» chiese la giornalista.

«Io… non lo so… vorrei…»

«Tiberio ora è a casa: deve essere tornato da pochissimo con Ettore» lo informò Germana come leggendogli nel pensiero.

Mauro parve sbiancare, non perché la moglie avesse indovinato le sue intenzioni – sapeva che potevano leggersi nel pensiero, lo avevano sempre fatto – ma perché si era reso conto di quanto velocemente stava accadendo tutto.

«Andrà tutto bene… non temere» lo rassicurò Germana tenendogli la mano e alzandosi.

Lui la guardò sorridendo ed una sicurezza che non provava da anni lo invase: gli era mancata, non poteva negarlo ed ora sapeva anche quanto. Si alzò anche lui e uscirono dal cimitero diretti alla vecchia casa di Mauro.

Quando furono davanti alla porta d’ingresso l’ex ispettore si accorse di tremare.

«Oh, avanti! Con me non hai fatto tutte queste storie!» disse la moglie per allentare la tensione; Mauro le rivolse un sorriso divertito.

«Perché tu non mi hai visto prima di incontrarti! Busso?»

«No, ma che dici? E se aprisse Tiberio? Vuoi fargli prendere un infarto? Ho le chiavi»

Il suono del pezzo di metallo che girava nella toppa risuonò nel silenzio e fece rabbrividire entrambi. Germana entrò silenziosa e Mauro le scivolò dietro chiudendo dietro di se la porta. La donna si diresse in salone chiamando gli uomini di casa.

«Mamma!» esclamò Ettore correndole incontro e saltandole al collo.

La giornalista lo prese tra le sue esili braccia e lo strinse al suo petto con un gioia che non sapeva descrivere.

«Io e il nonno siamo appena tornati!» disse il piccolo, pronto a raccontare alla mamma la sua avventurosa giornata di asilo.

«E dov’è ora il nonno?» gli chiese Germana con una certa impazienza nella voce.

«Sono in camera!» urlò Tiberio che stava sistemando alcune camice appena stirate.

«Ettore ora fai il bravo e guarda i cartoni alla tv mentre io parlo con il nonno, va bene? Più tardi mi racconti tutto quello che hai fatto oggi!»

Il piccolo annuì con un sorriso e si sedette sul divano; la giornalista accese la tv al canale giusto e poi, dirigendosi verso la camera dell’uomo, diede una breve occhiata al marito che era rimasto sulla soglia della porta, ancora con il respiro mozzato per aver sentito per la prima volta la voce di suo figlio. Lei bussò lieve alla porta del suocero chiedendogli il permesso.

«Certo, cara: entra! Ah, visto che ci sei, mi passeresti la camicia azzurra che è sul letto?»

Germana fece quanto chiesto cercando di placare i battiti del suo cuore. Quando l’uomo ebbe sistemato le ultime camice, si voltò a guardare la nuora e non poté non notare quel lieve rossore che le colorava le guance e la luce che le animava gli occhi marroni. Il suo cuore perse un colpo: sapeva benissimo che quel giorno sarebbe arrivato e sapeva anche che era giusto così, eppure non poteva fare a mano di sentire un lieve dolore all’altezza del cuore. Era da quando Mauro era andato via che il volto di Germana non era stato tanto colorato e i suoi occhi tanto luminosi e questo non poteva che significare una cosa: un uomo – un altro – era entrato nella sua vita, aveva risvegliata dal sul invernale letargo e nonostante egli stesso l’avesse più volte incoraggiata a rifarsi una vita, ora che stava accadendo – perché non c’erano altre spiegazioni a quel radicale mutamento – sentiva quasi come se la memoria di suo figlio fosse stata in qualche modo usurpata.

«Devo parlarti» disse lei sedendosi sul letto.

«Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» confessò lui accogliendo l’invito della donna a sedersi accanto a lui.

«Lo… sapevi…?» balbettò lei confusa.

«Certo. Insomma è normale…» continuò lui cercando di apparire quanto più possibile felice.

«Beh, mica tanto…» sorrise lei ancora confusa.

«Ma sì. Ti dico! Sono passati tre anni, era pure ora che tu… insomma…» faceva male, più male di quanto credeva… Adesso non avrebbe potuto neanche più dire ad Ettore che suo padre sarebbe tornato presto…

«Tiberio, io non so di cosa tu stia parlando… ma devo dirti una cosa molto importante. Non so quali sono le parole giuste per…» ma la sua tentennante voce fu bloccata da quella squillante di suo figlio.

«Papà!» aveva semplicemente esclamato il piccolo che, corso in corridoio per sentire “il discorso dei grandi”, aveva visto la figura di Mauro ferma nel corridoio con le spalle contro la porta d’ingresso.

Germana rimase a bocca aperta: lei si stava sforzando di introdurre la questione con quanto più tatto e calma possibile ed il figlio, invece, aveva vanificato tutti i suoi sforzi con un semplice grido; di fronte a lei il volto di Tiberio non poteva essere descritto: semplicemente non aveva espressione perché l’uomo non sapeva cosa dire, né cosa pensare.

Poi, ad un tratto, senza alcun preavviso, si alzò di scatto e si diresse fuori dalla stanza, in corridoio; ma il suo corpo si blocco dopo soli pochi passi, gli occhi stanchi fissi sull’impossibile e la mente che ancora si rifiutava di connettere. Davanti a lui, sull’uscio, suo nipote Ettore era stretto al petto di un uomo… un uomo che aveva il volto nascosto nell’incavo della piccola spalla del bambino, un uomo che Ettore aveva chiamato “papà”, un uomo troppo simile a suo figlio…

Il colpo di grazia, quello che gli fece girare la testa e capire che, infine, la pazzia l’aveva preso, fu vedere il suo sguardo velato di lacrime quando alzò gli occhi sulla sua tremante figura. Quegli occhi… quegli occhi erano solo i suoi, solo di Mauro, del suo Mauro… dell’impossibile.     

«Oh, Dio!» esalò in un sussurro, poi le gambe non ressero il suo peso e semplicemente si accasciò a terra sotto lo sguardo sconvolto di Germana e Mauro.

Ettore scese dalle braccia paterne e Mauro corse verso Tiberio, lo prese in braccio – notando quanto fosse leggero – e lo stese sul divano del soggiorno; Germana prese un bicchiere d’acqua in cui aveva sciolto dello zucchero, poi si sedette sul divano accanto all’anziano che era davvero pallido.

«Papà…? Papà, mi senti…?» sussurrò l’uomo dando dei lievi colpetti sul volto del padre e sentendo uno strano calore invadergli il petto: da quanto non pronunciava quella parola?

Lentamente il vecchio sembrò riacquistare il colorito, le palpebre tremarono lievemente e infine si svegliò. Notò per primo il volto sorridente di Germana a cui sorrise di rimando, poi la testolina del nipote che sfiorò con la sottile mano e infine i suoi occhi si posarono sulla figura ancora pallida del… figlio. Prima che potesse dire una qualsiasi cosa fu Mauro a prendere parola, con la voce spezzata e le labbra tremanti.

«Ma che scherzi sono, eh papà? M’hai fatto prendere un colpo!»

«Un colpo?! Un colpo l’ho preso io quando ti ho visto!» sussurrò lui senza riuscire a staccare gli occhi da quelli del figlio: gli erano mancati troppo per potersene saziare in così poco tempo.

«Ma… ma… come…?» tentò.

Mauro gli accarezzò la guancia bagnata con la sua mano sorridendo anche lui tra le lacrime.

«Ci sono tante cose di cui devo parlarvi… tanti momenti che dobbiamo recuperare… E credo che ‘sta storia non sia giunta alla sua fine»

Tiberio si slanciò verso il figlio e lo strinse forte a se: non sapeva come potesse essere possibile e in fondo, in quel momento, non gliene importava poi molto. Mauro era lì con lui, con loro: era questo l’importante; il resto avrebbe potuto aspettare anche decenni.

«Papà?» chiamò Ettore con timore, Mauro si voltò verso di lui «Ora non andrai di nuovo via?» sussurrò con gli occhi che luccicavano per l’importanza della domanda.

L’uomo lo guardò negli occhi che – solo ora lo aveva notato – erano di un verde tanto chiaro da togliere il fiato, bellissimi e profondi, gli occhi di suo figlio.

«No, piccolo mio: non me ne andrò mai più…» poi non riuscì più a continuare: le parole gli si erano bloccate in gola e non poté fare altro che stringere forte a se Ettore versando lacrime che non potevano essere più nascoste e che, in verità, neanche lo volevano, mentre il piccolo cingeva con le esili braccia la sua schiena, poggiando la testolina sulla sua spalla.

«Bentornato, papà!»

 

 

Continua a girare in macchina senza trovare pace. Tornare a casa non ha alcun senso: se si ferma dà tempo al cervello di pensare e quella è l’unica cosa che vuole evitare. Le parole del padre gli rimbombano ancora nella testa senza possibilità di essere dimenticate. Vuole rivederlo, dopo 5 anni di tormenti vuole rivederlo perché sta male, perché ha paura di non farcela. E quando è stato male lui? Dov’era suo padre quando lui, chiuso nella sua stanza piangeva e si disperava? Allora non aveva voglia di parlargli, allora voleva solo umiliarlo, ricordargli ogni attimo della sua vita che lo aveva deluso, che lui – come uomo – non poteva accettare che il suo unico figlio fosse gay. Era stato male per tanto tempo, era addirittura arrivato a convincersi che fosse colpa sua prima di lasciare casa per sempre e buttarsi tutto alle spalle entrando in polizia. Ed anche lì non era stato sempre tutto “rose e fiori”: dei giorni avrebbe voluto chiamare casa e sentire la voce di suo padre che gli chiedeva come stava, se aveva problemi… avrebbe voluto fare tutto quello che fa un figlio con un padre in una famiglia normale… ma la sua non è una famiglia normale. E adesso dopo tanti, troppi silenzi, suo padre chiama perché vuole parlare… ma andasse a fanculo! Mauro dice che sta sbagliando, che deve dargli una seconda possibilità, che si vive male con i rimorsi, ma lui non ce la fa: le ferite sono troppo fresche perché le consideri acqua passata, sta soffrendo ancora ora per tutto il male che gli ha fatto… non vuole vederlo di nuovo, ha troppa paura di soffrire ancora, di stare male e non riuscire più a rialzarsi.

Mentre fa l’ennesimo giro senza alcuna meta sente la radio della sua volante.

«Richiesta di rinforzi da parte dell’ispettore capo Belli: convergere tutte le vetture in Via dei Casali Romagnoli, è in corso una sparatoria. Ripeto: sparatoria; convergere tutte le vetture in Via dei Casali Romagnoli»

Senza neanche doverci pensare, Luca ingrana la marcia e si dirige sul posto con una strana ansia che gli strozza il respiro. Quando arriva, l’aria ha già disperso il rumore dei proiettili sostituito da quello delle sirene dei colleghi e dell’ambulanza. C’è un uomo steso a terra. Luca rabbrividisce, prega di aver visto male mentre istintivamente scende dalla macchina e corre verso Roberto. Steso, poco distante dal commissario, Mauro respira a fatica, un foro rosso all’altezza del petto.

«Dio mio…» sussurra portando una mano alla fronte, sconvolto e senza riuscire a staccare gli occhi dall’amico agonizzante.

Non riesce a dire nulla, non riesce neppure a pensare mentre gli infermieri lo caricano sulla barella e Roberto sale per accompagnare l’amico in quella corsa contro il tempo e la morte. La testa gli dice di salire con lui sull’ambulanza, ma le gambe pesano come piombo e non gli permettono di fare un passo. Solo quando ormai la vettura e in moto, riesce a camminare; si avvicina alla pozza di sangue lasciata dall’amico e raccoglie la sua pistola, con gli occhi appannati dalle prime lacrime.

Sale veloce in macchina e si mette all’inseguimento dell’ambulanza; non sa con quale forza riesce a chiamare Ugo per avvertire il Commissariato della situazione.

«Hanno sparato Mauro!» grido con la voce che ormai ha assunto il tipico tono del pianto «Sta male…» poi non riesce a continuare e attacca, mentre ormai sono giunti in ospedale.

Segue correndo la barella, incurante delle lacrime che ormai scendono senza tregua sul suo volto finché sia lui che Roberto sono costretti a fermarsi mentre i medici entrano con il ferito in sala operatoria. Luca non riesce a respirare: è successo tutto talmente velocemente che non se ne rende ancora realmente conto. Un attimo prima Mauro è con lui e gli sta dicendo di parlare con suo padre e un attimo dopo è sul lettino della sala operatoria con un buco nel petto. Il gelo lo avvolge mentre si appoggia ad una colonna e si stringe nel suo giubbotto di pelle marrone.

Anna li raggiunge in ospedale pochi minuti dopo. Con lei non serve parlare: basta guardasi per capire ogni cosa ed infatti lei non chiede nulla, ha capito che la situazione non è affatto buona; solo lo stringe a se e Luca piange sulla sua spalle senza alcuna vergogna. Poco dopo è Irene ad arrivare, correndo, mentre Luca è di nuovo appoggiato contro una colonna ed Anna è seduta con lo sguardo perso nel vuoto.

«Luca…?» lo chiama, ancora con il fiatone.

«Lo stanno operando…» sussurra lui intuendo la sua muta domanda.

«Quant’è grave?»

«Non lo so… non te lo so dire…» poi sospira, mentre gli tornano alla memoria le immagini di poco prima, il corpo di Mauro, il suo sangue sull’asfalto; gli gira lo stomaco «Quando l’ho visto io, non stava per niente bene…» poi non ce la fa a continuare e ci copre gli occhi con una mano asciugando le lacrime che li imperlavano.

All’improvviso Anna si alza e si avvicina ai due guardandoli; forse vorrebbe dire qualcosa, ma non ne è capace e si limita a passare tra i due sfregandosi convulsamente le mani chiuse a pugno, mentre da dietro alla colonna, dove sta fermo Luca, giunge con volto scuro Alessandro che subito stringe a se Irene. L’attesa è snervante, Luca non riesce ancora a rendersi conto di ciò che è successo, prega solo che sia tutto un sogno e si ripete che presto si sveglierà e sarà tutto a posto… ma non ci crede neanche lui. Non riesce a scostarsi da quella maledetta colonna mentre vede i suoi compagni muoversi agitati, alzarsi per poi sedersi di nuovo, guardarsi tra loro in cerca di un conforto che non esiste. In breve perde la concezione del tempo e non sa che ore siano quando Vittoria, Ugo e Giuseppe giungono in ospedale. La donna lo stringe a se piangendo, mentre i due uomini chiedono informazioni ai presenti, ma nessuno sa nulla: Mauro è ancora in sala operatoria.

Dopo poco anche Roberto, che non si era mosso dalla porta della sala, li raggiunge in corridoio. Nessuno riesce a chiedergli qualcosa, nessuno tranne Ugo i cui occhi azzurri lo pregano di avere notizie positive.

«Come sta?» sussurra con un mezzo sorriso, come se volesse incoraggiarlo.

Gli occhi umidi di Roberto incontrano quelli azzurri: non sa come, ma deve dir loro la verità; una verità che Luca ha già capito, ma che non può, non vuole accettare.

«Non c’è più… non c’è più…» dice scoppiando a piangere più forte.

L’incredulità avvolge gli uomini del X: Mauro è andato via, per sempre… è stato tutto così veloce che nessuno di loro sa come reagire se non abbracciandosi e piangendo forte come solo in pochissime altre occasioni. Luca si dispera senza più pudore: pensa alle parole che Mauro gli aveva detto quella mattina, a quanto fosse buono, a quanto lo avesse aiutato… e al fatto che non lo rivedrà mai più, che non potrà più parlargli…

Quante cose avremmo potuto fare ancora insieme… io non posso… non ce la farò senza lui…

Scivola contro la colonna come schiacciato da un peso enorme, insostenibile e vorrebbe solo addormentarsi e non svegliarsi mai più… In fondo se questo diritto se l’era preso Mauro senza avvisare nessuno, perché non avrebbe potuto farlo anche lui?

 

C’è solo bianco intorno a lui. Luca vede bianco a perdita d’occhio e lentamente perde la concezione delle dimensioni: gli sembra di fluttuare nell’aria. Prova a muoversi senza sapere se ha successo, ma stranamente tutto ciò non lo sorprende: è come se fosse normale muoversi in quel modo e con quell’incertezza. Dopo poco il bianco comincia lentamente a cambiare dissolvendosi come nebbia e Luca vede davanti a se una grande distesa verde: man mano che la nebbia si dilata il commissario comincia a distinguere vari particolari in quel prato verde e avvicinandosi scopre tante lapidi color crema con su incisi vari nomi in nero. Il giovane non ne è sorpreso o turbato: è come se, adesso che lo ha scoperto, abbia sempre saputo di trovarsi in un enorme cimitero.

Comincia a camminare, incerto sulla strada da prendere; sfila attraverso le lapidi distinguendo i vari nomi incisi in marmo nero: alcuni li conosce, gli suonano familiari e sforzandosi riesce a collegarli anche a dei volti, ma tutti i ricordi sono stranamente offuscati e anche lui si sente stanco, non ha voglia di riflettere; altri nomi, invece, non gli dicono proprio nulla, stranieri, inesistenti finché non li ha letti e comunque, anche allora, destinati all’oblio.

Continua a camminare con passo sempre più lento e stanco, fino a giungere ad una lapide dietro la quale c’è un grosso albero probabilmente centenario. Il marmo della lapide attira la sua attenzione: nonostante ci fossero diversi mazzi di fiori sulla tomba, a differenza degli altre, nessuno nome spezzava la morbida e candida armonia del bianco della lapide. Luca rimane a guardare stranamente interessato quell’insolito spettacolo: qualcosa lo attira, anche se non sa cosa sia; sente di conoscere il nome mancante sulla lapide, ma in quel preciso istante proprio non gli viene in mente.

«Luca…? Luca…»

Una voce scuote il commissario dal suo ragionamento. Si volta in cerca della donna che lo ha chiamato, perché si tratta della voce di una donna, ma non vede nessuno: è completamente solo mentre la piana verde sembra ingrandirsi e lui si rimpicciolisce sempre più. 

«Luca…? Luca… Apri gli occhi, su… Luca…»

Ancora quella voce che, con una nota preoccupata nel suono, lo chiama ed ora gli sembra così famigliare… Posa di nuovo il suo sguardo sulla lapide senza nome.

Aspetta pensa aspetta ancora un attimo: io conosco il nome che manca…il nome…Mauro! Manca il nome di Mauro! Mauro… non è morto! Lui è ancora qui, per questo questa lapide è bianca… io… io devo parlarne, devo fare qualcosa. 

L’uomo aprì di scatto gli occhi, come se non stesse dormendo, ma solo riflettendo. Anna occupava gran parte del suo campo visivo: i suoi occhi erano velati da una lieve preoccupazione e le labbra increspate da un’espressione di concentrazione.

«Luca!» esclamò con un sorriso sollevato «Ti sei svegliato finalmente! Mi hai spaventato…»

«Scusa…» disse lui automaticamente ripensando ancora al sogno appena fatto… a Mauro…

«Tutto ok?» chiese la ragazza notando il suo strano comportamento.

«No… in realtà no…»

Sapeva di doverle parlare di quello che era successo nella missione: non avrebbe retto ancora per molto e – sinceramente – neanche voleva più mantenerlo quel segreto. Anna doveva sapere, tutti dovevano sapere!

L’ispettrice si sedette sul divano dove Luca si era addormentato e puntò il suo magnetico sguardo su di lui in attesa di spiegazioni.

«Anna…» non sapeva da dove cominciare: come si faceva a dire una cosa simile? «Non prendermi per pazzo ti prego… ma devo dirti una cosa importante, che… che non capita tutti i giorni»

Anna annuì ed il commissario si decise ad andare avanti.

«Durante la missione sono stato più volte sul punto di essere scoperto, ho rischiato di morire molte più volte di quanto immagini… e se sono qui è grazie ad una persona…»

«Di chi parli?» chiese lei, senza capire che cosa volesse dirgli Luca.

«Parlo della stessa persona che vi ha avvertiti del mio ferimento… la stessa che ha fatto si che la DIA mi trovasse e mi portasse via giusto in tempo…»

«Ma io credevo che fossi stato tu ad avvertire la DIA… e poi, scusa, che ne sai che un uomo ha avvertito Elena del tua situazione?» c’era qualcosa che non andava, lo sentiva.

«Perché questa persona era con me nell’Organizzazione ed è grazie a lei se la mia copertura ha tenuto quasi fino alla fine…»

«Quasi fino alla fine? Che intendi con “quasi”?»

«Si, quasi… perché poco prima che la DIA arrivasse… Ma non è questo il momento! Io voglio parlati di questa persona… Anna, è Mauro! È il nostro Mauro che mi ha aiutato!»

La ragazza rimase qualche istante interdetta, poi sorrise.

«Luca, io capisco che questi ultimi giorni sono stato molto stressanti e traumatici per te... ma stavolta ne hai sparata una davvero grossa! Mauro è morto da tre anni ormai!» disse: ovviamente non lo credeva… e come avrebbe potuto?

Luca sospirò scuotendo la testa: sapeva che sarebbe stato difficile, ma ormai il grosso erra fatto, non poteva lasciar perdere proprio ora.

«No, Anna! È la verità! Ti devi credermi!»

«Come?» chiese lei, un po’ innervosita.

«All’inizio anch’io credevo di essere impazzito, poi, però, Mauro mi ha spiegato ogni cosa. Prima che lo operassero due uomini della DIA sono andati dal dottore che stava per provvedere all’intervento e gli hanno imposto che, qualunque fosse stato il suo esito, lui avrebbe dovuto comunicare la morte di Mauro. In seguito l’hanno trasferito in una piccola clinica poco distante da qui dove si è ripreso subito: la ferita era meno grave di quanto paresse all’inizio»

«E perché avrebbero dovuto fare tutto questo?» chiese, interrompendolo, lei ancora un po’ scettica.

«Mauro è sempre stato un ottimo ispettore e negli ultimi tempi si era particolarmente distinto… così quelli della DIA hanno pensato che un uomo del genere avrebbe fatto al caso loro… Per tre anni Mauro ha fatto missioni sotto copertura senza alcuna possibilità di potersi ribellare: per tutti lui era morto e lui, da solo, non poteva far nulla per cambiare le cose…»

Luca si accorse che nonostante conoscesse la storia ormai da tempo, faceva ancora un certo effetto pensarci e parlarne gli aveva fatto tremare più volte la voce. Anna lo guardava sconvolta: il commissario era fin troppo serio, fin troppo lucido per essere in preda al delirio… ma allora doveva davvero credere a quel racconto? Doveva davvero pensare che per tutto quel tempo Mauro era sempre stato in vita e magari neanche così lontano da loro?

«Mi credi?»

«È tutto talmente assurdo…»

«Lo so… eppure è la verità… io non inventerei mai una cosa simile.. e poi a che scopo?»

Già, a che scopo? Sì, lo credeva… in fondo era tanto facile pensare che fosse ancora con loro… quante volte lo aveva desiderato dopo la sua “morte”?

«Mi credi, Anna?» domandò di nuovo lui con insistenza.

«Si… si… ti credo… io… solo non so che pensare… insomma… ora dov’è?»

«A conclusione della missione è sparito, come sempre… e la DIA ha mandato uno dei suoi uomini a dirmi di dimenticare tutto… Ma io non posso: insomma Mauro ha diritto a tornare alla sua vecchia vita, per quanto sia difficile!»

Anna annuì: aveva ragione… ma se era andato via in che modo lo avrebbero trovato? Loro erano solo in due e la DIA avrebbe trovato il modo di zittirli subito. Luca parve leggerle nel pensiero.

«Lo so che da soli non possiamo far nulla… per questo ho intenzione di parlare con qualcuno che potrà darci una mano» poi strinse a se Anna, felice di averle detto tutto ed anche lei lo abbraccio, mentre le prime lacrime scendevano sul suo volto e bagnavano la spalla del commissario: solo in quel momento mente e cuore avevano messo davvero a fuoco tutta la situazione…

Quando si staccarono con un sorriso, Luca prese il cellulare e compose un numero telefonico con mano lievemente tremante.

«Chi chiami?»

«L’unico che può darci davvero una mano» disse lui serio.

Attese quei pochi secondi in cui il telefono squillava con un ansia tremenda tamburellando con le dita sul tavolino di legno.

«Pronto?»

A Luca mancò il fiato: per un attimo ebbe la tentazione di chiudere tutto e rinunciare, poi si diede dello stupido e prese fiato.

«Roberto? Sono Luca… senti è urgente: ho bisogno di incontrarti qui a Roma!»

 

 

 

 

LO SPAZIO DELL’AUTRICE

 

Salve a tutti!! Prima che mi uccidiate sul serio stavolta, ci tengo di nuovo a scusarmi per il mio spaventoso ritardo… ma stavolta ho scritto un capitolo lunghissimo, dunque mi ci voleva più tempo! u.u

A proposito di lungo capitolo… questo è davvero enorme, vero?? Mi spiace… perché molti di voi si saranno sicuramente scocciati a leggerlo! Ho anche pensato (con il suggerimento di mio fratello) di dividerlo in due, ma non sapevo davvero come e dove interromperlo e poi era stato concepito come un capitolo unico e non me la sentivo davvero di postarlo in due volte… Dunque sopportatelo! Nel caso siate riusciti a leggerlo tutto… che ne pensate? Ho dato sfogo davvero a tutte le mie risorse e mi sono anche valsa dell’aiuto di alcuni frammenti di episodi delle varie serie (rispettivamente 07x26; 03x23 ; 03x26 e 06x03 ; 06x09)… Ora le cose sembrano essersi sistemate per il meglio e Luca sembra finalmente aver preso un’importante decisione…

 

Intanto ringrazio i miei angeli:

Barby_19  Sono sollevata che tu non sia rimasta delusa dallo scorso capitolo… in fondo l’avevo buttata giù pesante… ma ora credo tu abbia capito perché… Questo capitolo cosa te ne pare? Lunghetto, eh? Ma spero che x te sia valsa la pena leggerlo… Un bacio…

Tinta87  ^^ felice di non averti delusa!! Ormai so di essere molto… ehm… contata se ogni volta intuite sempre tutto!! Vbb… almeno riesco sempre a sviarvi…Ora le cose sembrano essersi sistemate no?? Manca giusto un ultimo tassello! Ti ringrazio x i tuoi immancabili complimenti… -^^- e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Aspetterò con pazienza e voglia di leggere i tuoi futuri aggiornamenti, cara! Un bacio…

Dani85  Oops… è vero… sono stata un po’ cattivella a buttarla giù così pesante con Anna, ma in fondo tutte quelle ansie hanno un perché!! E poi dovevo pur sviare in qualche modo tutti i lettori che avevano capito da subito che l’ispettrice era incinta, no?? Mi sto accorgendo che mi riesce particolarmente bene… Ora penso che tu abbia capito perché Anna sia così giù anche se adesso sembra andare tutto per il meglio… Che te n’è parso di quelli che tu hai chiamato “prossimi sviluppi” per quanto riguarda Mauro?? Spero che in generale il capitolo sia stato di tuo gradimento! Eh, eh.. Davide… è Davide… poi vedrai nell’epilogo che… No! Devo stare zitta!!! Per una eventuale nuova FF su Distretto… non so: con questa ho dato sfogo a tutta la mia fantasia, ma mai dire mai!! Alla prossima, un bacio…

Lyrapotter  Non preoccuparti x le mancate recensioni… Mi fa sempre piacere leggerle, ma ovviamente non sei tenuta recensire sempre!! Davide ha avuto un gran cuore: Luca gli ricordava troppo suo figlio e poi lui stesso era stanco di tutti quei crimini… Anche tu, come tutti, avevi capito che Anna era semplicemente incinta… (uff… come sono scontata!); spero che ora ti sia chiaro il motivo di tutta quell’ansia! Allora… diciamo che dei tuoi ordini per questo capitolo sono riuscita a rispettare quasi tutto: ho evitato la strage alla DIA solo perché sarebbe stato troppo complicato fare uscire il X pulito da quella situazione… ma per il resto ci siamo no?? Felice?? Alla prossima, un bacione…

Uchiha_chan  Spero che ora ti siano chiari i motivi che hanno indotto Anna a stare tanto male… Confido che anche stavolta l’attesa sia stata ripaga, perché in caso contrario sono sicura che farei bene a guardarmi le spalle, giusto? Le tue parole sul mio stile mi fanno arrossire, cara: mi sopravvaluti, non sono tanto brava… Cosa ti è parso di questo lungo (forse fin troppo) capitolo? Un bacione…

Luna95  Hihihi… mi sembra di capire che tu sia molto felice del fatto che Anna sia incinta! Cosa te ne pare di questo capitolo? Spero che tu riesca a capire tutti i passaggi perché stavolta sono andata a finire anche nelle scorse serie… in ogni caso ponimi tutte le domande che vuoi, cara!! Un bacione…

Buffy86  Sono contenta che i miei aggiornamenti ti facciano fare i salti di gioia!! -^^- davvero lusingata!! X Mauro hai avuto ragione a credere che non fosse finita qui la storia… come infatti… che te n’è parso di questo capitolo?? Ora sembra essersi tutto chiarito, no?? Sono una grande?? Mah… non esagerare… sono solo una che ha deciso di rompere le scatole con un’insignificante ff… nulla più! Un bacione…

Metaipod  Grazie per la tua recensione e per aver messo la storia tra le preferite!! -^^- Sono contenta che la storia ti intrighi molto… che te ne pare di questo enorme capitolo?? Un bacione…

 

Allora… prima di concludere volevo solo dire che questo capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno seguito la storia commentando e dandomi la spinta ad andare avanti. Stavolta per scriverlo ho dovuto fare una veloce revisione del passato di Distretto ed è stata una cosa meravigliosa che non sarebbe accaduta se non fosse stato per voi… dunque GRAZIE!!

Mi sa che sono proprio costretta a dirvi che il prossimo capitolo sarà L’EPILOGO!! Su, su placate i vostri

salti di gioia e le vostre grida di felicità!! Lo scriverò con gioia, ma anche tristezza… e…

Vbb… non mi sembra il caso di parlarne ora… Insomma ci sarà tempo per farlo la prossima volta!! Un grazie anche a tutti i silenziosi lettori…. Al prossimo capitolo!!! Un bacione enorme…

 

La vostra Alchimista <3<3

 

 

 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


CAPITOLO 14°_ EPILOGO

 

…Nonostante la punizione inflitta a Prometeo – che è durata 10.000 anni –, Giove non è ancora soddisfatto e brava ancora vendetta per il torto subito. Così sceglie un modo più subdolo e nascosto per farla pagare al titano: ordina a Vulcano di fabbricare una donna di ammirabile bellezza, la prima. Tutti gli dei dell’Olimpo festeggiano la creazione della fanciulla con un sontuoso banchetto e le portano innumerevoli doni: Atena le regala le attitudini ai lavori femminili, Afrodite accresce la sua già grande bellezza, Hermes le dà coraggio ed astuzia ammaliatrice. Avendo in tal modo ricevuto tanti doni, la fanciulla è chiamata Pandora (dal greco παν ogni e δορον doni; dunque colei che ha “ogni dono”). In seguito la fanciulla è data in sposa da Zeus a Epimeteo che altri non è che il fratello di Prometeo. Quest’ultimo scongiura il fratello di non accettare le nozze perché è sicuramente un nuovo modo per punire lui di aver aiutato gli uomini, ma non c’è alcun modo di convincere Epimeteo e soprattutto di evitare il destino che ha già stabilito ciò che sarà in futuro. Dunque Epimeteo sposa la fanciulla. La vita sembra scorrere tranquilla ed anche Prometeo – che inizialmente temeva per la sorte degli uomini – rassicura il proprio animo.

Un giorno, però, la giovane Pandora, sola in casa, è attratta particolarmente dal vaso donatole inizialmente dai re degli dei e dal suo monito sul fatto di non aprirlo mai. La curiosità la invade e la fa pericolosamente avvicinare al vaso.

Non aprirlo mai… sente rimbombare nella sua mente, ma ormai è troppo tardi per tirarsi indietro e fermare le proprie mani. Senza quasi rendersene conto si ritrova con il tappo in una mano ed il vaso, ormai aperto, nell’altra, dal quale, sottoforma di lieve nebbia, escono tutti i mali che ora affliggono il mondo.

La vendetta di Zeus è infine attuata: gli uomini, pur avendo migliorato le loro condizioni con l’intervento di Prometeo, sono condannati a soffrire il dolore, la fatica, la tristezza, la sofferenza…

 

L’orologio segnava le 6:00 da quello che a Luca pareva un secolo. Steso in canottiera e boxer sul divano del soggiorno, guardava l’aggeggio che con il suo ticchettio scandiva il tempo e che quella mattina era particolarmente snervante. Nella stanza il sole riusciva ad entrare solo grazie ad un piccolo spiraglio tra le tende creando una piacevole atmosfera soffusa. Quella notte il commissario non era riuscito a dormire: dopo tanto tempo era stato finalmente con Anna, assaporando a peno la sua presenza ed infine l’aveva sentita addormentarsi. Ma Morfeo non aveva voluto cullarlo tra le sue braccia neanche quella notte. Da quanto non dormiva come si deve? Sicuramente dall’inizio della missione… ma se allora aveva creduto che al termine di quello stress sarebbe tornato alle sue vecchie abitudini, ora si rendeva conto di aver fatto male i calcoli. Anche se la missione era finita, non lo erano ancora i pensieri che lo tormentavano e che ora ruotavano intorno a Mauro, a quello che avrebbe potuto fare per aiutarlo e all’inquietante possibilità – tra l’altro molto alta – di un suo fallimento.

Sospirò, aveva perso il conto di quante volte – anche inconsciamente – aveva fatto quel gesto.

«Luca! Luca!»  

Il grido di Anna ruppe il silenzio di quell’alba e fece sussultare Luca. Perché urlava in quel modo? Il flash back dell’ultima volta che l’aveva sentita urlare così – quando Anna aveva perso il bambino – tornò forte e reale nella sua mente lasciandolo immobile per alcuni istanti mentre le urla continuavano, come se ritardando il soccorso a quella richiesta d’aiuto avrebbe potuto evitare anche di quella raccapricciante scena. Resistette solo alcuni istanti, poi scattò dal divano e corse in camera da letto.

Entrando, i suoi occhi erano già pronti al sangue ovunque e al suo contrasto con il pallore della ragazza, ma Luca pregava ancora inconsciamente di sbagliarsi.

«Sono qui….» sussurrò senza rifletterci e nella penombra della stanza sentì Anna stringerlo a se tra gli spasmi di un silenzioso pianto. Non c’era sangue, da nessuna parte… Luca sentì evaporare un peso enorme mentre ricambiava amorevolmente l’abbraccio della ragazza.

«Cos’è successo?» le chiese poi, prendendole il viso fra le mani e facendola sedere sul letto.

Lei scosse la testa abbassandola e sentendo lo sguardo del compagno che le trafiggeva la nuca.

«Lo sai che a me puoi dire tutto…» la incoraggiò lui.

Anna parve riprendere coraggio perché alzò lo sguardo incrociando quello verde di Luca.

«Mi sono svegliata… e tu non eri nel letto… allora ho creduto di aver sognato tutto quello che è successo ieri… in un attimo mi sono sentita morire, è stato orribile…» e mentre parlava, per il ricordo della paura, alcune lacrime le avevano rigato il viso.

Luca le cacciò via con la mano: ogni volta che la vedeva piangere gli si chiudeva lo stomaco; sapeva quanto lei avesse sofferto e non poteva sopportare altro dolore: si chiedeva se ci fosse un limite per il dolore. Se, arrivati ad un certo punto, si potesse raggiungere la soglia estrema di dolore provato e non superarla in alcun caso oppure se si fosse destinati a soffrire sempre, indifferentemente dalle esperienza provate. In ogni caso sembrava che tutto quello che aveva provato fin’ora Anna non fosse ancora sufficiente.

«Ssh… sono qui, sono qui…» le ripeté mentre lei lo stringeva poggiando la testa sul suo petto.

Luca sentì nascere dentro di se emozioni che non avevano nome: si sentiva felice come non mai e allo stesso tempo una tristezza opprimente gli attanagliava lo stomaco e gli impediva di respirare. Sarebbe voluto rimanere così per sempre, stringendo a se tutto ciò che lo faceva stare bene, protetti dalla penombra della stanza e dall’inconsapevolezza del futuro… perché in quel momento voleva, aveva bisogno di nascondersi dietro quella finta ingenuità: pensare faceva male, faceva paura.

Il silenzio fu interrotto da una domanda che aveva atteso fin troppo.

«Perché non dormivi?» chiese Anna «Troppi pensieri?»

«Insicurezze… non so cosa fare, Anna! Ho chiamato Roberto, ma già so che dirgli di Mauro sarà difficile; e se anche ci riuscissi, se anche Roberto mi credesse e non volesse portarmi in manicomio, come, invece, stavi per fare tu…» e qui – non seppero davvero con che forza – entrambi risero «…chi ci dice che troveremo il modo di far tornare le cose com’erano? Insomma stiamo parlando della DIA: non possiamo semplicemente fare irruzione lì e dire che ci riprendiamo Mauro!»

«Luca, Roberto è della DIA, per questo l’hai chiamato, no? Saprà cosa fare…»

«E se invece desse ragione a loro proprio perché è della DIA?»

«Andrà tutto per il meglio: nonostante se ne sia andato da tempo, Roberto è sempre il vecchio Ardenzi del X!»

Luca sfiorò con il mento ispido i morbidi capelli dell’ispettrice, illudendosi che quelle parole lo avessero realmente rassicurato.

 

Non ricordava com’era svegliarsi rilassata dopo una notte tranquilla, senza pensieri o dolori. Per questo fu strano aprire gli occhi e sentire la mancanza di quel peso sullo stomaco e la sensazione di dover vivere ancora una giornata senza sole.

Quasi con il timore che potesse svanire tutto, aprì lentamente gli occhi e guardò verso il lato del letto dove i ricordi gli dicevano che avrebbe trovato Mauro.

Vuoto. Non c’era nessuno accanto a lei. Rimase per qualche istante interdetta, come se quella fosse una cosa assurda, nonostante suo marito fosse tornato da solo un giorno.

«Avevo dimenticato quanto fosse piacevole la brezza mattutina…» sussurrò Mauro affacciato alla finestra della stanza, di spalle al letto.

Germana sussultò, poi sorrise rassicurata da quella voce e dal fatto che non aveva sognato nulla di tutto quello che era successo il giorno prima.

«Anch’io avevo dimenticato la pace della mattina… la sensazione di un nuovo giorno che comincia, come se fosse separato da tutti i precedenti e i problemi di questi ultimi non lo riguardassero».

Mauro si voltò verso di lei con un lieve sorriso: entrambi si stavano rendendo conto di quanto avessero ritrovato. L’uomo tornò a letto stringendo a se la moglie: avrebbe voluto che quel momento non finisse mai.

«Cosa farai ora?» gli chiese ad un tratto lei con semplicità.

«Ho detto a Luca che non sarei mai tornato indietro, che non avrei in alcun modo riottenuto la mia vecchia vita… ma ora sono qui, sono tornato… Mi sembra il minimo avvertirlo di questo cambiamento» e sorrise a Germana «Poi…»

«Poi..?» continuò a chiedere lei con un sorriso: conosceva benissimo i pensieri e le intenzioni del marito.

«È difficile: mi ci sono voluti tra anni per decidermi a tornare e dirti tutto… Ora non posso semplicemente tornare dai miei vecchi amici e dire: “Salve, non sono mai morto!”. Eppure… io.. voglio, devo dir loro quello che è successo!»

«Parlane con Luca! Vedi lui cosa ne pensa a riguardo e quali soluzioni si posso trovare…»

Mauro la guardò per qualche istante ammirato: come aveva potuto farcela senza di lei restava ancora una domanda senza risposta.

Si vestì in fretta e furia – doveva essere da Luca prima che uscisse per prendere servizio – e baciò la moglie con una passione che non provava da anni.

«Sono perso senza di te…» le sussurrò, poi uscì di casa. Sì: parlare con Luca era la soluzione migliore. 

Non ci mise molto ad arrivare sotto casa del commissario: fortunatamente Luca non aveva cambiato domicilio dall’ultima volta che lo aveva “osservato”. Scese con un ansia maggiore di quella che si aspettava e – sfruttando il fatto che il cancello fosse rimasto aperto  dopo l’uscita di una macchina – riuscì ad entrare nello stabile senza che nessuno lo vedesse.

Secondo piano a desta si ripeté automaticamente, come se avesse fatto quel percorso milioni di volte, invece quell’appartamento era stato affittato solo dopo la sua “scomparsa”.

Senza neanche tentare di bloccare l’ormai abituale tremore alle mani, bussò ed attese alcuni istanti prima di ricevere risposta.

«Arrivo!» pronunciò  una voce femminile.

Femminile? In un istante, mentre dall’interno stavano per aprire, Mauro ebbe come un fulmineo flash: Luca divideva l’appartamento con Anna, Luca stava con Anna… e quasi sicuramente Anna non sapeva che lui…

Il flusso dei suoi pensieri fu bloccato dalla faccia – prima distratta, poi seria ed allibita – che gli aveva aperto la porta. Di fronte a lui una Anna in pantaloncino e canottiera lo fissava senza riuscire a pronunciare parola. Mauro la fissava a sua volta cercando un modo per spiegarle ciò che stava accadendo, ma senza successo.

«Chi è?» chiese intanto il commissario dalla cucina.

«Luca! Luca: corri!» gridò lei spaventando entrambi gli uomini.

Quando Luca fu di fronte alla porta d’ingresso il suo cuore fece una splendida capriola.

«Ma… ma tu… non avevi detto che… insomma sei andato via… Di Melli ha detto che avrei dovuto dimenticare tutto» balbettò senza poter staccare gli occhi dall’ex-ispettore.

Lui sorrise cercando – con qualche successo – di trattenere l’emozione che lo stava sopraffacendo.

«Anche quelli della DIA possono sbagliare… Insomma io … ho fatto ciò che andava fatto. Germana, mio padre e mio figlio» e sussultò a quell’ultima parola «Sanno già tutto: ho parlato loro ieri…»

«Ed ora sei qui!» pronunciò felice Anna saltando al collo dell’amico che la strinse forte a se.

Abbracciati così non sentirono il gemito di dolore di Luca, né lo videro scivolare, lento ed affannato,  contro la parete del corridoio; solo quando si separarono Mauro notò con orrore l’accaduto.

«Luca!» gridò e in un attimo Anna gli fu accanto «Oh, ma è possibile che, quando me vedono, svengono tutti?» commentò poi avvicinandosi anche lui al ragazzo.

«Non sono svenuto» replicò  ansimando il commissario «Ma questa ferita non vuole proprio lasciarmi in pace!»

«Ma perché sei uscito così presto dall’ospedale?!» continuò – stavolta realmente preoccupato – prendendo di peso Luca e stendendolo sul divano.

«Avevo delle cose da concludere e chiarire…» disse lui guardando prima Anna e poi lo stesso Mauro che sorrise.

«Tu non ti arrendi mai, eh?»

«No… non potevi chiedermi di farlo… Non dopo tutto quello che è successo, dopo tutto il dolore che…» la voce gli si strozzo in gola.

Possibile che dopo tutto quel tempo, dopo che aveva anche scoperto che in realtà Mauro era vivo, potesse ancora soffrire tanto?

«Fa ancora male, non è così?» chiese Mauro come se avesse letto il pensiero del commissario.

Luca annuì mettendosi a sedere con non poca difficoltà.

«Il fatto è che uno pensa: è vivo, bisogna essere felici… Però non è che tutto il dolore scompare come con semplice colpo di spugna! Sta lì, incurante del fatto che non abbia più motivo di esistere e capita che torna a pungere di nuovo… forse per vendetta: in fondo non gli stiamo togliendo la vita?»

I due lo guardarono senza parole: il suo discorso era stato semplicemente disarmante.

 

No, non era stata affatto una buona idea accettare di rivedere Luca e soprattutto era stata pessima la scelta di rivedersi a Roma. Perché poteva riuscire ad ingannare tutti, ma non poteva ingannare se stesso: il passato faceva ancora male.

Uno sparo dritto allo stomaco. Era bastato un semplice sparo a portarlo via… Ed erra stata tutta colpa sua: se solo gli avesse parlato subito, se solo avesse messo le cose in chiaro dal principio, forse ora… ora Mauro…

Respirò a fatica accorgendosi che gli mancava il fiato al punto da fargli girare la testa. In quegli anni aveva cercato di non pensarci, di andare avanti, vivere la sua vita senza farsi condizionare – proprio come avrebbe voluto Mauro – eppure certe notti le aveva passate in bianco  e anche se era passato del tempo le lacrime gli  avevano ricordato quanto lui e Mauro fossero legati: fratelli, più che fratelli.

«A data de scadenza è ‘na giornata come n’altra» E per lui era arrivata troppo presto: era stato già sparato, preso in ostaggio, si era scontrato con la mafia, con la pedofilia, aveva rischiato di perdere sua moglie e di veder crollare tutto per delle false accuse… Sembrava impossibile che la morte potesse sfiorarlo eppure questa, incurante di niente e di nessuno, se l’era portato così, senza preavviso, per uno stupido proiettile che in realtà avrebbe dovuto ferire lui… Doveva essere lui a morire, non Mauro.

Il sangue tinge una chiazza rossa sull’asfalto. Il freddo si impossessa delle ossa e non c’è  modo di ripararsi. Se ora avesse provato a ricordare di quella mattina, la memoria – ancora una volta – lo avrebbe tradito: c’erano così pochi ricordi di quell’episodio…. Dal momento in cui  vedeva Mauro cadere  a terra e sentiva la propria voce gridare il nome dell’ispettore, tutto si faceva confuso come se i ricordi non fossero propriamente i suoi, ma fosse semplicemente un intruso che guardava la scena senza poter intervenire. E in effetti lui non aveva potuto far nulla: le cose si erano svolte sotto i suoi occhi  senza che potesse in alcun modo provare a porvi rimedio.

I pugni di Germana sul suo petto fanno male, ma una parte di lui sa di meritarli: non è stato in grado di proteggerlo, ha lasciato che la morte portasse via un marito, un figlio e un padre, mentre il suo compito è proprio quello di vigilare sui suoi uomini. Il rischio di un capo, si era detto. Ma quante volte si era chiesto se ne fosse valsa la pena? Non sarebbe stato meglio rimanere ispettore capo, sottoposto ad un commissario più esperto e capace di lui, come la Scalise o la Corsi? Mauro sicuramente sarebbe ancora vivo e poi…

Il flusso dei suoi pensieri si bloccò in un istante. Aveva fatto quella strada istintivamente; senza rendersene conto, né programmarlo con la mente – o il  cuore? – l’aveva portato lì: Al X Tuscolano. E rivederlo fu come rincontrare un vecchio amico e in una sola volta essere assalito da tutta la nostalgia che l’aveva accompagnato durante la separazione, dai ricordi dei momenti trascorsi insieme e di quelli in cui, invece, era stato solo. Non riusciva a dire quanto gli fosse mancato e  mentre gli occhi scorrevano per quel abituale luogo, un sentimento che non sapeva chiamare si impadroniva della sua anima, facendogli prova allo stesso tempo gioia e dolore.

Ad un tratto Vittoria uscì dal commissariato. Roberto sussultò: sembravano secoli che non la vedeva. Ora riusciva a notare benissimo che era dimagrita, i capelli erano più corti di come li ricordava e c’era qualcosa nel suo modo di camminare che Roberto non aveva mai notato. Non sapeva definirlo, ma era come se il tempo fosse passato segnando il suo passaggio su quella donna. Per un istante ebbe paura di poter essere visto e riconosciuto – e perché, poi, paura? – ma subito si rese conto di essere troppo lontano. Sorrise, mettendo in moto ed andò via: forse, dopotutto, quella di venire a Roma non era stata poi un’idea tanto cattiva.   

 

Quando busso al campanello che recava su i nomi Benvenuto/Gori l’istinto gli aveva già ripetuto un paio di volte di fuggire via e chiamare Luca per dirgli che non se ne faceva più nulla e che la discussione, per quanto urgente che fosse, avrebbero potuto farla un’altra volta, magari a casa sua o per telefono.

Ora non essere sciocco! Si ripeté mentalmente e si preparò a rincontrare Luca. Fu difficile estremamente difficile far coincidere il viso da ragazzino imberbe con i capelli lunghi e lisci con quello da uomo, serio con i capelli corti e la barbetta che gli contornava le labbra rosee. Per qualche istante rimase spiazzato, quasi credette di aver sbagliato indirizzo, eppure sul campanello c’era proprio scritto Benvenuto.

«Luca…» sussurrò indeciso se dare alla frase intonazione di domanda.

«Roberto!» lo chiamò quello e fu solo allora che l’ex commissario ebbe la certezza che quello fosse il suo vecchio amico; con gli occhi lucidi entrò e lo abbracciò con forza: era vero, Mauro non c’era più e questo faceva male, ma ora aveva capito che era stato un grosso errore tagliare in una sola volta i rapporti con tutti gli altri colleghi del X. Sarebbe stato tutto molto più facile con loro…

«Vieni: Anna è in salone» lo invitò il commissario.

Roberto lo seguì ancora un po’ indeciso: sentiva una strana tensione nell’aria. Nonostante Luca sembrasse calmo, non aveva dimenticato la chiamata della sera precedente, né il tono serio con cui Luca gli aveva chiesto di venire a Roma quanto prima.

«Roberto!» gridò Anna e i due si strinsero forte: senza sapere bene il perché, Roberto si sentiva molto confortato dal fatto che, almeno fisicamente, la Gori non era cambiata molto dall’ultima volta che si erano visti: aveva solo i capelli più corti che ora le arrivava alle spalle.

«Come stai?» le chiese mentre entrambi si sedevano sul divano.

«Bene, ora bene…» disse lei, lanciando un’occhiata sfuggente al commissario, occhiata che non passo inosservata a Roberto. Sorrise: si era mosso qualcosa fra quei due, vero?

«Noto…» sussurrò e Anna arrossì per il significato fin troppo chiaro delle sue parole.    

Mentre ancora sorridevano e gli sguardi dicevano molto più delle parole circa gli ultimi avvenimenti, il cellulare di Luca squillò interrompendo quella calma che sia lui che Roberto potevano considerare solo la quiete prima della tempesta.

«Pronto? Sì, Elena… No: sono ancora a casa…No, nessun problema: ho solo una faccenda da sbrigare con un uomo della DIA. Ma sì, ti dico che è tutto ok! Ah… un omicidio…? Sì, andate tu e Ale ok? Sì, a dopo. Ciao» ripose il cellulare con lentezza.

«Problemi?» chiese Anna.

«C’è stato un omicidio: ho mandato Elena e Alessandro…»

«Hai mandato…?» ripeté Roberto con fare interrogativo ed occhi sgranati.

I due si voltarono e Luca sorrise riflettendo sul gran numero di volte che la scena si era ripetuta in quegli ultimi mesi. Perché si erano persi di vista a tal punto da non conoscere neanche i rispettivi gradi che ricoprivano? Era stato davvero un grosso errore…

E ci voleva il ritorno di Mauro per farci capire che stavamo sbagliando…? si chiese Luca.

«Sono diventato il Commissario del X…» confessò con un sorriso modesto.

Roberto lo guardò con occhi ammirati.

«E pensare che io ti avevo lasciato Agente Scelto!» commentò felicemente sorpreso.

«Come Mauro…» si lasciò scappare Luca credendo di aver soltanto pensato quelle parole a cui, invece, aveva dato forma sonora.

In un attimo si rese conto di ciò che aveva fatto e subito il suo sguardo fissò Roberto che aveva sentito chiudersi lo stomaco al suono di quel nome.

«Se potesse vederti, anche lui sarebbe fiero di te…» sussurrò triste l’uomo.

Lo sono. Da dietro la porta del soggiorno Mauro ascoltava il dialogo con il cuore che batteva all’impazzata e il fiato grosso. Rivedere Roberto dopo tutto quel tempo gli aveva fatto uno strano effetto… diverso da quando aveva rivisto la sua famiglia; ancora una volta stava provando l’impulso di uscire allo scoperto fregandosene di tutto per placare quel dolore che aveva sentito nella sua voce: perché lui lo sapeva, sapeva che l’amico non aveva mai smesso realmente di soffrire.

Sta zitto e fermo! Nu fa cazzate! si ripeté: Luca aveva detto che ci avrebbe pensato lui ad introdurre l’argomento con tatto, ma l’ansia e la tensione lo stavano consumando.

«Era proprio di questo che volevo parlarti…» si buttò avanti il commissario cercando di reprimere quanto più la tensione che sentiva salire e attanagliarlo. Roberto sorrise.

«Beh, ma allora non c’era bisogno di fare tanto il misterioso! Credevi che se mi avessi dato la notizia per telefono non sarei venuto? Che scemo che sei! Mi sa che dobbiamo proprio…»

«Non è della promozione che volevo metterti al corrente» lo interruppe lui serio «Mi hai frainteso: io volevo parlarti proprio di Mauro…»

Il sorriso si spense dal volto di Roberto. Mauro? E perché mai, a tanti anni di distanza, Luca voleva proprio parlargli di Mauro? In realtà lo aveva sospettato: stranamente dal momento in cui aveva chiuso la chiamata, la sera prima, aveva sentito incombere su di lui l’ombra del passato e particolarmente quella di Mauro. Aveva voluto convincersi che tutto era stato causato solo dal fatto che non sentiva Luca da tempo e che sarebbe dovuto tornare a Roma, ma ora si rendeva conto che aveva intuito tutto dall’inizio.

«Perché vuoi parlare di Mauro?» chiese con voce stranamente tesa.

«Perché ci sono tante cose che non sai e che è arrivato il momento di conoscere…»

Roberto e Luca rabbrividirono: a parlare non era stato il commissario del X, bensì proprio Mauro entrato nella stanza sopraffatto dalla voglia di agire e cosciente della reale difficoltà di Luca di spiegare l’accaduto. Lui aveva convissuto per anni con quella difficoltà.

Roberto non sapeva come reagire. Impossibile gli gridava la sua mente, eppure il cuore era talmente lieto di vederlo, avrebbe voluto illudersi che tutto ciò fosse reale: perché la razionalità doveva spezzare anche quel bellissimo miraggio?

«Credimi… non è altro che la realtà… Roberto…» lo rassicurò l’ex ispettore, leggendo con facilità il pensiero del compagno.

«Ma come… come è possibile che tu…» balbettò l’altro.

«La DIA… è una storia lunga… che finalmente è venuta allo scoperto…»

E poi non ce la fecero più a rimanere lì fermi, a guardarsi dopo tanto tempo senza colmare quei centimetri che li separavano e furono l’uno nelle braccia dell’altro, con le lacrime che festeggiavano felici l’incontro tra due fratelli, due anime affini che si era ritrovate dopo tanto tempo, che avevano condiviso sofferenza e gioia e che ora si sentivano finalmente felici e in qualche modo completi.

«Voglio sapere tutto… tu devi spiegarmi tutto…» pretese con voce ancora malferma Roberto appena i due si separarono e si sedettero sul divano.

«È per questo che sei qui…» lo rassicurò Luca con un sorriso e ancora commozione negli occhi.

«Quando sono stato portato in ospedale, i dottori hanno subito capito che le mie condizioni erano gravi, ma non tanto quanto sembrasse: c’erano buone possibilità che ce la facessi anche se il primario non voleva esprimersi. Poi due uomini della DIA sono giunti e gli hanno intimato di dichiarare in ogni caso la mia morte perché io “facevo al caso loro”… E così tutti siete stati messi al corrente del mio decesso, mentre io sono stato trasportato in una clinica privata fuori Roma. Ho visto il mio funerale Roberto… è stato straziante e…»

«Io ti ho visto…» sussurrò all’improvviso l’altro bloccando il racconto «Credevo che fosse la mia mente… pensavo di averti immaginato… mi hai sorriso, piangevi…»

«Avrei voluto parlati, spiegarti ogni cosa, ma non ho potuto… Ho solo assurdamente sperato che quel sorriso ti desse la forza di andare avanti… nient’altro…» e le ultime parole parvero usate come per scusarsi.

«Non importa… Mauro… io non so che dire… è tutto così surreale. E Tiberio? Germana? Loro sanno?»

«Sì, sono stato da loro ieri…»

Roberto sorrise, non sapeva come altro reagire e temeva ancora che fosse tutto un’illusione.

«Roberto» lo chiamò Luca «Ti ho chiamato per una cosa importante: la DIA vuole di nuovo portarlo via…»

«Ma ormai non può! Ormai noi sappiamo tutto»

«Non molleranno: mi hanno intimato il silenzio nonostante sapessi tutto pur di non perdere il loro uomo…» lo informò serio il commissario.

«Il commissariato sa?» si volle informare Roberto.

«No: Mauro ha solo parlato come me, Anna, la sua famiglia ed ora con te… nessun altro ne è a conoscenza»

«Dobbiamo informare anche gli altri del X… subito! Più persone sanno più sarà difficile per la DIA riportare le cose com’erano!»

«Falla facile te!» li interruppe il diretto interessato indispettito dalla facilità con cui i due parevano condurre la questione «Come mi presento a loro? “Salve a tutti, non sono morto”?»

«Avanti su! Non fare storie: i passi più difficili già li hai fatti!» lo incoraggiò il vecchio amico.

«Già, ma ci ho messo 3 anni per farli…»

«Beh, ora hai decisamente meno tempo!» lo informò Anna e con uno scatto balzò dalla poltrona e si lanciò fuori dall’appartamento trascinandosi Mauro e seguita dagli altri due uomini.

«Quanto entusiasmo!» esclamarono entrambi con un sorriso.

 

«Ohi Ugo, Luca è arrivato?» chiese Elena di ritorno da un primo sopralluogo sulla scena del delitto che aveva visto la morte di un meccanico.

«No… non ancora…» riferì l’agente «Ah, eccolo!» si corresse immediatamente vedendo che il commissario era appena entrato.

«Ah Luca, eccoti! Senti: il morto si chiama Johan Alves, brasiliano, immigrato a Roma qualche anno fa e… Ma mi stai sentendo?»

«Sì… cioè no… Senti di questo ne parliamo dopo nel mio ufficio… ora ho bisogno che tu mi faccia un favore: chiama tutti gli agenti del distretto e radunali qui. Devo dirvi una cosa importantissima!»

Elena rimase un po’ imbambolata per la strana richiesta del Commissario, ma c’era un bagliore nei suoi occhi, una scintilla di luce che l’ispettrice non aveva mai visto e che la convinse a fare quanto le era stato chiesto.

In poco tutti erano radunati dinanzi a Luca, nel centro del commissariato come spettatori riuniti nel foro, pronti a sentire un’importantissima orazione. Luca sentì in un attimo tutto l’entusiasmo svanire ed esitò mentre anche Anna faceva il suo ingresso nello stabile e lo affiancava sorridendo.

«Beh» cominciò quello «diciamo che nella mia mente sembrava tutto molto più facile… o forse sono io che mi sto facendo mille complessi per nulla… Fatto sta che sono sicuro che nessuno di voi mi crederebbe se ve lo dicessi solo con le parole… dunque penso che sarà più efficace darvi direttamente una dimostrazione pratica…»

Le facce degli uomini del X erano accomunate da un’espressione di puro stupore per il discorso misterioso e pieno di giri di parole del loro commissario che – finanche con un sorrisetto compiaciuto per l’atmosfera che aveva saputo creare – si voltò verso l’entrata. Per alcuni secondi nella stanza cadde un silenzio surreale, carico di ridicola suspance perché se avessero saputo cosa realmente si nascondeva dietro le parole di Luca, di certo in nessuno di loro sarebbe regnata una tale ansia. Ansia che si spezzò quando entrò dalla grossa porta di ferro un uomo alto e robusto, con i capelli e gli occhi scuri ed un viso stranamente teso. Mai come in quell’istante nel distretto regnarono le emozioni più disparate: chi non comprendeva fino in fondo l’accaduto alternava lo stupore per la teatralità della scena al sollievo che l’unico motivo di tanta ansia fosse la venuta di un solo uomo; chi, al contrario, aveva riconosciuto in quei tratti un amico, un collega o più semplicemente qualcuno che in ogni caso non sarebbe dovuto essere lì, rimaneva sospeso in uno stato di irrealtà, senza respirare e poter in alcun modo staccare lo guardo dal nuovo arrivato. Si sentì chiaramente Vittoria trattenere il respiro e qualcuno scorse Alessandro, che dietro a molti altri agenti, stava sorridendo senza esserne realmente consapevole. Le parole o un qualsiasi altro suono che testimoniasse la vita in quell’ambiente, faticava a rompere la spessa cortina di silenzio che aveva avvolto tutti e poiché ora neanche coloro che erano a conoscenza dell’intera vicenda osavano muoversi, tutto sembrava come fuori dal tempo, bloccato, stampato su una vecchia fotografia dalla quale riuscivano ancora a trasparire sensazioni, nonostante tutto fosse mortalmente immobile.

«Assurdo» sussurrò Ugo riportando la vita in quella scena.

«Impossibile» fece eco Giuseppe, mentre Alessandro continuava a sorridere senza riuscire a spiaccicare una parola.

«Ma… come… può essere…?» chiese Vittoria camminando verso Mauro e parendo l’unica capace di farlo.

Quando fu a pochi passi da lui, l’ex ispettore la strinse a se in un momento di felice trasporto.

«La storia è lunga… e l’ho ripetuta tante volte… ma credo che non mi stancherò mai di raccontarla… ci sono tante così che devi sapere…»

«Già Belli! E altrettante sono quelle che non dovresti raccontare!» gli fece eco una voce alle sue spalle.

All’ingresso del commissariato sostavano tre uomini tra i quali Luca riconobbe Di Melli; non era praticamente cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto, in ospedale: lo stesso vestito nero, anonimo e lo stesso irritante sorriso, anche se, stavolta, era un po’ tirato, meno naturale.

«Mi spiega cosa sta facendo qui? Dovrebbe essere a chilometri di distanza!» disse senza urlare, né scomporsi, ma le sue parole ebbero la stessa forza.

«Mi sto riprendendo la mia vita» dichiarò Mauro con la stessa calma: ormai aveva imparato a controllare le sue emozioni anche a proposito di quell’argomento «Penso che sia il minimo che mi dobbiate dopo 3 anni di servizio»

«In realtà avevamo intenzione di ripagarla in tutt’altro modo»

«Lo credo bene!»

Impressionante come il dialogo fosse stato tanto forte e tagliente nonostante i toni pacati e falsamente cordiali.

«Ed ora?» chiese Di Melli, senza perdere il sorriso.

«Me lo dica lei cosa vuole fare… io le mie carte le sono giocate» rispose tranquillamente Mauro.

«Non potete più portarlo con voi: troppe sono le persone a conoscenza della sua identità…» si intromise Roberto.

«E lei sarebbe…?»

«Vicequestore Ardenzi»

L’altro sorrise ancora più vistosamente: non poteva fare a meno di notare come erano riusciti ad orchestrare il tutto per renderselo quanto il più possibile favorevole, addirittura chiamando l’intervento di un uomo della stessa DIA. Il suo sguardo si posò su quello verde e fermo del Commissario: aveva capito da subito che somigliava moltissimo a Belli e che non era abituato ad arrendersi con tanta facilità ed ora vedere la fierezza in quello sguardo gli stava confermando che non aveva sbagliato giudizio sul suo conto.

«In pochi giorni credo di riuscire a sistemare tutto, Belli: sarà come se non fosse mai morto… per il resto… ora non dipende più da noi. Arrivederci»

«A lei…» rispose Mauro ma in cuor suo aveva gridato un possente, liberatorio addio.

Non gli pareva vero…. Non poteva essere vero: si era liberato di tutto quello, della DIA, dei suoi infiniti nomi e di quella pressante sensazione di essere un morto risputato dall’Inferno!

Ad un tratto, un grido liberatorio si innalzò nel distretto, lanciato da coloro che sapevano e anche da quelli che avevano compreso per pura intuizione l’importanza e il significato di quel dialogo. Volarono abbracci, strette di mano e baci ed un clima di incondizionata felicità invase tutti quanti.

Non seppero dire per quanto tempo andarono avanti quei festeggiamenti, ma ad un tratto Anna si rese conto che Luca non era più in commissariato e uscendo lo trovò che guardava dritto davanti a se sotto il sole cocente.

«Aspetti qualcuno?» gli chiese cortese.

«In realtà sì» rispose lui senza staccare lo sguardo dall’orizzonte «Un uomo a cui voglio provare a dare quella seconda possibilità che il destino ha provato a negargli fino all’ultimo»

Anna lo guardò interrogativa, ma lui sorrise senza guardarla finché una pattuglia della polizia non si fermò proprio davanti a loro; dall’interno ne uscirono due agenti ed un terzo uomo che osservava il commissario con stupore.

«Davide…» sussurrò Luca.

«Che ci faccio qui?» chiese l’ex componente dell’Organizzazione degli Uomini in Nero.

«Sto cercando quella verità che i miei colleghi ti hanno negato: troverò chi ha ucciso tuo figlio!» dichiarò quello con un sorriso.

Gli occhi di Davide si illuminarono di incredulità e in breve divennero lucidi: non si era sbagliato sul conto di quel ragazzo, era davvero molto simile a suo figlio.

«Portatelo dentro… io vi raggiungo tra un istante» ordinò ai due agenti e i tre entrarono mentre le labbra dell’uomo sussurravano un sommesso, sincero grazie.

 

…ma nonostante Zeus sia molto vendicativo, di certo non è malvagio e per questo vuole dare una possibilità di salvezza a tutti gli sciagurato mortali. Fa sì, infatti, che Pandora chiuda il vaso prima che la sua ultima componente ne esca fuori, rimanendo così per sempre sigillata in quell’anfora: la speranza che con la sua luce verde illumina da quei tempi remoti la vita di tutti i mortali che pur consapevoli di non poter raggiungere in alcun modo la perfezione divina non smettono di guardare al domani con un sincero sorriso.

 

 

 

 

  

                                                            

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

LO SPAZIO DELL’AUTRICE

Fine?!?! Ho scritto la parola fine?!?! Beh forse voi starete esultando, ma credetemi per me ci vogliono 30 secondi di raccoglimento, perché questa ff e voi che mi avete seguito mi mancherete moltissimo!! Ç___Ç Giusto per non smentirmi fino alla fine chiedo enormemente scusa per il solito, eccessivo ritardo… e ribadisco che questo epilogo è stato il peggiore tra i capitoli scritti… ma ormai è una storia che conoscete, no?!

Spero che – a differenza di ciò che sostiene mio fratello – l’incipit iniziale e finale sul mito di Pandora non abbia stonato con il resto, ma che si sia capito ciò che volevo trasmettere scrivendolo proprio a questo punto… Eh, sì: la scuola mi è proprio andata in testa.

Inoltre dovete ritenervi fortunati perché, data la difficoltà che ho incontrato nello scrivere quest’epilogo, più volte è tornata pressante ed ammaliatrice – e oltretutto approvata in pieno da mio fra – l’idea di piazzare una bella bomba al distretto proprio nel momento della riunione generale, così da concludere tutto molto velocemente… (gli uomini del X rabbrividiscono per il pericolo scampato). Alla fine però è prevalso il mio buon cuore e, come potete notare, si è avverato, anche fin troppo (prega di non essere stata troppo smielata) il motto shakespeariano “All’s weel that ends well” (ecco che ritorna la scuola!)

Infine vorrei solo dirvi che personalmente tutto lo “scontro” tra gli uomini del X e la DIA mi è parso molto banale… insomma non l’ho reso per niente bene e alla fine tutto pare come uno scontro tra il bene e il male, i buoni e i cattivi… molto, molto superficiale. Me ne scuso tantissimo… ma non sono riuscita meglio di così!

Ok, ok la smetto con questo assurdo scritto e intanto ringrazio i miei angeli.

 

Metapoid  beh, cara sono felice di averti stupito ^^. Una grande io? Non esagerare su! Mille, mille grazie per i tuoi importantissimi complimenti! Mi spiace solo che tu abbia preso la storia quando ormai era già praticamente conclusa. Che te ne pare dell’Epilogo?? Un bacio e ancora mille grazie!

Barby_19  Cara! Mi spiace di causare allucinazioni ogni volta che leggi un nuovo capitolo… e scusa tantissimo per l’attesa! Questo capitolo è decisamente più breve dello scorso, ma ho cercato di esporre il tutto con la massima chiarezza dilungandomi nonostante fosse l’epilogo. Mi fa piacere che le scene di Anna ti siano piaciute: non ne ero molto convinta perché non ho esperienze dirette… Luca… non vuole suicidarsi anche se ci è andato vicino anche ‘sta volta… eh, eh ama fare degli scherzetti, eh? La parte dell’aborto è la tua preferita?? E poi la sadica sarei io?! Scherzi a parte devo confessare che mi è venuta abbastanza bene, sì, sì! Dunque mi pare proprio che tutto si sia risolto nel migliore dei modi, no?? Roberto ha fatto la sua parte e alla fine Di Melli non è stato così bastardo… Come farai senza questa ff?? Beh, tu starai in grazia di Dio… mentre io soffrirò moltissimo!!! Scherzi a parte che te ne pare dell’epilogo?? Mille grazie per la tua presenza attiva cara!! Alla prossima, un bacione!

Uchiha_chan  Carissima!!! Tu non potevi dirmi cosa migliore che con la mia ff ti ho fatto apprezzare la serie e i singoli personaggi! *-* è il più grande complimento che potevi farmi!! Eh, sì… la ff purtroppo è finita… e credimi la prima a soffrirne sono io… ç_ç Mi fa piacere che fino all’ultimo non ti abbia deluso e a proposito che te ne pare dell’epilogo?? Spero che sia all’altezza degli altri! Grazie mille per tutto il tuo appoggio! A presto, un bacio.

Lyrapotter  Hihihi… mi fa piacere che la notizia dell’arrivo di Roberto ti faccio questo benefico effetto… suppongo che tu ne abbia fatti altrettanto in questo epilogo! Dunque tutto si è risolto per il meglio, giusto?? La strage alla DIA l’ho evitata… sarebbe stata complicata… ma Mauro, Roberto e Luca sono stati fin troppo chiari e Di Melli non ha potuto fare altrimenti… Evvai!!!  La scena di Mauro e Germana sulla tomba è la mia preferita: mi sono immedesimata a tal punto nella rabbia della donna! Ansia soddisfatta??? So di aver ci messi fin troppo tempo… ma.. che te ne pare?? Insomma un buon finale??? Mille grazie per avermi sostenuta! Alla prossima, un bacio!

Luna95  Eh già… ultimo capitolo, mia cara! Mille grazie per la tua infinita pazienza. I tuoi complimenti, come al solito esagerati, mi fanno arrossire!! Sono in ritardo eh?? Vabbè… spero che almeno sia soddisfacente… ç___ò mi mancherai tra gli angeli delle recensioni, cara!!! Alla prossima, un grosso bacio!

Dani85  In ritardo?? Macché, sono io che sono come al solito in ritardo… Mi fa davvero piacere e sono sollevata dal fatto che lo scorso capitolo non sia risultato caotico: come dici tu, non è stato facile strutturarlo in tal modo, ma solo contenta che abbia reso e ti sia piaciuto! L’irresponsabilità di Luca ormai è diventata famosa, ma alla lunga dà i suoi frutti! Mauro ha risolto tutto, no?? Grazie all’aiuto di Roberto e Luca, Di Melli non ha potuto far altro che restituirgli la sua vita! Spero che l’epilogo ti sia piaciuto… mille grazie per il tuo sostegno… un bacione e alla prossima!

 

Inoltre voglio ringraziare:

Buffy86

dolcissima77
Mary899

SARAHPOXY
SHUN DI ANDROMEDA

tinta87

Exentia_dream

isaisaisa

thia
Valentina78

 

Infine (giuro che ho quasi finito) voglio dire un paio di cosine prima di concludere. Primo: volevo avvisarvi che tra poco, il tempo di scriverla, pubblicherò una song-fic sempre su Distretto e in particolare su Luca e Anna… sarebbe bello rivedervi lì… ^^

Come ultima cosa, avrei un favore molto, molto importante da chiedere a tutti i lettori, anche quelli che non si sono mai espressi: potreste indicarmi il capitolo che vi è piaciuto di più?? Non importa se non vi dilungate con i motivi o se non commentate l’epilogo o la storia, sarebbe bello anche solo sapere il numero del capitolo. Ci conto, eh!

Beh, a questo punto, con mio grande dispiacere, devo concludere quest’ultimo “Angolo dell’autrice” ç___ç Ancora mille grazie a tutti voi, senza i quali questa storia non sarebbe andata avanti! Un grosso bacio a tutti… miei angeli!! Alla prossima!!!

 

La vostra Alchimista <3<3

 

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