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Un uomo con un capotto nero guarda da lontano una
donna uscire dalla sua automobile. Il sole è alto nel cielo e la donna ha
appena fatto la spesa: regge due buste nella mano destra e con la sinistra
mantiene la manina di un bambino di circa tre anni. Sul suo volto ci sono delle
piccole rughe che testimoniano il suo dolore, ma la sua bocca accenna un
sorriso e sussurra amorevoli parole al figlio. Dall’ingresso del palazzo esce
correndo un uomo anziano; prende la buste dalla mano della donna, le sorride e
si avvia con lei ed il nipotino verso casa. Quante volte l’uomo in nero ha
desiderato aiutarli, ma ora è impossibile. Un triste sorriso affiora lieve sul
suo volto poi l’uomo scopare tra la gente di un caldo lunedì mattina.
«’Giorno
Luca!»
«Buongiorno
a te Raffè! Tutto ok?»
«Si…»
«Ancora
nulla da Ale?».
L’ispettore
scosse la testa: era da tempo che nessuno sentiva Alessandro; da quando era
partito per quel viaggio coast to coastche
aveva intenzione di fare con Irene.
Irene. Luca
e Raffaele pensarono a quell’amica che avevano perduto e il loro cuore fu preso
dal dolore.
Mentre
pensavano al passato Anna entrò nell’ufficio.
«È
stato ritrovato il cadavere di un uomo nel suo negozio. È stato ucciso con una
calibro 9»
«Andate
tu ed Elena, ok?»
«Si…
È tutto a posto ragazzi?».
I
due annuirono, ma Anna uscì dalla stanza poco convinta.
«Raffè
appena hai notizie di Ale informami!».
Il
telefono squillò.
«Si?
Si! Mmh… Si ho capito. Arriviamo subito!»
«Che
succede?»
«È
stata rapita una 17enne: dobbiamo andare dalla famiglia».
I
due uscirono dal commissariato e salirono in macchina. Arrivarono a casa Diana
in pochi minuti. La madre della ragazza con il volto contratto in una smorfia
di dolore, accennò un falso sorriso e li fece accomodare su un divano di pelle
chiaro; il marito le massaggiava delicatamente le spalle come a confortarla, ma
anche il suo volto era scosso dal dolore.
«Allora,
signora…»
«Angela,
Angela Diana…»
«Signora
Diana, ci racconti tutto dall’inizio…»
«Ci
siamo accorti della sparizione di Rita verso le 3 di questa notte quando non è
rientrata. Era andata ad una festa di 18 di un suo compagno di classe, ma ci
aveva promesso che sarebbe rientrata verso l’una… invece non l’ha fatto…»
La
donna fu scossa da un fremito e cominciò a piangere tra le braccia del marito.
Questo la strinse a se e guardando i poliziotti continuò il racconto.
«Abbiamo
chiamato dei compagni di Rita, ma ci hanno solo detto di averla vista
allontanarsi verso l’una…»
«Capisco…
lei sa chi era il festeggiato?»
«Si:
Giulio Motta; abita in corso Giulio Cesare n.55»
«La
ringrazio… non preoccupatevi… vi terremo aggiornati…».
I
coniugi annuirono e l’uomo li accompagnò alla porta. Luca era sovrappensiero.
«A
cosa pensi?»
«Se
fosse stato un rapimento per chiedere un riscatto avrebbero dovuto già chiamare…»
«Già,
ma se non è così allora perché l’hanno rapita?»
«È
quello che dobbiamo capire… per prima cosa dobbiamo andare da Motta…»
Giunsero
in poco tempo. Luca voleva vederci chiaro ed era particolarmente nervoso.
Quel
sogno, ancora una volta quelle figure sfocate in lontananza… come se la vita
gli stesse sfuggendo dalle mani… ma perché proprio ora? Dopo tutto quel tempo
perché il dolore lo stava prendendo proprio ora? Sospirò e cercò di ritrovare
quella calma e quel sorriso che non dovevano destare sospetti, perché ci sono
dolori che non riusciva o, più semplicemente, non voleva confessare a nessuno,
neanche ad Anna.
Scesero
dalla macchina e bussarono al campanello della piccola casa. Dall’interno
sentirono una voce che li invitava ad attendere e pochi istanti dopo un giovane
aprì la porta.
«Ispettore
Marchetti… dovremmo farle qualche domanda…».
Il
ragazzo li fece entrare gentilmente, ma con un pizzico di inquietudine nascosto
nel sorriso. I due si accomodarono e lo stesso fece Giulio.
«Sappiamo
che ieri lei ha festeggiato i suoi 18 anni…» cominciò Luca e Giulio annuì
«…
ed ha dato una festa invitando un po’ di amici, giusto?» continuò Raffaele ed
il giovane annuì ancora.
«Vorremmo
sapere più o meno a che ora è andata via Rita Diana»
«Mmh…
Rita… credo se ne sia andata verso l’una… sa: lo aveva detto ai genitori… ma
perché quest’interesse? Le è forse successo qualcosa?» chiese in tono
preoccupato.
Raffaele
guardò Luca come a chiedergli se poteva mettere al corrente il ragazzo
dell’accaduto e questo annuì.
«Vede
questa notte Rita non è tornata a casa: sospettiamo che le possa essere
accaduto qualcosa, per questo siamo venuti a parlarle…»
Nel
vedere gli occhi del giovane persi nel vuoto, Luca si fermò.
«Si
sente bene?» provò a chiedere Raffaele «Ha bisogno di un bicchiere d’acqua?».
Il
giovane annuì debolmente e Raffaele si avviò verso la cucina, mentre Luca si
avvicinò al giovane.
«Io…
l’amo…» cominciò a dire questo in stato confusionale «Non gliel’ho mai detto,
ma l’amo…»
Raffaele
gli porse il bicchiere d’acqua che Giorgio mandò giù in un sol fiato. Sembrò
riprendersi, ma i suoi occhi erano ancora persi nel vuoto di qualche ricordo.
«In
realtà noi avremmo bisogno della lista degli invitati… sa per escludere false
piste e concentrarci su quelle più probabili…»
Il
ragazzo sembrò rianimarsi.
«Credete
che possa essere qualcuno di noi? Ma no! Che assurdità! Qui tutti le vogliono
bene: del resto Rita riusciva a farsi amare da tutti…»
«Mi
sta dicendo che non ha mai avuto un litigio? Con nessuno?»
Il
ragazzo annuì sorridendo tristemente.
«In
più di 5 anni che la conosco non l’ho mai vista litigare con nessuno… solo
poche volte con i genitori, ma sono cose che capitano spesso con noi ragazzi…
comunque vi farò avere la lista il prima possibile…»
«Grazie..»
Raffaele cominciò ad uscire.
«Faremo
il possibile per ritrovarla» disse Luca ed uscì anch’egli lasciando il ragazzo
in balia di dolci ricordi.
Faremo il
possibile per ritrovarla: che frase sciocca. Luca sapeva bene che ormai era
inutile usarla, ma la convenzione riusciva ancora a fargliela pronunciare.
Ormai non
consola più nessuno: se la dicessero a me non sarei consolato neanch’io pensò e salendo
in macchina si avviò con Raffaele al distretto.
La
vittima si chiamava Michele Albino, 52 anni, direttore di questo negozio di
articoli per la casa» spiegò il medico legale ad Anna mentre Elena esaminava
l’interno del negozio.
«Chi
l’a trovato?»
«La
moglie, questa mattina. Non si è sorpresa non trovando il marito a casa: ha
detto che a volte usciva presto, ma quando ha trovato le serrande ancora per
metà abbassate ha cominciato a farsi qualche domanda. Quando è entrata ha
trovato quest’orribile spettacolo…»
Anna
si voltò a guardare la donna visibilmente scossa.
«Grazie…
chiamaci dopo l’autopsia, ok?»
Il
medico legale sorrise, annuì e se ne andò, mentre Anna si avvicinò ad Elena.
«Che
ne pensi?»
«Doveva
conoscere il suo assassino… credo che lo abbia fatto entrare e poi, forse per
non essere disturbato, ha abbassato a metà le serrande…»
«Mm…
bisognerà comunque aspettare il referto della scientifica per capirne qualcosa
in più…»
Elena
no sembrava ascoltarla più… era perse in un ricordo…
«Ele?
Tutto ok?»
Le
sfiorò il braccio e lei sussultò.
«Scusami
Anna… mi sono distratta… il bracciale che indossava la vittima mi ha fatto
ricordare quello che portava sempre Ale…»
Elena
sospirò pensando a lui… era partito da ormai sei mesi e non aveva mai chiamato
nessuno tranne due o tre volte Raffaele solo per informarlo che andava tutto
bene e che non sapeva quando sarebbe ritornato. Lo amava, ormai lo sapeva, ma
non aveva il coraggio di confessarlo: sentiva una strana sensazione di
soggezione per la memoria di Irene e poi non sapeva cosa avrebbe detto… se
l’avrebbe perso…
«Ci
conviene tornare al distretto…» accennò Anna scuotendo l’ispettrice da quella
catena di pensieri
«Si…»
disse lenta e si avviarono verso l’automobile.
Lo Spazio dell’Autrice
Salve tutti!
Premetto che questa è la mia prima fan fiction un po’ d’azione… quindi siate
clementi.^^ Comunque questo capitolo è stato breve ed un po’ noiosetto e mi
scuso con i lettori… ma bisognava pur scrivere un inizio e spiegare un po’ la
situazioneno?? L’idea mi è venuta prima
che si sapessero delle news sulla nona stagione quindi questa non c’entrerà
affatto con quella ora in corso… e non arriveranno neanche nuovi personaggio (non
so se purtroppo o per fortuna XD).
Spero di
avervi incuriositi almeno in po’… Al prossimo capitolo intitolato CADAVERE
(potevo risparmiarmelo qst titolo, eh?? Ma non me ne venivano di meglio… ^^’’’)
dove si comincerà a intravedere qualcosina…
Mi
raccomando leggete e recensite in molti! Mi farebbe davvero piacere sapere che
ne pensate! A presto. Baci.
L’uomo in nero
pensa. Migliaia di ricordi gli affollano la mente nonostante cerchi di mandarli
indietro. “Ti amo… Ti amo più della mia vita…”. Le sue guance si rigano di
lacrime salate, le ennesime, anonime, che scorrono incessantemente da ormai tre
anni… E poi c’è quella rabbia, che urla nel suo cuore contro quella che ormai è
arrivato a considerare un’ingiustizia…
Deve
esserci un modo per tornare pensa
nonostante tutto il tempo trascorso, deve esserci un modo… ho bisogno di tornare,
non riuscirò a resistere ancora per molto, ho paura di dimenticare…
Altre lacrime
bagnano il suo viso, mentre dalla finestra guarda la pioggia scendere lenta e
silenziosa. C’era stato un tempo in cui l’aveva amata perché gli ricordava
quello che considerava uno se non il più bel giorno della sua vita prima di
quella mattina, quel risveglio in un posto straniero e la fine di tutto; ma ora
gli è indifferente come quella vita che conduce.
Qualcuno bussa
alla porta.
«Chi è?» grida
quasi infastidito.
«Secondo te?»
L’uomo in nero
si asciuga le lacrime e spera che l’atro non scorga i suoi occhi lucidi: odia
farsi vedere così. Si calma, fa un respiro profondo, apre e lascia entrare un
altro uomo in nero con un mezzo sorriso sul volto pallido.
«Che cosa hai da
ridere?» gli chiede irritato.
«C’è un nuovo
lavoro per te…»
Sospira: sembra
felice di rischiare la vita. Il lavoro lo distrae, l’adrenalina che gli scorre
in corpo durante le missioni non gli permette di pensare: in quei momenti è
solo un’arma di giustizia e forse vuole essere solo quello, stanco di quel
dolore. Non vuole soffrire… ora non più…
C’era
qualcosa che non andava. Luca lo sentiva. Una ragazza sparita senza lasciare
testimoni ed un killer che aveva ucciso un uomo senza compromettersi
minimamente. Un rapimento ed un delitto
perfetti…
non era possibile: chiunque nonostante tutte le accortezze che poteva avere
doveva commettere qualche errore, anche minimo… bisognava solo cercare ed avere
pazienza.
Continuava
ad aggirarsi per l’ufficio pensieroso. Com’era cambiato in questi ultimi anni:
solo poco fa era un agente scelto e poi ispettore, coordinatore e commissario
in poco più di due anni… Quant’era stato duro l’anno appena trascorso: i
fratelli Flaviano, la morte di Irene e poi Elena e Marco, vittima innocente del
destino, e alla fine stava per perdere tutto.
Si
sfiorò la spalla con un triste sorriso. Pensava ad Alessandro: l’ultima volta
che lo aveva visto, sulla tomba di Irene, gli aveva detto che era stato un
onore lavorare con lui e che era stato un grande amico e lui aveva ricambiato.
Poi però gli aveva detto che il volo era per quello stesso giorno e si erano
salutati.
Qualcuno
bussò alla porta e Luca tornò con i piedi per terra.
«Avanti!»
Entrò
Raffaele con un foglio in mano.
«Sono
i tabulati telefonici di Rita» spiegò porgendolo al commissario.
«Nelle
ultime ore prima di sparire ha ricevuto 5 chiamate dallo stesso numero»
continuò «Ho controllato: il cellulare è di un certo Giovanni d’Ambrosio;
hadei precedenti per furto, ma sembra
aver rigato dritto per più di un anno».
Luca
rifletté per qualche istante.
«Andiamo
a parlate con lui: forse sa qualcosa…».
«Elena?»
«Anna…
dimmi»
«Bisogna
andare a parlare con la signora Albino?»
Annuì
distratta: il telefono di Ale era ancora staccato. Salirono in macchina: Anna
la scrutava attentamente, ma cercando di non dare nell’occhio.
«Che
c’è?» chiese Elena accortasi degli sguardi della collega.
«Mi
hai tolto le parole di bocca!»
La
guardò interrogativa.
«Hai
sempre la testa tra le nuvole: sembri sulla luna…».
«Sì
lo so… è che…».
Non
sapeva cosa dire. Per fortuna giunsero davanti all’abitazione degli Albino. Da
una finestra si vedeva uscire del fumo.
«Cazzo
Elena: la casa va a fuoco!»
«La
macchina della donna è parcheggiata qui» disse indicando l’utilitaria blu
metallizzato parcheggiata poco distante: «La donna è sicuramente in casa!».
Anna
rifletté qualche istante.
«Io
sfondo la porta; tu avvisa la centrale, poi seguimi».
Anna
sfondò la porta e tossendo e, gridando il nome della donna, cominciò a
cercarla. Elena, invece, avvisò la centrale chiedendo soccorso; poi si avviò
anche lei dentro. Le fiamme erano ovunque: Elena si coprì la bocca con la
manica della maglietta e cercò di capire dove fossero le due donne.
«Anna!
Anna l’hai trovata? Anna, dove sei?» urlò tossendo ed aggirandosi sperduta per
la casa. L’aria era ormai irrespirabile; Elena sentì qualcosa crollarle
affianco: la casa stava andando a pezzi. La testa le girava, ma non si diede
per vinta. Continuò a cercare le due donne fino a giungere in quella che doveva
essere la camera da letto. Anna era accasciata sulla donna, bloccata dalle
macerie cadute dal soffitto: l’incendio doveva essersi sprigionato da lì.
«Anna!
Alzati, forza! Non mollare!»
Era
difficile incoraggiarla: non ci credeva più neanche lei. Strinse i denti: se
fossero svenute sarebbero morte, non c’era scampo. Bisognava uscire.
Alzò
faticosamente Anna che sembrò riprendersi, poi sollevò la signora Albino e
aiutata dalla collega che era animata dalle ultime forze, trovò l’uscita. Fuori
anche il sole sembrava più pallido a causa del fumo. Anna si accasciò accanto
all’automobile ormai priva di sensi; Elena controllò il respiro della donna,
poi quello della collega: erano entrambe ancora vive. Avrebbe voluto
svegliarle, dir loro di non mollare, ma ormai si stava arrendendo anche lei.
Sentiva che le forze la stavano abbandonando e si scivolò lentamente contro la
portiera dell’auto svenendo.
«Giovanni
d’Ambrosio?»
«Si
sono io…»
«Polizia»
Luca e Raffaele mostrarono i loro distintivi.
«Posso
fare qualcosa per voi?» chiese il giovane cordialmente.
«Dovrebbe
seguirci in commissariato» lo informò Raffaele, ma vedendo il volto del giovane
impallidire si affrettò a contare «Non si preoccupi: è solo per qualche
domanda…».
Il
giovane solo in parte rassicurato, salì in macchina e questa partì diretta al
commissariato.
«Lei
ieri sera ha più volte chiamato Rita Diana; non è così?»
«Si…
è forse un reato?»
«No…
ma può essere sospetto se, poco dopo le chiamate, la ragazza in questione
scompare…»
«Rita…
Rita è scomparsa?».
Il
commissario annuì.
«Adesso
vuole dirci perché l’ha chiamata più volte?» chiese Raffaele.
«Io…
io e Rita siamo stati insieme per più di un anno, eravamo felici, sembrava che
nulla avrebbe potuto separarci; poi con quella storia della rapina l’ho persa
per sempre: non voleva saperne più di me, mi considerava un criminale e così
dopo un po’ non ho potuto far altro che trasferirmi. Da allora però non ho
fatto più alcun errore. Qualche giorno fa sono tornato qui a Roma e volevo
incontrarla. Ho provato a chiamarla un paio di volte ma non ho ricevuto
risposta, poi ieri sera finalmente ho sentito la sua voce. Mi ha detto che ora
la sua vita stava andando bene e che non aveva alcun a intenzione di rovinarla
incontrandomi…»
«Ma
lei non l’ha accettato il rifiuto e si è recato alla festa dove l’ha incontrata
e all’ennesimo no non ha capito più nulla, l’ha presa e l’ha portata via; non è
così?»
«NO!
È vero: mi sono recato alla festa e l’ho incontrata, ma quando lei mia ha detto
che non voleva saperne, ho lasciato perdere e sono andato a casa di un mio
amico»
«Più
o meno a che ora?» chiese stranamente calmo Luca.
«Verso
la mezza… potete controllare: questo è il numero di Paolo… anche il resto della
sua famiglia mi ha visto a casa sua ieri perché ho dormito lì!» e preso un foglio
di carta scrisse un numero telefonico che porse all’ispettore. Luca sospirò.
«Per
ora lei può andare, ma si tenga a disposizione in qualsiasi momento d’accordo?»
Il
ragazzo annuì e andò via in fretta. Dal corridoio si sentì squillare un
telefono.
«Che
ne pensi Luca?»
«Per
me sta dicendo la verità…»
«Già
anch’io lo credo… ad ogni modo controlla lo stesso la storia che ci ha
raccontato» e così dicendo uscì dalla stanza. Anche Luca stava uscendo per
andare nel suo ufficio, quando incrociò Vittoria con un’espressione preoccupata
sul volto»
«Ehi
Vittoria… che succede?»
«Luca…»
le sue parole erano un sussurro: sembrava mancarle il respiro «Hanno chiamato
dall’ospedale… Anna ed Elena hanno avuto dei problemi…».
Il
cuore di Luca perse un colpo.
«C…Che
tipo di problemi?» riuscì a balbettare.
«Pare
che a casa Albino ci sia stato un incendio ed entrambe siano rimaste coinvolte…
non mi hanno detto più di questo…».
Luca
non riusciva a reagire: era come paralizzato dalle parole di Vittoria.
«RAFFAELE!»
L’ispettore
si sporse interrogativo dal suo ufficio.
«Vieni
con me: ti spiego in macchina…» Luca respirava affannatamene.
Giunsero
in ospedale in tempo record: Luca si sentiva mancare la terra sotto i piedi.
«Ma
ti hanno detto come stanno?» chiese preoccupato Raffaele. Luca negò con la
testa e anche Raffaele ammutolì dalla paura di poterle perdere. Scesero e
corsero fino alla reception.
«Buongiorno»
disse Raffaele che non sapendo bene come riusciva apparentemente a mantenere
ancora la calma.
«Siamo
della polizia» continuò Luca ancora con il fiatone «C’è stato segnalato che due
nostre colleghe sono state ricoverate qui per il coinvolgimento in un
incendio…».
La
donna rifletté per qualche istante sotto gli occhi irrequieti dei due
poliziotti; poi annuì controllando velocemente nel computer.
«Sono
state portate al piano superiore: una delle donne ha riportato un’intossicazione
da fumo e leggere ustioni al braccio destro, non ha voluto farsi ricoverare;
l’altra ha riportato anche lei un’intossicazione, ma ha ferite e bruciature
sulla schiena e sulle braccia».
Luca
schizzò al piano superiore, Raffaele ringraziò cordialmente e seguì il
commissario. In lontananza scorsero Elena che parlava con un dottore: era
ancora stordita e si teneva il braccio che doveva bruciarle.
«ELENA!»
urlarono i due all’unisono. La donna si voltò sorridendo. I tre colleghi si
abbracciarono come se non si vedessero da tempo; poi Luca si voltò verso la
stanza nella quale si trovava Anna.
«Se
non fosse stato per lei la signora Albino ora sarebbe morta…» la elogiò Elena
con sguardo triste.
«Come
sta la donna?» chiese Raffaele con malcelata preoccupazione per Anna.
«Non
male… forse anche meglio di Anna… tutto sta nel svegliarsi…».
Luca
si accorse di avere lo sguardo offuscato dalle prime lacrime che scendevano
lente sulle guance.
«Possiamo
entrare?» chiese al medico con la voce rotta dal pianto.
«Come
dicevo alla collega per ora non è possibile…»
«Non
rimarremo a lungo: solo il tempo di dirle qualcosa e salutarla…» insistette
Raffaele ed il medico abbassando la testa acconsentì indicando la porta della
stanza con la mano.
I
tre entrarono: che strano effetto vedere Anna tra tutti quei tubi e quei
macchinari… mancò loro il respiro e si chiuse lo stomaco. Le si sedettero
accanto e Luca le sfiorò i lunghi capelli neri.
«Ma
cosa mi combini, eh?!» chiese Luca in tono tristemente scherzoso.
«Com’è
successo?» chiese Raffaele rivolto ad Elena visibilmente provata. La donna
scosse la testa.
«Quando
siamo giunti» spiegò «L’incendio era già scoppiato… ho avvertito la centrale
per chiedere soccorso e sono entrata. Quando l’ho trovata Anna era accasciata
sulla signora Albino per proteggerla: erano cadute alcune macerie dal soffitto…»
si interruppe, chiuse gli occhi e respirò affannosamente: la testa le girava e
in pochi istanti svenne.
«ELENA!»
urlarono i due «INFERMIERA! DOTTORE! PRESTO: STA MALE!».
Subito
entrò in camera una donna ed il medico con cui avevano parlato poco prima.
«Maledizione:
le avevo detto che non stava bene e che sarebbe stata meglio ricoverarla anche
solo per un giorno! Ma lei no! Non ha voluto ascoltarmi: tutti così voi
poliziotti, credete di essere immuni a tutto!» e ancora parlando più a se che a
chi gli era intorno uscì portando via la ragazza e aiutato dall’infermiera.
Luca e Raffaele si mossero.
«No
aspetta!» disse Raffaele bloccando il collega «Vado io… bisogna che qualcuno
rimanga con lei…» disse indicando con uno sguardo Anna «Appena Elena starà
meglio torneremo qui…» e sorridendo scomparve tra i corridoi dell’ospedale.
Il
volto di Luca fu attraversato da un fulmineo sorriso.
«Tutte
così voi donne!» disse rivolgendosi alla collega «Avete sempre il bisogno di
dimostrare quanto valete, quanto siete forti, anche quanto non ce n’è
bisogno…».
Poi
si avvicinò al letto sedendosi.
«Ma
io lo so perché stai facendo tutto questo…» sussurrò come se le stesse
raccontando un importantissimo segreto «…è per vendetta, non è così? Per
farmela pagare per lo scherzo che ti ho fatto qualche mese fa…» e si sfiorò la
spalla abbassando gli occhi. Si sentiva morire: se non ce l’avesse fatta cosa
ne sarebbe stato di lui? Ora capiva in pieno quello che aveva provato lei
durante le ore in cui era stato in coma.
«Hai…
ragione… e per quella storia… non mi hai ancora chiesto… scusa» sussurrò Anna
aprendo lentamente i suoi occhioni scuri.
«ANNA!»
urlò Luca, mentre le lacrime di gioia gli rigavano le guance «Ti sei rispesa…
mi hai fatto spaventare…».
«Ora
siamo pari…» sussurrò lei stanca ma felice.
Proprio
in quel momento Raffaele aiutando Elena entrò in camera.
«ANNA!»
urlarono entrambi abbracciandole; Luca avvisò il medico del risveglio della
collega.
I
medici controllarono minuziosamente ogni cosa: tutto sembrava andare bene.
«Vi
ho spaventati, eh?!» scherzò l’agente
«Sì,
ma non farlo più ok?»
Luca
la guardò seriamente e ad Anna si spense il sorriso sulle labbra. Per un attimo
sai guardarono intensamente; poi Anna sorrise ancora, ma Luca rimase ancora un
po’ turbato. Il suo telefono squillò interrompendo i suoi pensieri.
«Pronto?
Sì, stanno bene… sì, si è svegliata...» sorrise guardando entrambe le colleghe
«Cosa?! Hai avvertito familiari ed amici?! ... No scusa: è solo che… niente. Ci
andiamo subito…»
«Cosa
succede?» chiese Raffaele
«Hanno
trovato un cadavere in una scarpata alla periferia Nord… credono sia Rita
Diana…»
«E
hanno già avvisato amici a parenti, giusto?»
Il
commissario annuì abbassando la testa.
«Saranno
già tutti lì…»
«Già:
ci conviene andare…»
«Voi
due rimanete qui è non muovetevi ok?»
«A
suoi ordini Commissario!» dissero entrambe prendendolo in giro. Scoppiarono
tutti a ridere, poi i due uscirono dalla stanza.
In
un quarto d’ora giunsero alla scarpata: c’era una confusione enorme. Appena
sceso dalla macchina, Luca sentì le urla disperate della madre di Rita: era
davvero lei. Gli si strinse il cuore, lo stomaco si chiuse; Raffaele ebbe
all’incirca la stessa reazione: glielo lesse negli occhi. Entrambi si
avvicinarono ai genitori della ragazza: la donna era sorretta a fatica dal
marito i cui occhi vuoti sembravano guardare qualcosa di inesistente al di là
della morte stessa. Non dissero una parola, forse neanche li videro: solo
continuarono a camminare lenti verso una vettura che li avrebbe riportati a
casa. Luca fu quasi grato loro per non aver detto nulla: gli avrebbe fatto
troppo male.
Maledizione!
Maledizione! Perché? Perché! La vita di quelle persone ora che senso avrà?
Hanno perso il bene più grande che avevano… la loro vita ora è vuota…
Non
riusciva a capire perché il destino era stato così crudele con loro e poi…
rivide quel volto. Sorrideva come solo lui sapeva fare e gli occhi gli
luccicavano per la gioia di qualcosa che ora Luca non riusciva a ricordare.
Chiuse gli occhi: qualcuno gli aveva assicurato che con il tempo quelli
sarebbero diventati dolci ricordi, ma lui sapeva che era una bugia consolatrice.
Il suo volto sarebbe sempre stato dolore, la ferita non si sarebbe mai
rimarginata e sarebbe stata lì silenziosa come poche altre nell’attesa di un
istante, come quello, per riemergere e fare male come la prima volta. Ma perché
proprio ora? Perché da un po’ quello era un pensiero ricorrente? Scosse
lievemente la testa: non era quello il momento di pensare; ora bisognava
occuparsi del cadavere.
I
due poliziotti si avvicinarono alla salma coperta dal classico telo bianco e
Raffaele lo scostò per vedere il corpo. Non c’erano dubbi: era Rita Diana,
freddata con un colpo alla nuca. Un lavoro da professionisti.
«Raffè
parla con il medico legale: ogni informazione può esserci utile»
«E
tu?»
«Io
devo parlare con una persona…»
Luca
si allontanò lasciando la frase a metà, mentre Raffaele si diresse verso il
medico. Giulio Motta era poco lontano dal luogo del ritrovamento, le mani l’una
dentro l’atra dietro la schiena, il volto pallido, le lacrime che gli rigavano
le guance. Fissava qualcosa d’invisibile e lontano, come i genitori della
vittima, mentre il sole tramontava all’orizzonte. Luca gli si fermò accanto e
prese anche lui a guardare l’orizzonte, incapace di dire qualsiasi cosa. Si
sentiva strano, quasi in colpa: per lui la frase che aveva detto al giovane
prima di saturarlo aveva ancora valore… avrebbe davvero voluto fare tutto il
possibile…
«Ha
mai perso qualcuno d’importante, commissario?» chiese con un filo di voce come
se la domanda fosse rivolta a lui più che al poliziotto.
Diverse
facce affiorarono nella mente di Luca che annuì.
«Allora
sa come ci si sente… è come un secchio d’acqua gelida…. Inaspettato… così
inaspettato che per i primi momenti non ti capaciti dell’accaduto: sei convinto
che tra poco ti sveglierai e sarà stato tutto un sogno. Poi, però, i minuti
passano e tu stai sempre lì, davanti a quella scena irreale che pian piano
assume consapevolezza; e mentre accade e le tue certezze diventano dubbi e
scompaiono, quegli istanti cadono pesanti e ti schiacciano e tu ti senti
soffocare e l’unica conclusione alla quale riesci ad arrivare è che vorresti
morire…»
Tacque,
come caduto in trance e non aprì più bocca: la sua mente però stava sicuramente
viaggiando. Luca non sapeva che dire o cosa fare: a cose simili non ci si
abitua mai. Solo stette ancora un po’ accanto all’uomo, in silenzio, a guardare
gli ultimi raggi di sole scomparire; poi quando si eclissò del tutto, come
animato da nuova forza, guardò l’uomo.
«L’ultima
volta le avevo fatto una promessa, ma non sono riuscita a mantenerla…» l’uomo
sembrò rianimarsi alle parole di Luca perché smise di guardare il cielo e puntò
i suoi occhi in quelli verdi del commissario.
«…
ora però le faccio un’altra promessa: Troverò
quelli che l’hanno uccisa… glielo giuro…»
Il
ragazzo divenne serio, chiuse gli occhi, poi sospirò ringraziando stancamente;
in seguito andò via con la sua macchina.
Luca
rimase a guardare ancora un po’ l’orizzonte, le sue ultime parole gli
rimbombavano nella mente: questa volta non era routine, questa volta era
convinto di quello che diceva e avrebbe fatto di tutto per mantenere quella
promessa.
***
Lo spazio dell’autrice
Eccomi di
nuovo a voi miei cari lettori! Allora cosa ve ne è parso di questo secondo
capitolo? Elena ed Anna vi hanno fatto spaventare, eh?? Almeno Luca e Raff si
sono presi una bella paura! E così anche Rita ha fatto una brutta fine (non
odiatemi x questo… poi capirete cosa c’è sotto) e Luca sembra davvero turbato
da qst storia…
Intanto
volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto: mi state dando la carica
giusta x continuare!!
In
particolare ringrazio:
Luna95Mille, mille grazie x aver letto qst mia nuova
ff… se non capisci qualcosa basta che me lo chiedi!! Allora cosa te ne pare di
qst??
Uchiha_chanFelice che questa ff ti
stia piacendo, grazie per i tuoi complimenti. Allora qst capitolo come ti è
sembrato??
LyrapotterBeh… neanch’io sono
sicura di riuscire a scrivere i casi gialli… spero di non deluderti. Mille
grazie per i tuoi complimenti (forse non li merito…tutti…. ^^’’’) Beh… allora siamo in due ad aver intuito un
certo feeling tra Ale ed Elena… poi vedrai cosa ho riservato alla cara
ispettrice! Per quanto riguarda Mauro Belli… anch’io all’inizio avevo pensato
di farlo tornare… ma, credimi, non è affatto facile quindi non penso che
accadrà (ti prego non abbandonarmi solo per qst ç___ç) Cmq ci saranno belle
sorprese…
Il prossimo
capitolo, che si intitola LA STANZA BIANCA comincia a spiegare un po’ di cose… ma non
tutto… abbiate ancora un po’ di pazienza!! XD Mi raccomando non abbandonatemi!!
Continuate a leggere e recensire (con qst ultima cosa mi fareste davvero
felice!!). Alla prossima volta. Ah… quasi dimenticavo: essendo cominciata la
scuola (=_=) potrei avere dei leggeri ritardi nella pubblicazione della ff… vi
prego di non lasciarmi se farò qlche gg di ritardo… perché non ho alcuna
intenzione di lasciarla incompiuta!! Un bacio.
È freddo, calmo,
lucido.Sa che ucciderà, che dovrà
farlo: glielo hanno ordinato e nonostante tutto non può tirarsi indietro. La
fascia gli brucia sul braccio: è il simbolo dell’organizzazione e nonostante
sia piccola e sottile, ha un peso davvero grande. La realtà è che non aveva mai
fatto nulla di così pericoloso. I suoi infiltraggi erano sempre stati brevi, i
suoi ruoli marginali: solo il necessario per carpire informazioni; poi interveniva
la squadra e lui spariva per ricomparire poco dopo in un altro lavoro. Ora però è tutto diverso: gli
uomini per cui lavora sono professionisti e lui deve mostrare la stessa
professionalità perché in caso contrario…
È freddo, calmo,
lucido. Sa che ucciderà ed ormai non gli importa più: finalmente ha capito che
non uscirà più da quella situazione, che le cose saranno per sempre così. Ha
smesso di sperare in qualcosa di diverso e sa che tra poco anche le lacrime
finiranno e i ricordi saranno dimenticati. Attende quel momento quasi
trepidante: l’annullamento di se stesso è l’unica cosa in cui spera e sente che
quando arriverà non la temerà come prima. Solo aprirà le braccia e l’accoglierà
troppo stanco per opporsi… perché forse lui non vuole più opporsi…
Il
rumore degli aerei in partenza lo stordiva ancora. Mentre gli speaker facevano
annunci sulle partenze e gli arrivi, lui cercava di isolarsi e concentrarsi:
nonostante avesse deciso in fretta cosa fare non era affatto stata una scelta
priva di riflessioni. Aveva sentito che era in momento giusto e semplicemente
era partito. Uscì dall’aeroporto e il
sole gli ferì gli occhi: aveva quasi dimenticato le giornate assolate di Roma;
salì su uno dei taxi che attendevano in strada e gli diede un indirizzo. La macchina
partì con una sonora sgommata, quasi stesse riflettendo l’ansia e la fretta del
passeggero.
Durante
il tragitto, che gli parve un’eternità, ebbe tempo per pensare. Perché, come
ormai gli accadeva sempre, quello su cui era sicuro prima diventava insicuro
poi, e ora non era più convinto della sua scelta. In un attimo gli venne in
mente che forse la priva visita la meritava qualcun altro. Velocemente chiese
all’autista di cambiare direzione chiedendogli di portarlo al cimitero.
Non
ricordava precisamente quando era stato lì l’ultima volta, ma rivedere quella
lapide per quanta tristezza potesse suscitargli, lo aveva fatto sentire a casa.
Perché era quella la sua casa, quella la realtà che doveva affrontare ed ora
era finalmente giunto il momento di tornare a vivere.
«Sicura di voler tornare oggi?»
«Uff!
È la quarta volta in mezz’ora che me lo chiedi: ti si è incantato il disco?»
«No,
è che…»
«…sei
preoccupato per me» concluse Anna guardando Luca.
«E
non dovrei?» chiese questo prendendo sul serio la discussione «Guarda che ti
hanno dimessa solo ieri e oggi vuoi già tornare in servizio…»
«E
vorresti impedirmelo, Commissario?» chiese lei scherzando.
Ma
lui non scherzava affatto: si avvicinò a lei incazzato e le prese un braccio
con la mano stringendolo; poi la guardò fisso negli occhi con fare minaccioso.
Anna trattenne il respiro e nella sua mente si riproposero le immagini che
qualche anno prima l’avevano vista quasi vittima di uno stupro.
«Se devo sì» disse Luca rabbioso.
Anna
rabbrividì e i suoi occhi si riempirono di paura.
«Luca
mi fai male… e paura» balbettò l’agente visibilmente scossa. Luca si rese conto
solo allora di ciò che stava facendo e la lasciò subito spaventato da se
stesso. Cosa gli era preso? Non era mai stato violento e men che meno con Anna:
cosa gli era saltato in mente? Aveva avuto paura di perdere lei ed Elena in un
solo giorno: ora non voleva che Anna rischiasse inutilmente. Se fosse morta lui
non sapeva cosa avrebbe fatto.
«Scusami…
io… non so… cosa mi sia preso… stai bene?» balbettò.
La
giovane annuì e si lasciò scivolare sulla poltrona, il cuore che le andava
ancora a mille.
«Vuoi
che oggi rimanga a casa?» gli chiese piano.
A
Luca sembrò una pugnalata nello stomaco: la sua voce spaventata gli fece male.
Pregò con tutto se stesso che quella mattina non si fosse incrinato qualcosa
nel loro rapporto.
«No…»
mentì cercando di riparare ai propri errori «… solo non affaticarti troppo…»
La
ragazza annuì e uscì senza aspettarlo. Luca rimase ancora un po’ a casa, poi
uscì anche lui. Si diresse sconsolato al distretto, ma, quando vi fu davanti,
gli tornarono in mente gli occhi sconvolti di Anna e si disse che era ancora
troppo turbato per vederla. Prese a passeggiare per il viale alberato sotto il
sole cocente cercando inutilmente di dimenticare gli occhi marroni spaventati
che continuavano a tormentarlo, ma quando capì che era tutto inutile si diresse
al commissariato sperando che il lavoro lo avrebbe distratto.
«Dovevi
vedere il suo sguardo Elena… era infuriato nero… ho avuto paura e quello che mi
sconvolge di più è che era Luca…»
Elena
la guardava senza sapere cosa dire o come calmarla: Luca non l’aveva mai
sfiorata, neanche con il pensiero, ed ora Anna si massaggiava nervosamente il
livido viola sul polso destro.
«E
poi…» riprese a raccontare.
«Poi?»
«Mi
sono tornate in mente delle brutte immagini di qualche anno fa, quando un
gruppo di ragazzi stava per stuprarmi…»
«Cosa?!»
Elena non poteva crederci.
«Si,
lo so: è stupido! Luca non voleva farmi del male: si preoccupava solo per me…
ma cosa posso farci se ci ho pensato?»
Elena
la strinse a se; poi qualcuno bussò alla porta: entrò Luca.
«Anna…
potrei parlarti?»
Anna
lo guardò incerta per alcuni istanti.
«Ecco…
preferirei di no… scusami…» disse poi abbassando lo sguardo.
Luca
aprì bocca come per dire qualcosa, poi gli mancarono le forze, abbassò lo
sguardo e tornò nel suo ufficio pensando di aver fatto davvero una stronzata.
Intanto
un uomo con un cappello scuro e gli occhiali da sole entrò nel distretto.
«Posso
esserle d’aiuto?» chiese cortesemente Ugo.
«Cerco
il commissario Benvenuto» disse l’uomo velocemente come se non volesse far
sentire la sua voce.
«È
nel suo ufficio: lo avverto subito»
«No,
non serve! Vado da solo… mi aspetta: è importante…» disse e senza attendere
risposta si avviò veloce verso l’ufficio di Luca. Entrò senza neanche bussare e
il commissario sobbalzò.
«Ma
cosa… chi è lei?!» chiese sorpreso e lievemente irritato.
Non
arrivò alcuna risposta e per un attimo l’idea che volesse fargli del male
attraversò la mente del commissario paralizzandolo.
La pistola è nel
cassetto: troppo lontana…pensò Sono
fregato: ora estrae la pistola e spara...
Inspirò
nervosamente trattenendo il fiato e per alcuni attimi che parvero secoli
nell’ufficio calò il silenzio. Poi l’uomo stranamente sorrise.
«Sta
calmo Luca: cos’è, ti spaventa la vista di un vecchio amico?»
Non
poté non riconoscere quella voce: Alessandro Berti.
«Ale!!»
e senza dire altro lo strinse a se. L’ispettore ricambiò il gesto felice di
essere tornato.
«Ti
confesso che mi hai spaventato» disse Luca quando si furono seduti «Per un
attimo ho pensato: cazzo questo mi ammazza, è finita»
Ale
cominciò a ridere di gusto.
«Ridi,
ridi te! Intanto ho rischiato un infarto! Che diavolo ti è saltato in mente di
entrare così di soppiatto?! E poi in un momento simile…» si fermò: si era
accorto di essersi lasciato scappare troppo e pensò velocemente ad un modo per
tornare indietro senza trovarlo: ormai il guai era fatto e bisognava dare
spiegazioni.
«Che
momento scusa?» chiese Ale incupendosi tutto in una volta.
«Nulla
di grave: non preoccuparti!» provò a rassicurarlo il commissario «Solo che
stamattina ho litigato con Anna…»
«Come
mai?»
«Ecco…
pochi giorni fa lei ed Elena sono state ricoverate per delle ustioni e
un’intossicazione da fumo riportate durante un incendio e allora stamattina…»
Luca
si bloccò: di fronte a lui Ale aveva gli occhi spalancati e la bocce
semiaperta. Il ragazzo si accorse di aver parlato con troppa leggerezza
dell’incidente a casa della signora Albino.
«Ora
e tutto ok… stanno benone» provò a rimediare rassicurando ancora una volta Ale
«Solo che stamattina ho detto ad Anna che forse era meglio che almeno per oggi
rimaneva a casa visto che è stata dimessa solo ieri…»
«E
lei si è arrabbiata…» concluse erroneamente l’ispettore.
Luca
scosse la testa.
«Anzi,
l’ha presa a ridere: mi ha chiesto cosa avrei fatto se non avesse ascoltato il
mio consiglio, se glielo avrei ordinato come suo superiore»
«E
tu?»
«Qui
sta il punto: mi sono arrabbiato perché non aveva preso sul serio la cosa e le
ho preso bruscamente il polso stringendola e dicendogli che se ce ne fosse
stato bisogno glielo avrei ordinato»
Alessandro
guardava serio il collega che, finito il racconto, si era nascosto il volto con
le mani: sapeva che la sua reazione era stata eccessiva, ma capiva anche che lo
aveva fatto per proteggerla e non per farle del male.
«Ed
ora?» chiese pur sapendo che la storia non aveva una buona conclusione.
«Quando
le ho chiesto di parlare mi ha detto che preferiva di no, ma ho notato che dove
l’ho stretta è nato un livido…» sospirò «Tu che mi consigli di fare?» gli
chiese con aria affranta.
«Devi
riprovare a parlarle… magari ora che li avverti del mio ritorno, così non avrà
scuse…»
Luca
aveva quasi dimenticato che Alessandro era appena tornato: parlare con lui e riaverlo
al suo fianco aveva cancellato in una volta i quasi sette mesi in cui non c’era
stato. Gli sorrise e si slanciò fuori dall’ufficio pronto a dare la bella
notizia.
«Ragazzi!
Ragazzi ascoltatemi tutti!» urlò mentre una decina di testa sbucavano fuori dagli
uffici sorpresi dalle improvvise parole.
«Potete
venire subito nel mio ufficio?» chiese sempre euforico.
Ancora
sorpresi e non capendo bene cosa stava succedendo Elena, Anna, Raffaele e gli
altri entrarono nell’ufficio di Luca e alla vista di Alessandro esplosero di
gioia. Inutile dire che la più felice fu Elena anche se cercò di darlo a vedere
il meno possibile: anche se lei aveva accettato il fatto di essere innamorata
di Alessandro, non era ancora pronta a farlo sapere a tutti ed in particolare al
diretto interessato.
Dopo
aver stappato la bottiglia di Champagne delle grande occasioni ed aver fatto un
brindisi al ritorno del collega, Luca si avvicinò ad Anna che parlava con
Elena. La ragazza se ne andò lasciandoli soli, per quanto lo potessero essere
in una stanza piena di gente che urlava felice, si abbracciava e parlava con
l’ispettore Berti.
«Cosa
vuoi?» chiese brusca Anna.
«Parlarti…
scusarmi per quello che è successo…»
«Beh,
ora l’hai fatto…»
«No
Anna, no! Tu non hai accettato le mie scuse e… sei ancora arrabbiata con me!»
«E
non dovrei?»
«Ascoltami,
io non volevo farti male: è solo che come al solito prendi la tua salute troppo
alla leggera e solo pochi giorni fa ho rischiato di perdere te e Elena.
Stamattina quando ti sei messa a scherzare mi sono sentito male» prese fiato
mentre Anna lo guardava stupita «Io che faccio senza te? Eh?! Se tu mi lasci
che diavolo faccio… io… da solo… senza di te? Sono morto… non posso andare
avanti Anna… senza di te… e tu scherzi…» sembrava non riuscire più a parlare
mente gli occhi e la gola bruciavano e lottavano contro l’orgoglio che gli
urlava di non piangere.
Anna
era rimasta senza fiato: sapeva quanto bene le volesse Luca, ma sentirsi dire
quelle parole l’aveva spazzata. Ora non sapeva più cosa dire.
Maledetto Luca!
Hai il potere di passare dal torto alla ragione solo con poche, poetiche
parole… ed io che mi ero preparata un bel discorsetto… ora ti guardo e…
Lo
strinse a se mentre tutti gli altri, chi capendo chi no, avevano seguito la
scena facendo finta di esserle indifferente. Ad un tratto un agente entrò
veloce in commissariato.
«Commissario!
È arrivata una chiamata dall’ospedale: la signora Albino si è svegliata»
«Bene»
sorrise Luca sperando che la fortuna stesse cominciando a girare dalla loro
«Anna, Elena andate voi?»
Le
due donne annuirono ed andarono via.
«credo
che dobbiate spiegarmi un paio di cose voi due…» annunciò Ale riferendosi ai
casi in corso.
I
due colleghi annuirono e cominciarono un lungo discorso.
«Non
so come ringraziarvi: se non ci foste state voi ora non mi troverei qui»
«Si
figuri…» rispose cortese Anna.
«Piuttosto»
incalzò l’altra «Lei sa perché volevano ucciderla?»
«Uccidermi?
N-non è stato un incidente?»
«No
ci dispiace: qualcuno ha appiccato l’incendio» le rivelò Anna.
La
donna le guardava impaurita dalla verità, poi sembrò venirle in mente qualcosa.
«I-io
lo sapevo, lo sapevo: sono stati loro!»
«Chi?»
chiesero in coro Anna ed Elena.
«Non
conosco i loro nomi: non li ho mai visti; ma so che mio marito aveva fatto
qualche cattivo affare con loro»
«Cattivo
affare? Intende illegale?»
La
donna annuì.
«E
non le ha mai detto nulla?»
Questa
volta la donna scosse la testa.
«Diceva
che era pericoloso, ma che presto sarebbe finito tutto: dovevamo resistere solo
un altro po’… e invece…»
La
donna ruppe in un pianto silenzioso e nascose gli occhi con le mani; Anna
scambiò uno sguardo d’intesa con la collega. Prima che il medico le cacciasse
via la signora Albino riuscì solo a dire che era più che sicura che gli
incontri con quegli uomini avvenivano in negozio; nel suo ufficio sul retro.
«Fatemi
vedere se ho capito: abbiamo da una parte la morte di una diciassettenne
precedentemente rapita e dall’altra quella di un uomo proprietario di un
negozio di articoli per casa. Tutti e due senza un apparente motivo e senza un
minimo indizio che possa condurci dagli assassini» ricapitolò Alessandro.
«Esatto»
«E
inoltre la moglie dell’uomo ucciso ha rischiato anche lei di essere uccisa per
un incendio di natura dolosa, giusto?»
«Sì»
confermò Luca «Ed è molto probabile che ad appiccarlo siano stati gli stessi
che hanno ucciso l’uomo» concluse.
In
quel momento entrarono Anna ed Elena.
«Allora:
che dice la donna?»
«È
sicura che ad uccidere il marito e ad applicare l’incendio siano stati certi
tizi con cui il marito era entrato in affari… affari poco puliti…»
«Ma
non sa chi sono, giusto?»
Elena
annuì.
«Dice
che non sa molto perché il marito non voleva metterla in pericolo, ma che è
sicura che i loro affari si svolgessero nel retro del negozio, dove c’era
l’ufficio dell’uomo»
Rimasero
in silenzio per alcuni istanti poi Ale alzò la testa.
«Non
credi che bisognerebbe ricontrollare l’ufficio dell’uomo?» chiese rivolto a
Luca «Ora che sappiamo che gli incontri avvenivano lì… forse troveremo
qualcosa…»
«Sì…
andiamo subito… tutti…»
I
ragazzi si alzarono ed uscirono rapidi dal distretto con aria seria: non
sapevano se o cosa avrebbero trovato, ma sentivano chiaramente che stavano
giungendo ad un importante svolta.
Arrivarono
in pochi minuti e ricominciarono a perlustrare quell’ormai familiare luogo.
«Nulla»
concluse Anna delusa sedendosi su una sedia.
«È
tutto come nel primo sopralluogo…» informò Elena.
«Dov’è
Ale?» chiese Raffaele guardandosi intorno e poi posando lo sguardo su Luca al
quale aveva posto la domanda.
Il
commissario guardò istintivamente verso l’uscita.
«Ha
detto che doveva procurarsi una cosa ed è schizzato via…» spiegò ai colleghi.
I
ragazzi attesero per circa un quarto d’ora l’arrivo di Ale. Poi lo videro
sfrecciare verso di loro con un foglio in mano.
«Cos’è?»
chiese Raffaele.
«La
piantina del negozio» rispose il ragazzo, ma notando gli sguardi perplessi dei
colleghi cominciò a spiegare.
Si
allontanò dal bancone dove aveva appoggiato la piantina e si diresse
nell’ufficio dell’uomo seguito dagli altri.
«Ascoltate»
disse poi battendo con le nocche contro il muro.
All’inizio
si sentì il normale e debole rumore di qualcosa che batte contro la parete; poi
qualcosa cambiò: il rumore divenne più acuto come se quella parete fosse…
vuota!
«Qui
c’è qualcosa!» esclamò Anna.
«Per
l’esattezza una stanza» specificò l’ispettore e corse a riprendere la piantina.
La mostrò agli altri.
«Sulla
piantina la stanza è almeno il doppio!»
Guardarono
di nuovo la parete come se potessero aprirla con la forza del pensiero, poi
Elena si avvicinò alla libreria, unico mobile che, dietro la scrivania, si
poggiava al finto muro. Cominciò ad estrarre i vari libri che c’erano fino a
quando dietro due di questi non scorse una maniglia. Sorrise raggiante ed aprì
la porta che li introdusse nel doppio fondo dell’ufficio.
I
colleghi entrarono complimentandosi con la donna e davanti alla loro vista si
aprì una stanza completamente bianca.
***
Lo spazio dell’autrice
Ok, ok lo
so: questo capitolo è stato un po’… lento?? Sì… me ne rendo perfettamente conto…
ma mica posso svelarvi subito chi sono gli assassini di Albino e quelli di
Rita?! Altrimenti gli altri capitoli che facciamo? Hihihi… e allora? Avete
visto? Il nostro Alessandro è tornato! Per la gioia di tutti e, soprattutto,
quella di Elena… E Luca ed Anna… hanno momenti di crisi e momenti di gioia…
faranno un po’ su e giù, ma non preoccupatevi!
Passando
ai ringraziamenti… thanks a tutti i lettori e in particolare a:
Uchiha_chanancora grazie per i
tuoi complimenti e spono felice che ti stia piacendo la linea gialla della storia…
questo capitolo… non è stato poi così avvincente (me ne rendo conto) ma cmq che
te ne pare??
Tinta87addirittura sembra di essere nella fiction? ò_ò
non starai esagerando?? Non mi reputo tanto brava! Cos’è che hai capito?? Mi
sto facendo scappare troppe cose?? Hihihi vbb… che te n’è parso di questo
capitolo??
Luna95thanks mille! Felice che non ti stia
scocciando!! E questo??
Lyrapotter
Hihihi… scusa per lo
spavento… ma ti avverto che ce ne saranno degli altri del genere (poverini
quelli del X) Per Rita… non ho potuto fare nulla… e per quanto riguarda i due
casi su cui stanno indagando… si capirà molto – se non tutto – nel prossimo
capitolo! XD… L’uomo in nero… beh… bisogna aspettare ancora un po’… e spero che
qnd capirai… beh… lasciamo stare, eh?! Che ne pensi di qst??
Dani85oh… addirittura si respira l’aria del
distretto?? O_O Mi fa piacere che la storia ti stia piacendo! Per quanto
riguarda l’uomo in nero… come ho già detto ci mancano ancora alcuni capitoli… e
i ricordi di Luca… beh… ancora qualche capitolo anche per questo… sorry. Cosa
te ne pare di questo capitolo?? Non preoccuparti per la lunghezza della
recensioni… più lunghe sono più mi fa piacere… quindi sfogati e recensisci!!
Il
prossimo capitolo intitolato FUGGITA spiegherà… più o meno le restanti cose(nei
limiti del possibile… in quanti stiamo al 4 capitolo e ne prevedo una decina…)
e anche x quanto riguarda l’uomo in nero… ci sarà una piccola info in più! Mi
raccomando continuate a leggere e recensire! Un grosso bacio a tutti!
«Mio Dio: come
sei cinico!» si lamenta scherzando un uomo.
L’uomo in nero
lo guarda: non c’è espressione nei suoi occhi, prova un’indifferente calma nel
raccontare come è morto lo spacciatore e quasi fa paura al resto delle persone
riunite oziosamente nella stanza.
«A volte mi
chiedo se sei sempre stato così» continua quello che sembra essere il capo o
almeno il più importante del gruppo.
«No, non credo…
ma
ora sono così» risponde lui infastidito.
«È anche
permaloso…» osserva uno del gruppo guadagnandosi dall’uomo in nero uno sguardo
che gli fa gelare il sangue nelle vene.
«Ah Giulio,
Giulio: così fai innervosire il nostro amico!» dice il capo «Tieni per te
questi commenti» lo minaccia poi e quello si zittisce spaventato.
Per alcuni
secondi regna uno strano ed irreale silenzio interrotto dall’improvvisa
irruzione nella stanza di un uomo.
«Signore!»
chiama allarmato ed affaticato «È fuggita!»
Il capo sbuffa
irritato.
«Spiegati
meglio!» gli ordina.
«La ragazza,
Luisa, è fuggita… stanotte»
«Come?!?!» urla
quello scattando in piedi furibondo e l’altro scuote la testa.
Il capo guarda
l’uomo in nero.
«Dimmi: sai che
fine ha fatto Rita?» gli chiede con rinnovata calma.
Quello annuisce.
«Allora sai cosa
fare: vai!» gli ordina e l’uomo in nero si alza.
«Un ultima cosa»
lo blocca il capo «Non fallire, Hector!»
L’uomo in nero,
Hector, annuisce meccanicamente ed esce dalla stanza pronto ad entrare in
azione ancora una volta.
«Fatela
portare via…» diede ordine Luca; poi si avvicinò ai suoi uomini.
«Allora
era questo quello in cui era coinvolto: droga» osservò Raffaele guardando gli
ultimi pacchi da un chilo che venivano portati via.
«Si…
è probabile che avesse deciso di mettersi in proprio, con tutta la droga che
c’era…» congetturò Ale.
«Non
mi sembra che i superiori abbiano gradito tanto…» commentò Anna.
«Sì,
ma questo non ci aiuta un granché» disse pratica Elena «Siamo arrivati a giochi
conclusi… e non credo che qui troveremo indizi per risalire ai fornitori
dell’uomo…»
Purtroppo
aveva ragione.
Il
telefono di Luca squillò facendolo quasi sobbalzare.
«Si?
Ugo, dimmi… sì… va bene: mando subito qualcuno»
«Che
succede?» chiese Anna.
«Una
ragazza è stata portata in ospedale da un uomo che l’ha trovata per strada
svenuta. È ferita, probabilmente è stata picchiata. Ci andate tu ed Elena?»
Le
due ragazze annuirono.
«Se
ci sono novità…»
«Vi
informeremo» concluse Luca salutandole con un sorriso.
«L’hanno
portata qui questa mattina» spiegò un’infermiera alla due poliziotte.
«Ha
subito violenze?» chiese Anna.
«No…
ma ha lividi su tutto il corpo…»
Entrarono
nella stanza della giovane.
«Non
so se può esservi d’aiuto, ma durante il sonno ha più volte fatto il nome di
una certa Rita»
Elena
ed Anna si guardarono involto folgorate
da quel nome: Rita, come la ragazza uccisa. Era una semplice coincidenza?
Proprio in quel momento la giovane si svegliò. Le due donne si avvicinarono.
«Buongiorno»
cominciò Anna «Noi siamo della Polizia…»
Gli
occhi della ragazza sembrarono animarsi.
«Finalmente…»
sussurrò stanca «Ci sono riuscita…»
«Di
cosa parla?» chiese Elena.
«Mi
avevano rapita… ma sono riuscita a scappare»
«Chi?»
«Non
so chi fossero… si sono sempre fatti vedere con i passamontagna…»
«Sai
perché ti hanno rapita?»
«Traffico
di donne credo. Ho sentito che volevano venderci ad un tizio…» spiegò, ma
sembrava ancora molto confusa.
«Aspetti!
Aspetti! Ci racconti tutto d’accapo. Anna chiama Luca: la Fortuna sta girando
finalmente dalla nostra parte!»
Anna
si affrettò ad uscire e compose il numero telefonico.
«Pronto?»
«Luca?
Anna. Ascolta: vieni subito in ospedale e porta anche Ale e Raff. La Fortuna
finalmente si è accorta del X Tuscolano!»
«Arriviamo
subito!» fu la risposta un po’ perplessa del commissario.
«Il
mio nome è Luisa Martini, ho 17 anni ed abito nella periferia Nord di Roma.
Sono stata rapita… che giorno è oggi?» chiese confusa.
«Il
10 Aprile» la informò gentile Luca.
«Il
10… Allora sono… 3 mesi. Una sera, dopo un party, stavo tornando a casa quando
due uomini con i passamontagna mi hanno presa, bendata, imbavagliata e caricata
su un furgone. Quando ho potuto di nuovo vedere ero in una stanza buia e
polverosa insieme ad una decina di ragazze più o meno della mia stessa età. Con
il passare dei giorni il numero è aumentato: prima di fuggire eravamo circa 30.
È lì che ho conosciuto Rita»
«Rita?
Rita Diana?» chiese Ale sorpreso.
La
ragazza annuì.
«Lei,
oltre a me, era l’unica che avesse la voglia di ribellarsi, di provare a
fuggire; le altre avevano già perso le speranze. Abbiamo provato ad ascoltare
ciò che dicevano gli uomini: parlavano di venderci a qualcuno e poi di un
traffico di droga… e… di un tizio… qualcuno che stava esagerando e che
bisognava fermare»
Luca
ebbe un brivido. Droga? Un uomo da uccidere? Era un’altra coincidenza? O forse…
era fin troppo bello per essere vero… eppure…
«Quando
ne abbiamo capito abbastanza io e Rita abbiamo deciso di fuggire. Lei però si è
fatta scoprire e…»
Gli
occhi le si riempirono di lacrime e Raffaele le porse un fazzoletto.
«Scusate…
Rita è stata l’unica consolazione in quei tre mesi tremendi.,.. per questo
quando è morta mi sono convinta a portare a termine ciò che avevamo progettato.
Ci sono voluti giorni e notti, ma alla fine sono riuscita a scavare un tunnel e
a scappare. Ora credo che si saranno accorti della mia assenza…»
«Di
questo non deve preoccuparsi: metteremo un piantone fisso davanti alla porta
della sua stanza. Non le accadrà nulla» la rassicurò Luca e la ragazza sorrise,
ma aveva qualcosa di triste negli occhi.
«Piuttosto»
continuò Anna «Dobbiamo avvertire qualcuno, i suoi genitori?»
Gli
occhi di Luisa si illuminarono per qualche istante, poi prese carta e penna che
si era fatta portare e scrisse un numero telefonico.
«Credo
che li troverete a casa» li informò con voce ancora stanca.
Gli
agenti sorrisero felici di come si fosse risolta la situazione.
«È
sempre bello vedere una famiglia che si ritrova!» esclamò felice Anna.
«Sì…»
la assecondò Luca impegnato a riflettere sulle parole di Luisa.
«Luca?!
Mi stai ascoltando?!» chiese lei offesa.
«Sì…»
fu la noncurante risposta.
«Già…
e domani pensavo di salire sul tetto del palazzo e buttarmi giù per vedere se
riesco a volare…» disse aspettando una reazione.
«Si…
cioè no! Ma che cavolo dici Anna!»
«Era
l’unico modo per attirare la tua attenzione!» si giustificò la ragazza ridendo
per l’espressione sul volto del commissario «A che pensavi?»
«Alle
parole di Luisa… Quelli che l’hanno rapita hanno avuto delle controversie con
qualcuno che spacciava droga fornita da loro e che stava alzando un po’ troppo
la cresta…»
«Pensi
ad Albino?»
Il
commissario annuì.
«Non
credo sia solo una coincidenza…» spiegò.
«Quindi
se prendiamo i rapitori di Luisa e Rita troviamo anche gli assassini dell’uomo…
due piccioni con una fava: comodo» commentò Anna «Hai idea di come fare?»
chiese poi.
«Forse…
prima bisogna che io chieda una cosa a Luisa»
I
due entrarono in ospedale ed incrociarono i signori Martini che stavano
uscendo.
«Ah
signori Martini! Come sta vostra figlia?» chiese cortese Anna.
«Ora
bene… grazie a voi» disse la madre con gli occhi lucidi.
«Se
non fosse stato per voi… non potremmo mai ringraziarvi abbastanza» continuò
l’uomo stringendo la mano di Luca.
«Dovere»
rispose il commissario, poi lasciò che i coniugi andassero via e si avviò con
Anna verso la camera della giovane.
«Se
non sbaglio anche Raffaele dovrebbe essere qui» disse Anna pensierosa.
Ma
appena voltarono l’angolo videro il collega steso per terra svenuto.
«Raffaele!!»
urlarono i due poliziotti correndo verso il collega.
Anna
gli si inginocchiò accanto sollevandogli la testa: si accorse che perdeva
sangue.
«Oddio
Luca: perde sangue!» urlò mentre l’altro entrava nella stanza pregando di
sbagliarsi su ciò che aveva pensato. Quando uscì il suo volto era pallido, gli
occhi lucidi. Guardò Anna che incrociò il suo sguardo.
«L’hanno…
l’anno uccisa… Anna… e Raffaele?»
«È
ferito» disse lei respirando affannosamente «Un medico! C’è bisogno di un
medico! Aiuto!» urlò poi spaventata man mano che si rendeva conto della
situazione. Ad un tratto un rumore proveniente dalla fine del corridoio bloccò
la sua voce.
«Anna!
Sono ancora qui!» le urlò Luca, poi prese a correre nella direzione dalla quale
proveniva il rumore.
Corse
per alcuni corridoi senza vedere nessuno tranne medici, infermieri o pazienti;
poi scorse qualcuno, un uomo con un passamontagna.
«Fermo!»
gli urlò, ma ebbe appena il tempo di farlo che questo, voltatosi, gli puntò la
pistola contro e sparò.
Luca
ebbe appena il tempo di rendersene conto che sentì un dolore tremendo alla
spalla, la stessa spalla dell’ultima volta. Si accasciò a terra senza emettere
fiato e tentò di toccarsi la ferita sanguinante mentre l’uomo si avvicinava
sicura e con la pistola puntata. Si fermò a pochi passi dal commissario, la
pistola sempre impugnata; i loro occhi si incrociarono: quelli scuri dell’uomo
in quelli verdi di Luca e per un attimo il commissario credette
di vedere qualcosa di più dell’esteriore freddezza che traspariva.Caricò la pistola e la puntò verso la testa
di Luca. Il ragazzo deglutì: stava per svenire, le immagini cominciavano a
farsi sfocate, i suoni si allontanavano; credette che
fosse davvero giunta la sua ora quando un suono sembrò riportarlo alla vita.
«Hector
vieni via! Hector ci sono agenti ovunque!» urlò qualcuno che Luca non vide.
L’uomo
in nero rimase fermo per qualche istante, indeciso sul da farsi, poi abbassò
rapido la pistola e corse verso l’uscita. Non seppe se per la ferita o per lo
spavento, ma Luca svenne e l’ultima cosa che sentì fu un rumore in lontananza…
forse una voce…
«Luca…?
Sentì…? Avanti…»
Una
voce destò Luca dal mancamento in cui era caduto. Riaprì lento gli occhi
chiedendosi se gli fosse sempre costato tutto quello sforzo e voltò lo sguardo
verso la voce che aveva sentito.
«Anna…»
sussurrò stanco.
La
ragazza si voltò verso di lui, gli occhi ancora lucidi, il volto pallido, un
po’ trascurato e le labbra rosse di quando piangeva. Provò a sorriderle.
«Luca!»
esclamò lei con rinnovate lacrime «Io… pensavo… ho creduto…»
«Ora
va tutto bene» provò a rassicurarla lui.
Lei
lo strinse a se ignorando i tubi ed il debole lamento di Luca; solo pochi
istanti dopo il ragazzo riuscì a mettere a fuoco la situazione.
«L’hanno
uccisa!» gridò facendo sobbalzare Anna «Luisa è morta!»
L’ispettrice
annuì triste.
«E
Raffaele… lui era ferito… perdeva sangue… era a terra…» continuò balbettando
mentre la paura cresceva man mano che i ricordi si faceva più nitidi.
«Ah
Raffaele… non devi preoccuparti… lui…»
«Voglio
vederlo!» la interruppe lui con ansia; poi senza più ascoltare la collega si
alzò, si tolse violento la flebo e corse fuori: aveva paura che Anna gli stesse
mentendo per non agitarlo, che Raffaele stesse male… o peggio…
«Luca!»
lo chiamò la ragazza preoccupata.
«Raffaele!
Raffaele!» urlò il commissario guardandosi intorno senza vedere l’amico «Anna
dov’è?! Dov’è Raff?!»
«Vuoi
calmarti?! Eccolo!» disse Anna indicando il collega che aveva appena svoltato
l’angolo; aveva una sottile fasciatura alla testa, ma per il resto sembrava
stare meglio di prima.
Luca
tirò un sospiro di sollievo; poi la spalla gli diede una fitta tremenda ed
impallidì vedendo che perdeva di nuovo sangue.
«Luca!»
urlarono insieme Anna e Raff vedendo il collega sanguinare. Lo riportarono in
stanza e l’infermiera rimise la flebo al braccio.
Quando
si riprese Ale e Raff erano accanto a lui.
«Anna
ha detto che se ti azzardi di nuovo a muoverti ti attacca con le manette… e tu
sai com’è quando si arrabbia» scherzò l’ispettore.
Luca
sorrise.
«Cosa
stai?» gli chiese.
«Mmh…
tutto a posto» giudicò tastandosi la testa «Piuttosto te: che cavolo ti passa
per la testa? Strapparti la flebo e correre in corridoio!»
«Io…
non ti ho visto… e ho pensato che Anna non mi stesse dicendo la verità per non
farmi preoccupare…»
Questa
volta fu Raffaele a sorridere.
«Sta
calmo: è tutto ok…»
In
quel momento Elena entrò nella stanza.
«Ohi
Luca! Ti sei svegliato! Come va?»
«Mmh…
bene direi» rispose lui imitando i gesti che aveva fatto il collega poco prima.
«La
scientifica ha appena ricostruito la scena dell’omicidio. Erano in due, hanno
aspettato che in corridoio finisse il giro degli infermieri e poi hanno agito:
prima hanno colpito Raff, poi la guardia; infine hanno ucciso la ragazza»
concluse con una nota di dolore.
Anche
gli altri ebbero un moto di rabbia: avevano ucciso la ragazza sotto i loro
occhi, in più dopo che sembrava essersi sistemato tutto… che aveva rivisto i
genitori… che l’odissea sembrava conclusa.
«Scusate»
intervenne Anna, che era appena entrata «La scientifica ha trovato questo,
dovreste leggerlo» disse porgendo un biglietto ad Ale.
Quando
arrivò nelle mani di Luca, questi lesse ad alta voce.
So
che se leggerete questo messaggio io sarò morta e so che morirò presto: sono
troppo bravi per potermi tenere in vita e troppo organizzati per perdere tempo,
quindi vi lascio questo messaggio perché so che non vi parlerò più. Non potete
fermarli solo con indagini e tentativi (senza offesa). Avete bisogno di
qualcosa di concreto, sicuro, di qualcuno che sappia come funzionano le cose
nella banda. Il prossimo mese, il 24, al porto ci sarà uno scambio: droga con i
soldi di una rapina. Sarà di sera… di solito è così. Ci sono voluti giorni per
procurarmi quest’informazione… vi prego di non gettarla al vento…
Dite
ai miei genitori che li voglio bene e gliene vorrò sempre… grazie…
Luca
sospirò. Lei era consapevole di ciò che stava per accadere e anziché avvertirli
aveva preferito informarli di quanto sapeva sulla banda. Gli si strinse il
cuore ed un senso di amarezza ed impotente rabbia lo travolse: non avrebbe
sprecato l’opportunità che Luisa aveva loro offerto.
«Luca
che si fa?» chiese Anna.
«Un
infiltraggio!» rispose serio il Commissario.
***
Lo spazio dell’autrice
Salve a
tutti!! Vi ho fatto attendere, eh?? Perdonatemi ma la scuola mi stressa!!=_=
Cmq… Cosa vi sembra?? Vi ho fatto spaventare di nuovo? Povero Luca, l’ho messo
in un bel casino! Ed anche Raff… beh una volta per uno no?? Hihihi… a parte gli
scherzi… ora sapete che il nome dell’uomo in nero è Hector… ma vi prego non
ditemi che avete capito! Restate in dubbio ancora un po’… tanto tra poco il
mistero verrà svelato!!
Intanto
passo a ringraziare:
Luna95-^^- *me
emozionata* Felice di spere che ti piace… e per quanto riguarda il documentarsi…
Beh, senza impegno, eh?! Solo se ti fa piacere! XD Grazie x il tuo sostegno!!
Che te n’è parso di qst capitolo? Mi sono impegnata x farlo un po’ più giallo…
Beh, alla prossima!
Uchiha_chanQnd dici che alcuni personaggi è come se
trasudassero terrore ti riferisci all’uomo in nero eh?? O meglio Hector che
sarebbe il suo nome! Questa volta la linea gialla ho provato a farla più
avvincente… ci sono riuscita? Spero ti sia piaciuto… alla prossima!
Dani85Felice della tua lunghissima recensione! *Occhi
luccicanti* Anch’io sono fiera del pezzettino iniziale sull’uomo in nero dello
scorso cap: credo sia il riuscito meglio! Poi capirai come e per “colpa” di chi
fa quello che fa… e… non posso anticipare nulla anche se… nono devo stare
zitta!! Per i possibili sviluppi tra Ale ed Elena… bisogna aspettare ancora un po’…
Concordo con te per la preferenza della coppia Luca/Anna (li adoro troppo
*___*) E per loro… vedrai, vedrai… ^^. Non scusarti x la curiosità… anch’io
sono molto curiosa!! Questo capitolo ha chiarito qlcs di più?? Come ti è
sembrato?? Alla prossima!! Un bacio.
Tinta87Mille grazie ancora x i complimenti! Credo di
essermi rifatta x quanto riguarda la linea gialla e d’azione, no?? Cos’è che
hai capito?? Anzi no non dirlo… lo darai quando svelerò tutto… dovrei tenere la
bocca chiusa… ^^’’’ Cosa te ne pare di qst capitolo?? Un bacio!!
Nel
prossimo capitolo, AMONG THE MEN IN BLACK,le cose si faranno più… pericolose e… romantiche… (chi vuole intendere
intenda…) e… vedrete ok?? Un bacio a tutti ed un ringraziamento a tutti coloro
che hanno letto!! Alla prossima un bacio!
Entra veloce
nella sala: suda freddo e forse trema, ma non deve dare agli altri alcun segno
di ciò che sta accadendo.
«Dove vai così
di corsa, Hector?» chiede il capo.
«Nella mia
stanza» risponde serio cercando di non tradire l’impazienza che lo muove.
«E la missione?»
«Tutto secondo i
piani: c’erano dei poliziotti, ma siamo riusciti a farla fuori e nessuno sa
nulla…»
«Ottimo… eppure
mi sembri agitato…»
Hector
rabbrividisce.
«Anche il ghiaccio
si scioglie… che delusione» commenta uno al fianco del capo.
La rabbia
investe in pieno l’uomo in nero che in un attimo carica la pistola e la punta
contro l’uomo.
«Prego?» chiede
con rinnovata calma glaciale.
«Ora basta!»
ordina il capo «Giulio è la seconda volta che lo provochi e noi tutti
conosciamo il carattere del nostro Hector... Sta zitto! E tu Hector lascialo
andare. Su, metti via quell’arma»
L’uomo in nero
obbedisce, poi si dirige rapido nella sua camera che, però, osservandola
meglio, sembra più la cella di un carcere. Chiude la porta alle sue spalle, poi
vi si poggia contro scivolando verso il basso e respirando veloce ed ansioso,
mentre gli tornano in mente quei maledetti occhi verdi.
«Calmati!
Calmati!» si ripete «Erano solo un paio di occhi, nulla più! Non essere
sciocco, non ha senso illudersi: prima o poi sarebbe accaduto, ma questo non
cambierà nulla! Ormai è così!»
Dopo alcuni
minuti il suo respiro torna normale ed il suo volto perde di nuovo espressione.
Tutto è di nuovo come deve essere.
«Ma
non capisci: se non agiamo subito il sacrificio di Luisa sarà sprecato!» urlò
Luca.
«Questo
lo so fin troppo bene! Ma perché tu?!»
«Anna
ha ragione!» la sostenne Raffaele «Di solito è un ispettore che fa questo
genere di missioni!»
«Non
è una regola, solo una brutta abitudine»
«E
utilissima: senza di te il Distretto andrebbe allo sbaraglio» insistette Anna.
Luca
la guardò scettico.
«Ci
sarebbe Alessandro» disse.
«Ma,
visto che ci sono, perché non posso andarci io?» chiese l’ispettore.
«Perché
sei appena tornato e non voglio riperderti»
«E
perché non io?» chiese Raffaele.
«Ti
hanno visto in volto… e sei ancora ferito»
«Lo
stesso vale anche per te, commissario» gli ricordò lui.
«Mi
ha visto solo uno di loro… e con un po’ di fortuna avrò un passamontagna prima
di rivederlo»
«In
quanto a noi» ed Elena indicò lei ed Anna «Neanche a chiederlo, giusto?»
Luca
sorrise verso di loro.
«Credi
che io faccia discriminazioni?» chiese gentile « Ho già avuto una volta la
brutta esperienza di rischiare di perdervi… e non voglio rifarla una seconda
volta»
«Insomma:
ci devi andare tu, non è così?» chiese Anna un po’ stizzita.
«Sì»
concluse lui di nuovo serio ed Anna lasciò l’ufficio sbattendo la porta.
Luca
sospirò abbassando la testa.
«Non
l’ha presa bene» commentò quasi sorpreso.
«Fossi
in te non mi preoccuperei solo della sua reazione!» commentò fredda Elena e gli
altri annuirono d’accordo.
«Ascoltatemi:
la verità è che io non ce la farei ad andare avanti sapendo che uno di voi è
infiltrato tra quelli, con il rischio di essere svegliato da uno squillo di un
telefono, una notte,ed essere avvertito
da uno sconosciuto che è stato ritrovato il cadavere di un ispettore…» spiegò
tutto d’un fiato.
Gli
altri lo guardarono senza sapere cosa dire.
«Beh…
beh… sei un‘egoista!» esclamò Elena.
«Noi
ci sentiremo allo stesso modo se ad infiltrarti sarai tu!» spiegò Ale.
Luca
non sapeva come controbattere: avevano ragione.
«Ma
io… ecco…»
«Tu
sei il capo ed hai la facoltà di scegliere, giusto?» chiese Raff «Quindi per
quanto diciamo o diremo nulla ti farà cambiare idea. Ha i suoi privilegi essere
il capo, eh?» concluse, poi uscì seguito dagli altri.
Luca
sospirò ancora sedendosi dietro la scrivania. No, decisamente nessuno dei suoi
uomini l’aveva presa bene, ma non si sarebbe tirato indietro per nulla al
mondo.
Dopo
qualche minuto entrò Ugo.
«Luca:
il Magistrato e gli altri che avevi fatto convocare sono arrivati» lo informò.
«Bene
Ugo: lasciali entrare»
Ugo
uscì ed in poco tutte le autorità convocate furono nell’ufficio.
«Ma
è vero che vuole infiltrarsi?» chiese Vittoria a Raffaele che annuì.
«Non
c’è stato modo d fargli cambiare idea; è riuscito a trovare una scusante per
ognuno di noi pur di non farci infiltrare… ma nessuno è d’accordo con lui»
«Per
questo Anna è andata via così di mal’umore?» chiese, intromettendosi, Giuseppe.
«Sì…
è quella che se l’è presa di più… potete immaginare perché…»
In
quel momento il magistrato e le altre cariche convocate uscirono dall’ufficio
augurando buona giornata e buona fortuna al commissario.
«Allora?
Ti hanno dato l’ok?» chiese Ugo e Luca annuì.
«Ragazzi:
so che nessuno di voi è d’accordo, ma io sento di doverlo fare… provate a
capirmi…»
«Ma
noi ti capiamo… è solo che…» provò a spiegare Alessandro.
«Anche
noi abbiamo provato la brutta esperienza di rischiare di perderti… e non
vorremmo riprovarla…» concluse Elena.
«Ma
voi non mi perderete!» disse Luca con finta ingenuità «Andrà tutto x il
meglio!» concluse abbracciando affettuosamente Elena.
«Sai
bene che non crediamo a questa frase» disse Raff, dopodiché abbracciò Luca e lo
stesso fece Ale: sentivano che ormai non avrebbero potuto più far nulle e che
tutto era deciso.
«Comunque
mancano ancora tre settimane! Non parto ora!» esclamò il commissario quasi
commosso «Dov’è Anna?» chiese subito dopo.
«È
andata via da un po’» lo informò Giuseppe.
Luca
sbuffò e corse fuori a cercarla. Girovagò per un po’ prima di dirigersi a casa
sperando di trovarla lì.
«Anna?»
chiamò rientrando «Anna? Sei in casa?»
Nessuno
rispose, ma il commissario notò le chiavi di Anna appoggiaste sul mobile
all’entrata e il suo soprabito appeso all’attaccapanni e capì che doveva essere
in camera sua. Vi si diresse e bussò leggero alla porta.
«Posso
entrare Anna?» chiese gentile.
«Vattene!»
fu la risposta dall’interno.
La
voce di Anna era soffocata, probabilmente da un cuscino, e spezzata: stava piangendo.
«Anna…
ascoltami: non è così grave… è una missione come tante»
«Allora
ti hanno dato l’ok?» chiese quasi urlando.
«Sì…»
sussurrò lui spaventato dalla possibile reazione di Anna.
Scese
il silenzio, un silenzio irreale e carico di tensione; poi la porta della
stanza si aprì e comparve un’Anna pallida e in lacrime.
«IO.
TI. ODIO!» urlò in faccia al commissario prima che questo potesse dire
qualcosa.
Poi
sbatté la porta e Luca, completamente immobile per lo shock, la senti
singhiozzare.
«Sto
impazzendo: non posso andare avanti così!» esclamò Luca «È una settimana che
non mi parla e se mi incontra mi evita!»
«Prova
a capirla: è preoccupata per quello che potrebbe accaderti» disse Raffaele.
«Questo
lo capisco! Ma non risolverà nulla così… ormai è tutto deciso!»
«Hai
provato a parlarle tu?» chiese Alessandro.
«Sì!
Una decina di volte! Ma non mi sente, fa come se non esistessi ed è… così…»
«Irritante?»
chiese, concludendo, Ale.
Luca
abbassò la testa. Era irritato per il comportamento di Anna? No… non gli sembrava.
Lui era semplicemente triste. Sì: più guardava come quegli occhi lo evitavano,
più si sentiva male. Si era pericolosamente reso conto di non poter sopravvivere
senza guardarla negli occhi, senza vederla sorridere o senza sentire la sua
voce. Lei aveva avuto ragione, come sempre, anche quella sera: il loro era
amore. Pericoloso, strano, inaspettato eppure bellissimo ed atteso amore.
«Te
ne sei reso conto alla fine, eh?» gli chiese sorridente Raffaele.
Luca
alzò la testa impallidito: aveva pensato ad alta voce? Si era fatto scoprire?
«Io…cosa…?»
chiese con aria da finto tonto.
«Ti
sei finalmente reso conto di amare Anna?» chiese ancora Raff.
Luca
arrossì violentemente.
«Era
pur ora!» esclamò l’ispettore «Io l’ho sempre saputo»
«Io…
non ne sono sicuro…» confessò il commissario.
«Perché?»
chiese Alessandro interessato.
«Non
è evidente?» disse Luca quasi irritato «Io… io… sono gay! Questo… non… non… è…»
«Normale?»
concluse Raffaele «Luca è amore! Non è mai normale, solo è… e non puoi fare nulla
perché cambi!»
Luca
lo guardò: da quando Raffaele era così filosofico? Ma forse, visto che c’era…
poteva anche chiedergli un’altra cosa.
«Il
fatto è che… quello che ora c’è tra di noi è più di un’amicizia, più forte, più
bello, più… Quello che intendo è che, se diventasse amore, non credete che
possa banalizzarsi? Insomma “amore” è solo una parola… non può racchiudere
tutto quello che provo per lei, tutto il nostro rapporto. Ho paura che
cambiando tutto vada parso; che da rapporto unico e speciale diventi banale amore…
e se la perdessi?»
«Oh,
Luca… no!» disse Alessandro
«Banale?»
chiese Raffaele «Luca un amore non è mai banale, soprattutto se è forte come il
vostro; insomma il legame che c’è tra voi… è troppo forte perché si spezzi. E
poi credi di poter andare avanti così?»
No,
non poteva. Questa era l’unica cosa di cui era sicuro.
«Sei
ancora qui?» chiese Ale.
Luca
lo guardò senza capire le sue parole.
«Ale
ti stava gentilmente suggerendo di correre fuori di qui e di dire ad Anna ogni
cosa!» spiegò lento Raffaele.
Luca
strabuzzò gli occhi: dirlo a loro era una cosa, dirlo ad Anna era tutt’altra
cosa! Eppure era l’unica soluzione…
Scattò
dalla poltrona e corse fuori dall’ufficio e dal distretto. Nella fretta
dimenticò di essere arrivato con la macchina e cominciò a correre a piedi fino
al palazzo in cui abitava con Anna. Quando fu davanti alla porta aveva il
fiatone ed un ansia strana ed indescrivibile. Si tocco le tasche in cerca delle
chiavi dell’appartamento quando si ricordò che aveva lasciato la giacca
nell’ufficio con le chiavi all’interno di una tasca.
Poco male si disse ora avrà un motivo per vedermi… se suono in
continuazione il campanello, prima o poi mi aprirà…
«Non
so se fa finta o veramente non capisce perché sto così male!»
«Anna:
se non gli parli non lo capirà mai! Credimi…»
«Ma
cosa dovrei dirgli Elena?!»
«Quello
che provi??» chiese la collega.
Le
due stavano parlando a telefono quando qualcuno bussò al campanello
dell’appartamento.
«Scusa
Ele bussano alla porta… ci sentiamo ok?»
«Si,
certo. Anna: parlagli»
«Vedremo…»
concluse lei per nulla sicura.
Scese
dal letto e si diresse all’entrata. Non guardò neanche dallo spioncino, ma aprì
istintivamente la porta. Di fronte a lei c’era Luca.
«Anna»
la chiamò sorridendo, ma la ragazza, senza degnarlo di uno sguardo, gli diede
le spalle diretta in camera sua.
Questa
volta però Luca era pronto: corse più veloce di lei e bloccò la porta prima che
la ragazza potesse aprirla.
«Devo
parlarti» le disse.
«Beh,
io no»
«Ma
mi ascolterai!» rispose sicuro il commissario.
Senza
alcuna possibilità di evitarlo, Anna si arrese ed incrociò le braccia irritata.
«Hai
tutti i motivi del mondo per essere arrabbiata con me, Anna: la missione è
pericolosa, e quell’uomo conosce il mio volto. Quello che devi capire però è
che non poteva andare nessun’altro; e non per presunzione, ma per il semplice
fatto che non sopporterei di perdervi…»
«Neanch’io…»
sussurrò Anna, alla quale mancava la forza per parlare.
«C’è
una cosa che, però, volevo dirti…» continuò Luca con evidente ansia «Ti prego… non
odiarmi per questa decisione… Io… io non ce la faccio… mi sento davvero uno
schifo se sei arrabbiata con me…» spiegò.
«Addirittura»
commentò scettica Anna.
«Non
scherzare per favore!» la rimproverò lui ferito «Quello che sto dicendo è
serio!»
Anna
non proferì parola.
«Anna
io… insomma… non vorrei rovinare tutto… però… io…»
«Cosa?»
chiese lei in un sussurro serio.
«Io…
ti amo Anna. Per quanto possa sembrarti strano, folle o semplicemente
impossibile ti amo e non posso più fare finta di nulla: sto per esplodere… e tu
non mi parli… è tremendo…» disse con fare confuso.
Anna
non sapeva cosa dire: da Luca si aspettava tutte le parole del mondo tranne
quelle due: Ti Amo… Ti Amo…
Luca
abbassò la testa.
«Ho
rovinato tutto…» sussurrò.
Rovinato
tutto? Era questo quello che aveva fatto? No. Lui era riuscito dove lei aveva
avuto paura di provare: aveva confessato ciò che provava…
«Non
è vero» disse lei e, appena lui alzò la testa, sorpreso, lo baciò.
Un
bacio lento, insicuro, improvvisato a cui lui rispose con altrettanti
sentimenti. Poi, pian piano, cominciarono a rendersi conto di ciò che stavano
facendo ed il bacio divenne più sicuro e voluto. E fu un’esplosione di emozioni
che li travolse facendo perdere loro la concezione di tutto ciò che era al di
fuori delle loro labbra.
E
adesso non ci sei che tu
Soltanto
tu e sempre tu
Che
stai scoppiando dentro il cuore mio…
Ed
io che cosa mai farei
Se
adesso non ci fossi tu
Ad
inventare questo amore…
(E tu – C. Baglioni)
Inventare. Era quella la
parola giusta. Il loro amore era unico, nessuno dei due ci aveva sperato, per
quanto entrambi lo desiderassero più di ogni altra cosa al mondo… perché in
fondo lo avevano sempre saputo ed ora stavano inventando ciò che in quel
momento era la cosa più bella della loro vita…
Si
resero conto di quello che stavano facendo solo quando furono entrambi nudi sul
letto, nella stanza di Anna. Nessuno dei due però era spaventato, timoroso o
indeciso: tutto sembrava tanto semplice, naturale che non c’era bisogno di
inutili parole. I loro occhi erano fin troppo eloquenti.
24/05 ore 20:00
Luca
sospirò: sarebbero arrivati tra qualche ora e tutto si reggeva su un precario
equilibrio ed una bella dose di fortuna. Non negava a se stesso che la paura lo
attanagliava, che, se quell’uomo lo avesse visto prima del tempo, sarebbe
morto. Ora si chiedeva perché era stato così cocciuto da non mandare
Alessandro: almeno lui non avrebbe avuto questo problema.
Ormai non ha
senso pensarci e poi…. Non sarei resistito un giorno aspettando notizie da Ale.
Si
guardò intorno: nonostante fosse lontano riusciva a vedere le macchine dei suoi
colleghi pronti all’azione.
24/05 ore 21:30
Ancora
non si era fatto vedere nessuno ed il sole era ormai tramontato. Luca guardò la
sua immagine riflessa nello specchietto della macchina. Non c’era che dire:
avevano fatto un ottimo lavoro. I capelli, di media lunghezza, erano tinti di
nero; la barba, appena accentuata, gli dava un aspetto un po’ trasandato, ma il
top erano gli occhi marrone scuro, quasi neri. Solo chi lo conosceva bene era in grado di riconoscerlo eppure il
commissario aveva il gran timore che, se lo avesse visto, anche quell’uomo lo
avrebbe riconosciuto. C’era qualcosa nei suoi occhi marroni che aveva trafitto
Luca e per molto tempo aveva avuto fisso nella mente quello sguardo.
Respirò
lentamente e cercò di ritrovare la calma: ormai doveva essere lì a minuti e lui
doveva essere pronto.
24/05 ora 23:00
Erano
tre ore ormai aspettavano, ma degli “uomini in nero”, così li avevano
soprannominati, non si era vista neanche l’ombra.
Forse hanno
capito tutto e non verranno pensò Luca.
Non
ebbe neanche il tempo di finire quel pensiero che dei fari bianchi illuminano
l’oscuro porto. Luca era appostato ai margini di questo pronto all’azione. Da
lontano riuscì a distinguere almeno tre macchine nere che si fermarono davanti
ad una delle imbarcazioni; ne scesero almeno sei uomini, tutti rigorosamente in
nero, come delle ombre tanto che il commissario faticò molto per distinguerli.
Le torce illuminarono il loro tragitto verso l’imbarcazione e lungo il ponte
che li avrebbe portati all’interno. Quando furono entrati tutti il porto tornò
nel suo oscuro sonno e tutt’intorno cadde un profondo silenzio. Non restava che
aspettare.
25/05 ore 00:30
Le
luci ricomparvero nel porto e con esso Luca sentì le grida dei colleghi e i
primi colpi di pistola. Fin’ora aveva pensato solo al rischio che correva lui
in quanto infiltrato; in quel momento però si rese conto di quanto anche gli
altri stavano rischiando in quell’operazione: gli uomini in nero avevano già
dimostrato la loro astuzia e la loro determinazione… Avrebbero potuto benissimo
uccidere uno o più dei suoi uomini e lui non avrebbe potuto far nulla. Luca si
chiese come avevano fatto gli altri commissari prima di lui a combattere con la
costante paura di perdere qualcuno. Fu istintivo pensare a lei, ad Anna. Tutto
era diventato ancora più bello dal giorno in cui si erano dichiarati ed ora gli
sembrava di essersi svegliato da un sogno ed essere tornato nella dura realtà:
la folle paura di non rivederla lo attanagliava da giorni, per quanto cercasse
di non farlo notare. I suoi pensieri furono interrotti dal rumore di due uomini
in corsa.
Si entra in
scena
pensò mettendo in moto la macchina.
Accelerò
in modo violento e mise l’automobile proprio di fronte ai due uomini in fuga.
«E
mo questo che cazzo vuole?!» chiese spazientito uno dei due.
«Dura
la vita, eh?!» chiese Luca con fare beffardo «Oops…
la polizia» commentò poi sempre prendendo in giro e facendo finta di essersi
appena accorto delle volanti e delle sirene.
«Levati
di mezzo, goglione!» lo minacciò l’altro infuriato
puntando la pistola contro Luca, che però non sembrò dargli peso.
«Mmh…
incazzati… Posso fare di meglio che togliermi: salite!»
I
due parvero rifletterci per alcuni istanti indecisi, mentre la polizia si
avvicinava.
«Tic-tac,
tic-tac, tic-tac» scandì il tempo Luca.
«Vai
parti!» gli urlò uno dei due salendo; l’altro fece lo stesso e la macchina
parti a tutto gas.
Luca
accelerò mentre una strana adrenalina si impadroniva del suo corpo: sarebbero
potute andare mille cose di traverso e con molta facilità non sarebbe arrivato
vivo al covo, ma in quel momento l’unica cosa che riusciva a sentire era la
follia di quell’operazione, la precarietà della situazione e la velocità con
cui riusciva a sfrecciare per quelle strade isolate. Dietro di lui non molto
lontane c’erano due volanti della polizia; il commissario era sicuro che nella
prima ci fosse Anna.
«Sai
dove andare? Quelli ci stanno dietro!» urlò preoccupato quello seduto al fianco
di Luca.
«Per
ora… tra qualche minuto ce ne saremmo liberati!» affermò il commissario.
L’inseguimento
durò ancora per qualche minuto in cui Luca sembrò dare sfogo a tutta la sua
capacità di guidatore: in poco le pattuglie furono seminate e gli inseguiti si
fermarono in un vecchio parcheggio in disuso.
«Et voilà» disse con sguardo di chi la sa lunga Luca.
I
due uomini si guardarono di nuovo in volto, Luca poteva vedere solo i loro
occhi,: quelli azzurri dell’uomo che gli sedeva accanto e quelli castano chiari
dell’uomo dietro. Quando erano saluti aveva temuto per un attimo che fosse lo
stesso uomo che lo aveva sparato, ma i suoi occhi erano completamente
differenti: più scuri, più freddi e… rassegnati…
Scosse
la testa per non ripensarci: farlo gli provocava una strana inquietudine; si
concentrò sui due uomini e sul futuro imminente.
«Decidete
la mia morte??» chiese calmo e quasi sfottendo, mentre continuava a ripetersi
che tutto sarebbe andato per il meglio e che era solo un gioco, che non
rischiava veramente la vita; ma non ci credeva… come avrebbe potuto?
«No…»
«Sarebbe
uno spreco…»
Luca
li guardò: possibile che fosse così facile?
«Come
ti chiami?» gli chiese quello dagli occhi azzurri.
«Emilio
Rondello, 29 anni»
«E
perché ti metti contro la polizia? Lo sai che non è una bella cosa?» gli chiese
con tono superiore l’altro.
Luca
fece una smorfia con il viso: aveva studiato così bene la parte di Emilio
Rondelli che non c’era più bisogno neanche di concentrarsi perché tutto gli
venisse bene.
«Semplicemente
perché non sono uno stupido! So che standosene buoni non si ottiene nulla… e
quelli sembrano sempre voler rovinare i tuoi piani»
«Ma
di che parli?» gli domandò ancora quello con gli occhi azzurri, mentre l’ìatro scese dalla macchina e si allontanò con il cellulare
in mano.
«Tre
anni fa… avevo bisogno di soldi… ero sul lastrico… e così ho rapinato una
banca. Non volevo far del male a nessuno, ma quelli come al solito non hanno
capito un bel niente e mi hanno arrestato»
«Scarcerato
o evaso?»
«Riduzione
della pena»
«E
non hai messo la testa a posto…»
«No…
anzi… Questa sera ero per caso al porto ed ho notato un appostamento… poi voi
siete usciti ed allora ho pensato “se questo non è un segno…”»
«Lo
sai che hai una bella faccia tosta ragazzo?!» chiese quello al fianco di Luca «Entrare
così in confidenza con dei criminali…» poi cacciò la pistola e la puntò a pochi
centimetri dalla faccia di Luca.
Il
commissario divenne serio, ma tentando di mantenere il sangue freddo. L’uomo
caricò la pistola.
Cazzo… ha capito
tutto? Rifletté,
ma un secondo dopo l’altro uomo rientrò nella macchina e fece segno al compagno
di abbassare l’arma.
«Emilio
Rondello, 29 anni, genitori morti, lavoro precario perso tre anni fa poco prima
di una rapina in banca. Arrestato e scarcerato 2 settimane fa per buona
condotta» disse rapido come se avesse letto le informazioni su un foglio.
L’altro sorrise.
«Ed
io cosa avevo detto?» chiese Luca offeso.
«La
prudenza non è mai troppa, amico mio» si scusò quello.
«Ed
ora che ne facciamo di lui?»
«Come
ho già detto, sarebbe uno spreco… ucciderlo… Metti in moto» ordinò.
Luca
non se lo fece ripetere due volte: mise in moto e sfrecciò come su una pista di
formula 1. C’era riuscito. Ora era dentro.
***
Lo spazio dell’autrice
Ok: prima
di dire qualsiasi cosa ci tengo a specificare che questo capitolo è stato
scritto almeno una settimana prima che cominciasse la 9° serie di Distretto…
quindi tutto ciò che è successo tra Luca ed Anna… non credevo (anche se ci
avevo sperato) che succedesse anche nella serie… Vi giuro che qnd ho ascoltato
le parole di Luca (simili a quelle che gli ho ftt dire io in questo capitolo)
ci sono rimasta di stucco!! O_O… Ma cmq… tralasciando qst cosa… che ve ne pare
di questo capitolo… romantico?? Non sono molto brava a scrivere queste cose…ma vi
giuro che mi ci sono messa d’impegno!!
Intanto
ringrazio i miei angeli:
Uchiha_chanUn tantino sadica?? Beh… si… forse solo un
pochetto…^^Cmq: cosa te n’è parso di questo capitolo? Ha soddisfatto le tue
aspettative? Spero proprio di si…Per quanto riguarda l’uomo in nero… ancora un
po’ di pazienza… Un bacio! A presto!
LyrapotterNon preoccuparti! Sono felice che tu abbia recensito
lo scorso capito… e grazie x i complimenti -^^-si… sono un tantino sadica in questa ff (e non è ancora finita…) X i
vari sviluppi romantici uno l’hai visto in questo capitolo (che te n’è parso??)
gli atri… ancora qualche capitolo di attesa… a presto. Un grosso bacio!
Luna95Addirittura evidenziato?? Non stai esagerando O_O
Felice di averti tenuto con la testa incollata al monitor… sono davvero
felicissima! Cosa te n’è parso di questo capitolo???? Spero che ti sia
piaciuto!! Un bacio… alla prossima!!
Tinta87Scusa per il quasi infarto ^^’’’ ma la verità
è che adoro queste scene di suspance e pericolo!! Se piacciono anche a te
allora ho ancora qualche asso nella manica!! Cosa te n’è parso di questo
capitolo?? Spero che ti sia piaciuto! Alla prossima. Un grosso bacio!
Dani85Sì… l’ho notato anch’io… li ho messi un po’ in
difficoltà tutti e le cose non sono ancora concluse!! Beh… credo che tu ti sia
resa conto di chi si infiltrerà… e piaciuta la scelta?? Spero di sì… un grosso
bacio e alla prossima!!
Nel
prossimo capitolo intitolato SOGGETTO 75832 ALIAS MARCO (emh… lo so… è un po’
strano come capitolo… ma capirete) vedrete cosa succede all’interno dell’organizzazione
degli uomini in nero… e… sarò un po’ cattivella con tutti voi lettori… ma non
abbandonatemi d’accordo?? Un grosso bacio ed un grazie anche a tutti i
silenziosi lettori! Mi raccomando continuate a leggere e recensire!
Il rumore della
porta della cella che si chiudeva è un sollievo più grande di quello che
immagina.
Maledizione
pensa stava andando tutto così bene!
Perché lo hanno fatto entrare?
E continua a
maledire quel ragazzo e quello che sta succedendo anche se sa che l’unica cosa
ad essere realmente maledetta è la sua vita… che ormai gira perennemente nel
senso sbagliato.
Non
ti azzardare a sperare che qualcosa cambi! Non provare neanche a farlo! Si minaccia, ma il suo cuore, che sempre
anche allora, ha già fatto ciò che Hector
gli vieta per quanto una nuova delusione potrebbe essergli fatale. Sospira e si
guarda allo specchio per ricomporsi: nei suoi occhi scuri, ora, ci sono solo
paura ed una profonda tristezza… vorrebbe provare a ritrovare la sua consueta
tristezza, ma sa che ora è impossibile. Si stende sul letto provando ad
addormentarsi e sperando che una bella dormita riesca a calmarlo. Deve
resistere… almeno ancora un po’…
Anna
è davanti ad una chiesa: sa di conoscerla bene, ma in quel momento non ricorda
proprio come si chiami. Il sole è accecante e l’aria è afosa. Anna ha caldo e
si toglie la giacca che scopre essere nera. Ma
a cosa stavo pensando stamattina quando mi sono vestita? si chiede già c’è un’afa tremenda, poi mi vesto di
nero… Si guarda intorno cercando di ricordare perché sia lì… ma proprio non
le viene in mente. Per le strade non c’è nessuno mentre dalla chiesa comincia
ad arrivare il suono di un organo. È stranamente attraente: suscita rispetto e
curiosità allo stesso tempo e prima di rendersene conto Anna è entrata in
chiesa. Le navate sono completamente vuote così come le panche: Anna è sola e
la musica dell’organo sembra provenire da ogni parte. Si guarda intorno come in
trance senza guardare davvero ciò che vede quando qualcosa colpisce a cattura
la sua attenzione: c’è una bara davanti all’altare, di legno scuro,
probabilmente mogano.Ancora una volta i
piedi si muovono prima che lei se ne renda conto e in pochi attimi riesca a
sfiorare il liscio legno; il cuore comincia a batterle forte, ma ha paura di
alzare la testa e scoprire il resto. A testa bassa comincia a girare intorno
alla bara lasciando che le dita continuino a sfiorare il legno finché chiudendo
gli occhi, non tocca le lettere in risalto sulla bara. Il suo cuore perde un
colpo ed apre subito gli occhi per vedere se ciò che ha pensato è vero.
┼
Luca Benvenuto
N. 8 7 1976M. 26 6 2009
Le
mancò il fiato. No: non è possibile! Luca non può essere morto! Le aveva
promesso che sarebbe tornato, che sarebbero stati insieme: sicuramente quella
bara è falsa… hanno sbagliato nome. Eppure la sua mente comincia a collegare le
piccole cose strane che aveva notato fuori di lì: il suo vestito nero in un
giorno tanto caldo… il fatto che per strada non ci fosse nessuno.
«Allora
è tutto vero» sospira lasciandosi cadere sulle ginocchia, mentre le prime
lacrime scendono sul suo volto sciogliendo la matita che aveva sempre odiato
,mettere.
«Tu
non ne hai mai avuto bisogno…» gli sussurra una voce.
Anna
alza la testa fiduciosa di rivedere i suoi occhi verdi… ma è sola ed il freddo
la avvolge mentre all’esterno il sole ha lasciato posto alle nuvole. Luca ormai
era andato via per sempre…
Anna
diede un urlo straziante svegliandosi di soprassalto e in un attimo Elena fu
sul bordo del suo letto. Gli occhi castani erano sgranati nel tentativo di
vedere qualcosa che, pian piano si rese conto essere un sogno.
«Anna
calmati: è tutto a posto… hai fatto solo un brutto sogno…» la rassicurò la
collega.
Da
quando Luca era andato in missione ad Anna capitava spesso di sognare la sua
morte: il fatto peggiore era che ogni volta che accadeva era sicura che fosse
la realtà e la paura ed il dolore la attanagliavano fino a farla soffocare. Quella
sera non se l’era sentita proprio di stare a casa da sola ed aveva chiesto ad
Elena se poteva ospitarla.
«Ormai
Luca è partito da due mesi…Ho paura di non vederlo mai più» confessò alla
collega.
«Devi
avere fiducia in lui: Luca non è uno sprovveduto, sa perfettamente quello che
fa»
«Ma
io ho fiducia in lui… eppure…»
«La
tua paura è più forte… è normale Anna… su vieni qui!»
Le
due colleghe si abbracciarono mentre sorgeva l’alba.
«Ora
basta! Ne ho abbastanza!»
«Marco…
Marco… calmati!»
«Niente
affatto!» esclamò Luca «Sono due mesi che sono entrati in quest’organizzazione
ed ancora nessuno si fida di me!»
«E
questo cosa te lo fa pensare?»
«Mmh…
forse la microspia che avete piazzato nella mia automobile? O il GPS con cui
monitorate ogni mio spostamento? Ah… sì ci sono: le tre guardie del corpo che
mi “seguono” praticamente ovunque!» esclamò indignato.
«Impressionante!»
fece Alan, uno dei capi dell’organizzazione «E dimmi quando ti saresti accorto
di tutto questo?» chiese sinceramente interessato.
«Più
o meno la prima settimana» lo informò orgoglioso Luca e l’atro annuì sicuro di
non essersi sbagliato sul suo conto.
«Bene…
quand’è così… signori: da oggi nessuno seguirà più Marco… ha superato i mesi di
esame»
Luca
tirò un sospiro di sollievo: quando gli avevano dato l’ok per entrare
nell’organizzazione credeva che non avrebbe avuto nessun problema invece era
stato un continuo stare attenti a dove andare e cosa fare e per ora non era
ancora riuscito a comunicare con il distretto. Ma ora le cose sembravano essere
sul punto di cambiare. Ormai il suo nome era 75832 – codice stampato sulla
fascia di riconoscimento –alias Marco
ed indossava sempre un passamontagna nero così come il resto dei membri
dell’organizzazione in modo da non poter identificare i compagni in caso di
cattura. Era riuscito ad impressionare uno dei più alti in grado dell’organizzazione
grazie al suo carattere basato sulla schiettezza e la furbizia ed ora sapeva
molte cose su di essa. Avevano sede in un vecchio monastero abbandonato ed
“ufficialmente” pericolante in aperta campagna, un luogo isolato in cui nessuno
avrebbe avuto l’idea di fare un picnic; l’organizzazione era divisa a seconda
dei gradi e dell’importanza dei membri. I nuovi avevano una sottile fascia
bordò sulla spalla sinistra; quelli che, pur essendo arrivati da poco, avevano
guadagnato fiducia e rispetto, come lui ora, portavano una fascia rossa; quelli
presenti già da tempo e a cui erano affidate missioni di media importanza
avevano il colore arancio e quelli più vicini ai capi e che, a loro volta,
poteva essere considerati tali in assenza dei primi avevano il giallo: Luca
aveva avuto la fortuna di “salvare” uno di loro, Davide, durante l’appostamento
e gli era servita la sua garanzia per entrare. Un caso a parte erano i capi,
quelli che avevano dato vita all’organizzazione e che ne guidavano l’operato.
Loro, a detta di Davide, avevano una fascia bianca e si poteva vederli solo
raramente e soprattutto alla vigilia di una missione importante. Hector era di
fascia gialla. Quando era arrivato, si era creduto spacciato: solo pochi, tra
quelli più alti in grado, avevano il diritto di conoscere i volti dei nuovi
arrivati ed Hector aveva visto il suo. Nonostante lo avesse visto una sola
volta e quelle poche immagini fossero ancora ora molto confuse, lo aveva
riconosciuto: i suoi occhi scuri e gelidi gli erano ormai familiari e per
quanto fosse fisicamente cambiato da quel giorno, Luca avrebbe giurato che
anche Hector lo aveva riconosciuto perché un lampo di paura e consapevolezza
era passato nei suoi occhi prima che tornassero normali. Forse però erano solo
paranoie perché da quel giorno erano passati circa due mesi e lui era ancora lì,
vivo e vegeto ed Hector non aveva mai provato ad avvicinarlo o a parlargli né
lo aveva mai seguito per ordine di Davide o altri.
Lui
era uno di quelli che non aveva nulla da perdere, Luca lo sapeva. Quando era
arrivato Davide aveva classificato gli uomini dell’organizzazione in tre
gruppi: quelli che semplicemente volevano godersi la vita; quelli che non
avevano nulla da perdere e quelli che invece avevano fin troppo da perdere. Poi
aveva chiesto a Luca in quale gruppo avrebbe dovuto collocarlo.
«Beh…
potrei dirti il primo, ma commetterei un pericoloso errore visto che i primi
sono i più pericolosi: vogliono godersi la vita, perciò quando le cose cominceranno
a girare nel senso sbagliato saranno i primi a parlare; i secondi hai detto che
non hanno nulla da perdere, ma sono più che sicuro che quando arriverà il
momento si ricorderanno di avere ancora una vita… e molleranno; gli ultimi
potrebbero sembrare i più inastabili ma, a mio avviso, sono gli unici di cui ci
si possa fidare: se hanno qualcosa da perdere… qualcosa che non faccia parte di
loro, ma li riguardi da vicino, come una moglie o dei figli non ti lasceranno.
Resisteranno a tutto per loro. Per me quindi sarebbe più salutare collocarmi in
quest’ultimo gruppo, ma ti starei dicendo una poco gradita bugia…» avevaconcluso con un sorrisetto compiaciuto.
Davide lo aveva guardato positivamente sorpreso: Luca gli aveva fatto davvero
un’ottima impressione.
Sospirò:
credeva che sarebbe stato molto più facile di quello che in realtà si stava
dimostrando. Essere un’altra persona 24 ore su 24 era faticoso… stressante. I
pochi momenti di relativa pace riusciva a conquistarli nella sua cella, quando
si stendeva sul letto e dava libero sfogo ai suoi pensieri. Ormai aveva
scoperto molte delle operazioni illecite fatte dagli uomini in nero:
acquistavano droga da fornitori locali poco distanti da Roma; la vendevano a gruppi
mafiosi del Sud Italia e ne tenevano una parte per i traffici locali gestiti da
gruppi distaccati e dotati di una certa autonomia. Era in questo che si era
invischiato il signor Albino ed era stato ucciso perché aveva provato a
mettersi in proprio e a rivendere la droga, che aveva acquistato “a scopi
personali”, creando un suo personale giro d’affari: sperava di uscire presto da
tutto quello e di riuscire a guadagnare quel poco che gli serviva per andare
via con la moglie. Ma gli uomini in nero non avevano gradito molto i suoi
piani. Quando Antonio, uno dell’organizzazione di un grado più alto di Luca,
gli aveva raccontato la cosa aveva anche fatto notare che Albino, pur facendo
parte del terzo gruppo, li aveva traditi; ma senza scomporsi, Luca aveva
risposto che per lui il discorso non valeva, era un collegamento esterno e di
quelli non c’è mai certezza. Aveva spiazzato di nuovo tutti e la fiducia in lui
era aumentata.
Allo
stesso tempo avevano dato vita ad un traffico di donne inizialmente provenienti
dall’Est. Poi negli ultimi avevano avuto un calo di arrivi che erano stati
costretti a compensare con rapimenti locali. Le donne erano destinate a ricchi
possidenti o agli stessi mafiosi.
Luca
riusciva facilmente a passarci su quando si parlava di droga, ma se la
discussione deviava sulle donne che dovevano arrivare o quelle che qualche Boss
aveva scelto faceva molta fatica a restare calmo e a scherzarci su come
facevano gli altri. Una volta gli era capitato di vederne due che erano appena
arrivate: non avrebbe mai dimenticato quegli occhi la paura perché non capivano
cosa stava accadendo e la rassegnazione perché sapevano che in ogni caso non
avrebbero potuto fare nulla. Una sera si era, senza ben sapere come, avvicinato
al lato del vecchio convento dove erano tenute le ragazze; questo, pur non
essendo esplicitamente vietato a quelli più bassi in grado, non era frequentato
che da quelli di fascia gialla e raramente qualcuno di fascia arancio. Il
pianto di una delle ragazze era giunto alle sue orecchie: disperato, rassegnato
o forse semplicemente stanco e Luca aveva provato il fosse istinto do correre
verso la cella della ragazza, rompere la serratura e liberarla. Riuscì a
trattenersi solo grazie al suo buon senso che al momento giusto gli aveva
ricordato che liberandola non avrebbe fatto altro che compromettere la sua
missione e causare la morte di entrambi. Strinse i pugni finché le nocche non
divennero bianche e corse il più in fretta possibile per chiudersi “al sicuro”
nella sua cella. Doveva andare avanti ancora un po’… e poi finché erano lì
quelle ragazze sarebbero rimaste in vita.
«Marco?»
chiamò Andrea schioccando le dita «Sei con noi?»
Luca
si destò dai suoi pensieri e scosse la testa più volte per riprendersi.
«Cosa
dicevamo?» chiese ancora un po’ frastornato.
«Nulla
più… Ma ti eri imbambolato…» spiegò il ragazzo, di qualche anno più giovane di
Luca.
«Si…
scusa… riflettevo…» sorrise.
«Beh…
noi dobbiamo andare» lo informò il giovane «Ci aspetta una missione!» annunciò
poi con fierezza: sarebbe stata la prima a cui partecipava.
«Missione?»
chiese Luca sorpreso: non ne sapeva nulla.
«Sì»
confermò lui «Una rapina alla banca in via Toleto»
Luca
rabbrividì: voleva avvertire qualcuno, ma non sapeva come fare per non dare
nell’occhio. Andrea si avviò con altri due e Luca andò ancora scosso in camera
sua. Si distese sul letto e si mise le mani nei capelli alla disperata ricerca
di una soluzione. Senza alcun preavviso le immagini della morte di Irene gli
tornarono alla mente tanto vivide che avrebbe potuto giurare di essere tornato
in dietro nel tempo fino a quella maledetta mattina. Si strinse le braccia
intorno al petto cacciando indietro un grido di dolore: faceva ancora male…
troppo male per poterci pensare e in un attimo la folle paura che in quella
rapina avrebbe potuto perdere qualcuno gli fece mancare il fiato. Pensò ad Anna
che passava spesso per quella via o ad Elena che abitava lì vicino; ma si
sarebbero potuti trovare lì anche Ale o Raff e lui non avrebbe potuto fare
nulla.
Si
alzò di scatto, pallido ed uscì dalla stanza: avevano progettato un piano nel
caso in cui avesse dovuto comunicare qualcosa al distretto, doveva trovare una
cabina telefonica in alla periferia di Roma e chiamare un particolare numero.
Trovò Davide poco lontano in una delle sale di ritrovo.
«Davide:
ho bisogno di uscire. Posso?» chiese veloce: per quanto fosse irritante farlo
doveva attenersi alle regole, non aveva alcun bisogno di cattiva pubblicità,
soprattutto in quel momento.
L’uomo
lo guardò in volto spaventato dall’espressione sconvolta e dal pallore.
«C’è
qualche problema?» chiese con una nota di preoccupazione nella voce.
«Nessuno»
lo rassicurò quello «Solo… ho bisogno di un po’ d’aria» e in effetti era vero…
«Beh…
certo esci: qui non sei in carcere… se ci sono problemi chiama!» raccomandò.
Luca
annuì rapido ed uscì. Se solo avesse potuto chiamare con il cellulare che
aveva! Ma sicuramente era controllato… ed anche in caso contrario era fin
troppo pericoloso rischiare così palesemente di buttare tutto a mare. Salì in
macchina e sfrecciò via: sentiva l’ansia crescere man mano che si allontanava
dal vecchio convento. Sarebbe potuto essere già troppo tardi, poteva essere già
morto qualcuno e lui era ancora lontano dalla cabina telefonica. Era stato uno
stupido, semplicemente uno stupido a proporsi per quella missione: era troppo
inesperto, troppo emotivo… Chiunque al suo posto avrebbe saputo cosa fare in
quella situazione, con calma e sangue freddo; chiunque tranne lui.
Cosa ti
aspettavi?
Si chiese Che ti avrebbero dato qualche
giorno di anticipo? Che sarebbero venuti da te a dirti i prossimi colpi così da
poter avvisare il commissariato? Che stupido,,, che stupido!
Accelerò
di impulso e senza rendersene conto superò facilmente i 100 Km/h; più la velocità
aumentava più il respiro si faceva pesante finché Luca si rese conto di aver superato
i 150 e di non riuscire più a respirare: per poco non superò la cabina. Frenò
di scatto e se non fosse stato per la cintura di sicurezza sarebbe sbattuto con
la testa contro il volante. Quando arrivò davanti alla cabina gli sembrava che
fosse passata un’eternità invece di pochi minuti. Compose nervosamente il
numero telefonico; dopo tre squilli qualcuno alzò la cornetta senza però dire
nulla.
«Ci
sarò una rapina in via Toleto… alla banca» disse Luca sicuro che ci fosse
qualcuno all’ascolto «Forse è già troppo tardi… dovete fare presto!»
Quello
dall’altra parte attaccò il telefono senza rispondere e Luca tirò un sospiro di
sollievo. Ora doveva tornare al convento, dire a Davide che era tutto a posto e
continuare la sua pericolosa recitazione: il giorno seguente avrebbe visto sui
giornali cosa era successo: ora tutto quello che poteva fare lo aveva fatto.
«Con
chi parlavi?»
Quella
voce fece sussultare Luca che trattenne il fiato alla vana ricerca di una buona
scusa. Inutile. Si voltò lento e vide lo scintillio argenteo della pistola
puntata contro il suo letto.
«Ti
ho chiesto con chi parlavi!» ripeté Hector con i suoi glaciali occhi.
«Con
la mia ragazza» disse con quanta più calma possibile.
«Da
un telefono pubblico, nella periferia di Roma?» chiese quello scettico.
«Perché
è un reato?»
«No…
solo sospetto… poliziotto»
A
quelle parole Luca sbiancò e si sentì mancare la terra sotto i piedi. Lo aveva
scoperto: Hector sapeva tutto! Pensandoci bene però si scoprì a non esserne
affatto sorpreso: in fondo lo aveva capito dall’inizio che quell’uomo sapeva
qualcosa… il suo sguardo consapevole non gli aveva lasciato molti dubbi anche
se aveva provato adirsi che erano solo paranoie.
«A
chi hai detto che ci sarà una rapina?!» chiese Hector con tono minaccioso.
«A
nessuno! A chi vuoi che l’abbia detto?» si difese Luca: se avesse confessato
che lavorava per il X gli uomini in nero non avrebbero esitato a fare una
strage al distretto.
«Non
dire cazzate!» gli urlò l’uomo «Ti ho visto parlare a telefono! Dimmi chi c’era
dall’altra parte della cornetta!»
Luca
rimase in silenzio deciso a non parlare. Hector continuò a fissarlo per alcuni
interminabili secondo, poi si mosse.
«Visto
che non vuoi parlare… Avanti: sali in macchina! Andiamo a fare un bel giretto!»
e spinse Luca nell’abitacolo della vettura.
«Metti
in moto e vai verso Nord» gli ordinò salendo nel posto alla destra del
guidatore.
Luca
fece come gli era stato ordinato e in poco tempo intorno a loro c’era solo
campagna. Luca sudava freddo, il cuore gli batteva a mille.
Fantastico! pensò Non solo non sono stato in grado di
avvertire in tempo i colleghi, ma mi sono anche fatto beccare! Cazzo! Non
potevo far attenzione a se qualcuno mi seguiva? Che stupido! Mi sono fidato
della parola di Davide senza neanche controllare… ed ora… devo trovare una
soluzione alla svelta!
«Svolta
a destra!» gli disse secco Hector e Luca sterzò brusco, poi approfittando
dell’attimo di sorpresa per il suo gesto aprì la porta e si gettò dalla vettura
nella scarpata a lato della strada. Ruzzolò per alcuni metri e sentì una fitta
di dolore al braccio: qualcosa lo aveva ferito. Si rialzò e cominciò a correre
veloce per il campo: era un bersaglio fin troppo facile, non c’era nulla da
usare come nascondiglio; doveva raggiungere il bosco il prima possibile e forse
avrebbe avuto una possibilità di salvarsi anche se ormai la missione era
andata. Il primo proiettile lo mancò di qualche centimetro e Luca cominciò a
correre più veloce che poteva: la ferita al braccio gli bruciava da impazzire,
cominciava a vedere sfocato mentre altri colpi di pistola lo mancavano solo di
pochi centimetri, quasi come se Hector si stesse divertendo a non colpirlo di
proposito per prolungarequell’inferno.
Quando il commissario riuscì a toccare la corteccia di un albero non poté fare
a meno di tirare un sospiro di sollievo, ma l’ennesimo proiettile lo riportò
con i piedi per terra e i due ripresero la loro folle corsa. Luca era allo
stremo: andava avanti senza guardare, solo per inerzia, mentre le distanze tra
lui ed Hector si riducevano ed ormai sentiva il fiato della morte sul collo.
Inciampò e cadde con la faccia sulla dura terra. Ormai era la fine: lo sentiva.
Delle assurde lacrime premevano sui suoi occhi. Perché piangere? Perché in quel
momento? Per dare un’altra soddisfazione ad Hector? No… erano semplicemente i
ricordi di una vita o quelli che sarebbero potuti diventare tali se fosse
sopravvissuto: rivide Anna, bella come sempre, in una delle tante cene fatte
insieme e la mente provò ad immaginare come sarebbe stato vivere con lei
animato da quel sentimento scoperto da poco. Tutto il suo futuro gli stava
sfuggendo inesorabilmente dalle dita quando sentì la voce di Hector che gli
ordinava di alzarsi. Fece tutto meccanicamente: ormai la testa non rifletteva
più, era solo intenta a ricordare ed immaginare.
Sentì
uno strano freddo invaderlo: ormai non gli faceva più male neanche la ferita al
braccio.
Se è questo
quello che si prova nel morire rifletté allora non è così male.
Hector
caricò la pistola.
«Fine
della corsa» annunciò con una strana e malcelata enfasi «Addio»
Luca
sospirò lento e chiuse gli occhi: il suo ultimo pensiero fu per Anna.
Ti Amo.
Lo
spazio dell’autrice
Ecco…
so che in questo momento vorreste uccidermi per come ho concluso questo (orrendo)
capitolo, ma vi pregherei di non farlo, anche perche se io muoio chi continua
questa fan fiction? Quindi… tenete a bada i nervi ancora un po’ ve ne prego…
Intanto
ringrazio i miei angioletti recensori… con la speranza che rimangano tali…
Uchiha_chanFelice che la scena
romantica tra Luca ed Anna ti sia piaciuta… nutrivo davvero forti dubbi, come
del resto in tutti i capitoli… e per l’infiltraggio… spero non ti sia
dispiaciuto… Emh… che ne pensi di questo capitolo? So di essere stata un po’
cattiva, ma era mettere suspense… Beh, alla prossima, un bacio.
Tinta87Sono contenta che non
sia stata troppo romantica la scena tra Luca ed Anna e per quanto riguarda la
linea gialla e ciò che ho in mente… l’avrai notato, no, che non sono molto
normale… ma anche a me piace molto l’azione ed il rischio e quindi… eccone il
risultato… Che te ne pare?? Un bacio.
Valentina78 Mille grazie per i tuoi complimenti -^^-
Allora? Appagata un po’ della tua grande curiosità?? Dicevi che non avevo nulla
di buono in mente, eh? Beh… da quanto hai potuto leggere in questo capitolo… ci
hai azzeccato… Cmq non perdere la fiducia!! Un bacio.
Lyrapotter-^^- Ti sono piaciuti
davvero i cari piccioncini?? Mi sento realizzata!! Beh… io sono riuscita a farli
mettere insieme, ma la serie… si sta facendo troppi problemi!! ç___ç Cmq…
tornando a noi, ho pensato che Raffaele, per quanto potesse aver amato Anna, o,
forse proprio per questo, voleva x lei il meglio… e dunque abbia spronato Luca
a parlarle... e poi davvero non sono riuscita resistere all’immagine di
Raffaele/Cupido… Cosa te n’è parso di qst capitolo?? Un bacio…
Luna95 Tu ripetitiva?? O_O
Scherzi forse?? Non farti assurdi problemi!! Sono felice che il pezzo romantico
non abbia suscitato alcun fastidio… e qst capitolo? Cosate ne pare?? Un bacio
grande!
Dani85Addirittura un tappeto rosso?? O_O non ti pare
di esagerare?? Hihihi cmq sono felice che il rapporto tra Luca ed Anna abbia
suscitato tanto successo… non ci speravo! E per quanto riguarda il caro commissario
infiltrato… cosa ne pensi del chappy?? Per quanto riguarda Hector… non posso
dire nulla lo sai! (perché continui a provocare…. *soffre* ) Cmq la curiosità
durerà ancora poco… il prossimo è il decisivo! Qnd alla prossima, un bacio.
Mi
sono appena resa conto di non aver ringraziato quelli che hanno messo la storia
tra le preferite e le seguite quindi lo faccio ora. ^^
Thanks
per aver messo la storia tra le preferite a:
Il
diavoletto sulla mia spalla sinistra mi sta suggerendo di lasciare così la
storia… ma non preoccupatevi gli ho già dato un bel calcio ed ora è dolorante a
terra! (*pazza consapevole di esserlo*) Quindi… il prossimo capitolo,
intitolato SOGETTO 67259 ALIAS HECTOR (sì ci ho preso gusto con questi titoli…)
spiegherà fila molte tutto quello che volevate sapere sul caro uomo in nero… e
ho una tremenda paura di deludervi tutti!! Quindi… corro a scrivere ringraziano
come sempre tutti coloro che hanno letto e invitandovi a non lasciarmi!! Un
grosso bacio a tutti.
Ha mai creduto
nel destino l’uomo in nero? Ha mai creduto in un futuro Hector? Non lo ricorda.
Forse sì: c’è stato un tempo in cui, come chiunque altro, anche lui aveva avuto
un futuro che fosse il suo e che potesse determinare con le sue scelte. Ma ora…
non crede più che tutto ciò possa coinvolgerlo o interessarlo, o meglio, lo
credeva prima di quel momento. Perché forse un Dio esiste e posando il suo
sguardo su quello sciagurato mondo si è accorto di lui. Sennò come altro
spiegare tutto quello che sta accadendo? Un sorriso. Da quanto tempo non
sorride davvero? Non lo ricorda: sono molte le cose che non ricorda e si accorge
che questo non lo fa affatto sentire meglio come si era sempre illuso che
fosse; anzi fa male, male davvero. Annullarsi in fondo non è quello che vuole
realmente e per capirlo Dio doveva mandargli quell’ancora di salvezza…
Il cuore esulta
di gioia: in fondo è quello in cui ha sempre sperato ed il tempismo è stato
perfetto, semplicemente perfetto. Sorride ancora. Due volte in pochissimo
tempo: un record. Allora qualcosa è cambiato davvero! Si sente vivo… eppure
negli occhi verdi della sua ancora di salvezza c’è la morte.
Naturale
si dice Lui non sa.
E di nuovo un
sorriso: era stato uno stronzo… ma ora è uno stronzo felice, felice per davvero.
Luca
si accasciò a terra lento come se tutta la scena fosse sotto l’effetto del
rallentatore e non fece rumore come se anziché perdere i sensi si fosse
semplicemente addormentato. Hector spalancò gli occhi sorpreso: il ragazzo si
era accasciato a terra prima che lui potesse sparare un colpo e non capiva il
perché.
«Luca?!»
chiamò preoccupato «Luca che ti prende?!»
Lo
girò lentamente e con delicatezza prima di lato e poi con il volto rivolto
verso il cielo e si rese conto che un grosso pezzo di vetro, probabilmente una
bottiglia di birra, gli si era conficcato nel braccio.
«Accidenti!»
esclamò «Possibile che tu riesca sempre a farti male?»
Si
torse il passamontagna, poi strappò la maglietta di Luca all’altezza della
ferita ed estrasse con mano ferma ed esperta il grosso pezzo verde conficcato
nel braccio. Sentì un debole lamento da parte de ragazzo, segno che era ancora vivo;
poi prese il passamontagna e provò a fermare l’emorragia.
Luca
non capiva quello che stava accadendo, tutto era talmente strano: perché Hector
lo stava aiutando? Perché era ancora vivo? Aprì gli occhi quel tanto che
bastava per scorgere l’uomo: il sole lo accecava. Il suo cuore, già messo a
dura prova, perse un colpo: no, non poteva essere lui… era semplicemente
impossibile… stava delirando, la morte gli stava giocando un brutto scherzo.
La
testa gli girò all’improvviso e si sentì così male da chiudere violentemente
gli occhi e perdere in breve tempo i sensi.
Hector
impallidì: la cosa era più grave di quanto sembrasse. Aveva paura:
impressionante come tutto in una volta, avesse ritrovato la capacità di provare
forti emozioni, se ne sentiva quasi sopraffatto. Prese Luca in braccio
accorgendosi di quanto fosse leggero e lo adagiò sui sedili posteriori della
macchina; poi mise in moto: non sapeva dove andare, ma ciò di cui era certo era
che non potevano rimanere lì.
Quando
Luca riuscì a riaprire gli occhi non aveva la più pallida idea di dove fosse:
vedeva sopra di lui qualcosa di scuro che, concentrandosi, scoprì essere il
tettuccio della sua macchina. Voltando lentamente la testa si accorse che al
posto di guida c’era Hector libero dal classico passamontagna degli uomini in
nero. Riusciva a scorgere i suoi corti capelli scuri ed il suo viso rotondo,
aveva un espressione seria e preoccupata, come di chi non è sicuro al cento per
cento di quello che sta per fare. Le ultime immagini che ricordava erano confuse
eppure il volto di Hector era tanto chiaro quanto assurdo. Chiuse gli occhi per
provare a fare un po’ di ordine nella sua testa, ma quello che ottenne fu solo
l’aumentare della confusione. Avrebbe chiarito tutto in un secondo momento: ora
doveva solo allontanarsi il più possibile da quell’uomo.
Provò
ad alzarsi senza farsi vedere: la spalla gli doleva molto, ma doveva
raggiungere la portiera della vettura pere uscire. Con uno slancio che gli
costò una dolorosa fitta alla spalla si lanciò fuori dalla macchina.
«Ma
allora è un’abitudine!» esclamò Hector spazientito prima di accostare e seguire
a piedi il fuggitivo.
Non
gli ci vollero più di dieci minuti per prenderlo: Luca era stremato e più che
fermarlo l’uomo lo prese al volo prima che si accasciasse di nuovo a terra.
«Ora
stammi bene a sentire!» gli urlò mentre lo riportava in macchina «Se avessi
voluto farti del male ora non saresti qui! Quindi fammi la cortesia di non
buttarti fuori dalla macchina ogni volta che riprendi conoscenza, d’accordo?!»
Luca
annuì con quel poco di forza che gli rimaneva e l’ultima cosa che sentì fu il
morbido dei sedili posteriori contro la sua schiena.
C’è
solo bianco intorno a lui. Luca vede bianco a perdita d’occhio e lentamente
perde la concezione delle dimensioni: gli sembra di fluttuare nell’aria. Prova
a muoversi senza sapere se ha successo, ma stranamente tutto ciò non lo
sorprende: è come se fosse normale muoversi in quel modo e con quell’incertezza.
Dopo poco il bianco comincia lentamente a cambiare dissolvendosi come nebbia e
Luca vede davanti a se una grande distesa verde: man mano che la nebbia si
dilata il commissario comincia a distinguere vari particolari in quel prato
verde e avvicinandosi scopre tante lapidi color crema con su incisi vari nomi
in nero. Il giovane non ne è sorpreso o turbato: è come se, adesso che lo ha
scoperto, abbia sempre saputo di trovarsi in un enorme cimitero.
Comincia
a camminare, incerto sulla strada da prendere; sfila attraverso le lapidi
distinguendo i vari nomi incisi in marmo nero: alcuni li conosce, gli suonano
familiari e sforzandosi riesce a collegarli anche a dei volti, ma tutti i
ricordi sono stranamente offuscati e anche lui si sente stanco, non ha voglia
di riflettere; altri nomi, invece, non gli dicono proprio nulla, stranieri,
inesistenti finché non li ha letti e comunque, anche allora, destinati
all’oblio. Strani brividi gli attraversano la schiena: ad un tratto ha paura di
poter scorgere anche il suo nome tra quelli.
È assurdo pensa
subito, sorridendoSe sono qui e sto guardando tutto ciò… non posso essere… morto…
Ma
stranamente quella verità assoluta non lo tranquillizza. Continua a camminare
con passo sempre più lento e stanco, fino a giungere ad una lapide dietro la
quale c’è un grosso albero probabilmente centenario. Il marmo della lapide
attira la sua attenzione: nonostante ci fossero diversi mazzi di fiori sulla
tomba, a differenza degli altre, nessuno nome spezzava la morbida e candida
armonia del bianco della lapide. Luca rimane a guardare stranamente interessato
quell’insolito spettacolo: qualcosa lo attira, anche se non sa cosa sia; sente
di conoscere il nome mancante sulla lapide, ma in quel preciso istante proprio
non gli viene in mente.
«Luca…?
Luca…»
Una
voce scuote il commissario dal suo ragionamento. Si volta in cerca dell’uomo
che lo ha chiamato, perché si tratta della voce di un uomo, ma non vede
nessuno: è completamente solo mentre la piana verde sembra ingrandirsi e lui si
rimpicciolisce sempre più.
«Luca…?
Luca… Apri gli occhi, su… Luca…»
Ancora
quella voce che, con una nota preoccupata nel suono, lo chiama ed ora gli
sembra così famigliare… Posa di nuovo il suo sguardo sulla lapide senza nome.
Aspetta pensa aspetta ancora un attimo: io conosco il nome
che manca… so di conoscerlo… e anche la tua voce…
Ma
ad un tratto ogni colore scompare e tutto ciò che lo avvolge è buio, oblio.
Il
commissario riaprì stanco gli occhi verdi: la ferita al braccio non gli faceva
più così male e sfiorandola si accorse che era fasciata. Provò ad alzarsi e con
difficoltà uscì dalla macchina che, con tutti i disinfettanti e le bende che la
decoravano, sembrava un’ambulanza improvvisata.
Hector
era poco distante, fermo vicino al guard-rail con lo sguardo perso nel vuoto ed
il volto scoperto. A Luca girò la testa: era ormai la terza volta che riusciva
a guardarlo in volto e se la prima volta aveva potuto credere che fosse una
semplice allucinazione e la seconda si era cominciato a fare qualche assurda
domanda, ora non poteva più avere dubbi.
Con
lentezza gli si avvicinò consapevole del fatto che lo aveva sentito; quando fu
a pochi centimetri di distanza fece un profondo respiro e allungando la mano,
gli sfiorò la spalla con il timore che i colori sarebbero scappati via
lasciandolo nel buio proprio com’era accaduto nel sogno di poco prima. Il
contatto gli provocò più e più forti emozioni di quelle che di aspettava: fu
strano, triste, irreale e assurdamente felice. In un attimo capì ogni cosa: ora
sapeva qual era il nome mancante sulla lapide bianca.
«Mauro…»
sussurrò
L’uomo
aprì gli occhi e li fece scivolare in quelli verdi di Luca. Il viso era un po’ scarno,
ma comunque rotondo, i capelli più o meno della stessa lunghezza dell’ultima
volta che lo aveva visto; solo gli occhi, dello stesso marrone cioccolato di un
tempo, erano diversi: più seri, duri… innaturali., come quelli di un ragazzino
cresciuto troppo in fretta. Luca era sicuro che avessero visto cose terribili.
«Va
meglio?» chiese e Luca si domandò come avesse fatto a non riconoscere prima
quella voce.
Annuì
incapace di proferire parola: mille diverse domande gli rimbombavano nella
mente, ma non era in grado di dare concretezza a nessuna di esse.
«Co…co… come…?» riuscì a pronunciare con voce insicura prima
che questa sparisse di nuovo.
Mauro
lo guardò: non sapeva da dove cominciare, come spiegargli tutto quello che era
accaduto.
Per
alcuni istanti scese tra i due un irreale silenzio, poi Luca lo ruppe
abbracciando con un affettuoso slancio Mauro. Lo strinse forte a se con la
paura che sarebbe potuto svanire da un momento all’altro e combattendo con la
sua razionalità che gli urlava l’assurdità di quella scena.
Mauro
rimase ancora qualche istante paralizzato, poi ricambiò quell’abbraccio
assaporandone il gusto di vecchia abitudine.
«Oh,
Luca! Sono successe così tanta cose,,, non saprei neanche da dove cominciare»
si scusò in risposta all’accenno e alle mille domande silenziose del ragazzo.
«Beh…
potresti cominciare col dirmi che questa cosa… insomma è vera» suggerì il
commissario sciogliendosi dall’abbraccio con un po’ di sospetto.
«Tranquillo:
è tutto vero» confermò Mauro con naturalezza.
Luca
non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi: per quanto ci avesse sperato,
fin’ora la razionalità aveva avuto il sopravvento sul resto e si era detto che
era solo l’ennesimo sogno… l’ennesimo pensiero… ed ora Mauro– che fino a pochi istanti prima sapeva morto
– gli diceva che questa volta era
tutto vero con la stessa naturalezza con la quale un bambino afferma che il
sole è giallo.
«Impossibile…Come…
noi… il funerale: tu eri morto. Il medico disse che eri morto…» spiegò in modo
frammentario e sconnesso.
«Solo
perché due agenti della DIA gli avevano ordinato di farlo» spiegò Mauro «Poco
prima dell’intervento hanno detto al chirurgo che, qualunque fosse stato
l’esito dell’operazione, avrebbe dovuto comunicare ad amici e parenti la mia
morte. Del resto se ne sarebbero occupati loro…»
«E
quindi… tu non sei mai morto…»
«No…»
disse l’uomo sorridendo all’ingenuità dell’affermazione «Ma per quasi un anno
sono stato in coma… in una stanza di un piccolo ospedale privato fuori Roma»
«Così
vicino…» osservò Luca con un sussurro dando libero sfogo ai suoi pensieri
durante il racconto dell’odissea di Mauro.
«Quando
mi sono svegliato ero certo di trovare accanto a me Germana o Roberto o mio
padre o magari tu e qualcun altro del X… e invece c’era un uomo in giacca nera.
Mi sorrise dicendosi felice del mio atteso risveglio e poi, senza molti
preamboli, mi spiegò ciò che era accaduto e le licenze che si erano prese i
suoi superiori. Mi avevano strappato dalla mia famiglia, dai miei amici, dalla
mia vita per assegnarmene una nuova che non sarebbe mai stata realmente la mia…
ero uno di loro… anzi non ero più nessuno»
Per
quanto fosse consapevole che parlarne gli avrebbe fato rabbia, non credeva che
quel sentimento sarebbe stato così forte anche dopo tutto quel tempo: sorrise
scoprendo, ancora una volta, come anche il minimo contatto con il suo passato
lo avesse riportato così alla vita.
Spostò
lo sguardo sul volto di Luca sul quale regnava una rabbia indescrivibile: il
volto era pallido e contratto in una strana espressione resa tale dalla
mascella serrata e dai denti stretti, le nocche delle mani erano ormai bianche
e Mauro avrebbe giurato che se Luca le avesse aperte si sarebbero potuti notare
i segni rossi delle unghie sulla carne.
«Con
che diritto hanno potuto fare una cosa simile?!» chiese a denti stretti e con
un tono di voce tanto basso, ma molto più minaccioso di un grido.
Mauro
scosse la testa, quasi felice della rabbia dell’amico.
«Ho
provato a ribellarmi, ma non ho potuto fare nulla… e così mi sono dovuto
adeguare. Per la DIA
ero un ottimo elemento ed ho partecipato a abbastanza missioni da farmi una
certa reputazione»
Si
fermò per riprendere fiato e si rese conto che era da molto che non parlava
tanto.
«Ho
sempre creduto che, prima o poi, in una missione o in un’altra, avrei
incontrato qualcuno di voi… invece per due anni non ho avuto alcun contatto e
probabilmente questo mi ha portato ad essere tanto passivo verso la mi
esistenza. Stavo per mollare tutto… quanto sei arrivato tu! In quell’ospedale,
quando ti ho ferito…»
«Hai
capito subito che ero io, giusto?»
«All’inizio,
nonostante i capelli corti e l’aria formale, ho sospettato che fossi tu…Ma gli
occhi… quelli non mi hanno lasciato dubbi!»
Luca
sorrise. Non gli risultava affatto strano parlare con il suo vecchio amico: si
sentiva come se il tempo non fosse mai trascorso.
«Quando
si dice “sogni premonitori”…»
«Prego?»
chiese Mauro non capendo l’affermazione dell’ex collega.
«Sono
mesi che faccio strani sogni e rivedo il tuo volto… il sorriso che è riuscito a
rincuorarmi tante volte… È stato tremendo, per un certo senso: è tornato tutto
il dolore di un tempo, comese te ne fossi andato solo
da qualche giorni… Ora capisco perché…»
«Credi
che siano stati davvero sogni premonitori?» chiese con un tono da presa in giro
Mauro sorridendo.
«Beh…
forse…» scherzò anche Luca e rivedere il sorriso dell’amico fu un colpo al
cuore: quanto gli era mancato! Come era riuscito ad andare avanti senza? Mauro
era stato il suo migliore amico per così tanto tempo, che, in quell’istante,
l’idea di perderlo gli faceva avere le vertigini, per quanto lo avesse creduto
morto per tre anni.
«Ora
sarà tutto diverso!» esclamò felice animato dalle sue stesse parole.
Mauro
lo guardò per qualche istante senza capire, poi un’intuizione lo fulminò. No:
Luca stava sbagliando…
«No
Luca: non cambierà nulla! Quando questa missione finirà, sarà tutto come prima:
io ritornerò nell’ombra e tu al X per seguire nuovi casi»
Luca
sbiancò: che in quei tre anni Mauro avesse preso una violenta botta in testa?
«Co…
cosa? E come speri che io diriga il distretto sapendo che tu sei ancora vivo…
ed in questo stato?» urlò sconvolto.
Mauro
rimase in silenzio alla disperata ricerca di qualcosa che convincesse il giovane
che nulla sarebbe potuto cambiare quando gli venne un’idea che giudicò
perfetta.
«Sali
in macchina Luca» lo invitò «Devo farti vedere una cosa»
Il
ragazzo, ancora un po’ sconvolto, entrò nella vettura e Mauro si mise al
volante. Durante il discorso non si erano accorti che il tempo era cambiato:
ora il sole non risplendeva più ma le nuvole l’avevano coperto imbiancando il
cielo. La macchina scusa di Mauro svoltò rapida per entrare in città e Luca si
accorse che il volto dell’amico era stranamente alterato: c’erano ansia e
dolore, ma era come se fossero presenti da tempo, intimi amici di quell’uomo
solitario.
Avrebbe
voluto chiedergli dove stavano andando, ma in quel momento aveva un strano
rispetto per Mauro e per quel silenzio sceso nella vettura da quando si era
messa in movimento; così si disse che avrebbe scoperto la meta del loro viaggio
a tempo debito.
Mauro
parcheggiò la macchina quando ormai le prime gocce di pioggia cadevano
sull’asfalto. Non se ne preoccupò e scendendo dalla macchina fece cenno a Luca
di fare altrettanto. Camminarono per alcuni minuti fino ad arrivare sotto un
grosso albero che li riparava dalla leggera pioggerellina primaverile. Di
fronte a loro c’era un palazzo con un grande atrio coperto.
«Mauro…cosa?»
provò a chiedere Luca, ma l’altro lo bloccò con un gesto della mano volgendo lo
sguardo verso l’atrio nel quale era appena sceso un bambino di circa tre anni.
Osservava la pioggia cadere con la piccola bocca semiaperta e quell’aria
ingenua che fugge l’ipocrisia solo nei più piccoli.
«Ettore!»
urlò una donna con i capelli legati in una lunga coda di cavallo castana «Cosa
stai facendo fuori? Piove!»
«Ma
mamma! La pioggia è bella!» rispose il piccolo con aria offesa.
«Si…
è vero…» convenne la donna improvvisamente senza parole mentre i suoi occhi si
perdevano nel grigio del cielo e la sua mente si riempiva di ricordi passati.
«Germana…»
sussurrò Luca comprendendo solo allora perché fossero lì.
Mauro
li osservava con sguardo forzatamente triste: era fisicamente così vicino a
loro… eppure allo stesso tempo tanto lontano.
«Guardali
Luca: non sono bellissimi? Eppure se osservi bene Germana ti accorgerai di
quanto, ancora oggi, lei soffra. Riesco a sentire il dolore che i suoi occhi
trasudano e la costante lotta per andare avanti che trasparisce da ogni piccolo
gesto. Ettore è stato la sua ancora di salvezza, l’unico motivo per continuare
a vivere: le loro esistenze sono ormai indivisibili. Germana ci ha messo molto,
molto tempo ad accettare la mia “morte”: lo so perché la prima volta che l’ho
vista dopo il coma stava ancora molto male; ogni volta che potevo scappare,
correvo qui per poter vedere come andava… e non poter fare nulla per poterli
aiutare è stato straziante.
Sai
Luca in questi due anni ho capito fino a dove può giungere il masochismo di un
essere umano: sono arrivato al punto di arrivare da loro non tanto per vedere
come stavano, ma per farmi male. Ero…
sono l’unico colpevole della loro sofferenza e merito il dolore che provo
ogni volta che li vedo»
Luca
lo osservò: non si era accorto di quanto avesse e stesse ancora soffrendo.
«Ci
hanno messo tempo ad abituarsi alla loro nuova vita, Luca. Sia Germana che mio
padre. Io non posso presentarmi da loro dicendo: Salve! Non sono morto! È solo che la DIA mi ha “rapito” e per due anni
ho fatto l’infiltrato. Come va? Capisci, Luca? È sbagliato: causerei solo
altro dolore!»
Luca
continuava a guardarlo shoccato: non aveva mai riflettuto sul fatto che il
rivedere Mauro avrebbe causato qualcos’altro oltre la gioia. Sapeva però che in
un certo senso aveva ragione.
«Mamma…?
Tu credi che papà la sta vedendo la pioggia da dove sai trova?»
La
donna impallidì lievemente e a Luca parve vedere che i suoi occhi si
inumidivano. Si avvicinò dolcemente al piccolo e lo strinse forte a se.
«Si,
piccolo mio… Lui la vede»
Per
Mauro fu troppo: gli occhi gli si erano ormai velati di lacrime e nonostante la
pioggia ormai si fosse fatta violenta, abbandonò il suo precario riparo e corse
via. Luca diede un altro fugace sguardo alla coppia che ormai si strava ritirando
all’interno del palazzo; poi corse dietro Mauro.
«Aspetta!
Aspetta Mauro!» gli urlò, ma l’uomo non diede segno di averlo sentito.
I
due si fermarono solo quando entrarono nel parco. Avevano entrambi il fiatone,
erano zuppi d’acqua e si sentivano oppressi da una strana ansia ed un forte
dolore.
«Credo
che dovremmo tornare al vecchio convento» convenne Mauro.
Luca
lo guardò negli occhi e capì che l’argomento “passato” era ormai chiuso.
«Si…
anche perché ho insospettito Davide con il mio comportamento»
«Hai
insospettito un po’ tutti a dirla tutta…» accennò Mauro con il fantasma di un
sorriso che si affacciava sul suo volto.
Anche
il commissario sorrise: sì, ora sarebbe stato decisamente più facile andare
avanti sotto le mentite spoglie di Marco, dato che il suo peggior nemico si era
dimostrato il suo miglior amico… ma avrebbe fatto sicuramente qualcosa per
riportarlo indietro…ora lui sapeva…
Lo spazio dell’autrice
Ok…Ok…
Prima che mi sbraniate voglio semplicemente riferirvi la tesi a mia discolpa.
Infatti sin dal primo capitolo (accidenti che intuito) alcuni di voi avevano
capito che il tanto misterioso “Uomo in nero” altri non era che Mauro Belli; io
però ho negato il tutto riferendo che l’ispettore non c’entrava nulla con
questa ff. La verità è che quando ho letto che avevate già capito tutto mi sono
sentita mancare. Come sarebbe potuta andare avanti la storia se al primo
capitolo uno dei più importanti colpi di scena era già stato svelato?? E per
questo che ho ritenuto opportuno provare a mascherare l’ormai svelata identità
di Hector almeno fino a questo punto… quindi… vi prego di non volermene… in
fondo era a fin di bene! Detto ciò… Tadaaaan… ecco a voi il ritorno del caro
Mauro!! =) (ho versato lacrime amarre x la sua morte: il minimo che potessi
fare era farlo tornare almeno in questa ff!). Cosa ve n’è parso? Vi ho spaventato
all’inizio con Luca, eh? Perdonatemi: era solo x rendere il tutto + emozionante
e spero di esserci riuscita!
Intanto
ringrazio i miei angioletti:
Tinta87Non
sei affatto ripetitiva e, per quanto io mi reputi modesta, mi fa sempre sapere
che la mia scrittura è apprezzata! Felicissima che lo scorso capitolo ti sia
piaciuto… e… visto? Il caro commissario sta bene! Più che bene oserei dire!! Ho
cercato di aggiornare il prima possibile, ma la scuola mi sta stressando! =_=
che te ne pare del chappy?? Un bacio… alla prossima!
Valentina78^^
ancora thanks… forse stai un po’ esagerando con i complimenti… Mmh… finale
decente… credi che con questo capitolo ci sia riuscita???? In quanto alle
spiegazioni… credo di averne date abbastanza, no? Cosa te ne pare del chappy?
Un bacio… alla prossima!
Uchiha_chanOrmai
sono convinta di essere sadica… Hihihi già avevo previsto che il sogno avrebbe
fatto un brutto effetto e a dirla tutta contavo proprio si quello!! XD, XD
Lacrime?? O_O mi dispiace tantissimo! Perdonami… non credevo che lo scorso
capitolo avrebbe fatto questo effetto: tutte le mie + sentite scuse!!!! Allora
questo chappy? Che ne dici?
Buffy86Oh…
felicissima della tua recensione! -^^- Sono contenta di essere riuscita a
catturare la tua attenzione da subito tanto da fartene scrivere una! E pensa
che io neanche volevo pubblicarla qst ff!(ancora mille grazie a quei due
angioletti che mi hanno convinta!) Il tuo suggerimento sul scrivere un intero
chappy su Hector o, come ormai possiamo chiamare, Mauro, mi ha dato uno spunto
bellissimo che vedrai nel prossimi capitoli, quindi grazie mille!!!! ^^ Che te
ne pare di qst? Spero che continuerai a recensire ad ogni capitolo xk mi
faresti davvero felice… tu non immagini quanto!! Beh…un bacio e alla prossima.
Luna95Ma
no! Non preoccuparti: non sei affatto in ritardo… Cmq… ecco svelato il dubbio:
il caro Luca non è morto! (almeno per ora) e in più ha ritrovato un vecchio
amico che credeva morto 3 anni prima e a cui era molto legato… se non capisci
qualcosa chiedi senza esitazioni amica mia… Beh… che te ne pare? Un bacio… a
presto!
Dami85Credo
proprio che tutti i tuoi dubbi si siano estinti con questo capitolo, giusto??
Si… farvi venire l’ansia… non è una sensazione gradevole… almeno x me (perfida
lo so…) Ancora mille grazie x tutti i tuoi complimenti… e non preoccuparti: terrò
a bada il diavoletto ancora un po’! XD Che te ne pare di qst chappy? Un bacio…
alla prossima!
LyrapotterOh…
davvero mi odi?? T_TDai… non sono stata
così….cattiva… Cmq… No, Luca non è morto, come puoi ben notare tu stessa ed in
quanto ad Hector segreti sì… ma non così sporchi… piuttosto direi tristi e di
rabbia ed ingiustizia! Cmq non temere… per ora sono tutti salvi… Mi chiedi che
fine hanno fatto Ale ed Elena?? Oh, beh… lo vedrai, lo vedrai nel prossimo
capitolo… eccome se lo vedrai (Hihihi). Quindi…. Alla prossima, un grosso
bacio!
Thiaper
aver inserito la storia tra le seguite! Mille grazie!^^
Il
prossimo capitolo, intitolatoIN
TRAPPOLA, si concentrerà finalmente sul Distretto che, pur con l’assenza del
commissario, continua a lavorare!! E se qualcuno si stava chiedendo che fine
avevano fatto tutti quanti (ed in particolare Alessandro ed Elena) beh… lo
vedrete, lo vedrete! *Pregusta gongolando l’effetto che faranno su di voi i
prossimi capitoli* Quindi non mi resta che ringraziare tutti quelli che hanno
silenziosamente letto il capitolo e rinnovare l’invito a leggere e recensire i
prossimi capitoli!! Un grosso bacio a tutti.
Nella stanza
regna il più assoluto silenzio, come se fosse congelata nel tempo; anche le
lancette del grosso orologio chiaro in salone sembrano essersi ammutolite per
rispetto del segreto di quella stanza. Segreto che sarebbe rimasto tale per
poco. Il vento si scontra violento con le finestre della stanza da letto; le
lenzuola bianche possono essere viste nonostante la totale oscurità della
stanza. Il silenzio è spezzato dal respiro di un uomo, leggero e regolare. Si
muove nel letto e lentamente si sveglia…. assonnato si strofina gli occhi e
sbadiglia. Poi si mette seduto e si guarda intorno.
Dove
mi trovo? Si chiede un po’ spaesato, ma
con tutto quel buio non riesce a vedere nulla di familiare. Improvvisamente gli
gira la testa e si sente tanto male da doversi stendere di nuovo. Chiude gli
occhi e prova a calmarsi: tutto sembra aver preso a girare velocemente e aggrappandosi alle coperte tenta di fermare quella
maledetta giostra impazzita. Quando tutto sembra finito, l’uomo si rilassa e
riapre gli occhi voltandosi e cercando intorno a se qualche indizio che lo
aiuti a capire qualcosa di quello strano incubo. Si volta alla sua sinistra e a
tentoni spera di trovare sul comodino una bajour. Quando trova l’interruttore
finalmente riesce a fare luce nella stanza. Sobria e semplice, ha le pareti di
un rosa chiaro e la porta è in legno, forse mogano; l’uomo fa una lenta
panoramica di quella stanza sconosciuta chiedendosi come ci sia finito finché
lo sguardo non si posa sul copriletto decorato con delle chiazze rosse su fondo
bianco. L’uomo impallidisce: non sono macchie decorative… è… sangue! Gli occhi
seguono istintivamente il vermiglio fino a scorgere un altro corpo. È una
donna, i capelli castani le contornano il viso, gli occhi marroni spalancati in
un eterno sguardo ed il corpo, nudo, coperto solo dal sangue riverso in una
strana posa. L’uomo non può fare a meno di dare un grido di spavento: non
capisce cosa sia successo, cosa ci faccia lui nudo – come si è appena accorto
di essere – nel letto di una sconosciuta morta… ha paura e in un attimo capisce
di essere fregato.
«Mi
evita! È così evidente!» esclamò Elena stizzita.
«Si…»
assentì Anna sovrappensiero.
«Se
però glielo faccio notare nega… nega spudoratamente! È questo che mi fa
arrabbiare!» continuò lei e più ripensava al comportamento di Alessandro più la
rabbia aumentava «Io vorrei solo… chiarire! Non chiedo altro…» e in quelle
ultime parole la voce si affievolì.
Anna
la osservava senza guardarla, la sentiva senza ascoltarla persa in una miriade
di pensieri, dubbi e preoccupazioni.
Lo schiocco delle dita di Elena la riportò sulla Terra.
«Tesoro
ci sei?» le chiese «Cos’hai?»
«Nulla…
solo…»
«Luca?»
«No… cioè sì… io…» disse confusamente
«Comunque… dicevi… di Ale?» chiese per sviare la conversazione da
quell’argomento tanto pericoloso.
«Che
mi evita… e nega di farlo…»
«Beh
Elena prova a capirlo: la morte di Irene è un fantasma che lo tormenta ancora…»
«Lo
so! Anch’io penso ancora molto a lei… e… non so… c’è qualcosa che mi frena…
quasi un timore… però penso che sarebbe felice di vedere che Ale riesce ad
andare avanti e ad essere felice»
«Sì
lo credo anch’io… a proposito: dov’è?»
«Non
lo so… ha detto che andava a fare un giro…»
Alessandro
comminava pensieroso per la strana scalciando distrattamente una lattina vuota.
Non la evito si ripeteva Non la sto affatto evitando… solo… non mi va
di parlarle. Tutto qui… tentava di convincersi, ma le sue parole non
avevano alcun effetto: la verità lui la conosceva.
Ma perché mai
sono tornato, poi?
continuò Sapevo che sarebbe successo: era
inevitabile… eppure…
Eppure
non ce la faceva più a stare in esilio… a piangersi addosso… Aveva amato Irene
come nessun’altra, ma ora una parte di lui voleva, aveva bisogno di andare
avanti, di provare a vivere anche senza di lei, perché era solo sopravvissuto
alla vita; un’altra parte, però, aveva ancora un certo pudore, rispetto per la
memoria di Irene… o forse era solo un’ipocrita scusa per nascondere la semplice
paura che gli attanagliava il cuore.
Sospirò
stanco di tutti quei dubbi e tutti quei pensieri ed entrò in un locale
dall’insegna blu al neon “Black Moon”. La musica ad alto volume gli rimbombava
nello stomaco ed in un attimo pensò che svagarsi un po’ non avrebbe potuto
fargli bene, si sedette al bancone e chiese qualcosa di forte a libera scelta
del Barman mentre con lo sguardo faceva una paronimica della folla di uomini e
donne che si scatenavano sotto la postazione del DJ.
Ad
un tratto, mentre Ale sorseggiava passivo il drink si avvicinò al bancone una
ragazza: i capelli corti che le arrivavano appena sul collo color cioccolato e
gli occhi non molto grandi quasi della stessa sfumatura; aveva un’aria persa,
sembrava quasi a disagio in quel posto.Alessandro dovette sbattere più volte le palpebre per far dissolvere
l’immagine di Irene che si era sovrapposta a quella della giovane sconosciuta.
«Cosa
le porto?» chiese gentile il barman.
La
giovane lo guardò spaesata quasi si fosse scordata di essere in un locale,
davanti al bancone.
«Ecco…
quello che ha preso lui…» disse incerta indicando il bicchiere quasi vuoto di
Alessandro.
Il
barman annuì sempre sorridente e si allontanò.
«È
sicura della sua scelta? Guardi che non è leggero» la infornò gentile
Alessandro senza rendersi davvero conto che quella era la prima volta da molto
tempo che interagiva con una sconosciuta senza rifletterci e farsi mille
complessi.
«Meglio
così» rispose lei «Magari per un po’ riesco a dimenticare…»
«Problemi?»
chiese ancora Ale che sentiva una strana voglia di parlare con quella
sconosciuta.
«Semplicemente
il mondo ormai gira al contrario… ed io non riesco a cambiare senso di marcia…»
«So
che intendi…»
«Oh,
no… non credo…» lo contestò la ragazza quasi volesse difendere la grandezza del
suo dolore. Ale la guardò: inizialmente avrebbe voluto ribattere che perdere la
persona che si ama era la cosa più brutta che potesse capitare e che quindi
sapeva bene cosa significasse andare nel senso sbagliato, ma quando incontrò lo
sguardo castano della ragazza le parole le morirono in bocca: conosceva fin
troppo bene quello sguardo velato… da quando Irene era andata via lo aveva
visto ogni volta che si era guardato allo specchio: anche lei aveva perso
qualcosa di importante, un punto di riferimento.
«Si
chiamava Irene… Era bella, ma bella davvero… ed io l’amavo tanto, credevo che
avrei passato tutta la mia vita con lei… Volevo chiederle di sposarmi e invece…
è bastato un proiettile, uno solo e l’ho persa per sempre…»
Non
sapeva perché le stesse dicendo tutte quelle cose e di solito parlare di lei
faceva male… eppure ora si sentiva quasi meglio. Sapeva che lei poteva capirlo
più di chiunque altro: lei sapeva che cosa volesse dire soffrire…
«A
me è stato molto più semplice: Francesco se n’è andato per un overdose»
Alessandro
la guardò negli occhi: soffriva ancora, proprio come lui.
«Anche
se…» continuò lei; poi si bloccò come se si fosse fatta scappare qualcosa di
troppo e di pericoloso.
«Se?»
chiese Ale interessato.
«Nulla…
Senti perché non usciamo di qui e facciamo un giro? Questa musica mi sta
facendo venire un mal di testa…» propose tempestiva per cambiare argomento.
Alessandro
la guardò per qualche istante indeciso, poi si disse che non sarebbe successo nulla di male se avesse fatto un giro e
sorridendo si avviò fuori con la ragazza.
Nella
stanza regnava il più assoluto silenzio, come se fosse congelata nel tempo;
anche le lancette del grosso orologio chiaro in salone sembravano essersi
ammutolite per rispetto del segreto di quella stanza. Segreto che sarebbe
rimasto tale per poco. Il vento si scontrava violento con le finestre della
stanza da letto; le lenzuola bianche potevano essere viste nonostante la totale
oscurità della stanza. Il silenzio fu spezzato dal respiro di un uomo, leggero
e regolare. Si mosse nel letto e lentamente si svegliò… assonnato si strofinò
gli occhi e sbadigliò. Poi si mise seduto e si guardò intorno.
Dove mi trovo? si chiese un
po’ spaesato, ma con tutto quel buio non riusciva a vedere nulla di familiare.
Improvvisamente gli girò la testa e si sentì tanto male da doversi stendere di
nuovo. Chiuse gli occhi e provò a calmarsi: tutto sembrava aver preso a girare
velocementee aggrappandosi alle coperte
tentò di fermare quella maledetta giostra impazzita. Quando tutto sembrò
finito, Alessandro si rilassò e riaprì gli occhi voltandosi e cercando intorno
a se qualche indizio che lo aiutasse a capire qualcosa di quello strano incubo.
Si voltò alla sua sinistra e a tentoni sperò di trovare sul comodino una bajour.
Quando trovò l’interruttore finalmente riuscì a fare luce nella stanza. Sobria
e semplice, aveva le pareti di un rosa chiaro e la porta era in legno, forse
mogano; l’ispettore fece una lenta panoramica di quella stanza sconosciuta
chiedendosi come ci fosse finito finché lo sguardo non si posò sul copriletto
decorato con delle chiazze rosse su fondo bianco. Alessandro impallidì: non erano
macchie decorative… era… sangue! Gli occhi seguirono istintivamente il
vermiglio fino a scorgere un altro corpo. Era una donna, i capelli castani le
contornavano il viso, gli occhi marroni spalancati in un eterno sguardo ed il
corpo, nudo, coperto solo dal sangue, riverso in una strana posa. L’ispettore
non poté fare a meno di dare un grido di spavento: non capiva cosa fosse
successo, cosa ci facesse lui nudo – come si era appena accorto di essere – nel
letto di una sconosciuta morta… aveva paura e in un attimo capì di essere
fregato.
Si
vestì velocemente mentre la testa, ancora confusa, provava a ricordare quello
che era successo. Rivide il dialogo con la ragazza nel locale, la sua richiesta
di uscire e poi… tutto si faceva confuso ed infine buio. Guardò di nuovo il
cadavere della donna e si rese conto che non conosceva neanche il suo nome.
Improvvisamente
lo fulminò un pensiero: dov’era la sua pistola? L’aveva portata con se? Perché
quello che aveva freddato la giovane era stato un proiettile e riflettendoci
bene lui portava sempre con se la pistola… anche quella sera…
Afferrò
rapido il cellulare – erano le 04:43 – e compose veloce un numero. Dopo vari
squilli che allo spaventato ispettore parvero davvero secoli rispose una voce
assonnata.
«Ma
se tu non riesci a dormire… perché devi svegliare anche me…?» chiese più
assonnato che mai Raffaele.
«Raff:
è successo un casino! Sono nei guai! Ho bisogno di te…»
«Ale
che succede?» chiese l’ispettore, ora più sveglio che di giorno «Dove sei?»
«Non
lo so! Sono a casa di una ragazza… l’ho conosciuta in un locale… Raff è morta!»
urlò agitato «E credo che ad ucciderla sia stata la mia pistola…»
«Cosa?!»
chiese l’ispettore spaventato «Ale ascolta: vedi se affacciandoti alla finestra
riesci a capire più o meno dove sei… almeno la zona: io arriverò il prima
possibile…» provò a rassicurarlo.
L’uomo
seguì le indicazioni dell’amico e affacciandosi alla finestra alla luce del
palo gli sembrò di leggere il nome della via; di fronte a lui il numero civico
era 2.
«Via
Mazzini numero 3… almeno credo…» informò il collega.
«Bene…
non è molto lontano: dieci minuti e sono lì. Tu non muoverti… non fare nulla!»
poi attaccò il telefono lasciando Alessandro immerso in mille preoccupazioni.
I
suoi pensieri furono interrotti dal suono di sirene spiegate. Non poteva essere
Raffaele: sarebbe arrivato il più silenziosamente possibile… quella era la sua
condanna. Si affacciò rapido alla finestra e grazie a quel po’ di luce che
annunciava l’alba scorse le figure di tre carabinieri; uno di questi indicò la
casa nella quale si trovava Ale e tutti si avviarono verso l’abitazione. Ale
sussultò: cosa poteva fare? Di scappare non se ne parlava: lui non aveva fatto
nulla… almeno credeva…
La
mente riportò a galla un ricordo: anni prima Anna era stata accusata di
omicidio e Raffaele era riuscito a dimostrare che era stata legittima difesa
ritrovando la postola dell’uomo in una grondaia. Si affacciò veloce dalla
finestra e scorse la grondaia scura, la sua salvezza. Vi incastonò l’arma, che
aveva trovato per terra accanto al letto, in modo che non potesse essere vista,
ma facilmente recuperata.
La prenderanno
più tardi gli altri… ora già sono nei casini…
Fece
appena in tempo a chiudere la finestra che uno dei carabinieri sfondò la porta
ed entrò nella stanza da letto. Spostò rapido e serio lo sguardo la Alessandro
al cadavere di nuovo ad Alessandro.
Condannato con
sentenza immediata! si
disse l’ispettore intuendo che non aveva scampo.
Gli
altri due carabinieri entrarono nella stanza puntando le pistole contro di lui.
«Lei
chi è? E cosa ci fa qui?» chiese quello che doveva essere il maggiore in grado.
«Ispettore
capo Alessandro Berti… Sul cosa ci faccia qui… mi dispiace: non lo so
neanch’io…»
«Mi
faccia capire» continuò un secondo carabiniere «Lei non sa cosa ci fa nella
camera da letto di una donna nuda e morta?!»
«Esatto»
sospirò Alessandro ritenendosi ormai spacciato «Ma non l’ho uccisa io!» si
difese chiedendosi che fine avesse fatto Raffaele.
«Questo
starà a noi deciderlo. Per ora…»
«…
Credo che non sarete i soli…» disse una voce alle spalle degli uomini e dal
corridoio comparve Raffaele seguito da Elena ed Anna.
Alessandro
tirò un respiro di sollievo come se con loro fossero arrivati anche tutti i
tasselli mancanti, la soluzione ed il colpevole; nonostante non fosse cambiato
nulla la loro semplice presenza lo rincuorava.
«E
voi chi siete?» chiese un po’ irritato il superiore.
«Ispettore
Raffaele Marchetti; loro sono le ispettrici Anna Gori e Elena Argenti. Siamo
del X Tuscolano e lui è il nostro ispettore capo momentaneamente dirigente del
distretto» lo informò serio e preciso Raffaele: sapeva che in quei momenti
bisognava essere quanto più calmi, lucidi e sicuri possibili.
«Si
rende conto che il vostro ispettore capo è indiziato per questo omicidio?»
chiese con voce minacciosa il carabiniere «Si trova sulla scena del delitto in
un evidente stato di shock…»
«Ma
non mi sembra che abbia confessato né che abbiate trovato impronte o l’arma del
delitto»constatò seria Elena.
«Solo
questione di tempo»
«Beh,
allora fino a quel tempo… l’ispettore Berti viene con noi»
«Ma…»
«Garantiamo
noi tre per lui» disse Anna prima di voltare le spalle ai carabinieri e seguire
i colleghi.
«Sono
consapevole del fatto che sono arrivati prima i Carabinieri… sto solo chiedendo
una collaborazione…»
«Non
se ne parla ispettrice… siete troppo coinvolti: il vostro collega è uno dei
sospettati!»
«Ma
è proprio per questo che vogliamo indagare! Per capire cos’è successo al nostro
collega! Procuratore non può estrometterci… la prego..» chiese ancora una
volta, insistente, Elena: dopo il coinvolgimento di Alessandro lei aveva preso
in mano le redini del caso e del commissariato.
«E
come la mette con il numero di agenti disponibili?» continuò il PM «Tra il
vostro commissario infiltrato» e nel pronunciare quelle parole fece una smorfia
di disapprovo e biasimo che risultò alquanto irritante ad Elena «e l’ispettore
Berti coinvolto non siete molti a poter lavorare…»
«Di
questo lasci che me ne preoccupi io… Siamo più che operativi… e se costituiremo
una “palla al piede” per i Carabinieri sarà libero di estrometterci: non
opporrò alcuna resistenza»
Il
PM rimase in silenzio per alcuni istanti valutando con attenzione la
situazione; poi si voltò con lo sguardo verso il capitano dei Carabinieri che
fino a quel momento era rimasto in silenzio e che annuì senza far trasparire
alcuna emozione.
«E
sia» acconsentì alla fina «Ma sia chiaro: il tutto sarà coordinato dai
Carabinieri, ogni minimo passo avanti dovrà essere comunicato al capitano
Martinelli e per nessun motivo devono essere prese iniziative personali, mi ha
capito bene ispettrice Argenti?» chiese quasi minaccioso.
Elena
annuì: per quanto gli rodesse essere un’appendice subordinata ai Carabinieri
quello era l’unico compromesso nel quale poteva sperare… e soprattutto l’unico che
potesse ottenere.
«Per
quanto tempo ancora i suoi uomini dovranno interrogare Berti?» chiese poi
rivolta al capitano.
«Per
tutto il tempo necessario e sia chiaro: l’ispettore non deve muoversi da qui… Se
dovrà tornare a casa sappiate che c’è una pattuglia pronta a seguirlo ed una
appostata sotto il suo appartamento» rispose ostile.
«Mmh…
peggio di un ricercato internazionale…» commentò sarcastica Elena.
Il
capitano non replicò ed uscì dal commissariato con il procuratore. Elena
sospiròe si lasciò cadere sulla
poltrona. Dirigeva il commissariato da sole poche ore e già si sentiva
stressata: come ci stava riuscendo Luca senza dare alcun segno, neanche minimo,
di stress? O forse era solo molto bravo a fingere e lei non si era accorta di
quanto anche il collega fosse stressato.
«Elena?»
chiese Raffaele sfiorandole il braccio.
La
collega sobbalzò e spalancò gli occhi spaventata: non aveva sentito la porta
aprirsi né l’ispettore entrare.
«Ohi
Raff… non ti avevo sentito entrare… novità?»
«Ora
sappiamo il nome della vittima: Claudia Gelone, 24 anni»
«Abbiamo
qualcosa su di lei?» chiese la donna con poca speranza.
«Su
di lei no… ma sappiamo che il suo ragazzo è morto circa un mese fa… overdose…»
«Questo
però non ci dà alcuna informazione sulla ragazza… su chi potrebbe averla
uccisa…»
Raffaele
abbassò la testa: non avevano nulla, tranne l’accusa a carico di Alessandro.
«Cosa
faceva il ragazzo?» chiese Elena quasi senza interesse.
«Francesco
Pietroli, 25 anni. Orfano da quando ne aveva 14. Giocatore di pallanuoto in una
squadra locale… l’AS Romana. Poi un mese fa è morto do overdose»
Elena
annuì pensierosa: era quasi sicura che sarebbe stato un buco nell’acqua… ma
forse…
«Senti
Raff: perché tu ed Anna non andate a fare qualche domanda all’associazione
sportiva? So che probabilmente non ne ricaveremo nulla, ma… tentar non nuoce,
no?»
Raffaele
fece per andare via, ma Anna non si mosse seduta sul divano dell’ufficio con lo
sguardo perso nel vuoto.
«Anna…?»
la chiamo l’ispettore.
La
ragazza si scosse come sorpresa e guardò Raffaele interrogativa; poi si alzò.
«Tutto
ok, tesoro?» le chiese Elena.
«Sì…
sì… tutto ok…» rispose lei un po’ frastornata e confusa.
«Luca,
non è così?» chiese sicuro Raff.
«Si…
andiamo?» chiese per chiudere quella discussione.
Luca…
sì certo… era proprio una bella scusa…
«Non
lo so! Non lo so! Non ricordo… come devo dirvelo?!»
Alessandro
era chiuso da ora nella stanza degli interrogatori e da ore continuava a
ripetere sempre la stessa cosa: di quella maledetta notte lui non ricordava
nulla! Ormai la testa gli scoppiava e più cercava di ricordare più aveva la
sensazione che la verità si allontanasse. Avrebbe voluto solo un attimo di
pace, di calma… ma sembrava impossibile.
Ad
un tratto si aprì la porta della stanza ed entrarono Elena ed il capitano Martinelli.
«Ora
basta! Dategli un attimo di respiro!» li rimproverò l’ispettrice.
I
due guardarono interrogativi il capitano che annuì e fece segno con la testa di
andar via. I carabinieri si alzarono e seguirono il capitano che prima di
uscire guardò intensamente l’ispettrice come a ricordarle tutto ciò che era
stato detto nell’ufficio del commissario pochi istanti prima.
Quando
furono soli Elena strinse istintivamente a se Alessandro che sospirò stanco
assaporando quel semplice gesto di conforto.
«Elena
ti spero: aiutami…»
«E
c’è bisogno che mi lo chieda? Ascolta: da quando siamo arrivati in quella
stanza nessuno ha preso neanche un secondo di pausa. Stiamo tutti lavorando al
massimo per capire quello che è successo stanotte…»
«Se
solo ricordassi…»
Elena
gli mise una mano sulla spalla sorridendogli fiduciosa.
«Tranquillo:
andrà tutto bene»
«La
mia pistola…»
«Non
è stata ancora ritrovata e per noi, in un cerco senso, è un bene: i carabinieri
sono convinti che tu sia colpevole…»
«…
è nella grondaia sotto la finestra della stanza da letto» la informò
l’ispettore con voce atona.
Elena
lo guardò sconcertata: come poteva saperlo? Allora lui…
«Sì:
l’ho nascosta» disse lui quasi rispondendo ai pensieri della collega «Ero già
troppo nei casini e so che è l’arma del delitto… in più è molto probabile che
la prova del tampone sarà positiva… quindi…»
«Siamo
fritti!» concluse Elena.
Alessandro
sospirò: come aveva fatto a cacciarsi in un casino tanto grande e complicato?
«Senti
Elena…Per tutto quello che ci siamo detti ieri… io…»
«Sshh….
Non dire nulla: prima risolviamo questo pasticcio. Poi ci sarà tempo per
chiarire ogni cosa» gli sorrise lei.
«Sì
amore: è tutto ok, non preoccuparti…»
«Stanotte
sei scappato via così all’improvviso…»
«Sì…
è successo un casino con Ale»
«Casino?
State bene?» la voce divenne più preoccupata.
«Sì…
sì, fisicamente sì, ma Ale è stato accusato di omicidio… è stato incastrato e
dobbiamo capire da chi…»
«Omicidio?!
Incastrato?! Raff mi devo preoccupare?»
«Ma
no, ma no Antonella: vedrai che tutto si risolverà per il meglio… fidati…»
«Fammi
sapere, ok? Ti amo»
«Certo,
sta tranquilla… ti amo anch’io»
Raffaele
chiuse la chiamata e si tolse l’auricolare: aveva fatto una bella paura ad
Antonella correndo via nel cuore della notte.
Nonostante
tutto sorrise: ora tra loro sembrava andare tutto bene. Anna ormai era solo una
grande amica e appena se n’era reso veramente conto era corso da Antonella per
chiederle scusa per come l’aveva lasciata ed entrambi avevano finalmente capito
che la loro non era una di quelle banali storielle… no: era qualcosa di
completamente differente…
«Si
è spaventata, eh?» chiese Anna interrompendo i suoi pensieri.
«Si…»
sorrise lui.
«Sono
felice per voi: state davvero bene insieme! E sembra che tutto vada per il
verso giusto, non è così?»
«Già…
Antonella è fantastica ed ora io sono sicura di amarla davvero…»
Anna
sorrise poi si perse in qualche ricordo lontano e la sua espressione, così come
i suoi occhi, divenne triste.
«Tornerà
presto» provò a consolarla l’ispettore «Bisogna resistere solo un altro po’»
Anna
annuì. Ancora un altro po’ pensò e se io non avessi più tempo?
«Guarda:
siamo arrivati! Disse poi vedendo l’insegna dell’AS Romana.
I
due scesero ed entrarono nello stabile sperando di trovare qualcosa che potesse
aiutare Alessandro anche se non sapevano proprio da dove cominciare.
«Scusi?»
chiese gentile l’ispettore alla segretaria «Siamo della polizia: vorremmo
parlare con l’allenatore e se possibile con i giocatori»
La
ragazza li guardò per qualche istante, poi scomparve dietro una porta chiedendo
ai due ispettori di attendere pochi istanti; infatti ne uscì quasi subito con
un uomo.
«In
questo momento la squadra e l’allenatore stanno simulando una partita in
piscina… se volete seguirmi…» fece strada loro l’uomo.
I
due lo seguirono fino a giungere alla piscina dove si stava svolgendo
un’animata partita e l’uomo, che molto probabilmente doveva essere il
presidente, si avvicinò all’allenatore sussurrandogliqualcosa all’orecchio: poi entrambi voltarono
lo sguardo verso Anna e Raffaele e l’allenatore si avvicinò loro.
«Buongiorno:
io sono Giacomo Michelini, l’allenatore della squadra… mi è stato detto che
volevate parlarmi…»
«Ispettori
Marchetti e Gori. Sì: volevamo farle alcune domande riguardo Francesco
Petroli…»
L’uomo
sussultò e i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa: forse era da tempo che
non sentiva quel nome.
«Perdonate
la mia reazione… ma Francesco era un figlio per me, un po’ come tutti i ragazzi
che alleno… anche se conoscendo Francesco da quando aveva 15 anni non posso
negare che il legame che mi legava a lui era forte. Per me è stato… un vero
shock trovarlo nel bagno con quella maledetta siringa conficcata nel braccio…»
disse con voce tremante.
«Quindi
è stato lei a trovarlo?» chiese Anna.
«Si…
ero andato a casa sua perché aveva saltato un allenamento importante e non
rispondeva né al telefono di casa né al cellulare. Quando sono entrato però era
troppo tardi…»
L’uomo
sembrava essersi stancato solo per aver ricordato quel giorno: sospirò e con
una mano si mantenne ad una delle colonne decorative dello stabile.
«Si
sente bene?» chiese Anna preoccupata.
L’uomo
annuì, ma si vedeva chiaramente il pallore sul suo volto.
«Non
avrei mai pensato che Frank si drogasse: se qualcuno me l’avesse detto gli
avrei riso in faccia dicendogli che non conosceva affatto il mio ragazzo, che
lui era rispettoso della vita e non avrebbe mai fatto una cosa tanto sciocca e
controproducente… Ora mi sono reso conto che forse ero quello che lo conosceva
meno…»
«E
cosa mi dice dei genitori?» chiese Raffaele.
«Quello
era ormai un capitolo chiuso: Frank aveva superato la cosa da anni. Ovvio che
pensandoci, la loro morte gli procurava ancora dolore, ma qui aveva trovato
degli amici, una seconda famiglia…»
I
due ispettori annuirono comprendendo ciò che l’uomo intendeva dire: infondo
anche loro nel distretto, oltre ad avere una seconda casa, avevano trovato
anche una seconda famiglia.
«Si
potrebbe fare qualche domanda anche agli altri ragazzi?» chiese poi Anna.
Il
signor Michelini annuì e i tre tornarono a bordo piscina.
«Scusate»
prese parola Anna «Avremmo bisogno di farvi qualche domanda»
Una
quindicina di ragazzi si avvicinò al bordo piscina boccheggiando.
«Cosa
sapete circa Francesco Pietroli?» chiese Raffaele forse con troppa
superficialità.
Uno
strano lampo di luce passò negli occhi dei ragazzi: c’era disapprovo,
sconcerto, semplice tristezza, rabbia e… uno addirittura fuggiva gli occhi dei
due ispettori probabilmente per il troppo dolore.
«Frank
era un nostro amico… nessuno di noi si aspettava che potesse drogarsi. Certo
tra gli sportivi ormai è quasi all’ordine del giorno… ma non capisco che motivo
avesse per farlo! Lui era bravo, ma bravo davvero! Non per nulla era il nostro
capitano… non aveva bisogno di quella robaccia!»
«Negli
ultimi giorni avevate notato qualcosa di strano? Era diverso dal solito?»
«Ma
perché tutte queste domande? Quello che sapevamo lo abbiamo già detto tempo fa
ai vostri colleghi…»
«Si,
lo sappiamo e ci dispiace rievocare il vostro dolore» si scusò Anna « Ma
vedete… stanotte è stata trovata uccisa la fidanzata di Francesco… e non
vogliamo tralasciare niente per capire come si sono svolti i fatti»
Un
nuovo silenzio scese tra i ragazzi e lo stesso allenatore guardò basito i due
ispettori. Anna maledisse la rinnovata semplicità e superficialità con la quale
aveva dato quell’informazione.
«Claudia…
Claudia è morta…?» disse un giovane in evidente stato di shock.
«Ci
dispiace. La conoscevate bene?»
«Non
molto: sapevamo che stava con Frank da qualche mese… nulla più…»
Annaabbassò la testa: sapevano dall’inizio che
c’era un’alta percentuale di possibilità che quello sarebbe stato un buco
nell’acqua… ma inconsciamenteci aveva
sperato…
«Va
bene» concluse Raff nascondendo la delusione «Se vi venisse in mente qualsiasi
cosa… chiamateci»
I
giocatori annuirono e i due ispettori andarono via.
«Quindi
siamo punto e a capo» concluse Elena dopo il resoconto di Anna e Raffaele.
«Già…»
«E
per la pistola?» chiese Raff.
«Ah…
sì… Ale ha detto di averla nascosta in una grondaia sotto la finestra della
camera da letto»
I
due la guardarono come se fosse improvvisamente impazzita, Per qualche istante
nell’ufficio regnò il silenzio, poi Elena si rese conto della gaff che aveva
fatto e si affrettò a spiegare.
«Ho
parlato con lui dopo l’interrogatorio dei carabinieri e mi ha detto che è
sicuro che la sua pistola sia l’arma del delitto. Per questo l’ha nascosta: era
già troppo coinvolto anche senza di essa. Figuratevi se i carabinieri
l’avessero ritrovata…»
«Ale
sarebbe in carcere e noi staremmo recuperando il sonno perso nei nostri letti
con una preoccupazione in meno…» ironizzò Raff e nonostante il momento riuscì a
strappare un sorriso alle ragazze.
«Sentite:
perché non tornate nella stanza del delitto e recuperate la pistola? Magari ne
ricaviamo qualcosa…»
«Ok.
Tu che fai?» chiese Anna.
«Mah…
prima di tutto chiamo il capitano Martinelli per sapere se ci sono novità, poi
magari passo da Ale»
«Perché
dov’è?»
«Gli
hanno permesso di tornare a casa per una doccia veloce, ovviamente sempre sotto
“scorta”…»
«Capito.
Se ci sono novità facci sapere»
«Idem
per voi»
I
due ispettori uscirono dall’ufficio lasciando Elena ai suoi pensieri. Il suo
cervello lavorava a mille ragionando su tute le possibile pieghe che avrebbe
potuto prendere la situazione. Se avessero trovato la pistola e l’avessero
fatta analizzare dalla Scientifica si sarebbero assicurati finalmente se fosse
o meno l’arma del delitto. E poi? Come sarebbero andati avanti? Perché se Ale
era praticamente sicuro che il proiettile assassino era stato sparato dalla sua
pistola, lei era praticamente sicura che le uniche impronte rilevate sarebbero
state quelle dell’ispettore.
L’irruzione
agitata di Vittoria interruppe la sua catena di pensieri.
«Elena!
C’è una ragazza che vorrebbe parlarti: dice di essere un’amica di Claudia e di
avere importanti informazioni per noi» riferì.
«Falla
entrare. Veloce Vittoria!» rispose l’ispettrice mentre il cuore accelerava la
sia corsa: forse non tutto era perduto.
In
pochi minuti la ragazza fu nell’ufficio.
«Mi
chiamo Serena Levioli… io e Claudia eravamo grandi amiche»
«Ha
detto di avere informazioni importanti» le ricordò l’ispettrice giungendo
subito al dunque.
«Sì…
ultimamente Claudia era cambiata, precisamente da poco dopo la morte di
Francesco: lei non è mai stata sicura che si fosse trattata di una semplice
overdose…»
«Cosa?!»
esclamarono nello stesso tempo sia Elena che Vittoria.
«Ma
sì: Frank non era il tipo… troppo rispettoso della vita e dello sport per poter
prendere quella roba!»
«Beh,
magari inizialmente non voleva, poi l’ha provata e c’è rimasto dentro» ipotizzò
Elena.
«No…
non è così: ultimamente Frank le aveva parlato di un cambiamento, di una brutta
piega che stava prendendo l’associazione sportiva; ma non ha mai proseguito con
i particolari: ogni volta che Claudia gli faceva qualche domanda lui le
sorrideva e le diceva che sarebbe andato tutto ok. E poi…»
«Mi
scusi, ma lei come sa tutte queste cose?»
«Dopo
la morte di Francesco, Claudiasi è
aggrappata a me: mi ha raccontato tutto dicendomi che voleva capire, che doveva
parlare con l’allenatore e i compagni di quadra di Frank»
«Quindi
credeva che la società c’entrasse qualcosa…»
«Sì…
ma non ha avuto il tempo di scoprirlo…» constata triste la giovane.
Ora
tutto era più chiaro: Claudia stava cercando di far luce su qualcosa. Per
questo l’avevano uccisa. Molto probabilmente erano stati gli stessi che avevano
ucciso Frank… perché anche quell’overdose non era più tanto sicura.
Elena
scattò in piedi animata da una nuova forza.
«Vittoria
fai firmare la deposizione alla ragazza: io devo scappare!»
Corse
fuori dal commissariato e salì rapida nella macchina mettendo in moto e
sfrecciando via a tutta velocità. Non si era neanche accorta che ormai era
finita un’altra giornata ed il Sole aveva lasciato già il posto alla Luna e alle
stelle.
Doveva
vedere Alessandro, metterlo al corrente di questi nuovi, piccoli ma importanti
sviluppi.
Quando
arrivò fece un cenno ai carabinieri sottocasa che quasi inespressivi
ricambiarono il saluto. Entrò nel palazzo e mentre stava salendo le scale le
vibrò il cellulare. Sorpresa lesse il nome che appariva sul display: Anna.
Cavoli! Con tutto quello che era successo si era dimenticata che aveva mandato
lei e Raff a recuperare la pistola di Ale e non li aveva neanche informati
delle novità.
Poco male si disse sorridendo rimedio subito ed aprì la comunicazione.
«Anna?»
«Ohi
Ele: abbiamo trovato la pistola dove aveva detto Ale. Ora stiamo tornando»
«Ehm…
Anna… non mi trovate in commissariato. Sono da Ale: ci sono novità. Magari se
mi ragg…»
L’ispettrice
si bloccò: davanti a lei c’era l’appartamento di Ale con la porta socchiusa.
Non era certo da lui rimanere l’appartamento aperto, ancor meno in un momento
del genere: qualcosa non andava…
«Elena?»
chiamò la collega preoccupata dall’improvviso silenzio.
«Anna:
sono davanti all’appartamento di Alessandro e la porta è socchiusa. Qualcosa
non va! Raggiungetemi il prima possibile, io entro» e senza aspettare la
risposta chiusela chiamata ed afferrò
la pistola.
Silenziosamente
scivolò lungo il restante corridoio ed aprì la porta. Buoi. Un’altra cosa che
non quadrava. Avanzò lentamente verso la cucina quando qualcosa colpì la sua
mano e le fece cadere la pistola. Il resto fu troppo veloce perché Elena
capisse. Una figura scura, un uomo le si parò di fronte colpendola al ventre
con un coltello e fuggendo via. Elena si accasciò a terra portando la mano al
ventre sanguinante.
Le
immagini erano sfocate: c’era qualcun altro a terra poco lontano da lei. Poi il
buio l’avvolse.
Lo
spazio dell’autrice
So
che vorreste uccidermi per il kilometrico ritardo con cui ho postato questo
capitolo, ma queste due settimane sono state… tremende. Sono viva x miracolo!!
Come vi sarete accorti da questo capitolo in poi il pezzo iniziale in corsivo,
di solito dedicato ad Hector, sarà dedicato a qualcosa inerente al capitolo
stesso. Ho ritenuto inutile continuare con le enigmatiche scritte su Hector
visto che ormai è stato svelato tutto! Inoltre è probabile che ci saranno degli
errori xk nella fretta di postare non ho riletto; sono quasi certa che qualche
volta il nome Claudia sarà confuso con Giulia: se ciò è capitato, vi prego di
scusarmi, ma chissà xk mi sono fissata col confondere i nomi. Inoltre ho notato
che qst capitolo è davvero enorme: beh, non abituatevi xk il prossimo sarà come
gli altri se non più piccolo.
A
proposito: che ne pensate? Il X è tornato più che mai non vi pare??
Intanto
ringrazio i cari angioletti:
Uchiha_chanFelice che qst volta le
lacrime siano state di gioia… Ti avevo detto che i colpi di scena non sarebbero
mancati e ce ne saranno ancora altri, puoi fidarti!! XD L’identità di Hector un
colpo basso?? E perché mai?? Beh, si lo so… ho mentito a coloro che avevano
capito tutto, ma quando ho capito di essere stata scoperta, stavo quasi per
morire d’infarto! Quindi… Secondo me questa è una delle occasioni per affilare
la falce: ho indovinato? *terrore puro* Vbb è stato bello vivere. Alla prossima
(se ci sarò) un bacio.
Tinta87hai
atteso tanto, ma ecco finalmente l’8° capitolo! Credo che due settimane ti
siamo bastate x riprenderti dallo shock Hector/Mauro e mi scuso ancora x la
piccola bugia, ma era di vitale importanza… I tuoi complimenti mi fanno sempre
arrossire… che dire? Mille grazie, sono felice che la storia ti piaccia sempre
più! Ecco svelato parte di ciò che accadrà al distretto durante l’assenza di
Luca… insomma non si annoiano mai i cari ragazzi!! Per la tua lunga recensione:
non preoccuparti, come ho già detto più lunghe sono più mi fa piacere. Che ti
pare di qst chappy?? Un bacio… alla prossima!
Luna95Hihihi
so di inquietarti e continuerò a farlo, qnd rassegnati! Eh, sì: Luca non è
morto… e ha trovato un vecchio amico, anzi + che amico, un fratello!! Che te ne
pare di qst capitolo? Alla prossima un bacio!
Buffy86Beh, felice che tu non
l’abbia capito… almeno il colpo di scena è stato autentico e forte!! Mille
grazie x i tuoi complimenti e, sì, vedrai tra qlche capitolo gli spunti che mi
hai dato. Sì si Luca è ancora vivo… per ora… e sono stupefatta dalla tua
affermazione: davvero ti avrebbe attratta di più la serie se avesse avuto
questa trama??? O_O me davvero lusingata… Che te ne pare di qst?? Un bacio alla
prossima!
LyrapotterO.O dai non sono stata
così bugiarda!! Solo un pochino… ma sono stata costretta!! Concordo: anch’io ho
vissuto la morte di Mauro come un trauma ed un affronto personale!! Beh, per
questo capitolo… hai detto tu che potevo far accadere di tutto e qnd… ti ho
accontentata… Per inghippo tra Mauro e Germana, e Mauro e Roberto… mmh… non so:
hai visto che ne pensa Mauro… Cmq tu continua a seguire qst ff e scoprirai!! Un
bacio e alla prossima!!
Dani85-^^- oh… ma quanti
complimenti! Mille grazie! Felice di essere riuscita a convincere almeno te…
così la sorpresa ed il colpo di scena è stato autentico!! XD Per mia fortuna… a
Luca non è successo nulla, ma credo che anche tu non starai molto calma dopo
qst chappy… *paura* Il “per ora” sì… è una precisazione del caro diavoletto… ma
non preoccuparti… XD Ecco gli sviluppi ad X: che ne pensi?? Un bacio. Alla prossima.
SARAHPOXYgrazie x aver messo la storia tra le seguite.
Luna Violagrazie x aver messo la
storia tra le seguite.
Il
prossimo capitolo, intitolato DEJA VU,, vedrà la conclusione di qst difficile
caso che ha coinvolto, fin troppo, tutti gli uomini del X… con tutte le
conseguenze, negative e positive e si rivedrà, anche se in minima parte, anche
Luca.
Quindi
continuate a leggere e recensire… xk ce ne saranno delle belle!
Un
ringraziamento anche a tutti i silenziosi lettori…
Succede così: succede che una mattina ti svegli, ti
guardi allo specchio e sai che da adesso in poi niente sarà come prima. Per un
attimo vorresti fermare il fiato, trattenere il respiro, ma non puoi…*
Impressionante
come la calma possa invadere i momenti più tragici: quelli che non sai come
andrà a finire; impressionante come il tempo sembri fermarsi, i suoni
assottigliarsi così come ogni percezione. Aveva sempre pensato che le avrebbe
fatto male, aveva sempre creduto che il d0olore sarebbe stato insopportabile
invece ora si accorge che poi non è così male; certo il sentire il sangue
fluire fuori dal proprio ventre, caldo e lento, non è il massimo, ma il tutto è
come filtrato attraverso uno strano senso di lontananza, si sente come
anestetizzata: il dolore non la sfiora, solo si sente stanca, stanca da morire…
A volte vorresti fermare il tempo, ma non puoi… un
attimo solo… il tempo di un respiro…*
Un rumore
lontano la costringe a riaprire gli occhi con uno sforzo immane: ha
l’impressione di sentire qualcuno che corre finché il suo campo visivo, che –
ora se n’è improvvisamente resa conto – è offuscato, è riempito dal volto di un
uomo. Sembra preoccupato e si accorge che la paura con sorprendente sapidità
sta mangiando il resto delle emozioni presenti sul suo viso. Lo conosce, sa di
conoscerlo e vorrebbe urlare il suo nome, ha è così stanca, ha così freddo e le
forze – lo sa – la stanno lasciando. Alessandro… Non è sicura che l’abbia sentito e, infatti, continua a parlare, ma
della sua voce ad Irene giunge solo il suo, dolce, un po’ incrinato…Poi il
tutto sembra offuscarsi, il cielo bianco sopra di lei si oscura, non sente più
neanche la lieve sensazione dell’erba sotto il corpo finché il buio la
inghiottisce e l’ultima cosa che vede è il volto supplichevole del suo amato.
A volte vorresti fermare il tempo, ma non puoi; non
sempre ti dice bene e a volte arrivi troppo tardi. Basta un attimo, un battito
di ciglia, il nome della persona amata: è tutto qui, è tutto il tempo che ci
resta…*
Raffaele
fermò la macchina con una sonora sgommata. L’agitazione era palpabile: erano ad
una svolta, positiva o negativa che fosse. Non fece in tempo neanche a scendere
dalla macchina che un uomo grosso e vestito di scuro uscì correndo dal
condominio dove viveva Alessandro.
«Fermo!»
gridò puntando la pistola verso di lui e allarmando i due carabinieri che
uscirono veloci dalla loro vettura.
«Che
cosa sta succedendo ispettori?» chiese uno dei due con fare autoritario.
Raffaele
cominciò a correre senza degnarli di una risposta.
«Succede
che il vostro assassino è quello!» spiegò Anna prima di inseguire l’uomo con il
collega.
Era
buio e la visuale non era delle migliori, inoltre l’uomo, vestito in quel modo,
riusciva a mimetizzarsi facilmente con l’ambiente circostante tanto che più di
una volta Anna credette di averlo perso; Raffaele invece continuava a correre
imperterrito come dotato di una vista “notturna” finché voltando l’angolo
l’ispettrice non gli sbatte quasi contro.
«Dove
cazzo è andato?!» urlò irato l’ispettore voltandosi rapido da ogni parte.
«L’abbiamo
perso!»
Intanto
i due carabinieri avevano raggiunto gli ispettori e continuava a scrutare il
luogo circostante come in cerca di indizi invisibili.
«Almeno
ora vi sarete convinti che Alessandro non c’entra nulla!» li rimproverò Raff.
Ad
Anna sembrò ricevere un secchi d’acqua gelata addosso: Alessandro ed Elena!
Lanciò uno spaventato sguardo al collega prima di riprendere la corsa in senso
opposto: la paura saliva ad ogni passo. Lo sapeva, sapeva che era successo
qualcosa. Raffaele dietro di lei la seguiva con lo stesso strato d’animo nel
cuore. In seguito, riflettendoci, si sarebbero accorti che di quella maledetta
notte non avrebbero ricordato affatto quella disperata corsa. Le scale volarono
in un attimo, ma quando Anna scorse la porta spalancata dell’appartamento e il
corpo di Elena a terra immobile si sentì mancare il fiato come se fosse
sbattuta contro un muro invisibile. Raffaele la superò e solo allora anche
l’ispettrice riprese la corsa.
«Elena!»
gridò appena si accorse della pozza di sangue nella quale era riversa la
collega «Elena ti prego: apri gli occhi. Avanti. Elena!» la incitò.
Anche
Raffaele guardava preoccupato la collega la cui ferita era pressata da Anna;
poi si accorse che poco più a destra c’era qualcun altro per terra, immobile.
Si
accovacciò accanto all’amico controllando il polso: era vivo. Tirò un primo
respiro di sollievo, poi controllò se fosse ferito da qualche parte, ma con un
secondo respiro di sollievo si rese conto che non aveva alcuna ferita.
«Come
sta?» chiese urlando Anna che non poteva muoversi.
«È
solo svenuto, credo. Comunque non ha ferite. Chiamo un ambulanza per Elena, poi
provo a farlo rinvenire»
Intanto
i carabinieri erano giunti nell’appartamento.
«Ma
che diavolo è successo qui?» chiese uno dei due.
«Devo
spiegarglielo?» chiese tra sfida e presa in giro Anna, mentre le sue mani ormai
erano completamente vermiglie in netto contrasto con il suo volto e quello
della collega che sbiancavano a vista d’occhio.
«E
Berti?»
«Raffaele
sta cercando di farlo rinvenire» li informò Anna indicando con la testa la
cucina.
Il
carabiniere che aveva chiesto notizie di Alessandro si spostò nell’altra stanza
e assistette al rinvenire dell’ispettore.
«Raff…
cosa…?»
«Non
agitarti: va tutto bene…» provò a calmarlo Raff mentendogli.
«C’era
un uomo… Mi ha stordito con qualcosa; poi i ricordi si fanno confusi…» spiegò
l’ispettore ancora shoccato.
«Lo
ha visto in volto?» chiese il carabiniere, ma l’ispettore scosse la testa.
Intanto
il suono della sirena dell’ambulanza inondò il silenzio della notte.
«Perché
questa sirena? Raff che succede?» chiese allarmato l’ispettore.
«Elena
era venuta per informarti di alcune novità… ma ha incontrato quell’uomo»
sussurrò Raffaele.
Il
volto di Alessandro divenne più bianco di quello di quello delle due colleghe
nella stanza accanto. Si alzò ignorando il violento giramento di testa che lo
fece sbandare e raggiunse la collega che i medici avevano già caricato sulla
barella. E fu come vedere un flash back: lo stesso volto pallido, la stessa
ferita al ventre, le stesse mani sporche di sangue.
No urlò dentro di
se No, ti prego: non portarmi via anche
lei… nello stesso modo…
Non
sentiva più nulla, non vedeva più niente: le immagini si sovrapponevano, i
ricordi tornavano, il dolore lo assaliva forte come allora. Aveva creduto di
essergli sfuggito, ma ora si rendeva conto che era stato solo uno sciocco tira
e molla, che si era solo illuso e in realtà il dolore non lo aveva mai lasciato
del tutto.
«Ale…»
Fu
un sussurro debole, forzato, ma alle sue orecchie giunse come un grido
disperato.
In
un attimo tornò in se e seguì la barella che stava per essere caricata
sull’ambulanza. Salì anche lui e le si sedette accanto mentre un infermiere le
metteva una mascherina per l’ossigeno e un altro faceva pressione sulla ferita.
Stava
succedendo di nuovo e lui, ancora una volta, non poteva fare nulla: era
costretto a guardare andar via anche lei. No… non voleva…
«Elena
non mi lasciare… ti prego…» sussurrò prendendole una mano e bagnandola, senza
rendersene conto, con le lacrime che ormai scendevano sul suo viso.
Quando
giunsero in ospedale l’ispettrice fu immediatamente portata in sala operatoria
ed Ale, shoccato e ancora in lacrime, si sedette con la testa fra le mani.
Ma perché?
Perche!
Si chiedeva furioso di dolore prima mi
hai portato via Irene, ed ora anche Elena?! Proprio ora… che stavo provando a
capire, ora che lo avevo accettato… Elena ti prego… non lasciarmi di nuovo
solo… ho bisogno di te… io…
L’arrivo
di Anna e Raff fermò i suoi pensieri.
«Come
sta?» chiese Anna con voce incrinata.
L’ispettore
scosse la testa.
«La
stanno operando… Ha perso molto sangue… Se non ce la facesse…»
«Non
devi neanche pensarlo!» esclamò Raffaele sedendosi accanto a lui «Elena è forte
e lo sappiamo bene: ha superato tante cose… Ce la farà: fidati!»
Anche
Anna gli si sedette accanto e lui la strinse a se affettuosamente.
Il
caffè, quella mattina, gli stava dando una grossa mano a riprendersi da quel
sonno che non sembrava volerlo lasciare. Mauro sbadigliò sorseggiandone ancora
un po’ da una grossa tazza ed il suo occhio cadde sul giornale che qualcuno
dell’organizzazione, svegliatosi presto, aveva portato al vecchio convento. Alcune
parole attirarono la sua attenzione su un articolo di poche righe che
continuava nelle pagine. Posò la tazza sul tavolo e prese il giornale cercando
il continuo di quelle poche righe che aveva letto con aria preoccupata; man
mano che gli occhi scorrevano sulla pagina e la mente immagazzinava
informazioni il suo volto impallidiva sempre più. Ad un tratto chiuse di scatto
il giornale e corse via fino alle celle dove alcuni dell’organizzazione
dormivano ancora compreso Luca. Bussò rapido ed agitato, ma non ottenne
risposta.
«Marco!
Marco apri maledizione! Marco! Svegliati!» gridò.
Dopo
qualche istante un assonnato Luca aprì la porta strofinandosi gli occhi.
«Che
succede Hector? Una missione?» sbiascicò confuso.
«Peggio»
disse serio l’uomo entrando nella stanza dell’amico e sedendosi sul letto
poggiò il giornale sul tavolo.
«Che
succede?» chiese Luca preoccupato.
«Leggi
l’articolo a pagina 10…» gli suggerì Mauro.
L’altro
lo guardò ancora un po’ frastornato senza capire, poi andò alla pagina indicata
e cominciò a leggere l’articolo.
Nuovo
colpo alla polizia di stato.
Dopo
il “ben nascosto” coinvolgimento di un agente di polizia nel cado d’omicidio di
una 24enne, un’altra agente di polizia è rimasta gravemente ferita ieri notte
durante una presunta missione. La donna – e qui il cuore di Luca perse un colpo – è stata trasportata
nel più vicino ospedale e sottoposta ad un intervento urgente per cercare di
salvarle la vita. Ora la sua prognosi è riservata…
Gli
occhi sconvolti di Luca non seguivano più il filo logico dell’articolo, ma
cercavano tra le righe parole che potessero escludere il coinvolgimento di un
agente del X, ma la stoccata giunse nelle ultime righe della pagina.
…Fonti
sicure ci indicano che l’agente coinvolto si chiama Elena Argenti e che lavora
al X Tuscolano.
Il
cuore di Luca si fermò, il giovane si sentì mancare e dovette impallidire tanto
perché Mauro di alzò di scatto e gli si avvicinò preoccupato mettendogli una
mano sulla spalla pronto ad intervenire in caso di bisogno.
La
mente di Luca non elaborava alcun pensiero: muta, come resettata. Il peggior
incubo del commissario, l’unico pensiero che forse avrebbe potuto frenarlo nel
proposito di infiltrarsi si era realizzato.
«Devo…
devo vederla…» sussurrò.
«Non
dire cazzate Luca! Capisco che sia una tua collega, ma te la sei già cavata con
molta fortuna l’ultima volta: così rischi sul serio di attirare attenzioni
indesiderate!»
«No:
tu non capisci!» gli urlò Luca guardandolo negli occhi «Io devo vederla… non
posso permettere che muoia… io… no…»
«Perché
pensi che con il tuo arrivo sarà salva?» lo sfidò l’uomo.
«No,
però…» Luca non sapeva cosa dire: aveva la tremenda paura che tutto sarebbe
andato come l'ultima volta «Io devo esserci! E se tutto andasse a
finire come con Irene? No… voglio vederla…»
Nella
stanza cadde il silenzio più assoluto: sembrava che le ultime parole del
commissario avessero convinto Mauro, ma quando Luca alzò gli occhi sull’amico
lo trovò con un’espressione sconvolta in viso e si rese conto dell’errore che
aveva fatto.
«Che…
cosa… è successo… ad Irene?» balbettò l’uomo.
«Io…
oh Mauro scusami: avevo dimenticato che tu eri andato via prima che…» provò a
scusarsi Luca senza sapere come rimediare.
«Irene
è morta?» chiese Mauro che odiava i giri di parole.
Luca
annuì abbassando la testa: sapeva che non l’avrebbe mai dimenticato. Mauro
improvvisamente lo abbracciò: anche lui, nonostante avesse lavorato poco tempo
con Irene, le aveva voluto davvero bene.
«Ti
aiuterò a vederla: non preoccuparti…» lo rassicurò.
«L’ispettrice
Argenti insieme al sovrintendente Guerra ha raccolto la deposizione di una
ragazza, Serena Levioli, che ha dichiarato che Francesco nutriva dei sospetti
verso la Società riguardo qualcosa di illecito e che, dopo la sua morte Claudia
abbia cominciato a fare domande per capire di cosa stesse parlando il ragazzo»
disse l’ispettore Berti per informare il Capitano Martinelli e i suoi uomini
delle ultime novità sul caso. Dopo il ricovero di Elena e i successivi
chiarimenti, che avevano cancellato Alessandro dal registro degli indagati,
quest’ultimo aveva ripreso in mano le redini del Distretto indagando con la
stessa forza della collega: lo face anche, anzi soprattutto per lei.
Nonostante
tutto però nessuno poteva negare che si avvertiva l’assenza di Luca, di una
stabilità che togliesse dal petto di tutti quella strana ansia che li teneva
sempre in allerta.
«Credo
che la cosa migliore sia risentire la ragazza e magari provare a vedere, ma non
ci spero molto, se attraverso la sommaria descrizione che abbiamo riesce a
riconoscere l’uomo di stanotte» convenne il capitano ed Ale annuì facendo cenno
ad Anna e Raff che andassero dalla giovane.
Congedò
in seguito i carabinieri ed uscì anche lui.
Ormai
non riusciva a staccarsi per più di un’ora dall’ospedale senza avere la
tremenda paura che Elena se ne sarebbe potuta andare. Dopo l’intervento, che
aveva comunque avuto esito positivo, la donna era entrata in coma e per lei non
si poteva fare altro che sedersi accanto al suo letto e parlare, parlare e
parlare ancora sperando che quei semplici accostamenti di suoni potessero
allontanare il male che la braccava e svegliarla; ma Ale lo sapeva: non era mai
stato logorroico, anzi, al contrario, amava molto il silenzio perché spesso
valeva e sapeva comunicare molto più di tante, infinite parole. E così durante
quelle brevi ma frequenti visite il silenzio riempiva assordante la stanza.
Silenzio che urlava mille rimproveri verso l’ispettore che forse avrebbe potuto
fare qualcosa – ma poi cosa?
Silenzio
che urlava mille parole all’ispettrice, tutte quelle che lui non aveva saputo
dirle e che temeva non avrebbe più fatto tempo a dire.
Per
ciò questa volta parlò, per paura di non avere più altre occasioni; perché
forse, se anche si fosse svegliata, non avrebbe più trovato il coraggio di
parlare.
«Mi
avevi detto che quando avremmo risolto il pasticcio in cui mi ero cacciato
avremmo parlato di quello che era successo, di quello che ci sta succedendo…
Ora io “ne sono fuori”, ma non ce la faccio ad aspettare che tu ti scegli. Ho
già provato la brutta sensazione di dire qualcosa di estremamente importante a
qualcosa di inorganico, morto: qualcosa che non avesse la possibilità di
sentirmi e non voglio farlo mai più. E poi forse se te lo dicessi guardandoti
negli occhi perderei quel po’ di coraggio che mi è rimasto…
Ti
sto evitando, è vero, e cerco di starti accanto il meno possibile: ma tu non
sai il perché, o forse si… voi donne sapete sempre tutto. Io ti amo Elena… Ma
l’idea, la paura di poter perdere un’altra persona che amo mi uccide. Vivere un
dejà vu sarebbe troppo… fatale. Ora capisci perché cercavo di negare a me
stesso quello che ormai è evidente? Ma è accaduto lo stesso… Nonostante mi sia
detto che ciò che provavo non era vero, nonostante ti abbia allontanato, sto
vivendo un dejà vu… e ho paura che finirà allo stesso modo. Ti prego Elena non
lasciarmi…»
Ecco:
l’aveva detto… e lei non l’aveva sentito. Ma almeno era servito per accettare
la cosa: un passo avanti. Poi ne avrebbe fatto un altro quando si sarebbe
svegliata: perché era sicuro che si sarebbe svegliata.
Erano
in viaggio da almeno dieci minuti, ma il silenzio regnava sovrano: i due
ispettori erano sommersi da mille pensieri. Tutto era accaduto troppo
velocemente: prima l’accusa di Alessandro, poi il ferimento di Elena. Non
riuscivano ancora a capacitarsene.
«Si
sistemerà tutto» sussurrò Raff poggiando una mano su quella di Anna.
La
ragazza sorrise, ma entrambi sapevano quanto fosse farlo quel gesto e del resto
in quel momento nessuno dei due sperava in qualcosa di diverso. Dopo altri
dieci minuti casa Levioli si stagliò davanti a loro.
I
due scesero rapidi ed Anna bussò alla porta. Dall’interno nessuna risposta o
qualsiasi altro rumore che facesse capire che c’era qualcuno in casa.
«Forse
non c’è» ipotizzò Raffaele «Bisognerebbe provare a rintracciarla sul cellulare:
se non erro dovrebbe aver…» le sue parole furono interrotte da un grido che
proveniva dall’abitazione.
Non
dovettero neanche pensarci o guardarsi per coordinare le loro azioni: Anna
caricò la pistola, Raff sfondò da porta e in pochi istanti furono dentro.
Fecero giusto in tempo: nel soggiorno trovarono Serena a terra spaventata ed un
uomo – lo stesso che aveva aggredito Elena ed Ale – su di lei con un coltellino
impugnato nella mano sinistra. L’irruzione in casa però aveva annullato
l’effetto sorpresa: lo sconosciuto ebbe il preavviso necessario per scattare in
piedi e, nonostante le intimidazioni dei due poliziotti e le armi puntate,
darsi alla fuga. Anna guardò per qualche attimo la giovane spaventata poi si
diede all’inseguimento del malvivente sicura che l’avrebbe soccorsa Raff; e
poco dopo, infatti, non sentì più la presenza del collega alle sue spalle.
Lo
sconosciuto aveva trovato l’uscita sul retro dell’abitazione ed ora correva
quanto più veloce possibile, ma Anna era più rapida: sentiva che lo
raggiungeva, che la distanza si riduceva sempre più finché il fuggitivo non
svoltò a destra entrando in un vecchio casolare adibito a deposito di legna e
affini. Anna si fermò e riprendendo fiato si guardò intorno alla ricerca
dell’uomo: come diavolo aveva fatto a sparire in quel modo con così poco
vantaggio?
Ad
un tratto un rumore attirò la giovane ispettrice verso il lato destro dello
stabile. Arma in pugno Anna cominciò a camminare con circospezione stando
attenta ad ogni più piccolo rumore. La tensione era palpabile: sarebbe potuto
succedere di tutto. Con un piede calpestò una foglia secchia e lo scricchiolio
echeggiò nel silenzio facendo innervosire l’ispettrice. Svoltò l’angolo e si
trovò in un piccolo spazio probabilmente destinato ad un parcheggio.
Ma dove cazzo è
finito?
Pensò irritata Questa caccia è fin troppo
snervante per i miei gusti!
E
non finì neanche di formulare quel pensiero che alle sue spalle echeggiarono
fredde parole.
«Fine
della caccia!» e le sembrò di essere stata letta nel pensiero.
Anna
ebbe appena il tempo di voltarsi che un proiettile la colpì in pieno petto
sbalzandola alcuni metri indietro e lasciandola per terra.
Sapeva
che avrebbe fatto male, ma a queste cose non ci si abitua mai. Aveva il fiato
mozzato, non riusciva a respirare e tentava invano di portare la mano al petto
finché non sentì qualcuno che le sollevava delicatamente la testa e una voce
che la chiamava.
«Raff
è tutto ok…» provò a calmarlo con voce sottile «Ho il giubbotto…»
Il
collega sorpreso l’aiutò ad alzarsi ed Anna ignorando il lieve giramento di
testa portò la mano al petto toccando il foro lasciato dal proiettile nel giubbinetto
di jeans ripetendosi che era stata davvero fortunata.
«Come
mai hai il giubbotto?» chiese Raff ancora incredulo.
«Dopo
quello che è successo ad Elena ho capito che questa è gente che non scherza… e
l’istinto mi ha detto di proteggermi…»
«Beh
allora complimenti al tuo istinto: ti ha salvato la vita»
No non è stato il
mio istinto Non è stato il mio istinto.
«E
Serena?» chiese poi: si era quasi scordata della ragazza.
«È
a casa: è un po’ scossa ma sta bene. Vieni: andiamo» la informò e i due si
riavviarono verso l’abitazione.
La
giovane seduta sul divano del soggiorno aveva le mani intorno al petto e gli
occhi chiusi. Ad Anna fece quasi tenerezza: è questo quello che si provava
quando la più totale ed assurda paura ti attanagliava all’improvviso e quei
pochi punti di riferimento venivamo improvvisamente a mancare e lei lo sapeva
bene.
Le
poggiò una mano sulla spalla e la giovane sussultò, poi la guardò e
l’ispettrice le sorrise: era sempre stato così difficile fare quel gesto?
«Come
si sente?» chiese, notando la stupidità della domanda.
«Un
po’ meglio grazie… chi era quell’uomo?»
«Con
molta probabilità l’assassino di Claudia» disse Raff temendo la reazione della
giovane.
«E…
voleva uccidere anche me… perché ho parlato con voi dei sospetti di Claudia e
Frank…»
«Si
Serena. Ma ascolta: la tua testimonianza è stata importantissima per le
indagini. D’ora in poi sarai scortata da due agenti che ti assicureranno
protezione 24 ore su 24: ti prego non abbandonarci ora» la scongiurò Anna che
vedeva pian piano crollare anche le ultime speranze per la testimonianza della
giovane.
La
ragazza alzò la testa ed Anna sussultò: c’era una forza, un’energia nel suo
sguardo che l’ispettrice non si sarebbe mai aspettata.
«Sta
scherzando? No che non mollo! Non solo hanno ucciso Claudia e Frank, ora hanno
minacciato anche me! Non la passeranno liscia: di questo sono sicura!» disse
seria.
Anna
sorrise sincera: per qualche istante si sentì leggera come se con quelle parole
la ragazza avesse risolto non solo il caso ma anche tutti i problemi personali
dell’ispettrice e le sue preoccupazioni.
«In
commissariato allora!» convenne Raff.
Quando
arrivarono al distretto videro che anche Alessandro era tornato dall’ospedale.
In realtà l’ispettore non aveva detto che sarebbe passato a trovare Elena, ma entrambi
sapevano che quello era l’unico posto dove ormai andava l’uomo.
«Ohi
ragazzi» li salutò; poi lo sguardo cadde casualmente sul giubbinetto di Anna
«Ma cosa…?» chiese improvvisamente preoccupato.
«Non
è nulla» si affrettò a rispondere Anna «Salvata da giubbotto antiproiettile e
dal mio istinto» concluse sbrigativa per non aprire di nuovo la discussione.
Ale
annuì ancora un po’ frastornato dalla leggerezza con cui era stata presa la
cosa dalla diretta interessata.
«Pensi
tu alla ragazza?» le chiese poi «Io e Raff dobbiamo tornare alla sede della
squadra di pallavolo»
L’ispettrice
annuì facendo strada alla ragazza e salutando con un cenno i due.
«Come
sta Elena?» chiese Raff al collega mentre si avvicinavano a velocità sostenuta
allo stabile.
«Sempre
uguale: stazionaria. Il dottore dice che fisicamente l’emorragia interna si è
riassorbita, ma lei continua a dormire… ed io non so se…»
Raffaele
lo guardò: stava per dire anche a lui che sarebbe andato tutto bene… ma ormai
quelle parole non le sentiva più sue: gli sembrava di prendere il giro la
persona a cui erano riferite, quindi tacque pregando che tutto andasse per il
meglio.
«E
Anna?» chiese all’improvviso Alessandro «Non l’ho vista molto bene… che ha?»
«All’inizio
credevo che stesse male per Luca… insomma starà male anche per lui, certo… ma
non so: c’è qualcos’altro»
«E
tu hai provato a chiederle cos’è?»
«Sì,
ma è sempre di poche parole, evasiva… non riesco a capirla…»
Intanto
Alessandro aveva parcheggiato e i due ispettori erano scesi dalla vettura.
«Beh…
sarà agitata, è naturale: il fatto che, però, Luca non ci abbia fatto sapere
più nulla dopo la rapina non significa che non stia bene» ed un brivido lo
scosse «Dopo questa storia parleremo con Anna e l’aiuteremo»
Quella
mattina gli allenamenti di pallanuoto si erano conclusi prima e i due trovarono
tutti i giocatori nello spogliatoio.
«Cosa
volete ancora da noi?» chiese uno dei ragazzi non appena li vide entrare.
«Farvi
qualche altra domanda» rispose calmo Alessandro.
«Non
abbiamo più nulla da dirvi…» continuò il ragazzo chiaramente ostile senza però
un apparente motivo.
«Conoscete
Serena Levioli?» chiese Raff, ma i ragazzi negarono con la testa.
«Sentite:
il vostro amico non è morto accidentalmente.Ormai abbiamo motivo di credere che sia stato ucciso perché aveva
scoperto qualcosa di troppo, qualcosa quest’associazione sportiva» confessò
Alessandro per provare a smuovere i ragazzi.
«È
assurdo!» gridò sempre lo stesso giocatore che, per come esprimeva il pensiero
collettivo, poteva benissimo essere creduto il capitano.
«Potrà
sembrarti assurdo… ma è la verità e crediamo che anche la sua ragazza sia stata
uccisa per lo stesso motivo»
«No!
Claudia è morta a causa di uno di voi! È stato un poliziotto a farla fuori e
chissà cos’altro non ci dice la polizia per coprire un proprio agente!»
Raffaele
rimase molto più impietrito do Ale che sorrise e si avvicinò al giovane;
l’ispettore seguì il collega pronto ad intervenire in caso di necessità:
conosceva il carattere poco pacato dell’amico.
«È
per questo che ci stai trattando così, giusto? Un giornale accusa un poliziotto
di essere coinvolto in un omicidio quando neanche il diretto interessato sa
davvero quello che è successo e tutti lo credono senza fare una sola domanda.
Beh allora ti dico una cosa: il poliziotto accusato sono io e, solo per
informazione, sono stato prosciolto da ogni accusa»
Ale
aveva pronunciato tutte quelle parole con una calma di cui Raff non lo credeva
capace: allora, forse, quel viaggio in America era davvero servito a qualcosa.
Sorrise felice.
Il
ragazzo invece era rimasto senza parole: il discorso, detto con quella calma,
era stato molto più efficace di se fosse stato urlato.
«Lascia
stare Simo… ha ragione: i poliziotti non c’entrano nulla. Io sono stato un
vigliacco, ma ora non starò più zitto…»
«Lu,
ma di che cazzo stai parlando?»
Il
giovane, Luigi, abbassò la testa.
«Io…»
non sapeva come spiegare, che dire: tutto era diventato più grande di lui.
«Venga
con noi: ci spiegherà tutto in commissariato» disse Raff.
Intanto
squillò il cellulare di Alessandro; l’ispettore lesse il numero sul display e
sembrò impallidire.
«Che
succede?» chiese il collega vedendo il suo sguardo preoccupato.
«È
l’ospedale» disse Ale tremando poi corse via lasciando tutti sorpresi.
Il
cuore batteva forte: non aveva risposto al cellulare per non perdere tempo, ma
ora si considerava un vero stupido perché non poteva sapere che quelle
dell’ospedale sarebbero state notizie buone o cattive. Quando giunse al terzo
piano il dottore era fermo davanti alla porta della camera di Elena e discuteva
con un’infermiere.
«Dottore!»
urlò Alessandro «Che cosa succede?»
L’uomo
si voltò verso l’ispettore con un’espressione, che senza sapere bene il perché,
lui giudicò di cattivo auspicio ed il suo cuore perse un colpo.
«Ispettore,
si calmi! Perché non ha risposto al cellulare?! L’ispettrice Argenti a mostrato
segni di ripresa»
«Si
è svegliata?» chiese a mezza voce Ale senza intendere davvero quelle parole.
Il
medico annuì sorridendo e fu come se il tempo si fosse improvvisamente fermato.
Era
sveglia? Stava bene? Non rischiava più di lasciarlo solo? Possibile? Possibile
che l’incubo fosse finito? Che il dejà vu non si fosse avverato fino in fondo?
Che il destino gli avesse dato una seconda possibilità? Eppure che motivo
poteva avere il dottore per mentirgli? Per fargli credere che tutto sarebbe
andato bene? Quindi a rigor di logica avrebbe dovuto credergli…
«Ispettore?
Si sente bene?» chiese con voce lievemente preoccupata il dottore.
Alessandro
annuì con un lieve sorriso: chissà che faccia aveva dovuto fare…
«Posso
vederla? Ora è sveglia?» chiese mentre la consapevolezza, prendendo sempre più
vigore, portava in quel corpo, in quel cuore un calore, una gioia che mancava
da molto, moltissimo tempo.
«Solo
qualche minuto: è ancora debole e ha bisogno di riposo» concesse quello che non
avrebbe in alcun modo potuto impedirgli di vedere la donna.
Ale
gli sorrise di nuovo ringraziandolo ed entrò cercando di tenere a bada
l’entusiasmo che lo animava. Il più silenziosamente possibile prese una sedia e
si sedette accanto al letto di Elena che, nonostante sembrasse ancora dormire,
aveva in viso un’espressione più serena e rilassata. O forse dipendeva tutto
dal fatto che lui la sapeva salva?
Pochi
istanti dopo l’ispettrice aprì gli occhi e ad Ale parve mancare il fiato nel
vedere il loro castano.
«Ti
ho svegliata?» le chiese con voce tremante.
Elena
scosse lentamente la testa accennando uno stanco sorriso.
Lo
sguardo di Ale si fece interrogativo: cosa voleva dire con “ti stavo
aspettando”? Una qualunque altra persona non si sarebbe curato di quelle
parole, ma non lui: conosceva bene Elena e sapeva che lei non diceva qualcosa
tanto per dire.
«Lo
sai che i medici dicono che molte volte le persone in come si svegliano perché
sentono le voci delle persone care?» chiese ad un tratto Elena spiazzando
l’ispettore.
«Si…
devo averlo sentito da qualche parte…» rispose incerto.
L’ispettrice
sorrise, stavolta più sicura e la sua espressione sembrò dire: “non fare il
finto tonto con me perché so benissimo che hai capito quello a cui mi
riferisco”. E a dirla tutta una parte di Ale aveva davvero capito ciò a cui si
riferiva Elena, ma temeva la realtà.
«Ti
ho sentito prima…» confessò lei apertamente e le parve – in verità ne era
sicura – che Alessandro fosse sbiancato.
Il
realtà l’ispettore avrebbe pensato a tutto fuorché che la ragazza lo avesse
sentito durante il coma.
Ben mi sta! Si disse la prossima volta imparo a parlarle quando
credo che non mi senta!
«Elena
io…» si bloccò.
Maledizione Ale:
sei in ballo no?! Allora balla! Tanto cosa potrebbe andare storto?... peggio di
così…
«Ora
sai cosa penso… e come la penso…»
Elena
annuì.
«Il
fatto è che ho sofferto tanto, Elena… e ho paura di soffrire ancora perché quei
giorni sono stati tremendi e non posso, non voglio ripeterli. Nonostante questo
non posso ignorare ciò che provo, non posso ignorare che ti amo»
«Lo
so…»
«Io
vorrei… essere… sicuro che… che non…»
«Non
posso prometterlo. Io… non so come andrà. So solo che siamo qui, ora, entrambi;
che mi amiamo. Il resto non è in mio potere… mi spiace…»
Alessandro
la guardò: aveva sofferto tanto quanto lui… e aveva capito tutto prima di lui.
Ma ora erano sulla stessa lunghezza d’onda… e ciò bastava, anzi, in realtà era
tutto quello in cui aveva sperato.
Si
avvicinò alla ragazza che sorrise consapevole e le loro labbra si sfiorarono,
prima quasi con pudore e timore, poi sempre con più bisogno perché si erano
cercate per troppo tempo ed ora potevano dare sfogo a tutta la loro fame.
Quando
si separarono Alessandro l’abbracciò forte e sentì nascere in lui qualcosa di
molto simile alla felicità.
«Temevo
di perderti…» le sussurrò stringendola più forte.
«Ora
sono qui… non ti lascerò…» lo rassicurò.
Se
solo il tempo si fosse fermato sarebbero potuti rimanere così anche per secoli,
ma solo uno sciocco avrebbe creduto che ciò sarebbe stato possibile.
«Amore…»
e fu stranamente dolce sia pronunciare sia sentire tale parola «… devo andare:
ho lasciato Anna e Raff ad una probabile svolta e voglio guardare negli occhi
l’uomo che ha fatto tutto questo casino!»
Elena
annuì: era stata per tanto tempo in attesa che lui si accorgesse del loro
amore, di certo non sarebbe morta per una sua momentanea assenza.
Gli
diede un veloce bacio e lo lasciò andare sdraiandosi e lasciandosi invadere da
un senso di calma. Chiuse gli occhi e sorrise: per una volta sembrava andare
tutto bene.
Ad
un tratto sentì riaprirsi la porta, ma non si mosse né aprì gli occhi.
«Cos’hai
scordato?» chiese.
Non
arrivò alcuna risposta.
«Ale?»
lo chiamò incuriosito dal suo silenzio, ma quando aprì gli occhi trattenne il
fiato per l’improvviso spavento. Davanti a lei non c’era l’ispettore Berti, ma
un uomo completamente vestito di nero e con un passamontagna.
Elena
era paralizzata: in un attimo nella sua mente si formò la più probabile
spiegazione a quella situazione. Gli uomini in nero avevano dovuto scoprire
Luca e per vendetta non solo avevano fermato definitivamente lui – e cercò con
un grande sforzo di non soffermarsi su quel pensiero – ma ora se la stavano
prendendo anche con tutto il distretto e lei era la più vulnerabile in quel
momento.
«Shh…»
le intimò l’uomo, ma in ogni caso se anche avesse voluto Elena non sarebbe
riuscita ad urlare.
«Sono
io…» continuò quello e togliendosi il passamontagna Elena poté tirare un
respiro di sollievo.
«Luca!»
esclamò ed il commissario la strinse forte a se «Stai bene? Che succede?»
chiese poi incuriosita dall’inaspettata visita.
«Io
sto bene, non preoccuparti. Nell’organizzazione si muove qualcosa, ma per ora è
solo a livello dei capi: le ultime indagini li hanno resi molto prudenti.
All’inizio ho creduto che mi avessero scoperto e invece…»
«Invece?»
«Nulla…
ti, anzi vi racconterò tutto quando ne saremo fuori. Voi tenetevi pronti:
presto si muoverà qualcosa. Stamattina ho letto un articolo di giornale che
parlava del ferimento di un agente di polizia; ci deve essere stata una
dispersione di notizie perché è comparso il tuo nome nell’articolo. Mi sono
sentito mancare: ho creduto che sarebbe finita come l’ultima volt, per questo
ho deciso di venire a vedere che era successo…»
«Ora
è tutto ok: io sono sveglia e le accuse contro Ale sono cadute. Piuttosto: sei
un incosciente! Venire qui per vedere come stavo… e se ti avessero seguito? Se
sospettassero qualcosa?»
«Tranquilla:
ho portato un amico con me…»
«Un
amico...? Luca…cosa… io…?»
«Tranquilla!
È tutto a posto Elena, davvero! Poi spiegherò ogni cosa. Ora credo di dover
andare… sicura che sia tutto ok?»
Elena
annuì: avrebbe voluto dirgli di Anna, ma pensò che non era il caso di
allarmarlo. Come aveva detto lui tutto sarebbe stato spiegato dopo la missione.
Si
abbracciarono e di nuovo e poi lo vide andar via e pregò di rivederlo presto.
«Ok…
ci ripeta tutto d’accapo… per l’ultima volta» disse Raff al giovane Luigi
Pieri.
Ormai
erano chiusi in quella camera degli interrogatori da ore ed avevano scoperto
qualcosa che non avrebbero mai immaginato.
«Tutto
è cominciato circa due mesi fa. La squadra aveva la possibilità di entrare in
un campionato superiore. Io e Frank eravamo i più forti ed il presidente…
insomma ci ha chiesto di aumentare le nostre presentazioni sportive…»
«Droga?»
richiese Raff mentre Ale, di ritorno dall’ospedale, entrava nella stanza.
Il
ragazzo annuì abbassando la testa.
«Ma
Frank non voleva, non aveva mai voluto: era contro ogni principio in cui aveva
sempre creduto. Io non ho fatto molte storie: era per la squadra e sarebbe
stato per poco, ma lui diceva che una volta entrati in quel tunnel non si esce
più e voleva che anch’io mi opponessi alla cosa. Parlava di trovare prove, di
chiamare la polizia, di denunciare tutto; ma io non volevo: avevo paura. Gli
ripetevo di non esagerare, di starsene buono perché sarebbe potuta andare male…
e infatti…»
«Quindi
è stato il Presidente Mori ad ucciderlo?» chiese Ale.
«Lui
e l’allenatore volevano prendere provvedimenti: Frank era diventato pericoloso,
ma non so se sono stati loro materialmente ad ucciderlo»
«Infatti
l’uomo che ci ha aggredito non corrisponde fisicamente a nessuno dei due: loro
sono magri ed atletici, mentre quello è robusto e più basso di almeno 5 cm»
sussurrò Raff all’orecchio del collega che annuì.
«So
che avrei dovuto parlarvene prima… che sono stato un vigliacco, ma ho avuto
paura… il Presidente, lui mi ha detto che se avessi parlato avrei fatto la
stessa fine di Frank… e allora…»
I
due agenti lo guardarono: il giovane sembrava pentito del proprio errore. I
suoi occhi erano velati da lacrime e il suo volto pallido e il tremore
indicavano la lotta interiore dentro di lui.
«Ora
è disposto a testimoniare riferendo tutto ciò che ha detto a noi in tribunale?»
chiese Alessandro con serietà.
Il
giovane lo guardò negli occhi: ora sembrava sicuro di ciò che stava dicendo.
«Sì,
ora sono pronto. È troppo tardi per Frank e Claudia, ma posso ancora incastrare
quei bastardi!»
Alessandro
sorrise: sembravano essere arrivati alla conclusione del caso se non fosse per
il fatto che l’assassino non corrispondeva a nessuno dei coinvolti
nell’omicidio. Poco male: avrebbero prima arrestato gli istigatori ed in
seguito sarebbero riusciti a trovare anche l’assassino.
Chiamò
due agenti che portarono via il giovane, poi nella stanza entrò anche Anna.
«Che
facciamo ora Ale?»
«È
c’è da chiedere? Bisogna fare un salto alla Società Sportiva, non credi?»
Anna
sorrise e i tre uscirono.
«No,
Carlo, no! Non possiamo andare avanti così: ormai i poliziotti sono sulle
nostre tracce e presto arriveranno qui! Hanno già parlato più volte con i
ragazzi… e se Luigi dovesse parlare?»
«Calmati
Giacomo! Non sanno nulla e Luigi non parlerà: quel ragazzo è troppo vigliacco e
tiene troppo alla sua vita per permettersi una cosa tanto sciocca! Credimi: lo
conosco bene…»
«Forse
non troppo» disse una voce che fece sobbalzare i due uomini.
Dalla
porta entrarono Alessandro Raffaele ed Anna con alcuni agenti di supporto.
«Vi
dichiaro in arresto per gli omicidi di Francesco Pietroli e Claudia Gelone»
pronunciò Ale «e per il tentato omicidio delle agenti Anna Gori ed Elena
Argenti»
Gli
agenti di supporto ammanettarono i due uomini e li trascinarono fuori.
«Non
avete nulla contro di noi! Queste sono semplici accuse diffamanti!» gridò il
presidente Mori.
Accanto
a lui Michelini taceva con lo sguardo rivolto a terra e lo stesso pallore di
quando lo avevano interrogato Anna e Raff.
«In
realtà c’è chi è pronto a testimoniare…» disse Anna.
«E
cosa? Che abbiamo ucciso Francesco? O forse Claudia? Non credo proprio… non
avete nulla, semplicemente nulla!» disse l’uomo sicuro di se.
E
in realtà i tre ispettori sapevano bene che in un certo senso aveva ragione:
per quanto avessero la testimonianza di Luigi potevano fare ben poco senza
conoscere l’esecutore materiale degli omicidi.
Uscirono
dallo stabile e stavano per entrare nelle rispettive vetture quando Raff notò
una figura che in qualche modo gli pareva familiare: un uomo, robusto e non
molto alto, che portava uno scatolone all’interno dell’edificio. Bastò uno
sguardo con Alessandro per capire che entrambi avevano pensato alla stessa
cosa: era il tassello mancante, l’ultimo.
Raffaele
scese rapido dalla macchina e gli si avvicinò con quanta più circospezione
possibile. Quando però l’uomo si voltò verso l’ispettore sorrideva.
«Sapevo
che sareste arrivati: vi attendevo da tempo…» disse e non ci fu bisogno di
manette perché si diresse solo verso una delle pattuglie della polizia.
«Avevo
bisogno d’aiuto, avevo bisogno di soldi: il mio stipendio mi permetteva a
malapena di mandare avanti la mia famiglia. E un giorno si presenta Mori e mi
dice che devo fargli un favore e che se tutto fosse andato bene mi avrebbe
pagato e offerto un lavoro nella società. Io dovevo minacciare il ragazzo che
non so quali problemi aveva con lui e se avesse fatto resistenza avrei dovuto
farlo tacere»
Mentre
raccontava Matteo Schizzi aveva lo sguardo perso nel vuoto.
«Io
non volevo… non sono un assassino… ma voi che avreste fatto? Non avevo scelta:
quei soldi mi servivano… E così… io…ho cominciato a minacciarlo, ma non è
servito a nulla e intanto Mori mi faceva pressione. Un giorno sono andato a
casa sua e gli ho ripetuto le solite intimidazioni, lui mi ha mandato al
diavolo ed io ho agito. L’ho bloccato da dietro impedendogli di respirare, poi
gli ho iniettato la droga e l’ho portato in bagno. Quando sono uscito ho
chiamato Mori e l’ho avvertito di tutto; lui mi ha detto di sparire per qualche
giorno ed io ho seguito le sue indicazioni. Ma i soldi non sono mai arrivati,
né il posto di lavoro: ogni volta che provavo a chiederglielo temporeggiava
dicendomi che dovevano prima calmarsi le acque e poi quando tutto sembrava
essersi risolto la ragazza di Francesco ha cominciato a fare domande, a ficcare
il naso dove non doveva ed aveva capito che la società c’entrava qualcosa. Così
Mori è venuto da me e mi ha ordinato di togliere di mezzo anche lei; io mi sono
opposto, gli ho detto che con questa storia non volevo più c’entrarci nulla, ma
era troppo tardi: mi ha minacciato di rivelare ogni cosa e non ho potuto fare
nulla. Ho seguito la ragazza, ma era in compagnia di un uomo; ho pensato che se
fossi stato attento sarei riuscito a togliermi dai guai a far ricadere la colpa
su quell’uomo. Lo so che non era giusto, che stavo sbagliando, ma in quel
momento… io… non potevo…non potevo andare in carcere… mia moglie, i miei figli…
Quando però siete arrivati voi ed avete cominciato ad indagare a fondo ho
capito che la storia si sarebbe conclusa presto, che sarebbe venuto tutto a
galla e ho avuto paura: mi sono reso conto che sarei stato l’unico a pagare per
quello che era successo e allora… ho provato di nuovo ad uscirne e ho fatto
altre mille casini! Prima la ragazza a casa dell’uomo che avevo coinvolto e poi
quella nell’abitazione di Serena. Dopo averle sparato però mi sono sentito
male: troppo morti e troppi feriti… e in quel momento ho solo pregato che
arrivaste presto… e per fortuna le mie preghiere sono state esaudite… »
«In
tutta questa storia cosa c’entra l’allenatore Michelini?» chiese Anna.
«Lui
sapeva tutto… ma non credo ne fosse felice: per lui Francesco era come un
figlio… ma non poteva opporsi: quello era il capo e una parola sbagliata
sarebbe bastata a far licenziare chiunque!»
«Va
bene… basta così» disse Alessandro e chiamò due agenti che portassero via
l’uomo.
Finalmente
quel caso si era risolto ed i colpevoli erano stati fermati, eppure nessuno
degli agenti si sentiva appagato: il mondo non era diviso tra buoni che andavano
protetti e cattivi che andavano sbattuti in carcere. C’erano buoni che erravano
e pagavano e cattivi che rimanevano impuniti e questo non appagava affatto,
anzi contribuiva solo ad accrescere un senso di profonda ingiustizia e rabbia.
«Finalmente
è tutto finito!» esclamò Anna sedendosi stanca.
«Già…
ma questa storia è stata tremenda per entrambe le parti» osservò Alessandro.
«A
proposito… non credete che dovremmo avvisare qualcuno di questo cosa?» chiese
Raff con sguardo improvvisamente brillante.
Gli
altri lo guardarono sorridendo ed uscirono rapidi dal Distretto.
«Quindi
il caso è definitivamente chiuso!» dichiaròfelice Elena che sembrava aver riacquistato tutta la sua vitalità.
«Già…
stavolta è stato terribile: in un modo o nell’altro abbiamo rischiato tutti…»
disse Anna ed Elena notò un cambiamento nei suoi occhi: sembravano quasi
tristi.
«Ora
non pensiamoci più: il peggio è passato» la consolò Raff poggiandole una mano
sulla spalla e la giovane ispettrice sorrise, ma anche quel sorrisi era
impregnato di tristezza che per alcuni istanti sembrava essere nascosta con difficoltà.
«È
passato di qui poco fa» riferì Elena all’improvviso.
I
colleghi la guardarono interrogativi.
«Luca»
affermò lei con naturalezza ed Anna trattenne rumorosamente il fiato mentre un
senso di panico l’avvolgeva «È stato qui perché ha saputo del mio ricovero:
poverino, si è preoccupato» concluse con un sorriso.
«Come
sta? Ha avuto problemi? E la missione?» chiese a raffica Anna sfogando l’improvvisa
tensione che aveva in corpo.
«Calmati,
Anna, calmati! Sta bene… è dentro e riferisce che tra poco si muoverà qualcosa.
Dice di aver trovato un amico, ma non chiedermi come o chi sia perché non mi ha
voluto dire nulla»
Anna
parve calmarsi, ma c’era una strana paura nei suoi occhi ed Elena decise che
voleva vederci chiaro.
«Va
bene: noi saremo pronti!» disse serio Ale «Ora però credo proprio che dovremmo
andare» e i tre fecero per uscire dalla stanza.
«Anna
scusa: potresti restare qui ancora un po’? Vorrei parlarti…»
La
ragazza guardò la collega ed intuendo che non aveva possibilità di scelta annuì
e si risedette salutando con un sorriso gli altri.
«Tesoro
cosa ti sta succedendo?» chiese diretta Elena.
«Nulla…
è tutto ok…» provò a difendersi con poca convinzione l’ispettrice.
«All’inizio
credevo che stessi male per Luca» continuò quella senza dar segno di aver
sentito le parole di Anna «Ma ormai è evidente che non c’entra nulla lui…»
Anna
la guardò con un mezzo sorriso: come faceva a sapere e capire sempre tutto?
«Io
sono qui: ti ascolto…» la incoraggiò Elena.
«Hai
ragione: Luca non c’entra nulla… ti spiegherò ogni cosa. Chissà che non faccia
bene anche a me…»
*
Frasi di Luca Benvenuto in Distretto di
polizia 8 ep 1: Il tempo che ci resta.
Lo
spazio dell’autrice
Prima
che voi mi uccidiate (perché so che ne avete tutte le intenzioni) lasciate che
vi spieghi i motivi di questo enorme, esorbitante ritardo.
La
scuola mi ha ucciso, letteralmente. Ma almeno alcune interrogazioni sono andate
(Latino, Greco e Chimica in primis). Quindi ora sono (o spero di esserlo) più
libera e meno stressa il che mi aiuterebbe a scrivere questa ff…
Cmq…
ora sono qui… che ne pensate di questo capitolo?
Io lo odio in modo particolare. Sono sicura
che il ritardo non sia l’unico attributo di questo chappy… un altro sarà sicuramente
la sua qualità scadente, soprattutto il finale (che non sono riuscita a
scrivere meglio… perdonatemi… ç_ç )
Finalmente
tutti sono sani e salvi ed Ale e Elena… eh sì alla fine ce l’hanno fatta a
dichiararsi!!! Avevo detto che il chappy sarebbe stato forse il più breve di
tutti ed invece… è il più lungo… che imprevisto che capitano….spero mi
perdoniate!!
Intanto
ringrazio i miei angioletti:
Tinta87Beh… ormai mi sono
accorta che il mio lato sadico prende il sopravvento in questa FF. Ma come vedi
sono anche capace di aggiustare le cose: Ale, Elena e Raff stanno benone, così
come Luca… x Anna non si può dire la stessa cosa… ma non temere tutto si
spiegherà presto… Spero che questo chappy ti sia piaciuto… un bacio, amore mio…ciao!
Ps: aspetto ansiosa tuoi aggiornamenti!
LyrapotterAvresti dovuto
specificare meglio ciò che quel “tutto” includeva… Hihihi… cmq ora è tutto ok,
no?? Il caso è stato risolto nel migliore dei modi e tutti vissero felice e
contenti… tranne Anna che hai i suoi problemucci… Per i vari inghippi su Mauro…beh
continua a seguire la storia e vedrai cosa ho intenzione di fare XD Che te ne
pare del chappy?? Un bacio, alla prossima.
Uchiha_chanNon preoccuparti: come
vedi anch’io sono in ritardo… posa quella falce dai… ^^’’’ visto? Tutto si è
risolto bene, no? Che te n’è parso? Spero che ti sia piaciuto… a presto. Un
bacio.
Luna95Mille grazie x i tuoi
incoraggiamenti!! So che mi faccio mille complessi… ma che posso farci… Dio ci
sono voluti secoli per scrivere questo chappy e come al solito non ne sono
soddisfatta… a te che ne pare?? Solo per chiarire: quello in corsivo all’inizio
è la morte vista da punto di vista di Irene, la ragazza di Ale uccisa da un
rapinatore… XD Spero ti sia piaciuto!! A presto… un bacio!!
Dani85beh io sono famosa per
i miei capitoli calmissimi no?? E sì è arrivato anche il turno di Ale… ma
diciamo che questi ferimenti sono serviti a qualcosa, no?? Almeno quei due si
sono finalmente parlati!! Per quanto riguarda Anna: le preoccupazioni continuano…
la poverina non ne passa una buona… ma si risolverà tutto… bene o male ancora
non posso svelartelo! XD Complimenti… pare che tu sia l’unica ad aver notato – o
almeno commentato – le sue preoccupazioni!! E questo chappy?? Un bacio.
Exentia_dreammille grazie x aver
messo la storia tra le seguite… e spero che recensirai i prossimi chappy. Un
bacio.
Il
prossimo chappy che, provvisoriamente, si chiamerà PROIETTILI E DOLORI, vedrà
un po’ più di azione da parte dell’organizzazione degli uomini in nero (che fin
ora se n’erano stati un po’ troppo calmi, no??) ed un contato tra questa ed il
X… ce ne saranno delle belle!! Quindi non mi abbandonate!!! Continuate a
leggere e recensire!!! Aggiornerò il prima possibile!!!
Un
bacio a tutti e mille grazie a tutti coloro che hanno letto.
Il fiato entra
ed esce dai suoi polmoni con una velocità ed una forza che sembra quasi
ferirla. Si guarda intorno chiedendosi dove siano finiti i fuggitive come abbiano
fatto a sparire così rapidamente. Prova a respirare con il naso per eliminare
il fastidioso rumore dell’aria che entra ed esce ed avere migliori facoltà
uditive, ma intorno tutto tace.
Improvvisamente
il rumore di passi veloci segna la ripresa della fuga e del relativo
inseguimento. La giovane riprende fiato, per qualche istante si guarda alle
spalle, ma non vede nessuno dei suoi compagni quindi riprende la corsa per non
perdere contatto con i primi.
Il terreno di
quel luogo deserto ed abbandonato a se stesso le rende più difficile la corsa,
ma si consola sapendo che quella difficoltà la incontreranno anche loro.
Lo spazzale di
terra termina per dare spazio al fitto bosco.
Di
male in peggio riflette ci saranno
più posti dove nascondersi e più ostacoli al mio inseguimento.
Si morde il
labbro inferiore – ormai lo fa automaticamente ogni volta che le cosa
cominciano a complicarsi – e riprende le ricerche: non sente più i passi veloci
della fuga e immagina che anche loro si siano fermati per riprendere fiato
protetti dalla natura.
In un attimo si
rende conto di essere in pericolo più di quanto aveva inizialmente creduto: è
da sola e insegue più di un uomo il che significa che i fuggitivi hanno tutto
il tempo per tenderle una trappola.
Un fruscio di
foglie attira la sua attenzione. Si muove con circospezione verso il cespuglio
in questione quando da questo ne escono due uomini, uno dei quali tenta di
colpirla con un bastone ottenendo, fortunatamente, solo di farle perdere
l’equilibrio.
La ragazza però
non perde tempo: si rialza veloce e riprende la corsa. Era poco lontana da loro
quando spara un colpo che ferisce uno dei due ad un fianco; quello barcolla, ma
con l’aiuto del compagno continua la sua corsa.
Nella giovane
però in quel momento si rompe qualcosa… si ferma con sguardo sconvolto, perso
camminando lentamente fino a giungere alla macchia vermiglia lasciatadal ferito sul terreno.
Si accascia
lentamente mentre la testa comincia a girarle ed una strana e triste stanchezza
si impossessa del suo corpo.
«Dove
sei stato?»
Hector
si sentì gelare il sangue nelle vene.
«Non
mi pare che quando sono entrato nell’organizzazione m9i è stato detto che avevo
l’obbligo di comunicare ogni mio spostamento» disse provando a far vedere
quella freddezza che lo caratterizzava da alcuni anni, ma che ormai lo stava
abbandonando.
«Hai
ragione… nonostante tutto mi piacerebbe sapere dove sei stato…» insistette
quello che doveva essere uno dei capi.
«Ho
fatto un giro con Marco: perché tutto questo interessamento?»
«È
proprio per Marco... sai quel ragazzo ha qualcosa che non va…»
Hector
sbiancò da colpo ma nell’oscurità della stanza non si vide il suo cambiamento.
«È
emotivo… troppo. Prima sbianca di colpo e corre via, poi una seconda fuga ieri
con te ieri ed era più bianco di un lenzuolo… cos’ha che non va?»
«Nulla!
Solo qualche sbalzo d’umore… gli ho parlato proprio di questo ieri…»
«In
ospedale?»
«Ci
hai seguito?»
«Ma
no! Uno dei nostri si trovava di lì… e vi ha visti…»
«Credo
siano cose personali… di Marco… Ma se non ti fidi mettici pure alla prova» lo
sfidò, ma sudava freddo.
L’uomo
annuì facendosi una risata ed andò via lasciando Hector nel dubbio e nella
paura.
Si
muoveva lento nel letto godendosi quegli ultimi minuti di sonno quando sia già
di essere svegli, ma speri ancora di poterti riaddormentare per ore… o magari
solo per alcuni istanti.
Un
rumore che rischiava di diventargli fin troppo familiare scosse Luca e lo
costrinse ad alzarsi con un espressione a metà tra preoccupata e seccata: c’era
una sola persona capace di fare quel baccano e di avere un tempismo tanto
perfetto.
Non
ebbe neanche il tempo di aprire la porta che Mauro lo travolse.
«Te
ne devi andare!» gli urlò superandolo e puntando i suoi occhi sulla schiena del
compagno che era rimasto immobile per alcuni istanti, interdetto.
«Ma
che cazzo dici?» chiese cercando di regolare il volume della voce e chiudendo
la porta.
«Sospettano
qualcosa! I tuoi ultimi comportamenti non li convincono. Ho provato a dire che
erano problemi tuoi personali, ma Thomas ha fatto una risata tutt’altro che
rassicurante ed è andato via…» spiegò quello quasi con il fiatone.
«Mauro!
Così mi deludi! Che fine ha fatto la tua calma glaciale? Tra poco tremi…»
ironizzò Luca.
«Che
cazzo fai: scherzi? Io ti dico che te ne devi andare, che la situazione è seria
e tu che fai: mi prendi in giro?» urlò Mauro profondamente infastidito dal
fatto che Luca non lo prendeva sul serio.
«Hector!»
urlò a sua volta il commissario dal cui volto era sparito il ghigno sorridente
di qualche istante prima «Ora ascoltami bene: sarò troppo inesperto o emotivo,
ma non sono stupido. So di aver tirato troppo la corda, ma non temere: ora
rientro negli schemi. E poi, in ogni caso, non posso tirarmi indietro e se
anche potessi non lo farei: non sono il tipo da lasciare le cosemetà, lo sai bene e poi i miei uomini hanno
rischiato troppo a causa dell’Organizzazione. Non posso tornare da loro senza
alcun risultato» pronunciò con decisione.
Mauro
lo guardava con puro stupore e quando Luca se ne accorse in un certo senso se
ne sentì offeso: cosa aveva da sorprendersi tanto? Avrebbe dovuto conoscerlo
tanto bene da prevedere quelle parole! Poi però si rese ancora una volta conto
di quanto fosse sciocco e che tre anni erano tanti… forse troppi… Erano
successe così tante cose che faticava a ricordare di quali fosse a conoscenza
Mauro e di quali no.
«I…
i… tuoi uomini…?» balbettò quello ancora stupito.
«Già…
visto come cambiano le cose? Un giorno sei un semplice agente… ed il giorno
dopo dirigi il X» sorrise Luca.
Sul
volto di Mauro si affacciò un bellissimo sorriso che in parte dimostrava anche
quanto fosse fiero del suo amico.
«Luca!
Ma è una cosa stupenda: complimenti!» gli disse abbracciandolo «Accidenti! Tre
anni sono proprio tanti, eh?»
«Già…ma
dopo questa missione tornerà tutto come prima: non ti perderai più nulla
vedrai…»
Mauro
lo guardò negli occhi ed annuì con un triste sorriso che però Luca non vide o
forse non intese. Meglio così si disse l’uomo: in fondo avrebbe potuto
illuderlo ancora un po’.
«Non
me lo aspettavo sai… Ormai ci avevo tolto le speranze e invece… Sentirlo è
stato uno shock»
«Ci
credo!» esclamò Anna con un sorriso «Sono contenta per voi: era ora che vi
capitasse… qualcosa di buono»
Poi
però improvvisamente si incupì come le capitava sempre più spesso. Elena le poggiò
una mano sul ginocchio.
«Si
risolverà tutto Anna… andrà tutto bene!» la consolò.
«No!
Nulla tornerà più come prima! Sai il significato della parola irreversibile?! Nulla tornerà come
prima…» urlò lei improvvisamente in lacrime «Ti prego: non voglio più
parlarne…» la scongiurò poi ricadendo sulla sedia dalla quale si era alzata di
scatto.
Elena
la guardò triste: perché il fato sembrava accanirsi contro di lei? E perché
proprio in un momento simile?
Ad
un tratto nell’ufficio delle due ispettrici entrò Alessandro.
«Ragazze
è tutto ok? Vi ho sentite urlare…»
Anna
lo guardò sconvolta: no… non voleva che anche lui sapesse. Avrebbe dovuto
ridare spiegazioni e sarebbero rispuntate quelle lacrime che con tanta forza e
qualche insuccesso stava tentando di ostacolare in quei giorni e poi… non
sarebbe riuscita a sopportare i possibili e probabili sguardi di pietà e
compassione che le sarebbero stati rivolti.
«Non
è successo nulla Ale: va tutto bene» disse svelta Elena «Sì… abbiamo urlato, ma
è tutto ok»
Anna
la guardò con somma gratitudine e l’ombra di un pallido sorriso comparve sul
suo volto. Ale, invece, rimase per qualche istante interdetto; poi andò via
ancora un po’ perplesso mentre Elena senza dire nulla strinse forte a se la
collega.
Era
steso sul divano di una delle sale di ritrovo ed era stranamente calmo. Per
quanto Mauro fosse nervoso, nulla di quel sentimento lo aveva sfiorato;
nonostante quella in gioco fosse la sua vita si godeva in pieno l’adrenalina
che scorreva nelle vene e lo animava: non si era mai sentito così, neanche agli
atti conclusivi della caccia ai Flaviano – era stato troppo poco il tempo in
quella sparatoria per rendersi davvero conto di quello che stava succedendo – e
doveva ammettere che non era una cosa poi tanto sgradevole. Sorrise mettendo le
braccia sotto la testa come cuscino e chiudendo gli occhi.
«È
piacevole, non è così? Sentirti al di sopra di tutti perché sai più degli
altri… e quell’adrenalina che ti anima ti fa sentire invulnerabile»
«Si…
non è male…» convenne Luca.
«Stammi
a sentire, Marco: questo non è un gioco, è la vita! E non ci vuole nulla a
farla finire… Ti sarei grato se tu la prendessi un po’ più sul serio» ribatté
Mauro: sembrava di nuovo nervoso.
Luca
lo guardò: aveva ragione e lui lo sapeva, ma cosa gli era preso? Lui non era
mai stato così sprezzante del pericolo… e fuori di lì c’era un distretto che lo
aspettava, amici e colleghi che non vedeva l’ora di riabbracciare e… c’era
Anna… la sua Anna… No non poteva permettersi di morire.
Si
alzò pronto a scusarsi con Mauro quando un gruppo di uomini – circa sei – entrò
nella stanza con aria seria e l’ultimo chiuse a chiave la porta. Un brivido
freddo attraversò la schiena di Luca: l’avevano scoperto era la fine… che
stupido che era stato…
«Un
momento di attenzione» disse uno degli uomini.
Luca
lo guardò attentamente ed ebbe l’impressione che anche lui gli stesse facendo
un’attenta e profonda radiografia. Non l’aveva mai visto prima d’ora ed un
secondo brivido lo percosse quando vide al suo braccio una fascia bianca: uno dei
capi.
«I
presenti sono stati scelti per la prossima operazione dell’organizzazione: da
quando saprete tutte le informazioni a tal proposito sarete costretti al
silenzio. Si tratta di comprare armi da alcuni Ungheresi che pagheremo con i
soldi dell’ultima rapina e la droga appena consegnataci» sintetizzò un uomo con
la fascia gialla accanto al capo.
«Niente
donne stavolta?» chiese Hector quasi con noncuranza.
Luca
si sentì rabbrividire: nonostante quel discorso lo avesse in parte rassicurato
sul fatto che, almeno per ora, non sapevano nulla sul suo conto, la domanda di
Mauro sembrava alquanto sospetta o almeno inappropriata. Si rese conto, però,
che era l’unico a pensarla in quel modo perché gli altri non fecero una piega
ed il capo sorrise.
«Ah
Hector! Tu vuoi sempre strafare!» disse il capo «Delle donne ci occuperemo
subito dopo questa operazione… abbi un po’ di pazienza e intanto comincia a divertirti con questa…»
«Quando
ci sarà la missione?» chiese un altro uomo e Luca sussultò ancora una volta: da
quando quell’uomo, in cui aveva riconosciuto uno dei capi, aveva posato gli
occhi su di lui era come se tuta la sicurezza che aveva fosse scappata via ed
ora ogni domanda posta era come se dicesse che lui era una spia.
Guardò
Mauro: come aveva fatto a resistere, solo, per tutto quel tempo? Lui era stato
fortunato perché a vedere il suo volto in ospedale e ad indagare sui suoi
strani comportamenti era stato un infiltrato… Improvvisamente si rese conto di
essere vivo per miracolo.
«Tra
dieci giorni alle 5:00. Il luogo scelto si raggiunge imboccando una strada non
asfaltata al Km 10 dell’autostrada, direzione Nord. Dopo pochi metri sulla
destra c’è uno spiazzale in terra battuta: Lì incontreremo gli Ungheresi»
spiegò ancora lo stesso uomo con voce quasi atona.
Tutti
annuirono e Luca fece lo stesso; poi la porta fu aperta ed ognuno tornò alla
sua occupazione come se nulla fosse successo.
«No!
Non se ne parla, Luca! Non puoi avvisarli!»
«Scherzi?!
È quello che aspettavo: finalmente, dopo mesi, sono coinvolto in prima persona
in una missione… armi! Mauro, armi! Ti rendi conto di quello che significa? C’è
la possibilità che sia l’unica volta che mi coinvolgano, l’unica volta che veda
le armi… Poi potrebbero sparire e non saprei la loro funzione se non quando
sarà troppo tardi! Mauro io devo fermarli… devo avvisare il distretto…»
«Ti
farai scoprire… ormai la tua copertura, la tua vita è appesa ad un filo!»
«Andrà
bene invece; con il tuo aiuto andrà tutto bene»
Mauro
lo guardò. I suoi occhi erano calmi, freddi: sapeva di rischiare molto, ma
sapeva anche che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l’unica occasione
che aveva per prendere quelle armi; per intralciare, anche se solo in parte, i
piani dell’organizzazione ed avvicinarsi a loro. In quel momento gli fece quasi
paura: gli somigliava… troppo.
«D’accordo…
alla stessa cabina dell’altra volta?» chiese arresosi infine alla decisione del
compagno.
«Che
settimana del mese è questa?» chiese a sua volta il commissario senza un
apparente motivo.
«La
seconda settimana…» rispose titubante quello «Perché?»
«Vieni:
te lo spiego in macchina»
«Fammi
capire: ogni settimana chiami da una cabina diversa?»
«Si…
la cabina dove ci siamo incontrati, ad esempio, è quella della quarta
settimana… Ora siamo arrivati a quella della seconda settimana» disse Luca
sorridendo fiero dell’organizzazione che aveva preparato con i suoi uomini.
«Le
cabine risultano guaste: funzionano solo con un determinato codice che poi
sarebbe il numero telefonico sulla cui segreteria rimangono impressi i miei
messaggi. Ogni giorno il distretto controlla se c’è qualcosa di nuovo» spiegò.
«Quindi
sapranno subito le novità» convenne Mauro e il compagno annuì.
Scese
dalla macchina e si guardò intorno: ci avevano impiegato una buona mezz’ora per
seminare l’uomo dell’organizzazione che li stava seguendo e con Hector alla
guida, fortunatamente, non c’era rischio di inopportune domande sul perché
dell’azione. Tutti conoscevano il suo caratterino e dovevano tenerselo così
com’era; in compenso, però, era un elemento
indispensabile.
Per
fortuna nessun’altro aveva tentato di portare a termine l’opera del primo e
Luca poté, senza alcun rischio, avvicinarsi alla cabina e digitare il numero
telefonico.
Gli
squilli del telefono stavolta gli parvero fin troppo pochi prima che partisse
la segreteria telefonica: l’ultima volta aveva sperato con tutto se stesso che
ci fosse qualcuno in quel momento pronto ad alzare la cornetta perché il tempo
era troppo poco per aspettare che controllassero la segreteria, ma stavolta
sapeva che non avrebbe avuto la stessa fortuna. In fondo però non gli importava
molto: c’era tempo per fare tutto – l’operazione sarebbe scattata solo tra tre
giorni – e, cosa molto importante, era calmo e questo gli permetteva di
ragionare lucidamente e di vedere le cose per com’era. No: non c’era alcuna
fretta ed era molto più sicuro che le cose andassero secondo i piani stabiliti.
Dopotutto il fatto che, l’ultima volta, qualcuno avesse risposto era stata
un’anomalia pericolosa che non sarebbe dovuta ricapitare.
«Dodici
Agosto, ore cinque del mattino. Scambio di armi, soldi e droga con acquirenti
ungheresi. Spiazzale raggiungibile attraverso una stradina non asfaltata al
chilometro 10 dell’autostrada, direzione Nord. Uomini coinvolti
dell’organizzazione almeno otto. Missione almeno di livello B a giudicare dalla
presenza di uno dei capi e dalla serietà degli altri uomini» disse con voce
fredda, quasi atona.
Che
differenza tra questa e la scorsa volta! Luca sorrise: forse da questa missione
avrebbe tratto anche una certa crescita personale psicologica…
Con
aria indifferente tornò in macchina e Mauro mise in modo. L’uomo guardava il
collega con aria preoccupata: solo poco tempo prima era un giovane commissario
impaurito ed inesperto alle prese con la sua prima missione da infiltrato e con
tutti i rischi ad esso collegati; ora, invece, sembrava aver recitato quel
copione milioni di volte. Nonostante avesse acconsentito ad avvisarei colleghi di Luca e, di conseguenza, a farlo
rimanere nell’organizzazione, restava dell’idea che sarebbe stato meglio se
fosse andato via non solo per la sua salute fisica, ma, soprattutto, per il suo
equilibrio interiore che ora vedeva seriamente alterato in lui.
«Lo
ascolteranno in tempo?» chiese.
«Sì…
ogni giorno controllano i messaggi lasciati nella segreteria telefonica. In tre
giorni avranno tutto il tempo di organizzare ogni cosa in modo perfetto» lo
rassicurò Luca mentre si erano ormai allontanati dalla cabina.
Il
rumore della serratura che scattava risuonò con un breve eco nel corridoio del
condominio. Alessandro ne ebbe quasi timore come se quel suono svelasse ogni
cosa. Entròrapido, con passo felino, e,
come se al posto degli occhi avesse un sofisticato radar, la prima cosa che
notò fu la spia rossa che lampeggiava sulla base del telefono ad indicare che
c’era un nuovo messaggio nella segreteria. In barba al passo felino usato in
principio, fece una veloce corsa e premendo il tasto accanto alla spiaascoltò la voce atona che gli annunciava che
era presente un nuovo messaggio; quando cominciò a scorrere la voce del
commissario Alessandro faticò a riconoscerla e soprattutto a distinguerla da
quella registrata.
Annotò
veloce tutte le informazioni riguardanti lo scambio è scattò fuori
dall’appartamento: avevano pochi giorni per coordinare tutto e poi… la voce di
Luca era stranamente alterata: bisognava toglierlo di lì il prima possibile.
Entrò
violento nell’ufficio di Elena ed Anna nel quale in quel momento si trovava
anche Raffaele.
«Nuovo
messaggio» pronunciò con il fiatone «Si entra in scena tra qualche giorno: il
12 alle 22:00»
Il
sorriso scomparve dal volto di Raff, Elena si fece attenta ed Anna sbiancò.
«Co..come…
sta…?» balbettò mentre Elena le prendeva una mano un po’ preoccupata.
«Bene…
lui sta benone e forse questa è la volta buona che lo tiriamo fuori da ‘sta
storia» disse Ale con un sorriso che tentava di infondere sicurezza ai
presenti.
Agitarli
condividendo con loro le preoccupazioni che lo avevano assalito all’udire la
voce alterata o, meglio, atona di Luca non sarebbe servito a nulla.
Anna
sembrò riprendere un po’ di colorito alla risposta dell’ispettore e rivolse un
debole sorriso ad Elena che continuava a guardarla indagatrice. Raffaelerespirò rumorosamente ed un brivido freddo
scosse il suo corpo: per quanto fosse ogni volta quello più allegro e
scherzoso, quello sempre pronto a sdrammatizzare la situazione per quanto
complicata fosse, neanche lui era immune all’ansia e alla tensione scesa
nell’ufficio all’arrivo di Alessandro.
«Andrà
bene» lo incoraggiò il collega e lui sembrò riacquistare il suo abituale
sorriso «Ragazzi» aggiunse poi rivolgendosi a tutti «Io vedo ad avvertire il PM
della situazione… qualcuno di voi potrebbe avvisare il resto del distretto? Non
ho idea di quanti uomini potrò portare, maso che serva la partecipazione di
tutti»
Elena
annuì ed uscì dall’ufficio, seguita poco dopo da Alessandro.
«Anna…
stai bene?»
«Sì,
Raff: non vedo l’ora che tutto questo finisca…» lo rassicurò l’ispettrice, ma
in cuor suo sentiva la violenta morsa della paura stringerla come non mai.
11/08 ore 24:00
Ancora
una volta l’ansia stava avendo il sopravvento sul suo corpo, ancora una volta
il respiro stava accelerando incontrollatamente e irregolarmente. Gli occhi
erano pesanti, si chiudevano con lentezza. Anna fece scivolare quasi inerme la
mano verso il sacchetto di carta che aveva posto sulla scrivania e lo portò alla
bocca cominciando a respirarci dentro e tentando in tal modo di riacquistare la
calma perduta. Lentamente sentì il cuore rallentare, gli occhi riaprirsi e tutto
ciò che le era in torno smise di girare. Sospirò stanca chiedendosi quando
tutto quello sarebbe finito: provava ad illudersi che con la fine di quella
missione sarebbe tornato tutto a posto perché se solo provava a pensare il
contrario ecco che risaliva in quella tremenda giostra impazzita ed il respiro
accelerava fino quasi a farla morire per il troppo sforzo.
Magari le scappò di
pensare, ma subito se ne pentì: una volta Luca le disse che non c’era nulla
peggiore della morte e lei credeva ancora in questo.
Elena
entrò nell’ufficio mentre Anna posava il sacchetto sulla scrivania.
«Tesoro…
un nuovo attacco d’ansia?»
«Ormai
non rispettano più neanche i miei pensieri: all’inizio mi capitava solo quando
ci pensavo… invece ora arrivano quando vogliono, senza pretesto»
«Sicura
di non voler andare a casa almeno un po’?»
L’ispettrice
scosse la testa.
«Non
riuscirei comunque a fare nulla, men che meno a riposarmi: preferisco restare
qui così se dovessero esserci novità o cambiamenti…»
Elena
annuì. La comprendeva bene: anche lei aveva scelto di restare al distretto fino
all’ora x perché in ogni caso non
sarebbe riuscita a fare nulla a casa. Alessandro e Raffaele invece erano dal
pomeriggio nell’appartamento usato per la copertura pronti a ricevere un
qualunque messaggio di Luca. Quelle ormai erano le ore decisive.
«Resisti
ancora un po’… tra poco sarà tutto finito…» la incoraggiò e lei annuì: ormai
non aveva neanche più la forza di contraddire quelle stupide frasi di speranza.
11/08 ore 24:00
In
quel momento il divano gli sembrava quanto di più scomodo potesse esserci o, forse,
era il nervosismo? Sì: doveva essere quello. In fondo mancavano davvero poche
ore – sei calcolò automaticamente la
mente – all’operazione ed era pur normale che fosse nervoso… giusto?
Si
voltò verso Mauro che poco distante da lui stava controllando un fucile ad alta
precisione. Dovette sentire subito lo sguardo di Luca, perché si voltò e gli
sorrise come se fosse tutto normale.
«È
normale sai… intendo sentirsi un po’ nervosi prima di un’operazione…» disse
come se gli avesse letto nel pensiero.
«E
allora perché tu, invece, sembri pronto per andare ad una gita?» chiese il
commissario.
L’altro
sorrise.
«Ah,
Marco… non puoi fare paragoni: io
sono qui da tempo… ci ho fatto l’abitudine…»
«Perché…
davvero ci si abitua?» chiese sorpreso intuendo ciò a cui Hector si stava riferendo.
«Non
so… forse io ci sono riuscito perché in realtà sono morto…»
Luca
si incupì: odiava quando Mauro ripeteva che legalmente
era morto… gli faceva ricordare quanto aveva sofferto, quanto avevano sofferto
tutti per colpa di qualche intelligentone che aveva deciso di far finire la
vita di Mauro Belli e far nascere un anonimo Hector che sembrava aver perso del
tutto – o, meglio, non aver mai avuto – voglia di vivere. I questi mesi lo
aveva osservato bene e aveva notato come passasse anonimamente le giornate
senza dar peso a ciò che accadeva… Le uniche volte in cui sembrava brillare di
nuovo una scintilla nei suoi occhi era quando entrava in gioco la vita del
commissario: in quel caso Mauro riusciva ad avere il sopravvento e a fare tutto
il possibile per difenderlo.
Si
stese di nuovo sul divano, dal quale si era alzato per guardare l’amico e
sorrise lievemente: non gli importava cosa pensasse Mauro o Hector: appena ne
avesse avuto l’occasione l’avrebbe tirato fuori di lì e forse avrebbe dovuto
attendere solo poche ore…
12/08 ore 4:30
Il
respiro regolare che aveva mentre dormiva era in netta contraddizione con
l’ansia che di solito l’accompagnava quando era sveglia. Infine la stanchezza
di tutti quei giorni – e soprattutto quelle notti – passate senza concedesi un
attimo di sosta aveva avuto la meglio su tutto il resto. Elena sorrise
osservando la collega che si era addormentata da qualche ora sul divano
del’ufficio del commissario e che sembrava avere un po’ di tregua contro i
demoni che da mesi la ossessionavano; demoni diversi, ma che contro di lei
sembravano aver attuato la tattica del “il nemico del mio nemico è mio amico”.
«Dorme
ancora?» chiese Vittoria e la collega annuì.
«Anche
se tra pochi minuti arriveranno Ale e Raff e dovremmo avviarci… Quasi mi
dispiace doverla svegliare: dopo tanto tempo sembra dormire così bene…»
«e
se la lasciassimo qui?» ipotizzò la collega, ma l’ispettrice scosse la testa
sorridendo.
«No…
non credo che sia una buona idea, almeno che tu non voglia concludere in poche
ore la tua vita…» ironizzò.
«C’ammazzerebbe,
eh?»
«Già…
e, a parte gli scherzi, questa missione per Anna è molto più importante di
quello che possiamo immaginare…»
L’ispettrice
si sedette sul bordo del divano e mosse con delicatezza il braccio della
collega che aprì subito gli occhi.
«Tesoro
dobbiamo preparaci: sono le 4:30 e tra poco Ale e Raff saranno qui…»
Anna
si mise a sedere e rimase in silenzio per qualche istante; poi alzò gli occhi sulla
collega e la fissò con guardo deciso: era il momento della verità. Questa sera,
o meglio, questa mattina, in un modo o nell’altro si sarebbero decise molte
cose.
12/08 ore 4:30
Poche
ore prima avrebbe giurato che il rumore emesso la pistola al momento del
caricamento lo avrebbe innervosito ulteriormente, che sarebbe stata la goccia
che fa traboccare il vaso, ma ora che lo sentiva erano tutt’altri i sentimenti
che provava: calma, una strana ma coinvolgente calma.
Per
alcuni l’ansia cresce a dismisura nei pochi minuti precedenti l’azione; in
altri, come lui, invece, è proprio quello il momento in cui la mente si svuota,
il cuore torna a battere regolare ed una calma glaciale lo assale. Luca sapeva
che era il momento decisivo e che non poteva permettersi errori e per fortuna
il suo cervello, ma soprattutto il suo cuore lo aiutava molto in questo.
«Pronto?»
chiese uno degli altri partecipanti.
Luca
si voltò verso di lui: aveva il passamontagna calato sul volto, ma anche con
quello avrebbe riconosciuto comunque la sua voce. Davide: uno al quale doveva
la vita e che involontariamente aveva aiutato molto la sua operazione
sottocopertura.
«Lo
so sempre» disse con voce eccessivamente spavalda e con un sorriso che l’uomo
ricambiò felice.
«Sono
fiero di te Marco: sei riuscito a guadagnarti la fiducia di tutti in tempi
davvero brevi! Complimenti: c’è gente che è qui da quasi un anno e non gode
della stessa fama che hai tu»
Luca
lo guardò stranito: quando era stato dall’altra parte della linea aveva sempre
creduto che “i cattivi” di un organizzazione non provassero sentimenti come
l’amicizia o il fatto di essere fieri l’uno dell’altro… insomma ognuno faceva
per se e chi se ne frega del resto; ma ora che ci era dentro, nonostante la
rigidità che poteva emanare l’organizzazione notava come in un certo senso
potesse definirla quasi come una grande famiglia. Ognuno con i suoi problemi ed
il suo passato, ma tutti pronti a sostenersi… almeno finché le cose andavano
bene…
Scosse
rapido la testa per scacciare quei pensieri: non doveva lasciarsi impietosire
da quegli uomini solo per il fatto che stava vivendo tra loro. Avevano ucciso,
rapito, rubato e dovevano pagarla… non poteva permettere che degli strani e in
questo caso stupidi sentimenti offuscassero la sua lucidità, soprattutto in un
momento decisivo come questo.
«Problemi?»
chiese Davide.
«Nessuno»
sorrise quello «Andiamo?»
12/08 ore 05:00
Parcheggiò
la vettura poco distante dallo spiazzale e scese per avvicinarsi quanto più
possibile al luogo dello scambio; Elena le stava dietro. Di nuovo l’ansia si
stava impadronendo del suo corpo; un ansia, però, diversa da quella precedente:
stavolta sentiva l’adrenalina dell’azione scorrere nelle vene perché – non poteva
negarlo a se stessa – aveva bisogno di quell’operazione anche solo per vederlo,
sentire la sua voce… vedere che c’era ancora una speranza, che non tutto era
perduto.
Anna
sospirò appiattendosi contro il muro di un vecchio casolare abbandonato,
sentiva il respiro di Elena sul suo
collo, dolce presenza di chi non l’avrebbe mai lasciata sola e sulla quale
avrebbe sempre potuto contare.
«Ale
siamo in posizione» confermò l’ispettrice e ricevendo risposta affermativa si
preparò ad un’attesa che sperava vivamente non fosse lunga.
Per
fortuna dovette attendere solo un quarto d’ora prima che tre vetture nere
giungessero nello spiazzale. Ne scesero una decina di uomini tutti
rigorosamente vestiti di nero quasi fossero l’uno copia dell’altro.
Anna
sentì il respiro venirle meno mentre lo stomaco le si chiudeva: tra quegli
uomini c’era Luca… il suo Luca. Quasi senza accorgersene fece qualche passo
avanti, incurante del fatto che ormai metà del suo corpo non fosse più coperto
dal muro dello stabile: il suo pensiero era totalmente concentrato sul collega,
sentiva l’irrazionale bisogno di abbracciarlo anche se – o forse proprio per quello
– non sapeva precisamente quale di quelli fosse.
Si
rese conto della follia che stava facendo solo quando ormai era troppo tardi:
gli occhi di uno dell’organizzazione avevano incrociato i suoi e l’avevano
inchiodata incapace di fare altro se non fissarlo.
Perfetto si disse sono riuscita a mandare all’aria tutta un’operazione
con una semplice mossa… è finita…
E
nello stordimento più totale che le causava quella pericolosa situazione, Anna
riuscì a scorgere una paura folla negli occhi del suo osservato e un muto
incitamento a rinsavire e a tornare dietro al muro nascosta. Fortunatamente
anche Elena la pensava allo stesso modo perché la tirò via giusti in tempo,
prima che qualcun altro potesse scorgerla. Trattennero entrambe il fiato
consapevoli del fatto che ormai tutto era andato a farsi benedire… ma, contro
ogni loro aspettativa nessuno si avvicinò al loro nascondiglio e tutti continuò
come se nulla fosse accaduto…
12/08 ore 05:16
I
suoi occhi alterati dalle lentine erano in quelli marroni di lei. Per qualche
istante si perse in quello sguardo che – solo ora se ne rendeva conto davvero –
gli era mancato da impazzire. In pochi attimi perse la lucidità e la concezione
di tutto ciò che lo circondava sfumò in una dimensione irreale; solo per
qualche istante… il tempo di rendersi conto della follia di quella situazione.
Anna.
Un’ispettrice di polizia. Impegnata in un blitz. Allo scoperto. Sotto lo
sguardo di coloro che dovrebbe sorprendere ed arrestare. Sola e spaesata.
Semplicemente irreale, fosse e… stupido. Che diavolo le prendeva? Il suo
sguardo, che inizialmente poteva far trasparire dolcezza, si ghiacciò in un
istante e supplicò la ragazza di tornare in se e nascondersi. Il cuore accelerò
improvvisamente e Luca si rese conto che stava sudando freddo.
Poi
ad un tratto qualcuno – Elena ipotizzò
sicura la mente – tirò di nuovo al sicuro l’ispettrice e fu come liberarsi di
un carico di 100Kg che gli gravitava sullo stomaco. Tirò un silenzio respiro di
sollievo ed accorgendosi che gli altri si stavano muovendo li seguì rimanendo
con la coda dell’occhio fisso sul muro dietro il quale c’erano le ispettrici
finché non entrò nello stabile di fronte al primo. All’interno, in fondo all’unica
enorme sala che constava l’edificio scorse una decina di uomini, anche in abito
neri o almeno scuri, ma senza volto coperto. In quell’istante anche il capo
dell’organizzazione si scoprì il volto – più giovane di quanto il commissario
si aspettasse – e con un sorriso salutò l’uomo ungherese che si era fatto
avanti con le braccia aperte. I due si abbracciarono e si scambiarono rapide
battute nella lingua madre degli acquirenti, dopodiché entrambi fecero segno ai
rispettivi uomini di portare avanti le merci.
«Le
vere protagoniste della mattinata» puntualizzò il capo degli ungheresi con uno
strano accento che sembro, nonostante il momento, alquanto buffo a Luca.
L’altro
sorrise mentre uno dei tre uomini recanti fascia gialla apriva un grosso borsone
mostrando le svariate bustine bianche che conteneva ed Hector ne apriva un
altro contenete banconote. Contemporaneamente due ungheresi aprirono alcuni
borsoni nei quali brillava i ferro delle potenti armi.
«Come
d’accordo» sentenziò quello «O, forse, hai voglia di controllare?»
Questa
volta fu il turno dell’ungherese di sorridere.
«Ma
no… ma no… Mi fido di te… e credo che tu farai lo stesso»
«Mi
pare ovvio»
Gli
uomini si scambiano i borsoni, non senza qualche sguardo di sospetto o almeno
di sfida; poi tornarono ai rispettivi posti senza emettere un fiato. Luca aveva
la mano premuta sull’impugnatura della pistola: il suo compito, così come
quello di tutti coloro che non avevano partecipato in prima persona allo
scambio appena effettuato, era quello di vigilare sulla situazione ed
intervenire non appena fosse stato notato qualcosa di sospetto. A quel pensiero
Luca sorrise: in fondo quella situazione era divertente fino al paradosso.
Ad
un tratto con un sincronismo pazzesco le finestre dello stabile furono mandate
in frantumi ed agenti si infiltrarono ovunque con un grido di guerra tremendo.
Allora è questo
quello che provano i
cattivi quando li prendiamo in flagrante,
eh? pensò il commissario divertito per lo spettacolare arrivo dei suoi; poi
realizzò che, come uomo dell’organizzazione, sarebbe stato meglio per lui darsi
alla fuga come stavano facendo gli altri e corse verso una delle finestre del
piano terra mandata in frantumi, giusto in tempo per scorgere alla sua sinistra
gli occhi chiari di Alessandro Berti.
12/08 ore 05:45
Caos:
una parola breve ma perfettamente in grado di descrivere tutto ciò che stava accadendo
in quello spiazzale al kilometro 10 dell’autostrada. Anna si guardava intorno
inerme, come se tutto quello che stava accadendo fosse troppo per lei. Ma
allora perché tutti gli altri colleghi riuscivano ad agire efficientemente e
con mille energie mentre lei era l’unica impalata che rischiava di prendersi
una pallottola senza praticamente fare nulla?
Datti una mossa!
Maledizione, Anna: tutti qui stanno rischiando grosso e tu te ne stai ferma
come un pesce lesso senza fare nulla! si disse e proprio in quel momento vide
due uomini in nero correre via. Senza neanche rifletterci prese ad inseguire i
due fuggitivi. In pochi istanti si accorse che dietro di lei c’era qualcun
altro e con la coda riuscì a scorgere Raffaele che con un sorriso le portava rinforzo.
Sorrise anche lei di rimando felice di avere qualcuno che le proteggesse le
spalle e continuò a correre aumentando la velocità per cercare di prenderli.
Ad
un tratto sentì un frastuono provenire dalle sue spalle e la voce di Raff che le
urlava di continuare a correre e che andava tutto bene. Anna non se lo fece
ripetere due volte e continuò a correre svoltando a destra e accorgendosi che la
strada cominciava a salire. Dopo qualche decina di metri si fermò disorientata.
Il fiato entrava ed usciva dai suoi polmoni con una velocità ed una forza che
sembrava quasi ferirla. Si guardò intorno chiedendosi dove fossero finiti gli
uomini in nero e come avessero fatto a sparire così rapidamente. Provò a
respirare con il naso per eliminare il fastidioso rumore dell’aria che entrava
ed usciva ed avere migliori facoltà uditive, ma intorno tutto taceva.
Improvvisamente
il rumore di passi veloci segnò la ripresa della fuga e del relativo
inseguimento.
Anna
riprese fiato, per qualche istante si guardò alle spalle, ma non vide nessuno
dei suoi compagni; quindi riprese la corsa per non perdere contatto con i
primi.
Il
terreno di quel luogo deserto ed abbandonato a se stesso le rendeva più difficile
la corsa, ma si consolò sapendo che quella difficoltà l’avrebbero incontrata
anche loro.
Ad
un tratto lo spazzale di terra terminava per dare spazio al fitto bosco.
Di male in
peggio
rifletté l’ispettrice ci saranno più
posti dove nascondersi e più ostacoli al mio inseguimento.
Si
morse il labbro inferiore – ormai lo faceva automaticamente ogni volta che le
cosa cominciano a complicarsi – e riprese le ricerche: non sentiva più i passi
veloci della fuga e immaginò che anche loro si fossero fermati per riprendere
fiato protetti dalla natura.
In
un attimo si rese conto di essere in pericolo più di quanto avesse inizialmente
creduto: era da sola e inseguiva più di un uomo il che significava che i fuggitivi
avevano tutto il tempo per tenderle una trappola.
Un
fruscio di foglie attirò la sua attenzione. Si mosse con circospezione verso il
cespuglio in questione quando da questo ne uscirono i due fuggitivi, uno dei
quali tentò di colpirla con un bastone ottenendo, fortunatamente, solo di farle
perdere l’equilibrio.
Anna
però non perse tempo: si rialzò veloce e riprese la corsa. Era poco lontana da
loro quando sparò un colpo che ferì uno dei due ad un fianco; quello barcollò,
ma con l’aiuto del compagno continuò la sua corsa.
Nella
giovane però in quel momento si ruppe qualcosa… si fermò con sguardo sconvolto,
perso camminando lentamente fino a giungere alla macchia vermiglia lasciata dal
ferito sul terreno.
Si
accasciò lentamente mentre la testa cominciò a girarle ed una strana e triste
stanchezza si impossessò del suo corpo.
Non
seppe dire quanto tempo rimase ferma in ginocchio su quella macchia di sangue,
ma ad un tratto sentì la mano di Elena che la scuoteva.
«Anna…?
Tutto a posto? Sei ferita?» chiese ma lei scosse la testa.
«Elena…
io l’ho sparato: ho sparato uno degli uomini che inseguivo…»
Elena
trattenne il fiato: in un attimo anche lei aveva capito quello a cui stava pensando
Anna.
E
sei avesse ferito proprio…
Lo spazio dell’AUTRICE
Ok… ok…
prima che qualcuno di voi premi il grilletto della sua 9mm (perche so che tutte
ne avete una voglia matta) vorrei scusarmi infinitamente per questo enorme ritardo
promettendovi che non accadrà più!! ç__ç
Da oggi
infatti – scolasticamente parlando – sono in pausa didattica (non si interroga,
ne si spiega, ne si assegna XD) il che significa che avrò più tempo per
dedicarmi alla scrittura… poi finalmente arrivano le vacanze di Natale quindi…
Allora:
siete felici di non avermi ucciso?? (no?? ç___ç su, su non vi faccio neanche un
po’ di pietà??).
Vbb a
parte gli scherzi: che ve ne pare questo capitolo? Ero partita un po’ maluccio
e diciamo che almeno fino a quando non cominciano le date (es. 11/08 ore 24:00)
non sono soddisfatta del mio operato… ma devo dire che l’ultima parte mi soddisfa
abbastanza… (che miracolo, eh??)
Intanto
ringrazio i miei carissimi “sopportatori”
Tinta87-^^- Beh se seguiamo il
tuo ragionamento anche questo chappy non sarà poi tanto brutto, no?? Sono
davvero contenta che la storia ti piaccia e ti appassioni sempre più… e mille
grazie x i tuoi immancabili commenti, complimenti e per il tuo sostegno!! Beh…
diciamo che Luca… ha avuto il suo bel da fare e i suoi alti e bassi… come del
resto anche Anna… ma il più lo si vedrà nel prossimo chappy! Un bacione…
Uchiha_chanBrr… spero che quella falce
se ne stia a riposo ancora per un po’… anche se io ho fatto un ritardo ancora
più esorbitante dell’ultima volta (mi disp… ç__ç) Mille grazie x i tuoi
immancabili complimenti: sono davvero felice che la storia ti stia piacendo XD…
Come avrai potuto vedere anche in questo chappy le scene d’azione non sono
mancate: sai credo che non mi vengano poi tanto male… Cmq q te che n’è parso??
Un bacio.
LyrapotterE chi ti dice che non farò morire nessuno?!?! Non
essere così fiduciosa del mio lieto fine!! A parte questo… piaciuto l’incontro
tra X e Men in Black?? Diciamo che neanche qui mi sono risparmiata con la
fantasia ed ovviamente non posso far passare un giorno calmo a nessuno di loro.
Insomma che te ne pare?? A presto kisses.
Dani85Eh, eh… per ora si è risolto tutto per il
meglio! Già finalmente quei due si sono accorti di avere una bocca x parlare…
meglio tardi che mai, no?? Non sei assolutamente pazza: Anna è un po’… nei
casini (?) non so se si possa definire così… ma cmq lei non sta molto bene e
questo credo che ormai sia chiaro. Inoltre anche Luca mostra alcuni segni di
cedimento… quindi.. sì, miacara, il
giro dei casini è ricominciato! (Noiosa e monotona… lo so… -.-‘’) Il mio
aggiornamento è stato molto tardivo… ma come ho già detto credo che non farò
più così tardi! Un bacio… alla prossima!
Barby_19** Sono davvero felicissima che la mia storia
ti piaccia!! Benvenuta!! ^^ quando ho letto la tua rece ho fatto i salti di
gioia! Allora che te n’è parso di questo chappy?? Soddisfatta?? Mille grazie x
i tuoi complimenti e per aver messo la storia tra le seguite: ne sono
lusingata! Alla prossima e continua a recensire!! Kisses.
Luna95Ma no: smettila si scusarti in continuazione!!
Non sentirti obbligata a leggere questa schif… emh… ff: fallo solo se ti va!!
Sono felice che la storia continui a piacerti! Che te ne pare di questo nuovo
chappy? Come vedi i guai non sono finiti!! Alla prossima un bacio!
Mary899mille grazie x aver messo la storia tra le
preferite! Spero che continuerai a seguire questa ff e magari se ti va lascia
un commentino XD
Nel
prossimo capitolo che si chiamerà TANATOPHOBIA (forse un po’ eccessivo come
significato… ma mi piace molto la parola XD) le cose precipiteranno e vedremo
il rischio vero che si corre a fare l’infiltrato…
Quindi vi
aspetto con impazienza!! Mille grazie tutti i lettori e recensori!” Kisses.
Cosa si prova a
veder morire la persona che si ama? Cosa si sente nel cuore quando l’ancora
alla quale si è aggrappati, l’unica, si dissolve improvvisamente tra le onde
del mare in tempesta?
Tu lo sai, vero
Ale? Sai cosa si prova a non aver più voglia di vivere, a voler morire perché
sembra la cosa più bella del mondo…
Ti ho visto
scivolare in una silenziosa depressione, in una disperata voglia di catturare
gli assassini della sua, della tua vita come se quella doverosa azione potesse riportarla in vita,
strapparla alla fredda morte.
Ma dimmi
Alessandro: cosa si può fare, come si può seguire quello che diventa l’unico
scopo nella vita – la vendetta… o giustizia – se si è la causa di tutto? Come reagire quando
in realtà è causa tua la morte della persona che ami?
Io… mi sento
semplicemente soffocare…
Prendi me, ti
prego, ma non lasciare che lui se ne vada… non lasciarmi sola… non ora… io…
Uno sparo
echeggia nell’aria tanto semplice quanto terribile. Il gemito di un uomo, un
respiro affannato e pesante. Il grido di una donna, un respiro mozzato.
Un tonfo. Quanti
significati può avere un tonfo? A quanti pensieri può portare? In questo
momento ne vedo solo uno: morte…
«Luca?...
Stai sveglio, Luca…arrivati…senti…?»
Si
sentiva sballottato avanti e indietro come se fosse portato in braccio da
qualcuno e, in effetti, aprendo gli occhi e vincendo le vertigini e il
giramento di testa, si accorse che, inerme, era fra le braccia di un pallido e
preoccupato Mauro. Il fianco gli faceva male da impazzire: alla fine era stato
ferito…
«Resta
con me, Luca...»gli gridò Mauro guardandolo con disperazione.
Il
commissario tentò di sorridere per rassicurare l’amico, ma, a giudicare dalla
sua espressione, non doveva essere spuntata sul suo volto nient’altro che una
strana smorfia di dolore.
«Che…
cosa… è successo?» chiese con le poche forze che aveva e si rese conto che
chiudendo gli occhi si sentiva lievemente meglio.
«Dopo
l’irruzione della polizia, io e te siamo scappati per la strada del bosco,
ricordi?»
«Si…»
rispose resistendo ad un coniato di vomito.
«Ci
hanno seguito… anzi solo un agente ci ha seguiti…»
«Anna»
disse Luca, mentre un brivido – dovuto molto più a tale constatazione che alla
ferita – lo attraversò scuotendolo tutto «È stata lei a sparare?» chiese con
terrore anche se conosceva già la risposta.
«Già»
confermò Mauro e il commissario notò una scintilla di tristezza attraversare i
suoi occhi.
«La
mia Anna…» si lasciò scappare e se il dolore non glielo avesse impedito avrebbe
riso amaramente per il paradosso della situazione.
«Cosa?»
chiese l’ex ispettore «La… tua Anna?» ripeté.
Un
altro sorriso provò ad affiorare sul volto di Luca con un successo maggiore del
precedente.
«Ci
sono ancora tante cose che non sai, Mauro… e, forse, non farò neanche in tempo
a raccontartele»
«Non
dire stronzate Luca: ora noi arriviamo al punto di ritrovo del “piano B”, ti
fascio alla meglio e torniamo al monastero dove avrai tutte le cure di cui hai
bisogno» lo incoraggiò Mauro, ma era solo la disperazione a dar forza a quelle
parole.
Quando
Mauro di fermò adagiando Luca con la schiena contro un albero e guardò
preoccupato la ferita, erano ormai quasi alla fine del bosco e da lontano si potevano
già scorgere i primi abitati. Era quella la loro meta e, più precisamente, un
casolare in affitto ad uno dei capi e di fatto disabitato. In quell’operazione
era stato programmato tutto, comprese le vie di fuga: lui e Luca dovevano
ritirarsi in quel casolare finché le acque non si fossero calmate e poi tornare
al monastero.
Tutti
coloro che non fossero tornati entro tre giorni sarebbero stati considerati
persi.
Mauro
riprese in braccio Luca e cominciò a correre verso il casolare. Quando fu
arrivato, spalancò la porta con un calcio ed adagiò il giovane sul divano, poi
corse in bagno a cercare bende, disinfettante e quanto potesse essergli utile
in quel caso. Tornò in soggiorno con le braccia piene di roba che depositò per
terra, poi mise un panno fresco sulla fronte sudata e bollente di Luca: la
febbre stava salendo rapidamente. Strappò la maglietta e si accorse che la
ferita era più brutta di quanto si aspettasse, la disinfettò cercando di
ignorare il grido di dolore di Luca e la fasciò alla meglio: non era mai stato
molto pratico in queste cose.
«Grazie…»
sussurrò il commissario stanco.
«Ma
zitto! Piuttosto: come ti senti?»
«Posso
camminare…» e così dicendo provò ad alzarsi, ma un violento giramento di testa
gli fece perdere quel po’ di colorito che ancora resisteva sul suo volto.
«Fermo!»
gli urlò Mauro facendolo sdraiare di nuovo «Non essere stupido: ci muoveremo
domani, se ti sentirai meglio…»
In
quell’istante un’idea balenò della mente dell’uomo: e se fosse tornato da solo
al monastero? Se avesse avvisato i colleghi di Luca della sua posizione in modo
che lo recuperassero, salvandolo? Sarebbero stati risolti molti problemi, più
di quanti lo stesso Luca potesse immaginare.
«Non
ti azzardare neanche a pensarlo!» gli urlò – per quanto potesse farlo – Luca
come se gli avesse letto nel pensiero «Non ti lascerò andare via»
«Non
potresti impedirmelo»
Luca
lo guardò sconvolto. Mauro aveva ragione: non poteva muoversi e se ora l’uomo
se ne fosse andato lui non avrebbe potuto far nulla per fermarlo.
«Ti
prego Mauro: non andartene… mi sono ripromesso che ti avrei riportato
indietro…»
Lo
sguardo di Mauro cadde improvviso sul commissario che ebbe un brivido non per
la ferita, ma per il gelo che gli trasmise: era come la prima volta che l’aveva
visto, lo stesso distacco, la stessa consapevolezza di non esistere.
«Non
manterrai la tua promessa, Luca: non tornerò con te, non posso, sono cambiato.
Come spiegherei tutto questo a Germana? A mio padre? Abbiamo già fatto questo
discordo e ti ho detto come la penso… Non voglio parlarne più»
«Hai
ragione: sei cambiato. Quando lavoravamo insieme non ti lasciavi fermare dalla
paura; sei “morto” per disprezzo della paura. Ora invece…»
«Taci!»
gli urlò contro Mauro zittendolo «Tu non sai! Tu non puoi giudicarmi!».
Per
un attimo Luca ebbe il timore che Mauro gli avrebbe messo le mani addosso; poi,
invece, vide l’uomo allontanarsi dal divano e, rivolgendogli le spalle,
poggiare tremante la braccia tese sul tavolo. Aveva esagerato – solo ora se ne
rendeva conto – con quelle parole: in fondo lui non poteva capire quello che
aveva passato e stava passando ancora ora Mauro.
«Scusa…
scusami Mauro… io non ho alcun diritto di parlarti così…» disse piano «Solo ti
prego: non andartene senza di me…»
Per
alcuni istanti nella stanza regnò un silenzio carico di tensione, poi Mauro si
voltò con i suoi gelidi occhi e guardò prima Luca, poi la ferita.
«Torniamo al monastero domani… pensi di
farcela?» chiese quasi atono.
Luca
annuì ed uno strano freddo invase il suo corpo; chiuse gli occhi – come per
voler riposare – e tentò con sofferto successo di ricacciare indietro le
lacrime: ora era con Hector che stava parlando perché con le sue ultime
sciocche frasi aveva fatto sì che Mauro sparisse di nuovo dietro quella farsa
identità.
«Non
puoi esserne sicura!» le ripeté per l’ennesima volta Raffaele.
«Invece
lo sono… me lo sento!» rispose Anna gelida.
«Scusa,
ma non ha detto che gli uomini erano due? Ammettendo pure che uno dei due fosse
Luca, chi ti dice di non aver ferito l’altro? Infondo eravate di corsa ed il
sole stava appena sorgendo: potresti benissimo esserti confusa» la incoraggiò
Elena.
«No!»
ripeté sicura quella «Sono sicura di quello che ho visto… era Luca» e le sue
ultime parole persero il vigore delle precedenti, mentre quelle maledette
lacrime premevano di nuovo su suoi occhi.
Non pensarci,
non farlo! Si
ripeté Non puoi concederti questo lusso,
non ora. Resta lucida.
«In
ogni caso ora non ha alcun senso discuterne adesso: abbiamo preso un campione
del sangue trovato nel bosco e l’abbiamo mandato alla scientifica. Boni ci farà
sapere il prima possibile» disse Ale interrompendo quella discussione che se
anche proseguita non avrebbe portato a nulla.
Dopo
l’irruzione nel luogo dello scambio per una buona mezz’ora aveva regnato il
caos dei colpi d’arma da fuoco, delle grida e degli inseguimenti finché tutto
non era finito; il bilancio era stato sicuramente positivo – nessuno dei loro
era rimasto ferito – ma non quanto si aspettavano: dei dieci uomini
dell’organizzazione uno era morto ed erano riusciti ad arrestarne un altro; tra
gli ungheresi non c’era stato alcun arresto: solo due morti mentre gli altri
erano tutti riusciti a scappare.
«Che
cosa dice quello?» chiese Raff riferendosi all’ungherese che ora si trovava
nella sala degli interrogatori.
«Nulla:
non parla. L’unica cosa che ha detto è che non sa nulla» lo informò Ale.
«Vediamo
se continua a non sapere nulla» disse Anna e alzandosi dalla sedia si diresse a
grandi passi verso l’altra stanza.
Sentiva
di dover fare qualcosa, qualsiasi cosa: doveva tenersi impegnata per non
permettere alla sua testa di pensare, al suo cuore di annegare nella tristezza…
Spalancò
la porta con impeto e sbatté le mani sulla scrivania. L’uomo non si fece
cogliere di sorpresa e la guardò passivo, come se non fosse su quella terra.
«Stammi
a sentire» urlò l’ispettrice «Ora tu mi dici dove cazzo stanno i tuoi capi,
capito?»
Lo
sguardo dell’uomo divenne alquanto divertito il che non fece altro che far
montare ancora di più la rabbia della ragazza.
«E
pensi di convincermi con quel bel faccino?» la sfidò.
Anna
non ci vide più dalla rabbia: prese l’uomo per il colletto della maglia e lo
portò a pochi centimetri dal suo volto. La risata dell’uomo le sfiorò il viso,
ma l’ispettrice non ebbe neanche il tempo di continuare il suo minaccioso discorso
che lo sguardo dell’uomo divenne stranamente vitreo ed il suo corpo le si
accasciò addosso.
«Oddio…»
sussurrò Anna mentre il suo corpo cedeva sotto il peso dell’altro «Aiuto!» urlò
poi poggiandolo per terra.
In
un attimo la sala degli interrogatori fu piena di agenti. Alessandro controllò
il polso dell’uomo mentre Raffaele chiamava veloce l’ambulanza; Anna osservava
la scena come se fosse un sogno: le immagini– a tratti sfocate – sembravano andare a rallentatore e smisero il loro
lento giro solo quando Elena le prese con forza il braccio. Anna la guardò in
volto: vedeva le sue labbra muoversi, ma il cervello non riusciva a trasformare
i suoni che gli giungevano in parole.
L’ispettrice
cominciò a respirare in modo affannato: un nuovo attacco d’ansia; poi, senza
alcun preavviso il cuore tornò a battere normale e le parole di Elena
acquistarono un senso.
«Anna?
Tesoro, ti senti bene?» le stava chiedendo con preoccupazione e insistenza
«Vuoi sederti?Ti porto dell’acqua?»
«No…
sto bene, non preoccuparti» rispose ancora un po’ frastornata.
Intanto
nella sala erano entrati due infermieri con una barella e con l’aiuto di
Alessandro avevano caricato su di essa l’uomo dell’organizzazione.
«Seguiamo
l’ambulanza» disse Anna e si diresse con
Elena fuori dal Commissariato. L’ispettrice volle salire sull’ambulanza, mentre
l’altra salì in auto dopo aver assicurato ai due ispettori – che rimanevano al
Distretto – che avrebbe dato loro notizie dell’uomo il prima possibile.
Egoista. Sì, era
semplicemente un’egoista. Perché sperare che quell’uomo sopravviva solo per
avere notizie di Luca non è altro che egoismo; ma, nonostante ne fosse
consapevole, non poteva fare altro che sperare in quello. Doveva trovarlo e
portarlo via di lì: aveva fatto abbastanza, scoperto tutto ciò che poteva; ora
doveva solo tornare… solo questo.
«Lo
stiamo perdendo!»
Quel
grido la riportò alla realtà: si accorse che ormai erano arrivati all’ospedale,
ma che il battito dell’uomo era assente.
«Cazzo!»
si fece scappare, mentre uno degli infermieri ordinava di aumentare il
voltaggio ed un altro continuava a stimolare il cuore con il defibrillatore.
L’acuto
suono continuo che indicava l’assenza del battito divenne all’improvvisamente
ad intermittenza segno che il cuore aveva ripreso il suo vitale compito.
La
barella scese veloce dall’ambulanza ed entrò nella struttura. Altri medici
circondarono la barella in corsa scambiando rapide informazioni tecniche con i
primi; di tutti quei discorsi Anna riuscì solo a cogliere che nessuno di loro
sapeva cosa stava uccidendo l’uomo. Ad un tratto la barella svoltò a destra e
superò una porta ad apertura a saloon, ma una degli infermieri che la
circondava bloccò Anna.
«Qui
non può entrare…»
«Ma…
io..»
«Non
si preoccupi: faremo tutto il possibile per salvarlo…» la rassicurò
l’infermiera, poi sparì anche lei dietro la porta.
Anna
rimase bloccata, il respiro mozzato: e se fosse morto? Ancora una volta si
considerò un’egoista, ma non poteva far altro che pensare che se fosse morto,
loro sarebbero tornati al punto di partenza…
«Dov’è?»
chiese una voce alle sue spalle.
Anna
si voltò e vide Elena il cui petto si alzava ed abbassava con rapidità per la
gran corsa che aveva fatto per seguire lei e la barella. In un attimo si rese
conto che era proprio ciò di cu aveva bisogno in quel momento: qualcuno da
porte stringere forte a se per non perdere contatto con quella realtà che le
stava pericolosamente sfuggendo dalle mani. Con un grande slancio gettò le
braccia al collo di Elena che ricambiò quel gesto con la sua stessa intensità.
«L’hanno
portato dentro… ma non sta bene: già nell’ambulanza ha avuto un arresto
cardiaco» spiegò Anna con voce incrinata.
Elena
annuì e si sedette accanto alla collega in attesa dei medici. Attesa che durò
circa mezz’ora dopo la quale alcuni medici uscirono dalla sala con aria
tutt’altro che rassicurante.
«Abbiamo
fatto tutto il possibile… mi spiace…» disse uno di loro scuotendo la testa.
«Ma…
com’è possibile? Fino ad’un’ora fa era nella sala degli interrogatori e stava
benissimo…» spiegò Elena, shoccata dalla notizia; Anna non riusciva ad aprire
bocca: in cuor suo aveva sempre saputo che in un modo o nell’altro sarebbe
finita così.
«Siamo
convinti che ad ucciderlo sia stato del veleno»
spiegò il medico «L’uomo aveva al collo questa medaglietta: gli è caduta mentre
tentavamo di rianimarlo… dall’interno sono uscite alcune pasticche bianche:
molto probabilmente il veleno che l’ha ucciso» e così dicendo le diede
all’ispettrice che, indossando un guanto, le fece scivolare in un sacchetto di
plastica trasparente: il responso della scientifica sarebbe stato decisivo.
Il
medico salutò con un cenno del capo ed andò via mentre Elena aveva già composto
il numero telefonico di Alessandro.
«Ohi
Elena: novità?»
«È
morto» disse quella, forse con poco tatto.
Dall’altra
parte della conversazione ci furono attimi di silenzio che Elena sfruttò per
spiegare come stavano le cose.
«I
medici dicono che aveva delle pasticche di veleno nascoste in una catenina:
deve averne ingerita una mentre non eravamo nella sala degli interrogatori»
«Si
è ucciso pur di mantenere il segreto…» constatò sconvolto l’uomo «Arriviamo
subito»
Elena
chiuse la chiamata e ripose il cellulare in tasca: guardò Anna sul cui volto
regnava ancora in pallore. La giovane alzò improvvisamente gli occhi ed
incrociò lo sguardo della collega.
«Ma
tra che razza di gente abbiamo infiltrato Luca?» chiese con le lacrime agli
occhi.
Aveva
il fiato corto e non sentiva più la schiena: per quanto in quei mesi fosse
dimagrito, non si poteva certo dire che Luca fosse una piuma e trasportarlo per
vari chilometri sulla schiena non era certo il massimo. Si ripeteva che ormai
era arrivato da quasi mezz’ora ma sembrava che, man mano che tentava di
avvicinarsi, il monastero si allontanasse sempre più. Luca ormai aveva perso di
nuovo conoscenza ed il calore che sentiva all’altezza del proprio fianco gli
suggeriva molto chiaramente che quello del compagno aveva ripreso a sanguinare.
Maledizione pensò se non mi sbrigo… e si accorse che
faceva male anche solo pensare di poter perdere Luca.
Impressionante
come semplicemente averlo rincontrato l’avesse cambiato tanto profondamente.
Prima non gli importava più di niente e di nessuno e non si sarebbe mai sognato
di provare qualcosa – un qualsiasi sentimento – per qualcuno. Aveva quasi
dimenticato cosa si provasse quando si rischiava di perdere una persona alla
quale si vuole bene: quella morse che ti
prende allo stomaco, il sudore freddo ed i brividi che attraversano la schiena, la sensazione di
essere sull’orlo di un baratro con il costante pericolo di cadere giù…
Si
fermò per riprendere fiato stando attento a non sballottare o far cadere Luca
ed alzando lo sguardo scorse finalmente la sinistra figura del monastero. Un
sorriso amaro inondò il suo volto.
«Resisti
Luca: ormai ci siamo…» sussurrò riprendendo a camminare con passo rapido.
Inizialmente
avevano stabilito che sarebbero partiti all’alba con il favore della luce, ma
nelle prime ore della notte le condizioni del commissario si erano aggravate e
Mauro non aveva potuto far altro che mettersi in cammino e giungere al
monastero il prima possibile.
Quando
entrò, pallido e sudato, lo sguardo di tutti fu rivolto a lui e al corpo inerte
che aveva sulle spalle. Mauro si rese improvvisamente conto che, nonostante
stesse lì da tempo, non si era mai trovato in una situazione del genere e si
scoprì impreparato ad un eventuale reazione dei presenti: cosa stavano
pensando? Cosa avevano intenzione di fare? E se erano stati fuori troppo a
lungo e adesso loro volessero eliminare ogni sospetto di un qualche contatto
con le autorità?
Bel casino… rifletté in
pochi istanti bel casino davvero…
«Hector!»
esclamò Thomas, uno dei capi, con voce preoccupata «Sei qui finalmente! E…
quello è Marco?» chiese sbiancando lievemente.
«Non
è morto» si affrettò a rassicuralo Mauro «Solo ferito ed ha bisogno di cure»
«Andrea,
Claudio» chiamò il capo «Andate con lui e medicatelo… fatemi sapere le sue
condizioni il prima possibile e speriamo che vada tutto per il meglio…»
concluse con un breve sospiro.
«Posso
andare con loro?» chiese una voce nella mischia di uomini che si era creata
all’arrivo di Hector e Marco.
«Certo
Davide: va pure» e Davide seguì gli altri due per i corridoi umidi della
struttura.
«Gli
è affezionato….» constatò Hector con voce alquanto disinteressata e si rese
conto che fortunatamente riusciva ancora a rimanere distaccato da ciò che lo
circondava o, almeno, riusciva a fingere di esserlo.
«Come
te» disse Thomas smentendo in parte ciò che Mauro aveva appena pensato.
Intanto
la sala era rimasta quasi vuota: alcuni si erano ritirati nelle loro celle,
altri cercavano di mettere ordine in quella caotica giornata fuori dal comune;
perché quello era stato un vero colpo per l’organizzazione, ma soprattutto il primo.
«Cos’è
successo?» chiese improvvisamente Hector «Come potevano sapere il luogo?» e
pregò che il capo non sapesse dargli risposta.
«Vieni
con me» disse quello e un brivido attraversò il corpo di Mauro, ma doveva
mantenere la calma: ne andava della vita di Luca… e anche della sua.
Attraversarono
due stretti corridoi fino ad arrivare ad un’altra sala di ritrovo, ma questa era
presidiata da due uomini con sguardo vigile e una fascia verde: anche Mauro,
che era lì da molto tempo, aveva avuto occasione di vederli solo una volta,
durante una riunione dei capi che, con molta probabilità discutevano di affari
di vitale importanza. Questa “guardie” erano chiamate a posta e reclutate tra
ex soldati con estrema accuratezza, la loro identità era nota solo ad uno dei
capi ed erano come varie e proprie ombre.
La faccenda è
seria pensò
Mauro rabbrividendo se hanno addirittura
chiamato le fasce verdi… Questo colpo è stato davvero duro per tutti… in fondo
non era mai accaduto prima che l’organizzazione venisse intercettata dalle
autorità… Siamo nei casini…
Con
un rapido sguardo indagatore i due uomini di guarda fecero passare Thomas ed
Hector che spalancarono con una certa solennità la porta e fece i loro
ingresso.
«Finalmente
ecco qui anche Thomas!» esclamo uno dei restanti capi, William con un
sorrisetto beffardo.
«C’è
poco da essere allegro Will: abbiamo un morto, un ferito ed un arrestato. Il
bilancio è critico»
«Chi
è rimasto ferito?» chiese quello d’improvviso serio.
«Chi
è morto?» chiese contemporaneamente Hector shoccato.
«Marco
è rimasto ferito» disse Thomas rivolto a William «E Sam è morto… quei bastardi
l’hanno ucciso senza alcuno scrupolo» concluse rivolto verso Hector.
«Ma
Carlo?» chiese uno degli uomini di fascia gialla «che si fa con Carlo?»
«È
Carlo che è stato preso?» chiese ancora Hector sedendosi al proprio posto.
«Carlo
non sa molto… e comunque mi fido ciecamente di lui: non parlerà» proseguì William annuendo rivolto ad Hector per
rispondere alla sua domanda.
«Quindi
ora ci resta solo da capire come diavolo hanno fatto a sapere dell’incontro…»
osservò un altro capo con fare serio e un po’ furioso.
«Signori!»
gridò una voce e dalla porta entrò Giulio seguito da un pallido Davide.
«Che
succede?» si fece scappare Mauro preoccupato dall’espressione di Davide.
«Carlo…
si è ucciso…» disse Giulio ancora tremante.
Nella
stanza scese il silenzio. Ognuno pensava al sacrificio che quell’uomo aveva
fatto per la loro sicurezza e se, al suo posto, avessero fatto quella stessa
scelta. Ma la verità è che non si può sapere realmente come si agirà in una
determinata situazione finché non ci si trova davvero dentro.
«Sapevo
che lo avrebbe fatto» disse piano Thomas «E noi gliela faremo pagare anche per
questa morte!»
«Il
ferito?» chiese uno del gruppo.
«Ora
riposa…» li rassicurò Davide ancora pallido «Ma la ferita è più grave di quanto
ci si aspettasse… non sappiamo se…» e le parole gli si mozzarono in gola senza
trovare la forza di uscire.
Mauro
impallidì, ma cercò velocemente di scacciare dalla mente il pensiero che aveva
concluso la frase di Davide: non era quello il momento di lasciarsi andare a
tale debolezza.
Rapidamente
anche gli ultimi arrivati si sedettero al loro posto. Nella stanza regnava una
strana tensione e qualcuno si faceva scappare uno sguardo sospettoso verso chi
gli era accanto.
«Dell’operazione
erano a conoscenza solo i 10 membri che ne avevano fatto parte» cominciò Thomas
freddamente «Escludendo i due uomini che hanno perso, restiamo in 8»
«Sei»
intervenne un altro dei capi presenti «Visto che io e te abbiamo partecipato
alla missione e su di noi non c’è alcun dubbio di tradimento» e nel pronunciare
quelle ultime parole fece una lenta panoramica dei volti presenti nella stanza
con fare intimidatorio.
Tradimento rifletté Mauro
con una certa preoccupazione era ovvio
che pensassero subito a questo; ma non volendo l’artefice di tutto questo è
quello che dovrebbe avere l’alibi più forte.
«Escludiamo,
ovviamente, anche Marco: un poliziotto non sparerebbe mai ad un collega… perché
è di questo che si tratta: una talpa che sicuramente lavora per quelli lì»
Proprio quello
che pensavo concluse
Mauro, ma un brivido lo attraversò: erano già indirizzati verso “la talpa”.
«Non
così in fretta…» interruppe Giulio «…chi ci dice che questo non sia stato
programmato nei minimi dettagli? Mi spiego: prevedendo che avremmo fatto questo
ragionamento, avrebbero anche potuto ferire il loro infiltrato per dargli un
sicuro alibi».
Un
secondo brivido attraversò la schiena di Mauro: aveva sempre saputo che Giulio
era molto intelligente e sapeva riconoscere la verità dal falso con abile
maestria. Era uno dei più pericolosi del gruppo e per molto tempo aveva avuto
dei sospetti anche su di lui; poi questi si erano calmati o almeno così
sembrava.
«Scherzi,
spero!» urlò una voce precedendo di poco Mauro che, contro ogni logica, solo
per l’istinto di difendere Luca, stava per contestare la tesi di Giulio con
quelle stesse parole.
A
parlare era stato Davide e Mauro non ne fu affatto sorpreso.
«Davide
i sentimenti offuscano la tua lucidità!» gli disse freddo Giulio «Ragiona:
sarebbe perfetto, nessuno sospetterebbe di lui!»
«Ti
sbagli! Marco non c’entra nulla… lui non è una spia!»
«E
cosa ti rende tanto sicuro di questa cosa?» intervenne con tono superiore
William.
«Io…
insomma abbiamo già fatto tutti i controlli a tempo debito… e non è risultato
nulla…» provò a giustificarsi.
«Potrebbe
esserci sfuggito qualcosa: rifarai comunque un controllo» sentenziò Thomas.
«E
per l’altra operazione?» chiese Hector cercando di non tradire l’ansia assoluta
che si era impossessata del suo corpo al sentir menzionato un più accurato
controllo su Luca.
«Rimane
tutto confermato: domani vedremo gli acquirenti delle ragazze e chiederemo loro
di prenderle tutte e 10 nonostante ne avessero chieste solo 7. Poi andremo via
di qui il più velocemente possibile» rispose secco e deciso William e con
quelle ultime parole l’assemblea fu sciolta.
Non
ne fu sorpresa. Un mucchio di emozioni la travolsero, ma non la sorpresa.
D’altronde lei l’aveva detto da subito, ne era sempre stata certa ed ora anche
il volto di Boni non lasciava dubbi.
L’uomo
entrò nell’ufficio con il volto pallido di chi non sa come dire qualcosa di
brutto.
«È
suo il sangue…» sussurrò Anna e l’uomo della scientifica annuì.
«Il
sangue trovato nel bosco è di Luca… mi spiace…»
Nonostante,
però, fosse mancata la sorpresa, la sensazione della terra che manca sotto i
piedi non tardò ad arrivare, micidiale.
Sapevi che era
così…
Ma fa comunque
male…
Non puoi
permetterti questo dolore, questa debolezza: devi trovarlo, salvarlo… ne va
della vostra vita e non solo…
Ma come, come?!
L’unico testimone è morto...
Troverai una
soluzione, la troverai. Concentrati!
No! Non esiste,
non esiste una soluzione… lasciami qui… lasciami morire…
Smettila! Non
dire idiozie! Rialzati! Non mollare proprio ora!
Basta… sono
semplicemente stanca… di tutto…
Anna
chiuse gli occhi e si lasciò scivolare contro il mobile dell’ufficio sperando
che la mancanza di sensi la cogliesse rapidamente. Ma quasi subito sentì
qualcuno che la afferrava con forza e poi qualcosa di morbido sotto di lei; i
suoni le giungevano opacizzati ed indistinti e creavano solo confusione nella
sua testa. Poi il nero l’avvolse, dolce e silenzioso.
È
davanti ad una chiesa: sa di conoscerla bene, ma in quel momento non ricorda
proprio come si chiami. Il sole è accecante e l’aria è afosa. Anna ha caldo e
si toglie la giacca che scopre essere nera.
Ma a cosa stavo
pensando stamattina quando mi sono vestita? si chiede già c’è un’afa tremenda, poi mi vesto di nero…
E
all’improvviso quelle parole la colpiscono nel profondo: sente di conoscerle
già, di esserci già stata di fronte a quella chiesa, sola, con una giacca scura
nonostante il caldo infernale.
Le
gambe cominciano a tremargli mentre il ricordo ormai è nitido nella sua mente:
l’ultima volta che era stata lì aveva visto la bara di Luca…
Sì, ma l’ultima volta
che sono stata qui stavo solo sognandosi dice
per rassicurarsi eppure il terrore e l’ansia l’hanno già presa.
Comincia
a correre ed entra con violenza nella chiesa. Stavolta nessun suono d’organo l’accompagna,
ma le navate e le panche sono ugualmente vuote. Anna volge direttamente lo
sguardo verso l’altare per controllare se anche stavolta ci sia davanti una
bara di mogano, ma anche lì vede il vuoto.
Tira
automaticamente un respiro di sollievo: non è successo nulla.
Forse mi sono allontanata
dal Distretto dopo l’arrivo di Boni e sono corsa fin qui si dice anche se non ricorda nulla del
tragitto appena compiuto
In ogni caso sarà
meglio tornare: saranno preoccupati… e dando un ultimo sguardo all’altare vuoto si
volta per andare via.
«Ne
sei sicura?» le chiede una voce.
Anna
sussulta: la conosce… non potrebbe in alcun modo dimenticarla.
«Luca…»
È
davanti a lei, a metà tra l’altare e l’uscita. È come lei se lo ricorda: i
capelli scuri e corti che gli danno quell’aria da commissario esperto, la
barbetta intorno alle labbra corta e ispida, la giacca scura e nessuna
cravatta: non le ha mai sopportate. Anna sorride a questo pensiero: sembra che
tutto sia tornato alla normalità.
Comincia
a correre: l’unica cosa che desidera il quel momento è abbracciarlo.
«No!»
L’ordine
duro di Luca la blocca spaesata: cosa gli prende? Perché ora l’allontana?
«Non
avvicinarti!» continua lui con una nota di rabbia nella voce.
«Ma…
cosa stai dicendo…? Luca… cosa…?» ma prima che possa concludere la frase il
commissario ha già spostato la giacca lasciando vedere una grossa chiazza rossa
sulla camicia bianca.
«Luca,
mi dispiace tanto… io…»
«Non
importa: ora nulla ha più importanza, né valore. Addio!» e senza perdere tempo
esce dalla chiesa.
Anna
non capisce: cosa diavolo significano le sue parole? Non c’è alcun senso in
quella frase, nessuna logica. Eppure anziché corrergli dietro le sue gambe
cedono e lei cade in ginocchio mentre il freddo la avvolge e all’esterno il
sole ha lasciato posto alle nuvole. Luca ormai era andato via per sempre…
«Dorme?»
chiese Boni con preoccupazione notando il volto contratto della ragazza.
«Sì:
è da giorni che non chiude occhio… è solo stanca e questa notizia è stata il
colpo di grazia…» lo rassicurò Elena «Lasciate che si riposi, almeno per un po’:
con il giorno penseremo al da farsi» e anche a lei scappò uno sbadiglio.
«Forse
è meglio se anche tu facessi qualche ora di sonno, amore» le disse Alessandro
stringendola da dietro «Vieni: ti accompagno a casa…»
«No…
se non ti dispiace preferirei che qualcuno rimanesse qui con lei… io ce la
faccio a guidare, non preoccuparti…» e detto ciò salutò Ale con un bacio per
non permettergli repliche, gli altri con un cenno di mano ed andò via.
Un
secondo sbadiglio la colse mentre camminava verso la macchina: quella mattina
aveva dovuto parcheggiare un po’ più lontano e le sue gambe sembravano quasi
cedere sotto il peso del corpo che continuava a muoversi solo per inerzia.
Poi
qualcosa la prese da dietro, troppo rapido perché potesse difendersi in qualche
modo o, solamente, capire cosa fosse. Un grossa mano premette sulla sua bocca
soffocandole un grido in gola e l’uomo – perché era un uomo che l’aveva
aggredita – la sollevò di peso spingendola in uno stretto vicolo nonostante
l’ispettrice tentasse di divincolarsi per sfuggirgli in qualche modo.
«Sta
calma! Maledizione, fermati: non ho alcuna intenzione di farti del male!» gli
disse la voce con tono duro e leggermente frettoloso.
Elena
comprese che in ogni caso sarebbe stato meglio fare come diceva; si fermò ed attese
di sentire di nuovo quella voce.
«Il
vostro capo è in pericolo: il commissario Benvenuto ha bisogno di voi!» le
disse allentando la presa sulle sue labbra.
«Come…?
Che ne sai tu di…? Ma che cosa sta…?» farfugliò quella sorpresa.
«Non
c’è tempo per le spiegazioni ora!» la bloccò lui brusco «Controlleranno ancora
l’identità di Luca: stavolta hanno il suo sangue! Devi farlo sparire, almeno
dall’archivio della polizia: non deve esistere o sarà tutto perduto! Muoviti:
potrebbe già essere troppo tardi!» e detto ciò la lasciò andare sapendo che non
si sarebbe voltata per vedere chi fosse.
Infatti
Elena cominciò a correre scordandosi persino della stanchezza che pochi istanti
prima le stava facendo strisciare i piedi per terra; in una mano il cellulare
già aperti, nell’altra le chiavi dell’automobile. Appena fu dentro digitò
rapida le 10 cifre e mesi in moto.
«Pronto?»
chiese una voce stanca dall’altra parte delle conversazione.
«Maggiore
Patrizi? Sono Elena Argenti: ho bisogno del suo aiuto. E accora in ufficio?»
«Sono
appena uscito… ma di che si tratta?»
«Di
Luca: è nei casini e noi dobbiamo farlo sparire dagli archivi. Rimanga lì sto
arrivando»
«Ma
cosa…? Farlo sparire?»
«Sì,
almeno dagli archivi della polizia! Ed il prima possibile: potrebbero aver già
fatto i dovuti controlli…» e a quel pensiero una morsa le avvolse lo stomaco.
«Corro
subito e comincio a disporre il tutto: lei si sbrighi ad arrivare!»
La
comunicazione si interruppe in quel brusco modo e da entrambi le parti rimasero
bloccate parole di terrore e reciproco contorto che in quel momento entrambi
cercavano di ripetersi senza avere il coraggio di crederci davvero e di usarle
per l’altro.
Era
solo nella stanza, solo con il suo portatile e le apparecchiature per
l’estrazione del DNA sulla grande scrivania. Seduto sul letto con le mani nei
capelli si chiedeva dove avesse sbagliato, perché gli fosse tanto difficile eseguire
quell’ordine, perché fosse così affezionato a quel ragazzo di cui, in fondo,
non sapeva praticamente nulla.
Debole. Debole e
sentimentale! si
ripeteva come fosse un’accusa, ma ogni volta che tentava di alzarsi per
accedere il pc e cominciare la ricerca qualcosa lo fermava: la paura di sapere
la verità era troppo forte perché se fosse stato come Giulio aveva supposto,
allora tutto sarebbe finito; in un modo o nell’altro sarebbe finito.
Mandò
a diavolo tutte le esitazioni ed accese il pc, che lasciò a caricare, ed la
sofisticata macchina che avrebbe a breve sentenziato la condanna di colpevole o
innocente: pensare non gli aveva mai fatto bene da quel giorno; perché avrebbe dovuto aiutarlo ora?
Mise
il campione di sangue prelevato nel macchinario ed attese i pochi istanti che
servivano per estrazione del DNA; quando il processo fu completato si mise a
pc. Non ci volle molto a forzare le banali – almeno per lui – difese
dell’archivio della polizia: al suo tempo era stato un ottimo programmatore di
computer ed un ottimo hacker. Digitò rapido l’ordine di controllo incrociato
con il DNA anonimo ed attese cercando di non pensare a nulla e tenendo gli
occhi incollati allo schermo come per poter velocizzare il processo.
Per
un attimo il pc sembrò aver trovato qualcosa; poi, però, la schermata scomparve
e ne uscì un’altra vuota sulla quale una riga recitava: “Nessun risultato.
Campione incompatibile.”
Non
seppe se tirare un sospiro di sollievo o meno: cosa era successo? Perché
quell’improvviso cambiamento? Un semplice calo di corrente? Ripeté il
confronto, ma il risultato fu lo stesso, il che non fece altro che
impensierirlo ancora di più: cosa c’era davvero sotto?
Non
restava altro che chiederlo ad diretto interessato e farlo il prima possibile.
Chiuse
il pc ed uscì dalla cella. In breve arrivò a quella di Marco: fortunatamente
non vi era nessuno all’interno e la porta era appannata. Il rumore metallico
che provocò la sua apertura fece muovere lieve il sudato ragazzo che pallido
aveva sul volto un’espressione di puro dolore.
«Anna…»
sussurrò – doveva sognare - «… non è colpa tua… è tutto a posto… sto… bene…»
Anna.
Quel nome colpì Davide come un macigno dritto sulla testa: lo aveva già sentito
di recente. Rimase in silenzio per qualche istante intento a scavare nella
memoria e dopo poco estrasse quel nome. Lo aveva pronunciato un agente durante
il blitz rivolto verso una ragazza che aveva preso a seguire alcuni degli
uomini in nero, armata. Una poliziotta anche lei.
Coincidenza?
Paranoia? Poteva essere solo quello? No. Ormai Davide aveva capito ogni cosa e
in fondo una parte di lui aveva già capito prima del confronto: lo strano
comportamento che in alcune occasioni aveva avuto il ragazzo fino ad ora non
avevano significato nulla, ma alla luce di questi nuovi indizi, di queste nuove
“coincidenze” tutto sembrava pericolosamente quadrare.
«Maledizione!»
si trovò ad urlare. Ora sapeva… sapeva come era andato tutto… sapeva che Marco
non era mai esistito…
Lo spazio dell’autrice
Salve a
tutti e mille auguri di buon anno!! (si lo so che sono in ritardo… -.-‘’’).
Ancora
una volta sarete costretti a sorbire le mie patetiche scuse x quest’enorme
ritardo! Credevo che con l’arrivo delle vacanze natalizie sarei stata più
rapida, ma mi sbagliavo… ^^’’’’
Allora
cosa ve n’è parso di questo capitolo?? Ormai è inutile che io vi dice che a me
non piace proprio… Luca si è messo davvero nei casini stavolta, eh?? E Giulio è
stato davvero molto astuto… anche se il ferimento del commissario non era stato
affatto programmato. Anna continua a non stare bene ed il fatto che abbia
ferito lei Luca di certo non l’aiuta per nulla…
Devo dire
che questi capitoli stanno venendo fuori dal nulla, senza che io li programmi e
ciò mi rallenta un po’…
Intanto
ringrazio i miei angeli:
Uchiha_chan
spero vivamente che anche oggi tu sia di buon
umore così da perdonare il mio ritardo… XD Se mai dovessi risultare pesante
basta dirlo e tenterò di alleggerire la cosa… ma solo felice che per ora tutto
ti sembri a posto. Onorata di essere riuscita a farti apprezzare una ff sui telefilm
^^ e spero che anche stavolta sia valsa la pena di aspettare! Un bacio…
Tinta87 Non preoccuparti assolutamente x il ritardo… in
fondo guarda me che vi ho fatto aspettare tre settimane!! Sono felicissima che
lo scorso chappy ti sia piaciuto!! E scusami tanto x l’ansia e il finale da
cardiopalma… Come avrai capito è stato proprio Luca a ferirsi… Mille grazie x i
tuoi complimenti… e sono felice di riuscire a coinvolgerti così tanto!! *me
onoratissima!* un grosso bacio e alla prossima! Attendo con ansia gli
aggiornamenti della tua ff di Distretto!!!!
Dani85Spero che anche stavolta il ritardo sia
perdonato!! Beh il non lasciarti in ansia è una delle mie doti migliori… e sì:
come avrai capito il colpo se l’è preso proprio Luca e Anna… tra poco (al 99%
il prossimo capitolo) saprai cosa vi nascondo ( e allora mi manderai a quel
paese xk la delusione sarà tantissima…) Don’t worry: Luca – in un modo o nell’altro
– ne esce… Mille grazie x i tuoi immancabili ringraziamenti e che te ne pare
dei nuovi guai?? Vbb un grosso bacione… e ribadisco: non sei assolutamente
pazza!!!
Barby_19-^^- sono contenta che la storia continua a
piacerti e a tenerti incollata allo schermo, mille grazie x i tuoi complimenti
e perdona il mio ennesimo enorme ritardo!!! Che ne dici di questo?? Piaciuto l’incipit
in corsivo?? X ciò che succede ad Anna con molta probabilità si chiarirà tutto
il prossimo capitolo. Mi spiace dirti che è stata proprio lei a sparare a Luca
e sono strafelice che tu mi abbia incitato con un ulteriore recensione!!!!!!
Mille grazie ed ancora scusa x il ritardo!! Le tue storie mi piacciono molto
anche se non ho avuto ancora modo di leggere l’ultima che hai pubblicato… A
presto. Un bacione.
LyrapotterEh sì: con il lavoro che fanno al X è normale
che siano sempre a rischio… però diciamo che anch’io mi ci metto d’impegno…
Hihihi… Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, soprattutto lo
scontro tra il X e i men in black! Beh
con molta probabilità sì: sono sadica, almeno in questa ff, visto che Anna ha
sparato proprio a Luca… X i problemi ad Anna tutto verrà chiarito molto probabilmente
nel prossimo capitolo, ma non ti aspettare granché: ho paura che deluderò tutti!!
Spero davvero che questo capitolo ti sia piaciuto! Alla prossima, un bacio…
Luna95^^ Allora siamo in due ad essere in ritardo…
non farti alcun problema tesoro mio!! Piuttosto perdonami x la lunga attesa! Mille
grazie x i complimenti ed ecco finalmente risolto l’atroce dubbio: sì, è stato
Luca ad essere colpito!! Sadica, eh? Vbb spero che il chappy ti sia piaciuto!
Alla prossima, un bacio…
Il
prossimo capitolo, intitolato IL BENE E IL MALE, vedrà finalmente alcuni
chiarimenti come, molto probabilmente, quello della situazione di Anna ed io ho
una paura terribile che vi deluderò tantissimo e che tutto sarà una grande
stronzata e voi mi manderete a quel paese… insomma sono terrorizzataaaaaa!!!
Voglio anche informarvi che ormai siamo alla fine e che il prossimo dovrebbe
essere il terzultimo… Felici eh??? Vbb alla prossima!! Un grosso bacione e
grazie a tutti i lettori silenziosi (anche se un commentino farebbe sempre
piacere ^^). Kisses.
Chi può decidere
cosa sia giusto o sbagliato? Chi può sapere dove risieda il bene e dove il
male? Ogni cosa, in questi due frangenti, è puramente soggettiva. Ciò che per
uno è sbagliato per un altro potrebbe risultare, al contrario, giusto e nessuno
dei due avrebbe torto o ragione.
Un proverbio
dice: “La
verità sta nel mezzo”, dunque tra bene e
male? E se si trova nel mezzo come fare a seguirla?
Né
bene, né male; né carne, né pesce… nulla…
Bisogna agire
come meglio si crede… ciò vale, anche se significa tradire tutto ciò a cui si è
stati devoti per quasi un anno?
Troppe domande e
nessuna certezza. Il dubbio sa uccidere molto più di mille parole; l’inattività
rende pazzi e la pazzia è la fine di tutto.
Quindi, giusta o
sbagliata che sia, bisogna prendere una decisione ed accettarne tutte le
conseguenze senza alcun ripensamento.
Una
risata amara.
A parole sembra
tutto di una facilità assoluta, ma quando si viene ai fatti è tutta un’altra
cosa e, dunque, di nuovo il dubbio ed il tormento. Che fare?
Davide
tremava come poche altre volte in vita sua. L’alba era ormai sorta e lui era
rimasto tutto il tempo lì a fissare il disturbato riposo di un dolorante Marco
senza fare nulla, senza dire nulla; nonostante ormai sapesse la verità.
Un
rumore sordo lo riportò alla realtà: qualcuno aveva aperto la porta ed era
dietro di lui. Sussultò quando la voce di un uomo ruppe il silenzio.
«Riposa
ancora?» chiese quasi senza espressione Hector.
Davide
si limitò ad annuire perché se avesse parlato, la voce avrebbe sicuramente – e
in realtà inspiegabilmente – tremato.
In
quel momento Marco voltò il capo verso i due uomini in piedi e con un’immane
fatica sussurrò il nome di Hector.
«Ci
scuseresti qualche istante?» chiese, sempre con la stessa tonalità, l’uomo
chiamato in causa.
Davide
lo guardò per qualche istante, poi annuì con volto teso ed uscì.
Mauro
si gettò al capezzale di Luca con uno slancio non indifferente ed un sorriso
tirato si fece forza sul suo viso quando vide il verde dello sguardo
dell’amico.
«Ma
che scherzi sono questi?» sussurrò per sdrammatizzare quella strana e alquanto
sconosciuta situazione.
Anche
Luca tentò di sorridere, ma con minore successo.
«Come
vanno le cose qui?» chiese con grande sforzo.
«Ancora
bene, almeno per ora… anche se “siamo allarmati dalla situazione”: insomma una
cosa simile non era mai accaduta… “bisogna” fare presto ora, prima che le cose
si aggravino e si corra il rischio “di non poter più tornare indietro”…»
Luca
annuì: la facilità con cui Mauro gli aveva spiegato la situazione, nonostante
solo un muro li separasse da Davide, era sorprendente e dimostrava ancora una
volta quanta esperienza avesse maturato in quel lavoro. Un’esperienza di vitale
importanza, che lui non aveva.
Annuì
e chiuse gli occhi: il fianco gli faceva male da impazzire.
«Tieni
duro ancora un po’» lo incoraggiò Mauro con un’enfasi che non era certo di
Hector «Tra poco andremo via di qui»
«Quando?»
chiese Luca ravvivato da quelle ultime parole: possibile che si stesse davvero
per concludere ogni cosa?
«Subito
dopo l’operazione delle donne: i capi hanno deciso che sarà l’ultimo colpo, poi
andremo via. “Abbiamo dovuto affrettare ogni cosa”» disse poi e anche questa
volta non fu difficile cogliere il secondo significato della frase.
«Hector?»
Una
voce interruppe i due. L’interpellato si voltò e vide William che lo attendeva
sulla porta.
«È
ora di andare» lo informò serio, poi il suo sguardo cadde sul ferito «Marco…
come va?»
«Potrebbe
andare peggio: potrei essere morto… Piuttosto mi dispiace: ho rovinato tutto…»
Il
volto di William cambiò velocemente espressione più volte: ad un improvviso e
fulmineo stupore, si sostituì una faccia quasi sorridente e poi una seria, come
se Marco avesse detto qualcosa di assolutamente sbagliato.
«Non
dire stupidaggini! Non è stata affatto colpa tua! Piuttosto riposati: andremo
via di qui il prima possibile» lo rassicurò uscendo con Hector e lasciandolo
solo nella cella.
Fuori
Davide era appoggiato con la schiena contro il muro umido del corridoio.
«Hai
già fatto ciò che ti era stato chiesto?» gli domandò il capo.
Un
brivido attraversò la schiena dei due uomini accanto al capo. Cosa sarebbe
successo ora? Chi avrebbe parlato? E soprattutto cosa sarebbe stato detto?
«Sto
provvedendo…» disse Davide controllando stranamente la voce «… ma non ho ancora
ottenuto risultati» e in parte non era una bugia: non sapeva che cosa fare… non
ancora.
Aveva
bisogno di accertarsi che ciò che aveva scoperto fosse vero e… parlare con
Marco.
Il
capo annuì e si allontanò; Mauro tirò un respiro di sollievo e lo seguì,
lasciando comunque a malincuore la cella di Luca: in fondo, però, sarebbe
finito tutto presto.
«E
non sai chi fosse… giusto?» chiese Alessandro con ancora un po’ d’ansia nella
voce, quando Elena concluse il suo lineare racconto “dell’aggressione” che
aveva – almeno lo speravano con tutto il cuore – salvato la vita di Luca.
Elena
annuì: in tutta l’agitazione del momento non si era di certo voltata per vedere
chi fosse il suo “aggressore/salvatore”.
«Ma
come poteva…? Insomma che ne sapeva lui di tutto questo?» chiese agitato.
Nessuno
era in grado di rispondergli; Anna non riusciva neanche a parlare: la
consapevolezza di quanto Luca stesse rischiando – e, soprattutto, del fatto
che, almeno in parte, fosse colpa sua – la opprimeva sempre più…
«Noi…
noi dobbiamo tirarlo fuori di lì! Basta: ciò che ha visto, ciò che ha scoperto…
ciò che ha rischiato è più che sufficiente! E se anche non lo fosse, non mi
importa! Deve andare via… non può più rimanere lì!»
Le
parole uscirono dalla sua bocca istintive: erano quello sfogo dell’anima che la
freddezza e la razionalità della mente avevano sempre bloccato, lasciandolo
trasparire solo da qualche lacrima. Non le importava cosa avrebbero detto i
suoi colleghi, se l’avrebbero considerata una bambina capricciosa o troppo
emotiva per resistere a quella situazione o, anche, per fare quel mestiere. Ora
voleva solo Luca accanto a lei.
«Chiamo
la DIA e chiedo
informazioni… faccio il prima possibile, scusate» disse Ale sorprendendo Anna
che – ora si rendeva conto di quanto fosse stata stupida – si era sorpresa a
quell’esclamazione.
«Presto
sarà qui» le disse Elena e lei sorrise.
Alessandro
digitò rapido il numero di Patrizi: l’ultima volta li aveva aiutati… forse
avrebbe potuto fare qualcosa anche in questa situazione.
«Pronto?»
«Patrizi?
Sono Berti, del X…»
«Ah,
Berti: mi dica»
«Abbiamo
bisogno del suo aiuto: noi… dobbiamo tirare fuori dall’organizzazione Luca…»
Il
silenzio scene in quella telefonata.
«Si
rende conto di ciò che mi sta chiedendo? Il suo commissario è in una pericolosa
operazione sotto copertura: non posso fare improvvisamente irruzione lì,
comprometterei tutto!»
«Ma
è già tutto compromesso!» urlò Alessandro «In questo momento Luca potrebbe
essere morto!»
«Lei
non si preoccupi» disse all’improvviso Patrizi con una strana calma nella voce
«Si risolverà tutto per il meglio, mi creda»
«E
come? Ha forse la sfera di cristallo?» disse l’ispettore sarcastico.
«No…
ora… devo andare! La chiamo il prima possibile e le faccio sapere…»
«Ma…
cosa…?» Alessandro non riuscì a finire la domanda che il suono ad intermittenza
del telefono gli segnalò che Patrizi aveva riattaccato.
Rimase
per alcuni istanti interdetto, fissando il display del cellulare.
«Allora?»
chiese Elena incuriosita dall’espressione del compagno.
«Io
gli ho detto che con molta probabilità stanno per fare fuori Luca – se non è
già accaduto –… e lui mi ha risposto che si risolverà tutto per il meglio e che
non devo preoccuparmi» rispose l’ispettore ancora shoccato.
Elena
sgranò gli occhi.
«Ma
che diavolo di risposte sono?» chiese improvvisamente infuriata.
«Non
lo so… ma non possiamo fare altro che aspettare notizie che, mi ha detto, ci
farà avere il prima possibile»
«Come?»
Alessandro
scosse di nuovo la testa: non c’era alcuna certezza in quella situazione.
Mezz’ora.
Gli era servita mezz’ora per trovare la forza – e il coraggio? – per affrontare
la verità ed ora il suo cuore batteva all’impazzata. Perché ormai era
praticamente inutile, e soprattutto sciocco e patetico negare a se stesso che
faceva male saperlo una spia, che gli si era affezionato, che gli ricordava in modo terribile suo figlio Pietro…
«Divertente,
non trovi? Essere colpito da qualcuno che ritieni tuo amico?» cominciò con voce
sorprendentemente sicura.
Luca
aprì gli occhi e li puntò sull’uomo: non capiva ciò di cui stava parlando, o
meglio, capiva, ma non voleva credere che fosse arrivata la fine di tutto.
«E
pensare che questa cosa è capitata ad entrambi! Che sciocchi!»
«Non
capisco di cosa tu stia parlando» disse Luca a fatica, sicuro che ormai non
poteva porre rimedio alla situazione in alcun modo.
«Tu
sei stato colpito da uno dei tuoi colleghi poliziotti, durante il loro blitz ed
io sono stato tradito dall’unica persona nell’organizzazione per la quale ho
provato un qualche sentimento d’affetto: tu!»
A
quel punto Luca capì che era davvero tutto finito: Davide era stato astuto,
aveva aspettato che tutti andassero via, che Hector andasse via e poi lo aveva
messo alle strette senza dargli alcuna possibilità di scapo.
«Quello
che mi fa davvero male è che io mi sono fidato di te! Ti ho preso sotto la mia
ala per i primi tempi, quando eri seguito giorno e notte, quando nessuno si
fidava di te ed erano indecisi se farti fuori o meno! Mi sono affezionato a te,
ti volevo bene! Per un istante ho persino creduto di aver ritrovato…» poi si
bloccò rendendosi improvvisamente contro di essere andato troppo oltre con le
parole.
«Aver
ritrovato… chi?» chiese Luca forse per guadagnare tempo o, più semplicemente,
per quella strana curiosità che prende, senza alcun tempismo, pochi istanti
prima della morte, come se ogni cosa chiesta, ogni informazione guadagnata
potesse avere un più grande, immenso valore perche ricevuta negli ultimi
istanti della propria vita.
Davide
lo guardò. Cosa poteva interessargli della sua vita? Dopo tutte le menzogne che
gli aveva detto non aveva alcun diritto di fargli domande.
«Mio
figlio» sussurro, invece ,contro ogni pensiero prima formulato e si rese conto
che, per quanto lo odiasse, si sentiva meglio parlandogli, raccontandogli cose
di cui nessuno sapeva nulla.
Luca
lo guardò: davanti a se non vedeva altro che un uomo logorato dal dolore, un
uomo senza alcuna speranza, che gli si era aggrappato con molto più bisogno e
disperazione di quelli che immaginasse e che lui aveva brutalmente tradito. Si
sentì un vigliacco, un verme e provò quasi disgusto per se stesso.
«Aveva
20 anni … una vita davanti a sé; diceva di voler fare il dottore, di voler
aiutare la gente ed aveva cominciato a studiare nell’Università di Medicina qui
a Roma. Sembrava andare tutto bene… e invece un bastardo ha rovinato tutto!
Pietro quella mattina era in banca, stava semplicemente pagando una bolletta,
quando un folle è entrato armato e li ha presi in ostaggio. Voleva quanti più
soldi possibile e scappare via e per farlo prese in ostaggio una donna incinta;
ovviamente Pietro si sentì in obbligo di aiutarla e così si gettò sul
malvivente. Il colpo che partì dalla pistola lo prese in pieno petto: morì
prima di giungere in ospedale; quel bastardo, invece, riuscì a scappare. Da
quel giorno mia moglie cadde in una profonda depressione che la portò via in
pochi mesi. Rimasi solo, contro l’uomo che aveva distrutto la mia vita…»
«Ma
la polizia…» azzardò Luca, ma Davide lo fulminò con uno sguardo.
«La
polizia?!» urlò «Mi chiedi dove fosse la polizia?! Per le prime settimane fece
finta di cercare l’assassino di Pietro, poi si dimenticò completamente di quel
caso… Ma in fondo non è così che va sempre? Provate per un po’ a vedere se
riuscite a risolvere la situazione, poi vi scocciate e lasciate perdere, come
se fosse solo tutto un gioco da buttar via quando vi annoia. Tanto quelli morti
o sofferenti sono altri, non certo voi!»
«Ti
sbagli!» urlò Luca ritrovando nella rabbia per quelle parole un po’
dell’energia perduta «Non è così, non è affatto così!»
«Ah,
no? E allora spiegami perché l’assassino di mio figlio è ancora libero e
impunito; spiegami perché, dopo le prime visite, i poliziotti che mi avevano
promesso giustizia le hanno provate tutte per sfuggire ai miei incontri, fino a
minacciarmi con provvedimenti legali se non avessi concluso una volta per tutte
quella “persecuzione”! Avanti: trovami una spiegazione sensata a questi atteggiamenti
Marco!» poi si bloccò preso per qualche fulmineo istante da un pensiero «In
realtà non so neanche il tuo vero nome…» concluse con voce improvvisamente
afflitta, come se fosse una gravissima mancanza.
«Luca,
mi chiamo Luca…» disse il commissario con difficoltà; si fermò per riprendere
fiato: quella strana discussione lo stava davvero sfinendo.
«Non
siamo tutti così» rispese poi «Non posso negare che i poliziotti che hai
incontrato siano stati superficiali e non abbiano fatto il loro dovere, ma tu
non puoi fare di tutta l’erba un fascio: io e i miei uomini, ad esempio,
facciamo quant’è possibile per assolvere ai nostri doveri e non è raro che
qualcuno rischi anche la vita… Ho visto alcuni colleghi, alcuni amici andar via
per sempre, mentre cercavano di portare alla luce la verità…»
Davide
lo guardò con strano interesse: ammirava il modo in cui si stava difendendo da
quelle accuse e aveva quasi dimenticato il suo tradimento.
«Perché
sei finito così?» chiese all’improvviso il ragazzo e stavolta l’interesse
nasceva sicuramente dall’affetto che, nonostante tutto, in quei mesi lo aveva
legato a Davide; perché lui non riusciva a celare le sue emozioni o annullarle
come faceva Hector e poi… lo aveva sempre saputo che Davide era diverso dagli
altri dell’Organizzazione…
«Dopo
la morte di Pietro e di mia moglie, sono rimasto solo… inizialmente mi sono
aggrappato alla speranza di prendere quel bastardo, poi, quando anche quella è
venuta meno, mi sono semplicemente sentito perso. La depressione ha colto anche
me per alcune settimane; poco tempo, certo, ma sufficiente per farmi perdere il
posto di lavoro. Facevo il programmatore di computer, sai? Ma dopo il
licenziamento non sono riuscito più a trovare un lavoro. Avevo bisogno di
soldi, ero sul lastrico e così ho fatto fruttare le mie conoscenze e da
programmatore sono diventato un Hacker. Non facevo male a nessuno, in verità:
toglievo pochi soldi – quelli necessari per andare avanti – dai conti di quelli
che neanche si accorgevano della perdita. Per loro erano spiccioli, per me la
vita. La fortuna – o sfortuna, non so bene come chiamarla – si è fatta avanti
quando ho arrotondato il conto di un uomo dell’Organizzazione: William. Sono un
abile Hacker, ma anche gli uomini che allora erano al suo servizio non erano principianti
e in pochi giorni riuscirono a trovarmi. Ignaro di tutto, mi trovai con quattro
pistole puntate alla testa ed una proposta: entrare a far parte della “banda”,
la mia esperienza poteva tornare utile ai capi».
«E
non avevano torto…» convenne Luca riportando entrambi alla realtà della
situazione: un uomo che aveva scoperto una talpa nell’organizzazione a cui era
devoto.
«Conosco
la verità da ore» riprese Davide «Ma i tuoi colleghi sono stati bravi: non so
come tu abbia fatto, ma sei riuscito ad avvertirli in tempo perché è stata una
questione di attimi e tutti i dati sul tuo conto sono spariti»
Il
commissario sorrise: ancora una volta era vivo solo grazie all’intervento di
Mauro, ancora una volta il destino gli dava l’opportunità di capire che non era
affatto pronto per missioni del genere.
Per quanto
ancora vorrai ignorare questi avvertimenti? si chiese, poi si rese conto di
quanto quell’osservazione fosse sciocca: lui
non aveva più tempo.
«A
quest’ora tu non dovresti essere neanche più qui» continuò l’uomo.
«E
perché invece ci sono?» chiese Luca con finta ingenuità.
Davide
fece cadere ancora una volta il suo sguardo sul “compagno”: più osservava i
suoi atteggiamenti, più ascoltava le sue parole e più gli sembrava di aver di
fronte suo figlio. La stessa sfacciataggine di fronte ai problemi, lo stesso
atteggiamento sicuro di se che in realtà nasconde molte più preoccupazioni di
quante non ne dimostri, e soprattutto, la stessa furbizia e dote di
ragionamento che rendeva entrambi brillanti e carismatici. Era stato questo ad
attirarlo, all’inizio, verso quel novellino che poteva finire davvero male
senza un aiuto ed era questo che ora gli impediva di essere coerente con se
stesso e fare la cosa più logica.
Non esiste un
bene o un male oggettivo… bisogna agire come meglio si crede facendo in modo di
poter convivere con le proprie scelte… rammentò.
«Sei
qui perché io non voglio essere l’assassino di mio figlio… Se decretassi la tua
morte, farei la cosa più giusta per l’Organizzazione, ma ucciderei me stesso: non
posso sopportare di perdere di nuovo mio figlio, Luca; non posso. E poi ormai è
tardi: presto saranno qui»
Lo
sguardo di Luca si animò di entusiasmo e preoccupazione.
«E…
e tu cosa… ne sai?»
«Se
sanno che sei ferito e che ci sono possibilità che ti abbiano scoperto, non
tarderanno ad arrivare: ormai è questione di minuti. È finito tutto e, a dirti
la verità, non mi dispiace: non è questo che volevo fare…»
«Ma
cosa diavolo stai dicendo? Che fine ha fatto tutta la tua determinazione?» urlò
il commissario improvvisamente preoccupato per Davide.
«In
fondo io sono già diventato l’assassino di mio figlio… l’assassino dei figli e
delle figlie di molti padri; ma prima di incontrare te non m’ero mai reso
conto. Tu mi hai fatto riflettere davvero dopo molto tempo e te ne sono grato.
Ora è tempo che mi fermi, che tutti si fermino e mettano fine a questa scia di
sangue… abbiamo fatto male a molti e bisogna che paghiamo…»
«No
no, smettila!» gridò ancora Luca «Tu non c’entri
nulla con loro! Tu non sei cattivo, non hai fatto nulla di male… tu puoi ancora
salvarti! Va via di qui e ricomincia una nuova vita: fa tesoro di queste
esperienze e trova la serenità che meriti!» continuò in quello che, più che un
grido, sembrava un gemito di dolore disperato.
L’uomo
sorrise all’ingenuità del ragazzo.
«Non
è possibile, Luca: mi sono spinto troppo oltre per poter tornare indietro e, se
anche cominciassi d’accapo, ci sarebbe un intero passato a separarmi dal mondo.
Non credere che io non abbia la mia parte di responsabilità, che non abbia
fatto il mio male».
Luca
non sapeva cosa dire: improvvisamente avrebbe voluto che Davide non fosse lì,
che i suoi colleghi non lo arrestassero. Si era affezionato a quell’uomo in un
modo che, fino a quel momento, neanche lui aveva compreso a pieno ed ora
saperlo in carcere gli faceva davvero male. Perché era riuscito a leggere nel
suo cuore e sapeva quanto fosse diverso dagli altri, quanta responsabilità il
destino aveva nelle sue colpe e, soprattutto, era sicuro che il male che aveva
fatto aveva dilaniato anche lui, che aveva passato notti in bianco ripensando
ai genitori e parenti che non avrebbero più visto le loro figlie e i loro
figli… Non era giusto che pagasse le stesse colpe di coloro che avevano fatto
del male con consapevolezza, solo per profitto personale…
«Non
straziarti con inutili pensieri, Luca: ormai non c’è più nulla che tu possa
fare… ma sono felice: finalmente tutto questo è finito, solo libero e
soprattutto, per la prima volta, ho fatto la scelta giusta»
Quando
Davide smise di parlare Luca poté sentire in lontananza il ritmico rumore di
sirene che si avvicinavano e comprese che, finalmente, stavano venendo a
prenderlo. Poi i rumori si fecero ovattati, tutti parve annebbiarsi e l’ultima
cosa che vide fu un sorriso sincero sul volto di Davide e sentì che con
delicatezza lo faceva scivolare sul letto della cella. Poi il nero lo
avvolse.
Due
uomini sostavano nel corridoio dell’ospedale, intenti in una fitta
conversazione.
«È
stato davvero bravo, Belli: grazie a lei abbiamo preso tutti i membri
dell’Organizzazione e anche e gli emissari del boss a cui erano destinate le
ragazze»
«Ed
ora come stanno?»
«Bene.
Sono un po’ scosse, hanno qualche graffio e sono un po’ disidratate e denutrite,
ma sostanzialmente stanno bene»
«Riusciranno
a superare tutto questo?»
«Sì…
credo di sì» poi l’uomo della DIA sorrise «Da quanto le interessano queste cose?»
Mauro
lo gelò con uno sguardo al quale, nonostante lavorasse con la DIA da anni, l’uomo non si era
ancora abituato: vedeva tutta la rabbia, il dolore e la tristezza che poteva
provare un uomo e rabbrividì al solo pensiero di come potesse sentirsi.
«Il
commissario?» chiese Mauro con voce seria, cambiando argomento.
«È
in sala operatoria: i dottori hanno detto che la ferita non è grave, ma che ha
perso molto sangue. Ah, visto che ha introdotto l’argomento, deve andar via
prima che si svegli…. Non avrebbe dovuto neanche vederla, ma di questo mi
occuperò io…»
«Che
intende?» fece quello con voce palesemente minacciosa.
«Oh,
non faccia cattivi pensieri! Quando l’operazione sarà terminata e Benvenuto si
sarà svegliato, gli spiegherò la situazione: non avrà scelta che stare in
silenzio»
Come tutti del
resto… con voi nessuno ha scelta… pensò Mauro; poi una seconda ipotesi su
ciò che quell’uomo avrebbe potuto fare lo pervase ancora più violenta della
prima.
«Tornerà
alla sua vita, vero?» chiese con voce ugualmente minacciosa «Non interverrete
nella sua vita, come avete fatto con me, giusto?»
L’uomo
sorrise, un sorriso strafottente e quasi sdegnoso, che irritò l’ex ispettore.
«Oh,
Belli: lei parla di noi quasi come esseri divini aventi poteri supernaturali…
Non abbiamo di certo il potere di governare il destino altrui… Siamo semplici
esseri umano, dopotutto…»
«Ah,
davvero? Non l’avete? Eppure mi sembra che, con la mia vita, tale potere ve lo
siate arrogato senza alcuno scrupolo! Quindi, per favore, ora non faccia la
faccia d’ignaro santarellino e mi assicuri che Luca tornerà alla sua vita!»
«Le
abbiamo già spiegato che il suo caso era completamente diverso: la sua
esperienza, il suo coraggio e le sue precarie condizioni di vita del momento
hanno reso il nostro intervento facile quanto necessario; inoltre avevamo
bisogno di una persona come lei. Con Benvenuto non sarà lo stesso»
Mauro
annuì con fare meccanico alle – ormai monotone – spiegazioni fornitegli dalla
DIA sul suo caso e fu rassicurato solo quando sentì che tutto sarebbe andato
come doveva.
Poi
senza dire nulla si voltò e andò via: aveva sperato, nonostante tutto quello
che aveva detto a Luca, aveva sperato che stavolta le cose sarebbero andate in
modo differente, ma ora si rendeva conto che era stato semplicemente un illuso.
L’uomo
della DIA si sedette su uno dei seggiolini del corridoio ed attese che la luce
della sala operatoria si spegnesse.
Il
buio lo avvolgeva, si sentiva soffocare come se fosse in mare aperto e le onde
lo trascinassero giu. Seduta sul fondo
del mare… gli aveva detto una volta Giulia, il suo ex commissario, quando
era miracolosamente sopravvissuta ad un proiettile che le aveva trafitto il
petto. Ora comprendeva in pieno quelle parole: la sensazione era proprio quella
e poi… come se qualcuno ti tirasse su per i capelli e la luce del mondo
esterno, una volta fuori, ti trafiggesse gli occhi.
Si
svegliò, i suoi occhi rividero la luce della stanza bianca in cui si trovava e
riprese fiato, come se fosse davvero uscito da una lunga apnea subacquea.
Era
confuso, sentiva un fastidiosissimo cerchio alla testa e soprattutto non si era
mai sentito così stanco in vita sua: faceva fatica anche solo a respirare e gli
sembrava di poter svenire da un momento all’altro.
Ad
un tratto però, con uno sforzo enorme, riuscì a fare mente locale e a ricordare
cos’era successo: vedeva Davide che gli parlava, il suo sorriso e sentiva le
sirene delle vetture della polizia in lontananza…
Allora
doveva dedurne che ne era fuori? Che era tutto finito? Che finalmente era
libero? Un’assoluta felicità, un senso di leggera liberazione s’impossessò del
suo petto e gli parve di respirare improvvisamente meglio: tutto finito… ogni
cosa sarebbe tornata come prima…
Quella
liberazione, però, si trasformò improvvisamente in puro terrore: che fine aveva
fatto Davide? E soprattutto dov’era Mauro? Perché non era lì con lui?
Mentre
ancora la sua mente formulava tali pensieri, il suo udito percepì lo stridulo
rumore della porta della stanza che si apriva e sentimenti contrastanti lo
travolsero in modo tanto rapido che egli stesso non ne ebbe effettiva
concezione: al placarsi della paura per il pensiero che colui che aveva aperto
la porta fosse sicuramente Mauro, si sostituì, in poche frazioni di secondo,
una lampante delusione e un certo stupore quando i suoi occhi si resero conto
che colui che ora gli era di fronte non aveva nulla di simile al suo ex
collega.
L’uomo,
che sostava poco lontano dal suo letto, sfoggiava un rigoroso vestito nero ed
un irritante sorriso che – Luca n’era sicuro – non prometteva nulla di buono.
«Comprendo
il suo stupore: forse non sono la persona che si aspettava accanto al suo
letto, ma era necessario che fossi io il primo a vederla, caro commissario. Ci
sono cose urgenti di cui dobbiamo parlare senza alcuna interruzione esterna»
disse tutto d’un fiato ed il sorriso – scomparso durante le sue parole –
riapparve su viso spigoloso e lievemente pallido, forse stanco dell’uomo.
«Ma…
lei chi è?»
«Mi
perdoni, non mi sono presentato: il mio nome è Orlando di Melli,
sono un uomo della DIA»
«DIA?
Mauro…?» chiese in modo sconclusionato Luca.
«Perfetto:
vedo che introduce proprio lei l’argomento» disse quello con aria di finto
apprezzamento «Era proprio di questo che volevo parlarle: Belli sta bene ed ora
è tornato alla base. La pregherei, quindi, di non fare parola a nessuno della
sua presenza nell’Organizzazione, né della sua esistenza in generale: ne va
delle sue future missioni».
«Missioni
future? No, aspetti… Mauro ha una vita, una famiglia: lei, voi… non potete
strappargliele così, non aveva alcun diritto di farlo!»
L’uomo
sbuffò scocciato: ecco un’altra testa calda che voleva cambiare le cose quando
ormai erano già state stabilite senza alcuna possibilità di tornare indietro.
Che seccante scocciatura!
«Senta:
ormai ciò che è fatto è fatto e non si può tornare indietro, soprattutto dopo
tre anni! Inoltre – e queste sono parole dello stesso Belli – a lui sta bene
così. Perciò, anche e soprattutto a nome suo, le prego di restare in silenzio e
di fare come se nulla fosse accaduto: non vorrà procurare altro dolore oltre a
tutto quello che è stato già provato…» concluse di Melli
dando all’ultima frase una melodrammatica e falsa cadenza tragica, come se
davvero gliene importasse di ciò che provava Mauro; la verità era che non aveva
mai sopportato quell’uomo, troppo indipendente e poco rispettoso delle regole
per potergli essere simpatico.
Luca
non sapeva più cosa dire: alla fine, Mauro aveva fatto a modo suo, a nulla
erano valsi i suoi discorsi e la promessa di riportarlo indietro; era andato
via prima che lui potesse fermarlo ed ora doveva
tornare tutto com’era. Un grande e fastidioso senso d’impotenza lo travolse:
prima Davide e poi Mauro… non era riuscito a salvare nessuno dei due…
«Non
si stressi ancora con inutili pensieri: non serve a nulla. Piuttosto dovrebbe
essere felice: è tornato a casa, potrà rivedere i suoi amici, i suoi colleghi;
anzi, prima che mi dimentichi, provvedo ad avvisarli personalmente. Lei si
riposi: ha perso molto sangue, è debole».
Detto
ciò l’uomo uscì veloce dalla stanza, così com’era entrato senza, però, portare
via con lui il macigno di parole ed emozioni che ora opprimevano Luca:
quell’uomo si sbagliava, lui non era tornato, non sarebbe mai tornato… ora non
più…
Chiuse
gli occhi e si distese senza però riuscire a rilassarsi, mentre lacrime cominciavano
a rigare il suo viso.
Da
quando aveva risposto al telefono, il suo cervello era entrato praticamente in
tilt, come se non fosse più in grado di pensare. Le poche parole dell’uomo
impegnavano tutta la sua concentrazione perché ogni istante doveva ripetersi
che non le aveva immaginate, e che quello non era uno dei suoi tanti sogni, ma
la realtà, pura, semplice e spaventosa.
Salì
le scale in modo automatico, senza neanche rendersi conto di farlo e si fermò
cercando di comprendere gli strani segni affissi su ogni porta di quel lungo
corridoio.
«Stanza
103» gli sussurrò Elena che era riuscita a raggiungerla seguita da Alessandro e
Raffaele.
Numeri! Ecco cos’erano
quei simboli: numeri. Come se avesse assunto quell’informazione per la prima
volta, Anna riguardò i simboli sulle porte e cominciò a riconoscere le varie
cifre del sistema decimale.
87,
88, 89… era ancora lontana. Cominciò a correre facendo scorrere veloce lo
sguardo sui vari numeri, per paura di poter involontariamente superare la
stanza.
98,
99, 100… c’era quasi, mancavano poche stanze…
103.
Il cuore perse un battito: solo una semplice barriera di legno spessa poco più
di tre dita la divideva da Luca. Con lentezza aprì la porta, come se avesse
paura di disturbare l’inquilino della stanza e finalmente poté scorgere Luca:
il corpo coperto da un sottile lenzuolo, il volto stanco e forse un po’
pallido, i capelli, che al momento della partenza erano di media lunghezza, ora
erano tornati corti come prima e allo stesso modo la barba, che allora gli circondava
tutto il volto, ora si era ridotta solo intorno alle labbra rimaste rosse e
carnose. Era lui… era tornato… era lì davanti a lei, non stava sognando!
«Luca…»
sussurrò senza neanche rendersene conto ed il ragazzo aprì i suoi stanchi occhi
verdi che, con gesto inconsapevole, incontrarono quelli marroni
dell’ispettrice.
Entrambi
trattennero il fiato in modo istintivo come se avessero dimenticato – e in un
certo senso era così – quali sensazioni provassero a quell’incontro e in un
istante compresero che si capisce la reale importanza di una persona non quando
la si perde ma quando la si ritrova dopo tanto tempo…
Anna
non dovette neanche pensarlo – e forse fu meglio – e in un attimo fu tra le
braccia di Luca; si strinsero con foga nonostante nessuno dei due avesse le
forze necessarie per farlo, come per rassicurare il proprio cuore che fosse la
realtà e poi, finalmente, le loro labbra si ritrovarono in un connubio di
sensazioni nuove e vecchie, ritrovate forse proprio perché, in verità, non le
avevano mai perdute del tutto.
«Non
sai quanto ho aspettato questo momento… siamo finalmente entrambi qui».
«Ho
rischiato di impazzire…»
«Anch’io,
ma ora è tutto finito: staremo insieme… per sempre, non ti lascerò più!» le
promise Luca in un’esplosione di felicità.
Ad
Anna, però, quelle parole non fecero lo stesso effetto: si staccò
dall’abbraccio del compagno con sguardo sconvolto e stranamente vacuo.
«Che
c’è? Anna?»
La
ragazza non ebbe il tempo di rispondere che Elena, Alessandro e Raffaele
entrarono nella stanza.
«Luca!
Luca! Finalmente!» esclamò Elena stringendolo a se con le lacrime agli occhi
felice di riavere con se il suo commissario; poi fu il turno di Alessandro e
Raffaele che, anche se non furono allo stesso modo espansivi, mostrarono
comunque tutta le felicità di aver ritrovato un collega, ma soprattutto un
amico e, se si guardava con attenzione, si poteva notare il loro sguardo
lucido, accentuato dal sorriso di chi vuole mascherare le lacrime.
Luca,
dal canto suo, non si era mai sentito più felice di allora, ma il lieve e mal
nascosto senso di spaesamento nello sguardo di Anna lo preoccupava: per i primi
istanti era sembrato tutto normale, poi, però, si era adombrata senza un motivo
e continua a sembrare a disagio.
«Ma
cos’è successo?» chiese Elena, quando il primo entusiasmo si era calmato e
nella stanza era tornata la calma.
«Dopo
il blitz ed il mio ferimento» ed istintivamente guardò Anna che, però, non
sembrava stesse realmente ascoltando «Ma…» si bloccò di nuovo ricordandosi di
non poter far parole di Mauro «Maurizio ed Hector mi hanno portato di nuovo al
nascondiglio e mi hanno fasciato al meglio» riparò evitando di raccontare
un’intera bugia.
«Ti
hanno scoperto?»
«Si…
uno dell’Organizzazione ha notato delle incongruenze sui file nel database
della polizia… e ha capito tutto… ma ha detto che voi avevate provato a
cancellare i dati che mi riguardavano…»
«Sì»
confermò Elena «La sera dopo il blitz ci hanno avvisato che eri in pericolo e
che potevano scoprirti da un momento all’altro… così con l’aiuto di Patrizi
abbiamo provato a parti sparire…»
«Ma
senza successo…» disse Alessandro.
«Ed
è ancora un mistero chi fosse l’uomo che ci ha avvisati» concluse pensieroso
Raffaele.
Luca
sudò freddo: lui lo sapeva, sapeva che ad avvertirli era stato Mauro, ma questa
era un’altra delle cose che non avrebbe potuto rivelare loro. Si chiedeva
quanti segreti sarebbero nati fra loro e quanti già li separavano.
Scrollò
le spalle e puntò ancora una volta gli occhi su Anna che stavolta guardava
distratta fuori dalla finestra della stanza.
«So
che anche voi qui vi siete dati da fare» disse senza staccare lo sguardo dalla
sua schiena.
Elena
sorrise guardando istintivamente Alessandro e prendendogli la mano; gesto che
non sfuggì al commissario che, guardando il brillare dei loro occhi, comprese
ogni cosa e sorrise.
«Ora
è tutto a posto…» disse Raffaele.
A
quella frase, però, sia Elena che Anna si incupirono e quest’ultima si voltò
puntando uno sguardo quasi accusatorio su Raffaele che però non lo colse.
«Forse
è meglio se ci avviamo… tu dovresti riposare…» disse l’ispettrice veloce.
Gli
altri annuirono e Raffaele e la coppia si avviarono fuori; anche Anna fece per
seguire gli altri, ma Luca, slanciandosi rapido dal letto e ignorando un
capogiro, la prese per il polso bloccandola.
«Aspetta!
Non c’è nulla che devi dirmi?»
Anna
lo guardò spalancando gli occhi.
«No…»
sussurrò, ma neanche lei ci credeva.
«Pensi
che io non mi sia accorto che c’è qualcosa che ti turba?»
«Ti
sbagli…» fece ancora in un sussurro.
«Oh
ti prego Anna, non farmi tanto stupido! Il fatto che non sia stato con te per
quasi due mesi non vuol dire che non ti conosca: hai uno sguardo vacuo, perso e
quasi terrorizzato ed io voglio capire perché!»
Il
commissario non si accorse che in queste ultime parole aveva alzato di molto la
voce, ma vide Anna tremare davanti a lui capì quanto aveva sbagliato.
«Scusa…
scusami, non volevo urlare: è che sono preoccupato per te… Stai così per quello
che è successo?» e parlando si sfiorò il fianco, ora adeguatamente fasciato.
Anche
Anna posò il suo sguardo sulle bende con un triste sorriso.
«Sono
stata male… ho creduto di aver distrutto tutto, di aver ucciso l’unica persona
di cui ho davvero bisogno…».
«Ma
non è questo… giusto?» concluse Luca.
Anna
fu sorpresa: quando Luca aveva tirato in ballo la ferita credeva che sarebbe
riuscita a sviarlo con quella, ma il commissario l’aveva immediatamente
smentita. Non sapeva che fare: da una parte avrebbe voluto dirglielo, liberarsi
di quel peso e magari farsi consigliare da lui o semplicemente sentirlo vicino;
ma dall’altra non era sicuro della sua reazione l’ultima cosa che voleva era
un’altra batosta…non avrebbe retto.
«Anna!»
la richiamò Luca portando pollice e indice sotto il suo mento così da poterla
guardare negli occhi senza che lei fuggisse i suoi.
«Che
succede?»
«Vuoi
sapere che succede? Succede che tu non saresti dovuto andare in questa
missione, succede che in queste settimane sono stata malissimo, succede che…
che…» mentre parlava aveva più volte colpito il petto il Luca con l’indice e le
lacrime finalmente erano scese sul suo pallido volto.
Luca
non comprendeva quella reazione: era spaesato, non sapeva cosa fare e guardava
Anna allucinato.
«Luca…
io sono incinta… e non fare quella
faccia di felice sorpresa… perché non c’è nulla di cui essere felice!» disse
infine liberando quel segreto che da troppo desiderava uscire.
Poi
scappò via senza guardare Luca negli occhi, lasciandolo spazzato, al centro
della stanza che ancora sentiva la pressione del suo dito sul petto e le sue
ultime parole rimbombanti nella testa.
Lo spazio
dell’autrice
Finalmente
dopo secoli – più o meno un mese ^^’’’’ – riesco a pubblicare il terzultimo
capitolo di qst ff!! Scusatemi tantissimo per l’attesa… ma tra l’influenza, la ricaduta
che continua ancora oggi e il momentaneo decesso del mio pc… è stata un’impresa
scrivere questo capitolo!
Allora
che ve ne pare? Finalmente ho svelato cosa affligge Anna… Delusi, eh? *si prega
di non lanciare pomodori… grazie* Qualcuno lo aveva già intuito, se non tutti,
ma non ho potuto svelarlo… scusate x l’ennesima bugia… ^^’’’’
Intanto
ringrazio i miei angeli:
Uchiha_chanCiao! Beh, la volta scorsa dicevi che l’attesa
era una gioia… spero che tu la pensi ancora così! Sono contenta che la grande
quantità di avvenimenti che assemblo in ogni chappy non sia pesante! Mille
grazie per i tuoi immancabili complimenti! Che ne pensi di qst capitolo? Alla
prossima, un bacio...
Tinta87Sono lusingata del fatto che tu abbia letto lo
scorso chappy prima di aggiornare la tua storia! I tuoi immancabili complimenti
mi rendono davvero felice e mi spronano ad andare avanti… dunque grazie, grazie
mille! Come puoi vedere tu stessa i problemi di Luca, che riguardano la
missione, sembrano conclusi, anche se c’è ancora qualcosa da sistemare nei
rapporti personali… Alla prossima… aspetto i tuoi aggiornamenti… un bacio…
Barby19Ciao! Sono felice di vedere che leggi la mia
storia con così tanto entusiasmo! Ne sono davvero onorata e lusingata! E mille
Grazie anche per i tuoi immancabili commenti! Beh… credo che con questo
aggiornamento siano tornate le visioni, no? Hihihi… Allora? Delusa dal perché
del malessere di Anna, eh? Io avevo avvisato che sarebbe stato una calo di
stile tremendo… Purtroppo si: questo è il terzultimo capitolo… per una nuova
storia, non saprei… ma niente è impossibile! Un bacio…
Luna95Hihihi… tra me e te non saprei dire chi delle
due è più sadica, tesoro… per questo ho la netta impressione che non uscirà
nulla di buono per i protagonisti della storia che stiamo progettando insieme!
*ride sadica e gongola felice* Non dovresti stupirti: il fatto che Anna spari a
Luca è una pazzia, ma neanch’io sono poi così sana di mente, no? Che te ne pare
del capitolo? Non so in che razza di gente hanno infiltrato Luca, ma per
fortuna ora ne è fuori! Ma come si dice: concluso un problema, ne esce un altro
(ok, ok forse non era proprio così XD). Alla prossima, un bacione…
Dani85Oh… sono stata troppo prevedibile? Eh sì… devo
dire che la situazione non era delle migliori, ma ora non posso lamentarsi:
fisicamente stanno entrambi bene… psicologicamente un po’ meno… Spero che la
spiegazione del problema di Anna non ti abbia deluso… anche se credo proprio di
sì… Come puoi vedere Davide alla fine è stato coerente con se stessi più che
con l’Organizzazione e ha fatto prevalere i buoni sentimenti al profitto
personale. Ti ringrazio moltissimo per i tuoi immancabili complimenti! Non so
se scriverò altre ff di Distretto… ma non si sa mai… se vengono le idee giuste
non esiterò a scriverle! Un bacio… A presto!
Buffy86*____* Come sono felice di leggere di nuovo una tua
recensione cara! Davvero, quando ho visto il tuo Nick ho fatto salti di gioia!
^^ Mille grazie x i tuoi complimenti, sono felice che i miei capitoli siano
stati apprezzati! Spero che il ritardo sia perdonato anche oggi… Come vedi ora
Luca sta abbastanza bene, ma ha comunque da risolvere alcuni problemini
personali: spero che la rivelazione di ciò che affligge Anna non ti abbia
deluso, non preoccuparti per i mancati aggiornamenti: sono felicissima che tu
sia tornata! Alla prossima, un bacio…
dolcissima77mille grazie x aver aggiunto la mia storia tra le
preferite! Continua a seguirla e magari lascia un commento… bye
isaisaisamille grazie x aver aggiunto la storia tra le
seguite! Continua a seguirla e magari lascia un commento… bye!
Il
prossimo capitolo si intitolerà MISSING MOMENTS e… beh stavolta non posso
anticipare nulla… dunque sarà un penultimo (ç___ç) capitolo a sorpresa!
Un grazie
a tutti quelli che hanno letto silenziosamente la ff… un bacione!
Prima
che leggiate questo (spero atteso) capitolo voglio dire un paio di cose…
Inizio
con lo scusarmi per l’ennesimo ritardo… stavolta abissale… con cui posto… anche
se ormai ci siete abituati, suppongo!
Inoltre
volevo scusarmi con tutti i lettori, ma ho dovuto apportare una piccola
modifica alla storia di Mauro durante i tre anni di lavoro alla DIA.
Inizialmente avevo detto che Mauro era rimasto in coma per diversi mesi, ma
ora, come leggerete, Mauro racconta di essersi svegliato subito, perché la
ferita non era grave come sembrava all’inizio… Ho dovuto cambiare questo
particolare per motivi narrativi che coinvolgono sia questo, sia il prossimo
capitolo.
Infine
voglio spiegare la contorta struttura di questo capitolo. Ogni pezzo è formato
da un primo frammento scritto in corsivo che tratta un flash-back e che si
collega al secondo frammento che tratta invece del nostro presente così come lo
avete lasciato lo scorso capitolo; inoltre mentre i flash-back non seguono un
ordine cronologico, i pezzi del presente vanno in ordine come sempre. Le righe
scritte in corsivo nei flash-back riportano integralmente alcune battute di
episodi del telefilm.
Detto
ciò, vi lascio augurandovi buona lettura!
CAPITOLO
13°_ MISSING MOMENT
Pioggia.
Monotona, lenta e triste pioggia: uno strano acquazzone bel mezzo dell’estate…
Non
piangere pensa Anna rivolta al cielo Non
puoi stare peggio di me… Perciò sta zitto!
Quindici
giorni, sono passate solo due settimane da quell’ultimo bacio eppure si sente
male come se l’avesse perso per sempre, come se non l’avrebbe mai più rivisto…
Ed ora il
coraggio scivola, senza fermarsi, sulla sua pelle e lei non ha la forza di
tenerlo stretto a se… perché la verità è che non vuole scoprire quello che già
sa, non vuole avere la conferma di ciò che la mente ha già freddamente
stabilito, ma il cuore non vuole, non può accettare…
Impossibile,
deve essere impossibile continua a
ripetersi la ragazza, ma ogni volta che le labbra pronunciano la frase, questa
inesorabilmente perde forza.
Ora le
braccia fanno con forza pressione sul lavandino del bagno, il volto ancora bagnato
di gocce d’acquae pallido forse più per
paura che per un reale malessere.
Si volta e
i suoi occhi marroni puntano quella scatoletta di carta: dopo aver fatto il
test, non ha avuto il coraggio di guardarlo e l’ha chiuso lì. Ma ora non riesce
a non pensarci e l’ansia la soffoca…
Un bambino.
Di nuovo un bambino si affaccia sulla sua vita. Che fare? Come reagire?
Respira
riacquistando leggermente la calma.
Non
serve a nulla fasciarsi la testa prima di essersela rotta si dice mossa da un istantaneo coraggio, come quello che ti invade
quando stai per tuffarti nella gelida acqua estiva.
Prende la
scatoletta e la apre di scatto: in ognuna delle due finestrelle della stecca
compare una linea blu verticale. Significa una sola cosa: è incinta. Di nuovo.
Scivola
contro il muro tenendo stretto in mano il test e lasciando che la testa si
poggi senza forze sulle braccia: all’improvviso si sente così stanca, gli occhi
si sono fatti pesanti ed una strana sonnolenza travolge la sua mente e le sue
membra. Anna si lascia avvolgere da quel lieve e finanche piacevole torpore:
ora non ha alcuna voglia di pensare… cerca solo di avere un po’ di pace…
Il
rumore della porta che si chiudeva risuonò nella casa con un inquietante eco.
Anna sospirò ed ebbe quasi l’impressione di sentire che quel suono si
espandesse rapido per il corridoio. Poggiò il giubbotto sul gancio
dell’attaccapanni e si diresse in cucina: un lieve strato di polvere ingrigiva
i mobili: da quando aveva scoperto di essere incinta aveva cominciato a
soffrire di insonnia e quella casa vuota non l’aiutava affatto; per questo
aveva chiesto ad Elena se poteva trasferirsi a casa sua nella quale aveva
comunque già dormito qualche volta nelle due settimane precedenti, quando la
paura di perdere Luca era stata così forte da travolgerla senza possibilità di
salvezza. L’ispettrice era stata felice di accoglierla perché, nonostante ora
avesse Alessandro nella sua vita, quella casa le sembrava sempre troppo vuota.
Si
diresse in soggiorno e si sedette sul divano; l’espressone prima di grande
gioia, poi di puro sbalordimento che aveva assunto Luca, era ancora davanti ai
suoi occhi, come legata ad essi con fili d’acciaio indistruttibili. Perché
forse se Luca avesse mostrato qualche incertezza, qualche dubbio o semplice
paura per quella notizia insieme alla gioia, per lei sarebbe stato più semplice
parlare, confidargli le sue paure, i suoi dubbi, quelle parole del medico che
Elena aveva giudicato di poco conto, ma che avevano fatto nascere in lei altri
dubbi ed avevano rafforzato i primi.
Il
lieve tocco di una mano sulla spalla la fece sobbalzare: si voltò e dietro di
lei scorse il viso sorridente di Elena.
Com’è entrata? si chiese; poi
ricordò che era stata proprio lei a darle le sue chiavi – tenendo per se quelle
di Luca – così da poter entrare per qualsiasi emergenza.
L’ispettrice
si sedette accanto alla collega intuendo dal suo sguardo che aveva dovuto
parlare con Luca.
«Che
ti ha detto?» chiese.
«Era
felicissimo, mai più di così…»
«Lo
dici come se fosse qualcosa di male» constatò Elena.
Anna
sentì le lacrime pungerle gli occhi: faceva male, più di quando era sola.
«Forse
se fosse stato più sorpreso, se avesse mostrato solo un po’ più di paura
anziché solo felicità sarebbe stato meglio… Mi sento così sbagliata, Elena…
Sono la sola ad avere paura, la sola che sa di non poter resistere se dovessi
di nuovo…»
«Non
lo perderai! Non stavolta!» la interruppe Elena con forza.
«E
chi te lo dice? Anche il medico dice che c’è la possibilità che lo perda di
nuovo… è già successo una volta…» urlò quella.
«Ed
è per questo che stai facendo molti controlli… e mi sembra che vada tutto bene,
no?» provò ad incoraggiarla Elena «Piuttosto: Luca che ne pensa?»
Anna
la guardò come folgorata da quella ovvia domanda.
«Lui…
lui… io… io non…» balbettò, poi le lacrime furono più forti delle parole e la
ragazza scoppiò in un pianto quasi liberatorio.
Elena
la tirò con dolcezza a se facendole poggiare la testa sul suo petto e
accarezzandole amorevolmente i capelli.
«Non
gliel’hai detto, vero?»
«Oh,
Ele… avresti dovuto vederlo! Non ho avuto il coraggio di distruggere la sua
felicità!» sussurrò quella tra le lacrime ed Elena sorrise.
«Prima
o poi dovrai farlo, lo sai…»
Anna
annui stringendo di più la collega.
«Non
ora… non ce la faccio… ho solo bisogno di un po’ di calma… di pace…»
Il
corridoio dell’ospedale sarebbe vuoto se non fosse per gli uomini dei X
Tuscolano che lo hanno improvvisamente invaso. Vittoria si è sentita male ed è
stata portata subito in ospedale.
Ora, chi in
un modo, chi in un altro, tutti pregano che la situazione si risolva nel
migliore dei modi.
Luca e
Raffaele escono dalla sala con aria preoccupata: sono entrati per chiedere
notizie della loro amica che i medici stanno ancora visitando ed ora tutti li
accerchiano per sapere le condizioni di Vittoria.
«Sembra che si tratti di una brutta infezione…» spiega Raffaele con aria sconsolata.
«I medici dicono che potrebbe perdere la
bambina…» conferma
Luca scuotendo la testa e osservando la preoccupazione dei suoi colleghi.
L’immagine del sorriso di Vittoria quando aveva detto loro di essere incinta si
fa strada con prepotenza tra tutti i pensieri e gli toglie il fiato.
Andrà
tutto bene si dice deve essere così non riesce ad immaginare cosa accadrebbe se
succedesse il peggio.
Mentre
tutti cercano di farsi coraggio a vicenda e qualcuno prova a congetturare
ipotesi sul come sia potuta accadere una cosa simile, Luca, scusandosi con gli
altri, prende Anna in disparte folgorato per ennesima volta da quello sguardo
marrone fisso nel vuoto e finanche sconvolto che aveva avuto per tutta la
mattinata.
«Anna? Si può sapere che c’hai? Sei strana… E
poi c’è Raffaele che mi sta a fa ‘na testa così…»
Lei non lo
guarda, i suoi occhi sono fissi davanti a se, come ipnotizzati da qualcosa che
solo lei vede.
«Allora?»
insiste Luca, che comincia a dubitare che la collega abbia sentito le sue
parole.
Ad un
tratto però, Anna si volta verso di lui, i suoi occhi puntati in quelli verdi
dell’amico al quale si mozza improvvisamente il fiato in gola: c’è un intero
mondo in quello sguardo e lui non sa descrivere l’emozione che lo travolge.
«Sono incinta, Luca!» sussurra lei con un sforzo immane.
«Incita?»
ripete Luca sbalordito: non se lo sarebbe mai aspettato.
«Di quel figlio di puttana di Giorgio» continua lei animata da una strana forza, da un
rabbia… come se potesse finalmente sfogarsi e fosse anche felice di aver
finalmente confessato quel segreto che le sembrava quasi un peso sullo stomaco.
Luca è
senza parole, e, in fondo, cosa avrebbero potuto fare quei suoni in una simile
situazione? La strige a se e lei gli accarezza la schiena confortata da quel
calore.
Si siedono.
Anna sembra quasi rannicchiata in se stessa coma a volersi proteggere dal
dolore; Luca le si avvicina.
«Ohi, qualsiasi cosa ti tu decida si fare,
qualsiasi, io ci sarò! Hai capito?»
le dice, ma Anna ha già capito quelle parole quando gliele ha dette con il suo
abbraccio ed il suo sguardo verde.
«Grazie…»
sussurra mentre lui le accarezza con delicatezza la guancia sorridendo…
Ormai
non c’è più nessuno nella sua stanza, eppure Luca è ancora in piedi, accanto al
suo letto impalato, bloccato dalle parole di Anna. Era incinta. Incinta. Di
nuovo… ma stavolta il padre… era lui! Faticava a respirare e non riusciva a
dimenticare, né capire il volto sconvolto, spaventato dell’ispettrice.
Perché era tanto
sconvolta? si
chiese ora è tutto finito… siamo di nuovo
insieme, abbiamo arrestato tutti i membri l’Organizzazione; possiamo affrontare
la situazione insieme… dovrebbe essere tutto a posto… a meno che…
Il
pensiero che ci fosse qualcosa che non andava, che Anna avesse avuto qualche
problema di cui non gli aveva parlato lo fece raggelare ed improvvisamente lo
prese un violento capogiro che in pochi istanti lo fece crollare a terra privo
di coscienza.
«Ha
parso molto sangue e la ferita è profonda… non deve assolutamente prendere
sottogamba la situazione o potrebbe aggravarsi!»
«Me
ne rendo conto… ma Luca è così: non riesce a stare fermo…»
«Se
vuole una completa guarigione dovrà rimanere in quel letto almeno per quindici
giorni!»
Luca
riconobbe solo una delle due voci che discutevano poco lontano dal suo letto:
Alessandro stava parlando con un uomo che dal tono esperto e leggermente
seccato doveva essere un medico. Ancora con gli occhi chiusi sentì dei passi
allontanarsi ed altri avvicinarsi al suo letto e sedersi sul bordo di questo.
Li aprì lentamente, infastidito dalla luce ed incontrò lo sguardo azzurro
dell’ispettore Berti.
«Ma
che diavolo ti passa per la testa?» gli chiede questo ancora scosso.
«Cos’è
successo?» chiese il commissario confuso.
«Sei
riuscito a far riaprire la ferita! Ti hanno trovato privo di sensi, accasciato
al suolo in una pozza di sangue… Hanno temuto il peggio…»
Il
tono di voce di Alessandro era spaventato; Luca comprese che stavolta aveva
davvero rischiato molto. Poi, in un attimo, fu come folgorato da una
successione di immagini: lui che blocca Anna, che le chiede cosa c’è che non
va, lei che lo guarda sconvolta, poi sussurra che è incinta, il suo sorriso
spezzato dalle parole di lei che mostrano una profonda angoscia e che gli
dicono che non è un bella notizia; la sua fuga e le mille domande che lo
invadono, poi un giramento di testa ed il buio.
«Anna!»
grida, prendendo il polso di Alessandro con forza; una fitta al fianco lo fa
sussultare e tremare.
«Sta
calmo… Anna non sa nulla: ho chiesto ai medici di essere il primo ad essere
avvisato dei tuoi eventuali peggioramenti, così da non spaventare nessuno e
gestire la cosa…»
Luca
scosse la testa guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte dell’ispettore.
«Dov’è
Anna?» chiese.
«A
casa vostra… Elena mi ha detto che la raggiungeva lì… non aveva una bella cera
quand’è uscita…»
«Io
devo parlarle!»
«È
successo qualcosa? Avete… avete per caso litigato?» chiese Alessandro con non
poco imbarazzo: di solito lui non faceva mai domande del genere, non si
occupava degli affari altrui, ma era da settimane che Anna si comportava in
modo strano e lui era seriamente preoccupato.
«Non
ha detto nulla ha nessuno...» disse il commissario e più che una domande, era
un affermazione.
«Di
che parli?»
«Mi
ha detto di essere incinta»
Alessandro
sgranò gli occhi: ora comprendeva in pieno tutti gli sbalzi d’umore, le paura, il
volto pallido e gli occhi lucidi… ed era anche sicuro che Elena fosse al
corrente di tutto.
«Il
fatto è che non mi è sembrata affatto felice… l’ho vista spaventata, c’era
dolore nei suoi occhi» continuò Luca con maggiore preoccupazione.
«Un
bambino non è una cosa da poco, è normale che sia spaventata» convenne
Alessandro per rassicurarlo.
«Questo
è vero, ma… lei era solo spaventata, solo triste… non ho visto gioia nei suoi
occhi, neanche quel minimo dovuto… Sono preoccupato: sento che c’è qualcosa che
non so…»
«Vuoi
che la chiami? O magari chiamo Ele che è con lei?»
«No…»
disse Luca scuotendo la testa «Non verrebbe; sono io che devo andare da lei, a
sua insaputa… e forse riuscirò a farmi dire cosa c’è che non va…»
«Non
puoi muoverti da qui, Luca! I dottori hanno detto che devi restare a letto
almeno due settimane!»
«Non
resisto qui due settimane Ale! Impazzirò prima! Ti prego… dammi una mano…»
Berti
lo guardò titubante: Luca non si rendeva conto che stava giocando col fuoco… ma
i suoi occhi dicevano che aveva disperatamente bisogno d’aiuto.
«D’accordo..»
cedette alla fine con un mezzo sorriso «Controllo se c’è qualcuno fuori e poi
usciamo» e pregò di non aver assecondato un suicidio…
La pioggia è forte, il cielo è grigio e si sentono in lontananza i tuoni
rombare: uno scenario fantastico! Mauro e Roberto sono in macchina diretti
verso il teatro Greco, dove il loro collega Ingargiola sta per fare il suo
debutto sulla scena.
I tergicristalli che vanno su e giù impazziti sembrano quasi
ipnotizzare Belli che guarda fisso davanti a se senza realmente osservare
l’umido paesaggio. La sua mente vaga: da una settimana non sente Germana, non
risponde alle sue chiamate, non si fa trovare né a casa né al distretto… e
questo fa male, più male di quanto credesse all’inizio. Le parole del signor
Mori, però, continuano a rimbombargli nella testa, fredde, serie e tanto
tremende quanto vere: perché Mauro sa che l’uomo ha ragione, che Germana merita
molto di più di ciò che lui, un misero poliziotto, può offrirgli ed è per questo
che si è imposto di lasciarla, di interrompere qualsiasi contatto con lei,
perché superi questa storiella e trovi qualcuno adatto a lei.
Non ci sarà mai nessuno più adatto di me! grida il suo cuore che non si è ancora
arreso a quella decisione, ma l’ispettore scuote la testa per farlo tacere.
«Ohi, che c’è?» gli chiede Roberto incuriosito da quel gesto.
«Nulla»
risponde quello evasivo «Quand’è che arriviamo?»
«Il tempo
di parcheggiare, il teatro è lì… ma con ‘sta pioggia non si vede nulla e ci
bagneremo tutti!» conclude mentre compie l’ultima manovra e spegne la macchina.
I due
ispettori scendono dalla vettura e come previsto prima di giungere al coperto
dell’ingresso del teatro si bagnano tutti.
«Prima bagnata, prima fortunata, eh?» commenta Mauro ironico.
«No, quella è la sposa» lo corregge ancora più ironico Roberto,
cercando di togliere le goccioline d’acqua ancora non assorbite dal tessuto
della giacca.
Voltandosi,
però, i due scorgono una figura sotto la pioggia senza alcun ombrello; Germana,
con le braccia intorno al corpo per il freddo, li fissa mentre le gocce di
pioggia le sfiorano il pallido viso, reso ancora più chiaro dal freddo. In un
attimo tutto l’entusiasmo di quelle banali battute sfuma dal volto di Mauro.
«Va bene io… io vado; ti aspetto dentro» dice Roberto impacciato e sparisce
all’asciutto della sala.
Mauro
guarda Germana con una strana intensità e quasi rabbia: ha provato ad evitarla
in tutti i modi, a farle capire che non devono più vedersi, eppure eccola di
nuovo lì, davanti a lui con quella serietà e cocciutaggine che da sempre
l’avevano contraddistinta. Le si avvicina, senza dissimulare in alcun modo la
rabbia.
«Che stai a fa qua?» le chiede brusco.
«Perché non rispondi al telefono? Perché non mi
richiami?» gli chiede
lei di rimando, con la stessa rabbia, che nasce dal dolore.
«Ci siamo detti tutto, no?» continua lui e spera in cuor suo di concludere
lì quella conversazione, perché non sa per quanto ancora potrà reggere.
«No!»
risponde Germana quasi sulle parole di Mauro alzando la voce.
Non si
erano detti nulla, non si erano affatto parlato: lui era sparito così,
all’improvviso, senza dire nulla e lei era stata male per giorni, senza capire,
prima di trovare la forza di reagire e prendere l’iniziativa.
«Io devo andare, Germana…» dice lui con decisione, mostrando nella voce
ciò che in cuore non ha e ripetendo a se stesso che quella è semplicemente una
fuga.
«Aspetta!»
lo prega la giornalista «Ti devo
parlare…» e prendendogli il braccio gli si para davanti mentre la pioggia
continua a bagnarli entrambi «Senti, io
lo so cosa ti ha detto esattamente mio padre: che ho mandato all’aria un sacco
di storie, che non sono affidabile… e tu ci credi?»
Mauro la
guarda con un moto di sorpresa: cosa stava dicendo?
«Non è questo il punto» le dice, senza però approfondire la questione:
vorrebbe solo scappare.
«Lui non doveva dirti niente» continua lei imperterrita «E se ti avesse detto la verità?» ora pare anche sfidarlo «Va bene: è così, sono così, anzi sono
stata così…»
«Lo vedi?»
dice allora Mauro animato dalla speranza che forse, con la scusante di quelle
parole, sarebbe potuto uscire da quella situazione che si era fatta
insostenibile.
«La verità ora è che ti amo!» pronuncia allora lei con forza, come se si
stesse giocando la sua ultima carta «perché
è quello che sento adesso! E guarda che non lo so se lo sentirò domani, o fra
un mese…» conclude ormai stanca.
Lui la
guarda, sa di non poter far nulla, di non poter controbattere perché gli manca
la forza.
«Devo entrare» pronuncia semplicemente lasciandosi scivolare
oltre il corpo bagnato di Germana e credendo che fosse finalmente tutto finito.
«Mi vuoi sposare?!» grida allora la giornalista, con un ultimo
impeto di forza.
Le parole
le sono uscite con liberazione: è stato l’istinto, l’amore, la paura di
perderlo per sempre senza poter fare nulla a farla parlare, non ci ha
riflettuto… eppure non vuole tornare indietro, non vuole rimangiarsi quelle
parole perché sono la verità… pura, semplice verità e prega Dio che Mauro
l’abbia sentita.
Lui si
blocca: le sue parole l’hanno spiazzato.
Fa
sul serio si dice non sta scherzando…
mi ama, tanto quanto io amo lei…
E poi… non
servono più parole. Tutto il fiume di discorsi fatto a se stesso, tutte le
proposte di lasciarla per sempre, per il suo bene, crollano inesorabilmente:
perché a volere la loro fine non solo loro, è la ragione, la razionalità… nulla
che ora possa sfiorarli.
Si volta
mentre lei abbassa il capo credendo di essere stata sconfitta, la guarda per
qualche istante, il tempo per capire davvero quanto sia bella e quanto l’ami,
poi si avvicina e semplicemente la bacia, rispondendo a quella domanda nel
migliore dei modi.
Mentre la
pioggia ancora scende i due si stingono, forse ancora scossi dal timore di
potersi perdere e continuano a baciarsi, sicuri che non si sarebbero mai più
separati…
Pioveva.
Un’estate come quella come quella non l’aveva mai vista: pioggia e sole si
susseguivano senza alcuno schema, ma con uno scambio di presenza molto
frequente.
Si
muoveva sulla sedia accanto alla finestra, incapace di stare fermo. Era la
stessa stanza che aveva occupato prima della missione, la stessa in cui era
cominciato tutto e per quanto continuasse a ripetersi che non era cambiato
nulla da allora, sapeva benissimo che stava semplicemente mentendo a se stesso.
Era come passata una vita dal giorno in cui uno degli uomini della DIA gli
aveva portato le informazioni sull’Organizzazione degli uomini in nero e sulla
sua prossima missione ed ora sentiva il suo passato più vicino che mai: Mauro
Belli, dentro quell’uomo senza identità, si dibatteva, urlando per poter essere
finalmente libero.
Ma
ci poteva essere una libertà? Era ancora in tempo per reagire?
C’è sempre tempo
per reagire… si
disse Alzati, maledizione! Va via! Ora
puoi farlo: ormai non sei più così invisibile… dopotutto lui già sa…
A
quel appello disperato che lo aveva fatto quasi alzare, però, si sovrappose la
paura che lo travolse: cosa avrebbe detto a Germana? Perché non c’era dubbio
che, se fosse uscito allo scoperto, la prima persona dalla quale sarebbe
andato, sarebbe stata lei…
Come
le avrebbe spiegato che tutto il dolore che aveva provato per quei tre anni,
tutta la sua sofferenza e le difficoltà affrontate non erano servite a nulla?
Che erano state inutili, senza senso perché lui non se n’era mai andato…?
«Codardo,
semplicemente un codardo!» si urlò contro alzandosi e sbattendo lontano la
sedia di legno che andò in frantumi come un bicchiere di cristallo. Si prese la
testa fra le mani: si sentiva scoppiare, impazzire: non riusciva a trovare una
soluzione e si sentiva soffocare.
Poi
ad un tratto, senza più razionalità, aprì violentemente la porta e scese in
strada, sotto la pioggia e cominciò a correre, mentre la testa si ripeteva di
non pensare, ma solo di guardare avanti a se e non fermarsi.
Il
rumore delle dita che battevano sui tasti le era ormai così abituale che non ci
faceva più caso. Scriveva, quella mattina, senza realmente pensare a quello che
stava facendo, presa – come ormai le accadeva sempre più spesso – da mille
pensieri.
Tre
anni, erano passati ormai tre anni e per quanto ormai si fosse data pace e
fosse andata avanti, non poteva certo dimenticare, non voleva dimenticare:
Mauro era ancora dentro di lei e ci sarebbe rimasto per sempre; avrebbe avuto
un posto riservato, speciale nel suo cuore che mai nessuno avrebbe potuto
rubargli, anche se fosse entrato nella sua vita un altro ipotetico uomo. Per
ora, però, gli unici uomini che le erano accanto erano Ettore – suo figlio – e
Tiberio – suo genero – che le era rimasto accanto per tutto questo tempo
aiutandola ad andare avanti. Molto probabilmente ce l’avevano fatta proprio per
questo: grazie ad un reciproco aiuto.
Sospirò
accorgendosi che aveva scritto tutt’altra cosa seguendo il flusso dei suoi
pensieri. Cancellò il pezzo e si riconcentrò sull’articolo: aveva ripreso a
lavorare nella sede del giornale pochi mesi dopo la chiusura del caso
riguardante il marito; era tornata nella vecchia casa di Mauro – che aveva
scoperto esserle mancata tantissimo – e alle sue vecchie abitudini.
Sbadigliò,
dopo aver scritto poche righe: aveva sonno – quella notte l’aveva passata in
bianco per chissà quale motivo – e quella mattina non era per nulla concentrata
sull’articolo che le era stato sottoposto; decise di prendersi una pausa e
salvato il file, uscì in strada e si diresse verso il bar più vicino per
prendersi una bella tazza di caffè e cercare di svegliare quella giornata
nebbiosa.
Il
sole bianco di quel mattino le dava lievemente fastidio agli occhi: da pochi
minuti aveva smesso di piovere ed ora i raggi del sole si riflettevano
sull’asfalto provocando uno stano gioco di luci ed ombre. Germana camminava
distratta per la strada e si accorse di aver superato il bar che cercava solo
dopo aver svoltato l’angolo.
Ne troverò un
altro si disse senza alcun problema: aveva voglia di
passeggiare.
Camminando,
però, una strana inquietudine cominciò a farsi strada nel suo cuore: aveva
l’impressione di essere seguita e un’ansia, che non provava dai giorni in cui
aveva intervistato Liverani ed era quasi morta per questo, le alterò il
respiro. Svoltando di nuovo un angolo, a grandi passi, scorse chiaramente un
ombra che la seguiva e allora si bloccò attendendo una sua reazione e poi si
voltò per vedere chi fosse il suo inseguitore. Nessuno, non c’era alcun uomo
dietro di lei.
Fantastico! pensò ci manca solo che comincio a suggestionarmi!
Guardandosi
intorno, però, si era resa conto di essere poco distante dal cimitero della
città. In un attimo provò il forte istinto di andare sulla tomba del marito:
non lo programmava mai, ma quando si trovava nei dintorni del cimitero non
importava cosa stesse facendo, lasciava perdere tutto e correva da lui.
Ad
Ettore non aveva precisamente detto che suo padre non c’era più: il piccolo
sapeva che era lontano e che per ora non sarebbe potuto tornare; aveva fatto,
però, in modo che lo amasse comunque e che ne conservasse il ricordo
dolcemente.
Le
sue sottili dita sfiorano le lettere nere incise sul marmo bianco della tomba.
Un brivido – ormai abituale – le attraversò la schiena mentre un altro,
l’ennesimo ricordo riaffiorava nella sua mente, segno dimenticato ma non
cancellato di quella vita che con fatica era riuscita a buttarsi alle spalle e
non senza rimpianti: aveva dovuto essere forte per Ettore, eppure quante volte
aveva desiderato distruggere ogni cosa, dare sfogo a tutto il suo dolore, a
tutta la sua rabbia in modo tanto inutile quanto appagante. Forse dopo si
sarebbe sentita meglio o, forse, non sarebbe semplicemente cambiato nulla, ma
almenoavrebbe potuto dire di aver fatto
qualcosa, una qualsiasi cosa.
Poggiò
una rosa bianca, presa da una bancarella all’entrata, sul freddo marmo.
«È
sempre stato il mio fiore preferito…» disse una voce proveniente dalla sinistra
della giornalista «da quando ti ho conosciuta, poi, l’ho sempre paragonata a
te…»
Germana
si voltò, nonostante avesse perfettamente riconosciuto quella voce e non fu
sorpresa di vedere poco distante da se la figura del marito. Sorrise triste:
molto spesso, in quei tre anni, le era capitatodi vederlo e alcune volte avevano anche parlato.
Mauro
le si avvicinò piano; la vide sorridere e in un attimo si sentì mancare il
fiato: come aveva fatto ad andare avanti per questi tre anni senza vederla? Lui
che si era sentito morire durante la settimana che leinon gli era stata accanto, quando era stata
in coma…
Allora però
stava morendo
si disse ragionando con quel poco di razionalità che ancora aveva, eppure in
quel momento gli parve di provare tutto ciò che non lo aveva travolto in quegli
anni. Si bloccò quando fu a pochi passi da lei che intanto aveva rivolto di
nuovo lo sguardo verso la tomba.
«Germana…»
sussurrò senza essere capace di dire altro mentre le lacrime gli bagnavano il
volto e le sue dita sfioravano la spalla della giornalista.
Lei
lo guardò con un moto di sorpresa: quel flebile contatto le era sembrato così
reale da farla sussultare.
«Mauro…»
rispose ancora un po’ sorpresa, scorgendo le lacrime dell’uomo.
Ad
un tratto un folle pensiero le attraversò la testa provocandole un capogiro: le
atre volte che lo aveva visto era stato solo per alcuni istanti, il tempo per
qualche parola… ora, invece, era lì di fronte a lei, l’aveva sfiorata e quel
contatto le era parso tanto vero… così come la lacrime che gli bagnavano il
viso. Indietreggiò di pochi passi quasi d’istinto tenendo sempre lo sguardo
fisso sull’uomo.
«Sono
qui…» disse lui sorridendo tra le lacrime «…non temere»
Allora
Germana comprese che non si sbagliava, che quel pensiero era tanto folle quanto
vero ed ebbe paura. Fece ancora qualche passo indietro: non sapeva come
reagire, tutto le pareva così surreale, assurdo, non aveva parole, non riusciva
a capacitarsi che potesse essere vero.
«Aspetta
Germana… io posso spiegarti ogni cosa…»
«Impossibile»
sussurrò lei «Tu sei morto… Roberto… mi aveva detto che tu… che tu eri… Abbiamo
fatto un funerale, c’è una tomba qui col tuo nome…» articolò in modo confuso
rivolgendo poi lo sguardo alla lapide come per trovare conferma delle sue
parole e non credere a quella voce che le diceva che era impazzita.
«Neanche
Roberto sa nulla, nessuno sa nulla… E per quanto riguarda il funerale, lo avete
fatto ad una bara vuota. Non ci sono io lì dentro…» e diede anche lui uno
sguardo alla lapide leggendo il suo nome. Fu strano, da brivido: quello era un
privilegio che non era mai stato concesso a nessuno o, almeno, a pochissimi…
Gli ricordava lo scenario di un vecchio romanzo anche se, a differenza del
protagonista, lui non aveva mai voluto fingere di essere morto ed ora stava
cercando di rimettere le cose a posto. Germana lo guardava ancora allibita,
senza comprendere in pieno quelle parole assurde. Mauro era realmente lì,
accanto a lei e le aveva appena detto di non essere mai morto?
Un
senso di impotenza e di rabbia la invase: chi gli aveva dato il diritto di
andar via a quel modo e di tornare poi quando più gli aggradava? Chi gli dava
il diritto di giocare con la vita altrui come aveva fatto lui in questi anni?
Crollò a terra, scossa da un violento fremito.
Mauro
si spaventò e temendo che potesse svenire le corse incontro per sostenerla.
«Non
ti avvicinare!» gli urlò la giornalista spiazzandolo.
«Germana…cosa…?» tentò quello facendo qualche altro
passo avanti.
«Ti
ho detto di non avvicinarti!» gli urlò di nuovo lei con voce minacciosa,
alzando il volto rigato dalle lacrime come quello di Mauro «Chi ti dà il
diritto di tornare qui dopo tre anni e dirmi che non sei morto? Che il mio
dolore non ha avuto alcun senso? Io… io… Mi è servito tempo, molto, moltissimo
tempo per accettare che te ne fossi andato per sempre; ci sono stati giorni in
cui ho davvero creduto di non farcela, giorni in cui farla finita mi è sembrata
una cosa tanto facile… Ed ora, ora che mi ero finalmente alzata, ora che avevo
cominciato a guardare davvero avanti, arrivi qui e butti di nuovo tutto
all’aria! Io… io ti odio! Tu… tu non puoi…»
«E
pensi che sia stato io a volere tutto questo?» la interruppe lui alzando di
molto la voce «Pensi che se avessi potuto decidere, non sarei rimasto con te,
con mio padre ed Ettore? Pensi che me ne sia andato di mia volontà?! Germana,
mi hanno portato via! Mentre dormivo, dopo l’intervento, mi hanno portato via e
quando mi sono svegliato era già tutto successo! Mi hanno spiegato che da quel
giorno Mauro Belli non sarebbe più esistito, che sarei stato un uomo senza nome
e senza identità, alla mercé dello Stato e della giustizia. Quando mi sono
svegliato dall’intervento era il giorno del mio funerale: l’unica cosa che mi
hanno concesso è stata di vedere il suo svolgimento da lontano, anonimo,
inesistente; ho visto le vostre lacrime, ho visto Roberto leggere la lettera
che avevo scritto a nostro figlio Ettore, ho visto arrivare Giulia e stringerlo
forte tra le lacrime, ho visto mio padre tremare ed il tuo pallore e mi sono
sentito morire. Avrei voluto correre verso di voi, urlarvi di smetterla di
piangere e soffrire perché io ero ancora vivo, ma non potevo… le lacrime hanno
bagnato il mio volto, senza alcun senso e quando tutto è finito, quando ormai
il cimitero era vuoto sono andato di fronte a questa tomba e mi sono detto che
in ogni caso io ero morto quel giorno…»
Parlando
l’uomo si era avvicinato alla donna, piegandosi sulle gambe a pochi centimetri
da quel volto che avrebbe voluto stringere tra le sue mani e baciare.
«Quando
ho potuto sono corso via da quella vita senza senso per giungere dov’eri e
guardarti andare avanti, tra gli stenti e le difficoltà, tra le lacrime ed i
sospiri; ma ho visto anche il tuo primo sorriso, il sole che provava a
riaffacciarsi sulla tua vita, ti ho vista rialzarti, forte e guardare la vita
con sfida, urlando al mondo che finalmente eri tornata. Germana, io voglio che
tu sappia che non ti ho mai lasciato sola, che ovunque eri io ero dietro di
te…» e le ultime parole furono straziate dal pianto che aveva travolto l’uomo.
Germana
lo guardò, così fragile, così spaventato e comprese quanto anche lui avesse
sofferto, forse anche più di lei, perché sapeva e non poteva dire nulla.
«In
ogni caso» continuo lui «Non ho alcun diritto di sconvolgere ulteriormente la
tua vita… e se vorrai io andrò via per sempre…» e detto questo si rialzò.
«Non
muovere un passo!» gli urlò lei, alzandosi a sua volta «Mauro Belli! Tu vieni
qui, di fronte a me, mi dici che non sei mai morto e pretendi che io ti lascia
andare come se nulla fosse? Che, semplicemente, dimentichi questo incontro e
torni a condurre la vita di pochi minuti fa?» disse con forza.
Poi
si sporse verso di lui e finalmente lo strinse forte a se mentre il cuore
batteva all’impazzata per quel contatto e la mente finalmente si arrendeva
all’evidenza di quel presente: ora poteva dire con certezza che suo marito era
lì con lei.
«Ti
prego non andare…» sussurrò con voce rotta dal pianto.
Mauro
sussultò e sbiancò a quel contatto che aveva sognato tante volte quanto la
moglie. Poi con lentezza e acquistando anche lui consapevolezza di ciò che
stava accadendo strinse le braccia intorno all’esile corpo della donna. Non
seppero dire per quanto tempo rimasero così, forse fino a quando lei alzò il
suo volto verso di lui e lo baciò, semplicemente un bacio nel quale c’erano
mille parole o forse solo due: ti amo…
«Anna? Anna
ti preparo la colazione, ti va?» urla Luca dalla cucina, sperando che la sua
voce giunga fino alla camera della coinquilina che è ancora a letto.
Non riceve
disposta e allora si dirige silenzioso nella sua camera facendo attenzione a
non fare rumore mentre apre la porta; la guarda: è così bella quando dorme e
quel gesto amorevole di tenere la mano sul ventre in cui c’è il suo bambino, la
rende ancora più bella. Ormai è quasi il terzo mese di gravidanza e nonostante
gli iniziali dubbi provocati dal fatto che il padre sia Giorgio, ora Anna ama
quel bambino come nessun altro.
“Sono quasi
geloso” aveva detto una volta Luca per scherzare. “Ma non dire stupidaggini!”
aveva commentato lei poggiando la testa sulla spalla di lui “Ti voglio troppo
bene… non lasciarmi” “Sai che non lo farò”.
«’Giorno…»
biascicò Anna bloccando il flusso dei pensieri dell’allora ispettore.
«Come ti
senti stamattina?» le chiese con un sorriso.
«Mmh… per
ora bene, ma non credo che le nausee abbiano deciso di lasciarmi proprio oggi…»
«Preparo la
colazione, ti va?»
«Ho una
fame!» esclama lei e lui ride: quella è una frase che ha sentito fin troppo
spesso in quei tre mesi e – tornando in cucina – pensa, continuando a ridere, a
quante altre volte dovrà sentirla nei prossimi sei mesi. Fischietta mentre
cuoce un uovo che – a dirla tutta – non ha proprio un bell’aspetto, ma è buono,
o almeno così crede. Poggia il piatto su un piccolo vassoio di legno dove già
c’è una bella tazza di latte e qualche fetta biscottata con burro e marmellata
e facendo attenzione a non rovesciare tutto, si dirige con lentezza verso la
camera di Anna.
A metà
strada però un grido terribile lo blocca; Luca si fa scappare dalle mani il
vassoio che si infrange sul pavimento con un gran fracasso e corre da Anna con
il cuore in gola. Entrando gli si presenta davanti uno scenario
raccapricciante: Anna nel letto con le mani sporche di sangue, il pantalone del
suo pigiama anch’esso completamente vermiglio come le lenzuola; la giovane
trema pallida e in lacrime e lo guarda in una muta richiesta d’aiuto. Luca non
deve rifletterci più di due secondi: prende Anna fra le sue braccia e schizza
nel corridoio stando attendo a non scivolare sulla colazione versata; prende le
chiavi della macchina, esce e – scese le scale – la carica in macchina.
Il respiro
di Anna è affannato e spezzato: sa che ciò che le sta accadendo non è normale
per una donna incinta e in cuor suo teme il peggio; Luca, invece, non pensa,
non ci riesce, solo preme quanto più possibile sull’acceleratore ed accende il
lampeggiante per poter avere via libera.
Quando
giungono in ospedale ormai Anna è in un lago di sangue, quasi priva di
coscienza. Luca la prende di nuovo in braccio cercando di tenerla sveglia
scuotendola lievemente e sussurrandole che sarebbe andato tutto bene… una frase
a cui non crede neanche lui.
«Aiuto!
Aiuto!» grida disperato, entrato in ospedale «Vi prego: sta male… è incinta…»
Un medico
gli viene incontro con due infermieri che conducono una barella.
«La poggi
qui» gli dice uno dei due.
«Che cos’è
successo?» gli chiede il medico mentre la conducono di corsa.
«È incinta»
ripete Luca, come se fosse l’unica cosa da dire «Stamattina stava bene, come al
solito… ma ad un tratto ha dato un grido e quando sono arrivato in camera sua
era tutta sporca di sangue…»
«Da quante
settimane è incinta?»
«Dieci,
dieci settimane…» dice lui quasi senza riflettere.
Il medico
scambia con gli infermieri un’occhiata tanto eloquente quanto preoccupante che
fa precipitare il cuore di Luca: era davvero successo? No… non poteva essere
così… non poteva…
Ad un
tratto uno degli infermieri lo ferma.
«Mi spiace,
ma lei non può venire con noi… Attenda qui…»
«Ma cosa
dovete farle? Come sta?»
«Bisogna operarla d’urgenza...» gli
risponde evasivo l’infermiere; dopodiché sparisce dietro una porta a saloon
lasciando Luca solo e con le mani sporche del sangue di Anna.
Luca ha
sciacquato le mani, ma non è riuscito a lavare via il ricordo del sangue e ne
sente ancora l’odore nonostante le sue mani profumino del sapone dell’ospedale.
Continua a camminare avanti e indietro, senza trovare pace: sono quasi due ore
che Anna è in sala operatoria e ogni minuto che passa aumenta la paura che
possa accadere – o essere già accaduto – il peggio. Non vuole soffermarsi su
quel pensiero: trema immaginando una vita senza la sua Anna.
Ad un
tratto un medico gli si avvicina silenzioso e quasi lo fa sobbalzare.
«Dottore…»
sussurra timoroso «Anna…?»
«Ora la
ragazza non è in pericolo di vita: è stata fortunata» spiega l’uomo con mezzo
sorriso.
Luca ha
l’impressione di poter finalmente tornare a respirare, mentre sente dissolversi
il macigno che ha sul petto.
«Ed il
bambino?» chiede sorridendo ingenuamente.
Il medico
si incupisce rapidamente e lo guarda negli occhi, forse alla ricerca delle
parole più giuste da dire.
«Mi spiace»
sussurra scegliendo il modo più facile e diretto «Lo aveva già perso quando è
giunta qui: siamo stato fortunati a non perdere anche lei…»
Luca lo
guarda come che fosse stato colpito da una violenta botta in testa: Anna ha
perso il bambino… non c’è più… dopo tutto quello che ha dovuto affrontare, dopo
i dubbi e le lacrime, quando infine aveva accettato di diventare mamma e si era
finanche affezionata a quella tenera cosina che stava crescendo in lei… il
destino gliel’aveva strappata. Era andata via così, senza preavviso, nello
stesso modo in cui era venuta. Il ragazzo sentì un groppo formarsi all’altezza
della gola e gli occhi pizzicargli.
«E… e… lei
è sveglia? Sa già? Glielo avete detto?» chiede con voce incrinata.
«Sì, è
sveglia… ma non occorre che sia io a dirglielo: lei sente ciò che è accaduto,
nonostante non fosse ancora evidente lei già sa…»
«Posso
vederla?» e stavolta il sussurro è tanto debole che lo stesso dottore a pochi
centimetri da lui fa fatica ad ascoltarlo; annuisce e poi va via.
Luca si
avvicina alla porta della stanza ancora stordito: non sa che fare, che dire, ma
sa che non vuole lasciarla sola, non in un momento del genere.
Entrando si
appoggia con la spalla contro il muro ed osserva la ragazza che, nel letto, ha
gli occhi umidi chiusi e respira con lentezza mentre il vuoto del suo ventre,
ancora coperto, ormai inutilmente da una mano, sembra quasi divorarla.
Il
respiro era lento, debole e in alcuni tratti affannato, come se non riuscisse a
tenere il ritmo richiesto dal cervello. Luca si voltò a guardare il collega che
pur dovendo tenere lo sguardo fisso davanti a se, con la coda dell’occhio non
lo perdeva di vista neanche un istante.
Ad
un tratto un violento giramento di testa lo costrinse a chiudere gli occhi; gli
veniva da vomitare e sapeva benissimo di essere sul punto di perdere i sensi.
Infatti pochi istanti dopo si accasciò in avanti poggiando la testa contro il
cruscotto della macchina, privo di sensi.
«Luca?!»
gridò Alessandro e accostando, lo sollevò facendogli poggiare di nuovo la
schiena contro il seggiolino della vettura e dandogli lievi colpetti sul volto
per farlo riprendere.
Il
commissario rinvenì pochi istanti dopo e guardò confuso l’ispettore che tirò un
sospiro di sollievo.
«Senti
Luca… perché non lasci perdere per ora e ritorniamo in ospedale? Magari Elena riesce
a convincere Anna a venire da te…» tentò lui, ma Luca scosse la testa.
«Non
verrà, lo so…» disse con voce stanca «Se voglio risolvere ’sta situazione devo
agire in prima persona… rimetti in moto!»
Alessandro
fece come gli era stato detto e in una decina di minuti furono sotto casa di
Luca. Sceseroe l’ispettore aiutò il
commissario a salire le scale, ma solo quando furono di fronte alla porta,
quest’ultimo si ricordò che le sue chiavi le aveva Anna.
«Bisogna
bussare…» disse ed Alessandro premette sul campanello che risuonò
nell’appartamento.
Pochi
istanti dopo, la porta si aprì ed Elena sgranò gli occhi alla vista di Luca.
«Che…
che ci fai qui?» gli chiese «Tu dovresti essere all’ospedale!»
«Questa
l’ho già sentita… Anna è lì?» chiese sbrigativo e senza aspettare risposta
superò l’ispettrice e si diresse in salone. Anna era lì, seduta sul divano, con
lo sguardo perso nel vuoto proprio come allora, nei mesi di depressione dopo
l’interruzione della gravidanza, quando molte volte l’aveva trovata per terra
svenuta o semplicemente scivolata e si era preso cura di lei standole accanto
senza dire una parola, ma aiutandola con la sua semplice presenza.
«Anna…»
sussurrò e la ragazza tremò nel sentire quella voce, unica che non si aspettava
in quel momento.
Si
voltò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime.
«Luca…
che… che… ci fai tu qui…? Dovresti essere…»
«In
ospedale? No, il mio posto è questo e tu lo sai bene! Anna che succede?»
«Mi
pare di avertelo detto, no?» fece lei un po’ stizzita perché sapeva di essere
con le spalle al muro.
«No!
Tu mi hai detto di essere incinta… ma che non era una bella notizia; non mi hai
spiegato il motivo, ti sei limitata ad andar via e a lasciarmi lì, imbambolato.
È arrivato il momento di parlare!»
L’ispettrice
lo guardò: nonostante il volto pallido e il corpo – solo ora di faceva caso –
molto dimagrito, il suo sguardo verde non aveva perso la sua forza e lei sapeva
di non potergli resistere a lungo.
«Luca,
ho paura!» disse.
«Lo
so… ne ho anch’io… ma questo non deve scoraggiarti, Anna! Io so quanto sei
forte e quanto hai lottato per essere felice…» ma mentre parla, l’ispettrice
scuote la testa.
«Non
è vero… io… io non sono così forte»
Luca
si siede accanto a lei prendendole il viso umido fra le mani.
«Ho
paura, ho paura di affezionarmi di nuovo a lui» continua Anna poggiandosi una
mano sul ventre «E di perderlo. Se solo ci penso mi sento mancare: non ce la
farei a superare di nuovo tutto… non ne sarei capace»
«Non
lo perderai, Anna! Non accadrà di nuovo… credimi!»
«Ma
il dottore ha detto…»
Si
fermò: lo sguardo di Luca, non appena lei aveva pronunciato quella frase, si
riempì di terrore; perché fino ad allora aveva dovuto tener testa alle semplici
parole di una ragazza spaventata e spaesata, ma ora doveva confrontarsi con i
fatti, con il responso di un medico qualificato.
«Il
dottore» riprese Anna senza riuscire a staccare gli occhi da quelli verdi «ha
detto che c’è il rischio che si ripeta. C’è una ferita interna, una ferita
cicatrizzata che mette a rischio tutto…»
Luca
la guardò imbambolato, quasi come se fosse da un’altra parte: aveva sempre
pensato che ci fosse qualcosa di più sotto quella reazione di paura di Anna, ma
era stato più facile, meno preoccupante, credere che fosse solo paranoia,
magari dettata da esperienze passate e nulla più. Ora si rendeva conto do
quanto fosse stato sciocco.
«Beh…
ma non è sicuro giusto?» sussurrò quasi senza forze «Insomma, il dottore ha
detto solo che c’è la possibilità che riaccada, non che sia una certezza…»
«E
se anche non accadesse» proseguì lei, in un certo qual modo felice di potersi
finalmente sfogare «Chi ti assicura che andrà tutto per il meglio? Che sarò in
grado di essere una buona madre? Di fare solo il meglio per lui?» chiese.
«Oh,
Anna! Non essere sciocca! Già solo il fatto che tu ti stia facendo tutti questi
problemi mi fa capire che sarà bravissima come madre!»
Anna
scosse la testa: Luca la faceva fin troppo facile, era fin troppo sicuro che le
cose sarebbero andate bene solo perché lo voleva. Per lei invece era diverso:
lei sapeva cosa voleva dire non fare la scelta giusta, conosceva il dolore che
ne poteva derivare, l’aveva provato sulla sua pelle e non aveva alcuna
intenzione di fare del male a suo figlio come ne era stato fatto lei.
«E
se andasse come con mia madre?» chiese.
Luca
la guardò e in un attimo capì quanto era stato cieco: era questo che le faceva
male, allora! La paura di poter far soffrire suo figlio come era successo a
lei…
Rabbrividì:
Anna aveva scoperto di essere incinta mentre lui era in missione, con la
costante possibilità di morire; inoltre il medico le aveva detto che c’era il
rischio che perdesse il bambino e le paure del suo passato l’avevano attagliata
dopo anni di apparente calma. Al solo pensiero di quel mix si sentì soffocare e
gli si chiuse lo stomaco: quanto aveva sofferto? E quanta di quella sofferenza
era causa sua?
Ad
un tratto la strinse a se, accarezzandole la testa con il mento ruvido.
«Perdonami…»
sussurrò «Sono stato così cieco e non ho capito quanto stessi male… Io… io sono
sicuro che andrà tutto bene proprio perché tu sai cosa vuol dire soffrire a
causa di scelte sbagliate. Non farai gli stessi errori di tua madre: lui o lei
crescerà con tutto l’amore che serve, con tutto quello che saremo in grado di
dare…»
«E
se invece, proprio perché quello di mia madre è l’unico esempio che conosco,
non saprò fare diversamente?»
«Gli
errori vengono capiti affinché non li si compia più…»
«Ne
sei sicuro?»
«Ti
ho mai mentito?»
Anna
scosse la testa: di Luca si fidava molto più che di se stessa.
«Non
lasciarmi…»
«Mai!»
e dopo mesi di solitudine e paura finalmente le loro labbra poterono toccarsi
di nuovo, sentire in quel muto gesto la sicurezza di un tempo e forse anche un
po’ della stessa gioia e ingenuità di prima di quella separazione e che avevano
creduto esser volate via con essa.
«Tutto
è bene quel che finisce bene» sentenziò Alessandro ed Elena tirò un sospirò di
sollievo: tutto si era finalmente sistemato.
«In
fondo ciò di qui aveva bisogno Anna… era Luca, nulla più» disse sorridendo.
«Promettimi
che, se mai dovessi avere un problema, me ne parlerai subito!» le disse lui
guardandola negli occhi.
«Tranquillo:
sarai il primo a saperlo; non ce la farei a resistere come ha fatto Anna…» poi
lo baciò e stavolta gli spettatori dei loro gesti e delle loro parole erano
Anna e Luca.
Almeno
una situazione era risolta…
Giuda
veloce: è in ritardo, in un ritardo stratosferico e per giunta al suo
matrimonio! Perché se fosse un semplice appuntamento avrebbe tirato su la scusa
del troppo lavoro, del caso complesso o delle indagini appena concluse, ma non
ora, non al suo matrimonio. Lì è semplicemente in ritardo.
Germana
sarà già arrivata pensa guardando
l’orologio Questa sarà un’altra cosa che il mio “caro” suocero mi
rinfaccerà ad ogni cena in famiglia.
Svolta l’angolo
con un velocità fin troppo alta che fa stridere le gomme sull’asfalto. Il suo
respiro è irregolare, come se anziché muoversi in auto stesse raggiungendo la
chiesa a piedi. Le parole di Angela, nel sogno di quella notte, gli rimbombano
ancora nella mente.
“Ti stai sposando all’età giusta, con la
persona giusta, nel modo giusto…”
Certo, ne è
sicuro… eppure sta tremando e non può dire che ha freddo perché siamo ormai in
estate: no quella è proprio paura! Paura ed adrenalina: un mix perfetto. Ancora
gli rimbomba nella mente lo sparo di Roberto che per poco non ammazzava Carla
Monti, sente ancora battere il cuore per la corsa fatta all’inseguimento della
malvivente, la testa che gli urlava: “tieni duro: vedo la fine; tieni duro:
stavolta la prendete…” e poi era finito tutto: l’avevano arrestata ed era
scomparsa nella volante dei colleghi. Angela poteva riposare in pace adesso e
lui poteva sposarsi…
Una seconda
morsa gli stringe lo stomaco mentre parcheggia in malo modo l’auto davanti alla
chiesa e vede corrergli incontro il padre con il suo vestito da sposo ed
un’aria agitata.
«Stanno
tutti a ‘spettà a te!» gli grida mentre lo fa risalire in macchina e gli passa
il pantalone dello smoking.
Mauro a
fatica riesce ad infilarseli: una macchina non è certo un camerino adatto per
uno sposo, poi Tiberio gli passa la camicia che infila più facilmente e mentre
il vecchio tenta di prendere le misure della cravatta provandola sul suo collo,
Mauro si infila un gilè dello stesso colore del pantalone.
«Ecco così va bene… se…» conferma Tiberio a se stesso, poi toglie la
cravatta dal suo collo e tenta di infilarla al figlio.
«Aspetta: infila la cravatta…» gli dice «Girate
un po’ di qua, un attimo!» ma la cravatta e troppo stretta per il
“capoccione” dell’ispettore.
«Piano, papà! E piano!» grida l’ispettore che intanto pensa che se
sopravvive a quel giorno può davvero dire di poter affrontare tutto.
«Mannaggia! C’hai un capoccione!» gli risponde agitato Tiberio riuscendo infine
a mettergli la cravatta.
Poi
continua a sistemarlo dicendo, più a se stesso che al figlio di fare piano, ma
ad ogni parola che dice il tono di voce aumenta e le mani, che ora stanno
sistemando la cravatta sotto il colletto della camicia, tremano vistosamente.
Strige la cravatta agitatamente fino a quasi soffocare il figlio.
«No! Più lenta per favore, papà, più lenta! Mi
sto a sentì male» si lamenta
lo sposo senza sapere se quel malessere è dovuto alla semplice mancanza
d’ossigeno o al grande passo che sta per fare; subito sente ritornare l’aria nei
polmoni: ora il padre gli ha allargato il nodo.
«Così va bene?»
«Si… dammi ‘a giacca, dammi ‘a giacca!» ed il padre lo aiuta ad infilare anche quella:
ora può finalmente dire di essere pronto.
«Mannaggia! Guarda che “ciancicaticcio”
Ce vorrebbe una botta di ferro da stiro adesso!» osserva lui con l’occhio critico di un sarto
anziano ma esperto.
«Apposto su!» lo sbriga Mauro «Se vedemo a casa papà» e scende di corsa
dalla macchina.
«Si… tirati giù quel collo della camicia! Si se
vedemo casa…»
e per qualche istante si adagia in macchina stanco per quella fulminea
faticata.
Poi la sua
mente fa un rapido ragionamento: Mauro sta per sposarsi, Mauro, suo figlio… suo figlio! Lui deve andare con lui! È il padre dello
sposo!
«Ma devo venire pure io! Se vedemo
a casa!» grida
ripetendo le parole del figlio e scendendo dalla macchina.
Mentre
entra nella chiesa, Mauro sente risuonare dall’organo la classica musichetta
dei matrimoni, mentre il padre lo raggiunge e dopo alcuni tentativi falliti
riescono a mettersi a braccetto.
Germana è
lì, di fronte a lui, in fondo alla navata: l’abito bianco si intona
perfettamente con la sua carnagione chiara e quei capelli biondo scuro che le
ricadono morbidi e mossi sulle spalle la rendono adorabile. Mauro l’osserva, in
un attimo perde la concezione di tutto ciò che lo circonda: c’è solo lei e lui
non ha occhi che per lei che gli sorride sollevata e felice di vederlo e forse
anche un po’ divertita.
Ed lui ora
lo sa, ne è convinto, quel suo semplice sorriso ha fugato tutti i suoi dubbi:
la sua è stata la scelta giusta, è con lei che vuole passare la sua vita…
perché, semplicemente, la ama.
[…]
Mauro
scende dalla macchina bianco come un cencio. È agitatissimo, in quel momento
non ricorda una volta in cui è stato più agitato di quella sera. Spera che al
Distretto sia già arrivata Germana perché attenderla sarebbe ancora più
snervante.
Ma
guarda quante agitazione me ‘sta a fa venì un cosino
come quello pensa entrando: quella sera
lui e Germana sarebbero andati in ospedale a prendere il piccolo Ettore… Ettore
Belli, da quella sera…
Sua moglie
è lì davanti alla guardiola a parlare con Ugo e Giuseppe: almeno non avrebbe
atteso ulteriormente.
«Ciao amore»
la saluta baciandola.
«Ciao amore»
ripeté lei con un sorriso.
«Non capisco come fai a sta’ così tranquilla
te!» le dice e
dalla voce affannata si capisce che quasi non respira.
«Amore,
ma se ci agitiamo tutti e due che facciamo, eh?» gli fa notare lei e Mauro si rende conto che
ha ragione: se andassero tutti e due in panico come sta facendo ora lui,
sarebbe la fine. Escono salutando i due poliziotti e salgono in macchina.
«Perché ci vuole così tanto?» chiede per l’ennesima volta l’ispettore.
Sono da più
di venti minuti seduti nel corridoio dell’ospedale e ancora non hanno visto
l’ombra di quello che sarà il loro bambino, né dell’infermiera che li aveva
accolto gentilmente chiedendo loro di attendere in corridoio.
«Beh lo staranno preparando» suppone lei accorgendosi che l’ansia la sta
prendendo tanto quanto sta prendendo il marito e sospirando.
«Certo che per lui sarà un bel trauma» considera Mauro «Da un giorno all’altro cambia tutto!»
«In meglio, però: ora avrà un padre ed una
madre» lo
rassicura lei.
«E se non gli pace stare a casa con noi?»
«Embè, ci sta lo stesso!» risponde lei un po’ brusca: l’ansia ormai l’ha
presa.
«Ammazza, già sei severe, oh! Manco l’hai
preso!» nota con
un sorriso sorpreso l’uomo.
Ad un
tratto, finalmente, la porta della stanza si apre. Mauro e Germana si alzano di
scatto e vanno incontro alla donna che porta un braccio un minuscolo fagottino
azzurro. I due non possono non ridere ammaliati da quello spettacolo.
«Oddio, quanto sei piccolo!» esclama Germana con la voce ancora
condizionata dal sorriso.
«Ammazza quanto è bello, però, eh?» non può fare a meno di notare Mauro.
«È bellissimo, eh?»
«E quando usciva così bello se lo facevo io?» si chiede sorridendo.
Germana
sporge la sua esile mano verso il mento del piccolo, quasi timorosa di potergli
far del male.
«Si può toccare?» chiede ingenuo il poliziotto; poi valuta la
sua grossa mano e la ritrae: è davvero troppo grande per quel piccolino.
«Chi lo prende?» chiede con un sorriso gentile l’infermiera.
«Piglialo tu… piglialo tu…» dice lui facendosi indietro: non si sente così
pronto, e se lo facesse cadere?
«Lo dia a me» si fa coraggio la giornalista «Così, eh?» chiese e la donna annuisce.
I due
sorridono ai piccoli vagiti del bambino che si sta lentamente svegliando. È
ancora più bello ora che è sveglio ed i suoi occhi incontrano quelli che da ora
in poi saranno i suoi genitori.
Erano
rimasti seduti lì, su una panchina del cimitero, per secondi che si erano
presto trasformati in minuti ed ore semplicemente a guardarsi, senza rompere il
silenzio e lasciando che fossero gli occhi a colmare i tre anni di parole
taciute. Ogni tanto qualche lacrima solcava questa o quella guancia e l’una o
l’altra mano la scostava con delicatezza.
«Ancora
prego che non sia un sogno» sussurrò lei.
«Anch’io
credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato… E più vi ero vicino più
sentivo di allontanarmi»
«Ora
sarà tutto diverso…» lo rassicurò Germana stringendolo a sé.
Mauro
sussultò: erano le stesse parole che gli aveva detto Luca, ma allora lui non
l’aveva creduto… Ora poteva farlo? Non ci sarebbero stati più ostacoli? No… ce
ne sarebbero stati tanti altri, ma stavolta lui era pronto ad affrontarli, non
si sarebbe più nascosto, avrebbe lottato per quella vita che gli avevano negato
perché ora sapeva che, se anche era in ritardo di tre anni, valeva ancora la
pena di combattere.
«Cosa
facciamo ora?» chiese la giornalista.
«Io…
non lo so… vorrei…»
«Tiberio
ora è a casa: deve essere tornato da pochissimo con Ettore» lo informò Germana
come leggendogli nel pensiero.
Mauro
parve sbiancare, non perché la moglie avesse indovinato le sue intenzioni –
sapeva che potevano leggersi nel pensiero, lo avevano sempre fatto – ma perché
si era reso conto di quanto velocemente stava accadendo tutto.
«Andrà
tutto bene… non temere» lo rassicurò Germana tenendogli la mano e alzandosi.
Lui
la guardò sorridendo ed una sicurezza che non provava da anni lo invase: gli
era mancata, non poteva negarlo ed ora sapeva anche quanto. Si alzò anche lui e
uscirono dal cimitero diretti alla vecchia casa di Mauro.
Quando
furono davanti alla porta d’ingresso l’ex ispettore si accorse di tremare.
«Oh,
avanti! Con me non hai fatto tutte queste storie!» disse la moglie per
allentare la tensione; Mauro le rivolse un sorriso divertito.
«Perché
tu non mi hai visto prima di incontrarti! Busso?»
«No,
ma che dici? E se aprisse Tiberio? Vuoi fargli prendere un infarto? Ho le
chiavi»
Il
suono del pezzo di metallo che girava nella toppa risuonò nel silenzio e fece
rabbrividire entrambi. Germana entrò silenziosa e Mauro le scivolò dietro
chiudendo dietro di se la porta. La donna si diresse in salone chiamando gli
uomini di casa.
«Mamma!»
esclamò Ettore correndole incontro e saltandole al collo.
La
giornalista lo prese tra le sue esili braccia e lo strinse al suo petto con un
gioia che non sapeva descrivere.
«Io
e il nonno siamo appena tornati!» disse il piccolo, pronto a raccontare alla
mamma la sua avventurosa giornata di asilo.
«E
dov’è ora il nonno?» gli chiese Germana con una certa impazienza nella voce.
«Sono
in camera!» urlò Tiberio che stava sistemando alcune camice appena stirate.
«Ettore
ora fai il bravo e guarda i cartoni alla tv mentre io parlo con il nonno, va
bene? Più tardi mi racconti tutto quello che hai fatto oggi!»
Il
piccolo annuì con un sorriso e si sedette sul divano; la giornalista accese la
tv al canale giusto e poi, dirigendosi verso la camera dell’uomo, diede una
breve occhiata al marito che era rimasto sulla soglia della porta, ancora con
il respiro mozzato per aver sentito per la prima volta la voce di suo figlio.
Lei bussò lieve alla porta del suocero chiedendogli il permesso.
«Certo,
cara: entra! Ah, visto che ci sei, mi passeresti la camicia azzurra che è sul
letto?»
Germana
fece quanto chiesto cercando di placare i battiti del suo cuore. Quando l’uomo
ebbe sistemato le ultime camice, si voltò a guardare la nuora e non poté non
notare quel lieve rossore che le colorava le guance e la luce che le animava
gli occhi marroni. Il suo cuore perse un colpo: sapeva benissimo che quel
giorno sarebbe arrivato e sapeva anche che era giusto così, eppure non poteva
fare a mano di sentire un lieve dolore all’altezza del cuore. Era da quando
Mauro era andato via che il volto di Germana non era stato tanto colorato e i
suoi occhi tanto luminosi e questo non poteva che significare una cosa: un uomo
– un altro – era entrato nella sua vita, aveva risvegliata dal sul invernale
letargo e nonostante egli stesso l’avesse più volte incoraggiata a rifarsi una
vita, ora che stava accadendo – perché non c’erano altre spiegazioni a quel
radicale mutamento – sentiva quasi come se la memoria di suo figlio fosse stata
in qualche modo usurpata.
«Devo
parlarti» disse lei sedendosi sul letto.
«Sapevo
che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» confessò lui accogliendo
l’invito della donna a sedersi accanto a lui.
«Lo…
sapevi…?» balbettò lei confusa.
«Certo.
Insomma è normale…» continuò lui cercando di apparire quanto più possibile
felice.
«Beh,
mica tanto…» sorrise lei ancora confusa.
«Ma
sì. Ti dico! Sono passati tre anni, era pure ora che tu… insomma…» faceva male,
più male di quanto credeva… Adesso non avrebbe potuto neanche più dire ad
Ettore che suo padre sarebbe tornato presto…
«Tiberio,
io non so di cosa tu stia parlando… ma devo dirti una cosa molto importante.
Non so quali sono le parole giuste per…» ma la sua tentennante voce fu bloccata
da quella squillante di suo figlio.
«Papà!»
aveva semplicemente esclamato il piccolo che, corso in corridoio per sentire
“il discorso dei grandi”, aveva visto la figura di Mauro ferma nel corridoio
con le spalle contro la porta d’ingresso.
Germana
rimase a bocca aperta: lei si stava sforzando di introdurre la questione con
quanto più tatto e calma possibile ed il figlio, invece, aveva vanificato tutti
i suoi sforzi con un semplice grido; di fronte a lei il volto di Tiberio non
poteva essere descritto: semplicemente non aveva espressione perché l’uomo non
sapeva cosa dire, né cosa pensare.
Poi,
ad un tratto, senza alcun preavviso, si alzò di scatto e si diresse fuori dalla
stanza, in corridoio; ma il suo corpo si blocco dopo soli pochi passi, gli
occhi stanchi fissi sull’impossibile e la mente che ancora si rifiutava di
connettere. Davanti a lui, sull’uscio, suo nipote Ettore era stretto al petto
di un uomo… un uomo che aveva il volto nascosto nell’incavo della piccola spalla
del bambino, un uomo che Ettore aveva chiamato “papà”, un uomo troppo simile a
suo figlio…
Il
colpo di grazia, quello che gli fece girare la testa e capire che, infine, la
pazzia l’aveva preso, fu vedere il suo sguardo velato di lacrime quando alzò gli
occhi sulla sua tremante figura. Quegli occhi… quegli occhi erano solo i suoi,
solo di Mauro, del suo Mauro… dell’impossibile.
«Oh,
Dio!» esalò in un sussurro, poi le gambe non ressero il suo peso e
semplicemente si accasciò a terra sotto lo sguardo sconvolto di Germana e
Mauro.
Ettore
scese dalle braccia paterne e Mauro corse verso Tiberio, lo prese in braccio –
notando quanto fosse leggero – e lo stese sul divano del soggiorno; Germana
prese un bicchiere d’acqua in cui aveva sciolto dello zucchero, poi si sedette
sul divano accanto all’anziano che era davvero pallido.
«Papà…?
Papà, mi senti…?» sussurrò l’uomo dando dei lievi colpetti sul volto del padre
e sentendo uno strano calore invadergli il petto: da quanto non pronunciava
quella parola?
Lentamente
il vecchio sembrò riacquistare il colorito, le palpebre tremarono lievemente e
infine si svegliò. Notò per primo il volto sorridente di Germana a cui sorrise
di rimando, poi la testolina del nipote che sfiorò con la sottile mano e infine
i suoi occhi si posarono sulla figura ancora pallida del… figlio. Prima che
potesse dire una qualsiasi cosa fu Mauro a prendere parola, con la voce
spezzata e le labbra tremanti.
«Ma
che scherzi sono, eh papà? M’hai fatto prendere un colpo!»
«Un
colpo?! Un colpo l’ho preso io quando ti ho visto!» sussurrò lui senza riuscire
a staccare gli occhi da quelli del figlio: gli erano mancati troppo per
potersene saziare in così poco tempo.
«Ma…
ma… come…?» tentò.
Mauro
gli accarezzò la guancia bagnata con la sua mano sorridendo anche lui tra le
lacrime.
«Ci
sono tante cose di cui devo parlarvi… tanti momenti che dobbiamo recuperare… E
credo che ‘sta storia non sia giunta alla sua fine»
Tiberio
si slanciò verso il figlio e lo strinse forte a se: non sapeva come potesse
essere possibile e in fondo, in quel momento, non gliene importava poi molto.
Mauro era lì con lui, con loro: era questo l’importante; il resto avrebbe
potuto aspettare anche decenni.
«Papà?»
chiamò Ettore con timore, Mauro si voltò verso di lui «Ora non andrai di nuovo
via?» sussurrò con gli occhi che luccicavano per l’importanza della domanda.
L’uomo
lo guardò negli occhi che – solo ora lo aveva notato – erano di un verde tanto
chiaro da togliere il fiato, bellissimi e profondi, gli occhi di suo figlio.
«No,
piccolo mio: non me ne andrò mai più…» poi non riuscì più a continuare: le
parole gli si erano bloccate in gola e non poté fare altro che stringere forte
a se Ettore versando lacrime che non potevano essere più nascoste e che, in
verità, neanche lo volevano, mentre il piccolo cingeva con le esili braccia la
sua schiena, poggiando la testolina sulla sua spalla.
«Bentornato,
papà!»
Continua a
girare in macchina senza trovare pace. Tornare a casa non ha alcun senso: se si
ferma dà tempo al cervello di pensare e quella è l’unica cosa che vuole
evitare. Le parole del padre gli rimbombano ancora nella testa senza
possibilità di essere dimenticate. Vuole rivederlo, dopo 5 anni di tormenti
vuole rivederlo perché sta male, perché ha paura di non farcela. E quando è
stato male lui? Dov’era suo padre quando lui, chiuso nella sua stanza piangeva
e si disperava? Allora non aveva voglia di parlargli, allora voleva solo
umiliarlo, ricordargli ogni attimo della sua vita che lo aveva deluso, che lui
– come uomo – non poteva accettare che il suo unico figlio fosse gay. Era stato
male per tanto tempo, era addirittura arrivato a convincersi che fosse colpa
sua prima di lasciare casa per sempre e buttarsi tutto alle spalle entrando in
polizia. Ed anche lì non era stato sempre tutto “rose e fiori”: dei giorni
avrebbe voluto chiamare casa e sentire la voce di suo padre che gli chiedeva
come stava, se aveva problemi… avrebbe voluto fare tutto quello che fa un
figlio con un padre in una famiglia normale… ma la sua non è una famiglia
normale. E adesso dopo tanti, troppi silenzi, suo padre chiama perché vuole
parlare… ma andasse a fanculo! Mauro dice che sta
sbagliando, che deve dargli una seconda possibilità, che si vive male con i
rimorsi, ma lui non ce la fa: le ferite sono troppo fresche perché le consideri
acqua passata, sta soffrendo ancora ora per tutto il male che gli ha fatto… non
vuole vederlo di nuovo, ha troppa paura di soffrire ancora, di stare male e non
riuscire più a rialzarsi.
Mentre fa
l’ennesimo giro senza alcuna meta sente la radio della sua volante.
«Richiesta
di rinforzi da parte dell’ispettore capo Belli: convergere tutte le vetture in
Via dei Casali Romagnoli, è in corso una sparatoria. Ripeto: sparatoria;
convergere tutte le vetture in Via dei Casali Romagnoli»
Senza
neanche doverci pensare, Luca ingrana la marcia e si dirige sul posto con una
strana ansia che gli strozza il respiro. Quando arriva, l’aria ha già disperso
il rumore dei proiettili sostituito da quello delle sirene dei colleghi e dell’ambulanza.
C’è un uomo steso a terra. Luca rabbrividisce, prega di aver visto male mentre
istintivamente scende dalla macchina e corre verso Roberto. Steso, poco
distante dal commissario, Mauro respira a fatica, un foro rosso all’altezza del
petto.
«Dio mio…»
sussurra portando una mano alla fronte, sconvolto e senza riuscire a staccare
gli occhi dall’amico agonizzante.
Non riesce
a dire nulla, non riesce neppure a pensare mentre gli infermieri lo caricano
sulla barella e Roberto sale per accompagnare l’amico in quella corsa contro il
tempo e la morte. La testa gli dice di salire con lui sull’ambulanza, ma le
gambe pesano come piombo e non gli permettono di fare un passo. Solo quando
ormai la vettura e in moto, riesce a camminare; si avvicina alla pozza di sangue
lasciata dall’amico e raccoglie la sua pistola, con gli occhi appannati dalle
prime lacrime.
Sale veloce
in macchina e si mette all’inseguimento dell’ambulanza; non sa con quale forza
riesce a chiamare Ugo per avvertire il Commissariato della situazione.
«Hanno
sparato Mauro!» grido con la voce che ormai ha assunto il tipico tono del
pianto «Sta male…» poi non riesce a continuare e attacca, mentre ormai sono
giunti in ospedale.
Segue
correndo la barella, incurante delle lacrime che ormai scendono senza tregua
sul suo volto finché sia lui che Roberto sono costretti a fermarsi mentre i
medici entrano con il ferito in sala operatoria. Luca non riesce a respirare: è
successo tutto talmente velocemente che non se ne rende ancora realmente conto.
Un attimo prima Mauro è con lui e gli sta dicendo di parlare con suo padre e un
attimo dopo è sul lettino della sala operatoria con un buco nel petto. Il gelo
lo avvolge mentre si appoggia ad una colonna e si stringe nel suo giubbotto di
pelle marrone.
Anna li
raggiunge in ospedale pochi minuti dopo. Con lei non serve parlare: basta
guardasi per capire ogni cosa ed infatti lei non chiede nulla, ha capito che la
situazione non è affatto buona; solo lo stringe a se e Luca piange sulla sua
spalle senza alcuna vergogna. Poco dopo è Irene ad arrivare, correndo, mentre
Luca è di nuovo appoggiato contro una colonna ed Anna è seduta con lo sguardo
perso nel vuoto.
«Luca…?»
lo chiama, ancora con il fiatone.
«Lo stanno operando…» sussurra lui intuendo la sua muta domanda.
«Quant’è grave?»
«Non lo so… non te lo so dire…» poi sospira, mentre gli tornano alla memoria
le immagini di poco prima, il corpo di Mauro, il suo sangue sull’asfalto; gli
gira lo stomaco «Quando l’ho visto io,
non stava per niente bene…» poi non ce la fa a continuare e ci copre gli
occhi con una mano asciugando le lacrime che li imperlavano.
All’improvviso
Anna si alza e si avvicina ai due guardandoli; forse vorrebbe dire qualcosa, ma
non ne è capace e si limita a passare tra i due sfregandosi convulsamente le mani
chiuse a pugno, mentre da dietro alla colonna, dove sta fermo Luca, giunge con
volto scuro Alessandro che subito stringe a se Irene. L’attesa è snervante,
Luca non riesce ancora a rendersi conto di ciò che è successo, prega solo che
sia tutto un sogno e si ripete che presto si sveglierà e sarà tutto a posto… ma
non ci crede neanche lui. Non riesce a scostarsi da quella maledetta colonna
mentre vede i suoi compagni muoversi agitati, alzarsi per poi sedersi di nuovo,
guardarsi tra loro in cerca di un conforto che non esiste. In breve perde la
concezione del tempo e non sa che ore siano quando Vittoria, Ugo e Giuseppe
giungono in ospedale. La donna lo stringe a se piangendo, mentre i due uomini
chiedono informazioni ai presenti, ma nessuno sa nulla: Mauro è ancora in sala
operatoria.
Dopo poco
anche Roberto, che non si era mosso dalla porta della sala, li raggiunge in
corridoio. Nessuno riesce a chiedergli qualcosa, nessuno tranne Ugo i cui occhi
azzurri lo pregano di avere notizie positive.
«Come sta?»
sussurra con un mezzo sorriso, come se volesse incoraggiarlo.
Gli occhi
umidi di Roberto incontrano quelli azzurri: non sa come, ma deve dir loro la
verità; una verità che Luca ha già capito, ma che non può, non vuole accettare.
«Non c’è più… non c’è più…» dice scoppiando a piangere più forte.
L’incredulità
avvolge gli uomini del X: Mauro è andato via, per sempre… è stato tutto così
veloce che nessuno di loro sa come reagire se non abbracciandosi e piangendo
forte come solo in pochissime altre occasioni. Luca si dispera senza più
pudore: pensa alle parole che Mauro gli aveva detto quella mattina, a quanto
fosse buono, a quanto lo avesse aiutato… e al fatto che non lo rivedrà mai più,
che non potrà più parlargli…
Quante
cose avremmo potuto fare ancora insieme… io non posso… non ce la farò senza
lui…
Scivola
contro la colonna come schiacciato da un peso enorme, insostenibile e vorrebbe
solo addormentarsi e non svegliarsi mai più… In fondo se questo diritto se
l’era preso Mauro senza avvisare nessuno, perché non avrebbe potuto farlo anche
lui?
C’è
solo bianco intorno a lui. Luca vede bianco a perdita d’occhio e lentamente
perde la concezione delle dimensioni: gli sembra di fluttuare nell’aria. Prova
a muoversi senza sapere se ha successo, ma stranamente tutto ciò non lo
sorprende: è come se fosse normale muoversi in quel modo e con
quell’incertezza. Dopo poco il bianco comincia lentamente a cambiare
dissolvendosi come nebbia e Luca vede davanti a se una grande distesa verde:
man mano che la nebbia si dilata il commissario comincia a distinguere vari
particolari in quel prato verde e avvicinandosi scopre tante lapidi color crema
con su incisi vari nomi in nero. Il giovane non ne è sorpreso o turbato: è come
se, adesso che lo ha scoperto, abbia sempre saputo di trovarsi in un enorme
cimitero.
Comincia
a camminare, incerto sulla strada da prendere; sfila attraverso le lapidi
distinguendo i vari nomi incisi in marmo nero: alcuni li conosce, gli suonano
familiari e sforzandosi riesce a collegarli anche a dei volti, ma tutti i
ricordi sono stranamente offuscati e anche lui si sente stanco, non ha voglia
di riflettere; altri nomi, invece, non gli dicono proprio nulla, stranieri,
inesistenti finché non li ha letti e comunque, anche allora, destinati
all’oblio.
Continua
a camminare con passo sempre più lento e stanco, fino a giungere ad una lapide
dietro la quale c’è un grosso albero probabilmente centenario. Il marmo della
lapide attira la sua attenzione: nonostante ci fossero diversi mazzi di fiori
sulla tomba, a differenza degli altre, nessuno nome spezzava la morbida e
candida armonia del bianco della lapide. Luca rimane a guardare stranamente
interessato quell’insolito spettacolo: qualcosa lo attira, anche se non sa cosa
sia; sente di conoscere il nome mancante sulla lapide, ma in quel preciso
istante proprio non gli viene in mente.
«Luca…?
Luca…»
Una
voce scuote il commissario dal suo ragionamento. Si volta in cerca della donna
che lo ha chiamato, perché si tratta della voce di una donna, ma non vede
nessuno: è completamente solo mentre la piana verde sembra ingrandirsi e lui si
rimpicciolisce sempre più.
«Luca…?
Luca… Apri gli occhi, su… Luca…»
Ancora
quella voce che, con una nota preoccupata nel suono, lo chiama ed ora gli
sembra così famigliare… Posa di nuovo il suo sguardo sulla lapide senza nome.
Aspetta pensa aspetta
ancora un attimo: io conosco il nome che manca…il nome…Mauro! Manca il nome di
Mauro! Mauro… non è morto! Lui è ancora qui, per questo questa lapide è bianca…
io… io devo parlarne, devo fare qualcosa.
L’uomo
aprì di scatto gli occhi, come se non stesse dormendo, ma solo riflettendo.
Anna occupava gran parte del suo campo visivo: i suoi occhi erano velati da una
lieve preoccupazione e le labbra increspate da un’espressione di
concentrazione.
«Luca!»
esclamò con un sorriso sollevato «Ti sei svegliato finalmente! Mi hai
spaventato…»
«Scusa…»
disse lui automaticamente ripensando ancora al sogno appena fatto… a Mauro…
«Tutto
ok?» chiese la ragazza notando il suo strano comportamento.
«No…
in realtà no…»
Sapeva
di doverle parlare di quello che era successo nella missione: non avrebbe retto
ancora per molto e – sinceramente – neanche voleva più mantenerlo quel segreto.
Anna doveva sapere, tutti dovevano sapere!
L’ispettrice
si sedette sul divano dove Luca si era addormentato e puntò il suo magnetico
sguardo su di lui in attesa di spiegazioni.
«Anna…»
non sapeva da dove cominciare: come si faceva a dire una cosa simile? «Non
prendermi per pazzo ti prego… ma devo dirti una cosa importante, che… che non
capita tutti i giorni»
Anna
annuì ed il commissario si decise ad andare avanti.
«Durante
la missione sono stato più volte sul punto di essere scoperto, ho rischiato di
morire molte più volte di quanto immagini… e se sono qui è grazie ad una
persona…»
«Di
chi parli?» chiese lei, senza capire che cosa volesse dirgli Luca.
«Parlo
della stessa persona che vi ha avvertiti del mio ferimento… la stessa che ha
fatto si che la DIA mi trovasse e mi portasse via giusto in tempo…»
«Ma
io credevo che fossi stato tu ad avvertire la DIA… e poi, scusa, che ne sai che
un uomo ha avvertito Elena del tua situazione?» c’era qualcosa che non andava,
lo sentiva.
«Perché
questa persona era con me nell’Organizzazione ed è grazie a lei se la mia
copertura ha tenuto quasi fino alla fine…»
«Quasi
fino alla fine? Che intendi con “quasi”?»
«Si,
quasi… perché poco prima che la DIA arrivasse… Ma non è questo il momento! Io
voglio parlati di questa persona… Anna, è Mauro! È il nostro Mauro che mi ha
aiutato!»
La
ragazza rimase qualche istante interdetta, poi sorrise.
«Luca,
io capisco che questi ultimi giorni sono stato molto stressanti e traumatici
per te... ma stavolta ne hai sparata una davvero grossa! Mauro è morto da tre
anni ormai!» disse: ovviamente non lo credeva… e come avrebbe potuto?
Luca
sospirò scuotendo la testa: sapeva che sarebbe stato difficile, ma ormai il
grosso erra fatto, non poteva lasciar perdere proprio ora.
«No,
Anna! È la verità! Ti devi credermi!»
«Come?»
chiese lei, un po’ innervosita.
«All’inizio
anch’io credevo di essere impazzito, poi, però, Mauro mi ha spiegato ogni cosa.
Prima che lo operassero due uomini della DIA sono andati dal dottore che stava
per provvedere all’intervento e gli hanno imposto che, qualunque fosse stato il
suo esito, lui avrebbe dovuto comunicare la morte di Mauro. In seguito l’hanno
trasferito in una piccola clinica poco distante da qui dove si è ripreso
subito: la ferita era meno grave di quanto paresse all’inizio»
«E
perché avrebbero dovuto fare tutto questo?» chiese, interrompendolo, lei ancora
un po’ scettica.
«Mauro
è sempre stato un ottimo ispettore e negli ultimi tempi si era particolarmente
distinto… così quelli della DIA hanno pensato che un uomo del genere avrebbe
fatto al caso loro… Per tre anni Mauro ha fatto missioni sotto copertura senza
alcuna possibilità di potersi ribellare: per tutti lui era morto e lui, da
solo, non poteva far nulla per cambiare le cose…»
Luca
si accorse che nonostante conoscesse la storia ormai da tempo, faceva ancora un
certo effetto pensarci e parlarne gli aveva fatto tremare più volte la voce.
Anna lo guardava sconvolta: il commissario era fin troppo serio, fin troppo
lucido per essere in preda al delirio… ma allora doveva davvero credere a quel
racconto? Doveva davvero pensare che per tutto quel tempo Mauro era sempre
stato in vita e magari neanche così lontano da loro?
«Mi
credi?»
«È
tutto talmente assurdo…»
«Lo
so… eppure è la verità… io non inventerei mai una cosa simile.. e poi a che
scopo?»
Già,
a che scopo? Sì, lo credeva… in fondo era tanto facile pensare che fosse ancora
con loro… quante volte lo aveva desiderato dopo la sua “morte”?
«Mi
credi, Anna?» domandò di nuovo lui con insistenza.
«Si…
si… ti credo… io… solo non so che pensare… insomma… ora dov’è?»
«A
conclusione della missione è sparito, come sempre… e la DIA ha mandato uno dei
suoi uomini a dirmi di dimenticare tutto… Ma io non posso: insomma Mauro ha
diritto a tornare alla sua vecchia vita, per quanto sia difficile!»
Anna
annuì: aveva ragione… ma se era andato via in che modo lo avrebbero trovato?
Loro erano solo in due e la DIA avrebbe trovato il modo di zittirli subito.
Luca parve leggerle nel pensiero.
«Lo
so che da soli non possiamo far nulla… per questo ho intenzione di parlare con
qualcuno che potrà darci una mano» poi strinse a se Anna, felice di averle
detto tutto ed anche lei lo abbraccio, mentre le prime lacrime scendevano sul
suo volto e bagnavano la spalla del commissario: solo in quel momento mente e
cuore avevano messo davvero a fuoco tutta la situazione…
Quando
si staccarono con un sorriso, Luca prese il cellulare e compose un numero
telefonico con mano lievemente tremante.
«Chi
chiami?»
«L’unico
che può darci davvero una mano» disse lui serio.
Attese
quei pochi secondi in cui il telefono squillava con un ansia tremenda
tamburellando con le dita sul tavolino di legno.
«Pronto?»
A
Luca mancò il fiato: per un attimo ebbe la tentazione di chiudere tutto e
rinunciare, poi si diede dello stupido e prese fiato.
«Roberto?
Sono Luca… senti è urgente: ho bisogno di incontrarti qui a Roma!»
LO SPAZIO DELL’AUTRICE
Salve a tutti!! Prima che
mi uccidiate sul serio stavolta, ci tengo di nuovo a scusarmi per il mio spaventoso
ritardo… ma stavolta ho scritto un capitolo lunghissimo, dunque mi ci voleva
più tempo! u.u
A proposito di lungo
capitolo… questo è davvero enorme, vero?? Mi spiace… perché molti di voi si saranno
sicuramente scocciati a leggerlo! Ho anche pensato (con il suggerimento di mio fratello)
di dividerlo in due, ma non sapevo davvero come e dove interromperlo e poi era
stato concepito come un capitolo unico e non me la sentivo davvero di postarlo
in due volte… Dunque sopportatelo! Nel caso siate riusciti a leggerlo tutto…
che ne pensate? Ho dato sfogo davvero a tutte le mie risorse e mi sono anche
valsa dell’aiuto di alcuni frammenti di episodi delle varie serie
(rispettivamente 07x26; 03x23 ; 03x26 e 06x03 ; 06x09)… Ora le cose sembrano
essersi sistemate per il meglio e Luca sembra finalmente aver preso un’importante
decisione…
Intanto ringrazio i miei
angeli:
Barby_19Sono sollevata che tu non sia rimasta delusa dallo scorso capitolo… in
fondo l’avevo buttata giù pesante… ma ora credo tu abbia capito perché… Questo
capitolo cosa te ne pare? Lunghetto, eh? Ma spero che x te sia valsa la pena leggerlo…
Un bacio…
Tinta87 ^^ felice di non averti delusa!! Ormai so di
essere molto… ehm… contata se ogni volta intuite sempre tutto!! Vbb… almeno
riesco sempre a sviarvi…Ora le cose sembrano essersi sistemate no?? Manca
giusto un ultimo tassello! Ti ringrazio x i tuoi immancabili complimenti… -^^-
e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Aspetterò con pazienza e voglia di
leggere i tuoi futuri aggiornamenti, cara! Un bacio…
Dani85 Oops…
è vero… sono stata un po’ cattivella a buttarla giù così pesante con Anna, ma
in fondo tutte quelle ansie hanno un perché!! E poi dovevo pur sviare in
qualche modo tutti i lettori che avevano capito da subito che l’ispettrice era
incinta, no?? Mi sto accorgendo che mi riesce particolarmente bene… Ora penso
che tu abbia capito perché Anna sia così giù anche se adesso sembra andare
tutto per il meglio… Che te n’è parso di quelli che tu hai chiamato “prossimi
sviluppi” per quanto riguarda Mauro?? Spero che in generale il capitolo sia
stato di tuo gradimento! Eh, eh.. Davide… è Davide… poi vedrai nell’epilogo che…
No! Devo stare zitta!!! Per una eventuale nuova FF su Distretto… non so: con
questa ho dato sfogo a tutta la mia fantasia, ma mai dire mai!! Alla prossima,
un bacio…
Lyrapotter Non preoccuparti x le mancate recensioni… Mi
fa sempre piacere leggerle, ma ovviamente non sei tenuta recensire sempre!!
Davide ha avuto un gran cuore: Luca gli ricordava troppo suo figlio e poi lui
stesso era stanco di tutti quei crimini… Anche tu, come tutti, avevi capito che
Anna era semplicemente incinta… (uff… come sono scontata!); spero che ora ti
sia chiaro il motivo di tutta quell’ansia! Allora… diciamo che dei tuoi ordini
per questo capitolo sono riuscita a rispettare quasi tutto: ho evitato la
strage alla DIA solo perché sarebbe stato troppo complicato fare uscire il X
pulito da quella situazione… ma per il resto ci siamo no?? Felice?? Alla
prossima, un bacione…
Uchiha_chanSpero
che ora ti siano chiari i motivi che hanno indotto Anna a stare tanto male…
Confido che anche stavolta l’attesa sia stata ripaga, perché in caso contrario
sono sicura che farei bene a guardarmi le spalle, giusto? Le tue parole sul mio
stile mi fanno arrossire, cara: mi sopravvaluti, non sono tanto brava… Cosa ti
è parso di questo lungo (forse fin troppo) capitolo? Un bacione…
Luna95Hihihi… mi sembra di capire che tu sia molto felice del fatto che Anna
sia incinta! Cosa te ne pare di questo capitolo? Spero che tu riesca a capire
tutti i passaggi perché stavolta sono andata a finire anche nelle scorse serie…
in ogni caso ponimi tutte le domande che vuoi, cara!! Un bacione…
Buffy86 Sono contenta che i miei aggiornamenti ti
facciano fare i salti di gioia!! -^^- davvero lusingata!! X Mauro hai avuto
ragione a credere che non fosse finita qui la storia… come infatti… che te n’è
parso di questo capitolo?? Ora sembra essersi tutto chiarito, no?? Sono una
grande?? Mah… non esagerare… sono solo una che ha deciso di rompere le scatole
con un’insignificante ff… nulla più! Un bacione…
Metaipod Grazie per la tua recensione e per aver messo
la storia tra le preferite!! -^^- Sono contenta che la storia ti intrighi molto…
che te ne pare di questo enorme capitolo?? Un bacione…
Allora… prima di
concludere volevo solo dire che questo capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno seguito la storia commentando e
dandomi la spinta ad andare avanti. Stavolta per scriverlo ho dovuto fare
una veloce revisione del passato di Distretto ed è stata una cosa meravigliosa
che non sarebbe accaduta se non fosse stato per voi… dunque GRAZIE!!
Mi sa che sono proprio
costretta a dirvi che il prossimo capitolo sarà L’EPILOGO!! Su, su placate i
vostri
salti di gioia e le vostre
grida di felicità!! Lo scriverò con gioia, ma anche tristezza… e…
Vbb… non mi sembra il caso
di parlarne ora… Insomma ci sarà tempo per farlo la prossima volta!! Un grazie
anche a tutti i silenziosi lettori…. Al prossimo capitolo!!! Un bacione enorme…
…Nonostante la
punizione inflitta a Prometeo – che è durata 10.000 anni –, Giove non è ancora
soddisfatto e brava ancora vendetta per il torto subito. Così sceglie un modo
più subdolo e nascosto per farla pagare al titano: ordina a Vulcano di
fabbricare una donna di ammirabile bellezza, la prima. Tutti gli dei
dell’Olimpo festeggiano la creazione della fanciulla con un sontuoso banchetto
e le portano innumerevoli doni: Atena le regala le attitudini ai lavori
femminili, Afrodite accresce la sua già grande bellezza, Hermes le dà coraggio
ed astuzia ammaliatrice. Avendo in tal modo ricevuto tanti doni, la fanciulla è
chiamata Pandora (dal greco παν ogni e δορον doni; dunque colei che ha “ogni dono”). In seguito
la fanciulla è data in sposa da Zeus a Epimeteo che altri non è che il fratello
di Prometeo. Quest’ultimo scongiura il fratello di non accettare le nozze
perché è sicuramente un nuovo modo per punire lui di aver aiutato gli uomini,
ma non c’è alcun modo di convincere Epimeteo e soprattutto di evitare il
destino che ha già stabilito ciò che sarà in futuro. Dunque Epimeteo sposa la
fanciulla. La vita sembra scorrere tranquilla ed anche Prometeo – che
inizialmente temeva per la sorte degli uomini – rassicura il proprio animo.
Un giorno, però,
la giovane Pandora, sola in casa, è attratta particolarmente dal vaso donatole
inizialmente dai re degli dei e dal suo monito sul fatto di non aprirlo mai. La
curiosità la invade e la fa pericolosamente avvicinare al vaso.
Non
aprirlo mai… sente rimbombare nella sua
mente, ma ormai è troppo tardi per tirarsi indietro e fermare le proprie mani.
Senza quasi rendersene conto si ritrova con il tappo in una mano ed il vaso,
ormai aperto, nell’altra, dal quale, sottoforma di lieve nebbia, escono tutti i
mali che ora affliggono il mondo.
La vendetta di
Zeus è infine attuata: gli uomini, pur avendo migliorato le loro condizioni con
l’intervento di Prometeo, sono condannati a soffrire il dolore, la
fatica, la tristezza, la sofferenza…
L’orologio
segnava le 6:00 da quello che a Luca pareva un secolo. Steso in canottiera e
boxer sul divano del soggiorno, guardava l’aggeggio che con il suo ticchettio
scandiva il tempo e che quella mattina era particolarmente snervante. Nella
stanza il sole riusciva ad entrare solo grazie ad un piccolo spiraglio tra le
tende creando una piacevole atmosfera soffusa. Quella notte il commissario non
era riuscito a dormire: dopo tanto tempo era stato finalmente con Anna,
assaporando a peno la sua presenza ed infine l’aveva sentita addormentarsi. Ma
Morfeo non aveva voluto cullarlo tra le sue braccia neanche quella notte. Da
quanto non dormiva come si deve? Sicuramente dall’inizio della missione… ma se
allora aveva creduto che al termine di quello stress sarebbe tornato alle sue
vecchie abitudini, ora si rendeva conto di aver fatto male i calcoli. Anche se
la missione era finita, non lo erano ancora i pensieri che lo tormentavano e
che ora ruotavano intorno a Mauro, a quello che avrebbe potuto fare per
aiutarlo e all’inquietante possibilità – tra l’altro molto alta – di un suo
fallimento.
Sospirò,
aveva perso il conto di quante volte – anche inconsciamente – aveva fatto quel
gesto.
«Luca!
Luca!»
Il
grido di Anna ruppe il silenzio di quell’alba e fece sussultare Luca. Perché
urlava in quel modo? Il flash back dell’ultima volta che l’aveva sentita urlare
così – quando Anna aveva perso il bambino – tornò forte e reale nella sua mente
lasciandolo immobile per alcuni istanti mentre le urla continuavano, come se
ritardando il soccorso a quella richiesta d’aiuto avrebbe potuto evitare anche
di quella raccapricciante scena. Resistette solo alcuni istanti, poi scattò dal
divano e corse in camera da letto.
Entrando,
i suoi occhi erano già pronti al sangue ovunque e al suo contrasto con il
pallore della ragazza, ma Luca pregava ancora inconsciamente di sbagliarsi.
«Sono
qui….» sussurrò senza rifletterci e nella penombra della stanza sentì Anna
stringerlo a se tra gli spasmi di un silenzioso pianto. Non c’era sangue, da
nessuna parte… Luca sentì evaporare un peso enorme mentre ricambiava
amorevolmente l’abbraccio della ragazza.
«Cos’è
successo?» le chiese poi, prendendole il viso fra le mani e facendola sedere
sul letto.
Lei
scosse la testa abbassandola e sentendo lo sguardo del compagno che le trafiggeva
la nuca.
«Lo
sai che a me puoi dire tutto…» la incoraggiò lui.
Anna
parve riprendere coraggio perché alzò lo sguardo incrociando quello verde di
Luca.
«Mi
sono svegliata… e tu non eri nel letto… allora ho creduto di aver sognato tutto
quello che è successo ieri… in un attimo mi sono sentita morire, è stato
orribile…» e mentre parlava, per il ricordo della paura, alcune lacrime le
avevano rigato il viso.
Luca
le cacciò via con la mano: ogni volta che la vedeva piangere gli si chiudeva lo
stomaco; sapeva quanto lei avesse sofferto e non poteva sopportare altro
dolore: si chiedeva se ci fosse un limite per il dolore. Se, arrivati ad un
certo punto, si potesse raggiungere la soglia estrema di dolore provato e non
superarla in alcun caso oppure se si fosse destinati a soffrire sempre,
indifferentemente dalle esperienza provate. In ogni caso sembrava che tutto
quello che aveva provato fin’ora Anna non fosse ancora sufficiente.
«Ssh… sono qui, sono qui…» le ripeté mentre lei lo stringeva
poggiando la testa sul suo petto.
Luca
sentì nascere dentro di se emozioni che non avevano nome: si sentiva felice
come non mai e allo stesso tempo una tristezza opprimente gli attanagliava lo
stomaco e gli impediva di respirare. Sarebbe voluto rimanere così per sempre,
stringendo a se tutto ciò che lo faceva stare bene, protetti dalla penombra
della stanza e dall’inconsapevolezza del futuro… perché in quel momento voleva,
aveva bisogno di nascondersi dietro
quella finta ingenuità: pensare faceva male, faceva paura.
Il
silenzio fu interrotto da una domanda che aveva atteso fin troppo.
«Perché
non dormivi?» chiese Anna «Troppi pensieri?»
«Insicurezze…
non so cosa fare, Anna! Ho chiamato Roberto, ma già so che dirgli di Mauro sarà
difficile; e se anche ci riuscissi, se anche Roberto mi credesse e non volesse
portarmi in manicomio, come, invece, stavi per fare tu…» e qui – non seppero
davvero con che forza – entrambi risero «…chi ci dice che troveremo il modo di
far tornare le cose com’erano? Insomma stiamo parlando della DIA: non possiamo
semplicemente fare irruzione lì e dire che ci riprendiamo Mauro!»
«Luca,
Roberto è della DIA, per questo l’hai chiamato, no? Saprà cosa fare…»
«E
se invece desse ragione a loro proprio perché è della DIA?»
«Andrà
tutto per il meglio: nonostante se ne sia andato da tempo, Roberto è sempre il
vecchio Ardenzi del X!»
Luca
sfiorò con il mento ispido i morbidi capelli dell’ispettrice, illudendosi che
quelle parole lo avessero realmente rassicurato.
Non
ricordava com’era svegliarsi rilassata dopo una notte tranquilla, senza
pensieri o dolori. Per questo fu strano aprire gli occhi e sentire la mancanza
di quel peso sullo stomaco e la sensazione di dover vivere ancora una giornata
senza sole.
Quasi
con il timore che potesse svanire tutto, aprì lentamente gli occhi e guardò
verso il lato del letto dove i ricordi gli dicevano che avrebbe trovato Mauro.
Vuoto.
Non c’era nessuno accanto a lei. Rimase per qualche istante interdetta, come se
quella fosse una cosa assurda, nonostante suo marito fosse tornato da solo un
giorno.
«Avevo
dimenticato quanto fosse piacevole la brezza mattutina…» sussurrò Mauro
affacciato alla finestra della stanza, di spalle al letto.
Germana
sussultò, poi sorrise rassicurata da quella voce e dal fatto che non aveva
sognato nulla di tutto quello che era successo il giorno prima.
«Anch’io
avevo dimenticato la pace della mattina… la sensazione di un nuovo giorno che
comincia, come se fosse separato da tutti i precedenti e i problemi di questi
ultimi non lo riguardassero».
Mauro
si voltò verso di lei con un lieve sorriso: entrambi si stavano rendendo conto
di quanto avessero ritrovato. L’uomo tornò a letto stringendo a se la moglie:
avrebbe voluto che quel momento non finisse mai.
«Cosa
farai ora?» gli chiese ad un tratto lei con semplicità.
«Ho
detto a Luca che non sarei mai tornato indietro, che non avrei in alcun modo
riottenuto la mia vecchia vita… ma ora sono qui, sono tornato… Mi sembra il
minimo avvertirlo di questo cambiamento» e sorrise a Germana «Poi…»
«Poi..?»
continuò a chiedere lei con un sorriso: conosceva benissimo i pensieri e le
intenzioni del marito.
«È
difficile: mi ci sono voluti tra anni per decidermi a tornare e dirti tutto…
Ora non posso semplicemente tornare dai miei vecchi amici e dire: “Salve, non
sono mai morto!”. Eppure… io.. voglio, devo
dir loro quello che è successo!»
«Parlane
con Luca! Vedi lui cosa ne pensa a riguardo e quali soluzioni si posso
trovare…»
Mauro
la guardò per qualche istante ammirato: come aveva potuto farcela senza di lei
restava ancora una domanda senza risposta.
Si
vestì in fretta e furia – doveva essere da Luca prima che uscisse per prendere
servizio – e baciò la moglie con una passione che non provava da anni.
«Sono
perso senza di te…» le sussurrò, poi uscì di casa. Sì: parlare con Luca era la
soluzione migliore.
Non
ci mise molto ad arrivare sotto casa del commissario: fortunatamente Luca non
aveva cambiato domicilio dall’ultima volta che lo aveva “osservato”. Scese con
un ansia maggiore di quella che si aspettava e – sfruttando il fatto che il cancello
fosse rimasto apertodopo l’uscita di
una macchina – riuscì ad entrare nello stabile senza che nessuno lo vedesse.
Secondo piano a
desta si
ripeté automaticamente, come se avesse fatto quel percorso milioni di volte,
invece quell’appartamento era stato affittato solo dopo la sua “scomparsa”.
Senza
neanche tentare di bloccare l’ormai abituale tremore alle mani, bussò ed attese
alcuni istanti prima di ricevere risposta.
«Arrivo!»
pronunciòuna voce femminile.
Femminile? In un istante,
mentre dall’interno stavano per aprire, Mauro ebbe come un fulmineo flash: Luca
divideva l’appartamento con Anna, Luca stava con Anna… e quasi sicuramente Anna
non sapeva che lui…
Il
flusso dei suoi pensieri fu bloccato dalla faccia – prima distratta, poi seria
ed allibita – che gli aveva aperto la porta. Di fronte a lui una Anna in
pantaloncino e canottiera lo fissava senza riuscire a pronunciare parola. Mauro
la fissava a sua volta cercando un modo per spiegarle ciò che stava accadendo,
ma senza successo.
«Chi
è?» chiese intanto il commissario dalla cucina.
«Luca!
Luca: corri!» gridò lei spaventando entrambi gli uomini.
Quando
Luca fu di fronte alla porta d’ingresso il suo cuore fece una splendida
capriola.
«Ma…
ma tu… non avevi detto che… insomma sei andato via… Di Melli ha detto che avrei
dovuto dimenticare tutto» balbettò senza poter staccare gli occhi
dall’ex-ispettore.
Lui
sorrise cercando – con qualche successo – di trattenere l’emozione che lo stava
sopraffacendo.
«Anche
quelli della DIA possono sbagliare… Insomma io … ho fatto ciò che andava fatto.
Germana, mio padre e mio figlio» e sussultò a quell’ultima parola «Sanno già
tutto: ho parlato loro ieri…»
«Ed
ora sei qui!» pronunciò felice Anna saltando al collo dell’amico che la strinse
forte a se.
Abbracciati
così non sentirono il gemito di dolore di Luca, né lo videro scivolare, lento
ed affannato,contro la parete del
corridoio; solo quando si separarono Mauro notò con orrore l’accaduto.
«Luca!»
gridò e in un attimo Anna gli fu accanto «Oh, ma è possibile che, quando me
vedono, svengono tutti?» commentò poi avvicinandosi anche lui al ragazzo.
«Non
sono svenuto» replicòansimando il
commissario «Ma questa ferita non vuole proprio lasciarmi in pace!»
«Ma
perché sei uscito così presto dall’ospedale?!» continuò – stavolta realmente
preoccupato – prendendo di peso Luca e stendendolo sul divano.
«Avevo
delle cose da concludere e chiarire…» disse lui guardando prima Anna e poi lo
stesso Mauro che sorrise.
«Tu
non ti arrendi mai, eh?»
«No…
non potevi chiedermi di farlo… Non dopo tutto quello che è successo, dopo tutto
il dolore che…» la voce gli si strozzo in gola.
Possibile
che dopo tutto quel tempo, dopo che aveva anche scoperto che in realtà Mauro
era vivo, potesse ancora soffrire tanto?
«Fa
ancora male, non è così?» chiese Mauro come se avesse letto il pensiero del
commissario.
Luca
annuì mettendosi a sedere con non poca difficoltà.
«Il
fatto è che uno pensa: è vivo, bisogna essere felici… Però non è che tutto il
dolore scompare come con semplice colpo di spugna! Sta lì, incurante del fatto
che non abbia più motivo di esistere e capita che torna a pungere di nuovo…
forse per vendetta: in fondo non gli stiamo togliendo la vita?»
I
due lo guardarono senza parole: il suo discorso era stato semplicemente
disarmante.
No,
non era stata affatto una buona idea accettare di rivedere Luca e soprattutto
era stata pessima la scelta di rivedersi a Roma. Perché poteva riuscire ad
ingannare tutti, ma non poteva ingannare se stesso: il passato faceva ancora
male.
Uno sparo dritto
allo stomaco. Era
bastato un semplice sparo a portarlo via… Ed erra stata tutta colpa sua: se
solo gli avesse parlato subito, se solo avesse messo le cose in chiaro dal
principio, forse ora… ora Mauro…
Respirò
a fatica accorgendosi che gli mancava il fiato al punto da fargli girare la
testa. In quegli anni aveva cercato di non pensarci, di andare avanti, vivere
la sua vita senza farsi condizionare – proprio come avrebbe voluto Mauro –
eppure certe notti le aveva passate in biancoe anche se era passato del tempo le lacrime gliavevano ricordato quanto lui e Mauro fossero
legati: fratelli, più che fratelli.
«A data de
scadenza è ‘na giornata come n’altra» E per lui era arrivata troppo presto:
era stato già sparato, preso in ostaggio, si era scontrato con la mafia, con la
pedofilia, aveva rischiato di perdere sua moglie e di veder crollare tutto per
delle false accuse… Sembrava impossibile che la morte potesse sfiorarlo eppure
questa, incurante di niente e di nessuno, se l’era portato così, senza
preavviso, per uno stupido proiettile che in realtà avrebbe dovuto ferire lui…
Doveva essere lui a morire, non Mauro.
Il sangue tinge
una chiazza rossa sull’asfalto. Il freddo si impossessa delle ossa e non
c’èmodo di ripararsi. Se ora avesse
provato a ricordare di quella mattina, la memoria – ancora una volta – lo
avrebbe tradito: c’erano così pochi ricordi di quell’episodio…. Dal momento in
cuivedeva Mauro caderea terra e sentiva la propria voce gridare il
nome dell’ispettore, tutto si faceva confuso come se i ricordi non fossero
propriamente i suoi, ma fosse semplicemente un intruso che guardava la scena
senza poter intervenire. E in effetti lui non aveva potuto far nulla: le cose
si erano svolte sotto i suoi occhisenza
che potesse in alcun modo provare a porvi rimedio.
I pugni di
Germana sul suo petto fanno male, ma una parte di lui sa di meritarli: non è
stato in grado di proteggerlo, ha lasciato che la morte portasse via un marito,
un figlio e un padre, mentre il suo compito è proprio quello di vigilare sui suoi
uomini.
Il rischio di un capo, si era detto. Ma quante volte si era chiesto se ne fosse
valsa la pena? Non sarebbe stato meglio rimanere ispettore capo, sottoposto ad
un commissario più esperto e capace di lui, come la Scalise o la Corsi? Mauro
sicuramente sarebbe ancora vivo e poi…
Il
flusso dei suoi pensieri si bloccò in un istante. Aveva fatto quella strada
istintivamente; senza rendersene conto, né programmarlo con la mente – o
ilcuore? – l’aveva portato lì: Al X
Tuscolano. E rivederlo fu come rincontrare un vecchio amico e in una sola volta
essere assalito da tutta la nostalgia che l’aveva accompagnato durante la
separazione, dai ricordi dei momenti trascorsi insieme e di quelli in cui,
invece, era stato solo. Non riusciva a dire quanto gli fosse mancato ementre gli occhi scorrevano per quel abituale
luogo, un sentimento che non sapeva chiamare si impadroniva della sua anima,
facendogli prova allo stesso tempo gioia e dolore.
Ad
un tratto Vittoria uscì dal commissariato. Roberto sussultò: sembravano secoli
che non la vedeva. Ora riusciva a notare benissimo che era dimagrita, i capelli
erano più corti di come li ricordava e c’era qualcosa nel suo modo di camminare
che Roberto non aveva mai notato. Non sapeva definirlo, ma era come se il tempo
fosse passato segnando il suo passaggio su quella donna. Per un istante ebbe
paura di poter essere visto e riconosciuto – e perché, poi, paura? – ma subito
si rese conto di essere troppo lontano. Sorrise, mettendo in moto ed andò via:
forse, dopotutto, quella di venire a Roma non era stata poi un’idea tanto
cattiva.
Quando
busso al campanello che recava su i nomi Benvenuto/Gori
l’istinto gli aveva già ripetuto un paio di volte di fuggire via e chiamare
Luca per dirgli che non se ne faceva più nulla e che la discussione, per quanto
urgente che fosse, avrebbero potuto farla un’altra volta, magari a casa sua o
per telefono.
Ora non essere
sciocco! Si
ripeté mentalmente e si preparò a rincontrare Luca. Fu difficile estremamente difficile far coincidere il
viso da ragazzino imberbe con i capelli lunghi e lisci con quello da uomo,
serio con i capelli corti e la barbetta che gli contornava le labbra rosee. Per
qualche istante rimase spiazzato, quasi credette di aver sbagliato indirizzo,
eppure sul campanello c’era proprio scritto Benvenuto.
«Luca…»
sussurrò indeciso se dare alla frase intonazione di domanda.
«Roberto!»
lo chiamò quello e fu solo allora che l’ex commissario ebbe la certezza che
quello fosse il suo vecchio amico; con gli occhi lucidi entrò e lo abbracciò
con forza: era vero, Mauro non c’era più e questo faceva male, ma ora aveva
capito che era stato un grosso errore tagliare in una sola volta i rapporti con
tutti gli altri colleghi del X. Sarebbe stato tutto molto più facile con loro…
«Vieni:
Anna è in salone» lo invitò il commissario.
Roberto
lo seguì ancora un po’ indeciso: sentiva una strana tensione nell’aria.
Nonostante Luca sembrasse calmo, non aveva dimenticato la chiamata della sera
precedente, né il tono serio con cui Luca gli aveva chiesto di venire a Roma
quanto prima.
«Roberto!»
gridò Anna e i due si strinsero forte: senza sapere bene il perché, Roberto si
sentiva molto confortato dal fatto che, almeno fisicamente, la Gori non era
cambiata molto dall’ultima volta che si erano visti: aveva solo i capelli più
corti che ora le arrivava alle spalle.
«Come
stai?» le chiese mentre entrambi si sedevano sul divano.
«Bene,
ora bene…» disse lei, lanciando un’occhiata sfuggente al commissario, occhiata
che non passo inosservata a Roberto. Sorrise: si era mosso qualcosa fra quei
due, vero?
«Noto…»
sussurrò e Anna arrossì per il significato fin troppo chiaro delle sue
parole.
Mentre
ancora sorridevano e gli sguardi dicevano molto più delle parole circa gli
ultimi avvenimenti, il cellulare di Luca squillò interrompendo quella calma che
sia lui che Roberto potevano considerare solo la quiete prima della tempesta.
«Pronto?
Sì, Elena… No: sono ancora a casa…No, nessun problema: ho solo una faccenda da
sbrigare con un uomo della DIA. Ma sì, ti dico che è tutto ok! Ah… un
omicidio…? Sì, andate tu e Ale ok? Sì, a dopo. Ciao» ripose il cellulare con
lentezza.
«Problemi?»
chiese Anna.
«C’è
stato un omicidio: ho mandato Elena e Alessandro…»
«Hai mandato…?» ripeté Roberto con fare
interrogativo ed occhi sgranati.
I
due si voltarono e Luca sorrise riflettendo sul gran numero di volte che la
scena si era ripetuta in quegli ultimi mesi. Perché si erano persi di vista a
tal punto da non conoscere neanche i rispettivi gradi che ricoprivano? Era
stato davvero un grosso errore…
E ci voleva il
ritorno di Mauro per farci capire che stavamo sbagliando…? si chiese Luca.
«Sono
diventato il Commissario del X…» confessò con un sorriso modesto.
Roberto
lo guardò con occhi ammirati.
«E
pensare che io ti avevo lasciato Agente Scelto!» commentò felicemente sorpreso.
«Come
Mauro…» si lasciò scappare Luca credendo di aver soltanto pensato quelle parole
a cui, invece, aveva dato forma sonora.
In
un attimo si rese conto di ciò che aveva fatto e subito il suo sguardo fissò
Roberto che aveva sentito chiudersi lo stomaco al suono di quel nome.
«Se
potesse vederti, anche lui sarebbe fiero di te…» sussurrò triste l’uomo.
Lo sono. Da dietro la
porta del soggiorno Mauro ascoltava il dialogo con il cuore che batteva
all’impazzata e il fiato grosso. Rivedere Roberto dopo tutto quel tempo gli
aveva fatto uno strano effetto… diverso da quando aveva rivisto la sua
famiglia; ancora una volta stava provando l’impulso di uscire allo scoperto
fregandosene di tutto per placare quel dolore che aveva sentito nella sua voce:
perché lui lo sapeva, sapeva che l’amico non aveva mai smesso realmente di
soffrire.
Sta zitto e
fermo! Nu fa cazzate! si ripeté: Luca
aveva detto che ci avrebbe pensato lui ad introdurre l’argomento con tatto, ma
l’ansia e la tensione lo stavano consumando.
«Era
proprio di questo che volevo parlarti…» si buttò avanti il commissario cercando
di reprimere quanto più la tensione che sentiva salire e attanagliarlo. Roberto
sorrise.
«Beh,
ma allora non c’era bisogno di fare tanto il misterioso! Credevi che se mi
avessi dato la notizia per telefono non sarei venuto? Che scemo che sei! Mi sa
che dobbiamo proprio…»
«Non
è della promozione che volevo metterti al corrente» lo interruppe lui serio «Mi
hai frainteso: io volevo parlarti proprio di Mauro…»
Il
sorriso si spense dal volto di Roberto. Mauro? E perché mai, a tanti anni di
distanza, Luca voleva proprio parlargli di Mauro? In realtà lo aveva
sospettato: stranamente dal momento in cui aveva chiuso la chiamata, la sera
prima, aveva sentito incombere su di lui l’ombra del passato e particolarmente
quella di Mauro. Aveva voluto convincersi che tutto era stato causato solo dal
fatto che non sentiva Luca da tempo e che sarebbe dovuto tornare a Roma, ma ora
si rendeva conto che aveva intuito tutto dall’inizio.
«Perché
vuoi parlare di Mauro?» chiese con voce stranamente tesa.
«Perché
ci sono tante cose che non sai e che è arrivato il momento di conoscere…»
Roberto
e Luca rabbrividirono: a parlare non era stato il commissario del X, bensì
proprio Mauro entrato nella stanza sopraffatto dalla voglia di agire e
cosciente della reale difficoltà di Luca di spiegare l’accaduto. Lui aveva
convissuto per anni con quella difficoltà.
Roberto
non sapeva come reagire. Impossibile gli
gridava la sua mente, eppure il cuore era talmente lieto di vederlo, avrebbe
voluto illudersi che tutto ciò fosse reale: perché la razionalità doveva
spezzare anche quel bellissimo miraggio?
«Credimi…
non è altro che la realtà… Roberto…» lo rassicurò l’ex ispettore, leggendo con
facilità il pensiero del compagno.
«Ma
come… come è possibile che tu…» balbettò l’altro.
«La
DIA… è una storia lunga… che finalmente è venuta allo scoperto…»
E
poi non ce la fecero più a rimanere lì fermi, a guardarsi dopo tanto tempo
senza colmare quei centimetri che li separavano e furono l’uno nelle braccia
dell’altro, con le lacrime che festeggiavano felici l’incontro tra due
fratelli, due anime affini che si era ritrovate dopo tanto tempo, che avevano
condiviso sofferenza e gioia e che ora si sentivano finalmente felici e in
qualche modo completi.
«Voglio
sapere tutto… tu devi spiegarmi tutto…» pretese con voce ancora malferma
Roberto appena i due si separarono e si sedettero sul divano.
«È
per questo che sei qui…» lo rassicurò Luca con un sorriso e ancora commozione
negli occhi.
«Quando
sono stato portato in ospedale, i dottori hanno subito capito che le mie
condizioni erano gravi, ma non tanto quanto sembrasse: c’erano buone
possibilità che ce la facessi anche se il primario non voleva esprimersi. Poi
due uomini della DIA sono giunti e gli hanno intimato di dichiarare in ogni
caso la mia morte perché io “facevo al caso loro”… E così tutti siete stati
messi al corrente del mio decesso, mentre io sono stato trasportato in una
clinica privata fuori Roma. Ho visto il mio funerale Roberto… è stato
straziante e…»
«Io
ti ho visto…» sussurrò all’improvviso l’altro bloccando il racconto «Credevo
che fosse la mia mente… pensavo di averti immaginato… mi hai sorriso,
piangevi…»
«Avrei
voluto parlati, spiegarti ogni cosa, ma non ho potuto… Ho solo assurdamente
sperato che quel sorriso ti desse la forza di andare avanti… nient’altro…» e le
ultime parole parvero usate come per scusarsi.
«Non
importa… Mauro… io non so che dire… è tutto così surreale. E Tiberio? Germana?
Loro sanno?»
«Sì,
sono stato da loro ieri…»
Roberto
sorrise, non sapeva come altro reagire e temeva ancora che fosse tutto
un’illusione.
«Roberto»
lo chiamò Luca «Ti ho chiamato per una cosa importante: la DIA vuole di nuovo
portarlo via…»
«Ma
ormai non può! Ormai noi sappiamo tutto»
«Non
molleranno: mi hanno intimato il silenzio nonostante sapessi tutto pur di non
perdere il loro uomo…» lo informò serio il commissario.
«Il
commissariato sa?» si volle informare Roberto.
«No:
Mauro ha solo parlato come me, Anna, la sua famiglia ed ora con te… nessun
altro ne è a conoscenza»
«Dobbiamo
informare anche gli altri del X… subito! Più persone sanno più sarà difficile
per la DIA riportare le cose com’erano!»
«Falla
facile te!» li interruppe il diretto interessato indispettito dalla facilità
con cui i due parevano condurre la questione «Come mi presento a loro? “Salve a
tutti, non sono morto”?»
«Avanti
su! Non fare storie: i passi più difficili già li hai fatti!» lo incoraggiò il
vecchio amico.
«Già,
ma ci ho messo 3 anni per farli…»
«Beh,
ora hai decisamente meno tempo!» lo informò Anna e con uno scatto balzò dalla
poltrona e si lanciò fuori dall’appartamento trascinandosi Mauro e seguita
dagli altri due uomini.
«Quanto
entusiasmo!» esclamarono entrambi con un sorriso.
«Ohi
Ugo, Luca è arrivato?» chiese Elena di ritorno da un primo sopralluogo sulla
scena del delitto che aveva visto la morte di un meccanico.
«No…
non ancora…» riferì l’agente «Ah, eccolo!» si corresse immediatamente vedendo
che il commissario era appena entrato.
«Ah
Luca, eccoti! Senti: il morto si chiama Johan Alves, brasiliano, immigrato a
Roma qualche anno fa e… Ma mi stai sentendo?»
«Sì…
cioè no… Senti di questo ne parliamo dopo nel mio ufficio… ora ho bisogno che
tu mi faccia un favore: chiama tutti gli agenti del distretto e radunali qui.
Devo dirvi una cosa importantissima!»
Elena
rimase un po’ imbambolata per la strana richiesta del Commissario, ma c’era un
bagliore nei suoi occhi, una scintilla di luce che l’ispettrice non aveva mai
visto e che la convinse a fare quanto le era stato chiesto.
In
poco tutti erano radunati dinanzi a Luca, nel centro del commissariato come
spettatori riuniti nel foro, pronti a sentire un’importantissima orazione. Luca
sentì in un attimo tutto l’entusiasmo svanire ed esitò mentre anche Anna faceva
il suo ingresso nello stabile e lo affiancava sorridendo.
«Beh»
cominciò quello «diciamo che nella mia mente sembrava tutto molto più facile… o
forse sono io che mi sto facendo mille complessi per nulla… Fatto sta che sono
sicuro che nessuno di voi mi crederebbe se ve lo dicessi solo con le parole…
dunque penso che sarà più efficace darvi direttamente una dimostrazione
pratica…»
Le
facce degli uomini del X erano accomunate da un’espressione di puro stupore per
il discorso misterioso e pieno di giri di parole del loro commissario che –
finanche con un sorrisetto compiaciuto per l’atmosfera che aveva saputo creare
– si voltò verso l’entrata. Per alcuni secondi nella stanza cadde un silenzio
surreale, carico di ridicola suspance perché se avessero saputo cosa realmente
si nascondeva dietro le parole di Luca, di certo in nessuno di loro sarebbe
regnata una tale ansia. Ansia che si spezzò quando entrò dalla grossa porta di
ferro un uomo alto e robusto, con i capelli e gli occhi scuri ed un viso
stranamente teso. Mai come in quell’istante nel distretto regnarono le emozioni
più disparate: chi non comprendeva fino in fondo l’accaduto alternava lo
stupore per la teatralità della scena al sollievo che l’unico motivo di tanta
ansia fosse la venuta di un solo uomo; chi, al contrario, aveva riconosciuto in
quei tratti un amico, un collega o più semplicemente qualcuno che in ogni caso
non sarebbe dovuto essere lì, rimaneva sospeso in uno stato di irrealtà, senza
respirare e poter in alcun modo staccare lo guardo dal nuovo arrivato. Si sentì
chiaramente Vittoria trattenere il respiro e qualcuno scorse Alessandro, che
dietro a molti altri agenti, stava sorridendo senza esserne realmente
consapevole. Le parole o un qualsiasi altro suono che testimoniasse la vita in
quell’ambiente, faticava a rompere la spessa cortina di silenzio che aveva
avvolto tutti e poiché ora neanche coloro che erano a conoscenza dell’intera
vicenda osavano muoversi, tutto sembrava come fuori dal tempo, bloccato,
stampato su una vecchia fotografia dalla quale riuscivano ancora a trasparire
sensazioni, nonostante tutto fosse mortalmente immobile.
«Assurdo»
sussurrò Ugo riportando la vita in quella scena.
«Impossibile»
fece eco Giuseppe, mentre Alessandro continuava a sorridere senza riuscire a
spiaccicare una parola.
«Ma…
come… può essere…?» chiese Vittoria camminando verso Mauro e parendo l’unica
capace di farlo.
Quando
fu a pochi passi da lui, l’ex ispettore la strinse a se in un momento di felice
trasporto.
«La
storia è lunga… e l’ho ripetuta tante volte… ma credo che non mi stancherò mai
di raccontarla… ci sono tante così che devi sapere…»
«Già
Belli! E altrettante sono quelle che non dovresti raccontare!» gli fece eco una
voce alle sue spalle.
All’ingresso
del commissariato sostavano tre uomini tra i quali Luca riconobbe Di Melli; non
era praticamente cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto, in ospedale: lo
stesso vestito nero, anonimo e lo stesso irritante sorriso, anche se, stavolta,
era un po’ tirato, meno naturale.
«Mi
spiega cosa sta facendo qui? Dovrebbe essere a chilometri di distanza!» disse
senza urlare, né scomporsi, ma le sue parole ebbero la stessa forza.
«Mi
sto riprendendo la mia vita» dichiarò Mauro con la stessa calma: ormai aveva
imparato a controllare le sue emozioni anche a proposito di quell’argomento
«Penso che sia il minimo che mi dobbiate dopo 3 anni di servizio»
«In
realtà avevamo intenzione di ripagarla in tutt’altro modo»
«Lo
credo bene!»
Impressionante
come il dialogo fosse stato tanto forte e tagliente nonostante i toni pacati e
falsamente cordiali.
«Ed
ora?» chiese Di Melli, senza perdere il sorriso.
«Me
lo dica lei cosa vuole fare… io le mie carte le sono giocate» rispose
tranquillamente Mauro.
«Non
potete più portarlo con voi: troppe sono le persone a conoscenza della sua
identità…» si intromise Roberto.
«E
lei sarebbe…?»
«Vicequestore
Ardenzi»
L’altro
sorrise ancora più vistosamente: non poteva fare a meno di notare come erano
riusciti ad orchestrare il tutto per renderselo quanto il più possibile favorevole,
addirittura chiamando l’intervento di un uomo della stessa DIA. Il suo sguardo
si posò su quello verde e fermo del Commissario: aveva capito da subito che
somigliava moltissimo a Belli e che non era abituato ad arrendersi con tanta
facilità ed ora vedere la fierezza in quello sguardo gli stava confermando che
non aveva sbagliato giudizio sul suo conto.
«In
pochi giorni credo di riuscire a sistemare tutto, Belli: sarà come se non fosse
mai morto… per il resto… ora non dipende più da noi. Arrivederci»
«A
lei…» rispose Mauro ma in cuor suo aveva gridato un possente, liberatorio
addio.
Non
gli pareva vero…. Non poteva essere vero: si era liberato di tutto quello,
della DIA, dei suoi infiniti nomi e di quella pressante sensazione di essere un
morto risputato dall’Inferno!
Ad
un tratto, un grido liberatorio si innalzò nel distretto, lanciato da coloro
che sapevano e anche da quelli che avevano compreso per pura intuizione
l’importanza e il significato di quel dialogo. Volarono abbracci, strette di
mano e baci ed un clima di incondizionata felicità invase tutti quanti.
Non
seppero dire per quanto tempo andarono avanti quei festeggiamenti, ma ad un
tratto Anna si rese conto che Luca non era più in commissariato e uscendo lo
trovò che guardava dritto davanti a se sotto il sole cocente.
«Aspetti
qualcuno?» gli chiese cortese.
«In
realtà sì» rispose lui senza staccare lo sguardo dall’orizzonte «Un uomo a cui
voglio provare a dare quella seconda possibilità che il destino ha provato a
negargli fino all’ultimo»
Anna
lo guardò interrogativa, ma lui sorrise senza guardarla finché una pattuglia
della polizia non si fermò proprio davanti a loro; dall’interno ne uscirono due
agenti ed un terzo uomo che osservava il commissario con stupore.
«Davide…»
sussurrò Luca.
«Che
ci faccio qui?» chiese l’ex componente dell’Organizzazione degli Uomini in
Nero.
«Sto
cercando quella verità che i miei colleghi ti hanno negato: troverò chi ha
ucciso tuo figlio!» dichiarò quello con un sorriso.
Gli
occhi di Davide si illuminarono di incredulità e in breve divennero lucidi: non
si era sbagliato sul conto di quel ragazzo, era davvero molto simile a suo
figlio.
«Portatelo
dentro… io vi raggiungo tra un istante» ordinò ai due agenti e i tre entrarono
mentre le labbra dell’uomo sussurravano un sommesso, sincero grazie.
…ma nonostante
Zeus sia molto vendicativo, di certo non è malvagio e per questo vuole dare una
possibilità di salvezza a tutti gli sciagurato mortali. Fa sì, infatti, che
Pandora chiuda il vaso prima che la sua ultima componente ne esca fuori,
rimanendo così per sempre sigillata in quell’anfora: la speranza che con la sua
luce verde illumina da quei tempi remoti la vita di tutti i mortali che pur
consapevoli di non poter raggiungere in alcun modo la perfezione divina non
smettono di guardare al domani con un sincero sorriso.
FINE
LO SPAZIO DELL’AUTRICE
Fine?!?!
Ho scritto la parola fine?!?! Beh forse voi starete esultando, ma credetemi per
me ci vogliono 30 secondi di raccoglimento, perché questa ff e voi che mi avete
seguito mi mancherete moltissimo!! Ç___Ç Giusto per non smentirmi fino alla
fine chiedo enormemente scusa per il solito, eccessivo ritardo… e ribadisco che
questo epilogo è stato il peggiore tra i capitoli scritti… ma ormai è una
storia che conoscete, no?!
Spero che
– a differenza di ciò che sostiene mio fratello – l’incipit iniziale e finale
sul mito di Pandora non abbia stonato con il resto, ma che si sia capito ciò
che volevo trasmettere scrivendolo proprio a questo punto… Eh, sì: la scuola mi
è proprio andata in testa.
Inoltre
dovete ritenervi fortunati perché, data la difficoltà che ho incontrato nello
scrivere quest’epilogo, più volte è tornata pressante ed ammaliatrice – e
oltretutto approvata in pieno da mio fra – l’idea di piazzare una bella bomba
al distretto proprio nel momento della riunione generale, così da concludere
tutto molto velocemente… (gli uomini del X rabbrividiscono per il pericolo
scampato). Alla fine però è prevalso il mio buon cuore e, come potete notare,
si è avverato, anche fin troppo (prega di non essere stata troppo smielata) il
motto shakespeariano “All’s weel that ends well” (ecco che ritorna la scuola!)
Infine
vorrei solo dirvi che personalmente tutto lo “scontro” tra gli uomini del X e
la DIA mi è parso molto banale… insomma non l’ho reso per niente bene e alla
fine tutto pare come uno scontro tra il bene e il male, i buoni e i cattivi…
molto, molto superficiale. Me ne scuso tantissimo… ma non sono riuscita meglio
di così!
Ok, ok la
smetto con questo assurdo scritto e intanto ringrazio i miei angeli.
Metapoidbeh, cara sono felice di averti stupito ^^.
Una grande io? Non esagerare su! Mille, mille grazie per i tuoi importantissimi
complimenti! Mi spiace solo che tu abbia preso la storia quando ormai era già
praticamente conclusa. Che te ne pare dell’Epilogo?? Un bacio e ancora mille
grazie!
Barby_19Cara! Mi spiace di causare allucinazioni ogni
volta che leggi un nuovo capitolo… e scusa tantissimo per l’attesa! Questo
capitolo è decisamente più breve dello scorso, ma ho cercato di esporre il
tutto con la massima chiarezza dilungandomi nonostante fosse l’epilogo. Mi fa
piacere che le scene di Anna ti siano piaciute: non ne ero molto convinta
perché non ho esperienze dirette… Luca… non vuole suicidarsi anche se ci è
andato vicino anche ‘sta volta… eh, eh ama fare degli scherzetti, eh? La parte
dell’aborto è la tua preferita?? E poi la sadica sarei io?! Scherzi a parte
devo confessare che mi è venuta abbastanza bene, sì, sì! Dunque mi pare proprio
che tutto si sia risolto nel migliore dei modi, no?? Roberto ha fatto la sua
parte e alla fine Di Melli non è stato così bastardo… Come farai senza questa
ff?? Beh, tu starai in grazia di Dio… mentre io soffrirò moltissimo!!! Scherzi
a parte che te ne pare dell’epilogo?? Mille grazie per la tua presenza attiva
cara!! Alla prossima, un bacione!
Uchiha_chanCarissima!!! Tu non potevi dirmi cosa
migliore che con la mia ff ti ho fatto apprezzare la serie e i singoli
personaggi! *-* è il più grande complimento che potevi farmi!! Eh, sì… la ff purtroppo
è finita… e credimi la prima a soffrirne sono io… ç_ç Mi fa piacere che fino
all’ultimo non ti abbia deluso e a proposito che te ne pare dell’epilogo??
Spero che sia all’altezza degli altri! Grazie mille per tutto il tuo appoggio!
A presto, un bacio.
LyrapotterHihihi… mi fa piacere che la notizia dell’arrivo
di Roberto ti faccio questo benefico effetto… suppongo che tu ne abbia fatti
altrettanto in questo epilogo! Dunque tutto si è risolto per il meglio,
giusto?? La strage alla DIA l’ho evitata… sarebbe stata complicata… ma Mauro,
Roberto e Luca sono stati fin troppo chiari e Di Melli non ha potuto fare
altrimenti… Evvai!!!La scena di Mauro e
Germana sulla tomba è la mia preferita: mi sono immedesimata a tal punto nella
rabbia della donna! Ansia soddisfatta??? So di aver ci messi fin troppo tempo…
ma.. che te ne pare?? Insomma un buon finale??? Mille grazie per avermi
sostenuta! Alla prossima, un bacio!
Luna95 Eh già… ultimo capitolo, mia cara! Mille
grazie per la tua infinita pazienza. I tuoi complimenti, come al solito
esagerati, mi fanno arrossire!! Sono in ritardo eh?? Vabbè… spero che almeno
sia soddisfacente… ç___ò mi mancherai tra gli angeli delle recensioni, cara!!!
Alla prossima, un grosso bacio!
Dani85In ritardo?? Macché, sono io che sono come al
solito in ritardo… Mi fa davvero piacere e sono sollevata dal fatto che lo
scorso capitolo non sia risultato caotico: come dici tu, non è stato facile
strutturarlo in tal modo, ma solo contenta che abbia reso e ti sia piaciuto!
L’irresponsabilità di Luca ormai è diventata famosa, ma alla lunga dà i suoi
frutti! Mauro ha risolto tutto, no?? Grazie all’aiuto di Roberto e Luca, Di
Melli non ha potuto far altro che restituirgli la sua vita! Spero che l’epilogo
ti sia piaciuto… mille grazie per il tuo sostegno… un bacione e alla prossima!
Infine
(giuro che ho quasi finito) voglio dire un paio di cosine prima di concludere. Primo:
volevo avvisarvi che tra poco, il tempo di scriverla, pubblicherò una song-fic
sempre su Distretto e in particolare su Luca e Anna… sarebbe bello rivedervi lì…
^^
Come
ultima cosa, avrei un favore molto, molto importante da chiedere a tutti i
lettori, anche quelli che non si sono mai espressi: potreste indicarmi il
capitolo che vi è piaciuto di più?? Non importa se non vi dilungate con i
motivi o se non commentate l’epilogo o la storia, sarebbe bello anche solo
sapere il numero del capitolo. Ci conto, eh!
Beh, a
questo punto, con mio grande dispiacere, devo concludere quest’ultimo “Angolo
dell’autrice” ç___ç Ancora mille grazie a tutti voi, senza i quali questa
storia non sarebbe andata avanti! Un grosso bacio a tutti… miei angeli!! Alla
prossima!!!