Christine

di shanna_b
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ouverture ***
Capitolo 2: *** Atto Primo ***
Capitolo 3: *** Atto Secondo ***
Capitolo 4: *** Atto Terzo ***



Capitolo 1
*** Ouverture ***


Ouverture

 

 

 

 

L’aeroporto italiano era più o meno come tutti gli altri che aveva visto fino a quel momento della sua vita… affollato, caotico e, in un certo qual modo, puzzolente… di gente che va e viene e suda e trascina valigie e piange e ride e dice addio e/o bentrovato.

Shannon recuperò la sua valigia dal tapisroulant aspettando diligentemente il suo turno e poi seguì Jared verso l’uscita. L’uomo era a Venezia con il fratello, al Festival del Cinema per la prima di ‘Mr Nobody’, l’ultimo film di Jared.

Mentre i flash dei fotografi li investivano appena usciti dagli “Arrivi” del Marco Polo, Shannon si fermò e cominciò a guardarsi attorno senza alcun interesse: aveva seguito il fratello senza volontà, era stato obbligato da Jared con la minaccia che in caso contrario non sarebbe andato nemmeno lui, anche se il contratto con una major hollywoodiana glielo imponeva.

Un ricatto vero e proprio, fatto a fin di bene, e Shannon si era arreso.

Jared rispondeva sorridendo alle domande dei pochi cronisti presenti, mentre Shannon si teneva in disparte, con nessuna voglia che qualcuno gli chiedesse qualcosa. Non aveva voglia di parlare del nuovo CD, né di altro, in realtà, ed era un bene che passasse quasi inosservato con la barba lunga, il berretto di lana calcato in testa e gli occhiali da sole con lenti nere ed impenetrabili.

Dopo un po’, cronisti e fotografi si allontanarono e Jared si avviò verso il taxi, facendo segno al fratello di seguirlo, cosa che Shannon fece, mettendo le valigie dentro il bagagliaio, in silenzio, per poi infilarsi sul sedile posteriore.

Jared, non appena l’auto partì, si schiarì la voce: “Sei riuscito a dormire un po’ in aereo?”

“No.”, la voce di Shannon superava di poco il rombo del motore.

“Come ti senti?”

L’uomo sbuffò: “Di merda.”

“Mi dispiace, Shan.”

“L’hai detto mille volte ormai, lascia perdere, dai…”

“Lo so ma… non so cosa dirti…”, tentò di scusarsi Jared, a bassa voce, quasi contrito.

Il fratello fece spallucce: “Non dire niente allora… perché non c’è un cazzo da dire… un giorno… un giorno troverò una risposta, ma ora… ora non ce l’ho e sto male, non posso farci nulla.” Shannon si mise a guardare dal finestrino, scocciato, sbuffando nuovamente. “Era meglio se me ne rimanevo a casa… non sono di compagnia, Jay, mi dispiace…”

Jared gli mise una mano sulla spalla, stringendo le dita, cercando di sorridere, di trovare un modo per sollevare il fratello: “Ti ho costretto io… non puoi rimanere chiuso in casa per sempre… a farti crescere la barba lunga come babbo natale, a mangiare schifezze, guardare la TV, impasticcarti, bere e fumare… Fai peggio…”

Shannon lo guardò di sfuggita, scuotendo di lato la testa: “Non so se faccio peggio o meglio… ma altro non voglio, non posso e soprattutto non SO fare, al momento… non so… non so cosa fare…”

Jared non ebbe il coraggio di dire più nulla.

Perché, si rese conto, in realtà non c’era più nulla da dire.

Prese dei depliant sul Veneto da una tasca sul sedile davanti a lui e ne passò qualcuno a Shannon, tanto per non stare con le mani in mano.

Ma si accorse subito di avere sbagliato: suo fratello, sobbalzando di scatto, cominciò a fissarne uno e, soprattutto, cominciò a fare quello che non avrebbe mai dovuto né voluto.

Ricordare…









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Capitolo 2
*** Atto Primo ***


Atto primo

 

 

Shannon adorava correre in moto con la sua Ducati Monster 600 per le colline dei dintorni di Los Angeles e aveva una compagnia di amici motociclisti a cui piacevano le stesse cose: sentire il sole ed il vento sulla pelle, perdersi tra le ombre delle fronde degli alberi tra una curva e l’altra, salire, salire, fiancheggiando prati brulli baciati dalla calura estiva, ritrovarsi sulla cima di una collina e, guardando in giù, scoprire uno scorcio di mare in lontananza, il pendio della città, un bosco verde mai visto in precedenza.

I suoi compagni di avventura, meno di una decina tra cui il suo amico Brent, con moto di diversa cilindrata e marca, erano una sorta di famiglia parallela ed il suo amico Steve, quello che si poteva definire il “capo banda”, organizzava continuamente queste gite in cerca del nulla, solo per il piacere di dare gas alla moto e correre, correre, correre.

Gareggiare, qualche volta.

Quella mattina presto, prima delle nove, si erano trovati tutti dalle parti della casa di Steve, nella zona più vecchia di Hollywood, e, fatti pochi chilometri, si erano fermati inaspettatamente al lato strada su uno spiazzo sterrato, ancora prima di cominciare l’ascesa di una collina.

Steve però non si era tolto il casco, aveva consultato il suo cellulare e aveva gridato al resto della banda, cercando di superare il rombo dei motori: “ASPETTIAMO CHRIS! Sarà qui a momenti.”

E così era stato: alcuni avevano spento la moto, altri l’avevano parcheggiata e Shannon, mentre prendeva un sorso dalla sua bottiglietta d’acqua, era rimasto, con la moto accesa, a fissare un punto indefinito sulla strada che portava a Los Angeles, chiedendosi chi fosse mai questo fantomatico Chris. Non dovette aspettare molto: ad un tratto, dalla curva alla fine della via vide spuntare una moto sparata a tutta velocità, che rallentò non appena vide il gruppo fermo.

Era un Yahama FZ6 Fazer di colore viola e nero.

Sopra, una figura minuta e tutta nervi, con una giacca nera in pelle ricoperta di toppe con i simboli dei vari marchi di moto, pantaloni neri di jeans, stivali in pelle e casco con la stessa fantasia della moto, che ora Shannon vide essere composta di grifoni neri su sfondo viola, le cui code si attorcigliarono. La visiera era scura e non si riusciva a vedere il viso dell’individuo, i suoi occhi.

Il centauro, con una mano guantata, si avvicinò a Steve e gli fece il pollice alzato, indicando la strada che si inerpicava su per la collina.

“OK, CI SIAMO TUTTI! VIA CON LA GARA!”, gridò Steve e tutti partirono.

La Yahama per prima.

Con Shannon dietro, incuriosito dal nuovo personaggio, che, a tutta velocità cominciò ad arrampicarsi sulla collina.

E lui dietro, l’adrenalina che gli scorreva prepotentemente nelle vene, il cuore che aveva avuto un balzo, i muscoli ed i nervi tesi e pronti, una mano sull’acceleratore, un piede appoggiato sul cambio, il corpo piegato sul serbatoio, a rincorrere quell’individuo che velocemente curvava sul primo tornante a destra, una decina di metri avanti.

Shannon strinse i denti: la Yahama era una buona moto, ma la sua Ducati era il meglio del meglio. Diede fondo al gas e si avvicinò, mentre la strada tornava rettilinea e non c’erano auto in giro, a quell’ora del mattino. Superò agevolmente la Yahama e spinse ulteriormente per portarsi a distanza di sicurezza, passando un paio di tornanti senza voltarsi indietro.

Il sole splendeva sulle cromature della moto, il vento muoveva le fronde, la velocità gli entrava sottopelle e Shannon si sentiva in paradiso.

Mancava ancora una curva e poi la salita sarebbe finita e Shannon credette ormai di avere vinto. Vide dallo specchietto retrovisore destro che la Yahama si allontanava di un paio di metri, smise di accelerare e si portò in centro strada, alzandosi leggermente e guardando alla sua destra. Ma non si era accorto che la Yahama gli stava arrivando sulla sinistra a tutta velocità, prendeva la curva che girava a sinistra prima di lui e si lanciava su per l’ultimo tratto correndo.

Fu un attimo.

Shannon si era distratto e Chris aveva vinto.

La Yahama, arrivata sullo spiazzo sterrato sopra la collina, frenò di colpo sollevando una nuvola di polvere giallastra, il centauro ne scese e mise la sua moto sul cavalletto. Shannon arrivò e frenò nello stesso modo, parcheggiò anche lui e poi si diresse verso il ragazzo dicendo, sorridendo e togliendosi il casco, il fazzoletto nero attorno alla testa madido di sudore: “Ehi, sei stato furbo, non me l’aspettavo!”

Il motociclista si tolse i guanti e li appoggiò alla sella, poi si sganciò e si tolse il casco: “FurbA vorrai dire…”, disse, sorridendo.

Era una donna.

E Shannon rimase lì a bocca aperta.

La ragazza prese una bottiglietta d’acqua dalla sacca laterale e si mise a bere, cercando di asciugarsi il sudore con un fazzolettino, guardandolo in viso e sorridendo, mentre tutto il resto del gruppo arrivava vicino a loro.

Steve raggiunse i due: “Sei una grande come il solito!”, l’uomo alzò la mano e la donna accettò il ‘cinque’ battendo il palmo sul suo e dicendo: “Grazie, Steve!”

“Ti presento un po’ di gente che non conosci. Questo con la Triumph è Brent e quel pazzo che ha osato sfidarti e che guida una Ducati Monster risponde al nome di Shannon.”

La donna alzò una mano in segno di saluto: “Ciao a tutti e due! Piacere di conoscervi…”

“Lei è Christine.”, proseguì Steve, “la nostra pazza su due ruote che ogni tanto ci onora, lavoro permettendo, di essere dei nostri.”

“Ehi, sei brava!”, le disse subito Brent, con il suo solito sorriso cordiale ed aperto.

“No… é Steve che esagera sempre.”, si schernì Christine, scuotendo la testa e sorridendo tranquilla.

E Shannon era sorpreso del modo in cui la ragazza si trovasse a suo agio tra tutti quegli uomini, dei motociclisti, addirittura… ma lei era lì, con un sorriso semplice, senza atteggiamenti da diva o da gnocca, pacifica e tranquilla. Con i capelli castano chiari mossi dal vento, senza un filo di trucco su un volto magro e minuto, con due occhi neri spalancati su di loro. Forse bella. O forse no. Non certo una bellezza hollywoodiana, ma una ragazza normale.

Shannon le si avvicinò, togliendosi gli occhiali: “Ti chiami come la mia batteria…”

Christine spalancò gli occhi: “La tua cosa?”

“Batteria. Sono un musicista. Suono nei ‘30 Seconds to Mars’. Conosci?”

La ragazza scosse la testa: “Ehm… temo di no. Io… beh… ascolto la lirica di solito, non seguo la musica moderna…”

Shannon la fissò sorpreso: “La lirica?”

“Sì… musica classica, sai… io… beh… non ho più l’età per certe cose…”

Steve prese la parola e piazzò la sua battuta: “Per certe cose no, ma per correre in moto, sì!”

Tutti scoppiarono a ridere, mentre il capobanda continuava: “Dai, basta chiacchiere! Ora scolliniamo e andiamo sull’altro colle, e vedrete che spettacolo! Da sopra si vede il lago.”

Il gruppo riprese subito le moto e ripartì sgommando e rombando, la Yahama e la Ducati in fondo, appaiate.









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Capitolo 3
*** Atto Secondo ***


Atto secondo

 

Jared, i capelli ossigenati raccolti a coda di cavallo, aveva fame. Incredibile ma vero, ogni tanto accadeva anche a lui di avere fame. “Si fa pausa pranzo?”, chiese allora a Tomo, seduto vicino al mixer ed intento ad accordare la sua Gibson.

Tomo annuì, scuotendo i lunghi capelli neri e chiedendo di rimando, l’occhio improvvisamente attento: “Sì. E dove si va?”

“Non si va da nessuna parte finchè TU…”, Shannon, spuntato dalla stanza accanto, indicò il loro chitarrista, “…non finisci di registrare quello che non hai finito ieri… e nemmeno stamattina, visto che sei appena arrivato!”

Tomo sbuffò, preso di sprovvista come uno scolaretto che non ha fatto per bene i compiti assegnati: “Mi sono preso a letto, la sveglia non ha suonato e siccome sono stanco ho dormito e…”

Shannon sogghignò, senza lasciarlo finire: “Sì sì, c’era Vicki da te, vero? Risparmiaci i particolari, va’… Tu e Tim state qui e finite. Io e Jared usciamo a prendere la pizza. Ho visto passando in auto che qui vicino, a un paio di isolati, c’è una pizzeria d’asporto. Che pizza volete?”

“Quella con tutto il possibile sopra…”, rispose Tim, spuntato da dietro una pila di scatoloni, visto che era solo da una settimana che erano lì, nello studio nuovo sulle colline di Los Angeles, e ne stavano ancora prendendo possesso. “E non come l’altra volta che mancavano le acciughe…”

Shannon alzò gli occhi al cielo e non volle nemmeno mettersi a ricordare che però mancavano SOLO quelle, a fronte di TUTTO il resto, e lasciò correre scuotendo la testa, mentre Jared scoppiava a ridere all’espressione del fratello e si alzava: “Tu, Tomo?”

“Uhm… Margherita gigante abbondante cipolla rossa e peperoni, direi… Non ho tanta fame.”

“Dovremmo vendere cinquecento milioni di CD per mantenere due affamati come voi…”, sghignazzò Jared, mettendosi la felpa,  gli occhiali da sole e avviandosi all’uscita. “Dai, Shannon, muoviti che ho fame…”

La pizzeria effettivamente distava meno di un chilometro dallo studio di registrazione ed i fratelli Leto ne approfittarono per fare una passeggiata discutendo su come arrangiare una canzone su cui erano particolarmente dubbiosi.

All’arrivo al negozio, su cui incombeva un’insegna ovviamente fatta a forma di pizza colante mozzarella, i due entrarono, si guardarono un attimo attorno e poi presero posto su due sgabelli attorno ad uno dei pochi tavolinetti alti, in attesa. Il negozio sembrava vuoto, non fosse che una leggera musica pervadeva l’aria, l’odore di pizza si spargeva per l’ambiente e qualche voce proveniva dal retrobottega.

Ma quando una ragazza uscì e prese posto alla cassa, gettando loro un’occhiata curiosa, Shannon esclamò, sorpreso: “Ehi! Ciao, Christine!”

Lei, con i capelli raccolti da una pinza, blue-jeans, magliettina nera attillata e un grembiule bianco con tante piccole pizze disegnate, ricambiò un sorriso sincero, spalancando gli occhi: “Shannon! Ciao!”, poi uscì da dietro il banco e si avviò verso di loro.

“Ma… ma lavori qui?”, chiese subito Shannon, alzandosi dallo sgabello e notando che Christine, con i sandali col tacco, era alta quanto lui.

“Sì! E tu… sei passato per caso?”

Già, per caso. Che coincidenza strana. “Sì! Abbiamo appena preso in affitto uno studio di registrazione proprio qui vicino e per i prossimi sei mesi!”

“Ma dai? Tu e il tuo gruppo? I 30 Seconds to Mars, giusto?”

“Sì, sì e… beh questo è mio fratello Jared, il nostro cantante, chitarrista, bassista se serve, autore di canzoni… insomma, il nostro tuttologo personale.”

La ragazza, ridendo divertita, strinse la mano di Jared, che nel frattempo aveva incenerito il fratello maggiore con lo sguardo, dicendo “Molto piacere.”, ma poi cominciò a passare gli occhi scuri da uno all’altro per un lungo momento per poi dire: “Uhm… fratelli?”

Jared la guardò subito male: “Non ci assomigliamo?”

“Uhm… N-no… direi di no. Ma… non vorrei essere scortese… scusate…”

Shannon fece spallucce: “Non preoccuparti, non sei l’unica che lo dice… E comunque quando eravamo più giovani ci assomigliavamo molto di più, poi siamo cambiati in modo diverso…”, concluse rapidamente, prima che il fratello cominciasse una qualche filippica delle sue.

Ma Jared non fece nemmeno in tempo a prendere fiato, né Christine a rispondere, che un sonoro “CHRISTINE! SONO PRONTE LE PIZZE!!!” si sentì gridare dalla cucina.

“Ops… Scusate, devo andare… la voce del pizzaiolo di Ade dall’oltretomba chiama!”, affermò la ragazza, sbarrando gli occhi spaventata, scherzando, e porgendo loro un foglietto preso da una tasca del grembiule: “Voi intanto compilate questa scheda con le pizze che volete, poi portate il foglio al bancone, OK?”

Shannon lo prese e lo allungò a Jared che cominciò a passare subito in rassegna la lista: “OK, grazie Christine.”

La ragazza estrasse anche una penna e la porse a Shannon: “Grazie a voi. Mettete anche il cognome e appena pronte le pizze vi chiamiamo.”

“OK.”

Christine si allontanò e Shannon la seguì con lo sguardo mentre entrava in cucina, mentre Jared, notando l’occhio molto interessato del fratello, chiese subito, guardandolo in viso e togliendogli la penna di mano: “Chi sarebbe?”

Shannon si accese una sigaretta ma non gli riusciva di staccare gli occhi dalla porta in cui era entrata Christine: “E’… è la motociclista di cui ti avevo detto l’altro giorno…”

“Aaaah sì… sì, mi ricordo! L’amichetta di Steve, quella che ti ha battuto con la moto…”

“Sì, proprio lei… Comunque non è l’amichetta di Steve; è una sua amica e basta, non ‘amichetta’… Carina e simpatica, vero?”

Anche Jared si girò verso la porta di uscita di Christine: “Uhm… adesso ho capito perché hai preso la sconfitta con tanta leggerezza e filosofia… bel corpo e bel sorriso, anche se non proprio giovane…” Jared si fermò un attimo: “Però…”

“‘Però’ cosa?”

“Beh a vederla non rientra in nessuna delle categorie di donne che frequenti di solito…”

Shannon si grattò la fronte: “Già.”

“Tu non hai mezze misure. O le ignori o opti per il genere ‘minorenne di bella presenza che te la dà all’ingrosso’...”

Il batterista scoppiò a ridere: “E invece tu no, vero?”

“No, io di solito ci vedo anche un background culturale…”

“Sì, sì… CUL-turale, vorrai dire… come no?”

Jared si mise a ridere, ma poi ritornò serio per dire “Lasciala perdere, quella…”

Shannon scosse la cenere della sigaretta, fumata a metà, nel posacenere: “E perché? Non me la voglio portare  a letto…”

“Appunto. Ti stai allontanando dai tuoi standard. E può essere pericoloso…”

L’uomo sbuffò: “Uhm… boh… però… è una con cui si può parlare un po’, non tenta di infilarmi le mani ogni momento nella patta dei pantaloni come certe troie…”

“Ma credevo ti piacesse quel genere…”

“I primi due minuti, sì… ma poi… boh… non so… E comunque sono anche agro di donne che mi fanno la dichiarazione d’amore eterno come certe echelon, anche senza conoscermi…”

Jared scoppiò a ridere, prima di cominciare a compilare il foglietto di richiesta pizze: “Ma se sono proprio quelle che comprano i nostri CD, tutto il merchandising possibile e vengono ai concerti, dovresti essere contento e ringraziare, invece...”

Shannon non rispose, ma si limitò a fissare Christine che, nel frattempo, era uscita dalla cucina e, sul bancone, inscatolava le pizze da consegnare ai clienti, parlando con il fattorino della pizzeria.

Christine.

Che in fondo gli piaceva e aveva una bellezza tutta sua, ma che non gli provocava pensieri particolarmente sensuali o osceni.

Che forse poteva considerare come sua sorella minore, magari quella che non aveva mai avuto.

Che non conosceva quasi per nulla e sulla quale si era fatto poche idee, anche se era stato divertente sentirla parlare di moto per ore con la banda di motociclisti.

Che ora si girava e gli sorrideva, mentre lui, strappato il foglio dalle mani di Jared, si avvicinava con l’ordine delle pizze e glielo porgeva ricambiando il sorriso.

‘Scopabili’ e ‘ignorabili’: queste erano le categorie in cui metteva tutte le donne, lui.

E lei?

Dov’era, Christine?

 









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Capitolo 4
*** Atto Terzo ***


Atto terzo

 

 

La Cadillac CTS-V nera di Shannon imboccò a tutta velocità (e ben oltre i limiti imposti) la Highway 101 che, da Los Angeles, portava a San Francisco. Quella domenica di Luglio, alle sei del mattino, reduce da un party hollywoodiano in compagnia di suo fratello protrattosi fino a un’ora prima, l’uomo era diretto a Monterey, al circuito di Laguna Seca, per assistere alle gare della Moto GP.

Era stato Steve che aveva organizzato il tutto: aveva comperato i biglietti per entrare nella zona del circuito proprio sul famoso ‘Corkscrew’ (il ‘cavatappi’), la chicane su collina, la curva più spettacolare di Laguna Seca, ed era riuscito anche a trovare dei pass per il paddock.

Tutta la compagnia di motociclisti era stata invitata e Shannon aveva gradito oltremodo quell’invito e accettato con piacere, nonostante gli impegni.

L’uomo impostò il navigatore: la highway era quasi deserta, a quell’ora, visto che era appena l’alba, e l’uomo schiacciò il piede sull’acceleratore con convinzione. Ci sarebbero volute quasi cinque lunghe ore di auto per percorrere gli oltre cinquecento chilometri che separavano Los Angeles da Monterey e forse sarebbe arrivato solo in tempo per la gara della MotoGP, considerato che doveva anche trovare parcheggio e non sapeva dove e come.

Forse per mezzogiorno sarebbe riuscito ad arrivare ad incontrare i suoi amici che, probabilmente già partiti tutti presto, in piena notte o forse già il giorno prima, non aveva sentito né telefonicamente né in altri modi, impegnato com’era stato con le registrazioni.

Accese l’autoradio e mise il CD del suo adorato Deadmau5, spense il telefonino e decise di rilassarsi: aveva bisogno di staccare un po’ da tutto, aveva bisogno di fare il vuoto mentale cullato dalle canzoni ipnotizzanti del DJ canadese, aveva bisogno di stare da solo.

Erano settimane che lui con gli altri 30 Seconds to Mars erano chiusi in sala d’incisione per registrare il nuovo CD ed erano ancora piuttosto in alto mare. Volevano fare qualcosa che fosse completamente diverso dagli album precedenti, tanto che avevano inserito nelle canzoni alcuni pezzi cantati dalle Echelon e lui aveva addirittura cambiato la composizione della sua batteria. Per non parlare delle campane e dei cori tibetani, di inserimenti di arrangiamenti elettronici e… di ogni idea strampalata che venisse in mente a Jared, il quale, attivo ventiquattro ore al giorno, lo chiamava in ogni momento della giornata per qualsiasi minima lampadina si accendesse dentro la sua testa.

Uno strazio.

Esattamente come la sua situazione sentimentale: il tira e molla con la sua ragazza del momento, K., si protraeva ormai da mesi, con lei che, ragazza madre, avrebbe voluto di più e lui che non aveva nessuna intenzione, con una tourneè mondiale in arrivo alle porte, di sistemarsi e farsi una famiglia definitiva, con una bambina di cinque anni di mezzo... Ma poi, era davvero K. la donna della sua vita? Nonostante la ragazza fosse matura per la sua età e per nulla sprovveduta, quasi vent’anni di differenza potevano pesare in ogni momento, specialmente agli occhi dei genitori di K. che avevano praticamente la sua età.

Shannon sospirò, guardando il sole rosso che sorgeva ad est: era tutto estremamente ‘vivo’, in realtà. Tutto come avrebbe sempre voluto che fosse, ma certe volte era proprio stanco, come quel mattino.

Si augurò che almeno quella domenica passata a guardare Stoner correre per il circuito, in sella alla sua Ducati e che partiva dalla pole position, lo avrebbe rilassato e gli avrebbe fatto scordare tutto il periodo piuttosto faticoso, e soprattutto l’anno in arrivo, in cui, a seguito dell’album, avrebbe dovuto girare per il mondo varie volte per la tournee, le interviste e tutto il resto.

Sospirò per l’ennesima volta: la strada era lunga, non solo quella per Laguna Seca, ma anche quella della sua vita.

 

 

Tanti chilometri e qualche caffè nero poco zuccherato dopo, Shannon arrivò nei pressi del circuito e, in connessione telefonica con Steve, riuscì non solo a trovare agevolmente parcheggio, ma anche a trovare il suo gruppo di amici, assiepati nel prato sopra il cavatappi.

“Ehilà! Finalmente sei arrivato! Ora ci siamo tutti!”, lo accolse Steve, dandogli la mano.

Shannon si guardò attorno: tra tutta la gente seduta per terra e che aspettava l’inizio della corsa, in realtà non vedeva nessuno che conoscesse, a parte Steve e un paio di altri motociclisti.

E soprattutto non vedeva chi si aspettava di trovare, quella persona che avrebbe voluto reincontrare con piacere e che da un po’ di tempo non incrociava, nemmeno in pizzeria. Era quasi tentato di chiedere a Steve, che gli stava raccontando del suo incontro con Nicky Hayden, dove fosse una certa loro amica che… improvvisamente Shannon spalancò gli occhi, sorpreso: Christine avanzava in mezzo alla gente verso di lui, sorridendo, accompagnata dalla moglie di Steve. Indossava un paio di blue jeans aderenti, una maglietta corta ed attillata con l’effige di Valentino Rossi e un berretto giallo e azzurro col frontino con il numero 46 ricamato sopra. Una perfetta fan del corridore italiano.

“Ciao, Shannon! Ben arrivato!”, gli sorrise lei subito, con il suo solito modo cordiale, che gli riscaldava il cuore, i capelli castani che si muovevano al caldo vento che veniva dal deserto.

Shannon le si avvicinò, incuriosito, lasciando il discorso con Steve a metà: “Ehi! Ma… ma… ma tifi per The Doctor?”

Christine scoppiò a ridere: “Si vede, eh? Con una Yamaha a casa, è d’obbligo! E tu? Tu che hai la Ducati, tifi per Stoner e la sua Desmosedici, giusto?”

“Sì, sì… ma nel mio caso non si vede.” Shannon si indicò la maglietta nera senza scritte.

Christine non rispose, ma, sorridendo, si tolse lo zainetto dalle spalle e cominciò a ravanarci dentro. Poi estrasse un berretto col frontino, rosso, con il numero 27 ricamato e la bandiera australiana. E con scritto Ducati da un lato. “Ora sì!”, disse a Shannon, avvicinandosi e mettendoglielo in testa.

Shannon scoppiò a ridere, divertito, sistemandosi il berrettino, mentre, stranamente, tutti si erano allontanati e li avevano lasciati soli. “Ma… l’avevi comperato per me?”, chiese, sorpreso, non aspettandosi un regalo del genere.

La ragazza fece spallucce: “No… l’ho visto su una bancarella qui fuori, mi è piaciuto e l’ho preso… senza un perché… mi è venuto così e… te lo regalo, dai…”, rispose Christine, sedendosi sulla sua stuoia,  e Shannon non capì se mentisse o meno. Poi estrasse la macchina fotografica digitale: “Vieni, Shannon. Guarda.”, gli fece segno di avvicinarsi.

Shannon, curioso, si sedette vicino a lei e Christine gli porse la digitale: sullo schermo comparve una foto di lei con Valentino Rossi. “E’ stato il momento più emozionante della mia vita. E… Rossi mi ha anche firmato il berretto. Guarda qui.” La ragazza spostò la testa per mostrargli l’autografo su un lato e una zaffata del suo profumo colpì Shannon in pieno viso.

Deodorante, sudore, donna.

Shannon aprì le narici per sentirlo meglio, fissandole il collo bianco e l’attaccatura dei capelli, con piacere, incantato da lei e dal suo atteggiamento: “E’… è stato gentile, Rossi...”

Christine si girò a guardarlo in viso. “Sì, davvero. E’ proprio un personaggio. E’ unico. Molto particolare.”

Shannon le restituì la digitale. “Anche tu.”

La ragazza piegò le sopracciglia: “Anch’io, cosa?”

L’uomo sorrise furbescamente e dolcemente nello stesso tempo. Aveva percepito una sua verità su Christine, giusta o sbagliata che fosse, aveva sentito qualcosa su di lei, anche se non sapeva nulla di come fosse in realtà, in fondo non la conosceva.

La California era infestata di ragazze la cui unica preoccupazione era se il tacco delle scarpe o la lunghezza della gonna fossero all’ultima moda o no, e la cui unica aspirazione era finire sulla copertina di Vogue o sposare un produttore miliardario. Ragazze che passavano la vita dall’estetista per le extension e  le ciglia finte o dal chirurgo plastico per labbra e tette gonfie, belle, bellissime, ma finte e tutte uguali.

Ma non Christine.

Lei era del tutto diversa.

Era come se certe cose della sua vita fossero state accantonate o non la toccassero più di tanto, come se adesso lei facesse solo quello che le piaceva, non avesse aspirazioni da conquistare, ma situazioni consolidate da gustare fino in fondo, fregandosene di cosa si poteva pensare di lei. Niente di quello che per le altre era legge, per lei contava qualcosa. Lei era oltre. Sopra a tutto. Era tranquilla, senza smania di passare avanti agli altri o di essere un qualcosa che non era: quasi sembrava aver raggiunto quella consapevolezza e distacco buddisti che anche Shannon cercava. Anche adesso che raccontava di Rossi, era contenta, ma non esagitata, era normale anche in quello: “Anche tu sei un personaggio…”, le disse, dandole un buffetto sulla guancia. “Un personaggio raro.”

Christine arrossì, imbarazzata: “Io? Ma no, no, Shannon… non prendere in giro, dai… sono… sono solo una pizzaiola, dai… A proposito…”, la ragazza sembrava quasi volere cambiare disperatamente discorso, schernendosi: “Vuoi un po’ di pizza?”, gli chiese, estraendo dallo zaino un  pacchettino e cominciando a scartarlo. “Gliene ho portata anche una a Rossi…”

Shannon scoppiò a ridere: “Ma sì, perché no?” Alla fine anche lui fu contento di cambiar discorso: non aveva chiaro nemmeno lui dove volesse andare a parare con il discorso che aveva fatto. E fu anche contento dell’arrivo di Steve e degli altri che, rumorosamente, si sedettero tutti lì vicino a mangiare la pizza di Christine e il loro pranzo al sacco.

Mentre l’ora della gara si avvicinava, il sole di Luglio picchiava sul circuito di Monterey e le chiacchiere proseguivano,  con pronostici sulla vittoria dei vari motociclisti che si sprecavano, Shannon, con una notte brava e bianca alle spalle e lo stomaco soddisfatto di pizza e birra, si addormentò, placidamente sdraiato vicino a Christine con il berretto rosso calato sugli occhi, mentre il rombo di una gara dimostrativa di auto lo cullava.

Lei lo guardò un attimo sorridendo, chiedendosi cosa Shannon avesse voluto dire con l’uscita di poco prima, e poi si spostò in modo da fargli ombra con il suo corpo: anche Shannon era decisamente un personaggio.

Tutto da scoprire.

 

 

Shannon fu risvegliato da Steve che gli urlava in un orecchio a voce altissima: “E’ ORAAAAAA!!! SVEGLIAAAA!! SI SCATENERA’ L’INFERNO!!!”

“MUDDAFUGAZZ, STEVE! CHE CAZZO FAI?!??” Shannon balzò seduto chiedendosi dove fosse, ancora con i fumi del sonno profondo che gli annebbiavano la mente, il berretto a sghimbescio. “VUOI FARMI MORIRE D’INFARTO???”, poi si alzò di scatto e fece per tirargli un pugno scherzoso su una spalla.

Ma Christine gli stava porgendo un bicchiere di carta, sorridendo. “Caffè? Meno dieci minuti alla partenza! Sei pronto per la gara?”

Shannon accettò il caffè ed annuì, convinto, ma nessuno al mondo poteva essere pronto per una gara tiratissima come quella, con Stoner e Rossi che, partiti veloci come fulmini, si contendevano la prima posizione con sorpassi a non finire, con tutto il campionario di prodezze dei due grandi atleti completamente sfoggiato.

Con Rossi che, proprio al cavatappi, metteva due ruote sulla terra ma riusciva a stare in sella per miracolo e Christine che lanciava un urlo.

 Con Stoner che domava le derapate della sua Ducati, rosso cavallo selvatico, e con Shannon con i brividi lungo la schiena, estasiato.

A nove giri dalla fine, dopo una gara mozzafiato, Stoner sbagliò una staccata e, per evitare di tamponare Rossi, andò fuori pista, piegò sulla ghiaia del bordo pista e finì a terra: Shannon e Christine trattennero il fiato, mentre il corridore australiano si rialzava e ricominciava l’inseguimento di Rossi, ma inutilmente.

Rossi aveva vinto, aveva baciato la curva del cavatappi proprio davanti agli occhi esterrefatti di Christine, e Shannon si complimentò subito con la ragazza, ancora incantata dall’impresa e da quel bacio sull’asfalto: “Gli hai portato fortuna!”, le disse, abbracciandola  e alzandola da terra. “E’ stata la tua pizza!”

La ragazza si schernì, come al solito, prendendo il viso di Shannon tra le mani e poi stringendolo a sé, con slancio, senza pensarci: “No, no… Rossi è bravissimo e… anche Stoner è un campione… e la gara era tra chi sbagliava meno, dai… Oddio… che gara! Sono stremata! Oddio! Non ci posso credere!”, disse, prima di fermarsi e rendersi conto di quel che aveva fatto e di trovarsi tra le braccia di Shannon e avere lui nelle sue. Ognuno ritirò le proprie braccia, quasi di corsa, imbarazzati tanto da cominciare simultaneamente una discussione sulla gara con gli amici.

Discussione che proseguì al tavolino di un bar di Monterey a bere qualcosa, prima di partire ognuno con il proprio mezzo destinazione casa.

Shannon era impegnato in una discussione con Ray, un tifoso di Hayden, su quali erano le possibilità di Stoner e della Desmosedici, ma con un orecchio ascoltava la discussione tra Steve e Christine, seduti davanti a lui e in evidente combutta.

“Vieni? E’ giovedì prossimo, alle venti…” chiedeva Christine.

“Questo giovedì?”

“Sì.”

“Accidenti! Io… non posso, Christine. Sono fuori città per lavoro.”

“OK.”

“Mi dispiace. Non possiamo fare un altro giorno?”

“Ehm… purtroppo ho comperato già i biglietti.”

“Mi dispiace davvero, cara…” Steve le toccò un braccio, dispiaciuto per davvero.

Ma Christine gli sorrideva, nonostante si vedesse la delusione nei suoi occhi scuri: “Non preoccuparti, Steve. Riuscirò a convincere Betty, tranquillo.”

Shannon non aveva capito di cosa si stesse parlando, ma l’espressione di Christine non gli piaceva.

“Vengo io.”

Tutti si girarono ad occhi spalancati verso chi aveva parlato. Era stato Shannon. La cui voce gli era uscita quasi senza volere e senza sapere dove dovesse andare.

Steve lo guardò ad occhi spalancati: “Sei sicuro,  Shan?”

“Ehm… sì…”, rispose.

Steve scosse la testa: “A te non piace l’opera lirica.”

Shannon spalancò gli occhi: “Opera?”

“Sì.” Rispose Christine, “Andrei a vedere ‘il Barbiere di Siviglia’ di Rossini, giovedì prossimo, all’Opera House. Ehm… vieni tu?”

A Shannon quasi mancò l’aria. “Opera?”, ripetè, traumatizzato.

“Sì, opera.”, ribadì Christine, sorridendo contenta.

Tutti attorno al tavolino guardavano lui, sorpresi ed in attesa della sua risposta, qualunque fosse. Tutti sapevano della passione di Christine per la lirica (oltre che per le moto) e tutti si erano più o meno defilati già da tempo, nonostante la ragazza non fosse poi così insistente. Resisteva solo Steve. Ma quel giorno aveva dato buca pure lui.

“OK”, disse Shannon, alla fine, con un filo di voce. Dopotutto era un’esperienza musicale anche quella no? Musica decisamente diversa dalle altre che ascoltava ma sempre musica. Musica che comunque segnava la vita a molte persone, così come la sua musica segnava la vita delle echelon. “OK. Certo che vengo. Sono… curioso, non ci sono mai stato.”

Christine gli passò un tovagliolino di carta in cui aveva scritto frettolosamente il suo indirizzo, dicendogli: “Allora giovedì alle diciannove a casa mia, va bene?” e poi si alzò e, sotto gli occhi sbigottiti di Shannon ancora con il foglietto in mano, si mise il giubbotto di pelle, il casco e se ne andò, salutando tutti.

Shannon non credeva ai suoi occhi: Christine tornava a casa in moto!

Shannon fu tentato di buttarsi in macchina e braccarla, a folle velocità inseguirla e controllarla, incredulo di quella pazza che affrontava ore ed ore di strada in moto per rientrare, ma sapeva che non l’avrebbe mai raggiunta.

In molti sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo capitolo è dedicato alla mia amica Valentina: sai che ormai io non credo più che il personaggio che descrivo qui (nemmeno lo nomino) sia in qualche modo reale o abbia le caratteristiche che gli attribuisco. Anzi, ormai e per tante ragioni sono portata a ritenere che sia esattamente l’opposto, che la sua sensibilità sia nulla e le sue qualità umane inesistenti… però… però devo dire che scrivere di lui in questo modo, era proprio bello! Baci!

 









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