André...

di baby80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo a palazzo Jarjayes ***
Capitolo 2: *** La neve ***
Capitolo 3: *** Libri, spade e torte ***
Capitolo 4: *** Il matrimonio ***
Capitolo 5: *** Il compleanno ***
Capitolo 6: *** Donna ***
Capitolo 7: *** Uomo ***
Capitolo 8: *** Amore ***
Capitolo 9: *** La soffitta ***
Capitolo 10: *** Arras ***
Capitolo 11: *** Maschere ***
Capitolo 12: *** odi et amo ***
Capitolo 13: *** Il buio ***
Capitolo 14: *** Preghiera ***
Capitolo 15: *** Ferite ***
Capitolo 16: *** Tradimento ***
Capitolo 17: *** Sensi ***
Capitolo 18: *** Nascita ***
Capitolo 19: *** Piacere ***
Capitolo 20: *** Futuro ***
Capitolo 21: *** Noi ***
Capitolo 22: *** Eternità ***



Capitolo 1
*** Arrivo a palazzo Jarjayes ***


André. André Grandier, signore.
Rispondo all'uomo in uniforme che non smette di fissarmi con occhi cattivi.
L'uomo in uniforme mi stringe la mano e va via, con le braccia dietro la schiena.
Sono arrivato oggi in questa grandissima casa, sono venuto a stare con la mia nonna, lei lavora qui, come governante.
L'uomo in uniforme è il padrone di questa casa, ha una moglie che lavora a Versailles, dove vive il Re, me lo ha detto la nonna, ma non ho capito cosa faccia di preciso.
L'uomo in uniforme, “generale Jarjayes”, così dovrò chiamarlo, si raccomanda la nonna, ha 5 figlie.
Mia nonna ha detto che dovrò lavorare in questa casa, diventerò il compagno di giochi della figlia più piccola del generale Jarjayes.
Non mi piacciono le bambine, sono noiose e piangono sempre.
Mia nonna mi ha detto che la bambina con cui dovrò giocare è speciale, il suo nome è Oscar, suo padre l'ha chiamata come un maschio “che strano” dico alla nonna ed anche lei mi guarda con occhi cattivi, quasi mi rimprovera “devi comportati bene con Oscar, hai capito?”, si si ho capito.
Diventerò il giocattolo di questa strana bambina. Non voglio, non mi piacciono le femmine.
Voglio tornare a casa.
Mi viene da piangere, ma cerco di resistere, faccio un respiro grosso grosso e tiro su col naso, imitando le facce cattive che tutti i grandi sembrano avere.
Oh no, la nonna mi ha visto!
“André, piccolo... cosa succede?”
La nonna mi abbraccia forte, nascondo il viso nel suo grane e morbidissimo petto, respiro il suo profumo, la mia nonna ha sempre un buon odore di cibo. Mi sento bene, non ho più voglia di piangere.
La nonna mi bacia, mi pulisco la guancia con il dorso della camicia, lei sorride, mi da una pacca sul sedere e mi “ordina” di fare qualcosa, lontano da lei.
Ho deciso, esplorerò il palazzo.
Mi fanno male i piedi, ho camminato tantissimo ma non ho ancora visitato tutte le stanze della casa, ho paura di perdermi in questo posto.
Ho scoperto che dormirò con la nonna, la nostra stanza è così grande, è grande quanto la mia casa... la nostra casa... la nostra vecchia casa.
Mi viene da piangere.

“Ciao.”
“Ciao.”
“Chi sei?”
“André.”
Rispondo a un bambino dai capelli biondissimi, con una spada di legno in mano e un biscotto mangiucchiato nell'altra. Che strano, mi avevano detto che c'erano solo femmine qui. Meglio così, avrò qualcuno con cui fare giochi da maschio.
“Piangi?”
“No!” rispondo e cerco di nascondere le lacrime.
“Si invece.”
“No, moccioso non piango!”
“Perchè piangi?”
Il bambino mi guarda, ha dei grandi occhi azzurri.
“Sono triste:” mi arrendo.
“Perchè?”
“Mi mancano la mia mamma e il mio papà.”
“Perché?”
“Perchè non sono qui con me.”
“Dove sono?”
“Sono morti.”
E' la prima volta che lo dico a qualcuno, la nonna ha pianto tanto quando ho provato a dire che mi mancavano, allora io non l'ho più detto.
“Tieni.” il bambino mi regala il suo biscotto mangiucchiato, mi sorride, ha perso un dente davanti, ha una faccia buffissima.
Rido, prendo il biscotto e lo divoro subito.
Il bambino mi saluta con la mano e corre via.
“Ciao André”
“Ciao...” non so il suo nome.
Cammino per la casa, mi sto annoiando, sbuffo, metto le mani in tasca e sbatto i piedi ad ogni passo.
“Quello chi è?”
“Il nipote della governante, mi pare, quello rimasto orfano.”
Sento bisbigliare due ragazze vestite come credo siano le dame di Versailles. Non mi piacciono. Le guardo con aria cattiva e mostro la lingua.
Mi ignorano e vanno via.
Non mi piace questo posto.
Non voglio diventare l'amichetto di quella Oscar, non voglio giocare con una piccola damina.
“Orfano” ripeto, è una brutta  parola.
Mi viene ancora da piangere, ma non lo faccio.
Vado dalla nonna.
“Nonna io mi annoio...”
“André, tesoro fai il bravo, vai fuori a giocare, non ho tempo di darti retta.”
Sbuffo.
“Vai piccolo, forse troverai Oscar da qualche parte.”
Sbuffo ancora di più, che ci giochi lei con una femmina piagnucolosa.
Esploro il giardino, è grandissimo, come ogni cosa in questo palazzo.
Una fontana!
Mi avvicino  per toccare l'acqua.
“aaaaaaaaaah” qualcuno mi ha spinto dentro la fontana.
Sono tutto bagnato, la nonna mi sculaccerà, lo so.
Sento ridere. Il bambino biondo. Non credo di voler ancora giocare con lui, non più.
“Stupido!”  urlo con tutto la forza, anche quando la gola inizia a bruciare.
Odio questo posto.
Sto piangendo.
Il bambino smette di ridere.
“Scusa. Non piangere. Vuoi un biscotto?”
Esco dalla fontana, mi pulisco il naso con la camicia.
“Si lo voglio.”
Il bambino mi prende per mano e mi tira il braccio. Mi avvicino.
Il bambino dai capelli biondi mi da un bacio sulla guancia.
“Che schifo!” dico, spingendolo via da me.
“Prendiamo i biscotti.” mi dice e corre via, verso casa.
Corro anch'io, ho fame.
“Nannyyyyyyy... Nannyyyyyyyyy... vogliamo i biscotti!” lo sento urlare mentre corre verso le cucine.
Siamo in cucina, io ed il bambino biondo, uno vicino all'altro dietro le sottane della nonna.
“Voglio i biscotti.”
La nonna non si gira, sta cucinando.
“Ne hai già avuti 6, per oggi niente più biscotti, Oscar!”
“Oscar!” dico io alzando la voce.
“Oscar!”
Ripeto.
“André, tesoro, finalmente hai trovato la nostra madamigella Oscar. Non fare quella faccia, uscite da qui, da bravi. Andate fuori a giocare. E mi raccomando André, comportati bene con lei.”
Non ci credo, questo pestifero bambino biondo è una bambina, è la bambina con cui dovrò giocare per il resto della mia vita?
Sono arrabbiato.
La nonna mi ha preso in giro.
Sono tanto arrabbiato.
La bambina di fronte a me mi guarda, mi prende la mano.
Mi guarda con gli occhioni azzurri e mi fa un grande sorriso, i denti caduti sono tre, uno sopra e due sotto.
E' buffa.
Scappa via, la seguo.
Corro tra le stanze di questo grande palazzo, rido di questa buffissima bambina che ha un nome da maschio.
Anche lei ride.
Anche Oscar ride mentre toglie un biscotto dalla tasca.
Ha messo un dito davanti alla bocca, prova a fare “shhhhh” ma le sta uscendo uno strano suono, sputacchia saliva dagli spazi vuoti dei denti mancanti.
Rido fino alle lacrime.
Non sono più arrabbiato.
Forse non sarà così brutto vivere in questa casa.

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Capitolo 2
*** La neve ***


Stamattina mi sono svegliato e la nonna mi ha aiutato a vestirmi, come ogni giorno, e come ogni giorno, prima di fare colazione sono andato in camera di Oscar, senza farmi scoprire.
Ho corso per il corridoio e su per la lunga scalinata, ho rischiato di cadere cercando di salire due scalini alla volta.
La nonna me lo dice sempre “André non si corre!”.
Ubbidisco sempre alla nonna... quasi sempre... ma stamattina dovevo correre.
Ho spalancato la porta della camera di Oscar, ma lei non si è svegliata, non si sveglia mai, la nonna la deve chiamare un sacco di volte prima che apra gli occhi.
Oscar è una dormigliona.
Una volta volevo svegliarla  perché mi annoiavo e volevo giocare, l'ho chiamata, l'ho richiamata, le ho tolto le lenzuola di dosso, niente, continuava a dormire, ma io ho trovato il modo per svegliarla.
Ho raccolto con le mani un po' di acqua dalla bacinella e l'ho lasciata cadere sulla sua faccia.
Si è svegliata subito, oh come si è svegliata!
Si è svegliata e mi ha dato uno schiaffo, e il mio occhio è diventato blu, è rimasto blu per tantissimi giorni!
Dopo quella volta non l'ho più svegliata in quel modo.

“Oscar! Oscar! Svegliati!” grido, non posso resistere.
Oscar mugugna qualcosa e si nasconde sotto le coperte.
“Oscar, alzati! Vieni a vedere!”
Oscar mugugna ancora e non si alza, è davvero una pigrona.
“Oscar, la nonna mi ha detto che ha preparato la torta al cioccolato per colazione.”
Vedo Oscar sbucare da sotto le coperte, mi guarda con aria interrogativa, sapevo che sarebbe uscita, diventa matta per il cioccolato.
E' buffa Oscar, ha i capelli dritti sulla testa. Rido.
“André sei sicuro che ci sarà la torta al cioccolato?” mi chiede con una voce ancora più buffa dei suoi capelli.
“Oh, si si, sicurissimo!” le dico, so già che mi picchierà per questa piccola bugia.

“Cosa volevi André?”
“Alzati e te la faccio vedere.”
“Non voglio alzarmi, ho freddo!”
“Dai Oscar, non fare la femminuccia!”
“Non sono una femminuccia!”
“Si che lo sei se non ti alzi subito!”
“Va bene. Mi alzo.”
“Presto Oscar, vieni. Vieni alla finestra e... guarda...”
“Oooooh...”

Oscar mi guarda con la bocca aperta, ha gli occhi enormi, mi sorride, i denti caduti stanno ricrescendo, ma anche così è sempre buffa.
E' passato un anno da quando sono arrivato in questo  palazzo, io adesso ho 7 anni e Oscar ne ha compiuti 6 qualche giorno fa.
Siamo diventati grandi amici, Oscar ed io.
Le bambine continuano a non piacermi, ma lei mi piace, Oscar è diversa.
Oscar è una bambina ma è divertente come un maschio.

“Nevica! André, nevica!”
“Si, Oscar, nevica.”
“André andiamo a giocare con la neve?”
“E' per questo che sono venuto subito a chiamarti Oscar.”
“Preparati ti aspetto di sotto.”
“Andrè prima però voglio fare colazione, non mangiarmi tutta la torta!”
“Oscar...”
“Si...”
Sono fuori dalla porta, infilo solo la testa dentro la camera.
“Ti ho detto una bugia, non c'è nessuna torta al cioccolato!”
Scappo via, corro, anche se non potrei, giù per le scale, sono già nelle cucine ma anche da qui la sento urlare.

“André! André!”

Ahia, la nonna mi ha dato una sculacciata sul sedere!
“Cosa hai combinato André?”
“Non ho combinato niente nonna!”
Ahia, un altra sculacciata.
“Oscar sta gridando il tuo nome, è chiaro che sei stato in camera sua. Sai che non puoi andarci. Ed è chiaro che le hai fatto qualcosa! Cosa devo fare con te?”
“Scusa, non lo farò più nonna. Lo prometto.”
La nonna ha ancora la faccia scura, ma mi sta carezzando i capelli, tra poco, lo so, non sarà più arrabbiata.
“Mettiti a tavola, da bravo, la colazione è pronta.”
Ha una voce così dolce la mia nonna.
La testolina buffa di Oscar compare nelle cucine poco dopo di me, e la nonna serve la colazione anche a lei, è ancora arrabbiata, non mi parla e mi fa gli occhietti scuri.
Finisco la colazione e mi alzo dalla sedia.
Esco dalle cucine.
Sento dei passi.

“Dove vai?”
“Cosa te ne importa.”
“Dai, André, dove vai?”
“Esco a giocare con la neve.”
“Vengo anch'io.”
“Non sei più arrabbiata Oscar?”
“No. Andiamo a giocare... Chi arriva per ultimo stasera mangia le verdure dell'altro!”
“Oscar, non vale! Non ero pronto!”
Ho perso. Perdo sempre con Oscar, è più brava di me in certe cose... e più furba.
Usciamo da palazzo.
Nevica, è tutto bianco.

“André, guarda quanta neve!”
“Si Oscar, è bellissimo.”
“Non ti sembra un mare di latte, André?”
“ah ah ah ah”
“Perchè ridi?”
“Perché dici cose buffe, piccoletta.”
“André!”
“Scusa Oscar, lo so, lo so, non sei piccoletta. Sei graaaaaaande ormai!”
Rido.
“Stupido!”
Corro lontano, raccolto un mucchio di neve e faccio una palla con le mani.
Colpisco la schiena di Oscar con la palla.
“Attenta... piccoletta!”
“Aaaaah, André, adesso me la paghi!”
Abbiamo giocato nella neve per ore.
Abbiamo fatto la guerra con le palle di neve, ci siamo spinti e azzuffati.
Alla fine eravamo bagnatissimi e infreddoliti, con le mani gelate e i nasi rossi rossi.
La nonna ci ha riportati in casa, strattonando me per un braccio e tenendo Oscar per mano.

Sono passati due giorni da quando io e Oscar abbiamo giocare con la neve.
Ci siamo ammalati.
Abbiamo la febbre e il mal di gola, Oscar ha perso la voce, io tossisco sempre e non riesco a dormire.
Mi annoio tantissimo, non posso giocare ne parlare con qualcuno, ho deciso di andare a trovare Oscar.
Entro nella sua stanza, è nel letto, avvolta in tantissime coperte, gioca con la sua spada di legno.

“Ciao Oscar, come stai?”
Mi sono dimenticato che non può parlare, e infatti mi guarda con una faccia bruttissima e mi fa la linguaccia. Rido e Oscar mi fa segno con la manina di avvicinarmi. Mi sorride e io sorrido a lei.
Batte la manina sul letto, vuole che mi siedo. Lo faccio.
“Sai, Oscar, ho avuto la febbre anch'io, non mi sono potuto alzare per tantissimo tempo e la notte non riesco a dormire, tossisco sempre, senti...”
Cof Cof Cof Cof
Faccio finta di tossire ma poi la tosse arriva davvero e non riesco a fermarmi, quasi mi soffoca.
Credo che Oscar stia ridendo, ha la bocca aperta e le esce uno strano suono dalla gola.
Finalmente respiro e mi metto a ridere, sentendo la risata muta di Oscar.
Oscar mi fa di nuovo la faccia scura e mi colpisce con la spada di legno, in testa.
“Ahia, stupida! Vado via.”
Mi alzo ma Oscar mi prende la mano e mi guarda con gli occhioni tristi. Lei dice che è grande adesso che ha compiuto 6 anni, ma io lo so che è ancora una piccoletta, non vuole mai stare da sola, mi è sempre appiccicata.
Rimango con Oscar, mi infilo sotto le coperte con lei.
Oscar avvicina la testa alla mia, scotta, ha ancora la febbre e io tossisco di nuovo.
Sta provando a dirmi qualcosa, ma la voce non c'è ancora.
“Piccoletta non parlare.”
Sospira e chiude gli occhi.
Mi piace dormire con Oscar.
Quando sono con lei o con la nonna non mi viene da piangere, quando sto con loro mi sento bene.
Mi manca la mia casa, mi mancano i miei genitori, ma quando sto con Oscar mi sento meno solo, quando sto con la “piccoletta” mi dimentico che odio questa casa.
Le voglio bene come voglio bene alla mia nonna.
Respiro, la tosse si è fermata.
Chiudo gli occhi.
“Buonanotte piccoletta”
Oscar non può rispondere, mi abbraccia forte forte.
Sorrido.

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Capitolo 3
*** Libri, spade e torte ***


Le vacanze di Natale sono finite, Oscar ha ricominciato le lezioni con il maestro privato che il generale Jarjayes ha preso per lei.
Da qualche mese anch'io ho cominciato a studiare con il maestro, il generale ha voluto così.
Ho imparato a scrivere il mio nome e il mio cognome, il maestro  Dupuis dice che ho una bella grafia.
Ho anche imparato a leggere un'intera frase! Spero di riuscire a leggere un'intera pagina il prima possibile.
Mi piacciono così tanto i libri.
Quando nessuno mi vede entro nella biblioteca del palazzo, ci sono tantissimi libri, grandi, piccoli, lunghi, corti... passo le dita sulle copertine di ogni colore, sento sotto i polpastrelli le parole d'oro che prima non sapevo leggere, ma ora si, adesso posso farlo.
La biblioteca ha un buon odore, odore di libri.
Quando sono nella biblioteca scelgo sempre un libro diverso, lo scelgo perchè mi piace la copertina o la scritta, mi siedo sul pavimento e lo metto tra le gambe, lo apro e sfoglio le pagine, ma non sapevo, prima, cosa raccontavano le parole che c'erano scritte.
Sfoglio le pagine, piano piano, mi piace il rumore che fanno, ogni pagina è diversa dalla pagina di un altro libro, a volte sono bianche bianche, altre volte gialle, ma tutte odorano dello stesso profumo.
Mi piace annusare le pagine dei libri, infilo il naso e  respiro forte, non esiste un altro profumo così buono.
Sono stato in biblioteca ieri, ho scelto un libro, ho letto le lettere d'oro sulla copertina, una dopo l'altra. E l'ho scelto.
V – O – L – T – A – I – R – E .
Respiro il profumo delle pagine e inizio a leggere la prima frase.
Spero di imparare a leggere una pagina per intero, presto.

Ad Oscar non piace studiare, lei preferisce giocare con le spade o ascoltare il generale quando ci racconta delle battaglie che ha fatto.
Il maestro Dupuis rimprovera spesso Oscar.
“Madamigella Oscar, state composta! Madamigella Oscar finite di scrivere il vostro nome!” dice, ma lei non ubbidisce quasi mai, fa la linguaccia e scoppia a ridere.
Il maestro Dupuis usa la bacchetta di legno sulle manine di Oscar, ma lei non piange, si morde le labbra ma non piange.
Oscar non è come le altre bambine piagnucolose.
Oggi dopo la lezione con il maestro Dupuis ho portato Oscar con me, in biblioteca, le è piaciuta, ha fatto gli occhioni e ha detto “ooooooooh”.
Oscar non è mai entrata qui, che strano.
Abbiamo scelto un libro, ci siamo seduti sul pavimento e lo abbiamo aperto.

“Piccoletta chiudi gli occhi”
“Perchè? e non sono una piccoletta André!”
“Chiudili e basta!”

Ho messo il libro aperto sulla faccia di Oscar e le ho detto di respirare forte.
Ha aperto gli occhi.

“Che cos'è?”
“Sono libri Oscar, questo è il profumo dei libri, ti piace?”
“Si, André, mi piace.”
“Adesso leggiamo.”
“Leggiamo?”
“Si Oscar, leggiamo insieme, una frase io e una frase tu, va bene?”
“Si.”

Abbiamo letto un'intera pagina, Oscar ed io, insieme.
Abbiamo deciso di andare in biblioteca tutti i giorni.
Abbiamo fatto un patto, leggeremo tutti i libri della biblioteca, insieme.
Oscar dice che avremo 100 anni quando finiremo l'ultimo libro.
Chissà come sarò quando avrò 100 anni.



Oscar ha ricevuto una spada per il suo compleanno, una spada vera, come quella del generale.
“Figliolo, sei abbastanza grande per avere la tua prima spada. Avrai un insegnante con il quale ti allenerai.”
Questo ha detto il signor generale ad Oscar, e da quel giorno, ogni pomeriggio si allena.
Ci alleniamo, anch'io, come Oscar ho ricevuto una spada tutta mia, solo mia.

“Tieni André, questa spada è tua.”
Mi ha detto Oscar, una mattina.
“Ma questa spada appartiene alla vostra famiglia, io non sono degno di averne una Oscar.”
“Mio padre me ne ha date due, dicendo che una era per te. Sei contento André?”
“Si, molto contento.” ho risposto, il generale Jarjayes è buono.
Da quel giorno abbiamo giocato spesso con le spade.
La nonna è quasi svenuta la prima volta che ci ha visti con, “le armi del demonio” come le chiama lei, in mano.
Io e Oscar prendiamo in giro mia nonna, le facciamo degli scherzi, la spaventiamo, lei ci sgrida ma alla fine riusciamo sempre a farci perdonare, facendo due moine.
La nonna ci vuole tanto bene, a me e Oscar.
La nonna è l'unica persona che abbraccia e fa le coccole ad Oscar, gli altri, qui a palazzo, non lo fanno, neppure la sua mamma.
La mia mamma mi abbracciava sempre, mi teneva stretto prima di dormire, mi riempiva di baci... la mia mamma. Se solo fosse ancora qui...
Ora è la nonna ad abbracciarmi.

Piove.
Io ed Oscar non possiamo uscire a giocare. Non possiamo nemmeno allenarci con le spade. Abbiamo provato a farlo in casa, ma la nonna ci ha rimproverati.
Ci annoiamo.
La nonna ci ha chiesto se vogliamo aiutarla a fare una torta, siamo andati in cucina e ci ha fatti mettere in ginocchio sulle sedie.
Ha dato a me una zuppiera e un cucchiaio di legno ad Oscar.
Burro.
Ho versato il burro e Oscar l'ha mescolato, con un cucchiaio di legno.
Zucchero.
Oscar è stanca di mescolare, così adesso io mescolo e lei butta gli ingredienti nella zuppiera.
Uova.
Oscar rompe le uova e le lascia cadere dentro la ciotola.
“Oscar, no! I gusci no!” le grida la nonna.
Io lo sapevo che i gusci non li doveva mettere, ma quella testona non mi da mai retta.
Farina.
“cof cof cof” tossisco.
Oscar lancia la farina dentro la zuppiera, con le mani, siamo avvolti da nuvole di farina.
“Oscar! Bambina, la farina va messa delicatamente nella ciotola, vedi, fai come me, piano piano con un cucchiaio. Capito?”
La nonna è così paziente.
La nonna sta ridendo fortissimo.
“Che c'è” diciamo insieme io e Oscar.
“Oh dio del cielo, siete bianchi come due fantasmi! Ah ah ah.”
Ci guardiamo, io e Oscar, abbiamo la farina sul viso e nei capelli... siamo buffissimi...
Ridiamo come due matti.
Latte.
La nonna ci porge due bicchieri di latte e si raccomanda di versarlo delicatamente nella ciotola.
Delicatamente è una parola che Oscar non conosce.
Ho paura.
“Oscar, non mi lavare con il latte!” le dico.
Lei prende il bicchiere di latte, lo porta alla bocca, beve e...
Sputa il latte verso la ciotola, sembra una fontana, sembra divertente, la imito.
“Cosa state facendo?”
Oh, oh, la nonna ci ha visti, sembra arrabbiata.
“Smettetela di fare gli stupidini, il latte va versato nella ciotola, non sputato! Chiaro?”
Versiamo il resto del latte e mescoliamo il tutto.
L'impasto è pronto.
La nonna lo versa in una pentola e poi sul fuoco.
Io e Oscar restiamo a guardare la torta, aspettiamo che sia cotta, mentre lecchiamo zuppiera e cucchiaio di legno.
La torta è pronta, ne prendiamo due grosse fette.
“mmmh... è buonissima André!”
“Si, è buonis... ahia... uhm... Oscar!”
“Che c'è Andrè?”
“I gusci Oscar, i gusci!”

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Capitolo 4
*** Il matrimonio ***


Sono emozionato, domani prenderò parte ad un matrimonio.
La sorella più grande di Oscar diventerà Madame Lemoine.
Josephine sposerà Jerome Lemoine, un conte molto più grande di lei.
Oscar dice che è vecchio, io non so quanti anni abbia ma sicuramente ne ha molti di più di Josephine.
Non sono mai stato ad un matrimonio.
La nonna mi ha spiegato che ci sarà una funzione in chiesa e poi un grande ricevimento.
Si mangerà, si berrà e tutti danzeranno... si prospetta una giornata divertente.
Io e Oscar domani, e solo per quel giorno, avremo il permesso di rimanere alzati fin dopo la mezza.
“Ormai siete cresciutelli.” ha detto la nonna dandoci la bella notizia.
E' vero, siamo cresciuti, io ho 11 anni e Oscar 10.
Sono molto più alto dell'estate passata, anche Oscar è cresciuta in altezza, mi arriva alla spalla, è grande per la sua età, ma per me rimane sempre una “piccoletta”.
Questo pomeriggio ho avuto il mio primo abito da cerimonia, il mio primo abito importante!
Un sarto lo ha confezionato su misura per me, credo proprio d'essere un bambino fortunato, è quello che mi ripete sempre la nonna.
Ho un bellissimo abito celeste, di una stoffa che si chiama “velluto”, e un nastro dello stesso colore con cui mi legherò i capelli, diventati ormai troppo lunghi da lasciar sciolti.
Sono un bambino fortunato ed è tutto merito di Oscar, è grazie a lei se domani sarò tra gli invitati del matrimonio di Josephine.

“Se non può venire André non verrò neppure io!” ha gridato Oscar a Madame Jarjayes e al generale, ed ovviamente l'ha avuta vinta lei, come sempre.

E' il grande giorno, il matrimonio si farà tra poche ore e Oscar è comparsa in camera mia prestissimo.
Ho una camera tutta mia ora, il generale, qualche mese fa, me ne ha concessa una dicendo che ormai ero troppo grande per dormire ancora con la nonna.
Il generale ha ragione, sono grande ormai, così grande da meritarmi una stanza tutta mia!

“André, André, svegliati!”
“Uhm... Oscar... è presto!”
“André, svegliati, pigrone! È tardissimo, ci stiamo perdendo il meglio...”
“Il meglio? Che vuol dire Oscar?”
“Vuol dire che stanno trasformando Josephine in un'enorme torta!”
“Una torta?”

Non ho idea di cosa significa trasformare una persona in una torta, ma sono curioso.
Io e Oscar stiamo fuori dalla stanza della sposa, sento la voce della nonna e di Madame Jarjayes, le sento ridere e piangere quasi nello stesso momento, non capisco, le donne sono davvero strane!
Oscar mi tira la manica della camicia, mi sussurra di guardare dentro la stanza.
Josephine è avvolta da una nuvola di stoffa bianca, dalla testa ai piedi, rido capendo finalmente il significato delle parole di Oscar.
Sembra davvero una torta enorme!
Josephine non è come Oscar e le altre sorelle, magre, alte, no Josephine è cicciottella.
Povera Josephine, costretta ad indossare un abito che la fa sembrare ancora più grossa, mi spiace tanto ma non riesco a smettere di ridere e Oscar mi segue a ruota.

“Ah Ah Ah... Oscar andiamo via, ci metteremo nei guai!”
“Sei un fifone André.”
“Non sono un fifone Oscar!”
“Si che lo sei, hai sempre paura di tutto... di tua nonna, di mio padre... Fifone!”
“La nonna mi picchia con il mestolo di legno, avresti paura anche tu Oscar!”
“Fifone, fifone, fifone!”
“Smettila Oscar!”
“Fifooooooooone!”
“Smettila Oscar altrimenti...”
“Altrimenti? Chiami la tua nonnina a difenderti?”
“Oscar!”

Odio quando Oscar si comporta così, cerco di stare calmo ma lei continua a provocarmi, mi punzecchia fino a farmi arrabbiare.
Sono arrabbiato.
Le salto addosso e la faccio cadere a terra, cadiamo tutti e due, metto una mano sulla bocca per farla smettere di parlare.
Mi morde!
Oscar ha il brutto vizio di mordere, sempre, ho i segni dei suoi denti ovunque.

“Ahia! Oscar, basta mordere!” le dico, ma non ascolta e tenta di mordermi le braccia.
Medito vendetta.
Sto per vendicarmi.
Guardo la piccoletta bionda e sorrido.

“Oscar... hai svegliato il mostro del...”
“No, no, no, André ti prego...”
“Troppo tardi Oscar...”
“No, André ti prego... scusa, scusa... non sei un fifone!”
“Troppo tardi...”

La mia vendetta è compiuta.
Oscar sta ridendo fino alle lacrime.
Il mostro del solletico funziona sempre.

“André... ah ah ah ah... basta... ti  prego... ah ah ah...”
“Chiedi scusa Oscar...”
“Scus... ah ah ah... scusa André... ah ah ah.”
“No, no devi dire... Perdonatemi signor André, non siete un fifone!”
“Non lo dirò mai... ah ah ah... André...”

Il mostro del solletico sta per colpire il punto debole della sua vittima... i fianchi!

“Oscar...”
“aaaaaaaaah... ah ah ah ah... Perdonatemi signore, non siete un fifone... ah ah ah... basta André ti prego... ah ah ah”
“Brava, piccoletta!” le dico mentre mi alzo e le porgo la mano per aiutarla a mettersi in piedi.
Come immaginavo rifiuta il mio aiuto, mi fa la linguaccia ed entra nella stanza della sorella.


Non ho più visto Oscar, dopo la litigata di stamattina.
La cerimonia in chiesa sta per iniziare.
La vedo entrare, dietro alle sorelle, delle dame vestite di rosa e bianco e lei, la piccoletta bionda, un soldatino con un abito uguale al mio, un abito di velluto celeste.
Si siede accanto a me, sorride, non è arrabbiata.
Seguiamo la funzione con poco interesse, ci annoiamo, stiamo seduti in modo scomposto sulla panca di legno, bisbigliamo tra di noi.

“André...”
“Si, Oscar...”
“Secondo te chi sta  piangendo di più, tua nonna o mia madre?”
“Mia nonna, Oscar...”
“André...”
“Si...”
“Il conte Lemoine ha le orecchie più grandi della testa, non ti sembra?”
“Uhm... forse non sono le orecchie ad essere grandi, forse è la testa che è troppo piccola...”
“Siiiiii... hai ragione André.”
“Il conte è davvero bruttissimo...”
“Si, André, è brutto e vecchio... avrà almeno 30 anni!”
“Uuuuh vecchissimo!” diciamo insieme facendo una smorfia.

Veniamo richiamati all'ordine dalla nonna.
Ci rimettiamo seduti composti.
Silenzio.
La cerimonia è quasi finita, i due sposi si sono scambiati gli anelli.
“Ora  può baciare la sposa.” dice il prete rivolgendosi al conte Lemoine.

Oscar ed io ci guardiamo con lo stupore negli occhi.
Josephine e il conte Lemoine si baciano, le loro bocche unite.

“Bleah, che schifo!” ancora una volta io ed Oscar pronunciamo la stessa frase, nello stesso istante, con il medesimo disgusto sul viso.
“Non bacerò mai nessuno in quel modo!” dico
“Io non bacerò mai nessuno, in nessun modo!” continua Oscar.

Applausi, sorrisi, pianti.
La cerimonia è terminata.
Josephine è diventata una moglie.
Mi sorprendo a immaginare il matrimonio dei miei genitori, e immaginare il loro bacio non mi disgusta.


Il ricevimento è iniziato da molte ore, è quasi mezzanotte, c'è un gran trambusto.
Oscar ed io abbiamo mangiato tantissimo, dolci più che altro.
Ho sporcato il mio bel vestito, ad Oscar è caduta una fetta di torta ed è finita sulle mie gambe.
Mi ha chiesto scusa, non mi sono arrabbiato, se devo dire la verità preferisco i miei soliti abiti, quelli che porto tutti i giorni, sono molto più comodi.
Siamo seduti vicino alla fontana, in giardino.
Abbiamo rubato una bottiglia di vino.
L'idea è stata di Oscar, il piccolo demonio biondo mi ha sfidato.
“Vediamo se hai il coraggio di rubare una bottiglia di vino... se non lo fai sei davvero un fifone!” mi ha detto.
Non potevo rifiutare.
L'ho rubata. Ho vinto.
Abbiamo bevuto tanto, troppo, mi gira la testa e ho la nausea.
Oscar non smette di ridere e di dire frasi senza senso.

“André...”
“Cosa...”
“Anch'io dovrò sposarmi come la torta?”
“La torta?”
“Si la torta, mia sorella!”
Oscar ha bevuto molto più di me.
“Josephine...”
“Si, Josephine... è quello che ho detto io André.”
“Non lo so Oscar...”
“Tu ti sposerai André.”
“Non lo so...”
“Non sai mai niente André!”
“Lo so...”
“André...”
“Piccoletta...”
“Io non voglio sposare uno come il conte Lemoine...”
“Nemmeno io voglio sposarlo...”
Credo di aver bevuto tanto anch'io.
“André...”
“Che c'è...”
“Tu mi sposeresti?”
“Uhm... si...”
“E' deciso, se mi dovrò sposare lo farò con te, André! Ci stai?”
“Ci sto!”
“André...”
“Piccoletta...”
“Non chiamarmi piccoletta...”
“Va bene... che c'è Oscar.”
“Niente baci però!”
“Niente baci Oscar!”
“Bleahhhh...” lo diciamo insieme.

Sto male, mi viene da vomitare, Oscar è poggiata contro la mia spalla, si lamenta.
Sta arrivando qualcuno.
La nonna... oh oh... se solo riuscissi ad alzarmi correrei via.
Sta gridando, ahia, mi fa male la testa!
Nonna non urlare!
Ci trascina verso il palazzo, ma dobbiamo fermarci.
Sto dando di stomaco.
Continuiamo verso il palazzo. Ci fermiamo, ora è Oscar a dare di stomaco.
Domani verremo  puniti, la nonna ci minaccia puntandoci contro l'indice.
Voglio dormire e dimenticare questa brutta giornata, la giornata delle prime volte.
Il mio primo matrimonio, il mio primo abito elegante, la mia prima ubriacatura.
Un incubo.
Non mi piacciono i matrimoni.
Cerco di dormire, chiudo gli occhi e immagino l'unico matrimonio che non potrei mai disprezzare, quello dei miei genitori.

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Capitolo 5
*** Il compleanno ***


Ieri ho compiuto 13 anni, ho festeggiato con la nonna e il resto della servitù di casa Jarjayes.
Oscar non c'era, è il primo compleanno che festeggio senza di lei, è stata via quasi tutta l'estate, il generale l'ha portata a visitare i luoghi che un giorno frequenterà, se studierà sodo per divenire un bravo soldato... La Reggia di Versailles, le caserme, i salotti più in vista di Francia... e successivamente l'ha condotta in Normandia dove un insegnante l'ha seguita giorno dopo giorno, impartendole nozioni militari.
L'estate sta giungendo al termine e mi rattrista pensare che non abbiamo potuto passare del tempo insieme, Oscar ed io, è la prima volta che stiamo lontani per un tempo così lungo.
Durante l'assenza di Oscar ho avuto modo di frequentare di più il resto della servitù, in particolar modo i ragazzi della mia età.
Sono stati loro ad avvicinarsi a me, con qualche timore, mi han confessato poi, intimiditi dalla mia posizione privilegiata a palazzo, ma più liberi non sentendo addosso la presenza costante di Oscar.
Che strano, non ho mai pensato ad Oscar come ad una pesante presenza nella mia vita, eppure a quanto pare mi è sempre stata così  vicina da impedire ad altri di entrare nel nostro spazio, non mi ero mai fermato a pensare a tutto questo.
I ragazzi della servitù sono simpatici, quattro maschi; Pierre, Louis, Claude, Gaspard, e tre femmine; Colette, Felicienne, Nicole.
Prestano servizio a palazzo Jarjayes per i motivi più differenti, chi per necessità, avendo un genitore malato o addirittura morto e dovendo quindi sfamare il resto della famiglia, chi per destino essendo nato a palazzo dall'unione di domestici che già lavoravano per il generale.
Storie e vite diverse ma pur sempre uguali, in piccole sfumature, tutta gente del popolo, umile, semplice, povera.
Come anch'io sono, più per nascita che per il mio vissuto, essendo cresciuto in un “mondo” privilegiato rispetto agli altri ragazzi del palazzo.
Da qualche tempo sono diventato troppo riflessivo, troppo “serioso”, così mi ha definito Oscar prima di partire per la Normandia, credo abbia ragione, non so a cosa sia dovuto questo mio mutamento, forse alle letture che spesso accompagnano le mie notti, o semplicemente è una conseguenza al cambiamento che sento crescere, prepotentemente, dentro e fuori il mio corpo.
Non lo so, ma certamente ne avrò risposta quanto prima.
Ieri ho festeggiato il mio compleanno, la nonna ha cucinato la mia torta preferita, al cioccolato, abbiamo parlato tanto durante la cena, abbiamo riso, lei ha pianto, come sempre, dicendo che ormai sto diventando un ometto, e quanto, ogni giorno di più, io gli ricordi mia madre.
Mia madre, mi domando che bambino sarei stato, e che ragazzo sarei ora, se lei fosse stata in vita, non so se sarebbe orgogliosa di me. Lo spero.
Mi manca tanto, così come mi manca mio padre, mi manca il suo affetto, e la presenza di una figura maschile a cui attingere, con cui confrontarmi, la sola figura maschile qui è quella del generale Jarjayes, e se devo essere onesto non è il tipo di uomo a cui vorrei somigliare.
Dopo aver festeggiato con la nonna, i ragazzi mi hanno trascinato al boschetto dietro palazzo Jarjayes, dove si riuniscono ogni sera, e dove anch'io vi sono stato quasi per l'intera estate.
Le ragazze hanno portato dei biscotti, rubati sarebbe il termine più adatto, mentre i ragazzi hanno sottratto una bottiglia di vino.
Abbiamo mangiato e bevuto vino, abbiamo riso e preso in giro gli altri domestici, le figlie del generale, il generale stesso e Madame Jarjayes, ma nessuno ha osato nominare o burlarsi di Oscar.
Credo abbiano timore, o addirittura paura di Oscar... ed hanno ragione, quando si arrabbia diventa una furia.
Pierre è il ragazzo con cui mi trovo meglio, è molto simile a me, è più grande di due anni e sta con Felicienne, stanno insieme da parecchio tempo, vorrebbero sposarsi un giorno e mettere su famiglia, se ne avranno la possibilità, lontano da qui.
Non ho mai pensato all'amore, non ho mai provato dei sentimenti per una ragazza, per una femmina che non fosse Oscar... fino a ieri.
Durante la serata mi si è seduta accanto Colette, abbiamo iniziato a parlare, Colette ha 13 anni come me, è una ragazza vivace e diretta, al limite della sfrontatezza, sembra molto più grande della sua età, ha i capelli rossi e il viso tempestato di lentiggini, gli occhi blu e la carnagione chiarissima e... il suo corpo non è il corpo di una ragazzina, è il corpo di una donna, formoso, pieno, morbido... credo.
Soffermarmi ad osservare il corpo di Colette mi ha sorpreso, non avevo, fino a ieri, dato importanza a certi particolari, a certe differenze che esistono tra maschi e femmine, e fino a ieri il mio corpo non aveva mai dato segni di turbamento guardando il corpo di una ragazza.
Fino a ieri, appunto.
Ieri guardavo l'ombra del fuoco riflessa sul petto di Colette ed una scossa mi ha colpito alla schiena, estendendosi poi al resto del corpo, e finendo la propria corsa al basso ventre, scatenando una reazione inaspettata e imbarazzante, ma tremendamente piacevole, devo ammettere.
Fortunatamente Colette non si è accorta di nulla, non ha notato quella reazione così scandalosa e spudorata che ho cercato di nascondere con le mani... lei ha continuato a parlarmi, mi ha raccontato della sua famiglia, della tristezza che a volte la coglie e dei desideri per un futuro migliore, abbiamo riso tanto e anch'io le ho parlato di me.
È stato piacevole.
È stato piacevole conversare con qualcuno che non fosse Oscar.
Il resto dei ragazzi ha lasciato il boschetto poco dopo la mezzanotte, io e Colette siamo rimasti, dicendo che volevamo chiacchierare ancora un po', e a questa affermazione vi sono state risate e commenti imbarazzanti.
Poi Colette mi si è avvicinata senza che potessi impedirlo, mi ha guardato negli occhi e ha sorriso, senza proferir parola, per poi dire, con una naturalezza disarmante...

“Mi piaci André... hai dei bellissimi occhi verdi, lo sai?”
“Ehm... si... ehm... grazie Colette.” ho farfugliato.
“André...”
“Si, Colette...”

La risposta di Colette non è giunta con le parole.
La risposta di Colette è arrivata con un bacio.
Il mio primo bacio.
Uno scatto improvviso ed il calore delle sue labbra sulle mie.
Un istante di imbarazzo e la sua bocca si è schiusa inondandomi del suo respiro bollente.
A mia volta ho dischiuso le labbra ed ho accolto la lingua di Colette nella mia bocca, l'ho carezzata, goffamente, con la mia.
Le nostre lingue hanno danzato tra onde di piacere liquido.
Non credo di aver mai assaggiato nulla di più buono della bocca di Colette.
Credevo mi avrebbe disgustato il contatto con la saliva di un'altra persona, invece me ne sono dissetato e vorrei dissetarmene anche ora.
Ci siamo baciati così tante volte che non ricordo quando tempo abbiamo trascorso nel boschetto.
Ci siamo salutati sulla soglia di palazzo Jarjayes, scambiandoci ancora un lieve bacio.
Ho trascorso l'intera notte lottando contro quel turbamento che è come fuoco nel mio ventre, sono crollato qualche ora più tardi sperando di sognare Colette.
Il mio primo bacio. Non credo lo racconterò ad Oscar, non credo capirebbe. È la prima volta che tengo qualcosa per me e non lo condivido con lei, la mia piccoletta.
Ritorno con la mente a due anni fa, il giorno del matrimonio di Josephine, ricordo il disgusto che provammo io ed Oscar vedendo gli sposi scambiarsi il bacio a fine cerimonia, ricordo con il sorriso sulle labbra la nostra promessa solenne “niente baci, non baceremo mai nessuno”.
Ho infranto la  promessa.
Chissà se anche Oscar ha cambiato idea sui baci, chissà se anche in lei, come in me, c'è una guerra che le brucia le viscere, chissà se lei, come me, sta mutando in qualcosa di diverso.
Sono seduto sui gradini dell'ingresso di palazzo Jarjayes, guardo Colette lavorare con le altre domestiche, desidero ancora i suoi baci, ma non adesso.
Ora aspetto lei, aspetto con ansia il ritorno di Oscar.
Ecco la carrozza, è arrivata!

“André!”
“Oscar!”
Eccola! Ho così tante cose da raccontarle, e così tante da farmi raccontare.
Non esiste più nulla, dimentico ogni cosa, a parte il bacio si intende, ma anche quello è offuscato.
Mi sei mancata Oscar, mi sei mancata tremendamente.
Glielo dico.

“Mi sei mancata piccoletta...”
“Non sono una piccoletta!” sferra un pugno contro il mio braccio, è sempre la stessa.
“Ahia...”
“Mi sei mancato anche tu.” mi sussurra guardandomi con gli occhioni azzurri.
Camminiamo verso le scuderie, chiacchierando, e siamo di nuovo persi nel nostro piccolo mondo.

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Capitolo 6
*** Donna ***


Sono trascorsi 6 mesi dalla fine dell'estate, è un marzo insolito questo, un marzo con la neve.
Sono successe tante cose in questi lunghissimi 6 mesi, così tante da sentirmi travolto e schiacciato da tutto questo.
Agli inizi di settembre, poco dopo il ritorno di Oscar dalla Normandia, abbiamo recuperato il tempo perduto, passando ogni minuto libero insieme, nessuno si è sorpreso di questo nostro vivere simbiotico, tutti comprendono quando si tratta di noi due.
Tutti capiscono, i ragazzi della servitù compresi.
Hanno smesso di invitarmi al boschetto, ma non sento in loro risentimento, hanno semplicemente capito che la parentesi estiva è stata, appunto, solo una parentesi.
Ci incrociamo per i corridoi di palazzo Jarjayes, alle volte pranziamo o ceniamo allo stesso tavolo, conversiamo, ma tutto finisce li, tra del cibo e del buon vino.
La “padroncina” è tornata e loro non osano oltrepassare il nostro mondo, peccato, se provassero a conoscere Oscar credo che cambierebbero idea su di lei.
Qualcuno ha sofferto il ritorno di Oscar, una bellissima ragazza dai capelli rossi e dalle labbra bollenti.
La gelosia di Colette è stata così forte da ferirmi, la sentivo arrivare ai miei occhi come spilli ardenti, e nulla ho potuto fare per placarla, nemmeno i baci che ci siamo scambiati, ancora, dopo quel primo bacio rubato il giorno del mio compleanno.
Mi piaceva, mi piace, Colette, ma mi è inconcepibile non condividere la vita con Oscar, siamo cresciuti insieme, nella stessa casa, nella stessa anima ferita, e vivere ogni istante con lei mi è naturale come respirare. Ora più che mai.
Oscar è mia sorella, la mia migliore amica.
Oscar è la mia famiglia.
Ho parlato a Colette spiegandole cosa rappresentasse per me Oscar, quale ruolo avesse nella mia vita, ho tentato di spiegarle che nella mia esistenza vi è spazio anche per altre persone che non siano lei, ma che nessuno avrà mai il potere di allontanarmi da Oscar. Mai.
La sua reazione ha deluso le mie aspettative, non ha capito, anzi, la gelosia si è unita alla furia scatenando il suo animo selvaggio.
Colette mi ha rivolto parole amare, nate appositamente per ferirmi e farmi male, ma non ce l'ho con lei.
Dopo una scenata scaturita più dall'amore che dall'odio, l'ho vista piangere.
Povera dolce Colette, mi si è stretto il cuore. L'ho abbracciata sussurrandole all'orecchio che per lei ci sarei sempre stato, per qualsiasi cosa.

“Grazie André, sei un bravo ragazzo, credo che verrò a cercarti di tanto in tanto, per conversare e... per rubarti qualche bacio.” ha sussurrato lei al mio di orecchio.
Sono passati 6 mesi da quel giorno e di tanto in tanto Colette ed io ci ritroviamo nel boschetto dietro palazzo Jarjayes, di tanto in tanto per conversare, di tanto in tanto per rubare baci proibiti.
La fine dell'estate ha segnato la fine di alcune consuetudini tra me ed Oscar, vi sono stati parecchi cambiamenti dopo il suo ritorno.
Una settimana qualunque di settembre, il clima mite, ancora piacevolmente caldo, l'ennesima giornata trascorsa con la  piccoletta.

“André, andiamo a nuotare?”
“Certo Oscar, non ho nuotato nemmeno una volta durante l'estate.”
“Immagino... il nuoto non è il tuo forte André.”
“Oscar... fai la brava.”
“André! Come ti permetti! Io sono brava! sono bravissima!”
“Certo Oscar, certo... allora, da brava, monta sul cavallo e andiamo a nuotare.”
Oscar monta a cavallo e voltandosi verso di me fa la linguaccia, non cambierà mai, mi dico, nemmeno ora che ha 12 anni e dovrebbe essere più seria.
Raggiungiamo il fiume e il  piccolo demonio biondo mi sfida, come sempre, per lei ogni occasione è buona per confrontarsi, per mettere in scena una sorta di combattimento, che sia mentale o fisico per lei non ha importanza.
Oscar si toglie le scarpe e si getta nel fiume, vestita.

“André...” urla.
“Cosa c'è?” urlo a mia volta.
“Vieni in acqua... o sei il fifone di sempre?”

Sto per rispondere che si sbaglia ma un istante dopo mi sorprendo a non aver voglia di parlare, lascio la “serietà” e la ragione dei miei 13 anni sull'erba, accanto alle mie scarpe e alla mia camicia e raggiungo Oscar, come facevo da bambino.
Inizia una battaglia con armi di fortuna, mani e piedi che sollevano l'acqua e colpiscono sotto forma di schizzi, mani e piedi che trascinano i nostri giovani corpi sott'acqua.
Questa la sola guerra che nessuno vorrebbe vincere, questa l'unica guerra che nessuno vorrebbe smettere.
Siamo stremati, felici ma stremati, non proviamo neppure a smettere di ridere, non ci riusciremmo e non abbiamo intenzione di farlo... ci adagiamo mollemente nell'acqua, immersi fino al collo ci lasciamo cullare dal un leggero movimento del fiume.

“André...”
“Oscar...”
“Mi è mancato nuotare nel fiume, è stato strano...”
“...stare lontani così tanto tempo.” sono io a finire la frase di Oscar.
“Si, André, è stato strano... temevo che non sarebbe mai più stato come prima.”
“L'ho temuto anch'io Oscar... ma a quanto pare non è cambiato nulla... piccoletta!”
“André!”

Non è davvero cambiato nulla tra di noi, in lei, in me. Ne sono felice. Oscar si solleva dall'acqua con un'espressione contrariata sul viso, un'espressione che muore immediatamente uccisa da un bellissimo sorriso e da una risata cristallina. Rido a mia volta, di noi, di noi di nuovo insieme e di nuovo un po' bambini.
Non trovo la forza per smettere di ridere, sento lacrime calde posarmisi sulle guance, guardo Oscar cercando, anche in lei, la mia stessa ilarità, ma non c'è alcun sorriso sul suo volto.
Gli occhioni azzurri sgranati e la bocca lievemente dischiusa.

“Oscar... cosa ti prende?” le chiedo, ma non ho nessuna risposta.
“Oscar?” riprovo, ma il risultato è il medesimo, silenzio.
“Oscar, cosa succede? Non capisco cosa...” non posso concludere la frase.
Capisco.
La camicia bagnata di Oscar è divenuta trasparente, come la mia, come sempre accadeva quando avevamo la brillante idea di buttarci in acqua vestiti... Ma quella stessa camicia che fino a qualche mese fa mostrava un corpo simile al mio, ora, rivela quelle differenze che fanno di me un maschio e Oscar una femmina.
Non posso non guardare la stoffa liscia e trasparente, che sembra una seconda pelle, accentuare le rotondità di un corpo che non riconosco come quello di Oscar.
Oscar non può avere quel corpo, mi dico, stupidamente.
Oscar è una ragazza, esattamente come Colette, e come Colette ha forme femminili, cerco di convincermi ma è un'ardua impresa accettare questo cambiamento, avvenuto così repentinamente, nella mia “piccoletta”.
Una lieve scossa lungo la schiena mi colpisce, esattamente come la sera del bacio.
Credo di essere arrossito.
Distolgo lo sguardo dal corpo di Oscar e cerco, provo, tento, con tutto me stesso di non far pesare ad Oscar questo momento già abbastanza imbarazzante per lei.

“Voglio vedere fino a dove riesco a nuotare, vuoi provarci anche tu?” le dico fingendo di non aver notato la “nuova” Oscar.
“Ehm... no, André... credo che tornerò a palazzo, ma tu rimani  pure quanto vuoi. Ci vediamo più tardi. Ciao.”
Non l'ho guardata raggiungere la riva, non l'ho guardata salire sul suo cavallo e galoppare verso palazzo Jarjayes.
Non l'ho guardata, non avrei potuto guardarla una seconda volta, non avrei potuto sopportare, ancora, un turbamento così simile a quello provato per Colette.

Sono passati 6 mesi da quel pomeriggio al fiume.
Oscar non ha più voluto nuotare da allora, ho il presentimento che non nuoteremo più insieme.
E' un mese bizzarro, questo appena cominciato, è raro veder cadere la neve a marzo, anche la nonna non ricorda, nel passato, un inverno così lungo.
Ho sempre amato l'inverno, è preferibile, per il mio corpo, trascorrere ore nella morsa del gelo piuttosto che avvolto dalla calura estiva.
La pioggia, così come i temporali, suscitano nel mio animo sentimenti di tranquillità e pace, trovo che ci sia della poesia in un cielo grigio o tra le foglie morte ai piedi degli alberi, quella stessa poesia che trovo nei miei amati libri.
Ho sempre amato l'inverno, ma questo ha portato con sé troppi cambiamenti, ripongo la mia fiducia nella calura che ho sempre disprezzato, la desidero, ora, sperando abbia il potere di sciogliere la coltre di ghiaccio che è cresciuta tra me ed Oscar.
Mi manca Oscar, è con me, ogni giorno, ma non è più la stessa, raramente ritrovo la “piccoletta” di un tempo.
Qualcosa sta mutando in lei, non solo nel corpo, ne sono certo, perchè sono i medesimi mutamenti che io stesso percepisco in me.
Da un paio di settimane la stranezza di Oscar è diventata più evidente, l'intero palazzo lo ha notato, perfino il generale Jarjayes che solitamente non nota il benché minimo cambiamento della figlia, ma in questo caso, anche lui, lo ha percepito chiaramente e ne ha chiesto spiegazione a me, ma io stesso ignaro del problema sono stato immediatamente messo da parte, e sostituito dalla nonna.

“Tua nonna saprà certamente cosa sta turbando Oscar.” ha tuonato il generale Jarjayes.

La nonna sapeva più di me, più di tutti noi, la nonna sa sempre tutto, non si direbbe, vedendola, che una donnina così piccola e dolce abbia il carattere e la forza di mandare avanti un intero palazzo e tener testa al generale Jarjayes.
La nonna è l'unica in grado di zittire il generale.
La nonna conosce il motivo del turbamento di Oscar e tra qualche istante anche per me non sarà più un segreto. Un gentiluomo non dovrebbe origliare, ma devo sapere se vi è rimedio allo stato di Oscar, devo sapere se esiste qualcosa che potrà riportare indietro la vecchia Oscar.

“Cosa sta accadendo ad Oscar? Non è più lei, e nemmeno André ne conosce il motivo!”
“Generale Jarjayes mi stupisce questa vostra domanda.”
“Cosa vuoi dire? Ti stupisce che mi stia preoccupando per il comportamento insolito di Oscar?”
“Generale mi stupisce che voi, dopo 4 figlie, non siete ancora in grado di comprendere quando una di loro diviene donna.”
“Donna?”
“Per l'amor di dio, Generale Jarjayes! Oscar è diventata una donna!” e così dicendo scorgo mia nonna agguantare un lenzuolo e mostrarlo al generale... un lenzuolo macchiato di sangue.
La reazione del generale è sorella gemella della mia, colti improvvisamente da una mancanza di ossigeno.
Silenzio.
Oscar è una donna.
Il sangue l'ha trasformata in donna, un sacrificio per divenire irreversibilmente un essere superiore a noi uomini, una creatura in grado di creare e donare la vita.
Oscar una donna a dispetto dell'educazione ricevuta e degli abiti maschili che indossa, tutti questi orpelli maschili beffati da un rivolo di sangue. Mi stupisco del suo potere.
Sono turbato, negli ultimi mesi non sono altro che questo, un continuo turbamento.
Ho bisogno di pace, quella tranquillità che solo il mio “rifugio” sa darmi.
Siedo sul pavimento della biblioteca e mi perdo in un libro assaporando il profumo, così famigliare, delle pagine.

“André...”
“Oscar... non ti ho sentita entrare.”
“Scusami, non volevo spaventarti, posso sedermi?”
“Certo.” vorrei dirle di sedersi accanto a me, come un tempo, ma ho timore della sua reazione, ho paura perfino di sfiorarla.
“André... scusa se ti ho evitato, non ce l'ho con te, volevo che lo sapessi.”
“Non ho mai pensato che ce l'avessi con me. Non ti preoccupare Oscar.”
“André...”
“Oscar...”
“Mi vedi diversa?”
“Sei sempre tu, Oscar, forse solo un po' più cresciuta.” mento.
“André...”
“Si, Oscar...”
“Possiamo leggere insieme, come facevamo da piccoli?”
“Si, leggiamo... abbiamo una promessa da mantenere...”
“Leggere tutti i libri della biblioteca...” lo diciamo all'unisono.
Oscar si siede accanto a me, vicina, e stupendomi più che mai poggia la testa sulla mia spalla.
Mi è mancata così tanto.
“André...”
“Cosa, Oscar...”
“Perchè non lo fai più?”
“Non faccio più cosa?”
“Perché non mi chiami più piccoletta?”
“Perché lo hai sempre detestato... Oscar.”
La sento scuotere la testa.
“Mi piace invece.”
Si, mi è mancata da impazzire.
Poggio il viso sulla sua testa in una insolita carezza.
“Allora iniziamo a leggere?”
“Si, André, cominciamo.”
“La prima frase tocca a te... Piccoletta.”
Non posso vedere le sue labbra, ma so che sta sorridendo, so che è di nuovo qui, la mia vecchia Oscar.

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Capitolo 7
*** Uomo ***


Sto rientrando da Versailles, come faccio ormai da un anno a questa parte.
Oscar è diventata capitano delle Guardie Reali, per la gioia del generale Jarjayes, un po' meno per la mia.
Quella che un tempo è stata, quella che io amavo definire, “la mia piccoletta”, a soli 14 anni ha dovuto prendere la decisione più difficile della propria esistenza, scegliere cosa essere; uomo o donna, persona o burattino plasmato dal padre.
Amore per se stessa o amore per un padre.
Oscar ha deciso d'essere uomo, ha scelto da quel momento in poi, un anno fa, di divenire ciò che il padre ha sempre voluto, un uomo, un soldato, il suo erede.
Posso ancora figurarmela dinnanzi agli occhi, scendere lungo la scalinata, con indosso l'uniforme bianca, con indosso quella che altro non è che una gabbia che le impedirà d'essere ciò che dovrebbe.
Una donna.
E' trascorso un anno da quel giorno ed io, piano piano, ho accettato la sua nuova condizione, e la mia.
Non più compagno di giochi della figlia del padrone, ma ora attendente del capitano delle Guardie Reali.
Ho compiuto 16 anni da qualche mese ed Oscar ne compirà 15 tra poche settimane, e di noi, di ciò che eravamo solamente pochi anni fa non è rimasto quasi nulla, solo lievi strascichi dei due bambini che si erano ripromessi di leggere ogni singolo libro della biblioteca di palazzo Jarjayes.
Non vi è più di noi neppure sui nostri corpi, mutati, svaniti, persi anch'essi.
La nostra pelle è cambiata, come succede ai serpenti, lasciando dietro di noi i resti delle sembianze infantili e acquisendo quelle adulte.
Uomo e Donna.
No.
Uomo e Uomo.
Bizzarro.
Bizzarro per il mio cuore, che sa, non esiste lembo di carne che ricordi un uomo, in Oscar.
Oscar è diventata, se possibile, ancora più bella e mi stupisce credere che il generale Jarjayes non si renda conto di questo, come può non vedere ciò che io vedo ogni giorno?
Il generale Jarjayes un uomo intelligente macchiatosi di stupidità, per un capriccio.
Il capriccio di voler trasformare colei che è nata donna in un uomo, rendendo la propria vita e quella di Oscar un ridicolo teatrino.
Nutro una profonda stima per quell'uomo, quell'uomo che mi ha permesso di entrare in casa propria, quell'uomo che mi ha dato la possibilità di incontrare la persona che mi è più cara a questo mondo, Oscar, eppure da qualche tempo sento nascere nelle viscere una sorta di rabbia e risentimento per quello stesso uomo, perché mi rendo conto che, col suo agire sconsiderato, sta rubando qualcosa di  prezioso alla vita della figlia.
Qualcosa che difficilmente potrà riavere indietro.
Io me lo auguro.
Le auguro d'essere in grado, un giorno, d'ascoltare le grida del proprio cuore.
Un cuore di donna che stanno cercando di uccidere, soffocandolo, in una lenta agonia.


Sto tornando a palazzo Jarjayes, come ogni giorno da un anno a questa parte.
Sto tornando a casa sul mio cavallo, dietro ad Oscar, un passo dietro il capitano delle Guardie Reali.

“André...”
“André...” sento la voce di Oscar provenire da un luogo ovattato.
“Si, Oscar...”
“A cosa stai  pensando André?”
“Nulla di importante Oscar.”
“Sei sicuro?”
“Certo Oscar.” sfodero il mio sorriso migliore.
“Va bene, André.”
“André...”
“Oscar...”
“Vediamo chi arriva prima a palazzo!”
Ecco i lievi strascichi della nostra infanzia, a cui mi aggrappo con tutto me stesso.


L'anno che sta per giungere al termine ha portato grandi cambiamenti anche nella mia vita, non solo in quella di Oscar.
Sono divenuto consapevole della mia posizione in questa casa, in questo paese.
Io cresciuto tra i nobili, sono, nonostante l'educazione impartitami, una persona del popolo, un servo, un povero di nascita e nulla potrà cambiare questa mia  posizione, non voglio che cambi, ne sono fiero, fiero d'essere ciò che erano i miei genitori.
Non avevo mai dato peso a queste differenze, che ora invece mi sembrano così nette.
I miei pensieri sono diventati più profondi e complicati, ma non è solo la mente quella che ha subito un cambiamento, anche il mio corpo ha assunto forme differenti.
Sono diventato molto più alto durante questi 12 mesi, ho superato di parecchio Oscar.
Le spalle hanno acquistato maggior ampiezza, così come il petto.
Sul mio viso, così liscio e delicato, ho visto comparire giorno dopo giorno della fastidiosa peluria, che ora posso finalmente definire barba.
La voce che mi ha accompagnato fino ai 13 anni, in una tonalità simile a quella di Oscar, è stata   fagocitata da quella che ora è la voce di un uomo, profonda e forte.
Non più bambino, non più ometto, non più ragazzo... Uomo.
Ora sono senza ombra di dubbio un uomo.
E come tale ne ho desideri ed esigenze.
Desideri ed esigenze si sono fatti sentire prepotentemente nei mesi passati, togliendomi il sonno ed i pensieri, accendendomi un fuoco al di sotto della pelle che credevo mi avrebbe fatto impazzire.
Poi un paio di mesi fa...

Di ritorno da Versailles decido di congedarmi da Oscar subito dopo essere giunti a palazzo Jarjayes, non sento il bisogno di cenare, l'appetito ormai mi ha abbandonato da giorni, raggiungo la mia camera sperando almeno in una nottata di buon sonno.
Ma neppure il sonno riesce a rimanermi addosso, troppe voci nella testa, troppo calore sulla pelle, la mancanza di sonno può condurre un uomo alla pazzia, è provato, ed io sono al limite di questo orrendo confine.
Mi arrendo, qualunque sia la cosa che sta tentando di uccidermi, ha vinto.
Sento bussare alla porta.

“Si?”
“Sono Colette.” un sussurro.
“Entra.” devo essere impazzito.
“André, scusa se ti disturbo ma non ti ho visto a cena, e... dovevamo incontrarci al...”
“...al boschetto! Colette, scusami! L'ho dimenticato, non dormo da giorni...”
“Non ti preoccupare, volevo solo accertarmi che stessi bene.”
“Sto bene Colette, a parte la mancanza di sonno.”
“Quali pensieri ti tengono sveglio?”
“Ehm... niente in particolare... credo.”
“Va bene... ma io conosco un rimedio a questa tua malattia...”
Colette si sta avvicinando, si siede sul letto e con la consueta sfrontatezza mi bacia, uno di quei baci che ci siamo scambiati spesso in questi tre anni.
Le labbra bollenti e il sapore della sua bocca che mi sono così famigliari, mi turbano, con un'intensità che è cresciuta col passare degli anni, e che sembra non voler arrestare la propria corsa questa sera.
Le braccia si muovono senza che io possa impedirlo, si posano sulle spalle di Colette e l'allontanano da me, lasciando stupita la mia bocca.

“André, perchè?”
“Colette, non posso... non stasera.”
“Che cosa ti prende André?”
“Non posso continuare a baciarti.”
“Perchè no? L'hai sempre fatto senza problemi.”
“Si, l'ho sempre fatto, e mi piace, credimi, ma...”
“Ma?”
“Ma sento di non aver freni stasera, sento che non potrei fermarmi.”
“Ah ah ah ah”
Ride di me?
“Oh, André... scusa... sei così caro e dolce.”
“E ridi sempre delle persone care e dolci?”
“Rido di chi si si tormenta con problemi tanto stupidi...”
“Non è stupido... è che non voglio approfittarmi di te, Colette.”
“Perchè? Perchè non mi ami?”
“Colette io...”
“André, non dire nulla. Sono consapevole che tu non provi amore per me e ti assicuro che non vi è dolore nel mio cuore, davvero.”
“Mi spiace Colette... ti voglio bene ma non credo che sia amore... per questo motivo è bene che tu vada via, ora.”
“André, non voglio andarmene, voglio rimanere, qualsiasi cosa succeda.”
“Colette non voglio approfittarmi di te, non voglio farti fare qualcosa di cui ti potresti pentire.”
“André...” sussurra Colette avvicinandosi al mio orecchio.
“Si?”
“Credi davvero che tu sia il primo?”
Mi è difficile immaginare che Colette, una giovane donna di 16 anni, possa aver già avuto un amante. Mi sono abituato alla sua sfrontatezza, alla passione che le si accende addosso durante i nostri incontri al boschetto, ma non ho mai pensato che lei, la dolce Colette, la piccola Colette, potesse già essere esperta di fatti della vita.
Sono senza parole.
Apro la bocca per dire qualcosa.

“Tu invece lo sei, tu sei la prima...”
“Shhhh... non dire niente André... baciami.”

Ed è quello che faccio, la bacio con la stessa passione che sento in lei, ci baciamo come abbiamo imparato a fare da quel giorno di fine estate.
Sento crescere in me quel desiderio che mi ha impedito di dormire per giorni, è un fuoco che divampa lentamente, sotto la pelle, nelle vene, fino a esplodermi nel ventre lasciandomi insoddisfatto e fuori di me.
Ma non questa sera, questa sera ci sono le mani e la bocca di Colette ad alleviare la sofferenza delle mie membra.
Colette mi spoglia con un'impazienza che mi fa desiderare di far lo stesso con le sue vesti, ma non oso, non ancora.
Sento d'essere impacciato, ho timore di sbagliare.
E' lei a farlo, privando il proprio corpo degli indumenti femminili, mostrandomi la sua figura di donna, nuda e bellissima.
Sento d'essere ancora impacciato ma l'eccitazione che pulsa in ogni fibra del mio corpo mi rende intraprendente, e con un gesto improvviso faccio scivolare Colette sotto di me, ne percepisco la pelle nuda contro la mia, il suo florido seno, il suo ventre...
Colette mi bacia stringendomi a sé, accorciando le distanze tra i nostri corpi, ed io da perfetto ragazzino inesperto mi ritraggo, vergognandomi di ciò che potrebbe aver sentito spingendosi così vicina a me.
Provo imbarazzo sentendo la mia eccitazione premere contro le carni di Colette.
Un pensiero stupido e infantile.
Riderà di me, mi dico, invece con una dolcezza infinita mi carezza la schiena invitandomi a poggiarmi ancora su di lei.
Non mi stacca gli occhi di dosso, Colette, il suo sguardo mi tranquillizza, facendomi sentire meno goffo, mi posa lievi baci sulle labbra mentre le sue gambe si dischiudono sotto di me, è il momento... un istante di esitazione, ho paura, paura di farle del male, paura di farne a me stesso, paura di diventare un uomo, io che non ho ancora fatto nulla della mia vita, io che ancora non conosco l'amore, io che...
Un bacio più profondo di Colette mi distoglie dai pensieri, non vi è più paura in me, solo voglia, voglia di godere di questo momento, di lei, di noi.
Scivolo in lei, nel suo ventre in fuoco, e penso che non vi sia posto migliore dove giacere.
Dentro di lei per alleviare quel tormento che mi ha accompagnato per mesi, e dentro di lei ne nasce uno nuovo, un nuovo tormento che mi fa desiderare più intensamente ciò che già posseggo.
Rincorro il fuoco che è in Colette, ne cerco l'origine spingendomi sempre più profondamente in lei.
Ho ancora timore di farle male, ma le sue gambe attorno ai miei fianchi, così come le sue braccia strette in un abbraccio, ed il suo respiro mutato in gemiti mi inducono a pensare che sia invece piacere ciò che le sto donando.
E che lei dona a me.
Il mio stesso respiro muta in gemiti e in lieve grido nel momento in cui, tutto il desiderio, il tormento, e il fuoco del mio corpo è scivolato al mio ventre, lasciandomi tramortito da un piacere così forte da farmi desiderare di morire e tornare a vivere e morire ancora, nello stesso istante.
E' questo, dunque, l'amore?
Giaccio accanto a Colette, i respiri di entrambi ancora affannosi.
Ho voglia di ridere.
Lo faccio.

“Ah ah ah.”
“Ah ah ah... mi sembrate soddisfatto signor Grandier.”
“Più che soddisfatto...”
“Grazie Colette... parlavo sul serio quando ho detto che ti voglio bene.” torno serio.
“Lo so André, lo so... sei un bravo ragazzo, e anch'io te ne voglio.”
“André...”
“Colette...”
“Ho fatto l'amore con te perché lo volevo. Non l'ho fatto per carità.”
Non mi sembra il caso di rispondere a parole, l'abbraccio.
Ci scambiamo un innocente bacio e finalmente, dopo giorni, il mio corpo è rapito da morfeo.
Finalmente riesco a dormire.


Da due mesi, di tanto in tanto, Colette ed io ci scambiamo un po' di quell'affetto che proviamo l'uno per l'altra.
Facciamo l'amore donandoci un istante di piacere, augurandoci di trovare, un giorno, quell'amore di cui ancora non sappiamo molto, ma che desideriamo, entrambi, con tutto il cuore.
Ho ripreso a dormire con regolarità e l'appetito è ritornato, più forte di prima.
Ceno quasi ogni sera con Oscar, è il solo momento in cui possiamo conversare in tranquillità, e in quei momenti mi sembra quasi di scorgere la vecchia Oscar, in una risata, in un gesto, ma tutto questo dura il tempo di un battere di ciglia.
Mi manca Oscar, mi manca la bambina che era in lei, il demonietto biondo che non perdeva occasione di sfidarmi.
Mi manca la deliziosa bambina dai riccioli biondi che poggiava la testa sulla mia spalla durante le nostre letture.
Sembra passato un secolo da allora.
Questa sera non ho cenato con Oscar, era fuori, ad un ricevimento, come rappresentante delle Guardie Reali.
E' tardi, lo so, ma ho bisogno di vederla, ho bisogno di sapere che lei c'è, che qualcosa del nostro passato ancora esiste.
Busso alla sua porta. Mi risponde. Entro.

“Ciao Oscar. Ti sei divertita?”
“Ciao André. Uhm la mia idea di divertimento è tutt'altra.”
“Nessuno gentiluomo ti ha invitata a ballare?” la provoco come non faccio da tempo.
“André! Ma che assurdità stai dicendo!”
Rido il più rumorosamente possibile.
“André!” grida Oscar avvicinandosi a me e sferrando una serie di pugni sul mio braccio.
“Oscar... smettila!”
“Te li meriti André.”
“Oscar, ti avverto, fermati adesso...”
“Altrimenti...”
Eccola la vecchia Oscar, il vecchio demonietto biondo.
“Altrimenti...” alzo le braccia avanzando verso Oscar, inducendola a indietreggiare.
“No... André... No... ti prego... Siamo grandi ormai...”
Avanzo, lei indietreggia, un ostacolo, cadiamo sul letto.
“Non hai scampo Oscar... hai svegliato il mostro del solletico!”
“No, ti prego! André! Ah ah ah ah ah...”
La sento ridere e mi sembra la stessa risata che aveva da bambina, e come allora poso le mani sul suo corpo e le faccio il solletico.
“ah ah ah ah... basta... ah ah ah...”
“Vediamo se mi ricordo il tuo punto debole... Oscar...”
“André! No! Te lo proibisco!”
Lo ricordo perfettamente il suo punto debole, i fianchi, ed è esattamente in quel punto che poso le mani.
“Ah ah ah ah ah... oddio André basta!... ah ah ah ah.”
Siamo di nuovo noi, di nuovo bambini, di nuovo Oscar e André.
Fa bene al cuore, e mi sorprendo a pensare a quanto bene provo per Oscar. Tanto, forse troppo. Forse.
Non smetto di farle il solletico, la vedo ridere e guardarmi con i suoi occhioni azzurri.
La sento agitarsi sotto di me, sotto le mie mani, sotto il mio corpo.
La sento agitarsi e percepisco le forme del suo corpo sotto il mio, sotto le mie mani.
Una scossa lungo la schiena, il fuoco inizia a divampare nelle vene.
La sento agitarsi sotto di me e non voglio che smetta.
Desidero Oscar come non ho mai desiderato Colette, questa consapevolezza mi arriva come un pugno allo stomaco.
Le mani hanno smesso di farle solletico, ma non si staccano dai suoi fianchi, lei ha smesso di ridere.
Ci guardiamo e senza dire una parola ci stacchiamo l'uno dall'altra.
Ci diamo la buonanotte.
Lo strascico dell'infanzia è svanito, non mi ci sono aggrappato abbastanza forte questa volta.
Questa sera ho detto addio alla vecchia Oscar, ho salutato per sempre la mia piccoletta.
Questa sera ho incontrato una persona nuova, qualcuno che desidero più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Una Oscar donna.
Una parte di lei che mi mancherà.
Una parte di lei che non potrò mai avere.

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Capitolo 8
*** Amore ***


Stamane una parte della mia vita è svanita, andata via, scomparsa per sempre.
Questa mattina presto, Colette, la ragazzina dai capelli rossi che mi diede il primo bacio, e che mi rese uomo, almeno nel corpo, ha lasciato palazzo Jarjayes.
Colette andrà a servizio da una famiglia nobile, amica del generale Jarjayes, in un paese accanto a quello della madre ormai malata, in modo da poterla accudire continuando a guadagnare per mantenere i fratelli più piccoli.
Sembra passato un secolo da quel primo bacio, il giorno del mio compleanno di 8 anni fa, io un tredicenne impacciato e timido, lei, Colette, una tredicenne senza vergogna.
Il giorno e la notte.
Completamente differenti eppure così simili, e in qualche modo ci siamo trovati e capiti.
Insieme abbiamo alleviato i nostri tormenti, la sofferenza, l'umiliazione d'essere soltanto dei poveri servi, che era inevitabile, qualvolta ci colpisse.
Insieme abbiamo imparato a comprendere noi stessi, i nostri corpi, quella piccola felicità che può donare il piacere della pelle.
Ci siamo voluti bene seppur non amandoci.
La piccola Colette si sposa, più per uccidere la solitudine che per amore.
Triste. Desolante. Inevitabile, per certe persone, la cui anima è talmente tormentata da impedire al cuore di proferir parola.
Le auguro di trovare un briciolo di amore vero, tra l'amore fasullo che si appresta a mettersi addosso, le auguro di trovare un uomo gentile dietro al volto dell'uomo che ha scelto, coscientemente, come marito.
Sono seduto sulla gradinata di palazzo Jarjayes, come otto anni fa, ma non vi è più Colette tra le cameriere che ora osservo lavorare.
Colette è partita all'alba.
Poco dopo essersi destata dal mio letto.


“Colette...”
“André...”
“Posso aiutarti?”
“Un uomo che si propone di lavare i patti... uhm... siete proprio da sposare, signor Grandier... ah ah ah.”
“Ne dubito mia cara Colette... ma ho sentito che sei tu quella che si sposerà.” le dico mentre infilo le mani nella bacinella, sfioro le sue dita e raccolgo un piatto.
“Uhm... si.”
“Uhm, si? Non sei felice Colette?”
“Un matrimonio non è sempre accompagnato dalla felicità, mio caro André.” non mi guarda, i suoi occhi non smettono di fissare l'acqua nella bacinella.
“Un matrimonio dovrebbe essere accompagnato dalla felicità, Colette, e dall'amore, il rispetto, la stima, il desiderio, il piacere...”
“Ah ah ah ah.”
Colette non ha perso il vizio di ridere di me.
“Cosa ho detto di sbagliato questa volta?” mi arrendo, non cerco neppure di combattere.
“Dovrei sposare te, André... se solo tu mi amassi...” mi guarda, con i suoi occhietti blu, maliziosi e senza vergogna.
“Colette... io... lo sai...”
“André! Per l'amor del cielo, sto scherzando! Ah ah ah... lo so che non mi ami, e tu sai benissimo che io non amo te, ma...”
“Ma?” le chiedo sopraffatto dalla curiosità.
“Ma... sei così dolce, pulito, al limite dall'innocenza... che viene voglia di amarti.”
“Colette...” questa volta sono io ad abbassare lo sguardo, imbarazzato.
Le nostre dita si sfiorano di nuovo nell'acqua e quelle di Colette, stupendomi, si stringono attorno alle mie mani.
“André...” pronuncia il mio nome sussurrando, mentre controlla attorno a sé, con sguardo furtivo, che non ci siano altre orecchie ad accogliere ciò che io sto per sentire.
“Si, Colette...”
“André... non c'è felicità nel mio matrimonio, non c'è amore per l'uomo che diventerà mio marito, ne stima, ne rispetto... me ne vergogno, credimi. Ma la povera gente, spesso, è costretta a far tacere il cuore, per sfamare lo stomaco.”
Non so cosa dire, cosa si può rispondere a parole tanto dolorose?
“Ho bisogno di un uomo che si prenda cura di me, che contribuisca a mantenere la mia famiglia, io da sola non posso farcela, ed ora ho un tremendo bisogno di denaro e poi... non voglio restare sola André, non lo sopporterei.”
“Colette... io...” mi sento un perfetto idiota.
“Non dire nulla André, non sarà così male in fondo, chissà che non scopra del buono nel mio futuro marito, chissà... col tempo.”
Sorride, un sorriso forzato, il primo che le vedo fare da anni, lei che non ne ha mai avuto difficoltà.
Ricambio il sorriso, così come la stretta delle sue mani, per poi allontanarle e offrirmi, e pretendere, di terminare il suo lavoro.
“Oh, vi ringrazio signore...”
“Lo faccio con piacere, madamigella.” le dico abbozzando un inchino.
“Sei proprio da sposare Grandier...” mi dice, o meglio, lo urla, mentre si allontana dalle cucine, strizzandomi l'occhio.
Non ho idea, di quanto tempo ho passato ad imbastire una folle conversazione con la mia mente, tanto a giudicare dalle mie mani, che hanno assunto lo stesso aspetto dell'uva passa.
Finisco di lavare i piatti, rubo una bottiglia di vino dalla riserva segreta della nonna e mi dirigo verso la camera da letto, pronto a continuare l'accesa discussione con le voci che stanno affollando la mia testa.


“André... André... apri...”
Una voce mi riporta alla realtà, devo essermi addormentato.
Credo d'aver bevuto troppo.
Vado ad aprire cercando di mantenere un'andatura stabile.
“Colette! Che ci fai qui? Ma... che ore sono?”
Ho gli occhi annebbiati dal sonno e la testa confusa dall'alcool.
“E' passata da poco la mezza. Sono venuta a salutarti, parto domattina.”
“Domani? Credevo partissi tra qualche giorno.”
“Si, avrei dovuto ma... sai come sono fatta, odio i saluti, tutte quelle smancerie... ho mentito, ho mentito all'intera servitù per evitare quelle cose.”
“Colette... sei  pazza. Non cambierai mai.”
Rido e lei fa altrettanto.
“Vieni, siediti. Vuoi un bicchiere di vino?”
Mi volto, indico la bottiglia posata sul tavolo.
“No, non voglio del vino. Voglio fare l'amore con te.”
Non ho neppure il tempo di riempire i polmoni d'aria, e lasciar uscire le parole dalla bocca, che Colette mi è addosso.
Bloccato nella morsa del suo abbraccio non faccio nulla per liberarmi, mi lascio rapire dalle labbra di Colette, le assecondo, raccontando alla sua lingua, con la mia, tutto ciò che abbiamo imparato l'uno dell'altra, in questi anni.

“Mi sono mancate le tue labbra...” un lieve sussurro di Colette e improvvisamente ogni traccia di alcool sembra svanire dal mio corpo.
Ritorno lucido e l'allontano, spingendola con forza, un gesto che poco si confà col mio essere, solitamente tranquillo.
Se ne stupisce Colette, ed io con lei.

“André! Ti sarebbe bastato dire che non ne avevi voglia, invece di cercare di scaraventarmi a terra!”
“Scusami Colette, non volevo farti male.”
“Lo so, lo so. Lascia stare.” il tono della sua voce sembra quasi rassegnato.
“Scusami, io...”
“Lo so André... tu sei stanco... devi alzarti presto... tu hai mal di schiena... hai bevuto troppo. Conosco ogni tua scusa.”
“Scuse? No, Colette, ti sbagli, davvero io...”
“Non aggiungere una parola. Risparmiami l'ennesima bugia. Te ne prego.”
“Colette io... io ho voglia di...” credo di non essere abbastanza convincente.
“Tu hai voglia? Di cosa hai voglia André? Di certo non hai voglia di fare l'amore con me! Non mi tocchi da quasi un anno!”
“Colette io...”
“E per l'amor di dio smettila di ripetere il mio nome!”
Respiro profondamente.
“Hai ragione Colette. Sono scuse, dalla prima all'ultima. Da quasi un anno a questa parte non ho fatto che mentirti.”
“Ah! Pensavo tu fossi un gentiluomo André Grandier!” è furiosa. La guardo voltarsi e camminare verso l'uscita.
Le stringo il polso, bloccando la sua corsa verso la porta.
Mi guarda con occhi di fuoco, le sorrido con la tranquillità che fa parte di me.
“Colette, ti prego, permettimi di spiegarti.”
La invito a sedersi accanto a me.
“Allora, sentiamo queste spiegazioni. Sono davvero curiosa di sapere perchè ti sei rifiutato di fare l'amore con me. Non ti  piaccio più?”
“No, mi piaci Colette, e trovo che tu sia molto bella.”
“Allora perchè André? Perchè?”
“Perché mi sono innamorato.” è la prima volta che lo confesso a qualcuno.
“Innamorato? Mio dio André, sono così felice per te!” il fuoco negli occhi di Colette è annientato dalle lacrime.
Lacrime che non le avevo mai visto versare da quando la conosco.
Mi ha sempre stupito, questa ragazzina dai capelli rossi, minuta eppure così forte, sottomessa per nascita eppure così fiera e comattiva, ed ora, eccolo qua, la donna sfacciata e apparentemente senza sentimenti, piangere, forse, le sue prime lacrime, non per se stessa, ma per me.
Felice dell'amore che mi è nato dentro.
Felice per l'amore che nutro per un'altra donna.
Felice di scoprire che almeno uno di noi due potrebbe essere felice.

“André, avanti, raccontami di questo amore. Raccontami di lei. Sei felice?”
“L'amore, a volte, non è accompagnato dalla felicità.” di proposito cito la frase, che poche ore prima, lei stessa ha pronunciato.
“Ma... André, non vorrai dire che... lei non ti ama.”
“No, Colette, lei non mi ama, non mi amerà mai. Ma io... ora che so di amarla, non posso più toccare un'altra donna.”
Sento le lacrime bruciarmi gli occhi. Piango. Senza vergogna.
Colette mi stringe a sé, coccolandomi come farebbe una madre col proprio bambino, nello stesso modo in cui mia madre mi cullava.
Ad un uomo non dovrebbe mancare la madre, mi dico.
Eppure mi manca, più che mai.
Credo di comprendere, solo in questo istante, la solitudine che ha spinto Colette a scegliere un uomo che non ama.
La medesima solitudine sta crescendo nel mio cuore.
Rimaniamo abbracciati, Colette ed io, addormentandoci l'uno nella braccia dell'altro.
Cercando di alleviare, ancora una volta, la sofferenza che ci rende così simili.


Siedo sulla gradinata di palazzo Jarjayes.
Ho 21 anni.
Sono innamorato.
Innamorato di una donna che non potrò mai avere.
L'amore ha un nome che non posso pronunciare dinnanzi a nessuno.
Quel nome è tutto ciò che possiedo
Quel nome è tutto il mio mondo.
Amo, ora, senza più dubbi ne paure.
Amo lei.
Lei che mai avrei immaginato sarebbe stata l'oggetto dei miei desideri.
Amo lei che già da anni, inconsapevolmente, provocava in me turbamenti.
Amo e sento di morire, lentamente.
Guardo le cameriere svolgere le consuete mansioni giornaliere, e ritorno con la mente alla notte appena trascorsa.
Poggio le braccia sulle ginocchia, sorrido, sono pronto a liberarmi dal peso che mi opprime.
Sono pronto a rendere vero ciò che non sono stato in grado di raccontare a Colette.
Sussurro a me stesso quelle parole che non potrei pronunciare dinnanzi a nessuno, lo faccio ora, paradossalmente in questo cortile pieno di persone, mescolandole tra il vociare della servitù...

“Sono innamorato... innamorato di una donna che si chiama Oscar.”



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(Quando ho scritto il capitolo “uomo”, ho immaginato che sarebbe stato un po' strano per qualcuno, strano perchè André fa l'amore con un'altra donna che non è Oscar.
Devo dire la verità, io non ho mai pensato che André fosse arrivato vergine alla famosa notte del boschetto. Mi piace immaginare che durante quella notte almeno lui sapesse cosa fare ehehe :) e mi piace pensare che, dopo tutta la sfortuna che ha perseguitato il Grandier, almeno qualche soddisfazione sessuale l'abbia avuta.
E di sfiga gliene è capitata parecchia, nato povero, orfano, va a vivere in un palazzo dove lavorerà prima come “dama di compagnia”, poi come stalliere e attendente, si innamora di una donna, ma non una qualunque, no, la donna per cui lavora, una nobile e per di più una donna che veste e vive come un uomo, una donna che vive e veste come un uomo e che non lo fila di striscio, e già a questo punto non so quanti di noi sarebbero sopravvissuti... quando finalmente, la donna che veste e vive come un uomo, sembra intenzionata a mettere in discussione la propria esistenza e forse, e sottolineo forse, riappropriarsi della sua vera natura di donna, lo fa perchè innamorata di un altro uomo!
Il povero Grandier poi ci rimette pure un occhio, e rende quasi cieco l'altro, per aiutare la sua amata. Si arruola nei soldati della guardia, patendo la fame e andando incontro a morte quasi certa, perchè? Per la nostra eroina bionda, e quando finalmente riccioli d'oro, fulminata sulla via di damasco, si rende conto di amarlo, lui, il nostro André riesce a consumare la prima notte d'amore con l'amata, ma... il giorno dopo muore!
Per questo ho voluto far dono, alla nostra povera gioia (il Grandier), di un pizzico di felicità, una piccola consolazione di tanto in tanto, e poi, parliamo chiaramente, credete davvero che un pezzo d'uomo come il Grandier avesse potuto arrivare illibato a 35 anni? Sarebbe stato uno spreco! Senza nulla togliere all'amore, bellissimo, per la sua Oscar, però... insomma...)

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Capitolo 9
*** La soffitta ***


Sono i primi giorni di gennaio, ed una nevicata così intensa non si vedeva da tempo.
Il nuovo anno è appena cominciato e le aspettative, che ognuno di noi vi ripone, sono già incontenibili, e forse, per qualcuno, irrealizzabili.
Ho riposto le mie aspettative da parecchio tempo, in una piccola soffitta decorata da ragnatele, accanto alla speranza e al desiderio.
Che senso avrebbe avuto continuare a illudersi, quando, puntualmente, ogni desiderio, supplica o speranza, viene prontamente disillusa.
Da anni ho un solo desiderio, una sola ed unica speranza.
La speranza che lei...
E' stupido perfino pensarci.
Basta.
La piccola soffitta decorata da ragnatele sarà custode di brutti pensieri, li terrà al riparo dalle mie orecchie curiose e dal mio cuore innamorato, o malato, in fondo è quasi la stessa cosa.
La piccola soffitta custodirà i brutti pensieri, lasciandomi la possibilità di vivere, almeno un istante, il bello di questa vita.
Il nuovo anno è appena cominciato, senza aspettative, per me.
L'anno appena trascorso ha portato una lieta novella, un briciolo di luce in un anno piuttosto buio.
Poco prima di Natale una vecchia conoscenza ha varcato le porte di palazzo Jarjayes.

“Ooooooh! Non posso credere ai miei occhi! Mia cara sei uno splendore... e chi è questo piccolo angelo?”
Sono nel salottino con Oscar, entrambi impegnati a leggere un libro. Sento mia nonna urlare come non mai.
Seguo la voce della nonna, e la mia, precede le mie gambe.

“Nonna, cosa sta succedendo? Perchè stai urlando tanto?”
“André!”
Rimango senza  fiato per un tempo che mi pare infinito.
“Colette...”
Sono passati 3 anni dalla mattina in cui Colette lasciò palazzo Jarjayes. Ora abbiamo entrambi 24 anni, io sempre lo stesso servo, lei una moglie, ed ora, una madre.
Colette ha tra le braccia un bambino dai capelli rossi e la  pelle bianchissima, esattamente come lei.
“Che sorpresa vederti qui, Colette... e lui chi è?” mi avvicino sorridendo.
“Lui è Jean Albert. André.”
“Piacere Jean Albert.” dico stringendogli la manina, e la piccola creatura dalla faccia paffuta mi sorride.
“Credo che tu gli piaccia, André.”
Sorrido. Non so fare altro. Non vi è più traccia di parola in me.
“André... vuoi prenderlo in braccio?”
“Oh no... Colette... non mi sembra il caso... no.”
Colette, come ha sempre fatto, ignora le mie parole e sorridendomi poggia il bambino tra le mie braccia.

“Ah ah ah ah... André...”
Smetterà mai, Colette, di ridere di me?
“Che c'è?”
“Ah ah ah ah.”
Anche la nonna ride di me.
“Che c'è?” chiedo infastidito.
“André, per l'amor di dio, è un bambino quello che hai tra le braccia, non un sacco di patate!”
“Ma... Colette... io... io non...”
Tento di raddrizzare l'esserino che non sembra affatto disturbato dal mio abbraccio maldestro, e finalmente, dopo varie manovre, credo d'aver trovato la sistemazione adatta.
“Ecco piccolo... sei comodo? Si, sei comodo... vero?... si...”
“Oh André, mi si stringe il cuore... tesoro quando mi...”
“Nonna ti prego, non cominciare...”
“André, dico solo che vorrei vedere i miei bisnipoti prima di morire... certo, tu prima dovresti trovare una brava mo...”
“Nonna! Basta!”
“Va bene, va bene. Come sei scorbutico ultimamente!”
“Nonna...”
“Va bene, me ne vado. Colette, tesoro, ti aspetto in cucina. Ti preparerò il tuo piatto preferito.”
“Grazie Marie, ti raggiungo tra poco.”
“Allora, Colette, cosa ti porta di nuovo qui a palazzo Jarjayes?”
“Mia madre è morta, André.”
“Mi spiace Colette, ti faccio le mie più sentite condoglianze.”
“Grazie André. Il motivo per cui sono tornata è che il generale Jarjayes, tempo fa, mi disse che si sarebbe liberato un posto come stalliere, presso una famiglia di sua conoscenza, ed ho pensato, ora che mio marito ha perduto il lavoro, di chiedere se... ho un tremendo bisogno di denaro, ne abbiamo sempre bisogno.”
Mi sorride, Colette.
“Stai tranquilla Colette, sono certo che il generale saprà aiutarti.”
“E tu, André, cosa mi racconti?”
“Niente di interessante, Colette. Come vedi, sono sempre qui.”
“E... sempre innamorato?”
“Si.” rispondo senza esitazione.
“Allora dovresti mettere su famiglia anche tu, André!”
“Forse... un giorno...”
“André! Non dirmi che... sei ancora innamorato della donna di tre anni fa?”
“Si.” la verità mi esce così facilmente in presenza di Colette.
“André! Dicevi che questa donna non ti avrebbe mai amato... e tu, ancora... cosa c'è di tanto speciale in lei?”
Non rispondo, non questa volta.
“André... hai intenzione di tormentarti per tutta la vita? Dimmi chi è? È una delle cameriere? Una delle amichette di Gaspard? Avanti André, fuori il nome, andrò a parlarci io...”
Non è affatto cambiata, sempre la stessa donna sfacciata e senza vergogna.
“Colette, non è ne una cameriera, ne una delle amiche di Gaspard... e non c'è motivo che tu ti prenda il disturbo di parlarci... non ti preoccupare, sto bene, davvero.”
“Certo André, si vede... si vede che stai bene.” dice Colette, e suona tanto come una presa in giro.
Il piccolo Jean Albert si muove tra le mie braccia, emette dei suoni incomprensibili.
“Tuo figlio è bellissimo, Colette.”
“Non cercare di cambiare discorso André... chi è questa donna?”
Colette mi si fa più vicina. Non ho intenzione di rispondere, cerco un modo per portare la conversazione su un altro argomento, quando...

“Madamigella Oscar. Buongiorno. E' un piacere rivedervi.”
“Buongiorno a voi. Colette, giusto?”
“Si, Madamigella Oscar.”
Oscar sembra non essersi accorta di me.
Sembra...
“André! Ma cosa... ah ah ah.”
No Oscar, anche tu... non ridere di me.
“Oh, Madamigella Oscar, lui è mio figlio, Jean Albert.”
“Hai davvero un bellissimo bambino, Colette.”
Guardo Oscar carezzare la manina del bambino e mi si riempie il cuore d'amore.
“Vi ringrazio Madamigella.”
“Dimmi, Colette, cosa ti porta a palazzo?”
“Madamigella Oscar, io... vedete, mio marito ha perduto il lavoro, e il generale Jarjayes, vostro padre, tempo fa mi parlò di un possibile impiego come stalliere e... io...”
“Colette, stai tranquilla, vedo se mio padre può riceverti.”
“Vi ringrazio Madamigella Oscar, vi ringrazio tanto.”
Oscar posa una lieve carezza sul naso di Jean Albert e per qualche secondo, l'atteggiamento algido che la contraddistingue, sembra svanire.
Seguo la sua figura camminare lungo il corridoio, è sempre più bella, Oscar, è cambiata in questi ultimi anni.
È cresciuta molto, quasi quanto me, in altezza, il corpo ha assunto le forme tipiche di una donna, anche se le si possono notare poco, nascoste sotto l'uniforme, ma io riesco a scorgerle comunque, io so che ci sono, per qualche arcano mistero riesco a percepirle.
Guardo Oscar raggiungere lo studio del generale Jarjayes e non posso fare a meno di perdermi nell'eleganza dei suoi passi e tra i suoi lunghi riccioli biondi, cresciuti anch'essi, come il resto di lei.

“André... André...” un sussurro.
“Si, Colette...”
“André... non farlo.”
“Fare cosa, Colette?”
Non capisco.
“Ti metterai nei guai André! In guai molto più grandi di te!”
“Di cosa stai parlando Colette?”
“Spero di nulla André... spero d'essermi sbagliata.”
Vedo in Colette uno sguardo che non ho mai visto, un misto di preoccupazione e paura.
Che abbia capito... No, non può essere.
“Colette ma...”
“André, ascoltami bene. Dimentica quella donna, dimentica quell'amore che ti sta tormentando. Trova una donna che ti possa amare, ora, nel presente. Ti prego, dammi retta.”
“Colette io... non...”
“Shhhh... tu puoi André, puoi! Devi dimenticare.”
Colette poggia le labbra sulle mie, per qualche istante, in un bacio casto e innocente, riprende suo figlio e poi scompare nelle cucine.
Non ne sono sicuro ma, credo d'aver scorto delle lacrime scivolare sul viso di Colette.
Perchè piangeva? Ancora una volta per me? Come le vidi fare, per la prima volta, tre anni fa?
Mi guardo attorno, il cuore sembra scoppiarmi nel petto.
Un solo pensiero. Oscar.
Se Oscar ci avesse visti? Cosa avrebbe pensato?

“André...”
Un tuffo al cuore e un gemito sfugge alle mie labbra.
“Oscar...”
“Dov'è Colette?”
“Credo sia andata nelle cucine, da mia nonna.”
“Grazie. Mio padre ha accettato di riceverla. Spero le possa essere d'aiuto in qualche modo, povera ragazza.”
“Lo spero, Oscar.”
“André posso farti una domanda?”
“Certo.”
“Conosci molto bene Colette?”
“Si... abbastanza.”
Odio mentire ad Oscar.
“Uhm...”
“Perchè me lo chiedi Oscar?”
“Per nessun motivo in particolare, semplice curiosità.”
“Pensi che Jean Albert sia mio figlio, Oscar?”
Credo d'aver colpito in pieno.
“André io...”
“L'ho semplicemente preso in braccio ma questo non fa di me suo padre. E credimi, se quel bambino fosse mio figlio, non sarei certamente qui, ma con lui, per crescerlo giorno dopo giorno.”
Come aveva potuto, Oscar, pensare una cosa del genere?
Come aveva potuto avere un pensiero tanto orribile nei miei confronti.
Io un padre, io un padre che aveva abbandonato il figlio... inconcepibile!
“André, scusami... scusa se ti ho offeso in qualche modo... è solo che... ti ho visto tenerlo in braccio, toccarlo come se fosse qualcosa che ti apparteneva, come se fosse una cosa tua.”
“Oscar, è normale tenere tra le braccia un bambino, anche se questo non è tuo figlio. È normale aver voglia di toccarlo, esattamente come hai fatto tu, proprio con Jean Albert, toccandogli il naso. Questo fa di te sua madre? No. Le persone toccano, abbracciano, esprimono gioia e piacere attraverso questi gesti.”
“Non i nobili André, loro non lo fanno. È raro vederli toccare i propri figli, figuriamoci dei bambini estranei.”
“André...”
“Si...”
“Credi che Colette mi permetterebbe di tenere in braccio Jean Albert?”
Andiamo alle cucine e sono ancora spiazzato dalle parole di Oscar, le parole di una donna, non un soldato, non l'erede di casa Jarjayes, una donna, pura e semplice.

“Colette mio padre ha acconsentito di riceverti, ti attende nel suo studio.”
“Vi ringrazio Madamigella Oscar.”
Colette porge il bambino a mia nonna, Oscar non dice nulla, rimane immobile, e sono costretto a colpirla leggermente col gomito per incoraggiarla.
Il capitano delle Guardie Reali spaventata a morte da un bambino.
Vorrei ridere, ma non oso.

“Ehm... Colette... vuoi darlo a me? Se non ti dispiace.”
“Quale dispiacere, Madamigella Oscar... prendete.”
“Uh...”
Anche Oscar sembra avere tra le mani un sacco di patate.
Ha il terrore negli occhi.
L'aiuto, con la mia quasi inesistente esperienza, a trovare una posizione più comoda per il bambino.

“Hey, piccolino...” Oscar ha assunto un tono di voce basso e dolce, quello stesso tono che le ho sentito usare solo da bambina.
“Oh, bambina mia!”
La nonna si avvicina a noi, piangendo.
“Oscar, bambina mia... come sei bella con un bambino tra le braccia... se solo il signore volesse, un giorno...”
La nonna piange senza ritegno.
“Nanny! Ma cosa stai dicendo!”
La voce di Oscar è tornata quella di sempre, dura e autoritaria.
“Scusami bambina... ma... io lo so, morirò senza vedere dei bambini correre ancora in questo palazzo.”
“Nanny, non piangere... vedrai che te li darà André dei nipotini.”
Sul viso di Oscar è ritornato il sorriso.
Sorrido anch'io. Un sorriso fasullo.
Sono consapevole che non avrò mai dei figli, li desidero, li ho sempre desiderati, ma ora più che mai so che non li potrò avere.
Perchè non potrò mai avere la donna che vorrei come madre dei miei figli.

“André...”
“Oscar...”
“Guarda...”
Il piccolo Jean Albert stringe nella manina il dito di Oscar, un banale gesto che ha il potere, però, di illuminare gli occhi di lei, la donna che non posso fare a meno di amare.
Giochiamo con Jean Albert, Oscar e io, e mi sorprendo nel vedere con quanta facilità, Oscar, si stia abituando al contatto fisico con questa  piccola creatura.
Una facilità e una naturalezza che, per una persona come Oscar, che non contempla neppure un semplice abbraccio, è quasi commovente.
Stiamo ridendo e coccolando il bambino da un tempo indefinito, sembriamo noi stessi due bambini, rapiti da una faccetta buffa, dalla morbidezza inaspettata di un braccino, dalla stretta della mano o da un abbraccio, di Jean Albert.
Sono così preso da questo momento che non mi rendo conto della presenza che, solo ora, vedo ferma sulla soglia delle cucine.

“Colette...”
Ha uno sguardo a cui non so dare un nome, quella che è stata, un tempo, la sfrontata ragazzina dai capelli rossi.
“Colette!” alzo il tono della voce.
“André... io devo andare.”
“Colette... è andato tutto come speravi, con mio padre?”
“Si, Madamigella Oscar, vostro padre è stato molto gentile con me, con noi dovrei dire. Mio marito avrà un lavoro, domani stesso. Vi ringrazio con tutto il cuore. Ora però debbo andare, si è fatto tardi. Spero che Jean Albert non vi abbia causato troppo disturbo.”
“Nessun disturbo Colette. Tuo figlio è un bambino bravissimo. Vi auguro ogni bene,  portate i miei saluti a vostro marito.”
Oscar porge il bambino a Colette, esitando, con le dita, sulla mano del piccolo.
Colette accenna un inchino nei riguardi di Oscar e mi si avvicina, con la mano libera mi avvolge, in un abbraccio. La sua guancia poggiata accanto alla mia, il suo respiro caldo.

“Dimenticala André. Non potrai mai averla. Dimentica o tutto questo amore ti distruggerà.”
“Colette...”
“Tu hai ancora una possibilità, per essere felice. Ti voglio bene André. Addio.”
“Lei è la felicità. Lei è tutto. Te ne voglio anch'io, Colette. Addio.” le sussurro, facendo attenzione che Oscar non senta le mie parole.



La prima nevicata di questo nuovo anno.
Ripenso alle parole di Colette, che immagino, non rivedremo mai più.
Ripenso a Jean Albert tra le braccia di Oscar e al desiderio che mi avvolse quel giorno, un desiderio malsano, forse, di un figlio mio tra le sue braccia.
Ho smesso di sperare, ho smesso di illudermi, ho smesso di supplicare.
Ho riposto tutto nella piccola soffitta decorata da ragnatele.
Ho chiuso la piccola porticina e riposto la chiave, in un posto sicuro.
Ma lei... lei non posso dimenticarla.
Non posso smettere di amarla.

“André...”
“Si, Oscar...”
“Sono pronta.”
“Andiamo... la strada per Arras sarà piuttosto lunga, con questa neve.”

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Capitolo 10
*** Arras ***


La neve non da segno di voler smettere di cadere in questa mattina di inizio gennaio.
Il freddo è così intenso da tramutarsi in innumerevoli aghi, che lentamente, danno l'impressione di penetrare nelle ossa.
Stiamo per giungere ad Arras.
Il viaggio è stato lungo e faticoso, come previsto.
Per l'intero tragitto, Oscar e io non ci siamo detti una parola, colpevole il troppo freddo, forse, o più probabilmente il cattivo umore della mia vecchia amica.
Sono mesi, ormai, che Oscar è intrattabile, chiaramente turbata da qualcosa, o forse, da qualcuno.
Ricordo Oscar, nel medesimo stato in cui si trova ora, molti anni fa, quando ancora eravamo dei bambini che si apprestavano, con mille dubbi, sulla soglia dell'età di mezzo, non più bambini ma neppure adulti.
Ricordo Oscar, avvolta nel medesimo involucro di silenzio, quando divenne donna, nel corpo.
Credo di sapere cosa stia accadendo in Oscar, solo un sospetto, ora, e tale spero rimanga.
Spero con tutto me stesso di sbagliarmi.
Siamo arrivati ad Arras, ancora qualche minuto e vedremo, di fronte a noi, il cancello di casa.
Da qualche anno, Oscar, ha preteso e ottenuto il permesso di poter dimorare nella casa, qui ad Arras, da sola.
Solamente io e Oscar, nessuna cameriera, nessun domestico, neppure un cuoco, solo io e lei.
Un sogno, per me, queste brevi vacanze durante le quali non mi debbo preoccupare d'essere scoperto, da qualche domestico, nell'indugiare lo sguardo su Oscar.
Un sogno che mi possiede, come un'amante, nell'istante in cui poso piede in questo luogo.
Un incubo che mi uccide, in una lenta agonia, come l'assassino più efferato, quando ritorno a palazzo Jarjayes.
Sono il più stupido e dannato degli uomini, devoto nel cuore, ed ora, anche nel corpo, ad una donna che non è a conoscenza della mia esistenza.
Stupido folle... non faccio che ripetermi.
Stupido folle...
Stupid...

“Hey, André...”
“Oh... Oscar, scusami ero distratto.”
“L'ho notato.”
“Dimmi.”
“Siamo arrivati, André.”
“Oh, certo... si.”

Sistemo i cavalli nella piccola scuderia e torno sui miei passi, Oscar mi aspetta dinnanzi alla scalinata di casa, da anni ormai si rifiuta di aprire il portone, l'inutilizzo di questa casa si fa sentire, nelle  piccole cose, una chiave che si blocca nella toppa, una finestra che rimane bloccata, tutti imprevisti che non fanno che aumentare l'irritabilità di Oscar, da sempre, oltremodo negli ultimi tempi.

“Oscar sei sicura di non voler tentare? Chissà che questa volta tu non l'abbia vinta, contro il portone. Le chiedo, cercando di far nascere in lei un accenno di sorriso.
“No.” una riposta gelida come questa giornata di inizio gennaio.
“Come non detto, Oscar.”
Rinuncio.

Raggiungo Oscar e cerco la chiave nelle tasche dei pantaloni quando...

“Aaah!”
Un grido.
Non faccio in tempo a capire cosa stia accadendo, sento qualcosa rovinarmi addosso.
Oscar.
Oscar mi sbatte contro facendomi cadere, di schiena, sul vialetto.
Gli aghi diventano lame di ghiaccio sulla pelle.
Giaccio sulla schiena, nella neve gelida
Oscar mi è addosso.
Ridiamo all'unisono, come due ragazzini.
Si odono soltanto le nostre rumorose risate, queste risate che sembrano provenire da un tempo passato, evocate dalla stessa neve che ci vide bambini tanti anni addietro.
Oscar mi è addosso e il sangue ricomincia a correre nelle vene, accende un fuoco nelle miei carni, vincendo, così, il freddo.
Una cascata di riccioli biondi mi inonda il viso.
Percepisco la schiena di Oscar contro il mio petto, e sento, chiaramente, la curva dei suoi fianchi e il suo fondo schiena, poggiarsi al mio corpo.
Lo sento, pericolosamente addosso, far pressione contro una parte del mio corpo.
Il sangue impazzito prende fuoco, scioglie la tensione e i turbamenti di questi mesi tramutandoli in piacere liquido, che raggiunge, nel tempo di un respiro, il basso ventre.

“Ah ah ah ah.” la sento ridere, e cerco di fare altrettanto ma è un gemito tutto quello che riesce a scapparmi dalle labbra.
“Ah ah ah ah... oddio André... ah ah ah.”
Si agita, Oscar, contro il mio corpo.
Poggio le mani sui suoi fianchi, un gesto maldestro per aiutarla a rialzarsi, e liberare me da questo tormento, ma non faccio altro che peggiorare la situazione.
I fianchi, il suo punto debole.
“Uh... André... ah ah ah... no... ti prego... ah ah ah ah.”
Sono perso. Finito. Il sangue tramutatosi in fuoco ha la meglio su di me.
Tento ma, non posso arrestare la sua folle corsa verso...
Il  piacere e il dolore si fondono in quella sensazione, così familiare, che mi accompagna da quando ero un ragazzino.
Sento il mio corpo reagire, ed una parte di esso irrigidirsi ed ereggersi al desiderio.
Desiderio di lei.
Oscar smette improvvisamente di ridere.
Anche il suo corpo diviene teso, ma non vi è desiderio in questa sua azione.
Non dice nulla, Oscar, mentre cerca, anche lei maldestramente, di staccarsi dal mio corpo.
Solleva la schiena dal mio petto.
Una pessima idea.
Nello slancio di sollevarsi, il suo bacino fa pressione su quel punto del mio corpo che...
Vorrei morire in questo istante.
Vorrei morire in lei, ma non potendo, prego di poter morire semplicemente, e cancellare l'imbarazzo di entrambi.
Non resisto, non sono più in grado di sopportare questo tormento.
Stringo i fianchi di Oscar con le mani e l'aiuto, punto debole o no, a staccarsi dal mio corpo.
Non la sento ridere. È finalmente in piedi, ed io finalmente libero.
Sono imbarazzato, il desiderio è così palese al di sotto dei miei pantaloni, cerco di nasconderlo con le mani.
Oscar mi da le spalle, non posso vederle il viso ma posso immaginare l'espressione che vi scorgerei.
Sconcerto e imbarazzo.
Mi rialzo, scrollo la neve dai miei abiti e prego dio di riuscire ad aprire il portone di casa il prima possibile.
L'imbarazzo non sembra voler abbandonarmi.

“Oscar, puoi entrare ora.” le dico con un filo di voce, e lei entra, senza guardarmi.

Ho passato l'intero pomeriggio a sistemare i bagagli e le poche provviste che abbiamo portato con noi, ho incrociato Oscar solo un paio di volte, e in quelle fugaci occasioni non ci siamo rivolti la parola.
Ho passato l'intero pomeriggio a maledirmi, e maledire il mio corpo, per aver avuto una reazione, seppur naturale, irriguardosa nei confronti di Oscar, come ho potuto dichiarare così apertamente il mio desiderio per lei? Io che ho imparato, anno dopo anno a nascondere il minimo sentimento, come ha potuto, il mio stesso corpo, tradirmi?
Oscar è rimasta nella propria stanza fino a sera, vi è uscita solo per la cena.
Ci siamo recati alla locanda del signor Clement, abbiamo cenato conversando nello stesso modo in cui abbiamo visto conversare, per tutta la vita, i nobili, e gli stessi coniugi Jarjayes, nello stesso modo di cui ci siamo sempre burlati, Oscar ed io.
Parole inutili, vuote, parole di cortesia e null'altro.
Ho provato pena per Oscar e per me stesso.
Lei schiava di turbamenti che io posso solo immaginare, ma che al sol pensiero mi fanno rivoltare le budella.
Io schiavo di una condizione che mi sta conducendo alla pazzia, schiavo di colei che già mi possiede, come servo, ma che non sa di possedermi l'anima e il cuore.
Io schiavo di lei e di me stesso.
Io un povero diavolo.
Tornando a casa ci sorprende la neve, piccoli fiocchi, tremendamente fitti.
Varchiamo la soglia che già i nostri indumenti sono completamente bagnati, accendo il fuoco nel camino del salotto, cercando un po' di calore, che mi riscaldi il corpo, e l'anima.
Un rumore alle mie spalle. Oscar toglie la giacca lasciandola cadere, pesantemente, a terra.
Siede sulla poltrona dietro di me.
La sua sola presenza mi turba, procurandomi delle fitte, che portano il nome di disagio, allo stomaco.
Sarà il caso che tolga il disturbo, mi dico, senza pronunciar parola.
Mi alzo.

“André...”
Mi sorprende, il tono della sua voce, quello di un tempo, quando vi era in lei la voglia di chiacchierare tra noi.
“Si, Oscar...”
“André io...”
Mi spaventa, che voglia parlarmi di ciò che è accaduto oggi?
“...Io volevo scusarmi per il mio atteggiamento negli ultimi tempi.”
“Non ce né bisogno, Oscar.”
“Voglio farlo André, voglio scusarmi. È che... sono così stanca.”
“Va bene Oscar, ma... è la stanchezza il reale motivo dei tuoi atteggiamenti? Davvero?”
“André, cosa vorresti dire? Parla chiaramente!”
“Non lo so Oscar, se lo sapessi non te lo domanderei, non credi?”
“André io... io sono così stanca di Versailles... sono stanca di sentire, ogni maledetto giorno, i pettegolezzi dei cortigiani... sono così stanca di sentir insultare Sua Maestà la Regina.”
“Insulti?”
“Si, André. Non vi è persona, a Versailles, che non insinui che sua Maestà la Regina sia una scandalosa adultera.”
“Non sono insinuazioni, ma la verità, e tu lo sai, Oscar.”
“André!”
“Oscar, tu lo sai meglio di chiunque altro che la Regina si incontra, segretamente, con il conte di Fersen.”
Silenzio.
“Oscar...”
“Perché? Come ha potuto Sua Maestà la Regina non ricordare il ruolo che ricopre in Francia? Come ha potuto andare oltre, quella che poteva essere, una semplice amicizia, col conte di Fersen. Lei è la Regina, rappresenta un paese, non avrebbe dovuto...” Oscar si porta una mano alla fronte.
“Amicizia? Credi davvero che avrebbero potuto, il conte di Fersen e la Regina, essere solo amici?”
“Si, André, avrebbero potuto.”
“Ti sbagli Oscar.”
“La Regina di Francia ha il dovere di imporsi un certo tipo di contegno, di morale, dimenticando i sentimenti, qualche volta.”
“Non è così semplice, Oscar, dimenticare i sentimenti. Come non è così facile relegare ad amicizia un sentimento d'amore.”
“Amicizia, amore, sono quasi la stessa cosa, con una linea di condotta precisa avrebbero potuto evitare ciò che è accaduto...”
“Amicizia e amore sono differenti, Oscar. Quando nutri un sentimento d'amore per qualcuno, ne nascono altri, inevitabilmente... la passione, il desiderio, la voglia di...”
“La voglia di?” mi domanda Oscar, e mi pare tornata bambina, quando chiedeva, con l'innocenza negli occhi, spiegazione a qualcosa che non era in grado di comprendere.
“Quando è amore ciò che provi per qualcuno, è naturale che nasca la voglia di sfiorare, toccare, abbracciare e baciare... nasce la voglia di un contatto fisico, profondo.”
Oscar mi guarda con i medesimi occhioni azzurri che aveva da bambina.
Sento in me un moto di imbarazzo, le parole pronunciate mi sembrano fuori luogo, oggi, dopo il tradimento del mio corpo.
“André...”
“Si...”
“Tu... hai mai provato quel... hai mai sentito il bisogno di...”
“Si, Oscar.”
“Ti sei innamorato allora.”
“Si. Ma...”
“Ma?”
“Ma... può capitare di desiderare tutto questo senza provare amore.”
Di nuovo gli occhioni azzurri.
“André...”
“Oscar...”
“E' Colette?”
“E' Colette, cosa, Oscar?”
“La donna di cui ti sei innamorato.”
Il respiro fatica ad arrivare in gola.
“Cosa ti salta in mente Oscar?”
“Vi ho visti.”
Ci ha visti? Quando? Dove?
Ho la netta sensazione di non riuscire a respirare.
“Cosa?”
“Ho visto te e Colette, prima di Natale, quando lei venne a trovarci col piccolo Jean Albert. Vi stavate... baciando.”
Oscar mi nasconde l'azzurro dei suoi occhi.
“No.” le rispondo senza aggiungere altro.
“Prego?”
“No, Oscar, non ero, e non sono, innamorato di Colette.”
“E... si desidera anche senza che vi sia amore?”
“Si, Oscar, può succedere qualvolta.”
“André...”
“Si, Oscar...”
“Chi è?”
“Cosa?” le chiedo.
“Chi è la donna di cui sei stato, o sei, innamorato?”
“Nessuno Oscar, nessuno.”
Sei tu Oscar, sei tu quella donna! Vorrei urlarglielo in pieno volto e poi nutrirmi delle sue labbra.
Sono uno stupido folle.
Sento la porticina, della piccola soffitta, scricchiolare ad ogni mio insano pensiero.
“Scusami André, sono stata invadente.”
“Non fa niente Oscar.”
“Oscar...”
“Si...”
“Non essere così severa con Sua Maestà la Regina. Per un istante prova a immaginare d'essere nella sua situazione, figura la tua vita accanto ad un uomo che non ami, con la responsabilità di un popolo sulle spalle, e immagina l'improvviso arrivo di un uomo, e la possibilità d'avere quell'amore che ti è stato negato. Cosa faresti Oscar? Non cederesti anche tu alla felicità?”

Mi sorprendo a porgere una domanda tanto crudele ad Oscar, a lei a cui è stato negato tutto, l'essere donna, l'amore di un uomo... Mi strapperei la lingua per l'indelicatezza che oggi, per la seconda volta, sto avendo nei confronti di colei che amo.
Mi sorprendo a porgere una domanda tanto dolorosa, a lei, la mia Oscar, che prova, quasi certamente, i medesimi sentimenti della Regina, per lo stesso uomo, il conte di Fersen.
Sei innamorata di Fersen, Oscar, lo so, credo d'averlo capito da subito ma ho cercato di ignorarlo, ho cercato di convincermi che mi stessi sbagliando, per risparmiare a me stesso un dolore in più.
Non posso più nascondere la verità, sei innamorata di lui, ed è questo che ti tormenta, è questo che ti sfinisce nel corpo e nell'anima, più che le insinuazioni verso la tua Regina.
Dimenticalo Oscar, dimentica Fersen, dimenticalo ora che è partito, potrebbe non tornare più e se anche tornasse, un giorno, non sarà per te, ma per la donna che lui ama, la Regina Maria Antonietta.

“Non saprei André.”
Mi nasconde ancora i suoi occhi, ma la voce tradisce un velo di tristezza, un retrogusto di lacrime.
“Se vuoi scusarmi, André, credo che ora andrò a dormire. Ti ringrazio per la chiacchierata. Buonanotte.”
Scappi Oscar?
Vorrei fermarla e darle un po' di quella felicità che le è stata negata.
Vorrei che lei restasse e si accorgesse della felicità che, il solo osservarla, la sua sola presenza, mi illumina gli occhi.

“Grazie a te, Oscar. Cerca di riposare, piccoletta.” le carezzo i capelli, come un tempo, mi sorride e scompare oltre la porta del salotto.
Non mi stupiscono le parole appena pronunciate e non stupiscono Oscar, qui, ad Arras, tutto è permesso.
Qui ad Arras vedo Oscar tornare bambina.
In questo luogo ritroviamo la nostra innocenza, e il legame che credevamo indistruttibile.
In questa casa, oggi, comprendo finalmente il turbamento di Oscar.
Ricordo, tornando al passato, la piccola Oscar avvolta nel silenzio, quando divenne donna, nel corpo.
Oggi, vedo Oscar imprigionata in vesti simile a quella del passato, vesti imbastite di turbamento, di silenzio, di dolore, la vedo diventare donna, non più soltanto nel corpo, ma ora, nell'anima e nel cuore.
Qui ad Arras, oggi, comprendo l'amore di Oscar per un uomo che non sono io.
In questo luogo, come mai prima d'ora, comprendo la sventura che mi ha colpito, il giorno in cui mi sono perso negli occhi di una ragazzina dai riccioli biondi.
Io, un povero diavolo, prego d'avere la forza di non aprir, mai, quella piccola porticina, che sento scricchiolare ogni giorno di più.
Rinchiudo la speranza e il desiderio, per poter sopravvivere, all'amore per Oscar.

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Capitolo 11
*** Maschere ***


Vorrei che questa notte non finisse, mai, nonostante il dolore che sembra non risparmiare nemmeno un centimetro del mio corpo.
Vorrei che il tempo si fermasse in questo istante, in questa notte satura di lividi e bellezza.
Lividi sulla mia carne, come pennellate di un folle pittore.
Bellezza sul suo viso, bellezza sul suo corpo costretto, bellezza sulla sua pelle candida, macchiata anch'essa da leggeri lividi, simili ai miei.
Bellezza in questo velo alcolico che me l'ha donata, che l'ha resa mia, per quest'unica notte.
Oscar giace sul letto, pesantemente addormentata dal troppo vino ingerito, la guardo dormire e non provo, in me, la colpa per questo gesto.
Questa notte i lividi comparsi sulla mia pelle hanno strappato il dolore del mio cuore, una piccola parte di quella sofferenza, che un tempo, credevo m'avrebbe ucciso.
Questa sera ho benedetto gli uomini che hanno riversato su di me la loro violenza, ringrazio quei poveri disgraziati per avermi fatto dono di un secondo di pace, allontanando le ferite dell'anima su cui vi è scritto il suo nome, quell'unico nome che il mio sangue sa riconoscere.
Oscar.
Il primo pugno sferratomi in pieno volto ha smosso il primo strato di sofferenza, il più leggero, quello dormiente.
Il secondo pugno, dritto nello stomaco, ha fatto cedere quel male che stagna costantemente nel mio essere.
Il terzo, il quarto, il quinto, fino ad arrivare ad un numero infinito di pugni e calci, hanno sciolto il dolore più profondo, cancellando, almeno in parte, quel nome scritto all'interno di me.
Quel nome, che è sinonimo di tormento, è emerso sulle mie carni, macchiandole con un insolito inchiostro.
Dolci e amari lividi, come macchie d'inchiostro, mi hanno aiutato, questa notte, a sfogare il veleno che potrebbe uccidermi, prima o poi.
Oscar dorme beatamente nel suo letto, ignara della mia presenza, del mio sguardo su di lei, e di quell'amore di cui vorrei farle dono.
Immobile contro la fredda parete, nascosto nel buio di questa notte che non può finire, veglio su questa donna che, ostinatamente, vuole recitare una parte che non è stata scritta per lei.
Veglio su questa donna che, ogni giorno, nasconde dietro algide maschere, quelle piccole parti di lei che ho sempre amato.
La bambina dispettosa.
Il demonietto biondo.
La piccoletta che amava leggere, nella biblioteca di palazzo Jarjayes, accoccolata al mio fianco.
La ragazzina che soffriva la lontananza da me.
La giovane donna che cercava, in me, un consiglio o semplicemente una parola di conforto.
Veglio su questa donna a cui hanno strappato le algide maschere, solo per questa notte, solo per me, forse.
L'alcool e la violenza di uomini sconosciuti mi han fatto dono di quel viso che non posso fare a meno di guardare, così dolce ed innocente.
Poso il verde dei miei occhi sul viso di Oscar e vi scorgo solo lei, pura e semplice.
Guardo Oscar e non vi è più sofferenza sul suo volto, non vi è più incertezza, non vi è più paura, e sopratutto non vi è più Fersen.
Ed è proprio a causa del Conte Hans Axel di Fersen che siamo finiti in una locanda di Parigi.


Sulla strada che ci sta riportando a palazzo Jarjayes, dopo una giornata passata alla reggia di Versailles, incrociamo un uomo ridotto male, in cui riconosciamo qualche istante dopo, un soldato.
Un soldato di ritorno dalla guerra in America e giunto nei dintorni di Versailles per consegnare, ad una famiglia che lui stesso non conosce, il poco che rimane di un compagno, perito in battaglia.
Oscar guarda il soldato con una sofferenza negli occhi da sembrare quasi paura, ed è paura ciò che vi leggo nell'azzurro del suo sguardo, terrore per qualcuno che ha lasciato la Francia da ormai 4 anni, ma che non ha lasciato il cuore di lei.
Accompagniamo l'uomo dalla famiglia a cui consegnerà i resti di quello che potrebbe essere stato, un marito, un figlio, un padre.
Ci congediamo dal soldato, augurandogli di poter iniziare una nuova vita, per quando potrà essere possibile, felice.

“André...”
“Si, Oscar...”
“Ho voglia di bere, portami in qualche taverna a Parigi.”
“Certo Oscar, seguimi.”

Spingiamo i cavalli al galoppo verso Parigi.
Conduco Oscar in una taverna modesta, cercando di evitare le bettole.
Ordiniamo ed Oscar inizia subito a bere, un bicchiere dietro l'altro, con la precisa intenzione di stordirsi, e forse, dimenticare.
Hai paura Oscar, posso leggere il terrore sul tuo viso, temi che lui possa morire.
Lui, il conte di Fersen.
Non è morto Oscar, non è morto ne disperso, ho controllato nei registri, l'ho fatto per te, perchè nonostante tutto non ho cuore di vederti così, indifesa e fragile, persa in un dolore che non conosci, e ancor di più, persa, travolta, sfinita da quell'amore che ancora ti è sconosciuto.

“Bere fa dimenticare le preoccupazioni.” dico, più  a me stesso, forse, che a lei.
“Comunque devi stare tranquilla Oscar, il conte di Fersen tornerà sicuramente. Io ho controllato e il suo nome non risulta negli elenchi dei morti o dei dispersi.”
Ma io potrei morire Oscar, rischio di morire ogni giorno, inconsapevolmente per mano tua, ucciso dall'amore che nutro per te, e dalla gelosia per le attenzioni e l'affetto che tu hai per Fersen.

“Perchè mi stai dicendo questo? Non lo voglio sentire.” mi dici, e sembra quasi un rimprovero, o l'ennesima maschera per celare la verità.

Non smetti di bere, Oscar, tracanni un bicchiere dopo l'altro come il più malato dei beoni.
Bere fa dimenticare le preoccupazioni, ma senza un limite può distruggere il corpo, ed è quello che stai facendo, devastandoti il cuore e il fisico.
Sto per allungare la mano, in un gesto che potrebbe costarmi caro.
Allungo la mano per impedirti di bere ancora ma l'oste mi precede, agguanta la bottiglia semi vuota e te ne porge un'altra, piena.
L'uomo, sporco e grasso, si rivolge ad Oscar con il sorriso sulle labbra.
L'oste è stupito, quasi quanto lo sono io, nel constatare la facilità con cui “questo bellissimo soldato” tracanni qualsiasi cosa gli capiti nel bicchiere.
Oscar rifiuta la bottiglia di birra che il grassone le sta offrendo, ma l'oste non è intenzionato a chiudere la questione con un “no, grazie”.

“Offrila a me, io ho voglia di bere.” cerco di attirare l'attenzione su di me, cerco, come ho fatto da tutta la vita, di proteggerla.
“Non l'ho offerta a te, ma a lui.” il sorriso scompare dal viso dell'uomo.
L'oste si fa sempre più insistente, e inaspettatamente la sua attenzione si concentra su un altro aspetto, che non riguarda l'alcool, l'uomo è incuriosito dal viso di Oscar.
“Non ho mai visto un soldato così bello.” dice, e qualche secondo dopo lo vedo posare le mani sulla testa di Oscar ed indurla ad alzare il viso, in modo che lui posso osservarlo meglio.
Perdo il controllo, quell'uomo ha superato il limite, tutto scompare attorno a me, divengo sordo a ciò che mi circonda, non sento più le urla degli ubriaconi, non odo più il rumore dei bicchieri sbattere sui tavoli, lei è il mio unico pensiero.
Lei e quelle mani che la stanno toccando.

“Toglile le mani di dosso!” un grido senza controllo mi fuoriesce dalla gola.

Ne nasce inevitabilmente una scazzottata, una rissa qualunque per gli ubriaconi della taverna, e forse anche per Oscar, una rissa con uno scopo, la mia, difendere la donna che amo.
Usciamo dalla taverna doloranti ma soddisfatti, ed ancora sulle nostre gambe, Oscar si poggia su di me, un braccio attorno alle mie spalle, un contatto fisico che è raro di questi tempi.
Godo della vicinanza di Oscar, senza malizia.
La osservo, senza essere visto, mentre contrae le labbra in una smorfia di dolore, e non posso fare a meno di pensare...

“Sei stata fortunata Oscar, non si sono accorti che sei una donna. Io me ne accorgo sempre invece, anche quando indossi l'uniforme, e sei una bella donna Oscar.”

Rido su questi pensieri, rido dei poveri stolti che non sono in grado di ammirare ciò che io ho dinnanzi agli occhi da anni, una bellissima donna, di una bellezza fuori dal comune.
Bellissima senza bisogno di fronzoli e belletti.
Una bellezza naturale e pura.
Percorriamo la strada che ci conduce a palazzo Jarjayes che è già tarda sera, e giungiamo a casa qualche minuto oltre la mezza.
Sistemo i cavalli nelle scuderie e invito Oscar a raggiungere, prima di me, il palazzo.
Ha un evidente bisogno di stendersi.
Compio ogni azione con una calma estenuante, mi duole ogni muscolo del corpo, preferirei abbandonare tutto e rimandare, al mattino seguente, qualunque cosa mi tocchi far ora, ma non mi è possibile abbandonare i cavalli, così come non mi è possibile lasciare a metà il mio lavoro, non l'ho mai fatto e non comincerò certamente ora, ubriaco o meno.
Devo aver passato una buona mezzora a fare quello che, in una situazione di normalità fisica e mentale, farei in 10 minuti.
Barcollo fuori dalle scuderie e, continuando a reggermi a fatica sulle gambe, raggiungo il portone di casa.

“Ah ah ah ah.”
“Oscar?”
“André... ah ah ah... credo d'essere caduta.”
“Lo vedo, Oscar.”
“Ho provato a rialzarmi ma... le gambe non mi danno retta.”
“Viene Oscar, aggrappati a me.”
Bizzarro detto da uno che a sua volta fatica a reggersi in piedi.
“Oh... si... grazie André.”
Oscar intreccia le mani attorno al mio collo, mentre le mie compiono lo stesso gesto attorno alla sua vita.
I miei occhi annebbiati dall'alcool scorgono il viso di Oscar di fronte al mio, vicino, così pericolosamente vicino da farmi perdere la ragione.
Sento il suo respiro caldo sulle labbra, ne posso distinguere gli aromi, vino, birra, liquore.

“André...” un soffio e le sue labbra a pochi centimetri dalla mia bocca, allontano, d'istinto, il viso, buttando indietro il capo, combattendo contro la stretta delle sue mani.
“Si...”
“Mi gira la testa...”
“Lo so Oscar, stai tranquilla, adesso ti porto nella tua stanza.”
“Grazie André... grazie... sei così caro.”
“Certo Oscar... certo.”
Barcolliamo entrambi verso la stanza di Oscar e con tremenda fatica riusciamo ad entrarvici.
Lascio Oscar cadere sul letto, per poi gettare, su di una poltrona, il mio corpo stremato.
La stanza mi gira dinnanzi agli occhi, non mi è possibile distinguere gli oggetti che mi sono attorno, tutto diviene un incomprensibile turbinio di colori.
Tento di riacquistare un minimo di lucidità e trovare la forza di trascinarmi fino alla mia stanza.
Mi alzo, e con mio immenso stupore, arrivo senza problemi alla porta.

“André...”
“Shhhh Oscar... cerca di dormire, da brava.”
“André... ho 26 anni... non 6.”
“Ah ah ah ah ah” non posso fare a meno di ridere.
“André! Non ridere!”
“Scusami Oscar, ma adesso cerca di dormire.”
“Ma... io non ho sonno...”
“Ah ah ah ah... sei certa d'avere 26 anni, Oscar?”
la sento ridere.
“Ah ah ah ah ah”
La vedo alzarsi dal letto e camminare nella mia direzione, l'andatura è incerta, ma sembra reggersi in piedi.
“Potresti rimanere ancora un po', André?”
“Oscar...”
“Puoi?”
Sto per risponderle, stupendo me per primo, che non è il caso che io rimanga nella sua stanza, ma le parole non fanno a tempo a nascere, le gambe le cedono improvvisamente.
Riesco a sorreggerla, sfidando i miei riflessi intorpiditi dal troppo vino.
L'accompagno di nuovo sul letto e questa volta mi ci siedo anch'io.
“Oscar, non ti alzare più, come vedi le gambe faticano a reggerti.”
“Va bene, rimango a letto, lo giuro... te lo prometto André... davvero... farò la brava.”
Vorrei ridere, di nuovo.
“Buonanotte Oscar.”
Mi alzo dal letto, o almeno ci provo, Oscar mi ferma bloccandomi il polso con la sua mano.
“Ti prego...” mi sussurra con gli occhi quasi chiusi.
“E va bene Oscar, rimango qualche minuto.”
La osservo tentare di togliersi la giacca dell'uniforme, le sue mani fanno sembrare un'azione così semplice, come qualcosa di assolutamente complicato.
“Ah ah ah ah” ride, Oscar, forse troppo rumorosamente.
“Shhhhh...”
Mi guarda, con gli occhioni azzurri, umidi di alcool... si porta il dito alle labbra imitando, a gesti, ciò che io ho espresso a parole.
“Si Oscar, shhhhh... non vorrai svegliare tuo padre.”
Mi guarda, di nuovo, per qualche secondo e poi ritorna, più concentrata che mai, ai bottoni dell'uniforme.
“Maledizione...”
Non ce la farà mai, mi dico.
“Aiutami.” una semplice richiesta che mi lascia tramortito, più dell'alcool che ho in corpo.
Obbedisco, come ho sempre fatto ad ogni suo ordine.
Oscar siede sul letto, le mani puntate sul materasso, le braccia teste, la testa leggermente gettata all'indietro, gli occhi chiusi e l'aria di chi sta per crollare.
Non posso dire se è per colpa dell'alcool che le mie dita stanno tremando, o per il disagio che provo in questo momento, fatto sta che, anch'io, come Oscar, fatico a sbottonare questa maledetta uniforme!
“Ah, lascia fare a me...” mi dice e con stizza posa le dita sui bottoni d'oro della giacca, sfiorando le mie, che ritraggo come fossero state toccare da tizzoni ardenti.
Riesce finalmente a togliere la giacca.
Toglie gli stivali e la guardo rannicchiarsi sul letto, come faceva da bambina.
“Oscar, cerca di dormire.”
“Ti ho detto che non ho per niente sonno, André!”
Si, sembra tornata bambina.
Come la  prima volta che ci ubriacammo insieme, tantissimi anni addietro, al matrimonio di Josephine.
“Oscar... fai la brava, chiudi gli occhi e prova a dormire.”
“Se chiudo gli occhi mi gira la testa.”
Non ha tutti i torti, mi dico.
“ah ah ah ah ah”
Sto per domandarle cosa ci sia da ridere ma un istante dopo le risate mutano in pianto.
Un pianto lieve ma chiaramente percettibile nel silenzio della notte.
“Oscar...”
“André... tu... credi che...”
Non ho bisogno di ascoltare il resto della frase. Io so.
“Si, Oscar, stai tranquilla. Tornerà.”
Fersen. Non vi è altro pensiero in lei. Neppure ora, in preda ai fumi dell'alcool, ha altre parole, se non queste, rivolte a lui.
“Devo andare Oscar. Si è fatto tardi. Buonanotte.” non posso più restare.
La ragazza è ostinata, si rimette a sedere sul letto ed afferra la manica della mia camicia, strattonandola con una tale violenza da  rischiare di strapparla.
“Oscar!”
Mi sorprendo a pensare che qualche volta mi verrebbe voglia di schiaffeggiarla, come si fa, spesso, con i bambini viziati e testardi.
Oscar mi conduce ancora di più verso di se e, lasciandomi senza fiato, mi abbraccia.
Un gesto inusuale per Oscar, per la donna-comandante con la quale passo ogni mia giornata.
Un gesto istintivo per la bambina dai riccioli biondi che si ubriacò, fino a dar di stomaco, al matrimonio della sorella.
Non trovo la forza o forse l'ardito di abbracciarla a mia volta, ricevo questo piccolo momento d'affetto, passivamente, lasciando che mi si riempia il cuore.
La stretta di Oscar perde d'intensità, la sento venir meno e accasciarsi, questa volta tra le mie braccia, che, con l'istinto che solo un amico d'infanzia e di un uomo innamorato possono avere.
La stendo delicatamente sul materasso e mi avvicino, per la terza volta, verso l'uscita.
Non posso.

Eccomi qui. Poggiato ad una fredda parete. Osservo colei che mi è stata concessa, come premio, per miracolo, o semplicemente per caso, questa notte.
Questa notte che non voglio abbandonare.
Oscar, l'amore della mia vita.
Oscar, tutta la mia vita.
Oscar, questo soldato che sta mutando, giorno dopo giorno, sotto i miei occhi, in ciò che per me è sempre stata, una donna.
Non posso smettere di guardarla, la donna che amo, e che non potrò mai tenere tra le braccia.
Non posso smettere di amare questa donna che, a sua volta, sta imparando ad amare un uomo, che non sono io.
Posso accettare tutto questo, posso accettare che lei, la mia Oscar, sia innamorata di Fersen.
Posso accettare l'amore che Oscar nutre per Fersen.
Accetto ciò che credevo non avrei mai potuto sopportare.
Indosso una maschera che ha i medesimi tratti del mio viso ed il migliore dei sorrisi dipinto su di essa.
Posso accettare l'amore che Oscar nutre per Fersen, posso accettare tutto, purchè mi si conceda di rimanerle accanto.
Indosso il mio miglior sorriso.
Posso accettare qualunque cosa, a patto che questa notte non giunga mai al termine, e mi permetta di continuare a posare il mio sguardo su di lei, Oscar, la donna che non posso smettere di amare.

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Capitolo 12
*** odi et amo ***


Si può essere immensamente felici e tremendamente tristi al tempo stesso?
Si può amare e odiare nel medesimo istante?
È possibile venir al mondo una seconda volta e sentirsi morire subito dopo?
Si può. Io ho provato tutto questo.
Ho sentito, sulla pelle, nel cuore, nelle viscere, ognuna di queste sensazioni, e ne ho gioito, e ne ho goduto, per poi agonizzare e morirne.
Ho pregato che i miei occhi potessero, da quel momento, avere dinnanzi solo quell'immagine, e divenire ciechi al resto del mondo.
Ho implorato le viscere di continuare a danzare, per l'eternità, in contrazioni di piacere.
Beffato da lei, che mai avrei immaginato potesse arrivare a tanto.
I pensieri stupidi di un altrettanto stupida mente, la mia, beffato, di nuovo, da stoffe e morbide curve.
Sono stato travolto da emozioni, che fino a quel momento, si erano presentate al mio essere come fantasmi, leggere presenze incostanti, lievi nel tocco, leggere sussurratrici della propria identità.
Passione.
Desiderio.
Amore.
Istinto.
Leggeri fantasmi, mutati, senza preavviso, in dolorose spinte al mio ventre.
Sensuali ammaliatrici, all'apparenza fragili, si sono rivelate dure e dolorose come pugni in pieno stomaco.
Colpito in pieno volto da un'immagine che neppure i miei più nascosti pensieri avevano avuto l'ardire di creare.
Possono gli occhi, innocui ornamenti degli uomini, uccidere?
Si, possono uccidere un uomo, di desiderio.
E l'ho desiderata, l'ho amata con più vigore, ho provato per lei una passione così incontrollata da rischiare l'irreparabile.
Ho guardato lei, Oscar, la mia Oscar, in abiti femminili, e la felicità, e l'amore, mi hanno squarciato l'anima.
Ho guardato lei, la mia Oscar, vestire degli abiti da donna, per la prima volta nella propria vita, ed ho provato una tenerezza infinita.
Ho guardato lei, Oscar, accentuare la sua natura femminile con stoffe e gioielli, l'ho guardata trasformarsi in donna, nel cuore e nel corpo.
Per un uomo.
È per lui che fai tutto questo, non è vero, Oscar? Un sospetto, inizialmente, il mio, una certezza pochi istanti dopo.
Lui, un uomo, un uomo che porta il nome di Han Axel di Fersen.
Ho guardato Oscar e l'ho odiata, per un secondo, l'ho odiata, e tutto l'amore è svanito lasciando il posto al dolore e alla morte, la morte del cuore.

Le mie orecchie non udivano il nome dell'amante della Regina da tempo, da anni, da quella notte lontana, in cui Oscar si ubriacò per soffocare la voce del proprio cuore, che stava divenendo, prepotentemente, un cuore di donna.
Gli anni che seguirono a quella notte furono privi del conte, furono anni relativamente felici, nei quali, Oscar ed io tornammo ad essere, in piccola parte, quelli di un tempo.
Ricordo un pomeriggio, uno come tanti altri, un pomeriggio di non molto tempo fa.


“André, in guardia!”
“Oscar, non credi che sia abbastanza per oggi?”
“No, voglio battermi ancora... sempre che tu ce la faccia?”
Quel sorriso, inconsapevolmente malizioso.
“Sempre pronto, Oscar. Avanti!”

Ci stiamo allenando da ore, senza tregua, la stessa storia quasi ogni giorno.
Sono stremato ma felice. Felice di sentirla di nuovo viva e quasi completamente ripulita dal pensiero di lui...
Mi è impossibile pronunciare il suo nome.
Mi fa male perfino pensare a quell'uomo che potrebbe portarla via da me.

“André!”
Oscar mi riporta alla realtà gettando a terra i miei pensieri, esattamente come la spada che, senza rendermene conto, è volata sull'erba.
“Oh...”
“André, sei così preso da chissà quali pensieri che mi è più facile del solito batterti.”
“Oscar, io...”
“E' meglio fermarsi qui, per oggi, André.”
“Credo sia meglio, Oscar.”
“André...”
“Si...”
“A cosa stavi pensando?”
“A nulla in particolare Oscar.”
“Certo, e ti aspetti che io ti creda?”
Di nuovo quel sorriso.
“Non ti sembra d'essere troppo curiosa, Oscar?”
“Va bene André... lasciamo stare... torniamo a casa.”
Camminiamo attraverso il prato poco distante da palazzo Jarjayes, è una bella giornata di aprile, calda.
Camminiamo come facevamo un tempo, conversando amabilmente, passando con una facilità spiazzante da argomenti seri a quelli di poco conto.
Camminiamo uno di fianco all'altro, guardandoci negli occhi senza più timore di leggervi sofferenza o disagio.
Camminiamo uno di fianco all'altro, circondati dalle nostre risate, così simili a quelle di noi bambini.
Un'improvvisa folata di vento scompiglia i capelli di Oscar, piccole ciocche le coprono il viso, creando, sul suo volto, un gioco di ombre che la rendono ancora più affascinante, ai miei occhi.
L'istinto sussurra al mio corpo parole proibite.
Il mio corpo obbedisce senza discutere.
Non posso fermare le mie dita che, senza controllo, si impossessano delle ciocche ribelli, imprigionandole dietro l'orecchio di Oscar.
Oscar mi guarda con stupore, vedo le sue labbra rosse dischiudersi lievemente, senza creare alcun suono.
Le mie labbra copiano l'identico gesto di quelle di Oscar, e con lo stesso stupore mi sorprendo muto.
Un tuono improvviso, così forte da far tremare la terra al di sotto dei nostri piedi, ci viene in aiuto, distraendoci da un imbarazzo insostenibile.

“Sta per arrivare un temporale Oscar, sarà meglio affrettarci.”
“Si, André, dobbiamo arrivare a palazzo prima che...”
“Maledizione!”
Piccole gocce di pioggia sul viso.
“...prima che inizi a piovere.” conclude Oscar.
Le piccole gocce di pioggia sono diventate un intero esercito infuriato, combattono, con armi gelide e pungenti, contro di noi.
“Maledizione!” ripeto.
“Ah ah ah ah ah”
La sento ridere, la guardo ridere, ed è così pericolosamente bella.
“Oscar, dobbiamo tornare a casa, adesso.” le dico.
La pioggia aumenta di intensità.
“Ah ah ah ah”
“Oscar, ma cosa...”
Non ho la forza di continuare, ciò che ho dinnanzi agli occhi ha rubato ogni mia parola, ogni mio pensiero, ogni respiro.
Lei mi è di fronte, il capo buttato all'indietro, il viso rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi e le braccia scostate dal corpo.
La guardo accogliere la pioggia con il riso sulle labbra e vi rivedo, in ogni gesto, in ogni espressione del viso, la bambina che mi gettò nella fontana di palazzo Jarjayes, il primo giorno che vi misi piede.
La piccoletta, il demonietto biondo, di nuovo qui, di nuovo insieme.
La donna pericolosamente bella, è qui anche lei, ed è di lei che ho paura.

“Oscar...” un sussurro, il mio.
“Amo la pioggia, è come se avesse il potere di ripulire ogni cosa.” un sussurro, il suo.
Devi essere ripulita Oscar? Chiedo a me stesso, immaginando, con la rabbia nel cuore, quale sarebbe la risposta.
Ancora lui, ancora Fersen. È dal suo pensiero che pensi di dover ripulirti, Oscar?
Dimentica Oscar, dimentica.
Con movimento incondizionato le mani mi si stringono in pugni.
Lascio che la pioggia lavi via ogni traccia di sporco dal mio corpo, quel lerciume che nessuno può vedere, ma che esiste.
Io sporcato da pensieri proibiti, macchiato da desideri inconfessabili, prego un dio che sembra non voler ascoltare le mie suppliche.
Oh signore strappami dalle carni il desiderio di lei, privami dell'amore per questa donna che è innocente come una bambina, impediscimi di sporcare la sua pelle candida con l'affetto del mio cuore e la voglia delle mie viscere.
Oh signore, persuadimi dal desiderio di macchiarle l'anima.

“Ah ah ah ah”
una sua risata e l'angoscia del mio essere svanisce, portando con sé i brutti pensieri.
“Ah ah ah ah... Oscar ma che ti prende?” le domando, una domanda rivolta a me stesso per primo, che bizzarramente mi ritrovo a ridere senza motivo, trascinato dalle sue risate.
Nessuna risposta da Oscar, la guardo, col viso ancora rivolto alle nuvole scure che preannunciano un temporale.
La guardo dischiudere la bocca e accogliere, al suo interno, le gocce di pioggia.
Gli occhi possono uccidere un uomo.
Sto per distogliere lo sguardo, sentendomi venir meno, ma proprio in quell'istante lei, il demonietto biondo, volta il viso verso di me mostrandomi l'azzurro dei suoi occhi.

“Ah ah ah... te lo ricordi André?”
“Cosa, Oscar?” le chiedo non capendo.
“Quando da bambini decidemmo di scoprire quale fosse il sapore della pioggia.”
L'avevo quasi dimenticato.
“Si, Oscar, lo ricordo...”
“Tu eri convinto che il loro sapore non sarebbe potuto essere che di latte...”
“Come le nuvole...” continuo il flusso di ricordi di Oscar.
“Si, André, come le nuvole, che ti ricordavano la panna.”
“Ah ah ah ah”
Mi sorprende una risata.
“E tu Oscar credevi che il loro sapore fosse di...”
“...di mirtilli... ah ah ah... che stupida!” ora è lei a continuare il flusso dei mie ricordi.
“Come le nuvole che accompagnano un temporale, che sembrano colorarsi di blu con lievi sfumature indaco...”
“Esattamente come i mirtilli...” conclude Oscar prima di perdersi nell'ennesima risata.

Oscar torna ad accogliere la pioggia nella propria bocca, e per un istante mi trovo ad invidiare quelle piccole perle d'acqua, che hanno l'onore e il piacere di posarsi su quelle labbra piene e rosse, che vorrei saggiare, per scoprirne il sapore, che forse potrebbe rivelarsi dolce come le ciliegie.
Il bambino che è in me, spinge prepotentemente per prevaricare l'adulto che vive da troppo tempo.
André adulto lascia il posto da un André bambino, e non vi sono più pensieri, ma solo la voglia di scoprire, ancora una volta, il sapore della pioggia.
Imito lei, la mia vecchia amica d'infanzia, la persona che mi è più cara al mondo, lei, Oscar, la mia famiglia, l'essenza del mio essere.
Chiudo gli occhi e getto il capo all'indietro, apro la bocca e ne lascio entrare la pioggia, che come anni addietro mi delude, rivelandosi insapore.
La pioggerellina diviene acquazzone.
Apro gli occhi e osservo i miei indumenti impregnati d'acqua, non vi è un centimetro di stoffa asciutto, la pioggia si è fatta talmente intensa da far sgocciolare i miei abiti.
Anche Oscar ha smesso di saggiare la pioggia, osserva un punto imprecisato dinnanzi a lei, con un perpetuo sorriso sulle labbra.
La pioggia ha rubato, ai capelli di Oscar, la loro morbidezza, facendoli aderire al suo corpo e accentuandone i riccioli con la pesantezza dell'acqua.
L'acquazzone si fa sempre più intenso.
L'acqua fredda della pioggia si posa pesantemente sul mio corpo, schiaffeggiandomi le guance, ed il tepore di questo pomeriggio d'aprile scompare in un istante, facendomi nascere sulla pelle interminabili brividi.
Brividi che non hanno tardato ad aumentare la propria intensità, quando, occhi venuti dal passato, hanno colto un'immagine già vista.
Gli occhi mi trascinano villanamente in un luogo dove non vorrei tornare, in un angolo della mente dove risiedono i ricordi, e ciò che mi mostrano è ciò che vedono ora, nel presente, luogo differente, certo, ma la scena è quella di allora... in passato immersi nel fiume, oggi, tra l'erba di un prato.
Oscar ed io, come nel passato, uno di fronte all'altra, sorridenti e bagnati.
Come in passato, oggi più di ieri, vorrei non guardare ciò che mio malgrado vedo.
La camicia di Oscar bagnata di pioggia, come lo è la mia, la sua camicia divenuta trasparente, come lo è la mia.
La trasparenza rende evidente la pelle di quello che dovrebbe essere il corpo di una donna, ma non vi è nessun particolare che sottolinea ciò che dovrebbe essere ovvio, non vi scorgo nessuna curva, nessuna rotondità, nulla.
Dolorose fasce costringono il corpo di Oscar, nascondendone la femminilità, e il mio cuore si stringe in una morsa di dolore.
Vorrei domandarle perchè, anche lei, si è rende complice di un atto ingiusto, perchè anche lei, come il generale, combatte contro la propria natura?
Vorrei liberare la donna che è in lei, che son certo, prima o poi, come già sta accadendo in impercettibili sfumature, si ribellerà con una forza inaudita.
Vorrei salvare la donna segregata nel corpo di questo falso soldato.
Vorrei strappare, con tutta la forza del mio amore, quelle fasce che le mortificano il corpo.
Vorrei ma non mi è permesso fare.
Taccio e resto nella mia parte di mondo, quel mondo dove io sono soltanto un attendente, un uomo messo al fianco di questa figura ambigua, come modello, come esempio d'uomo.
Taccio e resto a guardare il magnifico sorriso che non ha accennato a diminuire sul suo viso, ancora perso chissà dove.

“Oscar...” ho timore a rivolgerle la parola.
Non risponde.
“Oscar...” tento ancora.
Silenzio.
Mi avvicino a rilento, con l'intenzione di... non so dire con quale intenzione mi sto avvicinando a lei.
Toccarla? Pronunciare il suo nome? Strapparle, come vorrebbe il mio cuore, le fasce che le stanno impedendo di vivere? Abbracciarla?
La maggior parte di queste cose mi sono proibite.
Le sono accanto, distendo il braccio per sfiorarle delicatamente il braccio, e destarla così dal sogno che sembra averla rapita.
Un lampo, un tuono inatteso.
Oscar sobbalza, voltandosi con uno scatto brusco, dietro si sé.
Il suo corpo urta contro il mio, un gemito esce dalla mie labbra, mentre le sue non smettono di sorridere.

“André... ah ah ah... scusa, il tuono mi ha spaventata.”
La sua voce è al limite dell'euforia. Cosa ti rende così felice Oscar?
“Non preoccuparti, ha spaventato anche me.”
La mia voce trema.
“Amo la pioggia. Amo il profumo della terra bagnata, mi ricorda la mia infanzia... la nostra infanzia.”
La nostra infanzia, ripeto nella mente, ed ha un suono così caldo e rassicurante.
“Oscar, è il caso di tornare a palazzo, siamo inzuppati d'acqua, ci prenderemo un malanno.” le dico indicando i suoi abiti bagnati, e la vedo seguire, con lo sguardo, la mia mano, ed osservarsi senza paura, senza il timore che io possa scorgere quello che la trasparenza della stoffa mostra.
Forte, nascosta al di sotto di quelle fasce, non fugge con l'imbarazzo sul viso, come fece da ragazzina.
Sorride, stupendomi per l'ennesima volta in questo pomeriggio di pioggia.
“André... non avrei paura d'essere sgridato da tua nonna?”
“Oscar... io...”
“Ah ah ah ah ah... André Grandier, hai ancora paura di tua nonna!”
“Ah ah ah ah” rido, di gusto, la sua risata oggi è contagiosa.
Ridiamo, e per chiunque ci vedesse in questo momento, parremmo due stupidi adulti.
Non siamo stupidi, non siamo adulti, non siamo uomo, non siamo donna, siamo soltanto noi, André ed Oscar.
Corriamo verso palazzo Jarjayes, sotto quest'acquazzone d'aprile, col sorriso di due bambini, e col cuore intrappolato, da fasce di stoffa e da catene di un amore impossibile.


Amore e Odio, Odio e Amore, in un susseguirsi di emozioni.
Sento in lontananza la voce della nonna pronunciare parole incomprensibili.
Non odo altro, non vedo altro se non lei, la figura immobile sulle scale.
Una figura di donna fasciata in un abito immacolato.
Non posso guardare altro, se non lei.
Una bellissima donna.
Oscar.
Oscar vestita da donna, mi è ancora difficile pensare che ciò che mi è dinnanzi sia reale.
Ed è una realtà così maledettamente bella da togliere il fiato.
Immagino d'avere, sul volto, un'espressione da ebete.
Oh signore, io l'ho sempre saputo, ho sempre visto, in lei, una donna, ma tutto questo è troppo perfino per me.
Un briciolo di ragione mi trattiene, con tutta se stessa, dal lanciarmi sulla scalinata.
E baciarla.
E sussurrarle quanto sia bella.
Una bellissima donna.
Lei, la mia Oscar, non riesce a sostenere il mio sguardo, un lieve rossore, virginale, le dipinge le gote.
Ora, più di prima, vorrei andare da lei per lambire con un bacio un po' di quell'innocenza che le colora la pelle candida.
Amore.
Solo amore in ogni fibra del mio essere.

“Oscar, piccola mia, è ora di andare, Pierre ti attende alla carrozza.” la voce della nonna mi giunge forte e chiara.

La figura di donna mi oltrepassa, camminando al mio fianco, senza lasciarmi uno sguardo, senza rivolgermi parola.
Scompare.
Oscar lascia palazzo Jarjayes, abbandonando in questa casa, la nostra casa, le vesti di erede, di soldato, le spoglie dell'amica che mi è stata accanto per 20 anni.
Oscar si separa da ciò che è stata fino a qualche ora fa, per divenire, questa sera, una persona nuova, una donna.
Una donna pronta ad usare ogni espediente per conquistare un uomo.
E quell'uomo sarà conquistato, dal primo istante in cui poserà lo sguardo su di lei.
Un uomo fortunato e stolto al tempo stesso.
Un uomo che rimarrà affascinato dalla donna in abiti da sera, ma che per anni non è stato in grado di scorgere, quella stessa donna, sotto egual stoffe, seppur di foggia differente.
Un uomo, il solo uomo che è riuscito a far desiderare, ad Oscar, la  propria natura di donna.
Un uomo. Il conte di Fersen.
Fersen e Oscar.
Odio nelle mie vene, odio dinnanzi ai miei occhi, odio sulla mia lingua.
Odio in tutto me stesso, o quasi, solo il mio cuore ne è immune.
Immune all'odio ma dedito a quell'amore che uccide lentamente.
Vorrei raggiungere Oscar ed urlargli in faccia la verità, quella verità che la porterebbe al tormento, quella verità che le spezzerebbe il cuore.
Lui non l'amerà mai, non potrebbe amarla, non solo perché il suo cuore è di un'altra donna, ma sopratutto perchè non ne sarebbe capace.
Vorrei essere io l'uomo che stasera danzerà con lei.
Vorrei che avesse indossato, per me, quel magnifico abito.
Vorrei poterle confessare il mio amore senza paura di perderla per questo.
Vorrei proteggerla, questa sera, come ho sempre fatto, ma non mi è permesso.
Vorrei amarla, come solo io sarei in grado di fare, con tutto me stesso.
Amerei lei, non il soldato, non la donna in abiti femminili, ma solo Oscar.
Vorrei ma non mi è concesso.
Nulla è concesso ad un servo.
Giaccio nel mio letto, nascosto nel buio di questa notte.
Li immagino danzare insieme.
Immagino Oscar, la mia Oscar, tra le braccia di Fersen.
Odio nelle mie viscere.
Cerco con tutto il mio essere di odiarla e sbarazzarmi, una volta per tutte, di lei, per sempre.
Devo odiarla, non faccio che ripetermelo, e sembro quasi convincermene.
Un rumore.
E l'uomo innamorato è già di fronte alla finestra.
Che sia lei? Mi domando.

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Capitolo 13
*** Il buio ***


Sono di fronte alla finestra della mia camera, guardo il giardino che circonda palazzo Jarjayes. Osservo ogni particolare, ogni piccola sfumatura di colore, ogni dettaglio di questo luogo che credevo di conoscere.
Guardo tutto quello che in questi anni, mi è sfuggito, per distrazione o per semplice noncuranza.
Ho dato per scontato innumerevoli cose, forte del fatto che le avrei ritrovate nello stesso luogo, sempre, ma ora anche il più piccolo granello di polvere è divenuto, per me, un elemento importantissimo.
Esamino gli oggetti, i paesaggi, i volti di chi mi è accanto, tentando di imprimerli nella mente il più possibile.
Guardo.
Guardo, attentamente, tutto ciò che ho paura di dimenticare.
Sono di fronte alla finestra della mia stanza, è una calda mattina di giugno.
Guardo al di la di questa finestra, i giardini di palazzo Jarjayes, con l'unico occhio che mi è rimasto.
Guardo attraverso un freddo vetro e mi pare di scorgervi lei, la mia Oscar, come la vidi una notte di un mese fa, quando ancora ero in grado di vedere senza problemi.

“Oscar...” un sussurro lieve dalle mie labbra.
È tornata tardi, mi dico, con la preoccupazione nel cuore.
La carrozza si ferma al centro del cortile del palazzo, non vi è alcun stemma di famiglia ad ornarla, non questa sera.
Questa sera tutto doveva essere avvolto dal mistero, la carrozza, il cocchiere, persino lei, una bellissima donna venuta da chissà quale luogo.
Una notte di finzione.
Nascosto al di qua di questo vetro, tento di celare la mia presenza, riparandomi dietro al buio di questa notte, che è scivolata, senza rumore, nella mia stanza.
Attendo che un gesto di Pierre mi riporti colei che mi è nuova agli occhi, ma non al cuore.
La portiera della carrozza si apre e, senza alcun aiuto, la vedo scendere.
Un tuffo al cuore, i miei occhi non sono ancora avvezzi a tale cambiamento.
Non sono avvezzi a tanta bellezza.
Eccola li, la mia Oscar, la guardo scendere dalla carrozza.
Le mani, stretta attorno alla stoffa immacolata, tendono l'abito e ne rivelano le caviglie, nude, ed un paio di scarpette col tacco.
L'ennesima fitta al cuore, nata dall'amore e dall'invidia, una per questa donna che amo più della mia stessa vita, e l'altra per l'uomo che questa sera...
Non ho la forza di immaginare, il solo pensiero potrebbe uccidermi.
Un colpo preciso e ne morirei, all'istante.
Poso il mio sguardo sulla bellissima donna venuta da lontano, e quasi ne sorrido di questo folle pensiero, sorriso che muore ancor prima di nascere, sulle mie labbra.
Noto qualcosa, che solo pochi istanti prima, era sfuggito ai miei occhi.
Un errore imperdonabile, una semplice distrazione che mi impedisce di respirare.
I capelli di Oscar, così accuratamente acconciati, sono ora, privi della loro compostezza.
I lunghissimi riccioli biondi le ricadono, scompostamente, lungo le spalle, conferendole un'aria trasandata.
Orribili pensieri mi invadono la mente.
Provo pena per me stesso, che mai, avrei pensato di divenire così meschino.
Porto le mani sugli occhi, per non vedere, per impedire a pensieri indecenti di macchiarle il nome.
Un gesto inutile, il mio.
L'essere meschino ha la meglio su di me.
Immagino Oscar avvolta in orge di parole oscene, quelle parole che saziano il desiderio di uomini ingordi, quelle parole che compiacciono donne senza vergogna, quelle stesse parole che ho voluto, io stesso, sulla mia pelle.
Io, meschino per la seconda volta.
Torno a mirare il paesaggio, attraverso questa finestra, che mi è divenuta nemica, e quasi mi stupisco di non vedervi lei.
Un rumore.
Oscar.
Il ticchettio dei tacchi sembra penetrarmi le tempie, la sento avvicinarsi e istintivamente corro alla porta, i palmi delle mani poggiati al legno, esattamente come la mia fronte.
Ascolto.
Fiuto.
Immagino.
Immagino la donna in abiti femminili, lei, la mia Oscar, correre lungo il corridoio, con la colpa negli occhi.
Mi figuro il suo viso, quel delizioso volto che ho ammirato per tutta la vita, quello stesso volto che ora, so, porta su di esso i segni di un atto inconfessabile.
Le gote imporporate dal piacere.
Le labbra, turgide, macchiate di uno scarlatto così intenso da ricordare il sangue, resesi complici della passione e dell'istinto più bieco.
La pelle, un tempo candida, madida di sudore, sporcata anch'essa da un godimento che non ha nulla a che vedere con l'amore.
Il palmo è mutato in pugno.
Il pugno è trasformato, senza preavviso, in una stretta attorno alla maniglia.
Cosa pensi di fare? Mi domando.
Hai intenzione di ferirla, come, pochi istanti fa, hai ferito il suo pensiero?
Come posso accostare, a lei, parole e gesti così dolorosamente indecenti?
Quale mostro mi è nato dentro, e vi è cresciuto così robustamente, da indurmi a credere che Oscar, la donna che amo, e che so, senza ombra di dubbio, innocente e pura, abbia compiuto, questa notte, qualcosa di così scandaloso?
Nessun mostro dimora nella mia carne, io sono l'essenza stessa della mostruosità, io che, per gelosia, mi trovo a insudiciare il mio solo ed unico amore.
Le presa attorno alla maniglia si è fatta, di nuovo, pugno.
Colpisco il legno che è di supporto al mio inutile corpo meschino.
Non sento dolore.
Sangue.
Il sangue è la medicina, o il veleno, che guarirà o ucciderà, il mostro che son diventato.
Ritorno in me, per quel che mi è possibile, in questa notte di follia.
Respiro a pieni polmoni e mi si palesa, dinnanzi, la verità.
Provo vergogna per me stesso, uno squallido omuncolo, un traditore, un maledetto ipocrita.
Un povero diavolo.
Un uomo.
Un innamorato.
Io giudice ad un processo creato dal mio cuore malato, ho accusato un uomo ed una donna, innocenti, Oscar e Fersen.
Ho accusato due ignari di aver commesso un atto impudico.
Ho gettato su di essi qualcosa che io, e soltanto io, avrei voluto compiere.
Io il solo colpevole.
Colpevole di desiderare, col cuore, con la mente, con le viscere, la donna che questa sera ha danzato con un altro uomo.
Colpevole di agognare, con tutto me stesso, di macchiarle il volto, col piacere del mio corpo.
Colpevole senza possibilità di assoluzione.
Confesso la mia colpa.
Confesso di desiderarti, Oscar, con una tale intensità da rendermi pazzo.
Confesso di volere compiere, con te, su di te, in te, gesti impudici, osceni, indecenti.
Assolvimi, Oscar, perchè ognuno di questi gesti è scaturito dall'amore che nutro per te, quell'amore che brucia la carne, quell'amore che non chiede altro se non di aver il permesso di sporcarti.
D'amore e piacere.
Assolvimi, Oscar, perchè questi gesti non hanno nulla a che fare con il solo ed egoistico piacere della carne, questi gesti nascono dall'amore.
Nessuna assoluzione, per me, questa notte, e forse per le notti a venire, per l'eternità.
Condannato ad ardere di desiderio, d'amore, d'invidia e gelosia.
Condannato ad amare una donna, una bellissima donna, che non presenzierà mai a questo folle processo.
Condannato ad amare una donna che non conosce il mio cuore.
Un rumore.
Dei passi.
Che sia ancora Oscar?
Apro lentamente la porta, vi lascio entrare la fioca luce delle candele, e la vedo, la donna che avevo dipinto come una delle più misere cortigiane.
La volgare sgualdrina, è la creatura più innocente e  pura, mi appare come una bambina.
Il viso, incorniciato dai lunghi riccioli, in disordine, dai quali vi ha strappato la tiara, che tiene stretta nella mano, è ancora più candido del solito.
Vi sono, sul suo volto, delle spudorate macchie scarlatte, ma non è il piacere che ve le ha impresse, ma il dolore, il dolore del cuore, e il pianto dell'anima.
Piange la mia Oscar, la mia piccola Oscar,  piange come non le vedevo fare da tempo, come forse non le ho mai visto fare.
Cosa è successo Oscar? Lui ti ha respinta? Lui non può amarti?
Io, un inetto.
Un mostro.
Ho immaginato la follia, dimenticando l'ovvio, che si è presentato come io stesso avevo preventivato.
Vorrei privarti di un po' del dolore che ti leggo sul viso.
Vorrei proteggerti come ho sempre fatto, e come farò, ancora.
Vorrei ma non posso.
Non voglio.
Voglio che tu comprenda il dolore.
Voglio che tu senta, sulla pelle, quelle lacrime, che so, ti stanno bruciando la pelle.
Voglio che tu stia male.
Solo per un istante, solo per questa notte.
Non vi è odio nelle mie parole, credimi.
Mi auguro che quel dolore, che ora, sembra lacerarti il cuore, ti sia d'aiuto per spezzare le catene che ti tengono incatenata ad una vita che non ti appartiene.
Mi auguro che il dolore che provi, ti faccia comprendere, un giorno, quello stesso dolore che io ho sopportato per un'intera vita.
Piangi ancora, ti vedo, poggiata stancamente sul corrimano della scalinata.
Ti posso udire, sconvolta dai singulti.
Non posso sopportare oltre, non mi è possibile guardarti soffrire, sola.
Esco dal buio della mia stanza, attraverso la luce delle candele e mi avvicino a te, senza produrre rumore.
Sto per pronunciare il tuo nome, ma, repentinamente mi blocco.
Allungo il braccio e senza esitazione poggio la mano sul tuo braccio nudo.
Un tocco leggero, una stretta che non fa male, una carezza infinita.
Non un sussulto del tuo respiro.
Non un balzo del tuo corpo.
Sai che sono io, senza bisogno di parole.
E senza bisogno di parole le tue dita rispondono alla mia carezza, posandosi, furtivamente, per un batter di ciglia, sulla mia mano.
Senza bisogno di parole.
Ci riconosciamo a pelle.
Dio, come vorrei abbracciarti.
Ti guardo salire lungo la scalinata, non ti volti, ma io so, che ancora stai piangendo.
Non ti posso vedere ma so che sei bellissima.
“Ti amo Oscar.”
Un sussurro.
Che non puoi udire e non puoi sapere.


Piango lacrime che bruciano come il fuoco.
Piango lacrime vive e morte, dall'occhio che ho perduto e dall'occhio che mi è rimasto.
Piango le medesime lacrime che versò Oscar, nella notte delle menzogne.
Piango per la donna che non posso avere.
Piango per l'occhio che mi è stato tolto, per un fatale scherzo del destino.
Piango per me stesso, un pazzo innamorato, senza speranza.
Piango perchè, in un tempo che non è lontano, perderò il solo occhio che mi è restato.
Piango per tutto ciò che il buio mi porterà via.
Ma piango, sopratutto, per l'unica cosa che davvero mi mancherà, come l'aria.
L'unica cosa che possedevo.
Il mio tesoro.
Poterla guardare.
Poter guardare lei.
La mia Oscar.
Orfano delle sue attenzioni, orfano del suo amore, ma appagato, nei momenti di maggior sconforto dal sapere di poter almeno guardarla.
Piango.
Urlo! Urlo contro un dio che mi sta privando della luce.
Urlo contro un dio che mi sta privando della cosa più importante.
La vita.
Il cuore.
Lei.
Oscar.

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Capitolo 14
*** Preghiera ***


Ho pregato dio, un tempo, perchè mi concedesse la luce.
Ho implorato dio, un tempo, perchè mi salvasse almeno un occhio.
L'ho maledetto, quello stesso dio, per la croce che mi gettò addosso e, lo ringraziai, per aver risparmiato Oscar, che avrebbe potuto essere al mio posto, quando il cavaliere nero mi ferì.
Ho imprecato quando l'occhio ferito smise di vedere, ed ho bestemmiato, ancora, quando anche l'altro iniziò a darmi problemi.
Ho rinnegato dio, un tempo, con la convinzione che nulla avrebbe potuto fare per me e per quel “senso” che a poco a poco mi stava abbandonando.
Ho chiesto perdono, a dio, perchè mi donasse ancora un po' di tempo, prima di privarmi dell'unico occhio rimastomi, non per me stesso, ma per lei, la mia Oscar, per poterla guardare ancora, per avere il tempo di scolpire, la sua immagine, nella mente.
Ho pregato di poter continuare ad avere, dinnanzi agli occhi, il suo volto.
Quante notti ho consumato a recitar preghiere? Io stesso non ne ho il conto.
Tante, troppe.
Tutto questo per lei.
Oscar, l'unica persona che non avrei potuto accettare di non vedere, l'unica persona che mi sarebbe mancata, come il sangue nelle vene, come il battito del cuore.
Tempo perso, il mio, dopo tante suppliche, dopo essermi lacerato la lingua per le troppe litanie recitate, ora, ho una sola richiesta per questo dio.
Toglimi la vista.
Rendimi cieco.
Getta sui miei occhi la notte.
Dio, ripudia le mie invocazioni.
Io non merito la luce del sole.
Io non merito di posare, su di lei, il mio sguardo.
Io non merito, nemmeno, di ricordare il suo volto.
Dio, regalami l'oblio.
Oh signore, estirpa, dal mio unico occhio, l'immagine che è divenuta il mio solo paesaggio.
Oh signore, allontana, dalla mia mente, il ricordo di quella dannata sera che ha fatto, di me, un essere senz'anima.
Oh signore, puniscimi, come io non sono in grado di fare, per codardia o per presunzione.
Mi butto, in ginocchio, sul pavimento, in quella postura che è fatta per adorare i santi.
Piango.
Lacrime come preghiere.
Poso le mani sui miei occhi, uno morto, l'altro moribondo, implorando santi, pregando qualsiasi dio.
Rendimi cieco. Puniscimi.
Non voglio più vedere il suo viso.
Non voglio più udire le sue urla.
Non voglio più sentire il suo corpo.
Oh signore, fammi dimenticare, come se nulla fosse accaduto.
Ma qualcosa è capitato, ed io non posso smettere d'avere, dinnanzi agli occhi, quella maledetta sera.
Ed io non posso impedirmi di rivivere, all'infinito, ciò che accadde, nel giorno in cui persi l'anima.


Musica.
Musica dal piano di sopra.
Ascolto Oscar suonare il pianoforte e mi sembra quasi di poter dimenticare tutto.
La perdita del mio occhio sinistro.
La gelosia, che mi è nata sottopelle, il giorno in cui Oscar si è vestita da donna.
La rabbia, incontenibile, nei confronti del Conte di Fersen.
Fersen.
No, lui non riesco a dimenticarlo.
Lui, l'amante della Regina, il conte venuto dalla Svezia, l'uomo che ha vinto la sfida più ardua, conquistare il cuore di Oscar, è venuto in visita a palazzo Jarjayes, qualche giorno fa.
Una visita inaspettata.
Gradita ad Oscar, tremendamente sgradevole per me.
Una visita inaspettata che, con parole mirate a colpire senza pietà e qualche bicchiere di brandy, ha  celato la verità al di sotto della maschera che Oscar si era cucita addosso.
Una meravigliosa maschera di donna.
Il conte, stupendo le mie convinzioni, ha compreso, forse per la prima volta nella propria vita, la verità.
Oscar era la misteriosa donna che danzò con lui, un mese fa, alla reggia di Versailles.
Stupore nei loro occhi, così come nei miei.
Una lama nel cuore e le mani serrate in pugni, senza controllo, pronti a colpire.
Guardo Fersen stringere nella mano il polso di Oscar, avvicinandosi pericolosamente a lei, pronto a sbugiardarla.
Quel che successe dopo mi pare più che ovvio.
Quel che era stato, fino a poco tempo addietro, un sentimento celato è divenuto ora, reale, così reale da essere in grado di uccidere.
Si può morire per mano del proprio amore?
Si può, io muoio lentamente giorno dopo giorno.
Oscar ne è morta.
Oscar è stata uccisa dall'assenza dell'amore, ed ha ucciso, per ripicca, quella parte di lei che stava ritornando alla vita una seconda volta.
Quella parte di lei che l'ha vestita alla nascita.
Oscar ha assassinato, senza pietà, la donna, ed ha accolto in sé, coscientemente, l'uomo.
Oscar vivrà come un uomo, oggi più fortemente di ieri.
Senza ritorno.
Ancora musica dal piano di sopra.

“André, invece di stare seduto a non far nulla, dammi una mano, per favore. Porta questo vassoio a Madamigella Oscar.”
“Si, nonna, vado immediatamente.”
“Grazie André.”
“Di niente, Oscar.”

L'ascolto suonare e attendo, come mi è stato insegnato, che finisca di bere ciò che le ho portato e, solo dopo, sento di  poter andarmene.

“C'è altro che posso fare per te Oscar?” le chiedo e mi pare di non aver pronunciato altro in tutta la vita.
“No, André, ti ringrazio.”
“Bene, allora ti auguro una buonanotte Oscar.”
“André, aspetta, devo parlarti.”
“Si, Oscar.”
“Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo, volevo dirti che non intendo più avere il tuo aiuto André. Vedi, io non so quale sarà il mio prossimo incarico,  ma appena lascerò la guardia reale, credo che non avrò più alcun bisogno di te. Devo imparare a vivere senza appoggiarmi a nessuno. Buonanotte.”

Ma cosa dici Oscar? Vuoi punire te stessa perchè Fersen non ti ama? E vuoi punire anche me, per questo?
Non ha peso, per te, l'amicizia che ci unisce da 20 anni?
Non ho peso, io, nella tua vita?
No, Oscar, non puoi, non ti permetterò di sbagliare ancora, non ti consentirò di mortificarti di nuovo.

“Anch'io ti devo dire una cosa. Una rosa è una rosa anche se essa sia bianca o rossa. Una rosa non sarà mai un lillà, Oscar.”
“Vorresti dire che una donna resta sempre una donna in ogni caso? Questo vuoi dire? Rispondimi, devi rispondere André.”

Ho parole morte nel cuore.
Percepisco, in ogni muscolo del mio corpo, una stanchezza centenaria.
Non ho più parole, consumate, perse, sprecate, in questi anni.
Non ho più intenzione di lottare, nessuna voglia di discutere.
Arreso a me stesso.
Poso il mio sguardo su Oscar, in collera come non mai.
La guardo, senza muovere un passo, avvicinarmisi e, con un gesto tipicamente suo, sferrare uno schiaffo sul mio volto.
Arreso a me stesso.
Arreso, a quella parte di me, che credevo d'essere in grado di controllare.
Incasso il colpo e non smetto di guardarla.
Oscar è fuori di sé.
La guardo, ancora, afferrarmi il colletto della camicia, le sue mani mi strattonano, avvicinando pericolosamente, il mio viso, al suo.
Arreso, a quella parte di me, che ho tenuto in catene per troppo tempo.
Percepisco, una parte di me, che ho sempre celato ad Oscar.
Accecato dall'esasperazione, dall'ottusità, dalla noncuranza, di colei che mi è di fronte.
Le afferro i polsi, li stringo attorno alle mie dita, senza riguardo, senza la delicatezza che le ho riservato in tutti questi anni.
Stringo sempre più forte.
Non smetto di puntare i miei occhi sui suoi.
Lei invece abbassa lo sguardo, ed ha un paio di occhi stupiti.

“Così mi fai male Andrè.” sento le sue certezze infrangersi a terra.

Ti faccio male Oscar?
Bene.
Farti provare dolore è ciò che voglio.
Questa è la stretta di un uomo, queste sono le mani di un uomo.
Riverso sui suoi polsi tutta la forza che è nel mio essere maschio, tutta quella forza che le ho nascosto per una vita intera.
La guardo e posso leggerle la paura sul volto, questo mi avrebbe fermato, un tempo, ma non ora.
Ora, in lei, non scorgo la donna da  proteggere, ma vedo, in lei, la donna che desidero, quella donna che lei ha rinnegato, pochi istanti fa.
Stringo i suoi polsi, ed il solo contatto con la sua pelle nuda, ha acceso, in me, quell'eccitazione che ho provato, in mille notte, tra le lenzuola del mio letto.
Credi ancora di poter essere un uomo, Oscar?
Un uomo si sarebbe liberato dalla stretta delle mie mani.
Stringo ancora.
Ti sto facendo male.
Mi eccita.
Mi scruti con occhi stupiti, ed io ti desidero Oscar, desidero la donna che sei e che non accetti.
Desidero il tuo corpo, così arrendevole sotto le mie mani.
Desidero le tue labbra, così dannatamente rosse, così pericolosamente piene.
Arreso al mio essere maschio.
Arreso al mio essere istinto.
Arreso alla voglia di te.
Aumento la stretta attorno ai tuoi polsi e mi chino di fronte al tuo viso, di fronte ai tuoi bellissimi occhi azzurri, che si sono spalancati, come finestre.
Poso le labbra sulle tue, e sono calde, e morbide e...
Baciarti è un gesto così strano, folle, ma fortemente voluto.
Dio, sto perdendo la ragione e non ne sento addosso la colpa.
Sento, invece, il sapore della tua bocca, in cui mi sono spinto con arroganza.
E sai di buono, Oscar, un dolce sapore che mi ubriaca.
Carezzo la tua lingua con la mia, e il calore che emani striscia lungo il mio corpo, alimentando, ancora di più, il fuoco che mi sta divampando nelle vene.
Sei ancora sicura, Oscar, di voler essere un uomo?
Riesci a sentire la donna che sei?
Le dita mi dolgono per la pressione che imprimo sui tuoi polsi.
Provi dolore Oscar?
Devi provarne.
Devi saggiare questa sofferenza, ne hai bisogno, io stesso ne ho bisogno, per capire, per accettare.
Accetto l'amore che non può essere nient'altro, mai più nascosto, mai più soffocato.
E tu, mia cara Oscar, devi accettare d'essere donna, nel corpo, nel cuore, nell'anima, in questo tuo essere sottomessa dalla mia sola forza fisica.
Il fuoco sotto la pelle, è divenuto, un incendio, che neppure la ragione può spegnere.
Il fumo della passione mi annebbia la mente ed avvolge i miei lombi, in una stretta così decisa da essere dolorosa.
Le viscere mi si contorcono in contrazioni di piacere.
Ti bacio, Oscar, e non ho nessuna intenzione di smettere.
Il mio corpo è impazzito.
Ho superato quel confine che ci era stato imposto, senza parole, dalle persone che hanno unito le nostre vite.
Ho superato quel confine che, io stesso, avevo giurato di non infrangere, mai.
Ho superato il confine e non voglio più fermarmi.
Faccio pressione contro il tuo corpo.
Un passo indietro.
Le mani attorno ai tuoi polsi.
Un altro passo indietro.
Le mie labbra hanno catturato le tue, costringendole, tra di esse, in una morsa di piacere.
L'ennesimo passo indietro ed il tuo corpo cede.
Precipitiamo, rimanendo in questa insolita stretta, sul letto.
Cado su di te, amore.
Urto il tuo corpo con una tale violenza da farti mancare un respiro.
Il mio corpo, di uomo, sopra il tuo corpo, di donna.
Non vi è più anima in me, non vi è più l'ombra di ragione.
Istinto.
Passione.
Desiderio.
Follia.
Sensazioni che premono sui miei lombi, inducendo, il mio corpo, a fondersi con il tuo.
Lo senti Oscar?
Senti cosa significa essere uomini?
Riesci a comprendere, ora, qual è realmente la pesantezza di un uomo?
Riesci a sentire, Oscar, il desiderio che spinge, prepotentemente, nel ventre di un uomo?
Mi muovo su di te.
Io sento.
Io sento il tuo corpo di donna.
Le braccia esili sotto la prepotenza delle mie dita.
Le rotondità del tuo seno, che oggi, non hai imprigionato nelle fasce.
Odo dei leggeri gemiti uscirti dalle labbra, li sento posarsi sulle mie.
Me ne nutro.
Sei sconvolta Oscar?
Mai ti saresti aspettata un tale comportamento da parte mia, non è vero?
È questo che ti fa agitare sotto di me? È questo che ti fa gemere?
Che sia la paura?
O forse...
Che io sia riuscito a spaccare la corazza che avvolge la tua natura?
Che sia questo, il fremito, che sento?
Che sia per questo che, per un istante, hai avvicinato la tua gamba al mio fianco?
Lo senti Oscar?
Il piacere che compare, senza annunciarsi, nelle carni?
Lo senti Oscar?
Quell'istinto irrazionale che, senza una spiegazione logica, ti porta a compiere gesti che si credono innaturali?
O forse... è semplicemente paura.
Non vi è più controllo in me, vorrei giacere su di lei per sempre, soddisfacendo, in questo modo, il mio piacere.
Senza violarla, semplicemente stringendomi a lei, stringendomi al suo corpo di donna.

“Lasciami André o chiamo aiuto!”

Odo la tua voce, ma non è in grado di riportarmi indietro.
Perso.
Scomparso.
Disperato.
In te.
Odo la tua voce e mi stupiscono le tue parole, urlate, ma solo in parte lievemente incorniciate dalla paura.
Cosa ti succede Oscar, perchè non sento il terrore tra le righe di questo grido?
Perchè non odo, nella tua voce, quella determinazione che ti permetterebbe di far accorrere qualcuno, qui, in questo istante?
Cosa ti accade Oscar?
Lo senti? È così non è vero?
Lo senti, Oscar, il tuo corpo di donna sotto di me?
Si, credo di si, e forse è proprio questo che ti sta terrorizzando.
E forse è proprio questo che ti sta spaventando a morte, più che la paura, che so, stai provando in questo istante.
Avido del tuo corpo.
Non voglio liberarti.
Ingordo delle sensazioni che, il tuo corpo, involontariamente, mi sta facendo dono.
Non voglio lasciarti.
Consegno, senza permesso, la delicata pelle del tuo collo, alle mie labbra.
Sai di buono, Oscar, ogni porzione del tuo essere sa di buono.
Respiro il profumo della tua pelle, dei tuoi capelli.
Ed è il medesimo odore che avevi da bambina, quando ci addormentavamo insieme, nel tuo letto, questo stesso letto che, ora, accoglie in nostri corpi, adulti.
Perso nella passione.
Perso nel desiderio di te, non posso impedirmi di spingermi contro le tue membra.
Provoco in te reazioni che traviano la mia mente, reazioni a cui non so attribuire nome, medesimo desiderio? Paura? Rabbia?
Il fumo della passione mi offusca la vista.
Desidero.
Desidero con tutto me stesso ciò che mi è stato negato da sempre.
Desidero vedere ciò che sei, Oscar.
Mostrati, a questa mia anima stanca, a questo mio cuore affaticato per il troppo amore.
Destati Oscar!
Voglio provocarti.
Voglio svegliare la donna che so, che sento, esiste nel tuo intimo.
Destati Amore, te ne prego.
Voglio vedere.
Voglio vedere, ciò che la mia pelle, non vorrebbe smettere di percepire, sotto di sé.
Reso folle dalla fame della carne lascio la stretta attorno ai tuoi polsi, e indirizzo, la mia mano, la mia mano da uomo forte e rude, su un lembo della candida camicia che indossi.
Un gesto dissennato e, mi ritrovo, tra le mani, un brandello di stoffa, come fosse un essere morto.
Un grido, il tuo.
Un colpo in pieno stomaco, il mio.
Dinnanzi agli occhi quella parte di te che ti rende donna.
Il piacere è divenuto una fitta di dolore, al di sotto degli indumenti.
Sei donna Oscar, non vi è scampo, sei irrimediabilmente donna, lo sei sempre stata, nel mio cuore, ma ora, lo sei, nei miei occhi.
Vorrei tornare sul tuo corpo e perdermici per sempre.
Stringo nella mano il lembo di stoffa, come,  pochi minuti prima, stringevo i tuoi polsi.
I tuoi polsi, così dolorosamente sporcati, macchiati da imperdonabili pennellate rosse.
Mi osservi, Oscar, e nei tuoi occhi vi leggo il vuoto, lo stupore assoluto.
Lasci cadere la testa di lato, invitando, i tuoi riccioli biondi, a carezzarti il volto.

“Bene e adesso? E adesso che cosa vorresti farmi André? Cosa vuoi provare?”

Ti sento Oscar, ora riesco a sentirti chiaramente.
Sento te, la mia Oscar.
La donna che amo.
La tua voce spezzata dal pianto.
Ti vedo Oscar, non più folle di desiderio, ma come ti ho sempre guardata, con amore.
Copiose lacrime ti bagnano il viso.
Che cosa ho fatto?
Cosa ti ho fatto Oscar?
Quale stregoneria mi ha indotto a fare...
Ora sento, sento il brandello della tua camicia bruciarmi nella mano.
Meschino.
Crudele.
Vigliacco.
Misero.
Non vi sono altre definizioni per il mio essere.

“Ti prego, perdonami Oscar. Giuro su dio che non ti farò mai più una cosa come questa.”

Le parole fuoriescono dalle mie labbra senza controllo, vere, sincere, come lo sono le lacrime che non tento di fermare.
Mi avvicino ad Oscar, copro quella nudità che la mia lussuria le ha scoperto.
Cammino come un randagio verso l'uscita.

“Una rosa non potrà mai essere un lillà. Ascolta Oscar, non potrai mai cancellare di essere nata donna. Per 20 anni ho vissuto con te, e ho provato per l'affetto per te, solo per te, io ti amo Oscar, credo di averti sempre amato.”

Le dico con la voce che, a fatica, riesce a sovrastare le lacrime e i singulti.
La sento piangere, la mia Oscar, quella bambina che è cresciuta con me, questa donna che ho ferito, oggi, col mio stesso amore.
Io il più miserabile degli uomini.
Io il più spregevole degli uomini.
Io che avrei dovuto proteggerla, da chiunque e da se stessa, io per primo le ho procurato dolore.
Dolore fisico.
Dolore dell'anima.
Dolore del cuore.
Perdonami Oscar.
No.
Puniscimi Oscar.
Il disprezzo è ciò che merito.
Puniscimi e rendimi pazzo, più di quel che già sono.
Puniscimi per ciò che ti ho fatto.
Puniscimi per aver avuto la presunzione di credere di poter attirare, a me, la donna che giace nel tuo cuore.
Puniscimi perchè io non ne sono capace.
Puniscimi, perchè so, non potrò smettere di amarti.

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Capitolo 15
*** Ferite ***


Sono morto, e rinato, in una sola giornata.
Ho perso il cuore e l'ho riavuto indietro, in parte, in quel tempo che vive tra l'alba e il tramonto.
Ho creduto di non aver più speranze, in questa vita, e in quella che mi attende oltre la morte.
Ho creduto d'essere perso per sempre.
Ho creduto di non riuscire a morire e, in quell'istante, ho implorato la mano di un assassino.
Ho supplicato, d'essere risparmiato, quando la mia implorazione fu accolta.
Io colpevole di un gesto imperdonabile, ho accettato, di buon grado, tutto il dolore che io stesso pregai mi fosse inflitto.
Io colpevole di un atto ignobile, dettato da un amore tormentato, devastante, insopportabile, ma non per questo giustificato.
Io ero pronto ad accettare il male più sconvolgente, conscio del mio peccato.
Ero pronto a tutto ma non a parole che mi furono scagliate contro, come massi, senza ch'io potessi far nulla, senza ch'io potessi difendermi.
Ero pronto a soffrire, in eterno, per un cuore che mai avrei potuto tenere tra le mani.
Pronto a sacrificare la mia intera esistenza all'amore.
Un amore evanescente.
Pronto a rendere, il mio corpo, sordo ai piaceri della carne.
Pronto ad asfissiare il cuore, con le mie stesse mani.
Pronto ad ogni sorta di privazione.
Per lei.
Lei.
Oscar.
Lei che, stupidamente, non ho mai considerato davvero una donna.
Bizzarri questi miei pensieri.
Bizzarri, per me, che ho perpetuamente sostenuto di vederla “donna”.
Bizzarro, per me, che non ho fatto altro che riempire la bocca con quelle stesse parole che, prepotentemente, mi si sono rivoltate contro.
Donna.
Donna è colei che ha, sul corpo, forme differenti a quelle di un uomo.
Seni, rotondi e materni, custodi di quel nutrimento vitale per i neonati.
Seni, morbidi e lussureggianti, per deliziare i sensi degli uomini.
Ventre, creatore e protettore della vita.
Ventre, estasi e tormento, della carnalità maschile.
Donna è colei che, per natura, o per imposizione, denuda il proprio essere dalle vesti di figlia, per indossare, prima o poi, quelle di moglie e madre.
Questa è dunque una donna.
Oscar, una donna.
Una donna, come le altre, eppur dissimile a loro, per il mio cuore.
Il mio cuore, un imperdonabile ottuso.
Il mio cuore, io stesso, sicuro alle spalle di una insensata certezza.
Oscar, una donna.
Una donna che mai si sarebbe vestita con abiti di moglie e madre.
Una sciocca certezza, la mia.
Una certezza che, curiosamente, era in grado di darmi attimi di pace, come istanti di luce, nel buio della sofferenza.
Lei, la mia Oscar, una donna, una donna che non sarebbe mai stata mia.
Un dolore, atroce.
Lei, la mia Oscar, una donna, una donna che non sarebbe mai stata mia, ma che non sarebbe stata neppure di altri.
Una lieve consolazione, un secondo di felicità.
Ho disegnato le mie labbra con questa parola, Donna, senza conoscerne il reale sapore, senza attribuirne il reale significato.
Ne ho storpiato il concetto, inventandone altri, per lei, per la donna che amo, e per me stesso, per puro e semplice egoismo.
Oscar, una donna, come tutte le altre.
Una certezza disintegrata dalle semplici parole di una vecchia signora.
Mia nonna.
“Corre voce che madamigella Oscar si sposerà molto presto, almeno questo è il desiderio del padre.”
Qualche settimana fa, quel dardo, che non sapevo dimorasse su di me, mi colpì quasi mortalmente.
Quella stessa ferita, qualche settimane fa, ha alleviato, seppur in parte, il dolore sordo della mia anima.



“Oscar si sposerà molto presto... Oscar si sposerà...”
Non ho più il controllo dei miei pensieri, vagano come imbizzarriti nella mia testa.
Stringo tra le mani le pietanze che, mia nonna, ha preparato appositamente per me, il nipote sciagurato.
Stringo il cibo incurante della forza che vi ci sto imprimendo.
Nulla esiste al di là di poche, spietate, parole.
Oscar si sposerà.
Come è possibile? Come è successo?
Oscar non può sposarsi.
Non era previsto.
È qualcosa che non era contemplato dal mio cuore.
Non può sposarsi.
No, Oscar non può sposarsi, lei è un soldato.
No, Oscar è una donna.
Dannazione.
Per anni l'ho incoraggiata ad ascoltare la sua vera natura, ad accettare la propria femminile, ed ora che, in donna, sta mutando in ogni più minuscola sfaccettatura, io voglio che torni, che sia, senza possibilità di ricomparsa, un soldato.
Una donna soldato.
Una donna soldato a cui non è chiesto di indossare le vesti di moglie.
Una donna soldato che non può donarmi il proprio cuore, ma che posso ammirare, ogni giorno della mia misera vita.
Una donna soldato che non ricambierà mai il mio amore e che non sarà mai di nessun altro.
Una magra consolazione, la mia.
Una magra consolazione che, fino a pochi istanti fa, mi era di conforto.
Non vi è mai dimorato, nel mio cuore, il suo amore, ed ora anche il conforto è stato cancellato.
Che ne sarà di me?
Un uomo disperato.
Un essere scarnificato dall'amore.
Diventerò pazzo?
Ho paura. Ho paura di divenir pazzo, per troppo dolore.
Un rumore dissolve i pensieri.
Dei soldati della guardia, mie compagni di camerata, dividono con me lo stesso lungo corridoio.
Parole crudeli, per me, scritte con inchiostro dello stesso colore della rabbia.
I miei compagni di camerata, uomini del popolo, come io stesso sono, non mi accettano, non accettano il mio passato a servizio dei nobili, non accettano me, un attendente, uno sporco servo dei ricchi.
I miei compagni di camerata, non più “compagni”, ma solo uomini straripanti d'odio, stanno per riversare, sul mio corpo, tutto il rancore che nutrono per la nobiltà e, senza ombra di dubbio, per Oscar.
Picchiatemi, intimo loro, picchiatemi senza risparmiarvi, troverete pane per i vostri denti.
Io figlio del loro stesso odio, riverso su di loro la rabbia verso la nobiltà che mi divide da colei che amo.
Riverso, su di loro, il mio dolore per il bieco umorismo di questa bizzarra vita
Riverso, su di loro, l'odio, che sa d'amore, per Oscar.
Ho lottato, con tutto me stesso, con ogni fibra del mio essere uomo, con tutta la forza che ho celato in questi anni.
Ho lottato con la forza della disperazione ed ho perduto, sovrastato, più per numero, che per robustezza, contro uomini accecati dall'astio.
Giaccio su un lurido pavimento, piango, senza controllo, dimenticando il dolore.
“Oscar non ti sposare. Ti prego Oscar, non sposarti. Non ti sposare.”
Le ultime parole che ricordo.


Apro l'unico occhio che mi è rimasto, a fatica, tentando di mettere a fuoco ciò che mi è di fronte.
Il riverbero di una candela mi colpisce l'iride.
Un dolore accecante, un lamento.
Riesco a mettere a fuoco, per quel che è consentito al mio occhio moribondo.
Un altro dolore.
L'infermeria, credo d'essere nell'infermeria della caserma.
L'ennesima fitta di dolore, al fianco, alla testa, in ogni angolo nascosto del mio corpo.
Mi metto a sedere, rischiando di cadere.
La testa mi duole tremendamente provocandomi dei fortissimi capogiri.
Poggio le mani sulle ginocchia, mi sorreggo.
Faccio ricadere la notte sul mio occhio, respiro profondamente, sperando di tornar lucido.
Solletico sul mio braccio, nudo, suppongo.
Apro l'occhio e...
Lei.
No, sto certamente sognando, o forse, sono semplicemente morto.

“André... ti senti bene?”
Che anche le mie orecchie mi stiano ingannando, come il mio occhio malato?
“André! André! Riesci  a sentirmi?”
“Comandante... ehm... Oscar...”
Sono confuso.
“André, come ti senti?”
“Dolorante Oscar, dolorante, e mi gira la testa.”
porto una mano alla fronte.
“Immagino André, ti hanno picchiato per bene.”

Posso ancora sentire i suoi lunghi riccioli biondi solleticarmi il braccio.
È chinata davanti a me, la mia Oscar, la fonte del mio tormento, mi osserva, con gli stessi occhi incuriositi e spaventati, che aveva da bambina, quando aveva, dinnanzi a sé, qualcosa di nuovo.

“Ho restituito il favore, Oscar, con la stessa intensità.”
“Davvero un bel comportamento. Dopo essermi complimentata con te andrò a complimentarmi con il resto dei tuoi compagni.”
La voce dura ed autoritaria ed uno sguardo che sta per diventare furente.
“Ho dovuto difendermi, Oscar, altrimenti m'avrebbero ammazzato.”
Abbasso lo sguardo.
Silenzio.
Un tuffo al cuore.
Sento il volto sollevarsi e, dita fatte di fuoco, imporre quel movimento involontario al di sotto del mio viso.
Oscar mi tiene una mano sotto il mento, a sostegno del mio volto instabile, mentre con l'altra  tampona quella che, immagino, sia una ferita allo zigomo.
Vorrei non guardare, vorrei ma lei mi è così vicina, il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Vorrei non guardarla ma, sarebbe un delitto, sprecare tanta bellezza.

“Ahi...”
Brucia.
“Shhhh...”
 
Non aggiunge altro, ed io, mi  perdo in quelle labbra rosse che si sono arricciate, rendendosi ancora più piene e desiderabili, per zittirmi.
Un dubbio fulmineo.
Perchè sei qui Oscar? Perchè mi stai aiutando? Perchè, proprio ora, hai deciso di cancellare la distanza che mettesti tra di noi?
Per compassione? Per pietà?
Mio dio, Oscar, non farlo, non donarmi altro dolore.
Vorrei trovare il coraggio di parlare e rendere voce questi miei pensieri, ma tutto ciò che fuoriesce dalle mie labbra è un nome, un nome invocato con un tono che sa d'urgenza.

“Oscar!”
“Oh, scusa, ti sto facendo male?”
“Solo un po'...”
“Stai tranquillo, ho quasi finito.”

Scruto il suo volto, così intento ad osservare, a sua volta, le mie ferite.
La guardo e ritrovo l'amica di sempre, i medesimi occhi azzurri, ma tristi, come non lo erano un tempo.
La osservo, forse troppo profondamente, da imporre il mio sguardo su di lei, come fosse tocco.
Mi par quasi che lei abbia sentito, realmente, la carezza dei miei occhi su di sé.
Mi guarda anch'essa, con l'imbarazzo negli occhi.
Indietreggia un po', portandosi dietro la mano che sembrava, al mio folle cuore, carezzarmi il mento.
Un capogiro, il buio nell'occhio moribondo, il cuore in gola e il respiro pesante.
Non posso controllare il cammino del mio corpo sbilanciarsi in avanti.

“André!”
“Ooh...”

Oscar mi sorregge stringendo le mani attorno alle mie braccia, nuovo fuoco sulla mia pelle.
Un gesto istintivo, cerco di liberarmi dalla morsa delle sue dita.
Troppo calore.
Quel calore, un dolore più forte delle ferite stesse.
Lascio cadere il capo stancamente.
Osservo distrattamente le mie gambe penzolare dal lettino.
Altro fuoco, altro dolore.
Vuoi uccidermi Oscar?
Oscar prende il viso tra le mani, me lo solleva con una lentezza estenuante.
Il tuo volto, così dannatamente bello, esageratamente vicino al mio, posso sentire il tuo respiro.
Vuoi uccidermi Oscar, non vi sono dubbi.

“André! Stai bene? Sei di nuovo qui?”
“Si, Oscar... sono di nuovo qui.”
“Bene, cerca di restare con me. Bisogna finire di medicarti.”
“Grazie Oscar...”
Non dici nulla e riprendi a tamponarmi le ferite.
Studio ogni singolo gesto delle tue mani e rimango stupito da ciò che è evidente, immagino, ad entrambi.
Stai tremando.
Le tue dita tremano.
Oscar Francois de Jarjayes, comandante dei soldati della guardia, cresciuta come un uomo, immune alla paura, tu, stai tremando come una persona comune.
Miro le tue dita, ne scruto i movimenti, per capire, per comprendere la causa di quel tremito che non ti abbandona.
Assisto, con l'amore nel cuore, alla disfatta delle tue mani, ogni qualvolta le osservo posarsi su quelle parti di me, che erano rimaste celate, ai tuoi occhi, da quando i nostri corpi mutarono in quelli di adulti.
Il petto.
Il ventre.
I lombi.
Quelle parti che fanno di me un uomo, così differente da te, una donna.
Una donna.
Una donna che presto diventerà la moglie di qualche ricco nobile.
Vorrei morire, vorrei, prima che la pazzia si impossessi della mia vita.
Non ti sposare Oscar. Non ti sposare.
Vorrei gridartelo in pieno volto.
Non ti sposare.
Io, perso irrimediabilmente in questi pensieri masochisti.

“Aah...”
Un gemito, sfuggito alle mie labbra, mi riporta alla realtà.
Dolore e piacere.
Piacere e pazzia.
L'imbarazzo senza fine, sul tuo volto.
La tua mano ha compiuto un passo azzardato, un inammissibile errore.
Un assaggio di estati per il mio corpo.
La mia ferita, poco più sotto l'orecchio, in prossimità del collo.
Le tue dita, scosse dai fremiti, una piccola pezzuola tra di esse.
Un movimento troppo deciso, un istante di distrazione.
La pezzuola sfugge alla presa, mentre, la tua mano, continua la precipitosa corsa su quella strada che era destinata a percorrere.
La tua mano, le tue dita, senza controllo.
Le sento scivolare, pesantemente, sul collo e poi giù, sul petto.
Sul petto, in quel punto, arresti il danno, creandone, senza rendertene conto, un altro.
Il mio gemito ha il potere di farti distogliere la mano.
Provo dolore, la carne brucia dove vi è stata quella delle tue dita.
Mi domando cosa mi accadrebbe se tu mi concedessi il tuo amore.
Mi domando, con una sorta di terrore dell'anima, cosa accadrebbe se tu mi toccassi.
Potresti uccidermi Oscar, ne sono quasi certo.

“Bene, credo di aver medicato tutte le ferite. Stanotte rimarrai in infermeria. Devi riposare. Cerca di rimetterti in forze, André.”
“Lo farò, Oscar, e... Grazie.”

Non rispondi, come sempre.
Non scorgo il tuo volto dal momento in cui hai distolto la tua mano dal mio petto.
Fuggi i miei occhi, tentando di celare ciò che è più che evidente, ciò che è quasi naturale.
Imbarazzo.
Turbamento.
Parole che hai imparato ad evitare, negli anni.
Io lo so, Oscar, che su quel volto che hai voluto nascondermi, avrei scorto un lieve rossore che, ti avrebbe resa, al mio unico occhio, l'essere più desiderabile della terra.
Richiamo, in me, l'oblio, bramando un istante di pace, in cui perdermi ripensando al tocco delle sue dita.
Il sonno non tarda a giungere, rapendo il dolore del corpo, il pensiero di lei, ma sopratutto, eclissando il tormento più grande, saperla sposa, un giorno.



Morto e risorto.
Risorto con indosso, ancora, mille ferite.
Pesto ma vivo.
Tornato alla vita, col medesimo dolore nel cuore, un dolore che è parte del mio essere, un dolore che tormenta, che lacera, che fa gridare, ma che non può uccidere, non ancora, almeno.
Un dolore senza il quale non esisterebbe il mio amore, per lei.
Un amore folle.
Forse.
Un amore malato.
Sicuramente.
Un amore che ha un lieve retrogusto di speranza, di tanto in tanto.
Una speranza che tu, mia cara Oscar, hai posato sulla mia anima, sotto forma di respiro.
Una speranza trasformata in alito caldo.
Un soffio di respiro mutato in parole.
“André io... io sono convinta che non mi sposerò tanto presto.”
Una semplice frase, stupore e felicità.
Tu sapevi Oscar, tu, forse, hai udito le mie parole quel giorno.
Ora so, Oscar, perchè trovai te a curare le mie ferite.
Ora so che qualcosa si è spezzato in quella distanza che, al momento, ci sta separando.

Sono risorto.
Passato oltre.
Consapevole e pronto a camminare di nuovo.
Ringrazio e maledico questo amore senza il quale non potrei vivere.
O forse potrei ma, questo, ora, non mi è dato saperlo.
Poso le dita sui tagli non ancora del tutto rimarginati.
Poso le dita su quel lembo di pelle che, il fuoco del tuo essere, ha percorso il giorno che medicasti le miei ferite.
Carezzo la mia carne e so, oggi più di ieri, che morirei.
Si, morirei se tu mi toccassi.
Morirei.
Per troppo amore.

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Capitolo 16
*** Tradimento ***


“Qual è il tuo nome, tesoro?”
“Non ho alcun nome, stanotte.”

Non ricordo quando, e come, sono arrivato in questa bettola.
I fumi dell'alcool hanno cancellato ogni ricordo, ogni senso, qualsiasi accenno di ragione.
Il demone rosso mi possiede con sempre maggior frequenza e, nei momenti meno opportuni, mi seduce, con quel dolcissimo sapore che ha la promessa di anestetizzare il cuore.
E Dio solo sa, quanto io abbia bisogno, di placare quel dolore che non sembra volermi dar pace.
Il cuore, uno degli organi più importanti per il nostro essere.
Il cuore, custode di gioie e dolori.
Il cuore, tormento e delizia degli innamorati.
Il mio cuore, un organo che, un tempo, ho creduto mi sarebbe scoppiato in petto, per il troppo amore.
Il mio cuore, ora, guardiano di quello stesso amore, che nutre e uccide nel medesimo istante.
Il mio cuore, un intollerabile traditore.

“Straniero...”
“Uhm...” il demone rosso ha fagocitato, di nuovo, tutto ciò che mi è attorno.
“Sei piuttosto strano... tesoro, cosa ti prende?”

Non ricordo quando, o come, sono giunto in questa bettola, ma so per certo d'aver scelto, questa donna, in piena coscienza.
Ho scelto d'essere desiderato piuttosto che desiderare.
Ho scelto d'avere anziché rinunciare.
Ho scelto, consapevolmente, di assecondare il mio corpo.
Ho scelto, con fermezza, di dimenticare.
Ho scelto di accettare il desiderio di una donna e, che questo trasporto sia dovuto a vero piacere o per il vile denaro, non ha importanza.
Ho scelto per me, soltanto per me stesso, questa sera.
Ho scelto, in piena coscienza, il piacere della carne.
Questa sera pretendo di ignorato la mia identità, il mio passato, e tutto ciò che ha fatto parte di me.
Questa sera dimenticherò il mio cuore, e l'amore malato, insopportabile, insensato, che vi è celato all'interno.
Questa sera ho bandito il buon senso e la ragione.
Questa sera, in me, non vi è più dimorato André Grandier, nato povero, cresciuto come un orfano in una famiglia di nobili, attendente di una donna che vive come un uomo.
No.
Non più André Grandier follemente innamorato di...
Non voglio pronunciare il suo nome, se lo facessi, se assecondassi il languore della mia lingua, verrei meno alla promessa che ho stipulato, questa sera, con quella parte di me che vuol vivere.
Quella parte di me che vuol saggiare la vita, senza dolore.
Questa sera sono un uomo senza nome.
Un uomo, senza nome, privo di cuore e anima.
Un uomo, senza passato, fatto di passione e desiderio.
Un uomo, senza volto, che desidera un corpo di donna.

“Hey, straniero... sei sicuro di volerlo fare? Non sarai per caso timido?”

Non rispondo, le parole sono bandite dalle mie labbra.
Guardo la donna che mi è dinnanzi e posso sentire, al di sotto delle mie membra, l'uomo che per troppo tempo vi è rimasto sopito.
Guardo la donna che ha il desiderio negli occhi, quella donna che brama il mio corpo.
Guardo questa donna che io, uomo senza nome, ho sedotto senza timore, con una disinvoltura che non immaginavo d'avere.
Le parole sono bandite dalle mie labbra.
Col mio unico occhio osservo la donna che occupa, con me, una modestissima stanza da letto.
Una donna in abiti femminili.
Una donna, senza restrizioni.
Una donna.

“Ragazzo forse è meglio lasciar perdere, probabilmente ho capito male...”

Le parole sono bandite dalle mie labbra.
Mi avvicino con passo deciso alla donna, anch'essa senza nome, come lo sono io, questa sera.
Senza ragione ne buonsenso, stringo i suoi polsi, così fragile sotto le mie dita.
Senza ragione ne buonsenso, sotto la morsa delle mie mani, le porto le braccia dietro la schiena.
La guardo, la donna senza nome e non scorgo, in lei, la paura.
Tocco, la donna senza nome e avverto, in lei, l'eccitazione della carne.
La donna, stretta al di sotto delle mie dita, restituisce, al mio viso, il mio stesso sguardo.
Un sorriso che ha il medesimo tratto che vidi, molti anni prima, sulle labbra di Colette, compare sul volto della donna senza nome.
Voglia.
Desiderio.
Passione.
Follia.
Queste le parole che leggo nei suoi occhi e mi sorprendo di non trovarvi il terrore.
La bacio senza limitare il mio desiderio, la bacio con l'intenzione di divorarne l'essenza, con l'intenzione di rendere, mio, il suo sapore.
Lei, la donna senza nome, mi bacia con lo stesso trasporto e mi offre, senza preavviso, la delicata pelle del collo.
Le parole sono bandite dalle mie labbra.
Il dolore è bandito dal mio cuore.
Il mio nome è esiliato dal mio corpo.
Mi nutro, senza pietà, di colei che freme al di sotto della mia bocca.
Odoro il desiderio della sua pelle.
Ed io stesso desidero.
Voglio.
Pretendo.
E la donna, prigioniera delle mie mani, incita i miei gesti, sollecita la mia lingua, richiama a sé la virilità del mio corpo.
Non  ho più nome.
Non ho più passato.
Non vi è più ricordo, in me.
Consumo il presente con quell'urgenza di chi ha la morte alle spalle.
Urgenza di vita.
Urgenza di piacere.
Urgenza di felicità.
La carnalità non ha tempo.
La lussuria è un'impaziente maliarda, che preme, senza ritegno, al di sotto delle stoffe.
Spingo il corpo, della donna senza nome, contro la parete di questa stanza, contro un muro sporco e infettato dall'umidità.
Libero il suo seno, simbolo di femminilità, e vi affondo il viso.
Le sue mani ancora immobilizzate sotto la forza del mio essere uomo.
Uomo senza restrizioni
La sento, la donna senza nome, ansimare ad ogni colpo della mia lingua.
La odo, la donna senza nome, invocare il piacere.
Sciolgo la morsa della mie dita attorno ai suoi polsi, per un istante, il tempo di alleviare il dolore del mio corpo.
Svelo, ai nostri occhi, il vigore del mio essere maschio.
Svelo, ai nostri corpi, il rigido e pulsante desiderio delle mie membra.
Uomo senza nome.
Uomo senza passato.
Uomo senza ricordi.
Uomo fin dentro alle viscere, senza controllo, senza vergogna.
Uomo alla stregua di un animale.
Sollevo le ampie gonne, della donna che non ha smesso di implorare la mia forza, scoprendone le gambe lunghissime, fasciate in provocanti calze nere.
Innalzo la mia passione.
Violo le membra della donna senza nome, placandone così le implorazioni.
Giaccio, immobile, tra le cosce di questa donna sconosciuta.
Giaccio tra il fuoco del suo interno.
Un tocco, lieve.
Dita, minute e delicate, mi sfiorano il viso.
Spingo il mio essere uomo, profondamente, con forza.
Mi muovo con sempre maggior potenza, con sempre maggior frequenza.
Mi spingo, con tutto il mio essere maschio, nell'intimo della donna senza nome.
Dita, minute e delicate, mi sfiorano il viso, ancora.
Afferro i polsi, della dolce donna senza nome, sbattendoli alla parete, con violenza, ed elevandoli poi, al di sopra della sua testa.
Invoca il piacere, la donna sconosciuta.
Invoco piacere, io stesso, uomo senza nome.
Gemiti e grida.
Preghiere e suppliche.
Mi intima di non fermarmi, la donna senza nome, ed io obbedisco, come mi pare d'aver sempre fatto, in quella vita, che ora, fatico a ricordare.
Quella vita, che ora, non voglio ricordare.
Obbedisco e muto in puro e semplice ardore.
Obbedisco e divengo animale.
Obbedisco e rubo, alle labbra della donna, grida di piacere.
La violenza dei mie fianchi la fa sollevare, obbligandola a sostare sulle punte dei piedi, quando entro in lei più profondamente.
Preghiere.
La dolce donna senza identità mi prega, mi supplica, di non arrestare la mia corsa.
La dolce donna senza nome, istiga, il mio essere istinto.
Raggiungiamo il piacere che ha il sapore del fuoco e un retrogusto di dolore.
Piacere e dolore.
Gemiti e grida.
Sudore e dolce miele della passione.
Scivolo al di fuori del suo intimo.
Respiri affannosi come musica di sottofondo.

“Straniero... mi sbagliavo, non sei affatto timido...”
Sorrido senza proferir parola.
“Posso sapere il tuo nome adesso?” mi chiede sistemandosi l'abito.
Sorrido, ancora, porgendole il denaro che le spetta.
“Ti ringrazio straniero, ma...”
Mi si avvicina, la donna senza nome.
Le labbra a sfiorarmi l'orecchio, il respiro bollente.
“...sappi che accetto il denaro solo perchè non ho di che mangiare, ma credimi, non è stato lavoro, questa notte, è stato piacere...”
Le sorrido, per l'ennesima volta, posandole il denaro nella mano.
Le sfioro i segni che le mie dita le hanno lasciato sui polsi.
Mi sorride, a sua volta, stringendomi la mano, e posando, sulle mie labbra, un dolcissimo bacio.
Io, questa notte, un uomo senza nome.
Io, un uomo senza passato.
Un uomo, senza ricordi.
Un uomo, puro e semplice.
Io, solo un pover'uomo.
Questa notte ho combattuto contro me stesso, ricercando un piacere effimero, una falsa felicità.
Questa notte ho cercato di dimenticare tra le braccia di una donna sconosciuta.
Questa notte ho cercato rifugio, nel piacere di una donna senza nome.
Questa notte ho provato, invano, a fuggire.
Fuggire il cuore.
Il mio cuore, un imperdonabile traditore.
Il mio cuore ha ceduto ai piaceri della carne, per dimenticare.
Tutto per dimenticare lei.
Lei, la mia Oscar.
Ho combattuto una guerra che sapevo, fin dal principio, avrei perso.
Sconfitto miseramente.
Io, uno stupido traditore.

“André...” le prime parole pronunciate dalle mie labbra, finalmente libere.
Le prime parole che riservo, con quella dolcezza che non le ho donato, alla donna senza nome.
Mi sorride, con altrettanta amabilità.
La osservo, la donna sconosciuta, prima di lasciare per sempre questo luogo e non farvi più ritorno.
Contemplo, per un momento, la figura che sembra stonare con la desolazione di questo posto.
Una donna.
Una bellissima donna con lunghi riccioli biondi.
Una donna con un paio di occhi che sembrano provenir dall'azzurro del cielo.
Una dolcissima donna dalla pelle bianca come il latte.
Burlato, da quella parte di me, che credevo libera.
Beffato dalla mia stessa mente.
Battuto dal mio stesso cuore.

“Anais...” mi sussurra la donna, che era, un respiro fa, una donna senza nome.
Col sorriso sulle labbra mi meraviglio di non sentirle pronunciare un altro nome.
Mi sorprendo di non sentirle scivolare dalle labbra quel nome....
Oscar.




Percorro la strada che mi riporterà in caserma, tra odori insopportabili e lo schiamazzo continuo.
Percorro la strada che, in senso contrario, qualche ora fa, mi ha condotto tra braccia di una donna disperata, una bellissima donna divenuta merce di piacere, per necessità.
Percorro quella strada fatta di ricordi che, giorni addietro, ha fatto nascere, in me, la ferma decisione di ignorare l'amore.

Vorrei piangere ma non vi sono più lacrime in me.
Vorrei piangere ma non avrebbe senso.
Le lacrime stesse non potrebbero alleviare il dolore, sordo, del mio cuore.
Sono a terra, immobile, ancora dritto e teso, ancora sorretto dalla rabbia e dalla paura.
La paura di perdere la mia Oscar.
Il generale Jarjayes ha lasciato il suo studio, richiamato dalle grida di un messaggero di Sua Maestà.
Sei dietro di me, Oscar, non posso vederti ma percepisco la tua presenza.
Immobile.
Ho sentito la tua voce.
Lieve.
Insicura.
Come non lo era mai stata.
Ho sentito la tua voce giungere di seguito alla mia.
Ho udito parole che non hanno fatto che aumentare il mio tormento.
Ho udito, quelle parole, che hanno dilatato il vuoto del mio essere.

“André, io...”

Cosa Oscar? Cosa?
Parla.
Concludi, quelle parole, che non fai che ripete, perpetuamente, da una vita intera.
Parla, Oscar, oppure taci, per sempre.
Un istante fa ho dichiarato l'amore che nutro per te, dinnanzi a tuo padre.
Un istante fa ho chiesto, a tuo padre, di togliermi la vita per non essere dilaniato, da quel dolore, che ha il potere di devastare ma non di uccidere.

“Allora se ci dovete uccidere, uccidete prima me. Perchè se mi uccidete dopo sarò costretto ad assistere alla morte donna che io amo.”

Nudo.
Col cuore, ancora pulsante, tra le mani.
Nudo ma fiero del mio amore per te, Oscar.
Il terrore di poterti perdere mi ha reso impavido.
Il pensiero, straziante, di non averti più nella mia vita, di saperti morta,  persa, scomparsa per sempre, ha acceso, in me, la disperazione.
Disperazione che è mutata in folle coraggio.
Nulla più avevo da perdere.
Ho attraversato lo studio del generale Jarjayes con una furia cieca negli occhi.
Ho imposto, sull'uomo che mi ha accolto in questa dimora, tutta la forza del mio essere egualmente maschio.
Ho minacciato, quello stesso uomo, che ha unito la mia vita a quella di Oscar.
Non potevo permettere che lui, il grande generale Jarjayes la uccidesse.
Il grande generale Jarjayes, vorrei avere la forza per ridere, per ridere di quell'uomo che stava per togliere la vita, alla propria figlia, per un folle retaggio culturale.
Oscar, colpevole d'aver tradito la famiglia Reale.
Oscar, colpevole d'aver guardato al di là di stupide questioni di rango.
Oscar, colpevole d'aver creduto nell'uguaglianza tra le persone.
Io, colpevole delle medesime convinzioni.
Io, un servo, colpevole d'amare una donna nobile.
Io, non merito il perdono del generale.
Noi, Oscar ed io, non meritiamo il suo perdono.
La morte l'unica soluzione.
Non provo odio per il generale Jarjayes, ma solo, inesorabile, pena.
Non provo odio, per te, Oscar.
Non lo provo, ma vorrei accoglierlo in me.
Lo bramo.
Desidero odiarti, amore mio, perchè mia non sei, perchè io non sono nulla per te.
Desidero odiarti, Oscar, per le parole che non hai mai pronunciato.
Voglio odiarti, per le parole che quest'oggi, hai lasciato sospese, tra la follia di tuo padre e il mio amore.
La tensione del mio corpo mi sta abbandonando, la paura e la rabbia scivolano lungo i nervi, che mi danno l'impressione d'essere scoperti, indifesi, conduttori di dolorose scosse.
Il mio corpo, stanco, forse più della mia anima, precipita a terra.
Poggio i palmi delle mani sul pavimento di marmo.
Il respiro ha la stessa consistenza della pietra.
Sei ancora li, Oscar?
Avverto la tua presenza, o forse, la mia mente logora si sta prendendo gioco di me.
No, nessun inganno, nessuna allucinazione, ci sei, ti sento.
Avverto il tuo respiro convulso.
Stai per piangere amore mio?
Come vorrei trovare il coraggio, quello stesso coraggio che ha mosso i miei arti, incalcolabili minuti fa, per alzarmi da questo freddo pavimento e stringerti tra le braccia.
Come vorrei trovare il coraggio di portarti via con me.
Come vorrei, trovare la forza, di sopportare il tuo rifiuto.
Fatico a respirare.
La vista sta venendo meno.
Il buio sul mio occhio, come spesso accade, ultimamente.
Un passo.
Un altro passo, ancora, subito dopo.
Sei tu Oscar? Stai andando via?
Non andartene, rimani, come presenza muta e invisibile, ma pur sempre qui, viva e presente.
Per ora.
Un profumo.
Il tuo profumo, Oscar.
Quel profumo che non ha parole, quella fragranza che non ha nome.
Che stia impazzendo?
Che sia morto?
Oh signore, se questo significa morire, uccidimi, uccidimi cento, mille volte ancora.
Un'impercettibile sensazione tra i miei capelli, un brivido, come una leggera brezza.
Il vento è giunto fin qui? Oltre le mura? Oltrepassando le finestre? O forse sono le tue dita, Oscar?
Sto divenendo, irrimediabilmente, pazzo.
Devo sapere.
Devo dissuadere, il mio cuore, da false speranze.
Mi volterò e non la troverò in questa stanza.
Mi volterò e vi sarà solo il buio.
Mi volterò, e tu non ci sarai, ed io, potrò continuare a sopravvivere, senza nuovi dolori.
Raccolgo le ultime forze, volto il capo e...
Ci sei.
Dietro di me.
Sei dietro di me, amore mio, così vicina da rendermi pazzo.
Così pazzo da pensare di non aver immaginato, le sensazioni che il mio corpo ha tentato di svelare.
Mio dio, Oscar, toccami ancora, carezza nuovamente i miei capelli.
Dammi un segno.
Ti prego, Oscar, esprimi con i gesti ciò che la tua bocca ha negato.
Chiarisci, per l'amor di dio, per non firmare definitivamente la mia condanna, la mia presenza nella tua vita.
Chiarisci, una volta per tutte, il ruolo che ho nel tuo cuore.
Ti prego.
Un gesto.
Una parola.
Un colpo di spada.
Qualunque cosa fuorché il silenzio.
Te ne vai, oscuro angelo, lasciandomi solo.
Te ne vai, stipando in me, l'ennesima delusione.
Vorrei piangere ma... che senso avrebbe?
Delle voci.
La voce, di tuo padre.
Sei stata perdonata, mia amata Oscar, la tua vita è salva.
Ringrazio dio e lo maledico.
Ringrazio dio per averti risparmiato la vita.
Maledico dio per aver risparmiato la mia, di vita, una vita senza il tuo amore.
Potrò mai smettere di amarti?
No.
Ti amo Oscar, ti ho sempre amato e ti amerò fino alla fine dei miei giorni.
Vorrei odiarti, amore mio, ma mi è impossibile anche solo immaginarlo.
Vorrei odiarti, ma per ora, cercherò soltanto di celare il mio amore.
Voglio dimenticare, senza odio.
Voglio dimenticarmi di te.
Voglio dimenticarmi di te con tutto me stesso.
Voglio dimenticare ciò che sei.
Voglio dimenticare il mio amore.
Voglio dimenticare il tuo viso.
Voglio dimenticare, per non morire di troppo amore.
Voglio dimenticare, per non doverti odiare.

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Capitolo 17
*** Sensi ***


Il buio negli occhi, il tempo di un respiro, e in quel tempo già mi manca.
Il buio negli occhi, oggi più di ieri.
Ed oggi, più di ieri, maledico questo crudele pegno d'amore.
Ventagli.
Spille.
Fazzoletti.
Gioielli.
Carteggi.
Questi i più comuni pegni d'amore tra innamorati.
Lividi.
Sangue.
Ferite.
Cicatrici.
Questi gli inconsueti pegni d'amore di un folle innamorato.
Questi, gli unici pegni d'amore, che avrei mai potuto donarle.
Questi, gli unici pegni d'amore, che lei, avrebbe accettato.
Quei pegni, i miei, insoliti lacci d'amore, simboli di una promessa eterna.
Il buio negli occhi.
Ancora.
Il buio negli occhi, e ne è valsa la pena.



“André, immagino mi avrai cercata nel mio ufficio. Mi sono dovuta allontanare un momento, scusa.”
Sento la voce di Oscar, chiara, limpida, fresca.
Sento la voce di Oscar e fatico a scorgere la sua figura, la vista è sempre meno nitida.

“Non importa, cosa volevi Oscar?”
“Siamo in attesa di ordini, così pensavo di tornare a casa con te.”
Sento la voce di Oscar, chiara, limpida, fresca e tremendamente dolce.
Sento la voce di Oscar e non la riconosco.

“So di che ordini parli, e preferisco rimanere con i miei compagni.”
L'ordine sarà quello di sedare i disordini, l'ordine sarà di combattere contro il popolo.
Combattere contro il popolo, contro la povera gente, una richiesta disumana.
Una pretesa arrogante.
Il popolo, la povera gente, il terzo stato.
Me stesso.
Io stesso faccio parte di quella forza armata che, prima o poi, ci verrà imposto di attaccare.
Non posso, il mio cuore me lo impedisce.
Il mio corpo me lo impedirebbe, lo so, se solo provassi ad impugnare il fucile contro chi mi è equivalente.
Sento la voce di Oscar, odo la sua richiesta.
Quella richiesta che bramo da mesi.
Quella richiesta che bramo dal giorno in cui mi trasformai in un folle animale.
Dal giorno in cui lei costruì una fortezza tra di noi.
Odo quella richiesta che, in circostanze differenti, avrei accettato senza il minimo dubbio.
Ma non oggi.
Oggi, il mio sangue, le mie origini, hanno vinto contro l'amore.
L'anima ha prevalso contro il cuore.
André ha vinto contro...
Cosa...?
Non posso vedere, i raggi del sole sono nemici del mio unico occhio moribondo.
Non posso vedere ma posso sentire, e ciò che sento, ciò che percepisce la mia pelle è qualcosa di inaspettato.
I sensi, compagni di tutta una vita, conduttori di piacere.
I miei sensi, ora, complici di un assassino che mi è impossibile scorgere.
I miei sensi, hanno accolto, in sé, ciò che gli occhi hanno perso lungo il corpo.
I miei sensi.
Gusto.
Udito.
Olfatto.
Tatto.
I miei sensi, orfani della vista, hanno aumentato le loro percezioni.
I miei sensi quintuplicati.
Il mio senso.
Il Tatto.
Non sento, no, io sento fin sotto la pelle.
Non percepisco, no, percepisco fin dentro le viscere.
Sento, fin sotto la pelle, le mani di Oscar posarsi attorno alla mia.
Percepisco, fin dentro le viscere, le mani di Oscar stringersi attorno alla mia.
Cosa stai facendo Oscar?
Sei Oscar?
Chi è la figura dai contorni incerti che mi è dinnanzi? Non può essere lei.
Sei tu Oscar? No, tu non avresti mai azzardato un gesto così intimo.
Non puoi essere tu, Oscar.
Chi sei?
Un'allucinazione della mia mente ormai sfinita?
La donna della locanda? Anais?
No... può essere soltanto lei.
Il suo profumo non può essere confuso con altri.
Il suo profumo è il primo odore che ricordo, subito dopo quello di mia madre.
Il suo profumo è l'unico che ricorderò, in punto di morte.
Sei tu, la mia Oscar.
La mia Oscar, eppure così diversa.
La tua voce, il tocco della tua mano.
Cosa ti accade, amore mio?
Qualcosa che ho “già visto”, un pensiero, come un improvviso capogiro.
La mia mente volge al passato.
La mia mente ha solo un nome sulle labbra.
Fersen.
Che tu sia ancora innamorata di lui Oscar?
Solo allora ti vidi nello stesso stato in cui ti percepisco ora.

“No André, voglio che questa volta tu venga con me. Le strade sono molto pericolose in questi giorni e io ho paura.”
La sua voce, ancora fresca, limpida, tremendamente dolce.
Stai ridendo ora, Oscar?
La sua risata, fresca, limpida, divertita, consapevole.
Consapevole d'aver mentito.
Colpevole senza vergogna.
Hai mentito, mia cara, hai mentito spudoratamente.
Hai finto senza maschere.
Hai mentito facendo tue, quelle parole, quelle inflessioni della voce, quello sciocco modo di ridere, che hai sempre odiato.
Hai mentito come farebbe una donna.
Hai finto d'essere una piccola e fragile dama indifesa.
Hai finto per ottenere ciò che vuoi.
Riderei anch'io, con te, Oscar, ma il riso mi è morto in gola.
Cosa diavolo ti prende?
Perché agisci come una stupida cortigiana?
Per quale motivo, d'improvviso, rivolgi, a me, parole che non ti appartengono?
Per quale motivo, inaspettatamente, hai impugnato delle armi che non sono forgiate per la guerra?
Per quale motivo, hai acquisito, d'improvviso, quelle virtù create per sedur...
Sedurre...
Cosa ti prende André?
Devo essere impazzito, devo aver perso la ragione senza averne avuto il benché minimo sentore.
Oscar sta mentendo consapevolmente per ottenere ciò che vuole?
Oscar, questa strana ed irriconoscibile nuova Oscar, che mi è dinnanzi senza poterla scorgere, ha puntato, contro di me, quelle armi che ogni donna, d'ogni età, maneggia per sedurre?
Si, non vi sono dubbi.
Oscar ha usato, contro di me, quella femminilità che ha sempre rinnegato.
Quella femminilità, che ora, è scivolata, senza fatica, con una naturalezza imbarazzante, da ogni fibra del suo essere.
Un dubbio soltanto alberga nella mia povera mente sfinita.
Perché?
Non vi so dar risposta.
Colpito e affondato.
Le armi di questa nuova Oscar, come d'altronde è sempre stato, hanno fatto, di me, uno schiavo.
Un perdente.
Un consapevole sconfitto.
Uno sconfitto, felice.
Uno sciocco innamorato.
Hai mentito, piccola bugiarda, per ottenere ciò che vuoi?
Avrai ciò che vuoi.
Come sempre.

“Va bene, Oscar, se hai paura verrò a casa con te.”

Percorriamo, la strada che ci sta conducendo a palazzo Jarjayes, con lentezza.
Siamo in marcia da qualche minuto e, ne io, ne Oscar, tramutiamo, in parola, i pensieri.
Volgo lo sguardo in direzione di Oscar.
La guardo, la vedo, la vista è tornata nitida.
La osservo, senza ritegno.
La guardo, la mia Oscar, con voracità, con la voglia di farla mia.
Con quella voglia di imprimere, in me, ogni particolare del suo volto.
La osservo, senza distogliere lo sguardo, nemmeno per un istante.
La guardo e, quando anche lei, posa i suoi occhi sul mio volto, non fuggo.
Non fuggo il magnifico azzurro dei suoi occhi, e lei, non lo nasconde, come avrebbe fatto un tempo.
I nostri occhi si esplorano, come fossero stranieri.
I nostri sguardi si analizzano, come fosse la  prima volta.
Che sia questa strana calma prima dell'inferno, a dipingere, su di noi, e forse, sull'intera Francia, una sorta di inquietudine?
Che sia la tensione, il dolore, la paura, a renderci così stranamente diversi?
Che anch'io sia diverso, agli occhi di Oscar?
Tu sei così differente Oscar, o forse, sono soltanto i miei sensi, esasperati, a forviare le miei sensazioni.
Eppure mi pare di intravedere, in te, una luce a cui non so attribuire un nome.
Tu, una donna con armi per sedurre.
Bizzarro.
Eccitante.
Folle.
Hai usato tali virtù con me? Per sedurre me?
Bizzarro.
Folle.
Impossibile.
Che tu, forse, magari, ti sia resa conto di...?
Provo vergogna anche al solo pensiero.
Tu innamorata di me...
André sei un pazzo! Un povero illuso!
Non sto perdendo soltanto la vista ma anche la ragione.
Oscar non aveva nessuna intenzione di sedurmi.
Che stramberie ha partorito, la mia mente?
Oscar era certamente in vena di scherzare, il riso ne è la prova.
Oscar avrà voluto burlarsi di me, come un tempo, come era solita fare quando eravamo bambini.
Volto il mio sguardo su di lei, e mi stupisco di trovarvi ancora, su di me, i suoi occhi.
Non posso tacere.
I sensi, questi maledetti.

“Oscar...”
“Uhm...”
“Cosa ti prende oggi?”
“Uhm... cosa?”
“Cosa ti prende, oggi, Oscar?”
“Perchè mi fai questa domanda André?”
“Perchè non hai smesso di guardarmi da quando siamo montati a cavallo.”
Diretto e pungente, come una secchiata d'acqua gelata.
Dischiude le labbra, senza riuscire, però, ad emettere un suono.
Arrossisce lievemente.
Aggrotta le sopracciglia.
“André, cosa dici? Ero sovrappensiero, è un puro e semplice caso, che il mio sguardo si sia posato su di te, avrebbe potuto benissimo posarsi sul muso del mio cavallo, o su una zampa del tuo!”
Abbassa l'azzurro dei suoi occhi, un istante, ma la scorgo, pochi secondi dopo, posarlo ancora sul mio viso.
Un sorriso mi dipinge le labbra, di un rosso acceso.
Un caldo e piacevole rosso acceso.
I miei sensi, così pericolosamente attivi.
I miei sensi, così piacevolmente gonfi.
Percepisco ciò che un tempo mi era sconosciuto.
Percepisco ciò che la mente, disillusa, non ha il coraggio di capire.
Vi è qualcosa, in lei, in Oscar, che non vi esisteva, un tempo.
Vi è qualcosa, in Oscar, che è mutato senza preavviso.
Vi è qualcosa di dissimile tra me e lei
Il suo sguardo, che da sempre si è posato sul mio essere, ora, ha una consistenza differente.
Ora, il suo sguardo, sembra posarsi, in me, piuttosto che su di me.
Le parole, che mi riserva, hanno la leggerezza di un respiro.
Il tocco, delle sue mani, è carezza e fuoco nel medesimo istante.
Possono, queste sensazioni, essere irrimediabilmente fasulle?
Possono, queste sensazioni, essere frutto della mia fantasia?
Che sia il mio cuore a suggerirmi questi folli pensieri?
Che siano loro, i miei sensi, gli artefici di questa dissennatezza?
Probabile.
Ed io voglio perpetuare la mia, e la loro, follia.
Tatto.
Udito
Olfatto.
Gusto.
Vista.
Non smettete il vostro eccentrico divertimento.
Non smettete di burlarvi di un povero uomo innamorato.
Continuate a illudere il mio cuore.
Seguitate a illudere la mia mente.
Persistete, nel rendere magica, questa insolita passeggiata.
Prolungate, col piacere del Ma, e col piacere del Se, questa strada che ci condurrà, senza possibilità di ritorno, incontro a nuovi tumulti, incontro a nuovi dolori, di questa Francia ormai distrutta, e di questi nostri cuori, ormai segnati.

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Capitolo 18
*** Nascita ***


Se solo fossi stato un nobile.
Se solo fossi stato un nobile avrei potuto sposare Oscar.
Se solo fossi stato un nobile, il generale Jarjayes, mi avrebbe concesso sua figlia.
Il generale Jarjayes avrebbe visto di buon occhio un matrimonio tra me e Oscar
Se solo fossi stato nobile.
Il generale Jarjayes avrebbe caldeggiato la nostra unione.
Se solo fossi stato un nobile.
Il generale avrebbe concesso tutto questo, perché convinto l'avrei resa felice, la sua Oscar.
Se solo fossi stato un nobile.
Poche parole, precise, pronunciate ad occhi bassi, da un insolito Generale.
Poche parole che hanno ferito la mia dignità, il mio orgoglio, le mie origini.
Inizialmente.
Poche parole, pronunciate ad occhi bassi, che mi hanno riempito il cuore.
Alla fine.
Poche parole, pronunziate ad occhi bassi, quasi con imbarazzo, in quel luogo che è parte di me, come un prolungamento del mio corpo, una parte del mio essere.
Un luogo che mi ha visto crescere.
Un luogo che mi ha visto piangere.
Un luogo che ha accolto, secoli addietro, le risate di due bambini.
Un luogo che è stato testimone, silenzioso, della nascita di un amore, il mio, per lei.
Un luogo che non dimenticherò mai.
Il mio rifugio, il mio porto sicuro, la mia anima, il mio tormento.
Le scuderie.
E proprio in questo luogo, poche ore fa, il generale ha fatto di me un uomo.
Il duro e burbero generale Jarjayes, ha trasformato, un piccolo servo, in un uomo.
Un uomo, puro e semplice.
Solo un uomo ai suoi occhi.
Un uomo spogliato da stupide etichette.

“Spero che non ti accada niente, lo desidero davvero, André.”

Queste ultime parole, enunciate a testa alta, dall'uomo che mi ha cresciuto.
Queste ultime parole, le più forti, per il mio povero cuore affaticato.
Queste parole, le ultime, hanno riempito, per un istante, quel vuoto che ha il nome di mio padre.
Il generale, una sorta di padre, per me.
Un padre detestato, a volte.
Un padre incomprensibile, altre.
Un padre quasi odiato, altre ancora.
Un uomo, puro e semplice, anch'esso.
Un uomo che, immagino, mi abbia voluto bene, in un qualche modo.
Un benefattore, il caro generale Jarjayes.
Un benefattore, senza il quale, non avrei incontrato lei.
Un teatrante, il bizzarro generale Jarjayes.
Un pazzo teatrante che, con perversa maestria, ha declamato la storia di una bellissima donna vestita da uomo.
Una folle pantomima, senza la quale, non sarei esistito.
Una pantomima che, se non fosse esistita, non mi avrebbe condotto a lei.
Lei, la prima donna.
La protagonista senza diritto di replica.
Lei.
La mia Oscar.
L'amore della mia vita.
Mi cinge le spalle, il Generale, con quelle mani che gli ho visto usare, per tutta la vita, come fossero armi, in battaglia, così come nella quotidianità della famiglia.
Mi cinge le spalle, con quell'affetto che non immaginavo, con quel calore che non credevo vivesse in lui.
Ho lasciato palazzo Jarjayes, quella casa che da bambino pareva, ai miei piccoli occhi, immensa al pari di Versailles.
Ho lasciato quella casa che mi ha visto tramutare in uomo.
Ho lasciato quel palazzo con l'incognita nel cuore, vi sarei mai tornato?
Ho lasciato quella casa col sorriso.
Ho lasciato quella casa col regalo più bello tra le mani.
L'affetto e la stima dell'uomo che mi ha fatto dono dell'amore.
Vi ringrazio Generale, vi ringrazio dal profondo del cuore.
Se solo fossi nobile...
Se solo fossi nobile, credetemi, la renderei felice.
Renderei felice la vostra Oscar.
Se solo fossi nobile, vi giuro, le donerei tutto l'amore di cui sono capace.
Avvicinatevi Generale, un sussurro.
Una confessione.
La renderei felice e l'amerei in egual modo.
Anche se in me non vi è alcun titolo nobiliare.
L'amo, di quell'amore che strugge ogni fibra dell'essere.
L'amo.
E la renderei felice, credetemi.
Un altra confessione, Signor Generale.
L'ho amata, la vostra Oscar.
L'ho resa felice.
Un istante fa.
Mi ha amato, vostra figlia.
Mi ha reso felice, la vostra Oscar.
Un istante fa.
Senza titoli.
Senza denaro.
L'amore non ha rango, Signor Generale.


Un istante fa.
Fatico a ricordare cosa vi fosse prima di oggi.
Fatico a rammentare la mia vita prima di lei.
Lei, questa piccola creatura appena sbocciata.
Un istante fa.
Poco più di un istante fa lasciavamo, forse per sempre, la nostra casa, per andare incontro ai tumulti della rivolta Francese.



“Perchè mi hai ingannato per tanto tempo?”
La voce di Oscar mi coglie di sorpresa, la testa mi duole, odo ancora le grida della gente del popolo, odo ancora gli spari, anche se non vi sono più grida, ne spari, attorno a noi.
Ingannata? In che modo?
Sono confuso.
“Come?” le chiedo.
“Parlo del tuo occhio destro, il dottore mi ha detto tutto, vedi con molta difficoltà vero?”
Vedo con molta difficoltà?
Vorrei ridere di te, amore mio.
Vorrei ridere di me stesso.
Il nulla è tutto ciò che vedo, mia cara Oscar.
Se solo tu sapessi.
Il dottore? Per quale motivo hai parlato con il dottore?
I pensieri giungono alla mia testa in modo caotico, senza logica, senza preavviso.
“Vorrei che tu lasciassi l'uniforme André, comunque domani quando andrò col mio reggimento a Parigi è meglio che tu non venga, preferirei che tu tornassi a casa dove tua nonna si prenderà cura di te. Ti supplico di darmi ascoltò André, non puoi combattere in quelle condizioni”
Vorrei ridere di te, ancora una volta, amore mio.
Chiedermi di lasciare l'uniforme, di lasciare te, sarebbe come chiedermi di smettere di respirare, sarebbe come chiedere, al mio cuore, di cessare di battere.
Ti basterebbe così poco per uccidere un uomo, senza alcun bisogno di armi.
Ti basterebbe, così  poco, per uccidere me.
Vorresti che tornassi a casa?
Non esiste luogo che io possa chiamare “casa” se tu non vi dimori.
Non ho paura di combattere “nelle mie condizioni”.
Non ho paura di affrontare la battaglia, col fumo a velarmi la vista.
Ho paura, invece, di perdere quella breve luce che ancora mi permette di poterla guardare.
Ho paura di non aver più tempo a disposizione.
Ho paura di lasciarmi sfuggire anche il più piccolo istante di lei.
Ho tremendamente paura di allontanarmi da lei, ora che, in lei, percepisco, a ragione, o a torto, un lieve cambiamento.
Ho timore di lasciarla andare e di perderla per sempre.
Ho timore di mancare se mi allontanassi da lei, anche solo di un passo.
Non possono, i miei polmoni, smettere di respirare.
Non può, il mio cuore, interrompere la propria corsa.
Non posso, io stesso, abbandonare la mia vita.
La mia vita.
Lei.
No, non posso.

“No, verrò con te, come sempre. Ormai è una vita che vengo con te in ogni occasione, non posso certo cambiare adesso ti pare?”
Le parole mi colano dalle labbra con una fluidità che ha la consistenza dell'acqua.
Rido, con una dolcezza che odora di angoscia.
Taccio il panico dietro il sorriso.
Celo, alle spalle dell'amore, la paura, ancestrale, del rifiuto.
Ti osservo, Oscar, mi sei dinnanzi.
Osservo la tua figura che, da tempo, è avvinghiata da una spessa coltre di nebbia.
Contraggo il mio unico occhio agonizzante, alla ricerca di uno spiraglio di luce.
Un istante di splendore.
Lo sguardo diviene nitido.
Ti guardo, Oscar, mi sei davanti.
Bella, bellissima, come sempre.
Attendo il tuo rifiuto, e ciò che mi offri sono un paio di occhi azzurri, enormi e immensi come il cielo.
Abbassi lo sguardo, inaspettatamente.

“André io... una volta sono stata innamorata di Fersen, anche se sapevo chiaramente che tu mi volevi molto bene, che mi amavi, è mai possibile che tu mi voglia ancora bene André?”
Vorrei ridere di te, amore mio.
Non sbagliavano i miei sensi.
Non equivocava il mio cuore.
Sei diversa.
Stai mutando, da tempo, dinnanzi a me.
Tutto è differente in te.
La voce.
Il tocco delle tue mani
Gli occhi.
Le parole.
Sento, ora più che mai, il disfacimento, di quella corazza, che ti ha imprigionato da tutta la vita.
Avverto, ora più che mai, l'abbandono del soldato.
Vorrei ridere di te, Oscar.
Vorrei ridere, di quella domanda, che ha la voce di una bambina preoccupata.
Vorrei ridere, amore mio, di quel dubbio che nemmeno per un batter di ciglia dovrebbe turbarti.

“Certo Oscar, io ti voglio bene da sempre.”
Non vi è più traccia di ilarità, in me.
Non distolgo lo sguardo dal tuo viso, non lo farei per nulla al mondo, non ora che la nebbia ha abbandonato il mio occhio.
Piangi.
Un fiume di lacrime ha rotto gli argini del tuo sguardo.
Oh, lacrime, continuate a rigarle il viso.
Piccole perle dell'anima, non cessate di impreziosirle gli occhi.
Piangi Oscar.
Piangi, amore mio.
Sbarazzati, prima che sia troppo tardi, di tutto ciò che non ti appartiene.
Abbatti il dolore, la rabbia, l'ingiustizia, l'orgoglio, che sono cementati attorno a te, in questi lunghissimi anni.
Strappa, senza pietà, le vesti d'uomo, di erede, di commediante, che hai creduto di dover indossare, dal giorno in cui sei venuta al mondo.
Oh lacrime, continuate la vostra corsa su quel viso di porcellana.
Oh lacrime, divenite fiume in piena, mutante in alluvione.
Lacrime devastate la paura.
Lacrime sgretolate l'uomo, e liberate lei.
Lei, la donna.
Una donna che...
Temo, una folle punizione divina, se solo provassi, se solo osassi credere che lei potrebbe...
Lei potrebbe amarmi?
Si, credo che lei potrebbe.
Al diavolo.
Si, ne sono certo, lei mi...
Il pensiero non giunge al termine.
Uno scatto improvviso, un gesto inatteso.
Oscar poggia i palmi delle mani, e il viso, contro il mio petto.
Trattengo a fatica un sussulto.
Sento le sue mani stringere la stoffa della mia uniforme.
Il mio cuore percepisce la medesima stretta.
E' scossa dai singulti, la mia Oscar.
La guardo, la sento, ma non la tocco.
Non oso posare le mie mani su di lei, temo di bloccare, con l'impazienza, ciò che sembra inarrestabile.
Altre lacrime, altri singhiozzi.
Piangi Oscar, piangi.

“Oh Andrè, anch'io ti voglio bene. Ti voglio bene.”

Oh signore, ti ringrazio.
Oh signore, prenditi il mio occhio, fai di me il tuo schiavo, null'altro ho da offrire per rendere grazie di ciò che mi è stato donato.

“Io questo l'ho saputo da sempre Oscar. Adesso niente può più dividerci.”
Una piccola  menzogna
Una piccola innocente bugia.
Ho sperato, da tutta la vita, che tu mi amassi.
Ho saputo, da tutta la vita, dell'affetto che ti lega a me.
Ma ho capito, solo oggi che quell'affetto, in realtà, portava un nome differente su di sé.
Amore.
La paura ha abbandonato il mio corpo, non vi è più nulla che le mie mani potrebbero arrestare.
Non vi è più nessun impedimento.
Non vi è più alcun ostacolo tra lei, la mia Oscar, e il tocco delle mie mani.
La mia Oscar.
Mia.
Mia nel cuore, nell'anima, e infine in questa contorta realtà
Finalmente mia, in lei, nel suo cuore.
Poso la mano su quella di Oscar, la sento tremare.
Stringo le dita attorno alla sua mano, il tremore si fa più violento.
Piange ancora, questa nuova creatura venuta al mondo da pochi istanti.
Piangi, amore,  piangi tutte le lacrime che ti stavano avvelenando l'anima.
Piangi, amore mio, tutte quelle lacrime che ti sono state negate.
Piangi, Oscar, come un infante piange il suo natale.
Io stesso dovrei piangere, questo pensiero balza alla mia mente senza richiesta.
Dovrei piangere ma non ho più lacrime.
Sostituisco le lacrime, fedeli compagne degli ultimi anni, con la gioia.
Celebro, il mio ritorno alla vita, col sorriso sulle labbra.
Lacrime e singulti.
Ogni singolo singulto, ogni singola lacrima, ogni tremore è, per me, una gioia immensa.
Un'intima preghiera, un rito solenne, di cui io sono spettatore.
Stringo la mano di Oscar.
Pelle contro pelle.
Fuoco sotto le mie dita.
Non posso guardarla in volto, si nasconde, la mia Oscar.
Scorgo i suoi bellissimi riccioli biondi.
Non posso ancora guardarla in volto.
Vorrei rubare il tormento dal suo viso.
Vorrei lambire il suo pianto.
Sfugge il mio sguardo, come le ho visto fare, da sempre.
Una piacevole privazione, una deliziosa agonia.
Una scossa, un terremoto sul mio petto.
L'azzurro del cielo.
Il bianco delle neve.
Il rosso del fuoco.
Colpi di colore sul viso.
Occhi.
Pelle.
Labbra.
Mostri il tuo viso, amore, il tuo bellissimo viso di donna.
Tu, una donna innamorata.
Innamorata di me.
Mi ami, Oscar? Vorrei domandartelo, ma taccio, le parole sono bandite.
Perdo il mio unico sguardo in te.
I tuoi occhi, limpidi, brillanti, impreziosisti da lacrime dispettose.
La tua pelle, candida, sporcata da tormenti liquefatti.
Le tue labbra, rosse, gonfie, irritate dal pianto.
Il tuo volto, l'unico che non voglio smettere di vedere.
Il tuo volto, l'unico che ricorderò, quando la notte scenderà sul mio occhio.
Il tuo volto, ora, tutto ciò che bramo.
Mi guardi, amore, e in te non riconosco la persona che mi è stata accanto per oltre 20 anni.
Mi guardi e scopro, in te, una donna nuova.
Mi guardi e leggo, nei tuoi occhi, l'amore.
Mi guardi e vedo, sulle tue labbra, il desiderio.
Amore, ti prego, uccidimi.
Uccidimi, Oscar, come solo tu potresti fare.
Toccami, ed io sarò perso, finito, morto.
Bramo la morte come un neonato brama il seno della madre.
Toccami.
Uccidimi.
Avverto il suo corpo muoversi, ergersi sulle punte dei piedi.
Un tuffo al cuore.
Un respiro mancato.
Il suo volto dinnanzi al mio, così prossimo da sentirne il respiro, bollente, sulla mia bocca.
Uno sguardo, il suo, dolorosamente femminile.
Uno sguardo, ferocemente sensuale.
Non muovo un passo.
Io, un muto spettatore, in questa folle notte.
Un passo, il suo, e la morte sulla mia bocca.
Labbra su labbra.
Un bacio gentile, questo suo primo bacio.
Vorrei osare, vorrei saziare la mia fame, vorrei ma non oso.
Assaporo il gusto innocente delle sue labbra, così deliziosamente dolci.
Così maledettamente calde.
L'ennesimo tuffo al cuore.
Oscar dischiude la bocca e vi imprigiona, sconvolgendomi, le mie labbra.
La sua bocca è come fuoco.
Mando al diavolo la mia virtù e riporto, in me, il desiderio.
Compio gli stessi gesti della mia compagna, imprigionando, a mia volta, le sue labbra.
Carezzo con la lingua la pienezza della sua bocca, disegnandone i contorni.
Cerco la sua lingua, ancora timida, all'interno.
Un sussulto, il suo.
Una punta d'orgoglio, la mia.
La sua lingua nella mia bocca, la sua lingua senza più vergogna.
Un bacio che ha il sapore del desiderio.
Un bacio impaziente, questo suo primo.
Un bacio spudorato, il primo, della mia Oscar.
Svesto i panni di muto spettatore, e indosso, senza permesso, quelli che mi sono più congeniali.
Di nuovo attivo, di nuovo me stesso, attore in questa folle notte.
Stringo il corpo di Oscar, cingo il suo corpo con le mie braccia.
Stringo il suo corpo di donna, con le mie braccia di uomo.
Un gemito, il suo.
Le sue dita, piccole e delicate, tra i miei capelli.
Le sue mani tra i miei capelli, spingono, con quella prepotenza che l'ha sempre distinta, il mio capo verso la sua bocca.
Le sue mani, ordinano senza parole, un bacio più profondo.
Ed io obbedisco, come ho sempre fatto.
Un bacio, il nostro, che ha in sé, il desiderio e la passione di tutta una vita.
Un bacio, il nostro, che racchiude, in sé, una fame d'amore.
Non possiamo far altro che divorarci.
Non vi è altra soluzione che sfamarci, l'uno dell'altra.
Un bacio che ha il gusto dell'amore.
Un bacio che è solo il principio.
Un bacio che sa di promessa.
Un bacio che è, ora, tutta la nostra vita.

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Capitolo 19
*** Piacere ***


Invoco il giudizio universale.
Invoco la fine dei giorni.
Invoco la morte.
Venite, ora, in questo istante.
Sfido la fine.
Sfido la morte.
Sfido il buio dei miei occhi.
Venite, ora, in questo momento.
Invoco, su di me, le più agghiaccianti malattie.
Invoco, su di me, la sorte più nera.
Sfido la malasorte.
Sfido la più temibile malia.
Con baldanza sfido il male di questo mondo, certo che nulla potrebbe toccarmi.
Nulla potrebbe toccarmi, ora, che ho tutto ciò che desidero.
Nulla potrebbe spezzare, ora, la felicità che nutre la mia anima.
Niente potrebbe colpire, ora, la serenità che ha assopito, in un sonno che ha i contorni di una sorta di favola, il mio cuore.
Nulla potrebbe.
Niente e nessuno.
Ora che ho lei accanto.
Lei, il piccolo demonietto biondo.
Lei, la donna che è venuta al mondo, tra un respiro e un gemito, qualche ora fa.
Lei, l'essenza dell'amore.
La mia parte d'anima.
L'altra metà del mio cuore.
Lei, la mia Oscar.
Nulla potrebbe.
Nulla.
Immune da ogni male.
Disarmato attendo le mie invocazioni
Disarmato e con la pace sul cuore, attendo.
Socchiudo gli occhi, senza timore, forte al di qua di questo impenetrabile mondo.
Un giovane mondo costruito con sottili fili d'erba.
Un giovane mondo fatto di delicata pelle d'avorio.
Un mondo creato da infiniti capelli d'oro.
Un mondo, edificato, su un limpido mare azzurro.
Socchiudo gli occhi e lascio che pensieri fanciulli, appena fioriti, mi conducano, ancora, in quel recente passato che ha il sapore di lei, così vivo, sulle mie labbra.
Accosto i confini dei miei occhi, ricordando l'amore fattosi finalmente reale.
Accosto i confini degli occhi, ripercorrendo, istante dopo istante, l'amore mutato in gesti.
Chiudo gli occhi, con quel piccolo mondo addormentato sul mio petto.
Sigillo gli occhi ed intono, come fosse una ninna nanna, i ricordi di un battito fa.


Non ho memoria del tempo trascorso sulle sue labbra.
Non ricordo quando è stato che, le nostre bocche, sono divenute un unico inestinguibile fuoco.
Il tempo è svanito, senza possibilità di ritorno, nel momento in cui, lei, ha pronunciato parole agognate da una vita.
Il tempo è divenuto complice dei nostri sensi.
Il tempo si è arrestato, per me, per lei, per noi.
Sto saziandomi di lei, mi pare, da una vita intera.
Il nostro primo bacio non vuol giungere alla fine, rendendoci schiavi di un piacere infinito.
Affondo le dita tra i lunghissimi riccioli biondi di Oscar, accentuando, ancor di più, il contatto delle nostre bocche.
Le nostre labbra, fuse in una sorta di amplesso, hanno concepito, in questa calda notte di luglio, un susseguirsi di baci.
Baci casti.
Baci dolci come il miele.
Baci profondi.
Spudorati.
Baci che sono puro e semplice istinto.
Baci che sono pura e semplice passione.
Bacio lei, la mia Oscar, come non ho mai baciato nessun altra donna.
Bacio lei, col desiderio sulle labbra.
Bacio lei, con l'amore sulle lingua.
La bacio e mi sorprendo di non desiderare null'altro che la sua bocca.
La sento gemere più forte, improvvisamente, ed altrettanto improvvisamente allontanarsi dal mio corpo.
Mani e bocca divengono orfani del loro nutrimento.
La guardo, bellissima da togliere il fiato.
La osservo, portarsi le dita alle labbra, con lo stupore sul viso.
La guardo, sfiorarsi le labbra, con il fuoco negli occhi.

“Mi hai fatto male.”
Sussurra, con alito bollente, tra le mie labbra.
“Scusami.”
La mia umida lusinga, sulle sue labbra, per ripararne il torto.
Un impertinente dolore, sulla mia bocca, mi restituisce lo sgarbo.
Un sorriso malizioso.
Ancora fame.
Ancora voglia di saziarsi.
Ancora baci.
Le mie mani, che non hanno fatto altro che dimorare tra i suoi capelli, ora, deviano il loro cammino, scivolandole lungo il collo.
Le dita, stranamente pudiche, rimangono al principio dell'uniforme.
La mia bocca, insolente ed insaziabile, sfugge alle sue labbra, per ricercare nutrimento sulla pelle delicata del collo.
Un colpo lieve della lingua e la sento sussultare.
Dischiudo le labbra attorno alla pelle del collo, e in lei, nasce un nuovo gemito.
Un improvviso calore sulle mie dita, un istante di smarrimento, ritorno lucido e scorgo le mani di Oscar sulle mie.

“Toglila.”
Un sussurro che odora di imbarazzo e sfrontatezza.
Ho come l'impressione d'essere avvolto, in quel torpore, che accompagna i sogni, ed ho il terrore di star sognando.
Oscar mi riporta alla realtà, come uno schiaffo, posando le mani attorno al mio viso, e fissandomi, con gli occhioni azzurri.
La guardo, e l'amore che nutro per lei mi esplode nel petto, sciogliendosi in ogni fibra del mio essere.
Le dita ritornano alla vita, muovendosi, con una fretta inaspettata, attorno ai bottoni dell'uniforme.
Percepisco lo sguardo di Oscar, chiaramente, come rogo sulle mie mani.
L'uniforme ormai liberata dalla morsa dei bottoni, mi appare, dinnanzi, come un tesoro che non aspetta altro che essere scoperto.
Infilo le mani al di sotto della stoffa, all'altezza delle spalle, e in quel punto, dove il calore della carne è più intenso, lascio scorrere l'indumento lungo le sue braccia.
Un rumore sordo, ovattato.
Il rumore dell'abbandono.
L'abbandono del soldato.
Il suo sguardo, di un azzurro che abbaglia, di nuovo in me.
Mi guarda, la mia Oscar, e mi appare, in questa calda notte di luglio, innocente come non mai.
Desiderio, al limite del lecito, questa creatura innocente e pura.
Desidero lei, la donna che amo da tutto la vita.
Voglio lei, la donna che mi è dinnanzi, la donna che sta affidandomi, con cieca fiducia, corpo ed anima.
Sfioro la morbida stoffa della camicia, facendo scorrere le dita sulle braccia di Oscar, dalle spalle fin giù lungo i polsi, ed è li, che arresto le mani.
Ed è li, che una vertigine di pensieri, mi coglie.
Mi domando se tutto ciò mi sia permesso, possibile che io, André Grandier, servo, attentende, soldato della guardia, possa fare ciò che sto facendo?
Un dubbio atroce, un attimo di panico.
Se fossi impazzito?

“André...” la sua voce.
Il mio sguardo perso nei suoi occhi, un mare di azzurro, colmo d'amore.
“André, puoi toglierla?”
Una domanda pronunciata con un filo di respiro.
Rispondo senza verbo.
Rispondo con l'amore mutato in gesti.
Faccio passare, al di fuori delle asole, i primi bottoni di madreperla.
I lembi di tessuto perdono la propria compostezza, divaricandosi, spudoratamente, e mostrando, ai miei occhi, nuova pelle.
Uno scorcio di pelle che ha, in sé, la pienezza della femminilità.
Rubo uno sguardo ad Oscar, e vi trovo, sul volto, un virginale imbarazzo.
Stringo, tra le dita, la candida stoffa attorno alla sua vita.
Stringo, tra i pugni, questo indumento divenuto ormai ingombrante, sfilandolo, forse con troppa veemenza, dalla morsa dei pantaloni.
Io, ladro di sguardi, mi impossesso dei suoi occhi.
Lei, consapevole vittima, mi dona, senza porgere resistenza, l'azzurro delle sue iridi.
La osservo, con sorpresa, alzare le braccia al di sopra della testa.
Un provocante invito, anch'esso senza parole.
Vorrei amarla, ora, senza ritegno, ma l'innocenza che respiro, in ogni suo gesto, frena il mio istinto.
Le sfilo la camicia, scoprendone il corpo, centimetro dopo centimetro.
La pelle della vita.
Il costato, appena accennato, al di sotto della carne.
Una rotondità, appena abbozzata.
Un accenno di quel seno che, da sempre, ho tentato di figurarmi dinnanzi agli occhi.
Un respiro profondo, aumento la corsa dell'indumento.
Oltrepasso la testa.
Una cascata di riccioli biondi le ricade sulle spalle.
Getto sull'erba, con noncuranza, l'ennesimo pezzo del soldato.
La donna finalmente libera.
Una donna, nel cuore e nel corpo.
Una donna, ora, dinnanzi ai miei occhi.
Donna, nella pienezza di un seno, che profuma di maternità.

“Oscar...” sfugge alle mie labbra.
“André io...” parole che invocano un riparo, le sue.
E come riparo, per quella parte di lei che ha rinnegato da sempre, vi sono un paio di mani tremanti.
Un bacio gentile, alle sue labbra.
Una morsa delicata, attorno ai suoi polsi.
Carezze lievi, come alito, sui suoi seni.

“Ti amo.”
Un dono d'amore, al suo orecchio.
“André, posso...”
Una frase che sa di incompletezza.
Le sue mani, attorno al colletto della mia uniforme, gesti che ne completano il significato.
Le mie dita, ancora, attorno ai suoi polsi, la esortano a continuare.
Privato delle mie vesti di soldato.
Privato di quegli indumenti che, fin dalla nascita, hanno fatto di me un essere differente.
Un essere dissimile a lei.
Privato, ora, d'ogni etichetta.
Osservo, ascolto, odo, in religioso silenzio, il tocco di Oscar, spogliare il mio corpo.
Le sue mani, piccole e delicate, sfiorano la mia pelle.
Le sue mani, piccole e delicate, hanno il potere di uccidermi.
Il suo tocco, dolore e piacere.
Ho desiderato questa morte.
Ho desiderato, con tutto me stesso, perire per mano sua.
Voglio morire, col piacere.
Avvicino il mio corpo a quello di Oscar, cingendole il busto con le braccia.
La morte ha il gusto del piacere.
Pelle contro pelle.
Sento, così prepotentemente, il suo seno poggiarsi al mio petto.
Oscar avvicina le labbra alle mie, posandovi un bacio, un bacio che non ha nulla di quell'innocenza, che ho scorto, in lei, poco fa.
Il timore, che stava frenando il mio corpo, lascia il posto all'istinto.
Istinto e passione.
Amore e desiderio.
Con gesti garbati ma decisi, poso lei, la donna che finalmente mi è permesso amare, su un insolito letto d'erba.
Giaccio al suo fianco, in devozione.
Giaccio al suo fianco, in quella posizione che è fatta per adorare i santi.
Giaccio al suo fianco e, con infinita dolcezza, privo la donna delle ultime vestigia del soldato.
Guardo Oscar, la mia Oscar.
La osservo con l'amore negli occhi.
La guardo, cogliendo, ciò che finora era rimasto celato.
Scruto il suo bellissimo corpo di donna, posandovi impercettibili tocchi.
Scruto il suo corpo di donna, tracciandovi, con le dita, i contorni di un immaginario dipinto.
Poso le dita sulla fronte, percorrendo il profilo del naso, della bocca, del mento.
Perpetuo il mio immaginario dipinto, attraversando nuovi luoghi.
Poso le dita sfiorando il contorno del seno.
Una prima rotondità, l'inaspettata rigidità del roseo capezzolo, l'altra metà di questa armoniosa sfera.
Un gemito, solitario, sfugge alle labbra di Oscar.
Un mio bacio, tra le sue labbra, alla ricerca del fuggitivo.
Riprendo il mio bizzarro viaggio sul corpo della donna che giace al mio fianco.
Depongo i polpastrelli sul suo ventre, poco al di sopra dell'ombelico, disegno linee immaginarie che hanno il potere di far nascere, in lei, brividi di piacere.
Sorrido.
Ostento il passaggio dei polpastrelli, su quel brandello di pelle, che racchiude, in sé, l'essenza della vita e, in egual modo, l'essenza del piacere.
Quel lembo di pelle che bramo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Distendo le dita, le rilasso, invitando il palmo a posarsi, pienamente, sul suo ventre.
Un nuovo gemito nasce dalla bocca di Oscar.
Si può amare così fortemente da sentirsi morire?
Si può amare qualcuno più di se stessi?
Si può, dio solo sa quando questo sia possibile.
Amo questa donna più della mia stessa vita.
Posso sentire, al di sotto del mio palmo, il suo cuore, battere senza freni.
Sorrido.
Cerco gli occhi di Oscar, li trovo, e vi scorgo l'amore.
Amore, per me.
Il suo amore, tutto ciò che possiedo.
La mia mano, ancora sul suo ventre, desidera il proibito, ed io, senza più timore, proseguo alla scoperta del piacere.
Un tuffo al cuore.
Dolce miele sulle mie dita.
Un brivido lungo la schiena.
La mano di Oscar si stringe attorno al mio braccio, ed io non posso far altro che saziare la nostra fame con un bacio.
Delizia nella sua bocca.
Delizia tra le sue gambe.
Le mie dita, senza più vergogna, scrivono una poesia tra le pieghe del suo intimo.
La creatura innocente muta in istinto.
Al di sotto delle mie mani, al di sotto della mia bocca, sento nascere quella passione, che non conosce pudore.
Al di sotto delle mie mani, sento, la mia Oscar, divenire pura e semplice Voglia.
Il suo bacio si fa più profondo, insaziabile, quasi violento.
La sua mano, piccola e delicata, abbraccia la mia, accompagnandone i gesti ed impedendomi una possibile fuga.
Una scossa lungo la schiena, il desiderio che si fa forma.
La mia virilità non ha più nascondigli.
Il mio desiderio è celato agli occhi del mio amore.
Abbandono il centro del piacere, strappandole un lamento di disapprovazione.
Abbandono le sue labbra, il tempo di cambiare posizione.
Non più pellegrino in adorazione dei santi.
Stendo il mio corpo su quello di Oscar, poggiando il peso del mio essere uomo, sui gomiti.
Stendo le gambe al fianco di quelle, lunghissime e bianchissime, di Oscar.
Dispiego, parte del mio essere, sul fianco della mia Oscar.
Non posso più celare il mio vigore, non vi sono più indumenti a riparare tale danno.
Non voglio celare, mai più, la voglia di lei.
Desidero che lei senta.
Desidero che lei comprenda questa nuova forma d'amore.
Voglio che lei desideri questa nuova parte di me.
L'ennesima scossa di piacere.
Le sue mani lungo la mia schiena, carezzano, premono, lasciando scie che bruciano la carne.
Un sussulto del corpo e la mia virilità batte contro la sua candida coscia.
Gli occhioni azzurri si spalancano.
Le sorrido, la guardo.
Che l'irruenza del mio desiderio l'abbia spaventata?
Ho paura di aver rovinato, con la sfrontatezza del mio essere uomo, questo momento.
Mi guarda, mi sorride.
La sento muoversi, la mia Oscar, al di sotto del mio corpo.
Avverto, la sua gamba, scivolar via.
Sento chiaramente, le sue gambe, posarsi ai lati dei miei fianchi.
Vedo distintamente, le sue gambe, dischiudersi al mio corpo.
Il desiderio mi colpisce senza pietà.
Desidero questa donna, così innocente e deliziosamente eccitante, nel medesimo istante.
Desidero questa nuova creatura che mi è nata sulle labbra.
Desidero ,questa nuova Oscar, che ha  in sé il gusto della lussuria.
Il desiderio mi uccide, irrimediabilmente.
Il desiderio mi uccide con armi delicate.
Muoio tra le mani della donna che amo.
Un tocco leggero rapisce la mia passione, mutata in forma.
Un tocco leggero e inesperto, impara, comprende, scopre, la sfacciata rigidità del mio essere uomo.
Un turbinio di sensazioni invade i nostri corpi.
Su di noi il velo della carnalità.
Su di noi l'alito dell'amore.
Non mi riesce di desistere dal baciare le sue labbra, divenute fonte di vita.
Bacio le sue labbra, gioco con la sua lingua, caccio la pelle del suo collo come fosse una preda, di cui sfamarmi.
Mordo la sua bocca come fosse un dolce frutto maturo.
E lei, questa Oscar appena venuta al mondo, compie i miei stessi gesti.
L'ardore della pelle si fa così intenso da essere quasi insopportabile.
La bramosità delle nostra passione, è giunta, ad un punto, dal quale non vi è più ritorno.
Esigiamo di più, l'uno dall'altra.
Vogliamo divenire, nel corpo, ciò che le nostre anime sono da tempo.
Vogliamo scoprire l'essenza del piacere.
Desideriamo, semplicemente.
Un bacio sfiorato sulle sue labbra.

“Ti amo, Oscar... ti amo così tanto.”
Un sorriso che profuma di una dolcezza infinita.
Lacrime, limpide, mutate in liquido zuccherino che riempie il cuore.
“André... anch'io ti amo... ti amo come non credevo di poter amare.”
“Oscar io...”
“Shhhhh...”
Mi zittisce, la vecchia Oscar.
Mi bacia, la nuova.
“Voglio fare l'amore con te. Voglio essere tua, ora.”
Mi sussurra la creatura appena nata.
Ed io non posso far altro che ubbidire.
Ed io non posso far altro che servirla, come ho fatto da tutta la vita.
Ed io non posso far altro che unirmi a lei.
Immergo il mio unico occhio nell'azzurro del suo sguardo, non voglio perdere neppure il più impercettibile battito di ciglia.
Il suo sguardo.
Uno sguardo d'amore, innocente, arrendevole.
Uno sguardo coperto da un velo di timore.
Una delicata, virginale, paura.
Osservo l'amore della mia vita, osservo la mia piccola Oscar mentre, con infinita dolcezza, accosto, il mio essere uomo, al suo essere donna.
Un sussulto sulle labbra.
Un bacio per rassicurarla.
Respiro per portare, in me, la calma.
Un respiro e scivolo in lei, tra il miele del suo ventre.
Un gemito di piacere scorre fuori dalle mie labbra.
Un gemito di dolore scorre al di fuori delle sue.
L'istinto, quel primordiale amore che ho per lei, mi porta a sollevarmi.
Il suo amore mi obbliga a restare sul suo corpo.
Le mani di Oscar, sulla mia schiena, mi trattengono.
Mi sorride, ed è bella da far male al cuore.
Mi spingo in lei con una lentezza estenuante.
Entro in lei e il fuoco mi sorprende.
Il fuoco della sua essenza.
Quel fuoco che vorrei far mio con sempre maggior vigore.
Un lamento le dipinge lo stupore sul viso.

“Ti amo Oscar.”
Parole come baci.
“Ti amo...”
La sua voce flebile, scossa dall'affanno di un indelicato dolore.
Rincorro quel fuoco che dimora in lei, rincorro il piacere, aumentando il ritmo del mio corpo.
Un lamento.
Un gemito.
Lentezza e celerità, un alternanza di movimenti.
Un lamento
Un gemito.
Un sussulto.
Un susseguirsi di gemiti dalle sue labbra.
Aumento la mia corsa in lei, aumento il movimento dei miei lombi.
Mi spingo in lei con forza, quella forza che mi conduce al centro del suo intimo.
Quella forza che non è altro che amore.
Odo gemiti di piacere, ora,  e solo degli impercettibili fantasmi di quel suo dolore, che pesava su di me, come un masso.
Accresco il vigore dei miei fianchi, mutando la dolcezza in passione.
Una fitta di piacere mi colpisce come una lama.
Le lunghe gambe di Oscar mi si stringono attorno ai fianchi, una muta conferma di godimento.
La odo ansimare, con alito bollente, sul mio collo.
Io, ormai, puro e semplice istinto.
Le spinte del mio corpo, in lei, divengono sempre più forti, quasi violente.
La lussuria è come stupefacente, in me.
La lussuria e l'amore sono come alcool nelle mie vene.

“Oscar...”
un nome tra i respiri affannati.
Un gemito, il suo, in replica.
“Sei mia?”
Una folle richiesta.
Un gemito che ricorda un grido.
Le sue mani sulla mia schiena.
Le sue gambe, attorno al mio corpo, mi spingono a perpetuare la forza, in lei.
Le sue unghie, nella mia carne.
Una muta risposta.
“Sei mia?”
Le chiedo, ancora, tra le labbra.
Un gemito che ricorda un lamento.
Un gemito che sa di piacere.
“Si... Sono tua...”
Le sorrido facendo mie le sue bellissime labbra rosse.
“André io...”
Mi spingo in lei, col desiderio di una vita, rubandole le parole.
“André...”
L'ennesima spinta, l'ennesimo gemito.
Ci muoviamo all'unisono, corpo su corpo.
Pelle contro pelle.
Fondiamo l'uno nell'altra.
Respiri.
Sudore.
Dolce miele della passione.
Lacrime.
Amore.
Giaccio all'interno del suo ventre, giaccio, immobile, nel punto in cui nasce la sua essenza.
Ascolto i nostri respiri, odo i battiti dei nostri cuori.
Muoio nei suoi occhi.
Piange, la mia Oscar, nel momento in cui, il suo corpo, riprende i passati movimenti del mio.
Il suo corpo, esorta il mio, a copiarne i gesti.
Piange col sorriso sulle labbra.
“Oscar... no...”
Una supplica, la mia.
“Ti prego...”
Una supplica, la sua.
Richiamo la passione del mio essere, richiamo, in me, la voglia di fuoco.
Una spinta, un'altra, un'altra ancora.
Le prime avvisaglie di un amore liquefatto.
Ritorno sui miei passi ma, un paio di braccia, le sue, mi bloccano con prepotenza.
“Ti prego...”
Le sue parole, quasi un pianto.
“Oscar, no... non credo che tu...”
Preoccupazione, nelle mie.
“André, per favore... io ti amo, ti amo più della mia vita.”
Lacrime tramutate in parole.
“Io, Oscar, ti amo più della mia vita.”
Obbedisco, come faccio da una vita intera.
Obbedisco a lei, l'amore.
Obbedisco scivolando in questa innocente creatura.
Obbedisco muovendomi in lei, lentamente.
Obbedisco alla bambina che divenne la mia famiglia.
Obbedisco alla ragazza che diventò la mia migliore amica.
Obbedisco alla donna che ha insegnato, al mio cuore, l'amore.
Obbedisco a questa donna che sento godere sotto il peso del mio corpo.
Obbedisco a lei, la mia Oscar.
Le obbedisco amandola con ogni fibra del mio essere.
Le obbedisco donandole il mio cuore, la mia anima, la mia stessa vita.
Le obbedisco, regalando, al suo ventre, l'essenza del mio amore.

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Capitolo 20
*** Futuro ***


Calma.
Una calma irreale attorno a me.
Una calma irreale attorno a noi.
Io ed Oscar.
La rivolta Francese sembra averci fatto dono, questa notte, di uno sprazzo di quiete.
Non vi sono più urla, non vi sono più spari, tutto tace.
Che la guerra sia giunta ad una fine?
È possibile che, questa notte di luglio, abbia originato la pace?
Che il conflitto sia giunto ad un epilogo?
Una quiete che ha dell'irreale, intorno a noi.
Non odo urla.
Non odo spari.
Verità o illusione?
Che la guerra sia finita?
O forse, semplicemente, l'amore mi ha reso sordo alle brutture di questa terra?
Non mi importa.
Godo di questo prezioso momento.
Godo, del mio piccolo mondo, dove non esiste tempo.
Un  piccolo mondo che mi vorrebbe dormiente.
Lotto contro Morfeo.
Lotto contro il sonno.
Combatto contro la pesantezza delle mie palpebre.
Combatto la mia personale guerra contro la notte.
Contro quel buio che mi avrà, presto, e che io, ora, non ho intenzione di lasciar vincere.
Non voglio dormire questa notte.
In questa calda, e inaspettata, notte di luglio, voglio riempire i miei occhi.
In questa calda notte di luglio voglio colmare il mio cuore.
In questa calda notte di luglio voglio saziarmi di lei.
Voglio prendere, di lei, tutto ciò che mi è possibile.
Con lo sguardo.
Con l'anima.
Attraverso la pelle.
Sulla lingua.
Voglio sfamarmi, di lei, fino a divenirne satollo.
Lei, quella che fu, un tempo non molto lontano, l'erede dei Jarjayes.
Lei, quella che fu, un tempo, un algido soldato.
Lei, la donna che mi appartiene, ora.
Una donna, in tutto e per tutto.
Una donna nel cuore e nel corpo.
Una donna senza più restrizioni
Una donna senza più timore.
Una donna.
La mia donna.
Una piccola donna sopita sul mio petto.
Combatto il buio con la bellezza.
Quella bellezza che si è rivelata, questa notte, in tutta la sua magnificenza.
Quella bellezza che porta, in sé, il nome dell'amore.
Poso, il mio unico sguardo, su questa creatura neonata.
Poso, il mio sguardo, su colei che è tutto il mio mondo.
Lei, la mia Oscar.
Baciata da un'invidiosa luna.
Guardo Oscar addormentata sul mio corpo.
La tocco sfiorandola con lo sguardo.
E con lo sguardo scrivo, su pelle d'avorio, una nuova storia.
La storia di un soldato mutato in donna.
La storia, di un amore centenario, tra l'ombra e la luce.
Guardo Oscar poggiata sul mio petto e prego Dio di non privarmi della luce.
Contemplo la bellezza che giace sul mio essere, e vi trovo una nuova compagna di viaggio.
Uguale nel nome, dissimile nel corpo.
Scorgo, in lei, invisibili segni.
Scorgo, in lei, i segni della carnalità.
I suoi lunghi riccioli biondi solleticano la mia pelle nuda, creando, su di essa, indefiniti disegni.
Il suo viso, macchiato, sulle gote, da un velo di rossore.
Un rossore che non ha più nulla di virginale.
Un rossore violato dalla lussuria.
Il suo viso, ora, sporcato dai segni della passione.
Le labbra, un tempo, santuario dell'amore, davanti a cui ho pregato di morire.
Le labbra, ora, porte del diavolo, sulle quali ho perduto la vita.
Guardo la sua bocca, gonfia per i troppi baci.
La sua bocca, rossa come il fuoco, irritata dal tormento delle mie labbra.
La sua pelle, candida, svergognata dalla libidine del mio corpo.
La sua pelle candida, imperlata dal sudore, crea bizzarri giochi di luce sulle rotondità del corpo.
La sua pelle, orgogliosamente marchiata dai segni del mio desiderio.
Lividi.
Lividi che hanno, in loro, il colore della forza di un uomo.
Graffi.
Graffi che hanno, in sé, l'eco di un piacere inarrestabile.
Contemplo, la giovane carne, di questa altrettanto giovane e florida creatura.
Contemplo la carnalità di quelle gambe che, con forza inaspettata, hanno trattenuto il mio vigore.
Contemplo quelle cosce, morbide e polpose, che hanno implorato il perpetuo movimento dei miei lombi.
Miro le sue cosce, dolorosamente macchiate da innocente sangue virginale.
Miro le sue cosce, spudoratamente macchiate dal miele del mio piacere.
Odoro l'essenza di donna.
Odoro il profumo di vecchi ricordi.
Odoro la fragranza di un nuovo inizio.
Fiuto, come animale, l'aroma dei suoi capelli, il medesimo che aveva da bambina.
Una malinconica bambina che giaceva nel mio letto, notte dopo notte, posando i suoi riccioli biondi sul mio viso, e lasciando in me, indelebilmente, il loro balsamo.
Fiuto, come animale, l'aroma della sua pelle.
Quell'aroma che profuma di lei.
Quel profumo in cui, ora, vi ritrovo anche il mio.
È notte fonda ormai, un'afosa notte d'estate, in cui la ragione mi vorrebbe addormentato tra le proprie braccia ma, nonostante una stanchezza millenaria, il mio corpo non cede alle lusinghe.
Voglio godere di ogni istante.
Veglio sul respiro di Oscar, un respiro così calmo da essere quasi impercettibile.
Veglio sul suo cuore, che sento battere, distintamente, in ogni lembo della sua pelle.
Veglio su quel cuore, che lei, mi ha affidato.
La guardo dormire e mi domando cosa ho fatto, in questa vita, per meritare un dono così immenso.
La guardo dormire e mi è difficile credere che lei sia mia.
Mia.
Soltanto mia.
Per sempre.
La guardo dormire e vorrei che questa notte non finisse mai.
Vorrei che questa notte morisse, e tornasse alla vita, in eterno.
Voglio godere di ogni attimo, scordando ciò che ci sta attenderà al sorgere del sole.
Chiudo gli occhi, un solo istante, illudendo Morfeo.
Chiudo gli occhi per assaporare, fin dentro le viscere, il calore del suo corpo.
Chiudo gli occhi per “vedere”, con la carne, la pesantezza del suo corpo.
Dischiudo lo sguardo, rimasto, troppo a lungo, senza la propria luce.
Dischiudo lo sguardo e osservarla, ancora, è un nuovo tuffo al cuore.
Bellissima da far male.
Scosto dal suo viso un ricciolo solitario e il contatto delle mie dita, con la sua pelle, è una scossa dolorosa lungo la schiena.
Mi domando come, in questi anni, mi è stato possibile starle lontano.
Mi chiedo come farò, d'ora in poi, a impedirmi di toccarla, ad ogni palpito della mia voglia.
Le sfioro la spalla, nuda, soffermandomi su un piccolo, impertinente, livido.
Lo sfioro disegnandovi attorno invisibili cerchi.
Lo sfioro ricordando come, quel piccolo livido, è venuto alla luce.
Un ricordo che è come una spinta prepotente, al di sotto della mia pelle.
Un ricordo che muta in desiderio.
Desiderio che diviene eccitazione.
Rido.
Rido di me.
Rido dell'amore.
Rido dell'effetto che lei, la mia Oscar, ha sul mio essere.
Rido della felicità irreale che mi è caduta addosso, inaspettatamente.
Un terremoto sul mio petto.
Un dolce lamento.
Poso lo sguardo sul mio piccolo mondo.
L'ennesimo tuffo al cuore.
Oscar mostra l'azzurro dei suoi occhi, ed è subito voglia di lei.
Il semplice azzurro delle sue iridi, e vi scorgo tutto ciò che le parole non sarebbero in grado di definire.
Passione.
Amore.
Desiderio.
Voglia.
Consapevolezza.
Malizia.
L'azzurro dei suoi occhi, uguale eppure così diverso.
Colgo il suo sguardo e vi poso il mio.
Mi regala un sorriso lieve, quasi timido.
Non desisto dal fissarle il viso, facendo nascere, in lei, l'imbarazzo.
Una pennellata di scarlatto le dipinge le gote.

“Ciao”
Mi sussurra con tono dolce, ed io non posso far altro che abbracciarla.
La stringo tra le braccia, con tutta la forza della mia mascolinità.
La stringo tra le braccia posandole un bacio tra i capelli.

“Non riesci a dormire?”
Mi domanda con un filo di voce.
“Non voglio dormire.”
La verità scivola, senza controllo, dalle mie labbra.
Non vi sono più pensieri da tener murati.
“Non vuoi?”
“No Oscar, voglio vivere ogni secondo di questa notte.”
Ed è lei, ora, a stringersi a me, le sue esili braccia mi cingono il torace.
“Tu invece non hai avuto difficoltà ad addormentarti.”
Le dico col sorriso sulle labbra.
“Scusami, ero così...”
“...stanca.”
Concludo io, con la malizia in ogni dove.
Spalanca i suoi occhioni azzurri, guardandomi con un'espressione tra lo sconvolto e lo stupito.
Rido.
La sento ridere.
“Si, ero stanca...”
Ammette, anche lei, con la malizia in ogni dove.
Sento le sue dita giocare sulla mia pelle, e di nuovo la voglia bruciante.
Voglia di lei.
“Oscar...”
“André...”
“Sei felice?”
Una domanda sciocca.
Una sciocca rassicurazione per il mio sciocco cuore.
“Si, sono felice. E tu André, sei felice?”
Una domanda sciocca.
Una sciocca rassicurazione per il suo cuore?
“Non sono mai stato più felice in vita mia.”
Oscar sfugge il mio sguardo, facendo morire, sulle mie labbra, il sorriso.
“André, se io avessi capito prima... se io avessi trovato il coraggio di...”
La sua voce, mischiata al pianto.
“Shhhh... non aggiungere altro.”
“André, se io...”
“Shhhh... non dire nient'altro. Questa notte non contempla il passato.”
Lacrime, incandescenti come lava, mi bruciano la carne.
“Oscar, ti prego, non è tempo di piangere.”
Le dico sollevandole il viso, ed in lei scorgo, di nuovo, l'innocenza.
“André, io... ti amo così tanto. Perdonami, perdonami se non sono stata in grado di ammetterlo prima, perdonami quando non saprò dirtelo.”
Il suo pianto diviene convulso.
“Oscar, amore, non devo perdonarti nulla. Ne per il passato, ne per il futuro. Smetti di piangere, ti prego.”
Le asciugo, le piccole perle, morte sulle guance.
“André, ma...”
Poso la bocca su labbra bagnate dal pianto.
La bacio con quella dolcezza che non ha parole.
La bacio fino a toglierle il fiato.
Privo le sue labbra della mie.
Poso gli occhi nei suoi, con sguardo interrogativo, in attesa di altre parole.
Non odo parole.
Non odo scuse.
Non odo null'altro che il suo respiro affannato.
“Oscar, sei una piccola furba, se quello che volevi, era un bacio, ti sarebbe bastato chiederlo...”
Due enormi occhi azzurri, di nuovo.
Una risata, cristallina, piena.
Una risata che non udivo da anni.
Si stringe forte attorno al mio corpo, questa donna nuova.
“Ti amo Oscar. Ti amo da sempre. Ti amerò per sempre.”
Un soffio di respiro, caldo, tra le sue labbra.
E vi è un nuovo bacio.
E vi sono nuovi baci.
L'amore in ogni forma.
Il suo corpo, candido, sul mio.
Il suo seno, pieno, sul mio petto.
Le sue gambe, lunghissime, attorno ai miei fianchi.
Le sue mani, tra i miei capelli.
La sua bocca, bollente e piena, solletica il mio orecchio.

“Fai l'amore con me, André.”
Una voce sconosciuta, di una sensualità disarmante, mi colpisce il cuore, e il ventre, nel medesimo istante.
Non mi è dato modo di rispondere, colpito senza possibilità di difesa, dalla sua bocca.
Arreso alla passione di un bacio così intenso da lasciarmi stordito.
Rispondo, con la stessa intensità, ricercando, nella sua bocca, ciò che mi viene rubato.
E sono baci primordiali, i nostri, giunti dalla parte più profonda dei nostri corpi.
Baci rimasti in carestia troppo a lungo.
Baci che hanno, in sé, l'urgenza del tempo perduto.
Baci che hanno, in sé, un appetito insaziabile.
Fame di piacere.
Fame di pelle.
Fame di noi.
Arreso alla bramosia della sue labbra.
Colpito dalla lussuria di un gesto inatteso.
Oscar, con un cenno del capo, scosta di lato i suoi riccioli biondi, lasciandoli ricadere sul mio petto, in un insolita carezza.
Mi fissa, ed ha uno sguardo di puro desiderio.
Uno sguardo che è pura passione.
Uno sguardo carnale.
Percosso dal calore della sua lingua, lungo i muscoli del mio collo.
Tormentato dal tocco delle sue mani, in ogni angolo del mio corpo.
Provocato dalla presa, così maledettamente sfacciata, delle sue dita, su quella parte di me che racchiude il mio piacere, ed il suo.
Quella parte che fa di me un uomo.
Istigato dalla passione.
Istigato dalla femminilità.
Provocato dalla voglia, porto, al di sotto del mio corpo, quello di Oscar.
Non vi sono parole in noi.
Solo sguardi.
Respiri.
Carezze.
Pelle.
Rifuggo le parole.
Tante, troppe, nella mia vita.
Tante, troppe, tra me ed Oscar.
Bramo il silenzio.
Bramo il contatto fisico.
Bramo l'amore.
Amore che non necessita di sproloqui.
Amore che è, narratore silente, di una nuova esistenza.
Creo, una sorta di favola, tra le labbra di Oscar.
Una favola, dove la paura, ha lasciato il posto alla fiducia.
Una favole dalle tinte calde e prepotenti.
Una favola rosso scarlatto.
Prendiamo, l'uno dall'altra, tutto ciò che è possibile.
Viviamo, ogni istante, di questa calda notte d'estate.
Esaudisco, la femminilità bruciante, della donna che freme al di sotto del mio corpo.
Incoraggio il desiderio di questa nuova Oscar.
Ubbidisco, come ho sempre fatto, all'amore della mia vita.
Scivolo in lei con la dolcezza che le ho sempre riservato.
Il suo sguardo, come fuoco.
Una muta richiesta.
Entro, nel suo intimo, con decisione.
Un gemito.
Spingo, il mio vigore, sempre più in lei.
Le sue gambe attorno ai miei fianchi.
Le sue mani, senza più vergogna, invitano il mio corpo a unirsi, senza ritegno, al proprio.
Accelero l'intensità dei miei movimenti.
Un gemito che assomiglia al dolore.
Blocco, con il terrore nel cuore, la mia folle corsa.

“Non ti fermare... non ti fermare, ti prego.”
Una disperata richiesta, tra un respiro mancato, e gemiti di piacere.

Riprendo le movenze di un amplesso che odora di violenta carnalità.
Ritorno ad amare la mia donna.
Giaccio sulla sua pelle, posando il viso accanto al suo.
Perpetuo, nel suo ventre, la ricerca della passione.
Sussurro, al suo orecchio, gemiti di delizia.
Accolgo, in me, altrettanti gemiti di piacere.

“Ti amo, Oscar.”
L'ennesimo sussurro, il più importante.
“Ti amo, André.”
L'ennesimo gemito, il più desiderato.

Non vi sono parole, per il futuro.
Non vi sono, a parole, ne domande, ne richieste.
Non parliamo, apertamente, di quel futuro che appare, dinnanzi ai nostri occhi, oscuro e incerto.
Conversiamo orfani di parole.
Immagina il futuro, Oscar, stringendosi, in piena coscienza, ai miei lombi.
Progetta il futuro, Oscar, impedendo al mio vigore, di scindersi dal suo ventre.
Narro un tacito consenso, rimanendo in lei, offrendole, per la seconda volta in questa notte di luglio, l'essenza del mio amore.
Narro, ebbro di felicità, un tacito consenso, facendole dono di un futuro senza parole.

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Capitolo 21
*** Noi ***


Buio.
Sprazzi di luce accecante.
Buio.
Giorno e notte in un alternarsi di lampi dolorosi.
Il nulla sta prendendosi l'unico occhio rimastomi.
Il nulla pare essere divenuto un folle Dio.
Il nulla in ogni dove.
Il nulla in ogni cosa.
Il nulla su questa Francia straziata.
Il buio è calato su ogni luogo.
Il buio si è abbattuto su qualunque uomo, sia esso nobile o povero.
Il buio è in ogni dove.
Il buio, in questo giorno funesto.
Il buio, oggi, nonostante vi sia uno splendido sole.
Il buio e null'altro.
Siedo, accanto ai miei compagni, sulla fredda pietra al di sotto di un ponte.
Siedo accanto a coloro che sono sopravvissuti, oggi, con me.
Non vi sono parole, non vi sono pianti.
Solo respiri.
Il respiro è tutto ciò che fa, di noi, degli esseri vivi.
Il respiro ci ricorda, in questo giorno infausto, che vi è ancora della forza, in noi.
Il respiro è un doloroso masso sul petto, pronto a rammentare, a noi tutti, il peso della nostra sopravvivenza.
Buio ed omertà.
Siedo al di sotto di un ponte, ricercando la calma, che ha cullato, il mio cuore, qualche ora prima.
Siedo al di sotto di questo ponte, cercando di annientare, invano, i segni della rivolta Francese.
Urla.
Spari.
Fumo.
Sangue.
L'odore acre della morte penetra nelle narici, e giunge, con prepotenza, alla bocca dello stomaco.
Trattengo a fatica i conati.
Buio nei miei occhi.
Buio intorno a noi.
Buio in ogni dove.
La morte, in ogni luogo.
Luce.
Lei, la mia Oscar.
Solo lei è in grado di portare, in questa vita disperata, uno spiraglio di gioia.
Lei, la mia Oscar.
La mia donna.
La mia compagna.
Trattengo il respiro, allontanando, dal mio corpo e dal mio cuore, la battaglia.
Trattengo il respiro, tentando di riportare, in me, i ricordi di qualche ora addietro.
Ricordi che sono stati puro e semplice amore, come la quiete prima della tempesta.
Puro e semplice amore, il suo, per me.



L'alba dinnanzi a noi.
Noi, come lo siamo sempre stati.
Noi, così diversi.
Un Noi che racchiude, in sé, un'intera vita.
Noi.
Oscar e André.
Fratello e sorella.
Amico e Amica.
Servo e padrona.
Nobile e povero.
Uomo e donna.
Amanti.
Noi.
Compagno e compagna.
Cavalchiamo incontro al mattino, cavalchiamo verso un destino oscuro.
Galoppiamo, sui nostri cavalli, col fuoco della battaglia nelle vene, e l'amore nel cuore.
Galoppiamo, insieme, come abbiamo sempre fatto.
Aizzo il mio cavallo, esortandolo ad aumentare l'andatura.
Incito il mio cavallo, e quasi non mi rendo conto di ciò che, ora è più che evidente, al mio unico occhio.
Mi stupisco di non vedere Oscar, dinnanzi a me.
Mi sorprendo di non scorgere il crine bianco del suo cavallo, davanti al mio.
Un particolare insignificante per chiunque, un cambiamento evidente, per me.
Lei, che da sempre ha condotto le nostre vite.
Lei che tacitamente ha preso il comando della mia esistenza.
Lei che, da sempre, ha camminato dinnanzi a me.
Ora, lei, è al mio fianco.
Ora, lei, cammina sui miei passi.
Lei, la mia piccola donna, sta affidandosi a me, in tutto e per tutto.
Un sorriso sfiora impercettibilmente le mie labbra.
Galoppiamo, insieme, verso un futuro incerto.


Attraversiamo il corridoio, ancora avvolto nella penombra, delle camerate.
Camminiamo uno di fianco all'altra.
L'ennesimo evidente cambiamento.
Camminiamo e non vi sono parole tra di noi.
Non vi sono sguardi.
Un'infantile paura mi pervade il cuore.
La  paura dell'abbandono, quel primordiale terrore che giace in me da sempre.
Paura, di ritrovare al mio fianco, il fantasma del soldato.
Cerco rassicurazione nelle azzurre iridi di Oscar, ma vi trovo solo uno sguardo sfuggente.
Il cuore pare impazzire nel petto.
Paura, vi è solo paura a riempire le mie vene.
Rimprovero me stesso, come fossi un estraneo, per questi insensati pensieri.
Non può, colei che mi ha amato, un respiro fa, ridiventare l'essere di un tempo.
Non può, la Mia Oscar, essersi sbagliata.
Non può essersi pentita.
Provo vergogna per questi folli timori.
Come posso, anche solo sospettare, che lei possa smettere di amarmi, così repentinamente.
Rido di me stesso.
Rido di te, André Grandier.
Rido di me, un irrazionale, folle, innamorato.
Rido di supposizioni che non hanno basi, rido di un'idea che non ha fondamento.
Rido di ciò che non esiste.
Rido, e confesso a me stesso, di non poter immaginare un giorno senza di lei.
Non posso concepire, la mia vita, senza il suo amore.
Privarmi dell'amore di Oscar, sarebbe come strapparmi il cuore dal petto, a mani nude.
E non vi è vita senza cuore.
Riconduco, in me, la ragione.
Giungiamo nella camerata, Oscar siede al tavolo attirando l'attenzione dei soldati.
La sua voce, quella di un tempo.

“Soldati della guardia è necessario che io vi parli. Come sapete il nostro reggimento domani sarà a Parigi. L'ordine che abbiamo ricevuto è di collaborare con le altre truppe e soffocare la rivolta armata con ogni mezzo, questo vuol dire sparare sulla folla.”
La voce del soldato.
Fredda.
Autoritaria.

“Probabilmente ci saranno i vostri amici, i vostri parenti, tra la folla. Se vi dessi l'ordine di aprire il fuoco sono certa che alcuni di voi non lo farebbero, ed io questo lo capisco.”
La voce del soldato perde d'intensità.
La voce di quella che fu, un tempo, la vecchia Oscar, si affievolisce quando le ultime parole le scivolano lungo le labbra.
“ed io questo lo capisco”
Una nota di dolcezza, un retrogusto di donna.

“Vi parlerò con molta franchezza, vi dirò quello che farò io, ma è una scelta personale. Ho deciso di rinunciare all'uniforme e di non essere più il vostro comandante, e questo perché l'uomo che io amo, l'uomo della mia vita, forse mi chiederà di battermi con il popolo in rivolta, e io lo farò. Amici, io ora sono la compagna di André Grandier e come tale seguirò il mio uomo, qualunque cosa faccia. Tutto sommato la mia è una scelta facile, forse per voi non lo sarà altrettanto. E giuro che mi dispiace.”

Questa voce.
La sua voce.
La mia Oscar.
Solo mia.
Nel cuore.
Nel corpo.
Nell'anima.
Ed ora, mia, agli occhi di tutti.
Le sue parole, così inattese.
Le sue parole, così dolorosamente dolci.
Quanto coraggio ti è servito, Oscar, per dichiarare, dinnanzi a tutti, il tuo amore per me?
No, non si tratta di coraggio, non ho udito incertezza nelle tue parole.
Bisogno, è stato semplice bisogno, il tuo, così simile al mio.
Un naturale bisogno di manifestare, ciò che l'anima non è più in grado di trattenere, in sé.
Io, il tuo uomo.
Tu, la mia compagna.
La compagna di una vita, pronta a seguirmi ovunque.
Pronta a seguire me, senza esitazioni, senza alcun minimo dubbio.
Mi seguiresti, senza proferir parola, per il semplice fatto che mi ami.

“Oscar...”
Tutto quello che mi riesce di dire.
Il suo nome racchiude un mondo intero.
Come ho potuto pensare, anche solo per un istante, che si fosse pentita?
Come ho potuto dubitare di lei?
L'ho fatto, stupidamente, per troppo amore.
Prometto a me stesso di cancellare, dal cuore, la paura.
Prometto a quella parte di me, irrazionale, folle, infantile, di non cadere, mai più, nell'inganno di vecchie ferite.
Non vi saranno più ferite d'ora in poi.
Non vi sarà  più il vuoto che, per anni, ha dimorato nella mia anima.
Io, orfano di padre e di madre, ora possiedo nuovamente una famiglia.
Lei.
Oscar.
Noi.
Oscar ed Io.
Una famiglia.

“André, ora dimmi quello devo fare, lo sai che sono pronta a seguirti comunque.”
Tu pronta a seguire me?
Fatico ad abituarmi a tali parole.
Fatico a credere che tutto ciò sia reale.
Io, un tempo, come ora, l'avrei seguita comunque ed ovunque.
Io, un tempo, come ora, la sua ombra.
Un'ombra mai scorta.
Un'ombra che veglia ma non si cela.
Ombra che giubila anche solo di tallonare la propria luce.
Ombra che soccombe, costretta a strisciare, al seguito della propria luce.
Ombra, ora, divenuta luce.
Cosa devo fare, mi domandi.
Amami, amore mio, per l'eternità.
Null'altro.

“Ecco vedete, credo che possiate benissimo restare il nostro Comandante, prima che arrivaste abbiamo discusso a lungo, e abbiamo deciso che se qualcuno ci darà l'ordine di sparare noi lasceremo i soldati della guardia, e ci uniremo, al popolo. E dato che lo farete anche voi possiamo restare insieme. Si, voi continuerete a comandarci e ci batteremo al fianco del popolo, sono certo che molti altri soldati si uniranno a noi.”
Il caro, buon, Alain.
Sapevo che sarebbe finita in questo modo, sapevo che prima o poi, anche lui, l'avrebbe vista.
Sapevo che col tempo, anche lui, sarebbe andato oltre la veste del soldato.
Ero certo che questo giorno sarebbe giunto, così come sapevo che Alain avrebbe accettato.
Lei, Oscar.
Noi.
Da tempo avvertivo, in lui,  l'odore della comprensione.
Alain, uomo grande e grosso.
Alain, temuto soldato.
Alain, burbero e rozzo uomo del popolo.
Alain, un semplice uomo che ha compreso più di tanti altri.
Ha compreso il valore di una donna vestita da uomo.
Ha compreso, l'essenza della donna, celata al di sotto di vesti maschili.
Ha capito, forse prima di lei, ciò che Oscar ha tramutato, in gesti e parole, solo questa notte.
Ha capito, prima di lei, e di tutti noi, ciò che Oscar ha confessato, qualche minuto fa.
Lui sapeva.

“Tu cosa ne dici?”
Mi guarda, Oscar, con gli occhioni azzurri.
Mi guarda con il medesimo sguardo di questa notte.
Uno sguardo che profuma d'amore e fiducia.
Uno sguardo, talmente amabile, da solleticare la mia follia.
Un paio di occhi che hanno il potere di rapire la ragione, fomentando la mia pazzia.
Abbandonerei tutto, ora, senza ripensamenti.
Abbandonerei i miei compagni, la mia Francia sofferente, il popolo.
Abbandonerei questa giusta, eppure insensata, guerra.
I suoi occhioni azzurri.
Ed io sono perduto.
Mi guarda, la mia Oscar, senza più maschere, ignorando gli uomini che vi sono attorno a noi.
La guardo e vorrei stringerla tra le braccia.
Vorrei poter baciare le sue labbra, così piene, ancora irritate dalla mia voglia.
Quelle labbra che non hanno perduto un impertinente rosso scarlatto.
I suoi occhi.
Il suo amore così evidente.
Lascerei tutto, ora, in questo istante.
Abbandonerei questo luogo, freddo e maleodorante.
Scapperei, senza vergogna, come il più spregevole dei codardi.
Scapperei, senza rimorso, lontano da questo presente di morte.
Scapperei con lei, l'amore della mia vita.
Vorrei prenderla per mano, e condurla, senza parole, al di fuori di questa tomba.
Desidero indossare le vesti d'egoista e pensare a me, a noi, e a null'altro.
Desidero immaginare un futuro migliore.
Vorrei lasciarmi alla spalle tutto il dolore che pesa su ognuno di noi.
Vorrei poter sognare, il futuro, senza il terrore nel cuore.
Un futuro che ha il volto di Oscar.
Vorrei prenderla per mano, in questo istante, e condurla verso quel domani che ha la felicità nel cuore.
Quel domani che la renderebbe mia moglie.
Vorrei ma...
I suoi occhi, colmi d'amore.
I suoi occhi, in egual modo, colmi di un fuoco che porta, in sé, il nome della battaglia.

“Dico che va bene, Alain ha ragione, Oscar.”
Parole vere, sentite, sgorgate dalla ragione, dal sangue, dall'origine del mio essere.
Parole differenti da quelle che, realmente, avrei voluto pronunciare.
Altri verbi, concepiti dal cuore, avrei desiderato enunciare.
Scappa con me Oscar, diventa mia moglie, fai di me un uomo, se fosse possibile, ancora più felice.
Oscar, amore mio.
Divieni sorda.
Divieni cieca.
Misconosci questa terribile rivolta.
Copri, i tuoi bellissimi occhi azzurri, dinnanzi a questa Francia avvolta in vesti funerarie.
Respingi, amore mio, il fuoco che ti infiamma le vene.
Scappa con me Oscar, senza voltarti indietro.
Concedimi il gaudio.
Concedici un futuro.
Concedi, ai nostri figli, la vita.
I tuoi occhi.
Il tuo ardore.
Non potrei posare, sulla tua anima, tali parole.
Non potrei chiederti questo sacrificio.
Non potrei, perchè, ora so, accetteresti senza un fiato.
Sorrido mentre osservo, nell'azzurro delle tue iridi, la passione del soldato.
Sorrido, mentre muoio, tra il fuoco del tuo amore.

“Adesso vorrei stringervi la mano. Ed è anche il caso che mi congratuli con voi, ragazzi.”
Alain.
Il caro buon Alain.
Un sorriso beffardo gli dipinge il volto.
E, su quel volto, vi leggo stima, per Oscar, affetto, per me.
Sorride, il caro vecchio Alain, mentre felice come non mai stringe, tra le sue enormi mani, quella di Oscar.
Maschera un insolente sghignazzo, il caro Alain, dietro un falso, innocente, sorriso.
Un irriguardoso sorriso che racconta più di mille parole.
Alain narra, senza verbo, una storia che soltanto io, posso udire.
Una storia spudorata.
Volgare.
Rude.
Dilettevole.
Inenarrabile.
Sorrido, a mia volta, a quello che è diventato il mio migliore amico.
Sorrido, di rimando, ad Alain, rispondendo, tacitamente, alla sua storia.
Mi piacerebbe conversare ancora con lui.
Mi piacerebbe udire, di nuovo, le parole di scherno, riservatemi ogni giorno.
Vorrei poterti rivelare, amico mio, tutto quello che ora, forse, intuisci nel mio unico occhio.
L'ho amata.
Ho amato la mia Oscar come mai, neppure tra i miei sogni più segreti, ho mai fatto.
Mi ha amato, amico mio.
Mi ha amato, la nostra Oscar, con una tale intensità da desiderare la morte, per il troppo piacere, divenuto insopportabile.
È bellissima, Alain.
Una bellezza indescrivibile a parole, una bellezza che toglie il fiato.
Una bellezza innocente, da aver timore di infierirle dolore, da temere di violarla, con un semplice sguardo.
Una bellezza femminile e spudorata.
Una bellezza maliarda che conduce all'oblio.
L'oblio dei sensi.
Una bellezza che istiga la passione.
L'ho amata, Alain.
L'ho amata con quella bramosia che possiedono gli animali.
Ho amato ogni lembo del suo essere.
Ho amato il suo cuore.
Ho amato la sua anima.
Ho amato la donna e il soldato.
Ho amato ogni cosa, di lei.
L'ho amata, amico mio, laddove il  mio cuore non era ancora giunto.
Ho amato, quella parte di lei, pura e innocente.
L'ho sporcata, amico.
L'ho macchiata, indelebilmente, col mio amore.
Ne è valsa la pena, Alain.
Tutta la sofferenza, il dolore, ogni singola lacrima versata.
Ne è valsa la pena.
Oscar è una donna da ammirare, come ben dicesti tu, un tempo.
Ma credimi, amico, Oscar è sopratutto una donna da amare.
Una donna che ha in sé un amore smisurato.
Un amore dolce e innocente.
Un amore passionale e doloroso.
Un amore che scivola sottopelle come una carezza.
Un amore che scorre nelle vene come sangue.
Un amore che ti entra dentro, fin nelle viscere.
Un amore che diviene vita.
Sorridi, mio caro Alain, sorridi per me, per lei, per noi.
Sorridi, di questo amore, che anela l'eternità.



Una pioggerellina, fitta come fossero spilli, riporta il mio essere al presente, strappandomi ad un neonato passato.
Siedo sotto ad un ponte, circondato dai miei compagni.
Siedo sotto ad un ponte che funge da barriera, tra noi e una Francia ormai morente.
Fumo.
Grida.
Sangue.
Puzzo di morte.
Trattengo il respiro, lasciando, al di fuori di me, il presente.
Trattengo il respiro per non dover dar di stomaco.
Trattengo il respiro, tentando di riportare, sui miei occhi, la follia.
Quella follia che mi darebbe la forza, e il coraggio, di progettare il futuro.
Un futuro che mi appare distante.
Quella stessa distanza che vedo, sento, odo, tra me ed Oscar.
Una distanza fisica che mi è divenuta insopportabile.
Trattengo il respiro e prego Dio di fermare il presente.
Imploro Dio di abortire il presente, e di concepire, per noi, per me ed Oscar, un piccolo futuro.

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Capitolo 22
*** Eternità ***


Da bambino amavo perdermi nell'azzurro dei tuoi occhi.
Da bambino mi piaceva, durante le innumerevoli azzuffate, affondare il viso tra i tuoi riccioli biondi, e odorarne il profumo.
Da bambino adoravo arricciare, tra le mie dita, i tuoi boccoli, quando tu non potevi scorgermi, quanto eri sopita, e deliziosamente tranquilla, nel mio letto.
Da bambino amavo stringermi a te, ogni pretesto era buono per abbracciarti.
Tu, un'insolita bambina.
Un'insolita bambina dalla pelle morbidissima e bianca come il latte.
Amavo, da bambino, respirare l'aroma della tua pelle, quell'aroma che ricordo ancora oggi.
Vivo nella mente.
Prepotente nelle mie narici.
Profumo di biscotti.
Da bambino ti definivo Mia.
“Nonna dov'è la Mia Oscar?”
Dicevo senza timore, senza blocchi, senza barriere di rango.
Mia, scivolava dalla labbra, come è naturale che scivoli un respiro.
Ti definivo Mia anche se non vi era, tra noi, alcun tipo di legame.
Ti definivo Mia, anche se il nostro sangue era differente.
Smisi di definirti in quel modo quando, la nonna, minacciò di mandarmi via, allontanandomi da te, se avessi “osato” pronunciare, ancora, quel termine.
Bandii quella parola dalla mia lingua, l'estirpai dalle mie labbra, per molto tempo evitai, di proposito, di usare quella parola rivolgendomi a te e, per non incappare in altri errori, anche riferendomi a qualcosa che ti riguardava.
Niente, di tuo, era mio.
Un libro regalatomi non mutava in una cosa mia.
No.
Un libro regalatomi era, nonostante fosse tra le mie mani, Tuo.
Smisi di definirti mia, con la bocca.
Non smisi mai, di sentirti Mia, nel cuore.
Da bambina hai alleviato i miei dolori, col sorriso sulle labbra.
Da bambina hai rammendato i miei tagli, con fili d'amore, quell'amore puro, incondizionato, innocente, quell'amore che solo gli infanti posseggono.
Da bambina, hai riempito il vuoto della mia anima, con la tua.
Da bambina.
Ed è così che ti vedo Oscar, adesso, dinnanzi ai miei occhi stanchi.
Ed è così che ti scorgo, da quando il cuore sembra essermi scoppiato nel petto.
Sei comparsa all'improvviso, come un lampo inatteso.
Un lampo ad illuminare il buio.
Un lampo, tra la nebbia del mio sguardo.
Sei tornata, mia piccola Oscar, per alleviare, come un tempo, le mie ferite?
Sei tornata, mia piccola Oscar, per guarire, con le tue mani, la piaga della mia carne?
Sei tornata, piccola Oscar, per asciugare, con la tua anima, il mio sangue, così dissimile al tuo, divenuto un fiume in piena?
Si, sei ricomparsa.
Ti vedo.
Ti scorgo, di nuovo...
Bambina.



“André! Non morire, André! André! André, no!”
Odo la tua voce, Oscar.
Odo la tua voce, così spaventosamente lontana.
Odo, la tua voce di donna, ma i miei occhi scorgono la bambina.
Ancora la tua voce, adulta, forte.
La bambina svanisce, come un soffio di respiro su di una fiamma.
Urla.
Urla strazianti.
Le tue urla, Oscar.
Perché stai gridando amore mio?
Voglio domandartelo, voglio sapere.
“Oscar...”
Il tuo nome scambiato in un lamento, dalle mie labbra.
Null'altro fuoriesce dalla mia bocca.
Il respiro muore in gola, bloccato da un peso che mi schiaccia a terra.
Un dolore, improvviso.
Il respiro morto, di nuovo, nei miei polmoni.
L'ennesimo dolore.
Gridi il mio nome, Oscar, e non ne comprendo il motivo.
La paura avvia il suo cammino, in me.
Altre grida, altro vociare.
Alain.
Alain, perchè anche tu stai strillando?
La paura, insinuata sotto la pelle, sta raggiungendo la confusione della mia mente.
Vorrei chiedere, vorrei capire.
Vorrei, ma il respiro, rimasto incastrato, al di sotto di un peso di cui non scorgo la figura, mi impedisce di proferir parola.
Un dolore, un bagliore improvviso.
Avverto, chiaramente, la mia mano sul petto.
Sento, lucidamente, la mia mano stringersi attorno alla stoffa dell'uniforme.
Un brivido lungo il braccio, una sensazione di umidità al di sotto delle mie dita.
Percezione liquida.
Sento, tra le dita, scorrere del fluido caldo e vischioso.
La paura mi possiede ed io non pongo resistenza.
La  paura, in me, ha il potere di risvegliarmi.
Le tue urla, amore mio.
La tua disperazione.
Ricordo.
Rincorro un insensato passato di pochi minuti fa.
Rievoco il tempo che fu, un istante fa.
Ora ricordo, Oscar, il peso che preme tra i miei polmoni.
Ora ricordo, amore mio, il metallo lacerare l'uniforme e fare altrettanto con la mia carne.
Rammento.
Lo strappo violento della mia pelle.
Il metallo, come fuoco, insinuarsi nella polpa del mio corpo.
Rammento, vividamente, il rumore del mio cuore, squarciato.
Mi hanno sparato.
Sono stato colpito.
Sono ferito.
Oscar, aiutami! Aiutami amore mio!
Oh come vorrei gridartelo, ma non ne ho la forza.
Il metallo pesa prepotentemente in ogni parte di me.
Sul cuore.
Sui polmoni.
Sul costato.
Aiutami Oscar, aiutami!
Medica le mie ferite come facesti da bambina.
Una fitta di dolore mi toglie anche l'ultimo soffio di fiato.
La gola mi si chiude.
Mi sento soffocare.
Aiutami Oscar, ti prego!
Se solo il mio occhio potesse parlare.
Se solo tu, riuscissi a leggere, tra il verde del mio sguardo.
Se solo tu...
Oscar!
Oscar, amore mio, dove sei?
Il nulla sul mio unico occhio.
Un silenzio assordante nelle mie orecchie.
Una pace irreale tra le mie viscere.


Vociare.
Odo vociare attorno a me.
La nebbia è ridiscesa sul mio sguardo.
Nuovo dolore strazia la mia pelle.
Nuovo fuoco scotta la mia carne.
Nuovo fiume mi scorre lungo il corpo.
Il mio corpo, un oggetto inanimato.
La paura attanaglia le viscere e la mente.
Una montagna sul petto.
Il deserto nella bocca.
Il corpo scosso da tremori incontrollabili.
Il mio cuore, squartato, ha preso a battere così fortemente da rendermi pazzo.
Smetti cuore, smetti di battere.
Cessa il tuo insopportabile rumore.
Smetti di razziare gli ultimi aliti dei miei polmoni.
Un lungo sospiro, uno sciocco respiro trattenuto, a forza, da un dilaniante dolore.
Azzardo l'impossibile, un rumore sordo nasce al posto del fiato.
Spalanco la bocca in cerca di aria, come un pesce  privato dell'acqua.
Dischiudo le labbra ma vi è una mano, invisibile, a serrarmi la gola.
Sto soffocando.
Il terrore si palesa in sudore.
Il terrore sfocia in altri terremoti al di sotto dei miei muscoli.
Il terrore nasce tra le vertigini della mia testa.
Supplico la fine di questa agonia.
Supplico, questa infinita morte, di giungere ad una fine.
Supplico, la morte, di non giungere mai.
La notte, ancora, sui miei occhi.
Un fischio, interminabile, nelle mie orecchie.
Una voce.
La sua voce.

“Bernard c'è bisogno di un dottore, e subito!”
“Coraggio André resisti, adesso Bernard troverà un dottore, fatti forza!”

Oscar.
Solo lei nei miei pensieri.
Solo lei nel mio cuore lacerato.
Solo lei nella mia anima.
Il silenzio avvolge il ciarlare delle persone.
Il silenzio inghiotte i rumori della città.
L'oblio mi possiede, trascinandomi, con infinita dolcezza, al centro del nulla.
Un mancamento.
Il buio.
La bocca partorisce un lieve respiro.
Luce.
Oscar.
Lei, di fronte alla mia vista.
Ti ritrovo, ancora qui, amore mio.
Ancora qui, non più bambina.
Qui, ora, donna.
Ti guardo, Oscar, bellissima e differente da come ti ho ammirata questa notte.
Ti vedo, Oscar, avvolta in una delicata, candida, stoffa.
Un drappo che racconta, tra le pieghe della propria foggia, la storia di un'eterna promessa.
Ti scorgo sfiorare quel tessuto, che fa di te, mia moglie.
Sei giunta, Oscar, per strappare il tormento del mio cuore?
Sei venuta, amore, per donarmi un perpetuo respiro, con la tua bocca?
Ti vedo, Oscar.
Non più bambina.
Non più sposa.
Ti guardo, Oscar, con l'amore dipinto in ogni dove.
Ti osservo, e tutto, in te, mi pare nuovo e stupendo.
Una Oscar appena fiorita, una deliziosa novizia.
Scorgo, su di te, una morbidezza inaspettata.
Ti guardo, Oscar.
Ti guardo.
Gravida di nostro figlio.
Sei tornata, Oscar, per allontanare, da me, il peso della morte?
Sei ritornata, Oscar, per alleviare il mio dolore?
Sei arrivata, amore, per donarmi nostro figlio?
Una vertigine.
Una luce dolorosamente accecante.
Voci.
Rumori.
Lei, di nuovo dinnanzi a me.
Lei, Oscar.
Oscar del presente.

“Il sole sta tramontando, non è vero Oscar?”
La mano, che premeva in gola, sembra avermi graziato, facendomi dono di piccolissimi respiri.

“Si, sulla città è tornata la calma, non si sente più il rumore di spari vero?”
Odo la tua voce, calma, carezzarmi i sensi.

“No, sento solo i piccioni che volano in alto per trascorrere la notte.”
Sentire è tutto ciò che mi è concesso di fare.
La vista mi ha abbandonato, facendo calare, su di me, il buio.
Allungo la mano.
Una maledettissima mano che non vuol smettere di tremare.
Voglio toccarti Oscar, voglio sentire, sulla mia pelle divenuta ghiaccio, il calore della tua mano.
Voglio sentirti.
Prendi la mia mano, amore.
Stringila.
Prendi la mia mano e non lasciarmi andare.
Trattienimi.
Trattieni, con la tua dolce presa, il mio corpo ormai esausto.
Serri le tue dita, racchiudendo, in esse, le mie.
Quanto amore c'è in te Oscar?
Lo percepisco, sai?
Un immenso amore, solo per me.
Riempi la mia anima, Oscar, come hai sempre fatto, da bambina.
La mia mano, senza peso, scivola.
Non mi lasciare Oscar.
Non permettere al male di scindere la nostra pelle.
La tua presa, forte, riagguanta le mie dita.
Oh, come vorrei poterti stringere, ancora, tra le mie braccia.
Come vorrei poter baciare, di nuovo, le tue labbra.
Fatico a respirare.
Liquido caldo sulla mia mano.
Singulti dalle tue labbra.
Il terrore in ciò che rimane del mio cuore.

“Che cosa c'è Oscar, perché stai piangendo?”
Amore mio cosa succede?
La mia ferita è così grave?
Le tue lacrime sono, per la mia anima, un orribile presagio.

“Ascolta André, io vorrei, vorrei diventare tua moglie. Vorrei che mi portassi in un piccolo villaggio, in una piccola chiesa, dove ci sarà una semplice cerimonia. Ecco, André vorrei solo che mi dicessi che io diventerò tua moglie.”
Questa è la vera causa del tuo pianto?
È possibile che la felicità abbia concepito, nei tuoi occhi, perle tanto dolorose?
Se solo potessi, Oscar, farei di te mia moglie, in questo istante.
Ti condurrei nei luoghi della nostra infanzia, quei luoghi che ci hanno visti uniti e felici.
Ti condurrei ad Arras, in una piccola chiesetta, come tu desideri.
Come io stesso ho sempre desiderato, quando narravo, ai miei sogni più segreti, un improbabile futuro.
Ti aspetterei, con l'agitazione nel cuore, all'altare.
Posso quasi figurarti dinnanzi agli occhi.
Ti ho dinnanzi agli occhi.
Ti ho veduta sposa, reale, come lo sono ora le tue lacrime, un battito di cuore fa.
Darai tutto, per udirti pronunziare parole che, dinnanzi a Dio, ti unirebbero a me, per sempre.
Io e te per l'eternità
Io e te, fino al cielo.

“Ma certo Oscar, lo diventerai, è la cosa che più desidero al mondo. Oscar perché stai piangendo? Perché? Sto forse per morire?”
Lo desidero così tanto.
Desidero così tanto fare di te mia moglie.
Desidero, ma so che questa mia folle rassicurazione, al tuo cuore, non è che una farsa.
Una triste verità.
Una triste verità impacchettata con un bel nastro rosa.
Una bugia mascherata dall'amore.
Dio, lo desidero con tutto me stesso.
Dio, ti imploro, concedimi di starle accanto ancora un po'.
Dio, invoco la tua clemenza, permettimi di renderla felice.


“No, ma che cosa dici? No, André!”
Stai mentendo, Oscar.
Lo so.
Perpetua il tuo dono d'amore.
Continua ad ingannare il mio cuore.
Donami, a parole, quella felicità che con gli occhi, non potrò vedere.
Regala, a parole, ciò che non potrò vivere.


“Hai ragione, io non posso morire adesso. La nostra felicità è appena cominciata, ora anche l'amore ci unisce, forse noi riusciremo a vivere in un mondo migliore Oscar. No, non posso morire in questo momento, proprio non posso.”
Io, un povero lestofante.
Io, un giustificato mentitore.
Simulo il desiderio in menzogna.
Sogno l'impossibile, sperando un miracolo.
Sperando che, l'assurdo, muti in possibile.
L'amore ci unisce, Oscar, in un legame forte ed indissolubile.
Un legame che ho bramato per tutta una vita.
Un legame che, ora, si fa beffa di me.
Un legame che è giunto, in questo mondo, per un tempo troppo breve.
Un legame che, sta lacerandosi, sotto le dita fameliche di un crudele destino.
Mento, amore mio, per alleviare le pene del tuo cuore.
Mento, per cullare, con assurda verità, le mie membra devastate.
Vorrei vivere in un mondo migliore.
Vorrei vivere in un mondo privo di dolore.
Vorrei vivere un mondo in cui, un uomo del popolo può amare una donna nobile.
Vorrei vivere un mondo in cui, tu, diventeresti mia moglie.
Vorrei vivere, Oscar.
Semplicemente.
Uno spasmo improvviso strazia il mio essere.
Percepisco la pallottola, costruita con l'odio degli uomini, infettare l'amore delle mie membra.
Avverto, al di sotto del mio corpo sfiancato, l'essenza del mio essere, l'origine della mia esistenza, la congiunzione, inscindibile, di mio padre e di mia madre, liquefarsi.
Sento, al di sotto del mio corpo, la vita che mi abbandona.
Non voglio morire.
Non posso morire, non ora.
Oh, beffarda vita, rimani attaccata alla mia anima.
Oh vita, ripagami d'ogni sacrificio.
Ripaga, il mio cuore, d'ogni sofferenza.
Oh vita, baciami, donati a me, come io stesso ho fatto, a te, venendo al mondo.
Oh vita, non privarmi delle tue braccia, non smettere di dondolare, quello che è divenuto un corpo fragile e scarno.
Oh vita, non abbandonarmi.
Non posso morire.
Non posso, non ora.
Non posso morire, Oscar.
Non voglio.
Non voglio, ma scorgo, con la rassegnazione nel cuore, Lei.
Lei, la dama nera.
La dama nera, pianta, con prepotenza, radici nel mio respiro.
La dama nera, posa, con bizzarra delicatezza, le proprie vesti luttuose, sui miei occhi.
La dama nera, sta succhiando ai miei polmoni, gli ultimi aliti di respiro.
Mi aggrappo alla vita, con le ultime forze rimaste ai miei arti sfiniti.
Mi aggrappo alle tue mani, amore mio, cercando, in esse, un briciolo di vitalità.
Mi aggrappo ad uno spiraglio di luce, lieve, quasi impercettibile.
Mi aggrappo, alla bellissima dama nera, per privarla delle sue vesti funeste.
Mi aggrappo ma, non vi è più vigore in me.
Sento la vita scivolare via.
Sento le lacrime infuocarmi gli occhi.
Non posso morire, non ora.
Odo la tua voce, Oscar.
Odo la tua voce provenire da un mondo che sta abbandonandomi.
Odo la tua voce, amore mio.
Sento la tua voce e amare lacrime bagnarmi il volto.
Ero un bambino, Oscar, quando fu chiaro, al mio cuore, che avrai amato solo te, per il resto della mia esistenza.
Ero un ragazzino, quando giurai, a me stesso, di proteggerti.
Ero un ragazzino, Oscar, quando promisi ad un qualunque Dio, che ti avrei donato la mia vita, un giorno.
Ero un ragazzino, amore mio, quando, per un insolito gioco della vita, portai sulle mie spalle il tuo dolore, come avevi fatto tu, anni ed anni prima.
Ero un ragazzino quando scorsi, per la prima volta, il senso della mia vita, nei tuoi magnifici occhi azzurri.
Ero un ragazzino quando scoprii, in te, un nuovo odore.
Ho mantenuto la mia promessa.
Arreso alla fine.
Mi auguro, amore mio, di aver impresso, in te, un po' di me stesso.
Mi auguro, di averti fatto dono, di nuova vita.
Spero, Oscar, d'essermi legato a te, per l'eternità.
Debbo andare, è giunto il momento di lasciare le tue mani.
È giunto il momento di unirmi all'abbraccio della dama nera.
Non piangere amore mio.
Non piangere il mio abbandono.
Sorridi Oscar, per la vita che ci è stata regalata.
Sorridi del tempo che ci è stato concesso di trascorrere insieme.
Non ho rimpianti amore mio.
Sono  stato felice, in questa folle vita.
Ringrazio Dio per ogni istante trascorso nella tua esistenza.
Ringrazio Dio d'avermi concesso il tuo amore.
Vorrei vivere, Oscar, ma non c'è scelta nella morte.
Seguo la dama nera, camminando sui suoi passi.
Seguo la dama nera ed ogni istante della vita mi scorre dinnanzi agli occhi.
In ogni istante tu, Oscar.
Ero un ragazzino, quando piansi di pura felicità, scorgendo la tua anima.
Ero un ragazzino, quando piansi dolci lacrime, immaginando il tuo amore.
Ora sono un uomo, Oscar, ma non ho dimenticato il profumo che avevi da bambina.
Ora sono un uomo, amore mio, ma non dimenticherò mai l'azzurro del tuo sguardo.
Ora sono un uomo, ma non ho dimenticato il tuo aroma di donna.
Ora, privato delle vesti terrene, non scorderò.
Ora, divenuto semplice essenza, non dimenticherò.
Non dimenticherò il tuo amore.
Non scorderò la tua anima.
Ti amo, Oscar.
Ti ho amato in vita e ti amerò nella morte.
Ti amerò fino all'eternità.
Non dimenticherò, amore mio.
Non ti dimenticherò mai, mio angelo perduto.






Eccomi giunta all'ultimo capitolo di questa storia.
Una storia nata così, quasi per gioco, ripescata tra vecchi scritti.
Una storia che era nata con un solo capitolo, e che ora, invece ne ha concepiti 22.
Questa storia mi ha aiutata in un momento particolare della mia vita.
Questa storia mi ha fatto dono di un piacere perduto, un piacere che avevo accantonato.
Il piacere della scrittura.
Mi sono ritrovata, come non mi succedeva da anni, a scrivere senza sosta, fino a tarda notte.
Ho ritrovato, tra le righe di queste “pagine”, le vecchie voci di un mondo fantastico.
Un mondo che racchiude, in sé, luoghi che non esistono nella vita reale, personaggi che nel nostro mondo susciterebbero stupore.
Un mondo che mi era mancato da morire.
Confesso che mi mancherà questa storia.
Mi mancherà terribilmente il “mio” André.
È una piccola sofferenza, per me, staccarmi dai miei scritti, è sempre stato così e non credo che cambierò mai.
Che io sia una folle??? uhm... forse :)
Ringrazio tutte voi per il sostegno, per le innumerevoli recensioni, per il tempo regalatomi per la lettura del mio scritto.
Un doveroso ringraziamento alle vostre parole, ai vostri complimenti, ai vostri appunti ed osservazioni che, credetemi, mi hanno aiutata a migliorare dove c'erano evidenti problemi.
Grazie, mille grazie a tutte voi.
Spero che il “viaggio” sia stato piacevole, per voi, come lo è stato per me.
Spero che questo mio piccolo mondo vi abbia fatto sognare, come ha fatto sognare me.
Spero che, una piccola  parte del mio André (e quindi un pizzico di me stessa), vi sia rimasto addosso.
Alla prossima.
Vi debbo un doveroso inchino.

Baby80

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