La Notte Dell'Assassino

di EryVeg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap I ***
Capitolo 2: *** Cap II ***
Capitolo 3: *** Cap III ***
Capitolo 4: *** Cap IV ***
Capitolo 5: *** Cap V ***
Capitolo 6: *** Cap VI ***



Capitolo 1
*** Cap I ***


la notte dell'assassino cap I

Era una calda serata d’agosto.

Una di quelle serate tranquille, in cui la gente passeggia e racconta ad un amico ciò che ha fatto in giornata o come ha trascorso le vacanze.

Era una di quelle serate in cui le auto scorrono rare nelle strade.

I marciapiedi erano illuminati dalla pallida luce della luna piena e dagli alti lampioni.

Si udivano solo i passi lontani, lievi e le chiacchiere della gente.

Ciò che regnava era la tranquillità.

In una casa del quartiere squillò il telefono:

- Pronto?

- Ciao Mary, sono Marco Lareti.- disse con voce forte.

- Salve signor Lareti, vuole che le passi mio padre?

- No Mary, avevo bisogno proprio di te. Mi chiedevo se domani sera, verso le 20.30 eri libera per fare da baby-sitter a Robby e Laura. Ho sentito dalla signora Preta che sei molto brava e, comunque, non dovrai cucinare niente, solo mettere a letto i bambini.

- Va benissimo signor Lareti. Grazie e a domani sera.

 

La sera successiva Mary David, sedici anni, si recò con la sua bicicletta a casa Lareti, distante solo un isolato da casa sua.

Aveva deciso di fare la baby-sitter durante l’estate per mettere da parte un po’ di soldi per sé.

Il cielo quella sera era ricoperto di nubi: sarebbe venuto a piovere presto.

Arrivata davanti alla porta guardò la casa: era a piano terra con un giardino che le correva tutto in torno; finalmente suonò.

Venne ad aprire un uomo alto, calvo, vestito con calzoni neri, una camicia bianca con le maniche corte dalle quali si poteva vedere la pelle abbronzata, una cravatta nera e un sorriso stampato sulla faccia: il signor Lareti.

- Ciao Mary. Vieni pure dentro.

 Mary entrò in un’ampia sala accogliente nella quale vi erano un televisore a cristalli liquidi, un video registratore con a fianco un DVD, un decoder SKY, due comodi divani, una poltrona, un tavolino, una credenza, una libreria e un mobiletto con sopra una quantità incredibile di foto incorniciate.

“ Però, si trattano bene!” pensò Mary.

- Spero che ti piaccia la nostra sala.

- E’ molto bella e accogliente. Ma dove sono i bambini?

- Adesso li vado a chiamare. Mi dispiace di averti fatto venire fin qui, ma io e mia moglie dobbiamo andare fuori a cena. Sai, è il nostro anniversario di matrimonio.

- Allora auguri!

Il signor Lareti andò a chiamare i bambini e quando tornò presentò a loro la ragazza:

- Ecco bambini, questa è Mary. Dai salutate!

- Ciao Mary- dissero in coro, con voce dolce, i due bambini.

- Lui è Roberto ma noi lo chiamiamo sempre Robby…- disse indicando un bel bambino con i capelli castani, gli occhi verdi e delle guance rosse: tutto gli dava un aria da monello.

-…e lei è Laura…-, questa invece sembrava più tranquilla del fratellino, aveva i capelli anche lei castani, gli occhi verdi e le guance rosse: si assomigliavano come due gocce d’acqua.

-…sono gemelli e hanno quattro anni, mentre in camera c’è Dylan, mio figlio più grande, che ne ha quattordici.

Avrei lasciato i bambini a lui, ma questa sera deve uscire; tornerà verso le undici mentre noi a mezzanotte. Non è troppo tardi, vero?

- No, va benissimo. A che ora devo mettere a letto i bambini?- domandò Mary.

- Verso le dieci; per addormentarli dovrai leggere loro il libro che c’è sul comodino. Dopo potrai fare ciò che vuoi. Vorrei mostrarti il resto della casa ma si è fatto tardi.

- Non fa niente, me la farò mostrare dai bambini, per tenerli occupati.

- Marco, sei pronto?- domandò la signora Lareti.

- Si tesoro, arrivo. Grazie Mary, se hai bisogno chiama questo numero.- disse porgendo un foglietto.

- Non si preoccupi, andrà tutto bene! Arrivederci!- esclamò Mary.

La ragazza osservò il signor Lareti uscire dalla porta, per poi chiuderla alle sue spalle.

Mary guardò i bambini ed esclamò:- Allora bambini, avete voglia di farmi vedere la vostra casetta?- - Sììì- urlarono in coro i gemelli.

Così la presero per mano, Robby da una parte e Laura dall’altra, iniziando a litigare:- Vieni a vedere la cucina!!- - No, prima la nostra cameretta!!-

- Calma bambini, guarderemo tutte e due, va bene?

- Sì…- dissero annuendo, - ma cosa guardiamo prima?-

- Prima la cucina perché è più vicina alla sala, d’accordo?-

Acconsentirono tutti e due.

La cucina era grande, con una finestra che si affacciava sul vialetto davanti alla casa, c’erano un tavolo, un frigo, un forno, i fornelli, la lavastoviglie, un lavandino e vari mobili contenenti stoviglie e cibi.

I gemelli accompagnarono Mary a vedere il bagno e le camere.

- Questa è la nostra cameretta- disse Laura con vocina dolce. – qui ci sono tutti i nostri giochi…- e corse a prendere un morbido orsacchiotto; - lui si chiama Freddy.

- Piacere di conoscerti Freddy!- disse Mary stringendogli la zampina.

- Lui invece è Daniel.- esclamò Robby indicando l’aria di fianco a lui.

- E’ il loro amico invisibile- sussurrò un ragazzo a fianco di Mary.

Si girò di scatto e si trovò davanti un ragazzo con i capelli neri pieni di gel, gli occhi castani, vestito con jeans stappati qua e là, con una maglietta senza maniche nera.

- Io sono Dylan e tu devi essere Mary, giusto?

- Si sono io- rispose.

- Bene io ora devo uscire, a più tardi!- così dicendo si diresse verso la porta e uscì.

- Mary, vuoi vedere la cameretta di Dylan e quella di mamma e papà?

- Sì, forza andiamo!

La camera di Dylan non era molto grande; vi erano un letto con a fianco un comodino, una scrivania con il computer e alcune mensole con sopra i libri di scuola, un guardaroba e un mobiletto con sopra la televisione. Vi era inoltre una finestra che dava sul retro della casa.

- Vieni- gridarono tirando Mary per le maniche.

Attraversarono un corridoio e portarono la ragazza davanti ad una porta: - Qui c’è la camera della mamma e del papà!-

Questa invece era ampia: un grosso guardaroba, un letto matrimoniale con due comodini, un comò con sopra le foto del matrimonio e dei figli e una finestra che si affacciava sul retro della casa.

Ritornarono nella sala.

- Complimenti ragazzi, avete proprio una bella casa!

Mary guardò l’orologio appeso alla parete che segnava le 21.15.

Così la ragazza passo quarantacinque minuti con i gemelli giocando e guardando i cartoni.

- Ragazzi! Sono le dieci ed è ora di andare a letto!- esclamò Mary, sollevando un coro di proteste.

- Va bene, ancora dieci minuti ma poi a letto!- ammonì la ragazza.

Dopo dieci minuti i bambini furono portati in camera, dove Mary li aiutò a mettersi il pigiama.

Quando finalmente furono sotto le coperte, Mary iniziò a leggere loro la storia.

Dieci minuti dopo era già in sala, seduta sul divano.

Suonò il telefono.

- Pronto?

- Ciao Mary, sta andando tutto bene? I gemelli sono già a letto?- domandò la signora Lareti.

- Sì, sono già a letto ed è tutto a posto; non si preoccupi.

- Grazie Mary, ciao!- e mise giù la cornetta.

“ Finalmente un po’ di tranquillità!” pensò Mary, abbandonandosi sul morbido divano.

Stava guardando la televisione quando suonarono alla porta.

“ Deve essere Dylan” pensò la ragazza, alzandosi per aprire.

Infatti era lui.

- Ciao, i gemelli dormono?

- Sì, è tutto tranquillo- sussurrò Mary.

- Bene, io vado in camera mia perché devo finire alcune cose al computer. Ciao!- mormorò Dylan, andando in camera sua.

La ragazza si sedette sul divano.

Fuori pioveva a dirotto e dalle finestre della cucina semiaperte filtrava un forte odore di terra bagnata.

Erano da poco passate le undici e un quarto, quando Mary udì un rumore provenire da una delle camere.

“ Speriamo che non siano i gemelli!” pensò mentre si dirigeva verso la porta della loro camera. Aprì leggermente la porta e sbirciò dentro la stanza: tutto era tranquillo.

Mentre chiudeva la porta, udì ancora quel rumore, una specie di brontolio che proveniva dalla camera di Dylan.

Si avvicinò alla porta.

- E’ permesso?- sussurrò. Nessuna risposta.

Mary girò la maniglia e la porta si aprì cigolando.

La stanza era illuminata dalla fioca luce dei lampioni che filtrava dalla finestra lasciata aperta.

Fuori regnava sempre un odore di terra bagnata.

Una debole luce proveniva dallo schermo del computer.

Quella stessa debole luce bastava a illuminare una chiazza di un colore scuro sulla scrivania, vicino al computer.

- O mio Dio…- mormorò Mary con un filo di voce.

Si avvicinò lentamente alla scrivania e toccò leggermente Dylan, che era seduto su una sedia, con la testa appoggiata sul banco.

Il ragazzo non si mosse.

Mary sollevò lo sguardo verso la finestra.

Che cosa era successo in quella stanza? Che cosa doveva fare?

Ad un tratto qualcosa attirò l’attenzione della ragazza: sul vetro della finestra vi era il riflesso di un’ombra alle spalle di Mary.

La ragazza tentò di urlare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.

Era come paralizzata, ogni muscolo del suo corpo era immobile, non riusciva nemmeno a tremare, il suo sguardo era fisso sul vetro della finestra.

L’ombra si mosse.

Mary continuava a restare immobile.

Un lampo squarciò il cielo e illuminò la stanza degli orrori: solo un secondo bastò alla ragazza per vedere chiaramente il volto dell’assassino: un viso lungo e spaventato dagli occhi neri e spenti, le labbra serrate, un naso piccolo e un cappello grigio in testa: il volto di un ragazzo.

“ Questo è un sogno… anzi, un incubo… non può… essere…”   

Un dolore lacerante alla testa la fece cadere in avanti, sul corpo di Dylan che tremò senza però cadere.

“… realtà…”

Questo fu il suo ultimo pensiero prima che la vista e la mente le si offuscassero,

per poi cadere in un sonno senza fine.

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Capitolo 2
*** Cap II ***


la notte capII

I due poliziotti giunsero davanti alla casa dove si era da poco consumata la tragedia.

Era mezzanotte e trenta e la pioggia aveva cessato di cadere.

- Chi è la vittima?- domandò l’ispettore Carlo Reggeri, un uomo alto con dieci anni di servizio alle spalle, al suo collega Andrea Simoneti.

- Dylan Lareti, quattordici anni, signore- esclamò impacciato.

- Lareti, mi sembra di averlo già sentito da qualche parte. Comunque chi è la ragazza che hanno appena portato in ospedale?- domandò.

- Mary David, sedici anni, signore.

Andrea Simoneti era un uomo alto e smilzo, era stato da poco assunto e questa era la sua prima esperienza sul campo.

- Chi ha scoperto il corpo?

- I genitori della vittima quando sono tornati a casa, signore.

- Chi è entrato nella casa?

- I due medici che hanno portato la ragazza all’ospedale e ora c’è un’agente della scientifica, signore.

- Bene ma speriamo che i due medici non abbiano compromesso le prove, dai entriamo; la famiglia la interrogheremo alla centrale. Ah, un’altra cosa: non chiamarmi “ signore”.

- Sì signore!                               

- E dai con ‘sto signore!

I due entrarono nella casa, guardandosi intorno: tutto era in ordine.

Andarono dunque direttamente alla stanza della vittima.

- Ricorda,- disse l’ispettore – guarda bene ogni cosa, ogni particolare. Tieni, metti questi e buon lavoro – concluse porgendogli un paio di guanti di lattice di gomma.

Nella stanza la luce era accesa e si vedeva chiaramente tutta la scena.

L’ispettore si avvicinò al corpo della vittima: era appoggiato con le braccia e la testa sulla scrivania, seduto su una sedia con le rotelle.

Dietro di lui, l’agente della scientifica Massimo Trini si stava presentando ad Andrea.

- Piacere- rispose il poliziotto.

- Max,- chiamò l’ispettore – qual è la causa del decesso?- domandò voltandosi.

- Ha ricevuto un forte colpo alla testa- disse indicando una zona della testa insanguinata - successivamente è stato accoltellato al polmone destro; l’assassino era alle sue spalle. Un colpo solo ed è andato- concluse mostrando una grossa lacerazione all’altezza del polmone.

- La lacerazione è molto profonda, forse è stato accoltellato con un coltello da cucina, di quelli lunghi e molto affilati.

- Come mai c’è del sangue sulla scrivania?

- Perdita di sangue dalla bocca. Dopo l’autopsia il medico legale vi saprà dare più informazioni.

- Mi scusi ispettore- intervenne Andrea – l’assassino deve essere per forza entrato dalla finestra di questa camera. Ci sono delle impronte sporche di fango.

- Hai ragione, provengono da fuori. Inoltre ha smesso di piovere da poco e il terreno è ancora fangoso- esclamò l’ispettore avvicinandosi alle impronte.

- Max, prendi l’impronta- ordinò.

L’agente prese un foglio adesivo dalla valigetta e lo adagiò sull’impronta.

Successivamente tirò fuori un tampone e prelevò un po’ di fango dall’impronta sul pavimento.

- Ne prendo un campione da confrontare con quello del giardino.

- Mi scusi nuovamente ispettore, ma la vittima avrebbe dovuto accorgersene se qualcuno entrava dalla finestra, no? Quindi, secondo me, la vittima conosceva il suo assassino- ipotizzò il giovane poliziotto.

- Già, ottima osservazione. Questo spiegherebbe il perché della camera così in ordine, non c’è stata nessuna colluttazione. La vittima e l’assassino si danno appuntamento qui; la vittima lo fa entrare dalla finestra e si siede un attimo alla scrivania, l’assassino ne approfitta per colpirlo alla testa e infine impugna il coltello e lo finisce. Potrebbe andare, ma per ora sono solo supposizioni- esclamò concludendo la ricostruzione.

- Carl, vieni qui a dare un’occhiata!- chiamò Max

- Cosa c’è?

- L’assassino lo ha colpito alla testa con questa- disse mostrando una mazza da baseball sporca di sangue.

Quella che Max reggeva in mano era la mazza con la quale Dylan aveva vinto numerose partite e si era guadagnato il titolo di campione.

- Ora abbiamo la mazza, ma non il coltello- disse Andrea camminando per la stanza.

Max prese un tampone e lo fece scorrere sulla macchia di sangue sulla mazza.

- L’assassino può aver colpito anche la ragazza con questa- disse Max – meglio prenderne un campione per verificare.

- Ispettore, guardi che cosa ho trovato!- esclamò Andrea mostrando una gomma da masticare.

-  Potrebbe essere dell’assassino; puoi ricavarne il DNA Max- disse l’ispettore.

- Voi ora andate ad interrogare i genitori, qui ci penso io.

Perquisisco il resto della casa e faccio venire a prendere il corpo in modo che il medico legale esegua l’autopsia al più presto. Buon lavoro- concluse salutando Max.

 

La stanza degli interrogatori non era molto grande e accogliente, c’era lo spazio per un palio di sedie e un tavolo.

Andrea e l’ispettore erano seduti su un lato del tavolo mentre dall’altro vi erano la signora e il signor Lareti.

La signora singhiozzava mentre il marito cercava di calmarla tenendole una mano sulla spalla.

- Voi dove vi trovavate al momento dell’omicidio?- cominciò l’ispettore tenendo le braccia incrociate.

- Io e mia moglie eravamo al ristorante “ Moon e Star” e stavamo festeggiando il nostro anniversario di matrimonio.

- Bene, così avete lasciato i bambini ad una baby-sitter di nome Mary, giusto?

- Sì, Dylan doveva andare al cinema con dei suoi amici; c’è andato in motorino.

- Aveva il motorino?

- Sì, da un po’ di tempo.

- Comunque, sapreste dirmi i nomi degli amici con cui è uscito?

- Bhe… - sospirò il signor Lareti – non li conosco perché mio figlio ormai è grande e sa com’è… non ce li presenta.

- Non le viene in mente nessun nome?

- Forse Daniela Frachi, la sua fidanzata. Esce spesso con lei.

- Grazie. Comunque aveva ricevuto minacce? Aveva dei nemici?

- No, tutti lo rispettano, ha un sacco di amici, è un… O mio Dio, parlo come se fosse ancora vivo!- il signor Lareti non riuscì più a trattenere le lacrime e si coprì il volto con le mani.

Andrea abbassò la testa mentre l’ispettore continuò ad osservare la coppia che solo qualche ora prima stava festeggiando, mentre ora era stravolta dal dolore per la perdita del figlio.

- La prego ispettore, trovi chi ha ucciso mio figlio- intervenne la signora singhiozzando.

- Signora, troverò il colpevole. E’ una promessa.

I due poliziotti uscirono dalla stanza degli interrogatori.

- Tutto bene?- domandò l’ispettore.

- Sì- rispose Andrea sempre tenendo la testa bassa.

- Forza, dobbiamo rintracciare Daniela Frachi; domattina la porteremo dentro per un interrogatorio.

- Senti, credi davvero che riusciremo a trovare il colpevole?- domandò Andrea.

- Ehi, siamo solo all’inizio della nostra indagine, vedrai che ce la faremo! Continua a darmi del “tu”.

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Capitolo 3
*** Cap III ***


la notte capIII

Alle sette e mezza del mattino Daniela Frachi, quindici anni, era seduta di fronte all’ispettore, nella stanza degli interrogatori.

- Dunque, sappiamo che Dylan quella sera è stato al cinema con te e altri amici.

Tu a che ora sei rientrata a casa?

- Verso le undici, mia madre può confermarlo; mi ha accompagnata Dylan.

- Chi c’era al cinema con voi?

- C’eravamo solo io, Dylan e Gianni Pedri.

- Che rapporti aveva Dylan con Gianni Pedri?

- Dylan era il migliore amico di Gianni, andavano molto d’accordo.

- E con te?

- Eravamo fidanzati da circa un mese e tutto andava bene; non litigavamo mai.

- Sai se a scuola qualcuno odiava Dylan?

- No, tutti lo conoscevano per via del baseball e tutti andavano d’accordo con lui; nessuno lo odiava tanto da… ucciderlo.

- A quanto pare sì. Ora puoi andare, ti faremo sapere se ci sono delle novità. Ma prima dovremo prelevarti un campione di DNA.  

- Ehm… va bene.

Un’agente si avvicinò a Daniela con un tampone in mano, lo passò all’interno della bocca e si allontanò.

Squillò il cellulare dell’ispettore.

- Pronto? Si, grazie arriviamo.

Andrea si voltò verso l’ispettore con sguardo interrogativo.

- Era Max, i risultati sono pronti.

I due poliziotti uscirono dalla stanza degli interrogatori e si diressero in laboratorio.

Max venne loro incontro con in mano il referto dell’autopsia e i risultati delle analisi effettuate sulle prove.

- Tieni, qui c’è il referto dell’autopsia- disse porgendo un blocchetto.

- Grazie. Hai lavorato tutta la notte, vero?- chiese l’ispettore.

- Sì, questo vuol dire che qualcuno dovrà pagare degli straordinari!

- Dai muoviti!

- Certo, certo. Allora, sulla mazza c’era sia il sangue di Dylan sia quello della ragazza.

L’impronta della scarpa è sicuramente di un maschio dal momento che è un 44 di una scarpa Nike.

Il fango dell’impronta corrisponde a quello del giardino, l’assassino, dopo aver commesso il delitto, è fuggito dalla finestra.

Sulla gomma da masticare alla menta, della marca “Happydent White”, ho trovato del DNA che non corrisponde a quello della vittima.

- Anche io uso quella marca, comunque hai controllato il computer?- domandò Andrea.

- Ehi, non era lui a fare le domande?- chiese Max indicando l’ispettore.

- Max, falla finita e rispondi!- ordinò l’ispettore.

- Okey. Alle 23.10 è stato salvato un documento di testo, probabilmente l’ha salvato la vittima prima di morire, altrimenti è stato il suo fantasma!

- Oh Signore!!- esclamò Andrea, esasperato.

- Puoi farmi un favore? Cerca tra gli archivi legali e i giornali via internet se c’è qualcosa sulla famiglia Lareti. Ci vediamo dopo, purtroppo.- disse l’ispettore guardando Max che trotterellava verso il laboratorio.

- Ma perché devi cercare notizie sulla famiglia Lareti?- domandò Andrea.

- Sai quando ti ho detto di aver già sentito quel cognome? Forse ci può aiutare.

L’ispettore iniziò a leggere il referto dell’autopsia:

- Ora del decesso: tra le 23.00 e le 23.30;

Causa del decesso: perforazione del polmone destro con un oggetto dalla lama lunga e affilata;

Probabile arma del delitto: un coltello da cucina.

- Bene, la ragazza di Dylan ha un alibi di ferro così come i genitori.

Che ne dici di andare a mangiare un boccone? A stomaco pieno si lavora meglio.

Squillò il cellulare.

- Pronto? Finalmente, grazie. La ragazza si è svegliata un’ora fa e sta molto meglio, possiamo andare a parlare con lei.

- Grande, addio pranzo! Guido io.

Arrivati all’ospedale, andarono alla stanza 27 dove vi era Mary.

Il dottore attendeva i due poliziotti fuori dalla porta.

- E’ ancora un po’ confusa; la botta che ha ricevuto non era molto forte ma… dopo ciò che è successo ci andrei piano- disse il dottore, aprendo la porta.

Dentro la stanza era bianca, con un letto con sopra una ragazza dai capelli biondi e gli occhi verdi: Mary.

- Ciao Mary, io sono Carlo e lui è Andrea- presentò l’ispettore con voce amichevole, prendendo una sedia.

- Salve- salutò Mary.

- Noi vorremmo farti alcune domande riguardo… ciò che è successo- disse Andrea.

L’ispettore fece segno con la mano di andare piano.

- Va bene, ma non ho molto da dirvi.

- Vuoi raccontare?- chiese Andrea.

- Okey- Mary respirò a fondo e poi cominciò. – Quella sera dovevo andare a fare da baby-sitter a Robby e Laura, i due figli più piccoli dei Lareti, perché i genitori dovevano andare fuori per il loro anniversario di matrimonio mentre Dylan doveva andare al cinema.

- A che ora è uscito Dylan?- domandò l’ispettore.

- Non ricordo esattamente, forse verso le 20.45 dopo che è uscito ho tenuto i bambini e li ho messi a letto.

- A che ora è tornato Dylan?

- Erano circa le 23.00.

- Dopo che cosa hai fatto?- questa volta fu Andrea a fare la domanda.

- Sono stata sul divano a guardare la televisione poi ho sentito un rumore e…

- Conoscevi Dylan?- chiese l’ispettore.

- No, avevo solo sentito il suo nome, tutti ne parlavano perché grazie a lui avevano vinto molte partite di baseball.

- Quando sei andata in camera hai visto qualcuno?

- No…no!- esclamò Mary cercando di restare calma.

- Ne sei proprio sicura?- insistette l’ispettore.

- Sì…sì!! O no! Non lo so! Non ricordo!

- Cerca di sforzarti!!- continuò.

- Un cappello grigio…… no! Non ho visto niente!!!!!- sbottò Mary – Non ho visto niente!!- continuò tenendosi la testa tra le mani.

- Va bene, va bene, ora calmati. Andiamo via Andrea- disse l’ispettore.

- Che succede?- chiese il dottore venendo di corsa. Intanto Mary si era calmata, ma aveva iniziato a singhiozzare.

- E’ ancora scossa- disse l’ispettore.

- Andiamo- esclamò Andrea.

I due si diressero alla macchina.

- Lo ha visto, ne sono certo- disse Carl – ha detto che aveva un cappello grigio. Ma come ha fatto a vederlo? Probabilmente la luce era spenta.

- Non dimenticare che pioveva e c’erano dei lampi, quindi…

- Già, ha ragione. Ma ora andiamo a mangiare, dato che è l’una. Dopo andremo dall’amico di Dylan: Gianni Pedri.

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Capitolo 4
*** Cap IV ***


la notte capIV

La macchina della polizia si fermò davanti alla casa di Gianni Pedri.

Suonarono alla porta. Nessuna risposta.

- Forse non è in casa- disse Andrea.

- Proviamo a vedere dalle finestre.

L’ispettore fece un rapido giro della casa e infine andò all’ultima finestra e vi guardò dentro.

- No!- gridò l’ispettore correndo verso la porta d’ingresso.

- Dobbiamo sfondare la porta!- urlò ad Andrea.

- Ma che succede?- domandò guardando l’ispettore.

- Non c’è tempo!!

Con un calcio la porta cedette.

L’ispettore tirò fuori la pistola ed entrò.

Andrea lo imitò, pur senza capire ciò che stava succedendo.

L’ispettore entrò nel salotto, puntando la pistola.

Non c’era nessuno. Solo il corpo del giovane Giovanni Pedri.

Andrea raggiunse l’ispettore e, appena vide il corpo imprecò.

- Tu resta qui, io faccio il giro della casa- ordinò l’ispettore.

Andrea guardò il corpo: era sdraiato a terra con la faccia rivolta verso il pavimento, era stato accoltellato al polmone destro, lo spazio intorno al corpo era pieno di sangue.

L’ispettore tornò.

- Non c’è nessuno- disse – hai chiamato la scientifica?

- No… lo faccio subito- ubbidì Andrea prendendo in mano il cellulare dalla tasca della giacca.

L’ispettore guardò il corpo: era stato ucciso nello stesso modo di Dylan e probabilmente dalla stessa persona. Ma quale era il movente?

- Stanno arrivando- annunciò Andrea.

- Non servirà a molto, questa volta non ha lasciato molto. Il nostro amico lo ha semplicemente accoltellato ma non lo ha colpito alla testa. La vittima conosceva l’assassino, gli ha aperto la porta e lo ha fatto entrare. Si, deve essere così, nelle finestre e nella porta sul retro ci sono le inferiate mentre questa davanti era aperta.

Da fuori si udivano già le auto della polizia in arrivo.

I due poliziotti andarono verso la porta e incontrarono Max con la sua valigetta.

- Ehi Carl! Sai quella roba che mi avevi fatto cercare? L’ho trovata, è interessante. La trovi sul tavolo del laboratorio. Ci pensi tu ad avvisare la madre del ragazzo?

- Sì, grazie. Fammi sapere.

L’ispettore e Andrea se ne andarono, diretti al laboratorio.

- Che cosa facciamo prima?- chiese Andrea.

- Prima la madre.

 

La madre di Gianni era seduta nella stanza degli interrogatori.

Era una donna di bassa statura, capelli scuri, occhi neri e tristi, il volto rigato dalle lacrime.

- Tutte le mattine stava a casa da solo fino alle tre del pomeriggio mentre io lavoro.

- Suo marito dov’è?- chiese l’ispettore.

- Mio marito e io siamo divorziati da sei anni ormai.

- Questa mattina ha telefonato a suo figlio?

- Sì, verso mezzogiorno. Gli telefonavo sempre a quell’ora, per assicurarmi che andasse tutto bene.

- Suo figlio le aveva detto che aspettava degli amici?

- No, lui non aveva molti amici; l’unico che aveva era Dylan ma…

- La ringrazio signora per il suo aiuto. Se ci saranno novità la contatterò.

Quando la signora fu uscita, l’ispettore e Andrea andarono al laboratorio a vedere i risultati delle ricerche fatte da Max.

- Vediamo… Dylan Lareti vince ancora, la squadra in finale… era molto bravo- disse l’ispettore.

- Ehi, Guarda qui!- esclamò Andrea, porgendo un foglio all’ispettore.

- 23 giugno di quest’anno. Dylan Lareti e Gianni Pedri, entrambi quattordicenni, alla guida di un motorino hanno investito Ilaria Sandri, che è morta sul colpo.

La polizia ha decretato che si è trattato di un incidente- concluse l’ispettore.

- Secondo me non è un caso che quei due ragazzi siano stati uccisi. Dobbiamo parlare con la famiglia- disse Andrea.

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Capitolo 5
*** Cap V ***


la notte capV

I due poliziotti arrivarono davanti ad una piccola casa recintata da una staccionata in legno tutta sporca.

L’ispettore bussò alla porta.

Venne ad aprire una donna con addosso un grembiule da cucina, sembrava preoccupata.

- Polizia. Io sono l’ispettore Carlo Reggeri e lui è Andrea Simoneti. Lei è la signora Sandri?

- Ehm, si sono io. E’ successo qualcosa?- domandò, cercando di assumere un tono gentile.

- Ci sono stati due omicidi e vorremmo fare qualche domanda a lei e alla sua famiglia- disse l’ispettore.

- Entrate, accomodatevi. Maik! Mattia! Vale! Venite in sala un momento- chiamò la donna.

Dalla soglia di una porta comparvero due ragazzi mentre da un’altra un uomo.

- Che cosa c’è?- domandò un ragazzo alto con i capelli corti castani e gli occhi marroni.

- C’è l’ispettore che ci vuole fare alcune domande.

- Va bene- disse l’altro ragazzo dal viso lungo, i capelli neri a spazzola, gli occhi neri e un naso piccolo.

Tutti e quattro si misero a sedere.

- Bene, di che cosa si tratta?- chiese il marito.

- Bhe, di un’indagine. Sono stati commessi due omicidi e noi vorremmo chiedervi alcune cose- disse l’ispettore.

- Non sarà stato mica uno di noi spero?- domandò il ragazzo di nome Mattia.

- Calmati Mattia! Dobbiamo rispondere solo a delle domande- lo tranquillizzò la madre.

- Cominci pure ispettore- disse il marito.

- Dove vi trovavate ieri sera, verso le undici?- cominciò l’ispettore.

- Io e mio marito eravamo qui in casa a guardare la televisione mentre i ragazzi erano fuori con dei loro amici.

- Posso sapere i loro nomi?

- Io ero con mio fratello- dichiarò Mattia.

- Non mi avevate detto che eravate fuori con dei vostri amici?- domandò la madre stupita.

- Ecco, lo avevamo detto ma poi abbiamo cambiato i nostri programmi.

- E io mi dovrei fidare di voi? La prossima volta mando vostro padre a controllarvi.

- Ma mamma, noi…

- Tesoro ne riparliamo dopo, ora andiamo avanti- intervenne il marito.

- Quindi voi due eravate insieme?- chiese l’ispettore.

- Sì… eravamo insieme- rispose Maicol.

- E dov’eravate prima, verso l’una?

- Io prima sono uscito ad andare a comprare alcune cose- disse Maicol.

- Io, sono rimasto a casa con loro- rispose Mattia, indicando i genitori.

- Ehi! Sai che hai proprio delle belle scarpe!- esclamò Andrea, guardando le scarpe di Maicol.

- Che numero porti di scarpe? Sono Nike?- domandò l’ispettore.

- Sì, sono Nike e porto il 44.

- Grazie.

L’ispettore continuò.

- Conoscevate Dylan Lareti e Gianni Pedri?

- Quei due ba…- - Per favore Mattia! Contieniti!- lo interruppe la madre.

- Comunque se sono quei due che sono crepati, non mi dispiace per niente! Sono contento!- gridò Mattia.

- Calmati e siediti!- esclamò il padre afferrandolo per un braccio.

- Immagino ispettore che sappia già perché mio figlio ha reagito in quel modo- disse la madre.

- Sì lo so, è per via di vostra figlia Ilaria. Ma penso che non solo lui provi ancora rancore verso quei due ragazzi. O sbaglio?

- Bhe… tutti noi siamo ancora arrabbiati, sono solo passati due mesi o forse meno. Ma nessuno della nostra famiglia sarebbe capace di uccidere per questo.

- Bene, direi che abbiamo finito. Grazie per la vostra collaborazione.

I due poliziotti se ne andarono.

Saliti in macchina, si diressero al laboratorio.

- Max avrà già terminato le analisi?- chiese Andrea.

- Speriamo. Quel ragazzo, Mattia, non mi sembrava affatto dispiaciuto della morte di Dylan e Gianni.

- Come tutta la famiglia.

- Lui specialmente. Ma chi non mi convince è Maicol.

- Già, ieri sera non era da solo e suo fratello lo sta solo proteggendo.

- Dai andiamo.

In laboratorio l’ispettore e Andrea andarono da Max.

- Sono pronti i risultati?- domandò l’ispettore.

- Quelli dell’autopsia o quelli sulle prove?

- Max!

- Okey, ti dirò tutto: niente. L’autopsia è appena terminata e io sto ancora lavorando.

- Che cosa hai trovato insieme agli altri agenti?

- Niente di speciale, solo l’arma del delitto.

- Cosa? E dove l’avete trovata?

- In un cassonetto poco distante dalla casa; era avvolta da un asciugamano.

- E’ un coltello da cucina vero?

- Sì, bello lungo e affilato.

- Delle impronte digitali?

- Ehi, l’assassino mica è scemo! Aveva i guanti.

- Sopra c’era il sangue di Gianni?

- Sì e anche quello di Dylan.

- Grazie Max ma non avevi detto che dovevi finire?

- No, io non ho detto niente!

- Va bene, grazie e ciao!- concluse frettolosamente l’ispettore.

 I due se ne andarono nell’ufficio dell’ispettore e iniziarono a parlare.

- Abbiamo l’arma del delitto, l’impronta della scarpa e il DNA dell’assassino. Cosa manca?- domandò Andrea.

- L’assassino.

- Già, penso proprio che si consegnerà alla polizia da un momento all’altro. Dai, seriamente!

- Io ora vado al Minimarcket vicino alla casa dei Sandri e tu vai da Mary e cerchi di farla parlare- disse l’ispettore.

- Io lavoro e tu vai a fare la spesa?

- Ti ricordi che Maicol ha detto che verso l’una è uscito per andare a comprare qualcosa. Voglio vedere se è così.

- Non ti servirà un mandato per prendere la cassetta della sorveglianza?

- Cerco di farmelo dare.

- Se riesci a farti dare questo di mandato, perché non ti fai dare quello per prelevare il DNA da Maicol?

- Perché abbiamo solo il movente e non l’occasione. Muoviti.

- Ma come faccio…

- Ce la farai!

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Capitolo 6
*** Cap VI ***


la notte cap VI

Andrea arrivò all’ospedale e andò alla stanza numero 27.

Erano le sei e trenta del pomeriggio.

Mary era vicino alla finestra e aveva la testa appoggiata al vetro mentre osservava ciò che accadeva fuori.

Ad un tratto vide il riflesso del poliziotto nel vetro e tutto le tornò in mente: il riflesso, il lampo, il volto del ragazzo, il dolore e poi l’ospedale al suo risveglio.

Si voltò di scatto verso Andrea.

- Ora ricordo che cosa ho visto!- esclamò la ragazza.

- Che cosa hai visto?- domandò Andrea.

- Un volto di un ragazzo!

- Puoi descriverlo?

- Aveva un cappello grigio in testa, aveva gli occhi neri, un naso piccolo e un viso lungo; sono riuscita a vederlo perché c’è stato un lampo.

- Sei sicura di averlo visto bene?

- Sì, al 100% sicura.

- Grazie, ora devo andare.

Andrea tirò fuori il cellulare dalla tasca della giacca e chiamò l’ispettore.

- Avanti, rispondi!- esclamò Andrea, ma il telefono squillava a vuoto.

Il poliziotto tornò di corsa alla macchina e si diresse verso la casa dei Sandri.

Arrivò davanti alla casa e mise la mano sulla pistola, pronto ad estrarla.

Bussò due volte alla porta.

Venne ad aprire Mattia, il fratello maggiore di Maicol.

- Salve.

- Ciao, tuo fratello è in casa?

- Sì, ma i miei genitori sono a lavorare. Deve farci qualche altra domanda?

- No, solo una: l’altro poliziotto che era con me è venuto qui?

- Ha perso il suo amico, eh?

- Non fare il furbo con me! Rispondi alla mia domanda!

- No, non è venuto.

- Altra domanda: tu ieri sera non eri con tuo fratello vero?

- Sì che ero con lui! Lo sta forse accusando di qualcosa?!

- Faccio solo il mio lavoro. Tanto io lo so che non era con te quindi smettila di proteggerlo!

- Era con me!

- Come mai ho un testimone che dice il contrario?

- Io… lui… va bene, mio fratello non era con me ieri sera ma non vuol dire che…

- Dov’è?

- In sala.

Andrea entrò in casa guardò la sala: era vuota.

- E’ scappato!

Il poliziotto si precipitò fuori dalla casa, si guardò intorno e vide Maicol che correva sulla stradina dietro la casa.

Si mise a correre dietro di lui.

Tra loro c’era poca distanza, ma improvvisamente Maicol svoltò per un’altra stradina.

Andrea fece lo stesso, perdendo terreno.

- Fermati!- gridò ansimando – non voglio farti niente!

Maicol non si fermò. Continuò ad andare avanti e sbucò in un’altra strada.

All’improvviso una macchina della polizia tagliò la strada del ragazzo, facendolo cadere a terra.

Andrea lo afferrò mentre dalla macchina uscì l’ispettore con la pistola in mano puntata verso il ragazzo.

- Che diavolo è successo Andrea?- domandò l’ispettore, piuttosto arrabbiato.

- E’ lui che ha ucciso Dylan e Gianni!

- Come fai a saperlo?

- Mary si è ricordata e mi ha fatto una descrizione del viso che corrisponde esattamente a lui- disse indicando Maicol.

- Io ho scoperto che non è andato al minimarcket quando Gianni è stato ucciso.

- Si mette male per te, ragazzo!- esclamò Andrea.

- Chiamerai i tuoi genitori dalla centrale poi ti dovrai procurare un avvocato.

Maicol era nella stanza degli interrogatori con il suo avvocato.

L’ispettore iniziò a fare le domande.

- Sappiamo che hai ucciso tu quei due ragazzi, è vero?

- Non rispondere- suggerì il suo avvocato.

- Non fa niente, voglio rispondere. Sì, li ho uccisi io. Contenti?! L’ho fatto per mia sorella; non è stato un incidente, quei due l’hanno investita apposta! Comunque ora sono contento di averli uccisi, ma forse dovevo fare fuori anche la ragazza.

- Ti avremmo incastrato lo stesso. Ora potrai rinfrescarti le idee in prigione, ti troverai bene. Portatelo via.

L’ispettore uscì dalla stanza e andò da Andrea.

- Come stai?

- Bene.

- Dovevi chiamarmi prima di andare la.

- E’ quello che ho provato a fare, ma non hai risposto!

- Adesso che ci penso, mi sembra di aver lasciato il telefono da qualche parte.

- Nel tuo ufficio?

- Sì, deve essere li. Non male come primo caso, ma vediamo come te la cavi con il secondo!

- Cosa? Adesso?

- Stavo scherzando! Andiamo a mangiare qualcosa.

I due poliziotti andarono a mangiare prima di rimettersi a lavorare ad un altro caso.

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