Only Human [The phases of Death and Dying] di Slits (/viewuser.php?uid=67046)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1st Phase: Denial [Something wrong in the wind] ***
Capitolo 2: *** 2nd Phase: Anger [Silence drives me crazy] ***
Capitolo 3: *** 3rd Phase: Bargaining [There's no place to hide] ***
Capitolo 4: *** 4th Phase: Depression [Grain of sand gets in his eyes] ***
Capitolo 5: *** 5th Phase: Acceptance [I feel the gravity of it all] ***
Capitolo 1 *** 1st Phase: Denial [Something wrong in the wind] ***
1st Phase: Denial
[Something wrong in the wind]
Nel vento permeava un odore intenso.
Un tanfo acre, bruciante e pungente, che rimestava la cenere
nell’aria, facendola vorticare in silenzio. Era sufficiente
lo scroscio dell’acqua, appena più forte dello
schiocco di una pallottola, per sovrastarlo.
Una chiazza blu emergeva quasi dolorosamente fra i rivoli della
corrente.
Poco al di sotto del pelo dell’acqua, stava lei. Le maniche
sgualcite dal filo spinato, con i lunghi sfilacci di stoffa intrisi di
uno spiacevole vermiglio e l’oro delle cuciture a tingersi ad
ogni soffio di brezza di un soffocante antrace.
Ed una mano, elegantemente avvolta in un guanto bianco, pronta a
riavvicinarla a sé non appena l’acqua avesse avuto
l’ardore di trascinarla lontano dalla riva.
Roy Mustang sostava immobile, riparato sottovento, a pochi metri
dall’argine del fiume, da quella che oramai era una discreta
manciata di minuti.
Era sporco, insozzato di una cenere ancora calda che l’acqua
impudentemente tentava di mitigare.
Ed affondava poco a poco, un passo dietro l’altro, in una
corrente che sembrava in grado di spazzare via ogni cosa, tranne che
quell’insignificante lerciume che lo avvolgeva come una
seconda pelle.
Soffocante, irrespirabile in quel continuo avanzare, simile ad una nube
talmente solida da apparire compatta.
L’aria che si respirava ai confini più estremi di
Ishbal era così.
Si riempiva facilmente di strani odori, fino a gravare sotto il loro
peso, e restava invischiata addosso. Sulla pelle, impercettibile ed
incorporea, addensandosi nell’illusione di non esser
nient’altro che l’unione di insignificanti granelli
di poco conto.
Poi, però, penetrava un po’ più a
fondo, in silenzio, arrivava a sfiorare i muscoli, ed ancor
più in profondità le ossa.
Ed ancora prima che chiunque avesse modo di accorgersene si limitava a
prosciugare l'organismo, lentamente, fino a toccare il cuore.
Roy faticava ancora ad accettarlo, così ben immerso
nell’acqua, con gli ultimi brandelli della propria divisa
ancora stretti fra le dita.
Continuava a fissare un punto indefinito del fiume e sperare, con tutto
se stesso, che l’impeto della corrente fosse forte a
sufficienza da strappargli di dosso quell’insopportabile
odore.
Ma non era più la stoffa ad essere intrisa di
quel fastidioso olezzo. Non la divisa, i guanti o la
pelle delle mani, di un bianco oramai cinereo.
L’odore che gli si addensava attorno, non più
percepibile nel vento, aveva un sapore diverso.
Quasi più solenne.
…
Morte, probabilmente.
---
Prima mia storia qui sul fandom. Ed è una
raccolta.
Una raccolta, capite? Una di quelle cose che se non ti prosciuga ti
rende ancor più prolissa.
* corre urlando
…
Che bello presentarsi con una solenne figura di fece.
°ç°
Ma tornando alla storia. ù_ù
E’ una raccolta, come già detto, destinata a
basarsi su “Le cinque fasi dell’elaborazione del
lutto”, ovvero Negazione, Rabbia, Contrattazione, Depressione
ed Accettazione.
A viverle, in un contesto dove la morte fa da padrona, sarà
Roy, dagli albori fino alla fine del conflitto ad Ishbal. In quella che
io considero a tutti gli effetti la sua morte.
Trattandosi di una delle mie primissime storie, per lo meno su queste
lande, inutile dire quanto commenti, critiche e consigli siano
assolutamente ben accetti.
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Capitolo 2 *** 2nd Phase: Anger [Silence drives me crazy] ***
2nd Phase: Anger
[Silence drives me crazy]
Il sommesso grattare delle armi rendeva ancora più
irrequiete le silenziosi notti di Ishbal.
Si accavallavano sopra i giorni, senza fatica, addensandosi con le
ombre che smembravano i pensieri dei soldati ed i fischi indistinti
delle pallottole che ancora li tenevano svegli.
Nessuno dormiva durante le silenziosi notti di Ishbal, nonostante la
guardia serrata delle sentinelle ed il calore dei fuochi disposti
tutt’intorno all’accampamento, soffocati da pesanti
teli, per non disperdere troppo fumo.
I compagni d’armi camminavano insieme durante le ore di
buio, a due a due, stretti l’uno accanto all’altro
per ripararsi dal freddo. Sorvegliavano le case vuote e scalciavano
lontano i cadaveri, di uomini con cui avevano marciato e di nemici che
avevano smembrato con un solo, preciso colpo in fronte.
Putrefatti facevano davvero poca differenza.
Roy Mustang non aspettava mai il farsi della sera per incominciare la
delicata perlustrazione dei campi.
La vista dei primi fuochi accesi a lungo andare aveva iniziato a
logorargli lo stomaco, rimestandogli le viscere a poco a poco fino alla
gola.
Partiva allo scoccare del tramonto, con un soldato al fianco e due dita
tenute premute l’una contro l’altra, pronte a
schioccare e squarciare il silenzio della notte.
Camminava rasente i confini della città, gettando di tanto
in tanto un’occhiata all’interno dei granai e
facendoli brillare al suono di un semplice schiocco alla vista dei
tenui bagliori delle armi.
Certe notti, quelle appena un po’ più fortunate,
gli unici rumori che riusciva a sentire nel crepitare delle fiamme
erano soffocati dall’ardere del fieno e non duravano mai
abbastanza da sfiorare quella voragine che aveva in petto.
Erano le notti più silenziose, quelle in cui
l’illusione di una fine riusciva ancora ad infondere una
flebile speranza.
La guerra le elargiva con estrema parsimonia; preferiva il gusto amaro
delle urla, lei, del resto.
Le notti dei massacri la saziavano, la facevano crescere e sentire
più forte, sostenendosi alle spalle dei soldati che
lentamente conduceva alla follia.
Roy la temeva, follemente, la pazzia.
Ne aveva vista tanta, troppa, durante quei mesi lunghi come anni per
non rispettarla a sufficienza da averne paura.
Succedeva alla rabbia, quella folle
e sconsiderata che ti spinge a puntarti la canna della tua stessa
pistola in gola e premere il grilletto. Non si faceva forza con la
voce, non si accompagnava alle urla.
Dovevi soltanto aspettare che arrivasse in silenzio e ti portasse via.
Fu durante una notte silenziosa, una di quelle gravide di speranza, che
gli capitò di sfiorarla con mano.
I ricordi che Roy conserva di quella volta sono ancora frastagliati,
annebbiati ed anneriti come cenere.
Un uomo, un ribelle che lascia cadere il fucile, si stringe contro una
parete ed alza gli occhi, vuoti appena più dei loro. Tace ed
osserva i propri carnefici, in silenzio.
Il silenzio di una di quelle notti
silenziose, gravide di speranza.
Lo sparo, che sibila accanto all’orecchio di Roy ed ancora ha
il potere di farlo sussultare.
Ed infine nuovamente il silenzio, uno di quelli che antecedono la
pazzia.
L’eroe di Ishbal conobbe in questo modo la follia, con il
vuoto a smembrargli lentamente i pensieri e le dita strette attorno
alla giugulare del proprio compagno d’armi, ancora sporco di
polvere da sparo.
Immerso fino alle caviglie nel vermiglio bollente, senza più
alcun ideale, senza più un briciolo di
razionalità a ricordargli chi o cosa fosse diventato.
Lo avrebbe ucciso, davvero, senza esitazioni, anche soltanto per dare
alla notte un rumore di cui saziarsi.
Lo avrebbe fatto se un pugno non l’avesse fermato ed il
tintinnio acuto, impercettibile, di due lenti
rotte non gli avesse lanciato un saldo appiglio a cui
aggrapparsi.
Perché nessuno, in fondo, dormiva durante le notti
irrequiete di Ishbal, quelle in cui i compagni d’armi
camminavano assieme fianco a fianco.
Il silenzio, pronto a portarti via con la sua pazzia, era del resto un
nemico troppo grande per potersi permettere di abbassare la guardia.
Anche per una volta soltanto.
---
No, non sto facendo la maratona. Anche se la cosa, a
ben pensarci, non mi spiacerebbe affatto.
Con questa raccolta ho deciso semplicemente di muovermi ad ispirazione;
viene, la colgo, la scrivo in qualche modo e poi posto.
Credo che sia uno dei modi migliori per lavorare su di Roy, soprattutto
adesso, che il fattore "Guerra" è riuscito a toccarmi
particolarmente.
Conoscendomi, è probabilissimo che svanisca così,
d'un tratto, per lasciare poi spazio a qualche altra sfaccettatura del
Colonnello.
Colgo l'occasione per ringraziare la Vale che, come sempre e dio solo
sa come, è giunta a sostenermi in quest'improbabile crociata.
* si affoga con il pasticcino
P.S.
Per il particolare delle "due lenti" non ci ho potuto fare niente, mi dispiace.
Amo fin troppo Maes per non metterlo in un modo o in un altro.
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Capitolo 3 *** 3rd Phase: Bargaining [There's no place to hide] ***
3rd Phase: Bargaining
[There's no place to hide]
I bambini crescevano piuttosto in fretta ad Ishbal.
Camminavano fianco a fianco nelle piazze delle città,
nascondendosi fra i vecchi muri divelti dagli spari, e mormoravano
nenie stonate.
Quelli strappati alle madri prima ancora di aver modo di imparare
accompagnavano gli altri in silenzio, tamburellando stancamente con i
piedi a terra.
Uscivano fuori quasi sempre rumori sgraziati, che sapevano di marce
ascoltate distrattamente al fronte o di fastidiosi ticchettii di
fucili.
Non erano sicuri di conoscere nient’altro.
Erano in grado di attraversare interi paesi in quel modo, con i grandi,
quelli un po’ più alti, piantonati in testa al
gruppo per scrutare meglio l’orizzonte ed i piccoli lasciati
più indietro, in coda, per non rallentare.
Non contava molto l’altezza, per i bambini di Ishbal essere
minuti non era una prerogativa necessaria per colmare i vuoti alla fine
delle schiere.
Piccolo era chi piangeva, chi zoppicava e si fermava di tanto in tanto
gridando “Mamma”.
I feriti, per quanto potessero ergersi in statura, divenivano piccoli
al ritmo di marcia e venivano lasciati indietro.
I piccoli dovevano necessariamente stare indietro. O i grandi non
avrebbero più potuto vedere l’orizzonte con loro a
fare da fardello.
La prima volta che Roy incontrò una di queste carovane della
miseria fu durante uno dei turni di sorveglianza alle fosse comuni,
quando, sfilando silenziosamente fra i cadaveri, era stato incaricato
di segnalare l’ammontare delle perdite.
Era rimasto chino, intento a sbrogliare la medaglietta di
riconoscimento di un soldato fra la carne putrefatta del petto.
Ed i bambini, incapaci di vederlo da quelle loro assurde postazioni, si
erano limitati a tirare dritto, continuando il proprio cammino.
Non contava quanto scarichi potessero essere i fucili che portavano in
spalla, o smussati i loro pugnali o, ancora, sgualcite le fondine che
sorreggevano il loro nulla; Roy, incontrandoli, da quel giorno aveva
sempre imparato a nascondersi.
Il vento che sollevava le sue suole piantate nel suolo,
l’odore disgustoso della terra bagnata e persino
l’acro del lerciume fra i risvolti della giacca, tutti,
nessuno escluso, divenivano improvvisamente piacevoli se ad
accompagnarli non vi era il tanfo amaro dei cadaveri carbonizzati.
Non vi era odio alla base di questa
contrattazione fra i doveri
impostigli dal governo e quel flebile bagliore di umanità
che ancora, fra i buchi neri che la guerra aveva portato con
sé, gli baluginava in petto.
Roy aveva conosciuto fin troppo bene, con il passare degli anni, la
fiamma ardente della miseria per poterla più ignorare.
La guerra lo aveva semplicemente strappato con rabbia da quel fuoco
perpetuo, seppure non abbastanza in fretta da dimenticare. Lo aveva
preso con sé, datogli un’arma in mano e credendolo
un uomo lo aveva mandato a combattere.
Ritenendolo poi abbastanza maturo da poter riscuotere, a poco a poco,
aveva incominciato a svuotarlo pezzo dopo pezzo, come un fucile ben
carico, prendendo poco alla volta.
Ed un giorno, un pomeriggio caldo senza cadaveri, senza nulla a fare da
ombra a quel sole cocente, si era decisa a saldare il debito.
L’eroe di Ishbal li vide arrivare per la prima volta
nitidamente, senza vecchie pietre ad offuscargli la vista o corpi
smembrati a dargli un freddo riparo.
Li vide, tutti, stretti gli uni agli altri con i grandi fucili piantati
in spalla e le mani serrate fra quelle dei più piccoli,
allineati poco prima delle sentinelle.
Li vide e ne ebbe paura.
Lo sussurrò appena quel terrore, schiudendo le labbra ed
arretrando di un solo, insignificante passo, quasi illudendosi che la
distanza bastasse a quietare il fuoco. Invece, parve necessaria
unicamente a rendere ancor più nitida la canna puntatagli
all’altezza del cuore.
Si slacciò la fondina e la gettò lontana da
sé, sollevò le mani ed arretrò ancora.
E la sicura stretta fra le dita dal bambino scattò appena.
Vi fu un solo attimo di silenzio, impercettibile, fugace come la sabbia
bianca che stancamente soffiava via e graffiava l’espressione
persa del soldato.
Poi il bambino sollevò ancora l’arma, prese meglio
la mira e sparò.
Ed un’unica, immensa morsa di fuoco cinse il vuoto nel
deserto del paese.
I bambini crescevano piuttosto in fretta ad Ishbal.
I più, morivano con altrettanta rapidità.
---
Vi sono alcune precisazioni che terrei a fare su
questo capitolo.
Riguardano quasi esclusivamente il perchè del gesto di Roy,
ragion per cui non allarmatevi, non sarò particolarmente
prolissa. Servono unicamente ad eliminare eventuali fraintendimenti.
La paura di Roy, quella che lo ha scosso alla fine, non è
ovviamente data dal terrore di essere ucciso dai bambini. Piuttosto,
dalla paura di poterli uccidere a sua volta.
Gesto che poi, alla conclusione di tutto, si è concretizzato.
* si guarda attorno
E' tristissimo dover spiegare ciò che si scrive. Sa tanto di
barzelletta mal riuscita .-.
In ogni caso, approfitto ancora una volta di questo spazio per
ringraziare Lely1441.
Per quanto riguarda il primo capitolo non posso che dirti che ci hai
preso in pieno, praticamente su tutto. XDD
Descrivere la guerra è terribilmente difficile e, nel
tentativo di comprendere le menti dei soldati, è molto
facile che finisca con il perdermi a mia volta, mandando il neurone
praticamente in trincea.
Quindi, è sottointeso, che non è stato il mal di
testa a rendertelo incomprensibile.
Colpa mia. Gommen ù_ù
Ti ringrazio per aver avuto, tuttavia, abbastanza pazienza da rileggere
il tutto. Davvero.
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Capitolo 4 *** 4th Phase: Depression [Grain of sand gets in his eyes] ***
4th Phase: Depression
[Grain of sand gets in his eyes]
Il deserto di Ishbal era sempre troppo bianco.
Faceva paura, visto da lontano, con i suoi insignificanti granelli di
sabbia sottili ed inodori disposti disordinatamente sulla terra arida,
simili a due paia di canini affilati.
Le solitarie pozze d’acqua che lo inumidivano stillavano
melma torbida, densa e maleodorante.
A chiunque vi posasse lo sguardo dava la terrificante sensazione di
trovarsi al cospetto di una bestia immane, senza occhi con cui
intimidire o mascelle con cui spolpare lentamente.
Solo quell’enorme bocca lo contraddistingueva, perennemente
riarsa a causa della poca saliva che insolitamente sapeva di sabbia e
fango e, ancora, scavando appena più in
profondità, di corpi maleodoranti.
Roy vi sprofondava ogni giorno di più, appesantito dalla
cenere che silenziosamente gli insozzava la divisa, scavando a fondo e
gravando sulle sue spalle come una seconda pelle.
Ad accentuare le orme dei suoi commilitoni vi erano spesso i caricatori
vuoti dei fucili, riempiti a malapena poche ore prima.
Ogni soldato aveva l’abitudine di tracciare una tacca,
precisa ed accurata, sull’impugnatura della propria arma allo
schioccare a terra dell’ennesimo corpo esanime.
Aiutava a distinguere con maggior precisione l’insignificante
divario fra umanità e follia.
Il fucile dell’eroe di Ishbal era andato distrutto il primo
giorno di incursione nel paese.
Un semplice schiocco di dita ed il numero di incisioni sul calcio in
legno era cresciuto a tal punto da renderne l’impugnatura
inutilizzabile.
Fu da quel momento che Roy prese l’inaspettata decisione di
girare disarmato.
Eppure, nonostante tutto, erano sempre le sue orme ad apparire con
maggior fermezza sulla sabbia impalpabile degli accampamenti.
Scavavano solchi profondi, marcati ed apparentemente indistruttibili.
Infondevano a chi si ritrovava a passarvi oltre, affondando
occasionalmente con un piede fra gli incavi della terra, una sicurezza
incorruttibile, così ben delineati fra le fauci del mostro.
Si gloriavano di averla domata, quell’immonda creatura,
camminandovi al di sopra come il degno avversario che erano stati.
Più i polmoni di Roy si gonfiavano dolorosamente di cenere,
annaspando e graffiando al di sotto degli ingombranti sbuffi della
divisa, e più loro crescevano, incutendo timore, imponendo
soggezione.
I soldati che vi marciavano al di sopra, con inaspettata fierezza, non
mancavano quasi mai a sollevare il capo, rincuorati alla vista di un
passo in meno a dividerli dalle spalle dell’eroe di Ishbal.
Eppure, gli occhi del maggiore erano ancora troppo accecati
dall’alone plumbeo della cenere per badare a simili
sottigliezze; scrutavano incerti l’orizzonte ed
assottigliandosi imponevano al plotone il silenzioso ordine di avanzare
ancora.
Oltre la sabbia, così insopportabilmente grigia e vuota,
oltre i solchi del terreno che ad ogni falcata crescevano sempre un
po’ di più; oltre la strana espressione che li
aveva distorti, la paura e l’odio verso se stessi, non
riuscivano a vedere nient’altro.
Ed il numero di orme che si imponevano su quelle del maggiore diminuiva
ogni giorno di più.
Il deserto li ingurgitava con avidità, quei corpi provati,
lasciandone a malapena le ossa, irriconoscibili in
quell’opprimente candore che invadeva la sabbia.
Persino la voce, ridotta a flebili sospiri, si curava di nascondere,
ricoprendola con i fischi acuti del vento.
Infine vi fu un giorno in cui la landa, oramai sazia, sentì
il bisogno di liberarsi dell’opprimente peso di tutte quelle
membra straziate.
Il deserto esplose in un urlo agghiacciante, con i sibili indistinti
della tempesta di sabbia a straziare il silenzio alle spalle
dell’eroe di Ishbal e la terra a risucchiare, fino ad
ingoiare, quella schiera di uomini fin troppo invisibile per contare
agli occhi del proprio superiore.
Quando il maggiore riuscì a voltarsi finalmente indietro, un
cumulo di sabbia, insopportabilmente grigia e tagliente, fu tutto
ciò che le sue iridi plumbee riuscirono a distinguere
nell’insana sazietà del deserto.
Ed un solco indelebile, lasciato dall’impronta dei propri
passi, divenuto improvvisamente un po’ più
profondo.
---
Sulla stesura di quest'ultima ho dovuto facchinare un
pò.
Ho voluto riportare le motivazioni che inducono alla depressione,
piuttosto che la malattia in sé.
La depressione, almeno nell'elaborazione delle cinque fasi, si
raggiunge nel momento in cui l'inviduo arriva a capacitarsi del proprio
stato effettivo, che sia fisico o psicologico.
Si colgono i mutamenti e gradualmente poi si rielaborano nei sintomi
che, alla conclusione di tutto, porteranno all'effettiva forma di
depressione.
Con il particolare delle orme, che rende Roy cieco a tal punto da non
accorgersi di nient'altro, ho voluto estremizzare questa presa di
coscienza.
Ringrazio come sempre Lely1441 che è riuscita a farmi
provare l'ebrezza del betaggio [sempre a patto che quella correzione
fra parentesi nella tua recensione fosse davvero quello che io penso, e
non una semplice parte di recensione. Altrimenti, ti autorizzo pure a
colpirmi il più forte che puoi ù_ù9]
Grazie mille per il commento dunque °ç°
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Capitolo 5 *** 5th Phase: Acceptance [I feel the gravity of it all] ***
5th Phase: Acceptance
[I feel the gravity of it all]
La gravità era una forza insopportabile.
Spintonava, nelle retrovie dell’esercito, pronta a prenderti
e portarti via come un mercenario qualsiasi.
Non contava quanto a lungo i soldati si ostinassero ad ignorarla,
così ben piantati a terra con i loro anfibi logorati nelle
suole dal sangue; lei sapeva aspettare, degna predatrice di altrettanti
dotati marcatori.
Era capace di stare immobile per giorni, a fissarti dal buio della tua
ombra proiettata a terra, mentre, standotene seduto sulle macerie di
quella che un tempo doveva essere stata una bella scuola o una lurida
prigione – sparsi a terra i detriti facevano poi tutta questa
gran differenza? , cercavi di ricordare per l’ennesima volta
il numero dei corpi che i tuoi occhi quel giorno avevano visto cadere
mollemente al suolo.
Sostava lì, lei, al tuo fianco come un fedele compagno,
pronta a derubarti di ogni ricordo gelosamente custodito. Lo prendeva
con sé e lo trascinava giù, fin dentro le viscere
di quel buio, lontano.
E tu non potevi far nient’altro che combattere.
I soldati passavano così le giornate, con gli occhi
distrattamente fissi a terra.
In silenzio, si logoravano dentro, senza armi o granate, riafferrando
memorie troppo pesanti per continuare ad aleggiare nel tanfo delle
periferie e, ironia del caso, così leggere da potersi
permettere di andare e venire, come lampi, nei brevi sprazzi di
lucidità delle loro menti.
Non si guardavano mai in faccia, sebbene sostassero gli uni accanto
agli altri, sfiorandosi inavvertitamente con mani così
fredde da ricordare l’acciaio fuso.
La gravità li attirava a sé, come cadaveri ancora
grottescamente in piedi, li isolava costringendo i loro occhi a terra
ed infine, certa di averli oramai in pugno, incominciava a svuotarli, a
poco a poco, portandoli indietro fino alla genesi di tutto quel dolore.
Abrogarsi il diritto di tenere la testa ben dritta, fissa in avanti
oltre l’orizzonte pullulante di macerie, era un lusso per
pochi. Significava aver raso al suolo ogni trincea
all’interno del proprio spirito e rinnegato
quell’assurda forza, comprimendola fino ad atrofizzarla
all’ombra di se stessa.
Esser pronti ad alzarsi in piedi, in ogni istante, ed inneggiare alla
giustizia di quello sterminio.
Chi lo aveva fatto non era durato abbastanza da ricordare neanche la
forma dell’orizzonte.
Era il metro di giustizia dei carnefici, quello.
Ci si guardava negli occhi e decideva a vista chi fosse malato a
sufficienza da poter andare avanti e chi, invece, restando fermo in
quell’assurda voglia di imbracciare le armi, nonostante lo
sterminio, nonostante le morti ed il piombo, destinato a soccombere.
Maes Hughes li chiamava ancora “incidenti da proiettili
vaganti” e Roy, osservandolo distogliere un’ultima
volta lo sguardo dal cadavere del proprio superiore, non poteva far
nient’altro che annuire.
Bisognava essere dei ciechi o dei folli per non farlo.
Eppure, gli ci era voluto del tempo per capirlo.
Aveva dovuto aspettare che il fragore delle armi cessasse, come se il
loro frastuono fosse davvero troppo grande per sovrastarlo con sciocchi
pensieri, che i corpi smettessero di dimenarsi al suolo e che la
gravità, improvvisamente privata di cibo da ingurgitare
avidamente, allentasse la propria presa.
Soltanto alla fine di tutto, con quella massa informe di compagni
estranei piantonata al proprio fianco, Roy Mustang era riuscito
finalmente a levare gli occhi al cielo.
Sforzandosi un’ultima volta di ingoiare il tanfo amaro che la
guerra aveva portato con sé e notando soltanto in quel
momento, in quel cielo insopportabilmente rosso, come un’alba
squarciata, quanto lo sguardo fiero del Comandante Supremo stonasse in
tutto quel parto di dolore.
Fu un istante, un lento susseguirsi di secondi in cui il desiderio
ardente di far soccombere il primo
errore di quello sterminio divenne talmente grande da far male.
Non si rese neanche conto di quanto le sue dita fossero affondate nelle
tasche lerce della divisa, pronte a schioccare in onore
dell’ultimo cadavere.
Le spinse ancora ed ancora, fino a sentirle grattare contro le
cuciture, mettendole a tacere mentre i suoi occhi si alzavano di
più, cercando quelli vitrei dell’uomo che li
sovrastava.
E la ignorò quella gravità che lo richiamava a
sé.
Vi era una forza più grande da schiacciare, un bisogno
più impellente da mettere a tacere.
Un Governo malato da ribaltare che, per quanto apparentemente giusto,
non avrebbe mai potuto accettare.
…
Soltanto dopo vi sarebbe stato posto per
lei.
---
Ultima .-.
Potrei anche scoppiare a piangere. Ma anche
no.
Ho voluto allontanare Roy dall'ultima fase della morte, quella
dell'Accettazione, semplicemente perchè la guerra, per
quanto all'apparenza abbia potuto segnare la morte interiore del
Colonnello, per lo meno dal mio punto di vista, ha dato vita all'esatto
opposto.
E' stata la scossa che ha segnato la carriera dell'Eroe e che lo ha
spinto fino a dove è arrivato.
Con il particolare del Comandante Supremo ho voluto calcare di
proposito la mano.
Dubito che Roy abbia mai pensato di farlo davvero bruciare vivo,
semplicemente perchè troppo poco elaborato come piano, ma in
quel particolare stato d'animo mi è piaciuto dargli
connotazioni più umane.
Per quanto riguarda Maes ed il discorso sulle morti accidentali, non
è niente stilato di mio pugno.
La cosa vi è davvero stata, nel quindicesimo volume, in
seguito all'uccisione di un superiore.
Ringrazio come sempre Lely1441 per il supporto datomi finora, davvero,
son soddisfazioni queste.
E ringrazio anche i lettori più silenziosi, gli occasionali
ma che, comunque, ci sono.
°ç°
* evapora in una nube di fumo incastrandosi nella botola
|
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