__Rocket Queen*

di _blackapple
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I might be a little young, but honey I ain't naive ***
Capitolo 2: *** Ripassa dalle parti del cuore. ***
Capitolo 3: *** Sbucciare la banana. ***
Capitolo 4: *** Pelle di mucca. ***
Capitolo 5: *** Pollo fritto. ***



Capitolo 1
*** I might be a little young, but honey I ain't naive ***


Le stelle del cielo di Londra sono qualcosa di unico, di magico... Quando si vedono.
Forse è proprio perchè non si vedono mai, che quei rari momenti in cui si mostrano diventano magici.
«E' fantastico, Rob» mi disse Nina, appoggiandomi teneramente la mano sulla pancia coperta dalla maglietta. Era stato probabilmente un gesto distratto, ma il cuore mi balzò in gola. Voltai la testa verso di lei: cento, mille, un milione meglio di tutte le stelle del cielo che in quel momento brillavano sopra di me. E così vicina...
Non dissi niente, il momento era magico e semplicemente perfetto. Uno di quelli da ricordare, uno di quelli talmente stupendi che ripensarci ti fa male al cuore, ogni volta.
Eravamo nella soffitta di un palazzo, di cui non ricordavamo neanche come eravamo entrati, sdraiati sul pavimento polveroso, a guardare fuori dal lucernario. Sbronzi come non mai.
Nina. Nina come una gattina appena nata. Nina come un cucciolo di foca. Nina come la tua vicina di casa quando eri piccolo. Nina come la ragazza più sensuale della scuola, quella che ti faceva girare la testa solo se ti passava di fianco. Nina come la giovane donna dai capelli neri e le labbra rosse che ti incantava con uno sguardo. Nina come lei.
«Basta accidenti!» esclamai, senza rendermi conto di averlo detto ad alta voce. Dovevo interrompere l'enorme viaggio mentale sulla ragazza che mi stava di fianco, mi facevo paura da solo.
Lei volse uno dei suoi grandi occhi neri verso di me. Non disse niente, ma la domanda che mi rivolse era più che esplicita.
« Scusa, non capisco più niente» urlai, balzando in piedi. « Balliamo, Nina, balliamo!» La alzai e la presi saldamente per i fianchi, cominciando a roteare per la stanza al ritmo di una musica che sentivo solo io.
Cominciò a ridere, lasciandosi sballottare, prima piano, poi sempre più forte, fino a riempire la soffitta con le sue risate.
Mi unii a lei e dopo pochi secondi ci ritrovammo di nuovo per terra, in un ammasso di carne tremolante « Dio santo, Rob, quanto sei sbronzo? Tu non sai ballare! » Rise di nuovo.
La colsi di sorpresa e le versai nella bocca aperta un sorso di whisky. Nina tossì, sputando gran parte del liquido per terra, e si portò una mano alla gola per respirare. Aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate. Ops.
Nei suoi occhi neri, profondi, inquietanti, passò un lampo omicidia e dopo due secondi me la ritrovai addosso, mentre mi tempestava di pugni e di morsi.
«Sei un animale! Un animale!» Le urlai cercando di divincolarmi, con poco successo. Quando finalmente mi lasciò andare aveva le labbra sporche di sangue, proveniente dal mio collo.
Passai la mano sulla ferita e guardai con gli occhi sgranati le dita piene di sangue. «Cristo santo, Nina. Sei una vampira. » dissi, con assoluta convinzione. Il buio assoluto, nel quale vedevo rilucere solo i suoi occhi neri e le sue labbra imbrattate, era tutto meno che rassicurante; e di sicuro una sbronza non aiutava a mantenersi lucidi e razionali.
«Si. » sibilò, sporgendosi verso di me «Una vampira assetata e pericolosa» . La voce le uscì roca e mi vennero i brividi. Sentii la pelle d'oca sulle braccia e arrancando sul pavimento mi allontanai sempre di più da lei.
«Ho sete. » continuò, terrificante, strisciando verso di me. «Ho tanta sete. »
Tacque. Potevo sentire solo i battiti furiosi del mio cuore, e i miei respiri rantolanti, veloci. Me la ritrovai addosso e le sue labbra contro le mie, decise, violente.
Chiusi gli occhi e ricambiai il bacio, sentendomi sprofondare in un vortice infinito di lussuria e di terrore. Il sapore del sangue si mescolava a quello delle sue labbra, umide, calde. Se avessi potuto scegliere un momento in cui morire, avrei sicuramente scelto quello. Quale uomo non desidererebbe una fine così?
«Nina» mormorai quando le nostre labbra si staccarono, sfiorandole il naso con la bocca e tenendo la fronte incollata alla sua. Non avevo mai visto niente di più bello, di più erotico ed innocente, nello stesso tempo.
Si strusciò lentamente su di me, facendomi deglutire. Faticavo a mantenere il controllo, i respiri si velocizzavano e le mie mani cominciarono a muoversi da sole.
Le sfiorai un fianco, infilando le dita sotto la maglietta e carezzandole la pelle. Il suo sospiro di apprezzamento mi mandò fuori di testa. Premetti di nuovo le mie labbra sulle sue, con violenza, facendogliele schiudere. Accarezzai con la lingua il suo labbro inferiore e la sentii mugolare. Le sue mani piccole e gelide, come sempre, mi sfilarono la maglietta e cominciarono a carezzarmi il petto, lentamente. Come eravamo arrivati fin qui?
«Nina. Se vai avanti così non credo riuscirò a controllarmi. Sono un uomo. » Lei inclinò la testa e mi guardò sorniona, con quei grandi occhi. «Sarò anche giovane, ma tesoro, non così ingenua. » Sussurrò.
«Bene, allora... che si fa? » Chiesi stupidamente. Faticavo a riordinare i pensieri, annebbiati dall'alcool e dal desiderio. Lei non rispose e si sdraiò su di me, chiudendo gli occhi e respirando piano. La avvolsi teneramente con le braccia, e ritornai a guardare le stelle. Nè insoddisfatto, nè consapevole di cosa fosse successo così improvvisamente.
Così, con il sapore del sangue e del whisky in bocca, sotto il cielo stellato di Londra, mi addormentai.





Ragazziiii :D Hola a tutti! Questo è il prologo della mia storia. Nei prossimi capitoli spiegherò molto di più a proposito di Nina e di che cavolo ci facciano due ragazzi del genere insieme in un sottotetto di Londra xD Intanto ditemi se vi è piaciuto, così so regolarmi C: Un bacio a tutti

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Capitolo 2
*** Ripassa dalle parti del cuore. ***


Tanta gente intorno a me. Un esercito vero e proprio, che si avvicinava marciando furioso.
Erano da ogni parte, mi circondavano, mi soffocavano, percuotendo il suolo con i loro stivali chiodati.
Riaprii gli occhi improvvisamente con il cuore che batteva a mille spaventato e mi guardai intorno rapidamente.
La pioggia cadeva incessante, e le gocce provocavano il frastuono che mi aveva svegliato, battendo sul lucernario di vetro come tanti piccoli martelli. O stivali chiodati.
Maledissi i miei sogni ansiogeni e mi tirai su a sedere, realizzando improvvisamente quello che era successo la sera prima.
Ero in mezzo ad una soffitta vuota, ma polverosa, con la camicia abbandonata a due metri da lì, tutta spiegazzata, e una bottiglia di Jack Daniel’s che un tempo era stata piena, di fianco.
Nina. Ovviamente se n’era andata, era perfettamente normale, ma le sue sparizioni lasciavo sempre un senso di vuoto, e io mi sentivo un idiota per non essermene accorto.
Allungai una mano per raccattare la camicia, e nel farlo feci cadere un foglietto dalle pieghe della stoffa, che volò ad appoggiarsi poco più lontano sulle assi di legno del pavimento.
La speranza si rianimò, come della benzina su cui viene lanciato immediatamente un fiammifero, e io scattai in piedi per raccogliere il messaggio di Nina.
Appena lo sfiorai con le dita, capii cos’era e lo voltai. Una polaroid dai colori vividi mostrava me stesso, addormentato sul pavimento a petto nudo, con i capelli scarmigliati e una mano sulla pancia.
Ripassa dalle parti del cuore.* Era la scritta sotto la fotografia, scarabocchiata in fretta con una matita da trucco. Accarezzai con un dito la superficie liscia e lucida della polaroid, sorridendo.

Nina pow

Pedalavo con calma sotto la pioggia, assaporando le gocce che mi scorrevano sulla pelle. Era una sensazione che avevo imparato ad amare fin da quando avevo deciso che il mondo era bello.
Ed era proprio così: bello. Potevo trovare la vera magia nei riflessi luminosi delle gocce d’acqua sulle carrozzerie delle macchine, negli schizzi provocati dalle gomme, nei capelli grondanti di pioggia di una signora anziana, nelle nuvole scure che correvano rapidamente.
La magia era dappertutto, bastava saperla trovare.
Osservare, era ciò che sapevo fare meglio. Osservare ed immortalare. Non è solo il fermare l’attimo che mi interessa, della fotografia. E’ catturare le emozioni, i profumi, le atmosfere e la magia, appunto.
Un grande fotografo, Neil Leifer, ha detto che La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha. Bene, non sono d’accordo. La tua idea è la tua realtà. Non sono due cose distinte, o quella non è davvero la tua idea di realtà, ma solo ciò che vorresti che lo fosse.
Ero troppo presa dalle mie stupide riflessioni, che non mi accorsi che avevo attraversato un incrocio senza guardare, finché una macchina non inchiodò con uno stridio di freni a pochi centimetri da me.
Per reazione schiacciai i freni della bicicletta, che bloccò di colpo la ruota davanti e mi scaraventò per terra. La mia borsa mi sfuggì dalla spalla e rotolò in mezzo alla strada, spargendo tutto il suo contenuto sull’asfalto bagnato.
Io feci lo stesso, solo che fortunatamente non sparsi un bel niente.
Dopo qualche secondo di shock realizzai che mi trovavo nel bel mezzo di Trafalgar Square, sdraiata sull’asfalto, sotto la pioggia, mentre bloccavo il traffico di mezza Londra. Mi rimisi in piedi e in fretta raccattai tutte le mie cose rotolate ovunque e le cacciai nella borsa.
Rialzai la bicicletta e mi tirai da parte, beccandomi anche un paio di vaffanculo dall’automobilista che aveva rischiato di investirmi.
Alzai una mano e gli risposi con un gestaccio Fottiti bastardo! Gli urlai, poi mi rimisi in sella e scappai via.
Il cuore sembrava impazzito, e nemmeno all’esterno mi sentivo molto bene. Stimai senza guardarmi che probabilmente mi ero sbucciata un ginocchio e sbattuto la spalla destra. Niente di grave, ma doloroso.
Quando mi fermai, in una zona un po’ più tranquilla, mi arrischiai a guardare in basso. Uno squarcio nei miei jeans nuovi correva da parte a parte, all’altezza del ginocchio destro, mostrando un taglio slabbrato sulla pelle al di sotto. Rimasi ad osservarli per un minuto buono, prima di decidere che così erano perfino più artistici e che potevo benissimo tenerli strappati.
Arrivai sotto casa mia e legai la bicicletta ad un palo, prima di correre al riparo sotto il grande portone e cercare la chiave.
Ero grondante d’acqua quando entrai in camera mia e mi beccai uno sguardo di disapprovazione da mia madre, che però non disse niente e si eclissò in soggiorno senza nemmeno salutarmi.
Mi sfilai le scarpe con un piede e le calciai lontano dalla porta, poi mi sedetti sul letto.
Rovesciai la borsa per valutare i danni e quello che vidi mi mozzò il respiro.
La mia Polaroid era distrutta. Un lato era completamente accartocciato su se stesso e spaccato a metà: si vedeva persino il metallo all’interno.
Mi asciugai una lacrima, o forse era pioggia, e sfiorai con le dita la carcassa della macchina foto che avevo amato di più. Non avevo nemmeno potuto dirle addio. Lanciai un urlo di rabbia e scaraventai tutti gli altri oggetti per terra, con una manata violenta.
La foto di Robert invece rimase sul copriletto zebrato: era bagnata, ma integra.
L’ultima foto che la mia piccolina aveva scattato. Di questo ne ero felice.


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*Ripassa dalle parti del cuore -> "Ricorda"; dal latino Re-cordis (Re = ripassare | cordis = cuore, ovviamente)

Hola :D Innanzitutto ringrazio Katy Twilighter per la recensione, mi ha fatto davvero piacere ;D Continua pure così ahah!
Poooi, questi primi capitoli sono un po' cortini, perchè devo valutare se vale la pena continuare questa storia, però aggiorno molto presto. Ditemi cosa ne pensate, grazie *__* anche solo aggiungendola alle preferite o alle seguite farete di me una fanciullina felice *__*
Se avete domande, prego u.u son qua!

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Capitolo 3
*** Sbucciare la banana. ***


Nina pov



Tamburellavo le dita sul tavolo, nervosa, mentre con l’altra mano reggevo la sigaretta. Quella sera ero stata obbligata a partecipare ad un’uscita di famiglia, destinazione Luna Park.
Tirai una boccata avida di fumo e indugiai a lungo, prima di lasciarlo spandersi nell’aria.
Ero seduta alla scrivania e guardavo fuori dalla grande finestra della mia stanza. I tetti di Londra si estendevano davanti a me, infiniti, e io mi sentivo estranea al mondo: come se lo stessi osservando rinchiusa in una bolla di sapone.
La voce petulante di mia sorella interruppe le mie riflessioni «Ti vuoi muovere principessina?»
Strinsi i denti per non insultarla, quella testa di cazzo in erba, e mi alzai svogliatamente per cambiarmi.
Presi tra le mani un paio di jeans e un maglione pesante, molto anonimi, ma improvvisamente decisi che avrei dato il più fastidio possibile ai miei cazzo di genitori, e lanciai gli indumenti nell’armadio. Presi un paio di pantaloni aderenti di pelle nera e una maglietta porpora, con una serie di strappi e buchi strategici sulla pancia e sulla schiena. Infilai degli stivaletti flosci senza tacco e uscii dalla stanza.
Finsi indifferenza mentre mia madre mi insultava, ma dentro di me stavo provando una segreta soddisfazione e dovetti trattenermi da farle un sorrisetto beffardo.

Quando arrivammo al Luna Park sentii che tutto sommato sarebbe stata una bella serata: l’aria era frizzante, ma non fredda, e profumava di dolci.
Il Luna Park pullulava di gente, che si affannava intorno alle bancarelle e alle giostre, facendo code chilometriche per provare un briciolo di adrenalina. Erano evidentemente incapaci di trovarla nella vita quotidiana, avevano bisogno di salire a cento metri da terra per sentirsi vivi.
Estrassi la mia sudatissima reflex dalla borsa e cominciai a scattare qualche foto, rimanendo in mezzo alla folla, ma contemporaneamente isolandomi da essa.
Catturai l’espressione stanca del venditore di zucchero filato, nell’unico istante in cui lo vidi abbassare la maschera di gaia affabilità; quella emozionata di un bambino dagli occhi brillanti, dove si riflettevano le luci delle giostre; quella preoccupata di una madre che vedeva sua figlia correre via da lei, lasciandola sola.
In un turbinio di colori, di emozioni e di luci, la serata passò e io ero riuscita a considerare la mia famiglia come un’appendice fastidiosa, ma trascurabile.
Feci scorrere il mio sguardo sulla folla ai margini della via e incrociai un paio di occhi grigi, molto familiari, che mi fissavano sornioni chissà da quanto tempo.
Abbassai la macchina foto e sorrisi, un tacito invito, un riconoscimento. Ci avvicinammo reciprocamente, fino a trovarci a mezzo metro di distanza.
«Chèrie. » disse con la sua voce morbida, e io osservai incantata le sue labbra rosse che si sfioravano, richiudendosi e piegandosi in un sorriso.
«Bonsoir Cécile» le dissi incantata. Cécile aveva ventitré anni, ed era una delle poche persone di cui mi fidavo ciecamente, nonostante non sapessi praticamente nulla di lei. Aveva la capacità di rapirmi ed incantarmi, anche senza fare niente, avrei potuto passare ore ad osservarla nonostante ci conoscessimo ormai da quattro anni.
Il suo sguardo ti trafiggeva e ti ipnotizzava, mentre il suo sorrisino ironico ti faceva capire che non potevi pensare di essere alla pari con lei. Vedeva sempre oltre, capiva sempre qualcosa in più.
Il tutto, sommato alla sua bellezza e al suo arrapantissimo accento francese, le dava una carica erotica senza eguali.
Il turbinio delle persone che ci passavano di fianco, con i loro suoni e i loro colori, non ci toccavano, mentre noi non facevamo altro che guardarci negli occhi.
Un colpo di tosse infastidito mi riscosse dal mio idillio e mi fece voltare. Mio padre si era avvicinato e stava squadrando Cécile con evidente disprezzo, fissando con aria critica le borchie sulla sua giacca e il suo abbigliamento nel complesso.
Ero molto divertita dal fatto che avesse sempre qualcosa da dire sulle altre persone, mentre evidentemente non si accorgeva di quello che facevo io.
«Nina, ci vogliamo muovere? » mi chiese, senza staccare gli occhi dalla ragazza di fianco a me.
Mi voltai e fissai Cécile. Non mosse un muscolo, ma i suoi occhi, piantati nei miei, cambiarono e parlarono per lei.
«Andate pure. Tornerò a casa per conto mio. » mio padre si irrigidì, ma non contestò e quando mia sorella lo prese sotto braccio, proseguì verso l’attrazione successiva.
Finalmente la ragazza di fronte a me si sciolse in un vero sorriso, che tuttavia non le illuminò gli occhi, e io appoggiai la fronte alla sua.
Incollò le labbra alle mie, senza chiedere, ben sicura che avrei risposto al bacio con altrettanta intensità, come in effetti accadde. Le appoggiai le mani sulle guance, mentre la spingevo contro il muro dietro le sue spalle, e esplorai la sua bocca con la lingua. Sapeva di vaniglia, proprio come mi ricordavo, e anche il suo profumo era sempre lo stesso: dolce, mischiato al suo vero odore e a quello della città. Non convenzionale, ma per me buonissimo.
Le mie riflessioni si interruppero quando sentii il piercing sulla sua lingua accarezzarmi il collo, lentamente. Fremetti e le infilai le dita tra i capelli corti, stringendola a me.
«Andiamo, tesoro» mi disse con voce roca, prima di voltarsi e sparire tra la folla.
Ero stordita e ci misi qualche istante prima di rendermi conto che se ne stava già andando, e che se l’avessi persa di vista non mi avrebbe aspettata. Era fatta così.
La inseguii, spintonando la gente che mi guardava male e scostava velocemente i bambini da davanti a me. Raggiunsi Cécile solo all’uscita del Luna Park e il suo sguardo compiaciuto mi fece capire che mi aveva messa alla prova. Ora potevamo divertirci.
Era tutto un gioco con lei, del quale non si conoscevano le regole. O meglio, l’unica regola che ero riuscita a capire era: ogni cosa che fai, conta. Ogni tuo gesto, parola, movimento, sono valutati da lei e presi in considerazione.
Nulla le sfuggiva, e se facevi qualcosa che non le andava, ti piantava in asso senza dire niente, e tu dovevi aspettare l’incontro successivo per farti perdonare.

Scendemmo in metropolitana e prendemmo la Northern line fino a Camden Town, dove viveva lei. Il viaggio fu silenzioso, ma tutt’altro che tranquillo. C’erano solo tre persone nel nostro vagone, e appena Cécile si mise a cavalcioni su di me e cominciò a baciarmi, due svicolarono via disgustati.
Forse eravamo un po’ esplicite, ma se no il divertimento dov’era?
Il ragazzo che era rimasto seduto a pochi sedili da noi, non ci toglieva sfacciatamente gli occhi di dosso, così Cécile si chinò con la sua migliore espressione da bambina cattiva e mi sussurrò all’orecchio «Diamogli qualcosa a cui pensare, quando si sbuccerà la banana stasera»
Io scoppiai in un risolino divertito e mi leccai le labbra, provocante. Lo fissai negli occhi, mentre Cécile strusciò il bacino contro il mio e mi leccò il collo, stringendomi i capelli tra le mani e inclinandomi indietro la testa a forza.
Dopo qualche minuto di giochini espliciti, il ragazzo fece per alzarsi, ma noi fummo più rapide e scendemmo alla nostra stazione, ridendo a crepapelle e spingendoci a vicenda. Salimmo di corsa le scale della metropolitana e uscimmo nella pioggerellina sottile di Camden Town, ancora su di giri per la piccola performance.
Erano questi i momenti da ricordare, pensai, mordendomi un labbro divertita.

Cécile aveva un piccolo appartamento che divideva con tre ragazzi, che però non avevo mai visto e quindi mi immaginavo come fantasmi evanescenti che tornavano nella tana solo al mattino per farsi una doccia. Quindi quando entrammo in casa e notai che loro erano tutti e tre lì in soggiorno, svaccati su un divano sdrucito, mi stupii e contemporaneamente diventai nervosa.
L’atmosfera era molto back to sixties e lo sguardo non sapeva dove fermarsi, catalizzato da tanti dettagli affascinanti e inusuali. Per essere sicura di non perdermi niente, tirai fuori la macchina foto e scattai, senza flash.
Nemmeno se ne accorsero, mentre io tornai su di giri, entusiasta per aver catturato quell’atmosfera pesante, ma originale.
Tuttavia la loro presenza continuava ad infastidirmi. Proprio stasera, maledizione. Pensai arrabbiata. Non che mi sentissi in imbarazzo, ma non avevo nemmeno molta voglia di chiedere loro di partecipare e non sapevo come si sarebbe comportata Cécile.
Lei sembrò fregarsene e li salutò con un cenno delle testa, prima di trascinarmi in camera sua.
Mi sbattè contro il legno della porta e infilò una mano dentro i miei pantaloni di pelle, senza tante cerimonie. Ansimai, quando mi massaggiò vigorosamente e molto poco dolcemente, ma feci forza per togliermela di dosso.
Non mi andava di stare passiva, quindi presi il controllo e la spinsi sul letto sfatto, sfilandole gli abiti scuri e lasciandola abbandonata sul lenzuolo.
Non aveva il reggiseno, e portava un paio di boxer mollicci al posto delle mutandine. Mi leccai le labbra e mi sporsi per accarezzarle l’ovale del viso, liscio e quasi opalescente.
Non mi accorsi nemmeno del momento in cui mi ribaltò con forza, finché non sentii qualcosa di metallico tintinnare e non mi accorsi che mi aveva legato un polso alla testata del letto, con un paio di manette.
«Cécile, cazzo, ma sei pazza? » le chiesi, a bocca aperta.
Non poteva davvero pensare che me sarei stata lì buona e calma. Mi legò, non senza una certa resistenza da parte mia, anche l’altro polso, e poi mi spogliò.
Mi sorrise sorniona e uscì dalla stanza ancheggiando.
«Fanculo, troia!» le urlai, furiosa ed eccitata e lei si voltò, sulla soglia. Sorrise ancora, maliziosa, e si chiuse la porta dietro le spalle. Ricaddi sul letto



Rob pov



Era stata una pessima idea quella di uscire di casa, lo avrei dovuto immaginare fin da subito, quando mi ero accorto di avere una strana malinconia addosso.
I momenti passati con Nina la sera precedente mi turbinavano nella testa, e avevo una gran voglia di vederla, di guardarla negli occhi, di respirare di lei.

Poi era arrivato Matt, il mio storico amico, e mi aveva obbligato con la forza ad uscire con lui. Destinazione? Un grande Luna Park appena aperto in città.
Di malavoglia mi ero pettinato i capelli, gesto completamente inutile visti i risultati, ed ero uscito di casa.
Ecco, si, avrei dovuto immaginarlo che non era il giorno giusto per uscire. Avrei dovuto farlo.

Ora ero lì, immobile, a fissare incantato Nina poche centinaia di metri più in basso. Ero sulla ruota panoramica, niente a che vedere con il London Eye, ma comunque suggestiva.
Amavo le giostre, mi davano un pizzico di entusiasmo e adrenalina che mi ricordavano di quando ero bambino, senza pensieri e capace di cogliere la magia in ogni cosa.
Beh, di solito le amavo. Ora odiavo questa stupida giostra con tutto me stesso, visto che ero relegato lì sopra e avrei dovuto aspettare ancora sei minuti per riuscire a scendere e raggiungere Nina.
La volevo, la volevo ancora di più che la sera precedente, e le mani mi fremevano e bruciavano da quanto avrebbero voluto stringersi dolcemente intorno al suo viso e sfiorarle la pelle liscia.
Osservai che stava parlando con una ragazza, probabilmente una sua amica, dall’aria spettrale. Pelle pallida, capelli neri e corti, vestita completamente di nero. Roteai gli occhi sbuffando divertito, tutte Nina le conosceva le persone strane.
Ritornai a guardare in basso, desideroso di non perdermi neanche un istante di lei, e sentii il fiato venire meno.
Guardai con incredulo orrore le due ragazze che si baciavano, avvinghiate contro una parete, come se il mondo fosse sul procinto di finire.
E per me fu così. Il mio mondo esplose, si distrusse in una cascata di macerie che si depositarono su di me e mi schiacciarono.
Non avevo neanche la forza di boccheggiare in cerca d’aria, era stata tutta catturata dalle lacrime che debordavano incontrollate dai miei occhi.
Cazzo Rob, datti un contegno. Mi dissi. E’ Nina, è fatta così. Pensai, cercando di calmarmi.
Quello che mi faceva più male, come un ago piantato su della pelle che già brucia, era vedere la passione contenuta in quel bacio, il desiderio... L’amore.



Hello :D Angolino dell'autrice!
Alors, intanto ringrazio tutte moltissimo per le vostre recensioni *__* mi hanno fatto un casino piacere! E grazie anche a chi mi ha aggiunta alle seguite e ai preferiti.
Un grazie particolare va a whitevelyn, perché è la mia autrice preferita e mi sento molto onorata dal fatto che mi abbia messa tra le seguite. *__*
Grazie a tutti voi miei cari ♥

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Capitolo 4
*** Pelle di mucca. ***





Tu non sei mai la persona che vedono gli altri. Per quanto si sforzino, per quanto ci provino davvero a vederti senza il filtro della loro mente, non ce la faranno mai.
Il punto è che nemmeno tu sei la persona che credi, e quando lo scopri ti sconvolgi. Può essere uno sconvolgimento positivo, se apri gli occhi su una persona migliore di quella che pensavi, oppure può distruggerti.
La mente può trasformare l'inferno in un paradisoe il paradiso in un inferno*. Sta a te decidere.
Ero ferma nella metropolitana e fissavo il mio riflesso vetro sporco di una delle carrozze, immobile.
E’ che a volte capita di guardarsi allo specchio e non riconoscersi; non riuscire a spiegarsi che quella persona sei davvero tu.
Sono convinta che la mia faccia non sia il riflesso della mia anima, è un guscio che mi contiene, un guscio che a volte mi sembra estraneo.
Ed era proprio questo senso di estraneità che provavo, mentre guardavo i miei stessi occhi neri e la piega amara delle labbra nel vetro sporco.
Desideravo con una violenza quasi bruciante, di poter vedermi veramente, di poter aprire gli occhi e capirmi.
E’ questo che mi ha portata alla fotografia. Al mezzo che mi serve per cogliere l’anima delle persone, dei luoghi e perfino di me stessa. So con certezza quando una fotografia è ben riuscita. Quando guardandola sento un colpo al cuore, sgrano gli occhi e mi ritrovo a dire ‘cavolo, è proprio così la realtà’; quando me la ritrovo tra le mani e non riesco a capire se sia una finestra aperta, oppure del semplice inchiostro spruzzato su un pezzo di carta lucida.

«Adesso diventano tutti ricordi, non si preoccupi signorina. » disse improvvisamente una voce di fianco a me. Mi voltai e osservai la faccia sveglia e sudicia di un barbone, che mi sbirciava da sotto la tesa del suo cappello.
«E se non lo volessi?» gli chiesi, rivolgendogli la parola anche se non l’avevo mai visto prima. Non aveva capito niente.
«Non si possono rivivere i ricordi, o si rischia di sprecare la realtà.» il tono era leggero, ma quelle parole mi ferirono come non mai. Era una condanna, non una cosa da prendere alla leggera. I ricordi a volte sono l’unica cosa per cui si vive.
Senza rispondergli, gli sorrisi tremula e saltai sulla carrozza della metro, un secondo prima che le porte si chiudessero dietro di me.
Mi trovavo davanti ad un bivio: lanciarmi sul futuro senza paracadute o vivere la dolcezza del calore passato?
In un impeto di coraggio, decisi che avrei combattuto per i miei sogni. Per realizzare ancora i miei ricordi, in barba a quello che aveva detto il clochard.
Che ne sa lui , pensai furiosa, che io non posso rivivere i miei ricordi? Tornare indietro non significa per forza stare fermi. Riuscirò a tornare indietro per andare avanti. E senza sapere nemmeno io molto bene cosa intendessi, chiusi l’argomento e tentai di pensare ad altro.
Sfiorai con la punta delle dita la mia macchina foto nella borsa.


Robert POV
Erano passati tre giorni e non avevo sentito nessuna notizia di Nina. Avevo una paura folle di averla persa e sentivo, non senza una certa inquietudine, che non l’avrei più rivista se non l’avessi cercata io.
Il cellulare era inutile, lo sapevo. E mi sembrava anche squallido fare un discorso via telefono.
Presi la porta di casa con decisione e fuggii dal fiorista di corsa.
Sapevo che adorava le orchidee e gliene presi una piantina con i fiori rossi come il sangue, suo colore preferito. Quando uscii nella pioggerellina sottile di Londra, con quei delicati fiori in mano, mi sentivo meglio.
Camminai fino a sotto casa sua e mi resi conto di quanto fossi agitato solo quando osservai la mia mano che tremava, prima di suonare il campanello.
Attesi con ansia che qualcuno mi aprisse almeno per dieci minuti, finché non sentii qualcuno sollevare il citofono.
«Nina? Sono Robert, mi apri?» chiesi, poiché non sentivo alcuna risposta.
La porta si aprì e il citofono venne riattaccato. Aggrottai le sopracciglia e entrai cautamente nell’androne. Nina viveva al settimo piano e,neanche a dirlo, l’ascensore era rotto.
Non tirai giù i santi dal paradiso solo perché sono un ragazzo ben educato, ma ne dissi di tutti i colori alle povere donnine allegre che popolano le strade di periferia di notte.
Arrivai davanti alla sua porta senza fiato, e la trovai aperta. Un po’ allarmato entrai cautamente, sempre reggendo la piantina di orchidee in una mano. L’appartamento immerso nella penombra sembrava deserto ed era silenziosissimo, a parte il ronzio del frigorifero che proveniva da qualche parte in cucina.
«Nina? »
Non ottenni nessuna risposta e decisi di cercarla, affacciandomi nella stanza adiacente.
Era la sua camera, proprio come  me la ricordavo. Sporca, disordinata, con uno strano odore di erba (e non mi riferisco alle piantine in vaso) e quell’orribile copriletto  peloso di pelle di mucca.
Nina era sdraiata proprio su di esso, a pancia in giù, praticamente svestita a parte una felpa sicuramente troppo grande per appartenerle.
Appoggiai cautamente la pianta sulla prima superficie libera che riuscii a trovare, e fu un’impresa tutt’altro che da poco, e mi avvicinai.
«Ti senti bene? » nessuna risposta. La scrollai delicatamente e lei si ritrasse, infastidita, raggomitolandosi su se stessa. Almeno era viva.
Sorrisi e la lasciai andare, coprendola con una coperta che giaceva abbandonata lì per terra. Di sicuro doveva essersi ridotta in quello stato volontariamente e mi preoccupai, soprattutto quando vidi una siringa abbandonata sul tappeto.
Il mio cuore fece un balzo e la raccolsi velocemente, per analizzarla. Ero quasi paralizzato dall’orrore e sperai vivamente, molto vivamente, che Nina non fosse diventata una tossica. Fumarsi una canna ogni tanto è un conto, farsi di roba molto più pesante è tutta un’altra storia.
Controllai ancora che stesse bene, ansioso, e mi lasciai cadere su una pila di vestiti ammucchiati sulla poltrona. L’attesa. 


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Sono stata molto , MA MOLTO tempo lontana da questa storia. Vi chiedo di perdonarmi, se potete ç_ç è che mi ci vuole un'atmosfera particolare per scriverla, e mi era mancata per molto tempo.
Non garantisco che i prossimi capitoli saranno puntuali, ma proverò. 

Grazie a tutti <3

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Capitolo 5
*** Pollo fritto. ***


Rob è qui. Pensai, con uno strano senso di sollievo che si spandeva nel petto, nonostante non lo collegai subito al fatto che Rob era lì. E’ comprensibile, avevo la mente annebbiata e vedevo a fatica ciò che mi circondava. Aspetta, chi era dove? Dove era Rob?
Arrivai non so come nella mia camera, e dopo un tempo indefinito, o forse subito, sentii qualcosa scuotermi con violenza. Era terribile, come se il mio cervello stesse sbattendo forte dentro la testa. Mugugnai e mi ritrassi, pregando perché quella tortura smettesse.
Qualunque cosa fosse mi lasciò andare, o almeno credo, e ci fu il calore. Poi il buio.


Robert POV

Erano passate quattro ore da quando ero arrivato nell’appartamento di Nina e lei dormiva ancora. Intanto la preoccupazione non scemava, ma cominciava a venirmi fame e visto che i suoi genitori e sua sorella non sembravano intenzionati a tornare a casa, decisi che mi sarei cucinato il pranzo.
Mi alzai dalla poltrona stiracchiandomi e guardai la pila di vestiti schiacciati sui quali mi ero seduto. Non che cambiasse molto da prima.
Canticchiando e sforzandomi di rimanere allegro mi diressi in cucina e trovai del pollo crudo in frigo, rimasi un momento indeciso: potevo davvero comportarmi come un villano, facendo come se fossi a casa mia?
Poi ricordai che , invece, la casa era di Nina e se c’era qualcuno che non si sarebbe fatto problemi questa era lei.  
Lanciai nella padella sfrigolante qualche pezzo di pollo e delle fette di limone, annusando con appetito il profumo delizioso che veniva dalla padella e lasciandomi cadere sulla sedia della cucina. Mi versai un bicchiere di vino e lo sorseggiai lentamente, sembrava che tutto fosse attesa quel giorno.
Quando il pollo fu pronto mi alzai e cominciai ad affaccendarmi intorno alla padella per trovare qualcosa con cui metterlo in un piatto.
D’improvviso sentii due mani gelide chiudermisi intorno al petto e una testa appoggiarsi alla mia schiena.
Chiusi gli occhi, assaporando la sensazione della pelle di Nina contro la mia.

Nina POV
Quando mi risvegliai stavo un po’ meglio, nonostante sentissi tutti i miei muscoli doloranti, come se mi fosse passato sopra un tram . Mi alzai a fatica dal letto e barcollai.
Quando vidi che qualcuno mi aveva coperto, il mio sguardo saettò sul pavimento, dove ricordavo vagamente di aver lasciato la siringa. Non c’era.
Maledissi tutti gli dei del cielo e della terra, sapendo che quella volta i miei mi avrebbero buttata fuori, ma sul serio non solo per qualche giorno come era successo l’anno prima. >
Misi la testa fuori dalla camera e sentii un invitante profumino di cibo spandersi per l’aria. Ero troppo affamata per evitare ancora a lungo mia madre e così scivolai in cucina.
Quello che vidi, davanti al fornello, ebbe il potere di rincuorarmi così tanto che sospirai e sorrisi, avvicinandomi a Robert.
La sua schiena ampia, coperta da una camicia a quadretti, era la cosa più bella che avrei mai potuto vedere in quel momento.
Quando era arrivato? Chi lo aveva fatto entrare? Mi avvicinai in punta di piedi e lo abbracciai, sentendomi come una donna innamorata, nonostante, naturalmente, non lo fossi.

Quando lui si girò avrei preferito che non l’avesse fatto: il suo sguardo era un misto tra il preoccupato e l’indagatore e realizzai subito che avrei dovuto rispondere ad una serie di domande scomode.
Mah, sempre meglio lui che i miei genitori. Mi staccai e mi sedetti su una sedia, incrociando le gambe.
«Prima il cibo, poi parliamo.  »


Robert POV
L’avrei presa a testate, se solo non fosse stata così piccola e messa male già di suo. Aveva il potere di irritarmi oltre ragione quando si comportava così, sembrava una bambina dispettosa.
Senza dire una parola rovesciai di malagrazia il pollo in un grande piatto e mi sedetti di fronte a lei, mentre mangiavamo in silenzio la osservai: aveva grandi occhiaie scure e un taglio sulla guancia, i capelli scompigliati e le labbra immancabilmente rosse.
Le osservai, sentendomi un po’ confuso e con lo stomaco girato al contrario.
Come faceva a farmi un effetto così, solo guardandola?

«Avanti, adesso puoi tormentarmi con tutte le domande che vuoi» mi disse appena finimmo di mangiare «Ma ricordati che posso sempre non risponderti. »
Sospirai e cominciai, sporgendomi un po’ verso di lei
«Che cosa ti è successo?» lei sbuffò e girò la testa, cominciando a giocherellare con la forchetta. Irritante. «Ti sei drogata?»
«Quanta perspicacia eh!» rispose lei acidamente. Ora però evitava il mio sguardo di proposito.
«Posso sapere almeno perché lo hai fatto? Sei una tossica?»
Dopo una piccola pausa si decise a rispondermi: «Dovevo festeggiare. Farò una mostra fotografica… Ti rendi conto?» ora i suoi occhi erano accesi di eccitazione «Io! Una mostra fotografica! Ieri ho deciso di portare delle mie fotografie al proprietario di una galleria d’arte in città e … gli sono piaciute! Non lo avrei mai creduto possibile, davvero. »
Gesticolava come una bambina, ravviandosi indietro i capelli e mordendosi le labbra.
«Non avevo dubbi che ce l’avresti fatta. » Sorrisi io e mi sporsi per abbracciarla. «Quando comincerà?»
«Tra una settimana, il tempo di far stampare le foto in dimensioni più grandi e di appenderle ai muri. Purtroppo si occuperanno loro di mettere a posto i locali, ma non posso lamentarmi comunque! »
«Sono sicuro che tanta gente verrà a vederle.»
«Davvero, è una galleria famosa! » tacque un secondo, abbassando gli occhi «Per questo ho pensato di… festeggiare, ecco. E’ un sogno che si realizza capisci? Anzi, è il sogno.»
«Spero che vorrai realizzarne altri e non perderti nella droga, Nina. » le dissi serio. Mi resi conto di essere noioso perfino per me stesso e di star combattendo una causa persa, ma non potevo far finta di niente. «Ci sono altri modi per festeggiare, non credi? Modi che ti fanno stare ancora meglio! »
Lei mi sorrise, da dietro un ciuffo di capelli e annuì piano.

Rimasi basito, era davvero Nina quella ragazza? Così remissiva, così arrendevole? Subito dopo, mi resi conto che era vestita solo da una felpa troppo grande per lei.  
E mi resi conto di come avesse potuto interpretare le mie parole.
Avvampai.
Oh cazzo. 

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