PRIMA DELL'ALBA di Dita (/viewuser.php?uid=15984)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
TB1
PRIMA DELL’ALBA
Non sapevo darmi una risposta precisa sul perché dopo otto
ore di lavoro, io non stessi tornando a casa. Finalmente seduta sulla mia
macchina, dopo una serata d’incessante avanti e indietro dai tavoli, avevo solo
le gambe distrutte e il desiderio di evadere da tutto. Ma non mi stavo
dirigendo a casa. Quella sera non avevo proprio voglia di andarmene a dormire o
di appisolarmi davanti alla tv. Il cartello “arrivederci da Bontemps” mi
sfrecciò davanti agli occhi. Non
conoscevo molti altri posti oltre Bontemps. Conoscevo Shreveport, per via del
Fangtasia, e conoscevo anche il proprietario. Così, pensando al fatto che la
mattina seguente sarei dovuta tornare al lavoro, e al fatto che non potevo permettermi
il tempo e la benzina di guidare tutta la notte, mi diressi là. Era l’unico
locale, a parte il Merlotte’s, dove non avrei dovuto pagare per bere un gin
tonic!
Il parcheggio era occupato da poche macchine, tra cui la
Corvette scarlatta di Eric, il proprietario del locale, l’essere più grosso e
più biondo che avessi mai visto. Parcheggiai la mia macchina vicino alla sua,
facendo impallidire la mia Honda Civic. Il locale, come suggeriva il
parcheggio, era mezzo vuoto, e i pochi clienti che lo riempivano erano vampiri.
Non si trovavano umani in locali del genere la domenica sera. La musica heavy
metal colmava il vuoto del locale, ma nemmeno le cubiste che di solito facevano
da scenografia erano presenti quella sera. Eric la domenica andava sul risparmio,
anche il palco dove di solito stava seduto era vuoto. I pochi vampiri presenti
erano tutti seduti al bancone a bere sangue sintetico. Alcuni mi lanciarono
qualche occhiata, ma non ci feci caso.
Mi guardai in giro, un paio di coppie di vampiri annoiati
ballavano in pista, e in fondo, proprio nell’angolo più isolato della sala, se
ne stava Eric, seduto ad un tavolino a sistemare il suo solito ammasso di
carte. Per avvicinarsi a lui bisognava chiedere il permesso. Era lo sceriffo
dell’area cinque della Louisiana, e nel suo mondo, lui era il capo. Bhe, non
nel mio. A Eric dava fastidio il così poco rispetto che davo a questi loro
rituali, ma a me divertiva dargli fastidio, così mi avvicinai senza farmi
problemi, e precipitosamente mi sedetti di fronte a lui.
“Ciao Sookie…” disse con voce strascicata senza nemmeno
alzare la testa dai suoi fogli pieni di numeri.
“Questa sera non c’è un cane! Stai qui anziché nel tuo
studio per fare compagnia ai tuoi pochi clienti?!”
Non alzò la testa dai fogli, ma alzò lo sguardo, per
guardarmi torvo. Io gli sorridevo. Capì che era inutile guardarmi storto, così
tornò ai fogli.
“Non c’è un cane, perché voi umani domani mattina dovete
andare al lavoro. Ma non sono ancora riuscito a capire perché mi popolate il
locale il martedì, il mercoledì e il giovedì sera… dato che comunque il giorno
dopo dovete andare a lavorare. Perché gli altri giorni si, e la domenica no?!
Voi e il vostro trauma del lunedì…”
“Vanno male gli affari?!” chiesi dando una martellata al tallone d’Achille di Eric.
Lanciò le carte sul tavolo, poi di colpo sollevò il suo
sopracciglio biondo. “Cosa ci fai qui?!”
Appoggiai sgraziatamente i gomiti al tavolino. “Ho appena
finito il mio turno di lavoro, e sono stanca morta. Così ho pensato di venire a
farmi un giretto da te per farmi offrire da bere!”
Eric si stiracchiò allungando le gambe sotto la mia sedia, e
appoggiò le braccia conserte allo stomaco. “Perché, Sam ti ha sequestrato le
bevande?!”
“Sam è fuori città, e comunque non avevo voglia di stare al
Merlotte’s un minuto di più. E non avevo nemmeno voglia di starmene a casa da
sola…” questa volta alzai io il sopracciglio “se il mio gin e tonic ti può
compromettere la cassa, me lo pago da sola. Vuoi un tru:blood Eric? Offro io…”
mi offrii sarcasticamente, ma pronta a fare sul serio.
Eric scoppiò in una fragorosa risata, ma dallo sguardo
glaciale si vedeva chiaramente che aveva una gran voglia di strozzarmi. Scrocchiò
in alto le dita un paio di volte. Al tavolo si presentò subito il nuovo barista.
Questo non l’avevo ancora conosciuto: al Fangtasia la posizione del barista
causava facile mortalità a chi la impiegava, mortalità di quelle definitive. Al
Fangtasia c’era sempre un nuovo barista.
“Ralph, saresti così gentile da portare a questa simpatica
signorina un gin e tonic?” ordinò mantenendo lo sguardo fisso su di me.
“Ma certo Padrone” si chinò Ralph-il-barista. Come tutti i
baristi precedenti, era un tipo molto pittoresco: tanti tatuaggi, denti marci,
pelle butterata e capelli lunghi e unti. Un pirata, come tutti gli altri.
“Ah Ralph, voglio che tu faccia il gin e tonic migliore
della tua non-vita, e per l’occasione prenderai la tonica più fresca che
abbiamo e aprirai una bottiglia nuova di gin” disse scandendo bene le parole,
con ancora gli occhi saldi ai miei.
“Addirittura?!” sorrisi.
Ralph-il-barista ovviamente lo guardò accigliato, ma non
fece una piega, e dopo nemmeno un minuto mi ritrovai davanti un bel bicchierone
di gin tonic.
“Davvero molto gentile da parte tua Eric” gli sorrisi sorseggiando
lentamente il mio cocktail.
“Non cantare vittoria, lo faccio solo perché adoro vedere la
tua giugulare muoversi mentre deglutisci” disse sorridendo con voce melliflua,
avvicinando il busto al tavolo.
Il drink mi andò di traverso, e questo lo fece ridere di
gusto. Adoravo vederlo ridere, era una qualità rara in un vampiro, ma rideva
sempre per le ragioni sbagliate, e questo mi dava ai nervi.
“Te l’ha mai detto nessuno che non è carino ridere mentre
qualcuno si sta soffocando?!”
“Oh, tranquilla… ti avrei salvato io” sorrideva ancora. Era
inutile andargli contro, puntava ad avere l’ultima parola, sempre. Io ero
troppo stanca e non in vena di discutere. Normalmente l’avrei fatto, fino allo
sfinimento, ma quella sera avevo solo voglia di stare in compagnia con
qualcuno, tranquillamente.
Se ne stava lì seduto, spaparanzato sulla sedia ad osservarmi.
Ormai aveva il sorriso stampato in volto. Sapevo che era ridicolo pensarlo, ma
Eric era tra le persone più solari che conoscessi. Quando rideva gli si formavano
delle piccole pieghe ai lati della bocca e alle estremità degli occhi, che
rendevano il suo viso molto espressivo e l’umore contagioso. Lo stesso, però,
valeva anche per quando si arrabbiava.
“Vedo che ti è tornato il buon umore”
“Tu mi servi a questo” disse appoggiando le gambe sulle mie
ginocchia.
“Io ti servo?!”
dissi incrinando la voce sull’ultima parola.
“Non farla grave, io ti sono servito per riempirti la
serata, tu mi hai reso di buon umore. Se fossi in te lo prenderei come un
complimento”
“Già sarà meglio vederla così. Non ti unisci a me? Non mi
piace bere da sola, prenditi un tru:blood” gli suggerii.
“Il tru:blood è robaccia, preferisco di gran lunga il
sangue di maiale a quella porcheria in bottiglia piena di conservanti. Non fare
quella faccia schifata. Tu lo mangi, io lo bevo. Perché giudichi il tuo metodo
migliore del mio?” sul suo volto si leggeva chiaramente uno a zero per Eric.
“Bevi quello che ti pare, stasera non ho voglia di
discutere”
“Mi deludi Sookie, tu adori discutere con me, e detto in
confidenza, è per questo che non disdegno la tua compagnia. Così mi togli il
divertimento, e se la tua presenza non mi diverte più dovrò tornare a
controllare le carte, e ti ritroveresti a bere da sola” due a zero per Eric.
“Oggi ho litigato con Arlene… è per questo che sono di giù
di morale” mi arresi.
“La rossa”
“Lei. Ha un nuovo ragazzo, molto più giovane di lei”
“E questo è un problema?”
“Avrà si e no la mia età”
“Forse sarà l’effetto collaterale di avere più di mille
anni, ma non la trovo una cosa così scandalosa. Di sicuro non hanno nemmeno
cento anni di differenza”
Non potei fare a meno di sorridere. “Si, fosse un'altra
donna, ma si tratta di Arlene, e lei si invaghisce del primo che si trova sotto
mano, e con tutte le brutte esperienze passate dovrebbe stare più attenta. So
che dovrei farmi gli affari miei, ma non potevo non dirle come la pensavo. E
poi per voi vampiri è diverso, avrai anche tutti gli anni che vuoi, ma comunque
hai l’aspetto di un… trentenne?!”
“Si, ma ai miei tempi io ero già vecchio”
“Ma davvero?” non potevo credere che un uomo così bello ed
avvenente fosse considerato vecchio!
“A sedici anni avevo già una famiglia” disse facendo
spallucce.
Non riuscivo ad immaginare Eric ragazzo e Eric padre
assieme. Vidi il suo volto farsi poco a poco più assente e lo immaginai tuffarsi
in fiumi di ricordi di mille anni addietro. Il solo pensiero mi fece
rabbrividire, così cercai di cambiare discorso.
“Bhe in effetti non è così grave, è adulta e saprà cavarsela
da sola. Dubito che possa avere tanta sfortuna da avere un secondo fidanzato
killer” dissi tornando alla svelta a sorseggiare il mio drink.
Dondolò le gambe avanti e indietro, cullando anche me. “Ti
preoccupi troppo di ciò che pensa la gente di te, non hai fatto nulla di male,
se si è arrabbiata tanto con te vuol dire che in fondo pensa che tu abbia
ragione”
Non pensavo che mi stesse ad ascoltare sul serio, e tanto
meno che ci tenesse a tranquillizzarmi; istintivamente gli sorrisi, dolcemente,
e appoggiai la mia mano sulla sua caviglia, accarezzandogliela. Si distese
sulla sedia allungando maggiormente le gambe su di me.
“Tra poco devo chiudere il locale”
“Quindi me ne devo andare?”
“No, se non vuoi. Ti va di andare a fare un giro da qualche
parte?” mi chiese alla sprovvista.
“Domani mattina ho un altro turno di lavoro…” dissi
giustificando la mia diffidenza.
“Bhe, sicuramente sarai a casa prima che sorga il sole”
riprese a dondolarmi, come se mi stesse spingendo ad accettare. “Andiamo, sono
chiuso qui tutte le sere, voglio solo uscire un po’, fammi compagnia”.
Mi guardava, facendo brillare gli occhi azzurri con aria
speranzosa.
“Va bene” mi arresi.
Mi sorrise, tolse le sue gambe dalle mie, e si alzò di
scatto. “Lo sai vero che in teoria non dovresti accettare proposte del genere
da vampiri assetati di sangue?”
“Si, la nonna me l’aveva accennato un paio di volte” dissi
maledicendomi.
Eric si mise al centro della sala battendo le mani. “Fuori
signori!”
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Capitolo 2 *** 2 ***
TB2
Dopo
aver sgomberato il locale, io ed Eric ci ritrovammo da soli in quella
sala dalle luci rosse. Aveva già spento la musica, e il silenzio
mi stava mettendo a disagio.
Ralph-il-barista se ne era già andato passando dal retro, lasciandoci con un “Il resto lo sistema Ginger”.
“Non c’è Pam?!” chiesi guardandomi in torno, come se non ci avessi fatto caso prima.
“E’ a New Orleans, sta sbrigando delle cose da parte mia” disse dirigendosi verso il suo ufficio.
“Dove vai?!”
“A cambiarmi” disse indicandosi la tuta e le ciabatte infradito.
“Non pensavo che ti facessi questi problemi…” storsi
un sorriso malizioso, mentre era già sparito dietro la porta.
All’improvviso mi venne in mente di guardarmi allo specchio.
Avevo i capelli sciolti sulle spalle, fortunatamente li avevo lavati
quella mattina, e un semplice vestito color petrolio, senza maniche,
stretto in vita e dalla gonna morbida. Molto simile a quelli che si
usavano negli anni ’50. Mi diedi una veloce sistemata al trucco,
togliendo con le dita le piccole sbavature di mascara che si erano
formate vicino agli occhi durante la giornata. Forse ne avevo messo
troppo. “No…”
Distogliendo l’attenzione dalla mia immagine riflessa, mi accorsi
che Eric era già dietro di me, e mi guardava con un
sorrisetto compiaciuto, come volesse dire “ti ho beccato”.
“Che cosa c’è?! Non mi posso dare una sistemata?” sbuffai.
Era molto casual, era raro vedere Eric tirato di tutto punto. Non ne
aveva bisogno. Indossava dei jeans neri, e una t-shirt bianca con una
grossa bocca rossa e una scritta tutta sbavata: suck my kiss. Niente infradito. I capelli, normalmente tirati indietro, gli cadevano sul viso, dandogli un aria più… umana?
“Possiamo andare?” mi chiese mentre chiudeva
dall’interno la porta principale del Fangtasia. Uscimmo anche noi
dal retro.
Mi aprì la portiera del passeggero della sua macchina, e con un
gesto della mano mi invitò ad entrare. Appena mi sedetti chiuse
la portiera. Nel secondo successivo, il tempo che impiegò Eric a
sedersi alla guida, mi scorsero nella mente mille pensieri, e si
conclusero tutti in uno: "spero che non lo venga mai a sapere Sam."
“A cosa pensi?” mi chiese mentre il motore iniziava a farci le fusa sotto il sedere.
“Oh nulla… al fatto che voglio tornare a casa viva”
dissi, usando un tono che potesse sembrare superficiale “sempre
che questo non ti rovini la serata.”
Guardavo fuori dal finestrino.
Mi accarezzò di sfuggita il mento, inducendomi a voltarmi verso di lui.
“No questo non mi rovinerà la serata. Stai tranquilla” rise, pizzicandomi la guancia.
Accesi la radio, e un cd partì automaticamente. Eric se ne stava
alla guida guardando la strada, tamburellando le dita sul volante a
tempo di musica. Trovavo piacevole guardare il suo profilo, che di
tanto in tanto veniva illuminato dai fari delle macchine che andavano
in direzione contraria.
Mi aspettavo di sentire altra musica metal sulla macchina di un
vampiro, invece mi trovai ad ascoltare un rock della fine degli anni
’70. Partì una melodia prevalentemente caratterizzata da
forti bassi e batteria, il cantante aveva una voce greve,
dall’accento inglese e triste. Piacevole. Eric gli andò
dietro, lanciandomi delle frecciatine, come se si aspettasse che da un
momento all’altro lo deridessi. Invece intonò la canzone
imitando perfettamente il cantante, così mi limitai a
sorridergli.
“But love, love will tear us apart again…”
“Non ti piacciono i Joy Division?” mi chiese, distogliendo gli occhi dalla strada.
“E’ triste…”
“Beh, non ti puoi aspettare altro da uno che è morto suicida...”
“Lo conoscevi?”
Rise.
“No! E' dagli anni '40 che sono qui, negli Stati Uniti, e si
impiccò prima di iniziare il tour americano, per cui...”
“Com’è l’Europa?” chiesi davvero
incuriosita. Non ero mai andata molto lontano dalla Louisiana, e questa
cosa mi faceva sentire come un topo in gabbia.
“Beh, bellissima! Un po' mi manca. Parigi all’inizio del 900 era strepitosa.”
“Parlami in francese!” gli chiesi piena di frenesia, mi sentivo davvero una bambina.
“Que puis-je dire?” disse ridendo. Poi mi guardò,
penetrandomi con gli occhi “Puis-je boire ton sang ce soir?
Laissez-moi… laisse-moi être ton sang, laisse-moi essayer…"
Non capii una parola di ciò che aveva detto, ma sembrava una cosa bellissima.
“Non ho capito un accidente…” dissi trasalendo dall'aria sognante.
Tornò a guardare la strada. “Meglio così” rise di nuovo.
Per un po’ ce ne stammo in silenzio, ad ascoltare una canzone che continuava a ripetere che “lei aveva perso il controllo di nuovo”.
Faceva un caldo pazzesco, era estate, ed ovviamente Eric aveva il condizionatore spento.
“Ti dispiace se accendo l’aria fresca? Fa caldissimo” gli chiesi facendomi aria con la mano.
“Fai pure…”
“Scommetto che non l’hai mai acceso” dissi puntandomi tutta l’aria addosso.
“Si in effetti è vero.”
“Morto o no, non l’avresti mai usato comunque, per risparmiare sulla benzina!” risi al solo pensiero.
“Guarda che non sono tirchio, sono avido. E' differente” rise anche lui.
Godendomi quel momento sdraiata sul sedile, con tutta
quell’aria che mi picchiava contro, immaginai di essere
Marilyn Monroe in Quando la moglie va in vacanza.
“Così però mi invadi la macchina del tuo odore” disse lanciandomi un occhiata.
“Ho un brutto odore?!” ero molto imbarazzata.
“No, tutt’altro” disse spegnendo il condizionatore e abbassando il finestrino dalla mia parte.
“Ma dove stiamo andando?” mi venne in mente solo allora, di non aver la minima idea di dove mi stesse portando.
“C’è un posto carino appena prima del Red River Bridge” disse non distogliendo lo sguardo dalla strada.
“Spero solo che il tuo posticino non sia uno di quelle solite bettole per vampiri”
“No, è un locale piccolino, che dà sul fiume.
E’ gestito da una vecchia maga voodoo, non è un posto
creato apposta per i Supe. Non è di quel tipo, è carino
ti piacerà. Ogni tanto ci vado perché fanno ottimi drink
per vampiri”
“In che senso fanno drink per vampiri?!”
“Mischiano cose, tipo erbe o spezie ai vari tipi di sangue, ne hanno di tutti i tipi…”
“Non lo voglio sapere” mi affrettai a dire.
Potevo
già vederlo il Red River Bridge, il ponte che collegava
Shreveport a Bossier City. Il fiume era tutto illuminato, di giorno non
era un granché, ma di notte era decisamente tutta un’altra
cosa.
Per chi non avesse letto i libri, Supe, sta per "creature soprannaturali".
Spero che le frasi in francese siano corrette:
("Cosa posso dire?" disse ridendo, poi mi guardò,
penetrandomi con gli occhi "Posso bere il tuo sangue stasera?
Permettimelo... Lasciami essere il tuo sangue, lasciami provare...")
Ne approfitto per ringraziare chi ha già commentato il primo capitolo, dato che l'ho pubblicato stamattina!
Spero vivamente che la storia sia di vostro gradimento.
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Capitolo 3 *** 3 ***
TB5
Parcheggiammo
vicino al Ponte, e a quello che presumevo fosse il locale. Dal
marciapiede si vedeva solo il tetto di una baracca di legno, era sotto
il livello della strada, e non cerano scale dirette all’accesso;
perciò lo si doveva superare, e trovare il passaggio che
permetteva di entrare sulla riva del fiume. Capii che era un posto
destinato a chi lo sapeva trovare.
Camminavamo
fianco a fianco, io ed Eric. Io guardavo il fiume, Eric guardava me. In
giro non c’era nessuno. Ogni tanto passava una macchina.
L’aria
era calda, e i capelli mi si appiccicavano fastidiosamente alle spalle,
così presi una matita dalla borsa e la usai per fermarli in un
morbido chignon. A quel gesto Eric mi guardò innervosito.
“Ho caldo” dissi come per scusarmi.
Mi
piaceva l’idea di poter tentare un uomo, ma con i vampiri, sotto
certi punti di vista, era anche più facile. Adoravo ancora di
più tentare Eric, perché ogni volta faceva una strana
mossa con la bocca che mi piaceva molto. Lo faceva istintivamente,
forse nemmeno se ne accorgeva, era un movimento quasi impercettibile.
Socchiudeva e richiudeva le labbra, come se stesse dando un piccolo
morso. Sapevo che nella sua mente, mi stava mangiando.
Quella
notte però non si limitò a fare morsi immaginari,
perché si avvicinò, oserei dire pericolosamente, e mi
indusse a fermare il passo. Appoggiò la sua mano sul mio collo
ed iniziò ad accarezzarmi. Volevo chiudere gli occhi, ma sapevo
che non potevo.
“E’ tutta la sera che mi torturi”
Si
avvicinò ancora, e con mia sorpresa sostituì la carezza
con un lieve bacio, a fior di pelle. Sentii i brividi scendermi lungo
la spina dorsale. Eric iniziò a spingere la bocca sempre
più forte sulla mia gola, e quando sentii che mi stava per
circondare con le sue braccia, mi spaventai, e lo spinsi via.
“Perché?!” aveva lo sguardo confuso.
“Volevi mordermi”
“Non ti stavo mordendo”
“Mi volevi bloccare!” lo dissi come se fosse evidente.
“Ti stavo abbracciando” disse lentamente, come se parlasse con qualcuno che faticava a comprendere.
Feci per sciogliermi nuovamente i capelli, ma prontamente mi bloccò i polsi.
“Non farlo” si affrettò a dire.
“Faccio quello che voglio!” mi divincolai dalla sua presa e ripresi a camminare a passo svelto.
Non sciolsi i capelli.
Arrivammo
davanti a quello che doveva essere il locale. Non aveva insegne, non
aveva un bancone bar, non aveva camerieri, non aveva nulla. Era solo
una baracca di legno con un grande portico, dei tavolini e delle casse
di legno usate come sedie. Non fraintendetemi, era davvero suggestiva:
dal soffitto del portico pendevano delle candele, accese dentro
bicchieri dal vetro colorato; sulla parete della casa, dove presumevo
ci vivesse la proprietaria, erano inchiodati totem, gris-gris,
statuette di legno e tutto ciò che poteva essere legato alla
cultura vuduista della Louisiana.
C’erano
altre due persone quella notte, oltre a noi, e non erano umane. Lo
sapevo perché non riuscivo a penetrare nelle loro menti. Non
riuscii a leggere nel pensiero nemmeno alla vecchia seduta sulla sedia
a dondolo in riva al fiume.
“Lei è la maga” mi sussurrò all’orecchio Eric.
Mi prese per mano, e mi guidò ad un tavolo.
Da
una vecchia radiolina, posizionata sopra la ringhiera, si poteva
sentire una voce roca e lontana cantare ripetutamente questa frase:
I got the new world in my view
On my journey I pursue
I said I’m running, running for the city
I got the new world in my view
“Non viene a servirci?”
“Dalle tempo, quando si accorgerà di noi verrà qui” disse sedendosi di fronte a me.
“Quando si accorgerà?! Ci avrà visti…” lo corressi.
“No la Vecchia è cieca.”
“E come fa a gestire un… come posso chiamarlo? Si insomma, a servire da bere e tutto il resto?”
“Non le servono gli occhi, la distraggono.”
Non sapevo davvero cosa rispondere, poi mi accorsi che la maga si stava già dirigendo verso di noi.
Era
una vecchia creola dalle guance piene. Aveva molte rughe che le
incidevano la pelle, sopprattutto sulla fronte, dove teneva un grosso
turbante giallo pallido.
“Salve
Vichingo” disse parandosi di fronte al nostro tavolo, era
corpulenta, e non più alta di centocinquanta centimetri.
“Chi è la tua amica?”
“Come fa a sapere che sono una donna?!” le chiesi istintivamente.
“Salve Marie, lei è Sookie” le rispose Eric con un leggero sorriso.
“Sei
solo una ragazza” rise. Aveva la voce grossa e rauca. “Ma
c’è qualcosa di speciale in te, e non mi riferisco al tuo
sangue misto”.
Guardai Eric con occhi spalancati, non sapevo cosa risponderle. Né cosa intendesse.
Lui mi guardava e basta.
“Lascia che ti legga la mano” propose.
Come dannazione poteva leggere le mani?! Ma non lo chiesi ad alta voce, mi sembrava scortese ricordarle di nuovo che fosse cieca.
Prese
la mia mano tra le sue. Il suo sguardo era vacquo, guardava per aria.
Si limitò a tastare il mio palmo con il pollice.
“Ti sei messa in mezzo a molti guai ultimamente, figliola”
Parole sante.
“Non ne uscirai tanto presto”
Non dica così…
“Sai cosa vorresti dalla vita, ma hai le idee confuse su come affrontarla”
Decisamente.
“In amore sei molto indecisa”
Perché?!
“Lo sarai presto”
Ah ecco…
“Ma ti legherai indissolubilmente a qualcuno. A un vampiro” scandì molto bene la parola "indissolubilmente".
In che senso?! Quando?!
“Inaspettatamente”
Impossibile… io ho chiuso con Bill.
“Accadrà fra non molto...”
Rimasi a bocca aperta. Poi mi ricordai che non credevo a queste cose.
“Cosa ti porto da bere figliola?” mi lasciò la mano.
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Capitolo 4 *** 4 ***
TB5
“Cosa ti porto da bere figliola?” mi lasciò la mano.
“Un gin tonic andrà benissimo” risposi ancora confusa.
“Qui non funziona così.”
Guardai Eric, continuavo a non capire. La vecchia donna si ostinava a parlare a rebus.
“Lei
non serve cose che puoi trovare da altre parti, e non le piace che tu
le dica cosa deve mettere dentro il tuo bicchiere. Dille cosa vuoi
sentire” mi spiegò il vampiro.
“Beh,
vorrei qualcosa di fresco…” parlavo lentamente, in modo
tale da capire dallo sguardo della maga se stavo dicendo la cosa giusta.
“Non c’è giusto o sbagliato, spero solo che per fresco tu non intenda la temperatura!”
“No” invece era così!
“Qualcosa
dal sapore fresco” mi corressi. Perché non mi leggeva nel
pensiero?! Vedevo che lo sapeva fare, ero in difficoltà!
“Che altro?” aspettava guardando il vuoto.
“Mmm… fresco, anche un po’ fruttato” la vidi annuire, così iniziai a capire il metodo.
“Molto fresco, leggermente fruttato. Adoro la pesca. Voglio sentire il profumo dei fiori” le sorrisi.
“Molto bene” si limitò a dire. Poi voltò il busto verso Eric.
“Per
te ho qualcosa di speciale, molto pungente, ti farà tornare la
carne rosea” rise sparendo dentro la casetta.
“Che cosa bizzarra” pensai ad alta voce.
“Quando
penso che ormai non ci si possa stupire più di nulla... mi
sorprende vedere la meraviglia che provi. Solo meraviglia, niente
paura. Mi piace questa cosa. Le persone diffidano del nuovo, tu ne sei
incuriosita. ”
Gli sorrisi.
“Quando
penso che non ti importi nient’altro che di te stesso, mi
sporprende vedere come osservi ciò che ti circonda. Come osservi
me...”
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, e presi a guardare il fiume.
“Ma non è vero che non ho paura”
Distese la sua fredda mano sopra le mie. “Di cosa hai paura?”
Lo trovai un gesto così insolito per un vampiro come Eric.
“A volte sembri così umano…” gli dissi dolcemente.
“Non offendere” corrucciò lo sguardo.
La vecchia Marie ricomparve al tavolo, ci porse i drink e se ne tornò in riva al fiume sulla sua sedia a dondolo.
Eric
aveva un bicchiere di coccio, contenente un intruglio scuro e fumante,
era sicuramente sangue, ma non sapevo che altro, e forse non lo sapeva
nemmeno lui; il mio assomigliava ad una coppa di martini dal vetro
graffiato, il liquido era di un arancio tenue, aveva il profumo
dell’erba appena tagliata e di fiori di campo. Sentiva di rose,
di menta, di pesca, di crema al limone, e bruciava in gola. Era
straordinariamente buono.
Mi fissava. “Ho ancora lo sguardo meravigliato?” gli domandai.
“Sempre” rispose.
Ce ne
stammo in silenzio, a sorseggiare di tanto in tanto il nostro drink, e
ad ascoltare la vecchia musica jazz che proveniva dalla radiolina sopra
la ringhiera.
“Non
ti capita davvero mai di sentirti come quando eri umano? O di fare
pensieri che ti facciano dimenticare per un po’ ciò che
sei diventato?”
“Mi piace mantenere il controllo” rispose evasivo.
Continuavo a guardarlo. Capì che la sua risposta non mi aveva soddisfatto.
“Voglio
essere io a decidere. Ma a volte mi capita di sentire o pensare cose
che non riesco a prevedere, e questo mi disturba. Una volta mi
capitò una cosa molto interessante, ero a Vienna, e lungo la
piazza Graben avevano disposto una mostra di quadri, penso di tecniche
allora sperimentali, tipo impressionismo o puntinismo, cose
così; tu camminavi e ogni tanto c’era un quadro. Mi fermai
ad osservarli tutti, e poi uno mi colpì particolarmente. Credo
che rimasi fermo a guardarlo per almeno mezz’ora; era solo
l’immagine di un gruppo di donne, ma tutte quelle chiazze di
colore confuse… mi piaceva il modo in cui sembravano dissolversi
nello sfondo. Gli ambienti erano più forti delle
persone…” raccontava mentre guardava nel vuoto.
“Lì mi sentii come tornare umano per la prima volta dopo
secoli.”
Trovai il racconto molto poetico. Aveva detto per la prima volta, quindi voleva dire che era successo altre volte.
“Quando ti è ricapitato? Hai detto per la prima volta, quando è stata la seconda?” chiesi curiosa.
Non mi rispose. Lasciò dei soldi sul tavolo e si alzò. Mi porse la mano.
“Andiamo, tra qualche ora sarà l’alba.”
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Capitolo 5 *** 5 ***
TB5
Camminavamo
nuovamente fianco a fianco, lungo il fiume. Io mi ero portata via il
bicchiere: quando Eric se n’era voluto andare non ne avevo ancora
bevuto metà, e mi dispiaceva non poterlo finire, in fondo,
l’aveva pagato. Era davvero forte, e insieme al gin tonic bevuto
al Fangtasia, era bastato ad intontirmi. Non che fossi ubriaca, ma
sentivo la testa leggera.
“Che donna bizzarra, che posto strambo. Mi ci riporterai un’alta sera?” gli chiesi sorridendo.
Si voltò fissandomi negli occhi, oserei dire con aria sorpresa.
“Mi stai dicendo che ti piacerebbe uscire ancora con me?” eccolo, il sorrisetto beffardo.
“Sto
dicendo che il posto mi è piaciuto molto, e sei l’unico
che conosco che sappia dove si trovi” tenni a precisare, ma avevo
un grosso sorriso stampato in faccia, e ciò screditò la
mia tesi.
Eric
si fermò di colpo, e mi cinse la vita strattonandomi contro di
sé. Con una mano mi teneva il viso, obbligandomi a guardarlo.
Rimanemmo in silenzio. Muoveva gli occhi velocemente, facendo scivolare
lo sguardo sul mio viso. Io mi focalizzai sulla forma delle sue labbra.
Erano sottili, e il labbro superiore aveva una forma così
dolce…
Mi strappò il bicchiere dalla mano e lo lanciò nel fiume.
“Cosa fai?!”
“Hai bevuto abbastanza.”
“Sto benissimo!”
“Meglio così…” continuavamo a guardarci, ed io ero bloccata come in una morsa.
“Perché?”
“Perché non vorrò sentire scuse su quanto eri troppo ubrica per intendere ciò che farai”
“E cosa farò?”
Mi strinse a sé ancora di più, sollevandomi da terra. “Mi bacerai.”
“E cosa ti fa pensare che io sia d’accordo?!”
Non
mi rispose nemmeno, avvicinò le sue labbra alle mie, e senza
accorgermene, come se fossi attirata da una calamita, fui io ad
attaccarmi alla sua bocca. Mi schiuse le labbra, e prese a baciarmi
come se volesse risucchiarmi la lingua giù per la gola.
Contraccambiai il bacio, ma non riuscii a sostenere la sua veemenza.
“Mi sento svenire” gemetti.
Mi
sentivo senza forze, tutto il mio peso era addossato alle braccia del
vampiro. Ero talmente compressa al suo corpo, che ne sentivo
chiaramente una precisa parte premere contro il mio ventre.
“E’ quello che voglio” scorse giù per il collo, per le spalle, mi sentivo la sua bocca ovunque.
“Tutte le donne ti devono svenire tra le braccia giusto?”
“E
tu? Tutti gli uomini devono cadere ai tuoi piedi giusto?”
staccò la bocca dal mio collo, e riprese a guardarmi.
“Quali
uomini?! Io attiro solo vampiri, mutaforma, licantropi, e tutto
ciò che di più assurdo esiste a questo mondo” non
sapevo esattamente perché gli stessi rispondendo in quel modo.
Sciolse l’abbraccio, e riprese a camminare, lasciandomi indietro.
Io ci rimisi un po’ a riavere il contollo sulle mie gambe.
“Ehi Eric!” urlò una voce dall’altra parte della strada.
Un ragazzo si avvicinò a noi, e salutò il vampiro. Non mi guardò nemmeno.
Era
alto ed estremamente magro, era un mezzo punk o qualcosa di simile. Era
pallido, sembrava malato. Aveva le orecchie piene di spille da balia,
stretti jeans neri, anfibi consumati e catene ovunque.
Parlavano
a bassa voce e non riuscivo a sentire di cosa stessero discutendo. Ma
il ragazzo era umano, e vidi chiaramente nella sua mente: V.
“Aspetta qui” mi disse Eric, guardandomi appena di sfuggita.
Lo vidi attraversare la strada insieme al ragazzo, ed entrare in un locale poco più avanti. E poi più nulla.
Mi aveva piantato in mezzo alla strada!
Non avevo nessuna intenzione di rimanere ad aspettare sul marciapiede, così entrai.
Si
accedeva da una porticina che dava su una rampa di scale. Il corridoio
era tutto verniciato di rosso, e già all’entrata si
sentiva una musica mostruosa, simile a quella del Fangtasia. Una volta
scese le scale si sbucava nella sala del locale.
Era una discoteca, frequentata da fangbangers e drogati di V.
Era un posto davvero squallido. C’era molta gente, e di Eric nemmeno una traccia.
Nightclubbing we're nightclubbing
We're what's happening
Nightclubbing we're nightclubbing
We're an ice machine
We see people brand new people
They're something to see
When we're nightclubbing
Bright-white clubbing
Oh isn't it wild?
Nightclubbing we're nightclubbing
We're walking through town
Nightclubbing we're nightclubbing
We walk like a ghost
We learn dances brand new dances
Like the nuclear bomb
When we're nightclubbing
Bright white clubbing
Oh isn't it wild...
Per Aryadaughter: per quello dovrai leggere i libri. La mia storia è solo una parentesi!
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Capitolo 6 *** 6 ***
TB8
Scese
le scale del stretto corridoio rosso, si sbucava in quella che doveva
essere la sala principale del locale. Era buio, ma la pista aveva
accecanti fari che andavano ad intermittenza, solo i banconi bar erano
illuminati. Era colmo di gente, facevo fatica a camminare, tutti si
spintonavano addosso gli uni con gli altri. Mi sentivo sballottata come
una pallina da flipper. Sentivo la testa scoppiare, la musica era
troppo alta e i pensieri delle persone mi violavano il cervello come
fossero lampi. Sesso e sballo. Solo questo.
Dov’era finito Eric?!
Cercai
di rimanere fuori dal centro della sala, e di rimanere vicino alle
pareti. Non dovevo mettermi in mezzo a troppa gente, o mi avrebbero
trascinato in mezzo al vortice. Il pavimento era bagnato da una
poltiglia nera, e pieno di vetri rotti. Volevo chiedere informazioni a
qualcuno, ma sui divanetti posizionati lungo il perimetro, c’era
solo gente che scopava o che si faceva.
Cercai
il bagno. Non fu un panorama migliore, anche lì il pavimento era
allagato e sporco, ma pieno di donne che aspettavano annoiate il loro
turno per la toilette.
“Scusa,
hai per caso visto un ragazzo alto, biondo… stazza grossa, pelle
bianca… non passa inosservato” chiesi alla prima tizia che
mi venne a tiro.
“Bella
c’è molta gente qua dentro, come faccio ad averlo visto?!
Chiedi all’entrata!” mi rispose in modo molto scortese. Era
una bella ragazza, anche se un po’ sciupata. Riccia, molti
capelli. Talmente truccata da sembrare Siouxsie Sioux, e secondo me,
non aveva nemmeno ventun’anni.
“Si
ma all’entrata non ho visto nessuno che
controllava…” cercai di spiegare, quando fui interrotta da
un’altra ragazza, che era vicino alla tizia che mi aveva appena
risposto. Le diede una pacca sulla spalla. “Ma si che
l’abiamo visto, quello che è andato nel retro con
Ricky!”
“Ah!
Il modello di Abercrombie!” ormai parlavano tra di loro.
“Penso intendesse lui. Ricky ha detto che aveva appena incontrato
uno che poteva darci una scorta di ottima qualità!”
parlavano talmente veloce che non riuscivo a starle dietro. Erano su di
giri. “E quando poi è andato nel retro, non era mica con
quel bestione biondo?!”
“Si,
si” la riccia si girò nuovamente verso di me. “Ma se
vuoi la roba devi aspettare, ci impiegheranno un po’” mi
disse con uno sguardo alla sai cosa intendo.
“Cosa?!”
ero scioccata, e non riuscivo a capire se lo ero di più per il
fatto che mi avevano appena preso per una di loro, o per aver scoperto
che Eric mi aveva piantata su un marciapiede per andare a spacciare
sangue!
“Sembra sia roba buona. Ricky ha detto che però questa va pagata 425 dollari a fiala, anziché i soliti 225” erano tornate a discutere fra di loro.
“No, no! Non mi interessa quello. Dove si trova il retro?” ero furibonda.
“Ehi stai calma bella… si trova a destra dell’entrata”
Dovevo
rifare il giro della sala. Faceva un caldo pazzesco, persino i muri
erano coperti dalla condensa. Come dannazione ci ero finita in quel
buco?! Mi sembrava incredibile, un attimo prima ero a fare Rossella
O’Hara tra le braccia di un pallido Rhett Butler; e ora mi
ritrovavo in mezzo alla più Doom delle Generation.
Tornai
nuovamente vicino all’entrata. Vidi una porta aprirsi, e uscire,
con fare furtivo, l’alto e rachitico punk. Dietro di lui
c’era Eric. Gli corsi in contro.
“Cosa
ci fai qui?!” non si aspettava di trovarmi lì sotto, ed
era visibilmente irritato. “Ti avevo detto di aspettarmi
fuori!”
“Beh
non mi andava! Chi ti credi di essere per piantarmi in quel modo?! Cosa
stai facendo?! Perché te ne sei andato?!” avrei fatto
altre mille domande, a cui sapevo tutte rispondere, ma ero così
confusa e così a disagio, da non riuscire a riordinare le idee .
Lanciò
uno sguardo a quello che avevo capito chiamarsi Ricky, poi mi
guidò verso le scale. Capii che mi stava liquidando.
“Da
quando ti sei messo a spacciare V?!” chiesi sconvolta. Non ebbi
tempo di finire la frase che mi ritrovai spinta al muro, con le zanne
di Eric davanti agli occhi, che mi minacciavano.
“Chiudi
la bocca” sibilò. “Non dovrai mai farne parola con
nessuno. Guai a te se fai uscire il mio nome.” Mi guardava con
occhi talmente glaciali da sembrare bianchi.
Mi teneva le spalle schiacciate al muro. “Eric, così mi fai male.”
Allentò
la presa, e quando vidi i suoi occhi tornare normali, lo supplicai.
“Portami via di qui, andiamo via.”
Fece un sospiro di rassegnazione, e prese ad accarezzarmi le braccia, come per rassicurarmi.
“Sookie,
io non posso venire via adesso, ho un affare in ballo, e tu non puoi
stare qui. Devo incontrarmi con delle streghe.” Mi stava
trascinando verso l’uscita.
“Le
streghe sono pericolose ed imprevedibili. Vai a casa.” Mi diede
in mano le chiavi della sua macchina, e si allontanò.
In quel momento sentii il fuoco uscirmi dalla bocca, e con tutta la forza che avevo, gli lanciai le chiavi in faccia.
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Capitolo 7 *** 7 ***
TB1
Eravamo vicino alle scale che portavano all’uscita
di quel locale, che solo l’odore mi dava il volta stomaco. C’era un caldo terribile,
mi girava la testa, e non vedevo l’ora di uscire da quel buco per poter
respirare una boccata d’aria. Eric mi aveva appena dato in mano la possibilità
di andarmene, e tornare a casa, ed io gliel’avevo letteralmente lanciata in
faccia. Mi ero sentita offesa, come se fossi stata un suo giocattolo di
compagnia, che ora stava gettando perché non gli serviva più. Quando mi
ritrovai quelle chiavi in mano, fu come sentirmi dire che c’era di meglio, che
passare il resto della serata con una cameriera di Bontemps. Mi sentii così
umiliata, che il braccio mi partì da solo, come una fionda. Avevo scaraventato
le chiavi di quella macchina, che non faceva altro che ricordarmi la differenza
di status che ci divideva, in faccia al vampiro più vecchio e potente della
zona di Shreveport, e per quanto ne sapevo, della Louisiana. Rimasi ferma
immobile ad aspettare una sua reazione, come un animale, che guardava
paralizzato i fari della macchina prima di essere investito. Anche Eric rimase
immobile, guardando le sue chiavi a terra; poi senza alzare lo sguardo, girò
gli occhi verso di me. Indurì il viso, e mi guardò torvo, con la bocca serrata
in una linea netta. Era visibilmente irritato. Cercai di rimanere impassibile e
sfidare il suo sguardo, ma mi tremavano le gambe, avevo avuto la reazione
sbagliata con la persona sbagliata. Sapevo che il suo rimanere immobile, serviva
da autocontrollo. Non mi voleva fare del male, ma sapevo anche, che era dell’istinto
che bisognava diffidare nei vampiri.
Si avvicinò, lentamente.
“Non mi piace essere trattato in questo modo”
Aveva uno sguardo impenetrabile.
“Nemmeno a me piace come mi stai trattando” ero
molto nervosa.
Si allontanò, prendendo da parte quello che pareva
chiamarsi Ricky. “Senti, tra non molto sarà l’alba. Dì alle streghe di venire
al Fangtasia domani sera, e sentirò cosa vogliono.”
“Ma Eric, quelle sono state molto chiare, devono trovarti qui stasera o per me è la fine!”
“E’ colpa tua se si è creato questo casino. Sei già
fortunato che non ti abbia strappato la gola. Anzi, mi sa che per questo dovrai
ringraziare la signora.” Lanciò un gesto verso di me, senza guardarmi. Capii di
non essere stata io ad irritarlo in quel modo, e che l’affare che intendeva prima, era una resa dei conti con quel punk
di nome Ricky.
“Chi è, la tua cena?! Ce ne sono tante qui, Gypsy
non ha fatto che chiedere di te tutta la sera... Che faccio quando ritornano?!” Era
agitato, non riuscivo ancora bene a capire perché non volesse lasciarlo andare.
Aveva pensieri troppo confusi.
“Niente. Non dovrai dire niente! Come già avresti
dovuto fare. Era questo l’accordo tra noi due, tu dovevi tenere la bocca
chiusa!” gli ringhiò, sbattendolo contro il muro.
“Io e te abbiamo chiuso.”
Mollò la presa, e il magro e rachitico Ricky si
accasciò a terra tremando.
Eric raccolse le chiavi, e si allontanò verso
l’uscita. Io lo seguii.
Uscita da quella porta, ripresi a respirare a pieni
polmoni. La leggera brezza d’aria mi asciugò il sudore sulla pelle,
risanandomi.
Eric camminava a passo deciso, ed io dovevo correre
per stargli dietro. Lo presi per un braccio, per indurlo a fermarsi, ma mi
strattonò, spingendomi via. Quando si accorse che ero io, si fermò, e mi venne
incontro. Indietreggiai, sentivo che era instabile, e avevo paura. Invece mi
prese per mano.
“Andiamo via” mi disse in un sospiro. Era
preoccupato, e non avevo ancora capito bene cosa fosse successo là sotto, ma
ebbi paura a chiederglielo, aveva ancora i nervi a fior di pelle.
Quando ci sedemmo in macchina, Eric incrociò le
braccia sopra il volante, e ci appoggiò la fronte. Rimase così per parecchi
minuti, in silenzio. Lì iniziai a preoccuparmi.
Ferma al mio posto, lo guardai. Non sapevo che altro
fare.
“Eric?”
Non mi rispose.
Gli posai una mano sulla spalla. “Eric?” lo
richiamai.
Si voltò verso di me, sempre rimanendo appoggiato al
volante. I suoi occhi erano tornati normali, aveva il volto cupo, ma sentivo
che era tranquillo. Presi ad accarezzargli la spalla, fino ad arrivare alla sua
guancia. Questo mio gesto parve piacergli molto, e a sua volta iniziò a
strofinare il viso contro la mia mano.
“Cosa è successo?” gli chiesi cautamente.
“E’ meglio che tu non lo sappia” rispose. “Scusami
per prima” mi baciò il palmo della mano.
“Mi hai fatto paura. Forse tendi a dimenticarlo, ma
basta che tu ci metta quel tanto di forza in più, e io sono morta!”
“Veramente ci penso spesso”. Tirò indietro il sedile,
e si mosse verso di me. Non capii cosa intendesse fare, poi mi slacciò la
cintura di sicurezza, e mi sollevò come fossi una piuma. Mi adagiò sulle sue
gambe, e mi abbracciò, appoggiando la testa sulla mia spalla.
“Voglio sapere cosa è successo” insistetti.
Alzò la testa, e appoggiando la nuca
al sedile, fece un sospiro di resa. Capì di non avere alternativa.
“Da come avrai già capito…”
“Tu spacci V!” lo interruppi, e mi ricordai di dover
essere arrabbiata.
“Ricky è un piccolo rivenditore. Avevamo stretto un
patto: Io gli facevo da fonte, mi dava i miei soldi, lui spacciava in giro, e
tutto questo tenendo la bocca chiusa. Va contro le leggi dei vampiri vendere il
nostro sangue”.
“Pensavo fossi uno piuttosto attento a queste cose…”
“Non chiedermi il perché io stia facendo ciò che sto
facendo, perché non te lo posso dire” era davvero serio, capii che non avrebbe
ceduto su questa cosa.
“Cosa è successo poi?”
“E’ successo che quell’idiota di Ricky ha venduto V
a delle streghe, e quelle stesse streghe sono tornate da lui per estorcergli la
provenienza del sangue”.
“E il piccolo Ricky ha spifferato tutto” iniziavo a
capire, le streghe volevano intralciare gli affari di Eric.
“Il piccolo Ricky si era messo d’accordo con le
streghe per tendermi una trappola! Poi quando ha capito che sospettavo, ha spifferato
tutto anche a me. Mi aveva chiamato per chiedermi altro sangue, dicendomi che
aveva nuovi compratori… solo là sotto mi sono accorto che c’era qualcosa che
non andava, la stava tirando troppo per le lunghe…”
Spalancai gli occhi sconcertata, e gli diedi un
pugno sul petto. “Quindi tu già sapevi di dover venire qui stasera!” adesso
iniziavo veramente a capire, ero
stata un’ingenua, mi sentii così stupida.
Feci per uscire dalla macchina, ma non me lo permise.
“Lasciami, lurido figlio di una vampira!” stavo
cercando in tutti i modi di divincolarmi, ma solo con una mano riusciva a
bloccarmi le braccia.
“Andiamo Sookie, ho solo unito l’utile al dilettevole!”
sorrise, cercando di tenermi ferma.
Mi irritava vedere come i miei drammi, per lui fossero
un divertimento.
“Mi fai schifo!” colpii il suo viso con un sonoro
schiaffo, e sentii la mano bruciare.
“Attenta Sookie, potrei anche eccitarmi” disse
avvicinandosi alla mia bocca.
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Capitolo 8 *** 8 ***
TB8
“Lasciami”
continuavo a ripetere.
Non mi stava
proprio bloccando, ma le sue braccia mi circondavano come una morsa d’acciaio.
Mi abbracciava, tenendomi stretta a sé, ma io mi sentivo più come un animaletto
braccato da un leone. Era intento ad annusarmi, mentre aspettava una mia
reazione.
Gli avevo appena
dato uno schiaffo, ma la sua guancia, da un attimo più rosea, stava già
ritornando bianca. Era inutile, la pelle di Eric era inscalfibile, ed Eric era
destinato ad essere immutabile ed immortale, e tutto il resto attorno a lui, a
sciuparsi e a dissolversi. A volte lo dimenticavo, sembrava essere su questo mondo quanto me, ma
non era così. Sapevo ogni cosa sui vampiri, ma in realtà, non capivo, non comprendevo cos’era, chi era. Ero in
braccio a qualcosa che andava al di là di ciò che avrei mai potuto concepire.
Avevo baciato e schiaffeggiato qualcosa di… Divino? Demoniaco? Qualcosa che
sarebbe esistito per sempre. Mi sentii così piccola, così impotente. Poi mi
ricordai che non era esattamente così: a Eric scivolava addosso il tempo, non
la morte. Poteva ancora di fatto morire e non esistere più, solo che ormai, per
lui non era più una cosa naturale, doveva
essere indotta. “Eterno finché dura” pensai.
“Sei calda, e la
tua pelle è dolce. Scommetto anche il tuo sangue. Sai di buono.” mi sussurrò
con le labbra sulle mie.
“Si, di sudore e
di alcool, che mi hanno versato addosso, laggiù in quel buco, mentre cercavo di
passare tra la folla. L’avrò sicuramente anche sui capelli” dissi, più
innervosita per il fatto di sentirmi sporca, che per altro.
Rise. Prese a
baciarmi e leccarmi il collo e la gola, fino a risalire sulle mie labbra.
“I tuoi baci sono
falsi come Giuda” cercavo di divincolarmi dalla sua bocca, ma mi teneva premuta
contro di sé.
“Shhh”continuò
imperterrito. “Baciami” mi ordinò, prendendomi le braccia e portandosele
attorno al collo.
“No, io sono
arrabbiata con te” sfortunatamente per lui usai le mie braccia per allontanarlo
dal mio viso.
“Per cosa, per
averti chiesto di uscire?!”
Veramente, non
stavano proprio così le cose.
“Non cambiare le
carte in tavola! Tu mi avevi chiesto di uscire, mentre invece ti servivo come
passatempo per il tuo altro appuntamento!”
“Ma noi siamo
usciti, e abbiamo passato una bella serata, e ora siamo qui io e te. Non ti
rovinare la notte per una piccola parentesi del mio lavoro” si riattaccò al mio
collo, succhiando con foga la mia pelle.
“Veramente…”
avevo perso il filo del discorso. Perché dovevo essere arrabbiata con Eric? Era
successo davvero così?
“Lo stai dicendo
per tenermi buona non è vero?”
“Si” rise “però
lo penso davvero”. Mi distese sul sedile, e lui fu sopra di me. Mi sentì
affondare verso il terreno. Iniziai a pensare che, oltre me, anche la macchina
non avrebbe retto il peso di Eric.
Guardandomi negli
occhi, iniziò a baciarmi sulle labbra, aspettando che io schiudessi la bocca e
gli rispondessi. Al diavolo, così feci.
Mi accarezzava i
capelli, mentre la sua lingua si muoveva in perfetto accordo con la mia. Questa
volta non furono baci violenti, ma dolci e molto passionali. Il problema si
presentò poco dopo, quando mi accorsi che ad Eric i baci non bastarono più, ed
era già pronto per qualcos’altro…
“Cosa vuoi
fare?!” chiesi stupidamente.
“Voglio scoparti”
a volte dimenticavo la franchezza di Eric.
“No” dissi contro
voglia, ma Eric si stava già dando da fare con le mani sotto la mia gonna.
“Il tuo corpo
dice il contrario” disse mostrandomi le dita bagnate, portandosele alla bocca.
“Sei un animale”.
Avevo
fantasticato parecchie volte sulle prestazioni sessuali di Eric, e avevo fatto
anche parecchi sogni a riguardo. Certo, avrei preferito una situazione più
romantica, ma aveva ragione, desideravamo la stessa cosa.
Aveva un viso
maledettamente bello, dai lineamenti dolci, brillanti occhi azzurri, labbra
sottili, leggermente imbronciate… così contrastante dall’imponenza del suo
corpo.
Si lo desideravo,
e avrei passato volentieri notti intere tra le sue braccia a sentirlo dentro di
me, lo volevo davvero, ma cosa sarebbe successo dopo? Sapevo come sarebbe
andata, me l’avrebbe rinfacciato a vita, come solo Eric sapeva fare. Per non
parlare delle questioni di potere e possesso che sarebbero venute a crearsi,
seguite da priorità politiche e supremazie sociali. Perché Eric era questo, e
gli interessava solo questo, il potere, in ogni sua forma. Eric non aveva una
casa, aveva un territorio; non aveva amici, aveva seguaci; ed io non ero né
un’amica né una compagna, ero un’alleata, e sarei divenuta una sua proprietà
se l’avessi lasciato fare.
“No. Fermati” gli
tolsi la mano dalle mie gambe.
“Perché?”
continuava a baciarmi.
“Non voglio,
portami a casa” cercai di scansarmi da lui.
Si fermò di
colpo, non per rispetto, ma perché rimase interdetto. A Eric non si diceva mai
di no, e non lo permetteva nemmeno. In certi casi non usava la forza, ma
subdolamente, induceva le persone a fare il suo volere manipolandole. Questo
era uno di quei casi, e se conoscevo abbastanza bene Mr. Northman, avrebbe
fatto lo stesso anche con me.
“Ho fatto
qualcosa che non va?” disse riprendendo ad accarezzarmi.
Infatti.
Eric non si
metteva mai in difetto, se non aveva un secondo fine.
Non dovevo
girarci attorno, o mi avrebbe riportato sulla sua strada.
“No, ma voglio
tornare a casa. Subito”.
Si fermò.
“Che hai?” mi
chiese con voce dolce.
Se avessi
iniziato a gocciolare, come
diceva lui, mi avrebbe scaricato davanti alla porta di casa in due secondi. Era
una cosa che lo metteva a disagio, ma in quel momento proprio non ci riuscivo,
mi era difficile piangere a comando; mi ero promessa più volte di chiedere ad
Arlene come si facesse, ma era come confessarle che sapevo un suo segreto, e si
sarebbe arrabbiata.
“Voglio solo
tornare a casa, sono stanca e non mi va” dissi con aria spazientita.
Eric si tolse da
me guardandomi con ostilità, stava covando una certa irritazione.
“Aspetta qui” mi
disse uscendo dalla macchina.
Cercai di
ricompormi rimettendomi a sedere, sistemandomi il vestito. Feci per aggiustare
i capelli e il trucco guardandomi nello specchietto retrovisore, e lo vidi,
dietro la macchia. Appena capii la situazione, tolsi lo sguardo, imbarazzata;
poi la curiosità fu più forte, e senza voltarmi, allungai gli occhi sullo
specchietto, e lo spiai. Era buio, vedevo solo un ombra, ma rimasi ferma a
spiarlo lo stesso. Poi lo vidi avere uno spasmo.
Quando ritornò in
macchina, si rimise alla guida dirigendosi verso Bontemps, senza dire una
parola.
Speravo tanto che
non sapesse del mio piccolo atto di voyeurismo.
Guardavamo la
strada davanti a noi senza emettere suono. Ogni tanto lanciavo un’occhiata, per
controllare la sua espressione, ma era sempre immobile ed inespressivo.
“Ho lasciato la
macchina al Fangtasia” dissi a bassa voce.
“Te la ritroverai
davanti a casa domani mattina” rispose freddamente.
“Non devi
disturbare Ginger per questo”
“Ginger fa quello
che dico io. Avevi fretta di ritornare a casa giusto?”
Non risposi.
Il rumore del
motore era l’unica cosa che spezzava quell’imbarazzante silenzio.
“Sei arrabbiato?”
chiesi con una certa cautela.
Non rispose.
“Eric è stato
meglio così. Già tutta la serata è nata come una cosa sbagliata e fraintesa,
volevo solo non pentirmene ulteriormente” cercai di spiegargli.
“Perché
sbagliata? Perché sono una delle creature assurde che ti fanno il filo?! Forse
dovresti iniziare a chiederti se in te ci sia qualcosa di sbagliato,
se tutte queste cose assurde ti stanno intorno” disse con voce calma, senza particolari
emozioni. Mi sentii come se avesse preso un pugnale e me lo avesse piantato
nello stomaco, e questa volta dovetti impegnarmi per ricacciare indietro le
lacrime.
Ritornò il
silenzio per parecchi minuti.
“Perdonami. Non
penso ciò che ho detto. Volevo solo farti male” disse, posandomi una mano sul
ginocchio, distogliendo il viso dalla strada.
“Bhe, missione
compiuta sceriffo” dissi levandogli la mano.
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Capitolo 9 *** 9 ***
TB2
Eric accostò sul ciglio della strada.
“Sookie…” mi guadava, rimanendo al suo posto.
“Io non penso che tu sia una creatura assurda e tu non pensi che io sia sbagliata. Bene, abbiamo chiarito. Mi riporti a casa ora?” risposi cercando di non far trasparire nulla.
“Perché finiamo sempre per litigare?” mi chiese.
Si aspettava davvero una risposta?
“Senti, so di non avere molto tatto, non come lo intendi tu…”
“No, decisamente no” lo interruppi.
“Forse è la mia natura di vampiro che implica questo mio
modo di fare, ma…” cercò di giustificarsi.
“No” lo interruppi di nuovo. “Ne ho abbastanza, voi
vampiri cercate sempre di ridurre tutto a questo: voi siete diversi e
gli altri si devono adeguare. Fottiti!” stavo vomitando parole e
rabbia senza contegno. “Questa è una scusa bella e buona.
E’ troppo facile giustificare le proprie azioni dicendo io sono fatto così!
Perché la parte più difficile deve sempre aspettare agli
altri?! Fino all’anno scorso non esistevate nemmeno! Ma dobbiamo
convivere, bhe, allora l’adeguamento deve essere reciproco”.
Avevo gli occhi in fiamme, e se avessi avuto i denti giusti, lo avrei anche sbranato.
Eric mi guardava con aria corrucciata.
“Che tu ci creda o no, io sto facendo l’impossibile per
essere carino con te” disse con voce calma, sporgendosi verso di
me.
“No Eric, tu stai facendo l’impossibile per portarmi a letto” lo corressi.
“Bhe, qual è la differenza?!”
“Ah!” ebbi una risata isterica.
“Ti servi delle persone, e se non ne puoi ottenere qualcosa, te ne sbarazzi!” dovetti controllarmi per non urlare.
“Tutti si servono di qualcuno. Per soldi, per amore, per una
conversazione, per un attimo d’attenzione. Tra noi e voi,
cambiano solo i mezzi, non i fini” stava alzando la voce.
Non l’avevo mai visto scomporsi. Quando se ne accorse, calmò il tono.
“Io mi servo di te per… perché mi fai stare bene” disse a bassa voce, guardandomi negli occhi.
Non risposi.
“E quando mi rifiuti” continuò “mi fai male”.
Non seppi spiegarmi perché sentii male pure io a quelle parole.
“Perché?” chiesi istintivamente.
Aveva lo sguardo turbato.
“Non lo so” rispose semplicemente.
Allungai una mano verso di lui, per accarezzarlo, ma si divincolò riaccendendo il motore della macchina.
Rimanemmo in silenzio per quasi tutto il viaggio. Io guardavo la notte
dal finestrino, ed Eric guardava fisso davanti a sé. Non ero
tanto sicura che guardasse la strada.
C’era solo la musica della radio ad accompagnarci.
Avevo la mano di Eric appoggiata sul ginocchio. Non la tolsi.
I'm so tired of playing,
playing with this bow and arrow.
Gonna give my heart away,
leave it to the other girls to play,
for I've been a temptress too long.
So don't you stop, being a man,
just take a little look from our side when you can,
sow a little tenderness.
No matter if you cry.
Just, give me a reason to love you,
give me a reason to be a woman.
I just wanna be a woman.
Arrivammo davanti a casa mia.
Bontemps era deserta, a quell’ora non c’era mai in giro
nessuno. Normalmente la cittadina si svuotava al chiudere del
Merlotte’s, e il Merlotte’s era chiuso già da un
pezzo.
Spense il motore, rimanemmo seduti per un po’ a guardare il vuoto.
Fui la prima a spezzare il silenzio.
“Allora, cosa farai domani con le streghe?”
“Vedrò a che tipo di accordo si può arrivare, ma
nel caso ti dovesse capitare, non spartire mai nulla con le streghe.
Anzi, cerca di non averci mai nulla a che fare” disse con aria
molto seria.
“Va bene” gli risposi con un sorriso incerto.
“Ah” iniziai a frugare nella mia borsetta “le chiavi della mia macchina” gliele porsi.
“Per che ora ti serve la macchina?”
“Alle otto devo essere da Sam.”
“Alle sette sarà qui fuori” mi sorrise.
All’improvviso mi accorsi che la serata stava giungendo al termine, e che Eric se ne sarebbe andato.
“Ti va di entrare a bere qualcosa?” gli chiesi all’improvviso.
Non credetti nemmeno di essere stata io a parlare. Non l’avevo ancora pensato, e già l’avevo detto.
Spalancò gli occhi quanto me.
Cercai velocemente nella mia testa una giustificazione.
“Devo darti una cosa da dare a Pam” farfugliai.
“Ma davvero?” mi sorrise.
Rovistai nella mia mente ancora più a fondo.
“Si, tempo fa mi aveva prestato un suo vestito. Sai, la notte del
fattaccio di Long Shadow. Mi sono sempre scordata di restituirglielo,
se entri ti offro qualcosa, così intanto lo cerco”.
“E cosa mi offri?” mi chiese, con il suo solito sorriso sghembo.
“Un tru:blood”
“Peccato.”
Piccolo ponticello per passare al capitolo finale.
Eh si, care fangbangers, si avvicina l'alba!
Sarà più lungo degli altri, ma sarà l'ultimo.
Grazie alle commentatrici!!!
Ah, ho modificato qualcosina nei capitoli precedenti...
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Capitolo 10 *** 10 ***
TB10
La casa era esattamente come l’avevo lasciata prima di
andare al lavoro.
Andai in cucina, e misi nel fornetto a microonde una
bottiglia di zero negativo. Avevo sempre tenuto solo quello, perché era il
gusto preferito di Bill, ma Jessica ed Eric, se proprio dovevano, preferivano
mischiarli. Due parti di zero negativo e una di B positivo per Jessica, due
parti di zero negativo e una di zero positivo per Eric. Pazienza.
Per me preparai una tisana a base di tea.
Eric era seduto sul tavolo della cucina, e mi osservava
preparare le bevande.
“Quanto manca all’alba?” gli chiesi mentre inzuppavo la
bustina di tea nella mia tazza di acqua bollente. Già sudavo, non era stata una
buona idea.
“Meno di un’ora” mi rispose.
“Certo che dev’essere una gran scocciatura” dissi
porgendogli la bottiglia appena uscita dal microonde.
“Che intendi dire?” mi chiese, sorseggiando il suo tru:blood
con faccia molto vicina al disgustato.
“Non poter mai sforare l’orario… è come tornare ad avere il
coprifuoco. Non trovi?”
Mi sedetti sul tavolo accanto a lui.
“Non sono Cenerentola. Rischio ben peggio che trasformarmi
in una zucca” mi storse un sorriso.
“Ma vivete solo dodici ore al giorno” insistetti.
“Il tempo non ci manca. E comunque, che vuoi che faccia?!”
mi chiese con aria accigliata.
Mi accorsi di essere incappata in un ragionamento senza
sbocchi.
“Che stupida” sorrisi “non lo so, forse credevo che si
potesse indire un’assemblea interna e cambiare qualche regola.”
“Non sentiamo l’ansia e il bisogno di sfruttare il tempo,
quindi non ci disturba più di tanto. E’ un nostro bisogno fisiologico, non una
regola” mi spiegò. “Ma perché te ne preoccupi?”
“Perché ti saresti potuto trattenere di più…” dissi
sfuggendo al suo sguardo scendendo dal tavolo, andando a buttare il tea
bollente nel lavandino.
“Adesso non stuzzicarmi” disse venendomi incontro. Mi spinse
lentamente contro il lavello, rimproverandomi con il solo sguardo.
“È crudele da parte tua darmi certi segnali a quest’ora”.
Sfilò la matita che sorreggeva il mio ammasso di capelli, sciogliendomeli
sulle spalle.
“Vedo che il coprifuoco inizia a disturbarti” iniziai a
spingere la testa contro la sua mano, cercando un maggiore contatto. Sapevo di
stare approfittando della situazione, si avvicinava il giorno, e sentivo di
avere in pugno il ‘coltello dalla
parte del manico’.
“Vai a prendere il vestito di Pam” si staccò.
Vedevo che ad Eric quella situazione stava iniziando ad
infastidirlo, o innervosendo, ed io mi sentii quasi in colpa ad approfittare
del suo costretto e precario autocontrollo. Provocarci e stuzzicarci, era una
cosa che ad entrambi aveva sempre divertito, ma quella sera avevamo un po’
superato il solito limite, e anche se ora una parte di me voleva infilarsi nel caldo
lettone insieme a Mr. Northman; l’altra parte era molto rassicurata dal fatto
che l’arrivo dell’alba avrebbe portato via la mia tentazione e il mio
tentatore, impedendomi di fare un pericoloso passo di cui avrei potuto
amaramente pentirmi. Avevamo messo già troppa ‘carne sul fuoco’, sapevamo
entrambi che non si sarebbe trattato di solo ‘buon divertente e spensierato sesso’,
le cose si sarebbero complicate; e in più Eric aveva un temperamento egoista e
meschino… sì, era inutile, sapevo che me ne sarei pentita.
Salii le scale e mi fiondai in camera, lasciando Eric al
piano di sotto.
Era nell’armadio, il vestito, ma non ricordavo proprio né in
quale cassetto né in quale anta. Forse l’avevo gettato negli scatoloni?
Accidenti a me, e alla mia idea del vestito smarrito. Non feci nemmeno in tempo
ad aprire un cassetto, che mi ritrovai improvvisamente buttata sul letto,
schiacciata dal peso di Eric.
“Che vuoi fare?” chiesi confusa, e un po’ spaventata dalla
sorpresa.
Appoggiò la testa sulla mia spalla, inserendo il volto
nell’incavo del mio collo, e iniziò a baciarmi. Una scia di lievi e delicati
baci, di quelli che fanno venire il solletico.
“Ho deciso che voglio passare gli ultimi attimi di questa
notte con te” mi sussurrò.
Spingeva il viso contro la mia pelle, come un animale che
chiedeva attenzioni. Istintivamente lo abbracciai, e cercai di spostare il suo
peso su un fianco, in modo da rimanere uno di fronte all’altro. Lo accarezzai,
e lui rimase immobile a guardarmi. Aveva i lineamenti distesi, lo sentivo
rilassarsi ad ogni mio tocco, ma gli occhi erano arrossati, come se fossero
molto irritati: segno che il suo corpo avvertiva l’avanzare dell’alba, ormai
prossima.
All’improvviso sentii un lacerante vuoto allo stomaco.
“Perché ho come l’impressione che dopo stanotte, non ti
rivedrò per molto tempo?”
“Perché anch’io ho questa sensazione?” si fece più vicino,
ed io mi strinsi contro di lui, cingendogli il fianco con la mia gamba. Non
resistetti, buttai i buoni propositi, e lo baciai, di nuovo. Baciai le sue labbra
disegnate, così dolci anche se fredde, così morbide…
“La tua pelle ha un sapore strano, dolce e amaro allo stesso
tempo, come le mandorle” gli sussurrai.
Mi sorrise, formando quei piccoli archi intorno alla bocca
che adoravo tanto, e lo baciai ancora.
“Tu invece, non hai nulla di amaro. Forse leggermente salato,
scommetto che il sole ha il tuo stesso sapore.”
Si lasciava baciare, mentre mi accarezzava e mi stringeva
contro il suo corpo freddo. Un freddo che apprezzai molto, dato il caldo che
provavo.
“Non te ne andare” dissi contro la sua bocca.
“Rimarrò qui finché non ti sarai addormentata.”
“Lo farai davvero?”
“Se non ci impiegherai più di tre quarti d’ora, si” sorrise.
“Come ti senti? Sei stanco?” chiesi guardando i suoi occhi
rossi.
“Mi sento cadere.”
Parlava lentamente.
“Ti tengo” lo strinsi più forte, ricambiandogli il sorriso.
“Ti vorrei vedere anche domani” si fece più serio.
“Mi arrabbierei se non fosse così.”
“Vorrei passare con te tutta la notte” disse appoggiando una
mano sulla mia gamba.
“Dovresti comportarti bene.”
“Sarei molto dolce.”
“Non troppo.”
“Non lo sono mai.”
Mi baciò anche lui, fece scorrere la mano sotto il vestito,
dalle mie gambe fino alla schiena. Si girò supino e mi sollevò, mettendomi a
cavalcioni sopra di lui.
“Scopami”, mi disse “anche se dovessi bruciare”, si
riattaccò alla mia bocca.
“Sta zitto.”
Diventarono baci rabbiosi. Sapevamo di non poter finire ciò
che stavamo iniziando.
Mi ribaltò sul letto, sdraiandomi sulla schiena e mettendosi
sopra di me, continuando a sfregare il suo ventre contro il mio. Mi abbassò la
scollatura del vestito fino alla vita, scoprendomi i seni, e si attaccò
avidamente ad uno, azzannandolo, strappandomi un sussulto prese a succhiarlo
energicamente. La sua bocca su di me e l’idea di nutrirlo, mi procurava un tale
piacere da non rendermi conto, di stare affondando le unghie nelle sue spalle. Fu
un dolore sopportabile, che scomparve definitivamente quando Eric si preoccupò
di rimarginare le ferite con la sua saliva.
Non volevo che se ne andasse, non volevo che arrivasse il
giorno, non volevo staccarmi da lui. Mi ritrovai a pregare che la luce
dell’alba non arrivasse mai, che non venisse mai a portarmelo via.
Che sentimenti guidavano questi pensieri? Perché mi
ritrovavo a desiderarlo a tal punto? Perché continuavo a temere che una volta
andato via non sarebbe più tornato? Che avrei dovuto aspettare molto tempo per
riavere questo momento…
Coricò la testa sopra il mio petto, e lo circondai con le
braccia. Rimanemmo così. Iniziai ad accarezzarlo, e mi accorsi che il corpo di
Eric emetteva delle strane e profonde vibrazioni; mi sentii come se avessi
avuto tra le braccia un grosso e pericoloso felino sedato, che mi faceva le
fusa.
“Un penny per i tuoi pensieri” dissi, distogliendo
l’attenzione dai miei.
“L’alba” disse, e appurai che furono gli stessi. “Dovrò
lasciare qui la macchina.”
“Te la riporterà Ginger, quando verrà a lasciarmi la mia.”
Annuì.
“Dovresti darle un aumento!” dissi ridendo.
“Ha già fin troppe cose da farsi perdonare” disse ruotando
gli occhi.
“Vuole diventare una di voi, ma mi pare di capire che non
accadrà mai”
“E’ patetica. Non è decisamente il mio tipo. Né di Pam.”
“E quale sarebbe il tuo tipo?” chiesi prendendo a giocare
coi suoi capelli.
Alzò lo sguardo, fino ad incontrare i miei occhi.
“La voglio appetitosa, curiosa, impavida, acuta, schietta… dal
carattere forte,e un po’ sfacciata.”
“Come Pam.”
“Come te.”
Mi schioccò un bacio sulle labbra, e inaspettatamente
arrossii.
Non sapevo se dovessi sentirmi offesa o lusingata, per aver
alluso alla trasformazione; ma in quel momento, stavo talmente bene con
lui, da decidere di prenderlo come un suo modo di fare complimenti.
Ora ero io ad essere sdraiata sopra di lui, immersa nelle
sue grosse e forti braccia.
Affondai il volto nel suo petto, e le strane vibrazioni che
emanava, simili alle fusa che faceva la mia gatta Tina, mi pervasero il corpo,
rilassandomi. Scorreva fluidamente le dita sulla mia schiena, disegnando
ghirigori incomprensibili. Senza rendermene conto, mi assopii, e scivolai in un
sonno profondo.
Quando riaprii gli occhi, il sole splendeva e illuminava la
mia stanza. Ero sola nel letto.
La giornata era calda e assolata, anche troppo per essere le
sette del mattino…
Guardai l’orologio e saltai giù dal letto in preda all’ansia.
Erano le due del pomeriggio, e sarei dovuta essere al lavoro già dalle otto.
Presi il cellulare e vidi cinque chiamate perse di Sam. Mi affrettai a
richiamarlo.
“Dove diavolo eri finita?! Vuoi farmi preoccupare?!” rispose
al primo squillo, era arrabbiato, naturalmente.
“Scusami Sam” dissi dispiaciuta “sta notte ho avuto la
febbre, e l’antibiotico mi ha intontito un sacco, non sono riuscita a
svegliarmi.” Non potevo certo raccontargli che ero stata fino all’alba insieme
ad Eric!
“Ma stai bene ora?!” calmò il tono, era davvero preoccupato.
“Si, ti prometto che verrò al turno serale!” glielo dovevo.
“Ho mandato a casa tua Arlene prima di mezzogiorno, mi ha
detto che è rimasta mezz’ora attaccata al campanello! Che razza di sonno
pesante hai?!” aveva ripreso ad urlare.
“Scusa” non sapevo che altro dire.
“Vuoi che ti ricordi come ho trovato l’ultima camerieriera
che non è venuta al suo turno di lavoro senza avvisare?!”
“Veramente l’ho trovata io!” mi stizzii.
“Sookie…” sospirò.
“Scusa Sam, non capiterà più. Sarò lì per il turno serale,
ok?” dissi con tono calmo e accondiscendente.
“Va bene, ti aspetto per le cinque” riagganciò.
“Uff” sbuffai ributtandomi sul letto, cercando di riordinare
le idee. Lì mi accorsi di essere, sotto le coperte, mezza nuda! Il vestito che
credevo di avere ancora indosso, era accomodato sulla sedia vicino al letto. Eric…
dinuovo non sapevo se essergli grata o arrabbiata. Poi mi ricordai che per come
era finita la notte, il vestito poteva solo essermi di impiccio. Si era
preoccupato di farmi dormire comoda.
Sciovolai giù dal letto e andai verso il bagno, imbattendomi
nel riflesso dello specchio. Indossavo solo un paio di mutandine, ero
spettinata da far spavento, e avevo i seni gonfi. Uno in particolare era livido,
intorno al capezzolo, ma stava già guarendo. Lo toccai, e arrosii ripensando
all’accaduto.
Sentivo ancora il sudore appiccicarmi la pelle, necessitavo
urgentemente di una doccia.
Sotto il getto
tiepido dell’acqua, ripensai alla notte
appena trascorsa: alla follia che mi aveva guidato verso il Fangtasia,
all’irresponsabilità che mi aveva portato ad accettare
l’invito di Eric, al
romantico e bizzarro momento trascorso in riva al Red River a bere
strani
intrugli voodoo, al bacio passionale da vecchio film hollywoodiano
vicino al
fiume, e a come tutto era precipitato poi… il punk che spacciava
sangue per
conto di Eric, il locale putrido pieno di V-addict, la storia delle
streghe… io
ed Eric in macchina, a quel pensiero arrosii dinuovo… poi mi
ricordai della
litigata, e quasi mi risalì la rabbia. Ma avevamo chiarito, e mi
rattristai al
pensiero di come in seguito tutto era diventato perfetto, quando ormai
era già
troppo tardi. Io che non lo lascio andare, che mi tradisco invitandolo
in casa,
dichiarando quando mi piaccia ‘la sua compagnia’; lui che
fa di tutto per
passare gli ultimi minuti con me… e io che mi addormento tra le
sue braccia.
Che strano, avevamo deciso di vederci anche quella sera, ma era come se
sapessi
già che non sarebbe accatuto, che lui non ci sarebbe stato... ma
era una sensazione diversa dalla sfiducia, una sensazione che non
riuscivo a capire.
Fuggii da quel pensiero uscendo dalla doccia.
Ancora in accappatoio, andai a prepararmi qualcosa da
mangiare. Mangiai lentamente e soprapensiero, un grosso toast imbottito,
accompagnato da un fresco succo di frutta. Tra non molto sarei dovuta andare al
Merlotte’s, a servire clienti volgari e a subire la paternale di Sam. La serata
sarebbe stata lunga e stressante…
Quella notte finii il lavoro sfinita, Sam non aveva fatto
altro che ripetermi le sue ramanzine per tutta la sera, ed Eric non si era
ancora né visto né fatto sentire. Avevo tenuto il cellulare dentro il taschino
del grembiule, e l’avevo tenuto controllato più volte, anche mentre ero in
servizio, anche se andava contro le regole. Nessun messaggio, nessuna chiamata,
nessuno squillo. A quel punto, disillusa, non mi rimaneva che un solo
desiderio: tornare a casa e infilarmi nel mio comodo letto, a dormire, e
mandare a fanculo il mondo.
Salii in macchina salutando Sam, Tara e Lafayette.
“Ehi bella, come va?!” disse Tara, venendomi incontro alla
macchina.
Tara era davvero una persona sagace, con un pessimo
caratteraccio, dovuto secondo me a questa misera cittadina, oltre che ai
problemi con sua madre, ma le volevo bene. Aveva una personalità troppo
esplosiva per Bon Temps. Tara era quella che io definivo ‘una persona da un
litro, in una bottiglia da mezzo litro’.
“Buona notte Tara” la abbracciai.
“Allora non vuoi proprio dirmi che ti succede” disse
guardandomi dritta negli occhi.
“Ti ho già detto che sto bene, ho solo avuto un po’ di
febbre questa notte, si vede che devo ancora smaltirla” mi divincolai dal
discorso.
“Mi prendi in giro Sookie, pensi davvero che io creda alla
storia della febbre?! Non hai mai un medicinale in casa quando serve, e la
storia dell’antibiotico che ti ha steso, traballa come le gambe di mia madre
quando era ubriaca” disse incrociando le braccia. Brutto segno, non mi avrebbe
lasciato andare senza una scusa convincente o una verità.
“Arlene oggi è venuta a citofonarti, ed eri in casa, perché la
tua macchina era parcheggiata, quindi dovevi davvero dormire come un sasso, ma
perché?! Con chi sei uscita? Dovevi vederlo anche stasera non è vero?”
continuava ad avvicinarsi. “Avanti Sook, a me puoi dirlo, non lo dirò a Sam!”
mi diede una pacca sulla spalla.
Non mi andava davvero di raccontare la parentesi della notte
precedente, non sentendomi così stipida ed ingenua.
“Devi aver fatto molto tardi ieri notte per essere stata
così stanca sta mattina. Fammi indovinare: sei andata a dormire all’alba.”
Non la sopportavo quando iniziava a fare il detective, ed io
rimasi impassibile, cercando di non far fuoriuscire risposte involontariamente.
“Deve essere stata una serata molto movimentata se eri così
stanca. E a te il tipo piace, ma non è Bill, altrimenti lo saprei. Ti aveva
promesso un altro appuntamento per stasera, ma non si è fatto sentire. E sai come
lo so?” sorrideva, fiera delle sue deduzioni.
Io non risposi, se avessi aperto la bocca in quel momento,
non avrei saputo se piangere o inveire.
“Lo so perché quando sta sera sei venuta al lavoro, avevi la
testa tra le nuvole e camminavi volando sopra le farfalle, e da qualche ora
invece, hai l’umore che è peggio del mio!” mi guardava con un sorriso sghembo,
in attesa di una conferma.
“Ciao Tara” mi limitai da dire, sventolandole la mano
davanti alla faccia.
Misi in moto la macchina allontanandomi dal parcheggio del
Merlotte’s, lasciando Tara con un pugno di mosche.
La notte era quieta, e il buio mi diffondeva tranquillità.
Volevo tornare a casa, guardarmi un bel film, mangiare schifezze e andare a
dormire. E dimenticare quella pessima giornata, fatta di attese, ritardi e sogni
ad occhi aperti. “La prossima volta che mi chiama per un favore, o si azzarda a
provarci o a provocarmi, gli sputo in un occhio” pensai innervosita. “Calma
Sookie, pensa al bel film che ti guarderai stasera. Niente di nuovo però, non
ho voglia di dover stare attenta a seguire la trama, un vecchio film andrà
benissimo.” Conoscere già la fine dà una piacevole sicurezza, e ne sentivo il
vitale bisogno, anche se si trattava di una sicurezza futile. “Mi riguarderò
per l’ennesima volta Via Col Vento.”
Poi venni improvvisamente distratta dai miei pensieri,
quando vidi che i fari della mia vecchia auto illuminarono qualcosa di insolito.
Sobbalzai. Un uomo correva sulla stada vicinale come se ne fosse andato della
sua stessa vita. Incuriosita e confusa lo raggiunsi con la macchina, ed
abbassai il finestrino.
“Hai bisogno di aiuto?” domandai. Lui mi scoccò un occhiata
terrorizzata, ed io mi sentii il cuore salirmi in bocca, quando lo riconobbi.
“Eric!” urlai. Lo superai, bloccai la strada mettendo la
macchina di traverso, e gli corsi incontro.
Si fermò di scatto dinnanzi a me, sibilando con le zanne del
tutto estese.
Rimasi impietrita, non gli avevo mai visto rivolgermi uno
sguardo così minaccioso, così all’erta. Era pronto ad attaccarmi.
“Eric sono io. Che hai? Così mi spaventi” dissi sporgendo le
mie mani tremanti in avanti, lentamente, con fare conciliante.
Non avevo mai visto uno sguardo così perso e confuso come quello
di Eric in quel momento. Mentre mi osservava sulla difensiva, mi avvicinai
cautamente.
“Eric?” gli sfiorai il volto con una mano.
La situazione mi era totalmente incomprensibile, e
dall’espressione che teneva in volto, lo era per me quanto lo era per lui.
“Eric?” ripetè con una voce insolitamente rauca.
Non capivo.
Appoggiò una mano sopra la mia, come per risucchiarne il
calore e l’energia.
Si sporse verso di me, scrutandomi, guardandomi come se
fosse la prima volta.
“Chi sei?”
Pensai di stare sognando, quando quella domanda mi colpì in
faccia come una secchiata di acqua gelida. Guardai nuovamente i suoi
occhi spaventati, il suo viso stressato, e il suo corpo ferito,
e realizzai che Eric non era lì con me.
Eh si ragazze la fanfiction è finita.
So che probabilmente molte di voi rimarranno deluse, ma come avrete capito, io sono un "coito interrotto vivente"...
D'altronde era stata pensata fin dall'inizio come una semplice parentesi pre-quarto-libro...
(ok ci sn delle differenze, qui siamo in piena estate mentre nel libro
in pieno inverno; nel libro Chow è ancora il barista... va bhe,
sottigliezze... ^_^')
Spero almeno di essere riuscita a distrarvi dall'attesa della terza stagione!
Grazie infinite alle commentatrici!!!
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