Lost Memories di _Sihaya (/viewuser.php?uid=1873)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 – A world elsewhere ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 – Who are you? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Butterfly ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Come as an old enemy ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Aprimi ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Lost Memories ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Quello che è reale ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Good advice ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Down to Wonderland ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Cose preziose ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Burn ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Be my baby ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Verità ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Somewhere I belong ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Back to home ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Vantaggi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Hero ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Nemici ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Il Mantello dell'Invisibilità ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Pensieri ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Il Lago Nero (I parte) ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Il Lago Nero (II Parte) ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - The serpent under't ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Tempo ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - Obiettivi ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - Piani d'azione ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - Bellatrix Lestrange ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - Ladri ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - Slave [Pureblood] ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Grifondoro e Serpeverde ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - Vendetta (I parte) ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Vendetta (II parte) ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Il Prescelto ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - La profondità dell'odio ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - Corpo a corpo ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 - Bacchette Magiche ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 - Sickness ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 - Scelte (I Parte) ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 - Scelte (II Parte) ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 – A world elsewhere ***
Lost Memories - Capitolo 1
Ed eccomi approdare anche nel mondo di Harry Potter!
E lo faccio nel modo che preferisco: con un “finale
alternativo” e con il più classico degli escamotage…
Se vi va di seguirmi, questa è la mia proposta:
- rimuovete l’epilogo di Harry Potter e i doni della
morte
(Diciannove anni dopo).
- Eliminate le ultime otto pagine del finale e precisamente
fermatevi alle seguenti parole (cito testualmente):
“[…] L’alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco,
immobilizzato. Harry non poté sopportarlo: doveva intervenire…
Poi accaddero molte cose contemporaneamente.”
- Ora domandatevi: “Quali cose sono accadute? E se fossero
state dimenticate?”
* *
*
Lost Memories
(Di _Sihaya)
* *
*
There is a world elsewhere…
William
Shakespeare, The Tragedy of
Coriolanus
* *
*
Capitolo 1 – A world
elsewhere
Hermione Granger non è di questo mondo, più la osservo e
più me ne convinco.
Ron Weasley si passò una mano fra i capelli spettinati, poi
sbadigliò sguaiatamente; erano due giorni che non chiudeva occhio decentemente,
in pratica da quando Harry aveva accettato di lavorare al caso del signor
McKenzie.
Antony Cooper McKenzie era un ricco avvocato di Chelsea con
la passione per l’arte. Era famoso nell’alta società londinese per essere un
appetibile scapolo, proprietario di una magnifica pinacoteca privata.
Appena un paio di giorni prima, in una mattina uggiosa, la
sua limousine aveva attraversato il quartiere di Soho, svoltato per una
minuscola stradina e parcheggiato presso l’edificio di quattro piani, in
cemento e mattoni faccia-vista, sede dell’agenzia di investigazioni private
Potter&Weasley.
McKenzie era sceso dall’auto con l’ombrello in mano e il
cappotto grigio avvolto al braccio destro. Era salito al secondo piano ed era
entrato nell’ufficio di Harry e Ron chiedendo aiuto senza nemmeno presentarsi.
Ron l’aveva preso subito in antipatia.
Harry, invece, si era mostrato molto interessato al caso:
un po’ perché si trattava di un furto d’opere d’arte da una collezione privata
- raro da quelle parti - un po’ perché Harry si lasciava facilmente affascinare
da certe coincidenze. Non gli sembrò casuale, infatti, che la denuncia del
signor McKenzie avvenisse in concomitanza all’apertura di una mostra di quadri
presso Villa Malfoy, prevista per il fine settimana.
Harry Potter non vedeva di buon grado le attività
organizzate da Draco Malfoy, perché giravano voci preoccupanti sul ragazzo,
alimentate dal suo comportamento eccentrico ed evasivo; così, nonostante il
disappunto di Ron, aveva accettato il caso.
Da allora Ron Weasley aveva trascorso le sue giornate
chiuso in un’auto appostata presso Villa Malfoy, come un avvoltoio, in attesa
di qualcosa d’insolito che non era affatto sicuro di poter individuare.
Anche perché tutto ciò che circondava la Villa era
insolito.
Si chiese come fosse possibile riconoscere la stranezza in
mezzo alla stranezza…
Hermione Granger… anche lei era insolita in quel contesto.
Ron l’aveva vista entrare nella Villa sicura e a testa
alta, ma aveva percepito un lieve disagio. La camicetta bianca sotto ad un
tailleur antracite, ordinato e sobrio, la invecchiava di qualche anno. Non
vestiva lo stile mondano degli altri invitati, per cui era facile indovinare
che fosse una giornalista piuttosto che una donna d’alta società; eppure non
era stato questo insieme di discordanze a turbare Ron, bensì la sensazione che
la sua presenza fosse avulsa all’evento… come se provenisse da un mondo alieno,
parallelo.
L’arrivo improvviso di Harry lo fece sobbalzare e lo
distolse dalle proprie congetture.
« Sandwich con formaggio. Il prosciutto era finito, »
affermò il detective porgendogli dal finestrino aperto un pacchetto di carta
con la cena.
Ron fece una smorfia di protesta.
Harry entrò in macchina e si sedette al suo fianco.
Cominciò a scartare il proprio panino e, con un cenno della testa, indicò il
piccolo schermo ricevitore che l’amico teneva sulle
ginocchia.
« Novità? » domandò.
Ron grugnì seccato: « A palate. »
Dopo un lungo silenzio meditabondo Harry bofonchiò con la
bocca piena di pane: « He-mione? »
« Niente, » Ron scrollò le spalle, poi prese un morso del
proprio tramezzino, « non fa altro che scrutare quei quadri. Li fissa,
annuisce, scrive appunti. Sempre uguale. È snervante per quanto è meticolosa, »
borbottò prima di addentare nuovamente il panino.
Harry sperava ci fosse dell’altro; continuando a masticare
fissò Ron, il quale finì per perdere la pazienza: « Lasciamo stare, dai, Malfoy
è pulito! »
Harry socchiuse gli occhi in un’espressione d’evidente
scetticismo: « Cosa te lo fa credere? ».
Ron non poté fare a meno di lamentarsi fra sé e sé per la
caparbietà del compagno. « Sono quadri acquistati onestamente, lo capisco da
come Hermione scrive sul taccuino… se fossero quadri rubati, - ridacchiò -
…avrebbe riempito pagine. Invece fa solo qualche cenno col capo, ogni tanto,
poi annota qualcosa. »
Una luce brillò nello sguardo di Harry, fu come se i suoi
sospetti avessero trovato una nuova fonte di alimentazione. « Cenni di che
tipo? » domandò curioso.
« Di nessun tipo! Dammi retta, Harry, è roba pulita! »
sbuffò Ron, « e poi … è Hermione, cavoli! Riconoscerebbe un furto dall’odore!
»
Harry chinò lo sguardo e fissò il cruscotto dell’auto.
Ron ebbe il tempo di mandar giù due interi bocconi del
proprio panino.
Il terzo boccone gli andò di traverso: Harry lo stava
fissando folgorato da un’idea geniale.
« Chiedile il taccuino, » ordinò.
« Che cosa?! »
« Chiedi il taccuino a Hermione, dobbiamo vedere se ha
scritto qualcosa di importante. »
« Tu sei pazzo! Potrebbe uccidermi per una cosa del genere!
»
* * *
La facciata di Villa Malfoy che dava sul viale d’ingresso
ricordava i templi dell’antica Grecia. Era
composta da blocchi angolari in marmo bianco inframmezzati con mattoni
faccia a vista. Al piano terra dominava un grande
portone di legno, mentre il primo piano era decorato da quattro colonne ioniche
poste ai lati di un poggiolo, soprastante l’ingresso, sul quale si apriva
un’ampia finestra.
All’interno, un via vai di ricchi esponenti dell’alta
società affollava i locali.
Hermione scivolò fra gli eleganti invitati facendosi largo
con qualche contenuto colpo di gomito. Quando finalmente raggiunse la sala
laterale, sulla sinistra del salone principale, tirò un sospiro di sollievo:
era decisamente meno affollata delle altre stanze.
Immediatamente si portò la mano destra fra i capelli.
Fingendo di sistemarli, controllò che la minuscola telecamera, che Ron e Harry
le avevano chiesto di portare con sé, fosse ancora ben nascosta dai ricci
voluminosi.
Non aveva capito cosa cercassero precisamente i due
detective, ma era una prassi normale, per lei, dar loro una mano nelle
investigazioni. Spesso erano state proprio le sue idee a sbloccare le indagini,
a smascherare mariti infedeli e mogli adultere.
Era una grande osservatrice, abile nel notare piccoli
dettagli, e possedeva buone capacità logiche. Al “The Art Newspaper”,
uno dei più famosi settimanali d’arte di Londra, l’avevano assunta per questo…
e per la sua straordinaria abilità descrittiva, con la quale sapeva
tratteggiare un quadro come se avesse vita propria.
Da circa due anni lavorava in redazione e, fin da subito,
era spiccata fra i colleghi per il suo talento; quindi nessuno aveva trovato
strano che il biglietto d’invito per la chiacchierata mostrafosse indirizzato
personalmente a lei, piuttosto che
al caporedattore.
Appena ricevuta la partecipazione, Hermione era stata
divorata dalla curiosità di poter sbirciare all’interno della maestosa Villa
Malfoy.
L’edificio era costruito su due piani. La pianta interna prevedeva un elegante salone centrale, nel
quale erano esposti i pezzi più interessanti della mostra. Il ballatoio
soprastante si apriva s’un alto soffitto decorato da affreschi. I vani laterali
del piano terra conducevano, sulla sinistra, ad un paio di stanze dedicate
all’esposizione ed alla sala da pranzo; sulla destra
ad uno studio ed ai bagni che, aveva potuto costatare Hermione, erano ampi
quanto il monolocale in cui viveva.
Sulle stanze che s’affacciavano al ballatoio,
raggiungibile tramite due scalinate in marmo poste di
fronte all’ingresso, la giornalista aveva potuto fare
solo supposizioni, poiché non era consentito l’accesso al piano
superiore.
Immaginava che lassù si rifugiasse Draco Malfoy,
notoriamente insofferente ad eventi mondani così affollati.
Dell’eccentrico ragazzo si sapeva solo che aveva perso i
genitori e che era unico erede di quell’enorme ricchezza. Si diceva un po’ di
tutto sul suo nome e sulle sue origini; egli, tuttavia, non sembrava
preoccuparsene, sfuggiva alla gente come una serpe fra il sottobosco, senza
smentire alcun pettegolezzo.
Sistematasi i capelli, Hermione tornò al proprio lavoro. La
penna riprese a tingere le pagine del taccuino ad un ritmo sostenuto. Con poche
parole, scritte in una calligrafia ordinata e leggera, la giornalista iniziò a
descrivere il quadro appeso al centro della parete di fronte, ma non ebbe il
tempo di concludere.
All’improvviso, fu come se avessero spalancato una finestra
in pieno inverno ed un ondata di freddo l’avesse investita.
Senza un reale motivo sentì crescere la
paura.
Un brivido le scese dietro la nuca e capì che qualcuno le
stava alle spalle.
Come una preda che percepisce la presenza del cacciatore,
drizzò la schiena e trattenne il fiato, guardando fissò avanti a sé.
« Hermione Granger del The Art
Newspaper, vero? » Il sibilo gelido a pochi centimetri
dal suo orecchio destro le fece schizzare il cuore in gola.
Si voltò di scatto.
Solo la sua magistrale capacità di autocontrollo le impedì
di gridare: Draco Malfoy la fissava con sguardo di pietra, rendendo impossibile
capire se la sua domanda fosse formalità o provocazione.
Hermione deglutì, fece un cenno d’assenso e chinò subito la
testa.
Non avrebbe mai immaginato di incontrare Malfoy di persona,
men che meno di parlargli faccia a faccia.
Dello stesso avviso sembravano anche gli altri presenti.
Hermione si consolò di non essere l’unica, in quella stanza, a provare il
terrore che lui potesse leggere nel pensiero e conoscere, così, tutti i
pettegolezzi sul suo conto condivisi da mezza Londra.
« Che cosa
ne pensi della mia collezione? » Draco
Malfoy parlò a bassa voce, sicuro.
Hermione fu attraversata dalla
sensazione che fosse sceso al piano terra soltanto per parlare con
lei.
Inspirò, poi rispose in tono
abbastanza alto, sperando di soddisfare la curiosità di tutti gli sguardi
puntati su di lei.
« Sensazionale,
… Signor Malfoy, …Sono opere di grande qualità, tenute magnificamente. Questa
in particolare, sembra quasi… » iniziò
indicando il quadro di fronte, ma lui l’interruppe. Alzò il mento con aria
arrogante e rispose con lo stesso tono, alto e un po’ strafottente:
« A voi giornalisti escono dalla bocca un sacco di
stupidaggini. »
Lei rimase dapprima sorpresa,
poi capì che si trattava di un avvertimento.
Non farlo più.
La conversazione sarebbe dovuta
rimanere riservata e lei aveva sprecato l’occasione.
« Questa
sera, a cena, farò aggiungere un posto per te, Granger. » Il tono era di nuovo basso, misurato, per questo
più minaccioso: « Il The
Art Newspaper non vorrà perdere l’opportunità… »
Hermione, lo sguardo fisso a
terra, fece appena un cenno e sussurrò l’unica risposta
possibile: « Ci sarò. »
Continua…
* * *
N.d.A.
Ho letto i libri di Harry Potter a
grande distanza di tempo l’uno dall’altro e non ricordo ogni dettaglio. Con
l’aiuto di numerosi siti in rete, ho cercato di scrivere questa fanfiction
attenendomi il più possibile a quanto descritto della Rowling. Quindi, se
individuate degli errori, probabilmente sono involontari, se invece notate un
po’ di OOC… beh, considerate che l’aver posto i personaggi in un provvisorio
“universo alternativo”, ossia il mondo babbano, richiede per forza alcuni
adattamenti.
Queste sono state fin’ora le mie principali fonti
d’ispirazione (altre saranno citate più avanti):
Film:
Matrix, The
butterfly effect, Sliding Doors.
Libri: la saga di Harry Potter, Alice nel paese
delle meraviglie.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 – Who are you? ***
Lost Memories - Capitolo 2
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Who are You?
Lewis Carrol, Alice nel paese delle
meraviglie
(il Brucaliffo ad Alice)
* *
*
Capitolo 2 – Who are you?
Lo schermo del ricevitore si spense all’improvviso sotto
gli occhi allibiti di Ron, che lo scosse diverse volte prima di accettare ciò
che Harry stava dicendo: “batteria scarica”.
« Dannazione! » imprecò.
Il viso di Draco Malfoy era l’ultima cosa apparsa sul video
e la sua espressione inquisitoria era ancora impressa nella mente di Ron.
« Secondo te, cosa le stava dicendo? » domandò con il tono
di voce alterato dalla preoccupazione.
Harry sembrò ignorarlo. Mise le mani sul volante dell’auto,
inserì la chiave nel cruscotto e accese la vettura.
« Harry, mi hai sentito?! Non vorrai lasciare Hermione là
da sola! »
« Dobbiamo rientrare, ci aspetta un sacco di lavoro. »
« Prima andiamo a prendere Hermione, » protestò Ron, «
almeno aspettiamola! »
Harry premette l’acceleratore e l’auto si mise in moto,
lasciandosi Villa Malfoy alle spalle. « Se la caverà benissimo. »
« E se la scopre? Se scopre che sta indagando per noi? »
« Se andiamo a prenderla, lo capisce di sicuro! » fece
notare Harry, « Hermione è abbastanza intelligente da non farsi scoprire. »
Quell’apparente noncuranza nel rispondere contribuì
soltanto ad amplificare l’ansia di Ron, che si voltò indietro guardando dal
lunotto posteriore la grande residenza che si allontanava.
« Eri tu che volevi il taccuino di Hermione! » si tormentò
i capelli rossi con le mani, « e se avessi ragione, Harry? Se nei suoi appunti
ci fosse qualcosa di importante? » si agitò sul sedile, frustrato per
l’inspiegabile disinteresse del compagno.
« Se la scopre … »
Il solo pensiero gli fece salire un sapore acido in gola.
Poi esplose: « Ma l’hai vista la faccia di Malfoy?! »
Harry frenò bruscamente, fermandosi allo Stop che immetteva
su Hampstead High Street; questo calmò Ron. Diede un’occhiata rapida alla
strada principale e poi esaminò lo specchietto retrovisore: non c’erano auto
nei paraggi. Mantenendo il motore acceso, appoggiò l’avambraccio destro sul
volante, si voltò verso l’amico e lo guardò fermamente negli occhi.
« Mi vuoi spiegare che cosa ti ha preso? Eravamo d’accordo
così. »
« Se la scopre … » ripeté lui a mo’ di scusa.
« Cosa vuoi che le faccia? » rimbeccò Harry.
Ron lo guardò sconvolto.
« Ci sono decine di persone in quella casa, » continuò
Harry, « dovrà limitarsi a minacciarla velatamente, ed Hermione non è certo il
tipo che si lascia intimorire. E poi… quando ha accettato di darci una mano
sapeva perfettamente a cosa andava incontro, » così dicendo riprese la
posizione di guida. Premendo piano sull’acceleratore, diede un paio di
bracciate e sterzò verso sinistra, immettendosi sulla via principale del
distretto.
Anche se Ron si era zittito, Harry sentiva che l’ansia non
lo aveva abbandonato.
« Non preoccuparti, » aggiunse, « Hermione non si farà
scoprire. Fidati di lei. »
« Io mi fido di lei! » sbottò Ron, « …è di Malfoy che non
mi fido! »
* * *
Nella sala da pranzo di Villa Malfoy, Hermione si strinse
nelle spalle fissando fuori dall’ampia vetrata. Si era appoggiata contro
l’infisso laterale di una finestra e teneva le braccia incrociate sul petto,
fingendo interesse per ciò che accadeva oltre il vetro. In realtà, fuori c’era
ben poco da vedere: era scesa la sera e il buio nascondeva gran parte del
giardino che circondava la Villa. Le luci esterne erano accese solo lungo il
viale d’ingresso, mentre tutto il resto del parco era immerso nell’oscurità.
Nel vetro, quindi, la giornalista vedeva riflessi se
stessa, la sala da pranzo e i numerosi ospiti.
Analizzando con velata presunzione il riflesso di quello
sfarzoso angolo di aristocrazia, in qualità di giornalista d’arte valutò il
quadro che aveva davanti di pessima fattura.
Il pavimento in marmo italiano, i decori dorati del
soffitto e le pareti dipinte d’un bianco quasi accecante, avevano l’intento di
far apparire la sala ancor più vasta di quanto fosse; eppure, pensò Hermione, a
dispetto delle dimensioni sembrava troppo piccola per contenere tutta quella
gente.
Era evidentemente di malumore, ma la frivolezza degli
invitati non era che il capro espiatorio del suo orgoglio ferito: Draco Malfoy
tardava a raggiungere gli ospiti e lei temeva che non sarebbe mai arrivato. Si
sentiva presa in giro (dopotutto era stata invitata di persona) e allo stesso
tempo stupida, per aver creduto che ci fosse un reale interesse del padrone di
casa ad averla presente.
Il delicato suono di un campanello, appena percettibile fra
il chiacchierare degli invitati, segnalò che la cena era pronta.
Hermione identificò il proprio posto a tavola grazie ad un
cartellino riportante il suo nome. Era collocato all’angolo di una delle due
lunghe tavolate e probabilmente era stato aggiunto all’ultimo minuto, a tavola
ormai allestita. Alla sua sinistra era apparecchiato per il capotavola, ma il
posto era vuoto. Di fronte aveva una giovane coppia che faceva di tutto per
apparire affiatata, mentre alla destra sedeva un uomo di stazza notevole e
dalla voce baritonale che, pensò Hermione, senza dubbio intimoriva la signora
di mezz’età che lo stava ascoltando.
In tutta quell’agitazione notò che nessuno era sorpreso per
l’assenza di Malfoy.
Come aveva temuto, il nobile rampollo non si fece vedere
per tutto l’arco della serata… il che trasformò il banchetto in una gran
perdita di tempo.
I pettegolezzi erano poco interessanti per guadagnarsi un
trafiletto sul The Art Newspaper, e le conversazioni troppo banali per
meritarsi il suo intervento.
Hermione sfiorò la telecamera che portava fra i capelli:
probabilmente la batteria era scarica. Se fosse accaduto qualcosa, non avrebbe
potuto documentarlo, quindi non era più d’aiuto nemmeno ai detective.
Per questo, al termine della cena, si alzò da tavola
nervosa ed indignata, decisa a tornare verso casa.
Uscì dalla sala da pranzo e attraversò il salone principale
per svignarsela inosservata, ma il maggiordomo direttore della serata la
raggiunse prima che potesse abbandonare la kermesse.
Cortesemente le porse un vassoio argentato con alcuni flute
colmi di champagne e, fra essi, un foglietto ripiegato.
« Prego, » disse.
Lei tentennò incerta.
Lo sguardo dell’uomo era abbastanza eloquente: intimava di
raccogliere biglietto.
Hermione mosse le dita, inspiegabilmente gelate.
Alzò la mano lentamente. Esitò.
Infine, prese il foglio e lo aprì.
Mi segua, prego, senza dare nell’occhio.
[Follow me, please,
discretely]
Trattenne il respiro.
Cosa significava quel messaggio?
La curiosità non le concesse di temporeggiare: seguì il maggiordomo,
vagliando un’infinità di ipotesi. Dietro al passo rapido dell’uomo, tornò alla
sala da pranzo e l’attraversò, diretta alla porta che conduceva in cucina.
Nessuno la notò, forse per la discrezione, o forse perché
gli invitati non si curavano di lei.
Attraversata la cucina, con i cuochi ancora intenti a
preparare dolci e caffè, Hermione scoprì che nella villa vi erano altre camere,
inaccessibili dal salone centrale.
Entrarono in un corridoio ristretto sul quale si affacciava
una serie di stanze, con porte in legno tutte uguali, alcune appena socchiuse.
Dall’odore di chiuso e dalla polvere nell’aria, si poteva capire che non erano
frequentate spesso e che fungevano, probabilmente, da cantina.
Il maggiordomo non le rivolse mai la parola, ma si dimostrò
una guida premurosa avvertendola con un cenno di fare attenzione ad un gradino.
Superato l’ostacolo, il successivo tratto di corridoio non
era diverso, ma l’uomo si fermò davanti ad una vecchia credenza che, posta
lungo la parete, restringeva il passaggio.
Era una vecchio mobile da salotto, corredato di un piccolo
scrittoio. Il maggiordomo ne aprì un cassetto minuscolo ed estrasse un
libricino, poi lo porse a Hermione.
Lei parve tanto spaesata che dovette rassicurarla: « Deve
prenderlo, è per lei. »
Hermione osservò il libretto in mano al maggiordomo: si
trattava di un vecchio taccuino, rivestito in cuoio, decorato agli angoli e
rilegato manualmente ad arte.
Nella copertina era inciso un titolo: My memories.
Un diario personale!
Hermione trattenne a stento la propria riconquistata
vivacità. Afferrò avidamente il taccuino e aprì la copertina.
Le pagine leggermente ingiallite suggerivano che fosse un
oggetto molto vecchio; ne sfogliò un paio, poi si fermò a bocca aperta,
sorpresa da una calligrafia pulita, senza fronzoli, essenziale quanto la
domanda tracciata al centro della pagina:
Chi sei?
[Who are you?]
Spaventata e curiosa allo stesso tempo, fece scivolare la
carta sottile fra le dita, passando rapidamente tutte le pagine.
Pochi istanti dopo, sul suo viso si dipinse
l’insoddisfazione.
Era soltanto un quaderno vuoto.
Continua…
* * *
N.d.A.
xMirtilla75: grazie!
la trama di questa fic è lunga e contiene più di un pairing, molto si basa
sull’effetto sorpresa, per questo preferisco non anticiparli. Purtroppo però
non è una Draco/Harry, mi dispiace, ma non sono capace di scrivere fiction del
genere yaoi; ho anche fatto dei
tentativi, ma con risultati pessimi che sono stati rapidamente cestinati… conosco
i miei limiti, insomma… ^_^
XPaytonSawyer: grazie!
Generare curiosità era uno dei miei principali obiettivi e sono contenta
d’esserci riuscita almeno un po’!
xChiara_96: grazie!
Farò del mio meglio per continuare ad incuriosirti! In realtà, non ho deciso di
lasciare la fic inconclusa, ma sto andando incontro ad un periodo piuttosto
impegnativo e, anche se ne ho scritta buona parte, non so quando riuscirò a
finirla. Ci tenevo a precisarlo perché sono sempre piuttosto lenta a
pubblicare.
Io adoro Matrix! Mi ha
ispirato tantissimo per questa fic (troverai anche delle citazioni dal film).
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - Butterfly ***
Lost Memories - Capitolo 3
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Si dice che il minimo battito d’ali di
una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo.
Dal film
“The butterfly effect (*)”,
regia
di E. Bress e J. M. Gruber
* * *
Capitolo 3 – Butterfly
L’agenzia di investigazioni private Potter&Weasley
aveva la propria sede nel quartiere di Soho, in Lexington Street: una via
stretta, con un unico senso di marcia, nella quale era consentito parcheggiare
solo con permessi speciali o per brevi soste. Per questo motivo Ron e Harry
preferivano andare al lavoro in metropolitana. La fermata distava pochi minuti
a piedi dal loro ufficio e spesso, prima di salire allo studio, erano soliti
fermarsi per fare colazione al Butterfly, il piccolo caffè situato al
piano terra dell’edificio.
Si trattava di un locale
piuttosto nuovo.
Quando circa due anni prima
Harry e Ron avevano aperto la loro agenzia nel piccolo ufficio due piani più in
alto, il Butterfly ancora non esisteva. Al suo posto c’era un negozio di
souvenir che mostrava, nella vetrina spoglia e scura, un malinconico
cartello “Vendesi”.
Circa un anno dopo, una ragazza intraprendente acquistò il
locale e vi allestì un bar che in breve fece conoscere il proprio nome, sia per
l’atmosfera vivace, sia per l’arredamento informale che esibiva
un’impressionante varietà di toni cerulei. Persino la facciata in legno che
dava su Lexington Street era stata dipinta d’azzurro, dalla proprietaria in
persona.
Harry ricordava bene quel periodo, quando aveva fatto
conoscenza con la caparbia barista capace di mandare avanti l’attività tutta da
sola: Ginevra Weasley.
La ragazza era arrivata a Soho
portando con sé una valanga di quelle coincidenze che piacevano tanto ad Harry.
Prima fra tutte il suo cognome, abbinato alla innegabile somiglianza con Ron.
Ginevra, divenuta presto Ginny, aveva affermato da subito
di essere cugina di Ron, ma lui, anche a distanza di mesi, negava testardamente
l’evidenza.
Ginny diceva anche di essere
capitata a Soho per pura casualità.
La cosa, secondo Harry, puzzava
di bugia, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirlo in faccia alla ragazza.
Questo perché, in realtà, lei
gli piaceva.
Ginny era volitiva, carismatica,
intrigante. Ogni volta che entravano nel bar li accoglieva con un sorriso solare
e, sollevando la mano destra per un cenno di saluto, domandava: “Cosa posso
fare per voi?”
Di solito Ron ignorava
completamente la domanda per pura testardaggine.
Anche quella mattina accadde più o meno la stessa cosa,
con la differenza che Ron non ignorò il saluto, ma rispose scoppiando in una
risata incontenibile, generata dall’insolita acconciatura della “cugina”.
Ginny teneva i lunghi capelli
quasi sempre sciolti, ma quella mattina portava un fermaglio per fissare alcune
ciocche rosse dietro l’orecchio sinistro. La spilla era particolarmente
vistosa: rappresentava una farfalla sovraccarica di brillantini che - Ron lo
trovò esilarante - muoveva le ali quando lei scuoteva la testa.
Chiaramente, la ragazza si
offese appena comprese la causa di tanta ilarità e voltò le spalle a Ron.
Nel fare quel gesto, andò a
colpire con il gomito un pacchetto appoggiato in uno dei ripiani sottostanti il
bancone.
La busta cadde a terra con un
tonfo ed Harry si sporse per vedere cosa fosse successo.
Nello stesso istante, Ginny si
portò le mani alla bocca trattenendo un’esclamazione.
In terra giaceva un pacchetto postale sul quale spiccava a
lettere cubitali l’indirizzo del destinatario:
Agenzia
investigativa privata Potter&Weasley
12, Lexington St.
Harry aggrottò la fronte e
trascorsero alcuni istanti di silenzio prima che Ginny prendesse la parola.
« Oh, Harry,
mi dispiace tantissimo! » disse con la voce attutita dalla mano ancora sulla
bocca, « ieri pomeriggio hanno portato questo pacco per voi, siccome non c’era
nessuno in agenzia, » gesticolò agitata e le ali della farfalla molleggiarono
fra i suoi capelli, « sono entrati qui, hanno chiesto se vi conoscevo e se
potevo consegnarvelo. » Si fermò aspettando che Ron si avvicinasse al bancone;
gli lanciò un’occhiata litigiosa, poi tornò ad Harry: « Era gente con dei soldi
comunque, a giudicare dall’auto… » S’interruppe a metà frase e gli volse le
spalle per chinarsi a raccogliere la busta in terra. Così facendo, la gonna
corta s’alzò un poco e le scoprì le cosce.
Harry si tirò indietro,
imbarazzato.
Lei gli porse tempestivamente il
pacchetto, rossa in viso.
« Mi dispiace, » si scusò
ancora, « mi sono dimenticata di darvelo… Comunque, » aggiunse come attenuante,
« è arrivato ieri pomeriggio, non sono poi così in ritardo… »
* * *
L’ufficio in cui lavoravano Ron e Harry era composto da
due stanze e un bagno. La sala più grande, su cui s’apriva la porta d’ingresso,
era arredata in modo molto semplice: con due ampie scrivanie, disposte
perpendicolarmente a formare una “L”, sulle quali regnava il disordine; lungo
le pareti, rivestite con carta da parati color crema, precedenti inquilini
avevano appeso alcune riproduzioni di quadri famosi che nessuno aveva più
tolto. Sul lato sinistro, una porta a vetri conduceva nella stanza a fianco,
vero e proprio laboratorio.
Nel complesso l’ufficio
risultava piccolo e non particolarmente accogliente, tuttavia gli affari
andavano bene. I clienti non mancavano, anche se i casi erano poco
entusiasmanti: si trattava per lo più di pedinare amanti infedeli o parenti
inaffidabili, recuperare oggetti smarriti o smascherare truffatori.
Finalmente un lavoro
interessante, si disse Harry, lasciandosi cadere sulla sedia girevole
della scrivania centrale, mentre apriva la busta ricevuta da Ginny.
All’interno vi trovò un biglietto scritto frettolosamente,
un DVD ed un paio di fogli stampati e rilegati con una graffetta.
Lesse il biglietto ad alta
voce:
« Come da voi richiesto, ecco una copia del video
registrato dalle telecamere di sorveglianza nella mia pinacoteca. Spero
possiate rapidamente scoprire ciò che io non sono nemmeno in grado di
comprendere…
Cordiali saluti,
Al loro primo incontro, McKenzie
aveva vantato un sofisticato sistema di sorveglianza a protezione della propria
collezione d’arte, il quale, però, al momento del furto era stato disattivato
per consentire ad alcuni ospiti la visita a quelle stanze; solo le telecamere
erano rimaste in azione.
Di conseguenza, Harry aveva
richiesto una copia del filmato della giornata e, ovviamente, una dettagliata
lista degli ospiti.
Curioso, aprì subito la custodia
del supporto ottico.
In attesa che il computer
completasse la procedura di accensione, con il disco infilato nell’indice
alzato a mezz’aria, si soffermò ad esaminare Ron.
Il detective camminava
impaziente avanti e indietro per il piccolo ufficio; sentendosi osservato si
fermò e guardò l’amico.
« È in ritardo, » si lamentò. Si
riferiva ad Hermione.
Avevano stabilito di incontrarsi
alle nove in punto, ed era passata già mezz’ora.
« Arriverà, » disse Harry
infilando il DVD nel lettore.
Nell’istante esatto in cui
pronunciò quelle parole, qualcuno bussò alla porta.
Ron aprì in un batter d’occhio.
«Scusate il ritardo!» Hermione irruppe nella stanza,
accalorata e col fiato corto, si tolse il cappotto e lo appese con cura
all’attaccapanni. Sbuffò: « Questa mattina sembravano tutti impazziti in
metropolitana! »
« Ci hai fatto preoccupare! »
pigolò Ron.
Lei sospirò e raggiunse Harry
alla scrivania, sfilò dalle tasche dei jeans la microscopica telecamera
utilizzata il giorno prima e la pose sul tavolo, infine si sedette sulla sedia
di fronte a lui.
« Non so se lo farò ancora, »
disse lievemente seccata.
Ron, in piedi all’entrata, fece
un impercettibile cenno d’approvazione con la testa, poi chiuse la porta.
Harry sgranò gli occhi: «
Perché? »
« Perché sono una giornalista,
Harry, ho una reputazione da mantenere. Se dovessero scoprire che filmo senza
permesso le case di ricchi signori inglesi, perderei il lavoro. »
Harry capì ed andò dritto al
punto: « Credi che Malfoy abbia intuito qualcosa? »
Hermione non rispose.
Per la prima volta dalla sera
precedente, Harry parve seriamente turbato. Ron provò quasi sollievo nel vedere
la preoccupazione farsi largo sul viso dell’amico.
« Hermione, » domandò serio, « è
accaduto qualcosa? »
Lei scosse la testa. « No… Ma … non
credo sia una buona idea
tornare a Villa Malfoy. »
« Lo sapevo! » esclamò Ron, «
Malfoy ti ha minacciato! Hermione, qualsiasi cosa ti abbia detto o fatto devi
dircelo! »
« Calmati, » disse lei paziente,
« non è successo nulla, Draco Malfoy non s’è fatto nemmeno vedere. »
Ron sbuffò offeso: « mi prendi
in giro? Ho visto perfettamente la sua faccia mentre parlava con te. Cosa
voleva? »
« Niente… Solo… »
« Solo… » incalzò lui.
« Solo… Mi ha invitato a cena!
Ecco. » Arrossì.
Harry spalancò gli occhi.
A Ron mancarono le parole.
Lei, dato il silenzio
imbarazzante, ritenne opportuno chiarire i dettagli.
« Mi ha invitato alla cena
organizzata per gli altri ospiti. Sono rimasta, ma lui non si è fatto vedere,
non so perché. Forse sospettava di me, …magari l’invito era per mettermi alla
prova… »
Così dicendo, ripensò alle
parole del messaggio ricevuto a fine serata. D’istinto portò la mano destra a
proteggere la borsetta dove teneva ancora il piccolo quaderno ricevuto dal
maggiordomo: qualcosa le suggeriva di tenere quel particolare per sé.
« Hermione, devi dirci tutto
quello che è accaduto ieri, » asserì Ron in tono severo.
« Quello che hai notato di
strano, » aggiunse Harry.
« …e quello che ha fatto Malfoy.
» terminò Ron.
Harry approvò con un cenno della
testa. « Poi… » esitò soppesando le parole, « vorremmo vedere quello che hai
scritto… »
« …Scritto dove? »
domandò Hermione sospettosa.
Ron tossì, poi azzardò con un
filo di voce: « sul tuo taccuino… »
Lei si voltò e lo squadrò con
un’espressione talmente truce da farlo sentire un tutt’uno con la parete.
« Che c’entra il mio taccuino, adesso? » berciò.
E Ron lanciò un’occhiata eloquente ad Harry, come a dire: visto
che avevo ragione?
* * *
Erano le tre del pomeriggio
quando Hermione si fermò davanti all’imponente cancello in ferro battuto chiuso
sull’ingresso di Villa Malfoy.
La nebbia che avvolgeva la città
di Londra sembrava addensarsi in particolare nel quartiere di Hampstead ed
infittirsi intorno alla Villa, conferendole un aspetto spettrale.
Faceva freddo e la ragazza si strinse nel cappotto,
chiudendo con la mano destra il colletto intorno alla gola. Indossava un paio
di jeans con comode scarpe da ginnastica e aveva i capelli ricci increspati
dall’umidità: nel complesso, la sua figura esile e immobile di fronte
all’enorme cancello, sembrava quella di una ragazzina curiosa, intenta a spiare
la maestosa Villa e tentata dall’idea di intrufolarsi all’interno del giardino.
In effetti, erano stati la curiosità e il bisogno di
chiarire una questione in sospeso a guidarla lì, solo che lei non era disposta
ad ammetterlo: dava la colpa alla stanchezza.
Aveva passato tutta la domenica
sera a scrivere l’articolo per il The Art Newspaper.
Quella mattina era uscita di
casa presto per consegnarlo al direttore, affinché avesse il tempo di farne una
revisione prima di mandarlo in stampa.
Poi era uscita per incontrarsi
con Ron e Harry, come avevano concordato, ed era arrivata in ritardo
all’appuntamento a causa del traffico.
Verso le undici aveva preso di
nuovo la metro, a Leicester Square, per tornare in ufficio.
Aveva fame e un lieve mal di
testa, così fu semplice dare la colpa alla stanchezza quando s’accorse d’essere
salita sul treno che andava in direzione opposta, verso nord.
Nonostante si fosse resa conto immediatamente dell’errore,
era rimasta sul vagone fino alla fermata di Hampstead: all’improvviso carica di
coraggio, aveva deciso di chiedere spiegazioni in merito al messaggio ricevuto
la sera prima.
Ora, fra le fredde strade del
quartiere, davanti a quell’edificio che si perdeva nella foschia come
l’immagine di un sogno, tutta la sua audacia era svanita.
Si sentì sciocca quanto un
topolino che entra a curiosare nella tana di una vipera.
Così girò le spalle alla Villa, ma proprio in
quell’istante la serratura del cancello d’ingresso scattò.
* * *
A mezzogiorno, dopo che Hermione
aveva lasciato lo studio, Ron era uscito per incontrare alcuni degli ospiti
presenti sulla lista di McKenzie, mentre Harry era sceso a comprarsi il pranzo.
Gli spaghetti del Wagamama
Noodle, però, erano diventati freddi senza essere toccati e da un’ora
giacevano, dimenticati, sulla scrivania.
Harry Potter teneva la testa fra
le mani e sembrava che avesse gli occhi incollati allo schermo del computer,
arrovellandosi, senza risultato, sul quesito che gli avrebbe fatto passare la
notte in bianco:
Lui, davvero, non si capacitava: continuava a fissare il
monitor sperando di carpire un indizio, qualche segnale che potesse essere
d’aiuto; le mani immerse nei capelli, gli occhi stanchi, e la mente tormentata da
un mistero che aveva dell’incredibile.
Aveva guardato e riguardato all’infinito la stessa scena
del DVD, credendo a stento a quello che la telecamera a circuito chiuso
documentava senza possibilità d’equivoco.
Premette il tasto sinistro del mouse e riportò il filmato,
per l’ennesima volta, indietro di un paio di minuti.
Nell’angolo della schermata in
basso a destra lampeggiò l’orario: 22:43.
L’inquadratura comprendeva un
lungo corridoio lievemente illuminato.
Su entrambe le pareti erano
appesi dei ritratti ben visibili: quattro sul lato sinistro, tre su quello
destro.
Nemmeno un’ombra attraversò il
magnifico pavimento in marmo rosa per due interminabili minuti.
Poi, alle ore 22:45, il ritratto centrale appeso alla
parete di destra, raffigurante un uomo corpulento e dalle gote arrossate, in
meno di un istante, svanì nel nulla.
Continua…
* * *
N.d.A
(*)
“Effetto farfalla” è una locuzione usata per riassumere la frase che il fisico
Edward Lorentz disse parlando della teoria del caos: “Il battito delle ali
di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas”. Ho scelto la
citazione del film, piuttosto che le parole del fisico, solo perché mi piaceva
di più, tanto la sostanza è la stessa.
xPaytonSawyer: sono contenta che la mia storia continui
ad incuriosirti! Pian piano troverai le risposte che cerchi, ma non in questo
capitolo… ci sono prima altre domande da porre!! ^^
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 - Come as an old enemy ***
Capitolo 4 – Come as an old enemy
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Come
As you are, as you were
As I want you to be
As a friend, as a friend
As an old enemy
Nirvana, Come as you are
* * *
Capitolo 4 – Come as an old
enemy
Sentendo scattare la serratura
del cancello di Villa Malfoy, Hermione si paralizzò. Rimase immobile per
diversi secondi finché decise di voltarsi.
Alle sue spalle non c’era nessuno, ma il cancello
socchiuso sembrava un chiaro invito ad entrare.
Alzò gli occhi verso la possente
facciata della Villa, che ora aveva un aspetto mille volte più inquietante di
prima. La frivolezza e la vivacità dei numerosi ospiti che ne affollavano le
sale sembravano frammenti di un ricordo lontano.
Osservò la serratura del
cancello, in particolare il rilievo inciso sul ferro battuto: raffigurava una
serpe avviluppata su se stessa a formare la lettera “S”.
Quasi inconsciamente fece
qualche passo in avanti e allungò la mano per sfiorare con le dita il rilievo.
Quel contatto ebbe lo stesso
effetto del risveglio improvviso dopo un incubo, accompagnato dalla paura che
possa diventare realtà. Il freddo le attanagliò le tempie e le sembrò di
sentire un ululato sommesso, un grido di rabbia soffocato, attraverso la
foschia.
D’impulso spinse il cancello per
aprirlo definitivamente, consapevole che quel gesto avrebbe potuto decretare la
fine della propria carriera.
Lentamente, con la gola
strozzata, iniziò a percorrere il ciottolato che conduceva all’ingresso. Il
freddo le saliva lungo le gambe e fra le maniche della giacca mozzandole il
respiro, mentre la nebbia s’alzava intorno a lei, inghiottendola passo dopo
passo.
* * *
La lista degli ospiti che
l’avvocato McKenzie aveva fornito si rivelò decisamente impegnativa per Ron,
che non era abituato a frequentare l’alta società.
Il terzo ospite in elenco viveva
in una graziosa villetta a due piani in Gloucester Road che, si diceva, fosse
appartenuta ad un famoso scrittore di fine ottocento.(*)
Il giardino privato era curato
ad arte e i davanzali delle finestre del piano terra traboccavano di fiori, con
un gusto tutto femminile.
Ron trasse un profondo respiro
per farsi coraggio e suonò il campanello. Pochi istanti dopo la governate aprì
il cancello e lo invitò ad entrare.
Nonostante avesse telefonato per avvisare del suo arrivo,
Ron varcò la soglia con evidente imbarazzo.
Non era da tutti i giorni avere
l’occasione di incontrare una famosa artista, e lui lo stava facendo nel più
squallido dei modi: come poliziotto.
La donna in questione si
chiamava Pansy Parkinson ed era una nota attrice di teatro.
Non di quelle che tutti i
registi vorrebbero avere nel cast, ma di quelle che, per qualche innato
talento, riescono ad avere sempre la parte principale.
Quando Pansy scese al piano
terra, era avvolta in una vestaglia di seta bianca, con larghe maniche ed un
voluminoso collo in pelliccia.
Subito lo invitò a seguirla in
un arioso salotto arredato con mobili d’epoca.
Lei prese posto sul divano e lui
sulla seggiola di fronte.
Fra loro, sopra ad un tavolino
di cristallo, era stato servito del tè.
Osservando la giovane donna, Ron pensò che, pur non
essendo particolarmente bella, metteva una certa soggezione. Gli occhi neri e
vivaci erano segno di grande sicurezza nelle proprie capacità, i lineamenti
duri del viso suggerivano quanto di quella sicurezza potesse trasformarsi in
presunzione.
Il tipo di persona che ottiene
sempre quello che vuole…
« Sono felice di aiutarla nelle
indagini, Signor... »
Ron si schiarì la voce: «
Weasley, Ronald Weasley, dell’agenzia investigativa… »
« Gradisce del tè? » interruppe
lei.
Ron scosse la testa.
Poi seguirono alcuni convenevoli
al termine dei quali si ritrovò con piattino e corrispondente tazzina di tè fra
le mani.
Fortunatamente, Ron aveva
illustrato il motivo della propria visita quando aveva preso appuntamento per
telefono, così poté porre subito la classica domanda: « Dove si trovava nella
serata di giovedì scorso, signorina Parkinson? »
Lei si guardò le unghie con fare
sostenuto.
« Questo lo sa già. Ero a cena
da Antony. »
« Quando ha lasciato la casa?
Insieme
agli altri ospiti oppure… »
Lei lo squadrò indignata. « Sta
forse insinuando che… »
Ron desiderò sprofondare
sottoterra. « No. NO! Assolutamente, ma è importante… l’orario… perché per noi…
ecco, il furto è stato commesso durante la notte e… »
Lei scoppiò in una risata al
limite dell’insolenza.
« Lei è molto divertente, sa? In
effetti, mi sono trattenuta con Antony un po’ di più, per chiarire alcuni
particolari del mio prossimo contratto di lavoro. Non era nemmeno mezzanotte
quando mi ha riaccompagnato a casa. »
« McKenzie è uscito di casa
insieme a lei? » domandò Ron sorpreso.
Pansy Parkinson rise per
l’assurdità della domanda: « Oh, no! Signor
Wesley! »
« Weasley, » corresse Ron.
« Ovviamente mi riferivo al mio
autista. »
* * *
L’atrio di Villa Malfoy era
completamente vuoto. E freddo. La temperatura sembrava addirittura inferiore a
quella esterna.
Hermione ebbe un brivido.
Era nervosa, anche se, prima di
entrare, aveva individuato almeno una decina di valide scuse per motivare
quella visita improvvisa.
Avanzò qualche passo e si fermò
in mezzo alla stanza. L’immensità della Villa era ancora più evidente ora che
le sale erano vuote.
Esaminò l’arredamento e i
dipinti appesi alle pareti, che già aveva studiato a fondo il giorno prima.
L’ambiente era illuminato sia dalle ampie finestre, sia
dalle lampade a parete, accese anche in pieno giorno; come se tutta quella luce
potesse mitigare il senso di solitudine che aleggiava nell’aria.
Sembrava che la villa fosse
disabitata, tanto era profondo il silenzio.
Hermione analizzò ogni dettaglio
della sala per un paio di volte, finché non riuscì più ad ignorare il crescente
disagio.
Nessuno era ancora arrivato ad
accoglierla e lei si pentì d’aver oltrepassato il cancello.
Poi un’eco di passi le fece
alzare lo sguardo verso la sala da pranzo, dalla quale sopraggiungeva lo stesso
maggiordomo che il giorno prima l’aveva trattenuta.
Camminava a passo sostenuto e
quando la raggiunse fece un mezzo inchino.
« Buongiorno Miss Granger, »
disse, e con l’accoglienza che si riserva ad un’amica di famiglia, l’invitò a
togliersi il cappotto.
Hermione avrebbe voluto parlare
con lui della sera precedente, ma l’uomo si dileguò con la sua giacca troppo
rapidamente.
E lei, di nuovo, rimase sola.
Sentendosi ancora più inquieta e
imbarazzata, iniziò a compiere una serie di gesti privi di scopo.
Si ravvivò i capelli. Lisciò il
maglione. Dalla borsetta prese il cellulare e scrisse un messaggio alla collega
che si occupava di correggere le bozze del suo articolo.
Senza attendere la risposta,
ripose il telefono nella borsa.
Pochi istanti dopo il cellulare
squillò e contemporaneamente, da dietro la grande scalinata sulla destra,
comparve Draco Malfoy.
Hermione trasalì.
Il ragazzo che la stava
raggiungendo appariva affascinante, nonostante l’alterigia del suo portamento.
Era vestito elegantemente in abito scuro, con pantaloni in tessuto e una giacca
aperta sopra ad una maglia a collo alto. I capelli biondi risaltavano illuminati
dalla luce diffusa.
Si fermò ad alcuni passi da lei,
ad una distanza che sembrava calcolata.
« Benvenuta nella mia dimora, Granger, » disse tirando le
labbra in un sorriso con un ché di sarcastico.
« Può chiamarmi Hermione, »
suggerì lei.
Lui la ignorò. Senza parlare, le
fece cenno di seguirlo presso lo studio.
Precedendola, raggiunse le due
grandi vetrate e scostò le tende.
La luce grigia di quel
pomeriggio uggioso illuminò la stanza, arredata in stile antico, con mobili di
mogano scuro e tende in velluto nero con passamaneria dorata. Si sentiva forte
l’odore di nuovo, come se il locale fosse utilizzato solo di rado.
Il contrasto con la sala centrale era evidente, come
quello tra i capelli biondi di lui e l’abito che indossava.
Hermione fece un paio di passi
oltre la soglia, poi si fermò ad osservare il ragazzo.
La pelle pallida e la durezza
dei suoi lineamenti erano affascinanti quanto surreali. Egli si muoveva nella
stanza con sicurezza e distacco, come se volesse sottolineare la sua superiorità
nei confronti di ciò che lo circondava. Il grigiore del suo sguardo ricordava
lo stesso fascino e la stessa desolazione che si provano osservando un freddo
paesaggio lunare.
Arrossì, imbarazzata, appena lui la guardò con
l’espressione di chi coglie una ladra in flagrante.
Poi l’ospite si diresse alla
scrivania dello studio e la invitò a prendere posto dall’altra parte del
tavolo, secondo le regole di un incontro d’affari.
Hermione si accomodò composta sulla sedia, mentre lui si
fece scivolare sulla poltrona tenendo gli avambracci sui braccioli e la testa
reclinata all’indietro contro lo schienale, con fare sornione, dando
l’impressione di potersi addormentare da un momento all’altro.
« A cosa devo questa visita? »
Domandò.
Lei rimase a bocca semiaperta
per un po’.
Le scuse che aveva costruito solo pochi minuti prima,
erano crollate tutte insieme, in un secondo, appena aveva capito che lui voleva
sentirsi dire una cosa soltanto.
La verità.
Allora aprì rapidamente la
borsetta e prese a rovistarvi all’interno.
Per un tempo che le sembrò
infinito, le sue mani perquisirono il contenuto in modo scoordinato, mentre la
sua mente vagava altrove.
Finalmente trovò il taccuino e
lo porse al ragazzo.
« Sono venuta a restituirlo.
L’altra sera, il Vostro maggiordomo mi ha consegnato questo quaderno, ma temo
ci sia stato un errore, Signor Malfoy, io non… »
« Nessun errore, Granger, »
disse lui.
« Hermione, » propose lei, per
la seconda volta.
Le labbra di lui si tesero in un
sorriso che aveva quasi del maligno: « non c’è stato nessun errore. Quel
quaderno è per te. »
« Per me? Ma io non… »
« Hai risposto alla domanda? »
chiese lui.
« Io? No… Signor Malfoy, mi
dispiace, ieri sera non intendevo assolutamente mettere in cattiva luce il
vostro nome, io… »
A quel punto Draco la interruppe
seccato, alzandosi bruscamente dalla poltrona; con la mano destra indicò
l’uscita.
« Hermione Granger, »
disse scandendo il nome in un misto di sfida e cautela, « torna da me solo
quando avrai risposto alla domanda. »
* * *
Pansy Parkinson non era stata in
grado di ricordare esattamente l’orario in cui aveva lasciato McKenzie, così
Ron aveva pensato che il suo autista potesse dargli qualche indicazione in più.
Congedatosi dall’attrice, scese
i cinque gradini appena fuori dalla porta e voltò a destra, girando intorno
alla villetta.
Nel retro del cortile era situato un garage, davanti al
quale era parcheggiato un Mercedes nero. Un uomo alto e dall’aspetto giovanile
lo stava lucidando in ogni angolo.
Senza dubbio, l’autista.
Ron lo avvicinò: « Buongiorno,
lei è… » consultò gli appunti disordinati che aveva preso poco prima, « …Joseph
Serrano, vero? Sono il detective Ronald Weasley dell’agenzia investigativa
privata Potter&Weasley. »
L’autista lo guardò sorpreso,
poi rispose al saluto.
« Posso farle qualche domanda? »
chiese Ron.
Il volto dell’uomo si adombrò. «
Sicuramente, » rispose incerto. Aveva un accento marcatamente straniero.
« È stato lei, nella sera di giovedì scorso, ad accompagnare
la signorina Parkinson al numero 15 di Carlyle Square? »
Joseph guardò in alto, con
espressione pensosa, poi fece un cenno con la testa: « Sì. »
« Ed è tornato lei a prenderla
per riaccompagnarla a casa? »
Di nuovo lo sguardo verso
l’alto, di nuovo un cenno con la testa: « Sì. »
Ron inspirò pazientemente: aveva
la netta sensazione che l’uomo capisse ben poco di quello che gli stava
chiedendo.
« A che ora è tornato a
prenderla? »
L’uomo alzò gli occhi al cielo
per l’ennesima volta. Ron stava per troncare l’inutile conversazione, quando
l’autista rispose: « le undici e venti di sera, ma non l’ho accompagnata a
casa. »
« Ah no? »
L’autista scosse il capo: « No.
Ho portato la signorina ad Hampstead. Al numero tre di Heath street.»
Ron spalancò gli occhi: « ma
quella è la residenza di… »
« Dei Malfoy. » concluse
l’autista.
Ron, colto da frenesia, aggiunse
rapidamente una annotazione ai propri appunti.
Il nome del ricco erede venne
cerchiato per due volte.
« A che ora è tornato a
prenderla? »
« Non sono tornato. »
Il detective rimase a bocca
aperta, letteralmente allibito. « Sa, per caso, a che ora è rientrata? »
« No, » rispose divertito
l’autista. Poi gli volse le spalle e riprese la pulizia dell’auto: « Questo
dovrebbe far parte del suo lavoro, Signor Weasley... »
Ron guardò l’uomo con crescente
irritazione: non sapeva neanche l’inglese e si permetteva di fare battute!
« Rimanga a disposizione, Signor
Serrano, » concluse secco.
Poi, fulmineo, imboccò la via
d’uscita dalla villetta…
Doveva
assolutamente parlare con Harry!
* * *
Ron irruppe letteralmente in ufficio, tutto arrossato in
volto, ansimante per la corsa e per l’agitazione.
« Harry, tu non hai idea di cosa
ho appena scoperto! » Esclamò.
Harry lo ascoltò con scarso
interesse, poi scosse la testa: « No. Tu non hai idea di cosa sia
successo.»
Dando poca considerazione alle
parole dell’amico, Ron si sedette alla scrivania di fronte a lui: « Ho
intervistato alcuni degli ospiti nella lista di McKenzie. C’era anche Pansy
Parkinson, hai presente? L’attrice… »
In tutta risposta, Harry prese
lo schermo del computer e lo girò verso il compagno. « Guarda, » ordinò facendo
partire il filmato.
« È il filmato di McKenzie? »
domandò Ron.
Harry fece un cenno d’
assenso.
« Ok, Harry, dopo lo guardo, ma
adesso ascoltami, » disse Ron. Lanciando distrattamente qualche occhiata allo
schermo, si sbottonò la giacca. « Vuoi sapere cosa ha fatto Pansy Parkinson
giovedì sera? »
Harry, le braccia incrociate sul
petto, non lo stava ascoltando. Scrutava solo l’amico in attesa della sua
reazione al video.
« Si è fermata da McKenzie fino
alle undici e venti, e poi… »
Ron si sfilò le maniche della
giacca.
« …Non è tornata a casa…
»
E diede un altro sguardo allo
schermo.
Harry assentì con la testa,
contando mentalmente i secondi.
« Si è fatta accompagnare…
»
Ron finì di togliersi la giacca,
si alzò solo per gettarla sulla poltrona. Poi tornò a sedersi.
« Si è fatta accompagnare a casa
di M - »
Ammutolì.
Aveva intravisto sullo schermo
quello che Harry oramai sapeva a memoria.
« Ma… » balbettò, « il quadro… è
scomparso! »
Harry annuì con un movimento lento della nuca e fece un
sorriso nervoso.
« Cavoli, » commentò Ron, « il filmato è stato ritoccato!
»
* * *
Continua...
N.d.A
(*) Lo scrittore a cui faccio riferimento
è James
Matthew Barrie, autore di Peter Pan. La sua villa di Londra è stata
venduta all’asta qualche anno fa.
x giuliechelon90:
grazie! Sono contenta che la storia ti piaccia e spero che continuerai a
trovarla interessante!
x Malika: se
quando dici che non ci capisci un accidente ti riferisci alla trama, in effetti
è voluto. Diciamo che è un po’ contorta ed io ho cercato di inserire pochi
indizi per volta. Le cose si chiariranno man mano, ma serviranno ancora alcuni
capitoli.
x _Jaya: allora,
provo a chiarire i tuoi dubbi senza svelare troppo:
-
hai detto di eliminare gli ultimi capitoli del 7^
libro, ma quando racconti sembrano passati vari anni da quel momento.
Sì. Per scrivere la fic non
ho tenuto conto dell’Epilogo e nemmeno di tutto ciò che la Rowling ha
raccontato dopo la frase che ho citato; come se da quel momento in poi si
aprisse una seconda strada. Inoltre, è esatto: non è stato ancora detto
esplicitamente, ma sono passati circa un paio d’anni (questo posso svelarlo
^^).
-
Harry e company non sono maghi? O.o Perché non c'è
traccia di magia, se non in quel filmato del furto in cui il quadro sparisce
"per magia"?
Sì, sono maghi perché
quello che è accaduto prima della frase che ho citato rimane un punto fermo,
quindi nessuno dei personaggi è diverso dalla sua vera natura. Solo che, come
ho detto nell’introduzione, sono accadute “delle cose” che sono state
dimenticate e che, come si vede, hanno cambiato profondamente la vita dei vari
protagonisti. Ovviamente, prima di scoprire cos’è accaduto servono ancora un
po’ di capitoli!
Spero che sia almeno un po’ più chiaro!!^^.
x PaytonSawyer: scusami, ma posso risponderti
solo in modo vago o sintetico, perché ti poni proprio le domande che io volevo
suscitare nei lettori in attesa dei prossimi capitoli… ^_^
-
Ron ed Hermione sanno di essere dei maghi? No
(…ehm, so che è poco, ma ora posso dire solo questo… ).
-
Ginerva Weasley che apre un bar sotto di loro e si
spaccia per la cugina di Ron senza che loro si ricordino di lei... oddio, che
cavolo vuol dire?? Mi dispiace – bocca cucita.
-
Durante la guerra è successo qualcosa ed hanno
perso i ricordi o sono stati cancellati? Beh, non posso dire nemmeno
questo… porta pazienza! XD
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 - Aprimi ***
Capitolo 5 - "Aprimi"
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
L’aprì e dentro c’era una minuscola torta su cui un
bellissimo
ghirigoro di uva sultanina formava la parola “mangiami”…
Lewis Carrol, Alice nel paese delle
meraviglie
* * *
Martedì
mattina Harry entrò al Butterfly da solo e Ginny capì subito che
qualcosa non andava.
«
Dov’è hai lasciato Ron? » chiese con un pizzico di ironia che Harry, impegnato
in altre riflessioni, non colse. Si limitò a sedersi sullo sgabello presso il
banco e a rispondere al saluto con aria assente.
Ginny
osservò l’espressione concentrata del ragazzo e le sue profonde occhiaie. Era
evidente che qualcosa lo preoccupava.
«
Harry, ti senti bene? Sembra che tu non abbia dormito. »
«
Non molto. Mi faresti un espresso? »
«
Certo. »
La
barista iniziò ad armeggiare con la macchinetta; nel frattempo Harry si guardò
attorno, scorgendo un solo cliente nel locale. Un uomo anziano, solo, sedeva
presso un tavolino accanto alla vetrata e sorseggiava un bicchiere che aveva
tutta l’aria di contenere Gin.
Harry
scosse la testa con disapprovazione.
«
Non dovresti dargli da bere quella roba, » mormorò.
Ginny
non gli diede retta. Poco dopo gli porse il caffè: « Hai una faccia che fa
paura. »
Lui
tirò le labbra in un sorriso scoraggiato e girò la tazzina fra le mani: « Io e
Ron stiamo lavorando ad un caso… » avrebbe voluto descriverne l’assurdità, ma
si limitò guardare la barista da sopra le lenti, pensieroso.
Notò
che non portava più la molletta che Ron aveva deriso.
Lei
sollevò un sopracciglio, poi si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio
sinistro. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di lui, guardandolo
intensamente.
Harry
si perse per un attimo nel suo sguardo.
Aveva
dei bellissimi occhi che in certi momenti - come quello, ad esempio -
sembravano capaci di sondare nel profondo del suo animo.
«
Secondo me lavori troppo. »
Harry
aggrottò la fronte; fece per ribattere, ma Ginny non lo lasciò parlare:
sembrava investita di un’improrogabile missione.
«
Devi rilassarti, svagarti un poco. Entro le cinque di stasera ti voglio fuori
dall’ufficio. »
A
Harry quasi scappò da ridere.
Entro
le cinque… Con tutto quello che doveva fare!
Rimanevano
ancora alcuni ospiti da interrogare, bisognava risentire Pansy Parkinson per confermare
la versione del suo autista e poi… qualcuno avrebbe dovuto parlare anche con
Malfoy.
Ginny,
ovviamente, non conosceva i suoi impegni, ma se anche li avesse saputi avrebbe
continuato a combattere la propria crociata. « Alle cinque, » ripeté risoluta,
« salgo a prenderti io. Ti tiro fuori da quel buco e andiamo a bere qualcosa. »
Strinse le labbra e il suo sguardo s’incupì.
Harry,
che non l’aveva mai vista così seria, pensò che avrebbe potuto addirittura
piantare una scenata, quindi non s’attentò a ribattere.
Ginny,
però, non era il tipo da fare sfuriate.
Ginny
voleva solo mascherare il proprio imbarazzo di fronte a quella che era una
palese richiesta d’appuntamento.
Cosa
che, sul momento, Harry non aveva assolutamente capito.
Ma
le cinque del pomeriggio sarebbero arrivate anche per lui…
*
* *
Hermione
Granger viveva in un monolocale al terzo piano di una moderna palazzina nel
quartiere di Vauxhall, a pochi isolati di distanza dalla sede del The Art
Newspaper.
L’appartamento
era costituito da tre piccole stanze. Entrando ci si trovava immediatamente nel
salotto, arredato con un comodo divano e un’affollata libreria; a destra era
allestito un semplice angolo-cucina, in legno laminato bianco, con un tavolino
quadrato accostato alla parete; a sinistra c’erano la camera e un piccolo
bagno.
Hermione
indossò una felpa aperta sopra al pigiama e attraversò scalza la soglia della
stanza da letto, rabbrividendo leggermente al passaggio dalla moquette alle
fredde mattonelle.
Erano
le sei del mattino e si era svegliata di buon’ora per iniziare il proprio
lavoro.
Accelerò
il passo per raggiungere il fornello su cui bolliva l’acqua nella teiera.
Si
versò una tazza di tè e la tenne fra le mani, apprezzandone con piacere il
tepore. Bevendo qualche sorso, si avvicinò con passo stanco al tavolino, per
iniziare a lavorare.
Dopo
il servizio sulla collezione di Villa Malfoy, doveva occuparsi della mostra
temporanea di Arte Africana inaugurata al British Museum. Conosceva poco
l’argomento e così si era procurata riviste, giornali e libri per documentarsi
prima di iniziare a scrivere.
Tutto
il materiale si trovava sparso disordinatamente sul tavolo ed Hermione biasimò
se stessa per averlo lasciato in quello stato, la sera prima.
Posò
la tazza di tè e iniziò a riordinare.
Si
era completamente dimenticata che, sommerso dai volumi, aveva lasciato (non del
tutto involontariamente) il taccuino ricevuto a casa di Draco Malfoy.
Si
ricordò della questione soltanto quando se lo ritrovò davanti.
Lo
fissò per alcuni secondi con la ridicola sensazione che stesse sussurrando la
parola “Aprimi”…
Si
passò le mani sugli occhi assonnati.
Chi
sei?
Non
voleva aprire il taccuino per evitare che la fastidiosa domanda la distraesse
dal lavoro. La sera precedente, infatti, aveva commesso quell’errore e aveva
concluso con il rimuginare così tanto sulla questione da addormentarsi sul
tavolo.
Scostò
il quaderno, nervosamente.
Prese
un blocco di fogli bianchi, rovistò sul tavolo in cerca della penna e poi
scelse una rivista a caso. Si sedette ed iniziò a sfogliarla.
Chi
sei?
Non
le servirono neanche due pagine per rendersi conto che la concentrazione era
già perduta.
L’occhio
saltava ogni cinque secondi sulla copertina in cuoio del taccuino.
Chi
sei?
Strinse
forte la penna nella mano.
Non
era possibile che una sciocchezza simile riuscisse a distrarla tanto!
C’era
un sacco di lavoro da portare avanti e non aveva certo bisogno di perdersi in
giochetti infantili o inutili fantasticherie!
Sospirò
e scosse la testa con sommo disappunto.
Sconfitta,
afferrò il libricino e lo aprì.
Sfiorando
le pagine con la stessa cautela della prima volta, fu pervasa da una strana
sensazione: erano intonse eppure sembravano usate. Erano ruvide come se
qualcuno vi avesse scritto e poi cancellato per diverse volte.
Chi
sei?
Sollevò
il quaderno ed esaminò le pagine controluce, ma non c’erano, come si era
aspettata, zone in cui la pressione di una penna avesse lasciato traccia di
qualche parola.
Non
si leggeva nulla oltre alla domanda…
Chi sei?
Hermione
sentì crescere il nervosismo.
Doveva
documentarsi e aveva tempo fino alle nove, per poi recarsi al British Museum…
E
la domanda pulsava nella testa, sembrava un’ossessione.
Chi
sono?
Stava
perdendo un sacco di tempo! Sbottò stizzita, poi prese il taccuino, lo aprì a
caso e, calcando sulle pagine delicate, scrisse:
Hermione
Granger.
Giornalista
freelance per il “The Art Newspaper”.
Infine
lo richiuse e lo gettò in fondo al tavolo.
Non
aveva tempo per giocare.
Qualsiasi
altra cosa avesse voluto sapere da lei, Draco Malfoy avrebbe dovuto
chiedergliela chiaramente di persona.
Faccia
a faccia.
*
* *
Ron
si era rivolto al miglior studio grafico di sua conoscenza per far esaminare il
video registrato dalla telecamera di McKenzie.
Dopo
alcune ore di impaziente attesa, il ragazzo che aveva effettuato la perizia gli
aveva comunicato che il filmato era interamente originale, quindi non aveva
subito alcuna modifica.
Ron
scrutò pensieroso il tecnico che gli restituiva il DVD.
«
Sei sicuro? » domandò, « come spiegheresti quel “salto”…? » Si riferiva al
momento in cui il quadro scompariva dallo schermo.
Il
giovane scrollò le spalle. « Non saprei… L’unica possibilità è che sia stato
messo qualcosa davanti alla telecamera… Io ti garantisco che il video è
un’unica sequenza, mai interrotta. Non sono state apportate variazioni a
posteriori, né aggiunte, né modifiche, né tagli. »
Ron
ringraziò e prese il disco insieme al resoconto della perizia, poi si allontanò
dallo studio grafico, un po’ deluso, un po’ rassegnato.
Rimaneva
solo la possibilità che il ladro avesse frapposto qualcosa fra sé e la
telecamera…
Ron
non riusciva neanche ad immaginare come fosse possibile, quindi ne dedusse che
l’azione richiedeva l’abilità e l’esperienza di un professionista.
Quando
rientrò in ufficio espose la propria riflessione a Harry, il quale non poté
fare altro che assecondare l’ipotesi.
«
Mentre eri fuori ho esaminato il video registrato da Hermione: non c’è nulla di
sospetto, » disse, « ma dobbiamo comunque parlare con Malfoy, chiarire i suoi
rapporti con la Parkinson e vedere se ci lascia esaminare la sua collezione, »
aggiunse con una certa soddisfazione.
Il
fatto che stessero cercando un professionista, non escludeva comunque nessuno
dalla lista dei sospetti.
Soprattutto,
non escludeva Draco Malfoy.
*
* *
«
Buongiorno, Signor Malfoy. Ispettori Harry Potter e Ronald Weasley,
dell’agenzia investigativa Potter&Weasley. Vorremmo farle alcune domande. »
Draco
Malfoy - nobile di sangue purissimo - non si curò di nascondere l’espressione
di disgusto che deformava il suo viso mentre sondava le figure dei poliziotti
dall’alto in basso.
Si
erano presentati così, i due rompiscatole, con baldanza e faccia tosta,
incuranti del pericolo che correvano zampettando con le loro scarpacce
interrate sul suo pavimento di marmo.
Chiamandolo
“Signor Malfoy”, tra l’altro…
Sogghignò
fra sé e sé, voltando loro le spalle e conducendoli allo studio, dove
generalmente riceveva le visite dalle quali non poteva sottrarsi.
Si
sedette alla scrivania, comodamente sdraiato sulla poltrona in pelle.
Ron
scostò la seggiola di fronte e si accomodò. Si sfilò i guanti, li cacciò in
tasca e aprì la cerniera del vecchio giaccone. Dalla tasca interna estrasse un
blocchetto di fogli e una penna.
Harry
si diresse ad una delle grandi vetrate dello studio e guardò fuori. Stava
cominciando a piovere.
A
Ron non sfuggì lo sguardo truce con cui il nobile stava scrutando Harry, che
chiaramente si comportava così con lo scopo di intimorirlo.
«
Lei conosce l’avvocato Antony Cooper McKenzie? » domandò Harry continuando ad
osservare il cortile.
Draco
portò una mano a lisciarsi la cravatta. « Sì, » rispose in tono seccato.
Domanda
prevedibile.
La
tua banalità, Potter, è memorabile.
Ron
cominciò a prendere appunti meticolosamente.
…E
anche la stupidità dei Weasley.
«
E ha mai preso parte ad una delle serate organizzate da lui? »
La
stava prendendo larga, ma Draco era certo di sapere dove intendeva arrivare. «
No. »
« È al corrente del furto subito dal
signor McKenzie? »
Prevedibile come il sorgere del Sole.
« Era su tutti i giornali, » ribatté
con ostentata noia.
« Sappiamo che lo scorso week-end ha
organizzato una mostra… »
Ron, che fino a quel momento aveva
scribacchiato senza osare guardarlo in faccia, prese la parola: « Signor
Malfoy, come… come è venuto in possesso dei quadri? »
Malfoy squadrò il poliziotto
lentigginoso e poi passò ad esaminare l’altro, chiedendosi se quello scambio di
testimone fosse calcolato.
« Di quanti pezzi consta la sua
collezione? » chiese Harry.
Evidentemente: No.
Draco
spostò lo sguardo su di lui con sufficienza, ma in realtà era infastidito dal
fatto che continuasse a voltargli le spalle, scandagliando con lo sguardo la
stanza.
«
Trentasei, » rispose tra i denti, « Potter, se cerchi qualcosa per incastrarmi
sei fuori strada, quei quadri appartengono alla mia famiglia da secoli. »
A
quel punto il poliziotto si voltò e abbandonò la finestra per avvicinarsi alla
scrivania.
Malfoy
si compiacque di se stesso.
E
anche Harry si ritenne soddisfatto, dato che era riuscito a farlo innervosire.
«
Signor Malfoy, lei conosce Pansy Parkinson? »
Quella
domanda dal tono chiaramente retorico, in effetti, lo sorprese.
«
In che rapporti siete? » chiese subito dopo Ron.
«
È un’amica. »
Ron
si aspettò che abbassasse lo sguardo (chiaro segno di menzogna) da un momento
all’altro, invece Malfoy rimase a sfidarlo a testa alta.
«
Può confermarci che ha passato con lei la notte di giovedì scorso? »
«
Non saprei, » rispose Malfoy in tono sostenuto, « forse non hai idea di quanto
sia difficile, Weasley, ricordare tutte le donne che entrano in casa mia… »
Tese le labbra in un sogghigno fastidiosamente snob, e Ron pensò che avrebbe
voluto vomitare.
Harry
decise di tagliare corto: « sappiamo che la signorina Parkinson è stata qui
giovedì notte. Lei stessa lo ha confermato. » Si aggiustò gli occhiali e si
scostò i capelli dalla fronte, cercando di darsi un tono severo.
Pessimo
tentativo, pensò Malfoy fissando la cicatrice a forma di saetta che
spiccava in modo evidente sulla pelle dell’investigatore.
«
Se già lo sapevi, Potter, perché hai perso tempo a chiedermelo? »
Continua…
*
* *
N.d.A
Xgiuliechelon90:
sono contenta che la storia ti stia interessando! Per ora siamo all’inizio e la
trama è piuttosto complessa, spero vorrai continuare a seguirmi, ne sarei
davvero felice!
Che
vuole realmente Draco? Hehe… domandone da mille dollari! =P Porta pazienza,
manca poco per scoprirlo!
X
PaytonSawyer: è un piacere ricevere le tue recensioni. Le domande che ti
poni sono quelle che io desidero suscitare in voi lettori e ti garantisco che è
una grande soddisfazione sapere che ci sono riuscita. Ovvio che non posso
proprio risponderti, specie alla domanda su Pansy!
Mi
sono divertita molto a giocare con l’ingenuità di Harry e Ron, li ho sempre
visti un po’ sprovveduti e in veste “babbana” ho voluto accentuare questa
caratteristica.
X
_Jaya: contenta d’aver chiarito un po’ dei tuoi dubbi. Grazie dei
complimenti! ^^ Ammetto che anche io mi sono divertita ad immaginare Pansy in
veste d’attrice e a descrivere il suo incontro con Ron!
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 - Cambiamenti ***
Capitolo 6 - Cambiamenti
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Questo capitolo è corto, ma serve da preludio al prossimo
che sarà fondamentale! Quindi, non perdetelo!!
* * *
“Spiacente ma non posso spiegarmi, signore,” disse Alice, “perché io, vede, non sono
più io.”
Lewis Carroll, Alice nel paese delle
meraviglie
* * *
Capitolo 6
– Cambiamenti
Ron
sbuffò forte e scosse le spalle, quasi volesse scrollarsi di dosso il ricordo
della visita a Villa Malfoy.
«
Draco Malfoy è insopportabile, » decretò appena Harry chiuse il grande cancello
dietro di loro e s’incamminarono verso l’auto parcheggiata poco distante. « Non
ce la facevo più a guardare quella faccia! » borbottò, « hai sentito con che
arroganza si rivolgeva a noi? Parlava come se ci conoscesse da anni, come se
fossimo polvere sulle sue scarpe da damerino! E poi ci ha fatto perdere un
sacco di tempo! »
Harry
rise: in effetti Ron non aveva tutti i torti.
Malfoy
aveva acconsentito a mostrare loro la collezione di quadri, ma non l’intera
Villa, per la quale, come c’era da aspettarsi, aveva richiesto un mandato
ufficiale, cosa che, data l’assenza di prove, era impossibile procurarsi.
In
sostanza si era trattata di una visita formale poco producente, ma non del
tutto inutile, pensò Harry.
«
Hai notato i quadri? » domandò al compagno.
«
Uh? »
«
La maggior parte aveva autori anonimi. »
«
È strano. »
«
Già. »
«
Inoltre ne mancava uno, nella prima sala a sinistra. »
«
Era evidente il segno al centro della parete, » confermò Ron, « perché
toglierlo? »
«
Riguardiamo il filmato di Hermione e vediamo se domenica era esposto, » disse
Harry.
A
quelle parole Ron ebbe un tuffo al cuore.
Lupus in fabula!
«
Hei, » disse afferrando il braccio di Harry ed indicando verso l’altro lato
della strada, « quella sembra Hermione, vero? »
Harry
guardò dove Ron stava puntando l’indice.
Heath
Street era un viale molto ampio e poco trafficato. Dall’altra parte della
strada scorse alcuni passanti e fra quelli identificò una ragazza dai capelli
mossi, che nascondeva il viso stringendosi nel cappotto e si riparava dalla
pioggia con un piccolo ombrello scuro.
Non
era possibile riconoscerla.
Allora
guardò l’orologio: erano le quattro.
«
Non credo, » disse, « a quest’ora starà ancora lavorando. »
«
Ti dico che è Hermione. »
«
Le assomiglia, ma… » prima che Harry potesse dire la propria, Ron aveva messo
le mani a coppa intorno alla bocca e stava gridando.
« Hermione! Hermione! »
Si
sbracciò per salutarla, ma la ragazza continuò a camminare senza voltarsi.
Harry
scosse la testa. « Non è lei. Andiamo. »
Ron
rinunciò ad attirare l’attenzione dei passanti, ma non a sostenere la propria
opinione. « Sono sicuro che è lei, vorrei proprio sapere cosa ci fa da queste
parti! »
*
* *
Vedendo
Ron ed Harry uscire insieme da Villa Malfoy, Hermione aveva sollevato il
colletto del cappotto e si era nascosta dietro l’ombrello per non farsi
riconoscere. Era sicura che quell’accorgimento bastasse a non attirare
l’attenzione, ma quando sentì Ron gridare il suo nome dall’altra parte della
strada fu colta dal panico.
Non
poteva certo voltarsi e salutarlo! Lui l’avrebbe travolta con una valanga di
domande inopportune, magari urlate attraverso il viale.
Così
finse di non sentire e cercò di mantenere la stessa andatura per non destare
sospetti.
Sapeva
che Harry e Ron avrebbero finito con l’interrogare Malfoy, anche se non
compariva sulla lista degli indiziati principali, ma non immaginava che
l’avrebbero fatto così presto. Per quanto improbabile, si chiese se avessero
notato nel filmato della mostra qualcosa di strano che a lei era sfuggito…
Guardandoli
con la coda dell’occhio, camminò senza fermarsi finché non li vide salire in
macchina e partire. Solo a quel punto attraversò la strada e si avvicinò
all’ingresso di Villa Malfoy. Suonò il campanello ed inspirò profondamente
davanti alla cancellata in ferro battuto che si apriva per lasciarla entrare.
Appena
varcò la soglia, per la seconda volta l’inquietudine la raggiunse come una
scarica elettrica attraverso il terreno. Di nuovo le sembrò di sentire uno
stridio provenire da lontano, sotto il picchiettare della pioggia, simile ad
una minaccia o ad un avvertimento.
Ammoniva
che, proseguendo in quella direzione, qualcosa di lei sarebbe cambiato
per sempre.
*
* *
Ron
ed Harry rientrarono alla sede dell’agenzia dopo una breve passeggiata: avevano
parcheggiato ad un paio di isolati di distanza. I negozi del quartiere avevano
acceso le insegne luminose e si cominciavano a vedere esigui gruppetti di
persone entrare nei pub.
Anche
se aveva smesso di piovere, il cielo era ancora coperto di spesse nubi grigie.
La notte in arrivo minacciava di essere molto fredda.
Prima
di salire in ufficio, Harry lanciò un’occhiata al Butterfly, che quella
sera sembrava particolarmente affollato, sperando di intravedere Ginny attraverso
la vetrata. Tentativo che fallì a causa di un paio di uomini che entrarono in
quel momento, coprendogli la visuale.
Deluso,
seguì Ron nell’ascensore.
Giunti
davanti alla porta dell’ufficio, i due detective rimasero spiazzati trovando
proprio la giovane barista ad attenderli sull’ingresso.
«
Ginny, che cavolo ci fai qui? » l’accolse Ron.
La
ragazza lo guardò compassionevole, come se quello fosse il massimo livello di
gentilezza cui lui poteva arrivare. « Sono qui per Harry, » rispose.
Harry
ebbe un momento di stordimento.
«
Ti ricordi? » fece lei rivolgendosi direttamente al ragazzo, che sembrava
essersi pietrificato sul pianerottolo, « avevo detto che sarei passata a
prenderti alle cinque. »
Ron
guardò l’orologio e dedusse che stava attendendo da quindici minuti.
Harry
non si era dimenticato dell’appuntamento, in realtà lo aveva considerato
talmente improbabile da ignorarlo. E invece, lei era salita davvero, ed era
rimasta lì ad aspettarlo, avvolta in un cappotto cremisi, con sciarpa e guanti ancora
indosso.
«
Se tu sei qui, chi c’è giù al bar? » domandò Ron stupito.
Lei
sollevò un sopracciglio, che stava ad indicare quanto fosse ammirata per
l’acutezza dell’osservazione, chiedendosi com’era possibile che fosse diventato
un investigatore.
«
C’è una mia amica, mi deve un favore. »
Ron
tacque: non aveva più nulla da chiedere. Non a lei.
Per
Harry aveva un migliaio di domande che, data la presenza della presunta cugina,
decise di riservare al giorno dopo.
«
Andiamo? » disse Ginny dopo alcuni secondi di silenzio in cui Harry aveva più
volte cercato, trovato e scartato, qualcosa da dire.
Ron
si voltò verso di lui e allargò le braccia: che altro stai aspettando?
Non
lo disse, si limitò a pensarlo, tanto la sua faccia in quel momento chiariva già
tutto.
Harry
fece un cenno d’assenso con la testa, poi guardò l’amico sentendosi un po’ in
colpa.
«
Ci penso io qui, » lo rassicurò Ron, « guardo il video e poi chiudo. Così per
una volta me ne vado a casa prima di cena... »
Concluse
lasciando la frase in sospeso, con tono lievemente seccato, per fargli capire
che il giorno successivo, alla fatidica domanda “com’è andata ieri sera con
Ginny?”, non se la sarebbe cavata con un banalissimo “tutto bene”.
Appena
la porta dell’ufficio si chiuse dietro Ron, Harry e Ginny s’incamminarono giù
per le scale, uno accanto all’altro. Lui imbarazzato più che mai, lei
apparentemente più disinvolta, ma ugualmente emozionata.
Ron
entrò nell’ufficio piuttosto scoraggiato.
Anche
se era contento per Harry, non poteva certo dirsi fortunato, visto il noioso
lavoro che lo aspettava.
Accese
la luce, gettò giacca e chiavi, tutti insieme, sulla poltrona e si diresse
subito alla scrivania. Lo studio era rimasto chiuso per tutto il pomeriggio e
l’aria era leggermente viziata, ma Ron non aprì nemmeno le finestre, tanto
fuori faceva buio.
Scansò
alcune carte dal tavolo e si mise al computer, accorgendosi che l’aveva
dimenticato acceso. Sul desktop era pronto per essere visionato il file
del video registrato da Hermione con la telecamera nascosta. Anche se aveva già
seguito quegli eventi in diretta grazie al ricevitore, Ron sapeva che era
necessario riguardarli, perché al primo esame sfugge sempre qualcosa.
Con
le braccia incrociate sul petto ed un’espressione annoiata iniziò a guardare lo
schermo. Il filmato era appena iniziato e lui stava già pensando alla sua
conclusione: non aveva alcuna voglia di rivedere il primo piano di Malfoy.
Poi,
dopo due minuti, ecco comparire il primo
dettaglio sfuggito, un particolare insignificante fino a due giorni prima...
Fra
ospiti impacchettati in rigidi smoking e signore impegnate a dar sfoggio di
costosi modelli d’alta moda, sfilava, con un fulgido abito verde smeraldo, un
pellicciotto bianco intorno alle spalle e vertiginosi tacchi a spillo,
nientemeno che Pansy Parkinson.
*
* *
Harry, le mani congelate nelle
tasche del giaccone, guardò Ginny con dolcezza. Indossava un paio di caldi
guanti di lana, una sciarpa della stessa fattura dietro la quale nascondeva il
viso, e un buffo berrettino multicolore. Tuttavia, anche così, imbacuccata come
un’eschimese, era incredibilmente carina. I capelli rossi sparsi sulle spalle e
i vispi occhi castani che spuntavano da sopra la sciarpa, erano sufficienti per
farlo sospirare… e sopportare pazientemente l’aria gelida di quella sera.
Stavano camminando in silenzio da cinque minuti buoni,
quando finalmente si decise a parlare.
« Dove andiamo? » chiese.
Lei sorrise misteriosa,
guardando avanti in un punto indefinito.
« Tra un po’ arriviamo. È un posto
molto carino, » rispose.
Continua…
* * *
N.d.A.
x PaytonSawyer: ciaooo!!! Non devi scusarti perché non eri
assolutamente in ritardo, e comunque le tue recensioni sono graditissime in
ogni caso! Sono contenta che ti sia piaciuto l’interrogatorio, io mi sono
divertita molto ad immaginarlo! Come hai giustamente previsto, non posso
rispondere alla tua domanda… però ho una buona notizia: troverai un po’ di
risposte nel prossimo capitolo! (Che poi genereranno altre domande… ma questo è
solo un dettaglio! XD) Ah, concordo perfettamente sulla povera Ginny! ^^
x _Jaya: Si! Bellissimo! Potevo far
degenerare l’interrogatorio in uno scontro corpo a corpo tra Malfoy e Harry,
però… dai… avevo i miei buoni motivi per optare per un incontro semi-pacifico.
Ma veniamo alle tue domande:
Da certe frasi si capisce che Malfoy conosce sia Harry
che Ron, sia le loro famiglie, sia il segreto della cicatrice.. vuol dire che
sa dei poteri magici??
Mmh, questa volta mi posso leggermente sbilanciare e ti
dirò che sei su una buona strada.
E Ron e Harry sanno di conoscere Draco?
Per ora non posso rispondere, ma nel prossimo capitolo
potrò farlo, quindi… bè si tratta di pazientare appena un po’!! =P
P.S. Ormai avrai notato che ho letto la tua fic, ed ho
commentato! Scusami se sono rimasta indietro con gli ultimi due capitoli, ma ho
trascorso una settimana estenuante. Recupererò al più presto!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 - Lost Memories ***
Capitolo 7 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Questo capitolo è molto lungo, non so se sia un scelta
felice o infelice, ma non mi andava di spezzarlo, tutto qui. Almeno mi farò
perdonare per il precedente, che invece era brevissimo.
Fatemi sapere che ne pensate, please!!
* * *
Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.
Dal film Matrix,
regia di Andy e Larry Wachowski
* * *
Per la sua terza visita a Villa
Malfoy, Hermione non fu costretta ad attendere imbarazzanti minuti in
solitudine, ma venne accolta immediatamente dal maggiordomo.
« Buonasera Miss Granger, »
disse l’uomo, « se vuole lasciarmi il soprabito… »
« Non occorre, » replicò lei
sbrigativa. Estrasse dalla tasca del cappotto il vecchio taccuino e lo porse al
maggiordomo: « Vorrei solo restituire questo al Signor Malfoy. Gli dica che ho
fatto quello che mi ha chiesto. »
Fece per andarsene, ma una voce
strascicata la trattenne: « Perfetto. »
Si voltò e vide Draco Malfoy
lungo la scalinata che conduceva al piano superiore; come ogni altra volta che
si erano incontrati, era impeccabilmente elegante. Scese le scale lentamente;
lei pensò che la volesse raggiungere per recuperare il quaderno, invece si
fermò all’ultimo gradino.
La guardò con affettata imperturbabilità, ma i suoi occhi
tradivano una sincera speranza.
Chi sei?
In quel momento - senza riuscire a spiegarsene il motivo -
Hermione intuì che la sua risposta, data con superficialità e fastidio, lo
avrebbe deluso.
Considerò l’ipotesi di prendere tempo e congedarsi senza
consegnare il taccuino…
Draco si rivolse al maggiordomo:
« Non scenderò per cena. »
L’uomo annuì tranquillo, come se
la cosa accadesse di frequente.
Poi Draco si voltò verso
Hermione: « Seguimi. »
Lei esitò indecisa.
Non aveva ancora del tutto scartato l’idea di andarsene,
ma il ragazzo le stava proponendo di salire al piano superiore della Villa e la
sua curiosità prese il sopravvento; così intascò il quaderno e s’incamminò
salendo le scale dietro di lui.
Draco la condusse attraverso le sale che si affacciavano
al ballatoio. L’arredamento era ricercato e curato nei minimi dettagli, ma non
colpì l’attenzione di Hermione tanto quanto il gelo terribile che regnava
dietro ogni porta. Pensò che in nessuna di quelle stanze avrebbe potuto
trascorrere più di un’ora senza congelare o, peggio ancora, soccombere
all’angoscia della solitudine.
Precedendola di un paio di
metri, Draco Malfoy la guidò presso l’ultima sala rimasta, alla fine del
ballatoio.
A Hermione bastò osservare il
modo in cui si era fermato davanti alla soglia, per capire che quella era una
stanza particolare.
La porta a due ante in mogano
scuro era più larga e robusta delle altre, gli infissi erano decorati da
insoliti simboli; entrambe le ante erano tagliate trasversalmente da listelli
in ferro battuto, inchiodati al legno, che si ricongiungevano fra loro a
formare un chiavistello.
Quando il ragazzo entrò nella
stanza, Hermione rilasciò, con un unico sospiro, l’aria che aveva trattenuto
per tutto il tempo in cui lui aveva armeggiato con la serratura, e le sfuggì
un’esclamazione di autentico stupore.
Era un’immensa biblioteca.
Altissimi scaffali colmi di
libri erano ancorati lungo tutte e quattro le pareti.
Hermione rimase senza parole.
Quella stanza non era nemmeno lontanamente
paragonabile alle altre. Sembrava calda, viva. C’erano divani e comode poltrone
posti intorno a due tavolini di cristallo, su uno di essi c’era un vassoio di
biscotti. Nell’aria era diffuso un gradevole profumo di pulito.
Avanzò sulla moquette verde acqua totalmente rapita
dall’infinità di libri archiviati sugli scaffali in ebano, decorati con
incisioni uguali a quelle riportate sulla porta d’ingresso. Scivolò fra le
poltrone e si avvicinò ad un ripiano che esponeva tomi rilegati con spesse copertine,
simili a quella del minuscolo quaderno nella tasca del suo cappotto.
Dimenticandosi della presenza
del padrone di casa, non resistette alla tentazione di estrarre un volume.
Sfiorò con le dita quelli disposti all’altezza del proprio viso e, tra tutti,
ne scelse uno bello grosso, dall’aria vecchiotta e un po’ trascurata: Dizionario
delle rune.
Era pesante e molto più grande
di come appariva quand’era affiancato agli altri libri.
Rimanendo in piedi accanto allo
scaffale, Hermione sorresse il testo con il braccio sinistro e con la mano
destra lo aprì. La carta profuse nell’aria un odore antico e familiare, che le
trasmise una curiosa sensazione, molto simile alla nostalgia.
Con massima sorpresa, la
giornalista scoprì che le pagine erano piene di simboli illeggibili, identici a
quelli sugli stipiti della porta e sugli scaffali della libreria; i fogli erano
giallognoli e ruvidi. Esattamente come quelli del taccuino…
Per tutto il tempo Draco Malfoy
rimase ad osservare in silenzio, in una posa controllata e circospetta,
nascondendo l’impazienza che lo attraversava. Vedere Hermione Granger perdersi
in uno scaffale di libri, fu come ritrovare un ricordo che credeva perduto per
sempre; ma la leggerezza che provò il suo cuore in quel momento, non sarebbe stato
capace di descriverla nemmeno a se stesso.
Quando lei ripose il libro, non riuscì più ad aspettare.
« Che cosa ricordi? » domandò.
Hermione si girò verso di lui e
rimase a bocca semiaperta, incantata da un paio di occhi grigi che la
fissavano, carichi di aspettativa.
Non ottenendo risposta, Draco
superò il salotto e si avvicinò fino a porsi esattamente di fronte a lei.
Li separava un dizionario.
Hermione sentì le proprie guance
arrossire.
« Che cosa ricordi? » chiese
lui, di nuovo.
Lei sbatté le palpebre, come
risvegliandosi da una visione.
« Come, prego? »
Furono le parole con cui
calpestò il maestoso castello che lui aveva costruito in quei pochi secondi.
Egli, però, non si scompose. Si
concesse soltanto di stringere la mano sinistra in un pugno.
* * *
Ginny aveva detto “tra un po’ arriviamo” e Harry aveva
immaginato di dover camminare ancora per qualche isolato, invece era un quarto
d’ora buono che proseguivano con ritmo abbastanza sostenuto. Non che gli
dispiacesse passeggiare al fianco di Ginny, ma fu notevolmente sollevato quando
svoltarono in uno stretto vicolo della Charing Cross Road e lei esclamò: «
Siamo arrivati! ».
Harry guardò il pub che Ginny
stava indicando: si trattava di un bar moderno, con ampie vetrate che davano
sulla strada e un piccolo spazio all’aperto. Un’insegna con il nome, Royal
George(*), illuminata a giorno, campeggiava sopra al locale per
tutta la sua lunghezza.
Harry trovò il posto, tutto
sommato, molto anonimo, ma Ginny ne sembrava entusiasta.
« Ti piace? » gli chiese dirigendosi ad un piccolo tavolo
accanto alla vetrata.
Lui annuì non troppo convinto,
guardandosi intorno un po’ infastidito dalle numerose lampade a muro che
emettevano luce soffusa e rossastra. « Il Butterfly è meglio, »
commentò.
Ginny sorrise divertita.
Harry le sorrise di rimando, poi
si sedette e rimase a guardarla. Lei si tolse il cappotto infilando sciarpa,
guanti e cappello nelle tasche, alla rinfusa; con una espressione serena sul
volto, scosse i capelli e li ravvivò un poco, infine prese posto di fronte lui.
Poiché aveva ancora la giacca indosso, gli chiese se aveva freddo e allungò le
mani sul tavolo verso di lui, coi palmi rivolti verso l’alto…
Harry pensò che avrebbe voluto
dirle la verità: che, sì, aveva freddo e avrebbe volentieri lasciato che lei
gli scaldasse le mani… ma non sapeva bene come interpretare quel gesto, che
sembrava più che altro senza scopo, dato che ora lei si stava guardando intorno
in cerca di un cameriere.
« No. Non ho freddo, » mentì sfilandosi il giaccone.
* * *
Draco Malfoy se l’era ripetuto
migliaia di volte che non sarebbe stato facile; ma una sconfitta è sempre
indigesta, anche quando è temporanea.
« Non hai fatto quello che ti ho
detto, vero? » chiese con voce aspra.
Era arrabbiato.
Hermione trovò ridicolo che
tentasse di darsi un tono compassato, il fatto che fosse nervoso era evidente.
Non le era del tutto chiaro il motivo, ma di certo lei c’entrava qualcosa…
« Non capisco… » disse calma, ma
la sua pazienza si stava lentamente logorando.
Lui mostrò il palmo della mano
destra. « Dammi il diario, » intimò.
Hermione sgranò gli occhi.
Controvoglia estrasse il quaderno dalla tasca del cappotto e glielo consegnò.
« Mi dispiace, » esordì, ripetendo a se stessa che stava
facendo la cosa giusta, « non era nelle mie intenzioni violare la sua privacy.
»
Rimase appositamente sul vago. Era pronta ad ammettere di
aver filmato di nascosto la mostra, ma non poteva assolutamente tradire Harry e
Ron rivelando che l’aveva fatto per loro.
Lui, però, non sembrò per niente
interessato alle sue scuse. Si limitò a recuperare il diario e a sfogliarne le
pagine.
« Non hai risposto, » asserì, e
così dicendo le mise davanti agli occhi il libricino aperto sulla snervante
domanda.
« Invece ho risposto, Signor Malfoy, in una pagina
diversa… da qualche parte… » replicò Hermione tra l’imbarazzato e
l’infastidito. Se da un lato il buonsenso le imponeva di comportarsi con
formalità e educazione, dall’altro l’orgoglio reclamava rispetto e ragione.
Lui sfogliò rapidamente il
diario; le sue dita affusolate scorsero le pagine con irrequietezza e si
fermarono trovando il foglio su cui lei aveva scritto la propria risposta.
Forse, rivolgersi a lei era
stato un errore. Eppure…
Guardò Hermione.
Le cose non stavano andando come
avrebbe voluto e doveva farle sapere quanto questo lo irritasse: « Non
chiamarmi Signor Malfoy. - lo disse come ordine, ma sembrò il capriccio di un
ragazzino viziato - Non sono il Signor Malfoy… e nemmeno tu sei una
giornalista.»
Fu troppo per lei. Offesa
nell’orgoglio, difese la propria professionalità: « Con tutto il rispetto, Signor
Malfoy, credo che stia esagerando. Io sono un’ottima giornalista e faccio
il mio lavoro meglio di chiunque altro! »
Eppure… Tutti dicevano che fosse
tanto intelligente …
Malfoy decise di fare un altro
tentativo.
Di nuovo le mise davanti agli
occhi la pagina del diario, con un dito indicò la domanda.
« Dovevi rispondere qui sotto, »
la rimproverò.
Hermione sbuffò e scosse la
testa infastidita: « Oh, è una cosa ridicola! Ci sono decine di pagine bianche!
Perché mai dovrei - »
« Perché funziona così, Granger!
»
« “Funziona così”… cosa?
» sbottò lei (le sembrava d’avere a che fare con un bambino spocchioso!), « io
credo… io credo di averne avuto abbastanza di queste stupidaggini! Se c’è
qualcosa che vuol sapere da me, conserveremmo entrambi più dignità se la
chiedesse senza giri di parole. »
« È quello che sto facendo, »
disse lui con l’espressione di chi è determinato a condurre l’avversario allo
sfinimento, « voglio che tu scriva il tuo nome. »
« Come? »
« Scrivi il tuo nome qui sotto.
»
Lei tacque. Non perché le
mancassero le parole per ribattere, ma perché lui le porgeva addirittura una
penna, estratta dalla tasca dei pantaloni.
Chiuse gli occhi, contò fino a
dieci.
Hermione, calmati.
Era
una situazione assurda…
Aprì gli occhi, spazientiti, e
incontrò i suoi, spavaldi.
Un déjà
vu. Il cuore le saltò in gola: ricordava quell’espressione
come se si conoscessero… da anni!
Lei non faceva mai nulla di avventato.
Non prendeva decisioni senza prima aver valutato i pro e i
contro.
Metteva sempre razionalità e prudenza davanti a tutto.
Ma quella volta…
Decisamente, una situazione
assurda…
Sfilò la penna dalle dita del ragazzo e, con tratto
tremolante perché lui reggeva il diario con la sola mano destra, firmò.
Mentre l’inchiostro macchiava la
carta, un tremito la percorse e udì un sibilo ovattato, che sembrava provenire
dal diario stesso.
Si ritrasse spaurita e in quel
momento vide il suo nome scomparire, come se la pagina lo stesse lentamente
fagocitando.
Cacciò un grido e fece un passo indietro, portandosi le
mani alla bocca. La penna cadde a terra.
Una parola, scritta con calligrafia elaborata e pulita, si
andava formando sulla carta…
Gryffindor
Lei smise di respirare.
E sul viso di Draco Malfoy si formò un sorriso
soddisfatto.
* * *
Ron sbadigliò e si stiracchiò:
cercare indizi esaminando una sequenza di immagini in movimento senza mai
perdere la concentrazione non era un compito che faceva per lui. Non era
nemmeno adatto a Harry, pensò. Probabilmente l’unica persona in grado di
portarlo a termine senza essere divorata dalla noia era Hermione.
Soppesò l’idea di far esaminare
anche a lei il filmato. Dato che aveva vissuto in prima persona gli eventi,
poteva ricostruirli anche nelle parti che risultavano più fumose.
Sia dal punto di vista logico,
che visuale…
Piazzare la telecamera fra i
capelli di Hermione non era stata, in effetti, un’ottima idea, le immagini
erano spesso mascherate da qualche ciocca increspata scivolata davanti
all’obiettivo… e lei, di questo, li aveva avvertiti.
Tutti i quadri esposti, però,
erano stati ripresi alla perfezione, con immagine ferma per diversi secondi. Fu
così che Ron poté tranquillamente esaminare il ritratto che occupava il centro
della parete nella sala più piccola, e che quel pomeriggio mancava alla
collezione di Malfoy. Raffigurava il volto di una donna fredda e affascinante,
con lunghi capelli biondi, occhi azzurri ed un’espressione regale di altezzoso
distacco.
Rifletté su quali ragioni
avessero indotto il nobile a rimuoverlo, ma non trovò nessuna spiegazione
convincente.
Fu allora che il filmato mostrò
gli ultimi secondi di ripresa e si bloccò sull’ultimo frame.
Nonostante Ron ricordasse perfettamente quell’immagine,
sobbalzò sulla sedia appena comparve l’inquietante primo piano di Draco Malfoy.
Ciò che gli parve un’autentica beffa nei suoi confronti,
fu il fatto che il video non si oscurasse dopo il finale, ma mantenesse
l’immagine in bella mostra a tutto schermo.
Fino a pochi giorni prima, Ron
aveva ritenuto Malfoy il classico figlio di papà, tronfio e pieno di sé, ma non
certo pericoloso.
Da quando lo aveva conosciuto,
invece, aveva cominciato a pensarla come Harry.
Lui aveva già avuto a che fare
qualche mese prima con il nobile, per una serie di segnalazioni da parte di una
signora che diceva di vederlo ogni notte camminare davanti alla sua casa, lungo
la Charing Cross Road. Da allora, quelli che erano solo pettegolezzi sul conto
di Malfoy, erano diventati, per Harry, indici veri e propri di attività
illecite.
Il pensiero di Ron corse con
preoccupazione a Hermione.
Harry si sbagliava di grosso:
era lei quella che aveva visto camminare al lato opposto di Heath Street,
l’avrebbe riconosciuta anche ad un miglio di distanza. Era sicuro che Malfoy la
stesse minacciando, o magari ricattando, … altrimenti perché andare alla Villa,
quando aveva detto di non volerci più tornare?
Colto da nervosismo, lanciò un’ultima occhiata allo
schermo prima di spegnere il computer e pensò che, decisamente, Malfoy puzzava.
Rimaneva solo da individuare la
causa di tanto fetore.
* * *
Hermione sentì girarle la testa.
Per quanto incredibile,
l’inchiostro era scomparso e ricomparso, cancellando la sua firma e scrivendo,
nel mezzo della pagina, quella parola…
Gryffindor
…Familiare.
Come i libri che aveva sfiorato…
Come l’espressione di Draco
Malfoy.
A fatica, riprese a respirare. « Che diavoleria è…? »
mormorò.
Il ragazzo le offrì la verità
nel modo più semplice possibile: « Magia. »
Lei lo scrutò incredula e, suo
malgrado, spaventata.
Era convinta con tutta se stessa
d’essere presa in giro, eppure sembrava che lui credesse veramente a ciò che
aveva appena detto.
Tuttavia, scartò la possibilità
di dargli ascolto: non intendeva certo fare la figura dell’idiota.
Guardò la penna ai suoi piedi e
si chinò a raccoglierla.
« È inchiostro simpatico, »
ipotizzò.
Lui scosse la testa.
Ancora un po’ di pazienza...
« Scrivi di nuovo, » suggerì, «
… solo il tuo cognome. »
La bocca di lei si torse
nell’espressione di chi ha appena appreso una deludente notizia: Draco
Malfoy è pazzo.
Ma si diceva che fosse saggio
assecondare le richieste di un folle, piuttosto che contestarlo… Così, si chinò
sul diario.
Mentre lui lo reggeva, scrisse
ciò che aveva chiesto:
Granger
Per la seconda volta le lettere
sbiancarono lentamente e nel centro della pagina comparve un’unica parola:
Mudblood
Arretrò di un passo.
« Che scherzo volgare! »
deplorò, offesa e indignata.
« Non è uno scherzo, è la
verità, » disse lui con freddezza, « ti sta dicendo cosa sei. »
Sangue
Sporco.
Qualcosa nelle viscere della ragazza si attorcigliò
dolorosamente. L’eco di un grido lontano la raggiunse e prese a rimbalzare
nello sterno insieme al battito del cuore.
Sempre più forte.
Indietreggiò di qualche passo
avvicinandosi all’uscita.
Adesso, era terrorizzata.
« Non puoi andartene, non ho
ancora finito, » lui la fermò, la voce decisa e beffarda.
Lei
mise una mano sulla maniglia. Tremava.
« Cosa ricordi… dei tuoi genitori? » chiese.
Lei scosse la testa. « Sono
morti che ero una bambina. »
In quell’istante un’immagine
le passò davanti agli occhi.
Alla
stazione di King’s Cross, li abbracciava, poi raccoglieva le proprie valige e
s’incamminava lungo la banchina continuando a salutarli…
« Curioso, » ironizzò lui, « e
scommetto che hai studiato in un collegio scozzese… »
Lei spalancò la bocca. Il cuore
accelerò il battito.
Ecco perché era familiare:
avevano frequentato la stessa scuola!
« Hogwarts, » disse lui, quasi
le avesse letto nel pensiero.
Pronunciare quel nome fu come
sfilare la chiave di volta: l’intera struttura, lentamente, iniziò a crollare.
Lei sentì le forze abbandonarla,
le gambe cominciarono a vacillare. Si aggrappò alla maniglia, ma la porta
appena socchiusa ruotò, facendola barcollare.
Lui l’afferrò per un braccio.
Hermione provò a liberarsi: lì,
dove le sue dita stringevano, la pelle bruciava.
« Non ti lascerò andare, devi aiutarmi, » disse lui. La
sua voce determinata faceva paura.
« A fare cosa? » lo chiese con un sospiro affaticato, che
le era costato tutta l’aria che aveva nei polmoni. La testa continuava a girare
mentre immagini su immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, gettandola
indietro in un passato che ancora non riusciva a credere suo.
« A vendicarmi. »
Draco Malfoy…
Sentì il vuoto sotto ai piedi.
« Per cosa? »
« Mi ha sfregiato e ha ucciso i
miei genitori. Ha umiliato il nome della mia famiglia! …Ma cosa vuoi capirne
tu? Sei solo Sangue Sporco! »
… Slytherin.
Pezzetti di puzzle sparsi in
ogni angolo della mente, nascosti ma non perduti, lentamente si ricomposero. Le
ginocchia cedettero sotto il peso dei ricordi, i sensi s’affievolirono, gli
occhi si chiusero…
« Granger… Guardami! »
Lei alzò la testa.
Dall’odio che intravide nel suo
sguardo, Malfoy capì che finalmente ricordava.
« Lasciami! » ordinò
istericamente e si divincolò, costringendolo a lasciarle il braccio. « Non
t’avvicinare! »
« Non puoi voltarmi le spalle! »
il viso di lui si contrasse in un’espressione oltraggiata.
« Tu sei… » era sgomenta e le
parole si ghiacciarono in gola. Un’immagine sola dominava la sua mente.
Il Marchio Nero.
« Chi sono io o cosa
sei tu, adesso non ha alcuna importanza! »
Anche se Draco era chiaramente
fuori di sé, Hermione era sicura che avesse scelto quelle parole con estrema
razionalità: sputavano veleno.
« Nessuno di noi due appartiene
a questo mondo! Questo non puoi negarlo. Se ti piacciono tanto i babbani, resta con loro. Non me ne frega
niente di cosa farai dopo, Granger, ma ora devi aiutarmi!»
Draco Malfoy…
Appena lui le staccò gli occhi
di dosso, lei vide uno spiraglio di libertà.
Rapida, gli voltò le spalle e
scappò, oltre la porta, giù dalle scale.
…Mangiamorte.
« Granger! » dietro di lei, Malfoy arrancava a grandi
passi, « dove stai andando?! »
La voce uscì snaturata e quando lei sbatté la porta
d’ingresso dietro le proprie spalle, esplose in un grido furioso.
« Dannazione! »
Inutile.
Sangue.
Sporco.
Si pentì di ogni cosa che aveva
detto e fatto per ottenere la sua attenzione; ciononostante, un’incontrollabile
paura gli stava strozzando la gola.
Perché sapeva, in fondo, d’aver
perso l’unica cosa di cui avesse mai avuto veramente bisogno.
* * *
N.d.A.
(*) Il locale
esiste davvero; si trova alla fine di un vicolo che dà sulla Charing Cross Road
(Goslett Yard). A questo link ci sono le foto e le informazioni che ho
utilizzato per descriverlo:
http://www.fancyapint.com/pubs/pub2975.php.
Il motivo per cui ho scelto questo locale lo capirete più
avanti (o magari lo intuite già), ma non è fondamentale ai fini della trama. La
cosa importante è che si trova sulla Charing Cross Road, strada sulla quale si
affaccia l’ingresso del Paiolo Magico…
X PaytonSawyer: fine in
sospeso? Beh, credimi, questo è solo l’inizio! Adoro la suspense e,
purtroppo per voi lettori, concluderò quasi tutti i capitoli con un
cliffhanger… No, non è cattiveria, dai, l’ho messo anche come genere della fic…
Almeno una rispostina l’hai avuta, no? Come dice anche la nota, il locale dove
Ginny ha portato Harry non ha propriamente a che fare con il mondo magico,
però…
Beh, direi che l’avventura della
piccola Herm in territorio nemico ha avuto notevoli risvolti in questo
capitolo, dico bene? Quel che succederà poi… non penserai che te dica ora? XD
X _Jaya: Grazie
mille a te! Non ho ancora letto e recensito il tuo ultimo capitolo, ma lo farò
a breve, assolutamente prima di partire per le vacanze! Lo scorso capitolo era
necessario per non appesantire troppo questo, che già è molto lungo… In effetti
mi diverto davvero molto quando devo scrivere di Ginny, specialmente se c’è di
mezzo anche Harry!! XD Grazie ancora!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 - Quello che è reale ***
Capitolo 8 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
(*) Nella prima parte
di questo
capitolo troverete delle frasi in corsivo allineate a destra, sono citazioni
dal settimo libro della Rowling, Harry Potter e i Doni della Morte, a
partire dal capitolo 15 fino al 31. Si tratta di scambi di battute avvenuti fra
Ron ed Hermione, oppure fra Harry e Ron in presenza di Hermione, e stanno ad
indicare che Hermione sta ricordando esattamente quel momento.
* * *
« Hai mai fatto un sogno tanto
realistico da sembrarti vero?
E se da un sogno così non ti dovessi
più svegliare? »
Dal film Matrix,
regia di Andy e Larry Wachowski
* * *
Capitolo 8 – Quello che è
reale
Hermione fece il viaggio di
ritorno in preda ad un frenetico susseguirsi di ricordi che riaffioravano alla
coscienza; rigidamente seduta nel vagone della metropolitana, con le estremità
congelate, la gola secca e lo sguardo fisso su un cartello pubblicitario.
Quando entrò in casa era
ancora
sconvolta.
Fece un smorfia di dolore e
si
portò una mano allo stomaco che bruciava in modo intenso. Sentiva il forte
bisogno di piangere, ma l’incredulità era ancora troppa per lasciare il posto
alle lacrime.
Sfinita, si appoggiò all’
uscio e
chiuse le palpebre.
Pochi istanti dopo, lo squillo del
campanello di casa la scosse; sbarrò gli occhi e fissò per diversi secondi un
punto indefinito della stanza, sperando d’averlo soltanto immaginato.
Ma il campanello suonò di
nuovo,
più a lungo.
Anche se desiderava unicamente essere lasciata in pace,
Hermione si avvicinò al citofono senza quasi rendersene conto.
Vi fu un altro squillo,
seguito
rapidamente da un secondo. Sembrava una cosa urgente.
Inspirò profondamente e
sollevò
con un gesto meccanico la cornetta: « Chi è? ».
« Sono io. »
Chiuse gli occhi e appoggiò
la
fronte al muro, il contatto con l’intonaco freddo la fece rabbrividire.
« Non ora, Ron, » mormorò
con
voce spettrale.
« Ti devo parlare, non ci
vorrà
molto. »
« Non è il momento. » Stare
in
piedi e reggere il citofono le costavano enorme fatica.
Lui se ne accorse: « Ti
senti
bene? »
La voce allarmata dall’altro
capo le rimbombò fastidiosamente nella testa. « Sì. Sono solo stanca. Ho
bisogno di stare un po’ da sola. »
« Ci metto un minuto, »
insistette il ragazzo, « fammi salire. »
« Ron ti prego… » stava
cercando
le parole giuste per convincerlo a tornare a casa, quando, attraverso il
citofono, sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce lontana di Ron
ringraziare; poi il silenzio.
Hermione rimase in attesa
finché
udì passi pesanti sul pianerottolo, seguiti da un bussare ostinato alla sua
porta. Ripose la cornetta.
« Ron, va’ via. »
L’ordine, appena udibile
attraverso l’uscio, invece che dissuadere ebbe l’effetto contrario. Ron bussò
ancora più forte.
« Hermione, se non stai bene
è
meglio chiamare un medico. »
« Sto bene, » ribadì lei.
« Allora fammi entrare. »
Possibile che fosse
sempre così
testardo?!
Hermione rimase zitta a
lungo,
studiando il modo più efficace per farlo desistere, ma lui fraintese il
silenzio e cominciò a pensare che si fosse sentita male. Iniziò ad agitarsi e
prese a gridare e bussare a palmo aperto sull’uscio.
« Hermione! Hermione! Mi
senti?!
»
Lei sospirò e infine si
arrese.
Aprì la porta solo per farlo smettere di urlare.
Lui s’infilò nella stanza e, senza nemmeno togliersi la giacca,
cominciò a tempestarla di domande sulla sua salute. Era impossibile, infatti,
ignorare il pallore che copriva le sue guance e lo sconcerto che alterava la
sua espressione.
« Che cosa ti è successo?
»
« Niente. » Rispose lei secca. Cercando di contenere il
fremito che le faceva tremolare le mani, si sfiorò la fronte febbricitante. «
Ho solo mal di testa, oggi ho lavorato molto. Cosa devi dirmi? »
Il tono refrattario nella voce di Hermione fece sospettare
Ron, per un istante, d’essere ospite inopportuno; ma dall’intuito alla
consapevolezza il passo è lento, e il ragazzo non considerò minimamente
l’ipotesi di congedarsi.
« Sei pallida. Hai chiamato
un
dottore? »
Lei sbuffò, stanca e
insofferente: c’era una questione mille volte più importante di cui avrebbe
dovuto occuparsi in quel momento. « Ron, per favore! Perché tu ed Harry siete
sempre così insistenti?! »
« Harry? » Fece lui, tra il
disorientato e l’offeso, « cosa c’entra Harry? Ci sono solo io qui… Sono
venuto… perché sono preoccupato per te. » Ammise.
« Io… Sì… sì, io resto, Ron, avevamo
detto che saremmo andati con Harry, che l’avremmo aiutato…»
« Capito. Scegli lui. »(*)
Hermione aprì la bocca ma,
prima
che potesse parlare, Ron riprese: « Ti ho vista andare da Malfoy. - Lei scosse
la testa - Non negare, ti ho riconosciuta. Voglio sapere che cosa ti ha
fatto. »
Hermione non riuscì a parlare. Nella
confusione, tentava di capire quale fosse la cosa più giusta da fare: rivelare
a Ron l’inganno nel quale avevano vissuto fino a quel momento, o tenerlo
all’oscuro di ciò che lei stessa riteneva ancora incredibile?
Inoltre, non sapeva se la
verità
avesse in sé il potere di risvegliare i ricordi o se, invece, servisse il
diario che Malfoy aveva usato con lei.
« Dimmi cosa è successo. »
Ordinò lui, con un tono perentorio spezzato dall’apprensione.
« Vuoi sapere cosa è
successo? » La voce di lei vibrò di sfida e dell’impellente desiderio di
sfogarsi.
« Sì. »
« Davvero vuoi
saperlo?
» Domandò ancora lei, mentre un’accavallarsi di ricordi la scuoteva
dall’interno.
« Ti sono corsa dietro! Ti ho chiamato! Ti ho supplicato! »(*)
« Sì che voglio saperlo!!
Voglio
sapere cosa ti ha fatto quel bastardo! Sei sconvolta! » gridò Ron.
Hermione lo fissò in un
crescendo di intense emozioni, come il lento e inesorabile avanzare di un’onda
destinata ad infrangersi contro gli scogli.
Tutto conduceva in un’unica
direzione.
« E va bene! Vuoi sapere…
cosa
mi sconvolge? Semplicemente… Questo mondo! La nostra vita … è tutta una
menzogna! »
Lui aggrottò la fronte,
smarrito: « Cosa intendi dire? »
« È come se… come se fin’ora
avessimo vissuto nella finzione… »
« Mh… Sì, » borbottò Ron,
sempre
più confuso, « …ma a cosa ti riferisci esattamente? »
« I tuoi ricordi, il nostro
passato… Noi non apparteniamo a questo mondo! »
Hermione sembrava
perfettamente
conscia di ciò che stava dicendo e questo rendeva Ron sempre più preoccupato. «
Tu stai male, » asserì e si portò ad un passo da lei, poi alzò la mano destra
con l’intento di sentirle la fronte. Lei si scostò bruscamente.
« Sapevo che non avresti
capito
- »
« Be’ cos’altro posso dire? »
« Ah, non so! Frugati il cervello, Ron, non dovresti metterci più di un paio di
secondi. »(*)
« Come faccio a capire, se
non
vuoi spiegarmi nulla! »
« È quello che sto facendo,
ma
tu non mi ascolti! - Avrebbe voluto dire “Non mi credi!” - Ti sto
dicendo che è successo qualcosa… »
Lui, in preda ad una collera
improvvisa, non la lasciò concludere: « Se quel bastardo di Malfoy ti ha fatto
del male io… »
« Per favore, non ricominciare! »
« Considera i fatti, Hermione. »(*)
« Malfoy non mi ha fatto
niente!
Smettila! Sto cercando di dirti che è successo qualcosa a tutti noi!»
« Cosa è successo? Di cosa
parli? »
« Non lo so. Non riesco a
ricordarlo! …Qualcosa che mi ha fatto dimenticare… che ci ha
fatto dimenticare! »
« Che cosa abbiamo
dimenticato,
Hermione? Cosa? Cosa?! »
Lei lo guardò per un istante
negli occhi, poi chinò la testa, sopraffatta dalla consapevolezza.
« Lo so, Harry… quindi ora o mai più, no? »(*)
« … Quello che è
reale, »
rispose in un fiato, e finalmente i suoi occhi divennero lucidi, la vista si
annebbiò e lacrime salate scesero lungo le sue guance.
Ron provò di nuovo ad
avvicinarla; titubante, fece un passo. Ed Hermione compì l’altro che li separava,
gettandosi fra le sue braccia.
Lui rimase impalato, trattenendo il respiro in preda
all’imbarazzo, mentre lei singhiozzava sul suo petto. Quando finalmente si
decise ad espirare, trovò il coraggio di abbracciarla, e la strinse a sé con
tutta l’angoscia di chi è impotente di fronte al dolore di un caro amico; di
chi sa che non è in grado di comprenderlo.
* * *
Il campanello squillò forte nell’atrio di
Villa Malfoy; il maggiordomo si affrettò ad aprire il cancello perché sapeva
che l’ospite in arrivo non amava attendere.
Fermo sulla soglia
dell’ingresso, rimase a guardare con ammirazione il Mercedes scuro che
si avvicinava lentamente lungo viale; quando l’auto si fermò davanti alla
scalinata d’ingresso, l’autista uscì e aprì la portiera sul retro, aiutando a
scendere un’elegantissima Pansy Parkinson.
L’attrice entrò nella Villa
e
trovò ad accoglierla, in cima alle scale, Draco Malfoy.
Non le sfuggì l’espressione
dura
sul suo viso e strinse le labbra accigliata.
Vedendola entrare, Draco si
era
ricordato della recente sconfitta e dei due motivi per cui aveva dovuto far
entrare Hermione Granger in casa sua.
Il primo era un dettaglio
chiamato quoziente intellettivo.
Dote che scarseggiava fra i
morbidi capelli corvini della Parkinson e che, invece, abbondava fra la stoppa
rigogliosa sulla testa della Granger. O, perlomeno, era quello che la
studentessa modello aveva sempre lasciato intendere, quando, fra i banchi di
scuola, sventagliava impaziente la mano verso l’alto e con voce stridula
riversava fiumi di nozioni in faccia alla McGrannit.
Il secondo motivo era l’
ovvia
verità che Pansy Parkinson in versione babbana fosse del tutto inutile: anche
volendo sorvolare sulle capacità logiche, non si poteva farlo sulle abilità
magiche.
Draco, infatti, aveva
sottoposto
Pansy alla stessa prova di Hermione, ma lei non aveva ricordato nulla. Quando
la parola Slytherin era apparsa sul quaderno, l’attrice si era dapprima
spaventata, poi rabbuiata, e infine aveva spalancato gli occhi scuri e,
guardandolo con devozione, aveva definito la situazione “un gioco divertente”.
Preoccupata per l’
espressione
funerea di Draco, Pansy si tolse il soprabito e lo passò al maggiordomo,
sbrigandosi a raggiungerlo in cima alle scale.
Gli mise le mani sul petto e
gli
sfiorò la guancia con un bacio delicato. « Brutta giornata, vero? »
Draco la lasciò fare (aveva un buon
profumo), ma non rispose. Era impegnato a rammaricarsi di non essere riuscito a
recuperare i suoi ricordi: sarebbe stato mille volte più facile servirsi di
lei, piuttosto che della Granger.
Tuttavia, era rimasto
sorpreso
dalla facilità con cui Hermione aveva recuperato la memoria. Forse, ipotizzò,
Pansy era vittima di un incantesimo molto più potente…
* * *
La notte era scesa
inesorabile
sulla città di Londra cingendola in un gelido abbraccio e, da quando Harry
aveva memoria, non ricordava d’aver mai preso tanto freddo.
Ginny camminava al suo fianco ad una
lentezza estenuante. Le piaceva fermarsi ad ogni angolo, a guardare le vetrine
o a curiosare nei locali. La sua espressione tranquilla e serena era l’unico
motivo per cui lui aveva deciso di ignorare lo scarseggiare di sensibilità
nelle proprie dita.
Si stavano dirigendo insieme
verso il parcheggio, dove Ron aveva lasciato l’auto, preferendo tornare in
metropolitana.
Harry aveva insistito per
accompagnare Ginny a casa, ritenendo l’oscurità un amplificatore di pericoli
nel quartiere. A nulla era servito fargli notare che lei abitava ad un paio di
isolati e che, normalmente, tutte le sere rientrava dopo il tramonto.
« Me la togli una curiosità? » disse Ginny ad un tratto.
« Spara, » fece lui.
« Ricordi come ti sei procurato quella cicatrice sulla
fronte? È stato un incidente di lavoro? »
Harry pensò che, in effetti,
sarebbe stato molto ganzo poterle raccontare d’essersi procurato quello sfregio
scampando alla morte, ma si rassegnò a dirle la verità.
« Non lo so. Dev’essere accaduto che ero molto piccolo
perché non ricordo nulla. »
Ginny sapeva che Harry aveva
perduto i genitori quando era ancora in fasce, e che aveva trascorso una
infanzia difficile, in solitudine, affidato ad una famiglia incapace di
volergli bene.
Per questo scelse di non
insistere sui ricordi, ma si concentrò sul presente.
« Ti dà fastidio, a volte? » domandò.
Sorpreso da quella domanda, Harry scosse la testa. « No, »
rispose, « più che altro mi infastidisce la gente, quando la osserva curiosa…
credo che sia per la sua forma strana… »
« Già, » annuì Ginny, « non sembra una ferita casuale… »
Procedevano affiancati lungo
la
Old Compton Street e si fermarono per un secondo sul bordo del marciapiede,
prima di attraversare la strada.
In quel momento, senza alcun
preavviso, Ginny sì appoggiò ad Harry stringendosi al suo braccio destro.
Per lui furono istanti di
puro
panico.
S’irrigidì e contrasse i
bicipiti, le mani cominciarono a tremolare, il respiro si fece teso e corto.
Ciò che più lo agitava era la naturalezza con cui lei aveva compiuto quel
gesto. Sembrava quasi che non se ne fosse resa conto: la sua espressione non
era cambiata e nemmeno il ritmo del suo passo.
Avevano camminato chiacchierando del più e del meno,
condividendo osservazioni superficiali su tutto ciò che li circondava; con lei
che di colpo si fermava incuriosita davanti ad un negozio e lui che tornava
indietro di due passi per attenderla.
Adesso, che la loro andatura
procedeva all’unisono, ritennero le parole del tutto superflue.
E la notte, all’improvviso, smise di essere tanto fredda.
Continua…
* * *
N.d.A.
X PaytonSawyer: Ciao e mille volte grazie!
Ho
lasciato volutamente vaghe le motivazioni di Malfoy perché non ce lo vedevo
molto a confidarsi con Hermione XD… Comunque sì, ha un conto in sospeso con il
Signore Oscuro che ha distrutto la sua famiglia (il come è tutto da
scoprire! =P). Per quanto riguarda il locale, il nome è una coincidenza, George
non c’entra… per ora…Comparirà anche lui (non ho risparmiato
nessuno! hehe), ma più avanti!
X_Jaya: Ciao! Grazie a te! Non so che farei
senza i vostri commenti! ^^ Beh, che posso dire? Indubbiamente i personaggi non
sono inseriti a caso ^^. Anzi, quasi nulla di ciò che ho scritto è lì per caso,
solo che ci vorrà ancora tempo per costruire tutto il puzzle! Però, dai, sei
sulla buona strada!
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 - Good advice ***
Capitolo 9 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Sono un po’ preoccupata per questo capitolo: non sono molto
brava nelle descrizioni e qui ce ne sono molte, spero che la lettura non sia
troppo pesante … Fatemi sapere!
* * *
It is the good advice that you just didn’t
take...
Alanis Morrisette, Ironic
* * *
Capitolo 9 – Good advice
Harry entrò in ufficio e trovò
il compagno (stranamente mattiniero) già al lavoro.
« Com’è andata ieri sera? » domandò Ron senza lasciargli
nemmeno il tempo di spogliarsi.
« Tutto bene, » fu la vaga
risposta.
« Avrei giurato che avresti detto così! » commentò Ron.
Harry lo ignorò e ribatté con un’altra domanda: « E tu
dove sei stato? Non sei rientrato questa notte. »
Ron trasalì rivivendo il
momento
in cui Hermione aveva afferrato la sua mano e lo aveva supplicato: “Non
lasciarmi sola, ti prego...” e lui, con il cuore colmo d'emozione, aveva
esaudito la sua richiesta.
« Sono stato… da Hermione. » Le
sue guance si chiazzarono di rossoed evitò
cautamente di guardare l’amico negli occhi. « Sta male. »
Tutto in un colpo Harry divenne
serio e si sedette. « Cos’ha? »
« Era lei, ieri, a Hampstead.
Avevo ragione: stava andando a casa di Malfoy… » rispose Ron con un groppo in
gola, « sono sicuro che le ha fatto qualcosa… era distrutta. »
Harry appoggiò i gomiti sulla
sua scrivania e si mise le mani fra i capelli. « Sono stato uno stupido a
coinvolgerla. »
« È anche colpa mia, » disse
Ron, « se solo avessi capito quanto poteva essere pericoloso... »
« Ti ha detto perché è tornata
alla Villa? » chiese Harry in preda al senso di colpa.
Ron scosse la testa e sospirò, consapevole di trovarsi in
mezzo a qualcosa di troppo grande per lui solo. « No, vaneggiava. Ha parlato
tutta notte di magia e d'incantesimi. Raccontava di una scuola e di un mondo
magico… cui dice di appartenere. Dovevi vederla, Harry, sembrava pazza… Io
temo che Malfoy... Era confusa e spaventata, non voleva restare da sola. Ha
parlato di un uomo potente, di cui non può fare il nome. Ecco… io ci ho
pensato e… credo che Malfoy l’abbia costretta ad entrare in una setta.
»
Harry spalancò gli occhi: per
quanto pazzesco, tutto tornava.
Come aveva fatto a non
pensarci
prima?
« Ron, ti ricordi, un paio di
mesi fa, quando ho lavorato al caso della signora Williams? » disse battendo un
palmo sul tavolo.
Ron annuì.
« Tutto torna! » esclamò Harry concitato, « la Williams
diceva di vedere Malfoy, ogni notte, camminare avanti e indietro di fronte alla
sua palazzina (sulla Charing Cross), come se attendesse qualcuno, e poi sparire
rapidamente. Lei temeva che la stesse spiando, ma ora che ci penso… Forse
Malfoy attendeva soltanto un segnale… o l’apertura di un passaggio… magari per
incontrarsi con altri complici in qualche sotterraneo, » si dovette
necessariamente fermare per prendere fiato, poi riprese deciso (aveva già in
mente un piano!), « come sei rimasto d’accordo con Hermione? »
« Ha giurato che non tornerà da
Malfoy. Ha detto che non è la persona che pensava. » spiegò Ron, sperando con
tutto il cuore che fosse la verità.
Harry fece un cenno d’approvazione. « Ottimo, » disse, «
questa sera andiamo a trovarla, … » Era chiaro che intendeva sincerarsi che
tenesse fede al giuramento - come Ron, del resto. « … E poi facciamo un
sopralluogo sulla Charing Cross Road. Questa notte. Controlliamo cosa accade da
quelle parti… »
Fu così che i sopralluoghi da
fare quel giorno divennero due: uno durante la notte, loro preciso dovere nei
confronti dell’amica; l’altro nel pomeriggio, indispensabile per uscire dal
vicolo cieco del caso McKenzie.
* * *
Antony Cooper McKenzie, avvocato famoso e di grande
esperienza, non nutriva molta fiducia nei metodi della polizia metropolitana,
per questo aveva chiesto il supporto di un’agenzia investigativa privata. Come
di norma, l’accesso alla scena del reato era appannaggio di poliziotti
difficilmente disposti a condividere informazioni; tuttavia, senza esaminare la
galleria d’arte era impossibile proseguire le indagini perciò Harry era
riuscito ad ottenere il permesso di accedervi.
Erano circa le tre del
pomeriggio
quando i due investigatori uscirono dalla metro.
Dopo un quarto d’ora di cammino
giunsero a Carlyle Square, una tranquilla zona neldistretto di
Kensington e Chelsea. La piazza quadrangolare era occupata da un ampio parco
sul quale si affacciavano graziose villette in stile vittoriano. Una accanto
all’altra, le abitazioni alternavano eleganti cancellate in ferro battuto a
bianchi muriccioli con colonne decorate. L’atmosfera che si poteva respirare
era quel mescolio di pace e ricercatezza che contraddistingueva la parte più
elitaria della città di Londra.
Esternamente, la residenza
dell’avvocato apparve loro molto simile a tutte le altre che circondavano
l’area; fu solo entrando che i due detective si resero veramente conto di cosa
significasse essere spudoratamente ricchi.
Li accolse McKenzie in persona; i modi dell’avvocato erano
quelli d'un gentleman, ma non nascondevano le esigenti pretese che egli
aveva nei confronti dei due detective.
Attraversando le stanze, la prima opinione che Harry e Ron
si scambiarono (e bastò un semplice sguardo) fu come fosse facile, grazie al
denaro, trasformare un edificio di fine ottocento in una residenza dotata dei
più moderni comfort tecnologici.
Quando giunsero alla galleria d’arte, il contrasto tra
antico e moderno divenne più forte.
La disposizione dei quadri lungo le pareti, i soggetti
dipinti, le luci soffuse e la temperatura fresca, evocavano il passato e si
scontravano con l’avanzata tecnologia del sistema di vigilanza e dell’impianto
di condizionamento. Le pareti del lungo corridoio erano rivestite con carta da
parati bordeaux sulla quale era stampato un motivo ricorrente. I dipinti
erano appesi alla stessa distanza l’uno dall’altro, corredati da una targhetta
che ne riassumeva le caratteristiche. A circa un metro dal muro, vi era una
serie di pannelli in plexiglas alti fino al ginocchio, che servivano per
mantenere la distanza fra le opere e lo spettatore.
La prima cosa che notò Harry fu il segno del quadro rubato
sulla parete: un rettangolo più chiaro che mostrava probabilmente l’originario
color Borgogna della tappezzeria.
Ron, invece, si chinò curioso ad esaminare i pannelli e
quasi fece un salto notando un finissimo capello biondo incastrato fra due di
essi; probabilmente sfuggito ai sopralluoghi frettolosi della polizia
metropolitana. Lo mostrò a Harry che gli fece un cenno soddisfatto, s’infilò un
guanto, s’inginocchiò e lo raccolse mettendolo in un apposito sacchetto di
plastica.
« Signor McKenzie, può dirci qualcosa in più sul quadro
rubato? » domandò poi, osservando che la targhetta dell’opera mancante
riportava informazioni estremamente vaghe.
Origin: 1200 A. D. – Spain (?)
Author:
Unknown
« Ho vinto il ritratto pochi
mesi fa ad un’asta di beneficenza, pagandolo veramente una sciocchezza, » rispose
l’avvocato, « dopo l’acquisto ho fatto valutare l’opera da alcuni esperti e ho
capito di aver concluso un ottimo affare. Sono tutti concordi nel riconoscere
che è in ottime condizioni. »
« Chi altri è a conoscenza del
valore del quadro? » chiese Harry.
« Non saprei. Qualunque buon
critico può valutare facilmente la qualità dell’opera. »
«Tra gli ospiti che ha invitato
crede che - »
Harry non fece in tempo a
terminare la domanda perché Ron lo interruppe: « Harry, dà un’occhiata alle
telecamere… »
Harry alzò gli occhi ad
esaminare il circuito di sorveglianza. McKenzie aveva elogiato più volte la
qualità dell’impianto, descrivendolo con orgoglio, ma vederlo dal vivo aveva
tutto un altro effetto. Era un sistema centralizzato, gestito da un computer posizionato
in una sala di controllo. Le periferiche erano distribuite lungo tutto il
perimetro del soffitto, ad altezze diverse, in modo da non lasciare punti
morti. Ad intervalli casuali le telecamere ruotavano l’obiettivo, coordinate in
modo che ogni area della stanza fosse costantemente ripresa da almeno due
inquadrature.
Ron moriva dalla voglia di
conoscere i costi di un simile impianto, ma si trattenne in favore di
un’osservazione più importante. Indicando le telecamere che puntavano verso
l’ingresso, affermò: « Viene filmato costantemente chiunque entri nella stanza.
È impossibile nascondersi qui. »
Così dicendo, scartò
definitivamente l’unica ipotesi che era riuscito a formulare in merito alla
dinamica del furto.
Harry fece un cenno con la
testa, pensieroso: rimaneva ancora una possibilità. « Allora il filmato è stato
interamente sostituito dalla sala di controllo. »
« Impossibile, » intervenne con
sicurezza l’avvocato McKenzie, « per entrare serve un codice. »
« Qualcuno dei suoi ospiti
potrebbe essersi allontanato e… »
« No. Sono rimasto con loro
tutto il tempo della visita. »
« La signorina Parkinson, però,
si è trattenuta oltre… »
« È mia cliente, abbiamo discusso d'affari. E poi, mi
perdoni, ma - sorrise ironico - Pansy riesce a malapena ad utilizzare il
cellulare! Comunque, siamo rimasti in salotto per quasi un’ora e non si è mai
assentata, se non per andare alla toilette. »
A quelle ultime parole, Harry e Ron si scambiarono uno
sguardo complice.
« Possiamo vedere la “sala di controllo”? » domandarono in
coro.
« Certamente, » acconsentì l’avvocato, « seguitemi. »
* * *
Ron detestava l’ultramoderna stazione di Vauxhall, molto
simile ad una fantascientifica rampa di lancio per Shuttle; uscendo dalla metro
rallentò il passo e si guardò intorno, infastidito da tutti i turisti che si
fermavano a fotografare la costruzione.
Harry lo precedeva. Incurante della folla, camminava
spedito verso l’appartamento di Hermione.
Erano le sei e mezza di sera quando Hermione sentì
squillare il campanello. Pensò subito ad una visita di Ron e fu sorpresa di
vederlo salire insieme a Harry.
C’erano ancora diverse cose che non aveva chiarito nei
suoi ricordi: cose che erano difficili da accettare, cose che erano ancora, in
parte, oscure…
Non era preparata ad affrontare Harry.
Ron era un ragazzo un po’ superficiale ed imprudente, ma
con un grande cuore. Hermione sapeva di poter contare sul suo sostegno, anche
se non aveva la sua comprensione.
Ma Harry era diverso.
Harry era testardo; agiva impulsivamente, come Ron, ma non
era l’istinto a guidarlo, bensì un senso di responsabilità soffocante, che lo
aveva sempre accompagnato in ogni sua scelta e che, anche cancellando il
passato, faceva parte di lui.
Se non fosse riuscita a farlo ricordare, Harry avrebbe pensato
che stava diventando pazza.
Non solo non avrebbe capito il suo dolore, ma non sarebbe
nemmeno riuscito ad accettarlo.
Come Ron, Harry Potter avrebbe addossato tutta la colpa
a Draco Malfoy, scatenando un putiferio pur di far convergere tutte le
prove in favore della propria tesi.
Mentre la giovane giornalista si torceva le mani
preoccupata, i due investigatori entrarono nell’appartamento, stranamente
indifferenti alle sue ansie. Presi dal caso McKenzie, dichiararono subito
d’aver bisogno del suo valido aiuto nelle indagini.
Hermione cercò di ricacciare indietro i ricordi insieme
alla tensione e, per un po’, li assecondò.
In realtà i ragazzi erano preoccupati per l’amica, ma
avevano deciso di non affrontare l’argomento Malfoy “per non farla soffrire”.
Decisione vagliata e costruita insieme con tutta la sensibilità che erano
riusciti a racimolare, ma che, dall’esterno, appariva molto simile ad una coda
di paglia.
I due detective iniziarono riassumendo a Hermione tutte le
informazioni raccolte e conclusero esponendo i loro forti sospetti su Pansy
Parkinson (…che conducevano poi dritti a Malfoy!).
Sentendo parlare dell’attrice, Hermione sussultò. Solo
pochi giorni prima, quel nome avrebbe rappresentato per lei una perfetta
sconosciuta, ora invece diventava un ulteriore nodo in una matassa già
abbastanza intricata.
Che cosa ci faceva Pansy Parkinson fra i babbani?
Era un’attrice, aveva detto Harry.
Ma da quanto tempo? Che anche lei avesse dimenticato?
Se, come sosteneva Ron, tra lei e Malfoy c’era una
relazione, era logico credere che l’avesse aiutata a recuperare i ricordi nello
stesso modo in cui aveva risvegliato i suoi.
Pansy Parkinson…
Hermione si concentrò in una riflessione fin quasi a
scordarsi degli amici accanto a lei: Harry e Ron vedevano appena la punta
dell’iceberg, mentre lei era in grado di cogliere le potenziali dimensioni del
pericolo.
Malfoy stava architettando qualcosa.
Era sempre stato un vigliacco, ma non era né ingenuo, né
stupido.
Se poteva contare su una Slytherin, perché andare a
scomodare il “nemico” Gryffindor?
Cosa voleva da lei?
Qualcosa che non poteva avere da Pansy Parkinson, questo
era ovvio…
Era astuto, sibillino e irrimediabilmente sleale.
Draco Malfoy, si ripeté Hermione più volte quasi avesse
paura di dimenticarlo, era un Mangiamorte.
« Grazie Hermione, ora dobbiamo andare, » disse ad un
tratto Harry. Poi, vedendola tanto assorta, domandò: « Ti senti bene? »
Lei non rispose, ma scrutò i due amici. Harry si era
alzato e aveva cominciato a riordinare tutti i fogli sparsi sul tavolo con i
loro appunti sul caso McKenzie.
Che tipo di incantesimo era stato fatto su di loro?
Era possibile farli ricordare?
« Oh Ron, possibile che non ti ricordi nemmeno di… noi?
» domandò all’improvviso Hermione, accorgendosi che quelle parole erano uscite
dalla sua gola con prepotenza, abbattendo la barriera dell’orgoglio che le
aveva trattenute con fatica la sera prima.
« Di… di cosa parli? » chiese il ragazzo sulla difensiva a
causa del tono un po’ accusatorio.
« Non puoi averlo dimenticato, » insistette lei,
timidamente, radunando tutto il coraggio che riuscì trovare, « davvero non
ricordi quello che … quello che c’è stato… fra noi. »
Ron sbarrò gli occhi imbarazzato, ma lungi dal dare a
quelle parole il loro vero significato.
Harry tossicchiò. « Io vado. Ti aspetto fuori. »
Ron balzò in piedi scansando goffamente la seggiola.
« Harry, aspettami! » si lamentò, « non ho capito,
Hermione, cosa mi dovevo ricordare? »
Gli occhi di lei erano lucidi. « Lascia perdere… » disse
cacciando indietro le lacrime.
« Ma io voglio capire! » protestò Ron.
« Non si tratta di capire, si tratta di ricordare… Ora è
meglio se andate. » lo liquidò bruscamente Hermione.
« Ma… Hermione… » balbettò Ron.
Lei lo interruppe: « Lascia perdere, ho detto. Troverò
un altro modo. »
A quelle parole Harry si bloccò sulla porta. « Non fare
sciocchezze, » si raccomandò, serio.
Lei scrollò le spalle in un gesto di stizza: « Io non
faccio mai sciocchezze. »
* * *
Durante il giorno la Charing Cross Road era sempre molto
frequentata. Ristoranti, teatri e cinema erano enormi calamite per turisti;
negozi e librerie ad ogni angolo attiravano curiosi di tutte le età. Dopo la
mezzanotte di quelle sere invernali, però, regnava il silenzio, tutto era immobile,
congelato, come il resto della città.
Ron ed Harry camminarono senza
rivolgersi la parola per diverso tempo, stringendosi nelle rispettive giacche,
con i pugni chiusi in tasca e le spalle contratte per il freddo. Ad un tratto
si fermarono, incuriositi, davanti all’ingresso del famoso London Astoria
Theater, storico edificio che, trasformato per un periodo in centro
commerciale, era tornato ad ospitare concerti e spettacoli teatrali (*).
Ad attrarre la loro attenzione era stato il manifesto dell’evento in
programmazione per la serata che riportava il nome di Pansy Parkinson. I due
ragazzi si scambiarono qualche opinione esaminando la locandina, poi ripresero
il cammino verso Leicester Square, sbrigandosi a raggiungere la meta del loro
sopralluogo.
Ben presto si resero conto che
il loro obiettivo non era semplice: la strada, ampia e ben illuminata, non
forniva aree adatte per appartarsi e spiare la zona inosservati. Dopo una lunga
consultazione, scelsero l’ingresso di un piccolo negozio che offriva un angolo
più buio e una buona visuale sulla strada. Di fronte c’erano due negozi dalle
vetrine sbarrate ma illuminate. Uno vendeva libri di seconda mano, l’altro,
alla sua destra, vendeva dischi e vantava sconti appetibili sulle compilation
dell’anno appena trascorso. Davanti ad essi c’era una lunga rastrelliera per
biciclette nella quale alloggiava un vecchio ciclo malmesso e abbandonato.
I detective iniziarono ad
osservare con occhio critico gli occasionali passanti: per lo più piccole
comitive di giovani incuranti dell’aria gelida, forse per i sensi inibiti
dall’alcool.
Un gruppo di ragazzi attraversò la strada; uno di loro
aveva una birra in mano, l’altro armeggiava con il telefono cellulare, il terzo
rallentò il passo, si fermò, calciò la bicicletta malandata e poi li raggiunse.
Risero.
Ron scosse la testa e borbottò
che detestava l’arroganza; poi, imitando Harry, passò ad esaminare un individuo
che sopraggiungeva solitario, chiuso in un pesante tabarro di panno scuro, con
la nuca coperta da un ampio cappuccio.
I detective tesero l’udito e
acuirono lo sguardo prestando la massima attenzione a quell’insolita (e più che
mai sospetta) figura. La videro oltrepassare il portabiciclette, avvicinarsi al
negozio di libri, osservare la vetrina per alcuni secondi, guardarsi intorno
circospetto, stringersi il mantello attorno collo e, all’improvviso… sparire!
Ron cacciò un grido ed Harry
gli
tirò una gomitata.
« Ma l’hai visto? » protestò:
l’accaduto era troppo incredibile per mantenere il controllo. « E’ impossibile!
» Esterrefatto, scosse la testa in modo meccanico. « Io comincio a non capirci
più niente. O sto diventando pazzo, o quello che dice Hermione è vero: la magia
esiste, » sbottò, « qui tutto sparisce sotto ai nostri occhi in modo assurdo...
Prima il quadro, poi quel tizio! »
Harry fece per dire qualcosa ma
rimase a labbra socchiuse, sorpreso da quell’osservazione: in effetti, il modo
in cui era scomparso l’uomo ricordava incredibilmente il furto alla pinacoteca
McKenzie.
Ron era in fibrillazione e
Harry, per quanto cercasse di contenersi, aveva il cuore che batteva a mille.
Quella coincidenza apriva
davanti a loro un oceano di possibilità, sbattendogli in faccia tutt’in un
colpo la reale complessità del caso che stavano affrontando e trascinandoli con
forza in una rete di congetture molto più intricata di quanto avessero, fino a
quel momento, immaginato.
* * *
N.d.A
(*) Il
London Astoria è stato chiuso all’inizio del Gennaio 2009 per essere demolito
entro il 2012. Perdonatemi se, trattandosi di un teatro storico, mi sono
permessa di farlo scampare al proprio destino.
X PaytonSawyer: Ciao ciao! Vacanze finite, ahimè! Qualche
giorno per riprendermi ed ecco il capitolo 9. Spero ti sia piaciuto, anche se
molto descrittivo e con poca azione.
Hehe… anche Pansy ha un ruolo importante, ma ora può
sembrare un po’ fuori luogo. La nostra Hermione prenderà la situazione di
pugno, non c’è dubbio, ma non avrà la strada spianata… (altrimenti non ci avrei
scritto una fic!!) ^^. Poveri Harry e Ron, li maltratto sempre… ma non temere
per Ginny, è una tosta! XD
X _Jaya: beh, è chiaro che prima o poi
Draco dovrà spiegare ad Hermione perché ha bisogno di lei, ma gli serve tempo,
poverello.
Come hai potuto notare nel capitolo, lo stato di Hermione
ha fatto preoccupare Ron ed Harry, ma meno del previsto: ho pensato infatti che
sarebbe stato troppo inverosimile farli credere sulla parola, dato che non
ricordano nulla… ma, tranquilla, Hermione sta escogitando qualcosa! Sono
contenta che ti sia piaciuto il pezzo con Harry e Ginny e mi ha fatto piacere
il tuo commento, perché quella che hai descritto era proprio la sensazione che
volevo trasmettere!
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 - Down to Wonderland ***
Capitolo 10 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
O il pozzo era molto profondo o lei
stava precipitando molto lentamente…
L. Carrol, Alice nel paese delle
meraviglie
* * *
Capitolo 10 – Down to Wonderland
Draco Malfoy osservò la telecamera di
sorveglianza mentre inquadrava dall’alto Hermione Granger e sorrise
compiaciuto: le cose cominciavano ad andare nel verso giusto. Scivolò intorno
al robusto tavolo dello studio e si diresse verso la sala centrale ad
accogliere l’attesa - quanto insperata - ospite.
Hermione era lì, nel centro della stanza,
con espressione agguerrita, per nulla disposta a lasciargli la possibilità di
commentare quella visita. Non aveva cambiato idea: non aveva alcuna intenzione
di aiutarlo. Era tornata perché era lei, ora, ad aver bisogno di qualcosa.
Malfoy trovò difficile
trattenersi dall’irritare la ragazza: « Sentivi la mia mancanza? »
Lei sbuffò dalle narici come un
toro infuriato. Immaginò di girare sui tacchi ed andarsene, mollarlo senza dire
una parola.
Pregustò la sua faccia pietrificata
dalla duplice sconfitta…
Ma non si mosse. Non poteva.
« Neanche per idea. Devo
chiarire alcune cose e vorrei consultare i tuoi libri. »
Lui sogghignò a
quell’affermazione, sicuro che prima o poi l’avrebbe detta. Fece per
commentare, ma lei lo prese in contropiede dirigendosi, a passo di marcia,
verso la biblioteca.
Draco dapprima si agitò, poi le
si parò davanti impedendole di salire le scale: « Cosa credi di fare? »
« Ci sono questioni che non mi
sono chiare, devo fare delle ricerche. »
« Non c’è nulla di utile là
dentro, ho esaminato ogni libro. » ribadì indicando con la mano destra in
direzione della biblioteca.
« Potrebbe esserti sfuggito
qualcosa. »
Lui scosse la testa con
ostinazione. « Non credere che sia così semplice, » disse.
« Dimentichi che a Hogwarts ero
la migliore, » ribatté Hermione.
Poi strinse le labbra,
combattiva. Di certo non s’aspettava che la lasciasse girovagare liberamente in
casa sua senza riceverne beneficio, ma nel tono di voce del ragazzo c’era un
lieve rammarico, che non era presente, invece, nella sua espressione
determinata.
« Prima devi giurare di
aiutarmi, » disse lui e subito dopo si morse l’interno del labbro.
“Giurare di
aiutarmi ”?! … Perché cavolo aveva usato quelle parole?
Così sembrava una richiesta
infantile, un capriccio, e invece lei doveva capire che non esisteva nulla di
più importante; che non l’avrebbe lasciata scappare una seconda volta.
« Se vuoi il mio aiuto, dovrai
prima spiegarmi cosa sta accadendo. »
La ferma richiesta di lei lo portò a rivalutare la frase
appena detta.
Aveva dimenticato come certi
termini, quali “onore”, “aiuto”, “giuramento”, avessero il potere di
surriscaldare il nobile spirito di un Gryffindor.
Non ci fu bisogno di darle
risposta, lei aveva già interpretato da un pezzo il suo silenzio come una resa:
« Cos'è successo? Chi ci ha fatto questo? Di quale incantesimo si tratta? »
Tante domande in una volta lo
portarono d’istinto a sollevare le mani e a mostrare i palmi per dichiarare la
propria innocenza. « Non ho idea di cosa abbiano fatto a voi. Non lo ricordi? »
chiese sorpreso.
Lei scosse la testa.
« Per quanto mi riguarda, »
riprese lui, « sono stati i miei genitori. »
« I tuoi genitori? »
« Sì. Ricordo le loro ultime
parole: hanno detto che questo era il modo migliore di proteggermi da Tu-Sai-Chi. »
A Hermione non sfuggì nulla di
quella frase, nemmeno ciò che Draco aveva volutamente omesso.
“Ultime parole …”
“…Tu-Sai-Chi”
Narcissa e Lucius Malfoy erano
morti… forse per mano di Voldemort?
Non poteva esserne certa, ma il
fatto che Malfoy non avesse pronunciato il suo nome, significava che lo temeva.
« Hanno unito le loro abilità
per fare un potente incantesimo di memoria e… non so che altro … Due anni. Sono
passati due anni… poi ho trovato quel diario. Sono sicuro che anche quello è
opera loro: creato apposta per aiutarmi a ricordare… »
Draco raccontava con sicurezza
perché aveva ricostruito completamente il proprio passato.
Lei, invece, se andava indietro
di due anni trovava come ultimo ricordo solo il dolore straziante per la morte
di Harry.
E
invece Harry era vivo…
Era lì, nel mondo babbano,
insieme a lei, Ron, Ginny, Malfoy, Pansy Parkinson… e chissà chi altri!
Una domanda seguì spontanea: «
Siamo solo noi due a ricordare? »
Più che un “sì”, la risposta fu un
sospiro cauto, che soppesava il rischio di mostrare la schiena al nemico.
Lei rifletté a labbra socchiuse
per alcuni istanti. « E Pansy Parkinson? »
Malfoy sussultò. « Non ricorda
nulla. »
« Oh, - Hermione non sapeva se
considerarla una buona o una cattiva notizia, - perché non le hai mostrato il
quaderno? » suggerì diffidente.
« Ci sto lavorando, Granger, »
rispose lui, nervoso, « adesso piantala di fare domande. Giura – questa volta
lo disse di proposito – che mi aiuterai. »
« Perché dovrei farlo? Sei un
mago potente, Malfoy, dubito che tu non riesca a cavartela da solo. »
Draco si piantò le unghie nei
palmi delle mani che prudevano di rabbia. Se solo fosse stata un metro più
vicina l’avrebbe presa a schiaffi, restituendole l’umiliazione che gli aveva
inflitto sette anni prima.
Il tempo aveva smussato la Gryffindor
soltanto in superficie. L’aveva resa più affabile e più cortese, ma non le
aveva scrostato di dosso l’insopportabile spirito saccente e combattivo,
l’eruttante razionalità, il nauseante senso di giustizia e quel dannato bisogno
ossessivo di avere sempre l’ultima parola.
Con cocente rammarico, pensò
alla docile Pansy: così semplice da convincere… e piacevole! Pensò al profumo
dei suoi capelli, alla sua pelle morbida, al calore fra le sue cosce sode… E,
invece, di fronte aveva Hermione Granger: un nugolo di ispidi capelli (castano
scuro o chiaro? Ma si era tinta?)… castano indefinito, voce
fastidiosa, temperamento isterico e l’arroganza stampata sul viso…
Draco borbottò fra sé e sé, contro
Merlino e contro la sorte avversa, come quando ci s’accorge che l’ultima
caramella rimasta nel sacchetto delle Tuttigusti+1 è quella al sapore di
vomito.
« Entrerai nella mia biblioteca solo dopo aver giurato di
aiutarmi. » E più chiari di così non si poteva essere.
Hermione prese tempo.
Malfoy non era più soltanto il
ragazzino viziato e fetente che aveva conosciuto a Hogwarts, abituato ad avere
tutto senza rischiare nulla. Il ragazzo che le stava davanti e che chiedeva il
suo aiuto portava, come Harry, il peso della dolorosa perdita di entrambi i
genitori; cercava vendetta e, forse, anche riscatto da un destino in cui era
stato trascinato contro il proprio volere. Rimaneva, però, uno dei peggiori
rappresentanti della Casa di Serpeverde e, dovette ripetersi con forza ancora
una volta, era un Mangiamorte: c’era un marchio indelebile a ricordarlo.
Se voleva ottenere qualcosa da
lui, doveva scendere al suo livello e giocare sleale.
« Va bene, » rispose.
Draco rimase un attimo sorpreso,
poi ordinò: « Giuralo. ».
Lei avanzò di un passo. Lui, di
riflesso, si spostò per bloccarla.
« Granger, voglio la tua parola!
»
« Ho detto che ti aiuterò, »
tagliò corto lei. Per ottenere ciò di cui aveva bisogno era disposta a scendere
a compromessi, ma non a lasciare qualcosa di sé nelle mani di Malfoy, nemmeno
la sua parola: la stretta di un serpente può essere mortale.
Anche se non era nello stile Slytherin
(avrebbe preferito vincolarla con un giuramento - magari sulla testa di Harry
Potter), lui allentò la presa e si accontentò.
Cedette il passo e la seguì su
per le scale, in modo che fosse lei a doversi guardare le spalle.
* * *
Erano le cinque e mezza del
pomeriggio quando Ron uscì dall’ufficio dopo una lunga giornata di lavoro.
Passando davanti alla vetrina del Butterfly, lanciò un’occhiata
all’interno del locale e notò che Ginny non c’era; al suo posto serviva una
ragazza piuttosto carina e Ron non ci pensò due volte ad invertire rotta ed
entrare nel bar.
La sostituta barista gli sembrò
subito più affabile e gentile della cugina. Aveva dei lunghi capelli biondi, gli occhi grandi e chiari, un viso
sottile e il naso all’insù che le dava un’aria ingenua.
Il detective avanzò
pavoneggiandosi, drizzando le spalle e lisciandosi la chioma rossa; quando fu
al banco si schiarì la voce: « Dov’è Ginny?»
La biondina rispose educatamente
(Ron trovò delizioso il suo tono di voce) e disse che Ginny era nello
scantinato a riordinare alcune cose. « La sostituisco solo per qualche ora, »
chiarì.
« Non ti ho mai visto qui. » Ron
cambiò discorso, a conferma dello scarso interesse per gli affari della cugina
Ginevra.
« Non vengo spesso a Londra…
rimarrò solo per un paio di giorni, » spiegò lei evitando di guardarlo negli
occhi. Non era l’imbarazzo ad impedirle di incrociare il suo sguardo, ma una
fastidiosa sensazione di inadeguatezza unita al timore di dire la cosa
sbagliata.
Ron interpretò quel modo di fare
come autentica timidezza, così decise di presentarsi per primo: « Mi chiamo Ron
Weasley, lavoro in un ufficio qui sopra come investigatore privato. E tu? »
« Lavanda Brown. »
Ron corrucciò la fronte per
qualche istante: “Lavanda”… Che razza di nome era?!
Proprio non si addiceva ad una
ragazza come lei. Troppo originale per quel viso ingenuo e troppo scialbo per
quelle gambe tornite in mostra sotto la gonnellina a pieghe…
In ogni caso si guardò bene dal
fare commenti, anche perché lei gli aveva voltato le spalle e si stava
allungando per afferrare una tazza dallo scaffale.
« Preparo un tè, » affermò con
voce acuta (per chi fosse il tè non aveva importanza).
Ron annuì disattento e quella fu
l’ultima cosa che si dissero.
Fra loro scese lentamente un sottile sipario oltre il
quale lui, grattandosi nervosamente il collo, si dedicò alla vana ricerca d’un
argomento di conversazione non banale, mentre lei ne approfittò per distogliere
lo sguardo e abbandonarsi ad una sensazione di insoddisfazione, nata in sordina
nel momento in cui lui era entrato e cresciuta fino a bruciare di rancori
irrisolti.
Fu in quel momento che Ginny
tornò al bar, entrando tutta affannata dalla porta situata a fianco del
bancone. Lanciò uno sguardo preoccupato a Lavanda, poi si rivolse al cugino: «
Ron! Che cosa ci fai qui? Dov’è Harry? »
Lo aggredì come se rimproverasse
un figlio rientrato in casa a tarda notte.
Ron si trattenne dal farle
notare che sembrava una madre isterica solo per non mettersi in cattiva luce
davanti alla bionda Lavanda.
« Harry è rimasto in ufficio, io
sto tornando a casa, » rispose con fastidio.
« L’hai lasciato solo? »
« Certo che l’ho lasciato solo!
Direi che sa badare a se stesso… »
Ginny sospirò: « Lavora sempre
fino a tardi in questi giorni…»
« Se sei preoccupata va’ a
trovarlo… Potresti portargli un tè, » suggerì Ron, provocatorio.
Ginny arrossì: « Beh, sì potrei…
di cosa si sta occupando ora? »
« Non posso parlarne. »
« Lo so, » fece lei arrendevole.
Si aspettava quella risposta prima ancora di formulare la domanda, ma giunse un
aiuto insperato.
« Che peccato! », esclamò
Lavanda, « io adoro le storie di detective! Il tuo è un lavoro davvero
affascinante! »
Le guance di Ron iniziarono a
colorarsi di grosse chiazze rossastre e lui si schiarì la voce: « Dai, non
facciamo nulla di speciale… Adesso ci stiamo occupando del furto alla
pinacoteca McKenzie, l’avrai letto sui giornali… »
Ginny era letteralmente
allibita: Ron si era venduto senza alcuno scrupolo per una chioma bionda e un
paio di gambe affusolate.
« Il furto alla pinacoteca
McKenzie? Oh cielo! » esclamò Lavanda esterrefatta.
« Beh, in realtà non è un
semplice furto, si tratta di un caso di più complesso… »
Ginny guardò Ron e vide un
tacchino dal petto gonfio e la cresta alzata.
Gli occhi di Lavanda brillavano
di curiosità e lui proseguì: « Non sappiamo ancora cosa sia accaduto, ma ci
sono eventi inspiegabili nella dinamica del furto… »
« Quali eventi? »
Ron, in un barlume di lucidità,
oppose una debole resistenza: « mi dispiace, ma non posso parlarne… »
« Dai Ron, tanto rimane fra noi…
» incalzò Ginny.
* * *
Hermione ricordava molto bene
che la biblioteca era l’unica stanza accogliente di Villa Malfoy; grazie anche
al profumo dei libri che evocava nostalgici ricordi di Hogwarts.
Appena entrata, notò che il
vassoio al centro del tavolino era vuoto e lì accanto giaceva il diario magico
che le aveva fatto recuperare la memoria.
Lungo le pareti, l’enorme
collezione di libri le tolse il fiato per la seconda volta.
Come un bambino all’ingresso di
un immenso parco giochi, cominciò a guardarsi intorno scorrendo rapidamente lo
sguardo da uno scaffale all’altro, ingorda, desiderosa di divorare tutti quei
volumi in una volta sola.
S’avvicinò e ne scelse uno, lo
sfogliò rapidamente e ne prese un altro… e un altro ancora….
Estraeva un testo, ne scorreva
le pagine attenta ad ogni dettaglio cercando di memorizzare il maggior numero
di informazioni possibile, poi lo poggiava e passava al successivo, cumulando
sul tavolino precarie pile di libri.
Per venti minuti buoni Draco
Malfoy la osservò trafficare in silenzio.
Si era seduto sulla poltrona del
salotto, sprofondato nel morbido schienale, a gambe larghe e con le braccia
distese lungo i braccioli: una posa studiata per apparire rilassato, ma in
realtà era attento ad ogni mossa della ragazza. Scattava impercettibilmente
appena lei afferrava un nuovo volume e scioglieva i muscoli solo quando
iniziava a perdersi nella lettura.
Ad un tratto Hermione si volse
verso di lui con una domanda diretta: « Sei più tornato ad Hogwarts? »
Draco scosse la testa. « Non
ancora. Non posso farlo finché avrò addosso questa Maled -, » s’interruppe di
botto, scostando lo sguardo da lei e fissando la moquette.
Hermione sbatté le palpebre
incuriosita: « Maledizione? Quale maledizione? »
Draco esitò prima di
risponderle. Non era certo smanioso di mettere al corrente Hermione Granger
della propria umiliante condizione, ma d’altronde - si disse - l’aveva dovuta
coinvolgere proprio per quel motivo.
« Qualcuno mi ha fatto una
fattura che impedisce di fare incantesimi, » ammise con disgusto.
Hermione sbarrò gli occhi in un’espressione
sorpresa, ma dentro stava esultando: Draco Malfoy incapace di fare magie era
pericoloso quanto un boa constrictor chiuso in una teca di vetro al
museo di scienze naturali!
Capì immediatamente perché aveva insistito per strapparle
un giuramento: era l’unico strumento che possedeva per impedirle di prendersi
gioco di lui; allo stesso tempo, pur senza volerlo, Hermione cominciò a provare
per lui una specie di solidarietà, simile al cameratismo che si viene a creare
fra persone che si trovano, impotenti, in balia dello stesso destino.
« E ti aspetti che io possa
annullarla? »
« Esatto. »
« È opera dei tuoi genitori? »
« Non ne ho idea… ma ne dubito:
mio padre non l’avrebbe mai permesso. »
Hermione decise di non
commentare quell’affermazione. « Dovrò consultare alcuni di questi volumi con
più calma, » disse vaga. Non voleva sbilanciarsi in promesse o rivelazioni e,
soprattutto, non aveva perso di vista il proprio obiettivo.
Chinandosi sui libri accatastati
sopra al tavolino, ne afferrò quattro a braccia larghe e fece per raccoglierli.
In quel momento Draco Malfoy s’alzò fulmineo e posò la mano destra sulla pila
di volumi, spingendo verso il basso ed impedendole così di sollevarli.
« Un solo libro, Granger.
Porterai fuori di qui un solo libro alla volta, » minacciò.
Non che dubitasse del modo in
cui la giornalista poteva trattare i suoi preziosi volumi, ma era in casa sua e
le regole le dettava lui.
Lei quasi tremò quando se lo
ritrovò davanti con quell’espressione bieca: le iridi grigie erano ferme e le
pupille dilatate la fissavano dritta negli occhi. Sfilò lentamente dalla pila
di libri l’ultimo in fondo, mentre lui teneva ancora il palmo aperto sul primo.
Con le dita della mano sinistra
scivolò sotto al volume fino a trovare il piccolo diario magico; con cautela,
senza lasciare lo sguardo del Serpeverde, afferrò anche quello assieme al
pesante tomo. Aiutandosi con l’altra mano, estrasse i due libri tenendoli ben
saldi insieme; lesta li ruotò e li strinse con entrambe le braccia sul petto,
nascondendo alla vista di lui il piccolo taccuino.
Il cuore le batteva a mille, ma
Draco non se n’accorse; quando vide spuntare dalle sue braccia la copertina di Jinxes
for the Jinxed (*) riprese il proprio posto sulla poltrona.
Hermione si diresse alla porta
senza dire una parola e lui la lasciò andare, fermamente convinto del suo
ritorno.
Quando lei fu sull’uscio si
fermò: « Hai ancora la tua bacchetta magica? » gli domandò.
« Ovviamente. »
« Bene. Quando avrò trovato una
soluzione dovrai prestarmela, perché non ho idea di dove sia la mia. »
« Tu sei pazza! » esclamò lui
scrutandola con superiorità.
« Non sto scherzando, Malfoy,
come pensi che possa aiutarti se non riesci a fidarti? »
« Ho l’impressione che sia una
difficoltà reciproca. »
Hermione scosse le spalle
esasperata. « Non posso fare dei validi incantesimi senza una bacchetta…
Riflettici! Non posso farcela se non collabori! » disse categorica, uscendo
dalla stanza.
Lui rimase rilassato sulla sua
poltrona, non si scosse nemmeno quando l’anta sbatté forte alle spalle di
Hermione.
Poi chiuse gli occhi ed inspirò
profondamente.
Ce la farai, Granger.
Dopotutto, ad Hogwards eri la
migliore…
* * *
Alle cinque del pomeriggio Harry
aveva convinto Ron a tornare a casa, mentre lui era rimasto in ufficio per
terminare il rapporto sull’indagine della sera precedente: voleva farsi
perdonare per averlo lasciato a lavorare da solo quando era uscito con Ginny.
Uscendo dall’ufficio, Ron aveva spento la luce per
abitudine ed Harry, per pigrizia, non si era alzato a riaccenderla; così ora si
trovava davanti allo schermo del computer mentre il sole tramontava e dalla
finestra dello studio provenivano gli ultimi istanti di fioca luce naturale.
Avrebbe continuato a scrivere imperterrito anche al buio, ma all’improvviso
qualcuno bussò alla porta. Si alzò contrariato sentendo gravare tutta in una
volta la stanchezza cumulata nella giornata di lavoro, amplificata dal continuo
complicarsi del caso McKenzie, che sembrava non avere capo né coda.
Si avvicinò all’ingresso e ne approfittò per accendere la
luce.
Quando aprì, si trovò davanti
Ginny che fissava lo zerbino e non spiccicava parola; in mano teneva una tazza
di tè caldo e fumante.
Harry l’accolse imbarazzato ma
piacevolmente sorpreso.
« Ho visto Ron: mi ha detto che
sei rimasto a finire del lavoro, così ti ho portato un po’ di tè, » esordì lei.
Harry immaginò che l’amico fosse
passato al bar di proposito. « Devo stilare un rapporto. Si tratta di un caso
complicato e voglio andare in fondo a questa storia. »
Ginny si pulì le scarpe sul
tappetino poi entrò e poggiò la tazza di tè sulla scrivania. « Di cosa si
tratta? » azzardò ben sapendo che non erano affari suoi.
Harry scrollò le spalle e
borbottò assente: « Ancora non l’abbiamo capito, ma troverò una spiegazione… »
Ginny lo guardò negli occhi con
una intensità tale da fargli mancare il fiato: chiunque abbastanza sveglio
avrebbe capito dove vagabondavano i suoi pensieri, ma Harry era un po’
imbranato e troppo insicuro per accorgersene.
Così intavolarono un goffa
discussione, rimanendo fermi in piedi nello stesso punto per tutto il tempo.
« Ron ha detto che vi state
occupando di un furto… »
Harry imprecò fra sé e sé: non
era loro abitudine diffondere dettagli sui casi cui lavoravano, quindi era
chiaro che Ron si era fatto raggirare dalla cugina.
Si grattò la nuca cercando di
essere il più delicato possibile: « Ginny, a dire il vero queste sarebbero
informazioni riservate e… »
« Lo so, Harry, non sono
stupida. Non ne farò parola con nessuno, stai tranquillo. Solo pensavo che…
ecco… magari potrei esservi d’aiuto. »
Harry spalancò gli occhi:
inizialmente aveva pensato ad una battuta di spirito, ma l’espressione di Ginny
era serissima.
« E come? » domandò sperando di
non offenderla. Ginny gli appariva così
delicata che a volte aveva l’impressione di ferirla con le sole parole.
In realtà la ragazza aveva delle
spalle ben più robuste di quanto Harry immaginasse, ma a lei piaceva quella
cura che lui mostrava nei suoi confronti e non aveva intenzione, per il
momento, di rivendicare la propria indipendenza.
« So che siete stati sulla
Charing Cross Road ieri notte. Succedono cose strane da quelle parti, non siete
gli unici che hanno visto sparire un uomo… »
Altro che dettagli, Ron aveva
praticamente spiattellato tutto!
« Ginny… » cominciò Harry,
sistemandosi gli occhiali sugli occhi e cercando di mantenere la calma.
Lei non lo lasciò parlare: « È
successo anche a Simur. Camminava nei pressi del negozio di dischi, hai
presente? È stato spinto a terra da un uomo avvolto in un mantello, ma quando
alcuni passanti sono arrivati per aiutarlo, l’uomo è sparito di botto. »
« Chi è Simur? » Harry era
sempre più preoccupato e la cosa divenne evidente dai suoi movimenti rigidi e
nervosi; cominciò a sentire il bisogno di sedersi.
« Simur è un cliente fisso, »
spiegò Ginny che invece sembrava a suo agio, « ti ricordi? È quel vecchietto
simpatico che siede sempre accanto alla finestra. »
Harry capì e d’un tratto si
sentì profondamente sollevato. « Finché continuerai a dargli del Gin alle otto
di mattina è normale che veda scomparire le persone! » obiettò.
« Quanto sei ottuso Harry! Anche
tu e Ron l’avete visto succedere e non avevate bevuto! … O devo pensare il
contrario? » insinuò lei.
Il detective scosse la testa
pazientemente: « Quello che abbiamo visto ha una spiegazione… »
« Non crederai alla storia della
setta di Malfoy? Ma dai! » ironizzò Ginny, « solo a Ron possono venire certe
idee! »
Harry era letteralmente
sconcertato: ma che altro diavolo le aveva raccontato Ron?!
Sbuffò nervosamente: « Ginny,
per favore, non intrometterti, ho la sensazione che si tratti di un affare
pericoloso. »
« Se lo è per me, lo è a maggior
ragione per te. »
« Ma è il mio lavoro. »
Ginny pensò che Harry aveva
ragione e lei si stava comportando in modo troppo apprensivo. Dopotutto erano
usciti insieme soltanto una sera… in quel modo rischiava di sembrare
appiccicosa.
Così non rispose nulla. Si
limitò a guardarlo negli occhi, sentendo nascere un groppo in gola al semplice
pensiero di dover uscire da quella stanza e lasciarlo solo.
Quando iniziò ad apparire
ridicola persino a se stessa, indicò la tazza di tè sul tavolo che si stava
raffreddando: « È meglio che vada, » disse.
« Già, » borbottò Harry mentre
una lieve insoddisfazione gli riempiva il petto.
Gli avrebbe fatto veramente
piacere averla accanto tutta la sera e, per un istante, ipotizzò di chiudere un
occhio ed accettare l’offerta d’aiuto, ma era rischioso… No, non poteva davvero
coinvolgerla.
Quando la salutò a malincuore,
immaginò di vederla uscire dall’ufficio mentre lui tornava al noioso verbale,
invece lei si avvicinò fino a mettergli una mano sul petto, facendogli nascere
un brivido dietro la nuca che quasi lo intontì.
« Ti prego, stai attento, » mormorò.
Facendo un respiro profondo
prese tutto il coraggio che riuscì a trovare, si alzò in punta di piedi e lo
baciò.
Poi, leggera come un soffio di
vento, gli volse le spalle e scappò fuori dall’ufficio.
Lasciandolo lì, impietrito, a
fissare la porta chiudersi lentamente, con l’impronta delle sue labbra sulla
bocca e lo sguardo stralunato, perduto in un altro universo.
* * *
N.d.A.
(*) Jinxes for the Jinxed (Fatture
per Affatturati) è uno dei libri che Hermione trova nella Stanza delle
Necessità, durante la prima riunione dell’Esercito di Silente.
Non ho trovato una descrizione dettagliata di Lavanda Brown, così mi sono
arrangiata. So che ha i capelli castano chiari, spero non vi abbia dato troppo fastidio se ho detto che è bionda, alla fine non c'è molta differenza.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 - Cose preziose ***
Capitolo 11 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
La
memoria.
Sacca
piena di cianfrusaglie che rotolano fuori per caso e finiscono col
meravigliarti,
come se non fossi stato tu a raccoglierle, a trasformarle
in oggetti preziosi.
Q, Luther Blisset
* * *
Capitolo 11 – Cose preziose
Hermione fece un profondo respiro prima di suonare al
campanello dell’appartamento di Harry e Ron; si disse che non c’era motivo di
preoccuparsi se la sera prima s’erano salutati con freddezza.
Ad accoglierla trovò soltanto
Ron, assonnato e in mutande, che la invitò ad entrare. Ci mise qualche istante
a realizzare la propria condizione, e lei provò una gran tenerezza vedendolo
arrossire di botto e dileguarsi alla velocità della luce in cerca di maglietta
e pantaloni. Quando rispuntò vestito in modo approssimativo, aveva ancora la
piega del cuscino stampata sulla faccia.
Hermione non resistette a
stiracchiargli un ciuffo ribelle e particolarmente ridicolo. Non ottenne molto,
solo un ulteriore imbarazzo di Ron, che con un gesto brusco l’allontanò: « Dai,
Hermione! »
Lei si ritrasse con una stretta
al cuore e respinse una lacrima insidiosa.
No,
non era l’illusione che quel gesto potesse farlo ricordare…
Era l’infrangersi della speranza
che il loro legame fosse più forte di un Incantesimo di Memoria.
« Dov’è Harry? »
« In ufficio, » Ron si grattò la
nuca e raccolse un sacchetto di patatine dal tavolino ai piedi del divano, « ne
vuoi una? »
Lei scosse la testa.
Lui ripulì il salotto da una
serie di briciole sparse. « Siediti, dobbiamo parlare, » disse serio.
Hermione trattenne il respiro.
Il ricordo del loro primo ed unico bacio l’attraversò come una scossa, per
l’ennesima volta in quegli ultimi giorni.
« Parlare? D-di cosa? »
« Del caso McKenzie, ovvio! Ci
sono delle novità, roba che non puoi nemmeno immaginare! »
Hermione pensò che fosse
delusione il bruciore che le infiammava la gola, invece era paura.
Paura della solitudine.
Istintiva diffidenza di un’anima sola in territorio straniero.
« No, Ron, sono di fretta, »
mentì, « verrò in ufficio... »
« Domani? »
« Domani, sì, forse… »
« Ok, » annuì Ron, « meglio che
ci sia anche Harry. »
« Sì, » mormorò lei.
« Perché sei venuta allora? »
chiese Ron tutt’ad un tratto preoccupato, come se si fosse appena reso conto
della mancanza di un pezzo nella costruzione.
« Io… ecco… volevo solo darvi questo… » disse Hermione
estraendo dalla borsetta un piccolo quaderno rilegato in cuoio.
Ron si alzò perplesso dal divano
e andò a prendere l’oggetto: « Cos’è? »
Lei scrollò le spalle: « Il mio
taccuino. Volevate leggerlo, giusto? »
* * *
Erano passati solo pochi mesi da
quando Draco Malfoy aveva recuperato la memoria, ma a lui sembravano secoli.
Riteneva, a dispetto delle parole dei suoi genitori, che gli fosse stata
inflitta la peggiore delle punizioni: vivere a Londra in mezzo alla feccia,
senza usare incantesimi, senza poter Respingere, Schiantare, Pietrificare;
senza potersi Smaterializzare e Materializzare, senza Burrobirra… e senza
Quidditch!
Seduto in biblioteca, Draco
rigirò fra le mani la propria inutile bacchetta.
Più volte, fuori controllo,
aveva rischiato di spezzarla perché essa non rispondeva al suo volere.
Tuttavia, non intendeva prestarla a Hermione Granger.
E non solo per il suo sporco
retaggio.
Poteva fidarsi
di lei?
“Fidarsi è bene, non fidarsi è
meglio”, dicevano i babbani.
E lui, in linea di massima,
approvava.
Riflettendo, scrutò il tavolino
accanto a lui ed una curiosa sensazione lo attraversò.
Inizialmente non riuscì a
focalizzare il problema, ma era certo che ci fosse qualcosa sul ripiano in
vetro che…
Anzi, mancava qualcosa…
In un istante, la folgorazione.
Poi un’imprecazione.
Il diario!
Malfoy balzò in piedi,
furibondo.
Hermione Granger l’aveva
ingannato!
Stupida, ottusa, irriducibile
Grifondoro…
E sudicio sangue babbano!
« A stare in mezzo ai babbani mi
sono rammollito! » sibilò schifato, precipitandosi fuori dalla biblioteca.
* * *
Hermione interruppe la lettura
di Jinxes for the Jinxed e fece un grosso sbadiglio.
Accarezzò le ultime pagine del
libro, invecchiate ed ingiallite, e all’improvviso si ritrovò a rievocare la
sera del primo incontro dell’Esercito di Silente nella Stanza delle Necessità.
Era impressionante la quantità
di ricordi che continuava ad affiorarle alla mente. La sua memoria sembrava una
sorgente infinita; ad ogni istante, spillavano come zampilli tracce,
informazioni, immagini, rimpianti, successi, emozioni legati al passato.
Ricordi dolci e allo stesso tempo amari, che sottolineavano il divario profondo
tra lei e il resto dei babbani fra cui ora viveva.
Distesa bocconi si sollevò sui
gomiti e ruotò lasciandosi cadere sul letto di schiena. Allungò la mano sul
comodino per prendere la sveglia.
Era notte inoltrata.
La luce soffusa dell’abat
jour rifletté lo sconforto e la stanchezza nei suoi occhi.
Non aveva trovato nessuna
fattura, tra le pagine del volume, che potesse privare un mago dei propri
poteri.
Incrociò le mani dietro la nuca,
concentrata.
Aveva trovato solo qualche magia
per inibire il funzionamento di una bacchetta, ma sapeva bene che gli
incantesimi potevano essere fatti con il solo pensiero. Se Malfoy riteneva
d’essere vittima di una fattura, significava che non era in grado di usare i
propri poteri in alcuna forma.
Tuttavia, lei non aveva letto
nulla del genere, nemmeno fra le tecniche più complesse.
Sospirò scoraggiata.
Rimanevano poche alternative,
tutt’altro che rassicuranti.
O si trattava di Magia Nera, o
Malfoy stava mentendo.
Nel primo caso, c’era la remota
possibilità che quella fattura fosse connessa all’Incantesimo di Memoria, e che
quindi anche lei avesse lo stesso problema... Un vicolo cieco.
Scosse la testa per liberarsi di
un improvviso senso di soffocamento.
Nel secondo caso, diventava fin
troppo tangibile l’ipotesi che Malfoy le stesse tendendo una trappola… per
incastrare Harry? Forse…
In realtà, poteva trattarsi
anche di un incantesimo sconosciuto… certamente inventato da un mago molto
potente…
Oppure a Malfoy era stata
somministrata qualche pozione… dall’effetto assai duraturo, a dire il vero…
Infine c’era la possibilità che
Jinxes for the Jinxed non fosse un’enciclopedia esaustiva… ridicolo…
Hermione si portò una mano alla
fronte. Le tempie pulsavano come se avesse trascorso gli ultimi secondi in
apnea, sotto litri d’acqua, annaspando per risalire in superficie.
Prese un lungo, risoluto,
respiro.
Affrontare il problema in modo empirico.
L’unica soluzione.
* * *
L’indomani mattina, Harry Potter
e Ronald Weasley si ritrovarono in ufficio a discutere animatamente, seduti
l’uno di fronte all’altro. La luce metallica del sole invernale illuminava le
rispettive scrivanie, accentuando il caos che regnava su di esse.
« Facciamo il punto della
situazione. » esclamò Harry.
Ron prese la parola: « È stato
rubato un quadro dalla pinacoteca McKenzie. Non sappiamo come sia potuto
accadere perché la Villa è sorvegliata in modo maniacale e il video delle
telecamere è un falso. »
« Potrebbe essere stato
sostituito dal ladro o addirittura da McKenzie stesso. » ipotizzò Harry.
« E se il furto fosse una
messinscena per truffare l’assicurazione? »
« McKenzie non otterrebbe nulla…
L’allarme era disattivato: l’assicurazione non pagherà mai. Loro ci sguazzano
in questi dettagli! »
« Però abbiamo un capello
biondo! » disse Ron con soddisfazione.
Harry annuì. Entrambi sapevano
perfettamente dove li poteva condurre quella prova.
« Può essere di Malfoy. »
« Ma Malfoy non è stato da
McKenzie, nessuna telecamera lo ha ripreso e non è nella lista degli ospiti. »
Ron considerò l’osservazione: Harry aveva ragione, ma non
bastava a scagionare il nobile.
« Pansy Parkinson c’è, invece, e dopo essere stata da
McKenzie è andata da Malfoy, dopo che è avvenuto il furto. »
« Ma la Parkinson non è bionda.
»
« Vero, » borbottò Ron
rovistando tra le carte sulla scrivania in cerca della lista degli invitati di
McKenzie. La rilesse ad alta voce, anche se entrambi la sapevano ormai a
memoria, esaminando caso per caso.
« La Signorina Savignon è
bionda, ma ha 74 anni. Poi c’è Henry Poison Tsang, ma il referto del
laboratorio dice che il capello è biondo originale, mentre Tsang è chiaramente
tinto… »
« Olga Neeson è bionda… »
anticipò Harry.
« Sì. Non possiamo escluderla. »
« Che altro sappiamo? »
« Sappiamo che Pansy Parkinson e
Draco Malfoy hanno una relazione. Si sono visti certamente la notte del furto e
poi alla mostra, quando c’era anche Hermione, » ricordò Ron.
« Sappiamo anche che Malfoy ha
tolto un quadro dalla sua esposizione: il ritratto di una donna bionda. Ha
detto di averlo posto al sicuro per timore di danneggiarlo, ma non abbiamo
prove. »
Ron si accorse che l’amico aveva
pronunciato l’ultima frase con espressione meditabonda: « A cosa pensi, Harry?
»
« Ad uno scambio. Un accordo tra
McKenzie e Malfoy. Entrambi i ritratti sono oggetti di gran valore. »
Ron considerò la supposizione. « Sì, può funzionare, ma a
che scopo? E poi… abbiamo già scartato l’ipotesi della setta? »
« Non ancora: è credibile, ma
non mi convince completamente… A proposito! Dovevi proprio spiattellare ogni
cosa giù al bar?! »
Ron arrossì, vergognandosi
specialmente del motivo per cui aveva divulgato quelle informazioni. « Scusa
Harry! Mi sono lasciato prendere! Però… Ginny dice che la storia della setta è
ridicola… Dice che non spiega come le cose scompaiano al volo. »
Harry prese un profondo respiro.
C’è anche questo problema…, pensò con la mente divisa in due: metà
afflitta da quella constatazione, metà perduta nel ricordo del bacio di Ginny.
« In fondo, Ginny non ha tutti i
torti. » disse.
« Lo so, ma come spieghi il
comportamento di Hermione? Lei e Malfoy si sono rivisti dopo la mostra... è
stata lei ad andare da lui. Ed ora è così strana, dice cose assurde… nasconde
la verità… »
« Magari hanno avuto una storia…
» azzardò Harry, « no, dico così per dire… Lei va da lui, lo scopre con
un’altra, la Parkinson, ad esempio… »
« Impossibile, » asserì
categorico Ron ad un tratto pallido come il latte, « ad Hermione non piacciono
i tipi come Malfoy. E poi… c’è un’altra cosa… » aggiunse depositando sulla
scrivania, di fronte a Harry, un piccolo quaderno rilegato.
« Cos’è? »
« Il taccuino di Hermione; me
l’ha dato ieri sera. Guardalo! »
Harry esaminò la copertina, poi
sfogliò rapidamente le pagine. « È vuoto, » concluse.
« Appunto. Perché darci un
taccuino vuoto? »
« Per non farci leggere le sue
preziose annotazioni. »
« Allora poteva tenerselo! »
esclamò Ron che si aspettava quella risposta « …E poi non è esattamente vuoto…
» aggiunse proprio quando Harry individuò l’unica pagina scritta.
A quel punto calò un lungo
silenzio nell’ufficio, come se nessuno dei due ragazzi sapesse dare risposta ad
una domanda tanto semplice:
Chi
sei?
* * *
La sede del The Art Newspaper
era un edificio moderno e funzionale. Una struttura costituita da tre
palazzine, a pianta rettangolare, connesse tra loro con un’originale
architettura frontale in metallo, simile ad un complesso di arcate. La
redazione del giornale era situata all’ultimo piano e dalle ampie vetrate si
aveva una gradevole vista su Vauxhall Park.
Hermione chiuse il proprio
ufficio e scese per la pausa pranzo, ma appena mise piede in South Lambeth
Road, si raggelò.
Dall’altra parte della strada,
appoggiato alla recinzione che circondava il parco, stava Draco Malfoy; le
braccia incrociate sul petto e un’espressione sinistra sul volto, mezzo
nascosto dal collo di un pesante giaccone scuro.
I due si studiarono per un po’.
Poi Hermione s’incamminò per la propria strada: aveva deciso di ignorarlo.
Lui tenne la stessa direzione,
sull’altro lato della strada, continuando a fissarla.
Pur mantenendo lo sguardo
davanti a sé, Hermione sapeva che Malfoy la stava seguendo. Sentiva il suo
fiato sul collo.
Troppo nervosa per proseguire,
si fermò e, dove la segnaletica lo consentiva, attraversò la strada.
Piazzandosi davanti a lui, lo
aggredì: « Che cosa vuoi, Malfoy? »
Lui storse la bocca: « Lo sai
perfettamente. »
« No, non lo so. Ma
qualsiasi cosa sia, mi ha già rovinato la pausa pranzo. » fu la caustica
risposta.
« Hai rubato qualcosa che mi
appartiene. » disse lui torvo.
« Non so di cosa parli, »
ribatté lei, evitando di guardarlo negli occhi.
« Non fare la furba.
Restituiscimi il diario. » ordinò Malfoy, tendendo il palmo destro verso di
lei.
Hermione s’impose la calma. «
Non ce l’ho ora. »
Lui, in un moto di rabbia,
l’afferrò per un braccio: « Non m’importa, vai a prenderlo. Adesso! »
« Lo riavrai stasera. Ora non posso, » affermò lei
divincolandosi, « devo rientrare al lavoro. Sempre che tu sappia cos’è un
lavoro… »
Lui fece un sorriso petulante: « So cosa hai in mente di
fare. Peccato che quell’oggetto sia stato creato per me, non certo per finire
tra le mani del Bamboccio Sopravvissuto.»
« Se è per questo, tu l’hai
messo fra le mani di una Nata Babbana, » sogghignò Hermione, tagliente.
« Molto divertente, Granger, ma
non servirà a farli ricordare. »
« Se ha funzionato con me,
potrebbe… »
« Certo, potrebbe…, »
troncò lui, « ma voglio ricordarti che sono un Malfoy. E i Malfoy odiano
Potter. »
Hermione rifletté un istante, a
bocca semiaperta, fissando Vauxall Park alle spalle di Malfoy, come se lui
fosse trasparente.
Vale comunque la pena tentare,
almeno su Ron… si disse.
Lui la riscosse. « Hai mezza
giornata per far tornare quel diario nella mia biblioteca. Chiaro? » disse
categorico, voltandole le spalle ed entrando nel parco.
« Entro le sei, Granger, non un
minuto di più. »
* * *
N.d.A
X PaytonSawyer: ciao
Payton, le vacanze sono andate bene, un po’ di relax era necessario… anzi
indispensabile! E le tue?
Dici che sono sadica? In effetti, togliere la magia a
Malfoy e sbatterlo fra i babbani è proprio crudele. Ma gli fa bene soffrire un
po’! Tu che ne dici?
Hermione non sarebbe Hermione se si lasciasse
abbindolare: ha ben chiaro il suo obiettivo – per ora.
Devo dire che quando ho
immaginato la scena di Ron e Lavanda ridevo tra me e me perché avevo davvero
in mente un tacchino, alla fine, scriverlo mi sembrava il minimo.
Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo e che ti
sia piaciuta Ginny; quando scrivo di lei sono sempre preoccupata perché è uno
dei personaggi che ho trovato più difficile da gestire in questa fic.
X Jaya: le tue
ipotesi sono interessanti, e questo capitolo sostanzialmente non le ha
smentite, ma per scoprire se sono esatte, mi spiace, dovrai aspettare il
prossimo! ^_^ Baci!!
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 - Burn ***
Capitolo 12 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Capitolo 12 on-line! Qui si conclude, più o meno, la parte iniziale
della fic. Con i prossimi capitoli inizieranno a dipanarsi alcuni dubbi ed
entrerete (finalmente!) nel vivo della storia.
Non perdeteli! XD
* * *
Everything will burn, baby, burn…
Ash, Burn Baby Burn
* * *
Capitolo 12 – Burn
Mentre usciva dalla stazione
della metropolitana in Leicester Square, Hermione si fermò per rovistare nella
borsetta e recuperare il cellulare che stava squillando.
« Sono Hermione. Dimmi, Ron. »
La voce del detective risuonò
vivace attraverso l’apparecchio: « Sei già uscita dal lavoro? »
« Sì. Sto venendo da voi, arrivo
in un paio di minuti, » lo rassicurò lei.
Stava per chiudere la telefonata
quando a Ron tornò in mente una questione urgente: « Hermione, aspetta! Volevo
dirti che ieri ti sei sbagliata: nel taccuino che mi hai dato non c’è scritto
nulla. »
« Non mi sono sbagliata, » corresse lei. Si aspettava
quell’osservazione, per questo stava andando a trovare i due amici in ufficio.
« Ma… » Ron fece per
controbattere, ma lei lo interruppe.
« Ascolta, hai presente quella
pagina con al centro la domanda “chi sei?”? »
« Ah-ha. »
« Devi rispondere. »
Ron rimase alquanto sorpreso: «
Che vuoi dire? »
« Voglio dire che devi prendere
una penna e scrivere nome e cognome sotto alla domanda. Capito? »
« Si ho capito, » borbottò lui,
accigliato, « ma perché? »
« Perché è importante, Ron.
Scrivi il tuo nome e poi fai fare a Harry la stessa cosa, okay? Io sto
arrivando lì, » concluse Hermione sbrigativa, ansiosa di raggiungere l’agenzia.
Ron staccò il telefono e si
accorse che Harry lo stava guardando divertito dalla buffa espressione
corrucciata sul suo viso.
« Cosa ti ha detto? »
Ron scrollò le spalle: « Ha
detto che sta arrivando e che… boh… dobbiamo scrivere sul taccuino che ci ha
dato. Sotto alla domanda dobbiamo scrivere nome e cognome. »
« Perché? »
« Non lo so. Te l’ho detto che è
strana ultimamente, » rispose Ron prendendo il taccuino e passandolo a Harry. «
Fallo prima tu, » propose, come se volesse scrollarsi di dosso l’insolita
responsabilità.
Harry, pur ritenendo la cosa
piuttosto insensata, non pose altre domande.
Si sedette alla scrivania e
prese una penna nera.
Nel centro della pagina in
questione scrisse ciò che Hermione aveva richiesto:
Harry
Potter
Non aveva ancora sollevato la
penna dal foglio che una fitta lieve, ma fastidiosa, lo colse in corrispondenza
della cicatrice.
Subito dopo l’inchiostro prese a
brillare; da nero che era divenne dorato, arancio intenso e infine rosso.
Trascorsero pochi, brevissimi,
istanti.
Poi le parole divennero
incandescenti ed una fatale, nefasta, lingua di fuoco s’alzò dalle pagine del
quaderno di Hermione.
Harry balzò in piedi,
imprecando. L’orrore dipinto sul viso.
Ron lo imitò, imprecando a sua
volta, più forte.
Il caos prese il sopravvento.
Lo studio si trasformò in una
bolgia.
Entrambi i ragazzi, inveendo e
schiamazzando, iniziarono a tamponare il libricino con tutto quello che
trovavano a portata di mano. Libri, fazzoletti, quaderni, sciarpe… Ron vi versò
sopra persino l’ultimo dito di Coca Cola da una lattina dimenticata sulla
scrivania…
Finché la fiamma si spense,
lasciando nell’aria un inconfondibile odore di carta bruciata.
In quel momento Hermione bussò
alla porta.
Una, due, tre volte.
Nessuno si mosse.
Il tono perentorio di Hermione
scosse il pianerottolo. « Apritemi! »
Ron si diresse meccanicamente
all’ingresso.
Harry si precipitò a spalancare
le finestre, operazione chiaramente tardiva e inutile.
Tremando, Ron girò la maniglia.
Hermione mise appena un piede
nella stanza.
Mentre il suo cervello
registrava l’acre odore di bruciato proveniente dalle narici, il suo sguardo
cadde sul taccuino martoriato, che giaceva sulla scrivania sottosopra, fiero
d’essere sopravvissuto all’apocalisse.
Ci mise un secondo a capire.
Le mancò il respiro.
Ron esordì nel peggiore dei
modi: « Non è come pensi, Hermione… »
Lei lo fulminò.
« S-Stai calma… si è rovinata
solo una pagina… » cercò di mitigare Harry.
In effetti, il taccuino (salvo
le pagine macchiate di Coca Cola) era ancora in buono stato. Solo un foglio, di
cui rimanevano piccoli pezzetti inceneriti, era andato perduto.
Hermione boccheggiava in preda
ad un turbine di emozioni indistinguibili: « Come diamine… » La voce si spense
in fondo alla gola.
« Avevi detto che era
importante… volevo farlo prima che arrivassi, » cercò di spiegarsi Ron. « Così
ho dato subito il quaderno a Harry per scrivere… »
« A-ad Harry? P-perché a Harry? » Domandò Hermione
sbigottita, la voce sempre più acuta.
« Perché tu avevi detto …»
« Io avevo detto prima tu,
Ron, poi Harry! » La sua voce stridula penetrò i timpani dei due ragazzi
come il fischio di una sirena.
« Va bene, ma che differenza… »
si difese Ron, smarrito.
Hermione aveva ormai perso il
controllo. Fuori di sé, afferrò il taccuino sulla scrivania.
« Lo sapevo! Non posso fidarmi
di te! … Anzi, non posso fidarmi di nessuno! » Gridò inforcando l’uscita e
sbattendosi la porta alle spalle.
« Se la prende sempre con me! »
Si lamentò Ron, combattuto tra sensi di colpa e lo sconforto, « tu hai rovinato
il taccuino e ci prendo sotto io! » Tacque un istante, poi guardò Harry,
interrogativo: « A proposito: come hai fatto ad incendiarlo?! »
Harry aggrottò la fronte.
« Non lo so…, » balbettò massaggiandosi la cicatrice, «
non ne ho la più pallida idea. »
* * *
Hermione sapeva d’essere in
ritardo, ma non era impaziente di restituire a Malfoy il diario magico ridotto
in pessime condizioni per colpa di Ron. Aveva riflettuto sul fatto che, nel
peggiore dei casi, il Serpeverde avrebbe potuto esibirsi in una sfuriata,
condita di minacce ed offese…
Niente a che vedere con la
Maledizione Cruciatus.
Quando arrivò alla Villa, trovò
aperti il cancello e perfino la porta d’ingresso. Tentennando sulla soglia,
chiese più volte, a voce alta, il permesso di entrare, ma non ottenne risposta.
La casa sembrava deserta.
Attese ancora un po’. Non che
s’aspettasse un’accoglienza calorosa, ma almeno il maggiordomo gentile… invece
non arrivò nessuno.
Prese quindi l’iniziativa e si
avviò lungo le scale, verso la biblioteca. Senza intoppi la raggiunse e notò
che la porta era socchiusa.
Non ci pensò due volte ad
approfittarne, ma quando fece per entrare, dalla stanza di fronte, oltre il
ballatoio, uscì qualcuno.
Hermione si voltò di scatto.
Sbarrò gli occhi.
Deglutì.
Draco Malfoy, la camicia
sbottonata e una mano fra i capelli spettinati, esclamò: « Ma chi… ? Granger,
sei in ritardo! » Poi sbatté le palpebre allibito: « Che diavolo stai facendo?!
»
Vergogna e paura
s’aggrovigliarono nello stomaco di Hermione. « Io? Niente… ho chiamato ma
nessuno… »
« Hai schiamazzato, per
la precisione! » Borbottò lui. « Neanche il tempo di… »
Fece due passi avanti e lei si
schiacciò contro lo stipite della porta.
Sembrava che Malfoy si fosse
appena svegliato ed il suo aspetto era inquietante. Era spettinato e seminudo.
Il torso esile e pallido s’intravedeva sotto la camicia slacciata, indossata in
tutta fretta; ed il colore bianco del tessuto sbatteva terribilmente con il
viso scialbo e spigoloso, dandogli un aria quasi cadaverica.
« Hai portato il diario? »
Domandò.
« S-sì, » balbettò Hermione,
limitandosi a mostrargli il quaderno da lontano.
« Bene, » disse lui soddisfatto,
« mettilo in biblioteca e poi vattene. »
« Io veramente… ho riportato
anche questo, » azzardò Hermione sollevando Jinxes for the Jinxed, « non
ho trovato molto e … vorrei consultare altri testi… ».
« Un’altra volta, non ho tempo
ora, » rispose lui, secco.
In quel momento, dalla stessa
stanza da cui era uscito Malfoy, si affacciò una donna; se ne stava nascosta
dietro la porta e solo il volto era visibile. Lineamenti duri, naso
schiacciato, capelli scuri dal taglio sofisticato…
Hermione non la riconobbe
subito, fu la voce a confermare che si trattava di Pansy Parkinson. Come Ron ed
Harry le avevano detto: i due “se la intendevano”.
« Draco, tesoro, ma quanto ci
metti? »
Lui neanche si voltò a
guardarla: doveva tenere sotto controllo Hermione, la quale fissava Pansy con
aria di superiorità.
« Torna dentro e aspetta, » le
ordinò.
« Odio aspettare, lo sai, »
protestò l’attrice; poi alzò gli occhi per curiosare oltre le spalle del
ragazzo e fu allora che vide Hermione Granger.
Si accigliò e, bruciante di
gelosia, uscì dalla stanza; la sua sontuosa vestaglia strisciò sul pavimento.
Raggiunse Draco e strinse entrambe le mani attorno al suo braccio sinistro,
arricciandogli involontariamente la camicia.
Lui tirò il polsino per stendere
la manica.
Hermione fu certa che quel gesto
aveva lo scopo di assicurarsi che il Marchio Nero rimanesse ben coperto; si
schiarì la voce: « Io - indicò la biblioteca - posso fare anche da sola… dato
che sei occupato… » propose sarcastica.
Malfoy strinse il pugno destro.
Stava odiando quel momento dal
profondo delle viscere.
Perché
diamine Pansy non si faceva gli affari suoi?
E perché nessuno aveva mai messo
un limite all’invadenza Grifondoro?
« Draco, » Pansy lo strattonò
impaziente.
Lui la ignorò. Poi sbuffò e
puntò l’indice contro Hermione. « Posso controllare ogni tua mossa, » asserì.
Che voleva dire: non azzardarti di nuovo ad intascare roba che non ti
appartiene.
« Voglio solo consultare i tuoi
libri, Malfoy, » ribatté lei, infastidita, « credevo di doverti aiut -»
« Va bene, Granger, » tagliò
corto lui, « ma voglio un resoconto dettagliato delle ricerche e… non
insudiciare tutto con le tue mani unte! »
* * *
Pansy trascinò letteralmente Draco dentro
la stanza. Lui non oppose resistenza, era impegnato ad arrovellarsi sui
possibili danni che poteva generare Hermione Granger in casa sua.
Pansy chiuse la porta e si ritrovarono nella semioscurità,
spezzata dalla luce soffusa delle lampade regolabili. L’attrice si strusciò
addosso al ragazzo, teso e distratto, e lo spinse contro la parete; poi si
sollevò in punta di piedi e gli baciò le labbra sottili.
« Cosa ci fa quella giornalista da
quattro soldi a casa tua? » Lo interrogò in tono inequivocabilmente geloso.
Draco le allontanò il viso per guardarla
negli occhi: « La conosci? » Domandò di rimando, sorpreso.
« Caro, » rispose lei indulgente,
sfiorandogli le labbra con le dita, « dimentichi che sono un’artista, » disse
scendendo con tocco vellutato lungo il collo e la spalla, fino a scostare la
camicia, « quella è Hermione Granger, scrive per il giornale d’arte più famoso
della City… » spiegò ancora, baciandolo sul petto.
Al contatto con le labbra
morbide e calde, lui si rilassò, inclinando la testa all’indietro e chiudendo
gli occhi.
« Dicono che sia brava, » continuò Pansy
alternando i baci alle parole, « ma non ha mai… recensito… i miei spettacoli,
…io lavoro solo… con veri… professionisti. »
Il respiro di lui accelerò. Le
affondò una mano nei capelli e la tirò contro di sé. Lei premette leggermente
con le unghie sul suo torace e lo rigò scendendo verso il basso, fino alla
cintura. Poi si fermò.
« Non mi hai detto perché è qui…
»
Lui borbottò insoddisfatto: « Deve fare
delle ricerche, vuol scrivere un articolo sulla mia famiglia. » Sperò che
s’accontentasse di quella risposta.
Lei tacque, immobile per un istante, poi
gli slacciò i pantaloni e, lentamente, scese lungo il suo petto baciandone la
pelle chiara. Quando arrivò alla cintura, il respiro di lui si fece più corto
ed asmatico.
Pansy si fermò di nuovo; lui si
lamentò, impaziente, aggrottando le sopracciglia con disapprovazione.
« Non mi piace, » sussurrò lei,
inginocchiandosi ai suoi piedi, « non fidarti. » Suggerì, poi lo baciò,
provocatrice.
Lui inarcò all’indietro la schiena e
gemette. « So badare a me stesso, » sussurrò con voce roca.
Lei, indispettita, gli piantò le unghie
nei fianchi e fece per allontanarsi, pronta a protestare, ma lui le mise una
mano sulla nuca per tenerla contro di sé.
Non era il momento di parlare, quello.
* * *
Hermione Granger s’accorse di
provare una gran simpatia per il maggiordomo di Villa Malfoy. Era un uomo sulla
cinquantina, alto e di bell’aspetto, dai capelli brizzolati e radi sulla nuca
per via della calvizie. Aveva il portamento elegante e rispettoso di chi è
stato abituato a servire la nobiltà, e sul viso un espressione amichevole,
creata dai lineamenti morbidi e gli occhi grandi.
Era comparso sulla soglia della
biblioteca mentre lei stava consultando il settimo volume del Manuale di
Incantesimi, e con discrezione l’aveva invitata a scendere per la cena.
Hermione aveva accettato dopo
aver controllato l’orario sul cellulare, posato sul tavolino per tenere
costantemente d’occhio lo scorrere del tempo.
Ora era seduta nell’immensa sala
da pranzo, la stessa dove aveva avuto luogo il ricevimento. Una delle due
lunghe tavole era stata apparecchiata solo per lei, a capotavola, con una
meravigliosa tovaglia in pizzo macramè. Il maggiordomo le aveva servito
una cena semplice e leggera, che Hermione aveva gradito moltissimo, ed ora
attendeva, in piedi accanto allo stipite della porta, il momento di
sparecchiare.
Prima di alzarsi, la giornalista
rifletté ancora una volta sulla opprimente solitudine che regnava in ogni
angolo di quella Villa.
Una
stanza tanto grande per far mangiare una sola persona…
Il maggiordomo s’avvicinò: «
desidera ancora qualcosa, signorina? »
Lei si alzò rapidamente in
piedi, pulendo il maglione da un paio di briciole: « Oh, no grazie! Solo… mi
domandavo… il Signor Malfoy - dovette costringersi ad usare quell’appellativo
- non scende per cena? »
Il maggiordomo scosse la testa.
« Di rado. Generalmente preferisce cenare in camera. »
Hermione non si stupì. Immaginò
Draco Malfoy, seduto a quel tavolo, che mangiava in silenzio… All’improvviso un
nodo le si strinse in gola.
« Lo capisco, » disse sottovoce,
« è una stanza così… fredda. »
A quelle parole, il maggiordomo
le sorrise. « Lei è una persona molto buona, Miss Granger, ma non provi
compassione per il Signor Malfoy, è lui che l’ha voluta così. »
Continua...
* * *
N.d.A.
x PaytonSawyer: eh già… vacanze finite! Vorrei
fare come nelle pubblicità, finita una vacanza riparto con CostaCrociere! XD
Scherzi e nostalgie a parte, mi sforzo molto per rendere credibili i personaggi
all’interno del mondo babbano, e sono davvero contenta che ti sia piaciuto
Draco nel capitolo scorso e che tu l’abbia trovato IC.
Inoltre, come hai potuto constatare, la strada che porta
ai ricordi di Ron e Harry è ancora lunga… ma non troppo dai! Come ho detto
all’inizio, col prossimo capitolo i ritmi s’intensificheranno!
x Jaya: troppi compliments! *^_^* arrossisco! Che dire,
la tua ipotesi, all’inizio, era molto buona… era esattamente quello che
Hermione avrebbe voluto fare! Peccato che Ron e Harry… siano Ron e
Harry: non potevano renderle la vita facile! Non so se quello che è accaduto
nel capitolo tu lo consideri colpo di scena, ma di certo per loro due ho in
serbo altri -deliranti- progetti!
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 - Be my baby ***
Capitolo 13 - Lost Memories
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Poiché la trama, d’ora in poi, andrà decisamente complicandosi, ho
pensato fosse utile riassumere brevemente i fatti accaduti nei capitoli
precedenti. Per cercare di essere breve ho messo solo i fatti principali, i
dettagli marginali sono stati tralasciati… ma non è detto che non siano
importanti! =P
Riassunto
dei capitoli precedenti: Harry Potter e Ron Weasley,
detective privati nella Londra babbana, vengono ingaggiati da un ricco avvocato
per scoprire chi ha rubato un prezioso ritratto dalla sua pinacoteca privata.
Harry e Ron sospettano di Draco Malfoy, ricco erede che di recente ha
organizzato una mostra di quadri in casa propria. Per le indagini, i due
chiedono aiuto all’amica Hermione Granger, giornalista freelance, stranamente
invitata alla mostra. Entrando in contatto con Malfoy grazie a un insolito
diario, Hermione scopre d’essere vittima di un incantesimo di memoria. Tutti i
suoi ricordi legati al mondo magico sono stati rimossi per motivi sconosciuti.
Malfoy le rivela d’aver subito un simile trattamento da parte dei genitori,
poco prima d’essere uccisi da Voldemort, e le chiede (a modo suo) aiuto: il
Serpeverde, infatti, non riesce a usare i poteri magici e ritiene di essere
stato maledetto.
Hermione torna a Villa Malfoy e accetta di aiutarlo, ma in realtà ha un
altro obiettivo: sottrargli il diario e utilizzarlo per far recuperare la
memoria a Harry e Ron, anch’essi ignari del proprio passato.
Nel frattempo, Harry e Ron trovano in Pansy Parkinson (l’attrice, come
spiega Draco a Hermione, non ha recuperato i ricordi nemmeno utilizzando il
diario magico) un legame tra l’avvocato derubato e Draco Malfoy, e scoprono che
sulla Charing Cross Road avvengono strane sparizioni, dalle modalità identiche
a quelle del furto cui stanno lavorando: i pregiudizi che i due hanno nei
confronti di Malfoy si trasformano in sospetti, e i due detective, preoccupati
dal comportamento strano di Hermione, ipotizzano che il ricco erede abbia
costretto l’amica a far parte di una setta.
In un momento di debolezza, Ron rivela questi sospetti a Ginny Weasley.
La ragazza, che sostiene di essere sua cugina e con la quale Harry ha avuto di
recente un appuntamento, vive anch’essa fra i babbani e lavora come barista nel
locale sottostante l’agenzia d’investigazione: il Butterfly. Venuta a
conoscenza della complessità del caso, Ginny sale all’agenzia e, nell’esporre a
Harry la sua preoccupazione, lo bacia per poi fuggire imbarazzata.
La stessa sera, Hermione consegna a Ron il diario magico che è riuscita
a rubare da Villa Malfoy, ma il giorno seguente, le sue speranze di riuscire a
annullare l’incantesimo di memoria che affligge gli amici vanno letteralmente
in fumo: il diario, infatti, riconoscendo l’identità di Harry, prende fuoco e
si autodistrugge.
Hermione, minacciata da Malfoy, torna alla sua villa per restituirgli
il diario, e lo trova in compagnia di Pansy Parkinson. Nonostante lui cerchi di
congedarla rapidamente, Hermione, con la scusa di dover aiutare il ragazzo a
riappropriarsi dei propri poteri, riesce a ottenere il permesso di accedere
alla sua biblioteca e consultare altri testi magici...
* * *
Got a ticket for a world where we belong, so would you be
my baby?
Savage Garden, To the Moon and
back
* * *
Capitolo 13 – Be my
baby
Harry Potter non aveva capito
fino all’ultimo che Ginny avesse proprio quell’intenzione.
A dire il vero, lei l’aveva
sorpreso un po’ con quel bacio, regalato in mezzo alla strada, davanti alla
vetrina del Butterfly appena chiuso.
Poi, però, gli era sembrato quasi ovvio che accettasse di
farsi accompagnare a casa di buon grado, senza proteste; anzi, era persino
arrossita. D’altronde si erano chiariti la sera prima: avevano parlato e
avevano capito di piacersi quanto basta per provare a stare insieme.
Harry le teneva un braccio
intorno alla vita quando erano arrivati davanti a casa sua: un vecchio
appartamento rivestito di moquette e carta da parati.
Sull’ingresso, Ginny l’aveva
baciato di nuovo, dolcemente; poi l’aveva invitato a entrare.
Avevano trascorso un po’ di tempo a chiacchierare perché
lui era rimasto sorpreso dall’originalità dell’abitazione, nella quale trovava
asilo un inusuale animale domestico: un gufo reale costantemente assopito sul
trespolo all’ingresso.
All’improvviso,
inaspettatamente, era stato percorso da un lieve brivido perché Ginny l’aveva
preso per mano conducendolo verso la camera da letto.
Lì, si erano baciati a lungo,
con passione. Un bacio indimenticabile.
Poi lei gli aveva sfilato gli
occhiali, appoggiandoli sul comò.
A quel punto, in realtà, un
sospetto l’aveva attraversato.
Solo che, poi, s’era perso per
l’ennesima volta in quegli occhi grandi, sciogliendosi al loro calore… Finché
lei, imbarazzata, aveva chinato il capo e aveva sussurrato: « Rimani con me
questa notte, Harry? »
Solo in quel momento, Harry Potter aveva davvero
capito.
E si era anche accorto di non
essere del tutto preparato. Anzi, non lo era per niente.
Le mani avevano cominciato a
tremare e non si erano più fermate. L’aria si era rarefatta e il respiro era
diventato affannoso, la voce roca, la mente confusa.
Lei s’era sfilata il maglione e
l’aveva aiutato a togliersi il suo; poi i gesti, le parole e i sospiri si erano
fatti così febbrili ed eccitanti che non aveva più pensato a niente.
A niente che non fosse Ginny; o
il corpo di Ginny; o il profumo, o la pelle, o le mani di Ginny.
All’inizio aveva agito in modo
piuttosto impacciato, poi lei l’aveva guidato con sicurezza, dicendogli cosa
fare, come muoversi.
Se fosse stato più lucido questo
avrebbe potuto imbarazzarlo, ma in quel momento i gesti e le parole di lei
erano ubriacanti.
Le carezze sulla sua pelle gli
avevano tolto il fiato.
I mormorii e il suo muoversi,
lenta, sopra di lui, gli avevano annebbiato la vista e la ragione; gli unici
contorni rimasti nitidi erano quelli dei capelli rossi che le cadevano sulle
spalle, degli occhi grandi, dei fianchi sinuosi, dei morbidi seni.
Prima che Harry potesse rendersene conto, le sue mani
avevano iniziato a scorrere lungo il suo corpo, fermandosi sui fianchi e le
cosce, per seguire quel movimento ondeggiante e ritmico, inebriante, di lei che
si stringeva attorno a lui.
Attimo dopo attimo, i muscoli si
erano tesi fino allo spasmo.
Fino a che lei aveva gridato
forte, scossa dai fremiti dell’estasi; e lui si era sciolto dentro di lei,
ebbro di piacere.
Alla fine, Ginny si era
rannicchiata fra le sue braccia, baciandolo e sorridendogli, e lui, recuperando
un po’ di consapevolezza, l’aveva stretta a sé per poi farla distendere al suo
fianco.
L’uno accanto all’altra, si
erano addormentati.
* * *
Alle nove di sera Draco Malfoy
entrò nella biblioteca e rimase basito: c’erano libri aperti ovunque, sul
tavolo, in terra, sui braccioli della poltrona, mancava solo…
Spalancò li occhi.
« Granger?! » Gridò rabbioso. «
Granger, dove-cavolo-sei? »
Una figura s’affacciò timidamente da dietro la poltrona;
reggeva in mano un grosso volume aperto a metà. Era Hermione, con un aspetto
ancora più orribile del solito: i capelli tutti arruffati, gli occhi stanchi… e
lo fissava stranita: « Che hai da urlare? »
Lui inspirò profondamente. Per
un attimo aveva temuto che lei l’avesse di nuovo ingannato.
S’avvicinò di qualche passo.
« Che cosa hai combinato qui
dentro? »
Invece di rispondere, lei
domandò: « Hai ancora ospiti? »
Aveva parlato con voce incolore
e stanca, ma lui in quella domanda ci lesse solo insolenza.
« No, » rispose secco. « Ora
dimmi che cosa hai… » s’interruppe prima di finire la domanda. Il suo sguardo
era caduto sul diario malconcio poggiato sul tavolino, seminascosto tra i
libri. S’affrettò a raccoglierlo e sventagliandolo davanti a Hermione,
l’aggredì: « Come diamine hai fatto a ridurlo così? »
Lei indietreggiò di un passo e,
con infinita lentezza, poggiò a terra il grosso volume.
Lui interpretò il silenzio e
sogghignò: « Non dirmi che hai provato a usarlo su Potter?! »
Lei fece un cenno con la testa,
non s’attentò a emettere alcun suono.
Malfoy divenne inspiegabilmente allegro: « Lo sapevo,
aveva previsto anche questo! » Gongolò. « Mio padre è un genio! »
Poi si rivolse a lei, con
euforico sarcasmo: « Allora, hai qualche altra buona notizia da darmi?
»
Hermione scosse la testa.
« Veramente… speravo di trovare
di più informazioni in questa biblioteca.»
« Che cosa intendi dire? »
« Ecco… pensavo a testi di…
Magia Nera… solo… solo da esaminare, per informarmi, intendo, per capire se
esiste qualche incantesimo che possa inibire i poteri magici, perché
altrimenti... »
Si vergognava di una simile
richiesta perché le Arti Oscure erano proibite, ma lui non ci fece alcun
caso.
« Tutto quello che ho è qui.
Deduco che brancoli ancora nel buio. Per un attimo ho creduto che fossi
intelligente come dicono… »
Lei strinse le palpebre,
astiosa. « In realtà ho un’ipotesi, » rilanciò. Malfoy la guardò attento.
« Io credo che tu... ecco...
credo che tu abbia un blocco emotivo, » Hermione pronunciò quelle parole con un
filo di voce.
« Un blocco… che? »
« Emotivo. Può capitare, era
accaduto anche a Ninfadora Tonks… »
« Chi? »
« Tonks, la moglie del professor
Lupin… Oh! Purtroppo hanno perso la vita entrambi - sospirò affranta - Era tua
cugina, figlia di Andromeda Black,
forse non ti ricordi di lei perché è stata diseredata … »
« So chi è, Granger! Va’ avanti!
»
« Vedi, Tonks era una
Metamorfomagus. Inizialmente, Lupin ha respinto il suo amore, arrecandole un
dolore così grande da farle perdere temporaneamente i poteri… Così ho pensato
che, forse, il trauma che hai vissuto per la morte dei tuoi genitori… »
A quelle parole oltraggiose il
viso di Malfoy s'irrigidì: « Non ho mai sentito una stupidaggine simile. Io non
ho nessun trauma! »
« Va bene, » mitigò Hermione, «
ma ipotizzando che tu possa avere questo blocco emotivo… »
« Io non ho nessun blocco »
Hermione sospirò paziente.
« Potrebbe essere stato indotto
da qualcuno o da qualcosa… » inventò, scegliendo con cura ogni parola. «
Supponiamo che qualcuno ti abbia indotto questo… forte stress…
(magari usando una pozione) che ha bloccato temporaneamente i tuoi poteri…
»
Malfoy la guardò dubbioso, poi
decise che l’ipotesi era avvallabile. « Va bene. Cosa mi serve per annullarne
l’effetto? »
« Niente, » rispose
semplicemente Hermione. « Devi
aspettare del tempo »
« Tempo?! » Malfoy inorridì. «
Secondo te io dovrei passare la mia vita rinchiuso qui ad aspettare?!
Non se ne parla. Trova un’altra soluzione! »
Hermione scosse la testa
rassegnata (era impossibile farlo ragionare!), ma in fondo sperava che la
discussione arrivasse a quel punto…
« In realtà, forse ho trovato
qualcosa, » azzardò, « una pozione che... Be’, non posso saperlo finché non
proviamo… »
Malfoy spalancò gli occhi,
interessato. « Cosa ci serve? »
Lei esibì un’espressione
soddisfatta. « Prima di tutto, una bacchetta… » disse con naturalezza.
Malfoy ebbe la netta sensazione
d’essere stato raggirato per la seconda volta.
« E siccome tu non vuoi
prestarmi la tua, dobbiamo andare a Diagon Alley, » concluse lei.
Il ragazzo la scrutò per un paio
di secondi, chiedendosi se fosse consapevole di quello che stava dicendo. « Hai
una Puffola Pigmea al posto del cervello? Non possiamo usare la Magia e,
soprattutto, non abbiamo idea di cosa stia accadendo nel Mondo Magico, non
sappiamo nemmeno se lui è… »
Hermione lo interruppe: aveva
rimuginato su quella scelta tutta la notte trascorsa. « Lo so che è una mossa
azzardata, ma io - la voce s’incrinò - ho bisogno di una bacchetta.
Se …Tu-Sai-Chi - non pronunciò il nome per cautela - è stato sconfitto, non
avrò problemi a trovarne una. Se così non fosse… » esitò un istante, « nessuno
ti fermerà: sei un Mangiamorte. »
Fece quell’affermazione come se
fosse una colpa ancestrale.
Lui deglutì, sentendo la
profondità del disprezzo in quelle parole. Si massaggiò l’avambraccio sinistro,
da cui il Marchio Nero non sarebbe mai scomparso.
« Non ho intenzione di andare a Diagon Alley, » disse
voltandole le spalle.
« Allora dovrai prestami la tua
bacchetta »
« Sei pazza se t’aspetti che lo
faccia, te l’ho già detto »
E n'era quasi sicuro: c’era il
novanta per cento di probabilità che Hermione Granger fosse impazzita. Per il
restante dieci per cento stava cercando di fregarlo.
Si passò una mano fra i capelli
e si voltò per esaminare la sua reazione. L’espressione corrucciata, ridicola e
infantile, nel tentativo malriuscito di rendersi minacciosa, lo divertì.
« Non sto scherzando, » fece lei
indispettita. « Cosa c’è? Hai paura? »
Lui inarcò le sopracciglia: « Di
te? Non farmi ridere! »
« Allora prestami la tua
bacchetta, sarà tutto più facile »
Lui estrasse la bacchetta
infilata nella cintura dietro la schiena. La teneva sempre con sé, come a
Hogwarts.
« Questa? » Domandò con un
ghigno beffardo, agitando il bastoncino davanti agli occhi di Hermione.
« Esatto »
Hermione allungò la mano per
afferrarla.
Lui arretrò.
Lei strinse le labbra; la fronte
aggrottata. Scavalcò un ammasso di libri sparsi in terra, camminando
precariamente tra un volume e l’altro, e lo raggiunse. Di nuovo tentò di
prendere la bacchetta; ma Malfoy sollevò il braccio.
Hermione sbuffò. « Perché sei
così testardo? Te la restituirò subito, » lo rassicurò. « Non credi che prima
di tutto dovremmo verificare se sono in grado di usare i miei poteri? »
« Anche tu hai subito dei traumi, Granger? Lo sospettavo…
» la derise.
Lei ruggì e strinse i pugni.
Avanzò verso di lui facendolo arretrare finché gli scaffali arrestarono i suoi
passi. A quel punto saltò per afferrare la bacchetta, ma lui tese il braccio
più in alto che poteva. Decisa a non mollare, si aggrappò alla sua camicia per
aiutarsi. Elevandosi in punta di piedi riuscì ad afferrargli il polso e cercò
di fargli abbassare la mano.
Inizialmente, a Malfoy sembrò
che un cinghiale gli fosse piombato addosso: mostrava le zanne ringhiando, gli
strappava la camicia, gli sfregiava il polso e, con il peso del corpo, lo
schiacciava contro lo scaffale…
Il disgusto per quel contatto
gli suscitò l’istinto di spingerla a terra, ma optò per il sarcasmo: « Hai
forse dimenticato perché sei qui, Granger? »
Lei s’impietrì. Fu come ricevere
una doccia fredda. Di scatto s’allontanò di uno, due passi. Una vampata di
calore le infiammò il viso. Abbassò lo sguardo a terra.
« Non l’ho dimenticato, »
rispose fra i denti, « ma mi serve una bacchetta! O ti decidi a collaborare o…
O andrò comunque a Diagon Alley! Da sola! »
* * *
Ron Weasley era invidioso del
fatto che Harry Potter avesse la ragazza.
Il lavoro che facevano era
impegnativo e non lasciava loro molto tempo libero per fare nuove conoscenze,
ma in passato c’erano stati momenti di magra, in cui nessuno si fermava sul
pianerottolo dell’agenzia, e lui ora rimpiangeva d’aver preferito ciondolare in
casa, piuttosto che uscire a bere una birra.
Harry era fortunato, pensò,
perché non aveva fatto molta fatica: conoscere Ginny era stato inevitabile,
dato che scendevano al bar abitualmente; inoltre lei aveva praticamente preso
ogni iniziativa.
Lui invece doveva rimboccarsi le
maniche e partire da zero.
C’era stato un periodo in cui
s’era invaghito di Hermione, ma lei era così presa dal suo lavoro che ogni
tentativo di invitarla a uscire era fallito. Così, demoralizzato, aveva gettato
la spugna. E poi, non era esattamente il suo tipo, si disse. Lui cercava una
ragazza che amasse divertirsi, non una specie di dittatrice in carriera…
Era già passata l’ora di cena
quando uscì dall’ufficio demoralizzato, ripercorrendo i propri insuccessi
sentimentali degli ultimi due anni.
Passando davanti al Butterfly,
il suo istinto segnalò allarmato che c’era qualcosa di strano.
S’avvicinò alla vetrina e guardò
attraverso le sbarre della saracinesca. L’interno era buio, ma dalla porta
accanto al bancone, che conduceva allo scantinato, filtrava una luce.
Aggrottò la fronte perplesso: quella luce poteva essere
una semplice dimenticanza, oppure qualcuno era entrato senza autorizzazione.
Il suo primo pensiero fu di contattare
Harry, ma non voleva rovinare il suo appuntamento. Poi si ricordò che,
all’interno della palazzina, si poteva accedere a un’area comune nel
seminterrato. Quest’area dava accesso alle cantine private dei condomini, a
patto di possedere la chiave.
Ron, ovviamente, aveva soltanto
quella assegnata all’agenzia, ma decise comunque di dare un’occhiata.
Prima di scendere, però, corse
in ufficio a prendere la pistola, in via precauzionale…
* * *
Harry si svegliò nel mezzo della
notte a causa di un lieve prurito alla fronte che lo infastidiva.
Gli servirono alcuni istanti per
orientarsi. Quando ricordò di essere a casa di Ginny, si drizzò a sedere sul
letto e subito la cercò al suo fianco. La ragazza dormiva serenamente, dandogli
le spalle. Accese la luce e rimase a osservare la sua schiena scoperta e i
capelli sparsi sul cuscino, ascoltando il suo respiro calmo e delicato.
Una profonda emozione gli gonfiò
il petto.
Non era solo il ricordo della
notte trascorsa, ma qualcosa di molto più intenso.
Era la consapevolezza che il
sentimento nato fra loro aveva radici profonde e possedeva una forza immensa.
La sensazione che il destino
avesse in serbo per loro grandi progetti.
Si sedette al bordo del letto,
s’infilò gli occhiali e i boxer. Il pizzicore sulla fronte si era intensificato
e si sfregò la cicatrice.
S’alzò per andare a lavarsi il
viso, ma fu costretto a fermarsi: il formicolio sul capo era diventato una
fitta dolorosa e persistente. Premette forte il palmo destro sulla ferita, ma
fu inutile, la tempia pulsava così forte da annebbiargli la vista e un ronzio
costante gli tormentava l’udito.
Aumentò la pressione della mano
e chiuse gli occhi.
All’improvviso, un’immagine gli
apparve come l’istantanea di un sogno.
Un volto deforme.
Riaprì gli occhi spaventato, ma
le visioni non si fermarono.
Flash di immagini apparvero uno
dopo l’altro, senza quasi lasciargli il tempo di capire cosa
rappresentassero.
Il cadavere di un ragazzo.
Fiamme ovunque.
Un uomo anziano, la barba bianca
e lunghissima...
Il dolore alla cicatrice si
amplificò fino a piegarlo in ginocchio, ai piedi del letto. Con entrambe le
mani fece pressione sulla fronte, stringendo i denti.
Una serpe strisciava, viscida,
verso di lui.
Una Ginny bambina, il suo corpo
steso a terra bocconi, inerme.
Urlò.
Non avrebbe voluto, ma la voce
si era ribellata a ogni repressione ed era uscita dalla sua gola in un grido
d’orrore.
Harry si voltò verso Ginny:
l’aveva svegliata.
Si era seduta e ora lo guardava
attraverso le palpebre socchiuse per abituare gradualmente gli occhi alla
luce.
Quando si rese conto che
accasciato a terra scattò in piedi allarmata.
« Harry! Harry, ti senti bene? »
Lui mormorò un “sì” affaticato.
Le visioni, fortunatamente, erano terminate e il dolore s’era alleggerito.
Lei gli appoggiò una mano sulla
spalla: « Cosa è successo? »
« Nulla, » rispose lui. « Solo
un forte mal di testa »
Lei lo abbracciò. « Passerà, »
gli disse teneramente, coccolando la sua testa sulla spalla e accarezzandogli i
capelli.
Rimasero così alcuni minuti e
pian piano anche il dolore si placò.
« Va meglio ora, » disse Harry.
« Scusa se ti ho svegliato »
« Non importa, adesso rilassati.
Ti preparo un tè, » disse la ragazza alzandosi in piedi.
« Ginny… » Harry la chiamò dai
piedi del letto, lo sguardo fisso sulla moquette. Non sapeva perché, ma
sentiva il bisogno di dirle ciò che aveva visto.
« Credo di aver avuto
un’allucinazione »
Lei lo guardò sorpresa: « Cosa…
Cosa hai visto? »
« Un volto deformato… era orribile. Fiamme. Un serpente. Un
cadavere. Un vecchio… E poi tu, a terra, svenuta… Forse… » balbettò,
l’angoscia gli impastava la bocca.
« Tu credi… credi che io stia
impazzendo? »
Ginny lo guardò con infinita dolcezza. « No » Rispose. La
sua voce era calda e rassicurante.
« No, Harry. Assolutamente. »
* * *
Ron scese le scale al buio,
lentamente, cercando di non fare rumore. Raggiunse il seminterrato e individuò
subito la cantina del Butterfly: l’unica dalla cui porta filtrava un po’
di luce.
Si schiacciò contro lo stipite e
impugnò la pistola a due mani.
Sapeva più o meno cosa doveva
fare: lui e Harry avevano frequentato un corso preparatorio prima di aprire
l’agenzia, il problema era che non l’aveva mai fatto per davvero.
Esaminò la serratura e constatò
che non era stata manomessa.
A questo punto le possibilità
erano due: o Ginny aveva semplicemente dimenticato di spegnere la luce, oppure
l’intruso possedeva le chiavi. In tal caso poteva essere ancora dentro.
Rifletté alcuni istanti.
Nell’ordine, doveva: fare irruzione
nella stanza, sorprendere l'intruso e immobilizzarlo.
Semplice…
Ron inspirò profondamente,
quindi allungò la mano destra sulla maniglia. La girò e la porta, che non era
chiusa a chiave, si socchiuse.
Ron temporeggiò alcuni secondi,
ma non accadde nulla. Non sentì alcun rumore.
Allora alzò il piede destro,
diede un colpo all’anta e irruppe nella stanza, tenendo la pistola davanti al
viso, all’altezza degli occhi.
Rapidamente, scrutò ogni angolo dello sgabuzzino. Su un
lato c’erano la scala d’accesso al bar e un grosso congelatore; sull’altro, un
altissimo scaffale colmo di bibite e liquori; di fronte aveva un disordinato
ammasso di cassette e scatoloni vuoti.
Certo d’essere solo, ripose la
pistola nella fondina. Avanzò nel centro della stanza e perlustrò con maggiore
attenzione.
Tutto era in ordine: Ginny aveva
solo dimenticato di spegnere la luce.
Tirò un sospiro di sollievo e si
girò per uscire.
Fu allora che lo vide, poggiato contro la parete alle sue
spalle, semicoperto da un vecchio telo bianco.
« Oh, merda! » esclamò
sbigottito.
* * *
N.d.A
x nausikaa87: ricevere una tua recensione è
un onore, credimi! Spero anch’io che la fic continui a intrigarti! Capisco cosa
vuoi dire quando parli di gusti difficili perché anche io sono abbastanza esigente,
specialmente in termini di originalità. Per questo sono davvero contenta che la
trama ti piaccia... Anche se aggiorno ogni due settimane, è un anno che la
progetto e ri-progetto!
x PaytonSawyer: ma figurati! Come ti ho
scritto nella recensione, mi piacciono il tuo stile e le caratterizzazioni che
dai ai personaggi… non è cosa da poco!
Con questo capitolo si dovrebbe capire che il diario si è
incendiato per aver riconosciuto l’identità di Harry. In sostanza, quando
Lucius e Narcissa lo hanno creato, hanno voluto impedire a chiunque altro di
appropriarsene (in questo caso, Harry) con lo scopo di proteggere il figlio non
solo da Voldemort, ma da tutti coloro che avrebbero potuto dargli la caccia o
svelare la sua identità.
Se, per caso, ti stai domandando: “allora perché con
Hermione ha funzionato?!”
Be’, sappi che… stai chiedendo troppo! =P
Concludo dicendoti che, in effetti, volevo suscitare un
po’ di pena nei confronti di Malfoy, credo che soffra molto di più di Hermione
a stare nel mondo babbano, inoltre, la mancanza di poteri magici annulla
completamente la sua identità!
x _Jaya: Hermione aveva sospettato che
il diario non funzionasse con Harry perché Malfoy stesso l’aveva ipotizzato.
Ovviamente non poteva esserne sicura, ma nel dubbio aveva pensato di tentare
con Ron, che ovviamente ha mandato tutto a monte!
Non vorrai che renda la vita facile alla mia
protagonista?!
Malfoy ha trovato il libricino nella sua villa e ritiene
che sia stato creato dai suoi genitori per aiutarlo a ricostruire i ricordi.
L’avevo detto nei capitoli precedenti, ma mi rendo conto che sia facile
dimenticare qualche dettaglio, dato che la storia è abbastanza incasinata e i
miei aggiornamenti troppo radi… Comunque, questa tua domanda mi ha fatto
riflettere e ho pensato fosse utile fare un breve riassunto che ho messo
all’inizio del capitolo!
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 - Verità ***
Capitolo 14 - Verità
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
La verità è una cosa
meravigliosa e terribile, e per questo va trattata con cautela.
J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale
* * *
Capitolo 14 – Verità
Non si erano guardati in faccia
nemmeno un istante.
Il silenzio era stato
interminabile.
Poi Draco Malfoy aveva ordinato:
« Seguimi. »
Hermione Granger, senza fiatare,
aveva eseguito.
Gli interessi in ballo erano
troppi per potersi permettere una sola parola.
Scesero al piano terra, attraversarono il lungo corridoio
che si estendeva dietro le cucine di Villa Malfoy e giunsero in una stanza
fredda, umida e polverosa. La luce della luna filtrava da un’unica, stretta,
finestra posta nella parete di fronte all’entrata. Tutto il mobilio era
ricoperto da grandi lenzuoli bianchi. Nel centro della sala s’intravedeva,
sotto un telo, la struttura in ferro battuto di una vecchia lettiera; di fronte
c’era un grosso armadio. Malfoy scostò parzialmente la tenda che lo ricopriva e
ne aprì le ante; i cardini cigolarono e dal legno s’alzò un forte odore di
muffa.
Hermione s’affacciò da dietro le
sue spalle per vedere all’interno: il mobile era privo di ripiani e conteneva
soltanto un quadro.
Lo riconobbe subito.
L’aveva visto pochi giorni
prima, alla mostra. Era il ritratto che stava esaminando quando Malfoy l’aveva
invitata a cena; il dipinto che Harry e Ron sostenevano fosse stato nascosto.
In quel momento, Hermione
individuò facilmente anche il soggetto raffigurato: Narcissa Black.
Si rimproverò per non averci pensato
prima.
Poi ebbe un’intuizione.
I suoi occhi brillarono eccitati
appena comprese di cosa si trattava.
« Una Passaporta! » bisbigliò
quasi avesse il timore che qualcun altro potesse sentirla.
Malfoy annuì. « Me ne sono
accorto solo pochi giorni fa, dopo che ho fatto allestire la mostra. Prima non
sapevo nemmeno della sua esistenza… non mi occupo di queste cose, » precisò.
« Ci porterà a Diagon Alley? »
azzardò Hermione, in una crescente tensione.
Malfoy scrollò le spalle. « Non
ne ho idea. Non l’ho ancora usata. »
Hermione inspirò profondamente.
Un brivido di paura l’attraversò. Il volto di Narcissa Black sembrava scrutarla
minacciosa attraverso la tela, suggerendo che, ovunque conducesse quel
passaggio, lei non era certo la benvenuta.
Rifletté ansiosa.
E se fosse una
trappola?
« Non è sicura, » decretò. « Non
sappiamo dove conduce. Se finissimo nei guai, nessuno di noi potrebbe
difendersi. »
« Bene, » ribatté lui,
tagliente, « allora andiamo a Diagon Alley attraversando il Paiolo Magico. Di
certo non correremo pericoli... »
« Non puoi saperlo finché non
provi. »
Malfoy sospirò
impercettibilmente. Era impossibile che Hermione Granger non si rendesse conto
di quanto fosse ridicola la propria posizione. Certamente, da insopportabile
Grifondoro, s’impuntava solo per avere ragione a tutti i costi.
« L’ho già fatto, » disse
voltandosi a guardarla negli occhi, come atto di sfida.
Quell’affermazione la spiazzò.
Spalancò gli occhi e li piantò nei suoi, sospettosa.
« Avevi detto di non essere… »
« Ho detto che non sono mai
tornato a Hogwarts, » precisò lui. « In realtà, non sono stato nemmeno a
Diagon Alley, » aggiunse dopo una pausa retorica, « ma ho fatto diversi
sopralluoghi sulla Charing Cross: il passaggio è ancora utilizzato... »
« Avresti potuto attraversarlo e
dare un’occhiata. Sarebbe stato utile. Perché non l’hai fatto? » lo rimproverò
Hermione.
Lui, infastidito, rimbeccò: «
Non so… tu cosa proponi? Forse perché non posso usare la magia? »
« Perché hai paura. »
A Malfoy non piacque per niente
quella risposta e decise di vendicarsi.
Il suo sguardo si fece tetro e
la sua voce divenne un sibilo: « Sbagliato. Perché aspettavo te, Granger.
Costruendoti intorno meticolosamente la mia trappola. »
La vide sbiancare.
L’espressione atterrita sul viso
pallido della ragazza lo riempì di soddisfazione.
Sogghignò.
« Questa Passaporta è stata
creata per me; non so dove conduca, ma di certo in un luogo sicuro. »
« Sicuro per te, »
ribatté Hermione, nervosa.
« “Non puoi saperlo finché non
provi”, » Malfoy le fece il verso, pungente, tirando le labbra in un
sorriso provocatore. « Devi solo decidere se vale la pena rischiare. La posta
in gioco è alta… O sbaglio? »
* * *
« Oh, merda! »
Nello scantinato del Butterfly si udì forte e
chiara l’imprecazione di Ron, sbigottito.
« E adesso che faccio? » si lamentò mentre estraeva il
cellulare per chiamare Harry.
Inveì all’apparecchio,
saltellando sul posto, in attesa che l’amico rispondesse alla chiamata.
« Oh dai, Harry, rispondi!
Cavolo! »
Dall’altra parte era silenzio
assoluto.
Ron attese invano per diversi squilli, finché si attivò la
segreteria. Subito dopo il classico “bip”, camminando avanti indietro, iniziò a
riversare nel ricevitore una valanga di parole, senza quasi prendere fiato, che
testimoniavano tutta la sua agitazione.
« Diamine! Quando ho bisogno non
ci sei mai! » aggredì il suo interlocutore fantasma. « Alza le tue chiappe e
vieni in ufficio. Qui è successo un casino, » spiegò continuando a muoversi per
tutta la stanza, come una molla, gesticolando nervosamente per poi tormentarsi
grossi ciuffi di capelli rossi.
« Sono nello scantinato del Butterfly…
C’era la luce accesa, mi è sembrato strano e sono sceso per controllare… Non
puoi immaginare cos’ho trovato! Senti… mi dispiace, ma non devi fidarti di
Ginny, hai capito? Non fidarti! » ammonì apprensivo. « Non lo dico per
invidia, Harry, non lo farei mai… Oh, cavolo, non riesco a crederci, però l’ho
davanti agli occhi; è mezzo coperto, ma non mi sto sbagliando. Sono sicuro: è
il quadro di McKenzie! È pazzesco. Mi dispiace dirlo… è un’accusa pesante… non
chiedermi come ha fatto perché non ne ho idea… ma è la verità… l’ha
rubato lei… L’ha rubato Ginny! »
Tacque per qualche istante, troppo agitato per continuare.
« Non so cosa fare, te lo giuro,
ma non posso lasciarlo qui, cerca di capire… Mi dispiace, ma devo prenderlo.
Uso il telo per non lasciare impronte e lo porto in ufficio… Non chiamo la
polizia, OK? Vado in ufficio e ti aspetto. Muoviti! »
Disse quelle ultime parole con
lo sguardo fisso sul quadro.
Non aveva ancora chiuso la
telefonata quando, all’improvviso, il pavimento ai suoi piedi si trasformò in
un concerto di scintille scoppiettanti, una raffica di petardi. Imprecò e prese
a saltellare cercando di evitare gli scoppi che sbocciavano ai suoi piedi con
intensità crescente.
Un boato più forte degli altri
lo terrorizzò. Per lo spavento gridò e il cellulare, con la chiamata ancora in
attesa, gli scivolò dalle mani e cadde a terra, rompendosi.
Gridò di nuovo quando una luce
accecante lo investì, costringendolo a chiudere gli occhi e voltare il viso
riparandosi con un braccio.
Un susseguirsi di esplosioni più
potenti lo atterrì a tal punto che, indietreggiando alla cieca, inciampò
rovinando fra l’ammasso di scatoloni vuoti.
Sentì una voce, fra i botti; una
risata.
Provò ad aprire gli occhi, ma la
luce era ancora accecante.
Poi, all’improvviso, qualcuno
balzò su di lui, bloccandogli gambe e braccia; con voce roca lo minacciò: « Non
fiatare o ti faccio secco. »
Ron, terrorizzato, pensò che
tutto sommato poteva farcela a trattenere il fiato.
Respirare non era urgente… non
quanto il bisogno di andare in bagno!
* * *
Hermione fece un passo avanti
affiancando Malfoy.
« Se questo è un inganno, te ne
farò pentire amaramente, » ammonì.
Lui osservò il suo profilo
dall’alto: se aveva paura, non lo dava a vedere.
« E come? Lo dirai alla
McGrannit? » la canzonò.
Lei ebbe un moto di stizza e si
rifiutò di considerarlo.
Lui allora si mise la mano
sinistra in tasca e pose le dita della destra contro la sua schiena, poco sotto
le scapole, premendo con forza per spingerla in avanti.
Lei, colta di sorpresa, fece
qualche passo incespicando, avvicinandosi al quadro.
« Prendilo, » ordinò Malfoy
facendole pressione con le dita sulla schiena.
Lei si voltò tentennante: « Io?
» balbettò.
Lui tirò le labbra sottili in un
sorriso compiaciuto.
Oh, adesso sì che hai paura…
« Certo Granger, lì dentro è
pieno di muffa, » disse altezzoso, « ed io ho già le mani sporche di fango. »
Hermione strinse i denti.
Inaspettatamente, quell’insulto velato le aveva fatto male, tanto che non
riuscì a trovare nulla con cui ribattere. Allora prese il quadro, mossa dal
desiderio di romperglielo in testa, ma Draco ne afferrò immediatamente la cornice
e subito dopo la Passaporta si attivò, risucchiando entrambi in un vortice di
vento…
L’atterraggio colse Hermione impreparata.
Quando arrivarono a
destinazione, inciampò e cadde a terra. Si mise a sedere dolorante, costatando
sconfortata lo strappo sui jeans, all’altezza del ginocchio.
Poco più avanti arrivò Malfoy.
Schivò per un pelo un robusto tavolo di legno, cui si appoggiò barcollando per
qualche passo, ma rimase in piedi.
Scuotendosi i pantaloni si
guardò intorno, spaesato.
Erano giunti in una piccola
casetta di legno, costituita da un’unica stanza; arredata con uno stretto
letto, un camino, un grosso tavolo al centro ed uno scaffale alto fino al
soffitto, ricolmo di oggetti accatastati in apparente disordine; a fianco del
camino, una parete provvisoria separava i servizi.
Era un rifugio abbandonato da
lungo tempo.
Ogni cosa era ricoperta da uno
spesso strato di polvere, tanto che nell’atto di appoggiarsi per restare in
piedi, la mano di Draco aveva lasciato una lunga scia lucida sul manto grigio
ed uniforme del tavolo.
Hermione, ancora accovacciata in
terra, starnutì.
Si era quasi dimenticato di lei.
La guardò dall’alto, al di là
del tavolo.
Era completamente malmessa,
sembrava che metà dei capelli le si fossero rivoltati sulla testa, il
maglioncino di lana scuro che indossava era tutto impolverato, e aveva persino
i pantaloni strappati.
« Per Merlino, Granger! » esordì
disgustato. « Sembra che tu non abbia mai usato una Passaporta! »
Lei si difese: « Per tua
informazione, Malfoy, sono due anni che non mi esercito! Non è così semplice. »
« Anche io sono due anni che non
lo faccio, Granger, » ribatté lui, « eppure guardami: sono in piedi!
Evidentemente non è questione di esercizio, è questione di stile. »
Lei s’alzò, ripetendosi che quel
genere di provocazione era da ignorare.
Così non rispose e s’avvicinò
allo scaffale per dare un’occhiata. Con sua enorme sorpresa vide che era
ricolmo di un’infinità di oggetti magici, di pozioni, di erbe ed ingredienti
generici. Alcuni noti, altri visti solo sui libri; di qualcuno non conosceva
nemmeno l’esistenza, né la funzione.
Anche Draco esaminava il luogo
estasiato, prodigandosi in lodi solenni alla genialità della propria famiglia,
a partire dai più antichi avi fondatori.
Prima di utilizzare la
Passaporta, Hermione aveva avuto davvero paura di inoltrarsi in quella trama
ordita, nei minimi particolari, da una spietata famiglia di Mangiamorte.
Ora, però, capiva d’essere al
sicuro quanto lo era Draco.
Tutto quello che aveva visto era
stato minuziosamente progettato e creato da Lucius e Narcissa, ed aveva il solo
ed unico intento di proteggere ciò che rimaneva loro di più prezioso.
E non si trattava soltanto di un
figlio.
Si trattava di un nome, di una
dinastia.
Si trattava dell’ultimo
discendente dei Malfoy.
Ora sapeva che poteva seguire il
Serpeverde lungo il percorso studiato dai suoi genitori.
Essi avevano consegnato la propria vita a Lord Voldemort,
dapprima invaghiti del suo potere, poi inchiodati ad esso con minacce e ricatti;
ma, un istante prima di morire, avevano preso una decisione importante: mai
avrebbero lasciato la loro eredità, il loro futuro, nelle sue gelide mani.
Hermione sorrise fra sé e sé: il
destino a volte sapeva essere davvero beffardo.
Lucius Malfoy aveva previsto un
incantesimo che impedisse persino a Harry Potter di toccare il diario di suo
figlio, ma non aveva posto alcun ostacolo per i Nati Babbani… Evidentemente
riteneva impossibile (o forse non riusciva nemmeno ad immaginarlo) che Draco
potesse condurre lei, Hermione Granger, attraverso quella sua maestosa
creazione.
E lui…
Hermione cercò Malfoy con lo
sguardo.
Probabilmente l’aveva capito.
Il ragazzo stava davanti
all’unica porta di quel piccolo rifugio; sentendosi osservato, si voltò.
« Vado fuori, » disse girando la
maniglia.
Hermione - voce della prudenza -
si oppose: « Non mi sembra una buona idea… » obbiettò, ma lui non la prese in
considerazione.
« Malfoy, mi ascolti? Non farlo!
»
L’ordine morì nell’aria quando
lui si chiuse la porta alle spalle.
* * *
Harry finì di vestirsi e
raggiunse Ginny in cucina.
Il dolore acuto alla testa era
ormai passato, ma aveva lasciato dietro di sé una traccia profonda, fatta di
immagini visionarie e spaventose, che ancora gli stringeva lo stomaco.
La salutò con un bacio poi,
mentre lei apparecchiava, prese il cellulare.
Un SMS comunicava la presenza di
un messaggio vocale in segreteria.
Compose subito il numero.
Nell’attesa guardò Ginny che con
le dita si scostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tutta intenta a
servire tè e biscotti: la trovò mille volte più bella.
Il messaggio registrato
riportava il numero di Ron.
Harry ne fu sorpreso, ma non
ebbe il tempo di fare congetture. Le parole dell’amico si riversarono nelle sue
orecchie, accavallandosi come rapide di un torrente; sempre più allarmate, gli
trasmisero la stessa ansia e la stessa eccitazione che aveva provato Ron.
L’espressione di Harry mutò
istante dopo istante, trasformandosi in autentico stupore, quando Ron rivelò la
presenza del quadro nello scantinato del Butterfly.
“Non devi fidarti di Ginny!”, si
raccomandava.
Troppo tardi.
Harry si rifiutava di credere a
quell’accusa. Muoveva la testa in continuazione, facendo cenni di negazione ad
ogni sillaba che usciva dal ricevitore.
Aveva già deciso, prima ancora
che Ron lo proponesse, di non chiamare la polizia.
E aveva anche deciso di non
raggiungerlo in ufficio.
Cambiò idea solo quando un
tremendo frastuono rimbombò attraverso l’apparecchio, seguito da un grido…
Poi il silenzio assoluto.
Ron
era stato aggredito!
E non poteva essere stata Ginny,
si disse Harry, perché avevano dormito insieme quella notte!
Ginny lo guardò profondamente
preoccupata: era bianco come una pezza lavata quando rimise il telefono in
tasca, vide l’angoscia nei suoi occhi.
« Harry, che cosa succede? »
« Io… devo andare… » farfugliò
lui, stordito. «Credo che sia accaduto qualcosa a Ron… »
« Cosa? » domandò Ginny, ma
Harry stava già inforcando l’uscita balbettando frasi sconnesse; sembrava in
stato di shock.
« Scusami… davvero… devo andare
in ufficio… è successo qualcosa… nello scantinato… »
Nello
scantinato?!
A Ginny mancò il fiato.
« Harry, no! Aspetta! Posso
spiegarti! » gridò, ma lui era già in strada.
Ginny si precipitò fuori dalla
porta, chiamandolo più volte invano.
Raggiunse il cancello, ma si
bloccò: aveva dimenticato una cosa importante.
Imprecò e fece dietro-front.
Rientrò e corse ad una
cassettiera nel corridoio d’ingresso.
Prese le chiavi di casa ed aprì
il primo cassetto in alto.
Estrasse una penna ed un
minuscolo block notes.
Strappò un foglio e vi scrisse
in fretta e furia alcune righe; poi lo ripiegò in modo approssimativo.
Impacciata per l’agitazione,
corse al trespolo ed accartocciò il biglietto attorno ad una zampa del gufo.
Lo prese in braccio e lo portò
fuori con sé.
« Vai, sai cosa devi fare! »
gridò e con entrambe le mani accompagnò il suo volo.
Poi, finalmente, corse dietro a
Harry, mentre il rapace spalancava le ali e saliva alto nel cielo, felice di
tornare verso casa in quella fredda notte invernale.
Continua...
* * *
N.d.A.
X Jaya: ciao! Sono contenta che il riassunto
sia stato utile. Non lo farò ogni volta, perché non sempre ho il tempo, ma ho
deciso che nelle parti più “incasinate” metterò un breve riepilogo degli
eventi. Ero molto preoccupata per l’appuntamento di Harry e Ginny: volevo
descriverlo in modo diverso dal solito, ma temevo di non riuscire a trasmettere
le giuste sensazioni… Credo d’aver riscritto quel pezzo almeno venti volte… e
se lo rileggo ci trovo ancora dei difetti!
Per quanto riguarda i ricordi di Harry, ho immaginato che
riaffiorassero in modo confuso, privi di un nesso che li collegasse, così ho
scelto delle immagini “a caso” fra tutti gli episodi vissuti da Harry. Il volto
deforme è quello di Voldemort, so che non è proprio l’aggettivo adatto per
descriverlo, ma ho pensato che Harry ora non ricorda chi è il Signore Oscuro e
quindi non può vedere altro che un volto anomalo, deformato. Mi spiace che non
si sia capito bene! -_-
Hai interpretato nel modo corretto la maggior parte delle
immagini. Per le fiamme, pensavo all’Ardemonio; il vecchio è Silente, la serpe
è Nagini e Ginny è nella Camera dei Segreti.
Con questo capitolo si è scoperto quello che Ron aveva
visto sotto il telo… non so cosa ne pensi, ma quel quadro, con cui è cominciata
tutta la storia, doveva pur servire a qualcosa! ^_^
Ron che si compatisce, secondo me, è comprensibile…
dopotutto, il mondo babbano rispetto a quello magico è piuttosto noioso, no? XD
X Nausikaa87: sapere che il mio capitolo ti
ha risollevato la giornata è davvero un onore! E… tranquilla, non ti è sfuggito
proprio niente! Il mio obiettivo era quello di suscitare proprio le domande che
ti sei posta tu, e ora… qualcosa dovrebbe essere più chiaro… forse…
Sono d’accordo con te: Malfoy smielato perde fascino. In
realtà penso che tutte le cose smielate, in generale, perdano fascino… Ma son
gusti!
Ispirazione e voglia di scrivere sono abbastanza al
sicuro, quello che mi manca è il tempo! Posso tranquillizzarti sul fatto che la
storia è completa (anche se solo nella mia testa!), perché io non pubblico mai
nulla che non abbia già un finale. Scrivendo definisco i tempi e i dettagli, ma
non riuscirei nemmeno a cominciare se non avessi già in mente l’intreccio.
X PaytonSawyer: sono contenta che Harry e
Ginny ti siano piaciuti, ho fatto una fatica bestiale a scrivere quel pezzo. Io
ho iniziato ad amare questa coppia solo alla fine del settimo libro, anche
perché credo d’aver capito Ginny solo allora. La domanda su Hermione dovrebbe
aver trovato risposta. Anche se non l’ho detto esplicitamente, spero si sia
capito il motivo per cui il diario non ha reagito negativamente con lei.
In questo capitolo si è scoperto quello che aveva
sconvolto Ron, ma… credo che tu non possa ancora smettere di congetturare! =P
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 - Somewhere I belong ***
Capitolo 15 - Somewhere I belong
Lost Memories
(di Sihaya10)
* *
*
I
wanna heal, I wanna feel
like I’m close to something real.
I wanna find something I’ve wanted all along,
somewhere I belong
Linkin Park, Somewhere I belong
* * *
Capitolo 15 – Somewhere I
belong
Hermione rincorse Draco fuori
dal rifugio.
Appena uscì, ciò che vide le
tolse il respiro.
Si trovavano fra le montagne, in
una piccola radura, sul versante sud di un monte scosceso; dietro di loro
cresceva un fitto bosco di conifere, di fronte la spianata terminava in un dirupo.
Era impossibile allontanarsi da quel luogo, così com’era
impossibile raggiungerlo.
I monti che li circondavano
erano alti, alcuni rocciosi ed innevati, altri ricoperti da rigogliose foreste;
la loro posizione disegnava nello spazio un largo ferro di cavallo, e i
versanti scendevano ripidi confluendo in un’enorme vallata.
Circondata da una tetra
atmosfera, la pianura si estendeva a perdita d’occhio.
Una lugubre foresta, un lago
spettrale.
Una cittadina triste, immersa
nell’oscurità, spezzata soltanto da fioche, sporadiche luci.
Una vecchia ferrovia, una
stazione fantasma.
Al centro della vallata, il
Castello di Hogwarts.
Hermione s’accorse d’avere il
battito del cuore a mille.
Sopra di loro, il cielo era
pece.
Solo un debole quarto di Luna
s’affacciava fra nubi dense e scure, che sembravano dover scoppiare da un
momento all’altro in un violento temporale.
Tra la minaccia plumbea della
tempesta e squarci di lampi verdi, il Marchio Nero troneggiava superbo sul
Castello.
Morsmordre.
Deboli fiamme circondavano il
perimetro della Scuola e luci bieche brillavano dietro alle finestre dei
torrioni.
A nord-ovest, la cima della Torre era nascosta da una
fitta nebbia, il tetto della Guferia era crollato. A est…
Hermione si portò una mano alla bocca. L’angoscia le
stritolò lo stomaco.
Laggiù, il Castello era in
rovina.
La Torre di Grifondoro era
sventrata, a malapena si reggeva in piedi. I dormitori non esistevano più, né
la Sala Comune, né…
Hermione fece qualche passo
avanti, avvicinandosi al dirupo.
Draco Malfoy era sull’orlo e
guardava in basso, nella valle. Teneva entrambe le mani nelle tasche.
Per un attimo, lo rivide
studente; la camicia bianca e i pantaloni scuri ricordavano l’uniforme della
scuola e lui, forse più alto e dimagrito, guardava la vallata con la
determinazione, l’orgoglio e la freddezza dei migliori Slytherin.
Ad un tratto, senza voltarsi,
Draco domandò: « Sai cosa farò quando l’avrò sconfitto? »
Hermione sobbalzò: evidentemente
si era accorto della sua presenza, anche se quella domanda sembrava rivolgerla
soprattutto a se stesso.
« Riscatterò il nome dei Malfoy…
e ricostruirò Hogwarts. »
A quelle parole un groppo le
salì in gola. Le labbra s’incurvarono tremanti.
« Tutto tornerà identico a
com’era prima. Ripristinerò la Sala Grande, l’Osservatorio, le Serre… »
Lei seguì con lo sguardo i
luoghi che citava, chiedendosi se anche lui fosse turbato almeno un po’ dalla
stessa miriade di emozioni che la stava sconvolgendo.
Innumerevoli ricordi, felici e
dolorosi, dolci e amari.
Ricordi perduti, riportati in
vita dal delirante progetto di un ragazzo che sembrava, ad un tratto, essere
tornato bambino.
Premette la mano sulla bocca per
trattenere un singhiozzo.
« Ricostruirò il campo da
Quidditch, » continuò lui con voce vibrante e Hermione spostò lo sguardo verso
ciò che rimaneva dello stadio: un’area ovale incolta circondata da una
struttura pericolante.
Draco era immobile, ma lei capì
che stava guardando nella stessa direzione. E che avrebbe posato gli occhi su
ogni luogo della scuola, esattamente come stava facendo lei.
« Ricostruirò i dormitori, i
bagni e la Torre di Grifondoro, » continuò lui.
A quelle parole, il nodo che
Hermione aveva in gola si strinse in modo soffocante ed i suoi occhi
s’inondarono di lacrime.
« Riaprirò la Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts e le restituirò la sua magnificenza… Inoltre, ne
diventerò il Preside. »
Concluse facendo una profonda
pausa, come un grande condottiero che promette al proprio esercito l’utopia di
un mondo migliore.
Poi, all’improvviso, si voltò
verso di lei.
« Sai perché siamo qui, Granger?
Io e te? »
Lei sussultò, ma non riuscì a
dire nulla.
Calde ed amare lacrime le
scendevano lungo le guance. Inarrestabili.
Non avrebbe mai voluto che lui la vedesse così.
Malfoy tornò a volgerle le
spalle senza attendere risposta.
« Siamo qui perché Hogwarts non
sarebbe nulla senza di noi: Serpeverde, Tassorosso, Corvonero
e Grifondoro… siamo l’anima di questo mondo, » disse solenne,
concedendosi un profondo respiro.
Poi si voltò e si diresse verso
l’ingresso del rifugio.
« Io non vorrei appartenere a
nessun altro luogo, » mormorò passandole accanto.
E
tu, Hermione Granger?
* * *
Harry corse al Butterfly
senza tregua. Scese nel sottoscala e trovò aperta la porta dello scantinato del
bar. Si gettò nella stanza chiamando Ron a gran voce, rischiando di svegliare
l’intera palazzina.
La preoccupazione divenne angoscia quando costatò che non
c’era nessuno. Quello che aveva temuto ascoltando la telefonata, otteneva una dolorosa
conferma.
La sua voce si spezzò, ma
continuò a chiamare l’amico finché il tono pian piano s’affievolì lasciando
spazio alla rassegnazione.
Si mise una mano tra i capelli
ed inspirò profondamente.
Che cosa era
successo?
Dov’era Ron?
E il quadro?
Esaminò la stanza partendo dal
cellulare di Ron che, rompendosi nella caduta, aveva interrotto la
comunicazione. I pezzi erano tutti sul pavimento, non mancava nulla.
Tutt’intorno, le assi di legno riportavano piccole bruciature sparse in modo
irregolare. Contro la parete di fronte c’era un ammasso disordinato di
scatoloni; in una zona erano schiacciati e sfondati...
Forse Ron era caduto in quel
punto…
Cercando di non calpestare le
bruciature, Harry raggiunse il centro della stanza, poi si voltò verso
l’ingresso; accanto alla porta giaceva un telo bianco.
Harry provò a ricostruire i
fatti e a riepilogare gli indizi.
Ron gli aveva telefonato nel
cuore della notte sostenendo d’aver trovato il quadro rubato a McKenzie nello
scantinato del Butterfly…
Non poteva essersi inventato
tutto, eppure lì non c’era traccia del ritratto.
Aveva accusato Ginny d’essere
una ladra, poi la chiamata era stata interrotta.
Dal caos presente nella stanza
era facile dedurre che Ron fosse stato aggredito e, forse, rapito.
Da chi?
Ginny era davvero una ladra?
Aveva un complice o era all’oscuro di tutto?
In quell’istante, lei spuntò
sulla soglia della porta, aggrappandosi allo stipite, col fiato corto ed una
mano sul petto.
« Harry… » ansimò.
* * *
Hermione si asciugò le lacrime.
Poi prese un profondo respiro e
si risolse a rientrare nel rifugio, dove trovò Malfoy intento ad esaminare il
contenuto dello scaffale.
Lo raggiunse silenziosamente.
Un velo di imbarazzo si venne a
creare quando lo affiancò.
Rivedere Hogwarts in quello
stato, dopo due lunghi anni, li aveva feriti entrambi; uno nell’orgoglio,
l’altra dritto al cuore. Quell’emozione intensa li aveva scossi e indeboliti.
Anche se nessuno di loro era
disposto ad ammetterlo, li aveva costretti a guardare verso un comune
obiettivo.
« Allora, cosa ci serve? »
chiese all’improvviso Draco.
Hermione aggrottò la fronte.
« Cosa ci serve per la pozione?
» insistette lui, « i miei genitori hanno lasciato un sacco di roba, non credo
avremo problemi a trovare gli ingredienti giusti, » disse rovistando fra i
ripiani.
Hermione annuì, pensierosa. «
Non hanno lasciato nessuna bacchetta magica… » specificò con una certa
cautela.
Malfoy sogghignò: «
Evidentemente non lo ritenevano necessario, visto che ne ho già una. Non credo
che - » Si fermò, attratto da una piccola sfera di vetro, seminascosta, che
sembrava contenere sbuffi di fumo bianco.
Una Ricordella.
« Guarda! » esclamò indicando
l’oggetto, contenendo a stento il volume della voce.
Lei spalancò gli occhi meravigliata:
ogni cosa di quel progetto era sempre più sorprendente…
« Sai cos’è? » domandò lui per
metterla alla prova.
Per un attimo s’immaginò di
vederla sventagliare la mano sopra la testa per avere la parola: “Lo so! Lo so,
professore!”…
« Una Ricordella, » rispose
prontamente lei. « Ed è anche una Passaporta! »
« È confortante scoprire che sei
ancora una spocchiosa so-tutto-io. »
« Sono sempre stata un’ottima
studentessa. »
Malfoy la squadrò dall’alto in
basso: « La tua unica qualità, a quanto pare. »
Hermione gli lanciò un’occhiata
fulminante, rossa di rabbia, ma lui non le diede il tempo di parlare.
« Credo di sapere dove conduce…
» disse indicando la Ricordella.
La collera di Hermione sfumò
rapidamente per lasciare posto alla curiosità.
Lo guardò negli occhi, senza
livore né soggezione.
Lo sguardo di Malfoy,
solitamente freddo e ostile, sembrava vibrare di trepidazione. Con la mano
destra raccolse la Ricordella e, tenendola sul palmo, la porse a Hermione. Solo
per un istante, un impercettibile sorriso gli illuminò il volto poi, con voce
tentatrice, sussurrò: « Andiamo? »
Hermione, in un crescente
batticuore, pose la propria mano sopra alla sfera.
Pochi istanti dopo, il vortice di una Passaporta li
risucchiò per la seconda volta.
* * *
Harry guardò Ginny con la disperazione negli occhi.
Avrebbe creduto a qualsiasi spiegazione avesse voluto dargli, ma lei non parlò.
Si limitò a posare lo sguardo sul quadro rubato. Harry, di riflesso, fece la
stessa cosa.
Un attimo dopo raggiunse la
conclusione d’essere pazzo.
Per un fulmineo istante gli era
sembrato che il volto nel quadro si fosse mosso. Come se avesse passato lo
sguardo ad esaminare la stanza per poi fissarsi su di lui, accennando un lieve
sorriso.
Ebbe un brivido.
Poi di nuovo una fitta alla
fronte. Si lamentò sfregandosi col dorso della mano.
« Harry che succede? » domandò
Ginny allarmata.
« Niente. »
« Ti fa male la cicatrice? »
« No. »
Mentiva. A Ginny era chiaro come
il Sole.
In pochi passi gli fu accanto,
senza pensare che rischiava di compromettere delle tracce.
Lo abbracciò.
« Finite Incantem, »
mormorò.
Era la seconda volta che
pronunciava la formula, quella notte.
La prima volta mentre Harry
dormiva, pensando che le sue difese fossero più deboli. Sapeva che non sarebbe
bastata, ma sperava che potesse ridurre l’effetto del potente incantesimo di
memoria.
Harry doveva fare il resto.
A lei spettava il compito di
placare le sue paure, di aiutarlo ad accettare i propri ricordi, per lasciarli
affiorare in superficie senza che essi lo conducessero alla pazzia.
Harry la strinse a sé. « Dimmi
che non sei stata tu. » Supplicò, stringendo i denti per il dolore che era
aumentato e stava diventando insopportabile.
« Mi dispiace… »
Harry tremò e chiuse gli occhi,
come se quel gesto potesse cancellare ogni cosa; ma dietro le palpebre trovò un
nuovo mondo, altrettanto inquietante.
Vide una foresta fitta e scura.
Animali mitologici, centauri ed
unicorni apparivano e scomparivano tra le fronde.
Un cervo dal manto argenteo.
Vide i sotterranei bui e freddi
di un vecchio castello.
C’erano dei passi in
avvicinamento.
E, nella gola, paura ed
eccitazione.
Di nuovo, il corpo di Ginny
steso a terra privo di vita.
L’abbracciò forte e sentì una
lama affilata penetrargli la fronte.
Soffocò un grido.
Un uomo anziano, la barba lunga
e gli occhi saggi, scaraventato nell’aria da un lampo di luce.
Avada Kedavra.
Il dolore profondo per la
perdita di un amico.
Sussultò.
Vide un bambino dallo sguardo
vacuo e il cuore di ghiaccio.
Un volto deforme. Beveva sangue
nella foresta.
Una serpe spaventosa.
Sibilava…
« V o l d e m o r t »
Il volto di una donna,
l’espressione dolce, amorevole… materna.
Erano immagini sconnesse,
irreali… Eppure erano sue.
Scivolavano fuori dall’inconscio una dopo l’altra, come se
un filo invisibile le legasse assieme.
Un uomo dal portamento fiero e
sicuro. Il sorriso di un padre.
« Harry… »
Spalancò gli occhi,
aggrappandosi a Ginny e stritolando il suo corpo minuto.
Nonostante il dolore, lei non si
lamentò, ascoltava il suo respiro fattosi più intenso.
Consapevole.
« Io… » balbettò, « io sono… »
Qualsiasi cosa stesse per dire,
Ginny terminò la frase per lui.
« Harry Potter, » mormorò.
« Tu sei Harry Potter. »
* * *
Questa volta l’atterraggio fu impresa ardua anche per il
Serpeverde.
Senza avere il tempo di
rendersene conto finì a sbattere contro il fianco di un grosso armadio di
legno. Con sommo disappunto, si appoggiò ad esso massaggiandosi una spalla.
Poi vide Hermione con la faccia
a terra, e si consolò.
La ragazza si lamentò a bassa
voce per il dolore. Sapeva perfettamente che alle sue spalle Draco Malfoy si
stava godendo impietosamente la scena, così finse di ignorarlo e si rialzò,
guardandosi intorno.
Si trovavano in un’ampia stanza
quadrangolare, senza porte né finestre. Nel centro c’era un lungo tavolo privo
di sedie. Ordinati contro le pareti, erano disposti innumerevoli scatoloni di
diversi colori e dimensioni, tutti catalogati con apposite etichette.
Hermione ne scelse uno piuttosto
grande, color fucsia.
“Veritaserum”, diceva
l’etichetta; aprendolo, vi trovò decine di sieri della verità.
Poi ne aprì uno giallo ocra:
pozione Felix Felicis.
E poi proseguì, passandoli in
rassegna rapidamente uno dopo l’altro: Polvere di Corno di Bicorno, Pozioni
d’Amore, Mandragole, Sangue di Salamandra, Bevanda della
Pace, Magiscotch, …
Aveva qualche dubbio
sull’efficacia della maggior parte delle pozioni, ma era stupefatta.
Si guardò alle spalle: era pieno
di scatole anche dietro di lei!
Corse verso l’armadio a cui
Malfoy era ancora appoggiato.
Spalancò le ante: Scope
Volanti e Metro Polvere!
« Incredibile! È esattamente
quello che speravo di trovare! Secondo me siamo nella Stanza delle Necessità!
Lo pensi anche tu, Malfoy? » esclamò euforica.
Quando si voltò per capire se
lui la pensava allo stesso modo, rimase di stucco.
Malfoy era incollato al fianco
del grande armadio. E tremava.
Il suo volto aveva assunto un
pallore cadaverico; gocce di sudore gli imperlavano la fronte e il respiro era
asmatico, irregolare.
« Malfoy? »
Silenzio.
Si spostò fronteggiandolo. « Che
ti succede? » Insistette.
Lui mosse impercettibilmente la
testa. Il cuore pulsava così forte che temeva gli sfondasse il petto. « Stanno
venendo a prendermi, » disse con un filo di voce.
« Chi? »
« Andiamocene, » ordinò
irrequieto, « sa che sono qui. »
Hermione lo studiò scettica: «
Come fai a dirlo? »
Lui le restituì uno sguardo
colmo di disprezzo, per lei che lo sottovalutava e per se stesso piegato dalla
paura. Si sollevò la manica sinistra della camicia e il gesto fu talmente
feroce che strappò il bottone del polsino.
Lei vide per la prima volta il
Marchio Nero tatuato sulla sua pelle.
Si portò entrambe le mani alla
bocca per soffocare un grido.
Il serpente arrotolava le
proprie spire movendosi sull’avambraccio arrossato dal bruciore.
« Lo vedi? Mi sta cercando! »
Berciò Malfoy.
Un sapore acido le salì alla
gola, come cibo mal digerito, ed un’improvvisa pietà le velò gli occhi.
Scosse la testa e parlò fra le
dita, strette sulle labbra: « Ma non ti troverà. »
« Certo che mi troverà! »
« Se questa è, come credo, la
Stanza delle Necessità siamo al sicuro, nessuno può entrare se ci siamo noi.
»
« Balle! » ruggì lui, « ho fatto
entrare io stesso i Carrow nella Stanza delle Cose Nascoste, usando
l’Armadio Svanitore! »
« La Stanza delle Cose Nascoste
è andata distrutta, ricordi? » (*)
Lui non ascoltava. Tutto il suo corpo era percorso da un
fremito incontrollato. « Andiamocene! » Ordinò isterico.
Lei capì che non era possibile
calmarlo a parole.
Con sensi offuscati dalla paura,
ogni stimolo era appannaggio dell’istinto.
Istinto di sopravvivenza…
Istinto di protezione…
Allora Hermione Granger fece un
gesto che non avrebbe mai immaginato di compiere.
Tanto improbabile, quanto
spontaneo.
Un gesto che Draco Malfoy non avrebbe
dovuto permettere in alcuna circostanza.
Un gesto che, tuttavia, lo
placò.
Delicata come una piuma mossa
dal vento, gli mise una mano all’altezza del cuore e si avvicinò appoggiandogli
una guancia sul petto; rimase alcuni secondi in silenzio ad ascoltarne il
battito convulso.
Lui trattenne il respiro, con il
terrore negli occhi ed una voce nelle orecchie che ordinava di
allontanarla.
Non ci riuscì.
Era paralizzato contro l’armadio,
con la schiena e i palmi premuti sul legno.
Guardava fisso davanti a sé,
senza vedere; con il vuoto completo nello stomaco e nella mente.
E il cuore che, lentamente,
andava rallentando.
« Calmati, » mormorò Hermione, «
cerco una bacchetta, poi ce ne andiamo. Ci metto un secondo. »
Quando lei s’allontanò per
riprendere la ricerca, lui sentì una corrente gelida attraversargli il corpo ed
espandersi fino alle estremità, come se gli avessero appena sottratto l’unica
sorgente di calore nella stanza.
Hermione ritornò poco dopo,
trionfante.
Raccolse la Passaporta e lo
trascinò, letteralmente, dal rifugio alla Londra babbana.
* * *
Cumulonembi carichi di pioggia, trasportati dal vento che
si era alzato rapidamente, oscuravano il cielo sopra a Hogwarts e alle montagne
circostanti.
« Quando la Luna si va
eclissando, c’è qualcuno che sta arrivando, » recitò lentamente la
vedetta.
Fredde sferzate d’aria umida le
scompigliarono i capelli biondi.
Tutti dicevano che non c’era bisogno di sorvegliare
l’orizzonte durante i temporali, ma lei sentiva che quello era un giorno
importante, per cui era tornata lì, sulla cima del pendio, ad aspettare.
Incurante della pioggia e delle correnti, sfidando la temperatura invernale con
indosso solo un abitino di lana blu.
Nessuno l’aveva fermata.
Perché lei era strana, e
bisognava lasciarla fare.
Socchiuse le labbra sottili, in
trepida attesa.
Non aveva freddo, bastava
quell’ombra nera che volteggiava fra le nubi a scaldarle il cuore.
Tese le braccia dietro la
schiena fermando l’abito gonfiato dal vento.
Poco dopo, l’ombra si rivelò
essere un bellissimo gufo reale che, volando ad ali spiegate sopra la valle, la
raggiunse posandosi sul suo braccio.
Impigliandosi nei suoi riccioli
dorati, zampettò fino a salirle sulla testa.
Lei allungò le mani e slacciò il
biglietto che portava attorno ad un artiglio.
Sentendo dei passi alle sue
spalle, si voltò.
« Ciao Neville. »
« Vieni dentro. Prenderai
freddo, » disse premuroso il ragazzo; poi notò che sulla sua testa s’era
appollaiato un gufo.
Lei gli porse il biglietto: « Ha
portato questo. »
Neville, sorpreso, lesse subito
il messaggio.
Torniamo
presto
[We’re
coming back soon]
« È di Ginny, » disse lei,
affiancandolo per rientrare insieme nel rifugio.
Lui annuì, ma non riuscì a
trattenere una domanda: « Come facevi a sapere che sarebbe arrivato oggi? »
« Anche quando piove, il
tempo si muove… » rispose lei. Era tutto il giorno che parlava per rime.
Neville Paciock sorrise.
Ancora una volta, Luna Lovegood
aveva avuto ragione.
* * *
Continua…
N.d.A
(*) Mi riferisco a quando Tiger ha incendiato la
Stanza delle Cose Nascoste con l’Ardemonio. Ho immaginato che venisse distrutta
non l’intera Stanza delle Necessità, ma solo la sua forma di Stanza delle Cose
Nascoste.
X Carol24: grazie per la recensione! Sono
felice che trovi la storia interessante, ora dovrebbe essere un pochino più
chiara la posizione di Ginny, ma per sapere i dettagli dovrai attendere i
prossimi capitoli. Per quanto riguarda Harry, mi piacerebbe sapere se ti
riferisci più al suo essere impacciato con Ginny o al modo impreciso con cui
sta conducendo l’indagine sul furto del quadro… Da parte mia posso dirti che ho
calcato appositamente la mano su questa sua caratteristica per due motivi.
Innanzitutto,
Harry non ricorda il proprio passato, ma è comunque un mago. Accentuandone
l’“imbranataggine” volevo sottolineare la sua inadeguatezza al mondo babbano (…
e quindi la sua appartenenza di diritto ad un altro mondo, per rifarmi anche al
tema del capitolo). Come quando ci si trova in un luogo che non si addice alla
nostra personalità e si prova disagio nell’interagire con persone e cose. In
secondo luogo, ho reso Harry molto imbranato nel rapportarsi con Ginny perché
volevo che voi lettori coglieste una leggera stonatura fra loro, dovuta al
fatto che (ora posso dirlo!) Ginny ricorda qualcosa, mentre Harry no. Ginny,
infatti, accelera i tempi perché è ben consapevole del loro legame, cosa di cui
Harry è assolutamente all’oscuro… Volevo che si cogliesse il suo imbarazzo per
il comportamento di Ginny che, ai suoi occhi, è ovviamente gradito, ma
piuttosto audace.
X PaytonSawyer: Ciao! Non preoccuparti dei
ritardi, sai che apprezzo tantissimo le tue recensioni ma non pretendo certo
che tu sia puntuale!!! Ci mancherebbe! E poi, come vedi, anche io sono
sovraccarica di impegni per cui pubblico (e recensisco!) con un bel po’ di
ritardo. Spero che la storia continui a coinvolgerti ancora! Io ce l’ho messa
tutta per creare suspance! XD
x Nausicaa: grazie, è un piacere ricevere
i tuoi commenti. Creare suspence è uno degli obiettivi principali della fic,
quindi sono contenta di sapere che ci sto riuscendo almeno un po’! Come sempre,
poni i giusti interrogativi e cogli le incongruenze che ho appositamente creato
per incasinare la storia… il che – purtroppo per te - significa che per ora non
potrò sciogliere i tuoi dubbi! ^_^ Per il finale stai tranquilla: detesto
lasciare le cose a metà!
Quando hai scritto della pazienza di Hermione ho riso un
sacco. XDD Rompere le scatole a Hermione è il minimo che Malfoy possa fare,
dato che ha già dovuto umiliarsi abbastanza per chiederle aiuto!
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 - Back to home ***
Capitolo 26 - Back to home
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
N.d.A.
Scusate l’incredibile ritardo, ma Novembre è stato un mese
infernale! Inoltre, questo capitolo aveva bisogno di qualche revisione e io ho
impiegato un sacco di tempo per sistemarlo, e ancora non mi convince del tutto.
Fatemi sapere il vostro parere!
Payton, Nausikaa, Jaya e Carol, perdonatemi se sarò un po’
sbrigativa nel rispondere alle vostre recensioni, lo faccio solo per non
rimandare oltre la pubblicazione del capitolo! Un grazie infinito per il tempo
che dedicate a farmi sapere quello che pensate del mio lavoro, non avete idea
di quanto sia importante per me ogni vostro commento!
Nausikaa87:
Non ti sei fatta nessun
film,
tranquilla, solo ricorda che questa what-if? inizia prima della conclusione
della battaglia, esattamente quando Hagrid porta Harry in braccio e tutti lo
credono morto, un attimo prima che lui si nasconda sotto al Mantello.
Carol24:
ho lavorato tantissimo alla prima scena, quella del
Castello di Hogwarts, non so più quante volte l’ho riscritta… ho fatto di tutto
per renderla triste!
Pian piano ritorneremo al mondo magico, ma certe premesse
erano necessarie! ^_^
Neville e Luna sono personaggi che adoro, ma per scoprire il loro ruolo… c’è
ancora un po’ da aspettare, non troppo, tranquilla!!
PaytonSawyer:
In effetti, le parole “Malfoy” e “sentimento” nella
stessa frase… fanno un po’ strano!! XD
Scherzi a parte, mi dispiace, ma oltre a qualche informazione sullo stato di
Ron, non credo che le tue domande troveranno ancora risposta… ma non è colpa
mia se vai sempre a toccare i punti più delicati! ^^
Recensirti è un piacere, credimi! Vorrei solo trovare il
tempo di dirti quello che penso per ogni tuo lavoro, ma… confido nelle vacanze
natalizie!! Magari Babbo Natale mi regala un po’ di tempo!
Jaya: mi dispiace che tu non riesca ad aggiornare, ma non
preoccuparti, prenditi il tempo necessario per fare le cose al meglio! Intanto
grazie dei commenti!
* * *
There’s no
place like home.
Dal film The
Wizard of Oz
(Regia di Victor Fleming, 1939)
* * *
Capitolo 16 – Back to home
Harry e Ginny erano rimasti a parlare nel seminterrato del
Butterfly per tutta la notte. All’alba erano ancora seduti in un angolo
della stanza, l’una nelle braccia dell’altro. Ginny appoggiava la testa sulla
spalla di Harry e si lasciava coccolare dalle sue carezze; lui le passava la
mano fra i capelli, talvolta le accarezzava il viso dandole qualche bacio sulla
fronte, talvolta intrecciava le proprie dita con le sue e faceva una domanda.
Ginny ascoltava paziente e
replicava. Aveva una risposta per tutto.
« Come siamo arrivati a…
questo? » domandò Harry, riferendosi alla
propria condizione, condivisa con Ron e Hermione.
« È opera della McGrannit, »
esordì Ginny lasciandolo esterrefatto. « Oh, Harry! Durante la battaglia al Castello,
quando Hagrid è comparso reggendo il tuo corpo… ho sentito il mio cuore
spezzarsi… e ho visto infrangersi la speranza negli occhi di tutti coloro che
avevo accanto. Ricordo quell’istante come se fosse ieri. Noi credevamo
profondamente in te; la tua morte, in quel momento, rappresentava la fine. »
La voce di Ginny si era
lentamente incrinata ed ora era profondamente commossa, ma lei proseguì
trattenendo con orgoglio ogni lacrima.
« La professoressa McGrannit
è
stata l’unica a non credere all’evidenza; ha intuito che qualcosa non andava
prima ancora che balzassi giù dalle braccia di Hagrid e ti nascondessi sotto al
Mantello. Ti credeva ferito e sospettava - conoscendoti - che avessi in mente
qualcosa di eroico e impossibile. Inoltre, temeva la sconfitta. Molti di noi
erano soltanto ragazzini, studenti mediocri ed insicuri: non potevamo
affrontare una guerra. Così ha preso una decisione istintiva, di cui si è
pentita mille volte, e che io stessa non ho mai veramente accettato. Solo ora,
inizio a pensare che sia stata la scelta migliore.
Ha deciso che ci serviva
tempo
per rafforzarci e diventare un vero Esercito. Nel frattempo, tu avresti dovuto
restare nascosto per impedire a Tu-Sai-Chi di trovarti e a te di
prendere iniziative personali… Così fece un Incantesimo di Memoria su di voi:
tu, Ron e Hermione; aiutata dai centauri, nel caos, riuscì ad attraversare i
confini di Hogwarts e Smaterializzarsi portandovi qui, a Londra. Pensò che, se
Silente vi aveva voluti insieme, lei non vi avrebbe separato. »
Ginny si fermò e fece un
sorriso
ironico ed intenerito allo stesso tempo: « Sentimentale, eh? L’avresti mai
detto della McGrannit? »
Harry sorrise appena, troppo
basito per dire qualsiasi cosa. Ginny continuò a raccontare.
« A Hogwarts lo scontro
diventò
terribile: tu eri scomparso e Tu-Sai-Chi ti cercava con una furia devastante. La McGrannit tornò al Castello,
ma non per combattere. Proteggendoci, ci trascinò uno ad uno nella Stanza delle
Necessità… il quartier generale dell’Esercito, ricordi? Eravamo pochi, non più
di una decina. Ci disse di restare nascosti lì, mentre lei andava a radunare
altri studenti.
Poi non ricordo molto bene.
Ero
piegata in due dal dolore, Harry, perché credevo che tu mi avessi lasciata per
sempre. George ha dovuto trattenermi con un Incantesimo della Pastoia, perché
gridavo che volevo vendetta, che volevo combattere e non avevo più niente da
perdere…
Quando la McGrannit tornò
con
altri studenti, ci spiegò quello che aveva fatto. Disse che intendeva
insegnarci molte cose, che avremmo dovuto esercitarci giorno e notte e quando
saremmo stati pronti, sarebbe tornata a prendervi. Poi aggiunse che io avevo un
compito speciale: ero il vostro Custode (un po’ come nell’Incanto Fidelius);
dovevo proteggere la vostra identità e, al momento giusto, aiutarvi a
ricordare. Per questo sono venuta a vivere fra i babbani. È stato difficile
starti vicino e fingere… di non provare nulla per te… » concluse in un
sussurro.
Harry arrossì.
Poco dopo fece un’altra
domanda,
la più banale fra tutte quelle che ora lo assillavano, ma l’unica che l’aveva
condotto lì.
« Hai rubato tu il quadro? »
le
domandò.
Ginny annuì.
« È una copia del quadro di
Dexter Fortebraccio. Qualche settimana fa, per caso, ho scoperto della sua
esistenza in una pinacoteca privata (non ho idea di come e quando ci sia
finito, magari secoli fa!). Ho pensato che ci sarebbe tornato utile per
controllare l’Ufficio del Preside. Ne ho parlato con Lavanda, quando è venuta a
trovarmi, e ci siamo accordate perché George passasse a prenderlo… questa sera…
» scosse la testa, « non avevo previsto il vostro coinvolgimento. Sicuramente
Ron gli avrà creato dei problemi… »
Harry si sentì solo
parzialmente
sollevato al pensiero che l’aggressore di Ron fosse George Weasley.
« Ron non ricorda nulla, »
disse, « ma credo che Hermione abbia recuperato la memoria. »
« Davvero? » Ginny era
sorpresa.
« Sì. Temo che sia accaduto
quando ha iniziato ad avere contatti con Malfoy. È andata più volte a casa sua…
Ginny, perché credi che Malfoy sia qui tra i babbani? Non lo trovi sospetto? »
« Tutti noi lo troviamo
sospetto, » disse Ginny. « Abbiamo diverse ipotesi, ma nessuna soddisfacente.
Di sicuro non è opera della professoressa McGrannit… inoltre sappiamo che
alcuni Mangiamorte lo credono morto. »
« E a proposito di Pansy
Parkinson? »
« Pansy Parkinson? » Esclamò Ginny. « Io non
avevo idea che anche lei fosse … »
« Lavora in teatro… e se la
intende con Malfoy, » la informò Harry, preoccupato, « dobbiamo tenere gli
occhi aperti perché c’è chiaramente sotto qualcosa. »
« Sì, Harry, lo temo anch’
io, »
confermò Ginny, « per questo, stasera, torniamo a Hogwarts. »
* * *
Draco si svegliò tutto
indolenzito. Aveva dormito seduto sul pavimento, ai piedi di un vecchio letto,
con la schiena appoggiata alla lettiera.
Ricordava la maggior parte
degli
eventi vissuti la notte precedente, tranne i minuti conclusivi. L’ultima cosa
che aveva in mente era quel contatto imprevisto con Hermione, e il suo calore
contro il petto.
Scosse la testa in un misto
di
disgusto e denigrazione: quella sì, che era una cosa da dimenticare…
Sollevandosi dalla
spalliera,
fece per alzarsi, quando vide alla sua destra una piccola boccetta trasparente,
contenente un liquido verde acqua. Sotto di essa c’era un messaggio scritto in
fretta su un pezzetto di carta: “ Prova questa ”.
Draco ebbe un tuffo al cuore
ed
i suoi occhi s’illuminarono.
Per una volta (l’unica!
)
Hermione Granger l’aveva sorpreso.
In bene o in male, era
ancora
tutto da decidere.
Si sedette a gambe
incrociate e
pose la fiala davanti a sé, fissandola pensieroso.
Non aveva idea di che
pozione
fosse, e Hermione non aveva lasciato scritto nulla… non la poteva biasimare,
perché lui avrebbe fatto la stessa cosa. Il colore faceva pensare ad una
Pozione Rilassante(*), ma poteva osservarla ed odorarla all’infinito
formulando unicamente supposizioni.
Solo bevendola avrebbe
trovato
conferme.
Era rischioso, ma quel
liquido
glauco non l’avrebbe certo ucciso, si disse.
Perché
lei era una Gryffindor…
E i Gryffindor non hanno
il
coraggio di uccidere.
Così Draco prese un profondo
respiro, alzò l’ampolla e bevve il liquido in un unico sorso.
Sentì un bruciore fastidioso
scendergli nello stomaco, che però sparì rapidamente.
Subito dopo estrasse la
propria
bacchetta e si concentrò.
« Lumos, » ordinò
reggendo il bastoncino davanti ai propri occhi, speranzoso.
Non accadde nulla.
Riprovò di nuovo, più volte,
ma
la formula magica non ebbe mai effetto.
Una profonda delusione lo
attraversò e si abbandonò all’indietro, accasciandosi contro la lettiera.
« Idiota, » borbottò.
E non era chiaro a chi si
riferisse.
* * *
Non accadeva dai tempi di
Hogwarts che Hermione Granger e Ginny Weasley facessero colazione insieme. Si
erano date appuntamento presso lo Starbucks Café della stazione di Vauxhall.
Seduta ad un tavolino
accanto
alla vetrata, Ginny rigirava fra le mani un bicchiere di caffelatte caldo,
senza troppa voglia di berlo. Hermione, di fronte a lei, fissava la pioggia
rigare il vetro e rifletteva.
Ginny aveva raccontato di
Harry
e di tutto quello che era cambiato a Hogwarts negli ultimi due anni. Aveva
parlato del piano della McGrannit, della rinascita dell’Esercito di Silente e
dei progressi fatti dai suoi membri, tanto che Hermione si era sentita per la
prima volta “l’ultima della classe”. Infine, aveva espresso i propri sospetti
in merito a Draco Malfoy e a Pansy Parkinson, concludendo con la stessa
proposta che aveva fatto a Harry: partire per Hogwarts immediatamente, quella
sera.
Le rassicurazioni di
Hermione
sull’innocuità dei due Serpeverde erano servite soltanto a suscitare la
disapprovazione di Ginny per essersi lasciata abbindolare.
Poi la conversazione era
scivolata in un fastidioso silenzio, finché Ginny esplose d’impazienza: «
Allora, verrai con noi questa sera o no? » domandò.
Hermione la guardò stranita,
sorpresa che l’amica mettesse in dubbio la sua lealtà. « Certo che ci sarò, ma
non è questo il punto, » disse tornando a fissare il vetro, « mi chiedo solo se
siamo davvero pronti… »
« Lo siamo eccome! » Esclamò
Ginny, « ti ho appena detto che siamo diventati molto più forti e più abili. »
Hermione scosse la testa. «
Ho
capito, ma il problema siamo noi tre. In questi due anni non abbiamo fatto
nulla. Nulla, capisci?! » Disse con drammaticità. « Potrei non riuscire
più ad evocare un Incanto Patronus o lanciare uno Schiantesimo o… »
« Tu? » Ginny la guardò di
sottecchi, « non ci crederei nemmeno se lo vedessi. Inoltre, quello che non sai
te lo insegneremo e lo imparerai in un attimo. »
Hermione si ritrasse con
modestia. « Grazie. Ma… Harry? E… Ron! - Ginny lesse la disperazione nei suoi
occhi - Lui… lui non ha nemmeno recuperato la memoria! »
« Sono sicura che sia in
buone
mani, George l’avrà sicuramente portato al nostro nascondiglio, dove se ne
occuperà mamma. Se non dovesse farcela a raggiungere un buon livello, »
aggiunse Ginny, che non era del tutto estranea alle preoccupazioni dell’amica,
« allora rimarrà al rifugio come hanno fatto altri. »
« Anche Harry? » Ribatté
Hermione scettica, « io non credo che qualcun altro possa sconfiggere Tu-Sai-Chi…
»
« Lo so, » interruppe Ginny,
«
ma abbiamo tempo. Abbiamo atteso due anni, possiamo aspettare ancora. Adesso la
priorità è mettervi al sicuro, Londra è diventata troppo rischiosa... Io non ti
voglio rimproverare, Hermione, mi chiedo solo perché non hai considerato che
avvicinandoti a Malfoy, avresti potuto mettere in pericolo Harry… »
Hermione rispose guardandola
negli occhi: « Perché credo che Malfoy non sia pericoloso. Per quanto ti possa
sembrare assurdo, tutto ciò che vuole è tornare a Hogwarts e ricostruire la
nostra scuola. »
« Lui ti ha detto questo?
»
« Sì. »
« E tu gli hai creduto?
»
Hermione scrollò le spalle e
abbassò lo sguardo. « Mi è sembrato sincero… »
« Sei ingenua, » replicò
Ginny
alzandosi in piedi e, senza aggiungere altro, uscì dal bar.
Hermione volse lo sguardo
oltre
la vetrata e la vide attraversare la strada. Si copriva, contrariata, la testa
con le mani per ripararsi dalla pioggia che all’improvviso s’era fatta più
intensa.
Il suo bicchiere di
caffelatte
era rimasto sul tavolo. Hermione lo prese fra le mani: era ancora pieno.
Doveva essere davvero
dura, per
loro, la vita fra i babbani.
* * *
La vecchia lettiera in ferro battuto vibrò per la violenza
del colpo ricevuto. L’eco del clangore si diffuse nella stanza.
Un gesto di sfogo che a
Draco
Malfoy non bastò.
Afferrò con entrambe le mani
la
parte superiore della pediera e gridò di rabbia e frustrazione.
Non avrebbe sopportato un giorno di più
in quel luogo. In mezzo a gente inferiore e stupida.
Non un minuto di più a respirare i veleni
dello smog e l’aria stantia della Londra babbana.
Si voltò e aprì
violentemente le
ante dell’armadio, facendole sbattere contro il legno; fiotti densi di polvere
scivolarono lungo gli spigoli del mobile.
Poi, il suo viso si deformò
in
una smorfia d’orrore.
Rantolò in cerca d’
ossigeno.
Pietrificato, cercava con
fatica
di assimilare l’agghiacciante concetto.
Il ritratto di sua madre.
Sparito.
Perduto.
Rubato!
« GRANGER! » Un urlo
inferocito
sfondò le pareti della Villa. « IO T’AMMAZZO! »
* * *
Ron Weasley aprì gli occhi
ed
una luce intensa lo investì, tanto che fu costretto a richiuderli.
Ritentò, socchiudendo
cautamente
una sola palpebra.
Era sdraiato su un morbido letto, coperto
con lenzuola candide dal profumo delicato e familiare.
La stanza in cui si trovava
era
piccola, lunga e stretta; conteneva sei letti identici: due accanto al suo e
altri tre contro la parete opposta.
Affondò le mani nel
materasso
per sollevarsi a sedere. Accorgendosi d’essere quasi nudo, tirò a sé la
coperta, imbarazzato. C’era, infatti, nel letto di fronte al suo, una ragazza
che non aveva smesso di guardarlo dal momento in cui si era svegliato. Ora, in
particolare, sorrideva.
« Buongiorno Ron, finalmente
ti
sei ripreso, » disse.
Lui aprì anche l’altro
occhio,
confuso. « Ci conosciamo? » domandò.
Lei annuì: « sono Angelina
Johnson. »
Ron la osservò
perplesso.
Era una ragazza molto
carina.
Dalla pelle scura e i capelli lunghi legati in mille piccole trecce. Aveva uno
sguardo intenso e determinato, un’espressione sicura sul viso; il corpo tonico
e in carne, le guance morbide e il respiro rapido; con una mano si accarezzava
il ventre gravido.
« Mi dispiace. Non mi
ricordo di
te, » si scusò Ron.
« Non preoccuparti. Lo
immaginavo. »
Quelle parole lo fecero
sentire
profondamente a disagio. « Perché siamo qui? » chiese.
« Perché tu sei qui,
»
specificò lei, « nel mio caso credo sia abbastanza evidente… » ridacchiò,
suscitando in Ron una smorfia tra l’offeso e l’imbarazzato.
« È colpa di George, »
continuò
lei, « erano giorni che cercava disperatamente una cavia per provare la sua
nuova creazione… Purtroppo ha trovato te, e non c’era nessuno a fermarlo… »
Angelina fece un sospiro indulgente, ma allo stesso tempo un sorriso divertito
le piegò le labbra.
« Oh Ron, hai vomitato per
due
giorni di fila. Vostra madre è andata su tutte le furie! Povero George, qui lo
teniamo represso e non può esprimersi come vorrebbe… è normale che si sfoghi
all’esterno… »
Normale un
cavolo, pensò
Ron che non aveva idea di chi stesse parlando anche se lei citava tutti come se
fossero suoi parenti stretti.
Roteò gli occhi,
disorientato.
In quel momento un ragazzo
alto,
dai capelli rossi e incredibilmente somigliante a lui, entrò baldanzoso nella
camera.
« Uh, sorpresone! Il Re del
Vomito si è svegliato! » Ululò.
Ron si ritrasse sotto le
coperte
e lo scrutò sospettoso.
Lui si piazzò nel messo
della
stanza e diede il via ad una sceneggiata.
« Avresti dovuto vederti!
Eri
completamente verde, uno schifo! Vomitavi senza interruzione e quando ti ho
portato qui è stato il delirio! Padma ha iniziato a rimettere appena ti ha
visto, Lavanda e Calì l’hanno seguita a ruota! È stato spettacolare, erano anni
che non mi divertivo così! Mamma era talmente fuori di sé che per poco non mi
staccava l’altro orecchio! » Disse indicandosi con il dito l’unico lobo
rimasto.
Angelina notò l’espressione
interdetta di Ron, e richiamò il ragazzo: « Dai George, basta. »
Lui finalmente la considerò
e si
diresse verso il suo letto, con espressione ruffiana. Le mise una mano sul
ventre, si chinò verso di lei e le schioccò un sonoro bacio sulle labbra.
« Non preoccuparti dolcezza,
»
disse facendole l’occhiolino, « crescerà sano nel corpo e nella mente! »
« Ho i miei dubbi, » fece
lei
sarcastica. Poi si rivolse a Ron: « Tu che ne pensi? »
Ron aggrottò la fronte.
Era sempre più convinto di
trovarsi in un ospedale psichiatrico, reparto: Malati Gravi.
« Si può sapere chi cavolo siete!? »
Sbottò.
*
* *
Quella mattina, quando Hermione era
arrivata in redazione, aveva trovato ben diciassette chiamate sulla segreteria
telefonica. Tutti i messaggi dicevano la stessa cosa: “Granger, sei morta”.
Aveva indovinato subito l’origine di
quelle minacce, ma la sua collega Emily era così allarmata da insistere per
contattare la compagnia telefonica.
Il numero chiamante rispondeva a Villa
Malfoy.
Hermione, seccata ed offesa, aveva
deciso che non si sarebbe mossa per il Serpeverde fino al termine della giornata;
all’ora di chiusura, forse, sarebbe andata da lui.
Alle cinque del pomeriggio,
l’indignazione era lentamente sfumata portando con sé il “forse”.
E Hermione si era ritrovata di nuovo
nell’atrio fastoso della Villa.
Ginny avrebbe detto che si era di nuovo
lasciata “abbindolare” dai capricci di Malfoy, ma lei era lì solo per dirgli
che da quel momento in poi avrebbe dovuto arrangiarsi da solo.
Guardò nervosamente l’orologio.
Mancavano poco meno di due ore alla
partenza per Hogwarts.
C’era poco tempo, per cui non attese
nessuno, salì diretta alla biblioteca, sicura di trovarlo là.
E infatti lui c’era, ma l’accoglienza
che le diede non fu propriamente calorosa.
Appena mise piede nella stanza, le
piombò addosso spingendola contro il muro e stringendole una mano intorno alla
gola.
« Credi di essere più furba di me? »
ringhiò.
Hermione non capì il perché di tanta
aggressività, ma era chiaro che la Pozione Rilassante non aveva avuto alcun
effetto…
E per fortuna, si disse, perché
preferiva di gran lunga quelle dita ossute e pallide sul collo, che un’Avada
Kedavra.
* * *
N.d.A.
(bis)
(*) La Pozione Rilassante viene usata in
Harry Potter e l’Ordine della Fenice per calmare Hannah Abbott prima degli
esami (cap. 27). Il colore è inventato, perché ho cercato dappertutto e non ho
trovato niente sulle sue caratteristiche. Ho pensato al verde, che nella
cromoterapia è un colore rilassante. Anche se non l’ho spiegato (mi sembrava
superfluo), Hermione propone questa pozione a Malfoy per ridurre il suo stress
e favorire l’uscita dal trauma che ha ipotizzato; ovviamente l’ha trovata tra
gli scatoloni, altrimenti non avrebbe avuto il tempo di prepararla.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 - Vantaggi ***
Capitolo 17 - Vantaggi
Lost Memories
(di Sihaya)
* * *
“Your adversary has no warning about what kind of
magic you are about to perform,
which gives you a split-second advantage.”
J. K. Rowling, Harry
Potter e il Principe Mezzosangue
(Manuale degli Incantesimi, Vol. 6)
* * *
Capitolo 17 – Vantaggi
« Credi di essere più furba di me? »
ringhiò Malfoy stringendo la mano attorno al collo di Hermione.
Lei tentò invano di allentare la
stretta. « La pozione era solo un tentativo… non c’è bisogno di farne una
tragedia… »
L’espressione minacciosa di lui non
mutò. « Un tentativo di fregarmi! Dove l’hai messo? »
Hermione ribatté disorientata: « Di
cosa parli? »
« Il quadro, Granger! Lo sai benissimo!
»
« La Passaporta? »
« Esatto, non credere di… »
Hermione parlò con difficoltà: « L’ho…
rimessa al suo posto… quando… siamo tornati. »
« Certamente. E come mai ora non c’è
più?! »
Negli occhi di lei balenò autentica
sorpresa. « Io… non ne ho idea. »
« Invece, io ne ho una piuttosto
chiara. »
La stretta divenne troppo dolorosa ed Hermione
piantò le unghie nella mano del ragazzo per cercare di liberarsi. « Malfoy… non
riesco a respirare… L’ho rimesso nell’armadio, non ho preso il quadro. Non sono
una ladra. »
Un ghigno sul viso di Draco le ricordò
che non era vero: aveva già rubato in casa sua.
Capì che era inutile discutere: Malfoy
era arroccato sulle proprie convinzioni; così prese la bacchetta che si era
procurata da appena un giorno.
Non era come maneggiare la propria, ma
sarebbe bastato.
La puntò sotto il mento del ragazzo e,
usando il tono più perentorio che aveva, ordinò: « Lasciami. »
Lui trattenne il respiro con la
consapevolezza di essere in svantaggio; ma non poteva accettare che lei lo
stesse minacciando.
« Non avrai intenzione… »
« Certo… che ho intenzione di usare la
magia, » lo interruppe Hermione, « che ne pensi di… una Maledizione Senza
Perdono? »
« Non avresti il coraggio, » disse lui
mostrando un sorriso nervoso.
« Non ne avrei… nemmeno bisogno, »
ribatté lei. « Mi basterebbe… uno Schiantesimo, oppure potrei Pietrificarti o…
»
« Non lo farai, » asserì Malfoy, ma
l’incertezza nella voce lo tradì.
Hermione s’infilò in quella falla con
astuzia. « Nel dubbio, ti conviene lasciare la presa… » suggerì.
Lui rifletté un istante, poi sciolse la
stretta con riluttanza e si allontanò di alcuni passi.
Hermione continuò a puntargli contro la
bacchetta: mai abbassare la guardia.
« Per Merlino, » sbottò lui alzando le
mani al cielo, « sono disarmato! Dov’è finita la lealtà Grifondoro? »
« La lealtà Grifondoro non è per i
Mangiamorte, » apostrofò lei.
Malfoy incassò il colpo. « Non hai il
coraggio di fare una cosa simile, » ripeté come se quell’affermazione gli
trasmettesse energia.
« Ne sei davvero sicuro, Malfoy? »
provocò lei. « Hai il Marchio Nero e io non mi fido di te. Inoltre abbiamo
alcuni conti in sospeso, ricordi? Potrei vendicarmi di ogni volta che mi hai
offeso, oppure delle torture che ho subito a Malfoy Manor... - tacque per
alcuni secondi - Ma ho cose più importanti di cui occuparmi: parto per Hogwarts,
» annunciò.
« Quindi hai preso il mio
quadro per tornare a Hogwarts! » Dedusse lui, senza valutare le vere
implicazioni di ciò che lei aveva detto.
Hermione scosse vigorosamente la testa.
« Partirò con Ginny e Harry. Non ho bisogno del ritratto di tua madre; non ho
motivo di rubarlo e sarebbe più intelligente distruggerlo, dato che è la tua
unica possibilità di raggiungere Hogwarts. Ma non farò nemmeno quello… »
disse guardandolo con determinazione, con il braccio destro teso e la bacchetta
puntata contro di lui.
« D’ora in poi dovrai cavartela da
solo: voglio solo essere sicura che tu non mi metta i bastoni fra le ruote… »
Concluse muovendo lievemente il
braccio, con eleganza e freddezza.
Draco Malfoy intuì le sue intenzioni e,
accantonando in fretta l’orgoglio, raggiunse con un balzo la poltrona a lui più
vicina, eclissandosi dietro lo schienale.
Nello stesso istante, Hermione
gridò: « Stupeficium! »
Seguì un silenzio surreale.
Poi, quando sentì l’aria
addensarsi di sconcerto e delusione, Malfoy riemerse cauto dal nascondiglio.
Non era accaduto nulla.
Hermione, la bocca semiaperta e
la fronte aggrottata, fissava la punta inattiva della propria bacchetta.
Interdetta, alzò lo sguardo
verso di lui.
« Non funziona, » affermò
guardandolo dritto negli occhi.
Malfoy non fece in tempo a parlare che sul viso di
Hermione brillò un’intuizione.
« Ho capito! La Maledizione dev’essere sulla Villa! »
Draco sentì il fiato mancare per
un istante.
Tutta Hogwarts riteneva che Hermione Granger fosse la
studentessa più intelligente, ma lui si era sempre sentito superiore; per
questo stava odiando quell’imprevista sensazione di soggezione che gli
opprimeva il respiro.
Abbassò lo sguardo, infastidito,
come se la sicurezza sul viso della ragazza fosse accecante.
« Malfoy, hai mai provato a fare
incantesimi fuori da qui? » Domandò lei.
Lui sgranò gli occhi. Un
impalpabile velo di umiliazione li ricoprì.
« No, » borbottò.
Non ci aveva provato.
MAI.
Perché lui odiava stare in mezzo
ai babbani, e solo lì dentro, nella dimora che i suoi genitori avevano scelto
per lui, si sentiva vagamente a suo agio.
« Ho usato questa bacchetta ieri
per riportarti indietro e funzionava, » spiegò lei, « qui invece non reagisce.
Sono sicura che la Maledizione non è su di te, è sulla casa. Quindi, prima di
dubitare di me, dovresti farlo di chi ti sta accanto ogni giorno… »
« Che cosa intendi dire? » La
domanda di Malfoy terminò in un soffio. Egli s’irrigidì all’improvviso, con
tutti i sensi all’erta, perché il portone d’ingresso alle spalle di Hermione si
stava lentamente chiudendo, come mosso da una folata di vento.
Solo che tutte le finestre erano chiuse.
L’anta si chiuse con un tonfo e
si sentì chiaramente scattare la serratura.
Hermione si voltò e strinse con fermezza
l’impugnatura della bacchetta.
Rimasero immobili a fissare la
porta. Per alcuni istanti si sentì soltanto il loro respiro teso.
Hermione cominciò a guardarsi
intorno circospetta, ma lo sguardo di Malfoy rimase fisso sull’ingresso.
Si udì un lieve crepitio e i
cardini della porta cominciarono a mutare.
In breve tempo, il metallo si
pietrificò e sottili sentieri di cemento iniziarono a scorrere attraverso il
legno, insinuandosi in tutte le fessure, e ramificandosi in ogni direzione,
fino a ricoprire interamente le raffinate ante in mogano.
I due ragazzi, colti
completamente alla sprovvista, si guardarono pensando la stessa, identica,
cosa.
« Rivedi la tua teoria, Granger!
Se è vero che qui non si possono fare magie, come spieghi… questo! » sbottò
Malfoy indicando il grosso portone tramutatosi in una lastra di pietra.
Hermione era visibilmente preoccupata, ma non per la
validità della propria teoria: « Forse chi ha lanciato la Maledizione può anche
eluderla, » ipotizzò.
« Ti sei sbagliata, ammettilo! »
Insistette lui.
Ma lei aveva altri pensieri. « Non
capisci? Qualcuno sta cercando di bloccarci qui dentro! » urlò con voce
stridula, convinta che lui non si rendesse conto del pericolo.
Malfoy sogghignò perfido. « E se
volesse solo sbarazzarsi di te? »
Hermione non si fece intimidire.
« L’avrebbe fatto nel momento in cui ho messo piede in questa Villa, e non
certo rovinando questa preziosa biblioteca, » ribatté.
Draco serrò forte le mascelle.
« Esiste un’altra uscita? » Domandò
Hermione.
Lui rispose che non c’erano altre
uscite. Parlò con indifferenza, come se avesse altri pensieri per la testa.
Lei incalzò: « Chi c’è in casa,
ora? »
Malfoy non rispose subito.
Era difficile accettare quello
che stava accadendo.
Difficile rassegnarsi all’idea
d’essere in pericolo nell’unico luogo che riteneva sicuro.
« Solo… la servitù, » rispose
distratto.
« Il maggiordomo! » Esclamò
Hermione. « Cosa sai di lui? »
Malfoy la guardò incerto. « È un
babbano, » disse.
« Ne sei sicuro? »
Scosse la testa.
Non era sicuro, pensò osservando preoccupato la possente
lastra di pietra che ora sostituiva la porta.
Non era più sicuro di niente.
Hermione guardò l’orologio: le 17.40.
Era tardi.
Mancava meno di mezz’ora
all’appuntamento con Ginny.
Immaginò Harry preoccupato ad
attenderla invano.
Sarebbero partiti anche senza di lei?
Sì.
Dovevano farlo.
Perché lei era bloccata lì dentro e
aveva una sola via di fuga, che non contemplava la possibilità di raggiungerli
entro sera.
Dovevano fidarsi di lei come avevano
sempre fatto.
Un sapore acre le riempì la bocca.
“Sei ingenua.”
Aveva le parole di Ginny stampate nella
mente e la sua espressione di rimprovero davanti agli occhi.
« Andiamo via di qui, » suggerì.
« Un’idea geniale, Granger, » commentò
Malfoy tagliente.
Ma lei non lo stava ascoltando, aveva
mani e testa immerse nella borsetta e rovistava frenetica in cerca di qualcosa.
Quando le sue dita incontrarono finalmente una forma tondeggiante, riemerse
estraendo dalla borsa una Ricordella.
Malfoy spalancò gli occhi e il suo
stomaco cominciò a ribollire di rabbia.
« Tu… Tu sei… una… »
« Per ora sono la tua unica soluzione,
» troncò lei mettendogli davanti al viso la Passaporta.
* * *
« Dobbiamo andare, » disse Ginny a
malincuore.
« Ma Hermione non è ancora arrivata! »
protestò Harry.
« È più di un’ora che aspettiamo; è
tardi, » ribatté Ginny. Il suo sguardo era proiettato oltre la vetrina del Butterfly,
ispezionava strada e passanti nella speranza di veder comparire l’amica.
Fuori era buio, le luci dei locali
erano accese ed era calata una nebbiolina densa e umida.
« Tornerò a prenderla. »
« Non è da lei, » tentò ancora Harry, «
forse è successo qualcosa. »
« Al rifugio ci stanno aspettando, ti
accompagno e domani torno a prendere Hermione, » insistette Ginny, pensierosa.
Lo sapeva bene che far preoccupare gli
amici non era tra le abitudini di Hermione, per questo aveva atteso ben oltre
l’orario stabilito.
Eppure, qualcosa dentro di lei l’aveva
capito fin da quella mattina che Hermione avrebbe fatto tardi. Per il modo in
cui parlava, fissando la vetrina piuttosto che guardandola negli occhi. Per
l’atmosfera di esitazione che l’accompagnava, come se avesse un conto in
sospeso, lì a Londra, che non intendeva lasciare insoluto.
Ginny sapeva anche che Hermione era una
persona più che affidabile, ma in quel momento si sentì sollevata per non
averle rivelato il nascondiglio dell’Esercito di Silente.
« Harry, » chiamò a un tratto,
voltandosi verso di lui e porgendogli la mano sinistra. « Prendimi per mano, »
ordinò fermamente.
Harry Potter si sistemò gli occhiali e
prese un profondo respiro.
S’avvicinò di qualche passo e le sfiorò
timidamente le dita; quel contatto rievocò inevitabilmente immagini e sapori
della notte trascorsa. Fece per ritirare la mano, imbarazzato, ma lei glielo
impedì, stringendola con forza nella sua.
Lui la guardò negli occhi e vi lesse il
bisogno profondo di saperlo al sicuro. Docilmente, si lasciò andare a quella
stretta protettiva.
Poi Ginny agitò la bacchetta e i loro
corpi scomparvero.
Un silenzio profondo calò all’interno
del Butterfly; solitudine e desolazione s’impadronirono del piccolo
locale.
Nelle ore successive, diversi clienti
si fermarono a osservare delusi il cartello di chiusura che ciondolava sulla
vetrina, ignari del fatto che sarebbe rimasto lì per tutto l’inverno.
E oltre.
* * *
Draco non era affatto contento d’essere
tornato nella Stanza delle Necessità. Era nervoso nonostante il Marchio Nero
tatuato sull’avambraccio fosse inerte.
Camminò avanti e indietro per un po’,
isolato nei propri pensieri.
A un tratto alzò lo sguardo, come se si
fosse ricordato di una cosa importante.
Dov’era finita Hermione Granger?!
Scandagliò la stanza, pressoché
identica a come era apparsa il giorno prima, senza riuscire a vedere Hermione,
finché sentì una sua lamentela provenire da un mucchio di scatoloni giganti
ammassati in un angolo.
La ragazza si stava affannando nel
tentativo di spostarli.
Incuriosito, la raggiunse.
La sentì borbottare fra sé e sé,
lagnandosi di non riuscire a trovare qualcosa che “doveva esserci, ne era
sicura”.
« Che stai facendo? » domandò
disgustato dalla quantità di polvere che s’agitava nell’aria a ogni suo
movimento.
Hermione si voltò con sguardo pensoso e
il respiro affannato.
« Invece di stare a guardare, dammi una
mano! »
« A fare cosa? »
« A spostare questi scatoloni, Malfoy!
Non serve un M.A.G.O. per capirlo! »
Inaspettatamente, Malfoy sogghignò.
Prese la bacchetta magica e inspirò
profondamente. L’agitò con destrezza nell’aria e la puntò contro lo scatolone
più alto. Fece ogni movimento lentamente, assaporando istante dopo istante.
« Wingardium Leviosa, » mormorò.
Un brivido lo percorse.
La forza dell’Incantesimo lo attraversò
e una profonda soddisfazione gli tirò le labbra in un sorriso appagato.
Leggeri come piume gli scatoloni si
sollevarono nell’aria, spostandosi uno ad uno sotto lo sguardo basito e
imbarazzato di Hermione: era così abituata ad arrangiarsi senza usare la Magia,
che non aveva considerato quella banale soluzione.
Per mera educazione tossicchiò un
“grazie” che Malfoy non sentì neanche, tanto era tronfio.
Per interminabili mesi aveva atteso
quel momento.
L’aveva immaginato, desiderato, cercato
con tutto se stesso.
E ora, finalmente, la Magia tornava a
scorrere nelle sue vene.
Lo elevava oltre la nullità del mondo
babbano restituendogli la propria identità.
Era di nuovo Draco Malfoy.
Era vivo.
* * *
« Figliolo quanto sei cresciuto! »
ripeté commossa, per l’ennesima volta, Molly Weasley.
Ron fece una smorfia imbarazzata. Era
emozionato, ma allo stesso tempo risentito per l’accoglienza ricevuta,
tutt’altro che calorosa: nonostante fossero trascorsi due interi anni, suo
fratello non aveva perso occasione di prenderlo in giro…
Ed era inutile che si scusasse, lo
faceva soltanto perché c’era mamma!
Un leggero mal di testa lo infastidiva,
generato dal rapido accumularsi di ricordi.
Sua madre, che stava ancora lavorando
per annullare completamente l’Incantesimo di Memoria, gli passò amorevolmente
una mano sulla fronte. Lui si scostò lanciando un’occhiata sospetta a George,
ma non nascose a se stesso che quel gesto gli aveva fatto piacere.
Puntò le mani sul letto dell’infermeria
e si mise più comodo appoggiando la schiena al cuscino, preparandosi alla lunga
chiacchierata che lo attendeva.
C’erano ancora molte cose da chiarire e
molti ricordi da recuperare, e la sua famiglia era lì per aiutarlo.
A sollevarlo, inoltre, c’erano la
notizia dell’imminente arrivo di Harry e Hermione, e la consapevolezza che ora,
finalmente, poteva capire quello che lei aveva tentato più volte di dirgli.
* * *
Hermione, trepidante, non attese
nemmeno che Malfoy terminasse di spostare gli scatoloni; s’intrufolò tra essi e
la parete allungandosi con fatica fino a raggiungere una piccola porticina di
legno.
« Ero … sicura … che l’avrei… trovata…
» disse mentre si muoveva faticosamente nell’angusto passaggio.
Draco nascose dietro un’espressione
compatita il capriccio di scoprire cosa la rendesse tanto impaziente. Spostò
rapidamente anche l’ultima scatola, ma rimase deluso quando vide una misera
porticina cadente.
Per un attimo aveva pensato che quella
fuga fosse stata organizzata in ogni dettaglio; che Hermione avesse nascosto il
ritratto di sua madre nella Stanza delle Necessità, e da lì volesse raggiungere
il suo nascondiglio.
Non era così: Hermione aveva altri
progetti.
Quando lei afferrò la maniglia della
piccola porta, aggrottò la fronte.
« Non vorrai uscire… » disse tra il
minaccioso e il preoccupato.
« Sta’ tranquillo, » rispose lei, « è
il passaggio segreto che ci condurrà a Hogsmeade. »
Malfoy la guardò perplesso.
Hermione aprì la porta mostrando che
dietro di essa si diramava un tunnel buio e profondo.
« Andiamo, » intimò.
Ma lui non era convinto di seguirla. «
L’ultima volta che sono stato a Hogsmeade, » disse, « c’era l’Incanto Gnaulante
sull’intera città. »
Hermione seguì le sue parole scuotendo
lentamente la testa.
« Questo passaggio conduce direttamente
alla Testa di Porco. La locanda è sicura e Aberforth, il barman, ci aiuterà. »
« In due anni qualcosa può essere
cambiato, » ribatté Malfoy scettico, « per quel che ne sappiamo il barman
potrebbe essere finito a… »
« Non pensarlo nemmeno! » Interruppe
lei, severa. « Il passaggio conduce a un quadro posto sul camino della locanda.
Ci avvicineremo senza farci vedere e da lì esamineremo la situazione; se il
luogo è sicuro come penso, usciremo allo scoperto. Per cautela useremo un Incantesimo
di Disillusione per modificare la nostra fisionomia. »
Malfoy seguì tutta la spiegazione con
un sopracciglio alzato e aria diffidente.
Hermione
lo guardò dritto negli occhi e lo sfidò: « Hai un’idea migliore? »
Lui
rispose troppo rapidamente: « Sì, ho un’idea migliore. »
Solo in quel momento Hermione si
accorse del sorriso tracotante e vendicativo che campeggiava sul suo volto.
Un espressione che non vedeva da molto
tempo, ma che purtroppo ricordava bene.
Non ebbe il tempo di dire nulla.
Malfoy alzò la bacchetta e la puntò
contro di lei.
Il grido di protesta non riuscì nemmeno
a uscirle dalla gola, e si ridusse a un flebile lamento che in un istante si
spense nell’aria.
Con un sorriso meschino stampato sul
volto, Malfoy si chinò e prese fra le dita la sottile codina del topolino
bianco che squittiva ai suoi piedi.
Lo sollevò all’altezza del viso, mentre
quello si dimenava impazzito di rabbia e paura.
Ghignò, infilandolo nel taschino della
camicia.
Il topolino iniziò ad agitarsi furiosamente
sul suo petto nel tentativo di uscire dalla tasca; Malfoy gli diede alcuni
colpetti con la bacchetta finché si fermò.
«
Calmati, stupida, » borbottò inoltrandosi nel tunnel.
L’hai
detto tu, no?
Sono
un Mangiamorte. Nessuno mi fermerà.
* * *
Continua…
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 - Hero ***
Capitolo 18 - Hero
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
And they say that a hero
can save us…
Nickleback, Hero
* * *
Capitolo 18 – Hero
Draco avanzava con cautela lungo il
tunnel che l’avrebbe condotto a Hogsmeade. Ad ogni passo allungava la bacchetta
verso le lampade appese alle pareti, per accendere quelle che lo precedevano e
spegnere quelle che si lasciava alle spalle. Il topolino nella tasca della sua
camicia aveva rinunciato alla propria battaglia da un pezzo e ora se ne stava
rannicchiato in un silenzio forzato, a rosicare, incassando l’umiliazione e
accumulando rancore.
Draco capì d’essere giunto a
destinazione quando l’ultima lampada accesa illuminò una rampa di scale in
pietra ed una porticina identica a quella da cui era venuto. S’avvicinò ad essa
e senza sforzo l’aprì. Si ritrovò affacciato ad una sorta di finestra oltre la
quale si scorgeva l’interno di una locanda. La Testa di Porco.
Sotto l’apertura c’erano una mensola
vuota ed un caminetto spento. Sporse la testa e guardò all’interno della
stanza. Era buia e fredda. L’unica finestra era coperta da una tenda e non
lasciava filtrare nulla; era grazie alla luce proveniente dal tunnel che
riusciva ad intravedere l’arredamento impolverato e spoglio.
Il silenzio regnava, lasciando supporre
che la locanda fosse disabitata.
Spinse la porticina e scavalcò cauto la
mensola, balzando sul pavimento con un lieve tonfo.
Rimase immobile alcuni istanti, con
l’udito teso a percepire il minimo rumore. Stava quasi per rilassarsi quando
sentì un cigolio oltre la porta che dava sul salotto, seguito da una serie di
passi pesanti che mettevano a dura prova le assi di legno scricchiolanti della
taverna.
S’irrigidì e portò la mano destra
dietro la schiena stringendo la bacchetta. Il topolino s’agitò nella sua tasca
percependo il pericolo.
La porta si aprì e un uomo alto e
grosso s’affacciò sulla soglia. Sul viso era stampata un’espressione burbera e
allo stesso tempo sorpresa, come se non vedesse anima viva da mesi.
Con un movimento quasi impercettibile
della mano, agitò la bacchetta ed accese un paio di lampade nella stanza,
generando una luce soffusa, utile appena per vedere il volto dell’intruso.
Gli occhi azzurro intenso di Aberforth
Silente si spalancarono stupefatti.
Dal modo in cui lo scrutavano, Draco
capì d’essere stato inequivocabilmente riconosciuto, ma l’espressione allarmata
che piegò il volto stanco e barbuto del barman gli suggerì che era meglio per
entrambi fingere il contrario. L’uomo, infatti, sapeva del ragazzo soltanto
quello che aveva sentito vociferare fra Mangiamorte: ovvero che era un
disertore, latitante o più probabilmente morto.
Malfoy spezzò per primo il silenzio: «
Mi serve un rifugio per stanotte, vecchio, » disse altezzoso, come se gli
venisse di diritto dalla propria progenie.
Aberforth non fece in tempo a
rispondere.
La reazione di Hermione, stipata da
troppo tempo nella tasca della camicia e sottopressione per la rabbia
crescente, fu istintiva.
Malfoy gridò di dolore.
« Diamine ragazzo! Fa’ silenzio o ci
farai ammazzare entrambi! » Lo rimproverò Aberforth con tono basso ma severo.
Lui imprecò imperterrito, strappandosi
di dosso – letteralmente – il topolino che gli aveva addentato il petto, per
poi gettarlo con violenza a terra.
« Ma sei impazzita?! » Gridò, senza
curarsi di quanto potesse risultare ridicolo agli occhi del barista che lo
vedeva inveire contro il piccolo animaletto. Si sfilò la bacchetta dalla
cintura dei pantaloni e la puntò verso Hermione. Dai denti stretti per la
rabbia lasciò uscire un gelido “Finite Incantem”, mentre inghiottiva a
malincuore le sillabe dalla parola “Crucio”.
Ciò che sorprese Aberforth non fu
scoprire che dietro quell’animale si celavano sembianze umane, ma vedere
Hermione rialzarsi da terra, tossire e scuotersi di dosso la polvere.
Con grandi passi si diresse verso di
lei e l’afferrò per le spalle.
Hermione, che avrebbe voluto riversare
una valanga di insulti su Malfoy, si ritrovò invece travolta dalla raffica di
domande di Aberforth.
« Per tutti i maghi! Hermione Granger,
ma sei davvero tu? Quanto tempo! Che fine avevi fatto? » Sciorinava l’uomo, con
voce bassa, senza prendere respiro, « dove… dove sono i tuoi amici? Dov’è Harry
Potter? »
« Harry è al sicuro con Ginny Weasley,
» rispose Hermione, « devo raggiungerlo. »
Quell’ultima affermazione giunse a
Malfoy, ancora dolorante, in tono troppo sommesso per darle ascolto.
« Cos’è successo? Perché sei qui con… »
Aberforth interruppe la domanda.
« …Un Serpeverde? » Concluse
diplomatica Hermione, « non preoccuparti, è innocuo e non creerà problemi. Abbiamo
solo bisogno di un posto dove riposare. C’è ancora il coprifuoco in città,
vero? »
L’uomo annuì. « Mi dispiace, la locanda
non è un luogo sicuro. Ricevo controlli dei Mangiamorte costantemente. Fermarsi
qui non è una buona idea. »
« Solo fino all’alba, » lo rassicurò
Hermione.
Aberforth inspirò profondamente: non
era per nulla contento di ospitare dei ricercati nella propria locanda, ma i
Mangiamorte di sorveglianza erano appena passati per un controllo, e quella
notte non sarebbero più tornati.
« Va bene. Vi porto qualcosa da
mangiare. Non uscite da questa stanza. E non accendete luci. E… » si rivolse a
Malfoy, « non schiamazzate come femminucce. »
* * *
Harry e Ginny si materializzarono sulle
montagne di Hogwarts sotto una fitta pioggia.
Harry fece appena in tempo ad
intravedere la valle e il castello diroccato, ma bastò per torcergli le budella
con tremenda violenza; poi Ginny lo trascinò velocemente attraverso una radura,
fin dentro ad una grotta scavata nella roccia: l’ingresso del Rifugio.
Una robusta porta di legno si aprì su
una grande stanza circolare.
Sulla sinistra erano apparecchiate tre
lunghe tavolate; sulla destra c’erano diverse poltrone disposte attorno ad un
camino acceso. Una scala a chiocciola affiancava la parete e conduceva ad un
piano superiore.
Nell’istante in cui i due ragazzi
s’affacciarono all’ingresso, decine di occhi attoniti si piazzarono su di loro.
Seguì una corale esclamazione di
stupore.
Poi uno dopo l’altro i maghi
cominciarono ad alzarsi in piedi e a circondarli d’attenzioni.
Si festeggiava il ritorno di un eroe.
Harry salutò Cho Chang, che non era
cambiata di una virgola, e concesse a Calì Patil di asciugargli gli abiti con
un rapido colpo di bacchetta. Lasciò che Neville gli saltasse letteralmente
addosso, e che Luna gli consegnasse la sua bacchetta magica, conservata con
orgoglio per quel momento.
Peccato che fosse quella di
biancospino, sottratta a Malfoy fuggendo dalla sua Villa; la sua, quella di
agrifoglio con il nucleo in piuma di fenice, si era spezzata – lo ricordava fin
troppo bene – e probabilmente era andata perduta per sempre.
Uno dopo l’altro, Harry riabbracciò
tutti i vecchi amici, smaniosi di metterlo al corrente dei progressi
dell’Esercito di Silente, con racconti che si sovrapponevano l’un l’altro nel
caos più totale.
In breve tempo, Harry divenne preda di
una valanga inarrestabile di emozioni.
La testa cominciò a girargli
vorticosamente, tanto da fargli pensare che al cervello non arrivasse più
sangue. Nonostante facesse profondi respiri, aveva i polmoni continuamente
vuoti.
Salutava e ascoltava, ma non parlava
con nessuno.
Incrociava sguardi carichi di rispetto
e speranza, di riconoscenza e aspettative, e sentiva quel fardello,
ripiombatogli addosso da appena un giorno, diventare spaventosamente pesante.
Il suo cuore s’alleggerì un poco solo
quando vide spuntare Ron da una porta collocata di fronte all’ingresso. Insieme
con lui c’erano George, Angelina e… un tornado, Molly Weasley, che li travolse.
Si precipitò ad abbracciare e baciare la figlia, per poi passare a salutarlo, e
infine ritornare a stringere forte la sua Ginny, incurante delle infantili
proteste.
Poi Ron si fece largo tra tutti e li
raggiunse.
Aveva i capelli arruffati, gli occhi
confusi e la voce incerta; approfittando di un casuale affievolirsi del
trambusto chiese: « Dov’è Hermione? »
Bastò una domanda per ottenere il
silenzio.
* * *
La tenue luce mattutina illuminava
appena il salotto al primo piano della Testa di Porco.
Draco si svegliò tutto indolenzito a causa
della scomoda posizione in cui si era addormentato. Era a braccia conserte,
seduto su una vecchia poltrona, con la schiena ricurva e le gambe tese. Quando
aprì gli occhi vide Hermione Granger accanto alla finestra del salotto che,
senza scostare la tenda, si piegava di lato per cercare di intravedere
all’esterno.
Scoprire che era già in piedi gli diede
fastidio.
La sera prima, dopo aver mangiato il
cibo offerto da Aberforth, non si erano praticamente rivolti la parola; erano
rimasti entrambi seduti, ognuno sulla propria poltrona, cercando di tenere
aperti gli occhi il più a lungo possibile, come in una gara, poiché non si
fidavano l’uno dell’altra. Tuttavia, presto la sonnolenza aveva appesantito le
loro palpebre, finché entrambi si erano addormentati.
Malfoy non ricordava quasi nulla, ma
era certo di essere stato l’ultimo a cedere al sonno.
Si massaggiò il collo rimpiangendo -
per appena una frazione di secondo - il caldo letto babbano della sua villa
londinese.
« Sta piovendo, » disse Hermione con
voce incolore, senza voltarsi.
Lui ascoltò il crepitio della pioggia
contro i vetri, chiedendosi se poteva considerarla una buona notizia.
In quel momento, Aberforth spalancò la
porta della stanza.
Draco balzò in piedi ed Hermione si
voltò.
L’uomo teneva fra le braccia un fagotto
che appoggiò sul tavolo.
« Piove ininterrottamente da ore,
potrebbe continuare così per tutta la giornata, » esordì aprendo il pacchetto.
Ne estrasse due mantelli di panno scuro, caldi e morbidi. « Vi saranno utili,
sono impermeabili... »
Malfoy non gli lasciò il tempo di
continuare, avidamente ne afferrò uno e lo infilò. Aberforth porse l’altro a
Hermione, che aspettò ad indossarlo.
« Vi ho portato anche un po’ di cibo, »
aggiunse il barman passando un pacchettino a Hermione, che lo ripose con cura
nella propria borsa. « Dovete andarvene prima che arrivi qualcuno. C’è
un’uscita sul retro, » aggiunse infilandosi giù per le scale.
Hermione e Draco lo seguirono.
Un odore di stantio li accolse mentre
scendevano la scala traballante, poi Aberforth li invitò a girare intorno ai
gradini mostrando loro un piccolo passaggio nel sottoscala. Attraverso la
porticina, entrarono in una cantina sudicia e polverosa. Grosse ragnatele
scendevano dal soffitto e vecchi strumenti in legno stavano ammassati in ogni
angolo.
Aberforth s’avvicinò ad una parete
libera e vi appoggiò le mani; sotto di esse, all’improvviso, s’aprì una porta,
mirabilmente mimetizzata fra le assi di legno.
Finalmente i due ragazzi videro
l’esterno.
Davanti a loro, fra folti cespugli di
erica, si districava un breve sentiero fangoso che s’inoltrava in una boscaglia
austera e sfrondata. L’aria era fredda e umida; il cielo grigio plumbeo.
Quel luogo sembrava desolato e Malfoy
pensò che probabilmente era la via più sicura per uscire da Hogsmeade. Non
attese oltre e s’incamminò.
Hermione prese il proprio mantello e lo
indossò. Subito si sentì avvolta da un piacevole tepore.
« Evita di fare incantesimi e tieni gli
occhi aperti: il bosco non è così sicuro come può sembrare, » disse Aberforth
mentre Malfoy s’allontanava. Hermione lanciò un’occhiata furtiva al Serpeverde
e poi si rivolse al barman: « dove si nasconde l’Esercito? » domandò a
bruciapelo.
Aberforth la squadrò con i suoi grandi
occhi azzurri, lanciando anch’egli un’occhiata sospetta al ragazzo. Non gli era
sfuggito il tono sommesso usato dalla ragazza, come se temesse di essere udita
da lui.
« Non posso aiutarti, » disse, e in
fondo ne era sollevato, « i ragazzi dell’Esercito non mi hanno mai rivelato la
posizione del nuovo Rifugio, e io non voglio saperne nulla. Di rado si fermano
qui per la notte, e subito se ne vanno all’alba; so soltanto che attraversano
il bosco e vanno a ovest, verso la stazione. Non sono in grado di dirti altro,
» tagliò corto.
« La stazione di Hogsmeade… » ripeté
Hermione meditabonda, « va bene. Grazie Aberforth, » concluse con lo sguardo
che passava dall’uomo a Malfoy, il quale proseguiva sul sentiero senza
aspettarla.
Fece per incamminarsi, ma Aberforth la
trattenne per un braccio costringendola a voltarsi. La sua stretta era possente
e ferma, i suoi occhi profondi e grandi sembravano volerle sondare il pensiero.
Non era minaccioso, era severo.
La sua voce baritonale divenne ancora
più cupa quando le parlò: « Spero che tu sappia quello che stai facendo, »
scandì guardando preoccupato il ragazzo all’ingresso del bosco.
« Sì, so quello che faccio, » rispose
Hermione determinata e, liberandosi educatamente dalla stretta, s’incamminò con
passo spedito.
Il barista rimase sulla soglia della Testa
di Porco ad osservarli preoccupato finché non li vide scomparire nell’incolta
boscaglia.
Perlomeno erano abbastanza svegli da
non scegliere il sentiero battuto…
* * *
Harry e Ron erano stati trascinati
quasi di peso da Neville in una piccola stanza illuminata dalla luce soffusa di
alcune candele sospese. L’arredamento era semplice e accogliente: c’erano un
lungo tavolo al centro, una poltrona imbottita accanto ad un caminetto acceso e
un paio di grossi Frullobulbi in una fioriera contro la parete di fronte
all’entrata.
Oltre la porta si sentivano le voci
concitate di alcune ragazze dell’Esercito, svegliatesi di prima mattina per
preparare la colazione.
Neville aveva fatto accomodare Harry a
capotavola ed era seduto alla sua sinistra, Ron si era lasciato cadere
pigramente sulla poltrona. Poco dopo li aveva raggiunti Luna Lovegood, che
aveva preso posto accanto a Neville e teneva le gambe rannicchiate al petto e i
piedi incrociati sul cuscino.
C’erano tantissime cose di cui Harry e
Ron dovevano essere messi al corrente al più presto, ma Neville attese
pazientemente anche l’arrivo di Ginny, prima di iniziare a parlare.
« Mi dispiace, ho fallito, » esordì.
Harry alzò lo sguardo ed incrociò i
suoi occhi, sorpreso non solo per quelle scuse pronunciate con amarezza, ma
anche dall’emozione inaspettata che lo colse.
Erano trascorsi due anni e Neville
Paciock era cambiato profondamente. Era diventato determinato e fiero,
completamente diverso dal ragazzo insicuro e impacciato che aveva conosciuto al
primo anno. Era capo dell’Esercito di Silente insieme a Ginny e Luna, ed aveva
certamente dovuto affrontare momenti difficili e scelte gravose.
Eppure, guardandolo in viso, Harry
aveva ritrovato in un istante l’amico di sempre.
Ed era stato lo stesso con Luna, i cui
occhi vacui, spalancati in quell’indimenticabile espressione attonita, non
bastavano più per far dubitare delle sue capacità.
La lontananza non aveva mutato la loro
amicizia e il tempo aveva contribuito a rafforzarla.
C’era solo il rimorso per non essere
rimasto con loro in ogni istante, per non essere riuscito ad evitare loro la
sofferenza, per non averli saputi proteggere…
Nonostante fosse in debito con loro per
ogni cosa, Neville gli stava chiedendo scusa.
Harry scosse la testa perplesso: « non
capisco, » balbettò.
« Non ho mantenuto la mia promessa, »
spiegò Neville, « non sono riuscito ad ucciderlo… »
Harry sentì una stretta allo stomaco e
lo interruppe: « uccidere Vold… » disse quasi con rabbia, ma Ginny gli afferrò
una mano con impeto, facendolo trasalire ed impedendogli di continuare.
« Non pronunciare il suo nome o ci
metterai tutti in pericolo, davvero. Non è vigliaccheria, Harry! » lo ammonì
con una tale fermezza che Harry ne rimase mortificato.
« Ucciderlo, » disse appena ritrovò la
propria sicurezza, « è compito mio. Silente... »
Neville scosse la testa: « mi riferisco
a Nagini. Mi avevi dato il compito di uccidere il serpente, ed io ho fallito. »
Harry aprì la bocca, ma Neville non gli
diede il tempo di parlare. « Abbiamo fatto di questa promessa il nostro
obiettivo, ma fin’ora abbiamo solo collezionato sconfitte. »
Harry sentì il profondo rammarico nella
sua voce e cercò di consolarlo: « Quando ti ho chiesto di uccidere Nagini,
sapevo che sarebbe stato difficile. Non è un normale serpente, è un Horcrux, in
esso è racchiusa parte dell’anima di… - esitò un istante prendendo un profondo
respiro - …Voi-sapete-chi. Penso che serva la spada di Godric Grifondoro
per ucciderlo. »
« Lo so, » disse Neville
sorprendendolo, « durante la Grande Battaglia, quando Noi-sappiamo-chi ha
cercato di torturarmi, l’unica cosa che avevo in mente era il compito che mi
avevi assegnato, ed il Cappello Parlante mi è venuto in aiuto portandomi
proprio quella spada. Solo che non ho potuto afferrarla: sono stato colpito
improvvisamente da una maledizione ed ho perso i sensi.
In questi anni abbiamo fatto diverse
incursioni al Castello per trovare e recuperare la spada, ma abbiamo sempre
fallito… a volte pagando un caro prezzo… »
Quell’ultima affermazione fece calare
un silenzio denso e straziante.
Harry capì che si riferivano alla morte
della professoressa McGrannit: Ginny gli aveva raccontato che aveva dato la
vita per proteggerli.
Il dolore bruciava come una ferita
aperta, recente e profonda.
Dopo diverso tempo, il silenzio fu
spezzato da una domanda di Ron. Affondato nella morbida poltrona, nascondeva il
viso nella semioscurità e la sua voce era roca e nasale, come quella di chi ha
pianto.
« Sapete dove si trova la spada? »
Chiese.
Neville annuì. « All’inizio l’abbiamo
cercata per tentativi, senza certezze. Luna ha sempre sostenuto che fosse ben
sorvegliata nell’Ufficio del Preside, non tutti erano disposti a crederle…
perché, beh… » Neville si passò una mano fra i riccioli scuri e spettinati, cercando
le parole migliori per concludere la frase.
Luna sollevò le spalle e gli venne in
aiuto: « Molti non credono a ciò che non possono vedere, come i Nargilli o il
Ricciocorno Schiattoso… »
Neville sembrò sollevato del suo
intervento e la ringraziò con un sorriso prima di proseguire.
« Soltanto poco tempo fa, Ginny ha
scoperto l’esistenza di un ritratto di Dexter Fortebraccio, venduto all’asta ad
un collezionista londinese. Abbiamo subito pensato che potesse essere una copia
di quello appeso nell’Ufficio del Preside. Quando lo ha rubato, abbiamo avuto
la conferma che i due quadri sono in comunicazione, e Fortebraccio ha
confermato che la spada di Godric Grifondoro è custodita nell’Ufficio. »
Ginny intervenne rivolgendosi a Harry:
« Quando quell’avvocato babbano mi ha lasciato il pacco postale per la vostra
agenzia, ho provato a nascondertelo, ma tu avevi ormai accettato il caso e le
cose si sono complicate. Poi, Ron mi ha parlato delle indagini ed allora ho
capito che non avevo più tempo e la soluzione migliore era riportarti a casa, »
concluse con dolcezza ed Harry sentì un piccolo brivido corrergli dietro la
nuca.
C’erano ancora diverse cose che
intendeva domandare ed altrettante che Neville voleva raccontargli, ma la
conversazione fu interrotta dall’improvvisa irruzione di Hannah Abbott nella
stanza.
La ragazza portava i capelli biondi
legati in un paio di trecce; il ciuffo che le cadeva davanti agli occhi non
bastava per nascondere l’espressione preoccupata sul suo volto.
Harry sentì una tensione palpabile
espandersi attorno al tavolo.
Trascorsero alcuni lunghi secondi di
silenzio e lei chinò la testa di lato, come se volesse evitare d’incontrare lo
sguardo dei presenti.
Neville, che aveva già visto più di una
volta quell’espressione sul viso di Hannah, fece un respiro profondo e
affaticato; poi domandò, con dolore e rassegnazione, come se il silenzio stesso
avesse già in sé la risposta: « Brutte notizie, vero? »
Hannah
Abbott annuì.
* * *
A discapito delle parole di Aberforth,
Draco ed Hermione attraversarono il bosco rapidamente, senza incontrare
pericoli. Il freddo era pungente e in giro non c’era anima viva. L’intricata
foresta di pini e betulle li aveva costretti a camminare nella penombra, ma li
aveva protetti dalla pioggia.
Al confine gli alberi erano più
diradati e lasciavano intravedere le rotaie della ferrovia. Quando uscirono, il
temporale si era ormai placato e dal cielo cadeva un leggero nevischio.
Hermione si fermò un passo prima di
uscire completamente dalla boscaglia e guardò la lunga corsia metallica che
serpeggiava davanti a loro.
Draco la superò, ma si bloccò l’istante
dopo: anch’egli osservava i binari in disuso dell’Hogwarts Express.
Hermione aveva rimuginato a lungo sulle
parole da utilizzare con Draco in quel momento: intendeva proseguire verso la
stazione senza dovergli spiegare troppo dettagliatamente il motivo. Un’impresa
tutt’altro che semplice.
Fece per aprire bocca, convinta di
dover affrontare una faticosa discussione, ma lui la sollevò straordinariamente
da ogni incombenza. Senza rivolgerle la parola, raggiunse i binari e cominciò a
camminare tra le vecchie assi di legno in direzione ovest.
Hermione avrebbe voluto richiamarlo e
sottolineare l’imprudenza di avanzare in bella vista a quel modo, ma decise di
tacere e seguirlo, rimanendo però seminascosta, calpestando l’erba che cresceva
ai piedi della foresta.
Draco Malfoy non si curò di lei.
Aveva la mente invasa dai ricordi di un
glorioso passato; tempo in cui la famiglia Malfoy era temuta e rispettata, in
cui lui era studente modello e orgoglio della Casa Slytherin.
Quando odiava i Grifondoro con la
caparbietà e la leggerezza di un ragazzino viziato.
Quando giocava come cercatore nella
squadra di Quidditch, e il suo unico obiettivo era umiliare Potter…
I pensieri di Hermione, invece, erano
un turbine di dubbi proiettati nel futuro.
Come raggiungere l’Esercito di Silente?
Era saggio continuare a proseguire con
Malfoy o era necessario liberarsi di lui al più presto?
…E se tutto fosse una sua messinscena,
attuata appositamente per stanare il nemico?
Lanciò un’occhiata sospettosa verso il
ragazzo avvolto nel mantello scuro che trascinava nostalgicamente i piedi, con
disattenzione, incespicando tra le vecchie rotaie.
L’istinto suggeriva che fosse sincero,
ma lei non era abituata a dar credito alle sensazioni.
Lei analizzava, deduceva… e purtroppo
c’erano ben pochi indizi su cui lavorare.
L’unica certezza, al momento, era che
pur avanzando su binari paralleli, erano diretti entrambi verso la stessa meta:
la stazione di Hogsmeade.
* * *
Zacharias Smith portò le ginocchia al
petto e affondò le mani nei capelli biondi, stringendo forte i denti per
reprimere la rabbia. Aveva sognato di rientrare al Rifugio come un eroe
reggendo fra le mani, in un tripudio di gloria, la spada di Godric Grifondoro
scintillante di rubini… e invece si trovava scaraventato in una cella ammuffita
e puzzolente, a tremare di freddo e di paura, a pochi passi dalla morte.
Una fine tutt’altro che eroica.
Catturati dai Mangiamorte e, forse,
maledetti senza perdono per uno stupido errore.
Sollevò appena la testa e guardò nel
buio la sagoma della ragazza alla sua sinistra, senza preoccuparsi di celare
l’espressione di disprezzo che gli storceva la bocca.
La colpa era tutta sua, di Katie Bell.
Era inciampata nel modo più stupido e
banale che si potesse immaginare, e questo aveva attirato immediatamente
l’attenzione dei Mangiamorte di guardia.
In poco tempo erano arrivati i rinforzi
ed ogni speranza era andata perduta.
Il sogno di gloria svanito.
Insieme alla possibilità di porre fine
a quella maledetta guerra.
Nel buio della cella, Katie Bell non
poteva vedere l’espressione dei compagni, ma poteva quasi toccare i loro
pensieri, tanto erano densi.
Tirò su col naso, obbligandosi a non
piangere. La colpa non era soltanto sua, si era trattato di un incidente: un
arbusto troppo debole si era spezzato, facendole mancare l’appiglio proprio
mentre cercava d’issarsi in piedi lungo il ripido e fangoso pendio.
Seamus e Dean le avevano detto qualche
parola consolatoria, ma Zacharias non aveva aperto bocca.
Per fortuna aveva ancora la sua moneta.
L’aveva nascosta negli stivaletti
mascherandola con un incantesimo, per impedire ai Mangiamorte di entrarne in
possesso.
Le monete erano lo strumento di
comunicazione più efficace dell’Esercito di Silente: la professoressa McGrannit
aveva infatti migliorato l’Incanto Proteus escogitato da Hermione anni
prima, consentendo ai falsi galeoni di veicolare messaggi d’ogni tipo.
Katie roteò fra le dita il dischetto
dorato e vi passò sopra l’indice, concentrandosi per trasmettere il messaggio
al Rifugio. Erano stati privati tutti e quattro delle bacchette magiche e fu
difficile fare l’incantesimo utilizzando solo la volontà, ma alla fine, la frase
- sintetica ed essenziale - si compose senza errori:
Missione fallita.
Il passaggio non è più sicuro.
Continua…
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 - Nemici ***
Lost Memories - Capitolo 19
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Sono in mega-ritardo, ma in compenso ho fatto un breve
riassunto dei fatti, in modo da rendervi meno fastidiosa l'attesa e un po’ più
agevole la lettura.
Riassunto
– superveloce - dei capitoli precedenti (1-18)
Sono trascorsi due anni dalla Seconda Battaglia di Hogwarts, durante i
quali Harry, Ron e Hermione hanno perduto la memoria. Vivono nella Londra
babbana, ignari del Mondo Magico, finché Malfoy contatta Hermione e,
mostrandole un diario magico, le fa recuperare la memoria. Tornata consapevole
delle proprie origini, Hermione scende a patti con il Serpeverde: lo aiuterà a
riappropriarsi dei propri poteri magici ma lui dovrà fornirle una bacchetta
magica. Pur di non prestarle la sua, Draco conduce Hermione, usando la
Passaporta nascosta in un ritratto di Narcissa, ad un rifugio abbarbicato fra i
monti di Hogwarts creato dai Malfoy per proteggerlo.
Scoprendo insieme a Malfoy la situazione di degrado in cui versa
Hogwarts nelle mani dei Mangiamorte, Hermione capisce che il ragazzo, come lei,
è profondamente legato alla Scuola e soffre, a modo suo, per la condizione in
cui si trova. Dal Rifugio i due ragazzi riescono a raggiungere la Stanza delle
Necessità grazie ad una seconda Passaporta nascosta in una Ricordella. Nella
Stanza, Malfoy viene colto dal panico e i due sono costretti a rientrare a
Londra appena Hermione trova una bacchetta magica.
Nel frattempo, Harry trascorre la notte insieme a Ginny, con la quale
ha iniziato una relazione. Tuttavia, l’idillio fra i due appare breve: Ron,
infatti, scopre che Ginny è l’autrice del furto al quale lui ed Harry stanno
lavorando da tempo. Ha appena il tempo di avvisare l’amico, che viene aggredito
e trasportato da George, insieme alla refurtiva, al nascondiglio dell’Esercito
di Silente.
Ginny deve correre ai ripari: invia un messaggio via gufo a Neville e
Luna e rimuove l’Incantesimo dalla memoria di Harry. Il ragazzo scopre così che
nel Mondo Magico Voldemort è ancora vivo, ma lo è anche l’Esercito di Silente.
I suoi compagni vivono da fuggiaschi fra i monti di Hogwarts e perpetrano una
tenace resistenza in vista della battaglia finale, che combatteranno in nome
della libertà e dei caduti, tra cui - ahimè – vi è anche la professoressa
McGrannit, autrice degli incantesimi di memoria cui lui, Ron ed Hermione erano
soggetti.
Dal canto suo, Ginny viene a sapere che Malfoy sta insidiando Hermione,
e fra i babbani vive anche Pansy Parkinson, della quale si sa poco, se non che
lavora come attrice di teatro e intrattiene rapporti con Malfoy.
Apprese queste informazioni, Ginny ritiene che Londra non sia più
sicura e vuole riportare i compagni ad Hogwarts, dove Ron li sta aspettando e
ha recuperato la memoria. La mattina seguente contatta Hermione e prende
accordi per partire insieme la sera stessa, tuttavia, qualcosa va storto:
Hermione e Draco rimangono imprigionati da un incantesimo nella Biblioteca di
Villa Malfoy e dispongono di una sola via d’uscita: la Ricordella-Passaporta,
che Hermione ha astutamente sottratto dal Rifugio dei Malfoy. I due ragazzi
vengono catapultati, per la seconda volta, nella Stanza delle Necessità e da lì
raggiungono la Testa di Porco, dove un Aberforth sospettoso li ospita per la
notte. All’alba i due partono alla volta della stazione di Hogwarts e, mentre Hermione
spera di trovare qualche indizio per ricongiungersi con Harry, Ron e Ginny, gli
intenti di Malfoy –di nuovo in possesso dei poteri magici- sono in parte
oscuri.
Intanto, Harry e Ginny arrivano al Rifugio dell’Esercito di Silente fra
grandi festeggiamenti, ma l’allegria generale è presto soffocata da una
terribile notizia: Zacharias, Katie, Dean e Seamus sono stati fatti prigionieri
al Castello.
Occorre organizzare una missione per salvarli dalla condanna…
* * *
Non si è mai troppo prudenti nella scelta dei propri
nemici.
Oscar Wilde
* * *
Capitolo 19 – Nemici
Il cielo
sopra
ad Hogsmeade era un’unica nube grigia e la stazione apparve, ai due ragazzi,
tutta avvolta da una densa nebbiolina, sotto un nevischio che si era fatto più
fitto con l’avanzare del tempo e che smorzava i toni rossastri dell’edificio.
Hermione
salì
con cautela sulla stretta banchina ghiacciata, il freddo penetrò impietoso tra
le fessure del caldo mantello, sferzandole il viso e le mani. Draco abbandonò
le rotaie per raggiungerla sul cemento. Hermione alzò lo sguardo verso di lui,
osservando come le sue orme andavano rapidamente perdendosi sotto il lieve
strato di neve che iniziava a depositarsi sul terreno.
Draco la
superò, inoltrandosi per lo stretto percorso che si snodava dietro alla
stazione.
Avevano
percorso quella strada una volta soltanto, nove anni prima, quando Hagrid li
aveva accompagnati a Hogwarts insieme agli altri studenti del primo anno, ma
nessuno dei due l’aveva dimenticata.
Hermione
discese il percorso dietro a Malfoy, pensosa, e ad un tratto inciampò,
scivolando sul terreno bagnato. Per reggersi in piedi s’aggrappò ad al tronco
di una giovane betulla prominente sul tracciato; la pianta si fletté verso il
basso e dietro di essa Hermione intravide un fitto intreccio di felci e
cespugli d’erica, che crescevano incolti sotto ad una volta di rampicanti e
rami di vecchi pini rinsecchiti. In quella direzione il terreno era smosso e si
snodava in un sentiero quasi irriconoscibile.
Le venne
naturale pensare che quello fosse il posto ideale per occultare un passaggio
segreto; tuttavia non s’inoltrò, preferì raggiungere Malfoy che ora la
distanziava di diversi passi.
In breve
raggiunsero il Lago Nero, le cui acque, ferme e vitree, sembravano un’immensa
lastra di ossidiana; un alito gelido, innaturale, si levava dalla sua
superficie.
Si
nascosero
nella boscaglia a pochi metri dalla riva, guardinghi.
Accanto
alla
sponda galleggiava una vecchia barca, fissata precariamente a un paletto con
una corda deteriorata dal tempo.
Draco
parlò a
voce bassissima: « il Lago è sorvegliato dai Dissennatori, non possiamo usare
questo passaggio. »
Hermione
corrugò la fronte a dir poco sorpresa, chiedendosi se Malfoy aveva davvero pensato di poter raggiungere il Castello di Hogwarts in barca
a remi, o se la stava prendendo in giro.
La
conferma
l’ebbe quando si voltò verso di lei e mormorò: « Adesso? »
Hermione
svuotò i polmoni con un unico sospiro.
Al
contrario
di Malfoy, lei aveva un piano…
Che lui
si
sarebbe certamente rifiutato di seguire.
Le loro strade si
sarebbero
separate, con la differenza che lui non avrebbe saputo dove andare….
Ovviamente, non era il
caso di
preoccuparsi per la sorte di un Mangiamorte…
Inoltre, portarlo al
Rifugio (se
mai fosse riuscita a trovarlo) era terribilmente rischioso, senza contare la
reazione dei ragazzi dell’Esercito…
La
scelta più
saggia era evidente, tuttavia rivelare il proprio obiettivo le costò più caro
del previsto.
« Io
intendo
cercare Ron, Harry e Ginny, » disse telegrafica.
Lui fu
sorpreso.
« A Londra? » chiese in un sussurro.
Hermione
scosse la testa ed evitò di guardarlo negli occhi: « Non si trovano più a
Londra, » rispose.
Quell’
affermazione
portò il silenzio. Un silenzio carico di riflessioni, troppo pesante per essere
prolungato.
« Tu…
cosa
farai? » domandò Hermione.
Malfoy
si
strinse nel mantello e le voltò le spalle. « Non sono affari tuoi. »
Lei, che
fino
a quel momento aveva messo da parte il rancore e anche un po’ di buonsenso,
s’indignò:« Guarda che se sono qui, la colpa è solo tua! Sei tu che hai
chiesto il mio aiuto! » specificò.
« Devi
aver
capito male. »
Hermione
protestò alzando il tono di voce: « Non negare l’evidenza, Malfoy, sei stato tu
che - »
Malfoy
si
voltò lanciandole un’occhiata minacciosa.
Lei si
portò
una mano alla bocca: il rischio di farsi scoprire era alto. Sul Lago vagavano
numerosi Dissennatori e non era escluso che qualcuno stesse perlustrando anche
il bosco.
Malfoy
parlò
fra i denti: « Il mio obiettivo era recuperare i poteri magici per tornare ad
Hogwarts. Siccome non avevo alternativa, ho dovuto sporcarmi con la feccia più
squallida. »
« O
forse eri
consapevole di non valere un gran ché da solo, » rispose lei risentita, « se
fosse stato per te ora saremmo ancora bloccati nella biblioteca! »
« Questo perché tu mi hai derubato! »
« Ti ho già detto che non ho preso il
quadro di tua madre! »
« Non mi
riferivo a quello... » disse Malfoy allungando la mano verso di lei col palmo
rivolto verso l’alto. « Dammi la Passaporta, » ordinò.
Hermione
rimase ad osservarlo inerme, le labbra socchiuse dallo stupore.
« L’
abbiamo
usata per andare alla Stanza delle Necessità, quindi ora dovrebbe condurmi al
rifugio dei miei genitori, » disse lui.
« E cosa pensi di poter fare dopo? »
Mormorò lei, usando il sarcasmo per celare la preoccupazione. « L’idea migliore
che hai avuto fin’ora è stata attraversare il Lago Nero in barca! »
« Quello che intendo fare non ti
riguarda. »
« Ma da solo non puoi… »
La discussione era accesa, ma stavano
entrambi sussurrando.
Fu soltanto il caso a far avvicinare un
Dissennatore alla sponda del Lago.
Improvvisamente, i tronchi sul sentiero
iniziarono a ricoprirsi di un sottile strato di ghiaccio assumendo un aspetto
lugubre e avvizzito, come se qualcosa aspirasse la loro linfa vitale.
Il freddo strinse in una morsa le
tempie dei ragazzi.
Malfoy sbarrò gli occhi, mentre la
paura cominciava ad annebbiarli.
« Dammi la Passaporta! » ringhiò, «
Dammela! »
Hermione riconobbe sul suo viso un
terrore simile a quello che aveva provato nella Stanza delle Necessità.
« Calmati, » gli disse aprendo la
borsetta, « stai perdendo il controllo. »
« Non sto perdendo il controllo, »
ribatté lui con un acuto.
Aveva fretta. E paura.
E lei stava impiegando un’eternità per
trovare la sua Passaporta…
Così, afferrò la sacca con un movimento
nevrotico e gliela strappò di mano.
Lei soffocò un grido, ma ormai era
troppo tardi.
Quel gesto aggressivo le fece sfuggire
dalle dita la Ricordella che aveva appena trovato.
La piccola boccia di vetro scivolò
fuori dalla borsa e scintillò per un ultimo istante, prima di cadere a terra e
frantumarsi in mille pezzi.
* * *
I tre lunghi tavoli della sala
circolare erano stati avvicinati per consentire ai membri dell’Esercito di
Silente di riunirsi tutti assieme. Risultavano assenti Angelina Johnson,
prossima al parto, Ginny, Luna e Dennis Canon, usciti su richiesta di Madama
Chips per procurarsi un po’ di Centinodia, le cui scorte erano quasi terminate.
Neville, più deciso che mai, sedeva a capotavola.
Nel corso di quei due anni aveva preso
il comando dell’Esercito senza quasi rendersene conto. Inizialmente era stato
difficile assumersi ogni responsabilità, ma poi, le sue scelte, le sue parole,
la tenacia e soprattutto il coraggio più volte dimostrati, avevano convinto
tutti che non ci fosse nessun altro adatto quanto lui a coprire quel ruolo.
Quando vi fu silenzio parlò con
profondo rammarico: « La missione è fallita e i nostri compagni sono stati
catturati. »
La notizia gettò scompiglio lungo la
tavolata. Qualcuno n'era già al corrente, ma la maggior parte dei ragazzi
apprendeva del drammatico evento in quell’istante.
Neville chiese di nuovo, pazientemente,
il silenzio.
« Il più delle volte le nostre
incursioni si sono rivelate fallimentari, ma dopo l’Ultima Battaglia, – Neville
s’interruppe con un nodo alla gola: avevano scelto quel nome non dimenticare
che in quello scontro avevano perso la loro straordinaria guida, Minerva
McGrannit, e un prezioso amico Lee Jordan. – le squadre sono sempre rientrate
incolumi, e io temo che questo ci abbia fatto sottovalutare il pericolo… »
Qualcuno fece un cenno d’assenso alle
sue parole; un paio di ragazze chinarono il capo colpevoli, qualcun altro
commentò sottovoce con il vicino che lui - no - lui non si era mai
permesso di sottovalutare il pericolo.
Neville riprese: « Vorrei ricordare a
tutti quanti che, come noi abbiamo potuto migliorare e rafforzarci, anche Voi-Sapete-Chi
ha fatto lo stesso. Non dobbiamo dimenticare la sua malvagità, né smettere di
temerne potenza. Tuttavia, non rinunceremo a salvare i nostri amici. »
Vi fu un boato d’approvazione.
Harry e Ron, seduti al lato opposto del
tavolo, si guardarono: pur essendo i meno preparati ad affrontare il nemico,
fremevano dal desiderio di prendere parte alla missione.
Neville alzò la voce: « Ecco quello che
faremo: partiremo domani mattina all’alba, divisi in squadre di tre persone.
Attraverseremo il Lago Nero dal versante sud-est. »
Nella breve pausa che seguì
l’affermazione un brivido sembrò attraversare la tavolata.
« Il versante sud-est è il più
pericoloso, » obbiettò per primo Anthony Goldstein.
Neville era preparato a
quell’osservazione: « il nostro passaggio è stato scoperto. È per questo che la
squadra è stata catturata. »
« Ma quella parte del Lago è
sorvegliata dai Dissennatori! » Commentò spaventata Lavanda Brown, che non era
mai stata in missione.
« Tutto il Lago è sorvegliato dai
Dissennatori! » la derise George Weasley atteggiandosi da veterano, « il
versante sud-est è più pericoloso perché sott’acqua non abbiamo alleati.
Fin’ora abbiamo potuto contare sul patto di neutralità stretto con le Sirene:
ci lasciano passare senza ostacolarci. Ma a sud… non so cosa o chi si possa
incontrare… A parte la piovra gigante! » concluse agitando le dita nell’aria
davanti al viso di Lavanda, imitando i tentacoli di un polpo impazzito.
Lei si scostò soffocando un grido, per
metà spaventata e per metà stizzita.
« Utilizzeremo l’incantesimo Testabolla
come al solito? » Domandò Michael Corner.
« Sì, » rispose Neville, « e avanzeremo
strisciando sul fondo. Se dovessimo incontrare ostacoli, potremo usare la magia
senza destare troppi sospetti in superficie. »
« Capisco, » commentò George Weasley
con aria da stratega, « quel lato è più buio e la costa è tutta frastagliata…
ideale per nascondersi, ma… come entreremo nel Castello? È quasi impossibile
risalire la scogliera… »
« Attraverso le Serre, » rispose
Neville con prontezza, dimostrando d’aver accuratamente progettato ogni
dettaglio del piano, « se ricordate, sono state distrutte durante l’Ultima
Battaglia. Io ero presente: parte delle mura crollarono e si aprì una lunga
frattura nel terreno che raggiunse le acque del Lago. Quella zona non era
sorvegliata allora e probabilmente non lo sarà nemmeno adesso che è
inutilizzabile. »
La sua risposta convinse buona parte
dei presenti e Neville concluse: « questa volta partiremo con un
equipaggiamento più pesante. La missione richiede un’accurata attività di
esplorazione dato che non sappiamo dove i ragazzi sono stati imprigionati. Le
squadre dovranno suddividersi le aree del Castello e passare inosservati è
indispensabile. Oltre ai soliti oggetti, ognuno di noi porterà il preparato di
una Pozione Polisucco della scorta di Molly (basterà aggiungere un capello per
completarla) e della Metropolvere… »
« Ottimo. Come sono composte le
squadre? »
Era stato Ron a parlare. L’intera
tavolata si volse stupefatta verso di lui.
Ron s’agitò sulla sedia imbarazzato, ma
con la ferma convinzione di essere fra i prescelti. Tuttavia la sua esuberanza
non preoccupava Neville tanto quanto lo sguardo di Harry, fermo e denso di
aspettativa: era chiaro che non s’aspettava di essere scelto, intendeva
aggregarsi comunque.
Neville non poté continuare a guardarlo
e parlò al resto della tavolata: «Andremo io, George e Luna. Anthony, Alicia e
Michael. Dennis, Cho e Hannah. » Poi
tacque per alcuni secondi, temendo un nuovo intervento...
« Verremo anche noi. »
Chiuse le palpebre ed inspirò
profondamente: « Non credo sia una buona idea... », ribatté.
« Non ha importanza, » fu la
caustica risposta di Harry.
* * *
Hermione Granger fissò inebetita le
schegge di vetro che giacevano ai suoi piedi. Non aveva bisogno di guardare in
faccia Draco Malfoy per capire quanto anch’egli fosse sconcertato: aveva
letteralmente sentito il brivido che l’aveva scosso mentre la Ricordella finiva
in pezzi.
Istintivamente, lo aggredì: « Sei
soddisfatto ora? »
Malfoy alzò lo sguardo, il viso era
piegato dalla collera.
Con un gesto violento le mostrò il
Marchio Nero che portava sul braccio. Le parole gli graffiarono la gola: « Lo
vedi? Quando mi sarò tolto questo sfregio sarò soddisfatto! »
Hermione sentì un nodo chiuderle la
strozza, che fosse paura o pietà non ebbe il tempo di chiederselo, cercò solo
di calmarlo: « Io… credo… posso provare a ripararla… calmati… » balbettò, ma
non ebbe il tempo di fare nulla.
L’onda di freddo che li aveva
spaventati un attimo prima, ora avanzava verso di loro, divorando il
sottobosco.
« Non possiamo stare qui! » Hermione,
allarmata, iniziò a risalire il sentiero di corsa.
Malfoy la seguì.
Il terreno fangoso s’impastava sotto i
loro piedi, ostacolando il loro rumoroso incedere, mentre la morsa gelida del
Dissennatore s’avvicinava rapidamente.
« Di qua, » bisbigliò Hermione
strattonando Draco per il mantello, riconoscendo ad un tratto il passaggio
intravisto durante la discesa.
Malfoy sentì troppa sicurezza nella sua
voce e si bloccò: « Non vengo con te. »
Hermione non seppe spiegarsi perché
quella reazione, tutto sommato prevista, generasse in lei tanta irritazione.
« Non essere ottuso, Malfoy! Dobbiamo
solo… »
« Fare cosa? Raggiungere i tuoi
amichetti nascosti come fuggiaschi in qualche grotta fra le montagne? Non ho
nessuna intenzione di unirmi a loro! »
Hermione si sentì ribollire.
La causa era nello stolido orgoglio del
Serpeverde che, pur col nemico alle calcagna, non gli consentiva di accettare
per la seconda volta un aiuto marcato Grifondoro.
« “Hogwarts non sarebbe nulla senza
di noi… siamo tutti parte di questo mondo”… sono parole tue… o le hai
dimenticate? » gli rinfacciò, « Sei un
immaturo, Malfoy, troppo borioso per accettare di farsi aiutare! »
« Non certo dal tuo lurido sangue
sporco e da un mucchio di Grifondoro inetti e babbanofili! »
Hermione andò su tutte le furie.
Con il fiato del Dissennatore sul collo
si voltò verso di lui e piantò gli occhi inferociti nei suoi.
« Peccato, perché come hai detto tu: ti
sei già sporcato le mani! Decidi contro chi vuoi combattere, Malfoy: il
Signore Oscuro o Harry Potter? » Gridò, ma era talmente arrabbiata che non se
ne accorse.
Malfoy sibilò spaventato: « Stupida,
taci! » mentre alle loro spalle i rami di una betulla si spezzarono
scricchiolando e il sentiero apparve come un’unica lastra di ghiaccio.
Hermione abbassò il tono di voce, ma
non lo sguardo: « A differenza di te, Malfoy, io so perfettamente chi è il mio
nemico! » Berciò fra i denti mentre estraeva la bacchetta magica.
Pronunciando Incantesimi Essiccanti ed
Obliteranti, la puntò prima verso se stessa, poi contro di lui ed infine sul
terreno.
« Ma che cosa fai? » protestò Malfoy
infastidito, tastandosi il mantello asciutto.
Lei lo afferrò per un braccio e lo tirò
dentro al sentiero.
« Cancello le tracce, ovviamente!
Muoviti! » Ordinò spingendolo davanti a sé.
Poi entrambi si misero a correre lungo
un invisibile rotta, incespicando tra i cespugli, incuranti delle sferzate che
i rami più sottili degli alberi spogli lasciavano sulla pelle del viso.
L’unico pensiero era rivolto al nemico
che si avvicinava ad una velocità insostenibile.
Il fiato cominciò a farsi corto, ma
davanti a loro si estendeva un groviglio di rampicanti oltre il quale avrebbero
potuto nascondersi con facilità.
Senza riflettere, si precipitarono
contro la ragnatela di rami e foglie…
Finendo a sbattere dolorosamente contro
un ostacolo duro ed invisibile.
Il fracasso dell’urto attirò
l’attenzione del Dissennatore.
Pochi istanti per attutire il colpo ed
entrambi i ragazzi infilarono le mani fra il garbuglio di foglie e spine,
strappando e tirando, finché, sotto i palmi delle loro mani, umide assi di
legno rivelarono la presenza di una porta serrata.
Tastarono invano tutt’intorno, alla
ricerca di un passaggio o di un nascondiglio.
Malfoy imprecò.
Erano in trappola e il Dissennatore li
stava raggiungendo. Potevano capirlo dalla morsa di gelo che riempiva i loro
polmoni ad ogni respiro.
Fu allora che Hermione volse la schiena
a Malfoy e alla porta puntando la bacchetta davanti a sé.
« Apri quella porta, » ordinò, « al
Dissennatore ci penso io! »
E subito dopo ricordò l’ultima
conversazione che aveva avuto con Ginny, quando aveva espresso tutti i suoi
timori:“ Potrei non riuscire più ad evocare un Incanto Patronus o lanciare
uno Schiantesimo… ”
“ Non ci crederei nemmeno
se
lo vedessi, ” aveva risposto Ginny…
Malfoy la guardò, sorpreso e dubbioso
allo stesso tempo: stretta nel proprio mantello, con i piedi divaricati ben
saldi a terra e il braccio teso in avanti, era decisa a difendersi, ma le sue
spalle tremavano lievemente.
Si domandò se davvero fosse in grado di
fermare un Dissennatore.
Se stesse agendo d’istinto o per un
calcolo ponderato.
Se avesse paura.
E, solo per un istante, si chiese
perché stava facendo tutto quello per lui…
Poi uno strillo isterico di lei gli
ricordò il proprio compito.
Malfoy si voltò di scatto verso la
porta: « Alohomora! »
Non accadde nulla.
Provò di nuovo, più volte.
« Sbrigati! » Intimò lei.
« È impossibile! Serve una parola
d’ordine! »
Malfoy si guardò le spalle e vide il
mantello scuro del nemico fermarsi davanti all’ingresso del sentiero che
avevano percorso.
Hermione ora tremava in modo evidente.
Era passato troppo tempo dall’ultima
volta che si era difesa da un Dissennatore, e faticava a cercare un pensiero
felice e ragionare contemporaneamente.
« Prova… prova con “Albus”… »
suggerì.
Non funzionò.
Cominciò allora a sfoderare raffiche di
parole; “deve centrare con l’Esercito!”, si diceva mentre Malfoy
ripeteva insistentemente che non avevano alcun effetto.
Il gelo raggiunse le caviglie dei due
ragazzi, ed entrò in loro con violenza, soffocandone i respiri.
Malfoy strillò come un bambino e lei si
decise a rischiare.
« Expecto
Patronum! » Gridò.
L’incantesimo funzionò, anche se non
riuscì perfetto come avrebbe voluto.
Una lontra argentea dalla forma non
completamente definita sgusciò fuori dalla sua bacchetta, librandosi nell’aria
e mettendo in fuga il Dissennatore.
Malfoy stava ancora guardando
sbalordito l’animale allontanarsi in una scia cristallina quando Hermione, ora
libera dalla tensione, ebbe una folgorazione: « Butterfly! » Gli gridò.
« Che cosa? » borbottò Malfoy.
«
La parola è Butterfly! » Ripeté lei.
E
la porta magica, sorprendentemente, si aprì.
I
due si precipitarono all’interno, terrorizzati all’idea che altri Dissennatori
li raggiungessero.
Scontrandosi
per avere la precedenza, inciamparono e caddero l’una sull’altro. Malfoy
graffiò il terreno nel tentativo di alzarsi, Hermione s’aggrappò ai suoi abiti.
La
porta si richiuse dietro di loro prima che riuscissero a mettersi in piedi.
* * *
Continua…
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 - Il Mantello dell'Invisibilità ***
Capitolo 20 - Il Mantello dell'Invisibilità
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Il fratello
più giovane era il più umile e anche il più saggio dei tre, e non si fidava
della Morte. Perciò chiese qualcosa che gli permettesse di andarsene senza
essere seguito da lei. E la Morte, con estrema riluttanza, gli consegnò il
proprio Mantello dell’Invisibilità.
J. K. Rowling, Harry
Potter e i Doni della Morte
* * *
Capitolo 20 – Il Mantello dell’Invisibilità
Avevano camminato a lungo nel
buio attraverso un passaggio stretto, in salita, umido e dissestato. Apparentemente
senza fine. Poi era apparsa una debole luce che era stata una vera e propria
iniezione di energia; aveva cancellato la fatica e aveva dato loro la forza per
correre all’esterno, a respirare l’aria fredda dell’inverno.
L’euforia sfumò in delusione
pochi istanti dopo, quando entrambi realizzarono d’essere ancora in mezzo al
bosco, all’ingresso di una piccola radura distesa lungo il pendio di una
montagna, imbiancata dalla neve e immersa in un profondo silenzio.
Alle loro spalle, il passaggio
si era richiuso mimetizzandosi in un groviglio di edera e foglie secche.
Hermione, amareggiata e
avvilita, sentì la stanchezza piegarle le gambe e appesantirle il respiro.
Cercò un appoggio e lo trovò nel tronco umido di una betulla. Scivolò
lentamente contro di esso, sedendosi ai suoi piedi, su una pietra ricoperta di
muschio.
Draco si chiuse in un silenzio
nervoso e cominciò a percorrere lo spiazzo aperto da una parte all’altra,
fermandosi più volte a scrutare il paesaggio a valle, dove troneggiava, in tutta
la sua decadente maestosità, il Castello di Hogwarts.
Più che deluso, era contrariato:
erano finiti esattamente sul versante opposto a quello che ospitava il rifugio
costruito dai suoi genitori.
Terribilmente lontano da “casa”.
Hermione estrasse dalla propria
borsa un po’ di cibo e glielo offrì. Lui rifiutò con un cenno sprezzante,
preferendo sostare in silenzio nel mezzo di quel fazzoletto di terra rada, col
capo scoperto e la neve che gli cadeva fra i capelli.
Lei non mangiò molto, solo
qualche boccone mentre rifletteva.
Si era convinta che il passaggio
segreto appartenesse all’Esercito di Silente, e questo offriva due possibilità:
o era stato abbandonato, o in quell’area desolata si nascondeva un secondo
passaggio. Ripose il cibo nella borsetta, rammaricandosi di non avere con sé
qualche oggetto magico piuttosto che un inutile telefono cellulare.
Si alzò e iniziò a esplorare il
piccolo spiazzo, nel quale spiccava una grossa roccia tondeggiante. Prestando
attenzione a non scivolare sulla neve, vi salì sopra e s’accorse che da quel
punto poteva controllare l’intera vallata.
Malfoy si era allontanato
inoltrandosi nel bosco e lei si ritrovò sola, a contemplare le rovine della
Scuola di Magia e a combattere contro l’amarezza dei ricordi che si fondeva con
la recente delusione.
All’improvviso, uno scalpiccio
ruppe il profondo silenzio.
Hermione si voltò e socchiuse le
labbra, ma lo stupore la zittì.
Avvolta in un mantello verde
oliva, con un buffo cappuccio dal quale scendevano rami d’edera in fiore, aveva
di fronte Luna Lovegood. Un sorriso colmo di gioia le allargava le labbra.
«Hermione! » esclamò.
Non aveva idea di quando fosse
arrivata, né da dove provenisse, ma non perse tempo a chiederselo. Le corse
incontro e l’abbracciò, senza riuscire a pronunciare una sola parola.
Quando si separò, con gli occhi
che diventavano lucidi, ebbe una nuova sorpresa.
«Hermione! C-com’è
possibile?! » balbettava Ginny Weasley, pochi passi più indietro, fissandola
attonita come se avesse una visione. «Sarei venuta a prenderti oggi… a
Londra… Ma come… come hai fatto a… »
Lei fu lusingata da quello
stupore che, di fatto, lodava le proprie capacità: «Oh, non è stato
semplice – spiegò - siamo arrivati alla Testa di Porco usando… »
«Granger! Sarà meglio
che trovi il modo di tornare indietro o… »
Draco Malfoy, irritato più che
mai, fece capolino dal bosco.
Ginny e Luna s’irrigidirono.
Hermione trattenne il fiato
mentre il ragazzo trasformava la sua espressione da bizzosa a sorpresa, a
ostile.
Un duro silenzio scese fra loro
insieme alla neve, che lenta e instancabile aveva ormai ricoperto il terreno.
Se da un lato Luna si stava
arrovellando per spiegarsi la presenza di Malfoy tra quelle montagne,
dall’altro Ginny aveva il volto in fiamme, perché sospettava che l’avesse
accompagnato Hermione.
«L’hai portato tu? »
domandò fra i denti.
Hermione mise in campo la
propria diplomazia: «Non ho potuto raggiungerti all’appuntamento perché
un incantesimo mi ha bloccato nella sua biblioteca. L’unica soluzione che avevo
era utilizzare una Passaporta per la Stanza delle Necessità, ma ho dovuto portare
anche lui. » Disse indicando Malfoy come se fosse un oggetto.
Lui aprì la bocca per ricordarle
che la Passaporta era di sua proprietà e lei l’aveva ormai distrutta, ma a
nessuna delle ragazze interessavano le sue parole.
Ginny lo squadrò diffidente
mentre Luna si sfilò dall’orecchio la bacchetta magica e la strinse saldamente
in mano.
«Ti rendi conto che ora
lui conosce un modo per raggiungere il nostro nascondiglio? » sgridò Ginny. Era
furiosa. Hermione poteva a capirla, tuttavia le fece notare che quella radura
era deserta e nemmeno lei aveva idea di dove cercare il Rifugio.
«Mi stupisco di te! » si
ribellò Ginny, «non puoi aver dimenticato che si tratta di un
Serpeverde! »
«Un Magiamorte, »
precisò Luna candidamente.
A quell’affermazione Ginny sentì
un brivido scenderle lungo la schiena. «Non può stare qui,»
disse categorica.
«In ogni caso dovrà
dimenticare la strada… » concluse Luna e, puntando la bacchetta verso di lui,
sussurrò: « Oblivion. »
Malfoy rimase alcuni istanti
impietrito, come folgorato, per poi voltarsi verso Hermione.
«Che… che cosa sta
succedendo? »
Aveva dimenticato tutto: da quando lui ed Hermione erano
rimasti bloccati nella biblioteca, fino a pochi istanti prima.
Era imbestialito, ma nessuno lo
considerò.
«Vieni, andiamo al
Rifugio. » disse Ginny a Hermione.
Lei fece un passo, poi si fermò.
«E lui… Dove andrà?» chiese con un filo di voce.
«Rimarrà qui. Sorvegliato.
»
«Ma… »
« La priorità è proteggere l’Esercito. E anche lui ci
guadagna, credimi… » ironizzò Ginny, « ci sono diverse persone, al Rifugio, che
fremono all’idea d’incontrarlo… »
* * *
Incanto
Fidelius!
Hermione era delusa da se stessa.
Come aveva
fatto a non pensarci?
L’Esercito di Silente si nascondeva a pochi passi dalla
radura nella quale lei e Malfoy erano arrivati, protetto dal complesso
incantesimo. Come Luna le aveva spiegato, la McGrannit era stata a lungo il
Custode Segreto, poi tutti loro avevano ereditato quel compito, come un patto
solenne che li legava in modo indissolubile.
All’inizio Ginny aveva provato un po’ di riluttanza
all’idea di condividere l’informazione con Hermione, ma aveva accantonato
l’eccessiva diffidenza in nome della loro amicizia. Luna invece era serena,
perché l’istinto le suggeriva fiducia.
Hermione seguì le amiche
avanzando, ammirata, verso il Rifugio. Sapeva che nessuno avrebbe potuto
trovare quel luogo senza conoscerne il Segreto, tuttavia rimase ulteriormente
sorpresa scoprendo che il grande portone d’ingresso era protetto da altri
incantesimi.
Quando le tre ragazze giunsero
alla grande sala circolare, non trovarono molte persone a riceverle, ma ben
presto la notizia dell’arrivo di Hermione si diffuse e l’intero Esercito si
radunò per accoglierla. Come Harry, anche a lei ricevette un trattamento da
eroina, a dimostrazione del rispetto che tutti avevano continuato a nutrire nei
suoi confronti, nonostante la sua lunga assenza.
Saggiamente, Ginny e Luna si astennero dal menzionare
Draco Malfoy: quella era un’informazione da manovrare con cura, da diluire in
piccole dosi o si sarebbe trasformata in veleno.
Hermione si lasciò salutare e
abbracciare, ma tutto quel calore contribuì soltanto a stringere il nodo che
aveva in gola: il piedistallo su cui l’avevano innalzata era fragile come
cristallo e poteva spezzarsi da un momento all’altro, facendola precipitare nel
baratro dei traditori…
La stretta divenne ancora più
dolorosa quando si trovò davanti a Harry e Ron.
Harry le chiese cos’era successo
e perché aveva tardato a raggiungerli, ma lei non riuscì a rispondere perché
Ron le saltò letteralmente addosso sciorinando una marea di scuse. Diceva
d’aver recuperato la memoria e ora capiva quello lei aveva cercato di dirgli.
Gli occhi le si colmarono di
lacrime.
Avrebbe voluto abbracciarlo
stretto, ma lui l’afferrò per le spalle e prese a scuoterla: aveva migliaia di
cose da dirle. Ripeté il proprio rammarico per non averla aiutata, e lei lo
perdonò. Confessò di essersi immensamente preoccupato quando Harry era arrivato
al rifugio da solo; lei arrossì, ma lui era talmente agitato che non se ne
accorse e proseguì a raccontare a ruota libera, senza prendere fiato, tutto
quello che gli era accaduto negli ultimi due giorni. Le descrisse il Rifugio,
l’informò della missione fallita e del piano di Neville per salvare i loro
compagni.
Non parlò d’altro e lei non
riuscì a chiedere nulla.
Un po’ per imbarazzo, e un po’
perché sapeva che non sarebbero bastati pochi minuti per chiarirsi.
Perché il tempo e il silenzio
cambiano le persone, ne modellano l’anima come l’acqua corrente leviga la
pietra, e il rischio è di fermarsi a rimpiangere le schegge perdute,
dimenticando di apprezzare la bellezza di una nuova forma.
* * *
Con il calare della sera fra i
monti di Hogwarts aveva smesso di nevicare. Nella valle silenziosa, il Lago e
il Castello apparivano lugubri e gelidi. Al centro della radura, sotto la
debole luce lunare che filtrava attraverso una coltre di nubi, Draco Malfoy
sedeva meditabondo sulla roccia da ore, incurante del freddo e dell’oscurità.
Con le ginocchia raccolte al petto e i gomiti appoggiati su di esse, premeva i
palmi delle mani contro le tempie e rimuginava.
Non aveva la più pallida idea di come fosse arrivato da
quelle parti.
L’unica cosa che sapeva era di trovarsi sul versante
opposto a dove avrebbe voluto essere.
Il suo ricordo più recente lo
raffigurava, con Hermione, alla Testa di Porco.
Poi era come se un buco nero
avesse risucchiato i momenti successivi, fino a quando Luna Lovegood aveva
puntato contro di lui la bacchetta e aveva cancellato i suoi ricordi.
Un
vuoto di ore…
Giorni, forse.
Era stato davvero sprovveduto a
non prevedere quella mossa che aveva consentito all’insulso trio di fare di lui
un facile prigioniero, per poi sparire sotto i suoi occhi.
“Andiamo al rifugio, ci penserà Dennis a
sorvegliarlo”, aveva detto la piattola Weasley. Ma…
Chi cavolo era Dennis?
Non aveva nemmeno fatto in tempo
a chiederselo che un ragazzino emaciato, con sguardo ingenuo e capelli color
topo, era spuntato dal bosco e aveva cominciato a sorvegliarlo con
atteggiamento superiore; senza staccargli gli occhi di dosso, come se avesse
potuto scomparire da un istante all’altro…
Malfoy era sicuro che, se
l’avesse voluto, avrebbe potuto allontanarsi in qualsiasi momento: prendersi
gioco dell’idiota che lo stava sorvegliando era fin troppo facile.
Disarmarlo. Zittirlo.
Incarcerarlo. Scappare…
Ma dove?
Per quanto orribile,
l’alternativa era più conveniente. Le pietose streghe gli avevano persino
fornito una tenda nella quale passare la notte, un po’ di cibo e coperte.
Inoltre, se non si era mosso da
lì era solo perché doveva fare qualcosa di più importante: recuperare i propri
ricordi.
E per farlo, aveva già un piano.
* * *
« Che cosa?! »
Ginny cacciò un urlo che fece
rizzare i capelli a tutti i presenti nella piccola stanza: Neville, Harry, Ron,
Hermione e Luna.
« Io non ci penso nemmeno a starmene
qui con le mani in mano! » protestò accaldata. Trovava assurdo, quasi
offensivo, che Neville avesse deciso di tagliarla fuori dalla missione di
salvataggio… E con che scusa, poi! Affiancare sua madre e Madama Chips durante
il parto di Angelina!
Una cosa ridicola.
« Sarei inutile qui, Neville, » si lamentò agitando una
mano nell’aria, i suoi capelli rossi erano un tutt’uno con il viso in fiamme, «
e poi… mia madre ha abbastanza esperienza per tutti quanti, non credi? »
aggiunse sarcastica.
Harry osservò l’orgoglio con cui
si batteva: una grinta che non aveva dimenticato, ma che ora la rendeva
straordinariamente bella. Non immaginava d’essere lui stesso causa della furia
che le arrossava le guance. Ginny, infatti, era convinta che quell’esclusione fosse
il risultato di un accordo tra lui (esageratamente protettivo) e Neville. Non
aveva nemmeno lontanamente considerato d’essere stata tagliata fuori per la sua
lunga assenza dall’Esercito, motivo per cui erano stati inizialmente esclusi
anche Harry e Ron.
Neville tentò di spiegarle le
proprie ragioni, smussando i dettagli con cura: « Ginny, hai faticato molto in
questi giorni: hai bisogno di riposo. Inoltre, qui servirà una guida nel caso
dovessimo fallire... tu sei la persona più adatta per… »
Lei lo interruppe ostinata: «
Non falliremo. E comunque, Hannah è certamente più adatta di me ad un ruolo di
comando. »
Neville fece per dire qualcos’altro, ma lei non lo lasciò
parlare: « Vengo con voi, non provare a fermarmi: non mi serve nemmeno un
compagno di squadra, sono in grado di cavarmela da sola. »
« Non posso lasciarti senza un
compagno di squadra… »
« Be’, allora… »
« Può unirsi a Harry e Ron, sono
solo in due… » Luna intervenne nella discussione senza immaginare le
conseguenze della sua affermazione.
Hermione si fermò di respirare:
nessuno le aveva detto che Harry e Ron avrebbero preso parte alla missione. Era
convinta che sarebbero rimasti al rifugio per esercitarsi con lei negli
incantesimi e poter raggiungere rapidamente il livello di preparazione dei
compagni.
I pochi secondi di silenzio che seguirono l’affermazione
di Luna le servirono per assimilare la notizia e volgerla a suo vantaggio: «
Bene, allora andrò io con Ginny. »
Neville si passò una mano fra i
capelli: la situazione era fuori controllo…
« Va bene, » si rassegnò, « ma
tutte le squadre saranno composte da tre persone. Voi due andrete con Dennis;
Cho starà con Harry e Ron. Hannah rimarrà al rifugio, come mio sostituto... Tra
un paio d’ore ci troveremo qui per definire i dettagli della missione, »
concluse.
Prima che uscisse dalla stanza,
Ginny lo raggiunse, seguita da Luna. « Neville, aspetta. Dobbiamo parlarti… »
disse lanciandosi una cupa occhiata alle spalle, « in privato. »
* * *
Il Rifugio dell’Esercito di
Silente era costruito su due livelli all’interno di una grotta. Al piano
superiore vi erano i dormitori, cui si accedeva attraverso una scala a
chiocciola in legno di quercia, posta accanto al camino della grande sala
d’ingresso a forma circolare. Appena giunti sul pianerottolo s’incontravano due
piccole porticine identiche, una di fronte all’altra, con appeso al centro un
quadretto ricamato, capace di cambiare forma e colore per indicare la presenza
di qualcuno all’interno.
Il quadretto sulla porta di
destra riportava la scritta “Arthur e Molly Weasley”.
In realtà, Arthur Weasley viveva a Villa Conchiglia da
quasi un anno. Da quando era rimasto gravemente ferito durante un’avventata
incursione al Ministero (tra l’altro, mai approvata dalla moglie) e il figlio
Bill l’aveva trasportato laggiù per la lunga convalescenza. Il San Mungo,
infatti, era caduto da tempo nelle mani dei Mangiamorte ed assomigliava ormai
più a un luogo di tortura, che a un ospedale.
Da allora, Molly era rimasta
sola.
Sul quadretto della porta di
fronte vi era invece scritto “Madama Chips”. Una terza porta, dritto in
fondo al lungo corridoio, aveva un quadretto identico che però, congelato dal
tempo e dal dolore, aveva perso la facoltà di cambiare forma e colore: era la
camera della Professoressa McGrannit.
Ginny attraversò il corridoio
fino a metà poi si volse a destra e bussò alla porta a due ante del dormitorio
maschile.
Justin aprì e lei domandò subito
di Harry. Il ragazzo abbozzò un sorriso malizioso e richiuse. Pochi istanti
dopo Harry Potter s’affacciò seminudo sulla soglia. Alle sue spalle era tutto
un ridacchiare ed un confabulare, ma Ginny non gli diede alcun peso.
« Puoi uscire un momento? »
domandò.
Harry, decisamente meno bravo ad
ignorare i commenti dei compagni, borbottò un “sì” imbarazzato e sgattaiolò
fuori dalla stanza richiudendo alla svelta la porta dietro di sé.
Si allontanarono di alcuni
passi, poi Ginny lo guardò negli occhi: « devo parlarti. »
Harry fece un cenno del capo ed
incrociò le braccia sul petto, sfregandosi le mani sulla pelle.
« Che cosa c’è, ti vergogni? »
lo provocò Ginny. Lui arrossì di colpo: « Fa freddo, » si giustificò.
Lei sorrise, ma si fece subito
seria: « C’è una cosa che non ti ho detto, » cominciò, « che non ho detto a
nessuno, a dire il vero…»
« Di cosa si tratta? »
« Ricordi il quadro di Dexter
Fortebraccio che ho rubato all’avvocato…»
Harry annuì.
« Non ti sei mai chiesto come ho
fatto ad eludere la sorveglianza e rubarlo? »
Harry Potter spalancò gli occhi: aveva
smesso di pensare al caso McKenzie da un pezzo. In effetti non tutto era stato
spiegato, ma quello per lui era diventato un problema insignificante ed era
strano che Ginny ne volesse parlare.
« No, » rispose, « però, ora che ci penso, potresti aver
utilizzato un Incantesimo di Disillusione…»
« Sì, avrei potuto, » ribatté lei, « ma in realtà ho usato
una Pozione Polisucco per assumere le sembianze di una babbana, poi mi sono
nascosta con questo, » disse porgendogli un quadretto di tessuto ripiegato con
cura.
A Harry balzò il cuore in gola
per l’emozione: era il Mantello dell’Invisibilità!
« Ginny…. » riuscì appena a balbettare.
« Me lo ha dato la McGrannit
dopo avervi nascosto a Londra, » iniziò lei, ma per riuscire a continuare
dovette prendere un profondo respiro, « mi disse di custodirlo con la stessa
cura con cui avrei dovuto celare il vostro segreto, e così ho fatto. Intendevo
restituirtelo al più presto, ma è passato molto tempo e… l’ho usato senza il
tuo permesso. Scusami. »
Harry alzò le spalle per dirle che avrebbe potuto servirsi
del Mantello altre mille volte, e che era lui a doverla ringraziare. « Credevo
che fosse perduto per sempre, » mormorò.
« Prendilo, » disse lei mettendoglielo in mano, « potrebbe
servirti per la missione. »
« È meglio che lo tenga tu, » insistette lui protettivo, «
io posso arrangiarmi. »
Ginny respinse risoluta l’offerta: « Ho imparato a
cavarmela meglio di quanto tu creda. Non sottovalutarmi. E non sottovalutare Tu-Sai-Chi:
è diventato ancora più potente. »
« Non l’ho mai sottovalutato, » ribatté
Harry cupo, « ma io sono l’unico che può… »
Ginny non lo lasciò finire: « È per questo che devi tenere
tu il Mantello. »
Lui, testardo, insistette ancora, ma Ginny lo zittì. « Ho
un’altra cosa che ti appartiene, » annunciò.
Harry la guardò curioso. Non immaginava cos’altro potesse
nascondere Ginny nella mano sinistra che teneva dietro la schiena; quando lei
glielo mostrò, perse la voce.
Era una piccola bisaccia di stoffa.
« In piena Battaglia, dopo la tua scomparsa, ho raggiunto
Hagrid per cercare di capire quello che stava accadendo, e lui teneva in mano
questo sacchetto; ha detto che ti era caduto, » spiegò Ginny, poi infilò una
mano nella custodia ed estrasse la sua bacchetta magica, con il nucleo in piuma
di fenice, irrimediabilmente spezzata, « mi dispiace, era così e non c’è stato
modo di ripararla. »
Lui lo ricordava fin troppo bene. Commosso, prese la
bacchetta con delicatezza, quasi fosse di cristallo, e la ripose nella
custodia.
Colmo di gratitudine, avrebbe voluto saltare al collo di
Ginny e stringerla forte, ma riuscì solo a guardarla attraverso gli occhi
lucidi.
Era davvero straordinaria.
« Perdonami, » mormorò.
Ginny lo scrutò, interrogativa. « Per cosa? » chiese
dolcemente.
« D’essere mancato per tanto tempo. »
Lei sollevò le spalle e sorrise comprensiva. « Non devi
scusarti. Non è stata una tua scelta. »
Lui continuò, afflitto: « Mi dispiace di non aver
combattuto insieme a voi e di non esserti stato vicino. »
« Ci siamo visti quasi tutti i giorni » sdrammatizzò lei.
« Ma io… non ero io. »
« Non importa, » asserì Ginny, ma in realtà era felice
d’essersi gettata alle spalle quel periodo così difficile, lontano da Hogwarts
e dal cuore di Harry, « mi hai voluto bene ugualmente, e questa è la cosa più
importante. Significa che… - tossì imbarazzata, le guance s’imporporarono - …
che il nostro legame è forte. »
Questa volta fu Harry a sorridere. « Il nostro legame è
forte, » ripeté, « ma se siamo noi stessi, e mille volte meglio. »
Poi s’avvicinò, le prese una ciocca di capelli fra le mani
e le accarezzò il viso.
« Ti amo, » disse in un timido sussurro.
«Oh Harry!»
Ginny, emozionata, gli gettò le braccia al collo e lo
baciò.
Una, due, tre volte,… facendolo indietreggiare fino a
sbattere contro la porta alle sue spalle.
E mentre lui le cingeva la vita con un braccio e con
l’altra mano si sistemava gli occhiali, lei tirò fuori la bacchetta magica.
« Alohomora »
Harry sussultò, il tono di voce allarmato. « Gi-Ginny, ma
che fai? Que-questa è la stanza di Madama Chips! »
Lei non gli diede ascolto. Lo zittì con un altro bacio e
lo spinse dentro la camera buia.
Lui, un po’ nervoso e un po’ eccitato, borbottò una
flebile supplica tra un bacio e l’altro: «
A-almeno chiudiamo la porta… Ginny… potrebbe… arrivare… »
Lei sbuffò divertita e senza staccarsi dalle sue labbra
puntò la bacchetta magica verso l’uscio.
Non si prese nemmeno la briga di parlare.
Colloportus.
* * *
Neville, dopo essersi ripreso dallo shock che Ginny e Luna
gli avevano provocato riferendo della presenza di Malfoy, aveva deciso di
comune accordo con le ragazze che fosse saggio mantenere il silenzio ancora per
un po’. Sarebbe stato troppo difficile contenere le reazioni che quella notizia
avrebbe creato tra i membri dell’Esercito, soprattutto in prossimità della
missione. Certamente sarebbe nata una sorta diffidenza, più o meno celata, nei
confronti di Hermione e… come aveva detto Ginny, non erano da escludere crisi
isteriche da parte di Harry e Ron.
Tuttavia si era reso necessario avvisare Hannah Abbott: a
lei Neville avrebbe affidato il comando l’indomani all’alba, nonché la
responsabilità di sorvegliare il prigioniero.
Per questo, dopo cena, era stato assegnato proprio a
Hannah il compito di raggiungere Dennis Canon, portargli l’equipaggiamento per
la missione e assicurarsi che anche lui mantenesse il segreto.
Avvolta in un mantello scuro dal quale uscivano appena gli
ultimi riccioli delle sue trecce bionde, Hannah Abbott uscì dal rifugio e
attraversò guardinga la radura con lo zaino di Dennis stretto sul petto, quasi
temesse un’imboscata nemica.
Se Neville non l’avesse avvisata per tempo, la figura di
Draco Malfoy seduta sulla grande pietra le sarebbe sembrata un’allucinazione.
Nonostante una tenda calda pronta ad accoglierlo al limite
della radura, il ragazzo si ostinava a starsene al freddo. Apparentemente
assorto nei propri pensieri, era in realtà più che mai vigile e sospettoso, per
questo notò immediatamente la figura scura che gli stava passando davanti e
raggiungeva il suo sorvegliante porgendogli uno zaino. Il passo veloce e
circospetto di Hannah, il fitto bisbigliare che scambiava col compagno e le
rapide occhiate che i due continuavano a dirigere verso di lui lo incuriosirono
come non mai.
Così aguzzò lo sguardo sotto la luce lunare e rizzò le
orecchie.
Nonostante il profondo silenzio,
spezzato soltanto dai rari stridii dei rapaci notturni, origliare la
conversazione era quasi impossibile poiché i due ragazzi confabulavano
sottovoce. Allora scivolò lentamente lungo la pietra e s’incamminò con passo
felpato in direzione della tenda, che era collocata più vicino ai due ragazzi.
Man mano che s’avvicinava, aumentavano le parole che riusciva a distinguere…
“missione”, “castello”, “Lago Nero”, “Testabolla”…
A pochi passi dalla tenda colse
una frase quasi completa di Dennis Canon: « Domani mattina all’alba mi farò
trovare laggiù, davanti al passaggio… » aveva detto facendo un cenno con la
testa alle proprie spalle. Malfoy spostò lo sguardo in quella direzione e vide
che sul bordo della radura s’apriva un piccolo sentiero.
La figura ammanta disse
qualcos’altro e porse lo zaino a Dennis, che lo aprì.
Malfoy udì chiaramente la parola
“pesante”… Poi, per pochi istanti, la voce femminile divenne abbastanza chiara:
« Abbiamo aggiunto del preparato per la Polisucco, della Metropolvere, diverse
pozioni corroboranti.Ah, dimenticavo: sei in squadra con Ginny ed
Hermione. Vuoi che ti dia il cambio di guardia? Così puoi riposare… » domandò
premurosa.
« Non preoccuparti, me la
caverò, » ringraziò Dennis rifiutando la proposta d’aiuto di Hannah, e per puro
scrupolo alzò gli occhi verso il centro della radura.
Quasi gli prese un colpo: il
prigioniero era sparito!
Allarmato seguì con lo sguardo
la scia di orme fresche nella neve e tirò un sospiro di sollievo quando vide il
Serpeverde, stretto nel proprio mantello, che entrava sornione nella tenda.
* * *
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 - Pensieri ***
Capitolo 21 - Pensieri
Lost
Memories
(di _Sihaya)
* * *
Entrerò nei tuoi pensieri di una notte che non
dormi,
e sentirai freddo dentro…
Raf, Non è mai un
errore
* * *
Capitolo 21 – Pensieri
Ron, entrato in cucina per fare
un ultimo spuntino serale, fu interrotto da Molly prima che potesse
aprire la
dispensa. Fu visibilmente sollevato quando capì che sua madre non
intendeva
rimproverarlo, ma consegnarli qualcosa.
« Ti ho portato un pigiama per
questa sera, » disse Molly porgendogli un abito ripiegato; Ron aggrottò
la
fronte, preoccupato dai giganteschi pois giallo limone che ne
decoravano
il tessuto.
« Ma dai, mamma, è orribile! »
protestò.
Molly si rabbuiò: « Non fare
storie, Ron, sei arrivato qui all’improvviso, non ho potuto procurarmi di
meglio. »
Ron insistette: « Posso fare
senza. »
« Fa freddo, non ti vorrai
ammalare prima di andare in missione! » lo rimbeccò la madre.
Ron tagliò corto (con sua madre
era inutile discutere) e, sbuffando forte, prese il pigiama.
« Prendi anche questa, » disse
Molly, improvvisamente triste, porgendogli una bacchetta magica che a Ron
parve
famigliare.
« Non siamo riusciti a
recuperare la tua, » spiegò Molly, « così… ecco… ho pensato che potresti
usare quella di tuo fratello… »
Ron guardò il bastoncino e sentì
una stretta al cuore: era la bacchetta di Fred.
Poi vide che sua madre aveva gli
occhi lucidi e combatteva contro le lacrime incipienti.
L’abbracciò.
« Grazie, mamma. »
* * *
Draco Malfoy non pensava di
riuscire a
violare la mente di Hermione Granger al primo tentativo. Probabilmente,
lei
stava dormendo.
Entrando, venne travolto da una
miriade di emozioni.
Ansie, timori, palpitazioni,
euforie s’intrecciavano davanti a lui senza logica apparente. Mise in
campo
tutta la propria abilità di Legilimens per ignorarle: batticuori e
trepidazioni
non gli interessavano, cercava i propri ricordi.
Gli erano stati sottratti con
l’inganno e nello stesso modo intendeva riprenderseli.
Il primo ricordo di Hermione che
trovò riguardava un loro incontro presso la sua Villa londinese: l’aveva
invitata a entrare nel suo studio e lei esitava sulla porta. L’
arredamento
della stanza era impreciso e nebuloso, le emozioni prevalevano sui
dettagli; un
pensiero, in particolare, lo turbò.
S’allontanò di riflesso, come se
scottasse.
Era la sua immagine vista
attraverso gli occhi di lei, coperti da un velo di timore e
ammirazione.
L’imbarazzo era tangibile.
A quell’epoca, Hermione era
ancora soggetta all’Incantesimo di Memoria e aveva provato soggezione
davanti a
quel ragazzo di alto lignaggio, schivo e ambiguo, dai lineamenti
spigolosi e lo
sguardo freddo.
Ne era rimasta affascinata.
L’aveva giudicato attraente.
Malfoy riusciva a crederci a
stento, eppure quel pensiero non passava inosservato: etereo, galleggiava
senza
meta ed era l’unico a non trovare il proprio posto in quell’archivio
ordinato
in modo maniacale.
Come se per esso non esistesse
una collocazione adatta.
Come se lei non ne avesse ancora
decisa l’importanza.
Forse perché l’aveva formulato
prima di ricordare le proprie origini, quando sapeva di lui soltanto
quello che
si vociferava nell’alta borghesia, quando lui non era un Mago, non era un
Serpeverde, non era un Mangiamorte.
Quando, in pratica, non era
Draco Malfoy.
Era proprio questo il pensiero
che lo aveva scottato: Malfoy è attraente.
Un’informazione tutt’altro che
utile alla sua ricerca, ma che egli rubò senza esitare.
Tuttavia - come lei - non riuscì
a trovargli la giusta collocazione, e lo pose a metà fra la ragione e
l’istinto.
Troppo imbarazzante per poter
emergere alla consapevolezza.
Troppo pericoloso per stiparlo
nell’inconscio.
Con in tasca quello che
considerò il primo bottino della propria vile scorreria, Malfoy agganciò
un
secondo ricordo, più recente, che lo condusse in biblioteca.
La stanza era tappezzata da una
moquette verde acqua che non ricordava affatto, ma ciò che attirò la sua
attenzione era la Ricordella che brillava davanti a lui, sospesa a mezz’
aria.
Intuendo d’essere sulla strada giusta, s’affrettò a
raggiungere l’oggetto magico, ma quello gli sfuggì per un soffio,
infrangendosi
a terra.
All’improvviso, una fitta nebbia gli oscurò la
visuale;
tutto divenne opaco, indefinito, fumoso. Porte e finestre scomparvero, i
muri
della stanza s’avvilupparono su se stessi, allungandosi e stringendosi,
fagocitando ogni via d’uscita. Il pavimento si trasformò in fango e gli
cinse
le caviglie, impedendogli di muoversi.
Doveva andarsene.
Scappare.
S’accorse d’avere il cuore in
gola.
Non gli era mai capitato di
avere paura esplorando la mente di qualcuno.
Non era paura d’essere scoperto.
Era paura di sprofondare in
quell’etera palude.
Paura di avanzare, di addentrarsi in lei.
Paura di superare il confine e perdere la strada del
ritorno.
* * *
Ron non riusciva a dormire.
Si era riappropriato di tutti i
propri ricordi, ma con alcuni non aveva ancora fatto i conti.
Il breve incontro con sua madre
lo aveva distrutto. La bacchetta magica di Fred, ora sul suo comodino,
era una
stilettata conficcata nel petto; continuava a sprofondare in una ferita
senza
fine, che mai si sarebbe suturata.
Quella maledetta guerra gli stava portando via
tutto.
L’aveva privato di un fratello,
del proprio passato, di cari amici e di grandi Maestri.
Gli aveva rubato anni di vita
insieme a un po’ della sua spensieratezza.
E, forse, s’era presa anche un
pezzetto di Hermione.
A mezzanotte inoltrata si
rassegnò e scese al piano terra.
Si fermò sull’ultimo gradino
della scala a chiocciola e sbirciò nella sala circolare per assicurarsi
che non
vi fosse nessuno: non aveva alcuna intenzione di farsi vedere in giro con
quel
ridicolo pigiama. Il debole fuoco del camino era l’unica fonte di luce e
gli
permise di avanzare in punta di piedi, con la convinzione d’essere solo.
Si immobilizzò al centro della
stanza quando si accorse che, rannicchiata sulla poltrona di fronte al
caminetto, dormiva Hermione. Allungò il collo per accertarsi che fosse
davvero
assopita, poi fece un paio di passi. Si bloccò di nuovo, sentendola
emettere un
lieve lamento e la scrutò pensieroso.
Distesa supina sul letto, non
riusciva a dormire.
La stanza era troppo piccola, il
calore
soffocante.
Il buio e il silenzio erano
talmente
profondi che il minimo fruscio diventava motivo di allarme.
All’improvviso udì scattare la
serratura della porta d’ingresso.
Il panico la colse. Il cuore
pulsava così forte da farle girare la testa.
Udì dei passi.
Erano reali?
Doveva scoprirlo.
Era paralizzata dalla paura, ma
fece uno sforzo enorme per allungare la mano e accendere la
luce.
Non riuscì nemmeno a gridare.
Il fiato gelido di un
Dissennatore le penetrò in gola.
Erano venuti a prenderla.
A rubarle l’anima.
Hermione si rizzò sulla poltrona
e spalancò gli occhi. Le servì qualche istante per calmarsi e smettere di
tremare: era stato solo un incubo.
Davanti a lei brillavano le
braci del camino e per diversi secondi focalizzò l’attenzione su di esse,
quasi
avessero il potere di tranquillizzarla.
L’inquietudine non se ne andò
del tutto, rimase la sensazione che quella rappresentazione onirica
contenesse
un messaggio, un avvertimento.
Proteggiti, Hermione.
Proteggi ciò che hai di più
prezioso.
Si massaggiò le tempie, sentiva
la mente affaticata come se qualcosa l’avesse tenuta impegnata anche
durante il
sonno.
All’improvviso scattò in piedi.
« Malfoy, » sfiatò inviperita,
la fronte aggrottata, le labbra livide.
Ron sobbalzò sentendole
pronunciare quel nome, ma lei non si accorse della sua presenza, era
concentrata nell’Occludere la propria mente. Riuscì a nascondere i
pensieri più
importanti, ma era stanca, troppo stanca per affrontare una logorante
azione
difensiva.
Così, decise di prendere la
situazione di petto: sibilò fra i denti un insulto al Serpeverde e si
diresse a
grandi passi verso l’uscita del Rifugio.
Senza farsi notare, Ron la seguì
preoccupato.
* * *
George Weasley era seduto
accanto ad Angelina, sul suo letto nell’infermeria. Era lì per salutarla
prima
di partire.
Lei era visibilmente
contrariata: odiava non prendere parte alle missioni. In quelle
condizioni si
sentiva solamente un peso per tutti e questo non le piaceva affatto.
George
aveva cercato di consolarla con qualche battuta, ma aveva ottenuto l’
effetto
contrario.
« Se sono costretta in questo
letto, la colpa è solo tua! » disse irritata.
George sogghignò; poi, in uno slancio
di tenerezza, le prese la mano.
« Quando sarà finita questa
guerra, ti voglio sposare. » Lo disse ridendo, ma era sincero.
« Lo faresti solo per Molly... »
ribatté scettica Angelina.
Lui scosse la testa e avvicinò
le labbra al suo orecchio.
Non era abituato a certe
smancerie, per cui parlò sottovoce: « No. Lo farò perché ti amo.
»
Nemmeno lei era abituata e
arrossì. Cercò scherzosamente di allontanarlo, ma finì per ricambiare il
bacio,
intenso e dolce, che lui aveva deciso di darle all’improvviso, per
imprimerle
bene nella testa che faceva sul serio.
« Tornerò in tempo per far
nascere il pupo, te lo prometto! » disse spavaldo.
« Guarda che la data del parto è
tra cinque giorni! » obiettò lei.
George ribatté sicuro: « Oh, ma
noi concluderemo la missione in un paio di giornate al massimo! »
« L’unica cosa importante è che
torni sano e salvo, » si raccomandò lei.
« Puoi giurarci! » disse lui di
rimando, poi estrasse dalla tasca dei pantaloni una piccola rosellina
azzurra e
gliela allungò: « Tieni. »
« Cos’è? »
« Un regalo. Così non ti
dimentichi di me. »
Lei alzò un sopracciglio con
fare ironico: « Sto per partorire tuo figlio. Come faccio a dimenticarmi
di te?
»
Lui sorrise, la baciò di nuovo e
la salutò.
« A presto » disse uscendo dalla
stanza.
Lei gli augurò buona fortuna
poi, quando chiuse la porta, guardò la rosa che le aveva regalato e si
commosse.
Ne annusò il profumo stringendo
le palpebre perché non voleva mettersi a piangere, ma ad un tratto il
fiorellino iniziò a vibrare e, prima che lei potesse accorgersene,
esplose in
una disgustosa gelatina che schizzò ovunque, imbrattandole mani e
viso.
“Così non ti dimentichi di me.”
Angelina alzò gli occhi al cielo
profondamente seccata.
Già.
Come
ci si può dimenticare di George Weasley?
Sospirando, scese dal letto con
fatica e s’avvicinò al lavabo.
Mentre si sciacquava le mani,
sentì un’inaspettata e dolorosa fitta al basso ventre. S’aggrappò al
lavandino
per qualche istante e strinse i denti.
Il dolore, inizialmente intenso,
scemò rapidamente.
L’acqua scorreva ancora dal
rubinetto aperto e lei fissò il vortice di gelatina che veniva
risucchiato
nello scarico.
All’improvviso, ebbe due
certezze.
Che non sarebbe stato facile
crescere un Weasley…
E che George non avrebbe mantenuto la sua
promessa.
* * *
Per pochi minuti, le cupe nubi si erano diradate
sopra al
cielo di Hogwarts e la neve scintillava sotto la luce lunare, dando alla
tranquilla radura un aspetto magico.
Dennis Canon alzò gli occhi ed
assaporò quei brevi istanti di serenità, ben sapendo che il Marchio Nero
sarebbe tornato presto ad oscurare la luna, sfregiando il cielo con
macabri
lampi verdi e richiudendo la valle in una soffocante cupola di
terrore.
Nonostante il raro momento, il
freddo invernale era intenso e Dennis si strinse nel mantello ritornando
alla
propria attività di sorveglianza. Era orgoglioso che quel compito fosse
stato
affidato a lui (nonostante fosse il più giovane dell’Esercito) e
intendeva
svolgerlo diligentemente.
Non aveva avuto occasione di
conoscere Draco Malfoy di persona ai tempi della scuola, ma aveva sentito
abbondantemente parlare di lui, per questo trovava piuttosto sospetta la
rassegnazione con cui aveva accettato la propria prigionia. Inoltre,
conosceva
meglio di altri la malvagità dei Mangiamorte, perché aveva perduto il
fratello
a causa loro.
Scrutò pensieroso la tenda che ospitava il
Serpeverde.
Tutto intorno era calma piatta,
finché all’improvviso qualcuno spuntò dal bordo della radura…
Era Hermione Granger.
Dennis fece un cenno per
salutarla da lontano, ma lei camminava così rapida e nervosa che non lo
notò.
In altre circostanze avrebbe fatto un secondo tentativo, ma un brivido
glielo
impedì.
Hermione
si stava dirigendo dritta verso la tenda del prigioniero!
Dennis, cupo, avanzò qualche
silenzioso passo e si nascose dietro ad un grosso albero; aggrottò la
fronte,
aguzzò lo sguardo e tese le orecchie.
La ragazza calpestò gli ultimi
metri con furia e quando raggiunse la tenda ci s’infilò dentro, senza
esitare
nemmeno un secondo.
Se quell’immagine stupì Dennis,
ciò che vide dopo lo lasciò letteralmente di sasso.
Ron Weasley apparve nello stesso
punto da cui era arrivata Hermione: affannato, disorientato e
infreddolito, con
indosso solo un buffo pigiama a pois. Si guardò intorno alcuni
istanti
prima di notare una traccia di inequivocabili orme che si dirigevano
verso una
strana tenda issata al lato opposto della radura…
* * *
La tenda che ospitava Malfoy era
ampia e calda, ma spoglia esattamente come una prigione. Il ragazzo se ne
stava
sdraiato sul letto, con scarpe e abiti ancora indosso, le braccia
incrociate
dietro la nuca, lo sguardo pensoso fisso nel vuoto e il viso
imbronciato.
Quando l’ingresso si spalancò e un’ondata d’aria
gelida
varcò la soglia insieme a Hermione Granger, Malfoy pensò d’essere
piombato in
un incubo.
Poi lei sfoderò un secco insulto
e lui capì che era realtà.
Balzò rapidamente in piedi,
pronto a difendersi, sia a parole che coi fatti.
« Che cosa credevi di fare? »
esplose lei agitando la bacchetta magica che teneva in mano.
Lui non si scompose più di
tanto: « Speravo di riuscire a dormire, ma a quanto pare c’è un
disgustoso
incubo che mi tormenta… »
Lei scosse furiosamente i
riccioli spettinati e fece alcuni passi avanti puntandogli la bacchetta
sullo
sterno: « Sai benissimo di cosa sto parlando. Se credi di poter
ricostruire in
quel modo i ricordi che Luna ha cancellato, scordatelo! Non provare mai
più a
violare i miei pensieri! »
Hermione era fuori di sé e
Malfoy sembrava intenzionato ad esasperarla: « Puoi giurarci! Hai una
mente che
fa schifo, Granger, c’è puzza di babbano in ogni angolo! »
« Tipico di un Serpeverde! »
berciò lei, « invece d’essere riconoscente dopo quello che ho fatto per
te,
cerchi di fregarmi! »
« Sono prigioniero in mezzo al
nulla, Granger, non dirmi che t’aspetti dei ringraziamenti. »
« Seguirmi fin qui non faceva
parte del nostro patto. »
Lui alzò un sopracciglio: « Il
nostro patto, Granger? Il nostro patto? Non mi risulta che siamo
soci… o
possiedi un contratto con la mia firma in calce? »
Lei ringhiò stizzita: « Tu hai
ottenuto quello che volevi: tornare a Hogwarts; e io – ora - ti chiedo
solo una
cosa, Malfoy: lasciami in pace! »
« Potrebbe dispiacerti… »
Lei lo fulminò con lo sguardo e
una domanda le morì sulle labbra: “Che cosa intendi dire, Malfoy?”
Lui sembrò leggerle nuovamente
nel pensiero: « E’ stato… come dire… istruttivo… scoprire che mi
trovi
affascinante. »
Quella battuta la raggelò.
Sul volto di lui si formò
lentamente una strana espressione, che a Hermione sembrò un crudele
sogghigno.
La frase era stata pronunciata
come una provocazione, ma le parole erano ambigue: dentro di esse ne
nascondevano altre, come scatole cinesi.
Fino a dove era
arrivato esplorando la sua mente?!
Hermione era inorridita,
l’espressione congelata.
Malfoy non aveva idea del perché
avesse scelto proprio quelle parole (e forse avrebbe dovuto chiederselo),
erano
uscite spontanee come quelle di un bambino, ma la cosa importante era che
l’avevano zittita. Ed era incredibilmente piacevole vederla così
impietrita,
con la mano destra a mezz’aria, il dito indice puntato verso di lui e le
altre
dita strette intorno alla bacchetta.
Lei boccheggiò un poco, per un
tempo che le parve infinito, poi con enorme fatica parlò: « Io -
»
Venne interrotta all’improvviso.
Lungi dall’immaginare cosa vi avrebbe trovato,
dentro la
tenda comparve Ron Weasley.
« Hermione! » esclamò, e poi,
dopo un istante di sgomento, « Malfoy?! »
Hermione si girò verso di lui
coi nervi a fior di pelle. Era talmente tesa che il solo voltarsi le
procurò
dolore.
Era un guaio.
“Non dire a Ron ed Harry di Malfoy”
si era raccomandata Ginny…
Non si poteva più tornare
indietro.
« Diamine, Granger, hai così
paura di me che ti fai seguire da una guardia del corpo? » la derise
Malfoy.
« Che diavolo ci fai tu qui? »
sbottò Ron aggressivo, avanzando a grandi passi verso il
Serpeverde.
Malfoy lo guardò con
strafottenza: « Weasley, come sei conciato? Carnevale è ancora lontano.
»
Ron sbuffò infuriato: era guerra
aperta.
Hermione iniziò a temere il
peggio. « Ron… » balbettò fra i denti, « mi hai seguito? »
Lui annuì.
« Va’ via, » ordinò secca,
rimandando ogni spiegazione a più tardi.
« Non ci penso nemmeno! Non ti
lascerò sola con questo - »
« Non avresti dovuto seguirmi!
»
« E invece, per fortuna, l’ho
fatto! »
« Non complicare le cose più di
quanto serva, Ron! »
« Non sto complicando le cose,
sono solo preoccupato per te! Se Malfoy ti sta ricattando o ti ha fatto
del
male o… Io e Harry possiamo aiutarti, vorrei che tu lo capissi!
»
« E io vorrei che capissi che
sono in grado di cavamela da sola! » sbottò lei. Poi, con espressione
minacciosa piantò gli occhi in quelli di Malfoy e fece un passo verso di
lui.
Il ragazzo vacillò
impercettibilmente per l’intensità di quello sguardo, ma non abbassò il
proprio.
« Quanto a te, » minacciò lei, «
prova a rifarlo e ti lascerò a marcire fra queste montagne! »
E così dicendo, senza quasi
rendersene conto, gli picchiettò con l’indice destro sul petto, una, due,
tre
volte…
Malfoy rabbrividì.
Con il dorso della propria mano
colpì quella di Hermione scansandola da sé: « Non mi toccare »
ringhiò.
Lei si ritirò immediatamente.
« Andiamo, Ron » disse
orgogliosa, voltandogli le spalle.
Malfoy tirò le labbra in un
ghigno. Era inutile che si nascondesse dietro quel cipiglio agguerrito,
sapeva
d’averla ferita: l’aveva letto a caratteri cubitali sul suo
viso.
Lei, dal canto suo, si ritenne
soddisfatta. Era sicura d’averlo umiliato con quel gesto confidenziale
esibito
davanti all’amico; aveva oltrepassato il limite implicitamente tracciato
fra
loro.
Ciò che entrambi ignoravano, però, era che quella
brusca
reazione non aveva lo scopo di proibire alla mano di lei d’infangare la
pelle
di un purosangue, ma d’impedire alle sue dita di sfiorargli il
cuore.
* * *
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 - Il Lago Nero (I parte) ***
Capitolo 22 - Il Lago Nero (I parte)
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Lost Memories continua, nonostante impegni, imprevisti e un
calo d’interesse.
Il capitolo è corto, un po’ di stasi, ma necessario per
porre delle premesse molto importanti.
Buona lettura!
* * *
Hai superato i confini della mappa, amico.
Qui, ci sono i mostri.
Dal film Pirati dei
Carabi - La maledizione della prima luna
Regia di G. Verbinski
* * *
Capitolo 22 – Il Lago Nero (I
parte)
Il cielo albeggiante sopra alla valle di Hogwarts era
pieno di nuvole stratiformi che oscuravano i freddi raggi solari; pochi e
sottili stralci rosa ne spezzavano il grigiore.
Tutt’intorno alla costa del Lago Nero, le nubi erano scese
al suolo originando una fitta nebbiolina. Il fenomeno era frequente in inverno
e, se sfruttato con sagacia, avrebbe costituito un enorme vantaggio per i
ragazzi in missione.
Questi erano i pensieri di
Neville mentre percorreva il bosco alla guida dei membri dell’Esercito.
Usciti dal Rifugio non avevano
attraversato la radura, ma avevano imboccato un sentiero che l’aggirava poco
più in alto, e si innestava all’incirca nel punto in cui Hermione e Malfoy
erano giunti il giorno prima usando il passaggio segreto.
Proprio in corrispondenza
dell’innesto, il gruppo si unì all’ultimo membro mancante: Dennis Canon. Il
ragazzo si stringeva freddoloso nel mantello e aveva gli occhi stanchi per la
lunga veglia notturna. I compagni lo salutarono con un roco “buongiorno”; Ginny
ed Hermione lo avvicinarono per completare la squadra. Ginny gli ribadì alcuni
dettagli della missione: sapeva che Dennis era stato informato dettagliatamente
da Hannah Abbott la sera prima, ma quel suo aspetto assonnato non era per nulla
rassicurante.
Dennis, dal canto suo, si limitò
ad annuire e a lanciare un’occhiata fredda e sospettosa a Hermione; la quale si
sentì gelare fin dentro le ossa, temendo che quella diffidenza fosse legata
alla sua incursione notturna nella tenda di Malfoy: Dennis era di guardia e di
certo aveva visto arrivare sia lei, sia Ron.
Per fortuna - si disse - era riuscita a convincere Ron a
mantenere il segreto su quello che era accaduto (almeno temporaneamente),
altrimenti quella densa tensione fra lei e il compagno di squadra, si sarebbe
diffusa a macchia d’olio fra gli altri gruppi, rischiando di compromettere la
missione.
* * *
Nel buio completo della cella il
silenzio era spezzato soltanto dal piagnucolare sommesso ed ininterrotto di
Katie Bell.
Nonostante fosse un lamento
terribilmente fastidioso, nessuno osava chiederle di smettere.
Zacharias Smith era riuscito
persino ad addormentarsi, raggomitolato sulla fredda pietra della prigione.
Dean Thomas aveva trovato una
scheggia di pietra sul pavimento e la utilizzava per raschiare nervosamente in
terra, sempre nello stesso punto, ma l’oscurità non gli permetteva di vedere
gli sfregi biancastri che generava.
Seamus Finnigan, infine, stringeva tra le mani la preziosa
moneta dell’Esercito che Katie gli aveva consegnato, e rifletteva.
Rimase di stucco quando nel buio
pesto, il galeone s’illuminò fiocamente.
C’era una comunicazione in
arrivo.
Seamus diede uno scossone a
Zacharias che si svegliò contrariato, poi richiamò sottovoce l’attenzione di
Dean e Katie, mostrando loro il messaggio: i compagni del Rifugio avvertivano
che li avrebbero raggiunti e tratti in salvo di lì a poco.
Una nuova speranza alimentò i
quattro ragazzi. All’improvviso si sentirono più forti, anche se (come fece
notare Zacharias) quel salvataggio era umiliante.
Dean Thomas, rinvigorito, prese
la parola: «Dobbiamo fare qualcosa, » disse risoluto.
« Oh, ma cosa possiamo fare? »
si lamentò Katie.
« Se solo riuscissimo a capire
dove siamo… potremmo dare delle indicazioni a Neville… »
Katie lo riportò alla realtà: «
Ma è impossibile, ci hanno portati qui bendati(*) e ora non si vede
nulla! »
Dopo alcuni secondi di silenzio,
Seamus diede una nuova speranza: « Mentre ci trascinavano qui, ho sentito uno
strano odore nell’aria… » bisbigliò.
« Sì, anche io. Era un profumo
dolciastro… » confermò Zacharias.
« A me ricordava quell’odore che
aveva sempre addosso la professoressa Cooman… » disse Katie in un mesto
sussurro.
* * *
L’Esercito di Silente avanzava
in fila indiana fra la spoglia vegetazione; Neville era in testa, Hermione in
coda, dietro a Dennis e Ginny. Da quella posizione la ragazza poteva vedere
chiaramente come l’incedere delle squadre fosse rapido e allo stesso tempo
cauto, ne dedusse che dovevano conoscere il bosco come le loro tasche, fin nei
suoi sentieri più reconditi.
Giunsero sulla sponda sud-est
del Lago Nero tramite un passaggio che scendeva snodandosi fra rocce e grossi
massi, districandosi fra betulle e querce dal tronco possente, ben radicate su
tutto il versante. La discesa aveva richiesto discrete abilità, garantendo in
cambio una copertura quasi totale.
In quel punto la riva del Lago
aveva una piccola insenatura, coperta da un fitto roveto.
Il manipolo si fermò intorno
alla pozza melmosa, la cui superficie era parzialmente ghiacciata. Da lì era
impossibile vedere il resto della grande distesa d’acqua scura sulla quale volteggiavano
minacciosi i Dissennatori, la cui presenza era dimostrata dal freddo pungente e
artefatto che saliva dal terreno umido.
La comitiva aveva comunicato,
fino a quel momento, con i gesti e così continuò Neville, ordinando a tutti di
praticare l’incantesimo Testabolla e di scendere uno dopo l’altro nell’acqua.
Hermione si ricordò di quando,
durante l’inverno, gli studenti venivano a pattinare sulle acque ghiacciate del
Lago, e capì che tra i vantaggi offerti dalla sponda sud c’era quello di gelare
più lentamente.
Neville doveva aver pensato
anche a quello.
Eseguì diligentemente l’incantesimo per prima, ma fu
l’ultima a scivolare sul terriccio bagnato fin dentro l’acqua. Una serie di
brividi l’assalì appena s’immerse, ma cercò di non pensarci concentrandosi sui
compagni che facevano strada.
Nuotarono seguendo il fondale, sempre più giù, forti della
profondità e dell’oscurità delle acque; la lastra di ghiaccio che copriva quasi
tutto il Lago fungeva da specchio, impedendo ai Dissennatori di scorgere i loro
furtivi movimenti subacquei.
Il fondo del Lago era costituito
da terra e piccoli detriti; qua e là spuntavano cumuli di sassi, punte rocciose
e grotte affollate da miriadi di pesci e animali acquatici tra i più disparati,
che Hermione aveva visto, per la maggior parte, soltanto nei libri di scuola.
Vi erano tratti nei quali
crescevano fitti ammassi di alghe verdi e nere, alte più di due metri; uno
molto ampio si estendeva proprio davanti alla comitiva.
Neville si arrestò un istante
prima di intrufolarsi fra le fronde per raccomandare la massima vigilanza a
tutti i compagni. Quel luogo, infatti, era un nascondiglio ottimale non solo
per loro, ma per qualsiasi creatura vivesse in quelle acque, preda o predatore
che fosse.
Hermione entrò per ultima, tesa
e guardinga.
Il fatto che i compagni
aprissero la strada non bastava a rassicurarla. La bolla gelatinosa intorno
alla sua testa riduceva in parte la mobilità, e la visibilità era ridotta a
causa della torbidezza delle acque e della scarsa luce che raggiungeva quella
profondità.
Dietro la nuca ondeggiavano
ribelli gli ultimi riccioli dei suoi lunghi capelli, che non era riuscita a far
entrare nella bolla. Più volte s’impigliarono fra le alghe costringendola a
strattonarli con dolore.
A un tratto qualcosa l’afferrò
per un ricciolo in modo così saldo che Hermione fu costretta a fermarsi;
cominciò a trafficare per districarsi, ma più si muoveva e più il nodo si
stringeva attorno alla sua chioma. Allora cercò di prendere la bacchetta
magica, decisa a recidere quell’alga insidiosa, ma un tentacolo verde pallido
le avvinghiò il polso e strinse talmente forte da farle lasciare la presa.
La bacchetta cadde sul fondale
prima che Hermione potesse recuperarla con l’altra mano.
In quel momento scorse un paio
d’occhi gialli che la scrutavano aggressivi fra le alghe ondeggianti.
Era un Avvincino! (**)
Spaventata cominciò a dimenarsi,
ma la stretta era terribile.
Fortunatamente, Ginny arrivò in suo aiuto e, tempestiva,
recise i tentacoli che la tenevano prigioniera, poi tastò il fondo un paio di
volte e recuperò la sua bacchetta.
Hermione non poté scusarsi né ringraziare, perché la
compagna aveva ripreso immediatamente a nuotare, raggiungendo gli altri che
stavano uscendo dal folto intrico di alghe. Dennis, invece, era fermo poco più
avanti e la guardava con disprezzo perché aveva rallentato l’intera squadra
(forse, temeva, in modo volontario).
Profondamente mortificata,
Hermione percorse appena pochi metri prima di incontrare l’ennesima creatura
mai vista: un pesce lungo oltre un metro, dalle pinne argentee, il muso
arrotondato simile a quello di un coniglio e un solo grande occhio, le tagliò
la strada. Aveva una spina rigida issata sulla pinna dorsale che non prometteva
nulla di buono (***).
Hermione si fermò per lasciarlo
passare, e tirò un profondo sospiro di sollievo quando capì che era innocuo.
Fece appena in tempo a
riprendere la strada che subito fu costretta a fermarsi di nuovo, rischiando di
scontrarsi contro il resto della comitiva.
Alzò lo sguardo e vide Neville,
George e Luna, bacchetta alla mano, in posizione di difesa; gli altri, subito
dietro, pronti ad attaccare.
Davanti a loro si ergeva un
maestoso Ippocampo (****).
Aveva lo sguardo minaccioso e
feroce. Scuoteva furiosamente la criniera di alghe impennandosi sulle zampe
anteriori e reggendosi sulla possente coda.
Era una creatura tanto bella
quanto pericolosa…
L’ultima che avrebbero voluto
incontrare.
* * *
Quando
Madama Chips entrò nella piccola stanza adibita ad infermeria trovò Angelina
accovacciata ai piedi del letto.
Subito
corse in suo aiuto.
Le
porse il praccio e l’aiutò ad alzarsi in piedi.
«
Tutto bene? » domandò.
Angelina
annuì. Aveva il viso imperlato di sudore e il respiro affannato. « Io… io credo
che sia il momento, » balbettò.
Madama
Chips le scostò i capelli dal viso e la fece sedere sul letto.
Poi
si affacciò alla porta chiamando a gran voce le gemelle Patil: « Cercate Molly
e portate dell’acqua! » ordinò per poi tornare subito al fianco di Angelina.
In
quel momento una nuova contrazione piegò la ragazza che si aggrappò,
sofferente, al suo abito.
«
Fatti forza cara, appena arriverà Molly prepareremo un infuso di Dittamo, per
placare il dolore…» promise Madama Chips con dolcezza.
Ma
l’unica cosa di cui aveva bisogno Angelina era che George tornasse sano e salvo
dalla missione.
Al
più presto.
* * *
N.d.A.
Cavoli,
ho un po’ di note per questo capitolo…
(*)
“Bendati” nel senso che su di loro è stato lanciato l’incantesimo Obscuro.
(**)
Gli Avvincini sono demoni acquatici di cui si parla in Harry Potter e il
prigioniero di Azkaban.
(***)
Si tratta di un pesce chimera (che esiste veramente!). Nella realtà vive su
fondi fangosi molto profondi ed ha un aspetto simile a quello descritto; misura
circa un metro di lunghezza, ma può arrivare anche ad un metro e mezzo. La
spina che ha sulla prima pinna dorsale è connessa ad una ghiandola velenosa.
(****)
Non ricordo che in Harry Potter si sia mai parlato di Ippocampo, ma visto il
contesto mi sono permessa di inserirlo fra gli abitanti del Lago. Si tratta di
una creatura leggendaria della mitologia greca. È un cavallo fino alla pancia,
e il corpo si conclude con una coda di pesce. Può avere zoccoli o zampe palmate
e, al posto della criniera, una cresta di alghe.
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 - Il Lago Nero (II Parte) ***
Capitolo 23 - Il Lago Nero (II parte)
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Ci si rende conto della propria
debolezza e invece di resisterle,
ci si vuole abbandonare a essa.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere
* * *
Capitolo 23 – Il Lago Nero (II
parte)
L’Ippocampo si lasciò cadere
sulle zampe anteriori e il fondo del Lago Nero tremò.
In quel momento fu chiaro a
tutti che la fuga era l’unica soluzione.
La creatura bellicosa mosse
la
coda spazzando il fondale da una parte all’altra, sollevando un fitto nugolo di
terra e detriti. Frotte di piccoli pesci nuotarono impazziti fra i ragazzi
dell’Esercito, rifugiandosi negli anfratti rocciosi tutt’intorno.
Hermione vide un banco di
enormi
lucci alzarsi dietro all’Ippocampo, nuotare sopra di esso e dirigersi a tutta
velocità verso di loro; anche George lo notò e lo indicò a Neville, con una
vigorosa gomitata.
Fu allora che Neville si
voltò
verso il resto della compagnia e ordinò un Incantesimo di Disillusione.
Hermione rimase
basita.
Lei non sapeva fare un
vero
Incantesimo di Disillusione e non riusciva a credere che qualcun altro nel
gruppo ne fosse capace. Quando, però, vide Neville inforcare la bacchetta
magica e puntarla contro se stesso, capì quello che intendeva dire: il ragazzo
non era diventato completamente invisibile, ma era una sorta di sagoma
mimetizzata con il terreno. Prestando la dovuta attenzione, se ne potevano
distinguere i contorni.
Gli altri ragazzi avevano
eseguito l’incantesimo ottenendo risultati dello stesso tipo, il migliore fra
tutti era quello di Ginny. Hermione si ritrovò ad invidiarla profondamente.
Come aveva immaginato,
l’incantesimo nella sua forma perfetta era fuori portata per tutti, ma dovevano
essersi allenati strenuamente per raggiungere quel livello.
Quella constatazione non la
consolò affatto.
Provò su se stessa
concentrandosi al massimo, ma riuscì ad ottenere solo la semi-scomparsa delle
mani e dei piedi.
Alzò lo sguardo a cercare
Ron.
Il ragazzo teneva la bacchetta rivolta verso il petto, la punta era illuminata
da una luce giallognola poco promettente; gli tremò la mano e l’incantesimo
deviò, schivandolo e scagliandosi su una piccola roccia alle sue spalle. Una
chiazza nera e bruciacchiata si dipinse sulla pietra…
Fu allora che Harry, ancora
ben
visibile al suo fianco, tirò fuori dallo zaino il Mantello dell’Invisibilità e
si nascose sotto di esso insieme all’amico.
Hermione si pentì d’aver
insistito per partecipare alla missione e di non aver dato ascolto al proprio
buonsenso. Mancava di esercizio e di tecnica, e non disponeva di mezzi
alternativi come Harry.
Non la sollevò osservare che
Dennis, alla sua destra, aveva ottenuto il peggior risultato tra tutti
diventando una sorta di uomo-terra, completamente marrone.
Fu colta dal
panico.
Vedendo i suoi occhi
smarriti e
preoccupati, per la seconda volta, Ginny corse in suo aiuto invocando
l’incantesimo su di lei.
E per la seconda volta
Hermione
non riuscì a ringraziarla.
Con un guizzo rapido l’amica
si
era lanciata insieme agli altri verso il banco di lucci, e lei non poté fare
altro che imitarla.
Uno dopo l’altro i ragazzi
si
attaccarono alla pinna dorsale degli enormi pesci che guizzavano davanti a loro
e, unitisi al banco, si lasciarono trasportare lontano dall’Ippocampo
infuriato.
Percorsero così diversi
metri,
finché la strada dei lucci prese la direzione opposta al Castello.
A quel punto si separarono e
proseguirono verso la parte di scogliera subacquea che si ergeva ripida davanti
a loro.
Quando toccarono la fredda
roccia, Neville condusse il gruppo all’interno di un’insenatura stretta e buia.
Tutt’intorno era pieno di detriti, grosse pietre levigate e vetri: si trovavano
all’interno della crepa che si era aperta attraverso le Serre. Il crollo aveva
fatto precipitare in mare una parte delle pareti portanti del Castello.
Quando la breccia si fece
troppo
stretta per consentire il passaggio, la comitiva lasciò il fondo per risalire
in superficie, spezzare con delicatezza il ghiaccio e mettere finalmente la
testa fuori dall’acqua
Per Hermione fu quasi una
rinascita.
L’oscurità che regnava in
quello
stretto anfratto consentì ai ragazzi di scalare la scogliera con tranquillità,
senza essere notati. Il silenzio era profondo e suggeriva che non vi fosse
sorveglianza, come Neville aveva previsto.
Nonostante la fatica
accumulata,
Hermione affrontò la scalata con rinnovata energia; tuttavia, la mancanza di
allenamento e preparazione si fecero sentire con scivoloni e graffi frequenti.
Giunta in cima, fu di nuovo
Ginny a tenderle la mano per issarsi in piedi.
Questa volta, Hermione
ringraziò.
* * *
Dopo la lunga nevicata
notturna,
i monti intorno a Hogwarts si erano risvegliati sotto un cielo grigio e freddo.
Hannah Abbott si strinse
addosso
il mantello per riscaldarsi e fissò la distesa di neve che imbiancava tutto il
versante.
Era trascorsa poco più di
un’ora
da quando aveva preso il posto di Dennis, partito per la missione.
Da allora non era accaduto
nulla.
Nessuno era uscito dal
Rifugio e
la tenda del prigioniero era rimasta sempre chiusa.
Si ritrovò a pensare che
quell’attività di sorveglianza fosse alquanto noiosa, ma poi si rimproverò
ricordandosi che Draco Malfoy non doveva essere sottovalutato.
Così decise di dare un’occhiata tutt’intorno al perimetro
della radura, anche se il manto nevoso era intonso.
* * *
Lo spettacolo che accolse Hermione una volta risalita la
scogliera fu sconvolgente.
La guerra aveva devastato quella zona,
poi tutto era stato abbandonato all’incuria del tempo.
Dei grandi locali che
costituivano le Serre non era rimasto praticamente nulla. Sia sulla destra che
sulla sinistra i vivai erano distrutti. C’erano frammenti di vetro dappertutto
e la struttura metallica che li reggeva era accartocciata su se stessa.
Migliaia di piante abbandonate a se stesse crescevano incolte, alcune cibandosi
di altre. In terra c’era fango ovunque, misto a rami avvizziti, foglie marce e
flora morente; alcune zone erano costellate di aloni scuri: impronte lasciate
da vecchie chiazze di sangue.
Di fronte, le mura del
Castello
erano crollate e della Torre non restava altro che un ammasso di pietre e
mattoni.
Il pavimento era squarciato da profonde crepe, tra cui la
più ampia scendeva fino al Lago ed aveva consentito loro di infiltrarsi nel
Castello. La spaccatura andava assottigliandosi man mano che ci si allontanava
dalla scogliera e terminava aprendo una breccia in ciò che rimaneva delle mura.
Hermione osservava
paralizzata
quello scempio, con un nodo alla gola e il respiro mozzato.
Anche Dennis, che la
precedeva
di qualche passo, era sconvolto. Lui aveva preso parte a poche missioni, e
nessuna l’aveva mai condotto in quel luogo.
Ignorando Ginny che lo stava chiamando, si avvicinò ai
resti di alcune Mandragole, pensando nostalgicamente alle lezioni di Erbologia
e chiedendosi cosa imparassero adesso gli studenti…
Ammesso che Hogwarts
fosse
ancora una scuola…
Poiché né Hermione né Dennis
sembravano volerla ascoltare, Ginny si diresse spazientita verso la breccia
aperta fra le mura e la scavalcò, come le altre squadre avevano già fatto da un
pezzo.
Si sforzò di essere
comprensiva,
ma dentro era un bollore di rabbia: per l’ennesima volta restavano indietro!
Richiamò di nuovo i
compagni,
alzando nervosamente la voce.
In quel momento accadde qualcosa di completamente
imprevisto.
Dai detriti sparsi sull’ala
destra balzò fuori, fulminea, una piccola creatura dall’aspetto ferino. Aveva
gli occhi iniettati di sangue e lunghe unghie affilate con le quali graffiò
l’aria un istante prima di lanciarsi contro Hermione.
Lei lo riconobbe subito: era
un
Berretto Rosso.
Rapidamente si scostò di
lato ed
estrasse la bacchetta.
Ginny tentò di scavalcare le
mura crollate per correre un suo aiuto, ma l’aria tremò davanti al suo viso. Un
altro di quegli esseri selvaggi le aveva lanciato contro un grosso pezzo di
terra ed aveva iniziato a correre nella sua direzione.
Nello stesso istante altri
Berretti Rossi emersero dal fango, qua e là, tutti insieme.
Erano quattro, cinque in
tutto.
Hermione capì che stavano
difendendo
il loro habitat, per questo erano così aggressivi.
Fendendo l’aria con la
bacchetta
ne schiantò uno, Ginny fece lo stesso con quello che la stava raggiungendo.
Un terzo si scagliò contro
le
mura in rovina.
Numerosi calcinacci si
sgretolarono sulla testa di Ginny, che fu costretta ad indietreggiare,
rinunciando ad attraversare la breccia per raggiungere i compagni di squadra.
Lanciò raffiche di
Schiantesimi
contro la creatura dalla parte opposta del muro, ma quella sfuggì abilmente
riparandosi fra i detriti.
Allora puntò tutto sull’
inganno:
si mise in bella vista e quando il Berretto Rosso si lanciò all’attacco
credendola un facile obiettivo, lo colpì con violenza, scagliandolo lontano. Il
piccolo essere volò per alcuni metri prima di precipitare nella voragine.
Pochi secondi dopo si udì il
tonfo sordo del suo corpo che cadeva nelle acque del Lago.
A destra di Hermione, Dennis
era
stato letteralmente placcato ed era caduto rovinosamente a terra.
Stava cercando di estrarre
la
bacchetta, e lei corse in suo aiuto colpendo il Berretto Rosso che stava per
saltargli addosso.
Dennis si voltò verso di lei
con
un espressione che la lasciò interdetta: aveva gli occhi vibranti di collera e
le guance rosse di umiliazione. Lungi dall’esserle grato per quel gesto, le
disse fra i denti che era perfettamente in grado di cavarsela da solo.
Fu allora che l’ultima
rimasta
di quelle creature si lanciò inferocita contro di lui.
Dennis non ci pensò un
secondo,
alzò la bacchetta e sferrò contro di esso la Maledizione Cruciatus.
Quella crudeltà lasciò
Hermione
senza fiato.
La creatura, agonizzante,
venne
scaraventata dritta contro le rovine del Castello, le quali, provate dallo
scontro, cominciarono a vacillare. Prima che i tre ragazzi se ne rendessero
conto, la breccia si chiuse su se stessa, dividendo la squadra.
Ginny dentro il Castello,
Hermione e Dennis ancora nelle Serre.
Gli istanti che seguirono
furono
un alternarsi di sorpresa, paura, rabbia e delusione.
Poi la voce di Ginny,
preoccupata, spezzò il silenzio: « Hermione, Dennis… dove siete? »
Hermione, ancora stordita,
s’avvicinò alle mura crollate: « Siamo bloccati qui, » rispose, « stiamo bene.
» Ma si accorse d’aver parlato troppo presto: Dennis era seduto a terra,
sofferente, e si teneva stretto il braccio sinistro.
« Dennis, tutto bene? » Gli
domandò.
In risposta ottenne un
grugnito.
« Sei un’incapace! Hai rallentato tutti ed ora siamo bloccati qui per colpa
tua! » Il ragazzo era furioso e parlava fra i denti con il volto chino, coperto
dal cappuccio scuro del suo mantello ancora bagnato.
Hermione sentì il cuore
stringersi. Per quanto quelle parole facessero male, erano vere.
Era stata lei a mettere la
squadra in difficoltà, con la sua lentezza e la sua impreparazione. Di nuovo si
rimproverò per aver insistito ad aggregarsi alla missione.
Poi prese una sofferta
decisione.
Si accostò alla parete e
chiamò:
« Ginny, c’è un problema: Dennis è ferito. »
Ginny sospirò preoccupata,
ma
Hermione aveva già stabilito il da farsi.
« In queste condizioni
saremmo
solo d’intralcio, » disse mestamente, « va’ avanti tu, io resto qui e mi occupo
di lui. »
Dall’altra parte fu un
silenzio
inquieto.
« È meglio se io resto qui,
»
insistette Hermione.
Ginny rispose, rassegnata: «
Va
bene. Non muovetevi da lì… anzi, nascondetevi. Io raggiungo Neville, liberiamo
gli altri e torniamo a prendervi. »
« Ok, » mormorò Hermione
affranta, mentre l’amica s’allontanava con passo frettoloso.
* * *
Hannah Abbott discese la
radura
per alcuni metri quando qualcosa di insolito attirò la sua attenzione.
Si fermò e scrutò all’interno del bosco.
A pochi passi di distanza,
tra
le fronde degli alberi, vide un ammasso di foglie e rami accatastati in terra.
Senza staccare gli occhi dalla tenda, s’inoltrò per esaminare quel groviglio.
Quando fu abbastanza vicino
si
bloccò spaventata ed estrasse la bacchetta.
Sotto quel cumulo, nascosto
malamente, giaceva un corpo umano: se ne potevano intravedere le scarpe e
alcuni ciuffi di capelli chiari.
Inspirò profondamente e s’
avvicinò
ancora di più, tendendo la bacchetta davanti a sé, pronta a difendersi.
Quando raggiunse il corpo,
capì
che era privo di sensi.
Allora si inginocchiò nella
neve
e cominciò a togliere le fronde che lo ricoprivano.
Una profonda inquietudine
cominciò
a risalirle lentamente la gola.
Il corpo era riverso a
faccia in
giù nella neve, tutto avvolto in un mantello scuro.
Si fece coraggio e lo
voltò.
Terrorizzata, cacciò un
grido e
schizzò in piedi portandosi una mano alla bocca.
Era gelido, il volto inespressivo e gli occhi vacui.
Era Dennis Canon.
Pietrificato.
* * *
|
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 - The serpent under't ***
Capitolo 24 - The serpent under't
Lost Memories
(di Sihaya10)
* * *
Look like the innocent flower,
but be the serpent under’t.
[Prendi l’aspetto del fiore innocente,
ma sii il serpente sotto di esso.]
W. Shakespeare, Macbeth (Atto I, Scena V)
* * *
Capitolo 24 – The serpent
under’t
I componenti dell’Esercito di Silente entrarono insieme
nel Castello, scavalcarono i detriti della torre semidistrutta e attraversarono
un piccolo varco.
Avanzavano con le spalle al muro e grande cautela, nel
silenzio più assoluto; non si erano ancora separati, aspettavano un segnale da
Neville, in testa alla spedizione.
A un tratto, George s’infilò
una
mano in tasca ed estrasse il galeone che aveva portato per comunicare con
Angelina, quindi afferrò Neville per il mantello: aveva appena ricevuto un inaspettato
messaggio da parte dei compagni catturati. Erano indicazioni un po’ vaghe e
confuse che descrivevano il luogo in cui erano tenuti prigionieri: una cella
fredda dai muri irregolari, con un profumo nell’aria che ricordava la
professoressa Cooman…
Neville e George pensarono
subito all’ala nord, sulla torre, vicino all’aula di Divinazione.
Confabularono per un po’,
poi
Neville bisbigliò al resto del gruppo: « Concentriamo le ricerche nell’ala
nord. Alicia, Anthony e Michael, voi guardate al sesto e settimo piano,
compresa l’aula di Divinazione. Noi - »
Ginny, arrivando di corsa,
tutta
affannata, lo interruppe.
« Dennis è ferito, » avvisò
concitata, « Hermione è rimasta con lui alle Serre. Li raggiungiamo a fine
missione. »
Ron sentì bruciare la gola
di
domande, ma Neville non lo lasciò parlare: « Ginny, unisciti a Cho, Harry e
Ron. – disse pragmatico - perlustrerete i sotterranei della Torre Nord. »
C’era sempre qualcosa che
andava
storto, Neville Paciock, ormai, lo sapeva e col tempo si era scoperto più abile
di quel che credeva nel prendere con sicurezza decisioni repentine; in quel
caso, aveva pensato che, tutto sommato, le Serre erano un luogo abbastanza
sicuro.
* * *
Hermione s’avvicinò a Dennis
e
costatò con sollievo che intorno a lui non c’erano tracce di sangue.
S’inginocchiò di fronte. «
Fammi
vedere il braccio, » disse premurosa.
Lui si rifiutò bruscamente.
Seduto a terra, fra fango e detriti, puntellò i talloni e arretrò diffidente,
nascondendosi sempre più nel mantello, quasi volesse scomparire.
« Siamo bloccati qui solo
per
colpa tua, » sibilò. Non c’era solo risentimento nel tono della sua voce, c’era
vero e proprio astio, accanimento, nei suoi confronti.
Hermione ci rimase male. Non
riusciva nemmeno ad immaginare che Dennis, sorridente e tranquillo, potesse
provare tanta collera.
Il ragazzo sollevò appena il
mento e per un breve istante incrociò gli occhi di lei: « Sei un’incapace, »
accusò.
Hermione rabbrividì.
Occhi grigi e irosi,
nascosti
appena dall’orlo del cappuccio...
Conosceva quello
sguardo…
Conosceva quel tono...
Si ritrovò a balbettare.
Ci abbiamo messo troppo
tempo
per attraversare il Lago, » continuò a lamentarsi lui, « …perché tu sei lenta!
Lenta e incapace! »
Lei non provò nemmeno a
difendersi.
L’acuirsi della tensione
dovuta
all’imminente, sconcertante, scoperta le mandava il sangue al cervello.
« Fammi vedere il braccio, »
ordinò.
Lui si tirò indietro e tentò
di
allontanarla, diffidente ed aggressivo come un cane randagio.
Lei fu svelta e decisa. Gli
afferrò il polso sinistro e, con uno scatto rapido, spinse il mantello e la
manica della camicia su fino al gomito.
Non c’era alcuna
ferita.
Come
temeva.
C’era il Marchio Nero,
minaccioso, sulla pelle arrossata.
* * *
Abbandonando il corpo di
Dennis
nella neve, Hannah si precipitò alla tenda e, con il cuore in gola, ne spalancò
l’entrata.
Era vuota.
Draco
Malfoy era sparito!
In preda al panico, cominciò
a
correre a rotta di collo attraverso la radura, incespicando e scivolando sulla
neve ghiacciata.
Entrò al Rifugio senza
fiato, ma
non si fermò.
Chiamando a gran voce Molly
Weasley, raggiunse l’infermeria e bussò alla porta freneticamente, senza
riflettere.
Sapeva di dover tenere
nascosta
la faccenda di Malfoy, ma era troppo agitata per pensarci: c’era Dennis, là
fuori, che aveva bisogno d’aiuto e, peggio ancora, c’era un Mangiamorte a piede
libero!
« Signora Weasley! Signora Weasley! »
Gridava forte, ma ci volle
un
po’ prima che la porta si aprisse.
Quando Molly spuntò sulla
soglia,
Hannah aveva accumulato talmente tanta tensione che non riuscì a formulare
alcuna frase di senso compiuto, solo una serie di parole sconnesse.
Molly vide che era pallida
come
un cencio e cercò di calmarla. « C’è un po’ di Pozione Rilassante nella dispensa
in cucina, » disse.
Hannah scosse la testa
vigorosamente. « Oh, no! È urgente! » insistette, « deve venire ora… alla
radura… dobbiamo… » Si fermò per prendere fiato ma prima che potesse parlare,
dall’interno della stanza s’udì il grido di dolore di Angelina e Madama Chips
chiamò aiuto: « Molly! »
Hannah tentò di trattenerla:
«
Signora Weasley… »
Ma Molly aveva altre
priorità.
Prese la ragazza per le spalle e cercò di essere il più comprensiva possibile:
« Non ora, tesoro, non ora, » sorrise, « porta pazienza, manca poco. Intanto
va’ in cucina e calmati con un po’ di Pozione... Ti raggiungo appena possibile.
»
* * *
« Malfoy! Come…? » Ringhiò
Hermione, ma non riuscì a continuare perché parole, rabbia e stupore erano
saliti alla gola così in fretta da impastarsi tutti insieme.
Lui cercò ancora di
scostarsi e
lei riuscì chiaramente a vedere il ghigno che aveva sul viso: fiero e tronfio
del proprio successo.
« La Polisucco, » disse lui
con
voce roca di soddisfazione, « è stato davvero troppo facile… quel Canon è così
stupido… »
Hermione sentì il profondo
desiderio di schiaffeggiarlo.
« Ma tu… Avevo un’ora
di
tempo. Se tu non fossi così imbranata, adesso sarei già dentro al
Castello! »
« E poi? » abbaiò lei, « l’effetto della Pozione Polisucco
sarebbe svanito in breve tempo e ti avremmo comunque scoperto! »
« Stupida! Non vi avrei
certo
seguiti! »
« E cosa intendevi fare,
allora?
»
Malfoy non rispose. Rimase
per
lunghi secondi in silenzio, poi si alzò in piedi. Si tirò giù la manica
sinistra e si coprì il viso col mantello.
Fece un paio di passi, ma
lei
gli fu addosso: « Dove stai andando? »
« C’è un altro ingresso
laggiù,
» rispose spazientito, indicando davanti a sé, dove le Serre sparivano dietro
l’angolo dell’edificio.
Di nuovo cercò di spostarsi.
Come un’ombra, Hermione lo seguì: « Potrebbe essere sorvegliato, » obiettò.
Malfoy inspirò
profondamente. «
Fammi un piacere, Granger, » disse seccato, « levati dai piedi. »
« Non ci penso proprio. Sei
ancora sotto sorveglianza dell’Esercito di Silente. »
« Oh, che paura. » ribatté
lui
con voce incolore, cosa che la fece innervosire ancora di più.
« Non credere che ti lasci
fare
i tuoi comodi. »
Malfoy la fissò dritto negli
occhi: « Ti ricordo che se non fosse per me, tu saresti ancora dietro ad una
scrivania a scribacchiare insulse critiche a qualche dipinto. Quindi, cerca
di mostrare un po’ di gratitudine e piantala di mettermi i bastoni tra
le ruote. »
« No. Almeno finché non mi dirai cosa hai in mente di
fare. » Si ostinò Hermione rischiando di fargli perdere le staffe.
« Intendo scendere alla Sala
Comune. » sbottò Malfoy.
Hermione rimase alcuni
istanti
impietrita: era chiaro che si riferiva alla Sala Comune dei Serpeverde, nei
sotterranei.
Per timore o per cautela,
abbassò il tono di voce. « Perché? » Mormorò.
« Perché è lì che lo
troverò.
»
Si riferiva a Voldemort,
Hermione lo capì subito. « Come fai ad esserne certo? » domandò in un soffio.
« Sono un Mangiamorte. So
come
ragiona. »
« E se ti sbagliassi?
»
« Lo stanerò a costo di
rivoltare il Castello. »
La risposta la zittì.
Lui fece un sogghignoche
aveva un ché di amaro.
Poi le passò una mano dietro
il
collo.
Al suo tocco la sentì irrigidirsi di colpo, i nervi tesi
al limite. Le tirò il cappuccio del mantello sulla testa e davanti al volto,
fino a coprine la fronte e tutta la massa di riccioli increspati d’umidità.
« Senti, » disse con tono pacato e
sottilmente ironico, « ti farò entrare nel Castello perché so che è quello che
vuoi e da sola non ne saresti capace… ma tu prova ad ostacolarmi e te ne farò
pentire amaramente… »
*
* *
Hannah
Abbott rimase trenta secondi a fissare la porta chiusa dell’infermeria, poi
corse fuori dal Rifugio.
In
un batter d’occhio, raggiunse Dennis Canon e lo liberò dall’incantesimo.
Mentre
lo aiutava a mettersi a sedere sulla fredda neve, si accorse di una cosa che
all’inizio gli era sfuggita: mancava il suo zaino.
Capì
quello che era accaduto un attimo prima che Dennis glielo raccontasse.
Ne
rimase sconcertata.
Draco
Malfoy aveva preso il suo posto (e le sue sembianze) nella missione.
Hannah non riuscì ad immaginare niente di peggiore…
E non riuscì a trovare nulla di più efficace di una moneta
dell’Esercito per inviare un messaggio di allarme a Neville.
Insieme a Dennis ne compose il testo e aspettò.
* * *
|
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 - Tempo ***
Capitolo 25 - Tempo
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
“A volte penso che sia questo il nostro vero errore:
credere di avere tutto il tempo che vogliamo…”
Dal film Il tè nel deserto,
regia diBernardo
Bertolucci
* * *
Capitolo 25 – Tempo
Per la seconda volta in
pochi minuti
Neville dovette cambiare i piani della missione, e non senza difficoltà:
Anthony, Alicia e Michael erano già partiti in direzione della Torre Nord e non
era possibile richiamarli; Harry e Ron erano incontenibili, avevano deciso di
correre in aiuto di Hermione e non c’era modo di far cambiare loro idea;
inoltre, Harry era offeso e arrabbiato per essere stato tenuto all’oscuro delle
presenza di Malfoy, mentre Ron - stranamente - sembrava essere al corrente dei
fatti e questo a Neville, Ginny e Luna non piacque per nulla.
Poiché non si raggiungeva un
accordo, i ragazzi furono costretti a radunarsi e nascondersi dietro alcune
macerie, protetti dal Sortilegio Scudo incorporato ai loro mantelli. Avviarono
una discussione al termine della quale i gruppi vennero riorganizzati nel
seguente modo: Harry, Ron, Ginny e Luna sarebbero tornati indietro a recuperare
Hermione e rendere Malfoy inoffensivo; Neville, George e Cho avrebbero
perlustrato il resto dell’ala nord in cerca dei compagni catturati.
* * *
Malfoy e Hermione
attraversarono
il lato est delle Serre e poi svoltarono l’angolo: anche da quella parte era
tutto devastato. Fortunatamente non c’era anima viva in giro e il passaggio che
dai vivai conduceva dentro al Castello era aperto; il grande portone in legno
era completamente scardinato, ma l’arco in pietra era rimasto intatto.
Si accostarono alle mura e
si
sporsero appena per esaminare la situazione all’interno.
Oltre l’arco si estendeva un
passaggio lungo e stretto che conduceva al corridoio principale dell’ala est e
che, circa a metà, incrociava trasversalmente un’altra piccola corsia.
« Il corridoio principale è
sorvegliato, » mormorò Malfoy. Non poteva vedere realmente fin laggiù, ma gli
sembrò un’osservazione abbastanza ovvia. « A metà, sulla destra, ci sono delle
scale per i sotterranei, » aggiunse.
Hermione fece appena in
tempo a
registrare l’informazione, che Malfoy scavalcò l’ingresso. S’affrettò a
seguirlo.
Nel silenzio più assoluto,
camminarono svelti fino a metà del passaggio, poi Malfoy svoltò a destra,
secondo i propri piani.
Hermione ebbe un attimo
d’esitazione e si fermò nel mezzo dell’incrocio. Non vedeva, né sentiva i
propri compagni, ma dovevano per forza aver percorso almeno una parte di quel
tratto trasversale.
All’improvviso, una figura
ammantata proveniente dal corridoio principale comparve in fondo al passaggio.
Hermione sentì il cuore
balzarle
in gola.
Una frazione di secondo
prima
che il sorvegliante mettesse lo sguardo su di lei, Malfoy l’afferrò per il
mantello e la trascinò lontano dall’incrocio, costringendola a schiacciarsi
dietro gli stipiti di una piccola porta, leggermente rientrante rispetto alla
parete.
* * *
Ron, Harry, Ginny e Luna erano tornati sui loro passi fino
a raggiungere il passaggio che li aveva condotti dentro al Castello.
Poiché il muro era crollato,
impiegarono un po’ per aprirsi un varco e poter scavalcare di nuovo le macerie.
Appena rimisero piede nelle Serre, si accorsero che non c’era nessuno, oltre ai
corpi privi di sensi dei Berretti Rossi.
Cercarono invano fra i resti
dei
vivai, poi si spostarono sull’altro lato del Castello, fino a raggiungere
l’ingresso.
Videro che il portone era
scardinato.
« Forse sono entrati da qui,
»
disse Luna.
Nessuno ebbe il tempo di
commentare.
In fondo, dove il passaggio
incrociava il corridoio principale dell’ala est, c’era un Mangiamorte.
Ginny lo vide per prima; con
un’imprecazione appena percettibile diede l’allarme ai compagni e si nascose
dietro l’arco a volta.
Il nemico non guardava verso
di
loro, quindi avevano qualche istante di vantaggio.
Luna ed Harry l’affiancarono
immediatamente.
Ron avrebbe dovuto fare lo
stesso, ma invece non si mosse.
Non aveva sentito le parole
di
Ginny, né la vedeva gesticolare freneticamente nella sua direzione.
Forse era stata una visione
o
forse un’allucinazione ma, appena erano arrivati, a metà del passaggio gli era
sembrato di vedere…
Istintivamente, chiamò: «
Hermione! »
Il tono di voce era
controllato,
ma le mura del castello fecero da amplificatore.
Il Magiamorte alzò lo
sguardo
verso di lui.
Nello stesso istante Ginny
gli
saltò addosso per tappargli la bocca, spingendolo dal lato opposto
dell’ingresso, dietro al muro, mentre fra i denti inveiva contro la sua
stupidità.
Per una frazione di secondo, il nemico scrutò sospettoso
il lungo varco, fin’oltre l’arcata che s’apriva sulle Serre; Ron stava ancora
cercando di capire cosa fosse successo, quando cominciò ad avanzare.
* * *
Molly Weasley e Madama Chips
uscirono dall’infermeria e trovarono le gemelle Patil in fibrillazione.
« Possiamo vederlo? »
domandarono in coro, emozionate.
Madama Chips scosse la
testa: «
Meglio di no, devono riposare. Lasciamoli soli per un po’. »
Le gemelle sospirarono
dispiaciute, ma non insistettero: avrebbero avuto altri momenti per vedere il
piccolo Fred Junior e complimentarsi con Angelina.
« Vado in cucina, » si
congedò
Molly, « poco fa Hannah ha chiesto il mio aiuto… »
« Sì, meglio che veniate
tutte e
due, » confermò Padma seria, « vi stavamo aspettando. La situazione è molto
grave. »
Molly si adombrò e con passo
rapido raggiunse la cucina dove trovò tutti riuniti attorno al piccolo tavolo.
Hannah Abbott era in piedi e
camminava inquieta avanti e indietro.
La preoccupazione era evidente sui volti di tutti, ma ciò
che veramente allarmò Molly, fu vedere Dennis Canon (pallido e mortificato)
seduto accanto a Susan Bones.
« Cos’è successo? » domandò
con
apprensione.
In breve tempo ottenne tutte
le
spiegazioni necessarie. Poco dopo sentì l’impellente bisogno di sedersi e bere
qualcosa…
Susan si alzò e le portò un
bicchiere di succo di zucca.
George, Ronald, Ginevra…
La missione organizzata da
Neville non era semplice, ma sapere che una maledetta spia, un Mangiamorte, era
fra loro…
Non solo i suoi figli…
Tutti
erano in serio pericolo!
Non aveva ancora terminato
la
bevanda, quando Hannah si sedette a capotavola e parlò: « Il messaggio che io e
Dennis abbiamo inviato non ha ricevuto risposta ma, in ogni caso, a quest’ora
l’effetto della Pozione Polisucco è terminato: si saranno già accorti d’essere
stati raggirati da Malfoy. »
« Possiamo solo sperare che
l’abbiano capito per tempo e che lui non sia riuscito a consegnarli nelle mani
di Noi-Sappiamo-Chi, » aggiunse preoccupato Dennis Canon.
« Non credo che sia quello
l’obiettivo
di Malfoy. Non penso sia più al suo servizio, » intervenne all’improvviso Terry
Steeval, generando l’indignazione collettiva.
« Che cosa intendi dire? Lo
stai
difendendo?! » Domandò con una punta di fastidio Lavanda Brown.
Terry spiegò: « Si vocifera
che
durante la Battaglia, Noi-Sappiamo-Chi abbia ucciso Narcissa Black e
Lucius Malfoy. Se così fosse, mi pare ragionevole credere che Draco Malfoy sia
mosso dal desiderio vendetta e che abbia sfruttato la nostra missione solo per
intrufolarsi nel Castello. »
Hannah scosse la testa, per
quanto fossero verosimili le osservazioni di Terry, era evidente che nessuno in
quella stanza voleva prenderle in considerazione: « Non ci importano le
motivazioni di quel vigliacco, » tagliò corto, « credo sia più prudente non
fidarsi di lui. La cosa migliore da fare ora è mandare una squadra di soccorso
e, anche se non siamo certi che riceverà il messaggio, avvisare Neville del
nostro arrivo… » Disse risoluta. Poi venne sopraffatta dal timore di prendere
una decisione avventata e cercò l’approvazione dei compagni: « Voi cosa ne
pensate?»
Ernie Macmillan - amico di
sempre - le offrì per primo il proprio sostegno prendendole la mano. Lei si sentì
immediatamente rincuorata.
« Mi offro volontario, »
disse.
Poi diede una gomitata a Justin, che sedeva al suo fianco.
Justin Finch-Fletchley
tentennò
un istante: non era mai stato particolarmente coraggioso. Era un Tassorosso,
però, e quindi estremamente leale verso i propri amici. « Verrò anch’io, »
confermò con le guance arrossate.
Infine, anche Padma, Calì e Terry vollero aggregarsi,
mentre Lavanda e Susan si offrirono per aiutare Angelina e il neonato. Dennis
sperò di potersi unire ai compagni, ma fu obbligato da Madama Chips a qualche
giorno di convalescenza.
* * *
Hermione non mosse un
muscolo e
trattenne il fiato. Al suo fianco, nel silenzio, poteva sentire chiaramente il
respiro di Malfoy carico di rimprovero e allo stesso tempo di paura.
Poi, all’improvviso, l’eco del suo nome rimbalzò
inesorabile fra le fredde pareti del Castello.
Ebbe un tuffo al cuore: era
la
voce di Ron!
Si lanciò verso l’incrocio
che
aveva appena lasciato, ma Malfoy l’afferrò saldamente.
« Sei pazza? » la
rimproverò.
Lei lo guardò
confusa.
« Sta ancora sorvegliando il
passaggio! » spiegò Malfoy.
Si riferiva al Mangiamorte:
forse non aveva visto lei, ma di certo aveva sentito la voce di Ron, e ora,
probabilmente, stava lasciando il corridoio principale per venire a cercare gli
intrusi.
Hermione si voltò verso
l’incrocio e rimase immobile, con tutti i sensi all’erta per percepire il
minimo segnale della presenza di Ron.
Da dove
chiamava? Era nascosto? L’aveva vista o la stava cercando?
Si liberò dalla stretta di
Malfoy e fece un passo avanti, cauta.
« Se esci manderai a monte
tutti
i miei piani… » Disse lui.
Lei si fermò e irrigidì la
schiena. Strinse i pugni in segno di protesta.
Non poter vedere oltre l’
angolo
era un tormento.
Ron era
al
sicuro?
« E manderai a monte anche i
vostri! » aggiunse Malfoy, « sempre che non ci sia già riuscito quello stupido
di Weasley. »
Aveva ragione.
Dannatamente
ragione.
Hermione voleva raggiungere
Ron
e rassicurarlo, ma se lui ora era nascosto, uscire allo scoperto significava
metterlo in pericolo.
Il silenzio che seguì fu
surreale.
Poi Malfoy vide le spalle di
Hermione abbassarsi lentamente in segno di resa e comprese al volo i suoi
pensieri.
« Allora… » sollecitò, « …
stai
con me, Granger? »
Il tono di quella domanda la
scosse.
Più che una richiesta
sembrava
una pretesa, eppure poteva sentirlo anche senza voltarsi che lui la stava
fissando in attesa di una risposta.
Il silenzio si fece denso,
inquietante.
L’aria era carica di
tensione.
Come la quiete prima del
temporale.
Da lontano si udì un
incedere di
passi rapidi e pesanti.
Stai con me, Granger?
Si accorse che le mancavano
le
parole.
Un lampo di luce squarciò la
semioscurità del Castello. Il pavimento tremò.
Saette biancastre attraversarono il lungo corridoio come
tentacoli impazziti, rimbalzavano sulle pareti e scalfivano la pietra,
lasciando il segno indelebile della loro furia: una Maledizione era stata
scagliata alla cieca per spaventare e stanare i clandestini.
Una delle saette rimbalzò
sull’angolo dell’incrocio; schegge di pietra schizzarono verso Hermione e
Malfoy.
Lei voltò le spalle all’
incrocio
e alzò le mani per ripararsi il viso.
Lui si schiacciò dietro lo
stipite. « Non c’è più tempo! » l’ammonì.
I loro sguardi si
incrociarono: attendeva
ancora una risposta!
Lei socchiuse le labbra, ma
non
riuscì a pronunciare una sola parola.
Un ruggito furioso rimbombò
nell’ala est. Il terreno vibrò di nuovo per effetto di una seconda Maledizione,
poi Malfoy imprecò.
Il Mangiamorte si era fatto
strada scagliando incantesimi, era avanzato fino a metà percorso ed era in
procinto d’affacciarsi all’incrocio.
Malfoy si appiattì più che
poté
contro lo stipite; con la mano sinistra afferrò Hermione per le spalle e la
spinse contro la porta, con la destra estrasse la bacchetta.
« Alohomora. »
sussurrò.
Lei, il viso premuto contro
l’anta di legno, aveva nelle orecchie il frastuono delle Maledizioni che si
accavallava all’eco di quella domanda, persistente come un fastidioso ronzio,
incalzante come un conto alla rovescia.
Stai con me, Granger?
Le risuonò nella testa.
Era un ultimatum.
Un ricatto.
Una sfida.
Stai con me, Granger?
La porta si aprì e lui la
spinse
dentro la stanza.
Le sfuggì un ansito appena
percettibile, poi la mano dello Slytherin le tappò la bocca con una veemenza
tale da farla rabbrividire.
Mi lasci forse altra
scelta?
* * *
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 - Obiettivi ***
Lost Memories - Capitolo 26
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Maybe you’re the same as
me,
we see things they’ll never see.
Oasis, Live forever
* * *
Capitolo 26 – Obiettivi
Ginny
spinse Ron dietro l’arco d’ingresso e lo schiacciò contro il rinfianco appena
in tempo.
La
maledizione saettò lungo il corridoio illuminandolo di luce cangiante, passò
sotto la volta e si schiantò contro le macerie delle Serre.
Ron
evitò accuratamente lo sguardo di rimprovero della sorella e lanciò un’occhiata
confusa a Harry, contro il rinfianco opposto, che ricambiò: fremeva dal
desiderio di chiedergli quando e dove aveva visto Hermione.
Accanto
a Harry, Luna Lovegood alzò una mano mostrando il numero due: temeva che vi
fossero due Mangiamorte a sorvegliare il corridoio principale.
Ginny
era certa d’averne visto uno solo, ma non poteva sottovalutare i sospetti di
Luna perché il corridoio principale era molto ampio. Tese l’orecchio per
percepire i passi nemici che avanzavano sul pavimento.
Pesanti, cadenzati, minacciosi.
Sempre più vicini.
Ad un tratto si fermarono e calò
un cupo silenzio.
Il tempo di un respiro, un
sibilo acuto accompagnò una seconda maledizione; folgori e scintille
sfrecciarono attraverso il passaggio, deviarono contro il portone scardinato e
schizzarono fuori dal Castello.
Quel secondo, cieco, assalto
diede a Ginny la certezza che il Mangiamorte non poteva vederli; supponeva che
si nascondessero nelle Serre e colpiva con il solo intento di terrorizzarli.
Ginny decise di passare
all’attacco: come una scheggia, attraversò la volta scagliando uno Schiantesimo
dritto davanti a sé, arrestando la sua corsa al lato opposto, fra le braccia di
Harry.
Vedendola lanciarsi allo
scoperto impavidamente, Ron gridò, ma la sua voce fu completamente sovrastata
dal furibondo latrato del Mangiamorte colpito ad una spalla.
Un’invocazione carica d’ira
echeggiò nel tunnel: « Crucio! »
L’incantesimo eruppe attraverso
la volta, colpendo il terreno a pochi passi da Luna Lovegood.
La ragazza quasi non si scosse, cacciò indietro i capelli
biondi e guardò Ginny: si capirono al volo. Insieme balzarono nel centro del
varco e lanciarono uno Schiantesimo coordinato, poi, senza nemmeno respirare,
si prepararono per un secondo lancio.
Non servì.
L’incantesimo aveva colto di sorpresa il Mangiamorte che,
colpito in pieno petto, rovinò a terra.
Per un po’ si udì soltanto il
respiro affannato delle due ragazze, che alzavano e sollevavano le spalle
ansimanti, mentre la tensione andava lentamente scemando; poi Ginny sgridò Ron:
« Possibile che tu debba sempre creare problemi? »
Ron tacque; Harry, invece, non
riuscì a trattenere un commento sarcastico, che in realtà celava un rimprovero:
« Non è l’unico che agisce in modo imprudente… »
Ginny si difese: « Non ho agito
in modo imprudente, Harry. So perfettamente quello che faccio. Sei tu che non
hai idea di quello che abbiamo dovuto affrontare mentre… »
« Smettetela. Dobbiamo trovare
Hermione! » ricordò Ron, impedendo a quello scambio di battute di degenerare in
un litigio.
« Allora l’hai vista veramente?
» domandò Harry.
« Certo che l’ho vista! »
ribatté Ron, « era laggiù all’incrocio. »
« Hai visto anche Malfoy? » gli
chiese Harry.
« No. »
Una risposta preoccupante e
tranquillizzante allo stesso tempo.
« A destra ci sono delle scale
che portano ai sotterranei, forse Malfoy sta tentando di raggiungere la Sala
Comune dei Serpeverde e Hermione intende fermarlo… » ipotizzò Luna.
Ron sbiancò.
Harry si mise a correre verso
l’incrocio: « Io vado a cercarla! »
« No! Harry, fermati! » ordinò
Ginny, ma venne ignorata e fu costretta ad inseguirlo lungo il corridoio,
svoltando l’angolo a destra, subito dopo di lui.
Ron e Luna partirono un istante
dopo, ma non riuscirono a raggiungere l’incrocio.
Di fronte a loro, all’altro capo
del passaggio, era spuntato un secondo Mangiamorte; con il braccio destro teso
in avanti, puntava contro di loro la bacchetta.
« Fermi dove siete! »
* * *
Essere in squadra con George
Weasley era un notevole vantaggio.
Con la fama di essere tra i più
scapestrati studenti di Hogwarts, era decisamente preparato su ogni cosa
riguardasse la planimetria del Castello. Conosceva passaggi e corridoi di cui
né Neville, né Cho avevano mai sentito parlare; una sapienza accumulata in anni
di scorribande organizzate insieme al fratello. Questa sua abilità consentì ai
tre ragazzi di raggiungere il settimo piano indisturbati, ma erano ancora
lontani dalla meta: l’aula di Divinazione sulla Torre Nord.
Si fermarono e si nascosero in
un angolo buio, al riparo da occhi indiscreti, nei pressi di un ampio corridoio
che, fece notare George, conduceva alla Presidenza.
« Siamo ad un passo dall’Ufficio
del Preside… » disse e i suoi occhi brillarono vivacemente.
« Potremmo provare a prendere la
Spada di Godric Grifondoro… », mormorò Neville, intuendo esattamente quello che
l’amico aveva sottointeso.
« Ma non conosciamo la parola
d’ordine… » intervenne Cho.
« È vero, » confermò George, «
però possiamo dare un’occhiatina nei paraggi, vedere se c’è sorveglianza... »
« È rischioso, » asserì lei, « e
poi dovremmo prima pensare a liberare gli altri… »
« Ssh! »
George la zittì. Lungo l’ampio
corridoio su cui si affacciava il loro nascondiglio stava sopraggiungendo un
gruppetto di studenti. Erano circa una decina e indossavano l’uniforme
Slytherin, l’unica ammessa nella scuola.
Vederli procurò al trio un senso
di dolorosa nostalgia: essi rappresentavano ciò che era rimasto della Scuola di
Magia e Stregoneria da quando Hogwarts era caduto nelle mani di Voldemort.
Dall’aspetto infantile si poteva
dedurre che fossero matricole del primo anno e il pesante libro che portavano
sotto al braccio lo confermava: Arti Oscure, Volume I.
Man mano che s’avvicinarono fu
possibile udire i loro discorsi.
« Arti Oscure è in assoluto la
mia materia preferita, non vedo l’ora di imparare delle vere Maledizioni! »
disse una ragazzina dall’aspetto eccentrico. Era minuta, con la pelle eburnea
ed i capelli di un biondo quasi bianco, corti e spettinati, che le davano un
aspetto mascolino. Gli occhi grandi e le labbra sottili erano emblema di
intelligenza e arroganza.
Il ragazzo accanto a lei,
tarchiato e dallo sguardo spento, commentò: « Ma le Maledizioni sono argomento
del secondo anno, che ne sai tu ora? »
Lei scosse la testa e rispose
con accentuato sarcasmo: « Ho letto dei libri in biblioteca, qualche volta
dovresti metterci piede anche tu, o non passerai l’esame di Arti Oscure! »
« Non preoccuparti, passerò
l’esame… lo passeremo tutti! » ribatté presuntuosamente il ragazzo, « l’unico
che avrà dei problemi è Eddie Newarck: non si è fatto vedere per due lezioni di
fila, senza giustificazione. La Presidenza non lascerà correre… »
« No di certo! » esclamò lei con
soddisfazione, « ricordi? Ha detto che siamo stati appositamente selezionati
per un corso intensivo nelle vacanze invernali, questo significa che siamo i
migliori del primo anno. Su di noi la Professoressa investe molte risorse, non
tollera d’essere presa in giro. »
« Spero che venga punito a dovere, » borbottò il compagno.
La biondina sogghignò: « Io
spero che tocchi a noi punirlo! »
Le sue ultime parole andarono
sfocando mentre il gruppetto si allontanava lungo il corridoio, ma Cho le udì
ugualmente. E rabbrividì.
Neville, invece, estrasse la
bacchetta e la puntò verso la ragazzina. « Accio capello, » mormorò, ed un
sottile filo bianco volò dal mantello della biondina nelle sue mani.
« Che hai in mente? » Gli
domandò George.
« Assumo le sue sembianze e vado
a dare un’occhiata alla Presidenza, » rispose aprendo lo zaino e mescolando il
capello al preparato della Pozione Polisucco.
« Ottima idea! »
Neville bevve in un sorso ed in
breve mutò aspetto. « Aspettatemi qui. » ordinò.
La sua voce, ormai trasformata,
uscì acuta e femminile.
George non riuscì a trattenere
un ghigno divertito. « Tranquilla piccolina, ti copriamo noi le spalle, » disse
arruffandogli i capelli corti.
Neville si scostò. « Piantala George, » borbottò, ma il
compagno stava ormai sghignazzando sommessamente e capì che non c’era modo di
trattenerlo.
Sperò solo che nessuno lo
sentisse.
* * *
« E ora? » domandò in un soffio
Alicia Spinnet, nascosta sotto alla scala che conduceva all’Aula di
Divinazione.
Anthony, Alicia e Michael
avevano raggiunto la base della Torre Nord superando diverse difficoltà, perché
la zona era sorvegliata, e questo faceva sperare che i prigionieri fossero
rinchiusi da quelle parti.
Per arrivare a quel punto avevano aggredito un Mangiamorte
alle spalle, Schiantandolo prima che potesse vederli; poi avevano incontrato un
gruppo di studenti Slytherin ai quali avevano cancellato in parte la memoria, e
dei quali avevano assunto le sembianze per salire in tranquillità al settimo
piano.
Ora, però, brancolavano nel
buio, perché non avevano idea di dove fossero rinchiusi i compagni e si
guardavano intorno in cerca di indizi; consapevoli di dover prendere
rapidamente una decisione, prima che terminasse l’effetto della Pozione
Polisucco.
Sulla base delle informazioni
che i prigionieri avevano comunicato poco prima “via galeone”, optarono per
l’Aula di Divinazione. Era alquanto improbabile che fossero detenuti in quella
stanza, ma da lì, forse, si poteva accedere a qualche zona nascosta di cui non
erano a conoscenza.
A suggerirlo era anche la
guardia incappucciata che faceva capolino dalla cima della lunga scala a
chiocciola…
* * *
Con
l’avvicinarsi del mezzogiorno la temperatura esterna era leggermente salita e
l’ampia distesa di neve che circondava il nascondiglio dell’Esercito di Silente
andava sciogliendosi; il manto bianco, però, ricopriva ancora tutta l’area e
difficilmente sarebbe svanito nei giorni successivi.
Davanti
all’ingresso del Rifugio, invisibile agli estranei grazie all’Incanto Fidelius,
Molly Weasley e Madama Chips si stavano scambiando saluti e raccomandazioni.
« Sicura? » domandò Madama
Chips.
Molly annuì.
« Harry Potter è tornato. Forse
siamo state avventate a lasciarlo andare, sta di fatto che ora si trova dentro
al Castello; molti sono con lui, altri lo stanno raggiungendo. Credo sia
necessario informare di questa situazione i pochi alleati che abbiamo al
Ministero: sta per accadere qualcosa di importante, lo sento. »
Dopo la partenza della squadra di soccorso, Molly aveva
deciso di mettersi in viaggio verso Villa Conchiglia, per incontrare figlio e
marito convalescente, e metterli al corrente degli eventi.
Sperava anche di riuscire a
convocare in riunione lo sparuto gruppo di ex-ministri, ora latitanti, che si
opponeva a Lord Voldemort. Gli stessi uomini con i quali Arthur aveva
organizzato l’incursione al Ministero che gli aveva fatto rischiare la vita e,
da quasi un anno, lo costringeva a letto, accudito dal figlio Bill.
Molly si legò
stretto il mantello al collo, per ripararsi dal freddo, e raccolse la piccola
valigia ai suoi piedi.
Dopo aver
salutato l’infermiera, salì cavalcioni su una meravigliosa Firebolt.
« Capisco che
Materializzarsi a villa Conchiglia sia troppo rischioso, ma… la
scopa… Molly, non credo sia un mezzo molto
sicuro, » obiettò Madama Chips.
Molly sorrise spavalda e si alzò
in volo: « Non mi serve un mezzo sicuro, Poppy, mi serve un mezzo veloce! »
* * *
Un uomo ammantato passò accanto ai due Gargoyle di guardia
davanti all’ingresso della sala professori ed entrò appena ottenne il permesso
dall’interno.
Tremava.
Sapeva che non sarebbero
piaciute le notizie che portava.
Appena varcò la soglia,
Voldemort si girò e lo squadrò con occhi incandescenti ed egli s’inginocchiò
sottomesso, chinando il capo istintivamente, come se il solo sguardo del
Signore Oscuro gli avesse piegato le membra.
« Che cosa vuoi? » domandò
Voldemort con voce serica, avanzando di alcuni passi. Nagini, strisciò sinuosa
accanto a lui.
L’uomo prono si strinse nel
mantello. « Mio Signore, brutte notizie… » esordì senza alzare la nuca.
Voldemort non parve scomporsi,
ma la sua voce tuonò minacciosa: « Cosa succede? »
« Intrusi, mio Signore, nel
Castello. Probabilmente dei ribelli che intendono liberare i prigionieri. »
« Quanti? »
L’informatore rabbrividì a
quella domanda. Non sapeva con certezza quanti fossero gli intrusi ed il solo
pensiero di doverlo riferire lo terrorizzava. Scelse le parole con cura,
evitando di sottolineare quella mancanza.
« Due di loro stanno combattendo
alle Serre, ma Tiger(*) è stato aggredito alla Torre Nord. »
Voldemort ringhiò.
« Incapaci! Cosa state
aspettando? Giustiziate i prigionieri! »
* * *
Malfoy chiuse la porta con un
incantesimo, liberò Hermione dalla sua stretta ed esaminò la piccola stanza in
cui si erano rifugiati.
Era un’aula scolastica a
gradoni, impolverata e in disuso probabilmente da decenni. Non c’erano sedie,
solo quattro file di banchi in legno poste di fronte alla cattedra. La parete
dietro alla cattedra era occupata da un’enorme lavagna sotto la quale si
trovava un caminetto. L’aula disponeva di una sola finestra, sottile e
allungata, simile ad una feritoia, posta a poco meno di un metro dal soffitto;
era protetta da un’inferriata e il vetro rotto lasciava entrare gelidi
spifferi. Con l’aiuto di un banco la si poteva raggiungere per vedere
attraverso, ma l’idea di uscire dal Castello non sfiorò nessuno dei due.
Malfoy, in particolare,
attraversò i banchi e raggiunse la cattedra.
« Siamo fortunati, » esordì.
A Hermione non sfuggì il
plurale. Corrucciata, scese i gradoni dell’aula per raggiungerlo presso il
camino spento che lui stava esaminando.
« A cosa ti riferisci? »
domandò.
« Useremo la Metropolvere per
andare alla Sala Comune. »
« Non mi sembra una buona idea.
I camini sono di certo sorvegliati, e tu non hai un piano. Inoltre… - esitò -
…non puoi costringermi a venire con te. »
Malfoy si voltò di scatto verso
di lei. L’istante dopo le girò le spalle.
« Io non ti ho costretto, sei tu
che mi hai seguito. »
« Non è così. »
Vi fu un lungo silenzio.
Turbati, i due maghi rimasero a fissare l’intonaco sgretolato della parete
davanti a loro, mentre prendevano coscienza di quell’invisibile filo che li
aveva condotti insieme fino a quel punto e che ancora li trascinava nella
stessa direzione.
Poi,
Malfoy parlò: « Invece è così, abbiamo lo stesso obiettivo. »
« Quale? » domandò lei, scettica.
« Hogwarts. »
Continua…
* * *
N. d. A.
Le matricole del primo anno che
ho descritto non rappresentano nessun personaggio noto. I nomi sono inventati,
i cognomi (che verranno citati in seguito) sono stati scelti ipotizzando
eventuali parentele con altri Serpeverde.
(*) Il
Mangiamorte Tiger è il padre di Vincent Tiger. Spero di non aver commesso un
errore considerandolo vivo, non ricordo che si sia mai parlato di una sua
eventuale morte. Se ho sbagliato ditemelo che cambio personaggio, si tratta di
una comparsa e la modifica è irrilevante ai fini della trama.
|
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Capitolo 27 *** Capitolo 27 - Piani d'azione ***
Lost Memories - Capitolo 27
N.d.A.
Per aiutarvi nella lettura, ho fatto un altro breve
riassunto. Trovate i precedenti riassunti all’inizio dei capitoli 13 e
19.
Riassunto
dei capitolo precedenti:
Dopo aver distrutto la Ricordella, Malfoy ed Hermione
sfuggono ad un Dissennatore infilandosi in un passaggio segreto. Vengono
trovati da Luna e Ginny nei paraggi del rifugio dell’Esercito di Silente,
protetto dall’Incanto Fidelius. Hermione entra al rifugio mentre Malfoy
viene
privato degli ultimi ricordi per evitare che egli possa localizzare il
nascondiglio, viene imprigionato in una tenda e sorvegliato a vista da
Dennis
Canon.
Di nuovo insieme ai compagni, Hermione apprende che
Zacharias Smith, Katie Bell, Dean Thomas e Seamus Finnigan, infiltratisi
nel
Castello per cercare la Spada di Godric Grifondoro, sono stati catturati
dai
Mangiamorte e Neville ha organizzato una missione di soccorso.
L’indomani, quattro squadre composte dai migliori
membri
dell’esercito attraversano il Lago Nero ed entrano ad Hogwarts attraverso
le
Serre. Fra essi, però, si nasconde Draco Malfoy, che ha assunto le
sembianze di
Dennis Canon, dopo avergli sottratto una pozione polisucco. Hermione,
rimasta
bloccata alle serre insieme a lui, scopre ben presto la sua vera identità
e
apprende che Malfoy intende raggiungere la Sala Comune dei Serpeverde e
affrontare Voldemort. Malfoy ed Hermione, con una sorta di tregua,
entrano
insieme nel Castello, ma la Grifondoro viene intravista da Ron che la
chiama a
gran voce. L’impulsività del ragazzo rischia di mettere a repentaglio la
missione dell’Esercito e allo stesso tempo di mandare all’aria i piani di
Malfoy: Hermione, per non mettere in pericolo l’amico, decide di non
farsi
trovare e di seguire, suo malgrado, il Serpeverde.
Mentre Alicia Spinnet, Anthony Goldstein e Michael
Corner
raggiungono l’aula di Divinazione, Neville, Cho Chang e George Weasley si
ritrovano ad un passo dall’ufficio del Preside e tentano di recuperare la
spada
lasciando assumere a Neville le sembianze di una studentessa Slytherin.
Intanto Hermione cerca di convincere Malfoy della
necessità
di un piano, Harry – inseguito da Ginny - corre ai sotterranei per
cercare
l’amica e stanare Voldemort, e Ron e Luna, che vorrebbero seguirli,
vengono
bloccati da un Mangiamorte.
Anche al Rifugio dilaga lo stato d’allarme e, mentre
Hannah
Abbott s’improvvisa capo di una nuova spedizione, Molly Weasley parte
alla volta di Villa Conchiglia
in cerca di rinforzi…
* * *
Lost
Memories
(di _Sihaya)
* * *
Senza dubbio era un piano eccellente, semplice e
davvero
ben congegnato.
C’era solo una difficoltà: che Alice non aveva la
più
piccola idea di come realizzarlo.
L. Carrol, Alice nel paese delle meraviglie
* * *
Capitolo 27 – Piani d’azione
Ginny inseguiva Harry attraverso
lo stretto corridoio, decisa a raggiungerlo e fermarlo.
Non era pronto.
Erano due anni che non usava la
magia.
Non era pronto per battersi.
Era all’oscuro di molti
cambiamenti e del potere acquisito dai nemici in quell’arco di
tempo.
Harry Potter non era pronto per
affrontare Voldemort.
Questa certezza le dava la forza
di correre più veloce; passo dopo passo guadagnava terreno.
Harry svoltò a destra e scese
una rampa di scale.
Ginny andava così veloce che
fece fatica a rallentare per cambiare direzione; si precipitò giù per i
gradini
subito dopo di lui, chiamandolo a voce alta.
Finalmente Harry rallentò; Ginny
lo raggiunse col cuore in gola, s’aggrappò alla sua spalla e tra un
ansito e
l’altro tentò di convincerlo.
« Non puoi andare da solo. »
« Hermione è in pericolo: non
possiamo perdere tempo, » obiettò lui.
« Andremo tutti assieme,
aspettiamo Neville e gli altri. »
Harry fece per aprire bocca
quando all’improvviso un Mangiamorte incappucciato comparve dal nulla,
quasi si
fosse Materializzato.
I due ragazzi sobbalzarono e in
un attimo sfoderarono le rispettive bacchette, puntandole contro colui
che
sbarrava loro la strada minaccioso.
Erano bloccati: a destra e a
sinistra c’erano soltanto le spesse pareti del Castello; né porte, né
passaggi.
L’unica possibilità di fuga era la ritirata.
La posizione del Mangiamorte
sembrava sorprendentemente strategica, come se avesse previsto che gli
intrusi
si sarebbero incanalati in quel vicolo privo di scappatoie.
Non altrettanto calcolata fu la
reazione che ebbe trovandosi davanti i due ragazzi: d’un tratto parve
immobilizzarsi spiazzato.
Nessuno dei due Grifondoro fu abbastanza rapido da
approfittare di quel momento e scappare, anche perché Ginny non voleva
abbandonare Harry, e lui non aveva alcuna intenzione di tornare sui
propri
passi.
Quando il Mangiamorte riprese il
controllo, era troppo tardi. Sotto al cappuccio calato sugli occhi fece
brillare un sogghigno, mentre sollevava la manica del mantello e s’
apprestava a
sfiorare il Marchio Nero sull’avambraccio sinistro.
« Potter, » si compiacque, « …che
sorpresa! »
* * *
« Posso chiederti una cosa? » disse Luna
Lovegood.
Ron annuì senza abbassare la
guardia.
« Com’è vivere tra i babbani?
»
« Uh? » Ron la guardò stranito.
Come poteva porgli una simile
domanda davanti ad uno scontro imminente?
Si grattò la testa dubbioso: era difficile abituarsi
alle
stranezze di Luna Lovegood, specialmente dopo una lunga assenza come la
sua.
Lei ripeté pazientemente la
domanda.
Ron guardò preoccupato il
Mangiamorte e strinse forte la bacchetta magica, pronto a difendersi.
« Noioso, » rispose
sbrigativo.
Luna sorrise. « Mi siete
mancati. »
Il seguace di Lord Voldemort
fissò i suoi avversari con superiorità. Erano soltanto due ragazzi. La
biondina, in particolare, aveva uno sguardo vacuo che la faceva sembrare
un po’
tocca; tant’è che colloquiava amichevolmente con il compagno, come se non
si
rendesse conto del pericolo.
Il mago non si fece sfuggire
l’occasione e le scagliò una Maledizione.
Luna si scostò appena in tempo,
l’incantesimo le passò accanto facendo svolazzare le pieghe stropicciate
del
suo mantello e sfregiando leggermente il tessuto.
Si volse a guardare
l’avversario. Lo studiò senza che dai suoi occhi sporgenti trapelasse la
paura;
quindi puntò la bacchetta verso di lui e lanciò uno
Schiantesimo.
Il Mangiamorte riuscì a
schivarlo spostandosi sul lato destro del corridoio e questa volta
attaccò Ron.
« Stupeficium! »
Ron venne colpito in pieno.
« Bombarda! » gridò Luna
tempestivamente.
Dirigendo l’incantesimo contro
la parete di pietra riuscì a creare un diversivo: davanti al nemico s’
alzò una
nube di polvere e centinaia di schegge taglienti schizzarono ovunque
costringendolo a ripararsi con il mantello.
Luna approfittò di quei pochi
istanti per correre da Ron e risvegliarlo.
Ebbe appena il tempo di fargli
aprire gli occhi che il Mangiamorte era già pronto ad attaccare di nuovo.
Avanzò furente, con il braccio destro e la bacchetta tesi in avanti e
vibranti
d’odio.
Luna capì al volo le sue
intenzioni.
« Ron, alzati! » ordinò, tirando
per un braccio il ragazzo ancora intontito.
Un ruggito squarciò l’aria: «
Crucio!
»
* * *
All’improvviso una figura
avvolta in un mantello scuro entrò dalla porta che conduceva all’aula di
Divinazione.
Alicia, Michael e Anthony si
schiacciarono il più possibile gli uni contro gli altri, dietro alla
lunga
scala a chiocciola, sperando di non essere scoperti. L’uomo appena
entrato,
però, era concentrato su una questione più importante e non si curò di
controllare d’essere solo.
Attraverso le fessure fra i
gradini, i tre ragazzi lo videro stringersi il pesante mantello al collo
e
salire le scale con urgenza al piano superiore. Dal loro nascondiglio non
potevano vedere la destinazione dell’uomo, tuttavia udirono chiaramente
le sue
parole, rivolte ad un secondo interlocutore.
« Giustiziate i prigionieri.
Ordini dell’Oscuro Signore. »
I ragazzi rabbrividirono
all’unisono.
L’invisibile destinatario si
raschiò la gola con evidente fastidio. Non gli piaceva che un suo
sottoposto
usasse quel tono perentorio nei suoi confronti, ma gli ordini venivano
dall’alto e quindi non erano discutibili.
« Sarà fatto, » rispose
congedando con sufficienza il messaggero.
Il mago scese le scale e si
dileguò rapidamente com’era entrato.
Sopra le loro teste, i tre
ragazzi udirono una serie di passi ed un ulteriore scambio di battute con
un
terzo individuo.
« Travers, portiamo i
prigionieri alla Sala Comune dei Serpeverde. A quanto pare, dobbiamo
giustiziarli prima del tempo. »
Non ci fu risposta, ma dal
frenetico scalpiccio che seguì, i ragazzi compresero che i due
Mangiamorte si
stavano già attivando per eseguire gli ordini ricevuti.
« Che facciamo? » sussurrò
Alicia.
« Li seguiamo, » propose
Michael.
Anthony scosse la testa con decisione. « No, li
precediamo. Aspettiamo che scendano e poi usiamo il camino dell’Aula di
Divinazione. Arriveremo per primi e li coglieremo di sorpresa!
»
* * *
Hogwarts.
Hermione rifletté in silenzio su
ciò che Draco Malfoy aveva appena detto.
Purtroppo, che lei lo volesse
ammettere o meno, aveva ragione.
Entrambi amavano quella scuola;
era il luogo nel quale erano cresciuti e che custodiva gran parte dei
loro
sogni e delle loro ambizioni. Vi avevano trascorso l’infanzia e l’
adolescenza,
ed i loro ricordi erano impregnati di ogni profumo, ogni suono, ogni
immagine
racchiusa fra quelle mura. Non erano disposti ad accettare il lento
degrado in
cui veniva trascinata da maghi malvagi, succubi di un tiranno inebriato
dal
potere.
Fece alcuni passi avvicinandosi
al camino e inspirò profondamente.
« Va bene, forse hai ragione… »
ammise fissando il pavimento per celare l’imbarazzo.
Draco la guardò stupito.
Lei continuò, soppesando
accuratamente ogni parola: « Ti ho seguito fin qui perché credevo di
esserci
costretta. Invece, probabilmente, ti consideravo un “passaggio” per
Hogwarts.
Ora però, Malfoy, cerca di non essere ottuso e ascoltami. »
Lui la studiò di sottecchi,
sospettoso.
« Non possiamo andare alla Sala
Comune dei Serpeverde senza aver studiato un piano. Non abbiamo idea di
chi
potremmo incontrare e non conosciamo il vero potere di Tu-Sai-Chi…
a
dire il vero, non sappiamo nemmeno se ci sia ancora la Sala Comune!
»
Draco scosse la testa con sommo
disappunto: « Impossibile… »
Hermione alzò la mano per zittirlo. « Senti la mia
proposta:
usiamo la Polvere Volante e andiamo al rifugio costruito dai tuoi
genitori
(ricordo che c’era un camino) e lì mettiamo a punto un piano. Se ho
intuito
bene le caratteristiche dell’Incantesimo, quella baita dispersa fra le
montagne
è in realtà un’appendice del Castello, una sorta di camera nascosta,
tramite la
quale è possibile andare e venire a Hogwarts usando la Stanza delle
Necessità.
Se è così - come credo - scommetto che anche il camino è collegato al
Castello
e alla Metropolvere. Penso che i tuoi genitori non abbiano lasciato nulla
al
caso… »
Draco Malfoy rimase
profondamente sorpreso da quell’analisi, condita di dettagli che lui non
aveva
minimamente considerato.
Evidentemente,
Hermione Granger era più sveglia di quello che credeva…
Rimase in silenzio a valutare la sua proposta, senza
trovare il coraggio di guardarla in faccia e dirle apertamente che l’
approvava.
Ascoltò il suo respiro regolare, leggermente appesantito dall’attesa di
un suo
intervento.
Quando lei fece un altro passo
per affiancarlo, s’irrigidì.
Le dita delle loro mani si erano sfiorate.
Per alcuni secondi, entrambi rimasero immobili, come
se
quel contatto li avesse congelati.
Poi Draco, come riprendendosi da una visione, chiuse
il
pugno e ritirò la mano.
Solo allora, Hermione parlò: « Non ti sembra una
buona
idea? » chiese con un candore che lui ritenne artefatto.
Perché Hermione Granger era
consapevole della propria intelligenza, e quella modestia era
dannatamente
falsa...
L’idea era buona, per Merlino,
ma non aveva alcuna intenzione di dirlo.
Lei interpretò il silenzio come
disapprovazione. « Hai proposte alternative? » domandò.
A lui sembrò che un lieve
sarcasmo le incrinasse la voce.
Non rispose.
Rimase a fissarla in silenzio
mentre lei apriva lo zaino e prendeva un pugno di Polvere
volante.
No.
Non ne aveva, di
alternative.
E lei lo sapeva.
Per questo non attese il suo
assenso, gettò la Polvere nel camino, pronunciò la destinazione e ci
saltò in
mezzo.
Lui la seguì, senza dire una
parola.
* * *
Vista dall’alto Villa Conchiglia
appariva come un’oasi nel deserto. Un incantesimo la proteggeva dal
freddo che
regnava sul resto della collina, mantenendo il giardinetto in fiore, come
se
fosse sempre primavera.
Molly Weasley atterrò accanto ad
un’aiuola, scese dalla scopa e la ripose nella piccola valigia; poi s’
incamminò
fra i cespugli fioriti.
Affacciata alla finestra
dell’ingresso della Villa vide una bambina bellissima: aveva poco più di
un
anno, lunghi capelli biondi ed occhi azzurri, profondi e curiosi.
Era Victoire
Weasley.
Molly riconobbe immediatamente
la nipotina, nonostante l’avesse incontrata soltanto quando era ancora in
fasce.
La piccola s’allontanò dalla finestra; Molly la vide
scomparire dietro il vetro e si ritrovò a ripensare a quegli ultimi due
anni.
Molte cose erano accadute
durante la guerra.
Drammi impossibili da accettare,
come la perdita di un figlio, di un padre, di un amico...
E
si viveva un po’ nell’illusione, creandosi un angolo di primavera nel
grigiore
dell’inverno…
Eppure, il mondo magico, ciò che
di buono era rimasto fra il marciume asservito a Lord Voldemort, non
aveva
smesso di andare avanti, di sperare in futuro migliore.
Pensò alla nipotina Victorie, al
piccolo Fred Junior, a Teddy Lupin rimasto orfano.
Poi pensò ai ragazzi
dell’Esercito di Silente, che avevano scelto di vivere fra i boschi,
lontani
dai propri cari, disposti a rischiare la vita combattendo contro un
essere
fatto di pura malvagità…
Se avevano affrontato tutto
quello e ancora non avevano ceduto, era per loro: le nuove
generazioni.
Per dare loro la pace, perché potessero provare le emozioni vissute dai
nonni e
dai genitori fra le mura del Castello, per vederli diventare grandi
maghi,
fieri d’aver studiato a Hogwarts.
Con gli occhi velati di lacrime,
Molly non si era accorta che la porta della Villa era aperta e sull’
ingresso
l’attendevano suo figlio Bill e Fleur Delacour, insieme alla piccola
Victorie,
nascosta timidamente dietro l’abito della madre.
* * *
Hannah Abbott aveva seguito con
precisione il piano che Neville aveva messo a punto per raggiungere
Hogwarts,
guidando i compagni attraverso il Lago Nero, nella speranza d’arrivare in
tempo
per essere d’aiuto.
Riemersero dalle acque ai piedi della scogliera e
s’arrampicarono.
Hannah andò per prima, seguita da Ernie, Justin e
Terry. A
contatto con l’acqua la roccia era fredda e levigata. Calì scivolò
emettendo un
gemito; guardò con sconforto i pantaloni strappati e l’abrasione sul
ginocchio
destro, ma strinse i denti e continuò a salire. La sorella, che chiudeva
il
gruppo, la raggiunse preoccupata e le rimase accanto per il resto del
percorso.
Nessuno pensò che il flebile
lamento della Grifondoro potesse destare l’attenzione dei Dissennatori
che
ispezionavano il Lago. Così, quando il gruppo raggiunse la cima della
scogliera, trovò un’accoglienza del tutto imprevista.
Un gruppo di eterei Dissennatori volteggiava
minacciosa
sopra le Serre.
Uno di loro si precipitò contro
gli intrusi prendendo di mira il capogruppo.
Hannah soffocò un grido.
Inspirò a bocca aperta, ma il
gelo le raschiò la gola e la immobilizzò.
In un attimo, tutto divenne
nebuloso ai suoi occhi e non fu più in grado di pensare, di muoversi, di
difendersi. Era come se qualcosa le stesse risucchiando la ragione,
privandola
della propria consapevolezza e lasciandola in balia di un’unica emozione:
la
paura di impazzire.
Ernie fu al suo fianco in un
istante.
Sapeva esattamente cosa fare:
divaricò le gambe e sfoderò la bacchetta.
« Incanto Patronus! »
Gridò ed un possente cinghiale argenteo prese forma nell’aria e caricò
contro
nemico mettendolo in fuga.
Nello stesso momento, Terry urlò puntando un dito
verso il
cielo: « Attenti! »
Alcuni Dissennatori avevano
lasciato gli altri e si stavano pericolosamente avvicinando.
Tutti i membri dell’Esercito
erano in grado di evocare il proprio Patronus, perché si erano allenati
strenuamente per mesi, sotto la guida sapiente della professoressa
McGrannit;
ma solo in pochi sapevano cosa significasse realmente affrontare un
Dissennatore.
Justin Finch-Fletchley non era
fra quelli.
Vedendo il nemico avanzare,
cadde nel panico. Aveva le dita ghiacciate e la bacchetta gli cadde di
mano.
Percependo la sua debolezza, uno
degli spettri lo attaccò.
« Justin! »
Hannah corse verso di lui per
difenderlo,
ma era ancora provata dal breve contatto avuto con il Dissennatore e la
paura
ridusse la sua concentrazione. Dalla punta della sua bacchetta non uscì
altro
che un filo argentato seguito da uno sbuffo.
Di nuovo Ernie corse in aiuto
degli amici. Terry lo raggiunse.
Nello stesso istante Padma e
Calì gridarono: davanti a loro c’erano altri due Dissennatori.
Si presero per mano facendosi
forza a vicenda per combattere quel gelo surreale ed insidioso, poi
tentarono di evocare il rispettivo Patronus…
* * *
Lasciando i compagni ad
attenderlo appena svoltato l’angolo, Neville Paciock (con un piano d’
azione
alquanto fumoso) s’incamminò verso la Presidenza.
Nonostante avesse le sembianze
della ragazzina Slytherin, si muoveva più che mai guardingo.
Quando fu a breve distanza dal
passaggio che conduceva in Presidenza, vide una studentessa minuta e dal
portamento altezzoso arrestarsi di fronte al Gargoyle.
Un autentico colpo di fortuna!
Abbandonando la cautela, si
fermò in mezzo al corridoio e tese l’orecchio. La ragazzina, con voce
delicata
e una punta di capriccio, pronunciò la parola d’ordine: « Rigor
Mortis.
»
La grossa statua si spostò di
lato e la parete dietro di essa si aprì.
Neville era euforico.
Percorso da scosse di adrenalina, s’appoggiò alla
parete e
attese impaziente che la studentessa uscisse dall’Ufficio, poi corse
all’ingresso, pronunciò la parola d’ordine appena appresa e - quasi senza
riflettere - attraversò la soglia.
Quando fu in cima alla scala a
chiocciola, il cuore gli saltò letteralmente in gola: la porta dell’
Ufficio era
socchiusa; dall’interno non giungeva alcuna voce.
La tentazione di entrare divenne
irresistibile.
Possibile
che il Preside avesse lasciato incustodito il proprio ufficio?
In quel momento, Neville si rese
conto di non avere la più pallida idea di chi coprisse il ruolo di
Preside.
Il fatto che Hogwarts fosse
caduta nelle mani di Voldemort, rendeva il Castello più simile ad una
prigione
che ad una scuola, ed il pensiero che vi fosse ancora un Preside, non l’
aveva
mai sfiorato.
Che fosse il Signore Oscuro?
Neville lo riteneva improbabile,
tuttavia rabbrividì.
Poteva
entrare e scoprirlo di persona…
Così
facendo, poteva anche verificare la presenza della spada di Godric
Grifondoro…
Scosse la testa e smise di
perdere tempo in congetture.
Osservò la porta socchiusa e di
nuovo costatò il silenzio all’interno; quindi inspirò profondamente per
farsi
coraggio e spinse l’anta in legno di quercia…
La porta si aprì sulla stanza
circolare e Neville, di colpo, impallidì.
Dietro la grande scrivania, con un ghigno malvagio
sulle
labbra ed un lampo di follia negli occhi, sedeva il Preside della Scuola
di
Magia e Stregoneria di Hogwarts.
O meglio, la Preside.
Bellatrix
Lestrange.
|
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Capitolo 28 *** Capitolo 28 - Bellatrix Lestrange ***
Lost Memories - Capitolo 28
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
[…] una donna con una folta, scura chioma
lucente e le palpebre semichiuse,
seduta sulla sedia con le catene come una regina sul
trono.
J. K. Rowling, Harry Potter e il Calice di
Fuoco
(cap.
30)
* * *
Capitolo 28 – Bellatrix
Lestrange
« Muovetevi! » intimò il
Mangiamorte spingendo Seamus e Dean giù dalle scale.
Dietro di lui, Travers
stringeva
per un braccio Zacharias e Katie, che gemette incespicando sui gradini.
Tutti e quattro i
prigionieri
avevano i polsi legati da corde stregate, ed erano in difficoltà a percorrere
la scala a chiocciola.
Quando furono sull’ultimo
gradino, Seamus tentò di ribellarsi; fece uno scatto improvviso con le spalle e
riuscì a sfuggire, per un attimo, alla stretta del suo carceriere. Dean
spalancò gli occhi e immediatamente tese i muscoli, pronto ad imitare il
compagno, ma il Mangiamorte aveva previsto quel tentativo di fuga e non si
lasciò cogliere di sorpresa.
Rapidamente riprese il controllo: strinse con violenza il braccio di
Dean e afferrò Seamus per i polsi legati, strattonò entrambi giù dal gradino e
spinse Seamus contro la parete, schiacciandogli il viso contro il muro.
« Mi hai preso per uno
sprovveduto? » ringhiò.
Seamus non si fece
intimorire e
rispose a tono: « È quello che sei. »
« Bada a come parli, o sarai
il
primo a morire. »
« Non ho paura. Che io sia
il
primo o l’ultimo, verrà un Esercito a vendicarci. »
« Un esercito di bambocci! »
sghignazzò il Mangiamorte prendendo la propria bacchetta e puntandogliela contro
la nuca.
« Yaxley! » Travers lo
richiamò
dall’alto della scala. Il suo tono era allarmato, con una punta di rimprovero.
Yaxley lo guardò
furente.
Non era in grado di
controllare
la propria ira e Travers capì che aveva il dovere di placarlo. « Dobbiamo
portarli alla Sala Comune, sarà il Signore Oscuro a decidere come giustiziarli.
»
Yaxley odiava essere
interrotto
e odiava ancor più che qualcuno gli dicesse cosa fare; ma Travers gli ricordò
quanto fosse pericoloso contravvenire agli ordini di Voldemort.
Così si fermò, ripose la
bacchetta e sollevò Seamus dalla parete.
« Muoviti, feccia! » ordinò
spingendo i prigionieri davanti a sé.
Travers lo seguì trascinando
letteralmente Zacharias terrorizzato e Katie in lacrime.
Nascosti dietro alla scala a
chiocciola, Anthony, Alicia e Michael assistettero alla scena in un silenzio
carico d'angoscia. Fremevano all’idea di aggredire alle spalle i Mangiamorte
per liberare i propri amici, ma si costrinsero a rimanere nell’oscurità: lo
spazio a disposizione era troppo ridotto per ingaggiare una battaglia e c’era
un alto rischio di ferire gravemente i ragazzi disarmati.
Alicia aveva cominciato a
piangere e, quando sentì Katie singhiozzare, si premette entrambe le mani sulla
bocca per impedirsi di emettere anche il più flebile gemito.
Il piano di Anthony era la
loro
unica strategia, non poteva rischiare di mandare tutto a monte.
* * *
Un brivido scivolò lungo la
schiena di Neville quando incrociò gli occhi di Bellatrix Lestrange, carichi di
folle malvagità.
« Cosa vuoi? » domandò la
strega.
Neville trasalì.
Prese tempo per formulare
una
risposta credibile, ricordando a se stesso che, per quanto terrificante e
indagatore fosse quello sguardo, non poteva riconoscerlo.
Inspirò profondamente e
diede un
colpo di tosse.
« Sono qui per riferire una
violazione del regolamento, » azzardò con voce acuta, atteggiandosi con
presunzione come aveva visto fare alla studentessa di cui vestiva i panni.
« Ti ascolto. » disse la
Preside, fredda e severa.
Neville rispose tutto d’un
fiato: « Si tratta di Eddie Newark, studente del primo anno. Per due volte
consecutive ha saltato la lezione di Arti Oscure, senza alcuna giustificazione.
»
Bellatrix strinse gli occhi
in
fessure e scrutò la ragazzina.
« Capisco… » disse
meditabonda.
Poi prese a camminare avanti e indietro per l’Ufficio, sfiorando con le dita la
robusta scrivania.
Vi fu un silenzio che a
Neville
parve senza fine.
Inquieto, alzò gli occhi ad
esaminare l’Ufficio.
La nostalgia lo colse
immediatamente mentre passava in rassegna i quadri dei vecchi Presidi di
Hogwarts. S’accorse che quello di Silente era stato rimosso e le sue mani
vibrarono di rabbia ed indignazione. Poi vide la teca posta al centro della
parete, contenente la Spada di Godric Grifondoro; il riverbero del ferro brillò
nelle sue pupille e, d’un tratto, si sentì rinvigorito nel coraggio e nella
motivazione.
In quello stesso momento,
Bellatrix si voltò verso di lui con un sorriso enigmatico: « Molto bene, »
cantilenò melliflua, « la tua devozione al regolamento è ammirevole, Signorina
Warrington(*), premierò la tua squadra con dieci punti. »
Neville guardò la perfida
donna
ingoiando lo stupore.
Come potevano esserci
squadre se
l’unica Casa ammessa era Serpeverde?
Poi ricordò le divise dei
ragazzi
che aveva incontrato lungo il corridoio e le fasce di colori differenti che
portavano sul braccio: forse la Casa Serpeverde era stata suddivisa in
sottogruppi per alimentare la competizione fra gli studenti…
A quel punto, la Preside lo
congedò con un cenno sbrigativo e lui s’affrettò ad uscire dall’Ufficio,
desideroso di raggiungere al più presto i compagni nascosti a pochi passi di
distanza.
* * *
Appena capì che il
Mangiamorte
intendeva richiamare Voldemort attraverso il Marchio Nero, Ginny gridò: «
Harry, non lasciarglielo fare! »
Harry capì al volo e puntò
la
bacchetta contro il nemico: « Expelliarmus! »
L’incantesimo fu abilmente aggirato, ma ebbe comunque
l’effetto sperato perché impedì al nemico di toccare il Marchio.
Il Mangiamorte guardò Ginny
con
un ghigno carico d’odio.
Non pronunciò alcuna parola.
Alzò la bacchetta e l’agitò nell’aria come una frusta. Una lingua di fuoco
brillò nell’aria, guizzando attraverso il corridoio scalfì la pietra e si
diresse verso Ginny.
La Maledizione di Antonin
Dolohov.
Harry la riconobbe.
Vide che Ginny aveva
invocato un
semplice Sortilegio Scudo e corse in suo aiuto.
« Protego Horribilis!
»
Aveva sperato di essere
abbastanza forte, ma il suo scudo non era all’altezza della potenza nemica.
Resse abbastanza da impedire alla Maledizione di colpire la ragazza, ma l’onda
d’urto la investì in pieno.
Il suo corpo venne sollevato
in
aria e cadde a terra su un fianco, rotolò e si fermò supino, a pochi centimetri
dalle scale.
* * *
Su idea di Terry, i ragazzi dell’Esercito di Silente si
disposero in cerchio, con le spalle rivolte al centro e le bacchette puntate in
avanti a formare una raggiera; questa disposizione trasmise loro coraggio e
sicurezza.
Nel giro di pochi minuti,
dalle
Serre s’alzò una spirale di luci argentee e il cielo divenne un volteggiare
figure immateriali.
L’irruente cinghiale di
Ernie
correva in circolo intorno al gruppo, fungendo da scudo. Il gufo di Hannah e
l’evanescente colomba di Padma si lanciavano in picchiata contro i nemici più
lontani, mentre Terry, con il suo capriolo perfetto, badava a quelli che
incauti scendevano ad attaccare. Perfino l’abbozzo di pecora evocato da Justin
e gli sbuffi argentati generati dall’incantesimo di Calì riuscirono a
spaventare i nemici.(**)
In breve i Dissennatori
furono
sbaragliati e la morsa di gelo lentamente si dileguò.
I vincitori, però, non
ebbero
nemmeno il tempo di esultare.
« Guardate! » gridò Terry,
allarmato, puntando un dito in aria.
Il cielo aveva smesso di
brillare d’argento ed era ritornato scuro come quand’erano arrivati; dritto
sopra le loro teste, fra nubi nere e lampi verdi era comparso un enorme Marchio
Nero.
Sui volti rivolti in su dei
ragazzi si dipinse l’orrore.
Padma si portò le mani alla
bocca. Justin cominciò a tremare.
« Dobbiamo fare in fretta! »
esclamò Ernie.
Nessuno obiettò.
Sapevano fin troppo bene il
significato di quel volto che deturpava il cielo.
Morte.
* * *
La Maledizione Cruciatus
sfrecciò attraverso lo stretto corridoio mancando per un pelo i due ragazzi.
Ron si era alzato appena in tempo e Luna era corsa verso la parete, trainandolo
con tutte le sue forze. Sbatté contro il muro con violenza e Ron le cadde
addosso, ma non ebbe il tempo di scusarsi. Lei lo allontanò e girò su se stessa
con tanta rapidità che Ron ricevette sul viso una sferzata dei suoi lunghi
capelli. Tese la bacchetta magica in direzione del Mangiamorte e un raggio di
luce schizzò fuori dalla punta.
Era un incantesimo non
verbale
che diede a Luna un secondo di vantaggio sul nemico il quale, spiazzato, venne
colpito in pieno allo sterno.
Ron gridò euforico quasi
fosse
una partita di Quidditch, mentre il mago volava verso l’alto e si ribaltava a
testa in giù, appeso per i piedi ad una fune invisibile.
Il Magiamorte prese a
dimenarsi
per aria cercando di scostarsi dal viso il voluminoso mantello. Era furioso e
deciso a vendicarsi nel più crudele dei modi, ma Ron fu più veloce.
« Expelliarmus! »
Urlò
appena la mano del nemico spuntò tra le pieghe dell’abito. La sua bacchetta roteò
nell’aria.
Ron corse a raccoglierla
proprio
mentre Luna annullava inaspettatamente l’incantesimo Levicorpus.
Il Mangiamorte precipitò in
terra con un tonfo.
Ron si volse allarmato verso
la
compagna, ma prima che potesse chiedere spiegazioni ebbe la risposta: Luna
scagliò sul mago un ultimo incantesimo e lo pietrificò.
Ne rimase una fredda statua
riversa su un fianco, con il braccio destro teso in avanti nel vano tentativo
di recuperare la propria arma, quello sinistro premuto sulle costole, ed il viso
scappucciato immortalato in un'espressione di dolore.
Ron lo riconobbe con
stupore.
Era Adrian Pucey, ex-studente della Casa Serpeverde. Aveva l’età di George.
« Dammi una mano.
»
Ron guardò perplesso Luna
che
tentava di muovere la statua e corse ad aiutarla.
Assecondando il suo volere,
spinse la statua lungo il corridoio fino all’incrocio e la ruotò di novanta
gradi, ottenendo così un insolito, quanto macabro, indicatore.
« È per Neville, » spiegò
Luna,
« così saprà che direzione prendere per raggiungerci… »
Ron si grattò la testa
dubbioso,
ma non fece commenti. Si limitò a seguire la stravagante Corvonero mentre
correva verso i sotterranei, per riunirsi a Ginny ed Harry.
* * *
Draco Malfoy mise piede
nella
piccola baita provando un grande sollievo nel trovarla identica a come l’aveva
lasciata. Nonostante le dimensioni ridotte, l’arredamento spartano e l’odore di
stantio, rappresentava l’unica casa che realmente gli apparteneva.
Diede una rapida occhiata intorno per assicurarsi che
tutto fosse rimasto al proprio posto, dopodiché passò a considerare Hermione.
Il fiato gli si fermò a
mezza
gola smorzando un’imprecazione: stava rovistando nello scaffale senza il suo
permesso!
« Che cavolo stai facendo?!
»
Hermione sobbalzò colpevole.
« Niente, » disse riponendo
velocemente una specie di orologio da polso, che al posto del quadrante aveva
una minuscola clessidra.
Era senza dubbio una
Giratempo,
aveva pensato Hermione, ma la clessidra era talmente piccola che forse riusciva
a tornare indietro solo di pochi minuti.(***)
Draco s’avvicinò, osservò
l’oggetto e scrutò Hermione.
Lei si difese prima ancora
d’essere accusata: « Potrebbe servirci, » motivò imbarazzata.
Lui prese l’orologio e
l’intascò, senza nemmeno domandarsi cosa fosse. « In tal caso, lo terrò io… »
ribatté pungente.
Poi s’allontanò da lei di
qualche passo e con la bacchetta fece uno strano disegno nell’aria.
« Fai una spirale ruotando
il
polso » disse con gli occhi rivolti alla parete di fronte.
Hermione, colta alla
sprovvista,
farfugliò: « Come? »
« Ruota il polso, è
importante,
» ripeté lui, seccato. Poi rifece lo stesso movimento pronunciando una formula
magica che Hermione non aveva mai sentito.
« Mors Reflecto.
»
Intorno a lui l’aria s’
addensò
formando uno scudo circolare, fumoso e opaco, carico d’elettricità.
Lo guardò costernata. « Che
cosa
stai facendo, Malfoy? »
« Un incantesimo di difesa.
»
« Sì, ma - »
La zittì spazientito: « Vuoi
un
piano o no? »
« Sì! » esclamò lei con
sorpresa.
« Allora fa’ quello che ti
ho
detto prima che mi penta del tempo che sto perdendo. »
Hermione, concitata,
estrasse la
bacchetta e drizzò la schiena, mettendosi sull’attenti come un piccolo
soldatino.
Quella reazione strappò a
Malfoy
un abbozzo di sorriso.
« Mors Reflecto. »
Scandì
evitando accuratamente di guardarla negli occhi.
Hermione ripeté la formula
pronunciandola correttamente al primo tentativo e Malfoy approvò.
« È Magia Nera. »
Hermione s’irrigidì.
« È l’incantesimo di difesa
migliore che conosco. Secondo la teoria, se evocato nell’istante esatto in cui
l’avversario attacca, potrebbe persino deviare una Maledizione Senza Perdono,
ma è ovviamente impossibile riuscirci. » Spiegò e s’accorse che Hermione stava
trattenendo il respiro.
« Rilassati, » le disse. La
sua
voce fu così calda e blanda che la fece arrossire. « Non finirai ad Azkaban per
questo. »
Hermione si disse che,
dopotutto, non faceva nulla di male: stava solo imparando a conoscere le
tecniche nemiche. Espirò con una lentezza estenuante, cercando di calmarsi, e
sollevò la bacchetta; era difficile usarla con le dita quasi congelate, ma
tentò comunque di replicare il movimento che lui le aveva mostrato.
Lo sentì
grugnire.
« Una spirale! Ti sembrava
una
spirale quella!? »
« Sta’ zitto Malfoy, sto
cercando
di concentrarmi! » Rimbeccò lei, alzando di nuovo la bacchetta ma lui,
all’improvviso, le afferrò il polso e lo guidò disegnando nell’aria quella che
definì una “spirale perfetta”.
« Hai capito? »
Hermione aveva le guance in
fiamme. Malfoy le stava così vicino che sentiva il suo respiro fra i capelli e
continuava a tenerle il braccio aspettando una risposta.
Lei riuscì soltanto ad
annuire.
Attese che lui le liberasse
il
braccio e ritentò.
« Il polso, Granger! Il
polso! »
Hermione chinò la testa
riconoscendo
l’errore.
Una reazione troppo mansueta
per
i suoi gusti, ma non le riusciva proprio di cacciare fuori una sola parola.
Non poteva certo gridargli
di
scansarsi, che finché le stava così appiccicato lei non riusciva a
concentrarsi!
* * *
Bill Weasley invitò la madre
ad
entrare nella piccola cucina di Villa Conchiglia e ad accomodarsi accanto al
tavolo.
« Con la scopa! Per tutti i
maghi, mamma, è troppo pericoloso! » si lamentò precedendola.
Molly scosse la testa con
disapprovazione: « Bill, non permetterti di fare la ramanzina a tua madre!
Piuttosto, » aggiunse rivolgendosi a Fleur, « mi scuso per l’improvvisata. »
« Oh, non fa nionte,
»
rispose Fleur prendendo in braccio la piccola Victorie, « è molto tempo che
non sci vediamo. »
Molly annuì e salutò la
nipotina
che di rimando sorrise.
Bill, nel frattempo, aveva
aperto la dispensa.
« Cosa posso offrirti mamma?
Idromele, Succo di Zucca, c’è tutto quello che vuoi… »
« Lascia perdere Bill, non
sono
qui per un viaggio di piacere. Devo parlare con tuo padre, » rispose lei
serissima.
Bill conosceva bene sua
madre e
gli bastò guardarla negli occhi per capire che era accaduto, o stava per
accadere, qualcosa di grave. « Cos’è successo? » domandò allarmato.
Fleur percepì la sua
preoccupazione e strinse a sé la figlia.
« Harry Potter è tornato, »
annunciò Molly, « ha insistito per partecipare ad una missione guidata da
Neville, ma ci sono stati degli imprevisti. Ora è ad Hogwarts. Tu-Sai-Chi
potrebbe scoprirlo e lo scontro sarebbe inevitabile. I membri dell’Esercito di
Silente hanno coraggio e talento, ma non possono combattere da soli una guerra
di tale portata: dobbiamo contattare tutti gli alleati che riusciamo a
rintracciare. Ho già inviato un gufo a Percy e a Charlie. » spiegò tutto d’un fiato,
poi guardò la nuora scusandosi di nuovo, « perdonami se approfitto della vostra
ospitalità, ma questo è il luogo più sicuro che conosco. »
« Non sc’è probloma.
»
rispose Fleur accomodante, poi Molly si alzò in piedi.
« Bill, non perdiamo tempo,
devo
informare Arthur. »
* * *
Draco Malfoy non poté fare a
meno di notare la velocità con cui Hermione aveva imparato la tecnica
dell’incantesimo: poteva anche avere trilioni di difetti, ma quando si trattava
di usare la magia, puntava alla perfezione.
Tuttavia, nonostante
compisse i
movimenti corretti e la pronuncia della formula fosse impeccabile, dalla sua
bacchetta non uscivano che miseri sbuffi di fumo.
« Non capisco dove ho
sbagliato…
» La sentì borbottare.
La ignorò. L’aveva spiegato
già
troppe volte qual era il suo errore: mancava di convinzione. Si vedeva lontano
un miglio che non faceva seriamente, che non voleva assumersi la responsabilità
di un’azione illegale.
E mentre lei si lamentava
inutilmente, lui esaminò la baita con attenzione. Aveva la sensazione che ci
fosse qualcosa fuori posto.
All’improvviso spalancò gli
occhi.
Ricordava perfettamente lo
spesso strato polvere che ricopriva il tavolo, ma…
S’avvicinò con una sola
falcata
ed emise un gemito, vedendo l’oggetto che era stato appoggiato sul legno.
Hermione si voltò verso di
lui
percependo lo stato di allarme e sbarrò gli occhi con lo stesso stupore: Malfoy
reggeva fra le mani il ritratto di Narcissa Black Malfoy.
Si girò a guardarla
minaccioso;
se lei non fosse stata abbastanza rapida l’avrebbe ricoperta di accuse.
« Non posso averlo portato
qui
io! » Prevenne.
Malfoy strinse le palpebre:
« E
come ci sarebbe arrivato!? »
« Non ne ho la più pallida
idea!
Come avrei potuto tornare a Londra e lasciarlo qui? È una Passaporta! » obiettò
pragmatica Hermione. Ne seguì una disarmante deduzione: « Qualcun altro deve
per forza averlo… »
Non aveva ancora finito di
parlare che Malfoy si era già precipitato all’esterno.
* * *
Neville, con ancora le
sembianze
della studentessa di Serpeverde, raggiunse i compagni che lo stavano aspettando
e, impulsivamente, Cho lo abbracciò.
« Ci hai messo un sacco di
tempo! Eravamo preoccupati! »
Lui, imbarazzato, l’
allontanò da
sé.
«
Sta attenta, » l’ammonì, « potrei non essere io. »
Cho si morse le labbra
vergognandosi del proprio errore. « Scusa, » mormorò, ma Neville non la stava
più ascoltando. Era distratto da George che lo fissava con sguardo ebete e
sporgeva in fuori il labbro inferiore.
« Cos’è successo, George? »
gli
chiese sospirando paziente.
« Posso abbracciarti anche
io? »
« No. »
George sbuffò. « Peccato.
Perché
se tu fossi più gentile, ti riferirei i messaggi che ho appena ricevuto… »
« Va bene, George, puoi
abbracciarmi. »
George gli saltò al collo
con
uno slancio talmente impetuoso che il corpicino minuto della ragazzina
barcollò.
Quando si separò, esordì
brillante: « Buone notizie! Innanzitutto, è nato Fred Junior. »
Pur essendosi già
congratulata,
Cho gioì di nuovo battendo le mani: « Oh, non è meraviglioso? »
Neville le fece segno
d’abbassare la voce, poi sorrise al neo-papà: « Congratulazioni! »
George ringraziò e riprese:
«
Appena te ne sei andato è arrivato anche un messaggio da Katie Bell; diceva che
verranno portati alla Sala Comune dei Serpeverde. Infine, Angelina ha detto
anche che sta arrivando una squadra di soccorso. »
Neville non parve troppo
contento della comunicazione. Era già difficile gestire il caos in cui erano
finiti.
« E tu cos’hai scoperto? »
gli
domandò Cho.
« Pessime notizie, » rispose
parafrasando George, « sono riuscito ad entrare nell’Ufficio del Preside. »
George esultò: « Ma questa è
un’ottima notizia! Grande Paciock! E la parola d’ordine? »
« È Rigor Mortis »
rispose Neville senza entusiasmo, « hanno tolto il quadro di Silente… che
vigliacchi! E… ho visto la Spada di Godric Grifondoro, solo che… c’era la
Preside - »
« La Preside? » interruppe
George basito (anche per lui era difficile pensare ad Hogwarts come una
scuola), « e chi sarebbe? »
Neville s’incupì e prese un
profondo respiro: « Bellatrix. »
I ragazzi si scambiarono uno
sguardo disgustato e preoccupato.
George distolse gli occhi
per
primo: sul galeone era appena arrivata una comunicazione da parte di Hannah
Abbott.
Siamo arrivati.
Siamo nel castello.
Non ebbe il tempo di
riferire il
messaggio. Riuscì soltanto ad intascare la moneta, poi le parole gli morirono
in gola.
Con occhi sbarrati guardò
alle
spalle di Neville che, a sua volta, si girò.
All’inizio del corridoio,
con un
sogghigno tronfio e malvagio, c’era lei.
Bellatrix
Lestrange.
« Beccati! »
* * *
N.d.A.
(*) La
studentessa Slytherin è un personaggio ovviamente inventato, ma ho voluto darle
un cognome noto (Warrington) per sottolineare la parentela con un Serpeverde.
(**) Gli
animali evocati con l’Incanto Patronus sono tutti inventati a parte il
cinghiale di Ernie. Non ricordo siano descritti nei libri e non ho trovato
altro al riguardo, quindi ho associato ad ognuno l’animale che mi sembrava più
adatto a rappresentarlo. Fatemi sapere se vi piace l’accostamento e se per caso
ho commesso degli errori!
(***)
Lo so
che le Giratempo erano custodite al ministero e sono andate distrutte… ma ho
immaginato, come poi accade sempre in ogni cosa, che fossero custodite solo
quelle “ufficiali”. Penso che dopotutto sia credibile che la famiglia Malfoy
possa possederne una, magari ereditata nei secoli e mai dichiarata,
eventualmente con potenzialità limitate… mhh… ho già detto troppo… =P
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Capitolo 29 *** Capitolo 29 - Ladri ***
Lost Memories - Capitolo 29
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
« Lo sceriffo si è preso tutto quello che avevamo! »
« E allora, in nome di Dio, ce lo riprenderemo. »
Dal film Robin Hood: principe dei ladri
Regia di Kevin Reynolds
* * *
Capitolo 29 – Ladri
Lungo lo stretto passaggio
trasversale che s’apriva sul corridoio principale del settimo piano Cho Chang
gridò sconvolta.
« Mi hai seguito! » esclamò
Neville mentre svaniva l’effetto della Pozione Polisucco e riprendeva la sua
normale fisionomia.
Bellatrix Lestrange rise arrogante.
« Seguito? Oh, è stato molto più facile! Un piano davvero astuto, il tuo,
Paciock, peccato che tu abbia trascurato un piccolo dettaglio: chi pensi che
sia l’insegnante di Arti Oscure? »
Neville era sbigottito: « Tu…
Sei tu?! »
Gli occhi della strega si
spalancarono colmi di soddisfazione: « Ah, Karin Warrington, » sospirò, « una
delle mie migliori studentesse! Per lei e pochi altri ho istituito un corso di
potenziamento intensivo… riesci ad immaginare anche dove tengo le lezioni? »
« Nell’Ufficio del Preside!
Maledizione! » imprecò George.
« Ottimo intuito per essere un
Weasley, » sghignazzò Bellatrix pungente, poi si rivolse di nuovo a Neville: «
Avevo appena concluso una lezione, e tu… (ah, che ingenuo!) Mi hai riferito
quello che ho visto con i miei occhi… è stato fin troppo banale capire… non ti
facevo così sprovveduto, dopotutto nelle tue vene scorre sangue puro! »
« Maledetta, » sibilò Neville fra i denti.
Bellatrix fece una risata
malvagia, ebbra di soddisfazione, il cui eco si propagò per tutto il corridoio.
« Preside. » disse fra sé
e sé, volgendo gli occhi al cielo, « mio Signore hai scelto un ruolo
perfetto per me! »
Cho Chang rabbrividì e sfoderò
la bacchetta per prepararsi allo scontro inevitabile.
Neville, il volto in fiamme,
strinse i pugni con rabbia.
Mentre Cho cercava di sedare la
paura e Neville si rimproverava per gli errori commessi, George ebbe una
folgorazione.
Senza farsi notare mise una mano
in tasca ed afferrò il galeone.
Distolse l’attenzione dal nemico e si concentrò
sull’Incantesimo, componendo con destrezza un messaggio per Hannah:
Ufficio
Preside vuoto.
Parola
d’ordine: Rigor Mortis
Prendete
la Spada!
Appena inviato il messaggio, si
concesse qualche istante per complimentarsi con se stesso.
Quella disattenzione gli fu
fatale.
Bellatrix scoccò la bacchetta
nell’aria. « Weasley! » rise, « farai la fine di tuo fratello! »
E così dicendo attaccò.
George non ebbe il tempo di
reagire. Colpito in pieno cadde a terra privo di sensi. La moneta gli sfuggì
dalle mani e rotolò lontano, perdendosi nell’oscurità del piccolo corridoio.
« NO! George!»
Cho fu velocissima: « Innerv -
»
« Silencio! »
La giovane Corvonero sentì la
voce sfuggirle dalla gola come risucchiata in un vortice, ma dalla sua
bacchetta partì comunque un lampo di luce che colpì George in pieno, e lei
sperò che l’incantesimo interrotto avesse ugualmente effetto.
L’ululato di Bellatrix rimbombò
tra le pareti un attimo prima che scagliasse un’altra fattura.
Neville protesse Cho evocando un
Sortilegio Scudo e con la coda dell’occhio scrutò George: il suo corpo era
inerme.
* * *
Le stanze di Villa Conchiglia
erano tutte molto piccole, per questo Bill aveva effettuato un Incantesimo di
Estensione Invisibile sulla camera degli ospiti, in modo che suo padre non
dovesse alzarsi dal letto per presenziare alla riunione. Sua madre, poi, con
l’aiuto di Fleur, aveva provveduto ad allestire un’elegante tavolata di
benvenuto, con bevande e stuzzichini che tutti i convocati avevano trovato
deliziosi.
Poco dopo l’accoglienza e i
saluti d’occasione, il clima del raduno divenne molto serio.
Arthur informò gli invitati(*)
della situazione; seguì una lunga discussione al termine della quale fu chiaro
a tutti che era necessario intervenire.
Si trattava solo di decidere
come.
Materializzarsi a Hogwarts era
notoriamente impossibile, anche se qualcuno sosteneva che, secondo fonti
imprecisate, qualche Mangiamorte fosse in grado di farlo.
Si scartò anche l’ipotesi di
raggiungere il Castello con le scope, individuabili e bloccabili con troppa
facilità.
Hestia Jones propose di
Materializzarsi nella Foresta Proibita, ma l’idea venne archiviata rapidamente
perché girava voce che proliferasse di creature asservite a Voldemort; inoltre,
Hagrid era certo che fosse pattugliata dai Giganti e che Greyback, con alcuni
suoi sottoposti, ne sorvegliasse strettamente il confine col Castello.
Horace Lumacorno era a favore
dei tappeti volanti: c’era un modello proveniente dall’Estremo Oriente in grado
di mimetizzarsi in volo insieme ai suoi passeggeri.
Il suo suggerimento venne preso
in considerazione.
« Ci vorrà troppo tempo per
procurarseli, » obiettò Sturgis Podmore.
Percy Weasley si espresse
categorico: « Io non intendo viaggiare con mezzi illegali. »
Aberforth Silente lo rimbeccò: «
Dobbiamo combattere contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e tu,
ragazzo mio, pensi di farlo utilizzando solo strumenti legali? »
« Certamente. Checché se ne
dica, resto ancora un impiegato del Ministero ed ho un onore da difendere. »
« Bene, allora offrici
un’alternativa. » Lo sfidò Kingsley
Shackelbolt.
Percy arrossì. « Beh, io pensavo
a qualcosa che ci porti tutti insieme direttamente all’interno del cortile. In
questo modo, se venissimo intercettati, potremmo aiutarci l’un l’altro… l’unione fa la forza, no? »
Suo padre lo scrutò valutando la
proposta. « A cosa pensavi esattamente? »
« Ecco… quando vivevo a Londra,
ho conosciuto una famiglia di maghi che possedeva uno di quegli oggetti
babbani… simili ad un Nottetempo a due piani… come si chiamano? Ah, double-decker(*). Un double-decker
stregato. Lo tengono nel giardino, completamente incustodito. Potremmo
prenderlo di notte e… »
« Parli di onestà e ci proponi
un furto! » ironizzò Aberforth.
Percy si difese: « Non si tratta
di un furto, è un semplice prestito. Ovviamente, lo restituiremo… »
La sua frase generò un acceso
dibattito e Arthur, aiutato da Molly, si alzò in piedi per chiedere il
silenzio. « Per me si può fare, » disse, « ricordo che mio figlio Ron, al suo
secondo anno di scuola, arrivò a Hogwarts guidando la nostra auto stregata… »
tossì imbarazzato, « non che ne vada orgoglioso, sia chiaro, ma in questo caso…
insomma… dobbiamo solo stare attenti al Platano Picchiatore… »
Qualcuno sorrise. Le sue parole
infusero coraggio ai presenti, che iniziarono ad essere sempre più convinti.
Arthur se ne accorse. « Prima di
mettere ai voti la proposta, » disse, « lasciate che vi ricordi che state
facendo questo per i vostri figli. »
« E i figli dei vostri figli, »
incitò Molly.
La proposta venne approvata
all’unanimità.
Nelle ore successive si
discussero i particolari del piano, poi Arthur congedò i presenti.
« Andate a casa e preparate
l’occorrente. Partiremo questa notte. »
Quando non rimase più nessuno,
Molly parlò al marito. « Partiremo? Caro, tu sei ancora convalescente e non ti
muoverai da qui. »
Arthur la guardò serio: « Non
essere testarda Molly, si tratta anche dei nostri figli. Non intendo
abbandonarli, non me lo perdonerei mai. »
Molly rifletté un istante. «
Perfetto. Allora verrò anch’io. » Lo sfidò guardandolo negli occhi.
Arthur non poté fare altro che
prendere atto della decisione.
Abbracciò la moglie, ammirandone
il coraggio.
« Ce la faremo, » disse lei fra
le sue braccia.
« Dobbiamo farcela. »
« Ce la faremo - ripeté Molly -
ne sono sicura. »
* * *
Harry corse verso Ginny in preda
all’angoscia. La chiamò e richiamò; quando la raggiunse si gettò in ginocchio e
le prese il viso fra le mani, pregandola di aprire gli occhi.
Riconoscendo la sua
vulnerabilità, il Mangiamorte, spietato, attaccò.
« Incarcerus. » ordinò
puntando l’arma su di lui.
Fermarlo, ma non ucciderlo.
Ordini superiori.
« Protego! » Gridò Harry
appena in tempo, vanificando l’attacco.
Lasciando Ginny a malincuore, si
alzò in piedi per contrattaccare.
« Stupeficium! »
Il Mangiamorte schivò
l’Incantesimo.
Nello stesso istante, Ron e Luna
comparvero sulle scale. Vedendo Ginny in terra priva di sensi, Ron si precipitò
giù e si gettò sulla sorella.
« Che cosa le è successo, Harry?
» domandò allarmato.
Anche se nelle sue parole non
c’era alcun rimprovero, Harry sentì una stretta al cuore come se fosse
unicamente colpa sua. Rimase a guardare l’amico con un nodo in gola.
Il Mangiamorte approfittò del
momento per sollevare la manica e tentare nuovamente di richiamare il suo
Signore.
Luna, ancora in cima alle scale,
comprese immediatamente le sue intenzioni.
« Glisseo, » ordinò
trasformando i gradini in uno scivolo per scendere più velocemente. Arrivò in
picchiata a terra, rotolò e si rimise in piedi in un baleno. Aveva i capelli
scarmigliati ed il mantello tutto attorcigliato intorno alla vita, ma la
bacchetta ben salda in mano.
« Stupeficium! » Replicò.
Il nemico ghignò con
superiorità. Era un mago malvagio e potente: non aveva alcuna intenzione di
farsi sconfiggere da uno Schiantesimo. Tuttavia dovette difendersi e di nuovo
non riuscì a contattare Voldemort.
Harry staccò per un attimo gli
occhi da Ron e Ginny; accorgendosi di quello che stava accadendo, raggiunse ed
affiancò Luna.
Schiantesimi ed Incantesimi di
Disarmo erano chiaramente inutili, così optò per qualcosa di più potente.
« Sectumsempra! »
Colto di sorpresa, il
Mangiamorte questa volta subì tutta la violenza del colpo. Brandelli di stoffa
volarono ovunque e schizzi di sangue macchiarono il pavimento e le pareti.
Innumerevoli lame gli lacerarono il cappuccio del suo mantello, scoprendogli e
sfregiandogli il volto.
Harry sobbalzò.
Come aveva intuito e temuto, era
Antonin Dolohov.
Ferito e dolorante, ma lungi dal
ritenersi sconfitto.
Harry e Luna utilizzarono
quell’attimo di tregua per voltarsi verso Ginny.
Ron era chino su di lei. « Aguamenti,
» disse bagnandole il viso con l’acqua.
Ginny si mosse e tentò di aprire
le palpebre e subito le richiuse infastidita dal getto d’acqua continuo che le
inondava il volto e le entrava in bocca e negli occhi.
« Ron, sei un imbecille! »
imprecò.
« Oh, scusa, » balbettò il
fratello realizzando di essersi completamente dimenticato di annullare
l’incantesimo.
« Ma, cos’altro avrei dovuto
fare, » si difese, « schiaffeggiarti? »
Ginny grugnì qualche insulto fra
i denti e si alzò in piedi. Un giramento di testa improvviso la colse e
barcollò.
« Rimani seduta, qui ci pensiamo
noi, » suggerì Ron apprensivo.
« Piantala, sto benissimo. » ribatté
lei, strizzandosi i capelli fradici e spostando l’attenzione sulla battaglia in
corso. Harry e Luna la stavano guardando colmi di gioia.
Imprudenti.
Dolohov colse al volo
l’occasione. Sollevò la manica del mantello e sfiorò, trionfante, il Marchio
Nero.
Ginny sbiancò.
« No! No! » urlò disperata.
Facendosi largo fra i compagni
sbigottiti, balzò nel mezzo del corridoio. La sua bacchetta fendette l’aria con
una potenza che avrebbe scalfito la pietra.
Gridò con tutto il fiato che
aveva in gola.
« Crucio! »
La Maledizione Senza Perdono colpì in pieno Dolohov che
aveva incautamente abbassato la guardia. Il suo corpo si dimenò nell’aria in
preda a violente convulsioni, per poi rovinare a terra.
* * *
Il cielo era talmente cupo, quel
pomeriggio, che su Hogwarts sembrava essere calata in anticipo la notte; il
Marchio Nero, enorme sopra al Castello, circondato da fitte nubi ed illuminato
da lampi verdi, sembrava ghignare vittorioso.
Draco Malfoy, però, non lo notò.
Uscì a grandi passi, calpestando
nervosamente il terreno, e girò attorno alla piccola baita, scrutando l’area ai
limiti del bosco come un segugio.
La deduzione di Hermione
conduceva ad una orribile realtà: chi aveva rubato e usato la Passaporta,
non poteva essere andato lontano!
Perlustrò tutta la boscaglia
nelle vicinanze senza trovare tracce, poi raggiunse il precipizio che si apriva
sulla valle.
E lì, finalmente, vide il ladro.
A pochi passi dal burrone, con le spalle rivolte alla
baita e lo sguardo alto nel cielo, era avvolto in un pastrano di panno scuro e
sembrava assorto in profonde riflessioni.
Draco s’immobilizzò ad alcuni
metri di distanza; sfilò la bacchetta magica da sotto il mantello e la puntò
verso di lui.
Lo sconosciuto si voltò.
Aveva percepito la sua presenza fin
dal primo istante, nonostante il ragazzo avesse osservato il silenzio più
assoluto.
Questo perché lo stava
aspettando da tempo.
« Chi sei? » ringhiò Draco.
La figura non rispose subito,
presa com’era dal turbinio di emozioni che l’aveva travolta appena lui era
arrivato. « Non mi riconosci? » chiese retorica, con un filo di voce, e si
tolse il cappuccio che fino a quel momento le aveva coperto il volto rendendola
irriconoscibile.
La luce verdastra del Marchio
Nero si riflesse nei suoi occhi scuri.
Draco Malfoy fece un passo
indietro, spiazzato.
« Pansy! »
La ragazza abbozzò un sorriso.
Draco abbassò la bacchetta. «
T-tu? Tu hai rubato il ritratto di mia madre?! »
« Sì, » ammise lei, « per
fermarti. Non puoi sconfiggere il Signore Oscuro, è troppo potente. »
Draco la guardò confuso.
Come poteva
conoscere i suoi progetti? E poi…
« Quando… hai ricordato? »
domandò.
« Non ho mai dimenticato, »
rispose Pansy.
Lui aggrottò la fronte, sentendo
crescere dentro di sé l’inquietudine. « Cosa intendi dire? » chiese scandendo
le parole nervosamente.
« Ho recitato, » spiegò Pansy, «
sono brava sai? Quando mi hai mostrato quel quaderno magico, ho finto di non
capire. » Era tranquilla, non sembrava volerlo sfidare o provocare in alcun
modo, ma lui non volle rilassare la mano che stringeva la bacchetta.
« Come… Come hai sciolto
l’Incantesimo di Memoria? »
Pansy scosse la testa. «
L’incantesimo era soltanto su di te. Io non ho mai perso i contatti con il
Mondo Magico. »
Le perplessità di Draco si
trasformarono improvvisamente in sospetti. « Allora cosa ci facevi a Londra? »
Pansy Parkinson inspirò profondamente: aveva atteso quel
confronto con ansia eppure, ora lo temeva.
« Io volevo solo… stare vicino a
te. »
Draco rimase senza fiato. Lei
proseguì:
« Durante la Battaglia di
Hogwarts, la professoressa McGrannit mi aveva ordinato di seguire Gazza e
andarmene, ricordi? Ma ero maggiorenne e potevo scegliere. Tu, Tiger e Goyle
avevate deciso di restare, e così sono tornata indietro. Ti ho trovato disteso
a terra, tossivi e faticavi a rialzarti, eri insieme a Goyle e non c’era
traccia di Tiger. Non mi sono avvicinata perché… non credevo ai miei occhi: tu
eri un Mangiamorte… cosa ci facevi con Potter, Lenticchia e la Sanguesporco? (*)
»
Draco ricordava quel giorno come
fosse ieri. Aveva combattuto contro Potter nella Stanza delle Cose Nascoste e,
paradossalmente, da Potter era stato salvato. Tiger aveva perso la vita tra le
fiamme dell’Ardemonio, mentre lui e Goyle volavano all’esterno su una scopa
guidata dallo Sfregiato.
In quel giorno, aveva perso
contemporaneamente ciò che aveva di più simile ad un amico, i genitori e
l’identità.
« Nel corridoio è esplosa la
battaglia – continuò Pansy – tu sei scappato e io ti ho seguito. Quando lo
scontro si è spostato all’esterno, ho visto i tuoi genitori entrare nel
Castello. Ti cercavano e ho detto loro dov’eri nascosto: Voldemort li stava
braccando e voleva anche te, ma loro avevano messo a punto quell’incantesimo
pazzesco, sembrava frutto di settimane di lavoro! Rimossero i tuoi ricordi
fornendoti una nuova vita, ma purtroppo non ebbero il tempo di allontanarti da
Hogwarts: il Signore Oscuro li trovò e non poterono fare altro che proteggerti
nel tuo nascondiglio. »
A quel punto, i ricordi di Draco
diventavano più vaghi.
Ricordava lampi, scintille, urla
e ruggiti; l’odore del sangue e della paura che lo paralizzava. Ricordava le
lacrime che gli rigavano il volto per un motivo apparentemente sconosciuto e
quel dolore sordo in fondo al petto, che non si era mai alleviato del tutto.
In quel giorno, aveva perduto
due volte la sua famiglia: uccisa per mano di Voldemort e dimenticata.
In realtà, non ricordava d’aver
assistito all’assassinio dei suoi genitori.
Non ricordava, ma sapeva.
L’unica cosa che non era mai riuscito
a ricostruire, era la sua fuga da Hogwarts.
Pansy chiarì quel dettaglio
senza che lui lo domandasse: « Sono stata io a portarti a Londra.
Nell’Incantesimo di Memoria c’erano le indicazioni della tua nuova residenza e
io non ho fatto altro che portarti dove tu stesso dicevi di voler andare. Mi
sono permessa di completare il lavoro fatto dai tuoi genitori cancellando dalla
tua mente anche quell’ultimo passaggio. »
A Draco non piacque per nulla
quella rivelazione. Il suo volto assunse un’espressione di disprezzo.
Pansy aveva sempre saputo tutto
e gliel’aveva tenuto nascosto. Aveva visto morire i suoi genitori e non era
intervenuta. S’era intromessa nel loro progetto senza alcun permesso e gli
aveva voltato le spalle, mentendogli, quando aveva bisogno d’aiuto. In quei due
lunghissimi anni, non aveva condiviso con lui nulla di ciò che era veramente
importante.
Tutto ciò che aveva fatto era
stato infilarsi nel suo letto.
Puttana.
« Perché sei venuta a Londra?
Sapevi che quello era il mio nascondiglio, avrebbero potuto seguirti e
rintracciarmi. » La rimproverò.
« Siamo in guerra, » spiegò lei,
« il Mondo Magico è diventato uno schifo, non vedi? Volevo stare con te e mi
sono trasferita definitivamente tra i babbani. »
« Definitivamente… » masticò lui,
sospettoso, « prima hai detto di non
aver perso i contatti con il Mondo Magico… »
Pansy si morse il labbro
inferiore.
« Intendevo dire che non avevo
perduto la memoria. »
« Bugiarda. »
Pansy tacque, sembrò soppesare
l’accusa. « Era difficile spostarsi tra Hogwarts e Londra. Diagon Alley era
sorvegliata, i Mangiamorte mi pedinavano, persino la mia famiglia aveva dei
sospetti. Non ce la facevo a starti lontano, e così, alla fine, ho accettato…
un compromesso. »
« Quale compromesso? » Domandò
Malfoy, ma si pentì immediatamente d’aver parlato.
Lei arrotolò la manica sinistra
del mantello tirandola fin sulla spalla e gli mostrò quello che considerava,
stoltamente, un compromesso.
Il Marchio Nero.
Draco si accorse di non poter
parlare. La sua voce si era volatilizzata.
« Con questo ho potuto muovermi
liberamente. Tu-sai-chi voleva Potter e io mi offrii per cercarlo fra i
babbani, dove alcuni sospettavano si nascondesse. » Spiegò, poi vide che lui
era impallidito e scuoteva la testa meccanicamente; cercò di tranquillizzarlo.
« Oh, non preoccuparti. Non ha alcun valore per me. È solo una copertura. Sono
persino riuscita a diventare uno dei suoi seguaci più affidabili e lui non ha
mai sospettato nulla. Nulla, ci credi? Sono brava a recitare, te l’ho
detto, vero? »
« Pazza. » Sfiatò Malfoy.
Pansy non l’ascoltò, aveva
un’espressione vacua sul viso, come se parlasse al vento e agli alberi del
bosco: « Senza memoria… Merlino! Eri così diverso, così debole. Tu avevi
bisogno di me. Il Lord Oscuro credeva che cercassi Potter, mentre invece
passavo il mio tempo con te, dovevo solo ricordarmi di nascondere il tatuaggio
con qualche intruglio babbano. Era tutto perfetto. Poi, all’improvviso,
sei diventato pensieroso, nervoso, assente e… quando mi hai mostrato il quaderno…
ho capito che avevi recuperato i ricordi e ho visto nei tuoi occhi il desiderio
di vendetta. Speravo che mentire sarebbe bastato a fermarti, però… »
Draco avrebbe voluto dire
qualcosa, ma riuscì solo a ringhiare.
Pansy mise una mano avanti per
chiedergli di tacere: aveva altro da dire. « Quando è comparso Lenticchia in
casa mia, con le sue stupide domande, mi è sembrata una Maledizione: senza
nemmeno cercarlo avevo trovato lo Sfregiato e allo stesso tempo ti stavo
perdendo. Ma non ho rinnegato la mia scelta. »
« Quale… scelta? » chiese Draco,
sentendosi gelare ad ogni parola che s’aggiungeva a quell’assurdo racconto.
« Fra te e il Signore Oscuro, »
rispose Pansy candidamente, senza rendersi conto che lui era sul punto di
esplodere.
Draco puntò la bacchetta contro
di lei: se Pansy era al servizio di Voldemort, non si sarebbe fatto scrupoli!
Lei alzò i palmi in segno di
resa: « Non capisci? Io ho scelto te fin dal primo momento, anche quando non
ricordavi nulla di noi. Con lui ho solo recitato. Solo che… quando ho visto… quella…
squallida… Sanguesporco… in casa tua… ho capito che dovevo
fare qualcosa. Lei ti stava portando via. Ti stava costringendo a tornare qui,
ti stava conducendo dritto al patibolo e tu… Oh! Come hai fatto a essere tanto
sciocco? Tu l’hai assecondata. Vi ho spiati mentre raggiungevate le
cantine ed usavate la Passaporta; al vostro ritorno, sono stata fortunata: eri
privo di sensi ed è stato facile prendere il quadro. Io… - Le ultime parole
divennero un bisbiglio - credevo che fosse il tuo unico passaggio per Hogwarts…
».
« E invece ti sbagliavi! »
Pansy guardò oltre le spalle di Draco e sbiancò.
Lui riconobbe subito un inconfondibile tono saccente e
lapidario.
Fece una smorfia, contrariato.
« Granger, dannazione, non t’intromettere! »
* * *
Il gruppo capeggiato da Hannah
Abbott aveva attraversato tutta l’ala ovest del Castello senza quasi incontrare
ostacoli. Lungo il percorso avevano trovato due Mangiamorte schiantati, ma
avevano proseguito senza curarsi di loro, certi che fossero vittime di uno
scontro con la squadra di Neville. Salendo al settimo piano avevano abilmente
evitato un curioso gruppetto di studenti, per farlo avevano dovuto lasciare la
via principale infilandosi lungo una stretta scala di servizio.
A causa della deviazione non
incrociarono Bellatrix, né si accorsero dello scontro che aveva ingaggiato con
Neville, George e Cho.
Una svolta imprevista che però
li aveva condotti esattamente di fronte all’ingresso della Presidenza.
Hannah si piazzò decisa davanti
al gargoyle e pronunciò la parola d’ordine, conosciuta grazie al messaggio di
George.
« Rigor Mortis. »
La statua si animò scostandosi
sulla sinistra; la parete si aprì sulla scala a chiocciola. Sui volti dei
ragazzi si dipinse un’espressione nostalgica, che rievocava gli anni di scuola
bruscamente interrotti dalla Guerra.
In fretta, salirono sui gradini
in pietra lasciandosi trasportare fin verso la grande porta in legno di
quercia.
Era aperta.
Con le ginocchia tremanti ed il
capo chino in segno di rispetto, entrarono nell’Ufficio che - per tutti loro -
era e restava di Silente.
Come George aveva preannunciato,
trovarono la stanza vuota. Dalle finestre filtrava la luce verdastra del
Marchio Nero, come a voler loro ricordare che non c’era tempo da perdere.
Ernie fece un passo avanti e
indicò, eccitato, la teca contenente la Spada di Godric Grifondoro.
« Prendiamola, svelti! »
Esclamò, ma non fece in tempo a muovere un passo.
Una voce lo fece impallidire.
Proveniva dal ritratto di Phineas Nigellus Black; appeso
esattamente sopra alla teca, lontano da tutti gli altri quadri.
« Intrusi! Intrusi in Presidenza! » diceva, ma più che un
grido d’allarme, era un lamento.
« Piantala Phin, » l’apostrofò
il ritratto di Dexter Fortebraccio, « non li riconosci? Sono studenti di
Hogwarts. »
Phineas aggrottò la fronte,
polemico: « Quale Hogwarts? Quella vecchia o quella nuova? »
« L’unica che sia mai esistita,
» rispose caustico Dexter Fortebraccio, « non ricominciare, Phin, ne abbiamo
già discusso a sufficienza. »
Phineas Nigellus borbottò
indispettito: era stufo dell’atteggiamento di superiorità che gli altri
ritratti avevano adottato nei suoi confronti da quando si era dichiarato
neutrale. Egli, infatti, pur non approvando l’operato di Voldemort, non vi si
era mai realmente schierato contro; anche perché, tutto sommato, non
disprezzava le caratteristiche della nuova scuola (disconosciuta dai colleghi):
soltanto ottimi allievi purosangue.
« Che cosa volete? » Domandò
burbero, volgendosi ai ragazzi.
Terry Steeval si fece avanti: «
Siamo qui per prendere la Spada di Godric Grifondoro, » rispose con aria di
sfida.
Phineas sghignazzò: « Bah, fate
pure, pivelli. »
Terry rimase leggermente turbato
dalla risposta, ma Ernie non attendeva altro. Girò intorno alla scrivania e
raggiunse la teca. L’aprì e cercò di sfilare la Spada dai supporti.
Non vi riuscì.
Una risata gongolante provenne
dal ritratto di Phineas.
« Hi-hi-hi. Incantesimo di
Adesione Permanente, » scandì l’ex-Preside, poi, con forte sarcasmo, chiese: «
Qualcuno di voi intrepidi ragazzi ricorda il contro-incantesimo?(**)
»
* * *
Gli occhi rosso fuoco del Signore Oscuro si spalancarono
per lo stupore. Le pupille si contrassero trasformandosi in fessure verticali. L’intero volto divenne un ghigno
elettrizzato di piacere ed egli mostrò i denti ed alitò compiaciuto.
Si avvolse nel mantello nero e
richiamò a sé Nagini; poi, con un movimento lento e flessuoso, agitò nell’aria
la potente Bacchetta di Sambuco e si Smaterializzò (***).
La chiamata che aveva appena
ricevuto proveniva da uno dei suoi migliori e più fedeli seguaci. Egli, come
ogni altro Mangiamorte, sapeva bene quanto fosse rischioso chiedere futilmente
il suo intervento e per nulla al mondo l’avrebbe infastidito.
C’era solo una cosa per cui
Voldemort poteva tollerare d’essere disturbato.
Harry James Potter.
Il Ragazzo Sopravvissuto.
* * *
N.d.A.
(*) Non ho
descritto tutti i convocati per non risultare noiosa e perché li citerò più
avanti. In generale, ho immaginato che fossero presenti i membri dell’Ordine
della Fenice, alcuni professori di Hogwarts e i Ministri non asserviti a
Voldemort.
(**)
L’Incantesimo di Adesione Permanente non ha un contro-incantesimo, solo chi lo
ha eseguito può staccare l’oggetto dalla base cui aderisce (in questo caso la
Spada dalla parete)… Per questo Phineas Nigellus Black fa tanto lo sbruffone.
(***) E’
chiaro che Voldemort non ha eliminato da Hogwarts gli incantesimi che
impediscono di Materializzarsi e Smaterializzarsi ma, essendo padrone della scuola,
li ha modificati in modo da poterli eludere (come fece anche Silente, se non
erro). Questo privilegio, leggerete più avanti, ce l’hanno anche alcuni suoi
fedelissimi.
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Capitolo 30 *** Capitolo 30 - Slave [Pureblood] ***
Lost Memories - Capitolo 30
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
They say
that I must learn to kill before I can feel safe,
but I,
I rather kill myself then turn into their slave.
The Rasmus, In the shadows
* * *
Capitolo 30 – Slave [Pureblood]
Angelina strinse a sé il piccolo
Fred Weasley Junior da poco venuto alla luce, addormentatosi beatamente fra le
sue braccia. Era spossata dalle fatiche del parto, ma sentiva che avrebbe
potuto stare sveglia per ore ad ammirare quel fagottino dagli sparuti capelli
rossicci e dalle manine minuscole.
Inoltre, c’era un pensiero che
l’assillava e le stringeva la gola.
George non aveva ancora risposto
al suo messaggio.
Non era affatto un buon segno.
* * *
Ernie si voltò indietro a
guardare scoraggiato Hannah e i compagni: era chiaramente impossibile prelevare
la Spada di Godric Grifondoro, vincolata alla parete dall’Incantesimo di
Adesione Permanente.
« Che facciamo? » domandò
sperduto.
Padma provò a rimuovere i
tasselli della parete in cui erano stati inseriti i supporti, ma scoprì che anch’essi
erano protetti dallo stesso incantesimo.
Justin propose di far esplodere
la parete, ma nessuno si volle assumere la responsabilità di distruggere (o
almeno tentare) parte della Presidenza, nemmeno lui stesso.
Dopo una serie di altre assurde
e impraticabili proposte, calò un silenzio carico di delusione; finché, dalla
propria cornice, l’ex-preside Dylis Derwent tossicchiò.
« Hem, Dexter… » disse
rivolgendosi al collega che capeggiava l’insolita coalizione di ritratti, « mi
permetti di suggerire ai ragazzi una cosuccia? »
Dexter Fortebraccio annuì: «
Certamente Dylis. »
Dylis si rivolse all’Esercito di
Silente con il tono pedante di docente: « Vedete lo scaffale laggiù, ragazzi? -
attese che tutti si voltarono - da sempre, là viene tenuto il Cappello
Parlante… è un po’ malconcio ora, e non funziona più come una volta - sospirò
- classifica solo Serpeverde, ma vale
la pena tentare… »
Lasciò la frase in sospeso, ma
gli occhi di Hannah s’illuminarono. Rapida, corse allo scaffale e lo aprì,
afferrando avidamente il Cappello Parlante.
Alle sue spalle, Phineas
provocò: « Dylis, tesoro, dimentichi che il trucchetto funziona solo con un vero
Grifondoro, e qui chi abbiamo? » Passò in rassegna i ragazzi con sguardo torvo
e si fermò sull’unica appartenente alla
Casa. Sollevò un sopracciglio. « Non vorrai farmi credere che la ragazza - Calì divenne paonazza - ha le
caratteristiche giuste! »
Hannah raggiunse Calì a grandi
passi: « Lo vedremo! » ribatté orgogliosa, mettendo il Cappello sulla testa
dell’amica senza che ella potesse obiettare alcunché.
La grande visiera bruciacchiata
e consunta coprì gli occhi di Calì riportandola all’improvviso indietro nel
tempo. Nei secondi che seguirono, si ritrovò a lottare con le lacrime
incipienti, mentre i compagni attendevano trepidanti che il Cappello smentisse
il ritratto di Phineas Nigellus.
Non accadde nulla.
All’esterno.
All’interno della tela, il
Cappello Parlante emise la sua inaspettata, quanto umiliante, sentenza: «
Merlino, » borbottò, « come siamo caduti in basso, tu non sei all’altezza di
questa scuola! »
Calì se lo sfilò immediatamente,
indignata e ferita, ma contenta che nessuno avesse sentito quelle parole.
« Io sono una vera Grifondoro! »
Berciò al cappello.
Hannah glielo tolse di mano.
« Non preoccuparti, Calì. Funzionerà al momento giusto, »
disse inforcando rapidamente l’uscita.
* * *
Bellatrix duellava contemporaneamente con Neville e Cho,
tenendo testa a entrambi. Scattava con destrezza da un lato all’altro del
corridoio rispondendo agli attacchi con furia crescente.
Cho aveva recuperato la voce
grazie all’aiuto di Neville, ma la sua offensiva diventava man mano meno
efficace; Bellatrix non le lasciava il tempo di lanciare fatture,
costringendola ad arretrare e difendersi in modo estenuante. Evocava protezioni
senza sosta; gocce di sudore le imperlavano la fronte e i capelli finissimi
s’appiccicavano al viso obbligandola, tra un incantesimo e l’altro, ad
allontanarli freneticamente dagli occhi.
Neville si voltava continuamente
indietro a esaminare George sperando che si rialzasse, ma lo scontro era
talmente intenso da non lasciargli nemmeno il tempo di chiamarlo per nome.
Improvvisamente (aveva appena
evocato l’ennesimo Sortilegio Scudo) un lampo di luce brillò alle sue spalle,
gli passò fra le gambe e, saettando rasoterra, colpì in pieno Bellatrix.
La strega gridò di rabbia mentre
le sue gambe iniziarono a danzare incontrollate e inarrestabili.
Neville e Cho si volsero
indietro raggianti.
George si stava alzando in
piedi: « Trantallegra! » ridacchiò soddisfatto.
Non ebbe il tempo di aggiungere
altro.
Bellatrix aveva già effettuato
il contro-incantesimo ed era di nuovo pronta a combattere.
Lo scontro riprese a un ritmo
serrato, ma questa volta i ragazzi si sentivano mille volte più forti perché
potevano contare su un terzo, valido, compagno.
George era il più audace; meno
stanco degli altri, attaccava nei modi più imprevedibili, dando filo da torcere
alla strega che, sorpresa dalle sue mosse, perdeva secondi preziosi per
difendersi.
Cho era la più razionale: si
occupava della difesa, proteggendo i compagni con tempismo perfetto.
Neville, sorprendentemente, era
il più aggressivo. Utilizzava incantesimi complessi e sofisticati, a un tratto
tentò perfino una Maledizione Cruciatus.
Fallì.
Bellatrix lo derise. « Sei patetico, Paciock! Devi volerlo
veramente, devi desiderare di uccidermi! E dire che sei un Purosangue,
il Signore Oscuro avrebbe fatto di te uno dei suoi migliori seguaci!»
« Non un seguace, uno schiavo! »
ruggì Neville con spregio.
A quelle parole Bellatrix
scoppiò a ridere forte.
Una risata grassa, cupa e
spaventosamente folle.
* * *
Hermione aveva seguito Malfoy
nella caccia al ladro mantenendo una distanza che le aveva permesso di
nascondersi appena Pansy si era rivelata. In silenzio, schiacciata contro la
parete di legno della baita, aveva origliato la discussione fra i due
Serpeverde ed era uscita allo scoperto soltanto perché si era resa conto d’aver
intuito qualcosa che Malfoy non aveva ancora compreso.
Con logica e deduzioni proprie
d’un autentico detective, si rivolse a Pansy Parkinson.
« Dopo aver rubato il ritratto,
hai temuto che Malfoy decidesse di andare a Diagon Alley. Quando io sono
tornata - mio malgrado - alla Villa, tu eri là, da qualche parte a spiarci, e
hai creduto di poter bloccare ogni via d’uscita chiudendoci in biblioteca, »
affermò sicura, « ma il tuo tentativo è fallito: noi siamo fuggiti grazie alla
Ricordella (che io, previdente, avevo conservato), e così hai pensato di usare
questo! »
Malfoy guardò Hermione e
spalancò gli occhi.
La Ricordella?
Ecco cos’era quel pensiero che
non era riuscito ad afferrare leggendole la mente!
La Ricordella, diamine, dov’era
ora?
Hermione alzò davanti al viso il
ritratto di Narcissa Black Malfoy, tenendolo con cautela per non attivare la
Passaporta.
« L’unico strumento che avevi
per seguirci! » concluse trionfante.
Pansy Parkinson non riuscì a
ribattere.
Le girava la testa.
Vedere in quel luogo la scomoda
compagna di scuola aveva acceso in lei una bruciante gelosia.
Immotivata. Pensò
Hermione Granger.
« Forse non hai sentito bene:
non devi intrometterti Sanguesporco! » la insultò Pansy, ripetendo l’ordine che
Draco aveva appena impartito alla Grifondoro.
Cercò l’approvazione negli occhi
del ragazzo, ma vi trovò una freddezza che le diede i brividi.
Draco stava ricordando tutte le
volte che Pansy gli aveva mentito e, anche se la verità era ormai venuta a
galla, sentiva che qualcosa era stato omesso.
Pansy si angosciò nel vederlo
così gelido.
Mentendogli, lo aveva deluso.
Rubando il ritratto di sua madre
e violando quel nascondiglio, l’aveva offeso.
« Io… » la sua voce si ruppe in
un singhiozzo che chiedeva pietà, « io… ero disperata, Draco. Cerca di capire, dovevo
trovarti. Sapevo che saresti tornato qui, prima di andare da lui. »
Draco tirò le labbra in una
smorfia: se era tornato lì a perdere tempo, la colpa era solo di Hermione…
Destino beffardo, Pansy!
Fece appena in tempo a pensarlo
che Hermione parlò. « C’è dell’altro… »
Pansy le lanciò un’occhiata di
fuoco.
Anche Draco si voltò a
guardarla. Un sospetto gli attraversò la mente. Trattenne il respiro.
Hermione sostenne lo sguardo di
entrambi con fierezza. Gli occhi le brillavano d’orgoglio per la proprie
capacità deduttive. « Anche la Maledizione che impediva di usare la magia
all’interno di Villa Malfoy è opera tua. È Magia Nera, vero? » asserì « Oh, non
rispondere, ne sono sicura, altrimenti l’avrei trovata sull’Enciclopedia. »
Pansy indietreggiò.
Terrorizzata. Muta.
Stava perdendo tutto.
Per colpa di una vile, meschina,
insidiosa, Sanguesporco!
« E’ vero quello che dice? »
ringhiò Malfoy.
Il suono sordo delle sue parole
la scosse.
« Pensavo… credevo che… senza la
Magia… tu… fossi al sicuro » La disperazione le spezzava la voce.
Lui era fuori di sé: « Come hai
potuto farmi una cosa del genere? »
Pansy sollevò le spalle, come se
la risposta fosse ovvia: « Io… ti amo. »
Lui, che dell’amore sapeva ben
poco, si ribellò con tutto se stesso a quell’affermazione. Aveva conosciuto
quel sentimento soltanto attraverso i suoi genitori e, nonostante fosse intriso
del fanatismo di suo padre e della vanità di sua madre, lo sentiva fin dentro
le ossa che l’amore è libertà.
Pansy, invece, non aveva fatto
altro che inchiodarlo ad una realtà che odiava.
E, ai suoi occhi, questa era
violenza.
Era follia.
Lei aveva le lacrime agli occhi:
« Volevo solo proteggerti…»
« Proteggermi?! E da cosa? »
gridò.
Davvero, lui non riusciva proprio a immaginare
quali pericoli si celassero nell’insulso mondo babbano!
« Temevo che il Signore Oscuro
volesse ucciderti, se avesse scoperto che eri ancora vivo… »
« Bugiarda! Tu sei al suo
servizio: non puoi ingannarlo. Non hai il fegato per farlo! »
Sapeva bene quello che stava
dicendo. Ricordava come fosse ieri il terrore che l’aveva paralizzato ogni
volta che aveva desiderato di poter sfuggire al proprio, ingrato, compito ed
evitare l’assassinio di Silente.(*)
Pansy fece un sorriso amaro: «
Quando ha iniziato a sospettare della mia lealtà, ho dovuto confessare d’averti
rintracciato. Ma… non temere… mi ha rivelato di volerti offrirti una seconda
opportunità: vuole che sia io a riportarti a lui, ma non come prigioniero, come
suo seguace. »
« Smettila di ostacolare la mia
vendetta! »
« Tu non capisci, Draco. Se ti
opponi a lui, sei destinato a perdere. Tornare al suo servizio è l’unica
possibilità che hai per salvarti! »
Subito dopo aver parlato, Pansy
s’immobilizzò apparentemente senza motivo.
Hermione, rapita dalla
discussione concitata, non si era accorta che il Marchio Nero aveva iniziato a
muoversi sul suo braccio: la serpe s’agitava viscida e disgustosa attraverso il
macabro teschio.
Preoccupata guardò Draco. Era
pallido e tremava. La fronte era madida di sudore. Il suo sguardo era proiettato
nel vuoto, oltre la vallata, oltre l’orizzonte.
Pansy si rivolse a Draco con un
sorriso amorevole e allo stesso tempo spaventato. « Ci sta chiamando, lo senti?
»
Draco non rispose. Era
paralizzato dalla paura.
Pansy non poteva saperlo, mentre
Hermione lo capì subito: non aveva dimenticato quello che era accaduto nella
Stanza delle Necessità.
« Malfoy, non ascoltarla. » Intervenne, « lui non può sapere dove
ti trovi ora. »
Pansy le lanciò un’occhiata
minacciosa, di quelle che si riservano ai rivali più temuti. Poi incalzò: «
Draco, ti prego, vieni con me. Il Lord Oscuro mi ha promesso che non ti farà
del male, e io sono fra i suoi seguaci più fedeli. Non guadagna nulla ad averti
come nemico: conosce le tue abilità e ti rivuole come Mangiamorte. »
Draco era perso in un silenzio
estemporaneo e Hermione s’arrogò il diritto di parlare al posto suo: « Ha già
fatto la sua scelta, lascialo in pace. »
Pansy indicò Hermione, ma non
distolse lo sguardo dal Serpeverde: « E’ per lei, vero? Merlino, chi l’avrebbe
detto che saresti caduto così in basso? » storse le labbra in un’espressione di
disgusto, poi si strinse nel mantello, consapevole di non poter tardare ancora.
Hermione puntò la bacchetta
contro di lei. « Dove credi di andare? » domandò sarcastica, alludendo a quella
radura, isolata dal resto del mondo.
Pansy le mostrò un ghigno amaro,
compiacendosi di quella misera vittoria. « Allora non hai capito Sanguesporco:
io godo di privilegi che a te non saranno mai concessi! »
E così dicendo, si Smaterializzò.
Hermione sapeva bene che ad
Hogwarts non era possibile farlo, e rimase basita a fissare il punto da cui lei
era scomparsa.
In quello stesso istante, Malfoy
sembrò riprendersi dal terrore che l’aveva afflitto.
Imprecò al vento un paio di
volte, poi raggiunse Hermione e, senza che lei riuscisse ad opporsi, l’afferrò
per un braccio e la strattonò verso la baita a grandi passi.
Lei incespicò, dolorante. «
Malfoy! Ahi, mi fai male! Aspetta, che vuoi fare? » Sbraitò mentre lui la
trascinava all’interno del rifugio « Non avrai in mente di… Non puoi
affrontarlo! »
Lui ignorò ogni sua lamentela.
Quando si fermò davanti al
caminetto, le passo un braccio intorno ai fianchi e l’afferrò saldamente in
vita.
Lei aveva l’orrore dipinto negli
occhi: « Malfoy, no! Non abbiamo un piano! »
In tutta risposta lui la
trascinò contro di sé e avvicinò le labbra al suo orecchio: « Questo è il
piano, Granger: - mormorò sarcastico - smettila di frignare e fa’ come che ti
dico. »
Lei riconobbe a stento la sua
voce. Non era mai stato tanto determinato.
Lui la spinse verso il focolare:
« Entra, » ordinò.
Hermione si ancorò a terra
protestando contrariata. Lui allora la sollevò di peso e mentre si dimenava
gettò una manciata di Polvere Volante nel camino.
« Sala Comune dei Serpeverde. »
* * *
Da quando Voldemort si era
insediato a Hogwarts, la Sala Comune dei Serpeverde non era più il punto di
riferimento per gli studenti della Casa, ma era diventato il luogo di ritrovo
dei Mangiamorte convocati dal Signore Oscuro.
Era stata abolita la parola
d’ordine e per entrare nella stanza era necessario mostrare il Marchio Nero
tatuato sul braccio.
L’ingresso e il camino, uniche
vie d’accesso, erano sorvegliati a rotazione dai maghi nel Castello.
Era il turno di Antonin Dolohov,
il quale, però, si era allontanato insospettito dal frastuono all’arrivo di Harry e Ginny e non era più
tornato.
Nessuno lo sostituiva in
quell’importante compito.
Per questo, quando Anthony,
Micheal e Alicia attraversarono il camino, trovarono la stanza deserta.
Il basso soffitto in pietra le dava un
aspetto lugubre e spaventoso, lampade verdastre penzolavano dall’alto,
proiettando inquietanti ombre sulle pareti spoglie.
Di fronte al camino c’era l’ingresso
ufficiale alla Sala Comune, mentre a sinistra una lunga tenda di velluto
smeraldo separava il passaggio ai dormitori. A destra, sotto le vetrate dal
riflesso glauco, una cassapanca costeggiava la parete più corta. Non c’erano
poltrone, né divani, l’unico arredo rimasto invariato era un enorme tappeto
verde e argento posto fra il camino marmoreo e un ampio tavolo in legno
massiccio, sopra al quale si allungavano possenti catene stregate.
Un odore acre era diffuso
nell’aria.
In quella stanza Voldemort e i
suoi seguaci punivano e torturavano maghi innocenti, colpevoli d’essersi
opposti al loro potere e d’aver scelto la via della giustizia.
I tre ragazzi rabbrividirono
udendo una serie di passi frettolosi e confusi attraversare il soffitto sopra
le loro teste. Pensarono immediatamente ai compagni prigionieri di Yaxley e
Travers, e cercarono un posto dove nascondersi per sfruttare al meglio il loro
vantaggio e cogliere di sorpresa i carcerieri.
Scelsero di infilarsi dietro la
pesante tenda, lungo il buio corridoio che in passato conduceva ai dormitori.
Protetti dall’oscurità,
sobbalzarono quando videro esplodere, all’improvviso, una densa nube di fumo
verdognolo nel camino dal quale erano venuti.
Si schiacciarono gli uni contro
gli altri, senza fiatare, le bacchette sfoderate e strette in pugno.
Chi altri
utilizzava quel passaggio?
Pian piano la nube si dipanò
lasciando intravedere i nuovi arrivati.
Erano Draco Malfoy ed Hermione
Granger.
Alicia si lasciò sfuggire un
grido.
In altre circostanze, Anthony
avrebbe ripreso la compagna avventata, ma la situazione di pericolo in cui
versava Hermione Granger richiedeva un intervento tempestivo.
Senza pensarci un secondo, saltò
fuori dal nascondiglio e aggredì il Serpeverde.
« Lasciala andare! »
Malofy indietreggiò sorpreso.
Alicia e Michel affiancarono
Anthony per dargli manforte.
Malfoy ricordò che i tre non
sapevano d’aver raggiunto il Castello insieme a lui, nascosto sotto le
sembianze di Dennis Canon; sapevano soltanto di essere di fronte a un
Mangiamorte.
Estrasse la bacchetta per
difendersi, poi ebbe un’idea migliore.
Con una mossa sfrontata afferrò
Hermione per le spalle e si nascose dietro di lei, usandola come ostaggio.
Lei, che stava per prendere la
parola e tranquillizzare i compagni ritrovati, gridò isterica: « Malfoy, razza
di vigliacco! Che cavolo stai cercando di fare?! »
In tutta risposta, lui le mise
la punta della Bacchetta sotto il mento: « Provate a muovere un muscolo e la
maledico! »
Michael digrignò i denti e fece
un passo avanti, ma Anthony lo trattenne.
« Siamo tre contro uno, Malfoy.
Libera Hermione e ti lasceremo andare. » Negoziò.
Hermione si dimenò, nervosa e
contrariata, senza riuscire a svincolarsi dalla stretta dell’infido Serpeverde.
Voleva spiegare ai compagni la situazione, ma d’un tratto l’aria nella Sala
divenne pensante, quasi irrespirabile.
Un vento innaturale s’alzò
intorno ai presenti. Un terribile presagio rubò loro la voce.
Nei pressi della cassapanca si
materializzò una figura ammantata, accompagnata dal sibilo terrificante di un
serpente.
L’ombra aprì il mantello che
l’avvolgeva come fosse un paio d’ali, e la luce vibrante delle lampade verdi ne
illuminò il volto deforme.
Gli occhi sanguigni del Signore
Oscuro si spalancarono sulla stanza ed egli emise un soffio di stupore, misto a
disgusto.
Nel silenzio e nell’immobilità
assoluti, passò in rassegna i ragazzi atterriti, inspirando a pieni polmoni
l’odore della loro paura.
Li scrutò uno ad uno.
Alicia Spinnet… Grifondoro.
Anthony Goldstein… Corvonero.
Michael Corner… Corvonero.
Hermione Jean Granger…
Sputò in terra nauseato.
Sangue Sporco.
In ultimo, il suo sguardo si
posò, con inaspettato piacere, su Draco Malfoy.
Serpeverde.
Mangiamorte.
« Molto bene... » sibilò con
voce serica e tono sarcastico, « gli scolaretti negligenti sono tornati ad
Hogwarts! »
* * *
N.d.A.
(*) Ho immaginato che Draco
abbia cercato inizialmente, almeno con l’immaginazione, di poter eludere con
l’inganno l’ordine di uccidere Silente.
|
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Capitolo 31 *** Capitolo 31 - Grifondoro e Serpeverde ***
Lost Memories - Capitolo 31
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
« È stato il Cappello Parlante ad assegnarti a Grifondoro,
no?
E Malfoy dov’è finito? In quella fogna di Serpeverde... »
J. K. Rowling, Harry Potter e la Pietra
Filosofale
(Harry a Neville, cap. 13)
* * *
Capitolo 31 – Grifondoro e
Serpeverde
Su
Hogwarts stava calando la sera e con essa il gelo.
Fenrir
Greyback fiutò l’aria: c’era odore di neve.
In
quell’inverno, freddo e ghiaccio erano senza fine, ma a quelli come lui il
tempo meteorologico non interessava. L’unico fastidio era dato dalle nubi fitte
e scure che ricoprivano il cielo, nascondendo l’orizzonte, le stelle, la Luna.
Il
licantropo alzò gli occhi e aguzzò la vista esplorando un punto lontano nella
volta celeste, nel quale i fulmini emessi dal Marchio Nero illuminavano a
intermittenza un oggetto volante d’origine ignota. Pensò a qualche assurdità
babbana che, temeraria, attraversava l’atmosfera plumbea; un rombo accompagnava
il suo passaggio.
All’improvviso
distolse l’attenzione dal velivolo e si voltò.
Mostrò
i canini, minaccioso, al Ghermidoreche l’aveva
avvicinato alle spalle troppo silenziosamente.
Il
sottoposto arretrò.
«
Degli intrusi sono entrati nell’ala nord del Castello. Ordinano di tenere gli
occhi aperti, » riferì.
Greyback
sbuffò seccato.
A
lui e al suo esercito mercenario spettava la sorveglianza del confine fra
Hogwarts e la Foresta Proibita; essendo Magiamorte di basso livello, era
tagliato fuori da qualsiasi cosa accadesse dentro al Castello; le comunicazioni
arrivavano con ritardo e, a volte, non arrivavano per nulla. Nonostante questo,
era certo di svolgere il proprio lavoro in modo impeccabile, se confrontato con
l’incapacità dei maghi che vivevano all’interno.
«
Quanti sono? » Domandò senza interesse.
«
Meno di una decina, ma potrebbero arrivarne altri. »
Greyback
ricordò che alcuni giorni prima erano stati catturati dei ribelli.
«
Tenteranno di liberare i prigionieri. »
Il
Ghermidore annuì. Poi, d’un tratto, indicò il cielo alle spalle del lupo
mannaro.
«
Che roba è? »
Greyback
si girò e corrugò la fronte, tentando invano di classificare l’enorme bolide
che pochi istanti prima sfrecciava attraverso le nubi più alte, e che ora stava
precipitando verso il cortile.
Se
avesse avuto un minimo di cultura babbana, avrebbe riconosciuto il classico double-decker
londinese, ma a Greyback non interessava capire la funzione di quella scatola
metallica, né tantomeno l’origine: doveva arrestarne comunque la caduta.
Lanciò
un incantesimo che colpì l’autobus sul fianco posteriore, tracciando un grosso
sfregio lungo la carrozzeria scarlatta.
Il
double-decker barcollò.
Al
suo interno vi fu un vociare agitato mentre Arthur Weasley, che era alla guida,
picchiettò con la bacchetta magica sul grosso volante per mantenere la rotta.
Molly, in piedi al suo fianco, si aggrappò a una sbarra ed evocò uno Scudo
intorno all’autobus.
«
Come si fa atterrare questo coso?! » domandò Arthur a voce alta,
cercando di rallentare la folle discesa.
«
Parcheggiare… » lo corresse Percy.
«
Come? » ribatté Arthur, concentrato in una serie di complesse manovre per
evitare la raffica di maledizioni provenienti da terra.
«
Si dice parcheggiare, avresti dovuto dire: “come si fa a parcheggiare
questo coso” » precisò il figlio.
«
Non è il momento di essere pedanti, Percy! » Lo rimproverò Molly. « Dacci una
mano! »
Percy,
con leggero disappunto, fece un incantesimo per rallentare la discesa, ma
l’effetto arrivò troppo tardi: il veicolo arrestò la propria corsa
conficcandosi nel terreno, penetrandolo di diversi centimetri e lasciando
dietro di sé un grosso e lungo solco.
Nel
frattempo una decina di Ghermidori aveva raggiunto Greyback per dargli man
forte e una pioggia di maledizioni s’abbatté sull’autobus.
Bill
Weasley raggiunse a grandi passi il padre al volante e guardò oltre il
parabrezza.
«
Greyback! » Ruggì. Poi si voltò verso i compagni di viaggio: « Lasciatelo a me!
» ordinò, « ho un conto in sospeso con lui! » E così dicendo, spalancò le porte
ed uscì.
Una
sferzata di vento gelido penetrò all’interno dell’autobus.
Molly
era allarmata più che mai: « Per Merlino, Arthur, fermalo! »
Arthur
era già in piedi e con un balzo scese nel cortile della scuola e rincorse il
figlio.
Percy
lo seguì.
«
Andiamo! » disse affiancando la madre. Un attimo prima di uscire si rivolse
agli altri passeggeri: « Conoscete tutti il piano, signori. Buona fortuna! »
* * *
Hannah Abbott uscì dall’ufficio del Preside a passo di
marcia seguita dal resto della squadra: dovevano trovare Neville al più presto.
Una volta scese le scale,
decise
di svoltare a destra percorrendo il grande corridoio che inizialmente aveva
evitato, ma che ora sembrava deserto; avanzò con cautela costeggiando la
parete.
All’improvviso si udì una
violenta esplosione proveniente da una galleria trasversale, il cui ingresso
era situato diversi metri più avanti.
Il gruppo si
fermò.
Al frastuono seguirono una serie di lampi che illuminarono
l’intero corridoio e il pavimento vibrò.
Non c’erano dubbi sul fatto
che
fosse in corso una battaglia.
Vi fu un grido terrificante,
poi
uno scoppio. Saette bianche schizzarono fuori dall’ingresso della galleria.
L’incantesimo era
inequivocabile: Maledizione Cruciatus.
Il corpo di un mago, colpito
dalla Maledizione senza Perdono, dopo aver compiuto in aria un’ampia parabola,
si schiantò a terra nel centro del corridoio accompagnato da un acuto grido di
dolore.
Hannah inorridì.
Era Neville.
Padma rimase impietrita di
fronte alla violenza dell’incantesimo, mentre sua sorella gridò di terrore.
Terry Steeval le tappò la
bocca
e la rimproverò, ma Calì non era l’unica ad aver perso il controllo.
Hannah si era messa a
correre
per raggiungere Neville, sbatacchiando senza alcuna cura il vecchio Cappello
Parlante che stringeva in mano.
Ernie la inseguì nel vano
tentativo
di fermarla.
Nemmeno l’uscita di
Bellatrix
Lestrange arrestò la loro corsa.
Era sbucata all’improvviso
dalla
galleria come una leonessa affamata, continuando a torturare Neville con
spietata crudeltà. Il ragazzo, accasciato a terra, si contorceva dal dolore
sotto gli occhi atterriti e impotenti degli amici.
« Ti farò perdere il senno,
Paciock! » Gridava la strega, « Farai la fine dei tuoi inutili genitori! »
Neville aveva la gola in
fiamme
e gli arti brucianti di dolore, ma quelle parole lo resero furente; con uno
sforzo fuori dal comune si sollevò carponi nonostante l’incantesimo lo tenesse
ancora prigioniero. Un violento conato di vomito lo colse, ma non lo fermò.
Alzò sul nemico uno sguardo colmo d’odio.
« Pagherai caro tutto quello
che… » la rabbia lo soffocò con prepotenza.
Bellatrix reclinò
leggermente il
capo e sgranò gli occhi, la bocca socchiusa in un’espressione tanto infantile
quanto maligna: « Non dirmi che vuoi vendicare mamma e papà… » cantilenò.
« Frank e Alice Paciock… sapevano quello
a cui andavano incontro rifiutandosi di collaborare… glielo ripetemmo così
tante volte… sapevano perfettamente che tu ne avresti pagato le
conseguenze, sapevano - »
« Sapevano che li avrei
amati
comunque! » berciò Neville tra i denti.
« O forse non ti volevano
abbastanza bene… »
Quella meschina insinuazione
lo
accecò. Ignorando il dolore si alzò in piedi, ma il suo corpo non resse allo
sforzo: perse l’equilibrio e barcollando arretrò di alcuni passi; la parete
alle spalle gli fece da sostegno.
« Marcirai… in una fredda
cella
di Azkaban… hai la mia parola! » Ringhiò stringendo la bacchetta.
Bellatrix gettò la testa all’indietro ed esplose in una
violenta risata: « Ti servirà ben più che quel faccino indignato per
sconfiggermi, Paciock! Non vedo nei tuoi occhi il desiderio di uccidermi! »
Neville, allo stremo delle
forze, si sollevò dalla parete e la guardò negli occhi con una tale sicurezza
che la strega s’incupì.
« Ancora… non hai capito: -
ansimò - io non sono come te! »
L’istante dopo crollò in
ginocchio.
Bellatrix rise sprezzante: « Ah, che delusione, Paciock!
Sei soltanto un innocuo e sprovveduto Grifond - »
Non concluse la frase. Spalancò gli occhi e all’improvviso
il suo corpo divenne cemento.
Hannah Abbott, il volto serio e determinato, l’aveva
pietrificata usando un incantesimo non verbale; poi si era gettata ai piedi di
Neville. Con lei c’erano i compagni dell’Esercito.
Neville cercò di alzarsi e
Hannah lo aiutò offrendogli la propria Pozione Corroborante. La bevve
ringraziando cupo, senza abbassare la guardia: sapeva bene che un Incantesimo
di Pietrificazione poteva essere annullato grazie ad una grande forza di
volontà.
E Bellatrix,
indubbiamente,
possedeva quella forza.
L’incantesimo, infatti, si
dissolse rapidamente e Bellatrix puntò lo sguardo ferino su Hannah: non le era
sfuggito il Cappello Parlante che la Tassorosso portava con sé e le era stato
facile dedurre d’essere stata, in qualche modo, raggirata. Fremendo dal
desiderio impellente di punirla per quell’affronto, scagliò su di lei
l’ennesima maledizione. Il Sortilegio Scudo che Ernie Macmillan evocò in fretta
e furia si rivelò troppo debole e la ragazza venne scagliata contro la parete.
Un fioco lamento le uscì
dalla
gola mentre scivolava a terra piegandosi su se stessa.
Privato di ogni sostegno,
Neville barcollò, ma ancora trovò la forza di reggersi in piedi.
« Non la toccare! » minacciò
con
voce roca e graffiante.
Bellatrix lo ignorò e colpì
di
nuovo la ragazza che giaceva inerte sul freddo pavimento.
Neville sentì la collera
esplodergli nelle tempie.
Era di nuovo una sfida. Una
provocazione.
La sua ultima
provocazione.
Puntò la bacchetta magica
contro
la Mangiamorte e urlò.
« Stupeficium! »
Uno Schiantesimo.
Non era un errore di
valutazione, dettato dalla fretta o dalla paura o dall’inesperienza. Non era
debolezza o incapacità d’odiare, come aveva più volte insinuato Bellatrix.
Era la dimostrazione che per
vincere non aveva alcun bisogno di uccidere.
Non aveva bisogno nemmeno di
desiderarlo.
Perché, a differenza di lei,
non
era solo. Accanto a lui aveva degli amici forti e coraggiosi, pronti a
combattere al suo fianco.
L’orgoglio e la
determinazione
del Grifondoro trasmisero al semplice incantesimo una potenza tale che il corpo
della donna volò in aria, roteò su se stesso e cadde a terra accompagnato dallo
scrocchio del polso destro che si spezzava.
George raggiunse la strega
priva
di sensi e la immobilizzò legandola.
Cho le sfilò di mano la
bacchetta e la spezzò in ben quattro parti. « Stupida strega. » L’apostrofò.
Neville corse da Hannah; le
passò un braccio intorno alla vita aiutandola a rialzarsi e con un sussurro
appena percepibile la ringraziò.
All’improvviso George
domandò: «
Dov’è la Spada? »
« La Spada? » Mormorò
Neville
alzando lo sguardo sorpreso verso di lui.
George ricordò che, a causa
del
ritmo serrato dello scontro, non era riuscito a comunicare il piano che aveva
architettato.
« Non l’abbiamo, » si
rammaricò
Padma scuotendo la testa.
George si rabbuiò, un po’
preoccupato, un po’ deluso: « Come sarebbe a dire, vi avevo… »
« La spada è bloccata con un
Incantesimo di Adesione Permanente, » chiarì Padma.
« Però abbiamo preso il
Cappello! » s’intromise Hannah sollevando il prezioso oggetto magico che non
aveva mollato nemmeno un istante.
Neville passava lo sguardo
da un
interlocutore all’altro spaesato. Cho aveva la sua stessa espressione: « Cosa
ce ne facciamo del Cappello Parlante? » chiese.
« Un vero Grifondoro può
estrarne la Spada, » spiegò Hannah.
George s’illuminò: « Allora
sbrighiamoci, dobbiamo portarlo da Harry! »
« Harry? » una luce furba
attraversò gli occhi verdi di Hannah Abbott, « io non pensavo ad Harry… » E
così dicendo mise il cappello in testa a Neville.
Il ragazzo, colto di
sorpresa,
sentì le guance avvampare e abbozzò un sorriso imbarazzato mentre la tesa gli
calava sul viso nascondendone il diffuso rossore.
* * *
Greyback stava ancora
chiedendosi cosa fosse quell’enorme scatola rossa col muso conficcato nel
terreno, quando vide un gruppo di maghi riversarsi fuori da essa nel cortile,
come Gobbiglie impazzite.
Un attimo dopo si ritrovò di
fronte Bill Weasley. Riconobbe la propria firma nello sfregio che deturpava il
suo volto.
Ringhiò mostrando i canini,
ma
il ragazzo non diede alcun segno di paura; con un gesto secco e deciso attaccò.
Greyback schivò l’
incantesimo
per un pelo e rispose allo stesso modo, per prendere tempo e guardarsi intorno:
una decina di Ghermidori l’aveva già raggiunto, altri stavano arrivando dai
margini più lontani del cortile.
« Stupidi! Date l’allarme
all’interno! » Abbaiò.
Un paio di suoi sottoposti
si
staccarono dal gruppo e corsero verso il castello.
Nel frattempo il resto della
famiglia Weasley affiancò Bill.
Nell’aria esplosero lampi e
saette d’ogni genere.
Arthur e Percy attaccavano
senza
sosta, danzando freneticamente per schivare le maledizioni nemiche e le grosse
zolle di terra che esse sollevavano infrangendosi nel terreno.
Al primo Ghermidore che
schiantò
al suolo, padre e figlio si esibirono in un’esultanza molto simile a tifo da
stadio. Molly smise di combattere per rimproverare la propria famiglia di un
atteggiamento tanto irresponsabile.
Mentre i genitori e il
fratello
se la vedevano con i Ghermidori, Bill Weasley si accaniva contro Greyback.
Il licantropo rispondeva con autentica ferocia, ma scarsa
concentrazione. Continuava, infatti, a lanciare occhiate preoccupate
all’autobus che non smetteva di vomitare maghi.
Favoriti dalle nubi e
dall’oscurità, erano scesi dal cielo come uno stormo di famelici Doxy. Ed ora
correvano e guizzavano attraverso il cortile, penetrando le difese e gabbando i
Ghermidori.
Impegnato a difendersi e a
rammaricarsi della stupidità dei suoi sottoposti, in breve, Greyback perse il
controllo della situazione.
I ribelli si muovevano in
modo
caotico e imprevedibile, ma in realtà ognuno di essi sapeva esattamente cosa
fare. Greyback lo capì troppo tardi, quando vide alcuni dei suoi correre verso
il castello, all’inseguimento di tre ribelli che ormai avevano varcato la
soglia d’ingresso.
Accecato di rabbia ruggì e
si
avventò contro Bill, ma una morsa di paura gli serrava la gola.
Gli intrusi dentro e fuori
le
mura rendevano il suo lavoro di sorveglianza più che biasimabile.
Non c’era ricompensa per
un
mercenario inaffidabile e, forse, nemmeno alternativa.
* * *
Nel giro di pochi istanti
altri
quattro Mangiamorte raggiunsero il Signore Oscuro nella Sala Comune dei
Serpeverde, per assistere all’esecuzione dei prigionieri.
La scena che si presentò ai
loro
occhi non dava adito a equivoci.
Il figlio di Lucius Malfoy, ritenuto morto dalla maggior
parte di loro, era invece vivo e vegeto; con abilità aveva catturato un’intrusa
e, puntandole la bacchetta sotto il mento, intimava la resa ai suoi compagni
ribelli.
Riguardo al motivo del suo
ritorno, una sola era l’ipotesi degna di considerazione: stava cercando di
riconquistare le grazie di Lord Voldemort catturando i membri dell’Esercito di
Silente.
Vedendoli arrivare, Hermione
-
il cuore in gola - cercò di divincolarsi dalla stretta di Malfoy, ma lui
strinse la presa intorno alle sue spalle tenendola appiccicata a sé. Lei lo
sentì tremare e capì che quel gesto era dettato soltanto dalla paura.
Il
vile Serpeverde cercava protezione dietro le sue spalle!
Non si oppose nonostante
fosse
terrorizzata, ma si volse indietro a guardare i propri compagni: Michael,
Alicia e Anthony erano immobilizzati; giunti alla Sala Comune per liberare i
prigionieri, non s’aspettavano certo di trovarsi faccia a faccia con il Male.
Poi guardò Voldemort; sul
suo
volto non lesse emozioni, ma colse la soddisfazione con cui parlò a Malfoy.
« Vedo che hai preso in
ostaggio
una Sanguesporco… » Osservò, poi si rivolse al Mangiamorte che era alla sua
sinistra: « Tu! Dai la feccia in pasto a Greyback! » Ordinò.
Malfoy strinse ancora più
forte
Hermione e lei pensò che non avesse compreso l’ordine.
Lui non l’aveva nemmeno
ascoltato.
Le parole successive,
invece, le
udì in tutta la loro perfidia.
« Malfoy! Cane randagio! Non
crederai, tornando affamato e con la coda fra le gambe, di poter riscattare il
nome della tua famiglia ridicolizzato da quell’incapace di tuo padre! Come
Mangiamorte vali meno di zero, ma ho trovato un posto adatto a te: mi serve un
custode per i Troll di montagna… al tuo predecessore hanno spappolato le ossa!
» Rise forte e il suo cachinno esplose nei timpani del ragazzo, che, mosso
dall’ira, allontanò la propria bacchetta dal mento di Hermione, puntandola
contro Voldemort.
Hermione lanciò un’occhiata
al
Mangiamorte che avrebbe dovuto prenderla in consegna e che, nello stesso
istante, si era scoperto il capo con un gesto irrequieto: era Pansy Parkinson.
Il suo volto simulava
un’espressione minacciosa, ma dietro di essa - tradita dall’incredibile pallore
delle guance - si celava l’angoscia.
Fu allora che Hermione capì
ciò
che stava accadendo.
Il Signore Oscuro e gli
altri
Mangiamorte credevano che Malfoy fosse tornato per riprendere il proprio ruolo,
il che significava che Pansy aveva mentito a Voldemort ancora una volta. Sapeva
che quell’inganno era più che mai effimero, tuttavia sperava – pregava!
– che Draco non sprecasse, stupidamente, la sua unica possibilità di salvezza.
E temeva che lei, Hermione
Granger, smascherasse il suo tradimento.
Quando gli sguardi delle due
donne si incrociarono, Hermione capì che Pansy era disposta ad ucciderla se
avesse anche solo tentato di prendere la parola.
E lei scelse di tacere, di
aderire a un’alleanza improbabile e muta, tanto precaria, quanto pericolosa.
Sperava di sfruttare quel
piccolo vantaggio per proteggere, oltre se stessa, Michael, Antony e Alicia;
infatti, era probabile che, sicuro di avere Malfoy dalla propria parte,
Voldemort ritenesse inutile impegnarsi in uno scontro e preferisse delegare ad
altri Mangiamorte la custodia dei presunti prigionieri.
Hermione esaminò i propri
compagni: non avrebbero creato problemi, perché anche loro la ritenevano
ostaggio del nemico.
Poi guardò Pansy…
No, lei non avrebbe
fiatato.
L’unico problema era lui: in
bilico tra terrore e imprudenza, le stringeva ancora le spalle mentre puntava
una bacchetta tremante verso l’assassino dei suoi genitori.
Era come giocare a Spara
Schiocco, con la carta Malfoy che poteva esplodere da un momento all’altro…
Doveva
assolutamente avvisarlo!
* * *
I pesanti e scoordinati passi di Hagrid rimbombavano
attraverso il corridoio mentre Lumacorno e Vitious gli arrancavano accanto.
Erano entrati nel Castello con un trucchetto degno dei più
incalliti professori di Hogwarts: con impeccabile precisione, Vitious aveva
duplicato se stesso e i colleghi, mandando i sosia a scorazzare nel cortile per
attirare l’attenzione dei Ghermidori. Approfittando della confusione e
dell’oscurità – nonché di una certa sprovvedutezza degli inseguitori - i tre
professori avevano raggiunto la Torre Ovest e si erano infiltrati nel Castello.
Fin da subito, tutto era
apparso
talmente tranquillo da risultare perfino inquietante.
Quell’area sembrava
abbandonata
a se stessa: un odore pungente di muffa aleggiava nell’aria e spifferi gelidi penetravano
dalle vetrate infrante. L’oscurità era totale.
All’improvviso, un grugnito
terrificante spezzò il silenzio surreale.
I professori s’
immobilizzarono.
Tutti e tre possedevano
l’esperienza necessaria per riconoscere senza ombra di dubbio la devastante
creatura che aveva generato quel verso.
Hagrid alzò la bacchetta e
fece
luce. Vitious e Lumacorno rabbrividirono.
Alla fine del corridoio li
attendevano quattro enormi, spaventosi, feroci e più che mai imprevedibili
Troll di montagna.
Decisamente incattiviti da
una
lunga prigionia e dalla fame, pareva che qualcuno li avesse liberati o, più
probabilmente – pensò Hagrid osservando l’anta di un portone che uno di loro
sollevava sopra la testa -, si erano liberati da soli.
* * *
Continua…
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Capitolo 32 *** Capitolo 32 - Vendetta (I parte) ***
Lost Memories - Capitolo 32
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Fanno sempre una fine miserabile, coloro che parlano di
vendetta.
M. Kishimoto, Naruto
(Kakashi a Sasuke)
* * *
Capitolo 32 – Vendetta (I parte)
Hermione, finalmente, aveva
qualcosa di simile ad un piano d’azione; traballante e lacunoso, ma l’unico che
era stata in grado di progettare in quelle condizioni.
Doveva
solo metterne al corrente Malfoy…
Decise di approfittare del
momento: Voldemort stava redarguendo i Mangiamorte per aver lasciato che degli
intrusi entrassero nel Castello e per averlo raggiunto in ritardo.
Mentre gli uomini incappucciati
cercavano disperatamente di placare l’ira del Signore Oscuro, Hermione reclinò
indietro la testa, cercando di avvicinarsi il più possibile a Malfoy e mormorò:
« Abbassa la bacchetta e fingi di stare dalla loro parte. »
« Perché dovrei farlo? » ribatté
lui.
Hermione lanciò un’occhiata a
Pansy Parkinson che si stava avvicinando e ridusse ulteriormente il tono di
voce.
« Evitare lo scontro ora ci
permetterà di architettare un valido piano. »
Lui non ne poteva più di sentire
parlare di strategie e di attesa: « Diamine, Granger, sei la peggior
rappresentante della Casa Grifondoro… »
« Coraggio e stupidità non sono
la stessa cosa. » obbiettò lei con voce bassa e graffiante, « Tu piuttosto, sei
l’emblema dei Serpeverde: stai tremando dalla testa ai piedi! »
« Io non sto tremando, » si
difese lui, ottusamente, nonostante i suoi stessi gesti lo smentissero. Vedendo
che Pansy li aveva quasi raggiunti, infatti, era arretrato di un passo tirando
con sé Hermione.
Quel movimento attirò
l’attenzione di Voldemort.
I suoi occhi si fecero fessure,
le labbra si strinsero in un sibilo minaccioso e altrettanto retorico: « Non
vuoi dare quel pezzo di carne putrida in pasto ai licantropi, Malfoy, o stai
cercando di opporti al tuo padrone? »
Malfoy non rispose, continuò a
puntargli contro la bacchetta e a farsi scudo con Hermione.
« Dammi la bacchetta, » ordinò
il Lord Oscuro. Il tono era perentorio e definitivo.
Esattamente come aveva fatto con
suo padre, esigeva una prova di fedeltà.
Malfoy rispose fra i denti,
senza pensare, gettando all’aria con una sola parola tutti i progetti di
Hermione.
« Mai. »
Voldemort ghignò soddisfatto:
era la risposta che s’aspettava.
Non c’era per lui una seconda
occasione.
Non c’era mai stata.
Hermione l’aveva sospettato.
Pansy l’aveva temuto, e nei suoi
occhi, ora, campeggiava il terrore.
« Parkinson! » tuonò il Signore Oscuro, livido di rabbia:
dopo Piton, nessun altro Mangiamorte era stato tanto stolto e insolente da
credere di poterlo ingannare.
« M-mio signore… » lei si volse
e chinò il capo, in un gesto di riverenza che non l’avrebbe salvata. Voldemort
agitò la bacchetta nell’aria e in un istante il suo corpo minuto s’afflosciò a
terra come quello di una bambola di pezza.
Quel gesto freddo e spietato
fece rabbrividire Hermione e Draco nello stesso modo.
« Draco Lucius Malfoy, avresti
il coraggio di sfidarmi? » ruggì minaccioso Voldemort.
Lui ringhiò una sola parola
prima che rabbia e paura s’annodassero nella sua gola: « Assassino! »
Voldemort sghignazzò.
« Sei impudente e arrogante come
tua madre! Stupida donna che ha osato ingannarmi, mentirmi… - la sua
voce quasi si strozzò per lo sdegno - sulla
morte di Potter! E per quale motivo? Proteggere il suo inutile figlio
cacasotto! »
Hermione gemette, Malfoy la
stava stringendo così forte da farle male.
E Voldemort rideva.
Irriverente e crudele, rideva.
Rideva.
I nervi di Draco erano tesi fino
al limite, lottava per non cedere alla disperazione.
I ricordi di sua madre si rincorrevano frenetici e
dolorosi nella memoria.
Il suo viso dai lineamenti perfetti e regali, i capelli
biondi, gli occhi azzurro cielo….
Quel sorriso speciale che riservava solo alla sua
famiglia…
L’abbraccio protettivo dal quale si divincolava
capriccioso da bambino per non farsi prendere in giro dai coetanei…
Ogni istante vissuto insieme a
lei, ogni immagine che affiorava alla mente, era un pugnale che si torceva in
mezzo allo stomaco.
Era una stretta alla gola che
gli toglieva il fiato.
Era un pezzo d’anima che si
sbriciolava e, lentamente, si tramutava in odio.
E il Lord Oscuro continuava,
senza pietà, godendo del dolore che gli sfigurava il volto e nutrendosi del
veleno che cresceva in lui e lo accecava.
Voleva vedere il figlio di
Lucius Malfoy contorcersi dal dolore.
Piegarsi sotto il peso degli
errori suoi e di suo padre.
« Narcissa ha saputo nasconderti
bene, devo dargliene merito. Ah, sangue Black nelle vene! - si
compiacque - ha resistito al Veritaserum e si è tolta la voce per non parlare…
Con l’Occlumanzia è persino riuscita ad impedirmi di leggerle in parte la
mente! Ammetto che mi è dispiaciuto sbarazzarmi di lei, ma doveva pagare per
quello che aveva fatto. »
Voleva punirlo per il tradimento
di sua madre.
« In quanto a tuo padre…
squallido leccapiedi… non la smetteva di ostacolarmi con inutili diversivi… »
Voleva vederlo crollare.
Umiliarsi mendicando la salvezza e poi…
« Ho dovuto maledirlo prima di
interrogarlo! Quella sua voce lagnosa era insopportabile… »
Con un unico colpo, spezzarlo.
« Frignava come una bambina
mentre torturavo tua madre: “Prendi me al suo posto!” »
Per Draco fu l’ultima goccia.
L’ultimo istante di lucidità prima di impazzire.
Prima di scegliere di perdere tutto.
Coraggio e stupidità non sono la
stessa cosa, aveva detto Hermione.
Si sbagliava.
Nel suo caso erano un’unica
forma, un’unica direzione.
Erano la sua vendetta.
In uno scatto d’ira, liberò
Hermione e la spinse lontano da sé, così forte da farla cadere a terra.
Con la bacchetta sferzò l’aria.
« MUORI! » urlò.
« Malfoy, no! Non farlo! » gridò
Hermione.
Poi Voldemort alzò il braccio e
socchiuse la bocca.
Due voci.
Un unico lampo smeraldo.
Hermione vide Draco rivoltarsi a
mezz’aria accompagnato da un grido che si spense non appena rovinò a terra.
« Oh no! NO! NO! »
Si ritrovò a urlare senza
accorgersene, spezzando il silenzio glaciale che pietrificava i presenti.
Senza nemmeno pensare, saldò la
presa sulla propria bacchetta e cercò di rialzarsi da terra.
Per raggiungerlo…
Per aiutarlo…
Per fare qualsiasi cosa che non
fosse restare a guardare il suo corpo esanime, dalla posa vitrea e innaturale.
Riuscì soltanto a mettersi in
ginocchio.
Un Mangiamorte alto e robusto la
raggiunse e le afferrò il polso, obbligandola a lasciare la presa sulla
bacchetta, poi la sollevò di peso per portarla fuori dalla Sala.
* * *
Greyback ringhiò un suono aspro,
senza parole, artigliando fango e neve per arrestare la rovinosa caduta.
A pochi passi di distanza, Bill
Weasley lo studiava immobile, con una calma distaccata. Ansimava respirando a
boccate l’aria gelida. Il cuore gli rimbombava nelle orecchie.
Stava lottando strenuamente
contro la bestia che lo aveva sfigurato e si sentiva pronto ad affrontarla come
non lo era mai stato prima. Si era allenato per lungo tempo, sognando - spesso
senza alcuna speranza - il momento della resa dei conti.
« Sei finito. » Minacciò con
fermezza.
Greyback scattò in piedi e Bill
fece appena in tempo a schivare la maledizione che uscì dalla sua bacchetta.
Rispose con altrettanta rapidità
e la bacchetta di Greyback volò in aria mentre funi e catene gli cinsero gli
arti e la gola.
Greyback emise un verso
spaventoso, né canino né umano, che divenne un gorgoglio soffocato quando Bill
allargò le braccia e le corde si strinsero attorno al suo collo.
Un’energia sconosciuta
alimentava i gesti di Bill e si fece strada in lui la consapevolezza d’essere a
un passo dalla vittoria.
Bramava quella vendetta in un
modo che non era mai riuscito a confessare nemmeno a Fleur.
In un modo che gli faceva quasi
paura.
Perché la vendetta ha un prezzo
che non tutti possono permettersi.
E Bill ricevette il conto pochi
attimi dopo, quando il grido sconvolto di Molly lo impietrì.
Si voltò sgomento verso sua
madre; le corde attorno al collo di Greyback si sciolsero.
« No, papà! NO! »
* * *
Mentre il corpulento Magiamorte
prelevava Hermione, nella Sala Comune esplodeva lo scontro.
Lei, priva di bacchetta magica,
poteva fare poco o niente e, attraverso la consapevolezza d’essere inutile, si
fece strada l’angoscia per il destino di Malfoy.
Con la stessa intensità con cui
in passato aveva detestato il Serpeverde, ora soffriva per la sua orribile
sorte.
Non aveva dimenticato che quello
era il ragazzo che la sfotteva e la insultava durante gli anni di scuola, ma
sarebbe stata la più vile delle Serpi se avesse messo a tacere la voce
che gridava nella sua testa, ancora troppo scioccata per sciogliersi in
lacrime.
Perché non era soltanto pietà
quella che provava per lui, costretto a vivere la solitudine in un mondo che
non gli apparteneva, nutrendosi di ricordi e desiderio di vendetta.
Perché, in fondo, ammirava e
condivideva il suo utopico e ambizioso progetto di riportare Hogwarts alla magnificenza.
Perché l’aveva creduto sincero,
e non si era sbagliata.
Perché il pensiero di non
guardare più insieme a lui verso lo stesso obiettivo faceva male.
Faceva spaventosamente male.
Dalla Sala Comune provennero
grida, tonfi, stridore e scintille.
Hermione si voltò indietro per
cercare di intravedere qualcosa, ma non ci riuscì.
Sperò che Voldemort lasciasse ai
propri seguaci l’onere di catturare Alicia, Anthony e Michael, perché in tal
caso sapeva con certezza che i suoi compagni non gli avrebbero reso facile il
compito.
D’un tratto, dall’altra parte
del corridoio, udì un’esclamazione.
« Hermione! »
Guardò avanti e la gioia le
tolse la voce.
Stavano arrivando Ron, Harry,
Ginny e Luna.
Si commosse, ma non c’era tempo
per piangere.
Gridò i loro nomi.
Ginny fu la più rapida, attaccò
il Mangiamorte che, per difendersi, fu costretto a liberare Hermione.
La ragazza cadde a terra
bocconi, con un tonfo, e mentre Ron e Harry correvano in suo aiuto, Luna e
Ginny ingaggiavano battaglia con il Mangiamorte.
Ron aiutò Hermione ad alzarsi e
l’abbracciò, gli domandò se stava bene e dov’era Malfoy.
Lei non udì nemmeno una domanda.
Stava ragionando ad una velocità
pazzesca, poi s’alzò risoluta e piantò gli occhi in quelli smeraldo di Harry.
« Per favore, Harry, prestami il
Mantello. »
« Cosa? »
« Il Mantello dell’Invisibilità.
»
Lui, spaesato e tentennante, le
allungò l’oggetto magico senza celare la preoccupazione.
« Hermione, cos’hai in mente? »
« Oh, ti prego, Harry non è il
momento di fare domande! Piuttosto, non muovetevi da qui fino al mio ritorno, »
ordinò.
Harry s’incupì: « Voldemort…
è là dentro? »
Lei scosse la testa in modo poco
convincente. Guardò Ron con aria supplichevole.
« Vi prego, aspettatemi qui, »
pregò scomparendo sotto il tessuto.
Ron fissò il pavimento. Harry
aveva lo sguardo proiettato oltre le spalle di Hermione.
Non avevano alcuna intenzione di
darle ascolto.
« Venti secondi, » implorò la
sua voce invisibile, « datemi soltanto venti secondi! »
* * *
|
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Capitolo 33 *** Capitolo 33 - Vendetta (II parte) ***
Lost Memories - Capitolo 33
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
È più
facile ricambiare l’offesa che il beneficio;
perché
la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto.
Publio Cornelio Tacito
* * *
Capitolo 33 – Vendetta (II
parte)
Accadde tutto in pochi istanti.
Il Mangiamorte vide Hermione
scomparire nel nulla e, incredulo, cominciò a scagliare alla cieca incantesimi
di rivelazione.
Un lampo scarlatto uscì dalla
bacchetta magica di Harry.
«
Expelliarmus! »
Il Mangiamorte gridò di rabbia.
Ron esultò.
Harry aggirò il nemico disarmato
e inforcò il corridoio che portava alla Sala Comune dei Serpeverde.
Ron imprecò, pensando più che
altro alla sfuriata di Hermione; poi inseguì l’amico: no, non l’avrebbe
lasciato solo.
Ginny chiamò entrambi,
supplicandoli di fermarsi.
Harry si girò, la guardò
fermamente. Le disse di non muoversi, di mettersi al sicuro, di non provare a
fermarlo. Le disse che sapeva cosa stava facendo e che solo lui poteva mettere
fine a quella guerra. Infine le voltò le spalle e riprese la sua corsa, con Ron
al suo fianco più determinato che mai.
Ginny sentì la rabbia e la paura
stringerle lo stomaco. Erano di nuovo loro, gli affetti più cari, che le
scivolavano via dalle mani senza che potesse fare nulla per trattenerli.
« Corri, fai ancora in tempo a
raggiungerli, » disse Luna.
Ginny si voltò sorpresa, la
bocca semiaperta.
Non fece in tempo a parlare.
Il Mangiamorte, che nel
frattempo aveva raccattato la propria bacchetta, lanciò un incantesimo tra lei
e Luna, costringendole a separasi ai lati opposti del corridoio.
Ginny puntò la bacchetta verso
il mago, ma Luna insistette: « Harry ha bisogno d’aiuto. Posso cavarmela da
sola. »
Ginny scosse la testa.
Desiderava con tutta se stessa raggiungere Harry e altrettanto restare al
fianco dell’amica.
Ma quello non era il momento di
discutere.
Il Mangiamorte sferrò un nuovo
attacco e Ginny evocò un Sortilegio Scudo appena in tempo. Attraverso la
barriera protettiva, Luna lo sorprese.
« Ferula! »
Il mago oscuro incespicò e si
ritrovò con la faccia a terra e polsi e caviglie immobilizzati da un garbuglio
di bende sterili. Con una serie di gesti impacciati, accompagnati da
altrettanti grugniti, riuscì a portarsi le ginocchia al petto e tagliare le
corde che lo bloccavano, ma non poté fare altro: un altro incantesimo lo colpì
in pieno, lasciandolo a boccheggiare disorientato sul pavimento.
Luna approfittò della tregua che
si era appena procurata: « So di potercela fare, Ginny. »
« Non posso lasciarti sola,
Neville si è raccomandato di avanzare in squadre. »
« Adesso gli dai ragione? »
constatò Luna con un pizzico di ironia, ricordandole che per aggregarsi alla
missione aveva contestato alacremente le decisioni del loro capo. « Quando
Neville arriverà, » aggiunse, « vi raggiungeremo. »
La sicurezza e la caparbietà che brillavano nei suoi occhi
grandi lasciarono Ginny senza parole.
Luna sembrava una ragazza
ingenua, ma in realtà era coraggiosa e forte.
Era solitaria, stravagante,
impacciata, ma geniale come solo una Corvonero poteva essere.
Sì, pensò
Ginny, poteva farcela.
* * *
Hermione, sotto al Mantello
dell’Invisibilità prestatole da Harry, raggiunse in pochi attimi la Sala Comune
dei Serpeverde; diede una rapida occhiata alla stanza e attraversò il corridoio
come una folata di vento.
Intorno a lei era un cozzare di
incantesimi, saette contro Sortilegi Scudo; un rincorrersi di grida rabbiose,
di terrore e di dolore.
Non si lasciò distrarre. Come un
destriero ammaestrato, puntò dritta all’obiettivo: Draco Malfoy.
Si fermò a metà strada solo per
raccogliere la propria bacchetta magica, poi s’inginocchiò accanto al corpo
esangue del ragazzo.
Le parve di vedere il suo petto
muoversi flebilmente.
Forse è ancora vivo, si
disse.
Ma questo, ora,
non ha importanza.
Facendo attenzione a non sporgere
nemmeno un’unghia fuori dal Mantello, allungò la mano a sfiorargli il braccio
destro, cereo e inerte, scivolò lungo l’avambraccio fino alle ossa del polso,
teso lungo il fianco. Il Mantello ricoprì la mano del ragazzo e lei sperò che
nessuno si accorgesse di quell’insolita scomparsa.
Cercando d’essere il più rapida
possibile, infilò la mano nella tasca dei suoi pantaloni.
Le sue dita scivolarono
all’interno del risvolto; un brivido la percorse, ma non interruppe la sua
ricerca.
Con esasperante cautela estrasse
quel piccolo orologio da polso che aveva visto nella baita dei Malfoy.
Se si trattava davvero di una
Giratempo, sapeva come usarla.
Speranzosa, ruotò la minuscola
clessidra che sostituiva il quadrante, pregando che le concedesse il tempo necessario
per quello che aveva in mente di fare.
Come aveva detto ad Harry, venti secondi sarebbero bastati.
Per alcuni istanti Hermione
perse completamente il contatto con la realtà.
Poi si ritrovò a guardare se
stessa, l’altra Hermione, con soddisfazione.
Ancora una volta il suo intuito
non l’aveva tradita.
La clessidra era una Giratempo
dalle capacità limitate: mezzo giro l’aveva riportata indietro solo di pochi
minuti.
Ricordava perfettamente la scena
che aveva davanti agli occhi, l’aveva vissuta poco prima: Malfoy si rifiutava
di consegnare la propria bacchetta a Voldemort, il quale non pareva affatto
stupito della reazione.
Era, semplicemente, ciò che si
aspettava.
Il Signore Oscuro aveva scoperto
da tempo il doppio gioco attuato da Pansy Parkinson e, con quella richiesta
plateale, intendeva smascherarla e punirla.
Hermione lo udì tuonare il nome
dell’ingenua Mangiamorte e preparare la bacchetta per quel gesto silenzioso che
le avrebbe tolto la vita.
L’efferatezza dell’immagine di
Pansy che si accasciava a terra priva di vita era ancora vivida nella mente di
Hermione, ed ella, per quanto detestasse la vile Serpeverde, lasciò che la
pietà guidasse la sua mano.
Lanciò un incantesimo esplosivo
ai piedi della stolta compagna di scuola, la quale, travolta dall’onda d’urto,
venne sbalzata un paio di metri più indietro, quanto bastava per schivare
l’incantesimo mortale.
Voldemort accusò Malfoy di quel
salvataggio e lo minacciò.
Lo scontro verbale tra i due
prese la stessa identica piega che aveva preso la prima volta, ed era destinato
a concludersi allo stesso modo.
Hermione lo capì subito, ma non
intervenne, né si fermò ad ascoltare.
Doveva prepararsi a fare ciò per
cui era tornata indietro nel tempo e aveva bisogno di un immensa concentrazione.
Chiuse gli occhi.
Nulla intorno a lei doveva
distrarla.
Ignorò l’ingrata Pansy che,
imprecando, si rialzò diretta verso l’unica Hermione che poteva vedere con
l’intento di catturarla come le era stato ordinato.
Ignorò il ghignare spietato del
Lord Oscuro che faceva tremare d’odio l’erede dei Malfoy.
Ignorò i suoi compagni
paralizzati dalla paura, e ignorò persino la villania con cui Draco l’aveva
spinta a terra per sfidare Voldemort.
L’ira con cui egli invocò la
morte del Signore Oscuro esplose con violenza fra le mura dei sotterranei, ma
quel veleno non era sufficiente per ucciderlo.
Questo, il Serpeverde, non
l’aveva voluto considerare.
E mentre le labbra dei due maghi
scandivano in simultanea le sillabe dell’Anatema Che Uccide, Hermione protese
la bacchetta magica e ruotò il polso formando nell’aria una spirale perfetta.
Mors Reflecto.
Una scossa elettrica le
attraversò il braccio per poi concentrare tutta la sua carica sulla punta della
bacchetta.
Mai avrebbe immaginato di
riuscire a osare tanto.
L’enorme potere dell’incantesimo
che aveva appena evocato le mozzò il respiro e la fece rabbrividire.
Si sentì soffocare, come se una
valanga l’avesse travolta riempiendole la gola di fango.
Appena capì che solo una
lucidità estrema poteva impedirle di affogare, aprì gli occhi.
Il suo braccio destro tremava
nel tentativo di sostenere la potenza immensa che si sprigionava dalla
bacchetta magica, mentre un vento elettrico s’alzava tutto intorno e nell’aria
s’andava formando un vortice di fumo cinereo.
Hermione si chiuse nel Mantello
e un enorme scudo nebuloso s’allargò in mezzo alla sala inglobando lei, Malfoy
e l’Hermione del passato.
Un grido lacerante uscì dalla gola di Voldemort quando i
due lampi di luce verde s’infransero contro lo Scudo e deviarono sul soffitto.
Malfoy tremava.
Pansy Parkinson tremava.
Hermione, l’altra Hermione,
quella inconsapevole, guardava Malfoy sbalordita mentre Pansy ne approfittava
per disarmarla e trascinarla fuori dalla stanza.
L’Hermione venuta dal futuro
rimase a fissare la scena senza battere ciglio, tutta presa a lottare contro la
forte tentazione di approfittare della propria evanescenza. Nei pochi istanti
che le rimanevano avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, ma un severo monito era
vivido nei suoi ricordi: arrogarsi il diritto di interferire con il passato e
controllare lo scorrere del tempo poteva avere conseguenze devastanti.
Risoluta, prese la decisione di
ritirarsi, ma prima di ruotare la clessidra osservò gli effetti del suo gesto:
l’incantesimo aveva scatenato il caos. Tutti stavano cercando di capire cosa
avesse potuto generare quello scudo con tempismo perfetto, l’ipotesi che fosse
stato il figlio di Lucius Malfoy appariva incredibile anche ai più sprovveduti.
Con la Giratempo fra le dita, Hermione
si volse a guardare Draco Malfoy.
Era vivo…
E stupido abbastanza da vanificare il suo intervento.
Si lasciò sfuggire un lieve
sbuffo, agitò la bacchetta ed eseguì per due volte l’Incantesimo di Disarmo.
Malfoy strillò sentendosi
sfuggire la bacchetta dalle mani.
Voldemort grugnì interdetto e
corse a grandi passi a raccogliere la Bacchetta di Sambuco, volata ad alcuni
metri di distanza.
Solo allora Hermione si ritenne
soddisfatta e, finalmente, ruotò la clessidra.
* * *
Nel pieno del duello ingaggiato
a metà del corridoio che conduceva alla Sala Comune dei Serpeverde, Luna
Lovegood si fermò sorpresa: una strana elettricità le drizzava i capelli e un
formicolio intenso le tormentava i polpastrelli.
La potenza sprigionata
dall’incantesimo di Magia Nera eseguito da Hermione era giunta fino a lei; non
poteva immaginarne l’effetto, né l’autore, ma ne percepiva l’immensa portata.
Guardò il proprio avversario e
s’accorse immediatamente che qualcosa era cambiato.
Meditabonda, puntò la bacchetta
magica contro di lui: « Avis! »
Uno stormo di uccelli candidi
comparve a mezz’aria, volò verso il soffitto in formazione e scese in picchiata
contro il nemico, che non indugiò: « Oppugno! »
Una fiamma bruciò in un attimo i volatili di carta, ma
Luna rimase indifferente al fallimento: stava studiando l’avversario, minuto e
apparentemente debole, ma dal portamento arrogante e spietato.
Il nemico era mutato, era
profondamente diverso da quello che fin’ora l’aveva attaccata.
È una donna, pensò
Luna d’istinto, io la conosco…
* * *
Hermione, tornata nel presente,
si rese conto che la situazione non era cambiata di molto, salvo che nella Sala
Comune il caos era quadruplicato, insieme alla furia di Voldemort.
Con il suo intervento aveva
temuto di generare un paradosso spazio-temporale, ma gli eventi sembravano
seguire una logica predeterminata.
Tutto ciò che aveva ottenuto,
quindi, era stato salvare la vita a due Serpeverde: Pansy Parkinson, che ora
probabilmente stava combattendo contro Harry, Ron, Ginny e Luna; e Draco Malfoy
che, nervoso, stava raccogliendo la propria bacchetta a un passo da lei.
Ne era valsa la
pena?
Hermione, ben nascosta sotto al
Mantello dell’Invisibilità, esaminò il ragazzo al suo fianco.
Il volto pallido non era più
attraversato dai solchi della rabbia, ma appariva sconvolto, come se si rendesse conto d’essere scampato
alla morte.
All’improvviso, s’infilò una
mano in tasca.
Hermione trattenne il respiro.
Lo vide spalancare gli occhi
grigi ed estrarre il palmo vuoto, socchiudere la bocca interdetto.
Non poteva sentirlo, ma il suo
cuore batteva forte.
« Granger… » mormorò tra lo
stupore e l’incredulità.
Hermione non aveva idea di come
si fosse riuscito, ma Malfoy si era reso conto della sua presenza.
Nervosa, borbottò: « Cosa vuoi?
»
Al sentire la sua voce, lui
sembrò riprendersi di colpo.
Con una lieve smorfia sul viso,
sussurrò: « Avevo ragione: ti mancava la convinzione. »
« È la prima e l’ultima volta
che faccio una cosa del genere, per te, vedi di non sprecare l’occasione.
» rispose lei fra i denti.
« Impari in fretta, » fece lui
di rimando, ma l’affermazione più simile ad una presa in giro che a un
complimento.
« Dì pure che non avresti saputo
fare di meglio… » ribatté Hermione.
La smorfia presuntuosa sulle
labbra del Serpeverde si accentuò: « Lo sai che finirai ad Azkaban per aver
praticato Magia Nera, vero? »
Ma per Hermione quella era la
più banale delle provocazioni: « Io non pratico Magia Nera. Mi hai visto
praticare Magia Nera, Malfoy? » sogghignò furba.
Lui non rilanciò, si limitò ad
abbozzare un sorriso.
« Se non sai cos’altro dire,
posso suggerirti “grazie”, » aggiunse Hermione.
Per un attimo, Malfoy soppesò il
suggerimento.
Ringraziare Hermione Granger…
Naaahh…
La
Sanguesporco chiedeva davvero troppo!
* * *
|
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Capitolo 34 *** Capitolo 34 - Il Prescelto ***
Lost Memories - Capitolo 34
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
« Molti uomini hanno provato. »
« Hanno provato e hanno fallito? »
« Hanno provato e sono morti... »
F. Herbert, Dune
* * *
Capitolo 34 – Il
Prescelto
Pansy Parkinson si
era rialzata da terra consapevole d’essere scampata all’ira del Lord Oscuro ed
era corsa a disarmare Hermione e trasportarla fuori dalla Sala Comune, come lui
le aveva ordinato.
Azioni intrise,
senza dubbio, di vigliaccheria, ma mosse da ben altre motivazioni: Pansy
credeva d’aver visto Draco evocare uno Scudo Oscuro con impressionante abilità
e aveva ingenuamente rivalutato le sue possibilità di vittoria; inoltre, era
convinta che lui fosse anche l’autore dell’incantesimo esplosivo che l’aveva
salvata dalla morte.
Quel gesto era la
conferma di quanto lui tenesse alla sua vita; ora toccava a lei dimostrargli il
suo amore, aiutandolo a compiere la sua vendetta.
Ciò che poteva
fare, in primis, era eliminare dal campo di battaglia chiunque potesse
ostacolarlo: la Sanguesporco Grifondoro.
Ciò che non aveva
previsto, purtroppo, era incontrare Potter e la sua banda ed essere costretta a
sbarazzarsi della Granger per difendersi.
Ciò che più l’aveva
irritata, infine, era ritrovarsi - senza aver capito bene come - a combattere
contro la strega più insulsa e schizzata di Hogwarts: Luna Lovegood.
Pansy, il volto ben
nascosto dal cappuccio, scrutò il nemico con evidente aria di superiorità,
quindi mirò in alto, sopra alla sua testa.
« Descendo.
»
Un vecchio
lampadario in ferro battuto si staccò dal soffitto. Luna, rapidissima, lo
bloccò a mezz’aria prima che le cadesse addosso.
La Mangiamorte
sogghignò: non era quello il suo vero obiettivo.
Fin dal primo anno
di scuola, era opinione diffusa fra gli studenti, che Luna Lovegood
(inspiegabilmente Corvonero) fosse un po’ tocca.
Secondo Pansy, in
particolare, era decisamente stupida, e questo lo si poteva chiaramente leggere
nel sorriso arrogante che aveva plastificato sul volto quando attaccò:
« Deprimo. »
Il lume cedette
alla forte pressione frantumandosi in mille pezzi che schizzarono ovunque. La
difesa di Luna non bastò a evitarle tutte le schegge: alcune vennero deviate,
altre le si conficcarono nel viso e nelle mani. Accusò il colpo malamente: il
ferro arrugginito bruciava sotto la pelle. Sul viso dall’espressione
sofferente, però, gli occhi vacui brillavano combattivi.
Con la bacchetta
giocherellò nell’aria, apparentemente senza scopo.
« Exulcero.
»
Pansy Parkinson
pagò lo scotto d’aver sottovalutato il nemico.
Gridò imbestialita
e si piegò su se stessa, ferita fisicamente e nell’orgoglio; il bruciore era
insopportabile, la pellerovinata, il
viso sfregiato come quello della nemica.
Attaccò guidata
solo dalla rabbia: « Incarcerus! »
« Gemino. »
Un intreccio di
catene avvolsero una Luna evanescente, dai capelli biondo platino e il corpo
irrigidito, che sfumò nell’aria lasciando le catene stringersi attorno al nulla
per poi cadere a terra.
Pansy ringhiò,
beffata per la seconda volta.
Furiosa, levò la
bacchetta nell’aria.
« Lumus Solem.
»
Una luce accecante
impedì a Luna di vedere la propria avversaria e di prevederne le mosse, udì
soltanto pronunciare la formula di un incantesimo che riconobbe a stento,
bandito dal Ministero della Magia da oltre un secolo per la sua pericolosità.(*)
Se Luna avesse
potuto scorgere Pansy, l’avrebbe vista sghignazzare mentre compiaciuta
l’osservava accasciarsi a terra in un grido stridulo di dolore, con una freccia
conficcata nella spalla destra.
Ma se Pansy avesse
guardato Luna togliendosi dal viso quel velo di presunzione, avrebbe notato che
nonostante il dolore non aveva mollato la presa sulla bacchetta e, invece di
evocare lo Scudo che l’avrebbe potuta proteggere, mormorava a fior di labbra
uno Schiantesimo.
* * *
Bill
abbandonò il campo di
battaglia per correre al fianco del padre accasciato a terra: la ferita che si
era procurato durante un’incursione al Ministero e che l’aveva costretto a
letto per lungo tempo si era riaperta e perdeva sangue macchiando la neve
tutt’intorno. Molly era china su di lui e tentava invano di curarlo. Bill, che
aveva assistito suo padre durante tutta la convalescenza, sapeva che non
avrebbe smesso di sanguinare per un bel po’: serviva un riposo assoluto, perché
ogni movimento peggiorava la situazione.
Bill
raggiunse il padre in due
balzi, con delicatezza lo aiutò a sdraiarsi a terra e cominciò a fasciare a
ferita. Molly lo lasciò fare, piangeva.
Bill avrebbe
voluto
tranquillizzarla, dirle che la ferita di papà non era così grave come poteva
sembrare e che un buon riposo l’avrebbe aiutato a rimettersi ma,
all’improvviso, Greyback tuonò:
« Weasley!
»
Non si
rivolgeva a Bill. Né a
Percy o Arthur. Si rivolgeva a chiunque portasse quel nome.
Sterminare
la famiglia Weasley -
trave portante del movimento ribelle - rappresentava ora un’opportunità
imperdibileper riparare alla negligenza dei propri Ghermidori e
salvarsi, quindi, la pelle.
Riappropriatosi della bacchetta,
si dichiaraò pronto a combattere.
Bill fece
per alzarsi, ma Percy
lo fermò.
« Occupati
di papà, sei l’unico che
sa come farlo. Ti copro le spalle. » Disse in modo tutt’altro che convincente.
Tremava.
Merlino,
tremava come una
foglia! Era terrorizzato dal licantropo, dal suo aspetto inumano e
dal pericolo che rappresentava. Con quei denti appuntiti e le unghie affilate
era in grado di fare di lui, in un istante, un mostro.
In poche
parole, Percy Weasley
se la stava facendo sotto…
E ne era
perfettamente
consapevole.
Quando
Greyback avanzò, racimolò
tutto il coraggio che poté trovare e drizzò le spalle puntando la bacchetta
contro di lui.
Riuscì a
compiere quel solo
gesto, poi, d’un tratto, sentì i piedi scivolare all’indietro sul ghiaccio e si
ritrovò con la faccia piantata nella neve.
« Non
pensarci nemmeno, Percy! »
Era sua
madre, nella più severa
delle sue espressioni. La fronte aggrottata e lo sguardo fermo di rimprovero,
lo superò pestando la neve e fronteggiò il licantropo al posto suo.
Il suo
sguardo scuro e
determinato era proiettato altrove, come se non fosse lì in quel momento.
Ma Molly c’
era. C’era con tutta
se stessa, con rabbia e con angoscia, e con una certezza più forte di ogni
altra cosa: non era disposta a sopportare un grammo di più di quel dolore
devastante che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni istante in cui pensava
a Fred, le strappava il cuore in mille pezzi.
Questo
sapeva Molly: che una
sola goccia in più di quella sofferenza l’avrebbe uccisa.
E per
questo, non avrebbe
permesso mai più a nessuno di toccare la sua famiglia, senza passare
prima attraverso di lei.
Due colpi di
bacchetta e
Greyback fu costretto in difesa.
« Bestia
infame! Da adesso in
poi, sarò io il tuo avversario! » Urlò al mercenario mentre una Maledizione
schizzava a pochi centimetri dal suo viso…
* * *
Fra tante
cose che Neville aveva
temuto di incontrare nella corsa ai sotterranei, quella era la peggiore delle
sue paure.
La spada
scintillante di Godric
Grifondoro gli scivolò dalle mani e cadde sul pavimento accompagnata da un
tintinnio interminabile. Immobile, col respiro mozzato e il battito del cuore
che gli risaliva la gola e premeva contro i timpani, sfiatò un “no” carico di
angoscia.
Il resto
delle parole gli morì
nel petto.
Non
lei.
Il corpo
magro e fragile di Luna
Lovegood - immobile e pallida come Pansy Parkinson schiantata a pochi passi da
lei - giaceva contro la parete immerso in un lago di sangue; una freccia
stregata le immobilizzava il braccio destro che sanguinava ancora, sotto la
manica lacera e bruciacchiata del mantello.
Era priva di
sensi.
Neville
crollò in ginocchio
accanto a lei e le appoggiò una mano tremante sul viso, il suo respiro era
affannato ma di una debolezza preoccupante. Le sciolse delicatamente il nodo
del mantello sotto al collo e scoprì il braccio ferito. Un disgustoso odore di
carne bruciata lo investì; a denti stretti chiamò Terry e le sorelle Patil.
Poi fu tutto
un susseguirsi
concitato di delicate operazioni. Terry e Padma intervennero sulla ferita per
estrarre la freccia e bloccare la perdita di sangue con un Incantesimo Cura
Ferite; Calì restituì appena un po’ di colore alle guance dell’amica usando
quasi l’intera scorta di Pozioni Corroboranti e altri infusi energetici; infine
Neville, che per tutto il tempo le aveva tenuto il polso accertandosi della
regolarità del battito, disinfettò la ferita e la fasciò.
A quel
punto, Luna socchiuse le
palpebre.
Calì e Padma
gemettero
apprensive, George si congratulò con Terry dell’ottimo lavoro e Neville,
silenzioso, si alzò in piedi e raccolse la spada; concentrato com’era a
trattenere le lacrime incipienti, non s’accorse che ne stava letteralmente
stritolando l’elsa.
Nonostante
la debolezza e lo
smarrimento, Luna accennò un sorriso ai compagni riuniti intorno a lei; poi
tentò di alzarsi, ma Terry la costrinse a terra: « Devi riposare. »
Lei sembrò
non sentire la raccomandazione
però rimase seduta, con le gambe tese in avanti e la schiena appoggiata alla
fredda pietra dei sotterranei di Hogwarts.
Era esausta:
aveva affrontato e
battuto tre Mangiamorte, l’ultimo da sola.
Alzò lo
sguardo a incrociare
quello di Neville e gli parlò come se accanto a loro non ci fosse nessun altro.
« Ho sognato
di essere morta. »
Sogni
sempre cose strane, Luna.
Neville
aveva la gola annodata
così stretta che avrebbe giurato fosse impossibile far uscire la voce, ma le
parole, invece, lo smentirono:
« Io ho
avuto paura. »
« Era solo
un sogno, » lo
tranquillizzò lei.
L’
espressione ingenua, di una
dolcezza disarmante.
Neville
fremette, gli occhi
annebbiati dalle lacrime ancora tenacemente arginate.
« Per
fortuna, » sorrise, amaro.
Nemmeno
in sogno potrei
tollerare di perderti.
Lei non
sembrò accorgersi dello
sforzo che Neville faceva per controllarsi. Corrucciò la fronte e fece una
serie di affermazioni sconnesse.
« Harry e
Ron sono andati alla
Sala Comune. Hermione è tornata laggiù col Mantello dell’Invisibilità. È
accaduto qualcosa di… strano… c’era troppa elettricità nell’aria…
l’avete sentita? »
Non attese
alcuna risposta.
Sotto gli occhi increduli dei compagni, appoggiò il braccio sano alla parete e
con un considerevole sforzo s’alzò in piedi.
« Oh, »
aggiunse come se si
fosse dimenticata un banale dettaglio, « devo raggiungere Ginny. »
Neville, le
mascelle serrate e
la fronte corrucciata nel tentativo di seguire il filo logico delle sue parole,
la guardò scandalizzato, come se avesse appena imprecato.
« Tu non vai
da nessuna parte. »
le disse un attimo dopo.
Era
premurosa, la sua voce, ma
con una incrinatura severa che non ammetteva repliche.
E Luna non replicò, ma nei suoi occhi era palese la
delusione di non poter essere accanto a loro fino all’ultimo.
« Hai già
fatto abbastanza, »
aggiunse Cho per confortarla.
« Liberiamo
gli altri e torniamo
prenderti, » promise George a nome di tutti.
« Hannah,
prendi un capello di
Pansy, » ordinò Neville all’improvviso.
Padma e Calì
lo guardarono
perplesse mentre Terry annuì in segno d’approvazione.
Hannah, che
fino a quel momento
era rimasta silenziosa, in piedi alle sue spalle, a osservarlo prendersi cura
di Luna in un modo che le spezzava il cuore, non si mosse.
Justin ed
Ernie si scambiarono
uno sguardo interrogativo. Che Hannah Abbott avesse un debole per Neville
Paciock era evidente, almeno per i suoi due più cari amici, ma quella reticenza
era decisamente fuori luogo in un momento in cui la gelosia e l’invidia avrebbero
dovuto cedere il passo senza esitazione alla lealtà e alla collaborazione. A
maggior ragione per una Tassorosso.
Quando Ernie
glielo fece notare
con una leggera gomitata, Hannah si riscosse. Il suo temporeggiare non era
assolutamente provocatorio, ma necessario per placare il groviglio di emozioni
che la dominava.
Si scusò con
un cenno del capo,
s’avvicinò al corpo della Mangiamorte e fece quello che le era stato chiesto.
Con un
capello di Pansy fra
l’indice e il pollice, Neville parlò a Luna in un tono che divenne pian piano
più drammatico.
« Usa la
Pozione Polisucco con
questo, e torna alle Serre. Aspettaci là. Se Tu-Sai-Chi dovesse
scontrarsi con Harry alla Sala Comune, si scatenerebbe qualcosa di terribile.
Dovremo – dovrò – combattere al suo fianco ed è necessario che tu
sia in un luogo sicuro. Perché non potrò venire ad aiutarti. Qualsiasi cosa
accada, non mollerò il campo di battaglia. Anche se Harry dovesse… perdere…
»
« Neanche io
vorrei mollare il
campo di battaglia, » aggiunse Luna prendendo rassegnata il capello che Neville
le porgeva, « ma… immagino che così sarei solo d’impiccio. »
Neville
chinò il capo senza più
riuscire guardarla negli occhi e fece cenno ai compagni di incamminarsi verso
la Sala Comune dei Serpeverde.
Si fidava di
Luna; sapeva che
era in grado di cavarsela da sola anche nelle difficoltà più grandi, ma
lasciarla lì, sola e ferita, era molto più doloroso di quanto pensasse.
Fece appena
un paio di passi che
la Corvonero lo fermò.
« Harry
vincerà. »
L’intero
gruppo si voltò a
guardarla.
« Come?
»
Lei sorrise
a tutti ma parlò a
Neville, in particolare.
« Hai detto,
“se Harry
dovesse perdere”… ma Harry vincerà. »
George annuì
vigorosamente: «
Giustissimo! »
Quel
rimprovero scosse Neville
sciogliendo il nodo che aveva in gola. Il suo sguardo assunse vigore ritornando
determinato e sicuro, come lo era stato nei momenti più difficili di quegli
ultimi due anni.
Si rivolse
ad Hannah Abbott
porgendole la Spada di Godric Grifondoro.
« Tienila
tu, » disse.
Hannah,
sorpresa, prese in
consegna l’oggetto magico con timore, rendendosi conto solo in quel momento di
quanto fosse difficile manovrarlo; e le sembrò ancora più pesante quando
Neville s’avvicinò a Luna e la prese in braccio.
« Oh, cosa
fai?! » Squittì Luna,
con le guance che avevano ripreso colore tutt’in un colpo, gli occhi spalancati
e un’espressione basita.
Neville le
sorrise e parlò
forte, in modo che tutti potessero sentire: « Sai una cosa, Luna? Hai ragione.
Harry vincerà. Sconfiggerà Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e… bè, non
so tu, ma io non vorrei perdermelo per nulla al mondo! »
Quell’
affermazione trasmise
coraggio a tutti e Hannah, all’improvviso, si rese conto di quanto fosse
importante il compito che le era stato affidato.
Accantonando
la tristezza,
affiancò Neville a testa alta. Con espressione risoluta strinse l’elsa della
spada che d’un tratto s’era fatta più leggera, non più oppressa dal peso che
ella portava sul petto.
Forse,
pensava Hannah, non poteva sperare in un posto speciale nel cuore di Neville, ma di certo avrebbe
occupato quello al suo fianco.
* * *
Harry si
precipitò all’interno
della Sala Comune dei Serpeverde con il cuore in gola, Ron al fianco e Ginny
alle calcagna. Sulla soglia si fermò sconcertato: la scena che aveva davanti
agli occhi era al di fuori della sua immaginazione.
C’erano
Alicia Spinnet, Anthony
Goldstein e Michael Corner impegnati in una folle battaglia contro alcuni
Mangiamorte. Schivavano e deviavano incantesimi; quando non riuscivano a
difendersi li annullavano e si rialzavano con tenacia, poi attaccavano e
colpivano senza prendere fiato.
Lampi e
frastuoni infiammavano
la Sala, come una macabra danza tribale intorno ai protagonisti della
battaglia: Voldemort e Malfoy, ora ritirati in una effimera tregua. Il primo
era chino a recuperare la propria bacchetta, il secondo, pallido ed esangue,
teneva la propria stretta in pugno e tremava come se fosse appena scampato alla
morte.
Quello che
più sconvolse Harry
(e che fece gemere Ron in modo stridulo) fu vedere Hermione Granger comparire
dal nulla accanto a Malfoy, la bacchetta ben salda in mano e il Mantello
dell’Invisibilità ripiegato rapidamente attorno al braccio.
Come avesse
usato l’oggetto
magico non potevano saperlo, ma la preoccupazione salì alle loro gole.
Ron non
riuscì a trattenersi e
ancora una volta gridò il suo nome; l’angoscia gli spezzò la voce.
Hermione si
portò una mano alla
bocca: aveva sperato fino all’ultimo che l’aspettassero nel corridoio, ma
sapeva che non l’avrebbero ascoltata.
Così come
sapeva che nulla
avrebbe impedito ad Harry di coprire quel ruolo che persino una Profezia gli
aveva attribuito, il ruolo che Silente gli aveva cucito addosso con cura
meticolosa, il ruolo in cui il Mondo Magico aveva sperato fin dalla sua nascita
e dal quale egli, per niente al mondo, si sarebbe sottratto.
Lo sentì
ruggire con coraggio: « Voldemort! »
Un latrato
sfuggì alla gola del
Signore Oscuro, la Bacchetta di Sambuco di nuovo stretta fra le dita lunghe e
ossute, lo sguardo in fiamme.
« Potter! »
Malfoy
fulminò Harry, come se
fosse arrivato all’ultimo secondo a soffiargli la coppa della vittoria.
Prima che
Hermione potesse
intervenire, lo aggredì: « Potter, che
cavolo sei venuto a fare?! »
Harry guardò
il Serpeverde con
aria di scherno, indugiando sul pallore del suo volto, trasparente alla paura: « Malfoy, stai tremando dalla testa ai piedi, non
vorrai farmi credere che vuoi batterti contro di lui! »
Draco
strinse le palpebre con
aria ostile: « Non sono affari tuoi,
vattene! » Ordinò.
« Non
penserai di avere delle possibilità di vittoria? Dimentichi che tutti quelli
che hanno lottato contro di lui sono morti e la stessa sorte è toccata anche a
molti che hanno lottato per lui, e tu… non sei migliore di nessuno di
loro! »
« Da
quando vi sta così a cuore la mia esistenza? » ribatté
il Serpeverde, quasi immediatamente.
L’aveva lì,
quella domanda, nel
mezzo della gola da oltre un paio d’anni, da quando il trio Grifondoro l’aveva
salvato dall’Ardemonio evocato da Tiger.
Ed era
tornata a dargli
fastidio, come una caramella mal deglutita, da quando Hermione aveva accettato
d’aiutarlo. Da quando, in particolare, lei era riuscita a placargli il cuore
impazzito di paura semplicemente appoggiandosi al suo petto, nella Stanza delle
Necessità.
Ed ora, che
gli aveva salvato la
vita, sembrava addirittura un boccone soffocante.
Come se
fosse inconcepibile
voler aiutare uno come lui.
« Da
quando riteniamo più soddisfacente vederti marcire ad Azkaban! » oltre la spalla di Harry, Ginny esplose sarcastica,
vibrante di determinazione.
« Uccidere
Voldemort è compito mio, » insistette Harry
facendo cenno a Ginny di non intromettersi, « io
sono l’unico che può battersi contro di lui. »
Malfoy, un
ghigno amaro sul
viso, alzò le braccia al cielo in un gesto di scherno: « Potter il Prescelto, Potter il Salvatore! Ti
stai gonfiando così tanto che potresti esplodere! »
Harry non si
scompose, lo
sguardo serio di chi sa d’avere sulle spalle il futuro di un intero mondo: « Ci sono cose che non sai, Malfoy, e non ho
certo il tempo di spiegartele! »
Ron gli fece
eco: « Anche perché non le capiresti… Si tratta di
amore, di capacità di amare, di fedeltà, concetti che non hanno mai neanche
lontanamente sfiorato l’anticamera di un cervello Malfoy… Senza dimenticare che
persino la Profezia dice… »
« Me ne
sbatto delle profezie, Lenticchia! » Berciò
Malfoy alzando la bacchetta e puntandola contro Voldemort.
Harry lo
spintonò: « Malfoy, levati dai piedi! »
Continua…
* * *
(*)
Per questo
incantesimo mi sono ispirata al modo di festeggiare dei tifosi della squadra di
Quidditch Appleby Arrows. Dice Wikipedia: “i tifosi degli Arrows avevano
l'abitudine di lanciare in aria delle frecce infuocate con le loro bacchette
ogni volta che la loro squadra segnava un gol. Questo modo di festeggiare fu
bandito dal ministero della magia nel 1894…”
N.d.A
Io adoro la
coppia Neville/Luna e vi giuro che è dall’inizio di questa fic che voglio
scrivere di loro, ma ad ogni capitolo non mi sembrava mai il momento giusto.
L’equilibrio in una storia è più importante, secondo me, di ogni “shipping” e
così non ce l’ho fatta a raccontarvi di loro, come li immagino e come avrei
voluto. Nonostante lo volessi con tutta me stessa, non sono riuscita a
ritagliare un posticino solo per loro due; ma in questo capitolo avevo un
piccolo spiraglio di libertà e l’ho sfruttato al meglio, come mi sembrava più
opportuno per non spezzare l’equilibrio della trama. Purtroppo, però, c’era
Hannah, lì, in prima linea, combattiva più che mai a rivendicare tenacemente il
suo ruolo… e non sono riuscita a sottrarglielo del tutto. Ho lasciato quindi
ogni cosa, ogni emozione, volutamente vaga perché sentivo, semplicemente, che
doveva essere lasciata così, in sospeso… Tuttavia sappiate che, anche se qui
non è scritto, nella mia testa le cose evolveranno in un solo ed unico modo… =P
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Capitolo 35 *** Capitolo 35 - La profondità dell'odio ***
Lost Memories - Capitolo 35
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che
accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso.
Gandhi
* * *
Capitolo 35 – La profondità dell’odio
Quando
Yaxley e Travers,
trascinando i condannati, raggiunsero i sotterranei del Castello, trovarono una
brutta sorpresa: un gruppo di ribelli con a capo Neville Paciock, aveva
sconfitto - per la precisione schiantato - la Mangiamorte Pansy Parkinson, e
ora li precedeva di pochi metri, diretto alla Sala Comune dei Serpeverde.
Yaxley
imprecò e consegnò
bruscamente i propri prigionieri, Seamus e Dean, a Travers, poi sfoderò la
bacchetta magica e lanciò una Maledizione alle spalle degli intrusi.
Katie Bell,
le braccia bloccate
dietro la schiena, si piegò in avanti e gridò con tutto il fiato che aveva in
gola.
Cho Chang e
Padma Patil, in coda
al gruppo, si voltarono appena in tempo per deviare l’attacco.
Il
frastuono fece voltare tutti
gli altri: Calì, Ernie, Justin, Terry, Neville, che portava in braccio Luna ferita,
George alla sua sinistra e Hannah alla sua destra, che stringeva a due mani
l’elsa della Spada di Godric Gridfondoro.
Vedendola,
i volti dei quattro
ostaggi s’illuminarono di coraggio.
Zacharias
iniziò a dimenarsi
come un’anguilla; Katie scoppiò in lacrime strattonandosi per sfuggire al
proprio carceriere. Seamus, con uno scatto improvviso, calciò gli stinchi di
Travers che ululò dolorante e allentò la presa sulle corde magiche che legavano
i polsi suoi e di Dean.
In breve
i due Mangiamorte persero il controllo della situazione.
Seamus si
gettò contro Yaxley
con un ruggito bellicoso; nei suoi occhi brillava la determinazione: era
disarmato, ma pronto a battersi anche a mani nude.
Travers
afferrò per il mantello
Dean un istante prima che riuscisse a sfuggirgli. Dean ruotò su se stesso, ma
il Mangiamorte lo afferrò per la gola e puntandogli la bacchetta sullo sterno
lo colpì a bruciapelo, scagliandolo in aria. Dean cadde a diversi metri di
distanza, slogandosi la spalla destra. Una fitta lancinante gli attraversò il
braccio e il petto, gridò di dolore ma non si diede per vinto: si trascinò
verso Pansy Parkinson che giaceva schiantata poco distante e le rubò la
bacchetta magica, grazie alla quale annullò l’incantesimo che gli legava le
mani. Si girò, si sollevò sul gomito sinistro e, stringendo i denti, lanciò un
incantesimo di esplosione contro Travers, poi cadde a terra sfinito.
Mentre
Ernie e Justin si
lanciavano nella mischia per distrarre Yaxley, Calì liberò Seamus dalle catene
e Terry corse in aiuto di Dean.
«
Sbrigatevi a raggiungere
Harry! » Gridò George e Neville e Hannah, « a questi due ci pensiamo noi: sono
fottuti! »
* * *
Vedendo Harry e Ron litigare con Malfoy
per rivendicare il ruolo di protagonisti in quella folle guerra, Hermione si
diresse verso di loro a passo militare per dare manforte a Ginny che tentava
invano di farli ragionare, ma dopo un paio di passi si fermò.
Gli occhi
le brillarono di
sorpresa e di speranza: Neville Paciock, arrivato in sordina, si schiacciava
dietro allo stipite della porta d’ingresso alla Sala Comune.
Hermione
ignorò Malfoy e persino
Harry. Energica e determinata, confuse un Mangiamorte che l’aveva avvicinata e
attraversò al volo la stanza.
Era su di
giri quando raggiunse
(e quasi gli saltò addosso) Neville: non le era sfuggito, infatti, il riverbero
dei rubini incastonati nell’elsa della Spada di Godric Grifondoro che
nascondeva dietro la schiena.
« Come
siete riusciti a prendere
la Spada?! » esclamò.
« Merito di
Hannah, » rispose
Neville, e la Tassorosso, nascosta dietro il muro che separava il corridoio
dalla Sala, arrossì.
Hermione
spostò lo sguardo su di
lei e subito impallidì vedendo che sorreggeva Luna, ferita gravemente ad una
spalla. Dal volto emaciato dell’amica capì che aveva perso molto sangue ed era
debole. Insistette per contribuire a prendersi cura di lei, ma Hannah e Luna si
rifiutarono categoricamente.
Il ruolo di
Hermione, ora, era
quello di coprire le spalle a Neville intenzionato portare a termine, una volta
per tutte, il compito che Harry gli aveva affidato: uccidere Nagini.
* * *
Kingsley Shakelbolt, Aberforth Silente e Hestia Jones si
fermarono a prendere respiro: erano arrivati all’entrata principale del
Castello correndo senza sosta, sconfiggendo al primo colpo chiunque li
avvicinasse. L’area era quasi deserta e mal sorvegliata, ma non compresero il
motivo di quella condizione finché si trovarono davanti al degrado in cui
versava la Sala Grande: il meraviglioso soffitto era squarciato e, sopra le
loro teste, il cielo cupo e nebuloso era reale. Solo la tavolata dei Serpeverde
riempiva la sala e un trono sostituiva l’intero tavolo dei professori. Flebili
fiamme alle pareti erano l’unica illuminazione. Il gelo, padrone della stanza,
scendeva nello stomaco a ogni respiro. Il silenzio era totale e, se non fosse
stato per un debole cigolio, nessuno dei membri dell’Ordine della Fenice si
sarebbe accorto d’essere stato pedinato.
I tre maghi
si voltarono di
scatto guardandosi le spalle: sulla soglia dell’ingresso c’erano sette Mangiamorte
incappucciati.
Uno di loro
stava seminascosto
dietro lo stipite, gli altri parevano in formazione d’attacco, capeggiati da
una figura minuta che puntava la bacchetta davanti a sé a braccio teso.
Kingsley si
preparò ad
attaccare.
Due
Mangiamorte indietreggiarono
prima ancora che estraesse la bacchetta; quello che pareva il capogruppo li
redarguì con un’occhiata minacciosa e una scrollata di spalle carica di
disprezzo. Poi mosse la bacchetta magica e un fumo nero si sollevò nell’aria.
«
Andatevene dalla scuola! »
Ordinò agli intrusi.
Aberforth
spalancò la bocca
sorpreso: la voce del Mangiamorte era forte e decisa, ma acuta e chiaramente
femminile.
Uno
Schiantesimo lo sfiorò, ma
egli non si mosse. Un’orribile sensazione lo pervadeva.
Vide Hestia
Jones evocare uno
Scudo e rispondere con facilità a un debole attacco.
Quasi…
ridicolo, pensò
Aberforth.
Poi
Kingsley fu bersaglio di una
raffica di incantesimi, nessuno dei quali andò a segno; ormai sicuro
dell’inferiorità tecnica e strategica del gruppo nemico, lanciò una maledizione
contro il capo.
« Fermati!
» Urlò Aberforth
afferrandogli braccio.
L’
incantesimo uscì dalla
bacchetta ma deviò dalla sua traiettoria, sfiorando appena il nemico, che
tuttavia cadde a terra gridando.
Gli altri
Mangiamorte erano
paralizzati, due di loro tremavano vistosamente.
« Ma che
fai? » sbottò Kingsley
contrariato.
« Non
capisci? » Ribatté
Aberforth lasciandogli il braccio per avanzare a grandi passi verso il
Mangiamorte colpito.
Lo
raggiunse e gli levò il
cappuccio.
Un grido
d’umiliazione
accompagnò quel gesto, ma l’esclamazione inorridita di Hestia Jones lo
sovrastò: « Per tutti i maghi, sono dei bambini! »
* * *
Grazie ad
un Incantesimo di
Disillusione, Hermione e Neville attraversarono la Sala costeggiandone le
pareti per avvicinarsi il più possibile al grosso tavolo centrale.
Raggiunta
la posizione che
ritennero più favorevole, perché meno coinvolta nella battaglia, si separarono:
Neville rimase mimetizzato contro la parete, mentre Hermione uscì allo
scoperto.
Aveva la
gola secca per la
paura.
Il suo
compito era di distrarre
Nagini facendo da esca, affinché Neville potesse raggiungerla e ucciderla al
primo colpo.
Non
potevano permettersi di
fallire o avrebbero pagato con la vita anche il più banale degli errori.
Pochi passi
la separavano dal
lungo tavolo quando Nagini, avviluppata su se stessa, sollevò la testa e la
scrutò in un modo che le diede i brividi.
Hermione
divaricò le gambe e
tese la bacchetta.
Un sibilo
assordante le perforò
i timpani.
Per un
attimo sentì le forze
abbandonarla. Chiuse le palpebre e tutto divenne confuso.
Quando le
riaprì, la realtà
davanti ai suoi occhi era mutata radicalmente.
Era sola
nella camera del
dormitorio Grifondoro.
Calda e
accogliente come la ricordava.
L’
armadio era semiaperto.
S’
avvicinò.
Una creatura saltò fuori facendola balzare indietro per lo
spavento.
Era un
Molliccio che aveva
assunto le sembianze di Nagini.
Si
preparò a difendersi.
* * *
Una frusta di luce fuoriuscì dalla Bacchetta di Voldemort
e schioccò nell’aria: Ron urlò atterrito, Malfoy incespicò nei propri passi e
cadde col sedere a terra, Harry si fece scudo per Ginny e appellandosi a tutto
il proprio coraggio riuscì a non indietreggiare, ma un grido impastato di rabbia
e paura costrinse tutti a voltarsi verso Hermione.
Sembrava
aver perso
completamente il controllo.
Scuoteva la
bacchetta a destra e
a sinistra, lanciando raffiche di incantesimi contro Nagini con furia e
decisione, ma senza alcuna logica.
Mentre Harry e Ginny cercavano una
spiegazione a quel comportamento e Ron si sgolava per attirare l’attenzione di
Hermione, Malfoy s’alzò e corse verso di lei. La placcò, la trascinò lontano
dal campo di battaglia e la spinse contro l’angolo nascosto dietro ad una delle
possenti colonne del camino.
Poiché lei continuava a sbracciarsi per
tentare di attaccare Nagini ormai fuori dal raggio d’azione, lui le afferrò i
polsi e li bloccò al muro, all’altezza del viso. Hermione si contorse con tutte
le sue forze per liberarsi dalla stretta, ma Draco la schiacciò contro la
parete e con tono spazientito la richiamò: « Ti vuoi calmare?! »
Hermione
sentì la sua voce
attutita e lontana, come se provenisse dall’altro lato della stanza. Aveva la
vista annebbiata e le servì un po’ per rendersi conto che lui era lì,
schiacciato contro di lei, che le teneva i polsi e le respirava sul viso.
« Si può
sapere cosa intendevi
fare? »
Trascorsero
diversi secondi
prima che Hermione rispondesse, guardando Malfoy dal basso verso l’alto, seccata
dal suo tono supponente: « Sei cieco, Malfoy? Cercavo di difendermi! »
La smorfia
derisoria sul viso di
lui divenne nitida davanti ai suoi occhi: « Usando Incantesimi Anti-Molliccio
contro Nagini? »
« Cosa? »
sfiatò Hermione.
Malfoy
sentì i suoi polsi
irrigidirsi sotto i palmi delle mani e percepì fin troppo intensamente
l’inquietudine che l’aveva attraversata. Una imprecisata sensazione gli gonfiò
lo stomaco, trattenne il respiro e rimase a fissarla mentre corrugava la fronte
e si concentrava alla ricerca di una valida spiegazione per quello che era
appena accaduto.
« Stupida, » l’apostrofò, indelicatamente come sempre, ma
con un tono tutt’altro che offensivo, « ti sei fatta ipnotizzare. »
«
Ipnotizzare? » balbettò
Hermione.
« Non
voglio sapere cosa ti sei
messa in testa, ma sappi che non è così semplice uccidere Nagini. È protetta da
un potente incantesimo: è troppo importante per lui, quasi… vitale »
disse Malfoy, senza riuscire a trovare le parole giuste per spiegarsi.
Hermione comprese ugualmente: Malfoy, in
qualche modo, doveva aver intuito la presenza di quel legame terrificante che
univa Voldemort al proprio Horcrux.
« Oh, lo so
che non posso
ucciderla, » ribatté lei con una punta di presunzione, « ma… »
« Allora
vedi di starle lontana.
» troncò Malfoy asciutto, allentando la stretta sui suoi polsi.
Hermione
alzò lo sguardo,
sorpresa da quella raccomandazione priva d’ironia, e poiché lui guardava
altrove, piegò il braccio sinistro davanti a sé fermando la mano socchiusa sul
suo mantello, all’altezza del cuore.
Malfoy,
colto alla sprovvista,
si tirò indietro per guardarla in faccia, cercando nei suoi occhi la conferma
della casualità di quel gesto. Non riuscì a trovarla.
Hermione
abbassò repentinamente
lo sguardo. « Ora, immagino di doverti ringraziare… » borbottò.
Era tesa,
poteva capirlo da come
il pollice e l’indice della sua mano si tormentavano sul suo petto.
Forse s’
aspettava una qualche
reazione arrogante, ma lui, concentrato sul vuoto che sentiva nello stomaco,
rimase ad osservarla in silenzio, aspettando che scegliesse, fra le mille cose
che aveva da dire, quella con cui cominciare.
Ed Hermione
cominciò e concluse
in perfetto stile Grifondoro: alzò la testa orgogliosa e piantò gli occhi nei
suoi, poi aprì la mano sinistra, premendo sul suo petto con tutto il palmo.
Malfoy
pensò che Hermione
dovesse avere le dita bollenti perché le sentiva bruciare una ad una attraverso
il mantello.
« Grazie.
»
Quella
parola, semplice e
diretta, fu più destabilizzante di quanto potesse immaginare. C’era qualcosa di
grottesco nel modo in cui la guardò ammutolito: gli occhi spalancati, le labbra
socchiuse, il respiro pesante, come se lei avesse appena svelato qualche
mistero secolare.
E c’era
qualcosa di grottesco
anche nel modo in cui Hermione aprì e richiuse la bocca un paio di volte per
poi girare il capo e sottrarsi lentamente al suo sguardo, passando a studiare
un punto indefinito del pavimento.
Era pronta
quasi a tutto,
Hermione.
Sapeva d’
essere in grado di
difendersi da ogni provocazione, di riscattarsi da ogni mortificante
osservazione che Malfoy avrebbe potuto sputare, di troncare sul nascere ogni
tentativo di approfittare della sua riconoscenza…
Ma non era
preparata al
silenzio.
Un silenzio
così scomodo che
sentì il bisogno impellente di riempirlo con qualsiasi cosa: « Un Grifondoro
che ringrazia un Serpeverde. » esordì amara, « Un momento memorabile, Malfoy,
che racconterai in giro per umiliarmi (se mai usciremo vivi da questa guerra) e
che probabilmente nutrirà il tuo ego per i prossimi due anni (anche se non ce
ne sarebbe bisogno, dato che, per qualche inspiegabile motivo, ti senti già
superiore a tutti). Ma posso sopportarlo, se non altro per dimostrare che io, a
differenza di te, non sono un’ingrata… Ti rendi conto che poco fa mi hai dato
della stupida? Dopo tutto quello che ho fatto per te! Oh, io non sono
stupida! »
Malfoy, che
difficilmente, in
quelle condizioni, avrebbe saputo elaborare uno qualsiasi di quei pensieri,
continuò a tacere e a domandarsi come fosse possibile che la mano di una
persona potesse produrre tanto calore.
Hermione ne
sentì lo sguardo
serio e indagatore su di sé e, infastidita dalla mancanza di ogni sua reazione,
incalzò: « Ti sembro stupida, Malfoy? »
Lui, scosso
dal tono minaccioso,
tornò alla realtà, ma esitò un poco prima di rispondere.
Strinse la mano di Hermione nella propria e l’allontanò da
sé: non era la prima volta che quel contatto lo faceva trasalire, ma solo ora
aveva compreso quanto lo rendesse vulnerabile. Poi si schiarì la voce, ma le
sue parole rimasero un sussurro: « Non sei stupida, è che… a volte… fai cose
che non dovresti fare. »
Hermione
socchiuse le labbra
senza riuscire a fiatare, si ancorò alla sua mano prima che lui riuscisse a
ritirarla.
Malfoy la guardò negli occhi, la bocca serrata e le dita
gelide strette intorno alle sue, con un espressione così seria che Hermione
ebbe paura. Non di lui, ma di se stessa. Dell’emozione inaspettata che le
faceva battere il cuore così forte da non permetterle di respirare regolarmente.
All’
improvviso, Malfoy la spinse
contro la parete e si protese verso di lei. Si chinò e le sfiorò la fronte con
le labbra. Hermione fu percorsa da un brivido e s’irrigidì, come se si fosse
resa conto solo in quel momento d’essersi spinta fin sull’orlo del precipizio e
di un riuscire più a tornare indietro. Di non volerci nemmeno provare.
Lui se ne
accorse e si fermò.
Fece un sospiro che sapeva di rassegnazione, come se quella reazione fosse
prevista, quasi ineluttabile.
Prima di
allontanarsi, con un
tono al limite del lezioso, di nuovo, si raccomandò: « Stai lontana dal
serpente, ok? »
Hermione,
le guance rosse e
accaldate, lo guardò negli occhi e abbozzò un sorriso incerto, velato di ironia
e di sospetto.
« Quale
serpente? »
Malfoy
percepì il violento e
improvviso diffondersi del rossore sulle guance pallide del proprio viso. Il
cuore gli salì in gola con la precisa intenzione di non volersi più schiodare
da lì. Il vuoto che già gli occupava lo stomaco si amplificò inducendolo a
liberare bruscamente la propria mano da quella di lei, consapevole di quanto
fosse ormai insostenibile quel contatto.
Elusivo,
voltò le spalle a
Hermione sperando che quello bastasse per fuggire a ciò che era appena
accaduto. Parole e gesti che - promise a se stesso - avrebbe rinnegato fino
alla morte qualora lei fosse venuta a chiedere il conto di ciò che aveva detto
e fatto.
Inconsapevolmente, senza dubbio.
Guardò nel
centro della Sala,
dove la battaglia proseguiva incurante della sua assenza, e vide Harry Potter che
tentava insensatamente di disarmare Voldemort. Decise che aveva trascurato il
proprio obiettivo per troppo tempo.
« Se
quell’idiota di Potter… »
borbottò fra i denti.
Non passò
nemmeno un secondo
perché Hermione rispondesse assumendo un’espressione oltraggiata, con la quale
provò a nascondere, almeno all’apparenza, l’insieme di emozioni che ancora la
turbava.
« Harry non
è un idiota! »
« E come
dovrei chiamare uno che
affronta il Signore Oscuro con un Incantesimo di Disarmo? »
Hermione
colse tutta l’insoddisfazione
celata dietro quel sarcasmo. « Non puoi prendere il suo posto, fattene una
ragione. »
Malfoy le
ripeté le sue ragioni
per l’ennesima volta, insofferente, come se lei fosse troppo ingenua per
capire.
« Ha ucciso
i miei genitori! »
« Ha ucciso
anche i genitori di
Harry! » Gli fece il verso lei, dimostrandogli che non era per mancanza di
comprensione che provava a fermarlo.
« Ma io
sono capace di odiare
molto più di lui. »
Era vero.
Terribilmente vero, pensò
Hermione.
La
profondità dell’odio di cui
era capace non era assolutamente paragonabile al sentimento che provava Harry.
Questo lo sentiva limpidamente: Malfoy era tanto facile all’odio quanto Harry
lo era al sacrificio.
A Malfoy
non bastava rendere
Voldemort inoffensivo. Egli voleva, anzi agognava, nel modo più assoluto, la
propria personale vendetta.
Malfoy,
però, da autentico
Serpeverde, non capiva - ed in questo era molto più ingenuo di lei - che non è
possibile spegnere l’odio con altro odio.
Inutilmente
cercò di fermarlo: «
Non basta odiarlo per sconfiggerlo. L’odio non fermerà l’odio, possibile che tu
non riesca a comprendere che – »
Lui non le
diede ascolto e si
voltò.
Lei lo
afferrò per la manica. «
Dove vai? » Squittì. Era preoccupata, lo si poteva vedere chiaramente, tuttavia
Malfoy ostentò disinteresse e le rispose con leggerezza.
« Devo
rubargli la Bacchetta di
Sambuco. »
« Cos- ? »
Hermione perse la
voce prima di terminare l’esclamazione. Avrebbe preferito di gran lunga
sentigli dire che andava a duellare con Harry.
Lui vide
l’ansia torcerle gli
angoli della bocca, allora le mise una mano appena sotto lo stomaco e,
delicatamente, la spinse di nuovo contro il muro.
« Non
muoverti da qui. » ordinò
mentre le apriva lentamente le dita con cui gli aveva artigliato il mantello.
Lei scosse
la testa. « Ti farai
ammazzare. » Constatò con un tono volutamente sarcastico, spezzato però dalla
preoccupazione.
« In tal
caso, Granger, ti
autorizzo a intervenire. » Sogghignò lui voltandole le spalle.
Hermione
aggrottò la fronte,
turbata.
Poi decise
che dovevano essere i
postumi dell’ipnosi di Nagini: se quello che si stava allontanando non fosse
stato il Serpeverde più stronzo della storia di Hogwards, avrebbe giurato
d’avergli visto fare un occhiolino!
* * *
Nascosta dietro la colonna in marmo del
grande camino, Hermione Granger era certamente confusa dall’insieme d’emozioni
che aveva vissuto negli ultimi minuti, ma di una cosa era sicura: non intendeva
rimanere in disparte un secondo di più.
Lanciò un’
occhiata alla Sala
Comune: era un delirio, una lotta senza esclusione di colpi.
Alicia era
ferita: un terribile
sfregio - frutto di uno spregevole Incantesimo Oscuro - s’apriva dal suo mento
fino alla base del collo; cicatrizzatosi all’istante, non sanguinava ma
bruciava come un marchio a fuoco. Piangeva, Alicia, mentre scagliava ogni sorta
di maledizioni contro colui che le aveva deturpato irrimediabilmente il volto.
Anthony si
batteva strenuamente
contro un Mangiamorte alto e terribilmente agile. Con intelligenza e astuzia
riusciva a difendersi da tutti i suoi attacchi, ma faticava a mandare a segno i
propri; costretto a indietreggiare colpo dopo colpo, si ritrovava ora sulla
soglia d’ingresso alla Sala. Michael s’apprestava a correre in suoi aiuto,
avendo appena sconfitto il proprio avversario.
Voldemort bramava la resa dei conti. L’Incantesimo di
Disarmo che Harry aveva lanciato contro di lui era miseramente fallito, ma
l’improvviso e scellerato intervento di Malfoy gli impedì di finire il suo
acerrimo nemico: il Serpeverde, dimostrando una stoltezza persino superiore a
quella del Ragazzo Sopravvissuto, minacciava di sottrargli la sua preziosissima
Bacchetta di Sambuco!
Nel caos generale, Hermione cercò Neville là dove si erano
separati e fu lieta di constatare che non aveva fatto mosse avventate:
nell’ombra, attendeva ancora il momento adatto per attaccare. Folgorata da
un’idea, rapidamente lo raggiunse.
* * *
Ron aveva
visto l’Expelliarmus
di Harry infrangersi sul pavimento e il corpo di Voldemort gonfiarsi, letteralmente, in procinto di
esplodere nell’Anatema Che Uccide.
Aveva
gridato di paura.
Poi era
arrivato Malfoy a
rivendicare, in nome di un opinabile diritto, il proprio possesso sulla
Bacchetta di Sambuco.
Ron non
riusciva ad immaginare
un intervento più stupido.
Si era
frapposto tra Harry e
Voldemort e si era tolto il mantello con un gesto spavaldo solo in apparenza.
La camicia bianca, madida di sudore, era appiccicata alla sua schiena lungo
tutta la spina dorsale che, pensò Ron, rischiava di spezzarsi per la paura.
All’
improvviso un Mangiamorte lo
attaccò alle spalle. Voltandosi per contrattaccare, con la coda dell’occhio Ron
vide Ginny trascinare Harry lontano dal campo di battaglia.
Tirò un
sospiro di sollievo.
A
fronteggiare Voldemort restava
soltanto Malfoy, della cui sorte non avrebbe dovuto preoccuparsi.
Tuttavia,
c’era qualcosa che
continua a distrarlo. Un dettaglio che non quadrava.
Poco
prima, Malfoy s’era
allontanato per raggiungerla…
Cominciò a
guardarsi intorno
disperato.
L’aveva
allontanata di peso da
Nagini…
Uno
Schiantesimo lo mancò, più
per fortuna che per abilità.
Con
convincenti argomentazioni a
lui sconosciute (o più probabilmente con qualche subdola tecnica magica), era
riuscito a calmarla…
Messo alle
strette, Ron evocò un
Sortilegio Scudo.
Quando
Harry aveva attaccato
Voldemort, per un attimo aveva perso d’occhio la situazione…
Il suo sguardo settava a destra e sinistra della sala.
Scintille d’ogni colore si scontravano nell’aria, nugoli di polvere offuscavano
la vista. Il frastuono era assordante, la confusione totale.
Finché
Malfoy era tornato a
giocare all’eroe con la coda di paglia…
Un altro
incantesimo scoccò
dalla bacchetta del suo avversario, reclamando la sua attenzione.
Ron sentì il fiato mancare.
Merlino! Dov’era Hermione?!
* * *
|
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Capitolo 36 *** Capitolo 36 - Corpo a corpo ***
Lost Memories - Capitolo 36
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Ci ho
messo davvero un’infinità di tempo. Non posso che scusarmi.
Prima
di lasciarvi alla lettura, però, è necessario che spieghi una scelta
particolare che ho fatto per questo capitolo, per evitare di essere fraintesa.
Troverete
ogni tanto dei dialoghi scritti in blu, in corsivo. Si tratta delle parole che
la Rowling ha dato a Harry nel settimo libro, negli ultimi capitoli.
Ho
deciso di riprendere queste battute perché volevo mostrare che, pur seguendo
strade diverse, questo mio finale alternativo rimane profondamente agganciato
al racconto originale. Non volevo in alcun modo scopiazzare il libro, né si
tratta di mancanza di idee, tutto è stato progettato fin dall’inizio.
Da
quando ho iniziato a scrivere Lost Memories, non ho mai perso di vista le due
cose che ho pensato, istintivamente, appena terminato di leggere il 7 libro:
1.
la Rowling ha usato splendidamente Malfoy nel sesto
libro, ma poi lo ha relegato in disparte: secondo me, ha sprecato un gran
personaggio!
2.
ci sono destini già scritti e, per quanto le strade
siano diverse e le persone cambiate, la meta è sempre la stessa.
Buona
lettura!
*
* *
Stanco di vedere le parole che muoiono.
Stanco di vedere che le cose non cambiano.
Stanco di dover restare all’erta ancora,
respirare l’aria come lama alla gola.
Subsonica, Corpo a
corpo
* * *
Capitolo 36 – Corpo a
corpo
Nello stesso istante in cui Malfoy tornò a sfidare
Voldemort, Ginny afferrò Harry e, prima che lui riuscisse a obiettare alcunché,
lo trascinò lontano di alcuni passi.
Ostacolato da Ginny che si
era
frapposta tra lui e il Signore Oscuro, Harry cercò di spostarla senza farla
cadere. Lei si rivelò una roccia.
Harry divenne un tutt’uno
con la
protesta.
« Tu non capisci, Ginny!
Nessuno
può prendere il mio posto. Non si tratta di capacità! Questa… - disse
indicandosi la fronte - non è solo una cicatrice… »
« Oh, lo so benissimo cos’è!
»
lo zittì Ginny. « La professoressa McGrannit mi ha spiegato molte cose… so
anche cos’è un Horcrux, ma… ragiona, Harry! Questa guerra riguarda l’intero
Mondo Magico: che tu lo voglia o no, saremo coinvolti ugualmente. Abbandonare
ora la battaglia non è da vigliacchi. Se ti ritiri tu, ci ritiriamo tutti;
torniamo al rifugio e ci prepariamo allo scontro finale. È questione di giorni,
credimi, il tempo di chiedere aiuto all’Ordine della Fenice… »
Harry l’interruppe
afferrandola
per le spalle.
La guardò negli occhi, fermo
e
allo stesso tempo dolce: « Capisco quello che stai cercando di fare. Non essere
in grado di proteggere le persone che ami è una frustrazione che può farti
impazzire, lo so bene, ma dimentichi che tutto questo fa parte del piano di
Silente. Lui aveva previsto tutto e inoltre… » esitò. Stava per metterla al
corrente dell’importante intuizione che aveva avuto due anni prima e che era
riaffiorata ai ricordi durante l’incursione al Castello(*): « Se i
miei calcoli non sono errati, io sono il vero padrone della Bacchetta di
Sambuco. Questo significa che - lanciò un’occhiata in direzione di Malfoy -
corro meno rischi di quanti ne stia correndo quell’idiota! »
« Non me ne frega niente di
quello che intende fare Malfoy, » sbottò Ginny, « per quanto mi riguarda, può
anche lasciarci le penne! Sarebbe la gusta punizione per… »
« Non spetta a lui pagare
per
gli errori commessi dalla sua famiglia. »
« E allora? Non dirmi che
ora
vuoi batterti per salvare le chiappe di Malfoy! »
Harry scosse la testa. Ginny s’aggrappava a qualsiasi cosa
ostinandosi a non capire.
« Io sono solo stanco. Stanco di questa guerra e del dolore
che ha provocato a tutti noi, » mormorò drammatico, « sono stanco di guardare
in faccia la morte e… »
Per puro caso, lanciò uno sguardo all’altro lato della
Sala.
Ginny si voltò per guardare
nella stessa direzione e spalancò la bocca stupita: ad alcuni metri di distanza
dal grosso camino marmoreo, Neville, affiancato da Hermione, impugnava la Spada
di Godric Grifondoro.
Harry mise le mani intorno
alla
vita di Ginny e la scostò di lato.
« …Ritirarsi ora sarebbe un vero peccato! Sei d’accordo
Ginny? » Esclamò.
* * *
Un incantesimo Diffindo sfiorò la
guancia sinistra di Molly Weasley; una manciata di capelli rossi svolazzò
nell’aria e lo zigomo cominciò a sanguinare.
Molly non fiatò. Non era spaventata, né
intimorita dalla bestia che avanzava verso di lei minacciando di farle ciò che
aveva fatto a suo figlio.
Bill, invece, era furibondo.
L’arroganza con cui Greyback aggrediva
sua madre e il pensiero dello strazio che portava sul volto erano accecanti.
Senza pensare, incespicando sulla neve ormai resa poltiglia dal frenetico
calpestio della battaglia, si protese in avanti e si lanciò contro il nemico.
La forza con cui arrivò a piantargli la
spalla nello sterno, fece perdere a entrambi l’equilibrio.
Nella caduta, la bacchetta del licantropo
si perse nel fango.
Bill si issò su di lui; artigliando la
sua giacca lurida, gli puntò la bacchetta alla gola.
A Greyback non rimase che lottare corpo a
corpo.
* * *
Ginny lasciò andare Harry
con
reticenza e un nodo alla gola soffocante. Aveva il cuore che batteva
all’impazzata mentre si ripeteva con decisione che doveva fidarsi di lui perché
eventi sembravano volgere in suo favore.
Neville era ad un passo
dall’eliminazione di Nagini e - per quel che ne sapeva lei - in tutta la storia
di Hogwarts non si era mai vista una bacchetta opporsi al proprio padrone: se
era vero che Harry era il proprietario di quella di Sambuco, avevano la
vittoria in pugno.
Harry si separò da lei e
superò
il tavolo centrale.
Pochi passi alla sua
sinistra,
Malfoy si guardava attorno freneticamente. Cercava la bacchetta che Voldemort
gli aveva appena sottratto respingendo, senza alcuna difficoltà, la Maledizione
Senza Perdono con la quale lo aveva - stupidamente e inutilmente - attaccato.
« Tom
Riddle! »
La voce di Harry tuonò
impavida
fra i sotterranei.
Tutta la sala sembrò fermarsi nel medesimo istante per
puntare gli occhi sul Ragazzo Sopravvissuto, che osava umiliare il Lord Oscuro
usandone l’appellativo di Mezzosangue.
Voldemort, in procinto di
dare
una seconda, definitiva, lezione al rampollo reietto dei Malfoy, si fermò e
spostò l’attenzione su di lui.
Harry, a denti serrati, lo
sfidò:
« Sono io il tuo rivale.
»
Voldemort, gli iridi
iniettati
di sangue e le pupille ridotte a due fessure, lo freddò: « Ancora per poco,
Potter! »
Harry strinse la bacchetta;
scrutò sospettoso Malfoy, poi lanciò un’occhiata preoccupata a Ron e a Ginny
che, come temeva, aveva deciso di raggiungerlo.
Con un gesto secco, aprì il
palmo della mano verso di lei. Ginny si fermò.
« Non
voglio aiuto. »
« E chi ti vuole aiutare,
Potter! » Sbottò Malfoy, giusto per fargli sapere quanto fosse contrariato dal
suo intervento.
« Sta’ zitto, Malfoy, »
replicò
Harry. Nella sua voce non c’era il minimo cenno di paura, solo una profonda e
salda certezza: « Deve andare così. Devo essere io. »
« Su questo non c’è dubbio,
»
sghignazzò Voldemort, « Tu sarai il primo! E dopo di te verranno tutti coloro
che hanno osato opporsi al mio potere! »
« Non
potrai uccidere nessuno di loro, mai più, » lo minacciò Harry.
Voldemort rise forte,
superbo e
sprezzante, ma in realtà non capiva quello che Harry stava dicendo.
« Due anni fa, nella foresta
proibita, ero pronto a morire per impedirti di fare
del male a queste persone.»
« E questo cosa importa ora? Sono trascorsi anni! Nei
quali ti sei dato alla macchia nascondendoti come un vigliacco e usando tutti
come tue pedine. »
« Io non ho usato nessuno.
La
professoressa McGrannit mi ha allontanato dal Mondo Magico perché temeva che
non fossi ancora pronto per eseguire il compito che Silente mi aveva affidato,
e loro – indicò i membri dell’Esercito di Silente che lo attorniavano - i miei amici!
Mi hanno protetto con grandi sacrifici fino ad ora, senza sapere che in realtà
ero io a proteggerli. »
« Non ho mai sentito una
simile
assurdità! Come potevi proteggerli se non eri fra loro, Potter?! »
« Non
impari dai tuoi errori, Riddle, vero? »
« Errori? Io sono il Supremo
Signore Oscuro. Sono più potente di qualsiasi altro mago della storia. Conosco
più incantesimi di quanti ne conservino i Manuali. Ho conquistato Hogwarts e il
mio luogotenente dirige la Scuola… Se sono arrivato fino qui, (mettitelo bene
in testa!) è perché non ho commesso alcun errore! »
Harry non si fece intimorire
da
tanta superbia, era profondamente sicuro di quello che diceva: « Nella foresta
proibita quando ho accettato di morire… - ricordò - ho
fatto quello che ha fatto mia madre. Sono protetti da te. Non hai notato che
nessuno dei tuoi incantesimi funziona su di loro? »
Voldemort strinse i denti e
sibilò insofferente: « Ancora con questa storia? La tua è solo un’illusione,
Potter, ma dato che insisti te lo dimostrerò subito! »
La perversione di quella
minaccia era così tangibile da far accelerare il cuore.
Harry s’immobilizzò coi
sensi all’erta,
sperando di poter anticipare anche solo di un istante lo scatenarsi della sua
furia.
Purtroppo, la crudeltà nemica superò la sua
immaginazione.
All’improvviso, come una folgore che squarcia il cielo
notturno, alle sue spalle, Ginny gridò.
Harry si voltò sgomento. Un
gemito strozzato gli uscì dalla gola.
Due Mangiamorte avevano
sollevato Ginny da terra prendendola sotto le ascelle e per i piedi.
Mentre lei si dimenava
invano
con tutte le forze, la gettarono supina sul grande tavolo. Le robuste catene
d’acciaio che lo ricoprivano presero vita all’istante, avvinghiandole le
braccia e le gambe.
Ginny urlò di rabbia e
inarcò la
schiena tirando le catene fino a riempirsi i polsi e le caviglie di lividi.
« Ginny! »
Voldemort esplose in una
risata
sadica e disumana, vibrante di piacere: « Di cosa ti preoccupi, Potter, l’amore
la proteggerà! »
Harry, con un dolore
inimmaginabile in mezzo alle costole, corse al tavolo e afferrò la mano destra
di Ginny. Puntò la bacchetta sulla catena che la immobilizzava, ma uno dei due
Mangiamorte che l’aveva catturata intervenne in modo tempestivo e, più che mai,
infausto.
« Expelliarmus!
»
La bacchetta di biancospino gli sfuggì dalle mani e volò
così in alto che per un attimo la perse di vista.
Ricadde, con un sonoro ticchettio, a diversi metri di
distanza.
Harry emise un lamento
angosciato. Disarmato, guardava Ginny con le lacrime agli occhi; vederla in
quelle condizioni gli annebbiava la mente, impedendogli di individuare una
qualsiasi soluzione alternativa.
In quell’istante, Ron
raggiunse
la sorella.
« Oh Ron! » Ginny gemette
pregandolo di proteggere Harry.
Ron fu attraversato da un
brivido. Quasi controvoglia – e di questo non andava certo fiero - s’allontanò
dal tavolo preparandosi ad evocare uno scudo di protezione.
Doveva credere in quello che
aveva detto Harry, credere che gli incantesimi del Signore Oscuro non potevano
avere effetto su di lui, come su nessun altro membro dell’Esercito.
Ma la paura rese quella
certezza
così fragile da frantumarla non appena il volto di Voldemort mostrò una palese,
devastante, espressione di vittoria.
Ron sentì le ginocchia
tremare
come se l’avessero colpito con una fattura Gambemolli.
All’improvviso, quando ormai
si
era rassegnato al peggio, accadde qualcosa che, nella concitazione di quei
terribili momenti, nessuno aveva preso in considerazione.
Nel giro di una manciata di
secondi, Neville Paciock e Hermione Granger, cambiarono il corso degli eventi.
Sbucando fuori dal Mantello
dell’Invisibilità si ersero in piedi sopra al grande tavolo.
Hermione si chinò a liberare
Ginny dalle catene stregate.
Neville balzò giù e corse
verso
Nagini.
Facendo appello a tutta la
propria forza, sollevò la Spada e, con un grido selvaggio, la fece roteare
sopra la testa.
Il ferro brillò riflettendo
la
luce verdastra della lampade mentre la lama calava sul collo del serpente.
La testa rotolò sul tappeto
macchiandolo di sangue scarlatto.
Un agghiacciante latrato
uscì
dalla gola di Voldemort, mentre le spire della fedele Nagini s’afflosciavano
l’una sull’altra prive di vita.
Accecato dall’odio e dalla
rabbia, frustò l’aria con la bacchetta di Sambuco.
L’Anatema Che Uccide colpì
Neville in pieno petto, facendolo volare in aria e sbattere con violenza contro
l’intelaiatura in piombo di una delle grandi vetrate.
La Spada di Godric
Grifondoro
gli sfuggì dalle mani e cadde a terra; roteando, scivolò fin sotto al tavolo di
tortura.
« Oh no! Neville! »
Harry urlò e fece per
raggiungerlo, ma Hermione saltò giù dal tavolo indicando a braccio teso
l’ingresso: « Harry, la bacchetta! »
In quel preciso istante,
Malfoy
le sfrecciò accanto correndo nella stessa direzione.
Harry Potter e Draco Malfoy,
entrambi disarmati, si gettarono in simultanea sulla bacchetta di biancospino.
Harry ne afferrò l’
impugnatura.
Malfoy, imprecando, la prese
per
la punta.
Ognuno la tirò a sé, nessuno
era
disposto a cedere.
« Questa bacchetta mi
appartiene, Potter! » ringhiò Malfoy.
Harry ghignò: « Ora non più.
Ti
ho sconfitto due anni fa, l’hai dimenticato? È evidente che ne sono il
legittimo proprietario. »
Più che dimenticato, Malfoy
l’aveva volutamente rimosso, ma non si soffermò su quel dettaglio ed esibì un
sorriso di scherno: « Ora non più. » Gli fece il verso, « dato che ti
sei fatto disarmare come un babbeo. »
Harry incassò l’offesa, ma
rilanciò con un ricatto: « Se davvero vuoi salvarti da Azkaban, lasciami
portare a termine il compito che Silente mi ha affidato. »
Malfoy tirò la bacchetta
verso
di sé e lo guardò truce: « Se davvero conosci il dolore d’aver perso una madre,
lasciami compiere la mia vendetta. »
Harry, le palpebre strette
con
aria di sfida e una smorfia meschina sulle labbra, sussurrò: « Exulcero.
»
« Ah! Merda! »
Malfoy, che in fondo aveva
capito fin da subito d’impugnare la bacchetta dal lato sbagliato, imprecò
ritirando il palmo dolente.
« Me la pagherai, Potter!
»
E mentre si soffiava sulla
mano
gonfia di disgustose pustole, Harry corse a fronteggiare Voldemort ancora una
volta.
Quella
definitiva.
« Sei
finito, Riddle. »Minacciò« Ogni
brandello della tua orribile anima è stato annientato. Non ne rimane che un
misero, lurido cencio. »
Le sue parole erano così
fiere e
sicure che Voldemort, gonfio d’ira, riuscì soltanto a ruggire.
Harry inspirò profondamente,
puntando
verso di lui la bacchetta appena recuperata.
« Non
ci sono altri Horcrux. Siamo solo tu ed
io.»
* * *
N.d.A
(*)Ho
immaginato che, anche se non viene detto esplicitamente nella storia originale,
Harry si sia reso conto di essere il padrone della bacchetta di Sambuco ben
prima dello scontro finale con Voldemort, ma che non ne abbia parlato con
nessuno anche a causa del frenetico susseguirsi di eventi.
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Capitolo 37 *** Capitolo 37 - Bacchette Magiche ***
Capitolo 37 - Lost Memories
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
È la bacchetta che sceglie il mago, lo ricordi.
Credo che da lei dobbiamo aspettarci grandi cose, signor
Potter...
J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale
* * *
Capitolo 37 – Bacchette magiche
Greyback, la bacchetta di Bill
Weasley puntata alla gola, tentò di recuperare la propria rovistando alla cieca
nella neve, poi ruggì, irrigidì i muscoli e fece un rapido scatto.
In un attimo, Bill si trovò
supino con al collo gli artigli nemici.
Lo sguardo ferino di Greyback,
sicuro d’aver ribaltato le sorti dello scontro, era privo d’ogni umanità, le
sue unghie affilate graffiavano la gola della vittima. A peggiorare la
situazione, seguì un “crack” raggelante, che decretò lo spezzarsi della
bacchetta di Bill sotto al ginocchio sinistro del licantropo.
Bill, consapevole di non essere
abbastanza forte da liberarsi a mani nude, chiamò sua madre: « Colpiscilo ora,
mamma! » Le ordinò.
Molly non si mosse: per quanto
le spalle di Greyback apparissero enormi, il terrore di colpire il figlio
l’immobilizzava.
Bill non la chiamò più; esausto,
in cerca disperata di una strategia, lanciò un’occhiata alla propria destra.
Nonostante il buio e l’impossibilità di voltare il capo, scorse in lontananza
l’ingresso del Castello e poi, sulla stessa linea, a poco meno di mezzo metro
da lui, la bacchetta magica di Greyback.
Non fu necessario pensare.
Allungò il braccio per afferrarla, la puntò al fianco della bestia che gli
toglieva il fiato e colpì a bruciapelo.
Una violenta esplosione travolse
entrambi; poi il corpo del licantropo volò in aria, sopra le teste dei Weasley,
e cadde ai piedi di un Ghermidore, che gridò, indietreggiò di alcuni passi e
fuggì terrorizzato.
Greyback era morto.
Bill s’alzò a sedere ansimante,
con il collo livido e le mani escoriate dall’effetto ravvicinato della
Maledizione Cruciatus.
Molly fece per raggiungerlo
quando un tuono rombò possente nell’aria.
A un tratto, il cielo di
Hogwarts si scurì in un modo che nessuno avrebbe mai immaginato possibile. Le
nubi si chiusero fagocitando completamente la Luna e tutte stelle, mentre il
Marchio rimaneva l’unica fonte di luce a squarciare la densa oscurità.
Stava per accadere qualcosa di
terribile.
Bill fece per alzarsi e correre
al Castello, ma Molly glielo impedì.
« Vado io. » Disse irremovibile.
« Riporta a casa tuo padre. »
Bill incrociò il suo sguardo e
non provò nemmeno a protestare.
Non provare a fermarmi. Là
dentro ci sono George, Ron e Ginny.
Dicevano gli occhi di sua madre.
Io devo
proteggerli.
* * *
Il riflesso glauco delle ampie vetrate
nella Sala Comune si mescolava alla luce soffusa delle lampade rendendo
l’atmosfera cupa e inquietante. Il silenzio era glaciale, pesante come piombo.
Il Ragazzo Sopravvissuto aveva sfidato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato con
tale grinta da congelare la Sala per numerosi secondi. Tutti, Magiamorte ed
Esercito di Silente, sembravano fremere in attesa della reazione del Signore
Oscuro.
Neville aveva appena ripreso i sensi. Era
stato colpito da una Maledizione Senza Perdono ma era salvo grazie a Harry: era
quella la forza, la genialità, del progetto di Silente, ora poteva davvero
capirlo.
A Ginny, che lo teneva per un braccio e
tremava, avrebbe voluto dire le stesse parole che Luna aveva detto a lui: “Harry
vincerà”, ma la tensione nell’aria era tale da ammutolirlo. Riuscì soltanto
a mettere la mano sopra la sua; lei gliene fu grata.
Ron guardava Harry senza però perdere di
vista il Mangiamorte con il quale stava combattendo fino a pochi minuti prima,
fermatosi per una sorta di timore reverenziale, un segno di rispetto che a Ron
pareva incomprensibile. Come a sottolineare che la vittoria era imminente e
apparteneva soltanto a lui, a Lord Voldemort.
Hermione stava dritta in piedi accanto al
tavolo. Una mano chiusa a pugno e l’altra sul cuore, la bocca semiaperta.
Impossibile comprendere il suo stato d’animo, se stesse macchinando qualche
strategia di fuga in caso di sconfitta, o se vedesse così lucidamente gli
errori del nemico da essere certa della vittoria.
Malfoy, dalla parte opposta della sala,
con la mano destra stretta nella sinistra per alleviare il dolore della Fattura
Pungente, scrutava Harry Potter a denti stretti per il nervoso.
Ok, lo Sfregiato con manie di
protagonismo gli aveva sottratto l’arma, ma c’era ancora la sua bacchetta da
qualche parte, in giro per la Sala…
L’aveva persa laggiù, nei pressi del
tavolo di tortura…
Poteva raggiungerlo ora, senza dare
nell’occhio…
In quella quiete tetra e insostenibile,
Voldemort tese il braccio, spalancò gli occhi rossi e aprì la bocca per
inspirare quanta più aria possibile. Un sibilo interminabile accompagnò il
mutare del suo volto in una espressione di sadico piacere.
« Avada Kedavra! »
La Bacchetta di Sambuco sputò scintille
color smeraldo e un enorme fascio d’energia eruppe dalla punta, ingrandendosi
con la stessa velocità con cui schizzava verso il nemico.
Harry aveva il fuoco in gola, il respiro
mozzato, i muscoli rigidi come marmo e il gelo lungo tutta la schiena, ma una
certezza nel cuore più forte di qualsiasi paura.
Chiuse gli occhi.
Silente avrebbe guidato la sua mano, così
come aveva guidato, in tutti quegli anni, il suo cuore.
« Expelliarmus! »
I due incantesimi si scontrarono
a metà strada.
Profondamente diversi tra loro eppure
equivalenti in forza e resistenza.
Harry socchiuse le palpebre,
come un bambino che, sopraffatto dalla tensione, sbircia fra le dita delle mani
l’esito dello scontro finale.
Ma Harry non era più un moccioso
babbano e quella che stava guardando non era la scena di un film.
Harry era la pedina di Albus
Silente.
E in quanto tale, avrebbe dovuto
immaginare che anche il piano più dettagliato può fallire a causa di una mossa
imprevedibile.
Specialmente quando i pezzi
sulla scacchiera godono di libero arbitrio e di bacchette magiche.
Infatti, qualcosa non tornava.
Harry ansimò di fatica. Troppa
fatica.
La forza dell’Anatema Che Uccide
era pazzesca.
Voldemort ruggiva mentre
l’incantesimo si caricava di potenza crescente.
Harry era certo d’essere il
proprietario della Bacchetta di Sambuco, tuttavia, essa non sembrava esitare ad
attaccarlo.
Dove aveva
sbagliato?
Il braccio cominciò a tremargli
nello sforzo immane di reggere a tanta violenza.
Non aveva alcuna intenzione di
mollare, ma sentiva, volente o nolente, che prima o poi avrebbe dovuto cedere.
Merlino, dove
aveva sbagliato?!
L’energia di Voldemort aumentava
in continuazione, Harry la sentiva arrivare a ondate progressive; il braccio
gli doleva, talmente teso nel tentativo di opporsi che rischiava di spezzarsi.
Era senza fiato, il sudore gli scivolava lungo le tempie e lacrime di rabbia
gli bruciavano gli occhi.
Aveva commesso un errore e,
lentamente, lo compresero tutti.
Persino Malfoy, ora chino sotto
al grande tavolo, interruppe la ricerca della propria bacchetta.
Guardò Harry a occhi sbarrati,
bruciante di rabbia.
Un Incantesimo
di Disarmo! Di nuovo!
Perché non
aveva usato l’Avada Kedavra? O al limite una Cruciatus!
Qualsiasi fossero le sue
intenzioni, la stupidità di quel gesto era incommensurabile.
Cosa si era
messo in testa Potter? Di redimere il Signore Oscuro?!
Non poteva lasciarlo vincere.
Non poteva
lasciarlo in vita!
Era evidente che doveva prendere
in mano la situazione.
Peccato che non sapesse da dove
cominciare, dato che da quella parte non c’era traccia della sua bacchetta.
Si guardò intorno concitato e a
un tratto, dove il tappeto imbrattato del sangue di Nagini toccava il piede del
tavolo, un bagliore catturò la sua attenzione: era il luccichio dei rubini
incastonati nella Spada di Godric Grifondoro.
Senza pensare nemmeno un secondo
a quello che stava facendo, strisciò fuori e l’afferrò.
Soffocò un grido e
un’imprecazione: sul palmo della mano che aveva toccato l’impugnatura si
gonfiarono altre vesciche da ustione. Il bruciore divenne tremendo.
Non era degno di quell’arma. Il
messaggio era chiaro.
Ma Harry Potter stava per
soccombere.
E lui finalmente aveva la sua
occasione.
S’issò in piedi e impugnò l’arma
a due mani. Era incandescente.
Il dolore era tale da fargli
tremare i denti, ma non mollò la presa.
La raffica di imprecazioni che
riversò fece voltare Hermione, ma lo sguardo che le lanciò zittì ogni sua
domanda sul nascere.
Dopodiché, si mise a correre
trascinandosi dietro la Spada che, terribilmente pesante, rigava il pavimento.
La Maledizione di Voldemort
aveva quasi preso il sopravvento sulla difesa di Harry, che arretrava passo
dopo passo in una strenua resistenza: concentrati in quel duello all’ultimo
sangue, nessuno dei due s’accorse di lui.
Non lo videro arrivare, né
colsero lo sforzo pazzesco che gli permise di sollevare completamente Spada.
Udirono soltanto il suo grido di
guerra.
Poi, la lama trapassò il ventre
del Signore Oscuro.
L’urlo fu terrificante.
Fiotti densi di sangue schizzarono
ovunque, mentre Voldemort boccheggiava. La Maledizione Senza Perdono,
prosciugata della propria forza, svanì lasciando prendere il sopravvento
all’incantesimo di Disarmo. La Bacchetta di Sambuco gli sfuggì dalle mani con
violenza, rimbalzò contro il soffitto e cadde chissà dove.
Harry, il braccio destro ancora
teso e l’altro penzoloni lungo i fianchi, assistette alla scena pietrificato.
Tutt’intorno, lo stupore e lo
sgomento dilagarono a macchia d’olio.
Malfoy ansimava forte, di fatica
e di paura; le spalle s’alzavano e s’abbassavano vistosamente, e ogni tanto
erano scosse da brividi.
Eccola, la sua vendetta.
Gelida vendetta, dal sapore
acido e l’odore di stantio.
Frastornato, lasciò la presa
sulla Spada e si guardò i palmi dolenti delle mani, imbrattati del cruore
nemico.
Pensò a propri genitori. Così
devoti e sprovveduti da affidare al Lord Oscuro la sorte del loro unico figlio,
avevano aperto gli occhi quando egli aveva deciso di portarglielo via per
sempre.
Eccola, la sua vendetta.
Il Signore Oscuro moriva davanti
ai suoi occhi, per un gesto che non aveva nulla di eroico.
Un gesto che portava il nome di
vendetta, ma che era solo un carico d’odio da vomitare fuori insieme al sangue
e al sudore che gli insudiciavano la camicia.
Un gesto che non gli restituiva
nulla.
Che non li avrebbe riportati in vita.
Un
gesto che…
All’improvviso sbarrò gli occhi,
terrorizzato.
La mano viscida e ossuta di Lord
Voldemort gli aveva afferrato la gola.
Iniziò a dimenarsi, ma la
stretta era così forte da farlo soffocare.
« Figlio di un cane bastardo! »
rantolò Voldemort sputando sangue.
Malfoy si portò entrambe le mani
alla gola. « Mio padre non era un bastardo, » ringhiò col poco fiato che aveva.
Voldemort rise e i suoi occhi si
spalancarono rinvigoriti, come se l’espressione sconcertata del figlio di
Lucius Malfoy fosse per lui una nuova fonte d’energia. Con uno sguardo
disgustato, invocò un Incantesimo di Respingimento: non poteva permettersi
altro, doveva racimolare le forze per curare la propria ferita.
Malfoy volò in aria e cadde di
schiena sopra al grosso tavolo. Imprecò per il dolore ma fu abbastanza rapido
da saltare giù e sfuggire alle catene stregate.
Quasi a tutte.
Una s’avvinghiò al suo
avambraccio destro, strattonandolo e impedendogli di andare lontano.
Malfoy sentì il sangue andargli alla testa. Ruggì di
rabbia e si mise a tirare con forza il braccio nell’illusione che, una volta
libero, ci fosse per lui una seconda occasione.
In quel momento, lo stesso
Mangiamorte che aveva catturato Ginny e disarmato Harry, avvicinò Voldemort a
bacchetta sguainata.
« Mio Signore, lasciate che vi
aiuti! »
Malfoy si bloccò esausto, senza
più fiato. Disarmato e incatenato era totalmente impotente.
Stanchezza e disperazione gli
calarono addosso, insieme alla consapevolezza della sconfitta.
« Oh, tu non aiuterai proprio
nessuno. »
Quella voce, più simile ad uno
squittio che ad una minaccia, lo risvegliò.
Hermione Granger, braccio destro teso in avanti e cipiglio
severo, aveva pietrificato il Mangiamorte che stava correndo in aiuto di
Voldemort.
Nella mano sinistra, distesa lungo il fianco, teneva la
Bacchetta di Sambuco.
Voldemort le lanciò un’occhiata
furibonda. Lei arretrò di un passo, poi sembrò ripensarci e, stizzita, riprese
la propria posizione.
Malfoy, la bocca semiaperta per lo
stupore, osservò quanto fosse ambigua nel suo essere coraggiosa: intrecciava la
volontà ferrea con cui s’imponeva d’affrontare ogni ostacolo alla paura di non
farcela.
Come potesse avere quel timore, non riusciva
proprio a spiegarselo.
Si era persino accaparrata uno dei Doni
della Morte. (E non si potevano immaginare mani peggiori perché, come
minimo, l’avrebbe fatto archiviare al Ministero!)
Aveva svelato più misteri di quelli che
lui aveva intravisto nella propria vita e l’aveva ricondotto a Hogwarts… Con
una serie di peripezie di cui avrebbe volentieri fatto a meno, persone che
avrebbe volentieri evitato, emozioni che avrebbe volentieri dimenticato… Stava
di fatto che l’aveva riportato lì.
E gli aveva pure salvato la vita!
Se gli fosse stata accanto, in quel
momento così incredibile, dal silenzio soffocante, con la tensione talmente
alta da far fischiare le orecchie, forse (in un mesto sussurro, certo)
gliel’avrebbe detto.
Che era all’altezza.
Dopotutto poteva riconoscerlo (già che le
aveva negato un “grazie”) che era il tipo di persona in grado di uscirne sempre
e comunque a testa alta.
Determinata e vincente.
Continua…
* * *
N.d.A
Le reazioni della Spada di Godric Grifondoro sono
inventate. Non ho trovato descrizioni complete riguardo a questo oggetto, così
ho inventato di sana pianta. Spero di non aver creato incongruenze con la
storia originale, diversamente fatemele notare perché sono assolutamente
involontarie.
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Capitolo 38 *** Capitolo 38 - Sickness ***
Lost Memories - Capitolo 38
Lost Memories
(di _Sihaya)
* * *
Are you sick of everyone around?
Simple Plan, Welcome to my life
* * *
Capitolo 38 –
Sickness
« Che cosa stai
aspettando,
Granger? Finiscilo! »
Malfoy gridò
scuotendo
l’atmosfera terrificante che aleggiava nella Sala Comune.
Hermione
sussultò, ma non si
volse verso di lui, né eseguì il suo ordine.
Malfoy sentì il
sangue ribollire
nelle vene.
Perché esitava?
Era tutto tempo perso!
Hermione
Granger ora possedeva
l’arma più potente del Mondo Magico, che motivo aveva di temporeggiare?
Voldemort odorò
la sua
inquietudine e lo guardò con aria di sfida, leccandosi il sangue attorno alla
bocca. Gli occhi rossi brillavano di compiacimento e il ghigno che gli piegava
le labbra sembrava deriderlo per l’errore che aveva commesso: affidarsi ai
Grifondoro per soddisfare le proprie ambizioni; maghi invasati di utopici
ideali, incapaci di comprendere l’essenza e la necessità di una vendetta.
« Vi schiaccerò
come cimici,
prima la feccia Mezzosangue, poi i traditori, e questa volta non ci sarà
mammina a proteggervi! »
La sadica risata
che esibì fece
tremare le vetrate e il suo eco si propagò fra le pareti per un tempo
interminabile. Con entrambe le mani afferrò la lama della Spada che aveva
conficcata nel ventre e fece per estrarla. La violenta reazione dell’arma al
contatto non scalfì l’espressione di piacere sul suo volto.
Malfoy si dimenò
con tutto se
stesso per liberarsi, ma la stanchezza lo costrinse ad arrendersi. Ansimante,
abbandonò il braccio sinistro lungo il fianco e guardò Hermione.
Era impassibile,
sembrava quasi
serena, con una calma innaturale guardava Voldemort puntandogli contro la
Bacchetta di Sambuco. Stranamente, non sentiva il bisogno di parlare.
Come se tutto
quello fosse
calcolato.
Quasi…
necessario.
Senza volerlo,
d’istinto, passò
a guardare Ron Weasley. Anche lui era fermo a bacchetta sfoderata, ma non
sembrava intenzionato ad agire.
All’improvviso,
imprigionato lì,
all’angolo del tavolo, Malfoy vide le cose da una diversa prospettiva e
comprese quello che stava facendo Hermione.
Aspettava.
Aspettava che gli
eventi
facessero il loro corso come da tempo, per motivi a lui oscuri, era stato
progettato.
Forse lei,
loro – Malfoy
lanciò un’occhiata di sfuggita a Ron - erano a conoscenza di qualcosa che lui
non sapeva. E forse c’era un fondo di verità nelle parole megalomani dello
Sfregiato: era l’unico in grado di sconfiggere Voldemort.
Perché lui era
il Prescelto?
No.
Perché lui era
Sopravvissuto.
Si voltò di
scatto.
Alla sua
sinistra, poco più
indietro di alcuni passi, Harry Potter, lo sguardo sicuro attraverso le lenti,
frustò l’aria con la bacchetta.
Nello stesso
istante, Voldemort
si estrasse la Spada dal ventre bloccando la perdita di sangue.
« Potter,
muoviti! » Fremette
Malfoy.
Ma Harry lo
ignorò.
Non stava
esitando. Stava
soltanto ripassando mentalmente tutto il dolore che quell’essere aveva inflitto
all’umanità. Tutto il male che aveva fatto ai suoi amici.
A Fred, alla
professoressa
McGrannit, a Lupin e Tonks.
A Sirus e a
Silente.
A suo padre e
a sua madre.
A lui.
L’energia si
radunò attorno alla
punta della bacchetta di biancospino che brillò di luce smeraldina.
Malfoy spalancò
la bocca,
Hermione e Ron trattennero il fiato.
« Avada
Kedavra! »
Voldemort, un’
espressione
sorpresa sul volto deforme, fu sbalzato in aria con violenza. Mai avrebbe
immaginato che il suo acerrimo nemico (un ragazzino!), potesse controllare
tanta forza.
Che fosse l’amore
o che fosse
l’odio a dare a Harry Potter una simile potenza, non ebbe il tempo di
scoprirlo: il suo corpo si schiantò contro la vetrata e cadde come un fantoccio
a cavallo della cassapanca, lasciando sul vetro una grossa chiazza
sanguinolenta.
* * *
Mentre Harry fissava lo scempio ancora incredulo, il resto
dell’Esercito di Silente raggiunse la Sala Comune. George si arrestò sulla
soglia dell’ingresso accompagnato da esclamazione colorita che sua madre certo
non avrebbe approvato, Terry, al suo fianco, reggeva Cho, stanca e zoppicante,
passandole un braccio intorno alla vita: gli ultimi minuti di lotta contro
Travers e Yaxley avevano messo a dura prova tutti loro, ma la Corvonero pagava
anche la fatica dello scontro con Bellatrix.
Padma e Calì si
tenevano per
mano e gridarono di sorpresa e orrore. Justin si affacciò cauto dalle spalle di
Ernie per sbirciare la scena, incredulo davanti alla fine di Voldemort,
vergognandosi d’averlo ritenuto, nei momenti più difficili, un evento
impossibile.
Dall’altra parte
della sala, con
la stessa incredulità ma senza vergogna, indeciso se ritenersi umiliato o
vincitore, Malfoy, esausto come se avesse corso per giorni, si lasciò scivolare
a terra. Aprì la mano sinistra sul tappeto mentre il braccio destro era tirato
verso l’alto dalla catena che ancora lo bloccava.
Si sedette con la
schiena appoggiata
al piede del tavolo e le gambe divaricate, tese in avanti sui colori della Casa
Slytherin. Gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.
Li riaprì poco
dopo, sorpreso,
quando s’accorse che la catena aveva perso il proprio effetto magico. Si massaggiò
il polso e corrugò la fronte.
Hermione Granger,
inginocchiatasi davanti a lui, aveva annullato l’incantesimo e ora,
avvicinandosi pericolosamente, gli osservava uno zigomo.
« Sei ferito, »
decretò, «
devono essere state le catene quando sei caduto sul tavolo. »
Aveva un sorriso
strano. Forse
dolce, un po’ svanito… di certo non rassicurante. Aveva tutta l’aria d’essersi
liberata all’improvviso da un enorme macigno che portava sulle spalle.
Malfoy deglutì e
cercò di
arretrare nonostante avesse ormai la schiena appiccicata al legno.
« Ginny avviserà
sua madre. I
membri dell’Ordine della Fenice e il ministro Percy Weasley saranno qui in un
attimo, » chiarì lei; una velata e gentile minaccia per ricordargli che,
casomai avesse tentato di darsela a gambe, il conto da pagare sarebbe stato
ancora più salato.
Lui strinse le
palpebre
scrutandola sospettoso: « Si può sapere perché ti prodighi tanto per aiutarmi?
»
Lei indicò con un
cenno il
taglio che aveva sulla guancia: « Mi sembra evidente che hai bisogno d’aiuto. »
« Non credo. E in
ogni caso non
del tuo. Ti ricordo che a Malfoy Manor ti ho torturato con una Maledizione
Cruciatus. » Lo disse proprio per sottolineare quanto fosse grottesco che lei
gli dedicasse quelle attenzioni.
Hermione spostò
lo sguardo oltre
le sue spalle. Era stato un momento terribile, durante il quale aveva creduto
di morire. Lo ricordava perfettamente, tuttavia…
« È stata
Bellatrix a
torturarmi, » precisò con il fiele nella voce.
« Ma io sono
rimasto a guardare.
» Insistette lui, quasi volesse riappropriarsi di un ruolo che lei, invece,
cercava in tutti i modi di sottrargli.
« Ti sei voltato
dall’altra
parte. » (*)
« Non fa molta
differenza, ero
lì. Perché ti ostini ad aiutarmi? »
In attesa di una
replica, si
mise ad osservarla. Inginocchiata fra le sue gambe, con la bacchetta di Sambuco
infilata nella tasca dei jeans come fosse roba di poco conto, respirava
nervosamente a testa china, con le guance rosse e i capelli fradici sulla
fronte e attorno al viso…
Qualcuno
doveva dirglielo che
doveva fare qualcosa per quei ricci…
Se mai gli
avesse messo una mano
fra i capelli, rischiava di restarci impigliato…
Quel pensiero del tutto inaspettato gli smorzò il respiro.
Nello stesso
istante, Hermione
alzò lo sguardo su di lui. Era seria, quasi solenne, con il tono sicuro di una
studentessa preparata, disse: « è grazie a te che ho recuperato la memoria, e
poi mi hai aiutato con Nagini… insomma, cerco solo di sdebitarmi. »
« Mi hai salvato
la vita. Direi
che può bastare, » Ribatté lui sollevando un sopracciglio, un po’ ironico e un
po’ provocatorio: se lei aveva deciso di non lasciarlo in pace, lui – adesso -
aveva proprio intenzione di capirne il vero motivo.
Hermione notò che
aveva le
guance arrossate. Come le sue del resto, Hermione avrebbe potuto giurarlo
sentendo il calore che le attraversava.
« Beh, ecco… mi
secca
ammetterlo, ma in fondo le cose stanno come hai detto tu, ricordi? Abbiamo lo
stesso obiettivo. Anche io vorrei che Hogwarts tornasse alla sua magnificenza…
»
Lui fece un
sorriso sardonico.
Se lei avesse smesso di guardarsi attorno e tormentarsi le mani, forse avrebbe
potuto crederle, ma…
« Non sei
convincente, » Asserì
« Se ti piace tanto fare l’infermiera, preoccupati di Potter. »
Hermione aggrottò
la fronte.
« Harry è in
gamba e se la sta
cavando egregiamente, » ribatté senza nemmeno preoccuparsi di verificare.
Malfoy sospirò.
Hermione non
aveva alcuna intenzione di lasciarlo in pace e lui tentò di allontanarla da una
realtà che respirava a pieni polmoni, ma che era ancora troppo scomoda per
entrambi.
« Ho solo un
graffio, »
borbottò, « Stai perdendo tempo, Granger. Hai dimenticato che sono un - »
« Un Serpeverde infido e vigliacco, sleale, bugiardo,
disonesto, arrogante, pomposo… Oh no, lo ricordo perfettamente. »
Lui abbozzo un
sorriso amaro e
concluse la frase che lei aveva interrotto. « Un Mangiamorte. Quando questo
casino sarà finito, mi sbatteranno ad Azkaban. »
Lo disse con una
leggera aria di
sfida, pronto a ricevere un qualche commento sarcastico, ma sembrava che
Hermione non avesse proprio nulla da dire.
Lo fissava a
bocca aperta,
sorpresa.
Come aveva
potuto dimenticare di quel “dettaglio”?
Era persa nei
propri pensieri, a
cercare di dare un nome al nodo che aveva in gola dal momento in cui aveva
realizzato che davvero lui apparteneva a un altro mondo, che gli errori che
aveva commesso erano macchie indelebili sulla sua pelle e, uniti a quelli di
suo padre, lo condannavano a vita.
Lui abbassò lo
sguardo e lei
s’accorse di quanto fosse stanco, rassegnato ad una vittoria della quale
avrebbe voluto essere unico protagonista. Un’amarezza che lo rendeva meno
freddo e distaccato, ma che accentuava il piglio capriccioso e viziato che
aveva da bambino. Teneva una posa rilassata ma non era realmente tranquillo. Il
braccio sinistro era abbandonato sul tappeto come quello di un burattino, sotto
la manica lacera s’intravedeva il Marchio Nero.
Il magone che
Hermione aveva in
gola si sciolse un poco annebbiandole la vista, sbatté le palpebre un paio di volte
ricacciando indietro le lacrime.
Appoggiandosi una
mano sul
ginocchio, si piegò in avanti e tese l’altra verso il suo viso.
Malfoy s’irrigidì
e trattenne
una boccata d’aria. Quando lei gli sfiorò le labbra con le dita, fece per
indietreggiare.
Con un filo di
voce, borbottò: «
Cosa fai? »
Lei non osò
guardarlo negli
occhi: « Hai… hai del sangue sul labbro. »
Lui, invece,
continuò a
guardarla. Era incredibilmente imbarazzata, cosa che gli procurò un inaspettato
- e più che mai insolito - senso di tenerezza, ma che gli piegò anche le labbra
in un sorrisetto malizioso e un po’ petulante.
« Non provarci,
Granger. Sei una
frana per queste cose. »
Lei ritirò la
mano all’istante,
le gote divennero paonazze. Drizzò la schiena e corrugò la fronte in un’espressione
oltraggiata.
« Quali…
cose?! » Strillò
con un acuto in grado di infrangere il cristallo, « non crederai che io…
Malfoy! Che cosa ti sei messo in testa? Guarda che… »
Approfittando dei
pochi secondi
in cui lei prendeva fiato, Malfoy decise che era il caso di deviare il discorso
su altre questioni.
Con aria ingenua
palesemente
artefatta, l’avvisò: « Oh, hanno appena schiantato Lenticchia… »
« Cosa? » Strillò
di nuovo
Hermione, allarmata, alzando il collo per vedere oltre il piano del tavolo.
Malfoy si voltò
guardando da
sotto. Era incredibile (o forse non tanto) ma ci aveva quasi preso: Ron
Weasley, che insieme ad Harry stava cercando di fermare i Mangiamorte in fuga,
era stato colpito da una fattura ed era piegato carponi sul pavimento a vomitare
lumache.
La
scena non era affatto nuova…
« Caspita, lui sì
che ha bisogno
d’aiuto! Muoviti. » Incalzò Malfoy « Non vedi che è messo peggio di me? »
Ma non c’era
bisogno
d’insistere, Hermione era già in piedi con entrambe le bacchette in mano;
approfittando di quel provvidenziale diversivo, se ne guardò bene dal
rivolgergli la parola e, sospirando vistosamente, girò intorno al tavolo e lo
lasciò solo.
« Decisamente
peggio di me. »
Sottolineò Malfoy
sbirciando da
sotto il tavolo ed esibendo un’espressione di profondo disgusto.
« In tutti i
sensi! »
Le urlò dietro
mentre
s’allontanava.
* * *
L’ingresso alla
Sala Comune
dell’Ordine della Fenice fu un momento liberatorio per tutti.
Sui volti
stravolti dei ragazzi
dell’Esercito di Silente compariva finalmente il sorriso.
Con tutti gli
amici intorno sani
e salvi, Harry si sciolse in lacrime. Allora Hagrid gli corse incontro facendo
tremare il pavimento e lo abbracciò sollevandolo a un metro da terra.
« Harry sei un
grande! Sei un
eroe! »
« Ragazzo, ce l’
hai fatta contro
ogni aspettativa. Mio fratello sarebbe fiero di te. » Commentò burbero
Aberforth, e appena Hagrid rimise a terra il ragazzo, gli diede una pacca sulla
schiena che lo fece barcollare e lo rimproverò: « Che fai? Adesso che è tutto finito,
piangi come una donnetta? »
George Weasley,
intanto, aveva
raggiunto Ron che, chino e ansante, affrontava i postumi dell’incantesimo
Mangia Lumache.
Afferrandolo per
le spalle e
tirandolo brutalmente in piedi senza alcun riguardo per il suo stato, gli mise
un braccio attorno al collo e gli sussurrò all’orecchio (non senza ironia): «
Weasley è il nostro re! » Poi, con tono più chiaro, schiarendosi la voce,
annunciò: « Ed è anche diventato zio! »
Ron, rosso in
volto fino alle
orecchie, si liberò dalla presa e lo guardò in faccia: « Cosa?! » Esclamò
agitato e imbarazzato, « Oh, miseriaccia! »
Uno ad uno
arrivarono tutti.
Luna, sorretta da Hannah, fece capolino oltre il muro d’ingresso; Katie corse a
consolare Alicia, ancora in lacrime, col volto sfigurato.
Quando arrivò Molly
Weasley, anche Ron scoppiò a piangere. Lei corse ad abbracciarlo e, mentre lo stringeva, allungava il collo e scandagliava la stanza per assicurarsi che
tutti gli altri suoi figli fossero lì.
Ginny era con Harry.
George…
George si stava
pavoneggiando
del proprio ruolo di eroico neo-papà, attorniato da Padma e Calì che gli
raccontavano concitate di Angelina del piccolo Fred Junior… e finalmente anche
Molly sorrise.
E mentre tutti
facevano a gara a
congratularsi gli uni con gli altri, Hermione, un po’ in sordina, si tirò in
disparte, e con solerzia si mise a ripulire le disgustose lumache che Ron aveva
vomitato.
Kingsley Shakelbolt l’avvicinò.
« Ora basta, » le
disse in tono
bonario, indicando i Mangiamorte sconfitti che lei, Ron e Harry si erano
premurati di incatenare in mezzo alla stanza, « lascia un po’ di lavoro anche a
noi! »
Hermione tentò di
giustificarsi:
« Oh, io volevo solo… »
Kingsley le
sorrise gentile: «
Vai a goderti la festa, » le suggerì dandole una piccola spinta che le fece
fare un paio di passi in avanti. In quel preciso istante, senza che lei facesse
in tempo ad accorgersene, Ron la raggiunse e l’abbracciò.
La strinse forte,
in silenzio,
una mano attorno alle spalle, l’altra sulla nuca; il volto affondato fra i suoi
capelli ribelli.
Lei tenne le
braccia rigide
lungo i fianchi per l’imbarazzo e la sorpresa, e anche per un maledetto nodo in
gola che - era questione di secondi, lo sentiva – l’avrebbe fatta piangere.
Poi Ron parlò al
suo orecchio. «
Li spediranno ad Azkaban, » riferì.
A quelle parole,
Hermione
spalancò gli occhi e guardò oltre la sua spalla.
Ron non si
accorse della sua
inquietudine, con tono rassicurante e una punta di soddisfazione precisò: «
Riceveranno il Bacio dei Dissennatori. Tutti. »
* * *
Malfoy, che per
tutto il tempo
era rimasto seduto accanto al piede del tavolo, si girò per sbirciare da sotto
il ripiano quello che stava accadendo nella Sala.
Il chiasso aveva
raggiunto un
volume altissimo e la gioia della vittoria aveva travolto tutti
indistintamente. C’era chi gridava, chi saltellava, chi cantava, chi avvicinava
estasiato Potter come fosse un divo e chi – come la Piattola Weasley – non
prendeva nemmeno fiato tanto aveva da raccontare a mamma e fratelli.
E poi c’era lei,
Hermione
Granger.
Fra le braccia di
Ronald
“Lenticchia” Weasley…
Chissà
se riusciva a respirare dato che lui la stringeva come un poppante con
l’orsacchiotto!
Malfoy sentì lo
stomaco bruciare
e si portò una mano al petto.
Il cuore gli
batteva forte, lo
sentiva rimbombare nelle tempie. Batteva persino più forte di quando sfidava
Voldemort – ne era sicuro!
Ad un tratto, una
profonda
stanchezza lo colse, come se gli fosse calata addosso tutta in un colpo, sotto
il peso insostenibile delle proprie emozioni.
L’euforia
generale divenne
insopportabile.
Insofferente, con
la gola
stretta e un mal di testa crescente, s’alzò in piedi.
S’infilò le mani
in tasca e
voltò le spalle ai vincitori.
Trascinando i
piedi, s’avvicinò
al camino.
Nessuno lo notò:
in mezzo a
tutta quella gente passava inosservato come mai in vita sua.
Soltanto
Hermione, preoccupata,
lo cercava con lo sguardo.
Ma lui era alle
sue spalle e
finché lei continuava a farsi stritolare dai tentacoli di Weasley, non poteva
certo vederlo mentre prendeva la Metropolvere.
Oh, ma poteva
stare tranquilla:
non intendeva scappare…
Intendeva solo
andarsene da lì,
per non sentire più quel ronzio nelle orecchie e quel senso di soffocamento che
gli mozzava il respiro.
Inoltre,
era da tempo desiderava fare una capatina al campo da Quidditch...
Magari
laggiù, in quell’area incolta che la guerra aveva dimenticato, sarebbe riuscito
a respirare finalmente odore di casa.
* * *
N.d.A.
(*) Sì, lo so che nel libro 7 questa cosa non viene detta. Ma esaminando la descrizione e le azioni di Malfoy nel
capitolo "Villa Malfoy", ho pensato che potesse essere una reazione plausibile.
Scusatemi dell'immenso ritardo, ma gli eventi di questi durissimi mesi non mi hanno dato la possibilità nè la serenità di dedicarmi alla scrittura. Grazie comunque a tutti per la pazienza!
|
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Capitolo 39 *** Capitolo 39 - Scelte (I Parte) ***
Lost Memories - Capitolo 39
Lost
Memories
(di _Sihaya)
* * *
Ed ecco, finalmente, l’epilogo di questa lunga fic. La più
lunga che io abbia mai scritto, così lunga, secondo i miei parametri, che
temevo sinceramente di non arrivarci in fondo. L’ho diviso in due parti per
agevolare la lettura, ma le pubblico contemporaneamente perché è così che le ho
scritte e rappresentano un unico capitolo.
* * *
Poi non
è che la vita vada come tu te la immagini.
Fa la
sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.
Baricco, Oceano Mare
* * *
Epilogo – Scelte (I Parte)
A due settimane dalla definitiva sconfitta di Lord
Voldemort, con votazione unanime, il neo-eletto Consiglio dei Ministri aveva
affidato a Kingsley Shacklebolt la carica di Presidente del Wizengamot. Nel
giro di qualche giorno, con perfetta efficienza, Kingsley aveva formato una
commissione di Auror per processare i Mangiamorte: tutti erano stati condannati
al Bacio dei Dissennatori, eccetto un paio.
Il Consiglio aveva anche delegato all’Esercito di Silente
il compito di ricostruire la Scuola di Magia e Stregoneria. Ogni area
dell’edificio doveva essere ripristinata sulla base del progetto originale;
eventuali modifiche avrebbero dovuto essere esaminate e autorizzate dal futuro
Preside, la cui elezione era fissata per settembre, a ridosso della riapertura
della scuola.
Intanto si raccoglievano le candidature e si cercava di
rimettere in piedi Hogwarts: costituire un team di docenti, convocare le
nuove matricole, organizzare percorsi di riabilitazione per gli attuali
studenti e corsi intensivi per i ragazzi ormai fuori età che intendevano
recuperare rapidamente gli anni perduti a causa della guerra.
Mentre ministri e Auror
provvedevano alle questioni organizzative, i membri dell’Esercito
s’apprestavano a occuparsi della parte operativa.
Era il primo di febbraio; fuori
il cielo era coperto, ma la temperatura mite faceva respirare aria di
primavera. Il freddo di quel terribile inverno sembrava un ricordo lontano.
Neville aveva convocato tutti
per le otto del mattino nella Sala Grande del Castello.
La Sala era priva del suo più
spettacolare incantesimo e mostrava solo uno spoglio soffitto a volta;
l’illuminazione tenue era offerta dalle poche torce accese lungo le pareti. In
fondo, al posto del tavolo dei professori, splendeva il trono sfarzoso usato in
quegli anni da Bellatrix. Studenti ed ex-studenti sedevano, come ai vecchi
tempi, alle tavolate delle rispettive Case, ma nonostante il brusio e il
vociare fossero quasi frastornanti, la maggior parte dei posti non era occupata;
il tavolo di Grifondoro era il più affollato, quello di Serpeverde era vuoto.
C’era una grande agitazione,
sollevata per lo più da alcune copie della Gazzetta del Profeta, fresche di
stampa, che stavano passando di mano in mano.
Harry, entrato nella Sala
insieme a Hermione, si fermò sulla soglia e, chinandosi verso di lei, le
bisbigliò qualcosa all’orecchio. Hermione, senza distogliere gli occhi dalla
tavolata, fece un cenno d’assenso con la testa e deviò verso la Sala
Professori. Harry la seguì, apparentemente inosservato.
« Facciamo questa cosa e poi ce
ne sbarazziamo definitivamente, » disse Hermione risoluta, appena Harry chiuse
la porta della Sala Professori.
« OK. » annuì Harry mentre
estraeva la bacchetta di agrifoglio, irrimediabilmente spezzata, dalla custodia
che Ginny gli aveva consegnato prima della missione.
Hermione vi poggiò sopra la
punta della Bacchetta di Sambuco: « Reparo. »
Il legno si ricompose sotto gli
occhi commossi di Harry. « È davvero potente, » mormorò.
« Per questo è necessario
nasconderla, » ribadì Hermione, « in modo che nessuno possa mai più
impossessarsene. »
« È la bacchetta a scegliere
il mago… » citò Harry sovrappensiero, « a chi credi che appartenga
veramente? »
« Cosa? »
« La Bacchetta di Sambuco.
Credevo di esserne il proprietario ma, mentre combattevo contro Voldemort, non
reagiva in mio favore. Forse l’Incantesimo di Disarmo non è sufficiente per
appropriarsene… » rifletté ad alta voce. « Credi che appartenga ancora a
Silente? Perché… in tal caso… potremmo restituirgliela, » propose mestamente.
Hermione rimase alcuni istanti
in silenzio, sorpresa (ma non più di tanto) per quella domanda: durante lo
scontro finale, probabilmente, il rapido susseguirsi di eventi drammatici aveva
confuso Harry impedendogli di seguire il percorso della Bacchetta di Sambuco.
Hermione, invece, non l’aveva
persa di vista un istante e ricordava perfettamente che un Mangiamorte aveva
disarmato Harry mentre tentava di salvare Ginny dal tavolo di tortura.
Non era difficile trarre le
conclusioni: se, come diceva Harry, la bacchetta gli apparteneva e bastava un
Incantesimo di Disarmo per impossessarsene, a quel punto la proprietà era
passata al Mangiamorte, nonostante il potente oggetto fosse nelle mani di
Voldemort.
Harry non aveva tenuto conto di
quel passaggio e aveva sfidato il Signore Oscuro. Malfoy, accortosi
dell’imminente fallimento, era intervenuto con la Spada di Godric Grifondoro e
ovviamente, come accade ogni volta che si agisce in modo avventato e illogico -
Hermione fece una smorfia di disappunto - non era riuscito nel proprio intento,
tuttavia aveva indebolito il Signore Oscuro abbastanza per consentire a Harry
di disarmarlo. La Bacchetta di Sambuco era volata in aria e Hermione era corsa
a raccoglierla; consapevole del potere dell’oggetto e dei rischi ad esso
collegati, si era ben guardata dall’utilizzarlo e aveva preferito pietrificare
con la propria bacchetta un Mangiamorte accorso in aiuto al Lord Oscuro.
Lo stesso Mangiamorte che poco
prima aveva disarmato Harry.
Dedurre le conseguenze di
quell’azione, per Hermione, era stato facile come fare “due più due”.
Si morse il labbro inferiore.
Non
era il caso di rivelarlo a Harry, né ad altri.
E non c’era motivo per opporsi
alla sua proposta: era un gesto nostalgico, di riconoscenza e di affetto, al
quale l’amico probabilmente pensava da tempo.
« Non ho idea di chi sia il
proprietario, » mentì scuotendo la testa vigorosamente, « ma penso che Silente
sia un nascondiglio perfetto, » commentò consegnandogli la Bacchetta di
Sambuco.
« Nascondila tu, » suggerì. « E
non dire a nessuno dove l’hai messa. »
Harry annuì riconoscente e lei
gli sorrise complice. Si fidava pienamente di lui.
* * *
Come al solito, l’aula di
Pozioni era gelida.
Malfoy si strinse nel mantello
che Aberforth gli aveva dato alla Testa di Porco. C’erano dei motivi pratici
per non sbarazzarsi di un oggetto del genere: scaldava e riparava in modo
efficiente… e poi c’erano altri motivi, che solo alcuni mesi prima non avrebbe
mai preso in considerazione. Aveva imparato a guardare gli oggetti magici in
modo diverso, non solo valutandone la qualità e l’utilità. Ognuno di essi
rappresentava un frammento di memoria recuperato con fatica. In quei giorni
Malfoy ci aveva riflettuto molto: quando perdi tutto eccetto il nome - che è
come una maledizione perché a causa sua non potrai più possedere nulla - i
ricordi sono l’unica cosa che rimane.
L’unica cosa in grado di non
farti perdere anche te stesso.
Avvolto dal mantello caldo,
seduto sul tavolo impolverato che una volta rappresentava il suo banco di
lavoro, con le braccia incrociate sul petto, un piede a terra e l’altro su una
vecchia seggiola, Malfoy si guardò la punta delle scarpe babbane, sporche e
sdrucite, che ancora indossava: come avesse fatto della roba tanto scadente a
sopravvivere ad una battaglia di maghi poteva saperlo solo Merlino... Con un
colpo di bacchetta le rimise in sesto, poi tornò ai propri pensieri.
Assolto.
Ancora stentava a credere alla
sentenza.
Si era rifiutato di parlare con
chiunque, non aveva mostrato pentimento, né aveva mendicato perdono. Non che
fosse pronto a pagare l’enorme debito che la sua famiglia gli aveva scaricato
addosso, era soltanto convinto che per lui, Draco Lucius Malfoy, non ci fosse
altro destino.
Il Wizengamot, invece, doveva
essere di altro avviso perché la commissione aveva deciso di assolverlo.
“Non possiamo ignorare il male
che la sua famiglia ha fatto, né i debiti che ha contratto con il Mondo
Magico…” Aveva detto Shacklebolt.
Ma la sua famiglia non c’era
più.
“Pertanto ogni bene intestato ai
Malfoy verrà confiscato e utilizzato per la ricostruzione.”
Come s’aspettava: gli avevano
tolto tutto.
La lista delle proprietà
confiscate che Shacklebolt aveva letto ad alta voce gli era sembrata infinita,
c’era addirittura un castello norvegese di cui ignorava l’esistenza.... Persino
la Villa babbana di Londra era in elenco.
Stranamente mancava la baita
segreta.
Possibile
che la Granger non avesse spiattellato alla giustizia quel particolare?
E - sorprendente generosità! -
gli avevano lasciato pure una parte del denaro depositato alla Gringott.
“Tuttavia…”, aveva aggiunto
Shacklebolt dopo una pausa ad effetto.
Tuttavia?
In quel momento Malfoy era
rimasto davvero col fiato sospeso a domandarsi quale fosse la sentenza emessa
per lui.
“Considerate le testimonianze delle persone che le sono rimaste
vicine in quegli ultimi mesi…”
Malfoy aveva aperto la bocca e
poi l’aveva subito richiusa, perché ci voleva poco a capire quel riferimento:
l’unica persona con cui aveva, suo malgrado, interagito era Hermione Granger.
Considerata, quindi, la
testimonianza della Granger…
Malfoy sospirò nel silenzio dell’aula di Pozioni e il suo
fiato prese forma condensandosi nell’aria.
Merlino! Continuava a contrarre debiti con lei…
“E valutato il suo ruolo nella
battaglia finale…”
Su questo non poteva biasimarli,
dato che lo Sfregiato sperava di salvare il mondo a colpi di Expelliarmus…
“La giuria ha deciso per la sua
assoluzione.”
A quel punto, lo ricordava
terribilmente bene, lo stomaco gli era balzato in gola, come se il pavimento si
fosse aperto sotto di lui facendolo precipitare nel vuoto.
Ora, il ricordo di quelle parole aveva assunto un sapore
fin troppo amaro.
Assolto, ma umiliato e privato
di ogni ricchezza.
Con tutta l’ingenuità di cui era
capace, il codardo che era in lui aveva guardato il giudice sgranando gli occhi
e aveva domandato: “E io, ora, cosa faccio?”
Nonostante
avesse davanti un ex-Mangiamorte, Shacklebolt aveva dovuto sforzarsi non poco
per reprimere un sorriso di tenerezza e, assumendo l’espressione severa che il
proprio ruolo e il retaggio dell’imputato imponevano, aveva risposto:
“Faccia quello che vuole, Signor
Malfoy.”
Che è un po’ come dire: “Rifatti
una vita altrove e non farti più vedere in giro.”
E in fin dei conti, pensò
Malfoy, avrebbe potuto farlo, ma purtroppo per Shakelbolt, il Ministero e
compagnia bella, le cose di cui aveva bisogno erano tutte a Hogwarts.
Compresa lei.
Certi pensieri arrivano
all’improvviso, nel momento meno opportuno. Malfoy aveva potuto verificarlo
mentre era là, al banco degli imputati.
Aveva scosso la testa con vigore
e i giudici lo avevano guardato preoccupati.
“Si sente bene?”
La domanda era caduta nel
silenzio.
No. Stava malissimo, decisamente.
In preda ad un forte stordimento e con la sensazione di dover vomitare da un
momento all’altro.
Pensando che non avesse
compreso, Shaklebolt aveva aggiunto: “Da ora è un libero cittadino del Mondo
Magico.”
A quel punto, sotto gli occhi
turbati della commissione, Draco aveva inspirato profondamente, aveva
abbandonato la propria postazione ed era uscito dal tribunale senza biascicare
parola.
Un libero cittadino.
Non c’era nulla di nuovo.
Dopotutto, lui era sempre stato un libero cittadino, anche quando aveva
accettato di farsi marchiare, anche quando aveva tentato di uccidere Silente.
La differenza stava nel fatto
che ora non c’era più suo padre a sollevarlo da ogni responsabilità.
Il che rendeva quella libertà un
tantino opprimente e lo costringeva a fare i conti con se stesso.
Lo costringeva a riflettere
prima di scegliere e gli ricordava in ogni momento che ogni decisione presa per
puro tornaconto personale aveva delle ripercussioni sulle proprie emozioni.
E viceversa.
* * *
Ron spalancò la porta della Sala Professori senza bussare.
Era rosso in viso e teneva in mano una copia della Gazzetta del Profeta.
Raggiunse Hermione e gliela sventagliò davanti agli occhi con sdegno.
« Ti rendi conto che la colpa di
questo è anche tua? » Esordì.
Respirando aria di tempesta,
Harry sgattaiolò fuori dalla stanza lasciandoli soli: avrebbe ringraziato
Hermione più tardi. Sapeva perfettamente cosa faceva imbestialire Ron, che poi
era la stessa cosa che quella mattina agitava la Sala Grande: il trafiletto in
prima pagina (approfondimenti a pagina sette) che annunciava la candidatura di
Draco Malfoy alla carica di Preside di Hogwarts.
In realtà, ciò che infastidiva
Ron non era la candidatura, ma il fatto che Malfoy non avesse trascorso ad
Azkaban nemmeno un giorno.
Il tribunale supremo dei maghi aveva emesso quasi tutte le
condanne con estrema rapidità, ma per Pansy Parkinson e Draco Malfoy erano
stati ascoltati molti testimoni. Nel caso di Pansy, la pena era stata ridotta a
qualche mese di reclusione. Malfoy, invece, era stato assolto. Per decidere
della sua sorte erano stati interpellati anche Neville, Harry ed Hermione.
L’obiettivo era comprendere quali fossero le vere motivazioni che l’avevano
indotto a ribellarsi al Signore Oscuro, dato che il Serpeverde si rifiutava di
comunicare civilmente con chiunque. Hermione era stata ascoltata per ultima.
Aveva raccontato quello che era accaduto fin dal loro primo incontro a Londra,
dichiarandosi fermamente convinta del sincero pentimento di Malfoy.
Era rimasta in tribunale per
ore. Ron ed Harry, nell’attesa, avevano rischiato – testuali parole – di morire
di fame.
Uscendo aveva riferito loro la
propria posizione e, se Harry si era dichiarato alquanto perplesso, Ron l’aveva
presa come una terribile offesa personale: non gli andava proprio giù che lei
avesse testimoniato in favore del furetto rimbalzante.
« Quello è più viscido di un
serpente! Hai dimenticato come ci trattava a scuola?! » Continuò Ron senza
accorgersi che Harry se la dava a gambe.
« Per l’amor del cielo, Ron! Non
puoi far baciare da un Dissennatore tutti quelli che a scuola ti prendevano in
giro! » ribatté lei.
« Non posso crederci, questa
tua… clemenza… è priva di qualsiasi buonsenso! Da te, Hermione, proprio
non me l’aspettavo. »
« Le persone cambiano. »
Commentò secca Hermione, ormai spossata da quell’inutile discussione.
Erano giorni che Ron insisteva
rifiutandosi di ascoltare le sue ragioni. Per lui Malfoy non era altro che un
meschino Serpeverde e un Mangiamorte a piede libero; non era disposto nemmeno a
riconoscere che il suo intervento, per quanto lontano dagli obiettivi
dell’Esercito, era stato determinante nella vittoria contro Voldemort.
« Non ho fatto altro che
testimoniare, » si difese ancora, « ho descritto quello che ho vissuto, la
sentenza finale è opera degli Auror. »
« Infatti mi sorprendo che gente
di quel livello si sia lasciata abbindolare così facilmente… » masticò Ron con
disprezzo.
« Non dirmi che è per questo che
hai deciso di mollare gli studi! » Esclamò Hermione con un briciolo di rabbia
nella voce.
Se per Ron era incomprensibile
l’assoluzione di Malfoy, per lei era inconcepibile lasciare la scuola senza un
valido motivo.
E Ron, quel motivo, sembrava proprio non averlo. Con
semplicità, scrollò le spalle: « È che
non mi va più di studiare, te l’ho detto. Lavorerò con George ai Tiri Vispi. »
disse abbassando lo sguardo per evitare di vedere la disapprovazione negli
occhi di lei.
Sul viso di Hermione, però, non c’erano né biasimo, né
delusione, solo una sottile amarezza. Imitandolo, alzò le spalle.
« Lo vedi? » Disse con il tono di una professoressa la cui
ragione non può essere messa in discussione, « le persone cambiano. »
E quello fu tutto ciò che riuscì
a dirgli.
Le parole, quelle complicate ma
sincere, quelle che avrebbero dovuto descrivere i suoi sentimenti, spiegargli
il motivo di quel distacco, della scelta di non provare nemmeno a incominciare
una storia insieme, rimasero dentro di lei.
Forse per il timore di ferirlo
ulteriormente.
O forse perché, in fondo,
qualsiasi parola avesse usato per descrivere quello che provava sarebbe giunta
a Ron come una provocazione.
In un anno possono accadere
un’infinità di cose in grado di stravolgere la vita di una persona; nel loro
caso, gli anni erano due.
La loro memoria era stata
violata, i legami erano stati stravolti e i ricordi sostituiti da menzogne.
Che lo volesse o meno, prima o
poi Ron avrebbe dovuto accettare i segni indelebili che gli eventi di quella
guerra avevano lasciato in ognuno di loro.
Non era possibile spazzare via
tutto con un colpo di spugna.
La sua testardaggine rendeva
solo le cose più dolorose del previsto. Hermione avrebbe voluto essere compresa
e forse, paradossalmente, approvata, ma lui si rifiutava persino di ascoltare.
« Io ti voglio bene Ron,
qualsiasi cosa accada continuerò a volerti bene! » Gli disse con voce spezzata.
Lui le voltò le spalle
bruscamente. Le lacrime gli riempivano gli occhi.
Io, invece, ti amo.
« Due anni sono tanti… sono
successe delle cose che… non posso ignorare… » insistette lei.
Ron fece una smorfia.
Era davvero convinta che il
semplice scorrere delle stagioni potesse alleviare il suo dolore?
Non voleva più ascoltare nessuna
scusa.
Con un nodo in gola sempre più
stretto, uscì dalla stanza a testa bassa, senza salutarla, per nascondere le
lacrime che ormai gli rigavano le guance.
Hermione Granger dava la colpa
al tempo.
Lui, invece, era convinto che la
colpa fosse proprio di Malfoy.
Forse le aveva fatto qualcosa di
terribile, alla Villa, che lei nemmeno ricordava.
O forse, come sosteneva lei, la
vicinanza con il Serpeverde l’aveva semplicemente cambiata: quando gli aveva
chiesto aiuto, lui nemmeno ricordava chi fosse. Senza volerlo l’aveva lasciata
scivolare nella tana della Serpe costringendola ad arrangiarsi da sola per
sopravvivere.
E lei, immancabilmente, non
aveva fallito.
*
* *
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Capitolo 40 *** Capitolo 40 - Scelte (II Parte) ***
Lost Memories - Capitolo 40
Lost
Memories
(di _Sihaya)
* * *
Sono le scelte che
facciamo che dimostrano quel che siamo veramente,
molto più delle
nostre capacità.
J.
K. Rowling, Harry Potter e la camera dei segreti
* * *
Epilogo – Scelte (II Parte)
I programmi dei corsi intensivi per il recupero del
settimo anno di scuola erano stati decisi e pubblicati tempestivamente.
L’inizio delle lezioni era fissato al primo giorno di primavera.
Inutile dire che Hermione si era
iscritta per prima. Il suo piano di studi, concordato a tu per tu con il
professor Vitious e la professoressa Sprite, prevedeva un pacchetto intensivo
che riuniva Incantesimi, Trasfigurazione, Erbologia e Pozioni, in seguito
avrebbe seguito il corso di Storia della Magia integrato a Babbanologia e
Antiche Rune integrato ad Artimanzia.
Rimboccandosi le maniche, a
giugno avrebbe potuto diplomarsi.
Ovviamente nessuno aveva
presentato lo stesso temerario piano di studi, anche se quelli di Terry e Luna
davano del filo da torcere. Harry e Neville avevano optato solo per i corsi
obbligatori, mentre Malfoy si era iscritto agli esami di tutte le discipline
(d’altronde aspirava alla carica di Preside!), ma intendeva studiare
privatamente.
In attesa di ritornare a fare la
studentessa, Hermione si era offerta di lavorare da sola alla ricostruzione
della Sala Grande. Riteneva che riuscire a incantare il soffitto e illuminare
la stanza potesse essere un ottimo esercizio per prepararsi al M.A.G.O. di
Incantesimi. Neville non aveva avuto nulla in contrario e così lei, munitasi di
alcuni pesanti volumi raccattati tra quei pochi rimasti in biblioteca, si era
letteralmente accampata nella Sala fino a che non fosse riuscita nell’intento.
In piedi, con i palmi delle mani
appoggiati sulla lunga tavolata di Corvonero e la testa china sul manuale di
Incantesimi aperto a metà, stava ripassando mentalmente la formula magica che
avrebbe dovuto aprire il soffitto al cielo limpido di quel pomeriggio.
D’un tratto sollevò la testa e
tese le orecchie. Lentamente si voltò verso l’ingresso e subito aggrottò la
fronte.
Aveva avuto la sensazione
d’essere spiata, ma non c’era nessuno.
Prima che potesse rendersene conto, il pensiero corse a
lui. A Draco Malfoy. L’ultima volta che lo aveva visto era stato quando aveva
testimoniato in tribunale, ma sapeva che s’aggirava nel Castello e aveva la
netta sensazione che la stesse evitando.
Non l’aveva più rivisto, ma lo
aveva pensato. Oh, se lo aveva pensato!
E lo aveva anche maledetto,
qualche volta.
Per essersi intrufolato nella
sua mente a piccole dosi, così minuscole da non farle minimamente sospettare
quanto fossero pericolose.
Era difficile descrivere quello
che provava.
Si era invaghita di lui? O, peggio ancora, innamorata?
Se l’era domandato, in effetti, con una certa apprensione
che era aumentata appena si era resa conto che una risposta non l’aveva.
E che per trovarla doveva rivederlo.
E guardarlo negli occhi.
E…
Scosse la testa con decisione.
Che tu sia maledetto, Malfoy!
* * *
La porta dell’aula di pozioni
s’aprì cigolando e Malfoy si voltò in modo talmente brusco che la seggiola su
cui poggiava il piede cadde per terra.
« Potter? » Esclamò tra il
sorpreso e l’infastidito.
Harry si fermò sulla soglia.
« Per tua sfortuna ho il
permesso di stare qui, » asserì Malfoy dandogli le spalle.
Fu talmente irritante che Harry
considerò di andarsene su due piedi, poi si disse che la cosa migliore era
chiudere la faccenda in modo diretto e sbrigativo.
« Lo so. » Rispose secco.
Neville gli aveva riferito che Malfoy non poteva prendere parte alla
ricostruzione di Hogwarts, ma aveva ottenuto il permesso di frequentare il
Castello durante i lavori.
« Bene. Allora levati di torno. » grugnì Malfoy.
« Non vedo l’ora. » commentò
Harry, ma invece di uscire, s’avvicinò al banco.
Malfoy s’alzò in piedi
sospettoso. « Che vuoi? »
Harry non disse nulla, si limitò
a mettere sul tavolo una bacchetta magica.
Malfoy sbarrò gli occhi
sconcertato: « Co-Come come l’hai avuta? »
Harry lo guardò con superiorità,
senza celare la soddisfazione d’averlo preso in contropiede.
« Era nell’Ufficio del Preside.
A quanto pare, Bellatrix l’ha conservata. »
L’aveva trovata nel primo
cassetto della scrivania, privo di qualsiasi incantesimo di protezione. Gli era
sembrata immediatamente familiare, ma aveva impiegato un po’ per ricordarne il
proprietario.
« Apparteneva a tua madre, vero?
»
Malfoy non rispose, ma afferrò
l’oggetto con avidità temendo che Harry potesse riprenderselo da un momento
all’altro. Poi fece una smorfia.
« Per quale motivo quella strega
avrebbe dovuto tenerla? » Borbottò fra i denti, con rancore e disprezzo.
Parlava fra sé e sé, non si stava rivolgendo a Harry, ma lui intervenne
ugualmente.
« Perché Narcissa era sua
sorella. »
Malfoy si voltò scettico verso di lui, sembrava avere
bisogno di una spiegazione.
« Essere un seguace di Voldemort
non significa essere come lui, incapaci di amare. Forse Bellatrix, a modo suo,
amava Narcissa. La sua morte deve essere stata dolorosa da accettare… »
Malfoy strabuzzo gli occhi. «
Bellatrix era pazza. » scandì con sarcasmo.
Harry scrollò le spalle. « Non
ha importanza. L’amore ha molte forme, » commentò, « a volte è malato. A volte
è così debole che puoi ignorarlo tutta la vita, a volte la lotta per reprimerlo
è persa in partenza. Può commuoverti o disgustarti, ma non puoi fare a meno di
vederlo. Voldemort, invece, era cieco di fronte ad ogni aspetto dell’amore,
questo lo ha reso estremamente potente, ma altrettanto disumano. »
« Le tue teorie sull’amore mi
fanno venire il voltastomaco, » l’interruppe Malfoy.
« Anche i tuoi genitori, anche
loro hanno - » azzardò Harry, ma non poté continuare, l’ordine di Malfoy -
rabbia e dolore trattenuti a stento - lo zittì.
« Vattene Potter! »
Harry indietreggiò di un passo.
Vide il Serpeverde portarsi le
mani al volto, stringersi le tempie e aggrapparsi ai capelli.
Forse non avrebbe dovuto
nominare la sua famiglia.
Imbarazzato, s’infilò una mano
in tasca e con l’altra si sistemò gli occhiali.
L’amore ha molte forme, pensò scivolando in silenzio verso l’uscita.
Anche il dolore.
* * *
Malfoy attese la sera per uscire dall’aula di Pozioni.
Attraversò i sotterranei, risalì le scale ed entrò nel Salone d’Ingresso della
scuola. Non c’era anima viva. Approfittò della solitudine per avvicinarsi alla
grande scala di marmo, salì sul primo gradino e si voltò ad osservare
l’entrata. Lì nessuno ancora era intervenuto: lo stato di degrado era notevole.
Il marmo delle scale era danneggiato in più punti; la luce delle poche torce
accese si perdeva verso l’alto e non era sufficiente ad illuminare l’enorme
stanza; le clessidre segnapunti avevano crepe evidenti e il contenuto di ognuna
si era riversato a terra mescolandosi con quello delle altre.
Strinse il palmo attorno al
corrimano scheggiato: un’idea gli era balenata in mente. Con fare circospetto
si guardò intorno assicurandosi d’essere effettivamente solo, poi impugnò la
bacchetta magica. Sapeva perfettamente che ciò che stava per fare gli era stato
proibito, ma in fondo che male c’era ad alleggerire un poco il lavoro delle
instancabili formichine dell’Esercito di Silente?
Un frastuono, proveniente dalla
Sala Grande, lo fermò appena in tempo. Era un rumore catastrofico, come se
centinaia di volumi fossero precipitati a terra dallo scaffale più alto di una
libreria.
Insospettito, raggiunse la Sala
e sbirciò all’interno. D’istinto provò l’impulso di nascondersi, ma poi rimase
sulla soglia.
Hermione non si era accorta del
suo arrivo. Stizzita, con le braccia incrociate sul petto, batteva ritmicamente
in terra la punta del piede destro. Sulla sua testa brillavano le prime stelle
del cielo notturno, sul pavimento e sulle lunghe tavolate giacevano migliaia di
candele spente.
Malfoy capì subito cos’era
accaduto: Hermione stava cercando di incantare l’illuminazione della stanza ma
le candele non rimanevano sospese che per pochi secondi.
Prese un respiro profondo e si
rilassò appoggiandosi allo stipite con una spalla e infilandosi le mani in
tasca. L’espressione imbronciata di lei gli strappò un sorriso: non aveva dubbi
sul fatto che prima o poi ci sarebbe riuscita. Avrebbe tentato e ritentato fino
allo sfinimento, e lui…
Lui aveva un sacco di tempo libero.
Hermione scosse la testa e
sollevò la bacchetta; pronunciò la formula magica e le candele s’accesero
all’unisono, vibrarono dando l’impressione di volersi sollevare ma pochi
istanti dopo si spensero con un sibilo delicato e sconfortante. Piccoli fili di
fumo si sollevarono dagli stoppini e nella stanza si diffuse un forte odore che
lei provvide immediatamente ad eliminare. Poi si voltò di scatto e pestando i
piedi raggiunse il tavolo di Corvonero sul quale erano aperti diversi volumi.
Si passò una mano tra i capelli
(più ordinati del solito - notò Malfoy - ma sempre troppo voluminosi) e si
tolse il mantello, che ripiegò sullo schienale di una seggiola.
Era quello di Aberforth,
riconobbe Malfoy. Anche lei lo aveva conservato.
Appoggiò le mani sul tavolo e si piegò in avanti,
spostando il peso del corpo sulle braccia e sulla gamba sinistra, piegando
leggermente l’altra.
Spogliata degli abiti da mago,
sembrava una babbana qualunque. Non ricordava per niente la ragazzina saccente
e petulante che frequentava Hogwarts. Era come se le fosse rimasto addosso un
velo di quella maschera indossata forzatamente per adeguarsi alla Londra
babbana.
Portava una camicetta azzurra e
delle scarpe grigie con un piccolo tacco che batteva nervosamente sul
pavimento. Malfoy non poté fare a meno di seguire con lo sguardo il taglio
della gonna: lunga fino al ginocchio, larga in fondo e stretta sui fianchi.
Un improvviso calore lo
attraversò, arrossandogli le guance e appesantendogli il respiro, tanto che
dovette allentarsi il nodo del mantello.
Aggrappandosi ad una buona dose
di cinismo, si disse che quella era un’ovvia reazione. Quando non si ha più
nulla da perdere è normale che anche le cose più squallide assumano valore e la
banalità diventi preziosa. Nonostante la mediocrità delle proprie origini,
Hermione Granger era tutto fuorché una ragazzina e poi, a pensarci bene, che
potesse (con i dovuti accorgimenti) risultare carina l’aveva dimostrato anni
addietro, quando si era presentata al Ballo del Ceppo al fianco di Krum e tutti
l’avevano riconosciuta a stento…
Ma la realtà era un po’ più
complicata.
E lui lo sapeva.
Perché quella volta l’imbarazzo gli aveva tolto le parole
per qualche istante, ma poi si era volatilizzato senza lasciare traccia, mentre
oggi (fosse anche solo per quella stupida gonna!) gli scaldava il sangue, gli
agitava il respiro, lo confondeva.
Perché da quando Voldemort era
stato sconfitto, non aveva trascorso un giorno senza chiedersi cosa stesse
facendo o cosa avrebbe fatto l’indomani.
Perché l’improbabile alleanza
che avevano stretto, inizialmente indigesta a entrambi, ora aveva assunto il
sapore dei ricordi: ad ogni assaggio, sempre più dolci.
La vide gettarsi sconfortata su
una seggiola e provò l’istinto di entrare e avvicinarla.
Per
dirle cosa, poi?
Grazie
di quello che hai fatto per me?
Scartò l’idea.
Avrebbe potuto scivolarle alle
spalle e spaventarla, farla balzare in piedi con un grido terrorizzato…
Ma quella sembrava un’idiozia
ancora peggiore.
« È da questa mattina che ci
prova, sai? L’ho tenuta d’occhio. »
Malfoy sobbalzò con il cuore in
gola e si guardò le spalle. Trattenendosi a stento dall’imprecare ad alta voce,
puntò la bacchetta magica verso Pix.
Il poltergeist ridacchiò
soddisfatto per la riuscita del proprio assalto a sorpresa. Era l’unico spirito
ad essersi fatto vivo dalla sconfitta di Voldemort e, forte dell’assenza del
Barone Sanguinante, scorazzava spavaldo per il Castello e importunava chiunque
gli capitasse a tiro.
« Sta’ zitto! » lo minacciò
Malfoy con un filo di voce e un’espressione truce.
Per nulla intimorito, Pix
sghignazzò ancora più forte, poi, senza un preciso motivo, abbassò il tono di
voce e affiancò il Serpeverde. « È carina, vero? » gli sussurrò all’orecchio.
Malfoy si scostò e agitò la
bacchetta nell’aria, scacciandolo come fosse un moscerino e fulminandolo con lo
sguardo.
In tutta risposta, Pix
gorgheggiò in modo sommesso e alquanto irritante.
« Ih-ih-ih, peccato che sia una
Grifondoro, » commentò ironico.
Se è per questo è anche una
Sangue Sporco…
Pix roteò nell’aria un paio di
volte poi si piazzò ad una spanna dal suo viso.
« Posso darti un consiglio? »
Malfoy gli voltò le spalle
seccato. « No. »
« Te lo darò comunque: nessun
serpente vorrebbe mai trovarsi tra gli artigli di un rapace. »
Malfoy non ebbe il tempo di
assimilare quella parole: all’improvviso Hermione s’alzò in piedi folgorata da
un'intuizione, attirando la sua attenzione insieme a quella di Pix.
Ragazzo e spiritello la
seguirono trepidanti, la videro brandire la bacchetta magica con sicurezza,
disegnare nell’aria una trama complessa e l’udirono pronunciare una lunga
formula.
In pochi istanti, come migliaia
di piccoli soldatini, tutte le candele si sollevarono da terra volando verso il
soffitto; lì, in un colpo solo, si accesero illuminando a giorno la Sala
Grande.
Pix era ammutolito e Malfoy a
bocca aperta per la meraviglia, il cuore gli batteva forte come al primo giorno
di scuola.
Pensò a Hermione che teneva
ancora il braccio sospeso nell’aria e immaginò chiaramente l’emozione che in
quel momento la stordiva.
« Adesso sì che siamo a Hogwarts » mormorò Pix, con una
commozione che Malfoy non avrebbe mai immaginato di trovare in uno spirito.
Malfoy aveva un nodo alla gola,
gli occhi lucidi e nessuna parola, quindi Pix fece quello che – così pensava il
poltergeist - avrebbe dovuto fare lui.
Si mise a battere forte le mani
e a gridare: « Brava! Brava! »
Malfoy spalancò gli occhi
terrificato, fece per schiantare il maledetto spiritello ma era troppo tardi:
Hermione si era già voltata e li aveva riconosciuti entrambi.
Malfoy era certo che di lì a poco avrebbe iniziato a
sbraitare per la loro maleducazione, ma per diversi secondi non accadde nulla.
Lo sguardo di Hermione rimase fisso su di lui, che si ritrovò immobile,
investito da una vampata di calore che gli prese l’intero volto, fin dietro le
orecchie. Era troppo lontano per coglierne l’espressione, ma temeva che fosse
di biasimo e delusione.
Perché era rimasto lì a spiarla
invece di andare a dirle grazie.
O per tanti altri motivi.
Malfoy si toccò l’avambraccio
sinistro attorno al quale aveva avvolto una benda medica, non per curare una ferita,
ma per tentare di nascondere agli occhi ciò che, di fatto, non poteva più
cancellare dall’anima.
E da quando l’aveva fatto, in
effetti, certi errori avevano cominciato a diventare più sopportabili.
Ma questo non significava che
lei la pensasse allo stesso modo.
Senza dire nulla, tirò un lungo
sospiro e abbassò lo sguardo a terra, voltò le spalle a Hermione e allo
splendore che aveva restituito alla Sala Grande e si eclissò dietro allo
stipite del grande portone d’ingresso.
Aveva fatto appena un paio di
passi che la sentì gridare dalla Sala, l’eco amplificava notevolmente la sua
voce accentuando la nota drammatica che accompagnava il suo nome.
« Malfoy? Malfoy! »
Lui accelerò il passo per
arrivare alle scale dei sotterranei. Aveva lo stomaco attorcigliato su se
stesso. Non aveva davvero voglia di sentire il suo sarcasmo, le sue minacce o i
suoi rimproveri, quello era un pessimo momento.
Lei comparve nell’atrio e di
nuovo lo chiamò.
Lui
non fermò la fuga. Fuggire era una cosa che gli riusciva piuttosto bene ed era
anche convinto che fosse anche un’ottima soluzione per smettere di pensare a
lei. Di pensarla in quel modo.
« Oh,
Malfoy! Aspetta! » Supplicò
lei.
Davvero
il peggiore di tutti i momenti.
I
suoi piccoli tacchi calpestarono il pavimento a un ritmo veloce e un po’
irregolare. Stava correndo verso di lui, che però continuava a camminare verso
l’ingresso alle scale dei sotterranei. Non voleva essere raggiunto, tuttavia
rallentò il passo. Così quando inforcò la porta che conduceva ai sotterranei,
lei riuscì a raggiungerlo e lo afferrò per una manica del mantello, come se
lui, appena svoltato l’angolo, potesse scomparire.
Ansimava
forte per la corsa. Ed era agitata. Agitatissima.
Lui
continuò a darle le spalle senza avere il coraggio di voltarsi.
Sapeva
bene quello che avrebbe visto.
Avrebbe
visto lei che lo stringeva al braccio e ansimava.
Lei
che lo rimproverava d’averla spiata.
Lei
con i suoi capelli cespugliosi, la camicetta azzurra, le guance arrossate e la
gonna stretta sui fianchi.
Lei
che era scesa a patti con lui, che l’aveva riportato a Hogwarts, che gli aveva
salvato la vita… e che aspettava un “grazie”.
Sapeva
bene quello che avrebbe visto.
Ma
non sapeva quello che avrebbe sentito né, di conseguenza, quello che avrebbe
fatto.
« Io… sono giorni che ti cerco, » disse a un tratto Hermione,
seccandogli la gola.
Sono
giorni che ti penso.
Giorni
che ho paura.
Paura
di incontrarti e allo stesso tempo di non vederti mai più.
Malfoy
prese un respiro profondo ma rimase immobile.
Perché
non poteva voltarsi. Doveva andarsene. Ma voleva restare.
E guardarla negli occhi.
E
forse voleva anche ringraziarla, ma quello non l’avrebbe fatto. No. L’orgoglio
Slytherin non era nella lista delle proprietà confiscate alla sua famiglia.
Non
c’era nemmeno la purezza del suo sangue, a dire il vero, ma lui era a un passo
dal consegnarla di sua sponte.
O
forse gliel’avrebbe strappata lei dalle mani… ma non faceva molta differenza.
Sentì la sua mano stringersi più forte
attorno al braccio. « Volevo sapere
come stavi… io volevo
solo… ».
Malfoy
trattenne il respiro.
Non
poteva restare. Doveva andarsene.
Ma
voleva davvero guardarla negli occhi per capire perché aveva lasciato
quella frase a metà.
« Volevo rivederti.»
Doveva andarsene. Ma si voltò e piantò gli occhi
nei suoi; l’intensità dello sguardo fu tale che lei dovette prendere due
respiri prima di riuscire a parlare.
Sapeva quello che avrebbe visto…
« Mi hai evitato fino a ora di
proposito, vero? » disse lei con un filo di voce.
Ma
non sapeva quello che avrebbe sentito né, di conseguenza, quello che avrebbe
fatto.
In
tutta risposta, la spinse contro il muro e quando Hermione alzò gli occhi offesi
per domandargli il motivo di quella reazione, si piegò verso di lei e la
baciò.
Un
vuoto, generato dalla spontaneità di quel gesto, s’allargò nello stomaco di
Hermione.
Disorientata,
si aggrappò con una mano al collo del suo mantello e con l’altra al suo
braccio, lì, appena sopra alle bende che non poteva vedere (ma che poteva
immaginare), conficcandogli il pollice nell’incavo del gomito.
Lui
ebbe un tremito e quasi senza accorgersene si avvicinò di più, cercando una
risposta dalle sue labbra ancora inermi.
Ma
calde. E morbide. E arrendevoli.
Nonostante
lui tenesse la mano sinistra piantata contro la parete, accanto ai suoi fianchi
senza osare sfiorarli, e nonostante sulla schiena sentisse chiaramente il
contatto con la pietra gelida, Hermione aveva avuto la netta sensazione di
cadere.
Di
precipitare, per l’esattezza.
Un
attimo dopo socchiuse le labbra.
Malfoy
sentì il cuore aumentare i battiti e d’istinto le mise una mano alla vita,
traendola, per quanto fosse possibile, ancora di più a sé.
Lei
abbandonò la stoffa che stringeva fra le dita e con l’indice scivolò cauta, un
po’ imbarazzata, a sfiorargli il collo. Malfoy sentì bruciare al contatto.
Che
poi non c’era da sorprendersi, perché aveva già sperimentato quanto il suo
tocco potesse scottare.
Reclinò
la testa e lei aprì la mano sulla sua pelle, scivolò dietro la nuca e l’affondò
nei capelli.
E
poi, finalmente, accolse quel bacio che (cosa c’era di male ad ammetterlo?)
desiderava con tutta se stessa.
Abbandonandosi
al calore della sua bocca, Malfoy pensò a quello che aveva appena detto Pix.
Che
nessun serpente vorrebbe mai trovarsi tra gli artigli di un rapace.
Ma
le mani di lei premute sul suo petto, che salivano ad accarezzargli il collo,
che sprofondavano nei suoi capelli… tutto sembravano, tranne che artigli.
Pensò
a Salazar Serpeverde, alla Casa Slytherin e alla purezza del sangue che gli
scorreva nelle vene.
Pensò
a quello che avrebbe detto suo padre, se fosse stato ancora vivo.
Che
suo figlio disonorava la famiglia, che trasgrediva ad una regola inviolabile.
Ma
lui, a Hogwarts, le regole le aveva infrante più di una volta.
E
in futuro, magari, in qualità di Preside, avrebbe potuto addirittura cambiarle…
All’improvviso
fu attraversato da un ricordo.
Gemette
e si separò bruscamente da Hermione, ma lei non ne fu sorpresa, aveva pensato
alla stessa cosa: « Il Cappello Parlante… è danneggiato, ma si può riparare, »
mormorò sulle sue labbra.
Lui
si allontanò appena, per guardarla negli occhi. « Dovresti sistemare tu anche
quello, ora che hai la Bacchetta di Sambuco… » azzardò.
Non
gliel’aveva vista usare nella Sala Grande e moriva davvero dalla voglia di
sapere quale ignobile destino lei avesse riservato al potente oggetto.
Sì,
certo, il tentativo per ottenere l’informazione era pessimo, fallimentare in
partenza, ma in quel momento, con lei ancora addosso, era impossibile
ragionare. Non si curò nemmeno di mascherare la curiosità e un briciolo di
disapprovazione che aveva sul viso per la prevedibile risposta.
Hermione,
infatti, si limitò a sorridergli sardonica.
Lui
allora inspirò profondamente e guardò prima verso le scale che conducevano nel
seminterrato e poi sbirciò attraverso l’atrio verso la Sala Grande. Non per
controllare d’essere soli, ma per imprimersi bene nella mente il luogo in cui
stava accadendo tutto quello.
«
Dico sul serio, » le disse, « dovresti riparare tu il Cappello Parlante. »
Hermione
arrossì ancora di più. « Oh, ma io… non saprei da dove cominciare… » si schernì
imbarazzata, « non so se posso farlo… » La sua voce vibrava di emozione.
Per
il bacio che si erano appena scambiati.
Per
il sapore di lui che ancora aveva sulla bocca.
E
per il ricordo vivo e inebriante di ogni singolo evento, passato e presente,
vissuto fra quelle mura.
«
Certo che puoi farlo, » la rassicurò lui, « dopotutto, a Hogwarts eri la
migliore. »
Poi
le sorrise, ironico e rilassato, pervaso da una serenità mai provata prima.
«
Dopo di me, ovviamente. »
Hermione aprì la
bocca per ribattere, ma lui la mise a tacere con un altro bacio.
E questa volta lo
fece consapevolmente: la strinse a sé con entrambe le braccia e chiuse gli occhi,
l’accarezzò, respirò il suo profumo, cercò la sua lingua e ascoltò i suoi
gemiti. Senza pensare più a niente.
- Fine -
* * *
F I N I T A
Non vedevo l’ora, giuro. Anche se so
perfettamente che questo è un lavoro pieno (anzi, stracolmo) di difetti, non
posso negare d’esserne soddisfatta. Ci ho lavorato per ben tre anni, quando ho
iniziato a pubblicare ero più o meno al capitolo 19 e, anche se la mia mente
contorta aveva già architettato quasi tutto, non credevo davvero di riuscire a
terminare (ci mancava solo che Madre Natura, sul finale, decidesse di
shakerarmi la vita…)
Che dire ancora?
GRAZIE
Grazie per aver commentato con sincerità, e grazie per essere
arrivati fino a qui. Spero che vi siate divertiti, così come mi sono divertita
io a macchinare questa trama.
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