Made in Japan

di Ikigai01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chi è quello? ***
Capitolo 3: *** Previsioni ***
Capitolo 4: *** L'inizio ***
Capitolo 5: *** Flash Game [Parte 1] ***
Capitolo 6: *** Flash Game [Parte 2] ***
Capitolo 7: *** Sorprese ***
Capitolo 8: *** Lacrime. ***
Capitolo 9: *** Speranze ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Made in Japan

La pallavolo non mi era mai piaciuta.

 

Anzi, in realtà nessuno sport mi era mai piaciuto, a parte lo sci.

Li avevo provati tutti: dal calcio alla danza, dalla ginnastica artistica al tennis, nuoto, equitazione, atletica… solo lo sci mi faceva provare emozioni uniche.

Mi piaceva da matti scivolare sulla neve ghiacciata facendomi scompigliare i capelli dal vento, riuscivo a sopportare il dolore alle ginocchia dovuto al troppo sforzo senza volermi fermare. Era l’unico sport che riuscivo a praticare senza slogarmi qualcosa, ma non avevo mai provato a sciare a livello agonistico.

 

Comunque, la pallavolo non mi era mai piaciuta.

Forse perché quando andavo in battuta alla palla venivano manie suicide e si schiantava contro la parete più vicina, o perché quando tentavo di prenderla diventava di acciaio e mi si frantumavano le mani.

 

La pallavolo non mi era mai piaciuta, ma una sera fui costretta ad andare a vedere una partita, e qualcosa dentro di me cambiò.

 

In realtà cambiò tutto.

Tre set per sconvolgermi il destino.

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Capitolo 2
*** Chi è quello? ***


Chi è quello?

Ero stata rapita, e per lo più da tre persone a cui volevo bene e di cui mi fidavo. In quel momento mi trovavo in macchina con le braccia conserte e l’espressione di chi non ha intenzione di comunicare con nessun essere vivente. Mio papà e mia sorella cantavano canzoncine idiote storpiando le parole e mia zia rideva di gusto ascoltandoli. Mi stavano portando a vedere una partita di pallavolo senza il mio permesso scritto! Che scandalo!

«Portate rispetto almeno» dissi altezzosa «questo è sequestro di persona, per di più di una minorenne. Non vi vergognate neanche un po’?»

«No! Ti piacerà e sai che ho ragione! Non ti rendi conto di quanti bei fusti giocano a pallavolo!» gli occhi sognanti di mia sorella fissavano un punto dietro il mio orecchio sinistro.

«Oh sì!» aggiunse mia zia applaudendo come una ragazzina isterica «c’è uno spagnolo che… Mmm… Vedrai…»

Ero scandalizzata: «Sapete bene tutti e tre qual è la mia opinione sugli uomini, morirò zitella per scelta. Le poche esperienze avute direi che mi bastano per tutta la vita».

Mia zia cominciò a ridere «Mia cara, ti rifarai gli occhi stasera».

«E allora come mai abbiamo portato anche mio papà? A casa mia, non ci si rifanno gli occhi con il proprio padre alle calcagna pronto ad ascoltare ogni cosa sconcia che dici».

«Vero» almeno mia zia mi dava ragione su qualcosa «Ma ti assicuro che sono brava a tenere alla larga tuo padre. E’ la verità, fratellino?»

Papà mandò la testa indietro e fece un sospiro scocciato.

Prima che potessi accorgermene eravamo già davanti al palazzetto, circondati da fanatici della squadra della mia città, neanche fosse la finale del campionato nazionale.

Dopo aver pagato il biglietto salimmo le scale e ci trovammo davanti a circa un migliaio di persone tutte vestite di blu che chiacchieravano spensierati. Solo in quel momento mi accorsi di essere l’unico membro della mia famiglia lì presente vestita di viola. Al mio passaggio un gruppo di ragazzini aggrottò le sopracciglia; mi sentivo come il brutto anatroccolo circondato da meravigliosi cigni.

«Potevate dirlo che bisogna vestirsi come cloni dei giocatori» sussurrai a mia zia, che mi rivolse uno sguardo divertito.

Solo allora mi resi conto che avevo davanti un branco di fusti tutti bicipiti e gambe chilometriche. Era sicuramente il riscaldamento, perché ognuno di loro lanciava la palla a casaccio nel campo avversario. Mi sentivo intelligente, questa cosa la sapevo: bisogna buttare la palla al di là della rete cercando di farle toccare terra.

Dopo una decina di minuti la partita iniziò, finalmente.

«Quale sarebbe lo spagnolo da sballo?» chiesi a mia zia, cercando un cognome spagnolo sulle magliette dei giocatori.

Lei mi prese il mento e mi fece girare la testa. «Ila, la squadra che tifiamo noi è quella a destra» rise «Comunque è il numero 13» seguii il suo sguardo e mi trovai a fissare un ragazzo castano dal fisico statuario.

«Gli hanno già consegnato il guinness per essere il ragazzo più alto della Via Lattea?»

«Ma smettila! E’ meraviglioso! Se solo avessi una ventina di anni in meno…».

Sentii la tasca vibrare e lasciai mia zia ai suoi sogni irrealizzabili.

“Carlo”. Sospirai. Lui era l’unico ragazzo che riuscivo a tollerare senza che mi venisse voglia di staccargli la spina dorsale; era un pseudo migliore amico e un pseudo ragazzo, ma niente era mai stato ufficializzato. Risposi al suo messaggio, quando un urlo da pazzi fuori di testa mi fece sobbalzare.

Guardai il tabellone; stavamo vincendo 15 - 8. “Puah, sport insulso” pensai sbuffando.

Decisi di interessarmi a guardare la partita visto che non avevo di meglio da fare, mi stavo fissando con i gesti incomprensibili che facevano gli arbitri con le braccia, non ne decifrai nemmeno mezzo.

Mi girai verso destra e vidi che un ragazzo dai capelli neri stava palleggiando la palla. Si girò verso la rete e baciò la palla in segno di scaramanzia. Rimasi a occhi sbarrati e bocca socchiusa quando la lanciò in aria e la colpì con la mano. Dalle urla capii che aveva fatto punto, ma io non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso.

Era di origine asiatica ma con i lineamenti molto delicati, sorrise abbracciando i suoi compagni e di conseguenza sorrisi anche io, ammaliata da tanta bellezza. Non mi ricordavo l’ultima volta che a prima vista un ragazzo mi fece provare una tale emozione, per me era una cosa completamente nuova.

Scossi la testa e tornai alla realtà. «Chi è quello?» la mia voce aveva un che di isterico.

«Chi?»

«Quello con i capelli neri, l’asiatico» lui saltò per schiacciare ma gli avversari riuscirono a intercettare la palla e a prenderne il controllo.

«Si chiama Yu. Ha ventidue anni ed è qui da soli quattro mesi, quindi sa pochissimo l’italiano. Comunque è giapponese».

Quasi ringraziai il cielo che mia zia fosse un’enciclopedia di giocatori di pallavolo, avevo già qualche informazione su quel misterioso ragazzo.

 

 

A fine partita la squadra di Yu esultò di gioia per la vittoria schiacciante agli avversari e i giocatori concessero qualche foto e autografo. Al passaggio del giapponese mi sporsi sulle transenne e allungai la mano per stringere la sua. Si fermò e dovetti sbattere più volte le palpebre quando mi sorrise. Iniziai a balbettare i primi complimenti in inglese che mi vennero in mente e lui mi ringraziò lasciandomi la mano.

Durò tutto pochissimo. Solo qualche secondo di falsi sorrisi e parole dette a caso e si allontanò correndo verso gli spogliatoi.

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Capitolo 3
*** Previsioni ***


Previsioni.

 

 

Era passata una settimana dalla partita, e in due giorni mi ero informata abbastanza su Yu da potermi considerare fan.

Ovviamente le mie migliori amiche rimasero sconvolte da questo, mi conoscevano abbastanza bene da supporre che o avevo preso una brutta botta in testa, oppure quella non ero io ma una mia sosia e che la vera me era stata presa in ostaggio.

 

Qualche giorno dopo le vacanze natalizie, mentre io scarabocchiavo sul quaderno durante un’ora di chimica, la mia migliore amica Sara mi porse un cartoncino rosa shocking e sorrise.

«Che roba è?» aggrottai le sopracciglia.

«Voglio fare la mia festa di compleanno in disco! Inviterò tutti quelli che conosco e mi vestirò come una principessa…»

«Un po’ di silenzio laggiù, Sara e company» ruggì la prof nella nostra direzione.

Sara abbassò la voce: «Voglio invitare anche Matteo», disse con le lacrime agli occhi.

«Ti sei decisa finalmente! Beh comunque è una buona idea. Anche se immagino saremo tutti schiacciati come sardine da quanta gente ci sarà».

«Non è un problema questo. Ho già parlato con il gestore della Fresh Game e mi ha promesso che avremo una parte del locale tutta nostra!» applaudì allegra, «poi ovviamente si potrà girare per la discoteca senza problemi. Non rimarremo segregati nella stanza per tutta la sera!».

Sara era la tipica ragazza ‘io sono bella e tu no’, ma la conoscevo da tutta la vita e sapevo che in realtà aveva un cuore d’oro.

 

 

Quel pomeriggio Sara venne da me per preparare gli inviti del suo diciassettesimo compleanno, e parlammo di Matteo, il ragazzo di cui era innamorata da sempre, dell’indecisione di Carlo di chiedermi di metterci insieme, e poi ovviamente di Yu.

«Ho intenzione di preparare un cartellone per lui… Glielo darò la prossima volta» dissi a un certo punto senza alzare lo sguardo.

«Oddio la trovo una buonissima idea! E cosa vorresti scriverci sopra?» lasciò un invito a metà e si mise a fissarmi con le mani sotto il mento. Era il segnale che era davvero interessata all’argomento.

«Beh…» sorrisi imbarazzata, «pensavo di scrivere semplicemente Yu e poi di colorare la scritta con colori e forme che ricordano il Giappone. Magari farà schifo però…»

«Ma noo! Lo apprezzerà di sicuro! Tu poi sai disegnare da dio, farai un capolavoro, come al tuo solito.»

Le sorrisi. Era capace di infilarmi dentro coraggio e buonumore con un solo sguardo.

Quando finimmo di scrivere gli inviti decidemmo di fare una passeggiata per il centro, durante la quale entrammo anche in una cartoleria e comprammo un grande cartellone bianco panna.

Appena Sara prese l’autobus io tornai di corsa a casa e sotto consiglio di mia sorella iniziai a fare le bozze del mio cartellone.

 

Essendo una persona molto precisa mi aiutai con il righello per scrivere le due semplici lettere del nome del ragazzo, tuttavia quella fu la parte più semplice; ci misi tre giorni per colorarlo e per scegliere le giuste tonalità di viola, ma alla fine fui soddisfatta del risultato.

Immaginando l’espressione stupita di Yu quando lo avrebbe visto, arrotolai il cartellone e lo appoggiai al muro di camera mia.

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Capitolo 4
*** L'inizio ***


L'inizio.

 

Mi feci strada tra le tribune e la gente, poi finalmente arrivai davanti al giapponese più bello del mondo. Aspettai che arrivasse il mio turno e srotolai la mia opera. Purtroppo era un po’ stropicciata perché durante la partita lo avevo tirato tu e sventolato parecchie volte.

«Ciao!» neanche mi guardò in faccia.

Rimasi con il cartellone aperto in mano fissando il suo viso che sembrava quasi di cera.

Alzò gli occhi dal disegno e mi lanciò uno sguardo accigliato: «Dov’è la penna?» disse guardandosi intorno. Sembrava di fretta.

All’improvviso capii che pensava dovesse farmi un autografo, e mi sentii in dovere di spiegare.

«No… Questo è per te, Yu» la mia voce tremava. Porco cazzo! Era solo un cavolo di giocatore di pallavolo!

«E’ veramente molto bello» mi guardò dritto negli occhi, sorridendo sinceramente, come un bambino che riceve il suo gioco preferito. Il cuore sobbalzò. Sì, un cavolo di meraviglioso giocatore di pallavolo, con il sorriso dolcissimo e due occhi che sembravano pietre preziose.

Intorno a noi le persone aumentavano sempre di più, cercavano di chiamarlo, volevano foto e autografi.

Mia zia ovviamente rovinò il momento: «Oh sì! Va a un liceo artistico, sai Yu?»

Sia io che Yu la guardammo esterrefatti.

Mi dovetti trattenere per non ammazzarla in quel preciso istante.

«Cosa cazzo vuoi che gliene freghi?» le sibilai rivolgendo comunque un bel sorriso al giapponese.

 

Avevano vinto anche quella partita e lui aveva giocato da dio. Quando glielo feci notare scosse la testa, modesto.

 

Guardò prima mia zia e poi me: «Vai ancora a scuola?». Sembrava onestamente stupito.

«Beh…» lanciai il più fulminante sguardo possibile alla donna di fianco a me, per aver rivelato al ragazzo più bello del mondo che ero ancora una poppante in piena crisi ormonale. Di sicuro Yu pensava fossi appena uscita dal periodo ‘guardatemi sono un brufolo umano!’; abbassai lo sguardo contorcendomi le mani. «Ehm…» tanto ormai cosa serviva fingere? «Sì… Ho sedici anni e…»

No ora era stupito sul serio! Aveva lo sguardo annebbiato e mi squadrò dalla testa ai piedi. Rise.

«Beh mia cara, ne dimostri almeno due-tre in più» poi si corresse:«spero che non sia un’offesa per te».

Iniziai a saltellare come una bambina isterica. «Offesa? Offesa?! Assolutamente no! Grazie piuttosto… vorrei davvero essere più grande di così».

Detto ciò prese il cartellone e lo arrotolò. «Grazie» mi disse, cercò la mia mano destra e la strinse, poi si avviò verso gli altri centinaia di fan in visibilio.

 

 

 

Il giorno dopo andai in giro per negozi insieme a Sara per cercare un vestito adatto alla epica festa di compleanno.

Restammo fuori casa tutto il giorno, alternando mercatini a negozi decisamente cari e con abiti ricercati.

Alla fine, arrivate in una stradina abbandonata dal mondo trovammo un negozio semplicemente meraviglioso di cui non ricordo il nome.

Quando uscimmo sembravamo le protagoniste di Sex and the City da quante borse avevamo appese alle braccia. Dio, eravamo l’esempio vivente che lo shopping è terapeutico! Ridevamo come delle sceme e la gente si girava a guardarci stranita.

Mi ero innamorata di un meraviglioso tubino rosa con la gonna a balze fino a sopra al ginocchio. Mi era costato un occhio della testa ma la cosa non mi interessava per niente, desideravo indossarlo tutti i giorni.

Sara invece aveva comprato un lungo azzurro cielo, intonato perfettamente con i suoi meravigliosi occhi. Come sempre sarebbe stata la più bella della serata.

 

 

Note: i dialoghi tra me/zia/altra gente e Yu sono in inglese ovviamente.

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Capitolo 5
*** Flash Game [Parte 1] ***


Flash game.

 

Le luci colorate illuminavano a intermittenza la pista da ballo e la gente si muoveva e ballava spingendomi da una parte all'altra. Di certo il fatto che ai piedi avevo dei sandali tacco 15 non aiutava molto. Sara e le altre erano appena scomparse in mezzo alla folla lasciandomi con tre bicchieri pieni di liquido indefinito in mano.

Mentre cercavo di farmi strada verso le poltrone in pelle bisognosa di far riposare i talloni e le caviglie brucianti, due mani mi afferrarono i fianchi facendomi sobbalzare; il ragazzo mi tirò a sé violentemente e cominciò a strusciarsi addosso al mio fondoschiena.

«Ciao tesoro!» mi girai di scatto già pronta a rovesciare il contenuto dei bicchieri in faccia allo sconosciuto, quando mi accorsi che era Carlo. Gli porsi il bicchiere e poi lo colpii con la mano.

«Coglione!» il cuore batteva all'impazzata e le guance si infiammarono di rosso. «Coglione!» ripetei, «dio, mi hai fatto prendere un colpo».

Sorrise malizioso e mi avvicinò ancora di più. «Che meraviglia di vestito! Sei uno spettacolo stasera». Mi stampò un bacio sul collo che mi provocò un brivido.

«Solo stasera?» lo stuzzicai facendo il broncio.

«Tu sei la più bella anche con addosso i pantaloni della tuta»

Smettemmo di ballare ignorando le spinte e i pestoni della gente attorno a noi. Mi prese le mani e mi guardò dritto negli occhi, costringendomi ad abbassare lo sguardo, imbarazzata.

«Che c'è?» chiesi cercando invano di arrestare il sudore delle mani.

«Penso di essermi innamorato di te, sai?»

 

Cazzo. Oh, cazzo.

 

Un velo di sudore comparve improvviso sulla mia fronte e mi si impastò la lingua. Odiavo quelle cose; desiderai ardentemente che Sara prendesse i miei polsi e mi portasse a ballare, nascondendomi da Carlo e il suo innamoramento.

 

Cazzo;

 

Non andava bene per niente. Io non ero innamorata di lui, in realtà non ci avevo mai pensato, ma ero sicura di non esserlo. Okay era figo, aveva due meravigliosi occhi verde smeraldo e dei mormidissimi riccioli castani... La vista mi si annebbiò e la pista cominciò a girare vorticosamente attorno a me. Le braccia forti del mio ragazzo mi tirarono su e mi fecero sdraiare su di una lunga poltrona di pelle.

 

«Stai bene?» da come mi stringeva la mano era molto preoccupato, «è colpa mia cazzo! Ti ho fatto andare in crisi!»

«Sì... Penso di sì...» mormorai coprendo gli occhi dai fari colorati della disco.

Biascicò qualcosa frettolosamente fra sé e sé, e poi disse: «torno subito. Sì... aspettami qui».

 

Dove pensava che andassi in quelle condizioni?

 

 

 

Mi tirai su a sedere e mi accorsi che accanto a me era seduto un ragazzo; fissava il dj alla console e teneva il tempo con la testa e i piedi. Quando una luce gli illuminò il viso spalancai gli occhi di colpo, scioccata.

Cercai di parlare ma mi uscì solo un suono strozzato che lui stranamente udì. Si girò verso di me e incrociò il mio sguardo, fisso sul suo viso.

 

«...Yu?» non era esattamente il mio tono normale di voce, ma almeno non sembrava il verso di una gallina malata.

Socchiuse gli occhi e si avvicinò a me, facendomi aumentare il numero di respiri, poi un'espressione di consapevolezza apparve sul suo viso.

«La ragazza del cartellone...» mormorò fra sè.

Quelle parole mi fecero risvegliare del tutto; il giramento di testa, Carlo che mi confessava di essersi innamorato... All'improvviso scomparve tutto, e rimase solo il fatto che lui si ricordava di me.

 

Lui di me.

 

Annuii lentamente, sbigottita. «Sì... Ti ricordi?»

«Certo,» sorrise «la sedicenne che dimostra vent'anni» sorrisi spontaneamente sentendo quella frase, e mi avvicinai di più a lui.

«Beh, mio caro... Tu ne dimostri qualcuno in meno, se devo essere sincera» sghignazzai sotto i baffi, e lui aggrottò le sopracciglia.

«Oh... Beh... Questo non mi piace!»

Spalancai gli occhi: «Scherzi? Dimostrare vent'anni quando se ne hanno sei di più è decisamente una bella cosa... E poi, ora che tutti e due abbiamo la stessa età, direi che siamo a posto!», arrossii.

Aggrottò le sopracciglia confuso, avvicinandosi al mio orecchio per sovrastare il rumore assordante della musica. «A posto per cosa?»

 

"Per sposarci e andare a vivere in un'isola sperduta nei caraibi! A posto per visitare il tuo paese e imparare la tua lingua; per salvarmi da quel pazzo del mio ragazzo che mi confessa cose scandalose pur sapendo che io sono sensibile ad esse."

 

Avrei voluto rispondergli così, ma mi limitai a sorridergli e a rispondere: «Niente, lascia stare».

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Capitolo 6
*** Flash Game [Parte 2] ***


Flash Game.

 

 

Io e il giapponese rimanemmo a guardarci per un tempo così lungo e un modo così intenso che gli occhi iniziarono a bruciarmi.

"Ste maledette ghiandole lacrimali, possibile che ogni volta che mi imbarazzo entrano in funzione a tutto gas?"

«Merda» biascicai abbassando la testa, contorcendomi per non far notare al ragazzo che ero diventata viola e che mi usciva liquido dagli occhi pur essendo felicissima.

«Tutto bene?» chiese premuroso.

Stavo per rispondere quando le sue dita toccarono il mio mento facendomi sussultare; alzò il mio viso e con un fazzoletto asciugò delicatamente le lacrime. «Non pensavo di poter provocare un effetto del genere alle ragazze?»

Aprii la bocca, e il mio stupidissimo orgoglio si impadronì di me: «No... Cioè...», sorrisi «sono queste luci accecanti che mi danno fastidio. Non tu, no di certo».

Risi istericamente.

Allontanò le mani dal mio viso con un'espressione indecifrabile.

«Okay», rispose lentamente guardandomi negli occhi.

 

"Cazzo! Quanto sono stupida!!" pensai facendo un respiro profondo e cercando di rimediare la situazione.

«Beh...» il mio cervello cercò vorticosamente un argomento di cui parlare, «sì... In che città sei nato, precisamente?»

"Merda!! Una domanda peggiore no? Tipo: qual è il tuo colore preferito? Ti piacciono i bassotti?"

Stavo delirando, e il cuore mi rimbalzava fuorioso nel petto.

Allontanò lo sguardo da me e si girò di nuovo verso il dj, sorseggiando un drink. Vidi le sue labbra muoversi in modo impercettibile ma non sentii la risposta.

Annuii tra me e me increspando le labbra nervosa.

 

"Brutta stupida, cogliona, deficiente, stronza.."

Non avevo finito di auto-offendermi che Yu si girò di nuovo verso di me, mi passò il bicchiere e si alzò;

«Vieni alla prossima partita, perfavore»

Si allontanò tra la folla e lo seguii con lo sguardo fino a quando scomparve del tutto; ero ancora immobile con gli occhi lucidi e la bocca aperta.

 

 

«Non vedo l'ora...»,sussurrai sorridendo dolcemente.

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Capitolo 7
*** Sorprese ***


Sorprese.

 

 

Can't wait to see your face
When your front windows break
And I can crash through

The love is near to clear the road
Oh, oh, oh
Cause this thing is ready to blow
Oh, oh, oh

I just wanna set you on fire
So I dont have to ride alone
Then you
Then you'll know where
Im coming from
Fire bomb
Fire bomb

 

La mascotte-pinguino della squadra batteva le braccia alate a ritmo di musica, e io cantavo a squarciagola; quella era una delle mie canzoni preferite di Rihanna e di sicuro piaceva anche al resto del palazzetto. Un centinaio di voci si unirono insieme alla mia e cantarono all'unisono un verso di quella meravigliosa melodia.

Probabilmente fu solo una mia impressione, ma durante quei pochi secondi di pausa, bevendo dalla borraccia Yu mi lanciò un'occhiata e accennò un sorriso.

«Sono patetica» sussurrai quando il giapponese si girò verso il campo e si mise in posizione di battuta.

Grazie al cielo quella sera né mia zia, né mio padre e nemmeno il mostriciattolo di mia sorella vennero insieme a me alla partita. In effetti era molto strano per me una cosa del genere, solo un mese prima avrei riso di gusto pensando a una situazione come quella.

«Punto a Giallicchi Nurto», urlò con finto entusiasmo il cronista. Era già la terza battuta che Yu sbagliava e quello era il set decisivo, non potevano perdere.

Un giocatore dell'altra squadra buttò la palla addosso alla rete, facendoci guadagnare un punto. Lo stadio era gremito, quella era una partita importantissima e il tifo era decisamente migliore del solito; se non l'avessimo vinta per noi sarebbe finito il campionato, e con lui sarebbe svanita la speranza di poter entrare in serie A1.

Dopo una decina di minuti Yu tornò a battere, la palla volò troppo lentamente verso il campo avversario e cadde dalla parte opposta della rete per miracolo. Urla di gioia provennero dagli spalti, e i raccattapalle passarono la palla al giapponese, che in senso di scaramanzia la baciò.

Aveva un'espressione ansiosa sul viso, gocce di sudore scendevano dall'attaccatura dei capelli scuri. Eravamo venticinque pari e un silenzio fastidioso regnava all'interno del palazzetto; mi guardai intorno cercando un qualcosa per fare casino, e infatti di fianco al signore che avevo davanti c'era un altoparlante bianco panna tutto ansioso di essere usato.

Allungai il braccio cercando di non attirare troppo l'attenzione dei vicini, fortunatamente concentrati su Yu che stava avanzando verso la linea del campo.

Accesi l'aggeggio e me lo portai alla bocca: «Forza Yu! Siamo tutti con te!» urlai con tutta la voce che avevo in corpo e nel silenzio tombale rimbombò ancora di più. L'arbitro fischiò e il braccio destro del giapponese colpirono la palla facendola cadere diritta nel campo avversario.

«Ace! Ace!» il cronista sorrise rivolto al ragazzo che, questa volta lo videro tutti, si girò e mi fece l'occhiolino, mandandomi in estasi.

La partita si concluse tre set a due, l'ultimo vinto ventisette a venticinque; anche se ero felicissima di questo, dovetti ammettere che l'altra squadra era decisamente forte e pericolosa.

Corsi giù per le scalinate degli spalti il più velocemente possibile, facendomi spazio tra un gruppo di bambine vestite in tuta da pallavolo. Non dovetti nemmeno chiamarlo; con un enorme sorriso soddisfatto Yu mi venne incontro aprendo le braccia e mi diede due baci sulle guance, bagnandomi il viso di acqua e sudore.

«Grazie» sorrise appoggiando un braccio alle transenne, malizioso.

«E di che? Io non ho fatto niente», ed era vero! Mi ero solo messa in ridicolo davanti a migliaia di persone nel silenzio più assoluto.

«No, mi è servito invece», cominciò a slacciare i nastri bianchi che aveva attorno alle dita e mi fissò intensamente.

«Che c'è?» chiesi lusingata, arrossendo.

«Niente... Solo...» sospirò, «ora non accetto che tu mi dica che il tuo rossore è causato dalle luci della discoteca». Rise maligno.

Sentii la schiena diventare bollente, la fronte e le orecchie colorarsi di viola e mi portai le mani al viso. 

«Cazzo, cazzo, cazzo!»

Sentii la risata di Yu a pochi centimetri dal mio viso, mi prese le mani e le riportò sui miei fianchi. Era troppo vicino! Il cuore partì a correre per conto suo un’altra volta;

Mi resi improvvisamente conto che eravamo circondati da una marea di persone, e quando glielo feci notare decise che sarebbe stato meglio lasciare spazio agli altri.

Mentre mi guardavo intorno, afferrò uno dei volantini pubblicitari che avevo in mano e scrisse qualcosa a cui non badai molto.

Si avvicinò verso di me e io mi girai di scatto, trovando le sue labbra a sfiorare le mie. Socchiuse le labbra e sentii il suo respiro caldo stuzzicarmi la lingua; mi avvicinai impercettibilmente e mi allontanai appena lo sentii sorridere. Merda! Eravamo circondati da un casino di gente!

Girai i tacchi e cominciai a camminare verso l’uscita del palazzetto sentendomi osservata; appena arrivata all’esterno andai verso il parcheggio per aspettare l’auto di mia zia, e alla luce della luna lessi il volantino pubblicitario.

Una serie di numeri era scritta in alto a destra del pezzo di carta; il mio cervello reagì in ritardo, mentre il respiro si faceva affannoso.

«Cazzo», sussurrai tra me e me avvicinando il viso alla serie di numeri; presi automaticamente il cellulare e salvai il numero mentre il mio viso si faceva sempre più sorpreso e incredulo.

«Mi ha dato il suo numero…» ero decisamente incredula e allo stesso tempo lusingata. Dovetti trattenere il mio pollice da scrivere un messaggio.

“Le ragazze si devono sempre far desiderare!” pensai sorridendo tra me e me.

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Capitolo 8
*** Lacrime. ***


Lacrime.

 

 

In realtà non mi feci molto desiderare; ricordo di avergli scritto circa venti minuti dopo essere tornata a casa, e ricordo anche di essere andata in agonia perchè non rispose per tutta la notte e per metà mattinata del giorno dopo.

A scuola posizionai il cellulare sopra al banco nascosto dietro all'astuccio, e per ogni messaggio che arrivò o che mi immaginavo fosse arrivato mi si illuminarono gli occhi. In realtà solo mentre stavo tornando a casa schiacciata dal peso dello zaino sentii la gamba vibrare in modo molto reale, e così quando il mio sguardo stanco si posò sulle parole:

 

"1 NUOVO MESSAGGIO"

da: YU

un sorriso spontaneo si illuminò sul mio viso e ogni cosa andata storta quel giorno diventò improvvisamente meno che insignificante. Finalmente mi aveva risposto! Aprii il messaggio e lo lessi tutto d'un fiato:

'Scusa se non ti ho risposto prima, ho dormito come un ghiro."

 

Il sorriso si aprì ancora di più e sospirai felice; stavo per rispondergli quando arrivò un altro messaggio, innervosita lo aprii e mi accorsi che era ancora Yu.

 

"Cazzo, c'è una nostra foto sul giornale. Quando ci siamo baciati per sbaglio, hai un'espressione stupenda! Troppo divertente!"

 

Confusa ripensai alla sera prima quando le nostre labbra si erano toccate e io avevo spalancato gli occhi sbigottita. Ricordai un bagliore a cui non avevo fatto caso e il mio cervello ragionò arrivando alla conclusione che in mezzo a tutte quelle persone poteva esserci stato un fotografo. Cazzo, oh cazzo.

 

"No ti prego è una cosa terribile! Se mio papà vede quella foto sono finita! Ma si vede molto? E' grande?"

 

Aprii la porta di casa imprecando e salii di corsa le scale, e trovandomi davanti all'enorme casino che c'era sul tavolo mi maledii per il fatto di essere così disordinata. Trovai dopo un paio di minuti il giornale che stavo cercando e lo aprii nella sezione 'sport'; saltai direttamente le dieci pagine dedicate al calcio e poi, finalmente nascosta in basso a destra c'era un trafiletto sulla partita di pallavolo della sera prima; tra le varie foto trovai quella che mi interessava. Risi nervosamente vedendo la mia espressione da deficiente ma mi ricomposi subito terrorizzata. Se mio padre avesse visto quella foto sarebbero stati cazzi amari; semplicemente per il fatto che era gelosissimo e che il ragazzo che era davanti a me era più grande di undici anni. Inoltre era un giocatore di pallavolo conosciuto in tutta la città e in tutto il Giappone;

Lanciai un'occhiata al cellulare, un nuovo messaggio.

"Neanche tanto; però ti si riconosce parecchio. E' grave?"

Me lo aveva inviato dieci minuti prima, risposi con un monosillabo:

"Sì."

Strappai con violenza la pagina e la buttai nel cestino, ma appena mi girai mi pentii. Dopotutto quella era la nostra foto, la nostra prima foto. Presi il pezzo di carta e cominciai a tagliare con cura il piccolo quadratino definendo bene i contorni.

“Puoi sempre dirgli che è un fotomontaggio.”

Risi tra me e me:

“Puah… Ti credi così acclamato dai fan da meritarti un fotomontaggio con una gnocca come me?”

“E tu ti credi così gnocca da meritarti un fotomontaggio con uno acclamato dai fan come me?”

Il discorso si stava finalmente facendo interessante. Oltre che bello e bravo era anche estremamente spiritoso.

“Ma sentilo! Qua l’unica vera fan che hai sono io.”

“Mi basta, tranquilla. Mi basta di sicuro.”

Andammo avanti a scherzare per tantissimo tempo che quasi non mi accorsi che erano ormai le cinque del pomeriggio. In uno degli ultimi messaggi mi chiese di uscire la mattina dopo visto che era sabato e io non avevo scuola; ovviamente risposi di sì, trattenendomi dall’aggiungere ‘Non aspettavo altro! Grazie per avermelo chiesto! Sei bellissimo e mi piaci da morire!’.

Sì, gli attacchi da bimbetta isterica non mi avevano ancora abbandonata del tutto.

 


 

«Non puoi immaginare quanto mi dispiaccia! E’ terribile…» disse Yu guardandomi con un’espressione triste.

«Non esattamente. Mi è sempre mancata una figura materna, ma se devo essere sincera preferisco non aver mai conosciuto mia madre. Non avrei mai sopportato di perderla dopo, non sarei mai stata abbastanza forte». Sorrisi. Parlare di quell’argomento mi faceva stare male, ma ero bravissima a non darlo a vedere.

«I miei invece si sono separati quando io ero ancora un bambino, ma lo hanno fatto decentemente… Voglio dire, niente litigi davanti a me e hanno sempre fatto di tutto per non rovinarmi l’infanzia e l’adolescenza. Hanno divorziato in amicizia e io gli sarò sempre grato di questo».

Entrammo in un parco dove alcuni bambini giocavano a palla e si inseguivano ridendo e gridando felici.

«E’ da un po’ che voglio chiederti una cosa», lo guardai negli occhi intensamente.

«Certo, dimmi pure» mi incoraggiò lui con uno dei suoi migliori sorrisi.

«Mi sono sempre chiesta se ti trovi meglio qui o in Giappone; come ti sembra questa città? Scusami se ti sembrerò una giornalista ma voglio sapere tutto di te!»

Sospirò divertito.

«Devo essere sincero: nessun posto potrà mai sostituire il mio Giappone, i muri caldi e accoglienti di casa mia, il sushi di qualità…» rise, «gli alberi in fiore che ci sono lì sono spettacolari.. Però amo questo posto! Il mare, il sole e il modo con cui mi hanno accolto gli italiani sono solo poche cose che mi piacciono di qui.» Sospirò, «poi…» mi lanciò uno sguardo e mi fece l’occhiolino «… le ragazze, wow! A dir poco fantastiche!»

Piegai la testa all’indietro e cominciai a ridere. Lui si guardò intorno, poi indicò una bionda seduta su una panchina che ascoltava la musica; «Guarda quella ad esempio! Non ho mai visto nessuna più bella di lei!»

Incrociai le braccia ed alzai il sopracciglio. Mi stava palesemente prendendo in giro;

mi alzai sulle ginocchia e mi buttai su di lui facendogli il solletico. Mentre lui si dimenava ridendo in modo incontrollato io mi avvicinai con il viso e inspirai il delizioso profumo della sua pelle.

Si bloccò. «Sei bellissima».

Mi bloccai anche io, imbarazzata. Oddio no, i complimenti no. Sentii le guance evaporare da quando bollenti erano diventate, e il respiro si fece ancora più affannoso.

«Grazie…» mormorai. Cercai di cambiare argomento, come al mio solito;

«Posso avere qualche anticipazione sulla prossima stagione della squadra?» gli tirai una pacca sulla spalla e mi accovacciai sulle sue gambe muscolose.

Sembrava imbarazzato; «Beh, sì certo» deglutì e prese tra le mani qualche ciuffo d’erba. «Primo, io ritorno in Giappone…» lo disse così velocemente che fu costretto a ripeterlo più volte prima che io capissi, o forse ero io che non volevo capire.

«Come?»

«Mi hanno fatto un’offerta molto interessante e io ho bisogno di soldi…» scossi la testa cercando di mettere insieme tutte quelle cose. Mi accarezzò il volto: «però… però giuro che io voglio continuare a sentirti. Mi piaci tantissimo…» si prese la testa fra le mani: «Merda

«Che hai?» aveva gli occhi lucidi.

«Ho che mi sto… non lo so. So solo che sei una bambina, ma so che mi piaci e che fra meno di due settimane me ne devo tornare a casa».

«Perchè? Perchè mi dici questo se poi...» le lacrime cominciarono a scendere lente lungo le mie guance, e le sue dita furono invece rapide ad asciugarle.

«Sei solo una bambina, Ila» mormorò rivolto all’erba che stava strappando davanti ai suoi piedi, «…tu non puoi capire».

«Capisco benissimo che mi piaci! E che sarebbe stupendo se tu rimanessi, se ci provassimo. Non siamo né i primi e nemmeno gli ultimi!»

Scosse la testa socchiudendo gli occhi: «Non dipende da me!», era furioso e lo dimostrava la forza con cui maneggiava gli innocenti fili d’erba, mentre mi guardava con gli occhi lucidi. «Non so nemmeno perché ti ho chiesto di uscire; cazzo, tu sei una bambina!»

«Una bambina che si sta innamorando…» abbassai gli occhi, sorpresa dalle mie stesse parole e dalla facilità con cui le avevo pronunciate. Non lo avevo mai detto a nessun altro, in realtà non mi era mai nemmeno passato per l’anticamera del cervello.

Alzò lo sguardo verso di me accennando un sorriso amaro. «E’ questo il problema», disse «noi non possiamo permettercelo. Hai undici anni meno di me, non è possibile che io…»

Ci avvicinammo all’unisono; «Che tu cosa?» sussurrai e il suo respiro fresco mi solleticò le guance.

Le nostre labbra si unirono in modo perfetto, come se fossero state create per esistere insieme; socchiusi la bocca e la sua lingua iniziò a danzare insieme alla mia dolcemente e le sue dita accarezzarono i miei capelli mandandomi in paradiso.

«Ti prego…» sussurrai «resta».

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Capitolo 9
*** Speranze ***


Speranze.

 

 

Non glielo chiesi più dopo quella volta, una bastava e avanzava. Dopotutto ero solo una bambina per lui, il problema era che mi piaceva davvero molto. Maledii mia zia per avergli rivelato la mia età, avrei potuto dire di essere una ventenne super corteggiata; invece no! Sapeva benissimo che ero in terza superiore e che facevo schifo in tutte le materie scientifiche. Sapeva che avevo ancora i poster dei miei cantanti preferiti appesi al muro della mia camera, e che i miei ormoni impazzivo ogni volta che lo vedevo. Ma lui era lì, perfetto, e non gli interessava nulla di tutto questo. Aveva solo paura di innamorarsi di me - parole sue - e aveva paura che io stessi male alla sua partenza. Si comportava come un ragazzo con la sua migliore amica, eccetto per il fatto che forse eravamo un po' più spinti, e questo mi faceva impazzire.

Io, allergica a qualunque creatura di natura maschile e intollerante alle frasi troppo sdolcinante, e lui, pallavonista affermato con due muscolose braccia su cui mi piaceva farmi cullare. Ci frequentavamo da quasi due settimane e Carlo non ne sapeva niente. Mi dispiaceva davvero perchè io gli volevo bene, ma da qualche tempo era diventato appiccicoso e geloso. Probabilmente aveva percepito qualcosa, probabilmente non sapevo nascondere i miei sentimenti come pensavo.

Non volevo lasciarlo perchè sapevo che Yu sarebbe partito entro un mese e che molto probabilmente non lo avrei più rivisto; sapevo che era da stronze, che Carlo non meritava di essere trattato così, di essere usato in quella maniera, ma lo feci lo stesso; mi sentivo in colpa.

Per la partenza di Yu avrebbero organizzato una festa dove sarebbero stati presenti i giocatori, i soci e gli sponsor. Nella mia testa mi vedevo seduta a un tavolo in abito blu scuro e i capelli raccolti in un morbido chignon, con il giapponese in smocking davanti a me.

Non gli proposi nemmeno l'idea: lui doveva andarci in tuta. Bah.

«Posso accompagnarti io alla festa, se vuoi. Ci saranno anche gli altri ragazzi della squadra», mi cinse le spalle con il braccio e mi baciò delicatamente sulla fronte. Socchiusi gli occhi.

 

 

Era quasi mezzanotte e mi stava accompagnando a casa. Mi aveva portata nel suo monolocale; per quanto fosse piccolo era davvero adorabile. I muri erano tapezzati di quadri in stile giapponese e mentre scorrevo la parete notai un quadro simile al cartellone che avevo preparato io qualche mese prima. Aguzzando la vista mi resi conto che era proprio il mio! Mi coprii il viso con le mani.

 

 

«Vorrei tanto, ma chi lo dice a mio papà?». C'era sempre di lui in mezzo, echeccazzo.

Sbuffò irritato, ormai non lo sopportava più. Gli diedi un buffetto sulla guancia.

«Non fraintendermi, mi da solo fastidio che lui sia così...»

«Devi capirlo! Non sa niente di noi, e se lo sapesse penso che perderebbe la stima per te nel giro di un nanosecondo. Io sono sua figlia e non ho praticamente mai avuto esperienze. La differenza di età non è molta, ma io sono un'adolescente e tu... »

Mi guardò incuriosito: «io cosa?»

Risi. «Mi fa impressione pensare che tra quattro anni ne avrai trenta», lo guardai sconcertata.

Alzò gli occhi al cielo, incredulo. «Tu fra quattro anni ne avrai venti!», mi prese da dietro e cominciò a farmi il solletico. Non riuscivo a liberarmi, le sue braccia erano troppo forti.

«Ti voglio bene...» sussurrò nel mio orecchio provoncandomi un brivido lungo la schiena. Allentò la presa e mi abbracciò.

«Anche io ti voglio bene, Yu»

Un sorriso amaro apparve sul suo viso. «Dio, non hai idea di quanto mi macherà la tua voce; promettimi che ci sentiremo, in qualunque maniera! Ti prego, promettimelo».

Gli occhi bruciavano in una maniera impressionante. Annuii ma non parlai, per non fargli sentire la mia voce tremante; sorrise e mi avvicinò ancora di più a sé.

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