Come un sogno altrui può diventare realtà

di Lovy91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una giornata impossibile ***
Capitolo 3: *** Tutta colpa tua, papà! ***
Capitolo 4: *** Un mare enorme di guai ***
Capitolo 5: *** È ora di capire ***
Capitolo 6: *** Mi chiamo Lilian Doolan ***
Capitolo 7: *** Una piccola trappola ***
Capitolo 8: *** Dimmi la verità: io per te cosa sono? ***
Capitolo 9: *** Tre settimane dopo... ***
Capitolo 10: *** AVVISO! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                                                                        Prologo

<< Racconta! >>, disse un bambino biondo, tirando per la veste un vecchio con la pipa in bocca. L'anziano uomo la fumava soddisfatto, era chiaro che per lui era uno dei suoi momenti preferiti della giornata, un momento di solitudine lui e la sua pipa.
Però quel momento era stato interrotto dalla manina paffuta di quel bambino biondo e dagli occhioni castani che imploravano la sua attenzione.
Non posò la pipa e continuò a fumare, seduto sulla sghemba sedia traballante di legno consunto. Lo guardò e sorrise di quella tenera ostinazione nei giovani occhi del bambino.
<< Racconta dai! >>, lo pregò con maggiore enfasi, stringendo i piccoli pugni.
Ridacchiò, sempre con la pipa in bocca. Finalmente la posò sul tavolo e si mise comodo. Prese il bambino in braccio, con tutta l'amore che un nonno può avere. Lo mise sulle sue ginocchia e il bambino non vedeva l'ora di sentire una storia.
Il suo nonno era bravissimo e le sue storie che raccontava erano sempre tanto... reali.
<< Una sola >>, disse deciso l'uomo alzando un dito.
Il bambino alzò un dito anche lui e ridacchiò come solo i bambini sanno fare. << Una! >>.
Il vecchio guardò fuori dalla finestra, il paesaggio campagnolo che si stendeva davanti a lui e al nipote. I tempi non erano dei migliori: il 1966 non era stato un ottimo anno per il raccolto. Fino all'anno prima, c'era una distesa dorata che si perdeva a vista d'occhio per metri e metri, dove i suoi nipoti adoravano correre per nascondersi in mezzo a quelle spighe dorate a giocare a nascondino fino a quando il cielo non imbruniva per lasciare spazia a un mare scuro, immerso nella notte.
<< Nonno! >>, lo richiamò all'attenzione il bambino.
<< Scusa, Giovanni >>, disse il nonno. << Ero perso nei pensieri >>.
<< Racconta, su! Prima che torni papà e mamma dal lavoro! >>.
Sospirò. Quanto avrebbe voluto anche lui aiutare sua figlia e il genero a lavoro! Ma i quarant'anni nei campi non lo rendevano più capace di lavorare ed ora non gli restava che  guardare e fare il cantastorie con i suoi dieci nipoti, metà maschi e metà femmine. Era felice di sapere che il futuro a loro avrebbe sorriso. L'italia aveva superato la seconda guerra mondiale e le crisi post-guerra. Ora la vita era migliore, ma non era abbastanza, non era mai abbastanza.
 << Mi racconti la Storia degli elementi? >>.
 << Di nuovo? Ma la saprai a memoria! E poi la tua preferita non è un'altra? >>.
<< Uffa! A me piace tanto anche l'altra! >>, sbottò con forza Giovanni.
<< Va bene, Giovanni >>, acconsentì il nonno. << Ti racconterò la storia che vuoi >>.
Il bambino batté le mani e si mise in ascolto, comodo sulle ginocchia dell'uomo.
L'anziano uomo socchiuse gli occhi come se volesse rievocare i ricordi di una vita. Le storie raccontategli da suo padre e ancora prima da suo nonno e così via. Non guardava mai i suoi ascoltatori quanto raccontava come se avesse paura di perdere il filo della storia.
<< Tanti e tanti anni fa, in un mondo diverso, un uomo tanto saggio raccontò una storia a un mio avo. Una leggenda si potrebbe dire >>. Si interruppe un secondo e poi ricominciò la narrazione: << Un tempo, agli inizi del mondo, prima che gli uomini lo invadessero con la loro tecnologia, vivevano in armonia con la natura e con ciò che essa poteva offrire.
Ma non era questo che teneva insieme il mondo. Erano gli elementi >>.
<< Li so, li so! >>, alzò una mano e poi un dito, << fuoco >>, due dita, << acqua >>, terzo dito, << terra >>. Quarto dito. << Aria! >>. Agitò la mano con le quattro dita alzate.
<< Bravissimo! >>, si complimentò. << E poi? >>.
<< Gli elementi complementari! Come il ghiaccio, i metalli, la sabbia... >>.
<< Esatto, Gianni. Gli elementi erano detenuti dai saggi che erano in grado e meritevoli di controllarli. Erano veramente pericolosi se in mani sbagliate. E cosa successe un giorno? >>.
Il bambino si fece pensieroso come se cercasse di rammentare. << I saggi furono... uccisi da qualcuno! Ma nessuno sa da chi e gli elementi andarono persi >>.
<< Non proprio>>, lo corresse il nonno. Il piccolo aggrottò le sopracciglia, confuso. << Gli elementi rimasero sulla Terra e nessuno seppe mai dove. Ma da quel momento, nacque il mondo come lo conosciamo oggi, purtroppo. La pace svanì e l'odio nacque, così come gli altri sentimenti >>.
<< Un po' come il vaso di Pandora? >>.
<< Bravissimo. Proprio così. Con la differenza che i sentimenti negativi si mischiarono a quelli positivi invece di svanire del tutto: ad esempio, l'amore e l'amicizia esistono >>.
<< Ed è per questo che esistono anche i terremoti e i maremoti? >>.
Annuì. << Già. Gli elementi sono instabili senza nessuno che ne abbia la cura >>.
Il bambino saltò giù dalle ginocchia del nonno con un saltello agile e spalancò le braccia. << Nonno, quando sarò grande mi metterò alla ricerca degli elementi! >>.
Rise. << Davvero? >>.
<< Sì! >>, esclamò Giovanni. << Ti prometto che diventerò lo scienziato più bravo che esista a questo mondo e tu sarai orgoglioso di me! >>.
Gli diede una pacchetta affettuosa sul capo a quel bambino tanto entusiasta. << Allora non vedo l'ora >>.
<< Gli elementi esistono e io li troverò! >>, disse ancora più deciso. Il nonno stava per ribattere altro quando la porta scricchiolò e due persone entrarono nella stanza, una sorta di salottino. Il bambino si girò a guardare la porta ancora con le braccia spalancate.
Sua madre, Amelia, con le mani sui fianchi e uno sguardo divertito guardò suo figlio. << Papà, gli hai raccontato ancora la Leggenda degli elementi? Lo sai che tutte le notti mi dice che diventerà... >>.
<< … uno scienziato. Sì, e lo diventerà! >>.
Giovanni abbassò le braccia, abbandonandole lungo i fianchi e scoccò un'occhiata irritata a sua madre. << Io diventerò uno studioso, uno scienziato. Vedrete! >>.
I tre risero e suo padre, Carlo, si passò una mano sulla fronte sudata dal lavoro duro e monotono. Le fantasie di Giovanni erano quelle di un bambino come tanti e nessuno le prendeva in considerazione. Ma dietro quegli occhi castani con una sfumatura chiara si leggeva una determinazione poco comune in un bimbo tanto piccolo.
<< Giovanni, devi fare il bagno. Tra poco arriva zia Sara con zio Marco e le tue cugine >>.
<< Mamma non voglio giocare con Elisa! Mi annoia con le sue bambole! >>.
Amelia lo rimproverò con i suoi occhi verdi, bellissimi. A Giovanni bastò.
<< Posso farmi raccontare almeno un'altra storia? Quella di Orfeo e Euridice! >>.
<< No! >>, esclamò Carlo. << A fare il bagno! >>.
<< Te la racconto domani, promesso >>, gli disse il nonno.
Giovanni batté le mani ancora una volta e corse con i genitori sul retro della casa. L'uomo prese la sua pipa e ricominciò a fumare, soddisfatto della felicità del nipote. La testolina bionda di Giovanni fece capolinea dalla porta del corridoio. Si voltò a guardarlo.
<< Sì? >>.
<< Nonno, tu mi credi? >>.
Capì a cosa si riferiva. << Certo. Diventerai bravissimo >>.
<< Un'altra cosa nonno >>.
<< Dimmi >>.
<< Quando sarò grande, se avrò una figlia, sai come la chiamerò? >>.
L'anziano scosse la testa.
<< Euridice >>.


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Capitolo 2
*** Una giornata impossibile ***


                         Capitolo 1

                    Una giornata impossibile


<< Conosci il detto “chi prima arriva, meglio alloggia”? >>, disse Euridice, seduta sul sedile del passeggero in tutta comodità. Lucas affilò lo sguardo ed Euridice gli sorrise amichevole.
<< Lucas o ti muovi o ti lascio qui >>, disse Martin, scuotendo la cenere della sigaretta fuori dal finestrino. Euridice si girò a guardarlo con un'aria di rimprovero. Sui sedili di dietro si sentì sghignazzare fortissimo: Silvester e Jonathan.
Martin deglutì a quegli occhi poco raccomandabili e posò la sigaretta nel portacenere dell'auto e fece un sorrisino a metà ad Euridice. La ragazza era molto ambientalista.
Lei annuì seria e rivolse la sua attenzione a Lucas.
<< Sali dietro >>, disse Euridice.
Lucas sbuffò, alzò gli occhi al cielo e si sedette accanto a Jonathan. Incrociò le braccia con fare irritato. << Domani mattina mi siederò lì io >>.
<< Vedremo >>, disse Euridice, smettendo di guardarlo. Poggiò un gomito sul bordo del finestrino abbassato per via dell'aria calda. Maggio era quasi alla fine e c'erano già giornate calde ed umide. Ma del resto, a Mesa, California, non ci si poteva aspettare altro che un tempo piacevole come quello. Lì era estate quasi sempre, nel bene o nel male.
Euridice aveva classificato Mesa come una delle sue città preferite e lei ne conosceva di città. Da quando era nata non aveva mai alloggiato in una città per più di un anno, una volta addirittura per soli sei mesi. E sì, che adorava l'Italia, in particolare la sua Sicilia, città natale ma Mesa era la città che poteva considerare veramente con l'appellativo casa. Tre anni per la ragazza era tantissimi. Il tempo di diventare amica di Martin, Jonathan, Lucas e Silvester.
Si ricordava ancora il giorno in cui li aveva visti la prima volta: un pomeriggio di Febbraio, lei era a Mesa da due settimane e ancora sola, senza amici. A differenza di sua sorella Alice che ovunque andasse trovava amici e una volta diventata grandicella, pure ragazzi di ogni nazionalità.
Jonathan aveva picchiato Silvester come faceva praticamente ogni settimana insieme a Lucas e Martin. Silvester era troppo buono per difendersi e Euridice, quattordici anni, si era avvicinata, non sopportando tanta cattiveria. Aveva difeso Silvester e poi un pacato discorso ai tre.
All'inizio, Lucas era tutto intenzionato a prendersela pure con lei e Martin l'aveva fermato. Jonathan, il più grande e il capo, aveva comandato di andare via. Il giorno dopo, si erano diretti a casa di Silvester e gli avevano chiesto scusa. Euridice aveva stretto l'amicizia inizialmente solo con Silvester e restava il suo migliore amico di sempre e poi con gli altri tre, grandi amici presenti in ogni attimo della sua vita.
La fortuna volle che suo padre aveva trovato quello che definiva “una fonte interessante”. Per Euridice, un mucchio di notizie inutili.
Ma preferiva non pensarci tanto, ragionare con suo padre era impossibile.
Una mano scura venne sventolata davanti ai suoi occhi. << Ehi, princesa... Sei sulla Terra? >>, le domandò Silvester, usando il nomignolo spagnolo che usavano da ragazzini.
<< Certo che sono sulla Terra >>, rispose. << Pensavo >>.
<< Che strano >>, la prese in giro Martin, spegnendo la sigaretta e mettendo in moto l'auto e guardando nello specchietto per controllare di non avere auto dietro.
Euridice lo fulminò con gli occhi. << In effetti la parola “pensare” è sconosciuta nel tuo vocabolario >>.
I tre dietro risero e Martin non le rispose nemmeno. Il rapporto tra lui e lei era sempre stato di innocenti battute e prese in giro. Essere l'unica ragazza tra quattro maschi aveva rafforzato il carattere di Euridice e nessuno comprendeva cosa ci facesse una ragazza come lei insieme a quei quattro.
<< Ho una notizia fantastica >>, disse Lucas mentre erano fermi nel traffico per via di un semaforo rosso.
<< Illuminaci >>, lo invitò a continuare Silvester.
<< Uscirò con... rullo di tamburi >>, batté le mani sul sedile.
<< Parla Lucas! >>, dissero i quattro in coro.
<< Suspense zero, proprio >>.
<< Lucas >>, lo rimproverò Jonathan.
<< Okay, okay... Con Mariah! >>.
<< Wow >>, mormorarono in coro guardando tutti fuori dal finestrino, meno Martin che era concentrato sulla strada e in quel momento mandò a quel paese un motociclista.
<< Ve lo ripeto: Mariah! >>.
<< Sai che strano. Mariah Lopez uscirebbe pure con se stesse se potesse >>, disse Euridice, per niente colpita.
<< Invidiosi! >>, disse Lucas.
<< Io no di certo >>, disse Euridice.
<< Eh già >>, mormorò Jonathan, fissando la strada. Tutti sentirono quelle due parole e nessuno le commentò. Euridice strinse le palpebre come se la luce le desse fastidio e sospirò, quasi addolorata.
Il motivo del leggero astio da parte di Jonathan, una frecciatina quasi, era dovuto a un fatto che aveva creato una piccola frattura nel gruppo. Da quando Jonathan conosceva Euridice si era presa una cotta per lei: quella cotta era presto diventato altro e il ragazzo aveva deciso di provare. Ma a Euridice, Jonathan, non piaceva se non come amico e quel bacio aveva rovinato per un mese l'atmosfera del gruppo finché non decisero di metterci una pietra sopra e tornare amici. Euridice aveva sperato che Jonathan la dimenticasse, e aveva sperato male. Non guardava le altre e i suoi occhi erano solo per lei. Occhi che Euridice neanche guardava.
Martin spezzò la tensione creatasi nell'abitacolo: << Oggi pomeriggio ho bisogno di una mano in matematica. Euridice? >>.
<< Ti aiuterei anche ma mio padre mi obbliga a seguirlo in quella che lui chiama la “scoperta del secolo” >>. Sbuffò. E gli altri ridacchiarono. Giovanni Rosetti era conosciuto abbastanza, ma non in buona luce.
Da quando si era laureato in una famosa università italiana si era messo alla ricerca degli Elementi. L'uomo era convinto della sua esistenza ed era certo che si nascondessero in qualche parte del mondo, nascosti delle profondità di caverne e rocce, pronti per essere studiati dall'umanità e sfruttati per il bene di tutti. Vent'anni di ricerche non avevano portato a nulla, o perlomeno a costruirsi una nomina poco bella tra gli scienziati e ricercatori di tutto il mondo.
Sua moglie Giulia lo aveva seguito per l'amore che provava e successivamente, costretto le due figlie.
Chiamarsi Rosetti non era un bene in quei tempi e nel liceo di Euridice non erano poche le prese in giro e bigliettini infilati nel suo armadietto, pieni di frasi offensive che lei aveva sempre buttato e neanche letto. I suoi amici si erano proposti di farla pagare a chi se la prendeva con lei ma la giovane aveva rifiutato per non dover rischiare di andare a trovarli in carcere.
<< E dicci: dov'è questa volta la scoperta? >>, le domandò Jonathan.
<< Una caverna fuori Mesa. Come minimo, mi costringerà a ore di auto, almeno tre. Mia madre ha inventato la scusa di dover continuare il suo manoscritto e Alice aveva un affare importantissimo. E io sono rimasta incastrata. Scommetto le risate Lunedì mattina >>.
<< Telecamera? >>, le chiese Silvester.
<< Sempre, sempre, sempre. Non gira mai senza >>, confermò la ragazza.
<< Seriamente, Euridice: ma tuo padre per quanto ancora vuole andare avanti così? Insomma, è palese che quella è solo una stupida leggenda. Perfino mio nonno lo diceva e lui credeva a tutto>>, disse Lucas, sporgendosi dal sedile di dietro per guardarla meglio.
Euridice si agitò nervosamente sul suo sedile. << Piacerebbe saperlo anche a me, Lucas. Non sai quanto>>. Un tono triste e abbattuto. La verità era un'altra: Euridice temeva da un giorno all'altro che suo padre si alzasse una mattina e dicesse di fare i bagagli perché traslocavano. In tre anni, Euridice andava a dormire con questa paura. Tre anni erano troppi per una come lei nello stesso luogo.
<< Magari li trova davvero >>, azzardò Martin. Lo guardarono con uno sguardo scettico e mezzo divertito. Martin ridacchiò. << Scherzavo. E comunque, ho bisogno di aiuto sul serio. Visto che Jonathan è peggio di me, Silvester è un pessimo insegnante>>, l'amico lo guardò male e storse la bocca, <>.
<< Ehi! >> esclamò Lucas, dandogli una pacca sulla spalla.
Lo ignorò. << Non rimani che tu >>.
<< Te l'ho già detto, Martin. Non posso oggi pomeriggio >>.
<< Verrò con voi e poi mi aiuterai. Fosse la prima che rimango anche a cena. Tua madre mi adora >>.
<< Perché non ammetti che vieni per Alice? >>.
I tre ragazzi risero.
La guardò. << Io non vengo per Alice. Per carità, tua sorella è carina. Ma non vengo per lei >>.
Euridice continuò fissarlo con le sopracciglia inarcate finché non si arrese. << Okay, forse vengo anche per Alice >>.
<< Vai dietro alle ragazzine >>, lo prese in giro Silvester con un fischio.
<< Ha un anno in meno >>, protestò Martin. << E comunque non ho detto che mi piace così tanto... >>.
<< Oh! Parli della mia sorellina! >>.
<< Insomma, sorellina >>, mormorò Jonathan e Silvester gli diede una calcio alla caviglia per farlo stare zitto.
Euridice li ignorò tutti e tre e preferì guardare il paesaggio mattutino di Mesa.
Martin fermò la macchina in un parcheggio libero nel cortile della scuola, con una frenata stridente. Inutile dire che Martin era il più egocentrico che adorava stare al centro dell'attenzione.
Lo guardarono male e poi scesero dall'auto, sbattendo le portiere e Martin li guardò con rimprovero. Passò una mano sulla carrozzeria argentata della Porche che amava più di se stesso (e per uno come Martin doveva essere proprio importante).
Non giunsero neanche all'entrata della scuola che Lucas rimase imbambolato davanti all'ingresso, occhi sgranati e bocca aperta.
<< Ahi ahi >>, esclamarono gli amici dietro di lui evitando di ridere per il suo bene.
La ragazza dell'appuntamento, Mariah, era abbracciata contro un muro con un ragazzo dell'ultimo anno, il doppio di Lucas, giocatore di football. E si baciavano appassionatamente, non curanti degli studenti che li guardavano di striscio prima di entrare.
Lucas si avvicinò a Mariah e i due non si fermarono e lei neanche lo guardò. << Mariah! >>. Attirò finalmente la sua attenzione.
Lei lo guardò con un sorriso e si pulì il rossetto rosa sbavato. << Ciao Lucas >>.
<< Ciao Lucas? >>, le fece il verso, << no dico, chi è questo? >>.
<< George >, gli rispose tranquilla. Fece un cenno verso il ragazzo. << George, lui è Lucas >>.
<< Piacere >>, lo salutò l'energumeno con un lieve movimento della testa.
<< Mariah, noi dovevamo uscire >>, le ricordò.
<< Lo so. Uscire, appunto. Mica stiamo insieme! >>, disse serena.
I quattro amici di Lucas erano sciolti in risatine dietro di lui ma smisero quando lui si voltò a guardarli, facendo finta di fare altro.
<< Sai che ti dico? Che io e te non usciremo proprio! >>.
<< Bene >>, le rispose, abbracciandosi di nuovo al ragazzo. << Potresti andare via. Ero occupata >>.
Lucas rimase senza parole e andò via prima di sentire il loro sbaciucchiamento. Gli amici erano fermi sui gradini bianchi della scuola, in silenzio religioso e le labbra strette.
Lucas salì gli altri tre scalini ed entrò nell'edificio a mattoncini gialli. Li sentì chiaramente ridere.
Lo raggiunsero al suo armadietto, dove si era messo a sistemare nervosamente i libri della prima ora nella sua borsa blu con il logo della scuola.
<< Lucas, non era un granché >>, cerò di consolarlo Martin.
<< Appunto: sai quante ragazze belle e meno... ehm... espansive ci sono? >>, continuò Euridice.
<< E pensa anche che adesso potrai scegliere con più accuratezza >>, rincasò la dose Silvester.
<< E infine, stasera, sei libero per aiutarmi >>, concluse Jonathan.
<< Scordatelo! Non sono dell'umore. Euridice ti aiuterà >>.
<< Ho un idea! >>, disse tutto d'un tratto la ragazza. << E se stasera mi accompagnaste tutti quanti?! >>.
<< Non provarci Euridice! L'ultima volta mi sono venute le vesciche ai piedi! >>, si lamentò Martin.
<< Vi prego! >>, supplicò lei, con gli occhi dolci. << Non voglio andarci da sola con mio padre! >>.
<< No! No! No! No! >>, esclamarono i quattro amici.

Sette ore dopo Lucas, Silvester, Martin e Jonathan erano stipati sul sedile posteriore del Subaru formato famiglia del signor Rosetti. Entusiasta come non mai di averli con sé, parlò ai cinque di cosa avesse scoperto con le sue ricerche.
Euridice era soddisfatta perché almeno era insieme ai suoi amici piuttosto che dover sopportare una scalata da sola con il suo papà mezzo ammattito per quella sciocca leggenda.
Euridice somigliava molto poco a suo padre: i capelli neri come la notte e mossi li aveva ereditati dalla mamma e gli occhi verdi e brillanti come gemme dalla nonna paterna Amelia, morta quando il padre aveva dodici anni. Non era mai stata altissima e aveva un colore chiarissimo di pelle, simile a quello della vaniglia. Da ragazzina, il viso era cosparso di brufoli e crescendo era spariti e ne era orgogliosa. Si era sentita davvero un mostro all'epoca. Il viso tondo e il naso leggermente schiacciato, identici a suo padre.
I suoi amici erano diversissimi, sia fisicamente che caratterialmente.
Silvester era di origine messicana: era nato a città nel Nuovo Messico ed era venuto a Mesa a tre anni. Perciò aveva una carnagione scura, così come i lisci capelli e gli occhi neri. Un viso spigoloso e un fisico asciutto, molto alto, almeno uno e novanta. Quando erano più piccoli, Euridice diceva sempre che lui la proteggeva anche se in effetti era stato il contrario.
Jonathan era il più grande di tutti, di un anno. Aveva perso un anno scolastico quindi era indietro e si sarebbe diplomato con i quattro l'anno successivo. Neanche Jonathan era di Mesa: i suoi genitori erano inglesi e suo padre era un ambasciatore importante a cui era stato dato un incarico di prestigio in California. La signora Catherine Anderson, la madre di Jonathan, aveva deciso di stabilirsi a Mesa con lui e la sorellina Masie di quattordici anni.
Di conseguenza, a una prima occhiata, i capelli biondi, color miele, e le iridi di un azzurro cielo non passavano inosservati, così come la pelle chiara, simile a quella della sua amica italiana. Euridice aveva sempre pensato che Jonathan fosse il più bello del gruppo, con quel viso senza imperfezioni e il fisico sistemato il palestra. Eppure a lei, Jonathan, non piaceva.
I cinque componenti del gruppo avevano una cosa in comune: nessuno era nato a Mesa. Martin era di New York, dove aveva vissuto fino ai dieci anni e poi i suoi lo avevano costretto a trasferirsi nella tranquilla città dove abitava da sette anni.
I suoi capelli castano chiaro, tenuti legati in una coda dietro la nuca, gli davano l'aria del teppista, insieme all'orecchino argentato all'orecchio destro. I suoi genitori avevano quasi fatto saltare la casa quando si era ritirato con quella cosa all'orecchio. Martin era figlio unico e da lui si aspettavano molto: i Brown ci tenevano ad essere la famigliola perfetta che dicevano di essere e Martin non contribuiva. Lui era orgoglioso e spavaldo e di conseguenza non faceva trasparire quella situazione che lo faceva soffrire.
Fisicamente, non amava molto la palestra. Era abbastanza pigro e preferiva le giornate a guardare il football in TV con un sacchetto di patatine insieme a Lucas e Euridice. La sua fortuna era che non ingrassava. I suoi occhi era grandi, tanto da prendersi qualche presa in giro dai suoi amici e blu mare.
Lucas era, invece, proveniente dal Canada, Toronto. La sua infanzia era ambientata negli inverni nevosi, dell'asfalto ricoperto di neve candida e i grossi fiocchi che si posavano a terra, ricoprendo tutto di un manto luccicante. Quegli inverni erano finiti a undici anni, quando i suoi genitori, biologi, lo avevano portato con loro a Mesa.
Raccontava spesso di sentire la mancanza di quegli inverni freddi e pieni di neve. Nonostante i suoi sei anni trascorsi nella soleggiata cittadina, la sua pelle aveva sempre una tonalità pallida su quella scura. Gli occhi erano leggermente allungati e di un grigio-azzurro. I capelli ordinati con il gel ogni giorno, di un biondo-rossiccio che detestava, ereditato da sua madre. Neanche lui amava la palestra però praticava judo fin da bambino e questo gli aveva regalato un bel fisico già di per sé magro.
I caratteri tanto diversi li portavano spesso a scontrarsi e Euridice li calmava in ogni occasione: sembrava quasi che la sua venuta servisse a farli rimanere amici.
Ed ora erano stati costretti dalla ragazza a una scalata di chissà quanti metri per una caverna (vuota secondo Silvester) e per tornare indietro.
Il signor Rosetti avevano parlato della sua ricerca per tutto il viaggio, ininterrottamente. A giudicare dalla scarsa attenzione di sua figlia doveva averle spiegato tutto giorni prima. E facendo nascere il sospetto che la ragazza avesse premeditato di “invitarli” a quella scalata e mitica scoperta inconcludente.
La macchina venne fermata ai piedi di una bassa montagna ripida, troppo ripida. I suoi amici la guardarono terrorizzati e poi Euridice con uno sguardo omicida. In tutta risposta, la ragazza gli sorrise, si legò meglio la felpa azzurra in vita e agitò la mano verso la montagna: << Su! È ora di muoversi! >>.
<< Ragazzi! >>, li chiamò Giovanni Rosetti, frugando dentro l'auto. << Potreste essere i protagonisti della scoperta del secolo, non è fantastico? >>.
Si guardarono tutti e cinque, approfittando della distrazione dell'uomo, impegnato a recuperare attrezzatura dal bagagliaio. Si mise in spalla uno zaino dall'aria pesante, tintinnante. Si domandarono quanti oggetti c'erano lì dentro e sperarono che si fosse dimenticato la sua amata telecamera.
Li guidò lungo un sentiero in salita, con lui a capo di tutti. Lo scienziato era abituato a quel genere di sfacchinate e sua figlia più o meno. Ma gli amici per niente. Euridice rideva spesso della loro stanchezza e li prendeva in giro.
<< E voi sareste uomini? >>, gli chiese, fermandosi per l'ennesima pausa e poi ridacchiando.
Appoggiati a degli alberi, riprendevano fiato, completamente sudati e senza respiro.
<< Io dovevo essere con Mariah >>, si lamentò Lucas. << In un locale con l'aria condizionata! >>.
<< E invece sei in compagnia della tua più cara amica Euridice. Non sei felice? >>, lo prese in giro lei.
Lucas stava per farle un gestaccio ma il viso dello scienziato riapparve da una macchia di alberi.
<< Andiamo ragazzi! Solo un'altra ora e saremo arrivati! >>.
<< Un'altra ora?! >>, esclamarono in coro i ragazzi.
Euridice sbuffò e seguì suo padre.
L'ora dopo, i ragazzi erano seduti di nuovo, stavolta contro delle rocce appuntite ma non si sarebbero mossi di lì per niente al mondo, neanche se fosse sopraggiunta una frana. Tre ore di cammino per un sentiero disconnesso non era il modo migliore di passare una giornata. Ora capivano come facesse Euridice ad avere il suo fisico mangiando schifezze su schifezze con loro.
Infatti l'amica passeggiava avanti e indietro a passi leggeri davanti all'entrata della grotta tanto chiacchierata da suo padre. Le mani dietro la schiena, canticchiava un motivetto italiano di cui nessuno capì le parole.
Jonathan la guardava di tanto in tanto e alla quarta volta, lei lo investì con i suoi occhi verdi e distolse lo sguardo, riponendo l'attenzione a un albero. Euridice arrossì subito e guardò altrove anche lei.
Gli amici se ne erano accorti e sospirarono.
<< Entrate! >>, disse il signor Rosetti, all'imbocco della caverna.
<< Dobbiamo entrare? >>, gli domandò Lucas, sventolandosi con la mano.
<< Certo! Dovete essere testimoni! >>.
Sospirarono ancora e si alzarono, con tutti i muscoli che dolevano dalla fatica. Euridice fu più svelta e sparì là dentro con una torcia. Entrarono e c'era buio e fresco.
<< Euridice? >>, la chiamò Silvester.
<< Dai, Euridice, esci >>, disse Martin.
Un grido li fece voltare. Lucas si teneva una mano sul cuore, pallido dalla paura. Euridice lo guardavano incredula.
<< Devi essere pazza! >>, strillò Lucas e il suo eco si perse nella grotta.
<< Ti ho toccato la spalla! >>.
<< Mi hai fatto venire un infarto! >>.
<< Sei un fifone Lucas >>, disse Jonathan, sbuffando e raccogliendo la torcia per ridarla a Euridice. Lei la prese ed evitò di guardarlo troppo. Cercava sempre di non dargli l'impressione sbagliata.
Camminarono per la caverna, attenti a non cadere per via delle pietre. Le pareti erano umide di acqua come constatò Martin passandoci la mano. Man mano che si avvicinavano al signor Rosetti, notavano che la temperatura aumentava sempre più, quasi si trovassero ancora fuori sotto il sole battente.
<< Lo sentite? >>, domandò ai suoi amici Jonathan.
<< Sentire cosa? >>, disse in tutta risposta Silvester.
<< Questa è... aria? >>.
<< Aria?! >>, esclamarono gli amici.
<< Come fa ad esserci aria in una caverna? >>, chiese scettica Euridice, passandosi una mano fra i capelli fini e mossi.
Jonathan si strinse nelle spalle e proseguì: era quello più silenzioso e di poche parole.
Lo seguirono anche gli altri e a un certo punto, Martin inciampò in un sasso.
<< Ti sei fatto male? >>, gli domandò Lucas, aiutandolo ad alzarsi.
<< No >>, mormorò il ragazzo. << Ma che diamine...?! >>.
Euridice si abbassò e sfiorò con la punta delle dita la superficie della caverna. << Ghiaccio...>>.
<< Un momento: come diamine fa ad esserci ghiaccio quando ci saranno almeno... venti gradi? >>. Silvester era alquanto confuso.
Un urlo giunse dal fondo della caverna, un urlo maschile.
<< Papà! >>, urlò Euridice ma non ottenne risposta.
Corsero a perdifiato, rischiando di inciampare nel ghiaccio e nella terra sottostante che di colpo era diventata troppo morbida e si affondava. Giunsero sul fondo e e ripresero fiato. Il signor Rosetti gli venne incontro in piena salute e senza un graffio.
<< Si può sapere perché hai urlato? >>, gli chiese la figlia, morta di spavento.
L'uomo era incapace di parlare come se avesse perso l'uso della parola. Indicava solo l'estremità in fondo, sulla destra, della caverna con uno sguardo acceso. In silenzio, lo seguirono e rimasero a bocca aperta, increduli, sconvolti.
Euridice mise una mano sulla spalla di suo padre. << Li hai trovati... E io non ti ho creduto in tutto questo tempo... >>.
Davanti ai loro occhi di diverse tonalità, c'era qualcosa che occhi umani non vedevano da secoli e secoli. Simili a luci colorate, brillavano nella caverna come se brillassero di luce propria. Erano incastonate in una roccia di un grigio fumo, durissima.
Cinque colori spiccavano dal quel colore scuro. Un rosso luccicante che accecava quasi a guardarlo. La seconda era bianca, un bianco mai visto prima, candido. La terza era di un azzurro che richiamava le onde del mare nelle giornate di sole splendente. La quarta era un caldo marrone, simile alla terra fertile. E l'ultima, un azzurro ghiaccio, vicino al bianco, che dava una sensazione di freddo solo a guardarla.
Tutti e cinque di forma sferica, distanziate l'un l'altra come se non dovessero toccarsi.
<< Lucas, sai tenere la telecamera ragazzo? >>.
<< Sì, signore >>, rispose Lucas. Prese la telecamera dell'uomo e si sistemò in modo da fare una ripresa migliore. Il resto del gruppo era troppo affascinato per allontanarsi e perfino Lucas si allontanò di malavoglia.
Euridice si sentì in colpa per non avergli mai creduto. Averlo preso per uno scienziato pazzo e fallito.
Il signor Rosetti si chinò sulle sfere colorato, evitando di toccarle. Guardò nell'obbiettivo della telecamera e annuì a Lucas. Cominciò a riprendere.
<< Sono qui oggi, venti Maggio 2008, per riferire una scoperta che cambierà le sorti del mondo per l'eternità. Qui, a Mesa California, sono sepolti da moltissimi secoli, gli Elementi. I quattro principali e uno complementare. Una scoperta che non credevo di fare >>.
Cominciò a spiegare la loro storia, storia che Euridice conosceva a memoria. E i suoi amici non erano da meno.
Finita la registrazione, dal suo zaino, lo scienziato estrasse cinque piccole capsule trasparenti.
<< Bisogna stare molto attenti >>, avvertì gli altri, << se cadono non so cosa succederà. Devono essere estratti e presi a mani coperte >>.
<< Non esplodono vero? >>, domandò preoccupato Silvester.
<< Fidati >>, disse Giovanni. Con un marteletto pneumatico ruppe la roccia dal lato della sfera rossa. Smise quanto bastava per estrarla e non farla cadere. Con la massima attenzione, creando ansia, allungò una mano e cercò di estrarla. Pian piano ci riuscì e fece una smorfia: scottava.
<< Deve essere il fuoco >>, disse posandola nella prima capsula che sistemò in uno spazio dentro una valigetta nera.
Gli altri lo guardavano ammirati e non riuscivano a staccare gli occhi da quella scena troppo irreale. La sfera blu si rivelò l'acqua, quella marrone la terra, la bianca l'aria e infine quella azzurro-bianco il ghiaccio a giudicare da quanto era fredda. Sistemò l'ultimo Elemento dentro la quinta capsula e la mise nella valigetta. Prelevò anche qualche campione di roccia e sistemò tutto nella valigetta. La richiuse pianissimo e la se la mise sotto braccio. Chiese agli altri di sistemare il resto degli utensili nello zaino poiché lui si avviava fuori. Avevano appena cominciato e un rumore di passi veloci distrasse tutti. Giovanni si fermò ancor prima di cominciare a camminare.
Degli uomini apparvero e cosa peggiore, erano armati. Erano almeno una decina. Dietro di essi, un altro uomo li sorpassò, pareva il capo. Di colore, pelato e occhi neri. Altissimo, anche più di Silvester.
Sorrideva.
<< Signor Giovanni Rosetti, che piacere >>, disse.
<< Chi siete? >>, chiese lui, sudando dalla paura.
<< Non vi interessa. Sono anni che seguiamo il suo operato, sa? Noi non la consideriamo uno scienziato pazzo, per niente >>.
<< Ehm... grazie. Però, vede, io devo andare. Ho una commissione. Ragazzi >>. Fece cenno di proseguire ma gli uomini alzarono le pistole. Silvester si mise davanti ad Euridice, istintivamente.
<< Ch-che cosa volete? >>.
<< Gli Elementi >>, rispose. << Mi chiamo Mark. E voglio gli Elementi, la telecamera e i campioni di roccia >>.
<< N-no >>, balbettò Giovanni. << Sono le ricerche di una vita! >>.
<< Allora temo che dovremo uccidervi >>, disse pacato Mark.
Euridice non riuscì a starsi zitta: << Ah, certo! Perché noi vi diamo quei cosi e voi ci lasciate andare come se niente fosse? >>.
Mark inarcò un sopracciglio a tanta insolenza nei suoi confronti. Era abituato ad essere rispettato.  
<< Ragazzina, sei perspicace. Perciò perché non c'è li date e la fate finita? >>.
Giovanni si strinse contro il petto la valigetta. La ricerca di tutta la vita, i sogni... Ma niente valeva la vita di sua figlia e dei suoi amici. Tremante porse la valigetta all'uomo che la prese soddisfatto.
<< Lascia andare almeno mia figlia e i ragazzi. Ti prego. Non parleranno >>.
Mark guardò il gruppo.
<< No, papà! >>, urlò Euridice ma Silvester la fermò prima che si fiondasse da lui.
<< No >>, disse semplicemente Mark. Schioccò le dita. << Uccideteli e poi non lasciate tracce >>.
Si incamminò per uscire da lì e gli uomini puntarono ancora di più l'arma. Euridice corse ad abbracciare suo papà ed evitò di piangere. Gli amici volevano reagire e non sapevano come. Jonathan era uno di poche parole e anche il più impulsivo. Nel tentativo di salvare la situazione, corse per disarmare il più vicino ad Euridice ma ottenne solo di cadere. Alla sua caduta, Mark si voltò per assicurarsi che tutto stesse andando bene e nel voltarsi, il suo piede urtò una grossa pietra e cadde sul terreno morbido. La valigetta volò per la caverna con il rischio di schiantarsi a terra. Martin fu più veloce di tutti e la prese al volo. Mark si rialzò, rosso di rabbia.
<< Uccideteli! >>.
<< Martin, rompi le capsule! >>, gli ordinò Giovanni.
<< Papà, sono le tue ricerche! >>, disse Euridice.
<< Non voglio che finiscano in mano a gente del genere! >>.
Martin l'aprì e Mark urlò di non farlo. Martin era vicino ai suoi amici a cui si era aggiunta la ragazza. Rovesciò l'oggetto e le capsule caddero contro le rocce. Un rumore simile a un esplosione invase il luogo, rimbombando contro le pareti rocciose.
Un fumo si alzò, rendendo l'aria irrespirabile e gli occhi lacrimanti. I presenti tossivano tranne i cinque ragazzi. Gli unici a non essere toccati dal fastidio del fumo. A occhi sgranati guardavano quelle sfere colorate e luminose, che erano rotolate per terra e sembravano disegnare un percorso. Di colpo, si alzarono di circa un metro. I cinque arretrarono spaventati contro il muro. Prima che potessero accorgersene, le sfere aumentarono di luminosità, troppa. Chiusero gli occhi per evitare di diventare ciechi e un sensazione spiacevole li invase e una forte nausea li colse. Quando tutto finì, dei nemici non c'era traccia: erano scappati in men che non si dica.
Così come la sensazione spiacevole e la nausea.
Il fumo svanì lentamente e Giovanni Rosetti era ancora vivo ma ferito a una spalla. Euridice corse ad aiutarlo con le lacrime agli occhi.
<< State bene? >>, chiese l'uomo.
<< Fortunatamente sì >>, rispose Silvester, guardandosi attorno. Il fumo era completamento dissolto e notarono un particolare che fece gemere di disperazione Giovanni: le capsule infrante a terra e gli Elementi svaniti nel nulla.
Si mise le mani nei capelli. << Dove sono? >>.
<< Non li hanno presi quei tizi, ne sono sicuro >>, disse Martin.
<< Anche io >>, concordò Jonathan, toccando i pezzi di vetro.
<< Dobbiamo tornare a Mesa, papà. Hai bisogno di un medico >>, disse Euridice, aiutandolo a rialzarsi con cautela. Perdeva sangue dalla spalla sinistra.
Tremavano tutti e mettere un piede avanti passo dopo passo era la cosa più difficile del mondo. Uscirono dalla grotta così in fretta come se avessero corso velocemente. Il sole batteva e gli unici rumori erano quelli di cornacchie nascoste fra gli alberi.
<< Dovrò rimettermi a cercarli >>, disse Giovanni.
<< Cosa?! Stai scherzando? Non voglio! >>, protestò animatamente la figlia. << Papà, non devi! È chiaro che non sei l'unico a cercarli e tu non sei armato! >>.
Protestò per almeno un quarto d'ora prima di calmarsi grazie a Silvester. Si affrettarono a trovare il sentiero e cominciare a percorrerlo. Di comune accordo, decisero di tenersi tutto per sé e di non andare dalla polizia: meglio non rischiare. Non sapevano chi erano quei tizi ed erano chiaramente pericolosi.
Nessuno parlava, c'era un silenzio innaturale. Cosa che capitava raramente tra di loro.
Jonathan si tirò il colletto della camicia per slacciarlo meglio. << Fa un caldo tremendo >>.
Lucas si strinse nelle spalle. << La temperatura è scesa, però >>.
Silvester e Martin si guardarono e aggrottarono la fronte ma preferirono lasciar perdere. Di cose strane e pericolose ne erano successe fin troppe.
<< Euridice, posso camminare da solo >>, disse il padre.
<< Voglio aiutarti >>, disse la figlia, senza problemi.
Posò una mano su quella del padre e il braccio intorno al suo collo. Giovanni sobbalzò al contatto con la figlia.
<< Tesoro appena arriviamo a casa, fatti una bella doccia ghiacciata >>.
Euridice aggrottò le sopracciglia e fece un piccolo sorriso. << E perché? >>.
<< Il sole deve essere troppo caldo. Scotti >>.


Angolino!

Questo è il primo capitolo e spero sia piaciuto! Come tutte le mie storie, di norma nasce tutto dal caso e non so mai dove andrò a finire! Di conseguenza aspettatevi di tutto! Ciao ciao!

Meiss: Grazie ^^. Sono felice che ti piaccia!

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Capitolo 3
*** Tutta colpa tua, papà! ***


                       Capitolo 2

                Tutta colpa tua, papà!

Mesa era una città con meno di diecimila abitanti e i quartieri erano pochissimi. Silvester si era recato a casa dopo quel pomeriggio difficile, ancora un po' impaurito tanto che, mentre camminava, si guardava alle spalle per essere sicuro di non essere seguito. Arrivò in fondo alla via, dove si trovava la grande villetta dove abitava.
Suonò il campanello più volte e sbuffò alla terza.
Una voce infantile e femminile domandò: << Chi è? >>.
<< Soledad, sono io. Silvester >>.
Il portoncino in metallo scattò ed entrò nel piccolo giardino rischiando di inciampare nei giocatoli lasciati dai suoi fratelli.
All'ingresso, sotto il portico in legno chiaro, si pulì le scarpe dalla terra, strofinando i piedi sul tappetino blu davanti alla porta.
Una bambina gli venne incontro con un sorriso grandissimo.
<< Soledad, mamma è a casa? >>.
<< Torna tra poco! >>, rispose con un entusiasmo che non era raro nella sorellina di Silvester. Soledad reggeva un orsacchiotto rosa tra le braccia, contro la maglietta bianca e sporca di cioccolato.
<< Hai mangiato cioccolato senza permesso? >>.
La bimba arrossì appena. << No! >>.
<< Soledad >>, disse in tono di rimprovero.
Entrò nella casa, nel salotto a tinte calde con mobili scuri. Seduto sul divano, intenta a leggere un libro di fantasia c'era Lilia, la sorella di nove anni. Alzò la testa dal libro.
<< Ben tornato >>, disse distratta.
<< Dov'è Filiberto? >>.
Lilia indicò la porta del corridoio e Silvester si accorse solo in quel momento di avvertire rumori di esplosioni e toni alti di voce. Sospirò e caricò contro la camera del fratello. Sdraiato sul tappeto con un joystick a portata di mano e la Playstation accesa e Silvester avrebbe messo la mano sul fuoco che giocava da ore.
<< Filiberto! >>, lo chiamò alzando la voce.
Si voltò. << Oh ciao >>.
Sulla soglia della porta, Soledad assisteva alla scena divertita. Succedeva sempre quando la signora Chavez, la madre di Silvester, doveva affidare i tre figli più piccoli a Filiberto, che aveva due anni in meno di Silvester.
<< Marcos dov'è? >>.
<< Nel box >>, rispose tranquillo, indicando con un cenno della testa il box sistemato nell'angolo dove giocava Marcos, undici mesi appena. << Faccio il mio dovere, visto? >>.
<< Lo vedo. Soledad ha la maglia sporca di cioccolato, Lilia ha fatto i compiti? E ti sei accertato che Armand torni per cena? >>.
Lui pensò un attimo e mollò il joystick per afferrare il cellulare abbandonato sul tappeto bianco e cosparso di briciole di biscotti al cioccolato. Silvester capì come aveva fatto la sorella a trovare i biscotti.
Si occupò di Marcos e poi di Soledad e quando chiese a Lilia se aveva svolto i suoi compiti regolarmente, sua madre rientrò dalla giornata di lavoro al market. Stanca e sfinita dalla dura giornata di lavoro fu felice di vedere le figlie sistemate e Marcos pulito e con la cena sul seggiolone.
<< Gracias Silvester >>, disse premurosa in spagnolo e gli diede un bacio sulla guancia. Filiberto storse la bocca e Lilia e Soledad risero.
Il fratello maggiore, Armand rientrò per cena insieme a suo padre. Armand era studente di psicologia all'università ed era raro che riuscisse a rientrare per cena. Così come il signor Chavez, poliziotto. Posò l'arma in un posto sicuro e poi salutò la famiglia.
Silvester pote aveva un attimo di riposo e si chiuse in camera per cambiarsi e riordinare le idee. Occuparsi dei fratelli e delle sorelle minori aveva contribuito a non pensare a ciò che era successo quel pomeriggio. Si chiedeva chi fossero quegli uomini e perché volessero tanto gli Elementi. Ma la domanda principale era: dov'erano finiti? Possibile che fossero spariti nel nulla? O che si trovassero in qualche parte del mondo?
L'ultimo pensiero lo fece rabbrividire. Temeva che il signor Rosetti prendesse la famiglia e la portasse via da Mesa per continuare a svolgere le sue importanti ricerche ed Euridice sarebbe andata via. E Silvester non voleva: la ragazza era come una sorella e non c'è la faceva a rinunciare a lei.
Ricordò anche quella sensazione spiacevole e la forte nausea che lo avevano colto nella caverna. Scosse la testa e si cambiò con abiti più comodi e si accorse di avere un leggero graffio sul braccio destro. In bagno, lo disinfettò e lo coprì con della garza e ripose tutto nell'armadietto bianco. Si guardò allo specchio e si convinse di avere una brutta faccia, risultato di quel pomeriggio.
Lo spazzolino era sparito e sicuramente Soledad lo aveva nascosto da qualche parte per fargli uno scherzo. Ritrovato nella cassetta dei giocattoli della bambina, ritornò in bagno e si accorse con orrore del pavimento bagnato e Marcos che si divertiva a giocare con il rubinetto del bidè.
<< No, Marcos >>, disse scocciato, riprendendo il fratellino e mettendolo fuori dalla porta per poi richiuderla. Attraversò il bagno per prendere uno straccio e toccò la pozza di acqua. Imprecò per essersi bagnato.
Si controllò i calzini e lì, successe una cosa strana: non erano bagnati, come se avesse camminato sulla pozza d'acqua.
Rimase pensieroso ma decise di non darci peso: poteva essersi semplicemente sbagliato.
Quante volte neghiamo l'evidenza solo perché ci può sembrare irreale...

Euridice era tornata a casa con suo padre e la madre era un po' preoccupata. Suo padre le mentì, dicendole di non aver trovato nulla e che avrebbe continuato ad indagare. Euridice confermò quelle parole.
Le dispiaceva mentire a sua madre ma non aveva scelta. Alice era sempre stata sveglia e furba e fiutava bugia a un miglio di distanza.
Così aspettò che la sorella cenasse e si ritirasse nelle sua stanza per torchiarla a dovere. Era sdraiata sul letto a leggere un capitolo di storia quando Alice entrò nella sua camera.
La sorella minore della ragazza le somigliava: avevano gli stessi occhi e il viso simile e Alice era un po' più bassa e i capelli erano lisci e biondi come quelli di Euridice erano mossi e neri.
Si appoggiò allo stipite della porta, a braccia incrociate e uno sguardo fermo. << Dimmi la verità: cos'è successo veramente? >>.
Euridice si strinse nelle spalle. << Niente >>.
<< Euridice, non sono idiota. Dimmi la verità! >>.
<< Alice, smetti di guardare quei film stupidi prima di dormire >>, disse, riprendendo il suo libro di storia e decidendosi a ignorarla completamente.
Alice chiuse la porta alle sue spalle e si mise di fronte ad essa con tutta l'intenzione di non muoversi per parecchio tempo: << Io non sono mamma che mi bevo tutto! >>.
<< E io non voglio neanche sapere che cosa ti bevi tu, per andare in paranoia così! >>.
Alice strinse le labbra, costretta a cederle l'ultima parola. << Non finisce qui >>.
<< Okay >>, disse indifferente Euridice.
Alice le fece una smorfia antipatica e le diede un pizzicotto sul braccio e non appena sfiorò  la pelle della sorella, ritrasse la mano ed emise un gemito di dolore.
<< Mio Dio! Fatti controllare! Sei bollente! >>, la prese in giro. Poi uscì dalla stanza e la sentì correre in camera sua.
Euridice non riusciva a capire cosa intendesse sua sorella con quelle parole e si ricordò all'improvviso di cosa aveva detto suo padre quando erano ancora in cima alla montagna. Spaventata, frugò nel cassetto alla ricerca del termometro e si misurò la febbre. Si mise comoda e ansiosa ad aspettare il bip ma non dovette attendere che dieci secondi. Lo riprese in mano e sgranò gli occhi e poi mormorò: << Quarantacinque... È impossibile... >>.
Gettò il termometro sulle lenzuola e scese le scale per cercare Giulia, sua madre. Invece trovò suo padre.
<< Papà, dov'è mamma? >>.
<< A buttare la spazzatura. Che succede? >>.
<< Devo andare all'ospedale. Ho la febbre a quarantacinque! >>.
Giovanni saltò dalla sedia dov'era seduto e scosse la figlia. << Dovresti avere il cervello liquefatto a questa temperatura, Euridice! Il termometro sarà rotto... >>. Smise lentamente di parlare e mollò la figlia, arretrando di due passi e passandosi una mano sul viso, e tremava.
<< Papà >>, lo chiamò la figlia, << mi stai spaventando più di quanto già non sia! >>.
<< Vieni con me >>.
Non le diede tempo di domandare che la trascinò fuori, scrivendo qualcosa sulla lavagnetta accanto alla porta e caricandola in auto.
<< Papà! >>, urlò Euridice.
<< Andiamo nel mio laboratorio in centro >>.
Il laboratorio era il luogo dove Giovanni Rosetti trascorreva almeno cinque ore al giorno a fare i suoi esperimenti e le sue ricerche. Si trovava in un palazzo, il più alto di Mesa, in centro. Per arrivare ci volevano circa venti minuti e in dieci, Euridice si ritrovò già a scendere dall'auto e salire le scale, trascinata sulle scale e poi in ascensore, fino al quinto piano. La costrinse a correre per due corridoi e poi aprì la porta di una grande stanza con altre due porte all'interno. Le pareti erano tinteggiate di bianco e i tavoli in metallo pesante e resistente. C'erano vari strumenti scientifici e scatole su scatole, fogli su fogli. Era la prima volta che Euridice ci metteva piede. Osservò tutto a occhi sgranati e cercò di capire cosa stesse succedendo.
Il padre mise le mani sulle spalle della figlia, serio. << Figlia mia, devi ascoltarmi. Tu non hai la febbre >>.
<< Quindi... non è grave? >>.
<< Peggio, molto peggio >>, rispose lo scienziato, prendendo una sedia e facendola sedere. Poi le applicò i dischetti di gomma sulle tempie e fra i capelli e accese uno schermo e azionò una macchina di piccole dimensioni.
<< Ora calmati. Non pensare a niente >>.
Euridice era in silenzio, non sapeva cosa pensare o fare. Rimanere una muta mentale fu facile. Cinque minuti dopo, Giovanni Rosetti crollò contro il bordo di un tavolo.
<< Papà, cosa sta succedendo? >>.
<< Euridice, ora devi calmarti, va bene? >>.
<< Calmarmi? >>, disse. << E da cosa? >>.
<< Credi di aver capito dove siano finiti gli Elementi >>.
Euridice faticò a comprendere i primi secondi, poi osservò lo schermo, i dischetti di gomma e si toccò la pelle. Spalancò la bocca e guardò suo padre che annuì lentamente e più volte.
<< No >>, sussurrò Euridice. << No >>, disse ancora a voce più alta e togliendosi i collegamenti all'encefalogramma. Sorrideva agitava e scuoteva la testa, con le lacrime agli occhi.
Tremava tanto da vedere tutto una nebbia indistinta. La mano di Giovanni le fu sulla spalla.
<< Non ti agitare >>. Tolse la mano e se la soffiò: si era scottato. << Credo proprio che il fuoco sia tuo >>.
<< Non mi trascinerai nei tuoi assurdi piani! >>, strillò la figlia.
<< Euridice non capisci! Se tu hai il fuoco, significa che gli altri quattro Elementi devono essere andati ai tuoi amici! Capisci cosa cerco di dirti? >>.
Euridice strinse i pugni e lo guardò duramente. << So solo che in diciassette anni mi hai trascinata per ogni parte del mondo a inseguire un sogno assurdo. Il tuo >>.
<< Era per il bene di tutti >>, disse Giovanni.
<< O il tuo? Quello di un sogno, non badando alla mamma, a me, ad Alice. L'importante erano solo le tue ricerche. Ogni cosa era meno importante di noi. Dov'eri quand'è nata Alice, a Mosca? In un ghiacciaio. E quando sono caduta e mi sono rotta una gamba? Su una montagna, a Dublino. Due Natali, Pasqua, i primi giorni di scuola e tanto altro tu non c'eri. Ho imparato a fare a meno di te presto, papà. Ed ora le tue ricerche hanno portato me e i miei amici in qualcosa di orribile >>, scosse la testa, << questo non dovevi farlo >>.
Giovanni aveva ascoltato quel discorso senza fiatare. Ogni parola era una crepa nel suo cuore, pronunciata da sua figlia, sangue del suo sangue. Si rese conto di cosa aveva rinunciato per un sogno: aveva rinunciato a molto di più. Euridice cominciò a piangere e scappò via dalla stanza, lasciandolo solo con i suoi dolori. E per la prima volta, non vide una bambina ma una giovane ragazza che gli aveva appena detto la verità.

La ragazza correva per le vie di Mesa velocissima, cercando un posto in cui nascondersi e versare le lacrime che volevano uscire. Si inoltrò in un vicolo e si appoggiò al muro, affondando il viso nelle mani e lasciando libere le lacrime una dopo l'altra per perdersi nelle sue mani e poi sul selciato sporco.
Si passò una mano sugli occhi per asciugarli un po' e le lacrime evaporarono in mezzo secondo e tornò a piangere disperata. Mezz'ora dopo, non aveva più la forza di piangere e poggiò la testa contro il muro per riuscire a riprendere un po' di fiato e calmarsi. Si guardò le mani e deglutì. Tese il palmo destro all'insù e si concentrò. Strizzò gli occhi e strinse i denti sempre di più: scintille appena visibili spuntarono sulla sua mano e aumentarono presto per infuocare la mano e renderla scintillante di arancione nella notte.
Chiuse a pugno la mano e le fiamme svanirono di colpo rilasciando un fumo che si mischiò alla calda aria notturna. Strisciò contro il muro sbrecciato fino a sedersi a terra e a abbracciarsi le ginocchia. Altre lacrime solcarono i suoi occhi e abbassò il viso fino a nasconderlo fra le braccia.
Desiderando per un attimo che il tempo tornasse indietro di dodici ore e di tornare normale.

<< Jonathan, sparecchia >>, disse Catherine.
<< Masie, sparecchia >>, disse Jonathan, concentrato sulla televisione e lo sport.
<< Mamma ha detto a te >>, ribatté decisa Masie, scoccando un'occhiata irritata al fratello per quel tono poco gentile. Essere teste calde doveva essere di famiglia.
<< Devo studiare! >>.
<< Idem >>.
<< Tu? Una secchiona come te? >>.
Suo padre gli diede un leggero schiaffo alla nuca. << Tua sorella ha detto che deve studiare >>.
Jonathan non protestò ancora e si alzò per eseguire le faccende richieste. Alla fine, vinceva sempre Masie. Aver perso un anno scolastico non era piaciuto ai suoi e per un personaggio importante come suo padre, era una brutta macchia da sopportare.
Sbrigò quello che doveva fare in pochi minuti e poi andò in camera sua per concludere matematica. Aveva deciso di arrangiarsi da solo e non se la stava cavando benissimo. Euridice era troppo sconvolta per aiutarlo e Lucas non era dell'umore migliore. L'esercizio sulle disequazioni si stava rivelando difficile più del previsto. Batté un pugno sulla scrivania, illuminata da una fiocca luce dorata della lampada, nervoso.
Si portò le mani alla testa quando uno sbuffò d'aria lo travolse e buttò a terra quaderni e penne, insieme a qualche libro scolastico. Andò a chiudere la finestra e notò l'assenza di vento.
<< Strano >>, borbottò, raccogliendo il materiale e rimettendolo al suo posto. Si rimise a scrivere e terminò l'esercizio e, per miracolo, combaciava con il risultato del libro. Si stiracchiò e ripose tutto nella borsa. Il suo sguardo cadde sulle foto poste in alto su una mensola. La più importante, quella di Euridice, un anno prima, un'estate indimenticabile.
Non si era mai pentito di averla baciata e lei gli aveva confessato che era stato il suo primo bacio. Per Jonathan, Euridice negava l'evidenza: dopotutto, lei non lo aveva allontanato né schiaffeggiato. Si erano baciati e anche a lungo. Cos'era accaduto, allora, da farle cambiare idea un attimo dopo?
Jonathan sospettava che Silvester fosse il motivo. Il rapporto tra i due era molto più “intimo” che con gli altri tre. Che la giovane avesse una cotta per lui o viceversa?
Si frizionò i capelli per smettere di pensare e ricacciare dentro i brutti sentimenti e i cattivi pensieri. Un'altra folata di vento.
Istintivamente, il suo occhio cadde alla finestra: chiusa.
La porta: chiusa.
Raccolse la foto di Euridice e sospirò: il vetro era scheggiato e rotto in più punti.
<< Devo cambiarla >>, si disse, rimettendola al suo posto.
La porta si aprì e Masie entrò nella stanza con un sorriso maligno. << Indovina un po' cosa ho sentito dire dalle mie amiche? >>.
<< Tra voi mocciose? >>.
Masie ignorò la parola offensiva. << Che la tua Euridice >>, sottolineò la parola ben bene. Jonathan si trattenne dal buttarla fuori. << Si stia frequentando con Silvester Chavez. Stanno sempre insieme... E poi... >>. Non completò la frase perché la porta le venne sbattuta in faccia.
Solo che Jonathan non si era mosso di un millimetro. Una fortissima folata di vento. Masie lo mandò a quel paese e se ne andò nella sua camera, accanto a quella del fratello maggiore.
Il ragazzo cominciò a inquietarsi: che cosa stava succedendo?

Mark ticchettava le dita su una superficie in metallo, un tavolo. Attendeva dei risultati.
La porta del laboratorio si spalancò e degli uomini entrarono nella sala con una scatola fra le mani.
<< Siamo riusciti a scoprire una cosa interessante >>, disse una donna con lunghi capelli castani e lentiggini.
<< Finalmente >>, disse sollevato.
Azionarono i macchinari e un CD venne inserito nel lettore. Un lettore multimediale si aprì sullo schermo di media grandezza.
Un uomo premette un tasto. << Questa è la scena vista a velocità normale >>.
Si concentrò sulle immagini. Era stata una buona idea mettere una telecamera nascosta nella sua giacca, talmente piccola da non essere vista da nessuno.
La scena cominciava nel momento in cui Martin aveva rotto le capsule e il fumo si era sparso. Si concludeva con la loro fuga e il fumo diradato.
<< Ebbene? >>, domandò.
La donna premette altri tasti. << Guardi cosa succede se spostiamo l'angolazione e diminuiamo la velocità di riproduzione >>.
Mark contrasse la mascella a quella vista.
I cinque ragazzi appiatti contro un muro, spaventati a morte. Gli Elementi si erano alzati da terra di un metro ed erano spariti dentro i corpi dei ragazzi, solo che non si erano accorti di niente poiché avevano gli occhi chiusi.
L'immagine venne fermata.
L'uomo e la donna si guardarono e poi rivolsero la loro attenzione a Mark.
<< Come si fa ora? >>, domandò il capo.
<< Gli Elementi sono parte integrante dei ragazzi. L'unico modo è ucciderli >>, rispose la donna.
<< Perché loro, Katia? >>.
<< Sospettiamo che abbiamo qualcosa in comune con i saggi a cui appartenevano gli Elementi la prima volta. Forse sono dei discendenti e non sanno di esserlo o hanno le capacità fisiche adatti e gli Elementi li hanno riconosciuti. Qualsiasi cosa sia, dovete state attenti >>.
<< Vale a dire? >>.
L'uomo rispose: << Gli Elementi si sono fusi con i ragazzi. Hanno le capacità, ormai. Prima  o poi le troveranno >>.
Mark guardò ancora quell'immagine bloccata sullo schermo. Un mezzo sorriso apparve sul suo volto. << Allora non abbiamo problemi. Uccideteli >>.

Euridice bussò più volte alla porta di Silvester. Ci era arrivata a piedi e in lacrime. Sperò che fosse lui ad aprire in modo da risparmiare spiegazioni inutili e difficili.
<< Euridice? >>, disse Silvester, in pigiama ma davanti a lei non si vergognava di certo.
<< Silvester, fammi entrare >>, biascicò, asciugandosi le lacrime sul dorso della mano.
La fece entrare e in salotto non c'erano altro che i coniugi Chavez con Armand e Filiberto.
<< Euridice... >>, sussurrò Esperanza, la madre di Silvester.
Il figlio disse qualche parole in spagnolo e la madre si risedette. La portò in camera sua e la fece sedere sul letto coperto da una leggera coperta rossa.
<< Ho paura >>, disse la ragazza.
<< Cosa è successo? >>.
<< Siamo nei guai >>, rispose. << Ti è successo qualcosa di strano? >>.
<< A parte Lilia che ha vomitato l'anima sul mio primo pigiama, no >>.
Euridice fece una smorfia. << Non intendevo questo... Gli Elementi non sono spariti... >>.
Aggrottò le sopracciglia. << Sono tornati al loro posto? >>.
<< Due sono proprio qui >>.
Silvester si guardò attorno. << Nel mio armadio? >>.
<< Un po' più vicino... >>.
<< Sotto il letto? >>.
<< Silvester, arrivaci >>, disse stufa l'amica. Allungò una mano per sfiorargli il petto. << Proprio qua >>.
Silvester scoppiò a ridere. << Uhm... cosa ti ha dato Alice? Ha mischiato di nuovo acqua frizzante e... rum? >>.
Con uno scatto, Euridice avvicinò Silvester a sé, vicino, mettendogli una mano sul viso.
Per i primi secondi, il ragazzo rimase stordito per una vicinanza simile. Si sentì strano come mai prima d'ora. E, forse, per la prima volta si era accorto di Euridice come ragazza e non come... amica con cui prendere in giro i giocatori di football e mangiare schifezze.
Superò la fase di shock e si concentrò su cosa volesse davvero fargli capire Euridice.
<< Scotti >>.
<< Buongiorno >>, lo prese in giro lei.
<< Sembra che vai a fuoco... >>. L'ultima parola venne sussurrata. La mollò all'improvviso e lei cadde sul letto.
<< Euridice, dimmi che hai la febbre >>.
 << Non ho la febbre. È tutto vero >>.
<< E io cosa c'entro?! Hai detto due? >>.
<< Silvester, uno lo hai anche te. E gli altri saranno dentro Jonathan, Martin e Lucas >>.
<< Non mi è successo niente di strano, sul serio >>.
<< Pensa >>, insistette la ragazza, battendo i piccoli pugni sulle ginocchia.
Silvester si mise a pensare e non trovò nulla di anomalo in quella serata ordinaria.
<< I calzini >>, mormorò.
<< I calzini? >>.
Corse in bagno e fece segno a Euridice di seguirlo. Cominciò a riempire la vasca di acqua e aspettò che arrivasse quasi al bordo. Euridice seguiva tutto a occhi sbarrati e si chiese cosa volesse dimostrargli.
Silvester mise una mano nell'acqua a temperatura ambiente e quando la ritirò era bagnata. Sospirò deluso e poi strinse le labbra e si morse un labbro, guardando l'acqua. Mise le mani sui bordi e sotto gli occhi increduli di Euridice, camminò sulla superficie dell'acqua come se fosse sulla terra.
<< Acqua! >>, esclamarono in coro.
<< L'acqua è tua! >>, disse Euridice, abbassando la voce.
Silvester scese da lì e rimise i piedi per terra. Svuotò la vasca e scosse la testa. << Tutto ciò è irreale >>.
<< Non più, amico mio, non più. Dobbiamo andare dagli altri. Potrebbero essere in panico >>.
Silvester fermò Euridice, prendendola per un polso. << E tuo padre? >>.
Non disse niente i primi attimi e poi lo guardò. << Mi odia >>.
<< Ti odia? >>.
Euridice si era pentita quel discorso: non le pensava davvero e voleva solo ferirlo, incolpare qualcuno per quello che le era accaduto. Ma non c'era tempo per scene lacrimose e per tornare dal padre. Dovevano andare a trovare gli amici e aiutarli.
Non avevano la minima idea di cosa li aspettasse...


Angolino!

Ecco il secondo capitolo! Nel prossimo toccherà a Martin e Lucas e Jonathan comincerà a comprendere cosa sta accadendo. Grazie a quelli che leggono e l'hanno messa tra le preferite e le seguite!!!

Alych: Grazie ^^! Sono felice che piaccia anche a te! Ciao ciao!

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Capitolo 4
*** Un mare enorme di guai ***


Canzone che ha ispirato la seconda metà del capitolo è stata: Imogean heap - Hide and Seek         


                     Capitolo 3

                Un mare enorme di guai

Lucas se ne era tornato a casa con i nervi a fior di pelle. Una volta varcata la soglia di casa, aveva rifiutato la cena e si era rinchiuso in camera. Anne, sua madre, era una donna estremamente ossessiva nei confronti del suo unico figlio, che trattava ancora come un bambino, cosa che a Lucas non faceva piacere.
Seduto alla scrivania a svolgere distrattamente i compiti, valutò la giornata: la ragazza con cui doveva uscire lo aveva sbeffeggiato davanti a quasi tutta la scuola. Aveva percorso tre ore di auto, scalato per un sentiero una montagna e aveva rischiato di morire. Insomma, una giornata che non voleva rivivere assolutamente. Chiuse di scatto il quaderno: avrebbe copiato da Euridice o Martin i compiti. Nel gruppo, erano i più secchioni anche l'atteggiamento di Martin non faceva trapelare la sua A di media. Guardò fuori dalla finestra, immaginando fiocchi bianchi appoggiarsi sul davanzale e poi per terra. Un bel po' di neve gli avrebbe risollevato il morale. Ma a Mesa la neve era trovabile quanto l'acqua su Venere. Stava per cambiarsi quando sentì ticchettare alla finestra, l'unica della stanza. Si sporse per osservare e un sassolino lo colpì in fronte.
Si massaggiò il livido. << Silvester, sei veramente un'idiota >>.
<< Scusa >>, scandì con le labbra per non farsi udire dai coniugi White. << Scendi >>.
<< Che ci fate qui a quest'ora? >>.
<< Scendi maledizione! >>, imprecò Euridice.
Lucas si strinse nelle spalle e richiuse la finestra. Sbirciò dalle scale per sincerarsi che sua madre fosse crollata davanti alla sua soap-opera e che suo padre fosse andato a dormire. Sgattaiolò fuori dalla casa e fece il giro per arrivare sul retro. I due amici erano uno accanto all'altro, uno sguardo che non gli piaceva per niente.
<< Cosa vi porta nella mia umile dimora? >>.
Si guardarono e poi Euridice chiese: << Tua mamma è crollata? >>.
<< Sì e allora? >>.
<< E tuo padre dorme? >>, aggiunse Silvester.
Lucas roteò gli occhi. << Sì! Che cosa c'è? >>, chiese lentamente.
Si guardarono ancora, non sapendo da dove cominciare. Lucas cominciava a spazientirsi e anche molto. Stava per aprire bocca quando Euridice alzò una mano e gli chiese: << Ti è successo qualcosa di strano ultimamente? >>.
Pensò mezzo minuto. << No. Non dopo che sono tornato a casa. Perché? >>.
Silvester tirò Euridice per la maglia a giro maniche bianche e indicò Lucas.
<< Lucas, non hai caldo? >>.
Lucas aggrottò le sopracciglia. << Caldo? Per niente >>.
<< Oh oh >>, sussurrò Silvester. << Dammi la mano >>.
<< Scusa? >>.
<< Ti ho detto da darmi la mano >>. Allungò la sua. Lucas cominciò a credere che fosse tutto uno scherzo e di veder spuntare da un momento all'altro anche Martin e Jonathan. Sbuffando e alzando gli occhi al cielo, strinse la mano in quella di Silvester. L'amico rimase quasi scioccato. La ritrasse.
<< Lucas, ti sei accorto almeno di avere la temperatura più bassa del solito? >>.
<< Che cosa?! >>, esclamò. << Ma siete pazzi? >>.
Euridice si decise a confessare, avanzando di due passi. << Lucas, gli Elementi non sono spariti. Sono dentro di noi. Il fuoco è mio e l'acqua è di Silvester >>.
Lucas annuì, sembrò pensieroso e poi ridacchiò appena. Girò i tacchi e fece per tornarsene dentro.
<< Ehi! >>, esclamarono i due amici, irritati dalla scarsa attenzione. Ma d'altronde cosa si aspettavano?
<< Guardate troppi film >>, disse Lucas. Una parte di lui aveva registrato le parole della ragazza e le aveva accettate ma la parte razionale si rifiutava di accettarle.
Euridice, stufa, toccò con entrambe le mani il viso di Lucas che fece in salto indietro.
<< Euridice vai a fuoco! >>.
<< Non vado a fuoco, Lucas: io ho sul serio il fuoco dentro >>.
Lucas si allontanò da Euridice come se fosse il diavolo e sbatté contro una serie di casse sistemate in un angolo del retro. Il respiro gli era meno.
<< Non avrai mica paura di me? >>.
<< Io non lo so >>, trovò la forza di dire Lucas. Si passò una mano fra i capelli e quasi se li strappò dall'agitazione.
<< E allora... io cosa sarei? >>.
Silvester si mise una mano sotto il mento, pensieroso. << Be', acqua e fuoco sono esclusi. Anche se non sappiamo con certezza che effetti fisici portino, azzarderei che tu sia il ghiaccio. Ci sono venticinque gradi e tu non sei nemmeno sudato. Dovremo prendere un termometro >>.
E così fecero. Lucas rientrò silenziosamente in casa ancora una volta e corse al piano di sopra a prendere il termometro elettronico. Prima di uscire, prese la chiavi di casa, dell'auto e il portafoglio: era sicuro di non dormire lì stanotte.
Ritornò giù in dieci minuti massimo e si misurò la temperatura. In dieci secondi il termometro rilevò venticinque gradi. Undici gradi in meno del normale.
<< Com'è possibile? Il mio cuore non dovrebbe rallentare e il mio flusso sanguigno fare altrettanto? >>.
<< Forse il tuo corpo si adatta, Lucas. Non siamo più quelli di prima >>, disse Silvester. << Io camminò sull'acqua >>.
<< Serio? >>.
<< Serio >>.
<< Non c'è tempo di spiegare >>, s’intromise Euridice. << Dobbiamo andare dagli altri. Speriamo solo che non abbiamo scoperto i loro poteri e siamo addormentati nei loro lettini >>.
Lucas, Euridice e Silvester presero l'auto dell'amico per andare da Jonathan, il più vicino. Sperarono che Martin avesse deciso di andare a dormire e non si fosse attardato al PC come ogni sera.
La notte correva e doveva essere circa mezzanotte e mezza. Come minimo, Giulia Rosetti stava dando di matto e Giovanni non era da meno, ma almeno lui era a conoscenza di cosa aveva portato la figlia ad allontanarsi da casa. Per Silvester non era un problema: aveva detto una bugia ai suoi, un improvvisa nottata di studio.
Stavano superando la piazzetta di Mesa quando la macchina di Lucas sussultò. Il ragazzo era alla guida del veicolo e lo colpì con un pugno. L'auto era di seconda mano ma in ottime condizioni.
La macchina emise gli ultimi sussulti e smise di funzionare definitivamente.
<< Che cavolo le prende? >>, domandò Euridice. Non era il momento di giocare ai meccanici.
<< Non capisco. L'ho portata dal meccanico una settimana fa ed era tutto apposto >>, disse preoccupato e controllando il quadro.
<< Lucas >>, lo chiamò Silvester con un sospiro.
<< Non ora >>, ribadì l'amico, impegnato a controllare ogni spia e poi a prendere il manuale delle istruzioni, spessissimo.
<< Lucas >>, lo chiamò ancora con un altro sospiro.
<< Che c'è?! >>, esclamò, voltandosi a guardarlo.
<< Hai finito la benzina>>, rispose Silvester, sporgendosi per indicare l'indicatore a zero che lampeggiava di giallo.
Euridice lo guardò male.
Lucas si schiarì la gola. << Ehm... mi sono dimenticato di mettere benzina >>.
<< Lucas, accidenti! >>, disse Euridice, arrabbiata. << Ma dove ce l'hai la testa? >>.
<< E ora? Siamo troppo lontani per tornare indietro e prendere la mia di auto >>, disse Silvester.
Lucas scese dalla macchina e si grattò la testa. << La casa di Jonathan non è lontana: se andiamo a piedi, dovremo metterci un quarto d'ora >>.
<< Non prenderò mai più la tua auto! >>, promise la ragazza, scendendo dalla macchina e sbattendo lo sportello con forza come se volesse scardinarlo.
<< Calmati. O manderai a fuoco i vestiti >>, l'avvertì Silvester.
Lucas passò il termometro sulla sua fronte ed Euridice lo guardò incredula. << Ho pensato potesse servire >>, disse il ragazzo quasi a giustificarsi. Guardò il display. << Quarantasei gradi. Ancora un paio e prenderai davvero fuoco >>.
<< Dubito di finire in cenere >>. Si mise a pensare. << Chissà quali sono i nostri limiti >>.
<< Che vuoi dire? >>, le domandò Lucas.
<< Insomma, se io non sento più la differenza di temperatura, tu neanche e Silvester cammina sull'acqua... Chi ci assicura che non Silvester non sia in grado di... respirare sott'acqua, io di camminare nelle fiamme e tu di far nevicare? >>.
<< Euridice, a me di conoscere i limiti non m’interessa. Semplicemente perché noi non rimaremo così >>, disse Silvester convinto.
<< O forse voi non avete capito che non c'è modo per togliercelo. Altrimenti lo avrei fatto io stessa >>.
<< Io non voglio restare così! >>, protestò Lucas.
<< Oh, non preoccuparti >>, disse una voce che li fece mettere sull'attenti.
Mark, impossibile dimenticare. Dietro di lui cinque uomini armati, che li tenevano sotto tiro.
Sorrideva, come la prima volta. Sembrava che il sorriso fosse una parte naturale del suo viso scuro. Strinse gli occhi neri come a scrutarlo.
<< È un piacere rivedervi >>, disse.
<< Il piacere è nostro >>, disse sarcastico Silvester.
<< Quanto sei spiritoso, ragazzino. Io so una cosa su di voi >>.
Impallidirono. Lo sapeva.
<< E indovinate un po'? Non saranno cinque mocciosi a fermarmi. Purtroppo per voi, l'unica soluzione è quella di... uccidervi >>, indietreggiarono, << mi dispiace molto >>.
Non diede nessun comando però gli uomini spararono ugualmente. Troppo presto perché potessero scappare, non gli restò altro che proteggersi con le braccia, alzandole.
Non sentirono dolore, neanche esplosioni. Guardarono e rimasero a bocca aperta. Un muro di ghiaccio era di fronte a loro, alto almeno due metri e spesso mezzo metro, luccicante di bianco nella notte.
Silvester e Euridice guardarono Lucas. Le sue mani erano leggermente avvolte di ghiaccio azzurrino e non aveva mosso un dito. Semplicemente, aveva alzato le mani ed era successo tutto dal nulla.
I proiettili si erano conficcati nel ghiaccio spesso, rendendoli innocui.
Mark imprecò.
Silvester mise una mano sulla spalla dell'amico. << Come... come hai fatto? >>.
<< Io non lo so... È successo >>, balbettò, incapace di parlare e guardandosi le mani.
<< Non c'è tempo: scappiamo! >>, urlò Euridice, trascinandolo nella via che conduceva a casa di Jonathan. Una volta dentro, non potevano entrare e ucciderli davanti agli occhi dei genitori del ragazzo e la sorellina.
Correvano velocissimi tra le strade deserte, con il cuore a mille, l'adrenalina nelle vene e inseguiti da tutti e dieci gli uomini. Mark era rimasto indietro. Scartarono per una via e si nascosero lì per prendere un po' di fiato, prima di ricominciare la corsa verso la salvezza. Sentivano di essere stati fortunati una volta ma la seconda poteva non essere altrettanta fortunata.
Decisero di prendere una via secondaria però si ritrovarono davanti due degli uomini che li inseguivano.
<< Sono qui! >>, strillò uno dei due tenendoli sotto tiro.
<< Lucas >>, sibilò Euridice.
Il ragazzo cercava di fare la stessa cosa, però otteneva solo nuvolette di ghiaccio che non servivano a nulla. Silvester voleva essere d'aiuto e non aveva la minima idea da dove cominciare. Euridice non faceva altro che scintille rosse che si disperdevano nell'aria.
Era inutile.
Euridice si strinse contro Silvester, spaventata. Il ragazzo avrebbe voluto proteggerla e si sentiva malissimo all'idea di vederla morire non poter far nulla per impedirlo.
<< Sparate >>, ordinò il più vicino al gruppo.
Girarono la faccia per non guardare ma non sentirono niente neanche stavolta.
<< Jonathan! >>, esclamarono i tre, felici di vederlo.
Li guardò. << Tutto bene? >>.
<< Perfettamente! >>, rispose Euridice.
<< Sono contento >>, disse, guardandola.
<< Aspetta... come hai fatto ad arrivare così velocemente? >>, gli chiese Lucas, confuso.
Jonathan si guardò le scarpe e gli altri rimasero a bocca aperta.
Silvester indicò le scarpe dell'amico. << Sbaglio o non stai toccando terra? >>.
<< Non sbagli. Sono leggero come... >>.
<< … l'aria! >>, completò Euridice.
<< Jonathan tu voli >>, disse Lucas, stupefatto.
<< Più che volare, sono leggero >>, disse, tornando a toccare terra. << A mio piacimento >>.
Indicò con un cenno della testa il muro dietro gli uomini che cercavano di ucciderli. Era costellato di piccoli buchi che fumavano. E gli uomini erano immobili con gli occhi sgranati, sconvolti.
<< Sono riuscito a creare un turbine d'aria abbastanza forte da far fare dietro front ai proiettili >>.
<< No, aspetta. Non sei agitato, in panico? >>, gli domandò Euridice, fissandolo.
Sembrava veramente a suo agio. S’innalzò da terra di un paio di centimetri e poi la toccò di nuovo. << A differenza vostra, io non sono così scettico. Quando ho capito cosa stava accadendo, ho fatto due più due. Sono scappato dalla finestra, saltando sull'albero del giardino. Solo che era scivoloso per via della linfa e stavo per rompermi una gamba quando mi sono accorto che... non toccavo il terreno. E a quel punto, ho capito del tutto e sono corso da voi. Fortunatamente, direi >>.
I nemici si ripresero e rialzarono le armi, pronti a sparare di nuovo. Non si erano feriti e decisero che rimanere lì a chiacchierare non era la cosa migliore. Martin doveva essere in panico totale, se aveva avuto qualche spiacevole episodio. E scoprire dove abitava, non doveva essere difficile per i tizi che gli davano la caccia.
Scapparono da lì prima di sentire i rumori dello sparo. Jonathan era venuto senza auto di conseguenza erano ancora a piedi e Martin abitava oltre casa del ragazzo. Correvano per le vie e Jonathan era davanti a tutti, e sembrava volare sul serio. Fortuna che era notte e la città era piccola, perché nessuno li vide. Si nascosero in un altro vicolo, questa volta ceca: in questo modo non potevano attaccarli di sorpresa ancora.
Gli uomini sorpassarono il vicolo e loro presero fiato.
Jonathan li guardò. << Voi? Scommetto che Euridice è il fuoco >>.
<< Che intuito >>, disse acida la ragazza, ravvivandosi i capelli con le dita.
<< Ghiaccio >>, disse Lucas.
<< Acqua >>, disse Silvester.
<< Quindi andando per esclusione... Martin ha la terra >>, disse Jonathan.
<< A quanto sembra. Quattro principali e uno complementare... >>, mormorò tra sé e sé Euridice. << Ehi! >>, esclamò, alzando un dito, un’improvvisa illuminazione. << Se esistono i quattro principali e uno complementare, questo vuol dire che esistono anche gli altri complementari >>.
Li scosse parecchio con la notizia. In effetti, era una deduzione logica. C'era una sola domanda: dove si trovavano?
Se cinque di questi erano a Mesa, California, in America, voleva dire che potevano trovarsi in altre città americane. O ancora peggio, in ogni parte del mondo.
<< Quanti ne mancano? >>, le domandò Silvester.
Euridice si mise a pensare e poi rispose: << Elettricità, roccia, metallo e... altri di cui adesso non ricordo. Mio padre li conosce tutti >>.
<< Euridice potrebbero essere ovunque! >>, disse Lucas, per niente convinto.
<< Ma non possiamo lasciarli cadere nelle loro mani, Lucas. E se sono stati assorbiti da altri? Com'è successo a noi? >>.
<< Poverini >>, disse Jonathan, ironico. << Ci penseremo dopo. Dobbiamo andare da Martin, subito >>.

Martin credeva di essere diventato pazzo, completamente. Sua madre aveva una passione per i fiori e le piante, tanto da costruire in vivaio dove ogni tanto lo obbligava ad aiutarla a piantare semi. E quella sera, sua madre lo aveva fatto di nuovo.
Mentre preparava la cena, gli aveva chiesto di pulire certe piante dalla polvere e innaffiarne altre. Le proteste erano state inutili e, armato di guanti, spolverino e annaffiatoio giallo, era uscito per andare nel vivaio accanto al garage. Aveva pulito le piante accuratamente, altrimenti sua madre era capace di farlo ricominciare le piante.
Secondo Martin, teneva di più alle sue piante che a lui.
Aveva cominciato a innaffiarne una e, con un movimento della mano, si era girato e aveva fatto cadere un vaso a terra, dei tulipani. E, involontariamente, li aveva anche calpestati malamente. Si era messo le mani nei capelli e lasciato cadere l'annaffiatoio, bagnando il pavimento sporco di terra.
Aveva preso un altro vaso, lo aveva riempito di terra e provato a rimetterci i fiori ma quelli erano in uno stato impossibile da guardare.
E lì, era successo.
Si era girato per cercare una soluzione o almeno dei fiori da rimpiazzare con quelli e quando si era girato ancora, i tulipani erano integri. Aveva inarcato le sopracciglia e li aveva guardati incredulo.
Si era grattato la testa e poi si era stretto le spalle, decidendo di dare poca importanza all'episodio. Ma quando i tulipani si era moltiplicato al passaggio della sua mano, lì era finito contro la parete trasparente del vivaio e boccheggiato in cerca di aria. Ci aveva riprovato con un altro vaso e con altri fiori ed era successa la stessa cosa.
E ora, se ne stava seduto in un angolo, disperato e credendo di impazzire.
La mano scura di Silvester lo aveva fatto rialzare e si era accorto degli amici.
<< Martin, stai bene? >>, gli domandò premurosa e comprensiva Euridice.
<< No! Per niente! >>, rispose, << Guardate >>.  Con la mano sfiorò il petalo di una rosa e quello era diventato più bello e rigoglioso.
Rimasero a bocca aperta per i primi secondi e poi la richiusero. Non sapevano da dove cominciare.
<< Martin, gli Elementi non sono spariti. Sono dentro di noi. Tu hai la terra >>, disse Jonathan.
Martin si passò una mano sugli occhi. << Cosa cazzo stai dicendo, Jonathan? Non mi piace questo scherzo! >>.
Euridice toccò Martin sulla guancia e Lucas sull'altra.
<< Euridice... sei calda... E Lucas... sei freddo... >>.
<< Fuoco >>, s’indicò la ragazza. << Ghiaccio >>, concluse, indicando Lucas.
<< Acqua >>, disse Silvester, a sguardo basso.
<< Aria >>, disse tranquillo Jonathan. Sembrava l'unico a non avere problemi con questa storia.
<< Dobbiamo andarcene via. Quegli uomini di oggi pomeriggio lo sanno. E vogliono riprenderseli a tutti i costi. E c'è un solo modo >>, disse Silvester.
<< Ucciderci >>, confessò Euridice.
Martin sembrava sul punto di svenire. << E adesso? >>.
<< Dobbiamo andarcene da Mesa per un po' >>, disse Jonathan.
Lo guardarono come se fosse diventato di colpo blu. Andare via?
<< Forse non avete capito la situazione: vogliono ucciderci. Mesa è una città piccolissima. Pensate davvero che non lo faranno per via dei guai giudiziari? Ci troveranno se rimaniamo qui. E poi ci uccideranno. Le cose cono cambiate. E ora che lo accettiate >>.
Era stato così sincero e diretto da lasciarli senza parole. Aveva ragione. Restare in città era un suicidio. Ma dove potevano andare?
<< Cerchiamo di tornare a casa e di preparare in fretta dei bagagli. Prendete lo stretto necessario. Martin, temo dovremo prendere la tua di auto >>.
<< Stop! >>, esclamò Euridice, mettendo le mani avanti. << E i nostri genitori? La scuola? >>.
<< La scuola non è importante. Direi che la nostra vita vale di più! >>, ribatté Silvester. Era raro che si trovasse in disaccordo con lei.
<< Le famiglie se ne faranno una ragione. Potresti dirlo a tuo padre >>, suggerì Lucas.
<< No >>, si oppose Jonathan. << Non deve saperlo nessuno. Altrimenti potrebbero torchiare il signor Rosetti >>.
<< Oh mio Dio >>, sussurrò Euridice con le lacrime agli occhi appoggiandosi a Lucas.
<< Non c'è tempo per piangere, Euridice. Dobbiamo agire >>, disse Lucas, cercando di consolarla.
Fu così che si separarono in silenzio. Martin rientrò in casa, dove i genitori dormivano. Si erano dati appuntamento sotto il cancello della scuola. Prese la grossa valigia sotto il letto e chiuse la porta a chiave per evitare che entrassero e scoprissero la sua fuga. Prese il necessario, le chiavi dell'auto, soldi e vari documenti, tra cui il passaporto: non potevano sapere dov'erano diretti.
Lasciò un biglietto con scritte poche righe in cui diceva di non preoccuparsi. Era successo tutto tanto in fretta da non riuscire a pensare a cosa stava realmente facendo. Prese la valigia, guardò la sua stanza un ultima volta e chiuse la porta. A passi piccoli scese le scale e andò in garage.

Euridice era riuscita ad arrivare a casa, sana e salva. Per un puro miracolo. Pensò che qualcuno doveva volerle bene. Suo padre non era ancora rientrato: forse la stava cercando come un matto per Mesa. Senza essere a conoscenza della futura fuga della figlia.
In camera sua preparò la valigia, una nuova e mai usata. Mai avrebbe pensato di doverla usare per un viaggio simile. Si sedette sul letto con davanti un quaderno. Non voleva dare retta a Jonathan: doveva chiedere scusa. Aveva già scritto un post-it attaccato alla porta per l'intera famiglia e aveva intenzione di scrivere una lettera a Giovanni solo per lui.
Mordicchiò la penna per pochi minuti e poi cominciò a scrivere:
“So di averti ferito. E so che quello che sto per fare ti renderà triste: ma devo. Se voglio rimanere viva, se vuoi ancora riabbracciarmi, lasciami andare e non cercarmi. Vogliono uccidere me e gli altri per riprendersi gli Elementi. Non voglio che anche tu ci vada in mezzo. Non pensavo sul serio quello che ti ho detto, credimi. Ero arrabbiata e volevo prendermela con qualcuno. Volevi solo fare del bene e non è colpa tua. Doveva succedere. Sappi che ti voglio bene e tanto. Dì a mamma e Alice che ne voglio tanto anche a loro. Ti prego di non dare nell'occhio a chi ci vuole male. Vi cercheranno, vi faranno delle domande. Tu non sai niente, ricordatelo. Non dire la verità a mamma e mia sorella: non capirebbero e le esporresti a rischi inutili.
I miei amici mi proteggeranno e sarò al sicuro. Non so quanto tornerò ma ti prometto che lo farò.
Ti voglio bene, papà.

                                            Euridice”

L'inchiostro blu era sbavato in più punti, dove le lacrime erano riuscite ad arrivare, disegnando rivoli bagnati su quelle parole scritte dal dolore della giovane. La imbustò dentro una busta bianca e poi camminò piano per il corridoio ed entrò nella stanza dei genitori. Sua madre dormiva ed era una fortuna che avesse il sonno pesante. Infilò la lettera nei manuali enormi di geologia di suo padre.
I libri dello scienziato, le sue ricerche erano in bella mostra sullo scaffale. Senza fare rumore prese qualche libro e scritto per riporli nella valigia: potevano tornargli utili. Poi uscì dalla stanza senza guardare la madre. Entrò in quella di Alice, addormentata. Le fece una lieve carezza e la sorella si limitò a girarsi dall'altra parte.
Prese la valigia e un'altra piccola borsa e mise una mano sulla maniglia tremante della porta e l'abbassò. Uscì nella notte, senza guardare un’ultima volta casa sua.
Era meglio così.

Silvester non era riuscito a guardare nessuno dei suoi familiari. Lasciarli per chissà quanto tempo era doloroso e un taglio netto avrebbe favorito. Con gli occhi lucidi aveva preparato la valigia e poi si era cambiato con abiti da viaggio. Aveva scritto una lunga lettera e l'aveva lasciata sulla tavola. Nella sua testa, vedeva già sua madre in lacrime tra le braccia del suo grosso padre. Le sorelle disperate e i fratelli in panico.
Ma lo faceva anche per il loro bene. Per il bene di tutti.

Forse Jonathan era l'unico che non aveva grossi problemi a separarsi dalla famiglia. Preparò il necessario e uscì dalla sua stanza. Aveva guardato sua sorella addormentata un ultima volta anche lui e aveva lasciato un biglietto sulla sua scrivania. Per quanto Masie fosse antipatica con lui, era la persona che gli dispiaceva lasciare di più. Uscito di casa, camminò per le strade cauto ma era sicuro che si fossero fatti vivi, un paio di corse senza toccare il terreno e li avrebbe seminati. Non capiva come mai per lui fosse tanto facile usarli. Gli altri sembravano avere tanta difficoltà.
Al cancello della scuola, gli amici erano già giunti. Era l'ultimo.
Euridice aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto, tra le braccia di Silvester. Un moto di gelosia fu naturale in Jonathan. Martin era alla guida della sua auto, seduto e con lo sguardo fisso in punto indefinito.
<< Ciao >>, disse Jonathan.
<< Ciao >>, dissero tutti, con voce triste.
Sistemarono le valigie e salirono in macchina e lì si pose il problema di dove andare.
<< Lontano, il più lontano possibile >>, disse Lucas.
<< Be'... Carson city? >>, propose Martin.
<< Nevada? E perché? >>, chiese Silvester.
Martin si frugò nelle tasche. << I miei zii possiedono una casa lì ma loro non ci sono fino ad Agosto ed è abbastanza grande da ospitarci tutti. Quindi direi... che potrebbe andare. Sarà un viaggetto un po' lungo: sono circa duecento chilometri >>.
<< Direi che è lontano quanto basta. Andiamo lì. Male che vada ci fermeremo in un hotel per strada >>, disse Euridice.
<< Non possiamo. Lasceremo tracce >>, fece notare Lucas.
<< Allora la soluzione migliore è che ci diamo il cambio quando uno di noi è stanco. In questo modo, arriveremo presto >>, propose Jonathan e accettarono. Martin mise in moto e partirono.
Con il cuore triste e in silenzio. L'unica cosa che gli era rimasta...

Angolino!

Il terzo capitolo è concluso! Spero vi sia piaciuto. Nel prossimo ci saranno i primi problemi... Be', alla prossima! Ciao ciao!










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Capitolo 5
*** È ora di capire ***


                                    Capitolo 4

                                   È ora di capire

L'auto continuò a muoversi per tutto il resto della notte. Per giungere a Carson City erano necessarie almeno due ore e mezza, se non tre. Le poche soste erano sfruttate per fare benzina (pagando in contanti) e ristorarsi un quarto d'ora. Martin aveva guidato la prima ora e, stanco, aveva ceduto la guida a Euridice ed era passato dietro e Jonathan si era seduto nel posto del passeggero. I tre amici erano crollati sui sedili di dietro, distrutti da quella sera lunga e difficile.
Non si svegliarono neanche quando Euridice fermò l'auto all'ultimo piazzale di sosta per rifornirsi di benzina e fare una sosta al bagno: era collassati del tutto.
Si risedette in auto e mise le mani sul volante, con un sospiro. Dopo essere salita in macchina, aveva pianto sulla spalla di Silvester per mezz'ora prima di calmarsi e dormire un po'. Nessuno aveva parlato, nessuno aveva commentato. Erano stati zitti come se avessero paura di farsi scoprire anche dopo centocinquanta chilometri e passa.
<< Vuoi che guidi io? >>, le domandò Jonathan. La ragazza non aveva messo in moto e fissava la strada, un punto immaginario davanti a sé.
Scosse la testa.
<< So che non è il momento adatto >>, disse lui, giocherellando con la chiusura del cruscotto, << ma credo che da stanotte non avremo molte occasioni di solitudine >>.
Euridice gli restituì uno sguardo interrogativo e gli fece segno di continuare.
La guardò. << Perché mi hai respinto dopo che ti ho baciata? >>.
<< Jonathan, non ora. Siamo inseguiti da... non so cosa e siamo diventati... non so cosa. E poi non vorrai farti sentire dagli altri >>, disse indicandoli.
Jonathan ruotò appena la testa per guardare i tre amici: Lucas aveva la testa all'indietro e dormiva come un sasso. Silvester era crollato contro il vetro e Martin russava a più non posso. Jonathan guardò ancora Euridice.
<< D'accordo >>, disse arresa la giovane. << Forse potrebbero non sentirci ma non voglio >>.
<< La verità è che non lo sai nemmeno tu >>.
Euridice si sentì colpita da quelle parole e lo guardò intensamente. Non rispose comunque.
<< Cos'ho che non va? >>.
<< Non lo so, Jonathan. Ma la verità è che forse non ero pronta. È successo tutto così in fretta. Mi hai baciata all'improvviso: stavano ridendo e scherzando, mi hai presa per le spalle e baciata. Non ho avuto tempo per pensare alle conseguenze >>.
<< Non voglio scendere, come dire?, nei dettagli però mi era parso di capire, correggimi se sbaglio, che a te è piaciuto. Me lo hai restituito il secondo dopo che mi sono staccato da te >>, le ricordò Jonathan. Quante volte aveva passato a ripensare a quel momento, un anno intero.
Mise in moto l'auto. << Non ora >>, ripeté, guardando nello specchietto retrovisore.
Jonathan decise di arrendersi. Capì che non ne avrebbe ricavato nulla. Non quella notte.
Euridice continuò a guidare, il traffico era poco e arrivarono a Carson City presto. Il cartello recitava un cordiale benvenuto e i due lo guardarono con tristezza. La ragazza parcheggiò in una strada isolata e svegliò Martin e gli altri.
<< Siamo arrivati >>, disse Jonathan.
Si stropicciarono gli occhi, assonati. Martin sbatté le palpebre e sbadigliò, contagiando anche gli altri. Si stiracchiò.
La strada isolata permise a tutti di scendere dall'auto e sgranchirsi un po' le gambe prima di risalire e giungere alla villetta di cui parlava Martin. La strada di prima mattina era carica di una nebbiolina che a Euridice non piaceva. Temeva un attacco in ogni momento. Era nervosa anche per le parole di Jonathan e lo maledisse per aver scelto proprio una situazione del genere per parlare. Tipico di Jonathan.
Silvester guardò la strada e un paio di vecchi e abbandonati palazzi a qualche metro da loro. Tra i due si apriva un vicolo e da lì si vedevano macchine che correvano in continuazione e diverse persone passeggiare frettolosamente sui marciapiedi. Dovevano girare cauti per la città o sarebbero stati visti da chi non era il caso.
La loro fuga non li avrebbe fermati. Erano personaggi potenti e inondare Internet e televisioni non era difficile per quelli come loro. Inoltre, le famiglie si sarebbero messi alla ricerca dei figli e l'unico a comprendere la verità era Giovanni Rosetti. Ma una sola persona non potevano fermarli: sarebbe stato costretto a cedere a quegli uomini che volevano la morta di sua figlia e degli altri.
Martin salì nel posto del guidatore con un altro sbadiglio e mise in moto e ordinò agli altri di rientrare in auto. Altri tre quarti d'ora di macchina prima di arrivare a destinazione. Martin dovette scegliere le strade meno trafficate e isolate per evitare di riconoscere l'auto. Notarono come Carson City non fosse così male per dei fuggiaschi: era una città immersa in una distesa di polvere tra le montagne e alberi con chiome di un verde brillante per non dare l'impressione di una città incastonata nella sabbia. In una città come quella era difficile che arrivassero.
La villa di cui parlava Martin era la terzultima di una breve via al centro della città. Le altre due erano simili e bambini giocavano davanti alle villette già di prima mattina.
Martin aprì il pesante cancello con fare furtivo ed entrò nel cortile, parcheggiando la macchina sotto una macchia di alberi. Scesero e camminarono per il viale in pietra bianca.
<< Martin, non per fare il sarcastico ma... chi ha costruito questo posto? L'ingegnere di Dracula? >>, chiese Silvester.
<< Non ti rispondo neanche >>, disse Martin.
In effetti, rispetto alle altre due, quella era più inquietante. Il giardino non era curato moltissimo e l'architettura era pesante, di fine Ottocento. Il portico era in legno ingrigito su cui c'erano due panchine di vecchio legno e un dondolo imbottito di stoffa gialla a fiorellini rosa. Un tempo le assi dovevano essere verniciate di un caldo marrone ed ora erano grigio stinte.
E il tempo nuvoloso condiva quell'immagine alla perfezione.
Da dentro non si sentiva un rumore e le finestre era sbarrate dalle tende bianche e blu.
Non si sarebbero stupiti di vederci spuntare Casper da un momento all'altro.
<< Vai avanti tu >>, disse Lucas, spingendo Martin su per gli scalini di legno. Le proteste non servirono e il ragazzo si trovò di fronte alla porta e gli amici dietro. Aprì la porta con le chiavi. Lentamente la porta scricchiolante si aprì del tutto e all'interno non c'era molta luce e tanta polvere. Sbirciarono dentro e a prima vista era tutto a posto.
<< Mica ci sono topi, vero? >>, chiese Euridice. Li odiava.
<< No, non preoccuparti. Siamo al sicuro. Non verranno di notte a disturbare il tuo sonno di bellezza >>, la prese in giro Martin beccandosi uno schiaffetto sulla nuca.
Un rapido giro per le stanze del piano terra e tutto era in sicurezza. Si buttarono sui divani dell'ampio salotto, corredato di un camino spento. Intorno c'erano mobili addossati alle pareti e foto su foto. Gli zii di Martin non avevano figli e la sua faccia da bambino era ovunque, con un sorriso.
<< Com'eri carino... >>, commentò Silvester, una presa in giro in piena regola che Martin ignorò: non ne aveva né la forza né la voglia.
Un silenzio innaturale calò interrotto dalle grida dei bambini impegnati nel loro gioco mattutino.
Fu Lucas ha parlare: << Dobbiamo chiarire un po' di cose >>.
<< Cosa c'è da chiarire Lucas? >>, disse Euridice. << Mi sembra più che chiaro che siamo in un mare di guai >>.
<< Non possiamo scappare in eterno >>, intervenne Jonathan, appoggiato alle mensole del camino.
<< Ha ragione >>, si trovò d'accordo Silvester. << Ora come ora pensiamo a riordinare le idee e poi... non so >>. Sospirò amareggiato.
Martin si alzò dal divano dov'era seduto con uno scatto veloce e strinse i pugni. << Vi rendete almeno conto cosa ci è successo? Mi sembra di essere finito in un film realizzato da un pessimo regista >>.
<< Certo che c'è ne rendiamo conto >>, disse Euridice. << Dobbiamo rassegnarci. Ora siamo questo >>.
<< Eppure ci deve essere un modo per tornare come prima >>, disse Silvester.
<< Ammazziamoci >>, suggerì Lucas.
<< Una soluzione un po' meno drastica, grazie >>, aggiunse Silvester, irritato.
Euridice uscì fuori dalla casa dopo essersi fatta dare le chiavi dell'auto da Martin. Tornò dieci minuti dopo con la sua valigia e sacca. Frugò per cinque minuti buoni in entrambe prima di estrarre un fascio di fogli in una cartella arancione e un paio di libri e due volumi enormi.
<< Li ho fregati a mio padre. Tanto lui li conosce a memoria >>.
Si risedette sul divano di prima e prese a sfogliarli. Uno dei libri era di mitologia: spiegava la leggenda che tanto aveva affascinati e segnato suo padre nei dettagli.
<< Gli Elementi principali sono l'aria, la terra, il fuoco e l'acqua >>, con un cenno della testa indicò i quattro amici, <>, indicò con un dito Lucas. << Gli altri sono: roccia, metallo, sabbia, luce, buio. Dobbiamo trovarli >>, concluse la ragazza.
<< Tro-trovarli? Euridice è un suicidio! >>, protestò Jonathan.
<< Ha ragione. Se gli mettiamo ancora di più i bastoni fra le ruote non avremmo scampo! >>, concordò con l'amico Lucas.
Euridice rivolse a tutti uno sguardo arrabbiato. << Sentitemi tutti quanti: com'è capito a noi di diventare quello che siamo, può essere capito a altre cinque persone. Oppure no. Il fatto è che non possiamo restare qui a nasconderci. Troviamoli e facciamo capire al mondo cosa succede sul serio >>.
<< Le tue parole sono belle ma agire è un altro conto >>, disse Silvester per niente convinto e spaventato.
<< Non dico subito. Abituiamoci a ciò che siamo e poi agiremo >>, disse Euridice. << Le cose sono cambiate >>.
Jonathan fissava fuori dalla finestra e poi guardò Euridice. << D'accordo >>, disse fissandola intensamente tanto che lei smise di guardarlo.
Silvester sentì un moto di gelosia ma lo scacciò subito. Non era il momento adatto. << Sto anche io con lei >>.
Martin e Lucas erano costretti a decidere.
Lucas si passò una mano fra i capelli e guardo i tre amici. << Okay >>.
L'unico rimasto fu costretto ad accettare quello che considerava una vera pazzia. Un suicidio in piena regola.
Euridice abbandonò i libri e il resto sul divano e si alzò. << Perché non proviamo a vedere cosa siamo diventati? >>.

Lacrime che scorrevano in casa Rosetti. Giulia aveva nascosto il viso tra le mani e in grembo il biglietto di Euridice. Giovanni era in salotto a leggere e rileggere le parole sbavate su quel foglio e ad asciugarsi le lacrime.
La casa del signor Rosetti era piena di gente. Le famiglie dei quattro ragazzi erano corsi a casa dei due coniugi e tutti non ci avevano messo molto a fare due più due.  
Le madri non smettevano di piangere e i padri non si erano recati a lavoro.
L'unica che non si lasciava andare alla disperazione era Alice Rosetti, la sorella minore di Euridice. La scomparsa della sorella la faceva uscire di testa, è vero, però lei era più furba e conosceva troppo bene suo padre per non sapere che c'era qualcosa sotto, qualcosa di grosso.
E la conferma avvenne quando suonarono alla porta. Il signor White andò ad aprire visto che Giulia seguitava a piangere.
E Mark fece il suo ingresso insieme ad altre figure vestite come lui.
<< Chi siete? >>, chiese la signora Chavez, il viso scuro arrossato, con in braccio Marcos e il figlio maggiore, Armand, che l'abbracciava per consolarla.
Mark mostrò il suo sorriso migliore. << Mi chiamo Mark Stewart e loro sono i miei uomini. Ci occupiamo di ragazzi scomparsi e ci hanno affidato il caso dei vostri figli. Mi dispiace molto signori >>. Gli uomini dietro di lui restarono zitti, il viso scolpito nella stessa espressione di serietà.
Giovanni impallidì quando li vide, era certo di svenire. Mark gli rivolse uno sguardo vincitore. Non poteva parlare e questo gli dava un vantaggio incredibile. Fece accomodare tutti i presenti nella stanza più grande della sala e fece domande su domande.
<< I miei uomini perquisiranno le vostre case alla ricerca di qualsiasi indizio. Vedrete che ritroveremo i vostri figli sani e... salvi >>, concluse sorridendo all'ultima parola.
Alice lo guardò con un sorrisetto e chiese: << A quale dipartimento vi appoggiate? >>.
<< Alice ti sembra ora di fare domande del genere? >>, la rimproverò mortificata la madre.
Mark non sembrò scalfito. << A nessuno. Siamo indipendenti >>.
La risposta non soddisfò Alice per niente. Guardò suo padre. Aveva capito che Euridice era in grave pericolo. E forse, una volta rimasta sola, avrebbe pianto per davvero. Ora aveva un valido motivo da temere per lei...

<< Non ci pensare proprio! >>. Silvester fece per uscire dal bagno del primo piano ma Martin e Lucas lo bloccarono sulla soglia.
<< Male che vada ti tiriamo fuori >>, lo rassicurò Jonathan.
Euridice chiuse il rubinetto dell'acqua calda. L'acqua era ormai giunta al bordo e rischiava di trasbordare. Era china sulla vasca con un asciugamano bianco in caso di pericolo e per farlo asciugare.
Lo costrinsero a inginocchiarsi sul bordo della vasca.
<< Non ne avete il coraggio >>, boccheggiò in un ultima speranza Silvester.
Si guardarono.
<< Io sì >>. Jonathan mise la mano sulla nuca di Silvester e spinse la testa dentro l'acqua. I mugolii del ragazzo giunsero alle orecchie di Euridice, preoccupata. Si dibatteva come un pesce sulla sabbia e poi più niente.
<< Jonathan, tiralo fuori! >>, urlò Lucas, facendo rimbombare la voce nell'ampio bagno e Jonathan neanche lo ascoltò.
Euridice mise una mano su quella del ragazzo. << Lascialo andare! Lo affoghi! >>.
<< Ma quale affogare! >>. Tolse la mano e Silvester uscì dall'acqua spuntandola e scuotendo la testa, bagnando Euridice e Lucas. Solo che su la ragazza evaporarono.
Si stropicciò gli occhi e prese l'asciugamano per asciugarsi e finalmente parlò.
<< Allora? >>, chiesero in coro.
<< Respiro sott'acqua! >>, esordì felice, rialzandosi e pulendosi la polvere dai pantaloni.
<< Straordinario! >>, esclamò Euridice. << Potresti fare chissà quante cose >>.
Martin si poggiò contro il bordo del lavandino. << Ma vi rendete conto quante cose potremmo fare? Se vogliamo davvero fare qualcosa di concreto, cerchiamo di conoscerci più a fondo possibile >>.
Annuirono e uscirono fuori da casa. Martin era un po' spaventato alla prospettiva di provare a fare qualcosa: la prima volta che lo aveva fatto era certo di cadere nella pazzia. Ma adesso c'erano i suoi amici ad appoggiarlo e vivere la stessa situazione lo aiutava.
<< Che devo fare? >>.
<< Be'... potresti... che so... Fallo diventare meno rigoglioso >>, suggerì Silvester ancora entusiasta per la prova di mezz'ora prima.
Martin non aveva la minima idea di dove cominciare. Deglutì e chiuse gli occhi: visualizzò la pianta nella sua testa e aspettò. Poi immaginò di vederla seccare sempre di più fino a divenire impossibile da guardare.
Un esclamazione gli fece riaprire gli occhi. Gli amici a bocca aperta e l'albero in pessime condizioni: spoglio, le foglie cadute a terra. E la corteccia rovinata e piena di crepe. Martin lo toccò per essere sicuro che avesse davvero fatto una cosa simile e non appena poggiò la mano sull'albero quello tornò come prima, bellissimo a rigoglioso. La tolse spaventato di scatto e guardandosela come se avesse preso fuoco.
<< Straordinario >>, disse Jonathan. << Potresti far fare alle piante tutto quello che vuoi >>.
<< E tu? >>, gli domandò Martin.
Jonathan strizzò gli occhi e il corpo si sollevò di cinquanta centimetri da terra e annuì.
<< Come ci riesci? >>, gli chiese Silvester.
<< Forse l'elemento dell'aria ti ha riempito di... elio >>, tentò Lucas, pensieroso.
<< Elio? >>, domandò scettico Jonathan, storcendo il naso e toccando terra di nuovo. << So solo che mi sento leggero, senza peso. Può darsi >>.
<< E sei anche velocissimo >>, aggiunse Euridice. << Ieri eri in testa a tutti e se non fosse stato per noi, ci avresti superato >>.
<< Ho creato anche quello sbuffò d'aria >>. Un vento freddo prese a fischiare di colpo, talmente forte da investire tutti come un piccolo tornado. Jonathan ebbe difficoltà a farlo sparire e ci riuscì con un po' di concentrazione.
<< Accidenti! >>, disse Lucas, colpito.
Martin batté una mano sulla spalla troppo fredda di Lucas. << Prova tu >>.
<< Io? >>.
<< Non ti ho ancora visto in azione >>, gli ricordò Martin ridendo.
<< Ha creato un muro di ghiaccio impressionate >>, raccontò Silvester. << Ha bloccato le loro azioni come niente >>.
Lucas poggiò la mani sul muretto che delimitava la villa, coperto di rampicanti antichi. Strinse i denti e un velo di ghiaccio percorse i rampicanti, rendendo il verde estivo come opaco. Il ghiaccio coprì tutta la superficie per cinque metri e Lucas smise impaurito di provocare danni.
Euridice toccò con entrambe le mani il ghiaccio e non sentì per niente freddo. La sua temperatura la proteggeva. Il ghiaccio cominciò a sciogliersi pian piano, riempiendo l'aria di vapore e gocciolando per terra. Dopo dieci minuti, della patina fredda sul muro non rimase niente se non la superficie bagnata e il terreno reso morbido dall'acqua gocciolante. Si allontanò di tre passi come se temesse di fare un danno terribile.
<< Se non stiamo attenti rischiamo anche di fare danno >>, disse Lucas. << E non solo a noi stessi ma anche agli altri >>.
<< Non dobbiamo dare nell'occhio >>, disse Jonathan.
<< E come? >>, gli chiese perplessa Euridice.
<< Tanto per cominciare girare così per la città non è una buona idea. Ma dobbiamo per forza uscire se vogliamo mangiare e fare il pieno alla macchina e ritirare i soldi che ci servono. Suggerirei di portare occhiali scuri e Euridice tingersi i capelli >> continuò il ragazzo.
Le ultime quattro parole non piacquero alla ragazza. << Come hai detto, prego? >>.
<< Che devi tingerti i capelli? >>.
<< Togliti questa idea malsana dalla testa! >>, protestò lei, riscaldando l'aria attorno che infastidì gli altri meno Lucas. << Non mi tingerò i capelli in un biondo platino! >>.
<< Non parlavo di un biondo platino ma almeno un castano. Così non ti noterà nessuno >>, insistette il ragazzo. Il carattere testardo di Euridice non si faceva scalfire da niente, ma proprio da niente. Men meno se era Jonathan, colui con cui bisticciava dalla prima superiore.
E quanto anche gli altri si trovarono d'accordo con Jonathan, Euridice dette fuoco ai rampicanti più vicini per errore e Silvester e Martin rimediarono al danno immediatamente.
<< Non mi convincerete mai! >>.

Un'ora dopo, Euridice era al supermercato a scegliere il colore dei capelli. Scartò i rossi e i biondi e guardò il color castano con tristezza. Jonathan le era accanto, appoggiato contro uno scaffale di creme per sincerarsi che non mandasse a fuoco qualcosa per via nel nervosismo. Alcuni prodotti di quel reparto erano pericoloso per una come lei.
Scartò i castano chiaro e passò a quelli più scuri e quando tentò di avvicinarsi ai castani fondenti, simili al suo colore naturale, Jonathan si schiarì la voce e con un cenno della testa le ricordò il colore che doveva scegliere.
Euridice trattenne un gestaccio cattivo e ritornò ai castano. Il castano scelto era bruttissimo secondo lei, un colore comunissimo.
<< Ti diverti? >>, gli domandò, allungando una mano nello scaffale alto.
Jonathan la guardò da dietro le lenti scure. << Era tutta la vita che aspiravano a cambiarti colore dei capelli, Euridice... >>.
Si voltò e Jonathan era sicuro di vedere un'occhiata fulminante dietro i suoi, di occhiali.
Continuò a guardarla, mentre si affannava per prendere la scatola del colore.
Erano tre anni che non guardava nessuna per lei e l'anno prima sembrava il coronamento di tanti sforzi. Sorrisi, occhiate, piccoli regali e gesti che Euridice aveva capito e sembrava aver intercettato e ricambiato. Si sbagliava di grosso e in un minuto gli era piombata addosso la verità.
Jonathan allungò una mano e gliela prese.
<< Potevi muoverti un po' prima >>, disse seccata lei, prendendola tra le mani.
Silvester, Martin e Lucas tornarono con il carrello pieno.
<< Euridice, abbiamo preso un sacco di cose che ti potranno servire >>, disse Lucas.
Aveva detto le parole sbagliate. Euridice si sincerò che non ci fosse nessuno nei paraggi e si tolse lentamente gli occhiali a specchio nero per guardarli e indietreggiarono tutti e tre. Lo sguardo era talmente raggelante da averli congelati.
<< Mettiamo in chiaro un paio di cose. Se pensate che io sia come le vostre madri, che vi facevano trovare il piatto pronto in tavola, avete capito molto male. Secondo, io non ho nessuna intenzione di passare le giornate a fare le pulizie. Si faranno dei turni. E per vostra sfortuna, io sono tendente al femminismo questo vuol dire che per, i maschi, sono uguali alle donne. Di conseguenza, non sono la serva di nessuno! >>.
Si rimise gli occhiali e tornò a guardare lo scaffale di bellezza.
Jonathan era morto di risate e i tre amici avevano gli occhi sbarrati e si ripromisero di cercare bene le parole la prossima volta.
La giovane si allontanò per avvicinarsi a un altro reparto e Jonathan si rivolse agli amici ancora stupidi del comportamento di Euridice: << Credo la conosciate bene da sapere che odia sentirsi trattata da “ragazza”. Traduzione: odia le diversità tra uomini e donne e l'avete sempre saputo >>.
<< È molto irritabile nelle ultime ore >>, disse Martin.
<< Stiamo scappando per salvarci la vita, rischia di dare fuoco a qualunque cosa tocchi e deve tingersi i capelli. Tu che dici? >>, gli domandò Silvester a Martin.
Si strinse nelle spalle e proseguì con gli altri, attenti a non attirare l'attenzione.
Ormai la fuga era iniziata e non avevano ancora la minima idea di dove li avrebbe portati... Non ancora...


Angolino!

Ecco la fine del quarto capitolo! Spero vi sia piaciuto e dal prossimo... be', lo scoprirete! Ciao ciao!

PS= Grazie per chi l'ha aggiunta nelle preferite e nelle seguite!






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Capitolo 6
*** Mi chiamo Lilian Doolan ***


                                Capitolo 5

                        Mi chiamo Lilian Doolan

Con un'ombra scura sul viso, Euridice uscì dal bagno del secondo piano a sguardo basso. Lo alzò per guardare i quattro amici appoggiati al corrimano.
I capelli neri erano ora di un color castano normalissimo: con gli occhiali, era davvero irriconoscibile.
<< Stai bene >>, disse Silvester per farla sentire meglio.
Ma gli occhi malinconici di Euridice non ingannarono il ragazzo. Euridice aveva una mania per i capelli inimmaginabile e adorava il suo colore naturale, un nero intenso.
<< Quanto questa storia sarà finita, potrai riavere i tuoi capelli come prima >>, la consolò Martin. << E ti stanno bene sul serio >>.
<< Non mi prendete in giro? >>.
<< Ma ti pare >>, disse Jonathan. << Voi ragazze siete così maniache della cura dei capelli e del trucco. Quindi non scherzeremo mai su cose del genere >>.
Euridice prese un bel respiro e lo guardò con aria truce. << Certo che sei proprio maschilista >>.
Senza aggiungere altro, scese le scale per tornare al piano terra senza neanche guardare allo specchio il suo nuovo capolavoro.
Lucas diede uno strattone a Jonathan. << Sei delicato come un elefante in una teca di cristallo >>.
<< E tu mollami >>, gli intimò Jonathan con un sbuffo d'aria.
Silvester si mise tra i due. << Ehi! Avevamo deciso di non usare i poteri per farci del male! >>.
<< Scusa, dimenticavo >>, ricordò Jonathan.
Euridice si era seduta sul divano del salotto a guardare fuori dalla finestra, ampia e lucida dopo aver dato una pulita generale alla casa. Aveva costretto tutti ad alzarsi alle sei del mattino per rendere quel posto vivibile e li aveva fatti sfacchinare come matti.
Erano già due giorni che si trovavano in quella villa e si domandava cosa stesse succedendo oltre le mura che la circondavano. Si chiedeva se i suoi stavano bene e se avevano lasciato troppi indizi per la strada.
La scuola le mancava e si stupì di se stessa. Forse non era la scuola a mancarle bensì la vita normale, quella di tutti i giorni. La monotonia le sembrava tanto preziosa. Aveva saltato già due compiti quella mattina e temeva di perdere l'anno nonostante l'ottimo profitto.
Jonathan le mise una mano sulla spalla.
<< Scusa per prima >>.
<< Sono solo nervosa, tutto qua >>, disse lei.
Si sedette al suo fianco.
<< Dove sono gli altri? >>.
<< A guardare la TV: sentono la mancanza del football >>.
<< Non sei con loro, però >>.
<< Volevo sapere come stavi >>, disse premuroso e colpì Euridice e lei odiò ammetterlo.
<< Sto bene. O almeno per quanto mi è concesso. Non starò mai perfettamente bene >>, gli confessò, guardandolo finalmente.
<< Anche io >>, ammise.
Euridice si sorprese molto. << Wow... Da quando apri il tuo cuore a tali confessioni, Jonathan? >>.
Lui scoppiò a ridere. << Credo che questa situazione renda tutto poco convenzionale, Euridice. Ed è grave >>.
<< Il forte Jonathan, quello che voleva continuare a fare il bulletto >>, disse con voce grossa Euridice, ricordando i tre anni trascorsi con i quattro.
Nessuno aveva mai dimenticato il pomeriggio in cui era apparsa lei, Euridice.
Avevano bloccato Silvester appena fuori scuola, sul retro dove non c'era nessuno. Era circa un anno che si divertivano a tormentarlo e Silvester non era in grado di difendersi e subiva in silenzio. Jonathan era un anno più grande e incitava Lucas e Martin a continuare come un capo.
E quel pomeriggio di Febbraio, Silvester si era ritrovato con un labbro sanguinante. E il destino volle che Euridice passasse proprio davanti a una finestra di una vecchia ala della scuola e osservasse tutta la scena. A muso duro, avevo sceso le scale e corso ad aiutare Silvester ragazzino.
Martin e Lucas non erano molto contenti di quell'azione e sembravano pronti a picchiare anche lei. Euridice si era dimostrata pronti ad affrontarli e Jonathan aveva messo fine a tutto con un semplice cenno della mano e li aveva richiamato. Né Martin né Lucas volevano avere contro Jonathan e gli avevano obbedito. E vittoriosa, Euridice aveva scortato Silvester in infermeria. Jonathan l'aveva guardata sostenere il ragazzino con le sue piccole mani e il suo sguardo si era perso all'entrata sul retro dov'erano spariti i due.
E non era finita.
Usciti da cancello, Euridice li aveva presi da parte e tra la minaccia e un discorso pacifico gli aveva detto di stare lontani da Silvester e di chiedergli addirittura scusa per come si erano comportati.
Lucas aveva anche alzato un pugno per colpirla e Martin lo aveva bloccato. Jonathan aveva minacciato Euridice si starne fuori. La ragazzina non si era smossa di un centimetro e Jonathan ne era rimasto scioccato: colpito e affondato. Gli occhi verdi della ragazza era determinati a non dargliela vinta e Jonathan ne fu spiazzato.
E fu così che il giorno dopo Silvester ricevette tre scuse da tre differenti persone sotto gli occhi di Euridice e un suo sorriso.
L'amicizia con Silvester era diventata grande in poco tempo e Martin e Lucas si erano avvicinati a lei e al ragazzo. E infine Jonathan. Lasciando indietro i rancori e crescendo insieme.
Jonathan tornò alla realtà. << Il cattivo Jonathan non c'è più. C'è quello attuale che a Euridice non piace comunque >>.
La ragazza sbuffò. << Possibile che per ogni situazione è buona per cominciare questo discorso? Non voglio parlarne >>.
Jonathan buttò un'occhiata al corridoio e tese l'udito: urla di Martin e Lucas contro qualche giocatore distratto e Silvester che cercava di farli stare zitti. Il volume al massimo. La porta si chiuse sbattendo per la troppa aria mossa dal ragazzo.
Euridice strisciò contro il poggiatesta del divano, intimorita da tale azione. << Sei impazzito?! >>.
<< E per te ogni situazione è buona per non parlarne. Per sviare il discorso. La verità è che hai paura. Paura di dirmi che ti piaccio >>.
<< Ti sbagli >>, disse con fermezza lei. << E chiudermi in salotto con te non mi invoglia a parlarne >>.
<< Allora sappi che ci rimarrai finché non mi dirai cosa pensi davvero. Il tempo non ci manca >>, le fece notare.
Euridice contrasse la mascella, indispettita da tanta testardaggine. Gli stava lontana e neanche conosceva il motivo.
<< Jonathan, tu non mi piaci >>.
<< Menti! >>, esclamò.
<< Perché mai dovrei? >>, gli chiese, staccandosi dal poggiatesta. << Non posso dirti le bugie >>.
Con un movimento veloce la mano di Jonathan le strinse il mento per obbligarlo a guardare. << Guardami e dimmi che non ti piaccio >>.
Euridice rimase senza fiato e parole. Non si aspettava un comportamento del genere.
Stava per rispondere però la porta del salotto si aprì.
Jonathan la lasciò subito andare e gli amici entrarono ridendo e smisero quando videro l'atmosfera fredda della stanza.
<< Abbiamo interrotto qualcosa? >>, domandò a disagio Silvester.
<< Niente >>, sibilò Euridice, guardando male Jonathan e alzandosi. << Niente >>, ripeté scappando fuori dalla stanza e salendo le scale.
Lo guardarono e Silvester si fiondò su per le scale.
Jonathan diede un calcio al tavolino e si passò le mani sulla testa.
Martin azzardò una domanda: << Ma che succede? >>.

<< Ehi >>, mormorò Silvester, sedendosi sul letto accanto all'amica. Euridice divideva da sola la camera da letto. Secondo i suoi amici, una ragazza doveva avere i suoi spazi.
<< Silvester, sono confusa >>.
<< Dimmi >>, la invitò lui.
<< Tu sai che Jonathan mi ha baciata, no? >>.
<< Sì. L'abbiamo visto tutti >>.
<< Ah... >>, riuscì soltanto a dire lei. << Questo non lo sapevo >>.
<< Adesso sì. Jonathan ci aveva fatto promettere di non dirti niente >>.
<< Capisco... Comunque non riesco a capire: mi piace Jonathan ma non lo voglio ammettere. Cos'ho che non va? >>.
Silvester scosse la testa, sorridendo. << Non hai niente che non va, Euridice. Forse non sei pronta per una relazione e ammettere a Jonathan che ti piace sarebbe come iniziare qualcosa che non vuoi >>.
Euridice lo abbracciò come quando erano ancora ragazzini. << Grazie >>.
Ma Silvester non era tanto felice delle parole dell'amica. Negli ultimi giorni, da quando lei lo aveva toccato, si chiedeva se non avesse una cotta per Euridice. E se era così, era proprio un gran casino...

<< Capo >>, disse un uomo di colore, pelato e con l'aria di chi passa il tempo in palestra. << Guardi qui >>.
Mark si sporse per osservare una seria di schermi. In un autogrill avevano chiesto di poter  visionare i filmati delle telecamere di sicurezza, grazi a un permesso speciale.
Sorrise. << Euridice Rosetti e Jonathan Anderson. In macchina devono esserci anche i loro amichetti... E così, si sono dati alla fuga... >>.
<< Abbiamo la targa della macchina ma hanno pagato in contanti e questo è l'unico autogrill controllato finora che abbia una telecamera, seppur scarsa >>, spiegò il suo seguace.
Mark si rimise dritto e divenne pensiero e serio. Non aveva la minima idea di dove fossero diretti. La strada imboccata indicava il Nevada però la città non era facile da scovare: il Nevada era immenso.
Una mano toccò la sua spalla e una donna gli sorrideva raggiante.
<< Signore >>, disse. << Hanno interrogato la famiglia Brown e perquisito l'abitazione >>.
<< Ebbene? >>.
<< Hanno scoperto che un fratello del signor Brown ha una casa... a Carson City >>.
Mark si illuminò. << Sicuri? >>.
<< Sicuri. E le chiavi della villa mancano >>.
<< Che sciocchi e imprudenti ragazzini... >>, mormorò e poi rise sonoramente, lasciando la stanza delle telecamere. Si avvicinò all'orecchio della donna: << Fai in modo che di questi filmati non ne rimanga traccia e assicurati che il controllore non riveli niente... >>.

Lunghi capelli biondi rilucevano ai raggi del sole come oro raggiante. Occhi blu che scrutavano la città con fare annoiato. La scuola era la cosa più noiosa al mondo.
Se solo avesse potuto... non sarebbe rimasta lì ad ascoltare quella noiosa lezione di storia americana e poi quella di inglese, ancora peggio.
<< Lilian Doolan! >>, la richiamò l'insegnante. << Sei pregata di starmi a sentire! >>.
La ragazza annuì appena e fece finta di ascoltarla. Una mano sotto il mento e una faccia annoiata. Un caldo incredibile che la spingeva a uscire fuori dall'aula. Trenta minuti dopo, la campanella segnò la fine dell'ora e la ragazza chiamata Lilian ne fu felice.
Una mano le si parò davanti. << Ehi, tu >>.
Guardò la ragazza che la chiamava. << Sì? >>.
<< Che ti prende, Lily? >>.
<< No so... Mi sento... stanca... >>.
<< Dormi di più la notte! >>, disse la compagna, scura di carnagione e ricci neri. << O se no la Button ti metterà una nota di demerito. A volte, sembri quasi invisibile >>.
Lilian sorrise a quell'ultima frase e prese a scarabocchiare sul quaderno di inglese, con un mezzo sorriso. I suoi disegni non erano altro che contorni di persone, vuoti, senza niente. Altri erano macchie riempite dall'inchiostro della biro.
Il professore fece il suo ingresso con un fascio di fogli sotto il braccio e Lilian ne fu felice.
Finalmente, una bella notizia.

Per il resto della giornata, Jonathan e Euridice non si guardarono e le parole non esistevano se non per gli amici. Il ragazzo sentiva di non dover chiedere scusa a lei e la ragazza di non dover chiedere scusa a lui e di dargli spiegazioni. Insomma, un vicolo cieco da cui sembrava non riuscissero a uscire.
La mattina dopo, fu una colazione silenziosa. Martin se ne era occupato e per la fortuna della loro salute era riuscito a mettere qualcosa di decente in tavola.
Silenziosa come non mai.
Fu Silvester a spezzarlo: << Lucas >>, disse soltanto allungando il suo succo. Lucas lo toccò appena e la superficie del vetro si ricoprì di una patina fredda e trasparente di ghiaccio.
<< Grazie >>.
<< Di niente >>, disse Lucas, ghiacciando anche il suo, di succo.
Gli altri sorrisero a quella scena. Non li usavano praticamente mai, facendo finta come se non esistessero, forse una sorta di fase di negazione.
Jonathan notava le occhiate di Euridice, occhi tristi per quella minuscola crepa fra i due amici. Sì, amici. Perché per Euridice si trattava di questo. Una situazione che Jonathan sembrava non accettare.
Il ragazzo non resistette a lungo e con la scusa di voler prendere un po' d'aria, uscì nel giardino, camminando in tondo per calmarsi ed evitare di spazzare via la casa. Si appoggiò contro un albero mezzo distrutto dai tentativi di Martin di esercitarsi.
Soffriva tantissimo per lei e la ragazza sembrava non essersene ancora resa conto. O magari lo faceva apposta...
<< Ma che vai a pensare, idiota >>, si disse. << Parli di Euridice. Lei non è cattiva come pensi. È solo ingenua... >>.
Sospirò. Già ingenua.
Si sedette contro l'albero, appoggiando la testa per rilassarsi e trovare un po' di pace.
Chiuse gli occhi, non voleva addormentarsi ma smettere di pensare per un po', non chiedeva tanto.
Si era rilassato talmente tanto da non accorgersi del cancello aperto, dei passi sull'erba non curata e della pistola puntata alla testa.
<< Prova ad aprire bocca e sparo >>, disse una voce femminile.
Jonathan non si mosse di un millimetro, terrorizzato. Mosse la testa quanto bastava per guardare chi lo minacciava.
Una giovane donna dai capelli rossi e gli occhi castani, forse californiana. Per rendere più evidente, spinse la pistola tra i suoi capelli.
<< Non muoverti >>, sibilò.
<< E chi si muove >>, disse Jonathan. Nello stesso momento la donna finì contro il muro scoperto dall'edera e Jonathan prese un respiro sollevato. Il rumore di in grilletto dietro di lui lo portò istintivamente ad alzarsi di qualche centimetro da terra e scartare verso destra. Evitò due pallottole che si conficcarono nel muro.
Con un salto, balzò nel portico ed entrò dentro casa evitando altri spari. Silvester e Martin erano fuggiti nell'ingresso, inseguiti da due uomini.
<< Sveglia! >>, gli urlò Jonathan.
Sembrarono ridestarsi da quelle parole e ricordarsi che avevano le armi per contrastarli. Silvester riuscì a creare con difficoltà una bolla d'acqua che avvolse la testa del primo uomo che lasciò cadere la pistola e finì contro un muro, dimenandosi. Silvester la ruppe quando l'uomo svenne e sperò di non averlo ucciso. Martin guardò gli alberi del giardino e le radici sbucarono fuori dal terreno e corsero fino alla casa, distruggendo il portico e riducendolo a un mucchio di assi rotte. Avvolse la pistola dell'uomo e lo mandarono a sbattere contro un muro, accanto al compagno. Martin si prese la testa fra le mani alla vista del danno alla villa ma gli amici lo spinsero via, dicendogli che non era il momento.
Le urla di Euridice giunsero alle loro orecchie. La ragazza era scappata in giardino dopo essere riuscita a dare fuoco alla giacca di uno dei nemici e aver guadagnato tempo.
La donna che Jonathan aveva atterrato si ere ripresa e barcollava. Ma alla vista della giovane si riprese completamente e alzò la pistola, sparando un colpo.
<< Euridice! >>, urlarono i tre.
Un muro di ghiaccio spesso e alto protesse la ragazza e il proiettile cadde tra l'erba, fumante. Lucas saltò sulle assi rotte del portico e dietro di lui altri due uomini. Si abbassò per evitare uno sparo. Euridice venne abbracciata da Silvester e la ragazza era in lacrime.
Martin cercò l'auto e con orrore notò le gomme bucate.
<< Ci hanno tolto i mezzi di fuga! >>.
Ammaccati, feriti ma in piedi gli uomini di Mark circondarono i cinque, le pistole cariche. Almeno uno aveva una buona mira.
Martin li guardava e contemporaneamente muoveva le dita dietro la schiena. Nessuno dei nemici si era reso conto delle radici che correvano sotto il terreno e ne spuntavano fuori. Stavano per avvinghiarsi alle caviglie e una botta sulla nuca di Martin le fece retrocedere. Il giovane cadde a terra come un peso morto. Euridice si chinò su di lui e lo scosse, cercando di lavare via le lacrime che le annebbiavano la vista.
<< Ci crede tanto sprovveduti? >>, disse la donna, l'unica tra i nemici.
<< Pensavate di fuggire... >>. La voce di Mark penetrò nelle loro orecchie come terribile. Superò i suoi uomini e l'odioso sorriso gli era stampato in faccia: la vittoria a due passi. Una situazione, un problema, risolto in meno di quattro giorni. Niente di più facile.
<< E invece no. Alle vostre famiglie mentiremo. Diremo che volevano fare i giovani ribelli, avete bevuto troppo e... ops!... l'auto è finita in un dirupo... Che pena... >>.
<< Bastardo! >>, urlò Jonathan. << Se pensi che ci faremo catturare tanto facilmente, ti sbagli! >>.
<< Modera le parole, ragazzino >>, disse duro Mark, la gentilezza svanita. << Siete circondati, inesperti. Bene, concludiamo >>. Fece un cenno alla donna e lei annuì compiaciuta. Fece un gesto che i quattro non compresero.
Il rumore dei grilletti erano un chiaro e inequivocabile segno.
In un secondo, sarebbe tutto finito. Sperarono che almeno non fosse doloroso.
<< Ragazzi, perché tutta questa fretta? >>.
Mark si voltò in direzione della voce ma non vide nessuno. Aggrottò le sopracciglia e anche gli altri presenti erano confusi.
Martin si riprese e si mise seduto e notò la confusione sui volti degli altri. Un fascio di luce accecò tutti e finì presto. E con somma sorpresa di tutti, le pistole erano a terra, a due metri di distanza. I nemici erano rimasti stupiti e Mark spiazzato.
Gli altri non sapevano cosa pensare.
Ma per fortuna, il cervello funzionava sebbene corroso dall'adrenalina e la paura. Euridice diede fuoco ai capelli dei due più vicini e Lucas ne ghiacciò qualcuno.
Mark stringeva i denti e i suoi occhi erano uguali a quelli del diavolo in persona. Gli ultimi finirono avvolti nei rami degli alberi e svennero dalla paura.
Li lasciarono andare e li guardarono fuggire.
Mark puntò il dito contro di loro: << Non credete che sia finita qui. Ovunque andrete, ovunque alloggerete io vi troverò >>.
Fuggì correndo dal giardino in tempo per sentire le sirene della polizia chiamata da qualche vicino.
<< Venite >>, bisbigliò la stessa voce di dieci minuti prima e questa volta una mano gli faceva segno di seguirla dietro la casa, nell'angolo più nascosto.
Non ci pensarono due volte ed erano nel retro dell'abitazione parzialmente distrutta.
Una ragazza che non avevano mai visto era davanti a loro.
Lunghi e lucenti capelli biondi, lisci. Occhi blu mare e una pelle abbronzata. Alta circa un metro e sessanta più o meno e molto bella. Le labbra era piene e senza rossetto, un rosso naturale. Notarono che si teneva il più vicino possibile alla luce, l'unica pozza tra tre alberi. Sembrava temere l'ombra.
Stava andando a scuola, quasi sicuramente. Indossava una gonna viola e plissettata con una camicetta bianca e una giacca dello stesso colore della gonna e all'altezza del cuore, lo stemma della scuola in oro, tessuto finemente. Dalla spalla destra scendeva una borsa viola con anch'essa il logo della scuola e le scarpe aveva un paio di centimetri di tacco e nere, lucide, coordinate con le calze bianche.
Doveva frequentare una scuola privata.
E al collo aveva un lacetto con qualcosa attaccato alla fine, una sorta di pila utilizzata durante i blackout.
<< State bene? >>.
Si toccarono i lievi graffi e lividi ma niente di rotto. Scossero la testa.
<< Chi sei? >>, le chiese Jonathan.
<< Sono come voi. Fuoco >>, indicò Euridice. << Acqua >>, indicò Silvester. << Terra >>, indicò Martin. << Aria >>, indicò Jonathan. Si rivolse a Lucas: << Ghiaccio >>.
<< E tu sei? >>.
<< Piacere di conoscervi >>, chinò appena il capo. << Sono Lilian Emily Doolan. Elemento della luce >>.
La parola “luce” li lasciò senza fiato. Euridice sorrise trionfante: aveva ragione, l'aveva sempre avuta. Altre persone li avevano trovati ed erano diventate come loro. Da quanto però?
Fu Martin a farle questa domanda.
Lei evitò di guardarli, pareva intristita. Come se la storia fosse dolorosa.
<< Sono così da dieci anni >>.
La guardarono a occhi sgranati. << Ma tu avrai sì e no... quattordici anni >>, disse Silvester.
<< Quindici >>, lo corresse lei. << Da due mesi >>, aggiunse.
<< Possiedi l'elemento da quando hai cinque anni? >>. Euridice non riusciva a crederci che una bambina potesse essere entrata in contatto con un Elemento tanto piccola.
<< E non ti hanno mai trovata? >>, continuò Lucas.
<< Non so neanche chi siano i tipi che hanno cercato di uccidervi. Abito poco lontano e ho sentito il casino e gli spari. Molta gente si è riversata in strada e io ho sbirciato un po'. Ho capito costa stava accadendo e vi ho aiutato >>.
<< Grazie >>, dissero in coro.
<< Non c'è di che... Non mi è mai capitato di conoscere altri come me >>, disse entusiasta. << Voi da quanto avete gli Elementi? >>.
<< Quattro giorni >>, le rispose Jonathan.
Alla ragazzina caddero quasi le braccia. << Come quattro giorni?! >>.
<< In confronto a te, sembrano molto pochi >>, disse Euridice.
Lei annuì. << E vi siete fatti scoprire tanto presto? >>.
<< Già >>, mormorarono, abbattuti.
<< Sentite, perché non venite a casa mia? Non c'è nessuno. Possiamo parlare con più tranquillità >>, li invitò con un sorriso caloroso. Capì quanto dovevano essere scossi.
<< Non stavi andando a scuola? >>, le domandò Lucas.
Sbuffò. << Per un giorno non succede niente. I miei non lo scopriranno mai, credetemi >>.
Lilian doveva avanzare ma sembrava un po' in difficoltà. La pozza di luce dove si trovava era circondata dall'ombra, dato che la luce scaturiva da un cerchio formato dai tre alberi. Mosse i passi frettolosamente e sospirò sollevata.
Notò la domanda nei loro occhi. << Ho paura del buio e delle ombre >>, confessò. << Stare al buio... non mi piace. Mi fa sentire a disagio >>.
<< E la notte come fai? >>, le domandò curioso Martin, parlando anche per gli altri.
Mostrò la pila e la fece lampeggiare un paio di volte. << Non giro mai senza. In un luogo buio, vado in panico. Non ragiono >>.
Euridice chiese: << E per via dell'elemento? >>.
<< Credo di sì. Prima di averlo, non ho mai avuto paura del buio. Dormivo già con la luce spenta >>. Scosse la testa come per cancellare ricordi poco piacevoli. << Seguitemi, vi faccio strada >>.
<< Ma ci vedranno >>, le fece notare Silvester.
Lei sorrise e si voltò a guardare i poliziotti. << Ora vi faccio vedere una cosa fantastica >>.


Angolino!

Ecco anche la fine di questo capitolo! Ho introdotto un nuovo personaggio e un nuovo Elemento. Nel prossimo, Liliana spiegherà un po' meglio agli altri come funziona e scopriranno un po' di cose su di lei. Be', alla prossima!!!








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Capitolo 7
*** Una piccola trappola ***


                            Capitolo 6

                    Una piccola trappola


Lilian gli aveva assicurato che era in grado di fare una cosa fantastica e una volta vista, le dettero piena ragione.
Erano rimasti a bocca aperta quando la ragazza li aveva fatti divenire invisibili. Erano passati davanti a tutti senza problemi e si erano allontanati abbastanza da tornare visibili.
Ed ora si fissavano il corpo sotto gli occhi di Lilian che rideva moltissimo. Si sistemò la borsa in spalla per evitare che cadesse a terra e gli fece cenno di seguirla. Per il breve tratto di strada, la bombardarono di domande.
<< Come ci riesci? >>, pose la prima domanda, Euridice.
<< Non divento proprio invisibile >>, disse. Si girò a guardarli mentre camminava. << Posso comandare la luce. Curvò la luce dalle persone e oggetti e diventano invisibili >>.
<< Puoi farlo con qualsiasi cosa? >>, continuò Lucas.
<< Con gli oggetti molto grandi non ancora. Con le persone sì ma solo negli ultimi anni >>.
<< Ci hai messo dieci anni per imparare? >>. Silvester era stupito.
Lilian si guardò attorno per essere sicura che non ci fossero persone in ascolto, seppur accidentalmente. Le strade per le quali camminavano erano semi deserte, data la mattina. I bambini e ragazzi erano a scuola. Luogo dove in teoria doveva essere Lilian e i negozi erano aperti da poco e vuoti, a parte qualche cliente mattutino e troppo assonato per farsi gli affari degli altri.
Tenne comunque un tono di voce basso. << Ho dovuto. Per non fare del male alle persone a cui tengo >>.
<< Puoi fare del male? >>. Jonathan aveva posto la domanda ma quel dubbio era in tutti.
Lilian sospirò. << Quando intendo che controllo la luce, intendo del tutto. Posso convertirla in energia. Ecco come ho accecato tutti, nel giardino >>. Li guardò con un mezzo sorriso. << È presto saprete farlo pure voi. Io ero una bambina ma voi no. Imparare presto. Molto prima di quanto immaginiate >>.
Martin ridacchiò. << Veramente, noi non resteremo in questa condizione a lungo >>.
Lilian fermò i suoi passi e si voltò del tutto per scrutarli con i suoi occhi chiari. << Che vuoi dire? >>.
<< Martin ha ragione. Abbiamo intenzione di trovare un modo per tornare normali >>, le rispose Euridice.
Il volto di Lilian si illuminò. << Esiste? >>.
<< Pensiamo di sì. Mio padre è uno scienziato che ha dedicato la sua vita a cercarli. Lui sa tutto. E nelle sue ricerche... O no! >>, esclamò la ragazza, allarmata. << Le nostre cose sono rimaste nella villa! >>.
Un'autentica paura si stampò sui volti di tutti. Non temevano di venir riconosciuti, dato che patente e carta d'identità erano a portata di mano. Erano gli oggetti personali e le ricerche a preoccuparli.
<< Se avete dietro i documenti di riconoscimento, stanotte possiamo intrufolarci alla villa e riprenderli. Potete stare a casa mia >>, offrì la ragazzina.
Jonathan scosse la testa. << Non possiamo restare. Ormai sanno dove ci troviamo. Dobbiamo fuggire ancora >>.
Liliana abbassò lo sguardo e si guardò le scarpe. Le mani si strinsero a pugno e rialzò il viso. << Voglio venire con voi >>.
La fissarono stupiti.
<< Voglio tornare anche io normale. Voglio essere come le altre >>.
<< È pericoloso >>, disse Martin.
<< Sanno che c'è qualcun altro che possiede gli Elementi. Mi cercheranno comunque >>.
<< Lilian, hai quindici anni. I tuoi genitori? >>, le chiese Euridice.
<< Non importa >>, disse sottovoce. << Non importa >>, ripeté.
<< Ci penseremo >>, disse Silvester.
Lo guardarono per niente d'accordo. Portarla con loro era condannarla a una fuga in tutto il continente. Almeno loro erano alla soglia della maggiore età e Jonathan già lo era. In più, i genitori di Lilian potevano metterli in difficoltà aggiungendo altre ricerche, in caso di riconoscimenti.
Lilian sorrise a Silvester. << Perfetto >>. Ricominciò a camminare e la seguirono in silenzio, lanciandosi occhiate.
La ragazzina si fermò dopo aver svoltato un angolo. Martin fu il primo a guardare l'abitazione di Lilian e si fermò di colpo.
Jonathan andò a sbattere contro di lui e anche gli altri.
<< Ehi, Martin. Dormi? >>. Ma quando guardò la casa di Lilian capì il motivo di tanto stupore.
Liliana non abitava in una casa. Ma in una villa enorme.
Tre piano, dipinta di un delicato color pesca e una fontana zampillava acqua da dietro il cancello in ferro battuto nero e chiuso. Siepi di un bel verde delineavano il percorso fino al portone e il selciato era rastrellato di pietre bianche e perfettamente pulite.
Il giardino non aveva un solo filo di altezza diversa ed era curatissimo fino ai minimi dettagli.
La guardarono tutti e lei arrossì.
<< Forse dovrei informarmi che i miei sono manager di attori >>.
Silenzio.
<< Aspetta... I tuoi lavorarono con le stelle del cinema? >>, le chiese Lucas.
<< Sì >>, rispose in imbarazzo, suonando al campanello e un rumore trillante invase l'aria.
Una voce monotona e femminile rispose: << Chi è? >>.
<< Lilian >>.
<< Signorina Doolan >>, disse rispettosa la voce. Il cancello si aprì lentamente.
In dieci minuti erano di fronte a un portone di mogano.
La porta venne aperta da un signore anziano e vestito di blu. Squadrò i ragazzi dietro Lilian con fare interrogativo. << Non dovrebbe essere a scuola? >>.
<< E tu smettila di usare il lei >>, disse con un sorriso Lilian. << I miei non ci sono >>.
L'uomo si rilassò e lasciò la maniglia. << Scusa, Lily >>.
<< Lui è David. Lavora qui da quando mio padre era adolescente. Mi ha visto nascere. È una sorta di nonno per me >>.
<< Piacere >>, balbettarono tutti, a disagio. Essere visti non era salutare per la loro situazione.
<< David, i miei non devono sapere niente. Okay? >>.
<< Come molte altre cose >>, disse, strizzando l'occhio e dopo averli salutati, andò via.
<< Lo sa? >>.
<< Non è importante >>, disse improvvisamente fredda e brusca. Si stupirono di quel cambiamento tanto repentino.
Lilian guardò a destra e a sinistra e non c'era traccia di nessuno. Correndo, li guidò su per le scale e si chiusero nella sua camera.
La camera di Lilian era incredibile.
Era grandissima e ordinata. Le pareti erano tinte di un azzurro pallido e la moquette era soffice e bianca, sembrava di camminare su una nuvola. Al centro della stanza, un letto a baldacchino alto e a due piazze, occupava un sacco di spazio con due comodini ai lati.
Il legno era marrone scuro e le coperte e la stoffa dorate e delle rose di metallo avvolgevano il letto e la costruzione, dipinte di un rosso intenso.
L'armadio non c'era ma due porte indicavano il reale guardaroba e un bagno. E accanto a quest'ultima, un'ampia scrivania con sopra un portatile bianco e vari accessori di cancelleria. Alcuni peluche erano ammucchiati sulle mensole: animali, fatine.
Qualche foto era sui comodini ma in gran parte erano occupati da grandi lampade che dovevano emanare molta luce.
Alle pareti, c'erano luci di sicurezza in caso di blackout e chissà quante pile e torce nascondeva lei.
<< Vi piace? >>.
<< Accidenti. Mia sorella impazzirebbe per una stanza simile >>, disse Euridice, colpita.
<< Sei figlia unica? >>, si informò Martin.
<< Già. Ai miei basto già io >>, disse tristemente. I suoi occhi guizzarono per un secondo alla foto più piccola della camera.
Una bella donna e un bell'uomo stringevano una piccola Lilian tra i due, in una giornata di sole. Era piccola, forse cinque anni.
Della madre, Lilian non aveva niente. Del padre, solo il colore di capelli.
<< Non si arrabbieranno perché non sei andata a scuola? >>, disse Silvester.
Lilian rise amaramente. << Sono dall'altra parte del mondo, in Giappone. Non se ne preoccuperanno, fidati >>.
Li invitò a sedersi sul suo letto e si sistemarono comodi su quel letto enorme e morbidissimo.
<< Raccontaci un po' com'è successo >>, disse curioso Jonathan.
<< Se non vuoi... >>, disse Euridice.
Scosse la testa. << No, no. Tutto okay >>. Lilian andò lontano con i ricordi, di dieci anni prima.
<< Avevo cinque anni, tre mesi e dieci giorni. Era l'unica gita che ho fatto con i miei genitori. I loro clienti erano impegnati a girare un paio di film e si era decisi a darmi un po' della loro compagnia. Ero felicissima e eccitata all'idea di farmi portare su una montagna a fare un picnic e passeggiare attraverso un bosco. Pranzammo su una tovaglia a scacchi rossi e bianchi, sulla soffice erba dei monti del Nevada. Ed è raro che qua ci siano. A metà pomeriggio, mio padre mi prese per mano e camminammo per tanto tempo. Di colpo, nuvole grigio fumo si addensarono nel cielo. Le previsioni avevano predetto bel tempo e quello era un acquazzone imprevedibile. Corremmo tutti e tre per uscire da lì e tornare all'auto e tornarcene a casa. Mio padre mi teneva per mano. E poi... un fulmine ha squarciato il cielo, luminoso quanto il sole. Lasciai la sua mano e caddi nel fango, sporcandomi tutta. Non si erano accorti che non c'ero più. Avevo pianto tanto prima di cominciare a camminare. Avevo freddo, ero stanca dalla corsa, impaurita e sporca dalla testa ai piedi. Camminavo nel bosco e più mi perdevo >>. Deglutì. Era arrivata alla parte difficile. << Un altro fulmine squarciò il cielo, più forte del precedente. Mi ero tappata le orecchie per il forte rumore e urlato. Un albero fu colpito e andava a fuoco. Fissavo le fiamme immobile, non riuscivo a fuggire, ero bloccata e affascinata. E l'ho vista. Tra le fiamme distinguetti una forma brillante, sferica. Quella rotolò fuori, sull'erba per il forte vento che si era innalzato e io, sfidando le fiamme troppo vicine, mi avvicinai fino a toccarla. Dorata, stupenda, la cosa più bella che ho visto in tutta la mia breve vita. Cominciò a divenire sempre più luminosa, sempre più accecante. Lanciai un altro urlo e caddi all'indietro, alzando le mie piccole braccia. Non vidi più niente e un senso di nausea mi colse. Svenni. Mi risvegliai con le lacrime sommesse di mia madre, che mi abbracciava e infermieri davanti a me. Mi raccontarono cosa mi fosse successo e che ero viva e vegeta, per fortuna. Ma io sentivo che c'era qualcosa di diverso >>. Il racconto finì com'era cominciato.
Avevano ascoltato tutto in silenzio quasi religioso come se non volessero turbarla. Dai suoi occhi, si vedeva chiaramente che malediceva quel pomeriggio dov'era diventata diversa e avrebbe tanto voluto non aver toccato la “sfera luminosa”.
<< Ho capito che qualcosa era cambiato quando David, quella notte, spense la luce per lasciarmi dormire. Cacciai un urlo da svegliare i miei genitori e alcuni domestici. Quel buio, in un secondo, mi aveva terrorizzata e scioccata come se fosse un orribile mostro. Da quella notte, dormo con la luce accesa. David ha capito che ero diversa e gli confessai la mia esperienza. Fece delle ricerche e mi aiutò a capire cosa mi fosse successo >>.
Euridice si passò una mano sulla fronte come se avesse un forte mal di testa. << Accidenti. Non è stato facile. Eri solo una bambina >>.
<< Ecco perché voglio tornare normale. Rivoglio la mia vita reale, normale. E se davvero esiste un modo, voglio venire con voi >>.
<< Potrebbero ucciderti >>, disse Jonathan, cercando di spaventarla e farla desistere.
<< Non ho paura. Preferisco morire che restare così per sempre >>, sbottò tra il triste e la rabbia.
Si guardarono. Sperarono non avesse tendenze suicide.
<< Okay. Ma devi essere sicura >>, disse Martin. << Se vieni con noi, indietro non torni >>.
<< Martin >>, lo rimproverò Euridice.
<< Ha ragione >>, concordò con l'amico Silvester. << Se vieni con noi non potrai poi tornare a Carson City >>.
<< Non importa >>, disse lei. << Farò qualunque cosa >>.
E alla fine, accettarono di farla venire con loro. Con la sensazione di aver fatto un errore. Lilian era solo una ragazzina, seppur come i cinque. Se Mark fosse venuto a conoscenza della sua esistenza, le avrebbe dato la caccia. Da cinque Elementi a sei per lui doveva essere come vincere alla lotteria. E ben presto avrebbe cercato in tutto il mondo gli altri possessori, se esistevano.

La notte era calata sulle colline polvere di Carson City. La città ora apparteneva ai giovani.
Lilian sembrava vivere davvero da sola. Non avevano mai intravisto i signori Doolan e, a parte i camerieri e David, non c'era nessun altro che si prendesse cura di lei.
La cosa sconcertante era che a Lilian non importava. Stava bene così. O forse faceva finta di starci bene, in quella situazione.
Con i loro occhi constatarono che Lilian temeva come la morte il buio. Il sole era quasi sparito dietro le colline e lei aveva già acceso da dieci minuti tutte le luci della camera. Però il sole era svanito per lasciare il posto alla luna e la ragazzina era divenuta pallida e un leggero brivido l'aveva percorsa. Nonostante tutte le luci accese, la sera non stava bene come durante il giorno pieno di sole. Per dormire, usava un sacco di sonniferi.
Uscirono dalla villa senza farsi vedere. Lilian disse a David  che usciva con delle amiche e lui le credette. Doveva godere di una grande fiducia.
Camminarono per le vie meno frequentate, con gli occhiali per non farsi riconoscere. Gli uomini di Mark potevano essere ancora in città o lui stesso. E non ci tenevano a rincontrarlo.
Lilian camminava il più possibile nelle pozze di luce dei lampioni e la pila era accesa di continuò per evitare il buio che tanto temeva.
<< Con questi occhiali sembrate un gruppo di... che so... dark? >>, disse Lilian, ridendo.
Jonathan la scrutò da dietro le lenti nere. << Se vieni con noi, dovrai portarle anche tu >>.
Fece una smorfia. << Non mi va >>.
<< Devi. Altrimenti ti riconosceranno. È in questo modo che ci hanno scovato. Sicuramente con i video della sorveglianza degli autogrill. D'ora in poi, saremo più cauti >>, disse Lucas.
Lilian li fece fermare poco prima della villa. Era sicura che avessero lasciato tutto lì per non inquinare la scena. La macchina di Martin, la sua adorata macchina, aveva ancora le ruote sgonfiate e si mangiò le unghie dalla rabbia. C'era un solo poliziotto a fare al guardia, annoiato e seduto nella sua auto bianca e blu a leggere un giornale e ad ascoltare una stazione radio.
Lilian rese invisibili tutti ed entrarono nel giardino e li fece tornare normali una volta superato il cancello ed essersi appaiatiti contro le mura della villa.
Martin gemette di disperazione. Gli zii lo avrebbero ucciso.
Il portico non esisteva più, le finestre erano in gran parte rotte e il giardino bruciacchiato in più punti. Alberi distrutti.
Silvester gli batté una mano sulla schiena. << Guarda il lato positivo: hanno una scusa per  ristrutturarla e rivolgersi a un architetto meno tenebroso >>.
Il rampicante sul suo polso non fu un caso e spinse via la mano e Silvester roteò gli occhi.
Lilian rise divertita.
Si introdussero nella casa senza far rumore, riuscendo a scavalcare l'ammasso di assi del portico. Traballarono tutti per cercare di mantenere l'equilibrio e non ferirsi sulle assi rotte. Riuscirono ad entrare e l'interno non era messo male. Proiettili erano sparsi per terra e conficcati nei muri. Nell'aria, un odore pungente e fastidioso.
<< I poliziotti >>, disse Lilian. << Chissà che cosa hanno spruzzato >>.
La ragazzina teneva accesa la pila alla massima intensità. Nonostante la luce, il buio la spaventava ugualmente.
<< Le nostre cose sono al piano superiore. Lilian pensi di farcela guidarci con la pila su per le scale? >>, le domandò Jonathan.
<< Posso fare di meglio >>.
Guardò la pila e dopo un paio di profondi respiri, la spense. Il panico arrivò subito ma svanì quando l'ingresso fu illuminato da una luce dorata.
<< Lilian, tu brilli >>, disse Lucas.
<< Da cosa lo hai capito? >>. Lilian era avvolta da un'aura luminosa. La pelle abbronzata possedeva una luminosità incredibile, simile al sole.
<< Perché non lo fai tutte le notti? >>, le chiese curioso Martin.
<< Mi stanca >>, rispose lei. << Più di venti minuti non resisto. Se li supero, sto male >>.
<< Allora sbrighiamoci >>, disse affrettato Jonathan, balzando sul primo scalino. Lilian andò il testa a tutti fino al corridoio del secondo piano. Entrarono nella camera che Martin aveva diviso con Lucas. I bagagli erano sotto il letto, non li avevano trovati.
Lilian aggrottò le sopracciglia, per niente convinta.
Sollevati da quella piccola vittoria, li recuperarono con i pochi oggetti sparsi per la stanza. La stanza di Silvester e Jonathan venne ispezionata e non era stata controllata dalla polizia. Recuperarono anche le loro cose e gli effetti personali e si recarono in quella di Euridice.
Intanto, Lilian era sempre più inquieta. Qualcosa non le quadrava.
La stanza della giovane era in perfetto ordine e la sua valigia era sistemata dentro l'armadio, chiusa.
Cercò anche la sacca contenente gli studi e le ricerche di suo padre. Mise sottosopra la stanza ma non trovò niente.
Spariti.
Lilian sussultò e si portò una mano alla testa. La luce che l'avvolgeva cominciò a baluginare fino a spegnersi e lasciare la stanza al buio. La biondina respirava a fatica e la fecero sedere sul letto per farla riprendere, accendendole anche la pila.
Euridice aprì la sua valigia e tirò fuori tutto ma quello che cercava non venne fuori.
<< Carino >>, le fece i complimenti Jonathan, sventolando un reggiseno dell'amica, nero e con i pizzi. Lei glielo strappò di mano, rossa in viso e lo ricacciò nella valigia.
I presenti ridacchiarono, Lilian compresa che si sentiva già meglio.
Risistemò tutto e la chiuse di botto, sbattendola.
Batté un pugno sul pavimento e poi lo agitò dolorante.
<< Piantala di fare casino! >>, la rimproverò Martin.
<< Sono stati loro! >>, sbottò lei. << In qualche modo se le sono prese >>.
<< Impossibile. Sono scappati poco dopo l'arrivò di Lilian >>, ricordò Silvester.
<< Avete sentito? >>, chiese all'improvviso Lilian, alzandosi di scatto dal letto.
Si guardarono, confusi.
<< Sentito cosa? >>, replicò Lucas.
La ragazzina corse alla finestra, l'unica della stanza corredata da tende verdine e ricamate. Aveva sentito benissimo.
I passi felpati sull'erba.
<< Maledizione >>, imprecò. << È una trappola >>.
<< Di che parli? >>, le domandò Silvester, allarmato.
<< Ecco perché la polizia non ha toccato i bagagli e le vostre cose e le ricerche sono sparite. Qui non ci è mai entrata >>, si girò a guardarli. I grandi occhi blu pieni di paura. <<  Li hanno mandati via. Il poliziotto fuori era uno di loro >>, spiegò in fretta, inciampando nelle parole una dietro l'altra per l'agitazione.
<< In qualche modo sapevano che saremmo tornati >>, disse Euridice, impallidita.
<< Ci hanno bloccato dentro la villa >>, disse Jonathan, per niente contento.
Per confermare la sua teoria, voci adulte arrivarono alle loro orecchie. Più voci comandavano di circondare la casa e le mura esterne meno evidenti, in modo da non essere visti dai vicini.
In questo modo, avrebbero potuto ucciderli indisturbati.
La porta sul retro cigolò pericolosamente e i primi passi toccarono il pavimento ricoperto da piastrelle regolari.
<< Lilian, devi andartene >>, disse Martin. << Se non ti vedranno, ti salverai >>.
<< Voglio aiutarvi >>.
<< No >>, disse categorico Jonathan. << Cerca di capire: è per il tuo bene >>.
Farla uscire da lì senza essere vista era quasi una missione impossibile. Il fatto che dovesse girare con una pila accesa non aiutava, anche se poteva rendersi invisibile.
<< Sono al piano di sopra >>, disse una voce femminile che Jonathan riconobbe in quella della donna dai rossi capelli che gli aveva sparato poche ore prima.
Un rumore di grilletti e pistole li terrorizzò.
Euridice mise le mani sulle spalle di Lilia.
<< Devi andartene ora. Li distrarremo e tu uscirai dal retro. Rendendoti invisibile >>.
<< Ma... >>, tentò di ribattere ma Euridice non volle sentire ragioni.
I passi sulle scale erano un chiaro segno: dovevano sbrigarsi.
Lucas e Martin uscirono dalla stanza, andando incontro ai nemici. Il rumore di spari venne inghiottito dal tintinnare del ghiaccio di Lucas. Un rumore di vetri infranti e il rumore di un ramo avanzare per bloccarli era un segno di speranza.
<< Ora >>, disse Jonathan, spingendola fuori dalla camera da letto.
<< Non voglio! >>.
<< Non fare la ragazzina >>, disse aspro Silvester.
<< Portala via! >>, urlò Martin, girandosi a guardarli.
Lilian voleva piangere. Non voleva lasciarli lì, con la certezza di non vederli più. Voleva solo aiutarli.
Un urlo fece guardare la coppia di amici impegnati a trattenere i nemici.
Lucas era finito contro una parete, sanguinante a una spalla. Euridice corse ad aiutarlo e fu un errore.
Cadde a terra, fissandosi il corpo. Era ricoperta da qualcosa di bianco e polveroso e che fumava.
<< Ghiaccio secco >>, disse il suo aggressore, abbassando il secchio che aveva adoperato.
Farlo sciogliere fu impossibile per la ragazza.
<< Portatela via! >>, comandò Euridice. << Mi fido di voi tre >>.
Jonathan la guardò e decise sul momento. Affidò Lilian a Martin e Silvester.
<< Aiuto Euridice. Prendete Lucas e scappate via >>.
Non ascoltò neanche le proteste degli amici e con un paio di leggeri balzi fu davanti a Euridice. Una corrente d'aria e l'uomo e il secchio caddero giù per le scale con un gran fragore e svenne. Era ancora vivo.
Jonathan la rimise in piedi. Tremava ed era scossa da singhiozzi.
<< Leviamoti questa roba di dosso >>.
La sfiorò e agitò la mano in aria. Una smorfia di dolore fece tendere le labbra le sue labbra.
<< Scotta troppo. Non ci riesco >>.
<< Jonathan! >>, urlò la giovane.
Troppo tardi.
Euridice sostenne Jonathan svenuto. Una botta sulla nuca dalla rossa con la pistola.
La ragazza era troppo impaurita e non le restò che rimanere ferma a tenere Jonathan svenuto e vedersi puntare le pistole contro.
Gli altri erano riusciti a fuggire per miracolo. Lilian voleva rientrare e aiutarli. Lucas non glielo permise e tenerla ferma era un impresa. Spazientiti, le spensero la pila e lei divenne troppo impegnata ad andare in panico, costretta ad abbandonare i suoi propositi.
Nel pianerottolo del secondo piano della villa, i due erano ancora sotto tiro.
Euridice stringeva Jonathan, piangendo.
<< Non dovete ucciderli >>, disse la rossa californiana.
<< Cosa? >>, le domandò stupito un uomo.
<< Mark vuole che li chiudiate dentro una stanza. Vuole usarli come un'esca per gli altri >>.
Euridice smise di piangere e un po' di speranza nacque. Nel tempo in cui fosse rimasta sola poteva trovare un modo per fuggire.
Ma la paura per gli altri era tanta. Non avrebbe esitato ad entrare nella villa per riprenderli e salvarli.
“Un po' di fortuna... Un po' di fortuna...”

Angolino!

Ecco il sesto capitolo! Spero che sia piaciuto. Faccio anche gli auguri per il nuovo anno! Auguri! Al prossimo capitolo!

PS= Ringrazio chi l'ha aggiunta tra le preferite e le seguite ^^!





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Capitolo 8
*** Dimmi la verità: io per te cosa sono? ***


                                                                                Capitolo 7

                                                                Dimmi la verità: io per te cosa sono?

Lilian li aveva rimproverati duramente. Non li aveva schiaffeggiati solo perché era una ragazzina educata. Ma il tempo per le sue tirate non c'era. Prima di tutto erano fuggiti con una corsa per la città impressionate. Si erano rifugiati in un parco, su delle panchine bianche. Era vuoto ed era un posto perfetto dove nascondersi.
Lucas si era buttato sulla panchina, gemendo di dolore.
Silvester e Martin avevano controllato il taglio e sanguinava abbastanza però non era in pericolo. Il proiettile lo aveva sfiorato per colpire poi il muro.
Lilian scappò via per cercare una farmacia che facesse il turno di notte, sfruttando la sua invisibilità e il fatto che ci fossero molte luci per strada, sentendosi al sicuro per un po'.
<< Tornerà presto >>, gli disse Martin.
<< Fa un male cane >>, disse con una smorfia. << Dobbiamo tornare a salvare gli altri due >>, aggiunse e una fitta dolorosa passò sulla spalla e strinse i denti.
<< Appena starai meglio >>, rispose Silvester, seduto al suo fianco.
<< Non c'è tempo. È chiaro che vogliono che torniamo indietro >>.
Lilian tornò, inciampando in una mattonella sconnessa e un paio di rami si allungarono per non farla cadere a terra e sfigurarsi il viso.
Sorrise a Martin e i rami tornarono indietro, al loro posto che occupavano da molti anni. Nella mano destra stringeva una busta bianca di carta, con il logo di una farmacia del Nevada. Si sedette al fianco del ragazzo ferito e rovesciò il contenuto sulla panchina, provocando un leggero rumore che si perse nell'ambiente silenzioso.
<< Possiamo farlo noi >>, disse Martin.
Scosse la testa. << Ho fatto un corso di pronto soccorso >>, li informò, leggendo il retro di un disinfettante e prendendo un tampone.
<< A quindici anni? >>, le chiese scettico Silvester.
<< A dieci >>, lo corresse, versando cinque gocce di disinfettante di un colore trasparente su un tampone bianco.
I tre ragazzi si guardarono alla risposta di Lilian. Lucas deglutì.
<< Di norma brucia ma nel tuo caso credo che non ti farà effetto. Oserei dire che la tua temperatura è sotto i ventitré gradi >>.
<< Lilian, come sai queste cose? >>, domandò Lucas.
<< Voglio diventare medico >>, confessò con fare tenero e un sorrisetto sulle labbra. Appoggiò le mani sul grembo e guardò Lucas. << Togliti la maglia >>.
Lucas sbarrò gli occhi. << Eh? >>.
<< Togliti la maglia >>, ripeté paziente lei.
<< Scordatelo >>.
I due amici si coprivano la bocca per soffocare le risate per l'imbarazzo dell'amico.
Lilian alzò gli occhi al cielo. << Non mi scandalizzo per due addominali, Lucas. Ho quindici anni e per tua informazione, frequentare una scuola femminile non implica non conoscere i ragazzi. Muoviti >>, tagliò corto.
Il ragazzo sbuffò e si sfilò la maglia e la sistemò con cura sullo schienale della panchina.
Lilian ridacchiò e finalmente si decise a medicargli la ferita. Se davvero voleva essere un medico, era sulla buona strada, pensarono tutti. Era brava sul serio. Fu veloce e pratica e prima che Lucas potesse dire qualsiasi cosa che la infastidisse, aveva già bendato la ferita.
<< Ora puoi rimetterti la maglia >>, disse con tono canzonatorio, riponendo il materiale avanzato nella busta. << Potrebbe servici ancora. Meglio tenerlo >>.
<< Che belle prospettive >>, sbuffò Silvester.
Lucas mosse un paio di volte la spalla ed era ancora dolorante.
<< Vacci piano. Non faccio i miracoli >>.
<< Torniamo indietro >>, disse determinato Silvester. L'aria intorno a loro divenne carica di umidità. << Scusate >>.
<< Con un piano però >>, precisò Martin. << Non alla ceca per farci uccidere tutti >>.
<< Concordo >>, disse Lilian. << E vi avverto che verrò con voi. Non mi interessa quello che volete dirmi, obbiettare, questionare. Sono grande abbastanza da badare a me stessa e sono protetta dall'Elemento >>.
<< Non ci proveremo. Tra te e Euridice non saprei chi è più testarda >>, disse Lucas, ricordando le tante prese di posizione dell'amica negli ultimi tre anni.
Silvester divenne pensieroso. << Speriamo stia bene >>.
Martin cercò di consolarlo. << Jonathan è con lei >>.
<< È proprio questo che mi preoccupa >>.

La stanza che Euridice aveva usato durante il breve soggiorno in quella villa non le era mai sembrata tanto piccola e somigliante a una prigione. Semmai un luogo dove rifugiarsi quando era stanca della sua nuova natura e dagli sguardi degli amici, un attimo solo per lei.
E invece, ora ,la vedeva come la più triste delle stanze. I suoi occhi vagavano solo in direzione di uno dei due letti presenti nella camera. Jonathan vi era steso, ancora svenuto.
Lei era seduta sul pavimento, sopra il tappeto verde. Si abbracciava le ginocchia e ogni tanto guardava la piccola telecamera installata in fretta e furia per non permettergli di fuggire e avevano sigillato anche la finestra.
L'unica nota positiva era che il ghiaccio secco era svanito da solo, sciogliendosi. Non le aveva fatto male.
Preoccupata per l'amico, si domandava a cosa lo avesse portato ad aiutarla, invece che fuggire con gli amici. Poi scosse la testa.
“Che domande ti fai, stupida? È tanto chiaro, limpido come una goccia d'acqua!. A volte sono proprio una stupida ragazzina. Una di quelle incantate, che non guardano come stanno le cose. Che preferiscono aspettare che tutto passi. Come vorrei che fosse così. Ma non sarà mai come desidero. Jonathan ha una cotta per me e io... cosa?”
Lo guardò e si accorse dei suoi occhi aperti che la fissavano. Arrossì senza capirne il motivo.
<< Eri pensierosa. Ho riconosciuto l'espressione >>.
Scivolò dal letto per sedersi al suo fianco. Euridice non si allontanò.
<< Come ti senti? >>.
<< Un gran mal di testa che mi sta sparando. Ma passerà >>, rise per rincuorarla. << E tu? >>.
<< Io sto benissimo. Non ho presa io la botta in testa. Non mi hanno sfiorata, non preoccuparti. A te la stronza ha dato la botta >>.
<< Che acidità amica mia >>.
<< Forse perché sono sotto tiro e sto per morire. E non posso tentare la fuga >>, indicò la piccola telecamera posta sopra la porta, con la spia rossa accesa.
Jonathan imprecò. << Accidenti. Questo complica le cose >>.
<< Dobbiamo aspettare gli altri. Speriamo vada tutto bene >>.
Jonathan annuì, concordando con lei. La guardò: i suoi occhi verdi erano tristi e arrossati. Pallida, quasi cadaverica. I capelli tinti di recente in un disordine che non le si addiceva. Eppure era sempre bellissima. Per Jonathan era la ragazza più bella mai incontrata in tutta la sua vita.
Ne aveva conosciuto di altre con brevi relazioni, tentativi di togliersela dalla testa. Inutile. Nessuna era come lei, come Euridice.
Euridice arrossì di nuovo alla vista di quello sguardo puntato su di lei. Poco amichevole.
Smise di guardarla, leggendo imbarazzo in quel rossore che le colorava le guance.
<< Cosa credi che ci faranno? >>, chiese Euridice.
Jonathan si strinse nelle spalle. << Ci uccideranno >>. Fu sincero.
Euridice reprimette il singhiozzo, non voleva apparire come una sciocca ragazzina.
<< Farà male? >>.
<< Non lo so. Non sono mai morto. Ma sono certo che non sarà doloroso. Vogliono gli Elementi, non farci soffrire >>.
Sconsolata, Euridice disse: << Non posso credere di morire in questo modo a diciassette anni >>.
<< Prima o poi doveva succedere >>.
<< Meglio dopo che prima. Perderò tante cose >>.
<< Del tipo? >>.
Sospirò e pensò. << Non mi diplomerò, né avrò la laurea. Non diventerò mai madre o moglie. Non ci sarò quando i miei beccheranno Alice in camera loro con un ragazzo >>. Jonathan aggrottò le sopracciglia e la guardò con un sorrisetto a metà, scettico. << Per com'è lei, me lo aspetto. E non avrò il mio primo ragazzo. Per ultimo non farò mai... >>. Non completò la frase e il rossore aumentò.
Quella timidezza faceva parte di lei e lui l'adorava.
Jonathan rise e comprese. << Non essere tanto pessimista. Potremmo anche salvarci >>.
<< Ma non eri tu che mi hai risposto “moriremo”, due minuti fa? >>.
<< Te l'ho detto perché è una possibilità. Ma è anche una possibilità che ci salviamo >>.
Ma Euridice era troppo affranta e negativa per dar retta a quelle parole e Jonathan non la biasimò.
Prese un bel respiro per frenare le lacrime. << Gli altri saranno preoccupatissimi. Lilian avrà fatto il diavolo a quattro e poi... >>.
Il respiro, i polmoni bloccati.
Gli occhi sgranati.
Euridice era sicura di cadere a terra da un secondo all'altro. Si manteneva con una mano sul pavimento e l'altra sospesa a pochi centimetri da esso.
Ma la troppa sorpresa le fece perdere l'equilibrio e un braccio la sostenne per la vita, non lasciandola cadere.
Le labbra di Jonathan premevano con forza sulle sue e lei era immobile, rigida come una statua.
Poi la sorpresa svanì per essere sostituita da altro.
Strinse gli occhi a fessura, irritata. Alzò la mano sinistra, tese il palmo della mano al massimo, decisa a dargli uno schiaffo per farlo allontanare. Caricò la mano e stava per colpirlo, pochi centimetri e ci sarebbe riuscita. Ma la mano del ragazzo era sul suo polso e lo stringeva per impedirle di opporre resistenza. E non la lasciò come se fosse la cosa più importante del mondo.
Euridice non voleva ricascarci ed era praticamente inerme.
Il ragazzo portò la mano bloccata tra i suoi capelli e a quel punto Euridice cedette.
L'altro mano accarezzò il braccio del ragazzo e fu lei ad approfondire il bacio per prima. Quell'iniziativa piacque a Jonathan e la strinse di più contro di sé.
Il cuore della ragazza andava a mille e la sua temperatura aumentava e i capelli erano scossi da una leggera brezza che danzava per la stanza. Piccole fiamme si muovevano fluide sulla pelle, quasi invisibili a occhio nudo. Ma dolevano.
Jonathan sciolse l'abbraccio, si stava scottando. Ma non le lasciò le labbra di Euridice, non l'avrebbe fatto per niente al mondo. Considerava quel leggero dolore niente in confronto a quel bacio, un remake di quello della spiaggia con la differenza che Euridice non aveva tentato di schiaffeggiarlo, la prima volta.
E questa volta, non l'avrebbe fatta fuggire come l'estate scorsa. Era bloccata in una camera e doveva parlare.
Fu Euridice a smettere di baciarsi. Si allontanò e non lo guardò, rendendosi conto di cosa aveva fatto. Jonathan si portò una mano alle labbra, mugolando. Erano caldissime.
<< Ti ho fatto male? >>, gli domandò mortificata.
Le sorrise. << Neanche un po'. Le tue labbra e la tua bocca erano un po' bollenti >>.
<< Scusa >>, sussurrò a disagio.
<< Non fa niente >>, disse dolcemente.
Un tocco caldo si posò sulla mano di Jonathan e guardò la chiara mano di Euridice.
<< Perché mi hai baciata? >>.
<< Perché ti amo >>, disse come se niente fosse. Come se Euridice avesse dovuto intuirlo da sola e lo avesse capito e perciò non doveva sorprenderla.
La ragazza lasciò la sua mano ed ebbe la sensazione di andare ancora una volta a fuoco. Portarsi la mano alla bocca fu istintivo.
Jonathan strisciò fino ad essere vicinissimo come quando si erano baciati.
<< Io sono pazzo di te da quando ti conosco. Dal primo giorno. E anche se ho avuto altre ragazze, tu eri sempre nei miei pensieri. Nessuna era come te. Nessuna >>. Sussurrò l'ultima parola. Si sporse per baciarla ancora. Lei si mise una mano sulle labbra e lui si fermò, turbato.
<< Davvero? >>.
<< Non mentirei mai. Non posso mentire con te. Ti amo da almeno due anni e in tutto questo tempo... >>, le toccò una guancia e lei glielo permise, ormai in parte arresa. << … ti ho guardata in silenzio, come amico. Ed ora che sto per morire, voglio che tu lo sappia. Sarò in pace con me stesso >>.
Voleva cedere, Euridice. Cedere a quegli occhi color del cielo, stringergli le mani e baciarlo di nuovo, perdersi nel tempo con lui, perlomeno finché non fossero stati salvati o sarebbero morti.
In tre anni non aveva mai preso in considerazione di stare con Jonathan.
Non si era mai immaginata un futuro con lui. Mai mano nella mano,a passare le feste insieme, trascorrere serate a passeggiare per Mesa e forse anche...
Non fino a quel momento.
Ora vedeva tutto. Si dispiegava davanti a lei come un disegno creato da un disegnatore di talento.
In tutti quegli anni non si era sentita pronta per avere una relazione. Ma quel “ti amo” aveva sciolto le sue paure, liberando il suo cuore e lasciandolo libero di sentire ciò che provava.
Jonathan attendeva una risposta, una qualsiasi risposta.
<< Non ti dirò che ti amo >>, disse finalmente. << Perché sarebbe una bugia >>.
<< Potresti amarmi >>.
<< E se non dovesse accadere? >>, gli chiese timorosa.
Le sorrise teneramente. << Accadrà. So che accadrà. Smettila di essere pessimista >>.
Le prese ancora una volta la mano, incandescente ma non la lasciò ugualmente. La strinse. << Mi amerai, lo so. Dentro di te c'è un sentimento per me che hai messo a tacere dall'anno scorso >>.
Euridice rimase in silenzio, solo a guardarlo negli occhi. Poi smise di farlo. << In conclusione, mi stai chiedendo di mettermi con te? Ora? >>.
<< Che intuito >>, la prese in giro ridendo.
Scosse la testa. << Non ora. Ci devo pensare >>.
Rimase basito. << Non è difficile. Sì o no >>.
<< Ma non so quale risposta darti, Jonathan >>.
Lasciò la sua mano e scosse la testa, gli occhi azzurri tristi. << Okay >>, disse. << Aspetterò >>.

La villa degli zii di Martin era circondata da uomini vestiti di scuro e dentro la struttura ne giravano altri con torce per non accendere le luci della casa.
E nascoste sotto le giacche, pistole argentate.
Lucas, Martin, Silvester e Lilian erano nascosti in un angolo di una villetta, studiando la strada, decidendo come agire.
<< Ho un'idea >>, disse Martin.
<< Parla >>, lo spronò Lilian, scrutando la strada e gli uomini.
<< Gli uomini al cancello possono darci noi. Credi di farcela a neutralizzarli? >>. Si rivolse alla ragazzina bionda a mezzo metro di distanza da lui.
<< Dovrei spegnere la pila >>, disse seria. << Non posso. La notte non servo granché >>.
<< Attaccali alle spalle: in questo modo non vedranno la luce della pila >>, suggerì Lucas. << Neanche io sarò molto d'aiuto. La spalla fa ancora male >>.
Lilian si concentrò e sparì dalla loro vista. Fissarono il punto in cui si trovavano i due uomini.
Per i primi tre minuti non accade nulla. Poi due botte secche e gli uomini erano sul selciato sporco. Lilian gettò a terra la pistola che era riuscita a sottrarre a uno dei nemici, sfilandogliela dalla cintura, calciandola sotto una macchina.
Tornò visibile e fece segno agli altri di seguirla. Si inoltrò nel giardino, correndo velocissima e si nascose sotto la quercia. Quattro uomini si aggiravano per il perimetro del giardino, parlano fra loro di tanto in tanto. Raggiunsero la bionda in poco tempo e si acquattarono sotto le fronde delle piante.
<< Martin >>, sibilò Lucas.
L'amico cominciò a fissare il terreno...

La rossa che tanto sembrava avercela con Jonathan, guardava fuori dalla finestra del salotto, controllando la situazione e attendendo.
Mark aveva un'ottima reputazione di lei e le affidava compiti del genere senza temere un fallimento.
Di colpo, la donna sorrise.
Chiamò un nome e uno degli uomini al suo servizio si avvicinò.
<< Sono qui >>, disse semplicemente.
I quattro uomini che sorvegliavano il giardino erano distesi a terra, svenuti e con un brutto livido sul capo.
Il segno che aspettava.
L'uomo a cui la donna aveva confidato che i ragazzi erano arrivati, uscì dalla porta sul retro con altri cinque armati di grosse pistole.
Senza attendere un comando, spararono.
Ignorando il dolore lancinante, Lucas reagì prontamente con lastre di ghiaccio. Le lastre cedettero e sparirono. Silvester sfruttò l'acqua nell'aria e approfittò del loro attimo di distrazione. Una bolla enorme si abbatté sui nemici. Le pistole erano troppo fradice per sparare.
<< Maledizione sono solo dei ragazzini! >>, strillò quello che pareva il capo, pieno di rabbia. Guardò Lilian. << E questa mocciosa chi è? >>.
Fissandolo molto male, Lilian si sfilò la pila dal collo e puntò la luce sull'erba bruciacchiata. L'altra mano si tese e i raggi si condensarono sulla sua mano libera. Una piccola pallina venne lanciata nell'aria: distese il braccio destro e all'improvviso schioccò le dita. La pallina divenne lucente ed esplose e una luce accecante inondò i presenti e Lilian trascinò gli altri lontano, fino ad entrare in casa.
<< Caspita, Lilian. Non era male >>, si complimentò Silvester, stropicciandosi gli occhi.
<< Oh, una cavolata. Alla faccia della mocciosa >>, fece la modesta lei.
La donna dai rossi capelli si presentò all'ingresso e urlò vari nomi e altri nemici arrivarono. Lilian accese la luce, toccando l'interruttore posto accanto alla porta. Adoperò la luce per colpire le sfere di energia i nemici e la donna.
Un gettò d'acqua mandò al tappeto il più resistente e Silvester ne fu soddisfatto.
<< State imparando >>, disse la ragazzina salendo le scale e si fermò per un fucile puntatole contro il petto, all'altezza del cuore.
<< Un altro Elemento! Come sarà felice Mark! >>.
Un sottile rampicante se la prese con l'aggressore e lo gettò oltre il corrimano. Proseguirono e vennero fermati da altri...

Jonathan e Euridice non si fissavano, non si guardavano. Il silenzio era il loro compagno.
Poi, i rumori della lotta arrivarono anche ai due. Si alzarono dal freddo pavimento e su cui erano seduti.
<< Sono arrivati e direi che se la stanno cavando >>, disse Jonathan che avrebbe tanto voluto essere con i compagni.
Euridice guardò la porta. < Scappiamo adesso >>. Si alzò in punta di piedi e non arrivava comunque alla telecamera. Creò molto calore per scioglierla. Quella prese a squagliarsi e la plastica argentata si appiccicò sul muro. Annuì tra sé e sé.
Si allontanò e fece un cenno con la mano al ragazzo.
Jonathan si allontanò fino al fondo della stanza per creare un turbine abbastanza forte da scardinare la porta. L'azione fu utile anche agli amici: la porta investì due uomini che caddero oltre la balaustra.
Gli amici si affacciarono, piccole ferite ma niente di grave.
<< Potevano farvela venire prima quest'idea >>, disse Lucas, una mano sulla spalla troppo forzata.
Non volevano dargli il tempo di reagire e corsero giù per le scale ma prima Euridice volle recuperare le ricerche o almeno volle provarci. Le trovò in salotto, un inaspettato colpo di fortuna. Recuperò tutto e scappò fuori con il fiato assente e la razionalità sparita. La paura dominava. Mossi dall'istinto di sopravvivenza, corsero per un sacco prima di fermarsi in un parco verdeggiante, lo stesso dove Lilian aveva curato Lucas.
<< La prossima volta ve la cavate da soli >>, disse Silvester, con difficoltà. Non aveva più ossigeno.
<< Concordo >>, disse Lilian, una mano sul cuore e tutta sudata.
<< Ti hanno vista Lilian >>, fece Lucas, seduto contro un albero.
La ragazzina si strinse nelle spalle, dandoci poco peso. << Pazienza. Tanto mi avrebbero vista comunque >>.
<< State bene? >>, chiese ai due, Martin.
Annuirono.
<< Non ci hanno toccati >>,  aggiunse Euridice, per farli sentire meglio.
<< Ed ora? >>. Jonathan pose una domanda difficoltosa.
<< Riprendiamoci e poi partiamo >>, rispose  Lucas.
<< E con quale auto? E dove? >>, questionò Euridice, riprendendosi poco a poco.
<< La mai macchina... >>, gemette Martin, coprendosi il viso con le mani.
<< Usate una delle nostre >>, disse Lilian. << Non è un problema >>.
<< E le nostre cose? >>. Euridice pensava a tutti gli effetti personali abbandonati nella villa.
<< Dovremmo comprarne di nuovi. I soldi non ci mancano >>.
Una delle poche note positive era che nessuno dei cinque era di famiglia povera.
<< Per stanotte non muoviamoci da qua. Domani mattina andremo a casa di Lilian e andremo... dove? >>, concluse Jonathan.
Non ne avevano la minima idea.
Fu Lilian a rispondere. << E se andassimo a Salt Lake City? >>.
La fissarono come se fosse diventata arancione.
<< Be'? Che avete contro lo Utah? >>.
<< Niente. Credo che la domanda sia: perché? >>, disse Euridice.
<< I miei hanno un paio di case, due villette normalissime >>.
<< Salt Lake City è oltre le montagne e sono seicento chilometri, se non di più. Come facciamo? >>. Martin era preoccupato.
<< Possiamo farci portare con il jet di famiglia >>, disse semplicemente Lilian.
<< Avete un jet? >>, chiese stupita Euridice.
<< Eh sì >>, rispose. << Poi... se non ricordo male, mio padre non ha mai tolto la sua vecchia auto... Coraline... La chiamava così. Sapete mio padre è nato nelle vicinanze di Salt Lake City. È stata la sua prima auto. Pensi funzioni ancora >>.
<< E Salt Lake City sia! >>, esclamarono tutti.
Una meta dove andare, li faceva sentire meglio come se avessero un piano a cui aggrapparsi. Non sapevano per quanto potessero nascondersi lì ma qualche giorno di pace gli era utile per riordinare le idee. Quella giornata li aveva sconvolti e travolti. Ne aveva già abbastanza.
Euridice si era accorta dello sguardo di Jonathan, ma faceva finta di non vedere. Alla fine, non riuscì ad ignorarlo.
Si alzò dalla panchina e con la scusa di voler fare una passeggiata, si allontanò dal gruppo. Dieci minuti dopo, Jonathan la seguì.
Si guardarono e Lilian fissò la coppia. I quindici anni su di lei si facevano sentire male. Era molto più grande della sua età.
Silvester si chiese cosa fosse successo nella stanza. E una tristezza lo invase.

Ferma a fissare la luna e il cielo stellato. Sfioravano il suo viso come una lieve carezza come se volesse consolarla di quella vita che il destino le aveva donato.
Una leggera brezza calda le scompigliò i capelli ma non si voltò.
Jonathan la fissava e attendeva.
Fece qualche respiro calmo e quando si voltò, Jonathan l'aveva raggiunta con un salto leggerissimo e insonorizzato. La vicinanza improvvisa la spaventò e ne fu felice allo stesso tempo.
<< Allora? >>.
Euridice deglutì e cercò di non perdere la lucidità. Non lo fissò negli occhi per essere sicura di non cadere in qualche strana attrazione.
Finalmente lo guardò.
<< Io... >>.


Angolino!


Sì, sono abbastanza cattiva a mollare il capitolo a questo punto. Ma non riuscivo a concluderlo in modo diverso. Insomma, saprete tutto nel prossimo. Ciao ciao!









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Capitolo 9
*** Tre settimane dopo... ***


                                                                Capitolo 8

                                                            Tre settimane dopo...


<< Per fortuna che l'auto funzionava ancora! >>, si lamentò Lucas. Era seduto dentro Coraline, l'auto di cui Lilian aveva tanto parlato bene ed era appartenuta a suo padre. Datata di prima mano 1985, blu scolorita, emanava un fastidioso e acre fumo scuro. Il motore sussultò qualche volta prima di spegnersi definitivamente.
<< Be', che pretendi? Quella macchina ha quasi venticinque anni >>, replicò Lilian, appoggiata a un bancone del garage, intenta a passarsi la lima sulle unghie. La posò e passo allo smalto bianco perlaceo.
Lucas cacciò fuori la testa dal finestrino. << Ehi, ragazzina! Potresti farti dopo le unghie e aiutarmi >>.
<< Non sono un meccanico! >>, protestò lei. << E poi ho lo smalto screpolato, che credi? >>.
<< Donne >>, bofonchiò Lucas, tornando all'auto e dandogli un pugno sul cruscotto.
Era passato quasi un mese da quando si erano dati alla fuga e tre settimane da quando erano scappati da Carson City. Convincere David, il maggiordomo che tanto voleva bene a Lilian, non fu semplice. Lei gli promise che sarebbe tornata prestissimo e di consolare i suoi da parte sua. E se qualcuno si presentava alla villa, vestito di scuro, non doveva dire niente che potesse compromettere la loro sicurezza. Il vecchio uomo li aveva accompagnati personalmente a Salt Lake City con il jet di famiglia e lasciati in un posto sperduto della città, la più importante dello Utah.
E poi se ne era andato con le lacrime agli occhi e guardando male i cinque che avevano trascinato Lilian con essi.
La casa scelta dove alloggiare e ritrovare un po' di tranquillità non era bella e grande come villa Doolan ma non era male neanche quella. A due piani, color lilla e con il tetto a punta rosso, tegole disposte in modo regolare e pulite. Il piano terra era composto da una cucina, un salotto e due bagni e una camera. Il piano superiore da un altro bagno e tre camere da letto e una scaletta conduceva a un solaio che ospitava un piccolo bagno. Dato che le camere erano meno di loro, Lilian e Euridice dividevano quella al piano terra e Silvester la divideva con Lucas.
In quelle tre settimane si erano ripresi ma erano scossi comunque. Nessuno era venuto a cercarli e questo li inquietava non poco. Da un momento all'altro, potevano tornare e ucciderli.
Guardando la televisione, le foto dei cinque e in seguito quella della ragazzina erano presenti in tanti telegiornali. Un appello a chi sapesse qualcosa e aiutasse le famiglie e riaverli.
Per la prima volta, videro i signori Doolan in televisione. Dieci anni in più rispetto alla foto sul comò nella camera di Lilian, ma comunque belli come la figlia.
La signora Natalie Doolan piangeva davanti alla telecamera, disperata da giorni e giorni di angoscia. Il marito, Justin Doolan, erano distrutto dal dolore. Avevano rimandato tutti gli impegni di lavoro per gettarsi nella ricerca di Lilian ma brancolavano nel buio. Segno che David si era stato zitto.
A Lilian le si era stretto il cuore a quella scena però non poteva farci niente. Sperava nel suo ritorno il prima possibile e rivedere il sorriso di sua mamma e di suo papà.
Giugno era a metà e la scuola era terminata. Perdere un mese di scuola poteva essere fatale per i sei. Lilian era al primo anno e doveva passare al secondo e quel mese di scuola non aveva contribuito ad aiutarla. E Jonathan sperò di non perdere un secondo anno.
La situazione era calma, per il momento.
Ma qualcosa turbava tutti. Un'atmosfera che si era creata ventuno giorni prima. La notte della decisione di Euridice, una decisione che era costata troppo a Jonathan e a lei stessa.

<< Io... >>.
Euridice non aveva proseguito. E Jonathan era rimasto a fissarla, prendendole le mani e stringendole.
<< Jonathan, non credo sia la situazione migliore per una relazione >>.
Quelle parole ebbero lo stesso effetto di un fulmine sul giovane. Aveva lasciato le sue mani ed era arretrato di un paio di passi da lei, distanziandosi ben bene come se ne avesse paura. E in effetti ne aveva. L'unica che poteva fargli del male, ferirlo, era Euridice.
<< Non dirai sul serio >>, era riuscito a dire.
<< Dico sul serio. Metterci insieme in questo tumulto, complicherebbe le cose. Baciarmi è stato un errore, un grosso errore. Ha solo reso tutto più difficile. Cerca di capire e non odiarmi troppo >>.
La verità era un'altra. La ragazza avrebbe tanto voluto dirgli di sì, stare con lui, concludere quella decisione felice con un altro bacio. Ma non poteva essere egoista: la situazione era già complicata, la loro vita appesa a un filo sottile che Mark poteva spezzare a suo piacimento.
Jonathan era rimasto immobile per diverso tempo, a guardarla senza emozioni nei suoi occhi sempre allegri e che incantavano la giovane Rosetti.
Poi le aveva dato le spalle e corso via, per sfuggire a lei e ai suoi occhi di cui era innamorato. Ed Euridice era caduta sull'erba, le mani a nascondere il viso, a piangere e rimanendo lì finché la figura luminosa di Lilian non si era fatta strada fino a lei e l'aveva abbracciata per consolarla.

Euridice preparava il pranzo per sé e per i suoi amici ed era in ritardo. Passò un dito sul gas e una fiamma guizzante circondò la piastra usata per cucinare. Mise le pentole sulla fiamma alzata al massimo e poi si appoggiò al bancone della cucina. Si occupava sempre lei di faccende simili nelle ultime settimane. Un modo per sfuggire a Jonathan e alle sue occhiate tristi. Perché da quella notte, i suoi occhi erano spenti.
E lei si sentiva colpevole.
Voleva chiedergli scusa per poi rendersi conto che erano scuse inutili, lo aveva ferito, illuso ancora.
Buttò la pasta e chiuse la pentola con il coperchio tintinnante, quasi sbattendolo per sfogare la rabbia e la frustrazione che l'attanagliava senza lasciarle scampo. Il coperchio cadde per terra per la troppa forza.
Lilian lo raccolse e glielo porse.
<< Irritata? >>.
<< Arrabbiata, frustrata, piena di sensi di colpa >>, rispose, rimettendo il coperchio dov'era.
<< Parla con Jonathan >>.
<< No >>, disse categorica.
<< Sono giorni che non vi rivolgete la parola. A malapena vi sfiorate con gli occhi. Lui ti ama e anche tu >>.
<< Io non amo Jonathan >>.
<< Negare è una parte tanto istintiva nelle persone >>, si sedette sull'unica sedia del cucinino. << Smettila di prenderti in giro. Mi hai raccontato quello che è successo nella camera e a me sembra che a te non abbia fatto schifo >>.
<<  Certo che no >>. Si coprì la bocca con le mani come per non far uscire altro di compromettente.
Lilian sorrise trionfante. << Visto? >>.
<< Non cambia le cose. Non posso andare e dirgli: “Ehi, ho cambiato idea. Voglio mettermi con te” >>.
<< Potresti se non fossi tanto orgogliosa >>, disse lei, inarcando le sopracciglia.
<< Hai quindici anni o trenta? >>.
Rise. << A volte mi sembra veramente di averli >>, disse improvvisamente triste.
<< Passerà >>, disse rincuorante Euridice, dandole un breve abbraccio e lasciandola subito.
Un odore di bruciate le invase le narici.
La pasta stava bruciando.

Si erano dedicati anche allo studio delle ricerche del padre di Euridice. Un foglio attaccato nel salotto aveva tracciato tutti gli indizi più importanti e scritti tutti gli Elementi.
I principali acqua, fuoco, terra e aria erano in loro possesso così come il ghiaccio e la luce, due complementari.
All'appello mancavano: roccia, metallo, sabbia, buio, elettricità.
Cinque Elementi. Si chiedevano se erano ancora incastonati in qualche roccia sperduta o nascosti sotto terra. O assorbiti da altre persone.
L'ipotesi più plausibile, suggerita da Euridice, era che si trovassero tutti in America. Il semplice motivo era dovuto al fatto che i sei che avevano scovato erano lì da secoli e secoli. E l'America era stata scoperta seicento anni prima. Questo voleva dire che non si erano mai mossi da lì.
Cinque a Mesa, uno nelle vicinanze di Carson City. Nevada e California. E gli altri cinque?
Non potevano usufruire di Internet per non avere un indirizzo IP rintracciabile. Silvester era pratico di PC.
Un Internet Point poteva essere una soluzione. Decisero di mandarci Euridice, l'unica che avesse i capelli tinti e quindi difficile riconoscerla.
Un assolato pomeriggio, la ragazza in compagnia di Lilian era uscita di casa in modo furtivo. Invisibili entrambe per più sicurezza, camminavano per strada fino a un café adibito a Internet Point. A quel punto, Lilian si nascose in un vicolo ad attenderla.
Euridice era entrata nel posto con fare naturale. Poi si era fatta dare una postazione ed era rimasto a fissare lo schermo del computer fisso, grigio, che aveva dinanzi. Tamburellava con le dita il tavolino, senza sapere da dove cominciare. Decise di cercare tra gli eventi inspiegabili successi negli ultimi dieci anni.
Aprì la pagina di Google e digitò qualche parola.
I risultati erano troppi e li guardò con orrore. Tornò indietro e mise parole più specifiche.
Passò così un'ora intera di ricerche.
Una mano le si poggiò su una spalla e saltò sulla sedia.
Un giovane ragazzo dal bel sorriso le sorrideva cordiale.
<< Scusa >>, disse dispiaciuto. Tolse la mano e l'agitò.
<< Scusa tu >>, disse lei. << Sono un po'... Non importa >>.
<< Mi chiedevo se ti mancasse molto. Sai, tutti i computer sono occupati e tu sei qui da... >>, guardò l'orologio. << Un'ora e mezza >>.
<< Davvero? >>, chiese stupita. < < Non me ne sono neanche accorta >>. Guardò il PC e poi lui. Fece un gesto scocciato. << Usalo. Tanto non mi serve più >>.
Si sedette al suo posto. Euridice gli fece un cenno di saluto e se ne andò via. Uscì dal caffè livida di rabbia per non aver trovato niente.
Vide la mano di Lilian agitarsi a mezz'aria che le faceva segno di raggiungerla.
<< Quanto ci hai messo? >>.
<< Mi dispiace. Non ho trovato niente >>.
<< Favoloso >>, disse ironica. Poi si fece maliziosa. << Chi era il bel ragazzo che ti ha preso il computer? >>.
<< Uno a cui serviva ed è troppo grande per te >>, ci tenne a precisare e Lilian sbuffò.
Si avviarono per tornare a casa e Lilian bloccò Euridice davanti a una vetrina di cosmetici. Aveva visto un colore di smalto che le mancava e la pregò di farla entrare e prenderlo. Acconsentì e si sentì tanto una mamma paziente.
Attese, appoggiata contro il muro accanto alla porta, osservando il mondo scuro dietro le sue lenti nere. Le macchine correvano veloci sulla strada e tante altre persone passeggiavano tranquille e Euridice le invidiò.
Di colpo, una scena attirò la sua attenzione. Un gruppetto di bambini stava giocando a pallone in un parco vicino e la palla sfuggì e cadde in strada. Un bambino sfrecciò senza controllare le macchine che passavano e una andava a forte velocità, diretta proprio contro di lui. Euridice si staccò dal muro e voleva intervenire ma facendolo avrebbe dato nell'occhio.
Poi tutto divenne scuro. Urlò e si stropicciò gli occhi.
Un urlo da congelare il sangue provenne da Lilian, da dentro il negozio. Quel buio improvviso l'aveva terrorizzata.
Quando la luce tornò, Lilian era aggrappata a Euridice, pallida come una morta e cosa incredibile, il bambino salvo.
<< Cos'è stato? >>, chiese a fiato corto Lilian.
<< Dubito che il sole si sia spento, Lilian. Un Elemento >>, disse con certezza assoluta.
<< A Salt Lake City?! >>.
Senza aggiungere altro, la trascinò a casa, lasciando le persone in strada scioccate e il bambino consolato dalla madre.
Tornate a casa, raccontarono l'accaduto agli amici e anche loro erano molto confusi. Possibile che avessero già trovato un Elemento?
Il ritrovamento di Lilian li aveva scioccati ma addirittura due in meno di un mese era troppo.
<< Qualcosa non quadra >>, disse Silvester, seduto sulla poltrona del salotto a braccia incrociate.
<< Spiegati meglio >>, lo invitò Lilian.
<< Pensateci un attimo. Abbiamo trovato i quattro Elementi principali e uno complementare a Mesa. Giovanni Rosetti era lì da tre anni, ha girato nei dintorni senza mai trovarli e poi... puff!... saltano fuori proprio a Mesa! Andiamo a Carson City e incontriamo Lilian. Ed ora questa nuova traccia >>.
<< È come se... ci stessero... aiutando >>, disse Martin, comprendendo dove voleva arrivare Silvester.
<< Esatto >>, confermò l'amico.
<< È ridicolo >>, disse Jonathan, per niente d'accordo. << Chi ci aiuta? E perché? >>.
<< Non ne ho idea. Ma chiunque sia, che si faccia vedere presto >>, disse Lucas.
La discussione cadde e ognuno torno alle sue faccende, evitando di pensare a quella storia per un po' di tempo. Lilian si era ripresa ed era tornato la solita ragazzina rompiscatole che litigava con Lucas.
La sera giunse, con la luna a metà che guardava il mondo dall'alto come faceva ormai da millenni.
Euridice si era seduta sul dondolo posto su un portico di legno recentemente ristrutturato. Dondolava leggermente per l'aria freddina che si era innalzata da qualche ora. In quella città, vicino alle montagne, faceva un po' meno caldo. Ma per lei non avrebbe fatto differenza. Non indossava maglioni o giacche. I vestiti corti e senza maniche erano diventati il suo abbigliamento quotidiano.
Appoggiò la testa contro la struttura in legno del dondolo e sospirò, chiudendo gli occhi. Esprimendo un desiderio a quelle stelle, fedeli amiche della luna. Chiedendogli di renderla felice, che ogni cosa tornasse al suo posto. O riportare indietro il tempo di un mese, non andare mai in quella caverna, non aver baciato una seconda volta Jonathan ed essere fuggita di casa.
Sentiva tanto la mancanza della famiglia e avvertiva l'ansia che doveva ucciderli.
<< Princesa >>. Il nomignolo la fece sorridere.
Fece posto a Silvester.
<< Sei triste? >>, le domandò.
<< Un po' >>.
Silvester si guardava le mani e contorceva le dita. Aveva saputo quello che era accaduto nella stanza ed era stato molto male. Ormai era certo: aveva una cotta per Euridice. Avrebbe voluto confessarglielo e farlo significava mandarla più in crisi di quanto già non fosse. Restare ai margini, l'amico di tutti i giorni, era difficile.
Guardarla era vedere la bella ragazza che era cresciuta in quegli anni con lui. La goffa quattordicenne, seppur carina, era divenuta la diciassettenne che Jonathan amava e per cui Silvester aveva una cotta.
<< E per lui? >>.
<< Sì. È sempre per lui >>, disse. << Non capisce che così mi complica la vita? Non ci arriva? Non gli ho mica detto un “no” tassativo! Semplicemente non ora, non in questo frangente >>.
Disse tutto in fretta, sfogandosi e Silvester l'ascoltò. Jonathan aveva ragione nel dire che era un po' ingenua. Come poteva non capire del tutto lo sguardo scuro di Silvester? Di com'era cambiato? Dava per tutto per scontato, lei.
<< Quindi tu non ti metterai con lui? >>.
Aggrottò le sopracciglia. Non si era aspettata una domanda simile. << Ehm... no >>.
<< Se questa è la tua decisione, deve rispettarla. Però smettetela di evitarvi. Questo non giova alla situazione. Ritornate amici >>.
<< Non posso essere amica di uno che si dichiara innamorato di me e mi ha baciata due volte e la seconda praticamente non mi ha lasciato via di fuga. Non potrà mai essere come prima >>.
Silvester cercò di contenere la gelosia che lo divorava. << Sei sempre tanto testarda >>.
<< Non sarei Euridice. Non trovi? >>, disse ridendo e il ragazzo si unì a lei.
Silvester restò sul dondolo ancora un po' e una luce danzante gli si parò davanti alla faccia. La scacciò come se fosse una zanzara fastidiosa.
<< Io le chiamo lucette notturne >>, disse la ragazzina, sulla soglia della porta. << Sono tante carine >>.
La lucetta si spense quando un po' d'acqua la bagnò e svanì in un leggero fumo.
<< Cattivo! >>.
<< Non è il momento, Lilian >>.
Fece per andarsene ma prima disse: << Eh... l'amore fa male... >>.
Silvester la bloccò per un braccio. << Che hai detto? >>.
Lo guardò. << Io ho capito >>.
<< Sei una ragazzina insopportabile >>.
<< Gli altri dicono perspicace >>, lo corresse con fare altezzoso e poi sorrise. << Hai anche tu una cotta per lei, vero? >>.
La lasciò andare. << Okay. Sei contenta? >>.
<< Povera Euridice. Non fa niente per farsi piacere eppure piace. Ed è una grande ingenua per non accorgersene >>.
<< Lei ha una visione semplice del mondo, tutto qua >>, disse per difenderla.
<< Parla come Silvester non come il ragazzo che vorrebbe fare molto di più che sfiorarle una mano >>. Era molto seria. Gli occhi blu si addolcirono. << Glielo dirai? >>.
<< Cosa?! >>, esclamò lui. << Per metterla definitivamente K.O? Assolutamente no >>.
<< Non fa mai bene tenersi i sentimenti dentro, Silvester. Presto, guardarla non ti basterà più. Lei starà con Jonathan >>.
<< Pensavo che brillassi come una bajour non che vedessi il futuro >>.
<< Non guardo il futuro. Guardo la realtà >>. Detto questo rientrò in casa.
Silvester rimase solo, ancora con la mano tesa per fermarla e parlarle ancora. Ritrovandosi solo con i suoi dolori e la realtà che Lilian gli aveva appena mostrato.

Indecisa o no se bussare, mordendosi un labbro. Il pugno alzato, ma non osava toccare il legno della porta, bussare e far uscire Jonathan da lì.
Poi si decise e lo fece senza pensarci.
I passi assonati del ragazzo le giunsero alle orecchie e aprì la porta, girando la chiave nella toppa. Aveva la cattiva abitudine di dormire con la porta chiusa a chiave.
I primi secondi si bloccò come se fosse pietra. Euridice lo guardava imbarazzata. Praticamente era la prima volta che cercava di spiccicare parola davanti a lui.
Jonathan si ridestò e si appoggiò contro il bordo della porta, aperta in parte come se volesse chiuderla.
Euridice aprì bocca per parlare ma non uscì alcun suono.
Il ragazzo si passò una mano fra i capelli. << Sei venuta qui per parlarmi o rimanere imbambolata? >>.
<< Per... parlarti >>, riuscì a dire. Si sentiva tanto stupida.
<< Se sono scuse non le voglio. Non è questo quello che voglio sentire da te >>.
<< Non sono venuta per darti scuse inutili >>.
Guardò il corridoio deserto e la porta di fronte, un'altra camera occupata da Lucas.
<< Entri? >>.
Esitò. << No! >>.
Ridacchiò. << È così hai paura di stare sola con me >>.
<< Non confondermi. Non sono qui per cadere tra le tue braccia ma per un compromesso >>.
<< Un compromesso? >>.
<< Sì. Basta silenzi, basta occhiate tristi. Io e te non siamo una coppia, non possiamo essere più gli amici di prima. Ma cerchiamo di comportarci da persone... normali >>.
Jonathan inarcò le sopracciglia.
<< So che in questo periodo la parola “normale” non fa parte del nostro vocabolario però vorrei cercare di sistemare le cose. Gli altri non c'è la fanno più a vederci combinati in questo stato >>.
<< L'hai voluto tu, questo stato >>, le ricordò con un tono sgradevole.
<< Lo so >>, convenne lei, prendendo ampi respiri per non piangere e ricordare quella scena del parco di tre settimane prima. << E me ne prendo le responsabilità. Ma ora smettiamola. Siamo grandi per comportarci così >>.
Annuì. << Come vuoi. Buonanotte Euridice >>. Stava per chiudere la porta ma la ragazza lo fermò.
Lo guardò con occhi stupiti. << Tutto qui? Non vuoi provare a farne un altro, a protestare, strillare o altro? >>.
<< Devo baciarti? >>, chiese confuso.
<< Non intendevo questo. Intendevo che non hai detto niente >>.
<< Se è questo quello che vuoi io non posso obbiettare. Se vuoi, lo faccio volentieri >>. La stava chiaramente prendendo in giro.
<< Okay, smettiamola qua. Buonanotte >>. Si girò di scatto e se ne andò. A metà corridoio   si voltò di nuovo, irritata. << E piantala di fissarmi! >>.
Jonathan rise e rientrò nella sua camera.
Euridice scese le scale e si rifugiò in camera sua, gettandosi sul letto a peso morto, senza mettersi il pigiama.
Per accorgersi poi di Lilian che la guardava, stesa nel suo letto con un libro aperto. Sconcertata.
<< Ho parlato con lui >>.
<< Ah... >>, mormorò, posando il libro sul comodino. << E come l'ha presa? >>.
<< Troppo bene >>, disse ricomponendosi. << Avrei preferito strilli, proteste >>.
Lilian scoppiò a ridere di gusto. Euridice la guardò male.
<< Sai perché? Così potevi cedere e invece reagendo in questo modo non avevi la scusa. Bravo Jonathan >>.
<< Figlio di buona donna >>, imprecò Euridice.
<< Jonathan sta giocando, Euridice. Il premio sei tu. Aspetterà che tu ceda, arriverai al punto che non resisterai più e andrai dritta dritta da lui con le idee totalmente diverse >>.
<< Allora mi attenderà per tanto tempo >>, disse decisa, aprendo la sua valigia nuova e cercando un pigiama.
<< Io non credo >>. Lilian aprì il cassetto del mobile e ne tirò fuori un flaconcino trasparente  marrone con sfumature arancioni. Svitò il coperchio. << Io la penso come lui >>.
<< Come fai ad avere sempre così chiare le persone e le loro intenzioni? >>.
Rimase con la mano sospesa in mano e sul palmo due pillole bianche. Ci pensò su. << Ci sono sempre riuscita >>.
<< Forse è per via dell'elemento. Insomma, la luce viene sempre indicata come colei che tutto rischiara e fa comprendere. Magari è per questo che riesci tanto a capire le persone >>, ipotizzò Euridice.
<< Se è così, allora questo “dono” sparirà quando tornerò normale >>. Ingoiò le due pillole con due sorsi d'acqua e poi ripose tutto.
Euridice doveva dormire con la luce accesa, altrimenti Lilian sarebbe caduta nel panico. Attendeva che i sonniferi facessero effetto per poi spegnerla.
Il respiro della biondina si fece lieve e si addormentò definitivamente. Ed Euridice spense la luce.
Sotto le coperte, abbracciò il cuscino e restò a pensare, aspettando che il sonno la rapisse come ogni notte.
Era vero quello che diceva Lilian? Che Jonathan l'aspettava al... varco?
Se era così, Euridice dovette ammettere che era astuto. Ma l'orgoglio che impediva di cedere, la situazione idem.
Doveva solo comportarsi come ogni giorno... come ogni giorno...


Angolino!

So di essere tremendamente in ritardo! Chiedo scusa e tanto! Ma anche per le altre mie storie la situazione è la stessa quindi cercate di capire! In questo capitolo non è successo niente di particolare, a parte la traccia di un nuovo Elemento e la probabilità di un piano molto più grande di loro dietro... Nel prossimo, arriverà un nuovo "amico" se così si può definire... Be', alla prossima!
Baci!










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Capitolo 10
*** AVVISO! ***


Chiedo decisamente scusa se non ho ancora postato! Ma purtroppo si avvicinano gli esami e io sono di maturità, quindi devo risolvere i problemi a scuola, ho un manoscritto da finire e tanti altri piccoli casini della mia vita >.< Quindi spero capiate se non posto! Vi prego di perdonarmi!!!
Alla prossima!

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