Fantasma.

di Angorian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anime. ***
Capitolo 2: *** Il Diario. ***
Capitolo 3: *** Il bagno dei Prefetti. ***
Capitolo 4: *** Ricordo. ***
Capitolo 5: *** La Camera dei Segreti. ***
Capitolo 6: *** Ritorno. ***
Capitolo 7: *** Infetta. ***
Capitolo 8: *** Ombra. ***
Capitolo 9: *** Risposte. ***
Capitolo 10: *** Alternativa. ***
Capitolo 11: *** Nodi. ***



Capitolo 1
*** Anime. ***


1.

“Sono diventato potente,
molto più potente della piccola Ginny Weasley.
Abbastanza da cominciare a raccontarle
qualcuno dei miei segreti,
da cominciare a riversare un po’
della mia anima nella sua…”
(Harry Potter e la Camera dei Segreti).

*

Il giorno del suo matrimonio, Ginny Weasley doveva essere radiosa.
Fresca e incantevole nei suoi diciotto anni appena compiuti, si preparava a lasciare la Tana per cominciare una vita accanto al suo grande amore.
Non era stato facile convincere sua madre, che non la riteneva pronta.
Ma Ginny sapeva quello che voleva, e avrebbe voluto Harry Potter per il resto dei suoi giorni.
Con gli occhi lucidi e le gote arrossate dall’emozione, il bianco virginale del suo abito risaltava, ipnotico.
Quel giorno, Ginny era bella.
“Ginny, è ora!”. Sua madre, nervosa quanto lei.
Entusiasta che la sua unica figlia si stesse per legare all’eroe del mondo magico.
Ginny sorrise al suo riflesso.

Eppure.

Un brivido lungo la schiena.
Dallo specchio incrociò lo sguardo del ragazzo che, languidamente disteso sul suo letto, non aveva fatto altro che osservarla.
Il suo sguardo gelido scivolò su di lei, apertamente nauseato.

Smettila.

Ginny prese a spazzolarsi i capelli, lieta di poter distogliere lo sguardo.
Ignorarlo non serviva più da molto tempo.
“Parla, se vuoi farlo”.
Non lo vide neppure scendere dal letto.
Improvviso come un lampo estivo, le fu alle spalle.
Le sfiorò le spalle nude, un soffio freddo che la fece sobbalzare.
“Lui è sbagliato”. Sussurrò, fissandola insistente dallo specchio.
Lei scosse la testa, catturata dal suo sguardo cupo.
“Ti attrae solo perché mi è simile”. Continuò, respirandole piano sul collo.
Lei strinse le labbra.
“No”.
Il ragazzo sorrise, consapevole del battito accelerato di lei.
“Nessuno ti conosce meglio di me, Ginny”. Soffiò.
Un’amara verità, l’ennesima pronunciata da quelle labbra ceree.

Ti prego.

Il cuore le si strinse in una morsa. Paura.
Quanto di lui le era ormai penetrato nell’anima?
Lo sentiva, diffondersi come un cancro. Lento e irreversibile.
“Lasciami andare”. Una preghiera sussurrata da sette anni, e deliberatamente ignorata.
A quella richiesta gli occhi scuri del ragazzo si fecero ardenti, ferini.
“Non posso, Ginny. Sei l’unica cosa che mi tiene in vita”.
Incapace di sostenere ancora quello sguardo magnetico, Ginny si scostò rabbrividendo.
“Lo amo, Tom”.

Aiutami, Harry.

Tom sorrise.
Un sorriso spietato che aveva riservato solo a lei.
“Ami anche me”. Una semplice constatazione.
Ginny si voltò, e afferrò il mazzo di bucaneve posati sulla sua vecchia scrivania.
“Non venire, oggi”.
Rabbia soffocata.
“Come vuoi”. Fu l’unica risposta.
Si chiuse la porta alle spalle, scossa.
I suoi incubi non svanivano nella notte, ma rimanevano sospesi, visibili anche sotto la luce del sole.
Respirò profondamente.
Harry la stava aspettando, per legare le loro vite, le loro anime.
Quello che Harry non sapeva, era che le anime che si sarebbero legate erano tre.

“Ami anche me”.

*

N.A. Sono decisamente la mia coppia preferita, così assolutamente irreale eppure logica.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto =)

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Capitolo 2
*** Il Diario. ***


2.

“Ginny mi ha schiuso la sua anima,
e la sua anima era esattamente
quella che io volevo”.
(Harry Potter e la Camera dei Segreti)

*


Hogwarts, Settembre.
Lucido e nero, faceva capolino dal baule proprio come se volesse essere visto, trovato.
Un piccolo libretto di pelle nera, dalle pagine sottili e ingiallite dal tempo.
Ginny non ricordava che suo padre le avesse comprato anche un diario, ma fu comunque lieta di trovarlo: non ne aveva mai posseduto uno per annotare i suoi pensieri.
I primi giorni di scuola erano stati intensi, carichi di emozioni contrastanti; troppe perché una ragazzina di undici anni potesse sopportarne il peso.
La prima volta che scrisse, era notte.
Le sue compagne di stanza dormivano già profondamente, quando Ginny frugò nel baule in cerca del diario.
Recuperato il libretto tornò sul materasso morbido, dove lo esaminò alla tenue luce di una candela.
Sul retro, con piccole lettere dorate, era inciso un nome.

Tom Orvoloson Riddle.


Doveva essere stato il precedente proprietario del diario, che tuttavia sembrava non aver scritto neppure una riga; intinse la piuma nell’inchiostro nero, e cominciò a scrivere.
“Sono Ginny Weasley”.
Intinse nuovamente la piuma, pronta a narrare il resoconto dei suoi primi giorni, quando si accorse che le prime parole che aveva scritto, erano state assorbite dalla carta, senza lasciare traccia alcuna.
Al loro posto, un’altra frase venne trasudata dalla pagina; una frase vergata da una grafia elegante.
“Salve, Ginny. Il mio nome è Tom Riddle. Posso chiederti come sei venuta in possesso del mio diario?”.
L’iniziale sorpresa non durò a lungo.
Dopo i primi istanti di inquietudine, Ginny cominciò a raccontare.
Scrisse di lei, della sua famiglia, della sua vita.
E lo spirito che animava quel diario ascoltò, con pacata curiosità e pazienza.
Ginny sorrise nel buio leggendo la cortesia dei commenti, espressi con parole gentili.

Posso fidarmi.


Capì di aver trovato qualcuno con cui confidarsi, con cui essere assolutamente sincera.
Sentiva di piacergli, di essere compresa.
Tom Riddle era un amico.
Quando lo salutò, l’alba era prossima.
Lo fece con riluttanza, ma confortata dal pensiero che il giorno dopo l’avrebbe ritrovato.
Infilò protettiva il diario sotto il cuscino, temendo che qualcuno potesse trovarlo e sottrarglielo.
Posò la testa sul guanciale, sentendo la presenza del diario contro la guancia, stranamente rassicurante.
Chiuse gli occhi, felice.
E cominciò a sognare.

Sognai di svegliarmi, e di trovare ai piedi del baldacchino un ragazzo, che mi guardava mentre dormivo.
Doveva avere sedici anni.
I suoi capelli erano scuri, come gli occhi, e aveva un’aria trasandata che nulla toglieva all’inusuale bellezza del suo volto, anzi, ne aumentava il fascino.
Era un’immagine sfocata, come di una vecchia fotografia in bianco e nero.
In mano, stringeva il diario di Tom Riddle.
“Sei tu?”. Chiesi, con timore.
Gli angoli della sua bocca si piegarono in un sorriso.
Istintivamente, ricambiai il sorriso.
Si avvicinò, e mi sfiorò la guancia con un gesto lento e delicato.
Laddove mi aveva toccata, la pelle cominciò a bruciare, ustionata.
Il dolore fu cieco.

Ginny si svegliò, il cuore in gola.
Si toccò la guancia.
Era fresca.

*

Breve capitolo, ma aggiornerò presto. Spero sia piaciuto, e ringrazio i commenti =)

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Capitolo 3
*** Il bagno dei Prefetti. ***


3.

“Ha messo troppo di sé
nel diario, dentro di me.
Abbastanza, comunque,
da permettermi di abbandonare
finalmente quelle pagine”.
(Harry Potter e la Camera dei Segreti)

*

I giorni passarono lenti, depositando ombre pesanti sotto gli occhi di Ginny, tracce visibili delle ormai numerose notti insonni.
Non riusciva a separarsi da Tom, invogliata com’era al racconto di ogni aspetto della sua vita; e nulla vi era come l’appagamento che provava nel riversare fiumi di parole in quel diario incantato.
Lo portava sempre con sé come un prezioso amuleto, una fonte di sostegno e coraggio.
Sapere Tom vicino a lei la rendeva sicura, una figura invisibile che la accompagnava tra le mura alte e austere di Hogwarts.
Quando poteva si ritirava nella solitudine della biblioteca o delle aule vuote, per tornare tra le confortanti braccia cartacee del diario, e ritrovarvi Tom, che attendeva unicamente lei.
Aveva persino cominciato a parlargli di un argomento che la faceva arrossire dall’imbarazzo: la sua cotta per Harry.
Tom ascoltava, ponendo domande di tanto in tanto.
Sembrava interessato ad Harry, e alla singolare vicenda della sua cicatrice.
Ginny raccontò tutto ciò che sapeva, lieta di avere qualcuno che non la prendesse in giro mentre parlava di Harry.
Talvolta ripensava al sogno, e questo le lasciava una strana, viscida sensazione.
Comunque, decise di non farne parola con nessuno, tantomeno a Tom.
Eppure, si rese conto che nelle loro lunghe conversazioni notturne, Tom aveva parlato davvero poco di sé: aveva lasciato che fosse lei a raccontare.
Cominciò quindi a cercare tracce di lui e del suo passaggio a Hogwarts, tra i polverosi documenti della biblioteca e i ricordi opachi delle vecchie teche.
Le sue ricerche non ebbero un buon esito: di lui trovò solo una vecchia medaglia, e il suo nome in una lista di Caposcuola.
Era stato sicuramente intelligente, e coraggioso.
Dalla data della medaglia, comprese che Tom e il diario esistevano da circa cinquant’anni.
Si sentì sciocca per non avergli chiesto nulla.
Quanto affascinante era stata la vita di Tom Riddle?
Infiammata dalla curiosità, Ginny afferrò la borsa con i suoi libri, e corse verso la sala comune del Grifondoro, sperando che non fosse troppo affollata.
La fortuna volle che vi erano solo quattro ragazzi del sesto anno, impegnati in una discussione su quelle che sembravano essere riviste di Quiddich.
Si accucciò su una poltrona lontana da loro, e raccolta la piuma dal fondo della borsa, aprì il diario nero, che si schiuse in una pagina casuale.
L’odore della carta vecchia e dell’inchiostro era ormai diventato confortante.
“Ciao Tom”. Scrisse.
Attese che le parole venissero assorbite dalla carta, attendendo trepidante la riposta del ragazzo.
“Ciao, Ginny. Hai fatto presto”. La sua grafia familiare tracciò la frase sul diario.
Ginny non poté fare a meno di accarezzarla.

Lo sento così vicino.

“Volevo chiederti di te”. La sua di grafia, era disordinata e sconnessa.
Si morse il labbro, infastidita. Lui sembrava così elegante, e lei così piccola.
Stranamente la risposta tardò ad arrivare, e quando l’inchiostro trasudò dalla carta, tracciò una frase breve.
“Non ho molto da raccontare”.
Ferita, Ginny fu tentata di chiudere il diario. Ma ancora animata dalla curiosità, decise di ritentare.
“Mi piacerebbe comunque conoscerti meglio”.
L’inchiostro nero brillò alla luce del caminetto, versato con foga.
La sua risposta questa volta non si fece attendere.
“Ti prometto che ti parlerò di me. Ma adesso non è il momento adatto”.
Come a sottolinearlo, dal buco del ritratto sbucò suo fratello Percy.
Quando la vide, si avvicinò con aria battagliera, e lei fece scivolare il diario dentro la borsa.
“Sei molto pallida, Ginny. Sembri un cadavere. Hai dormito questa notte?”. Chiese con sguardo inquisitore.
Ginny annuì, poco convincente.
Percy aggrottò le sopracciglia fulve.
“Ascolta, Ginny”. Sembrava che quello che stava per dire gli costasse una certa fatica.
“Quello che sto per fare è contro le regole, e tu sai quanto io detesti andare contro le regole. Ma la mamma mi ha fatto promettere di tenerti d’occhio. Sono giorni che sei strana, stralunata”.
Le gettò uno sguardo di rimprovero.
“Questa”. Disse estraendo dalla tasca un pezzo di pergamena, “è la parola d’ordine per entrare nel bagno dei Prefetti. Sai come ci si arriva?”. Chiese.
“Sì”.
“Bene. Voglio che questa sera tu faccia un bagno caldo, per poi filare dritta a letto. Niente soste o chiacchiere con le tue compagne di dormitorio. Sono stato chiaro?”. Il tono si fece minaccioso.
Ginny annuì, sorpresa.
“Se continuerai così, sarò costretto a mandarti da Madama Chips, e a scrivere alla mamma”. Terminò.
Senza aggiungere altro, uscì impettito dalla Sala Comune.

*

Ginny si svestì in fretta, rabbrividendo al contatto dei piedi nudi sulla pietra fredda.
Si immerse con un tremito, e l’acqua bollente la accolse con uno sciacquio, abbracciando il suo corpo magro.
Si immerse per bagnare anche i capelli, che si aprirono come un ventaglio rosso sotto la superficie schiumosa.
Riemerse, i polmoni già avidi d’aria.
Lanciò un’occhiata alle sue cose, ammucchiate in un angolo del bagno, vicino ai lavandini di ceramica bianca.
Sui vestiti aveva posato il diario di Tom, incapace di lasciarlo nel dormitorio.
L’irrazionale paura che qualcun altro lo trovasse la rendeva morbosamente protettiva.
Rise di se stessa, e le mura spoglie del bagno le restituirono una eco musicale e cristallina.
“Ha un bel suono, la tua risata”.
Una voce maschile, profonda e modulata.
Con uno scatto spaventato si rivolse alla fonte della voce, immergendosi quanto più poteva nella schiuma, fortunatamente ancora fitta.
C’era uno spettro nel bagno, o comunque qualcosa che vi si avvicinava molto.
Era la figura slanciata di un sedicenne moro, il noto sorriso a fior di labbra.

Il ragazzo del sogno.

“Sei Tom?”.
La figura semitrasparente si avvicinò al bordo della vasca.
“Perdonami, Ginny, se sono così poco delicato. Sono Tom Riddle, intrappolato in quel diario da circa cinquant’anni. Grazie a te, presto sarò libero”.

**

N.A. Grazie per i gentili commenti, spero che la storia continui a piacervi =)
Scusate per i capitoli brevi, purtroppo ho parecchio da fare con la scuola T___T

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Capitolo 4
*** Ricordo. ***



“Io non ho fatto nulla”. Ribatté Ginny, imbarazzata.
Tutto della figura di Tom emanava malinconia: la bellezza del suo volto dalle guance scavate, e quelle vesti che sebbene sfocate, non lasciavano dubbi sulla povertà del ragazzo.
Tutto, tranne gli occhi.
Brillavano di una luce ferina, di quello stesso fuoco che l’aveva scottata nel suo sogno, quando le aveva sfiorato il viso.
“Nulla, dici? Mi hai strappato dall’oblio di quelle pagine mute, riversando la tua vita in modo da risvegliare la mia. Non sono che un ricordo, Ginny, e se sono più forte non lo devo che a te. Mi hai ospitato tra i tuoi pensieri e le tue emozioni, e adesso, ne sono rinvigorito”.
La osservava senza malizia, con un sorriso appena accennato.
“Come sei finito in quel diario?”. Chiese, affascinata suo malgrado.
Lui sembrò meditare la risposta.
“Credo che la ragione, sia la morte. Temo la morte, che annulla i pensieri e la complessità umana in pochi istanti. Neppure i maghi, con il loro talento magico, riescono a sfuggirle. Ma i vivi ricordano, e i ricordi danno vita. Con questo diario, io sono sfuggito all’incuria del tempo. Se tu mi ricordi, io vivo”.
Pietrificata, Ginny lo osservava parlare, non riuscendo a cogliere tutto.

Se tu mi ricordi, io vivo.

“Inoltre” aggiunse lui “nel diario è contenuta una storia che non vorrei andasse perduta”.
“Quale?”. Chiese lei, attratta dal suo modo di parlare.
Il sorriso si allargò.
“La storia della Camera dei Segreti”.

*

Vernice rossa sui muri di Hogwarts, una ferita pulsante sulle sue pietre millenarie.
Penne di gallo sui miei abiti, il volto graffiato da piccoli artigli.
I ricordi sfuggono e si fanno sfocati.
Ho freddo.

*

Percy non mi lascia sola neppure un istante; sospetta che sia io ad aver aggredito Colin e quel ragazzo di Tassorosso?
Tom dice di non preoccuparmi..

*

Il diario è diventato onnipresente.
Oggi ho provato a lasciarlo nel baule, ma non sono riuscita neppure ad attraversare il buco del ritratto.
L’impulso di tornare a prenderlo era più forte di me.
La volontà si spezza.

*

Riesce ad uscire dal diario sempre più spesso.
Mi segue, mi osserva. Sorride.
A volte, quando siamo soli, comincia a raccontarmi della sua vita qui.
Frammenti sconnessi.
Era un Serpeverde.

*

La scuola rischia di chiudere, e io ho paura.
Voragini di un assoluto nulla al posto dei miei ricordi recenti.
Questa mattina ho trovato Tom seduto accanto a me, sul letto.
Mi guardava dormire.

*

Accusano Harry di essere l’Erede di Serpeverde.
Che sciocchezza. Non farebbe del male a nessuno.
Ne sono quasi certa ormai. Sono io, il mostro.
Lo leggo negli occhi di Tom.
Lui sa, e ride nell’ombra.

*

L’idea prende forma, anche se mi è intollerabile.
L’inchiostro che dà vita a quel diario, è il mio veleno.
Devo farlo.

*

Gli occhi smeraldini di Harry erano corrucciati, mentre parlava animosamente con Ron ed Hermione.
Ginny sentì mancare un battito, quando vide il diario di Tom tra le mani del ragazzo.
Era convinta di essere riuscita a disfarsene, ma non era stata abbastanza forte da finirle il lavoro e distruggerlo.
Aveva già scoperto il segreto del diario?
Con orrore crescente si chiese se Tom gli avesse già raccontato di lei, della sua cotta infantile, del fatto che fosse lei il mostro.
Attese la mattina del giorno seguente.
Aspettò che Harry e gli altri uscissero dalla sala comune, poi si infilò di soppiatto nel loro dormitorio.
Si guardò attorno con aria circospetta, poi frugò nella stanza senza darsi pena di non lasciare tracce del suo passaggio: forse, nel caos, non si sarebbe reso conto di cosa mancava.
“Cosa stai facendo, Ginny?”.
Tom, appoggiato su una colonnina del baldacchino di Harry, la osservava con aria irritata.
“Mi riprendo il diario”. Rispose Ginny, tra la paura e la rabbia.
Doveva fare in fretta.
“Mi hai allontanato, gettato. Che importa adesso recuperare il diario?”. Chiese, inclinando leggermente il capo.
Ginny rovesciò il contenuto del cassetto del comodino sul materasso. Nessuna traccia del diario.
“Quel diario adesso è mio. E’ privato”. Non poté fare a meno di arrossire.
Improvvisamente, Tom le afferrò il braccio.
Per quanto i suoi contorni fossero ancora sfocati, la sua mano serrata era concreta, reale.
“Non gli ho detto nulla di te”. Disse, pacato.
Con uno strattone, Ginny si liberò dalla sua presa.

Non è abbastanza forte da trattenermi.

Voltandogli le spalle, continuò la ricerca.
Poi finalmente, lo trovò all’interno del baule.

*

Grazie a chi preferisce, ricorda e segue questa storia!
In particolare a _Madduz_, Marik1989 e PaytonSawyer, che con i loro commenti fin troppo buoni mi fanno andare avanti :D

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Capitolo 5
*** La Camera dei Segreti. ***


4.

“Modestie a parte,
ho sempre avuto il dono
di affascinare le persone
di cui avevo bisogno”.
(Harry Potter e la Camera dei Segreti)

*


Quando è la vita a sfuggire dalle mani, la prima cosa che si perde è il sorriso.
E da quando il diario di Riddle era tornato nelle sue mani, Ginny Weasley aveva smesso di sorridere.

“Ginny, devi fare una cosa per me”.

Non aveva potuto opporsi. Lui non ammetteva rifiuti.
Con dita tremanti e sporche di vernice, aveva disegnato sul muro lettere di sangue: un addio imposto, cui niente avevano potuto pianti, singhiozzi, urla.

Posso fidarmi.


Quella certezza si era infranta, provocando sconforto.
Una voce le urlava di fuggire, di bruciare il maledetto diario, di morire piuttosto che seguirlo.
Ma le ampie mani di Tom, posate sulle sue spalle scosse dai tremiti, non le lasciavano scampo.
E quando quel per sempre fu terminato, il ragazzo la fece voltare verso di sé con gentile fermezza.
“Non devi avere paura, Ginny. Non ti lascerò sola”. Disse, indovinando i suoi pensieri.
Il tono morbido la confortò, costringendola ad annuire.
Lui sorrise, e con le dita fredde scacciò le ultime lacrime sulle sue ciglia ramate.
“Adesso, andiamo”.

*


Non avrebbe saputo dire se quanto accadde fu più simile ad un sogno, o ad un incubo.
Tom non la lasciò mai, cingendole le spalle mentre insieme si avviavano verso il bagno del secondo piano.
Non sentì neppure Mirtilla urlare contro il ragazzo, affascinata com’era dal suono sibilante che usciva dalle sue labbra piene: sembrava davvero un serpente, ammaliatore e mortale.
Insieme scesero il tunnel fino alla Camera, e una volta arrivati nell’ampia sala, il freddo e l’umidità le penetrarono le ossa, facendola rabbrividire.
Avrebbe voluto che la stretta di Tom fosse rassicurante. Avrebbe voluto che il suo corpo potesse offrile calore.
Ma l’impossibilità dei suoi desideri si fece reale quando alzò lo sguardo su di lui: nel sorriso trionfante del ragazzo non v’era nulla di umano, mentre la conduceva davanti alla statua di quello che doveva essere Salazar Serpeverde.
“Eccoci”. La sua voce vibrante di emozione si levò nella Camera, disturbando il silenzio che la avvolgeva.
La sua espressione bestiale mal si addiceva ai suoi lineamenti nobili.
Ginny si scostò da lui, spaventata.
Lui non vi fece caso, intento com’era a cercare qualcosa nelle profonde tasche del suo mantello nero. Quando ne uscì il suo vecchio diario, i suoi occhi si illuminarono.
Lo gettò a terra con malcelato disprezzo, producendo un tonfo che fece tremare l’acqua sul pavimento.
“Presto, sarò vivo”. Disse, voltandosi verso di lei. “Ma prima, Ginny, dovrò chiederti un ultimo sacrificio”.
Le si avvicinò, chinandosi sul suo volto arrossato.
“Devi darmi la tua vita”. Il suo soffio gelido le accarezzò le guance, mentre con le dita le scostava i capelli rossi dal viso.
Con occhi sbarrati, Ginny Weasley sentì le fredde labbra di Tom sulle sue, accarezzandole mentre pronunciava una breve formula.
La ragazzina sentì qualcosa di profondo agitarsi in lei, combattere per non lasciarla; ma era troppo debole e stanca per opporsi, e sentì qualcosa di rovente salirle su per la gola, un soffio di calore che Tom respirò, appropriandosene.
Ginny pensò scioccamente che quello era il suo primo, ultimo bacio, e che le era costato la vita.
Un bacio di morte.
Sentì la testa pesante, e le gambe incapaci di sorreggerla ancora: e le mani di Tom accompagnarla, mentre precipitava verso il buio.

Una piccola mano mi stringeva, decisa.
Apparteneva a un bambino pallido, dai capelli scuri e le guance scavate.
Mi accompagnava lungo uno squallido corridoio deserto, dove echeggiavano voci sommesse e pianti infantili.
“Dove siamo?”. Chiesi.
“Nel mio mondo”. Rispose il bambino, senza guardarmi.
Quando il corridoio terminò, una incredibile luce bianca mi investì, impedendomi di tenere ancora gli occhi aperti.
Fu il fragore del mare e il vento freddo, a costringermi a riaprirli.
Ci trovavamo su un’alta scogliera, che sprofondava nel mare grigio e rabbioso.
Il bambino mi riprese la mano, e insieme saltammo verso la tempesta.
Ma l’impatto con l’acqua non venne.
Mi ritrovai ad Hogwarts, nella sala comune dei Serpeverde, come era facilmente intuibile dai pesanti tendaggi e gli stendardi verde e argento.
Cercai con gli occhi il bambino che mi accompagnava, ma al suo posto vi era un ragazzo che ormai conoscevo bene.
Mi sorrideva, crudele, e alzò una mano per accarezzarmi i capelli. In un dito, un pesante anello antico che non ricordavo di avergli mai visto.
Voci fastidiose mi ronzavano nella testa, e non prestargli ascolto diventava sempre più difficile.
“Resta qui, Ginny”. Mi pregò Tom, stringendomi a lui, quasi protettivo.
Di fronte a noi adesso c’era un enorme specchio antico, che rifletteva i nostri corpi vicini. Non mi riconobbi nella formosa ragazza dai capelli rossi, più grande e più bella di quanto io avrei mai potuto essere.
“Resta qui, Ginny”. Anche l’immagine di Tom era cambiata. Al suo posto, una maschera bianca dal naso serpentino e gli occhi rosso sangue mi fissavano.
Urlai.


Un lamento soffocato.
La prima cosa che vide Ginny Weasley aprendo gli occhi, fu il viso familiare di Harry Potter, che scarmigliato e sporco, la guardava con un sorriso incoraggiante.
Tom Riddle non c’era più.
Debole e confusa, si lasciò condurre verso la luce, verso le braccia calde di sua madre e verso i rimproveri spaventati di suo padre.
La notizia che Tom Riddle fosse Voldemort la colpì come un pugno allo stomaco, e spaventati dal suo pallore, Silente fece chiamare Madama Chips affinchè si occupasse di lei.
Era finita.

Eppure.


C’era ancora qualcosa che le pizzicava gli occhi e la gola, delle lacrime che non aveva ancora versato e che aveva paura di affrontare.
Ma quando Albus Silente andò a trovarla in infermeria, con il diario di Tom tra le mani, distrutto e zuppo di inchiostro, quel nodo che le si era formato in gola si sciolse.
Perché oltre alle lacrime di rabbia e paura, Ginny Weasley versò anche quelle lacrime di cui si vergognava.
Sebbene fosse felice di essere salva, in quella Camera aveva perso qualcosa che aveva considerato prezioso.
Pianse per Tom Riddle, per la sua scomparsa.
Perché in uno strano modo, aveva provato affetto per quel ragazzo malinconico e comprensivo.
Quel ragazzo che sarebbe stato Voldemort.
Silente le accarezzò i capelli, lasciandola sfogare.

*

N.A. Non vedevo l’ora di terminare questa parte, che in realtà non è che un’introduzione.
Spero che continuerete a seguirmi! =)
Grazie in particolare a :

Foolfetta

PaytonSawyer

Marik1989

_Madduz_

Aya_Black

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Capitolo 6
*** Ritorno. ***



6.

Con la forza e l’ingenuità dei suoi anni, Ginny Weasley era riuscita a rimettere insieme quei brandelli di vita che Riddle aveva lacerato.
C’era voluto del tempo, ma aveva imparato a relegare i ricordi di Tom in un angolo della sua mente, e dal momento che né i suoi amici né i suoi famigliari avevano ripreso l’argomento, Ginny aveva potuto leccare le sue ferite in silenzio, fingendo di aver dimenticato.
Erano passati due anni, e per quanto le avventure di Harry Potter segnassero da vicino la vita di Ginny – gli orrendi dissennatori, le spaventose prove cui aveva assistito durante il Torneo Tremaghi, la drammatica morte di Cedric Diggory – era stato un periodo relativamente sereno.
Nessuna ombra le stringeva il cuore, e non c’era più alcun segreto ad opprimerla.
Con inquietudine aveva scoperto che sentir parlare di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato non riapriva in lei alcuna ferita;
Irrazionalmente, non riusciva a far coincidere il suo confidente con l’Oscuro Signore.
Tom sarebbe rimasto uno spirito traditore di cui stupidamente si era fidata, ma non avrebbe mai indossato la maschera serpentina di Voldemort.
Aveva accolto la scoperta del Suo ritorno con lo stesso sgomento della folla che aveva visto Harry uscire dal labirinto con il corpo inerte di Diggory tra le braccia, e aveva provato uno slancio di orgoglioso affetto per quel ragazzo dagli occhi verdi che, scarmigliato e sporco, li avrebbe protetti ancora una volta.
Aveva piena fiducia in Harry Potter, e con egoistico sollievo sapeva che in fondo aveva già avuto la sua parte nella battaglia.
Fu con stupore quindi, che l’ultimo giorno del suo terzo anno a Hogwarts, si recò nello studio del professor Silente, scortata da un’austera McGranitt che pronunciò la parola d’ordine del Gargoyle di pietra con uno schiocco secco delle labbra sottili.
Le fece cenno di entrare, ma non la seguì all’interno dello studio.
Oltre il varco segreto, il Preside sedeva dietro la vecchia e imponente scrivania di legno, dove Ginny ebbe modo di scorgere parte del breve biglietto che stava scrivendo.
Era intestato all’ “Ordine della Fenice”.
“Buongiorno, mia cara”.
Le sorrise, facendole segno di sedersi con un gesto delle lunghe dita rugose.
”Buongiorno, Signore”.
Non era mai stata nell’ufficio di Silente da sola.
Era esattamente come l’aveva lasciato due anni prima, quando tremante e spaventata aveva lasciato la Camera, e lì vi aveva ritrovato le braccia protettive di sua madre.

Tutto come allora.


La voce di Silente la riscosse dai suoi pensieri.
“Confido che tu sappia del grosso pericolo cui andiamo incontro”. Esordì il Preside, cercando di allentare la tensione di Ginny regalandole un breve sorriso.
La ragazza annuì, scuotendo la chioma rossa.
“Voldemort è tornato, e acquista potere con rapidità crescente. E’ bene considerare l’ipotesi che possa ripresentarsi a te, sotto qualche forma”.
Meditativo, pacato. Il tono del preside era quasi indifferente.
No”. Ginny scosse la testa, in un sussurro spaventato.
“Harry l’ha distrutto, ha colpito il diario… “
Si aggrappò a quel pensiero.
Lei stessa aveva visto il diario dissanguato nel pavimento di pietra della Camera, immerso in una pozza d’inchiostro nero.
Eppure, sentiva già il cuore stretto in una morsa.
“Sì, è vero. Ma ci sono fatti che mi spingono a credere nella capacità di Voldemort di… infettare le anime cui si avvicina. Sei stata troppo tempo in balìa del suo potere”.
Ginny affondò le unghie nei palmi sudati, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal Preside, che la osservava attendendo una reazione.
“Cosa dovrei fare?”. Chiese la ragazza, cercando di arginare il tremito annidato nella sua voce.
Poteva combattere. Doveva combattere. Gliel’aveva insegnato Harry.
Silente le sorrise con tristezza.
“Devi sforzarti di non pensare a lui. Devi tenere la mente lontana dai ricordi che hai di lui, o gli darai forza”.

Se tu mi ricordi, io vivo.


Era stato lui stesso a confidarglielo.
Rabbrividì, rendendosi conto della facilità con cui ricordava le sue parole. La chiarezza della sua voce.
“Sì, Signore”.
Silente sorrise, un’ombra di stanchezza sul volto magro e rugoso.
“Inoltre”. Continuò, con tono più formale, “non è necessario che questa conversazione venga riferita ad altri. Sono tutti già abbastanza preoccupati…”.
Ginny assentì nuovamente, e solo allora il Preside la congedò.

*


La conversazione con Silente le lasciò addosso una viscida sensazione di paura, che neppure il tiepido sole di giugno era riuscito ad allontanare.
Le era penetrata nella pelle, e per le prime settimane alla Tana si dimostrò introversa e pensierosa.
I suoi genitori se ne accorsero, ma non dissero nulla, inghiottiti dalla spirale di preoccupazione e frenesia che era seguita al furioso litigio con Percy , destinata ad allentarsi solo con la decisione di trasferire l’intera famiglia al Quartier Generale dell’Ordine della Fenice.
La tetra abitazione della famiglia di Sirius non fece altro che rendere più forte il suo senso di inquietudine, ma decise di non darlo a vedere.
Soprattutto a sua madre.

*

Ginny”.


Lo sentiva chiamare, nell’oscurità.
Una voce suadente e modulata che la attirava inesorabile.
Non riusciva a muovere un muscolo, poteva solo guardarsi intorno nell’oscurità infinita che la circondava.

Ginny”.


Un sussurro all’orecchio, un alito caldo nell’incavo del collo.
Delle mani invisibili le cinsero la vita, delicate e possessive.

Ginny…

**


Riapro questa storia dopo tanto, troppo tempo. Ma era una storia che andava raccontata, quindi, eccomi di nuovo qui.
So quanto possa sembrare strana la “coppia” Ginny\Tom Riddle, ma ho sempre pensato che il loro incontro abbia lasciato più di quanto la Rowling abbia voluto scrivere.
Che ne so, per adesso scrivo quello che mi passa per la testa. Vedremo i risultati ;)

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Capitolo 7
*** Infetta. ***


7.


Sembrava che quel sogno avesse infranto le resistenze mentali in suo possesso.
Ogni oggetto della casa della residenza Black era stato marchiato con il blasone della famiglia, Serpeverde purosangue da generazioni.
Ginny avrebbe voluto evitare di toccarli, ma sua madre insisteva affinchè fossero spolverati - se per amor di pulizia o per tenerli impegnati e lontani dalle faccende dell’Ordine, non sapeva dirlo – così che tornarono al loro antico, sinistro splendore.

Torce riflesse nell’acqua.


L’atmosfera della casa le metteva la pelle d’oca. Cominciava a sentire la sua presenza, oscura e impalpabile, anche durante la veglia.
Uno sguardo fisso che le perforava la schiena.

Passi sul pavimento di pietra.
Acqua mista a sangue.
Un diario nero.

*


L’arrivo di Harry portò agitazione e tumulti all’interno di Grimmauld Place.
La voce rabbiosa del ragazzo la spinse a raggiungerlo, a portarsi al suo fianco.
Bramava il calore di Harry come una falena attratta dalla luce.

“E’ finita, Ginny. E’ solo un ricordo”.


Una menzogna così dolce, pronunciata da quelle labbra sottili.
Se si fosse confidata con lui, avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per aiutarla.
Harry era fatto così.
Ma era la sua battaglia, e avrebbe mantenuto la parola data a Silente.
Era una Grifondoro.

*


Il ritorno ad Hogwarts alleviò le sue preoccupazioni.
Allontanarsi da Harry le permise di riassumere il volto della normale studentessa, lontana dalla povertà, lontana dai ricordi.
Ma lui attendeva, nell’ombra.

*


La McGranitt la svegliò con urgenza, spingendola con malagrazia nell’ufficio del Preside, dove un pallido Harry la fissava con un insolita emozione negli occhi chiari.
Paura.
Come in un tremendo incubo venne riportata a Grimmauld Place, ad attendere con ansia notizie del padre, trasportato al san Mungo, in bilico tra la vita e la morte.

Il cadavere di un basilisco riverso a terra, con le fauci spalancate.


Un morso di serpente.
Ginny sentì montare un sentimento mai provato prima, non in quelle proporzioni.
Provava odio, odio intenso e viscerale. Per un unico, breve istante si permise di pensare a lui.
Vide il suo volto con estrema semplicità, i bei tratti impressi a fuoco nella sua memoria.
Fu un attimo, ma fu sufficiente.

*


“Non sei posseduto da Tu-Sai-Chi”.
Lo disse sicura, con fervore. Gli occhi di Harry si riempirono di sollievo; una vista che pochi giorni prima avrebbero scaldato il cuore di Ginny.
Ma non in quel momento.
Qualcosa di diverso si era annidato nel cuore gentile della ragazza, cambiando ogni cosa.

Colpevolezza.


Mentre con i suoi fratelli ed Hermione continuava a rassicurare Harry, spostò lo sguardo sul ragazzo che, in piedi in un angolo della stanza, osservava la scena con interesse, ignorato da tutti gli altri.
Sentendo il suo sguardo, anche lui la guardò, gli occhi scuri lucenti di una malizia nascosta.
No, Harry non era stato infettato dal Signore Oscuro.
Ma lei .

Tom le sorrise.

*

Eccomi qui.
Non è un gran capitolo, questo lo so, ma non sono brava nei capitoli transitori, che legano le due parti di una storia. Spero francamente che il prossimo sia meglio!
Grazie per le persone che preferiscono, seguono e ricordano questa storia.
Ma soprattutto grazie ai commenti di sissigryffindor, madduz, Dreambook,Payton e Rainbowfairy.. ;)


Lenobia: So che è un “pairing” particolare, ma volevo fare qualcosa di diverso, di interessante...
Non sono proprio certa di volerlo “resuscitare” ma sicuramente voglio fare in modo che diventi abbastanza reale da permettere un contatto tra i due.
Vedremo cosa verrà fuori!
Ancora grazie, e un bacio ! ;)

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Capitolo 8
*** Ombra. ***


8.

Hogwarts, sponde del Lago Nero.


“Expecto Patrono!”.
Nient’altro che indistinto fumo bianco. Svanì lentamente, innalzandosi verso il cielo freddo e terso.
Ginny strinse le dita attorno alla sua bacchetta con impazienza, pronta a riprovare.
Si sentiva energica, euforica.
La nascita dell’Esercito di Silente aveva portato un’ondata di ottimismo in tutti i soci, eccitati all’idea di combattere la Umbridge.
Portò la bacchetta nella posizione che le aveva mostrato Harry, concentrandosi su un ricordo felice.

Il volto di Harry. ” E’ solo un ricordo.”


“Expecto..”.
“Stai sbagliando ancora”. Una voce annoiata alle sue spalle la fece trasalire.
Un brivido freddo le percorse la schiena.
“Sta zitto”. Ringhiò la ragazza.
Erano passati mesi, ma nulla era cambiato. Tom era più reale che mai, e non le era possibile tentare di dimenticarlo; non se lui continuava a seguirla ovunque andasse.
Ed erano vani i tentativi di ignorarne la presenza opprimente alle sue spalle.
Ginny si morsicò il labbro, continuando a fissare un punto indefinito dell’orizzonte, lasciando che il suo ricordo felice la colmasse.
“Expectus..”.
Expecto. Expecto Patronus”. La interruppe nuovamente.
“E se continuerai a stringere così quella bacchetta, finirai per spezzarla”.
All’ennesima critica, Ginny mandò al diavolo i suoi tentativi di ignorarlo, le mani tremanti dalla rabbia.
“Lasciami in pace. Vattene!”. Esclamò, seccata.
I suoi occhi bruni incontrarono quelli di Tom.
La sua espressione fredda le mozzava il respiro, ogni volta.
La irritava. La spaventava.
Ma soprattutto, suo malgrado ne era affascinata. E questo non avrebbe mai voluto ammetterlo.
“Non posso farlo. Tanto vale che accetti i miei consigli, invece di perdere tempo”. Rispose, laconico.
“Posso fare a meno dei tuoi consigli”. Ribatté con astio la ragazza.
Tom non rispose, limitandosi a spostare lo sguardo sul lago.
Ginny ripose la bacchetta nelle tasche del mantello, incapace di esercitarsi oltre.
Si strinse nel mantello, infreddolita. Stava scendendo la sera, e avrebbe dovuto incontrare Michael prima di cena.
L’idea non la emozionava più come le prime volte.
Gli incontri frequenti dell’Esercito di Silente le avevano mostrato ancora una volta la forza e il carisma naturale di Harry.
Non riusciva a toglierselo dalla testa; a nulla valeva il consiglio di Hermione, di frequentare altri ragazzi.
Nessuno riusciva a reggere il confronto.
Il suo sorriso la scaldava come nient’altro, la faceva sentire al sicuro.
Anche se c’era lui.
Cominciò a camminare in direzione del castello, senza voltarsi.
Non aveva bisogno di guardarlo per sapere che Tom la stava seguendo, silenzioso come un’ombra.

*


Lui non l’aveva mai lasciata sola, neppure quando l’aveva supplicato di farlo.
Era sempre lì.
Era lì quando giocava a Quidditch, quando litigava con Michael.
Era lì quando l’aveva lasciato, o quando soffocava le sue lacrime contro il cuscino.
Indifferente alla sua vita come un osservatore ozioso, implacabile giudice che la seguiva ovunque andasse.
Tante volte si era chiesta se confidarsi con Silente sarebbe stata la scelta giusta, ma la paura la frenava. E se l’avesse allontanata da Hogwarts, ritenendola un pericolo?
Non riusciva a prendere una decisione.
C’era ben poco del Tom Riddle che aveva conosciuto durante il suo primo anno.
L’amico paziente e comprensivo, che aveva in tutti i modi cercato di ottenere la sua fiducia – riuscendoci – sembrava scomparso.
Le rivolgeva spesso la parola quando erano soli, talvolta erano critiche o consigli incolori sulla sua vita scolastica.
Cercava inoltre di tenersi il più lontano possibile da lei quando scherzava con Michael, Harry o Dean, non riuscendo tuttavia a reprimere la sua insofferenza; le belle labbra del ragazzo s’incurvavano in una smorfia di scherno o disgusto, ma raramente dava voce ai suoi pensieri.
Giorno dopo giorno, i suoi tentativi di ignorarlo si facevano più deboli e inconsistenti.
L’abitudine era riuscita a vincere anche la paura.
Persino la mattina, quando al risveglio lo trovava appoggiato alla colonnina del suo baldacchino, non provava più l’istinto di afferrare la bacchetta.
Quando Tom si accorgeva che Ginny era sveglia, i suoi occhi vacui tornavano vividi, e si allontanava permettendole di vestirsi.
Abituarsi a lui la spaventava.
Ma per quanto si sforzasse di ricordarlo a se stessa, ai suoi occhi lui non sarebbe mai stato altro che Tom.

*


Quando l’ES fu scoperto, e Silente allontanato dalla scuola, Ginny sentì quella rarefatta euforia sfuggirle dalle mani, rimpiazzata da un oppressivo senso di sfiducia.
Non c’erano più partite di Quidditch per lei, nessun nuovo incantesimo da apprendere.
Harry era più lontano che mai, roso dal senso di colpa e dai sogni che lo tormentavano.
Le vaghe informazioni di Hermione le erano preziose, le permettevano di interpretare il suo malumore.
Voleva essergli vicino, ma non osava avvicinarsi a lui.
Temeva l’interesse di Tom per Harry; Una vaga minaccia che non aveva ancora preso forma.

*


“Non andare”. Nella sua voce c’era una nota di urgenza che Ginny non vi aveva mai sentito.
La sorpresa la spinse a voltarsi verso di lui.
“Perché?”. Chiese, stupita.
“Perché Potter non sa cosa sta facendo. E’ un cieco che si affida al solo istinto”.
Ginny sfoderò la bacchetta, pronta a seguire i suoi compagni nella Foresta Proibita, in cerca degli invisibili Thestral.
“Vuole salvare Sirius. Non c’è altro da sapere”. Sussurrò lei, attenta a non farsi ascoltare dagli altri. Ma erano così intenti a progettare il salvataggio, che non facevano caso a lei.
“Rischi la vita per un suo capriccio”. La voce di Tom si fece rabbiosa.
Ginny lo ignorò, e quando Luna la aiutò a salire sul Thestral gli gettò un’ occhiata sprezzante.
“Tu non puoi capire”. Mormorò.

*


Eccomi qui, con un terribile ritardo alle spalle.
Purtroppo non sono riuscita a seguire molto Efp, tra i vari esami.
Perdono, perdono, perdono.
E’ stato un capitolo difficile, che non sapevo come affrontare; ovvero Ginny che si abitua gradualmente a Tom, incapace di vederlo come Voldemort.
Se riscontrate errori nella cronologia degli eventi, perdonatemi anche questo. Purtroppo non ho i miei preziosi libri con me, e non posso controllare..
Spero di non combinare troppi macelli!
Un sentito grazie a chi continua a seguire questa storia =)

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Capitolo 9
*** Risposte. ***


9.

Hogwarts, infermeria.


Quando Ginny riprese conoscenza, fu il profumo di lenzuola pulite misto a quello pungente del disinfettante, a farle capire dove si trovava, prima ancora di aprire gli occhi.
Era notte; le vetrate lasciavano entrare il tenue chiarore lunare, che avvolgeva l’ambiente asettico, reso spettrale dalle ombre allungate che si stagliavano sulle pareti di pietra.
Si trovava sulla brandina accanto a quella di Hermione; il suo viso era innaturalmente pallido nel sonno, provato dagli eventi del Ministero.
I ricordi le tornavano alla mente, abbattendo gli ultimi residui del sonnifero che le aveva somministrato Madama Chips: la stanza dalle porte che giravano, l’antico arco vuoto, la grande clessidra.
Ogni enigma dell’Ufficio Misteri riprendeva forma, ancora senza risposte.
E poi, i Mangiamorte.
La caviglia fasciata e dolorante era una prova tangibile della loro lotta, della fuga disperata.

“Non ero mai stato qui”.
Tom accarezzò il modellino di un pianeta. Osservava affascinato il planetario in cui lei e Luna si erano nascoste, parlando tra sé, pensieroso.
La sua voce l’aveva distratta.
L’aveva cercato con lo sguardo, non accorgendosi del Mangiamorte alle sue spalle, che l’aveva afferrata con violenza.
Le sue grida spaventate avevano fatto intervenire Luna; con un incantesimo aveva fatto esplodere un pianeta sulla testa del Mangiamorte, che l’aveva lasciata andare.
Ma un frammento aveva colpito la sua caviglia.


Da quel momento, Tom non aveva più parlato.
Aveva osservato i Mangiamorte truce, ma con palpabile interesse.
Ginny si puntellò sui gomiti, incerta.
Non riusciva a scorgerlo nella semioscurità.
Prese la bacchetta sul comodino accanto a lei, cercando di evitare rumori che avrebbero potuto svegliare Hermione.
Lumos”. Mormorò.
La luce scaturita dalla bacchetta rischiarò fioca gli oggetti vicini, e la figura che accanto alla finestra, la scrutava.
La sua vista le fece battere il cuore più velocemente; non era preparata a ritrovarselo così vicino.
Nel buio, i suoi occhi erano più cupi che mai.
Non si era mai sentita così atterrita.
Poteva essere tanto attraente colui che popolava i suoi incubi?

“Dovrò chiederti un ultimo sacrificio.”


Il ricordo della mortale dolcezza con cui aveva pronunciato quelle parole le strinsero il cuore in una morsa.

“Devi darmi la tua vita”.


Potente su di lei come lo era stato allora. Non era cambiato nulla.
Eccoli, i pericolosi ricordi di cui le aveva parlato Silente.
Ma contava ancora qualcosa, la promessa che gli aveva fatto?
Lui era lì, reale.
Non sarebbe stato più logico, a quel punto, cercare di ottenere delle risposte?
“Tom”.
Pronunciare il suo nome fu più difficile di quanto avesse supposto.
Strinse più forte la bacchetta, per non fare tremare la luce.

“Se continuerai a stringere così quella bacchetta, finirai per spezzarla”.


Lui la stava già osservando, impassibile.
“Ho bisogno di risposte”.
Era un lampo di luce rossa, quella che le sembrava di avere scorto dietro i suoi occhi?
Il ragazzo non rispose.
Persino quando era ancora carta e inchiostro non rispondeva direttamente alle sue domande. Questo non era cambiato.
Ginny riprovò.
“Perché sei qui?”.

Qui. Nella mia testa. Nella mia vita.


Per la prima volta, Tom sembrò incerto.
“Non ne sono sicuro”. Confessò, più a se stesso che a lei.
I suoi modi sfuggenti la spinsero a continuare.
“Sei un ricordo?”. Chiese, confusa.
Questa domanda sembrò riscuoterlo dalle sue riflessioni.
Piegò le labbra in un mezzo sorriso.
“Molto di più”. Rispose, il volto illuminato da un’espressione ilare che lasciò Ginny interdetta.
“Perché ti vedo solo io?”.
Si chiese se avrebbe mai ottenuto una risposta sensata. L’irritazione nei suoi confronti crebbe, ma Ginny salutò questa emozione con gioia.
L’irritazione soffocava la paura.
“Perché mi sono aggrappato a te”.
La risposta arrivò sommessa, come ogni pensiero che lei riusciva a strappargli controvoglia.
Aggrappato.
“Cosa vuol dire?”.

Un bambino dagli occhi grandi l’aveva presa per mano, accompagnandola lungo un corridoio deserto.
“Resta qui, Ginny”.
Il bambino diventava Tom, e la pregava, la tratteneva.
“Resta con me”.


Non rispondeva.
“Cosa mi hai fatto, bastardo?”. Alzò la voce, furiosa, dimentica di Hermione accanto a lei.
L’aveva infettata. Come Silente aveva previsto.
Tom restò immobile, e Ginny sentì il feroce desiderio di scuoterlo.
Così reale, così illusorio.
Ma la rabbia sbollì velocemente com’era venuta quando lo vide avvicinarsi al letto.
Solo la bacchetta di Ginny li separava, puntata contro il petto del ragazzo.
Tanto rassicurante quando inutile.
“Non ho fatto nulla, Ginny. Mi hai accolto tu”.
Sebbene nessun altro potesse sentirlo, parlava a voce bassa.
“No”.

“Resta con me, Ginny”.


Scosse la testa, e i lunghi capelli rossi.
“No”.
La mano immateriale di Tom le sfiorò i contorni del viso, del collo, scendendo fino al cuore.
“Me l’hai aperto, Ginny. Sei stata tu a chiedermi di entrare”.
Una lacrima le scivolò sul volto.
Paura.

Aiutami, Harry.


“Harry ha distrutto il diario. Ti ha sconfitto”. Sussurrò la ragazza.
La mascella di Tom si contrasse.
“Sì, ha spezzato l’incantesimo del diario. Ma ha liberato me”.
La pelle d’oca si impadronì della sua pelle, laddove Tom l’aveva sfiorata.
“Lasciami andare”. Mormorò, la voce rotta dal pianto trattenuto.
Lui si allontanò, tornando vicino alla finestra.
“Non posso, Ginny. La mia esistenza dipende dalla tua”.

I suoi occhi rabbiosi quando aveva scoperto che stava mettendo la sua vita in pericolo per seguire Harry. Tutto aveva senso.

“La mia esistenza dipende dalla tua”.


“Che cosa sei?”. Chiese ancora una volta.
“Un’anima, Ginny. O quello che ne rimane”.

**

Questo è un capitolo fuori programma.
Faceva parte di un altro più lungo, ma credo che così sia più chiaro, e almeno evito di far passare troppo tempo senza postare niente xD
Spero che adesso le cose si stiano facendo un po’ più chiare..
Come sempre, avvertitemi se ci sono errori, cerco di ricordare alla meglio i particolari dei libri, ma senza averli qui è difficile.
E, ancora più importante, cruciatemi se Tom comincia a sembrare.. ehm, Lenobia sa cosa. XD
Un bacione!

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Capitolo 10
*** Alternativa. ***


10.
 
“Ma senza dubbio,
 Riddle voleva che quel diario
 venisse trovato, che il frammento
 della sua anima abitasse
o possedesse qualcun altro…”
(Harry Potter e il principe mezzosangue)
 
 
 
Fu in un giorno d’estate, che Ginny Weasley si accorse d’essere cresciuta.
Tutto ciò che aveva vissuto durante il suo quarto anno di scuola si era sedimentato, lasciandole sul corpo e nello spirito tracce di una maturità acquisita troppo presto.
La delicata e timida ragazzina di quattordici anni aveva lasciato il posto ad una quindicenne più dura, decisa.
In quel giorno d’estate sentì il bisogno di lasciare le lenzuola tiepide del suo letto, per portarsi davanti allo specchio e potersi riconoscere nella figura slanciata che in esso era riflessa.
Poggiò le dita della mano sinistra sulla superficie riflettente e fredda, come se avesse potuto davvero afferrare quel cambiamento di cui solo allora si era accorta.
Ma aveva sentito anche qualcos’altro, strisciare su di lei e penetrarle l’epidermide.
Una sensazione di calore, una tensione nei muscoli; sentiva il potere e la magia ribollirle  nelle vene e pervaderle la mente.
Non aveva mai provato nulla del genere, e beandosi di quella sensazione di tepore, sorrise involontariamente allo specchio.
“Sei di buon umore, oggi”. Osservò il ragazzo che, seduto sul bordo del letto, aveva seguito i suoi movimenti nella stanza.
Ginny si morse il labbro, e al suono di quella voce le tracce del suo buon umore sparirono dal volto ancora stropicciato dal sonno.
“Quindi hai deciso di rovinarmi la giornata fin da ora?”. Ribatté la ragazza con sarcasmo.
Avevano parlato poco, dalla confessione di Tom in infermeria, quando con poche frasi enigmatiche le aveva rivelato la sua natura: più di un ricordo,  meno di un fantasma.
Un brandello di anima che si era aggrappato a lei, quando il precedente contenitore era stato distrutto.
Il turbamento di Ginny era durato pochi giorni; tornare alla Tana per le vacanze estive infatti le aveva impedito di rimuginare sulle sue frasi, o anche solo rivolgergli la parola,  dal momento che non riusciva a restare da sola neppure per qualche momento.
Eppure aveva accolto con gioia il fermento della casa, e persino i noiosi e irritanti preparativi del matrimonio di Fleur e Bill erano preferibili ai gelidi commenti della presenza che la tormentava.
“Credevo che ti fossi abituata a me”.  Disse, ignorando il commento astioso.
“Ti sei sbagliato”.
Tom si alzò dal letto, e con studiata lentezza si avvicinò a lei.
“Eppure, non tremi più alla mia vista”.
Non era del tutto vero; Sentiva ancora il cuore in gola e il terrore invaderla, quando le sue labbra esangui si piegavano in quei sorrisi crudeli.
Ed era allora che, in quel misto di paura e odio, provava il desiderio di poterle sfiorare.
Un sentimento che aveva provato anche ad undici anni, quando aveva sperato che Tom esistesse, che potesse confortarla non solo con quelle parole d’inchiostro che vergava per lei,
ma anche con il calore di un abbraccio.
Voleva che Tom esistesse.
Era comprensibile, a quell’età, aver ceduto al suo fascino, alle sue lusinghe.
Ma lui l’aveva tradita, ingannata, usata.
Possibile che quella brama nascosta, fosse ancora in lei, latente?
“Voglio solo che tu te ne vada”.
Ma non ne era più tanto sicura.
 
*
 
Settembre arrivò con un fruscio di foglie secche, attenuando con le sue dita plumbee il calore del sole estivo.
Varcando gli imponenti cancelli di Hogwarts, Ginny aveva avuto il sentore che qualcosa di sinistro avesse varcato quella soglia, e lanciando un’occhiata a Tom, a pochi passi da lei, si chiese se non fosse stata proprio lei a permettergli di entrare.
Dean Thomas le stringeva la mano con affetto, e Ginny rispondeva concedendogli dei sorrisi affettati, che però lui non sembrava notare.
La ragazza si strinse di più nel consunto mantello di lana nera.
Aveva freddo.
 
*
 
 
Era estate, e il riverbero della luce solare le feriva gli occhi.
Sembrava che ogni cosa fosse dorata: la polvere che ricopriva il sentiero su cui passeggiava, e le spighe che la circondavano, rivolgendo il loro seme al sole, e bisbigliando i loro segreti alla brezza che le scuoteva, piano.
Qualcuno le teneva una mano; una stretta sicura, ferma, che non l’avrebbe lasciata andare.
Sorrise agli occhi verdi che la scrutavano, oltre quelle lenti che aveva imparato ad amare.
Il volto di Harry era serio, mentre con delicatezza le posava una mano sulla spalla, e si accostava al suo viso per baciarle le labbra asciutte.
Con impeto Ginny si strinse a lui, infilando le dita tra quei capelli scuri e spettinati che tanto le piacevano, gioendo della sensazione del corpo di Harry tra le sue braccia.
Ma c’era qualcosa che non andava; il sapore di quelle labbra era diverso, e persino i capelli sembravano diversi al suo tatto.
E solo quando si allontanò comprese che non era Harry il ragazzo che aveva di fronte.
Gli occhi verdi si erano fatti scuri, ardenti; le guance scavate, e le labbra piene.
“Cosa c’è, Ginny?”.
L’espressione di Tom era dolce, preoccupata.
“No… C’era Harry. Tu eri Harry”.
Ma non c’era alcuna logica. C’era Tom davanti a lei, più attraente che mai.
Il ragazzo le sfiorò la linea delle guance, con una delicatezza inaudita.
“Va tutto bene, Ginny. Ce ne siamo liberati. Insieme”. La rassicurò lui, abbassando lo sguardo sul sentiero.
E lì, riverso nel suo stesso sangue, c’era Harry, gli occhiali di traverso e gli occhi verdi spenti in un’espressione si stupore.
“No, no!”. Ginny cercò di allontanarsi da Tom, da quella vista, ma lui la tratteneva per le spalle.
“L’hai ucciso!”. Urlò, disperata.
Tom sorrideva, paziente.
“No, Ginny.  L’hai ucciso tu, perché te l’ho chiesto”.
La voce era carezzevole, intensa.
E gli occhi della ragazza si riempirono di orrore, quando posò lo sguardo sulle sue mani imbrattate di sangue scarlatto.
 
*
 
“Ginny, va tutto bene?”.
La voce insistente di Hermione la svegliò, mentre le sue compagne di dormitorio le lanciavano occhiate in tralice.
“Demelza mi ha detto che urlavi nel sonno”.
Lo sguardo indagatore della ragazza la scrutava.
“Va tutto bene. Un incubo”. Borbottò Ginny, la voce impastata dal sonno.
“Sarà l’ansia per la partita, allora. Gli altri hanno già fatto colazione, sarà meglio che ti sbrighi”.
E mentre Ginny afferrava a tentoni la sua divisa da Quidditch, Hermione continuò a parlare a raffica, del tempo, di Ron e del contenuto di una certa boccetta che Harry aveva versato nel succo di zucca di suo fratello.
Ginny non ascoltava. Era impegnata a non incontrare lo sguardo di Tom che, divertito, osservava la scena.
 
*
 
I festeggiamenti per la vittoria di Grifondoro  contro Serpeverde durarono fino a notte inoltrata, e fu solo quando tutti furono troppo stanchi di ripercorrere azione per azione la partita, che la Sala Comune ritrovò un po’ di pace.
Ginny aveva riso, bevuto, scherzato; Dean le era stato più appiccicato del solito, e solo con molta pazienza riuscì a sopportarne la presenza.
Perché per la prima volta, Ginny desiderava essere lasciata da sola.
Per l’intera giornata aveva covato una sorda rabbia per il ragazzo che, in un angolo della Sala Comune, faceva da spettatore allo svolgersi della sua vita.
Quando finalmente anche gli ultimi ragazzi di Grifondoro si decisero a salire la scala a chiocciola che portava ai dormitori maschili, lei si ritrovò finalmente sola.
Tom osservava il fuoco morire tra i ciocchi diventati ormai brace, perso nei suoi torbidi pensieri.
“Devi smetterla”. Ringhiò Ginny, cercando di controllare il tono della sua voce.
Tom si voltò verso di lei, imperscrutabile.
“Di fare cosa?”.
Aveva il volto concentrato, quasi stesse giocando una partita di scacchi.
E forse, era proprio così.
“Di entrare nella mia testa. Sei tu a provocare gli incubi”.
Lui rise. Una risata roca, senza divertimento.
Nonostante il tepore della brace, Ginny rabbrividì.
“Ho meno potere di quanto immagini”. Ribatté lui.
“I tuoi sogni ti appartengono. Io posso solo vederli”.
“Io non farei mai del male ad Harry”. Rispose la ragazza, truce.
“Era un incubo, l’hai detto tu stessa”.
“Sei un bugiardo!”. Sibilò, furiosa.
Tom strinse gli occhi, irritato.
“Non ho motivo di mentirti”.
Frustrata, Ginny spostò lo sguardo sul camino.
“E quindi resteremo per sempre così?” Chiese lei, con una risata amara.
“Tu un fantasma che non puo’ fare a meno di seguirmi, ed io non sarò mai libera di stare da sola?”.
Tom si passò una mano pallida tra i capelli.
“Non credere che questa situazione infastidisca solo te, ragazza”.
L’amarezza del suo tono la lasciò basita per qualche istante.
“Dev’esserci un modo per spezzare questa connessione”. Mormorò lei.
“Questo dipende da te”. Rispose lui, piano.
“Cosa vuoi dire?”.
Lui la soppesò. E di nuovo Ginny fu invasa dall’irrazionale istinto di sfiorarlo, toccare la sua pelle bianca, e scoprire se era fredda come sembrava.
“Se vuoi che  la mia esistenza non dipenda più dalla tua, dovrai darmi un corpo”.
Eccola lì, l’esca era stata lanciata.
Il suo obiettivo, fin dall’inizio.
“E dovrei darti la mia vita in cambio, giusto?”. Ribattè lei, sarcastica, incrociando le braccia sul petto.
“Esistono altri modi”. Disse lui, come se Ginny non avesse profferto parola.
Continuava a guardarla con intensità, esaminandone le espressioni.
Sembrava davvero che stesse giocando a scacchi, ma non riusciva a capire quale fosse il suo ruolo in quella partita; Era un’avversaria, o una pedina?
 
Esistono altri modi.
 
E un’idea, folgorante quanto pericolosa la pervase.
Il cuore cominciò a batterle furiosamente, quasi volesse uscirle dal petto.
Liberarsi di lui, essere finalmente libera.
In cambio, doveva solo dargli un corpo.
 
Esistono altri modi.
 
E mentre lui la osservava cupo, lei ricambiò lo sguardo apertamente.
Bellissimo e letale, somigliava in modo sinistro ad un serpente, che attendeva il momento giusto per colpire.
Le aveva offerto un’alternativa; stava a lei scegliere.
 
Esistono altri modi.
 
A quel punto, doveva decidere solo se essere la sua avversaria, o la sua pedina.
 
***

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Capitolo 11
*** Nodi. ***


11.
 
Il suono ovattato dell’acqua la circondava, facendole dimenticare per un attimo ansie e preoccupazioni.
C’era solo lei in quel mondo sommerso, fatto d’acqua e oli profumati, e sapone e bolle e calore.
Le sarebbe piaciuto restare per sempre lì, galleggiando laddove non esisteva un male da sconfiggere, decisioni da prendere, persone da ferire.
Quando era piccola restava ore nella vasca da bagno della Tana, temendo il momento in cui sua madre le avrebbe ordinato di uscire; la nuvola di vapore si sarebbe dissolta, e la sua pelle avrebbe perso il materno contatto dell’acqua, arrossandosi invece per lo sfregare insistente di una tela ruvida e asciutta.
Ma non era quella la parte peggiore, no.
Era il pettine che odiava, e le mani implacabili di sua madre sui suoi capelli, decise a sciogliere i nodi della sua chioma arruffata, impietose verso la sua cute dolorante.
A nulla valevano pianti o suppliche.
I nodi andavano sciolti, sempre.
Riemerse dall’acqua, assaporando con foga l’ossigeno a lungo bramato dai suoi polmoni avidi.
“Pensavo che saresti morta affogata”.
Ginny si avvicinò al bordo della grande vasca e si strofinò gli occhi irritati dal lungo contatto con la schiuma, ignorando il commento ironico.
Tom sedeva su uno spazio tra i lavandini di porcellana, la testa poggiata arrendevole sul grande specchio che percorreva l’intera parete del bagno.
Incredibile quanto tempo fosse passato dalla sua prima apparizione, proprio in quello stesso luogo; da quando lei, avventata undicenne, aveva aperto senza riserve il suo cuore ad un diario stregato.
Tom non era cambiato affatto da allora; intrappolato nel suo aspetto adolescenziale, era ancora lo stesso ragazzo che aveva visto emergere dalle pagine ingiallite di un oggetto vecchio di cinquant’anni.
“Non ho intenzione di suicidarmi”. Rispose lei, issandosi sulle braccia per uscire dall’acqua.
Tom voltò con garbo lo sguardo, per concederle intimità nel vestirsi.
Erano cambiate molte, troppe cose.
Entrambi avevano imparato a convivere, scambiandosi qualche commento di tanto in tanto, quando Ginny era sola.
Assuefatta alla sua costante vicinanza, aveva cominciato ad accorgersi delle piccole gentilezze che lui le concedeva, lasciandole spazio per quanto la loro condizione lo permettesse.
“Possiamo parlare, adesso?”. Chiese lui, giocando distrattamente con il cravattino Serpeverde.
Ginny terminò di vestirsi, prendendo tempo nell’infilarsi il vecchio maglione bitorzoluto che sua madre le aveva confezionato il Natale passato.
 
I nodi andavano sciolti, sempre.
 
Aveva temuto quella conversazione, il pettine che avrebbe messo ordine nei suoi pensieri, nel suo piano pericoloso e folle.
Con un sospiro si voltò verso di lui, pronta ad affrontare il suo sguardo indagatore.
“Sì, adesso sì”.
Erano passato giorni dal loro ultimo, fatale colloquio; le continue intromissioni da parte dei suoi amici, le frequenti uscite con Dean e le lezioni non avevano permesso loro di affrontare la spinosa questione che li riguardava entrambi: il corpo di Tom.
Ginny ne era stata contenta. Aveva avuto modo di pensare, riflettere, e si convinceva ogni giorno di più che poteva esservi solo una soluzione.
Era per questo che aveva chiesto al fratello la parola d’ordine del Bagno dei Prefetti, asserendo come scusa il bisogno di un momento di tranquillità dopo gli sfibranti allenamenti di Quidditch, e lui l’aveva accontentata senza porsi troppe domande.
La parte migliore di Ron.
“Possiamo trovare un modo per tornare liberi, entrambi”. Cominciò lui, cauto.
Aspettava da molto quella conversazione, Ginny lo sentiva nella sua voce forzatamente pacata.
“Quale?”.
Ginny prese la bacchetta dal cumulo di asciugamani e con un incantesimo si asciugò i capelli, guardandosi allo specchio.
La vicinanza di Tom non la spaventava più, sebbene una parte di lei, oscura e profonda, avrebbe desiderato avvicinarsi di più.
“Devo riottenere un corpo. Esiste una pozione… E’ complessa, pericolosa. Ma con la mia guida sarai in grado di eseguirla correttamente”.
Le emozioni di Tom traboccavano dai suoi occhi scuri.
“E sei sicuro che funzionerà?”. Chiese Ginny, sentendo la morsa della paura all’altezza dello stomaco.
“Ha già funzionato una volta”. La sua bocca si distese in un sorriso.
La morsa si fece più serrata.
“Non sono una brava pozionista”. Dichiarò, schietta.
Non che avesse bisogno di ricordarglielo; lui stesso non aveva mancato di farglielo notare, mentre ripuliva il calderone da una disgustosa poltiglia che avrebbe dovuto invece somigliare all’acqua.
“Non sarà un problema. Seguirai i miei ordini, e starai attenta a non sbagliare”. Rispose, serio.
“A proposito di questo, volevo aggiungere qualcosa”, ribatté lei, “non ci saranno trucchi questa volta. Avrai il mio aiuto perché io ho deciso di liberarmi di te. Niente controllo mentale, niente incubi”.
L’espressione di Tom si fece prima stupita, poi irritata.
“La tua insolenza è fuori luogo. Ti ho già assicurato che non esercito alcun controllo mentale su di te. Eseguirai i miei ordini, perché la tua incapacità non dev’essere un ostacolo”.
Sibilò le ultime parole con veemenza, e Ginny non osò controbattere.
Si era ficcata in un grosso guaio.
Ma poteva uscirne. Doveva.
Il nodo andava sciolto.
 
*
 
La prima questione da affrontare, furono gli ingredienti.
La lista che Tom aveva stilato era da capogiro, e nulla di quanto  serviva faceva parte della scorta privata di una studentessa del quinto anno.
Ma Tom non aveva battuto ciglio davanti ai suoi dubbi, e con impassibile tranquillità le aveva accennato alle scorte private di Lumacorno.
“E’ un vecchio sciocco, ma un abile pozionista”. Era stato il suo lapidario commento.
Penetrare nello studio del professore era stato terribilmente semplice; Ginny non aveva dovuto far altro che attendere una serata del Lumaclub.
Era stato sciocco temere di sbagliare l’ingrediente da trafugare, o di essere scoperta.
Tom l’aveva guidata per tutto il tempo, suggerendole persino alcune risposte alle domande del professore, che soddisfatto si era allontanato per rivolgere le sue attenzioni agli altri ospiti.
Con un sospiro di sollievo Ginny aveva seguito Tom, che con sicurezza le indicava le ampolle e i barattoli necessari.
Il secondo problema, riguardava il luogo dove Ginny avrebbe dovuto creare la pozione.
“La Stanza delle Necessità?”. Aveva chiesto, ma lui aveva scosso la testa con decisione.
“I tuoi amici entrano ed escono da quella Stanza come se fosse la loro Sala Comune. Serve un posto più discreto”. Replicò, senza nascondere la propria disapprovazione per l’uso che i Grifondoro avevano fatto della Stanza l’anno passato.
 “Ma allora, dove?”.
 
*
 
Il bagno del secondo piano era silenzioso e solitario, come sempre.
Lame di luce penetravano dalle alte vetrate delle finestre, riflesse dalla porcellana bianca dei lavandini.
Ginny stringeva a sé il calderone, mentre gli altri ingredienti erano stati frettolosamente riposti nella sua cartella.
Tom si fermò davanti ad un lavandino, identico agli altri nelle manopole d’ottone e nel rubinetto ossidato.
“Dovrai essere tu ad aprirla”. Disse, invitandola ad avvicinarsi.
La porta della Camera dei Segreti poteva essere aperta solo dall’ordine dell’Erede.
Ginny lo guardò spaventata.
“Non so parlare il serpentese”.
Ma lui la zittì con un gesto della mano.
“Ripeti quello che faccio. Cerca di essere convincente”.
Un lampo rosso brillò nelle sue iridi scure, mentre le belle labbra lasciavano sgorgare dalla gola un suono che Ginny avrebbe voluto non ricordare così bene.
Non aveva mai avuto occasione di ascoltare niente di più bello o di più terribile; il serpente che era in Tom, il crudele predatore, diveniva reale, tangibile in quel sibilo sinistro.
Ginny guardò il proprio riflesso nello specchio.
Erano passati quattro anni, ma si trovava di nuovo lì, come se in realtà non fosse passato nemmeno un giorno.
L’ennesimo errore, la stessa debole Ginny che aveva ceduto al fascino del suo nemico.
Non questa volta.
Aveva deciso di non essere la pedina di Tom Riddle.
Sarebbe stata coraggiosa, come Harry.
Un corpo puo’ essere colpito.
La pressione della bacchetta contro la sua tasca era rassicurante; Poteva farcela.
Imitò Tom, dapprima con scarsi risultati, me migliorando tentativo alla volta.
“Devi sentirlo sulle labbra. Il tuo respiro fra i denti”.
Si muoveva vicino a lei, fremente.
Le posò le dita sulle labbra, e anche se lei non poteva sentirne il peso, la sua vicinanza le mozzò il respiro.
“Riprova”, Ordinò, perentorio.
E lei riprovò.
 
*
 
Quando la Camera si aprì davanti a loro, Ginny ebbe un fremito.
Impressionante quanto i dettagli della Camera si fossero marchiati a fuoco nella sua memoria, indelebili all’azione corrosiva del tempo.
La galleria, le umide pareti di pietra, il pavimento ricoperto di pozzanghere d’acqua dai riflessi di smeraldo; L’imponente statua di Serpeverde che troneggiava nel silenzio interrotto solo da stille d’acqua che cadevano dal soffitto per infrangersi contro il pavimento di pietra.
Re indiscusso di quelle ombre.
Tom avanzò nella penombra, così come aveva fatto la prima volta che vi erano entrati insieme.
Sembrava che ogni cosa stesse tornando dalle polveri della memoria; ogni gesto, ogni sguardo di Tom era come lo era stato allora, trionfante.
E nel terrore che le intorpidiva la mente, Ginny pensò che questa volta non sarebbe sopravvissuta.
Il cereo volto di Tom si fece scuro, quando la sagoma della carcassa del basilisco fu davanti ai suoi occhi.
Un vecchio ricordo, una vecchia sconfitta.
“Avanti Ginny, qui andrà bene”.
Non c’era più tempo per rimuginare.
Ginny sistemò il caldeone sul pavimento, e con una bacchetta accese un fuoco per riscaldarlo.
Estrasse con cura gli ingredienti, prendendo tempo mentre la sua mente lavorava febbrile.
Vincere su Tom.
“Prendi la fiala alla tua destra. Versa il contenuto nel calderone, poi aggiungi le erbe che abbiamo preso a Lumacorno. Con delicatezza”.
Gli ordini di Tom erano chiari, le sue indicazioni precise.
Seguiva ogni movimento con occhi attenti, euforici; incredibile come riuscisse a controllare il suo entusiasmo, come modulasse la voce per non spaventarla.
Ginny eseguiva con attenzione, cercando di non far tremare la mano mentre mescolava la pozione.
“Adesso, Ginny, devi prendere un osso dal basilisco. Avanti”.
Fu disgustoso.
Il fetore del basilisco lo rendeva inavvicinabile, ma Ginny vinse la repulsione.
Con un incantesimo spezzò un osso al gigantesco serpente.
“Questa pozione  è una variante, ma funzionerà comunque”. Affermò, sicuro.
Ginny non aveva dubbi in proposito.
Tom riusciva maledettamente bene in ogni cosa che faceva; quella pozione avrebbe funzionato, lo sentiva nel ribollire placido del calderone.
“La carne di drago. Fa' attenzione, adesso dovrebbe cambiare colore”.
Ed il colore cambiò.
Il liquido ambrato era diventato grigiastro, lucente.
Ginny alzò lo sguardo verso di lui, in attesa.
Gli ingredienti erano terminati; le fiale erano vuote, riverse accanto a lei, rilucendo dei bagliori del fuoco sotto il calderone.
“Manca l’ultimo ingrediente”. Calda, carezzevole. La sua voce non aveva eguali.
“Ma non è rimasto più nulla”.
Tom la osservava.
“Ho pensato a lungo a quale usare. Quello di Potter è stato quello che mi ha tentato di più”, disse meditabondo, “ ma alla fine ho deciso che il tuo sarebbe andato bene”.
“Il mio cosa?”.
“Sangue. Il sangue di una settima figlia di una famiglia purosangue. La tua magia è forte, l’hai sentita scorrere tu stessa. Il sette non è il numero magico più potente?”.
Ginny si sentì sbiancare.
Tom le fu vicino, e le sfiorò con le dita immateriali il volto.
“Poche gocce. Basterà un coltello”.
Con dita tremanti Ginny afferrò il coltello.
Non sarebbe più potuta tornare indietro. Era andata troppo oltre.
Strinse la lama del coltello nel palmo della mano, e una ferità si aprì sulla sua pelle, mentre un lamento le sfuggiva dalle labbra strette.
Le lacrime calde di sangue gocciolarono sulla pozione, che immediatamente ne prese il colore: un rosso cupo, denso.
“Avanti Ginny. Finisci il lavoro”.
Con un singhiozzo sommesso immerse le mani nella pozione, inspiegabilmente tiepida.
Avvicinò le dita zuppe di quel liquido color sangue alla pelle di Tom, e la magia della mistura si compì.
Sotto le dita tremanti di Ginny il viso di Tom prendeva consistenza, e laddove lo sfiorava vi lasciava tracce di sangue, che spiccava tetro sulla sua carnagione chiara.
Con delicatezza Ginny percorse il corpo di Tom, fino a che la magia fu compiuta.
Tom Riddle aveva di nuovo un corpo.
La risata del mago si levò in una eco, sconvolgendo l’innaturale calma della Camera, i lineamenti stravolti in un’espressione estatica.
 
***

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