La vita secondo Tersycore

di Tersy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La teoria dell'acqua minerale ***
Capitolo 2: *** L'emozione di Galileo ***



Capitolo 1
*** La teoria dell'acqua minerale ***


La teoria dell'acqua minerale (o De supermercato)

Non si sa mai da dove iniziare. È sempre la stessa storia. Si dicono e fanno le solite promesse ad alta o bassa voce, con quel cipiglio da condottiero. Classico veni,vidi,vici. E poi è già tanto essere arrivati e aver dato un'occhiata. Se si pretende anche di uscirne gloriosi, la barzelletta è pronta. Invidio le persone che ci riescono, con i loro fogliettini a quadretti scritti a mano, grafia morbida. Un elenco in ordine alfabetico, ma i più furbi scelgono l'ordine cronologico: hanno studiato le planimetrie, effettuato sopralluoghi e sanno con precisione millimetrica con quale successione temporale si imbatteranno i taluni prodotti. I loro cestini sono fucili a medio-lungo raggio e i loro carrelli sono carri armati d'assalto. Gli strateghi della spesa.

Io mi ritengo un civile casualmente capitato in una zona militare. Ho varcato quelle porte scorrevoli solo perché c'è scritto “Entrata”. E mi è parso saggio adattarmi alle regole del posto, senza protestare. Il cancello girevole rappresenta una linea di frontiera. Non so mai se è ad apertura manualmente o automatica. Ogni maledetta volta resto ferma qualche secondo aspettando un segno dal ferro. Faccio io o fai tu? Ho sempre l'istinto di alzare le braccia e gridare: “Non ho nulla da dichiarare, signore!” Quell'attesa variabile concorre a farmi pensare che stia riflettendo su di me, se possa essere un criminale o un buon diavolo. Lentamente mi dà il lasciapassare, con un movimento che vorrebbe intimarmi: “Non farmi pentire di questo gesto.”  Per questo nei discount mi muovo con una certa circospezione. Siamo braccati, ovunque.

A questo punto, mi si pone dinanzi una scelta, oserei dire, amletica: il cestino in plastica o il carrello? E sì che è una decisione da prendere oculati, bisogna valutare la quantità di compere che si prevedono di fare. Mi pare di aver già fatto intendere di non essere una persona particolarmente previdente. L'unica mia certezza è che ho una missione: comprare la carta igienica. Quindi, per quanto possa essere ingombrante, il cestino dovrebbe essere sufficiente. Ovviamente, sono impilati e incastrati in modo così malvagio che separarne uno solo è di per sé una prova di forza. Lo lascio penzolare sull'incavo del gomito. Una campagnola demenziale.

Sostengo che sia un compito gravoso. Quello dell'acquisto della carta igienica, intendo. Non so che idea abbiate voi di questo usa e getta, ma a mio avviso non ha nulla a che spartire con l'ambiente volgare a cui viene spesso associato. L'invenzione della toilet paper è stata una pietra miliare del costume della nostra società occidentale. Siamo diventati sensibili alle richieste di ogni parte del nostro corpo, che chiede: delicatezza, morbidezza e compattezza. Ormai non esiste più il buon vecchio monovelo, povero ma onesto lavoratore. Son tutti tetravelo e qualcuno anche pentavelo. Già immagino il reparto casa del 2020: una distesa di papiri con lo spessore dell'enciclopedia Treccani, ma in seta purissima. E non credo di stare esagerando. C'è perfino troppa scelta e ho l'ansia da prestazione, troppi prezzi, troppi veli e anche troppi colori. E se c'è una cosa che detesto sono i cattivi abbinamenti. Se non sta bene in tinta con le piastrelle, tanto vale prendersi un pugno nell'occhio.

Sto girando il supermercato per corridoi paralleli verticali, in modo da lanciare sguardi fulminei a singoli incroci e stabilire a colpo d'occhio in che settore mi trovo. Pasta, pane, succhi di frutta, bevande, igiene la persona.  Ecco forse sono vicina alla meta, dovrebbe essere lo scaffale opposto. Mi dirigo sicura, quando l'olfatto mi mette in allarme. Questa è menta e queste sono piantine da balconi per pollici verdi. Che io mi vanto di non essere. Ma perché non c'è una strutturazione logica e intuitiva? Ognuno si muove con il proprio bagaglio di intelligenza e cerca in base ad esso la coerenza. Eppure perdiamo le coordinate in un momento e siamo circondati da un vuoto pressante. E' come la teoria dell'acqua minerale.

Ho letto da qualche parte che il posizionamento dell'acqua minerale in un supermercato non è casuale, e nemmeno dettato dalla disposizione dei reparti. Bensì è una tecnica sottile di marketing. L'acqua è uno dei principali prodotti di largo consumo. Incolonnare le casse subito all'ingresso significa dare adito al fenomeno della spesa flash, il “prendi e fuggi”. Cioè prendi (paga) e fuggi. Il taccheggio delle bottiglie è difficile nonché rischioso (lo dicono per deduzione logica, e non per esperienza personale). Insomma, non va bene trovare tutto e subito. Bisogna prendersi del tempo, girovagare per gli scaffali ed è auspicabile che questa caccia al tesoro  ti permetta di scoprire  esigenze che non sapevi di avere. Come l'ennesimo barattolo per i sottaceti o il mocio superextra pulente. Comprare, tutto. Un'infinità di stronzate di cui tu, la tua casa e la tua famiglia avreste fatto benissimo a meno. Però “già che eri lì” hai pensato che fosse un'ottima occasione. Ecco la spiegazione del concetto chiave di “creazione di bisogni secondari”. Partire in spedizione per un bene primario (acqua) e tornare in patria con l'inutile (mocio).  

Forse le cose più importanti e di vero valore sono le ultime ad essere trovate. Passiamo il nostro tempo a confrontare le qualità e le caratteristiche delle cianfrusaglie, sulle quali non possiamo nemmeno fare a meno di soffermarci perché sono belle e buone. Comunque sia la strada è lunga e abbiamo tutta la mattinata. Saremo noi a dover pagare alla cassa ogni sciocchezza accumulata,lo spazio più o meno rosicato a ciò che lo meritava davvero. Dubito esistano sconti, 3X2 e tessere punti per la nostra leggerezza. Ci conviene dar fondo al portafogli e sospirare. Almeno ce la siamo spassata, o no?

Zip e poi pupille alla cassiera:

«Accettate carte di credito?»

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Capitolo 2
*** L'emozione di Galileo ***


L'emozione di Galileo (o De festa)


Odio le feste. Non ci posso fare nulla. Ne sono allergica, mi prende un prurito pazzesco quando mi invitano a un party, e anche la sinusite. Il più delle volte cerco di declinare, mi invento qualche scusa efficace. Alcune volte non mi è possibile rifiutare e sono costretta a presenziare a queste buffonate sociali. Gente ubriaca in casa di gente ubriaca che beve fino a ubriacarsi di nuovo e peggio. Cosa c'è di divertente in questo, nella vodka rovesciata, nei bagni intasati di vomito, nella musica (?) tunz-tunz-tunz che complica i più beceri atti comunicativi?
Odio questo, essere accerchiata da persone decerebrate, senza personalità, sballottate così tanto da tutto (alcool, fumo, droga, house) da misurare la loro presenza/assenza in bicchieri di carta, distribuiti ovunque nell'appartamento.

Odio le conversazioni da festa. Esempio?

Tizio: come ti chiami?
«Tersycore. »
Tizio: come?!
«Ter-sy-co-re.»
Tizio: Persi che?!
« No, no, non ho perso niente. Mi chiamo Ter (ti-e-erre) sy (esse-i) co (ci-o) re (erre-e). Tersycore. »
Tizio: Ah... Ma sei tipo straniera?

Stop. Va fatta una precisazione. È una squisitezza onomastica, ma è importante aggrapparsi alle sfumature. Sottolineare l'ovvio, l'evidente, è stupido. Il “grosso”, difatti, ci seppellisce di continuo. Proviamo un po' a spalare il fango e a scoprire che ne resta di interessante. Il buon 70% dei nomi latinizzati sono di origine straniera (altrimenti non subirebbero il processo di latinizzazione). Gli unici nomi che si possono definire italiani sono quelli che erano in uso presso i nostri avi togati. C'è da dire, dunque, che una Maria potrebbe essere nata nello Sri Lanka , come un Motumbo può essere nato a Vicenza, senza necessariamente che nel primo caso sia figlio di italiani e nel secondo di nigeriani. I nomi non costituiscono (o non costituiscono più) un marchio di fabbrica, un made in. Riflettono solo il gusto più o meno tradizionale, più o meno sobrio, più o meno di tendenza, dei genitori.
I miei mi hanno chiamata Tersycore. In greco antico, significa “colei che si diletta nella danza”. È anche una delle nove Muse, quella che appunto protegge l'arte coreutica. A dirla tutta, la dea ha la i al posto della ipsilon, ma così fa decisamente più vogue.

Torniamo alla conversazione. Ed ecco la mia risposta secca. O seccata. Dipende dalla sensibilità altrui.

«Sono italiana, checché se ne pensi.»
Tizio: Come mai questo nome insolito?

Buongiorno, cliché! Prego, accomodati, non fare complimenti. Gradisci anche da bere?
Oramai convivo lucidamente con questa domanda. Tant'è che ho preparato un testo unico, onnicomprensivo, che soddisfi tutte le curiosità. No, i miei non sono ballerini. No, non mi piace ballare, sono anche incapace in quest'ambito. I miei genitori sono professori di lettere classiche e dato che negli anni di gioventù erano soliti assumere droghe leggere (una mia supposizione, non troppo surreale), decisero che volevano nomi “intellettualmente apprezzabili” per i loro figli. Mio fratello, tanto per darvi un'idea, si chiama Icaro, ma non è appassionato di aviazione. Forse se potessero tornare indietro, ci battezzerebbero come Marco e Francesca, ma ormai quel che è fatto e fatto. E dopotutto, mi piace Tersycore.
La realtà è sempre molto più deludente di quello che si può immaginare. D'altronde, è il ruolo precipuo della fantasia, migliorare il reale. E non mi faccio sfuggire l'occasione.

«Perché mia madre, quand'era incinta, andò in viaggio in Grecia, sul monte Elicona, dove abitavano le Muse. Si vide in sogno proprio Tersicore che le disse che sarebbe stato di buon auspicio chiamare la bambina come la dea. E così fu.»
Tizio: Forte!

A questo punto, tiro un ghigno di compiacenza. È quello che la gente vuole sentire. Ed è quello che nella maggior parte dei casi dice: una valanga di frottole quasi accattivanti. Mi convinco sempre di più che questi festini, questi aperitivi, sono ricettacoli per discepoli. Ognuno cerca di crearsi il suo stuoino di adepti, di cagnolini bavosi che pendano dalle proprie labbra.
Sono satelliti artificiali. Ti orbitano intorno perché sono stati programmati per farlo. Scatteranno foto, analizzeranno e invieranno dati sulla tua persona finché avranno abbastanza carburante. Dopodiché fuggiranno come comete, ma con la coda tra le gambe.

Non vi racconterei tutto questo se non mi fosse accaduto qualcosa di anomalo. Ad una di queste feste, per me tutte uguali e ripetitive, mi si avvicina un ragazzo. Non è bellissimo, ma essendosi distaccato dalla massa, più decentrato, si fa notare.

Tizio: Piacere, Filippo.
«Ciao, Tersycore. »
Filippo: Wow, che bel nome.

Sorrido. Un po' perché mi imbarazzano i complimenti, in generale. Anche quando io non ho alcun merito. Un po' perché abbiamo già saltato gran parte della presentazione standard. L'inizio non è male.

«Grazie. »
Filippo: Cosa fai nella vita?

Vivo. No, non gli ho detto questo. La tentazione, però, è sempre molto forte.

«Studio giornalismo. Anche se mi piacerebbe diventare una sceneggiatrice. »

Non so perché faccio questa specificazione. Non mi ha chiesto: qual è il tuo sogno nel cassetto. Sono sempre più sorpresa dalla duttilità con cui gli uomini svelano agli sconosciuti i loro più intimi desideri. Comunque, lui non si pone il mio stesso problema sulla natura umana.

Filippo: Ti potrei consigliare alcuni corsi da seguire. Non difficile riuscire, ma occorre molto restare nel giro avere i giusti contatti.

Ma che feste frequentavi prima? Perché non ti ho mai visto finora?
Comprendo una briciola dell'emozione provata da Galileo, quando scoprì grazie al suo telescopio i quattro maggiori satelliti di Giove. Poter smentire una teoria consolidata, scoprire che esiste qualcuno che ti gira attorno perché naturalmente attratto da te... è meraviglioso.

«Eppur si muove...»
Filippo: Scusami, hai detto qualcosa?
«No, nulla.»

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