Il coraggio della Fenice

di Tersy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Epilogo I: Sangue e luce ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: Nessuna di loro ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: Il buio eterno ***
Capitolo 4: *** Capitolo III (parte prima): Una dolce assuefazione ***
Capitolo 5: *** Capitolo III (parte seconda): Sarà mai abbastanza? ***



Capitolo 1
*** Epilogo I: Sangue e luce ***


Epilogo I
Sangue e luce


Mai sfidare il Destino.
Questa roccia brucia e fuma la mia carne su di essa. I miei occhi sono ustioni aperte e in ogni respiro c'è sempre più cenere. Tutti i metalli sono arroventati, le vesti non coprono più. Non è rimasto più nulla di vivo e anch'io mi appresto a scomparire.

Dove abbiamo sbagliato per essere stati puniti in questo modo?
Abbiamo combattutto per il Bene, difendendo i più deboli, affrancando dal proprio dolore i malvagi. Abbiamo ridato la speranza ai cinici, scaldato i cuori più indifferenti. Abbiamo creduto nell'Amore, nella Giustizia e nella Pace. Umani che salvano altri umani. Insicure del nostro valore, ma coraggiose nelle nostre paure. Pronte a tutto, ma non a questo.
Perché questa tortura, perché questo massacro, perché questa distruzione?

Il palazzo di cristallo è solo terreno per fondamenta instabili. Non ci sarà nessuna ricostruzione.
I nostri cadaveri saranno ammassati su di una pira, perché il fuoco è il re e il boia. Perché dobbiamo consumarci e cancellare il nostro passaggio dalla faccia della luna. Non so più che fine abbiamo fatto gli altri. So, invece, qual è stata la loro sorte: quella che ha già sgozzato tutti e ora mi si avvicina a passo lento, con la puzza di carogna sull'armatura.

Sono distesa sul fianco sinistro e la frangia sulla fronte non mi permette di guardare. D'altronde, cosa c'è di entusiasmante nel puntare le pupille del tuo assassino? Non voglio assistere alla mia esecuzione. Fa' quel che devi, donna, quel che senti di dover inerogabilmente fare. Io non posso fermarti e tu hai già sfoderato la spada. Mi resta la consapevolezza che non potrai mai saziare la tua voglia di genocidio. E infine sarà il suicidio la tua unica soluzione.

Tutta la vita di un uomo si può riassmere nell'ultimo gesto compiuto prima della fine. Io infrango un tabù. Ancora una volta. Non avrò nemmeno il tempo per pentirmene.
È ridicolo. Noi siamo ridicoli, questa tragedia lo è. Sono la figlia di Cronos e devo supplicare per avere una manciata di istanti. Per scoprire l'ultima carta. Richiamo il fiume lascivo che custodisco, inganno i suoi pesci e li guido controcorrente.

Mi strappo una chiave dalla cintura. Il ferro si è fuso in gran parte e il solo contatto di procura immenso dolore. Mi tremano le mani, allora non sono ancora morta. Schiudo le labbra e sfioro l'oggetto. Mi sembra di essere afona, spingo fuori le parole, ma si spezzano sul palato e raschiano la gola.

Oracular Warning

Si illumina il glifo, a raggiera. Un attimo di immortalità innocente. Rannicchio le gambe, in una posizione fetale che mi riporti lontano, lontano, lontano... Il suo fendente arriva male, forse è accecata dal bagliore. E così mi vedo trapassare, sporca di me, di quello che ho dentro. Flusso che scorre via.

Spiro qui, tra sangue e luce.

Setsuna Meio
principessa di Plutone

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Capitolo 2
*** Capitolo I: Nessuna di loro ***


Capitolo I
Nessuna di loro


Mai chiamare il Destino.
Se esiste anche un solo flebile fiato che possa riconoscere, lo capterà e sarà il tuo contratto. Non chiede la tua approvazione, non fa nulla per essere comprensivo. Ti distrugge e non prova né gioia né dolore. A chi potrò dare la colpa delle mie lacrime, se non a me stessa?

«Volevate parlarci, principessa?»

Il lungo mantello rosso del mio abito è come un drappo che cerca di nascondermi. Forse prova il pudore che dovrei provare anch'io. La vergogna di essere complice di un reato che io stessa ebbi motivo di condannare. D'altra parte, i teorizzatori del male non sanno cosa sia. Ci ponemmo al di sopra delle nostre scelte personali e morali, per un'etica comune e condivisa. E l'abbiamo puntualmente infranta. Ipocriti che non siamo altro.

«Sì.»

Ho i capelli sciolti, non me ne ero neanche accorta. Li raccolgo sulla spalla sinistra e cerco goffamente di farne una treccia. Deglutisco spesso e sbatto le palpebre in modo innaturale. Quel magone, comunque, non ha nessuna intenzione di lasciarmi andare. Mi stritola la voce e non sono più io a parlare. Sono assisa al mio trono eburneo e la tiara brilla per compensare l'opacità delle mie pupille. È la mia maschera da sovrana. Non cedere, non ora.

«Ho una missione per voi. Dovete tornare sulla Terra.»

Tutte e tre al mio cospetto, in ginocchio. Dovremmo scambiarci i ruoli, ragazze mie. Sono ormai corrotta e dovrei abdicare in favore di chi mantiene ancora intonso il suo giudizio. La nobiltà d'animo è la prima offerta sacrificale all'ideale della comunità. È così indolore che non siamo nemmeno consapevoli della sua mancanza. Non arrivate mai a questo punto, non perdete brandelli di voi stessi senza piangere.

«Sulla Terra?!»

Yaten solleva il capo a questa mia affermazione. Detesto la sua irruenza. Perché mi costringe a replicare, a discutere, a trovare delle giustificazioni. Non sono fatta per combattere. Resto in silenzio. La lascio sfogare. E mi tolgo d'impaccio.

«Abbiamo sofferto e sudato per tornare sul nostro amato pianeta e poterci restare per sempre. E adesso dovremmo andarcene?»

Non comprende quell'ordine che le suona come un vaneggiamento. E ha ragione, in pieno. Quando si raggiunge uno stadio di quiete, lo si difende a morsi. Dopo la sconfitta di Galaxia per tutti i muscoli si erano distesi e si facevano già mille progetti. Per il proprio regno, la propria famiglia, la propria felicità. Non abbiamo forse diritto a questo stand-by? Mi sento improvvisamente scomoda, inadeguata. Come faccio a dire loro che, non solo non è finita, ma non è mai davvero iniziata?

Sento il bisogno di un contatto visivo con i loro visi spaesati. Yaten vorrebbe ringhiarmi addosso, Taiki mantiene la sua aura di distacco intellettuale. Ma è Seiya a preoccuparmi maggiormente: non emette fiato e la sua espressione è vuota, assente. Ho il timore che preveda ogni mia sillaba, che conosca le mie prossime mosse. È uno sguardo che mi umilia, proprio perché ambiguo. Non pendono più dalle mie labbra, nessuna delle tre. Sono fieri cavalieri delle loro stesse cause. Non sacrificheranno la loro vita solo per un mio capriccio. Senza un onore altissimo per cui anche perire.

«È necessario. C'è un nuovo nemico. E si sta per mostrare. »

Si guardano l'un l'altra quasi a trovare conferma che quanto abbia udito ciascuna, sia stato udito allo stesso modo anche dalle altre due.
Sono portatrice di questa verità, veicolo di un messaggio che ha attraversato più lustri. Sta a me l'ultima decisione gravosa. Se dare inizio ad una guerra tremenda, dove per tutti c'è il rischio di morte o crogiolarmi tra la seta e gli arazzi, finché la distruzione non metterà piede nel mio palazzo. Ho scelto la prima ipotesi, e già me ne pento.
È Taiki a reagire per prima.

«E allora? Sono certa che la principessa Serenity e le sue guardiane sapranno egregiamente affrontare il nemico. Non è il caso di creare allarmismi. Qualora richiedessero il nostro supporto, saremo pronte ad agire. Noi serviamo qui, principessa. Occupiamoci dei nostri affari, innanzitutto. »

Diversamente da quanto mi è stato impartito sin da piccola, smetto di controllare i miei movimenti. Scatto in piedi e mi avvio al centro del salone. Non le riconosco in questo freddo egoismo, la paura di perdere queste labili certezze non può spingere all'indifferenza. O forse sì, e sono io quella illusa che crede ancora negli equilibri dell'universo. Ho sbagliato, d'accordo, ho sbagliato più volte. Ma non metterò per questo la testa sotto la sabbia e non mi terrò in disparte. Sono delusa da questo loro atteggiamento.

«Una minaccia per uno, è una minaccia per tutti. Tenetelo sempre a mente.»

Continuo ad elargire parabole come se questo possa placare la mia inquietudine. E ,di fatto, non ci riesco. Crollano le mie braccia sulle cosce. Basta. Sono stanca delle menzogne. L'omertà è durata sin troppo. Non si può pretendere di ottenere la massima fiducia se non si è disposti a donare a se stessi. Completamente.

«Seguitemi.»

Mi incammino verso il retro della stanza del trono fino alla parete principale. Su di esse è dipinta una trama di fiori d'osmanto gialli, i miei preferiti. Il più grande di essi è posto al centro. Lo sfioro con il palmo della mano destra.

«Esiste un'alleanza tra i sovrani di tutta la Via Lattea. Fu stipulata più di nove secoli fa e viene mantenuta al passaggio generazionale dei regnanti. Il motivo precipuo per cui si ricorse a un patto vincolante tra i regni fu la scoperta dei Varchi Temporali. Nello spazio il tempo si dilata e si restringe seguendo le leggi dettate dal Caos. In alcuni punti queste forze si scontrano e si relazionano tra loro, compromettendo l'ordine del tempo.

«Il primo varco è la Porta di Cronos, dove sono ammassate le epoche dell'universo. Il secondo è la Porta di Ukronos, altresì chiamato inferno dove il tempo non esiste e le anime malvagie di ere diverse coesistono. La priorità era, è, difendere questi luoghi dalla profanazione. La persona più adatta a ricoprire questo ruolo era la guardiana di Plutone, poiché il suo pianeta è il più vicino alle Porte e il più lontano dai restanti regni. Le furono affidate ambo le chiavi. Un potere immenso, ma che possiede i suoi obblighi e i suoi tabù.»

Infilo la mano sinistra nella scollatura dell'abito pesco. Gli anelli della catena mi graffiano il collo. Sfilo via il ciondolo dalla testa e mostro il pendente aureo sul palmo della stessa mano. Una linea continua che si attorciglia creando una fitta trama, come un labirinto, racchiusa in un cerchio. Il simbolo dell'Alleanza.

«Vi sono tre tabù inviolabili: il blocco del tempo, il viaggio crono-spaziale e la previsione del futuro. Furono imposti perché nessuno potesse approfittarne per i propri interessi. Alterare le trame del tempo significa provocare ulteriori danni. Tutte le reazioni hanno delle conseguenze. Ahimè, non siamo mai stati in grado di rispettare le nostre stesse regole. Le necessità ci hanno piegato e abbiamo voltato le spalle ai nostri principi. C'era un capo espiatorio, la paladina di Plutone, e non abbiamo battuto ciglio per addossarle le malefatte e le imprudenze. È stata esiliata già in passato. Ma presto sarà nuovamente bandita per aver osato ancora disobbedire. »

Restano tutte e tre in silenzio, come se temessero di esprimere giudizi affrettati e volessero attendere il finale del mio racconto. Sono disincantate e fredde e parlare con lucidità mi risulta sempre più complesso. Farò uno sforzo, per il sacrificio che è stato compiuto, per il sangue che si potrebbe versare. Sailor Pluto mi ha scelta perché sapeva che avrei compreso. Non vanificherò la sua impresa.

«Stanotte ho ricevuto una visione, un Monito Oracolare dal futuro. È stato violato anche il terzo tabù. »

Faccio tre passi indietro e serro le gambe, piedi uniti. L'amuleto è petto in direzione dell'osmanto maggiore. Un pulviscolo di luce rischiara la superficie e il fiore si tramuta in un rosone vitreo. Lo schermo per la proiezione di un massacro. Immagini passano rapide, senza didascalie futili: sullo sfondo, il Crystal Palace avvolto da fumo e fiamme. Gli abitanti scappano in cerca di un riparo ma troveranno solo la mano mostruosa dei loro carnefici. Gli ultimi istanti del Regno Lunare.

Le loro facce raccapricciate, il loro senso dell'orrore. Non hanno perso la capacità di ripudiare il Male. Sono state colpite, affondate dalla crudeltà della rivelazione. Ecco, le mie Starlight, che non si piegano al comodo menefreghismo, che rispondono con vigore alla violenza. Ecco le persone che voglio al mio fianco!

Tutto scompare così come è apparso: nella nebbia. E solo mia voce pare un eco inconsistente.

«Questo messaggio comporta il nostro coinvolgimento. Vi affiancherete alle guerriere terrestri, come in passato. Bisogna impedire questo genocidio. »

Comprendo che questo è un addio. Qualunque cosa accada laggiù, potrebbe passare molto tempo prima di tornare a casa. Perché devono tornare, io glielo ordino. E impongo anche al Fato di farmele rivedere ancora una volta. Non importa quanto passerà. Non c'è fine peggiore di quella che ti coglie lontano anni luce dal tuo nido.

Brucio ogni formalità, attitudine regale, superiorità monarchica. Voglio stringerle, voglio che il mio profumo d'ulivo non le abbandoni mai. Che s'impregni nella loro pelle, che non possa essere lavato via. Getto le mie braccia intorno ai loro colli, mi faccio stritolare senza ritegno. Sarà il ricordo che poterò con me in questi mesi di prigionia in cui non saprò nulla di ciò che accade loro.

«Seiya, tu non hai nulla da dire?»

Le bisbiglio all'orecchio quando è il suo turno. Sento solo i suoi muscoli che si contraggono con più energia e le sue braccia che mi attanagliano.

«Sono solo preoccupata per vostra Maestà. Non voglio vedervi soffrire. »

Le accarezzo i capelli, sfiorandole la nuca. Aspetto che sia lei a divincolarsi, altrimenti potrei non staccarmi più.

«Andate. E restate in vita. »

Non posso reggere la vista delle loro schiene. Sono io a girarmi e a lasciare al mio manto le veci della mia persona. Solo quando le tre varcano di nuovo la soglia, due fiumi hanno origine dalle mie ciglia.

Riapro il palmo, laddove lo stemma dell'Alleanza scotta. Veicola il mio calore corporeo e lo amplifica. Volto il medaglione dalla faccia opposta. Un testo è inciso in caratteri corsivi e goticheggianti. Ne leggo solo due versi, a bassissima voce.

Il Cavaliere si macchierà del sangue dell'Albina.
La maledizione allora ricadrà sul Cavaliere.


Le mie lacrime riempiono i solchi sul metallo, ma non le pieghe del mio cuore.

«Ti prego, fa' che non sia nessuna di loro...»

Kakyuu
principessa di Kinmoku

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Capitolo 3
*** Capitolo II: Il buio eterno ***


Capitolo II
Il buio eterno

Mai aggiogare il Destino.

Credo nelle profezie. Quelle delle catastrofi, della fine del mondo, che auliscono di distruzione. Giudizi universali che provengono da più divinità. Perché l'uomo si pavoneggia padrone del creato. E va punito a periodo alterni.

Non ha senso schiacciare questi presagi: essi hanno già tenuto in conto la tua mossa ribelle e creato un escamotage affinché possano comunque avverarsi. Anticipare o procrastinare un evento è assolutamente inutile.

Credo nelle profezie che conferiscono poteri immensi e assoluti. Perché li bramo. È l'unica cosa umana che mi resta, la bramosia. E il mio desiderio più umano troverà realizzazione mentre il mio corpo sarà putrido al pari della mia anima.

«Benvenute anime dannate. »

Li accolgo così, al mio cospetto in questa sala cupa e asfissiante, dove ho eretto il mio trono, il mio governo, il mio regno. Ove molti s'addentrano, infelici, e nessuno vi può scappare. Una silente dittatura dettata dal Fato. A qualcuno doveva pur spettare il dominio della bocca dell'Inferno. E io sono la migliore. Perché sono l'unica.

Nessuno dei sette osa aprir bocca. Paura, prudenza, mutismo? Non so, ma lascerò al tempo che qui giammai scorre di concedergli il beneficio del dubbio. Che gran dono.

«Vi starete chiedendo come mai vi trovate qui. Ve lo dirò subito perché i secondi perduti si pagano in supplizio. Vostro e mio. »

Accavallo le gambe, mentre districo i lunghi capelli bianchi, passando le dita tra essi. Ogni nodo che risale in superficie, lo spezzo, lo anniento con le unghie. Nessun intoppo, nessun ostacolo.

«Sono la regina Nugarete, sovrana di queste lande desolate. Ho deciso di convocarvi dalle profondità infernali per farvi una proposta. Vi offro ciò che più di ogni altra cosa voi agognate: una seconda possibilità. Se sarete con me, vi darò modo di vivere un'altra volta.

La freccia è stata scoccata e mi rifiuto di credere che nessuno sia rimasto ferito. Anche loro conservano una parte di umanità. La stessa parte. Coraggio, perché non parlate?

«E chi mi dice che tutto ciò è vero? Come faccio a sapere che non stai mentendo? »

Uno tra loro muove le prime parole, laceranti e d'accusa. La ferita gli sanguina, a quanto vedo. Continuo a pettinarmi manualmente e con una voce tinta di curiosità gli chiedo

«Dimmi, per cosa sei stato condannato all'Inferno? »

«Superbia. »

«Lo sospettavo. Sai, la superbia non è un male. Darsi un certo tono e imporsi su gli altri non è sbagliato. E poi se uno lo fa, è perché può permetterselo, non credi anche tu? »

Questi non replica, ma il suo ghigno ombrato racconta e tesse le trame dei suoi pensieri.

«E tu là, bella ragazza, per cosa sei stata condannata? » indicando una giovane che si trova nel fondo della sala. Quella si toglie i capelli dal viso con un gesto delicato e dice:

«Lussuria. »

«E cosa c'è di male a godere dei piaceri della vita? L'amore, si sa, non esiste. Quindi approfittare di ciò che si può avere subito è molto furbo. Tu hai capito tutto, mia cara. »

La giovane mi sorride compiaciuta. E io contraccambio con una smorfia simile.

«E tu, invece, che ti trovi alle sue spalle, nascosta nell'ombra, qual è la tua colpa? » proseguo, scorgendo nel buio una sagoma.

«Invidia. » risponde facendosi avanti.

«L'invidia ce l'hanno tutti. Credi davvero che chi ti ha spedito all'Inferno non sia invidioso di qualcuno? Sei stata discriminata perché tu hai avuto il coraggio di mostrare apertamente ciò che brami, mentre gli altri ipocritamente lo tengono nascosto. Non è vero? »

Ella annuisce, senza fiatare e tornando a nascondersi nella penombra.

«E ancora, tu che sei appoggiato alla colonna, cosa ti ha fatto sprofondare nella voragine infernale?»

«Accidia. » afferma con viso annoiato e semiassente.

«Che parolone! Che vuoi che ci sia di male, se ti lasci andare ed eviti inutili stress come il lavoro, la fatica, il dovere e ti abbandoni al dolce far niente? Sono stati duri con te. »

Non mi risponde, credo non ne abbia nemmeno la forza o la voglia, ma le mie affermazioni sembrano compiacerlo.

«Tu con le mani in tasca, cosa hai combinato in vita? »

«Avarizia. »

«Vorrai dire risparmio, parsimonia, moderazione. E non sono certo crimini... Ad essere generosi ci si perde soltanto. »

Questi scrolla le spalle, mantenendo i palmi ben stretti nella loro posizione.

«Tu, avanti, dimmi cosa stavi scontando tra le fiamme? » incalzo verso una giovane in carne.

«Gola. » bisbiglia, come se il ricordo le provocasse ancora dolore.

«Bazzecole! Cosa avrei fatto di tanto malvagio? Divoravi tutto quello che ti capitava e rubavi cibo agli altri? Non vuol dire certo dire che non sei una persona per bene. E poi sicuramente sarai stata schernita dagli altri per la tua "presunta" voracità. E loro? Sei sicura che hanno avuto quello che si meritavano? »

La vedo stringere i denti, in un gesto di stizza, di follia trattenuta. Lo prendo per una conferma.

«E tu, infine, con quegli occhi assatanati, di cosa ti sei macchiata? » rivolgendomi all'ultima anima, che tace ma sembra voglia urlare.

«Ira. » urla, colpendo con un pugno carico di potenza il muro, lasciandovi un fosso.

«Perfetto, bisogna sempre tirar fuori la rabbia, mai lasciare che ti imploda dentro. Credo che mi sarai molto utile. »

Lei ritira il pugno, chiudendo nel palmo della mano opposta. Quasi il dolore alle nocche fosse inferiore a quello che le ustiona dentro.

«Bene. Come potete vedere le vostre vicende parlano chiaro: siete stati ingiustamente puniti. Perciò, se starete al mio fianco, oltre alla vita, potrete dissetare la vostra legittima sete di vendetta. Allora, accettate o no? Scegliete la vita... » Entrambi i miei palmi mi sfiorano il busto.

«O la morte? » il mio indice accusatore mostra loro le porte oscure dalle quali sono usciti.

Si guardano tra loro, rapidamente. Cosa aspettate? Cosa c'è mai da riflettere?

«Accettiamo. » rispondono unanimi.

«Molto bene. »

Compiaciuta, con un battito di mani, faccio scomparire gli accessi agli antri più infimi del regno.

«D'ora in poi sarete sotto il mio comando. Dimenticate le vostre vite passate perché ormai non vi appartengono più. Avrete nuovi nomi: l'anima arrogante sarà Yperos; l'anima lussuriosa sarà Herotika; l'anima invidiosa sarà Ftona; l'anima oziosa sarà Tempelio; l'anima spilorcia sarà Filargo; l'anima ingorda sarà Edu; infine, l'anima iraconda sarà Tuma. »

Avranno mille domande, ma qui, in questi luoghi, vige la regola dell'ascolto. In vita non abbiamo fatto altro che blaterare, per giustificarci, per ingannare, per inventare milioni di scuse. Da morti bisogna solo attendere e pazientare. L'udito, per questo, si affina.

«Insieme sarete "i 7 dannati" e non avrete altra padrona all'infuori di me. »

Uno dei miei servitori mi allunga un vassoio di rame lucido. Su di esso posati sette ciondoli. Uno a uno li consegno ai nuovi proprietari, come un sigillo, un marchio di ceralacca.

«Cosa dobbiamo fare per te, mia signora? » è Yperos, impaziente, a parlare.

Torno assisa sul mio trono d'ebano e getto la chioma lattea alle spalle. Senza fissare alcun punto in particolare, gli concedo una spiegazione.

«Sulla Terra vive una principessa. Ma non è davvero una terrestre. Sua madre, la regina, l'ha mandata su quel pianetuncolo per salvarle la vita e adesso vive come un essere umano. »

Quelle inutili creature, gli uomini. Mi sembra impossibile essere stata parte del loro mondo un tempo. Poi proseguo:

«Come ogni principessa è estremamente viziata e capricciosa. E qui entrate in gioco voi: siete l'apoteosi dei vizi, il meglio del peggio. Facendo leva sui suoi difetti, l'avrete in pugno. Ma fate attenzione alle sue virtù! Quella ragazzina sa essere ostinata e non sempre si fa soggiogare facilmente »

Li fisso attentamente negli occhi, ora. Come se le parole udite finora fossero state solo un lungo preambolo e potessero svanire nel nulla senza lasciare tracce. Ma adesso no, ora dovete incidere queste sentenze nei vostri spiriti. Non si può fallire.

«Ciò che lei possiede è ciò più bramo e desidero. Perciò avete una sola missione: andate su quell'inutile pianeta, trovatela... e uccidetela. Non mi interessa come, voglio solo vederla morta. Ora andate e tornate col suo freddo cadavere. »

Un altro battito di mani e i 7 dannati svaniscono dalla mia sala del trono e sono in viaggio verso il pianeta blu. Scaccio via i servi e consiglieri. Non voglio nessuno attorno. Voglio solo l'aria appestata di disperazione e dentro me l'avvampo di un fuoco di liberazione. Finirà, finirà tutto presto.

«Povera principessa... Non sai cosa ti aspetta. Non sai che dovrai morire! Goditi gli ultimi raggi di sole perché per te verrà il buio eterno.»


Nugarete

regina di Ukronos



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Capitolo 4
*** Capitolo III (parte prima): Una dolce assuefazione ***


Capitolo III (parte prima)
Una dolce assuefazione


Mai cibarsi del Destino.

È un pozzo senza fondo, una zuppa annacquata di nascosto. Ad ogni cucchiaiata ti convinci di approssimarti alla fine del pasto, ma non sei che al principio. Lui lo sa e ci gode. Ti guarda, il Fato, e fa: “Vuoi un altro mestolo di minestra?”. Tu annuisci, tuo malgrado, perché quel brodo è quanto di più semplice e leggero tu possa mai assaggiare. Te ne ingozzi fino a scoppiare e solo a cena terminata, quando è troppo tardi per cambiare ordinazione, ti rendi conto di non aver mangiato affatto.

Infilo la chiave nella toppa e la ruoto in senso orario. La saracinesca si solleva stanca e sento il ronzio dell'ingranaggio vecchio e mai oliato. Accendo l'insegna e lo Sweet Submissions può dirsi aperto al pubblico.

Ho perlustrato la città per cercare il luogo adatto dove insediarmi. E il corpo adatto. Questa donna ha fatto davvero poca resistenza e la mia anima è penetrata dentro lei, scorrendo quasi con naturalezza. Guardandomi allo specchio, non riesco a stranirmi, a commentare l'immagine riflessa. Un caschetto di capelli castani contorna un viso lievemente paffuto, macchiato da due occhi nocciola. I seni abbondanti e i fianchi larghi, tutto in 165 centimetri di altezza. Il mio primo corpo è polvere di polvere e ovunque sia sparsa non fa acquolina a nessuno. Non ho nessun ricordo di esso, delle mie forme, dei miei capelli, dei miei colori. A dire il vero, ho pochissima memoria anche del resto: a Ukronos non solo il tempo non esiste, ma non è possibile pensarlo. Tutto si illanguidisce fino a estinguersi in silenzio.

Ho delle visioni, raramente, e mi persuado sempre più di averle rubate ad altri dannati. La proiezione è la stessa, tutte le volte, una bobina che gira a vuoto su uno schermo sporco e confuso.

Sono in una casa umile, uno stretto corridoio conduce a una piccola stanza da letto. Si sente un odore acre di medicine, di aghi, di flebo. Un grappolo di gente è lì ammassata e circonda il letto, con lo sguardo mesto, vinto. La luce interna rasenta le tenebre. Qualcuno mi chiama, non sono in grado di distinguere quel nome, ma so che si sta riferendo a me. Mi avvicino al centro della stanza, sorpassando e infiltrandomi tra le persone. Giungo al capezzale. Un uomo, un dottore suppongo, pizzica il tubo di una flebo per controllare che lo stillicidio sia nella giusta frequenza. La stessa voce prende a sussurrarmi qualcosa. È la ragazza che giace sfinita e pallida tra le lenzuola.

«Non commettere i miei stessi errori.»

Bella frase, se sapessi a cosa si riferisce.


«Ma mi sta ascoltando?»

Vibro il capo per tornare a questo mondo stupido. Una signora anziana mi fissa dall'altro lato del bancone con due guantiere di pasticcini, una in una mano e una nell'altra.

«Sì, stava dicendo che... » tentenno, non l'ho minimamente ascoltata. Non sapevo nemmeno fosse entrata in negozio.

Quella rotea le pupille, come a provare pietà per la mia distrazione facile.

«Le chiedevo quale fra questi è più adatto per una festa di compleanno per bambini. I dango1 o i kompeito2

Inutile dire che non ne abbia la più pallida idea. Sembrano entrambi invitanti, ma non so nemmeno quali siano gli ingredienti. Mi invento qualcosa lì per lì.

«I kompeito sono più leggeri e colorati. » il che è solo una constatazione di fatto e non un consiglio. All'anziana, però, sembra sufficiente, paga e se ne va.

La giornata in pasticceria scorre nel modo più tranquillo e noioso possibile. Ho davvero tanto cercato questo: i clienti passeggeri e sordi, incartare, stipare denaro in cassa, poltrire al di là del bancone? È questo che volevo? È per questo che ho siglato un patto di omicidio?

Una pallina rosa di dango è l'unica rimasta in tutta una guantiera. La prendo con indice e pollice con estrema lentezza. La osserva a stretto contatto col naso, rigirandola varie volte tra le dita. L'avvicino alla bocca. Tiro un morso e aspetto che il boccone si sciolga sulla lingua.
Non so bene come, ma so che questo preciso gesto è l'inizio della mia perdizione e pur dimenticato da secoli, mantiene intatta la sua travolgente morbosità. Inghiotto in un sol morso il restante pasticcino e sento le dita appiccicose. Le lecco una ad una. Che errore! Cerco altri dango con cui saziarmi in un tremendo supplizio di voracità.

«Signorina, si sente bene? »

Sono riversa sul banco, le braccia lunghe che sfiorano il capo. Il ventre preme contro il bordo del tavolo. Vorrei distruggermi lo stomaco a furia di colpi, vorrei che lo spigolo appuntito del bancone lo lacerasse e potessi strapparmelo via. Chi conosce i morsi della fame può capire cosa sto provando. Non smetteranno, non smetteranno. Mi brucerà sempre dentro l'insoddisfazione e le mie carni si contorneranno senza ritegno. Sarò per sempre affamata. Batto con forza i pugni sul tavolo e ho una terribile voglia di piangere. Sento qualcuno biascicare che chiamerà un'ambulanza, ma non me ne curo e resto abbandonata a me stessa.

«Che forza la sua cintura, signora! »

Un moccioso mi sta di fronte e indica col suo dito tozzo e paffuto la mia cintola. Abbasso lo sguardo, senza capire a cosa si stia riferendo. Impallidisco. Il talismano che porto all'altezza del bacino, una mela rosa stilizzata, improvvisamente abbaglia con la sua luce intermittente. È il portentoso amuleto che ci ha donato la Signora. E so anche cosa mi sta segnalando: è qui, è qui vicino. La preda da consegnare esangue, come stabilito.

Lo scacciapensieri tintinna alla porta e dalla fessura che si allarga all'incedere del nuovo cliente, la vedo. Una ragazzina con la divisa scolastica, dai lunghi odango biondi. Mi rimetto eretta e ritrovo contegno e apparente serenità, sorridendole come a chiunque altro. Si è presentata ella stessa dal suo carnefice. Non ha molta voglia di vivere. Forse ne ho più io, che sono già morta.
Vuole morire di una dolce assuefazione.

Edu
peccatrice di Gola

Note
[1] i dango:(Qui)
[2] i kompeito:(Qui)

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Capitolo 5
*** Capitolo III (parte seconda): Sarà mai abbastanza? ***


Capitolo III (parte seconda)
Sarà mai abbastanza?


Mai affacciarsi al Destino.
Nascondi il viso piuttosto, camuffati se puoi. No, non è sufficiente a sfuggirgli, ma fa guadagnare del tempo, vita raschiata sul fondo in una scodella. Tutti abbiamo bisogno di vivere, ancora un altro po'. Affrontarlo a volto scoperto è un suicidio. E non tutti sono pronti a questo passo così presto. Vigliacchi, certo, ma la spavalderia con cui ci si toglie dal mondo è la paura che prima o poi qualcuno ci rubi la felicità. Non voglio perdere la mia felicità.

Spingo la porta d'ingresso al negozio. Una pasticceria di cui mi ha parlato Makoto. Dice che fanno dei dolci buoni quasi quanto i suoi. E di cioccolato ne ho bisogno un bel po', se è vero quello che afferma Ami, ovvero che cura lo stato depressivo. Mangerei tonnellate di cacao se mi aiutasse, se sciogliesse questo blocco di marmo che mi ostruisce la respirazione. Mogia, raggiungo il bancone, facendo dondolare la cartella.

La commessa mi sorride e mi chiedo come facciano i commercianti a mascherare le proprie delusioni, i propri sospiri. C'è un corso apposito? Perché vorrei tanto imparare a gettare un muro di cemento davanti a me, perché gli altri non possano penetrare nei miei sentimenti così facilmente. Vorrei essere come Haruka, forte, fredda, audace. Ma ognuno è ciò che è e dai miei occhi traspare una terra intrisa di sofferenza.

«Posso aiutarla?»

Non credo tu possa farlo, onestamente. Come spesso accade, l'unica persona che può curarti è la stessa che ti ha appena fatto del male. E questa persona è divenuta un'ombra grigia che che non diffonde più alcun calore. Sono passati tre giorni dall'ultima volta che io e Mamoru ci siamo visti. Sono convinta di essere morta già allora. Temo che l'odore della mia carne in putrefazione inizi a dilagarsi.

«Io vorrei...»

«Mi scusi, fino a che ora restate aperti?»

Alle mie spalle, irrompe una voce femminile. Mi volto d'istinto, perché sono sempre stata terribilmente curiosa. E' una ragazza, poco più alta di me, dai capelli lunghi e mossi dal colore rosso vivo. Punta dritto davanti a sé, con due iridi turchesi immobili.

«Stiamo per chiudere.» si affretta la commessa a rispondere. Eppure a me non sembra siano in fase di chiusura. E anche la ragazza deve aver fatto la mia stessa osservazione, tanto è che replica:

«A quest'ora? Non è un po' presto? Certo che perderete molti clienti così.»

«Chiusura straordinaria.» altra risposta assai rapida. I miei occhi sono palline da ping pong che rimbalzano da una all'altra donna, in questo dialogo semplice, ma serrato. E' come se ci fosse un mare di cose non dette che però aleggiano nell'aria. Sono perplessa e quest'atmosfera fredda mi inquieta.

«Stavo dicendo. Vorrei un po' di quelle...»

Miagolio stridulo. Abbaiare intenso. Ho l'impressione che qualcosa non vada, ma è la ragazza a darmene la conferma quando urla:

«SIRIO, SMETTILA! LASCIARE STARE QUEL GATTO!»

Mi precipito verso l'uscita ed è quello che temevo. Luna è avvinghiata con gli artigli al tronco di un albero del viale, mentre un esemplare di Akita Inu le ringhia addosso dal basso. Ogni tanto vola una zampata, ma fortunatamente la mia gattina è più agile e riesce a schivarlo pur restando in bilico.
La ragazza, che sembra essere la padrona dell'animale, gli si avvicina senza timore. Io ne ho a bizzeffe: i suoi canini gocciolano bava. Non gli andrei incontro nemmeno con addosso una corazza di piombo. Invece ella con il passo severo, ma il volto limpido, imperturbato, lo raggiunge e gli afferra le zampe anteriori, quelle che tentano di ferire Luna. Nel frattempo faccio cenno al felino di approfittarne per scendere. Si lancia in un balzo leggero e la prendo tra le mie braccia. Perfetto.

Per la fanciulla, però, la situazione è più complessa. La belva è molto poco mansueta e tenerla a bada sembra una grossa impresa. Decide di ricorrere a mezzi estremi: gli blocca la mascella da ambo le parti del muso, ma è in quel breve contatto con la sua dentatura animalesca che commette l'errore. Il cane le morde la mano destra. Non riesco a guardare, ho mosso la testa di lato e le palpebre si sono strizzate da sole, senza che glielo abbia chiesto. Oddio, chissà che dolore si prova, infilzata così nel profondo da quelle bianche sciabole. Eppure non emette un solo gemito. Questo mi convince a riportare lo sguardo su di lei. Gocce di sangue scivolano dai bordi dell'arto, ma quel rosso scarlatto non ha la forza di competere con l'assoluta fermezza del suo sguardo. Ho paura io per l'animale. Spalanca allora le fauci e rilassa i muscoli. La mano della giovane è libera e salva dalla sua morsa. In pochi secondi, l'aspetto del cane è mutato radicalmente: tiene il muso basso, amareggiato. In quegli occhi neri, leggo il dispiacere di chi sente di aver fatto del male a una persona a cui vuole un bene immenso. Perché mi sento affine a questi occhi?

«E' tutto apposto?» Spezza la mia osservazione. La sua voce è così impostata, ho la sensazione di essere costretta a risponderle, a non lasciare le sue parole incompiute. Mi trascina, la sua voce.

«Sì, sto bene, non mi sono spaventata.»

«Mi riferivo al gatto. »

«Oh sì, certo... No, Luna sta benissimo, non si è fatta nulla. »

«Bene. »
Con un cenno alla bestia, sta andando via come nulla fosse, ma io vedo che quella ferita perde ancora sangue. Così faccio uscire fuori le parole dalle labbra, con un coraggio in cui non mi riconosco.

«Aspetta! La mano... » le indico il taglio.
Quella, come se avesse già dimenticato, preme il palmo della destra con quello della sinistra, per tamponare il flusso. Apro la cartella d'istinto e cerco qualcosa per aiutarla a medicarsi, almeno finché non potrà disinfettare la ferita come si deve. Ma quella capisce le mie intenzioni e scuote la testa. Sorride, è assolutamente magnetica. Ma chi è?

«Non ti preoccupare, non fa male. Non è profonda. Perdonami ancora per l'incidente. » Senza aggiungere una sola parola in più, mi volge le spalle sagomate e si allontana, fiancheggiata dall'Akita fulvo.

«Ma che diavolo è successo? » mi premuro di chiedere a Luna.

«Quel cane lì è tutto ammattito! Deve avere la rabbia o qualcosa del genere. Giravo per la città, senza una meta precisa, ma ho avvertito una presenza malvagia e mi sono messa sulle sue tracce. Arrivata qui, il bestione si è infuriato e mi ha aggredita. Cose da pazzi!»

Devo essere sbiancata. Avverto proprio la mancanza di sangue sulle gote. Luna se ne accorge e mi scuote per farmi riprendere dallo shock. Ma questo è un incubo e io sprofondo nel baratro. Non è vero, non è possibile. Non voglio crederci, non posso ricominciare da capo.

«Presenza malvagia. Mi avevi detto che era tutto finito.» arrabbiata, confusa, straziata. Stanca.

«Non te l'ho mai promesso, ti avrei solo mentito. Non posso sapere quando le cose possono volgere al peggio e fino a quando durano. Non sono una veggente.»

«Io credevo che dopo Galaxia non ci sarebbero state altre minacce, credevo di poter vivere una vita normale.»
Mi viene da piangere e mi sento di esplodere da un momento all'altro.

«Mi dispiace, Usagi, ma non dipende certo da me. Il male esiste ed è qualcosa contro cui bisogna sempre combattere. Lo so che...»

«NON SAI PROPRIO NIENTE!»

Superato il punto di sopportazione massima, sconfino nella rabbia, nella frustrazione, nel dolore accumulato. Tengo la testa tra le mani e le lacrime fluiscono scoordinate.

«Non sai cosa si prova a vedere morire tutti attorno a te, sempre, ogni volta. Essere sola nel momento decisivo e trovare le forze per non cedere. Essere sempre la vittima puntata dalle peggiori creature dell'universo. Non ce la faccio più, Luna. Io non voglio combattere. Non voglio combattere mai più.»

«Ma che stai dicendo?! Lasceresti le tue compagne da sole nel pericolo per colpa delle tue debolezze? Non è così che si comporta una vera leader.»

«Beh, non me ne frega niente! Non sono stata io ad aver scelto di esserlo. »

«Nessuno lo sceglie.»

Mi asciugo il viso con la manica del vestito, ma non è andato via niente. E' ancora tutto lì, sulla pelle fresca. Vorrei proprio andarmene e per una volta, una volta sola, lasciare che gli uomini se la sbrighino per conto proprio. Un mostro vi attacca ? Arrangiatevi. Avete combattuto guerre mondiali, ve la caverete anche stavolta. E sono sul punto di farlo davvero, di dare sfogo a tutto il mio egoismo. Di rubare un po' di serenità, a costo di sacrificare altre vite, altre serenità. Mamoru, che persona mi hai fatto diventare?

E poi un boato. Ho un ronzio che mi corre per le orecchie e sugli zigomi ci sono piccole gocce di sangue. Sono esplose le vetrate del negozio, schegge che investono i passanti. I clienti sono scappati all'esterno, urlando. Voglio scappare anch'io, ma le mie gambe sono bloccate, piantate a terra. Maledizione, mai una volta che il mio corpo e la mia testa si accordino sulle reazioni.
La donna, quella dietro il bancone, è l'unica a non fare un solo passo in avanti.

«Allora ho attirato la tua attenzione? E' bastato poco. »

Luna balza in terra e si mette in posizione di difesa. E' lei il mostro che aveva percepito, non ci sono dubbi. Se mai ci fossero delle incertezze, sarebbero unicamente su di me. Sono io Sailor Moon, la Paladina della Giustizia? Un attimo fa mandavo a 'fanculo l'intero pianeta che dovrei difendere. Iniziamo a ridefinire il concetto di “mostro”.

«Dimmi, principessa. Di che morte vuoi morire?»

Non so da dove sbuca, so solo che la forza e la sorpresa con cui mi raggiunge, mi fa dapprima cadere all'indietro e poi mi opprime il collo. Un tentacolo d'acciaio mi sta strangolando e più mi strattono per liberarmi, più spreco energie e i miei tentativi si fanno più deboli e inutili. Dalla cintola della donna dipartono una serie di grosse protuberanze metalliche, che la rendono simile ad una piovra. Sento le grida di Luna e mi paiono lontanissime. Con i suoi artigli cerca in tutti modi di ferire quell'essere demoniaco, perché si distragga e allenti la presa su di me; ma con un altro dei suoi tentacoli la spazza via, lontano, contro un muro e credo abbia perso i sensi.

Mi schiaccia la trachea. Non solo respirare diventa un sogno secondo dopo secondo, ma anche il cervello si sta spegnendo, privato dell'ossigeno. E io non mi sento particolarmente combattiva per agire più del necessario. Ce la sto mettendo tutta per non morire, ma sono sola, sconfortata e debole. Non verrà Mamoru a salvarmi in extremis. Non verrà un miracolo. Devo smetterla di frignare. O mi lascio uccidere o mi dimeno fino allo stremo. In ogni caso, è meglio il silenzio. Forza, che sia presto. Non voglio restare ancora in bilico su un filo mentre la mia vita si annulla al di sotto. Finiscimi!

«Che diamine...? Cos'è questo maleficio?» La donna ha preso a imprecare e non mi spiego il perché. Non prima di rendermi conto che la presa su di me è nullificata. Tossico vigorosamente, con la mano sinistra che preme sul petto, quasi a consolare i polmoni. Non mi capacito di essere ancora tra i vivi. Sollevo il capo, restando sul pavimento: il tentacolo che mi teneva soggiogata si è liquefatto. Tuttora dall'estremità a me più prossima continua a gocciolare il metallo fuso e una pozza grigia macchia le piastrelle. E' un intervento divino, non so come altro giustificarlo.

«Puttana! Te la farò pagare subito.»

Io non c'entro! Io non sono stata! Non ho il tempo di spiegarle le mie ragioni e di potermi difendere dalle accuse. Una sferzata d'acciaio mi colpisce il ventre. Percepisco proprio la pelle squartata, aperta. Sono fatta di carne, e non di desertiche lande lunari.

«Usagi, sbrigati ad usare i suoi poteri!»

Luna si è ripresa e mi ammonisce dalla parte opposta del negozio. Ho sempre bisogno di un grillo parlante. E' questa la più grande debolezza. Ha ragione: io non sono una leader, non lo sono mai stata. Piuttosto, sono un pupazzo da spingere in avanscoperta. Sono un fallimento. Eppure tramano per uccidermi. Difficile stabilire chi sia più disperato.
Seguendo il profilo della parete, mi rimetto in piedi malconcia. La ferita brucia da impazzire. Non sono fatta per sopportare il dolore.

«Moon Eternal, make up!»

Non credo di aver mai provato così tanta paura in tutti i miei diciassette anni. Usagi non è nulla. Usagi è una ragazzina che sta per finire il liceo e non ha nessuna idea sul suo futuro. Usagi non eccelle in questo o quello, fa tante cose e male. Usagi sorride a chiunque per dimostrare anche a se stessa che le persone buone prima o poi trovano il loro posto nel mondo. Ed è un bel posto.
Ma Sailor Moon è una donna carismatica, vitale, passionale, energica, coraggiosa. Sailor Moon è il successo, la conquista più grande che abbia mai realizzato. Essere Sailor Moon è tutto, è tutto quello che mi rende speciale.

Quando le parole non hanno alcun effetto e la trasformazione non avviene, sì, sono terrorizzata. Non solo dal pericolo immediato che si prospetta, ma da un futuro di vuoto esistenziale. La luna si è stancata di me.

«Scappa, Usagi, scappa!»

Riesco a udire solo frammenti di questo consiglio. Il barbarico scatenarsi della furia di quella donna (che di umano ha solo l'aspetto) distrugge quel poco che resta del locale: volano sedie, carta, schegge. E' un frastuono che mi avvolge e mi imbalsama. Fortuna che, come ho già detto, il mio corpo reagisce diversamente agli stimoli. Luna è già al mio fianco e assieme ci dileguiamo correndo verso la metropolitana.

Mi ha chiamato principessa. Come fa a saperlo? Era più di un anno che non sentivo pronunciare questo appellativo nei miei confronti da parte del sesso femminile. C'era solo una persona che continuava a soprannominarmi così e l'ha fatto fino all'ultimo momento che l'ho vista.

«Ciao principessa. »
«Sei pallido, Mamoru. Non stai bene?»
«Non riesco a dormire da qualche notte.»
«Sei malato o hai brutti pensieri?»
«Tesoro, ascoltami. Ci sono delle cose che mi turbano e ho paura che starti vicino possa solo farti soffrire. E' meglio se per qualche tempo non ci vediamo.»
... «Non piangere. Non ho detto che voglio lasciarti. Non potrei mai. Sei la parte più bella della mia vita. Per questo mi devo allontanare. Ma vedrai che tornerò così presto che non ti sarai nemmeno accorta della mia assenza. Ti amo, principessa.»


M'infilo nel primo vagone disponibile della metropolitana e dietro di me si chiudono le porte scorrevoli. Mi accascio su un posto libero, il braccio sinistro preme contro la ferita. La fronte è sostenuta dal mio pugno destro. Luna mi accarezza i capelli, mentre continuo a piangere disperata, noncurante dei viaggiatori che mi osservano straniti. Piango per il dolore, per l'infelice prossimo futuro che mi attende, per Mamoru. Per questa sofferenza che non vuole permettermi di respirare.

Per me sarà mai abbastanza?

Usagi Tsukino
principessa della Luna

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