Sotto le luci di Montecarlo

di Persychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le luci - Nel mio sangue io cambierò ***
Capitolo 2: *** Lei - Io ***
Capitolo 3: *** Le rose - Lui è illusione ***
Capitolo 4: *** Tra occhi di cristallo e piume di cappelli. ***



Capitolo 1
*** Le luci - Nel mio sangue io cambierò ***


Amo scrivere di personaggi originali in Hetalia, sicuramente non perchè quelli già esistenti non mi bastano, ma perchè ci sono storie che questi non possono raccontare perchè non ne sono i protagonisti. Per questo motivo ho creato Monaco: per parlare di un minuscolo staterello che nonostante tutto - invasioni, tentativi di conquista, due guerre e un numero non indifferente di "soprusi" - ha continuato e ha combattuto - con delle armi con non sono la violenza/un esercito - per mantenere la sua indipendenza.
Monaco è il primo personaggio che la mia mente a creato - non il primo su cui ho scritto, ma per lei c'è ancora tempo - e, per mia grande felicità, non sono stata l'unica ad averlo amato. Presto, infatti, troverete anche fic scritte da Kurenai su questo personaggio che si è preso una parte importante della mia vita.
Spero che il piccolo Monaco vi possa piacere e buona lettura!

Note tecniche: le storie non saranno in ordine cronologico, ma indicherò, a inizio capitolo, la sua posizione nella storia. Inoltre potranno comparire altri personaggi originali: alcuni saranno solo di comparsa altri invece possiedono degli spin-off personali i cui link saranno postati all'inizio o alla fine del suddetto capitolo.



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Titolo: Le luci - Nel mio sangue io cambierò.
Personaggi/Pairings: Monaco (Oc del Principato di Monaco), Francis Bonnefoy (Francia). Oneside Monaco ---->Francis
Rating: giallo - in eccesso XD
Avvertimenti: shonen-ai, angst e maltrattamento di Principato da parte dell'autrice.
Riassunto:"[...]il suo cuore smise di battere, mentre l’ultima cosa che provava era il dolore."
Note: - non betata.
- versione romanzata di questa parte della storia del Principato di Monaco. In breve (come se già la sua storia non fosse abbastanza corta) tra il 1848 e il 1860 Monaco perse quasi l'80% del suo territorio a causa della dichiarazione di libertà da parte dei comuni di Roquebrune-Cap-Martin e di Mentone, che passarono così prima sotto il controllo del re di Savoia e per poi venir comprate per quattro milioni di Franchi da Napoleone III. Il tutto avvenne, ovviamente, con il consenso più o meno esplicito del governo francese.  Con questa gravosa perdita di territorio - del suo territorio agricolo ed economicamente trainante - il Principato si trovò senza una fonte "tradizionale" di denaro, ma sotto la guida di Carlo III il paese iniziò una nuova politica turistica  grazie all'arrivo della ferrovia e all'apertura del famoso casinò.



Le luci - Nel mio sangue io cambierò


Monaco si guardò le dita: erano rosse, scivolose del suo sangue che gentilmente, quasi senza farsi sentire, continuava a colargli lungo il fianco e più giù fino a sporcare i pantaloni consunti.
L’ennesimo colpo di tosse lo costrinse a terra, a crollare sul pavimento con il fiato corto dal dolore e il sapore del ferro in bocca, mentre un insano vermiglio gli sporcava le labbra.
Nessuno si interessava a lui - stretto nell’angolo di quello che sarebbe dovuto essere la sua casa, il suo porto sicuro e che era ora il suo patibolo – troppo presi a discutere su come strappargli altra carne e come fargli piangere altre lacrime affinchè la belva che aveva chiamato fratello si calmasse. Certo, sarebbe stato risarcito da quattro milioni di franchi d’oro, ma questo non poteva sostituire quello che aveva perso o i suoi territori, faceva soltanto di lui una puttana ben pagata.
Poi la firma fu sposta, in uno svolazzare di penne e di inchiostro, e il suo cuore smise di battere, mentre l’ultima cosa che provava era il dolore.
Avrebbe voluto piangere, ma ormai Monaco non c’era più.
Lui, colui che era stato suo fratello, colui che aveva amato, lui lo aveva ucciso.

“Monaco svegliati!”

Macchie scure gli danzavano davanti agli occhi e un fischio acuto gli riempiva le orecchie. Se le sarebbe volentieri strappate pur di non sentire più quel rumore, ma il suo corpo era così debole da non permettergli neppure quest’ultimo gesto di misericordia.

“Monaco aprì gli occhi, ora!”

Basta, quel suono era insopportabile.
Il fischio di un treno.

“...mi-mio Pri-principe…”
“Sì, Monaco. Sono felice di vederti sveglio.”
“...cos’è ri-rimasto, Principe?”
“Poco. Troppo poco per far finta di niente e tornare alla vita di prima: i territori per la nostra agricoltura sono ormai francesi e di monegasco non è rimasto molto.”
“Co-come fa-faremo?”
“Dovremo cambiare, tu per primo.”
“Co-come?”
“Inizia a non balbettare e poi faremo ciò che è necessario.”

E lui aveva obbedito.

“Devi diventare splendido e affascinante, devi imparare a legarli a te, ad usarli senza che però se ne accorgano. Devi essere accondiscende e compiacente a qualunque loro desiderio o richiesta, ma devi saper anche ammaliarli con ogni tuo gesto, con ogni tua parola affinché nella loro mente tu sia il più bel ricordo della loro vita.”
“Ma Pri-principe io-io non so-sono co-così!”
“Non importa, imparerai a fingere. E smettila di balbettare.”
“Se lo desiderate.”
“Bravo bene, così. Ricordati che non possiamo farne a meno, Monaco. La sopravvivenza del Principato è il nostro scopo, tutto il resto è secondario”

Lui era secondario.

Aveva imparato ad essere un ottimo attore, a fingere come un mendicante, a nascondere meglio di una maschera ed a incantare le genti con il suo novello canto di sirena fatto di divertimento e bellezza.
Monaco, il suo nome, era ormai soltanto il sinonimo di folle eleganza, di diletto sfrenato tra i veli dell’apparenza e di peccato nelle sue notti brillanti delle luci del casinò. Era così bravo ad essere ciò che gli altri volevano che fosse che nessuno ricordava com’era stato prima.

[“Sei bello.”
“Grazie, monsieur. La vostra sistemazione vi soddisfa?”
“Sì, è confortevole, ma...”
“Posso fare qualcosa per voi, allora?”
“Trovo che il mio letto sia un po’ troppo grande.”
“Sono sicuro che, rientrando questa sera, il problema sarà risolto.”
“Bene.”
“E ora prego seguitemi, vi mostro il complesso del casinò. Converrete con me che si tratta di un palazzo di gran prestigio e che...”

Col tempo aveva anche imparato a giocare, a scommettere e a vincere. E quest’ultimo era il suo unico impegno che assolveva con piacere.

“Prego puntante.”
“Una carta. Ancora.”
“Non è forse azzardata una tale fretta?”
“Forse, ma io scommetto per il brivido e scommettere denaro non mi provoca nulla. Che ne dite se puntassimo qualcosa di più interessante? Magari giocherei con più impegno..”
“A cosa alludete, signor Monaco?”
“A delle ore, delle ore di tempo notturno..”

Perchè se il premio non era abbastanza alto nessuno avrebbe giocato, era la preda ad attrarre il cacciatore

“Mi dispiace, ma ho vinto. Tutto sul tavolo è mio.”
“Peccato, ma sappiate che presto vorrò la rivincita.”
“Quando desiderate, io sono a vostra disposizione”

Perchè nessuno avrebbe mai scommesso in un casinò in cui non si perde mai, era la sfida che spingeva il cacciatore alla lotta

“Avete perso questa sera, signor Monaco.”
“Sono stato troppo frettoloso in alcune giocate.”
“Questo non cambia il premio pattuito, no?”
“No, ora sono a vostra disposizione, monsieur.”

Perchè nessuno avrebbe mai scommesso in un casino in cui non si vince mai, era la vittoria l’unica medicina capace di placare la febbre del cacciatore.]

Monaco era diventato bravissimo in molte cose, ma nel fingere non aveva rivali: in fondo continuava a far credere di essere vivo quando da secoli il suo cuore aveva smesso di battere.







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Ricordate che i commenti sono sempre molto graditi ^^

Linea temporale - qui verranno messi i link a tutte le fanfiction riguardanti Monaco in ordine cronologico.

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(1848 - 1860) 2000

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Capitolo 2
*** Lei - Io ***


Titolo: Lei - Io
Personaggi/Pairings: Francis (Francia), Antonio (Spagna), Monaco (Oc del Principato di Monaco), Andorra (Oc dell'Andorra) + comparsa di Arthur (Inghilterra), Lovino (Sud d'Italia) e Feliciano (Nord d'Italia). Oneside Monaco ---->Francis, implicita FrUk, AntonioLovino
Rating: verde.
Avvertimenti: shonen-ai.
Riassunto: "Chiunque nella stanza avrebbe scommesso o su un colpo di lupara o su lancio di tazzina, non di certo su un persona come lui famosa per la sua pazienza e accondiscendenza."
Note:- non betata.
- Non avrei voluto far usare a Andorra dei giapponesismi come il -niisan, ma sinceramente l'idea che ripetesse continuamente la parola "fratelloni" mi faceva venire l'orticaria. Mi scuso quindi per questa incoerenza, ma fate finta che...boh, forse un giorno Giappone conquisterà il mondo *-*
- Nota su Andorra: vorrei precisare che il carattere di Andorra più che essere basato sulle caratteristiche dello stato in sé (anche se è vero che è un paese che basa buona parte della sua economia sulla bellezza del suo panorama e che dipende molto dalla Repubblica Francese), è fondato sul carattere che potrebbe avere una bambina qualunque, praticamente isolata dal resto del mondo, venendo cresciuta da due persone dal carattere come quello di Antonio e Francis. Inoltre vorrei che nessuno la odiasse per il suo comportamento, è soltanto una bambina – dal corpo d’adulta – che non ha idea del resto del mondo, è viziata ed infantile, ma non è cattiva. Ha avuto solo due pessimi genitori - amorevoli - ma pessimi, povera piccola, io le voglio bene.
- Modificate alcune frasi nulla di eccezionale comunque.



Lei - Io



Andorra è una bella, bellissima ragazza di quelle che non puoi fare a meno di guardare, che anche dopo un solo sguardo sono capaci di infestare i sogni di un uomo per anni e che sfortunatamente sanno bene di esserlo. Lei, però, non si considera ne vanitosa e neppure narcisista poiché, come spiega a chi osa contraddirla, non ama la sua bellezza come caratteristica fine a se stessa, semplicemente ha basato la sua esistenza sul suo aspetto fisico.
In realtà in pochi hanno provato effettivamente a contestare questa sua convinzione poiché la maggior parte di coloro che hanno avuto a che fare con lei sono capitolati davanti a quello splendido corpo che riunisce, in una magnifica visione, gli aspetti più incantevoli di due bellezze diverse come quella spagnola e quella francese: lunghi capelli dai delicati boccoli miele, pelle di seta dai caldi colori profumata da costose essenze della bassa Provenza, occhi verdi con cui solo gli smeraldi dell’antico tesoro degli Indios possono competere, tratti sottili e delicati come quelli dei cherubini delle più belle le cattedrali e un corpo seducente, di quelli che solo il vento del Mediterraneo sa tratteggiare, dal seno prosperoso e dai fianchi morbidi. Andorra ha praticamente tutto quello che vuole.
Certo, la sua nazione non è ricca, ma in qualche modo se la cava e in caso contrario può sempre chiedere aiuto a uno dei suoi due fratelloni:  la soccorrono sempre quando ha bisogno, soprattutto Francia-niisan che, per sua fortuna, si occupa di molte delle mansioni più noiose dell’essere una nazione, così a lei rimane tutto il tempo per curare il suo aspetto, per passeggiare nei grandi viali di Parigi o per prendere il sole su una delle tante spiagge di Spagna-niisan.
Qualcuno osa dire che il suo è un comportamento da un’ingrata, ma si sbagliano: Andorra vorrebbe tanto ricambiare la loro gentilezza e i favori che le fanno, ma i suoi ringraziamenti sono sempre interrotti o addirittura non accettati!
Ce l’ha ancora un po’ con Francia-niisan per quella volta che l’ha cacciata via dalla sua camera - costringendola tra l’altro a vestirsi in fretta rompendo così un paio di collant - con la scusa che stava arrivando...oh, non ricorda più il suo nome, insomma quello dalle strane sopracciglia. A suo avviso la motivazione non ha alcun senso: lei è molto più importante di un qualunque tizio sopraccigliuto.
In ogni caso oggi ha deciso di andare a trovare i suoi fratelloni all’uscita di non-ricorda-più-quale-riunione-di-un-consiglio-dal-nome-ancora-più-strano perché vuole vederli e far loro una sorpresa. Magari  sarebbe riuscita a ringraziarli almeno un po’ senza che strani sopracciglioni o inquietanti ragazzini incazzosi la interrompessero.


Entrare nella sala riunione non è le è difficile, in fondo anche lei fa parte del Consiglio d’Europa, e non lo è neppure trovare i suoi due fratelloni visto che siedono vicino.
Percorre la stanza come se le appartenesse - non come se fosse una minuscola nazione dispersa tra i monti - e il rumore dei suoi tacchi riecheggia tra quella pareti bianche interrompendo, con il loro ritmo cadenzato accompagnato da un ancheggiare deciso, il discorso, dal pesante accento britannico, di quel tipo di cui Andorra continua a non ricordare il nome.

“Andorra, quale piacere vederti qui.”
“Lo è anche per me rivederti, Francia-niisan.”

Francia porta una delle sue mani curatissime alle labbra in un perfetto baciamano e Andorra si sente ancora più meravigliosa di quanto non sia: in quel momento Francia-niisan è solo suo e guarda solo lei, cosa potrebbe esserci di più bello?Da qualche parte della stanza si il rumore di un microfono che stride.
Quelle strane e ignorabili sopracciglia non sanno neppure usare un aggeggio così semplice...
Andorra si guarda intorno alla ricerca di una sedia libera, sfortunatamente non ce n’è nessuna vicino ai suoi fratelloni, ma non le importa più di tanto, si arrangerà.

Niña, potresti scendere dalle mie gambe?”

Ad Antonio, in realtà, non dà particolarmente fastidio che si sieda a cavalcioni delle sue gambe - lo fa fin da quando era una bambina alta quanto un barattolo – ma Lovino alcuni metri più in là non sembra d’accordo con lui. Era penna quella che sta trasformando in schegge di plastica?

“Ma sei così comodo...”

Andorra si stende ancora di più facendo salire il vestito con mille fronzoli e Spagna non può sinceramente non notare la sua scollatura. Solitamente l’argomento non gli interessa, ma ora gli è offerto in modo così sfacciato che gli è impossibile non farci cadere sopra gli occhi.
E anche Francia sembra avere lo stesso problema, anche se probabilmente se la sta godendo più di lui, almeno Francis non ha un uomo del Sud, che sta costruendo proiettili con quella che era una penna, con cui avere a che fare dopo.

“Non trovi che questo vestito mi stia bene, Francia-niisan?”

C’è silenzio e anche Francia non osa dire una parola. Andorra lo guarda con i suoi occhioni verdi e il vestito si alza un altro po’.

“Ora basta Andorra!”

Chiunque nella stanza avrebbe scommesso o su un colpo di lupara o su lancio di tazzina, non di certo su un persona come lui famosa per la sua pazienza e accondiscendenza.

“Che c’è Monaco?”
“C’è che il tuo modo di fare è riprovevole e assolutamente inadatto a una sede come questa. Se desideri metterti in mostra sono certa che le vie del mondo ti basteranno, senza che la tua presenza debba infastidire anche chi sta cercando seriamente di fare il proprio lavoro.”

Andorra ride e si alza su quei tacchi vertiginosi facendo qualche passo in direzione del suo insopportabile fratello, in realtà non hanno sangue in comune - per sua fortuna visto l’idea di assomigliare a quello scricciolo non l’avrebbe fatta dormire per notti - ma Francia-niisan parla di lui come del suo fratellino e così anche lei si trova ad averlo in famiglia.

“Per favore Monaco, non essere ridicolo. Sei più piccolo di me che ho già ben pochi poteri e credi ugualmente che la tua presenza abbia una qualche importanza? Sii serio, non sei altro che un rimasuglio di territorio, giusto perché nessun’altro lo voleva...”

Se prima c’era silenzio, ora c’è il nulla assoluto: anche Feliciano, che aveva continuato – sottovoce dopo una duplice occhiataccia da parte del fratello e di Austria – a chiedere spiegazione, tace.
Per qualche secondo Monaco non dice nulla limitandosi a stringere il bordo del tavolo fino a far diventare bianche le punte delle dita, poi prende un respiro profondo  e risponde.

“Sappi che il tuo infantilismo e la tua ignoranza del mondo non giustifica in alcun modo il tuo comportamento inopportuno e men’ che meno l’offesa arrecata nei miei confronti e di tutte le micronazioni di cui fai, addirittura, parte.”
“Come se fossimo importanti, come hai detto tu: siamo micronazioni.”

Per Francia Monaco è sempre stato il bambino che si aggrappava alla sua veste con le manine paffute, il piccolo che lo seguiva adorante con i capelli scompigliati dalla brezza di mare e poi il ragazzo docile che da furioso gli ispirava morsi su quelle morbide labbra imbronciate. Ora Monaco non gli fa pensare a nulla di tutto ciò e Francis si rende conto di non averlo mai visto veramente arrabbiato.
E di non conoscerlo affatto.

“Tu.”

Monaco si solleva con un unico gesto fluido, in un movimento che, se non fosse lui a compierlo - il suo fratellino, il suo fragile e bisognoso fratellino - Francis definirebbe da guerriero. La mano, invece, stringe ancora il tavolo - come a sostenersi, come a trattenersi – e il suo sguardo non osa spostarsi dai fogli che ha davanti a sé: non è timidezza, ma un vano tentativo di riprendere il controllo.
Ma, poi, Andorra parla. Di nuovo.

“Io? Io cosa? Parla. Eppure non è difficile basta mettere una lettere dopo l’altra.”

La sedia crolla all’indietro, Feliciano si allunga per raccoglierla, ma Ludwig lo ferma mettendogli una mano sulla spalla.
Non è il momento quello.
Nell’aria si spande uno sciocco sonoro e Andorra si porta una mano alla guancia dove spiccano sulla pelle abbronzata cinque dita rosse.

“Come hai osat...”

Andorra vorrebbe dire qualcosa, ma la voce le si ferma in gola: occhi furibondi, intrisi nel sangue – anche se lei non sa il sangue di chi - come quelli delle fiere che popolavano le storie di Spagna-niisan, la osservano, la scrutano e lei si chiede come possono essere finite iridi così mostruosi su un viso delicato a tal punto da non venir sfigurato da tanta malvagità

“Tu, piccola viziata, stupida bambinetta cresciuta tra i balocchi come osi anche solo sminuire chi, al contrario di te, ha dovuto combattere per la sua sopravvivenza? Chi ha dovuto zittire il proprio io, per un po’ di protezione o chi ha dovuto sopportare in silenzio i soprusi perché incapace di ribellarsi?”
“Quante belle paroline messe in fila, ma smettila di comportarti da regina del dramma. Pensi che io non abbia mai fatto nulla?”
“Esatto.”

La mano di Monaco trema, chiusa a pugno, mentre stringe il fondo della giacca.

“Come puoi parlarmi così?”

Il secondo schiaffo Francis riesce a vederlo sulla punta di quelle dita, mentre afferrano il mento di Andorra costringendola ad abbassarsi – sono tanti i centimetri che li distanziano complici anche i tacchi troppo alti di lei – e se il colpo non arriva è solo perché Monaco è troppo furioso per sfogarsi in un gesto così estraneo dal suo essere: non c’è nel suo animo l’istinto che conduce all’azione, ma le sue parole hanno il potere di ammaliare e turbare il cuore altrui con una forza esasperante.

“Perché è la verità. Ti sei mai piegata per sopravvivere distruggendo ogni frammento di te, per riuscire ad esistere anche solo per un altro attimo? Hai mai sentito lo strappo della carne e il tuo stesso sangue che ti cola tra le mani? Sei mai stata oppressa dal peso delle armi di chi ti avrebbe dovuto proteggere, di chi amavi? Hai provato il dolore di non riconoscere il proprio viso allo specchio, perché il cambiamento è stato troppo, anche per tu che hai sopportato tutto con un sorriso e una speranza? Eh, l’hai mai provato? O anche soltanto l’umiliazione di sapere che quella era l’unica via perché tu non hai mai avuto altra scelta se non cedere e inginocchiarti? Dimmelo Andorra, e se anche se ad una sola di queste domande la tua risposta sarà sì, allora io ritirerò tutto quello che ho detto .”

Lei sposta lo sguardo, ma Monaco stringe la presa in una morsa, che le fa arrossare la pelle e sgranare gli occhi dal dolore, obbligandola a guardarlo: pozzi neri circondati appena da un azzurro così intenso da far male perché non è altro che dolore quello che vi si nasconde dietro e Andorra ha paura di annegare.

“Su, dimmelo Andorra. In questo modo potrai vantarti di avermi costretto anche tu in ginocchio, no?”

Andorra trema e Antonio vorrebbe fare qualcosa, in fondo  è stata quasi una figlia per lui, ma lo sguardo di Francis, o meglio il suo non guardare, il suo nascondersi dietro le dita della mano che ha portato al volto, gli fa comprendere che per il momento è meglio che se ne stia buono ad abbracciare Lovino.

“Non ho ancora sentito la tua risposta. Eppure non è difficile basta mettere una lettere dopo l’altra e qui sono solo due.”

Monaco è di molto più piccolo di Andorra - è sottile, efebico quasi con quei suoi immensi occhi azzurri, e delicato nel muoversi al punto che si ha l’impressione di sentirlo scivolare tra le mani come acqua di fonte - eppure ora, mentre stringe il polso della ragazza fino a lasciare i segni costringendola ad abbassarsi, ad essere al suo livello, nessuno sembra notarlo.

“No.”

Quello di Andorra è quasi un singhiozzo, un sussurro sfuggito da una bocca tremante di paura, ma Monaco sembra non accontentarsi di quella debole risposta.
Inghilterra, intanto, si sposta, attento a non far rumore, e si avvicina al suo nemico di sempre – anche se con il tempo il campo di battaglia è cambiato e lui perde più di prima – perché per quanto poco gli interressi il dramma che si sta consumando davanti ai suoi occhi non può vedere Francia soffrire. Almeno se non è lui a infliggere quelle ferite.
Allunga una mano - vorrebbe prendere la sua e stringerla tra le dita - ma Francis la scaccia con un gesto rapido.
Arthur si dice che dovrebbe arrabbiarsi, infuriarsi per quel comportamento maleducato; lui che, per una volta, voleva aiutarlo, ma non può perchè capisce e perchè conosce maledettamente bene quell'espressione l'ha vista per secoli ogni volta che si specchiava dopo quella maledetta giornata di luglio.

“Non ho capito bene Andorra, potresti ripetere?”
“No, non mi è mai capitato.”

A quella frase Monaco si allontana liberando dalla presa delle sue dita il viso di Andorra che indietreggia fino a raggiungere il muro dove si appoggia e crolla a terra: le sue belle gambe tremano e il suo viso di fata è pallido come quello di un morto tranne per le macchie rosse che segnano il mento.

“Bene. Come immaginavo.”

Monaco si drizza, rigido come un fusto, spolverando appena il pantalone del gessato e sistemandosi il polsino della camicia, prima di infilare un paio di occhiali a coprire le iridi chiare, che abbandonate la furia appaiono quasi vuote e acquose, e di andarsene con un gesto appena accennato del capo come saluto.
Lentamente, finalmente, la stanza ritorna alla vita riempiendosi di nuovo di voci e di suoni: la sedia viene raccolta, qualcuno borbotta sull’accaduto, qualcuno chiede spiegazioni, Spagna – blandito Lovino con un “è come una figlia” – raggiunge Andorra cercando di consolarla, Inghilterra guarda Francia e Francis esce.


Monaco è all'esterno dell'edificio seduto a terra poco lontano dalla porta con una sigaretta tra le dita e un filo di fumo che gli sfugge dalle labbra. A quanto pare in quel momento sporcarsi gli abiti è l’ultimo dei suoi problemi ora.

“Non sapevo fumassi.”

Francia si rende conto che la sua è una entrata in scena ridicola, così inadatta a lui signore della teatralità e della bellezza, ma le parole di Monaco ancora gli artigliano il cuore come uncini e lui non ha la forza di trovare qualcosa di meglio.

“Non sai molte cose di me, frère
Touche.

Monaco si alza togliendosi gli occhiali e agganciandoli al colletto della camicia, prima di gettare a terra la cicca, ancora per metà intatta, e schiacciarla sotto il piede con un gesto deciso. Poi si volta verso di lui con un’aria contrita che Francis vorrebbe cancellare subito perché non è adatta a quel viso delicato come quello di una fanciulla.

“Scusami.”
“Per cosa?”
“Per aver litigato, o meglio aver fatto una scenata di fronte al Consiglio d’Europa, per aver praticamente insultato un’altra nazione che è per di più una tua sottospecie di figlia. E anche perché tu risulti compromesso da questo mio comportamento essendo stato tu il mio educatore e tutore.”
“Non importa, anzi dovrei ringraziarti. Per quanto io voglia bene ad Andorra credo che abbia un po’ frainteso alcune cose riguardo le manifestazioni di affetto”

Gli occhi di Monaco, però, lo guardano ancora con quell’espressione desolata che lo fa sembrare un cane bastonato e che gli fa sanguinare il cuore ancor di più di quegli uncini dolorosi. Allora lo stringe a sé - per non vederli più, per dimenticarli  - e Monaco traballa e dubita, ma non si allontana, appoggia soltanto la tua piccola testolina bionda contro la spalla di Francia e respira. Il suo battito sotto le  dita è veloce, frenetico come quello di un uccellino, di un rossignol, e Francia si rende conto che se in quel momento gli strappasse il cuore dal petto Monaco non si ribellerebbe.
In passato le parole non gli sono mai mancate, anzi, ma ora non ne trova nessuna e Francis preferisce agire piuttosto che stare fermo, di nuovo, ad ossevare.
Porta una mano tra i suoi capelli, giocando con quelle ciocche così simili alle proprie, ma soltanto a prima vista. Francis sa che tra di loro non ci sono cose veramente uguali, solo apparentemente somiglianti come il riflesso in uno specchio scheggiato: lo sguardo di Monaco è più chiaro, liquido, quasi vacuo, la sua pelle diventa una distesa d’ambra sotto il sole estivo e la sua chioma ha un colore diverso un biondo scintillante, che si trasforma in un nido  di riccioli dorati quando il vento che proviene dal mare la scompiglia. Un tempo, poi, Monaco profumava anche di salsedine, ora sa solo di fumo.
Gli raccoglie un ciuffo dietro l’orecchio liberando il collo niveo e sfiorandone delicatamente con le labbra la pelle che spunta appena dal candore soltanto un più chiaro della camicia bianca, Monaco si irrigidisce come scottato e si libera frettolosamente dall’abbraccio allontanandosi abbastanza da non permettere a Francia di imprigionarlo, nuovamente, in quella stretta.

“No, Francis. Non ora, non lo sopporterei.”
Pourquoi,  mon rossignol?”
“Sei in ritardo. Di un paio di secoli direi.”

Monaco si rimette gli occhiali da sole e Francia vorrebbe strapparglieli via perché non può sopportare che si nasconda alla sua vista, non ora.

“Sai Francis, un tempo sarei stato così felice di gesto simile da parte tua che avrei accettato di pagare qualunque prezzo in cambio. Ti amavo così tanto allora.”
“E adesso?”

Non può fare a meno di domandarlo, le parole escono da sole dalle sue labbra. perchè no, non può averlo perso.

“I sentimenti non cambiano, mon frère. Si fanno solo più dolorosi.”



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Tendezialmente non amo scrive al presente, ma questa fic è nata così e mi sarebbe stato impossibile cambiarla, tenzialmente non scrivo neppure così tanti dialoghi, ma quì sono nati prima loro del resto quindi non potevo eliminarli più di tanto spero, però, che vi sia ugualmente piaciuta.
Ah, per chi non l'avesse capito l'inquietante ragazzino incazzoso è Lovino <_<
Se iniziate a parteggiare per la coppia FranciaxMonaco o se soltanto volete leggere una bella fic Nc17 ecco a voi Piège Aigre-doux di Kurenai *-*

Linea temporale - qui verranno messi i link a tutte le fanfiction riguardanti Monaco in ordine cronologico.

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(1848 - 1860) 2000

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Capitolo 3
*** Le rose - Lui è illusione ***


Titolo: Le rose - Lui è illusione
Personaggi/Pairings: Monaco (Oc del Principato di Monaco), Charlotte (Oc del quartiere di Montecarlo) + nominato Francis Bonnefoy (Francia). Oneside Monaco ----> Francia
Rating: giallo
Avvertimenti: shonen-ai, angst e maltrattamento da parte dell'autrice di Principato.
Note: - Maltratto Monaco e questo è male, ma non credo che smetterò di scrivere su di lui. Muahahahahahah
- Nessun riferimento storico.

Le rose - Lui è illusione



Se ami alla follia il tuo amante, che ti importa di che carne è fatto il suo corpo?
Saffo




Mani bianche come fine avorio che si stagliavano sulla sua pelle scurita dal sole.
Tocchi che lo facevano impazzire.
Iridi così scuri da far apparire spento il colore dell’oceano brillante alla luce dell’alba e profondi come non sono neppure gli abissi dove il sole si nasconde dall’oscurità della notte.
Occhi in cui annegare.
Capelli biondi, come cortina dorata che lo isolava dal resto del mondo, da qualunque cosa non fosse lui, che delicatamente sfioravano il suo viso ad ogni spinta.
Il suo profumo.
La sua voce.
Mon rossignol.”
Lui.
“Monaco.”

E Monaco si svegliò, davanti a lui solo umili capelli mori dal taglio severo e dolci occhi coloro cioccolata che lo guardavano preoccupati da dietro un paio di occhiali dalla montatura tondeggiante: la sua assistente.

“Stavate facendo un brutto sogno, monsieur Monaco?”

Era soltanto Charlotte, la sua piccola innocente Charlotte dallo sguardo caldo e scuro, colei che aveva scelto per la sua mancanza di malizia - basta lui per entrambi, in fondo - la sola ad avere accesso ai suoi appartamenti - escludendo la famiglia reale, ma in quel caso la sua non era una scelta: lui deve obbedire - il suo porto sicuro e quindi l’unica donna che non si sarebbe mai portato a letto.
Nessun sogno per lui quella notte, nessuna voce dolce e nessun profumo di rose per lui ne quella notte ne la prossima.

“No, tutt’altro Charlotte. Perché mi chiedi questo?”
“Piangevate. E anche ora...”

Monaco si portò una mano al viso sfiorando, così, le chiare lacrime che ancora scivolavano giù sulle guance lambendo appena il naso delicato per poi tuffarsi oltre il taglio deciso del mento e finire la loro corsa lungo la curva morbida e bianca del suo collo.
Si sollevò, sedendosi sul bianco divano dai ricchi decori, che aveva ospitato il suo riposo inaspettato e quel sogno/incubo tanto amato/odiato, ma nel farlo una singola stilla cadde al di là dell’infossatura della clavicola scendendo lungo lo sterno come ombra di quella scia di baci fantasma che aveva assaporato pochi attimi prima.
Monaco tremò.

“Siete sicuro di sentirvi bene, monsieur? Magari oggi potreste non scendere, mi inventerò una scusa e di certo per una volta...”

Le posò un dito sulle labbra, prima di prendere un fazzoletto dalla tasca asciugandosi malamente le lacrime come a cancellare, con questo semplice gesto, il sintomo del suo dolore.

“Non serve, preferisco lavorare che stare qui a non far nulla. A pensare.”
“Capisco.”

Anche se tra di loro c’era solo un rapporto di lavoro - di fedeltà e forse di amicizia - che nessuna delle due parti voleva far evolvere in nulla di più - lui perché sapeva di non essere in grado di creare un legame più forte di quello, lei perché sapeva che non c'era spazio per nessun’altro in quell’angusto spazio che era diventato il suo cuore. - Charlotte era l’unica persona a conoscerlo veramente: l’aveva accompagnato in ogni cambiamento e vi si era adattata, sostenendolo sempre come poteva con le sue scarse risorse senza mai risparmiarsi pur di aiutarlo.

“Ora dobbiamo andare, Charlotte. Aiutami a prepararmi, per favore.”
“Come desiderate.”

Come un uccello che cambia le piume per far splendere il suo piumaggio alla luce del sole, lui si sarebbe dovuto mostrare al mondo con una sempre nuova maschera da interpretare per non annoiare i suoi ospiti.
Rossignol, un dolce e falso usignolo.


Ricordava bene il precettore che aveva cercato di insegnargli a ballare a suon di bacchettate e ricordava altrettanto bene di non aver imparato neppure un passo da quel lui, ma che non appena era stato Francis a indicargli i movimenti il tutto gli era apparso estremamente semplice. Anche ora che quella memoria apparteneva ad un’altra vita - una realtà che per lui profumava di terra da arare e di vento odoroso di salsedine - lui ne metteva ancora a frutto gli insegnamenti: in fondo muoversi tra quella massa informe di persone con grazia senza cadere o sbagliare era un po’ come danzare.

[Mani sconosciute da stringere.
Un passo indietro.
Voci che si complimentavano.
Un passo laterale.
Sorridere.
Un passo avanti.
Giocare l’ennesima partita.
Giravolta.
Vincere.
E la musica si ferma. ]

Charlotte, sempre un passo dietro di lui, si occupava di essere la sua coscienza, di sospingerlo oltre quando una puntata si alzava troppo , di ricordargli chi fosse la persona che stava per salutare e di togliergli il bicchiere di mano quando questi si facevano troppo frequenti.
Se lui era la mente che teneva in piedi la sua nazione, Charlotte era quella che si occupava di tenere in piedi lui.

“Forse dovreste sedervi.”
“Se credi sia meglio così.”

Monaco la seguì docile verso uno divanetto che, solitario, riempiva l’angolo meno affollato dell’intero casinò: Charlotte era bravissima a trovare posti del genere quando lui ne aveva bisogno.
Da lì però poteva ugualmente tenere sott’occhio la situazione e osservare il viavai dei suoi ospiti e clienti paganti - praticamente coloro che permettevano a lui di continuare ad esistere - in tutta la sua varietà, perché nonostante le vesti eleganti li uniformassero almeno in parte, non ve n’era uno identico all’altro. E nessuno era uguale all’unica persona che avrebbe voluto vedere.

“Ma mi accontenterei di qualcosa di simile, di una copia, di un brandello di passato o di un breve attimo solo mio. Lui però non mi vede neppure, sono solo un brandello di terra che nessuno ha voluto...”
“Monsieur Monaco, ho paura che abbiate bevuto un po’ troppo.”
“Probabile, ma questo non cambia il mio desiderio.”

Socchiuse gli occhi gettando la testa all’indietro oltre lo schienale del divano e osservando, tra le ciglia chiare, le luci che brillavano oltre la finestra, oltre al casinò e oltre a quel piccolo lembo di terra che chiamava casa.
Chissà se da qualche parte c’era qualcuno che gli assomigliava abbastanza da placare anche solo per qualche istante quel dolore che lo assaliva ad ogni respiro, quella fame feroce.

“Anche una finzione mi basterebbe. Mi accontenterei che fosse un sogno, che l’illusione sia la materia della sua carne, purché sia anche solo somigliante a lui.”

Poi uno scintillio d’oro oltre la folla e un profumo insistente di rose. Forse le sue preghiere sarebbero state ascoltate.

“Monsieur Monaco, non dovreste andare. Lo sapete che...”
“Non questa sera, Charlotte. In fondo ci troviamo a Monaco dove la realtà è fatta di dolci miraggi e di sogni. Fammi vivere almeno per una volta il mio di sogno. Credo di meritarmelo, no?”

La guardò con i suoi liquidi occhi azzurri dove la pupilla appariva come una disperata voragine nera affamata di quella luce che ancora si rifletteva, timida, sul fondo e Charlotte chinò il capo soffiando via la sua risposta, senza osare rialzare lo sguardo fino a quando Monaco non si fu allontanato.

“Fate come desiderate. Vi verrò a svegliare domani mattina.”

Monaco tornò nella folla seguendo quel profumo di rose che da solo gli riempiva la testa di immagini e di scene che non sarebbero mai accadute ed infine - scivolando tra i tavoli e le coppie danzanti - lo raggiunse: i capelli non erano dello stesso biondo dorato, lo sguardo non era altrettanto profondo, la pelle non aveva il medesimo chiarore latteo e il profumo non era altro che una volgare colonia, ma si sarebbe accontentano.
Una effimera illusione era sempre più piacevole della sua realtà.

“Desiderate fare una partita?”

Lui - che non era lui - lo guardò e Monaco sorrise.
Rossignol, un dolce e falso usignolo che ammalia senza lasciare scampo

“Certo. Che cosa scommettete?”
“Delle ore. Delle ore notturne.”

Delle ore notturne trascorse con un miraggio, o povero usignolo.








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Oh amo Charlotte.
Oh sì, quella donna è da sposare.
Oh la adoro e sappiate che Charlotte ha un pessimo accento quando parla francese e che con Monaco parla in monegasco. Lo so che non è importante, ma lasciatemi fangirlare per lei *-*
Parlando di cose più serie mi scuso per il ritardo, ma ero senza il portatile cioè il pc su cui fisicamente si trovava questa fic. Il capitolo successivo arriverà a breve e parlerà del primo incontro tra Francia e Monaco quindi aspettatevi un adorabile Chibi!Monaco.
Oh, oh, oh...

Angolo del gossip
Prima di rispondere alle recensioni vi ricordo solo una cosa: Kurenai ha scritto una meravigliosa fic FranciaxMonaco in due parti dove vedrete quello che qui non avrete mai cioè una lemon oltre ad una storia assolutamente meravigliosa e per cui fangirleggio non solo perchè sono la madre di Monaco. La trovate qui

Cry_chan: sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto spero che anche i seguenti siano di tuo gradimento. Ah, Monaco ti ringrazia per i complimenti ed è molto onorato di intrigarti... No, non assomiglia solo nell'aspetto a Francis <_<
Sokew86 (che ha commentato entrambi i capitoli *A*): grazie mille per i complimenti e sì, sono consapevole che Andorra non possa stare simpatica - è stata creata per non esserlo - ma più che senza orgoglio la definirei senza il concetto di orgoglio: non ha mai avuto particolari problemi nella sua esistenza per questo motivo non ha mai dovuto contare sull'orgoglio - sia come nazione che come persona - per non cadere nella disperazione. Parlando dell'ultimo pezzo della tua seconda recensione non sono sicura di aver ben compreso cosa intendi perchè mi risulta criptico su quale lato pensi mi debba applicare di più se intendi quello "amoroso" volevo dirti che le varie oneshot hanno diversi punti focali: nella prime due si trattava di focalizzare il personaggio e le sue contraddizioni (Soprattutto la seconda) questa invece, come hai potuto leggere, è molto più incentratata sull'amore non corrisposto e nella prossima addirittura non sarà shonen-ai. Se invece ho compreso male il tuo commento non farti problemi e contattami tranquillamente dalla mia pagina autore.
Kurenai: sei di parte ma amo i tuoi commenti *annuisce* Grazie, veramente grazie mille per i complimenti perchè quello che tu segni come punto forte, i sentimenti, i diversi contrastanti sentimenti è proprio quello che io voglio far risaltare: il marasma, un oceano di emozioni in cui far annegare il lettore senza dargli il tempo di respirare. Il punto debole delle mie fic è che poi, effettivamente, non succede quasi niente al di fuori della testa del personaggio, ma facciamo finta che non sia cosìXD
Oh, wow una fan di Andorra (anche se lei non lo saprà mai altrimenti si gasa ancora di più) non credevo che ce ne sarebbero state, ma sono felice che qualcuno comprenda il "dramma" di Andorra.
Tutto quello che hai detto è vero: Andorra è stata amata come poche al mondo e, devo aggiungere, ama come poche persone al mondo, certo, in un modo infantile e estremo quasi, ma assoluto. Ma, come dici tu, il suo desiderio non si avvererà mai perchè anche se è al primo posto nel cuore dei suoi fratelli, lo è nella classifica dei familiari/delle persone a cui tengono e vogliono bene e non su quella delle persone che amano.


Linea temporale - qui verranno messi i link a tutte le fanfiction riguardanti Monaco in ordine cronologico.

Le luci - Nel mio sangue io cambierò  ~    |    ~  Lei - Io ~ Le rose - Lui è illusione   ~  Piège Aigre-doux  by Kurenai ~
           (1848 - 1860)                            2000

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Capitolo 4
*** Tra occhi di cristallo e piume di cappelli. ***


Titolo: Tra occhi di cristallo e piume di cappelli.
Personaggi/Pairings:Francis Bonnefoy (Francia), Monaco (Oc del Principato di Monaco) + nominato Arthur Kirkland (UK)
Rating: verde
Avvertimenti: shonen-ai leggerissimo (solo nei pensieri maniaci di Francia).
Note: -non betata.
- note storiche sul fondo.
Ed ecco a voi Chibi!Monaco detto anche una-volta-ero-tanto-carino-e-timido!Monaco. Ebbene sì, avrete l'onore di vedere com'era Monaco prima del suo cambiamento radicale. Puuuu, puccio **
E sì, i titoli li do' a caso.



Tra occhi di cristallo e piume di cappelli.


Quando la luce balugina da dietro le tende di pesante velluto, la prima cosa che Francia si chiede è come faccia il sole ad avere la straordinaria capacità di sorgere nei momenti meno adatti: il suo sonno è durato giusto un paio di ore - per di più dal carattere piuttosto travagliato complice una cena un po’ troppo pesante, anche per il suo stomaco abituato ai ricchi pranzi reali, e una compagnia decisamente piacevole da necessitare di una replica e poi di un’altra e di un’altra ancora. Riposare un altro po’ non gli avrebbero fatto male, ma ormai il danno è fatto: è sveglio e non può farci niente.
Fortunatamente la donna con cui ha diviso la notte pare essere della rara razza delle discrete visto che al suo risveglio, nella sua stanza e soprattutto nel suo letto, non c’è più nessun’altro.
Francis si alza facendo cadere a terra le lenzuola di cotone ricamato incurante che la loro vendita sfamerebbe per mesi una delle tante famiglie parigine, ma a lui cosa importa? Ci sarà un servitore che le raccoglierà, uno che le laverà e le stenderà e un altro che gli rifarà il letto, e se non saranno più utilizzabili basterà farne fare di nuove. Magari di ancora più belle.
Non si è ancora completamente stabile sulle gambe che un lieve bussare interrompe il silenzio della camera preannunciato l’entrata di uno dei tanti servi al suo comando. È un ragazzo, forse poco più di sedicenne, che indossa la livrea del palazzo con un malcelato orgoglio che lo fa sorridere e che gli fa desiderare di strappargliela di dosso.

“Qual è il tuo nome, ragazzo?”
“Pierre, signore.”

Non è bello, o meglio non appartiene a quel tipo di bellezza che Francis ama - c’è qualcosa di profondamente rozzo e popolano nei suoi tratti e ormai Francia non riesce a vedere avvenenza se non dietro a polveri di cipria e stretti corsetti - ma lo terrà presente se mai la serata, con suo gran orrore, osasse chiudersi in solitudine. E in fondo quegli occhi verde rame assomigliano abbastanza a quelli di Angleterre da renderglielo piacevole.

“Bene, Pierre. Vammi a prendere la giacca rossa in passamaneria dorata, il gilet lungo dello stesso colore, la camicia con i gigli, i rhingraves1 nocciola, quelli semplici, e anche il tricorno. Pensi di ricordarti tutto?”
“Certamente, signore. Ma la parrucca?”
Se c’è qualcosa che non ama nella moda lanciata dal nuovo re, questa è di certo la parrucca. Perché mai dovrebbe nascondere i suoi bei riccioli d’oro sotto una montagna di volute bianche e marmoree?

“Non serve. Limitati a portare quello che ho chiesto.”

E se c’è un’altra cosa che non ama è l’insolenza nei servi.
Il ragazzo si zittisce abbassando il capo e ritirandosi con una sequela di inchini e cerimonie che ha il potere di cancellare, come una di quelle magie tanto amate da Angleterre, tutti gli oltraggi e gli affronti subiti. Non è uno sciocco, quell’impertinente servitore, ed è anche veloce, almeno quel che basta per non far passare il tempo necessario per farlo annoiare. Francis spera, però, che questa sua caratteristica non sia condivisa da altri aspetti del suo carattere: gli amanti frettolosi non gli sono mai piaciuti.
Per sua fortuna, quel giorno vestirsi - anzi, nascondere il suo corpo sotto strati di inutili abiti - gli risulta più piacevole del solito: turbare il povero servetto mormorandogli frasi ambigue ad ogni casuale sfioramento o soffiandogli parole intrise nel dolce peccato della lussuria mentre è intento a chiudergli i bottoni della giacca come fosse un amante confuso che invece si bearsi della beltà del proprio compagno lo copre, è un soddisfacente diversivo per la sua mente, almeno prima di essere costretto ad sprofondare nuovamente tra le chiacchiere inutili dei nobili della corte: se il suo re lo chiama è suo compito obbedire, anche se questo significa sopportare i cortigiani e i loro intrighi.

•••

I tacchi rossi2 delle sue scarpe dalla fibbia lucida ticchettano sul pavimento di marmo preannunciando alla corte il suo arrivo che viene accolto da un frusciare di abiti e di piume, mentre le donne si inchinano e gli uomini lo salutano con il capello ricoperto di merletti e decori.

“Buona giornata a lei, Monsieur Bonnefoy. È fatto così raro vederla passeggiare per la corte ad un orario precoce come questo”
“Felice di vederla, Monsieur Bonnefoy”
“Oh, ma che magnifica sorpresa vederla, Monsieur.”

E altre centinai di saluti simili gli vengono rivolti, riuscendo solo a fargli venire dei mostruosi mal di testa.
Francia ama le belle dame e figli della nobiltà che circolano a corte, ma il perché debba sopportare anche i rispettivi genitori e parenti acquisiti gli è ancora sconosciuto.

“Anche per me si è trasformata in una magnifica mattinata, ora che vi ho visto madame, ma sono spiacente di doversi salutare nuovamente. Il re mi aspetta e non posso tardare.”

Risponde salutando una qualunque delle nobildonne che lo circondano, senza neppure badare se questa sia effettivamente una dama e non uno dei tanti lacchè dai tratti femminei e le labbra dipinte, nel tentativo di liberarsi di quella massa ossequiosa il prima possibile. In realtà manca ancora qualche minuto al suo appuntamento e il re è così abituato ai suoi ritardi da non confidare mai nella sua puntualità, ma per una volta non intende farlo attendere: quella è un’ottima scusa per sfuggire a quelle grinfie guantate. Inoltre il lato migliore del riceve gli ordini direttamente da sua maestà è che non si potrà mai sapere se le sue scuse o motivazioni siano vero o no: nessuno oserà mai porre una domande del genere al sovrano di Francia.
La voce di un servitore annuncia il suo arrivo, poi le porte si aprono e, finalmente, il silenzio.
Solitamente tutto ciò che il re compie avviene alla presenza della corte, dalla più piccola questione quotidiana alle dichiarazioni di guerra, ma quando lui, Francis Bonnefoy, ha appuntamento con sua maestà la stanza è sempre vuota: quello che accade tra la nazione e il suo sovrano resterà segreto.

“Altezza.”

Francia si inchina a quel re che ha visto salire sul trono quando era ancora un bambino - quasi un’infante alla morte del padre - ma che ora finalmente, cancellata l’ombra del primo ministro, governa.

“Francis ti ho chiamato qui per un motivo ben preciso.”
“Sì, maestà?”
“Come tu sai bene, il grande regno di Francia ha vari protettorato su alcuni piccoli territori che senza il nostro aiuto sprofonderebbero nell’oblio...”
“Parlate di Andorra sire?”
“Anche, Francis, anche. Ma in questo preciso istante intendevo qualcos’altro.”
“Non comprendo, a chi vi riferite?”
“Di certo conoscerai Luigi Grimaldi, pari di Francia, ed erede del Principato di Monaco…”
“Certamente, sire”

Francis non ricorda assolutamente chi sia il nobile di cui sua maestà sta parlando, ma in fondo un aristocratico vale l’altro.

“Bene, perché desidero che tu assista alla sua incoronazione - e il re sbuffa lievemente come se trovasse la cosa estremamente divertente - in mia vece. Il mio potere non è ancora abbastanza consolidato da permettermi un’assenza del genere a così poco dall’inizio del mio vero regno”3
“Come desiderate, Altezza.”

Obbedisce e, al cenno del sovrano, si ritira nuovamente nelle sue stanze dove ordina ai servi di preparare i bauli per la sua permanenza in territorio monegasco. Non è un incarico particolarmente spiacevole, anche se ne ha ricevuti di migliori come quelli che gli permettono di mettere le mani addosso ad Arthur, e l’unica cosa che gli dispiace è che abbandonerà la soffocante corte francese per un’altra simile, o se la sfortuna lo perseguita, anche peggiore - ha ancora gli incubi nel ricordare il rigido e privo di classe seguito della famiglia reale austriaca - perchè alla fine i nobili si assomigliano l’uno con l’altro e anche le nazioni - lui per primo e con solo rare eccezioni - sono sempre le stesse frivole, avide e piatte persone.
Ora, il suo unico dubbio è se portarsi con sé o meno il capello rosso con le piume.

•••

Si sbagliava, però, perchè è diverso, è completamente diverso dalla corte francese. Certo, i pizzi e i merletti ci sono ancora come i bisbigli e i pettegolezzi a mezza voce nascosti dietro ai ventagli di piume, ma tutto il resto è ben lontano dall’affettato garbo e finto decoro che mostrano i suoi aristocratici: l’aria profuma di sale e di frutta matura che crogiola al sole - le pelle delle nobildonne odora di mare e non di dolciastre essenze - e la quiete stessa che avvolge la corte monegasca è fatta di un silenzio differente, non passi lenti intralciati da vesti troppo ricche, ma un muoversi delicato di chi non ha la fretta nel proprio sangue.
E le fanciulle e i fanciulli figli di quella nobiltà! Dieu, così spontanei e limpidi come minuscole gocce d’acqua che lui non può fare a meno di chiedersi se lo sarebbero altrettanto tra lenzuola di raso, ma chiude in un angolo questi pensieri e si gode soltanto la vista - non intende scatenare uno scandalo durante una missione diplomatica, anche se presso un minuscolo pricipato. Tutti i giorni li vede scendere al mare di nascosto, quando le ore sono troppo calde per discutere e gli occhi vigili dei tutori si abbassano per riposarsi da quel sole torrido, per giocare come non hai mai visto fare alla sua corte: le ragazze dalle forme ancora acerbe sollevano le gonne, senza vergogna, quel tanto che serve loro per passeggiare sul bagnasciuga sfiorate appena dalle onde, mentre i maschi, indossati abiti semplici come quelli dei contadini, si rincorrono e si spingono nell’acqua tramutando l’aria in coloratissimi arcobaleni.
Francia vorrebbe sapere se anche la loro nazione è altrettanto bella e umile, ma può solo domandarselo perché, sebbene siano giorni che si trova lì, non ha mai incontrato Monaco.


[“Ben arrivato, Monsieur Francia. Spero che abbiate fatto un buon viaggio.”
“Uno dei migliori, le strade francesi sono ottime.”
“Ne sono felice. Immagino che vogliate ugualmente riposarvi, qualcuno vi mostrerà le vostre stanz...”
“Prima di andare desidererei conoscere Monaco.”
“Credo che sia impossibile.”
“E come mai?”
“Perché non abbiamo idea di dove si trovi al momento.”]


Ha ripetuto la sua richiesta ad ogni incontro con il futuro regnate, ma la risposta è sempre stata la stessa e se la situazione inizialmente lo aveva divertito e l’idea di una nazione fuggiasca che si nasconde nel suo stesso paese lo aveva fatto ridacchiare, ora questa mancanza gli appare quasi un’offesa nei suoi confronti.
Poi un bussare leggero lo richiama alla realtà.
Francis si volta verso la porta e la vede: una ragazzina - una bambina quasi - lo guarda dall’uscio con i capelli castani spettinati dal vento e con il fondo della veste ancora macchiato d’acqua e di sale.
Francia è, però, ben certo di non averla mai notata tra i partecipati ai quei giochi che si svolgono sotto le sue finestre, anche perchè non potrebbe mai dimenticare una come lei: non la si può dire bella, non ora almeno, ma Francis potrebbe scommettere che da grande sarà da mozzare il fiato.

“Piccola hai bisogno di qualcosa?”

Lei lo fissa stranito con i suoi limpide iridi cioccolata, gonfiando le guance in una buffa smorfia concentrata.

“Io..ho sapere che...lai, no volevo dire, lei voleva sapere dove ..era - e qui si interrompe picchiettandosi la tempia alla ricerca di una parola che le sfugge - ...è Monsieur Monaco?”

Trascina le vocali aprendole in larghi suoni per poi spezzare le parole con lunghe pause che appaiono innaturali e aliene in quella - come il francese - che è un lingua vorticosa e cantilenante, ma a Francis bastano le ultime due parole - le uniche pronunciate correttamente, ma con quella durezza di chi le ha imparate a memoria - per capire che cosa gli sta dicendo.

“Se me lo poteste dire, mi sareste d’aiuto.”

Parla piano, sperando che la ragazzina lo comprenda meglio di quanto non lo parli. Di certo quella non è la sua lingua madre e Francis immagina che possa essere figlia di qualche nobile limitrofo - verso la parte italiana - giunto per partecipare, come lui del resto, ai festeggiamenti per la salita al potere del nuovo regnante. Deve essere per questo che non l’ha mai vista eppure di straniero, nei suoi modi e nei suoi gesti, non c’è nulla: profuma di mare e di dolce frutta.

“ È sul monte.”
“Quale monte?”
“...quello delle..spelonche...delle grotte.4

Francis la fissa: la sola cosa che gli interessa, cioè il nome di quella dannata collina, è l’unica che non riesce a capire
Lei gonfia nuovamente le guance, poi lo prende per un lembo della camicia e lo strascina alla finestra.

“Quello.”

E sollevandosi sulle punte, superando l’alto davanzale, glielo indica: è poco più di una collina che affonda sul mare, ma il modo in cui gliela mostra - come se per lei fosse la cosa più importante - per un attimo la apparire come la più imponente delle montagne.

“Non ha...certo - di nuovo fa quella smorfia buffa - non ha un vero nome.”

Conclude soddisfatta, Francis le sorride per un attimo e poi tornare a fissare il monte, ma l’incanto è ormai finito e quella è tornata ad essere una comune altura.

“Grazie per avermelo detto, mademoiselle. Vi dev...”

Ma ormai nella stanza non c’è più nessuno e lui non sa neppure chi deve ringraziare. A quanto pare anche quella ragazzina non ha nome.


Francis si prepara il più in fretta possibile - senza neppure chiamare un servitore - indossando una giacca sobria giacca di fustagno - che non indosserebbe a Versailles - per poi percorrere in tutta fretta le scale e i corridoi che lo dividono dall’uscire dal palazzo: non potrebbe mai perdonarsi di aver perso l’occasione di incontrare questo fantomatico Monaco soltanto per la sua lentezza nel vestirsi. E, in fondo, in quella strana corte non sembrano preoccuparsi più di tanto di queste cose.
Uscire finalmente all’aperto è come entrare in un altro mondo, un mondo dove le colline sono imponenti monti e giocare con le onde del mare è ancora permesso, un mondo con un sole brillante che lo costringe a schermarsi gli occhi con una mano e dove il mare scintilla sotto i suoi raggi come neppure le più belle parure hanno mai fatto.
Salire è fatico, fa caldo e il sudore gli cola sulla schiena, vorrebbe un po’ di ombra, ma fino alla cima della collina - dove un piccolo pino contorto si erge indomito - non c’è nulla se non erba alta e rocce spigolose.
Poi il terreno si fa più pianeggiante, ha raggiunto la sommità del monte, e un vento fresco, proveniente dal mare, gli dà finalmente un po’ di sollievo. Monaco, per quel minuscolo stato che non ha mai visto e di cui ha firmato le carte per il protettorato senza neanche saperlo, appartiene ad di certo ad un altro mondo, su questo non può sbagliare: fino a pochi giorni prima Francis si trovava a doversi stringere nei cappotti e nelle giacche per sfuggire ai gelidi soffi dell’oceano che infestavano la sua Parigi e ora combatte, invece, contro un caldo che gli fa bruciare la pelle come fuoco.
Francia raggiunge l’ombra di quel povero alberello incurvato con sollievo, appoggiandosi al tronco malmesso con un sospiro: il mare, un calmo Mediterraneo dalle acque cristalline, si apre davanti a lui seguendo il profilo netto della costa - le Alpi sono ancora vicine, non come nella sua piatta Camargue dove la terra sfuma nell’azzurro delle acque simile ai colori di un pittore.
Poi un scricchiolio lo distoglie dalla sua contemplazione, portandolo a spostare lo sguardo sul fagotto - o forse un sacco di canapa con un nido sopra - seminascosto dietro al pino solitario.
Fagotto che poi si scopre non essere un fagotto, ma un bambino - neanche un adolescente secondo la sua opinione, ma non è lui l’esperto in materia. Antonio d’altra parte è in grado di indovinare l’età con lo scarto di un mese - profondamente addormentato, vestito con una camicia di lino logora e un paio di pantaloni fin troppo somiglianti con l’ipotizzato sacco di canapa, mentre quello che aveva scambiato per un nido risulta essere la sua capigliatura.
Se quello è veramente Monaco - e lui spera che non sia così - Francia si chiede che razza di nazione abbia preso sotto la sua protezione. Ormai, però, il patto è siglato e lui non può farci più niente, lo ricorderà, per la prossima volta, come monito sul non firmare i documenti senza leggerli.

“Monaco?”

Non sta veramente urlando, ma il suo tono è decisamente più alto del normale: vuole svegliarlo così da poter fare i soliti saluti di circostanza per poi ritirarsi nuovamente presso il palazzo - in dolce compagnia, preferibilmente con una di quelle dame dalla pelle profumata che lo popolano - fino all’incoronazione e infine tornare a casa, presso quelle reggia finta e superficiale ma dal familiare lusso, dimenticando ogni sciocco Principato e il suo essere fuori dal tempo e da ogni regola.
Il ragazzo-fagotto si agita e sussulta spaventato dal quel risveglio improvviso, perde l’equilibrio e rotola per alcuni metri in mezzo all’erba alba. Francis inarca un sopracciglio e si avvicina, restando però entro il limitare di quell’avvizzita ombra.
È a quel punto che Francia si dispiace - per la seconda volta, ma per un motivo diverso - di non aver guardato meglio quelle carte: Monaco - ora spera che sia Monaco - lo sta fissando come un piccolo animale spaventato, fermo tra le sterpaglie con il capo rivolto verso di lui e gli occhi immobili a guardarlo angosciati. E sono quegli occhi a rapirlo.
Francia ha incontrato, visto e avuto persone bellissime, così splendide da farti credere in Dio, in qualcosa di superiore, al solo scorgerle - perché non può essere umana una tale creazione - dai visi di una tale perfezione permetterti di vedere i volti degli angeli, da labbra che avrebbero condotto il più retto degli uomini al peccato e da occhi splendenti come soltanto le pietre che adornano il paradiso possono essere e, sebbene quel ragazzino non faccia parte di questa categoria, mai è stato incantato da uno sguardo simile.
Sono iridi chiare dal color indefinito, a metà tra un blu zaffiro e un pallido celeste, ma brillanti come il mare che si infrange contro le rocce di quel monte: sono occhi liquidi come acqua intrappolata tra specchi scuri e Francis è imprigionato con questa.

“E v-voi chi si-siete?”

Parla il francese in modo pulito - di chi lo ha imparato su i libri - su cui si sente appena un accento straniero, quelle vocali sonore, che Francis ha ormai imparato ad associare alla parlata di quel luogo, ma mischiato a quel balbettare tremante e spaventato lo trova quasi piacevole. Quasi però: insegnargli una perfetta cadenza parigina sarà, di certo, ancora meglio.
Monaco - perché quello è sicuramente Monaco, ci sono cose che si sentono a pelle tra di loro, tra Nazioni - gli appare sempre più interessante ad ogni secondo che passa: averlo come protettorato sarà avere finalmente un fratellino - certo, non è una delle due Italie, ma gli andrà bene anche lui.

“Sono Francis Bonnefoy, piacere di conoscerti finalmente Monaco...”
Mo-monsieur Fra-aa-ncia?”

Sì, un piccolo animaletto spaventato dai grandi occhi da bambola color del mare. Magnifico.

“M-mi d-dispia-ace io-io no-non v-vo-volevo mancarv-vi di-di ri-rispetto...é che m-mi ha-hanno-no de-detto che voi siete sempre al me-meglio, si-siete b-bello e e vi-vivete nel lusso e si-siete fo-f-for -rtissimo e i-io n-non v-vo-volevo, cio-cioè..insomma, io no-non sono degno, vo-volevo...cioè speravo che...io-io non vo-volevo fa-f-fare b-brutta f-fi-igura con v-voi, ma non s-s-sono ca-capace di essere bravo c-come voi, mon-monsieur Francia e..e allora ho pensato che-che fosse, me-meglio, che sì, al-alla fi-finne, che voi non mi vedeste.”

È adorabile, ma di una delizia insolita che non lo fa interrogare su come possa essere il suo viso stravolto dal piacere, ma su come potrebbe sorridere nel vederlo arrivare la volta successiva da Parigi, magari con un regalo. E per Francis tutto ciò è assai strano.

“Non devi essere spaventato da me, io non ti farò mai del male. Mi è stato dato il compito di proteggerti, lo sai?”
“S-si.”
“Allora ora ritorna qui all’ombra, fa troppo caldo per rimanere lì, sotto questo strano sole.”

E Monaco si alza con cautela, avvicinandosi giusto quel tanto per soddisfare la richiesta di Francis, senza osare fare un passo in più.
La situazione è in stallo: sono lì, immobili al confine, su quella linea che divide l’ombra dalla luce e fa caldo. Francis si rende conto che se non farà qualcosa non accadrà nulla, ma che basteranno pochi minuti a far postare abbastanza il sole da colpirlo e se c’è una cosa che lui non vuole è abbronzarsi come un contadino.
Osserva il terreno sotto di lui - la sterpaglia, gli aghi di pino e i sassi aguzzi -, si dice che, in fondo, durante le varie battaglie ha toccato di peggio e, finalmente, si siede.

“Perché non vieni qui anche tu, Monaco?”

E Monaco lo fa, accovacciandosi tra le radici nodose del pino, ad almeno tre passi di distanza da lui, Francia si sente un po’ preso in giro
È costretto ad avvicinarsi - e lui non ha mai amato essere costretto a fare nulla, ma per una volta farà un’eccezione - e gli si siede accanto vedendolo, però, ritrarsi impaurito a questo suo spostamento.

“Non devi avere paura di me. Io non ti farò mai del male.”

Almeno fino a quando Monaco sarà sotto la sua protezione, ma quello non è certamente un argomento adatto per calmarlo quindi sorvola su tale piccolo particolare.
Il principato lo scruta sottecchi, con le iridi chiare seminascoste da disordinate ciocche bionde, fuggendo ogni qualvolta il suo sguardo incontra quello dell'altro, ma Francis decide di averne abbastanza di quella situazione in precario equilibrio e lo stringe tra le braccia.
Monaco trema, con il cuore che batte come quello di un uccellino, ma poi si calma e appoggia la sua testolina bionda sulla sua spalle e Francia non può fare a meno di provare tenerezza - un’emozione che ha sempre creduto non gli sarebbe mai appartenuta - nel vedere quale fiducia sappia riporre negli altri quel piccolo Stato, nonostante la sua precaria situazione, perché basta una carezza tra quei capelli che profumano di sole e di salsedine per sentirlo rilassarsi meglio di quanto mille parole abbiano fatto.

“Tu..qui-quindi mi-mi proteggerai, frère?”
“Certo Monaco. Io ti proteggerò sempre, mon rossignol.”






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1 Calzoni ampi che terminano sotto il ginocchio con cascate di fiocchi e pizzi, tanto da sembrare quasi un gonnellino. I “rhingraves” sono cosi chiamati perché sfoggiati dal conte palatino (Rheingraf) von Salm, ambasciatore olandese a Parigi.
2 I tacchi rossi erano riservato ai gentiluomini a cui era concesso l’onore di stare vicino al re
3 Non so esattamente se allora si potesse parlare di incoronazione per la salita al potere di un principe di un paese piccolo come Monaco o se ci fosse qualcosa a cui partecipare, ma prendetela come una licenza poetica. Le date dovrebbero invece coincidere: il regno di Luigi XIV va dal 14 maggio 1643 al 1 settembre 1715, ma regna veramente dal 14 maggio 1661 (alla morte del reggente, il primo Ministro il Cardinale Mazzarino) . Il protettorato francese su Monaco è opera del padre, Luigi XIII nel 1641 e la salita al trono di Luigi Grimaldi (Pari di Francia e amico del re) avviene nel 1662.
4 In italiano.


Sì, ultima scena - quella dell’abbraccio - riprende un pezzo della fic “Lei - io”.
Sì, la cosa è voluta.
No, non vi spiegherò il perché della mia scelta, ma in fondo è semplice da capire.
E sì, ci sono altri rimandi.
Questa probabilmente sarà l'ultima fic su Monaco per un po' di tempo per questioni di tempo e di ispirazione, detto questo ora fate tanti commenti *^*



Edit: chiedo scusa ai lettori, ma quella pubblicata qualche giorno fa era la versione sbagliata del capitolo e nel tentativo di sostituirla l'ho erroneamente cancellata - stupido cellulare paterno con connessione a internet preistorica e assurda <_<. Chiedo di nuovo scusa.

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