3° Capitolo.
La donna viveva in un monolocale a due isolati dal luogo del ritrovamento.
Quando aprì loro la porta, indossava un vecchio pigiama e i capelli erano così spettinati ed aggrovigliati che, Lisbon pensò, sembrava non li spazzolasse da giorni.
Dopo il tradizionale “Ci dispiace per la sua perdita”, Lisbon si accinse a fare alla donna le domande di rito.
“Dov’era la notte dell’omicidio?”
La donna si passò una mano tremante sugli occhi e rispose: “Uhm…al lavoro, suppongo.”
Lisbon e Jane si guardarono per un attimo.
“Suppone o ne è sicura?” chiese Lisbon annotando qualcosa sul notes.
“Sono sicura.” Disse la donna stringendo gli occhi, sembrava quasi che la luce la infastidisse.
Jane stava vagando per la stanza, in cerca di indizi visibili solo a lui, ogni tanto toccava qualcosa e, con la coda dell’occhio, notava che questo irritava Maurine.
Lisbon continuò il suo interrogatorio.
“Può dirmi chi può attestare la sua presenza al lavoro?”
La donna la guardò confusa.
“Lavoro al drive in, alla cassa, il mio capo credo che mi abbia vista, oltre ai clienti.”
Jane si avvicinò a Lisbon e guardò Maurine dritto negli occhi.
“Perché sua figlia era sola?” Le chiese.
“Non posso permettermi una baby-sitter e la vicina era fuori.”
Jane non staccò un attimo i suoi occhi dal viso della donna, studiandola.
Aveva da poco passato la trentina, occhi e capelli castani, magrissima, non più alta di Lisbon, la bocca era piccola e generosa ma quello che colpì Jane furono i suoi occhi duri e freddi, non un briciolo di emozione vi si poteva leggere.
Un brivido interno lo riscosse e, sempre tenendola incatenata ai suoi occhi verde-azzurri, le chiese: “Qual’era il giocattolo preferito di Annelise?”
Lisbon lo guardò sorpresa, che attinenza poteva avere quella domanda col loro caso.
La donna sbatté le palpebre perplessa: “Io…non lo so…è importante?”
Jane sedette vicino a Lisbon e disse: “Sig.ra Scott, da quanto fa uso di antidepressivi?” fece una breve pausa, non lasciandole il tempo di rispondere.
“La fanno dormire troppo e poi, quando si sveglia, è come se si trovasse in un mondo ovattato, dove suoni e colori sono sfocati. In quel limbo anche la voce di Annelise la infastidisce perché è forte, stridente.”
La donna non riusciva a staccare i suoi occhi da quelli di Jane, la sua voce calma e dolce la stava irretendo.
Lisbon si rese conto che Jane cercava di ipnotizzarla.
“Jane, dannazione ma che fai!” gli gridò, svegliando dalla trance la donna.
“Niente.” Sorrise lui.
“Vuole sapere cosa penso sig.ra Scott? Quella sera si sentiva più depressa del solito, era stanca ma doveva andare al lavoro. Per qualche ragione Annalise richiedeva la sua attenzione, forse voleva un aiuto per i compiti?”
L’espressione della donna tremolò impercettibilmente, cosa che non sfuggì a Jane.
“Stanca delle sue insistenze l’ha colpita con tutte le sue forze e la bambina è caduta sbattendo la testa. In qualche modo si doveva liberare del cadavere, per cui perché non simulare un aggressione? Ha portato il corpo dove poteva occultare il sangue e le ha tagliato la gola, quindi l’ha abbandonata in quella cantina. Ha commesso un errore però, un vero aggressore non avrebbe spostato il corpo e non l’avrebbe composto come se dormisse.”
La donna lo guardava senza espressione: “Lei è pazzo, non ha prove contro di me.” Farfugliò.
“Verificheremo il suo alibi signora.” Disse Lisbon alzandosi.
“Nel frattempo se vuole seguirci alla centrale…”
“Sono in arresto?” chiese la donna alzandosi a sua volta.
“No, ma se oppone resistenza l’arresterò.”
La scortarono al CBI e la consegnarono a Cho, che continuò ad interrogarla.
Van Pelt e Rigsby andarono a verificare l’alibi della donna, ma il suo capo disse che lei non si era presentata al lavoro, gli aveva telefonato per darsi malata.
“Succede spesso sapete? Quella donna è pazza, urla spesso anche contro i clienti, dovrebbe essere rinchiusa.” Disse l’uomo
I due agenti lo ringraziarono, lo invitarono a recarsi al CBI per firmare la dichiarazione e se ne andarono.
A quel punto Hightower chiese al giudice un mandato di perquisizione per l’appartamento della Scott.
Ad un primo esame col luminor furono rinvenute evidenti ed abbondanti tracce di sangue nella vasca da bagno, dove probabilmente Maurine aveva sgozzato la figlia.
Cho ammanettò la donna e la portò nella cella di detenzione preventiva, in attesa che la polizia penitenziaria la prelevasse.
Jane e Lisbon si incontrarono davanti all’ascensore.
“Come l’hai capito che era stata lei? Voglio dire, a parte il modo com’era sistemata la bambina.” Aggiunse, non riusciva a dire solo il corpo.
Lui fece uno di quei rari sorrisi che mettevano a nudo la sua anima.
“Non sapeva quale fosse il giocattolo preferito di sua figlia. Anche il più sbadato dei genitori conosce i gusti dei propri figli. Lei era sempre sotto l’effetto degli psicofarmaci, credimi so di cosa parlo, non riesci ad avere la giusta percezione del mondo in quei momenti. L’ha uccisa sotto l’effetto di quella roba Lisbon, è orribile.”
Lisbon cercò di leggere l’espressione dei suoi occhi ma dentro l’ascensore, sul quale erano nel frattempo saliti, c’era troppa penombra.
“Jane…” provò a dirgli qualcosa avvertendo la sua tristezza, ma non ci riuscì.
“Buonanotte.” Lo salutò.
“Notte Lisbon.” Rispose lui dirigendosi alla sua Citroen con passo elastico.
Teresa non aveva molta voglia di tornare a casa. Dopo la morte di Bosco non si erano più concessi la pizza del caso chiuso e adesso che Van Pelt e Rigsby non stavano più insieme le cose erano ancora peggiorate.
Salì in auto e si diresse al bar.
Il locale era affollato, si avvicinò al bancone ed ordinò una tequila.
Era già al secondo drink, quando un uomo le si avvicinò.
“Posso offrirti un altro giro?”
Teresa lo guardò da sopra l’orlo del bicchiere. Era alto, bello, occhi e capelli scuri ed aveva una voce molto sensuale. Era stanca e si sentiva sola, gli sorrise.
“Grazie. Mi chiamo Teresa.”
L’uomo ricambiò il sorriso e si sedette di fianco a lei.
“Io sono Ruben.”
Mentre Lisbon viveva la sua notte brava, Jane aveva comprato del cibo Thay e l’aveva mangiato nella perfetta solitudine del suo piccolo appartamento.
Aveva guardato un documentario sugli squali e poi, sentendosi stanco, ma sapendo già che il sonno avrebbe tardato ad arrivare, si fece la doccia e si preparò un the. Si distese sul letto a berlo con ancora l’accappatoio umido addosso.
Posò la tazza sul comodino e senza accorgersene scivolò nel sonno. Il sogno arrivò quasi subito a riempirgli la mente.
Si trovava nella stanza di sua figlia nella grande villa di Malibù. La bimba stava giocando con le sue bambole.
“Ehi tesoro.” Disse lui sorridendole.
“Papà!” gli corse incontro la bambina, stampandogli un sonoro bacio sulla guancia e abbracciandolo forte.
Adorava quel suo strano papà, sempre pronto a fare i giochi più assurdi con lei.
“Guarda cos’ho trovato…” disse lui mostrandole una bambolina bionda con gli occhi azzurri ed il vestito da fata.
“Una Winx!” strillò entusiasta la piccola.
“Grazie papà, questo sarà sempre il mio giocattolo preferito.” Disse abbracciandolo.
Jane rise insieme alla figlia, mentre lei presentava la sua nuova amica alle altre bambole.
Jane si svegliò ansimando come se avesse fatto una lunga corsa, era infreddolito e avvertiva dentro un grande vuoto che rischiava di divorarlo.
Si tolse l’accappatoio e indossato il pigiama si mise sotto le coperte, il desiderio di averla tra le braccia lo stava sopraffacendo e cercò di scacciarlo, ma un altro pensiero prese possesso della sua mente stanca, la voglia di avere qualcuno accanto a confortarlo. La cosa peggiore era che quel qualcuno aveva un volto ed un nome: Teresa Lisbon.
Grazie di cuore a Cinfri, Sasita ed Evelyn_cla.
Sasita: Non do titoli ai capitoli, perchè per darne uno alla storia me la vedo col Signore, non ho fantasia per queste cose. A Jane piace l'Hightower in senso professionale, e poi bisogna che Lisbon capisca che Jane può essere attratto da altre donne!
Un abbraccio a tutte. |