Quando gli angeli sorridono

di ceciotta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Amicizia e separazione ***
Capitolo 3: *** Riconciliazione e Addio ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


Questa storia si è classificata seconda al concorso 'A Contest for Faber' basato sulle citazioni delle canzoni di Fabrizio de André e indetto da RoyxEd 4Ever.

Devo dire che ero piuttosto emozionata quando ho visto i risultati (Ho chiamato mia sorella perché da sola non li volevo vedere... -.-) e ne sono rimasta molto soddisfatta, anche perché era il mio primo concorso! All'inizio doveva essere più corto, solo poche pagine, poi mi sono lasciata prendere la mano e alla fine ho deciso di dividere la storia in tre capitoli.

Che altro dire? Preparate i fazzoletti, potrebbero servirvi.

 

La mia citazione era: Dio di misericordia il tuo bel paradiso l'hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso... (Preghiera in Gennaio)

 

 

 

 

Quando gli angeli sorridono

 

 

 

 

 

Incontro

 

Laura non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui incontrò la piccola Serena.

Era il suo primo giorno in un nuovo ospedale ed era agitata mentre si recava a lavoro. Era infermiera già da un anno, ma era stata trasferita in un’altra città e il cambiamento la spaventava: doveva ambientarsi, conoscere gente nuova e pensare anche ai pazienti; poi, quello che era successo dove stava prima… Sperò che la voce non si sarebbe mai diffusa, ma non si poteva sapere.

Si costringeva a respirare, operazione che gli sembrava complicata in quel momento, e si concentrò sulla guida: non desiderava che quel giorno fosse perfetto, era improbabile che lo fosse davvero, ma preferiva entrare in ospedale con le sue gambe, non trasportata da una barella. Sarebbe stato abbastanza imbarazzante...

Mentre parcheggiava, però, sentì di nuovo l'ansia travolgerla. “Accidenti, non so se ne sarò capace...” mormorò tra sé guardandosi nello specchietto retrovisore, che le rifletté un grazioso viso contratto in una smorfia di tensione. Respirò a fondo tre volte, chiudendo gli occhi, e lentamente si tranquillizzò, dimenticando per un attimo quanto si sentisse inadeguata.

Almeno finché un pugno tamburellò sul finestrino.

Laura lanciò un urletto acuto e si voltò di scatto, spalancando gli occhi.

Un donnone con il camice da infermiera la guardava senza scrupoli. “Pensi di stare lì a praticare yoga ancora per molto? Il tuo turno comincia adesso e in ospedale meno perdigiorno ci sono meglio è per tutti! Ci sono già i medici a renderci le cose complicate, ora non vorrei avere un'altra buona a nulla tra i piedi. Scendi, Raggio di Sole, hai dei pazienti che non vedono l'ora di conoscerti” le disse, aprendo lo sportello. Vedendo che la ragazza la fissava a bocca aperta sbuffò. “Allora? Sei un pesce lesso o cosa? Sei pronta?”

“No!... cioè, sì... voglio dire...” balbettò Laura. “Ora arrivo” mormorò poi, scendendo a occhi bassi, le guance rosso fuoco. Senza più guardare la donna si affrettò verso l'ospedale.

L'altra sorrise, seguendola.

Laura si infilò nello spogliatoio e si mise il camice da infermiera. Quando uscì, sussultò trovandosela di nuovo davanti.

“Accidenti sei proprio un fascio di nervi...” osservò lei.

“Sono solo un po' tesa. Oggi è il mio primo giorno qui e...”

“Beh, vedi di fartela passare” la interruppe il donnone voltandole le spalle e incamminandosi. “E ora stammi dietro. Io sono la caposala Giannini e sarò il tuo punto di riferimento perenne. Ma non credere che ti farò da mammina e ti darò conforto ogni volta che ti verrà una crisi di nervi. Perché piangerai parecchio in queste settimane, te lo assicuro... Conosco i tipi come te: così insicuri da aver bisogno di passare mezzora al giorno a ripetersi di quanto sono brave per non crollare. Tu sei esattamente la vittima perfetta su cui i medici si sfogano, e lo faranno, credi a me: non ti daranno tregua"

Laura quasi correva per stare al suo passo, schivando pazienti, medici e altri infermieri. "Ma..." cominciò a dire.

"Niente ma, così stanno le cose" la interruppe nuovamente la caposala.

"Sono capace di difendermi" replicò lei piccata.

"Lo spero per te, Raggio di Sole"

Laura stava per controbattere, ma oramai erano arrivate alla sala infermiere.

“Nome?” chiese la donna, dirigendosi alla macchinetta del caffè.

“Laura Sanni” disse lei. “Posso sperare che smetterà di chiamarmi Raggio di Sole?”

“Non ci contare” replicò la caposala, bevendo un generoso sorso. “Ti da fastidio? Abituatici”

“No, non è così male, ma…”

“”Sì, ti sembra un po’ infantile, ma ormai è il tuo soprannome. E dammi del tu, non sono così vecchia”

“Ok…”mormorò lei. “Posso chiederti una cosa?” Ad un suo cenno affermativo proseguì: “Ecco… Qui i medici sono molto terribili con noi?”

“Alcuni sì, altri no. Fagli subito capire che con te non si scherza e ti lasceranno in pace”

“Non sono proprio quel genere di persona” ammise lei.

“Col tempo imparerai ad esserlo. Vuoi del caffè? Ti aspetta una pesante giornata”

Laura accettò il caffè e dovette darle ragione.

Le ore seguenti furono un continuo via vai per i corridoi ad assistere le richieste di medici e pazienti, a fare iniezioni e imparare il proprio ruolo. Essere ultima arrivata e infermiera non era un buon connubio. Era stata affidata a oncologia, ma come le avevano preannunciato per mancanza di personale era stata chiamata anche a pediatria, il reparto lì affianco, un paio di volte.

A metà mattina, tornò nella saletta praticamente distrutta.

“Allora Raggio di Sole?” un’infermiera bionda mai vista prima le rivolse un sorriso.

Ormai il soprannome era ufficiale, tanto valeva accettarlo. “A pezzi” mormorò, lasciandosi cadere su una sedia. Si accasciò sul tavolo, posando la testa tra le braccia. “Ma poteva andare peggio, immagino”

“Hai ancora mezzo turno da portare avanti, non porre limiti alla provvidenza”

Laura si voltò verso la caposala, che stava entrando. “Ma tu mi segui ovunque?” chiese.

“Sei tu che sei ovunque io voglia andare”

“Io sono Dania” si presentò la biondina, tendendo la mano.

Laura si presentò a sua volta.

“Non farti ingannare dal suo faccino da angelo, è una vera serpe” la avvertì la Giannini,mentre altre infermiere apparivano sulla soglia.

“Me lo ricorderò” promise Laura.

“Che devo dire? È vero” osservò Dania sollevando le spalle magre.

Altre due infermiere entrarono nella stanza, un po’ cupe, chiacchierando. Si diressero alla caraffa del caffè posata nel bancone lì accanto.

“Avete sentito?” mormorò una di loro, rivolta alle altre. “Serena è tornata”

Laura sentì chiaramente un’atmosfera cupa scendere sulla stanza. Tutti erano tristi, anche Giannini che stava annuendo.

“Oh” fece una moretta mingherlina seduta sul divano.

“Accidenti” mormorò Dania, tamburellando nervosamente sul tavolo con le sue unghie perfette.

Laura si guardò attorno a disagio, chiedendosi che persona fosse questa Serena per farli incupire tutti.

Prima che potesse chiedere spiegazioni, un medico si affacciò nella stanza. Laura era sicura di averlo già incontrato quel giorno e probabilmente si era presentato, o qualcuno le aveva detto il suo nome, ma al momento non se lo ricordava. Cercò di sbirciare il cartellino, ma era troppo lontano.

“Mi servirebbe che una di voi ragazze mi facesse un prelievo”

“Pensi che toglierti dieci litri di sangue basti per ucciderti?” chiese aspramente Dania, fulminandolo.

Lui sorrise. “Uno zuccherino come sempre! Comunque non è per me, è per la paziente del letto 40. Che ne dici di farla tu?”

Dania fece una smorfia di insofferenza e di disagio. “Falla fare a quella nuova” replicò scocciata. Lanciò uno sguardo a Laura che la guardava con aria da cane bastonato. “Tu non l'hai ancora fatto oggi, no? È ora che impari, Raggio di Sole” le abbaiò contro, poi si alzò e uscì dalla stanza come una furia.

“Serpe” sibilò la moretta quando le passò accanto, ma lei la ignorò.

La Giannini sospirò e scosse la testa.

“Allora, Sanni? Te la senti?” chiese il medico.

Laura, ancora scioccata dalla reazione di Dania, lo seguì.

Quando furono nel corridoio lui le sorrise. “Non prendertela con Dania, è solo un po’ nervosa. Lo siamo tutti oggi…” disse, a mo’ di scusa.

“Non fa nulla” mormorò lei, cercando di sbirciare ancora una volta il cartellino. Rinunciò, temendo che lui se ne accorgesse, e si limitò ad osservarlo lungo il tragitto: doveva avere una quarantina d’anni e aveva una camminata sicura, né troppo veloce né troppo lenta. I capelli tendevano più al sale che al pepe, ormai, ma era ancora un bell’uomo.

Mentre era assorta a contemplare ogni centimetro del suo corpo, quello si fermò e si voltò a guardarla, con aria grave.

“La paziente che stiamo andando a visitare è Serena Landi ed entra ed esce dall’ospedale da anni, da quando le abbiamo scoperto il tumore” spiegò. “Eravamo riusciti a eliminarlo, ma non sta bene in questi giorni e stamattina è svenuta. Ci tenevo a prepararti psicologicamente”

“Ok..” sussurrò Laura, titubante. “Grazie per il pensiero”

“La parte peggiore deve ancora arrivare” disse il medico senza nome.

“Può esserci qualcosa di peggiore?

Lui si morse il labbro e la guardò con occhi cupi. “Serena ha dodici anni. L’hanno messa in oncologia perché in pediatria non c'era posto”

Un macigno parve crollare su Laura, che per un attimo rifiutò di muoversi. Lo shock di quella scoperta era troppo forte.

“Lo so” mormorò l’uomo, mettendole una mano sulla spalla. “Non è un bell'inizio per te, eh?”

Laura deglutì. “Lei pensa che il cancro sia tornato?” chiese.

“È ancora presto per dirlo”

Laura sentì che in quelle parole c‘era già la risposta. “Immagino che quel prelievo non si farà da solo” disse.

Lui la guidò verso la camera e Laura si impose di non esitare mentre varcavano la soglia.

E quello fu il loro primo incontro, incontro che Laura non avrebbe mai dimenticato.

L’occupante del letto si voltò a guardarli, mettendo in mostra due occhi castani; era una bella bambina, con i capelli biondo cenere tagliati a caschetto, ma aveva quel pallore tipico di chi non stava bene. Soprattutto, quello sguardo così serio sembrava fuori luogo in una ragazzina che dimostrava meno della sua età.

“Ciao, Serena” la salutò il medico.

“Ciao” replicò lei, con un sorriso che non si trasferì agli occhi.

Laura cominciò davvero a sentirsi a disagio. Mai un nome poteva essere meno indicato per quella bambina.

Serena spostò lo sguardo su di lei. “Lei è nuova?” chiese, con interesse.

Laura sperò che la pietà non trasparisse dal suo volto. “Sì. Mi chiamo Laura Sanni” le sorrise. “E tu devi essere Serena”

“A quanto pare…”

Laura spostò lo sguardo verso le altre persone nella stanza: due adulti in piedi accanto al letto e una ragazza sui sedici anni seduta in una poltroncina accanto alla finestra, con un libro di matematica in grembo, probabilmente i genitori e la sorella, a giudicare dalla somiglianza fisica. Si presentò anche a loro.

“Ora l’infermiera Sanni ti farà quel prelievo di cui ti avevo parlato”

Lo sguardo di Serena divenne ancora più cupo e strinse le braccia al petto.

“Serena…” la avvertì la donna mora lì affianco. Era alta, con un cipiglio severo come quello del marito accanto a lei.

“Dobbiamo per forza farlo adesso?” chiese lei.

“Tesoro, è solo una punturina” disse il signor Landi, con aria di chi sta perdendo la pazienza.

“Non la voglio fare” Serena teneva gli occhi bassi, ma Laura capì che si stavano riempiendo di lacrime.

“Avanti, non fare i capricci” le disse la donna.

‘Non sono capricci’ pensò Laura, guardando la scena con sgomento. Quella bambina doveva averne passate delle belle in vita sua. “Serena” la chiamò, ottenendo la sua attenzione. Quasi si perse in quegli occhi tristi, ma infine ritrovò le parole, sedendosi accanto a lei. “Sai, da piccola avevo il terrore delle siringhe. Ogni volta che ne vedevo una impazzivo. Quando sapevo che dovevo fare le analisi del sangue non dormivo per tutta la notte, ci credi?” Riuscì a strapparle un sorriso. “E, diciamocelo, ero una fifona. Quindi ti capisco benissimo. Voglio dire, chissà quanti esami anche più dolorosi avrai dovuto fare in questi anni… Io non so che avrei fatto. Posso capire che tu sia stanca di tutto questo, accidenti! Quindi se tu vuoi aspetterò, ma lo sai anche tu che prima o poi dovremo farla, e sarà solo il primo di tanti accertamenti che faremo, non voglio fingere che sarà una passeggiata. Noi speriamo di non trovare nulla, ma non possiamo lasciare nulla al caso, capisci?”

Serena la guardò a lungo, corrugando la fronte. Sembrava sorpresa da come le aveva parlato. “Va bene” mormorò, allungando il braccio magro, mentre i genitori sorridevano sollevati.

Laura sorrise a sua volta, rivolta a Serena. “Brava ragazza” disse. Fece il prelievo, consapevole che il dottore senza nome la stava fissando.

“Ecco fatto” disse dopo aver estratto l'ago.

“È stata veloce” disse lei.

“Facciamo un patto: io cercherò di essere sempre veloce se tu mi prometti di darmi del tu” propose Laura.

Serena annuì. “Ci sto”

“Va bene, allora. Adesso porto queste analisi al laboratorio, immagino che ci rincontreremo” si congedò. “Arrivederci” disse ai genitori.

Una volta usciti, l'uomo senza nome la fermò. “Sei stata davvero brava”

“Dote naturale di ogni infermiera” commentò lei.

“Scusami…”

Una voce dietro di lei la fece voltare: Elena, la sorella di Serena, la raggiunse.

“Volevo ringraziarti, per come hai convinto mia sorella” disse. “Credo che sia stanca di sentirsi raccontare mezze verità”

“Lo immagino” rispose Laura.

“Lei è solo spaventata” mormorò Elena, abbassando lo sguardo. “E quando è spaventata raramente riusciamo a calmarla perché non si fida di nessuno e pensa che tutti vogliano mentirle, tu sei la prima di cui si è fidata subito”

Laura, stupita, non seppe che rispondere e la ragazza rientrò in fretta, quasi vergognosa. Laura si voltò verso il medico e vide con sorpresa che la guardava corrucciato. “Che c’è?” chiese.

“Non farti coinvolgere” la avvertì, serio.

Laura cercò di replicare.

“No, ascolta: se ti lasci coinvolgere dai pazienti… Davvero, non è proprio il caso di affezionarsi a loro: in un modo o nell’altro, che stiano meglio o peggio, prima o poi se ne andranno. Potrà sembrarti cinico, ma così stanno le cose. Non ti obbligherò ad ascoltarmi, però è una regola fondamentale per fare bene il nostro lavoro” la bloccò lui, prima di lasciarla lì come un ebete, con ancora la provetta di Serena in mano.

Dopo poco si riscosse e portò il tutto al laboratorio, ancora imbambolata. Tutti sembravano cambiare umore da un momento all’altro, lì dentro.

 

Dopo aver consegnato il sangue, comunque, una voce la richiamò e lei si ritrovò davanti Dania. La biondina la guardò incerta poi prese parola.

“Ti va un caffè?” chiese Dania. “Per favore, non cacciarmi… Vorrei solo spiegarti alcune cose”

Laura la guardò per un attimo, incerta se cedere o no, ma lei sembrava averne davvero bisogno. “Ok, penso di poterti dare questa possibilità” disse.

Dania la condusse alla macchinetta più vicina e pagò entrambi i caffè.

“Senti, mi dispiace per prima…” mormorò lei. “Sul serio, non volevo metterti di mezzo… è che non volevo rivedere Serena, prendergli del sangue e fingere che vada tutto bene” si spiego, nervosamente, mescolando il caffè.

“Era già stata qui, mi hanno detto”

“Sì, e non volevo che ci rientrasse, per la miseria!” sbottò Dania. “Cavolo, aveva nove anni quando le hanno diagnosticato il tumore, e io l’ho assistita per gran parte del tempo. È anche per lei che mi sono fatta trasferire da pediatria. Quando è stata meglio ho sperato di non rivederla più. Non che sia antipatica, tutt’altro…” si corresse sorridendo, ma tornò subito seria. “È una bambina. Non è giusto” Scosse la testa. “Come è andata?”

“All’inizio non voleva farsi fare il prelievo, ma sono riuscita a convincerla” raccontò Laura sollevando le spalle. “Ma emotivamente è stato terribile”

“Già… per questo te l'ho rifilata e mi dispiace davvero. È stato istintivo”

Laura la guardò pensierosa. “Come sapevi che era lei? Voglio dire, il dottore senza nome ha detto solo il numero della stanza, non il nome”

“Non so, è stato intuito. Prima le altre ragazze entrano e dicono che Serena è di nuovo qui, poi arriva l’oncologo. E poi… credo il modo un cui l’ha detto, o i suoi occhi” Dania sospirò. “Sai, è lui che l’ha avuta in cura l'ultima volta”

“Penso che chiunque entrerebbe nel panico di fronte a una bambina che sta così male. Non preoccuparti per prima”

Dania le sorrise. “Dottore senza nome, eh?”

Laura avvampò. “Sono una frana a ricordarmi i nomi…Lo chiamo così nella mia testa, di solito” spiegò.

“Io nella mia testa lo chiamo Dottore-dal-bel-sedere”

“Dania!” protestò lei scoppiando a ridere mentre beveva il caffè e rischiando di strozzarsi.

“Beh, è vero, ce l‘ha un bel fondo schiena” replicò Dania piccata. “Si chiama Paolo Ferri, comunque”

 

Alla fine del turno, Laura tirò un sospiro di sollievo e la Giannini se ne accorse.

“Allora? Come è andato il primo giorno?” le chiese, mentre si dirigeva allo spogliatoio.

“Non ho pianto” rispose lei, con un’alzata di spalle. “Anche se in certi momenti avrei voluto” ammise, togliendosi il camice.

“Hai conosciuto la piccola Serena”

“Già…” Mentre si vestiva, Laura tenne gli occhi bassi. “Nell'ospedale dove lavoravo prima ne ho viste, di persone che soffrono, eppure quella ragazzina… Non mi sono mai trovata davanti a persone così giovani con la possibilità di avere un tumore. È proprio Serena che… Io non ho mai visto bambini così tristi. Io non vivo nel mondo delle favole, intendiamoci, so che queste cose accadono, ma trovarsele davanti agli occhi è diverso”

La Giannini sorrise appena. “Lo so. Ora vai a casa e cerca di rilassarti. Domani si ricomincia”

 

Il giorno dopo non fu diverso dal precedente e di nuovo si trovò a fare analisi a Serena.

“Dobbiamo farle una radiografia e vuole che sia tu a portarla. A quanto pare si fida solo di te” gli aveva detto Ferri scocciato. Lei aveva trattenuto un sorriso, ma l’idea di doversi occupare della ragazzina la spaventava.

Non aveva però intenzione di mostrarlo a Ferri, quindi si costrinse ad entrare con sicurezza nella stanza. Mentre la preparava per portarla via Serena si voltò verso Ferri.

“Allora? Pensate che mi sia tornato?” chiese, con voce pacata, come se la cosa non la turbasse.

“Serena, lo sai che non posso ancora risponderti” disse lui, con un sospiro. “Dobbiamo fare ancora molti esami”

“Ma pensate che ce l'ho” concluse lei, cupa. Si mise a fissare il soffitto. “Perché proprio adesso? Ci ho messo un sacco a farmeli ricrescere in modo decente”

“Ricrescere cosa?” domandò stupidamente Laura. Serena la guardò sollevando le sopracciglia. “Oh, giusto… Scusa, era davvero una domanda idiota. Ero sovrappensiero” spiegò avvampando. Con suo sollievo Serena rise.

“Sei rossa come un peperone!” la prese in giro, mentre Ferri si sforzava di non scoppiare a ridere in faccia, ma la sua aria impassibile non era molto convincente.

Quando il suo cerca-persone suonò lui vi lanciò un'occhiata. “Ok, c’è bisogno di me. Ti mando qualcuno ad aiutarti a portare la barella” disse. “Ci vediamo Raggio di Sole” la salutò.

“Raggio di Sole? È il tuo soprannome?” chiese Serena, quando lui lasciò la stanza.

“A quanto pare…” disse Laura, trasferendola sulla barella.

“Non è male. Sempre meglio di Testa Pelata, o Capelli Invisibili” notò la paziente, muovendosi per trovare una posizione più comoda.

Laura raggelò e il silenzio calò sulla stanza. “Serena, chi ti ha chiamato così?” chiese dopo un po’, titubante. Non era sicura di voler sapere la risposta.

Serena irrigidì la mascella e fissò il vuoto di fronte a se. I suoi piccoli pugni si strinsero sul bordo della barella. “Quando sono tornata a scuola” disse in un sibilo. “Alcuni me lo dicevano in faccia e io ci soffrivo, ma facevo finta di niente. Poi ho scoperto che alcuni di quelli che non lo facevano di fronte a me, lo dicevano alle mie spalle. Li ho sentiti una volta, in bagno, loro sono entrati e non si sono accorti che io ero lì, dietro ad una porta. Tra loro c'era anche una che credevo la mia migliore amica” Tirò su col naso, ma trattenne le lacrime. “Alla fine, mi sono rimasti solo Nicola e Stefania”

Laura si sentì gli occhi umidi. “Mi dispiace, Serena” sussurrò. “Le persone sanno essere davvero crudeli”

“Ora che vado alle medie, speravo di avere una vita normale: nessuno mi conosceva e non mi avevano mai visto senza capelli… Ma ora… Se mi è tornato… Già è stato imbarazzante svenire di fronte a tutta la scuola” sospirò Serena.

Laura le accarezzò la fronte. “Beh, innanzitutto controlliamo, potremmo scoprire che non hai nulla. E, credimi, se le persone ti prendono in giro per una cosa così grave non meritano nemmeno che tu le guardi. Spero almeno che i loro genitori li abbiano puniti”

“Non credo che lo sappiano” mormorò lei, senza guardarla. “Non l’ho detto ai miei. Erano già su di giri per il tumore, non volevo che si preoccupassero anche per quegli stupidi”

Laura rimase di nuovo di sasso. “Ma dovevi, invece! Quelli meritavano di essere messi alla gogna, altroché! Avresti potuto sistemare almeno un minimo le cose se i tuoi fossero andati a parlare con il preside e i genitori di quei ragazzi”

Serena respirò a fondo. “No, non avrei risolto niente. Erano già successe cose simili prima: alcuni dei bambini che ce l’avevano con me erano abituati a queste cose e i loro genitori erano ancora peggio: quando gli insegnanti ne hanno parlato a consiglio di classe loro hanno sostenuto che mai i loro figli avrebbero fatto cose del genere e che le vittime si stavano inventando tutto. Io non volevo che succedesse a me, quindi era meglio non tirare in ballo mamma e papà o avrebbero scatenato un pandemonio. Tu sei la prima a cui lo dico” Serena si voltò a guardarla. “Per favore, a loro non dire nulla”

“V-va bene…” balbettò lei, sconvolta. Quelli non erano ragionamenti che una bambina può fare, quelli erano discorsi da adulta. Aveva tenuto per sé qualcosa che la faceva soffrire enormemente solo per non dare un dispiacere ai suoi. Ma ormai lo sapeva: Serena non era più una bambina, la malattia l’aveva fatta crescere, era una donna. Era molto più matura di lei, che con i suoi ventitré anni ancora era terrorizzata da ogni minimo cambiamento. Quando un altro infermiere giunse ad aiutarla cominciò a spingere la barella con la testa offuscata da questi pensieri.

 

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Capitolo 2
*** Amicizia e separazione ***


Quando gli angeli sorridono

 

Nda: Fatemi sapere che ne pensate, anche se vi fa schifo, sono aperta a tutte le critiche.

 

 

Amicizia e Separazione

Quando i risultati degli esami arrivarono, sembrò fin troppo presto. Laura avrebbe preferito non sapere nulla, perché era cosciente di quale sarebbe stato l’esito. In quei giorni Serena non era migliorata, sosteneva di non avere fame e sembrava senza forze. Tutti quegli esami, inoltre, la fiaccavano nello spirito e diventava sempre più difficile tirarla su di morale.

Era andata a ritirare le analisi per ordine di Ferri e il tragitto le era parso lunghissimo.

“Hai fatto in fretta” osservò invece l’oncologo, mentre gli porgeva la cartella. Si erano incontrati a metà strada verso la camera “Hai già guardato?”

“No. Ho avuto paura” ammise lei.

Lui le rivolse un tenue sorriso, poi si concentrò sui risultati: mentre li scorreva con lo sguardo, la sua espressione mutò.

“Le notizie non sono buone, vero?” chiese Laura.

“Per niente” mormorò lui, riprendendo la marcia verso la stanza di Serena. Gli ripassò la cartella, quasi non volesse più nemmeno guardarla.

Lei lanciò un’occhiata ai risultati e si lasciò sfuggire un gemito, poi quasi corse per tenere il suo passo, con la sensazione di essere precipitata in un incubo.

I genitori di Serena erano sulla soglia e quando li videro arrivare andarono loro incontro, in modo che la ragazzina non sentisse nulla della conversazione.

Laura se ne rimase in disparte, si sentiva da schifo.

“Sono arrivati i risultati, vero?” chiese il signor Landi.

Ferri annuì. “Il tumore si è ripresentato” disse.

La donna singhiozzò e subito il marito l’abbracciò.

“È troppo esteso per intervenire chirurgicamente, quindi prima di tutto procederemo con chemioterapia e radioterapia, poi vedremo gli sviluppi. Fortunatamente non ci sono metastasi. Lei sa che non mi piace parlare di probabilità di sopravvivenza, per me quelli sono solo dei numeri” continuò Ferri, “Prima però dobbiamo parlare a Serena, tranquillizzarla”

“Tranquillizzarla?” replicò la donna, piangendo. “Ha solo dodici anni e guardi cosa le sta succedendo…”

Ferri sospirò. “Mi dispiace”

“La smetta di ripetere che le dispiace! È nostra figlia!” sbottò il signor Landi, anche lui con le lacrime agli occhi.

Ferri non rispose.

“R-riuscirete a salvarla, vero?” mormorò la madre di Serena.

“Non possiamo darle certezze, lei lo sa. Le basti sapere che faremo del nostro meglio. Prima però parliamo con lei”

La donna esitò, poi posò lo sguardo su Laura. “Potresti entrare anche tu?” supplicò. “Lei si fida di te”

“Ma io…” Laura cercò di protestare: non se ne sentiva in grado, era davvero troppo… ma quello sguardo disperato le sciolse il cuore. “Va bene” mormorò.

Lei le sorrise e si asciugò le lacrime, poi tornò nella stanza della figlia.

Laura sfuggì a Ferri, temendo quello che lui avrebbe detto. Una volta dentro, però, avrebbe preferito di gran lunga subire la sua lavata di capo: Serena era seduta sul letto e giocava con il suo Nintendo DS, mentre Elena, china su di lei, le dava suggerimenti concitati ed entrambe ridevano. In quel momento, senza il suo solito sguardo serio, Serena tornò ad essere una semplice ragazzina che giocava con sua sorella con l’ultimo gioco che i suoi genitori le avevano comprato.

“Serena?” la chiamò la signora Landi.

Serena alzò lo sguardo, vide la piccola folla che era entrata e con un respiro profondo spense la console. Laura notò che le tremavano le mani mentre posava l’oggetto sul comodino: il momento di allegria era passato, l’aria cupa era tornata sul volto della bambina.

Elena guardava i genitori, terrorizzata, e rimase accanto alla sorella, che non alzò la testa.

“È tornato, vero?” chiese, con voce lievemente tremante. Fissava il lenzuolo, senza la forza di sostenere lo sguardo grave del medico.

“Sì, è tornato” disse Ferri, avvicinandosi al letto. “Ora dobbiamo combatterlo, come l'altra volta. Dobbiamo lottare molto, ma dobbiamo anche avere speranza”

Serena sollevò gli occhi, pur tenendo la fronte bassa. “Non voglio… passarci di nuovo…” Ora la sua voce era rotta dai singhiozzi. Sua madre e sua sorella la abbracciarono e Ferri attese. Serena ingoiò le lacrime e a Laura questo fece più impressione di qualsiasi altra cosa. Una bambina normale non tratteneva il pianto quando veniva a sapere di avere di nuovo una malattia così terribile. Poi Serena la cercò con gli occhi e lei si sforzò di non piangere al posto suo. La raggiunse senza una parola e, mentre ancora i suoi familiari l’abbracciavano, le accarezzò i capelli. “Mi dispiace davvero tanto…” mormorò.

“Noi faremo ogni cosa per uscirne anche questa volta” riprese Ferri. Cominciò ad illustrarle quello che avrebbero fatto, passo dopo passo, in un linguaggio semplice e diretto, senza tacerle nulla sulle sue condizioni e possibilità. “Domani cominceremo con la chemio, va bene?” concluse.

Serena si morse un labbro poi annuì.

“Noi ti saremo vicini, Serena” disse Laura, sorridendole confortante.

Quando furono usciti, Laura intercettò l'occhiata di Ferri: era furioso. Sbuffò, sull'orlo delle lacrime. “Che avrei dovuto fare? Ha visto come mi ha guardata”

“Bastava dire che devi lavorare!” le sibilò lui. “Non è compito tuo stare accanto a quella bambina e se loro non sono in grado di affrontarlo non devi comunque lasciarti condizionare da stupidi sentimentalismi!” La superò senza darle il tempo di ribattere.

 

“Li ha chiamati stupidi sentimentalismi!” protestò Laura, battendo un pugno sul tavolo. Si fece un male cane, ma almeno parte della sua rabbia si sfogò.

Dania la guardò costernata ma non parlò. Erano al bar, lei l’aveva costretta ad uscire quando l’aveva vista così giù di morale e ora davanti a due birre Laura sbraitava contro Ferri, anche se era chiaro che non era con lui che ce l’aveva.

“Quella donna mi ha supplicato di aiutarla! Prima di un'infermiera sono una persona!”

“Lo so, Laura, ma… il fatto è che quando si lavora in ospedale la persona deve rimanere fuori e deve entrare solo l'infermiere, il medico, il chirurgo…” disse a bassa voce. Prevenne il suo intervento con un gesto della mano. “Lui è stato davvero stronzo a dire quelle cose, te ne do atto, ma cerca di capirlo… anche per lui restare distaccato è un bel problema. Ogni minuto della nostra giornata lo passiamo con dei malati più o meno gravi che dobbiamo curare, ma se ci affezioniamo ad un paziente e per questo perdiamo lucidità rischiamo di fare dei danni che ci perseguiterebbero per tutta la nostra vita”

Laura incrociò le braccia e fissò il bicchiere ancora intonso.

“Non ti sto criticando” spiegò Dania. Allungò una mano e la posò sulla sua spalla. “Ti capisco benissimo, anzi: coi bambini è quasi impossibile rimanere estranei”

Laura afferrò la sua birra e ne bevve un lunga sorsata. “Non mi sono mai ubriacata in vita mia, stasera ho bisogno di farlo. Mi segui?” chiese poi.

“Vediamo fin dove reggi, Raggio di Sole”

 

Il giorno dopo, la Giannini entrò nella saletta e trovò Laura accasciata sulla sedia, a ronfare con la testa appoggiata al tavolo. Sollevò le sopracciglia e cominciò a preparare il caffè, poi scorse Dania sdraiata sul divano a dormire. Si schiarì seccamente la voce e le due si svegliarono di soprassalto.

“Oddio, ma che ore sono?” esclamò Laura guardandosi attorno, poi si prese la testa tra le mani con un lamento. “Che male…” mormorò.

Dania sbadigliò. “Perché siamo in ospedale?” chiese, osservando la stanza, incuriosita.

“Stavo per chiedervi la stessa cosa” osservò la caposala.

Laura continuava a lamentarsi. “Mi scoppia la testa…”

“Oh, giusto… ieri sera abbiamo cercato di ubriacarci, volevamo vedere chi si arrendeva per prima” ricordò Dania con una risatina.

“E chi ha vinto? Non riesco a ricordare tutti i particolari” bofonchiò Laura.

“Io, credo… almeno così ha sostenuto il ragazzo che ci ha riaccompagnato qui” Dania sbadigliò di nuovo. “Ma credo che volesse portarmi a letto, quindi non è molto affidabile. Ma perché siamo tornate qui?”

“Oh, questo me lo ricordo: ti eri dimenticata il cellulare…” disse Laura.

“Già, poi mi sono seduta qui per riprendere fiato, e da lì il vuoto…”concluse Dania.

La Giannini le osservava con gli occhi fuori dalle orbite.

“E il fantomatico ragazzo?” chiese Laura, con voce impastata. “Ci ha abbandonate qui al nostro destino? Non è molto carino…” Posò la testa sul tavolo, stringendo le mani sulle tempie.

“Nah… Ci ha lasciate in ospedale: se ci succedeva qualcosa, magari il dottore dal bel sedere poteva salvarci…” Dania si appoggiò allo schienale del divano.

“Ma è un oncologo, non vorrei mai essere visitata da lui… E stanotte non era manco di turno”

“Sempre medico è…” disse Dania con aria sognante.

“Chi sarebbe il dottore dal bel sedere?” chiese Ferri, dalla soglia.

“Per tutte le stelle del firmamento!” strillò Dania, raddrizzandosi.

“Oh, Dania, smettila di urlare, chi se ne frega se ha scoperto che ti piace il suo fondo schiena” bofonchiò Laura, senza muoversi.

“Qualcuno ha un dopo sbronza davvero micidiale” osservò lui.

“Questa è la scena più interessante del mese” disse la Giannini, appoggiandosi al muro. “Vuole un caffè?” chiese poi, porgendo una tazza al dottore.

“Grazie. Spero che la bella addormentata qui non sia di turno, o abbiamo un problema”

“No, oggi fa la notte, ha tutto il tempo per recuperare” lo rassicurò lei.

“Su con la vita, Raggio di Sole, tra un po’ starai meglio” disse Ferri sorseggiando il caffè.

“Qualcuno lo spenga…”

“Quanto a te, Dania, sono felice che apprezzi qualcosa di me. Lo so, nessuno può resistere al mio fascino” si congedò mentre usciva.

“Fottuta” mormorò Dania accasciandosi di nuovo. “Sono fottuta”

“Non è così male” disse Laura, “Se non altro non ti crede una sciocca sentimentalista.. Oh, grazie” biascicò alzando la testa e vedendo che la caposala le stava posando di fronte una tazza. “E ora che mi ha visto così chissà cos’ha pensato”

“Tu non capisci! Io ho una reputazione da mantenere qui dentro”

“Che ne dite di andarvene a casa tutte e due, farvi una bella doccia, ficcarvi sotto le coperte per tutto il giorno e tornarvene qua fresche e riposate?” disse la Giannini. “E piantatela con tutte queste storie! Che ve ne frega di ciò che pensa?”

 

‘Già, che mi interessa?’ rifletté Laura sotto la doccia. Certo, come al solito era terrorizzata del giudizio altrui, ma in quel momento sentiva come se tutta la sua vita dipendesse da ciò che pensava quell’uomo. 'Oh, non può succedere di nuovo!' si lamentò. “Toglitelo dalla testa, stupida, è solo il dopo sbronza” disse ad alta voce.

Dormì per gran parte della mattinata e quando si alzò il mal di testa andava meglio. Dopo aver dato una scorsa alle provviste infilò nel forno a microonde una zuppa pronta e si ripromise che nel pomeriggio sarebbe uscita a fare la spesa. Mentre aspettava che il pranzo si facesse da solo, scorse gli ultimi due scatoloni che aveva accatastato nella piccola cucina. Ne aprì uno e cominciò a svuotarlo, era giunto il momento di mettere a posto quegli ultimi frammenti di vita. All’improvviso, si ritrovò tra le mani una vecchia foto e il suo cuore prese a battere più forte quando vide se stessa e sua sorella, abbronzate in riva al mare. A quella, si sovrappose subito l’immagine di Elena e Serena chine su quel gioco, il giorno prima. All’improvviso la fame passò.

Stingendo ancora la fotografia, si sedette per terra, con la schiena contro il frigorifero, mordendosi il labbro. Forse gli altri avevano ragione, forse si stava davvero lasciando coinvolgere troppo… Ma ormai il danno era fatto, sin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo si era affezionata a quella bambina. Ripensò a sua sorella Camilla, più giovane di lei di due anni, non la sentiva da quando si era trasferita, più di una settimana ormai. La sua sorellina, al secondo anno di università a Pisa.

Si rialzò e afferrò il telefono, componendo in fretta il numero.

“Pronto, sorellina!” le rispose una voce squillante, mentre un chiacchiericcio di sottofondo testimoniava che era in compagnia.

“Ciao, Cami!” la salutò. “Come va all’università?”

“Bene, direi, salto tutte le lezioni!” rise lei. “Al momento sono a studiare con dei miei compagni di corso”

“Sì, certo, studiare… Non ci credo neanche se ti vedo” la prese in giro, ma una fitta di nostalgia rese il sorriso un po’ amaro. Poteva immaginarsela, sdraiata in Piazza dei Miracoli, un libro chiuso lì accanto. Quando anche lei era a Pisa, di tanto in tanto vi andavano insieme e restavano distese per ore, nelle giornate assolate di maggio, a dimenticare ogni cosa, e anche la più brutta giornata diventava bella.

“Ma come si fa a studiare con questo bel tepore sul volto?” si lamentò lei. “E tu? Come va il lavoro?”

Rimasero a chiacchierare per almeno un’ora, mentre Laura mangiava, lavava i piatti e sistemava gli ultimi oggetti. Non che non si sentissero da secoli, ma per loro era così. Il trasferimento di Laura era stato così repentino che il tempo era bastato solo per trovare un monolocale a poco prezzo e impacchettare le poche cose che le servivano, poi quasi senza accorgersene si era ritrovata in un’altra città, circondata da persone sconosciute. E la sua nuova vita era cominciata.

Quando riagganciò, capì quanto le mancava la sorella. Anche dei suoi genitori sentiva nostalgia, ma la viveva come una cosa naturale, mentre il distacco da Camilla era stato in qualche modo più drammatico, il loro legame aveva davvero qualcosa di speciale. Erano state rare le volte in cui avevano litigato di brutto, qualche discussione, certo, ma erano sempre state solidali contro il mondo esterno. E certo trovarsi di fronte ad una ragazzina, la sorella di qualcuno, che stava male aveva risvegliato la mancanza che per lo shock di quello strappo repentino aveva stentato a sentire.

Con un sospiro, decise di fare rifornimento al supermercato lì davanti.

 

Il turno di notte a Laura non era mai piaciuto. In un ospedale non era mai completamente buio, ma quelle luci soffuse nelle stanze dei pazienti che le facevano venire mal di testa, quel silenzio rotto all’improvviso dall’allarme se un paziente necessitava di cure immediate, la voglia di tornarsene a letto anche se avevi dormito per gran parte del giorno… Al terzo caffè in meno di due ore si lasciò cadere sul divano, accanto a Dania.

“Che nottata fiacca, nemmeno un po’ di movimento…” osservò lei. “Desidero così tanto rompere questa noia mortale che se non succede qualcosa entro le prossime due ore potrei impazzire e provocare un arresto cardiaco a qualche paziente”

“Spero di non essere io, allora” disse una voce sulla soglia.

Laura si voltò. “Serena! Ma che ci fai qui?” esclamò poi. “Ma hai visto che ore sono? Dovresti essere a letto”

La paziente sorrise. “Mia mamma si è addormentata prima di me…” replicò. “Sai, mi hanno spostato in pediatria, a quanto pare il posto si è liberato”

“Hai fatto la chemio, oggi, vero? Come è andata?” chiese Laura, facendole segno di sedersi.

“Brutta come me la ricordavo” rispose lei, con una smorfia.

“Non dovresti andartene in giro, lo sai”

“Credevo… che saresti venuta” mormorò lei senza guardarla. “So che è stupido, che devi lavorare, ma…”

Laura non poté fare a meno di sentirsi un verme. “Oggi non ero di turno” si giustificò. “E stanotte pensavo che dormissi da un pezzo”

“E secondo te posso dormire?” Serena respirò a fondo. “Ma non sono arrabbiata, davvero. Solo… domani mi farebbe piacere vederti. Mi stai simpatica”

Laura esitò. “Vedrò cosa posso fare” mormorò. “Ora però devi tornare a letto, ok? Domani sarà un'altra giornata dura”

“Potremmo giocare a carte…” suggerì Serena. “Anche voi vi annoiate”

Laura sapeva che lei voleva disperatamente stare con loro, ma sarebbe stato da incoscienti permetterglielo. “Serena, lo sai anche tu che non possiamo. Innanzi tutto se ti vedessero gironzolare per i corridoi passeremmo dei guai, seconda cosa se tua madre si svegliasse e non ti vedesse si spaventerebbe” cercò di farla ragionare. “Ora vai a letto e domani ti giuro che verrò da te anche se non sarò chiamata” promise, rendendosi conto solo qualche secondo in ritardo del guaio che stava combinando.

Serena sospirò poi annuì, per nulla convinta. “Allora ci vediamo” disse, prima di alzarsi.

“Ti accompagno io” disse Dania, lanciando a Laura un’occhiataccia.

Quando fu di ritorno, le si pose davanti a braccia incrociate. “Si può sapere che ti è preso?”

“Non ti ci mettere anche tu, per favore” mormorò lei, accasciandosi sul divano. “Dovevo farla tornare a letto”

“Ma hai intenzione di andarci, vero?” chiese.

“Sì” ammise lei.

“Stai facendo un gioco pericoloso, Laura, e forse non dovrei permettertelo” disse Dania sedendosi accanto a lei. “Però ritengo che tu sia abbastanza matura da decidere da sola. Se farai un errore imparerai a non ripeterlo, spero”

“Beh, almeno non dirlo a Ferri”

“Fortunatamente per te, la mancanza di personale ti costringe a fare turni pure in pediatria, così se lui ti vede bazzicare quel reparto potrai usare questa scusa. Comunque io non ho intenzione di dirglielo”

“Grazie” mormorò Laura.

“Non ringraziarmi. Non so se sto facendo la cosa giusta” replicò lei, scocciata. “Semplicemente non mi piace ficcare il naso negli affari degli altri”

Laura sospirò e si passò una mano tra i capelli.

“Oh, lo sai che hai delle unghie orribili?” chiese Dania. Afferrò la sua mano con aria disgustata. Ma te le mangi?”

“Sto cercando di perdere il vizio” ammise lei ritraendola, piccata.

“Ho una proposta per te: domani vieni a casa mia, ci prendiamo un pizza, affittiamo un paio di film, e io ti faccio una bella manicure. Ci stai?”

“Va bene, grazie”

“Non lo faccio per te, è che davvero non riesco a guardartele! Te l’ho già detto che non mi piace ficcare il naso, ma se devo lavorare con te, almeno devo renderti presentabile”

 

Durante il turno, Laura fu chiamata nella camera di Serena per cambiare la flebo.

“Oh, sei tu…” osservò Ferri quando la vide entrare.

“Anche a me fa piacere vederla, dottore” Salutò la pediatra, una donna bassina con i capelli rossi di nome Betta, poi sorrise a Serena. “Allora, come va oggi?”

“Sto malissimo” mormorò lei. Aveva un’aria sfinita ed era pallidissima. “Ho la nausea e la flebo mi da fastidio”

“Quella cosa ti tiene in forze, bimba mia” le fece notare Ferri, quasi divertito.

“Ehi, è un problema serio, sa?” replicò Laura. “Se la paziente e la flebo litigano è un bel casino. Spero che questa sia più socievole, o dovremmo cambiare fornitore” continuò sventolando quella che aveva in mano. Serena ridacchiò alla faccia allibita di Ferri, che però non trovò le parole per rispondere.

“Questa ragazza mi piace” dichiarò Betta, vedendo che lui continuava a non reagire. “Scusate, lo porto via per superare lo shock di essere stato per la prima volta zittito da un’infermiera. Senza offesa, Laura”

Mentre sistemava la flebo, vide che i due medici uscivano e seguì Ferri con lo sguardo. Forse dopotutto non era stato il dopo sbronza a farle venire quei pensieri su di lui…

Sospirò amaramente e tornò a occuparsi della paziente.

“Mamma e papà dove sono?” chiese.

“Al lavoro, ma verranno stasera. Mia sorella è stata qui quasi tutto il pomeriggio, ma ora è dovuta andare a lezione di recupero. I miei le hanno detto che se prende il debito dovrà stare a casa tutta l’estate, sai che rottura. Beh, considerando che io probabilmente mi curerò per un bel po', vedrò il mare solo in cartolina, ma lei deve fare tanti bagni anche per me. Me lo ha promesso”

“Beh, allora bisogna che prenda voti eccellenti! Di cos‘ha il debito? Forse posso aiutarla”

“Matematica e latino” rispose Serena con un sorrisetto.

“Ah. No, direi che non posso aiutarla” ritrattò Laura. “Non ero molto portata per quelle materie. Ok, direi che abbiamo finito, e anche il mio turno si conclude qui”

“Devi andartene subito?” chiese Serena speranzosa.

“Ecco, io…”

“Potremmo fare una partita a carte. Mi aiuterebbe a distrarmi, e quelle tizie che vengono a tenermi su di morale non sanno giocare a scala quaranta. Forse mi lasciano vincere apposta, ma così non mi diverto!” insistette lei.

Laura guardò l’orologio: erano le sette, lei aveva appuntamento con Dania alle otto, forse… Intercettò lo sguardo triste di Serena e si arrese. “E va bene…”

 

Dania le aprì la porta alle otto e un quarto. “Scusa-scusa-scusa!” esclamò Laura brandendo le due pizze quasi fossero una bandiera bianca. “Per farmi perdonare il ritardo, ho deciso che ti offro la cena!” propose.

Dania incrociò le braccia e osservò pensierosa la scatola. “Me l'hai presa con i peperoni?”

“E doppia mozzarella! Le ho fatte tagliare così non dovrai nemmeno sporcare le posate”

“Allora sei perdonata. Entra, ho già messo su il primo film”

“Allora? Perché hai fatto tardi?” sussurrò Dania, spaparanzata sul divano con in braccio la preziosa cena, mentre scorrevano i titoli di testa.

Laura borbottò qualcosa di incomprensibile.

“Ho capito…” Dania gli lanciò un’occhiata esasperata. “Sai potevi raccontarmi una balla, come C’era coda in pizzeria o cose del genere. Sei davvero una pessima cospiratrice. Se venisse un regime dittatoriale e io facessi parte della resistenza, ricordami di non includerti nella mia cerchia di fidati alleati”

“Lo farò” rispose Laura, mangiando la prima fetta.

Mentre Dania si prendeva cura delle sue unghie, Laura rimase in silenzio, seguendo distrattamente il film.

“Sei pensierosa”

“Sai cose che mi ha turbato di più oggi?” chiese lei, mordendosi un labbro. “Quando sono entrata mi ha detto di avere la nausea, di non sentirsi bene. Poi quando i suoi sono arrivati le hanno chiesto come andava” Sospirò e corrugò la fronte, muovendosi a disagio. “Lei ha detto di stare bene. Ma non era il classico Come stai? Sto benone che si dice senza pensarci. Lei…” Laura fece una pausa. “Lei li protegge, capisci?” continuò, guardandola. “Già una volta mi aveva fatto un discorso da cui l’avevo capito. Li protegge dal suo dolore…” concluse mormorando. “Non è una cosa che una bambina dovrebbe fare…”

Dania si fermò per qualche istante. “A volte, in casi come questo, i genitori non riescono a gestire la situazione” disse. “Insomma, è figlia loro, è difficile…”

“Lo so, e non gliene faccio una colpa” mormorò. “Io non saprei che fare. Solo… Serena è una ragazzina eccezionale. Non si merita tutto quello che le sta capitando”

Dania riprese la manicure.

“Scusa, non parliamo più di questo. Non dovevo tirarlo in ballo: mi sono messa in questa situazione e non devo trascinarci anche te” disse Laura, con un sorriso.

“Non ti preoccupare” replicò lei. Sospirò. “Tecnicamente ti ho condotta io su questa strada, quindi quando vorrai parlarne non farti troppi scrupoli”

Laura rimase ad osservare il suo lavoro. Quando ebbe finito, si rimirò le unghie con stupore: erano davvero stupende.

“Va decisamente meglio, eh?” disse Dania ridacchiando.

“Eccome…” soffiò lei meravigliata.

“Promettimi che non te le mangerai più, o la prossima volta ti faccio pagare il servizio”

 

“Toc toc!” fece Laura affacciandosi nella stanza di Serena.

“Sei tornata anche oggi” notò lei.

“E indovina un po’? Ti ho portato delle medicine per la nausea!”

“Esulterei se ne avessi le forze, lo giuro” disse lei. “Forse la prima bella notizia da quando sono entrata qui dentro” Si tirò su a sedere senza aiuto, con una certa difficoltà.

“Ciao” salutò entrambe Elena, con un gran sorriso, entrando dietro di lei, con un’enorme sacchetto di plastica in mano, nascosto dalla schiena. Qualcosa di peloso spuntò da un angolo di esso e Laura pensò istintivamente a dei peluche.

“Ti ho portato una sorpresina” disse rivolta alla sorella.

“Ah sì? E cosa?” chiese lei fingendo noncuranza, ma allungò il collo per vedere cosa nascondeva.

Elena rovesciò l'intero contenuto del sacco sul letto e Laura poté vedere che non si trattava di peluche.

Erano parrucche, almeno tre, di vari colori e acconciature. Ce n'era una color miele tagliata a caschetto, una piena di ciocche rosa su una base nero ebano, un'altra rossa con un taglio sbarazzino... Erano una più bella dell'altra.

“Wow!” esclamò Serena, col fiato mozzo, accarezzandone una. “Elena, sei... sei magnifica”

“Lo sapevo che ti sarebbero piaciute! So che l'altra volta le avevamo scelte insieme, ma le ho viste e non ho potuto non prenderle” spiegò concitatamente, chiaramente su di giri.

“Ti saranno costate una fortuna...” osservò Serena ancora a bocca aperta.

“Prendilo come un regalo di compleanno anticipato!”

“Ma il mio compleanno è a gennaio! Mancano ancora nove mesi!” protestò.

“Un regalo di compleanno molto anticipato” si corresse lei. “Con qualche aggiunta di Natale e Befana”

“Ricambierò!” promise allora Serena.

Laura cercò di mascherare la sua commozione di fronte a quella scena. “Ora però prendi le tue medicine” disse rivolta alla paziente.

Serena obbedì, prendendo la pillola dal bicchierino che lei teneva in mano. “Allora? Come va con Ferri?” chiese poi, con un sorrisetto astuto.

“Cosa intendi?” chiese lei, controllando la flebo.

“Dai, si nota da mezzo chilometro che gli muori dietro!” sbuffò Elena, roteando gli occhi.

Laura le guardò entrambe, indispettita: era ovvio che quelle due ne parlavano di continuo. “Per vostra informazione non gli vado dietro!” disse, incrociando le braccia al petto.

“Te lo mangi con gli occhi ogni volta che lo vedi” gli fece notare Elena.

Laura sospirò. “Solo perché ritengo che sia degno della mia attenzione non significa che...”

“Oh, smettila!” si lamentò Serena “Se ti piace, diglielo! Mica muori!”

“Senti, tu hai solo dodici anni, non sai cosa succede quando ti innamori di un tuo superiore”

“Non può essere peggio di avere il cancro...” sostenne Serena.

“Ok, uno a zero per te...” bofonchiò Laura, sbuffando.

“Di che hai paura?” chiese Elena. “Mi sono informata: è single, quindi non ti trascinerà in una cosa a tre con la moglie”

“Elena! C'è tua sorella...”

“Oh, non sono così piccola, so tutto delle api e dei fiori e so che ogni tanto gli adulti si divertono in modo non convenzionale” replicò lei, scocciata.

“E comunque non se ne parla. Ha almeno quindici anni più di me e considerando i cattivi rapporti tra medici e infermieri chissà che voci circolerebbero se ci provassi con lui...”

“E ti fai spaventare da questo?” chiese Serena. “C'è qualcos'altro, vero?”

Lei sospirò. “Questa storia non dovrà uscire di qui” disse, rassegnata. “Nell'ospedale dove lavoravo prima c'era un medico affascinante, alla mano, sempre ben disposto verso gli infermieri” raccontò abbassando la voce. “C'è poco da dire: mi innamorai di lui. Però era sposato”

“Ahi” commentò Elena.

“Già, ahi. Io me ne rimasi in disparte, sempre fantasticando su di lui, ma non volevo intromettermi nella sua vita. Eppure, una parte di me non si era rassegnata: alla festa di capodanno lui venne senza la moglie e io avevo bevuto un po'. Non ero ubriaca, vorrei poter usare questa scusa, ma ero solo un po' brilla: sapevo esattamente quello che facevo. Ci provai con lui. Fu solo un bacio e tra l'altro lui lo interruppe subito. Ho apprezzato comunque che non mi abbia usato per divertirsi per una notte e poi abbandonarmi. Fortunatamente nessuno ci aveva visti. Decise che la soluzione migliore fosse che io mi trasferissi ed eccomi qui” concluse allargando le braccia. “Fu piuttosto gentile, in realtà”

“Oh, beh... Una gran bella storia” constatò Elena.

“Però ha mantenuto la parola e non ha detto a nessuno che ci avevo provato... Se si fosse scoperto, la voce sarebbe arrivata fin qua. Ed ecco perché non voglio provarci con Ferri”

“Ma lui non è sposato. E non devi per forza baciarlo a sorpresa” disse Serena.

“Non posso rischiare di nuovo di essere trasferita”

“Andiamo! Io sto combattendo contro una malattia terribile e tu hai paura di aprirti con qualcuno?” chiese Serena. “Chi se ne frega di quello che pensano gli altri! Promettimi che almeno proverai a parlargli”

Laura di nuovo si sciolse di fronte ai suoi occhi tristi. “Prima o poi lo farò”

 

Non aveva intenzione di provarci molto presto, comunque.

Continuò ad andarla a trovare, quasi tutti i giorni, ma Serena non le chiese più di Ferri e lei gliene fu molto grata.

Divenne una routine: alla fine del suo turno, Laura andava a trovarla. A volte rimaneva solo dieci minuti, altre volte delle ore. Chiacchieravano del più e del meno, giocavano a carte o con il Nintendo di Serena... Certe volte c'erano anche i suoi genitori o sua sorella, che non sembravano trovare nulla di strano in quelle visite continue, anzi parevano approvare.

La Giannini aveva provato a dissuaderla, ma i risultati non si erano visti.

“Senti, Raggio di Sole, so che quella paziente ormai conta molto per te, ma non credere che porterà qualcosa di buono” continuava a ripeterle.

Comunque sia, non era mai andata oltre le parole e dopo una settimana aveva smesso, sapendo che non sarebbe servito.

Con Ferri, invece, era tutta un'altra cosa: poteva fingere quanto voleva di controllare la flebo quando entrava, ma lui sembrava aver imparato a memoria i suoi turni e ogni volta le faceva notare di quanto stava sforando. Anche quando si scambiava l'orario con qualche collega, lui ne era a conoscenza. Era una presenza costante e talvolta inquietante.

In cuor suo, Laura sapeva che stava sbagliando.

Ogni volta, si riprometteva che sarebbe stata l'ultima, che avrebbe parlato con Serena e spiegato al meglio la situazione, ma ogni volta incontrava quegli occhi che chiedevano solo compagnia e capiva di non poterli deludere.

“Quando uscirò di qui” disse Serena in un giorno particolarmente caldo, mentre alla TV passavano le immagini di bambini che si tuffavano in mare, “me ne andrò a fare un bel bagno, non mi importa in che mese! Anche a costo di tornare qui con la polmonite!”

“Guarda che se osi tornare qui dentro dopo che ne sarai uscita ti farò tanto di quel solletico finché non chiedi pietà” la avvertì Laura, mentre si detergeva il sudore.

Serena si voltò a guardarla. Ormai aveva cominciato a perdere gran parte dei capelli. “Credi che ne uscirò davvero?” chiese, con lo stesso tono di prima. “Insomma... Guarirò?”

Laura respirò a fondo. “Lo sai che non posso dirlo” mormorò. “Non prevedo il futuro”

“Ho già fatto due cicli di chemio, per non parlare della radioterapia. Ho in continuazione attacchi di nausea e febbre. E respiro male. Insomma, dovrà pur valere qualcosa... Se non serve a nulla, tanto valeva lasciarmi morire subito, no?”

Laura deglutì. “Smettila di parlare così” disse.

“Però, in fondo... una cosa buona è accaduta, non trovi?” continuò Serena.

“Quale cosa buona?”

“Ho incontrato te”

Laura la guardò mentre lei distoglieva lo sguardo. Un'improvvisa ondata di affetto la travolse e dovette nascondere una lacrima solitaria, fingendo di asciugarsi di nuovo il sudore.

 

Alcuni giorni dopo, Serena adocchiò più volte le unghie di Laura: Dania era riuscita a sottoporla ad un'altra manicure, con risultati sempre stupefacenti.

“Che belle unghie” mormorò Serena.

“Me le ha fatte Dania” raccontò Laura. “Lei è bravissima a fare queste cose. Sta anche cercando di convincermi di farmi rossa”

“Puoi vedere come ti sta la mia parrucca, se vuoi” offrì Serena. “Per me fa troppo caldo per indossarle”

“Sono d'accordo”

“Mi piacerebbe avere delle unghie così...” mormorò Serena dopo un po'.

Laura si morse un labbro. “Forse potrei chiedere a Dania di insegnarmi come si fa e quindi farlo a te...” disse.

“Lo faresti?”

“Ovvio”

“Da quando in qua ti interessa come si curano le unghie?” chiese Dania, stupita dalla sua richiesta.

“È che una mia amica mi ha chiesto se potevo migliorare l'aspetto delle sue mani, dopo aver visto i miracoli che riesci a fare”

“Potrei farglielo io”

Non ti piacerebbe... pensò Laura amaramente. “Lei sta a Pisa, alla prima occasione in cui torno dai miei dovrei vederla” inventò di sana pianta.

“Ok, una sera di queste ti insegno” cedette lei, per nulla convinta.

Fece anche di più, le diede il suo set da manicure. “Tanto ne ho un altro” commentò quando lei tentò di declinare. Le insegnò tutti i trucchi del mestiere, anche se continuava a sostenere che non sarebbe stata alla sua altezza.

 

In effetti, quando ci provò con Serena, capì di avere ancora molto da imparare. “Ecco, questo non avrei dovuto farlo” osservò mentre cercava di togliere lo smalto che le era caduto sul camice, mentre Serena la prendeva in giro.

“Sei davvero un disastro” disse una voce dietro di lei: Dania rideva di gusto, appoggiata allo stipite della porta. “Ciao Serena!”

“Da quanto sei lì?” chiese imbarazzata Laura.

“Almeno da quando hai rovesciato l'acqua calda sulla nostra povera paziente” sghignazzò lei, con le lacrime agli occhi. “F-forse è meglio che ti aiuti...” farfugliò asciugandosi le ciglia.

“Guarda che potevi dirmelo che era lei” aggiunse poi, mentre si sedeva sul lettino dall'altra parte rispetto a lei. “Mica ti prendevo in giro”

“Lo so, ma non volevo coinvolgerti” spiegò lei.

“Comunque l'avevo capito subito” disse mettendosi all'opera.

“Ah sì? Perché?”

“Perché quando inventi una balla devi controllare che sia credibile: se questa stava a Pisa, come faceva ad aver visto le tue unghie?”

“Con una webcam!” replicò lei in fretta.

“Laura, ci sono stata in casa tua: è già tanto se hai un computer”

Serena e Dania continuarono a prenderla in giro per tutta la durata del trattamento e lei cercò invano di rendersi utile, ma l'altra infermiera la teneva a distanza con una limetta per le unghie.

“Davvero, è divertente” disse Serena. “Dovremo farlo più spesso”

“Sai cosa facciamo, allora?” propose Dania. “Siccome Laura si è dimostrata indegna di possedere il mio kit, questo lo mettiamo qui dentro” Mise il tutto nel cassetto del comodino. “Così, ogni volta che vorrai e che saremo disponibili vedremo di esaudire il tuo desiderio. Ora lasciamole asciugare”

Laura sorridendo, si voltò verso la porta, e il sorriso svanì subito: Ferri era in piedi nel corridoio, furibondo.

“Ho bisogno di parlarvi subito” disse l'oncologo.

Dania sussultò e si alzò, sorpresa. Quando anche lei lo vide sbiancò.

“O-ora arriviamo” mormorò Laura. Sorrise a Serena, che osservava la scena preoccupata. “Hai capito? Lasciale asciugare e avrai delle mani da urlo” disse, prima di seguire il medico.

“Si può sapere che vi salta in testa?” le aggredì lui non appena furono abbastanza lontane.

“Noi...” tentò Dania.

“La colpa è mia, ho trascinato io Dania in questa storia” si fece avanti Laura.

“Laura!”

“Ora basta! Tu vattene a casa, non voglio vederti fino a domani” ordinò Ferri, secco. Dania cercò di protestare, ma un'occhiataccia da entrambe le parti la costrinse alla resa. Quando se ne fu andata, Ferri concentrò tutta la sua attenzione su Laura, che sentì più che mai i dieci centimetri di altezza che li dividevano. “Penso di aver sopportato anche troppo questa situazione” disse. “Potevo accettare che passassi del tempo a parlarle, ma questo...”

“Era solo una manicure! Lei...”

“Non mi importa che trattamento fosse! Quella bambina non ha bisogno del tuo buonismo per guarire, ma di cure mediche e psicologiche! Gli infermieri servono a curare, non a fare stupide manicure o a improvvisarsi estetisti!”

“Non è stupida...” mormorò lei.

“Come hai detto?”

“Ho detto che non era solo una stupida manicure!” gridò lei, fuori di sé. “Non capisce che deve significare per una bambina così bella vedersi decadere, smagrire, impallidire? Diventare l'ombra di se stessa? Una ragazzina sana va in paranoia per un brufolo. Io ho solo cercato di farla stare meglio anche da quel punto di vista!”

Ferri parve esitare. “Quello non è tuo compito!” ribatté comunque. “La prossima mossa quale sarà? La truccherai per farla sembrare meno pallida? È lei che stai aiutando, nel tuo mondo fantasioso, o te stessa?”

“Che significa?”

“Significa che tu non sei in grado di sopportare quello che le sta succedendo e allora cerchi di rimediare. Ma lei non è la tua bambola, sai?”

“Lo so perfettamente che non è un bambola!” gridò lei. “E non sto cercando di proteggermi, ho già visto molte persone con il cancro! Lavoro in oncologia, se non ricorda bene!”

“Oh, su questo non ci piove: è oncologia il tuo reparto, e farai meglio a starci. Mancanza di personale o no, tu non metterai più piede in pediatria”

“Io andrò dove c'è bisogno di me!”

“Ossia il più lontano possibile da Serena!” le intimò lui e Laura boccheggiò. “Ti avverto, dirò a infermieri, medici e qualsiasi membro del personale che questa zona ti è interdetta. Qui in pediatria non voglio più vederti”

“Ma lei... Lei non può...” La voce dell'infermiera si fece acuta.

“Sfortunatamente per te, io conto molto in questo ospedale. Io e il primario siamo in ottimi rapporti e lui si fida del mio giudizio” Ferri fece un passo in avanti, gli occhi gelidi. “Sappi una cosa: se anche riuscissi a convincere le tue colleghe a farti passare, io lo verrò a sapere. E smuoverò mari e monti per farti allontanare da questa struttura. Pensaci bene, Raggio di Sole: due trasferimenti in meno di sei mesi sono tanti... Qualcuno potrebbe cominciare a sospettare qualcosa...”

Laura tremava e lo guardava con occhi sbarrati, sconvolta. Non reagì, mentre lui si allontanava, con la sensazione che tutto il mondo le stesse crollando addosso.

 

Nei giorni seguenti, Laura e Ferri si ignorarono.

Nessuno dei due aveva voglia di rivangare ciò che si erano detti, né tanto meno di di scusarsi. Se si incontravano, passavano oltre senza una parola e se dovevano comunicare costretti dal lavoro, lo facevano in modo talmente distaccato da spaventare i pazienti.

“Quel bastardo!” sibilava il più delle volte Laura quando lo vedeva da lontano. “Quanto darei per essere abbastanza forte da prenderlo a pugni!”

Dania solitamente non diceva nulla e si limitava a batterle una mano sulla spalla.

La Giannini, invece, con suo sommo stupore arrivò a darle ragione. “Non doveva permettersi di ficcare il naso nella tua vita” disse una volta. “Devi imparare a camminare con le tue gambe. Stavi sbagliando, ma avresti imparato dal tuo errore”

Laura non aveva più visto Serena, ma ogni giorno si teneva informata su come procedesse la terapia.

Erano passati cinque giorni, quando le arrivò il primo sms. Il suo turno era ormai finito e lei si stava cambiando.

Non sei più venuta... Il messaggio era accompagnato da una faccina triste.

Lei sospirò, pentendosi di averle dato il suo numero. Temo che non potrò venire, scusami le rispose, con il morale a terra.

Non passò nemmeno un minuto che il cellulare squillò di nuovo. Ti ho messo nei guai?

Non è colpa tua... stiamo sbagliando, Serena, non dovrei venirti a trovare.

Ma sei mia amica!

Sono un'infermiera, non dovrei essere tua amica... quando uscirai di lì forse ci rivedremo...

Per favore, solo una partita a carte...

Laura scacciò dalla sua mente l'immagine del suo volto che la supplicava. Mi dispiace rispose seccamente, poi semplicemente ignorò i seguenti messaggi, sentendosi la peggiore delle traditrici.

Pianse per quasi tutto il tragitto verso casa.

 

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Capitolo 3
*** Riconciliazione e Addio ***


Quando gli angeli sorridono

 

 

 

 

Riconciliazione e Addio

 

Ormai la sua routine quotidiana si era spezzata. Spesso all'inizio si dirigeva istintivamente verso pediatria, prima di ricordarsi che non poteva più andarla a trovare; i messaggi smisero di assillarla dopo qualche giorno, ma quella mancanza le fece solo del male: ormai anche Serena si era arresa all'evidenza, era ufficialmente una traditrice.

“Ti manca, vero?” chiese Dania, un giorno, mentre mettevano a posto delle cartelle.

“Non è tanto la mancanza, io posso sopravvivere a questo” replicò lei, mestamente. “Non hai idea di quanto mi senta in colpa”

“Ferri è stato davvero uno stronzo. Ci deve essere qualche scappatoia....”

“Non c'è, ci ho pensato per nottate intere” replicò lei. “Non sono brava in questo genere di cose. Quello che non capisce è che non sono io quella che ci rimette di più, ma Serena! Insomma, ero sua amica e l'ho abbandonata così, come una stronza... Forse sono una stronza per davvero. Forse dovrei andare da lei anche se Ferri vuole farmi licenziare”

“Sarebbe una follia”

“Lo so, e non voglio mettere a repentaglio la mia carriera. È per questo che mi sento una traditrice”

Laura continuava la sua vita come sempre, chiedendo ogni giorno ai suoi colleghi di pediatria come stesse Serena. Si trascinava al lavoro con l'intenzione di evitare il più possibile Ferri, ma spesso dimenticava che c'erano anche altre persone che non desiderava vedere: la famiglia di Serena, per esempio. I loro sguardi accusatori bastavano a riferirle come Serena avesse reagito all'abbandono, ma non provò mai a giustificarsi.

Continuò così per molto tempo. Ormai l'infermiere di turno aveva preso a darle informazioni su Serena senza che queste venissero chieste. Era a conoscenza di quando Serena era in ospedale per il ciclo di chemio e di quando invece era a casa; sapeva come si sentiva, come si comportava, come reagiva alle cure. Sapeva tutto questo, ma non la vedeva mai; semplicemente, la spiava.

Tra un paziente e l'altro, Laura proseguiva la sua vita in solitaria, ma sentiva, nel profondo del cuore, che una persona a cui teneva stava soffrendo.

 

Erano passati mesi, l'estate era sfociata nell'autunno, e ancora Laura e Ferri non si parlavano. Nonostante i tentativi di quest'ultimo, infatti, Laura era poco disposta a perdonare.

“Continuerai a tenermi il muso, Raggio di Sole?” chiese lui, con un sorrisetto.

“Se ne avrò voglia glielo terrò finché campo” replicò lei, bevendo il suo ennesimo caffè di quella giornata. “Pensa che tutto tornerà come prima? Beh, continui pure a sognare. Che gliene importa del suo rapporto con un'infermiera sciocca e piagnucolona, comunque?”

Ferri le sbarrò la strada con un braccio, prima che passasse. “Non ho mai detto di ritenerti sciocca e piagnucolona” disse serio.

Laura lo costrinse ad abbassare il braccio. “Beh, è quello che ha lasciato intendere” replicò lei. Prima che lui potesse rispondere, un'altra infermiera arrivò in fretta e furia: era Tina, di pediatria.

“Laura devi venire con me” disse, risoluta. Poi notò anche Ferri. “E lei non osi fare nulla” gli sibilò addosso. Afferrò la collega per un braccio e prese a trascinarla.

“Ehi! Ma che stai facendo?” esclamò la ragazza.

Fuori dal reparto, Tina si fermò e la guardò fermamente. “Quello che sto facendo non è etico e nemmeno professionale” disse. “Ma qui ci sono cose più importanti in gioco”

“Cos'è successo?” chiese Laura, preoccupata. “È Serena? Sta male?”

“No, sta benissimo, ma ha bisogno di te! Da quando non vai più a trovarla è ancora più triste di prima. Devi andare da lei!”

Laura guardò la porta di pediatria. “Tina, non posso entrare lì dentro” mormorò. “Ferri me la farà pagare...”

“Ferri non farà un bel niente! Tutti gli infermieri di pediatria sono d'accordo, e Dania sta convincendo quelli di oncologia! Voglio vedere che farà contro di noi. Sarà anche il cocco del primario, ma se crea un casino nemmeno lui ne sarà contento. E ci sono anche i genitori di Serena! Non sei sola, Laura”

Laura la guardò meravigliata. “Credo che tu mi abbia convinta” disse.

“Allora non facciamo aspettare Serena. Ha bisogno che qualcuno le cambi la flebo” la spronò Tina.

Laura non se lo fece ripetere due volte e, afferrata la sacca che lei le stava porgendo, superò la porta di pediatria, marciando a ritmo sostenuto.

Quando bussò sullo stipite della porta aperta, Serena alzò lo sguardo. A Laura fece impressione vedere quanto era cambiata: ormai completamente calva, aveva un colorito praticamente cadaverico ed così magra da far paura. Elena si illuminò e i genitori parvero sollevati.

“Ciao, piccolina” mormorò Laura, con un sorriso incerto.

“Pensavo che non volessi più venire” osservò Serena. Questa volta non c'era solo tristezza nei suoi occhi, c'era un sentimento che l'infermiera non vi aveva mai visto: c'era rabbia.

“Senti, Serena, so che sei arrabbiata con me... so che ti ho deluso, ma...” Laura si interruppe. “La verità è che non ho scuse. E mi dispiace”

Serena non cambiò espressione.

“So che non otterrò il tuo perdono così in fretta” disse Laura, poi si accorse che Ferri stava entrando nella stanza. “Spesso per ottenere perdono bisogna lottare a lungo, e certe volte ci si rende conto di essere andati troppo oltre anche per chiederlo” concluse rivolta al medico, che sospirò. “Aveva bisogno di qualcosa, dottore?” chiese.

Ferri tentò di dire qualcosa, ma fu repentinamente interrotto da Dania che si affacciava nella stanza.

“Salve!” esclamò allungando le vocali, con un sorriso enorme. “Dottore, le volevo dire che se osa cacciarla da questa stanza, io prendo il suo stetoscopio e so io dove glielo infilo. Non sto scherzando, glielo assicuro” continuò.

“Dania...”

“Oh, andiamo, se l'è davvero cercata questa volta” si lamentò lei. “Per favore, non ci costringa a fare delle cose che non vorremmo fare”

“Non ero venuto qui per cacciare nessuno, solo per controllare la mia paziente” sibilò lui a denti stretti.

“Molto bene, allora” disse lei, ma rimase lì a controllare la situazione.

Ferri sbuffò, controllando la cartella di Serena. “Allora? Come va oggi?” chiese.

“Come al solito, dottore” replicò lei.

“Io... dovevo cambiare la flebo” disse Laura, titubante.

“Guarda che non mordo. Puoi pure avvicinarti” disse Serena.

Laura evitò lo sguardo di Ferri e fece ciò che doveva fare.

“Allora Laura? Che novità ci racconti?” chiese Elena, nel tentativo di rompere il ghiaccio.

“Non è successo granché in questo periodo” disse lei. “Mia sorella è riuscita a farsi bocciare due volte nello stesso esame, ma ormai ci siamo abituati”

“Falle i complimenti da parte mia” disse Ferri.

“Ma che simpatico” borbottò Laura, guardandolo male. “E tu Serena? Non te la sei passata bene in questo periodo, vero?” chiese poi, costernata.

“Non sentirti sempre al centro dell'attenzione, non è solo per colpa tua se ho passato dei momenti schifosi” replicò lei. “Solo che... eri una delle poche persone di cui mi fidavo” mormorò abbassando la testa.

Ferri rimise a posto la cartella. “Bene, direi che tutto è nella norma. Penso che andrò”

“Sono stata davvero meschina ad abbandonarti” disse Laura, quando lui fu uscito. “Il fatto è che non pensavo che fossi davvero così affezionata a me. Credevo che te ne saresti fatta una ragione”

“Non è vero. Sapevi che non l'avrei fatto” la contraddisse lei.

“Allora diciamo che lo speravo”

Serena esitò, senza guardarla. “Immagino che... che a scala quaranta si giochi meglio in tre che in due. Se ti va di passare, dopo il tuo turno, Elena ha portato le carte” disse, senza alzare il volto.

 

“Mi dispiace” disse una voce accanto a lei, in un sussurro.

Laura alzò il volto dal paziente a cui aveva cambiato il catetere. Ferri la guardava dalla soglia.

“Vede? Non è così difficile dirlo” osservò lei, gelida.

“Non chiedermi di ripeterlo una seconda volta, perché non lo farò”

“Lo so, sono già fortunata ad averle sentite, quelle parole. Immagino che lei non chieda scusa molto spesso”

“Ti ringrazio per non aver detto a Serena che l'unico responsabile di questa situazione sono io” disse lui.

“Lei è una tua paziente, deve fidarsi di te” replicò Laura. “E comunque io avevo la possibilità di ignorarti e non l'ho fatto. Ho avuto paura” Non si accorse nemmeno di avergli dato del tu.

“Comunque, quando mi avrai perdonato, se mai lo farai, beh, sai dove trovarmi” disse mestamente Ferri.

Laura uscì dalla stanza insieme a lui. “Ma ti senti? Non è che mi hai rovesciato addosso un'aranciata o hai rigato la mia macchina per sbaglio: mi hai minacciato di farmi allontanare, quando sai che cosa avrebbe significato per la mia carriera. Credimi, dottore, spero davvero che stessi solo bluffando”

“Non l'avrei fatto, se è questo che temi” spiegò lui.

“E allora sei stato doppiamente meschino” mormorò Laura, allontanandosi.

 

I giorni seguenti Laura li passò cercando di ricostruire il rapporto con Serena. La ragazzina era ancora arrabbiata, com'era ovvio, ma sembrava aver davvero bisogno di lei.

“Credo di essere troppo stanca per portare rancore in questi giorni” mormorò Serena. Tossì. “Mi sento davvero debole”

“Allora, con Ferri?” chiese Elena cominciando a dare le carte.

“Diciamo che le poche speranze che avevo di dichiararmi con lui sono sfumate quando ho scoperto che è un perfetto bastardo” disse Laura, accarezzando la guancia di Serena. Non si stupì di trovarla un po' calda.

“Perché, che è successo?” chiese Serena, accigliata.

“Oh, in realtà nulla di importante. Solo delle divergenze in ambito lavorativo. Il fatto è che... lui riesce a farmi sentire ancor più inadeguata di quanto non mi senta già” ammise Laura. Prese le sue carte e le mise a posto, subito imitata dalle altre due.

“Possiamo fare qualcosa per aiutarti a fargliela pagare?” chiese Serena, alla seconda mano. “Conosco un paio di trucchetti che ho usato contro i miei compagni di scuola e che sono davvero...” Serena non finì la frase e le carte le scivolarono di mano, sparpagliandosi sul letto.

“Serena, ti senti bene?” chiese preoccupata Laura.

Serena guardò le carte con espressione stupita e indispettita. “I-io non lo so” mormorò. “Non riesco a tenerle in mano...” mormorò, sconvolta, cercando di afferrarne una, ma la sua presa era troppo debole. Tremava tutta.

Laura si sforzò di mantenere la calma, almeno esternamente. “Non agitarti, forse non è nulla” disse, ma non credeva alle sue stesse parole. “Vado a chiamare Ferri” aggiunse alzandosi. Serena si sporse dal lettino e vomitò. “Vado a chiamarlo in fretta”

“Laura, cosa...” cominciò Elena, spaventata.

Lei si diresse fuori dalla porta, ma la ragazza la seguì.

“Laura, che le sta succedendo?” chiese, mentre lei avvisava un'altra infermiera di controllare Serena.

Laura si fermò a guardare Elena. “Non lo so, ma tu devi restare con lei, è chiaro?” le intimò. “Cerca di farla stare tranquilla”

Una volta fuori dalla portata del suo sguardo, Laura affrettò ulteriormente il passo, fin quasi a correre.

Quando individuò Ferri, praticamente gli balzò addosso. “Devi venire con me! Per favore, Serena sta male!” esclamò, afferrandosi al suo braccio.

Ferri, che a quanto pareva stava parlando col primario, divenne subito serio. “Cos'ha?” chiese mentre ripercorrevano la strada insieme.

“Stava tenendo in mano delle carte da gioco e le ha fatte cadere. Non riusciva proprio a reggerle, era troppo debole, poi ha vomitato...”

Ferri entrò nella stanza come un fulmine. “Serena, cosa ti senti?” chiese alla ragazzina, che se ne stava sdraiata con aria sofferente.

Lei gli spiegò tutti i sintomi, con voce flebile, poi riprese a tossire.

“Hai già chiamato i vostri genitori?” chiese Ferri, rivolto a Elena, che annuì, pallida, quindi si rivolse un'altra volta a Serena. “Ora non agitarti, faremo degli esami per vedere che cosa ti sta succedendo, ma tu devi essere forte, va bene?” disse.

“Ho paura” mormorò lei.

“Lo so, ma prima di fasciarci la testa dobbiamo essere sicuri di ciò che hai”

 

Come prima di venire a conoscenza del tumore, l'attesa per i risultati fu straziante e di nuovo alcuni avrebbero voluto che non arrivassero mai.

Laura scorse da lontano Ferri e la pediatra che discutevano. La loro espressione sconvolta diceva tutto, ma Laura cercò di convincersi che non significava niente, che forse stavano parlando di una cosa che non riguardava assolutamente il loro lavoro.

D'un tratto Ferri voltò le spalle alla collega e se ne andò in fretta.

“Paolo!” lo richiamò la pediatra, ma lui non l'ascoltò.

Quella fuga, perché di altro non poteva trattarsi, spaventò Laura che rimase a guardare la scena mentre Ferri quasi correva via, scontrando un'infermiera che per poco non lasciò cadere le siringhe ipodermiche che stava portando.

Laura lo raggiunse nello spogliatoio maschile ed esitò ad entrare, ma un rumore di qualcosa che cadeva la convinse che era la cosa giusta. Una panca era rovesciata e Ferri era immobile al centro della stanza, il respiro spezzato. D'un tratto imprecò, e un'altra panca fece la stessa fine della prima.

“Dottore...” mormorò lei, sconvolta.

Ferri sollevò lo sguardo e la vide. “Non dovresti essere qui” disse. Un appendiabiti innocente si ritrovò sdraiato.

“Cos'è successo? Per favore non faccia così...” supplicò lei, spaventata. “È Serena?”

Ferri parve perdere le forze e si sedette con la testa fra le mani. “Il tumore non è regredito” replicò lapidario. “Ci sono metastasi sparse in tutto il corpo, è per questo che sta sempre peggio”

Laura boccheggiò e sentì subito le lacrime inondarle gli occhi. “Quindi non... non è servito a nulla?” farfugliò.

Ferri alzò la testa verso di lei, di scatto, furibondo. “Lo sai anche tu! Quella bambina è spacciata, non c'è nulla, nulla, che possiamo fare!”

Laura resistette all'impulso di mettersi a piangere. “Parlarmi così non cambierà la realtà” gli fece notare.

“Che devo dire a quei genitori? O a lei?” sibilò.

“Non lo so... forse la verità”

“Ma che ne sai tu!” sbottò lui, alzandosi a fronteggiarla. “Tu sei solo un'infermiera, non è compito vostro dare notizie del genere! Voi non fate altro che correre da un paziente all'altro, non dovete dire a dei genitori che presto, molto presto perderanno la loro adorata figlia!” le gridò in faccia.

Laura lo guardò per qualche istante allibita poi lui barcollò sotto la forza del suo schiaffo. “Sì, sono un'infermiera e ne sono orgogliosa, hai capito?” lo aggredì. “Sempre meglio di essere un bastardo come te! Ma ti senti quando parli? Ti lamenti perché devi dire a quella bambina che morirà! Stai demolendo lo spogliatoio solo perché devi dare una notizia terribile...” La sua voce si incrinò e allora si ritrovò a gridare. “E Serena che dovrebbe fare? È lei che sta morendo, non tu! Possibile che nella tua meschinità non te ne renda conto? La tua vita continuerà anche dopo averle detto tutto ciò che c'è da dirle, la sua no! Lei che dovrebbe fare? Dare fuoco all'ospedale? Già, peccato che non ne abbia le forze, nemmeno riesce a tenere in mano le carte!” Singhiozzò. “Non capisci quanto sei egoista? Anch'io non so che fare in questo momento, ma mentre tu continui a pensare che devo dirle? io penso come faccio a farla stare meglio? Che posso fare per aiutarla?” Lo guardò con disgusto. “Tu mi piacevi... mi piaci ancora, lo sa Dio quanto vorrei prenderti in questo momento e spogliarti qui, ma davvero non capisco come io possa continuare a desiderarti dopo tutto quello che mi hai fatto! Ma tranquillo: sono solo una stupida infermiera troppo sentimentale, non mi aspetto che tu capisca”

Ferri aveva seguito la sua filippica allibito, senza riuscire ad intervenire, ma alle ultime frasi sembrò completamente spiazzato.

“E ora rimetti tutto a posto! Guai a te se vengo a sapere che l'hai fatto fare ad un infermiere, capito?” concluse Laura.

“Ma...”

“Rimetti in ordine!” strillò lei. Si diresse all'uscita, ma all'ultimo si voltò. “Ah, e quando andrai a dirlo ai genitori, vedi di usare un po' più di tatto di quanto hai fatto con me. Credo che lo apprezzerebbero” disse. “Ci sarò anch'io, ma non per tenere la manina a te”

 

“Terminale? Ma che sta dicendo?!” sbottò il signor Landi.

Laura osservava la scena da lontano, in attesa di entrare da Serena. Ferri aveva appena usato l'ultima parola che un genitore vorrebbe sentirsi dire.

“Mi dispiace...”

“Ma dovete avere qualche idea!” singhiozzò la madre di Serena. “Ci deve essere qualche possibilità!”

“Abbiamo fatto il poss...” Ferri non riuscì a concludere la frase.

Laura vide il pugno partire, ma era troppo lontana per intervenire e guardò Ferri cadere contro il muro.

“Signore! Signore, per favore!” Betta cercò di calmare Landi, che si era avvicinato pericolosamente all'oncologo.

Ferri era rimasto a terra, sconvolto, con una mano a tamponare il sangue che gli usciva dal naso.

Se non fosse accaduto in una situazione così drammatica, Laura si sarebbe quasi divertita, ma in quel caso gli servì solo a capire quanto quell'uomo fosse disperato. Con la gola stretta in una morsa, si avvicinò a Ferri e lo aiutò ad alzarsi.

“Forse è meglio se lo porti via” le suggerì Betta, preoccupata.

Lei annuì e prese a trascinare via Ferri.

“Wow, hai affrontato un incontro di boxe?” chiese mestamente Dania, mentre Laura faceva sedere l'oncologo sul divano, nella saletta.

“E chi lo sapeva che il signor Landi aveva un destro micidiale?” fece lui.

“Fammi vedere” sbuffò l'infermiera, sedendosi accanto a lui.

Laura era rimasta in piedi. Quando Ferri si voltò verso di lei, fu per dirle l'ultima cosa che si aspettava.

“Va' da lei” la spronò. “Non ne ha mai avuto così bisogno”

Laura annuì e se ne andò senza una parola.

Fu tremendo avvicinarsi alla stanza e vedere Elena che ne usciva singhiozzando, segno che la notizia era già stata data.

“Oh, Elena...” mormorò, ma lei scosse la testa, facendole segno di entrare.

Quando fu dentro, comunque, Serena stava già piangendo abbracciata ai suoi genitori. Lei attese: la consolazione da parte di un'amica poteva aspettare.

 

L'unica cosa da fare, a qual punto, era evitare che Serena soffrisse troppo. Ma se questo era vagamente possibile sul piano fisico, dal punto di vista psicologico era impraticabile. Serena aveva dodici anni, non aveva mai avuto un ragazzo e i suoi sogni per il futuro erano stati smantellati in blocco. E, tutto sommato, oltre all'età adulta quell'odiosa malattia aveva rubato anche l'infanzia. Laura ricordava com'era avere dodici anni: a quell'età lei era spensierata, giocava ancora con le bambole e da grande voleva diventare astronauta, modella, campionessa di salto in lungo. Tutte cose che non si erano mai avverate, ma lei aveva avuto la possibilità di farle accadere, aveva avuto un chance. Ma Serena? Lei aveva avuto poche occasioni di sognare, ora non avrebbe avuto alcuna speranza di avverare almeno uno dei suoi desideri.

Laura si sedette sui gradini di fronte all'ospedale, un bicchiere di caffè in mano. Il suo turno stava per cominciare, ma prima voleva godersi l'aria ormai invernale sul suo volto, l'aiutava a ragionare.

Qualcuno si sedette accanto a lei. “Fa un po' freddo per starsene seduti qui” disse una voce maschile.

“Sai cosa mi fa più arrabbiare?” chiese lei. “Ieri è stato ricoverato qui un uomo ferito gravemente in una sparatoria con la polizia, un assassino. A quanto mi hanno detto, quando è arrivato qua lo davano già per spacciato, eppure sono riusciti a salvarlo. Sai, quello ha ucciso due persone innocenti, più un poliziotto, e se l'è cavata... Perché allora noi non siamo riusciti a salvare quella bambina?” Si rigirò il bicchiere fra le mani. “So che la vita è così, ma... Ma non riesco a capirla”

“Quello se l'è cavata, è vero. Ma credi che la sua vita continuerà? Forse passerà il resto della sua vita in carcere”

“Tanto gli dimezzano la pena, se se ne sta buono” replicò lei.

“Accidenti, quando sei triste fai di tutto per restare così, Raggio di Sole” replicò Ferri. “Quello che sto cercando di dirti è che non sempre la morte è la peggior soluzione, a volte la cosa peggiore è vivere. Non so se quell'uomo si pentirà mai di ciò che ha fatto, ma certe azioni ci perseguiteranno sempre; spero che per lui sarà così. La verità è che non scegliamo noi che salvare. Non so cosa sia, se Dio, il destino, il caso... Sta di fatto che noi dobbiamo aiutare tutti, brave o cattive persone che siano, e continuare a farlo, anche se ci sembra che gli innocenti muoiano in quantità maggiori”

Laura gli sorrise appena, poi si rialzò. “Andiamo a contribuire alla salvezza di qualche vita” disse.

 

Continuò ad andare a trovare Serena in tutti i momenti liberi. Sempre più spesso, e con sollievo, vi trovava i genitori e la sorella a farle compagnia. Vi rimaneva solo se invitata, riteneva che quegli ultimi momenti con Serena fossero sacri per loro. Eppure, non sembravano ritenerla un elemento estraneo, quasi anche lei facesse parte della famiglia.

Serena era l'ombra della ragazzina che aveva visto la prima volta, ora respirava sempre peggio ed era così magra da far spavento.

Non riusciva più a tenere in mano un libro, quindi chiedeva ad altri di leggere per lei l'ultimo volume di Harry Potter.

“Voglio assolutamente finirlo” le aveva detto una volta, con gli occhi pieni di lacrime. “Almeno questo me lo deve concedere...”

Una sera che i suoi genitori non poterono stare con lei, fu Laura ad offrirsi per passare la notte insieme alla bambina. Le stava leggendo qualche capitolo del libro, quando lei decise di parlare.

“Tu... credi che ci sia davvero qualcosa... dopo?” chiese con voce sofferta.

Laura richiuse il libro, tenendovi il segno, incerta su cosa dire. “Non ne ho idea” mormorò. “Non so se credere davvero nell'esistenza di Dio o di qualche entità superiore... La verità è che non ci penso spesso”

“Ma... se esiste... credi che andrò all'inferno?” chiese poi mentre le lacrime cominciavano a scorrere sul suo volto scarno.

“Serena, perché mai dovresti andare all'inferno?” chiese Laura, stupita, posando il libro sul comodino.

Lei prese a singhiozzare. “Perché... perché non vado in chiesa da quando ho fatto la Comunione” disse. “Perché non prego mai alla sera... perché piango... perché mi sono vendicata dei miei compagni che mi prendevano in giro e non so perdonarli... perché mento sempre... a Catechismo le suore ci dicevano che chi dice le bugie va all'inferno, e io ne dico in continuazione!”

Laura si sedette sul letto e, attenta a non intralciare la flebo e i vari tubi, la prese tra le braccia. “No, no, non dire questo” mormorò, cullandola. Ripensò a Serena che mentiva per non dare una preoccupazione ai genitori, che subiva in silenzio le angherie dei suoi compagni per proteggere la sua famiglia dalla crudeltà del mondo. “Tu non andrai all'inferno, te lo garantisco. Se Dio esiste, non lo permetterà”

“Ho paura” gemette Serena. “Ho tanta paura...” Tra i singhiozzi e i colpi di tosse, non sembrava respirare.

“Lo so... ho paura anch'io...” Laura si accorse di stare piangendo. “Ma ora calmati, respira...”

Poi, dal nulla, un ricordo si formò nella sua mente, di una domenica di autunno in cui suo padre aveva messo nello stereo un cd che a lei non piaceva. Era piccola all'epoca, forse sette anni, ma ora gli tornava alla mente come se fosse il giorno prima. La canzone l'aveva colpita come un fulmine.

Quei versi uscirono tra le sue labbra da soli, con la sua voce tremante: “...Dio di misericordia il tuo bel paradiso l'hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso...”

Laura continuò a cantare, poi riprese da capo, finché non sentì che il respiro di Serena si stava regolarizzando, aveva smesso di piangere.

Allora pensò che quelle parole erano vere e benedì chi le aveva incise nella sua mente. Se un aldilà esisteva, bisognava averla fatta davvero grossa per non potervi accedere. Forse anche l'assassino ricoverato qualche piano sopra ne aveva diritto, lei non era nessuno per giudicare, ma di certo non ne poteva restare fuori una bambina che l'inferno l'aveva conosciuto in vita.

Serena ora respirava meglio. Laura la tenne stretta a sé, trasmettendogli tutto l'amore che provava. Si addormentarono insieme, strette in quel lettino.

 

In seguito, Laura pensò che in fondo il cancro, nell'ultima fase della sua vita, fu benevolo con Serena. Il tracollo fu veloce, più di quanto tutti si aspettassero, e loro fecero in modo che la sua sofferenza fisica fosse minima. Lei soffrì comunque, era inutile negarlo, ma non durò a lungo. Lavorando in ospedale, Laura sapeva quanto avrebbe potuto essere peggiore.

Dopo quella notte, Serena le era parsa meno disperata, forse rassegnata all'inevitabile. Comunque, sembrava voler assaporare ogni doloroso attimo che passava con le persone a cui voleva bene, in special modo con i genitori e la sorella. Attaccata alla maschera per l'ossigeno, parlava poco, perché le costava una fatica tremenda, ma a volte basta uno sguardo per dire ciò che in parole richiederebbe ore di tempo.

Poi, un giorno, la stanza di Serena era piuttosto affollata: oltre alla famiglia e a Laura erano presenti anche Ferri e quelli che si occupavano di Serena. Era ovvio anche per lei che mancava ormai poco. Forse fu per quello che espresse un ultimo desiderio.

“...Laura...” la chiamò. Lei si avvicinò, pronta a tutto, anche a rubare una stella per lei, ma la richiesta fu molto più semplice. “...Vorrei... puoi farmi di nuovo le unghie?... non l'abbiamo più fatto...”

Laura trattenne un singhiozzo e istintivamente si voltò per un attimo verso Ferri, che annuì. “Sì. Penso di poterlo fare” mormorò allora, mentre Dania, che guardava dalla soglia, nascondeva le lacrime. Laura tirò fuori tutto il necessario e fece il possibile. Il risultato non fu certo eccezionale, ma considerata la situazione sapeva di non poter fare di meglio, non con le mani che le tremavano per l'emozione. Aveva la sensazione che Serena fosse fatta di porcellana, aveva paura di poterla rompere da un momento all'altro.

Quando ebbe finito di metterle lo smalto, si asciugò una lacrima. “Se non altro questa volta non ho rovesciato il flacone” osservò.

“Direi che sei migliorata” ammise Dania, con voce rotta.

Serena le sorrise, per quanto poteva.

“Ora, immagino che vorrai stare un po' da sola con la tua famiglia” mormorò Laura, scacciando un'altra lacrima.

Serena aveva gli occhi estremamente lucidi. “Sì” disse. “...mi piacerebbe...”

Laura si alzò, ma una piccola mano la trattenne debolmente e lei si bloccò subito, temendo di farle del male.

“Ti voglio bene...” La voce di Serena fu a malapena udibile.

Laura respirò a fondo per non scoppiare definitivamente in lacrime di fronte a lei. “Ti voglio bene anch'io” disse, posandole un bacio sulla guancia.

Entrambe seppero con tremenda certezza che non si sarebbero più viste in quel mondo pieno di dolore.

Laura si lasciò andare solo quando fu nel corridoio, abbastanza lontana da non essere sentita.

 

Ferri la ritrovò in uno sgabuzzino, dove alla fine del turno si era rifugiata a consumare tutte le sue lacrime, e si sedette accanto a lei, circondandole le spalle con un braccio.

“Allora è finita?” chiese lei.

“Sì, è finita”

Laura singhiozzò e si appoggiò al suo petto. Tutto sommato, era felice di non essere stata presente quando avevano dichiarato il decesso.

Ferri la abbracciò. “Credimi, so come ti senti” mormorò. “Ci sono passato anch'io una volta. Quando si è all'inizio, è difficile non lasciarsi coinvolgere”

“Il che significa che diventerò abbastanza cinica da non lasciarmi toccare da queste situazioni?”

“No, sarà il tuo modo di reagire a cambiare: continuerai a soffrirci, ma troverai il modo di distaccarti almeno a lavoro. Non credere che per me questi mesi siano stati una passeggiata... Anch'io soffro quando non riesco a salvare un paziente, ma cerco di farlo quando sono a casa, la sera... Semplicemente perché so che altrimenti crollerei” Ferri deglutì. “Io cerco solo di proteggere me e i miei pazienti. È per questo che sono stato così stronzo con te: volevo solo evitare che tu commettessi i miei stessi errori. Qui dentro, quasi ogni medico, chirurgo, infermiere si è affezionato troppo ad un paziente: c'è una Serena nella vita di tutti noi. Solo, tu non mi sembravi pronta, tutto qui. E invece la eri...”

“Tornando indietro lo rifarei” ammise Laura, asciugandosi il volto. “Rifarei ogni sbaglio. È vero, sto soffrendo come un cane, ma se è servito in qualche modo ad aiutarla... Se è servito per farla sentire meno sola... Beh, allora ne è valsa la pena. L'ingiustizia della vita si è accanita su di lei davvero in modo crudele. Aveva diritto ad avere un'amica, qualcuno che le volesse bene al di fuori della famiglia”

Ferri la strinse più forte. “Sai, non abbiamo più parlato di quello che mi hai detto nello spogliatoio” osservò dopo un po'. “Ora non è proprio il momento, ma prima o poi dovremmo affrontare l'argomento”

Laura rimase tra le sue braccia ancora per un po'. Non sapeva cosa le avrebbe riservato la vita, non sapeva cosa sarebbe successo con Ferri, se nel suo futuro ci sarebbero state persone che l'avrebbero cambiata come aveva fatto Serena. Ma ora sapeva che, finché avesse avuto possibilità, non doveva smettere di lottare per conquistare ciò che voleva, perché non poteva sapere quando la vita avrebbe continuato a sorriderle. Per il ricordo di Serena, doveva combattere fino all'ultimo.

 

Quella notte, Laura sognò.

Tutto era luminoso, di un bianco abbacinante. Laura non riusciva a distinguere molto bene ciò che aveva attorno, però le pareva di scorgere, al limite del suo campo visivo, una folta schiera di figure dalla forma umana, ma con enormi ali.

Una figuretta camminava verso di loro, ma neanche di lei si riuscivano a scorgere i tratti, eppure Laura sapeva chi fosse. La seguì con lo sguardo finché non li ebbe raggiunti. La figuretta si voltò un attimo a guardarla e mormorò un 'grazie', poi tornò verso la strana platea.

E allora gli angeli sorrisero.

 

 

Fine

 

 

Spazio autrice:

 

Non so se vi è piaciuto, se vi ho fatto piangere, ma personalmente io ho pianto mentre scrivevo le ultime pagine (tra l'altro ero sul treno, spero che non mi abbia visto nessuno...).

È stato difficile scrivere questa storia, innanzitutto perché di medici e ospedali non ne so molto, poi perché c'era di mezzo una bambina e portare avanti la storia sapendo come andava a finire non è stata una passeggiata.

Eppure, appena ho visto quella citazione mi è quasi subito venuto in mente questo racconto e non ho potuto tirarmi indietro, quindi ho preso a scriverlo e l'ho portato avanti fino alla fine.

All'inizio doveva trattarsi di poche pagine, ma come spesso mi succede la mia immaginazione ha preso il sopravvento e ho cominciato ad aggiungere particolari su particolari (finché non mi sono fatta odiare dalla mia giudice, che ringrazio per la bella valutazione). In pratica è nato e cresciuto quasi da solo.

Se volete lasciare un commento, sapete cosa fare, ringrazio comunque tutti quelli che l'hanno letta, dal primo all'ultimo.

 

Ringrazio anche RoyxEd 4Ever, che ha indetto questo bellissimo contest; mia sorella, ormai specializzanda in Anestesia e Rianimazione, e mia zia infermiera che sono state così gentili da darmi qualche dritta di ambito ospedaliero, in modo che io non scrivessi troppe castronerie (qualcuna mi sarà di certo scappata). E ovviamente il resto della mia famiglia.

 

Alla prossima!

 

Ceciotta

 

 

 

Dio di misericordia il tuo bel paradiso

l'hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso

(Preghiera in Gennaio, Fabrizio de André).

 Una delle più belle canzoni che abbia mai sentito.

 

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