Alex Shepherd Chronicles

di SundayBloodySunday
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 2, ore 17,24 ***
Capitolo 2: *** Giorno 3, ore 11,13 ***
Capitolo 3: *** Ore 17,30 ***
Capitolo 4: *** Ore 21:59 ***
Capitolo 5: *** Ore 8:58 ***
Capitolo 6: *** Ore 9:00, Samantha ***
Capitolo 7: *** Ore 9:30 ***
Capitolo 8: *** Ore 11:00, Samantha ***
Capitolo 9: *** Giorno 7, ore 23:48 ***
Capitolo 10: *** Ore 00:00, Samantha ***
Capitolo 11: *** Ore 6:00 ***
Capitolo 12: *** Ore 12:00 ***
Capitolo 13: *** Ore 12:00, Samantha ***
Capitolo 14: *** Ore 15:00 ***
Capitolo 15: *** Ore 20:40, Samantha ***
Capitolo 16: *** Ore 23:15 ***
Capitolo 17: *** Finali ***



Capitolo 1
*** Giorno 2, ore 17,24 ***



Mi avviavo nell'ospedale. Le infermiere bendate non mi facevano più effetto. "E' solo un sogno", ripetevo. "Un brutto sogno. E quando finirà..." non ebbi tempo di pensare, di finire la frase che formulavo mentalmente. Due occhi gelidi mi fissavano con un'espressione maniacale, quasi isterica.
"E' il bagno delle donne." sbottò qualcuno. Qualcuno con una vocina infantile, e monocorde. Non l'avevo vista prima...era seduta a terra,con la schiena contro il muro, nell'oscurità di quel bagno. Forse non l'avevo notata quando ci ero passato davanti, poco prima. Ma lei si. Era evidente che i suoi occhi erano abituati al buio. Ripensai alle 5 parole pronunciate dalla ragazza. In effetti ero nel bagno delle donne, ma chi avrebbe pensato che nell'Otherworld a Silent Hill ci fossero anche esseri umani...veri? La ragazza sorrise. Per tutta risposta, tenni stretto il tubo di ferro, in posizione di difesa. Lei si alzò noncurante e si avvicinò di poco. Indietreggiai.
"Non avere paura" disse. Eppure la sua espressione mostrava il contrario: aveva un sorriso inquietante, e quegli occhi. Non azzurri, ma blu. Intensi.
"Il gatto ti ha mangiato la lingua?" Parlò ancora. Questa volta il suo sorriso si allargò di più e si avvicinò di più. Adesso che eravamo più vicini potevo guardarla meglio. Era bassina e minuta, dimostrava 15 anni, massimo 16. Aveva i capelli biondi e corti fin sotto le orecchie, e la riga a lato.
Abbassando lo sguardo notai la sua tunica. Doveva essere una paziente dell'Ospedale. E aveva qualcosa di rosso, su braccia e gambe. Sembrava velluto.
"Che ci fai qui?" mormorai, cercando di nascondere il timore. Mi sforzai di non incrociare il suo sguardo. Lei alzò le spalle.
"Beh, io qui ci vivo. Piuttosto tu..." mi squadrò con attenzione. Scossi la testa. "Non ti importa. Sai come uscire di qui?" Ripensai a quello che avevo appena detto. Era una cazzata, io stavo solo sognando.
"Non puoi" disse, tornando all'espressione isterica di poco prima. Osservai meglio il "velluto" rosso di prima: era sangue! In un istante capii: doveva essere una malata di mente. Rabbrividii e feci per andarmene, quando sentii un rumore metallico.
"E' tornato a trovarmi" disse la ragazzina, con tono monocorde. Poi mi guardò e sorrise. "Anzi, a trovarci" Con un balzo si accostò alla parete dove era appoggiata prima. Il rumore metallico si avvicinò sempre di più, e l'espressione della ragazza era sempre più inquieta.
Quando comparse, lo riconobbi. Era l'essere che mi aveva trafitto. Aveva un copricapo a forma di piramide che gli copriva il volto, e una grande lama che trascinava. Veniva verso di me. La ragazzina, dietro di me, si lasciò cadere a terra. Sul suo viso c'era un sorriso isterico. Iniziò a trascinarsi verso la seconda porta del bagno, e riuscì a sgattaiolare via. E io, troppo occupato nell'osservare i suoi movimenti, venni trafitto a tradimento e caddi a terra.

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Capitolo 2
*** Giorno 3, ore 11,13 ***



Mi svegliai la mattina dopo. Ero fuori dall'ospedale, disteso sul prato. Guardai il mio ventre. Non c'era alcuna traccia del taglio procuratomi la sera prima. Un altro sogno? La faccenda era sempre più complicata.

Mi alzai, ripromettendomi di scoprire di più sull'Alchemilla e sulle sue strane creature, la ragazzina compresa.

Passai il tempo vagando per le strade di Silent Hill. Pensavo, anzi ero sicuro, che Josh si trovava lì. Una specie di sesto senso me lo diceva. Tra tutti i luoghi visitati fino a quel momento, quell'ospedale era il posto più macabro, mi faceva venire i brividi. E quando mi avventuravo lì dentro mi sentivo osservato. Come da migliaia di occhietti, di esseri che non vedono l'ora di saltarti addosso e farti a pezzi. Esseri dalla crudeltà sbalorditiva. Evidentemente la legge per loro non contava niente. Per loro esisteva solo la legge del "fare quel che si vuole, senza badare alle conseguenze". La psicoanalisi dice che "la natura umana non è unitaria, ma è lo sfogo degli istinti sessuali e aggressivi, 'tenuti a bada' mediante norme e regole". Niente norme e regole quindi? D'accordo. Niente norme e niente regole. Avrei dato sfogo ai miei istinti violenti e alla rabbia repressa.

Imbracciai il tubo di ferro.

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Capitolo 3
*** Ore 17,30 ***



Il tramonto si avvicinava. Entrare o non entrare? Aspettare la discesa totale dell'oscurità? Alla fine mi decisi, entrando velocemente. Mentre salivo le scale, per andare nel luogo dove avevo incontrato quella ragazzina la sera prima, sentii un fruscio dietro di me. Rabbrividii. Voi non potete capire questi spaventi. Ci si sente gelare il sangue nelle vene, ci sembra di essere prossimi allo svenimento.
Un altro fruscio. L'aria si fece più gelida. Sentii un rumore dietro di me e mi girai per controllare. Un posacenere era caduto a terra, rompendosi. Ma non ce l'avevo buttato io. Capii che la presenza con la quale avevo a che fare doveva essere maligna. La sentii arrivare, come arriva una bufera.
Non appena mi girai nuovamente...la vidi. Era lì, alla fine del corridoio. I pugni stretti, la figura dritta e rigida. Il sangue che le colava dalle braccia e dalle gambe. Notai che parte del sangue era opera del grande coltello da cucina che aveva stretto in uno dei due pugni. E gli occhi gelidi che mi fissavano, come per dire "Che sei venuto a fare?". L'isteria che passava attraverso i suoi leggeri e fanciulleschi lineamenti. Poteva essere un'angelo. Poteva.
Ma purtroppo le sue intenzioni non erano delle migliori. Sarebbe passata come l'Angelo della Morte, al massimo. Feci un passo avanti, in sua direzione. Lei indietreggiò. Ripetei la prima operazione, e lei fece lo stesso. Arrivò ad un punto nell'ombra, e lì scomparve.
Cessò anche l'atmosfera glaciale.
Ma non feci in tempo a riprendermi dallo spavento di prima, che qualcosa segnò la fine della mia allegria, almeno per un'altra notte. Quella cosa si chiamava "sirena".
Silent Hill diede spazio all'Otherworld. Ma stavolta qualcosa era cambiato. Non vedevo le solite pareti che bruciavano. Vedevo un Otherworld simile alla normale Silent Hill.
E vidi ancora la ragazzina. Questa volta preferì comparirmi dietro.
"Ciao Alex. Ti piace il mio Otherworld?" sussurrò, la stessa voce apatica, ma nello stesso tempo terrificante.
Come sapeva il mio nome?
"Stai cercando la B151 vero?"
"Cos'è?"
"E' la stanza del demone. L'Alchemilla è colmo di presenze demoniache. E di persone che ce le hanno mandate, e ora bruciano all'inferno..."
"Cosa intendi?"
Lei raggirò lo sguardo.
"E' quello che si meritano. Tutti abbiamo bisogno di essere vendicati. Anche tu vuoi essere vendicato vero?"
Parlava lentamente, scandendo ogni parola con la sua vocina.
Ma quello che non capivo era cosa intendeva.
"Alex, tu devi vendicarmi..."
Feci un passo indietro istintivamente. Cosa voleva da me?
"In che senso?"
Lei accennò ad un sorriso, questa volta privo di malignità, e abbassò lo sguardo.
"Dodici anni fa...i miei cari morirono davanti ai miei occhi. Mio padre e mia sorella. Così come mia madre, strappò la sua vita pochi anni dopo. E a scuola un ragazzo mi mise incinta. A mio figlio è toccata la stessa sorte dei miei cari. Per colpa sua. E' colpa sua..."
Iniziò a mettermi paura, ma allo stesso tempo mi dispiaceva per lei.
"Sangue del mio sangue, lui è qui, anche se non allo stesso modo. Lui può dare il suo contributo per la vendetta...ma ho anche bisogno di te Alex."
Ancora con questa storia. E non capivo il suo modo di parlare, evidentemente stava sclerando. Scossi la testa.
"Come ti chiami?" mi affrettai a chiedere.
"Samantha. Ricordati questo nome, perchè mentre il tempo passerà io rimarrò qui. Devo vegliare...su di loro."
Detto questo, scomparve come prima. Ma aveva lasciato un coniglio di pezza su un tavolino nei miei pressi. Lo riconobbi e mi venne in mente un posto...Lakeside Amusement Park.

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Capitolo 4
*** Ore 21:59 ***



Arrivai al parco camminando a piedi. L'avrei riconosciuta subito. Lei era un misto di colori freddi. Dalla pelle chiarissima alla tunica azzurro/verde e agli occhi blu ghiaccio, fino ai capelli biondi, (il biondo non è un colore freddo ma dava comunque un aspetto glaciale), e l'unico colore caldo: il rosso del sangue, quello che aveva addosso. Qualcosa di vivo, passionale come il rosso su un corpicino esile come quello. E poi, il timore che incuteva. Era facile vederla e pensare che avesse qualcosa di soprannaturale. Gli occhi, forse? La voce? O semplicemente l'ira che si portava dietro, che scuoteva persino i sassi, mentre camminava?
Mentre pensavo camminavo, guidato dalle luci delle giostre. Il Lakeside non mi era mai piaciuto particolarmente, forse perchè da piccolo non mi piacevano i luoghi dove c'era troppa gente. Vidi Josh.
La nebbia era poco fitta quella sera, potevo guardare avanti facilmente. Vidi mio fratello di fronte a me. Feci per avvicinarmi, ma lui si girò e prese a correre. Decisi di seguirlo.
"Josh! Fermati!" gli ordinai mentre lo seguivo correndo.
Ma, arrivato ad un punto nella nebbia, Josh scomparve ancora. Mi lasciò un senso di vuoto. Continuava a scappare via. Sarei mai riuscito a prenderlo?
All'improvviso riconobbi una figura davanti a me, mi dava le spalle. Doveva essere Samantha.
"Eccomi" dissi la prima cosa che mi venne in mente, per rompere il silenzio.
Lei girò di poco la testa, per farmi capire che ne era a conoscenza, poi tornò a fissare un punto nel vuoto, illuminato dalle luci stroboscopiche della giostra vicina.
"Cosa stai guardando?" Rimasi almeno 3 metri dietro di lei.
Samantha non rispose. Mi avvicinai. Adesso ero di fianco a lei. Aveva la mascella tesa, sembrava preoccupata.
"Succede ogni sera...a quest'ora" mormorò.
La guardai meglio...sembrava in stato catatonico. Gli occhi, avevano perso il blu per dare spazio ad un azzurro-grigiastro. Aveva lo sguardo vitreo, come i ciechi.
"Cosa? Cosa succede a quest'ora?" la scossi per riportarla alla realtà, se quella poteva essere chiamata tale. Era rigida, aveva le braccia sollevate di poco dai fianchi, in modo innaturale.
Non smetteva di guardare quel punto, e in più cominciò anche a sussurrare qualcosa che io non riuscivo a sentire, parlava velocemente e le parole non erano comprensibili. Forse recitava una preghiera.
In quel momento successe qualcosa. Sembrava un incubo. Doveva essere il suo incubo, quello che l'ha torturata fino a farle perdere la ragione.
La giostra dinanzi a noi si aprì in due e del sangue si spargeva davanti a Samantha come una macchia d'olio. Una giostra sul cui centro era posta una sirena. Una sirena che ricordava la perfidia di Scilla e Cariddi, i due mostri dell'Odissea. Una sirena che ci fissava. Una sirena con degli occhi di serpente. Lei cominciò a piangere, tremava anche. Mi avvicinai a lei e le passai una mano dietro le spalle.
"Non avere paura, è solo sangue...e tu di sangue ne hai un bel pò addosso, qual è il problema?"
Samantha sembrò ancor più turbata di prima alle mie parole. Continuava a guardare dinanzi a sè, spaventata. Guardai nella sua stessa direzione...adesso c'erano due corpi aperti all'altezza del petto. Dovevano essere...oh cavolo.
Lei gridò e pianse più forte di prima, adesso singhiozzava. Mi misi davanti a lei, impedendole di guardare l'orribile scena, e la strinsi a me.
"Non guardare" le ordinai. Era ancora in stato catatonico. Rimaneva rigida, quasi tenesse i piedi incollati a terra. Un pò seccato, ma allo stesso tempo dispiaciuto per lei, la presi in braccio e mi diressi verso l'Ospedale. E' la cosa che avrebbe fatto qualsiasi soldato, no? Quella ragazzina aveva bisogno di aiuto. Samantha. Un nome abbastanza diffuso, eppure con un significato affascinante. In ebraico "colei che sa ascoltare", nel Nordamerica interpretato come "fanciulla sacra". In Nordamerica, dove è stato registrato per la prima volta, durante un processo per stregoneria, nel 1700. La stregoneria, che cosa stupida. Bruciare delle bambine, delle ragazze, delle signore perchè credute streghe. Ma cos'erano per loro, le streghe? Somigliava un pò al famoso Culto della cittadina dove mi trovavo in quel momento. Persone altrettanto stupide e superstiziose fino a diventare ossessive. Avevano chiaramente dei disturbi a livello psicologico. Che tristezza. Tornai mentalmente al significato del nome della ragazzina che continuava a piangere tra le mie braccia. Curioso. Forse possedeva davvero qualcosa di speciale. Ma di certo non era una strega.
Arrivato nella "sua" tana, mi diressi verso una stanza vuota a caso e la lasciai scivolare sul letto. Feci per andarmene, ma mi bloccò i polsi. Oltre allo spavento che mi procurò, fece anche cadere un bicchiere sul comodino affianco al suo letto. Non volli farlo, ma la guardai. Respirava a fatica. Poi la sua pelle prese ad annerirsi, come carbone...sembrava una persona scampata ad un incendio. Tutto attorno, cominciò a "carbonizzarsi". E quando mollò la presa, mi ritrovai in un altro posto. Davanti alla chiesa. Balkan Church.

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Capitolo 5
*** Ore 8:58 ***



Balkan Church. Un ritrovo per pochi, un incubo per tanti. Una chiesa o un campo di concentramento? Venendo a sapere della storia di Alessa Gillespie, non è che mi piacesse così tanto frequentare "quei posti". Voi l'avreste fatto?
Un prete era intento a far confessare una donnina. Quando mi vide, mi fece segno di avvicinarmi.
"Alex. Cosa ci fai ancora qui?"
"Non lo so..."
Lui mi mise le mani sulle spalle.
"Alex, 'non lo so' non è una risposta. Hai qualche conto in sospeso in particolare?"
Guardai altrove.
"Si...devo trovare mio fratello. E' importante."
"Alex, non puoi. Tuo fratello verrà accudito da qualcun altro, qui. Ma adesso devi prima pensare a te."
Scossi la testa e sbuffai. Pensava davvero che l'avrei fatto? Avrei preferito morire io, piuttosto che fuggire come un codardo.
"Padre Harvey, grazie del consiglio, ma davvero non posso. Grazie comunque" sbottai uscendo.
"Alex, fermati"
Mi girai di scatto. "Cosa c'è?"
"Se proprio devi rimanere, cerca dei contatti qui, non restare solo. Non si sa mai." Il suo tono segnava resa.
Sorrisi. "So da chi andare." Gli strinsi la mano e uscii in silenzio.

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Capitolo 6
*** Ore 9:00, Samantha ***



Quando mi svegliai ero nel letto di una stanza. Non la mia, ma una qualsiasi. E in più mi faceva male la testa. Il ricordo della sera prima non era piacevole. Tranne per il ragazzo che mi aveva portata in quella stanza.
"Che carino", pensai. Dopo la solitudine durata anni, trovare qualcuno con delle, diciamo "buone intenzioni" con me era carino.
Scesi dal letto e uscii nel corridoio. Pensai al da farsi in quella nuova giornata.
Passai davanti ad una finestra e la mia immagine si riflesse: guardandomi notai che avevo ancora i vestiti zeppi di sangue. Il sangue mi piaceva. Non provavo fastidio vedendolo. Sì, mi piaceva. Sadismo.
I miei pensieri vennero interrotti dalla comparsa del dottore più odioso in mia conoscenza. Dottor Brian Bennet. Era malvagio, sopratutto nei miei confronti. Tentava sempre di farmi male o di mettermi le mani addosso.
Era giovane, mi pare avesse 25 anni o giù di lì. Aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, aveva il tipico aspetto di uno di quei surfisti che si vedono in tv, solo che il suo mestiere era un altro; più alto di me e con un sorriso malefico, si diceva stuprasse i cadaveri nell'obitorio. Avvertivo un senso di disgusto nei suoi confronti ogni volta che ci pensavo. Malato, non c'era nessun'altra spiegazione.
Ripetè quel sorriso appena mi vide.
"Samantha" pronunciò il mio nome leccandosi le labbra.
Indietreggiai. Era pazzo. Dov'era il mio coltello? Mi guardai intorno, fino a quando scorsi un fermacarte di metallo su un tavolino e mi ci avvicinai. Sapevo cosa fare.
Brian iniziò a camminare verso di me, a passo spedito, fino a quando si trovò a 3 metri circa di distanza tra me e lui. Io mi appoggiai al tavolino, nascondendo il fermacarte. Sul mio volto si dipinse un sorrisetto che lui avrebbe potuto giudicare persino seducente.
"Eccomi" sussurrai. La mia mano destra, che si muoveva dietro di me, tastava il tavolino in cerca del fermacarte fino a quando non lo trovò e lo strinse forte.
Lui parve compiaciuto dal mio atteggiamento.
"Prima o poi dovrai seguirmi nello sgabuzzino...devo farti un'analisi approfondita...un'altra" sorrise ancora.
"Che maiale", pensai. Uomo uguale bestia. Che schifo. Ma lo assecondai.
"Chissà..." Calcolai mentalmente la traiettoria che il fermacarte avrebbe intrapreso molto presto. Calcolai la forza con cui avrei dovuto colpirlo.
"Sei pensierosa oggi..." si avvicinò di più e mi accarezzò la guancia.
"Ora!" la voce nella mia mente mi fece scattare. Lo colpii con prontezza, ferendolo sulla tempia.
Lui si tastò la tempia e mi guardò, furibondo.
"Puttana...adesso ti insegno io l'educazione" Mi prese per il collo e mi fece sbattere al muro. Poi sentii un ago entrare nella mia pelle e capii che anche lui aveva calcolato tutto. Bastardo.

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Capitolo 7
*** Ore 9:30 ***



Contatti a Silent Hill. Ne avevo pochi, e per di più neanche uno fisso. Ma avevo deciso di fidarmi della pazza. Non aveva l'aria di una persona stupida. Aveva senz'altro passato i migliori traumi sulla sua pelle, si capisce che è impazzita.
Alchemilla Hospital. Un ragazzo con i capelli biondi mi accolse. Aveva un sorriso strano. Maniacale, quasi come quello di Samantha la prima volta che l'ho incontrata. E la cosa più buffa è che era un medico operante.
"Cosa desidera?" Mi chiese gentilmente.
"Vorrei vedere Samantha...la conosce? Bassina, capelli biondi..."
"Ah, si" sbuffò. "E' nella sua camera. E' stata sedata, non si preoccupi perchè non potrà farle nulla" E di nuovo quel sorriso.
"Sedata? Non è mica un animale!" sbottai.
Lui alzò le spalle, indifferente.
"Se vuole vederla, dovrà vederla sedata. Altrimenti può liberare il campo"
"Voglio vederla adesso" risposi seccamente. Lui sbuffò ancora.
"Ok, aspetti un pò." Si alzò e si diresse nel corridoio.
Mi appoggiai al muro e iniziai a guardarmi intorno. Un normale ospedale. Ma di notte non lo era...dove finivano pazienti e medici? Non era mica frutto della mia mente?
Si udirono degli improperi nella direzione in cui il ragazzo era sparito. Cosa le stava facendo?
Quando tornò, aveva i capelli scompigliati.
"Può andare."
Il tempo di passargli accanto, e quello aprì di nuovo bocca.
"La ragazzina sa opporre resistenza, non è stato facile" sussurrò.
Affrettai il passo per vederla.
Entrai, ed ebbi la certezza che trattavano Samantha come un animale, lì: era ammanettata ad un lettino.
"Se n'è andato?" mi chiese.
"Si..."
Lei tirò un sospiro di sollievo.
"Cosa ti fa quello?"
Samantha guardava il soffitto.
"Uno di questi giorni lo ammazzo."
Le scossi la spalla.
"Dimmi cosa ti fa"
"Niente..."
"E questo è niente?" Indicai le manette ai suoi polsi.
"Alex, me ne occupo io. E' da tempo che lo programmo."
Dal fatto che non voleva parlarne pensai al peggio.
"Non puoi ricorrere alla polizia?"
Lei fece una risata amara. "Oh, certo...e cosa gli fa, la polizia? E se gli fa qualcosa, toglierà anche a me la libertà, dato che nemmeno io sono un angioletto."
Rimanemmo in silenzio per qualche attimo.
"Ho un'accetta, sotto l'armadio. Liberami con quella."
Presi l'accetta insanguinata e spezzai le manette con due colpi ben assestati. Lei si toccò i polsi, forse erano troppo strette.
"Ti fa male?" le chiesi.
"No"
"Posso chiederti una cosa?" spezzai il silenzio.
"Parla..."
"Tu sai cos'è successo a quella ragazza...Alessa Gillespie?"
Lei si girò di scatto verso di me, avevo catturato la sua attenzione.
"Si...anche se ora non è più una ragazza, ha 40 anni" sorrise "E' simile a me...entrambe abbiamo avuto un'infanzia difficile. Solo che lei ora è costretta in un letto dell'ospedale, io invece sono...libera, più o meno"
"Tu sei Alessa?"
Lei rise. "No! Lei è ancora qui! Ma la conosco molto bene, l'ho aiutata un paio di volte"
La sua espressione cambiò non appena girò lo sguardo.
"Ciao, Alex" disse prendendomi la mano.
"Cosa?"
Lei mi fece cenno di guardare verso la porta. Il medico di prima era lì. Samantha aveva uno sguardo triste.
"Và" mi incitò.
Mi alzai e uscii dalla porta. L'ultima cosa che vidi era il medico che chiudeva la porta alle mie spalle. E io mi sentii impotente, sopratutto codardo.

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Capitolo 8
*** Ore 11:00, Samantha ***



Le ore passate con Brian superano quelle passate con Alex, eppure le prime mi sembrano perdute mentre le seconde no. Forse perchè Brian spreca il suo tempo a minacciarmi: Alex, lui si che mi sta simpatico, non lo ucciderei mai. Dal momento che l'ho conosciuto, i militari mi stanno stranamente simpatici.

Vi è mai capitato di sentirvi rinascere dopo aver conosciuto qualcuno? A me si. Dopo anni di oblio, di solitudine, finalmente qualcuno senza intenzioni maliziose verso di me. Alex Shepherd rappresenta gli ideali del ragazzo perfetto: alto, moro, occhi verdi...ma io non pensavo a questo. Ho conosciuto molti bei ragazzi, ma col tempo mi sono abituata a guardare la loro anima, non l'aspetto esteriore; ci sono stati ragazzi bellissimi ma con intenzioni orribili, grande insegnamento per la piccola Samantha. Quella ingenua, timida, complessata. La Samantha attuale non è così. Ha imparato a farsi rispettare, sebbene con la violenza. Ma ora lei sa come farsi rispettare. Chi le metterà i piedi in testa ora? Nessuno.

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Capitolo 9
*** Giorno 7, ore 23:48 ***



E' passato tutto così velocemente. Me la sono vista brutta parecchie volte...prima con quel mostro acquatico, poi con quel canide...e mia madre. Era in stato catatonico, mi pregava di ucciderlo. Quando stavo per premere il grilletto mi aveva colpito con un "Ti voglio bene, Alex". A quel punto quello morto davvero ero io, come avevo potuto farlo? Era mia madre!
"Ho ucciso mia madre..." lo ripetevo da ore, stavo impazzendo.
Non mi interessava di tornare a Shepherd's Glen, o di andare a trovare Elle e Wheeler al penitenziario. Wheeler, che tipo strano: non si era accorto dell'incubo in cui ormai passeggiava. Elle invece era una mia amica d'infanzia, nulla di più e nulla di meno. In quel momento ero arrabbiato col mondo, mi dava persino fastidio l'idea di doverla proteggere rischiando la mia vita. "Se le portasse da casa, le armi" pensavo. Wheeler era anche lui un intralcio...io volevo stare solo. Un flusso di pensieri intasava la mia mente. Dal pensare a quello che mi ha fatto mio padre, fino alle varie delusioni...in quel momento c'ero solo io, e la mia vita. Oramai dovevo solo trovare Josh e portarlo a casa. Poi mi venne in mente un'altra cosa, quella cosa che mi ha fatto sentire un vile per la bellezza di 3 giorni, buttandomi il morale per terra, letteralmente. Era notte ormai, magari Samantha stava dormendo. "Macchè..." pensai. Non mi importava neanche di disturbarla.
Così, poco tempo dopo mi ritrovai a cercarla in quell'orribile ospedale.
"Samantha, devo parlarti" la chiamai alzando leggermente il tono di voce. Mi guardai attorno, nessuno in giro. Iniziai ad alterarmi più di prima quando incontrai un'infermiera, che presi prontamente a pugni. Cercavo di fare casino per richiamare la sua attenzione o di sfogarmi? Forse non ero nelle condizioni psichiche adeguate, forse si sarebbe spaventata vedendomi così...
Udendo un fruscio dietro di me, pensai fosse l'ennesima infermiera e sollevai il tubo di ferro, facendo per colpirla; ma la torcia illuminò una figura femminile, rannicchiata a terra, che emise un grido spezzato e si riparò con le braccia.
"Scusa" mi affrettai a dire.
Le mie scuse non sembrarono convincerla, era visibilmente spaventata, così mi chinai per abbracciarla.
"Scusa..." Questa volta ero più sincero, tanto che lei se ne accorse, strinse l'abbraccio e iniziò persino a piangere.
"Scusa sopratutto per l'altro giorno, lasciandoti sola con quello ho solo dimostrato quanto sono vile..." mormorai mentre le accarezzavo i capelli.
"Non sei vile...sei un soldato" rispose.
Non mi aspettavo quella risposta, poteva una ragazzina che conoscevo da poco avere così tanta fiducia nei miei confronti? A quanto pare sì.
"Cosa vuoi dire?" le domandai, la curiosità era troppa.
"Beh...io invidio tuo figlio"
"In che senso? Io non ho un figlio."
"Ma ce l'avrai. E già lo invidio. Lui potrà dire ai suoi amici ''Mio padre è un eroe, combatte per la patria''...sapessi quanto lo invidio"
Questa risposta mi colpì più dell'altra. Stavo ancora cercando di distrarmi dal dolore per la perdita di mia madre, e lei ci stava riuscendo benissimo, a farmi dimenticare. Dimenticare, si fa per dire; quella era una dimenticanza effimera, sarebbe durata pochissimo, ma era sempre meglio di nulla.
La guardai negli occhi per qualche istante, poi tornai all'argomento iniziale.
"Cosa ti ha fatto?"
"Niente..."
La strattonai con la giusta forza, facendo attenzione a non farle male.
"Samantha, non puoi continuare a dire ''niente''. Si chiama paura. E non devi avere paura."
"Non ho paura..."
"E allora perchè continui a negare?"
"Ma non mi ha fatto niente...altrimenti non sarebbe vivo ora" accennò ad un sorriso.
"Quindi non ti ha..."
"No, no!"-fece una faccia schifata-"L'ho detto, altrimenti l'avrei ucciso. Non mi sarei fatta troppi problemi..." Mentiva. Si vedeva che mentiva. Ma ci passai sopra.
Preso com'ero dal discorso, mi lasciai sfuggire qualche parola di troppo:
"Per te è così facile uccidere..."
Lei si fermò e mi squadrò con attenzione.
"Stai bene?" mi domandò.
"Si, a parte il fatto che ho ucciso mia madre."
Non mi aspettavo di farle paura, eppure notai i suoi gesti, alquanto intimoriti: ritrasse mani e piedi lentamente, si stava leggermente accalcando contro il muro.
Feci una faccia scocciata.
"Tranquilla, non sto impazzendo."
"L'hai fatto apposta?" A quanto pare preferiva l'argomento di prima.
"Si"
"E...perchè l'hai fatto? La odiavi?"
"No...lei mi ha pregato di farlo. E così ho sollevato la pistola e ho sparato senza fare troppe storie. Certo l'esitazione c'era, ma lei mi ha supplicato...di porre fine alle sue sofferenze"
Samantha mi mise le mani sulle spalle.
"Alex, tu non puoi decidere se un essere umano deve vivere o no. Io, magari avessi avuto la possibilità di scegliere la sorte dei miei parenti. Li avrei sicuramente tenuti vivi."
"Samantha, tu hai ucciso tantissime persone."
Lei sospirò e abbassò lo sguardo.
"E' vero...ma erano persone con cattive intenzioni e poi...conosci la mia malattia mentale. Tu che sei normale avresti dovuto trarne un vantaggio. Adesso"-mi guardò negli occhi-"torna da tuo fratello, và a cercarlo. Io devo...fare una cosa, urgentemente, e tu non puoi restare qui. E' pericoloso."
Detto questo si alzò in piedi.
Nonostante mi stesse congedando, aveva un'espressione serena, oserei dire felice. Poi finalmente capii. Quella era la sua notte.
"Oh...ho capito."
"Torna a farmi visita domani mattina, e poi torna anche domani sera. Voglio farti vedere quello che farò."
Mi sorrise e indietreggiò, sparendo nell'ombra. Mi chiedevo come ci riuscisse.

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Capitolo 10
*** Ore 00:00, Samantha ***



E' il mio momento. La mia notte. Alex l'ha capito...sì, lui capisce...lui mi capisce.

Il pensiero folle di attuare uno sterminio in un ospedale girava allegramente per la testa. Pensai bene di accendere le telecamere di sorveglianza dalla "Torre di Controllo", volevo mostrargli chi sono i veri killer, quelli che dovrebbero pentirsi anche di essere stati messi al mondo. Lo stavo per fare, stavo per fare un' assoluta pazzia, di quelle che se lo racconti a qualcuno quello spalanca le fauci, e il gesto seguito da un "ohmioddiotunonseinormale!" Eh già, non lo sono.
Camminavo in uno dei tanti corridoi dell'Alchemilla, in cerca di lui, quello che avrebbe dovuto essere nella Stanza dei Motori, quell'ex-lavanderia all'interno dell'Ospedale con la porta di ferro, dove si rifugiavano pazienti e dottori durante la transizione notturna, quando le creature uscivano a far danni.
Lui sfidava la sorte, voleva davvero stare fuori da quello stanzone, e per cosa poi? Per me. Non vedeva l'ora che la mia schizofrenia si mostrasse in tutta la sua "bellezza", per portarmi nel suo ufficio e fare del mio corpo ciò che voleva. Stupido, veramente stupido...e vigliacco.
Parlando del diavolo, spuntano le corna. E infatti lui era lì, davanti a me, sempre con il camice macchiato di sangue (probabilmente delle sue vittime dell'obitorio), sempre con quel sorrisetto odioso. Malato, non c'era nessun'altra spiegazione.
Sfilò velocemente e, mentre mi passava accanto, fece un grosso errore, quello che gli sarebbe costato la vita. Mi toccò il sedere, aggiungendo anche un odiosissimo commento:
"Che bel culetto...non vedo l'ora di farmelo."
Non avrebbe dovuto. Stavo per vendicarmi, e con questo gesto aveva solo aumentato la violenza della mia vendetta.
"L'ultima volta sei stata troppo rigida...eri spaventata, tesoro?" E iniziò a ridere. Avevo mentito ad Alex. Me li facevo eccome, i problemi ad ucciderlo. Quando si rivolgeva a me in modo dolce, quando mi diceva "Sei la mia preferita", io lo prendevo troppo sul serio e dimenticavo il mio obiettivo principale: ucciderlo. Ma chi volevo prendere in giro, io ci stavo. Io mi concedevo a lui. Pensai di ucciderlo solo per dimenticarlo, per non distrarmi...mi aveva innervosita a sufficienza quel giorno.
Per prima cosa mi diressi nella B151. Avevo bisogno di un consenso.

Alessa Gillespie mi piace come persona. Sa come farsi rispettare, la sua ira è potentissima, eppure parlandoci è davvero tranquilla.
Mi affrettai a raggiungere l'ascensore per il quarto piano dove si trovava il mio punto di riferimento, il condotto d'aria collegato con l'intera struttura, attraverso il quale mi spostavo in casi come quello. Il condotto X (così lo chiamavo) era situato in un insospettabile stanzino di quelli per i tizi che "puliscono" l'ospedale, pieni di scope e detersivi. Prima di entrare nel condotto presi un'ascia vicino ad un vetro. "Rompere in caso di emergenza". Quella era un'emergenza.

Appena entrata nel condotto badai a non fare rumore, dovevo essere una tomba se volevo che il tutto riuscisse, dopodichè mi sarei affidata al consenso di Alessa. Non finirò mai di ringraziarla per l'aiuto che mi ha offerto in quell'occasione.
Brian era nel suo ufficio, stava fumando. Cercai di non tossire. Avreste dovuto vedere come lo guardavo, mi sentivo orgogliosa delle mie intenzioni, quell'essere doveva morire; e le telecamere, ben posizionate un pò dappertutto (togliendole dalla sala operatoria, che non mi serviva), riprendevano la scena alla grande.
Che bello sguardo che avevo. Rabbioso, isterico, vendicativo. Veramente bello.
Ma ripensandoci fu una brutta idea il fatto di non essermi ripulita prima di andare; mi cadde del sangue dal braccio, che gli colò proprio in testa: addio effetto sorpresa.

Mi urtò parecchio il fatto di non poterlo più cogliere di sorpresa, aveva già intuito le mie intenzioni; per di più era armato con il mio coltello. Bastardo...l'aveva preso dal cassetto delle cose confiscate. Tutta colpa anche dell'altro idiota che me l'aveva confiscato per "evitare che io facessi altri danni", gne gne gne...
Dovevo spaventarlo. Era necessario spaventarlo, prima di fargli del male. Avrebbe dovuto sentire prima il terrore psicologico che gli avrei inflitto, poi il dolore fisico. Non mi andava di risparmiarlo, quella toccatina al sedere è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
"Cosa credevi di fare, bamboccia?" mi guardava inviperito.
Mi girai e percorsi il condotto a ritroso, arrivando ad una stanza, e poi nel corridoio del secondo piano. E rieccolo davanti a me...come faceva a capire che ero io la causa di tutto quel casino? Potevano anche essere le creature...
Forza mentale. Non ho mai capito come funziona...ma quando ottengo quel consenso, e quando concentro l'odio verso di lui, divento una macchina assassina. Non mi ero nemmeno accorta di quello che avevo creato intorno a me...
Le porte delle stanze di quel corridoio iniziarono ad aprirsi e chiudersi, sbattendo; e così anche le finestre, che si liberarono delle travi di legno che le bloccavano, e anche i vetri sotto di esse andarono in frantumi.
Iniziarono a volare fogli, gli armadietti con gli schedari dei pazienti sbattevano come porte e finestre; tutto questo si era creato a causa mia. Per un attimo fui felice di me stessa, ma tornando alla questione principale guardai la reazione di Brian. Non aveva paura. Istintivamente guardai le mie mani...mi ero dimenticata l'ascia fuori dal condotto di prima. Ero disarmata, di fronte a quella bestia.
Ma fu proprio per questo che la parte più oscura di me si risvegliò. E a quel punto diventai io stessa una bestia.
Avvertii i miei lineamenti convertirsi in un'espressione più dura e sadica.

Istinti: comportamenti che, pur avendo delle basi innate, vengono innescati e guidati da speciali stimoli presenti nell'ambiente, o varianti dalla situazione, che fungono così da segnali.
Istinti egoistici, aggressivi, sessuali. Aggressivi.


Lui iniziò a camminare svelto verso di me, con quell'ascia in mano. Perchè stavo ferma? Perchè non volevo essere codarda. Ma cosa credevo di fare, se ero disarmata? Successe quello che credevo, mi sollevò da terra tenendomi per il collo, poi osò anche prendermi il mento tra le dita.
"Tu giochi col fuoco, tesoro" sussurrò.
"Io dico di no" mi lasciai scivolare a terra e corsi fino al sotterraneo dell'Ospedale. Avevo scelto con accuratezza il luogo dove ucciderlo, ma la scelta non ricadde sul mio piano preferito, il quarto, la mia "sede": i condotti che mi servivano per spostarmi nell'edificio, lo stanzino con tutte le mie armi, il buco dove mettevo il resto dei miei cadaveri...bello. Ma questa volta volevo il sotterraneo.
Appena arrivata, spostai il grosso tubo di ferro che bloccava una stanza segreta, un salone per essere precisi: sapevo che mi avrebbe seguito lì, e così fu.
Era un salone grande, enorme, in stile ottocentesco; ovviamente avevo messo una grande telecamera anche lì. Il salone aveva dei grossi quadri rappresentanti figure umane appesi sulle pareti ed uno specchio enorme su una parete...era parecchio inquietante, più nel mondo normale che nell'Otherworld, e lui sembrava pensare lo stesso, dato che il posto non lo spaventava più di tanto. Indietreggiai fino ad arrivare all'altra estremità del salone, ma lui fu più veloce di me e mi colpì alla gamba sinistra con l'ascia, e il mio grido di dolore fu seguito dall'accasciarmi al suolo e dall'impossibilità di muovermi. E al primo colpo di ascia ne seguì un altro, questa volta al viso, lungo la mandibola; me la tagliò, e vidi dallo specchio la mia immagine: avevo un segno rosso lungo la mandibola, che lo faceva sembrare un sadico sorriso. Allora ripensai a tutte le cose brutte della mia vita...le morti del passato e la solitudine del presente...poi ripensando ad Alex e alle possibilità di poter andare via da Silent Hill capii che potevo ancora avere un motivo per vivere, e non lasciare che quel mostro di Brian potesse rovinarmi la vita. Qualcosa di inaspettato, forse una forza proveniente da chissà cosa, mi fece alzare. Ebbi la forza di dare un pugno ben assestato nello stomaco di Brian, che si fece scivolare qualcosa dalla tasca, un revolver.

Un revolver a terra, oh che ironia. Se lo prendo che succede?
Sparai ad entrambe le sue gambe, facendolo cadere a terra. Dopodichè iniziai a girargli attorno. Iniziai a parlare con tono bambinesco.
"C'era una volta...una bambina" Mi avvicinai di più a lui.
"Questa bambina era...molto graziosa" Mi inginocchiai.
"Non ebbe la fortuna di avere una famiglia, perchè i suoi familiari morirono subito" Tesi la mano verso di lui.
"E come se non bastasse, si era persino innamorata di un satanista, che la mise incinta" Con la mano gli toccai le ferite.
"La ormai non più bambina partorì un bellissimo bambino...ma la ragazza era cagionevole di salute, salute mentale...e così capitò un incidente in cui morì anche il suo figlioletto" Iniziai a grattare furiosamente sulle ferite aperte, lacerando i tessuti muscolari e facendolo urlare come un matto.
"E così è finita qui...la bambina...la ragazza...ha dovuto persino subire le molestie di un medico cattivo" Impugnai il revolver e lo puntai verso la sua testa.
"Ma la ragazza vuole mettere fine a tutto questo...la ragazza vuole essere felice...e per farlo dovrà fare una brutta brutta cosa...addio, Brian" Gli sparai alla testa. Addio Brian.
Fu allora che le mie forze vennero meno, e caddi a terra, come ogni essere umano colpito alla gamba da qualcosa di grosso e affilato come un'ascia.
Ma sono veramente umana?
Come mai è stato così facile ucciderlo? Non si è opposto minimamente, vedendomi col revolver. Forse voleva anche lui farla finita...è un dubbio che mi assilla ancora oggi.
Mentre guardavo lo specchio assorta nei miei pensieri, mi ricordai delle ferite: speditamente mi trascinai in uno stanzino nei pressi e tastai il comodino. Trovai ago, filo e forbici; proprio quello che faceva al caso mio. Presi anche un bicchiere, e mi medicai.
Tornando nel salone, sentii un verso infantile dietro di me, in direzione della porta d'emergenza. Un esserino, senza testa, a quattro zampe, che camminava come un ragno, con le gambe attorcigliate dietro il collo e muoveva la testa in modo convulso. Sorrisi, era mio figlio; Michael.
Michael afferrò il cadavere di Brian piantandogli uno dei suoi bracci affilati nella testa e lo trascinò con sè, facendomi cenno di seguirlo. Quasi me n'ero scordata, c'era il rituale finale.
"Tesoro...tra poco arrivo, devo prima fare una cosa."
Strizzai la gamba di Brian, e raccolsi il sangue che ne usciva con il bicchiere di prima.
Poi salii di sopra, nella Torre di Controllo, per controllare che le telecamere avessero ripreso tutto. Sì, l'avevano fatto, e anche alla perfezione; mi soffermai sulla scena in cui gli avevo sparato, e poi in quella dello stanzino nel quale avevo "fatto rifornimento". La telecamera puntava verso il comodino, infatti di me si vedeva solo un braccio, un braccio insanguinato che prendeva del filo, un ago e delle forbici per serrarsi la ferita della mandibola come una zip. Ed io ero lì, in quella stanza buia, illuminata dalla luce degli schermi blu, che guardavo le riprese di poco prima e sorseggiavo il sangue del mostro dal bicchiere; e sorridevo, soddisfatta del mio lavoro. E' uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare.

Non c'è una verità, non c'è un limite alla mente dell'uomo. E' un universo...ogni cervello è un universo...sogni, aspirazioni, problemi...e cose cattive che talvolta la gente fa. Cose molto cattive. Perchè lo fanno? Perchè le faccio anch'io? Il mondo fa schifo già di suo. E' anche per colpa mia quindi...questo non mi rende felice, no no.

Ero davanti al cadavere di Brian, in un bagno chiuso a chiave, con Michael affianco. L'avevo trovato seguendo la vistosa scia di sangue che segnava il pavimento dove camminava.
Cosa fare? Quello che facevo sempre. Una brutta brutta cosa, ancora di più del fatto di averlo sparato. Se dici ad un prete di aver ucciso un uomo, lui sospira e dice solo di costituirti dalla Polizia. Ma se gli dici che l'hai assimilato, il prete impallidisce e vuole fuggire via dalla persona malata in questione.
"Sono davvero così cattiva?" pensavo mentre facevo quella cosa brutta brutta. Mi vergognavo di me stessa, del mostro che ero diventata, ma alla vergogna si sostituiva la rabbia e l'odio che provavo verso quell'uomo.
"Sono un mostro, meriterei di morire nel peggiore dei modi..."
E appena pensavo così, una voce dentro di me diceva:
"Invece no, quello che fai è giusto, dobbiamo ripulire il mondo dal male ricordi? E dobbiamo diventare degli esempi per Michael, per il suo futuro, per quando sarà adulto!"
Questa voce era la "cosa" che mi faceva fare quelle brutte azioni. La voce cattiva dentro di me. A volte mi parlava attraverso lo specchio, quando cercavo di sottrarmi dall'uccidere così tante persone innocenti, mi mostrava la mano marchiata e diceva che ero già a metà dell'opera e non potevo sottrarmi proprio in quel momento; ma molto probabilmente ero solo io con le mie allucinazioni. Non c'è una voce, non c'è un'altra persona. Ci sei solo tu e le tue azioni.
Dopo aver assimilato l'interno del petto e della testa di Brian segnai quello che rimaneva del corpo con un marchio rosso, intingendo le dita nel suo stesso sangue. Il rituale.
E poi...un dolore terribile alla mano sinistra. Ma lo riconobbi, proprio come la luce che si intravedeva, che proveniva lo stesso dalla mano, e proprio come il sangue che usciva dal numero. Il 56 divenne un 57. Che schifo.
Sì, ero a metà dell'opera...non potevo sottrarmi. O si?

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Capitolo 11
*** Ore 6:00 ***



La notte la passai da Wheeler ed Elle. Lei era piuttosto scettica sulle reali intenzioni di Samantha. Perchè non l'aveva mai vista...a me non trasmetteva cattive intenzioni, o almeno non a quel punto. All'inizio sì, ma è ovvio. Per me era solo una ragazzina sola, era evidente che avesse qualche problema nelle relazioni esterne. Era sufficiente guardarla negli occhi per capire cosa provasse...
"Alex, non puoi! Se hai detto che quella lì è matta, standole vicino rischi! Stupido!"
Alzai gli occhi al cielo. "Quello che c'è veramente di stupido sono i tuoi pregiudizi. E' per gente come te che Samantha sta così male."
Questo bastò per zittirla. Wheeler? A lui neanche importava, se ne stava lì, seduto su quella sedia, a cercare di montare una radiolina.
Ed io ero ansioso di vedere come aveva passato la notte Samantha. La "cosa che doveva fare" mi incuriosiva.

Questa volta davanti alla porta dell'ospedale c'era un tubo di ferro enorme; con un pò di fatica lo tolsi ed entrai.
"Samantha? Sei qui?"
Che domanda stupida, mi dissi poco dopo.
Silenzio totale. Ahia. Mi sarebbe apparsa alle spalle come l'altra volta...e prendere spaventi di certo non mi piace.
"Samantha, te ne prego, cerca di non apparire alle mie spalle, mi spaventi sai?"
Che umiliazione. Un militare che parlava in questo modo...aveva paura di una ragazzina.
Ancora silenzio. Oddio.
"Samantha parlavo sul serio, non apparire alle mie spalle e non richiamarmi con la voce troppo alta, sai hai la voce squillante...ti basta battere un colpo, dai"
Finalmente sentii quel colpo che tanto aspettavo. Era distante...sembrava provenire da quella saletta con la tv grande, dove penso i medici facessero patire ad alcuni pazienti la pena di qualche cartone, di qualcosa di "educativo".
Speriamo solo che non le facciano vedere i Teletubbies, allora capirei veramente perchè sta così... Ridacchiai. Poi ebbi la folle idea di dare un'occhiata alla sua scheda medica, che trovai con troppa facilità in un cassetto nella sua stanza. Forse lei ce l'aveva messa apposta. Hmm...la sua scheda non era delle migliori. Dopodichè lasciai la sua stanza per vedere lei in persona, e non il luogo dove si svolgeva il suo martirio quotidiano. Brr.
Mi avvicinai alla stanza X, sempre con un pò di timore. Samantha aveva una specie di doppia personalità, da quanto si leggeva sulla scheda, in aggiunta ai suoi problemi...Samantha era dolce e generosa, ma poi c'era la seconda parte, gli Istinti. E lì si passavano i guai. Uccide brutalmente le sue vittime, tenta di sedurle, pensa solo alla sua pelle scontrosa e, molte volte, posseduta. Già, Istinti era la parola giusta...tutto quello che ci può essere di animalesco in un uomo (in questo caso in una donna) usciva allo scoperto...sperai almeno che per compiere i suoi omicidi non si portasse prima le vittime a letto...naah. Magari lo faceva, ma preferii non pensarci. Questo cattivo pensiero avrebbe cambiato la mia opinione verso di lei, nonostante sapessi che non è colpa sua.
Erano gli Istinti quelli che mi stavano davanti in quel momento. Mi bastò guardarla negli occhi. La vidi attraverso il vetro di quella stanza, e dopo mooolte esitazioni entrai. Era in piedi, di fianco alla tv. La tv era guasta, "faceva le righe"...mancanza di segnale? Magari era la sua presenza a far perdere il segnale. Sì, erano gli Istinti: non si muoveva, era dritta come un manichino, guardava davanti a sè, aveva gli occhi bianchi e respirava a fatica. Era un rantolo continuo, più che una serie di respiri, sembrava posseduta. Sussurrava qualcosa, come quella notte al parco...qualcosa di strano, come una preghiera. Non mi sprecai cercando di capirla, ma mi avvicinai velocemente e le diedi una serie di strattoni. Al quinto si girò verso di me e gridò, sparendo ancora nel nulla.

Terribili grida. Che spavento. Come fa ad avere tutta quella voce in gola?



Magari è ancora nel bagno delle donne, pensai, e la raggiunsi. Mi accorsi della sua presenza seguendo la scia di sangue e ascoltando i gemiti di sofferenza, quei gemiti chiamati pianto. Era sempre seduta a terra, sempre con quel coltello intenta a tagliarsi l'anima, magari sperava di riuscirci.
Appena si accorse di me sollevò il capo. Aveva gli occhi lucidi.
Poi mi tese la mano.
La osservai meglio: ora aveva uno sguardo implorante, era meglio assecondarla, era un peccato vederla così. L'avrei preferita felice e senza cuore, piuttosto che sofferente...sembrava prossima al suicidio.
Dopo un pò di tentennamenti, mi decisi a prendere la sua mano, che lei strinse ed intrecciò le sue dita con le mie.
Senza mollarle la mano, mi sedetti accanto a lei.
"E' così difficile..." disse, con la voce rotta dal pianto.
Non pretesi di capirla, era ovvio che era di fronte a qualcosa più grande di lei e non ce la faceva, ne aveva passate troppe; non pretesi di calmarla con parole tipo "Se ti suicidi sei una perdente, una vigliacca che non vuole affrontare i problemi della vita" e altre cose che non avrebbero fatto altro che ferirla ancora di più: mi limitai ad abbracciarla, farle capire la mia disponibilità, che non la stavo prendendo in giro ma volevo veramente aiutarla.
Lei ogni tanto tirava su col naso, e teneva la testa nell'incavo del mio collo, sollevandola di poco ogni tanto, giusto per respirare. Poi smise di farlo.
"Mi stai annusando?" dissi con una vena ironica. Lei si staccò immediatamente.
"Scusa" bofonchiò.
"Non ho detto che non puoi farlo, stavo solo chiedendo...avanti, torna qui."
Samantha obbedì immediatamente.

Ore 9:00

Eravamo sprofondati nel sonno entrambi. Poco male, la notte precedente avevo dormito pochissimo per stare di guardia.
Istintivamente guardai le mie braccia, dove poche ore prima tenevo Samantha. Non c'era.
Infatti era di fronte a me, in piedi. Appena si accorse che non dormivo più si girò di lato, con la testa rivolta verso la finestra di fronte a me. Era tutta illuminata...allora era stata la luce intensa a svegliarmi.
"Guardala, è l'ultima cosa che vedrai." esordì.
"Come?"
Mi colse di sorpresa, anche se ormai ero abituato alle sue "sparate". Ogni tanto, usciva dei discorsi a tema vita e sparava sentenze neanche fosse Confucio. Però.
"La luce. La vediamo quando veniamo al mondo, e quando lo abbandoniamo."
"E perchè la dovrei guardare?"
"Io lo sto facendo." Sospirò. "Io so dov'è tuo fratello."
Mi stava prendendo in giro? La guardai, speranzoso.
"E dov'è?"
"Se te lo dico...dopo dovrai farmi un grosso favore."
Sbuffai. "Parla"
"Devi prestarmi il tubo di ferro, domani. Ho un'importante faccenda da sbrigare."
"Un'altra? Sei piuttosto indaffarata" ridacchiai.
"E' importante."
"L'ho capito..." Poi ripensai alla precedente 'faccenda', quella che l'aveva impegnata per tutta la notte. "E...riguardo a stanotte?"
Lei si girò di scatto, come colta da un'improvvisa illuminazione.
"Certo. Vuoi...vederlo?"
Non mi diede neanche il tempo di rispondere, che già era di fronte al terzo bagno da sinistra e diede un calcio alla porta, aprendola e aspettandomi.
Non ero così sicuro di voler guardare...mi coprii gli occhi con la mano e li scoprii solo dopo qualche secondo. Brutta, orribile scena: un cadavere in piedi, appoggiato contro l'angolo del bagno, privo di interiora e con il cranio svuotato. Ed un marchio rosso sul petto...o quello che ne restava, del petto. Riconobbi il simbolo: l'avevo visto in alcuni disegni di Josh. Ero inorridito...era stata lei a farlo? Samantha iniziò a ridere, vedendo la mia espressione. E la mia mente arrivò ad una scomoda verità: avevo davanti gli Istinti. Cazzo.
Sollevai il tubo di ferro: se mi avrebbe colpito, io avrei fatto lo stesso, seppur con dispiacere.
"Samantha, qualsiasi cosa tu voglia fare adesso, non farlo."
Non l'avessi mai detto: mi guardava peggio di prima. Sembrava non capire, aveva inclinato la testa, ma i suoi occhi dicevano una cosa sola: attaccare, uccidere.
"B151" sussurrò.
"Cosa? Cosa c'è lì?"
"Joshua Shepherd."
Trasalii. Forse...forse dice sul serio...non mi prende in giro, pensai, escludendo il fatto che in quel momento, in quello stato, beh...non era la più affidabile delle persone. Troppo, troppo facile... Mi ero fatto un mazzo così fino a quel momento, per trovare Josh. Mi assalì l'idea che era fin troppo facile così...ci doveva essere per forza qualcosa sotto. Ma la assecondai.
"Non avevi detto che lì c'è il demone...insomma sì, quella lì, Alessa?"
Mi guardò confusa. "Cosa? Demone? Quale demone? Io non conosco demoni, solo angeli caduti."
Bam. Ancora con i suoi saggi. Mi sentivo quasi stupido, io 22enne, ex secchione, una carriera militare alle spalle, che non avrei mai potuto dire delle cose simili, e lei 14enne disturbata, che evidentemente non aveva mai finito la scuola, parlava come un'adulta.
Riassumendo la sua personalità: punto uno, saggia. 14 anni, sicuro? Finalmente glielo chiesi, le chiesi quel poco in più che mi serviva per poter dire di "conoscerla" superficialmente. Buffo, no? Conoscevo la sua storia, ma non l'età, nè il cognome. Già, il cognome: sulla scheda c'era scritto Samantha Grey. E avevo anche fatto fatica nel leggerlo: era stato cancellato, a giudicare dal familiare colore rosso, con le dita intrise di sangue, le sue.
"Samantha...posso chiederti alcune cose?"
Assottigliò lo sguardo. "Basta che non siano troppo private, mi seccherebbe."
Rimasi un attimo in silenzio. "Beh...dipende da quanto giudichi 'privata' la tua età"
Ritornò all'espressione confusa di prima. "Ho 19 anni"
Come? 19?
"Ma tu ne dimostri 14!"
Sbuffò. "Qualcos'altro?"
"Sì...sulla tua scheda, insomma la cartella clinica o quello che è, lessi il tuo cognome con fatica, era cancellato. Samantha Grey, perchè l'hai cancellato?"
Lei fu colta di sorpresa. "Io...ho preferito cambiarlo."
"...Legalmente?"
"No. L'ho cambiato in Hellington, mi piace di più così. E comunque, nessuno mai mi chiama per cognome, tranne i 'simpatici' dottorini che mi 'assistono'."
"Hellington? Che significato può mai avere?"
"Per te nessuno, per me molti. Sai, hell propriamente è inferno, ed è proprio l'inferno quello che sto passando. Poi, in questo modo le mie iniziali risultano le stesse del nome di questa meravigliosa cittadina, Silent Hill"
1 a 0 per lei. Stupido, stupido, stupido.
Punto due, ha una fervida immaginazione ed è anche un pò montata.
"Mi sento parte integrante di questo luogo, io ed Alessa siamo le uniche vere creature qui", continuò.
Punto tre, fissata con Alessa. Quasi la venerava, quando parlava di lei aveva gli occhi che sbrilluccicavano.
Mi guardò a lungo, poi si congedò.
"Devo andare, Alex" mi salutò sparendo nel nulla. Ma lasciò una scritta rossa sul muro: "B151", messaggio chiaro. Messaggio ricevuto. Dovevo far visita ad Alessa. Lo sapevo che c'era il trucco.

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Capitolo 12
*** Ore 12:00 ***



Ho dovuto aspettare fino a questo punto. Ho dovuto farlo.
Non fu difficile trovare la stanza del "demone", avevo seguito il percorso segnato sulla mappa...lei l'aveva segnato. Lei ha voluto rendermi le cose più facili.
La stanza di Alessa era situata alla fine di un lungo, lunghissimo corridoio...forse era quell'ospedale a sembrare un labirinto, o forse erano le mie solite, odiose, idiotissime allucinazioni. La porta era enorme, era nera come il carbone, con dei graffi evidenti, e portava un cartello che recitava la scritta "Quarantena". Quando aprii quella porta, vidi qualcosa che non mi sarei mai aspettato: una stanza pulita, ordinata, c'erano fiori ovunque e c'era...una ragazzina seduta sul letto. Era intenta a disegnare dei mostri, molto simili a quelli che avevo incontrato durante quell'orribile viaggio.
Appena la ragazzina mi vide, lasciò perdere i disegni e incrociò le braccia.
"Tu sei Alessa, vero?" Non volli perdere tempo.
Lei mi sorrise. "Sì."
La calma di quel luogo mi faceva quasi sentire fuori posto, era tutto troppo perfetto e...normale, per essere a Silent Hill.
Dalla descrizione di Samantha, immaginavo Alessa come una specie di mostro che vivesse in un luogo tetro e pieno di quelle creature. Invece Alessa era il contrario di tutto ciò che avevo immaginato. Aveva i capelli castani, raccolti in una coda; portava una divisa scolastica blu e sembrava non avere più di 14 anni. Quattordici? Visti i precedenti, anche Alessa avrebbe potuto essere più grande di quanto non sembrasse.
"Ti ha detto Samantha di venire qui, non è vero?" disse. Ora era in piedi davanti ad un vaso di fiori, e si rigirava uno di questi tra le dita, toccandolo con estrema delicatezza. Aveva più o meno la stessa voce di Samantha, una voce infantile e troppo calma anche nel momento in cui non dovrebbe essere "troppo calma".
"Esatto. Posso sapere cosa c'entra lei...e cosa c'entri tu con questa cittadina?"
Alessa non staccava lo sguardo da quei fiori. "Io e Samantha siamo accomunate dallo stesso destino. Lei ha accettato di vivere qui, pacificamente, con me e con le creature là fuori"
"Praticamente vuole marcire qui" dissi.
"No, Alex. Qui non si tratta di marcire...e comunque non può. A Silent Hill il tempo non passa, fino a quando lei resterà qui mostrerà sempre 19 anni."
Sospirai. "Dov'è Joshua?"
E finalmente lei si girò, guardandomi, come fanno i medici quando devono comunicare ai parenti del paziente che quello è deceduto.
"Anche lui ha accettato di vivere qui, pacificamente, con me, Samantha e le creature là fuori"
Strinsi i pugni. Non avrei mai, e dico mai lasciato Josh in quel posto. Bastava guardare Samantha per capire quello che succedesse lì dentro.
"No. Lui torna a casa con me", sbottai deciso.
Lei fece una faccia triste. "Oh, non vuoi che Josh faccia amicizia con me? Non vuoi che lui abbia un'amica con cui giocare?" Iniziò a tremare.
"Alessa, questa cittadina ti ha dato alla testa. Dovremmo tutti uscire di qui e farci una vita normale. Anche tu"
"No, no, no, no, non voglio"
"Non fare la bambina."
"No!" gridò. E a quel punto...capii di non aver sbagliato ad immaginare. Anzi, ci avevo visto azzeccatissimo.
Le pareti lentamente iniziarono a bruciare, così come anche il pavimento ed i fiori, proprio come quella volta mi era successo con Samantha; attorno ad Alessa si innalzò un cerchio di fuoco ed i mostri che aveva disegnato presero vita, uscirono letteralmente dai fogli.

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Capitolo 13
*** Ore 12:00, Samantha ***



Ebbene sì, ero tornata a Jacksonville. Lì vivevo con mia madre e successivamente con i miei zii, lì ho frequentato il liceo, mai finito. Lì ho incontrato Maxwell, quel maledetto bastardo. Ricordo il nostro ultimo incontro, quando mi accarezzò la guancia dicendo "Fidati...saresti stupida a non farlo, sei troppo bella perchè io ti lasci qui da sola". E dietro quegli 'apprezzamenti', si nascondeva il ricatto che mi ha rovinato la vita. Diceva che sarei stata una bellezza sprecata, se non avessi ceduto alle sue perversioni. "O lo fai, oppure io ti sventro lì fuori davanti a tutti", disse estraendo un coltello dalla tasca. Mi aveva convinto a frequentare il posto dove lui e gli altri satanisti celebravano i loro riti e i rave party, una chiesa abbandonata.
Eravamo solo io e lui nella sacrestia, e pur di non lasciare il mondo così, seguii il suo 'consiglio'. Mi fece malissimo, ma dopo averlo fatto lasciò il coltello su un tavolo, e io lo raccolsi. Il giorno dopo mi affrettai a prendere la pillola, ma non c'era più niente da fare. Nove mesi dopo, partorii Michael e il giorno della sua morte giurai di vendicarlo. Come? Levando di mezzo la causa di tutto questo, ovvero Maxwell: decisi di ucciderlo con il suo stesso coltello, chissà se lo avrebbe ricordato. Ho sprecato la mia bellezza solo per il fatto di essere stata con lui...io meritavo molto di più.
Forse il fatto di aver ottenuto il consenso di Alessa, oppure ho fatto tutto da sola, non so come ma io sapevo esattamente dov'era; e in più ero vestita proprio come quella sera.
Fayrer Stadium.
Pioveva, il cielo era scuro come fosse sera, illuminato solo dalla luce bluastra dei lampioni, e lo stadio era vuoto. Lui era sugli spalti, aveva appena salutato una cheerleader; probabilmente c'era stata una manifestazione sportiva. Sembrava perplesso...nascondeva la testa tra le mani, io sorrisi.
Decisi di prenderlo alla sprovvista, raggiungendo la tribuna dalla parte posteriore, seguendo le scale.
"Posso farti compagnia?" mormorai alle sue spalle, prendendo per scontato il fatto che lui non si ricordasse di me. Si girò di scatto.
"Fai come vuoi."
"Cosa fai qui tutto solo?" Sfoggiai il mio malefico sorriso.
"Niente, assolutamente niente. Scusami, ma devo andare."
Cercava di scappare? Aveva intuito qualcosa? Lo presi per la spalla: il suo incubo...era appena iniziato.
Lo guardai fisso negli occhi.
"Maxwell, non puoi scappare." Ridacchiai.
"Chi sei?" Sbuffò. A quanto pare non aveva perso il suo tono arrogante.
"Una mia amica, Samantha, ti conosceva bene...sei stato tu a metterla incinta no? L'hai persino minacciata...vergognati."
Possibile che non si ricordasse niente? L'unica cosa cambiata in me erano i capelli, più corti. Non avevo cambiato faccia.
"Samantha? Oddio." Alzò gli occhi al cielo. "E' stata solo una fra le tante, però è stato bello averla, quella sera" Si leccò le labbra. "Ha un bel fisico."
Non è cambiato per niente...figlio di puttana. Lo presi per il collo della maglietta e lo feci sbattere contro una parete.
"Samantha è morta. L'hai uccisa tu!" gridai. In effetti, mi aveva ucciso dentro...gran parte dei miei mali era stata causata da lui, e mi aveva, in un qualche senso, spento.
Rise, il bastardo.
"Allora diventerò necrofilo"
"Ah si?" Finalmente estrassi il suo coltello. "Questo lo ricordi?" Assottigliai lo sguardo, per aiutarlo a 'ricordarsi' di me. Quando capì, mi mostrò il suo sorriso, arrogante e...stupido.
"Samantha, ti sei tagliata i capelli?"
Sollevai il coltello. "Maxwell, ti sei tagliato la gola?" Mi avventai su di lui.

Con una gomitata nel ventre era riuscito a svignarsela, anche se per poco; chiusi i cancelli dello stadio: non mi sarebbe sfuggito. Per seguirlo, usai l'olfatto: tra l'odore della pioggia che mi bagnava i capelli, i vestiti e il viso, sentivo anche il suo. Odore di sangue, di droga, di sesso. Di morte...
Gli Istinti mi guidavano, sembravo un predatore alla caccia della sua preda...mancava solo che mi mettessi a quattro zampe per sembrare una fiera.
Attraversai il campo ad occhi chiusi, passando davanti al cartello Fayrer Stadium, ai cancelli, e successivamente entrai nello spogliatoio maschile. Doveva essere lì.
Sentii odore di sangue.
"Che cazzo stai facendo? Vuoi dissanguarti prima che lo faccia io?" Pazzo...
Spalancai la porta delle docce con un calcio e lo trovai lì, con una lametta in mano, intento a segarsi i polsi. Gli tolsi la lametta dalle mani e lo riportai fuori tenendolo per i capelli. Lui era proprio come Brian: oltre alle minacce a sfondo sessuale, si arrendeva presto; anche se avrei gradito un pò più di resistenza, accettai la situazione. Lo misi a sedere sugli spalti, dov'era prima, e gli tagliai le vene delle gambe per evitare che scappasse, anche se ormai doveva aver capito che era finita. Ormai non doveva più opporre resistenza, ce l'avevo in pugno...che senso avrebbe avuto continuare a scappare?
E finalmente aprii gli occhi, più gelidi che mai, mentre la pioggia continuava a cadere senza fermarsi. Sollevai il coltello.
"Avrei gradito molto, se non mi avessi considerata proprio" furono le ultime parole che sentì. Gli infilai il suo stesso coltello nella testa.
E' finita.
Michael arrivò e prese suo padre infilzandolo come aveva fatto con Brian; a volte mi piaceva pensare che mio figlio trascinasse i peccatori nell'Ade. Si rifugiava sempre nei sotterranei, consideravo quella porzione di terreno nell'ospedale l'Inferno delle mie vittime.
Che siate maledetti, mormorai prima di tornare a Silent Hill.

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Capitolo 14
*** Ore 15:00 ***



E' stata dura combattere così tante creature tutte assieme. Ero ferito alla spalla e sul torace e non trovavo medicazioni da nessuna parte; iniziai a pronunciare improperi e bestemmie, in fondo ero in un ospedale, possibile che non ci fossero medicazioni? Forse Samantha aveva ragione quando diceva che l'ospedale "è inefficiente", non esagerava. E parlando del Diavolo, spuntano le corna: era sicuramente lei la ragazzina che aveva spalancato il portone dell'ospedale per trascinarsi dentro e sbatterlo.
"Com'è andata?" le chiesi. Non era ferita, ma aveva un'espressione da funerale. Mi rispose con un lamento e cadde a terra; accorsi in tempo per evitare che battesse la testa sul pavimento. Per fortuna era ancora cosciente, ma non riusciva a reggersi in piedi.
La presi in braccio e la portai in una stanza qualsiasi, per poi farla stendere sul letto.
"Ho avuto la mia vendetta."
"E non sei felice?" Le accarezzai la fronte.
"Si..." rispose incerta.
"Cos'hai."
"Niente..."
"Come niente? Ci manca poco che non svieni!"
Lei abbozzò un sorriso e mi tese la mano, che raccolsi per stringerla.
"E in quanto a te...com'è andata con Alessa?"
Me ne ero quasi dimenticato..."Tutto bene, apparte il fatto che mi ha scaraventato dei mostri contro e che non sembra essere molto favorevole a riconsegnarmi Josh."
Samantha era confusa.
"Perchè si è comportata così? L'hai...provocata?"
"Non l'ho provocata, le ho solo chiesto di ridarmi mio fratello. E si è incazzata."
Lei fece una faccia pensierosa.
"Ci parlo io."
"Davvero?"
Sorrise. "Certo."
Guardai l'orologio; si era fatto tardi, dovevo passare da Elle e Wheeler per controllare che avessero munizioni a sufficienza.
"Samantha...io devo andare" Lei mi tirò per il braccio.
"Perchè?"
Le posi una mano sulla guancia, per tranquillizzarla.
"Tornerò stasera, quando avrai risolto con Alessa. Non credo che quella bambina abbia ancora voglia di vedermi."
"Okay." Sospirò, poi iniziò a fissarmi. "Aspetta Alex, tu sei ferito!"
La salutai con un cenno. Mi sarei medicato altrove, e sarei tornato in serata per riavere Josh e abbandonare la cittadina.

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Capitolo 15
*** Ore 20:40, Samantha ***



Sto andando da Alessa, per chiederle di lasciare in pace il fratello di Alex. Sto...compiendo una buona azione. Siamo sicuri che Lei lo accetterà? Non credo...

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Capitolo 16
*** Ore 23:15 ***



Ogni ora passata a Silent Hill sembrava durare 10 anni. Il tempo passava così lentamente...dovevo essere sempre accorto per evitare attacchi da quelle schifose creature del diavolo...e non vedevo l'ora di riabbracciare mio fratello e andarmene.
Quando finalmente arrivò la sera, raggiunsi l'ospedale. A passo spedito, data la fretta.
Come sempre, fu difficile trovarla, dovetti esplorare l'intera struttura ospedaliera; mi pareva strano però che la stanza dove si trovava Samantha era sempre l'ultima che visitavo dopo aver fatto l'ispezione completa del posto: sospettai che lei mi sentisse, che magari lo faceva apposta a nascondersi e farmi perdere tempo. Sbuffai.
E infatti, non fece eccezione neanche quella volta. Era in fondo alla stanza, dritta, con le braccia lungo i fianchi e l'espressione neutra. Anzi, sembrava piuttosto...stizzita. Gli angoli della sua bocca si incurvavano all'ingiù.
Mi vide, ma continuava a tacere e a stare ferma senza muovere un muscolo. Così mi rassegnai, dovetti rompere io il ghiaccio.
Dov'è mio fratello? chiesi secco.
Samantha inclinò la testa leggermente, non cambiava espressione nè dava segni di amichevolezza.
Oh, no...oh, cazzo. Non dirmelo. appoggiai la mano sulla fronte e mi voltai, per poi tornare alla posizione precendente. Lei sembrò capire il mio gesto, ed immediatamente sul suo viso comparve quel sorriso maniacale che mi aveva già mostrato nel nostro primo incontro.
Samantha, non dirmi che mi hai preso in giro.
Il suo sorriso non fece che estendersi, aveva un'espressione più maliziosa.
Ma lui è qui... Fece due passi avanti. Io non ti ho mai mentito, Alex... Allungò un braccio verso di me; mi scostai. ...e tu, mi hai mai mentito?
Improvvisamente, mi sentii bloccato. Non potevo più muovere alcun muscolo del corpo, eccetto la testa...doveva essere stata per forza lei. Mi si avvicinò di più e mi accarezzò il viso con una mano intrisa di sangue, macchiando anche me di quel liquido disgustoso.
Non rispondi? Guarda che io ho in mano la tua vita adesso...posso farne quello che voglio, continuò, avvicinando di più il suo viso al mio. In quel momento, eravamo così vicini da respirare la stessa aria, e turbato dalla vicinanza così "intima" scostai leggermente il capo. Lei mi afferrò il mento con forza e mi fece voltare nuovamente il capo, in modo da potermi guardare negli occhi. Perchè mi eviti? Hai paura di me? Qual è il tuo problema, Alex? Ogni frase che diceva, in quello stato, sembrava la menzogna più grande del mondo. Aveva un tono tutt'altro che sincero, ma glielo perdonai dato che in quel momento non aveva il controllo di sè.
Samantha, riprenditi e consegnami mio fratello.
Lei rise. Ooh davvero? E se non lo facessi? Nel caso tu non l'avessi capito, non mi incuti alcun timore. Inasprì il tono, facendolo sembrare come quello dei bambini che hanno appena fatto un dispetto ad un coetaneo; E di tuo fratello ne faccio quello che voglio.
Scossi la testa, e quel movimento seppur lieve fece in modo che la mia giacca si aprisse, mostrando una croce. Era una piccola croce, che portavo sempre con me, che avevo portato persino negli anni passati in Iraq nell'Esercito. Lei emise un grido strozzato, e indietreggiò in un modo talmente avventato che sembrava essere stata scagliata da qualcuno o qualcosa contro il muro. Immediatamente ripresi il controllo del mio corpo. Samantha era raggomitolata contro il muro lateralmente, aveva la testa dritta e guardava dinanzi a sè rantolando e portandosi le mani alle tempie; aveva le iridi quasi bianche.
Dove non riesce la spada, riesce la fede, pensai sogghignando.
Samantha, finiamola qui. Dov'è mio fratello?

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Capitolo 17
*** Finali ***



1.Bad
Sentii una mano che mi toccava la spalla, mi girai di scatto e vidi quello che cercavo da tempo, Joshua. Con gli occhi lucidi mi chinai per abbracciarlo; ma quando mi voltai, Samantha era in piedi, appoggiata al muro con una mano, aveva il volto rigato di lacrime.
Adesso hai avuto quello che cercavi, Alex...sei felice? Era ancora fuori di sè, ma non come prima, con aggressività...il suo tono traspariva malinconia. Non ebbi la forza di rispondere, o più che altro non volli per paura di dirle qualcosa di sbagliato.
Lei reagì con una smorfia malinconica e voltò lo sguardo altrove. Tu non vuoi salvarmi, vero? Non risposi ancora...non capivo il senso di quello che diceva. Poi guardandola meglio notai che un rivolo di sangue le era partito dalla fronte, passando per gli occhi e scendendo fino al collo. Indietreggiai; ne vidi un altro, e un altro, e un altro ancora. Il suo viso poco a poco si ricopriva di sangue, e i suoi singhiozzi salivano di intensità, facendomi venire i brividi. Inoltre, più sangue scendeva, più aveva difficoltà nel reggersi in piedi; e quando tutto il viso fu diventato rosso, strinse i pugni e cadde a terra.
Fui immediatamente invaso dai sensi di colpa, avrei potuto fare qualcosa...ma pensai subito a portare via mio fratello. Avevo regolato i conti con Silent Hill, ma quell'esperienza orribile mi portò una specie di brutta sensazione ogni volta che vedevo una ragazza bionda. Pensavo a Samantha, e alla mia stupidità. Non era colpa sua se aveva dei problemi mentali, non era lucida e avrei dovuto aiutarla. Sono stato vile...
2.Bad+
Sentii una mano che mi toccava la spalla, mi girai di scatto e vidi quello che cercavo da tempo, Joshua. Con gli occhi lucidi mi chinai per abbracciarlo; ma quando mi voltai, Samantha era in piedi con un vistoso coltello tra le mani.
Alex, ti avevo detto di aspettare...ma tu hai così fretta di andartene...
Si avvicinò e mi spinse contro il muro. Pensavo che almeno tu mi capissi, alzò il tono di voce e mi mostrò il coltello, ma tu sei come il resto della gente. La gente che mi ignora. E tu lo sai cosa faccio alla gente che mi ignora? Fece scorrere un dito sulla lama, ferendosi, e poi lo sollevò. Penso che tu lo sappia...e ora subirai lo stesso danno...
E' la fine...
No. Vidi all'improvviso spuntare dal petto di Samantha qualcosa di lungo e appuntito, seguito dalla sua caduta sul pavimento; era stato Joshua. Gli sorrisi.
Vidi arrivare il figlio di Samantha, che le infilò due tentacoli nelle cavità oculari
Andiamocene adesso.

Negli anni successivi a quell'esperienza ho sempre ripensato al modo in cui mi ha guardato quando è stata infilzata da mio fratello. Faceva venire i brividi...

3.Now there's the hell

E' qui, mormorò prima che un bambino arrivasse dalla parte opposta del corridoio e che lei lo afferrasse per un braccio, tenendolo stretto a sè.
Nel pavimento che ci separava comparve una voragine, al termine della quale si intravedeva una luce rossa.
Lei mi fissava con quegli occhi gelidi e taglienti, e piegò la testa di lato sorridendo col solito sorriso malvagio.
Samantha, ti prego, consegnami Josh, dissi con tono apatico.
Lei reagì negativamente allo stimolo, stringendo Joshua per le spalle.
Sospirai; avrei dovuto prenderla con le buone, solo così avrei ottenuto qualcosa di buono. Forse.
Samantha, dimmi cosa vuoi e te la darò, ma non ha senso comportarsi così!
Perse il sorriso, che lasciò spazio ad un'espressione di pura malinconia.
Io voglio solo stare bene...e andarmene via di qui, e stare con persone che non mi ignorino, ma che siano affezionate a me per davvero. Tu puoi darmi tutto questo? No! E allora taci!
Scossi la testa. Chi ti ha detto che non posso darti tutte queste cose? Samantha neanche io vivo nella migliore delle situazioni familiari...mia madre è morta, mio padre anche, non puoi portarmi via anche Josh!
Una lacrima scese sul suo viso. Buon segno, stava abbassando la guardia.
Se tu verrai con me, potrai guarire e vivere una vita normale, come tutte le altre ragazzine della tua età, ma dipende solo da te! Lo vuoi o no?
Abbassò la testa, e la voragine si chiuse lentamente; finalmente lasciò andare Joshua, che corse da me per abbracciarmi. Lei ci guardava, era felice per noi ma aveva comunque un qualcosa di triste nello sguardo. La invitai con un cenno, e lei abbracciò anche me. Scambio di sorrisi.
Samantha, adesso aspettaci qui. Vado a cercare la macchina. Lei annuì debolmente, era ancora tesa; le accarezzai la testa ed uscii con Joshua.
Ma appena varcato il portone, un gruppo di quei cani bastardi ci stava aspettando, io non avevo munizioni a sufficienza e così...fui certo di una cosa, e mi dispiacque molto. Samantha avrebbe aspettato lì per sempre. Non era una che cercava seconde opportunità.

Samantha

Alex...dove sei finito?
Anche io diventerò un'eroina per mio figlio...anche io volevo essere come te...

(Questo finale è direttamente collegato al gdr) [http://silenthillgdr.forumfree.it/?t=44592801]

4.Good

E' qui, mormorò prima che un bambino arrivasse dalla parte opposta del corridoio e che lei lo afferrasse per un braccio, tenendolo stretto a sè.
Nel pavimento che ci separava comparve una voragine, al termine della quale si intravedeva una luce rossa.
Lei mi fissava con quegli occhi gelidi e taglienti, e piegò la testa di lato sorridendo col solito sorriso malvagio.
Samantha, ti prego, consegnami Josh, dissi con tono apatico.
Lei reagì negativamente allo stimolo, stringendo Joshua per le spalle.
Sospirai; avrei dovuto prenderla con le buone, solo così avrei ottenuto qualcosa di buono. Forse.
Samantha, dimmi cosa vuoi e te la darò, ma non ha senso comportarsi così!
Perse il sorriso, che lasciò spazio ad un'espressione di pura malinconia.
Io voglio solo stare bene...e andarmene via di qui, e stare con persone che non mi ignorino, ma che siano affezionate a me per davvero. Tu puoi darmi tutto questo? No! E allora taci!
Scossi la testa. Chi ti ha detto che non posso darti tutte queste cose? Samantha neanche io vivo nella migliore delle situazioni familiari...mia madre è morta, mio padre anche, non puoi portarmi via anche Josh!
Una lacrima scese sul suo viso. Buon segno, stava abbassando la guardia.
Se tu verrai con me, potrai guarire e vivere una vita normale, come tutte le altre ragazzine della tua età, ma dipende solo da te! Lo vuoi o no?
Abbassò la testa, e la voragine si chiuse lentamente; finalmente lasciò andare Joshua, che corse da me per abbracciarmi. Lei ci guardava, era felice per noi ma aveva comunque un qualcosa di triste nello sguardo. La invitai con un cenno, e lei abbracciò anche me. Scambio di sorrisi.
____

A 5 anni da quell'esperienza, ho deciso di prendere Samantha con me. Adesso non ha più niente di strano, nessuno la considera più pazza. Si è cresciuta i capelli, com'è carina. Josh e lei vanno piuttosto d'accordo, a volte litigano come due fratelli...poi quando si parla di Silent Hill lei abbassa la testa e guarda altrove...è sulla via del dimenticare suo figlio, ma a volte ci pensa e sta male.

Samantha

Era Alessa ad influenzarmi? Forse sì...lei sapeva sempre quello che facevo, anche se non le raccontavo nulla. Ma ormai non mi interessa più. Ci è voluto tanto perchè cambiassi...ma alla fine ce l'ho fatta, niente più crisi isteriche, niente autostima portata a livelli eccessivi. Michael è nella mia memoria, ma non sotto forma di quella specie di mostro; Michael è il bambino biondo che ho partorito. Chissà se avrò la forza di avere altri figli, in futuro...l'idea mi spaventa...

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