Doppelgaenger di Dira_ (/viewuser.php?uid=35716)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ricordi - Parte I ***
Capitolo 3: *** Ricordi - Parte II ***
Capitolo 4: *** Ricordi - Parte III ***
Capitolo 5: *** Capitolo I ***
Capitolo 6: *** Capitolo II ***
Capitolo 7: *** Capitolo III ***
Capitolo 8: *** Capitolo IV ***
Capitolo 9: *** Capitolo V ***
Capitolo 10: *** Capitolo VI ***
Capitolo 11: *** Capitolo VII ***
Capitolo 12: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 13: *** Capitolo IX ***
Capitolo 14: *** Capitolo X ***
Capitolo 15: *** Capitolo XI ***
Capitolo 16: *** Capitolo XII ***
Capitolo 17: *** Capitolo XII (2° parte) ***
Capitolo 18: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 20: *** Capitolo XV ***
Capitolo 21: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 25: *** Capitolo XX ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 40: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 41: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 42: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 43: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 45: *** Capitolo XL ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 48: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 50: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 51: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 52: *** Capitolo XLVII ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Diciotto anni dalla scomparsa di
Voldemort…
30 Agosto 2017
Il rombo di una moto aveva interotto il monotono frinire delle cicale a
Privet Drive, Little Whinging.
La moto, un esemplare ben tenuto di Harley Davidson, era stata
parcheggiata di fronte al vialetto della casa di Dudley Dursley,
apprezzato vicino, avvocato di modesto successo, figlio del defunto
Vernon Dursley.
Vi era sceso un uomo, in giubbotto di pelle e jeans lisi. Joanna Steel,
dirimpettaia e vicina ficcanaso, la sera stessa avrebbe raccontato di
un aitante quarantenne con i capelli scompigliati dalla brezza estiva,
che aveva suonato alla porta dei Dursley. Si diceva fosse il cugino, un
certo Harry Porter, tipo strano, con un passato turbolento, da
teppista.
Dudley aveva aperto la porta. Quando aveva riconosciuto il visitatore,
a dispetto dei pettegolezzi locali, aveva tirato un sospiro di
sollievo.
“Harry, grazie al Cielo!”
“Scusate il ritardo, ma avevo degli affari da
sbrigare… è in giardino?”
“Non entra in casa da ieri sera. Le abbiamo provate tutte,
Robin ha persino tentato di avvicinarsi ma…”
Harry aveva corrugato le sopracciglia. “Spero
non…”
“No, no. Le ha solo detto di lasciarlo in pace.”
L’aveva guardato, sbuffando di nuovo attraverso le guance
piene. Era la fotocopia del padre, Dud, ma in quanto a carattere
dimostrava di saper cambiare. Opinione in generale e atteggiamento in
particolare.
“Meno male…”
“Ha ricevuto la lettera due giorni fa… ma lo
saprai.” Aveva schioccato la lingua “Sembrava
contento. Poi mi ha chiesto come mai Vern non l’avesse
ricevuta… e…”
“E hai pensato bene di dirgli la verità.
Cioè che non è vostro figlio.”
Dudley l’aveva guardato male. “Harry, cosa diavolo
avrei dovuto fare? Ormai è evidente che … beh,
che è diverso da noi. Prima o poi dovevamo affrontare il
discorso. Ho preferito farlo adesso.” Aveva concluso.
Sembrava imbarazzato e a disagio, ma non aveva potuto evitare di dirlo.
In fondo, non era forse la verità?
Harry aveva annuito, sospirando appena. “Potevi almeno
aspettare che ci fossi io… forse sarebbe stato meno
traumatico.”
Dudley aveva fatto una smorfia, facendogli cenno di entrare. Si erano
accomodati in salotto, nonostante l’altro uomo avesse sperato
di passare direttamente in giardino.
“Harry, undici anni fa, quando mi hai portato il ragazzo, io
e Robin abbiamo accettato di occuparcene… beh,
perché avevo un debito con te. I miei genitori non
l’hanno mai ammesso apertamente, ma ti siamo stati tutti
grati per averci salvato da… da…” aveva
esitato. Cinismo babbano contro fatti a cui aveva assistito con i suoi
occhi. “… da quelle
cose.” Si era acceso una sigaretta.
“L’abbiamo tirato su al meglio che abbiamo
potuto… nonostante a volte facesse cose che non
erano… normali.”
“Magiche.” Aveva corretto pazientemente Harry:
Dudley poteva essere cambiato, ma il suo odio per la Magia non era
stato granchè intaccato.
“Sentimi bene.” era infatti sbottato, irritato.
“Siamo passati sopra il vederlo apparire da un posto
all’altro della casa, e alle lampadine fulminate
…” aveva borbottato. “Ma davvero
Harry… Quanto pensavi che avrebbe potuto reggere questa
storia? Ce ne siamo occupati come se fosse nostro figlio
ma…”
“Ve ne siete occupati bene, tu e Robin…
decisamente meglio di quanto gli zii abbiano fatto con me.”
L’aveva blandito, con un mezzo sorriso. L’uomo si
era corrucciato.
“Non ti ho chiamato qui per parlar male dei miei
genitori.”
“Scusa, hai ragione… piuttosto. Lui come ha
reagito?”
“Mi ha ascoltato in silenzio, a dire il vero. Gli ho detto
che sarebbe sempre stato mio figlio, e che non sarebbe cambiato
nulla… che gli avremmo voluto bene lo stesso. Mi ha
ascoltato sì… e poi se n’è
andato in giardino, senza una parola. È lì da
ieri sera, e non vuole parlare con nessuno.”
Harry si era passato una mano trai capelli.
“Non l’ha presa
bene…”
“No, mi sembra evidente. Ma… penso che lo sapesse
già. E non lo dico per giustificarmi.” Aveva
aspirato una boccata dalla sigaretta, che quasi spariva tra le sue dita
grassocce. Harry l’aveva squadrato: era un
brav’uomo in fondo, non particolarmente acuto, ma aveva
sposato una donna intelligente, priva dei paraocchi dovuti
all’amore cieco per la propria famiglia che aveva invece
avuto Petunia Dursley.
“… Lo sapeva già?”
“Lo intuiva, forse, chi lo sa. Quel bambino è
dannatamente sveglio. Forse… a volte… un
po’ troppo.” Si era alzato pesantemente dalla
sedia. “Ma ora vorrai vederlo… è in
giardino. Robin è in cucina, sta preparando la merenda per
Vernon e Alice. Faccio portare qualcosa anche per voi?”
Harry aveva sorriso. “Sì, grazie.”
Era quindi uscito nel piccolo giardino. Si era avvicinato alla vecchia
altalena, una volta malandata, adesso riverniciata di un allegro color
rosso.
Vi era seduto un bambino, di circa undici anni, dai capelli lisci, neri
come ebano e l’incarnato pallidissimo, tipicamente
anglosassone. Indossava una maglietta a righe e un paio di pantaloni di
buona fattura. Erano vestiti nuovi, puliti, che dimostravano come non
ci fosse disparità di trattamento tra lui e i figli
legittimi della coppia.
Nonostante questo, Harry aveva avuto un violento flashback. Se stesso,
magro e arruffato, seduto sulla stessa altalena, in quello stesso
giardino, quasi trent’anni prima.
“Thomas…” aveva chiamato.
Il ragazzino aveva alzato la testa. Gli occhi blu erano inespressivi,
diffidenti.
Harry aveva sospirato.
“So che sei arrabbiato con me.” Si era seduto
sull’erba, di fronte a lui. Non aveva tentato di toccarlo,
né blandirlo. Alla sua età non avrebbe
sicuramente reagito bene alla condiscendenza di un adulto.
“Hai ragione ad esserlo. Ti ho nascosto delle cose. Molte
cose. Ma era necessario… per la tua sicurezza.”
Un altro flashback: lui, spaurito e pieno di domande, confuso, di
fronte a Silente, un mago adulto e potente.
Le sue spiegazioni sarebbero state all’altezza di quelle del
vecchio preside?
Lui
sarebbe stato all’altezza?
Il ragazzino aveva alzato lo sguardo verso il cielo, pensieroso.
“Per la mia sicurezza?”
“Sì, proprio così.”
Un breve silenzio.
“Sapevo di essere diverso.
Sapevo che avrei ricevuto la lettera, non come Alice o Vern.”
“Sì … sei diverso, questo è
vero, ma…”
“Quanto
diverso?” aveva concluso il ragazzino, fissandolo negli
occhi.
Harry aveva sospirato.
“E’ ora che ti racconti come ci siamo conosciuti io
e te,
Thomas.”
Note:
Come ho già scritto, questo è un prologo. Breve,
lo so, ma mi rifarò con il prossimo pezzo. :P
Che dire... è la prima fan-fic che scrivo su HP. Sono cresciuta con questo libro, l'ho letto ed
ho visto i film. Ed è proprio dall'ultimo film che il mio
amore per Tom Riddle è aumentato esponenzialmente ...
solo... cosa fare? E poi è praticamente il personaggio
più 'slash' in cui mi sia mai imbattuta.
Scrivere l'ennesima fic dove Harry e Tom si innamorano? Le adoro, ma
tutto ciò che di sensato c'era da scrivere su questa coppia
è già stato scritto (mi riferisco alla storie di
Lien e Mistress Lay, che hanno reso un'immagine di Tom Riddle ormai universalmente conosciuta su EFP e dintorni). Così ho provato un
approccio diverso. Sì, il settimo libro mi ha fatto schifo
(eufemismo) però una cosa buona l'ha lasciata... una marea
di personaggi di cui non si sa niente, spendibilissimi,tutti da
giocare. La cosidetta 'next generation'.
Unite queste due cose, è nata questa idea. Che dire, spero
vi piaccia. Commenti e critiche sono accettate e volutissime! (XD)
Le mie fonti di informazioni (perdonatemi, la mia conoscenza del
Potterverse è un po' arrugginita) sono HP Lexicon e HP Wiki. Per quanto riguarda i nomi, ho preferito lasciare la
versione italiana, per abitudine, così come gli incantesimi.
NB: Tutte le immagini usate,
linkate e manipolate non appartengono a me, ma le ho trovate sul web o su DeviantArt. Chiunque
le rivendicasse, è pregato di inviarmi un pm, sia se voglia
che le ritiri, sia che voglia essere creditato. Thanks ^^ Per quanto riguarda i volti dati ai personaggi ho cercato sul web, e presso forum di HP per avere un'idea generale di come il fandom immaginasse la Next Generation.
Le canzoni,
frasi e varie citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire,
l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc appartengono a
mamma Row, Dio l'abbia in Gloria.
Dira.
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Capitolo 2 *** Ricordi - Parte I ***
d
Doppelgaenger.
Harry
si trovava di
nuovo a King’s Cross. Ma non la King’s
Cross babbana, né tantomeno quella magica.
Quella
del suo
sogno.
Harry Potter, il bambino-che-è-sopravvissuto, attualmente
meglio conosciuto il
ridondante titolo di Salvatore Del Mondo Magico, camminava per la
stazione
deserta, immersa in un’atmosfera brumosa e irreale.
Non
c’era dubbio
che si trattasse di un sogno. Un sogno inspiegabilmente simile a quello
che
aveva vissuto quando, durante la battaglia finale, era stato colpito da
Voldemort, e creduto morto.
Non
sapeva perché
si trovasse lì, ma si trattava di un sogno, di questo era
certo.
Dannatamente
vivido, poiché non aveva nulla di incoerente. Quella era una
stazione deserta,
priva di treni, e lui era lì, da solo.
Poi
l’aveva
sentito. Un lamento, come quello di un animaletto ferito. Aveva
percepito
distintamente sudore gelido scorrergli lungo la schiena.
Era
lo stesso suono
di quella cosa che aveva incontrato poco prima di vedere Silente.
E poi l’aveva vista, di nuovo, sotto una panchina. Un neonato
piccolissimo,
rosso, come scorticato, che piangeva. Si era avvicinato, come quella
volta di
otto anni prima, e come quella volta non aveva osato toccarla.
“Cosa vuoi da me?” si era trovato a sussurrare al
corpicino gemente.
Era
ancora vivo,
quindi, sebbene in quella specie di limbo, di non-luogo. Non vivo in
senso
tecnico del termine, certo. Quella cosa era una parte della sua anima
straziata, che rantolava e gemeva, ma solo una parte. Non si poteva
considerare
Voldemort.
Aveva
sentito di
nuovo quel lungo brivido freddo. Aveva mosso qualche passo, incerto.
Aveva
finito per chinarsi di fronte al neonato.
“Perché mi hai chiamato qui? Sei stato tu,
vero?”
La prima volta il colloquio con Silente era stato tutto nella sua
testa. Ma
stavolta quel sogno non gli apparteneva. Il luogo sembrava lo stesso,
eppure
non lo era.
Harry era sicuro che era stata quella cosa a chiamarlo.
Aveva
teso la mano,
e anche stavolta, non era riuscito a toccarlo.
Si
era svegliato
prima.
Otto
anni dopo la
sconfitta di Voldemort…
19
Dicembre 2006
“Harry…
Harry!”
L’uomo aveva aperto gli occhi, lentamente. Sopra di lui, la
moglie. Attorno a
lui, la loro stanza alla Tana. Era mattino, e la moglie non gli era mai
sembrata così radiosa, e il mondo così vivido. Le
aveva sorriso, a lei e al suo
ventre rotondo, perfetto. L’aveva baciata.
“Ginny…
Ginny Weasley.” Aveva mormorato contro le sue labbra.
“E’ il mio nome.” Aveva convenuto ironica
la donna. “Parlavi nel sonno, lo sai?
Continuavi a chiedermi cosa volessi da te. Una bella prova
d’amore coniugale!”
Harry
aveva battuto le palpebre un paio di volte, ed era tornato
prepotentemente il
ricordo di quello strano sogno.
“No, non stavo chiamando te…”
Ginny aveva curvato le labbra in un sorriso malizioso.
“Fantastico,
e quindi chi? Devo preoccuparmi?”
“Ma no, figurati… oh, Gin…”
aveva riso, dandole un buffetto. “Non in quel
senso, sai.” Poi si era fatto serio. Si era seduto sul letto,
incrociando le
gambe. “Ti ricordi quando ti ho raccontato del
mio… diciamo sogno, quando
credevo che Voldemort mi avesse ucciso? Di quando incontrai Silente, in
quello
strano limbo?”
Ginny aveva annuito, alzandosi e posandosi sulle spalle un cardigan
pesante.
Era un dicembre particolarmente freddo, quello, e la neve si era
già posata pesantemente
sui terreni attorno alla casa, proteggendola in un ovattato e bianco
silenzio.
“Certo…” aveva atteso che continuasse.
“Beh, ho sognato di nuovo quel posto.” Si era
passato una mano trai capelli,
sfiorando leggermente la cicatrice, ormai poco più che un
lieve segno sulla
pelle.
“E
Silente?”
“No, stavolta Silente non c’era. Ma
c’era… quella
cosa. Quella creatura.”
“Il neonato?” aveva corrugato le sopracciglia.
“Quello che credevi fosse…”
“L’anima morente di Voldemort,
già.” Aveva convenuto con una smorfia. Aveva
guardato la donna, serio. Sentiva una sensazione spiacevole addosso,
come se un
serpente gli fosse strisciato lungo la schiena.
Sensazione
orribile, davvero.
“Era
come quella volta. Gemeva, e sembrava… mi chiedesse aiuto.
Ma io non potevo
darglielo. Cioè, volevo… ma non ci riuscivo, mi
ripugnava troppo.”
“Silente
ti disse che non poteva essere aiutato…”
“E se invece avesse mentito?” aveva mormorato,
senza neanche rifletterci. Ginny
l’aveva guardato perplessa, prima di scuotere la testa.
“Harry,
lui è morto. Non
è altro che concime
per vermi, perdonami l’espressione. È stato solo
un sogno, non rompertici
troppo la testa…” aveva aggiunto affettuosamente,
passandogli le braccia
attorno al collo. Il ventre rotondo si era frapposto tra loro due, e
Harry
aveva sorriso, accarezzandolo.
“…
sì, hai ragione. E’ solo che è stato un
sogno così strano. Ero cosciente, come
quella volta. E stavo davvero per toccarlo, stavolta… credo.
Poi mi hai
svegliato e…”
“Harry Potter.”
Aveva scandito il suo
nome, seria. “I sogni sono soltanto sogni. La differenza tra
quella volta e
questa è che tu eri stato appena colpito da una maledizione
senza perdono.
Stavolta stavi dormivi della grossa. Noti qualche differenza amor
mio?”
Harry aveva convenuto che sì, c’era in
effetti una differenza.
Ginny
gli aveva allora picchiettato l’indice sul naso:
più piccola di lui di due
anni, a volte sembrava quasi sua madre. Con i suoi ventisei anni e
innumerevoli
esperienze alle spalle … Harry a volte si sentiva comunque
un bambino, di fronte
alla giovane moglie.
Ed
era una sensazione bellissima.
“Stiamo
per avere un bambino, Mister Potter. Forse inconsciamente ti senti
spaventato,
ed hai sognato quell’orribile neonato…”
“Oh, andiamo Gin! Abbiamo già Jamie. Il terrore da
neo-padre è cosa passata!”
Quasi, aveva pensato, quasi…
Ma non era il caso di farlo sapere alla moglie. Giusto?
Ginny
l’aveva guardato a lungo. In silenzio. Alla fine, come tutte
le volte, era
capitolato sotto l’ironica fermezza di quegli occhi nocciola.
“Okay,
forse sono un po’ preoccupato… voglio dire. Se
fossero gemelli?”
“Non è
un’eventualità.” Aveva pronosticato
decisa. E Harry scommetteva che non
sarebbe stata smentita. Non le capitava quasi mai.
“E’
stato solo un brutto sogno, Harry. Fatti una doccia, mangia un
po’ delle uova
strapazzate della mamma e va al lavoro. Qualcuno dovrà pur
guadagnarsi da
vivere, in questa famiglia.” Aveva concluso arruffandogli i
capelli e alzandosi
dal letto.
Al momento Ginny era disoccupata. Aveva lasciato le Holyhead Harpies
quando era
rimasta incinta di Jamie, e attualmente si occupava del piccolo a tempo
pieno. All’inizio
aveva trovato difficile rinunciare alla scopa e al Quidditch ma alla
fine,
complice la vivacità di Jamie e le pressioni di Molly, si
era ufficialmente
ritirata dai campi da gioco. Non riusciva a stare lontana dal figlio, e
con il
secondo in arrivo, la possibilità che tornasse a giocare,
era ancora più
remota.
Harry
sapeva che per la moglie quella era stata una dura rinuncia. Amava
giocare, e
aveva talento. Ma più di tutto, come amava ripetergli quando
provava a muovere
qualche obiezione, amava la famiglia.
La
loro famiglia.
Harry
aveva sorriso, andando in bagno e infilandosi sotto il benefico getto
caldo
della doccia.
Se
fosse stato maschio avevano già in mente il nome.
****
Una
ventina di minuti dopo era seduto alla tavola Weasley. Molly gli aveva
già
riempito tre volte il piatto, e Arthur, dalla sua posizione di
capofamiglia,
stava tentando di coinvolgerlo in un’appassionante
discussione sul
funzionamento di una cosa chiamata intrenat.
Harry dubitava seriamente che Arthur avesse una vaga concezione del
concetto di
internet, ma lo stava ascoltando
volenterosamente.
“Papà io non credo si dica demodè.
Quello è un aggettivo.” Aveva obbiettato
Ginny, bevendo un sorso di succo di zucca.
“E’ modem.” Aveva convenuto infatti
Hermione, concentrata sulla lettura della
Gazzetta del Profeta: erano tutti lì per le vacanze di
Natale, Ron e la moglie
erano venuti il giorno prima. Si attendevano George con la fidanzata,
Bill e
famiglia. Teddy sarebbe venuto per la Vigilia,
con la nonna. Charlie, come al solito,
era disperso nelle lande desolate della Romania.
“Oh… questo intrenet comunque
è
incredibilmente complicato. Anche a livello concettuale.”
Stava per lanciarsi
in una nuova arringa, quando un Crack! Aveva annunciato
l’arrivo di un Ron
particolarmente agitato.
“Harry,
devi venire subito in ufficio.” Aveva borbottato, salutando
con un cenno della
testa i presenti. Il giovane uomo aveva annuito, alzandosi in piedi. Se
si era
addirittura smaterializzato per arrivare fino alla Tana il
più velocemente
possibile la faccenda doveva essere seria.
Ron
era entrato l’anno prima, alla divisione auror, con gioia sua
e dell’amico.
Prima di tentare l’esame di ammissione aveva infatti aiutato
George con ‘i tiri
vispi Weasley’ per un po’. Era stata
un’esperienza positiva per entrambi i
fratelli, sebbene il minore non avesse la stoffa del negoziante.
Infatti, per
delicatezza nei confronti di George, Ron non aveva mai accennato alle
sue vere aspirazioni.
Era stato il fratello infine a licenziarlo, con tono brusco e
amichevole, una
mattina di cinque anni prima, con queste parole.
“Non
ho intenzione
di vedere libri di preparazione al test per auror spuntare tra le
scatole di
merendine marinare per tutta la vita né di continuare a
sopportare il tuo
occhio languido quando vedi Harry con la sua bella divisa. Sei
licenziato,
fratellino. Va’ a fare quello per cui sei tagliato.”
Ron
era passato al primo colpo, stupendo soprattutto se stesso.
“Qual
è il problema Ron?” Aveva chiesto quando si era
infilato il mantello e messo la
bacchetta in tasca. Erano andati all’ingresso, lasciando gli
altri finire in
pace la propria colazione.
“Forse
è meglio se…”
“Sì, giusto.”
Poco dopo erano al secondo piano del Ministero della Magia, diretti
verso il
quartier generale. Harry gli aveva fatto cenno di parlare.
“Ti ricordi il caso Coleridge?”
Harry si era leggermente incupito: aveva annuito, senza rallentare il
passo. Era
un caso su cui stavano lavorando da anni: Artemius Coleridge era un
ex-mangiamorte, attualmente fuggitivo. Era un vero asso nel fabbricare
la
pozione polisucco, che gli permetteva di passare inosservato sotto il
naso
degli auror. Estremamente frustrante.
Avevano
sprecato uomini, tempo e risorse per cercare di sbatterlo dentro, ma
era sempre
riuscito a fuggire all’ultimo soffio. Le piste erano morte da
mesi. Sparito,
irrintracciabile. Si sospettava fosse scappato all’estero,
riparando forse in
Germania.
“C’è qualche nuova pista?”
“Un nostro informatore l’ha visto a Notturn Alley,
da Magie Sinister.”
Harry aveva inarcato le sopracciglia. Un errore così
grossolano da parte di
Coleridge non se l’aspettava. Farsi vedere con il suo vero
aspetto in un posto
continuamente pattugliato da auror in incognito…
Una
stronzata.
Ron
gli aveva lanciato un’occhiata. “Sì, so
cosa pensi. Sembra assurdo anche a me…
ma Paulson dice che il tipo è affidabile, dico,
l’informatore. Se non altro per
quanto lo paga. E sai che Paulson non ama essere preso per il
culo.”
Harry aveva fatto un distratto cenno con la testa.
“Andiamo in ufficio, dai. Sono già in ritardo,
eh?”
Ron aveva fatto un mezzo sorriso.
“Sei
scusato, amico. In fondo a Gin è scaduto il tempo,
no?”
“Abbiamo già la valigia pronta, sotto il letto.
Direzione San Mungo.”
Ron
aveva riso, dandogli una pacca sulla spalla. “Speriamo non
siano gemelli.”
Harry aveva fatto una smorfia. “Gin è sicura che
non lo saranno. Ma non so, non
abbiamo voluto sapere nulla e…”
“Beh,
spero solo non tocchi a me ed Herm.” Aveva borbottato il
rosso.
Harry aveva riso. “Per Merlino, speriamo proprio di
no!”
Erano arrivati di fronte alla porta che recitava in lettere scarlatte
‘Ufficio
Auror’. Ron aveva sorriso tra sé e sé,
facendo sorridere di riflesso Harry.
Sapeva
che l’amico non credeva ancora del tutto al suo successo.
Spesso lo trovava
seduto alla sua scrivania, a guardarsi attorno con aria luminosa e un
po’
spaesata: era sempre stato così Ron. Ci metteva un
po’ a carburare il concetto
che poteva essere in gamba quanto e più degli altri. Ma
gliela si poteva
passare. Dopotutto erano solo sei mesi che era diventato ufficialmente
un auror
operativo.
Erano
stati accolti dalla propria squadra, composta da lui, Ron, Richard
Paulson, Liam
Flannery e Artemisia Stump, che ventava con un certo imbarazzo una
lontana
parentela con uno dei primi ministri della Magia. Era una ragazza con
una
timidezza inversamente proporzionale alla sua corporatura minuta, anche
se in
caso di scontro non esitava a gettarsi in prima linea. Un leone
travestito da
agnellino.
Flannery,
un corpulento irlandese con i capelli mori tagliati a spazzola, si era
avvicinato.
“Ehi, capo.” L’aveva apostrofato
trascinando l’ultima sillaba. Veniva da Galway
ed era da poco entrato nella squadra, come Ron. Non si stavano
particolarmente
simpatici. Flannery era tutto quello che Ronald non era mai stato.
Soprattutto,
estremamente sicuro di sé.
“Aggiornatemi.”
Nonostante avesse solo ventisei anni, nessuno questionava mai la sua
autorità.
Era del tutto accettata e digerita, come la certezza che Voldemort non
avrebbe
potuto far più male a nessuno.
Dopotutto
ci sono
certi aspetti positivi, nell’essere il salvatore del mondo
magico.
Artemisia
si era schiarita la voce. Aveva i capelli colorati di rosa, e a volte a
Harry
ricordava un po’ Tonks. Fortunatamente, pensava spesso con
nostalgia, non era
così goffa.
“Coleridge
è stato avvistato ieri sera, verso le nove, mentre si
materializzava davanti al
negozio di Magie Sinister, a Notturn Alley.”
“Quindi non ci è entrato?”
Flannery aveva inarcato le sopracciglia. “No, capo. Chi te
l’ha detto?”
Aveva visto con la coda dell’occhio Ron arrossire alle sue
spalle. Aveva
scrollato appena la testa. “Nessuno, avevo solo supposto si
fosse
materializzato nei pressi per entrarci. Va’ avanti
Art.”
“…
sì. Dunque, si è materializzato, poi si
è diretto verso un pub nelle
vicinanze…”
Aveva girato un foglio del piccolo taccuino di cuoio su cui si
appuntava ogni
cosa. Flannery aveva ironizzato una volta ci scrivesse anche quante
volte
andava in bagno.
“… il Black Goose. Lì il nostro
informatore l’ha perso.”
“Perso?”
La ragazza aveva annuito, con un lieve sospiro, guardando verso
Paulson, il più
anziano della squadra: aveva una quarantina d’anni e non era
di molte parole, e
beh, a dire il vero, non sembrava aver simpatia per nessuno, nessuno
appartenente alla razza umana perlomeno. Aveva una volta confidato a
Harry di
avere una muta di quindici cani da caccia che amava come figli. Era
scapolo e
non aveva famiglia.
“Il
vecchio Jog ha provato ad entrare dietro Coleridge ma è
stato fermato da uno
che voleva i suoi soldi… ed ha perso un po’ di
tempo per non farsi spaccare le
ossa o beccarsi uno stupeficium. Quando è finalmente
riuscito ad entrare,
Coleridge se n’era già andato. Forse
l’aveva notato ed era filato dal retro.”
Harry si era passato una mano trai capelli. “Bene…
C’è altro?” ad una risposta
negativa, aveva sospirato. “Allora non ci resta che andare a
Notturn Alley e
fare un po’ di domande. Ron tu verrai con me.”
L’uomo aveva annuito.
Congedati
dagli altri, e usciti dall’ufficio, l’amico aveva
borbottato qualcosa trai
denti.
“…
Ron, è tutto a posto. Anche io avrei pensato che fosse
entrato a Magie
Sinister.”
“Già, ma non ci è entrato. Ed hai visto
Flannery? Te l’ha subito fatto notare,
accidenti!”
“Lui lo sapeva, tu no. Sei venuto subito a
chiamarmi… Avrà saputo il resto
mentre tu eri con me alla Tana, no?” aveva spiegato
pazientemente al
corrucciato amico. Ron aveva mugugnato qualcosa, poi aveva scrollato le
grosse
spalle.
“Sì,
forse hai ragione.”
“Non forse, è
così. Non rompertici
troppo la testa. Sei un bravo auror. Sei
un auror.” Gli aveva stretto una spalla, e finalmente Ron
aveva sorriso. “Forza,
andiamo a far cantare qualche uccellino.”
“…
Come?” l’aveva guardato confuso. Harry aveva
sbuffatto divertito: undici anni
passati trai babbani, più svariate estati, non erano facili
da lasciare alle
spalle.
A
volte sentiva la nostalgia di Privet Drive e le sue ordinate villette a
schiera,
per quanto gli sembrasse assurdo.
“Niente,
è solo un vecchio modo di dire.”
Era
quello il suo mondo ormai.
****
Un
uomo era volato fuori da un vicolo, atterrando con un tonfo sordo di
fronte a
un negozio che esponeva una nutrita collezione di mani umane,
rattrappite in
svariate e raccapriccianti. forme.
L’uomo,
Jogson, aveva provato a rialzarsi e ad afferrare la bacchetta sotto la
giacca
stazzonata.
“Expelliarmus!”
La bacchetta era volata lontano, con un’imprecazione da parte
del suo
proprietario.
“Te l’avevo detto che non avrebbe
collaborato…” Aveva sbuffato Ron, uscendo dal
vicolo, e raccogliendo la bacchetta, mettendola al sicuro dentro al
mantello.
“Quella
è la mia bacchetta
bastardo!”
“Ah sì? A me sembra di averla raccolta per terra,
invece…” aveva replicato Ron
con un sorrisetto. Harry guardava l’uomo seriamente, invece:
non gli piaceva
usare la forza, specie con supposti, leali, informatori. Ma quel tipo
gli era
sembrato un po’ troppo guardingo e ansioso di parlare con
Paulson invece che
con loro.
Jogson nascondeva evidentemente qualcosa. E con la sua propensione al
firewhiskey,
il buon uomo di Leeds non l’aveva notato.
Ad
Harry Potter non piaceva usare la forza, no, ma non era neppure un
santo. E lì
si stava parlando di un mangiamorte in fuga da otto anni, che si era
macchiato
di omicidi efferati durante l’ascesa di Voldemort, e che
stava, peraltro,
continuando ad uccidere, seminando cadaveri durante la sua fuga.
“Jogson,
non ci piace perdere tempo. Dov’è
Coleridge?”
“Come ve lo devo dire, in serpentese?! Non lo so, dannazione!
L’ho perso,
perché quel bastardo di Nutt mi ha fermato prima che potessi
andargli dietro!”
Harry si era guardato attorno: nessuno dei passanti sembrava stare
notando la
scena, né sembrava darle importanza. Gli auror in quel
quartiere non erano ben
visti, ma venivano generalmente temuti. Dopotutto erano la polizia del
mondo
magico.
Si
era chinato sull’uomo, che puzzava di alcohol scadente.
“Non ti credo, Jog. Non c’è nessun
valido motivo per cui un uomo sveglio come
Coleridge si faccia vedere con il suo vero aspetto qui, a Londra. Puzza
tanto
di depistaggio…”
“Già.” Aveva convenuto Ron
torvo,incrociando le braccia al petto. “Quanto ti ha
pagato quel figlio di cagna, per dirci questa stronzate?”
L’uomo aveva inspirato, distogliendo per un attimo gli occhi
da quelli verdi di
Harry.
Era
bastato.
“Quanto?” aveva
chiesto con tono
fermo. “Se confessi potrai avere una pena minore. Forse
riusciremo persino a evitarti
Azkaban.”
L’uomo
era impallidito, serrando le labbra sottili e rovinate. Anche se
Azkaban, sotto
il ministero di Kingsley, non aveva più i dissennatori
rimaneva comunque ciò
che era.
Una
prigione.
“Cosa? Non ho fatto niente!”
“Hai dato informazioni volutamente sbagliate
ad un auror del ministero, amico… a casa mia si chiama
depistaggio. E viene
punito duramente.” aveva sbottato Ron, irritato.
“Quindi ti conviene parlare, o
ti portiamo direttamente a Heligoland per un soggiorno gratis. Ti
piacerebbe
una bella cella umida con vista sul mare del Nord?”
L’uomo aveva ringhiato frustrato.
“Mi
ammazzerà!”
Harry l’aveva afferrato per un braccio, tirandolo su con uno
strattone che
l’aveva fatto lamentare. “No, non ci
provare… non funzionano con me certi
trucchetti.” L’aveva avvertito. “Chi? Chi
ti ammazzerà?”
“Mi
farà fuori, vi dico… vi prego, lasciatemi andare.
Sono solo un povero vecchio.
Ho combattuto dalla parte giusta, durante la seconda guerra magica,
sapete?
Sono solo un povero vecchio…”
“Finiscila.” L’aveva zittito Harry
strattonandolo. “Quello che hai fatto in
passato non giustifica aver coperto un mangiamorte latitante.
Perché è quello
che hai fatto, non è così?”
La faccia dell’uomo si era accartocciata. Era scoppiato in
lacrime, sottili,
che colavano lungo il viso trascurato.
“Mi
ha costretto… mi ha costretto! Mi ha detto che mi avrebbe
cruciato. Oh, voi
sapete come sono quelle maledizioni… sono orribili,
orribili! Vi prego,
proteggetemi… tornerà a cercarmi, lo so, e mi
ucciderà! Mi ucciderà!”
Si era gettato ai piedi di Harry, che l’aveva guardato diviso
tra la pena e il
disgusto.
“Forse
è meglio portarlo in ufficio e fargli dare una calmata. Mi
sa che stiamo dando
un po’ troppo nell’occhio,
Harry…” aveva mormorato Ron, avvicinandoglisi.
“Sì, hai ragione. Ti proteggeremo,
Jogson… ma tu dovrai parlare.” Gli aveva
intimato, prima di afferrarlo per un braccio. Si erano smaterializzati,
lasciando
la strada vuota, spazzata da una lunga folata di vento dicembrino.
Quando
erano apparsi, accompagnati da Jogson, l’ufficio era occupato
solo dal buon
irlandese, che stava scrivendo il rapporto
sull’interrogatorio di Paulson.
Quest’ultimo, fortunatamente, era uscito a pranzo, e
probabilmente anche Stump.
Ad Harry non sarebbe piaciuto dover sottilineare l’errore del
suo sottoposto
più anziano.
“Ehi, ma questo non è Jogson?”
“Lui in persona. Fagli un the, per favore Liam.”
Harry aveva aiutato l’uomo a
sedersi sulla sedia dietro la sua scrivania. Sembrava essere
invecchiato di
dieci anni, e la cosa non aveva certo aiutato la sua già
smunta figura.
È
terrorizzato.
Comprensibile. Un ex-mangiamorte è pur sempre un
mangiamorte. Un suffisso non
dequalifica un assassino.
Si
era appoggiato al bordo del tavolo, posandoci le mani.
“Allora… raccontaci
tutto dall’inizio.”
L’uomo,
con una tazza di the bollente tra le mani, aveva esitato. Ma poi, sotto
lo
sguardo torvo di Ron e Harry si era deciso a vuotare il sacco.
“Mi
ha avvicinato due settimane fa. Ero fuori dal Black Goose a bermi un
goccetto,
quando mi si avvicina un bel ragazzo, biondo, pulito. Del genere che di
solito
non frequenta certi posti. Mi chiede se non sono un Jogson.
Sì, gli dico io, in
persona. Mi dice che ha conosciuto mio fratello, Ernie, e comincia a
dirne un
gran bene… dice che era molto amico di suo padre.
Chiacchieriamo e mi offre un
sacco di bicchierini. Un tipo simpatico, sembrava. Poi mi chiede di
seguirlo
nel retro, che vuole parlarmi di affari. Sapete, io scommetto su un
po’ di
cosette e… beh. Gli chiedo se vuole piazzare una scommessa e
a quel punto mi
punta la bacchetta alla gola. Dal nulla, ma io ero ubriaco, e senza
bacchetta.
Sapete, mi capita di lasciarla spesso al bancone quando alzo un
po’ il gomito…”
ammette con un sorriso sbilenco.
Ron
aveva fatto una smorfia.
“Geniale
Jogson… Notturn Alley è proprio il posto giusto
dove scordarsela.”
“Ehy,
io conosco i ragazzi del Goose, sono gente in gamba! Non mi
torcerebbero un
capello!”
“Dei veri maghi gentiluomini…”
“Ron,
fallo continuare…”
“Beh, a quel punto mi dice che devo dire quel che ho detto al
vecchio Paulson.
Cioè che l’avevo visto materializzarsi vicino a
Magie Sinister, e poi entrare
al Goose.” Aveva obbedito, lanciando un’occhiata
soddisfatta a Ron. “Io gli
dico, amico, ma di chi parli? A chi dovrei dirlo? Lui mi dice che sa
che sono
un informatore per gli auror. Mi dice anche che mi
ammazzerà… e lo ripete un
sacco di volte. Un sacco e… ma che se lo farò,
lui mi ricompenserà.”
“Monete?” aveva chiesto Harry, corrugando le
sopracciglia. L’uomo aveva sorriso,
sinistramente.
“Oh,
no, molto meglio. Io glielo giuro… e allora…
allora… lui tira fuori la
bacchetta e… pronuncia qualcosa, un incantesimo. Pensavo
volesse ammazzarmi, ed
ho cominciato ad urlare, ma… La mia gamba non funzionava
più, dopo la guerra.
Mi è rimbalzata addosso una maledizione senza perdono,
già… e da allora non si
muoveva. E adesso non zoppico più. Già.
L’ha guarita! Quei cretini del San
Mungo dicevano che non sarebbe più tornata come prima!
L’ha guarita!”
Ron aveva guardato Harry perplesso.
Se
al San Mungo non
hanno potuto fare niente… che diavolo di incantesimo ha
usato Coleridge?
“Sai
dov’è adesso?”
Jogson aveva fatto un sorrisetto amaro. “E crediate che me
l’abbia detto? No di
sicuro, non siamo mica compagni di bevute. Ma il vecchio qua non
è stupido…” si
era picchiettato la fronte “… Ed adesso ha le
gambe funzionanti. Sissignore.
Così quando se n’è andato ho aspettato
un po’, e poi l’ho seguito.”
“E
dov’è andato?” aveva mormorato Harry,
attento. L’altro fa un sogghignetto.
“Cos’ho in cambio?”
“Razza di bastardo, ringrazia che non ti spediamo in
direttissima a Azkaban!” aveva
sbottato il rosso furibondo. “Parla, punto e basta!”
“Niente
Azkaban… se parlerai faremo in modo che nessuno sappia che
hai dato
informazioni fallate ad un auror sotto… consiglio,
diciamo, di un mangiamorte…”
“E
riavrò la mia bacchetta?”
“Lurido scarto di…”
“Riavrai la tua bacchetta.” Aveva confermato Harry,
sebbene a malincuore.
L’uomo
aveva valutato la proposta, o così sembrava, poi aveva fatto
una smorfia, annuendo.
“È entrato in una vecchia casa disabitata, a pochi
isolati dal Goose. Penso si
stia rifugiando lì. Di posti fatiscenti a Notturn Alley ce
ne sono un sacco, e
nessuno ti viene a chiedere l’affito.” Si era
cercato nelle tasche della
vecchia giacca, poi aveva sbuffato. “Se mi date un pezzo di
carta vi scrivo
l’indirizzo.”
****
“Ci
siete? Al mio segnale entriamo dentro. Non sappiamo dove esattamente si
è
rifiugiato, e se irrompiamo potrebbe avere il tempo di
fuggire.”
Harry era acquattato assieme alla sua squadra dietro un vicolo che dava
su una
serie di tristi palazzi vittoriani, che avevano l’aria di
stare per implodere
su se stessi da un momento all’altro. Gli ricordavano
Grimmauld Palace. In
effetti, riuscivano persino ad essere una brutta
copia di Grimmauld Palace: addossati gli uni agli altri
ospitavano una
masnada di disperati, di maghi e streghe falliti. Un tempo forse lo
stesso
Voldemort aveva abitato lì, quando ancora era Tom Riddle.
Sto
pensando un po’
troppo a lui oggi. È per via del sogno. È
sicuramente per via di quello.
Spesso
sì, gli capitava di sognarlo. Come gli capitava di rivivere
la battaglia finale,
gli amici morti, i tanti e dolorosi funerali.
Ma
erano sogni nebulosi, sfilacciati, da cui si svegliava con le lacrime
agli
occhi, cercando il caldo corpo della moglie. Non erano reali.
Quel
sogno invece l’aveva lasciato lucido e con una brutta
sensazione, che ancora
non l’aveva del tutto abbandonato.
Anzi,
forse si era acuita.
“Capo…
tutto okay?” aveva sussurrato Flannery, che gli era spalla
contro spalla. Harry
si era riscosso.
“Sì… scusate. Stavo solo pensando a
come entrare senza farci vedere
dall’interno della casa. Non sarà
facile.”
“Materializzandoci?”
“Non conosciamo l’interno della casa,
Stump.”
La ragazza era arrossita. “Già, hai
ragione…”
Ron aveva sorriso, tirando fuori quello che sembrava un accendino.
Harry
aveva ridacchiato.
“Pensavo l’avessi perso…”
“Un regalo di Silente? Scordatelo… e poi questo
piccolino c’è stato utile tante
volte, non credi? Solo, non è una cosa che uso proprio tutti
i giorni, ecco…”
“Che cavolo ci fai con un accendino Weasley? Ti pare il
momento di fumare?”
aveva borbottato Paulson, che era nato babbano.
Ron l’aveva guardato perplesso. “Non è
un ACCENDino. Spegne le cose, non
le accende!”
“Fagli vedere, Ron.” Aveva riso sotto i baffi
Harry.
Il
ragazzo aveva fatto scorrere il pollice lungo la pietra focaia, ed
improvvisamente tutte le luci della stradina angusta erano state come
ingiottite dal buio.
Paulson
aveva trattenuto un’esclamazione.
“Deluminatore. Non accende, spegne.” Gli aveva
spiegato soddisfatto Ron.
“Adesso andiamo, forza.” Li aveva richiamati
all’ordine, prima che Flannery
potesse fare ulteriori domande. Si erano mossi silenziosamente lungo il
muro
del palazzo, prima di avvicinarsi al vecchio portone, vetusto ma
resistente.
Aveva estratto la bacchetta.
“Alohomora.”
La
porta si era aperta con un leggero cigolio, liberata dal pesante
lucchetto che
la teneva chiusa. Era spirata una lieve folata d’aria, dal
sentore di chiuso e
urina di topo. Flannery aveva fatto una smorfia disgustata.
“Niente commenti…” aveva sussurrato
Harry, ammonitore.
Non
riusciva ancora a capire perché Coleridge avesse deciso di
tornare a Londra.
Era un fuggitivo, braccato dalla comunità magica
internazionale: perché tornare
nel posto meno sicuro per lui al mondo?
Forse,
come aveva suggerito Ron, poteva essersi stancato di fuggire in paesi
stranieri. Poteva mancargli l’Inghilterra. Erano stati
esposti un sacco di
motivi, ma Harry non ne trovava valido neppure uno.
A
meno che non sia
tornato per qualcosa. O qualcuno.
Non
sapeva se Coleridge aveva famiglia, ma per rischiare così
tanto doveva avere un
ottimo motivo.
E
poi c’era un’altra domanda che tormentava Harry:
perché far dire a Jogson che
era a Notturn Alley? Non era un depistaggio quello. Era buttarsi tra le
braccia
del nemico.
Tutto
questo non ha
senso…
Avevano
salito le scale, attenti a non fare il minimo rumore: Coleridge, se
c’era,
doveva essersi accorto dell’improvviso blackout, e temeva che
fosse abbastanza
intelligente da capire che non era stato casuale.
“Bacchette alla...”
“AVADA
KEVADRA!”
Prima
che potesse terminare la frase un fascio di luce verde
l’aveva quasi preso di striscio.
Si era buttato contro il muro, fortunatamente seguito dagli altri.
“Certo
che sono proprio monotoni…” aveva sibilato
Flannery, con un sogghigno.
“LUMOS!”
aveva gridato Harry e
il globo
di luce per un attimo aveva illuminato il fuggitivo. Coleridge era un
uomo di
quarant’anni, atletico, dal sangue freddo, almeno a giudicare
dalle foto del
suo dossier al ministero.
Quello
che aveva visto per una frazione di secondo, prima che scappasse lungo
il
corridoio del secondo piano, ne sembrava l’ombra. Si teneva
una mano sotto il
braccio, impedita. Reggeva infatti la bacchetta con la mano sinistra.
Harry
ricordava nitidamente non fosse mancino.
Questo
spiega la
pessima mira…
“Andare
all’estero fa male…” aveva replicato
Flannery seguendo a breve distanza Harry,
che si era lanciato al suo inseguimento. “Cara buona vecchia
Inghilterra!”
Harry aveva represso una risata, per non far indispettire Ron, che
sembrava
aver preso poco bene la retrocessione a guardaspalle della fila.
Imboccate
le scale del terzo piano l’avevano di nuovo avuto davanti.
Sembrava si muovesse
lentamente, impacciato o impedito da qualcosa.
“Stupeficium!”
aveva gridato Harry,
ma un protego da parte di Coleridge
aveva
vanificato il suo attacco.
“Perché non si smaterializza?!” era
stata Stump, a chiederlo, ansimando per la
corsa.
Già,
perché? È
stato lui a prenderci di sorpresa, non viceversa. Ci ha sentito
arrivare,
eppure non è scappato come ha sempre fatto.
Non
appena l’uomo aveva voltato il corridoio, e il rumore sordo
di una porta che si
chiudeva rimbombava nell’edificio, Harry aveva capito.
“Sta cercando di portare via qualcosa!” aveva
gridato alla sua squadra, prima
di scattare verso la porta e aprirla con un calcio. Non molto magico,
ma veloce
ed efficace.
L’uomo
era chinato su un cassetto, e stava tenendo tra le braccia una mole
ingombrante,
dando loro le spalle.
“Stupefi-!”
Non era riuscito a terminare neanche stavolta. L’uomo aveva
estratto la
bacchetta. L’aveva guardato negli occhi. Aveva occhi folli,
da invasato.
“Ardemonio!”
aveva urlato e dalla
bacchetta si erano sprigionate fiamme dense, nere, che avevano invaso
la stanza
lurida e ingombra di pergamene e libri.
“Maledizione!”
aveva urlato. “Tutti fuori di qui!”
Conosceva
quell’incantesimo. Tiger l’aveva evocato otto anni
prima, nella Stanza delle
Cose Nascoste, venendone coinvolto lui stesso. Ed era quello che stava
accadendo all’ex-mangiamorte, tra le sue urla scomposte.
Per
quanto ne sapeva, non c’era un incantesimo in grado di
fermare quel rogo
impazzito.
“Harry, vieni via!” aveva urlato Ron dalla porta.
“Vieni via!”
Il giovane uomo si era guardato attorno. Tutti gli appunti, i libri di
Coleridge, le prove, stavano
venendo
corrose dall’incantesimo. Aveva tossito, indietreggiando
verso la porta.
Poi
l’aveva sentito. Un vagito, singolo, forte. Seguito da altri.
Il pianto di un
bambino.
“HARRY, VIENI VIA!”
continuava ad
urlare l’amico, pronto a scattare e portarlo via di peso, se
fosse stato
necessario.
“C’è un bambino!”
aveva replicato,
cercando l’origine di quel pianto. L’aveva trovata
proprio nel cassetto su cui
era chinato l’uomo, ora accartocciato in un angolo, avvolto
nelle fiamme.
C’era davvero un bambino, avvolto malamente in una coperta
sudicia, che
strillava a pieni polmoni. Un neonato. Senza esitare l’aveva
preso in braccio,
stringendoselo al petto.
Quello che fino a poco prima era stato Coleridge, e adesso era una
massa
contorta di carne bruciata, aveva ghignato ferocemente, nei suoi ultimi
istanti
di vita.
“Il Signore Oscuro
risorgerà…” aveva sibilato.
“HARRY!”
L’aveva guardato un’ultima volta, prima di
afferrare la mano dell’amico e
smateriallizzarsi dal palazzo in fiamme.
****
La
squadra guardava le rovine del palazzo bruciare, impotenti. Di
lì a poco
sarebbero arrivati i rinforzi, e sarebbe stato domato
l’incendio che ne
consumava le fondamenta. La povera gente di Notturn Alley era uscita in
strada,
spettatrice passiva di quel terrificante spettacolo.
“…
È assurdo.” Aveva mormorato Stump. Sembrava la
più scossa di tutti, ed aveva
accettato con gratitudine la fiaschetta di whiskey irlandese, di
fattura
babbana, che Paulson le aveva porto: era comprensibile del resto.
Quella era la
sua prima missione, e aveva visto morire un uomo in modo atroce.
“Già, è proprio senza senso. Coleridge
ha passato otto anni a scappare come una
lepre, ed ha deciso di ammazzarsi in un modo del tutto idiota. Sarebbe
potuto
scappare. Avrebbe potuto farlo. Perché non l’ha
fatto?” Flannery sembrava
parlare per tutti. Ron si era seduto sul marciapiede, sospirando.
“Forse
era stanco… una vita passata a fuggire. Che razza di vita
è?”
“Ma ammazzarsi così… avrebbe potuto,
chessò, buttarsi dalla finestra.”
“Voleva
che tutto quello che c’era in quella stanza venisse con
lui.” Harry teneva tra
le braccia il bambino che piagnucolava. Sembrava illeso. Si
soffermò a
guardarlo meglio ora che erano al sicuro: non poteva avere che pochi
giorni.
Era innaturalmente piccolo, gracile, forse prematuro. Aveva la
testolina
coperta di una leggera lanugine nera e gli occhi aperti, di un denso
color
cobalto.
“Ma questo bambino…” aveva borbottato
Paulson. “Da dove diavolo spunta?”
“Non
ne ho idea… era in un cassetto… dentro
un cassetto, a dire il vero.”
“Un
bambino in un cassetto? Oh, povero piccolo…” Stump
si era avvicinata, e aveva
teso le mani, ma quando Harry aveva provato a passarglielo il bambino
aveva
protestato vivacemente con un urlo.
“Oh, ehi! Tienilo tu, amico. Di urla per stasera ne ho fatto
il pieno.” Aveva
borbottato Ron, grattandosi la folta capigliatura rossa.
“Sarà suo figlio?
Voglio dire… era figlio di quel bastardo?”
“E la madre?”
“Mah… forse un troll.”
Avevano
riso. Non era una battuta particolarmente brillante per i soliti
standardi di
Ron, ma avevano tutti bisogno di sciogliere la tensione.
“Sarà
ferito… dovremmo portarlo al San Mungo.” Aveva
suggerito la parte materna di
Stump. Harry aveva scosso la testa.
“Potrebbe essere una prova.”
“Harry, è un bambino!”
Negli anni Ron
aveva preso alcuni modo di fare della moglie, per una sorta di osmosi
dei
sentimenti. Quella era la tipica faccia che avrebbe fatto Hermione,
indignata e
densa di proteste sottointese. Per un attimo Harry pensò di
farglielo notare,
ma poi lasciò perdere.
“Lo
so, Ron… ma Coleridge stava cercando di nasconderlo, quando
siamo arrivati.
Significa che era importante per lui. E che forse è il
motivo per cui è tornato
a Londra ed ha deciso di nascondersi qui. Diagon Alley con i suoi
negozi sono
dietro l’angolo. E un bambino ha bisogno di latte, ricambi,
cure.”
“Però almeno controlliamo, se non ha qualche
ferita…è stato tenuto in un cassetto,
e chissà per quanto tempo!”
aveva protestato con un’insolita decisione Art.
Harry
aveva sospirato, ma capiva benissimo la reazione della ragazza. Aveva
liberato
il bambino dalla coperta, rivelando il corpicino magro e…
“Ma…”
“Non ha l’ombelico!” aveva sbottato
Flannery incredulo.
In
effetti, il pancino del bambino non presentava alcun segno, era liscio
e…
“Miseriaccia.”
Aveva borbottato Ron arruffandosi i capelli. “Beh, e adesso
cosa…?”
…
Facciamo?
Dovevano
decidere, ed in fretta. Tra poco sarebbero arrivate altre squadre sul
posto e ci
sarebbero state richieste di spiegazioni, avrebbero dovuto stilare un
rapporto,
e visto la natura del ritrovamento del neonato probabilmente sarebbe
stato
esaminato: se non altro perché aveva una caratteristica ben
più evidente di…
una cicatrice, ad esempio, a forma di saetta.
Verrà
portato via.
Del
resto era questa la procedura.
Harry
aveva guardato negli occhi i compagni. Aveva legato con quella squadra,
con
ciascuno di loro, in quegli anni di duro lavoro. Era entrato a
diciassette anni,
poco dopo la guerra, e non aveva mai smesso di lavorare. Più
che un lavoro,
quello per lui era una vocazione.
Essere
un auror non era più facile che essere un poliziotto nel
mondo babbano. La vita
dura e i sacrifici erano molti. Le soddisfazioni, poche. E quella notte
erano
stati loro a scovare Coleridge. Ad
assistere al suo assurdo suicidio. A trovare quel bambino.
Flannery
aveva aperto bocca per dire qualcosa, ma l’aveva
immediatamente richiusa:
sembrava che l’imponente irlandese non sapesse bene cosa dire
per la prima
volta in ventun’anni di vita.
“Portiamo
il marmocchio in ufficio.” Aveva borbottato Paulson,
sbrigativo come sempre.
Stump
si era schiarita la voce timidamente.
“Sì… avrà fame.”
Harry aveva tra le braccia il bambino. Sentiva il suo corpicino, caldo,
vivo,
muoversi e respirare. Forse complice il fatto che di lì a
pochi giorni sarebbe
divenuto padre, un sentimento forte, impossibile da reprimere, gli era
scoppiato nel petto.
Protezione.
Quel bambino avrebbe potuto essere suo figlio, e doveva essere
protetto. Dalla curiosità
e da braccia estranee.
“Va
bene. Andiamo.”
****
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Capitolo 3 *** Ricordi - Parte II ***
Prologo
(III parte)
19
Dicembre 2006.
Ufficio
Auror, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
“Certo
che mangia il piccoletto, eh?” aveva commentato bonariamente
Flannery.
Si
erano
materializzati davanti ai bagni pubblici, dove c’era
l’entrata per il ministero
della magia, l’entrata per gli addetti perlomeno. Da
lì era stata una corsa per
non farsi scoprire dai colleghi: fortuna voleva fosse quasi ora di
cena, e si
trovavano in quel lasso di tempo in cui chi doveva andarsene se
n’era già andato,
e quelli del turno serale dovevano ancora attaccare.
Harry
teneva tra le braccia il bambino, che succhiava soddisfatto il latte
che Stump
si era incaricata di comprare ad un supermercato babbano di fronte al
Ministero. Aveva trasfigurato un calamaio in un biberon e adesso tutti
assistevano rapiti, compreso Paulson, al pasto del bambino.
“E’
veramente
minuscolo…” aveva borbottato
Ron. “Jamie non era così piccolo
quand’è nato, eh?”
“No,
in effetti… credo sia denutrito, o forse addirittura
prematuro.”
“Un
bambino dovrebbe pesare circa tre chili.” Aveva borbottato
Paulson,
scolandosi l’ultimo goccio della fiaschetta.
“Questo
ragnetto ne peserà al massimo due!” aveva
sghignazzato Flannery,
beccandosi un’occhiataccia da Ron.
“Non
è un ragnetto.”
Aveva replicato
il rosso, irritato dall’accostamento tra la sua
più grossa paura e il
trovatello.
Harry
aveva sospirato, posando il biberon, e mettendosi la testolina del
bambino posata sulla spalla per farlo digerire.
“Lei
è proprio un papà, capo.” Aveva
esclamato colpito Flannery.
Aveva
sorriso, inorgoglito. “Ho fatto pratica con quella carognetta
di mio
figlio… non sta certo buono come…”
Silenzio.
“Come…
lui.” Aveva concluso,
imbarazzato.
Stump
si era schiarita la gola. “Ehm… ma non ha un
nome… no?”
“No,
ma non credo sia il caso di dargliene uno.” Li aveva
anticipati. “Prima di
tutto perché potrebbe già averlo, nel caso
Coleridge l’abbia rapito alla sua
famiglia… e comunque… non voglio che vi
affezionate a lui, ragazzi. Dovremmo
comunque segnalarlo al San Mungo. Se l’abbiamo portato qui
è stato solo perché
aveva bisogno di mangiare e stare fuori dal casino per un
po’…”
I
quattro compagni di squadra l’avevano fissato silenziosi.
“Harry,
ma tu ci credi veramente a quel che dici?” era sbottato Ron,
burbero. “Non vorrai
mica affidarlo a qualche medimago del cavolo, che lo
schiafferà chissà dove, da
solo, in attesa che qualcuno gli faccia gli esami e lo studi
perché… insomma, è
senza…?”
“Ragazzi,
è questa la procedura.”
Ancora
silenzio.
Li
aveva guardati: erano brave persone e capiva il loro punto di
vista… Però…
Fare
ciò che si ritiene giusto o
ciò che si deve?
Questione
annosa
da dipendente pubblico. Magico e non.
Stump
si
era messa le mani sui fianchi. “Capo. Lei sta per avere un
bambino, come
Weasley… Lascerebbe suo figlio nelle mani di sconosciuti,
affidato ad una sorte
incerta? Voglio dire… sappiamo come vanno queste cose. Diamo
il bambino al San
Mungo, facciamo il nostro rapporto al dipartimento, e adieu,
storia finita. Non potremo più vederlo. Né avere
sue notizie.
E… non è giusto.”
Aveva concluso, con
il viso acceso e la voce che tremava.
Harry
le
aveva sorriso.
Se ci fossero state auror come Stump
quando mi hanno portato via da casa dei miei genitori chissà
se le cose
sarebbero state diverse.
Probabilmente
no: Silente avrebbe comunque preso in mano la situazione ed avrebbe
deciso di
spedirlo lo stesso dai Dursley.
“Hai
ragione Art. Ma tranne nasconderlo da qualche parte non mi vengono in
mente
altre soluzioni… e sai, sarebbe, come dire… illegale.
E considerando che noi siamo tutori della legge
magica…”
La
ragazza si era morsa le labbra, annuendo.
“Sì… ma ci deve essere pure un
modo per aggirare la procedura!”
Flannery
l’aveva guardato, leggermente titubante.
“Capo… lei conosce un sacco
di gente ai piani alti, voglio dire… lei è Harry
Potter…” Occhiata alla sua cicatrice.
“Non potrebbe…?”
Ron
aveva schioccato le dita. “Cavolo Harry, Flannery ha ragione!
Possiamo
scavalcare il diparimento e chiedere direttamente…
direttamente… a Kingsley!”
“Kinglsley
Shacklebolt?” aveva esalato Stump. “Il primo
ministro?”
Harry
aveva accennato un assenso, pensieroso. Certo, non era corretto, ed era
abusare chiaramente della sua posizione… ma Royal¹
non avrebbe rifiutato un incontro con lui.
Paulson
li aveva guardati. “Il primo ministro? Per chiedergli cosa?
Se possiamo
inscenare tre scapoli e un bebè?”
aveva borbottato.
Tutti
l’avevano guardato perplessi, meno Harry che aveva represso
una risatina.
“E’
un
vecchio film babbano… mia madre ne andava pazza.”
Aveva confessato infastidito.
“Comunque, non possiamo certo occuparcene noi.”
“No,
questo è vero…” aveva confermato Harry.
“Ma potremo evitare al bambino esami e
trafile burocratiche che lo confonderebbero e lo spaventerebbero.
Potremmo
anche… controllare, a
chi verrà
affidato.”
Ron
aveva sorriso: ora sì che riconosceva il suo vecchio amico!
Mai tirarsi
indietro, quando c’era da aiutare qualcuno, specie un
innocente. Hermione a
volte ventilava l’ipotesi che quello non fosse altruismo,
quanto piuttosto un
certo egocentrismo, ma in fondo, accidenti, era il Prescelto!
“Io
sono
d’accordo!” aveva esclamato infatti, dandogli una
pacca sulla spalla. Il
bambino, disturbato dal movimento, si era messo a piagnucolare.
L’uomo allora
l’aveva cullato gentilmente, facendolo smettere quasi subito.
“E’
un
marmocchio in gamba… non piange granchè, dico,
per aver passato quell’inferno…”
aveva proferito Paulson, con un inattesa benevolenza. “Voglio
dire, quel figlio
di cagna di un mangiamorte non doveva essere il paparino
dell’anno.”
“Già…”
Harry gli aveva accarezzato la testolina. “Comunque per
stasera è meglio
mettersi d’accordo così. Il bambino lo
porterò con me alla Tana, e domattina
chiederò un colloquio con il primo ministro, al Paiolo
Magico.”
“Come
mai proprio lì? È una
locanda…” Art sembrava perplessa.
“Perché
se gli chiedessi un colloquio ufficiale sarebbe difficile spiegare ai
suoi segretari il motivo della visita. È una nostra vecchia
abitudine, Art, in
voga durante il ritorno di Voldemort…” le aveva
spiegato con un sorrisetto
ironico. Ricordava ancora i suoi incontri con l’allora
ministro Caramel.
Decisamente spiacevoli.
La
ragazza aveva annuito. “Allora io resto a compilare il
rapporto. Liam,
rimani con me?”
“Sicuro
dolcezza.”
“Vi
terrò informati ragazzi. In gamba, e buonanotte.”
****
Harry
e
Ron sapevano che sarebbero stati accolti da ben due
esemplari di moglie inferocite. E perlopiù, incinta.
Si erano guardati con muto e
fraterno sostegno, prima di varcare la porta di casa.
“Vi
sembra questa l’ora di tornare?” Aveva iniziato
Ginny, con le mani sui
fianchi, in una perfetta imitazione di Molly Weasley. Semplicemente
terrificante. Aveva visto il migliore amico farsi piccolo piccolo
davanti a
lui.
“Sono
le nove passate, sbaglio o il vostro turno finisce vediamo… tre ore fa?! E neanche un gufo,
né un
messaggio con la metropolvere!”
“Volete
mandarci una strillettera?” aveva proposto Ron, frapponendosi
con la
sua mole tra le donne e il bambino. Una cosa per volta. Prima calmarle,
poi
mostrarle il risultato dell’impresa pomeridiana.
Hermione
aveva alzato gli occhi al cielo. “Santo cielo, Ronald! A
volte sei
così … così…”
“Adorabilmente
canaglia?” aveva proposto.
“Stavo
per dire idiota, veramente.”
“Ah…”
Silenzio “Ehi!”
Harry
aveva spostato l’amico, mostrandosi alle due donne.
“E
tu…” Ginny era rimasta con il dito a
mezz’aria. “Aspetta, ma… Quello
è… è…
un?”
“Neonato.
Bambino. Infante.” Aveva snocciolato Ron con aria petulante.
“Sì,
sorellina. Ed anche il motivo del nostro ritardo.”
“Che
ci fate con un bambino?”
aveva
mormorato perplessa Hermione.
“Avranno
finalmente deciso di adottare. Me lo aspettavo, a dire la
verità, da
molti anni…” Ginny si era fatta ironica: una volta
passato lo sgomento era la
regina delle riprese mentali.
“Oh,
dai
Gin!” aveva borbottato il rosso, senza capire il sottointeso,
come invece aveva
fatto Harry, impallidendo leggermente all’immagine mentale
propinatagli.
Hermione
aveva incrociato le braccia al petto, per nulla divertita dalla
situazione.
“Ronald
Weasley. Cosa ci fate tu e…”
“Harry
Potter…” le aveva suggerito con un sorrisetto
l’amico, immediatamente
fulminato.
“…
e Harry…”
Aveva ripreso con
un’occhiata ammonitrice. “… con un
bambino in braccio? Di chi è, prima di
tutto?”
“L’abbiamo…
ecco, trovato.” Ron si era schiarito la voce.
“Potremmo entrare in
casa? Fuori è un tempo da troll, si gela!”
Le
due donne si erano guardate, poi Hermione aveva fatto
un’imperioso cenno
affermativo.
La
porta era stata chiusa e i due mariti fatti accomodare in salotto.
Harry
continuava a tenere tra le braccia il bambino, che coperto dal mantello
dell’uomo,
dormiva placidamente.
“Questo
bambino.” Affermazione da parte di Hermione.
“Eravamo
in missione… stavamo tentando di catturare un
ex-mangiamorte, un tipo
latitante da anni. L’abbiamo preso, ma quello si è
ammazzato prima che potessi
capire che diavolo ci faceva con lui…” Ron aveva
indicato il piccolo. “… Ecco
tutto. Non è che l’abbiamo rapito o cosa, cacchio,
Herm!”
La
giovane l’aveva guardato severamente, ma dopo pochi attimi le
si era addolcito
lo sguardo. L’aria arruffata e confusa di Ron aveva il potere
di irritarla e
intenerirla in misure uguali.
“Così
l’avete salvato da quel tipo…” ci aveva
riflettuto un po’, poi aveva
snocciolato a raffica, con naturalezza. “Ma, correggetemi se
sbaglio, la
procedura impone, in caso di coinvolgimento di minore, di portarlo al
San Mungo
per essere identificato e riportato alla famiglia, o in caso non ne
avesse una,
dato in affidamento.”
Ineffabile
Hermione: impossibile fregarla.
Harry
si era umettato le labbra: c’erano dei momenti in cui una
burrobirra gli
sembrava quasi d’obbligo. Ma aveva le mani ingombrate da quel
frugoletto e non
poteva certo chiedere alla moglie di andargliene a prendere una in
dispensa.
Probabilmente
gli avrebbe staccato la testa.
“Già…
ma…” Ron aveva guardato disperato
l’amico, in cerca d’aiuto.
Harry
aveva
tirato fuori il sorriso più innocente e spensierato del suo
repertorio, a dire
il vero non granchè ampio.
“Così
abbiamo deciso di portarlo con noi. Non ci fidavamo a lasciarlo da
solo…”
“Da solo? Non dovevate fargli
prendere un treno, dannazione, Harry!” era sbottata Hermione,
mentre Ginny lo
guardava incredula. “Avete volontariamente occultato un
minorenne, anzi, un
neonato, ignorando la procedura!
Siete impazziti per caso?”
Ron
era arrossito, torcendosi le mani. “Non potevamo lasciarlo da
solo! È così
piccolo dannazione, e guardatelo! Sembra…
sembra…”
“Un
ragnetto.” Aveva suggerito Harry.
“Un
ragnetto no!” replica furibonda. “Sembrava mezzo
morto, ecco… e sbatterlo
subito in mezzo ad una corsia, con gente che urla, ferite ovunque, e
con un
personale che se ne frega di un bambino perché ha troppo
lavoro, ecco…” Si era
fermato, sprofondando in un cipiglio cupo, prima di concludere.
“Non ci
sembrava giusto.”
Le
due
donne si erano guardate brevemente, poi Hermione aveva messo una mano
su quella
del marito, parlandogli con dolcezza.
“Ron,
capisco cosa provi… tra pochi mesi avremo una
bambina… è chiaro che avete
pensato entrambi a questo, quando avete deciso di mettervi nei guai, come vostro solito.”
Frecciatina
obbligata. “Ma non è così che si
fa… al San Mungo c’è un ottimo
personale
medico, attento e scrupoloso. Non verrebbe abbandonato a se stesso, ma
nutrito
e curato.”
Harry
aveva esitato, poi aveva liberato il bambino dal mantello, mostrandolo
alla moglie e alla migliore amica.
“Io
non
credo che sarebbe stato così semplice se avessero visto
questo…”
Hermione
era scattata in piedi, mentre Gin era impallidita, sconcertata.
“Dov’è…”
Hermione
l’aveva persino cercato con lo sguardo, scettica fino
all’ultimo.
“Dov’è
il
suo ombelico?” Ginny aveva visto molte cose strane e
fantastiche nei suoi
ventiquattro anni di vita… ma da lì a vedere un bambino senza ombelico…
Beh,
quello andava oltre l’abitudine alla magia, decisamente.
“Di
sicuro non l’ha perso…” aveva ironizzato
Ron, alzandosi per andare a prendere una
bottiglia di whiskey incendiario. Se ne era versato una dose, ed aveva
fatto lo
stesso per gli altri tre.
Hermione
aveva ignorato il drink, chinandosi sul bambino.
“E’
incredibile… Senza ombelico non può esserci
cordone ombelicale e…” aveva
guardato i tre.
Ginny
aveva bevuto un sorso dal bicchiere, inspirando.
“E’ nato da una donna?”
Era
quella una domanda che anche loro si erano fatti: ma presi da problemi
più
immediati non se l’erano subito posta. Ora però
balzava all’occhio.
Harry
aveva sospirato. “Coleridge, il nostro uomo, stava cercando
di fuggire con lui,
ma non ce l’ha fatta… quindi ha tentato di
bruciare tutto. Stavo per uscire
quando l’ho sentito piangere, e l’ho portato
via… era avvolto in una coperta
sudicia, da due soldi, senza monogrammi o neanche
un’etichetta. Sembrava quasi
strappata da una coperta più grande…”
“Era
suo figlio allora?”
Ron
aveva fatto una smorfia. “Non credo Herm… insomma,
quale padre tratterebbe
così il proprio figlio?”
Harry
aveva coperto di nuovo il bambino. “Non ci risulta che
Coleridge fosse
sposato o avesse figli… né tantomeno una
compagna. Era una specie di solipsista
patologico. Anche durante Voldemort lavorava da solo.”
“Allora
l’ha rapito.” Aveva concluso Ginny. “Non
credo che nessuno affiderebbe
spontaneamente il proprio figlio ad una specie di psicopatico in
fuga.”
“Perché
no?” Harry aveva scosso la testa. “Pensaci
Gin… magari era solo un corriere. Lo
stava portando da un posto all’altro. Coleridge sapeva
fabbricare una pozione polisucco
potenziata, capace di fargli mantenere una falsa identità
per giorni interi.
Cambiare aspetto è un’assicurazione niente male
sull’imprendibilità di un
corriere con una consegna così delicata. Supponiamo quindi
lo dovesse
consegnare a qualcuno. Questo spiegherebbe perché era
tornato a Londra…” si era
rivolto a Ron, che aveva annuito. “… ma poi siamo
arrivati noi. Forse aveva
l’ordine di ucciderlo, nel caso qualcosa fosse andato
storto.”
“Ma
non ha senso! Se qualcuno voleva che quel tipo glielo consegnasse,
perché
farglielo uccidere?”
“Perché…”
aveva esitato, poi aveva scosso la testa. “Non lo so amico
mio, non
ne ho idea. Non abbiamo prove, uno straccio di indizio. Solo
supposizioni e…”
“…
e un
bambino trafugato.” Aveva rimbeccato Hermione, ma meno
veemente. “Adesso cosa
pensate di fare, eroi?”
Harry
si era passato una mano trai capelli, guardandosi con Ron.
“Pensavamo di
tenerlo qui, per stasera, se Molly era d’accordo…
e poi domattina volevo
chiedere un colloquio con Kingsley.”
Hermione
aveva alzato gli occhi al cielo. “Harry, Kingsley non
è più la nostra
balia, è il primo ministro!”
“La
balia di tutto il mondo magico.” Aveva rimbeccato il marito.
“Comunque
sia stai approfittando della tua posizione, Harry. Dovresti seguire la
procedura, come tutte le altre volte…”
Harry
aveva serrato le labbra. “Questa non è tutte le altre volte. Si tratta di un
bambino, Herm, solo e
abbandonato da tutti, senza identità. E vista la sua particolarità credo sia il
caso di sottoporrre la questione
direttamente a Kingsley. È più sicuro.”
“Per
il bambino o per voi?”
Ron
l’aveva guardato allarmato. Se Hermione si impuntava erano
guai per tutti.
Per lui soprattutto, ma anche per gli altri per proprietà
transitiva. E Ginny
non sembrava essere disposta ad essere loro d’aiuto, anzi,
sembrava dare
totalmente ragione alla cognata.
“Herm.
So
che abbiamo sbagliato.” Aveva iniziato Harry, seriamente.
Ispirato. “Hai
ragione, abbiamo infranto le regole. Ma è stato per una
buona causa. Quando
eravamo ad Hogwarts eri con noi, siete sempre state entrambe con
noi…” aveva
guardato la moglie e la vecchia amica. “Vi chiediamo di darci
fiducia… Per
favore.”
Le
due donne si erano lanciate un’occhiata, poi Ginny aveva
sbuffato
esasperata.
“E
va bene. Tanto mamma sarà felicissima di avere un altro
Jamie di cui
occuparsi e da vezzeggiare stasera. Ma domani mattina dovrai andare a
parlare
con Kingsley. Ora venite a cena, prima che si freddi del
tutto…”
Ron
aveva strizzato l’occhio all’amico, quando le due
donne avevano lasciato il
salotto.
“Sei
stato gran-…”
“Ehi.”
Hermione si era affacciata di nuovo. “Non pensererte di
cavarvela così a
buon mercato, vero? Ne riparleremo chiusa questa faccenda.”
La
porta si era richiusa. Harry aveva dato una pacchetta alla schiena del
bambino, che aveva emesso un gorgoglio soddisfatto.
“…
dicevi
Ron?”
“No…
niente.”
****
Erano
seduti in una stanza del Paiolo Magico, spoglia, ma pulita e ben
areata. Tra di
loro avevano un tavolino sbeccato su cui erano stati messi una pila di
sandwich
e una caraffa di succo di zucca. Harry James Potter e Kingsley
Shacklebolt,
l’Uomo del Cambiamento. Colui che aveva cacciato i
Dissennatori da Azkaban e
promulgato con l’aiuto di validi collaboratori leggi contro
la discriminazione
tra razze magiche.
E che
al momento sembrava piuttosto perplesso.
“Vi
rendete conto di quello che avete fatto?” aveva chiesto,
pacatamente. La sua
voce era come una mano su un tessuto di seta. Densa, rassicurante,
profonda.
Non
era
un mistero che fosse acclamato come il mago più attraente
dal Settimanale delle
Streghe.
Harry
non si era scomposto. “Sì, ne siamo perfettamente
consapevoli. Per questo
ho deciso di chiederti un parere su come procedere.”
“Harry,
cosa vuoi che ti dica?” aveva sospirato l’uomo.
“Avete infranto le
regole, e le regole vanno rispettate. Anche dal Salvatore del Mondo
Magico.”
“Tuttavia
esistono casi particolari, e tu lo sai meglio di me, primo
ministro.”
Aveva sorriso Harry, dandogli del tu. Poteva permetterselo, e lo sapeva
bene, e
lo rimarcava con un certo compiacimento, perché no?
L’uomo
aveva ricambiato leggermente il sorriso, facendo un gesto evasivo.
“Non
siamo più in guerra, giovane Potter.”
“Ti
ho spiegato la particolarità del
bambino…”
“Sì,
e l’ho perfettamente compresa.” Aveva annuito,
pensieroso. “Sono d’accordo
sul fatto che non sia un caso da trattare come tanti altri.”
“Allora…”
“Allora
cosa vuoi da me, Harry?” si era rigirato il bicchiere di
succo di zucca
tra le mani, prima di berne un sorso. Mai bere in servizio: era un
vecchio
adagio che aveva imparato negli auror.
“Voglio
sapere cosa succederà a quel bambino…”
“O
piuttosto vuoi suggerirmelo
tu?”
“Non
ho questa presunzione.” Aveva immediatamente replicato,
serio. “Voglio
solo che sia seguito come si deve.”
“Ti
sei affezionato a lui, dunque…”
“Se
l’avessi visto capiresti perché.”
L’uomo
aveva sorriso. “Sì, penso di
sì.”
Rivedi in lui te stesso, non è vero,
Harry Potter?
Harry era arrossito, indovinando il suo
pensiero, ma non aveva obbiettato
alla silenziosa domanda. “Cosa gli verrà
fatto?”
Kingsley
aveva riflettuto. “Non sono a conoscenza di tutte le tappe
della
procedura, ma immagino che verrà prima di tutto esaminato al
San Mungo, per
controllare che non abbia tracce di magia oscura in
sé… capisci bene che
l’assenza di ombelico da da pensare sulla natura della sua
nascita.”
Harry
aveva annuito.
“Poi
saranno fatte delle ricerche, per rintracciare eventuali genitori,
parenti
o tutori. Se non vi saranno risultati, allora verrà affidato
ad un istituto
predisposto…”
“Orfanotrofio…”
Harry si era irrigidito. Una sensazione spiacevole gli aveva
gelato la nuca.
“Sì,
i
babbani credo lo chiamino così.”
“No,
Kingsley… non mi sembra la soluzione adatta.”
L’uomo
aveva inarcato le sopracciglia. “E’
la…”
“Procedura,
lo so.” L’aveva interrotto, alzandosi in piedi,
nervosamente. “Ma non
deve finire in uno di quei posti. Lo so, io non posso parlare, mi dirai
che non
conosco certe realtà, ma … credimi, so
che non deve finire lì.” Si era passato una mano
trai capelli, guardandolo in
tralice. “Non prendermi per pazzo, ma è una
sensazione. Una sensazione che non
posso ignorare.”
Il
primo ministro si era seduto meglio sulla poltrona lisa, ma comoda,
accanto
al fuoco.
“Harry,
io mi sono sempre fidato delle tue sensazioni, come molti hanno fatto
prima di me… ma qui non si tratta di…”
“Coleridge.
Coleridge ha detto che Voldemort sarebbe risorto. Erano sicuramente
i vaneggiamenti di un pazzo, certo. Abbiamo distrutto gli horcrux,
tutti, e
abbiamo seppellito il suo corpo con tutte le precauzioni del caso. Lo
so.
Eppure…”
“Pensi
che quel bambino possa essere in qualche modo legato a… Lui?” l’aveva
guardato attento. Kingsley
non era un uomo stupido, e, dote non comune tra le alte cariche dello
stato,
sapeva ascoltare.
Harry
aveva scosso la testa, appoggiandosi al ripiano del caminetto,
guardando
il fuoco.
“Non
lo so… non so nulla, perché le prove… la
verità è morta con Coleridge.
Quell’uomo si era bruciato tutti i ponti. Non
aveva più nessuno, non un contatto, niente. Solo quel
bambino.”
“Allora
cosa proponi di fare?” Kingsley aveva intrecciato le mani
sotto il
mento, osservandolo. “Seguiamo la procedura. Facciamo
esaminare, vediamo se è
stato contaminato dalla magia oscura. Cerchiamo i suoi genitori. Ma se
fosse
pulito… e orfano… voglio…”
aveva esitato, poi si era corretto. “Vorrei
poter essere io a scegliere la
famiglia a cui verrà affidato.”
C’era
stato un breve silenzio, interrotto solo dallo scoppiare di un ciocco
al
calore del fuoco.
“Hai
già
qualcuno in mente?”
Harry
aveva annuito. “Sì.”
“E
chi,
se posso saperlo?”
“Dudley
Dursley, mio cugino.”
****
Note:
1
– Royal è lo
pseudonimo usato a Radio
Potter (in inglese: Potterwatch)
sotto cui si nascondeva Kingsley durante la
repressione di Voldemort. Un nome di battaglia, se volete. :P
Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno messo trai loro preferiti
o 'seguiti' (categoria di cui ho appreso l'esistenza solo adesso O_o).
Ragazzi, ho visto che ci sono un sacco di letture, ma solo un commento.
Dai, basta un piccolo sforzo per farmi sapere se sto andando bene! E'
la mia prima fic su HP ed ho bisogno di sapere se non scrivo una
sequela di cavolate!
Per Marty McGonnagal:
Grazie mille per il commento! Mi fa davvero piacere che la storia ti
abbia incuriosito! E' un terreno nuovo per me. Fino a questo momento
non avevo mai scritto fiction, solo originali. ^^ Quindi mi fa piacere
sapere di poter interessare ed essere in grado di delineare come si
deve i Pg. Ho una paura fottuta di andare in OOC. Continua a seguirmi!
|
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Capitolo 4 *** Ricordi - Parte III ***
Prologo (IV Parte)
30 Agosto 2017
Privet Drive, Little Whinging.
Thomas
lo
guardò il silenzio, mentre il sole andava a morire dietro i
tetti di ardesia di
Privet Drive.
“Così, questa è tutta la
storia.”
O quasi
tutta…
Il ragazzino scese dall’altalena. Aveva esitato, decidendo
poi di rimanere in
piedi davanti a lui. “Non avevo tracce di magia oscura,
vero?”
“No Tom, eri completamente pulito. Sei stato esaminato
proprio bene. Ero lì
quando è accaduto, e conoscevo il medimago che
l’ha fatto.”
“Papà è stato contento, quando mi hai
portato da lui? Sii sincero.” soggiunse
cupo.
“… All’inizio no. Si era sposato da poco
con tua madre, e non avevano in
programma di avere figli. Non subito almeno. Però poi ha
accettato. E adesso è
molto contento di averlo fatto.”
“Non è vero.”
Harry cercò il suo sguardo “Sì che lo
è, posso assicurartelo…” ma
l’undicenne evitò
il contatto visivo. “Tom… Mi ha chiamato per
venirti a parlare, e per dirti che
ti vuole bene, anche se non sei nato da lui e Robin.”
“Stando a quello che dici non sono nato da nessuno.”
replicò monocorde, allontanandosi verso la piscinetta
gonfiabile che conteneva
poche dita d’acqua tiepida.
Harry
lo
seguì, affiancandoglisi. Capiva lo sgomento del figlioccio e
avrebbe voluto
poter fare qualcosa per porvi riparo. Thomas voleva delle
risposte…
Ma
lui
non ne aveva.
“Non
sappiamo come sei nato, Tom, è vero. Ma ci sei, esisti. Non
è questa la cosa davvero
importante?”
Tom rimase in silenzio: non era genericamente di molte parole.
Diversamente dai
fratellastri o dai cugini non era chiassoso come i bambini di
quell’età.
Preferiva la lettura ai giochi all’aperto – e
questo spiegava il pallore quasi
innaturale della sua pelle – il silenzio alla confusione. Era
chiuso, anche se
non ostile o sgarbato. Se avesse dovuto usare una parola per descrivere
il
figlioccio avrebbe detto che era … cauto.
Era
un
osservatore Thomas. Aggettivo che non si addiceva molto alla sua
età, forse.
“Tom,
ti
va un giro in moto?” gli propose con un sorriso. Il bambino
non aveva alzato lo
sguardo, ma Harry aveva comunque percepito il cambio di atmosfera
attorno a
loro.
“Io
e
te?”
“Vedi altri qui?”
Silenzio.
“Sì
o
no?”
“… Sì.”
“Bene, vado a dirlo a tuo padre. Magari potresti cenare da
noi, se ti va.”
“Noi chi?”
“Me, Gin, Al, Jamie e Lily. Noi.”
Ancora silenzio.
“Sì o no?”
“… va bene. Posso rimanere da voi?”
“A dormire? Certo, non ci sono problemi.” Non
succedeva spesso. Thomas amava la
solitudine e quando rimaneva da loro era costretto a dividere la stanza
con
Albus.
“No, non a dormire.” Lo sorprese. “Fino
all’inizio della scuola, intendevo.” Finalmente
lo guardò. Aveva due occhi dolorosamente blu. Non azzurri, blu. Con il cattivo tempo o con una
particolare angolazione della
luce potevano sembrare neri. Mai particolarmente espressivi, stavolta
erano
estremamente attenti alla risposta che gli avrebbe dato.
Harry
Potter capì che da quella risposta sarebbe dipeso il suo
futuro rapporto con il
figlioccio.
E
vigliaccamente scelse di cedere.
“Certo
che puoi… parlerò con i tuoi genitori, e se
saranno d’accordo farò recapitare
il tuo baule a casa.” Gli posò una mano sulla
testa, e Tom accettò il gesto
senza scacciarlo: era il suo modo di sorridere. “Sei
contento?”
“Mi sta bene.” rispose, svicolandosi dalla sua mano
prima di correre dentro.
Harry l’aveva seguito lentamente. Si scontrò quasi
con Dudley all’entrata.
“Allora?”
“Si è un po’ calmato… abbiamo
parlato.”
“Altroché! È quasi ora di cena, lo
sai?” borbottò. Harry si sentì
orribilmente
in colpa: per avere il perdono di Thomas indirettamente
l’aveva messo in
cattiva luce. O comunque, non aveva sufficientemente perorato la sua
causa.
“Veramente
gli ho promesso un giro sulla moto, e poi…”
sospirò “Mi ha chiesto di venire a
stare da noi fino a…” esitò, senza
riuscire a finire la frase. “Penso che sia
la cosa migliore. È molto scosso.”
Dudley fece una smorfia. “Così lo porti nel tuo
mondo magico, eh Harry?”
“Dudley, non è questo il punto… e poi
si tratta solo di due giorni.”
“No, no. Capisco. L’hai parcheggiato qui
finché non ti ha fatto comodo, e
adesso te lo riprendi. Funzionano così le cose con
te.” Era sarcastico.
Harry serrò le labbra. “Non cerco di sostituirmi a
te, Dudley. Sei suo padre,
lo so.”
“Non volevo essere suo padre, ma mi hai costretto a
diventarlo. E adesso lo
porti via. Come pensi che possa reagire? Stringendoti la mano cugino?” sibilò.
“Il ragazzo ha il mio
cognome, ma so che non sarà mai mio figlio. L’ho
sempre saputo. Appartiene al vostro
mondo.” sputò sprezzante “Ma va
bene, forse è meglio che stia da te… Thomas!”
chiamò imperioso. Il ragazzino uscì dalla cucina,
guardando di sottecchi.
Sembrava incuriosito.
“Sì, signore?”
“Va in camera e prepara le tue cose, starai da tuo zio Harry
fino all’inizio
della scuola.” Mentre stava per salire le scale lo
richiamò. “Cerca di non
combinare guai, intesi?”
“Sissignore.”
“E saluta i tuoi fratelli e tua madre, prima di
andartene.”
“Sissignore.”
“Adesso va’, svelto.”
Thomas scomparve al piano superiore. Dudley lanciò
un’occhiata ad Harry.
“Tu lo porterai ogni tanto a fare corse su
quell’affare ma io l’ho
cresciuto…” guardò
verso le scale con un’espressione strana. Sarebbe stato
affetto, se non vi
avesse letto anche preoccupazione. E timore. “Tienilo
d’occhio.”
Poi
rientrò
in salotto, da dove proveniva il vociare della tv, senza degnarlo di
un’altra
parola.
Harry
lo
lasciò andare via, senza trattenerlo, in preda a sentimenti
contrastanti:
vergogna, per averlo usato. Gli aveva chiesto di crescere un giovane e
futuro
mago, di tenerlo al sicuro e nasconderlo, per poi portarglielo via,
fregiandosi
di un titolo che non meritava, neppure per parentela. Non era davvero
lo zio di
Thomas, mentre Dudley poteva essere considerato suo padre: gli aveva
dato un
cognome, una casa, persino affetto. Non era come suo padre Vernon.
Però…
A ben
pensarci provava anche sollievo. Finalmente aveva una scusa per
riprendersi Tom. Dudley rivelandogli incautamente la verità
aveva reso la
situazione instabile, e messo la serenità del bambino a
rischio.
Ed ecco arrivare Harry Potter, il
Salvatore…
Non era fiero di se stesso, no.
Thomas era tornato giù con un semplice zainetto
“Il baule l’ho lasciato in
camera.” Gli disse con tono tranquillo. Quasi allegro.
“Me ne occuperò io dopo. Hai fatto bene. In moto
bisogna viaggiare leggeri…” Gli
diede una pacca sulla spalla magra. “Va’ a salutare
tua madre e i tuoi
fratelli. Io ti aspetto fuori.”
“Sì zio Harry.” Gli sorrise,
inaspettatamente, prima di entrare in cucina.
Harry si sentì scaldare il cuore: sì, forse stava
sbagliando. Ma per una buona causa.
Per Thomas.
Questo
forse non giustificava tutto?
1
Settembre 2017
Londra, Stazione di King Cross, Binario 9 e ¾.
“E
se
finissi a Serpeverde? Pensaci, se ci finissi?”
Albus Severus Potter, meglio conosciuto con un semplice
‘Al’, guardava ad occhi
sgranati il fratello maggiore, che arruffato e trionfante si ergeva sul
carrello dei bagagli.
…
Sfottendolo allegramente come suo solito.
“Non ci finirò! Tu non ci sei finito, Jamie,
perché dovrei finirci io?”
“Beh, si sa che il Cappello Parlante è mezzo
matto! Magari vede i tuoi occhioni
verdi e zack! SERPEVERDE!” gridò alzando le
braccia significativamente.
Al impallidì, serrando i pugni contro il maglione sformato e
caldo che la nonna
gli aveva regalato a Natale dell’anno prima. Una bella
‘A’ fiammante
campeggiava su un arancione improbabile.
“Non finirò a Serpeverde!”
strillò a pieni polmoni facendo voltare entrambi i
genitori.
“Jamie! Smettila di spaventare tuo fratello!”
esclamò seccata Ginny, il cui problema
principale era cercare di tener buona la figlia, che scalpitava
recalcitrante.
“Mammina, voglio andare anche io con Jam e Al!”
guardò in direzione di una
colonna di mattoni “… E Tommy!”
“Thomas…” mormorò stancamente
il ragazzino: erano anni che cercava di infilare
in quella testolina rossa che non gradiva
i nomignoli.
“Tommy!”
Tom sospirò, fissando il grosso treno nero, lucido e
sbuffante. Sembrava
estremamente annoiato da tutta quella faccenda. Tutta quella confusione…
Harry gli sorrise divertito: in fondo allo sguardo riusciva a leggergli
la
stessa eccitazione di Al.
Solo,
ecco… un po’ più nascosta.
Al
gonfiò
le guance, strattonando la giacca del padre. “Non
finirò a Serpeverde, vero
papà?”
“Non capisco cosa ci sia di sbagliato a
Serpeverde.” replicò Tom, fissandolo.
“Beh,
Jamie dice…”
James, sentendosi chiamato in causa, scese con un balzo dal carrello.
“A Serpeverde
ci vanno quelli come… come i Malfoy!”
“Chi sono i Malfoy?” inquisì Thomas.
James scrollò le spalle, noncurante: non
gli piaceva granché quel damerino del cugino Tom. Prima di
tutto non voleva mai
giocare ad un accidenti, che fosse Quidditch o tuffarsi nel lago. Al
massimo a scacchi
magici, ma a lui annoiavano. Infatti il povero Ted si prestava
volentieri al
supplizio di quel moccioso, che ci impiegava secoli
per fare una mossa.
E poi… ecco. A dire il vero non sapeva chi fossero i Malfoy.
Sapeva solo che a
suo zio Ron non piacevano affatto.
Il
che, dal suo punto di vista, bastava ed avanzava.
“Sì, chi sono i Malfoy, Jam?”
rincarò la dose Al, incuriosito.
“I
Malfoy… i Malfoy…” esitò,
nel pallone.
“Sono
una
casata di maghi, Al, molto antica. Sono stato compagno di scuola
dell’attuale
capofamiglia, Draco.” gli aveva spiegato gentilmente il
padre, indorando
decisamente la pillola: ma non voleva che i figli crescessero con dei
pregiudizi.
I pregiudizi
possono uccidere, io
lo so bene…
“Dovrebbe
avere un figlio della vostra età…”
Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento, Harry scorse in mezzo
alla
calca l’antico rivale – che sembrava aver ceduto ad
una lieve stempiatura – e
il figlio, sua fotocopia vivente. Gli rivolse un cenno, ricambiato dopo
una
lieve esitazione.
…
e lo sa anche Draco Malfoy.
“Com’è
che si chiama pa’?” chiese malandrino James.
“Dico, il figlio di Malfoy.”
“Scorpius, credo… ma niente scherzi, intesi
peste?”
Dal sorriso innocente che il dodicenne gli rivolse seppe che non
sarebbe stato
minimamente ascoltato.
Ron gli si era affiancato, battendogli una mano sulla spalla.
“Ehy, padre
dell’anno! Ci siamo anche noi.” Indicò
con un cenno della testa la moglie e la
figlia maggiore.
Albus sorrise immensamente
sollevato alla
vista della cugina. “Rose!”
La ragazzina gli sorrise di rimando, contenta. “Ciao Al! Non
vedo l’ora di
salire sul treno, e tu? Spero proprio di essere smistata a
Grifon…”
“Non dirlo!” uggiolò il ragazzino.
“Jamie dice che il cappello parlante è tutto
matto, e smista a caso!”
Rose sbuffò, lanciando un’occhiataccia al maggiore
degli eredi Potter.
“Che
sciocchezza… il Cappello Parlante è assolutamente
affidabile, me l’ha detto mia
madre. Ti smisterà nella Casa giusta Al, sta’
tranquillo.”
“… Sei sicura?” pigolò,
mentre gli occhioni verdi sembravano farsi più grandi.
La ragazzina ignorò l’impulso di abbracciarlo
forte: era pur sempre un maschio,
come gli aveva spiegato bonariamente suo padre, e non avrebbe potuto
non
gradire i gesti di affetto.
Sempre meglio
di Jamie, che
intende come ‘gesti d’affetto’ buttarmi
delle caccabombe nei capelli…
“Certo!
E poi
ormai le Case non sono più così
separate… mamma dice che un sacco di Serpeverde adesso
potrebbero essere ottimi
Grifondoro e viceversa. Insomma, la casa in cui sei non dice nulla del
tuo
carattere o di quello dei tuoi compagni!”
“A
dire
la verità il sorteggio è
dovuto al
carattere…” intervenne Tom atono. “I
Serpeverde, secondo la tradizione, sono
quelli astuti e ambiziosi” concluse.
Rose
fece
una lieve smorfia: non gradiva essere interrotta durante la
spiegazione. Specie
dal cugino mezzo matto dei fratelli Potter.
Su una cosa Jamie ha ragione…
è
antipaticissimo!
“E
dove
l’avresti letto?”
“In un libro naturalmente. ‘Storia di
Hogwarts’.” fece un pallido sorriso. “Tu
l’hai letto?”
Rose arrossì di dispetto: ovvio che non l’avesse
ancora letto tutto!
A dire il vero ne ho letto solo un
pezzettino… poi sono iniziati i cartoni in tv…
“Non
ancora…” sibilò di pessimo umore. Al
aveva guardato dall’uno all’altra,
confuso.
“Sì… Ma allora io che c’entro
con i Serpeverde? Niente, no?” esclamò speranzoso.
“Non sono di certo astuto o … ambizioso,
ecco!”
Tom
scrollò
le spalle staccandosi dalla parete. “Le scelte del Cappello
non sono così
definite… dipendono da un sacco di fattori.”
Al lo guardò con l’aria di chi gli stava per
crollare il mondo addosso. Rose
allora, in quanto cugina buona, gli
passò
un braccio attorno alle spalle gracili.
“Non
dargli retta, Al! Non finirai a Serpeverde, ma a Grifondoro!”
Tom serrò appena le labbra, poi si infilò le mani
in tasca.
“Io andrò a Serpeverde.”
decretò, prima di riprendere a guardare la folla.
“Che
scemo…” sussurrò Rose.
“Proprio è insopportabile.”
Al
inspirò
appena: invece a lui Tommy piaceva. Era il cugino più forte
che avesse, o
quasi. Certo, Ted era un mutaforma, però non era veramente suo cugino, purtroppo. E Rose
era davvero in gamba e
simpatica… ma Tom era… beh, Tom era diverso.
E poi sapeva sempre rispondere a tutto, ed era difficile che gli adulti
riuscissero
a prenderlo in castagna.
Era
intelligente, e Al lo ammirava sinceramente. Non era un tipo simpatico,
vero.
Però
era forte.
… e voleva andare a Serpeverde.
Sì, forse è un
po’ matto, come dice Jam.
Albus al
momento dei saluti si era avvicinato al padre.
“Papà… e se finissi davvero
a Serpeverde?”
mormorò, così piano che l’uomo quasi
non lo sentì. Ma capì. Si inginocchiò
di
fronte a lui, con un sorriso complice.
“Albus Severus. Tu porti il nome di due presidi di Hogwarts.
Uno di loro era un
Serpeverde e probabilmente l’uomo più coraggioso
che io abbia mai conosciuto…¹”
Al si era morso l’interno della guancia.
“Quindi… Anche i Serpeverde possono
essere okay?”
“Molto più che okay. E poi sai… il
Cappello non impone le sue scelte. Non ti
obbliga a dargli retta, se non vuoi. Pensa che voleva mandarmi a
Serpeverde.”
Sgranò gli occhi. “Tu papà?”
Harry ridacchiò. “Proprio io. Ma gli dissi che non
volevo, e lui mi assegnò a Grifondoro.
Quindi, come vedi, la scelta finale sta a te. Siamo noi che decidiamo
il nostro
destino, Albie…” lo vezzeggiò
affettuosamente. L’undicenne arrossì.
“Non
chiamarmi così dai, papà. È da
marmocchi.” Però gli aveva sorriso
luminosamente.
“Ricevuto. Avanti, dammi un bacio. E ricordati di salutare
Neville da parte mia
e della mamma.”
Al
sbuffò,
ma subito dopo gli gettò le braccia al collo, stampandogli
un bacio umido sulla
guancia, imbarazzato e rapido. Salutò anche la madre, e
baciò la sorellina
prima di salire sul predellino del treno. Dei bagagli si era occupato
un
entusiasta James, che aveva quasi rischiato di potare la testa a
qualcuno.
Salutò
ancora un paio di volte i genitori, prima di sparire dentro il vagone.
“Thomas..” Harry richiamò il figlioccio,
che si apprestava silenzioso come
sempre a seguire l’esempio dei cugini e salire sul treno,
evitando le smancerie
di cui invece stava venendo sommersa Rose.
“Non ti aspetterai che ti baci,
vero?” gli rispose un po’ scandalizzato.
L’uomo
rise.
“Non mi permetterei mai… Posso almeno augurarti un
buon anno scolastico?”
L’undicenne annuì seriamente. “Certo,
questo sì.”
Harry si sporse per stringergli leggermente una spalla.
“Qualsiasi cosa ti
serva, fammelo sapere. Un gufo, qualsiasi cosa. Intesi?”
Tom lo guardò con sufficienza. “So cavarmela da
solo zio.”
Harry
sospirò: Tom era orgoglioso, e nonostante le rivelazioni
shockanti di pochi
giorni prima di ostinava a comportarsi come se non fosse successo
nulla. Ma
sapeva che non sarebbe servito forzarlo a parlarne.
Avremo tempo,
per farlo. Tutto il
tempo del mondo.
“Ehi,
sono
o non sono tuo zio? È mio dovere morale romperti le
scatole.”
Tom sbuffò, scrollando la testa.
“Sì… comunque. Zio Harry…
zia Ginny… Lily.”
Snocciolò indietreggiando verso il treno che avvisava
l’imminente partenza.
“Ciao Tommy…” mugugnò la
bambina, con gli occhi rossi e gonfi, assolutamente
irritata da tanta ingiustizia anagrafica.
Tom
alzò
gli occhi al cielo, senza neanche rispondere.
Harry
rimase
a guardare il treno partire in compagnia della moglie, di un
piagnucolante Ron
e di una esasperata Hermione.
“E non oso immaginare come ti ridurrai quando
toccherà a Hugo!” sospirò con un
sorriso simpatetico verso il marito: grande e grosso e dalla lacrima
straordinariamente facile se si trattava dei figli.
“Oh, sta zitta, miseriaccia!” Il rosso si
soffiò rumorosamente il naso. “Il mio
fiorellino darà filo da torcere a quel Malfoy, hai
sentito?”
“In realtà mi è sembrato che avesse
alzato gli occhi al cielo. Figlia mia, del
resto.”
Harry ridacchiò allo scambio di battute trai due coniugi.
Osservò fino a che
gli fu possibile il convoglio, fino a perdita d’occhio.
Sentiva una morsa al
petto. Prima Jamie, poi Al.
Ma James
è sempre stato più
indipendente….
Albie,
che aveva i suoi occhi e quelli di Lily… gli sarebbe mancato
immensamente
vederlo girare per casa, infagottato nei maglioni marca Weasley
– era l’unico
membro della famiglia che li indossasse con evidente piacere.
Sentì
la
mano di Ginny intrecciarsi alla sua.
“Andrà
tutto bene.” gli sorrise incoraggiante. Harry
sospirò appena.
“Sì, lo penso anche io. Al e Tom se la caveranno
alla grande…”
“Thomas
specialmente.” osservò la donna. “Non ho
visto bambino più rilassato al suo primo
giorno di scuola…”
Harry ridacchiò. “Non era affatto rilassato, era
un fascio di nervi, come Al.”
“Sarà…” Ginny
scrollò le spalle, poco convinta, poi si rivolse a Lily.
“Forza
tesoro, basta tenere il muso. Gelato da Florian Fortebraccio?”
La piccola smise immediatamente di tenere il broncio, illuminandosi.
“Oh sì!”
Harry ridacchiò assieme alla moglie, sfiorandosi poi la
cicatrice, quasi inconsciamente:
erano anni che non gli dava più problemi.
Sì, sarebbe andato tutto bene.
*****
Note:
1- dall’ultimo
capitolo di “Harry Potter e i Doni della Morte” di
J.K. Rowling.
Commenti:
Per chi mi ha gentilmente (grazie grazie
grazie!) recensito...
Marty McGonnagal:
Ciao! Mi fa piacere vedere che continui a seguire questo piccolo
sgorbio partitorito dalla mia mente bacata ^^ Mi spiace, ma non ho
potuto accontentarti su Harru che scarica il pupo a Dursley, ma spero
di essermi fatta perdonare con King's Cross. E non è detto
che tu non
possa leggerlo. Contavo infatti di inserirlo trai flashback,
più
avanti, quando approfondirò il rapporto tra Tom e il buo
vecchio Dud.
(Dopotutto mi è simpatico :P)
Federica_06:
Ciao, grazie mille per il bellissimo complimento! Mi fa piacere essere
considerata 'originale'! So che in questo fandom non è
proprio
facilissimo. Penso che mi salvi il fatto che vengo dal mondo delle
original-fiction, uhm... Comunque spero di non aver deluso le tue
aspettative con questo capitolo! Fammi sapere!
Finalmente si è concluso il prologo! E poi....
Dal prossimo capitolo inizierà la storia
vera e propria!
Visto e considerato che la Row
non ha dato molte indicazioni sull’aspetto fisico della
‘Next Generation’ mi
sono permessa di fare di testaccia mia. I link sottostanti sono le
versioni
undicenni/dodicenni. Serviranno anche per ulteriori flashback,
essì. (*Dira
aaama i flashback*)
Albus Severus Potter
Thomas Dursley
James
Sirius ‘Jamie’ Potter
Rose
Weasley
|
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Capitolo 5 *** Capitolo I ***
Capitolo I
Capitolo
I
I’m falling away with you
We can’t always say
In the cold light of day what’s true
Time will heal your wounds
I’ll see you through
(Falling
Away, Evermore)
28 Agosto
2022
Devon,
vicino a Ottery St. Catchpole, La Tana.
“Questo
sarà un grande anno. Me
lo sento.”
Albus Severus Potter, sedici anni, l’aveva decretato con tono
profetico.
Rose curvò le labbra in un sorrisetto.
“Non per frustrare i tuoi proclami Al, ma lo dici tutti gli
anni.”
Il ragazzo si era alzato a sedere di scatto, sulla coperta a scacchi
che
divideva con la cugina. Erano stesi a guardar passare le nuvole
nell’immenso
prato di fronte alla Tana.
Aveva sedici anni Al, e si sentiva come se la vita fosse appena
iniziata.
Cavolo,
aveva sedici anni.
“Sì,
ma
questo è il nostro penultimo anno! Voglio dire, è
importante!”
“Per
i risultati dei
G.U.F.O.?”
“Ma no!”
Rose corrugò le sopracciglia. “Allora pensi di
diventare prefetto?”
“Ma che c’entra? Non ci penso neanche, proprio no!
Mettere in punizione la
gente, avere quella stupida spilla appiccicata al petto, proprio
no…” borbottò
arruffandosi i capelli, istintivamente imitando il fratello maggiore e
il
padre. Gesto Potter lo chiamava
Ginny.
“Sei
così… così…” rise
lei. “Così poco Serpeverde!”
Al alzò gli occhi al cielo, buttandosi sulla coperta resa
soffice dal manto
erboso sottostante.
“Ho sempre detto che non sarei mai stato ambizioso. E anche
sull’essere furbo,
dovremmo riparlarne…”
“Beh, però sei intelligente…”
“Corvonero?”
“Hai ragione Al, non c’entri niente con gli eredi
di Salazar.” Sospirò Rose
teatrale. “Che destino infame, per Potter, il Serpeverde
Incompreso.”
Il ragazzo intrecciò le mani dietro la nuca.
“Mmm… Sai, all’inizio la pensavo davvero
così. Pensavo che sarebbe stato terrificante
finire smistato lì… anche se papà mi
aveva detto che sarebbe andato bene
comunque e tutto il resto. Poi però…”
“Però?”
Non avevano mai affrontato quell’argomento, anche se ne
avevano affrontati
tanti. Il loro passatempo preferito era… beh, parlare. Un grado
di confidenza
pressochè assoluto.
Lei e
il
cugino potevano considerarsi a tutti gli effetti migliori amici. Anche
se
smistati in case diverse facevano tutto il possibile per trascorrere il
proprio
tempo assieme: in biblioteca, nel tempo libero, durante le lezioni che
condividevano come Serpeverde e Grifondoro…
Al
aveva
sorriso, scuotendo la testa. “E’ una cosa
stupida…”
“No, dai, dimmela! Ora sono curiosa!” Gli aveva
picchiettato un dito sulla
spalla, nascosta sotto una maglietta del fratello, di una taglia
più grande. Al
aveva sedici anni e ne dimostrava con molta buona volontà
quindici. Gli Weasley
erano tutti alti e ben piazzati come Ron o James, che svettava oltre i
centottanta centimetri.
Al
era
più basso di lei.
Fenotipo
Potter. Lo zio è più
basso di zia Gin… ¹
Il ragazzo
ridacchiò.
“Mmmno. Magari un’altra volta. Comunque
sia… Hai saputo di Teddy?”
“Che lui e Vic sono mostruosamente
felici e blablabla…?” fece una smorfia.
“Ogni singolo giorno da nonna Molly.
Davvero, dovrebbe fondare un fan club.”
“Beh, è vero, sono una coppia
fantastica.” Obbiettò Al facendo spallucce.
“… ma
non è questo.” Prese un’aria furba.
“Ieri sera stavo andando a lavarmi i denti
quando ho sentito zio Ron parlare con mio papà.”
Rose si era voltata, sostenendosi con un gomito, per guardarlo.
“E..?”
“Pare che Teddy verrà ad insegnare a
Hogwarts!” esclamò sorridendo. “Non
è
fantastico?”
Rose battè un paio di volte le palpebre, incredula: certo,
Teddy aveva finito
la scuola con il massimo sia nei G.U.F.O. che nei M.A.G.O. ed era
dannatamente brillante
– e sotto sotto aspirava a battere il suo record –
ma… aveva solo ventiquattro
anni!
Al sembrò averle letto nel pensiero, perché rise
allegro.
“Già,
forse sarà il più giovane professore di
Hogwarts!”
Rose inspirò incredula. “Davvero…
sarebbe una notizia pazzesca se fosse vera.”
“Lo è! Ammetto che le orecchie oblunghe a volte
hanno qualche problemino di
ricezione ma…”
“Al, hai origliato!”
“Ehi, ehi. All’inizio ho ascoltato per caso. Poi,
quando hanno chiuso la porta
del salotto, beh… ero curioso, dopotutto si parlava di
Ted.”
“E
porti
sempre delle orecchie oblunghe nelle tasche del pigiama?”
Al sorrise sibillino, senza rispondere.
Ted era l’eroe dell’ultima generazione Weasley.
Tutti volevano bene a Ted. Era
come un fratello maggiore collettivo: gentile, spiritoso, divertente,
non
perdeva mai la pazienza. Ed era pure un metamorfomago. Era perfetto. E
poi
stava con Victoire. La bella
Victoire
dai lunghi capelli color lino e le labbra come fragole mature, e la
pelle di
pesca e…
Blablabla.
Era stata la prima cotta di metà ragazzi del suo
anno. Alcuni la
ricordavano ancora con nostalgia.
Rose
si
accigliò. “Non sta bene ascoltare. Sei proprio un
Serpeverde!” lo rimbrottò
senza troppa convinzione.
“Ah, lo sono solo quando fa comodo a te però,
eh!” rise senza arrabbiarsi.
Dopo
cinque
anni di crisi esistenziali, aveva deciso che in fondo non gli
dispiaceva
vestire i colori verde-argento: aveva conosciuto un sacco di persone in
gamba
là dentro, ed avevano una squadra di Quidditch strepitosa,
da annali, guidata
da Michel Zabini, il miglior capitano e cacciatore da
vent’anni a quella parte.
E poi
c’era Tom.
Chissà
che sta facendo… si starà
annoiando a morte in quel posto con le case tutte uguali…
…
Beh, gli sta
bene!
Rose
prese un filo d’erba tra le dita, posandoselo sulle labbra
pensierosa.
“Certo che è strano…” lo
riportò al discorso. “Credi che l’abbia
chiamato il
preside Vitius²?”
“Certo, chi altri?”
“Non so, non credevo volesse fare cambiamenti nel personale
docente… e
cambiamenti così grossi, poi.”
“Sì, ma hai presente il professor
Facheux?” aveva fatto una smorfia. “Un totale
incompetente. Te l’avevo detto che non sarebbe tornato dal
suo ‘congedo
temporaneo’, no?”
La cattedra di Difesa delle Arti Oscure, dopo la morte di Piton,
sembrava aver
perso la sua triste fama, e per un certo tempo era stata occupata da un
ex-auror, Torrent. Poi, quando l’uomo era andato in pensione,
il posto era
stato assegnato in volata ad un nervoso docente trasferitosi da
Beaux-Batons.
Con l’aggiunta di un disastroso accento inglese il
pover’uomo era stato in
grado di reggere a malapena un anno scolastico, prima di un tracollo
nervoso.
Ad
esso,
bisognava ammetterlo, avevano fortemente contribuito James e i gemelli
Lorcan e
Lysander Scamandro. Mente di James e muscoli degli Scamandro.
Un
incubo
per qualsiasi professore che non fosse un veterano dai nervi saldi.
E addio
Professore…
“E
di
questo dovremo ringraziare Jamie e quei due.”
Commentò infatti Rose. “Sono insopportabili,
uno parla e l’altro sta sempre zitto. E non riesci a capire chi dei due parli di volta in volta. Quel
poveretto è un miracolo che non sia finito vita natural
durante al San Mungo.”
“Comunque
non ridurranno così Teddy, questo è sicuro. O
dovranno vedersela con me.”
Decretò Al alzandosi in piedi, con piglio deciso.
Rose sorrise appena mordicchiando il filo d’erba:
difficilmente un tipetto
gracilino come Al avrebbe fermato quei tre grossi idioti… i
gemelli da soli
superavano la stazza e il peso specifico di un dorsorugoso norvegese.
“Non
credo che ci sia bisogno che tu lo protegga… Ted
è l’unico essere vivente sulla
faccia della terra a cui Jamie dà retta, oltre a zia
Gin…”
Il ragazzo annuì. “Sì, questo
è vero. Magari questa è la volta buona che Jamie
impara qualcosa su un banco di scuola!”
Risero assieme, prima di stendersi di nuovo sulla coperta, sonnolenti e
beati.
Stava per finire l’estate, e la loro unica preoccupazione era
lasciar
sgocciolare via il tempo che gli rimaneva.
James
era
chiuso in casa ad imprecare sui proprio compiti invece,
pensò malignamente Al,
godendosi gli ultimi tiepidi raggi del sole.
“E
Thomas?” chiese Rose dopo qualche breve minuto di silenzio.
“Tom?
E’
rimasto a casa dei suoi. Merlino solo sa perché gli piace
tanto annoiarsi là.”
Borbottò.
L’ultima
lettera, nonché l’unica di tutta
l’estate, era stata scritta di fretta, in insufficiente
risposta alla sua, che era stata lunga, dettagliata, allegra.
‘Ciao
Al. Qui va tutto bene, a parte il caldo fastidioso che affligge Little
Whinging. Sono molto preso dalla lettura di alcuni libri. Mi dispiace
ma non credo potrò venire alla Tana quest’estate.
Mi sono dato una scaletta precisa e so che se venissi da
voi sarebbe completamente stravolta. Salutami gli zii e Lily.
Ci
vediamo a Settembre, a Diagon Alley.
Thomas.
|
’
Totalmente
insufficiente.
Bocciato, bocciato su tutta la linea!
La cugina
vedendolo adombrarsi di colpo – il viso di Al era una pagina
ben scritta in
lettere leggibili, stampatello puro – tentò di
porre rimedio con la logica.
“Ci
sono
i suoi genitori… forse lo fa per delicatezza nei loro
confronti. Dopotutto non
li vede che d’estate.”
“I
suoi
genitori per la barba di un Thestral!” sbottò.
“Mi ha dato buca perché voleva
leggere. Ti pare una cosa normale? Leggere.
Dei libri!” sibilò stizzito.
Rose
ci
pensò un attimo. “E non poteva leggerli
qui?”
“No, perché Sua
Maestà pensava che
sarebbe stato disturbato! Come se passassimo tutto il tempo ad urlare e
correre
scompostamente per casa!”
“…Al?”
“Seh?”
“James lo fa. Continuamente.”
Il ragazzo sbuffò sonoramente guardando ostile una
coccinella che si era posata
sulla punta della sua scarpa da ginnastica. “Lo
so… Jamie è un casinista nato.
Però mi è puzzata tanto di scusa…
Io… ci tenevo a passare l’estare con voi
due.”
Rose gli sorrise, passandogli un braccio attorno alle spalle: Al
adorava
Thomas. Dio solo sapeva perché, personalmente lo
riteneva… inquietante. E
insopportabilmente saccente, anche.
Non
che
fosse maleducato o sfacciato come Jamie. Anzi. Era sempre cortese e
corretto
con tutti. Ma lei preferiva comunque lo scapestrato James, al
controllato Tom.
Non
che
l’avesse mai fatto capire a Al: sarebbe stato terribile per
lui dover dividere
tra loro due il suo affetto, così spontaneo e fiducioso.
Meglio
evitare…
“Al,
Tom è un
misantropo patologico.” Lo consolò infatti.
“Non credo fosse per te, ma piuttosto
credo volesse evitare Jamie e i gemelli…”
In quanto migliori amici di James, gli Scamandro avevano accesso libero
alla
tana. E poi abitavano giusto giusto a mezz’ora di scopa da
lì.
“Sì,
ma
spesso sono fuori con la scopa e…”
“E poi c’è Lily.”
“Lily
è
adorabile!” protestò vivacemente. Stravedeva per
la sorellina. Aveva
quattordici anni ed era la cosa più carina e graziosa che
avesse mai visto.
Cosa, insomma… ragazza. Non che riuscisse a considerarla
tale. Come diceva
sempre Jam, era loro sorella.
Esulava
dalla concezione propriamente muliebre.
“Lily
lo
chiama Tommy.”
“.. e lui odia essere chiamato così.”
“Eggià…”
Al sospirò. “Verrà comunque a comprare
il necessario per la scuola con noi.
Almeno questo…”
“Anche perché non ce lo vedo suo padre a mettere
piede a Diagon Alley per
accompagnarlo.” Replicò scherzosa. “Il
signor Dursley sembra sempre comportarsi
come se avesse un ungaro spinato in casa quando andiamo a fargli
visita…”
Al fece una smorfia. “In un certo senso. Credo che abbia
avuto delle brutte
esperienze con il mondo magico, anche se papà non mi ha mai
voluto spiegare
quali.” Si alzò in piedi, spazzolandosi i jeans
dall’erba. “E’ quasi ora di
cena, dai andiamo…”
Rose annuì, imitandolo e piegando la coperta ordinatamente,
mettendosela
sottobraccio.
“Ti prego, dimmi che non ci sono i
gemelli…”
“… Posso provarci, ma… sono sicuro che
vorresti la verità, Rosie.” Mormorò
serio “Io la vorrei.”
“… Oh, dannazione.” Sbuffò
“Non li sopporto. Sono così…
così…”
“Gemelli?”
suggerì facendola ridere.
“Ehy, ti capisco. Presi singolarmente sono tollerabili. Ma
assieme a James sono
metifici.”
Rose
raccolse i capelli – color miele di
castagno, e ne andava molto fiera – in una coda
sommaria. Sfoderò un
sorriso che ad Al ricordò molto quello di zia Herm, quando
trovava un cavillo
legale e riusciva a dimostrare i diritti dei suoi assistiti magici.
“Se
mi mettono
di nuovo una caccabomba sotto la sedia giuro su Morgana che li
schianto.”
Al
sorrise
tra sé e sé, seguendola.
Ognuno ha la
famiglia che si
merita… Ed io sono davvero fortunato.
****
Privet Drive, Little Whinging, Londra.
Il giorno prima, ora di cena.
Mentre
il
sole stava lentamente scomparendo all’orizzonte del parchetto
rugginoso accanto
a casa sua, Thomas restava.
Gli piaceva vedere la notte mangiarsi il tramonto.
Inoltre
c’era il non trascurabile particolare che a
quell’ora il parco era deserto,
diversamente dal resto del giorno, saturo di adolescenti che
ciondolavano
vicino alla altalene a bere e fumare e giovani madri che portavano il
pupo
all’aria aperta sperando di farlo smettere di dar sfogo ai
polmoni.
Tra
poco
sarebbe comunque tornato a casa. Gli ultimi bagliori di luce scarlatta
illuminavano le pagine fresche di stampa, ma presto sarebbe stato
impossibile
intellegire qualche riga di quel romanzo americano.
Quello che sembrava un romanzo
americano.
In
realtà
l’aveva trasfigurato, assieme a molti altri, prima
dell’inizio delle vacanze
estive, in cui era proibito come da regolamento esercitare la magia.
Un’incredibile
seccatura…
Ma
utile.
L’idea di una sanzione non lo solleticava più di
tanto, mentre il desiderio di
prendere con sé la bacchetta era sempre forte. Le due cose
si equivalevano: Tom
si portava dietro la bacchetta, nella tasca dei jeans, ma si imponeva
di non
tirarla fuori, solo perché un paio di pre-puberi
infastidivano le sue letture.
Non
che
li avrebbe schiantati. Si sarebbe limitato ad un Repello
Babbanum³.
Delizioso…
Comunque
il problema non si poneva. Gli era proibito, e il padre stesso
l’aveva
diffidato da compiere incantesimi a casa.
Tom sorrise appena, all’idea che potesse metterlo in
punizione, come paventato:
cosa mai avrebbe potuto fargli? Aveva sedici anni, quasi diciassette
(tra tre
mesi) e non poteva certo sculacciarlo. E per quanto riguardava
confinarlo in
camera…
Lui
adorava rimanere in camera, con un ottimo impianto climatizzato e pile
di libri
trasfigurati.
Era
stata
sua madre, Robin, ad imporgli di uscire di casa, anche solo per
‘prendere una
boccata d’aria fresca’.
Tralasciando
il fatto che la temperatura di quell’estate sfiorava quasi
quella di un
microonde in funzione…
Ecco
perché si trovava in quel parchetto dimenticato dal comune
senso civico, dalle
panchine rose dalla ruggine e piene di scritte fallocratiche.
Chiuse
il
libro, alzandosi dalla panchina. Gli ultimi raggi di sole si erano
spenti, era
ora di tornare a casa.
Si
incamminò lentamente, fissandosi la punta delle scarpe da
ginnastica. Si
ricordò che era un modo di fare tipico di Al: era difficile
vederlo con la
testa alzata. Sembrava sempre trovare profondamente interessante la
conformazione dei suoi piedi.
Era
arrabbiato con lui, Al.
Infuriato,
a dir poco, dall’ultima lettera che gli aveva spedito.
Più
che
altro un biglietto, strettamente legato alla zampa del gufo di casa
Potter-Weasley, Edwig.
Crepa.
Con
sinceri saluti.
Al.
|
Albus
aveva
un senso dell’umorismo tutto Serpeverde, Tom ne era certo, e
segretamente ne
era divertito, e persino un po’ soddisfatto.
Era arrabbiato perché aveva declinato l’invito
alla Tana. Palese come il sole.
Tom
sospirò
risalendo la strada asfaltata di Privet Drive, dove poche macchine
dimostravano
il fatto che fossero tutti in villeggiatura. Tutti tranne la sua
famiglia. Suo
padre aveva dei casi su cui doveva lavorare, e sua madre aveva
centinaia di
associazioni di volontariato a cui collaborare, mostrando il suo brio
australiano.
Vern
e
Alicia invece scappavano a Londra non appena ne avevano
l’occasione, con la
loro allegra combriccola di borghesi travestiti da ragazzi
dell’East End.
A
volte
si trovava ad invidiarli un po’. Se non altro vedevano
qualcosa di diverso che
quelle orrende casette quadrate da mattina a sera.
Poi
si
ricordava qual’era la loro serata tipo: club e centinaia di
sterline spese in
cocktail pessimi. Allora tornava soddisfatto a rintanarsi in camera,
aspettando
Hogwarts.
Solo
ad
Hogwarts Thomas si sentiva bene. A casa.
Ad
Hogwarts era Thomas Oltre Ogni Previsione, il Ragazzo Immagine di
Serpeverde,
secondo solo a Zabini, Quello Che i Professori Notano e Stimano.
Era
in
parole povere, se stesso.
Nel mondo Babbano invece era Tom Dudley, il fratello strampalato di
Alicia e
Vern. Quello che si poteva ammirare leggere al parchetto, con gli occhi
incollati alle pagine e talvolta musica nelle orecchie –
doveva pur
neutralizzare i petulanti mocciosi delle altalene in qualche modo, non
ricorrendo alla magia. Quello dark.
Quando
si
sentiva catalogare così, rischiava sempre una crisi convulsa
di risa.
E una
strage a colpi di stupeficium, ovviamente.
Tom
odiava l’estate. La odiava, perché lo portava via
da Hogwarts e dal suo mondo.
Aprì
il
cancello del giardinetto, entrando nel vialetto perfettamente
lastricato di
casa. Sua madre amava il giardinaggio quanto sua nonna. Se non altro in
quello
si erano trovate.
Per
il
resto si detestavano cordialmente.
Entrò
in
casa, driblando abilmente la cucina, sapendo che molto probabilmente i
suoi
erano lì. Non aveva intenzione… o per meglio
dire, voglia, di ascoltare le loro
lamentele su come impiegava male il
proprio tempo.
Era
sicuro che lo dicessero per il suo bene. Ma era comunque seccante.
La
stessa
idea, anche se per diversi motivi, sembrava averla avuta la sorella
minore, con
cui quasi si scontrò per le scale.
Indossava
degli shorts arancioni fluo e una maglietta lunga, al ginocchio, con
scritte
che Tom trovò difficile decifrare. Eppure aveva ottimi voti
anche in Antiche
Rune.
“Ehy
Tom…” strascicò Alicia.
“Ehy Alicia…” replicò
urbanamente il ragazzo. “Esci?” si
informò per cortesia.
La
quindicenne alzò gli occhi al cielo.
“Sicuro
Tommy. Che altro dovrei fare? Restare qui a crepare di noia?”
“Tom.” La corresse.
“In ogni caso non so…
era solo per chiedere.”
“A volte fai domande così
banali…”
“Forse mi piace sentire risposte banali.”
Ironizzò con un sorrisetto. “Papà lo
sa?”
“Ah, non fare il bacchettone…”
sbirciò il libro che teneva sottobraccio.
“Cummings?”
“Dovrebbe, sì.”
La ragazzina gli lanciò un’occhiata in tralice,
intuendo. “… Come fai a…?”
Thomas sorrise: aveva una tiepida predilezione per Alicia. Vernon, che
aveva
quattordici anni e qualche chilo in troppo, era troppo… stupido.
Non
c’era
altro modo per definirlo.
Dicevano
che fosse carino, e avesse un bel viso. Ma Tom lo trovava lento e
arrogante.
Alicia aveva preso da sua madre.
“Come
faccio a trasformare un libro di storia della magia in un classico del
novecento?”
le tirò leggermente una ciocca di capelli. “Sicura
di volerlo sapere?”
Alicia arrossì. “Sei proprio uno stronzo
Tom!” esclamò dandogli una spinta e
uscendo.
Il
ragazzo ridacchiò, ma smise quando vide la mole del padre
stagliarsi sulla
porta.
“Tom, avete ancora litigato?” Sembrava trovarlo del
tutto normale. Era un po’
seccato, ma non molto. Probabilmente era stanco.
“Non
proprio. Alicia esce, comunque.”
“Sì, lo so. Va con Loren e Mitch a
Londra…” sembrava trovare normale anche
quello.
Non era un cattivo padre, Dudley. Non essendo davvero suo figlio poteva
guardare le cose, doveva ammetterlo, con sufficiente distacco.
Non era un cattivo padre, adorava la sua famiglia, e faceva il
possibile per
esserci. Era solo assente. Dopo che la ditta del padre aveva fallito, a
causa
della recessione di una quindicina di anni prima, Dudley era stato
aiutato da
un’amico di famiglia ad entrare in uno studio legale.
E
forse
non era stato proprio un favore, vista la mole di lavoro che gli veniva
quotidianamente assegnata.
“E
tu
cosa fai?” Chiese l’uomo.
“Rimango a casa? Come sempre.” Concluse con
un’alzata di spalle.
Dudley
sbuffò appena. “Non vai con loro? Mi sentirei
più sicuro.”
“Non mi piace il caos della City.
E
poi senza bacchetta sono inoffensivo come un
bambino…” lo stuzzicò. L’uomo
prevedibilmente impallidì, e poi arrossì.
Si
controllava meglio, gli aveva confidato una volta zio Harry, da quando
viveva con
loro.
Probabilmente
aveva imparato a convivere con il fatto che era un babbano.
“Tom,
lo
sai come funzionano le cose qui. Non voglio sentir parlare di
magia.”
“Ma io sono un mago.”
Rincarò.
“E
noi
no. Va’ a lavarti le mani, è pronto a tavola
piuttosto.” Concluse l’uomo
definitivo, rientrando dentro senza dargli diritto di replica.
Tom
serrò
le labbra, ma salì in camera, disattendendo
l’ordine: doveva prima rispondere
alla lettera di Al. Poco importava fosse più che altro una
stizzita
dichiarazione di guerra.
Conosceva
Mister Al Potter da una vita. Era arrabbiato, ma gli sarebbe passata in
fretta.
Si sedette alla scrivania, tirando fuori penna e calamaio. Kafka, la
sua
cornacchia, avrebbe potuto tranquillamente portare anche un messaggio
scritto
dal pc di Vern, ma a lui piacevano i metodi tradizionali.
Kafka
gracchiò dalla sua grossa gabbia, pretendendo cibo e
attenzioni. Era un animale
testardo, irritabile, ma fedele. L’aveva scovata in fondo ad
un negozio di
animali a Diagon Alley, invenduta per via di una certa tendenza a
beccare i
potenziali giovani acquirenti. Era nera, grossa, con due lucidi occhi
color ossidiana.
Se ne era innamorato a prima vista. Le sue dita un po’ meno.
Ci
aveva
messo un po’ per addomesticarla, ma adesso era fedele e
diligente.
“Smettila.
Ti darò da mangiare quando avrò finito
qui.” Le concesse prendendo la carta e
cominciando a scrivere.
Gracchiò
di nuovo.
“Non
ho
intenzione di ascoltarti.” Sapeva che era intelligente.
Infatti smise.
Le
rivolse un sorrisetto obliquo. “Dovresti ringraziarmi, ti
farò persino
sgranchire le ali stasera… anche se certo, dovrai dividere
la gabbia con Edwig
poi.”
Kafka sbattè le ali, stizzita.
“Stavo scherzando. Fa’ come preferisci, come al
solito…”
Kafka beccò le sbarre metalliche, in assenso. O forse no.
Forse le aveva semplicemente
beccate. Sbuffò,
concentrandosi sulla lettera.
Mi metto
persino a parlare con un
uccello dandogli capacità di ragionamento,
qualità prettamente umana…
decisamente devo tornare alla socialità.
Ma
non lo
sfiorò il rimpianto di non essere andato alla Tana.
Quel
posto non faceva per lui, esattamente come Privet Drive. Non tollerava
Jamie,
malsopportava Rose e per finire odiava
trovarsi il piatto ricolmo di cibo.
Ed i
‘Tommy’ erano ancora più frequenti.
Solo
per Al
ne sarebbe valso la pena… ma era comunque troppo poco per
sorbirsi un’estate di
scherzi da parte degli Scamandro.
Si
fermò,
indeciso su cosa scrivere. Poi fece un mezzo sorriso, terminando in
pochi
istanti il biglietto. Asciugò l’inchiosto con la
carta assorbente ed imbustò la
lettera.
“TOM, LA
CENA!”
sentì dalle scale la madre. La ignorò, aprendo la
gabbia e facendosi salire
Kafka sul braccio, coperto preventivamente da una maglietta a maniche
lunghe arrotolata.
“Alla Tana. Consegnala solo
ad Al.”
Specificò, divertito all’idea che fosse James
l’addetto alla corrispondenza in
quel periodo. L’avrebbe sicuramente beccato.
“… e fa presto.”
Si vergognò non appena ebbe pronunciato quella frase, anche
se l’unico
spettatore che aveva era una cornacchia.
Al
dopotutto poteva aver già dimenticarlo la sua lettera. Aveva
Rose, e un sacco
di cose da fare, come tuffarsi in un lago melmoso, cavalcare scope
traballanti
e lanciare gnomi in aria.
Aprì
la
finestra, facendola volare via.
“LA CENA,
TOM! SCENDI O DEVO
FARLA SALIRE CON UNA CARRUCOLA?!”
Tom sospirò aprendo la porta. “Arrivo
mamma.” disse con voce sufficientemente
alta per essere udito, ma senza urlare.
Se fossimo ad Hogwarts basterebbe un
Wingardium Leviosa.
****
28 Agosto 2021
Devon,
La
Tana.
“Questa
reincarnazione di Goblin mi ha morso!” urlò James
tenendosi un dito gonfio e
rosso, mentre Kafka sbatteva le ali soddisfatta, appollaiata sopra il
lampadario del salotto.
“Oh per la barba di Merlino, Jamie! L’avrai
sicuramente afferrata male!” lo
rimbrottò nonna Molly. “Forza, cara, scendi
giù.”
L’uccello non si mosse di un millimetro.
“Testadura
come il suo padrone…” sibilò il
diciassettenne, succhiandosi l’indice offeso.
Rose ridacchiò, seduta trai cuscini del divano. I gemelli se
erano andati senza
troppi incidenti una ventina di minuti prima. Ed erano stati
immediatamente
rimpiazzati dalla cornacchia di Thomas.
In questa
casa non ci si annoia
mai…
“C’è
poco
da ridere! Quella bestiaccia è infernale!”
Rose sorrise sottile. “Non esagerare adesso Jam. Lo sai
benissimo che Kafka si
fa solo prendere da Al. Non si fiderà delle tue
manacce…”
“Le
mie
manacce, ti ricordo, cara la mia Rosie, ci hanno fatto vincere la Coppa
delle Case due anni
fa.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Per quanto
vuoi ancora ammorbarci con
questa storia?”
“Finchè non verrà capito che Malfoy
è la scelta più cretina che si potesse
fare…” replicò salace, mentre Molly
fissava la cornacchia, domandandosi se
avrebbe dovuto usare un’incantesimo di appello per tirarla
giù dal lampadario.
“Malfoy
è
stato scelto ad unanimità, mi risulta. Perché non
ti metti l’anima in pace,
Jam?”
“Perché è Malfoy.”
“Sei ridicolo.”
“Sarò
ridicolo, ma neanche a te è particolarmente
simpatico.”
“La simpatia non c’entra con il fatto che
è un ottimo capitano per Grifondoro.”
“Non
sa
reggersi su una scopa!”
“Durante l’ultima partita ha parato una pluffa
tenendosi in bilico con una sola
mano…”
“Solo fortuna!”
“Santo Godric…” concluse Rose con un
lento sospiro. Diverbi verbali del genere
con James erano la norma, infatti nonna Molly neanche li stava
considerando.
Erano solo loro tre, in salotto, fortunatamente, o la lite sarebbe
presto
degenerata se malaguratamente fossero stati presenti Lorcan e Lysander.
James
le
scoccò un’occhiataccia, affondando pesantemente
sulla poltrona preferita di
Nonno Arthur, ora occupato nel capanno degli attrezzi con un forno a
micromaree.
Microonde
ovviamente.
“Mettiamola
così, Rosie. Se ti dicessi che sei ridicola quando Malfoy
prende voti migliori
di te a pozioni, o risponde prima di te ad una lezione di
trasfigurazione e tu
ti ci incazzi… Te la prenderesti?”
“E’ una cosa diversa.”
Ribattè, con un lampo battagliero nello sguardo.
“Che
sia un buon capitano è un dato di fatto. Che sia
più bravo di me a scuola è
tutto da dimostrare.”
“Non
sei
corretta!” saltò su James.
“Invece
sì. Non fraintendermi, io non sopporto Scorpius. Se
dipendesse da me prenderei
a calci nel sedere il suo culetto aristocratico da mattina e
sera…”
“Ma?”
“Ma è bravo a Quidditch, e non ha comprato
né il suo posto da portiere, né la
sua candidatura a capitano. È semplicemente bravo.”
Terminò. “Per quanto poco mi faccia piacere
ammetterlo…” aggiunse vedendolo
adombrarsi.
Il
cugino
e Malfoy erano la piena esplicazione della decennale
rivalità Malfoy-Weasley,
con una poco opportuna aggiunta Potter. Il risultato era che in campo
collaboravano, ma fuori si sarebbero presi a pugni in ogni singolo
angolo della
scuola.
Si
voltarono di scatto quando sentirono lo strillo stizzito della nonna
che,
tentando di afferrare la cornacchia appena presa con un accio,
era stata prevedibilmente beccata.
“Albie! Ti prego, smettila di ignorare la
lettera di Thomas, prima che stacchi qualche dito di
famiglia!” urlò Molly.
Si sentì un rumore di passi e Al si palesò dalle
scale, imbronciato.
“Smettila
di fare il muso, fratellino… Quella dannata bestiaccia
rischia di restare
appollaiata lassù finchè non dovremo
impagliarla.” Sogghignò James.
Al sbuffò. “Vieni bella…”
disse semplicemente e l’uccello planò dolcemente
per
aggrapparsi alla sua spalla. Molly sospirò.
“Immagino di non dover preparare la gabbia anche per
lei…” Sembrava stizzita,
ma di fronte ad Albus era la più mite e accomodante delle
nonne.
Al sorrise. “No, nonna. Starà sotto il tetto, come
al solito. A lei piace
così.”
“Solo uno scoppiato come Tommy poteva prendersi un uccello
che mangia
cadaveri.” Commentò James una volta che Al ebbe
lasciato al stanza.
“Seriamente, un corvo.”
“Cornacchia,
a dire il vero… e comunque credo sia onnivora. E sono
carcasse di piccoli
animali, non cadaveri di esseri umani.
Sei il solito esagerato.”
“Rosie…
sai che intendevo. Perché diavolo non si è preso
un gufo o una civetta?”
borbottò passandosi una mano trai capelli. “O
chessò, una puffola pigmea.”
“…
Ce lo
vedi Tom con una Puffola?”
L’altro sghignazzò, scuotendo la testa, divertito
enormemente dall’immagine.
Rose scrollò le spalle. “Appunto. Tom è
fatto così.”
James
fece schioccare la lingua, afferrando una cioccorana e scartandola. Se
la
infilò in bocca prima che potesse anche solo accennare ad un
salto.
“E’
proprio un Serpeverde, quello lì.”
Rose
non
replicò stavolta.
****
Al
corse
nella camera sotto il tetto, che divideva con il fratello e il cugino
Hugo,
entrambi non presenti al momento. Il primo probabilmente stava ancora
parlando
male di Malfoy, e di quanto fosse folle
la sua nomina a Capitano. L’altro era nella rimessa con il
nonno,
entrambi presi a carpire il segreto di manufatti babbani.
La
cornacchia gli beccò gentilmente l’orecchio. Al
rise.
“Hai fame, eh? Dal Surrey al Devon… Bel
viaggio.” Prese una manciata di semi di
zucca, di cui Hugo era ghiotto e che lasciava sempre sul comodino in
una ciotola, e li porse
all’uccello che li beccò avidamente.
Gli
slegò
la lettera dalla zampa, lasciando che si appollaiasse sul davanzale e
la aprì, buttandosi sul letto senza neanche togliersi le
scarpe.
Dentro la busta c'era poco più di un biglietto.
Qualsiasi
cosa ci sia scritta che
vada a farsi fottere. Ci ha piantato in asso, che diavolo… e
per dei libri.
Scorse
le
uniche due righe e si impose di non sorridere, né mostrare
approvazione. Era
persino più corta.
Faccio
ammenda.
Cavallo
in C6
Thomas
|
…
Finì
per piegare le labbra in un sorriso sinceramente divertito e rassegnato.
Si
alzò,
andando alla scacchiera magica, ferma da due mesi, cioè
dall’ultima partita che
avevano dovuto interrompere prima che suo padre riaccompagnasse Tom dai
genitori, dopo due soli giorni di pernottamento alla tana.
Gli
aveva
promesso che l’avrebbero ripresa. Si mise dal lato di Thomas.
“Cavallo
il C6.” Ordinò, e quello venne prontamente
spazzato via dalla sua torre.
La
partita era conclusa. Tom aveva lasciato il suo re privo di protezioni.
“Scacco matto…” mormorò con
un sorriso, ridacchiando.
Era
insopportabile quando riusciva a farsi perdonare.
****
Note
1
–
Harry, almeno nell’adattamento cinematografico, è
leggermente più basso di
Ginny. Non ci è dato sapere se abbiano mantenuto quelle
proporzioni, ma
conoscendo la famiglia Weasley mi piace pensare di sì, e che
Al abbia preso dal
padre.
2
– La McGrannit è
andata in
pensione nel 2017. Essendo stato suo vice il professor Vitius mi
è sembrato
sensato promuoverlo a preside.
3
– Repello Babbanum :
è un incantesimo
usato per respingere i babbani dai luoghi frequentati da maghi (Es.
Hogwarts).
Quando sono nelle vicinanze, ricordano di aver dimenticato di fare
qualcosa e
si allontanano.
4
– East End è
un quartiere malfamato alla
periferia di Londra. Con il termine City
invece si intende il centro di Londra.
5
– Kafka in cieco
significa ‘corvo’. E
Thomas, essendo cresciuto trai babbani e essendo un divoratore di
libri, è abbastanza probabile conosca Francis
Kafka Quindi… lo so, sono tremendamente
banale. :P
Per
le recensioni:
Marty McGonnagal:
Beh, non che Dudley mi stia propriamente simpatico. Diciamo che capisco
le sue ragioni. E andando avanti nella storia le capirai anche tu.
Diversamente da Vernon, che era un'autentica figura negativa, senza
nessun tratto buono, mi piacerebbe farlo con un po' più di
sfumature. In fondo è stato l'unico a ringraziare
sinceramente Harry per tutte le volte che ha parato loro il culo.
Natalia:
Precisamente quello che intendo io su Dudley. Il rapporto tra Dudley e
Thomas, suo figlio adottivo non è negativo quanto lo era
quello tra Harry e Vernon, chiaro e delineato. Dudley vuole bene a
Thomas, anche se non lo capisce. Penso sia più o meno la
stessa cosa che se si trovasse un figlio gay. XD Tom sto cercando di
costruirlo invece pezzo per pezzo, con calma. Anche se è
cresciuto in un nucleo familiare che lo ha amato, rimane il fatto che
non si sa esattamente da chi e ome sia venuto al mondo, nè
per quale motivo.
Pietro90:
Grazie mille per i complimenti. Per uno scrittore in erba il
più bel complimento che gli possa essere fatto, è
appunto, dirgli che il proprio racconto ha una struttura che regge, e
per uno scrittore di fan-fic che è riuscito a rendere
l'originale. Thanks! Se hai qualcosa in cantiere dovresti assolutamente
provare a postarla! Anche solo come esercizio. Te ne parla una che
scrive da quando aveva dodici anni :P Tom... beh, Tom aspetta e vedrai!
Dopotutto Thomas è un nome comunissimo anche trai babbani.
Potrebbe averglielo dato Dudley senza sapere delle sue
implicazioni magiche, no? ;)
Per
quanto riguarda il discorso delle immagini… vi ho dati i
nostri ragazzi che
erano ancora bambini, ora beccatevi gli adolescenti! XD
Thomas
è Tom Sturridge.
Chiunque lo conosca sa
che è stato abusato in ogni fandom del pianeta, spesso pure
un po’ a
sproposito. Personalmente riesco a vederlo male come probabile Al. Con
quella
faccia a stronzetto Serpeverde è impossibile.
Albus
è
stato un travaglio, ma alla fine ho scelto Logan Lerman(no, non quello di House MD U_U) per la sua faccina
pulita. Non so
chi diavolo sia, ma penso gli rassomigli. Ditemi voi.
James
è
semplicemente Matt Melchovicz in
Mean
Creek. Non riesco ad immaginarmelo diverso.
Per
Rose
invece mi sono fatta aiutare dal fandom e Danielle
Panebaker è perfetta.
Jamie
Thomas
Al
Rose
Per
gli
altri, come Scorpius, i gemelli Scamandro e Ted, beh… li ho, (lo
so, sono malata. È estate,
perdonatemi.) ma bisogna aspettare la loro apparizione. :P
Ted comunque è uno strafigo. XD
|
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Capitolo 6 *** Capitolo II ***
@Miriam Malfoy:
Mi fa piacere che Thomas ti piaccia ^^ E' l'unico personaggio, come si
può dire, originale, quindi ovviamente è quello
su cui ho più dubbi,
assieme ad Albus, che è praticamente il co-protagonista. Mi
spiace che Al non riscontri il tuo gusto, purtroppo
era il ragazzino che assomigliava di più all'idea che mi ero
fatta di
Albie. U_U' E sì, Scorpius è
capitano della squadra di Quidditch, ma non solo, ma ti lascio la
sorpresa. Penso che il povero Draco non se ne
farà mai una ragione... E non parlarmi di Draco e i suoi
pochi capelli.
Non perdonerò mai la Row per averlo ridotto ad uno stempiato
di mezza
età! (senza contare che suo padre NON ha perso i capelli.
Cheddiav...).
Comunque, i Malfoy avranno un ruolo importante in questa fic, giusto
per dirtelo. Continua a seguirmi e recensirmi, grazie!
******
Capitolo
II
“On
the
Train”
Train set and match spied under the blind
Shiny and contoured the railway winds
The hiss of the train at the railway head
Always the summers are slipping away
(Trains,
Porcupine Tree)
Albus
Severus Potter contemplava la sua spilla da prefetto, seduto su una
sporgenza
del carrello bagagli alla stazione di King’s Cross,
binario-inesistente-nove-e-tre-quarti.
Era lucida e vi era raffigurato un poderoso serpente verde brillante.
Era
diventato un prefetto.
Roba
da
non credersi.
I suoi genitori l’avevano festeggiato tutto il giorno prima,
mentre lui tentava
di stamparsi in faccia un’espressione entusiasta. Adesso
erano al lavoro, e
poteva smetterla di sorridere come un idiota.
Era
strano: era pur sempre il primo anno che non li accompagnavano alla
stazione.
Ma ormai Hugo
e Lils hanno
quattordici anni e James ha la licenza per guidare la vecchia Ford del
nonno… ¹
Rose
accanto a lui, come sempre, gli rivolse un sorriso.
“Forse hai ragione. Forse sarà un grande
anno.” Ridacchiò. Aveva ricevuto la
spilla il giorno prima, come lui, via gufo. Ne era stata contenta, lei.
“Oh,
dai,
cos’è quella faccia? È un onore,
sai!”
Al sbuffò appena. “Più che altro
secondo me è una gran rogna. E poi non me ne
importa nulla di diventare prefetto! Già faccio fatica ad
essere un semplice
studente, a volte.”
La ragazza gli arruffò i capelli affettuosamente.
“Non vederla così…”
Non riusciva a vederla diversamente. Lui era un tipo tranquillo. Aveva
buoni
voti a scuola, una certa abilità che lo inorgogliva in
pozioni, ma era tutto
lì.
A
volte
sognava di non essere un Potter. Poi se ne vergognava ferocemente,
perché amava
la sua famiglia… ma non la viveva come Jamie.
Si
alzò
in piedi, cercando con lo sguardo tra la folla la sorella, che si era
attardata
a parlare con Roxanne vicino alla colonna d’entrata. Le vide.
Non che fosse
difficile.
Roxanne
Weasley
svettava nel suo metro e ottanta, con una carnagione caramello denso e
profondi
occhi azzurri. Era bella. E non se ne curava.
L’unico
amore che poteva concepire e tollerare era quello per il Quidditch. Era
una
cercatrice, come lui, ma per Corvonero. Si vociferava che, essendo
all’ultimo
anno, le Holyheads Harpies l’avessero già
contattata per giocare come riserva
non appena si fosse diplomata.
Lily
invece era minuta, graziosa, e trovare il Quidditch uno sport violento
e poco
divertente. Nonostante questo erano legatissime. Nessuna passione in
comune,
eppure erano l’una la confidente dell’altra.
Infatti Lily aveva passato
l’estate a Londra, dagli zii George e Angelina.
Alla fine quest’estate è
stata
all’insegna di Jamie e dei Lorcan. Che meraviglia.
Le
vide
salire sul vagone, e fece un cenno alla sorella, che
ricambiò, sillabando muta
‘ci vediamo dopo’.
Jamie
l’avrebbe
inseguita per assicurarsi che Rox non la facesse avvicinare troppo ai
ragazzi,
ma a lui non importava. Non era più una bambina, e poi era spaventosa quando pensava di essere
controllata.
Sfregò
appena la spilla sulla felpa. Mentre la stava pulendo dalle sue dita
maldestre,
un ragazzo con un voluminoso baule gli diede una gomitata, facendola
cadere.
“Dannazione!” sbottò preoccupato,
vedendola sparire trai piedi concitati delle
persone sulla banchina. Si chinò cercandola con lo sguardo.
Ci mancava
solo questa… vediamo
davvero se la perdo ancor prima di averla messa!
Prima che
potesse
afferrarla – era finita sotto un carrello dei bagagli
– una mano forte ma
pallida gliela porse. Alzò lo sguardo per incontrare iride
grige metallo,
inconfondibili.
Scorpius
Hyperion
Malfoy.
“Potter…”
“Malfoy!” sbottò alzandosi di scatto. Si
spazzolò le mani sui pantaloni, sorridendo
nervoso.
Non ce l’aveva con Malfoy. Gli era abbastanza indifferente,
ma il fatto che
fosse più alto di lui di almeno venti centimetri, e avesse
sempre quell’aria beffarda
stampata in faccia…
Beh,
lo
metteva a disagio. Almeno Jamie era suo fratello, e poteva
accapigliarcisi.
“Questa
credo sia tua.” Gli sorrise ironico.
“Sta’ più attento. Tendono a consegnarne
una sola all’anno.”
Al se la riprese, infilandosela velocemente in tasca. “Ah,
già… uhm, beh,
grazie.”
Rose
che
li guardava dal carrello bagagli sospirò appena, segnalando
la sua presenza.
“Weasley.”
“Malfoy.”
Si fronteggiarono. Malfoy con le mani abbandonate nelle tasche, Rose
con le
braccia conserte.
Lui e
Rose…
Beh, era
difficile definire il loro rapporto, se di rapporto si trattava.
Erano
entrambi Grifondoro, prima di tutto.
Scorpius
allo smistamento, con un certo sgomento da parte di tutti, era stato
assegnato
proprio alla casata dei grifoni.
Un Malfoy.
Probabilmente
non è mai successo
nelle duemila generazioni della sua famiglia.
A suo padre
sarà venuta una
sincope.
E poi
erano rivali, scolasticamente parlando. La cugina deteneva anche delle
statistiche sui rispettivi rendimenti. Da pazzi.
Si
stuzzicavano con frecciatine durante le lezioni, e mentre il ragazzo le
rinfacciava la sua scarsa abitudine alla socialità, Rose
ribatteva sciorinando
la sua pessima attitudine a farsi degli amici maschi. E così
via.
“Dopo
cinque anni dovresti averlo imparato, il mio nome, Weasley.”
La
ragazza fece una smorfia, come se avesse sentito un suono fastidioso.
“Tendo a
rimuoverlo. Comunque lo stesso dovrebbe valere per te..”
“Weasley trovo che ti si
addica di
più.” Replicò il biondo.
“Come hai passato quest’estate?”
“Esattamente come la immagini tu. Tremendamente povera di
divertimenti e di
classe.”
Scorpius
rise.
“Via,
non
darmi del classista. Non lo sono. Sono un Grifondoro.”
“Vogliamo tirare fuori il solito argomento sulla presunta
poca lucidità
decisionale del Cappello Parlante?” sorrise amabilmente.
“Perché è quello che
si dice, sai.”
Scorpius scrollò le spalle.
“Non
do
retta alle voci più di quanto non dia retta ad un vecchio
straccio…”
Rose
inarcò le sopracciglia.
“Ma non mi dire. Scorpius Malfoy scelse
Grifondoro?”
Il ragazzo non rispose, limitandosi a guardarla sorridendo. Cosa che
Al, sapeva
bene, la mandava letteralmente fuori dai gangheri.
“Cosa
vuoi Malfoy? Papà oggi non ti ha accompagnato e sentivi il
bisogno di scambiare
qualche parola con qualcuno che non fosse un’ochetta
adorante?”
Scorpius ignorò la frecciatina. “Aveva da fare.
Sono venuto da solo, con un
elfo domestico. Dovrebbe star sistemando adesso le mie
valige.” Sorrise
urbanamente. “E comunque, volevo solo congratularmi con Albus
per la nomina a
prefetto… e anche con te, naturalmente.”
Rose
lo
guardò presa in contropiede. Era chiaro non se
l’aspettasse. Dopotutto erano rivali.
“Comunque… spero che ci
metteranno
assieme, durante le ronde. Adoro la tua pungente ironia, specialmente
la sera.
È come un buon bicchiere di whiskey incendiario”
Rose sgranò gli occhi. “Vuoi dire che
tu…” le si bloccò il fiato in gola
quando
gli vide comparire tra le dita, come un vecchio gioco di prestigio
– probabile
l’avesse materializzata – la spilla da prefetto di
Grifondoro.
“…
Congratulazioni?”
tentò Al prima di essere fulminato dalla cugina. Tacque,
saggiamente.
“Come
hanno potuto fare te prefetto?”
“Per lo stesso motivo per cui hanno pensato a te, Rosey-Posey.” La
vezzeggiò, rischiando quasi una fattura dallo
sguardo incenerente che gli rivolse.
“Chiamami
ancora in quel modo e giuro che quella spilla dovranno estrartela da
posti che
non avresti neanche creduto di avere.” Sibilò.
L’altro
le servì un sogghigno deliziato. “Ci divertiremo,
ne sono certo.” Vedendo
arrivare James però pensò bene di battere in
ritirata. Ci sarebbe stato
comunque tempo per inagurare il nuovo anno scolastico con il maggiore
dei Potter.
Fece un lieve inchino.
“A presto Weasley…” E scomparve
fluidamente tra la folla.
“Io lo ammazzo.” Esalò Rose serrando i
pugni. “L’hanno fatto Prefetto! Quel
dannato… quel dannato…”
“… Malfoy.” Mormorò dolente
James, dandole una pacchetta sulla spalla. “Hai
saputo, eh Rosie? A me l’ha detto Bob Jordan.”
“Come hanno potuto!” esplose voltandosi inferocita
verso i due cugini.
Al fece un passo indietro, e James si maledì per non averlo
fatto.
“Quell’idiota
non ha i requisiti per diventare
prefetto!”
“… Perché io sì,
eh…” sospirò Al.
James
sbuffò. “Smettila di fare il coniglietto
tremolante, Al. Sei in gamba, per
questo Vitious ha appoggiato la tua candidatura.” Poi si
voltò verso Rose. “Ma
che voleva Malfoy da te?”
“Bullarsi, come al solito, di riuscire a copiarmi
in tutto.” Replicò salace.
James
sbuffò simpatetico. “Allora, che ti dicevo? Non
senti un orrendo bruciore di stomaco
all’idea che debba condividere con te la carica? Ecco. Io mi
sento precisamente così.”
Rose si morse un labbro. Quando James aveva ragione –
raramente, ma accadeva –
aveva ragione.
“Non voglio pensarci, davvero.”
Borbottò. “Dov’è
Hugo?”
“Già dentro. Mi sono assicurato che salisse invece
che tentare di capire il
funzionamento dei vagoni. Sta peggiorando Rosie…”
La ragazza scrollò le spalle. “Finchè
non tenta di montare un impianto
elettrico in casa va tutto bene. E poi a Hogwarts non funziona la
tecnologia
babbana. Si disintossicherà.”
“O
troverà il modo di farla funzionare.”
Replicò James, passandosi una mano trai
capelli e sorridendo a Roberta Fitz-Patrick, una tassorosso del quarto
anno che
ridacchiò seguita da una comitiva di par sue. Per lui era
come un tic
dispensare sorrisi affascinanti.
“Beh,
io
salgo!”
Rose e Al si guardarono, facendo un sorrisetto. Sapevano che Teddy
avrebbe
fatto il viaggio con loro, aveva un mandato un gufo per avvertirli. Ma
l’avevano nascosto a James.
“Certo, certo. Vai, io aspetto Tom.”
Replicò il fratello, con un cenno.
“Io ti raggiungo tra poco.”
James li guardò perplesso, ma senza intuire.
“Vabbeh, però sbrigatevi, che sta
per partire. Se vi lascio sui binari ma’ mi
ammazza.” Fece levitare il proprio
baule con un colpo di bacchetta. “Alla solita cabina, mi
raccomando!” urlò loro
dietro seguendo il baule fluttuante.
“Te
la
immagini la sua faccia quando vedrà Teddy?” rise
Al quando si fu allontanato.
La
cugina
ridacchiò.
“Oh sì… Prima sarà contento
di vederlo, poi gli salirà il panico quando
realizzerà che le lezioni di DADA non saranno più
il suo campo giochi personale.”
Rose si guardò attorno. “Aspetti davvero
Tom?”
La guardò confuso. “Certo che lo
aspetto!”
“Sì, ma è in ritardo.”
“Probabilmente perché gli
hanno fatto
fare ritardo. Sua madre è così
apprensiva. Neanche dovesse partire in
guerra o non so che…” borbottò.
Si erano visti a Diagon Alley qualche giorno prima, ma in mezzo alla
confusione
di cugini e amici erano a malapena riusciti a parlarsi. Thomas poi era
continuamente tormentato da Lily, che pareva trovare estremamente
divertente la
sua riluttanza a darle udienza.
“Vuoi
che
aspetti con te?”
Al scosse la testa. “Manca poco alla partenza, lascia
perdere… vai dentro, io
gli ho dato appuntamento qui.”
Rose lo guardò: a volte Al sembrava votato
a Thomas. Gli voleva bene, su questo non c’era alcun dubbio,
e Thomas ne voleva
a lui.
Però
il
loro rapporto non era fraterno, né amichevole come quello
che intercorreva tra
lei ed Al.
Era
più…
…
una dipendenza.
Si
sentì
ridicola quando lo pensò: Albus non era dipendente da
Thomas. Gli era solo
molto affezionato. Lo stimava, anche. Tutto qui.
Al
sorrise,
vedendo arrivare Thomas con la consueta flemma una manciata di minuti
dopo.
Poteva capire perché le ragazze perdessero la testa per lui,
anche solo
indossando un’anonima polo nera e un paio di jeans chiari
come quel giorno. Oggettivamente
Thomas era bello e naturalmente elegante, tratto che lo distingueva dal
resto
della famiglia Dursley.
Avrebbe
voluto avere un briciolo di quello che aveva Tom, se non riusciva
– e non ci
teneva neanche – ad essere uno spigliato belloccio come
Jamie.
“Mi
raccomando, fa’ con calma… altrimenti rischiamo di
prenderlo, questo treno!” gli
sogghignò, dandogli una lieve pacca sul petto.
Tom sospirò. “Mia madre ha voluto controllare che
avessi preso un quantitativo
sufficiente di maglioni per tappezzare tutta la sala comune.”
Al
rise,
poi infilò la mano in una tasca, mostrandogli il badge.
“Guarda qua. Riesci ad
immaginarlo? Vitius quest’anno ha esagerato con
l’aquavite al consiglio
scolastico!”
L’altro ragazzo inarcò le sopracciglia.
“Prefetto.” Disse.
“Prefetto Al Potter a rapporto, già.”
Sbuffò. “Dimmi condoglianze.”
Thomas sorrise inaspettatamente. Pensava che ne sarebbe stato un
po’ geloso.
Era dannatamente competitivo, persino con lui.
Poi
capì.
“Anche…?”
“Proprio così. Prefetto
Potter…”
“… e
Prefetto Dursley!” Rise Al,
dandogli una pacca sulla spalla. “E’ fantastico!
Tom, sei un prefetto anche
tu!”
“Non
l’avevo notato.” Ironizzò. La locomotiva
lanciò un lungo fischio, avvertendo i
ritardatari dell’imminente partenza.
“Meglio se saliamo in carrozza, prefetto Potter.”
Al scosse la testa. “Sai, non mi ci trovo affatto con
‘sto titolo.”
“Perché?”
“Non lo trovo… boh, roba che mi compete.”
“Sciocchezze. Sarai l’unico Serpeverde
sufficientemente onesto a non togliere i
punti alle altre Case per una mera questione di principio. Sarai un
livellatore
del trend comune.”
“…
Tradotto
in linguaggio non fine ottocento?” lo prese in giro.
“Sei
adatto per questo ruolo, Al. Falla finita.” Tradusse
diligentemente. Il cugino
gli rivolse uno dei suoi sorrisi radiosi.
Non c’era altro modo per descriverli. Era come un incantesimo
di lumos maxima magistralmente
eseguito.
Non
lasciavano ombre.
“Sarà
un
grande anno, lo sai?” ripetè a suo beneficio.
Thomas gli strinse una spalla con una mano, gentilmente. Era un loro gesto. L’unico intimo che
concedesse ad uno dei membri della sua famiglia. Ad un essere umano in
generale, a dirla tutta.
“Sì,
lo
penso anche io.”
****
Espresso per
Hogwarts, Lowlands,
Scozia.
James
era
al centro perfetto del suo mondo.
Seduto nel vagone dei Grifondoro, in viaggio verso Hogwarts per il suo
Settimo
anno, con i gemelli Scamandro che giocavano a Sparaschiocco nel sedile
davanti.
Anche
se,
a dirla tutta, al momento si stava un po’ annoiando.
“Ehy,
Lor…” si rivolse al gemello che quel giorno
avrebbe parlato. “Vado a farmi un
giro nel corridoio. Se passa il carrello cosa vi prendo?”
“Api frizzole.” Mugugnò concentrato sul
gioco. L’altro annuì con un cenno
distratto. “Porco Nargillo, Lys! Questa mossa non
è valida!”
James si richiuse dietro la porta che Lorcan ancora roboava insulti
strampalati.
Fischiettò
un nuovo successo della WWN² che gli aveva fatto compagnia
tutta l’estate,
ravviandosi i capelli.
Sorrise
svogliato ad un paio di ragazze e si scambiò pacche maschie
con alcuni
compagni.
Le facce erano sempre le solite. Pure i primini, volti freschi,
sembravano
assomigliarsi tutti.
Ti stai
annoiando Jamie Potter?
Il fatto era
che
lui lì era il Re. Certo, Malfoy era un Prefetto ed era il
Capitano della
squadra di Quidditch, ma era un Malfoy.
Oltre ad un certo livello di popolarità non sarebbe mai
arrivato.
Le colpe dei
padri…
Era
un
dato di fatto. Come era un dato di fatto che i meriti di suo padre
ricadessero
con naturalezza su di lui. E gli stava bene. Sapeva che non li avrebbe
disattesi.
Era
un
vincente. Era un Re.
…
e a
volte anche i Re si annoiavano.
Si
affacciò svogliato ad una delle cabine vuote, per vedere se
nascondevano
qualche tresca che si sarebbe divertito a commentare con i gemelli.
Sgranò
gli occhi, sentendo la mascella allentarsi.
Probabilmente
in quel momento aveva una faccia ben poco regale.
“Teddy!”
urlò.
Il
giovane uomo, preso nella lettura della Gazzetta, alzò gli
occhi, ora azzurri.
Sorrise.
“Jamie,
ehi.” Gli fece cenno di entrare. James aprì la
porta, scaraventandosi dentro.
“Che
cavolo ci fai qui?” sbottò irruento.
Ted non sembrò adombrarsi dei modi rudi del ragazzo.
Continuava a sorridere. A
ben vederlo aveva un’aria divertita. A suo agio. Come se
fosse normale la sua
presenza lì.
Doveva
avere davvero una faccia da cretino.
Ma
Ted!
Sull’espresso per Hogwarts! Diretto-solo-ad-Hogwarts!
“Beh,
sto
andando ad Hogwarts.” Disse infatti.
“E fin qui! Ma perché?”
Il ragazzo lo fissò perplesso. I capelli, lunghi fino alle
spalle, da un colore
castano chiaro sfumarono in lillà.
Ah,
era
perplesso. James da piccolo si divertiva ad indovinare i vari stati
d’animo che
Teddy simulava per lui, a seconda del colore dei capelli. Ma se era
soprapensiero non riusciva a controllarli. Come adesso, appunto.
“Perché
sto andando ad insegnare lì. Rose e Al non te
l’hanno detto? Vi ho mandato un
gufo l’altroieri.”
“Non
mi
hanno detto un cazzo!” si alzò in piedi. Si
risedette. Ci riflettè un attimo.
“Quegli stronzi!” concluse.
Teddy
si
mise a ridere. “Dio, Jamie, dovresti vedere la tua
faccia!” gli fece cenno di
accomodarsi accanto a lui, battendo una mano sul sedile. Il ragazzo
sbuffò.
“Non sono più un bambino di tre anni.”
“Adesso
ti stai comportando esattamente così. Dai,
siediti.”
James si sedette.
“Però
non
mi hanno detto nulla davvero, porca puttana.”
Mugugnò. “Davvero insegnerai?”
Teddy annuì. “Il preside Vitius mi ha convocato
due mesi fa per propormi la
cattedra. Era rimasta vacante. Mi
ha
riempito di complimenti, non sapevo come uscirne senza sembrare un
ingrato.”
Rise. “Ma non sono stato sicuro fino
all’ultimo.”
James si mordicchiò un labbro. Un dubbio atroce si fece
spazio tra le sue
sinapsi.
Per
quanto ne sapeva, l’unica cattedra vacante…
“Cosa
insegnerai?”
“Difesa contro le Arti Oscure.”
Appunto.
Fece una smorfia, ma fu attento a dissimularla. Almeno,
pensò di esserlo stato.
Teddy
inarcò infatti le sopracciglia sottili. Pure quelle,
lillà.
“Qual
è
il problema?”
“Oh, no. Nessuno. È fantastico, Teddy!”
sorrise, dandogli una gran pacca sulla
spalla. Fortuna non fosse un fuscello come Al, o l’avrebbe
steso a terra.
Sopportò abbastanza bene la zampata.
“Jamie…
La
verità.” Chiese paziente. Chiedeva sempre, mai
ordinava. Era un buon metodo con
i ragazzi come James. Li disorientava.
Infatti
James si morse di nuovo il labbro, tamburellando le dita contro le
ginocchia.
“Aw,
okay.” Sbuffò alla fine. “È
solo che sono stato un po’ stronzo con l’ultimo
professore…” Silenzio. “Un po’
tanto.”
“Lo
so.”
Vitius l’aveva edotto nel dettaglio. Anche troppo, per i suoi
gusti. Gli
sorrise. “Ma sono sicuro che con me non accadrà.
Vuoi diventare un auror, no?”
“Sicuro!”
“Allora dovrai cominciare ad imparare…”
lo fermò con un’occhiata ammonitrice
“…
imparare davvero intendo, una delle
materie base.”
James
sospirò, abbandonandosi sul sedile. “E’
così palloso stare a scuola, Teddy. A
te è sempre piaciuta. Per me è una
tortura.” Incrociò i polsi
significativamente. “Mi sembra di stare in
prigione…” si sfogò lanciandogli
un’occhiata afflitta.
Ted
lo
guardò con affetto: conosceva James da quando era nato, come
tutti i
Potter-Weasley del resto. Era un bravo ragazzo, ma diversamente da
Albus e Lily
aveva il sangue caldo. Era irruento, impulsivo, tutto azione, niente
pensiero.
Capiva
perché soffrisse a dover restare chiuso in un aula polverosa
a sentire
salmodiare un professore.
“Ma
non
tutte le lezioni saranno uguali, no? Ci sarà pure una
materia che non detesti.”
“Beh, sì…” ammise
imbronciandosi e passando un dito lungo il bracciale di pelle
di Drago che portava al polso sinistro. Era un regalo dello zio
Charlie, e ne
andava matto.
“Mi
piaceva Difesa, finchè c’era Torrent. Sicuro, a
volte era dannatamente barboso,
ma quando ci portava nella Foresta Proibita per le esecitazioni era
figo.” Ci
riflettè. “Anche Cura delle Creature Magiche
è okay. Hagrid è in gamba.”
Teddy
annuì,
segretamente sollevato dalla risposta. Aveva visto giusto.
Già
sarà dura tenere in riga due
classi per ciascun anno. Ci mancherebbe solo dover temere che Jamie si annoi e cominci ad infastidire.
“Il
programma sarà soprattutto pratico. Faremo molte
esercitazioni e vi porterò
delle creature magiche in classe. Ho già parlato col
Preside, che si è detto
d’accordo.” Notò con compiacimento il
guizzo di attenzione negli occhi del
ragazzo. “Niente noiose lezioni che cominciano con ‘aprire il libro a pagina’…
okay? È una promessa.”
James sfoderò un gran sorriso, dandogli una pacca sulla
spalla. “Non avresti
mai potuto deludermi, Teddy. Grande.”
“A
proposito di Teddy…”
James sbuffò.
“Ricevuto Capo. Alunno-e-professore. Niente Teddy.”
“James…” lo ammonì
gentilmente. Il ragazzo roteò gli occhi.
“Okay Professor Lupin.
Così va
meglio?”
“Molto meglio.”
Si sorrisero. James giocherellò ancora un po’ con
il braccialetto di pelle.
“Vic
come
sta? Non la sento da un po’. Adesso è in Francia,
no?”
Sentì l’amico d’infanzia tendersi
leggermente. Ma il color dei capelli rimase
immutato.
Boh, magari
è stata una mia
impressione…
Non
ci
diede troppo peso. Doveva mancargli. Quando vivevano in Inghilterra
erano
praticamente in simbiosi.
Ed io che
faccio fatica a
sopportare una tipa per qualche minuto oltre il
post-orgasmo…
“E’
a Parigi
adesso. Sta seguendo dei seminari al Ministero.” Rispose
evasivo. Non tanto
normale pure quello, ma comprensibile.
Vic
seguiva un sacco di corsi di formazione, seminari, conferenze. Voleva
fare
tutto, e non riusciva ad appassionarsi davvero a niente. Era
così anche a
Scuola, volubile e capricciosa.
Era
un
miracolo, commentava Rose, che avesse un rapporto stabile e duraturo
con il
mite Teddy.
Era
amore, sospiravano le altre cugine.
Era
un
miracolo, sogghignavano lui e Rosie.
Grande
Rosie.
Comunque…
“Dom
e
Louis invece? Lu è al primo anno, no?”
Teddy sorrise, ricordando con affetto i fratelli minori della
fidanzata.
Specialmente Louis. Era vivace e allegro, un vero terremoto. A volte
gli
ricordava Jamie.
Fortunatamente
non aveva la sua stessa attitudine a rischiare il collo.
“Già,
e
penso che resterà a Beaux-Batons. Invece Dom è
ancora indecisa…” scrollò le
spalle, fasciate in una giacca che doveva avere come
minimo vent’anni.
Indossava
sempre vestiti dimessi, Teddy. Eppure sua nonna era una Black, e per
quanto
rinnegata,non
aveva problemi di soldi.
Ma
era
semplicemente nel suo stile indossare una giacca un po’ lisa
sui gomiti, una
maglietta anonima e dei jeans da due soldi.
Teddy
non
si curava del suo aspetto, proprio non gli importava. Ironizzava sempre
che con
i capelli che aveva, qualsiasi cosa si fosse messo addosso, anche un
costume da
Orco, sarebbe passata in secondo piano.
Non
aveva
tutti i torti. Adesso erano arancioni zucca.
“Un
zellino per i tuoi pensieri…” cantilenò
con tono infantile. Teddy gli sorrise.
C’era
la
quiete in quel sorriso. La serenità.
Era nato durante la guerra, eppure tutto il suo essere urlava
‘pace’.
“Stavo
solo pensando che Hogwarts mi è mancata.”
Ed era vero. Le sue aule scure e polverose, i corridoi di pietra, le
scale che
cambiavano continuamente posizione, la Sala
Grande…
Persino
Pix gli era mancato.
Chi lascia
Hogwarts se la porta
sempre nel cuore…
“Già.
Mancherà anche a me quando me ne andrò, penso.
Praticamente ci sono cresciuto dentro.”
guardò l’orologio che aveva al polso. Era babbano,
un regalo di nonno Arthur.
“Credo di doverti lasciare solo soletto Teddy. Devo andare a
cambiarmi e
diventare un bravo Grifondoro a tutti gli effetti. Ce la farai a
ricordarti la
strada per le carrozze?”
“Ci proverò.” Scherzò.
“Ci vediamo a scuola, Signor Potter.”
“A scuola, professor Lupin!” Confermò
stizzandogli l’occhio. Teddy per un
attimo pensò di fargli notare che doveva abituarsi a non
usare una gestualità
troppo familiare.
Ma
poi
lasciò perdere. Farglielo notare non avrebbe avuto senso,
Jamie non avrebbe
capito, spontaneo in tutte le sue manifestazioni. Si sarebbe offeso,
probabilmente.
Avremo tempo
per affrontare anche
questo discorso.
Una cosa per
volta…
Abbandonò
la testa sullo schienale del morbido sedile, guardando scorrere il
paesaggio
dal finestrino. Erano entrati nelle Lowlands(3), stimò.
Amava
quei paesaggi rugginosi, tipicamente anglosassoni. Erano spogli,
spigolosi,
eppure dotati di selvaggia bellezza. In Provenza era tutto linee
morbide e
paesaggi gradevoli. Belli sì, ma non appartenevano alla sua
infanzia.
‘Cheri, non è bellissimo
qui? Rimaniamo
qui per sempre, cheri…’
Chiuse
gli occhi, imponendosi di non pensare.
Scars in the country, the summer and her
Always the summers are slipping away
Find me a way for making it stay…
****
Note:
1
– So
che la prima gloriosa Ford Anglia è attualmente nella
Foresta Proibita, ma mi è
venuto da pensare che probabilmente Arhur ne abbia stregata
un’altra. :P
2
– Witch Wireless Network,
è la stazione
radio principale del mondo magico.
3
– “Le Lowlands Scozzesi
indicano l’area della
Scozia (Regno
Unito)
non riconducibile alle Highlands.” (Da Wikipedia)
Commenti:
E
siamo
arrivati al secondo capitolo. Non so a quanti importi di questa storia,
considerando le poche recensioni e le molte visite. Forse fa schifo.
Boh.
Comunque, ecco i nuovi arrivati.
Per
Scorpius dopo aver spulciato vari forum e siti sul Potterverse, la mia
scelta è
caduta su Toby Hemingway. Non
è una
bellezza angelica, ma non volevo
una
bellezza angelica. È un Malfoy, e i Malfoy NON sono angeli.
Manco caduti.
Per
Ted
ho scelto Taylor Kitsch.
Oggettivamente, era un Teddy perfetto. I gemelli Lysander e Lorcan,
invece… beh,
li ho immaginati biondi e vagamente jocks, quindi chi meglio dei Brewer’s Twins?
Scorpius
Teddy
Gemelli
Scamandro
|
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Capitolo 7 *** Capitolo III ***
Commenti:
Ringrazio tutti quelli che mi hanno recensito! Si sa,
l’autostima di un
fic-writer è sempre estremamente sensibile, quindi davvero,
ringrazio tutti di
cuore per avermi fatto sapere cosa ne pensano di questa minchiatella.
Un
ringraziamento anche a chi mi ha fatto notare incongruenze o aspetti
che poco
gli piacciono di questa storia. Mi siete davvero utili!
Informazione: sotto
consiglio ho deciso di
dare dei giorni fissi di postaggio, che, salvo cambiamenti, saranno
lunedì/giovedì/domenica.
Jakie Black: grazie per
i complimenti! Sì, il
legame tra lui e Tom è molto stretto, e presto vedrai
ulteriori sviluppi.
Dopotutto questa storia ha loro, come protagonisti principali, anche se
certo
gli altri meritano uno spazietto. :P Ted spero di non farlo solo troppo
noioso.
Ma è un Mr. Nice Guy e con una caratterizzazione del genere
c’è sempre questo
rischio! Rosey-Posey ammetto di averla già sentita da
qualche parte ma era
troppo bella per non ri-usarla. XD
Miriam Malfoy: Scorpius e Rose te li
servirò su un piatto d’argento, promesso, nel
prossimo capitolo. Spero di non
averti deluso! Al è un dolcetto, ma è ancora un
embrione, caratterialmente.
Vedremo se sarà così buono e mite come sembra e
Tommy così cattivo come si
dipinge. Se trovassi un Ted così ne reale lo legherei ad una
sedia, tu no? XD
Ombra: Grazie davvero per essere
passata! Sì, le fic della new generation sono sempre un
salto nel vuoto, ma
spero continuerai a seguirmi! Come vedi i vecchi odi/amori di famiglia
sono più
o meno rimasti costanti, con qualche dovuta eccezione! ^_-
****
Capitolo
III
“Wannabe
Curious?”
L'invidia
è la lima che assottiglia
la coscienza.
La Sala Grande era sempre
uno spettacolo da
ammirare e a cui tornare con il cuore grato.
Al aveva alzato gli occhi al cielo, con un mezzo sorriso.
Centinaia
di candele sospese sul soffitto rischiaravano la volta, da cui era
visibile un
pallido cielo stellato. I drappelli delle quattro casate sventolavano
ad una
lieve brezza fittizia e i centinaia di mantelli degli alunni gremivano
l’ambiente. Un nuovo anno scolastico era appena iniziato.
Tom,
affianco a lui, incrociò le braccia dietro la schiena, dando
invece uno sguardo
complessivo, focalizzandosi poi su alcune persone.
“Tom, guarda la volta!”
“Cos’ha di diverso da tutti gli altri
anni?” lo freddò. Gli diede una gomitata
sul fianco.
“Sei
proprio poco poetico!”
“E tu sei lo sei fin troppo.” Concluse. Era
già entrato nel mood da
prefetto: monitorava i primini
che chiocciavano entusiasti di fronte alle tante meraviglie che si
spalancavano
di fronte ai loro occhi.
I
più entusiasti sono, ovviamente,
i nati babbani…
“Rilassati
dai, ancora non sono neanche stati smistati…”
Albus gli tirò appena il mantello,
cercando attenzioni. A volte era stancante.
“Vorrei evitare che qualcuno si infili nella zuppa di
verdure.” Ironizzò, ma
scollò lo sguardo dalla folla per riportarlo su di lui.
“Michel?”
“Sarà in giro. L’ho visto strigliare
Nott all’ingresso. Credo tentasse di non
fargli vendere mappe della scuola.”
Inarcò le sopracciglia. “Mappe della
scuola?”
“Lo sai com’è fatto Nott.”
Sogghignò Al. Quando aveva quell’espressione gli
occhi gli si assottigliavano, diventando ancora più verdi.
Thomas non aveva mai
visto un verde così limpido. Lo considerò
distrattamente, finendo di
ascoltarlo. “Se c’è qualcosa che
può farlo guadagnare, ci si butta a capofitto.
E devi ammettere che per le matricole questa scuola è un
labirinto.”
Tom stese le labbra in un sorrisetto. “Quell’idiota
ha alcuni picchi di
genialità, talvolta. A quanto le mette?”
“Non ho sentito, ma Zabini sembrava piuttosto furioso. Sai,
il prestigio della
Casa, traffici sottobanco, poca dignità, blablabla…
Se andrà tutto bene riuscirà a strappare gli
interessi del venti per cento
sulle vendite.” snocciolò guardandosi attorno, e
sorridendo ampiamente quando
vide Ted Lupin sedersi al tavolo dei professori.
Thomas
aggrottò
le sopracciglia.
“Al,
cosa
ci fa Ted al tavolo dei
professori?”
si informò quietamente.
Albus
lo
guardò perplesso, poi si morse un labbro. “Ops. Mi
sa che con tutto il
trambusto a Diagon Alley mi sono dimenticato di dirtelo. Ted adesso
insegna
qui. Difesa contro Le Arti Oscure. Sai, al posto di Facheux.”
Silenzio.
“Oh.”
Disse soltanto.
Al
sentì
che una catastrofe era imminente.
Thomas
adesso
aveva quella faccia.
Sì,
quella
che avrebbe dovuto avere quando gli aveva mostrato la spilla.
Al
non
era un cinesteta, ma la sapeva riconoscere.
Stendeva
le labbra in una linea sottile, perdeva espressione. E parola.
Invidia.
Tom
aveva
un piccolo, grosso problema con l’invidia.
E Ted
spesso era l’oggetto di tale sentimento. Teddy il Ragazzo
Perfetto.
Teddy-che-adesso-era-un-giovanissimo-professore.
“Dai,
non
fare quella faccia! Ted è in gamba!”
“Lo
so.”
Replicò. “Sono contento per lui.”
…
ma proprio per niente.
Sospirò,
toccandogli un braccio. Lo sentì teso, con i muscoli
contratti. Avendo un
fisico asciutto a volte l’unica cosa che si percepiva
toccandolo erano muscoli,
e tendini. E nervi.
“Teddy
se
lo merita.” Esitò. “Alla sua
età anche tu avrai una cosa del genere… voglio
dire,
verrai ad insegnare qui o farai qualsiasi altra cosa ti passa per la
testa. Ne
sono sicuro.”
Lo tirò verso di sé, facendolo voltare. Lo vide,
che la cosa non gli era
piaciuta, da come contrasse l’espressione, in una furente. A
Thomas non piaceva
essere costretto, specie fisicamente, a fare qualcosa.
Se ne
fregò. A volte andava costretto, quel caprone.
“Ehy,
dico
sul serio! Smettila di avere quella faccia da veglia funebre. Lui
è diventato
professore, tu Prefetto.”
“Non
è la
stessa cosa.”
“Tom,
hai
sedici anni, cazzo.” Si
spazientì.
Perdeva totalmente lucidità quando qualcuno dimostrava,
platealmente, di avere
delle doti notevoli. Specie se riguardava l’intelletto.
Dello
sport, in effetti, se ne fregava.
Come se
volesse essere sempre lui,
il primo in tutto. A volte è proprio un bambino…
Il
ragazzo fece una smorfia. “Mollami il braccio. Ho
capito… mi congratulerò con lui.”
“Seriamente.”
Serrò appena la presa. “Seriamente, senza fare il
bambino.”
“Non faccio il bambino. E
comunque,
giusto per puntualizzare… Ted ha ventiquattro anni. Non
credi che Vitius si sia
lasciato prendere dall’emotività, e dalla triste
storia dell’orfano Lupin?”
“Tom!” lo guardò
scandalizzato. “Dovresti
essere felice che un membro della nostra famiglia si sia realizzato in
qualcosa
che ama davvero fare! Davvero, a volte ti comporti in modo
assurdo…”
Tom
si
liberò con uno strattone. Un paio di ragazzi li guardarono.
In effetti erano
ancora in piedi di fronte alla porta.
“Sei
dannatamente testardo. Cosa vuoi che ti dica? Che sono entusiasta per
lui? Che
andrò ad abbracciarlo? Non lo sono.”
“Lo
vedo,
ma…”
“Questo discorso è concluso.” Lo
seccò voltandogli le spalle e andandosene.
Sentì la risatina di James, già seduto al tavolo
dei Grifondoro.
“I
due
amichetti del cuore hanno litigato?” cinguettò
facendo ridere in sincrono i due
gemelli Scamandro.
“Vaffanculo
Jam.” Ringhiò Al, seguendo Lo Stupido Caprone.
Si
sedettero, entrambi imbronciati, al tavolo dei Serpeverde: i tavoli
sarebbero
stati quattro solo per quella sera e per via dello Smistamento. Il
resto
dell’anno venivano infatti sostituiti da una dozzina di
tavolate più piccole,
dove chiunque poteva sedersi.
Era
stata
la
McGrannit
a introdurre quel cambiamento. Per avvicinare gli studenti, per far
loro capire
che si poteva essere amici e compagni anche se si indossavano colori
diversi.
A lui
piaceva
fare colazione con Rose, i fratelli e Tom.
Al
momento certo, quest’ultimo non
era
contemplato.
Si
era
seduto a tre posti distante da lui, accanto a Loki Nott, uno ricciolo
bruno,
che stava impilando un mucchio di zellini di fronte a sé.
Idiota.
Dovrebbe essere felice per
Teddy. Tutti dovremmo esserlo! Se lo merita!
“Problemi
in paradiso?” una voce morbida come la seta gli
solleticò l’orecchio. Deglutì
appena.
“Mick! Mi fai sempre prendere un colpo! Ma avvertire con una
pacca sulla spalla
no?” sibilò stizzito al ragazzo di colore che gli
si sedette elegantemente
accanto.
Michel
Zabini era il ragazzo-immagine di Serpeverde, assieme a Tom:
purosangue, di
antica Casata, distinto, alto, dalle membra longilinee e dal viso
perfetto. Gli
occhi da orientale facevano sognare e sospirare parecchie ragazze del
loro
anno, e non solo.
Nessuno
indossava l’uniforme di Serpeverde come la indossava lui.
Neanche Tom.
“Scusa,
scusa.” Sorrise. “Pensavo mi avessi sentito
arrivare. Sarebbe un bel problema
se il mio cercatore perdesse la sua
sensibilità…” gli fece un buffetto
sulla
guancia.
Al si
scostò.
“La
mia
sensibilità è al sicuro, tranquillo.
Semplicemente stavo pensando ad altro.”
Scrollò le spalle, lanciando un’occhiata distratta
verso lo Smistamento. Il
Cappello Parlante urlava sincopato i nomi della quattro Case.
Toccò ad un
ragazzino la cui testa fu quasi inghiottita dal Cappello. Sorrise. A
lui era
successo lo stesso.
“Pensando…
a cosa, se posso chiedere?”
“Me l’hai chiesto quando mi sei strisciato alle
spalle.” Lanciò un’occhiata
ispida verso Tom, che lo stava palesemente
ignorando. “Abbiamo litigato.”
“Avete
litigato. Capisco. Non è una cosa nuova Al.” Fece
una breve risata. “Per
Merlino, bisticciate in continuazione.” Gli passò
una mano trai capelli.
“Allora, stavolta l’argomento
è?”
“L’argomento
è il nuovo professore di Difesa.”
Indicò con un cenno della testa Teddy, che
stava chiacchierando piacevolmente con un’entusiasta Hagrid.
Il buon mezzo-gigante
l’aveva visto crescere, e stavano rievocando
l’adolescenza del giovane.
“Mmh.
Delizioso,
devo dire. Quei capelli lunghi, quel viso pulito e gli occhi
luminosi…”
“Ted-…
il
professor Lupin è come un fratello
per me, Santo Godric! Potresti non parlarne come se fosse un paginone
centrale
di Strega Oggi?” lo guardò leggermente
traumatizzato, facendolo ridere di
gusto.
“Va
bene,
va bene cherie…
Cercherò di
trattenere il mio trasporto emotivo. Comunque.
Dov’è il punto? Tom è geloso di
lui?”
“Sì, tremendamente. Sai, è giovane, in
gamba…”
“… e così legato a
te…” concluse con aria seria. “…
Gelosia è un mostro dagli
occhi verdi che schernisce la carne di cui si nutre¹…”
Silenzio.
“…Ma
che
hai capito!” sbottò esasperato. Quando parlava con
Michel non sapeva mai se
mettersi a ridere o disperarsi. E poi aveva quella brutta abitudine di
stargli
troppo addosso. E toccarlo. Non gli piaceva granchè essere
toccato. “Intendevo
dire che è geloso perché è diventato
il più giovane insegnante ad Hogwarts!”
“Oh.”
Lo
guardò. “Ho frainteso?”
“Direi!” sbottò arrossendo. Michel lo
metteva continuamente in imbarazzo. Un
imbarazzo generico, dovuto al fatto che spesso insinuasse cose su lui e
Thomas
assolutamente inconcepibili.
Tom
era
il suo miglior amico!
Inutile che
cerchi di
spiegarglielo... Probabilmente troverebbe ambiguo anche questo.
Zabini
era l’ambiguità
fatta persona. Si diceva
anche fosse bisessuale. Non che l’avesse mai visto in
atteggiamenti equivoci
con un ragazzo, c’era da dire.
Forse
scherzava soltanto.
Forse.
“Va
bene,
va bene. Ma dovresti scusarlo… siamo Serpeverde
dopotutto.” Ascoltò distratto
Vitius parlare. Abbassò il tono di voce, chinandosi su di
lui. “Capisci che
intendo?”
Al
fece
per rispondere, ma fu distratto da Ted, che si alzò dopo il
breve discorso di
introduzione del Preside, ricevendo gli applausi con aria schiva e
imbarazzata.
Tremendamente
Teddy. Era
così orgoglioso di lui.
Sentì
un
lungo fischio euforico. Jamie. Ridacchiò. Con la coda
dell’occhio vide che Tom
aveva le braccia conserte.
Idiota…
Si risedette,
di
nuovo di pessimo umore. “Veramente no. Non
capisco.” Borbottò all’indirizzo del
vicino, incrociando le braccia sul tavolo.
“Spiegami.”
“Ambizione, piccolo Al. Thomas è brillante, senza
ombra di dubbio. Ammetto
persino che i suoi risultati scolastici a volte siano leggermente
superiori ai miei.” Gli picchiettò sul naso con
l’indice affusolato. “Chissà, forse
avrebbe voluto infrangere lui quel record …
Al mondo d’oggi sono rimasti così poche vette a
cui aspirare...”
Il
sedicenne fece una smorfia. “Non mi ha mai detto che gli
piacerebbe insegnare…”
“Non è insegnare. È la posizione di
prestigio che ricopre un docente di
Hogwarts. Pensaci. Quanti grandi maghi e streghe hanno insegnato qui?
Albus
Silente, Severus Piton, Minerva McGrannit… senza contare che
hanno avuto influenza
a livello del Ministero. Silente non è forse stato
presidente del Wizengamot? E
non dava forse del tu al Primo Ministro? È tutto connesso.
Educazione è
potere.”
Albus
sospirò: allora era quello. Aveva senso, considerandolo
nell’ottica di Tom.
Certo, magari
Mick come al solito
esagera sulla questione del potere… Tom poi non è
interessato ad entrare al
Ministero. Dice che il lavoro d’ufficio non fa per lui.
Vitius
diede il segnale che la cena poteva cominciare e ben presto la sala si
riempì
del rumore di centinaia di mascelle che masticavano entusiaste. Al
poté di
nuovo alzare la voce.
“E’
stato
davvero sgarbato però. Si trattava solo di essere contento
per un amico!”
“Un tuo amico. Thomas non
mi risulta
sia un amico di famiglia del Professor Lupin.”
Touché.
Sospirò:
Zabini
aveva ragione. A volte si dimenticava che non sempre Tom poteva provare
le stesse
cose che provava lui. Non sempre era contento quando lui lo era, e
viceversa.
È
più facile con Rosie…
Si
alzò,
prendendo piatto e bicchiere.
“Loki, ti spiace metterti al mio posto?” chiese al
giovane Nott, che alzò la
testa dal suo piatto, dove si stava abbuffando di pasticcio. Era
incredibile
quanto cibo riuscisse ad ingurgitare rimanendo scheletrico. Il ragazzo
sbuffò,
contrariato.
“E
che ci
guadagno?”
“Ho un bicchiere di succo di zucca sospeso sulla tua testa,
Lo.”
“…
ricevuto. Dannati Potters.”
Sogghignò
senza vera cattiveria, spostandosi.
Tom continuava a guardare il suo piatto con aria particolarmente
interessata. Al
gli si sedette a fianco. “Non devi essere contento per
Ted.” Esordì.
Silenzio.
“Davvero. Non devi. Puoi anche essere incazzato per questa
storia…”
“… Ne sono lieto.” Era sarcastico. Si
poteva ancora migliorare.
“Diventerai
professore anche tu.”
“Al, non è…
“Preside.”
“Al…”
“Presidente del Wizengamot.”
“A-…”
“Capo della Sezione Auror, Presidente della Lega di
Quidditch, Maestro di
Pozioni, Direttore della Gazzetta…” si
fermò. Gli sorrise. “Tu puoi diventare tutto quello che voi, Tom.
Tutto.” Gli
mise una mano sul braccio. “Ne sono sicuro come sono sicuro
che i Cannoni di
Chudley sono delle vere schiappe e non vinceranno mai la Coppa.”
Tom
inspirò appena. Esitò.
“I
Chudleys fanno davvero schifo, mi è stato detto.”
Finì per sciogliersi in un
sorriso.
Sua madre diceva sempre che chi non sorrideva mai di solito aveva un
sorriso
stupendo. Cavolo, era vero. Quello di Tom era raro come un eclissi di
sole, ma
altrettanto d’impatto.
Si
sentì
un po’ idiota a considerarlo. Lo diceva sua madre. Una femmina.
Però
mamma ha la brutta abitudine
di aver sempre ragione, diavolo…
“Davvero
schifo, già.” Confermò allegramente.
“Una roba vergognosa.”
Si
misero
a ridacchiare.
“Mi
congratulerò con Teddy.” concesse con una lieve
smorfia. “Dopotutto ha
raggiunto un ottimo risultato.”
“Tom, non sei tenuto…”
“Voglio farlo. Hai ragione, sarebbe scortese da parte mia
ignorarlo.” Si mise
in bocca un pezzo d’arrosto, masticando lentamente.
“Ma non ne sono contento.”
“Okay. Puoi non esserlo.” Annuì.
“Voglio dire, è giusto così…
Non ti obbligherò
più a sprizzare gioia.” scrollò le
spalle. “Scusa.”
“Quindi pace?” lo guardò con un lieve
sorrisetto. Fu sicuro che Tom avesse
capito le sue intenzioni, e ne fu contento.
“Pace.”
*****
“E’
incredibile come Malfoy sia sempre
pieno
di donne…” eruppe Hugo, in maniche di camicia,
tirate su fino ai gomiti, nonostante
il settembre già freddo che si riverberava nelle mura del
castello. Gli ispidi
capelli rossi erano già impazziti in tutte le direzioni, ora
che le
strigliature mattutine e forzate della madre erano lontane.
“Davvero,
guardatelo!”
Fortunatamente,
anche se parlava ad un tono di voce sufficientemente alto da
risvegliare i
morti, Scorpius era in fondo alla tavola, e non li sentì.
Aveva avvinghiata una
del sesto con delle grosse gengive, stimò Rose. Clara
Haggins forse?
A lei
sembravano tutte uguali.
“Perché
dovremo?” fece spallucce. “Finisci quello che hai
nel piatto piuttosto, che si
fredda.”
“Non dirmi cosa devo fare, sorella!” la
accusò puntandole il dito addosso. Rose
lo spostò infastidita.
“Per Merlino, a volte sei insopportabile come Jam.”
“Magari avessi la sua fortuna con le tipe...”
Quello era l’anno della pubertà del fratellino,
l’ultimo nato in casa Weasley –
sezione britannica.
Dio, quanto
vorrei che avesse
ancora dieci anni e le fossette sulle guance. Invece no. Foruncoli, scarsa igiene e propensione a urlare
invece che esprimersi
coerentemente.
Mio fratello
è diventato una
specie di mostro mitologico. Un adolescente.
Guardò
con affetto la cugina Lily. Era dolce, delicata, aveva forme acerbe, ma
già
morbide, come il fiore che le aveva dato il nome.
Certo,
bastava non contrariarla.
Lily
arruffò i capelli ispidi di Hugo con le dita.
“Dai, Hughie, fai il bravo.
Prometto che ti presenterò qualcuna, se la smetti di
… parlare.”
Rose
sghignazzò, bevendosi un sorso di succo di zucca.
Lanciò un’occhiata al tavolo
dei Serpeverde. Albus stava chiacchierando allegramente con Thomas, che
lo
ascoltava distratto come sempre. Dal tavolo dei Corvonero Roxanne aveva
fatto
capannello, mentre spiegava al proprio capitano, Rupert Chang, le
strategie che
aveva elaborato durante l’estate. Chang più che
altro guardava Roxanne.
Un
altro
anno era iniziato, esattamente uguale ai precedenti.
I
professori erano ordinatamente schierati al tavolo in fondo. Ted stava
chiacchierando con il Preside, Hagrid stava facendo ridere con una
battuta il
professor Paciock – non sarebbe mai riuscita a non trovare
strano dover
chiamare zio Neville per cognome.
“Ehy,
hai
notato che non c’è il professor Ziel?”
le chiese Lily, toccandole la spalla.
Rose annuì. Era il professore di trasfigurazione, subentrato
alla McGrannit
dopo che questa si era ritirata a vita privata. Era un uomo corpulento,
dai
modi affabili. Purosangue, si occupava dei Tassorosso. E al momento non
c’era.
“Sarà
rimasto nei suoi appartamenti.”
“A
darci
di cicchetti!” sghignazzò il fratello.
“Hugo!
Non sta bene parlare male di un professore!”
Finì di dirlo, quando il poderoso portone della Sala Grande
si aprì, sospinto
da un trafelato Mastro Gazza: ormai viaggiava per
l’ottantina, ma non aveva
smesso certo di essere sgradevole e vagamente unticcio.
L’uomo corse goffamente
verso la tavolata dei professori. Aveva un’aria sconvolta, e
si era dimenticato
persino di portarsi dietro l’ennesima copia della ormai
defunta Mr. Purr.
“Dov’è
quella specie di sacco pulcioso del suo gatto?” chiese
infatti Hugo perplesso.
“Se lo porta ovunque tipo stola …”
Vitius lo accolse, scendendo dallo scranno dorato che era stato di
Silente,
opportunamente rialzato e sistemato per la sua discendenza goblin.
Parlottò con
l’uomo, prima di prendere un’espressione grave.
“Che
cavolo sta succedendo?” borbottò Hugo. Aveva la
vista di un aquila. Ed era
dannatamente curioso. Rose sentì James alzarsi e scivolare
accanto a lei.
Lupus in
fabula…
“Ehy, che si dice?” mormorò lanciando
occhiata curiose alla tavolata dei
docenti.
“Niente al momento. Gazza sembra agitato.”
“Forse qualcuno gli avrà messo una sorpresina nei
corridoi del secondo piano.
Sai, una cosa tipo, bentornato anno
scolastico…”
“Jamie!”
“Ehy, ehy. Non ho detto che sono stato io.”
“Allora sono stati gli Scamandro.” Concluse Rose
rassegnata. Videro il piccolo
Preside trotterellare fino a Ted, chiedendogli di seguirlo con un gesto
veloce
e nervoso. Il giovane si alzò. Sembrava perplesso. Vitius
disse qualcosa anche al
professor Paciock che annuì. Uscirono, senza dare altre
spiegazioni. Un lieve
brusio da parte degli studenti fu messo a tacere dal richiamo di
Neville.
“Teddy va con loro, avete visto?”
esclamò il più giovane degli Weasley.
James annuì. “E pure io.”
Rose alzò gli occhi al cielo. “E come pensi di
fare genio?”
James sfoderò un sorriso allegro. “Cavolo.
Devo proprio andare in bagno.”
“… Io me ne lavo le mani. ”
“Se ti mettono in punizione giuro che sarò io a
scrivere alla mamma per
dirglielo.” Replicò Lily irritata.
“Perché devi essere sempre
così…”
“Grifondoro?”
“No, stupido.” Sibilò guardandolo male.
Poi prese ad ignorarlo forzatamente.
“Aw,
andiamo…” guardò la sorella.
Sbuffò. “Beh, potrai strigliarmi dopo,
all righty?” Si
alzò, tornando al suo posto. Aspettò una decina
di
minuti, prima di alzarsi.
“Ehy!” il baritono della voce di Rubeus Hagrid
esplose nella Sala. “James
Potter, dove credi di andare, eh?”
Il ragazzo si voltò con volto sofferente. “Al
bagno, professore. Sa, certe
urgenze…” disse ad alta voce, facendo ridere la
tavolata. Rose scosse la testa,
e Albus lo guardò perplesso. Poi, consapevole.
“Oh,
no…”
mugolò, prima di serrare le labbra infuriato.
“No, cosa?” Anche Tom aveva notato il comportamento
anomalo del Preside, e non
ci mise molto a realizzare. “Oh. No.”
Ripeté atono.
Hagrid
lo
squadro da capo a piedi, poi sbuffò. “Se ci devi
proprio andare Potter, ecco,
vacci.”
“Grazie
professore!” trotterellò via, seguito dagli
sguardi sghignazzanti dei gemelli
Scamandro.
“…
Devo
andargli dietro.” Sibilò Al di malumore.
“Perché?”
“Perché è mio fratello, e se lo becco
io, gli tolgo una decina di punti. Se lo
becca il Preside lo sbatte in punizione a lucidare senza magia la
stanza dei
Trofei. Non che non se lo meriterebbe. Ma finirebbe per usarla e
cacciarsi
ancora di più nei guai.”
Tom
lo
guardò spassionato. “La tua devozione per quel
cretino è ammirevole.”
“Non è devozione. È che mamma gli
manderebbe una strillettera, ed hai idea di
quanto siano imbarazzanti anche per
il sottoscritto? Le strillettere… strillano.”
ringhiò alzandosi in piedi. “Coprimi
Tom.”
“… Farò di meglio. Verrò con
te.”
“E come lo spieghiamo che ce ne stiamo andando?”
“Un
tenero incontro amoroso?”
Michel
era scivolato con grazia accanto a loro, posando una mano sulla spalla
di
ciascuno.
“Zabini!”
sbottarono all’unisono. Tom
schiaffeggiò via la mano.
“Siete
pure intonati… Dovreste proporvi per il coro della scuola,
davvero. Comunque.
Lasciate fare al vostro Michel…”
“E non vuoi niente in
cambio?” lo
squadrò sospettoso il giovane Dursley.
“Non
sarà
una scusa sessuale,
vero?” borbottò
Al.
“Suvvia, non sono certo Nott. Lasciate fare a me.”
Sorrise, prendendo da sotto
il mantello la bacchetta mormorando un breve incantesimo.
Non
sarà un Wingardium…
All’improvviso
il tavolo dei Grifondoro cominciò a levitare a diversi
centimetri da terra, tra
le esclamazioni degli studenti. Hagrid e gli altri professori si
alzarono, e fu
trambusto.
…
lo era.
“Presto,
andate.”
Sogghignò Zabini. Tom ricambiò
l’espressione, prendendo per un braccio Al e
trascinandolo fuori. In pochi attimi furono nel corridoio
dell’ingresso.
“Proprio
il tavolo dei Grifondoro?” si lamentò Al.
In
ventiquattro anni si è fatto di
tutto per non alimentare l’antipatia tra Case…
Sigh. Ma che
ci faccio a
Serpeverde? Davvero, a volte me lo chiedo.
“Non
ci avrà
neanche pensato, gli sarà venuto naturale.”
Scrollò le spalle. “Forza andiamo.”
“Sì, ma dove? Dove credi che si siano
diretti?”
Tom
si
fermò, pensieroso. Si guardò attorno.
“Sarebbe
una buona idea seguire l’odore del pessimo dopobarba di
James, ma non ho un
olfatto da licantropo …” sguainò la
bacchetta e gridò “Immobilus!”
mentre un fascio di luce argentata si perdeva
nell’oscurità del corridoio.
“Ma cosa…”
“Guarda su.”
Pix, l’insopportabile poltergeist che qualcuno sosteneva
fosse l’incarnazione
del caos, sostava poco sopra le loro teste, in
un’immobilità fluttuante, pronto
a rovesciare su di loro quello che sembrava un gran secchio di vernice
magica.
Asciugatura garantita in pochi secondi, colore improponibile.
“…
Come
hai fatto a…?”
“Ho visto il barattolo di vernice riflesso
nell’armatura.” Indicò la vecchia
armatura di guardia alle scale che portavano al primo piano.
“Possiamo chiedere
a lui, vero Pix?”
“Scioglimi, stupido ragazzo cattivo, scioglimi!”
strillò il poltergeist.
“Naturalmente Pix.” Incrociò le braccia
al petto, sorridendo sottile. “Non
appena mi avrai detto dove sono andati James Potter, Ted Lupin e il
Preside
Vitius.” Fece una smorfia. “Ah, e Gazza.”
Il fantasma lo guardò furente, ma non poteva muoversi.
Differentemente dagli
altri non-morti aveva caratteristiche più materiali ed era
quindi vulnerabile
agli incantesimi: certo, su di lui gli l’effetto erano
minori, ma per un paio
di minuti potevano metterlo fuori-gioco.
“Non
so,
non so, non so!” cantilenò. Albus
sospirò.
“Lascia perdere Tom, non ci dirà
niente…”
“Invece ce lo dirà, o andrò a chiamare
il Barone Sanguinario.” Lo spettro
sembrò improvvisamente attento.
“Tu
non
gli piaci ragazzo cattivo, non gli piaci cattivo ragazzo!”
eruppe in una risata
stridula che fece stringere gli occhi ad Al per il fastidio. Thomas
rimase
impassibile.
“Smettila di chiamarmi in quel modo idiota.” Disse
pacatamente. “Posso
chiamarlo. Sono un Serpeverde, sono della sua Casa. Posso farlo, oppure
tu puoi
dirci dove sono andati.”
“Il vecchio Silly non risponde, non risponde, non chiama
più!”
“Che diavolo sta dicendo, per le sottane di
Morgana…” mugugnò sconfortato Al.
“Non ci capisco niente.”
“Silly…” Tom lo guardò.
“Intendi il professor Ziel?”
Albus lanciò un’occhiata al folletto e poi
all’amico. “Il professore? Gli è
successo qualcosa?”
“E’ quello che sto cercando di capire. Dove sono
andati, Pix?”
“Nell’ufficio di Silly-Sil!
Sìsì!” Esclamò
sghignazzante, prima di roteare
velocemente su se stesso lasciando cadere il barattolo e sparendo in
uno
schiocco squillante. Thomas tirò indietro Albus per un
soffio, afferrandolo e
tirandolo contro di sé. La vernice si riversò al
suolo con un rumore viscido.
Era rosa confetto.
“Ahu!”
sbuffò Al, massaggiandosi il naso che aveva sbattuto contro
il petto dell’altro
ragazzo. “Tom, mi hai quasi rotto il naso!”
“Scusa. Non è colpa mia se le proporzioni giocano
a tuo sfavore.” Sogghignò
appena, facendosi spintonare docilmente. “Adesso andiamo.
Ufficio di Ziel.”
Al si morse un labbro. Quella storia non gli piaceva. Sentiva che era sbagliato cercare di sgattaiolare via, e
che non avrebbero dovuto essere lì. Perché non
erano lì per seguire Jamie e
salvarlo da una punizione meritata. Nessuno dei due.
Erano
lì
per curiosità.
Tom
intanto si incamminò verso le cucine, vicine ai dormitori
dei Tassorosso e
l’ufficio dell’uomo, riponendo la bacchetta dentro
la tasca del mantello. Era
una delle persone più naturali
nello
sguainarla e rinfoderarla che conoscesse.
Non
è certo goffo come me, che
quando sono nervoso la faccio ancora cadere…
“Tom…
pensi che
dovremo andare?” Conosceva già la risposta, ma
tentò lo stesso.
Il ragazzo sospirò, lanciandogli un’occhiata da
sopra la spalla, continuando a
scendere.
“Non
farmi domande a cui puoi rispondere da solo, Al.”
Sei tu che
l’hai proposto.
Appunto.
Lo
seguì.
****
Note:
1
–
William Shakespeare, Otello.
2
– Ziel,
storpiato debitamente può trasformarsi in
‘Silly’ cioè
‘sciocco’. Ho pensato
che fosse tipicamente da Pix, pensando a come storpiava il cognome del
povero
Harry.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo IV ***
Insomma,
insomma, sigh, lo scorso capitolo a quanto pare non è
piaciuto a molti, a
giudicare dalle visite. Spero con questo di aver messo un po’
d’azione dove, in
effetti, ne mancava.
Sì,
‘azione’ non l’ho messa a caso nei campi.
:P
Jakie Black: Grazie, per
continuare a
recensire! ^^ Mi fa piacere che tu trovi i miei capitoli con una
struttura che
regga, in effetti ci tengo davvero che non sembrino campati in aria.
Fortuna
che ho fatto un po’ di esperienza precedentemente! Zabini
è il mio inside man,
senza di lui ho paura che
questi due rincoglioniti non arriveranno mai a niente. E dire che
Thomas è così
sveglio! (Seeeh) Pix lo adoro, come si può non adorare la
personificazione del
Caos? XD
Spero
che
questo capitolo abbia un po’ più mordente.
Kika2: wow,
addirittura hai perso tempo
per questa mia stronzatina? XD Grazie mille! Per la Trama,
sto raccogliendo
informazioni, come si dice. Cerco di non fare mai un capitolo piatto e
messo lì
tanto per pubblicare, li odio quandi li leggo, quindi figuriamoci se ne
scrivo
:P Grazie per la recensione, e fammi sapere cosa ne pensi di questo!
*****
Capitolo
IV
“The
stroke.”
Tie me to a tree
Tie
my hands above my head
Sing
a song to me
Sing
a song like what you said
'Cause
they're gonna murder me
(Murder,
Coldplay)
Appartamenti
del professor Ziel,
Dietro le Cucine.
Ted
Lupin
quando aveva accettato l’incarico di professore pensava alla
cena in Sala
grande come un rito, un po’ imbarazzante per via della
probabile presentazione
traballante del Preside. Ma niente che avrebbe superato le sue
aspettative. Nel
bene o nel male.
Infatti
non avrebbe mai creduto di dover assistere il suddetto mentre
scassinava
l’ufficio di un docente ed entrava di gran carriera seguito
da lui e Gazza…
… E non avrebbe mai creduto di dover vedere un cadavere.
Il
defunto professor Ziel giaceva riverso sulla poltrona. Una chiazza di
un
liquido denso, scuro, si stava spandendo sul soffice tappeto sotto di
essa.
Dall’odore sembrava alcohol. L’uomo in effetti
stringeva tra le dita rattrappite
un pesante bicchiere da whiskey. Il fuoco scoppiettava nel camino,
quindi era
probabile che l’avesse acceso da poco.
La
cosa
gli diede stranamente i brividi.
Vitius
controllò le pulsazioni con due dita.
“E’ morto.” disse a bassa voce.
Ted si fece avanti, un po’ confuso sulla sua presenza
lì. Poi capì. Vitius era
un reduce della Seconda Guerra Magica. Probabilmente il suo istinto gli
aveva
suggerito che una porta chiusa e nessuna risposta da parte di un uomo
potevano
significare cose spiacevoli, e implicanti magia.
Magia
Oscura. E lui era il docente di Difesa. Appropriato, senza ombra di
dubbio.
Filius
Vitius non era uno stupido.
“Preside…
cos’è accaduto?” Chiese discretamente.
Il mezzo goblin trasse un profondo
sospiro.
“Credo
abbia avuto un infarto. Pover’uomo. Ultimamente sembrava
prediligere la
compagnia della bottiglia, più che la nostra.”
Scosse la testa. “Che disgrazia…
proprio all’inizio dell’anno scolastico.”
“Vuole che controlli se è morto in
modo… naturale?” chiese comunque, anche se
il caso era palese. Aveva avuto un malore. Era un uomo di una
certà età, e da
quanto poteva vedere, particolarmente male in arnese. Gli occhi
infossati, il
naso solcato da vene gonfie, il colore rubizzo della pelle. Un
alcolista.
Vitius
scrollò le spalle. “Credo che non ce ne sia
bisogno, professor Lupin. È chiaro
cos’è accaduto qui… il povero Immanuel
ha bevuto il bicchiere fatale. Mastro
Gazza, faccia chiamare Poppy per cortesia. E dica ai Prefetti di
portare i
ragazzi direttamente nelle loro Case. A quelli di Tassorosso
parlerò io a tempo
debito. Dovremmo trasportarlo in infermeria, in attesa di trovargli una
sistemazione… definitiva.”
L’uomo annuì piegando leggermente la testa di
lato, prima di caraccolare
goffamente via.
Ted
si
avvicinò al cadavere dell’uomo.
L’espressione era tormentata, i muscoli del
viso tesi, incupiti. Chissà a cosa stava pensando, prima che
il cuore malandato
cedesse.
“Ha
combattuto in Germania, durante l’ascesa di Voldemort. Anche
lì, purtroppo, Tu-sai-Chi
aveva esteso la sua metifica influenza… Non come qui in
Inghilterra, certo, ma…
oh, caro ragazzo…” sorrise aggiustandosi gli
occhialetti pinch-nez. “Tu lo sai
meglio di me. Queste storie ti saranno state raccontate fino alla
nausea.”
Teddy sorrise cortese. “Ogni versione di una storia
è diversa, Preside. Mi
piace ascoltarle. Sono la nostra memoria.” Guardò
Ziel. “Era… un alcolista?”
“Non proprio. Ha sempre bevuto forte, ma senza mai esagerare.
Ultimamente però
aveva qualcosa che lo tormentava. Credo fossero i pessimi rapporti con
la sua
famiglia. A proposito, dovrò scrivere loro. Godric solo sa
come farò a
rintracciarli, Immanuel ha troncato i rapporti con loro anni
fa.” Sospirò. “Che
gran, guaio, che gran guaio… proprio all’inizio
dell’anno scolastico! Dovremmo
trovare un docente sostituto, e al più presto.”
Ted annuì, scrutando il volto dell’uomo, e poi
l’ambiente circostante: un tempo
quell’ufficio doveva essere stato accogliente, lo dicevano i
tendaggi pesanti,
e caldi, con i colori Tassorosso. Confortevole era una
qualità ben apprezzata
da quella Casa.
Adesso
però per l’incuria dell’uomo il
disordine regnava sovrano, rendendo tutto
singolarmente tetro.
Soffriva di
depressione, forse.
Alcolismo,
scarso igiene… non si
tagliava la barba da giorni…
Gazza
tornò indietro con Madama Chips, che quando vide la povera
salma soffocò un
singhiozzo, mettendosi una mano davanti alle labbra. Era rimasta
immutata negli
anni, considerò Ted. “Oh, povero, povero
professore… Erano giorni che gli
dicevo, oh, che gli dicevo di venire in infermeria a farsi controllare!
Aveva
una così brutta cera…”
Vitius le si avvicinò, prendendole la mano tra le sue,
dandole una pacchetta.
“Su, su Poppy… è uno spettacolo triste,
lo so. Ma chi è causa del suo mal…”
“Oh, Preside! Non lo dica neanche per scherzo!”
Ted si voltò verso la porta.
Eppure…
Inspirò
appena, poi fece una smorfia, e tornò a voltarsi verso i
due. Vitius, dopo aver
convenuto con l’infermiera che era meglio lasciarlo nelle sue
stanze, agitò la
bacchetta e recitò un ‘corpus
locomotor’
facendo sollevare il corpo dalla poltrona. Lo adagiò sul
letto della stanza
attigua, componendolo in modo che sembrasse addormentato.
“Non
ci
si abitua mai alla morte… Era un uomo ancora nel pieno delle
proprie forze, un
professore così capace…”
mormorò l’infermiera con un lieve sospiro. Prese
un’espressione imbarazzata quando ricordò che una
frase simile l’aveva usata
per il povero professor Lupin Senior, il cui figlio ora le stava
accanto.
“Poppy,
puoi assicurarti che dal San Mungo qualcuno venga a prendere la salma e
ne
disponga il funerale? Credo che Ziel fosse originario della Baviera,
forse
avrebbe voluto essere seppellito là…”
guardò l’uomo, poi scosse la piccola
testa. “Coraggio andiamo. Non c’è
più niente da fare per lui qui.” Si
voltò,
seguito dalla donna. “Professor Lupin, viene?”
“Subito… volevo prima controllare se per caso non
aveva tra le sue cose… non
so, un indirizzo, una fotografia della sua famiglia. Per
contattarli.” Sorrise
appena. “Sarebbe triste se nessuno venisse a rendergli
l’ultimo omaggio, non
trova?”
“Certo, naturalmente. Ma temo che non troverà
nulla.”
“Proverò comunque.”
Aspettò
che si fossero richiusi la porta dell’ambiente alle spalle,
poi uscì dalla
stanza e puntò la bacchetta contro la libreria, almeno
apparentemente.
“Homenium Revelio!”
esclamò infatti,
e James sentì che il mantello gli veniva strappato di dosso,
facendolo tornare
di nuovo visibile.
“James…”
sorrise Teddy, in tutta tranquillità, incrociando le braccia
al petto. “Allora
a quanto pare Harry non l’aveva semplicemente
lasciato in soffitta, e perso tra tutte quelle cianfrusaglie.”
Il ragazzo si schiarì la voce, sorridendogli di rimando con
un’ammirevole
faccia da schiaffi.
“Ci ho messo un po’ a scovarlo. Credevo fosse il
vecchio mantello di zio Ron.
Era davvero male in arnese. Ma come hai fatto a capire che ero
qui?”
“Intuizione,
diciamo. E il tuo dopobarba, Jamie. Perdonami, ma è
terribile.”
“Ah.” Si annusò ma non lo
trovò così male.
“E immagino che tu ci abbia rintracciati con la vecchia Mappa
Del Malandrino.”
“Uh, la conosci?”
Ted rise. “Jamie, mio padre era
uno
dei creatori.”
James sbuffò. “Giusto… comunque
papà non ha più motivo di venire a Hogwarts,
no? Ormai non è più uno studente. A cosa gli
serviva? Era nel suo studio, e
l’ho presa. Non credo neanche se ne sia accorto.”
Ted
sospirò, chiudendo la porta della camera da letto
dell’uomo. “Tralasciando la
tua preoccupante propensione ad appropriarti di oggetti non
tuoi…”
“Erano di mio padre, quel che suo è mio! No?
Più o meno…” si strinse nelle
spalle.
“… Comunque non dovresti essere qui. Dovrei
punirti, lo sai? Uscire dalla Sala
Grande e sgattaiolare per i corridoi…”
“Ero solo curioso! Il vecchio Gazza aveva una faccia
così spaventosa, pensavo
fosse incazzato per le fatture orcovolanti al secondo piano.”
Guardò verso la porta.
“E’ morto sul serio?” si
informò un po’ titubante. Era riuscito ad arrivare
solo alla fine.
Ted
annuì. “Infarto. Non c’era nulla che la
medicina magica o quella babbana
potessero fare. Non credo abbia sofferto…”
“Cavolo…” borbottò
guardandosi attorno. “Era una brava persona, anche se non
faceva altro che farci trasfigurare uccellini in tazze da
the.”
Ted
gli
mise una mano sulla spalla. “Ne sono sicuro. Purtroppo anche
le brave persone
muoiono…” sorrise dolcemente, e James si
sentì stringere il cuore. Teddy non si
era mai mostrato arrabbiato, addolorato o triste per il fatto di essere
orfano.
Certo,
aveva sua nonna Andromeda, aveva loro… ma non aveva i suoi
genitori.
Sembrava
quasi che non volesse essere di peso a nessuno, neanche con la sua
mancanza.
Solo
a
pensare di non poter vedere i suoi, sebbene rompiscatole, lui si
sentiva
mancare l’aria.
La morte
è una cosa schifosa… Per
quelli che restano.
“Mi
punirai per essere venuto a ficcare il naso?” chiese
guardandolo di sottecchi. Ted
scosse la testa, sbuffando.
“No.
Per
questa volta no.” Guardò verso la porta.
“E poi non posso punire tre studenti a
sole poche ore dalla mia investitura…”
James corrugò le sopracciglia. “Tre?”
Che quei due cretini di Lor e Lys mi
abbiano seguito? Assurdo, non lo farebbero mai. E poi ci scoprirebbero
subito
così.
Chi
fu ad
aprire la porta furono invece il fratello e Thomas. Il primo
evidentemente
contrito, il secondo vagamente annoiato.
James
battè le palpebre.
“Voi
due…?”
“Non fare quella faccia indignata, Jam! Per chi credi siamo
venuti? Per evitare
una punizione a te, testa di troll!” sbottò Albus
rosso in viso. Essere beccato
ad infrangere le regole da Teddy
era
per lui la più cocente delle umiliazioni.
“Oh,
ma
falla finita! Siete venuti perché siete due impiccioni, come
me! Almeno io non
sono ipocrita!” e non potè fare a meno di lanciare
un’occhiata alla cravatta
verde-argento del fratello.
Albus
serrò le labbra, guardandolo male. “Sei proprio in
una bella posizione per
criticarci, Jam…”
Ted guardò Thomas, che fino a quel momento se ne era rimasto
in silenzio. Lo
vide guardare l’ambiente con un’occhiata
complessiva, soffermandosi sulla
macchia odorosa del tappeto.
…
ha buono spirito di
osservazione…
“Forza,
smettetela.” Li rimbrottò “Avete
infranto il regolamento, tutti e tre. Per
stavolta passi, non vi toglierò punti e non dirò
a nessuno della vostra
scappatella. Ma ora tornate ai vostri dormitori.”
Al si
mordicchiò l’angolo di un labbro, come faceva
sempre quando era nervoso o
voleva chiedere qualcosa senza averne il coraggio.
“Tedd-…
cioè, professor Lupin… il professore Ziel
è… morto?”
“Sì, purtroppo…”
Albus impallidì leggermente, annuendo. Non era il loro
Capo-Casa però aveva
avuto un sacco di lezioni con lui, ed era un uomo gentile, con un buffo
accento
teutone. Anche le sue tazzine avevano sempre ali e becco non lo
rimproverava
mai. Sentì un groppo alla gola.
Sentì
anche la mano di Tom alla base della schiena. Non l’avrebbe
mai consolato in
pubblico – anche se erano Teddy e Jamie – ma quello
era il suo modo per dirgli
che c’era.
Prima
che
se ne andassero, a testa bassa e penitenti – forse nel caso
di Thomas non era
l’aggettivo adatto, ma Ted fece finta di non notarlo
– il giovane li richiamò.
“Ragazzi,
mi raccomando. Non ditelo a nessuno. Ci penserà il Preside
domattina, a dare il
triste annuncio.”
Quando
furono fuori James schioccò la lingua, infastidito.
“E’ assurdo che un uomo
della sua età crepi così, fulminato.
L’anno scorso stava benissimo. Per la
barba di Merlino, quanti anni aveva, una cinquantina?”
“Capita molto più spesso di quanto tu non creda,
specialmente nel mondo
babbano. La medicina preventiva può servire, ma il cuore
è una macchina
complicata.”
“Era
un
alcolizzato, altrochè…”
sbuffò James. “Sapete come si dice.
S’è scavato la
fossa da solo.”
“Piantala!” sbottò Albus rabbioso.
“Se beveva così tanto era perché aveva
dei
problemi, no? Non te lo ricordi quando ci ha raccontato delle
rappresaglie dei mangiamorte
al suo paese? Sono cose che ti segnano.”
“Papà era il Prescelto,
eppure non mi
sembra sia attaccato alla bottiglia.” Replicò
salace. “Uno i ricordi li può
affrontare anche senza litri di whiskey incendiario in corpo.”
“Per te è sempre una questione di coraggio,
eh?” serrò la mascella Albus.
A
volte detestava suo fratello, per
essere così ottuso,
trincerato nei suoi pregiudizi. Non erano ideali Grifondoro quelli,
anche se li
spacciava per tali. “Non tutti sono disposti ad affrontare le
proprie paure,
sai?”
“Beh, dovrebbero. È così che si diventa
uomini.” Scrollò le spalle.
“Perché ti
arrabbi tanto? Ziel non era mica il tuo direttore, no?”
“Cosa cazzo c’entra?.” Sibilò
Al. “A volte sei davvero uno stronzo.”
“Ehi, ehi, piano nanerottolo con le parole
grosse…” sbuffò contrariato.
“Sei
capace di dimostrarmi che hai ragione? Perché se non ne sei
capace è inutile
che gracchi tanto.”
“Se ne sono capace…?” sentiva la
bacchetta nella tasca dei pantaloni, e voleva così
tanto tirarla fuori. Sarebbe stato
assolutamente idiota, stupido. Si limitò ad inghiottire il
boccone amaro e
abbassare i pugni contratti.
“Per
essere uno che sa difendere le proprie convizioni sei
straordinariamente poco
incline al dialogo costruttivo, James.” Si introdusse Tom,
sempre con quel suo
tono monocorde. “Comunque mi sembra ridicolo scaldarsi tanto
per una morte
dovuta a cause naturali. Era malato, ed è morto. Tutto qui.
Altre speculazioni
sono inutili.”
James fece una smorfia: detestava quando il cugino aveva
quell’aria saccente.
Cioè lo detestava sempre. Ma aveva ragione. E guardando
l’aria scombussolata e
rabbiosa del fratello minore capì che non ne valeva davvero
la pena.
Non
gli
piaceva litigare con Albus, ma accadeva più spesso di quanto
non volessero
entrambi. Albus era diverso da lui. Era sensibile, emotivo, dolce.
Eppure c’era
qualcosa in lui di innegabilmente Serpeverde. Scusava troppo le
debolezze
altrui. Anche le sue.
“Sì…
beh.
Scusa Al. Hai ragione. Non sta bene parlar male di un morto.”
Gli tese la mano.
“Dai, pace.”
“Non abbiamo più cinque anni. Vaffanculo
Jamie.” Lo freddò, ignorando la mano e
andandosene. Tom trattenne un sorriso, che però a James non
sfuggì.
“Che
cazzo hai da ridere?” lo aggredì.
“Dimentichi troppo spesso che siamo Serpeverde. A noi non
basta una stretta di
mano…” si chinò al suo orecchio.
“Dieci punti in meno a Grifondoro per essere
uscito senza permesso.” Si raddrizzò, dandogli una
pacca sulla spalla.
“Buonanotte, James.”
Le imprecazioni di James si udirono a lungo, quella notte.
****
Corridoi, nei
pressi della Torre di
Grifondoro.
“Malfoy,
stammi lontano almeno tre
passi!”
“Devo ricordarti, Rosey-Posey, che dobbiamo camminare
appaiati?”
“Non è scritto sul regolamento! E non chiamarmi
così, sottospecie di Schiopodo!”
“Rosey?
O
Posey? Quale dei due non ti piace?”
Rose lo guardò ringhiando. Scorpius era a pochi passi da
lei, con il solito
beffardo sorriso stampato in faccia. Sul mantello era appuntata la
spilla con
una ‘P’ luccicante. Il leone rampante sembrava
ammiccarle malizioso.
Naturale. Il
primo turno di
sorveglianza dei corridoi tocca a me, e in coppia con Malfoy.
Ci sono altri
quattro prefetti, ed
ovviamente io vengo sorteggiata con Malfoy!
Aveva voglia
di
urlare.
Il
ragazzo la raggiunse, prevedibilmente, scuotendo appena la testa.
“Rosie, Rosie… dovremmo cercare di andare
d’accordo.”
“Tu non vuoi andare d’accordo con me, vuoi darmi il
tormento!”
“Touchè.”
L’avrebbe ucciso alla fine della nottata. Forse anche prima.
Decise
di
ignorarlo. Lasciò che le si affiancasse e che cominciasse a
fischiettare
un’orrenda filastrocca che terminava, a quanto ricordava
dalla sua infanzia,
con la cruenta uccisione del protagonista.
Scorpius
era… un Malfoy.
Non
c’era
altro modo per definirlo. Modello Grifondoro, più unico che
raro, ma
altrettanto metifico. Suo padre aveva ragione a definirli dei
grandissimi…
Gli
epiteti erano molti, e neanche uno sarebbe mai stato lusinghiero.
Aveva
la
pelle pallida e malaticcia di quella schiatta, i capelli quasi bianchi,
gli
occhi slavati di un grigio color pozzanghera depressa, e poi era
straordinariamente allampanato.
Ah, e
aveva il mento appuntito.
Come
facevano
a trovarlo ‘bello come un angelo peccatore’ era un
vero mistero.
Certo,
non era orrendo come una pustola urticante. Sicuro, aveva la pelle
liscia e non
era stato aggredito da migliaia di foruncoli come era accaduto al
povero Ernie
Rodriguez, ma…
Da
lì a
considerarlo nella rosa dei belli di Hogwarts ce ne passava.
È
solo perché è Capitano della
squadra di Quidditch e sa cantarsela. Come Jamie. Solo che almeno James
è un
bel ragazzo. Non che questo lo giustifichi ad essere un deficiente, ma
almeno
giustifica lo stuolo di cretine che gli sbava addosso.
“Lo
so,
sono così bello che non mi si può togliere gli
occhi di dosso.” Sussurrò
Scorpius.
Merda!
L’aveva beccata a guardarlo!
“Mi chiedevo come fosse possibile che qualcuno potesse
considerarti meno che
repellente, Malfoy…” gli sorrise zuccherosa
pregando Merlino che non si fosse
notata la sua vergognosa vampata di imbarazzo. I corridoi erano male
illuminati
dalle torce, magari...
Scorpius
non si scompose minimamente, picchiettandosi invece pensieroso il mento
con due
dita. “Immagino per via del fatto che sono un abile giocatore
di Gobbiglie.”
Rose dovette trattenersi per non increspare le labbra in un sorriso.
Malfoy
era un idiota, ma se non altro
dimostrava di avere auto-ironia. Tratto non
Malfoy. Sua madre le aveva confermato che il padre ne era
totalmente
sprovvisto.
“Cosa
ha
detto tuo padre della tua nomina a Prefetto?” gli chiese dopo
un po’. Se c’era
una cosa che odiava era il silenzio. Cresciuta in una casa
continuamente
rumorosa, il silenzio la metteva a disagio. Scorpius invece sembrava
cullarcisi
piacevolmente.
Le
sorrise e dovette ammettere che almeno aveva i denti dritti.
“Ha
corretto il porridge della colazione con una sana dose di vino
elfico.” Rise,
facendola inevitabilmente ridacchiare. Si maledisse, ma fortunatamente
l’altro
non glielo fece notare.
“Più
o
meno è la sua reazione media a tutto quello che mi accade
qua dentro.” Si fece
un attimo serio, poi scrollò le spalle, continuando a
camminare.
“Non
è
contento della tua nomina?”
“Della nomina? No, di quella è contento.
È solo che crede che il rosso-oro
sbatta un po’, sai, noi Malfoy abbiamo colori più
nordici.”
Rose
annuì, pensierosa: non ci aveva mai pensato ma probabilmente
la famiglia di
Scorpius non aveva preso bene la decisione del Cappello. I Malfoy, per
come
gliel’aveva raccontata suo padre, erano sempre stati, per
generazioni,
Serpeverde. Senza via di scampo.
“Però
sai, alla fine l’importante è che mi dimostri
superiore. La
Casa non ha tanta importanza.
Semplicemente ovunque dovrò essere il numero uno.”
Sogghignò, facendola
sbuffare.
“Devi
sempre scherzare?” lo redarguì. “Non
riesci ad essere serio?”
“Perché essere seri?” ribattè
con un sorriso allegro. “Il mondo è già
abbastanza noioso di suo, Weasley. Dovresti farti una bella risata ogni
tanto.
Alla tua età non dovresti temere le rughe.”
“Cretino!” sbottò, dandogli un colpo sul
braccio. “Io rido. Un sacco.”
“Ma non con me. Questo mi rende triste.”
Battè le palpebre significativamente.
Dovette di nuovo trattenersi per non sorridergli. La sua vicinanza
fuori da un
contesto pubblico era inquietante. Riuscivano persino ad essere ironici
senza
sbranarsi.
…
Già.
Stavano chiacchierando.
Lo
notò
un po’ perplessa.
“Rido
con
i miei amici, Malfoy, e tu non sei uno di loro.” Lo
freddò facendo un paio di
passi avanti, per distanziarlo. Lo sentì ridacchiare alle
sue spalle, ma non si
voltò per guardarlo male. Avevano ancora mezz’ora
prima di tornare ai dormitori,
dovevano cercare di coesistere.
Si
avvicinò ad una delle finestre trigonali del corridoio,
guardando il silenzioso
paesaggio scozzese, e la Foresta
Proibita
che si stagliava a perdita d’occhio illuminata da una luna
piena, lattiginosa.
Scorpius le si avvicinò, dando un’occhiata.
“Non si vedono stelle stasera…”
considerò. Era un genio nel riavviare una
conversazione morente. Probabile fosse un corso extra che facessero
seguire ai
figli di Purosangue o qualcosa del genere.
“La
luna,
è troppo brillante. Per questo non si vedono.”
Ribattè, per non essere da meno.
Da meno, mai.
“Da
qui
secondo te si vede Hogsmeade?”
“Dubito, considerando che è al lato opposto
rispetto alla Foresta. Punti
cardinali labili, Malfoy? Preoccupante, per un giocatore di
Quidditch.”
Scorpius fece una smorfia, gratificandola di un punto segnato al suo
orgoglio mastodontico.
Prima
che
potesse però cantare vittoria una scia luminosa, verde,
attraversò il cielo
sgombro di nuvole, tagliandolo esattamente a metà.
Muti
assisterono alla parabola velocissima che disegnò prima di
andare a morire da
qualche parte all’interno del bosco.
“…
Cosa
diavolo è stato?” Malfoy fu il primo a parlare.
Sembrava sinceramente
sconcertato, ed era un’espressione che non gli aveva mai
visto in faccia.
“Stella
cadente? Anche se siamo un po’ fuori periodo.”
“Non essere stupida, Weasley. Le stelle cadenti non hanno
quel colore.”
“Dipende
dalla composizione chimica, genio.” Sibilò Rose
irritata. “O per te, povero
Purosangue, dalla composizione di elementi che si trovano
all’interno della
scia della cometa.”
Scorpius
la guardò male di rimando. Era impallidito, lo
notò confusa.
“Non
ne
ho mai visto una verde.” Ribattè, serrando la
mascella. “Merda, non sarà
stato…”
Rose capì. La scia, il colore anomalo, la
velocità. Sembrava proprio…
“Il
Morsmorde era nero, e partiva da un
cumulunembo in cielo. Non ci sono nuvole stanotte, Scorpius.”
Possibile che
avesse creduto…?
Beh, ovvio, non credo che suo padre gli
abbia mai spiegato nel dettaglio come venivano richiamati i servi di
Voldemort.
E tantomeno suo nonno.
I
mangiamorte, benchè ormai da anni privi di una guida, non
erano certo spariti
dal mondo, nè si erano dissolti alla fine della guerra.
Molti di loro erano
scappati alla cattura, riparando in paesi stranieri. Alcuni avevano
taglie
stratosferiche sulla testa, ma probabilmente vivevano una vita
tranquilla in
qualche paese franco.
Vide
il
ragazzo tirare un lieve sospiro di sollievo. “Naturalmente.
Che idiota.”
Mormorò a bassa voce prima di staccarsi dalla finestra,
allontanandosi. Rose,
dopo un’ultima occhiata al cielo, ora privo di strambi
fenomeni siderali, lo
raggiunse.
Camminarono
un po’ in silenzio poi fece per prendere la parola. Scorpius
la precedette.
“Non
sono
un codardo.” Scollò dal palato. “Se mai
venissero… a rendere conto alla mia
famiglia li affronterei.”
“Perché dovrebbero?”
Scorpius fece una smorfia amara. “Lo sai il perché
Weasley.”
Rose arrossì: certo che lo sapeva. La famiglia di Scorpius
aveva partecipato
alla Seconda Guerra Magica, e per buona parte dal lato sbagliato. Solo
alla
fine avevano fatto le scelte giuste. Specialmente Narcissa Malfoy, la
nonna di
Scorpius. Sua madre le aveva raccontato di come avesse salvato la vita
a zio
Harry, mentendo a Lord Voldemort in persona.
‘La
guerra impone spesso delle
scelte drastiche Rosie. Bisogna saperle riconoscerle, prima di tutto,
quando ci
si presentano. E poi seguirle, a discapito della paura e
dell’incertezza. I
Malfoy, Narcissa in particolare, hanno agito per se stessi, ma
così facendo
hanno agito anche per il Bene Comune. È difficile poterli
giudicare.’
In
seguito anche Lucius Malfoy aveva collaborato con il Ministero,
fornendo nomi e
nascondigli.
Da un certo
punto di vista, alcuni
mangiamorte potrebbero avere dei motivi per volersi
vendicare… in effetti.
“È
solo
che ho pensato…” continuò il ragazzo,
prima di fermarsi. Sospirò. “Niente. Non
ho pensato.”
Rose si morse un labbro: era la prima volta che lo vedeva
così… vulnerabile.
Già,
era
la parola giusta. Era serio, teso, preoccupato.
È
pietà quella che provi per
Malfoy, Rosie?
La voce della
sua
coscienza sembrava quella di suo padre.
“Forse
era un UFO.” sorrise al suo sguardo perplesso.
“Dischi volanti. Sai, persone da
altri pianeti venute a visitarci. È una cosa
babbana.”
Scorpius ricambiò il sorriso, quietando i suoi sensi di
colpa. Se sorrideva
andava tutto bene. Scorpius sorrideva sempre.
“Sì, ne ho sentito parlare. Per quanto ne so il
più delle volte sono idioti che
affatturano oggetti babbani spedendoli in aria, o cercando di volarci
sopra.”
Rose
pensò alla Ford di famiglia, ma non disse nulla. Malfoy
avrebbe avuto tutto il
diritto di ironizzarci sopra. Meglio non dargli altro materiale.
Gentile
sì, ma fessa no.
“Già,
il
più delle volte. All’ufficio regolazioni rapporti
coi Babbani hanno un sacco da
fare per questo motivo.”
Arrivarono alla fine del corridoio, e tornarono indietro. Nessuna
matricola
persa e in lacrime.
Niente
Jamie o gemelli Scamandro che si muovevano furtivi
nell’ombra. Notte
tranquilla.
Tornarono
alla torre, salendo lentamente le scale. Si scambiarono qualche parola,
ma non
molte. Il compagno sembrava aver perso la capacità di
scherzare. Era strano, ma
Rose l’attribuì anche alla stanchezza. Era da poco
passata mezzanotte
dopotutto.
“Sai…”
cominciò
prima di attraversare il ritratto della Signora Grassa.
“Potrebbe essere caduta
nella Foresta Proibita.”
Rose scosse la testa, con un sorrisetto divertito. “Dubito,
ma se fosse così,
sarebbe da qualche parte inaccessibile.” scrollò
le spalle. “E comunque cosa
vorresti fare, andare a controllare? È proibito.”
Malfoy sorrise, senza risponderle direttamente. “Sei sempre
così drastica nel
dare la tua opinione, Weasley?” la canzonò.
Argh.
È tornato, in tutto il suo
splendore.
Rose
serrò appena le labbra. “Cerco di arginare quelli
come te, Malfoy.”
Scorpius ridacchiò. “Te l’avevo detto
che sarebbero state ronde interessanti…
non hai disatteso le mie aspettative.”
Rose fece una smorfia, guardando di nuovo verso la finestra.
Davvero
una strana stella cometa.
****
Da qualche
parte nella Foresta
proibita…
Si
accese
una sigaretta, guardando l’ammasso di brulicanti esseri
deformi che stavano
risalendo la collinetta su cui si era seduto. La scosse, facendo cadere
la
cenere sul manto erboso, umido e di un verde brillante.
Il
viaggio per quelle bestie schifose non doveva essere stato
particolarmente
comodo, stimò, ma purtroppo pensare di insegnargli a
materializzarsi era del
tutto fuori discussione.
Non
erano
abbastanza intelligenti, prima di tutto. Ed avrebbero rischiato di
farsi
esplodere durante il processo.
Uno
degli
esseri prese forma umana. A quanto gli aveva detto era il capo. In
effetti
indossava un rudimentale copricapo, fatto di piume e ossa. Parlava un
inglese
raccapricciante.
Anche se
certo, parlare è una
parola grossa –
considerò disgustato dalla pelle traslucida
dell’essere e gli occhi obliqui
color rubino.
“Ordinate…” sibilò. Sembrava
più ordinargli
di ordinare, ma glissò. Era stanco e aveva le ossa
indolenzite per la troppa
umidità. Voleva stendersi in un letto passabile e farsi una
dormita.
Prese un’altra boccata alla sigaretta. Un’usanza
schifosamente babbana che in
tutti quegli anni di esilio aveva preso, suo malgrado. Se non altro,
fumarsi
una sigaretta era un buon modo per passare il tempo.
“Cercate
la pietra.”
****
Commenti:
Sotto metto i volti dei nuovi protagonisti. Ovviamente non siete tenuti
a
visionare e uniformarmi all’idea che ho di loro. Che chiunque
se li immagini a
suo piacimento!
Questa è la mia versione. :P
Michel
Zabini
Loki Nott
|
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Capitolo 9 *** Capitolo V ***
Annuncio
importante: Mi sono
accorta, con orrore, che
ho fatto un errore a dir poco grossolano. Al e Rose hanno detto di
dover fare
il quinto anno, ma hanno sedici anni, e dovrebbe essere al
sesto. Inoltre si diventa prefetti al Quinto e i GUFO sono
sempre al quinto. Comunque… l’ho aggiustata
così: Rose e Al, come Tom, Michel e
Loki hanno già conseguito i GUFO, l’anno prima. L’unica
differenza è che si
diventa Prefetti al Sesto.
Un
po’
raffazzonata come spiegazione, lo so. Ma dopotutto mi conviene. Meno
problemi
scolastici e più azione. :P Ovviamente per James e gli
Scamandro è l’ultimo
anno.
@Miriam Malfoy: Eh, forse i
controlli andavano
fatti, ma si sa, vedi un tipo grasso e malandato che beve come una doga
e pensi
ad infarto. :P Scorpius considera la povera Rose, la sua Rosey-Posey.
Chissà
cosa vorrà dire per quella testaccia Malfoy! XD per quanto
riguarda Jamie, si
sa, è uno stronzo, ma diamo tempo al tempo. Ha diciassette
anni, e alla sua età
anche il nonno era un cretino. Loki se non avesse l’aria da
furfante come
potrebbe avere il nome che porta!XD Grazie per la recensione, continua
a
seguirmi! ;)
@Jakie Black: Ti
è arrivato il mio pm?
Comunque, apparte tutto, grazie per aver apprezzato la scena fuori
dall’ufficio
di Ziel. Ci tenevo a farla bene, per far capire come Albus e James sono
diversi. Dopotutto lo accenna anche Mamma Row nell’epilogo.
Scorpius e Rose
sono molto Fandom, e per questo mi piacciono. Sono una sfida, per non
renderli
la classica brutta copia delle DraMione. Al e Tom sono i miei due
puccini, lo
so, lo so. XD Spero che questo capitolo ti abbia tolto qualche domanda.
:P
@Natalia: Ciao
Natalia! Prima di tutto
grazie mille per la lunga recensione! Le
mie preferite! (ehehe,
che paracula) addirittura paragonarmi alla Row! Wow, grazie!
Comunque sì, il rapporto tra Thomas e
Al è molto stretto. Ma non si sa ancora bene chi dei due sia
la parte più
bisognosa, in fondo, e chi quella più forte. Per quanto
riguarda Asa
Butterfield, sì, è proprio il bimbo di Merlin e
del film che mi hai accennato. Io
lo vedo come Al, non ci posso fare niente. Spero che lo tengano in
considerazione. Vuoi mettere la soddisfazione di averci preso? XD
*****
Capitolo
V
“When the sun start sinking”
You ain't seen my bad
side
Shame
on me, shame on the things that I be
Sometimes,
you're the best time
I've
ever, ever known
(You’re
so real, Matchbox 20)
2 Settembre
2022
Dormitorio
dei Serpeverde,
Hogwarts.
Se la
mattina fosse capace di umori, ne avrebbe avuto uno isterico, quel
giorno.
Tom
si
era alzato verso le sei e mezzo, e si era beccato Michel in piena
paranoia da
primo giorno, indeciso se indossare … una serie di uniformi tutte uguali, il cui unico cambiamento
percepibile era forse qualche centimetro di stoffa in meno e
l’usura.
Loki
gli
si era infilato da sotto per fregargli il bagno.
Odiava
la
vita in comune.
E certo non
aiuta avere come
compagni di stanza Zabini e Nott…
Il
dormitorio Serpeverde non era esattamente un luogo ameno dove
risvegliarsi.
Prima di tutto, non si poteva contemplare il sorgere del sole,
trovandosi circa
a venti metri sottoterra, con metà Lago Nero sopra la testa.
In
secondo luogo, c’era sempre un freddo a dir poco sgradevole.
Non che lui ne soffrisse. Affatto. Il problema era Zabini che si
lamentava continuamente, e Nott che
cercava di
vendere scaldini magici ‘capaci di scaldare
l’intera Sala Comune’ agli
intirizziti primini. L’ultima volta uno di quei cosi aveva
dato fuoco alla
testa di un certo Spurgis.
Al
momento attuale era riuscito ad appropriarsi del bagno, pena fisica a
chi
avesse osato disturbarlo mentre si godeva il getto tonico della doccia.
“Dursley,
uomo, ti avverto! Se finisci l’acqua calda Zabini ti
ucciderà!”
“Che me lo dica di persona.” Non fece una piega.
“Ti ucciderò!” replicò la
voce soave del compagno. “Lo, dici che mi sta bene il
profumo di malva o di sandalo e rabarbaro? Vorrei qualcosa di
aggressivo.”
“Qualcuno
uccida me.”
Sentì esalare Nott.
Così
impara a fregarmi la prima
mezz’ora di acqua calda.
Tom
sospirò. Erano esasperanti, senza ombra di dubbio. Se non
altro, l’ultimo
componente della camerata era Albus. Era ancora sprofondato sotto un
cumulo di
coperte – molto freddoloso – e tra le braccia di
Morfeo.
Uscì
dalla doccia, buttandosi un asciugamano sulla testa e strofinandoselo.
Pulì con
una mano la condensa sul vetro.
L’immagine
che venne riflesse era quella di un adolescente. E fin
lì…
Un
adolescente magro, praticamente privo di melanina (estati passate al
coperto),
con capelli lisci e corvini appiccicati al viso.
Stavano
diventando troppo lunghi, stimò, passandosi le dita tra le
ciocche bagnate.
Abbassò lo sguardo.
Ah,
poi
c’era il pezzo forte.
Lo
stomaco liscio, privo di avvallamenti, affossature, difetti. Privo di ombelico.
Nessuno
era mai riuscito a capire come potesse non averlo.
Né
zio
Harry, né il medimago che ogni anno si occupava di fargli un
check-up completo.
Non
c’era
niente in lui che non andasse. Tutto era perfettamente al suo posto.
Aveva una
salute di ferro, non si era mai ammalato, neanche
un’infreddatura. Niente.
Aveva
denti
sani, riflessi pronti e non aveva mai avuto bisogno di occhiali o
apparati
sostitutivi di qualche mancanza sensoriale.
Certo,
era un po’ troppo magro, e la sua pelle era bianca come
quella di un neonato.
Imperfezioni
comunque comuni, niente di cui preoccuparsi.
Solo,
niente ombelico.
La
prima
volta che chiese spiegazioni aveva undici anni. La seconda, tredici.
Albus
e
James gli avevano chiesto se non avesse voglia di farsi un tuffo nel
laghetto
vicino alla Tana. Era un estate caldissima, e il solo mettersi una
maglietta
costituiva per chiunque una sofferenza. Lui non se l’era mai
tolta. Neppure per
dormire.
Aveva
detto di no, e James l’aveva preso in giro. Si erano
picchiati, ed Albus era
andato a chiamare il padre. Harry aveva sedato la lite, e poi
l’aveva portato a
fare una passeggiata per i campi che costeggiavano la Tana.
Harry
camminava affianco a Tom,
che già a tredici anni riusciva quasi a raggiungerlo in
altezza. Faceva caldo,
e tutti avevano ridotto il loro vestiario al minimo. Solo lui si
ostinava ad
una maglietta e pantaloni lunghi. Neri.
Sapeva che
l’opinione pubblica Weasley
non avrebbe perso tempo a farglielo notare.
Specie James.
E infatti…
“Come
va il naso?”
“Bene zio. Sei bravo ad aggiustare ossa rotte.” Ma
non sorrideva. L’afa
appiccicava la canottiera al torace dello zio. La sua t-shirt era
asciutta.
“Oh,
dovresti vedere Luna, cioè,
la signora Scamandro. Ha un talento naturale. Spero di esserci andato
leggero…”
“Sì.”
“Thomas, non prendertela troppo con Jamie. Ha sbagliato, e
sarà punito. Ma non
farti rovinare la giornata da una lite. Fidati.” Gli aveva
sorriso
amichevolmente. Aveva staccato una spiga dal lato dello stradello
sterrato che
stavano percorrendo e aveva preso a giocherellarci.
“Davvero.”
“Non voglio fare il bagno nello stagno.” Aveva
borbottato dopo un po’. “Non
voglio che mi vedano.”
“Capisco…” aveva esitato.
“Potresti farlo con la maglietta. E comunque lo
sanno, Tom.”
“Lo so. Ma questo fermerebbe James?”
“James è in casa a scontare la sua punizione dando
una mano a Molly con la
cena. Non preoccuparti.” Un nuovo sorriso, ma Tom si sentiva
un macigno in
petto.
Rabbia, era
furioso.
“Perché
sono fatto così?” aveva
sputato, fissandolo con odio. In quel momento lo odiava.
Perché
Harry Potter era normale.
Sì, certo, la cicatrice. Ma era qualcosa in più.
Non aveva
qualcosa in meno.
Harry
l’aveva guardato serio di
rimando. Si era fermato, buttando la spiga.
“Thomas…”
“Non mi hai mai detto perché sono così.
Mi dici che non lo sai. Come fai a non saperlo?”
“Perché è la
verità.” L’aveva preso per le spalle
magre. “Non ti sto mentendo.
Non ti nasconderei mai nulla. Credimi. So cosa significa essere
all’oscuro del
proprio passato, so come ci si sente. Se potessi, te lo
eviterei.”
Tom aveva
abbassato lo sguardo.
“Abbiamo
fatto delle ricerche.
Sono un auror, so di cosa parlo. Te l’ho spiegato. Abbiamo
cercato di
rintracciare i tuoi genitori, un parente. Ma non ci siamo
riusciti.”
“Ma io sono umano?” aveva soffiato, serrando la
mascella. “Un essere umano
senza… non esiste. Non è vero? Il cordone
ombelicale assicura la vita del feto.
Io non l’avevo?”
Harry aveva
aspettato a
rispondere. Sapeva che Thomas non avrebbe voluto una risposta banale.
Alla sua
età una risposta banale,
una scusa, era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
E ne aveva
avute tante, troppe di
quelle.
“Forse il tuo concepimento è stato magico. Ci sono
molte tecniche, alcune
sconosciute qui in Europa, per concepire bambini nel caso la madre sia
sterile,
o lo sia il padre.” Rammentò le ricerche con la
squadra, con il valido aiuto di
Hermione, tutte finite nel vuoto. Se il modo c’era, non era
contenuto in testi
in loro possesso. Casi di concepimento aiutato dalla magia
c’erano, ma nessun
feto aveva come controindicazione: potrebbe non
avere il cordone ombelicale.
“Io
non sono un esperto, ma
esistono.”
“Vorrei
solo sapere…” inspirò. “Sapere.”
Harry avrebbe voluto abbracciare il figlioccio. Stringere quel corpo
magro e
tormentato e assicurargli che tutto sarebbe andato bene. Ma sapeva che
non
avrebbe avuto senso.
Quello non
era un brutto sogno. Ma
il suo passato.
“Ti
giuro che se scoprirò
qualcosa, te la dirò. Brutta o bella che sia. È
una promessa.”
“Non
smetterai di cercare?”
“Mai. Nella biblioteca di Hogwarts non hai trovato niente,
non è vero?”
Esitò. Poi annuì. Inutile mentire.
“Non
c’è niente, credimi. Ho
chiesto il catalogo completo, compreso quello della Zona
Proibita.”
La zona proibita. Sì. Aveva guardato quell’angolo
buio molte volte, ma quel
cerbero della Pince gli stava col fiato sul collo ogni volta che
indugiava
troppo con lo sguardo.
“Devi
fidarti di me, Tom. Okay?”
Aveva annuito. Harry era l’unica persona che probabilmente
meritava una
promessa, e la verità.
Sempre se
avesse continuato a
meritarsi la sua fiducia.
“Coraggio…
con questo caldo Albus sarà
già a mollo. Ti sta aspettando.”
“Farò il bagno con la maglietta.”
Harry gli aveva sorriso. “Certo. E’ una tua
scelta.”
“Uomo,
noi andiamo a rifocillarci! Sveglia Potters,
prima che faccia tardi e si perda la Gran
Colazione Del Primo Giorno!”
urlò Loki al di là della porta,
calibrando adeguatamente le maiuscole. A volte parlava per
maiuscole.
“Sì.
A
dopo.” Mormorò un incantesimo per asciugarsi,
prima di uscire.
In
effetti, la camera era gelida. Il pavimento era in pietra, i
baldacchini di
legno scuro, color carbone. Persino le lampade avevano
un’aria lattiginosa,
bluastra. Anche con un camino all’angolo, la stanza non
riusciva mai a
riscaldarsi adeguatamente.
Thomas
l’adorava. Si sentiva a casa.
Si
avvicinò al letto del cugino, ancora con le tende tirate, di
un pesante verde
cupo. Le aprì, infilando la testa dentro. Di Albus si
intravedevano solo alcune
ciocche di capelli castano scuro, e poi una marea di cuscini e coperte
sommergeva tutto il resto.
Quando si
tratta di trasfigurare
qualcosa in un cuscino o una coperta è un re.
“Al,
svegliati…”
Nessuna risposta.
“Al.
Sono
le sette e mezzo. La colazione.”
Un indefinito rantolo.
Sospirò:
era sempre così. Abituato ai ritmi della Tana, dove si
veniva svegliati
dall’odore del caffè e delle frittelle, verso le
undici, il primo giorno di
scuola per lui era sempre un trauma.
Impietoso, Thomas lo liberò dalle coperte. Il freddo sarebbe
stato il suo
miglior alleato.
Albus
dormiva supino, con le braccia alzate sopra la testa, come un bambino.
Ovviamente questo comportava che il più delle volte avesse
lo stomaco scoperto.
Quella posizione gli era valsa innumerevoli maldipancia, il primo anno,
prima
di adottare il sistema a ‘fortezza di coperte’.
Tom
sorrise appena. Al era ancora un bambino.
Ma
stava
cominciando a dimostrare un carattere che giustificava le scelte del
Cappello
Parlante. La sera prima aveva seguito James per curiosità,
mentendo sui suoi
reali intenti.
Lui
lo
sapeva. Ted Lupin probabilmente no.
Molto
Serpeverde, Al. Molto
Serpeverde.
L’adolescenza
comunque non aveva distrutto nulla della sua infanzia incantata. Aveva
ancora
gli stessi occhi pieni di meraviglia, il viso aperto, il sorriso
luminoso.
E la pancia
scoperta…
Sogghignò.
Era
tanto
che non guardava così da vicino Al, comunque. Non che fosse
cambiato granché
dall’estate prima, quando avevano diviso la camera, alla
Tana. Era sempre
deplorevolmente mingherlino. Non era efebico, faceva sport dal primo
anno, ma
niente addominali, come quelli orgogliosamente vantati da James.
Il
rapporto fisico tra loro era sempre stato particolare,
considerò d’un tratto.
Albus era affettuoso, non aveva problemi ad abbracciare qualcuno o
toccarlo. A
lui non piaceva.
Due
opposti, praticamente.
Eppure
la
fisicità di Al non lo
minacciava.
Mai. Era prevedibile, non invasiva.
Senza
riflettere tracciò un cerchio attorno all’ombelico
del ragazzo. Lo sentì
sospirare.
Ah,
giusto. Soffriva il solletico.
“Tom…”
sussurrò infastidito. Thomas sentì una morsa allo
stomaco, e non ne capì la
provenienza. Ma capì che era la situazione a generarla, e
quindi si alzò dal
letto, scuotendolo per una spalla.
“Svegliati.”
Al sbuffò, aprendo gli occhi e tirandosi a sedere.
“Che freddo… ma che… per
Merlino! Le mie coperte!”
“A meno che tu non voglia portartele fino alla Sala
Grande...”
“Uh?” sbadigliò. “Ma che ore
sono?”
“Le otto.”
“Per
tutte le braghe di Godric! Cazzo, sono in ritardo!”
urlò, dandogli uno spintone
e infilandosi in bagno. “Perché diavolo
non mi hai svegliato prima?!”
Già. Se lo chiese anche lui.
****
Sala Grande,
Ora di Colazione –
quasi passata.
Il
tavolo
Potter-Weasley più amici quella mattina era silenzioso.
Hugo
era
preso dalla lettura della Gazzetta, che leggeva sopra la spalla di
Lily, mentre
Rose stava imburrando una fetta di pane con aria profondamente
concentrata.
James aveva improvvisato una sorta di canestro con le posate e stava
giocando
un’animata partita di Quidditch da tavolo con uno dei gemelli
Scamandro, mentre
l’altro stava sbocconcellando un muffin con aria beata.
Tom e
Al
giunsero per ultimi, il giovane Potter con l’aria trafelata e
la cravatta di
traverso.
“Ehy!”
Rose alzò lo sguardo dalla sua fetta imburrata, sorridendo
al cugino e
spostandosi per fargli posto. “Ciao Al. Alzato tardi
stamattina?”
“E’ stata tutta colpa di Tom. Non mi ha
svegliato!”
Il ragazzo in questione si sedette tranquillamente in un angolo,
prendendo la
propria tazza e riempendola di the in cui sciolse quattro o cinque
cucchiaini
di zucchero. Adorava le cose dolci.
“Potevi
svegliarti da solo.” Ribatté, ma fece un lieve
sorriso. “Non è colpa mia se hai
bisogno di dormire dodici ore.”
Al
sbuffò, poi lanciò un’occhiata verso lo
stemma dei Tassorosso. Era stato
sostituito da un lungo stendardo nero. Serrò appena le
labbra.
Rose sospirò appena, seguendo la direzione del suo sguardo.
“Hai saputo? Il
professor Ziel è morto ieri sera, nelle sue stanze. Un
infarto. Domani ci
saranno i suoi funerali, e poi la bara verrà portata a
Monaco.”
“Il Preside ha detto qualcosa? Mi sono perso il
discorso?”
“Ah, niente di che.” Borbottò Hugo
alzando gli occhi dalla pagina. “Sai, le
solite cose, su quanto era in gamba, che disgrazia che sia morto un
uomo così
giovane… La solita roba trita. Avrei tanto voluto sentire un
discorso di
Silente. Si dice fossero pazzeschi, roba da farti piangere come un
bimbetto.”
“E’ incredibile
però…” Commentò Lily con un
sospiro. “Joanna, sapete, quella
ragazza di Tassorosso con cui vado sempre ad Hogsmeade? Era distrutta.
Ma in un
certo senso quelli della sua Casa se l’aspettavano, mi ha
detto. Nell’ultimo
mese di lezione era sempre assente, e non gli interessava neanche
più vincere la Coppa delle Case. Ed era
un
tipo molto competitivo.”
Hugo
scosse la testa, allungando il collo per finire di leggere.
“Mi chiedo solo chi
cavolo ci metteranno di rimpiazzo. Diciamocelo, non puoi trovare un
professore
come si deve con un colpo di bacchetta…”
afferrò distrattamente un muffin ai
mirtilli e se lo infilò voracemente in bocca.
Rose
diede un morso alla fetta di pane imburrata che teneva in mano da venti
minuti
buoni.
Aveva
rimuginato tutta la notte su quella strana luce verde. Ed era giunta
alla
conclusione che una cometa non poteva essere.
Sentì
l’impulso di andare da Malfoy, e dirgli ‘Sai, a ben
pensarci forse avevi
ragione.’
Una
follia.
Prima
di
tutto perché Scorpius era seduto ad un altro tavolo, in
compagnia di cinque
ochette starnazzanti. Se solo si fosse avvicinata l’avrebbero
fatta a pezzi.
E poi
a
che pro? Certo, erano stati entrambi testimoni di
quell’assurdo fenomeno metereologico,
e quella sera Scorpius era sembrato
sinceramente curioso.
Ma
poteva
essersene già dimenticato, per come era frivolo.
Lo
vide
ridere, e scostare una ciocca di capelli dalla stessa tizia con le
gengive
grosse della sera prima.
Clara
Haggins, indubbiamente.
“Rosie?
Ehi, ci sei?” Si vide passare la mano del cugino Serpeverde
davanti al viso, ed
arrossì, riscuotendosi.
“Uhm?
Ah,
sì. Certamente. Dimmi.” Sorrise ad Al, che
ricambiò: Albus… così dolce.
Sembrava
non essere stato investito da un vagone pieno di ormoni come il resto
dei
maschi di famiglia. Jamie con la sua arroganza, Hugo con la sua
idiozia, per
non parlare del cugino Fred, che stava passando la sua intera esistenza
post-scolastica a inseguire gonnelle.
Albus
era
rimasto coerente a se stesso, identico a quando aveva undici anni.
Beh,
certo,
non proprio identico. Era un ragazzo
adesso. Non molto alto, ma aveva un fisico asciutto e non privo di una
certa
mascolinità.
E poi
quei grandi occhi verdi, di un verde brillante…
Un
sacco
di ragazze sussurravano il suo nome sugli spalti, durante gli
allenamenti.
Non
che
Al se ne accorgesse. Era un tonto cronico. Per lui esisteva solo il
Quidditch,
le lezioni…
…
E Thomas.
L’unico
essere muliebre che suscitava qualche barlume di interesse in lui era
lei, la
sua confidente-cugina, e Lily, l’adorata sorellina.
Fine.
Rose
si
diede della… beh, della stronza. Era
maliziosa lei, non Albus.
“Secondo
te quest’anno Hagrid farà la Caccia
alla Creatura?” le chiese.
Era
una
consuetudine che il buon professore di Cura delle Creature Magiche
aveva
introdotto da qualche anno: si trattava sostanzialmente di compilare un
elenco
di varie creature presenti nella Foresta Proibita. Alcune erano
autoctone,
altre Hagrid le liberava la notte prima, in un’area
circoscritta dalla Magia,
per permettere agli studenti di non inoltrarsi troppo nel bosco.
Una
sorta
di caccia al tesoro, con oggetti ‘viventi’.
Al la
trovava divertente. Lei la trovava terrificante, considerando che
l’anno prima
nell’elenco c’era anche un’acromantula.
Represse
un brivido, sorridendo al cugino.
“Penso
proprio di sì.”
Hugo sogghignò. “Quest’anno ti
divertirai un sacco, Rosie. Mi sa che il vecchio
Hagrid riproporrà ‘Acromantule dal pessimo
carattere’.”
Rose
deglutì. I ragni erano una fobia che condivideva, e per
giunta con molta
partecipazione, con il padre. L’anno prima era scappata fino
al punto d’arrivo
urlando, tra l’ilarità dei Serpeverde e di
metà Grifondoro. Si ricordava con
particolare nitore l’espressione esilarata di quel deficiente
di Sgorbius.
“Non
dire
cretinate. L’anno scorso Rose si è spaventata, e
Hagrid ha promesso che non le
avrebbe messe nella lista. Sta tranquilla.” La
rassicurò Al, toccandole in
braccio.
“Si
sa
che il professore ha la memoria corta…”
ridacchiò Hugo, beccandosi uno
scappellotto fulmineo da Al.
“Ahu!
Albie!”
“Chiamandomi così mi dai solo un motivo in
più per rifarlo.” Replicò
seraficamente, prima di prendere un tortino alla zucca e darci un morso
soddisfatto. Si sorrise con Rose.
Il
rosso
si massaggiò la nuca, sbuffando. “Comunque
sia… avete letto la Gazzetta di
oggi?”
“Tu non l’hai letta, Hughie. Hai sbirciato dalla
mia spalla. Vuoi la pagina di
politica estera?”
“Chissenefrega delle
politica estera!
Avete visto cosa c’è in seconda pagina?”
Strappò il giornale dalle mani di Lily
che sospirò esasperata. La squadernò facendosi
spazio sul tavolo.
“Guardate qua.” Indicò una foto, al
centro pagina, che mostrava una specie di
creatura serpentina, che batteva le palpebre oblique, sanguigne. Aveva
il torso
muscoloso, e umano. Il resto del corpo non era mostrato nella foto, ma
si
intravedeva l’attaccatura dei fianchi, coperti da fitte
scaglie color
acquamarina.
“Figo,
eh? Sei di questi si sono persi ad
Edimburgo! Qui vicino!”
Persino
James smise di tentare di infilare una mollica di pane dentro una tazza
vuota.
Rose
si
chinò sul giornale. “Sei
Naga si perdono
ad Edimburgo. Che razza di notizia è?”
“Cos’è un Naga?”
chiese Albus
confuso.
“Uno
di
questi affari, è chiaro!”
“Grazie
tante Hugo. Non ci ero arrivato.”
“Credo… uomini-serpente. Indiani.
Credo.” Azzardò Lily, che da anni riceveva
per Natale enciclopedie illustrate di “Creature Da Tutto Il
Mondo" di Rolf
Scamandro.
I due
gemelli si guardarono, poi uno fece un cenno d’assenso
all’altro.
Lysander
– forse – si schiarì la voce,
picchiettando il dito contro la foto.
“Naga. Sono un popolo mitico, con
tradizioni che affondano nelle radici induiste. Come ha detto la dolce
Lilù,
sono uomini-serpente. Etica guerriera. Molto incazzosi. Papà
è stato ospite di
una delle loro, tipo, ottocento tribù. Erano tipetti
irascibili, ma con un alto
codice d’onore.”
“Tipo
i
Klingon!” esclamò Hugo.
Tutti
lo
fissarono. Si imbronciò.
“Star Trek. Ehy, i babbani ci fanno
mangiare la polvere in quanto a telefilm!”
“Non abbiano neanche la
televisione,
Hughie.” Sospirò Lily. “Comunque
sia… che brutta faccia.” mugugnò.
“Sono
pericolosi?”
Lys – sembrava proprio lui – scrollò le
grosse spalle.
“Dipende.
Ogni tribù ha un suo codice di comportamento. Alcune sono
pacifiche e si fanno
i fatti loro. Però questi qua non hanno mai visto un babbano
in vita loro. Noi maghi
non ci spaventiamo per una lingua biforcuta, o per il fatto che quando
gli
girano si tramutano in grossi serpenti.”
“In
grossi serpenti?” fece una smorfia Lily. “Io
mi spaventerei. Moltissimo!”
Rose
lesse attentamente l’articolo. Vide con la coda
dell’occhio Tom fare lo stesso.
“Qui
dice
che sono una delegazione della tribù…”
socchiuse gli occhi. “… Zhamai. È una
piccola tribù che si è distaccata da un nucleo
originario più grande. E…
abitano sì, in India. Nella regione di Nagaland.”
“Nagaland?” Hugo
fece una smorfia.
“Cos’è, un parco giochi?”
“Scemo. Si chiama davvero così.” si
schiarì la voce, continuando. “Sono venuti
qui in visita, sotto patrocinio dell’ufficio per la Cooperazione
Magica
Internazionale. Il loro referente, il Signor Parva Tuil, è
scomparso, e i sei
Naga non sono mai tornati alla Locanda che li ospitava.”
“Circe…”
commentò Al pensieroso. “Una tribù di
guerrieri si è persa in Scozia?”
“Praticamente… qui dice che li stanno cercando,
stanno rivoltando tutta
Edimburgo. Si teme che possano palesarsi ai babbani,
soprattutto.”
“I ragazzi del Ministero dovrebbero passare giorni a sgolarsi
a furia di Oblivion.”
Commentò James appoggiando
una mano sulla guancia. “E sono molto
pericolosi?” chiese interessato.
“L’articolo
non lo dice apertamente. Ma per quanto li stanno cercando, è
chiaro che non li
considerano dei turisti sbadati.” Sospirò Rose
chiudendo il giornale.
“Sempre
che si siano persi…” osservò Tom
tranquillamente.
Rose
corrugò le sopracciglia. “Cosa intendi?”
“Potrebbero aver volutamente deciso di non tornare alla
locanda.” Sorseggiò il
proprio the.
James
lo
guardò sospettoso. “Vuoi dire che secondo te sono
scappati?”
Non
sapeva se approvarlo per aver messo la pulce nell’orecchio
all’uditorio o
detestarlo perché l’aveva preceduto.
Nel
dubbio lo detestò. I punti tolti la sera prima ancora gli
bruciavano.
“Perché
no. Potrebbe essere un’eventualità.”
“Ma… perché? Sono qui in
visita…” Borbottò Al. Quelle creature
non avevano
un’aria propriamente amichevole.
“Considerando
le tempistiche per ottenere un visto, specie per creature
umanoidi… beh. Se
avessi qualcosa da fare che non mi va di dichiarare direi che sono in
vacanza.”
Hugo lo guardò con aria interessata. “Qualcosa di
losco?”
“Probabile.” Lo graziò. Rose
sbuffò.
“Che
sciocchezza. Sono esseri che probabilmente non hanno mai lasciato il
proprio
villaggio. Avranno sbagliato strada, si saranno trovati fuori dalla
Edimburgo magica
e avranno deciso di nascondersi da qualche parte, magari sulle colline,
per
evitare i babbani.” Concluse, con tono pratico.
Tom
sorrise. “Sì, anche questa è
un’alternativa valida.”
Rose sentì che la stava prendendo in giro, ma
lasciò perdere.
Non
lo
sopportava. Davvero. Almeno Malfoy era più manifesto nella
sua ironia.
Albus
fece
spallucce. “In ogni caso non è affar nostro,
giusto? Sono sicuro che gli auror
li ritroveranno. Sono addestrati anche per questo genere di
situazioni.”
Finiro la colazione parlando del più e del meno, interrotti
poi dalla consegna
degli orari. Rose e Al furono contenti di vedere che avevano molti
corsi in
comune, e ben distribuiti lungo la settimana. Hugo commentò
con aria afflitta qualcosa
sulla barbosissima lezione di Arimatzia che gli sarebbe toccata di
lì a poco.
Rose lo riprese, e Lily lo consolò prendendolo a braccetto e
assicurandogli che
l’avrebbe aiutato nei compiti.
La
normale routine. Thomas li osservò chiacchierare, senza dare
pareri o commenti.
Semplicemente godendosi una conversazione
da Hogwarts.
Fu
l’ultimo a lasciare il tavolo. Lanciò
un’occhiata al giornale.
Fu
una
sua impressione, probabilmente, ma gli sembrò che quel Naga
lo stesse fissando.
****
Note:
Era un po’ che il volto di Al, non mi convinceva. E infatti.
Sostituitelo
dalle vostre teste. Ecco il vero
Al.
Al
Potter
|
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Capitolo 10 *** Capitolo VI ***
Coraggio,
non mordo se recensite! Mi fa piacere vedere tutte queste visite, ma le
recensioni? Su,
su. Fate felici una piccola scrittrice. E poi sono in
lutto perchè il
trailer figo della fic che volevo farvi vedere su youtube non sono
riuscito a
caricarlo. (Qualcuno sa come evitare errori nel caricamento da progetto
a
filmato di Windows Movie Maker?)
@Jakie Black: Ciao Jakie!
Hai ricevuto la mia
mail di risposta? Spero, perché gmail fa dei begli
scherzetti in proposito. Allora,
prima di tutto grazie. Speravo che la scelta del nuovo faccino di Al vi
piacesse. L’ho visto ed ho pensato fosse perfetto. :P E
sì, mi diverto molto
nelle scene corali, con tutti. E di questo devo ringraziare tutti i
telefilm
che mi hanno cresciuta. È grazie a loro che riesco a
scrivere senza
incasinarmi! XD Tom sta cominciando a accorgersi, e in questo capitolo
chissà…
Il rapporto tra Tom e il padrino (ti ricorda niente? XD)
sarà molto importante
ai fini della trama. Vedrai. Grazie per la puntualità delle
tue recensioni. Le
aspetto sempre con vero piacere! ;)
@Sammy Malfoy: Sappi che
sei diventata la mia
nuova eroina. Due recensioni in due posti diversi! Ti adoro.
(Sì, sono malata
di recensioni come una tossica, sigh. T_T)
****
Capitolo
VI
“A
forest.”
Go
on go on/ Just walk away
Go
on go on/ Your choice is made
(In
Between Days, The Cure)
La
mattina era soleggiata e calda, mentre Al e gli amici si dirigevano
verso il
limitare della Foresta Proibita. Il punto di ritrovo sarebbe stato
davanti alla
capanna del guardiacaccia, carica ora ricoperta da un robusto ragazzo
gallese
di venticinque anni, Redmayne. Hagrid invece, professore ormai da quasi
trent’anni, aveva spostato la sua residenza, una capanna
identica a quella che
aveva lasciato, a pochi metri dal fitto della boscaglia.
Albus si era tolto il mantello e maglioncino, restando in maniche di
camicia: ancora
il clima lo permetteva, e del resto non gli piaceva soffrire il caldo.
Thomas,
invece, era vestito di tutto punto, anche se non aveva allacciato gli
alamari d’argento
del mantello.
“Non
ti
fa caldo?” gli chiese perplesso. Anche Rose teneva
sottobraccio il suo.
Tom scosse la testa. “Non ho mai caldo. Come non ho mai
particolarmente
freddo.”
Al fece spallucce, lanciando un’occhiata verso il gruppetto
di Serpeverde e
Grifondoro già riunito davanti al campo di zucche.
Tendenzialmente ogni Casa
faceva gruppetto a sé, ma Malfoy al momento stava
chiacchierando con Zabini.
Sapeva che le loro famiglie si conoscevano da anni, e Michel non era
tipo da
guardare troppo il colore di una cravatta.
Di un
uniforme di Quidditch sì, ma una spilla rosso-oro non gli
causava nessuno
scompenso.
Ad Al
piaceva anche per questo.
Vide
Rose
rallentare, e quasi nasconderglisi dietro. La guardò
perplesso.
“Rosie?”
“Eh?” si riscosse, con notevole faccia tosta.
“Dimmi.”
“Perché ti sei nascosta?”
“Non mi sono nascosta.” Puntualizzò
seccata. Vide anche Malfoy guardare verso
la cugina e sorriderle tutto denti.
“…
Come
va con Malfoy? Siete riusciti a raggiungere una…
tregua?” soppesò le parole, volutamente.
La ragazza scosse la testa.
“Com’è
possibile raggiungerla con lui. Non ci sbraniamo, ecco
tutto.” Borbottò,
stringendosi nelle spalle. “E’ meno odioso da solo
che in compagnia, comunque.”
“Beh, la sua compagnia solitamente sono solo ragazze. E
neanche tanto
simpatiche.” Ribatté Albus. “Sul serio,
non capisco come riesca a sopportare di
sentirle ciarlare per ore.”
Si
arruffò i capelli. “A me verrebbe un gran
malditesta.”
“Sarà
abituato a sentire teste vuote chiacchierare.” Rose si
avvicinò verso Scorpius,
gratificandolo di un sorriso freddo ma educato, prima di sorpassarlo e
unirsi
alle compagne di dormitorio.
Albus
guardò Scorpius. Scorpius guardò Albus.
“Ehilà.”
Propose il biondo. Albus sorrise.
“Ehilà.”
Sapevano
entrambi cosa sarebbe accaduto.
In
poche
cose Albus Severus era sicuro di sé. Ed una di queste era cercare.
“Anche
quest’anno caccia al tesoro. Pronto ad essere stracciato
Potter? Lo stavo
giusto facendo notare a compare Zabini qui.”
“Fagli mangiare la polvere, Al.” sorrise soavemente
Michel, dando una pacca
sulla spalla a Scorpius.
“Ci
proverò, Capitaine…”
ridacchiò,
usando il nomignolo francofono che i membri della squadra avevano
affibbiato a
Michel.
“Ci
devi
riuscire. Sei un Serpeverde.”
“Può tentare, è un
Serpeverde.” Motteggiò Scorpius. Michel gli
lanciò
un’occhiataccia. Gli bruciavano le vittorie Grifondoro alla
Coppa delle Case,
era evidente.
A chi non
brucerebbero? Jamie poi
si pavoneggia come un’idiota per mesi.
Da spaccargli
la faccia,
veramente.
“Quest’anno
vi lasceremo col culo a terra, Sy.” Replicò
Zabini, serio.
“Ci potete provare, come
ho già
detto, Mike.” Sogghignò l’altro. Al
sospirò divertito.
Non c’era livore trai due, si percepiva. Solo sana
rivalità agonistica. Una specie
di miracolo, nell’esperienza millenaria di Hogwarts.
Ma non
è tanto male. Se non si
scannano due capitani di Quidditch non lo fanno neanche le squadre. E
se non lo
fanno le squadre, le Case sono molto meno competitive.
Comunque
ciò non toglieva che anche Albus avrebbe voluto vedere
Grifondoro culo a terra.
“Chi
è
quest’anno il vostro cercatore?” chiese a Scorpius.
“Quest’anno
facciamo le selezioni.” Spiegò “Smith si
è diplomato l’anno scorso.”
“Era in gamba.” Annuì Albus:
l’anno prima aveva passato tutte le partite che
avevano avuto contro i Serpeverde a contendersi il boccino con lui. Ed
era una
dannata scheggia.
Scorpius
annuì. “Dannatamente. Ci sono dei candidati niente
male comunque. Vedremo.”
Sorrise. “Non cantate vittoria troppo presto però.
La squadra rimane la stessa.
Squadra vincente, come si dice…”
“Sì, sì… vieni Al, non
fraternizzare troppo con il biondo nemico.” Michel gli
passò un braccio attorno alle spalle e lo portò
via, tra gli sghignazzi di
Scorpius.
“Ride
sempre Malfoy… non è mai di cattivo
umore?” chiese quando raggiunse Tom e Loki,
seduti sullo steccato al limitare della capanna.
“Gente
allegra ciel l’aiuta.” Esclamò Loki,
lanciando in aria uno zellino e
riprendendolo al volo.
“Scorpius
non è poi tanto allegro.” Ribatté
Michel. “Voglio dire, è molto bravo ad
atteggiarsi. Comprensibile. È un Malfoy. Ed è
pure Grifondoro. Mix micidiale.”
“Che
vuoi
dire?”
Michel esitò, poi scrollò le spalle. La
riservatezza tipica del suo cognome gli
impediva di parlare apertamente di uno dei suoi amici
d’infanzia. Certo, Al Potter
era un tipo affidabile e Tom un menefreghista. Il problema era Loki,
naturalmente.
“La sua famiglia ha avuto problemi, dopo la guerra. Non
avevano una buona
reputazione, tutto qui. Adesso è diverso, il signor Malfoy
lavora al Ministero.
Ed hanno tutti una buona opinione di lui.”
“Ah, sì. Papà mi ha detto che lo
incontra spesso.”
Credo ci fossero delle frizioni tra di
loro, quando aveva la nostra età. Non me ne ha mai voluto
parlare però. Sorride
e mi dice che per fortuna le cose sono cambiate, ed è
cambiato anche il signor
Malfoy… mah.
Loki
frugò nelle tasche e si ficcò in bocca una
gelatina tuttigusti+1. Al lo guardò
ammirato, aspettando il verdetto.
“Menta piperita.” Decretò
l’altro soddisfatto.
“Come fai ad azzeccare sempre quelle buone?” A lui
uscivano sempre gusti
raccapriccianti come tabasco, cerume, cemento.
“Calcolo delle probabilità.” Sorrise con
bonomia Nott. Poi riprese il filo del
discorso. “Ho saputo che hanno guadagnato parecchi punti
quando il padre di
Malfoy ha sposato l’ultimogenita dei Greengrass.”
Michel lo guardò di traverso. “Messa
così lo fai sembrare un matrimonio di
convenienza.”
“Perché, non lo è stato?”
“Non lo so, e comunque non credo che abbiamo elementi per
giudicare i genitori
di Scorpius.” Loki alzò gli occhi al cielo.
“Come
vuoi,
Prefetto-Perfetto. Stavo solo facendo un po’ di
pettegolezzi.”
“E
sai
che sono sempre il primo a darti manforte. Ma questi sono
noiosi… preferirei
parlare delle ultime conquiste di Elias Dodge piuttosto. Sai che ha di
nuovo
tradito la sua ragazza?”
Mentre gli altri due spettegolavano, da brave comari, Albus
guardò verso
Scorpius.
Nel
farlo
incrociò lo sguardo di Rose, al lato opposto della
staccionata.
Con
sorpresa si accorse che stavano fissando la stessa persona.
...uhm.
Hagrid
uscì in quel momento dalla foresta, gigantesco e dalla barba
incolta, ormai
grigia. Li abbracciò con un unico sguardo, sorridente. Al ne
approfittò per
avvicinarsi alla cugina, empatico. Rose era impallidita.
Ha proprio
paura … okay. Supporto
psicologico.
“Quando
sorride
così mi fa sempre venire i brividi.”
Borbottò infatti Rose. “Godric, spero
proprio che non abbia messo in lista le acromantule.”
“Non
l’avrà fatto.” Cercò di
assumere un’aria convinta. Purtroppo Hagrid sembrava
troppo eccitato dall’imminente caccia.
“Buongiorno
ragazzi!” esordì. “Anche
quest’anno si partirà con la Caccia
alla Creatura!
Quest’anno, uhm… ho escogitato un bel
po’ di trucchetti per divertirvi un po’
di più.”
“Meraviglioso.” Commentò atona Rose.
“Acromantule.”
“Prima
di
tutto, ecco, ci sarà più spazio… ho
ingrandito il terreno di cerca, e messo un
paio di animaletti in più.” Fece un largo sorriso
a cui ben pochi risposero.
“Oddio, ha messo un drago.” sussurrò
Rose terrificata. Al represse la risata
dietro una mano.
“Ma
bando
alle ciance. Adesso vi darò un pezzo di pergamena e una
piuma per annotarvi gli
animaletti che vedrete. Ricordatevi, avete due ore di tempo, poi,
quando
vedrete delle scintille bianche in cielo, sarà finita la
prova. Alla coppia che
troverà più creature verranno assegnati venti
punti.” Terminò nella sua solita
parlata sconclusionata.
Albus sorrise, cercando Tom con lo sguardo. L’altro
annuì, semplicemente.
Ovvio, anche
quest’anno la
vittoria sarà nostra.
Forse
solo Scorpius poteva essere al loro livello, ma era sempre stato
penalizzato
dal compagno. Michel e Loki invece non si sforzavano neanche di
partecipare.
Rose era potenzialmente pericolosa, ma era un aracnofobica in un bosco pieno di ragni.
Fuori
combattimento.
“Anche
quest’anno lavorerete in coppia. Ma per evitare la baruffa
dell’anno scorso, le
coppie ‘sto anno le sorteggiamo.”
Borbottò. L’anno prima due ragazze, una di
Grifondoro e l’altra di Serpeverde, si erano rotolate nel
campo di zucche dopo
un’accesa discussione su chi sarebbe stata la compagna di
Scorpius.
Hagrid
prese
un grosso cappello, probabilmente suo, e fece scrivere ai ragazzi il
proprio
nome sul pezzo della propria pergamena, che strapparono e buttarono nel
cappello.
Albus fece una smorfia. “Dannazione. Non voglio finire con
Lo. Non si impegna
affatto!”
“E tu ti scaldi troppo.” Replicò
l’altro senza fare una piega.
Thomas non commentò, ma lanciò
un’occhiataccia a Hagrid: il sistema non gli
piaceva. Dover dividere due ore del suo tempo, in una foresta, con un
grifondoro o simili, non lo entusiasmava.
E poi
voleva
vincere.
Hagrid
cominciò ad enunciare le coppie, che come da copione si
rivelarono astruse e
malassortite nella maggior parte dei casi. Albus, invece, con suo
grande
stupore si ritrovò in coppia con Thomas. Si diedero il
cinque, soddisfatti.
Rose
si
trovò in coppia con…
“Siamo
assieme, di nuovo, Rosey-Posey!” esclamò garrulo
Scorpius.
Merda. –
pensò perdendo espressività.
Sentì l’ostilità delle altre ragazze
investirla come un’ondata.
“Acromantule e Malfoy.
Delizioso. Che
qualcuno mi ammazzi adesso.”
Sibilò
disgustata, mentre il sorteggio veniva concluso e l’ultima
coppia estratta.
Scorpius
sorrise, facendo spallucce. “Andiamo. Non sono il
diavolo.”
“Infatti. Non sei così interessante.” Si
ficcò con un movimento rabbioso la
penna e la pergamena nella tasca della gonna e si allontanò.
“E’
sempre così amabile tua cugina, Potter?”
apostrofò il Grifondoro. Sembrava
raggiante.
Tipo strano.
Rosie lo tratta
malissimo e lui sembra divertirsi come un matto.
Sarà
mica masochista?
Al
fece
spallucce.
“Sei
tu
che non le piaci, Malfoy.”
“Non dovrei prenderla sul personale?”
Scosse la testa, facendo un sorrisetto. “Dovresti proprio
prenderla sul
personale invece.”
Per come ti guardava prima, davvero.
****
“Povera
Rosie. La fortuna non è proprio dalla sua parte!”
esclamò Al agitando un ramo
secco che usava come una spada improvvisata per fendere
l’aria. Adorava la Foresta
Proibita.
Certo,
era proibito, e spaventoso di
notte,
e ricco di creature perlopiù poco amichevoli.
Però aveva un’atmosfera… magica.
Sorrise
alla banalità della sua osservazione, mentre dietro di lui
Tom, pergamena alla
mano si guardava attorno. Due diversi tipi di approccio alla materia.
Tom
era
professionale, attento, concentrato.
Lui
si
guardava attorno, si godeva i profumi della foresta, i giochi di luce
trai rami
e… scovava le creature con un colpo d’occhio.
Ottima vista, a differenza del
padre.
“Più che altro direi che si tratti di caso. Non
fortuna. La fortuna non
esiste.” Osservò atono l’amico,
chinandosi a controllare una tana di volte in
cerca di snasi. Erano i più innocui ma anche i
più difficili da trovare.
Al
sorrise, scuotendo la testa, vedendo con la coda dell’occhio
una coppia di
Grifondoro che stava seguendo un sentiero battuto. Lì non
avrebbero trovato
proprio niente, sogghignò sotto i baffi. Si capiva da
sé: per cercare le
creature magiche bisognava avviarsi per sentieri non battuti.
Le estati
alla tana fanno forse di
me un mezzo campagnolo. Ma di sicuro so come ci comporta in un bosco.
Ah-ah.
“Caso,
fortuna. Come ti pare. Resta il fatto che Rosie non lo tollera,
Malfoy.”
“Solo perché probabilmente è
affascinata da lui.”
“Aw, per favore!”
Tom alzò lo sguardo, seccato dalle continue interruzioni.
“Chi disprezza
compra. Vecchio adagio. E comunque sia, mi risulta che Malfoy sia
genericamente
ben voluto dalle ragazze.”
“Che paroloni! Piace perché è figo. Un
po’ come Jamie, ma Jamie è un cretino.
Malfoy è …beh, un po’ più
serio.” Ci rifletté, scagliando il ramo lontano.
“Un
po’, almeno.”
Tom
smosse
la terra con una scarpa e uno snaso scappò fuori, fuggendo
veloce verso il
primo buco, tana di talpa o di volpe disponibile.
“Snaso.” Disse soddisfatto,
appuntandolo sulla lista.
“Siamo
vicini al Lago Nero?”
“Stiamo costeggiando il limitare della foresta,
sì, perché?”
Al sospirò indicando con un cenno della testa Loki e Michel,
che,
chiacchierando stavano prendendo l’uscita. Gli si erano
parati davanti non
appena avevano svoltato una fila di alberi e arbusti particolarmente
fitta.
“E’
incredibile come poco considerino Hagrid. Non è giusto.
È un professore anche
lui.”
“Direi che più che Hagrid, non considerino la
materia.” Replicò Tom. “Non
gliene frega assolutamente nulla, ed è normale. Non vedo
nessuno dei due nei
panni di un guardiacaccia.”
“Sì,
però…” si fermò, vedendo che
Michel sembrava infastidito da qualcosa che Loki
gli stava dicendo. Un caso più unico che raro. Si
avvicinò per sentire, prima che Tom potesse impedirglielo.
Si premurò che non lo vedessero, nascondendosi dietro una
grossa radice. Tom
dopo un attimo di stizzita esitazione lo imitò.
“Ti
dico
che dovresti dirglielo.” Esordì Loki. Ma sembrava
un discorso già iniziato da
parecchi minuti.
“E perché dovrei? Lo metterei in imbarazzo, e
comunque non credo la prenderebbe
bene.”
“Lo conosciamo dal primo anno. È nostro amico. Qui
non si tratta di scherzi. È
un Serpeverde, come noi, ed è un amico. E tu ti stai
scopando…”
“Finiscila. Qui anche gli alberi hanno orecchie.”
Sibilò Michel con aria
infastidita. “Non glielo dirò. E smettila di fare
l’ipocrita. Perché non glielo
dici tu?”
Loki fece una smorfia. “Perché non sono un
delatore. Un pettegolo, sicuramente.
Ma non sputtano gli amici.”
Michel sorrise. “In fondo ti dipingi peggio di quello che
sei, Loki Nott.”
Loki
però
non sorrise, lanciando in aria il suo zellino. “Dovrai
dirglielo prima o poi.
Se non lo fa quel vigliacco di Grifondoro, lo dovrai fare tu.
Perché lo
scoprirà. È impossibile che non lo scopra,
Michel. Viviamo in un castello
sperso nelle Highlands, senza
nessun contatto esterno.”
“Ci
penserò a tempo debito.”
“Se lo scoprirà da solo non ti
perdonerà mai. Lo conosci. È troppo
onesto.”
Michel sospirò, e per la prima volta sia Thomas che Al lo
videro preoccupato
per qualcosa. Solitamente viveva in un limbo di languida atarassia.
“Per
come
si sono messe le cose non lo scoprirà mai. E poi non credo
sarà una cosa
duratura. Del resto è solo sesso.”
Loki si strinse nelle spalle, dandogli una pacca sul braccio,
simpatetico.
“Lo
spero
per te, Mikey. Dai, andiamo al Lago Nero. Ho dato un appuntamento a due
Tassorosso
con due tette come pluffe.”
Michel sogghignò soave. “Icastico.”
“Come sempre, Signor Zabini. Solo il meglio, per noi.
Andiamo.”
Si allontanarono finché non sparirono dietro un grosso masso
dall’aria
millenaria.
Al si
tirò su, spazzolandosi i pantaloni dell’uniforme,
perplesso.
“Di
chi
pensi stessero parlando?”
“Non ne ho la minima idea.” Fece spallucce.
“Dai, continuiamo. Abbiamo già
perso troppo tempo.”
“Ma…”
“Vuoi vincere?” lo guardò irritato.
“O vuoi perdere tempo?”
Al si morse un labbro, rientrando nei ranghi. Sicuro che voleva
vincere.
Era
una
dannata bella sensazione.
“Certo.”
Si incamminarono in silenzio. Per una ventina di minuti si
udì solo i rumori
della foresta e quelli dei loro passi. Segnarono molte creature,
persino un
berretto rosso della Cornovaglia, da cui si tennero ben lontani.
Tom
alla
fine emise un lungo sospiro rassegnato.
“Potrebbe
trattarsi di un compagno di Casa…”
“Vero?” esclamò Al illuminandosi.
“Lo pensavo anch’io!”
“Sì, ma comunque
non sono affar
nostri.”
Al
sbuffò
appena, ficcandosi le mani in tasca. “Lo so…
è solo. Hai visto che faccia che
aveva? È la prima volta che lo vedo
nervoso per qualcosa!”
“Non
era
nervoso, era impensierito.” Lo corresse. “Michel ha
il dono di cacciarsi in
situazioni imbarazzanti e perennemente implicanti sesso o
affini.” Considerò
con un lieve sospiro.
“Beh…
è
normale. Voglio dire. È così
bello…” ammise spontaneamente. Tom lo
guardò.
“Pensi
sia bello?”
L’altro arrossì. Quando lo guardava con
quell’aria di sufficienza si sentiva
sempre un idiota.
“Beh,
non
lo è? È molto popolare tra le ragazze.”
“E
i
ragazzi.”
“Come?”
“E’ bisessuale.” Inarcò un
sopracciglio. “Pensavo lo sapessi.”
Albus
si
sentì avvampare e si maledisse per essere così ragazzina.
“Cioè…
sì. Ehm. Lo immaginavo. Ma non è che
l’ho mai visto…” silenzio. “Tu
l’hai visto?”
“Con
un
ragazzo? Sì. Una volta, in un’aula vuota.
L’anno scorso mi sembra.” Scrollò le
spalle, segnando con la coda dell’occhio una coppia di
lumache cornute dal
guscio iridescente, che strisciavano lungo il tronco di un albero
abbattuto.
"Perchè non me l'hai detto?!"
"Sai che non faccio pettegolezzi."
“…
Guarda, un paio di lumache cornute.” Mugugnò
indicandole. Tom gli sorrise.
“Le
ho
viste. Già segnate.” Lo guardò con
attenzione. “Al, la cosa ti mette a
disagio?”
“Chi, a me? No! Assolutamente!” emise in sequenza
alzando il tono fino ad un
falsetto ridicolo.
Oh,
Dio. Era ridicolo.
Tom
si
mise a ridere, beccandosi un pugno sulla spalla. “Finiscila,
stronzo!”
“Scusa, ma la tua faccia…”
ridacchiò. “Esilarante. Scusa.”
“Cazzo…
non sono omofobo, okay? È solo… che …
perché tu sei
così tranquillo?” inquisì con aria
profondamente seccata.
Perché non si scomponeva mai?
Dannato.
“Perché per me non cambia nulla. Che sia etero, o
gay. O bisessuale.”
Perché
a te dà tanto fastidio
invece?
Si chiese, ma
non
pronunciò la frase ad alta voce.
“Anche
per me… è…”
inspirò. “Non lo so. Pensi che ci provi con
me?”
Tom
si
mise di nuovo a ridere. Stavolta Albus fu seriamente tentato di
schiantarlo. Lo
guardò furente finché non smise. Un centinaio di
metri dopo.
“Michel
ti vuole bene come un fratello. Ti stima come persona, ma sinceramente
non
credo tu sia il suo tipo. Scherza soltanto.” Si ricompose,
riprendendo la solita aria distaccata.
“Perché,
chi pensi sia il suo tipo?” replicò piccato. Bella
forza, lui non era il tipo
proprio di nessuno. Le ragazze lo trovavano un cosetto
buffo.
O
almeno,
così gli aveva detto Ifigenia Spellman, quando
l’anno prima gli aveva chiesto se
voleva andare ad Hogsmeade con lui. Stronza. Ma era una Serpeverde.
Dovevo
aspettarmelo, anzi, è stata
insolitamente pietosa. A dire il vero non me ne fregava nulla di
andarci con
lei. Era solo per chiudere il becco a Jamie e i gemelli…
“Il
suo
tipo? Non ne ho idea. Probabilmente la persona che cerca di nascondere.
Quella
con cui fa…” pausa. “Sesso.”
Concluse
sadico.
Si deliziò nel guardare Al avvampare di nuovo come un fuoco
d’artificio: era
facilmente imbarazzabile sull’argomento che solitamente
occupava la testa di un
adolescente medio.
Non
la
sua.
Non ho tempo
per certe
sciocchezze.
Non ne hai,
quando vuoi diventare
Capocasa. Non do retta a chi dice che certe onoreficienze arrivano
quando meno
te le aspetti. A me le cose non capitano.
Le faccio
capitare.
Al si
chinò per osservare delle tracce fresche sul tappeto di
foglie marce e
terriccio umido scozzese. “… Credo che Hagrid ci
abbia infilato anche le
acromantule. Povera Rosie.” Sospirò, cambiando
discorso, e neanche tanto bene.
“Non credo ci sia nulla di male nel fatto che tu non abbia
ancora avuto una
ragazza.” Replicò Tom pietosamente.
“Per un sacco di gente sembra la cosa più
importante invece…” borbottò.
“E per
Jamie.”
Ovviamente.
Competizione
sempiterna tra fratelli.
Sarebbero
arrivati alla tomba chiedendosi chi dei due fosse più in
gamba probabilmente: Al
era quello che rendeva la rivalità più manifesta,
ma anche James non scherzava.
“Al…”
sospirò. Si erano ormai allontanati da qualsiasi sentiero
battuto, anche se
erano ancora all’interno del perimetro. Se così
non fosse stato, avrebbero
udito un fischio lancinante alle orecchie. Una variazione del
incantesimo gnaulante
indubbiamente utile per evitare di perdersi.
“Sono
un
imbranato.” Ribatté l’altro senza
lasciarlo finire, cocciuto come tutti i
Potter.
“No,
sei
solo più timido. Penso che una ragazza possa anche
considerarla una qualità.”
Albus lo fissò di sottecchi, con una strana faccia. Tom si
preparò al peggio.
“E tu?”
“Cosa vuoi sapere?” Chiese sulla difensiva, ma
premurandosi di non darlo a
vedere.
“Ce
l’hai… avuta, dico, una ragazza?”
“Mi
hai
mai visto con una ragazza?” Ritorse con naturalezza.
“Al, stiamo assieme quasi
nove mesi l’anno, ventiquattro ore su ventiquattro. Te ne
saresti accorto, se
ne avessi avuta una.”
Al arrossì. “Sì, beh, immagino di
sì, sicuro…” ci rifletté.
“Però non stiamo
assieme quando sei dai tuoi!” trionfante. “Hai mai
avuto una ragazza babbana?”
“… No.” Era così strano quel
discorso. Non gli piaceva.
“No?
Perché?”
“Ti ricordo che io l’estate studio. Non ho tempo
per pensare alle ragazze.”
Rispose secco, più di quando avrebbe voluto. Vide infatti
l’amico battere le
palpebre, e serrare appena le labbra.
“Chiedevo
solo.”
“Sembra più un interrogatorio.”
“Oh,
al
diavolo Tom… erano solo delle domande! Ero
curioso!” Cincischiò con l’orlo della
camicia. “E ti è mai piaciuta qualcuna?”
Salazar,
aiutami tu…
“Trovo
gradevole
Martha Upkins, quella del quinto, nella squadra di Gobbiglie.”
Martha Upkins era per metà figlia di un goblin. Al infatti
rise.
“Che stronzo che sei… dai. Davvero. Ti piace
qualcuna?”
Quella conversazione stava sfociando nel surreale.
“No,
Al.
Non mi piace nessuna. In realtà sono gay. Sono io il
misterioso amante di
Zabini.” Lo prese in giro, sperando di farlo smettere.
Non
si
aspettava la reazione seguente.
Al
impallidì di colpo, guardandolo con gli occhi sgranati.
Sentì distintamente che
smetteva di respirare. Poi
arrossì
violentemente, mettendosi a fissare con particolare impegno la propria
bacchetta.
Beh, ha
funzionato. Anche troppo.
“Stavo
scherzando.” Sospirò “Non sono
gay.”
“…”
“Al. Non. Sono. Gay. Era uno scherzo, stavi diventando
insopportabile con tutte
quelle domande. Inoltre non andrei a letto con Zabini per tutti i
tesori della
Gringott.” Inarcò il sopracciglio con il miglior
tono canzonatorio che gli
riuscì. Si sentiva stranamente nervoso. “Hai
capito?”
Non mi
avrà creduto sul serio?
Razza di idiota.
“Ah…”
lo
vide riprendere colore, ed accennare persino un sorriso. “Ma
vaffanculo.” Lo
graziò. Poi scosse la testa. “Sai, eri
così serio.”
“Al, onestamente.” Alzò gli occhi al
cielo “Sei l’unico che avrebbe potuto
crederci.”
L’altro si mise a ridere, e il discorso fu stemperato con un
paio di battute.
Ma Tom ci mise venti minuti buoni per smettere di sentirsi incredibilmente nervoso.
Al,
in
compenso, riprese a respirare senza sentirsi il cuore in gola solo alla
sera.
E non
soltanto per lo stupido scherzo di Thomas, purtroppo.
****
“Oh,
guarda, uno snaso.”
“Malfoy, quello è un pezzo di legno.”
“Mmh. È vero.”
Sarebbe sempre stato così il loro rapporto?
Quell’idiota che sparava cavolate e
lei che lo redarguiva acida?
Rapporto
inteso come rapporto di
lavoro. Si capisce.
Malfoy
era un cretino e lei… era stufa marcia di lui.
Persino
del modo in cui portava la camicia slacciata, con la cravatta allentata
e le
maniche tirate su fino ai gomiti.
Credeva
di essere figo?
Beh,
non
lo era.
Scorpius
la graziò di un sorriso. “Che
c’è? Sai benissimo che non vinceremo contro
Durlsey
e tuo cugino. Hanno due occhi da lince. Goditi la
passeggiata.”
Lo guardò incredula. “Ma se prima hai fatto tutta
quella scena su chi gonfiava
di più i muscoli tra te e Zabini…”
Fece spallucce. “Rivalità dovuta tra
case.”
“Non te ne importa proprio nulla di guadagnare venti
punti?”
Il ragazzo si strinse nelle spalle. “Durante una partita ne
posso guadagnare
minimo centocinquanta. Che cosa vuoi che mi importi di venti miseri
punti?” si
sedette su una chiazza erbosa dall’aria soffice, con il volto
rivolto verso i
pochi raggi di sole che filtravano dalle fronde.
“Mmh,
senti che bel tepore. Arriva fin quaggiù.”
Rose
lo
guardò spazientita, poi si sedette su un tronco tagliato
perfettamente a metà,
soffiando una ciocca ribelle via dalla fronte: anche se non aveva i
capelli
della madre, crespi in modo terrificante, comunque a volte si
auto-gestivano.
In quel momento infatti li teneva in una stretta e pratica coda di
cavallo.
“Così…
stiamo perdendo tempo…” esordì dopo
qualche minuto di imbarazzante – per lei –
silenzio.
“Devi
proprio essere così antipatica?”
ribatté l’altro socchiudendo gli occhi.
“Avanti. Rosie. Non possiamo essere amici?”
“Manco morta. E poi a te non interessa veramente. Vuoi solo
prendermi in giro.”
Voi Malfoy
siete tutti fatti così.
Come potremmo essere amici, poi? Io figlia di una mezzo-sangue, con due
genitori che lavorano per vivere, mentre tuo padre potrebbe anche non
lavorare
e vivere dei proventi delle sue eredità centenarie.
Scorpius
sembrò quasi indovinare il suo pensiero, perché
smise di sorridere. Davvero.
Fece
spallucce.
“Forse
che sì, forse che no. Non ti stanchi di avere sempre la
guardia alzata,
Weasley? Te l’ho detto, non sono il diavolo. E non sono mio
padre.” La fissò
con seri occhi grigi, e Rose sentì uno strano calore
all’altezza dello stomaco.
Gli
occhi. Probabilmente erano i suoi occhi a fare colpo sulle ragazze. A
ben
guardarli non erano color pozzanghera. Erano
argento.
“Sì,
lo
so, e…”
“E poi sono molto
più bello!” esclamò
con un sorriso da schiaffi. “Non credi? Finirai per amarmi,
Rosey-Posey!”
… brutto imbecille.
Rose
si
alzò di scatto, fissandolo inferocita, prima di dirigersi
verso il sentiero, a
passo di marcia. Che stupida! Che stupida era stata a credere che fosse
serio,
che stesse per farle un discorso
serio. Malfoy era un buffone. Nient’altro che quello.
Un buffone.
Il
calore
che prima aveva sentito si era trasformato in un magone di rabbia e
stizza.
Perché
me la prendo tanto? È solo
uno stupido ragazzo.
Lo
sentì
chiamarla, ma non ci badò. Continuava a camminare, a testa
bassa, e avrebbe
camminato, avrebbe corso,
finché non
avrebbe più sentito quella voce orribile chiamarla.
Si
fermò,
invece, quando si trovò di fronte a quello che, di primo
acchito, gli sembrò un
grosso tronco d’albero. Ci andò quasi a sbattere.
Ma i tronchi
non hanno scaglie
come i serpenti…
Acquamarina.
Scaglie acquamarina.
Quando
alzò lo sguardo si trovò di fronte qualcuno, o
meglio, qualcosa che aveva
già visto.
Quella
mattina, sul giornale.
Sentì
il
sudore ghiacciarlesi sulla schiena.
Aveva
di
fronte un Naga.
****
Note:
1
– Un
piccolo link utile. Naga
|
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Capitolo 11 *** Capitolo VII ***
Ringrazio
infinitamente chi mi ha recensito, anche solo con un piccolo
incoraggiamento!
Questo, prima di tutto. Secondo, passo a rispondere alle recensioni.
Terzo,
date un’occhiata alle note in fondo capitolo, se vi va.
@Hel_Selbstmord:
Ciao! Dovrai spiegarmi
l’origine del tuo nick, che mi intriga molto. Sa di mitologia
norrena, uhm. Ti
ringrazio per i complimenti, che mi hanno davvero fatto piacere.
Sentirsi
definire da una persona poco affascinata dal Potterverse che la tua
fiction è
una tra le migliori lette è… wow! :)
@Ombra:
Ciao! Beh, vedremo
qui se per Rosie è meglio un’acromantula o un
lucertolone. Io, con la mia
aracnofobia, preferisco quest’ultimo. XD Il misterioso amante
Lily? Uhm, tu ce la vedi? Chi vivrà,
vedrà. XD Comunque l’arcano verrà
svelato
nel prossimo capitolo.
@Cloto:
Ah, sono
assolutamente d’accordo! Di schifezze scritte con i piedi, ce
ne sono fin
troppe! (leggiti Poisonus Bites, archivio di critica, e fatti due
risate).
Specie nel Potterverse.
1)Oh,
insomma pensate tutti che sia Lily la fortunata?! XD Beh,
vedremo se nel prossimo capitolo avrete ragione o meno. 2) Su Scorpius
e Rose,
credimi, dovremmo sudare, sono due testoni. Voglio dire, lei
è figlia di Ron
‘Non mi accorgo di un tubo’ Weasley. 3) Il legame
tra Albus e Tom, sì, non è
trai più ‘lineari’, ma ha le sue buone
ragioni. Ah, per l’ultima cosa. Doppelgaengen
è un termine tedesco che
letteralmente può essere tradotto con ‘doppio che
se ne va’. Nella cultura
tedesca può essere vista anche come un
‘doppio’, il concetto di ‘gemello
malvagio/gemello buono’? una cosa simile. È un
po’ complicato spiegarlo, ed io
faccio schifo, quindi se ti interessa ti rimando alla definizione di
wikipedia
qui .
@JakieBlack:
Ciao! Come al solito
fai un’analisi puntuale e perfetta del capitolo. Ti adoro,
davvero! XD Sulla
rivalità tra Case, ho pensato che fosse bello per una volta
che le disparità
smettessero di essere così velenose, anche se vedrai che non
sono del tutto
scomparse. Ma possono farlo solo gli studenti. Piazzare Scorpius a
Grifondoro
non è stata una scelta casuale, tanto per fare scena. ;P Poi
vedrai. Grazie
ancora per la recensione!
****
Capitolo VII
Show
me
what it's for. Make
me understand it.
I've
been crawling in the
dark looking for the answer.
Is there something more than what I've been
handed?
I've been crawling in the dark looking for the
answer.
(Crawling in the dark, Hoobastank)
L’essere
fissò Rose, mentre, pietrificata, non si muoveva di un
millimetro.
“Dove è?” chiese
sibilando. L’accento era
terribile e Rose fece fatica a capire cosa le stesse chiedendo. Che era
evidente le stesse chiedendo qualcosa.
Non
riusciva a ragionare. Quel… mostro… era alto come
due se stesse. E aveva due
lunghe zanne da cui gocciolava un liquido verdastro. Veleno, forse.
Abbassò
lo sguardo e le venne da vomitare. Al posto delle gambe aveva un lungo
tronco
serpentino che terminava con una coda sfumante nel verde pallido, che
frustava
a terra impaziente.
Voleva
scappare,
ma non riusciva a muoversi. Era come se tutto il suo corpo pesasse come
piombo.
Aprì bocca per inghiottire aria.
Panico. Terrore.
“Dove è?” chiese
ancora il Naga,
scoprendo le zanne.
Rose urlò. E pochi secondi dopo si sentì
afferrare per un braccio e strattonare
indietro.
“CORRI IDIOTA!” le urlò qualcuno.
Solo
dopo
un centinaio di metri, in cui le gambe le si muovevano per inerzia, si
accorse
che Malfoy la stava trascinando via. Correvano come se ne andasse della
loro
stessa vita.
E
probabilmente era così.
Si
concentrò solo nell’azione, solo nel fuggire via
il più lontano possibile. Dopo
un po’, non seppe quantificare quanto, si fermarono, ansanti.
Rose si appoggiò
al tronco di un albero, inghiottendo aria a boccate. Scorpius era
piegato sulle
ginocchia, la camicia macchiata di sudore. La fissò. Ci mise
qualche attimo
prima di riuscire a parlare. Ansimava troppo forte.
“…
Cosa …
diavolo… era…?” sillabò.
“Hagrid… è … impazzito?
Dannato… mezzo-gigante.” esalò
infine, in un’imitazione del padre che però Rose
non criticò. Se non avesse
visto la
Gazzetta
quella mattina avrebbe chiesto lei stessa l’espulsione di
quel pazzo di Hagrid
dalla scuola.
“Non
l’ha…” inspirò, lasciandosi
scivolare a terra. “Non ce l’ha portato il
professore. Quello è un Naga. È.. indiano.
È…” chiuse gli occhi. Dio, ma
l’avevano seminato?
Scorpius sembrò chiedersi la stessa cosa perché
comincio a guardarsi intorno,
con la bacchetta sguainata.
Nonostante
tutto non poté non pensare che fosse quasi… interessante,
con quell’espressione tesa e maschia.
Maschia?
Merlino. Stupidi ormoni
adolescenti.
“E
come
ci è finito qui se è indiano?”
ringhiò distogliendola da pensieri ben poco consoni alla
situazione.
“Una delegazione è venuta in visita…
dal suo paese.” La voce le stava tornando,
e con essa la razionalità. Ma decise che per il momento non
si sarebbe alzata
in piedi. Stava troppo bene abbracciata a quel tronco, grazie.
“Hanno fatto
tappa ad Edimburgo… e si sono persi.”
“Quello non si era perso.” Sibilò il
ragazzo, avvicinandosi a lei. “Quello era
qui per un motivo. Edimburgo è a miglia
da qui. Non può aver camminato…” fece
una pausa, seguita da una smorfia
disgustata. “… strisciato,
pardon,
fin qui.”
Rose
guardò in alto, il sole che si nascondeva tra le fronde
degli alberi. La foresta
era immersa in un silenzio pacifico, sereno. Era quasi incredibile
credere che
quell’incontro terrificante fosse accaduto davvero.
La foresta
nasconde molti segreti…
L’aveva
sentito dire da suo padre una volta, quando bambina, gli aveva chiesto
di
raccontargli l’ennesima avventura del fantastico trio.
“Weasley!
La vuoi finire di guardare il cielo e vuoi deciderti a darmi delle
risposte?”
sbottò Malfoy riportandola alla triste realtà.
Cioè che era distrutta dalla
fatica e probabilmente a pochi passi da una creatura terrificante con
denti
avvelenati grossi quanto quelli di un Basilisco.
Grazie
Malfoy.
“L’ho
letto oggi sul giornale, Scorpius, non ne so tanto più di
te.” Si rialzò con
fatica, sentendo la caviglia urlare. Probabile che se la fosse storta
in quella
corsa forsennata. “Dobbiamo tornare dal professor Hagrid e
dirgli che quel … coso…
è in giro a piede libero. Qualcun
altro potrebbe incontrarlo.” Fece per azzardare qualche
passo, prima di
emettere un lamento, e fermarsi.
“Che c’è?” si
informò Scorpius, avvicinandolesi. “Ti fa male da
qualche parte?”
“La
caviglia. Credo di essermela storta mentre correvo. Tutte quelle
radici…”
mugugnò. Il ragazzo annuì, prima di chinarsi e
abbassarle il calzettone
dell’uniforme. Rose, nonostante la situazione critica, si
sentì avvampare come
una scolaretta.
“Che cavolo fai Malfoy?”
“Controllo che non sia rotta, Weasley.”
Replicò scocciato. “Sai, dovremmo correre
nel caso che quella bestiaccia
ci raggiunga.”
Rose deglutì. “E tu come fai a sapere se
è rotta o meno?” trovò comunque la
forza di ribattere Scorpius alzò gli occhi, fissandola.
Sembrava incerto se
essere divertito o esasperato.
“Gioco
a
Quidditch. Hai idea di quante fratture ho visto in vita mia?”
Touchè.
Rose
non
replicò stavolta, lasciandosi esaminare. Incredibile come
avesse le mani
fresche anche dopo una corsa del genere.
“No, è solo slogata.” Sospirò
“Ma camminare in queste condizioni non puoi.”
“Okay, allora tu torna indietro, io…”
“Tu verrai con me. Non
torno indietro
da solo, Weasley.” Disse sbrigativo e quando provò
a protestare la guardò irritato.
“Ti ho fatto il favore di salvarti la vita prima, tu fammi il
favore di non
metterla a rischio adesso.”
“Non
mi
hai salvato la vita!”
Oh, sì che l’hai fatto
maledizione.
Scorpius
scosse la testa. “Ingrata e Weasley. Ancora mi chiedo
perché mi ostini a
rivolgerti la parola.”
“Va’ al diavolo.” Mugugnò,
facendolo sorridere. “Allora cosa facciamo?”
“Facciamo che ci facciamo salvare il culo. In fondo siamo
sotto la
responsabilità del corpo insegnanti, no?”
alzò la bacchetta da cui si sprigionarono
scintille rosse che finirono ad esplodere in cielo.
“Segnale di pericolo.” Spiegò
strizzandole l’occhio.
Diavolo, non ci avevo pensato.
Si sentì profondamente scema.
“Verranno
a prenderci, dobbiamo solo star fermi e guardarci attorno. Fortuna che
da qui
si ha una bella panoramica.” Si arrampicò su un
agglomerato roccioso, tenendo
la bacchetta ben salda in pugno. Quando fu sicuro che ci fosse posto
per
entrambi l’aiutò a arrampicarsi.
“Perché
ci siamo arrampicati qui?” chiese dopo un po’.
“Perché
due occhi sono meglio di due. E quella bestiaccia sarà
grossa, ma hai mai visto
un serpente arrampicarsi su un sasso?”
…
Non è del tutto idiota, devo
ammetterlo.
“Non
tornerà…”
mormorò Rose, sedendosi con una smorfia. “Non era
né me né te che cercava.”
“Cercava qualcuno?” chiese l’altro
attento. “E chi?”
“Non lo so. Ma continuava a ripetere ‘dov’è?’”
“Spero
allora che non gli venga voglia di chiedercelo di nuovo.” Si
allentò
ulteriormente la cravatta, sbuffando. “Io con i rettili non
ho un buon
rapporto. Non ci piacciamo a vicenda, è evidente.”
Rose lo guardò stupita, prima di mettersi a ridacchiare.
Okay, questa era buona.
“Scorpius?”
“Mmh?” Non distolse neanche lo sguardo, continuando
a monitorare il bosco.
Avrebbe potuto andarsene, scappare a cercare aiuto o semplicemente
mollarla lì.
Ma non l’aveva fatto.
“Sei un vero Grifondoro, lo sai?”
mormorò. Si sentì scema: avrebbe dovuto
ringraziarlo per averle salvato la pelle, e invece le era uscita quella
frase
senza senso.
“I
soli a
pensarlo siete tu e quello straccio sudicio e
bislacco…” replicò beffardo. Ma
Rose fu quasi sicura di leggervi sorpresa, e piacere, nella sua
espressione.
“Tu
non
lo pensi?”
Si strinse nelle spalle. “A volte.”
“Dovresti farlo più spesso.”
Esitò. Gli sorrise. “Mi hai salvato la vita.
Grazie.” Riuscì
finalmente a dire,
soddisfatta.
Stavolta
fu sicura di vederlo sorridere di autentico piacere.
Scusa
papà. Ma sono una
Grifondoro. Sono onesta.
Se
solo
fosse stata onestà, certo.
****
Thomas
stava
finendo di ricopiare nella propria pergamena la lista completa di tutti
le
creature avvistate. Erano più di cinquanta. Potevano
ritenersi soddisfatti.
Al
era
seduto sotto un albero, con la testa appoggiata su una radice: si erano
fermati
in una piccola radura baciata dal sole settembrino per fare il punto
della
situazione e riposarsi.
Lasciò
filtrare la luce dalle dita socchiuse, sbuffando appena.
“Pensi che vinceremo?”
“Temo proprio di sì.”
Ironizzò Tom con un sorrisetto. Al ridacchiò.
Ora
era tutto
apposto.
Prima…
non tanto. Erano rimasti silenziosi e in imbarazzo per un bel pezzo,
prima che
l’avvistamento delle tracce di un unicorno li distraesse.
Era
stato… strano.
Thomas,
certo, amava le freddure. Però quella battuta era
stata…
Al
non
sapeva definirla bene, ma sapeva come si era sentito:
incredibilmente… ansioso.
…
Gay.
Non
ci
aveva mai pensato. Certo, non era improbabile.
Si
sentì
arrossire e fu sollevato dal costatare che il cugino era totalmente
assorto nel
ricopiare.
Non
l’ho mai visto parlare con una
ragazza, se non con Rosie ogni tanto. O Lils, ma solo perché
lo assilla lei. E
poi non ha mai invitato nessuna ad Hogsmeade. Eppure non avrebbe
problemi.
Thomas
era magnetico. C’era
qualcosa in lui
che spingeva la gente a guardarlo, a considerare la sua opinione, a
stimarlo. E poi non
si scomponeva mai.
Fece
un sorrisetto,
tirandosi a sedere: per questo era stato strano, prima. Si era agitato.
Era
la
prima volta che l’aveva messo in difficoltà.
In un
certo senso era stato soddisfacente.
Comunque,
anche se fosse stato gay. Beh. Non gliene sarebbe importato.
Tom
è Tom. Fosse anche giallo e
con la coda.
Non
gli
sarebbe importato, no, anche se in quel momento aveva sentito come un
cucchiaio
che gli scavava la pancia. Essì. Proprio quella, la
sensazione.
Come
panico, ma simile al magone che gli prendeva poco prima della
riconsegna di un
compito.
“Uno
zellino per i tuoi pensieri.” Disse Tom, sorprendendolo. Gli
fece un mezzo
sorriso, alzando lo sguardo, quando non sentì risposta.
“Avido. Vuoi un
galeone?”
Al
scosse
la testa, sentendosi il cuore in gola. Realizzò in quel
momento quanto gli
volesse bene. Quanto fosse fortunato
ad avere la sua amicizia. Tom non la offriva spesso, anzi, tolti Zabini
e Nott,
con cui comunque aveva un rapporto più blando, non
l’aveva proprio offerta a
nessuno.
Era
una
bella sensazione, essere il primo.
Non lo sono
stato neanche quando
sono nato. C’è sempre stato prima Jamie.
“Mi
sei
mancato quest’estate…” disse di slancio.
L’altro inarcò un sopracciglio.
“Pensavi
a questo?” Replicò senza troppo sentimento. Era
fatto così, non bisognava
arrabbiarsi. Però non poté evitare di sentirsi
deluso.
“Anche.
E
a chi sarà il nuovo professore di
Trasfigurazione.” Mentì. “Loki ha detto
che
Vitius ha già una rosa di candidati.”
“Nott ne sa più del reparto degli
Indicibili.” Commentò finendo di appuntare
l’ultimo animale, un vermicolo che si era arrampicato sulla
spalla di Al
cadendo da un ramo.
“Già.
Però
c’è da dire che deve trovarlo in fretta. Domani
dovremmo avere Trasfigurazione.
Due ore. Non che mi spiacerebbe passarle a non far niente.”
“Io andrò in biblioteca.” Fece
spallucce. Al sospirò.
“Sei
peggio di zia Herm. Neanche Rosie è così
secchiona!”
“Non sono affatto secchione.” Replicò
con sufficienza, alzandosi. “Semplicemente,
stasera prevedo trenta centimetri sulla rivolta dei Goblin.”
“Cazzo, Ruf.” Esalò Al scornato.
“Tre ore. Abbattimi.”
“Mi dispiace, non conosco pietà.” Si
spazzolò il mantello da residui di foglie
e terra. “Andiamo.”
Camminarono
per un po’, ognuno preso dai propri pensieri. A Tom il cugino
piaceva anche
perché era qualcuno con cui stare in silenzio.
Non cercava di ciarlare ogni tre per due, terrorizzato da non sapere
cosa dire.
A volte semplicemente si poteva non dire.
Albus
era
cresciuto nel baccano di un fratello iperattivo e di una sorellina in
cerca di
perenne uditorio. Sapeva quindi gustarsi il rumore dei propri pensieri.
Tom
improvvisamente
sentì qualcosa che non andava. Non capì subito.
Allora tese le orecchie. E
comprese.
Non
c’erano rumori. O meglio, c’erano i loro passi, il
fogliame che frusciava… ma nient’altro.
Niente
uccelli, niente cespugli mossi da animali furtivi. Niente di niente. Al
sembrava non essersi accorto di nulla.
Lasciò
passare qualche altro attimo, prima di fermarsi. L’altro fece
lo stesso,
perplesso.
“Che c’è?”
“Ascolta.”
“… Ehm. Cosa?”
“Appunto.” Lo guardò. “Non si
sente nulla.”
Al rimase un attimo in silenzio, poi deglutì.
“Cazzo.” Disse semplicemente.
Apprezzava
il cugino anche per la prontezza con cui si uniformava al suo pensiero.
“…
Ma
siamo ancora nell’area protetta dall’incantesimo,
giusto?”
“Sì. Ma credo che qualcosa
si sia
introdotto…”
“Cazzo, non dire così che mi spaventi!”
“Cosa dovrei dire? Ci dovrebbe
essere
un incantesimo che respinge le creature più pericolose, ma
pare che non funzioni?”
“Meno agghiacciante.” Borbottò Al
tirando fuori la bacchetta. “Che ne dici di
darcela a gambe verso l’uscita?”
“Direi che è una buona idea. Fermo!”
lo prese per un braccio, mentre stava per mettersi a correre,
sufficientemente
suggestionato. “Se ti agiti, qualsiasi cosa ci sia, se
c’è, capirà che sappiamo
che è qui.”
“Ma potrebbe essere solo una nostra impressione
no?” tentò “Meglio…”
“Nostra e del resto della foresta?”
Al
non ribatté
ma annuì semplicemente, prendendo a camminargli a fianco,
con la bacchetta ben
stretta nel pugno. Non era un coraggioso lui, affatto.
O sarei
finito a Grifondoro come
Jam e Lily.
Si
sentiva teso come una corda di violino e aveva solo voglia di scappare
il più
lontano possibile.
“Tom,
cosa credi…”
Non riuscì a finire la frase, perché
sentì come una gigantesca spinta,
violentissima, colpirgli la schiena. Per un attimo, ironia a parte, gli
sembrò
quasi di volare, prima di impattare duramente contro il suolo,
fortunatamente
erboso e pieno di foglie marce, un paio di metri più in
là.
Stordito,
gli ci volle qualche attimo per mettersi in ginocchio e voltarsi per
controllare cosa l’avesse colpito. Rimase senza fiato quando
vide cosa ora era affianco al
cugino.
Un
orrendo uomo-serpente, alto quasi due metri, vestito di una corazza di
ossa e…
Dio, aveva due zanne grosse quanto due mazze da battitore.
Sentì
la
mente bianca. Pura paura.
L’essere
afferrò Tom per un braccio facendo sibilare una lingua
serpentina, nerastra.
Vide Tom impallidire e cercare di alzare la bacchetta.
Il
mostro
gli colpì la mano, facendolo urlare di dolore, mentre la
bacchetta volava via
lontana.
“TOM!” trovò la forza di gridare,
alzandosi in piedi.
“VA VIA! VATTENE!” urlò di rimando il
ragazzo, mentre la bestia rimaneva stranamente
immobile. Semplicemente, lo guardava. Ma tenendolo saldamente per un
braccio.
Per liberarsi avrebbe dovuto strapparselo, probabilmente.
“VA’ A CHIAMARE AIUTO
AL!”
Scappò.
Non riuscì a fare altro se non girare i tacchi e correre
via.
Una
parte
di lui gli stava urlando di rimanere, cercare di fermare quel mostro,
salvare
Tom. Ma i suoi piedi non gli obbedivano. Era come se mente e fisico
facessero
stato a sé.
Tom
vide
Al scappare via, e provò sollievo. Prima di rendersi conto
che era un po’ fuori
luogo. Guardò in faccia la creatura, e represse un conato di
vomito quando
sentì una zaffata di marcio soffiargli addosso.
“Tu…”
sibilò la creatura. “Ora. Corri.”
Scandì lentamente, per avere la certezza di
essere capito. E lo lasciò. Tom rimase fermo, incredulo.
Mi ha chiesto
di scappare?
L’essere
ghignò. “Caccia.”
E capì. Il gatto col topo.
Con
la
coda squamosa gli porse qualcosa. La sua bacchetta. Dopo una breve
esitazione
la prese. “Non sono una preda…”
mormorò, trovandosi piuttosto temerario. L’altro
non sembrò neanche averlo ascoltato. Squadernò le
fauci da cui gocciolò una
sostanza vischiosa. Era acido, a giudicare da come corrose il fogliame
sottostante.
E Tom
stavolta diede retta all’istinto. Fuggì.
****
“Ragazzi!
Eccovi qua!” esclamò il buon mezzo-gigante,
arrivando con un festoso Odino,
figlio di Thor il cane, non il dio. “Che
v’è successo?”
Rose sospirò di sollievo, quando l’omone la prese
per le braccia e la tirò giù
come se non pesasse niente. “Professore,
c’è un Naga nella Foresta!”
Scorpius
scese da solo, nonostante l’aiuto fosse stato offerto anche a
lui. “Un enorme
uomo-serpente velenoso. Sa. Abbastanza spaventoso.”
Sibilò con sospetto. Rose
gli rifilò un’occhiataccia. Che testardo!
Va bene che
Hagrid tende ad avere
un’opinione un tantino miope sulla pericolosità di
certe creature, ma da qui a
piazzare un guerriero assetato di sangue nella Foresta
Proibita…
Hagrid
corrugò le folte sopracciglia. “Un uomo-serpente?
Ma non ci sono robe del
genere nella foresta, ragazzi!”
“Beh, Weasley ci ha sbattuto
contro.
E le assicuro che era molto reale. Ora, vuol fare qualcosa?”
“Scorpius!”
sbottò Rose esasperata.
Anche se
avrei dovuto usare il
cognome, per quanto sembra posseduto dall’arroganza della
sua famiglia!
Il
ragazzo non replicò, anche se non abbandonò
l’aria riottosa. Rose fece un
profondo respiro, prima di continuare. “Oggi sul giornale
c’era scritto che sei
Naga, in vacanza, si sono persi vicino ad Edimburgo. Potrebbe essere
uno di
quelli.”
Hagrid
si
rabbuiò. Se non altro, la caratteristica che lo rendeva
tanto amato presso gli
studenti era la fiducia che accordava loro. “Uhm,
d’accordo. Vado a
controllare.” Diede una carezza ruvida al grosso cane.
“Voi andate con Odie. Vi
riporterà alla capanna. Ormai sono tornati quasi tutti, a
parte voi due e…”
esitò, poi scosse il testone. “Andate.”
“E chi, professore?” chiese Rose, con un orribile
presentimento. “Chi?”
“Albus e Thomas.” La guardò impallidire,
e si affrettò ad aggiungere. “Ma ci
sta Grop in giro, sai. Per monitorare le cose. Li troverà
prima di me, e se
quel coso sta dando loro fastidio vedrai che ci dirà di
lasciarli perdere.” Le
sorrise. “E’ in gamba, sai, il mio
fratellino.”
Entrambi evitarono di fargli notare che il
‘fratellino’ aveva l’abitudine di
giocare a ‘sradica l’albero’ e che gli
schianti si sentivano di solito fino
alla Torre di Grifondoro.
Rose
vide
che Scorpius si stava mordendo la lingua. Letteralmente.
“Su,
andate. E non vi preoccupate, che li ritroviamo subito. Magari son
già tornati!”
Quando Hagrid si fu allontanato, Rose guardò la propria
caviglia.
Diavolo,
continua a farmi male.
“Vuoi
che provi a
…”
“Senza offesa, ma preferisco zoppicare che trovarmi senza un
pezzo di gamba.”
“Esagerata. Comunque come conti di camminare?”
le chiese con un sorriso beffardo, scostandosi perché Odie
tentava di leccargli
una mano.
“Conto
di
appoggiarmi a te.” Sibilò, arrossendo e notando
con orrore che Scorpius se
n’era accorto. “Niente commenti o ti infilo la
bacchetta su per il naso.”
“Sei
sempre deliziosa. Avanti, prova ad appoggiarti con il tuo dolce pe- Non tutto! Rischi di azzoppare me,
Weasley!” si finse dolorante.
“Malfoy!”
lo minacciò con un ringhio.
“Sì.
E’
il mio cognome.” confermò con un sorriso. Rose lo
guardò male, poi lanciò
un’occhiata verso la foresta. Si morse un labbro.
Al…
dimmi che sei fuori di qui.
“Credi
che…” esitò. Avrebbe detto qualcosa di
cretino?
Stranamente
Scorpius scosse appena la testa, guardando nella sua stessa direzione.
Serio.
È
incredibile come cambia
facilmente stato d’animo.
“Dursley
non è un
cretino, ed entrambi sono Serpeverde. Conosco il genere. Saranno
già tornati al
campo-base con una pergamena di quaranta centimetri.”
“Ma se…”
“Se l’hanno
incontrato… beh, in certi
casi l’unica cosa da fare è scappare il
più lontano possibile. Auto-conservazione.
Me l’ha insegnata mio padre. È nel decalogo del
perfetto Serpeverde. Molto
utile.”
“E
tu?
Prima non sei scappato. Dov’è la tua
auto-conservazione?” lo canzonò, grata.
Scorpius
sospirò teatrale. “Grifondoro. Capisci
perché mio padre è tanto disperato
adesso?”
Rose
ridacchiò, e non trovò più
così disdicevole appoggiarsi un po’ di
più a lui.
****
Tom
si
sentiva mancare il fiato. Ma non si fermava. Non poteva
fermarsi.
Si
era
liberato del mantello centinaia di metri prima, dato che gli impacciava
i
movimenti. Correva, in preda al puro istinto.
Sentiva
i
sibili della bestia dietro di sé. Che fosse suggestione o
meno non ne aveva
idea.
Stava correndo al massimo delle sue forze, gli occhi gli bruciavano, i
polmoni
sembravano scoppiargli. Decisamente non era atletico.
Decisamente
non aveva una resistenza inumana.
Si
fermò
solo quando cadde, inciampando su una radice sporgente o un sasso, non
sapeva.
Crollò
a
terra, rotolando per parecchi metri di un pendio ben poco dolce.
Atterrò
di schiena, sentendo come se tutta l’aria gli fosse uscita di
colpo dai
polmoni.
Rimase
immobile per qualche secondo, stordito.
Poi
capì
che sarebbe stato quello ad ucciderlo. La paura.
Si
rialzò
lentamente. Fortunatamente la caduta non aveva avuto conseguenze. Si
controllò
le caviglie, e provò a mettersi in piedi. Si
guardò attorno.
Nessuno
in vista.
No, non mi ha
lasciato perdere.
Forse mi ha dato un vantaggio.
Gli
venne
quasi da ridere all’idea che la bestia fosse stata in qualche
modo sportiva.
Inspirò
ed espirò un paio di volte, finché
sentì il cuore rallentare i battiti.
Doveva
fare il punto della situazione. Doveva razionalizzare.
È
l’unico modo che ho per tirarmi
fuori da questa situazione.
Non
era
ferito, punto primo. E cosa più importante: aveva ancora la
sua bacchetta.
Anche
se
non aveva idea di dove si trovasse.
Si
guardò
attorno, muovendo cauti passi, frugando con lo sguardo ogni cespuglio,
ogni
minimo angolo. Si trovava sotto un lieve dirupo, che digradava
bruscamente fino
a terminare con alberi fitti, da cui era difficile intravedere qualcosa.
Poteva
trovarsi ovunque. Non aveva nessun
punto di riferimento e correndo aveva sentito l’ululato
dell’incantesimo. Era
quindi uscito dalla barriera protetta dalla magia.
Perfetto.
Siamo io, il Naga e una
mezza dozzina di altre creature mortifere.
Il
Naga…
sì, non c’erano dubbi. Era lo stesso essere che
aveva visto nella Gazzetta di
quella mattina.
Impossibile
dire come ci fosse finito, nella Foresta Proibita, a miglia da
Edimburgo.
Ma
non
era questo il punto.
Il
punto
è che stava cacciando
lui.
Serrò
la
presa sulla bacchetta. Era terrorizzato, certo, ma c’era una
parte di lui che
era irrazionalmente furiosa.
Io non sono
una preda.
Gli
uscì
dalle viscere, quella frase. Forte, chiara.
Era
folle
quello che stava per fare. Sì, da pazzi. Ma anche
razionalmente, non aveva
nessuna speranza di fuggire in eterno da quel Naga: era veloce, era
grosso, era
un guerriero, come avevano letto quella mattina.
Pensare
di batterlo sul suo stesso terreno, credere di potersi nascondere
finché
qualcuno – non ben precisato – fosse venuto a
salvarlo era ancora più idiota.
Si
era
perso in mezzo ad una foresta che si estendeva per chilometri, a lui
sconosciuta. E più si sarebbe addentrato più i
pericoli sarebbero aumentati.
Doveva
fermarsi.
E capire.
Perché
me? Perché non ha inseguito
Al? Ha un istinto animale. E gli animali attaccano sempre la preda
più debole.
Puntò
la
bacchetta di fronte a sé.
“Vieni fuori. Sono stanco di scappare.”
Pronunciò con voce ferma. La mano che
reggeva la bacchetta pregava di tremare, ma Tom glielo
impedì.
La
paura,
era la paura che aveva spinto
quella
bestia a giocare con lui.
Sentì
un
fruscio. Tese i sensi e ripeté. “Vieni fuori! Vuoi
me? Sono qui! Non scappo
più. È chiaro? Non
scappo più!” urlò
furioso.
Questo mi
farà diventare membro
onorario dei Grifondoro.
Pensò
con
amara ironia.
Sentì
un
sibilo e si sentì scaraventato contro un albero.
Serrò la presa sul manico
della bacchetta, che fortunatamente non gli sfuggì dalle
mani.
Il Naga si palesò, con un orrendo ghigno. Sembrava
soddisfatto.
“… Combattere?” Chiese stentato.
Tom inspirò bruscamente. Respirare, era quello il segreto.
“Non credo di avere molta scelta.” rispose di
rimando. Poi non gli diede tempo
o nessun vantaggio. “Stupeficium!”
Gridò. La luce rossa partì dalla bacchetta. Ma il
Naga rimase in piedi.
Tom
sgranò gli occhi.
L’incantesimo.
Cosa…
Sentì
un suono
sgradevole, come se qualcuno raschiasse su una lavagna. Il Naga stava
ridendo. “Le
tue inutili… magie… sono
più… resistente.”
Grandioso. Era immune agli incantesimi. O forse quella sua pelle
squamosa, come
quella dei draghi, era dannatamente resistente.
Probabile.
“Ora…
a
me…” Non gli diede tempo. Con la gigantesca coda
sferzò nel terreno,
colpendogli le gambe. Crollò a terra, una seconda volta.
Stavolta sentì un
dolore acuto al gomito. Tentò di rialzarsi ma un secondo
colpo di coda lo
spinse di nuovo al suolo.
Il
Naga torreggiava
sopra di lui.
“Debole… così debole…
possibile?” sembrava divertirsi un mondo.
Bastardo
malato di etica guerriera.
Ti diverti? Vediamo se ti diverti con questo.
“Recido!” urlò
alzando la bacchetta al
cielo. L’incantesimo sfrecciò trai rami degli
alberi. Il Naga capì cosa stava
succedendo solo quando sentì un ramo, o meglio, una fronda,
piombargli in
testa. Crollò al suolo, mentre Tom scattò in
piedi.
Ma
l’aveva
sottovalutato. Lo capì quando con quella sua dannata coda si
rimise in piedi e
gli circondò il braccio, stringendo con forza.
Udì uno schiocco e un dolore
lancinante. Lasciò cadere la bacchetta, piegandosi in due.
“Piccolo… sciocco…” lo
sollevò da terra, tenendolo per il polso fratturato. Tom
sentì il dolore esplodere in milioni di schegge.
Urlò.
“Mostrami…
mostrami quello che sei…” sibilò,
scuotendolo. Tom serrò i denti per il dolore.
Cosa
voleva? Cosa diavolo voleva quel
mostro da lui?
Non
gli
diede tregua. Lo sbatté contro un albero, premendocelo
contro.
Tom
tossì.
“Mostrami…”
Cosa? Cosa dannato bastardo? Come so
gridare? Come crepo?!
Non riusciva neanche a parlare, tanto era il dolore e la
paura. Impotente,
ecco cos’era.
Uno
stupido ragazzino impotente.
Sentì
la
collera montargli dentro come un mare impetuoso. Partirgli dallo
stomaco,
esplodere, irradiarsi negli arti, fino alla punta delle dita.
Per
la
prima volta odiò.
Nessuno,
nessuno poteva permettersi di farlo sentire così.
Nessuno.
A
posteriori capì di aver agito come in preda ad una forza
sconosciuta. Afferrò
il Naga per la selva di collane che portava al collo. Strinse.
Muori.
Vide
il
ghigno del Naga spegnersi, e la faccia aggrottarsi mostruosamente. Vide
il
dolore nel suo volto mentre lanciava un urlo disumano, prima di
lasciarlo
andare.
Crollò
al
suolo, mentre il Naga si allontanava da lui, con le mani serrate sulla
testa,
come se un’emicrania spaventosa lo stesse lacerando.
Muori.
C’era
solo quella parola nella sua testa. La ripeteva all’infinito,
come una
preghiera. Come un ordine. Non riusciva a smettere.
Poi
sentì
come se qualcosa di enorme gli fosse atterrato accanto. Il rimbombo, la
terra
scuotersi. Vide una gigantesca ombra afferrare il Naga per la coda e
sbatterlo
al suolo. Sentì un ruggito.
Arriva la
cavalleria…
- pensò stancamente.
Poi
il
buio lo inghiottì.
****
Note:
E poi
non
dite che non vi do l’azione… :P
Comunque,
ecco una piccola precisazione sulle età dei nostri eroi e
l’anno che
frequentano, visti i casini che ho fatto nei precedenti capitoli.
Adesso
siamo nel 2022. Anno scolastico 2022-2023.
7°
anno
(17-18 anni): James/ Gemelli Scamandro/ Roxanne.
6°
anno
(16-17 anni): Thomas/Albus/Rose/Scorpius/Michel/Loki/Dominique (a
Beaux-Batons).
4°
anno
(14 anni): Lily/Hugo.
1°
anno
(11 anni a Beaux-Batons): Louis.
Teddy
ne
ha ventiquattro invece, mentre
Victoire ne ha ventidue.
Tutte le età sono state estrapolate da HP
Wiki e la pagina di HP di Wikipedia in italiano. Per alcune
ho un po’
abbozzato dato che non c’erano riferimenti precisi nella timeline.
Gli
altri
cugini, come Fred Jr, Molly e Lucy (le figlie di Percy), li ho
già fatti
diplomare oppure sono bambini. In fondo non si vede da nessuna parte le date di nascita.
Licenza
scrittoria. U_U
Per
chi
volesse vederla, ecco Roxanne:
Roxanne . Essendo figlia di Angelina, di colore sia
nel libro che nel
film, l’ho voluta immaginare così.
|
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Capitolo 12 *** Capitolo VIII ***
2
Ringrazio
le ragazze che mi recensiscono (ragazzi? Non
so se ce ne siano. Argh, ‘sti nick oscuri).
Grazie, siete voi che
finanziate questa storia! ^^
@Hel_Selbstmord:
Hai un nick favoloso! Al
di là del cupo significato mi piace troppo. Mi sa di
‘sturm und drang’ tedesca!
Per quanto riguarda questo capitolo è Thomas-centrico.
Quindi spero non
deluderà le tue aspettative! I commenti di una
non-appassionata sono una vera
lusinga per l’ego. Ed è vero, mi smazzo (a scapito
dello studio :P) per fare un
buon lavoro su questa fic. Odio quelle tirate via, OOC, che non curano
affatto
l’ambientazione. Secondo me, documentarsi, è la
parte quasi più divertente! :)
E poi, a mio avviso, se ci metti impegno, in una storia, i risultati si
vedono.
(sono una paranoica, lo so)
@JakieBlack: Tu sei la
mia ‘analista’. Spiace
troppo se ti chiamo così? XD Ogni capitolo ha una tua
analisi puntuale, ed io
le adoro! Per quanto riguarda l’intuizione che hai avuto su
Michel, beh,
diciamo che in questo capitolo avrai le tue risposte. Se fossi in te,
comunque,
non regalerei un Naga a tuo cugino. Sono poco malleabili (tipo i
Klingon, come
ha detto Hugo XD ) La tua analisi su Tom è quanto di
più perfetto ci potesse
essere. Grazie davvero per seguirmi (e ovviamente per tentare di dare
una cover
a questa mia storiella :P)
@Sammy Malfoy: Oh, non
preoccuparti se risulti
ripetitiva, il mio ego lo apprezza immensamente! XD A parte gli
scherzi, mi fa
davvero piacere che apprezzi la mia scelta di Scorpius Grifondoro. Ci
sono
delle ragioni, tra l’altro, perché l’ho
messo lì, non solo per fare
‘l’originalata’ (che tale, tra
l’altro, non credo neanche sia). Tom e Albus
sono due rincoglioniti, ma in questo capitolo ci sarà un
passetto (ino ino) in
più. Grazie
per seguirmi!
@Marty
McGonnagal:
Non preoccuparti, perdonata! XD Mi ha
fatto piacere sapere di
essere riuscita a dare un’impronta caratteriale diversa a
ciascun personaggio. Non
è facile, quando ne hai tanti, ma diciamo che gestire un GdR
ha aiutato.
Scorpius ti piace, anche se dal nick mi pare di intuire che sei una
Grifondoro?
XD Evviva! In effetti io adoro Scorpius, è come una seconda
possibilità di
riscattare i Malfoy (che trovo affascinanti).
@Altovoltaggio: Ciao! Vedo
che sei una new entry,
e i tuoi complimenti non possono che farmi piacere! Tom-Voldemort?
Vedremo se
hai ragione, ma diciamo che ho seminato ovunque indizi nella storia per
smentire o confermare la tua tesi. ;)
****
There's oceans
in
between us/ But that's not very far
(Blurry,
Puddle Of
Mudd)
4 Settembre 2022
Infermeria,
Hogwarts, primo
pomeriggio.
Thomas
si
svegliò contemplando il soffitto a volte
dell’infermeria.
Batté
le
palpebre un paio di volte. Riallacciò la sua coscienza
all’ambiente
circostante.
Infermeria.
Si
guardò
attentamente attorno. Doveva essere il primo pomeriggio. Era solo,
anche se
sentiva da lontano il chiacchiericcio di Madama Chips e della sua
assistente.
Si
guardò
il braccio. Era fasciato, ma per il resto non sembrava avere ferite.
Guardò il
comodino e lo trovò ingombro di dolci magici e anche un
mazzo di fiori.
Un mazzo di
fiori? Quella è
gramigna.
Pensò
perplesso. Ah, giusto. C’era una pazza di Tassorosso fissata
con la gramigna.
Gliela spediva ogni San Valentino.
Provò
a
sedersi e dopo qualche sforzo, il polso protestò un
po’, ma meno di quanto si
sarebbe aspettato visto che l’ultima volta era rotto,
riuscì a issarsi trai
cuscini.
La
cerca
alla creatura nella Foresta Proibita, il Naga, la corsa, la
colluttazione.
Se le
ricordò tutte all’improvviso. Serrò le
labbra per un’improvvisa fitta di
emicrania.
Mi sono
alzato troppo velocemente…
Comunque,
a quanto sembrava, era ancora vivo.
Sentì
lo
scalpiccio, sincopato e nervoso, inconfondibile,
dell’infermiera e poi la sentì
tirare le tende del suo lettino. Serrò appena le labbra alla
luce del primo
pomeriggio che lo investì.
“Ah,
bene, ti sei svegliato caro… Come ti senti?”
chiese sbrigativa, mentre gli
sollevava il viso per scrutarne il colore.
Non ne
troverà molto, temo –
pensò con ironia.
“Non
male.” Disse sinceramente. Inutile pensare di fregare Poppy.
Quella donna era
un asso a capire se stavi mentendo sulle tue condizioni fisiche.
“Ho
malditesta.”
“Oh, quello direi è normale, con quel che ti
è successo. Sono i postumi
dell’Infuso Aggiustaossa.”
“… Perché, quante ne avevo
rotte?”
“Polso sinistro, metacarpo, gomito destro e un paio di
costole.” Snocciolò la
donna, guardandolo severa. Come se fosse colpa sua, poi.
“Senza contare la
commozione cerebrale.”
Scusi tanto
se mi sono imbattuto
in un enorme lucertolone assetato di sangue.
“Sei
stato
fortunato che Grop ti abbia trovato. Io lo dico sempre, al Professor
Hagrid che
sono stufa di dover curare bruciature, contusioni e lividi per via
delle sue
lezioni! Per la bontà di Merlino, non ha un briciolo di
senso critico a volte!”
borbottò facendogli aprire la bocca e controllandogli la
lingua.
“Veramente
credo che quella creatura non facesse parte della
lezione…” tentò. Non che
volesse scagionare quel folle. Anche lui pensava che le sue lezioni a
volte
mancassero totalmente di oggettività. Ciò non
toglieva che quel Naga non fosse
lì per farsi ‘trovare’.
“Posso
essere dimesso?” chiese poi, non ricevendo risposta.
“Assolutamente no! Sei stato due giorni privo di
conoscenza.”
Tom corrugò le sopracciglia. “Due
giorni?”
“Proprio così. Stavi cominciando a farmi dubitare
persino dei miei metodi di
cura sai?” gli lanciò un’occhiata.
Scrollò le spalle. “Sonno ininterrotto. Mai
vista una cosa del genere, solo con Harry Potter. Quel benedetto
ragazzo aveva
l’abbonamento qui, per incidenti strani!” Si
voltò verso l’ufficio. “Milly,
portami l’infuso cinque!” strillò
all’indirizzo dell’assistente.
Tom
fece
uno sforzo sovraumano per non tapparsi le orecchie. Con
l’età Madama Chips era
diventata un po’ sorda, e per proprietà transitiva
credeva che tutti avessero il suo
stesso problema.
L’assistente,
una graziosa moretta uscita fresca dall’accademia medica del
San Mungo, portò
un grosso bottiglione con tanto di bicchiere smaltato. Gli rivolse un
bel
sorriso, che lui non ricambiò. Non era in vena. La donna
più anziana riempì il
bicchiere fino all’orlo e glielo mise sotto il naso. Sapeva
di frutta marcia.
“Devo
proprio?”
“Vuoi
farti passare il malditesta?”
“Preferisco tenermelo, grazie.” Replicò
atono. L’infermiera lo guardò male.
“Signor
Dursley, chi dei due fa questo mestiere da più di
quarant’anni?”
Tom, arreso, prese il bicchiere e lo vuotò di un sorso.
Stranamente il sapore
non era malaccio. Un calore gli si diffuse nello stomaco e si
sentì
immediatamente meglio.
Miracoli
della medicina magica.
“Quindi…
sono stato incosciente per due giorni.”
La donna annuì. “E due notti.”
Ripeté pazientemente. “I tuoi amici erano
terribilmente preoccupati. Ho dovuto minacciare il giovane Potter.
Voleva
accamparsi qui.”
Al…
Alzò
la testa.
“Come sta?”
“Oh, benissimo. Aveva solo qualche graffio. Credo sia caduto
mentre stava
andando a cercare aiuto.” Un sorriso quasi intenerito
passò nel volto severo e
professionale dell’anziana donna. “Quel ragazzo ha
corso come un pazzo. Si è
imbattuto in Grop, e l’ha mandato a cercarti. Molto
intelligente da parte sua.
Un mostro del genere difficilmente sarebbe stato tenuto a bada dal
Professore.”
Anche
perché sembrava immune agli
incantesimi…
Tom
si
guardò le mani. Ricordava ancora con nitore la sensazione
viscida che aveva
provato ad afferrarlo. Come ricordava la potente sensazione di odio che
gli era
esplosa dentro.
Inspirò
appena.
“Il
Naga…è
morto?”
“Naturalmente. Ma questi non sono affari che ti riguardano,
ragazzo. Ora devi
soltanto cercare di riposare.”
“Ma sto bene.”
protestò
corrucciandosi. La donna non si fece né intimidire
né tantomeno intenerire.
“Deciderò
io quando starai bene.”
“Posso almeno vedere i miei amici?”
Doveva chiedere ad Al se ne sapeva qualcosa di più, di
quella storia.
Sicuramente da quella donna testarda non avrebbe ricavato nulla.
“Quando
le lezioni saranno finite. Tra un paio d’ore quindi. Nel
frattempo dormi un
po’.”
“Ho già dormito...” Lo guardò
male. Thomas serrò le labbra, ma non replicò.
“…
Conterò
le travi del soffitto.” Sibilò ironico.
“Ottimo passatempo. Se hai bisogno di qualcosa,
chiama.”
Thomas
si
lasciò cadere sui cuscini, seccato. Voleva delle risposte.
E,
come
al solito, avrebbe dovuto cercarsele da solo.
****
Si sentiva
sballottato da ogni
parte. Qualcuno stava correndo, e stava correndo tenendolo in braccio.
“Non
permetterò che la prendano,
no, non permetterò che la rendano loro schiavo.”
Era piccolo, e
indifeso. E
spaventato. Non aveva ancora una coscienza, ma sapeva che qualcosa di
brutto
stava per accadergli. A livello istintivo.
Si
sentì chiuso dentro qualcosa di
scomodo, duro. Sentì qualcuno gridare.
Pianse, pianse
con quanta forza
aveva nei polmoni. Rabbia o paura.
“HARRY! VIENI
VIA!”
Sentì uno strattone, e braccia salde prenderlo. Era salvo.
Tom
aprì
gli occhi di scatto, inspirando bruscamente. La sensazione di calore e
di
dolore era ancora forte e vivida.
Un
incubo…
Gliene
capitavano spesso, di quel genere. Non se ne preoccupava
particolarmente: erano
talmente ripetitivi che ormai aveva imparato a ignorarli. Zio Harry gli
aveva
detto che anche lui, da giovane, aveva sognato fatti accaduti quando
era poco
più di un neonato.
Una delle mie
tante stranezze… non
la prima sicuramente.
Mise
a
fuoco la stanza.
Si
era
addormentato. Di nuovo. Una lieve pressione sulla mano lo fece voltare.
Albus
era
seduto, più che altro era crollato
sul suo letto, e stava sonnecchiando. La guancia appoggiata al lenzuolo
e una
mano sopra la sua.
Sospirò
appena.
Si
intravedeva il crepuscolo dalle possenti vetrate
dell’infermeria. Le lezioni
erano decisamente finite. Doveva
quasi essere ora di cena.
Rimase
a
guardare il cugino, prima di svegliarlo. Aveva qualche graffio sul
viso, e un occhio
pesto. Per il resto sembrava stare bene.
Si
sentì
sollevato, e fu forse la prima emozione positiva della giornata. Per il
resto si
sentiva nervoso, stanco, irritato.
Ma se non
altro, sono vivo.
Particolare
non disprezzabile, in effetti.
Era
un
attimo di insolita quiete. Avrebbe quasi voluto non romperlo. Ma
doveva.
“Al.”
Lo
chiamò a voce sufficientemente alta. “Al,
svegliati.”
Il ragazzo mugugnò qualcosa, ma poi alzò la
testa. “Tom!”
esclamò, sgranando gli occhi. “Tom! Sei
sveglio!” ripeté.
Aveva il sorriso più largo e felice che avesse visto
da… uhm. Giorni
probabilmente.
Non
se la
sentì di dirgli che invece lui non si sentiva
così entusiasta.
“Lo ero anche prima, ma Madama Chips mi ha costretto
all’immobilità. Così mi
sono addormentato per la noia.” Sospirò
“Sto bene, comunque.” Lo anticipò.
“Hai
dormito…”
“Due giorni, lo so.”
“Eravamo così preoccupati.
Cioè… io, Loki, Michel… anche
Rose.”
“E basta. Non allungare l’elenco. Potrei scoprire
che menti.” Sogghignò appena.
Al sbuffò.
“Eravamo
tutti preoccupati. A proposito, devi
mandare un gufo a mio padre stasera. Mi ha fatto promettere che
l’avresti fatto
non appena ti fossi svegliato.”
“Sì, certo.” Annuì
distrattamente. “Al, cos’è
successo?”
Il ragazzo fece una smorfia, sedendosi meglio sulla sedia.
“Beh… non ne so
molto. Sai, sono tipo scappato.”
“E così facendo mi hai salvato la vita. Se Grop
non fosse arrivato quel Naga mi
avrebbe ucciso.”
Forse. O
forse l’avrei ucciso io.
Solo, non so come.
Al si
morse un labbro. Vide con vago orrore che aveva gli occhi lucidi. Non
aveva la
lacrima facile, ma che fosse sensibile era indubbio. E che fosse
terribilmente
duro con se stesso, anche.
“Sono
un
codardo…” sussurrò affondando i denti
nel labbro. “Ti ho quasi lasciato
ammazzare da quel…”
“Al.” Lo riprese serio. “Se tu non fossi
corso a chiamare aiuto ci avrebbe
uccisi entrambi.”
“Sì,
forse. Ma… me la sono data a gambe. E…
non… non posso credere di non aver
neanche tentato di
aiutarti!” Aveva
l’aria di volersi suicidare strozzandosi con la pila di
cioccorane sul suo
comodino.
Per
un
attimo fu tentato di fare qualcosa, di… toccarlo.
Consolarlo?
Lasciò
perdere. Tanto sarebbe stato superfluo. Poteva convincerlo a parole.
“E come? Tirandogli un calcio? Aveva la pelle dura come una
roccia, respingeva
gli incantesimi.”
Al sgranò gli occhi, distratto dal suo mea
culpa. “Respingeva gli incantesimi? Sul
serio?”
La curiosità a volte lo mangia vivo.
- pensò
Tom con un sorrisetto.
“Già.
Ho
provato a schiantarlo, ma non c’è stato verso.
È stato come se la sua pelle
avesse assorbito l’incantesimo. Forse con incantesimi
più complessi non
funziona, ma chi lo sa.” Scrollò le spalle,
prendendo una cioccorana dalla
pila, e scartandola. Se la mise in bocca e si gustò
l’esplosione di cioccolato.
Al guardò la pila, indeciso.
“Avanti,
prendine una.” Lo esortò. In quelle condizioni di
prostrazione profonda non gli
sarebbe stato minimamente d’aiuto.
“Te
le
hanno mandate le ragazze… di uhm, credo la squadra di
Gobbiglie.”
“E’
incredibile. Ti iscrivi per un anno e sei marchiato a vita.”
Commentò con una
smorfia. Poi si fece serio. L’altro lo guardò
incerto.
“Tom?”
“Martha
Upkins? Non me le avrà mandate lei?” si
informò preoccupato. Al scoppiò a
ridere, e anche Tom si sentì più leggero. Odiava
vederlo auto-flagellarsi.
Voleva farsi
ammazzare eroicamente
per salvarmi la vita? Che stronzata. Questa è roba da
Grifondoro.
“Forse,
non ne ho idea. C’è un biglietto,
credo.” Lo prese e lo aprì.
“… Err, no, non
credo tu voglia saperlo veramente.” Se lo infilò
in tasca, prendendo una rana e
mangiandosela prima che provasse anche solo a saltare.
“Spero
solo non ci sia un filtro d’amore.”
Sogghignò.
“Non
credo. Cavolo, almeno spero.” Guardò ancora il
biglietto, poi scosse la testa.
“Nah, niente del genere. Non ha messo nessuna
foto.”
Mangiarono
un altro paio di cioccorane in silenzio. Poi sospirò,
guardandolo.
Conosceva
Tom. Se gli succedeva qualcosa voleva sapere perché.
Non sopportava non essere informato.
“Non
ne
so molto su quello che ti è successo. So solo che Grop ti ha
trovato svenuto, e
quel mostro stava… insomma, era lì. Grop
l’ha preso e l’ha sbattuto contro un
albero.” Deglutì. “Gli ha tipo
fracassato la testa.”
Tom
annuì. “E adesso?”
“Ah, c’è un mezzo casino diplomatico con
il ministero indiano. Pare che i Naga
in questione siano tutt’ora scomparsi. L’ufficio
per la cooperazione magica, mi
ha detto papà, è in subbuglio. Sai, un umanoide
straniero ucciso in suolo
inglese. Diplomaticamente è un disastro.
Responsabilità, e roba così. A parte
questo, l’ingresso alla Foresta Proibita è
interdetto fino a nuovo ordine.
Hanno messo barriere magiche ovunque.”
“E
il
Naga? O meglio, il suo corpo?”
“Ah, giusto.” Si grattò la punta del
naso. “Credo sia in qualche stanza in
disuso del castello. Non so dove, non ce l’hanno certo detto.
James sono due
giorni che cerca di trovarla. Comunque lo terranno qua, ma fino a
domani,
credo. Poi un paio di auror verranno a prenderlo. E poi
boh…” scrollò le
spalle. “Nei giornali non è apparso nulla. Credo
che papà abbia fatto di tutto
per far passare la cosa sotto silenzio.”
“Se
ne
occupa l’ufficio auror?”
“Mmh, già. Dopotutto si tratta di una creatura
oscura. A proposito, forse
verranno a farti delle domande.” Lo guardò
incerto. “Solo se te la sentirai di
rispondere però. Il Preside è stato irremovibile
su questo.”
“Ce la faccio.” Considerò
distrattamente. “Non sono certo malato.”
Al annuì, muovendosi ancora sulla sedia. “Quando
hanno detto che ti
dimetteranno?”
“Non l’hanno detto. Ma penso domani. In fondo non
ho niente, a parte un po’ di
malditesta. Ma è un effetto collaterale di avere di nuovo le
ossa al proprio posto.”
Si sarebbe mangiato la lingua quando vide Al impallidire.
È
incredibile: se si spacca la
testa precipitando dalla scopa, è capace di saltare su come
se niente fosse, e
continuare la partita. Stesso vale se si prende un bolide in piena
faccia.
Ma se, ad
esempio, Lily si taglia
con una risma di carta, si sfiora la tragedia.
Gli
venne
quasi da ridere. “Piantala di fare quella faccia sconvolta.
Sto bene.”
Al avvampò di sdegno. “Coglione! Eri
più morto che vivo quando Grop ti ha
riportato alla capanna! E le braccia ti pendevano tutte in angoli
strani!”
“Che bella immagine. Grazie.” Sogghignò.
“Piuttosto… credo di doverti la vita.”
Al scrollò le spalle. “Non ho fatto niente.
È stata una fortuna che ho
intravisto Grop usare un ramo come stuzzicadenti mentre me la davo a
gambe. C’è
voluto un sacco per spiegargli cosa stava succedendo. Per fortuna non
ha
pensato di ciucciare me.”
Terminò
cupo.
Tom
sospirò. “Al. È finita. Non prevedo
nuovi attacchi Naga, per quest’anno.” Lo
vide fissarsi le scarpe. “Cosa
c’è?”
“Senti…”
“Sì.”
“Se ti abbraccio mi schianti?”
Tom inarcò un sopracciglio. “Al, non so neanche
dove sia la mia bacchetta.”
Terminò la frase e si sentì placcare dal cugino.
“Vorrei
ricordarti che le mie costole sono convalescenti…”
osservò con tono leggero.
“’Fanculo.”
Replicò urbanamente. “Fatti abbracciare e sta
zitto.”
Tom
obbedì. Sentiva il respiro di Al contro la spalla.
C’era qualcosa di piacevole
nel farsi abbracciare da
Albus. Non era tutto angoli, come
altri ragazzi – non che ne avesse mai abbracciato uno, ma a
volte gli toccavano
gli abbracci del padrino – né stringeva come un
boa costrictor alla maniera di
Lily. Era semplicemente… un
abbraccio.
Stavolta
lo stomaco gli si serrò quasi senza che se ne accorgesse.
Al sapeva di cioccolato e inchiostro per piume.
Se ne
rovescia sempre un quantitativo
imbarazzante addosso, specie il primo giorno…
“Godric,
Tom… ho avuto paura.” Confessò con voce
soffocata. Gli stava parlando sulla
stoffa della maglietta. Tipico suo. Sorrise appena.
“Ne
ho
avuta anch’io.” Rispose, e in un certo senso era
vero. “Mi stai mangiando la
maglietta.” Aggiunse.
“…
devi
sempre rovinare tutto.” Borbottò
l’altro. Tom corrugò le sopracciglia.
Rovinare cosa, Al?
“Ehy,
interrompiamo un momento magico?” la voce di James fece
irrigidire Al di botto.
Si scostò, rosso e infuriato.
“Va’ a dia-!” si accorse che
c’era anche Teddy, che sembrava aver trovato poco felice
l’uscita di James, da come l’aveva guardato male.
“Oh, ciao Ted-… ahm, volevo
dire, professor Lupin!”
Ted
sorrise gentile. “Ciao Al… siamo venuti a vedere
come sta Tom.”
“O per meglio dire, mi hai costretto
mentre invece avrei potuto direttamente andare a cena.”
Recitò annoiato James.
Però scoccò un’occhiata incuriosita a
Thomas. L’altro capì che aveva una voglia
folle di farsi raccontare la sua
avventura col Naga.
Cretino di un
Grifondoro.
“Sto
bene. Domani forse dovrebbero dimettermi.” Li
guardò incolore. La loro presenza
lì per quanto lo riguardava era superflua.
Se non altro Al lo divertiva.
Sebbene
la separazione brusca dall’abbraccio l’avesse molto infastidito.
“Oh,
bene, fantastico. A domani. Ora, cibo.”
Snocciolò James voltandosi. Ted
l’afferrò per un braccio, senza neanche
guardarlo.
“La cena non scappa, Jamie… ” Disse
semplicemente. “Accompagna tuo fratello in
Sala Grande, avanti.”
James arricciò le labbra irritato dall’ordine
esplicito, ma poi sbuffò.
“Aye aye sir. Andiamo Al.”
“Ah…
sì.”
mugugnò il minore alzandosi. “Ci vediamo domani a
lezione allora?”
“Sicuramente.”
Spero. E
vorrei sapere cos’ha Ted
da dirmi, che si porta dietro James per portarsi via Al.
I due
fratelli se
ne andarono. Ted invece si accomodò al posto di Albus.
Appunto.
Quanto sarà prevedibile?
“Allora…”
sorrise. E già lo odiò. Odiava quei sorrisi da Bravo Ragazzo. “Ho parlato con
zio Harry. Abbiamo concordato che
forse per te sarebbe stato troppo duro subire un
interrogatorio… Così hanno
delegato a me, per farti qualche domanda.”
“Hanno delegato ad un professore?”
ironizzò con finta innocenza.
Non sono un
ragazzino sensibile.
Avrei potuto tranquillamente sostenere il ciarlare di qualche auror.
Ted
non
sembrò aver notato la stoccata.
“Sì.
Ho
fatto l’Accademia Auror, anche se non sono arrivato agli
esami finali di
ammissione. Diciamo che conosco qualche
procedura…” scrollò le spalle,
prendendo un taccuino e una penna. “Ti faccio solo qualche
domanda. Ma se ti
senti stanco possiamo rimandare.”
“No. Va bene anche adesso.” Si sistemò i
cuscini dietro la schiena. “Dica pure,
professore.”
Gli
fece
una serie di domande. Noiosamente di routine. Non si aspettava certo
picchi di
genialità da Lupin.
Un’intelligenza
settoriale: bravo
nello studio, buona memoria e sa come esporre i concetti. Ma la cosa
finisce
qui. Non sapevo avesse fatto l’Accademia comunque. Al non me
ne ha mai parlato…
Ovviamente
omise tutto quello che riguardava il suo scoppio d’ira e le
supposte
conseguenze.
Ci
mancava solo si facesse venire in mente strane idee.
Sì,
ma quali?
In
effetti se lo chiedeva anche lui.
“Hai
idea
del perché abbia inscenato questa caccia con te?”
gli chiese all’improvviso.
Tom fissò gli occhi nei suoi. Buffo, da celesti erano
diventati gialli. I
capelli erano rimasti castani.
“No,
naturalmente. Non me l’ha spiegato. Non credo neanche ne
fosse in grado.”
“E
tu?
Non ti sei fatto un’idea?” Sorrise di nuovo. Tom
gli scoccò un’occhiata.
Allora non
sei del tutto idiota,
Mister Lupin.
“Forse.
Ma è solo un’idea… come potrebbe
interessare gli auror?”
“Beh,
potrebbe interessare me. A titolo
di
pura curiosità.” Si appoggiò alla
sedia, facendo roteare la penna tra le
dita.
Tom
serrò
appena le labbra. Scrollò le spalle.
“Penso
cercasse una preda. Albus era troppo spaventato. Se è vero
che quegli esseri
hanno un’etica guerriera, chissà, forse voleva
qualcosa in più di un
ragazzino terrorizzato. Di sicuro, con me si è
divertito molto.” Alzò il braccio fasciato fino al
gomito.
“Tu
non
eri spaventato?”
“Cercavo di dominarmi.” Replicò aspro.
“Il terrore non serve. Mai.”
“E’
vero…” confermò Ted. “Beh,
direi che abbiamo finito. Ti ho fatto tutte le
domande di procedura. Ti ringrazio, e scusami se ti ho
annoiato.” Sorrise di
nuovo.
C’era
una
sfumatura ironica in quel sorriso. C’era sempre. Se ne
accorse solo in quel
momento.
Si
sentì
preso in giro. Si sentì un ragazzino,
e questo non gli piacque. Affatto.
“Dov’è
adesso?” gli chiese a bruciapelo, mentre si stava alzando.
Persino la tonaca da
insegnante era logora. E avrebbe dovuto essere nuova.
Gli piace
vestirsi da pezzente o
cosa?
Ted
lo
guardò confuso. “Chi?”
“Il
Naga.
Al mi ha detto che il suo corpo è nel castello. Che domani
gli auror verranno a
prelevarlo.”
“Ah… certo. Beh. È
nel castello.” Fece
un sorrisetto. “Mi dispiace, Tom, ma come ho detto a James,
fino alla nausea
peraltro… non sono autorizzato a rivelare agli studenti dove
si trova.”
“Naturalmente.”
Ted si strinse nelle spalle con aria molto
empatica. Lo detestò. “Eh,
già.”
“La ringrazio lo stesso professore. Ora, se non le
spiace...”
“No, no. Assolutamente. Tra poco Madama Chips dovrebbe
portarti la cena. Tu
pensa a riposare.”
Non ho fatto altro, maledizione!
“La
ringrazio.” Disse a denti stretti. Quando avrebbe voluto
cancellargli quel
sorrisetto dalla faccia.
Dov’era
la sua bacchetta?
Sul comodino. Stupidamente lontana. Lo guardò andare via,
profondamente
scornato.
Si
buttò
di nuovo trai cuscini.
Lo
scoprirò da solo, Professor
Lupin.
Ricordò
la faccia di James, la sua curiosità…
‘Come
ho detto a James, fino alla
nausea peraltro…’
Sogghignò.
Mi ha detto
comunque quel che mi
serve, professore.
****
Sala Grande,
Hogwarts.
Ora di Cena.
“Come
sta
Tommy?” chiese Lily distrattamente, mentre terminava un lungo
foglio di
pergamena, seduta tra Roxanne, imbronciata per un pessimo allenamento,
e Hugo, che
si abbuffava di patate ripiene.
Al si
sedette, imitato da James, che ne approfittò per fregargli
immediatamente la
caraffa di succo di zucca, sita ingiustamente troppo lontana da lui.
Al sospirò. “Bene, più o
meno.”
“Oh, era odioso come al solito, stava benone Lils.”
Scrollò le spalle il
maggiore. “A chi stai scrivendo? Ancora a quello sfigato
bulgaro?”
“Veramente è tedesco,
Jam.”
Puntualizzò terminando la lettera con uno svolazzo.
“E
comunque Søren non è uno sfigato. È di
Durmstrang ed è davvero… beh,
interessante.”
“Ha
i
capelli unti.”
Puntualizzò James.
Lily lo fulminò.
“Hai frugato tra le mie cose!”
“Non è colpa mia se tieni le sue lettere nel cassetto
accanto a letto. È il tuo fidanzatino di penna?” la
prese in giro, mentre Al
ridacchiava sotto i baffi.
Lily
lo
guardò oltraggiata. “Quanto sei idiota! Le tengo
lì perché mi piacerebbe
che voi due non le leggeste.” Sibilò guardando
male
Al, che alzò le mani in segno di resa.
“Ehy,
Lils,
io non frugo tra le tue cose!”
Lo fa James e poi mi faccio raccontare
tutto.
“Io
sì.”
replicò James schivando un calcio dalla sorella, che gli era
seduta di fronte.
“Dai, non prendertela!
Comunque mi
spieghi cosa c’è di così divertente
nello scrivere ad un norvegese?”
“E’ tedesco…”
borbottò la ragazzina. Era
una partita persa. Doveva solo diventare più attenta.
La prossima
volta affatturo il
cassetto.
Sospirò,
guardando male i due. “È divertente scrivergli,
sapere delle tradizioni del suo
paese e di quello che fa a scuola. Dovreste provare anche voi. Non
esiste
soltanto Hogwarts e l’Inghilterra, sapete?”
James
fece spallucce. “Io ho scritto un sacco di volte a Teddy,
quando era in
Francia. Non è che sia così divertente.
Cioè, lo era perché Teddy è
divertente.”
Albus
tentò un timido sorriso di interesse. “Sai, non mi
piace granché scrivere
Lils…”
“Siete due caproni.” Sbuffò, scuotendo
la testa. “Søren è in gamba. Ed
è
diverso dagli amici di penna che ho avuto prima di lui. Quelli mi
chiedevano
subito una foto e voleva venire a trovarmi… con lui posso
parlare davvero.”
James drizzò le orecchie. “E tu a quelli non hai
dato corda, vero?”
“Figuriamoci. Non potrei mai
senza il
benestare del mio adorato fratellone.” Sbatté le
ciglia, facendo ridere Al.
James fece una smorfia.
“Sono
solo preoccupato che qualche francese di Beaux-Batons venga a bussare
alla
porta di casa nostra. Detesto i
francesi.”
“Quanto sei scemo! Vic, Dom e Lu lo sono per
metà!”
“Appunto.
Vic è una rompiscatole, Dom è pazza e
Lu… Beh, Louis forse è l’unico che si
salva in quella famiglia di biondi.”
Lily alzò gli occhi al cielo. “Oh, non farai
ancora la lagna per quella
storia…” guardò Al complice.
“Sai, quella.”
Al sogghignò. “Mi hanno
portato via Teddy…”
piagnucolò.
James,
con gran sollazzo dei fratelli minori, avvampò.
“Fatela finita! Ero ubriaco fradicio!” sembrava
mostruosamente a disagio e
questo era molto divertente.
“Non
eri
ubriaco fradicio. Ti eri bevuto un paio di birre babbane che
papà aveva
lasciato in dispensa per regalarle a nonno Arthur.”
“Non avevo mai toccato una goccia d’alcohol. Avevo
tredici anni!” li fulminò.
“Fatela finita, cazzo!”
“Oh, manchi completamente di senso dell’humour
quando si tratta di prenderti in
giro, Jamie.” Gongolò Al prendendo la caraffa di
succo e rimettendola al suo
posto. Cioè accanto a lui.
“Anche
Lily ci restò male quando annunciò che si sarebbe
trasferito in Francia con
Vic!”
La ragazzina scrollò le spalle. “Veniva a cena
quasi tutte le sere quando non
eravamo ad Hogwarts… ci rimasi male, sicuro, ma io non mi ubriacai per poi gettarmi fuori
dalla finestra in pieno
inverno. Con una scopa vera. Di quelle con cui si spazza.”
Puntualizzò impietosa, mentre Al si teneva una mano sulla
bocca per non sghignazzare troppo follemente al ricordo.
“Non
mi…”
abbassò il tono di voce perché, anche se Hugo
chiacchierava con Roxanne… beh,
c’era sempre la possibilità che lo sentissero.
“’Fanculo. Per quanto ancora
volete ricordarmi quella storia?”
“Fino alla tua morte probabilmente.”
“La proietteremo sul tuo letto di morte.”
Confermò Lily.
“Mi avete fatto delle foto?!”
I due fratelli sorrisero angelici.
“Vuoi ancora un po’ di pasticcio, Lils?”
“Oh, grazie mille Al…”
“Al!
Serpe
che non sei altro!”
Il ragazzo fece un sogghignetto perfettamente in linea con i colori che
indossava. “Guarda che le foto le ha fatte Lily. Io ero
più occupato a ridere.”
“Lily!”
“Perché non cerchi nei miei cassetti?”
sorrise amabile la sorella. Poi vedendo
la sua espressione sconfortata, gli diede una pacchetta sulla mano.
“Dai Jamie.
Non c’è niente di male a volere bene a Ted.
È così dolce e … beh, favoloso. E
ci ha fatto da babysitter fino alla noia. La sua. E tu sei sempre stato
il suo
preferito.”
“Vai
a
capire perché…” commentò Al.
“Perché ha un debole per i caratteri esplosivi.
Guarda Vic. Non si può certo
dire che sia una ragazza tranquilla.” Lily fece una lieve
smorfia. Non le
piaceva Victoire. Preferiva Dominique, bella e bionda come la sorella,
ma di
gran lunga meno egomaniaca. “Jam in un certo senso gli
somiglia.” Concluse.
“Non paragonarmi a Vitro!”
sbottò
irritato. Era un nomignolo che aveva coniato coi fedeli Scamandro:
Vitro come
il vetriolo che aveva al posto del
sangue nei suoi giorni no.
Era perfetto.
“Non
sono
affatto come quella… rompipalle!” Avrebbe voluto
usare epiteti meno signorili,
ma in quel momento Ted passò tra le file di tavoli, diretto
verso quello degli
insegnanti. Sorrise loro.
James si sentì spuntare un sorriso in faccia.
Non
ci
poteva fare niente. Si sentiva sempre a posto e contento, quando
c’era Teddy.
Quando
era bambino, ogni volta che veniva a trovarli, era come se il suo
supereroe,
con i capelli multicolori, fosse atterrato in giardino per giocare proprio con lui.
Ora
James
aveva diciassette anni. E le cose erano diverse.
Ma le
ignorava. Che altro avrebbe potuto fare?
Si
accorse di qualcosa accanto al suo tovagliolo. Un biglietto. Lo prese e
lo
aprì, approfittando dell’entrata in scena di Rose,
che affannata si sbrigò a
sedersi di fronte ad Al.
“Ehy, dove sei stata?” chiese
quest’ultimo.
“Sono rimasta fino ad adesso a parlare con Nev-…
ehm, il professor Paciock.
Chiarimenti per una lezione. Poi ci siamo messi a parlare del
più e del meno. Comunque
ci ha invitati il prossimo venerdì a cena, da sua
moglie.”
“Ai tre manici di scopa? Grande!” si
inserì Hugo, per cui ogni occasione era
buona per uscire da scuola. James invece scrollò le spalle.
“Prossima settimana? Salto. Abbiamo gli allenamenti di
Quidditch.”
“A
cena?”
chiese perplessa Rose.
“Prima, ma poi avrò a malapena la forza di
trascinarmi a letto. Salto.
Scusatevi con Hannah¹.” Borbottò. Si
infilò un pezzo di focaccia in bocca,
alzandosi in piedi. “Vado… sapete,
compiti.” bofonchiò. Fece cenno ai gemelli,
in fondo al tavolo, di non alzarsi e si allontanò furtivo.
“Ne sta pensando una delle sue…”
sospirò Al, guardato con muto sostegno dalle
due donne di casa. Roxanne alzò appena lo sguardo invece.
“Dai
Roxie, andrà meglio il prossimo allenamento!”
cercò di consolarla Lily. La
ragazza non rispose, fissando cupa il tavolo in cui Rupert Chang
mangiava. Il capitano
di Corvonero aveva un occhio pesto e l’aria piuttosto
miserevole. Lanciò uno
sguardo verso la bella Weasley ma fu gratificato da un dito medio.
“Dubito.”
Disse secca, alzandosi. “Uomini.” serrò
le labbra, prima di alzarsi e marciare
via con aria marziale.
“Che
cavolo è successo?” sbottò Hugo confuso.
Rose
e
Lily si guardarono, con solidale istintivo femminile.
“Non
è
che sta con Chang adesso?” chiese Al incerto. Si
beccò due occhiate incredule
dalla sorella e la cugina.
“E
tu
come lo sai?” chiese Lily.
Non facevo
mio fratello così sveglio.
Al fece spallucce. “Uhm, ho tirato ad indovinare.
Lei sembrava così
furiosa, e lui così miserabile. E Rox pretende molto dalle
sue vit-… dai suoi ragazzi.”
Lily
fece
una smorfia. “Vuole solo che la rispettino. E credo che lui
abbia fatto il
cretino con una delle cacciatrici.”
“Oh.”
Annuì Al. Si guardò con Hugo che annuì
forsennatamente. Ma sapeva che non
pensavano alla stessa cosa.
A volte
è un bene non avere la
ragazza! – pensò
Hugo.
È
meglio non averla affatto… –
pensò Al.
****
Infermeria.
Sul letto di Thomas
Dursley
Appena
passata ora di cena.
“Devo
ammette che la mensa dell’infermeria è
ottima.”
“Michel, è lo stesso cibo che proviene dalle
cucine.” Replicò Tom mentre il capitano
di Serpeverde masticava con voluttuosità un pezzo di tortino
alla menta, seduto
in fondo al suo letto.
“Touché. Sicuro che non ne
vuoi…?”
“No. La menta non mi piace. E comunque perché, di
grazia, sei venuto qui invece
di essere in Sala Grande a consumare la tua
porzione?”
Michel prese un’aria offesa. “Via Dursley, non
è ovvio? Pensavo t’annoiassi, e
sono venuto a farti compagnia, mentre il nostro dolce Al si intrattiene
con i
suoi amichetti Weasley.”
“Tralasciando che sono i suoi cugini
Weasley… Perché tutto quello che dici sembra
qualcosa di sconcio?” indagò
incolore, sistemandosi meglio sui cuscini.
“Sai,
stai cominciando a farmi le stesse domande di Al. Due corpi,
un’unica mente.”
“Non credo proprio.”
Michel
si
leccò le dita, emettendo un suono soddisfatto.
“Cosa vuoi veramente, Zabini?” chiese Tom con un
sospiro: era venuto a trovarlo
poco dopo che l’assistente di Madama Chips – non
ricordava mai il nome – gli
aveva portato la cena.
Erano
Serpeverde. Era impossibile che fosse venuto lì per puro
spirito caritatevole.
Michel
lo
guardò, poi fece un mezzo sorriso. “Al
è molto curioso…”
Inarcò un sopracciglio. “E in cosa sarebbe stato curioso?”
“Oh, nulla di grave. Anzi, una cosa molto in linea con i
precetti della nostra
Casa. Mi ha spiato. Durante una conversazione privata.”
Oh, quella della Foresta Proibita…
“Non
ti
ha spiato. Tu e Nott stavate parlando ad alta voce in un luogo
pubblico.”
“Oh, allora nella Foresta Proibita… hai sentito
anche tu?”
Tom fece spallucce. “Ero lì.”
“E
cos’avete sentito?”
Tom sorrise. “Perché ti interessa Michel?
Cos’è che Albus non deve sapere?”
L’altro ragazzo fece una smorfia. Di nuovo
quell’espressione preoccupata.
Guarda,
guarda. Allora è lui il
misterioso amico ignaro della situazione…
“Sa
che
sei bisessuale.” Tentò. Era quello? Impossibile.
Diversamente dal mondo
babbano, nel mondo magico l’omosessualità era
pienamente riconosciuta. Certo,
non tutti reagivano accogliendola con un sorriso, ma quello dipendeva
da persona
a persona.
Del resto la
religione e la magia
non sono mai andate molto d’accordo. Quindi, niente peccato
di sodomia.
“No,
non è
quello.” Negò infatti.
“Allora
hai
un partner di cui Al non deve venire a conoscenza?”
Di nuovo quell’espressione. In un certo senso era divertente,
anche se avrebbe
preferito rimanere solo per ritoccare alcune parti del suo piano, prima
che
arrivasse…
“Ah, non sapevo avessi visite…” la voce
roca e strafottente di James Potter
fece alzare ad entrambi lo sguardo.
Madama Chips è davvero invecchiata
se fa
entrare e uscire chiunque a piacimento.
Comunque, la
cosa volge
indubbiamente a mio favore.
“Zabini
se ne stava andando.” L’altro lo guardò
irritato. “Vero?”
Michel si alzò. “Vero. Ci vediamo domani a
lezione.” Si allontanò, passando di
fianco a James.
Fu a quel punto che Tom capì: notò come il
Grifondoro si fosse irrigidito, e
come il vago sorriso di Michel si fosse fatto più acuto.
Più consapevole.
Cristo –
pensò molto babbanamente – Al
lo ucciderà.
Ma in
fondo, non erano affari suoi. Per il momento.
Rimase
James, con le mani affondate nelle tasche della divisa. Non aveva la
cravatta.
“Ho
ricevuto il tuo biglietto. Cosa vuoi?” sembrava irritato, ma
sapeva fosse
incuriosito nella stessa misura.
Tom
sorrise.
“Siediti
James. Te lo spiego subito.”
****
Note:
Vediamo
se adesso avete capito chi è il misterioso ragazzo di
Zabini? XD
Altro
piccolo indovinello: vi esorto ad andare a vedere l’origine
del nome Søren.
;)
Ah,
casualmente, questa è
Lily. Tra parentesi, chi mi aiutasse a capire chi
è ‘sta ragazza, e
se fa l’attrice, se l’ha già vista,
vince un pupazzetto di Al anti-stress.
(testato su Tom. Funziona.)
1
– Hannah Paciock (Abbott) è
la moglie di Neville e la proprietaria attuale dei ‘Tre
Manici di Scopa’. Così
ha detto la Row.
Amen.
|
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Capitolo 13 *** Capitolo IX ***
A
questo
giro non mi devo davvero lamentare delle splendide recensioni che mi
avete
lasciato! Mi raccomando, abituatemi così! XD Un
suggerimento, che sono un po’
nuova del mondo del fandom. Secondo voi, questa storia, è AU
o What If? Me lo
chiedevo da un po’, ma sono un po’ confusa in
merito. Illuminatemi, please!
Comunque,
i giorni di
postaggio sono ufficialmente il giovedì e la domenica.
@Miriam Malfoy:
Ehilà! Cerco di recensire il più
costante possibile, così almeno vi do un appuntamento fisso
per leggervi le mie
menate. :P Al sì, li farà fuori. Dopotutto, si sa
quel che si dice sulle acque
chete, no? ;)
@MartyMcGonnagal: Ciao Marty!
Figurati, per la
recensione è poca cosa, e te la sei totatalmente meritata.
Quelle drabble erano
semplicemente adorabili. ;) James detestabile? In effetti fino ad
adesso non è
stato propriamente simpaticissimo. Roba da prenderlo a manate, in
effetti. E mi
piace molto la considerazione che hai fatto, grazie! ^^ Il pupazzetto
anti-stress eccotelo qua, telematico.
il peluche telematico
@Nyappy: Una new
entry! ^^ Piacere di
conoscerti,e graaazie
per la recensione!
Addirittura scritta ‘divinamente’. Non farmi
arrossire! XD
@Trixina: Certo che
puoi chiamarmi Dira,
anzi, il ‘real’ l’ho dovuto aggiungere
posticcio perché Dira era già stato
preso! XD Sei l’unica che al momento apprezza il povero
Teddy. Il prossimo
capitolo sarà interamente centrato su di lui. ;) Insomma,
James-Michel ha
sconvolto tutti. Ehehe,
beh, se non altro non sono stata
prevedibile. ^^’’.
@Altovoltaggio: Lo so, lo
so… Michel/Jamie è un
duro colpo per tutti. Anche per me. XD Ma sono felice che continui a
seguirmi
anche se non riscontrano propriamente i tuoi gusti, i miei pairing.
Grazie
davvero! L’attore che fa Scorpius lo so, a volte
può sembrare brutto, ma
diciamo che io lo immagino così. Poi tu puoi immaginarlo
come vuoi! ^_-
@Cloto: Una delle
parche o sbaglio? Viene
da lì il tuo nick? Beh, comunque James non è
propriamente gay. Gli piacciono le
ragazze, ma diciamo che a volte… è sviato. Capita
a quell’età, senza contare
una certa cotta decennale. Per
quanto
riguarda Søren non mi riferivo al nostro caro vecchio
filosofo. Ma bensì,
all’origine del nome Søren (www.behindthename.com
dacci un’occhiata ;) ) E sì, hai azzeccato la
ragazza (Grazie mille!) quindi ti
vinci il pupazzetto anti-stress, anche se telematico, sorry
il peluche telematico di Al
@Hel_Selbstmord: Ogni volta
che scrivo il tuo nick
devo controllare tutte le consonanti! XD Però mi piace un
sacco. Anyway,
contenta ti sia piaciuto, e sì, credimi gli sviluppi tra
quei due non saranno a
razzo, ma si faranno sentire. Non è solo una storia
romantica questa (anche se
lo finisce per essere inevitabilmente ad ogni capitolo XD).
@JakieBlack: Ah, la mia
analista! Lo sai che
aspetto sempre con trepidazione le tue bellissime recensioni? Niente
scherzi
^^. Allora, anche in questa non c’è una cosa che
non hai centrato. Per il
dialogo Michel-James ti assicuro che non dovrai aspettare troppo. E
vedrai che dialogo! Tom invece me
lo descrivi
talmente bene che mi sembra quasi di aver messo su un personaggio
niente male,
quindi, grazie! Per la cover… lo sai che aspetto con gli
occhietti così? >
*_*. Sì, sappi che la aspetto in gloria. ;P
@Ombra:
James? Certo che
è
più complesso del ragazzino viziato e superficiale che
sembra. Forse. :P Per
quanto riguarda l’origine del nome Soren, guarda www.behindthename.com
Lì c’è quella
che intendo io. Non posso dirlo qui, niente spoiler per gli altri ;)
****
Capitolo
IX
In the shadowplay, acting out your own death, knowing no more,
As
the assassins all grouped in four lines, dancing on the floor,
And
with cold streel, odour on their bodies mad a move to connect,
But
I could only stare in disbelief as the crowds all left.
(Shadowplay,
The Killers¹)
Thomas fissava James. E James fissava Thomas.
Alla
fine
il giovane Potter si decise a sedersi, con uno sbuffo.
“D’accordo. Cosa vuoi?”
“E’ interessante come cambi modo di porti quando
non c’è zio Harry…”
ironizzò
l’altro ragazzo scartando una cioccorana e mettendosela in
bocca. Adorava che
cercassero di scappare. E poi erano incredibilmente dense di cioccolato.
“Vuoi
che
ti abbracci forte forte come
Albie?”
sogghignò beffardo.
Tom
ebbe
l’impulso di schiantarlo, ma si dominò.
“Nient’affatto. Comunque… credo che
entrambi sappiamo perché sei qui.”
“Perché mi hai mandato un biglietto.”
fece una smorfia. “A proposito, come ci
sei riuscito?”
“Ho chiesto a Milly. Sai. L’assistente di Madama
Chips.” Fece un sorriso
amabile, sapendo che James ci stava provando spudoratamente da mesi,
ricevendo
continuamente picche, a causa del ragazzo di lei, medimago.
Anche se, a
quanto pare, hai le
idee un po’ confuse in materia, Jamie.
L’altro
si adombrò.
Come se ti
interessassero le
ragazze, Tommy.
Era
morboso il modo il cui stava attaccato a suo fratello, per fare un
esempio. Del
resto era una cosa che notava chiunque avesse avuto modo di conoscere
sia Albus
che lui. Erano inseparabili. Ma non come due amici di una vita. No,
decisamente
non in quel modo.
E
James
lo sapeva meglio di tutti.
“Ah-ah.
Beh, allora?”
Tom lo guardò. “Mi serve la Mappa.”
“La mappa di cosa?”
“Lo sai benissimo.”
Si
guardarono in cagnesco. James sbuffò.
“Va
bene.
okay. Mappa del Malandrino. Ma a che ti serve, si può
sapere?”
“A che ci
serve.” Puntualizzò Tom.
“Al mi ha detto che vuoi vedere il Naga.”
Il Grifondoro si fece improvvisamente più attento.
“Sicuro… ma non risulta.
Dico. Sulla Mappa. Devono aver fatto qualche incantesimo che lo rende
intracciabile. Non viene segnata la sua posizione. Ho già
controllato.”
Aggiunse.
“Naturale.
Ricordati che è l’ufficio Auror a seguire questo
caso. E tuo padre ne è a capo.
Sa che hai la
Mappa
e sa che sei curioso.”
James
lo
guardò quasi valutandolo per la prima volta.
“Comunque è inservibile. Potrebbe
essere ovunque, questo castello è un fottuto
labirinto…” obbiettò incrociando
le braccia al petto. “Se lo sai, che è
intracciabile, a che ti serve?”
“E’ intracciabile il Naga, ma non quello che
c’è attorno. O chi.” Fece un
sorrisetto. “Pensi che l’abbiano lasciato in
qualche aula vuota? Con il rischio
che qualche studente del primo anno che si è perso lo veda?
Del tutto
irresponsabile, considerando il caos diplomatico che sta suscitando
questa
faccenda.”
James
corrugò le sopracciglia. “Credi che ci sia
qualcuno a sorvegliarlo?”
“Probabile. Notato nuovi arrivi negli ultimi
giorni?”
James annuì. “Sì,
c’è stato un gran viavai di auror, hanno battuto la Foresta
palmo a palmo, hanno
fatto domande in giro…cose di questo genere.”
sorrise. Era stato davvero
divertente. Aveva passato tutto il pomeriggio a chiacchierare con
Flannery, un
vecchio membro della squadra originaria di suo padre.
Auror.
Totalmente. Non riesco a
vedermi a fare nient’altro.
“Beh,
forse qualcuno è rimasto. È difficile in una
scuola con quasi duemila studenti
notare un volto nuovo in più.”
James si morse un labbro. “Okay, io voglio vederlo. Ma tu
l’hai già visto. Da
molto vicino tra l’altro.”
Se fossi
stato sbattuto come un
tappeto sporco da un coso del genere io mi ci terrei lontano miglia. Se
fossi
un Serpeverde, soprattutto.
“Diciamo
che devo
controllare una cosa.” Sorrise appena. “Allora,
siamo d’accordo James?”
Controllare
una cosa…
Thomas
non sapeva neanche cosa dovesse controllare.
Ma
sapeva
che aveva bisogno di vederlo un’ultima volta, prima che fosse
portato via.
Pensiero
ridicolo, forse. Ma l’unico che gli venisse in mente per
farsi passare quella
frustrazione infinita, dovuta al non
sapere.
“Non
ho
ancora capito come riuscirai a trovarlo.”
Tom sospirò come se parlasse ad un bambino scemo. La cosa
irritò
incredibilmente James, ma si frenò. Il cugino poteva essere
un inquietante
cretino, ma era fornito di un cervello di prim’ordine. E se
stavolta lavorava a
suo beneficio, chi era per ostacolarlo?
“Usiamo
la mappa per vedere dove sono gli auror di pattuglia. A quel punto
avremo
trovato dove lo tengono nascosto.”
“E
come
ci avviciniamo senza essere scoperti?”
“Sbaglio o hai una cosa chiamato Mantello
dell’Invisibilità?”
Lo
guardò
a lungo: fidarsi di Tommy? Non ne era convinto. Ma del resto, cosa
aveva da
perdere? Se le cose fossero andate storte, avrebbe sempre potuto
lasciarlo a
cavarsi fuori dai guai. Di sicuro, il Mantello non avrebbe coperto
entrambi.
“Affare
fatto?” chiese l’altro, alzandosi in piedi. Gli
tese la mano.
Avanti
Grifondoro. Questo genere
di gestualità la capite. È vostra. Vi mette a
vostro agio.
James
infatti strinse la mano, anche se di malavoglia.
“Affare
fatto.”
****
Hogwarts,
pianoterra davanti alle
scale.
Dopocena.
“Allora
ci separiamo qui…” le sorrise Al. Rose
annuì distrattamente.
“Sì, ci vediamo domattina a colazione.”
Guardò il cugino scendere le scale, sparendo nei
sotterranei: quando allo Smistamento
aveva sentito il Cappello assegnarlo a Serpeverde era scoppiata a
piangere.
Come se
dovesse andare in guerra o
cose del genere…
Sorrise.
Era una bambina allora, e finire a Serpeverde, a detta di suo padre,
era il più
infame dei destini.
Invece
Albus si era ambientato bene: aveva degli amici, pochi certo, ma buoni.
Giocava
nella squadra di Quidditch, ed era genericamente benvoluto o se non
altro,
ignorato. La nomea di ‘figlio del Prescelto’ si era
appiccicata più a James,
che a lui.
E poi con lui
c’è Tom.
C’era
poco da fare, era quello il motivo principale per cui Albus non era
svenuto,
quando il Cappello aveva annunciato il suo verdetto. Thomas
già sedeva al
tavolo dei Serpeverde.
Anche
se
Rose aveva sempre avutol’impressione che il Cappello non
avesse scelto totalmente di
‘testa’ sua.
Se lo
ricordava come se fosse ieri…
“SERPEVERDE!”
Aveva urlato il Cappello e un brusio indistinto era serpeggiato trai
tavoli. Il
piccolo preside l’aveva tacitato con un cenno, mentre Al si
toglieva il vecchio
straccio e correva trai tavoli, rosso in viso. L’aveva visto
con la coda
dell’occhio avere gli occhi lucidi e l’espressione
stravolta.
Ma anche
stranamente coraggiosa.
Si era seduto
accanto a Tom. I due
si erano guardati. Rose non sapeva leggere le labbra, ma quello scambio
di
battute era riuscito a decifrarlo.
“Pensavo
volessi andare a
Grifondoro, Al.”
“A
Grifondoro tu non ci sei.”
Per la prima
volta Rose aveva visto
Thomas sorridere.
“Persa
nei tuoi pensieri Weasley?”
Rose si voltò, quasi spaventata dalla vicinanza della voce,
e si trovò di
fronte Malfoy.
Solo, stranamente. Come al solito, in camicia e cravatta, con le
maniche
rimboccate. Era praticamente impossibile vederlo vestito completamente.
In questo lui
e Jamie si
somigliano…
“Ah,
Malfoy. Dov’è il tuo harem?”
“L’ho lasciato a riposarsi stasera. E poi che non
si dica che i Malfoy non
danno diritti sindacali.”
Rose sbuffò appena, con un sorriso.
“Hai
dato
il giorno libero anche al tuo maglione?”
“Lamentava un po’ di raffreddore. Non sono un
proprietario crudele.” Sorrise
amabile, prendendo a fare le scale con lei. Notò che era
davvero alto. A
malapena gli arrivava alle spalle.
“Ma
non
hai freddo?”
Scrollò le spalle. “Dovresti sentire a casa mia.
Qui in confronto è clima
tropicale.”
Rose
annuì: sapeva che qualche anno prima la sua famiglia era
riuscita a ricomprarsi
il Manor, dopo che era stato messo sottosequestro dal Ministero, a
causa del
suo … ultimo inquilino.
“Come
sta
Dursley?” si informò.
“Al dice che si è svegliato. Non è in
gran forma, ma Thomas non è mai stato
tipo da sembrarlo particolarmente.”
“Già,
è
quasi più pallido di me, io, con il mio incarnato
niveo…” recitò con
sentimento, facendola ridere.
Era
inevitabile. Non riusciva più ad odiare il Maledetto Malfoy
(altri nomignolo
coniato nella sua testa e mai divulgato) dopo che le aveva salvato la
vita.
Non
è mica un dettaglio di poco
conto come prestarti una piuma…
Questo,
certo, poteva costituire un problema.
“Saranno
i sotterranei, a dargli quel colorito poco sano.”
Elucubrò Scorpius. “Del
resto, non sono esattamente un posto accogliente.”
“Tu come lo sai? Io non ci sono mai entrata… e in Storia di Hogwarts non sembrano
così male. Voglio dire, certo,
anche se … molto crepuscolari.”
“Mio padre ci ha vissuto per sei anni. Li adorava. E mio
padre è un tipo cupo. Ergo,
sono un posto cupo e
incredibilmente freddo.” Piegò le labbra in un
sorrisetto strano. Si sarebbe
detto… rassegnato, e in buona misura divertito.
Impossibile
capire le centinaia di sfumature del sorriso di Scorpius Malfoy.
“In
effetti la nostra Sala Comune è più
accogliente…” considerò Rose,
aspettando
che una rampa di scale coincidesse con la loro, per permettergli di
proseguire
il tragitto.
“Vero.” Confermò. “A proposito
di Sala Comune, mia cara collega…”
Lo guardò con sospetto. “Sì?”
“Pensi
che sia possibile multare un primino per avermi fottuto la mia poltrona
preferita? No, perché sinceramente temo gli abusi di potere,
ma ammetto di
esserne spesso tentato…”
“Scorpius!” sbuffò. “Non puoi
togliere punti per una cosa così idiota!”
“Lo supponevo. È stato bello però
immaginarmi la scena…” sospirò
teatrale,
facendola ridere di nuovo. Scorpius Malfoy era divertente.
Godric,
lo era davvero.
Questo è un problema.
Ed
era
anche un problema il sorriso allegro che le stava rivolgendo.
“Ah, finalmente
ho l’onore di contemplare una tua risata, Weasley!”
Rose
sbuffò, fermandosi di fronte al ritratto della Signora
Grassa. “Odi et amo.”
Recitò.
La
vecchia signora fece un risolino chioccio. “Certo,
cara…” disse, guardando
Scorpius civettuola.
Oh,
fantastico. Anche i ritratti
hanno una cotta per lui! –
pensò esasperata. Entrarono.
La Sala Comune, era la sua
definizione di ‘casa’
quando era ad Hogwarts.
Rose
adorava
sedere vicino al fuoco con un buon libro. Ci passava tutto il tempo che
poteva,
anche se preferiva farlo da sola. Hugo era troppo agitato e James non
era un
conversatore sopraffino, a meno che non fosse lui l’argomento
principale. Lily,
poi, non smetteva un attimo di parlare.
“Io
rido
spesso Malfoy, te l’ho già detto.”
Borbottò, buttandosi su un divanetto libero.
Si accorse con orrore che era un divanetto
quando Scorpius le si sedette affianco.
“Ed
io ti
ho già detto che non ti ho mai vista ridere. Con
me.”
“Di te, spesso.” Rimbeccò.
“Ma con me, mai.” Ribadì con un sorriso
adorabile.
Argh. A D O R
A B I L E?!
Rose
sbuffò. “Malfoy, se vuoi rompere le scatole a
qualcuno…”
“Ora sono di nuovo Malfoy? Cattiva ragazza. Ho un nome,
sai.”
“Scorpius. Solo
perché siamo entrambi
prefetti, e siamo compagni di ronda…”
“E abbiamo vissuto una straordinaria e spaventosa
avventura…”
“E sì, okay, e …”
“E ti ho salvato la vita.”
Si guardarono. Rose mugugnò, capitolando.
“Ma
cosa
vuoi?”
“Chiacchierare, te l’ho detto. Adoro i nostri
diverbi. Tu no?”
“Quanto un’ora di pozioni.”
Replicò salace. In realtà, glissando sulle feroci
irritazioni che gli scatenavano a volte… erano stimolanti,
ecco.
È
orribile. Sto definendo i
sipariatti-Malfoy STIMOLANTI?
Per la barba
di Merlino, Rose!
La
voce
della sua coscienza era incredibilmente simile a quella di suo padre.
“Io
adoro pozioni.”
Continuò il ragazzo.
“Io
no.”
“Sei
troppo prevenuta sulla materia. È dannatamente interessante
invece… Si può
distillare tutto, sai? La gloria, il successo, la morte…
l’amore.”
Rose si trovò improvvisamente un po’ troppo
vicina a Scorpius. Il bastardo aveva casualmente messo un braccio sullo
schienale, avvicinandosi. E profumava, il maledetto.
Profumava
di bucato pulito e… sole.
Sole?
Perché diavolo si è
avvicinato così? Stupido biondino!
Si
alzò in piedi
di scatto. “Scusa, sono dormita, devo andare a
stancarmi!” blaterò, con
l’intenzione di inventare una scusa credibile, sembrando una
psicopatica nei
fatti.
Scorpius
la guardò meravigliato. “… Weasley,
stai bene?”
“Buonanotte!” strillò scappando come un
fulmine. Non c’era niente di meglio di
un incantesimo scivolo sulle scale dei dormitori femminili per fermare
un’eventuale…
Eventuale cosa?
Si
barricò in camera, chiudendosi la porta dietro.
Trovò
Lily
che la guardava perplessa, con un libro in mano.
“Uhm.” Disse Lily.
“Non è come credi, non sto seminando
Malfoy!” ululò. La ragazzina la guardò
come se le fossero di colpo saltate le rotelle.
In effetti,
può sembrare.
“Cos’è
che hai fatto con Malfoy?” indagò con un lieve
sorrisetto saputo. Rose si sentì
avvampare fino alla punta dei capelli.
“Niente!”
la aggredì. “Cosa ci fai qui?!”
“Beh, ero venuta a restituirti questo.” Le
mostrò il libro. “Volevo lasciartelo
sul letto, ma poi sei entrata strillando come una
pazza…”
“Non sono entrata strillando.”
“No, scusa. Sei entrata come se avessi un lupo mannaro alle
calcagna.” Precisò
sedendosi sul suo letto. “Malfoy ti ha infastidito? Posso
dirlo a Jamie. Non
vede l’ora di mettergli le mani addosso con un pretesto
qualsiasi.”
“Non… non mi ha infastidito.” Ammise
sentendosi profondamente psicopatica.
Chissà cos’aveva pensato di lei.
Sono DORMITA
devo andare a
STANCARMI? Godric…
…
Penserà che mi è dato di volta
il cervello.
“Stavamo
solo parlando, accanto al fuoco.” Precisò e si
accorse con orrore che era
passato un guizzo negli occhi verdi di Lily. “Parlando,
Lily. Non avvinghiati sul tappeto, per tutte le mutande
di Merlino!”
“Allora perché se stavate parlando
sei scappata?”
“Non… non lo so.” Mugugnò
sedendosi accanto alla più piccola: era ridicolo.
Lily aveva quattordici anni ed in confronto a lei sembrava una donna di
mondo.
Forse
è perché io sembro una
sfigata.
Lily
le
accarezzò una spalla, con aria comprensiva.
“Rosie… sei sbocciata.”
proferì
seria prima di scoppiare a ridere. Avrebbe voluto strozzarla. In certe
cose
assomigliava incredibilmente a James.
“Piantala!”
ringhiò con cipiglio Grangeriano.
Lily smise quasi subito, con un sorriso divertito.
“Rosie.”
Replicò. “Te ne sei accorta alla fine,
eh?”
“Di…
di
che cosa?”
La guardò con sufficienza, tracciando un ghirigoro sulla
copertina del libro.
“Tu
piaci
a Scorpius.” Sentenziò con naturalezza. Aveva gli
stessi occhi di Al, ma
l’espressione era completamente diversa: innocenti quelli del
primo, malizia
liquida quelli della seconda.
“Che stronzata!” sbottò sentendosi
avvampare. Come se le interessasse, poi.
Malfoy
era la sua nemesi.
“Beh,
potrebbe essere. Ma spiegami perché ti pesta i piedi dal
primo anno.”
“Perché siamo nemici!”
Lily
stavolta la guardò con compatimento. “Rosie. Non
avete undici anni. Se un
ragazzo continua a farti i dispetti a quest’età
significa solo una cosa. Che ti
vuole far evanescere la gonna per intenti molto meno innocenti che
farsi due
risate.”
“Lily!”
sbottò scandalizzata. Ma era davvero la sorellina di Al?
…
E’ anche la sorellina di Jamie,
già.
“Tra
me e
Malfoy non c’è niente, se non rivalità
scolastica, vago disgusto e prese per il
culo!” borbottò cincischiando con il bordo del
maglione. Ma quel sorriso… così
vicino, e quel profumo… Doveva ammettere che per essere un
biondino slavato
aveva… un certo fascino.
Fascino,
tsé. Mi stava solo
prendendo in giro. Adora farlo. È tutto qui.
“Ti
ha
salvato la vita, Rosie. Questo è molto romantico, non
disgustoso o
rivaleggiante.”
“È…” si zittì.
“Non significa nulla!”
Non mettermi
in testa strane idee,
maledizione! Ho una fantasia tremenda per cose del genere!
“Se
lo
dici tu…” La piccola Potter fece spallucce,
mettendo il libro sul comodino. “Ma
dalla faccia che avevi, direi che la pensi più come me, che
come zio Ron…”
concluse con un lieve sorrisetto. “Sogni d’oro
cuginetta. Anzi, sogni biondi.”
Si chiuse la porta alle spalle, prima che Rose riuscisse a centrarla
con una
scarpa.
****
Corridoio del
Secondo Piano,
Hogwarts.
Verso le
dieci.
“Ehy,
non
ci provare neanche! Il mantello è mio! Se qualcuno deve
restare scoperto,
quello sei tu!”
“Se smetti di agitarti possiamo starci entrambi.”
Tom cominciava a pensare che fosse stata una pessima idea chiedere
aiuto a
James, benché fornito dei giusti strumenti. Il mantello era
troppo corto per le
loro stazze di adolescenti.
E James
troppo imbecille.
Fortuna
voleva che in quei corridoi al momento non passasse nessuno.
Erano
dalle parti del secondo piano, vicino all’aula di storia
della magia. Erano
sgattaiolati lì per poter guardar la Mappa
senza essere visti.
“Lumos.”
Mormorò James illuminandola.
“Giuro solennemente di non avere
buone
intenzioni.” Aggiunse, recitando la formula ideata
dal suo omonimo. Adorava
quel motto. Forse l’estate prossima se lo sarebbe fatto
tatuare sul braccio.
La
mappa
si disvelò sotto i loro occhi. Due puntini, in
corrispondenza del secondo
piano, recitavano i loro nomi. “Bene, genio. Adesso dimmi
dove si trova il
Naga.”
Il tono era beffardo ma Tom finse di non udirlo. La guardò a
lungo.
“Terzo
piano” recitò sottovoce. La planimetria
cambiò.
“Aw, guarda lì… Gazza. Quel vecchiaccio
è immortale, è peggio della gramigna!”
sbuffò James. “E’ un magonò,
quindi, a dirla tutta, non ha neanche la longevità
tipica dei maghi.” Obbiettò, prima di corrugare le
sopracciglia. “Comunque
possiamo toglierci il mantello. Qua non c’è
nessuno.”
Respirarono entrambi di sollievo quando si trovarono non impacciati
dalla
stoffa e dalla vicinanza inopportuna.
“Il profumo che usi fa schifo.” Si
premurò di fargli notare Thomas, beccandosi
un’occhiataccia.
“A me piace.”
Si
misero
entrambi a guardare in silenzio la cartina. Poi apparvero. Due
minuscole pergamene
recitanti ‘Stump’ e ‘Singer’
accanto all’aula dei trofei.
“Li
conosco!” esclamò James
“Cioè, conosco Stump. Era nella vecchia squadra di
mio
padre, ora ne ha una sua… Art, Artemisia.”
Sogghignò appena. “E’ un
auror.”
Li osservarono spostarsi lungo il corridoio, per finire in
un’ala del terzo
piano che nessuno dei due aveva mai frequentato, essendo perennemente
chiusa
per infiltrazioni. I due auror si fermarono di fronte ad una stanza,
piccola,
delle dimensioni di una camera da dormitorio. Poi, tornarono indietro.
“Ottimo. Il corpo è al terzo piano.”
“Sei sicuro?” interloquì James. Vederlo
sbagliare avrebbe voluto dire punizione
assicurata, certo. Ma anche vederlo in
difficoltà… che dolce momento sarebbe
stato.
“No.”
Disse incolore, prima di guardarlo. “Ma il rischio non
è il mestiere di voi
Grifondoro?”
Il ragazzo fece una smorfia, ma drappeggiò di nuovo il
mantello sopra di loro.
Maledetta
serpe. Deve sempre avere
l’ultima parola.
Riuscirono
ad arrivare incolumi, tra scale mobili e ronde di prefetti di altre
case. Se
non altro, James sapeva esattamente come muoversi sotto quel mantello e
come evitare
spiacevoli incontri.
Anni ed anni
passati a fare
stronzate su e giù per i corridoi devono averlo
aiutato…
“A
proposito…” sussurrò “Come
pensi di distrarli, quei due, per poter entrare?”
“Con te.”
“Cosa?”
alzò appena la voce e Tom gli
rifilò un’efficace gomitata tra le costole,
facendolo sbuffare.
“Non agitarti. Hai con te delle caccabombe?”
“Non ne porto sempre in tasca!”
“…”
“Okay, sì, ne ho due.
Perché?”
“Lanciale
nella direzione opposta in cui siamo, e poi corri. Il rumore li
distrarrà e noi
entreremo dentro la stanza con il Mantello. Pattugliano fuori. Dentro,
come hai
visto, non c’è nessuno.”
Sentì lo sguardo di James fissarsi su di lui nella penombra.
Probabilmente se
non fosse stato Serpeverde e Thomas
gli avrebbe rivolto qualche roboante complimento.
Fu
felice
di essere entrambi.
“Eccoli!” sussurrò James indicando due
figure che, appoggiate al muro,
chiacchieravano del più e del meno, scacciando la noia del
piantonamento.
Indossavano due mantelli scuri, con una ‘A’
ricamata sopra. Auror.
James ispirò appena: non ricordava precisamente da quando,
ma credeva di aver sempre voluto
diventare auror. Era un
mestiere difficile, lo sapeva. Le selezioni erano durissime, anche se
non
infattibili come un tempo. La paga era buona, ma il lavoro era tanto.
Aveva
passato l’infanzia a vedere suo padre tornare tardi a casa,
stanco e distrutto.
Ma sempre soddisfatto.
“Lanciala,
adesso.” Lo risvegliò Tom. James sbuffò
appena, tirando fuori la caccabomba
dalla tasca. La tirò, con un lungo lancio.
Beh, del
resto sono un cacciatore
coi fiocchi, o no?
Esplose,
con un gran fragore che si riverberò dei corridoi di pietra.
Stump e il collega
si precipitarono, passando loro accanto senza vederli.
“Adesso.”
James si mosse assieme a Tom, togliendosi il mantello e correndo dietro
di lui.
Svoltarono il corridoio, trovandosi di fronte ad una serie di porte.
Tutte
uguali.
“Merda! E adesso?!”
“Adesso
Mappa.”
Tom tese la mano. James lo guardò male: chi si credeva di
essere per dargli
ordini?
“Vuoi sbrigarti o farti pizzicare dai tuoi amici?”
lo stuzzicò. James gliela
porse di malagrazia.
Stronzo.
Thomas,
dopo una breve consultazione alla luce della bacchetta,
indicò con un cenno
della testa l’ultima porta a sinistra.
“E’ là. Sbrighiamoci, non ci metteranno
molto a scoprire che è stato solo un
falso allarme e tornare qui a controllare.”
“Come
fai
a sapere che è quella giusta?”
“È l’unica non murata.”
Corsero alla porta, e riuscirono ad aprirla, con un semplice alohomora. James fece una smorfia.
“Li facevo più furbi.”
“Penso che si sentano positivamente
sicuri…” aprì la porta di legno pesante
ed
entrò dentro la stanza. James lo imitò,
chiudendosela alle spalle. “… già
mettendo il Naga qui.”
L’aula
doveva essere servita, forse un migliaio di anni prima,
stimò James, come aula
di lezione. Erano ancora presenti i segni dei banchi sul pavimento di
legno.
Ora era completamente spoglia, eccezion fatta per un lungo tavolo, di
quelli da
laboratorio… dove era appoggiato qualcosa di molto grosso. E
squamoso.
“È… è quello il
Naga?” mormorò a mezza voce avvicinandosi. Thomas
annuì.
Rivederlo era… strano. Specialmente perché
era…
Morto.
È morto sul serio.
Si
avvicinò al tavolo, notando per la prima volta quanto
davvero fosse grosso e
muscoloso. La coda era attorcigliata attorno alla vita, ma ciondolava
per buona
metà oltre il tavolo.
Aveva
il
viso, se tale poteva essere chiamato, contorto in una smorfia di dolore.
“Wow,
Grop deve averlo proprio conciato per le feste.”
Commentò James, squadrandolo a
distanza ravvicinata. “E’ enorme. È
grosso quasi quanto Hagrid, ah?”
Tom non rispose. Voleva capire. Capire perché
quell’essere l’aveva attaccato.
Perché aveva continuato a ripetergli di mostrargli la sua
vera forza.
Quale vera
forza? Sono solo uno
studente del sesto anno di una scuola di magia neanche particolarmente
tarata
sull’addestramento al combattimento magico.
Certo,
in
effetti qualcosa di particolare ce l’aveva. Anzi, non aveva.
Si
sfiorò
lo stomaco impercettibilmente.
James
si
chinò sul brutto muso del mostro. “Guarda che
zanne… dici che con queste è come
per le mandibole dell’acromantula? Cioè, se sono
velenose magari ci si può
tirare fuori qualche distillato iper-raro?”
“Non ne ho idea.” soffiò per farlo
smettere di ciarlare a vuoto.
Osservò
le molteplici collane che la bestia portava, fittamente intrecciate
attorno al
collo taurino. Erano fatte di perline, in colori sgargianti, rosso,
avorio,
nero. Molte avevano attorcigliati pezzi di osso, ebano, piume. Una in
particolare attirò la sua attenzione.
Non
era
uguale alle altre. Aveva un lungo filo, di corda nera, intrecciato. Vi
era
attaccato un medaglione di forma ovale.
Si chinò ad osservarlo. Era sporco, ossidato. Sembrava
d’argento. Un tempo
doveva essere stato un oggetto di un certo valore.
James,
più occupato ad osservare l’enorme coda serpentina
del mostro, sembrava non
averlo notato.
Tom
sfiorò con il pollice la superficie liscia del medaglione,
sentendo a tatto una
sorta di filigrana. C’era stato inciso qualcosa, che lo
sporco stava
occultando. Un motto, forse.
L’oggetto
inoltre sembrava di fattura britannica.
Le Indie sono
state una colonia
britannica babbana meno di un secolo fa.
Eppure
sentiva che quel medaglione non aveva nulla di babbano.
Persino per uno studente del sesto anno era percepibile la
traccia di magia che portava.
Era
dannatamente forte.
Tom
lo
volle. Fu un desiderio che quasi lo stupì, ma non
riuscì a scacciarlo.
Era
particolare, era appartenuto a quel mostro misterioso…
Lo
volle.
Sentirono
dei passi fuori dalla stanza. James alzò di scatto la testa,
guardandolo
allarmato.
“Se ne sono accorti!” sibilò. Tom si
guardò attorno. La stanza era spoglia,
tranne per la presenza di un brutto quadro ritraente una natura morta.
Più o
meno era ad altezza uomo.
“La mappa! Guarda se c’è un passaggio
segreto!” lo incitò.
James
la
prese, scrutandola febbrilmente alla luce della bacchetta. Si
illuminò,
guardando verso il ritratto. “Là
dietro!”
Spostò
il
quadro di peso, rivelando in effetti un cunicolo ovoidale, che sembrava
piuttosto profondo. “E’ un’uscita!
Muoviti!” gridò prima di gettarsi dentro
senza pensarci due volte.
Tom fece una smorfia. Guardò il Naga.
Lo voglio.
Afferrò
la
collana e la strappò con un gesto deciso, prima di gettarsi
anche lui nel
cunicolo.
A
posteriori pensò che forse
sarebbe
stato meglio farsi beccare dagli auror.
Il
cunicolo infatti si gettava nientemeno che su uno scivolo ripido e in
pietra,
una sorta di condotto strettissimo, in cui i due ragazzi si trovarono a
scivolare a velocità folle ed esponenziale. Tom
sentì arrivargli in faccia un
paio di ragnatele filamentose, ma in confronto a quello che James si
stava
beccando, a giudicare dalle urla disgustate, era ben poco.
Finiremo per
essere scaraventati
nel Lago Nero, o per romperci l’osso del collo? –
Si chiese con incredibile
lucidità.
La
risposta la ebbero quando un lampo di luce violento li
investì prima che
fossero sbattuti di malagrazia su una dura superficie, non resa
piacevole neanche
dalla presenza di un tappeto.
Tom
atterrò addosso a James, che ringhiò di dolore.
“Sta’ attento idiota!” sbottò,
cercando di alzarsi in piedi. Tom rotolò di
fianco, ansante e dolorante.
Fare un
viaggio del genere con
delle ossa convalescenti non è decisamente una bella
esperienza.
Ancora
abbacinati dalla luce improvvisa non capirono subito dove si
trovassero.
James lo capì prima di Tom. Visto che si trovò di
fronte la faccia di Ted Remus
Lupin, in camicia da notte.
Li
guardava sconvolto, lo stadio primo di una feroce incazzatura. E James
lo
sapeva. Sfoderò il suo miglior sorriso malandrino.
“…
Sorpresa Teddy?”
Vide
i
capelli di Teddy incendiarsi di
rosso
carminio.
Ops.
“James
Sirius Potter…” Scandì ad ogni sillaba.
Okay.
Adesso
erano davvero nei guai.
****
Note:
1 – So che l’originale è dei Joy
Division, ma perdonatemi, è più adatta la
versione dei Killers come colonna sonora. Il video, se vi va di darci
un’ascolto (è molto bello e un bel tributo a Ian
Curtis) è
qui .
|
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Capitolo 14 *** Capitolo X ***
Grazie
mille a chi mi ha recensito, prima di tutto. Questo capitolo
sarà Teddy/Jamie
centrico, quindi, godetevelo che è slash. ;P
@Trixina:
Sì, in effetti la storia è una
What If, avevi ragione tu (me andata a spulciare definizione su
wikipedia).
Jamie e la sua sessualità… beh, è un
adolescente, bisogna ricordarcelo. Durante
l’adolescenza sono tipici casi di confusione. Parole grosse
per dire che né io
né Jamie sappiamo come andrà a finire. Di certo
l’affetto che ha per Teddy
giocherà un ruolo fondamentale. Grazie per la recensione,
davvero ^^
@Sammy Malfoy: Aaah, grazie
per il bellissimo
commento prima di tutto! Certo Al e Tom sono intelligenti. Su cose che
non
riguardano i sentimenti, altrimenti sono due incasinati cronici.
Nell’11
capitolo (già scritto) ci saranno dei begli avvenimenti
succosi. Hai capito
anche tu che Rose in realtà assomiglia più a Ron
che a Herm, eh? XD purtroppo
non molti se ne accorgono, lei per prima. XP
@Pietro90:
Ma ciao! Chi si
rivede! :P Tutti i complimenti che mi hai fatto spero proprio di
meritarmeli! Addirittura
più realista-adolescenziale della Row! XD Eh, beh, non che
ci voglia molto,
dopotutto lei è una signora di una certa età, io
sono ancora annoverabile tra
gli adolescenti. XD Posso attingere direttamente da fonti dirette. Gli
sviluppi
prometto ci saranno, e assolutamente adolescenziali. Quindi, privi di
ogni
controllo! Grazie per avermi recensito, ed esserti rimesso in pari!
@Nyappy: Beh, Lily
è la mia girl-inside, e
la cosa veramente comica
è che è la più piccolina della
situazione (persino Hugo ha qualche mese in più
dal Potterverse americano). È la più saggia, non
c’è niente da fare. Rose è
figlia di Ron, punto. Il ciondolo di Tom farà una bella
parte in questa storia.
Come dire, sarà un mezzo. ;)
@Natalia: Ciao
Natalia! Figurati, non
preoccuparti, mi fa soltanto piacere vederti qui! Spero il tuo pc si
sia
ripreso! La tua recensione arriva per un capitolo di magra, quindi non
posso
che adorarti. Neanche io sono una fan delle DraMione, per il motivo che
hai
spiegato benissimo tu. Come caratteri assieme potrebbero
essere intriganti, ma i fatti smentiscono ogni
coinvolgimento romantico trai due. Lily e Piton… non mi ci
far pensare. Quella
coppia era troppo OTP, ma forse è così bella
perché è stato un amore morto
prima di nascere. Aehm.
Comunque. Grazie
davvero per i complimenti, che contraccambio
di cuore, dopo aver letto le tue bellissime shots sui Beatles. Pensa
che mi
sono comprata anche ‘Abbey Road’ dopo averle lette!
XD E grazie, perché non
penso di aver fatto acquisto più azzeccato…
@Ombra:
Sì, in effetti James e Tom
insieme sono un’accozzaglia malassortita e quindi esilarante.
Mi fa davvero
piacere che ti sia piaciuto il flashback dello Smistamento, volevo
metterlo
assolutamente, ma non sapevo dove. Poi s’è
presentata l’occasione. Grazie per
la recensione!
@Evetta96: Ciao! Grazie
mille per la
recensione! ‘Sono dormita devo andare a stancarmi’
è una cosa che io ho detto
veramente in un momento di stanchezza assurda. Non potevo non riusarla,
anche
se in un altro contesto. Continua a seguirmi! ;)
****
Capitolo X
I am covered in skin / No one gets to come in
Pull me out from inside / I am colorblind
(Colorblind,
Counting Crows)
Appartamenti
del professore di
Difesa Contro le Arti Oscure, Hogwarts.
11 PM.
“James.
Tom.” Scandì Ted guardandoli. I capelli erano come
un manto infuocato, e
cangianti. Tutte le sfumature del rosso.
James
li
aveva visti di quel colore solo una volta. Quando inavvertitamente, a
undici anni,
era franato con la scopa sulla preziosissima biblioteca appartenuta a
Remus
Lupin, a casa di zia Andromeda¹.
Solo
che
stavolta Ted non era il suo babysitter-migliore amico.
Era
il
suo professore.
Tom
si
alzò in piedi, con una lieve smorfia. “Professor
Lupin.” Disse tranquillissimo.
Questo
parve incrementare l’irritazione del giovane uomo.
“Da
dove
siete usciti?”
“Dal quadro.” Indicò Tom. “Si
è spostato al nostro passaggio.”
“Mi pare evidente.” Lo seccò Ted.
Stavolta anche Tom ebbe la buona idea di non
ribattere.
James
si
guardò attorno. Si accorse in quel momento di trovarsi in
una camera da letto.
Dietro
Ted c’era un grosso letto di legno scuro, una scrivania in
mogano, una
voluminosa biblioteca e decine di stampe raffiguranti anatomie di
creature
fantastiche. Persino quella, che sapeva rarissima, di
un’unicorno.
Ted
stava
per andarsene a letto a giudicare dalla sua mise notturna. E loro gli
erano
piombati in camera.
Cazzo.
Si
guardò
la punta delle scarpe da ginnastica.
Stavolta
l’ho combinata proprio
grossa. Mastodontica… C’è qualcosa di
peggio di mastodontica?
Gigantesca.
Forse.
“Da
dove
siete arrivati?” chiese di nuovo. James si schiarì
la voce. Guardò il cugino,
che sembrò improvvisamente aver perso l’uso della
parola. Si guardava attorno,
pensieroso.
Stronzo.
“…
Da…
dal terzo piano.”
“Curioso.
Proprio dov’è stato portato il Naga?” si
informò urbanamente. I capelli adesso
riverberavano i riflessi del fuoco che scoppiettava nel camino in fondo
alla stanza.
“Oh,
è
stato portato lì?” tentò con un sorriso
di vaga meraviglia. Ted lo fulminò.
“Pensi che sia un idiota James?”
Tom gli scoccò un’occhiata che sembrava dirgli
– sei completamente deficiente o
cosa?
James lo guardò male di rimando.
Visto che sei
tanto brillante perché non gli spieghi tu, cosa cazzo
ci facevamo al terzo piano senza
rischiare l’espulsione?
“…
No
Teddy, non lo penso!” Borbottò pieno di buona
volontà. “Volevamo… volevamo solo
dargli un’occhiata! Niente di che! Era solo
curiosità, che diamine! Non siamo
riusciti ad arrivarci però!” mentì.
Sperò solo che Ted non cercasse di approfondire.
“Era proibito, e questo
doveva
bastarvi per non cercare di arrivare fin là. Ho passato
tutto ieri a
convincerti a lasciar perdere, James. Vedo che non sono stato minimamente ascoltato.”
La
cosa
peggiore era che Teddy non si scaldava. Mai. Non urlava, non alzava la
voce. Il
tono era calmo, distaccato. Al limite sottolineava una parola con una
lieve
inflessione della voce.
Cazzo,
è un prof nato.
“Venti
punti in meno a Grifondoro, e venti in meno a Serpeverde.”
Recitò
meccanicamente, senza neanche guardarlo (alzò la testa per
controllare).
“Adesso riporto Thomas in infermeria.”
James si morse un labbro: venti punti erano una punizione irrisoria, lo
sapeva,
in confronto alla sua infrazione. Ma sapeva che c’era una
punizione peggiore ad
attenderlo.
La
delusione di Teddy.
Diavolo,
forse stavolta ho davvero
combinato una stronzata.
“Allora
io… torno al dormitorio?” chiese umilmente.
“Non adesso, no di certo.” Ribatté,
gettandosi addosso il mantello e chiudendo
gli alamari. “Anche se hai modo per non farti vedere, non mi
pare opportuno. Ti
ci accompagnerò io dopo. Resta qui.” Lo
guardò finalmente, e James vide che
aveva gli occhi azzurri. Sperò. Appena.
“Dobbiamo
parlare io e te, James.” Gli disse però, facendo
un cenno a Tom, che lo seguì
docilmente.
Quando
si
richiuse la porta alle spalle il ragazzo tirò un profondo
sospiro.
In
quel
momento, più che un re, si sentì un gran pezzo
d’asino.
****
Piano terra,
Hogwarts.
Thomas
seguiva docilmente l’incedere del professor Lupin.
Se non altro non aveva chiesto troppe spiegazioni. Almeno quello, era
un bene.
Nella
tasca dei jeans gli pesava il medaglione, quasi come un macigno. Era
sicuro che
James non l’avesse visto mentre la prendeva. Del resto era
già sceso quando lui
l’aveva strappata di dosso al Naga.
Ted
si
fermò, svoltando un corridoio. La luce delle torce
illuminava il profilo
sottile. I capelli erano tornati castani.
“Thomas… preferisci tornare in infermeria o al tuo
dormitorio?” lo sorprese.
“Dormitorio.”
Disse con sicurezza. Preferiva l’umidità dei
sotterranei alle premure di Madama
Chips e della sua petulante assistente.
“Bene…”
Non
aggiunse altro, accompagnandolo nei sotterranei, che si snodavano in un
lungo e
serpentiforme labirinto. I loro passi echeggiavano tra le mura di
pietra umida.
Ted
si
fermò di fronte alla porta del dormitorio, di cui una
possente arcata ne
rivelava la presenza. Si doveva infatti pronunciare la parola
d’ordine per
farla apparire completamente.
Adesso
c’erano solo pietre scure.
“La
ringrazio professore. Buonanotte.” Disse, già
pronto ad aggiungere alla frase
la parola d’ordine e andarsene a dormire. Ted lo
afferrò per un braccio.
“Professore…?”
chiese, pieno di meraviglia.
E adesso cosa
vuoi,
ragazzo-perfetto?
“La
prossima volta che vuoi aggirarti per Hogwarts ti prego di non tirare
in causa
James. È già abbastanza stimolato
a
farlo di suo.” Disse secco.
Thomas
gli restituì uno sguardo incolore. “Non
l’ho obbligato. E comunque, perché
pensa che l’idea sia partita da me?”
Facciamo favoritismi, professore?
“James
non ti avrebbe mai portato con sé, se non fossi stato tu la
mente di questo
stupido piano… So che non siete in buoni termini.”
Corrugò le sopracciglia.
“Spero che almeno tu te
ne renda
conto, Thomas. Avreste potuto essere scoperti dagli auror. E non
sarebbe stato
come essere pizzicati da un vostro coetaneo. Sono autorizzati ad usare
incantesimi come lo stupeficium. E
l’avrebbero fatto, perché non vi avrebbero
riconosciuti.”
“Certo…”
si premurò di abbassare lo sguardo, fingendo dispiacere.
“E’ stata un’idea
stupida. Non tirerò più in mezzo James.”
A meno che la
sua stupida
sconsideratezza Grifondoro non mi serva di nuovo.
“Non
avrai più
idee così stupide in generale, spero.”
“Perché, le interessa se riguardano solo me,
professore?” chiese innocentemente.
Dovette trattenersi per non sogghignare. No, meglio evitare altri punti
in
meno. Al l’avrebbe ucciso.
Vide
Ted
serrare la mascella. Oh, aveva toccato il segno.
Non
prendertela, Teddy. Siamo
tutti essere umani. Abbiamo tutti i nostri preferiti.
“Vattene
a letto, Thomas. Non darmi altri pretesti per farvi perdere la Coppa
delle Case
quest’anno.” Gli ordinò, prima di
voltargli le spalle e andarsene.
Tom
lo
guardò sparire nel corridoio male illuminato.
Sbuffò.
“Serpens excito est.”
Recitò, mentre l’entrata
Serpeverde si rivelava. Si infilò una mano in tasca,
stringendo tra le dita il
medaglione. Era caldo al tatto. Si morse un labbro.
Su
una
cosa Lupin aveva ragione. Era ora di andare a dormire.
****
James,
una volta lasciato solo, si rese conto… beh.
Che
era solo. Nella stanza di Ted. O
meglio,
nella stanza del docente di Difesa Contro le Arti Oscure.
Non
poté
fare a meno di cominciare a curiosare: era un suo dovere morale.
I
colori
principali erano nero e giallo, tanto per non smentire le origini
Tassorosso
del vecchio amico. Sorrise divertito; per certe cose Teddy era un
terribile
nostalgico.
Osservò
con attenzione le stampe animate raffiguranti creature
perlopiù sconosciute.
C’erano anche alcuni barattoli, che esibivano sotto formalina
scheletri di
creature incredibili. Sapeva le avesse ereditate dal padre, professore
della
stessa materia prima di lui.
Dopo
aver
bighellonato tra le stampe, la sua attenzione fu inevitabilmente
attratta da un
folto gruppo di foto sparse senza un’apparente ordine su un
cassettone accanto
alla porta.
Le
cornici erano recenti ma le fotografie invece coprivano un arco di
tempo che
andava dai primi anni di vita di Ted fino a pochi mesi prima.
Ce
n’era
persino una in cui i suoi genitori lo teneva in braccio.
L’aveva vista a casa
di Andromeda. Ted assomigliava straordinariamente a suo padre, anche se
una
certa dolcezza dei lineamenti li aveva ereditati dalla camaleontica
Tonks, che
in quel momento esibiva dei capelli rosa perlaceo.
I
capelli…
James
si
raddrizzò. Scrutò le foto una per una,
attentamente. Gli svariati compleanni in
famiglia, con il piccolo e poi giovane Ted in primo piano, le foto di
gruppo
con i cugini acquisiti, quelle con i compagni di scuola, in divisa con
la
spilla da prefetto prima e Capocasa poi… e per finire quelle
con Victoire,
abbracciati e sorridenti in mezzo a paesaggi provenzali.
In
tutte
le foto Teddy aveva i capelli blu.
Per anni li aveva avuti blu. Una volta gli aveva confidato che era il
suo
colore preferito e quello che pensava gli si addicesse meglio.
E poi
è la versione maschile del
colore preferito di sua madre… cioè il rosa
shocking.
Si
diede
dell’imbecille per non averlo notato prima.
Adesso
li
aveva castani. E non li aveva mai
avuti di quel colore – che si supponeva in famiglia fosse
l’originale – tanto a
lungo.
Perché?
Prese
in
mano quella che sembrava la foto più recente. Lo ritraeva
con Victoire mentre,
seduti sul portico della villa provenzale dei Weasley, fissavano
l’obbiettivo.
Ted teneva un braccio sulle spalle della fidanzata. Entrambi
sorridevano.
Ma
c’era
qualcosa che non andava.
Sicuro. Sono
sempre i capelli. È
l’unica foto in cui ha i capelli castani, come
adesso…
Corrugò
le sopracciglia. Sembrava una bella foto, di due persone felici.
Insomma,
Teddy e Vic erano La Coppia.
Quella da
prendere ad esempio. Tutte le cugine sognavano una storia con un
principe
azzurro come Teddy. Che lo era davvero, capelli compresi.
Non adesso
però.
Sentì
dei
passi sulle scale, e si sbrigò a rimetterla a posto,
schizzando vicino al caminetto.
Quando
aprì la porta lo accolse con l’aria più
umile e innocente del suo repertorio.
“Teddy…”
iniziò pieno di buone intenzioni.
“Vuoi un po’ di the? Ne faccio per me.”
Lo interruppe l’altro. Sembrava davvero
stanco, e non di quello sfiancamento dovuto
al vedersi piombare due adolescenti sul tappeto di camera. Era stanco triste.
James
sapeva di non avere grandi proprietà di linguaggio, e gli
era venuta in mente
solo quell’espressione. Stanco
triste.
Esattamente così.
Che ti
succede, Teddy?
“Uhm,
sì.
Grazie.” Annuì. “Posso
sedermi?” azzardò poi.
Lo guardò in viso stavolta. Sorrise appena.
“Certo, se trovi posto da qualche
parte… sto ancora mettendo via le ultime cose.”
James si guardò attorno. La stanza era immersa in un caos di
libri e vestiti.
Non
è mai stato un tipo ordinato… –
pensò divertito.
Alla
fine
si risolse a buttarsi spontaneamente a terra, sul tappeto davanti al
fuoco.
“Mi
dispiace Teddy. Ti ho messo in una brutta posizione piombandoti
qua.” Iniziò
velocemente, approfittando che l’altro stesse armeggiando
attorno al bollitore.
“Senti, non sapevo che saremo finiti a gambe
all’aria proprio qua. Per
non farci beccare abbiamo preso un cunicolo e…”
“Lo sai che potevate finire anche fuori dal
Castello?” lo interruppe “E con
fuori intendo, scaraventati fuori,
a
magari una cinquantina di metri d’altezza. Ci sono dei
passaggi segreti che
finiscono così.”
“Li
hai
provati?” chiese curioso. Ted lo guardò male.
“Uhm,
scusa, chiedevo solo…” sospirò.
“Sì, insomma…”
“Hai fatto una cretinata.” Suggerì.
James lo guardò di sottecchi e lo vide
sorridere.
Capì
che
non era più arrabbiato e fece una risata.
“Sì, mi sa proprio di sì!”
Accettò con gratitudine la tazza di the fumigante
che l’altro gli porse. La annusò, perplesso.
“Sa di arancia…”
“… cioccolato e cannella. Il mio preferito. Non te
lo ricordi?” Si sedette
affianco a lui, e James sentì di aver ritrovato Teddy. Il professor Lupin non si sarebbe
mai seduto a terra, spalla
contro spalla ad uno scemo diciassettenne. Magari era un pensiero
infantile, ma
se ne fregò. Lo faceva sentire bene.
“Sicuro! Solo tu puoi berti una roba così
dolciastra!” sogghignò.
“Se
non
lo vuoi…”
“No, no!” Ne bevve diligentemente un sorso. Mai
rifiutare il calumet della
pace. “Senza zucchero è passabile.”
“Non posso dire lo stesso del tuo profumo.”
“Oh, anche tu! Ma cos’ha che non va?”
“Puzza
James. Sembra tu ti sia infilato in un sacco di naftalina.”
Commentò impietoso,
bevendo un sorso di the. “Dico davvero.”
Me l’ha detto anche
Zabini… - Al
pensiero dell’altro ragazzo si sentì
improvvisamente a disagio, e lo scacciò
prontamente. Non voleva pensare a quella
cosa con accanto Teddy.
Affatto.
“Mah… forse lo cambierò.”
Concesse distratto. Guardò il fuoco scoppiettare.
“Ehy,
domani l’altro avremmo lezione assieme!” Disse,
volendo dire tutt’altro.
Perché
non hai i capelli blu?
Perché li tieni castani, tranne quando ti arrabbi o quando
qualcuno ti coglie
di sorpresa?
Sapeva
come funzionava: Ted poteva cambiare colore ad occhi e capelli a
piacimento.
Non controllava la trasformazione solo quando l’emozione era
improvvisa, o
forte.
L’altro
annuì. “Sì, mi avrai alla seconda ora.
Cerca di fare il bravo. Penso che tu mi
abbia dato abbastanza grattacapi per un intero mese con la bella idea
di
stasera.” Gli arruffò i capelli.
“Non
sono
più un bambino!” sbottò, scansando la
mano. “Ho diciassette anni.”
Si
sentì
un bambino, proprio non appena lo disse. Anche l’amico gli
sorrise con
indulgenza.
Questo
è peggio di venti punti in
meno…
“Pensi
che lo sia ancora?” sussurrò.
A volte sono
proprio masochista.
Ted
sospirò
appena. “No, non lo penso. Ma a volte ti comporti in modo
immaturo. Come
stasera.”
“Come
mi
vedi allora Teddy?” gli chiese a bruciapelo, quasi fuori
contesto. Ma erano
davanti al fuoco, da soli, e con una dannata tazza di the dolciastro.
Forse
la
domanda non era poi così campata in aria.
Mi vedi
ancora come un bambino?
Lo
vide
inarcare le sopracciglia, perplesso. Per un attimo sperò.
Sperò
che
per una volta l’amico d’infanzia non lo vedesse
come Jamie.
Jamie
era
il ragazzino pestifero che durante l’infanzia e la prima
adolescenza gli era sempre
stato trai piedi. Quello che gli aveva distrutto la libreria, che aveva
consolato dopo una brutta caduta o una stigliata materna, e che aveva
pianto
come uno scemo alla sua partenza. Un fratellino.
Sentì
come se avesse ingoiato un boccone amaro.
Sono
ridicolo…
Lui ha
Victoire. Gli piacciono le
donne. Solo quelle.
Chiunque
abbia detto che
l’adolescenza era un periodo roseo, è un gran
figlio di puttana.
“Come
ti
vedo?” lo guardò. Dallo sguardo serio aveva capito
che non stava scherzando
come suo solito.
Era
cresciuto, Jamie. L’ultima volta che l’aveva
guardato davvero aveva i capelli
arruffati, un maglione Weasley
improponibile e ciarlava di conquiste scolastiche a raffica.
Quattordici anni,
un Natale alla Tana. Eppure già si intravedeva
l’uomo che sarebbe diventato.
Adesso
invece….
Indossava
una t-shirt nera che definiva una figura snella, ma muscolosa. Aveva le
spalle
larghe, l’altezza Weasley in qualche modo si era armonizzata
ad un fisico
compatto. I capelli era arruffati, di un denso color mogano e gli occhi
color
nocciola erano accesi di una luce sfrontata, spavalda, di chi
affrontava il
mondo credendosi perfettamente in grado di farlo. Questo
era James Sirius Potter.
Era
stato
un bambino carino, ma adesso era un bel ragazzo, un giovane uomo. In
qualche
modo, ne era scioccamente orgoglioso.
Per quanto
continui ad avere dei
difetti grossi come case…
Ma
persino
adesso, come professore, riusciva a scusarglieli.
“Sì,
come
mi vedi?” Insistette il ragazzo, avvicinandoglisi.
“A parte la figuraccia di
stasera, si capisce…” aggiunse con un borbottio.
“Come
un Grifondoro
dannatamente irresponsabile, che non dà retta al suo giovane
professore.” Scherzò,
dandogli uno scappellotto. James lo accettò con un
brontolio.
Ted
si
alzò. Al di là della scomodità della
posizione, sentì che era meglio farlo.
James non aveva mai imparato a non invadere lo spazio altrui.
Prima mi si
è praticamente buttato
addosso…
Sentiva lo
sguardo del ragazzo sulla schiena, mentre con un colpo di bacchetta
ripuliva le
tazze e il filtro per il the. Cominciò a sentirsi nervoso.
Stupidamente, tra
l’altro.
È Jamie, per Merlino…
“Teddy,
posso chiederti un’altra cosa?”
“Se ti dico di no?”
Silenzio dietro di lui. Sgomento. Ridacchiò.
L’ho
sempre viziato troppo…
“Jamie,
stavo
scherzando. Certo, dimmi pure.”
“Perché
hai i capelli castani?”
La
domanda risuonò come uno sparo nella camera silenziosa.
Almeno, a James sembrò
così.
Mi sa che non
avrei dovuto farla…
“…
Non lo
so. Non c’è un motivo particolare. Avevo voglia di
tornare alle origini,
forse.” Mormorò, sempre dandogli le spalle,
occupato a mettere via il
bollitore. James capì che mentiva.
Non che ci
voglia un genio.
“Teddy,
va tutto bene… voglio dire, in generale?” Si
azzardò, alzandosi in piedi e
avvicinandosi. Vide le spalle dell’amico irrigidirsi,
più che vederlo lo capì.
James era un giocatore di uno
sport platealmente violento e si accorgeva quando qualcuno assumeva una
posizione di difesa.
Da cosa ti
stai difendendo? Da me?
Soffocò
l’istinto di abbracciarlo. Era una testa calda, sicuro, ma
sapeva che certi
gesti ormai erano inadeguati.
Non sono
più un bambino, vero
Teddy? E gli uomini tra di loro non si abbracciano.
A meno di non
essere Al e Tommy, si capisce.
“Va
tutto
bene, certo.” Si voltò per sorridergli.
“Ma sto tanto male coi capelli
castani?”
“Nah, figurati!”
Tu stai bene
pure con i capelli
verde pisello.
“Meno
male.” ridacchiò. “Beh, direi che
è tardi, e tu devi tornare a letto.”
Sospirò.
“Avrei dovuto farti una ramanzina, ma mi
accontenterò di dirti che se ti
ribecco ti porto direttamente da Gazza.”
“Da Gazza?” lo
guardò sconvolto. “Ma
quanto sei sadico!” sbottò facendolo ridere.
“Più di quanto immagini. Avanti, andiamo, ti
riaccompagno al dormitorio…”
James sbuffò, ma annuì docilmente. Lo
seguì alla porta, ma prima di
richiudersela alle spalle lanciò un’ultima
occhiata alle fotografie. Quei
capelli castani spiccavano come un brutto pugno in un occhio. Come se
si
fossero spenti.
E
James
aveva assolutamente intenzione di scoprire cosa
avesse spento Teddy.
****
Banchina,
Lago Nero, Hogwarts.
Hagrid
sostava di fronte all’attracco delle barche del Lago Nero,
intabarrato nel suo
vecchio e consunto pastrano, riparandosi sotto un grosso e brutto
ombrello. Un
vento freddo aveva cominciato a spirare dal Nord. Ormai
l’autunno si
avvicinava, considerò, carico di nuvole e pioggia gelida.
Non
sarebbe stato un bell’inverno, quello, nossignore. Si poteva
capire dalla forma
delle nuvole. Erano lunghe, gravide e minacciose. La pioggerellina che
cadeva
quella notte ben presto si sarebbe trasformata in diluvi torrenziali.
Stavano
succedendo cose strane, ad Hogwarts. Prima la morte del povero
professor Ziel,
poi quella strana creatura, spuntata fuori dal nulla, che attaccava uno
studente.
No,
Hagrid non presagiva nulla di buono. E con l’età,
se lo sentiva nelle ossa.
Ciononostante
aspettava paziente l’arrivo del nuovo professore. Il Preside,
il buon Filius (chiamami Filius, Hagrid, siamo
amici da una
vita!) gli aveva chiesto di accoglierlo alla banchina, e
così avrebbe
fatto. Non aveva capito il perché fosse voluto venire in
barca, ma supponeva
fosse un capriccio da straniero. Il Preside gli aveva detto fosse
americano…
O
americana. A volte parlava così veloce che mica lo capiva
tanto bene, Hagrid.
Fino
a
poche ore prima, tra l’altro, neanche immaginava ci fossero
maghi americani.
Beh, ma la
magia mica ci sta solo
in Europa, eggià.
Si
strinse nel pastrano, sbuffando. Avrebbe voluto essere nella sua
capanna a
sorseggiare un buon whisky incendiario, o a giocare a carte ai Tre
Manici: Hannah
era sempre così gentile da lasciargli un po’ di
idromele in serbo a fine
serata, da portare a casa.
Sbuffò
condensa, di puro sollievo. Aveva visto il profilo di una delle piccole
barche
incantate lambire la superficie brumosa del lago. Stava arrivando.
Scese le
scalette, che gemettero al suo peso. Scese sulla piattaforma.
“’Sera… tempaccio da lupi,
eh?” Eruppe cordiale, tendendo la mano alla figura
incappucciata. Aveva un mantello nero, dal grosso cappuccio. Sembrava
ben
imbottito.
C’è
da capirlo… se è americano non
ci sarà abituato al clima inglese.
“Oh,
è proprio
vero…” rispose una voce. Indubbiamente femminile.
“Il clima inglese… Non lo
ricordavo così inclemente. Però avete un lago
magnifico.”
Ah, allora
è una LEI.
Sentì
una
mano piccola e delicata posarsi sulla sua. Peso irrisorio. La donna,
dalla voce
doveva essere piuttosto giovane, scese dalla barchetta.
Abbassò il cappuccio, e
sorrise.
Hagrid
si
trovò di fronte agli occhi trai più blu che
avesse mai visto in vita sua. Resse
bene il colpo, ovviamente. Era Hagrid, mica uno studentello.
Anche se ci
darà grattacapi, a
tutti gli sbarbatelli.
– pensò con vago sconforto.
“Beh,
ci
farà un po’ freddo quest’inverno,
sì… le nuvole.” Borbottò.
“Lei è…? Scusi, me
l’avranno detto il suo nome, ma mica me lo
ricordo…” Confessò con candore.
La
giovane donna non sembrò preoccuparsene. Continuò
a sorridere.
“Ainsel
Prynn. Sono la nuova professoressa di Trasfigurazione.”
****
Note:
Capitolo corto, lo so, ma per ogni cosa ci vuole il suo tempo.
1-Andromeda
non è imparentata coi Potter-Weasley, ma James da bambino
era la peste che è
ora (Row Said So). Quindi tutti
potevano aspirare ad essere chiamati confidenzialmente zii.
2-Il
nome
Ainsel non è di mia
invenzione, ma
della sublime (mi inchino) Kaori Yuki.
Per
quanto riguarda Teddy Tassorosso (sembra il nome di un peluche XD )
è una
notizia che ho trovato su internet, confermata in più siti.
Leale, onesto, gran
lavoratore. Direi che gli si addice. :P
Invece,
a
proposito del colore di capelli abituale del nostro metamorfomago, ho
semplicemente seguito il fandom. Alcuni dicono turchese, ma
onestamente, quale
maschio adolescente e poi giovane uomo andrebbe in giro con i capelli turchini? O_o
|
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Capitolo 15 *** Capitolo XI ***
I
misteri si infittiranno, lo ammetto, ma prometto che ogni nodo
verrà al pettine. In ogni
caso questo capitolo piacerà molto alle slash fan. ;)
@Myriam Malfoy:
È vero, Ted è un po’ di parte,
ma alla fine ha tolto punti ad entrambi. Poi che tenda ad essere
più gentile
con quello scemo di Jamie, beh… se l’ha perdonato
persino quando gli ha
distrutto la sua amata biblioteca… XD Teddy lasciato con
Vic? Tutto può essere.
E comunque sì, c’entra il colore dei capelli.
Grazie per la recensione! ^^
@Shiratori-chan: Ti ho
già ringraziato
doverosamente per la bella recensione e per lo strappo alla regola!
Grazie ancora!
@Nyappy:
È un gran complimento quello che
mi hai fatto. Sapere che delle non-slash-fan (e non sei la sola!) mi
leggono ed
apprezzano non può che farmi un enorme piacere. Alla fine
penso che qui non si
tratti solo di scrivere una storia su due ragazzi gay, ma due esseri
umani che
si sono presi una gran cotta ;P. Teddy fata-turchina NO, vero?
X°D
@Hel_Selbstomord: Ciao! Non
preoccuparti, capisco
benissimo! Anche io dovrei essere a studiare, ma… eh. Poca
voglia T_T. Spero di
risvegliare con ‘sto capitoletto definitivamente la tua vena
slasher!
@Natalia: James-Ted
sono un’accoppiata
sottovalutata, ma secondo me vincente! XD Apparte gli scherzi, io trovo
incredibilmente tenero un rapporto fratello maggiore-fratello minore,
senza
esserlo veramente, ovvio! Tom deve farti paura, dopotutto è
un Serpeverde fatto
e finito. È Al che poverino c’entra poco con la
sua Casata. (anche se il
cappello ce l’ha comunque smistato quindi…). Hai
fatto una bellissima
descrizione del Serpeverde tipo, e la penso esattamente come te! Zabini
è un
figo, lo so. Fosse anche vero. :P
@Ombra: Lo so, James
e Ted è una cosuccia
delicata da trattare, ma spero di non deludervi. Al ce la
metterà tutta per
farlo rimanere sulla strada ‘paturnie
adolescenziali’ in questo capitolo
specialmente. XD Grazie per la recensione!
@Altovoltaggio: Ti ringrazio
davvero! XD Mi fa
davvero piacere che tu continui a seguirmi anche se detesti lo slash.
Ti dirò,
io più che la solita coppia slash, la vedo più
come due esseri umani che si
innamorano. Non sono fissata con i clichè del fandom slash,
non più di tanto.
Non voglio far finire due maschi assieme perché sono
‘carini’. È una forzatura.
Cerco di motivare le inclinazioni e le scelte dei miei personaggi.
Spero che
questo si capisca. Grazie comunque per continuare a seguirmi. ;)
****
Capitolo XI
Si vive per
anni accanto a un essere umano. Un
giorno ecco che uno alza gli occhi e lo vede.
In
un attimo non si sa perché, non si sa come,
qualcosa si rompe: una diga tra due acque.
E
due sorti si mescolano, si confondono e
precipitano.
(Il
Ferro, Gabriele D’Annunzio)
5 settembre
2022
Torre dei
Grifondoro, Dormitori
Maschili.
Un’ora
irragionevolmente mattiniera.
Quella
mattina i gemelli Scamandro ebbero una stramba sorpresa,
risvegliandosi.
Lorcan corrugò le sopracciglia, guardando Lysander. Lysander
avrebbe dovuto
parlare.
“Capo…” cominciò infatti,
riconoscendo sin dal primo mattino l’autorità di
James.
“…
che
diavolo stai facendo, per tutti i Gorgosprizzi?” concluse
perplesso.
James
era
seduto sul letto, con aria profondamente concentrata mentre terminava
la
stesura di una lettera. Vestito di tutto punto. Alle sette di mattina.
Solitamente
era a malapena capace di ricordarsi il nome, a quell’ora
antelucana.
“Sto
scrivendo una lettera, non si vede?” borbottò con
le sopracciglia corrucciate
per la concentrazione. “E non avete aiutato con i vostri
grugniti, tra
parentesi. La gente normale russa, non grugnisce. Fatevi vedere. E da
qualcuno
bravo.”
“Da quant’è che la stai
scrivendo?” eruppe Lorcan, scordandosi che non era lui
a dover parlare. Si scusò silenziosamente con il gemello, e
attesero assieme la
risposta.
“Un’oretta.
Ho pensato di svegliarmi presto per andare in Guferia prima di
colazione.”
I due
si
guardano esterrefatti. Dall’altra parte della stanza Bob
Jordan, il quarto
prode della camerata, malandrino part-time e palo affidabile di tutte
le
marachelle dei tre, era ancora nel mondo dei sogni.
Com’era
giusto che fosse per un diciassettenne col sonno robusto. E lui e Jamie
se la
contendevano, di solito.
Non
oggi
però.
“Capo,
ti
senti bene?” borbottò Lysander.
“Certo, sto benissimo!” terminò la
lettera con uno schizzo nervoso – la sua
firma – e scese giù dal letto. “Ci si
vede a colazione!” Sparì oltre la porta,
tirandosela dietro.
I due
gemelli
si guardarono, di nuovo.
“Ma
a
chi…?” iniziò Lorcan, con un punto
interrogativo al posto del viso.
“… doveva mandarla così
presto?”
Ci
rifletterono, assieme.
“La vera domanda è…” concluse
Lysander con un sospiro, alzandosi. “…
perché
vuole una risposta così presto.”
James
corse fino alla Guferia. Notò con stupore che la mattina
rendeva davvero
deserti i corridoi di Hogwarts. Non vide nessuno, finché non
aprì la porta
dell’imponente guferia.
Forse dovremmo spostare l’ora x dei
nostri piani alle sette di mattina.
Si aggirò, maledicendosi perché non
ricordava dove ad Anacleto¹, il gufo di
Albus, piacesse appollaiarsi. Il suo gufo, un gufo reale che divideva
con Lily,
era fuori per spedire una maledetta lettera all’ungaro unto.
“Cleto!
Ehy, palla di piume, dove diavolo sei!?” sbottò
innervosito da centinaia di
occhi tondi e gialli che lo fissavano. Odiava la guferia. E poi,
c’era sempre una
puzza insopportabile.
Il gufo, anche sentendolo, tardò a lanciare il suo verso
acuto per farsi
localizzare.
“Sei stronzo come Al, quando ti ci metti… senti.
Devi recapitare questa lettera
a Fred. Fred Weasley. Ma non al negozio. Fallo a casa,
chiaro?”
Fred, il suo cugino preferito (tutti i cugini avevano un cugino
preferito. Al e
Rose, Lily e Roxanne, lui e Fred…) era stato un paio di
settimane ospite di zio
Bill quell’estate, ufficialmente per farsi un po’
di vacanze. Ufficiosamente
per correre dietro ad una bella francesina che aveva conosciuto a York,
mentre
suo padre trattava di un grosso affare di non-so-quale polvere magica
tibetana.
Se
era
successo qualcosa a Teddy, in Francia, e la causa era Vitro
– come pensava fosse - Fred l’avrebbe saputo. Era
quasi più
pettegolo di Dom e Lily messe assieme.
Sono un
genio. Oh, yes. Un dannato
genio. Qua il cinque, James Potter!
Non se lo
diede
solo per non farsi dare del cretino dallo sguardo severo del dannato
pennuto.
Finì
di
legargli la lettera alla zampa.
“Vai.”
Il gufo spiccò il volo. James si affacciò,
osservandolo diventare un puntino
lontano nel cielo nuvoloso.
A
volte
adorava avere una famiglia ramificata.
E
straordinariamente pettegola.
****
Sotterranei
Serpeverde, Dormitori
Maschili
Un’ora
palesemente tarda.
“Per
me,
è morto.”
“Ode al Dursley morente.”
“Ho detto morto, non
morente. Seguimi
Nott, quando parlo…”
“Chiedo
venia, Mastro Zabini.”
“Concessa.”
I due Serpeverde erano impegnati a decidere della sorte del compagno di
stanza,
che dormiva al di là delle tende color verde scuro.
Al
uscì
dal bagno, infilando la testa arruffata dentro il maglione e tirando
poi fuori
la cravatta, penzoloni come una lingua molle.
“Fatela
finita! Lasciatelo in pace, ieri notte sarà tornato
tardi…”
“… da qualche appuntamento galante.”
Terminò Zabini. “Scusa, Al, me l’hai
tirata fuori dai denti.”
Il ragazzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Sì, sì. Piuttosto, renditi
utile e dammi una mano con la cravatta. Sto impazzendo.”
Loki sogghignò. “In sei anni ancora non hai
imparato ad allacciartela?”
“In sei anni tu non hai ancora capito come non far esplodere
un calderone,
quindi direi che siamo ragionevolmente pari. Almeno io saprò
distillare
pozioni.”
“Con la cravatta storta…” disse
dolcemente Michel, sistemandogliela con due
semplici colpi di dita. “Sei delizioso.”
“Grazie.” Disse distrattamente. “Ma non
si sveglia?”
Quella
mattina, con grande stupore dei tre, le tende del letto di Thomas erano
state
ritrovate tirate. Dopo una breve consultazione, Albus aveva constatato
la
presenza del convalescente, ora dormiente.
Ma la cosa
più assurda è che sta ancora dormendo… di solito a
quest’ora sta già guardando la pendola con aria
spazientita.
“Ho provato a urlare che la biblioteca stava
bruciando ma non ha dato segno
di vita.” Fece spallucce Loki. “Secondo me
è grave.”
Al
gli
tirò una spinta leggera. “Due giorni fa aveva
metà delle ossa come biscotti
sbriciolati. E’ chiaro che non può scoppiare di
vitalità adesso.”
Aprì
le
tende e gli posò una mano sulla spalla, chinandosi per
scuoterlo. “Tom, ehy,
Terra chiama Tom. Avanti, svegliati!”
Una lieve smorfia.
“Chiamo un prete?”
“Un’esorcista,
magari…” disse serissimo Michel, in vena di
lepidezze.
“Falla finita Mike!” sbottò Al,
voltandosi. Peccato che nel passaggio non
avesse calcolato le scarpe di Tom, abbandonate accanto al letto. Ci
inciampò,
perdendo l’equilibrio. E si ritrovò addosso al
cugino.
Sopra al cugino.
Con
orrore si accorse di avere la faccia a pochi millimetri dalla sua. E
che
Thomas, in quel trambusto, si era finalmente svegliato.
Ci fu
un
improvviso silenzio tombale. Imbarazzato. Zabini e Nott sembravano
diventati
una specie di fondale, inavvertibili.
Beh…
Non
si
era mai accorto di quanto fossero piene le labbra di Thomas. Come
quelle di una
ragazza. Anzi, meglio. Da così vicino riusciva anche a
contargli le ciglia.
Eeehm…
Sentì
la mano di
Tom posarglisi sul fianco.
“Al…” mormorò.
“Io…”
“Mi
stai
schiacciando lo sterno. Non riesco a respirare.”
Al si
tirò su, sentendosi il respiro corto e il cuore ad altezza
carotide.
Non
era tanto essergli franato addosso.
Quello,
stimò con un certo fastidio, accadeva anche troppo spesso
per colpa della sua
goffaggine.
E che
si
era ritrovato praticamente ad un passo dal…
Baciarlo.
Le
loro
labbra si sarebbero toccata involontariamente, certo.
Però
avrebbe
baciato un ragazzo. Il suo primo bacio, con un ragazzo. Con Tom.
Sì,
sono il re delle seghe
mentali, come Jam è il re dell’idiozia.
Bei sovrani,
che siamo.
Si
sentì
incredibilmente nervoso e agitato, mentre il cugino si tirava a sedere,
passandosi una mano trai capelli.
“Che
ore
sono?”
“Ora di svegliarsi, principino
addormentato…” cinguettò Nott,
venendogli in
soccorso, mentre Michel sembrava indeciso se mettersi a ridere o
scattar loro
una fotografia. Era del tutto ininfluente non avesse una macchina
fotografica
con sé.
Era
un
momento succoso.
Al tutto
arruffato, con quelle
deliziose labbra tumide, e Tom, appena svegliato e con
quell’aria da
adolescente arrogante e insonnolito… meravigliosi,
meravigliosi!
Li
guardò
benevolmente, come un padre orgoglioso.
“So…
sono
le sette e mezzo.” Balbettò miserevolmente.
“Ti aspettiamo?”
“No, non vorrei farvi perdere la colazione.”
“Oh, noi andiamo,
infatti. Siamo in
deprecabile ritardo, vero Loki?”
“Totalmente!”
“Ma
veramente…” tentò Al.
“A
dopo!”
trillò Michel, prima di chiudersi dietro la porta e
lasciarli soli.
Tom
lo
guardò accigliato. “Cosa diavolo
gli
è preso?”
“Non
ne
ho idea, davvero.” Mugugnò sedendosi sul suo baule
chiuso. Fu incredibilmente
sollevato dal costatare che l’amico non aveva capito
assolutamente nulla di
quell’imbarazzante teatrino. Si sentiva anche un
po’ preso per il culo però.
Ti sono
franato addosso e stavo
per … Salazar. Come hai fatto a non accorgerti di niente?
Sentì
di
nuovo le guance scottare. Era così ragazzina…
Devo trovarmi
una ragazza, prima
che prendano per ragazza me.
Già
siamo a buon punto...
Thomas
intanto si era alzato, liberandosi con uno strattone stizzito dalle
coperte.
“Com’è
che sei qui? Non dovresti essere in infermeria?” chiese
Albus, tanto per.
L’altro lo guardò male, e senza degnarlo di una
parola entrò in bagno,
sbattendosi dietro la porta.
Ahi. Oggi si
è svegliato con la
luna di traverso.
Sospirò,
avvicinandosi allo specchio fissato accanto alla porta per cercare di
aver
ragione dei propri capelli. Sapeva che erano una causa persa, ma era
tanto per
tenere le mani occupate.
Speriamo gli
passi…
Si
voltò,
incerto se bussare alla porta del bagno o meno, quando qualcosa
attirò la sua
attenzione. Tra le coperte del letto di Thomas c’era qualcosa
che brillava. Si
avvicinò, incuriosito, e scostò il cuscino. Tra
le lenzuola c’era un medaglione,
dalla forma tonda, come quella di un vecchio orologio a cipolla.
Lo
prese
in mano, confuso. Non ricordava che Tom avesse un oggetto del genere.
Perlomeno non
gliel’ho mai visto
addosso…
Era
piuttosto vecchio e sporco, e il cordoncino era sfilacciato in
più punti. Doveva
essere stato un bell’oggetto.
Un milione di
anni fa, o qualcosa
del genere…
“Che
stai
facendo?”
La voce di Tom lo sorprese, facendolo sussultare. Si voltò,
tenendo stretto il
medaglione in mano. L’amico aveva l’aria seccata, e
il tono di voce era stato
freddo e scortese.
Di cattivo
umore davvero…
“Niente,
stavo solo guardando… È tuo?”
“Se l’hai trovato nel mio letto...”
Replicò. “Ridammelo, avanti.”
“Va bene, va bene…” sbuffò
porgendoglielo. L’altro se lo riprese, infilandolo
nella tasca dell’uniforme. “Non te l’ho
mai visto… È nuovo? Cioè, nuovo…”
“E’ un regalo.” Scrollò le
spalle. “L’ho trovato sul comodino
dell’infermeria.”
Mentì.
Al si ficcò le mani in tasca, mordicchiandosi un labbro.
“E’
piuttosto brutto. Ma che roba è esattamente?”
“Un medaglione.” Si infilò il mantello,
intascando anche la bacchetta. “Di
quelli vuoti all’interno… anche se non sono ancora
riuscito ad aprirlo, quindi
non so se dentro ci sia qualcosa o meno.”
Ci aveva speso quasi un’ora buona, la sera prima, alla luce
della bacchetta e
con le tende del letto tirate, mentre tutti dormivano. Alla fine il
sonno
l’aveva vinto, ed era crollato.
“È
un
regalo strano. Sicuro che non sia affatturato?”
“Se lo fosse perché renderlo così
ostico ad aprirsi?”
“… Sì, beh. Hai ragione.”
Convenne. “Sai chi te lo ha regalato?”
“Non ne ho idea. Non c’era nessun
biglietto.” Gli credeva. Tom si sentì quasi
in colpa, vedendo la tranquillità con cui Al aveva sposato
la sua bugia. “Dai,
andiamo a fare colazione…”
“Te
l’avrà regalato una ragazza?” se ne
uscì sulla soglia della camera. Tom lo
guardò sorpreso.
“Può essere…” Disse
lentamente, non sapendo bene cosa aspettarsi. Infatti Al
sembrò stranamente irritato dalla risposta.
“E’
un
regalo idiota.” Sentenziò, sorpassandolo e
lasciandogli l’onere di chiudere la
porta della camera.
Un
medaglione, che idiozia! Che
razza di regalo è, da fare ad un convalescente?
Un regalo
personale… - gli disse
una vocina interiore,
che aveva stranamente voce e corpo di Zabini. – Un regalo personale che Tom non voleva che vedessi,
da come ha reagito…
- continuò, malefica.
Era
inutile girarci attorno: la cosa lo stava infastidendo enormemente.
Quel coso,
per quanto orrendo,
deve valere un sacco di soldi… Chi gliel’ha
regalato?
Si
arruffò i capelli, quasi per scacciare quel tarlo dalla
testa. Sentiva che
l’amico gli camminava dietro, ma accelerò per non
farsi raggiungere.
****
Aula di
Trasfigurazione
Quasi ora di
pranzo.
Rose
si
sentì toccare la spalla, seduta su uno degli scomodi banchi
dell’aula di Trasfigurazione,
lezione che i Grifondoro condividevano coi Serpeverde.
“Malfoy non ho intenzione…”
Cominciò seccata, prima di accorgersi che Scorpius
era due file avanti a lei.
“Ehm, veramente sono Al.” Sorrise il cugino
divertito. “Posso o disturbo?”
“Al, ma falla finita! Siediti.” Sbuffò
facendogli posto. Era un rito che perpetravano
con piacere, quello di sedersi accanto, nonostante l’aula
fosse stata divisa
per secoli a metà tra Serpeverde e Grifondoro.
Al si
sedette, mascherando uno sbadiglio.
“Dormito poco?”
“E quando mai si dorme tanto
qui ad
Hogwarts?” Mugugnò di rimando, nascondendo la
testa sotto le braccia. Rose
ridacchiò, arruffandogli i capelli già piuttosto
ribelli. Esserseli tagliati
corti non aveva affatto aiutato a renderli domabili.
“Sei
tu
che dormi troppo. Thomas?”
Al stranamente non rispose. O meglio, non subito.
“Con
Mike, come al solito…” indicò, al lato
opposto dell’aula, la prima fila di
banchi dove i due facevano mostra di sé.
“Sì,
vedo. Mi sembra stia bene.”
“Scoppia di salute e malumore.”
Borbottò, alzando appena il viso, e appoggiando
il mento sulle braccia. “Senti Rosie.”
Iniziò, abbassando il tono di voce fino
a renderlo quasi un sussurro. “Ma se ti avvicini ad una
persona e non lo baci,
ma quasi… è un bacio?”
Rose
inarcò le sopracciglia.
Che
diavolo…?
“Dico,
se
inciampi su una persona e quasi la
baci… per sbaglio. È classificabile come
bacio?”
“No, non credo…” Considerò
perplessa. “Perché, chi hai quasi
baciato?”
“Nessuno.” Si affrettò a dire, sedendosi
dritto sulla sedia, e guardando in
punto indefinito dell’aula. “Proprio
nessuno.”
“Nessuna, Al. Se ti
riferisci ad una
ragazza…” lo aiutò pietosa.
Silenzio.
“…
Scusa
Al, ma cosa fate nei dormitori voi Serpeverde?”
“È
stato
un caso!” sibilò, guardandola male.
“Al, perdonami, ma non ci sto capendo…”
“Shh!”
Mi sembra vagamente isterico.
Si
guardarono. Al alla fine sospirò.
“Sono caduto addosso a Tom.”
“… Senza offesa, ma non è la prima
volta che gli cadi addosso.”
“Non dipingermi più goffo di quel che
sono!”
“No, infatti. Non lo sto facendo.” Sorrise
divertita. “Al, va tutto bene… se
gli sei crollato addosso è normale che la tua faccia possa
essere, come dire,
finita in collisione con la sua.
Tutt’al più è un
po’… imbarazzante.”
“È stato molto
imbarazzante.”
Mormorò, mordicchiando la punta della sua piuma.
“Se non altro Tom dormiva e
non se n’è accorto… Lui.”
“Beh, meglio così.”
Chissà quanto l’avranno
preso in giro
Zabini e Nott… povero Al.
“Questo
è
perché non ho mai avuto una ragazza.” Disse
convinto. La guardò. “Se avessi una
ragazza non sarebbe stato così imbarazzante, no?”
“Al, ma vuoi una ragazza?” Chiese di rimando: non
era il momento per fare
discorsi di quel genere, a pochi minuti dall’inizio della
lezione, con un nuovo
professore in arrivo. Però capiva che il cugino stava per
fare un passo. Verso qualcosa.
Certo poteva
farlo in un tempo
meno risicato.
Al si
morse un labbro. “Non lo so. Cioè, credo di
sì. Dovrei volerla?”
“Al, non è che devi. Non te lo prescrive mica
Madama Chips.” sospirò paziente.
Gli mise una mano sulla sua. “Tu la vuoi?”
“… Non saprei cosa farci.”
Sussurrò sconvolto. A Rose venne da ridere, se non
fosse che probabilmente Albus era davvero
traumatizzato dal realizzarlo.
“Beh,
sai, di solito… con una ragazza ci si bacia, la si tiene per
mano, si va
insieme ad Hogsmeade… Cose di questo genere.”
… Che diavolo ne so, io? Per
sentito
dire. Non è che sia messa tanto meglio.
Beh. Almeno
io so con chi vorrei stare.
Intendo
dire… con dei ragazzi. Maschi.
Non qualcuno in particolare.
“Dici
che
è normale non voler fare queste cose?”
mormorò a bassa voce.
Rose inspirò appena. “Non ne hai proprio
voglia?”
“Ora che ci penso… cioè, ci ho sempre
pensato…ma… No.”
“…
Okay.”
“Sono normale Rosie?” uggiolò con gli
occhi grandi come due colini da the.
Mica tanto.
Ma se te lo dico ti
lanci dalla finestra dell’aula, ho idea.
“Massì,
non dire cretinate!” disse invece. “Ognuno ha i
suoi tempi. A te piace di più
giocare a Quidditch e stare con gli amici.”
Scrollò le spalle. “Sono sicura che
quando troverai la ragazza giusta ci penserai. Sicuramente.”
Mi sento
tanto come te, quando mi
rassicuri sul fatto che il bosco non pulluli di schifosissimi
ragni…
Al la
guardò meditabondo. “Quindi, quando mi
piacerà qualcuna, ci penserò.”
“Sicuro!” annuì con entusiasmo forse
esagerato.
“E
a te
piace qualcuno?” Le chiese a bruciapelo.
…
Mi piace qualcuno?
Fortunatamente
il gong la salvò. Il gong in questione fu
l’entrata del nuovo professore…
Rose inarcò le sopracciglia, e Al deglutì
meraviglia.
Il
nuovo
professore era una professoressa.
Bionda. Eccezionalmente bionda.
Statuaria,
con lunghi capelli fluenti e lineamenti sani, da americana. Alta e
prosperosa.
Rose
sentì soffiare un ‘pin-up’
dalle
ultime file.
Beh,
è bella. E allora?
La
donna
sorrise alla classe. Era entrata dalla porta secondaria, da cui di
solito Ziel
passava a fatica, perché stretta ed angusta. Era scivolata fuori da
quell’entrata, come se non avesse fatto altro
per tutta la vita.
Rose,
e
buona parte dell’elemento muliebre della classe, la
detestò immediatamente.
“Buongiorno
a tutti!” Disse con squillante accento americano. A Rose
sembrò lo stesso tono
di voce di una televendita babbana che sua nonna materna guardava
sempre
all’ora di cena.
“Sono
Ainsel Prynn e sarò la vostra nuova professoressa di
Trasfigurazione.”
Il
gesso
cominciò a scrivere, in una grafia elegante, il nome alla
lavagna.
Loki
si
sporse dal suo banco, picchiettando sulla schiena di Michel.
“Pace all’anima di Ziel, ma grazie
America…” sogghignò, facendolo sbuffare
divertito. “Ehi, Dursley, tu che ne pensi di Zio
Sam?”
Tom non rispose, facendo sogghignare il ragazzo.
“Pensa bene, direi… guarda che faccia.”
Tom
continuava ad ignorarlo. Fissava la donna, come stordito.
In
realtà
quello che provava, più che stupore e ormonale allegria,
come il resto dei
ragazzi, era… angoscia.
Era
assurda, una sensazione del genere, specie addosso a lui. Specie se
mischiata
ad un’aspettativa di qualcosa non ben definito.
Perché
mi sento così?
Michel
gli tirò una gomitata. “Tom, smettila di fissarla
così, siamo in prima fila.
Sembri uno psicopatico, cheri…”
Che gli
prende? È la prima volta
che lo vedo guardare così tanto una donna…
Tom distolse
lo
sguardo, mentre la professoressa continuava l’appello.
Si
accorse a malapena di aver risposto. Non si accorse invece che Al lo
stava
guardando, e che lo stava guardando male.
Michel
lo
notò. Sospirò.
Gelosia,
ragazzo dagli occhi
verdi…
“Albus
Severus Potter?” Scandì la donna. Al, troppo preso
a fissare trucemente l’amico,
non si accorse subito di essere stato chiamato. Arrossì
miseramente quando la
professoressa ripeté il suo nome completo con annesso
pizzicotto da parte di
Rose.
“Ah,
sì. Mi
scusi. Presente.”
“Figlio del famoso Harry Potter?” In bocca a quella
donna il nome di suo padre
sembrava quello di un fumetto. Stupido accento yankee.
“Già.”
Commentò asciutto. Vide con la coda dell'occhio che Rose inarcava le
sopracciglia accanto a lui.
Che giornata
schifosa…
La
donna
non sembrò preoccuparsi della sua risposta scortese,
perché gli rivolse un
sorriso e
terminò
l’appello, prima di riporre la pergamena sul tavolo, con un
sapiente colpo di
bacchetta.
“Bene!
Ora
voi sapete il mio nome, io cercherò di imparare i vostri.
Purtroppo sono qui
per sostituire il povero professor Ziel, e di certo questo non
è un piacere per
me…” si aggirò attorno alla piattaforma
della cattedra. Aveva movimenti energici,
ma non privi di grazia. “Comunque cercherò di non
apportare troppe modifiche al
programma stilato dal professore, a meno che voi non lo vogliate,
certo…”
Un mormorio serpeggiò trai banchi.
Rose
boccheggiò, totalmente presa alla sprovvista: che
significava? Potevano scegliere il
programma?
La
strega
li guardò soddisfatta. “Certo, è quello
che ho detto. Vedete ragazzi, i metodi
di insegnamento americani sono diversi da quelli europei.
Io ho
insegnato per tre anni nella Accademia Magica di Salem…
Qualcuno di voi la
conosce?”
Un paio di ragazzi alzarono la mano, tra cui ovviamente Scorpius e
Rose. In
perfetto sincrono.
“Prego…
Signor
Malfoy?”
“Sì professoressa.” Confermò
soddisfatto, sentendo un’ondata di odio investirlo
dalle retrovie.
Ah-ah. Uno a
zero per me,
Rosey-Posey.
“L’Accademia
Magica di Salem è stata fondata nel 1866, nei pressi di
Salem, nel Massachussets.
Conta ben diecimila inscritti l’anno, da tutta
l’America Centrale. È indisegnabile,
come Hogwarts, e gli unici a conoscerne l’ubicazione sono il
corpo docente e il
Preside. L’insegnamento è focalizzato sopratutto
su Trasfigurazione e Difesa
dalle Arti Oscure.” Recitò compito.
“Molto
bene Signor Malfoy, dieci punti per Grifondoro.” Sorrise la
professoressa.
Scorpius si voltò per strizzare l’occhio a Rose,
beccandosi un’occhiata
mortifera. “Ma questo, immagino, vi dica molto poco
sull’affermazione che ho
fatto prima…”
Con un gesto della bacchetta scrisse la parola
‘Trasfigurazione’ nell’aria, in
lettere dorate.
“Trasfigurazione.”
Scandì lentamente.
La classe era nel più completo silenzio. Non volava una
mosca. Rose si guardò
attorno.
Bisogna ammettere che sa come affascinare
un uditorio…
“Trasfigurazione…”
ripeté “Qualcuno sa darmi la definizione esatta
del termine? Attenzione,
definizione del lemma, non una descrizione del contenuto della
materia.” Analizzò
la classe, fino a fermarsi su Tom. “Signor Dursley, vuole
fare un tentativo?”
Il
ragazzo la guardò.
Più
la
guardava, più quella sensazione di angoscia
permaneva.
Si
decise
a rispondere, per non fare la figura dell’idiota.
Già sentiva Nott ghignargli
alle spalle.
“Trasfigurazione,
nel senso proprio del termine, significa mutare una cosa in
un’altra.” Cominciò,
cercando di usare il solito tono annoiato. “Nel mondo babbano
il termine viene
usato in ambito cristiano, per indicare, ad esempio la tramutazione
dell’acqua
in vino, in un passo della Bibbia. Nel mondo magico ci atteniamo invece
al
senso stretto del termine, adoperando come mezzo, appunto, la
magia.”
La
donna
fece un mezzo sorriso. “Spiegazione esauriente Dursley, molto
bene. Dieci punti
anche per Serpeverde.” Cancellò con un colpo di
bacchetta la scritta. “Ed ora…
sapete dirmi come avviene
esattamente
il processo?”
Gli studenti si guardarono tra di loro perplessi. Rose alzò
la mano,
prontamente.
“Sì…?”
sorrise. “Mi perdoni cara, ma non ricordo il suo
nome.”
“Weasley, Rose.” Scandì con decisione.
“Con la magia. Attraverso un
incantesimo. Per fare un esempio, il feraverto.
Tramutare un oggetto in un animale.”
“Sì,
sì.
Naturalmente, con un incantesimo!” Sorrise smagliante.
“Ma il principio …
diciamo così, meccanico,
per cui
potete tramutare una tazzina…” ne fece levitare
una dal mucchio impilato
accanto alla cattedra. Gli diede un colpo con la bacchetta e un
uccellino dal
piumaggio iridescente si librò in volo.
“… in un grazioso colibrì. Qualcuno sa
dirmelo?”
Rose
richiuse la bocca, presa in contropiede.
Che diavolo
di domanda è? Con un
incantesimo. Con la magia, attraverso la bacchetta!
Ainsel
Prynn abbracciò con uno sguardo la classe. Sembrava
esattamente aspettarsi
quella reazione di confusione e spaesamento. E sembrava divertirsi un
mondo.
“Il
principio dello scambio equivalente. Qualcuno di voi lo
conosce?”
Tom corrugò le sopracciglia. Cercò di ripescare
nella memoria un termine del
genere, ma non gli sovvenne nulla. Guardò il compagno di
banco, ma Michel aveva
la stessa espressione confusa.
“Mai
sentito…” borbottò Rose, corrucciata.
Al sospirò.
Se non l’abbiamo mai sentito dire da
Ziel
ho come la vaga impressione che sia una teoria americana,
più che un principio
collaudato.
Ma
non
disse nulla: non era il tipo di persona che si esponeva davanti a tutta
quella
gente.
“Non
preoccupatevi, mi aspettavo questa reazione.”
Ridacchiò. “Come vi ho detto, i
metodi di insegnamento americani sono ben diversi da quelli europei, e
soprattutto, inglesi. Incredibile, non è vero? Parliamo la
stessa lingua,
eppure ciò che ci insegnano è spesso
profondamente diverso…” Si appoggiò
alla
cattedra con le mani.
“Naturalmente
non sono qui per farvi una lezione di storia della magia. Mi
limiterò a
spiegarvi questo principio… A Salem lo spieghiamo il primo
giorno di lezione…
qui diciamo si tratterà di un’integrazione a
quello che già sapete.”
Non mi piace, non mi piace per niente.
Non vorrà confonderci le idee coi suoi metodi
americani… - pensò Rose, ma
aprì il quaderno e inforcò la piuma.
Non
ci
poteva fare niente, era quasi un tic.
“In
natura, come ben sapete, e lo sanno anche i babbani, nulla si crea e
nulla si
distrugge. Tutto si trasforma.”
Tom
aggrottò
le sopracciglia: conosceva quell’aforisma. Era babbano, e
teorizzava un
principio della fisica moderna.
Una strega
che parla di fisica babbana?
“Il
principio dello scambio equivalente è sostanzialmente
questo: se volete un
grazioso colibrì da mostrare agli amici, dovrete rinunciare
a prendere il the!”
la classe rise, e persino Rose stirò un sorrisetto.
“In
parole povere, ragazzi, se volete qualcosa, dovete essere disposti a
sacrificare qualcos’altro. Facciamo un esempio. Pozioni.
Avete degli
ingredienti. Se li mescolate, se li trattate, avrete una pozione. Ma
non
potrete mai avere entrambi contemporaneamente,
come non potrete avere più indietro gli ingrediente
originari… È una
trasformazione. Questa materia rende il fenomeno solo più
palese, plateale… tangibile.”
La
classe
era in completo silenzio. Rose stava trascrivendo furiosamente tutto, e
con
lei, molti altri. Al inspirò appena.
Che discorso
strano… non sembra
certo parlare di Trasfigurazione…
Un
discorso del genere si sposava soltanto con una materia.
L’alchimia.
E non
è mai stata insegnata ad una
scuola superiore di magia…
Ainsel
Prynn si ergeva dritta davanti alla classe, soddisfatta. Sembrava che
la
confusione degli studenti desse più vigore alle sue parole.
“Quello
che faremo nel breve periodo di tempo che passeremo assieme
sarà scoprire come
funziona quest’affascinante materia, dall’interno.
E naturalmente, spero sarò in grado di farvi trasfigurare
come si deve qualcosa
di più complesso di queste tazzine!”
“È
in
gamba, eh?”
Sogghignò Loki, mentre con Michel, Tom e Albus si recava a
pranzo. Michel lo
ascoltava pazientemente, mentre gli altri due, a due metri di distanza
l’uno
dall’altro, erano sprofondati nei propri pensieri.
“In
gamba, e pure uno schianto!” Continuò ispirato.
“Avete visto che capelli, e che
sorriso e che… occhi?”
Tom alzò
appena la testa. “L’hai notato anche tu, eh, mio
buon Dursley? Gli occhi…”
disse insinuante.
Chiaramente non si parlava di globi oculari.
“Ho notato che aveva gli occhi blu, sì.”
Travisò distrattamente, facendolo sbuffare
esasperato.
“Io intendevo qualcosa che va sempre a
paio, Signor Dursley…”
“Io no. Ho solo notato che è una bella donna. Dato
oggettivo.” Lo seccò irritato.
Al non aveva ancora aperto bocca.
“E tu che ne pensi Albie?” chiese Nott, per rendere
partecipe il compagno.
“È Al.” Lo fulminò,
affatto grato. “E
comunque cosa vuoi che pensi? L’abbiamo avuta per
un’ora scarsa, perché è pure
arrivata in ritardo. E poi quel discorso non aveva il minimo senso.
È tipicamente
americano impressionare con un bel po’ di frasi
roboanti.”
Loki lo guardò perplesso. “Sì, ma io
intendevo il fatto che abbia delle gran-…”
“Per me è troppo bionda. Non mi piacciono
bionde.” Infilò la gigantesca porta
della Sala Grande, senza dare a nessuno la possibilità di
ribattere.
“Io
intendevo il seno.” sbottò Nott esasperato.
“Il seno, per
Salazar!” Guardò la direzione presa da Albus.
“Comunque… Che gli è preso?”
Thomas
a
quel punto si sentì piuttosto
osservato “Come, prego?” chiese infastidito.
“Sei stato l’ultimo a rimanere da solo in sua
compagnia.” Sentenziò gravemente
Loki. Ma gli occhi bicolori gli brillavano di divertimento.
“Confessa.”
“Che hai fatto al nostro piccolo raggio di sole?”
incalzò Michel.
“… Assolutamente niente. È strano da
stamattina. Non ho il monopolio dei suoi
malumori, comunque.” Borbottò.
Non
era
stupido: si era accorto che Al era nervoso. A colazione non gli aveva
neanche
rivolto la parola.
Ma vogliamo
parlare della mia sveglia di stamattina?
Si
era
quasi preso un colpo quando si era trovato il cugino a due millimetri
dal viso.
Era
stato
un contatto non richiesto, intimo…
Troppo intimo.
Sentirsi invadere in quel
modo gli spazi vitali lo aveva inevitabilmente portato ad irritarsi,
e…
Se
chiudeva gli occhi se lo rivedeva di nuovo addosso. Sentiva il peso
sulle sue
ossa, il calore della pelle contro la sua mano e l’odore di
inchiostro e
cioccolato.
Il
profumo di Al.
E
questo
non andava bene. Per niente.
E poi
dovrebbe essere lui quello
di malumore…
****
Aula di
Trasfigurazione.
“Arrivederci
professoressa Prynn!”
“Arrivederci!”
La donna fece un sorriso all’ultimo studente che usciva
dall’aula, non dopo
averle lanciato un’occhiata di adorante apprezzamento.
Era
divertente. Davvero, tutto quello era molto
divertente.
Si
sedette comodamente sulla cattedra, osservando l’aula nel suo
complesso.
Questi
inglesi… hanno un gusto
cupo che proprio…
Estrasse
uno specchietto d’argento dalla tasca del mantello e lo
aprì.
Mmh…
non si fanno attendere.
Un
messaggio subito vi si formò, con una grafia sfilacciata e
brumosa.
‘L’hai
trovato?’
Ainsel
Prynn ridacchiò. Era esilarante che dubitassero proprio di lei, con la armi che aveva in possesso.
‘Naturalmente.
È proprio grazioso.
Il piano, comunque, va avanti.’
****
Note:
Principio
dello scambio
equivalente: il
trademark, come molti di voi avranno capito, è FullMetal
Alchemist. Il termine
è stato preso da lì, come la definizione. Per il
resto, FullMetal parla di una
cosa, la mia storia di un’altra. Diciamo che abbiamo le
stesse fonti a cui
attingere. :P
1
– Non
so se avevo già dato un famiglio ad Al, ma quando ho riletto
l’epilogo ho
notato che Albus (per quel poco che si capisce) ha un gufo, come il
fratello,
avendo ‘due gabbie con grossi gufi nel carrello’.
Anacleto perché… beh. Al ha
comunque avuto contatti con la tv babbana. La spada nella roccia e il
gufo
Anacleto vi dicono niente? XD
2-Accademia Magica di Salem: nel
Potterverse è citata la presenza di una comunità
di streghe e maghi a Salem,
precisamente nel quarto libro. Ho pensato che fosse impossibile che in
America
non ci fosse una scuola di magia. Salem è, per tradizione,
un luogo magico. Ho
fatto due più due. Le informazioni date da Scorpius sono
tutte di mia
invenzione.
3-
Principio enunciato dal chimico Antoine
Lavoisier. È anche il tema centrale della
speculazione alchimistica. ;)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo XII ***
Lo
scorso capitolo non ha riscosso molte attenzioni, ho
notato. Eppure pensavo che con la scena tra Al e Tom…
vabbeh, capitolo sportivo
questo. E torna in gioco una nostra vecchia conoscenza. Il tipo
occhialuto che
ha dato nome al libro vi dice niente?
Godetevelo. E lasciatemi qualche recensioncina, via! T_T
@HelSelbstmord: I porcupine
Tree? Ma io li adoro!
Metterei più canzoni, ma è quel progressive che
mal si sposa con le atmosfere
alla HP XD. Trains
però è meravigliosa. La ascolterei
in continuazione (e in
effetti, uhm, lo faccio). Pausa musicale a parte, contenta di averti
soddisfatto con questo capitolo. Ho sempre adorato
l’alchimia, che è un mondo
allegorico talmente complesso che ovviamente ho capito (male) solo la
superficie. Ah, per Ainsel è normale stia antipatica, lo
deve fare. ;)
@Trixina: Come ti ho
già scritto nella mail
che ti ho mandato (arrivata?) mi dispiace davvero TANTO di aver saltato
la tua
risposta. Ero super sicura di averti risposto, e invece… per
rispondere alla
tua domanda Fred e Roxanne non sono gemelli, ma Fred è il
fratello maggiore di
Roxie. Informazione presa da HP Wiki, quindi penso sia abbastanza
affidabile.
Ovviamente i pareri discordano, e la Row non ci ha date molte
informazioni. Oh, sì, Anacleto è
precisamente petulante come quello del cartone animato! XD Per la
faccenda
capelli-Teddy ti ho risposto sull’email, pardon, questioni di
segretezza. XD
@Nyappy: FullMetal
Alchemist ha più o meno
impestato l’adolescenza di tutto EFP ho idea XD. Beh, gran
bel cartone, no?
Grazie per la recensione!
@Pietro90: E’
davvero un piacere sapere che
nonostante non ti piaccia continui a leggermi. Significa che ho proprio
colpito
nel mio intento. Cioè di non fare soltanto una storia slash.
Yuppy! Il discorso
‘chimico’ sulla trasfigurazione è una
cosa a cui avevo pensato spesso, quindi
grazie per avermelo notato! A presto!
@Altovoltaggio: Figurati,
dovere. Come ho detto
non è una storia soltanto slash. Anche, ma non è
un fattore preponderante e che
va a scapito della trama. E poi, abbiamo sempre Scorpius e Rosie a
riequilibrare, no? Grazie per seguirmi!
****
Capitolo XII
I don't blame you for
being you
But you can't
blame me for hating it
So say, what
are you waiting for?
Kiss
her, kiss her
I
set my clocks early 'cause I know I'm always late
(A Little
Less Sixteen Candles [A Little More Touch Me], Fall Out Boy)
5 Settembre
2022
Primo
pomeriggio, Campo di
Quidditch.
Il
campo
di Quidditch ospitava la selezione annuale dei membri di ben due
squadre quel
giorno. Un caso più unico che raro, dovuto alla richiesta da
parte dell’ufficio
Auror di non ‘dilazionare in più giorni’
una riunione potenzialmente dispersiva
di studenti in un unico posto.
Una
piccola squadra di auror percorreva il perimetro del campo, lanciando
sguardi
ai ragazzi che si libravano in aria sulle proprie scope.
Ciascuna
squadra aveva preso una mezzaluna del campo, e cercavano, con fatica,
di darsi
meno fastidio possibile.
Michel lanciò uno sguardo tagliente a Scorpius, dopo aver
schivato un bolide
che casualmente uno dei gemelli
Scamandro aveva spedito dalla parte Serpeverde.
“Vogliamo
finirla?!”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Non l’abbiamo
certo fatto apposta. Lorcan,
ehy! Vacci piano!”
“Sono Lysander!” urlò quello,
già lontano.
Michel
inspirò pesantemente. Poi lanciò uno sguardo
verso la metà Grifondoro.
“Sta andando male come sembra, Sy?” chiese usando
il vecchio nomignolo
d’infanzia. L’unico proponibile per un nome
improponibile.
“Ce
la
stiamo cavando, a differenza vostra, Mike.”
Ribatté beffardo, indicando con un
cenno della testa un aspirante portiere verde-argento, aggrappato
all’anello.
Michel arrischiò un’occhiata, poi
sospirò.
“Coraggio
Capitaine… non sta
andando così male.”
Sghignazzò Scorpius, prima
di volare via.
Michel
emise una smorfia stizzita.
E ora dove
diavolo è Al?!
Al
stava
volteggiando per il campo, beandosi del momentaneo far niente dato che
il suo
posto era stato riconfermato neanche mezz’ora prima.
“Potter!
Scendi giù!” sbottò.
Non possiamo
farci soffiare la
Coppa anche quest’anno! È
inammissibile!
Al
gli planò
affianco, perplesso. “Che succede?”
“Che succede mi chiedi?” lo guardò, ma
poi gli arruffò i capelli con un
sospiro. Aveva un’aria così confusa e adorabile
che non poteva non capitolare.
Era un fine esteta anche su una scopa, dopotutto.
“Nulla.
Capitan
Malfoy sta dando fondo a tutta la sua ironia. Queste selezioni
condivise sono
uno stillicidio.”
Al annuì: capiva la sua frustrazione. James era
già passato cinque o sei volte
nella sua traiettoria, rischiando di fargli perdere l’assetto
di volo, giusto… così.
Tanto per.
Idiota.
Scorpius,
certo, l’aveva rimproverato, ma senza troppa convinzione.
La
rivalità agonistica, è rivalità
agonistica anche quando non siamo in partita…
“Pensala
così…” Cerco di consolarlo.
“Dopo l’aggressione di Tom erano a rischio anche le
selezioni. È stata una fortuna che Madama Bumb si sia
impuntata tanto.”
Michel roteò gli occhi al cielo. “Certo,
perché ora quei cosi volano
anche?”
Al fece spallucce. “Non ne ho idea. Ma sai come sono al
Ministero. Bisogna salvaguardare le nostre
giovani
promesse per il futuro…”
borbottò imitando Kingsley, facendolo ridacchiare.
“Vedo
che
adesso sei di buon’umore. Mi fa piacere. Senti, sostituisci
Daniels alla
pluffa. Se continua a terrorizzare quelle mammolette finirà
che non avremo più
nessuno da esaminare…”
Al abbozzò un saluto militare. “Aye
aye
mon capitaine!”
Mentre si sostituiva a Daniels, un corpulento ragazzo del settimo,
sbuffò.
Non che si sentisse meglio. A dirla tutta, affatto.
Era
ancora irritato con Thomas, si sentiva ancora a disagio per
l’episodio della
mattina.
Ma
quando
volava non c’era niente da fare… accantonava il
problema. ‘Lo lasciava a terra
’, come amava dire suo padre.
C’erano
ben poche cose che ad Albus piacessero come volare.
E
nessuna
che lo facesse sentire così bene.
“Ehy,
sei
pronto?” chiese al ragazzo mingherlino. Gli sorrise.
“Non la tirerò tanto…”
“Potter! Smettila di fare
conversazione e tiragli quella dannata pluffa prima che cada dalla
scopa!”
Sbottò Zabini sfrecciandogli accanto. Al sospirò:
a volte dimenticava che la
gentilezza d’animo non era qualità riconosciuta
nella sua Casa.
Guardò verso la squadra avversaria. Il fratello
intercettò l’occhiata e gli
mostrò la lingua, improvvisando un’acrobazia sulla
scopa. Albus gli mostrò il medio,
voltandosi poi verso lo spaurito aspirante.
“Allora, continuiamo?”
Odio i Grifondoro…
Scorpius
intanto supervisionava le loro
selezioni, che, con sua somma soddisfazione, si stavano svolgendo in
modo
soddisfacente per tutti i ruoli.
Certo,
c’è ancora da trovare un
cercatore… e se possibile che possa competere con Mini-Potter.
Lanciò
un’occhiata agli spalti e ci trovò esattamente chi
si aspettava di trovarci.
Sfoderò un sorriso deliziato, volando fino
all’altezza della quarta fila, dove
Rose, imbacuccata in una giacca di jeans, guardava giù con
aria preoccupata.
“Ehilà, Weasley!” esclamò
allegro. Rose gli scoccò un’occhiataccia.
“Va’ ad inseguire boccini, Malfoy.”
Replicò, fingendo ostentatamente di non
calcolarlo.
Scorpius rise. “Come siamo poco informate! Io gioco come
portiere, non sono il
cercatore. Tuo fratello invece a quanto pare aspira al
ruolo…”
Indicò
con un cenno della testa Hugo, che, a terra, stringeva spasmodicamente
il suo
manico di scopa, vestito della pettorina rossa della squadra.
Rose gli lanciò un’occhiata valutativa.
“Sì, è vero.”
“Sembra
un po’ nervosetto…”
“È bravo.” Borbottò.
“È solo un tipo ansioso, tutto qui. E James non
migliora
le cose.”
Cretino. Come
si fa a dire ‘non
preoccuparti, anche cadrai da dieci metri d’altezza la prova
non verrà
invalidata’? Cioè, è da dementi.
Scorpius
sorrise.
“Non è un tipo molto incoraggiante,
vero?”
“Già…” fece una smorfia. Non
gli piaceva parlar male del cugino, benché fosse
un deficiente conclamato. Solidarietà Potter-Weasley.
Anche se a
volte vorrei proprio
evitarmela…
“Comunque
cercavo proprio te.” Cambiò discorso Scorpius.
“Che gioia.” Commentò atona. Gli
lanciò però un’occhiata incuriosita.
“Per
quale motivo?”
“Ti ricordi della luce verde che abbiamo visto la sera del
nostro arrivo?”
Rose batté le palpebre: certo che se la ricordava. Aveva
fatto anche delle
ricerche in merito, in biblioteca, senza trovare nulla. Era solo giunta
alla
conclusione che non era una stella
cometa.
Ma non
pensavo che lui se ne ricordasse…
Annuì,
troppo
stupita per trovare una battuta adeguata.
“Beh,
in
questi giorni ammetto che mi sia un po’ passata di mente.
Sai, il lucertolone,
Dursley mezzo morto… auror in giro per la scuola…
Cose così.” Si appoggiò con
tutto il peso al manico, facendolo inclinare per avvicinarlesi.
“Però oggi mi è
venuta un’idea.”
Rose
finse di non notare come fosse attraente,
con i capelli scompigliati dal vento e l’aria provata dallo
sforzo di
capitaneggiare un branco di Grifondoro esuberanti.
Gli sta bene
l’uniforme d’allenamento…
Argh!
Si
schiarì la voce. “… Sarebbe?”
“Andiamoci.
Andiamo a controllare dove abbiamo visto sparire quella
luce.” Disse semplicemente.
“Dove? Nella Foresta Proibita?” Inarcò
le sopracciglia. “Ti ha dato di volta il
cervello, Malfoy? Ci sono barriere protettive ovunque… Non
possiamo neanche avvicinarci alla
Foresta, figurati
spingerci fin dove…”
“Ma non ci andremo a piedi.” Batté la
mano sul manico Nimbus 3000. “Ci andremo
via scopa.”
Rose
rimase in attonito silenzio per qualche attimo.
“No. Tu sei veramente
fuori di testa.
Credevo fossi matto, ma non fino a questo punto!”
Scorpius assunse un’aria offesa. “Mi ferisci
così, biscottino! La mia idea è
fantastica, priva di complicazioni! Prendiamo le scope, e sorvoliamo la Foresta.
Le barriere non sono
in aria. Quella… cosa…
deve essere
atterrata da qualche parte. Quindi ci sarà un cratere, e
dall’alto potremo
vederlo. ”
“Non è un asteroide!”
“Sì, ma è atterrato.
L’abbiamo visto.
” Continuò testardo. “Io, comunque, ci
vado.”
“Non
puoi! È proibito. E poi sei un prefetto, Santo
Godric!”
“Appunto. Lo sei anche tu.” Sogghignò
mentre gli occhi gli brillavano di una
preoccupante luce divertita. “Non puoi lasciarmi andare da
solo. E non puoi
neanche togliermi punti.”
“Posso sempre chiedere gentilmente a qualche professore di
farlo…” lo minacciò.
“Andiamo, collega…
non sei neanche un
po’ curiosa? Eppure i tuoi facevano parte del trio
più ficcanaso dell’intera
storia di Hogwarts…”
Rose arrossì indignata, percependo con orrore che la sua
convinzione si stava lentamente
sgretolando sotto i colpi di quel sorriso. “E questo come lo
sai?”
“Me l’ha detto mio padre. Ha aggiunto altro, ma per
buona pace non commenterò.”
Sogghignò. “Allora? Il tuo senso di trasgressione
non sta pizzicando?”
Rose lo guardò esasperata. Non doveva, non doveva sorridergli, maledizione!
Si trovò senza accorgersene a piegare gli angoli delle
labbra. In un sorriso.
“Ah!
Stai
sorridendo! Coraggio, Weasley!”
Merda.
“Okay.”
Sibilò assottigliando gli occhi. “Verrò
con te, ma… solo un breve volo. Una
ricognizione. E se ci beccheranno darò tutta la colpa a
te.”
“Sia mai. Un vero cavaliere si prende tutte le
colpe.” Fece un pomposo mezzo
inchino. “Ci vediamo dopo gli allenamenti, dietro la rimessa.
Troverò un manico
anche per te, signorina. Non ne hai uno personale, vero?”
“No, naturalmente.” Dissimulò
tranquillità che non provava affatto. Se suo
fratello era nervoso su una scopa, beh… lei era terrorizzata.
E ho molte
più ragioni per
esserlo. Dannazione! Perché mi faccio sempre trascinare!?
Ma
Scorpius
già le sorrideva entusiasta. “A dopo
Rosey-Posey!” sghignazzò, prima di
spronare la scopa e raggiungere i compagni di squadra.
Rose
si
risedette pesantemente sulle gradinate.
Merda.
Per
un
attimo pensò di scendere, invadere il campo, afferrare
Scorpius per il mantello
dell’uniforme da allenamento e urlargli contro che non aveva
la minima
intenzione di farsi trascinare nelle sue stronzate. E che il suo
stupido
sorriso non le faceva il minimo
effetto.
Ma
poi lo
vide avvicinarsi ad Hugo e afferrarlo bonariamente per una spalla,
chinandosi a
parlargli fitto. Qualsiasi cosa gli disse, funzionò.
Vide il fratello riprendere colore, lanciare un’occhiata quasi grata (era pur sempre un Weasley)
a Malfoy e salire sul suo
manico, mentre James, perplesso, liberava il boccino.
Dieci
minuti dopo tornò trionfante, stringendolo tra le dita della
mano sinistra. La
squadra applaudì entusiasta e James lo placcò
immediatamente per arruffargli i
capelli e complimentarsi in modo maschio.
…
Ma che gli ha detto?
Rose
guardò sbalordita Scorpius, che per tutta risposta si
voltò e le strizzò
l’occhio.
Merda. Non
Malfoy, non Malfoy!
Invece
era proprio Malfoy.
Aveva
finalmente realizzato: le piaceva Scorpius Hyperion Malfoy.
****
Biblioteca,
Hogwarts.
A pochi minuti dalla triste realizzazione di Rose.
Thomas apprezzava la biblioteca. Il termine era esatto, considerando
che
c’erano ben pochi posti in cui si sentisse veramente
a suo agio. Sedeva, eccezionalmente con le maniche del
maglioncino
rimboccate, a studiare un grosso tomo dall’aria centenaria.
Il
libro era
‘Cento ed uno stemmi nobiliari magici e inglesi’.
Aveva
pensato che se il medaglione sembrava di buona fattura, probabilmente
lo era. Nelle Indie si erano spostati un sacco di maghi, oltre che
i babbani,
per tentare la fortuna in un nuovo paese. Molti di loro erano
purosangue,
con risorse necessarie per rifarsi una nuova vita con tutti gli agi del
caso.
Confrontando
l’arabesco disegnato davanti al medaglione con le
illustrazioni sperava di
venirne a capo.
Non
sapeva neanche lui, esattamente, perché volesse scoprire
l’origine di
quell’oggetto.
Curiosità,
certo. L’aveva… preso…
perché lo
incuriosiva, soprattutto.
E
perché
sperava di trovare qualche indizio sul motivo per il cui il Naga se
l’era presa
con lui.
Non so se il
medaglione c’entri
qualcosa… ma era l’unica cosa stonata addosso a
quel bestione.
Come se fosse
stato un regalo. Non
poteva essere suo.
Inoltre
il potere magico di quell’oggetto era forte, vivido. Il
medaglione, anche
lasciato sopra il tavolo per ore, continuava a essere tiepido. Come
se…
Come se fosse
vivo.
Inspirò
appena, guardandolo, posato accanto ad un paio di libri di studio che
aveva
portato per dissimulare la sua ricerca agli occhi di curiosi o cugini in arrivo.
Non che tema
Al o Michel… sono al
campo di Quidditch. E Nott sarà dietro a qualche sua
strampalata compravendita…
A proposito
di Nott…
C’era
anche la faccenda della nuova professoressa. Aveva deciso di
accantonare le
sensazioni che gli aveva scatenato, ma ritornavano ad ondate.
La
più
forte era quella di tensione.
Non è solo questo...
Si sentiva inquieto, come se dovesse ricordarsi chi fosse per starne alla larga.
Già.
Eppure
era ridicolo: non era mai stato in America, né tantomeno a
Salem.
Inspirò,
intimandosi di concentrarsi nuovamente sulle pagine che stava leggendo.
Per
ora, nessun risultato.
“Sapevo
che ti avrei trovato qui, Thomas.”
Il ragazzo alzo la testa di scatto. Si trovò di fronte a
occhiali fuori moda, capelli
scompigliati e un sorriso divertito.
Harry Potter, il suo padrino.
“Ciao
zio
Harry…” Sorrise appena, alzandosi.
Evitò di guardare il medaglione accanto a
sé. Con un po’ di fortuna non l’avrebbe
notato. Spostò con un leggero movimento
il libro per occultarlo sotto di esso. “Come mai
qui?”
L’uomo scrollò le spalle, guardandosi attorno. Non
indossava l’uniforma da
auror, ma semplicemente una giacca e un paio di jeans. Era sempre stato
dannatamente informale.
Forse troppo.
È a capo
dell’ufficio auror dopotutto…
“Lavoro.
Sono
venuto a discutere con il Preside delle misure di sicurezza attorno
alla
Foresta Proibita.” Gli lanciò
un’occhiata. “Come ti senti? Ti avevo chiesto di
mandarmi un gufo, forse Al non te l’ha
detto…”
“No, me l’ha detto. Sono io che me ne sono
dimenticato. Mi dispiace. Le
indagini stanno andando avanti?” Si informò,
facendo cenno di sedersi davanti a
lui.
Harry si sedette con uno sbuffo. “Più o meno. I
miei ragazzi stanno battendo
ogni palmo della Foresta… per il momento, non hanno trovato
ancora nulla.” si
tolse gli occhiali, pulendoli con il fazzoletto. Gli occhi,
così simili a
quelli di Albus, lo squadrarono attentamente.
Distolse
lo sguardo, sentendosi a disagio.
“Teddy
mi
ha detto della tua scappatella con Jamie. Non pensavo avreste mai
collaborato
per qualcosa…”
Sorrise, e sembrò sinceramente divertito. Non negativo.
È
probabilmente uno di quei rari
adulti che si ricorda della propria turbolenta adolescenza…
“Mi
serviva il suo Mantello. Anzi, il tuo.” Confessò
candidamente “Sai che ce l’ha
lui, vero?”
“Non sono uno stupido, Tom.” Ridacchiò.
“Certo che lo so. E non sarei neanche
troppo contrario se Ginny non ci perdesse il sonno, per le cavolate che
combina…” Si rimise gli occhiali. “Hai
trovato qualcosa di interessante?”
Tom per un momento fu quasi sicuro che sapesse del medaglione.
Impossibile.
Scosse
la
testa.
“Nulla. Volevo solo… vederlo. Dopotutto mi ha
quasi ammazzato.” Confessò, a
metà tra la verità e la bugia. “Ho
approfittato del fatto che James volesse
fare lo stesso. Comunque non ci siamo riusciti. Ma sono stato
sufficientemente
edotto del fatto che non avrei dovuto trascinare tuo
figlio in quel guaio…” Concluse
sardonico.
“Da Teddy.” sospirò Harry.
“Non prenderla sul personale, ma Ted è sempre un
po’
di parte quando si tratta di James…”
“Sì, l’ho notato.”
“È
stato
così parziale?” Tom fece una smorfia, suo
malgrado.
“No, ha tolto ad entrambi la stessa quantità di
punti. È stata solo
un’impressione. Comunque non è
importante.” Abbassò lo sguardo sul libro, per
poi rialzarlo. “Sapete perché quel Naga
è venuto qui?”
Perché stesse cercando me?
“L’ipotesi più sensata è che
si sia semplicemente perso. È vero, siamo un po’
distanti da Edimburgo, ma quella specie è capace di
percorrere molte miglia in
breve tempo. Forse si è staccato dal gruppo, ed ha
definitivamente perso
l’orientamento…”
“E perché mi avrebbe aggredito? Ha inscenato una caccia, con me.”
Obbiettò.
Harry tirò un sospiro, passandosi una mano trai capelli. Tom
occhieggiò la cicatrice,
ormai quasi invisibile.
L’unico
uomo sopravvissuto alla
maledizione senza perdono per due volte…
Chissà
com’è stato trovarsi di
fronte alla morte, per ben due volte… Chissà cosa
si prova…
“Non
lo
so, Tom. Forse perché ha riconosciuto in te una preda. Sei
un ragazzo sano,
forte. Certo, anche Al lo è, ma…”
…
quegli esseri hanno una sorta di recettore
che capta la forza magica di oggetti, persone.
Secondo le
nostre fonti ne sono
attratti come falene alla luce…
E la tua
forza magica è stata,
forse, quella luce. Se Al è una lampadina tu sei un fanale.
Quel
pensiero gli era scivolato nella mente senza volerlo. Era tanto che non
vi
indugiava.
Quando
per la prima volta l’avevano analizzato, da neonato, al San
Mungo avevano
confermato che sì, non aveva tracce di Magia Oscura in
sé, ma la concentrazione
di forza magica era superiore alla norma.
Era quella di
un adulto…
Naturalmente
non aveva avuto alcun modo di mostrarsi all’esterno. Il
conduttore, il corpo di
Tom, era ancora troppo acerbo per esprimere il suo
‘potenziale’ (il medimago
l’aveva chiamato così) in modo completo.
“Le
faccio un esempio, Signor
Potter… È come una bottiglia dal collo molto
stretto e il ventre pieno di
sassolini. Quei sassolini sono più grandi
dell’apertura e quindi non possono
uscire.”
Sebbene…
Sebbene
ci fossero stati degli episodi a fargli dubitare delle parole del
medimago.
Quando
era bambino, Harry aveva sempre avuto paura che Tom fosse spaventato
dall’avvento dei suoi poteri.
Dopotutto
era cresciuto trai babbani. E Dudley non era la persona migliore a cui
chiedere
spiegazioni, specie su quell’argomento.
Certo,
l’aveva sempre visto fare magie, ma cose di poco conto.
Dudley era tassativo su
questo. Non aveva la minima intenzione di vedere ‘strani
trucchi’ a casa sua.
Per
un
periodo era stato piuttosto preoccupato, ma poi, un giorno, aveva
capito che
Thomas non avrebbe mai avuto paura delle sue capacità.
Semplicemente,
perché se le aspettava.
Tom se ne
stava con i piedi
dondolanti nel vuoto a guardare il lento, placido scorrere del Tamigi.
Era
comodamente seduto sul cornicione del tetto di una delle due torri, a
svariati
metri di altezza.
Si era voltato al sonoro Crack! della materializzazione,
che aveva imparato a conoscere come il segnale che era arrivato zio
Harry.
“Tom! Eccoti qui birbante!” aveva sospirato
l’uomo sollevato: non era stato
affatto facile gestire l’ansia congiunta dei coniugi Dursley.
“Ciao zio.” l’aveva salutato
perfettamente a suo agio. “È bello il fiume. Ci
sono le chiatte.” Aveva indicato con il dito una barcone
bianco che
pigramente risaliva le acque.
Harry aveva sospirato, sedendosi accanto a lui.
Sperava solo
che nessuno, da sotto,
li notasse. Sarebbe stato un po’ difficile spiegare come ci
erano arrivati.
“Va tutto bene Tom?” Gli aveva chiesto. Il bambino
l’aveva squadrato con quella
che sembrava proprio perplessità, sul volto tondo di un
bimbetto di appena sei anni.
“Sì.
Volevo vedere le chiatte. Papà
aveva promesso che ci avrebbe portato, ma poi non l’ha fatto.
Così ci sono
andato da solo.” Aveva concluso, stringendosi nelle spalle.
“…
intendi dire che volevi proprio
venire qui?”
Harry aveva inarcato le sopracciglia: non aveva mai sentito di nessun
bambino,
specie di quell’età, che era riuscito a
materializzarsi di sua spontanea
volontà.
Ma Thomas,
beh, era un caso particolare.
Tom aveva
battuto le palpebre
confuso. “Certo. Ci volevo andare e ci sono
andato.” Aveva socchiuso gli occhi,
squadrandolo di sottecchi. Aveva un modo singolare per studiare
qualcuno.
Sembrava un
gattino diffidente,
aveva commentato una volta Robin, la moglie di Dudley.
“Ho
fatto male?”
C’era
ansia nel tono di voce. E
questo, almeno, era perfettamente normale.
Harry gli
aveva arruffato i
capelli.
“No
Tom. Ma hai fatto preoccupare i
tuoi genitori, di questo te ne devi rendere conto… Non si
fa.”
“È
sbagliato?” chiese mordendosi un
labbro.
“Sì, Tom. Lo è. Non lo devi
rifare.”
Tom aveva emesso un piccolo sospiro. “Va bene.”
Harry gli
aveva messo una mano
sulla spalla. “Forza, andiamo.”
Scesi, dopo una materializzazione che aveva un po’
scombussolato il bambino (io
sono stato più bravo a farla, zio) Harry l’aveva
portato fino al vialetto di
casa. Aveva sospirato. Doveva chiederglielo.
“Tom,
non hai avuto paura?”
Tom ci aveva pensato. Aveva scosso la testa. “Tu lo fai
sempre zio. Volevo farlo anch’io. Sono stato
bravo?” gli aveva chiesto con un sorrisino
soddisfatto.
Harry aveva
sorriso di rimando, non
potendo fare nient’altro.
“Sì,
Tom, davvero molto bravo.”
Comunque,
venendo qui ad Hogwarts
la situazione si è normalizzata… Non è
più capace di materializzarsi da solo. E
secondo il San Mungo i suoi parametri magici sono rientrati nella
norma…
“Anche
Al
è un ragazzo in salute, ma ha scelto
me…?” lo incalzò Tom. Harry
batté le
palpebre, riportando l’attenzione sul figlioccio.
“Perché
sei più vistoso.” Concluse con un sorriso bonario.
In fondo era una mezza
verità.
Odiava
dover mentire a Thomas, ma il particolare della sua forza magica
altalenante
era qualcosa di cui era meglio non metterlo a parte.
In ogni caso,
saperlo o non
saperlo non cambierebbe nulla per lui…
“Al non ha
l’aria di una preda... diciamo
gustosa. Alla sua età io ero come lui. In effetti, si
chiedevano tutti come
avessi fatto ad aver ragione di Voldemort.”
Tom fece una smorfia, annuendo e accettando la spiegazione.
Stronzate.
Quella bestia voleva
me. Se ci fossero stati Malfoy o James avrebbe comunque voluto il
sottoscritto…
“Comunque
stiamo indagando. Certo, se solo riuscissimo a ritrovare i compagni di
quel Naga
sarebbe tutto più semplice. Ma di loro si sono perse le
tracce.”
“Credete che siano nascosti nella Foresta Proibita?”
Harry scosse la testa. “A dire la verità, no.
Teniamo le barriere e una squadra
solo per tener tranquilli i genitori. Procedura.”
Scrollò le spalle. “Hagrid ha
parlato con i centauri. Se ci fosse qualche nuova creatura nella
Foresta, loro
lo saprebbero. Ed hanno detto di non aver visto niente… a
modo loro, certo, ma
l’hanno detto.”
“Le stelle sono luminose stasera?”
suggerì con un sogghignetto, facendolo
ridere.
“Sì, qualcosa del genere…
Beh!” si alzò. “Credo di essere in
spaventoso ritardo
con Vitious. Non vorrei proprio che mi tirasse le orecchie. Devo
proprio
andare.”
Tom si alzò di rimando. “Dirò ad Al che
sei passato. Qualche consegna da
lasciarmi?”
“Nessuna, digli solo di non farsi abbattere troppo dalle
selezioni di
quest’anno.” Ridacchiò.
Tom sbuffò: sapeva che il padrino cercava di non essere
parziale con i due
figli, ma era evidente la gioia con cui accoglieva la notizia delle
vittorie
rosso-oro.
“Cercherò
di dirglielo in modo che non mi mozzi una mano…”
Ironizzò.
Harry
ridacchiò. “Mi raccomando Tom. Tieniti fuori dai
guai, mmh?”
“Cercherò.” Ripeté.
Si
salutarono, poi Harry lasciò la biblioteca, seguito da una
scia di occhiate
curiose.
Il Salvatore
Del Mondo Magico…
Tom
si
risedette, alzando la copertina del libro. Il medaglione lo aspettava,
silente.
Lo prese in mano. Lo girò.
Si accorse in quel momento che la filigrana dello stemma aveva qualcosa
di
strano. Era come… posticcia. Come se fosse stata aggiunta.
Non l’aveva notato
subito, perennemente preso a scrutarlo.
Spesso le
cose sono davanti ai
nostri occhi, e non le vediamo…
Prese
la
bacchetta e con un ‘gratta e netta’
eliminò lo sporco dovuto all’ossidazione
dell’argento, incurante di distruggere il lieve bassorilievo
smaltato.
Lo
sapevo… era una copertura.
Sotto lo
stemma
apparve una scritta, incisa nel metallo.
Di
enigma e’ fatto il
mio secondo nome.
Le
prime tre di tomba
son le prime
…
Ma che vuol dire?
Corrugò
le sopracciglia.
Le
cose
si complicavano.
****
Note:
1 –
Di solito viene confuso e chiamato London
Bridge. Ponte
piuttosto famoso vicino alla torre di Londra.
Tower Bridge
2
– L’ho
inventata io… e sì. Lo so. Fa pena. Ah, dovrebbe
essere una sciarada. Se voi la capite è normale,
ma ricordate che Tom è a
digiuno di informazioni. Mica come noi. ;)
|
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Capitolo 17 *** Capitolo XII (2° parte) ***
Considerando
le scarse recensioni ricevute nello scorso capitolo, in rapporto 100:1
con le
visite non mi so rapportare bene. Non riesco a capire se questa storia
piaccia
o meno. Per uno scrittore di fan-fiction (specialmente) le recensioni
sono
l’unico compenso che riceve. E’ frustrante non
vederne quando c’è chi comunque
legge.
Comunque,
causa studio, il prossimo aggiornamento di giovedì salta.
@Kika2: Ciao Kika!
Beh, prima di tutto
grazie per i complimenti! Il medaglione sembra contenere qualcosa di
vivo, ma t’assicuro
che non c’è niente XD dopotutto è solo
un’impressione di Thomas! XD
@Trixina: Di niente!
;) Dovevo farmi
perdonare in qualche modo per averti ignorato! XD Sì,
l’antagonismo
Serpi-Grifoni ormai è ridotto all’ambito sportivo,
anche se certo, non posso
parlare a nome di tutti i Grifondoro (guarda Jamie per esempio XD) La
sciarada
non l’hai capita? Meno
male, almeno non l’ho fatta troppo
semplice! XD Sennò che gusto c’era!
@Nyappy: Ah, chi non
adora Sy e Rosie? ;) Grazie
mille per la recensione e per la costanza!
@Ombra: Figurati,
capisco benissimo la
scuola! Meno male ormai me la sono lasciata alle spalle! Purtroppo non
ti posso
passare il numero di Al, perché beh, non ha un cellulare il
nostro maghetto! XD
Apparte le stronzate, ecco cosa sono riusciti a combinare! Ovviamente
un
casino!
@Altovoltaggio: non
preoccuparti, l’importante è
essere passata! XD Il punto di vista di Scorpius qui si
evincerà! Spero ti
piaccia! Grazie per la recensione!
****
Capitolo XII
(2° parte)
Love. This is
getting
the best of me.
And truth be told,
you
were the start of it all.
(155, Plus 44)
Rimessa delle
Scope, accanto al
Campo di Quidditch.
Dopo le
selezioni.
Rose
ci
rimuginò sopra fino all’ultimo secondo.
Andare o non
andare?
Alla fine
optò
per una risoluzione positiva: nonostante tutto, si disse, non poteva
lasciare
quel deficiente di Malfoy da solo. Sarebbe stato capace di passare
sotto i nasi
degli auror, dritto verso la Foresta… e di
salutarli con la mano.
Deficiente.
Si
diresse con cipiglio ferreo verso la capanna dove venivano lasciati le
scope
delle squadre di Quidditch, debitamente incantate onde evitare
manomissioni da
parte delle squadre avversarie.
Scorpius
era già lì, appoggiato indolentemente alla porta.
Si era lasciato il sotto
dell’uniforme, togliendosi il mantello e le protezioni. Il
maglione
giallo-rosso spiccava nel grigio dilagante di un pomeriggio nuvoloso.
Le
sorrise.
“Ehilà Rosey!”
Se non altro non ha aggiunto Posey…
“Ehilà
folle.” Lo apostrofò beffarda, raggiungendolo.
“Se vuoi un consiglio mi
toglierei quel fanale cromatico che hai addosso.”
Scorpius abbassò lo sguardo. “Oh… mi sa
che hai ragione.”
Rientrò negli spogliatoi, uscendo con un paio di jeans e un
maglione nero a
collo alto.
Era
indubbio che anche un dannato maglione, del tutto banale, riuscisse a
sembrare
comunque elegante indossato da lui. Era come
metteva le cose, probabilmente.
Qualità
Malfoy. A lei sembrava sempre di essere infagottata.
“Allora,
sei pronta?”
“No.” Disse secca. “Ma dubito che la cosa
faccia qualche differenza.”
“Infatti!” Trillò deliziato, aprendo la
porta della rimessa. “Allora… cosa
vuoi? Una Nimbus, una Firebolt, oppure andiamo verso quelle in
dotazione alla
scuola, cioè una bella Comet 260 di circa mille anni
fa?”
Rose sbuffò. “Non lo so, fai tu. Ma che non sia
troppo… veloce.” Aggiunse,
lentamente.
Scorpius
la guardò, inarcando le sopracciglia. “Che non sia
troppo veloce? Sono scope da corsa,
è ovvio
che lo siano.” Breve pausa. “Ma tu sai di cosa sto
parlando?”
“No.” Replicò sentendosi arrossire.
“Sono mio fratello e mio padre quelli
fissati con il Quidditch, non io.”
Scorpius
le servì un sorrisetto divertito, senza commentare, mentre
con la bacchetta
disincantava la rastrelliera dei Grifondoro. Studiò i
manici, poi ne prese uno,
leggero.
“Questo è della Bones. Provalo.”
“Ma è della
Bones.” Lo guardò male.
“È rubare.”
“Che esagerata. È prendere in prestito.”
Glielo porse di nuovo. “È una
ri-edizione della StellaFreccia. Ha un buon assetto e non è
tanto…” gli scappò
da ridere. “Veloce.”
“Vaffanculo
Malfoy.” Sibilò strappandoglielo di mano e uscendo
dalla rimessa. Si sentì
osservata mentre lo inforcava. Rimase in silenzio.
…
E adesso?
Perché
era questo
il problema di base. Lei non sapeva
volare.
Scorpius
le si avvicinò. Si aspettava di vederlo spanciarsi dal
ridere da un momento
all’altro, invece sorrideva ebbasta.
La
cosa
la mise ancora più a disagio.
“Weasley…”
“Non so volare.” Sentì la sua voce
ridotta ad un imbarazzante pigolio.
Qualcuno mi
ammazzi. Grazie.
Scorpius
sospirò divertito. “Potevi dirmelo subito. Ma le
lezioni di volo del primo
anno?”
“Sì, ho seguito il corso, ma… sono
passata con il minimo storico. E da allora
non ho più...”
Scorpius fece un mezzo sorriso. “Toccato una scopa? Ed io che
pensavo che fosse
perché non sopportavi la Bumb…”
“Non la sopportavo perché mi dava
dell’incompetente. Come se salire su un
dannato legno volante misurasse
l’incompetenza…” sibilò.
“Okay…
beh, dai. Prova. Prima di tutto, posala a terra, e
poi…”
“Sì, sì. Me lo ricordo.”
Buttò il manico a terra “Su!”
urlò.
Le
arrivò
dritto in fronte. Indietreggiò, stordita, mentre il manico
andava per conto
suo.
Scorpius
lo
afferrò al volo, ed emise una specie di rantolo soffocato.
Stava palesemente trattenendosi a
stento da
non ridere come un matto.
Rose si massaggiò la fronte, fissandolo malissimo.
Scorpius
strinse
trai denti una risatina. “Okay, cambiamo approccio.
È evidente che non puoi
imparare in dieci minuti a volare, e comunque non così bene
da sorvolare una
foresta da minimo venti metri d’altezza.” La vide
impallidire e sogghignò.
“Tranquilla Weasley, ho la soluzione. Volerai con
me.”
“Con… te?” aggrottò le
sopracciglia. “Malfoy, non dire cavolate. Le scope sono monoposto.”
“Non tutte. E si dà il caso che la scuola abbia
una nutrita collezione di
manici da due soldi.” Rientrò dentro, senza darle
possibilità di ribattere. Ne
uscì con una grossa scopa, che sembrava quasi appartenere ad
Hagrid. Se non
fosse che, probabilmente, non sarebbe mai riuscita a sollevarlo.
“…
Che
roba è?”
“Bluebottle 6. Scopa per tutta la famiglia. È
adattabile, a seconda delle
persone che deve portare. Ne può portare fino a tre, a dire
il vero.” La guardò
con vaga riprovazione. “È lenta come un troll, ma
ha una buona stabilità, e
cosa più importante, può reggere il nostro
peso.”
“Aspetta…
sei sicuro?” La prospettiva di doversi stringere a Malfoy le
sembrava
agghiacciante. Specie dopo la terrifica realizzazione di neanche
un’ora prima.
Il
ragazzo fece spallucce. “Beh, mi pare l’unica
soluzione praticabile. Tu non sai
volare.”
Rose
serrò le labbra, guardando trucemente la scopa.
“Allora?”
La incalzò.
“Se vai troppo veloce giuro che ti butto
giù.”
“Allora vorrò vederti alle prese con le vertigini
da principiante…” replicò con
un sogghignetto, inforcandola. “Forza principessa, il cocchio
la aspetta.”
Rose salì dietro al ragazzo, passandogli le braccia attorno
alla vita.
Bucato
pulito e… sole. Di
nuovo. Dannazione,
perché Malfoy profumava?
Era
un
essere sgradevole, doveva puzzare.
James sa di
naftalina infatti.
“Pronta?”
“Muoviti.”
“Sissignora!” Sghignazzò dandosi una
spinta. La scopa salì di diversi metri in
pochi secondi. Rose soffocò un urlo, vedendo la terra abbandonarla, mentre si stringeva
all’altro.
“Weasley,
spero che tu non soffra di vertigini!” Rise mentre sfrecciava
verso la
Foresta.
“Snooo!” ululò cianotica.
La terra,
voglio tornare a terra!
Serrò
gli
occhi con forza, mentre passavano lunghi attimi di agonia in verticale.
Ad un
certo punto sentì Scorpius smettere di ridacchiare come un
deficiente mentre la
scopa tornava in assetto orizzontale. Si fermarono.
“Dai, Rose, apri gli occhi…” Le disse
con un tono stranamente gentile.
Rose
socchiuse gli occhi, giusto per non dargli la soddisfazione di farsi
vedere completamente
terrorizzata. Poi li sgranò.
Sotto
di
sé si estendeva un manto verde smeraldo di alberi, fino a
perdita d’occhio. Da
lontano il lago, come un’immensa lastra di metallo lambiva
dolcemente il pendio
delle montagne. Un sole pallido e lattiginoso faceva capolino tra le
nuvole,
illuminandone la superficie e facendolo riverberare di guizzi
d’argento.
È…
meraviglioso.
“Bello
no?” chiese Scorpius, guardandola da sopra la spalla.
“Sì…”
ammise con un mezzo sorriso. “È stupendo da
quassù.”
“Spesso bisogna cambiare prospettiva per poter vedere
veramente le cose. E le
persone.” Aggiunse, voltandosi e riprendendo a volare. Rose
serrò appena le
labbra.
Era
una
frecciatina, ed era rivolta a lei.
Mi sto
sbagliando su di te
Scorpius? È questo che vuoi dirmi? Forse è
vero… a volte penso a te come un
Malfoy, più che come… semplicemente Scorpius.
“Senti…”
“Sì?”
“Che hai detto a Hugo? Cioè, per convincerlo a
salire sulla scopa?”
Il ragazzo ridacchiò. “Gli ho detto che se avesse
preso il boccino gli avrei
presentato la ragazza più carina della scuola. A tuo
fratello le donne danno
alla testa, eh?”
“Senti chi parla…” sbuffò
Rose.
Però… astuto. La
passione di Hugo per le
ragazze è seconda solo a quella del Quidditch. E morirebbe
dalla voglia di
bullarsi con qualcuna di essere il nuovo cercatore.
“Comunque
gli ho detto una bugia…” Soggiunse, dopo una breve
pausa di volo silenzioso.
“Cioè non gliela presenterai?”
“No,
gliela
presenterò. Un Malfoy mantiene sempre le sue promesse. Solo,
non sarà la più
carina.”
“Oh, certo, vuoi tenerla per te…”
Ribatté ironica, sentendo una fitta di
fastidio contrarsi nello stomaco. “Nel tuo harem.”
“No, è che è una Weasley come
lui.”
Silenzio.
Rose annuì, con un sorrisetto. “Ah, parli di
Roxanne. In effetti…”
Scorpius
fece un respiro profondo.
Merlino,
quant’è tonta.
Rose
aguzzò lo sguardo. “Ehy, guarda
laggiù!” indicò un punto alla sua
destra.
Da
lontano era ben visibile una macchia, grigiastra, in mezzo allo
smeraldo del
bosco. Volarono
fino ad essergli sopra.
Nessun dubbio. Era un cratere causato dalla caduta di qualcosa.
“Avevo
ragione!” Esclamò soddisfatto. “Forza,
scendiamo.”
La
scopa
planò, fino a farli atterrare dolcemente all’orlo
del piccolo cratere. Misurava
circa sei metri, ed era profondo al massimo sei, sette,
stimò Rose
accovacciandosi per guardare giù.
“Devono aver fatto un bel botto atterrando
qui…” considerò Scorpius.
“Chi?”
Scorpius la guardò come se fosse dannatamente ovvio.
“I Naga.”
“I Naga?”
“Sveglia Weasley. La notte vediamo una luce verde schiantarsi
nella Foresta
Proibita, e il giorno dopo spunta dal nulla un lucertolone. Non credi
sia un
po’ strana, come coincidenza?” Si mise il manico di
scopa su una spalla,
aggrottando le sopracciglia. “Per me lo
è.”
Rose si morse un labbro, guardando il cratere. “E
come… Che mezzo avrebbero
usato per arrivare qui e per… fare questo cratere?”
“Andiamo per esclusione. Niente metropolvere, non ci sono
camini. Niente scope,
non li reggerebbero. Niente smaterializzazione, non sono elfi
né esseri umani.”
“Una passaporta?” Suggerì, ma poi scosse
la testa. “No, non fanno voragini.”
“E,
inoltre, non è possibile crearne all’interno di
Hogwarts o per Hogwarts senza la
previa autorizzazione del preside.” Aggiunse
il ragazzo. “No, devono aver usato un altro modo.”
Rose
sbuffò. “E quale?”
Scorpius
sospirò, sedendosi accanto a lei. “Sinceramente?
Non ne ho idea.”
“Forse
in
biblioteca c’è qualcosa…”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Dubito. Ma potremo fare un
tentativo.”
Potremo…
Rose sorrise appena. Era buffo: fino a pochi giorni prima non
avrebbe mai
creduto di poter collaborare pacificamente con Malfoy.
“Potrei
chiedere a mio padre. Lavora al Ministero ed ha un sacco di amici
all’ufficio
del trasporto magico.”
“Anche mio padre.” Gli fece notare
l’altro, con un mezzo sorriso. “Comunque non
credo che i nostri genitori sarebbero entusiasti di sapere che
ficchiamo il
naso in faccende di lucertoloni assassini e crateri
misteriosi…”
“Proprio così.” Disse una voce che rese
Rose un ghiacciolo. Si voltò
lentamente, sapendo benissimo a chi apparteneva. La sentiva da ben
sedici anni
dopotutto.
“Miseriaccia Rosie, che diavolo
ci
fai qui?!” Pausa. “E con Malfoy?!”
****
Accanto al
Campo di Zucche.
Ramanzina in
arrivo.
“Rosie!
Non me lo sarei mai, mai, mai aspettato
da te!”
Rose incassò la testa nelle spalle.
Erano
stati colti sul fatto, o meglio colti sul
cratere, da Ron Auror
Weasley in
persona.
Cioè
il
suo adorato papà. Non tanto adorabile, al momento attuale.
Che diavolo ci fa qui?!
Ron
li
aveva materializzati con sé il più lontano
possibile dalla Foresta e da occhi
indiscreti e ora stava dando fondo a tutte il suo repertorio di
‘padre
furibondo’.
“Come
hai
fatto a sapere che…”
“La pattuglia vi ha visto sorvolare con la scopa il Lago
Nero!”
Rose lanciò un’occhiataccia a Scorpius, che ebbe
la faccia tosta di sorriderle.
“Ero
venuto a salutare te e Hugo, e guarda dove ti ritrovo! Con chi!”
Qualcuno
dovrebbe dirgli che
assomiglia a nonna Molly quando si arrabbia.
Inspirò,
approfittando che suo padre, paonazzo come un ravanello, stesse
riprendendo
fiato.
“Papà,
lo
so che abbiamo sbagliato! Lo so che era proibito. Ma… due
giorni fa stavamo
facendo la ronda, sai, siamo entrambi prefetti… E abbiamo
visto una luce verde
perdersi nella Foresta e… poi c’è stato
quel Naga, e...”
“E
avete
pensato di andare controllare?! Rosie, la foresta è pericolosa. Ci sono creature aggressive
là dentro!”
Rose mugugnò qualcosa, fissandosi le stringhe delle scarpe.
Lanciò un’occhiata
a Scorpius.
Oh, no.
Vide
con
orrore che gli occhi del compagno di Casa brillavano.
Si
stava
divertendo
È
fuori di testa?! Mio padre ci
sta urlando addosso!
Anche
Ron
sembrò accorgersi dell’aria divertita del giovane
Malfoy, perché aggrottò le
sopracciglia.
“E tu? Cos’hai da ridere, ragazzino? Trovi tanto
spassosa questa situazione?”
“No signore.” Rispose educatamente. Ci
pensò. “Effettivamente sì, signore. Ma
io trovo divertenti un sacco di cose, quindi non ci faccia troppo caso,
davvero.”
Rose
lo
guardò esterrefatta, mentre Ron diventò rosso
aragosta.
“Beh,
non
lo è Malfoy. Non lo è affatto.
Se non
vi avessi beccato io avreste potuto…”
“Ha notato che quel cratere è stato fatto di
recente?” lo interruppe. “E cosa
ha detto Rose? Una luce verde, abbiamo visto una luce
verde che si perdeva nella Foresta. Non crede che possa
essere
collegata all’arrivo di quel coso?” lo
incalzò.
Ron,
colto di sorpresa, sbuffò confuso.
“Beh,
sì…
non avevamo notato quel cratere. E potrebbe essere un elemento utile
alle
indagini, se fosse collegato…”
“Io e sua figlia pensiamo che lo sia.”
“Non è… non è questo il punto che
stiamo discutendo adesso, Malfoy!” Ringhiò.
“Tutti uguali nella vostra
famiglia. Vi sentite autorizzati a dare la vostra opinione, anche
quando non è
richiesta!”
Rose si sentì arrossire: sapeva benissimo quanto il padre
detestasse la
famiglia di Scorpius. E fino a poche settimane prima gli avrebbe dato
manforte,
e sarebbe stata felice che
l’attenzione si fosse spostata da lei a quel cretino.
Fino a una settimana fa. Godric, sembrano secoli.
“Pensavo
potesse interessarle, tutto qui.” Fece spallucce.
“Mi dispiace essere stato
frainteso.”
“Oh, certo. Siete sempre
fraintesi
voi Malfoy. Tuo padre, tuo nonno… mai che si paghi per le
parole o per le
azioni, nella vostra famiglia.”
Scorpius serrò di botto la mascella. Rose vide
l’espressione del ragazzo
cambiare. Farsi tesa, rabbiosa.
La
spaventò.
“Tenga
fuori mio nonno da queste recriminazioni da due soldi. Credo abbia
già pagato
abbastanza.” Vide il sorriso del compagno, di solito allegro,
storcersi in un
ghigno. “In compenso voi Weasley
siete bravissimi a sputare sulla memoria dei morti, vedo.”
Suo
padre
sembrò improvvisamente a disagio. “Ragazzo,
io…”
“Arrivederci, signore.” Lo seccò, dando
loro le spalle e allontanandosi.
“Ehy, torna qui!” tentò
l’uomo. Ma sembrava che la sua furia si fosse sgonfiata
come un palloncino. “Malfoy!”
Scorpius si voltò. Aveva i lineamenti stravolti dalla
rabbia. “No. E se vuole,
mi punisca pure. Faccia
rapporto al preside. Sa, non vorrei rischiare di essere frainteso.”
Sibilò, prima di voltarsi e risalire il pendio.
Rose
guardò il compagno allontanarsi, attonita.
Che diavolo
gli è preso? È per
quello che ha detto mio padre?
No…
c’è abituato alle frecciatine
sulla sua famiglia. Risponde sempre per le rime.
Stavolta
è stato diverso. Era
fuori di sé.
Guardò
il
padre, che sembrava incerto se arrabbiarsi per essere stato ignorato o
sentirsi
in colpa per qualcosa.
“Papà,
ma
che… Di che stava parlando?”
L’uomo si strinse nelle grosse spalle fasciate dal mantello
da auror. “Nulla,
Rosie, nulla.”
“Papà!”
esclamò. “Scorpius è un mio
compagno di Casa… Lo conosco da sei anni e non
l’ho mai visto reagire
così.”
“Beh, a me sembra che abbia reagito proprio come suo
padre…”
“Ma non lo è!” sbottò
irritata: adorava suo padre, ma spesso aveva la testa
offuscata dai pregiudizi. E quelli per i Malfoy erano i più
pervicaci.
Ron
le
lanciò un’occhiata. “Sì,
forse ho esagerato.” Ammise di malumore. “Non
dovevo
parlargli così…”
“No, non avresti dovuto.” Esitò.
“Papà, perché ha parlato di morti? Suo
padre…”
A quanto mi risulta i suoi genitori sono
entrambi in salute. Dei suoi nonni non so molto… se non beh,
le voci che girano
di solito.
Ron
si
grattò la nuca. Sbuffò.
“No, Draco Malfoy è vivo e vegeto. E chi lo
ammazza, a quello.” Si schiarì la
voce ad un’occhiataccia della figlia. “Suo nonno.
È morto quando era ragazzino.
Quando aveva sei anni, forse.”
Rose
deglutì. “Non lo sapevo… Non me ne ha
mai parlato.”
Non che siamo mai stati in rapporti tali
da parlare di morti in famiglia in effetti…
“Beh,
non
è una cosa facile di cui parlare, credo.”
Esitò. “Insomma, non è morto in
modo…
sereno. Ecco.”
“In che senso?”
Ron si appoggiò allo steccato del campo di zucche.
“Rosie, lo sai, non tutti i
mangiamorte sono stati catturati durante la Battaglia
… sennò che ci
staremo a fare adesso noi auror?” Sorrise appena.
“Beh, comunque… parecchi
riuscirono a fuggire. Tra questi Fenrir Greyback.”
Rose inspirò bruscamente. “Il mannaro?”
“Proprio lui. Era un tipo feroce, una vera bestia. Ma era
dannatamente astuto.
Si finse morto, e poi, appena girammo le spalle si tramutò
in lupo e se la
diede a gambe. Impossibile prenderlo in quella forma… troppo
veloce.”
“…
Fu lui
ad uccidere suo nonno?”
Ron confermò, con un cenno della testa.
“Aspettò parecchi anni. Credo fuggì
all’estero, o sulle montagne della Scozia, chi lo sa. Lucius
Malfoy in quegli
anni collaborò con il Ministero per scovare i mangiamorte
superstiti, i loro
nascondigli, gli pseudonimi sotto i quali si nascondevano. Beh, era un
disco
già visto… Solo che stavolta il Signore Oscuro
era morto davvero e lui era reo
confesso. Dovette sborsare un sacco di galeoni al Ministero per i
familiari
delle vittime. Praticamente perse tutto il patrimonio, soldi e
ville.”
“Tutto…
Allora erano poveri!”
“Beh, i Malfoy non sono mai stati
poveri.” Replicò con una vaga vena astiosa.
“Ma da allora non hanno più
sguazzato nel lusso, ecco tutto. Comunque a molti dei loro ex compagni
beh… non
credo fosse andato giù il loro secondo voltafaccia.
Né che Lucius avesse
scampato Azkaban.”
Ron
guardò verso il castello, con una smorfia amara: Hermione
gli diceva sempre che
parlava prima di pensare.
Stavolta
l’ho fatta grossa con
quel ragazzetto.
In fondo non
è colpa sua, se ha i
parenti che ha.
“Papà…
tu
eri lì quando successe?”
“No. Fu un’altra squadra ad essere chiamata, non la
nostra. Noi eravamo in
Galles per non so quale caso. Greyback aveva scoperto dove abitavano
Lucius e sua
moglie. Non fu un bello spettacolo. Era una bestia Rosie… e
da bestia si
comportava.”
Rose rabbrividì. Sapeva che il nonno di Scorpius non era
stato una brava
persona. Ma...
Morire
sbranato da un Mannaro…
“Lo
uccisero? Voglio dire, Greyback…”
“Sì. Ma Malfoy era già
spacciato.” Concluse con un sospiro pesante. Ma Rosie
conosceva bene il padre. C’era dell’altro.
“Papà,
Scorpius…” esitò. Non poteva neanche
pensarci.
L’uomo
guardò con insistenza verso il castello.
“Sì, Rosie. Ha visto tutto. Era lì
quando successe. Lo trovarono nello studio, accanto a suo
nonno.”
Oh,
Dio…
Rose si mise
una
mano sulle labbra. “E…”
sussurrò. “Greyback lo…”
“No, non lo morse. Non fece in tempo credo.” Si
passò una mano trai capelli.
“Mi ero completamente dimenticato di questa
storia… Fu abbastanza disgustoso
dopo. Tutti i giornali, sai… ci ricamarono sopra. Lucius
Malfoy non era proprio
un idolo delle folle.”
“Dissero che se l’era
meritato…” sussurrò la ragazza. Le
veniva da piangere.
Era orribile.
Scorpius
aveva assistito alla morte di suo nonno, e dopo aveva dovuto subire
anche la
gioia feroce delle vittime di Voldemort.
Ron
annuì. “Malfoy non era una brava persona, e
… non aveva pagato a sufficienza
per i suoi crimini. Ma morire in quel modo supera di gran lunga
qualsiasi
punizione...”
“Scorpius non meritava di vederlo…” Si
asciugò le lacrime che premevano per
uscire. “Io non ne sapevo niente.”
“Eri troppo piccola per ricordartelo, Rosie. E poi Draco
Malfoy fece di tutto
per insabbiare la cosa. Pagò praticamente tutti i giornali
del mondo magico per
non parlarne più del dovuto.” Le
accarezzò la testa, goffamente. “E suo figlio
non ne parlerà volentieri.”
“Non ne ha parlato con nessuno, credo.”
Scorpius non è decisamente tipo da
fare
queste confidenze a chicchessia.
E poi, a chi
le farebbe? Alle sue
oche?
“Mi
spiace avergli ricordato quelle cose.” Borbottò
l’uomo. “La situazione mi è un
po’ sfuggita di mano. Ma mi ha fatto saltare i nervi, con
quel sorrisetto…”
“Scorpius sorride sempre così, papà.
Non voleva mancarti di rispetto, ne sono
sicura.”
Ron
le
scoccò un’occhiata perplessa: da quando sua figlia
difendeva quel biondino
slavato?
Decide
di
glissare: dopotutto Scorpioncino
Malfoy era compagno di Casa dei suoi figli.
Solidarietà
tra Grifondoro… roba
da pazzi.
Sbuffò.
“Meglio
se torni al castello, Rosie… È quasi ora di
cena.”
“Ceni qui?”
“Nah, aspetto che Harry abbia finito di parlare con Vitious.
L’ho accompagnato.
Andremo a mangiarci un boccone ai Tre Manici.”
“Ah,
allora salutami Hannah e il piccolo Cedric.”
Ron annuì, con un sorriso. “Sicuro. E tu
dì a Hugo di non combinare troppi
guai.”
“Come se servisse a qualcosa…”
sbuffò Rose, abbracciandolo. “Scusa se mi sono
messa nei pasticci.” Disse, con un sorrisetto ironico.
“Ma dopotutto ho solo
seguito le vostre orme.”
L’uomo borbottò qualcosa, ma quando si
staccò aveva un sorrisetto uguale a
quello della figlia.
“Ed
io
che pensavo che sarebbe stato Hugo, quello a farmi
disperare...” Le diede un
buffetto. “Dai, vai, o farai tardi per la cena.”
La ragazza lo salutò, e prese le scalette che
l’avrebbero portata all’ingresso
del Castello.
“Rosie!” si sentì chiamare. Si
voltò, interrogativa.
“Ma non è che ora tu e Malfoy siete amici,
vero?”
La
faccia
del padre era davvero buffa: un misto tra la confusione e terrore.
Sorrise,
fece spallucce, e senza rispondergli riprese a salire.
****
Stanze del
Direttore di Tassorosso
(professor Ziel)
Dopocena.
Ted
Lupin
cominciava a pensare che la sua famigerata disponibilità in
realtà fosse una
gran seccatura.
Un’arma a doppio taglio sicuramente.
Si
trovava nel bel mezzo del caos dell’ufficio del defunto
Immanuel Ziel, con il
gravoso compito di dover visionare tutti gli oggetti personali del
professore.
Insomma,
inventariare.
Il
funerale si era svolto nel piccolo cimitero di Hogsmeade due giorni
prima, con
la sparuta presenza del corpo docenti e di un prete. Si era supposto
Ziel fosse
cattolico. O protestante.
Comunque
credente?
In
quel
lasso di tempo, dalla morte al funerale, sia lui che il preside si
erano
adoperati per cercare la famiglia dell’uomo, ma senza
successo.
Sospirò,
passandosi una mano trai capelli.
Si
era
offerto di fare l’inventario da solo per poter dare una
seconda occhiata, alla
ricerca di una traccia sfuggita al loro alacre lavoro. E
l’aveva fatto perché continuava
a dispiacergli.
Quell’uomo
era morto distante dalla sua terra natia, dai suoi affetti (se ancora
ne
aveva), insomma da tutto ciò che lo aveva cresciuto e
formato. L’Inghilterra
era una seconda patria, era evidente dall’imponente
biblioteca in tedesco, con
qualche sparuto volume in inglese.
Ed
era
morto solo.
Questo
bruciava a Ted, che era sempre stato sensibile alla solitudine altrui.
Sospirò,
prendendo in mano un leggero volumetto. Il Faust, di Goethe.
Un
autore
babbano, pensò sfogliando le pagini sottili e ingiallite dal
tempo: lo aveva
letto da ragazzo e gli era anche piaciuto.
Si
guardò
attorno. Quell’uomo doveva aver apprezzato la compagnia, in
tempi migliori.
Le
poltrone avevano l’aria comoda, pronte ad ospitare amici e
visitatori, e nel
piccolo mobiletto degli alcolici erano presenti ben sei coppie di
bicchieri
smaltati, dalle varie fogge e colori.
Amicizia
e ospitalità, dettami Tassorosso.
Teddy
non
poteva non ammettere di essersela presa a cuore anche perché
appartenevano alla
stessa Casa. Entrambi Tassorosso: Ziel d’adozione, lui nel
cuore.
Il
Cappello,
anni prima, non aveva avuto neanche un’esitazione a mandarlo
tra gli ‘onesti
lavoratori’.
“Sì,
vedo del coraggio in te,
figliolo, una caratteristica Grifondoro. Ma è più
grande la voglia di avere
amici e affetto. Approvazione, forse. Sei onesto e sensibile, rifletti
molto e metti
gli altri prima di te stesso, forse a scapito dei tuoi stessi desideri
e
sentimenti. Sì, credo che Tassorosso faccia al caso
tuo.”
Ted
sospirò, rimettendo a posto il volume. Si
avvicinò all’ennesima scatola, alla
ricerca di una seppur minima traccia del passato di Ziel.
Quella,
nello specifico, ospitava una decina di piccoli quadernetti neri,
rilegati in
cuoio e dall’aria anonima. ‘Appunti
per
le lezioni’ recitavano.
E se
invece…
Colto
da
un’intuizione ne prese uno, sfogliandolo.
Bingo.
Non
erano
appunti. Erano il diario di Ziel.
Ne
prese
cinque o sei, mettendosi a sedere su una poltrona, cominciando a
sfogliare il
primo della serie.
Tirò
un
sospiro vinto.
Partivano
dal primo anno di insegnamento ad Hogwarts. Niente da fare quindi.
Quest’uomo
ha cancellato
completamente il suo passato…
Poteva
capirlo. A volte i ricordi andavano sepolti, dimenticati, lasciati
indietro.
Si
morse
un labbro, mentre nello specchio del salotto si riflettevano i suoi
capelli
castani.
Cercò
di
scacciare il viso di Victoire, la sua espressione confusa e ferita, poi
rabbiosa.
E
alla
fine rassegnata.
Ho sbagliato,
lo so... Ma non
potevo più restare in Francia. Non potevo più
continuare a fingere che andasse
tutto bene.
Le
cose
non andavano bene da tanto. Ma
quell’episodio, quella scoperta…
avevano definitivamente cambiato le carte in tavola. E si era accorto
di non
riuscire più a fingere.
Victoire non
meritava quello che
le stavo facendo…
Si
impose
di scacciare quei pensieri. Era ad Hogwarts e in quel momento doveva
dedicarsi completamente al povero
Ziel.
Lesse
le
prime pagine. Sostanzialmente l’uomo descriveva il posto, il
cibo (un paio di
pagine sul menù della prima sera), e poi…
Aggrottò
le sopracciglia.
E poi
smetteva di scrivere in alfabeto.
Dopo
un’accurata descrizione di una portata di vitello tonnato si
susseguivano frasi
e frasi in una grafia incomprensibile. All’iniziò
pensò che si trattassero di
Rune, ma scartò subito l’idea: le aveva studiate
da ragazzo e non riconosceva
nessun carattere.
È
un codice.
Sfogliò
le pagine, ma la scrittura non accennava a tornare alfabetica.
Studiò tutti i
quaderni, ma il risultato era sempre lo stesso.
Scrive in
codice. Ma perché?
C’erano
molti motivi per cui un uomo volesse occultare i suoi pensieri.
Ma sarebbe
bastato un incantesimo,
come rendere il diario illeggibile.
…
Certo, ci sono modi
per forzare comunque la lettura.
Un contro-incantesimo. E qui siamo in una scuola di magia. Scrivere in
codice è
più sicuro, indubbiamente.
Un
po’ paranoico, ma non inusuale.
Sospirò,
stiracchiandosi.
Già
stanco e incriccato alle dieci
di sera? Stai perdendo colpi, vecchio mio.
Ed hai solo
ventiquattro anni…
“Salve!
Disturbo?”
Ted si voltò verso l’entrata, confuso dalla
squillante voce femminile che era aveva
rotto il flusso dei suoi pensieri.
Ebbe
un
attimo di spaesamento quando vide entrare una bionda di neanche
trent’anni, il
cui mantello nascondeva a malapena forme procaci.
Ah…
la nuova professoressa di
Trasfigurazione…
“Salve…
No,
prego, nessun disturbo.” Sorrise educatamente avvicinandosi
per stringerle la
mano. “Lei deve essere…”
“Oh, ti prego, dammi del tu!” Rise. “Non
sono così vecchia. Chiamami Ainsel.”
Si presentò stringendogli la mano con energia forse
eccessiva.
“Ted Lupin… Sono il professore
di…”
“Di Difesa Contro le Arti Oscure. Sì,
sì… Filius mi ha parlato di te.” Diede
con disinvoltura del tu al vecchio preside. Ted non fu sicuro che
quello
l’avesse autorizzata. “Siamo i più
giovani in circolazione, escludendo gli
studenti naturalmente. Dovevo assolutamente conoscerti. Mi sono detta,
‘Ainsel,
è ridicolo che in mezza giornata che sei qui non hai ancora
conosciuto l’unico
quasi-coetaneo della scuola!’”
Teddy,
stordito dall’eloquio, si limitò ad annuire
timidamente.
Che
fosse
entrante non c’era ombra di dubbio.
È
molto… americana.
“Lei
è…
americana, suppongo.” Mormorò con un mezzo
sorriso, mentre le lasciava la mano.
L’aveva indolenzita.
“Del tu, Ted. Comunque sì, americana.”
Lo corresse smagliante. “Californiana,
per la precisione. Gran bel posto la
California. Sole,
mare, poca pioggia. Beh, tranne quand’è stagione.
Qui in Inghilterra invece
sembra sempre stare per piovere da un momento all’altro, non
è vero?”
“Sì, beh, il clima
continenta-…”
“È terribile, no? Mi hanno detto che sei un
metamorfomago.” Cambiò argomento
così in fretta che Ted riuscì a malapena a capire
di che diavolo stesse parlando.
“Ma mi sembri avere colori piuttosto, come
dire… nella norma.”
Il giovane si sentì arrossire. Il suo arrossire ovviamente
si esplicava in un
tenue rosa all’attaccatura dei capelli che si propagava
velocemente fino alle
punte. Ainsel rise.
“Ah, come non detto!” lo squadrò.
“Scusa, parlo troppo, non è vero?”
“No, non…”
“Me lo dicono da quando sono arrivata qui. Purtroppo
è sempre stato un mio
difetto.” Si fermò. Probabilmente anche lei aveva
bisogno di respirare.
“Ted è il diminutivo di
Theodore?”
“No. Soltanto Ted.” Riuscì finalmente a
terminare una frase.
“Quindi il diminutivo è Teddy!”
trillò con una delizia che trovò francamente
irritante. “E come ti piace essere chiamato?”
“Ted.” Disse subito. In realtà preferiva
Teddy, il nome con cui l’avevano
sempre chiamato la nonna e i membri della famiglia Potter. Ma non
trovò
proficuo comunicarlo a quella specie di tornado yankee.
“Ted,
okay.” Sorrise. Si guardò attorno.
“Merlino, che disordine! Erano le stanze di
quel poveretto, vero?”
“Sì, ehm… e dovrebbero essere anche i
tuoi alloggi. Mi dispiace per il ritardo,
ma dobbiamo fare un inventario di tutti gli oggetti
e…”
“Oh, nessun problema! Anche la mia sistemazione attuale
è abbastanza
confortevole.” Scrollò le spalle. “Sono
nella torre, quella della Guferia, non
so se hai presente…”
“Vagamente.” Si affrettò a dire.
Scoprì che se parlava a monosillabi riusciva,
perlomeno, a non farsi parlare addosso.
Gli americani
saranno tutti così?
Sperava
sinceramente di no.
“Ti
sei
offerto di fare l’inventario? Che caro… sei un
bravo ragazzo, vero?”
Ted arrossì di nuovo. Si schiarì la voce.
“Sì, beh… cerco di esserlo.”
Che razza di domanda è?
“E
poi,
sono stato anch’io un Tassorosso, quindi… lo
sentivo come un dovere, ecco.”
Aggiunse. La donna annuì, aggirandosi per la stanza e
curiosando trai vari
oggetti.
“Sei distrutto.” Stimò, lanciandogli
l’ennesima occhiata penetrante.
Complessivamente
era una donna notevole: bionda, alta, ben fatta e dal sorriso
smagliante.
Eppure
a
Ted non piaceva. Si sentiva…
…
mi sento invaso. È troppo
esuberante.
Certo,
anche Jamie lo era. Ma era un esuberanza fisica, come quella di un
grosso
cucciolo che vuole giocare. Buffa. Quella era un’esuberanza
sottile, personale.
Era
un’invasione.
“Sì,
beh,
non è un lavoro molto piacevole.”
“Lo credo! Perché non vai a letto? Posso
continuare io, se vuoi. Dormo poco!”
Lo fermò con una mano. “Dopotutto queste saranno
le mie stanze, giusto? Mi sembra
ridicolo non dare una mano, visto che è nel mio stesso
interesse trasferirmi
quanto prima.”
Ted
capì
che non avrebbe vinto. Contro una donna di quel genere si poteva fare
solo una
cosa: capitolare e levarsi dai piedi il più velocemente
possibile per non
essere sepolto dalle chiacchiere.
“Se non è un disturbo per te…
ma...”
“Sì, sono assolutamente
sicura. Se
avrò bisogno di una mano ti chiamerò,
Ted.” Gli strizzò l’occhio.
“Uno di
questi giorni dobbiamo prenderci un caffè assieme.”
“Non vado pazzo per il
caffè…” confessò.
“The, giusto? Certo, sei inglese!” Rise.
“Va bene allora, vada per un the. Su,
su! Sei ancora qui? Per avere ventiquattro anni dovresti essere un
po’ più
vitale! Prendi esempio dai nostri studenti. C’è un
certo Potter…”
Ecco, mi sembrava.
“James?”
“James sì, beh, è davvero un ciclone.
Ragazzo simpatico. Piuttosto portato per
la mia materia. Un po’ indisciplinato, ma sai come sono i
ragazzi…” Rise. “Su,
vai.” Intimò poi.
Ted si ritrovò fuori dalla porta, confuso e invaso.
Si allontanò, ma l’idea di essere stato buttato
fuori non lo abbandonò per un
bel pezzo.
Ainsel
Prynn guardò la porta chiusa, ridendo.
Troppo
facile.
Era
carino, comunque.
Sono davvero
graziosi questi
ragazzi inglesi.
Si
avvicinò alla poltrona, dove giacevano sparpagliati i
quaderni-diario di Ziel.
Ne prese uno, sfogliandolo. Il quaderno prese fuoco tra le mani della
donna. Lo
gettò a terra mentre veniva divorato dalle fiamme.
“…
E
davvero ingenui.”
****
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Capitolo 18 *** Capitolo XIII ***
Vi sono mancata? Uhm, dai, per niente direi! XD
Purtroppo lo studio mi assilla (cinque esami alla Laureaaa!) quindi
temo di
dover mantenere il tempo di postaggio ad ogni domenica. Sorry.
Per il vostro piacere
personale consiglio di leggere la parte di Nott e James con sottofondo
di 'Michael' dei Franz Ferdinand.
Intanto
passiamo a rispondere alle recensioni ;)
@Altovoltaggio: mi fa
piacere che lo scorso
capitolo ti sia piaciuto! ^^ In effetti Scorpius/Rose è uno
spasso scriverne.
Le domande, lo so, sono molte. Ma dopotutto questo è
indicato come ‘mistery’ al
genere, se non ci fossero domande, che rating sarebbe? XD Dunque,
Rosey-Posey
può avere molti significati. Sono composizioni di roselline,
tipo bouquet. È la
protagonista, anzianotta e vestita di rosa di un libro di fiabe per
bambini
inglese. È un concetto molto lezioso,
insomma. Per questo si arrabbia tanto. In italiano è
intraducibile ma verrebbe
come ‘rosellina piccina’, cosa che, in effetti, fa
accapponare la pelle. XD Ah,
Rosey-Posey è anche uno dei miei mini-pony, quella rosa, con
la criniera
arcobaleno. Non che Scorpius conosca i miei mini-pony, ma per darti
l’idea. XD
@Nyappy: Sai sempre
come tirarmi su di
morale! Grazie per la recensione!
@Pietro90: Di sicuro
hai ragione su Teddy. È
davvero un tontolone per certe cose quanto brillante per altre. Che ci
vuoi
fare, è cresciuto fidandosi della gente. Tutta colpa di
Harry Potter! XD Grazie
per i complimenti su Scorpius, sono sempre ben accetti
perché sinceramente non
avevo voglia di fare un secondo Draco. ;) Grazie anche per avermi detto
che la
storia di Lucius è verosimile, avevo paura di aver scritto
una baggianata. Ti ho
commentato la tua storia, e rinnovo i complimenti qui!
@Grattastinchi2:
Ciao! Una new-entry, che bello!
^^
Grazie mille per I
complimenti, che sono SEMPRE ben accetti visto che è la
prima volta che scrivo
su questo fandom, ho un sacco di paura di scrivere cazzate.
Sì, so quant’è
difficile riuscire a completare l’iscrizione. Io
dovetti
mandare, all’epoca, un pm a Erika stessa! >_<
Continua a seguirmi! ;)
@Hel_Selbstomord:
Ciao! Com’è
andata a
Barcelona? È fantastica quella città, vorrei
tanto visitarla (vacanzeee T_T) Teddy
è un tenerotto, vero? Fosse anche più sveglio
sarebbe meglio. Forse è meglio
che abbia seguito le orme del padre, invece che della madre, come auror
si
sarebbe fatto fare fesso un po’ troppo, ho idea. Michel
Zabini è il nostro God
of Sex, eh? ;) Aiuta anche che sia interpretato da un gran bonazzo di
modello
(Marcus Lloyd). Ho scaricato giusto ieri il nuovo cd dei Porcupine.
Innamorata
al primo ascolto T_T.
@Ombra: Teddy in
effetti è un po’ debole
alle bionde… PER ORA.XD infatti Ron non si è
insospettito perché Scorpius… E’
UN MALFOY! Non si metterebbe mai a fare il cascamorto con la sua
BAMBINA (Seeh)
XD
@Fly_Down:
Ciao! Mi piace tantissimo il tuo nick! Grazie mille
per I complimenti, fa sempre piacere! ^^ Tom
ti piace? Beh, è anche il mio personaggio preferito! XD
Grazie davvero per la
recensione e continua a seguirmi! ;)
****
Capitolo XIII
Swear to
shake it up and you swear to listen.
Oh we're still so young, desperate for
attention
(The Only Difference Between, Panic! At the
Disco)
12
Settembre 2022
Sala Grande,
Ora di Colazione.
“Non
arriva.”
James aveva gli occhi puntati sul soffitto della Sala Grande, mentre il
tempo
per la colazione sgocciolava via velocemente. I gemelli Scamandro si
guardarono
in silenziosa rassegnazione.
Era
una
settimana che il Capo si comportava… beh.
Come
una
femmina in attesa di notizie dal suo amato partito per la guerra.
L’espressione
era calzante.
Bob
Jordan, un ragazzo di colore con un estroso dreadlock nonché
il quarto membro
della combriccola, guardò i gemelli, e poi
l’Incupito, come veniva chiamato da
una settimana James.
“Ehi,
Damina Abbandonata, si può sapere a chi hai scritto, che sei
tanto ansioso di
avere una risposta?”
“A mio cugino Freddy, cazzo ve lo dico da
giorni.” Sibilò, ficcando il cucchiaio
nella densa consistenza del suo
porridge.
“E per tuo cugino sei in queste condizioni? Amico, non me la
conti giusta.”
“Invece te la conto giustissima. Gli ho chiesto delle fottute
informazioni, e invece
di mettersi al tavolo a scrivermi una cazzo di risposta probabilmente
lo usa
per sbattersi le sue donnine...” Commentò
triviale.
Bob,
il
cui nome di battesimo era Robert, si grattò il mento.
“E di che informazioni si tratta?”
“Cazzi miei, bello.” Replicò,
continuando ostinatamente a guardare la volta,
aspettando la venuta dei Gufi.
“Sì,
così
tuoi che hai preso il mio Gufo per
mandarla… Non mi hai neanche chiesto il permesso!”
esclamò Al, al tavolo
accanto. Quel giorno si era seduto con le cugine, perché, in
plateale ritardo e
con nessuna voglia di alzarsi, era stato lasciato in balia del suo
destino dai
compagni di stanza e Tom stesso.
Bastardi.
Lanciò
uno sguardo verso il tavolo dove sedevano gli altri tre serpeverde: Tom
era
assorto nella lettura di un tomo dalla copertina elaborata. Non
scollava gli
occhi dalle pagine e si portava meccanicamente alla bocca un pezzo di
toast
carico di marmellata. Ribes, stimò il ragazzo. Colorava le
labbra di Tom di un
rosso acceso.
Per
un
attimo non si chiese se invece fosse proprio il colore delle sue labbra
ad
essere così … invitante.
Scrollò
la testa trangugiando il proprio the mattutino.
È
invitante la marmellata di
ribes, non le sue labbra!
“Da
quando devo chiedertelo, Albie?” Sogghignò James,
riportandolo bruscamente alla
realtà.
“Al!” Rimbeccò
automaticamente “E
comunque perché non hai usato il tuo?”
“Fabian se l’era preso la nostra adorata sorellina
per corrispondere con il suo
straniero gocciolante untume…” Sibilò
di rimando, sulle sue. “Vero traditrice
del sangue britannico?”
Lily gli scoccò un’occhiataccia. “Se sei
di cattivo umore non ci interessa Jamila.
Godric, neanche io sono così
girata in quei
giorni…” Soggiunse
ironica, facendo sghignazzare i gemelli e Jordan.
James
ringhiò qualcosa sottovoce, ingollando una cucchiaiata della
sua colazione.
Non
era
girato… era solo esasperato
dall’
eterno procrastinare del cugino Fred.
Che gran
cazzone. Eppure glielo
avevo scritto di darmi una risposta subito!
Alla
fine
arrivarono. Era sempre uno spettacolo vedere centinaia di gufi invadere
la
Sala, passando dai grossi
finestroni aperti, vederli volteggiare attorno ai tavoli e infine
lasciar
cadere una pioggia di lettere.
“Finalmente!” si sentì urlare dal tavolo
di James. Il ragazzo stringeva una
busta stropicciata tra le mani, con un largo ghigno soddisfatto.
“Quel bastardo
mi ha scritto!”
“Per come l’aspettava in gloria ho paura che Fred
gli abbia assicurato una
fornitura quinquennale di caccabombe dal negozio di
papà…” sussurrò Roxanne
guardandolo male.
“Nah, quella ce l’ha già.”
Negò Lily con sufficienza. “Sarà
qualche sostanza
illegale e altamente esplosiva.”
“Speriamo di no… se devo multarlo
un’altra volta dovrò ammazzarlo per averci
fatto perdere la
Coppa
delle Case.” Sbuffò Rose, sorseggiando
caffè. “Ieri è quasi venuto alle mani
con Scorpius. L’abbiamo beccato di fronte alla Strega Gobba.
Voleva andare ad
Hogsmeade, alle undici. Di sera. Ho dovuto dividerli con un protego, prima che quel cretino
spiattellasse tutto sul passaggio segreto fino ad Hogsmeade.” Si fece pensierosa.
“O si facesse ammazzare da Scorpius.”
“Come
avete fatto a beccarlo?” chiese Roxanne perplessa.
“Non aveva il mantello?”
E da quando
chiama Malfoy per
nome? –
pensò Al,
ma senza dire nulla.
Rose scosse la testa, lanciando un’occhiata a James, che
leggeva avidamente la
lettera, neanche si trattasse delle soluzioni del prossimo test di
Aritmazia.
“No.
Se
l’era dimenticato.”
Lily
corrugò le sopracciglia. “Strano. Praticamente ci
vive in simbiosi con quello coso
millenario.”
“Lasciamo
perdere… solo in questi sei giorni l’abbiamo
pizzicato otto volte. Ha la testa
da un’altra parte, poverino...” Borbottò
Rose, lanciando uno sguardo verso il tavolo a cui era seduto Malfoy.
Non poteva
farci niente, lo sguardo gli finiva sempre lì.
Come
al
solito era circondato dalle sue oche, che ciarlavano a tutto spiano.
Lui
dispensava sorrisi, vaghi cenni affermativi (era convinta che non
ascoltasse
una parola delle domande che gli rivolgevano) e nel frattempo si
leggeva la
Gazzetta.
Era
diventato… freddo.
Ovviamente
alla sua maniera: continuavano le prese in giro e i sogghigni.
Ma
erano
spariti i nomignoli, i battibecchi e i sorrisi luminosi.
Le
bruciava. Le bruciava terribilmente.
Ora
che
aveva realizzato i suoi sentimenti verso Malfoy, ora che aveva capito
che non
era solo un ridanciano cretino…
Sospirò.
Ora
che
l’aveva capito, per colpa di suo padre, Scorpius si era
allontanato, tranciando
di netto ogni germoglio di confidenza che era nato tra di loro.
Grazie tante
papà.
Lo
vide
baciarsi con Clara ‘Gengive Grosse’ Haggins.
Sentì come se una gigantesca mano
le avesse afferrato lo stomaco, strizzandolo senza pietà.
Sbatté
la
tazza sul tavolo, facendo sobbalzare Albus.
“Vado a lezione.”
“Ma è tra mezz’o…”
tentò il cugino.
“Mi
anticipo.” Sibilò, prendendo i propri libri e
allontanandosi di corsa.
Merda. Merda.
Perché dalla
realizzazione al contorcersi in preda alla gelosia passa neanche una
settimana?
Perché?! Io lo odiavo!
Roxanne
inarcò un sopracciglio, guardando verso Albus,
cugino-confidente di Rose.
“Ma
che
le è preso?”
Albus sospirò. “Non ne ho idea.”
Mentì.
Quando
intendevo che sarebbe stato
un grande anno non intendevo un anno di grandi nevrosi
però…
****
Biblioteca,
dopo pranzo.
Era
ridicolo. Semplicemente ridicolo.
Erano
sei giorni che stava lavorando su
quel
dannato indovinello.
Thomas
Dursley era giunto alla frustrante conclusione che non aveva una
risposta.
Era
incompleto, mal formulato...
Non
lo
sapeva.
Ma
senza
la soluzione, non sarebbe riuscito ad aprirlo.
Il
medaglione infatti era stato sigillato con la magia. Una magia talmente
potente
che un alohomora non ne aveva avuto
ragione.
Né
avevano
funzionato altri incantesimi. Aveva soltanto rischiato di farsi saltare
in aria
le sopracciglia.
Estremamente
scoraggiante
Tom
guardò con livore il pezzo di metallo davanti a
sé, seduto al tavolo più
umbratile e solitario di tutta la biblioteca. Aveva un’ora
vuota tra una
lezione e l’altra e si era andato a rifugiare lì,
per potervi ragionare in
tutta calma, senza le chiacchiere dei compagni a distrarlo.
Sentì
avvolgersi da due braccia che profumavano di fragole.
Sospirò.
“Tommy! Che ci fai qui tutto solo?”
“Lily…” mormorò atono.
“Evidentemente cerco
di restare da solo.”
“Sei il solito musone!” Ridacchiò
sedendosi sul tavolo con aria sbarazzina.
“Anzi, no. Pardon. Misantropo.”
“Che parole complicate conosci…”
Ironizzò, incrociando le braccia al petto; in
realtà Lily gli piaceva. Era impicciona, rumorosa, ma anche
intelligente e
salace. Non gli dispiaceva la sua compagnia, basilarmente, quando non
cercava
di ficcanasare nei suoi affari.
Come
in
quel momento.
“Guarda
che il Cappello era indeciso tra Grifondoro e Corvonero.” Si
imbronciò.
“Lo
so,
ce l’hai raccontato centinaia
di
volte. Cosa posso fare per te?”
“Nulla, solo farmi passare cinque minuti di noia! Sto
aspettando delle amiche
per studiare assieme, ma chissà… si saranno perse
per strada. Le scale mobili,
sai…” Fece un gesto vago con la mano.
“Come mai non sei con Al?”
“Non viviamo in simbiosi.” Replicò
irritato. “Stavo studiando, comunque. Mi
sembra evidente.”
“Certo, certo…” sorrise indulgente Lily,
con l’aria di saperla lunga.
Di cosa poi?
Lo sguardo le
cadde, senza che Tom potesse evitarlo, sul medaglione.
“E questo cosa…?”
“Un regalo.” Spiegò facendo per
prenderlo. Lily fu più veloce e glielo soffiò
da sotto le dita.
“Lily!”
“È bello! Un po’
vecchio…” lo ignorò, corrugando le
sopracciglia. “Ah, ma c’è
una dedica! Che cosa romantica… Chi te l’ha
regalato?” Chiese con aria
tremendamente pettegola.
“Non
lo
so. E ora, se volessi rida…”
“Di enigma è fatto il mio secondo nome.
Le
prime tre di tomba son le prime.” Scandì
Lily. Lo guardò confusa. “E’ un
po’ criptica come dedica…”
“Non è una dedica, è un
indovinello.” Ringhiò, strappandoglielo dalle
mani.
“Ehy!
Ero
solo curiosa!” sbuffò indispettita. Poi gli
lanciò un’occhiata. “Comunque non
è
un indovinello, sapientone. È una sciarada.”
“… Una sciarada?”
“Sì, hai presente? Una roba tipo, ‘La
terza di dissuasione sono, persona amata,
albero famoso. S-cara-faggio. Scarafaggio.” Recitò
pensierosa. “Zia Herm ne va
matta.” Glielo riprese dalle mani, ma Tom era troppo sorpreso
per ribellarsi.
Rilesse a bassa voce la scritta. “Beh, la soluzione della
seconda frase è
semplice.”
Tom la guardò meravigliato. “Davvero?”
“Certo! Le tre di tomba son le prime.
Un po’ macabro, ma piuttosto chiaro. Le prime tre lettere di tomba. Tom.”
Gli picchiettò il naso con l’indice. “Il
tuo nome, Casanova.”
Il ragazzo fece una smorfia, strofinandosi il naso.
Si
sentiva piuttosto idiota. Perché non ci aveva pensato prima?
Le cose
quando le hai sotto il
naso…
- era un
adagio di sua madre Robin. Babbano, ma assolutamente veritiero.
“E
la
prima?”
Lily la lesse attentamente. Si mordicchiò le labbra, ma poi
scosse la testa.
“Mi
dispiace, questa non la so. Però dev’essere
qualcosa che ti riguarda, visto che
è un regalo, no?”
“… Già.”
Peccato che
non sia un regalo.
Ma
ciò significa anche che quella
cosa cercava davvero me.
Aveva addosso
un medaglione con il
mio nome.
…
certo, Tom è un nome piuttosto
banale, ma se la prima frase dimostrasse che si riferisce veramente a
me?
Si
sentiva elettrizzato. A stento si dominò dal lasciare Lily
senza una parola per
andare in un luogo tranquillo a rifletterci da
solo.
Ma
avrebbe avuto tempo.
La fretta non
mi ha certo aiutato
prima. Devo solo rifletterci con calma.
Lily
lo
guardò attentamente. Gli scostò una ciocca di
capelli dalla fronte, facendolo
irrigidire appena. Come il fratello maggiore aveva un’idea
piuttosto confusa
degli spazi vitali altrui.
“Hai
l’aria troppo cupa, cuginetto.”
Considerò. “Fatti due risate. Stare qui
rinchiuso ti fa sembrare un vampiro. Ho visto Al e i vostri antipatici
amici
serpeverde vicino al lago. Perché non li
raggiungi?” Sembrò quasi un ordine,
mentre scendeva dal tavolo. Si chinò per dargli un breve
bacio sulla guancia,
prima di trotterellare via.
Tom
fece
una smorfia, posando il medaglione sul palmo della mano.
Di enigma
è fatto il mio secondo
nome…
Quale diavolo
sarà la soluzione?
Guardò
fuori dalla finestra, dove era visibile una grossa porzione di parco e
un lembo
di lago.
La
giornata era soleggiata, e l’umidità si era
ritirata a favore di un piacevole
tepore.
Da
lì riusciva
a vedere Albus e gli altri, notò.
…
forse potrei raggiungerli, in
effetti.
Per
quanto fosse basilarmente una persona solitaria, non era un misantropo
come
sosteneva Lily: gli piaceva avere compagnia attorno a sé,
anche se scelta,
certo. Gli piaceva ascoltare.
Si apprendono
più cose su Hogwarts
ascoltando Zabini e Nott parlare, che cercando personalmente i
pettegolezzi
interessati. E poi Al…
Al. Albus. Quella settimana si era emarginato
anche per ciò che era
successo tra di
loro.
Si
sentiva in imbarazzo. Non aveva mai considerato con grande interesse
l’interazione fisica tra due persone.
Far entrare
una ragazza nei miei
spazi personali in cambio di cosa? Sesso, baci? Non mi interessa.
E
quindi qualsiasi
contatto vagamente ambiguo gli risultava indigesto.
In effetti
l’unico contatto che ho
avuto è stato… un totale fallimento.
Era
stato
una sera, un anno prima, quando si era lasciato convincere dalla
sorella ad
uscire con il suo gruppo di amici. Alla fine della serata si era
ritrovato solo
con una delle sue amiche. Era stata un’idea di Alicia, e per
non dimostrare a
quella massa di idioti che non era capace di interagire
con una ragazza l’aveva baciata. Era quello che ci si
aspettava da lui del resto.
Ridicolo. Io sono stato ridicolo.
Era
stato
un gesto impulsivo, dettato dalla rabbia. Le labbra di quella ragazza
sapevano
di sigaretta e birra da discount. Era stato… disgustoso.
Lì
si
erano concluse le sue esperienze con le ragazze, per quanto lo
riguardava.
Per
quanto riguardava i ragazzi… li considerava una branca di
esseri governati dal
testosterone, salvo rare eccezioni. Nient’altro.
Sospirò,
appoggiandosi alla finestra, soffermandosi a guardare gli amici.
Michel
doveva aver rubato un libro al cugino, che si affannava per cercare di
riprenderselo, tra le risate di Nott.
Sorrise
quando vide che, con un abile calcio negli stinchi, Al
riuscì a re-impossessarsene.
Serrò
le
labbra quando vide che Michel, ripresosi immediatamente, gli
passò
confidenzialmente un braccio sulle spalle, sussurrandogli qualcosa
all’orecchio. Vide Albus corrucciarsi ma poi scoppiare a
ridere.
Zabini lo
tocca troppo…
Batté
le
palpebre.
Quella
era gelosia forse?
Scosse
la
testa, quasi a negare l’evidenza, e uscì con
piglio deciso dalla biblioteca,
diretto ai dormitori.
Ma Albus?
La
domanda
sembrava slegata dal contesto e dai pensieri precedenti.
Eppure
Thomas sapeva che non fosse del tutto così.
****
In aula vuota
al primo piano.
Dopo pranzo.
Attendendo qualcuno.
James
rilesse attentamente la lettera, sicuro di memorizzare bene le
informazioni,
seduto su uno dei banchi di un aula al momento vuota del primo piano.
‘Ciao
JaS.
Qui tutto bene, grazie per (non) avermelo chiesto. Ultimamente il
negozio è
sempre irragionevolmente pieno di clienti che si danno
fuoco/esplodono/si
cauterizzano qualche arto con le nostre invenzioni. Ieri, per farti un
esempio,
un bambino ha addentato una merendina di nascosto ed ha dato luogo ad
una
rivoltante emorragia per tutto il locale.
Papà
dovrebbe cacciarsi in testa l’idea di chiudere tutto in delle
teche, ma temo
che lo diverta immensamente avere
clienti che si aggirano in preda al panico come galline dalla testa
mozzata.
Questo
per farti capire il motivo per cui non ho risposto subito alla tua
lettera.
Sei
diventato isterico, vero? Ahahaah.
Comunque.
Mi
hai chiesto informazioni sulla nostra bionda cugina e il tuo adorato
Teddy-bear.
Sì,
so qualcosa.
Ma
non
credo sia questo il luogo (cartaceo) opportuno per discuterne.
Incontriamoci
stasera ( 12 settembre. Spero che Zonko abbia recapitato in tempo la
lettera e
non sia andato a sbattere contro qualche palo telefonico babbano) alla
Testa di
Porco, ad Hogsmeade.
Stasera,
alle undici. Cerca di non farti scoprire e non schiantare nessuno.
Baci
baci.
Il
Magnifico (fred).
PS:
Smettila di frignare perché Teddy ti ha punito. Io, con il
casino che hai
fatto, ti avrei gettato tra le amorevoli braccia del Platano
Picchiatore. O ti
avrei stretto la mano. Non so.’
James
sghignazzò, rileggendo la lettera: uno dei motivi per cui
lui e il cugino si
piacevano era perché entrambi erano due sconclusionati pieni
di sé.
“Ridi
da
solo? Guarda che è un brutto segno…”
James alzò lo sguardo, intascando la lettera.
“Ah, alla buon’ora…”
Sbottò scontroso di rimando.
Michel sorrise, facendo spallucce. Si avvicinò, passandogli
le dita sul
cravattino.
“Vedo che non hai abbandonato quell’orrendo
profumo…” Considerò, soffiandogli
sulle labbra.
James gli fermò la mano, tacitando la fitta
all’inguine che aveva percepito
prepotentemente.
Michel
Zabini era… uno stronzo.
Sì,
soprattutto.
E poi
collateralmente era l’unico maschio con cui andava a letto.
Era
iniziato tutto prima dell’inizio dell’estate, in un
modo beh… che si poteva
definire… surreale.
Per cinque anni non si erano parlati. Certo, Zabini era uno dei
migliori amici
di Albus, e l’aveva incontrato più volte sul campo
da Quidditch. Ma non era mai
arrivato a parlarci, o considerarlo. Era successo tutto ad una festa
organizzata dai Serpeverde, in concomitanza con l’equinozio
di primavera.
Una
di
quelle feste a cui non puoi mancare. E infatti James, da bravo
Grifondoro
Numero Uno, non era mancato. Non era permesso l’alcohol,
certo, ma era stata
una proibizione del tutto inascoltata. Aveva bevuto quella sera, tanto.
I
fratelli erano andati via prima delle dieci, lasciandolo felicemente in
balia
di se stesso e di una sbronza epocale.
Al, a
onor del vero, aveva provato a portarlo via, ma sentendosi mandare al
diavolo
per ben tre volte aveva deciso, infine, di lasciarlo al suo destino.
James si era
appoggiato al muro
della stanza ancora densa di gente, dove la musica pompava a tutto
volume e
l’alcohol sembrava il carburante vitale. Aveva riso, quando
aveva visto Lorcan
cercare di baciare una tipa sbronza di Corvonero che gli aveva poi
mollato un
ceffone.
“Ehy
Potter… a quanto pare sei
l’unico cattivo ragazzo della famiglia.”
Si era voltato e aveva trovato Michel Zabini accanto a sé,
appoggiato alla
parete come lui. Il bastardo, di solito, riusciva a sembrare
perfettamente in
controllo. In un certo senso c’era da stimarlo.
Ma quella sera
sembrava più ubriaco
di lui, a giudicare dalla camicia fuori dai pantaloni e
l’assenza di cravatta.
La festa era a
tema, un po’ banale,
ma sempre efficace. ‘Cattivi ragazzi, Bravi ragazzi’
Ovviamente lui
era quello cattivo.
Pantaloni di pelle di drago, maglietta bianca attillata.
Si sentiva un
figo. Un figo decisamente
sbronzo.
“E
tu invece, cosa saresti? Il
figlio di papà?”
“Acuto, da parte tua Potter… Bella mise. Pelle di
drago?” Aveva indugiato sui suoi pantaloni. Solo dopo James
avrebbe capito su cosa aveva
indugiato veramente.
“Sì.
Li tiro fuori per le grandi,
cattive, occasioni.” Aveva ghignato.
“Naturalmente…
Bevi qualcosa?”
Il sorriso del Serpeverde, aveva stimato James trai fumi etilici, era
strano.
Ma non ci aveva fatto troppo caso. In quel momento anche le mani di
Lysander
sul culo di una Tassorosso particolarmente brilla gli sarebbero
sembrate
strane.
“Ma
se è tutto finito…”
“Dipende a chi chiedi, Grifondoro.” Gli aveva porto
una fiaschetta col
monogramma. James l’aveva guardato. Era una sfida?
Se l’era vuotata, facendo ridere l’altro.
“Però…
reggi…” Gli aveva messo una
mano sulla spalla. “O sembra, almeno.”
“Per chi cazzo mi hai preso, Zabini? Per mio
fratello?”
Il moro aveva
sorriso, di quel suo
sorriso strano.
“Affatto.”
La
cosa
seguente che ricordava e che si stavano divorando le labbra dietro le
tende,
mentre i fianchi magri del ragazzo sbattevano contro i suoi.
Era
iniziata così. Una sbronza e pochi pensieri. Ed era continuata così.
Si
vedevano ogni tanto, al ‘bisogno’ come sentenziava
ironicamente Zabini. Non
condividevano nulla, se non qualche battuta salace e il sesso. Ottimo
sesso, ma
zero confidenza.
Continuiamo
persino a chiamarci
per cognome…
“Non
ho
voglia stavolta, Zabini.” Disse duro.
L’altro fece un mezzo sogghigno.
“Davvero?”
Sentì
la
pressione della mano dell’altro sull’inguine e si
inghiottì un sussulto.
“Vaffanculo. T’ho detto di no.”
“Va
bene,
va bene…” Si allontanò, alzando le mani
in segno di resa. “Allora posso sapere
perché sono qui?” Chiese ironico.
James sbuffò. “Per stasera, salta. Ho un
impegno.”
“Possiamo farlo diventare a tre?”
James fece una smorfia schifata. “Mi vedo con mio cugino
Fred. Falla finita.”
Michel rise, facendolo sentire un imbecille. “Per come mi
tratti sembra che ti
obblighi. Ironico, considerando che mi cerchi sempre
tu…”
James serrò i pugni.
C’era
qualcosa in quel serpeverde che gli faceva venire voglia di spaccargli
la
faccia, quel viso perfetto dagli zigomi alti da orientale. Eppure la
stessa
cosa lo spingeva a schiacciarlo su un letto e scoparlo.
Era
istinto, nient’altro. Sbagliato o giusto che fosse, non
riusciva a sottrarsi.
Doveva
ammetterlo: con le ragazze non era mai stato così facile.
Prima
di
Zabini non aveva mai pensato ai ragazzi: ma poi era stato tutto
semplice e
talmente naturale, che,
sinceramente
a volte si chiedeva come non se ne fosse accorto prima.
Che
gli
piacevano anche gli uomini.
Comunque,
tutto quello aveva del comico: lui, che non mancava occasione per
sputare sul
verde-argento, si ripassava il Super-Serpeverde.
Da ridere,
no?
“Beh,
non
sono qui per parlare di noi due, Zabini, anche se so quanto ti piace
pettinare
le bambole con mio fratello…” Salto giù
dal banco. “Stasera niente. Prossima
settimana.”
Michel fece spallucce. “Prossima settimana.”
Confermò. Quando fu sulla porta
però lo fermò.
“Sai, è ironico come femminilizzi Albus, quando
sei tu quello che va ad uomini.”
James si voltò, serrando la mascella. “Figlio di
puttana… se provi a dire in
giro…” Iniziò
minaccioso: sebbene non
avesse problemi con se stesso, non voleva averne con gli altri. E con
la sua
famiglia soprattutto. E se anche una sola persona ad Hogwarts ne fosse
venuta a
conoscenza… beh.
Sarebbe
stato come gridarlo ai quattro
venti.
“Cosa
dovrei dire in giro? Sai che non sputtanerò la tua
reputazione. Non mi
converrebbe. Ma non mi piace che si parli male dei miei compagni di
Casa.”
James
fece una smorfia, senza rispondergli, andandosene e sbattendosi la
porta
dietro.
Michel
sospirò appena, controllando che la divisa fosse in ordine e
la cravatta fosse
ben liscia e dritta.
Non che la
mia reputazione sarà
mai in pericolo. So difendermi meglio di te dai colpi
dell’opinione pubblica,
Potter-boy.
È
solo che Al non mi perdonerebbe
mai, se facessi scoppiare uno scandalo sulla sessualità
ambigua di suo
fratello. Non quando voglio risvegliare la sua… – ma lo
pensò soltanto.
Quello
che pensava e desiderava Michel era
spesso molto lontano da quello che mostrava all’esterno.
Dopotutto,
era Il Serpeverde, no?
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Capitolo 19 *** Capitolo XIV ***
Questo
capitolo è dedicato a chi si è fatto due palle
così ad aspettare di sapere cosa
fosse successo realmente tra Victoire e Ted. ;)
@Sammy Malfoy: Ehilà! Non
preoccuparti, so bene che rottura è la scuola e i problemi
di connessione! ;)
Michel? Michel fa stato a sé, come ogni buon Serpeverde che
si rispetti… tranne
Al, ma lo sappiamo che il nostro principino è un caso
apparte. XD Tom è
super-geloso, del resto si sa che i Tom
hanno una certa predisposizione ad essere gelosi delle proprie cose ;P
E’ vero,
il rapporto Tom/Harry mi è piaciuto lavorarci. Credo che
Harry lo senta molto
affine, e per questo tenda ad essere un po’ indulgente con
Thomas, un po’
paterno. Vedremo se fa bene. Grazie per essere passata!
@Altovoltaggio: Ehi, ti sto
facendo appassionare
alle vicende slash di questa fic? XD Essì, è un
bel casino questi rapporti tra
adolescenti, ma sono, appunto, adolescenti. XD Incasinatissimi. Posso
però
dirti che Lily nutre solo un affetto fraterno per il bel Tom. Troppo
musone per
lei, mi dice! XD La sciarada… perché non provi a
mettere ‘enigma’ in un
traduttore automatico di inglese e vedere cosa ti viene fuori?
Dopotutto i
nostri pg sono inglesi purosangue! ;P (e qui si capisce la voglia di
Dira di
spoilerare).
@Trixina: Non
preoccuparti, so bene che
razza di rottura sia la scuola! Ci siamo passati tutti! (o non saremo
qui a
scrivere ;P) Lily ti assicuro che è una gran ragazza, dietro
quei pochi camei
che fa! Lei SA. XD Grazie per i complimenti sul rapporto Michel/James.
Sono
stata indecisa fino all’ultimo se spiegarlo in quel modo. Fa
piacere che tu li
abbia apprezzati.
@Pietro90: Ehilà,
compare di fandom! XD
Grazie per i complimenti, e rinnovo i miei per la tua fic. Grazie per
continuare a seguirmi! ^^
@MissMary: Una new
entry! Ma ciao, che
meravigliosa recesione mi hai lasciato! Non preoccuparti, ADORO le
recensioni
enormi! *_* Certo, hai azzeccato la soluzione
dell’enigma… o forse no? Lo
vedremo assieme a Tom! Non preoccuparti, una Al/Tom è
assicurata (non
necessariamente in quest’ordine ehehe). Quei due in effetti
sono abbastanza
palesi come coppietta tenerella, no? In questo capitolo avrai qualche
soddisfazione. Per Rose e Scorpius, sono ufficialmente la coppia in
testa della
storia, a quanto pare. C’è da dire che
è quasi Canon ormai. XD
@Nyappy: Grazie per la
recensione per
l’augurio, che ricambio con un crepi (il lupo!). fa
sempre
piacere vedere che continui a seguirmi ^^
@Hel_Selbstmord:
Ciao Hel! Non
preoccuparti le tue
recensioni sono sempre benvenute, presto o tardi che siano! Tutte
amiamo Michel,
vero? Mi sa che ti aiuto nella fabbricazione dello striscione! XD Come
si fa a
non adorare quella canaglia sexy e serpeverde? Mi fa piacere inoltre
che tu
abbia dato qualche merito a Jamie, che lo so, non è un
personaggio facilissimo
da amare. Ma del resto anche il suo omonimo, nel canon, era un gran
testa di…
XD
Crepi per i miei esami e beata te e Barcellona. Meno male che io vado a
Berlino
:P
****
Capitolo XIV
Everybody thinks you're
well / Everybody thinks I'm
ill
Watching
me fall apart / Falling under your spell
(Re-offender, Travis)
Dormitori
Serpeverde.
Verso le undici di sera.
Albus
era
seduto, con la schiena appoggiata ad una pila di cuscini, sul suo
letto.
Il coprifuoco era passato da un pezzo.
Zabini non era ancora tornato dalla sua ronda notturna da prefetto,
mentre Nott
probabilmente si intratteneva con qualche
‘fanciulla’ nella stanza di lei, con
un incantesimo silenziante di rinforzo.
Sospirò,
appoggiando sulle gambe il tomo di pozioni che Lumacorno ci aveva
tenuto assolutamente a regalargli,
quel
pomeriggio.
Si
sentiva sempre un po’ a disagio a parlare in privato con
quell’uomo: si sentiva
sempre come se da un momento all’altro volesse… collezionarlo.
Il
che
era abbastanza inquietante, in effetti.
Thomas
dormiva, con le tende tirate. Era una settimana che le chiudeva quando
andava a
dormire e le riapriva la mattina. Serrata totale. Michel e Loki lo
reputavano
un capriccio, ma lui si sforzava di ignorarlo.
Come
si
sforzava di sopportare i suoi
improvvisi silenzi e le sue sparizioni giornaliere in biblioteca. Non
che non
se ne fosse accorto: Thomas stava evitando tutti.
E
soprattutto stava evitando lui.
Sbuffò,
chiudendo il libro per appoggiarlo sul comodino. Si
stropicciò un occhio,
guardando nella direzione delle tende tirate.
Lo
stava
evitando. Era un dato di fatto.
Non
che
lo desse a vedere troppo chiaramente, infatti gli altri si erano
limitati ad
osservare che era di malumore. Ma Thomas era spesso di malumore. E non
era
quello il modo in cui lo dimostrava ad urbi
et orbi.
E
soprattutto i suoi malumori non duravano un’intera
settimana.
Certo che ne
sai di cose … - Disse una
vocina, che aveva
come al solito il tono suadente di Michel – Neanche
una fidanzata saprebbe tanto del proprio ragazzo…
Arrossì,
come un deficiente, considerando che aveva fatto tutto da solo.
Inspirò.
Tom,
comunque, aveva qualcosa di strano.
E
sperava
di tutto cuore che non c’entrasse nulla la nuova
professoressa.
Non
può essere quello… la prima
cotta di Tom non può essere una professoressa. Una donna
più grande di lui!
Anche
se
non sarebbe stato così strano, riflettendoci: Tom aveva
stima delle persone
intelligenti, con una grande passione per la conoscenza. Non era un
caso,
infatti, che andasse piuttosto d’accordo con Hermione.
(Una
volta avevano passato persino un pomeriggio
a discutere di libri.)
E poi
era
maturo, nulla da dire su questo: rispetto ai loro coetanei, presi da
piccoli
drammi quotidiani come compiti non fatti o la sconfitta della squadra
del
cuore, il cugino ne usciva praticamente adulto.
Non sarebbe
strano se si
innamorasse di una donna matura, acculturata, intelligente come la
professoressa Prynn…
- Continuò la vocetta.
Albus
si
arruffò furiosamente i capelli, emettendo un lamento
frustrato.
Sarebbe
stato terribile.
E
perché? –
Incalzò Vocetta-Zabini.
Mugugnò:
era ovvio. Perché si sarebbe reso ridicolo di fronte a tutta
la scuola.
Ebbe
un
flash mentale del cugino mentre faceva una dichiarazione appassionata
alla
professoressa, di fronte a tutta la Sala
Grande, con in mano un fascio di rose rosse (in
quei casi
erano sempre rosse).
Invece
di
mettersi a ridere si sentì il sangue gelare nelle vene.
Sarebbe
stato orrendo.
Fece
una
risatina nervosa.
Assurdo…
Tom non farebbe mai
niente del genere. È talmente riservato che …
Beh,
fino
ad una settimana prima nessuno si sarebbe mai immaginato che avrebbe
potuto
fare la faccia da pesce lesso ad
una professoressa.
Lanciò
uno sguardo nervoso verso il suo letto. Si liberò delle
coperte, andando ad
aprire le tende. Tom, ovviamente, dormiva.
Corrugò
le sopracciglia quando si accorse che il sonno dell’altro era
tutt’altro che
sereno.
Tom
dormiva sempre di schiena, e in quel momento era pallido, leggermente
sudato e
respirava irregolarmente.
Ha un
incubo…
Al si
morse un labbro, incerto se svegliarlo. Di solito con James non era mai
una
buona idea. Una volta si era ritrovato un gran occhio nero.
Rimase
a
guardarlo, incerto sul da farsi: sapeva che gli incubi di Tom non
riguardavano
brutti voti o girare nudo per la scuola (erano i suoi
quelli), quanto piuttosto… il modo in cui era stato trovato.
Quando
era bambino suo padre gli aveva raccontato, dopo averlo informato che
Tom non
era davvero suo cugino, di come
l’avesse salvato da un uomo cattivo,
che poi era risultato, qualche anno più tardi, essere un
mangiamorte.
Era ancora un
bambino… però si
ricorda del suo rapimento…
Una delle
tante stranezze di Tom.
Come essere stato colpito da una maledizione e non avere
l’ombelico.
Si
sedette sulla sponda del letto. Il movimento ebbe l’effetto
di svegliare
l’altro, che si raddrizzò di scatto, soffocando un
urlo in gola, ansante.
Al
saltò
in piedi. “Tom!”
Il ragazzo lo guardò. Per un momento parve non riconoscerlo,
ancora nelle lande
brumose del sonno, poi deglutì lentamente
“Al…” mormorò. Sembrava
davvero
sconvolto. Abbassando lo sguardo Albus notò che gli
tremavano le mani.
“…
Fatto
un brutto sogno?” Chiese, sentendosi un idiota.
Beh, non era
sicuramente bello.
Tom
deglutì ancora, annuendo.
“Studi
troppo ultimamente. E non ce ne sarebbe neanche bisogno. I M.A.G.O.
sono il
prossimo anno sai…” Lo motteggiò con
affetto. “Tutto quel tempo in biblioteca
ti fonde il cervello.”
Tom
non
rispose, guardandosi le mani. Sembrò accorgersi in quel
momento che gli
tremavano.
“Vuoi
che
ti prenda…”
“Sto bene.” Disse, in tono nuovamente controllato.
Lanciò un’occhiata fuori dal
letto. Al intuì.
“Lo
e
Mike sono fuori… Mike per la ronda,
Lo…” fece uno sbuffo significativo. “Non
ci
sono.”
“Bene.”
Gli scoccò un’occhiata. “È
tardi, perché non dormi?”
Al fece spallucce. “Stavo leggendo il libro che mi ha dato
Lumacorno. Più che
altro, che mi ha imposto.
Però è
interessante.”
L’altro
annuì. Sembrava distratto. “Al… mi hai
sentito parlare?” chiese poi.
“No,
te
l’ho detto, stavo leggendo. Ma tu non parli mai nel sonno,
giusto?”
“No.” confermò scrollando le spalle.
“Sono contento di non averti svegliato.”
Gli sorrise, e Al ricambiò. Si sentiva stranamente
sollevato.
Era quasi una
settimana che non
chiacchieravamo…
“Hai
un
aspetto terribile…” lo canzonò. Ma lo
aveva davvero. Era talmente pallido da
far sembrare Malfoy abbronzato.
E inoltre
sembra ancora piuttosto
scosso...
“Vuoi
che
dorma con te?” gli chiese spontaneamente. Se ne
pentì subito, vedendo
l’espressione meravigliata dall’altro.
Che
imbecille.
È Lily che consolavo quando
aveva un incubo
dormendoci insieme, non lui!
Ma che mi
è venuto in mente?
“…
Sì.”
La risposta ebbe il potere di fermare il suo flusso di seghe mentali.
Ha detto
sì?
Si
guardarono sbalorditi, prima di mettersi a ridacchiare entrambi,
l’uno della
faccia dell’altro.
“Chissà
cosa penserà Michel…”
ridacchiò Al, molto più rilassato. Non sapeva se
per
l’assenso di Tom o per la risata. Forse per entrambe.
“Pensi
quello che vuole. In ogni caso, pensa sempre male.”
Replicò, scostandosi per
farlo entrare sotto le coperte. Il letto era sufficientemente spazioso
per
entrambi.
Non si fanno
economie qui a
Serpeverde… in effetti siamo circa la metà dei
Grifondoro… lo spazio non ci
manca di certo.
“Beh,
stiamo solo dormendo assieme.” Borbottò Al, di
nuovo a disagio.
Andava
ad
ondate, quel dannato disagio.
Tom
sorrise, con una sfumatura improvvisamente maliziosa.
“Infatti.” Confermò.
Al
sbuffò, tirandogli una gomitata. “Non cominciare
anche tu! Cos’è, Mike ti ha
contagiato?”
Tom
ridacchiò. “Penso sia impossibile diventare
pervertiti come lui…”
“Questo
è
vero.” Sorrise. “Pensavo ti desse fastidio dormire
con qualcuno…”
Tom
fece
spallucce, stendendosi. Era strano condividere lo stesso letto, l'avevano fatto da bambini, ma ora non lo erano
rifletté Al, però
in un certo senso era una cosa naturale. Forse
Tom non lo percepiva come un intruso, nei suoi preziosi spazi vitali. E
lo
stesso valeva per lui.
Quel
pensiero gli diede un piacere sottile, soddisfacente.
E
stranamente annullò anche gli orribili pensieri su Tom e la
professoressa
Prynn.
“Ehi?”
chiese dopo un po’. Sentiva il calore del corpo
dell’altro, e per un folle
momento si immaginò a rannicchiarsi contro di lui.
Chissà
forse è lo stesso motivo
per cui Tom mi ha detto di sì… aveva bisogno di
avere accanto qualcuno…
“…
Al,
sinceramente è un po’ urtante che mi chiami e poi
ti metta a pensare ai fatti
tuoi.” Lo richiamò l’altro, nella
penombra. “Che c’è?”
“Ah… scusa. No, è che… il
sogno era tanto brutto?”
“Ti ho detto che non me lo ricordo.”
“Però
ti
ha spaventato.”
“Non mi ha…”
“Tom, tremavi.”
Sentì un sospiro.
“Sì.
Non
ricordo cosa mi ha spaventato, ma mi ha spaventato.”
Confermò, e anche al buio
Al seppe che aveva fatto una smorfia di disappunto. Gli
cercò la mano, e gliela
strinse.
Tom
dopo
una breve esitazione rispose alla sua stretta.
Si
sentì
stupidamente felice.
“Beh,
non
c’è niente di male ad essere spaventati da un
incubo.” Disse.
“Non sono un ragazzino Albus.” Replicò
l’altro di malumore. Ora
era di malumore. Gli venne da
ridere, ma si trattenne.
“Certo
che lo sei. Abbiamo sedici anni.” Rimbeccò. Lo
sentì sbuffare.
“Tu sei un ragazzino.”
“E
tu
cosa sei?” Replicò ridacchiando.
“Un
giovane mago.” Disse Tom serio, anche se era certo che stesse
sorridendo.
“Dormi ora… o domattina andrai a sbattere contro
tutti gli angoli del
castello.” Sussurrò.
Albus
sentì un nodo alla pancia, e fece in modo da girarsi, per
lasciargli la mano
con una buona scusa. Gli aveva sussurrato, senza volerlo, sul collo.
Era davvero vicino.
Se ne
accorse in quel momento. Come si accorse del brivido che lo scosse
tutto.
E non
era
di freddo. Oh no, per niente.
Chiuse
gli occhi con forza, imponendosi di dormire. Fortuna voleva che fosse
una di
quelle persone dal sonno facile. Si addormentò
immediatamente.
Tom
sospirò appena quando sentì il respiro regolare
dell’altro. Scivolò fuori dal
letto.
Avevano sì dormito assieme, ma da bambini.
E ci sono ottimi motivi per non farlo adesso… -
pensò con una punta di irritazione, scosso da un
turbamento che sapeva avesse precisamente un nome.
Attrazione.
Era
attratto da Al.
****
Hogsmeade.
Undici di
sera.
James
tirò su con il naso. Stava camminando di soppiatto nella via
principale di
Hogsmeade.
Non
era
stato semplice arrivare fin là. Affatto. Si
assicurò che il mantello lo
coprisse adeguatamente, fermandosi in corrispondenza della vecchia
insegna
sbrecciata, che recitava ‘Pub Testa di Porco’.
Entrò
dentro, tirando un energica manata alla vecchia porta in legno.
L’odore
di fumo di pipa, birra e polvere stantia l’aggredì
piacevolmente. Quel luogo
poteva non essere caratteristico e ameno come i Tre Manici, ma di
sicuro era il
posto adatto per passare inosservati, se si trasgrediva le regole. Si
guardò
attorno, e non vide nessuno di conosciuto. Niente professori. Perfetto.
Si
tolse
il mantello, rendendosi nuovamente visibile. Vide il vecchio
proprietario,
Aberforth Silente, sempre più incanutito, lanciargli
un’occhiataccia. L’unico
che avesse notato la sua improvvisa epifania.
Beh, normale.
Ognuno qui si fa i
fatti propri…
Gli
sorrise smagliante, rimediandosi un brontolio sordo.
“Ehy
Abe,
come ce la passiamo?”
“Ti
va di
scherzare?” chiese scuotendo la testa, mentre passava uno
straccio sul bancone.
“E comunque, tu non dovresti essere ad Hogwarts?”
“Dovrei, appunto. Ma sono
qui.
Aspetto una persona. Intanto porta due…”
“Succhi di zucca.” Replicò
l’uomo con un sogghigno. “Solo perché
sei in una
bettola non significa che Abe non sa che sei minorenne, James Sirius
Potter.”
James alzò gli occhi al cielo. “Okay. Facciamo
così. Una burrobirra e
un whiskey incendiario. Mio cugino
Fred è maggiorenne, Abe.”
L’altro grugnì qualcosa, ma si voltò
per preparare l’ordinazione. James si
sedette ad un tavolo vicino alla finestra, togliendosi il giubbotto e
la
sciarpa.
Cominciava
a fare freddo.
Adoro il
freddo… tempo da camino.
Halloween, Natale.
La
porta
si aprì di nuovo e James sorrise. “Ehy Freddy,
qua!”
Fred Weasley Junior replicò con lo stesso sorriso.
Assomigliava alla sorella.
Pelle color caramello denso, perfetta unione di quella dei genitori,
capelli
corvini rasati a zero e vestito di colori sgargianti, come il padre.
Aveva gli
stessi occhi giocosi dei gemelli, di un azzurro limpido e privo di
macchie.
James si alzò, dandogli una pacca sulla spalla.
“Salve a te, Jas. Tempo da cani. Questo mese danno
pioggia.” Si sedette. “Hai
rischiato una bella sospensione, stasera.”
Sogghignò dando un sorso al suo
bicchiere.
“Mi hai chiesto tu di vederci qua!”
“Beh, non posso certo venire io. Ti ricordo che sono un
ex-alunno, ed
oltretutto non ci si può…”
“Smaterializzare o Materializzare ad Hogwarts. Zia Herm
dovrebbe stamparci
delle magliette con questa frase… farebbero
furore.” Recitò annoiato James.
“Teddy.”
disse Fred, ammiccando. James sbuffò.
“Teddy.”
Confermò.
“Beh,
cosa vuoi sapere di preciso?”
“Te l’ho detto! Cos’è successo
quest’estate?”
“Intendi
dire in Francia? Beh, io ho conosciuto Vivienne…”
“Non tu, caprone! Teddy. Ti rendi conto che fino a due mesi
fa sembrava che
dovesse vivere per sempre in Provenza e adesso insegna
qui?” scosse la testa.
“Inoltre… ha i capelli castani.”
“Davvero? Ero convinto che ci fosse nato, con quegli orribili
capelli blu.”
“Non
sono
orribili!” Ringhiò James. “Sono suoi.
E comunque non prendermi per il culo, cazzo. Ted non ha mai avuto i
capelli
castani. È un colore… scialbo! Non da
lui.”
“Sai Jas, credo sia il suo colore originario. È un
metamorfomago ma comunque
con un colore di base dev’essere nato per
forza…” Suggerì l’altro con
aria divertita.
James
incrociò le braccia sul tavolo, guardando assorto il colore
ambrato della sua
bevanda.
“Che è successo in Francia, Fred? Tu lo sai per
forza. Sei stato ospite di zio
Bill per tutta l’estate…”
ripeté pazientemente. Fred era un genio nel divagare.
Il segreto
è continuare ad
insistere con la stessa domanda.
Prima o poi
gli entra in testa,
invece di scivolargli addosso.
Fred
si
stiracchiò. Lo guardò per un tempo che James
trovò assurdamente lungo e
irritante. Ovvio che lo facesse apposta.
“Perché
ti interessa saperlo?” Chiese gentilmente. James
serrò le labbra: odiava quando
lo trattavano come un ragazzino impiccione. Fred non lo trattava con la
condiscendenza tipica dei genitori, o degli adulti di famiglia, cugini
maggiori
compresi, per questo andavano d’accordo. Di solito.
Okay,
probabilmente era impiccione.
Ma
non
era un ragazzino.
“Perché
voglio bene a Teddy.” Disse sincero, guardandolo negli occhi.
“Perché è
famiglia, ed ha qualcosa che non va. È triste. Non parla di
Vic, quando prima era
tutto ‘quant’è fantastica Vic, Vic ha
detto’… e roba del genere.”
“Questo quanto tempo fa?
Quando tu
eri al secondo anno?” Lo corresse Fred, scuotendo la testa.
“Nei rapporti le
cose non rimangono mai uguali. Credo che Ted abbia passato la fase di
entusiasmo
per avere finalmente una
ragazza.”
Soggiunse ironico. “Sono passati sei anni, Jam… le
persone e i rapporti
cambiano, in sei anni.”
James
sentì che le dita gli premevano nei bicipiti, fino a fargli
male.
Non Ted. Ted
è sempre Teddy.
“Lo
so.”
Eruppe secco. “Vuoi dirmi cos’è
successo? O devo scoprirlo da solo?”
“Per
Merlino, ce ne scampi!” rise l’altro.
“No, no… vuoterò il sacco.”
Finì il suo
bicchierino, schioccando la lingua. “Senti, è una
notizia che non è arrivata ai
confini britannici, ma penso che prima della fine dell’anno
lo sapranno tutti.
Sai, c’è Natale…” Si
passò una mano sulla testa. “Ted e Victoire si
sono
lasciati.”
James
batté
le palpebre. “… Si sono?”
“Mollati, piantati, scaricati, mandati al diavolo. Mettila
come vuoi, ma non
stanno più assieme.” Scrollò le spalle.
“È successo poco prima che partissi.
Zia Fleur era sul piede di guerra. Victoire è partita per
Parigi il giorno
stesso della rottura, senza avvertire nessuno. Teddy credo abbia
sistemato i
suoi affari e poi sia partito. E adesso…”
“… è qui.” Terminò
James per lui. Si sentiva… strano.
Aveva
come un groppo alla gola, ma non certo per il pianto. Non era come
Lily, che
avrebbe pianto per il loro defunto amore. Era abbastanza cinico da
sapere che
anche una coppia d’oro come Teddy e Vic si sarebbe potuta
mollare.
Soltanto
che…
Teddy adesso
è solo.
Si
sentiva come se qualcuno gli avesse fatto un incantesimo levitante.
Come
se
il mondo, improvvisamente, fosse a testa in giù.
“Zia
Fleur ha obbligato tutti al silenzio stampa… Credo speri
ancora che Teddy torni
con la figlia. Dopotutto, chi se la prenderebbe una piaga del
genere?”
sghignazzò, cercando approvazione da James.
Che
non
arrivò, perché il ragazzo guardava attonito la
sua burrobirra, intoccata.
“Ehy,
Jas? Tutto okay?”
“Uh? Ah, sì… certo. Sono solo
sorpreso.” Borbottò, alzando lo sguardo.
“Com’è
successo? Cioè, si saranno mollati per un
motivo…”
“Non ne so molto.” Ammise Fred. “Dom mi
ha detto che da quando era tornato da
Londra era strano, e una settimana dopo…”
“Da Londra? Teddy quest’estate era in
Inghilterra?”
E non me l’ha detto?!
“Uhm, sì. Ma non ti scaldare
perché non è venuto a giocare con te, Jamie.
C’è stato solo un giorno. Sua nonna aveva bisogno
di lui per non so che.”
Sbuffò divertito. “Comunque quando sono
tornato…”
“Aveva i capelli castani?”
“Cosa? Oh, ancora con ‘sta storia?”
esalò esasperato. “Non ne ho idea. Io ero a
Marsiglia, con Vivienne. Quando sono tornato Vic era sparita e Teddy
era
partito. È tutto quello che so sulla faccenda.”
“È
assurdo. In una settimana si sono piantati? Stavano insieme
da… milioni di
anni!”
Fred fece una smorfia. Prese la pipa da dentro la giacca, e
cominciò a
prepararla, schiacciandoci dentro tabacco dolce. “Le cose non
andavano da
tanto, Jas. Sei anni per una coppia sono tanti… e sai,
cominci a fare piani. A
pensare al futuro.” Lo
disse in tono
lugubre, strappandogli un sorrisetto. Sapeva quanto Fred fosse
allergico ai
legami, specialmente implicanti un anello al dito.
“Tipo…
sposarsi?”
“Tipo sposarsi.” Confermò.
“Almeno, era quello che aleggiava nell’aria. Zia
Fleur era tutta una frecciatina in proposito.”
scrollò le spalle. “Non so come
la pensasse Ted in merito, sai, non siamo amichette del
cuore… ma credo che la
cosa lo stressasse.”
“Perché?” Sentiva quel nodo serrarsi.
Sperava che Fred non si accorgesse del fatto
che si sentiva avvampare. “Voglio dire… era
l’amore della sua vita, no?”
“In sei anni le cose cambiano…” riprese
criptico. “Io mi stanco di una ragazza
in sei settimane. Forse Teddy se n’è stancato in
sei anni.”
“Ted è fedele!” Si inalberò
contraendo i pugni. Fred gli lanciò un’occhiata.
“Lo
stai
idealizzando, Jamie. È solo un ragazzo di ventiquattro anni,
con la famiglia
della propria fidanzata che non gli dava respiro, pianificando un
matrimonio,
che a sentire Fleur, era prossimo. Io sarei scappato al Polo Nord.
Teddy è un
nostalgico. È tornato in Madrepatria.”
Si
appoggiò allo schienale della sedia, accendendo la pipa con
un paio di boccate.
Un profumo dolciastro salì le narici di James, che aveva
sempre odiato il tabacco
alla ciliegia.
“Con
questo non intendo dire che abbia tradito Vic. Teddy è
troppo onesto per fare una cosa del
genere,
vero?” Sorrise ironico. “Se vuoi un parere, si sono
lasciati perché lui non
sopportava di dover restare legato a quella piattola tutta la vita. E
lo
capisco. Ha tutta la mia maschia comprensione…”
terminò.
James
ridacchiò, ma poi scosse la testa. “Tu non conosci
Teddy. Non l’avrebbe
lasciata perché si sentiva soffocato… Ne avrebbe
parlato con lei, forse per mesi, ma
poi le cose si sarebbero
risolte.”
“Se la amava.”
“Cosa?”
“Ho detto…” tirò una boccata
dalla sua pipa in gesso rosso. “Se la amava
ancora. Se la passione si è spenta, io non ci penserei di
certo a sposarmi.”
James
serrò le labbra. “Sono la coppia
perfetta.”
La fottuta coppia perfetta, inscalfibile.
Principe azzurro e Principessa dai lunghi capelli biondi.
Finisce
sempre con ‘tutti vissero
felici e contenti’, no?
Perché
se non finisse così… se non
finisse così…
“Non
esistono coppie perfette.” Disse Fred guardandolo.
“Non esistono amori
perfetti, Jas. Anzi, mi arrischio a dire che quelli che valgono la pena
sono
proprio quelli sbagliati. Non trovi?”
Gli
occhi
di Fred erano limpidi, acuti.
Uno
dei
motivi per cui James apprezzava e stimava proprio quel
cugino… era perché era il
solo che lo capisse completamente. Perché ragionavano allo
stesso modo.
L’hai
capito, vero Freddy?
Non sono un
bambino di sei anni
con le ginocchia sbucciate.
Non voglio
bene a Teddy. Io voglio Teddy.
“Vuoi
la
mia opinione cuginetto Potter? Teddy ha giocato a fare il principe
azzurro per
troppo tempo. Vivere nel bel castello in Provenza con la sua
principessa gli ha
fatto capire che non era quello che voleva veramente. Non so come lo abbia capito…
personalmente
credo sia un po’ tardo su certe cose…”
sogghignò, tirando un’altra boccata.
“Però ci è arrivato, ed ha mandato
tutto a monte. Per come sono fatto io, gli
stringerei la mano e gli offrirei da bere. Ma credo che lui abbia il
cuore roso
dal rimorso…”
James
sbuffò. “Probabile.”
Fred guardò il quadrante dell’orologio.
“Senza offesa, piccolo Jas, sai che
adoro la tua compagnia. Ma in questo momento dovrei essere ad un
rendez-vous
con una simpaticissima ragazza di Leeds. Amanda. Deliziosi occhi color
nocciola…” Si alzò, con la pipa tra le
labbra. “Paghi tu, vero?”
James sbuffò. “Carino da parte tua approfittarti
di uno studente…”
“Beh, è il prezzo per le informazioni. Tutto, a
questo mondo, ha un prezzo.”
“Arido commerciante.”
Fred si inchinò leggermente, beffardo. “Lo prendo
come un complimento.” lo guardò
ironico. “Non strapazzare troppo Teddybear,
mi raccomando. Buon ritorno a scuola.” Gli strizzò
l’occhio e si smaterializzò.
****
Piazza
Centrale di Hogsmeade.
Mezzanotte
passata.
James
guardava il grasso spicchio di luna che si stagliava in cielo, privo di
nuvole.
Sedeva su una panca accanto alla fontana della piccola piazza,
guardando il
getto pigro dell’acqua abbattersi sulla superficie
cristallina della polla.
Tra
le
dita stringeva una sigaretta. Pessimo vizio, lo sapeva, decisamente
babbano, ma
lo aiutava a rilassarsi. Se sua madre l’avesse saputo
l’avrebbe ucciso.
Teddy e
Vic… si sono lasciati.
Si
rifiutava di darsi una speranza. Lui era Jamie.
Un
maschio, il fratellino pestifero.
Praticamente
neanche mezza
speranza. Dovrei pensare a scoparmi Zabini e non farmi
illusioni…
Aspirò
un
tiro, buttandolo fuori rabbiosamente.
Non
sapeva quando aveva cominciato a provare quello che provava –
ridicolmente –
per Teddy. Semplicemente, un giorno, davanti ad un sorriso e un
abbraccio aveva
capito che non lo voleva come fratello maggiore.
Che
gli
sarebbe piaciuto baciare quelle labbra sottili, sentire se la pelle dei
fianchi
era morbida come quella delle sue guance. Che gli sarebbe piaciuto
ricevere i
baci che dava a Victoire, e che se lo cercava sempre con lo sguardo era
per
motivi tutt’altro che infantili.
Era
stato
un trauma, ma semplicemente se l’era buttato alle spalle. Era
bravissimo, ad
ignorare i problemi.
Chiuse
gli occhi.
T’ha
fatto soffrire quella
puttana, Teddy?
Gli
sarebbe andato bene, avrebbe
persino
applaudito ad un loro matrimonio e si sarebbe scarrozzato i loro
marmocchi in
giro per le campagne inglesi…
Bastava che
tu fossi felice,
cazzo.
Invece
lui
era lì. Non in Francia, a fare il principe azzurro della
bionda principessa.
Era
lì,
solo e triste.
Le
carte
in tavola erano cambiate. E quei sentimenti spingevano, bastardi e
tenaci per
uscire, fottendosene del passato, dell’età, del
fatto che fosse un suo fottuto
professore.
Sono proprio
un cazzone…
Buttò
la
sigaretta.
Basta seghe
mentali. Si torna a
Hogwarts… e speriamo che non ci sia Gazza in giro.
Si
alzò
in piedi, quando sentì dei rumori. Passi.
Stavano
arrivando da un vicolo laterale, persone.
Soffocò
un’imprecazione. Era chiaro che non fosse un autoctono, ma
uno studente, e se
l’avessero beccato sicuramente l’avrebbero scortato
ad Hogwarts con tutti gli
onori.
E grazie no,
niente punizione. Ne
sto facendo la collezione ‘sto anno…
Si
nascose dietro la fontana, sperando che passassero senza notarlo.
Non
si
aspettava di trovarsi di fronte a… quello.
Due
dei
sei Naga scomparsi – cinque considerando che uno era morto
centrifugato da Grop
- in tutta la loro squamosa magnificenza.
Da
vivi
erano ancora più spaventosi. In posizione eretta erano alti
due teste più di
lui.
Indossavano
delle grosse e grezze tuniche grigie, probabilmente per ripararsi dal
freddo.
Accanto
a
loro una figura più piccola. Un essere umano, sicuramente.
Era impossibile
capire se fosse maschio o femmina, considerando che era coperto
anch’esso da
capo a piedi da un mantello con il cappuccio tirato.
James
si
accovacciò dietro il bordo della fontana di pietra.
Parlavano,
ma non riusciva a distinguere le parole. Il piccoletto sembrava calmo,
e stava
spiegando loro qualcosa, i mostri invece frustavano l’aria
con le lunghe code
serpentine e sembravano nervosi. Probabilmente si sentivano esposti, in
mezzo a
quella piazzetta deserta.
Si
chiese
il perché di quell’incontro in luogo
così aperto. Poi vide la stazza del
piccoletto e capì che forse preferiva innervosirli, che
trovarsi con loro in
mezzo ad una foresta deserta.
Qui di certo
non proveranno a
spolparlo o roba del genere…
James
cercò
con la mano la bacchetta dentro la tasca della giacca. Quando
afferrò il manico
si sentì meglio.
Dubitava
che gli sarebbe servita a qualcosa contro quelle bestie gigantesche,
ma… era
sempre meglio che essere disarmato.
Poi
qualcosa nell’atmosfera nel gruppetto cambiò. E
vide con orrore che uno dei
naga guardava verso di lui.
Annusava verso di lui.
Merda!
Il
piccoletto si voltò verso di lui. L’ultima cosa
che sentì fu…
“STUPEFICIUM!”
Un
lampo
rosso e poi il buio più totale.
“Guarda,
guarda.”
Certo
non
se lo aspettava, ma in fondo da che mondo e mondo gli studenti amavano
trasgredire le regole. E certo il ragazzo svenuto a terra non faceva
eccezione.
Uno
dei
naga sibilò qualcosa che somigliava molto ad
‘uccidere’.
Grossi e
stupidi idioti. E
piuttosto prevedibili.
“Non
siate idioti. È uno studente… Volete davvero che
si scateni una caccia
all’uomo? Un cadavere minorenne è
l’ultima cosa che ci serve.”
Rise della perplessità dei naga, espressa attraverso sibili
frustrati.
“Non
vi
preoccupate, cari i miei bestioni… La soluzione è
talmente semplice che farebbe
ridere anche voi, se aveste qualcosa di simile all’umorismo
nella vostra testa
vuota.”
Rovesciò addosso ai vestiti del ragazzo una fiaschetta di un
liquido dall’odore
penetrante. Gli bagnò anche le labbra, prima di arruffargli
i capelli.
“Sinceramente mi dispiace sprecare questo buon Ogden
Stravecchio, ma se è per
la causa…” Ridacchiò tra sé
e sé. “Mi spiace solo che tu non te lo sia goduto,
ragazzo mio.”
****
Note:
Se potete ascoltatevi la canzone da cui ho preso le due frasi
all’incipit del
capitolo. I Travis sono una band totalmente sottovaluta (T_T) qui il video
.
Chi
è
interessata a vedere il bel Fred, eccolo qui.
Fred Jr.
|
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Capitolo 20 *** Capitolo XV ***
Mi scuso ma
le risposte alle vostre fantastiche recensioni non ci potranno
essere(un
benvenuto a BlackFra92!) : a quanto
pare la mia tastiera ha deciso di dare forfait (pare che il chip di
alcuni
tasti tra cui la ‘e’ si sia misteriosamente
‘fritto’) e quindi non posso
scrivere. Sto infatti scrivendo dal pc della mia coinquilina. Di tutte
le
problematiche di un pc questa è la più assurda
mai sentita, lo so. L Spero di
risolvere il problema in
settimana o dovrò saltare l’aggiornamento della
prossima domenica.
Scuse
(disperate)
Intanto godetevi questo capitolo. T_T
****
Capitolo
XV
It's
the wrong kind of place/ To be thinking of you
It's
the wrong time/ For somebody new
It's
a small crime/And I've got no excuse
(9
Crimes, Damien Rice)
Vicino alla
Torre Grifondoro.
Mezzanotte
circa.
Doveva
fare qualcosa.
Rose
lanciò un’occhiata di sottecchi a Scorpius, che,
in uniforme come lei,
pattugliava in silenzio i corridoi dell’ala dove era situata
la torre
Grifondoro.
Era
poco
più di mezzanotte e la stanchezza cominciava a farsi
sentire. Tuttavia Rose era
un prefetto e mai avrebbe rinunciato ai suoi compiti, e doveri.
Specie
se
le davano la possibilità di stare a tu per tu con Malfoy.
Anche
se… è come fare la ronda da
sola.
Dopo
un
paio di frasi di circostanza, a inizio turno, non si erano
più parlati.
Ed
era
quanto di più deprimente Rose avesse mai sperimentato.
Non
l’avrei mai detto, ma mi
mancano le sue battutine del cavolo…
Inspirò.
Doveva fare qualcosa.
“Scorpius…”
Tentò schiarendosi la voce. Il ragazzo si voltò,
interrogativo.
“Sì?” Chiese gentile: era questo il
punto. Non la stava ignorando o trattando
male.
Semplicemente
la trattava come una qualunque.
E
questo
le bruciava.
“Dobbiamo
parlare.”
Il
ragazzo la guardò un po’ perplesso.
“Lo stiamo già
facendo Weasley.”
E siamo
tornati al Weasley.
“Prima
di
tutto, se io ti chiamo Scorpius pretendo di essere chiamata per
nome.” Iniziò
con cipiglio sicuro. “In secondo luogo… vuoi dirmi
per quale motivo ce l’hai
con me?”
Dritta al punto. Bene così.
L’altro
fece spallucce. “Non ce l’ho con te.
Perché dovrei?”
“Lo sai.”
Incrociò le braccia al
petto. “Non mi muovo di qui finché non abbiamo
risolto i nostri problemi.”
Scorpius inarcò le sopracciglia. “Nostri
problemi?”
“Falla finita!” Sbottò esasperata.
“È per quello che è successo con mio
padre
che adesso mi tratti come se ci fossimo conosciuti tre giorni fa. E ci
conosciamo da sei anni.”
Le
torce
illuminavano il profilo di Scorpius. Lo vide, con sua grande sorpresa,
esitare
e poi emettere un lieve sospiro, passandosi una mano trai capelli.
Sembrava
a disagio, e la cosa le fece capire che stava andando nella direzione
giusta.
A volte la
migliore difesa è
l’attacco…
“Scorpius.” In qualche modo
sentiva di
aver rovesciato la situazione. La sensazione era quasi inebriante.
“Mi dispiace
per quello che ti ha detto mio padre.”
Lo
vide
serrare di nuovo la mascella. Per la prima volta lo vide umano.
Fragile.
Represse
l’impulso di eludere la distanza tra di loro ed abbracciarlo.
“Davvero?”
Soffiò sarcastico. “Ti dispiace?” Chiese
lentamente.
“Sì.”
Si
avvicinò. Anche se senza toccarlo sentiva che era teso.
“Mi ha detto tutto. Su
tuo nonno. Mi ha detto che eri lì
quando…”
“Non voglio parlarne.” La bloccò.
“Non voglio parlare di quello. Cosa vuoi,
Weasley? Che accetti la tua compassione?” Sibilò.
Rose deglutì, vedendo la rabbia contorcergli nuovamente i
lineamenti. Ma non si
perse d’animo.
Puoi fingere
di essere un
ridanciano cretino con tutti, ma non con me.
Non puoi
pretendere di darmi il
tormento per sei anni e poi lasciarti ignorare quando smetti di
farlo…
“Non
è
compassione, idiota. Non sono San Mungo.”
“Vuoi sapere allora com’è morto?
Cos’ho visto?” Incalzò. Era sospettoso.
Comprensibile.
Chissà quanta gente
gli avrà chiesto dettagli…
La
curiosità sa essere morbosa.
“No.
Non
se tu non me lo vuoi dire… Volevo solo dirti che mi
dispiace. Per te. Tutto
qui.” Scorpius la guardò a
lungo. Si sentiva a disagio sotto quello sguardo grigio acciaio, che
sembrava
volerla testare. E probabilmente era davvero così: con il
suo passato, con le
dicerie sulla sua famiglia, era chiaro che Malfoy non avesse la minima
intenzione di dare fiducia al primo venuto.
Rose
si
scoprì a pensare che avrebbe davvero
voluto che si fidasse di lei.
Alla
fine
Scorpius fece una smorfia. “Scusa…”
mormorò. “Non ce l’ho con te. Sul
serio.”
“Davvero? Hai uno strano modo di dimostrarlo. Ti sei reso
conto che mi hai
ignorata per una settimana?” Borbottò di rimando.
L’altro
la guardò perplesso, prima di sorridere leggermente.
“Non mi dire… ti sono
mancato?”
“Non dire cavolate.” Sbottò sentendosi
arrossire. “Diciamo che mi è mancato
avere qualcuno con cui prendermela.”
Rise, e Rose si sentì sollevata. Era
bello sentire di nuovo la sua risata.
Ripresero
a camminare, in silenzio, ma con molta meno tensione addosso.
“Abbiamo
fatto pace?” Chiese querulo, di nuovo con quel suo
sogghignetto da schiaffi.
Rose pensò, con estrema razionalità, che
gliel’avrebbe voluto baciare.
“Per
quanto mi riguarda non abbiamo mai litigato.”
Stimò con sussiego. “Hai
semplicemente cominciato, deliberatamente, ad ignorarmi.”
“Vero…” Concesse.
“È che… non sapevo come
comportarmi.” Ammise infine, con un
borbottio.
Rose
gli
scoccò un’occhiata meravigliata: Scorpius Malfoy
era capace di provare
vergogna?
Wow,
decisamente incredibile.
“In
che
senso?”
“Pensavo fossi arrabbiata con me. Per averti messo nei casini
con tuo padre.”
“Arrabbiata?” Lo guardò incredula.
“Non ero arrabbiata! Ti ho seguito, no?
Quindi ero d’accordo. Eravamo complici!”
“È
una
settimana che mi guardi torva!”
“Torva?”
“Sì!” Esalò irritato.
“Ho pensato che volessi essere lasciata in pace, e del
resto neanche io sapevo cosa diavolo dirti dopo quel teatrino
imbarazzante con
tuo padre!”
Si
fissarono un attimo spaesati, prima di mettersi entrambi a ridere.
“Siamo
stati…”
“Due idioti.” Convenne Rose. “Immagino
che l’antipatia tra le nostre famiglie
abbia influito. Anche se io… non la penso come mio
padre.”
Non più almeno.
Scorpius
annuì. “Neanche io la penso come il mio.”
Fece un mezzo sorriso.
“Non
pensa...” Rose si morse un labbro. “Mio padre non
pensa le cose che ti ha
detto. Davvero.”
Più
o meno.
Scorpius
fece una smorfia, facendole capire che non ci credeva minimamente. Non
poteva
dargli torto. Si umettò le labbra, a disagio, guardandolo di
sottecchi.
“Tuo
padre non pensa tanto prima di parlare…”
“Ha altre qualità.” Dovette ammettere.
“Mio nonno…” Fece una pausa lui.
Socchiuse gli occhi. “Non era una brava
persona, ma gli volevo bene.” Sussurrò.
“Credo che si fosse pentito di tutto il
male che aveva fatto. Era colpevole… ma era mio
nonno.”
Rose annuì: lo poteva capire. Suo padre era un auror, era
uno dei buoni. Eppure a volte si
comportava in
modo insensibile ed ottuso.
Siamo
disposti a scusare la nostra
famiglia perché l’amiamo.
Siamo
più simili di quanto
pensassi, alla fine…
Gli
sfiorò la mano. Scorpius le scoccò
un’occhiata meravigliata.
“Se avessi mai bisogno di parlarne con qualcuno…
beh.” Mugugnò lei. “Potrei essere
nei paraggi.”
Il ragazzo inarcò le sopracciglia. “Vuoi dire che
siamo amici adesso?”
“Qualcosa del genere.” Ammise imbarazzata.
“Se ti va, ovviamente.” Aggiunse in
fretta.
I sentimenti
fanno schifo.
L’adolescenza
fa schifo.
Godric, come
mi sento cretina.
Scorpius
la guardò, inclinando leggermente la testa. “Se mi
va?”
Si avvicinò, chinandosi alla sua altezza.
“Malfoy
cosa…?”
Le
mise
un dito sulle labbra, fermandola.
“Sai?
Parli troppo a volte.”
E la
baciò.
Non fu come Rose se lo sarebbe aspettato. Niente bocche che cozzavano,
niente
imbarazzo nel non sapere come incastrare i nasi. Niente fuochi
d’artificio.
Fu morbido, lieve. Come quando da bambina appoggiava alle labbra la
piuma con
cui sua madre le insegnava a scrivere.
Fu
dolce.
Vide
il
viso di Scorpius allontanarsi. Lo vide sorriderle.
“…
Perché?” Le uscì in un soffio. Non era
sicura fosse la domanda giusta, ma era
l’unica a cui era capace di pensare al momento.
Il
ragazzo la guardò attentamente. Sembrava lui stesso stupito
dal gesto appena compiuto.
Fantastico.
Qualcuno qui sa che diavolo sta succedendo?
“Weasley…”
Iniziò, ma prima che potesse terminare la frase un gran
baccano rimbombò nel
corridoio. Si guardarono.
“Scamandro.” Sibilò Rose.
“Scamandro e James.”
Io li uccido.
Corsero
fino alla fine del corridoio che si apriva su un altro, mal illuminato
e
disseminato di armature. Vide un lampo rosso-giallo saettare dietro
un’imponente armatura, diretto verso le scale.
“Petrificus Totalus!”
Scagliò
l’incantesimo con crudele soddisfazione. Sentirono
eccheggiare due tonfi sordi.
“Li
hai
pietrificati…” Mormorò colpito.
“Wow. Spietata.”
“Non ne hai idea …” Replicò,
intascando la bacchetta.
Specie quando
interrompono delle
spiegazioni vitali.
Si
avvicinarono al groviglio umano steso a terra.
“Lumos.” Disse
Scorpius illuminandoli
con la bacchetta. “Scamandro.” Li
identificò.
“Naturale.” Rose fece una smorfia, chinandosi sui
due ragazzi che la guardavano
infuriati, bloccati in strane pose angolari. “Buonasera,
Lorcan, Lysander.” Si
guardò attorno. “Avanti, rendetemi le cose
più facili… Dov’è mio
cugino? So che
è qui da qualche parte.”
I due la fissarono muti.
“Rose,
credo che non possano parlare in queste condizioni.” Le fece
notare il
compagno, ilare.
“Finitem incantatem.”
Sbuffò la ragazza.
I due si misero a sedere, indolenziti.
“Rosie,
sei una sadica!” Sbottò quello che forse era
Lorcan. “Potevamo romperci l’osso
del collo!”
“Ne sono addolorata,
veramente...”
Sillabò sarcastica.
Mi ha
baciata, e si stava anche
degnando di spiegarmi perché!
Ringraziate
che non siete parte
della pavimentazione!
I due
si
guardarono, e decisero che il cipiglio di lei era motivo sufficiente
per non
buffoneggiare come loro solito.
“Il capo non è con noi. Volevamo andare dagli elfi
in cucina per farci dare
qualcosa da mettere sotto i denti. Stiamo morendo di fame.”
Si giustificò
Lorcan. “Poi siete arrivati voi.”
“Non dire cavolate…” Esitò.
“Chiunque tu sia.” Sbuffò al sogghigno
soddisfatto
dei due. “Jamie è sempre
con voi.”
“Non stavolta. Aveva un impe…”
“Lor!” Sbottò quello
che evidentemente
era Lysander. “Sta’ zitto, porco
nargillo!”
Rose corrugò le sopracciglia. “Aveva un impegno? E
con chi?”
Con qualche ragazza, come minimo.
Però
dall’aria colpevole dei due aveva l’impressione che
non fosse così.
Ho un brutto
presentimento…
“Lysander,
dove diavolo si è
cacciato?”
Lysander
fece cenno verso Lorcan. Stava a lui parlare. Rose alzò gli
occhi al cielo.
“Merlino, per una volta potreste piantarla con questa
pantomima?”
“Non lo sappiamo!” Dissero in coro.
Rose
accarezzò l’idea di schiantarli per un lungo
momento. Scorpius, indovinando, le
mise una mano sulla spalla, facendogli cenno di lasciarlo fare.
Pensi davvero
di riuscire a
convincere i due scagnozzi di mio cugino a tradirlo?
Illuso.
Scorpius
sorrise ai due. I due gli sorrisero di rimando.
“Non
parleremo.” Cinguettò Lorcan.
“È
uscito
dal castello, vero?” Ribatté il giovane Malfoy
senza scomporsi. “Lo sapete cosa
c’è fuori?”
“Molte cose! Unicorni, Foresta proibita, Hogsmeade, Piovra
gigante…” Elencò uno
dei due, senza nessun criterio logico.
“Tra l’altro, anche i naga.” Concluse
Scorpius. “Se è uscito potrebbe essere in
pericolo.”
Per
l’occasione mise su persino un’aria seria e
responsabile. Rose sentì di
adorarlo ardentemente.
Sono la
vergogna della famiglia…
I due
gemelli si guardarono. Sembrarono riflettere, poi Lorcan
inspirò.
“Beh, potrebbe essere
andato ad
Hogsmeade.” Disse, sottolineando la probabilità.
“Come
non potrebbe,
naturalmente.” Soggiunse immediatamente
Lysander.
“Noi
non
ne sappiamo nulla.” Concluse Lorcan.
“Beh, se ci è
andato, potrebbe essere in
pericolo.” Li imitò
Scorpius. “Sapete, no, come uno di quelli ha ridotto Dursley?
In poltiglia.”
Scandì.
I due
gemelli si guardarono di nuovo.
“Aveva un appuntamento con suo cugino Fred.”
Confessò Lysander, con l’aria di
chi stava ingoiando puzzalinfa a cucchiaiate.
Scorpius
fece una smorfia.
Sono da
ammirare, per la fedeltà
perlomeno…
“Freddy?
E dove dovevano incontrarsi?” Li incalzò Rose.
“Questo non lo sappiamo. Il capo non ce l’ha detto.
Ma è uscito un’ora fa.”
“Più
o
meno.” Confermò Lorcan.
Si morse un labbro. “Idiota.”
Era preoccupata: al di là del bluff del compagno, la
possibilità che i naga
fossero in giro era comunque presente.
E Jamie
sarebbe abbastanza cretino
da cercare di affrontarli…
“Cosa
contate di fare ora che lo sapete?” Indagò Lorcan
alzandosi in piedi, seguito
dal gemello. “Intendo dire… andrete a riferirlo al
professor Paciock?”
Scorpius guardò Rose. Regolamento avrebbe voluto che
filassero a riferire tutto
al buon professore di Erbologia. Anche se si trattava di un membro del
clan
Potter-Weasley.
Ma ho come
l’impressione che
regolamento e clan Potter-Weasley non vadano d’accordo nella
stessa frase…
Rose
scoccò loro
un’occhiata. “Non credo siano affari vostri. Voi
pensate a tornare alla torre,
invece di improvvisare raid notturni alle cucine. E la prossima volta
ve li
tolgo davvero, dei punti.” Minacciò.
“Filate.”
I due grossi Scamandro le lanciarono un’occhiata irritata, ma
obbedirono di
buon grado: per esperienza personale sapevano che non era il caso di
questionare con Rose.
Specie
se
lei aveva la bacchetta e loro no.
Dopo
che
i gemelli ebbero svoltato l’angolo, Rose inspirò.
“Dobbiamo evitare che James
si cacci in qualche guaio. O che i guai caccino lui.”
Scorpius la guardò sconvolto. “Vuoi uscire
da Hogwarts?”
Non avrei
dovuto chiederle di
accompagnarmi nella Foresta. Ho creato un mostro.
Rose
fece
una smorfia infastidita. “Certo che no! Non ci tengo ad
essere espulsa per
colpa di quel cretino!” Inspirò, guardandolo.
“Ma dobbiamo avvertire un
professore.”
“Paciock?” Suggerì
“È il nostro capocasa…”
“No. Non saprebbe dove cercarlo. James quando decide di farsi
gli affari suoi
diventa introvabile.”
Ed ha un mantello
dell’invisibilità con
sé… È
introvabile.
Il
ragazzo la guardò perplesso: si era sempre fregiato del
titolo di ‘profondo
conoscitore dell’universo femminile’ (e delle sue
grazie soprattutto) ma a
volte i percorsi mentali di quella ragazza gli sfuggivano. Totalmente.
Probabilmente
è questo che mi
attrae, in lei.
Beh,
sì. Lo so. Sono un
masochista. Mai detto di essere perfetto.
“Allora
a
chi ti riferisci?”
Rose fece un profondo sospiro. “Al professor
Lupin.”
Scorpius
le lanciò un’occhiata riflessiva. Poi
annuì. “Hai ragione. Andiamo.”
E tanti
saluti alle spiegazioni
per quel bacio.
James, questa
me la paghi.
****
Corridoio del
terzo piano.
L’una
di notte passata.
Ted
Lupin
era furioso.
Era
il
concetto perfetto in cui poteva racchiudere il suo stato
d’animo attuale.
Non
si
era mai sentito così infuriato, seccato, deluso in un colpo
solo.
Incedeva
per i corridoi male illuminati del terzo piano, mentre il mantello che
si era
buttato sopra ad un paio di jeans e una felpa, si gonfiava sbattendo
contro le
gambe.
Neanche dieci minuti prima, qualcuno aveva bussato alle sue stanze. Si
era
trovato di fronte Rose e Malfoy. Il connubio era stato talmente
singolare che
per un attimo si era sentito spaesato, prima di ricordare che erano
entrambi
prefetti per Grifondoro.
“Professor
Lupin, scusi l’ora…”
“Nessun problema Rose, non stavo dormendo. Dimmi
pure.”
“Si tratta di James…”
In
qualche modo, da quando era lì, si trattava sempre
di James.
È
incredibile. Sarò io… ma sembra
che da quando sono qui non faccia che combinare guai al di fuori della
normale
portata delle sue cretinate.
Sapeva
di
essere di parte. Da quando, per la prima volta, aveva preso in braccio
Jamie,
lui otto anni, la peste pochi mesi, aveva capito che sarebbe sempre
stato
debole con lui.
All’inizio
il primogenito del suo adorato padrino, gli era sembrato un alieno, un
intruso
nel loro rapporto.
L’aveva
detestato, con quella forza di cui solo un bambino è capace,
e per settimane
aveva cercato disperatamente di evitare il confronto.
“Non
lo voglio vedere! Non lo
voglio vedere!” Strillava a pieni polmoni, mentre grosse
lacrime gli colavano
dalle guance paffute. Andromeda aveva sospirato, guardando un
venticinquenne e
imbarazzatissimo Harry. Il nipote gli si era aggrappato con tenacia
alla gonna,
senza dar segno di voler mollare.
“Mi spiace Andromeda… pensavo fosse una buona
idea.” aveva mormorato afflitto.
“Era così contento di venire a conoscere Jamie, ma
poi…”
La donna aveva sorriso.
“Credo sia un po’ geloso,
Harry…” aveva sussurrato ironica. “Sai,
è sempre
stato lui il tuo bambino preferito… Non è forse
vero tesoro?”
Teddy si era morso un labbro, senza rispondere, ma i capelli gli erano
diventati di un verde scuro ben poco invitante. Era arrabbiato. E
geloso.
Harry aveva sorriso. “Teddy, tu sarai sempre il mio bambino
azzurro preferito.”
Lo vezzeggiò con il nomignolo che aveva coniato per lui.
“Però anche Jamie non
è tanto male, sai? Non vuoi provare a prenderlo in
braccio?”
“Sbava
e urla.” Aveva sentenziato
facendoli ridacchiare.
“Beh,
ma perché è piccolo. Ed io
non sono tanto bravo a tenerlo. Forse tu sei più bravo.
Anzi, ci scommetto
dieci galeoni che lo sei.”
“Dieci? Ma sono tantissimi zio!” aveva corrugato le
sopracciglia. “Non posso
proprio accettare.”
Harry gli aveva arruffato i capelli, intenerito. “Sei come
tuo padre… neanche
lui avrebbe mai accettato una scommessa così. Va bene,
allora che ne dici di un
manico di scopa giocattolo nuovo?”
Teddy si era illuminato. “Quello sì!”
“Harry…”
“Dai Andromeda, gliene avevo promesso uno per Natale.
Anticipiamo un po’ i
tempi. Allora, ci stai?”
Teddy aveva annuito, serio. “Ci sto.”
Quando gli avevano messo James in braccio gli aveva fatto un
po’ di paura. Invece
si era semplicemente ciucciato il pugnetto, guardandolo, in religioso
silenzio.
Poi aveva emesso un gorgoglio.
“Non urla…” aveva sussurrato pieno di
meraviglia. Harry aveva sorriso.
“Beh, non ha molti modi per esprimersi. Ma questo credo
voglia dire che gli
piaci…”
I capelli di Teddy si erano tinti di un rosa tenue.
“Beh, neanche lui è così
tanto male…” aveva
borbottato.
Un
vero e
proprio colpo di fulmine.
Si
era
così assunto il compito di essere suo compagno di giochi,
fratello maggiore, e
consigliere personale. Quante volte, nei suoi anni scolastici, se
l’era
ritrovato ad Hogsmeade, i fine settimana, accompagnato da una paziente
Ginny,
pronto a placcarlo e strillargli nelle orecchie le ultime
novità della sua
settimana?
Gli
sembrava passato pochissimo tempo, e invece…
James
era
cresciuto. In un certo senso, gli sembrava di non conoscerlo
più. C’era un
abisso, tra quel ragazzino arruffato e sbruffone, e quel giovane
testardo che…
Non mi
dà minimamente ascolto.
Si
impose
di non cercargli giustificazioni, e di essere impietoso.
Stavolta una
punizione coi fiocchi
non gliela toglie nessuno.
Si
fermò
di fronte alla statua di pietra raffigurante la vecchia strega.
Il
passaggio per Mielandia sfruttato da ben tre generazioni Potter.
Più
due generazioni Lupin…
- Pensò con affetto.
“Dissendium.”
Sussurrò toccando la base
della statua con la bacchetta. Quella si aprì lasciando
intravedere un
passaggio illuminato dalle torce.
James
le
aveva accese, probabilmente certo di tornare in tempo perché
nessuno si
accorgesse della sua sparizione.
Percorse
il cunicolo, fino a spuntare fuori dall’ingresso laterale del
vecchio negozio,
aperto con un rapido alohomora.
Il
villaggio era immerso nel silenzio della notte.
Si
strinse il mantello addosso, sopprimendo un brivido. Non era
più abituato al
rigido clima inglese.
Si
mosse
veloce sulla strada principale, guardando ai lati. Dubitava fortemente
che
James fosse rimasto fuori con quel tempo da lupi: più
probabile fosse al caldo,
in una locanda.
E
essendocene solo due, la scelta era ovvia.
Ai Tre Manici
non può essere
andato. Hannah lo avrebbe subito bloccato e riaccompagnato a scuola.
È al Testa
di Porco.
Entrò
dentro il locale, lanciando uno sguardo ad Abe. L’uomo fece
un sogghigno, ma
non aprì bocca finché non gli fu davanti.
“Buonasera Aberforth. Cerco James Potter.”
“Credo sia al cimitero.” Ironizzò,
continuando a pulire il bicchiere tra le sue
mani, che sembrava non trovarne alcun giovamento igienico.
“Godric’s Hollow?”
Ted serrò le labbra alla battuta di pessimo gusto, ma
glissò.
“Io intendo James Sirius.
Il figlio
di Harry.”
“Ah, certo. Sì, è stato qui.”
Confermò. “Ma se n’è andato
mezz’ora fa.”
Ted
sentì
un brivido freddo strisciargli lungo la schiena.
Mezz’ora
fa? Doveva già essere
tornato.
Si
impose
di ragionare: James probabilmente aveva il Mantello. Potevano persino
essersi
incrociati dentro al castello.
Certe volte
vorrei che mio padre
non avesse riconsegnato ad Harry la Mappa
del Malandrino…
Con quella
l’avrei trovato.
“Sei
sicuro?”
“Certo.” Lo guardò male. “Il
vecchio Abe sarà strano, ma sa ancora contare dodici
rintocchi.” Indicò l’orologio a muro
sopra di sé. “Era mezzanotte. Sono
sicuro.” Gli lanciò un’occhiata.
“È uscito di qui, e sembrava…
strano.”
“Strano? In che senso?”
“Sembrava aver ricevuto un brutto colpo. Era
pallido.” Chiarificò, prima di
rimettersi a pulire il bicchiere, distrattamente.
Ted
inspirò lentamente. “Ti ringrazio.”
Fu un tutt’uno salutarlo ed uscire fuori.
Pallido? Che
gli è successo?
Magari
Aberforth si sbagliava. Magari in quel momento James era sotto le
coperte, ignaro
di tutto.
Eppure
sapeva che non era così. Se lo sentiva nelle ossa.
La
stradina principale era immersa nella nebbia, che la sfumava, dandogli
contorni
quasi irreali. Senza rendersene conto si trovò a stringere
la bacchetta tra le dita.
Doveva
trovare James. Doveva trovarlo, strigliarlo e riportarlo ad Hogwarts. Al sicuro.
Harry
gli
aveva mandato un gufo giorni prima, chiarificandogli informalmente che
i naga
sembravano non essere più in zona. Ben tre pattuglie di
auror avevano rivoltato
i terreni di Hogwarts senza trovarne traccia alcuna.
Però
sembra. Non ne era certo neppure lui.
Si
era
sempre reputato una persona ragionevole, pragmatica.
Eppure
in
quel momento correva per la strada
principale, pregando che quello stupido ragazzino stesse bene.
Sei poco
lucido quando si tratta
di Jamie, lo sai?
– Era un’accusa che spesso sua nonna gli rivolgeva.
Ma
come
poteva essere diversamente?
James
era
tutto quello che lui non era mai riuscito ad essere.
Aveva
sempre ammirato in segreto (mai dargli soddisfazione) la sua
capacità di vivere
in modo rumoroso, i suoi sorrisi puri e sfrontati, la noncuranza verso
i
giudizi o la reprimende che l’avevano investito sin
dall’infanzia.
Non
era facile
essere il primogenito del Prescelto. Eppure Jamie affrontava quel peso
a testa
alta, senza lasciarsi schiacciare, come a molti era successo prima di
lui.
Si
era
scoperto un po’ ad invidiarlo, lui, che si da bambino si era
ingegnato per
compiacere tutti, e non avere mai un nemico.
Ma
ora le
carte in tavola erano cambiate: era un suo professore, e Godric solo
sapeva
come gliel’avrebbe fatta pagare per avergli dato quello
spavento.
Poi,
lo
vide. Una figura addossata ad una delle panche della piazza centrale.
Stesa a
terra.
Esanime.
Sentì
il
respiro mozzarglisi in gola, e il panico attanagliargli le viscere.
“Jamie!” Gridò, correndo verso di lui, e
inginocchiandosi. Il ragazzo non
rispose, ma, dopo un tempo che gli sembrò infinito, emise un
lieve lamento.
Si
accorse in quel momento che puzzava. Di alcohol.
Il
panico
e il sollievo vennero cancellati da una rabbia sorda, ed una delusione
cocente.
James
era
ubriaco.
Ed io che mi
sono preoccupato… che
ho creduto stesse male…
Lo
scrollò
malamente. “Avanti, alzati.” Sibilò.
Il ragazzo batté le palpebre, borbottando qualcosa, ma
tirandosi a sedere.
Gli
lanciò un’occhiata confusa, prima di metterlo a
fuoco ed avere la decenza di
impallidire.
“Teddy!” Esclamò rauco.
“Cosa… Che diavolo ci fai qua?”
“Non
credi che dovrei essere io a farti questa domanda?”
James gli lanciò un’occhiata: la testa gli doleva
terribilmente, e si sentiva
sbattuto come un calzino. Gli si gelò il sangue nelle vene.
Teddy
non
aveva cambiato colore dei capelli, ma non aveva importanza. Non gli
aveva mai
visto uno sguardo del genere.
Per
la
prima volta ebbe sinceramente paura del suo futuro scolastico.
“Hai
bevuto James?” Chiese lentamente.
James
deglutì. “No! Ero venuto a parlare
con…” Esitò. Dirgli la
verità? Impossibile.
Forse sarebbe stato persino peggio. “Non ho bevuto
Teddy!”
Okay. Fermi
tutti.
Che cazzo
è successo?
Doveva
ricordare.
Era uscito da pub, si era messo a sedere davanti alla fontana, si era
pianto un
po’ addosso… e poi.
C’era qualcuno… aveva l’impressione che
ci fosse stato qualcuno con lui.
Meglio,
che avesse visto qualcuno,
ma…
Serrò
le
labbra, quando una fitta di dolore gli attraversò il
cervello.
“Non
mentirmi, James. Puzzi di alcohol. I vestiti,
l’alito.” Elencò Ted freddamente,
alzandosi in piedi. “Non me l’aspettavo da te.
Pensavo, sinceramente, tu avessi
un po’ di decenza.”
Si sentì morire. Si alzò anche lui, di scatto,
sentendosi girare la testa.
Non aveva bevuto!
Ho a malapena
toccato la mia
burrobirra!
“Non
ho bevuto!
Sono semplicemente venuto a farmi due passi qui…
dovevo…” Inspirò. “Ho
incontrato Fred, okay? Chiedi ad Abe. Non ho toccato un goccio! Non
avrei
potuto, so quanto… Teddy!”
Lo afferrò
per un braccio, con forza. “Devi credermi! Maledizione, come
puoi pensare che
sia uscito di nascosto per ubriacarmi?!”
Ted
aveva
smesso di guardarlo. Fissava un punto oltre la sua testa, e sembrava
che non lo
ascoltasse neanche.
Sentì
l’impulso di scrollarlo, picchiarlo. Fare qualunque cosa per
farsi guardare.
“Domattina notificherò la tua punizione al
preside.” Disse semplicemente.
Sgranò gli occhi.
No Teddy, no,
cazzo!
Non gli
importava
della punizione. Ma che Teddy gli credesse.
Doveva credergli.
“Ascolta!
Non ricordo cosa sia successo, ma c’era qualcuno, qui con me
e…” Lo scrollò ma
sentì immediatamente la presa ferrea delle mani
dell’uomo sulle sue. Lo
allontanò, crudelmente.
“Basta
James. Sono stufo di essere preso in giro.” Disse, intascando
la bacchetta e
dandogli le spalle. “Adesso andiamo. È tardi e non
ho intenzione di passare
tutta la notte qua fuori.”
“Teddy…” Lo sentì sussurrare.
Fu
strano
non sentirlo urlare, protestare, declamare le sue ragioni, per una
volta.
Sentì
quello
sguardo nocciola sulle spalle, sulla nuca. Si impose di non voltarsi.
Era
preso
tra la delusione e il desiderio di credergli.
Inevitabile:
ci sarebbe sempre stata una parte di lui tesa a fidarsi del suo ragazzino.
Ma
ormai
era un uomo adulto, un professore.
Sapeva quanto le persone potessero fingere.
“Professor
Lupin, James. Non farmelo più ripetere.”
Non aspettò che lo seguisse, incamminandosi. Pochi attimi
dopo sentì i passi del
ragazzo dietro di lui. Fu quasi sicuro di sentire un solo, unico,
singhiozzo.
Non
si
voltò.
Non
avrebbe potuto.
****
Note:
Beh? Vi ho dato sia una cosa con cui gongolare (parlo a tutti i fUns
delle
Rose/Scorpius sia una per lapidarmi. Odi
et amo. :P
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Capitolo XVI ***
Il
problema al pc non è stato del tutto risolto. Nel senso che
adesso scrivo con
una tastiera usb. Roba da pazzi. TvT Altra cosa. Da martedì
a sabato sarò a
Berlino, quindi non mi sarà materialmente possibile scrivere
il prossimo
capitolo (già questo è andato in corner).
Ah, messaggino biecamente promozionale: Sono a quota 90
recensioni. Dieci a
cento. Me lo fate un favore e mi lasciate una recensioncina,
o’ lettori
silenti? ;)
@Trixina: Ciao! Per
Ted/Jamie dovrai
aspettare il prossimo capitolo, sorry. Purtroppo devo fare un
po’ tutti per
volta. Grosso problema di avere tre storyline che si intrecciano. Il
pezzo di
Ted e Jamie bambini ero indecisa fino all’ultimo.
L’avevo scritto settimane fa,
e non sapevo dove utilizzarlo. Poi, colpo di genio, l’ho
piazzato lì. XD
Piacere che ti sia piaciuto. ^^
Per
rispondere alle tue domande dello scorso capitolo, non è
raro che due fratelli
maschi, praticamente coetanei e cresciuti assieme sviluppino tendenze
sessuali
simili. Comunque ricordati che a Jamie le ragazze piacciono. Solo, a
volte, va
anche coi ragazzi. ;)
@Hel_Selbstmord: lo ammetto, con
Ted/Jamie sono stata una gran stronza. Ma che ci vuoi fare, un
po’ di angst fa
parte della vita (che paracula che sonoXD). Il magone so
cos’è! Pensa che si
usa anche in Toscana O_O. Ti farà piacere sapere che questo
capitolo è dedicato
anche ai due confusi, anzi, ai confusi uno-e-mezzo visto che Tommy
comincia a
comprendere. :P Comunque, ho adorato l’idea che hai di Jamie.
È precisamente
come me l’hai descritto tu!
@BlackFra92:
Ma ciao! Successo anche a te con i tasti? E tu come hai
risolto? Se hai un modo veloce ti prego,
dimmelo, che sto impazzendo! T_T Rose e Scorpius in questo capitolo
chiariranno
di brutto. XD
@MissMary: Questo
capitolo sarà ancora più
denso di emozioni, ho idea, specie per la Rose/Sy
:P. Ted e Jamie… eh, purtroppo quei due
sono due testoni. Specie Teddy. Mister X (ahaha in effetti è
un nomignolo
azzeccato!) sarà tale ancora per un po’. Tom
venerato! Ti prego no, se si monta
la testa ‘sto disgraziato è la fine. XD
@Ombra:
La scuola incombe, eh? Ti
capisco, ti capisco. Non preoccuparti, basta segnalarmi la tua presenza
:P Neanche
io, guarda, so a volte come riesco a non incasinare tutto.
Probabilmente
pazienza e tanti e tanti schemi sui quaderni per far quadrare tutto. ;)
@Altovoltaggio: Ognuno ha le
sue teorie mia cara,
anche se la tua, diciamocelo, è fuochino. Non preoccuparti
per la recensione,
capisco gli impegni universitari (uhm, dovrei averli anche io, invece
me ne
vado a Berlino XD)
****
Capitolo
XVI
Is there anybody out there?
That can see what a man can change?
(Top
of The World, All American Rejects)
Se non sei la
soluzione, allora sei parte del problema.
(Vera Peiffer)
13
Settembre 2022
Hogwarts,
Sala Grande.
Ora di pranzo.
“Jamie
è
davvero un cretino.”
Lily sbuffò a beneficio del piccolo uditorio riunito attorno
a lei: era ora di
pranzo e lei, il fratello e Hugo, con la speciale partecipazione di un
Thomas
silente come un monolite, stavano consumando un pasto a base di
sandwich.
Albus sospirò, dandole manforte. “Sì,
stavolta ha davvero esagerato. Voglio
dire, non so cos’abbia combinato di preciso, ma per farsi
mettere in punizione
da Ted…”
“Se lo meritava, eh. Non per dire, Albie, ma- ouch!”
“Al. È
Al.”
“Va bene, va bene!” Borbottò il colpito,
massaggiandosi la nuca. “Dicevo… se lo
merita. Andare ad Hogsmeade dopo il coprifuoco. E farsi beccare! Se lo
merita
perché s’è fatto beccare,
ecco!”
“Rosie
non t’ha detto cos’è successo
precisamente?” Chiese Lily al fratello.
“E
chi
l’ha vista oggi?” Sbuffò Albus.
“Avevamo pozioni assieme, ma si è messa in
fondo all’aula, sai, al tavolo sette?”
“Quello dietro la colonna, col nido di ragni?”
La ragazzina parve perplessa. “Ma stava bene?”
“Se fossi riuscito a parlarle… vero Tom? Se
n’è stata in disparte tutto il
tempo.”
“Mmh.” Emise l’interpellato, staccando un
morso dal tramezzino. Al gli lanciò
un’occhiata esasperata. La sera prima sembrava tutto risolto
e adesso l’amico
era piombato nella catatonia relazionale. Di
nuovo.
Sinceramente,
è preoccupante.
Persino
Hugo arrischiò un’occhiata, quando di solito si
calcolavano a vicenda quanto
due pianeti su orbite diverse.
“Siamo
tutti un po’ strani negli ultimi tempi.”
Stimò Lily lentamente. “Vero Tom?”
“Mmh.” Confermò.
“Rose
ha
sicuramente magagne sentimentali con Malfoy.”
Continuò.
“Eh?!” Ululò Hugo. Lily gli
rifilò con nonchalanche un calcio negli stinchi,
facendolo guaire pietosamente.
“Dicevo,
Anche tu hai problemi sentimentali, Tommy?”
“Ah-ah.” Cambiò registro.
Corrugò le sopracciglia. “È
Tom.” Corresse in
automatico.
Prima di accorgersi che due paia d’occhi Potter lo stavano
fissando. Alzò lo
sguardo dal suo sandwich per incrociare quelli di Al. Sufficientemente
sgranati.
Dannazione.
“No.
Non ho…”
Inspirò. “Non ho niente del genere.”
“Ah-ah.” Gli fece il verso Lily, scherzando. Lei. Al sembrava un cucciolo di cane
mollato su un autostrada a
doppia corsia.
Non mi hai
detto niente. Noi, che
siamo migliori amici? – sembrava uggiolare la
sua
espressione.
Non te lo
direi comunque. Ma non
te lo dico soprattutto perché riguardano te, ieri sera, consapevolezza e venti
minuti in bagno sotto la doccia per
calmarmi.
Deglutì,
pacatamente.
“Devo andare in biblioteca.” Proclamò
dignitosamente, afferrando i suoi libri
con calma studiata, e dandosela, sempre in modo signorile, a gambe.
“Di
nuovo?!” Sbottò Al esasperato. Guardò
la sorella minore. “Visto? Poi dici che è
il solito Tom misantropico?!”
“Beh,
forse ha bisogno di restar solo…”
Suggerì Hugo rubando la porzione di Tom, praticamente
intoccata.
“Solo? Siamo ad Hogwarts, perché diavolo dovrebbe
stare solo se qui ci sono i
suoi amici?”
Lily fece spallucce. “Arrivano dei momenti, nella vita di un
giovane uomo,
fratellino… in cui la compagnia maschia diventa un bisogno
più sporadico.”
Al la guardò sospettoso. “Scusa Lils, ma sono
deficiente anche per i canoni
serpeverde. Non afferro.”
“Una
ragazza, Al. Tom ha una ragazza nei pensieri.”
“Non ha la ragazza! Lo saprei!” Sbottò
facendo sussultare Hugo.
“Ehy
cugino, quanto la prendi sul personale…”
Borbottò irritato da tanto inutile
chiasso.
“Non
la…”
“Sì. La.”
Confermò la sorella,
prendendogli una mano tra le sue. Lo guardò con affetto. Suo
fratello era maggiore
solo anagraficamente per certe cose.
Ed io sono
una dannata corvonero
mancata. Ma se non fossi andata a Grifondoro, chi avrebbe badato a loro? –
Pensò con un sospiro – Beh,
almeno alla maggior parte di loro…
“Mi
sta
nascondendo delle cose. Okay? E mi ignora.”
Bofonchiò arrabbiato.
Pensava che le cose la sera prima si fossero perlomeno aggiustate un
po’.
Era
stato
un ingenuo: quella mattina si era ritrovato nel suo letto, e Thomas
pareva considerarlo
assolutamente invisibile.
Che diavolo
gli ho fatto stavolta?!
“Al.”
Lo
riscosse Lily dai suoi pensieri. Sembrava inaspettatamente seria.
“Tu e Tom
siete amici, è vero. Ma avete sedici anni. Per quanto pensi
che possiate
confidarvi ancora come se ne aveste dieci?”
Il
colpo
andò a fondo. Al si sentì stupido, imbarazzante.
Se persino sua sorella di quattordici
anni gli faceva notare che
si comportava come una ragazzina…
Perché
ci
aveva pensato. Vedeva i rapporti tra gli altri ‘migliori
amici’: Michel e Loki,
per fare un esempio. Legati, ma ognuno preso dalle proprie cose.
“Pensi
che sia morboso?” Chiese mordendosi un labbro.
Lily scosse la testa. “No. Penso che tu gli voglia davvero
bene, e che tu sia
preoccupato.” Abbozzò un sorriso.
“Insomma, avete un rapporto splendido. Tom si
farebbe dare un abbraccio dal Platano Picchiatore, se
tu…”
“Ah, andiamo…”
“Se tu ci finissi in mezzo.” Concluse. “E
non credo si esporrebbe così tanto
per nessun’altro. È un po’ stronzo,
sai.”
Al non disse niente: era snervante sentire da altri quanto fosse
speciale la
loro amicizia, quando poi, a conti fatti, Thomas si comportava da amico
a periodi.
Più
che altro mi fa incazzare.
“Non
so
se ti nasconda qualcosa…” Continuò la
sorella. “Ma di sicuro qualcosa per la
mente la ha. Lo vuoi un consiglio?”
“Sono tutto orecchie.” Sibilò sarcastico.
L’altra
non sembrò essersi resa conto del tono, o lo
ignorò. “Non cercare di tirargli
fuori nulla. Con voi maschietti è un’impresa
disperata. Credo sia meglio che
sia lui a parlartene…”
Al
fece
una smorfia. “Sai cosa? Mi sono stufato
di dover sempre aspettare i suoi comodi. Non siamo più
ragazzini, hai ragione. Ignorarmi
perché è di cattivo umore non fa parte delle cose
che potrò tollerare ancora a
lungo.” Concluse, alzandosi in piedi. “Devo andare.
Ho gli allenamenti. Se
ritardo Michel mi schianta.”
“Ah, ma Al…”
“A dopo.” Non le lasciò il tempo di
finire.
Hugo
guardò il cugino andare via. Schioccò la lingua
per liberarsi da un rimasuglio
di cetriolo trai denti.
“Sai, Lils? A me è sembrato tutto un po’
gay.” Confessò. “Ma era una roba mia,
no?”
Lily sorrise, dandogli una pacchetta sulla spalla.
Inaspettatamente
ha centrato il
punto della conversazione.
“Dipende
Hughie…” Concesse.
Il ragazzo sbuffò. “Ma che risposta
è?”
“Una risposta.” Considerò pacatamente.
Hugo
la
guardò con cipiglio che pareva preso di peso dal padre.
“Senti. A proposito di
risposte poco chiare… Ma Rosie e
Malfoy…” Cominciò sospettoso.
“No comment.”
“Lily!
Devo sapere se mia sorella sta avendo una… una… roba con Sgorbius!”
Lily ci pensò su, alzandosi e raccogliendo le sue cose.
“Non
so
se sta avendo una roba con
Malfoy.”
Ammise, con un sinistro luccichio negli occhi. “Ma se fosse,
non sarebbe terribilmente
divertente?”
Hugo emise un gemito disperato.
C’è
qualcuno di normale in questa
dannata famiglia?!
****
Poco lontano
dalle serre di
erbologia.
Primo
pomeriggio.
“Ti
ringrazio davvero per l’aiuto, Rose.”
“Si figuri professor Paciock.”
Sorrise
Rose.
Stavano trasportando in infermeria una cassa che mandava un odore
nauseabondo.
Era certa di non volerlo sapere
cosa
contenesse.
Il
motivo
per cui aveva accettato di aiutare il professore era che, primo,
l’aveva visto
in palese difficoltà fuori dalle serre. Secondo, con un
compito maleodorante
tra le mani era piuttosto improbabile che qualcuno venisse a
disturbarla.
Sono
ufficialmente un genio.
Salirono
le scale che li avrebbero portati all’entrata del castello
sbuffando fatica, in
silenzio.
Il
motivo
per cui cercava disperatamente di evitare cugini e amiche era uno solo.
Scorpius
Malfoy.
Che
la
sera prima l’aveva baciata, senza poi darle uno straccio di
spiegazione.
Beh…
Doveva
ammettere che non gliene aveva dato il tempo. Dopo aver parlato con
Teddy era
immediatamente schizzata su per le scale del dormitorio. A prova di
maschio.
Non
aveva
voluto sentire cosa avesse da dirle.
Lo
sapeva
già. Se lo immaginava, perlomeno.
Scusa ma
è stato un momento di
debolezza…
Scusa ma era
un gesto d’amicizia,
pensavo lo sapessi…
Scusa ma mi
è caduta la faccia
sulla tua…
“Rose?”
La richiamò Neville. Sul viso magro e intelligente gli
apparse un’ombra
divertita. “Tutto bene?”
La
ragazza arrossì, inspirando. “Certo professore.
Perché?”
“Hai l’aria un po’ strana. Anche oggi, a
lezione, mi sembravi distratta.”
Beh, naturale. Il playboy per eccellenza
di Grifondoro, e della scuola tutta se si esclude Jamie, mi ha baciata.
Non
sapevo, a posteriori, se ucciderlo o scrivere tutto nel mio diario
segreto.
“Pensieri…”
Sorrise nervosamente, con la segreta richiesta di essere lasciata in
pace.
Neville comprese, perché non chiese altro.
“Ancora
uno sforzo, dobbiamo arrivare fino all’infermeria.”
“Sissignore.”
Quella cassa puzzava come l’inferno.
Rose
si
chiese se fosse poi stata un’idea così
brillante quando vide il gruppetto delle ‘oche’,
capeggiato da Clara Haggins,
ridacchiarle dietro, mentre paonazza e sbuffante trascinava quella
specie di
cadavere di legno verso l’infermeria.
Al diavolo.
Chi avrà i M.A.G.O.
più brillanti della storia di Hogwarts degli ultimi dieci
anni?
Io. Io con le mie idee brillanti. Ah-ah.
…
Merlino, mi
chiameranno la puzzola
brillante.
“Siamo
arrivati.” Le annunciò trionfante Neville,
varcando le porte a vetri
dell’infermeria.
Rose sorrise sollevata. Salvo sentire uno spasmo alla bocca quando vide
chi,
oltre a Madama Chips, occupava quella stanza.
“Ehilà Rosey-Posey!” Trillò
Scorpius, alzando la mano in segno di saluto,
comodamente disteso su un lettino. L’altro braccio
l’aveva fasciato.
“Che
diavolo hai fatto?” Strillò quasi lasciando andare
la cassa. Neville la
riacchiappò al volo.
Scorpius fece spallucce. “So che sei angosciata per la mia
salute, trottolina,
ma sto bene. Ho solo qualche osso rotto.”
“Come?” Ringhiò.
Il ragazzo indicò l’uniforme da Quidditch che
indossava, sorridendo soave.
“… sei un imbecille.”
Mugugnò, fissandolo in cagnesco. Prima di accorgersi che,
a conti fatti, la stavano fissando tutti.
Si
schiarì la voce. “Sei un prefetto, vorrei
ricordarti. L’integrità fisica
è… è…
un tuo dovere.”
Non ho avuto
un infarto a vederlo
qui, e pure ferito
NON ho avuto
un infarto, per tutte
le mutande millenarie di Merlino!
“Hai
ragione
pasticcino. Cercherò di fare più attenzione la
prossima volta che un bolide
impazzito cercherà di disarcionarmi.” Sorrise, ma
il tono era palesemente
irritato.
“Non
fare
l’idiota…” Sussurrò
imbarazzata. Neville, forse impietosito, chiese l’aiuto
della Chips per spostare la cassa nauseabonda nel magazzino. Sparirono,
e Rose
non gliene fu mai così grata.
Poi
Scorpius aprì bocca.
“No!”
Sbottò sentendosi una
psicopatica quando la guardò sbigottito.
“Cioè… non voglio sentire. Sapere. Non
voglio. Okay? È stato tutto un errore, un momento di
debolezza, lo so io…”
Blaterò senza neanche ascoltarsi.
Se mi ascolto
è finita.
“Rose.”
La fermò Scorpius, deciso. “Chiudi quella
bocca.”
La
chiuse.
Bisogna
ammettere che quando vuole
sa essere convincente.
“Molto
meglio.” Concesse con un sorrisetto. Batté una
pacca sul letto, accanto a sé.
“Scordatelo.”
“Andiamo, sono imbottito di pozioni antidolorifiche! Giuro
sulla spada di
Godric Grifondoro che non ho cattive intenzioni.”
Sbuffò. “Avanti, vieni qui.”
Si sedette.
Da quando
sono diventata così
malleabile?
Merda! Da quando sono cotta di lui! Merda!
“Il
bacio.” Sparò subito a bruciapelo. Rose
sentì distintamente la terra cederle
sotto i piedi. Dopotutto, farla sedere, non era stata una cattiva idea.
“Sì.”
Disse semplicemente.
Meglio
esprimersi a monosillabi.
Più sicuro.
“Ti
ho
baciato perché…”
“Perché ti andava, per ringraziarmi delle belle
parole d’amici…”
“Rose, un’altra sillaba e giuro che ti
bacio.” La minacciò.
Ammutolì.
“Ti ho baciato perché tu…”
Silenzio. Per un attimo, solo per un istante, a Rose
sembrò che Malfoy fosse… in difficoltà?
No. In
imbarazzo.
L’assurdità
era tale che non fu capace di approfittarne.
“Perché
mi piaci.” Confessò infine.
“È uno scherzo?” Disse, pentendosene
subito dopo. Scorpius infatti la fissò
omicida.
“Ti sembra che io abbia l’aria di uno che sta
scherzando?” Sbottò. “Dannazione
Weasley. Sto dicendo sul serio!”
“Hai passato sei anni a prendermi in giro! Scusa, se non
credo a tutto quelle
che ti esce dalla bocca!”
“Molto acuto da parte tua.” Replicò
esasperato “E non ti sei mai chiesta
perché?”
“Perché…” Esitò,
ricordando le parole di Lily. Le cancellò. “Oh,
fammi il
favore. Perché ti diverte!”
Il
ragazzo ci pensò su. “Sì,
forse.” Ammise. “Ma anche
perché… tu sei l’unica
persona che non finge.” Concluse.
“Fingere cosa?”
Scorpius
si appoggiò ai cuscini. Fece una smorfia. “Donna
scettica…” Sorrise appena. “Ti
sei mai resa conto di come la gente davanti mi chiami per nome, e alle
spalle per
cognome?” Non aspettò risposta. “Sono un
grifondoro, ho amici grifondoro? No.
Guardati attorno. Per quanti sforzi possa fare rimango sempre un
Malfoy... Sanno
chi è la mia famiglia, e basta questo, per
classificarmi.” Concluse amaro.
Rose rimase in silenzio: non era un discorso da prendere alla leggera.
Ciò
che
li rendeva simili, in fondo, erano i loro cognomi scomodi: certo, per
Scorpius
era più difficile, visto che il passato della sua famiglia
era legato a episodi
ben poco eroici.
Ma anche
essere figlia di due eroi
della Seconda Guerra Magica non è una passeggiata…
Non sei un
nome. Sei un cognome.
“Sì.”
Sospirò.
“Credo di capirlo.”
Scorpius annuì. “Almeno per te, sono stato Malfoy
fin dall’inizio. Mi hai
chiamato per nome solo quando hai cominciato a conoscermi. Ti sei presa
il
disturbo di farlo.” La guardò. “Non hai
idea di quanto mi hai fatto sentire
bene, quando, nel bosco, mi hai dato del grifondoro.” Sorrise
appena.
Rose
si
sentì arrossire. “Beh. Ironico che te
l’abbia detto una Weasley, no?”
“Ironico che sia stata Rosey-Posey.”
Replicò inarcando le sopracciglia.
Si sorrisero. Dopo una breve esitazione si spostò
più vicina, mentre Scorpius
le faceva spazio. Era inutile fingere. A quel punto era persino un
po’
ridicolo.
Qualsiasi
cosa sia, non ci
detestiamo di sicuro.
“Quindi
ti piaccio.”
“Pare
di
sì.” Sospirò teatrale. “Sei
un po’ lenta a realizzare, eh?”
“Quanto tu a schivare i bolidi.”
Rimbeccò, sicura di farlo arrabbiare. Infatti
lo vide accigliarsi.
“Non è stato un bolide. È stata una
pluffa.” Confessò, e fu certa
che stavolta fosse imbarazzato. “Mi
ha preso in faccia ed ho sbattuto contro uno degli anelli.”
Rose represse una risata. “Ma sei un portiere!”
“Ero distratto.” Ringhiò. Si mise a
giocherellare con l’orlo del suo
maglioncino. Glielo lasciò fare.
Probabilmente
darmi fastidio lo
mette a suo agio…
- pensò divertita: era ovvio, e anche tenero, che Scorpius
fosse palesemente
sulle spine.
“Distratto?
Qualche ragazza ha invaso il campo seminuda?”
Ironizzò, beccandosi
un’occhiataccia esasperata.
“Ero
tormentato dall’idea che
una ragazza
potesse essere scappata da un mio
bacio.” Le tirò dispettosamente un filo del
maglione. “Te la sei letteralmente data
a gambe dopo che abbiamo parlato con Lupin.”
Rose
inspirò. Era stata così plateale?
Evidentemente…
“Mi vuoi dire perché l’hai
fatto?” Il tono era scherzoso, ma gli occhi
erano seri. Probabile se lo chiedesse davvero.
Godric, che
ragazzo complicato che
è.
“Avevo
paura che tu dicessi… cose tipo… quelle che
blateravo poco prima”
Scorpius la guardò perplesso, prima di sbuffare sonoramente.
“Rose.
Sinceramente. Sei paranoica. Se una ragazza non mi piace, non la
bacio.”
“Quindi ti piaccio come ti piace Clara Haggins?”
Paragonami alla Haggins e sei morto.
Scorpius
sogghignò. E capì di essersi fatta fregare di
nuovo.
“L’hai fatto apposta quello spettacolino in Sala
Grande, ieri!”
“Forse.” Confessò divertito.
“… Dammi un buon motivo per non romperti
l’altro braccio.”
“Ce l’ho.” Le assicurò con un
sorrisetto saputo. “Ascolta. Esistono due tipi di
ragazze. Quelle con cui puoi divertirti, sapendo che sei lo stesso per
loro. Un
divertimento. E poi ci sono le altre.”
“Le altre?”
Sillabò scettica. “E
sarebbero?”
“Saresti. Tu.”
Si chinò su di lei.
Rose sentì di nuovo prepotente il suo profumo. E una mano
esplorarle un fianco,
mentre le dita tormentavano il povero maglioncino. “Se ti ho
baciata, non è
stato per divertirmi. Ma per farti una proposta.”
Rose inspirò di nuovo.
C’erano
sicuramente milioni di motivi per
cui
non era una buona idea stare lì ad ascoltarlo.
Milioni di
motivi… Mio padre, il
fatto che è un donnaiolo incallito, mio padre, il fatto che
è un bugiardo
matricolato, mio padre…
“Che
proposta?” Chiese.
Scorpius
sorrise.
“Vuoi
diventare la mia ragazza, Rose?”
…
Per tutte le mutande di Merlino…
Scorpius,
per la prima volta in vita sua si sentì nervoso come mai gli
era successo.
Ah,
sì. Forse allo Smistamento.
Che giornata agghiacciante.
Rose
lo
guardava come se improvvisamente gli fossero spuntate un paio di corna
ramose.
Era
una
ragazza buffa, Rose Weasley.
Non ci si
annoia mai con lei.
“Rose?”
“Sì!” Sbottò quasi facendogli
saltare un timpano. “Cioè…
no!”
Scorpius inspirò lentamente.
“Sono
un
po’ confuso in merito, pasticcino. Vuoi metterti con me o
vuoi scappare il più
lontano possibile?” Ironizzò.
In
realtà
si sentiva lo stomaco rivoltato, e la sensazione orrenda di aver
travisato
tutto.
Credeva
che di non esserle indiffente. E un Malfoy solitamente non sbagliava in
questi
pronostici.
Ma
c’è sempre una prima volta, no?
Io sono l’uomo, da prima volta Malfoy.
Rose
finalmente sembrò tornare in sé. Si
schiarì la voce.
“Vuoi
che
diventi la tua ragazza.” Sillabò.
Scorpius alzò gli occhi al cielo. “Tu mi piaci, ed
io, se non ho completamente
travisato i segnali, piaccio a te. Cosa c’è di
così complicato, alla fine?”
Rose si umettò le labbra.
“Le
nostre famiglie…”
“Lontane miglia.”
“Hai un harem.”
“Quando
sto con te sento un impellente bisogno di diventare monogamo.”
“Litighiamo in continuazione.”
“Lo trovo stimolante.”
“Come
posso sapere che non è uno dei tuoi scherzi?”
Scorpius sorrise sfavillante, mettendo fine a quel botta-e-risposta. E
Rose
seppe, in quel preciso istante, che avrebbe capitolato. Miseramente.
“Non
fare
la
Weasley…”
Sussurrò sulle sue labbra, prima di baciarla.
E fu il bacio, a schiarirle definitamente le idee.
Perché lo ricambiò. Perché dopotutto,
non stava baciando Malfoy.
Ma
Scorpius.
****
Biblioteca,
Pomeriggio.
Thomas
era ancora lì. Seduto al
suo tavolo
preferito, sepolto tra due enormi scaffali, rispettivamente di pozioni
e
antiche rune, con una finestrella asfittica che a malapena donava un
po’ di
luce all’ambiente.
Si
sentiva un po’ cretino, a dirla tutta.
Prima
era
scappato, come un dannato codardo. Autoconservazione serpeverde,
avrebbe
ironizzato Michel.
La
verità
è che gli si era gelato il sangue nelle vene quando Lily
aveva ipotizzato un
suo coinvolgimento sentimentale con qualcuno.
Perché,
basilarmente, era la verità.
Quello
che provava per Al ormai travalicava la semplice amicizia.
Era
attratto fisicamente da lui.
Sentiva
il suo profumo ovunque, ed ogni volta sentiva quel peso
all’altezza dello
stomaco, quell’urgenza di allontanarsi il più
velocemente possibile.
Quell’urgenza
di stringerlo. Forte. A sé.
Deglutì.
Era
ridicolo. Ma impossibile da frenare.
Quando
aveva baciato l’amica di Alicia era rimasto deluso, e pure
sottilmente
disgustato. Quando Al gli era piombato addosso, si era sentito agitato
e
confuso.
Analizzandolo
freddamente (per come poteva nelle sue condizioni) il verdetto era
chiaro.
Serrò
le
labbra, chiudendo con uno scatto frustrato il libro che stava leggendo.
‘1001
Sciarade Inglesi’
Anche
la
sua ricerca si era miseramente arenata su … una
frase.
‘Di
inganno è fatto il mio secondo
nome’.
Il
peso
del medaglione, che aveva indossato sotto la camicia, sottolineava solo
che
razza di fallimento fosse.
Ignorava
quello che doveva essere il suo migliore amico per colpa dei propri
ormoni
confusi, e non riusciva a risolvere un banale indovinello.
Patetico.
Dov’è finito tutto il
tuo cervello?
La
verità è che stai perdendo di
vista i tuoi obbiettivi.
Ignora Al.
Concentrati sul
problema.
Tirò
fuori il medaglione, osservandolo.
Era
la
chiave di tutto. Aprirlo avrebbe portato a delle risposte, ne era
sicuro.
Sospirò
frustrato. Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto.
Ma a
chi?
Avrebbe comportato dover dare spiegazioni.
Cioè
spiegare che ho trafugato un
medaglione dal naga morto…
Certo.
Fattibile senza conseguenze
gravi, soprattutto.
“Ma
guarda… allora è vero quello che dicono di te,
Thomas Dursley! Sei proprio un
ragazzo studioso…”
Tom sussultò, voltandosi di scatto, per trovarsi davanti la
professoressa
Prynn, che lo guardava come se fosse la cosa più divertente
al mondo.
Sorrise
cortesemente, dissimulando fastidio.
“Buonasera professoressa.” Si alzò, ma
quella gli fece velocemente segno di
sedersi. Obbedì.
“Non ti piace studiare con gli altri, Thomas?”
Chiese.
La regina delle domande
inopportune… pare
che tra professori la chiamino così.
“Ho
bisogno di molta concentrazione. Di solito studio da solo.”
Spiegò.
Veramente di
solito studio con Al.
Ognuno fa le proprie cose, ma ci teniamo compagnia.
Di solito? Un
tempo…
“Capisco…”
Si
sedette accanto a lui. Non che gli dovesse chiedere il permesso, ma
comunque
non era una cosa… piacevole. “Sciarade?
È materia di studio adesso?”
Tom lanciò un’occhiata al libro accanto a lui.
“Interesse
personale. Del resto, si può anche non studiare solo materie
da programma…”
“Vero,
vero.” Confermò la donna. “Ti
divertono?”
“Non
mi
dispiacciono.”
Le detesto.
“Ce
ne
sono di complesse, vero? Io non riesco a risolverne neppure
una… sono proprio
negata per questo genere di esercizio mentale. Tu?”
“Neppure io sono molto portato…”
Quella
donna lo metteva a disagio. Il fatto di essere così
entrante, chiassosa,
avrebbe dovuto portarlo a mal tollerarla.
In
realtà
lo affascinava: si era subito capito che era una docente preparata, che
sapeva
come catturare un uditorio. Stimolava domande.
L’intero sesto anno grifondoro e serpeverde, almeno per parte
maschile, ne era
completamente ammaliato.
L’unica
eccezione era Al: la considerava una ciarlatana, e neppure le lodi
sperticate
di Loki, o le considerazioni pragmatico-sessuali di Michel riuscivano a
smuoverlo da quella convinzione.
Strano. Avrei
giurato che una
persona così alla mano gli sarebbe piaciuta…
“E
questo
medaglione? Che bell’oggetto…”
Tom abbassò lo sguardo, e si accorse di non averlo nascosto:
non che sarebbe
servito a molto. Prima l’aveva preso di sorpresa.
“È
un regalo.” Spiegò in
automatico.
“Posso
vederlo?”
Ho scelta?
Temo di no.
“Prego…”
La
donna
lo prese tra le dita, avvicinando il viso al suo. Tom, con fastidio, si
sentì
incredibilmente agitato e sulle spine.
Detestava
che qualcuno entrasse nei suoi spazi vitali. Persino se era una donna
attraente
come la professoressa Prynn.
“Ah,
una
sciarada. Era per questo che ti documentavi? Non riesci a
risolverla?”
“Già.”
“Beh, non è facile, bisogna
dirlo…” Socchiuse gli occhi per leggere meglio.
“Di enigma è fatto il mio
secondo nome.
Proprio difficile…” Confermò,
raddrizzandosi. “Secondo nome… credo sia questo a
sviare.”
Tom batté le palpebre. Attento. “In che
senso?”
La donna fece un mezzo sorriso. “Beh. È una frase
ambigua. Può voler dire
secondo nome o…”
“Cognome.”
Sussurrò Tom, colto da
un’illuminazione. “Dopo il nome viene il cognome.
Che è praticamente un secondo nome.”
Come
direbbero i babbani… Eureka.
“Esatto!”
Esclamò
Ainsel stupefatta. “Che bravo, io non ci sarei mai
arrivata…”
“Sì.
Però… Non ha molto senso.”
Borbottò. Ainsel annuì, parimenti perplessa.
“Sicuro che abbia una soluzione? Intendo dire, sicuramente
per il creatore la
ha. Ma non si riesce a risolverla.”
“No. Deve averla.”
La
donna lo
guardò, stupefatta dal tono sicuro. Poi sorrise, alzandosi
in piedi. “Beh, se
la ha, sono sicura che un ragazzo brillante come te riuscirà
a trovarla…” Gli
diede una pacchetta sulla spalla. “Magari è
persino una soluzione banale. In
questo genere di indovinelli è meglio non scervellarsi
troppo.”
Tom
la
guardò andare via.
Indovinelli.
Inganno
è il mio cognome.
C’era
un
collegamento. C’era.
Una
parte
di sé sapeva che avrebbe
dovuto
mollare tutto, contattare Harry e consegnargli il medaglione. Quella
storia
stava diventando… inquietante.
Ma
l’altra parte di sé, quella più forte,
lo spingeva a ricomporre il puzzle. A sapere.
Senza andare
a piangere da zio
Harry…
Le tre di
tomba son le prime. Tom.
Inganno
è il mio cognome…
Espirò
lentamente, serrando la presa sul medaglione. Era bollente.
“Tom
Riddle.” Scandì. Era quella la soluzione? E se era
quella, cosa voleva dire?
Sentì un click secco. Si
aprì.
Eureka, di
nuovo.
Il cuore
minacciava di sfondargli il petto. Si sentiva spaventato ed esaltato al
tempo
stesso. L’ho risolto. Ho vinto.
Spostò
la
copertura. Doveva sapere cosa conteneva il medaglione.
Non
ebbe
il tempo di capirlo. Un lampo di luce, violento, lo investì.
E
semplicemente, scomparve.
****
Note:
Suuuspance!
*Evita la pioggia di pietre affilate e molotov*
|
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Capitolo 22 *** Capitolo XVII ***
Per
farmi
perdonare l’assenza berlinese, un capitolo bello farcito.
Al, Thomas, Michel. La triade eye-candy. Enjoy. ;)
Ringrazio
TOTALMENTE chi continua a seguirmi e mi recensisce.
Siete la mia forza
(*Dira usa un tono strappalacrime con tanto di violini*)
Apparte
questo (*espressione paracula mode on*) chi mi segue o mi
‘preferisce’ batte un
colpettino?
@MissMary: Avevi
indovinato, ebbene sì! Beh,
certo Tom è intelligente, ma devi ammettere che noi siamo a
conoscenza di più
informazioni di un sedicenne dentro
la storia. ;) E’ questa la mia politica: voi sapete, loro no.
XD Purtroppo in
questo capitolo non ci saranno Teddy e Jamie, ma ti prometto che ti
piacerà
comunque. Tempo di rivelazioni! La prof e Mister X stanno diventando
dei veri e
propri nemici. XD Mi piace! Grazie per le tue recensioni!
@Altovoltaggio: Sono
riuscita addittura a
convertirti un po’ allo slash! Evviva! In realtà
cerco di fare lo slash in modo
che sembri il più possibile attinente alla
realtà. Mi fa piacere che tu ti sia
innamorata dei nostri due puccini. Dopotutto Tom/Al è la
classica dicotomia
bello&tenebroso/puccinoadorabile. Impossibile
resistergli! XD
@Pietro90:
Chi si rivede! XD Ciao Pietro! Spero che
Catilina non ti abbia dato troppi grattacapi, a me ha dato
nausea e capogiri. ;P Ti prego, non mandarmi più eserciti di
Naga, sono
ESTREMAMENTE difficili da convincere a sloggiarsi da casa. XD E tu, che
mi dici
di Oblivion? A quando un
aggiornamento? Grazie per continuare a seguirmi, e per la recensione!
@Trixina: Ammetto che
tra me e Voldemort è
una bella sfida, ma spero con questo capitolone di essermi fatta
ampiamente
perdonare. Rose/Sy sono esilaranti. Mi diverto sempre tantissimo a
scrivere di
quei due. Poi i nomignoli sono la parte più divertente (e
vedrai prossimamente,
come si divertirà Sy).
@Ombra: Ebbene
sì, Rose è una Weasley coi
fiocchi. Del resto si dice sempre che la figlia femmina prenda dal
padre. E
infatti, dietro il cervello operativo, ci sta una Ron in gonnella! XD
Tom è un
coglione, perdonalo. ;P Per quanto riguarda il pooovero James dovrai
aspettare
il prossimo capitolo, ma non verrai delusa!
@Hel_
Selbstmord: Grazie per i
complimenti sulla
Rose/Sy! Avevo paura di averla fatta troppo affrettata (sì,
se non fosse per
voi la tirerei ANCORA più per le lunghe) ma se è
piaciuta, forse allora gli
sforzi ne sono valsi la pena. Se ti ho corrotta sulla via rosata dello
slash mi
riterrò personalmente soddisfatta. XD E non preoccuparti per
la lunghezza delle
tue recensioni. LE ADORO.
@Nyappy:
Grazie mille! Addirittura magnetici! Sei grande! Continua a seguirmi!
Ci
saranno altri siparietti Lily/Hugo. ;)
****
Capitolo
XVII
Blurring and stirring the truth and the lies
So
I don't know what's real and what's not
Always
confusing the thoughts in my head
So
I can't trust myself anymore
(Evanescente,
Going Under)
Quando
Tom riprese conoscenza si rese immediatamente conto che qualcosa non
andava.
Un
vento
gelido gli schiaffeggiava il viso, e si trovava...
In strada.
Si alzò a sedere, mentre lentamente gli occhi si abituavano
alla penombra.
Da
lontano una luce gli permise di individuare dove si trovasse.
In un vicolo. All’aperto.
Si alzò in piedi, appoggiandosi al muro.
Dove diavolo mi trovo?
Dalla pietra grigia, l’asfalto scadente, era chiaro
si trovasse lontano da
qualsiasi moderno centro abitato.
Di
sicuro, non si trovava ad Hogwarts.
Doveva
fare il punto della situazione.
Aveva
aperto il medaglione. Ed era stato letteralmente catapultato
lì.
Dovunque sia qui.
Era
una
passaporta. Chiaro come il sole: aprendo il medaglione doveva averla
attivata.
Sicuramente
era magia avanzata. E lui ci era finito in mezzo.
Si
guardò
attorno.
Se non altro,
dallo stile delle
case, credo di essere ancora in Inghilterra.
Inspirò
lentamente.
Ragiona. Sei
stato portato qui con
magia avanzata, ma pur sempre magia. E hai ancora la bacchetta.
Avrebbe
dovuto davvero ringraziare Harry, per ricordargli continuamente che la
bacchetta non era altro che il prolungamento naturale del braccio di un
mago.
Una
folata di vento gelido, che ghiacciava le ossa, lo fece rabbrividire.
Aveva
solo il maglione. Niente mantello.
Certo non
credevo che aprire quel
dannato medaglione avrebbe portato a questo.
…
Il medaglione…
Si
frugò nelle
tasche dei pantaloni, senza trovarlo. Si tastò il petto.
Era
sparito.
“Lumos.”
Perlustrò attentamente la
pavimentazione del vicolo, a lungo.
È
sparito.
E se
è una passaporta, è l’unica
cosa che può riportarmi ad Hogwarts.
…
Era.
Si
impose
di non farsi prendere dal panico, ma non poté impedirsi un
lungo brivido gelido
che gli attanagliò la nuca.
Niente
panico. Cerca di capire
dove sei. Esci da questo vicolo, orientati.
Il paesaggio
che
gli si aprì non appena affacciatosi fu quanto di
più desolante potesse
aspettarsi.
Era
atterrato in quello che sembrava, a conti fatti, un triste e sperduto
villaggio
dell’entroterra inglese.
Ottery St.
Catchpole in confronto
è una metropoli…
Era
poco
più che una manciata di casupole in muratura, rese grigie
dalle intemperie e
dal clima.
Non
riusciva neppure a capire che ora fosse. Una spessa e densa coltre di
nubi
oscurava il sole.
Mosse
qualche passo per la via principale, deserta.
Si
guardò
attorno. La città era immersa in un silenzio innaturale.
Innaturale perché non
poteva essere che, al massimo, poco prima di cena.
Una
città fantasma?
Eppure le
insegne
dei negozi sembravano relativamente nuove, le vetrine ben tenute.
Semplicemente,
mancavano le persone.
Senza
rendersene conto, si trovò a impugnare la bacchetta.
Percorse
la via principale senza trovare anima viva. Non c’era una
sola finestra
illuminata.
Poi,
la
vide. Difficile non notarla, dato che gli si stagliò
davanti. In cima ad una
ripida collina, a poche centinaia di metri dalla fine del villaggio,
c’era una
villa.
Due
piani, con il tetto di ardesia, mangiato da erbacce e quella che un
tempo
doveva essere stata edera rigogliosa, ora piuttosto un agglomerato
vegetale
semi-morente .
Lì,
una
sola luce, era accesa.
L’intero
paese era al buio, deserto, ma in quella villa doveva esserci qualcuno.
Qualcuno
che voleva segnalargli la sua presenza? Forse.
Comunque
qualcuno. Qualcuno a cui fare delle
domande, da cui farsi aiutare.
Strinse
la bacchetta in pugno.
Non so
smaterializzarmi. Ho perso
la passaporta. E nessuno sa che sono qui.
Non
aveva
altra scelta. Doveva raggiungere quella casa.
Lasciò
la
strada lastricata di pietra umida del villaggio, per affondare le
scarpe nella
fanghiglia del sentiero che si snodava lungo la collina.
Il
freddo
era umido, pungente, e Thomas ringraziò la sua resistenza
alle basse
temperature. Arrivò al cancello della villa.
Provò a spingerlo. Cedette senza
opporre resistenza.
Mi stanno
aspettando?
La
cosa
lo spaventava, ma al tempo stesso lo…
Deglutì.
Lo
eccitava.
C’era
qualcosa che gli contraeva le viscere, facendogli desiderare sapere
cosa stesse
succedendo.
Che
ormai
era ovvio che tutto quello, i naga, il medaglione, la sciarada, fossero
parte
di uno stesso piano. Che fosse stato tutto organizzato dalla stessa
mano.
Inspiro una boccata d’aria gelida mentre raggiungeva il
portone, in pesante
quercia. La luce al primo piano della villetta era rimasta accesa,
senza
vacillare, per tutto il tempo.
Esitò.
E se fosse una trappola? Dopotutto non
posso essere certo che non lo sia.
Quel naga
voleva uccidermi. Come
posso essere certo che chi è qua dentro non voglia fare lo
stesso?
Non
lo
sapeva, ovviamente.
Ma del resto,
ho scelta? Non so
dove mi trovo, e non ho modo per mettermi in contatto con nessuno,
neppure zio
Harry.
Eppure
c’era una parte di sé che sapeva, in modo
irrazionale ma sicuro, che non gli sarebbe
stato fatto del male.
Fece
per
bussare al portone ma la porta si aprì, cedendo come aveva
fatto il cancello.
Entrò
in
un ingresso buio. L’odore di muffa e umidità non
era poi molto dissimile da
quello all’esterno, ma almeno la casa era riscaldata.
La luce
è al primo piano. Devo
salire al primo piano.
Strinse
saldamente la bacchetta in pugno, salendo le scale che scricchiolavano
sotto il
suo peso. Era una vecchia casa appartenuta probabilmente
all’unica famiglia
ricca della zona.
Proprietari
terrieri…
Erano
pensieri inutili, ma lo aiutavano a non cedere alla paura.
Arrivato
al primo piano vide la luce filtrare da una stanza. La porta a due
ante, in
mogano, la identificava presumibilmente come una sala da pranzo.
Non
c’è niente di cui aver paura.
Sei armato.
Inspirò
e
afferrò la maniglia della porta, aprendola di scatto.
La luce improvvisa lo abbacinò. Distolse lo sguardo
brevemente, ma con i sensi
tesi per non lasciarsi cogliere di sorpresa.
Per
schiantarmi devi prima
pronunciare l’incantesimo. Chiunque tu sia.
“Benvenuto
Tom.”
Disse invece la voce. Thomas alzò lo sguardo, e
sentì il sangue fermarglisi
nelle vene, quando riconobbe chi gli stava davanti.
Sarebbe
bastato uno specchio, del resto.
Era
di
fronte a se stesso.
****
Spogliatoi Di
Quidditch.
Tardo pomeriggio.
“Io
lo
uccido.” Stimò con incredibile lucidità
mentale Albus Severus Potter, mentre si
disfaceva della divisa da Quidditch, reduce da un lungo e lurido
allenamento.
Michel
Zabini
si limitò ad inarcare le sopracciglia, mentre si abbottonava
la camicia pulita,
fresco di doccia.
“Fammi indovinare…” Iniziò.
Fu fermato dall’aria mortifera dell’altro ragazzo.
“Evita il sarcasmo.” Sbottò Al.
“Io e lui
siamo di ronda assieme stasera, ed è da poco dopo
pranzo che non lo vedo.”
“Cercasi
Tom Dursley disperatamente…” Chiosò con
un sogghignetto Michel. “Comunque, io
non so dove sia.”
“Bene.
Grazie mille.” Si scollò dal palato, prima di
liberarsi degli ultimi indumenti
e infilarsi sotto il benefico getto delle docce.
Michel lo guardò andare via.
“Nervosetto…” Commentò.
“Prima mi ha quasi disarcionato, quando ho tentato di
prendere il boccino prima
di lui.” Lo informò il sostituto-cercatore, un
ragazzo del terzo anno con un
grave problema di acne. “È pazzo quello
lì.”
“Oh,
no
Lawson. Sono solo tensioni sessuali irrisolte. Non lo trovi
delizioso?” Sorrise
il moro, beandosi dello sguardo agghiacciato dell’altro.
“Ti consiglio di non
entrare nelle docce, adesso. Sai,
devo calmarlo…” Soffiò lentamente,
facendolo impallidire del tutto.
Trovo
Albus
che si insaponava furiosamente i capelli.
“Al,
i
capelli si lavano gentilmente, non si strappano.
Rischi di diventare pelato, e questo mi affliggerebbe
moltissimo…”
Al gli scoccò un’occhiataccia. “A te non
hanno mai detto che a volte farsi gli
affari propri è cosa buona e giusta?”
Michel
scosse la testa, con un sorriso lieve.
“L’hanno fatto, ma non ha mai funzionato.”
“Ci avrei scommesso…”
Commentò acido.
Al,
così ingenuo e trasparente…
Adesso si
accorgerà di essere
stato troppo brusco, e si scuserà.
“Mike.
Non è aria, mi dispiace.” Disse infatti, uscendo
dalla doccia e avvolgendosi un
asciugamano attorno alla vita. “Davvero.”
“Lo so. Ma credo che tu abbia bisogno di parlare.”
Lo informò pacatamente.
“Lo sai,
è Tom.”
“Si è allontanato.” Annuì
Michel. “Ha qualcosa per la mente…”
“Già. Ma cosa? Maledizione, non lo dice! Ed
io…”
“Ti fa stare male.”
“Esatto!” Si sedette su una delle panche, vinto.
“A lezione è assente ed è
più
scorbutico del solito. E sembra che ce l’abbia con
me… ma non so perché!”
Michel emise un lungo sospiro. Era uno Zabini, e si era sempre
considerato super partes. I suoi
interessi, prima di
tutto.
Ma
c’era
qualcosa in Albus che lo spingeva ad essere…. altruista.
Gene Potter.
Suo padre è riuscito
a convincere il mondo magico a ribellarsi a Voldemort.
Chissà
che non sia contagioso,
tirare fuori il meglio dalle persone.
E farle
sentire in colpa, se vanno
a letto con suo fratello maggiore…
“Al,
siamo serpeverde.” Gli mise una mano sulla spalla. La
sentì contratta.
“Attestiamo un torto fattoci, senza divulgarlo al diretto
interessato.”
“Oh,
giusto. Portiamo rancore in silenzio…”
Ironizzò. Poi gli lanciò una lunga occhiata
valutativa. “Che intendi dire veramente,
Michel? Fai l’amico, per una
volta.”
Michel rifletté. Giocare era divertente, ma forse, in quel
caso, doveva
semplicemente dare la sua versione dei fatti.
“Vuoi
la
verità su te e Thomas?”
Al si corrucciò.
La
verità? Di che diavolo…?
“Sono
tutto orecchi.”
Il
ragazzo sospirò. “Tom ti evita perché
si è scoperto attratto da te.”
Silenzio.
Al emise una risatina strozzata.
“Finiscila. Ti ho chiesto la verità.”
“Ed io te l’ho data, Albus.”
C’era qualcosa di profondamente ironico in tutto
quello. Sia nella faccia sconvolta dell’amico, sia nel fatto
che fosse lui a
metterlo a parte dell’intera faccenda.
Lui,
che
a dirla tutta, invidiava Dursley per avere un simile fiore da far
sbocciare tra
le mani, e che se lo lasciava sfuggire per ridicole fisime mentali.
Al
boccheggiò. Sentiva le orecchie arroventarsi, e il cuore in
gola.
Panico.
Zabini
poteva essere un ridanciano figlio di buona donna, ma quando parlava
sul serio…
…
Era un
oracolo.
“Chi…
come… lo sai?” Sussurrò.
Michel scosse la testa. “Thomas non è mai stato
interessato alle ragazze. Non
ne ha mai guardata una. Ma guarda te.”
“Tom
è
gay?”
“Molto probabilmente.” Confermò Michel
impietoso. Lì ci voleva polso.
E anche un
pizzico di crudeltà. E
in questo, permettetemi, sono un maestro.
Al
inspirò.
Avrebbe
dovuto andarsene, non credergli, infuriarsi ma… si fidava.
Non era un bugiardo
come Loki. Dissimulava la verità, ma la diceva. Sempre.
“Ne
sei
sicuro?” Chiese a bassa voce. Gli spogliatoi erano vuoti, ma
un certo grado di
riserbo in ambienti comuni era sempre dovuto.
“No.
Ovviamente non ne ho la certezza. Ma certe cose si sentono.”
“Perché
non me l’hai mai detto?”
“Mi avresti creduto?” Michel scosse la testa.
“No, non l’avresti fatto. Ma
adesso? Mi pare ovvio che Thomas abbia un problema verso di te. Non so
se sia
l’unico, ma è il principale.”
Al
esitò
appena, poi lo disse. O meglio, lo chiese.
“Ed io?”
Michel inarcò le sopracciglia. “Tu cosa?”
“Io… cosa sono?” Aggrottò le
sopracciglia. “Hai detto di avere un sesto
senso nel capire l’orientamento
altrui. Bene. Il mio?”
“Se non lo sai tu…”
“No, non lo so.” Ammise. “Sono confuso,
non ci sto capendo niente.”
Zabini sospirò, lanciando uno sguardo all’aria
speranzosa dell’amico. Giocare
con la sua confusione sarebbe stato fin troppo facile.
Con Re Potter
posso farlo. Ma non
con te, Al.
… È grave, dottore?
“C’è
una
sola domanda da fare in questo caso. Cosa
ti piace?” Fermò il giovane Potter prima che
potesse rispondere. “Lo sai da
solo.”
“Io non…”
“Al, lo sai. Fidati.” Gli sorrise. “Devi
solo darti tempo. Non posso dirtelo
io. Potrei fuorviarti… Anche se non sai quanto mi
piacerebbe.” Scherzò,
arruffandogli i capelli umidi. Al sbuffò, aggiustandoseli
senza molto successo.
Poi
però
sorrise. “Grazie Mike. Sei un amico.”
Sospirò,
sorridendogli di rimando.
“Non
c’è
di che.”
È
decisamente grave dottore.
****
Un
altro
se stesso.
Di
tutto
ciò che si aspettava….
L’altro sé gli
sorrise apertamente.
Niente a che vedere con la sua espressione. Questo lo spinse a
recuperare
controllo.
“Chi diavolo sei?”
“Di sicuro non te.” Rise quello, facendogli cenno
di sedersi sulla sedia di
fronte a lui. “Avanti, siediti.”
“No.” Tom gli puntò addosso la
bacchetta. “Chi sei?”
“Ha importanza? O meglio, è questo che ti
interessa davvero?” Scosse la testa.
“Sai, non credo.”
Lo
guardò
attentamente: sì, non c’era dubbio che si
somigliassero. Ma l’espressione degli
occhi, il modo in cui si esprimeva… erano diversi.
Si
è camuffato. Polisucco?
“Non
sai
cosa mi interessa.” Ribatté continuando a tenerlo
sotto tiro. “Perché sono
qui?”
L’altro sé sorrise allegro. “Ah! Questa
è una buona domanda finalmente.”
Tom
corrugò
le sopracciglia. Si stava forse prendendo gioco di lui?
“Hai
intenzione di rispondermi?”
“Dipende.
Sono qui proprio per darti delle risposte. Però dobbiamo
metterci a nostro
agio, non credi?” Fece un cenno verso il camino, in cui
scoppiettavano ceppi
ardenti. “C’è il fuoco acceso. Ho fatto
fare del the. Ne vuoi?”
Tom serrò le labbra. La presa sul manico della sua bacchetta
stava diventando
dolorosa.
Era
stanco, confuso, infreddolito. Voleva delle risposte. Voleva tornare ad
Hogwarts.
Voleva
sapere chi diavolo fosse quel tipo, e cosa volesse da lui.
Voglio.
Voglio, ma non posso
avere.
L’altro
sé sospirò. “Non andiamo da nessuna
parte così, vero? Vuoi che prenda un
aspetto che ti metta meno a disagio? Era solo uno scherzo,
sai.”
“Uno… scherzo?”
“Non penserai che sia davvero
questo il
mio aspetto?” Rise. “Via, Thomas, ti facevo
più intelligente di così!”
“Non
costringermi a mostrarti fino a che punto posso esserlo.”
Sibilò di rimando.
L’altro ghignò leggermente. La somiglianza lo rese
nervoso.
Sono
così inquietante quando
sorrido?
“Vuoi
attaccarmi?
Non so quanto ti convenga. Avanti, ragazzo mio. Usa il cervello. Siamo
soli, ma
potremo non esserlo. E tu sei un ragazzo.”
“Tu non lo sei?” Interloquì
immediatamente.
Vuoi giocare?
Non sai quanto posso
essere bravo.
L’altro
sé prese un’espressione sorpresa, prima di ridere.
Sembrava divertito.
“Oh, molto acuto Tom, molto acuto.”
“Thomas.”
Replicò. Si guardò attorno:
la stanza era spoglia. Il camino acceso, le due poltrone, un tavolino
con un
servizio da the di poco valore. Nient’altro.
Non
è una casa abitata questa. È
stata sistemata provvisoriamente.
L’altro
ragazzo, se tale era, scrollò le spalle. “Thomas.
Come vuoi. Non sono qui per
litigare, sono qui per parlare. Non ti sono nemico, credimi.”
“Allora inizia col mostrarmi il tuo vero aspetto.”
Commentò, premurandosi di
tenere sempre la bacchetta di fronte a sé. Mosse un solo
passo verso la
poltrona. L’altro non reagì, aspettando che
finisse di parlare. “Non ti
aspetterai che ti creda, mentre indossi la mia
faccia…”
“Touchè.” Ammise.
“Va bene, basta
scherzare.”
Fu un
attimo. Fu come se una colata di magia pura fuoriuscisse dai pori della
pelle
dell’altro. Si tramutò in un ragazzo biondo,
dall’aria florida e profondi occhi
blu.
Indossava
ancora la divisa dei serpeverde, ma la riempiva completamente, tendendo
il
maglione in più punti. Era presumibilmente più
alto e in carne di lui.
Tom
non
commentò, limitandosi a fare una smorfia. “Non
penserai che ti creda un mio
coetaneo…”
“Perché no? Ti faccio forse pensare il
contrario?”
“Nessun ragazzo della mia età chiama un altro ragazzo mio.”
Il
biondo
batté le palpebre, salvo ridere. “Sei in gamba,
Thomas. La tua fama non viene
smentita dai fatti.”
“Chi sei?”
“Non lo vedi? Uno studente.” Motteggiò.
“Avanti, avanti. Tu vuoi chiedermi
altro. Ed io non posso rispondere a tutto. Panta
rei, come dicevano i greci. Il tempo scorre. Cosa
succederebbe se si
accorgessero della tua scomparsa da Hogwarts?”
Tom
gli
lanciò un’occhiata. “Sei tu ad aver
organizzato tutto questo?”
“Cosa, precisamente?” Fece un gesto vago.
“Metti via quella bacchetta,
coraggio. Non voglio farti del male.”
“Cosa ti fa credere che io non voglia farne a te?”
Rimbeccò, sentendosi
scrutare attentamente.
Quel tipo aveva una postura rilassata, l’aria amichevole. Ma
c’era qualcosa di
complessivamente… storto,
nella sua
faccia. Non avrebbe saputo dire cosa. Ma c’era.
Non
è la polisucco. La polisucco
termina i suoi effetti indipendentemente dalla volontà di
chi la assume. Un
metamorfomago? Può essere. Ma ho visto trasformare Ted. E lo
fa in modo
diverso.
“Ti
stai
chiedendo cosa sia, vero?” Allargò le braccia.
“Un mago. Al momento, con le
risposte che ti servono. Vuoi deciderti a farmi le tue
domande?”
Tom serrò le labbra. Poi rinfoderò la bacchetta,
sotto il sorriso dell’altro.
“Sei stato tu a portarmi qui?” Chiese.
“No, naturalmente. È stato il
medaglione.”
“Era una passaporta.”
L’altro annuì. “Proprio così.
Aprendola sei stato portato qui.”
“Qui dove?”
“Little Hangleton.”
Il breve botta e risposta lo lasciò più confuso
di prima. Si sentiva così… stanco.
Si
impose
di non lasciarsi vincere dal freddo e dal disagio.
“I Naga… li hai liberati tu ad Hogwarts?”
“Dovevano trovarti e sanno essere molto convincenti, non
è vero?”
“Uno di loro mi ha quasi ammazzato.”
Sibilò sentendo la collera montare, al
ricordo del terrore, della rabbia
e
delle ferite che ancora gli dolevano.
Il
ragazzo sbuffò. “Andiamo. Non mi sembra sia
successo. Anzi, sei stato tu ad
uccidere lui.”
“È stato Grop.” Ribatté
monocorde: almeno, così era stato accertato.
Certo…
tu però l’hai fatto urlare
di dolore, di un dolore tale che ti ha mollato e si è fatto
ammazzare come una
bambola di pezza dal gigante.
“Più
o
meno…” Concesse il ragazzo misterioso.
Tirò fuori dalla tasca dell’uniforme un
pacchetto di sigarette babbane. Le riconobbe come Lucky Strike.
“In realtà il
naga serviva solo per sapere se eri speciale.”
“Speciale?” Fece una smorfia. “In che
senso, speciale?”
“Non dirmi che tutti i tuoi amici hanno quel piccolo
problemino…” Sorrise l’altro.
Tom si sfiorò lo stomaco, inspirando.
“Come…”
“Te lo chiedi sempre, vero? Continuamente direi.
Perché sei nato così, per
quale motivo. Perché c’è un motivo. Un
motivo per cui sei stato rapito da
bambino, per cui non hai l’ombelico. Ovvio,
c’è un motivo per tutto. Anche per
te.”
Tom
si
sentì le labbra secche. Il cuore gli martellava nel petto,
forte, così forte
che quasi lo assordava.
“Tu…
sai come
sono nato?”
“È il motivo per cui sono qui.”
“Ed hai organizzato… l’attacco dei Naga,
il medaglione, la sciarada…”
“Tutto per farti arrivare qui, a parlare con me.”
Confermò. “Andiamo, Thomas.
Se ti avessi avvicinato dal nulla, non saresti forse corso a chiamare i
grandi? Zio Harry Potter?”
Assottigliò
gli occhi. “L’avresti fatto… ed entrambi
avremmo perso. Tu, le tue risposte…
io…” Non finì, limitandosi ad
appoggiarsi di nuovo allo schienale. “Conosci il
gioco Scale e Serpenti?”
Il giovane Dursley si irrigidì: di nuovo quegli scherzi?
Parole fuorvianti per
confonderlo ancora di più? “Cosa c’entra
con me? Con quello di cui stiamo
parlando adesso?”
“C’entra.
Per ogni cosa bisogna andare per gradi. Per caselle.
E alla fine, si arriverà alla soluzione finale.”
“Di
che
diavolo stai parlando? Non è un gioco questo!”
È
pazzo, cosa crede, di essere in
un gioco a premi?
L’altro
non rispose, limitandosi ad accendersi la sigaretta, che fino a quel
momento
gli era rimasta tra le dita. Trasse una lunga boccata di fumo.
“Fin’ora abbiamo
giocato assieme a Scale e Serpenti. Per gradi, sei arrivato fin qui. E
adesso…
hai di fronte a te una scala o un
serpente.” Infilò ancora le mani in
tasca, e fece ondeggiare davanti a lui
il medaglione. “Questa è la scala.” Poi
indicò con un cenno la porta dietro di
lui. “L’uscita, anche se ti sembrerà un
controsenso, è un serpente.”
Tom
si
voltò, prima di fissarlo nuovamente. “Sei
pazzo.” Affermò con livore. “Cosa
vuoi da me?”
“Per caselle,
Thomas.” Lo ammonì
serio. “Adesso sei tu, a
volere
qualcosa da me. Ed io ti metto di
fronte ad una scelta. Scegliendo il medaglione, continueremo la nostra
chiacchierata la prossima volta. Lo indosserai, e quando si
scalderà, saprai
che sono disponibile a fare due chiacchiere con te.”
“Se decido invece di andarmene?”
Il
ragazzo si strinse nelle spalle. “Varcata quella porta sarai
obliviato, e
verrai riportato ad Hogwarts sano e salvo. Non ricorderai nulla, e
trascorrerai
la vita nell’ignoranza.”
“Ovviamente immagino che questo sia un gioco
tra me e te…”
Il ragazzo sorrise. “Vedo che hai capito il punto
fondamentale.”
Tom
abbassò lo sguardo sul medaglione.
“Non mi fido di te.” Disse secco, piantandogli gli
occhi nei suoi. “Dammi una
prova che sai qualcosa del mio passato. Niente giochi. Una prova vera.”
L’altro
tirò una boccata dalla sua sigaretta.
Parve meditabondo.
“Chi
ti
ha rapito credeva tu fossi la reincarnazione di Tom Riddle.”
Tom deglutì lentamente.
“E chi diavolo
è, Tom Riddle?”
A parte la soluzione della Sciarada.
“Beh,
teoricamente il legittimo proprietario di questa casa.”
Tom
serrò
furiosamente le labbra, fino a sentirsele bruciare. Sentiva di nuovo
quel
fuoco, quel fuoco divampargli nel petto. La stessa rabbia che aveva
provato
durante l’attacco del naga.
“Che
significa? Questa non è una prova!”
“Scala
o
Serpente, Thomas?” Replicò senza lasciarsi
impressionare dalla bacchetta nuovamente
puntata su di lui. “Tic tac. Il tempo scorre, o alla prossima
puntata, o a mai
più. Devi scegliere.”
Doveva
scegliere.
C’era
quella parte di lui che gli stava urlando di scappare, di andarsene, di
avvertire Harry e di chiudere con quella storia sospetta e con quel
ragazzo
inquietante.
Ma come posso
avvertirlo se verrò
obliviato?
Il
ragazzo biondo si alzò, facendogli dondolare davanti il
medaglione.
“Verità o oblio?” Chiese. “E
non pensare di fregarmi accettando e poi correndo
da zio Harry a spifferare tutto. Lo saprei. E sparirei. Con tutte le
tue
domande irrisolte.” Inclinò leggermente la testa
di lato, quasi curioso.
“Quanta esitazione… Tom, mi deludi. Un prefetto
serpeverde, il brillante Thomas
Dursley dovrebbe sapere cosa vuole.”
“Sta’ zitto.” Sibilò. Chiuse
gli occhi, e sentì la sua
mano scattare ad afferrare il medaglione. Li riaprì per
vedere
l’espressione trionfante dell’altro.
Lo
disgustò.
“Allora
alla prossima volta. Ah, e se posso darti un piccolo compito per
casa… ti
consiglierei di documentarti su Riddle.”
Tom non rispose. Voleva andarsene, al più presto.
Aprì il medaglione, e
stavolta sentì il familiare strappo allo stomaco della
smaterializzazione.
L’ultima
cosa che vide furono gli occhi blu del ragazzo, che lo fissavano
ridenti.
****
Poco fuori
l’entrata della Sala
Comune Serpeverde.
Ora di cena.
Al si
chiuse la porta di camera alle spalle, controllando con un gesto veloce
di
avere la spilla appuntata sul maglione e la bacchetta in tasca. Michel
e Loki
l’avevano preceduto a tavola, il primo in compagnia della
squadra di Quidditch,
il secondo con loschi figuri in odore di contrabbando di liquori.
Aveva
aspettato fino all’ora di cena che Tom tornasse. E non
l’aveva fatto.
Dove diavolo
sei finito?
Quasi
l’avesse sentito, l’interpellato svoltò
l’angolo. E si trovarono di fronte.
“Tom!”
Thomas sussultò. Parve sorpreso di trovarlo lì. A
dirla tutta, parve quasi
spaventato.
“Dove eri finito?” Gli chiese preoccupato.
“In
biblioteca, a studiare. Ho perso la cognizione del
tempo…” Mormorò,
aggiustandosi in spalla la tracolla piena di libri.
Al serrò le labbra: mentiva.
Tom
aveva
i capelli arruffati per l’umidità, e le guance
pallide leggermente
congestionate dal freddo. Senza contare le scarpe. Gli bastò
un’occhiata, anche
nella penombra, per vedere che erano sporche di fango.
Non
è da lui. Non è da lui farsi
cogliere con le mani nel sacco.
“Non
dire
stronzate… eri fuori!” Sbottò.
“Tom, che diavolo sta succedendo?”
L’altro fece una smorfia. “Ho solo fatto una
passeggiata attorno al lago. Non
mi risulta sia ancora scattato il coprifuoco, giusto?”
Al
sentì
la rabbia salire come una vampata. Stavolta non riuscì a
controllarla.
Basta bugie,
basta!
Lo
afferrò per il
maglione, approfittando dell’effetto sorpresa per sbatterlo
contro il muro. Thomas
infatti non oppose resistenza, guardandolo attonito.
“Smettila! Perché fai così?!”
Sentiva le lacrime pungergli l’angolo degli
occhi, ma si sforzò di non lasciarsi prendere dalla solita
emotività. “Siamo
amici, no? Amici. Che cazzo ti sta
succedendo? Non sembri più tu!”
Sentì lo sguardo blu di Tom su di lui. In quel momento,
percepì, anche se solo
per un attimo, di averlo finalmente scosso.
“Al…
scusa.” Gli disse. “Ho solo bisogno di stare da
solo. Non ti sto mentendo.”
“Tom…”
Thomas
sentì
improvvisamente la fronte dell’amico sfiorargli il collo.
Era
una
supplica. Albus gli si era appoggiato addosso, respirandogli contro il
collo.
Appiccicoso… -
Pensò nebulosamente,
mentre costringeva le mani a restare ferme al proprio posto,
abbandonate lungo
i fianchi. Era così che un amico maschio
si sarebbe comportato.
“Ho
ancora bisogno del mio migliore amico.” Gli
sussurrò. La frase ebbe la forza di
colpirlo come un pugno.
C’è
una quantità di emozioni che
un essere umano può sopportare, al giorno?
Se
c’era, lui
l’aveva ampiamente oltrepassata. Le braccia si rifiutarono di
obbedirgli,
stringendo Albus. Era incredibile come profumasse sempre di cioccolato
e di
inchiostro, come fosse pieno di spigoli, eppure morbido.
Perdonami,
Al. Sono troppo avanti
in questa storia, per poterti coinvolgere.
Quindi
perdonami, per le bugie che
continuerò a dirti.
“Io
sono sempre
qui. Non me ne vado.” Lo rassicurò.
Sentì la presa di Al allentarsi, sulla
stoffa del maglione. “Non me ne vado…”
Ripeté, quasi a volerlo, al contrario, trattenere.
Avrebbe
voluto fare ben altro, che dargli un abbraccio e qualche parola gentile.
Avrebbe
voluto dirgli tutto, avrebbe voluto stringerlo, fino a fargli male. E
baciarlo,
fino a rubargli il respiro.
Merlino, non
sono normale.
Ma
poteva
fingere di esserlo.
Al
annuì.
Si staccò, e Tom si violentò per non reagire.
“Scusa… mi spiace per lo sfogo.
Io…” Cominciò a balbettare.
Il solito
Al…
“Non
fa niente.
Ho sbagliato io.” Lo precedette, stupendosi del tono pacato
che riuscì a
simulare. “Vado a cambiarmi, sto congelando.”
“Ti aspetto qui?”
“No, va avanti. Mi faccio anche una doccia.” Gli
fece un cenno, allontanandosi.
“Ci vediamo a tavola.”
Il medaglione, al petto, pesava come un macigno.
Al,
voltato
l’angolo, si fermò per riprendere fiato. Non era
facile pensare e respirare,
talvolta.
Inspirò.
Michel
aveva ragione. La sua risposta l’aveva già.
Era
così
semplice da sembrare ridicola.
Non
c’era
nessuna ragazza che gli facesse battere il cuore, perché
c’era già qualcuno a
farlo.
Non mi
sentirei così male per
nessun altro.
Solo per Tom.
****
Note:
1 – Snake & Ladders:
Scale&Serpenti. Popolare
gioco da tavolo inglese, molto simile come regole al gioco
dell’oca. Se si
finisce in una casella con una scala, si può accedere al
livello successivo,
con il serpente, invece, si retrocede. Per chi vuole informazioni
qui
|
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Capitolo 23 *** Capitolo XVIII ***
E
siamo a
quota oltre 100! Yay! XD Apparte i deliri, ringrazio davvero chi mi
recensisce.
Siete voi il carburante di questa storia!
@Altovoltaggio: Oddio,
allora sono riuscita a
convincere una non-slash-fan di due personaggi! XD Davvero,
è una soddisfazione!
La tua recensione è stata bellissima. Mi fa piacere che ti
sia piaciuto il
pezzo emotive trai due puccini. In
effetti, doveva essere un punto di svolta nei loro sentimenti, quindi
ho
faticato un sacco per renderlo un minimo credibile. Mi fa piacere di
esserci
riuscita. Michel è il personaggio che più mi
diverto a scrivere. Era iniziato
solo come uno Zabini, ma poi si è trasformato in un
personaggio vero e proprio.
E vedrai che combinerà nei prossimi capitoli.
Sarà la chiave di volta! XD
Grazie per il tuo supporto!
@Hel_Selbstmord: Berlino
stupenda? Dieci volte di
più. È una città che vale OGNI singolo
euro speso per lei. Purtroppo il clima è
inclemente. XD Ti è piaciuto il face-to-face Biondino/Tom?
Mi fai un immenso
piacere perché ho sudato su quel pezzo. Mi sembrava
così poco movimentato,
tutto dialoghi, che non sapevo se vi sarebbe piaciuto. :( Michel in
effetti ha
cattive intenzioni verso il nostro puccino arruffato preferito. Poi
vedrai. (risata
sadica). Tesoro, se hai questi attacchi da fangirl non posso che
RINGRAZIARTI. E’
bello vedere che la propria storia viene seguita così
appassionatamente! : ))
Lovermusic:
Ciao! Benvenuta! Il
tuo nick mi piace molto! Grazie mille per la recensione. Insomma, se
riesco a
farti amare lo slash, allora non posso che essere felice e lusingata.
:)
Continua a seguirmi!
@SammyMalfoy: Ciao!
Ebbene sì, finalmente
Albie ha preso CONSAPEVOLEZZA. Era ora, mi stavo arrabbiando
anch’io con ‘sto
disgraziato! XD Spero che i tuoi problemi di collegamento si siano
risolti. E
per quanto riguarda Michel… puoi cruciarlo dopo che ho
finito? :P Perché mi sa
che vorrai farlo…
@Trixina: Ciao!
Sì, beh Mike è una serpe,
ma in fondo per certe persone
riesce
ad essere quasi un buon amico. Quasi,
perché vedrai… *risata
sadica*. Grazie per i complimenti!
@MissMAry: Lo sai, Al
è un TONTO. Quindi
non dobbiamo fare affidamento su di lui, ma sul nostro pacato gentleman
di
serpeverde (Sì, Tom, dico a te, inutile che cerchi di
ignorarmi). Oh, non
appena diventeranno una coppietta (perché lo diventeranno se
mi danno retta)
Harry dovrà vedersela con figlioccio e secondogenito
felicemente innamorati. Si
spera che reagirà meglio di quanto non farà Ron
con la sua adorata rosellina. XD Il
biondino malefico in
effetti ha messo i bastoni tra le ruote tra Tom e Al. O forse no?
Comunque sì,
sia sempre lodato San Zabini. È
diventato il patrono di questa
ficcy. XD
@Ombra: Controllato
addirittura tutti i
giorni? Mi fai arrossire -//- Ebbene sì, Mike è
un gran ragazzo, se ci si
mette. In effetti se non fosse per lui Albie non si sarebbe mai
scantato . U_U
Vedrai tu adesso, leggendo, se sono stata buona con Jamie e Ted XD
****
Capitolo
XVIII
Never took the chance, could've jump the fence
I
was scared of my own two feet
Couldn't
cross the line, it was black and white
No
contrast to be seen
(I’m not
over, Carolina Liar)
14 Settembre
2022
Dormitori
maschili di Grifondoro.
Sette del
mattino circa.
James
aprì gli occhi. Era mattino, gli uccellini fuori non cinguettavano. Pioveva a dirotto.
Le
gocce
di pioggia si abbattevano cupamente contro i vetri delle finestre.
Strizzò gli occhi, abituandosi alla penombra e al fatto che
fosse sveglio.
Sveglio
poteva voler dire solo una cosa: riprendere coscienza di sé,
e infuriarsi.
Nessuno
gli aveva creduto. Né suo padre, né sua madre
– che per giunta gli aveva
mandato un strillettera che fortunatamente era riuscito ad aprire nei
bagni al
primo piano.
E
soprattutto…
Serrò le labbra, alzandosi a sedere di scatto e, liberandosi
delle coperte, si
infilò in bagno, sbattendo la porta. Non si
premurò neppure di controllare se
gli amici fossero svegli.
Gli
Scamandro gli avevano creduto. Bob Jordan gli aveva creduto.
La
sua
famiglia no.
Si
disfece con una mossa rabbiosa della t-shirt e poi dei pantaloni che
usava per
dormire. Si buttò sotto il getto bollente della doccia,
chiudendo gli occhi.
La
sua
famiglia non gli aveva creduto. Era questo a bruciargli.
Beh, se gridi
sempre al lupo al
lupo, come in quella favoletta babbana, è ovvio che quando
il lupo arriva,
nessuno ti crede…
- gli fece notare la voce della sua coscienza, di solito flebile.
Che
in
fondo lo sapeva. Un po’ era colpa sua. Da quando era tornato
non aveva fatto
altro che combinare disastri in giro per il castello.
Prima
era
andato a curiosare nelle stanze di Ziel. Poi era andato a vedere il
Naga.
Ed
entrambe le volte era stato scoperto da…
Si morse le labbra, fino a sentire il sapore ferreo del sangue.
Teddy.
Era
Teddy
che lo mandava in bestia.
Bere. Certo,
non sono astemio. Ma rischiare
così, come un bamboccio. E gli ho detto la verità!
Gliel’ho
detta, ma non mi ha
creduto!
Rabbia,
dolore, umiliazione lo investirono come un tifone. Di nuovo.
Tirò
un
pugno contro le piastrelle del bagno, serrando i denti per il dolore.
È
per questo che non volevo
svegliarmi… finché dormo, non ci penso.
Uno
stupido ragazzino innamorato e ferito, ecco cos’era.
Innamorato del suo vecchio
amico d’infanzia, ora suo professore, che l’aveva
pizzicato in flagranza di
reato, e che non aveva creduto alle sue spiegazioni.
C’era
di
che riderne, effettivamente. Sembrava uno di quei fotoromanzi che sua
nonna
leggeva su Strega Oggi.
“Capo!”
La voce tonante di Lorcan – lui li distingueva, e per questo
si era meritato la
loro imperitura devozione – lo riscosse. “Capo,
è venti minuti che sei lì dentro!”
“Impara a contare, sono dieci.
E
comunque, non mi rompere i coglioni!” Sbottò,
chiudendo il rubinetto
dell’acqua. Uscì gocciolante, e, senza premurarsi
di asciugarsi con un
incantesimo, si piazzò di fronte allo specchio.
Era
un
bel ragazzo. Era un figo,
dannazione.
Spalle larghe, fisico sportivo, bel viso, sorriso strepitoso. I ragazzi
lo
invidiavano e ammiravano nella stessa misura, le donne lo adoravano.
Addirittura un serpeverde come Zabini era capitolato tra le lenzuola,
per lui.
Avrebbe
dovuto fottersene della punizione, della delusione di Teddy e di tutto
il
resto.
Era
un re.
Sospirò.
Un re
coglione. Vorrei solo che il
mio principe azzurro mi credesse…
Quando
uscì dalla camera, in uniforme, mantello e cattivo umore
incluso, James si
scontrò quasi con Rose. Che era nel suo dormitorio. Maschile.
Si
squadrarono per un attimo, entrambi perplessi. Fu lui, poi, a prendere
la
parola.
“Beh?”
Chiese semplicemente. La ragazza arrossì, sbuffando.
“Cercavo giusto te. Neville ha detto che vuole vederti nel
suo ufficio dopo
aver fatto colazione. Per la punizione. Che ti sei meritato.”
Aggiunse. Ci
pensò. “Coglione.” Concluse.
“Oh,
grazie cuginetta. Molto supportiva.” Lanciò uno
sguardo all’uniforme
leggermente spiegazzata di lei. Il maglioncino aveva l’aria
di esser finito tra
le zampe di un doxie.
“Come mai qui?”
“Per cercare te?” Suggerì Rose con tono
saccente.
Merlino, di
mattina è
particolarmente odiosa…
“Ti
sei scordata
dov’è la mia stanza?” James la
indicò, dietro di sé.
Rose scrollò le spalle, ma James registrò un
riflusso di rossore alle guance. “Sono
venuta anche a svegliare Hugo.”
“Ah.” Disse, già disinteressato.
“Beh, io vado a colazione. Grazie per la
schifosa notizia.”
“Prego, non c’è di che.”
Replicò Rose con un sorrisetto salace. James
brontolò
qualcosa, scendendo le scale a due a due. La sua sorpresa fu palese,
quando,
arrivato in Sala Comune, si trovò di fronte Hugo.
“Ehi,
ciao Jam.” Salutò, sbadigliando con il rischio di
slogarsi la mascella. Come al
solito, dalla punta dei capelli al risvolto della camicia, aveva tutto
fuori
posto. “Hai mica visto mia sorella?”
“… Non era con te?”
“E quando mai? Non la vedo da ieri sera a cena. Mi sento
piuttosto trascurato.”
Ironizzò il ragazzino, stiracchiandosi. “Sarà
a svernare al bagno, come tutte le femmine. Andiamo a
mangiare?”
James
annuì, lanciando un’occhiata verso la scalinata
maschile.
E
quello,
cosa significava?
Rose
sospirò sollievo allo stato puro, quando vide la schiena del
cugino
allontanarsi.
Poco dopo, qualche secondo dopo a
dirla tutta, sentì due mani posarlesi sui fianchi.
“No.” Disse, piena di contegno.
“Sì.” Rispose Scorpius, chinandosi a
darle un bacio sul collo, che le spedì
direttamente un brivido caldo al cervello.
Endorfine,
credo si chiamino…
chimica, babbana…
- Pensò confusamente, mentre sentiva le ginocchia farsi
volenterosamente
gelatina.
Era
ridicolo come la sua mente rimanesse lucida mentre il corpo era alla
mercé di
Malfoy in modo imbarazzante.
Con
un
rigurgito di orgoglio si staccò da quella piacevole tortura
– la bocca di
Scorpius era dannatamente morbida e calda
– e si voltò, per fronteggiarlo.
Si
arrese
miseramente quando vide il suo sorriso disarmante.
Davvero,
intere armate di
femministe inferocite potrebbero capitolare davanti a questo
sorriso… - Pensò,
con enorme vergogna.
“Ti
hanno
fatto un corso speciale per sorridere così?”
Mugugnò. “Seriamente, dovresti
farne un mestiere.”
“C’è. È fare
l’attore. Ma non fa per me. Sono timido su un
palco.” Sogghignò
Scorpius. “Sei stata carina, oggi, a venire a darmi il
buongiorno.”
“Vorrei farti notare che sei stato tu
a chiamarmi. Quel dannato areoplanino di carta mi ha quasi accecato
stamattina.” Borbottò.
Scorpius
inarcò le sopracciglia, salvo imbronciarsi.
“Rosey-posey. Mi ferisci. L’ho
scritto con amore.”
“Trottolina Rosellina, si anela la
tua
presenza per svegliare ardente principe azzurro? Avrei dovuto
ucciderti…”
Replicò, cercando di frenare il sorriso. Scorpius invece
rise, e le afferrò di nuovo
il bordo del maglioncino con la
punta delle dita.
Ma
perché ce l’ha tanto con il mio
povero maglione?
“Senti,
dovremo parlare di questo tuo feticismo per gli indumenti...”
Scorpius sogghignò soave. “Mi piace il tuo
maglioncino.”
“È uguale a quello di tutte le altre.”
Gli fece notare, beandosi delle mani che
le cinsero la vita con naturalezza. Era palese che Malfoy sapesse come
comportarsi in un rapporto di coppia. Per lei invece era tutto nuovo.
Nel giro di
appena ventiquattro
ore da verginella sfigata sono stata promossa a ragazza del figo della
scuola.
C’è di che impazzirne.
“Non
è
uguale a tanti altri.” Puntualizzò Scorpius,
ricatturando la sua attenzione. “È
il maglioncino di Rosey-Posey, sai. Ha il tuo
profumo…” Sussurrò, baciandole il
naso. Rose fece una smorfia, facendolo ridacchiare.
“Scorpius…” Sospirò,
facendosi seria. Dovevano tirare fuori quell’argomento
prima o poi.
“Dimmi
Rosie.” Replicò di rimando con aria seria, tradita
da un lieve sorriso che gli
incurvava l’angolo delle labbra.
“Serio.”
“Sono serissimo.”
“Bene, perché James mi ha vista qui. E mi ha
chiesto spiegazioni.”
“E tu? Scommetto che quel laborioso cervellino Weasley ha
elaborato una scusa
geniale…”
“Non esattamente. Ho inventato sul momento. Gli ho detto che
ero qui per Hugo,
ma…”
“Non puoi salire tutti i giorni per darmi il
buongiorno…” Mugugnò triste
Scorpius. Per un attimo fu seriamente intenerita, prima di ricordare
che quello
era Scorpius Sono Viziato Da Fare Schifo
Malfoy.
“Esattamente.” Rispose impietosa.
“Mettiamo in chiaro un paio di cose.
Ieri…”
“Ci siamo baciati tutto il tempo!”
Argh. Non mi rende le cose facili.
“Già.
Ora… stiamo assieme.” Si schiarì la
voce, mentre sentiva le guance prendere
fuoco, sotto l’aria divertita del ragazzo. “Ma non
è una cosa che possiamo
dire… a tutti. Mio padre si farebbe venire un
infarto.”
“Anche il mio.” Convenne Scorpius con un mezzo
sospiro. “Quindi, cosa vuoi
fare?”
“Tenercelo per noi. In fondo, sono affari nostri.”
Gli passò le dita sullo
stemma di Grifondoro cucito sul risvolto del mantello. Fu un gesto un
po’
impacciato, ma non voleva che pensasse male. “Non voglio
nasconderti. Non è
così. Io…”
“Rose.” Sorrise Scorpius. “È
okay. Non sei l’unica con una famiglia
problematica, sai?”
“Allora… davanti agli altri, come
sempre…”
“E da soli io e te.” Convenne, dandole un lieve
bacetto a stampo. “Aye aye
Capitano Weasley.”
“Rose.”
Puntualizzò la ragazza. “Cosa abbiamo detto sui
cognomi?”
Scorpius sorrise. “Che non ce ne frega assolutamente
nulla.”
Sarà un impresa mastodontica
nasconderci dai
miei cugini. Da Lily…
Morgana,
dammi la forza. E un po’ di
fortuna, se non ti spiace.
****
Biblioteca, ore libere della
mattina.
Un’ora
dopo la ferra presa di
posizione di Rose.
“Devo
dirtelo.” Sbottò Rose, seria.
Al alzò lo sguardo dal foglio di pergamena che stava
cercando di riempire per
una ricerca di Storia della Magia.
“… Dirmi cosa?” Chiese cautamente.
Non sono pronto a nuove rivelazioni. Ho
passato la notte a chiedermi come ho fatto a prendermi una cotta per
Tom.
Che
è una cotta. Maledizione. Sarò
tonto, ma i sintomi ci sono proprio tutti.
“Di
me e…” Rose
deglutì, guardandosi attorno: la biblioteca a
quell’ora del mattino era
praticamente deserta. Loro due, togliendosi Divinazione (secondo i
rispettivi
genitori, una gran cretinata) avevano la possibilità di
studiare-barra-oziare
fino alle undici.
Ma per
tornare al punto…
“Di
te,
e?”
“Scorpius.”
“Oh, avete fatto pace?” Sorrise contento.
“No. Ci siamo messi assieme.” Scandì
lentamente, guardandolo come se l’avesse
messo sotto un microscopio babbano.
Al si chiese nebulosamente se fosse normale essere lui, quello ad dover
essere
giudicato.
Non dovrebbe
essere il contrario?
“Tu
e… Malfoy?”
“Scorpius.” Lo
corresse cominciando a
parlare frettolosamente. “Davvero, Scorpius. So che ho sempre
sostenuto che
fosse un grosso imbecille pieno di sé. E per certi versi lo
è… ma… Al…”
Inspirò. “Siamo così
uguali…” Arrossì, mentre sorrideva. Al
non le aveva mai
visto un sorriso così radioso
sulle
labbra. “È in gamba e … dolce.
E… non lo so.” Mugugnò, prima di
seppellire il
viso tra le mani. “Lo so, sto facendo una cazzata di
proporzioni epiche. Ma…
non riesco a pentirmene.”
“Ti piace…” Mormorò il
ragazzo, con un mezzo sorriso. “Ti piace davvero,
eh?”
“Già… è assurdo, vero? Ma
non è stato dal nulla. Io… penso di averlo sempre
saputo in fondo. È solo… che ci ho messo davvero
un bel po’ per capirlo. Sei
anni, per Merlino…” Ridacchiò,
passandosi le dita trai capelli.
Al non disse nulla.
Non sei
l’unica Rosie… ma io ho
ben poco da sorridere.
Come
potrò dirlo ai miei? A Jamie?
A Tom?
Come posso dire a voi che forse mi piacciono i ragazzi? E che mi piace
Tom, di
sicuro?
“Al?”
Lo
richiamò la ragazza. “Cioè…
per te è un problema? So che ai miei verrà un
infarto, e probabilmente anche Hugo mi disconoscerà come
Weasley, ma…”
“No, no!” La precedette Albus, con un sorriso.
“Sono felice per te! Malfoy è un
bravo ragazzo. Lo penso davvero.” Gli morì il
sorriso sulle labbra, di nuovo.
“È solo che… Pensavo.”
“A cosa?”
“Non a te, anche se non voglio rovinarti il momento,
quindi…”
“Oh, sta’ zitto. Che succede?” Chiese
facendosi seria, e prendendogli una mano.
Vide che il cugino si era praticamente masticato le unghie.
“Al?”
“Ti ricordi… quel discorso… sul
fatto… che non ero interessato alle ragazze?”
Sussurrò pianissimo: doveva dirlo qualcuno. Doveva dirlo a
Rose, o sarebbe
scoppiato.
“Certo, sì. Me lo ricordo.”
“Tom.” Disse semplicemente. Aveva lo sguardo
incollato al tavolo, e le orecchie
paonazze. Si passò la mano libera trai capelli,
arruffandoseli ossessivamente.
Rose inspirò lentamente, stringendogli la mano.
Oh,
Al… povero Al.
No, aspetta. Povero cosa? Non è mica un malato terminale.
Sii
supportiva. Supportiva.
“Al,
va
tutto bene. Io lo sapevo già.” Gli sorrise
dolcemente. “Insomma, che…”
“Che…?” Sembrava quasi chiedergli
conferma. “Che sono…”
“Che vuoi bene a Thomas. Molto bene. Come io …
forse… ne voglio a Scorpius.” La
prese alla larga, con tatto. Albus aveva gli occhi sgranati, spaventati.
Non
poteva dargli torto: il mondo magico era genericamente più
tollerante di quello
babbano, ma comunque c’era il problema della loro
famiglia.
“Pensa…
è
meglio avere una cotta per un ragazzo, o per un Malfoy?”
Scherzò Rose gentilmente.
“È una bella gara, non credi?”
Cercò di rincuorarlo: Albus era un ragazzo
sensibile. Troppo forse. E terrorizzato dalle conseguenze e dai giudizi
della
sua famiglia.
Non affronterebbe il mondo come farebbero
James o Lily. Si nasconderebbe.
E forse lo
farà. E non è giusto.
“Ehy,
va
tutto bene.” Ripeté sicura. “Sei un
ragazzo meraviglioso, okay?”
Albus fece una smorfia. “Sì. Una meravigliosa checca…”
“Non dirlo neanche per scherzo.” Lo
redarguì dura. “Non c’è
assolutamente
niente di male ad innamorarsi. Vale per te, come vale per
me.” Sospirò. “Almeno
tu sai di poterti fidare di Thomas. Io, di Scorpius, spero
di poterlo fare.”
“Ma voi state assieme…”
Soffiò, guardandosi attorno, comunque cauto. I muri
della biblioteca avevano orecchie. E spesso non metaforicamente.
“Insomma,
siete una coppia. Normale.”
“Normale?” Rose sbuffò sonoramente
“Merlino, Al… siamo diecimila anime in
Inghilterra che fanno magie e usano bacchette. Nessuno di noi
è normale!”
Al si
umettò le labbra, senza dire niente. Le stringeva la mano
così forte da farle
quasi male. “Io voglio solo che tu sia felice.”
Continuò Rose, rispondendo alla
stretta. “Come penso che tu voglia che io sia felice. Al
momento Scorpius mi fa
sentire così. Non so se continuerà a farlo, ma
sinceramente? Mi godo il
momento.”
“Carpe diem…”
Mugugnò Al con un mezzo
sorriso. “Detto babbano. Non avrei mai pensato che ti si
addicesse, Rosie.”
“A chi lo dici…” Ridacchiò,
dandogli una pacchetta sul braccio.
“Così… Tom.”
“… Già.”
“Beh,
bello è bello, anche se è un gran
stronzo.”
Albus arrossì. “Non è stronzo.
È solo…”
“Misantropo, egocentrico, scostante? Praticamente uno
stronzo.”
Ridacchiarono entrambi, mentre la tensione scivolava via. Alla fine Al
sospirò.
“Ultimamente si comporta in modo strano. Credo mi nasconda
qualcosa. Michel
dice…”
“Zabini?” Rose fece una smorfia. “Non mi
fiderei se fossi in te.”
“Mike è mio amico. Se non lo fosse, non darei
credito ad una parola, ma lo è.
Dice che Tom ha un problema con me.”
“Beh, solitamente direi che ha un problema con il mondo intero, ma… in
effetti…” Considerò Rose. Si
fermò quando vide
passare Madama Pince. Finsero entrambi di studiare attentamente le
proprie
pergamene. Quando la vecchia svoltò l’angolo,
riprese. “In effetti da quando
l’ha attaccato quel lucertolone è
strano…”
“Già…”
Convenne Al mordendosi un labbro. “Sparisce per ore intere, e
quando torna è
sempre distratto… distante. E ieri sera…
è tornato con le scarpe sporche di
fango. Era stato fuori.”
“Fuori? Ma se vive tra queste quattro mura per tutti i mesi
scolastici,
praticamente! È già un miracolo vederlo fuori
per le tue partite!”
“Mike
dice che è… perché mi vuole evitare.
Perché… è attratto da me.”
La fermò con
una mano. “Ma non credo sia questo.”
“Potrebbe però…”
Vedessi che sguardi ti lancia, in classe,
quando non lo guardi. È quasi imbarazzante, per chi sa
leggere tra le righe…
“Non
lo
so.” Ammise Al, ispirando appena. Scosse la testa, come a
scacciare un pensiero
molesto. “Ma non è questo il punto. Pensavo di
essere l’unico ad aver notato
che si comportava in modo strano. Ma poi me l’ha detto Lils,
Mike, Loki… e
adesso anche tu.”
Rose si fece attenta. Lo sguardo di Al, da sperso e confuso si era
fatto
stranamente lucido e riflessivo. Aveva per il momento accantonato le
sue
magagne sentimentali con l’amico per analizzare,
l’amico.
Questo
è molto serpeverde.
“Pensi
che c’entri qualcosa il Naga?” Chiese guardandolo.
“Sicuramente. Tom ha cominciato a rintanarsi in biblioteca
non appena è uscito
dall’infermeria. Credo… anche se è solo
un ipotesi… che cerchi informazioni su
di lui. Che stia seguendo una pista…”
Rose annuì, passandosi la piuma tra le dita. “Beh,
è normale. Dopo un attacco
del genere, un tipo come Thomas vorrà sapere perché
è successo.”
“Sì,
in
effetti lo pensavo anche io. Che volesse capire. Ma
poi…” Albus esitò. “Deve
aver trovato qualcosa… E sta cercando di
nasconderla.”
“Una cosa?”
“O un indizio. Un’informazione. Non ne ho idea. Del
resto, è solo una
supposizione.” Scosse la testa, vinto. “Non ho
prove. E poi, non sappiamo nulla
su quei lucertoloni. Siamo solo studenti…”
Rose
lo
guardò. Non aveva dimenticato la scia verde, la ricognizione
con Scorpius e la
scoperta del cratere. Semplicemente le aveva accantonate, presa dai
suoi drammi
emozionali.
Vivere
l’adolescenza è impegnativo
qua dentro. Devi occuparti delle tue magagne sentimentali e allo stesso
tempo di
misteri a sfondo magico.
E poi
c’era
Tom: l’ultimo ad aver visto quel Naga vivo.
L’ultimo ad averci interagito.
Tom,
il
cui atteggiamento si poteva riassumere in una sola parola: preoccupante.
Rose
prese una decisione. E seppe in quel momento che non avrebbe
più potuto tornare
indietro.
“Al,
è
vero. Siamo studenti. Ma, sinceramente, questo ha mai fermato i nostri
genitori?”
“In
che
senso?”
“Nel senso che scopriremo cosa nasconde Thomas.”
****
James
quando aprì la porta dell’ufficio del magazzino
dove era stata stipata la
monumentale biblioteca di Ziel ringraziò un panteon di dei
per aver avuto tutta
la giornata per prepararsi a quell’incontro.
Zio Neville, o per meglio dire, il
professor Paciock, gli aveva affibbiato come punizione la
catalogazione
della sterminata biblioteca del defunto professore.
Impacchettata
e ordinata sarebbe stata spedita a Monaco, come dono alla biblioteca
magica
della città.
Non solo
dovrò sgobbare tra la
polvere e quintali di carta…
Ma
dovrò farlo con Teddy, che si è
offerto volontario.
Varcò
la
porta, trovandosi immediatamente nella confusione più
completa, tra scatoloni,
scaffali e libri impilati ovunque.
Certo che
Vitious a dare il
compito ad uno disordinato cronico come Teddy…
Lo
vide
appoggiato alla libreria. Non aveva la tunica da insegnante, ma un
semplice
maglione infeltrito dai troppi lavaggi e un paio di jeans. I capelli
gli
ricadevano sciolti sul viso. Erano castani, come al solito. Leggeva
quella che
sembrava una lista.
James
deglutì lentamente, sentendo l’impellente bisogno
di uscire di lì, piazzargli
un pugno o baciarlo. Era dal giorno prima che non lo vedeva, ed era
stato
comunque a lezione.
Ted,
ovvero il professor Lupin aveva
fatto
fare loro un test scritto. Non si erano neanche parlati quindi.
Si
schiarì la voce, per segnalare la sua presenza.
Teddy alzò lo guardo, e fece un mezzo sorriso.
“Jamie…”
Per un attimo sembrò che tutto fosse tornato come prima,
come quando, a dodici
anni, gli irrompeva in camera per proporgli una partita di Quidditch o
di
sparaschiocco.
Ovviamente
non è così…
Teddy
infatti
smise di sorridere immediatamente, staccandosi dalla scansia.
“Abbiamo parecchio lavoro da fare.”
Iniziò, lanciando uno sguardo ai suoi
vestiti. “Sei ancora in uniforme? Avresti dovuto metterti
più comodo…”
“Mi scoccia cambiarmi.” Spiegò
brevemente. “Che devo fare?”
“Dunque,
qui c’è una lista.” Gli passò
la pergamena spiegazzata. “Si tratta di trovare
questi libri e metterli nei corrispondenti scatoloni.”
“Sono almeno duecento
titoli…” Emise
atono James. “E non mi sembra un lavoro difficile.
Perché non lo fanno gli
elfi?”
“Perché a molti libri è stata
trasfigurata la copertina. Suppongo per evitare
che venissero rubati. Alcuni di questi valgono centinaia di
galeoni.”
“Oh, grandioso. E come faccio a riportarli alla loro forma
originaria?”
“Librum reverto¹
credo andrà bene. Se
non funziona vuol dire che c’è una protezione
magica, quindi ci penserò io.
Dovrai metterli in questo…” Si guardò
attorno. Per un attimo sembrò spaesato.
James dovette ricordarsi di essere furioso con lui, per evitare di
ridere della
sua espressione smarrita. “Ah, ecco qua. In questo
scatolone.” Lo indicò,
imbarazzato.
“C’è
un
gran casino.” Si lasciò sfuggire, un po’
con cattiveria. Teddy arrossì
leggermente, facendo una smorfia.
“Lo so. Ma vedrai che ti abituerai presto. Forza, al
lavoro.”
James
annuì. Non c’era altro da dire.
Lavorarono
per quello che gli sembrò un’eternità
in un silenzio denso di disagio.
James si sentiva furioso, ma più che altro, frustrato.
Aveva Teddy a pochi metri, erano da soli… e non riuscivano a
spiegarsi.
Una volta
sarebbe bastato frignare
un po’ per avere il suo perdono…
Ma che
perdono! Sono io quello che
deve perdonare!
Serrò
le
labbra, afferrando un libro e mormorando l’incantesimo. La
copertina cambiò,
quasi sfaldandosi tra le sue mani.
“Attento! Alcuni sono molto vecchi!” Lo
rimbeccò Teddy.
“Lo so.” Ringhiò di rimando.
“Non ho intenzione di rovinare i tuoi preziosi
libri!”
Seguì un silenzio imbarazzato.
“James…”
“Potter, perché
non mi chiami per
cognome come gli altri studenti, professore?”
Sputò rabbioso. Era un modo per
sfogarsi vile, lo sapeva.
Non gliene fregava nulla.
“Sarebbe
un po’ ridicolo…” Obbiettò
pacatamente Teddy. “Ti conosco da quando siamo
bambini. Volevo solo dirti che alcuni di questi libri sono molto
fragili, per
via…”
“Oh, lo so. Hai paura che Jamie il fratellino imbranato li
disintegri.”
“James, ora stai diventando ridicolo.”
Replicò aspro. “Non ti avrei dato questa
punizione se non sapessi che sei perfettamente in grado di
trasfigurare…”
“Smettila! Smettila di essere così fottutamente
ragionevole!” Sbottò il
ragazzo, afferrando un altro libro e aprendolo di malagrazia.
La
cosa
seguente che sentì fu uno spostamento d’aria.
Crollò miseramente tra una selva
di scatoloni, rovesciandosi il contenuto dolorosamente addosso.
Ahi… -
pensò frastornato – Ci
sono momenti in cui vorrei essere un
babbano. Almeno i libri non cercherebbero di uccidermi.
“James!” Sentì esclamare
Teddy, prima che corresse da lui, inciampando
senza troppo ritegno tra la selva dei preziosi
libri millenari. Nei percorsi ad ostacoli Teddy non era mai
stato particolarmente
agile.
Il
giovane professore si chinò su di lui. “Merlino,
Jamie, stai bene?”
James fece una smorfia. “A parte avere una costola di un
libro conficcata
nell’osso sacro...”
Poi
se ne
accorse. Teddy aveva i capelli castano scuro adesso, come i suoi.
Teddy cambiava raramente colore dei capelli in un colore umano,
in modo involontario.
Solo con Vic… lo prendevo sempre in
giro
perché le prime volte che si baciavano diventava un
biondino…
“Jamie?”
Lo richiamò Teddy, che ovviamente non si era reso conto di
nulla. “Stai bene?”
James
serrò le labbra, annuendo.
Non vuol dire
niente. Non vuol
dire niente. Si è preoccupato, tutto lì.
Sapeva che la
cosa non avrebbe dovuto dargli speranza, né false illusioni.
Ma gli riscaldò
comunque il petto.
“Mi
dispiace… Mi era stato assicurato che al massimo gli
incantesimi protettivi ti
impedivano di aprire il libro.” Teddy gli tese la mano, con
un sorriso
colpevole. “Niente di rotto, spero…”
James esitò. Poi l’afferrò tirandosi
su.
Non voglio
essere l’unico coglione
destabilizzato qua, sai?
“Teddy… io ti voglio bene, lo sai?” Gli
disse, a bruciapelo, fissando gli occhi
nei suoi. Vide il giovane uomo battere le palpebre sorpreso, e poi
sorridere
schivo, ma senza distogliere lo sguardo.
È
per questo che ti amo Teddy. Dannazione,
non rifiuti mai gli altri.
È
per questo che ti detesto…
perché vorrei che accettassi solo me. E quello che provo per
te.
“Anch’io
te ne voglio James.” Esitò appena.
“Davvero. Anche se adesso sono tuo
professore, e sono tenuto a metterti in punizione.”
“Lo so. Non è per quello che ti vorrei prendere a
pugni.” Tanto valeva dirla
tutta, la verità, giusto? “Io non ho bevuto. Mi
devi credere. A dispetto di
tutto, mi devi credere. Perché a te non mentirei mai. Non su
una cosa così
grave.”
Ted
lo guardò
a lungo. Aveva ancora la mano stretta a quella di James.
Non ricordavo
avesse le mani così
grandi…
Alla
fine, sospirò.
“Ti credo.”
“…
Davvero?”
Il tono di voce di James sembrava così sollevato,
così felice.
Ted si sentì una carogna a non averglielo detto prima. Anche
a discapito di
tutto.
“Sì.
Ma
ci deve essere una spiegazione, su come può essere finito
quell’alcohol sui
tuoi vestiti…”
James scosse la testa. “Se avessi bevuto non sarei stato
così stupido da andare
in giro con il rischio di addormentarmi e congelare. È vero,
non sono astemio.
Ma non sono neanche un cretino.” Concluse sicuro.
Ora
che
Teddy gli credeva avrebbe anche potuto scriverci un verbale, su quella
dannata
notte.
“Hai
detto che c’era qualcuno…”
“Sì. Ma non so chi, non me lo ricordo…
è … vuoto completo, capisci? So che
c’era, ma non so chi, quando e come mi ha steso e
…”
“Aspetta.” Lo fermò Ted.
“Vuoto completo?”
James annuì. “Sì. Come se mi mancasse
un tassello.”
“Oblivion…”
Sussurrò l’uomo, guardandolo
come se improvvisamente gli si fosse accesa una lampadina.
“Capogiro, nausea,
svenimento. Eri stordito… Merlino, Jamie. Potresti essere
stato obliviato!”
James aggrottò le sopracciglia. “Obliviato?
Credevo che gli oblivion facessero
restare rincoglioniti
per giorni.”
“Dipende da chi esegue l’incantesimo. Maghi
particolarmente abili sono capaci
di farti dimenticare senza sostanziali effetti collaterali. Gli
obliviatori del
Ministero sono capaci di farti scordare anche frammenti di memoria di
pochi
attimi.”
“E
c’è un
modo per scoprire se mi hanno obliviato?”
Ted rifletté. “Beh, la magia lascia sempre tracce.
E per un incantesimo, tranne
che per i malefici, c’è sempre un
contro-incantesimo. Nel caso dell’oblivion…”
“C’è?”
“Esserci c’è, ma è un
incantesimo molto complesso che può essere eseguito solo
da un mago esperto. Io stesso non conosco la formula esatta.”
“Voglio farlo!” Esclamò il ragazzo.
“Se c’è una possibilità di
sapere che
cavolo è successo ieri l’altro sera, voglio
farlo!”
Ted
annuì, pensieroso. “Chiederò al
preside. Chi meglio di un ex-professore di
incantesimi?”
James
annuì, sorridendo di rimando. “Grazie
Teddy.”
“Di cosa?”
“Che sei scemo?” Sbuffò. “Di
avermi creduto. Finalmente.”
Teddy
inspirò: era stato un idiota. Credere a James in cui
frangenti non era facile,
certo.
Ma avrei
dovuto farlo comunque… Avrei
dovuto fermarmi, riflettere. Mi sarebbe venuto in mente.
“Mi
dispiace Jamie. Avrei dovuto farlo subito…”
Inspirò. “Non è facile, sai…
Intendo dire, non darti fiducia, ma…”
“Essere il mio professore.” Sorrise James,
stupendolo. “Ehy. Lo so. Neanche per
me è una passeggiata, essere tuo studente. Non
perché tu non sia un gran
professore. Sei grandioso. Ti adorano tutti. Ma… tu sei Teddy, lo sai.” Gli diede un
leggero pugno sulla spalla.
Teddy
ridacchiò. Litigare con James era una delle cose
più spiacevoli che gli fosse
mai capitata.
Ormai litigo
con un ragazzo. Un
gran testone, per giunta.
“Mi
sforzerò di essere più comprensivo.”
“Ed io mi sforzerò di non mettermi più
nei guai. O attirarli.” Fece un sorriso
irriverente. “Al limite, non mi farò
scoprire.”
“James…”
“Ehy, scherzavo.” Gli sorrise. Quel sorrisetto
sfrontato gli era mancato. Lo
registrò con imbarazzo, e un pizzico di disagio.
Non
è normale essere tanto legati
ad un adolescente, per giunta neanche tecnicamente mio
parente…
Quando
si
sentì abbracciare fu peggio. James ormai era alto quanto
lui, e non era un
abbraccio tra ragazzino capricciosamente appiccicoso e un paziente
fratello
maggiore.
Ah, si
è tolto quel profumo
orrendo…
“Piano…”
Lo redarguì ironico, per dissimulare imbarazzo. Grazie a
Merlino, in quello era
un asso. “Sono un fragile topo di biblioteca.”
James
si
staccò, con un sorrisetto che sembrava… malizioso?
“Sai? A me non sembra che tu sia fragile…”
Sogghignò. “Vic non ha niente di cui lamentarsi,
davvero.”
Teddy deglutì. Per l’occasione non
registrò neanche il nome della sua ex,
quando di solito bastava ed avanzava per gettarlo in una cupa
depressione.
Si
schiarì la voce, mettendo due passi di distanza tra lui e
James, ed essendo assolutamente
consapevole di farlo.
“Meglio che vada a parlare a Vitious. Voglio sapere se
è in grado di fare
qualcosa.”
“Ed
io?”
“Porta fuori le due scatole piene. Poi, ritieniti libero. Tra
poco è ora di
cena.”
Uscì piuttosto velocemente dal magazzino-aula.
James guardò la porta chiusa dentro di sé. Quella
giornata era cominciata
malissimo, ma era finita in trionfo.
Non solo Teddy gli aveva creduto. Dopo che l’aveva
abbracciato aveva avuto i capelli
rosa, all’attaccatura, per
tutto il
dannato tempo.
Sorrise,
e prese le due scatole, fischiettando.
In fondo, a
volte, basta poco per
essere contenti…
****
Note:
1- Librum Reverto: incantesimo di
mia
invenzione. Prendete pure, nel caso vi serva. ;) Il latino è
approssimativo, lo saccio. Ma poco
da fare. Il Classico
mi è scivolato addosso come acqua fresca. U_U
|
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Capitolo 24 *** Capitolo XIX ***
Oggi
postaggio anticipato:
stasera il mio pc va dal tecnico per farsi rimuovere il maledetto
malware. E
non potevo lasciarvi senza capitolo, no?
Incrociate
le dita per lui! >_<
@Hel_Selbstmord: il grande
evento sarà… uhm,
vediamo. Intendi per Jamie o il nostro piccino preferito?
Perché si sa, trai
due è più sveglio il primo. :P Lo sviluppo
succoso tra Re/TeddyBear si avrà
presto. Per PulcinoBagnato si dovrà aspettare un
po’, purtroppo, perché lui è
Mister Misantropia (ormai parlo per nomignoli, sono cretina) sono due
tonti
stratosferici. Però non è che non hanno gli
ormoni :P Rose dopotutto è una
Weasley, quindi, diciamocelo, si fa fregare dai Malfoy in modo
vergognoso. XD
Per quanto riguarda il concerto dei Porcupine Tree, sappi che ti
detesto. (T_T
Esaaami). Che ne pensi dei Dream Theather invece? Li conosci? Grazie
per
continuare a seguirmi, ti adoro!
@MissMary: Sei la
prima che apprezza Jamie
(e per favore non farlo troppo spesso che gli monti la testa XD) ed
è vero, non
preoccuparti, tra poco si romperà a passerà AI
FATTI. Ho riferito il messaggio
a Mister Slytherin, ma si è limitato a guardarmi male e
tappare le orecchie ad
Al. U_U E comunque CERTO che Tommy ha un lato hentai. Come tutti i
ragazzi che
sembrano educati e precisini. E chi non lo avrebbe, con Al? :P Voglio
dire, già
la Row
in poche
righe l’ha fatto iper-puccissimo. Io ho solo dato pieno
risaltò alla sua
tenerosità. XD
@Altovoltaggio: Grazie
mille per i complimenti!
Sapere che ho fatto un coming out un minimo sensato mi fa davvero
piacere, specie
se a dirmelo è una non-slash fan. In effetti, tra stare con
un Malfoy e stare
con un maschietto, non so la famiglia quale digerirà prima
XD. Penso che Harry
sarà il classico padre comprensivo. Voglio dire, ha preso a
mazzate Remus per
essere scappato da una Tonks incinta forse di un
‘lupetto’, e non ha mai avuto
pregiudizi, quindi se non li hai per un mannaro… mah, chi
vivrà vedra. ;)
Secondo me, Ron è quello che la prenderà peggio,
tutta la faccenda. Specie ad
avere un genero biondo, pallido e allampanato. XD Il Magico Trio
verrà
riportato ai fasti, con una piccola correzione. ;) Leggi e dimmi poi se
ti
piace.
@Trixina: Non sai
quanto rendi contenta me
con i tuoi commenti! Eh, tra gli ‘innamorati’ di
Rosie e Al, è una bella sfida.
@SammyMalfoy: Il classico
porta al suicidio
tutti, credimi. Io ci sono passata. :P Però poi puoi
bullarti di averlo fatto
ed essere sopravvissuta. XD Sono riuscita a farti amare Rose? Evviva!
XD Forse
perché io l’ho sempre vista come figlia di Ronnie,
più che di Herm. Prendere il
cervello non significa prendere anche il carattere. Almeno, io
l’ho
interpretata così. XD Al è un perfetto uketto da
compagnia (e che nessuno gli
spieghi che vuol dire :P ) James diciamo che è… sessualmente furbo. Per altri versi
è un deficiente completo.
Vedremo se la sua furbizia servirà… ;) Coraggio,
il Classico passa! Faccio il
tifo per te!
@Ombra:
Essì, con Teddy e Jamie sono
stata insolitamente buona. Anche merito vostro, che se era per me
quelli non si
riconciliavano fino ad un certo FATTACCIO. XD Al è vero,
è proprio (ancora)
come un uccellino caduto dal nido. Grazie per i complimenti su
Scorpius. Non
avevo voglia, in effetti, di avere un altro Draco in mezzo, ed ho
interpretato
la frase della Row ‘Sì, ma è diverso da
suo padre’, a modo mio. Fa piacere
sapere che sia stato apprezzata. Continua a seguirmi e grazie! ^^
E
ora,
godetevi il capitolo! ^^
****
Capitolo XIX
I nostri genitori
hanno sempre fatto quello che è giusto per noi.
Ma qua sotto è il
nostro momento.
E finira'
tutto nell'
istante in cui salteremo dentro questo secchio.
(I
Goonies)
Sala Grande.
Ora di cena.
Rose
Weasley
si era sempre ritenuta una fine stratega. Perché sapeva esattamente come passare inosservata alla
tribù Potter-Weasley.
Aspettò
che Hugo e James si fossero seduti al solito posto, ed
aspettò che una delle
tante ammiratrici del cugino le soffiasse il posto, per poi sedersi con
naturalezza accanto a Scorpius.
Il
quale,
vedendola, quasi sobbalzò.
“Oh,
Weasley!” Esclamò esageratamente. “Che
sorpresa!” Sussultò di nuovo, e stavolta
per un pizzicotto ben piazzato.
“Non
fare
lo scemo, e fa’ finta di niente.” Gli
sibilò, per poi cominciare a servirsi.
“Sì, capitano.” Disse, assumendo un
cipiglio militare che la fece quasi
scoppiare a ridere. “A cosa devo la tua vicinanza
rosellina?”
“So che sei estasiato
dall’evolversi
del nostro rapporto, trottolino…”
Replicò, e vide lo sguardo del ragazzo
accendersi di divertimento.
Adora se lo
prendo per il culo di
rimando.
…
è adorabile.
“Lo
sono,
hai ragione.” Convenne con un sorrisetto che la fece
sciogliere tutta. “Ma ho
percepito un però nella
tua frase.”
“Infatti c’è. Luce verde, cratere, mio
padre che ci mette bastoni tra le
ruote.” Snocciolò. “Ti ricorda
qualcosa?”
Scorpius si fece improvvisamente serio. “Uhm.”
Disse soltanto. “Hai più saputo
niente?”
“Non
da
mio padre. Ho tentato di strappargli qualche indiscrezione sul caso, ma
quando
vuole sa essere dannatamente ostinato… Tuo padre invece? Gli
hai chiesto se ci
sono altri modi per viaggiare, a parte la polvere volante e la
materializzazione?”
“Sì.” Annuì, infilandosi un
pezzo di pasticcio in bocca. Masticò, prima di
continuare. “Ha detto che si sarebbe documentato, e che mi
avrebbe mandato un
gufo. Per ora, nessun gufo.”
“Cavolo, tuo padre sì che è
collaborativo…”
“Oh, è una cosa Malfoy viziare i propri figli in
modo vergognoso…” Sogghignò il
ragazzo, incassando con nonchalanche la successiva gomitata.
“Comunque, ho
fatto delle ricerche parallele, in biblioteca. Ed ho scoperto
qualcosina.”
Rose
quasi si strozzò col succo di zucca che stava bevendo. Si
impose di non
mettersi ad urlare: va bene che il chiacchiericcio della tavolata
copriva il
loro, però…
“Perché
non me l’hai detto?” Sbottò, in un
sussurro.
Scorpius
si strinse nelle spalle. “Pensavo che non ti interessasse
più. Insomma, io mi
ero interessato soprattutto per far colpo su di te.”
Rose
fu
per un attimo indecisa se sentirsi lusingata o esasperata.
Alla
fine, optò per entrambi.
“Sei un cretino! Certo che mi interessa! Questa è
la nostra scuola, e se
qualcosa di squamoso, mortale e misterioso vi si aggira vorrei sapere
almeno
come ci è arrivato e perché!”
Scorpius sorrise. “Quello che penso anche io. Non siamo
perfetti assieme?”
“Oh’ sta zitto.” Si morse un labbro: ci
aveva pensato tutto il pomeriggio, ed
era giunta ad una conclusione.
Io e Al non
possiamo farcela da
soli. Né nel scoprire ciò che nasconde Tom,
né tantomeno sul mistero dei Naga.
Che tra l’altro, sono connessi.
“Hai
presente Thomas?”
“Dursley? Tipo studioso e arrivista. Il serpeverde
perfetto.” Ironizzò.
“Perché?”
“Perché è stato attaccato da quel naga,
se ben ricordi. E da allora si comporta
in modo strano, a quanto dice Al…”
“Beh, in che senso? Io trovo che sia strano da sei
anni.”
Rose
scosse la testa. “Albus e lui sono molto legati. E dice che
ultimamente il suo
comportamento è cambiato. E poi hai notato che è
sempre in giro?”
Scorpius ci rifletté brevemente. “L’ho
visto spesso in biblioteca fino a tardi,
ma direi che uno così la considera il suo habitat
naturale…”
Rose sbuffò. “Sì, a parte quello.
È stato l’ultimo a vedere il naga vivo.”
Scorpius le lanciò un’occhiata attenta.
“Pensi che sappia qualcosa che gli
auror non sanno?”
“Thomas…” Esitò. Non gli
piaceva parlar male di lui, anche se non erano
esattamente parenti, e quindi l’omertà
Potter-Weasley non era dovuta. “Thomas
ha sempre avuto la brutta abitudine di non parlare. E non intendo
essere
taciturno. Se ha un problema, non ne parla. A nessuno. Né a
mio zio Harry, che
è il suo padrino, né ad Al, che è il
suo migliore amico. È un tipo…”
“Sfuggente.” Terminò per lei Scorpius.
“Preferisce risolversi i propri problemi
da solo.”
“Già. Il che okay, è lodevole. Ma
secondo me… potrebbe arrivare a mentire,
per poter continuare a
risolverseli da solo. Non nel senso che c’entri qualcosa. Ma
che nasconda qualcosa.”
Spiegò
frettolosamente Rose. Odiava lanciare accuse se non era perfettamente
certa di
poterlo fare. “Non lo so… credo che dovremo
indagare sulla cosa.”
“Indagare?”
Scorpius fece un
sorrisetto. “Intendi dire… scoprire cosa nasconde
Dursley e se i naga sono
ancora nei paraggi?”
“E se le cose sono collegate.” Ammise. Gli
lanciò uno sguardo. “Te l’ho detto
perché…”
“Perché vuoi coinvolgermi.” La
precedette Scorpius. Annuì. “E mi sta
benissimo.”
“… Davvero?”
“Ehy. Sono un grifondoro, no? Adoro
ficcarmi nei guai.” Sogghignò. “Specie
con una ragazza così carina…”
James
serrò le labbra quando vide la cugina ridacchiare, seduta
accanto a Scorpius
Malfoy. Aveva dell’incredibile. Stavano interagendo.
L’ha
odiato e demonizzato per sei
anni, come me… e adesso?
Hugo
lanciò un’occhiata nella stessa direzione.
“Ah sì…” Commentò.
“È la novità
dell’anno. Ora mia sorella e Sgorbius vanno
d’accordo.”
“E da quando?”
“Da un po’. Lily mi ha detto che hanno appianato
i reciprochi contrasti.” Sbuffò.
“Non riesco a togliermi dalla testa le
urla di papà. È come una specie di eco
continuo…”
James
vide Rose tirare un pugno al braccio di Malfoy, che incassò
con uno di quei
suoi irritanti sorrisi zen. E seppe che non era solo un appianare,
quello.
E
improvvisamente capì il motivo della presenza di Rose nei
dormitori maschili,
quella mattina.
Sei nei guai
Rosie. Sei davvero
nei guai…
****
Sala Comune
di Serpeverde.
Dopocena.
La
sala
comune di Serpeverde era un ottimo luogo dove appisolarsi.
L’illuminazione
soffusa, di una tenue luce bluastra, le vecchie poltrone di pelle
scura, il
caminetto che mandava riverberi verdastri (il fuoco era incantato).
Albus si era sempre chiesto come Thomas e gli altri riuscissero a
rimanere
svegli, dopocena, per più di dieci minuti.
Sbadigliò
e per pura forza di volontà non chiese a Michel di
sospendere la partita a
scacchi magici.
L’altro gli lanciò uno sguardo divertito.
“Al, ti si stanno chiudendo gli
occhi… perché non vai a dormire prima di franare
sulla scacchiera? Si stanno
addormentando persino i tuoi pedoni.”
“Ah, sto bene…” Borbottò.
“Cavallo in C6.”
Il cavallo rimase fermo. Avvicinandosi, notò che stava
ronfando della grossa.
Michel ridacchiò sottovoce.
“Molto empatici i tuoi pezzi…”
“Ah-ah. Simpatico, davvero.” Replicò
lanciando un’occhiata a Tom, seduto
dall’altro lato della sala, con in mano un tomo che recitava
‘I maghi che hanno
lasciato un segno nella Storia.
Sempre
letture extra-curricolari
ultimamente…
Emise
un
lieve sospiro: prima di accomiatarsi da Rose, la ragazza gli aveva
fatto
promettere di restare sveglio almeno
fino a mezzanotte. Il motivo, lo ignorava. Del resto la cugina era
scappata via
prima che potesse chiedergli alcunché.
Voglio andare
a letto…
Lanciò
uno sguardo, di nuovo, verso Tom: era sdraiato sul divano, quello
più vicino al
fuoco. Lo considerava di sua proprietà dal primo anno.
C’è
da dire che nessuno gliel’ha
mai contestato…
Era
fatto
così Tom. Si era sempre imposto senza bisogno di grandi
sforzi.
Ha un carisma
eccezionale…
Si morse un
labbro. Il gioco di luci della Sala lo immergeva nell’ombra
dandogli un aspetto
quasi onirico. E bello.
Dannazione,
ho sempre pensato che
fosse bello… ma solo adesso mi rendo conto che è
probabilmente il più bel
ragazzo del mondo…
Per me. Ecco.
“Signor
Potter, vuole darmi attenzione? So che non sono bello come mastro
Dursley ma…”
Michel gli toccò il braccio, facendolo irrigidire.
“Ti sei imbambolato?” Gli
chiese con un sorrisetto divertito, ma non troppo crudele.
Al
arrossì ovviamente,
sbuffando. “Sì…
cioè, no. Stavo solo pensando alla prossima mossa.”
Michel inarcò le sopracciglia. “I tuoi pezzi
stanno dormendo, Al. Forse sarebbe
meglio se prima li
svegliassi…”
Al
sbuffò,
tirando un colpetto con un dito al suo cavallo, che saltellò
guardandolo storto
e borbottandogli contro maledizioni. Poi, si riaddormentò.
“Ehm, sembra che stasera non vogliano
collaborare…” Mugugnò, facendo ridere
di
gusto l’amico.
Anche Michel era piuttosto bello. Aveva una bellezza esotica,
particolare. Si
diceva che gli Zabini avessero discendenze italo-francesi. Sicuramente
sua
madre francese lo era, come dimostrava il nome e il bilinguismo fluente
del
ragazzo.
Bello
è bello… -
Pensò lanciandogli un’occhiata
– Però non è
che mi fa sentire strano
come Tom.
Michel
ricambiò lo sguardo, e per un attimo Albus si
sentì in imbarazzo. Merlino solo
sapeva perché, visto che l’amico non stava facendo
proprio un bel niente.
“Cerca di non
pensarci troppo. Intendo dire, a
Tom.” Disse inaspettatamente. “A fine mese abbiamo
la prima partita contro i
grifondoro.”
“Ah, ma a quella ci penso sai…”
“Pensa anche al dopo-partita che faremo.” Lo
incoraggiò con un sorrisetto.
“Weasley Junior non sa reggersi su una scopa. La prima
vittoria della stagione
sarà nostra. Io e Messer Nott stiamo già pensando
all’organizzazione della
festa…”
Albus alzò gli occhi al cielo, fingendosi indignato.
“Ecco perché Messer Nott
ha piazzato in bagno tutte
quelle strane casse ridotte…”
“Ottimo firewhiskey
irlandese, in
realtà.”
“Ecco perché ad Hogsmeade parlava con quello
strano nanetto vestito di verde… ”
Sospirò. “In ogni caso, non voglio saperne
niente.”
“Bravo
cucciolo…”
Lo vezzeggiò Michel dandogli un buffetto. Al
sbuffò, allontanando la mano:
sentì uno sguardo sulla nuca e fece appena in tempo a
voltarsi che Tom abbassò
lo sguardo.
Ma
che…
Non fece in
tempo
a farsi domande che dovette sussultare: Rose finalmente si era fatta
sentire.
“Scusa Mike, mi dai un secondo?”
Borbottò alzandosi in piedi e allontanandosi
dall’amico.
Estrasse
dalla tasca dei pantaloni uno specchio rotondo, piuttosto bollente al
tatto.
Anni
prima suo zio George aveva ottenuto il brevetto per produrre specchi
magici
comunicanti e aveva creato dei prototipi che aveva poi distribuito ai
nipoti.
Non era possibile vedere l’interlocutore, ma visualizzavano
brevi messaggi.
Tom mi ha
detto che assomigliano
ai cellulari babbani…
Lo
aprì,
leggendo il messaggio che galleggiava brumoso sulla superficie di vetro.
‘Tra
dieci minuti davanti all’arazzo di Barnaba il Babbeo.
R.’
Inspirò.
Che le salta
in mente? Il
coprifuoco…
Sospirò:
codice
Potter-Weasley. Non prevedeva un rifiuto.
Intascò
lo specchio, avvicinandosi a Michel.
“Ehm…
Mike? Puoi farmi un favore?”
Michel alzò lo sguardo. Sorrise appena. “Mmh
piccolo Potter, dipende. Ma tu
dimmi.”
“Devo uscire. Puoi coprirmi?”
“Uscire? Adesso?” Sul viso gli si dipinse una
smorfia deliziata.
“No. Devo vedermi con mia
cugina.” Chiarì
subito.
“Se
hai
un tenero appuntamento puoi dirmelo… sarò il tuo
più dolce confidente.”
“Mi dai i brividi…”
“Probabilmente perché penso a qualcosa di
sconcio.” Replicò garrulo. Poi annuì,
dandogli una pacchetta sul fianco. “Vai, vai… se
qualcuno chiede di te, mi
inventerò qualcosa di incredibilmente complicato atto a
sviare la curiosità
altrui.”
“Grazie.” Gli sorrise: la sensazione di imbarazzo
era sempre lì, ma la attribuì
alla sua epifania sessuale. Del resto Michel era bisessuale, e suo
amico.
Dovrei
chiedergli se anche lui ha
avuto l’impulso di gettarsi da una scopa in corsa quando
l’ha scoperto.
No.
Probabilmente
ha subito pensato
chi era il ragazzo più carino con cui provarci.
Passò
di
fronte al divano in cui Tom stava leggendo. Quello, finalmente,
alzò lo
sguardo.
“Dove
vai?” Chiese, come al solito monocorde. Al, che non gli
parlava dalla sera
prima, deglutì, sentendo le guance scottare senza motivo.
“Da
Rose.”
“A quest’ora?”
“Codice Potter-Weasley…”
Spiegò. “Comunque non ci metterò
torno.”
Tom inarcò le sopracciglia. “… torno?”
Per un attimo un guizzo ilare gli illuminò il viso.
“Molto, volevo dire molto.”
Balbettò
sentendosi sudare. “Cioè, intendevo dire, non ci
metterò molto, e poi torno.”
“Lo spero.” Si augurò ironico Tom.
“Non farti scoprire dalla ronda.”
“Ci sono Mills e Dalkins. Sono due babbei.” Fece un
sorrisetto, beandosi del
sorriso complice dell’amico.
Merlino
benedetto, sono davvero fuori di testa…
Era
fuori
di testa perché si rendeva conto, lentamente, che tutto
quello non gli bastava.
Voleva
tutta la complicità del mondo, con Tom. Voleva toccarlo.
Inspirò.
“Beh, a dopo.”
Filò via.
Michel lo seguì con lo sguardo, ma poi intercettò
lo sguardo di Tom.
Per
un
attimo, appena un attimo, sentì un brivido freddo
ghiacciargli la schiena.
E per
un
attimo, solo un attimo, gli sembrò proprio di vedere dei
riflessi rossi, negli
occhi solitamente blu dell’amico.
Solitamente
amico.
Quella
sera avrebbe fatto bene ad andare a letto presto, decisamente.
****
Di fronte
all’arazzo di Barnaba il
babbeo bastonato dai troll.
Mezzanotte.
Al
camminò avanti e indietro tre volte, di fronte al vecchio
arazzo.
Si trovava di fronte alla Stanza delle Necessità, il luogo
più frequentato da
chi voleva avere privacy tra gli studenti di Grifondoro.
Visto l’affollamento di bisogni, all’epoca
del primo anno di Ted, si era creata una sorta di lista di prenotazione
ultra-segreta a cui si poteva accedere dal quinto anno in poi.
Stasera evidentemente l’ha prenotata
Rosie…
La
porta
si rivelò. Albus la aprì entrando in quella che
sembrava la fotocopia in scala
ridotta della Sala Comune dei grifondoro.
Tre
poltrone comode, un caminetto in cui ardeva un fuoco allegro, tre paia
di
tazze, una teiera fumigante e…
Al sgranò gli occhi, quando vide che seduto su una poltrona
non c’era altri
che…
“Malfoy…” Mormorò incredulo.
“Potter.” Salutò il ragazzo.
“Un po’ di the?”
Rose, in piedi davanti al fuoco, fece un sorrisetto imbarazzato.
“C’è anche
lui...”
Al
annuì,
guardingo: non considerava Malfoy una cattiva persona, ma avevano
caratteri
così inconciliabili da rendere loro impossibile andare oltre
ai convenevoli.
“Avanti
siediti, mica ti mangio…” Lo canzonò
Scorpius, rimediandosi un’occhiataccia
dalla ragazza. “Latte o limone?”
“Nessuno dei tue. E niente zucchero.”
Recitò Al, riprendendosi dalla sorpresa,
e accomodandosi su una delle poltroncine. Lì era uno scontro
di volontà.
E non mi
faccio fare fesso da un
grifondoro…
Scorpius
gli lanciò un’occhiata, poi sorrise.
“Non ti piacciono le cose dolci?”
“No, solitamente mi piacciono amare.”
Replicò urbanamente. Malfoy lo metteva in
soggezione, ma era abituato ai caratteri forti come il suo.
Dopotutto
sono cresciuto con Mike
e Lo…
E anche Tom
non scherza, quando è
nelle sue giornate no.
Rose
guardò dall’uno all’altro, sbuffando.
“Oh, per Morgana! Finitela di fare i
maschi!”
“I maschi?”
Scorpius aggrottò le
sopracciglia. “Davvero, non so di cosa tu stia
parlando…” “Stiamo solo prendendo
il the.” Replicò infatti Al, con un sorriso che
avrebbe reso il Cappello
Parlante orgoglioso della sua capacità di scelta.
“Tu lo prendi Rosie?”
“No, lascio che ci giochiate voi due…”
Replicò la ragazza sedendosi sul
bracciolo della sedia occupata dal giovane Malfoy. “Allora.
Ho prenotato per
un’oretta, prima che Judith Midgen irrompa con il suo
elefantiaco ragazzo.”
“Yuch, sono contento che la stanza si trasformi ogni
volta…” Commentò Al.
“Posso sapere che ci fa Malfoy qui,
però?” Si corrucciò appena, con arte.
“Mi
sfugge il motivo della sua presenza.”
Rose lo guardò esasperata: di solito Albus era un ragazzo
adorabile. Dolcissimo
e assolutamente privo di pregiudizi.
Però
non appena vede Malfoy o un
noto grifondoro, tira fuori tutto l’arsenale serpeverde. Non
so se l’abbia
sempre avuto, o gli sia venuto a forza di stare a contatto con quelle gran persone che sono Zabini e Nott…
Probabilmente
entrambi.
“Sono
qui
perché sono curioso.” Scrollò le spalle
Scorpius, passando un braccio attorno
alla vita di un’imbarazzatissima Rose. “E
perché adoro Weasley quando usa il
cervello. La trovo piuttosto sexy.”
“Scorpius!” Abbaiò la ragazza, facendolo
ridacchiare.
Al inarcò le sopracciglia. “Ah, beh.”
Disse soltanto. Ma gli occhi erano
attenti, e misuravano Malfoy. Rose si trovò a trattenere il
respiro.
Poi
Albus
sorrise. In quel modo disarmante e allegro.
“Allora,
vogliamo parlare di affari?” Esclamò ironico.
“Bene…”
Iniziò Rose, schiarendosi la voce. “Prima di
tutto, credo che ci serva uno
schema. Non abbiamo molte informazioni in possesso, ma mettendole
assieme e schematizzandole,
potremmo magari
vederle sotto una prospettiva diversa…”
Sul
tavolo apparve per magia un grosso rotolo di pergamena, calamaio e
inchiostro.
Albus batté le palpebre.
“Wow,
è
proprio una stanza…”
“Delle necessità.” Concluse Scorpius,
prendendo carta e penna. “Scrivo io.”
Dopo
mezz’ora
e qualche incongruenza, Scorpius rimirò la lista, con occhio
critico.
“Appare
una strana luce verde in cielo, il giorno prima dei Naga. Questa luce
si perde
nella foresta. Il giorno dopo arrivo dei Naga. Un naga attacca Thomas.
Thomas
viene salvato da Grop, e il naga viene ucciso. Al suo risveglio Thomas
è strano
e sembra nascondere qualcosa. Scorpius e Rose trovano un cratere in
mezzo alla
foresta, che sembra frutto di un atterraggio. Thomas continua nei suoi
comportamenti strani. Dei naga si sono perse le tracce.”
Finì di leggere ad
alta voce.
Al sospirò. “Non è che abbia molto
senso…”
“Non ce l’ha.” Ammise Rose con una
smorfia. “Tom potrebbe comportarsi in modo
strano per il trauma…”
“E i naga potrebbero essere arrivati in un altro
modo…” Mugugnò sconfortato Al.
“Magari è come dicono gli auror. Si sono
persi.”
Scorpius scosse la testa. “Questo lo escludo. Da qui ad
Edimburgo ci sono
centinaia di chilometri. Voglio dire, certo, siamo in Scozia, e la
città più
vicina è Edimburgo. Ma Hogwarts è in mezzo al
nulla, magicamente
irrintracciabile. Proprio qui dovevano perdersi?”
Batté un dito sulla
pergamena. “Inoltre quel cratere c’entra.”
Rose
e
Albus si guardarono. Poi la ragazza si morse un labbro, pensosa.
“Quindi
hai davvero scoperto come sono
arrivati?”
Scorpius tirò fuori un pezzo di pergamena dalla tasca,
accuratamente ripiegato.
“Rosie, mi deludi. Non ti fidi del mio acume?” Fece
un sorrisetto. “Ho passato
quasi una settimana a spulciare libri di incantesimo locomotori. Advolo Celeriter¹. È
l’incantesimo che
hanno usato su quei bestioni.”
“Sarebbe?” Chiese Rose: assurdo, non conosceva
nulla del genere.
“Un
vecchio incantesimo.” Spiegò, aprendo il
foglietto, leggendo. “È una specie di
materializzazione. L’unica differenza è che chi
compie l’incantesimo lo compie
su un soggetto terzo, non su di sé. Si può usare
anche per gruppi di persone. Non
ti sposti da un luogo all’altro, da punto A fino a punto B.
Ma percorri la
retta AB.”
“E
questo
avrebbe eluso le barriere magiche di Hogwarts?” chiese Rose
incredula.
“Beh, sono barriere contro certi
tipi
di incantesimi.” Intervenne Albus pensieroso.
“Comunque non ho mai sentito
parlare di qualcosa del genere…”
“Perché non funziona con gli esseri umani. A una
velocità simile, alla quota a
cui abbiamo visto quella luce, un mago ci rimarrebbe secco. Non
è sfruttabile.
L’unico ad averlo provato, rimettendoci la pelle,
è stato l’ideatore. I naga invece
hanno quella specie di corazza al posto della pelle.”
Spiegò prontamente
Scorpius. Pareva piuttosto soddisfatto del suo lavoro. Rose non se la
sentì di
ironizzare.
È
stato bravo sul serio…
“Quindi
doveva esserci qualcuno che li ha trasportati qui.” Al
serrò le mani sulla
tazza. “Per fare qualcosa… Non entri nella Foresta
Proibita senza un motivo.”
“O
per
cercare qualcuno.” Obbiettò Scorpius.
“Tom?” Mormorò Al. “Credete
che l’abbia attaccato di proposito?”
“Lo abbiamo visto anche noi, Al… e a
me… ha chiesto dove era lui.
Lì per lì non ho capito, ma
poi…”
“Papà
ha
detto che è stato un caso, che avrebbe potuto attaccare
chiunque!” Protestò
vivacemente. L’idea che Tom potesse essere preso di mira lo
atterriva.
Thomas
era sempre stato particolare: sia per la sua mancanza,
sia per il modo in cui aveva cominciato a far parte dalla
loro famiglia.
Papà
l’ha salvato. Era stato
rapito da un mangiamorte…
“No,
non
è vero.” Disse Scorpius, versandosi una tazza di
the. “Prima il lucertolone ha
incontrato noi. O meglio, Rose…”
Rose inspirò appena. “Ci sono quasi andata a
sbattere addosso, Al. Poi Scorpius
mi ha tirato via, ma… non ci ha inseguiti.”
Al
guardò
Scorpius: una parte di sé lo supplicava di lasciare quella
stanza, e
soprattutto, di lasciare cugina e ragazzo a cuocere nelle loro
congetture.
Questa storia
non mi piace… è come
se si prendesse di mira Tom.
In
qualche modo gli sembrava di tradire la sua fiducia.
“Anche
se
il naga avesse voluto Tom…” Iniziò Al.
“Se avesse voluto Dursley, Dursley lo saprebbe.” Lo
seccò Scorpius sorseggiando
il the. “Voi lo conoscete meglio di me… ma non
è un mistero il fatto che
Dursley ami essere sempre al corrente di tutto.” Fece
spallucce. “In ogni caso,
solo lui sa cosa è successo nella Foresta
Proibita.”
Rimasero
in silenzio per un po’. Alla fine Rose sospirò.
“Non siamo granché come investigatori,
eh?”
Scorpius scrollò le spalle. “È
naturale. Non abbiamo niente in mano. Solo
congetture, che non promettono nulla di buono,
peraltro…”
“Beh…”
Al
deglutì lentamente: quello che stava per dire non era
semplice. Aveva promesso
a suo padre di non farne parola con nessuno. E quel nessuno contemplava
decisamente anche Malfoy.
Ma Tom
potrebbe essere in
pericolo…
“Quel
naga…
potrebbe aver cercato Tom perché è…
particolare.” Borbottò. Rose inarcò le
sopracciglia, e persino Scorpius distolse lo sguardo dal fuoco.
“Sarebbe
a dire?” Chiese questi, guardingo.
“Sarebbe
a dire che… non è davvero
nostro
parente. Insomma, lo sa anche Rosie… è stato
adottato dal cugino di mio padre.
È stato rapito da bambino, e la sua vera famiglia non
è mai stata trovata.” Non
aggiunse altro. Già così si sentiva una carogna.
“Wow.” Commentò Scorpius. “E
chi l’ha rapito?”
“Un mangiamorte…” Sussurrò
Al. “Il nome non me lo ricordo…”
Scorpius
serrò
appena le labbra. Bevve un altro sorso di the, prima di parlare.
“Allora significa
che il passato di Dursley, o della sua famiglia, non è
esattamente comune, né
immacolato.”
Rose
inspirò appena: era la prima volta che veniva a conoscenza
dell’identità del
rapitore.
Favoloso, un
mangiamorte.
Questo rende ancora tutto più
inquietante...
“Quindi
qualcuno sta tentando di rapirlo di nuovo?” Chiese a nessuno
in particolare.
“Impossibile, il rapitore è morto.”
Obbiettò Al ragionevolmente. “Morto sul
serio.”
“Sì, ma se fosse stata una commissione? Se chi gli
ha commissionato il
rapimento fosse ancora vivo?” Incalzò Scorpius.
“Sono
passati diciassette anni! Perché metterci così
tanto?” Ribatté Al, ma in
difficoltà.
E se avesse
ragione?
Ormai
il
tarlo era lì, e stava scavando.
“Diciassette
anni, giusto.” Confermò Scorpius. “Ma ha
cambiato cognome, no? E Dursley è un
cognome babbano.”
Rose gli lanciò un’occhiataccia, aprendo bocca per
protestare contro il tipico
classismo da purosangue. Poi capì. “Ma certo! Tom
è vissuto nel mondo babbano
fino ad undici anni!” Esclamò.
“È impossibile per un mago rintracciare un
neonato con sangue magico, se gli viene cambiato cognome, e stato di
nascita.
Tom risulta come nato babbano!”
“Poi
ha
cominciato a frequentare Hogwarts… ma Hogwarts è
il luogo magico più sicuro di
Inghilterra. Se l’avessero rintracciato, rapirlo sarebbe
impossibile qui. Per un mago.”
“Ma i naga non sono maghi…”
Continuò Rose.
“Quindi hanno potuto arrivare fin qui usando incantesimi per
non-umani, non
rilevabili dalle difese della scuola.” Concluse Scorpius
soddisfatto.
Rose
fece
un sorrisetto. “Ha senso. Non credi che abbia senso,
Al?”
Albus si morse un labbro: lo aveva? Forse.
Ma se
lo
aveva, Tom era nei guai. Fino al collo.
Ma la vera
domanda è. Tom sa che
qualcuno lo sta cercando?
“Ce
l’ha…” Dovette ammettere il serpeverde.
“Ma sono solo… supposizioni. Non ci
crederebbe mai nessuno.”
Rose sospirò, scornata. “Non hai tutti i torti. Io
e Scorpius abbiamo detto a papà
del cratere, ma ci ha a malapena ascoltato.” Fece una
smorfia. “E pensare che ci
sono passati pure loro.”
“Direbbero che è diverso, che non
c’è nessuna minaccia e che è tutto
sotto
controllo.” Replicò Albus con un sorrisetto
disilluso. “Se vogliamo scoprire
qualcosa dovremmo farlo da soli.”
“Sono d’accordo.” Annuì
Scorpius. “Per prima cosa, ci serve sapere chi
voleva rapire Dursley-bambino, e per
quale motivo.”
“Vecchi articoli della Gazzetta del Profeta?”
Suggerì Rose. “Forse lì
c’è
qualcosa. Potrei farmeli spedire via gufo. Credo rientri nel servizio
arretrati.”
Scorpius
le rivolse un sorriso sfavillante. “Beh, direi che abbiamo un
piano d’azione!”
“Fantastico…” Mugugnò Albus.
“Ehy, non demoralizzare le truppe!”
Scherzò l’altro ragazzo. Poi gli sorrise.
“Senti Potter, so che Dursley è tuo amico. Ma
stiamo lavorando anche per lui, in
fondo.”
“Potremmo lasciar fare agli auror…”
“Sinceramente, con tutto il rispetto per tuo padre, credo che
stiano seguendo
piste totalmente sbagliate.” Sbuffò Scorpius.
“Sono tutti presi a ritrovare
quei lucertoloni e rimpatriarli. Non hanno collegato Dursley a loro. E
se
provassimo a far cambiar loro idea, non ci ascolterebbero. Siamo tre
minorenni.
Abbiamo autorità ad imporci zero.”
“E
nel
caso ci sbagliassimo, non faremo male a nessuno…”
Lo rassicurò la cugina,
prendendogli una mano, e stringendogliela. “Facciamo solo
delle ricerche, in fondo.”
Al annuì. La sensazione spiacevole di fare qualcosa alle
spalle di Tom non lo
abbandonava.
Ma ce
n’era anche un’altra, più sottile, quasi
impercettibile.
Rivalsa.
Se
lui
avrebbe nascosto qualcosa a Tom… beh, Tom stava nascondendo
qualcosa a lui.
E da
ben
più tempo.
“Va
bene.
Ci sto.”
Scorpius
gli lanciò un’occhiata. “Non fare quella
faccia, Potter.” Sogghignò. “Forse gli
stai salvando il culo. Il che ti dovrebbe interessare, no?”
“… Come?”
“Scorpius! Avevo detto niente battute!”
Ringhiò Rose, alzandosi per dargli uno
scappellotto. Capì troppo tardi che il ragazzo
l’aveva intenzionalmente
fatta avvicinare. Si sentì tirare giù, e si
trovò
sulle sue ginocchia.
“Stai
comoda, trottolina?”
“Malfoy! C’è mio cugino qui!”
Sbraitò paonazza, di fronte all’espressione
divertita
di Al.
“Uhm,
l’ho notato. Potter? Sei un terzo incomodo.”
Al fece un sorrisetto. “Beh, l’avevo notato,
sì.” Disse gentilmente, cercando
di non ridere dell’imbarazzo supremo
della cugina.
“Scorpius,
metti giù le zampe!” Sbottò la ragazza,
cercando di tirarsi su. Ma la poltrona
era stata progettata per essere comoda, e da quella posizione, era come
essere sepolta.
“Come
se
ti dispiacesse, biscottino…”
“Come
mai non sono stato invitato
a questa bella riunione di famiglia?”
I tre
ragazzi si voltarono di scatto verso la voce.
Al serrò bruscamente le labbra.
James
era
sullo stipite della porta, con uno dei suoi sogghigni peggiori.
****
Sala Comune
Serpeverde.
Una di notte.
Tom
si
passò una mano sugli occhi: era stanco.
Erano tutti a dormire nelle proprie camere, dentro i propri letti.
O in quelli
altrui, come nel caso
di Nott…
…
e Al
non era ancora tornato. Non era quello il motivo per cui era sveglio naturalmente.
Aveva
letto da cima a fondo tutto quel tomo, zeppo di nomi illustri.
Aveva
già
sentito il nome Tom Riddle. Sì, sentiva nettamente di
doverlo ricordare, ma era
come se qualcosa facesse muro tra il suo sé cosciente e la
sua memoria, di
solito eccellente.
Era
frustrante.
E
considerando che qualcuno l’aveva rapito perché lo
credeva la reincarnazione di
quel tipo…
Sempre che
sia vero…
…
era
preoccupante. Ma sensato. Dopotutto, in quanti flashback notturni
sentiva la
voce del suo rapitore apostrofarlo con rispetto e terrore?
Innumerevoli.
Terrore e
rispetto per un neonato?
Ridicolo. Terrore e rispetto se credi che il neonato che hai portato
via potrà
diventare, un giorno, qualcuno da rispettare e temere.
In
ogni
caso, aveva consultato tutto il libro, da cima a fondo. Nessun Tom
Riddle.
Neanche un
Tom… tutti nomi da
maghi.
Poteva
anche non essere un vero nome. Ma
un
giochetto di quel dannato finto-ragazzino biondo.
Serrò
appena la mascella, furioso.
“Chi
diavolo è Tom Riddle?” Sussurrò a se
stesso. Guardò pigramente, con la coda
dell’occhio, passare attraverso un muro il Barone
Sanguinario, e scivolargli
accanto, con i terribili occhi fissi su un’invisibile e
efferato dolore.
Batté
le
palpebre.
Beh,
poteva fare un tentativo.
“Signore…”
Chiamò con tono cortese. “Signor
Barone…”
Il fantasma si voltò, sentendosi chiamare. Lo
guardò incolore. “Posso fare
qualcosa per Voi, Signore?” Formulò manieroso, ma
privo di qualsiasi
intonazione.
“Sì,
signore.” Si alzò in piedi, avvicinandosi.
“Mi chiedevo… Lei è qui da molto
tempo ormai. Ha conosciuto molti studenti di Hogwarts. Voi fantasmi
avete una
memoria eccellente, per quanto mi è dato sapere.”
Lo blandì.
“È
così
infatti.” Confermò: era il fantasma più
inquietante del Castello,
indubbiamente, con la gorgiera sporca di sangue argentato e lo sguardo
vitreo.
Eppure
Tom l’aveva sempre trovato il più affascinante.
Ha ucciso in
preda ad una passione
furibonda.
Il
più romantico, senza dubbio.
Chi dice che i Serpeverde sono dei freddi e meschini egoisti non vede
oltre il
proprio naso. Ambizione, astuzia, certo… ma a ben vedere
siamo preda più di
chiunque altro di passioni… Solo, non esplodiamo come
ridicoli grifondoro.
Il
fantasma attendeva la sua domanda, e Tom si schiarì la voce.
“Mi chiedevo se
per caso non avesse memoria di uno studente, forse appartenente a
questa casa,
di nome Tom Riddle…”
La reazione del fantasma fu quantomeno bizzarra. Gli puntò
gli occhi, globi
inespressivi addosso per un lungo momento. Poi disse.
“È
così.”
Semplicemente.
Tom
sorrise trionfante. “Lo supponevo. Potrebbe forse darmi
qualche informazione in
più? Se non le è di disturbo,
naturalmente.”
Il fantasma continuò a rimanere in silenzio, tanto che Tom
cominciò a
spazientirsi: i fantasmi avevano purtroppo una concezione del tempo
totalmente
stravolta rispetto a quella di un essere vivente.
Dev’essere
orrendo vivere… sopravvivere così. A questo, preferirei la morte.
Indubbiamente.
“C’è
una
sola cosa da sapere su Tom Riddle.” Disse infine.
“Chi è stato poi.”
Tom
deglutì: buffa reazione. Per un attimo aveva quasi pensato
di andarsene, e non
ascoltare la risposta.
Ridicolo.
Sono arrivato fin qui.
Non ho intenzione di tirarmi indietro proprio adesso.
“Chi
era
Tom Riddle?”
Il fantasma fece un sorriso sinistro, che gli gelò il sangue
nelle vene.
“Lord
Voldemort.”
****
Note:
1)Altro
incantesimo
inventato pasticciato da me.
Oh,
lo
so. Sono sadica.
Sto
cominciando a raccogliere materiali per la tesi.
Lo
sono per forza.
|
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Capitolo 25 *** Capitolo XX ***
Buondì,
o
buonasera a seconda della visionatura.
Ragazzi, dai, vedo 170 visioni e 6 recensioni? Non rendete Al triste!
*piazza
Al e i suoi grandi occhioni*
@MiriamMalfoy: Lo so, so
di essere sadica e mi
metto in ginocchio sui ceci. XD Comunque spero di farmi (un
po’) perdonare con
questo capitolo. Tom è un coglione, ma pian piano si sta
svegliando, quindi
abbi fiducia. :P Grazie per i complimenti!
@MissMary: Allora alla
fine Jamie ha
riscosso qualche successo, dai, in fondo non è tanto male!
;) Al è un serpeverde,
purtroppo spesso non lo dimostra, ma ti assicuro che in fondo
c’è in lui
qualcosa del serpentello. :P E non preoccuparti,
quell’orrendo marrone presto
sparira a favore di un bel blu elettrico, che gli si addice decisamente
di più.
;) Merito di Jamie, puoi giurarci! Rose è una tonta totale,
e Scorpius, diciamo
che fa il suo gioco (e da quando uno come un Malfoy si nasconde? J ) Tom e
occhi rossi, poteva forse
mancare? Questa è colpa del fandom. I Tom, in HP DEVONO
avere gli occhi rossi.
XD
@Hel_Selbstmord: Pulcino Bagnato e
Mister Misantropia in questo capitolo daranno il meglio di loro,
promesso
(ormai questi sono i nomi in codice. Per Jamie? Re Minchione XD) Al il
tuo
secondo personaggio preferito? Evviva, pure il mio! (ed ehm, io la
scrivo ‘sta
roba). In effetti volevo che il Cappello non fosse totalmente
rincretinito a
spedirlo lì. Se avrò tempo e
c’entrerà, un bel flashback con lo Smistamento non
ve lo toglie nessuno! OT: dei Dream Theather io adoro totalmente
‘image and
words’ e penso che ‘take the time’ sia
ufficialmente la mia canzone preferita.
Però devo ammettere, che specie nei primi album, sono di una
pesantezza unica,
e infatti quelli che ho comprato li ho tutti rifilati a mio fratello,
prog-metaller convinto. XD Grazie per esserci sempre!
L’angolo musica è
diventato un must delle recensioni! XD
@Altovoltaggio:
Grazie, grazie, grazie! E’
bello sapere di riuscire a dare un senso a questa storia, e di farla
incastrare. Sudo sempre freddo all’idea di non essere in
grado di farlo (è la
mia prima fic così complessa. :P )
@Trixina: Ahaha, Tom
lo so, nello scorso
capitolo è stato messo un po’ in ombra. Geloso
di
Zabini? Nooo, assolutamente no! Che dici!
*Tom la guarda malissimo, minaccioso* È solo una
tua impressione, credimi! ;)
@Ron1111: Ciao! Grazie per la
recensione. Allora, il motivo per cui Tom non è riconosciuto
come predecessore
di Voldemort, è perché a conti fatti, non gli
somiglia molto. Mi spiego. È
vero, ha i capelli neri, pelle pallida, ma gli occhi li ha azzurri (e
non
neri), oltre a questo è proprio diverso di aspetto fisico.
;) Solo
accidentalmente ho dato a vedere che gli potesse somigliare. Di base,
il mio
modello è Tom Sturridge, che con
il Riddle
cinematografico c’entra poco o niente. Tom poi è
un nome banalissimo in
Inghilterra(e in effetti è un diminutivo, lui si chiama
Thomas). Spero di
averti tolto qualche dubbio. Alla
prossima spero!
@Bic:
Ciao Bic! Ehm,
sinceramente non ricordo se mi hai recensito, perdonami, sono un
po’
rincoglionita. Ti ringrazio tantissimo per i complimenti, e
beh… se ci si può
affidare a Jamie e Al c’è sempre Lily. (Che
vabbeh, potrebbe sempre decidere di
affibbiare il proprio cognome ai figli. O
forse
no. ;P) Grazie, e spero alla prossima! ^^ Ah, ho commentato la tua
‘Goodluck my
baby’. ;)
****
Capitolo
XX
Lord, I've been waiting all my life but
I’m too late again
I
know but I was scared
Can't
you see, oh, I'm moving like a train - into some foreign land -
That
you got on a ticket for this ride…
(Song
for the lovers, Richard Ashcroft)
Stanza
delle Necessità.
Una
di
notte.
James
si
avvicinò ai tre, al momento totalmente pietrificati.
Rose aveva paura persino di respirare.
Al deglutì. “Jamie…” Disse
semplicemente.
Il ragazzo fece una smorfia. “Beh? Vediamo. Posso dare una
mia interpretazione
personale a questa bella riunione?”
Rose si alzò di scatto in piedi, con inaspettata
agilità. “Non è come pensi!”
“No? E allora com’è? Oh, come
sarà arrabbiato zio Ron. La sua adorata Rosie che
se la fa con un Malfoy…” Sogghignò.
C’era puro divertimento nelle iridi
nocciola del cugino, e Rose capì che sarebbe corso a
spifferare tutto ai
quattro venti, se qualcuno non l’avesse fermato.
Non
che
James fosse cattivo. No. Era uno stronzo.
“Se
dici
qualcosa…” Iniziò bellicosa. James la
fermò con una mano.
“Cosa
fai? Neanche smentisci? Accidenti, allora è vero. Tu e
Malfoy state assieme!”
Esclamò divertito. “Diavolo Rosie. Sei davvero nei
guai.”
“Non sono affari tuoi, Jam!” Sbottò Al,
cercando di portare aiuto.
James
smise di sorridere. Fece una smorfia. “Certo che lo sono. Se
Rose si invischia
con un Malfoy quanto credi che ci vorrà prima che avvenga
una bella crisi
familiare? Già Teddy e Vic si sono
lasciati…”
“Cosa?!” Sbottò Rose esterrefatta,
mentre Albus sgranava gli occhi. “Come si
sono lasciati?”
James scrollò le spalle. “Oh, andiamo. Siete i due
geni di famiglia. Se è qui
da solo, e Vic non si è ancora fatta sentire, cosa pensiate
voglia dire?” Si
passò una mano trai capelli, staccandosi dallo stipite e
avvicinandosi.
“Comunque non è questo il punto. I due piccioncini
facevano coming out davanti a te,
fratellino?”
Al serrò le labbra, accantonando lo shock che la notizia gli
aveva trasmesso:
ora erano altre le priorità. “No. E comunque io sono felice per loro.”
“Oh, quanto sei pieno di buone intenzioni. Sei ridicolo come
serpeverde.”
Al afferrò la bacchetta che teneva in tasca.
“Ridillo.” Sillabò lentamente, con
uno sguardo che fece scendere un brivido lungo la schiena di Rose.
Era
raro
che Al si infuriasse.
Ma
è sempre James a fargli perdere
la bussola, accidenti.
“Perché
non cerchiamo di calmarci?” Esordì Scorpius, che
fino a quel momento era
rimasto seduto, in silenzio, ad osservare la situazione.
James
gli
rivolse un’occhiata bruciante. “Tu devi solo
chiudere il becco, Malfoy.”
“Ah, vorrei tanto.” Annuì, con sguardo
perso nel vuoto. “Il problema è che sono
stato tirato in mezzo, e su più fronti. Punto primo, tu e
mini-Potter state per
venire alle mani, e in quanto tuo
prefetto,
dovrei evitare lo scontro con membri di altre Case. Punto secondo, non
ci tengo
che tu vada in giro a dire cose che potrebbero mettermi in
difficoltà. Punto
terzo, stai trattando male la mia ragazza.” Concluse, mentre
Rose si sentì
avvampare quasi per auto-combustione.
James
aggrottò
le sopracciglia. “Mi stai prendendo per il culo?”
Ringhiò, sentendosi decisamente
preso in giro da quello
sguardo irriverente.
Aveva
sempre detestato Malfoy: sia per la sua brillante vita scolastica,
inimitabile
per qualsiasi maschio, sia per l’atteggiamento perennemente
calmo e compassato.
Fottuto Lord
del cazzo.
“No,
affatto. Ti sto semplicemente esponendo i fatti.” Si
voltò verso Al, che teneva
ancora la bacchetta saldamente in pugno, sebbene ancora lungo il
fianco.
“Potter, non entrerei mai in una lite tra fratelli. Ma vorrei
evitare il lancio
di maledizioni.” Disse pacato. Al gli lanciò
un’occhiata, ma poi intascò la
bacchetta.
Rose
inspirò sollievo: era divisa tra il terrore di essere
sputtanata sulla pubblica
piazza scolastica e l’essere orgogliosa del modo in cui il
suo ragazzo stava
gestendo la situazione.
Questo
dimostra solo come James,
ed io in buona parte, abbiamo sempre avuto torto.
Scorpius non
è quello che sembra.
James
sembrò invece furioso della piega che avevano preso gli
eventi: non solo
l’idiota osava mettersi
con sua
cugina, ma ora si permetteva anche di intromettersi tra lui e Albus!
Si
avvicinò fino ad essergli a pochi passi. “Malfoy,
ti ho detto di starne fuori.
Non ci senti?”
Scorpius sorrise pieno di bonomia. “Ci sento. Ma te lo
ripeto, non mi piace
come stai trattando la mia ragazza.”
“Rose è mia cugina, non una delle tue
amichette!” Ruggì James. Rimpianse di non
aver preso la bacchetta con sé: quando aveva visto Rose
uscire dal proprio
dormitorio l’aveva seguita senza starci troppo a pensare.
Certo
non
si era aspettato di vedere quello.
Una bella
chiacchierata inter-casa
ed inter-famiglia.
Rose
guardò Albus, che le lanciò uno sguardo
esasperato.
Non verranno
alle mani per me,
vero? Merlino benedetto, stiamo parlando di cose ben più
importanti della mia
vita sentimentale!
Si frappose
trai
due. “Fatela finita! James, ho tutto il dannato diritto di
frequentarmi con chi
voglio. Compreso Malfoy.” Sbottò. “E tu
non sei mio padre, quindi non ti devo
spiegazioni!”
“E
come
pensi che reagirà zio Ron e la nostra famiglia a questa
bella pensata? È un
Malfoy, maledizione Rosie! È figlio di un mangiamorte! Un
fottuto vigliacco che
è passato…”
Non fece in tempo a finire la frase. Rose fu spostata a lato, e Malfoy
gli
piazzò un pugno in faccia, facendolo quasi cappottare su una
poltrona.
“Tieni
fuori la mia famiglia dai tuoi sproloqui, Potter.”
Sibilò, con un ghigno che lo
fece assomigliare in modo agghiacciante al padre. “Vuoi
sfogare le tue
frustrazioni da fallito? Fallo con me. Da uomo.”
“Scorpius,
no!” Tentò Rose, ma la rissa scoppiò
repentina. I due ragazzi si placcarono a
vicenda, rotolando trai tappeti e i cocci del bricco che poco prima
James aveva
abbattuto con la sua caduta.
Al la
afferrò prima che si lanciasse trai due litiganti.
“Lascia Rosie. Lasciali
sfogare.” Disse inspiegabilmente calmo.
“Ma si stanno ammazzando!”
“Sono senza bacchette. Uno scoppio di testosterone non ha mai
ucciso nessuno.”
Replicò, con un sorriso sottile. “Ho visto risse
peggiori nel
dopo-partita.”
“Ma
se
prima sembravi tu, quello a voler iniziare la rissa!”
Rimbeccò piccata, mentre
di sottofondo i due si urlavano insulti irripetibili.
La situazione
è surreale.
“Testosterone,
appunto.” Sorrise soffice. “Fortuna che io ho anche un cervello.” Concluse
facendola suo malgrado sorridere.
“Che
facciamo allora?” chiese Rose, mordendosi un labbro: James
avrebbe potuto, e
probabilmente voluto, spifferare
tutto alla famiglia. E sarebbe stato un disastro.
Morgana, che
razza di situazione…
Al
scosse
la testa. “Parlare a Jamie. A volte riesce ad essere persino
sensato.”
Lanciarono
uno sguardo ai due che sembravano assolutamente presi dal compito di
darsi
quanti più pugni potevano: fortunatamente lo spazio ridotto
impediva che molti colpi
venissero messi a segno.
“Si
stanno praticamente strappando i
capelli…” Mormorò Rose esasperata.
“Merlino, quanto sono infantili!”
“Ti ho mai detto quanto sono grato al Cappello?”
Replicò Al con un sorrisetto,
puntando la bacchetta contro i due. “Aguamenti.”
Scandì e uno scroscio d’acqua investì i
due litiganti, che lanciarono un urlo
di indignata sorpresa, bloccandosi.
“Signori,
ora di parlare.” Li riprese Al con un sogghignetto.
“Andiamo.”
Scorpius, a cavalcioni del riottoso James, sbuffò.
“Bell’incantesimo.”
Concesse.
“Beh, l’elemento Serpeverde è
l’acqua. Ho pensato che fosse un incantesimo
adatto alle circostanze.” Replicò Al, tendendogli
la mano, sotto lo sguardo
irritato di James. Scorpius la prese di buon grado, tirandosi su.
“Grazie
mini-Potter.”
“Preferirei Al, se non ti dispiace.”
Scorpius sogghignò. “Intesi, Al.”
James si alzò da solo, strizzandosi la felpa, con un
grugnito. “’Fanculo
Albie.”
“Lo stesso a te, fratellone.” Replicò
Al, intascando la bacchetta. “Tu sei già
maggiorenne, noi lo saremo tra poco. Vogliamo provare a dare un senso
alla
nostra età anagrafica?”
Se qualcuno non fa la persona matura
moriremo tutti. Qui dentro. Uccisi da qualche maledizione
volante… - Pensò il
giovane Potter, pragmatico.
James
scrollò le spalle. “Non vedo cosa ci sia da dire.
Rosie ti ha presentato il suo
fidanzatino scomodo, e tu l’hai accolto a fottute braccia
aperte.”
“Non l’ho accolto.” Ribatté
Al. “Ma penso che tu abbia più motivi per
accettarlo di me. È un grifondoro, è il tuo
Capitano e per giunta siete uguali.”
“Prego?” Dissero i due interpellati in coro.
Scorpius inarcò le sopracciglia,
mentre James sbuffò.
“Visto?”
Replicò salace Al. “Avete in comune più
di quanto non pensiate.”
Rose
scosse la testa. “Sul serio… È ridicolo
aggrapparci a questo odio generazionale.
Sono trascorsi decenni da quando i
nostri genitori si lanciavano maledizioni. È ora di
crescere.”
“È un Malfoy!” Ribatté
cocciuto James. “E crescere non significa andare a letto
con lui!”
Rose avvampò di sdegno. “Brutto caprone! Ma pensi
sempre a quello?!” Ringhiò.
“Potter…”
Cominciò Scorpius, paziente. “Rose non
è una delle mie amichette. Lei mi piace
sul serio.” Concluse guardandolo dritto negli occhi.
James
non
distolse lo sguardo. “Ma proprio lui, Rosie?”
Chiese.
Rose
sospirò.“Non scegli di chi innamorarti,
Jamie.”
James le lanciò un’occhiata indecifrabile. Poi
sbuffò, vinto.
Rimase
in
silenzio per un attimo, prima che Al parlasse.
“Non
eravamo qui per fare le presentazioni, Jam. Certo, siamo adolescenti, e
ci
dovremmo preoccupare della nostra vita scolastica e sentimentale.
Però non
eravamo qui né per l’una né per
l’altra.”
Rose gli lanciò un’occhiata allarmata, ma Al le
fece un lieve cenno con la
mano.
Dobbiamo
coinvolgerlo. James ormai
è qui, e non se ne andrà senza un contentino.
Oltretutto
è sempre in giro,
sempre durante il coprifuoco. Magari sa qualcosa…
James
lo
squadrò attento. “Allora per cosa?”
“Lo sai.” Replicò Al.
“Ultimamente stanno succedendo cose strane qui.”
James lo guardò a lungo: aveva sempre pensato che il
fratello fosse un
sostanziale cacasotto. Certo, gli voleva bene, ma questo non lo
risparmiava dalle
critiche.
Eppure
in
quel momento gli sembrò che Al fosse diverso. Che meritasse
di essere
ascoltato.
Non
gli
aveva mai sentito usare un tono così sicuro.
“Dipende
da cosa intendi per strane.” Concesse.
“Intendo il naga. Intendo il modo in cui hanno insabbiato la
faccenda. Hogwarts
non è un posto normale, Jamie. È magico. Ma tra
magico e sinistro corre un bel
po’ di differenza.”
James sogghignò. “Cosa c’è?
Ora credi davvero a quello che ho detto sul fatto
che mi hanno attaccato ad Hogsmeade?”
Rose si intromise. “Io dico che dovremmo capire
che sta succedendo. E mettere da parte i pregiudizi che abbiamo
l’uno per
l’altro. Lavorare assieme.”
“Gli
adulti non sono collaborativi. Ma noi possiamo tentare.”
Replicò Scorpius. “Una
momentanea alleanza, Potter.”
“Cos’è,
volete riesumare il magico trio?” Sbuffò James.
“Andiamo. Non c’è nessun
Voldemort da sconfiggere qui.”
“Ma qualcosa c’è.” Disse
Albus. “Jamie, allora, che vuoi fare? Sei dei
nostri?”
James lanciò un’occhiata complessiva ai tre.
“Sapete? Sembra quasi uno scherzo.
Ma beh, io adoro gli scherzi. Quindi, perché no?”
Fece un finto inchino. “James
Sirius Potter al vostro servizio. Non al tuo, Malfoy.”
Rettificò all’ultimo
momento.
“Non
l’avrei mai pensato, Potter.” Replicò
quello beffardo.
Non mi
sbagliavo… anche lui ha
avvertito che c’è qualcosa di strano
nell’aria.
James
si
buttò su una delle poltrone, stiracchiandosi.
“Allora
signori. Aggiornatemi.”
****
Sgabuzzino,
Hogwarts.
Mezzanotte.
Teddy
si
passò una mano trai capelli impregnati di polvere.
Lavorare
a quell’ora aveva qualcosa di intimo, piacevole.
Era
rimasto nello sgabuzzino dove era accatastata la biblioteca di Ziel
tutta la
sera.
Era
un
lavoro difficile, ma gli permetteva di spegnere il cervello.
Non
era
facile fingere che andasse tutto bene. Non solo per Vic, non solo per
se
stesso, ma anche per quello che stava accadendo ad Hogwarts.
Il
pomeriggio aveva avuto un colloquio con il Preside che si era detto
d’accordo
nell’operare l’incantesimo di memoria su James.
L’aveva
però avvertito che non era un incantesimo privo di
controindicazioni, che
andavano da una semplice emicrania fino alla perdita di memoria
temporanea
degli avvenimenti della giornata.
James
era
legalmente maggiorenne, e quindi era perfettamente regolare incantarlo,
anche
senza il permesso dei suoi genitori. Per sicurezza comunque aveva
mandato un
gufo a Harry e Ginny.
Harry
aveva fissato un colloquio con la metropolvere da lì a
mezz’ora.
Guardò
l’orologio da taschino.
Devo
sbrigarmi, o rischio di
saltarlo.
Guardò
le
pile di libri dentro gli scatoloni: finalmente cominciavano ad avere un
senso
logico. Poi guardò il libro che aveva steso James con un
incantesimo
protettivo. Lo prese: se lo sarebbe portato dietro e ci avrebbe
lavorato per il
resto della sera, dopo il colloquio.
Quando
si
chiuse dietro la porta della camera, arredata sia per dormire sia da
studio,
tirò finalmente un sospiro di sollievo.
Erano
giorni che pregava Merlino di non incrociare la professoressa Prynn.
Dopo che
avevano avuto quel colloquio negli ex-appartamenti di Ziel, la ragazza
lo
cercava per trascinarlo in un ‘the pomeridiano’.
Neville,
bonario, aveva ventilato l’ipotesi che la procace americana
avesse una cotta
per lui, sostenuto dai gran ghigni di Hagrid.
“Sta’
attento che Vic s’arrabbia, eh!” gli aveva detto
durante una cena l’ex-guardiacaccia.
Si
era
trattenuto dal dover dissentire.
Non
è il mio genere di ragazza.
Ainsel
non lo attraeva: certo, era molto bella, non si poteva negarlo. Ma
troppo
invasiva.
Ma
quelli
erano solo pensieri residuali. La sua maggior preoccupazione era James.
James
che
era stato aggredito e obliviato.
James che quel pomeriggio aveva avuto un atteggiamento…
stravagante?
Teddy
sospirò, sedendosi accanto al camino e aspettando che Harry
facesse la sua
comparsa.
Si
sentiva a disagio, a pensare al modo in cui James gli aveva sorriso e
l’aveva
abbracciato, proprio mentre stava aspettando di parlare con suo padre.
Merlino,
quant’è diverso dal
ragazzino che ho lasciato anni fa…
Quel
ragazzino che al momento dei saluti era scappato dietro il capanno
degli
attrezzi, senza dire nulla.
“Vic,
faccio subito. È che…”
Ted, capelli cobalto, lunghi fin poco sotto le orecchie, come piacevano
alla sua
bella fidanzata, aveva sorriso impacciato. Erano davanti
all’aia della Tana,
con tutti i parenti schierati per gli ultimi saluti prima della
partenza verso
lidi provenzali.
Per i primi
mesi avrebbero abitato
da Bill e Fleur, poi chissà…
Vic aveva
alzato gli occhi al
cielo, aggiustandogli il bordo sgualcito della giacca.
“Vai
cheri, saluta quel monello, ma sbrigati. Maman ci aspetta per cena.”
Ted l’aveva baciata, e poi con un sorrisetto complice ad
Harry era sparito
dietro il capanno. Del ragazzino nessuna traccia. Ma Teddy sapeva.
Si era
schiarito la voce. “Jamie?
Guarda che me ne vado!”
Dal piano superiore del capanno era provenuto una specie di grugnito.
“Vattene
al diavolo!” aveva
sbottato. C’era persino stato il lancio di un oggetto, che
schivandolo, aveva
scoperto essere un cacciavite.
“Ehi,
vuoi ammazzarmi?”
“Magari!
Oppure voglio farti
rinsavire. A volte con le botte in testa succede!”
Il ragazzino era saltato giù dal soppalco. Aveva gli occhi
rossi, e per un
breve ed inspiegabile momento Ted si era sentito in colpa.
“Jamie,
io e Vic vogliamo vivere
assieme…” Aveva cercato di spiegargli, gentile,
mettendogli una mano sulla
spalla magra e nervosa. James aveva scartato.
“È
tutto una stronzata! Tu dovevi
diventare auror, restare qui! Perché te ne vai in
Francia?”
“Perché
è quello che voglio. L’Accademia
è stata una bella esperienza, ma non fa per me, Jamie.
Vorrei insegnare. In
Francia, a Beaux-Batons, hanno un gran bisogno di insegnanti e
…”
“E Hogwarts? Anche Hogwarts è una
scuola!” Aveva sbottato, mordendosi un
labbro. “Ci lasci, te ne vai! Ci lasci, e sei un fottuto
stronzo!”
“Jamie…”
“Mi
lasci…” Aveva sussurrato
rabbioso. Si guardava le scarpe. Teddy si era abbassato alla sua
altezza,
mettendogli le mani sulle spalle.
“Potremmo
scriverci. Tutte le volte
che vuoi.”
“Mi
fa schifo scrivere.”
“Beh, allora sarà un buon incentivo per non
metterci tutti quegli errori. Non
potrò più correggerti i
compiti…” Aveva scherzato. Si sentiva uno strano
peso
nel petto. Senso di colpa.
Vic gli diceva
sempre come Jamie a
volte sembrasse quasi geloso di lui.
Geloso del suo
fratello maggiore,
gli diceva ridendo, e baciandola. Vic sospirava, e non diceva nulla.
È
solo un
bambino…
James
l’aveva abbracciato,
seppellendo il viso contro la sua giacca. Quei suoi abbracci stretti,
stritolanti, un po’ buffi. Poi l’aveva mollato di
scatto.
“Sai
una cosa? Non me ne frega
niente se te ne vai. Se torni però portami un sacco di
regali!” Aveva sbottato,
con un sorriso strafottente. E forzato.
“Jamie…”
“Ciao!” Gli aveva tirato una spinta leggera.
“Ciao, capito?” Si era voltato,
risalendo velocemente la scala del soppalco.
Teddy aveva sospirato.
“Ciao Jamie.”
Era uscito
dalla rimessa, e per
giorni non si era chiesto se chiudendo la porta non l’avesse
sentito piangere.
“Ted?”
Teddy si riscosse vedendo la testa del padrino spuntare tra le fiamme.
“Oh,
Harry!” Esclamò, quasi saltando in aria.
A che diavolo
sto pensando? Merlino
benedetto, non traslare i tuoi problemi su Jamie!
“Tutto
okay?”
Anche tra le fiamme il sorriso del padrino era chiaramente divertito.
“Oh,
sì,
certo… Mi dispiace, ero… ehm.
Sovrappensiero.”
“Succedeva spesso anche a tuo padre. Guardava il vuoto per
ore. Tua madre
usciva pazza.” Rise Harry. Teddy sorrise nervosamente.
Di male in
peggio…
“Davvero?
Beh… comunque. Jamie…”
“Dimmi tutto.”
“Sono sicuro che James sia stato obliviato. I sintomi di un oblivium sono simili a quelli di una
sbronza. Per questo mi sono confuso. E di questo, credo debba chiedere
scusa
anche a te.”
“Non devi.” Lo corresse Harry con un sospiro.
“Non credergli è stata una
mancanza grossa da parte mia…”
“Diciamo che le contingenze hanno aiutato.” Sorrise
Ted. “Comunque Vitious è
convinto che un memento su di lui
potrebbe avere buoni risultati. Non è passato molto tempo, e
James è giovane,
ha una mente fresca e reattiva. I rischi sono minimi.”
“Ma ci sono…” Disse Harry. Fece una
smorfia. “In ogni caso Jamie è maggiorenne,
ha il diritto di scegliere da solo.” Scosse la testa e fece
un sorrisetto. “Lui
è d’accordo, immagino.”
Ted ridacchiò. “Lo conosci. Non vede
l’ora di farlo.”
“Allora c’è poco che possa fare per
dissuaderlo, temo.” Sospirò l’uomo. Ma
Ted
notò che era quasi compiaciuto del coraggio (o sventatezza?)
Del figlio. “Oltretutto,
questo potrebbe portare ad un passo avanti nelle indagini. Qualsiasi
anomalia
attorno ad Hogwarts potrebbe essere un indizio.” Gli
confidò. “Non che questo
Gin lo sappia, si capisce…” Borbottò
poi, cauto. “Mi staccherebbe la testa,
credo.”
Ted
sorrise complice. “Le madri si preoccupano sempre.”
“Quelle Weasley particolarmente.” Rise
l’uomo. “Ho fiducia nel Preside, e nel
tuo giudizio. Se credi che serva, Jamie deve farlo.”
Teddy
annuì.
“Ci sono ulteriori sviluppi nelle indagini?”
Harry scosse la testa. Sembrava frustrato, da come si passò
furiosamente una
mano trai capelli. “Tutte le nostre ricerche sono finite con
un buco nell’acqua.
Quei dannati lucertoloni si sono volatilizzati. E anche il loro
referente non
si trova. Si pensa che sia stato ucciso.”
“Probabile.
Per quanto riguarda Thomas…”
Harry sembrò esitare, poi annuì.
“Dimmi.”
“Mi hai chiesto di dargli un occhio, e per ora sembra
comportarsi normalmente. A
lezione è presente, e passa il resto del tempo a studiare e
in compagnia di Al e
gli amici.”
“Tutto nella norma, quindi?”
“Direi di sì. Comunque non ho molta
possibilità di vederlo fuori dalle mie
lezioni…”
Harry sospirò. “Lo so, era solo una sensazione. Ma
quando l’ho visto aveva
qualcosa di sfuggente… Tom.” Sospirò
“Sembra fare di tutto per cacciare dal suo
mondo personale praticamente chiunque.”
Ted
annuì,
poi esitò. “Sai… a ben vedere
è buffo.”
“Cosa?”
“Il suo nome. È stato rapito da certe
persone e creduto una certa persona.
E i tuoi cugini l’hanno chiamato Tom.”
“Thomas.” Sbuffò Harry. “Robin
è un’appassionata di un certo Thomas
Mann.”
“La morte a Venezia¹…”
Sospirò Ted. “Gran bel libro.”
“Chi?”
“Oh, no. Niente.” Si schiarì la voce,
imbarazzato dall’agghiacciante
associazione di idee tra James e il libro. “Vitious comunque
è ad un convegno
della Conferenza Internazionale Magica dei Presidi per due settimane.
Ma si è
detto a disposizione quando farà ritorno ad
Hogwarts.”
“Perfetto.
Allora dì a Jamie di non strapazzarsi in queste
settimane.” Ci rifletté, e
rise. “Impossibile, a fine mese ci sarà la prima
partita della stagione.”
“Ci sarai?”
“Se riesco a liberarmi…”
Borbottò l’uomo. “Anzi, sicuramente.
Salutami i
ragazzi.”
Ted
salutò con un cenno il padrino, il cui volto scomparve
gradualmente dalla
fiamme. Alla fine rimasero solo lingue di fuoco e legna ardente.
Sospirò.
Aveva bisogno di una tazza di the.
Uomo, animale
razionale che a
volte questa razionalità la manda dritta nel cesso.
Mentre
il
the sobbolliva pigramente prese in mano il libro. ‘Compendio
di erbe magiche della Baviera’. Un titolo
sicuramente
poco interessante. Un titolo fasullo.
Prese
la bacchetta
e la batté due volte sulla copertina, concentrando le
energie per spezzare la
barriera magica. Il libro si aprì e le pagine sotto il suo
sguardo cambiarono.
Batté
le
palpebre.
Di
nuovo
quel codice. Lo stesso codice che aveva rinvenuto sui quaderni-diario
di Ziel,
poi catalogati e archiviati dalla professoressa Prynn. Diari che poi
non aveva
avuto più modo di visionare.
Questo non
è un libro. È un altro
diario. E ben più occultato.
Procedura
avrebbe voluto che andasse ad aggiungerlo agli effetti personali di
Ziel.
Decise
di
non farlo. Decise che quello sarebbe stato un piccolo segreto tra lui e
il
professore.
Dopotutto
sono io che ho avuto in
custodia la sua biblioteca. E questo quaderno è stato
trasfigurato per essere
tenuto al sicuro.
Non
che
nutrisse sospetti verso la professoressa Prynn,
però…
Il
fischio del bollitore lo riportò alla realtà.
Guardò il quaderno. Quel codice
l’affascinava.
E
l’avrebbe tradotto. Avrebbe scoperto cosa aveva da dire
Immanuel Ziel e perché
era così ossessionato dal volerlo nascondere.
****
Dormitorio
Serpeverde.
Due di notte.
Al sospirò di sollievo quando si lasciò alle
spalle l’arco di pietra
dell’entrata della Sala Comune Serpeverde.
La
ronda
non l’aveva beccato. Non che pensasse di essere
scoperto:Mills e Dalkins dovevano
ancora imparare ad allacciarsi le scarpe quando lui sfuggiva alle
retate di
nonna Molly per bere la pozione contro il raffreddore invernale.
Quando
gli
occhi si abituarono alla penombra della Sala, Al batté le
palpebre sorpreso. Il
fuoco era acceso, e seduto alla sua poltrona preferita…
C’era
ancora Tom.
Fissava
le fiamme, tenacemente, senza distogliere lo sguardo. Non
l’aveva neanche
sentito entrare.
Al si
avvicinò, schiarendosi la voce.
“Tom…”
Il ragazzo si irrigidì. Gli lanciò
un’occhiata.
“Bentornato.”
Disse, incolore. Una formula di rito.
“…
Stai
bene?” Gli chiese. “Tom?”
Il ragazzo non rispose alla domanda. “Dove sei
stato?”
“Con Rosie, te l’avevo detto…”
“Sì, è vero.”
Silenzio.
Non di quello confortevole, che c’era tra di loro un tempo.
Ma denso, cattivo.
“Non
riesci a… dormire?” Chiese.
“Sì,
qualcosa
del genere.” Fece un mezzo sorriso. Era divertito, ma la
piega della bocca era
dura, nervosa. “Va’ a letto. Altrimenti domani non
ti alzi.”
“Michel è in camera?” Chiese, tanto per
chiedere. Non si sarebbe aspettato che
Tom gli piantasse gli occhi addosso.
“Michel?”
Chiese lentamente. “Se è in camera?”
Michel, Michel… un vero amico, il
caro
Michel.
Gli
veniva quasi da ridere. Ma non lo fece. Del resto non si sentiva in
vena.
Voldemort. Lo
psicopatico che mi
ha rapito mi credeva…
Un
brivido freddo gli ghiacciò la nuca.
Una persona
da temere e di cui
aver terrore. Su questo, almeno, non c’è dubbio.
Avrebbe
preso tutto come le convinzioni di uno squilibrato, se avesse avuto
delle
certezze.
Tipo, ho una
famiglia. Tipo, sono
del tutto umano.
Ma
non le
aveva. Neanche una.
“Tom?”
Lo
richiamò Al. “Davvero, ti senti bene?”
Sentirsi bene? Era talmente lontano dal concetto che dovette
trattenersi dal
ridere per l’ingenuità di Albus.
“Sto
benissimo.” Mentì con facilità
consumata. “Michel è in camera. Forse ti
aspetta.”
“E per cosa?” Chiese candidamente, prima di capire
il sottotesto e avvampare.
Cosa?!
“Tom,
ma
che…”
“Sai quando ti ho detto che Zabini nutre solo fraterna
amicizia per te?” Gli
chiese retoricamente, tornando a guardare il fuoco. “Beh,
probabilmente mi
sbagliavo.”
“… Ma di che stai parlando?”
Tom fece un ghignetto. “Oh, non fare l’ingenuo, Al.
Lo sai benissimo. Ammetto
che le intenzioni di Zabini non siano sempre limpide, ma credo che
abbia sempre
nutrito un certo trasporto verso di
te. Ultimamente poi lo sta manifestando
palesemente…” Continuò. “In
un certo
senso puoi sentirti lusingato. Michel ha standard
molto…”
“Ti è dato di volta il cervello!?”
Sbottò Al furioso. Finalmente Tom parve dar
segno di averlo sentito davvero,
perché si voltò.
“È
solo
un’impressione.” Replicò infatti.
“Potrei sbagliarmi, naturalmente, ma non
credo.”
Chissà se Voldemort si sarebbe
preso ciò
che sente suo di diritto.
Beh,
Voldemort non conosceva
l’amore, a detta di Harry. Io lo conosco.
E fa male.
“Anche
se
fosse così…” Al si morse un labbro.
“Anche se fosse così…”
Stupido imbecille. Che vuoi che me ne
freghi di Michel?
Ci sei solo
tu. Ci sei sempre
stato tu.
Tom
si
alzò, avvicinandosi. Al se lo trovò praticamente
a pochi centimetri. Tom lo
superava di ben più di una testa… ed era
imbarazzante essere così basso.
Imbarazzante,
e lo faceva sentire odiosamente indifeso.
“Se
fosse
così non ti importerebbe? Non ti sentiresti a
disagio?” Gli chiese, con quel
suo odiosissimo tono roco, e monocorde.
Lo
odiava. Davvero.
…
davvero?
“No.”
Replicò Al,
deglutendo, ma sforzandosi di non farsi tradire dalla voce.
“Comunque non
potrei ricambiarlo.”
Dillo. Dillo. Dillo stupido Al.
Dannazione, diglielo!
“Non sarà mai lui… quello che
voglio.” Sussurrò al petto di Tom. Stavolta
era lui a non volerlo guardare in faccia.
Non posso
dirglielo. Non posso.
Manderei tutto a puttane. Ho paura. Non voglio perderlo.
Non voglio
fargli schifo. No.
Erano
talmente vicini che poteva vedere lo stemma serpeverde del suo
maglione,
ricamato fin nei minimi particolari. La testa ricurva del serpente,
l’elmo
stilizzato, le volute della cornice…
Sentì
due
dita sollevargli il mento, e si trovò a fissare Tom negli
occhi.
Dannazione,
come fa ad averli
sempre così blu?
Albus
pregò che in quel dannato silenzio non si sentisse il suo
cuore battere come un
tamburo.
Perché
dannazione, magari era una sua folle impressione, ma le labbra di Tom,
le sue meravigliose labbra erano
vicine, così
dannatamente vicine…
Uno
schiocco violento fece sussultare entrambi. Un ciocco di legno umido
era stato
divorato dal fuoco.
Al si
allontanò bruscamente, spaventato.
“Io…
vado
a letto. È… tardi.”
Balbettò.
Tom non disse nulla. Si sedette soltanto, di nuovo.
“Ti
raggiungo dopo.” Disse, con uno strano tono roco che non gli
aveva mai sentito.
“Okay.”
Abbandonò precipitosamente la stanza, sentendo che non
c’era più nient’altro da
fare.
Merlino,
Tom… che ci sta
succedendo?
Tom
serrò
le palpebre. Serrò le labbra. Contrasse i pugni, mentre una
scarica di
adrenalina e di eccitazione gli aggrediva impietosamente ogni singola
parte del
corpo.
Maledizione,
controllati. Non sei
un animale.
Aveva
rischiato di rovinare tutto. Già la sua amicizia con Al
rischiava di essere
mandata a rotoli da quello che stava succedendo. Che gli
stava succedendo.
Ma le
sue
labbra. Il suo profumo. Quegli occhi limpidi e fiduciosi. Tutto.
Avrebbe voluto
che tutto quello diventasse suo. Penetrarlo, possederlo.
Si
prese
la testa tra le mani.
Tutto questo
non è normale. Non mi
sono mai comportato così. Mai.
Adolescenza?
No. Era qualcosa che gli scorreva sottopelle, e si mischiava a
ciò che voleva,
che avrebbe voluto da Albus.
Guardò
le
fiamme che divoravano il tronco, reo di aver interrotto il momento, o
forse
inaspettato salvatore.
Si
sentiva come quel tronco. Divorato dalle fiamme.
Ho bisogno di
parlare con quel
ragazzo…
****
Note:
1- Morte a Venezia, Thomas Mann.
Narra la vicenda di un uomo adulto che nutre una passione di natura
cripto-sessuale estetica per un bellissimo
‘giovinetto’ polacco, sullo sfondo
di Venezia. Ecco l’associazione mentale di Teddy. Non
è tenero, così ingenuo?
2
–
L’immagine a frontespizio del capitolo è stata
presa da Deviantart e Kiss
and Control di Clandestine
Wishes. Non sono riuscita ad inserire il link, ma il mio
spero di averlo fatto.
Beh,
le
cose vanno avanti. Pian pianino. E ricordatevi che anche la vostra Dira
ama gli
happy-ending. E che nel prossimo capitolo ci sarà un bacio.
SLASH. FINALMENTE.
Quale
sarà la coppietta fortunata?
Ora
però
non cercate di ammazzarmi, dai. Altrimenti, niente happy-ending.
*Fugge*
|
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Capitolo 26 *** Capitolo XXI ***
Ringrazio
un saccaccio chi mi ha lasciato le recensioni. Siete adorabili, e vi
lovvo.
E so che ce ne sono altri, dai fatevi sentire. O vi spedisco la Prynn
a casa! :P
@Altovoltaggio: non dovrai aspettare
molto, stavolta è una promessa. Lo so, a volte so essere
orribile ma ti
assicuro che ne varrà la pena (spero uhm)! Grazie per
continuare a seguirmi!
@Hel_Selbstmord: Fa piacere
rallegrare la
giornata con le proprie minchiate, anche solo per un attimo. ;) I
doposbronza
domenicali si possono curare solo con ‘Sunday
Morning’ soffusa, dei Velvet
Underground, a parere mio. (qui si danno consigli musicali come se
piovesse XD)
L’idiota del Re in questo capitolo ti piacerà,
è una promessa. Guarda che bel
giovinotto l’ho fatto diventare con Photoshop. ;P Ah, i
giovini sessualmente
confusi. Senza di loro non scriveremo. XD La Morte
a Venezia è un bellissimo libro, che dovrei
rileggere (la prima volta lo lessi che ero troppo piccola, dalla
biblioteca di
mio nonno, quindi devo riappropriarmene) OT: io non ho UN
prog-metaller, ho UN
prog-metaller (mio fratello) e UN prog-rocker (mio padre). Mia madre
vorrebbe
suicidarsi, visto che io sono una curiosa deriva di mio padre con
aggiunta di
indie-rock. A casa mia sembra di stare su Virgin Radio XD Grazie per
esserci!
@Lilin: Ciao Lilin!
Mi piace il tuo nick
(il mio è orrendo, e naturalmente puoi chiamarmi Dira ;) )
Mi adori? Io adoro
te dopo la bella recensione che mi hai lasciato! Comunque devo
ammettere che
Alpuccy è diventato la mascotte di questa storia.
Sì, sono una cretina e devo
ringraziare di avere un senso dell’umorismo condivisibile.
Tom e Al si
baceranno, right, ma dovrai aspettare… pochino, eh. Grazie
mille per tutti i
complimenti a me e alla banda. ;)
@Bic: Ti ho
lasciata un’altra
recensione. ;) Tom e Al sono due imbranati totali. Ma a sedici anni non
ci si
può aspettar di meglio, temo. Specie dal figlio di Potter.
XD Grazie per
continuare a recensirmi, alla prossima!
@Trixina: Okay,
merito una strigliata, lo
so. >_< Grazie per i complimenti, e addirittura il
batticuore? Siamo in
due! (vedi se devo esser così scema ad emozionarmi mentre
scrivo, bah) comunque
sia, sì Vic capì.
Non si sa fino a
che punto, ma forse, se avrò tempo, inserirò
anche lei, in un cameo o in un
flashback, vediamo. James aveva tredici anni. Ne aveva dodici
all'epilogo della Row ed ho supposto che quando Vic finì
Hogwarts e volle tornare in patria con il fidanzatino Jamie ne avesse
tredici. ;) Grazie per esserci sempre!
@Nyappy:
Ciao! Mi eri mancata! XD
Grazie mille per i complimenti, e continua a supportare questa banda di
scalcinati eroi, dai!
@Sammy Malfoy: So bene cosa
provi, questi due
IDIOTI stanno dando i nervi anche a me. Ma che ci vuoi fare, due
amichetti del
cuore sono più difficili da mettere assieme che un certo Re
Minchione e il
Consigliere di corte (XD ) Grazie per la recensione, era fantastica!
@Ron1111: Ciao! In
effetti Tom è uno
scemo, ma bisogna ammettere che i problemi ci sono eccome. XD Spesso
non basta
essere attratti l’uno dall’altro.
C’è la famiglia, il non esserne sicuro, e se
poi mi rifiuta… e poi sono due maschietti, il che complica
tutto. L Ma presto
combineranno anche
loro. In effetti ci hai preso, Jamie e Sy mi ricordano molto Felpato il
primo,
e Ramoso il secondo (invertiti XD) E non è detto che
comincino a starsi
simpatici, tra una scazzottata e un insulto. :P Vediamo se hai
indovinato sui
pronostici tra le coppiette… ;)
@MissMary: Ammetto di
essere una gran
sadica, ma lo faccio per tenervi incollati allo schermo (oooh, lo
ammetto xD )
e anche un po’ perché ‘sti rompipalle
son difficilissimi da gestire. Hai
centrato il punto comunque. Tom ha troppa paura di perdere Albus per
fare la
prima mossa, perché si sa, essere Serpeverde significa prima
di tutto
salvaguardare la propria tranquillità e la propria persona.
S.Zabini protettore
delle lenzuola e delle bende di seta! *muore* E’ fantastico,
d’ora in poi si
chiamerà così! Ma pazienta, arriverà
la primavera anche per Mister Misantropia
e Pulcino Bagnato Al. Grazie!
****
Capitolo XXI
Love
hurts.....
But sometimes it's a good hurt/ And it feels
like I'm alive
Love sings, when trascends the bad things
Have a heart and try me/ 'Cause without love I
won't survive.
(Love
Hurts, Incubus)
30 Settembre
2022
Sala
Comune. Ora di
colazione.
Al si
sedette frettolosamente al tavolo della colazione. Buttò la
borsa sul tavolo,
quasi rischiando di centrare la tazza di Rose.
“Ehi, fa attenzione!” Lo rimbrottò,
mentre Scorpius la toglieva dalla sua
visuale .
“Ciao…” Borbottò per tutta
risposta. “Scorpius, Rosie…”
“… e tuo fratello.” Aggiunse James
addentando un muffin.
Erano
uno
strano quartetto. Lo pensava tutta la scuola. Vedere i due fratelli
Potter in
compagnia di Malfoy e della Weasley era qualcosa che andava al di
là della capacità
di comprensione di molti. Ed era, a conti fatti, una fortuna.
In
quelle
due settimane Rose aveva lavorato sodo, tempestando di gufi la Gazzetta
per avere quei
benedetti arretrati. Alla fine, dopo molte insistenze, era riuscita ad
avere
un’assicurazione quasi certa che i numeri da lei richiesti le
sarebbero stati
recapitati. Quella mattina.
James si stiracchiò. “Oggi, grande giorno. Memento-time.
Lo sai che viene persino papà?” Disse al fratello,
con una smorfia. “Come se avessi
bisogno di conforto o qualcosa del genere...”
“Lo fa solo per far star tranquilla la
mamma…” Lo rabbonì Albus.
Per
quanto riguardava loro e Scorpius, invece, si erano limitati a tener
d’occhio
Thomas e fare, per quanto riguardava i due Potter, ripetute visite ad
Hagrid
per carpire qualche informazione sui sommovimenti della Foresta
Proibita.
Non
erano
venuti a capo di molto, ma l’inserimento di James nella
compagnia aveva portato
a nuove informazioni: a quanto sembrava Tom aveva corrotto –
anche se probabilmente
non ce n’era stato bisogno – James per farsi
accompagnare a vedere il Naga
morto.
Un ulteriore
comportamento
inquietante di Tom…
- Pensò Al con un sospiro.
Gli
allenamenti, comunque, avevano tenuto impegnati tutti, eccetto Rose.
Scorpius
sorseggiò la propria tazza di the. “Al, Michel mi
ha fatto notare che non sta
bene che tu sieda al nostro tavolo. Non senza carpirci qualche schema
di
gioco…” Motteggiò.
Al stranamente non sorrise della battuta, del tutto legittima a due
giorni
dalla partita, ma scrollò le spalle. “Posso
sedermi dove voglio, e mi sto
sedendo con la mia famiglia.”
“Molto carino considerarmene parte.” Scorpius si
voltò verso Rose.
“Sposiamoci.”
“Casca dalle scale in modo doloroso, Malfoy.”
Replicò divertita, ignorando
l’occhiataccia di James. Per loro due, come coppia,
quelle due settimane erano state… favolose.
Specie le
pause in biblioteca…
Scorpius
le
rifilò un sorrisetto allegro e si rivolse di nuovo ad Albus.
“Seriamente, io
non faccio testo in quanto a persone che frequento di
solito…”
“Cioè torme di donne che ti vogliono strappare le
mutande…” Replicò James con
un grugnito.
“È
tutta
invidia, Potter. Comunque persino le mie…
ragazze… mi ha fatto delle domande
sulle nostri colazioni conviviali.”
“E tu che gli hai risposto?” Chiese Rose con
sottile tono di minaccia. I due
fratelli Potter si ritrassero impercettibilmente dalle loro sedie.
“Che
ho
maturato un improvviso desiderio di frequentare dei maschi. Ho lasciato
a loro
l’interpretazione.”
James
non
riuscì reprimere un sorrisetto, per quanto cercasse di
dimostrarsi distaccato.
Con
suo
orrore, in quegli incontri forzosamente pacifici, aveva scoperto che
Malfoy non
era lo stronzo rivoltante che aveva sempre pensato.
Altrimenti
avrei dovuto ucciderlo
per aver messo le mani su mia cugina.
Non
che
gli fosse simpatico. Affatto.
Però
poteva conviverci… per il Bene Superiore.
Rose
parve domata dalla risposta, perché sorrise. “Sei
assolutamente stu…”
“Stupendo, lo so.” Sospirò Scorpius.
“Stupido.” Rimbeccò Rose.
“Anche Lily e Hugo fanno domande però. La versione
ufficiale è che dobbiamo svolgere un compito per la Prynn.”
Spiegò a James, che la
guardò perplesso.
“Ed io che c’entro? Sono un anno avanti a
voi!”
“Tu supervisioni, e ne approfitti per prepararti ai M.A.G.O.
Trasfigurazione è
una materia importante.” Ingiunse con tono che la rese
mostruosamente simile
alla madre.
James
storse il naso. “Lily non ci crederà mai.”
“Lei no, ma Hugo sì. E il pettegolo è
lui. Lily si fa i fatti suoi.”
Perché io mi faccio i miei e copro
i suoi
flirt con Thomas e quell’assurdo tipo irlandese...
Finalmente
arrivarono i Gufi. Rose sorrise soddisfatta, quando un voluminoso pacco
di
giornali le piombò davanti. Pagò il Gufo, che
tentava di abbeverarsi dalla
tazza di uno schifato Scorpius, e poi aprì
l’involucro.
“Eccoli
qua! Sono gli articoli dell’agosto 2005!”
“Agosto?”
Esclamò James. “Hai preso
un mese di cronaca
inglese?”
“Per stare sicura.” Replicò
indispettita. “Tranquillo caprone, li controlleremo
solo io e Scorpius.”
James
li
guardò male. “Tu e Scorpius… vedete di controllare
dove posso vedervi.”
“Potter, questo attaccamento verso le femmine della tua
famiglia è
inquietante…”
James
si
sentì molto vicino a mandare all’aria la tregua,
ma si sforzò, sotto gli occhi
ammonitori di fratello e cugina, di dominarsi.
“Perché devo proteggerle da Malfoy
come te.”
“Sono l’unico della mia generazione. Diffidate
dalle imitazioni.” Ribatté
l’altro con un sogghignetto. James gli lanciò
un’occhiataccia, ma accettò la
diversione.
Rose
sospirò di sollievo mentre apriva il primo quotidiano,
ri-stampato di fresco:
la diatriba Potter-Malfoy si era spostata su un piano verbale, e non
potevano
che gioirne tutti. Gli unici poco contenti sembravano gli Scamandro,
che si
aggiravano per il castello come anime in pena, prive della loro funesta
guida.
James,
dopo che gli ultimi rimasugli della sua ferale colazione furono
abilmente
spazzolati, si stiracchiò. “Bene, signorine! Io
vado a farmi friggere il
cervello da un incantesimo di memoria.” Proclamò
tronfio. “Ci si vede.”
“Cerca di essere operativo per domani pomeriggio. O in quanto
tuo capitano sarò
costretto ad ucciderti.” Lo ammonì Scorpius.
James fece una smorfia. “Preoccupati piuttosto di restare in
sella e non far
segnare dalle ragazzine di Serpeverde, capitano. O dovremo uccidere te.”
Poco dopo che se James se ne fu andato, Rose richiamò
l’attenzione dei due
ragazzi rimasti. “Sentite qui. Ho trovato
l’articolo che parla di Thomas. Beh,
allora non si chiamava così naturalmente.”
Cerchiò con la punta del dito un
articolo che occupava due colonne scarse. “Harry
Potter, il Salvatore…blablaba, la conosciamo la
storia… ecco, con la sua squadra
ha tratto in salvo un
neonato dalle fiamme. Wow.” Alzò lo
sguardo sui due ragazzi. “Tom è
scampato ad un incendio. Al, tu lo sapevi?”
Il ragazzo scosse la testa. “No, papà non me
l’ha raccontato.”
Ogni giorno che passa mi accorgo di
quanto poco so di lui…
“Qui
c’è
scritto che nell’incendio è morto un certo
Artemius Coleridge. Mangiamorte, ha fatto
parte dei
collaboratori più stretti di Voldermort. Ricercato dagli
auror per anni, è
perito nell’incendio causato da un fuoco incantato, si pensa
l’ardemonio…”
Rose deglutì, e persino Scorpius sembrò colpito.
Al
aggrottò
le sopracciglia. “Ardemonio.
È un
incantesimo potente, complesso.”
“E difficilmente controllabile per giunta.”
Aggiunse Scorpius a voce bassa. “Un
amico di mio padre, un certo Tiger, lo usò e ne rimase
vittima… durante la
Battaglia.”
Rose
si
schiarì la voce, dopo il breve silenzio che ne
conseguì.
Non
è mai facile ricordare come le
nostre famiglie abbiano spesso militato dalla parte opposta.
Al
sbuffò. “Un idiota… usarlo è
un rischio troppo grosso. Meglio finire catturati
che uccisi in quel modo.”
“Sì, in effetti è strano...”
Considerò Rose perplessa. “Qui
c’è scritto che era
ricercato da anni, ed era un soggetto
instabile e pericoloso… particolari sulla sua
vita… capace di parlare oltre
quattrocento idiomi, tra umani e non-umani ed era
famoso per riuscire a distillare una pozione polisucco di lunga durata…”
“Aspetta, che hai detto?” La fermò
Scorpius. “Capace di parlare quattrocento
idiomi, tra umani e non umani?”
“Ehm, sì?”
“Il lucertolone, il Naga. Rose, ti ricordi come parlava?
Sembrava facesse una
gran fatica a spiccicare inglese.”
“Sì,
ma
non vedo come questo…”
Scorpius incrociò le braccia al petto. “Pensateci.
Per comandare un bestione di
quella stazza devi saper comunicare
con lui. Quindi il nostro uomo, quello che ha portato qui i Naga e che
ha
obliviato Potter, deve per forza saper parlare la lingua di quei
lucertoloni.
Che è?”
“Un dialetto indiano. O qualcosa del genere. Ho letto nel
Compendio Scamandro.”
Rispose pronta Rose. “È difficile che qualcuno lo
impari senza un motivo.”
“Sì, ma Coleridge è morto!”
Obbiettò Al esasperato. “L’ha ucciso
l’ardemonio.
Quell’incantesimo è mortale.
Non può
essere tornato dalla tomba.”
“Sì, naturale. Ma questa storia del dialetto mi ha
fatto pensare che ci sia un
filo conduttore.” Spiegò Scorpius.
“Prima rapiscono Dursley. Gli va male, il
tipo si suicida con un incantesimo a prova di morte. Poi dei
lucertoloni
stranieri arrivano, portati da qualcuno. Gli va di nuovo male, il
fratellino di
Hagrid centrifuga il lucertolone che tentava di ammazzarlo. Forse. Nessuno lo sa, perché
Dursley era
da solo con quel coso. Battono in ritirata, ma Potter si becca un oblivium da qualcuno, proprio quando
è
fuori dalle mura protette di Hogwarts.”
“C’è…” convenne
Rose. “Ma è esile.”
“La vera domanda è. Perché vogliono
Dursley?” Scorpius inaspettatamente piantò
gli occhi su Albus, che sembrò trovarsi immensamente sulle
spine. “Cos’ha di particolare?”
“È stato rapito…”
Sussurrò.
“Questa
è
la causa. Ma il motivo?”
Al deglutì. Doveva dirglielo. Stavano girando in tondo, e
lui stava nascondendo
loro qualcosa.
Fidarsi
di Malfoy? Non era facile. Ma Rose si fidava, e lui da solo non sarebbe
mai
venuto a capo di quello che stava succedendo.
“Non
ha
l’ombelico…” Mormorò.
Scorpius inarcò le sopracciglia, e così fece
anche Rose,
che a conti fatti, non ne sapeva nulla.
“L’ombelico.
Stai scherzando, vero?” Chiese Scorpius allibito.
Al
scosse
la testa. “È nato senza. Quando ero piccolo
l’ho visto e… mio padre mi ha detto
di non dirlo a nessuno, ma adesso…” Non concluse
la frase, preferendo
masticarsi un’unghia.
Rose
batté
le palpebre. La notizia era talmente assurda da sembrare quasi comica.
Ma a
ben
rifletterci, non lo era.
“Ma
come
ha fatto allora ad alimentarsi durante la gravidanza? Il cordone
ombelicale…”
Rose esitò, guardando Al. “Come diavolo
è nato?”
Scorpius fece una smorfia. “La vera domanda è
un’altra. Perché la sua nascita l’ha
portato ad un rapimento da parte di un mangiamorte e poi ad essere
attaccato da
una creatura oscura?”
“Perché
è
pericoloso per qualcuno?” Ipotizzò Al.
Scorpius
scosse la testa. “Perché serve
a
qualcuno…”
****
Torre Est,
Ufficio del Preside.
James
squadrò
truce i due gargoyles di pietra che sorvegliavano l’entrata
dell’ufficio del Preside.
Non voleva ammetterlo, ma si sentiva maledettamente
nervoso.
Contrasse
e decontrasse i pugni, inspirando.
Non fare la
mammoletta. È solo un
incantesimo.
Se la
stava facendo sotto. A giudicare dall’ora suo padre doveva
già essere là con
Ted.
“Jamie?”
Si voltò di scatto, e un’ondata di sollievo lo
investì tutto.
Teddy era dietro di lui, con un sorriso gentile e omnicomprensivo. Si
frenò dal
placcarlo in un abbraccio di pura gratitudine.
“Non
eri
già dentro?”
“Ero venuto a cercarti in Sala Grande…”
Gli spiegò. “Come ti senti?”
James fece per rifilargli una delle sue spacconate, ma
pensandoci…
“…
Uno
schifo. Stanno per scavarmi nel cervello. Non è molto
esaltante.” Bofonchiò,
giocherellando distrattamente con il bracciale che aveva al polso.
Teddy
annuì e gli mise le mani sulle spalle.
“Andrà
tutto bene.” Sorrise, e non c’era altro sorriso
capace di essere così calmante.
“Vitious è un mago esperto, e
poi ci sarà tuo padre. Quando avrà finito andrai
in infermeria e ti farai una
bella dormita. Tutto qui.” Gli arruffò i capelli.
“Una cosa tranquilla.”
James sbuffò. “Non trattarmi come un bambino. So
come funziona.”
“Sbaglio
o qualcuno mi ha appena detto di sentirsi da schifo?” Lo
canzonò dolcemente.
Ted era l’unico uomo capace di essere dolce e non essere
ridicolo.
Avrebbe
voluto chiedergli di abbracciarlo, seriamente.
Sono io
quello ridicolo, cazzo.
L’ufficio
del preside era una stanza circolare, ingombra di oggetti, e
soprattutto, con
scaffali interi dedicati a spartiti musicali. Un vecchio grammofono
magico era
stato messo al posto del pensatoio di Silente. Era nota la passione di
Vitious
per la musica.
James
fece una smorfia sorpresa quando vide che oltre al padre, che gli
sorrideva
incoraggiante, c’era anche la professoressa Prynn.
“Ecco qua il nostro eroe!” Trillò
questa. “Come ci sentiamo?”
“Favolosamente. Ho sempre sognato di beccarmi un incantesimo
in testa.” Replicò
con una smorfia. Si chiese confusamente cosa ci facesse lì,
ma la donna lo
precedette.
“Sono
qui
per controllare il tuo stato di salute durante l’incantesimo.
Mi occupavo
dell’infermeria a Salem.”
“Oggi Poppy è indisposta. Ha una leggera
influenza.” Aggiunse Ted.
La
donna confermò
con un sorriso. “Stavo giusto raccontando a tuo padre di
quando sei
straordinariamente dotato nella mia materia… Certo, non
trasfigurasse i ragazzi
di Serpeverde…”
Harry fece un sorrisetto. “James sa come la penso sulle sue
bravate. Metto in
conto.”
Strinse la mano al figlio, calorosamente, tenendola brevemente tra le
sue. Non
erano tipi da abbracci, e preferivano quel gesto a manifestazioni
più
affettuose.
Si
sorrisero, mentre il preside si schiariva la voce.
“Bene Potter… Prima di tutto siediti, e sgombra la
mente.”
“Sgombrare?” Borbottò il ragazzo,
sedendosi sulla sedia precedentemente
occupata dal padre.
“Non
pensare a nulla …” Spiegò Teddy con un
sorriso.
“Mica
facile…” Commentò con una smorfia:
aveva talmente tanti pensieri in testa tra
la partita, le ricerche con Malfoy – Merlino, ancora non ci
credeva - e per
finire…
Proprio te,
Teddy…
“Provaci.
Non è strettamente necessario.” Lo
rassicurò Ted. Fece il gesto di toccargli la
spalla, ma poi ritrasse la mano. James lo guardò, ma parve
il solo ad aver
notato la cosa.
Al
diavolo… non distrarti. Qui la
cosa è seria.
Inspirò
chiudendo gli occhi. Sentì la punta della bacchetta del
Preside sfiorargli la
nuca.
Un
brivido gelido gli attraversò la spina dorsale, ma si impose
di rimanere fermo.
Non sono un
codardo.
“Memento!”
Fu
come
una scarica elettrica gli avesse trafitto la nuca. Un bianco accecante
gli
esplose sotto le palpebre chiuse e perse coscienza di sé.
Ted
si
frenò quasi con violenza quando vide James sgranare gli
occhi e boccheggiare,
come colpito da un dolore lancinante. Guardò Harry, in cerca
di aiuto, ma anche
l’uomo sembrava avere pensieri non dissimili.
Il
corpo
di James si tese, prima di abbandonarsi completamente contro lo
schienale della
sedia. Aveva gli occhi chiusi, e il respiro lento, regolare.
“James?” Lo chiamo il Preside. “Mi
senti?”
“Sì…” Mormorò il
ragazzo, con una voce calma, distante.
“È
in
trance…” Spiegò Ainsel, affascinata.
“Perfetta esecuzione. Di solito per il
soggetto colpito è molto più lungo e doloroso il
processo.”
“Ma
davvero?” Ted si stupì del tono nervoso e irritato
che gli uscì. Ma non si
stupì quando non
sentì l’impulso di
scusarsi.
Vitious
li
ammonì con un’occhiataccia. “James,
ricordi la sera in cui sei uscito per
recarti ad Hogsmeade?”
“Sì.”
“Cosa eri andato a fare, James?”
“Ero andato ad incontrare Fred. Dovevamo parlare. Avevo un
appuntamento con
lui.”
“Puoi
dirmi quanto sei rimasto con Fred?””
“Era mezzanotte quando ci siamo salutati.” Una
pausa. “Siamo stati assieme
un’ora circa.” Il tono era monocorde.
Così strano addosso a James che Ted sentì
un brivido spiacevole.
Il memento non è molto dissimile dall’imperium, come tipologia di incantesimo. Si tratta di
mandare qualcuno in uno
stato di ipnosi, e fargli domande con difficoltà graduale,
dal ricordo più
nitido a quello che invece sembrava perso.
Guardò
di
nuovo il padrino, che gli sorrise comprensivo.
No Harry, non
puoi capire… Sì, sei
suo padre.
Ma non puoi
capire lo stesso.
“Molto
bene, James, stai andando molto bene.” Lo lodò il
Preside. “Ora dimmi, dopo
esserti salutato con Fred, cosa hai fatto?”
“Sono andato in piazza, davanti alla fontana. Il mio mondo
era appena finito a
testa in giù.”
Vitious guardò Harry, che scosse la testa confuso.
“Che intendi dire James?
“Ted si è lasciato con Vic. Ed è tutto
così strano…” Confessò con
candore
involontario.
Ted
deglutì, sentendo ben tre paia di sguardi puntati addosso.
Fred, dannata
pettegola. Sapevo
che avrebbe finito per dire tutto a qualcuno!
Harry
sembrava il più sconvolto, e ovviamente a buon ragione.
Fantastico.
Le prossime settimane
saranno un inferno di gufi.
“Meglio
fargli domande più circostanziate.”
Borbottò Ted, desiderando in quel momento
potersi scavare una fossa in cui seppellirsi. Molto
profondamente.
Vitious
annuì,
e continuò. “James, quando eri nella piazza cosa
hai visto?”
“Delle persone. Prima un piccoletto, incappucciato. E
poi…” Si fermò, mentre un
brivido lo scosse tutto.
“È normale. È il ricordo.”
Spiegò Ainsel con aria rassicurante, che non
tranquillizzò Teddy neanche un po’.
“Poi
cosa, James?” Chiese la donna, intromettendosi.
“Cos’altro hai visto?”
“I… serpenti.” Sussurrò il
ragazzo, mentre il tono si faceva turbato. “I
serpenti… quei grandi serpenti… della
Foresta.”
“I Naga, James? Ti riferisci ai Naga?”
Incalzò Ainsel.
“Io…”
Deglutì, mentre il respiro si faceva irregolare.
“Preside, il contro-incantesimo!” Scattò
Ted, preoccupato. Il viso di James si
era fatto incredibilmente pallido e il petto si alzava ed abbassava in
respiri
rotti.
“È
normale che faccia così, vi dico! Sta ricordando,
è parte del processo. Non è
vero Preside?” Replicò infastidita la donna. Il
mago, suo malgrado, annuì.
“Ted,
lascia fare al preside il suo lavoro…” Aggiunse
Harry, prendendolo per una
spalla. La sentì contratta, e guardò il
figlioccio in viso. Poi, guardò i
capelli. Erano diventati di un viola cupo. “Ted, va tutto
bene.” Lo rassicurò.
Non
c’è niente che spaventi Teddy
più di veder soffrire qualcuno a cui vuole bene…
- Gli aveva detto una volta
Andromeda.
Fare
l’auror l’avrebbe ucciso.
Il
preside
si schiarì la voce, continuando. “Erano i Naga,
James?”
“Sì…
sì…” Sussurrò
frettolosamente. “Io ho preso la bacchetta, e mi hanno
visto. No. Non mi hanno visto. Ero nascosto. Mi
hanno sentito. E poi, un lampo rosso…”
Non continuò perché tentò
di alzarsi in piedi, con un gemito strozzato.
Ted
si
liberò dalla stretta del padrino, comunque venuta meno,
afferrando James prima
che crollasse a terra. Prese la bacchetta. “Finitem
incantatem!” Esclamò.
Il
corpo
di James si rilassò, accasciandosi contro di lui. Era
svenuto.
“Stava
andando bene!” Esclamò Ainsel, stizzita.
“Era del tutto normale quella
reazione.”
“Stava per collassare!” Sbottò
ferocemente Ted, mentre i capelli dal viola
viravano in un rosso violento. “Non stava affatto
andando bene!”
Vitious si schiarì la voce. “Era al limite,
Ainsel… Io stesso avrei sciolto
l’incantesimo.”
La donna fece una smorfia, avvicinandosi al ragazzo. “Pensavo
voleste delle
informazioni, comunque lo accompagno in infer-“
“Non lo toccare!”
Ringhiò Ted,
talmente furioso che i capelli sembravano un manto di fiamme. La donna
indietreggiò,
colta di sorpresa.
Harry si staccò dalla parete, dove si era costretto a
rimanere per non
intralciare i due professori. Aveva fatto violenza su se stesso, al
pari del
figlioccio, per non intervenire.
Non avrei
pensato che Ted
scattasse prima di me…
In questo
assomiglia a Tonks. Si
arrabbiava con la stessa irrazionalità. Grazie a Merlino.
“Ted…
calmati.” Disse gentile. “Jamie è
svenuto. Dobbiamo portarlo in infermeria.”
Ted gli lanciò un’occhiata, mentre i capelli
gradualmente tornavano castani.
Sembrò improvvisamente rendersi conto dello sfogo,
perché gli lanciò
un’occhiata colpevole.
“Mi
dispiace. Ho reagito male. Scusami Ainsel…”
Aggiunse imbarazzato. “Sono
mortificato.”
Harry si passò un braccio del figlio sulle spalle, aiutando
Ted a sorreggerlo.
“Forza,
portiamolo in infermeria. Quando si risveglierà
vorrà avere un’intera scatola
di gelatine tuttigusti+1 a
sua disposizione. Meglio far presto.” Ironizzò.
“Ci pensiamo noi.” Disse rivolto
agli altri due docenti, prima di scendere le scale.
Ted
tentò
un sorriso. “Abbiamo avuto le informazioni che
cercavamo…” Sussurrò, cercando
di mostrarsi professionale. Il sorriso con cui gli rispose Harry gli
fece
capire di non esserci riuscito. Ma anche che andava bene
così.
****
Infermeria,
Hogwarts.
Ora di cena.
Quando
James si svegliò, lo fece con fatica, e una favolosa
emicrania gli esplose
immediatamente tra le sinapsi. Sapeva di essere in infermeria. Sentiva
l’odore
di lavanda delle lenzuola, e quello acuto di erba medica.
Fece
per
aprire gli occhi, ma poi sentì due voci parlare, accanto a
lui.
“…
Quando
pensavi di dircelo Ted?”
“Lo so, Harry, ho sbagliato. Ma la situazione con Vic e la
sua famiglia era
delicata.”
Oh… informazioni. Non sui
serpentoni, ma
beh… va bene lo stesso, eh.
Continuò
a tenere gli occhi chiusi, fingendo beatamente di dormire.
“Questo
lo capisco, ma noi siamo la tua famiglia.”
Silenzio, poi sentì il sospiro di Ted. L’avrebbe
riconosciuto tra milioni di
altri. Come il suo profumo di vecchia lana e the all’arancia.
Era vicinissimo,
forse gli era seduto accanto.
Teddy…
“E
il
matrimonio? Non fraintendermi Teddy, penso sia un passo
importantissimo, e che
vada fatto solo se convinti pienamente. Ma lo sembravate.”
“Più che convinti, Harry, eravamo persuasi che
fosse la cosa giusta da fare.
Quando stai assieme da anni, e ti conosci dall’infanzia,
pensi che sia quasi un
percorso obbligato.”
“E non è così…”
“Per molti lo è. Per me e Victoire no. Eravamo
arrivati ad un punto morto.
Harry… non c’era più passione. Voglio
bene a Vic, gliene voglio tutt’ora. Ma
non potevo sposarmi con lei per affetto.”
Stavolta fu il turno di suo padre, di sospirare. Fu quasi certo di
poterlo
vedere passarsi una mano trai capelli, anche se non aprì gli
occhi.
“È
una
brutta situazione. Bill e Fleur ti consideravano ormai come loro
figlio. Ma
capisco la tua scelta. Senza amore un matrimonio non può
neanche iniziare,
figuriamoci proseguire…”
“Mi
dispiace Harry…”
“No, non devi scusarti! Sono dalla tua parte, Teddy, come
sempre. Vedrai che la
situazione si aggiusterà con un po’ di
pazienza…” Suo padre rise brevemente.
“Con molta pazienza. Pensavi di aspettare Natale,
vero?”
“Sì. Ammetto che non sono stato molto
coraggioso… È solo che…”
“Lo capisco, Teddy, credimi. Io amo Ginny, e l’ho
sposata perché lo volevo. Ma
ammetto che le pressioni matrimoniali Weasley sappiano essere
terrificanti.”
Risero piano, probabilmente per non disturbarlo.
“Harry…”
Ci fu una breve esitazione in Teddy, ma James capì che era
stata decisamente
sofferta. “Posso farti una domanda?”
“Naturalmente!”
“… I miei genitori. Si sposarono… per
amore, o perché… Sai, la guerra esalta
gli animi, crea situazioni sentimentali particolari.
Estreme…”
“Teddy, ma come ti viene in mente!” Il tono del
padre era sorpreso. Quasi
rammaricato. “Tonks e Remus si amavano. Certo, non era un
amore facile… per
molti versi era un amore complicato. Ma si sposarono perché
tua madre era
follemente innamorata di Remus e…”
“E mio padre la amava?”
“… Teddy, sono domande strane, te ne rendi conto?
È naturale che l’amava.”
Ancora silenzio.
“Tu
sai
di lui e Sirius, Harry?”
Il silenzio divenne denso, pesante. James si sforzò di
dominare la curiosità e
rimanere immobile, apparentemente dormiente e innocuo.
Sirius? Parla
del padrino di papà?
Sirius Black?
Poi,
infine, il padre parlò. Il tono era incerto, quasi
imbarazzato.
“Sì…
lo
sapevo. Ma Ted, questo non c’entra nulla con tua
madre.”
“Lo so. Erano… è successo quando erano
ragazzi. Non sto dicendo che mio padre
abbia usato mia madre come…” Inspirò
bruscamente. “Lo so.”
“Bene, perché non è stato assolutamente
così. Remus amava Tonks.”
“Era
solo… Scusa..” Una breve risatina. Secca, nervosa.
“Dev’essere piuttosto
imbarazzante questo discorso.”
“Ehm, un po’. Ma non fa nulla. Tu, come…
l’hai scoperto?”
“Delle lettere. Si scrivevano, mio padre e Sirius.
Quest’estate sono andato da
mia nonna. A casa sua c’era un sacco di cose da sgombrare,
una soffitta intera
di ricordi. Credo che Sirius le avesse lasciato in consegna
delle… cose. Loro
si frequentavano ancora, anche se lei era stata diseredata dalla sua
famiglia. E
tra queste cose…”
“C’erano delle lettere di tuo padre.”
“Già…”
“Oh, Ted, mi dispiace… Scoprirlo
così… avrei dovuto parlartene.”
“Perché? Non avrebbe avuto senso. È
solo… strano, suppongo. Scoprire certe cose
di mio padre.”
“… Spero che questo non c’entri nulla
con Victoire.”
“Come? Oh, no. No. O forse sì… non lo
so, Harry. Le ho lette. Si amavano davvero.
Ed ho pensato… che per Vic non
avevo mai provato niente di simile. Mai. E non c’entra, sai,
che fossero due
uomini.”
Il padre di Teddy e Sirius erano amanti?
La sorpresa ebbe il potere di renderlo davvero immobile sul
letto. Il cuore
gli batteva ribelle nel petto. Non che significasse nulla, certo.
Però…
“È
stata
una spinta.” Ipotizzò il padre. “Ti ha
fatto riflettere.”
“Già. È così.
Poi… sono tornato in Francia. E … mi è
sembrato che lasciarla
fosse la cosa più sensata. Non doveva rimanere legata ad un
uomo… che non la
amava come meritava.”
Di
nuovo
un breve silenzio, poi il rumore di una sedia che si alzava.
“Hai
fatto bene, Teddy. Questo è il mio parere.” James
sentì il fruscio di un
mantello. Era quello del padre. “Meglio che mi sbrighi.
Vorrei rimanere, ma
devo tornare in ufficio… Quello che abbia scoperto
è ben più grave di quel che
immaginassi. Significa che sono ancora nei paraggi.”
“E
che
qualcuno li sta controllando…”
Harry sospirò. “E domani l’altro ci
sarà la partita. Di sospenderla non se ne
parla. Ma dovrò prendere le dovute misure.”
“Naturalmente.
Resto io con Jamie, non preoccuparti.”
“Perfetto… e Teddy?” Non
aspettò risposta. “Mi piacevano i tuoi capelli
azzurri. Che fine hanno fatto?”
Grande papà.
James dovette dominarsi per non sogghignare.
Sentì
Ted
ridacchiare. “Erano blu. Ma prendo nota.”
“…
Non ci
riesci vero? A cambiare colore, intendo.”
“No purtroppo. Non ancora. Ma mi
passerà.”
Sentì
i
passi del padre allontanarsi. Decise di aspettare ancora. Teddy era
lì
dopotutto, e non se ne sarebbe andato.
Lo sentì accomodarsi sulla sponda del letto, e poi
sentì la sua mano trai
capelli. Strinse il
lenzuolo tra le dita.
Teddy…
Non
ce la
fece più. Aprì gli occhi. Ted ritrasse la mano,
imbarazzato.
“Oh,
ti
sei svegliato.”
James fece un sorrisetto. “Non mi dispiaceva, sai.
Dico… la mano. Mi sento la
testa scoppiare.”
Ted ridacchiò, arruffandogli delicatamente i capelli.
“È un effetto
collaterale. Passerà presto. Come ti senti, per il
resto?”
“Piuttosto bene.” Corrugò le
sopracciglia, fingendo innocenza che in realtà non
aveva. Aveva ascoltato tutto, e adesso sapeva.
“Avete scoperto qualcosa?”
“Sì. Sei stato davvero di aiuto.”
“E che ho detto?”
“Jamie…”
“Scherzo, lo so. Perché adesso ricordo.”
Sogghignò. Però di fronte allo sguardo
limpido di Teddy, così fiducioso, si sentì
stranamente male. Forse era un
effetto collaterale del memento,
sentirsi in colpa per aver origliato.
“Teddy…”
“Dimmi. Hai bisogno di qualcosa? Hai sete?”
Non ce la faccio più, Teddy. mi
dispiace.
Sei un mio professore, lo so. È sbagliato.
Ma a volte
per seguire il proprio
cuore uno deve fare la cosa sbagliata¹…
“Teddy,
ero sveglio. Prima.”
“…
Prima
quando?”
“Quando parlavi con papà.” Gli prese la
mano, vedendo che Ted stava per alzarsi
velocemente in piedi. Probabilmente per mettere distanza tra di loro.
Lo
faceva, quando si sentiva a disagio. Distanza
fisica uguale distanza emotiva. Lo dice sempre Lils…
“Teddy,
non lo dirò a nessuno. Lo sai. Puoi fidarti.”
“James, è una cosa seria.” Disse
serrando le labbra. “Lo capisci?”
James fece una smorfia stizzita. “Ovvio che lo capisco! E tra
parentesi, sono
affari di Remus e Sirius.” Calcò il tono sui due
nomi. “Non andrei a spifferare
una cosa del genere… voglio dire, sono delle specie di
leggende per me. Mi
sentirei malvagio.”
Teddy sorrise, sollevato. “Grazie…”
“Quando pensavi di dirci di Vic?”
Teddy inarcò un sopracciglio, con un lieve sorrisetto.
“Quando pensavi di dirmi
che tu lo sapevi?”
Fregato.
“Ehm…
era
una confidenza. Vedi come sono bravo a mantenerle?” Sorrise
con aria angelica.
Gli teneva ancora la mano, e Teddy non dava segno di fastidio. In quel
momento
si sentì invincibile.
“Sì,
Jamie… sei bravo.” Sorrise appena Ted.
“Non sei arrabbiato?” Gli chiese poi,
con una strana sfumatura attenta. Sembrava davvero voler sapere cosa ne
pensava
lui.
Forse
era
perché in quel momento rappresentava la famiglia, ma James
preferì
interpretarla in modo più confacente ai suoi piani.
“Perché
dovrei esserlo? A me Vic non è mai piaciuta.”
“Jamie, è tua cugina.”
“Sì, lo è. Ma ti ha portato via
dall’Inghilterra.”
“Jamie…”
James ignorò platealmente la sua emicrania, alzandosi a
sedere. Ted non
indietreggiò. Sembrava che avesse difficoltà a
interrompere il contatto visivo.
Sapeva
che in quel momento Teddy era vulnerabile. Lo era terribilmente.
Ed
era
per questo che se ne sarebbe approfittato.
“Ti
ha
portato via da me.” Sussurrò, lasciando la presa
sulla sua mano per
passargliela sulla schiena. Lo sentì irrigidirsi, e
agì in fretta. Si sporse, e
posò le labbra sulle sue.
Le labbra di
Teddy…
Le
aveva
sognate nelle notti d’estate, in quelle di inverno, dove
accanto a lui c’era
qualche ragazza, o Zabini con i suoi sogghigni irriverenti.
Le
aveva
sognate da una vita, ed erano esattamente della morbidezza che si
sarebbe
aspettato. La barba appena accennata gli pungeva il viso, e
l’odore di Teddy
era dovunque.
Per
un
folle, dolcissimo momento Teddy accettò.
Poi,
finì.
Teddy si scostò bruscamente guardandolo sconvolto.
“Cosa…
Che
stai facendo, James?” Mormorò.
James
fece una smorfia. “Ti sto baciando, Teddy. Mi pare
ovvio.”
“Devi… devi essere impazzito.
Siamo…”
“Cosa? Fratelli? Non è vero e tu lo
sai.” Disse calmo. Il cuore minacciava di
sfondargli il petto, e la testa sembrava esplodergli in migliaia di
schegge, ma
non si era mai sentito così vivo.
“A
me piacciono anche i ragazzi. E soprattutto, mi piaci tu. Da
sempre.”
“James, no… è stato quello che ho detto
prima su mio padre e…” Sembrava stare
per sentirsi male. Per un attimo James si sentì in colpa.
Poi ricordò le notti
da tredicenne passate a piangere, l’attesa estenuante delle
sue lettere, il
dolore di capire finalmente qual’era il problema.
“Remus
e
Sirius non c’entrano niente. Non c’entra neanche
Vic. Io sono James, e tu sei
Teddy. Anche io ti ho scritto delle lettere. Solo che tu non hai mai
capito
cosa c’era scritto davvero… Vuoi sapere che
c’era scritto? Che ti amo.”
Ted non disse nulla. Lo sguardo di James se lo sentiva bruciare
addosso, come
lava.
Non
si
accorse neanche di essersi alzato, quando si ritrovò in
piedi. Riuscì
finalmente a rompere il contatto visivo. Finalmente.
Era
un
adulto, si sentiva tale. E James era un ragazzino. Ma riuscì
soltanto a
prendere il suo mantello ed andarsene, mentre il
suo ragazzino ancora lo guardava.
Mentre
percorreva i corridoi vuoti del piano terra, gli venne in mente una
frase che
suo padre aveva scritto a Sirius.
‘A
volte è difficile guardarti
Sirius. È come guardare un grande incendio. Ti viene da
distogliere lo sguardo,
no? E mi succede così. In fondo, a volte, sapersi amati fa
paura.’
****
Note:
La faccenda delle lettere si ricollega alla fantastica fan-fiction sui
Malandrini, quella definitiva, ovvero lo Shoebox Project
di Jaida Jones. Io lo considero canon. Punto. Dai, per le Tom/Al
shipper …
pazientate. Vi lovvo :P
Per
chi volesse vedere Jamie tredicenne imbronciato, ecco qui. L'ho trovato
per sbaglio sul web e perchè non condividere?
James tredicenne
1 –
L’uomo Bicentenario, Isaac Asimov.
|
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Capitolo 27 *** Capitolo XXII ***
Visto
che è il mio compleanno, postaggio lievemente
anticipato ad un’ora notturna.
Continuo
a lovvarvi con molto sentimento! Ripeto come al
solito, e fino alla nausea. Il carburante di questa storia siete voi e
i vostri
commenti! J
@Lilin: La sorella
di Tinkerbell?! XD Ma
no, dai, il tuo nick è più carino. Scorpius sa un
po’ di Sherlock? Ahaha,
probabile, colpa della mia infanzia tirata su a colpi di Agatha
Christie.
Grazie mille per i complimenti sull’ultimo pezzo, devo
ammettere che ero
ispirata *James punta alla testa di Dira una bacchetta,
minaccioso*… ergh,
comunque. Dì come nomignolo mi piace troppo! XD Non ci avevo
mai pensato! In
questo capitolo ancora non vi godrete la partita, ma… ben
altro. ;)
@MyriamMalfoy: Stiamo
parlando di Teddy. Trai
tassorosso non ci sono sicuramente dei cuor di leone
nell’affrontare i propri
sentimenti. Eheehe, Jamie si odia e si ama. Ammetto che non
c’è rimasto
benissimo, ma non è tipo che s’arrende! :P Il
quartetto miracoli sta divertendo
anche me. Ammetto che c’era bisogno di qualcosa
più che un Herm che reggesse il
gioco. Grazie per i complimenti!
@Altovoltaggio: Questo capitolo
spero non ti deluderà. J E
ci sarà molto, molto Tommy.
@Franza: Ciao
Franza! Sì, Teddy è un po’
un idiota, ma cerca di capirlo, è un tontissimo tassorosso
figlio di Remus
‘nego di amare’ Lupin. Che c’era da
aspettarsi, da uno così? :( James è vero,
riesce a non trasformarsi in una testa di cavolo solo quando
c’è Teddy. La
forza dell’amore. XD Per Al/Tom… leggi, leggi. E
grazie per la recensione,
spero vorrai darmi un parere su questo capitolo, ci tengo molto. ;)
@Trixina: Non
preoccuparti, non a tutti
possono piacere la mia versione grafica dei pg. Tu puoi immaginartelo
come
vuoi! XD Lo so, aspettate tutti la Al/Tom, e
infaaatti… Spero che non ti deluderà. ;) La mia
versione della storia su Sirius-Remus-Tonks è la seguente;
Sirius e Remus si
sono innamorati e amati da ragazzi, ad Hogwarts, ma poi quando Sirius
è tornato
non era più chiaramente lo stesso, ed erano passati troppi
anni, alla fine
Remus si è innamorato di Tonks (che peraltro in molti
aspetti caratteriali
assomiglia a Sirius, anche secondo il canon). In fondo una persona
può avere
anche due grandi amori nella sua vita. ;)
@Nyappy: Grazie per i
complimenti! ^^
@PudentillaMcMoany: Ma ti
ringrazio tantissimo per
essere passata! La tua fic è troppo divertente, e sono stata
felicissima quando
sei passata a recensirmi! Thomas… eh, lo so, è il
bello e dannato che tutte noi
ragazze infondo sognamo. Tormentato, cupo, bello, stronzo, calcolatore
e ma con
la persona che ama un gran imbranato romanticone. Grazie per i
complimenti, e…
quando aggiorni? ;)
@Ron1111: Sto davvero
cominciando ad amare e
attendere la tua storia, lo sai? Anche perché diciamocelo,
di Harry/Tom ce ne
sono così poche qui, e gente che ha scritto cose
meravigliose come Lien e
Mistress Lay hanno gettato la spugna (bastardeeeh T_T) Finito
l’angolo sclero
ti ringrazio per il commento, per i complimenti e aspetto un tuo
aggiornamento,
da fan-reader, a fan-reader! :);)
@MissyMary: Lo so, lo
so. Teddy è un gran
fifone. Ma che ci vuoi fare, è figlio di uno come Lupin e un
TASSOROSSO. Era il
minimo. Ci sarà presto un cambio-colore-capelli, anche se
non so dirti in che
direzione! ;) (o meglio, non voglio dirtelo, perché lo sai,
sono una sadica
bastarda :P) S.Zabini qui ti piacerà, anche se lui non si
è piaciuto per niente.
Lo sai com’è fatto… è Mister
Serpeverde. Adoro le tue recensioni e mi fa
piacerissimo che tu sia affezionata ai ragazzi, anche io a loro XD
Spero che
questo capitolo ti tiri un po’ su di morale. In fondo farvi
divertire e
divertirmi è lo scopo principale! ;)
@Hel_Selbstmord: Ciao Hel!
Ebbene sì, in casa mia
si respira musica. Continuamente. E
menomale che io sono emigrata a Roma con venticinque giga di mp3 e
tutti i miei
cd, o mia madre sarebbe impazzita. XD La tua invece vedo che ha reagito
meglio
della mia (mia madre che si legge Camilleri mentre mio padre registra
su
CuBase. Delirante.) Quando torno a casa comunque recupero Morte a
Venezia. Mi
hai fatto incuriosire di nuovo. Passando
alla storia (uh? Le nostre chiacchierate sono troppo OT ma le adoroXD )
Teddy
ha usato la storia di suo padre per confondersi ancora di
più. Per come la vedo
io, il ragazzo è CONFUSO, e suo padre con Sirius gli ha dato
il colpo di
grazia. Se dopo sei anni non sei ancora sicuro, meglio mollare. Felice
di
averti strappato un sorriso in cupe serate di noia. ;) E prega per il
meglio.
Ohi,
Hel, spero che tu abbia nel tuo guardaroba vestiti
colorati, perché stavolta si conclude!*parte un trenino
capeggiato da Silente,
il guru-lillà-gay*
****
Capitolo XXII
Pochi vengono per
restare
Andrai? Non
andrai?
Sii il solo che conoscerò per sempre
Quando sto per
perdere il controllo, la città mi gira intorno
Tu sei il solo che la sa
rallentare
(Look
After You, The Fray)
1
Ottobre
2022
Dormitorio
Serpeverde, mattina.
Un serpente
avvolgeva lentamente le
spire attorno alle sue gambe, immobilizzandolo.
Il serpente
ghignava. E il petto
gli bruciava, come se gli venisse colata lava bollente.
Tom
si
svegliò di soprassalto, inghiottendo ampie boccate
d’aria.
Poi
si
guardò attorno: letto, tende tirate. Il lenzuolo era
attorcigliato attorno ai
piedi, ed era stato quello a fargli sognare il serpente. Sentiva ancora
la
pressione disgustosa delle squame.
Se lo
tolse con uno strattone, mentre si passava una mano sul petto: la
maglietta era
zuppa di sudore e aveva la pelle bagnata, bollente, ma il medaglione
era
freddo.
Il
ragazzo biondo non si era più fatto sentire. Era scomparso e
il medaglione
rimaneva innaturalmente freddo contro il suo petto.
Era
frustrante, era avvilente. Aveva voglia di urlare senza poterlo fare.
Inspirò
lentamente prima di aprire le tende. L’alba stava sorgendo,
lattiginosa,
rischiarando le brumose finestre incantate.
Siamo in un
sotterraneo. Non
abbiamo luce del sole. È tutta finzione.
Quel
pensiero ebbe il potere di farlo sentire ancora più
spiacevolmente oppresso.
Si
alzò e
si diresse verso il bagno: una doccia l’avrebbe aiutato a
scrollarsi di dosso
quei rimasugli appiccicosi di sogno.
Lanciò
uno sguardo al letto di Albus: solita montagna di cuscini, da cui
spuntava una
testa arruffata.
Avrebbe
voluto sorridere. Avrebbe voluto fargli il solletico
nell’incavo del gomito,
fino a svegliarlo e farlo arrabbiare…
Devo tenermi
lontano da lui. Devo
tenermi lontano da tutti.
Al si
svegliò con la consapevolezza che neanche quel giorno
avrebbe visto Tom uscire
dal letto.
Da
due
settimane si alzava tutti i giorni prima di loro, si lavava, si vestiva
e
passava il lasso di tempo che lo separava dalla colazione in biblioteca.
Era
una
tortura doverci passare del tempo senza avere che pochi e sporadici
contatti,
qualche frase di circostanza, legata alle lezioni o poco altro.
Non ne posso
più…
Si
guardò
allo specchio del bagno: si sentiva come se un drago avesse passeggiato
sul suo
fondoschiena.
Domani…
partita.
Nientemeno
che con Grifondoro. Michel li aveva spremuti come limoni,
impietosamente, in
quei diciassette giorni. Perdere non era semplicemente concesso.
Uscì
dal
bagno infilandosi la camicia, e fu certo di vedere Michel, intento ad
allacciarsi le scarpe, indugiare sulla porzione di schiena scoperta.
Ora che sa
che forse sono …
diciamo… inclinato verso gli uomini … mi guarda.
Sarò
tonto, ma non completamente.
Michel
sembrò volergli dire qualcosa, ma poi lasciò
perdere, alzandosi in piedi. “La
cravatta, Al…” Disse, prendendo i lembi di quella
dell’amico. “È storta.”
Al deglutì, sentendosi a disagio. Non era una situazione
nuova, certo. Ma non
era quel disagio carico d’aspettativa che aveva con Tom.
Che avevo
prima che mi
allontanasse definitivamente…
Si
sentiva solo a disagio. Michel era
suo amico. Gli voleva bene, lo stimava, ma non si sentiva apposto a sentirsi le sue mani addosso.
Fece
un
paio di passi indietro. “Non fa niente. Tanto per la fine
della giornata sarà
tutta spiegazzata.” Abbozzò un sorriso che
sperò essere convincente.
Michel annuì, e parve quasi deluso.
“Scendo
a
colazione.” Gli disse, prima di afferrare il mantello, la
tracolla contente i
libri per le lezioni della mattina e filare via, senza guardarsi
indietro.
Michel
lanciò un’occhiata frustrata alla porta della
camera. Al aveva forse intuito?
Intuito cosa,
poi?
Per la prima
volta in vita sua si sentiva confuso in merito alle sue sensazioni.
E
Tom?
Michel fece una smorfia irosa, infilandosi il mantello e chiudendo gli
alamari.
Tom
lo
teneva appeso ad un filo crudele, fatto di rassicurazioni abbinate a
terribili
frustrate di freddezza.
Avrebbe
apprezzato quell’atteggiamento, se non fosse che chi ne
subiva le conseguenze
era Al.
Ovvero
il
suo primo vero amico.
Gli
Zabini erano una stirpe di avvelenatrici e di ambigui gentiluomini, che
preferivano veleggiare sopra la plebaglia, senza mischiarvisi mai.
Al
era
stato il primo ragazzo che si fosse fidato di lui: neppure Loki e
Scorpius, che
considerava suo pari, concetto per lui assimilabile a quello di amici, gli avevano mai dato la stessa
incondizionata fiducia che Albus nutriva per lui.
E
ovviamente lui l’aveva tradita. Per desiderio,
nient’altro.
Prima
andando a letto con suo fratello, poi, tradendo il suo concetto di
amicizia. Al
stava soffrendo per il distacco da Tom, e lui non faceva nulla per
aiutarlo.
Anzi, aveva esacerbato la situazione, facendosi sempre trovare insieme
a lui,
quando Thomas lo cercava con lo sguardo.
Sentì
la
porta aprirsi, e poi chiudersi subito dopo. Era ovviamente Tom, con un
paio di
voluminosi tomi sottobraccio. Storia della Magia, seconda guerra
magica, lesse.
Cose non da
programma. Tenti di
distrarti con lo studio, mio buon Dursley?
“Cerchi
Al?” Gli chiese, sapendo benissimo che tentava
di evitarlo in tutti i modi possibili.
“No.”
Disse infatti. Il tono era distaccato, ma gli lanciò
un’occhiata torva.
“Già,
ultimamente non lo cerchi mai…” Prese i libri
necessari per la lezione,
avvicinandoglisi. Tom era un fascio di nervi, non era difficile da
intuire
anche senza doverlo toccare…
“Non
so
di cosa tu stia parlando.” Sillabò infatti.
…
Ma non
gli importava. Quell’atmosfera cupa l’aveva causata
quell’idiota. A pochi
giorni dalla partita, con i suoi cattivi pensieri e i suoi problemi
esistenziali ammorbava tutti: Al, lui, persino Loki, che saltava da un
letto
all’altro pur di non dover dormire nel suo.
“Ehi
Tom…”
Gli sussurrò, chinandosi al suo orecchio. “Se non
lo vuoi, me lo prendo io.”
Non
gli
lasciò il tempo per rispondere, lo sorpassò e si
chiuse la porta alle spalle.
Datti una
mossa imbecille, o lo
faccio veramente.
E allora
potrai solo leccarti le
ferite…
****
Secondo
Piano, vicino all’aula di
Trasfigurazione.
Nove e mezzo
circa.
L’aula
di
trasfigurazione si faceva sempre più vicina e Albus aveva
sempre meno voglia di
entrarci. Tom doveva essere già entrato, ma non era quello
il punto. Stavolta.
Rallentò
progressivamente il passo, fino a farsi sorpassare da Loki, che lo
accompagnava.
Il
ragazzo lo squadrò perplesso. “Stai
rallentando?”
“Già. Aspetto mia cugina. Avevo un appuntamento
fuori dall’aula, tu entra pure.”
Gli sorrise con aria sicura. Aveva già visto Rose.
All’imbocco del corridoio
che ospitava l’entrata dell’ufficio del preside,
pochi metri prima. E c’era
ovviamente Scorpius con lei.
Devo
chiedergli se Jamie ha
ricordato qualcosa…
Quando
l’amico
si fu allontanato fece rapidamente marcia indietro. Si
affacciò, scrutando con
un sorrisetto dietro al gargoyle a guardia dell’ufficio del
preside.
“Siete
sicuri che non volete farvi beccare?” Celiò mentre
Rose tirava uno spintone a
Scorpius, reo di averla praticamente spinta contro il muro.
“È
questo
troll che mi ha afferrata e trascinata qui!”
Sbraitò paonazza e con il
maglioncino singolarmente stropicciato. “Io volevo andare a
lezione!”
“Rose Weasley,
l’incorruttibile…” Proferì
Scorpius, raddrizzandosi la cravatta
con un consumato colpetto delle dita. “Mi adori, lo so, mio
pasticcino.”
“Crepa.” Sibilò facendo ridere Al.
“Seriamente… ci ha visti nessuno?”
Domandò
preoccupata.
“No, soltanto io, ma perché ho visto… quella.”
Indicò la borsa dei libri della ragazza, che al momento era
al collo del gargoyle.
“Dannazione!”
Sbottò Rose. “Come c’è
finita?”
Scorpius sorrise soave e Al capì.
Se Rosie
capisce che cerca di farli
scoprire lo uccide. Forse dovrei farglielo notare.
Forse no. Non
voglio entrarci. Proprio
no.
“Avete
visto Jamie? Ieri sera sono andato a trovarlo in infermeria, ma era
già
scappato…”
Rose
si
schiarì la voce. “Sì…
stamattina l’ho incrociato in Sala Comune, prima che
sparisse chissà dove.”
“Stava bene?”
“Beh,
sembrava…” Rose si morse un labbro pensierosa.
“Un tantino fuori di testa.
Aveva due occhi…”
“Invasati.” Si
inserì Scorpius
serissimo. “Davvero. Ho visto in quelle condizioni solo dei
goblin di fronte ad
un mucchio d’oro. Mi ha persino salutato.
Un inedito.”
Al li
squadrò preoccupato: certo, aveva una faida auto-generante
con James, ma era
pur sempre suo fratello.
“Credete sia
stato l’incantesimo?”
Rose
fece
spallucce. “Dubito. Tra gli effetti collaterali del memento, mi sono
informata…”
“Ci siamo informati.” Gli fece eco Scorpius.
“Io
mi
sono informata, tu eri più occupato a
infastidirmi.”
“A baciarti il collo, rosellina.”
“Infastidirmi.”
Ripeté strozzata. “Mi
sono informata, non dà quegli effetti. È stato il
preside ad eseguire l’incantesimo
quindi è impossibile che sia andato male. Anche
perché ha funzionato, si è
ricordato.”
“Davvero?”
Al deglutì, lanciando uno sguardo alle sue spalle. Aveva
avuto l’impressione…
No.
Impossibile. Non c’è nessuno.
“Già.
Ci
ha detto tutto. I Naga sono ancora qui. A quanto pare sono controllati
da un
tipo incappucciato, di piccola statura.” Spiegò
Rose con tono professionale,
scacciando con uno schiaffo la mano di Scorpius che tentava di cingerle
la
vita. “Hanno fiutato Jamie, che era nascosto. Anche se
fiutare non è il termine
esatto…”
“In realtà la percepiscono.”
Proseguì
Scorpius. “È come una specie di richiamo
ferormonico. Più grande è la forza
magica di un mago, più ne percepiscono la presenza.
È una sorta di traccia.”
“Per
questo hanno attaccato Tom? Lui è sicuramente
più…”
“Stronzate.” Lo corresse Scorpius con una smorfia.
“Dursley è un adolescente. A
sedici anni, a meno di non essere un mago del calibro di
Silente… o tuo padre,
la tua forza magica è praticamente identica a quella dei
tuoi coetanei.”
“Si può sviluppare con lo studio, la pratica e
l’esperienza.” Continuò Rose.
“Avevate la stessa probabilità, seguendo questo
ragionamento, di essere
attaccati dal Naga.”
“Sì, ma il Naga è andato dietro a
lui!”
“E questo ci riporta all’ipotesi di ieri. Tom
Dursley ha qualcosa di diverso da
noi.”
Al rifletté velocemente. Non avevano molto tempo prima che
iniziasse la
lezione.
“Forse
è…
come mio padre.” Ipotizzò, senza esserne troppo
convinto.
Scorpius fece una smorfia. Era più forte di lui, quando
sentiva parlare del
Salvatore provava una singolare sensazione di fastidio. Non che ce
l’avesse
personalmente con l’uomo, però…
Imprinting
paterno… Poco da fare.
“Tuo
padre, Potter, è un caso particolare. Si è
beccato una maledizione senza
perdono quando era un neonato, e l’ha sconfitta. Non puoi
paragonarlo ad un
mago qualunque.” Replicò. “Se paragoni
Dursley a tuo padre automaticamente fai
di lui un caso particolare.”
Al si
passò una mano trai capelli. “Sì,
però…”
“È nato senza ombelico.” Scorpius
scrollò le spalle. “È stato rapito da
un
ex-mangiamorte ed adesso è ricercato da grossi lucertoloni
che hanno una specie
di radar magico. Ha scritto in faccia non
sono normale.”
Al
serrò
la mascella. Scorpius aveva ragione, lo sapeva. Eppure il modo in cui
gli stava
sbattendo in faccia le sue supposizioni gli mandavano il sangue alla
testa.
“Smettila…”
Sussurrò. “Smettila di parlare
così… di… di lui!”
“Così come?” Scorpius sbuffò.
“Devi finirla di giustificarlo. O di nasconderci
delle cose, come la storia dell’ombelico. Perché
non sei d’aiuto. Né a noi, né
a lui. Se avremo qualcosa in mano, di sensato,
potremmo darlo agli auror e magari evitare che venga rapito di nuovo. O
sei con
noi,
o
contro
di noi…”
“Scorpius!” Rose
lanciò un’occhiata
al cugino, che era impallidito. “Non…”
“No, Rosie. Ha ragione.” La interruppe Albus,
mordendosi un labbro fino a quasi
sentire il sapore del sangue. “Sì, hai ragione. Mi
dispiace…” Indietreggiò.
“Credo che sia il caso che vada in classe adesso…
Scusate.” Praticamente scappò
via.
“Maledetto
muflone insensibile!” Sbottò Rose, inferocita,
tirandogli una spinta, che tra
l’altro non lo spostò di un millimetro.
“C’era bisogno di essere così duro!? Per
Al è difficile!”
“Me ne rendo conto.” Replicò
insolitamente serio. Le lanciò un’occhiata,
raccogliendo la propria borsa, appoggiata in un angolo. “Ma
non ha importanza.
Se vuole aiutarci deve farla finita… Quando scavi nel
passato di qualcuno a cui
tieni è normale che tu ti senta una carogna. Che se ne
faccia una ragione.”
Rose sospirò. Capiva il punto di vista di Scorpius: a conti
fatti era il più
sensato.
Ma quando
entrano in gioco i
sentimenti diventa tutto un gran casino.
“Gli
parlerò.” Tentò. Scorpius scosse la
testa.
“Deve arrivarci da solo. O non diventerà mai un
ometto.” Sogghignò, rubandole
un bacio. “Meglio se ci separiamo qui, Rosey-Posey. Statuto
di segretezza…” Le
sussurrò sulle labbra.
Rose fece un mezzo sorriso. “Comincia quasi a piacermi questo
nomignolo. È meno
osceno di tanti altri…”
“Ne sono lieto…” Le strizzò
l’occhio.
Rose lo guardò allontanarsi. Sospirò, guardando
il gargoyle in pietra. Sempre
uguale, da secoli sempre privo di espressione e sentimenti.
Tu te la
passi meglio di noi, caro
il mio brutto muso. Garantito.
Speriamo che
domani regga, lo
statuto di segretezza. Alla partita viene anche
papà…
****
Aula di
Trasfigurazione.
Al
seguiva distrattamente la lezione della professoressa. Davanti a lui un
bricco
di caffè aspettava di trasformarsi in una colomba.
Le parole di Malfoy continuavano a ronzargli in testa, rendendogli
impossibile
compiere un doveroso feraverto. In
ogni caso la professoressa era più occupata a spiegare ad un
confuso grifondoro
come rendere animale il proprio bricco, che a seguire lui.
Mi sto
piangendo addosso…
Era
questa la dura realtà. Malfoy non gliel’aveva
sbattuta in faccia direttamente,
ma gliel’aveva fatta capire.
È
un mese che mi lamento perché
Tom non mi dà attenzioni. Non devo pensare a questo.
Devo pensare
a come proteggerlo.
Era
difficile. Perché Thomas non rendeva le cose facili,
ovviamente. Perché c’erano
i suoi sentimenti in ballo, e gli sembrava di tradire la sua fiducia.
Ma non
è questione di chi è stato
il primo a tradirla. Non è direttamente questione di
tradirla.
Tom si sta
cacciando in un guaio.
E non vuole coinvolgermi.
Come
da
bambino, quando di notte scappava alla ricerca di creature fatate o
misteriose.
Sapeva che era proibito ad entrambi allontanarsi dai confini del
villaggio, e
per questo ogni volta gli faceva giurare di non seguirlo.
Ma ogni volta
ti seguivo, ti
ricordi Tom? Avevo tanta paura. Tremavo tutto il tempo, e aspettavo
soltanto il
momento in cui mi avresti scoperto.
“Ti
avevo detto di non seguirmi!”
Tom aveva sbuffato stizzito, e Al, nascosto dietro un cespuglio, si era
sentito
decisamente scemo. Un vento fresco batteva la brughiera mentre la luce
della
luna illuminava lattiginosa la strada sterrata di campagna. E anche un
ciuffo
di capelli castani, che si ergeva dritto ed arruffato tra il fogliame.
Al era uscito
fuori incespicando.
Tom l’aveva squadrato con quell’aria che Rosie
trovava antipaticissima.
“Non
ti sei neanche messo le
scarpe…”
“Avevo paura di svegliare Jamie!” Aveva pigolato il
bambino, tirando su con il
naso e cercando di nascondere le pantofole impolverate. “Ho
paura Tom, torniamo
indietro!”
“Non ci penso neanche. Hai sentito che ha detto nonno Arthur,
no? Vicino a
Escot, nel bosco, hanno trovato un cerchio delle fate. Magari
c’è una colonia
di piskie¹…”
“Mi fanno paura quelli!” Era scattato il
bambino trotterellandogli accanto. “Possono trasformarsi in
Mollicci!”
“Queste sono le storie che ti rifila Jamie. I piskie sono
folletti, i mollicci
sono poltergeist.” Aveva spiegato compitamente. Di fronte
all’espressione per
niente convinta del cugino, aveva alzato gli occhi al cielo,
spazientito. “Bene.
Se hai paura torna indietro. La strada è illuminata, e non
farai brutti
incontri.” Aveva indicato la Tana,
ancora visibile. “Non ti puoi perdere.”
“No!” Aveva strillato il bambino, pestando i piedi.
“No, voglio venire con te
Tom! Non ti lascio solo!”
Thomas aveva fatto una smorfia. “Non sono io quello ad aver
paura.”
“Per
favore, fammi venire con te!”
Tom gli aveva lanciato un’occhiata. Poi aveva
sospirato.“Secondo me ci stanno
già cercando…”
“No,
sono stato bravo! Mi sono
lasciato le pantofole, per non fare rumore!”
“Geniale. Così tra poco ti faranno male i piedi.
Forza, torna a casa. Io starò
bene.”
“Ma io no!” Aveva sentito il familiarissimo e
stupidissimo groppo alla gola.
Subito dopo due lucciconi gli erano apparsi all’angolo degli
occhi. “Avrò paura
per te tutto il tempo!”
Tom aveva
fatto una smorfia,
distogliendo lo sguardo. Al aveva sorriso, perché quando il
cugino faceva così
voleva dire che gli avrebbe detto di sì.
“Va
bene, vieni. Però dammi la
mano. Non voglio che ti perdi nel bosco…”
Te ne sei dimenticato, Tom?
Per
quanto non lo volesse trai piedi, per quanto continuasse a percorrere
quella
strada buia da solo. Nonostante questo…
Io
continuerò a venirti dietro. Avrò una paura
fottuta, ma stringerò i
denti. Perché ho più paura a lasciarti solo, che
a venire con te.
“Potter?
Albus?”
Al alzò lo sguardo per trovarsi di fronte le formi procaci
della professoressa.
Si accorse che Rose da mezz’ora tentava di attirare la sua
attenzione, senza
successo.
“Sì
professoressa?”
La professoressa sorrise. Ovviamente.
“Non capisci qualche passaggio?”
Al sorrise di rimando. Batté un colpo di bacchetta sul
bricco. “Feraverto.”
Scandì.
La sua colomba prese a becchettargli affettuosamente le dita.
“No
professoressa. Tutto chiaro.”
Continuò a sorridere. Non voleva dargliela vinta.
“Mi stavo solo concentrando.”
La donna tradì, per un attimo, un lieve ed insofferente
sconcerto.
“Molto bene, Potter… ben fatto.” Si
spostò per controllare la colomba di Rose,
che aveva ancora la coda a forma di manico, con grande irritazione
della
ragazza.
Al
alzò lo sguardo e vide che Tom
lo stava guardando. Gli sorrise. Tom distolse lo sguardo
immediatamente, ma
stavolta non ci rimase male. Non più.
Adesso sono
grande, Tom. Adesso non ti prenderò la mano e
avrò paura
per te.
Perché
adesso posso riportarti indietro.
****
Spogliatoi
Serpeverde.
Sei del
pomeriggio.
“Ci
vediamo domani capitaine!”
Michel fece un mezzo sorriso ai saluti, agli incoraggiamenti
auto-referenziali
e alle velate minacce dei compagni di squadra, mentre si liberava
dell’uniforme
da allenamento.
Lanciò
uno sguardo ad Al, che finito di vestirsi chiacchierava con Loki,
venuto a
curiosare negli spogliatoi e raccogliere quote per il proprio banco
scommesse –
ovviamente illegale.
Vide
i
due uscire, e dopo un breve sospiro si concentrò sullo
slacciarsi i gambali.
Non avvertì la porta dello spogliatoio aprirsi. Quello che
sentì fu un violento
spostamento d’aria e poi si trovò a faccia in
giù, sul pavimento sporco di
fango. Tossì, voltandosi.
Tom era davanti a lui, con la bacchetta stretta in pugno.
“Che
diavolo…” Sussurrò sbalordito.
“Prendi la bacchetta, Zabini.” Disse soltanto. Il
tono era come pacato, quasi
privo di inflessione.
Vista
la
situazione, gli mise i brividi.
“Ti
è
dato di volta il cervello?!” Sbottò, alzandosi in
piedi e allontanandosi verso
la porta.
Tom con un veloce movimento di bacchetta la richiuse violentemente. Un
rumore
di ferro gli fece capire che l’aveva anche chiusa a chiave.
“Prendi
la bacchetta.” Ripeté.
Sta facendo
sul serio…
La
consapevolezza
lo colpì con la forza di un bolide. Aprì il suo
armadietto e la tirò fuori.
“Vuoi
batterti?”
Fece un sorriso nervoso. “E potrei sapere il
motivo?”
“Lo conosci. Non sei forse tu, quello che tutto sa?” Lo apostrofò,
restituendogli un sogghigno amaro. “Se
non lo vuoi, lo prendo io. Cosa
significa? Quello che penso, suppongo…”
Michel inspirò bruscamente.
Ma allora
è per…
Avrebbe
riso della situazione, se la faccia di Tom non fosse stata una maschera
di gelida
furia.
A certe
persone la gelosia fa proprio
un brutto effetto…
“Ci
hai
pensato tutto il giorno?” Gli chiese indietreggiando. Tom
fece di rimando un
passo avanti, senza rompere il contatto visivo.
“Sì.”
Confermò.
“Albus non è una delle tue
conquiste…” Sibilò furibondo.
“Sai
che
non intendevo…”
“So cosa intendevi!”
Sbottò. La luce
delle candele tremò violentemente, come per una forte
raffica di vento. “Lo
vedo come lo guardi. Come…” Fece una pausa e
Michel vide che la presa sulla
bacchetta si serrava, fino a fargli sbiancare le nocche.
“Come lo tocchi.”
“E se anche fosse?” Replicò di rimando,
seccato.
Proprio tu,
ti permetti di
giudicare me, considerando quanto lo stai facendo stare male?
Non
si
sarebbe fatto intimidire. Lui era uno Zabini.
“Se anche fosse, perché dovrebbe preoccuparti?
Avrei più riguardo io, per Al,
di quanto ne abbia avuto tu in quest’ultimo mese.”
“Se
anche
fosse… Lui è mio.”
Lo sguardo di Tom
aveva decisamente qualcosa che non andava.
Aveva
pensato ad una crisi di gelosia. Uno scoppio di testosterone in ritardo
di un
paio d’anni.
Ma non
è solo questo…
C’era
desiderio nel suo sguardo. Un
desiderio
talmente disperato da fargli istintivamente serrare la presa sulla
bacchetta.
Okay.
Rettifico. È ora di farsi
intimidire da Dursley. Ha completamente perso la testa.
“Cerca
di
ragionare!” Gli intimò. “Sei un
prefetto! Ed io sono il capitano della squadra
di Quidditch. Se ci beccassero l’intera stagione sarebbe
persa!”
Tom sogghignò. “Dovrebbe fregarmene
qualcosa?”
Michel
indietreggiò
fino a sbattere contro una fila degli armadietti, accanto alla porta.
“Tom…”
Un lampo rosso gli saettò a pochi centimetri dalla tempia.
Si riparò la testa
con le braccia mentre l’armadietto esplodeva, facendo volare
in aria il
contenuto.
“Maledizione!
Tom, fermati!” Urlò. “Non ho intenzione
di sedurlo!”
“Strano. Stamattina hai detto il
contrario…” Osservò “Quello
era un
avvertimento. In guardia. Ed è un consiglio,
credimi.”
Michel
non se lo fece dire due volte. Tom aveva la stramaledetta brutta
abitudine di non
minacciare senza conseguenze.
Vuole davvero
schianta...
“Everte Statim²!”
Michel si sentì letteralmente scaraventato contro la porta.
L’impatto gli tolse
il fiato e lo fece crollare a terra.
“Vergogna
sugli Zabini…” Commentò, con tono
faceto. “Credo di aver letto da qualche parte
che ai purosangue insegnano a duellare prima che a camminare. Ma forse
mi sono
sbaglia-…”
“Stupeficium!”
Tom ebbe appena il tempo di scansarsi, prima che un lampo rosso si
abbattesse
su una fila di armadietti, facendoli crollare miseramente
l’uno sull’altro. Sogghignò,
raddrizzandosi.
“Ottimi riflessi, ma pessima mira,
Mike…”
“Tom, falla finita!” Sbottò, sentendo il
sapore vischioso del sangue sulle
labbra. Passandoci il dorso della mano scoprì che gli stava
sanguinando il
naso. “È semplicemente ridicolo questo…
quello che stiamo facendo!”
Per
tutta
risposta la luce delle candele tremò violentemente, prima di
stabilizzarsi di
nuovo.
“Non è ridicolo.”
Michel
lanciò un’occhiata a Tom: di nuovo quello strano
lampo rosso gli balenò negli
occhi.
…
Sono nei guai.
Poi
uno schianto
fece sussultare entrambi. La porta venne divelta e Albus e Loki
irruppero nella
stanza.
“Mike!
Abbiamo sentito dei rumori e…” Al si interruppe.
Lo sguardo gli si fermò su Tom,
incredulo. “… Ma che sta succedendo?”
“Vi siete presi a pugni?” Esalò
sbalordito Loki. “Per le sottane di Salazar! Vi
stavate lanciando addosso incantesimi?!”
Al
guardò
dall’uno all’altro.
“Tom…?” Chiese semplicemente
Il
ragazzo non rispose: intascò la bacchetta e uscì
velocemente dallo spogliatoio.
“Tom!”
“Vagli
dietro.” Mormorò Michel, nel silenzio
più completo. “Vai. Adesso.”
Al,
dopo
un attimo di sgomento, si riscosse, uscendo e sbattendosi la porta
dietro.
“Michel…”
“Sta’ zitto.”
Il ragazzo crollò su una panca, attendendo che i livelli di
adrenalina
tornassero quantomeno accettabili, di modo che potesse uscire dagli
spogliatoi
con le sue gambe.
In
quel
momento intere generazioni di Zabini si sarebbero rivoltate nella
tomba,
vedendolo.
E buffo, ma
non me ne importa
proprio nulla…
Loki
Nott
però non era uno Zabini. Era suo amico. Gli si sedette
accanto, con un sospiro
omnicomprensivo.
“Sei
un
bravo diavolo, mastro Zabini…” Disse, con ridenti
occhi bicolore.
“Quei
due
mi hanno veramente rotto le palle…”
Sussurrò per tutta risposta. “Lo sai?”
Loki sorrise, passandogli un fazzoletto per asciugarsi il sangue.
“Davvero
un gran bravo diavolo…”
Albus
sapeva
esattamente dove sarebbe andato a finire Tom. Le sue fughe spesso si
risolvevano nell’allontanarsi pochi metri dal luogo del
misfatto.
Il suo
orgoglio non gli permetterebbe
mai di scappare veramente...
Lo
trovò infatti
di fronte alla rimessa delle scope. Teneva ancora la bacchetta in pugno.
“Tom…”
“Smettila di dire il mio nome!” Sbottò,
ma senza livore. Sembrava stanco.
Al
inspirò, avvicinandosi di qualche passo. Quando vide che
l’altro non dava segno
di fastidio gli si affiancò. “Perché
stavate litigando?” Chiese, piano. Poi ci
ripensò. “No, non ha importanza.”
Tom gli lanciò un’occhiata stupita. Al
ridacchiò. “È un mese che ti riempio di
domande. E… credo che tu ne abbia abbastanza.”
Tom
serrò
le palpebre, brevemente. Era stanco, furioso ed era come se tutto gli
premesse
addosso, schiacciandolo.
Se solo
questo peso diminuisse.
Solo un po’.
“Sai…
oggi, una
persona mi ha fatto pensare ad una cosa.” Esordì
Al dopo un lungo silenzio. “Ti
ricordi di quando, da bambini, andavamo a caccia di fate? Te lo
ricordi?”
Tom annuì passivamente: era stanco, abbattuto. Troppo stanco
per allontanarlo o
chiedersi dove volesse andare a parare.
“Io
ero
un gran fifone, e avevo paura.” Continuò Al con un
mezzo sorriso. “Però ti
venivo sempre dietro. Quello che voglio dire è…
Lo so che c’è qualcosa che non
va.”
“Al…”
“No, fammi finire.” Lo fermò. Si
schiarì la voce. “Non è tra di noi.
Vero? È
qualcos’altro. E vuoi tenermene fuori.”
Tom lo guardò: Al era sempre stato il più
sottovalutato dei fratelli Potter.
Troppo timido, sensibile, considerato dai suoi detrattori come un gran
fifone.
Solo gli
imbecilli non si rendono
conto di quanto sia dannatamente intuitivo…
Stavolta ho
fatto la figura dell’imbecille.
“Non
so
cosa sia…” Continuò. “E anche
se te lo chiedessi per giorni, tu rimarresti in
quel tuo stupido silenzio cocciuto. Vero?”
Tom non disse niente. Averlo così vicino …
È
una tortura…
“Lo
sai
che continuerò a seguirti, Tom… Perché
non se ne parla, di restare a casa ad
avere paura per te.” Gli tese la mano.
“Giusto?”
Al
ebbe
improvvisamente paura. Un fottuto terrore di sbagliarsi, di farsi
ridere
addosso. Di farsi allontanare.
Gli
occhi
di Tom in quel momento erano fissi su di lui, immobili e assorti.
Aveva
paura. Ma attese.
Poi
Tom gli
prese la mano. La strinse talmente forte da fargli male.
“Al…”
Prese un respiro profondo. “Quando eravamo bambini
io…” Sussurrò appena
udibile.“…ti dicevo di non venirmi dietro, ma in
realtà… volevo che lo facessi.”
Al sorrise. Si sentiva lo stomaco stretto in una morsa di panico puro.
Era
sbagliato, non lo era?
L’unica
cosa che so è che se non
te lo dico adesso finirò per andare in mille pezzi...
“Perché
credi che ti seguissi, scemo?”
E
accadde.
Tom
non
seppe mai se fu lui a tirarlo verso di sé, o Al a spingersi
contro di lui. Fu
una collisione. Fu un bacio.
Fu goffo, indubbiamente maldestro e caldissimo. Al gli aveva afferrato
i bordi
del mantello e sembrava volerlo tirare giù. Perse
addirittura l’equilibrio,
perché dovette passargli le braccia attorno alla vita per
sorreggerlo.
Le
labbra
di Al erano calde e umide e soffici.
Respiravano
entrambi affannosamente, mentre le mani si aggrappavano, stringevano, cercavano.
Quando
si
staccarono Albus aveva gli occhi davvero molto
brillanti. E sorrideva.
Gli
era
mancato vederlo sorridere. Gli occhi gli diventavano liquidi,
quando lo faceva.
E
adesso erano
vicini, ancora abbracciati.
Oh,
Merlino… Finalmente... – Pensò
– Finalmente…
Non
sapeva cosa dire: solo una manciata di minuti prima aveva una bacchetta
in mano
ed era pronto a fare la pelle a Zabini, e adesso…
Adesso…
“A
me non
piacciono le ragazze.” Esordì Al, mentre le guance
arrostivano. Tom provò
l’impulso di passarci le labbra. Di morderle.
Sono
impazzito…
“Suppongo…
neanche a me.” Stimò lentamente.
Era
buffo. Era liberatorio. Sentiva come se il cervello gli riposasse
nell’ovatta,
mentre il suo corpo era letteralmente divorato dalle fiamme. Non era
una
sensazione spiacevole, alla fin fine.
Quella cosa che da
settimane gli faceva
ribollire il sangue nelle vene era come addormentata. Era meraviglioso.
Al
alla
sua risposta sembrò illuminarsi. Si appuntò di
assicurargli in altre occasioni
che non aveva il minimo interesse per il mondo femminile.
“A
me non
piacciono le ragazze …” Ripeté Al.
“A me piaci tu.”
Sembrava tentare le frasi, più che
pronunciarle. Più che una confessione, erano domande senza
punti interrogativi.
E Tom
improvvisamente si trovò a conoscere tutte le risposte in
anticipo.
“A
me
piaci solo tu.”
“Sì,
lo
so...” Sussurrò Al. Esitò.
E adesso? Che
si fa?
Era
tutto
diverso. Sentiva il cuore rombare
nelle orecchie, e l’espressione di Tom gli confermava che
fosse lo stesso per
lui.
Fu
Tom a
rompere l’imbarazzo. Gli passò lentamente il palmo
delle mani sulle guance, con
attenzione e Albus sentì quel familiare brivido scuoterlo
tutto.
“Scotti…”
Gli sussurrò.
Al
gli
mise le mani sopra le sue. Era un gesto intimo, un po’ tanto da ragazzina. Se ne
fregò. Perché a Tom sembrava piacere
quanto piaceva a lui. Quindi, tutto okay.
“Afflusso
del sangue…” Sorrise. Tom stirò un
sorrisetto.
“Lei
è
molto ben preparato, signor Potter…”
“La ringrazio.” Sporse appena il viso e fu di nuovo
accontentato. Tom si chinò
per premergli le labbra contro le sue. Gli baciò
l’angolo della bocca ma fu
comunque bellissimo.
“C’è
qualcosa che vuoi dirmi?” Chiese poi. Aveva smesso di
sorridere e il tono era
serio.
Al
esitò.
Riflettè. “Domani vieni alla partita?”
Tom
lo
guardò confuso. Era palese che non si aspettasse quella
domanda.
Sono forse
colpevole se non voglio
rovinare tutto adesso? Sono settimane che voglio questo.
Tutto quanto.
E Rose e i ragazzi
mi perdoneranno se non lo userò per estorcerti una
confessione…
Poi
gli
sorrise, palesemente sollevato. Annuì. “Penso di
sì. Se non altro, potrò
ammirare James disarcionato da uno dei nostri battitori. Me lo perderei
mai?”
Ridacchiò. “Credo sarai in prima fila.”
Tom
lanciò un’occhiata verso il Castello.
“Dobbiamo andare a cena… È quasi
buio.”
“Adesso?”
Tom
fece
un mezzo sogghigno, mandandogli di nuovo il cervello in pappa.
“No.”
Per favore… solo per questa volta,
fammi
avere quello che voglio…
****
Ufficio della
professoressa Prynn.
Dopocena.
“Ero
certa che quei quaderni fossero il suo diario…”
“Ma non lo erano.”
La voce che scoppiettava nel fuoco, a differenza delle fiamme che
illuminavano
il bel profilo di Ainsel Prynn era gelida. Furiosa.
La
donna
fece una smorfia. “Non può averlo buttato. Cinque
anni di ricerca, di studio
sul ragazzo e sui meccanismi difensivi della tomba… No,
semplicemente non può
essersene disfatto.”
“Non pensi
che abbia preferito
distruggere quello che aveva scoperto per non farlo cadere nelle nostre
mani?”
La voce dell’uomo, non visibile attraverso le fiamme, era
salace.
“Non
essere ridicolo. Stiamo parlando del suo grimorio³.
Per un mago è come un pezzo di sé. Voldemort nel
suo vi aveva nascosto un
horcrux. Uno dei più importanti. Quello che gli aveva quasi
permesso di tornare
in vita.” Obbiettò.
“Quell’uomo…
se tale si poteva chiamare… era pazzo.”
“Ma un mago. E ragionava come tale.”
Replicò la donna. “Ziel non ha distrutto
le informazioni. Quei quaderni erano uno specchietto per le allodole.
Il grimorio,
quello vero, lo ha nascosto.”
“Non c’era trai suoi effetti personali.”
“Naturalmente, ho controllato allontanando Lupin…
Ma c’è un altro posto dove
devo dare un’occhiata...” Bevve un sorso da una
fiaschetta che teneva abilmente
occultata sotto l’abito di buona fattura. “La
biblioteca personale di quel vecchio
imbecille…”
****
Note:
Finalmente
ci siamo arrivati. Tutti assieme, e con vaghe e
varie minacce. E no, non pensate che sia finita qui. *risata sadica*
Apparte gli scherzi, ho sudato sette camice per scrivere questo pezzo.
Ditemi
se ha avuto un senso oppure vi ha profondamente deluso.
Qui
il link della canzone all’inizio. Leggete
il testo. È perfetto.
*Dira in fissa con i The Fray*
1
– Piskie: o pixie.
Si trovano in Cornovaglia (Ottery St. Catchpole è nel Devon,
Cornovaglia)
Sono
folletti dal colore verde, che si divertono a far
dispetti agli umani, come far perdere loro la strada o rubare il
raccolto. Però
se blanditi sono dei gran lavoratori. A volte si trasformano in ricci (urchin).
2 - Everte
Statim: incantesimo usato da
Draco Malfoy nel secondo libro. Sostanzialmente crea un grosso
spostamento
d’aria che scaraventa a terra l’avversario.
3
– Il grimorio
è propriamente un libro di magia. Il proprietario, una
strega o mago, vi
appunta le formule, riti magici, oltre che istruzioni su come preparare
pozioni.
In senso traslato è considerato anche il suo diario
personale.
|
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Capitolo 28 *** Capitolo XXIII ***
Un
salve
grato e tutti quelli che hanno commentato e mi hanno fatto gli auguri
(grazie!)
Siete adorabili, e anche Al vi ringrazia *piazza Al che ringrazia*
@MyriamMalfoy: Grazie mille! ^^
Sì,
Zabini, non volendo è riuscito. Le conseguenze
inintenzionali! XD
La professoressa sotto polisucco? Chissà. Forse. Ma anche
no. Boh. XD
@MissyMary: Ahahaah,
grazie davvero per il
trasporto emotivo! XD Zabini… beh, vedremo prossimamente
cosa prova per
Pulcino. Chissà, chissà. *Dira
bastarda*essì, hanno battuto Re Minchione e
Teddybear, il che è tutto dire visto quanto è
lanciato il Re. XD se ti ho
addirittura risvegliato la vena romantica me ne felicito. :P So che
spesso è
impossibile, ma ehi, sanno essere convincenti quando ci si mettono,
‘sti due
bei fanciullini! James è molto spiritato, quindi
sì, direi che l’opzione
manicomio sarà presto reale, se non si sbriga! Ahaah, mi fa
troppo piacere che
apprezzi i casini causati dagli ormoni. Io mi diverto troppo! :P Grazie
per la
recensione e non preoccuparti le adoro quando sono così
lunghe! ;)
@Trixina: Piaciuti i
Fray? Io li adoro,
sono un gruppo PERFETTO per accompagnare certi capitoli. E fa piacere
averti
fatto scoprire questa canzone. Adoro quando qualcuno si appassiona ad
un gruppo
grazie a me *Dira si pavoneggia* Mike, beh, povero lui, ma ho grandi
progetti
per il bel Zabini. Bisogna vedere se Tommy sarà
d’accordo. *Dira sadica* Grazie
mille per i complimenti, e credo che ‘sto capitolo mi
farà definitivamente
assurgere a stronza ciclopica. Dimmi
tu, poi. ;)
@Lilin:
Ciao! Grazie mille
per gli auguri! ^^ Sì, beh, i silenzi di Tom sono sempre
pericolosi, anche
perché precedono sempre qualche casino. ;) Grazie per i
complimenti al Pulcino,
è Serpeverde ma è anche un Potter, quindi non
totalmente stronzo. Felice di
ispirarti ;) Ci sentiamo!
@Shiratori-chan: Mi unisco
anche io al comitato!
Grazie mille per i complimenti, mi fa piacere aver saputo gestire la
tensione
tra ‘sti due in modo credibile. ^^ Abbi fede, e poi
sì, Ron Weasley qui è
presente. :P
@MartyMcGonnagal:
Ciao! Quanto tempo! XD
Fa piacere rivederti in questi lidi! Grazie per i complimenti, fa
piacere come
una non-fan dello slash apprezza questa storia. Cerco di farla NON
SOLTANTO
slash anche per renderla il più simile alla
realtà tra adolescenti, che non
sono solo un branco di bei fanciulli che se la fanno tra di loro. XD
Grazie per
gli auguri!
@Ron1111: Ciao! Grazie
mille per i
complimenti e insomma, mi ha fatto davvero piacere che tu abbia notato
la
crescita psicologica di Albus, cosa che poi è quasi
importante quanto la
paranoia discendente di Tom. Appena ho un momento libero commento la
tua fic.
Abbiamo creato due bei Tom, io e te! XD
@Nyappy:
Ciao! Grazie per
gli
auguri e i complimenti! ^//^ Mi fai arrossire così. Fa
piacere avvicinare i
novizi al genere *_* (che poi è HP o lo slash? XD)
@Hel_Selbstmord: Heeeel! Ma
lo sai che ormai ci
manca solo da scambiarci il contatto msn? XD Io, che
Università faccio? Scienze
politiche e relazioni internazionali. Ebbene sì, sono una
probabile futura
funzionaria della Farnesina. XD (almeno oh, io ci spero). Era la mia
prima
scelta, la seconda invece era Lettere Moderne. ;) Fine OT, dai. Per il
resto,
cavolo, mi fa super-piacere vedere come hai apprezzato questo capitolo,
che ho
rimaneggiato milioni di volte, preoccupata che non fosse
all’altezza delle
vostre aspettative. Se non le ho deluse, ne sono felicissima! Mike
è stato
assunto a Santo protettore di questa fic. Come
ha
detto un’altra commentatrice. S. Zabini,
protettore delle bende e delle lenzuola di seta. XD Questo
capitolo avrà dello slash. ;) Potrei mai deludervi?
@altovoltaggio: La
fiaschetta ha confuso tutti
*Dira sghignazza* Bene, bene. Come si dice, niente è
ciò che sembra! Mi fa
piacere che tu abbia apprezzato la parte di confronto rispetto al
bacio, perché
in effetti era più importante quella. ;) Il bacio era solo
un corollario
maldestro! Tom farà del suo meglio, e Rose/Sy…
eh, ‘sti due. *sospiro
esasperato*
@Ombra: Ciao Ombra! Bentornata! XD
Mike è stato ormai santificato, ma non so quanto questo a
quel viziosetto
faccia piacere! :P Mi sa che si ribellerà… Dira?
Veramente l’ho preso da Oceano
Mare di Baricco, era la bambina-albergatrice del racconto,
però può darsi che
l’autore abbia ripreso proprio dalle Dire. Chissà.
A
me piaceva, quindi l’ho adottato! XD Grazie
mille per I complimenti e in bocca a lupo per lo
studio!
****
Capitolo
XXIII
I
never thought that I was so blind/ I can finally
see the truth/ It’s me for you
But can
you hear me say?/ Don’t throw me away
And
there’s no way out/ I gotta hold you somehow
(I Wanna,
The All American Rejects)
2 Ottobre
2022
Dormitori
Serpeverde. Domenica mattina.
Quella
mattina Albus si svegliò. Come al solito svegliarsi per lui
era un termine del
tutto relativo, visto che galleggiava nell’incoscienza prima
di rendersi conto
che, purtroppo, era mattina e già doveva esistere.
Appena ebbe preso coscienza di sé, cercò con lo
sguardo il letto di Tom.
Era
vuoto.
La
delusione lo investì come un tifone, mentre sentiva rabbia
e…
“Cosa
stai guardando?”
Al sobbalzò, voltandosi di scatto verso la voce. Di Tom.
Che
seduto sul ciglio del suo letto, lo guardava con un sorrisetto
divertito.
Che
gran…
“Sei
un
gran bastardo!” Gli uscì di getto, prima di
prendere un’aria imbarazzata.
“Cioè…”
“Non scusarti, è vero.”
Lanciò un’occhiata verso il suo, di letto,
già rifatto.
“È ancora presto…”
Osservò in tono leggero. Effettivamente, notò Al,
era ancora
in pigiama, ovvero un paio di pantaloni di una tuta e una maglietta di
un
gruppo musicale babbano. Joy
Division¹,
lesse.
Ascolta certa
roba…
“Loki
e…”
Tom rispose piuttosto prontamente, per la sua solita indolenza
mattutina. “Loki
non ha dormito qui. E Michel…” Stavolta
esitò. “Non lo so… quando mi sono
svegliato già non c’era.”
Al si tirò a sedere, con un sospiro. “Non
è per ieri, sai. Il giorno della
partita si sveglia sempre prestissimo. Va’ al campo,
controlla le condizioni
atmosferiche e roba del genere.”
Tom
annuì. Era strano vederlo con quel lieve sorrisetto
all’angolo della labbra.
Era da un
mese che non sorrideva,
quasi…
Si
trovò
ad arrossire, quando capì che Tom stava continuando
a fissarlo.
“Sai,
devi scusarti con lui…” Borbottò,
incerto. Tom fece una smorfia.
“Lo
so.” Rispose.
“Per alcune cose non mi sento minimamente in colpa. Ma per
altre, sì.”
“Quali cose?”
Tom scrollò le spalle. “Alcune.”
“Ma
perché avete litigato, poi?”
Assunse un’aria infastidita. In realtà Al sapeva
benissimo che era la sua
versione di sentirsi tremendamente imbarazzato. “Non avevi
detto che non me
l’avresti chiesto?”
“Beh. Ieri.” Obbiettò stiracchiandosi.
“Non ho dato assicurazioni per oggi.”
Tom per un attimo parve quasi divertito dal ragionamento, poi si
ricordò che lo
stava infinocchiando e sbuffò. “Non vorresti
parlare d’altro?” Gli suggerì.
Non che ci
voglia un genio per
capire il sottotesto. Ieri sera per poco non ci siamo fatti beccare da
Hagrid.
E non ho mai odiato tanto il fatto che la Sala Comune
fosse
piena, dopocena…
Abbiamo dei discorsi in sospeso…
Al
arrossì, ma scosse la testa. “Oggi io ci devo fare
una partita, con Mike. Lo
chiedo a lui?”
“Non vuoi che Serpeverde perda.”
“Veramente credo che se la prenderebbe con te.
Sarai sugli spalti, vero?”
Tom inspirò. Per un folle momento Al fu quasi certo di
vederlo arrossire.
“Io…
credevo… che lui…” Si
schiarì la voce.
Merlino, sta davvero arrossendo!
“Stai davvero
arrossendo?” Chiese
impietoso.
Tom
gli
lanciò un’occhiata linciante. “No. Mi
aveva dato ad intendere che volesse
provarci con te.”
Al batté le palpebre stupito. Poi represse una risata. Non
troppo bene.
“Non è divertente.”
Sibilò Tom di
rimando. “Non hai idea di quanto mi abbia fatto
infuriare.”
“Tecnicamente, si chiama gelosia.”
Ridacchiò. Era una mattinata perfetta.
È
qui ed è per giunta geloso di
Mike… E lo sta ammettendo. Apertamente.
“Tecnicamente,
Zabini è un idiota.” Rimbeccò. Gli
rubò un cuscino da sotto la schiena e si
dilettò a stritolarlo tra le mani.
“Due
che
si lanciano incantesimi in uno spogliatoio non sono esattamente
persone che definirei intelligenti…” Lo prese in
giro.
Tom fece un’altra smorfia, rimanendo in silenzio.
“Ehi.
Mike
non mi piace. È un buon amico, ma … tutto
lì. Anche perché…” Fece spallucce,
imbarazzato. “Non so neppure
io bene cosa mi piaccia. A parte te.”
Tom
annuì, pensieroso.
“Quest’estate… ho baciato una
ragazza.”
“Non è il genere di confidenza di cui vorrei
essere messo a parte, sai?”
Tom lo guardò allarmato, prima di capire che lo stava di nuovo prendendo in giro.
Al non
è un serpeverde? Branco di
imbecilli. Quello straccio ci prende ancora dannatamente bene. E con
una
lungimiranza spaventosa, peraltro.
“È
stato
come leccare un posacenere.” Affermò sincero,
facendolo scoppiare a ridere. Albus
aveva una delle risate più belle che avesse mai sentito. Un
sacco di gente
rideva in modo ridicolo, o imbarazzante. Al era come uno scoppio di
gioia.
“Beh,
dev’essere
stato piuttosto disgustoso…” Osservò,
lanciandogli un’occhiata valutativa.
“Lo
è
stato.” Assentì. “Volevo provare, ma non
mi è piaciuto. Con te sì.”
Al arrossì. “Beh, per me… insomma.
Prima volta e tutto il resto. Però… è
stato.
Wow.” Terminò
sentendosi un
imbecille. Tom sorrise, e togliendo un paio di cuscini di mezzo, gli si
sedette
accanto. Parve riflettere per lunghe manciate di secondi, prima di
chinarsi a
baciarlo.
Al
non ci
pensò due volte prima di rispondere. Anatomicamente sapeva
benissimo che le
labbra di un ragazzo non differivano in nulla da quelle di una ragazza.
Tutto
uguale.
Però
bacia così bene… E sa di
dentifricio.
Tom
poi
si scostò leggermente. “Tu cosa pensi che siamo,
adesso?” Chiese.
Il fatto che non gli avesse imposto un suo parere, lasciò Al
interdetto.
Stava
chiedendo un parere? Succedeva, ma era molto
raro.
“Non
lo
so.” Decise di essere sincero. “Ma non credo che i
migliori amici facciano
queste cose.”
E non credo che dovrei aver voglia di
infilarti le mani sotto la maglietta.
“Già.”
Confermò. Attese.
Da quando sei
così pigro a
ragionare, Tom?
Al
sospirò,
abbozzando un sorriso. “Siamo noi. No? Voglio dire, io ti ho
sempre trovato
fantastico. Non trovo nessuno fantastico come te. E ti trovo anche
piuttosto
bello.”
… per favore riprendi a ragionare
prima
che cominci a sparare cretinate peggiori.
Tom
fece
un sogghignetto. “Piuttosto
bello,
eh?”
“Senti, lo sai di esserlo. Quindi falla finita.”
Borbottò. “Sei praticamente il
sogno erotico di tutta la popolazione femminile dei sotterranei. E
suppongo, a
conti fatti, anche di qualche ragazzo.”
Tom
inarcò le sopracciglia. “Sogno
erotico…” Ripeté.
Questo
prima di afferrarlo e schiacciarlo trai cuscini, e baciarlo. Di nuovo.
Molto a
lungo stavolta. Quando si staccarono erano entrambi senza fiato e Tom
non
sembrava avere più voglia di prenderlo in giro.
“Non
è
come leccare un posacenere…” Sussurrò.
“No,
per
niente...” Gli assicurò, beandosi del peso di Tom
su di sé. Gli piaceva,
sentire quel contatto. Gli era sempre piaciuto il contatto umano, ma
quello con
Tom era speciale.
“Allora…
cosa siamo?” Ritorse la domanda. Tom lo guardò.
Visto
quello che gli stava succedendo non avrebbe neanche dovuto avvicinarsi
ad Albus.
Neanche da lontano. E si era ripromesso di non farlo. Ma poi, la sera
prima…
Era
successo, semplicemente. Come se un elastico, teso fino allo spasimo,
li avesse
fatti ritornare indietro e cozzare l’uno con
l’altro.
Non
aveva
più avuto cuore di allontanarsi. Al gli mancava. Voleva Al.
E il
ragazzo biondo non si era più fatto sentire. Il medaglione
era un pezzo di
metallo freddo.
Allora
aveva pensato che forse, dopotutto, magari
quel ragazzo aveva deciso che non voleva più
collaborare con lui. Aveva
pensato che quella storia agghiacciante di Voldemort fosse uno scherzo
crudele
di quel bastardo.
Dopotutto
Voldemort è stato
sconfitto otto anni prima che io nascessi. Non uno. Otto.
Forse
adesso doveva solo concentrarsi ad essere un ragazzo normale. Più o meno.
E lo
pensava ancora, mentre Albus lo guardava con quei suoi assurdi occhi
verdi. Era
quasi ridicolo come riuscissero sempre a brillare.
Anche nella penombra umida di un sotterraneo.
“Al…”
Mormorò. “Stiamo assieme.”
Disse, con
quel sottile tono di comando che gli aveva sempre dato un sacco di
problemi
nelle relazioni umane.
Non
con
Al. Che gli aveva sorriso radioso.
Si
baciarono. Non poteva credere che la bocca di un’altra
persona sulla sua
potesse dargli una sensazione così completa. Gli
sfiorò con le dita il bordo
della maglietta, e la pelle tiepida dei fianchi. Era morbido anche
lì. Lo sentì
respirare appena contro la sua guancia, quando si staccò dal
bacio. Lo sentì
trattenere il respiro mentre gli passava i polpastrelli sulla linea
delle
costole. Lo sentì ridere quando gli sfiorò lo
stomaco.
“Soffro
il solletico, lo sai…” Mugugnò. Tom
sentì un brivido piacevole all’inguine, e
si impose di darsi una calmata. Non era semplicemente il caso. Forse.
“Smetto?”
Indagò. Vide Al mordersi un labbro, e poi scuotere la testa.
Non
poté
impedirsi di sogghignare. Ovviamente gli piaceva. Doveva
piacergli, perché sarebbe piaciuto anche a lui.
E
c’era
una cosa che voleva fare da settimane…
Gli
sollevò la maglietta, con cautela. Non aveva la
più pallida idea di come
avrebbe reagito realmente Al. Nelle sue fantasie si limitava ad essere
un
cucciolo gemente, e sì, sapeva di non rendergli giustizia.
Ma sono
fantasie, appunto…
Al
era
platealmente imbarazzato però se ne stava zitto, e quindi
era un silenzio
assenso.
Lo
è.
Gli
fece
un sorrisetto prima di chinarsi e soffiargli delicatamente sullo
stomaco. Al
ridacchiò, divincolandosi leggermente.
“Niente
solletico, accidenti a te!” Sussurrò,
rilassandosi. Sgranò gli occhioni, Merlino
in quel momento aveva occhi grandi come un piattino, quando
passò la lingua
sulla stessa porzione di pelle.
“Tom…”
E
quello era un gemito, non
c’era alcun
dubbio. Lo sentì irrigidirsi, ma non cercò di
scappare. Non voleva scappare,
Thomas lo capì al volo. Tracciò con le dita il
bordo dell’ombelico, come aveva
fatto settimane prima, secoli prima, con un Al dormiente.
In molti
sensi…
Al
sbuffò,
non troppo convincente. “Sei un
pervertito…”
Tom
ghignò con piena cognizione di causa. “Senti chi
parla. Non dirmi che non ti
piace…”
“Io
non
ti ho leccato la pancia!” Ritorse.
“Non
hai
risposto alla mia domanda.” Per un attimo esitò.
“Non ti piace?”
Al si morse l’interno della guancia. Non piacergli? Si era
letteralmente
inghiottito una supplica. A continuare.
Lo
afferrò per i lembi di quella stupida maglietta, su cui tra
l’altro c’era
scritto ‘l’amore ci
farà a pezzi’ –
era così da Tom–
e lo tirò contro di
sé.
****
“È
tutto
pronto?”
“Sì, arriveranno proprio nel mezzo della partita.
Ho già pensato ad incantare
gli accessi principali al campo di Quidditch.”
“Eccellente. Il ragazzo?”
“Per il momento lo lascio tranquillo. Bisogna occuparsi di
una cosa per volta,
non è vero?”
“Smettila di scherzare, e renditi operativo.”
Il ragazzo aveva chiuso la comunicazione. Era terribile dover
comunicare
tramite cellulare in quel posto. Hogwarts distava almeno due miglia in
linea
d’aria, e la ricezione riusciva comunque ad essere orrenda.
Schiacciò
la sigaretta con il tacco dello stivale, prima di bersi un breve sorso
di
Ogden, dalla fiaschetta che portava sempre con sé.
Il whiskey
magico è qualcosa di
favoloso…
I
Naga si
stavano preparando nella radura accanto, e poteva sentire da
lì i loro
disgustosi sibili.
È
un miracolo che riescano a
parlare qualcosa di diverso dal serpentese…
Sbuffò,
guardando il cielo. La giornata si prospettava di una chiarezza
abbacinante.
Sogghignò.
Oh,
sì.
Sarebbe stata davvero divertente.
****
Ufficio del
professor Lupin.
Mattina.
L’acuto
fischio del bollitore strappò Ted Lupin dalla consultazione
di una pasticciata
pergamena di trenta centimetri sulla classificazione delle fate del
Galles.
Erano
da
poco le otto del mattino, e Ted non aveva chiuso occhio. Da due giorni.
Sospirò,
mentre si alzava e andava a versarsi una generosa dose di the agli
agrumi –
miscela mattutina – nella sua tazza preferita che mostrava
tre manine di
diversi colori e sotto con un traballante alfabeto: Albus, Lily
e…
Guardò
in
ponderato silenzio il Jemes che
gli
strappava sempre un sorriso.
Non
quella volta però, considerando che chi aveva commesso un
tenero ed infantile
errore di grammatica era attualmente un adolescente che…
Che ti ha
baciato... Ah, giusto. Non solo. Ti si è anche
dichiarato.
Aveva
trangugiato un sorso bollente di the, scottandosi.
Era
ufficiale: dall’alto dei suoi ventiquattro anni di vita non
sapeva come
comportarsi.
Si
fosse
trattato di un suo studente, uno qualunque, avrebbe saputo
immediatamente cosa
fare. Sorridere e dissuaderlo. Con
tono gentile e distaccato. Fine.
Ma
era
Jamie.
Si
buttò
sulla sedia della scrivania, trascinandosi dietro un paio di pergamene.
Non si
premurò di raccoglierle.
Era
certo
di non aver fatto nulla per alimentare la cotta.
Merlino, non
sapevo neanche gli
piacessero i ragazzi!
La
realtà
è che non sapeva granché di James. Non del James
attuale. Quei sei anni in
Francia erano bastati per fargli perdere ogni pretesa di conoscere i
meccanismi
che regolavano quella testa arruffata.
È
ridicolo. Non posso essere
terrorizzato dai sentimenti di un diciassettenne.
Per
farla
breve, non sapeva cosa fare. Come arginarlo. Perché doveva fare qualcosa.
Un
ticchettio
lo fece voltare verso la finestra. Vide un gufo becchettare
prepotentemente sul
vetro. Gli si gelò il sangue nelle vene. Era il gufo reale
di James.
Si
alzò e,
aprendo la finestra, il grosso volatile planò maestosamente
nella stanza,
appollaiandosi sulla scrivania. Stringeva una lettera nel becco.
La
prese,
e come in trance la aprì. Ovviamente era da parte di James,
la ceralacca era
colata tutta storta e c’era un grosso sbaffo di inchiostro a
lato.
Vieni alla
partita.
Voglio che tu venga.
E poi, una
domanda. Ma
tu, cosa provi per me?
J.
Teddy
deglutì, sentendosi la gola riarsa come una duna del Sahara.
La
domanda era come uno sparo nel silenzio più completo. In
quei due giorni non
aveva fatto altro che analizzare la cosa dal lato di James. Ovvero:
come
comportarsi di fronte ad un adolescente che ti giura amore.
E
ora,
quella domanda. Che non si era affatto
posto in quelle quarantotto ore.
Era
ovvio, cosa provasse. Affetto. Gli voleva un gran bene. Era parte di
una
famiglia che l’aveva sempre accolto con amore. Anche se non
era questo il
punto.
Si
trattava di identificare un sentimento, e dargli un nome.
Il punto
è… che… facendomi un
esame di coscienza…
Non
ci
riusciva.
Era
sbagliato, profondamente sbagliato. Ma il naufragio del rapporto con
Victoire,
le lettere di suo padre e poi… il fatto che i sentimenti di
James per lui erano comunque
importanti…
Rendevano
difficile dare una risposta precisa alla domanda ‘cosa provi
per me?’
James
non
era un fratello, non era un amico e non era una ragazza. Ma allora,
cos’era?
Era
un
maschio, un ragazzino, era figlio di Harry e per giunta pure un suo
studente.
E poi?
Due
rintocchi secchi contro la porta lo fecero completamente sobbalzare.
Rovesciò
the, il resto delle pergamene e fece volare via il gufo. Quando Harry
e, subito
dietro di lui, Ron entrarono lo trovarono in mezzo a chili di carta,
con the
sparso ovunque sulle scrivania.
…
Che figuraccia. Merlino
benedetto, almeno sono Harry e Ron. Se fosse stato un mio
studente… o un
genitore.
“Disturbiamo?”
Chiese premuroso il padrino: indossava il mantello regolamentare da
auror, e
quindi probabilmente era lì in veste ufficiale.
Naturale.
Partita di Quidditch.
Sorveglianza. Pattuglie auror. Giusto.
Morgana, non
ci sto con la testa…
“No…
Io…”
“Hai i capelli rosa, Teddy.” Ridacchiò
Ron. “Che c’è, ti abbiamo interrotto
mentre leggevi una lettera di Vic?”
“Come… cosa?” Sussurrò
sfiancato. Harry indicò pietosamente la sua mano. Si
rese conto di avere ancora la lettera di James in pugno. Se la
ficcò in tasca.
“Oh, no… è… da
parte… del preside.” Borbottò.
Harry
gli
lanciò un’occhiata inquisitoria, mentre Ron
sghignazzava ignaro.
Oh,
Morgana… fa che non sia
davvero un legimante come speculano su alcune biografie non
autorizzate. Ti
prego.
“Eravamo
venuti per ragguagliarti sulla partita di oggi.”
“La… partita?”
“Oggi
c’è
la prima partita della stagione.” Lo informò
pazientemente Ron. “Grifondoro
contro Serpeverde. Abbiamo dislocato due pattuglie auror attorno al
campo di
gioco, più noi due, che saremo sugli spalti. Sai,
considerando che i naga sono
ancora a piede libero…”
“… In quanto professore di Difesa dovrai essere
presente. Sei diplomato
all’Accademia, una mano in più è sempre
d’aiuto.” Gli spiegò Harry.
“Sì,
va
bene.” Confermò, cercando un po’ di
dignità. “Pensavo già di andarci,
comunque.”
“Ottimo.
Allora ci vediamo… dopo? Non scendi a colazione?”
“L’ho già fatta.” Disse,
lanciando uno sguardo sulla scrivania gocciolante. “La
rifaccio.” Rettificò, mentre Ron reprimeva una
risatina con un grugnito.
“Ci
vediamo alla partita, Teddy. Oggi è una splendida giornata
di sole…” Harry gli
diede una paterna pacca sulla spalla, che lo fece sentire un autentico
schifo,
e se ne andò con Ron, che si chiuse la porta alle spalle,
erompendo finalmente
in una risata.
Tirò
fuori la lettera, posandola sulla porzione di scrivania ancora
asciutta, mentre
si dava un’occhiata allo specchio appeso accanto agli
schedari.
Aveva
i
capelli rosa. Completamente rosa.
A
quel
punto si sentì legittimato ad emettere un lamento
sconfortato.
****
Campo di
Quidditch.
La
carica
di prefetto non era tutta rose e fiori. Anzi, spesso era una gigantesca
scocciatura.
Rose lo pensava con fervore, davanti al cancello del campo da
Quidditch, in
uniforme e con spilla bene in vista, momentanea hostess per gli ospiti
che
avrebbero assistito alla partita.
Con
lei
c’erano altri tre prefetti, uno per Casa. Non li conosceva,
quindi si stava
annoiando ad aspettare che qualche genitore facoltoso le chiedesse il
posto
assegnatogli.
Era
dalla
mattina, cioè da quando il professor Paciock
l’aveva istruita sui suoi compiti,
che pregava di non dover accompagnare nessuno di scomodo.
Che
di
persone scomode, per Rose Weasley, ce n’erano eccome.
Sospirò,
lanciando un’occhiata verso gli spalti, dove cominciavano ad
accomodarsi
studenti di tutte le case, con sciarpe colorate e striscioni.
Non
capirò mai il Quidditch…
Era
preoccupata. Non aveva sensazioni piacevoli per quella giornata.
Era
preoccupata per Hugo, in ansia da prestazione, per James, che da due
giorni si
aggirava per la torre di Grifondoro con sguardo spiritato, per Al, che
non
vedeva addirittura dalla mattina
prima… e poi era preoccupata per il suo ragazzo.
Si
sentì dare
una pacchetta sulla spalla e si trovò davanti Lily. Aveva le
guance rosse per
il freddo e la sciarpa rosso-oro drappeggiata per farla sembrare
l’innocenza in
persona. Sembrare, appunto.
“Ciao
cuginetta! Ti hanno messo ai lavori forzati,
vedo…” Cinguettò, affiancandolesi.
“Potrai vedere la partita?”
“Sì, anche se non è che la cosa mi
entusiasmi. Ma tu perché sei qui? Il
Quidditch non ti piace.”
“Ma i giocatori sì.” Scrollò
le spalle. “Malfoy in uniforme è intollerabilmente
sexy. E devo ammettere che anche Zabini ha un suo
perché.”
Rose
cercò di dissimulare il vago travaso di bile che
l’aveva colta, con un sorriso.
Già,
devo ricordarmelo.
L’idiota ha un fan-club.
“Proprio
non capisco cosa ci troviate in Malfoy. È
così… slavato.” Commentò.
Lily le
sorrise indulgente, facendole capire che no, non c’era
cascata.
“Sai,
quando è a cavallo di una scopa prende un’aria
così eroica…”
“Lily, perché
sei qui?”
“Per i giocatori, te l’ho detto!”
Sogghignò, e per un momento parve
un’imitazione perfetta del gatto del Chesire. “Tu
resti per vedere giocare
Scorpius? Cosa c’è tra di voi?” Chiese
con una brutalità da convenzione dei
diritto umani.
Rose
boccheggiò. “Assolutamente niente! Malfoy
è un cretino, un totale montato!”
“Rosie…”
“Sto dicendo sul serio!” Blaterò
agitata. “Neanche se fosse l’ultimo uomo del
pianeta lo prenderei in considerazione come essere senziente!”
“Rose…” Ripeté Lily, con
un’espressione tra lo sconforto e
l’ilarità. Stava
guardando oltre le sue spalle.
Oddio…
Rose
si
voltò a rallentatore, con un orribile presentimento nel
cuore.
Che
si
avverò quando si vide davanti, decisamente sdegnato, Draco
Malfoy.
Ho insultato
suo figlio davanti a
lui!
Aveva
avuto occasione di vedere Draco Malfoy poche volte in vita sua. Forse
era per i
capelli platino che gli davano un’espressione crudele, o era
il fatto che
avesse sempre quella smorfia di mirabolante disgusto stampata in
faccia, ma
l’aveva sempre messa un tantino a disagio. Soprattutto in
quel momento.
“Err…”
Emise, mentre alle sua spalle Lily, ne era certa, stava trattenendo le
risate.
“È
confortante sapere che gli Weasley hanno tramandato di padre in figlia
la loro
naturale predisposizione a fare figuracce…”
Commentò leggero.
Rose
arrossì
miseramente. “Signor Malfoy… sono mortificata. Non
intendevo…”
“Strano, avrei detto il contrario.” La
squadrò da capo a piedi, e Rose sentì
che la stava soppesando. E che la trovava insufficiente.
“La
accompagno al suo posto …” Bofonchiò,
lanciando uno sguardo a Lily che le sorrise
con aria vagamente materna.
Fantastico.
Faccio pena alla mia
cuginetta quattordicenne e il padre del mio ragazzo mi considera
più o meno uno
schiopodo. Può andare peggio di così?
“Rosie!
Ehi, eccoti qui!”
Dal
crinale stavano scendendo nientemeno che suo zio Harry e…
suo padre.
…
Come non detto.
Accanto
a
sé Malfoy Senior prese un’aria ancora
più irritata, come se gli fosse stato
scaricato a fianco un sacco di letame e non sapesse come liberarsene.
Appena
suo padre registrò la presenza dell’uomo assunse
la stessa espressione.
Meraviglioso…
Lanciò
uno sguardo disperato allo zio. Non si stupì di vederlo
visibilmente
imbarazzato.
“Malfoy…”
Sputò Ron. “Non posso dire che sia un piacere
rivederti.”
L’uomo storse la faccia, che a dire il vero aveva molti
più spigoli di quella
di Scorpius, in un sogghignetto di sufficienza. “Io invece
sono sorpreso.” Fece
una pausa significativa, in cui le orecchie di suo padre divennero
pericolosamente rosse. “È addirittura venuto il grande capo in
persona…”
“Finiscila Malfoy!” Sbottò Ron.
“Siamo qui anche per assicurare
l’incolumità di
tuo figlio!”
“Ne sono sollevato. Mi chiedevo quanto ci avreste
messo.”
“Draco…” Harry lo chiamò per
nome, e questo ebbe l’effetto di smontare un po’
l’uomo. Almeno fu questa l’impressione che ebbe
Rose. “So che sei preoccupato
per Scorpius, ma ti posso assicurare che stiamo facendo tutto il
possibile per
proteggere gli studenti.”
“Lo
spero.” Replicò aspro. “Degli
uomini-serpente si aggirano per i terreni di
Hogwarts da un mese, e voi ancora non siete venuti a capo di nulla. Non
sono
l’unico genitore preoccupato, Potter. Chiediti il
perché di quest’affluenza alla
partita…”
Harry si tolse gli occhiali, massaggiandosi la sella del naso. Con
un’occhiata
tacitò Ron, pronto a replicare. “Anche io sono qui
in veste di genitore
preoccupato, Draco. Ho tre figli che studiano qui
e…”
“Risparmiami l’empatia, Potter. Tu sei il capo
dell’ufficio auror, e mi
aspetto, come si aspettano tutti i genitori, che tu prenda quei
lucertoloni.
Fine della storia.”
Harry
non
si scompose. Sembrava che gli attacchi di Malfoy non avessero il potere
di
scalfirlo. Per un momento, Rose si trovò ad invidiare Lily.
Se non altro
non deve preoccuparsi
che suo padre affatturi il padre del suo ragazzo…
Si
sentì
incredibilmente meschina non appena lo ebbe pensato. Adorava suo padre.
Ma adoro
anche Scorpius…
“È
quello
che ho intenzione di fare, Draco.” Disse poi suo zio. E Rose
capì perché la gente
si fidava di lui; aveva qualcosa, nello sguardo, che ti faceva credere
che
tutto quello che diceva aveva un peso, un senso.
Draco
fece una smorfia. “Lo spero, Potter. Lo spero per la tua
carriera.”
Stavolta
Harry neanche ci provò a frenare Ron. “Malfoy, se
questa è una minaccia…”
“Signor
Malfoy, la accompagno al suo posto!” Si inserì
Lily, con un sorriso disarmante.
“La partita sta per cominciare, signore!”
Draco le lanciò un’occhiata e parve etichettarla
come ‘progenia Potter’. La
onorò quindi di una smorfia, ma annuì. Si
accomiatò con un leggero cenno della
testa, più per abitudine che per reale intenzione di
salutare. Soprattutto suo
padre, probabilmente.
Ron,
quando si fu allontanato, sbuffò. “Quel pallone
gonfiato… non perde occasione
per sputarci addosso. Lo faceva a scuola, e lo fa
adesso…”
“Cerca di portare pazienza …” Sorrise
Harry, ma sembrava piuttosto irritato. “È
un genitore ed è preoccupato per suo figlio. Certo, poi
c’è il fatto che è un
Malfoy, quindi è geneticamente insopportabile e pieno di
sé…”
Ron stirò un sorrisetto.
“Già.” Rivolse poi un sorriso affettuoso
alla figlia.
“Non è che t’ha detto qualcosa, eh
Rosie?”
“Oh, no. Per niente.” Replicò
prontamente. “È stato cortese invece.”
Nel trattarmi
come un idiota…
Ma
non
era il caso di gettare altra benzina sul fuoco.
“Malfoy…
non esiste nessuno che mi stia sull’anima come
lui.” Borbottò l’uomo,
riprendendo poi a sorridere. “Guardati… la mia
piccola Rosie. Assomigli tutta a
tua madre, tu…”
“Eh…” Sorrise appena. “Vi
accompagno ai vostri posti?” Suggerì.
Sui libri non
dicono mai che non è
affatto divertente essere Giulietta…
****
Ted
si
affrettò quando vide che la folla di studenti e genitori
stava acclamando
concitata per la prossima uscita delle due squadre. Si
arrampicò sugli spalti,
scusandosi per aver pestato una moltitudine di piedi e finalmente si
accomodò
accanto a Neville, che esibiva una logora sciarpa rosso-oro, con tanto
di
coccarda. Non vide la professoressa Prynn, e se ne stupì
brevemente.
Avrei detto
che una come lei sarebbe
stata entusiasta di seguire un evento del genere…
“Oh,
Teddy!
Sei arrivato appena in tempo, stanno per iniziare!”
Ted
sorrise nervosamente, scrutando verso la tribuna d’onore, in
una delle torri
più altre, dove riconobbe sia il padrino che Ron.
Non
era
riuscito a declinare. Un po’ perché sarebbe
sembrato sospetto: praticamente
giocava metà del clan Potter-Weasley. Un po’
perché…
Non sarebbe riuscito a non presenziare alla prima partita di James.
Una
parte
di sé sapeva che boicottare la cosa sarebbe stato un
messaggio giusto da dare a James.
Non doveva
sembrare che lo assecondasse.
Ma
c’è di più in ballo… Non
posso
non vederlo giocare. Semplicemente non posso.
“Tutto
bene Teddy?” Chiese premuroso Neville. Il buon professor
Paciock. Aveva sempre
avuto un buon rapporto con lui. Era una persona gentile, affidabile.
Molte
volte durante i suoi anni ad Hogwarts aveva fatto le veci del padrino,
consigliandolo e spronandolo a non scoraggiarsi per le piccole
difficoltà
scolastiche in cui si imbatteva ogni adolescente.
Per
un
momento fu tentato di dirgli la verità. Che no, non andava
affatto bene.
Di
fronte
al viso quieto e intelligente del suo vecchio professore
però rinunciò.
Che dovrei
dirgli? Non so come
gestire James? Devo saperlo fare. Devo, ma non ci riesco. Non posso
semplicemente prendere le distanze. Gli farei male, e non voglio.
“Ted?”
Lo
richiamò. “Sai che se c’è
qualcosa che non va, se hai qualche dubbio, puoi
parlarmene…”
Sorrise. “Sì, Neville… lo so. Grazie,
ma va tutto bene.”
Neville
lo guardò assorto. Chiaro come il sole che non gli credesse.
Fortunatamente un il
boato della folla li distrasse. Le due squadre entrarono sfrecciando
nell’arena, in sella alle loro scope. Un lampo rosso, subito
seguito da uno
verde gli balenò di fronte allo sguardo. Si alzò,
applaudendo insieme agli
altri.
I
giocatori si posizionarono, mentre la Bumb
saliva in sella alla sua scopa.
Sorrise
quando vide il piccolo Hugo. Era terrorizzato, ma tentò una
risata quando James
si chinò per dirgli qualcosa all’orecchio.
James…
Era
la
prima volta che lo vedeva in divisa da Quidditch, ed era chiaro fosse
orgoglioso di indossarla. Non aveva mai visto nessuno indossare la
casacca dei
Grifondoro in modo così…
Tronfio, in
effetti.
Sorrise
affettuosamente. E lo fece proprio nel momento in cui il ragazzo si
voltò nella
sua direzione: certo, poteva essersi semplicemente voltato verso gli
spalti, ma
Ted ebbe l’impressione che stesse guardando lui. Specie
quando gli soffiò un
bacio.
Distolse
velocemente lo sguardo.
“Abbiamo
la vittoria in pugno anche quest’anno.”
Commentò intanto Neville, ignaro.
“Malfoy è un ottimo capitano. Certo anche
Serpeverde è molto forte… Albus è un
cercatore straordinario. In effetti, spero che Hugo si tranquillizzi un
po’…”
“Ah… sì.” Cercò di
replicare in modo convincente. “James in che ruolo
gioca?”
“Cacciatore. Pensavo lo sapessi!”
Il fischio della Bumb fu quasi salvifico. La partita iniziò
e fu subito ressa.
Era rinomato che i Serpeverde non giocassero esattamente pulito. I due
battitori, dal fenotipo elefantiaco, impugnarono subito le mazze e
quasi
disarcionarono James. Ebbero però vita breve. I due gemelli
Scamandro presero prontamente
controllo dei bolidi, spedendo uno dei due a terra.
Si
sentì
un boato di gioia e Ted fu certo di vedere Harry esultare con le
braccia
alzate.
Rise,
imponendosi di godersi la partita.
Albus
dall’alto lanciò un’occhiata verso il
gioco, che infuriava parecchi metri più
sotto.
“E Sean Coote passa la pluffa a Mortisia
Robbins ed DIECI PUNTI per Grifondoro, gente!”
Commentava esaltato lo
speaker, Robert Jordan. Era un amico di suo fratello e rosso-oro
nell’anima.
Del tutto ovvio per chi parteggiasse.
E
purtroppo aveva ragione: Grifondoro stava vincendo per settanta a
trenta.
Per
quanto detestasse profondamente la boria con cui James e compari
sellavano le
scope, doveva ammettere che la squadra capitanata da Malfoy era una
cannonata.
Strinse
le labbra quando vide il fratello afferrare la pluffa al volo, per
tirarla
contro i loro anelli, centrando il più grande.
Lanciò
uno sguardo verso Hugo, che sorvolava il perimetro di gioco
febbrilmente.
Ancora venti
punti e comincerò a
cercare il boccino…
Non
poté
impedirsi un sogghignetto quando vide Zabini afferrare la mazza di uno
dei
battitori per spedire un bolide contro James, costringendolo ad una
virata
brusca che quasi lo disarcionò.
“E ora Daniels cerca di segnare, schiva un
bolide lanciato dai valorosi Scamandro e… Capitan Malfoy
para! Ci avete
provato, ragazzi!”
Al
sospirò deluso.
Improvvisamente
Hugo accelerò verso il lato opposto dello stadio. Vicino
agli anelli della sua
squadra intravide un balenio d’oro.
Maledizione!
Spinse al
massimo
la sua Firebolt e quando affiancò il cugino si
premurò di chiedergli
silenziosamente scusa prima di tirargli una violenta spallata. Hugo
perse quasi
l’equilibrio, e con esso anche il boccino.
“Ehi!”
Sbraitò furioso.
“Nessun
rancore, Hugo. È una questione di Quidditch!”
Sorrise prima virare per
controllare la situazione. Il boccino era sparito.
Perfetto.
Lanciò
uno sguardo di intesa con Michel: sapeva di dovergli delle scuse, anche
se non
era esattamente certo del motivo per cui doveva farlo.
Di certo
gliele deve Tom…
A
quel
punto non poté fare a meno di lanciare uno sguardo verso gli
spalti di
serpeverde. E non poté impedirsi di perdere attenzione per
il gioco quando vide
il cappotto dal taglio classico di Tom e la sua espressione annoiata.
Non aveva
neanche la sciarpa.
Ridacchiò
tra sé e sé prima di vedere, di
nuovo,
Hugo dirigersi come un pazzo verso l’alto.
L’ha
visto di nuovo!
Forse
non
doveva sottovalutare il cugino.
Considerando
ciò che lo speaker aveva appena annunciato, cioè
che Grifondoro era in
vantaggio, era il caso di mettere fine alla partita prima che il
divario fosse
incolmabile anche con la presa del boccino.
Hugo quando
sale di quota tende a
spaventarsi e cercare di rallentare…
Infatti
lo raggiunse, e vide come lui un barbaglio d’oro a poche
decine di metri da
loro.
Ma
vide
anche un’altra cosa.
Una
puntino verde, nell’insolito cielo terso. Un puntino verde
che si stava avvicinando,
diventando una sfera, sempre più grande e sempre
più in collisione con…
…
Loro.
“Hugo
spostati!” Urlò.
“Va’
al
diavolo! Non ci casco nei vostri trucchetti!”
Sbraitò il ragazzino, mentre teneva
gli occhi fissi sul boccino, testardo ed esaltato.
“Hugo,
guarda davanti a te! Spostati!”
Hugo
chiuse la mano attorno al boccino. “L’ho preso!
L’ho preso!” Gridò trionfante.
“HUGO!”
Finalmente il cugino alzò
lo sguardo.
“Oh,
miseriaccia…”
Mormorò.
La
collisione sarebbe avvenuta in pochi secondi. Al si impose di spegnere
il
cervello. Tirò un calcio alla scopa del cugino, spedendolo a
lato ma
piazzandosi così sulla traiettoria del globo infuocato. Con
la forza della
disperazione virò bruscamente di lato.
Sentì
la
scopa vibrare con violenza e improvvisamente tutto il mondo fu a testa
in giù.
“Oh,
Dio…” Sussurrò Neville, alzando lo
sguardo al cielo. “… Cos’è
quello?”
Un
globo
di fuoco verde si stava dirigendo a tutta velocità verso il
campo da Quidditch.
Per
un
folle momento, non fu l’unico a pensare che si trattava di un
meteorite.
Ted
mise
mano alla bacchetta, istintivamente.
E poi
esplose.
“Merda…”
Sussurrò quando vide qualcosa di enorme e verde nella sua
visuale. Una dannatissima palla di
fuoco.
Sentì
tutti i sensi tesi al massimo, e l’adrenalina invaderlo
quando il fragore
dell’esplosione fagocitò tutti i rumori attorno a
sé.
Quando
l’enorme nuvola di polvere lo investì
pensò solo a ripararsi.
“Advolo Celeriter…”
Lily
si
voltò verso Rose, confusa.
“Ti
pare
il momento di ripassare incantesimi?!”
Rose non rispose. Sfoderò la bacchetta.
“Siamo
in
grossi guai, Lily… Grossi, giganteschi, spaventosi, guai.”
Tom
si
era alzato in piedi di scatto quando aveva visto Al piazzarsi sulla
traiettoria
dell’enorme globo infuocato. Era riuscito a schivarlo, ma la
scopa aveva perso
assetto, facendolo precipitare a rotta di collo. Aveva estratto la
bacchetta,
in un inutile riflesso condizionato.
Da
quella
distanza non avrebbe certo potuto fare niente.
Poi quella cosa era precipitata, sollevando
una nuvola di polvere che aveva oscurato l’intero campo.
Socchiuse
gli occhi cercando di vedere, frenandosi dallo scendere. Se
l’avesse fatto si
sarebbe trovato in mezzo ad una partita di mosca cieca.
Il
medaglione scottò di colpo. Violentemente, lasciandolo quasi
senza fiato per il
dolore.
E
allora capì.
Capì prima di vedere.
Harry
sfoderò la bacchetta, e con lui Ron. Pochi spalti
più sotto, vide Malfoy fare
lo stesso, e con lui parecchi genitori. Non si stupì di
riconoscere tra di loro
vecchi compagni di scuola.
C’era
una
cosa che i sopravvissuti di una guerra sapevano riconoscere
all’istante, senza
dubbi di sorta, con assoluto e agghiacciante chiarore.
Il
pericolo.
“Harry…”
Sussurrò Ron, indicando davanti a sé.
Una
coda
serpentina frustava dalla foschia causata dalla collisione.
****
Note:
So che mi odiate. Ma ricordatevi che vi lovvo.
1-
Sì,
Thomas è un fan dei Joy Division. Non è difficile
immaginare questa tipologia
di personaggio appassionato alla new-wave inglese, come i The Cure o
Ian
Curtis. La maglietta è questa
ed io la amo.
|
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Capitolo 29 *** Capitolo XXIV ***
Ciao
a
tutti! Questa volta un po’ meno recensioni, sigh, spero che
questo capitolo vi
sia più gradito! Ringrazio chi mi ha recensito ^^
@MyriamMalfoy: Vero, sono
dolci e carucci,
dietro le seppie mentali. Teddy è un tonto quindi aspettati
che si comporti come
tale ancora per un pochetto (poco però, dai) Tom invece non
riacquisterà il
cervello tanto facilmente. Lo sai qual è il problema coi
Tom. Sono troppo
ossessionati dalla conoscenza. U_U Grazie per la recensione, alla
prossima!
@MissyMary: Ebbene
sì, i nostri serpentelli
hanno perso, ma c’è da dire per una sfortunata
concausa di eventi. Altrimenti
Al, ci tiene a farlo sapere, li avrebbe stracciati, quei tronfi e
arroganti
bastardi. Unisciti nel lutto a Michel, quindi, prego, da quella parte
per la
sua cam… ehi! Michel, non ci si consola così!
Apparte gli scherzi. :P E sì, Tom
è un piccolo pervertito. Lo maschera bene, ma Al
l’ha già scoperto. XD Jamie ci
tiene a darti ragione, in sei anni si è molto evoluto sotto
le lenzuola. Scusa,
ho dei personaggi maniaci. XD Grazie per la recensione, alla prox!
@Trixina:
Sì, ammetto di essere una
stronza, ma prometto di farmi perdonare. Credo. Poi. Ehm. *suda freddo*
Lily
ebbene sì, è l’unica DAVVERO sveglia in
questa storia. Del resto, ci deve pur
essere qualcuno di non tragicomicamente tonto qui, no? Apparte
Scorpius, si
capisce. Teddy è un
diciassettenne
innamorato. Anche perché di esperienze amorose ha
avuto… aehm, Victoire. Credo.
La Row
non è
chiara ma a me piace pensarla così. ;P Spero che questo
capitolo non mi causi
morte precoce. Alla prossima!
@Altovoltaggio: latente
erotismo? Wow! Allora ci
sono riuscita a scrivere qualcosa di vagamente erotico. Pensavo di
essere
completamente negata! XD Grazie per i complimenti, non so se sia il
capitolo
meglio scritto, ma credo sia stato uno di quelli che più mi
ha divertito
scrivere. Grazie per i complimenti! XD
@Ron1111: Grazie per i
complimenti! Essì,
sono proprio dei cuccioli, almeno, per quanto riguarda la loro
sessualità.
Thomas fa tanto il vissuto ma in realtà ha al suo attivo
solo un bacio, e per
giunta schifoso. XD Al… beh, non ne parliamo. XD Anche
l’incontro tra gli
ex-alunni… beh, diciamo che Draco è preoccupato
per suo figlio (se non altro di
buono questo hanno i Malfoy: sono padri amorevoli e parziali) e poi si
parta
pur sempre di San Potter. Anzi, è stato fin troppo civile
con lui! Harry mi
piace, non fraintendermi, ma temo che Draco non lo chiamerà
mai ‘amico mio’.
Gli ha salvato la vita, e in questo capitolo si capirà che
la cosa ha ancora un
valore per lui. Ah. Quando aggiorni? *Dira in fissa per la tua fic*
@MadWorld: Ciao,
benvenuta! Grazie mille per
essere passata, allora ci conto su una tua recensione, eh? XD Grazie
per i
complimenti! Ah, io ADORO i papiri, quindi vai tranquilla! ;)
@Hel_Selbstmord: Ciao Hel!
Non preoccuparti, la
scuola/uni prende tempo a tutti! Dovrebbe prendere anche a
me… però, ehm.
*Sguardo vago* Ah, la versione di quei truci ragassuoli l’ho
sentita, è molto…
lugubre. XD Però mi piaciucchia! Anche se i miei Joy
Division non me li batte
nessuno. :P Sì, Tom è appassionato di new-wave
britannica, e ancor peggio del
ramo gothic-rock. Non difficile da capire visto l’indole
depresso/romantico/arrovellata che ha. Niente capelli cotonati,
tranquilla! Lui
è più un tipo da apprezzare il look di Ian
Curtis. XD Se sono riuscita a farti piacere lo slash,
wow, me ne
prendo tutto il merito! XD La scena con Teddy-e-adulti è
stata piuttosto
divertente pure scriverla. James è il mio mito personale, e
no, la
Row ha dato una data di
nascita solo a Teddy. ma sì, mi piace immaginare anche a me
Jamie caprone. Mi
hai dato una buona idea. l’oroscopo gli si adatta alla
perfezione! Se il finale
dello scorso capitolo ti ha dato istinti omicidi, beh, vediamo questo.
:P OT:
Essì, studio per la diplomazia, e spero di essere vagamente
diplomatica pure
io, un giorno. Non preoccuparti per msn. Io sono sul prodotto del
vecchio Bill
Gates ma sclera pure a me. Microsoft del piffero. Un giorno la
abbandono, se
non amassi profondamente Microsoft Word e Windows live. Alla prossima!
****
Capitolo XXIV
Ora, questa è la legge della giungla – vecchia e
vera come il cielo.
(J.R.
Kipling)
Campo di
Quidditch.
James
tossì convulsamente quando l’enorme nuvola di
polvere lo investì in pieno,
mentre cercava di capire cosa cazzo
stesse succedendo.
Un
momento prima aveva la pluffa in mano, pronto a prendere a calci in
culo quell’idiota
del portiere di Serpeverde. Poi un boato assordante.
E il momento dopo erano spariti anelli e portiere e c’era
solo quella polvere
merdosa.
Non
vide
arrivare il bolide e non ci fu nessun Scamandro ad evitare che lo
prendesse in
pieno. Sentì un dolore lancinante alla spalla e fu sbalzato
via dalla scopa.
Il
caso,
o la fortuna, volle che si trovasse a pochi metri da terra quando aveva
recuperato la pluffa.
Cercò
di
tirarsi in piedi, ma una scarica di dolore puro alla gamba destra lo
costrinse
a restare a terra. Non aveva un bell’aspetto. Ci era caduto
sopra e non
riusciva a muoverla.
Sentiva
delle urla, ma non erano di incitamento. Affatto. Erano di paura.
Sentì il
sibilo del manico di una Nimbus 3000 sfrecciargli sopra la testa. Era
la scopa
della Robbins. Cercò di chiamarla, ma non lo
sentì.
Poi
sentì
qualcos’altro, un altro sibilo, ma di tutt’altra
natura. Si sentì afferrare per
il retro del mantello e tirare su come una bambola di pezza.
Cercò di
divincolarsi, ma quando si trovò a faccia a faccia con due
paia di zanne e un
volto serpentino, gli morirono le parole in gola.
****
Ted
Remus
Lupin conosceva la dinamica di una folla nel panico. Era terribile,
pericolosa
e soprattutto imprevedibile.
Dopo
che
il meteorite, anche se tale non era, era precipitato, si era alzato un
denso
nuvolone di polvere che aveva oscurato l’intero perimetro del
campo da
Quidditch.
Era
accaduto tutto nel giro di una manciata di secondi, e la maggior parte
delle
persone non aveva visto l’enorme palla di fuoco verde
precipitare, troppo
occupata a seguire la partita. C’era stato un lieve deelay
nella percezione
della cosa, in effetti.
Poi,
il
panico era esploso.
Tutti
avevano cominciato ad urlare, spintonandosi per uscire. I giocatori
erano
scomparsi dalla visuale e intere famiglie si chiamavano l’un
l’altra.
Ted
si
sentì afferrare il braccio da qualcuno. In quella foschia
terrosa non vedeva al
di là del suo naso.
“Teddy!”
Neville quasi si resse a lui, causa spintone da una grossa signora
ululante.
Ted lo afferrò per entrambe le braccia.
“Usciamo
di qui! Cerchiamo di uscire senza farci calpestare!”
Ted
annuì,. Cercò di trovare tra quei volti
spaventati il viso rassicurante del
padrino o di Ron, ma erano probabilmente rimasti indietro, avendo un
posto su
una delle torrette di legno. Molti adulti avevano estratto la
bacchetta, e
chiamavano i propri figli.
Dove diavolo
sono gli auror?
Non vedeva
nessuna mantello scarlatto, e questo lo preoccupava.
Non
c’erano due squadre fuori
dallo stadio?
Probabilmente
erano rimaste bloccate fuori dalla massa di gente che si riversava
verso le
uscite, pensò. Tra studenti e genitori dovevano essere
almeno cinquecento
individui atterriti.
“Dove
diamine sono gli auror?!” Gli fece eco Neville.
“Non
lo
so!” Prese una decisione. “Vado verso la torretta
di Grifondoro! Vado a cercare
Harry!”
“Teddy, no! Dobbiamo uscire di qui!”
Tentò Neville, bloccato dal fiume di gente.
“Vado
a
cercare Harry!” Ripeté, schivando un paio di
persone e risalendo letteralmente
la corrente. Non vedeva nulla. Neanche un lumos
sarebbe servito a qualcosa là in mezzo. In poco tempo perse
di vista anche
Neville.
Allontanandosi
dall’uscita la folla si diradava. Quasi inciampò
su un cappotto abbandonato, ma
riuscì ad arrivare alla base della torretta sostanzialmente
incolume.
Provò
a
chiamare il nome del padrino un paio di volte, ma senza ottenere
risposta.
Forse
è già sceso… Meglio tornare
indietro.
Si
era
istaurato uno strano silenzio nello stadio, di solito sempre pieno di
grida e
incitamenti.
Poi,
lo
sentì. Un urlo.
E
riconobbe anche la voce, dato che gli si gelò il sangue
nelle vene.
Era
James.
****
Al,
quando riprese i sensi, capì di essere caduto. E di essere
ancora vivo.
E
forse
aveva preso una botta tale da diventare semi-cieco. Il campo, gli
spalti, il cielo erano immersi in
una nebbiolina
giallastra. Si sentiva la testa scoppiare. Si alzò in piedi
cercando di capire
cosa stesse succedendo. Si guardò la manica
dell’uniforme, passandoci un dito.
È
polvere… no, terra. Questa è
terra. Certo. Quella cosa è precipitata ed ha sollevato un
polverone… come la
teoria dell’estinzione dei dinosauri. Un gigantesco
meteorite… il cielo
oscurato per giorni…
Lo
pensò
piuttosto incoerentemente. Era stordito per la botta e si sentiva la
testa
girare.
Fece
qualche passo incerto. Sentiva delle urla, gente che si chiamava
l’un l’altro,
ma era tutto ovattato e piuttosto distante. Capì di trovarsi
lontano dalle
uscite quando sbatté contro gli anelli della sua squadra.
Mi sa che
abbiamo perso…
Si
trovava nel bel mezzo del campo, forse a pochi metri dal cratere
generato dalla
caduta di quella cosa, visto lo
stato
pietoso dell’erba sotto i suoi piedi.
Non
era
una bella situazione.
Poi
si
sentì afferrare per un braccio. Fece per gridare, ma
qualcuno gli tappò la
bocca.
“Al,
sono
io!”
Era Tom. Sgranò gli occhi, mentre la tensione che fino a
quel momento l’aveva
tenuto in piedi scivolò via di colpo. Praticamente gli
franò addosso.
Tom
lo
afferrò prontamente, quasi se lo fosse aspettato.
“Stai
bene?” Gli chiese. Poi fece una smorfia. “Domanda
idiota…”
“Dipende.
Ho preso una botta così grossa?”
Scherzò, ma scoprì di riuscire a parlare
giusto con un filo di voce. Tom fece un sorriso tirato.
“Sei
precipitato da almeno venti metri...” Sussurrò.
Aveva la bacchetta stretta in
pugno, la sentiva contro la sua schiena. “Sei stato un
idiota. Metterti sulla
traiettoria di quella…”
“Hugo non si sarebbe spostato in tempo…”
Spiegò semplicemente. Ed era vero. Lo
sapevano entrambi. “Ho cercato di tenermi in sella
più che ho potuto… ma credo
che lo scarto finale non l’avrebbe retto neanche un cowboy
texano.”
Tom stirò un sorrisetto, poi si fece serio.
“Dobbiamo uscire di qui. Ce la fai
a camminare?”
“Penso di sì. Piuttosto, come hai fatto a
trovarmi?” Chiese. In quella foschia
era praticamente impossibile vedere al di là di un paio di
metri. Figuriamoci
identificare un giocatore a terra.
Tom
scrollò le spalle. “Te l’ho detto. Ti ho
visto cadere.”
Capì che non gli avrebbe tirato fuori nient’altro.
Sospirò, e lo seguì.
Tom
era
furioso. Ma non con Albus, naturalmente.
A che diavolo
di gioco stai
giocando, bastardo?
Era
il
biondino che aveva mandato i Naga. Li aveva mandati
lì… per lui?
Lo
escludeva. Poteva chiamarlo col medaglione, perché mandare i
suoi scagnozzi a
prelevarlo? Sapevano entrambi che sarebbe venuto.
Serrò
le
labbra, guardando Albus: si sentì in colpa ad averlo
pensato. Ma sapeva che era
vero.
Improvvisamente
Al spalancò la bocca, soffocando una frase. Conosceva quella
mimica: faceva
sempre così quando giungeva ad una soluzione o gli tornava
in mente qualcosa.
La versione
Albus di Eureka…
“Ad…”
Iniziò, per poi zittirsi.
Advolo
celeriter. È quell’incantesimo
di cui ci ha parlato Malfoy!
…
Oh, merda.
“Cosa?”
“Niente…”
Mugugnò Al. E si fece più pallido.
“Dobbiamo uscire di qui.”
Lo sa. Sa che ci sono i Naga. Ma come
diavolo l’ha capito?
“Ci
sono
i Naga.” Soffiò infatti.
Tom
non
disse nulla. Non subito almeno. “Sì.” Si
risolse a dire, alla fine. “Ma tu come
lo sai?”
“Vuoi chiedermelo adesso?”
Ritorse.
“Proprio adesso?”
E tu come lo sai Tom?
Tom
rifletté.
Scosse la testa. “No. Andiamo.”
Poi
lo
sentirono. Un urlo, poco distante da loro, forse una ventina di metri.
“È
Jamie!” Esclamò Albus. “Tom,
è Ja…”
“Sì, l’ho sentito.”
Sbottò irritato.
Ci mancava
solo l’idiota che si fa
beccare. Naturale, con l’indole che ha sarà una
luminaria di Natale per loro…
“Dobbiamo…”
Iniziò Al.
“Devo.” Lo fermò.
“Tu probabilmente hai
una commozione cerebrale e sei senza bacchetta. Cosa credi di
fare?”
“Cosa
credi di fare tu?”
Ribatté
altrettanto duramente, lasciandolo senza parole. “Uno di quei
cosi ti ha quasi
ammazzato, e la bacchetta ce l’avevi, no?”
Non trovò valide obiezioni.
“Lo
sa
anche un bambino che in queste situazioni non bisogna
dividersi!” Continuò Al.
“Ed io non sono in grado di difendermi. Attraverseremo il
campo assieme.” Concluse,
soddisfatto della
sua piccola vittoria personale.
Tom
sospirò, vinto. Per una volta, a dirla tutta, fu contento
che la logica non
fosse dalla sua parte.
****
Fuori dal
campo di Quidditch.
Harry
non
aveva potuto fare quasi niente. Era stato impossibile non farsi
trascinare
dalla folla, appena scesi dalla torretta. I genitori erano corsi a
cercare i
propri figli, ad assicurarsi stessero bene, ed ognuno aveva pensato
sostanzialmente a sé. Aveva cercato di individuare il
proprietario della coda
serpentina che Ron gli aveva indicato, ma in mezzo a tutte quelle
persone che
rischiavano di venir calpestate, aveva dovuto darsi delle
priorità.
Aveva
quindi ordinato all’amico di aiutare le persone ad uscire, e
poi, dopo essersi
assicurato che non ci fosse più nessuno dentro lo stadio,
era uscito anche lui.
Merlino, spero che non ci sia nessuno… non si vedeva
ad un palmo dal naso. Ho dovuto
affidarmi soltanto ai rumori.
Appena
uscito dall’ingresso si precipitò verso le due
squadre auror.
“Perché
diavolo non siete entrati?” Sbottò. “Mi
pare di avervi dato degli ordini
piuttosto chiari!”
Artemisia
Stump, una dei due capo-squadra assieme a Ron, inspirò.
Harry notò che avevano
tutti un’aria sbalordita, perplessa.
“Non
siamo riusciti ad entrare, signore…” Disse.
“C’è una barriera magica.”
“Di che diavolo state parlando? E tutta questa gente qua
fuori? Come pensate
sia uscita?”
Artemisia
esitò. Poi scosse la testa. “Credo,
signore… che si possa uscire, ma non
entrare.”
“Di che diavolo…” Non terminò
la frase, perché vide entrare nella sua visuale
una chioma bionda e vesti da mago. Soffocò
un’imprecazione, e ringraziò che Ron
fosse in giro ad assicurarsi che non ci fossero feriti.
“Mettete in sicurezza
le uscite. Art, ti passo il comando.” Ordinò
brevemente, prima che Draco Malfoy
gli si parasse davanti. Infuriato.
“Cosa
diavolo
sta succedendo, Potter?” Sibilò.
“Stiamo
cercando di capire, Draco…” Replicò
fermo. Non aveva intenzione di farsi
intimidire dagli isterismi di un padre preoccupato. Anche se membro del
Wizengamot.
“Mi
pare
che i tuoi uomini piuttosto si aggirino tra la gente come tante galline
dalla
testa mozzata.” Sputò sarcastico. “Un
gigantesco meteorite è precipitato nel
campo di Quidditch dove giocava mio
figlio. È troppo sperare in delle
delucidazioni?”
“Stiamo cercando di capire.”
Calcò
l’ultima parola, dominandosi dall’alto dei suoi
quarantadue anni di vita. “Se
ci lasciassi fare il nostro lavoro, naturalmente.”
Draco stirò le labbra in una smorfia. “Mio figlio
non è qua in mezzo.” Sillabò.
Per un attimo Harry fu certo di vedere sincero panico negli occhi del
vecchio
rivale. Questo gli impedì di spaccargli la testa o ordinare
un arresto lampo.
“Ci
sono
almeno centocinquanta persone qua attorno. Salterà
fuori.” Prima che potesse
ribattere, aggiunse. “Neppure io so dove sono i miei
figli.”
“Papà!” Fu un
sollievo quando un’altra
testa Malfoy spuntò tra la folla. Fu sollievo anche
perché con lui c’erano Rose
e sua figlia Lily. “Papà, sono qua!”
Draco tradì un’aria sollevata, quando il figlio lo
raggiunse tutto intero.
“Scorpius… stai bene?”
“Un po’ impolverato.” Sorrise il ragazzo.
Harry lo squadrò: erano anni che non
aveva occasione di vederlo. Indubbiamente era un Malfoy, ma aveva
qualcosa di inaspettatamente
simpatico nel modo in cui sorrideva
e
rassicurava suo padre.
Per
un
folle momento, ad Harry ricordò Sirius.
…
beh, in parte è un Black.
Rose
e
Lily gli si avvicinarono. Tutte e due impolverate, tutte e due
mediamente
spaventate. Lily gli afferrò il bordo del mantello.
“Papà… cosa diavolo
è successo?”
Harry
aprì la bocca per confezionare una bugia rassicurante, ma
Rose lo precedette.
“Ci
sono
i Naga. I serpentoni indiani, te li ricordi Lily? Sono qui. O meglio lì dentro.”
“Rose…” Tentò, sperando che
Malfoy non fosse a portata d’orecchio.
Lo
era,
ovviamente, dalla faccia che fece. “Di che diavolo sta
parlando tua nipote, Potter?”
Appunto.
“Rosie,
spiegati
meglio…” Dopotutto era figlia di Hermione,
pensò Harry esasperato. Ed era
sempre stata tremendamente attratta dalla possibilità di
chiarire qualcosa ad
un adulto.
Forza Harry,
dalle una
possibilità. Forse Ron non ti ucciderà per aver
tirato in mezzo la sua preziosa
bambina…
“Sono
arrivati qui… con quella palla di fuoco.”
Gesticolò la ragazza . “È un
incantesimo!”
“Un…
incantesimo?”
Fu ancora più sbalordito quando il piccolo Malfoy si
avvicinò. “Si chiama advolo
celeriter, signore.” Esordì
rispettoso, ma neppure tanto, vista l’espressione.
Malandrina, avrebbe detto,
se non gli avesse ricordato altre inquietanti somiglianze con il
padrino. “Si
tratta di una sorta di ibrido tra la materializzazione e una
passaporta. Quei
cosi viaggiano in quel modo.”
“Per
questo mi hai fatto tutte quelle domande sugli incantesimi
locomotori?” Chiese
Draco, sbalordito. “Stavate indagando sui Naga? Tu
e…” Guardò Rose incredulo.
“… Weasley?”
Scorpius annuì, con assoluta serenità zen.
“Sì. Io e Rose siamo…” Pausa
in cui la
ragazza divenne curiosamente paonazza. “… soci.”
“Soci…”
Cinguettò Lily di rimando, e ad Harry sembrò
stranamente deliziata.
“Soprassiederò
sul fatto che siete due studenti non
autorizzati a ficcare il naso in un’indagine
dell’ufficio auror.” Esordì Harry,
frenando ogni eventuale sfogo Malfoy. Draco sembrava, in effetti, aver
ingoiato
un limone “… Cos’altro
sapete?”
“Non
molto, in realtà.” Rispose Rose.
“Sappiamo che qualcuno li controlla.
Quell’incantesimo
può essere manovrato solo dall’esterno, deve
essere un altro a farlo su di te.
E comunque funziona solo con i non-umani.”
“Per i maghi è un po’, come
dire… letale.”
Soggiunse Scorpius, dandosi vigorose manate sul maglione impolverato.
“E
comunque il motivo per cui quegli amabili lucertoloni sono qui
è perché…”
“Scorpius!” Sbottò Rose.
“Rose?”
Indagò il ragazzo. Si lanciarono uno sguardo muto.
“Oh, okay. Sicuro. Beh,
abbiamo delle supposizioni, ma non vogliamo certo tediare il capo del
dipartimento auror…” Sorrise amabile, e Harry
capì che lo stava prendendo in
giro.
Ma bisogna
ammettere che ha più
stile di suo padre. È inattaccabile, con
quell’aria amichevole.
I Malfoy si
sono indubbiamente
evoluti, con questa generazione…
“Mi
interessa invece.” Replicò. “Anzi, sono
ansioso di sentire dove vi hanno
portato le vostre indagini…”
Scorpius tradì un attimo di incertezza. Era un ragazzino,
dopotutto, e l’idea
di poter esporre al capo delle forze di difesa magiche dell’intera Inghilterra le sue supposizioni
era…
…
piuttosto esaltante. –
Pensò, umettandosi le labbra.
Certo,
potrebbe non darmi
minimante retta se ventilassi l’ipotesi che suo nipote, al
secolo Thomas
Dursley, è in qualche modo infilato fino al collo in questa
storia…
“Scorpius,
parla.” Lo incitò Draco.
Il
ragazzo sospirò. “Beh… Abbiamo motivo
di credere che il motivo per cui i Naga
sono qui è…”
Ron decise in quel momento di fare la sua comparsa. “Harry!” Stranamente non
degnò di uno sguardo i due Malfoy,
guardando invece con sollievo la figlia e la nipote. “Ah,
almeno voi siete
qui…” Mormorò. Era piuttosto pallido
dietro le lentiggini.
“Che
significa almeno voi?”
chiese Harry,
con un brutto presentimento.
“Albus, James, Thomas e …
beh, anche Teddy. Non si
trovano. Ho visto Neville. Ha
detto che Teddy è tornato indietro a cercarci.”
“Ma noi siamo qui!”
“Lo so, ma in quel casino non si capiva niente. Ho chiesto in
giro, anche ai
loro compagni di squadra. Non li hanno visti… Ci sono tutti,
genitori, alunni.
Ma…”
Harry lanciò uno sguardo angosciato all’entrata.
“Loro no…” Cercò di
riflettere
senza farsi prendere dal panico. Dentro quello stadio, ora messo in
sicurezza
dalle due pattuglie…
Ci sono i
miei ragazzi?
“Al
e Jamie
avevano le scope.” Disse sicuro “Devono
essere volati fuori…”
Ron sembrava ancora più pallido quando fu costretto a
contraddirlo. “Hugo… era
vicino ad Al quando quel meteorite è precipitato. Al ha
tirato un calcio alla
scopa di Hugo, per… spostarlo. Pare che gli stesse arrivando
addosso.”
Rose soffocò un’esclamazione, mentre il sorriso
sulle labbra di Lily si spense
di colpo.
Harry
si
dominò anche se per un momento fu tentato di gettarsi
semplicemente dentro lo
stadio. “Era nella traiettoria?”
“No, si è spostato. Hugo quando è
tornato in assetto ha appena avuto il tempo
di vederlo precipitare. Poi, quel polverone… Harry, Al ha
buoni riflessi.”
Cercò di rassicurarlo.
“James?”
“Nessuno l’ha visto uscire.” Ron
esitò, poi concluse. “E Tom era alla
partita.”
“Era alla partita?” Esclamò Rose.
“Ma non gliene importa nulla del Quidditch!”
“Ci viene sempre per Al. L’avrà visto
cadere.” Mormorò Lily. Guardò il padre,
come in cerca di una smentita. Quando non la ebbe si morse un labbro.
“Papà…
Tom non sarebbe mai uscito dallo stadio senza Al. Mai.”
Harry
annuì. Si poteva dire tutto del suo figlioccio, ma non che
non avesse una
lealtà assoluta verso Albus.
Se
l’ha visto precipitare sarà
andato a cercarlo. Quindi è rimasto dentro.
Come Teddy. E
James, forse.
Maledizione.
“Ron,
va’
da Stump. Digli che ci sono probabilmente tre studenti e un professore
dentro
lo stadio. E forse due di loro…”
Inspirò. “… sono feriti. Fa’
entrare una
squadra per recuperarli.”
“Harry…”
Ron sembrava non capacitarsi della cosa. “Credo sia meglio tu
venga a vedere.”
“Vedere cosa?”
Ron
gli
fece cenno di seguirlo. Arrivarono di fronte al cancello:
l’area era stata
messa in sicurezza da un cordolo di agenti, trai quali Stump, che si
avvicinò.
“Signore…
non riusciamo ad entrare. C’è una
barriera.” Spiegò. “È da un
lato solo.
Permette di uscire, ma non di entrare. È…
potente. Ho chiamato la squadra di
spezza-incantesimi del Ministero. Saranno sul posto tra
un’ora.”
“Un’ora?” Si
frenò dall’imprecare. “Ci
sono quattro persone in pericolo!” Sbottò furioso.
La
donna
inspirò. “Lo so signore, ho fatto presente a
Coven, ma ha detto che il tempo di
organizzare la squadra è quello che è. Le
procedure…”
“Si fottano le procedure!” Esplose Harry. Ron parve
pensarla allo stesso modo,
ma tentò di non gettare benzina sul fuoco. “Se
quell’idiota rispondesse a me…”
“Avremmo un altro incapace sotto il tuo comando.”
Si inserì Draco pigramente.
“Potter, conosco Coven. Quando ho dovuto rimuovere le
barriere che lui e la sua
squadra avevano istallato nel castello della mia famiglia durante il
sequestro.
Beh…” Si guardò le unghie.
“Probabilmente impiegherei più tempo a illustrarti
la sua incapacità adesso, che a liberarmi dei suoi patetici
sigilli allora.”
“Tu
sai
come rompere una barriera magica?” Ruggì Harry.
Era ad un passo da un tracollo
nervoso, se lo sentiva. Una cosa era rassicurare frotte di genitori
ansiosi…
una cosa era essere lui, il
genitore
ansioso.
“Diciamo
che posso provarci.” Commentò asciutto
l’uomo, tirando fuori la bacchetta.
Harry fece cenno ai suoi uomini di lasciarlo passare.
Draco,
dopo un paio di minuti, si voltò verso Harry.
“C’è qualcuno che la alimenta.”
“Come?”
“Potter, è una barriera potente. E barriere
magiche di questo tipo hanno
bisogno di qualcuno che le tenga attive. Trovate il mago, è
sicuramente qua
attorno. Per operare l’incantesimo non deve essere molto
lontano.”
Harry non se lo fece dire due volte. “Art, Ron…
cercate il bastardo. Trovatelo.
E toglietegli la bacchetta.”
Scorpius
e Rose, a pochi metri dagli uomini, occultati dietro una sporgenza
rocciosa, si
guardarono. Non servirono parole. Si allontanarono assieme con in testa
lo
stesso compito.
****
Ted
aveva
saltato la barriera di legno che circondava gli spalti, senza
preoccuparsi di
un’eventuale brutta caduta. Fortuna voleva che i geni di suo
padre, oltre ad un
discutibile gusto per i vestiti, gli dessero anche una certa resistenza
agli
urti.
Riesumando
l’addestramento auror tese la bacchetta davanti a
sé, guardandosi attorno.
L’istinto
gli diceva che non era il caso di abbassare la guardia.
“James!”
Chiamò. “James, dove sei!?”
“Teddy!” Lo sentì
urlare spaventato. E
c’erano pochissime cose che spaventavano il primogenito di
Harry Potter. E un
po’ di polvere o una brutta caduta non erano tra queste.
James,
quando
il Naga estrasse un coltello da quella che sembrava una corazza
capì di essere nei
guai.
Che diavolo
vuole fare?!
Con la forza
della disperazione tirò un calcio dritto al petto della
creatura. Lo colpì,
anche se non sembro minimamente scalfirlo.
È
come colpire una roccia!
Il
Naga,
con un sibilo infastidito, lasciò la presa su suo mantello,
facendolo cadere
rovinosamente a terra. James urlò di dolore. Era come se la
sua gamba sinistra
fosse trafitta da migliaia di aghi.
Poi
sentì
Teddy chiamarlo. Rispose, senza sapere se fosse
un’allucinazione uditiva o meno.
Lì
tutto
era strano. Il colore del cielo, quella foschia, quella
bestia…
Per
la
prima volta in vita sua James sentì di avere paura. No,
meglio. Di essere
terrorizzato.
“Incendio!”
Una
lingua di fiamme investì il Naga, che con un sibilo ferino
si ritirò, fuggendo.
Teddy uscì dalla foschia brandendo la bacchetta, e a James,
ironia a parte,
sembrò un fottuto eroe.
“Jamie!”
Si
chinò su di lui. “Stai bene?”
Il ragazzo fece una smorfia. “No. Credo di avere la gamba
rotta. Un bolide mi
ha disarcionato. Non l’ho visto arrivare con questa cazzo di
nebbia…” Si tirò
su con i gomiti, fino ad essere perlomeno a sedere. “Come
diavolo hai fatto a
farlo fuggire?”
“I Naga sono un popolo primitivo, il fuoco li
spaventa.” Spiegò con un sorriso.
“Psicologia spicciola.” Si chinò e con
un colpo di bacchetta gli steccò la
gamba. “Così dovrebbe andare bene… ma
è provvisoria. Madama Chips farà il
resto.”
James
inspirò:
si sentiva un ragazzino spaventato e Merlino, odiava quella sensazione.
Ma era
disarmato, e con una gamba fuori uso. Quindi era giustificato.
“Credi che
tornerà?” Chiese.
Ted inspirò. “Non ho intenzione di scoprirlo.
Forza, appoggiati a me…”
James si aggrappò a lui e soffocò un gemito di
dolore quando si tirò in piedi.
“Mi
dispiace…” Sussurrò Ted, contrito.
“Troppo brusco?”
“No, è che non è una passeggiata avere
un osso rotto. La tua medicazione aiuta
però.” Sorrise.
Soltanto
Teddy in una situazione
del genere si potrebbe scusare per essersi dato una mossa…
Si
fece
passare un braccio attorno alle sue spalle. “Pensavo se la
fossero data a gambe
tutti… non sentivo nessuno…”
Borbottò. Teddy sorrise.
“Stavo
per farlo anche io. Poi ti ho sentito.”
James,
nonostante la situazione orrenda, non poté fare a meno di
sentirsi soddisfatto.
“Sempre
a
tirarmi fuori dai guai, eh Teddy?” Scherzò.
Ted
gli
lanciò un’occhiata, ma appurato che James era
troppo dolorante per essere
pericoloso, sorrise. “È la storia della mia vita,
no?”
Fecero
un
paio di metri in silenzio. La tensione si poteva tagliare con un
coltello.
James si chiese dove diavolo fosse suo padre con le sue squadre. Non
era
normale.
C’è
qualcosa che non va… avrebbero
dovuto già accorgersi che manca un cacciatore
all’appello. Dannazione, spero
che Malfoy non abbia fatto scherzi!
E poi
i
Naga… erano venuti in quel modo pazzesco, schiantandosi
al suolo.
È
stato praticamente un attentato.
Ad Hogwarts. Alla nostra Hogwarts.
“Ce
n’è…
più di uno.” Sussurrò. Ted gli
lanciò un’occhiata valutativa. “Di Naga,
dico.”
“Quanti?”
“Almeno
cinque.”
“Merda.” Era la prima volta che lo sentiva
imprecare. In tutta la sua vita. La
cosa gli fece capire quanto la situazione fosse grave.
“…
Siamo proprio
nei guai, eh Teddy?”
Abbastanza.
Anzi, decisamente. –
Pensò Ted, ma non era il caso
di farglielo notare.
Devo essere
supportivo.
“…
Lo
saremo tutti se non la smettere di urlare.” Disse una voce
che si sarebbe
potuta definire inespressiva. Teddy la riconobbe subito. E
così James.
“Albie,
Tom?!” Sbottò quest’ultimo, vedendoseli
comparire davanti. Fottuto pulviscolo.
“È
Al.”
Replicò Albus in automatico. Sembrava stare bene,
considerò Ted, a parte un
taglio sul sopracciglio, poco profondo.
“Professor Lupin,
James…” Aggiunse Tom. “È
stato un bolide, Jamie?”
“Va’ a farti fottere, Tommy.”
Ribatté
sarcastico. “Che ci fate qui?”
“Ci siamo persi…” Ironizzò
Tom.
“C’erano altri con voi?” Chiese Ted,
prendendo in mano la situazione.
Al
scosse
la testa. “No, siamo soli. Teddy, ci
sono…”
“Lo sa già fratellino, gliel’ho detto
io.” Lo fermò James. “Dei serpentoni,
dico…”
“Ted!
Mi senti? Sono Harry!”
I
quattro
si voltarono in direzione della voce che si stagliava tersa oltre il
pulviscolo. Harry aveva usato il sonorus,
per questo erano in grado di sentirlo.
“Papà…?” Mormorò
James. Sorrise sollevato. “È
papà!”
Ted, ripresosi dallo stupore, fece per rispondere, ma poi parve
cambiare idea,
perché si fermò.
“Che
fai?
Rispondigli!” Incalzò James. “O
penserà che non siamo qui!”
“Se gli rispondo i Naga sapranno dove siamo.”
Replicò. “Non posso.”
“Dannazione…”
“Lo
sa
anche Harry.” Intervenne Tom. “Che non possiamo
farci localizzare.”
“Stiamo
venendo a prendervi!
Cercate un posto sicuro. C’è una barriera magica
che ci impedisce di entrare,
ma ci stiamo lavorando. Ripeto, mettetevi al sicuro!”
“Barriera magica?” Mormorò Al.
“Di che sta parlando?”
Tom fece una smorfia. “Mi pare evidente… qualcuno
ci ha chiuso qua dentro, come
gladiatori in un’arena. Ha fatto uscire il pubblico, e ci ha
lasciato con le
bestie…” Sputò sarcastico.
“Credi
che abbia voluto rinchiuderci volontariamente?” Al lo
guardò preoccupato. “Ma
chi?”
“… Questo non lo so.” Mentì
sapendo di mentire. E lo sapeva fare dannatamente
bene.
Quel viscido
bastardo… Ti bastavo
io. Perché prendere loro?
“Va
bene.
Non ha importanza chi ha fatto tutto questo. Non adesso.”
Intervenne Ted con
aria risoluta. “Harry ha ragione, dobbiamo trovare un posto
sicuro e
nasconder…”
Tom sbuffò derisorio. “Professore, i Naga sono
guerrieri. E sono in grado di
fiutarci. Fiutare la nostra aura magica. Non possiamo nasconderci.”
Ted serrò le labbra: aveva sempre detestato
l’arroganza di Thomas. In quel
momento non tentava neppure di dissimularla con la solita patina di
fredda
cortesia. “Allora cosa proponi?”
“Dico solo che nasconderci da qualche parte ci
metterà con le spalle al muro.
In ogni caso, ci hanno già accerchiato… Non li
sente?”
Ted
lo
guardò confuso, e James sbuffò. “Di che
cazzo stai parlando?”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Non li
sentite?”
Era
da
almeno una decina di minuti che quelle bestie dialogavano tra di loro.
Percepiva echi di parole, frasi mozzate in una lingua straniera,
lontane eppure
percettibili.
Erano
inquietanti.
Quando
si
vide restituire tre paia di sguardi perplessi, capì che era
l’unico a sentirli.
“Io
non
sento niente, Tom…” Disse infatti Al, incerto.
Come possono
non sentirli?
“Ti
sei
bevuto il cervello Tommy.” Sogghignò James, ma
senza troppo sarcasmo. Sembrava intimorito.
“Sei sempre stato strano, bello, ma adesso ti stai
superando…”
“James, non è il momento.” Lo
seccò Ted. “Cosa senti?”
Tom fece una smorfia. “Parlano. Nella loro lingua, credo,
perché non riesco a
capire cosa si dicono. Sono attorno a noi.”
Ted lo guardava assorto. E non gli piaceva per niente la faccia che
stava
facendo. “Va bene.” Disse. “Se ci hanno
circondati appena ci muoveremo
cercheranno di fermarci. Giusto?”
“Probabile.” Aveva voglia di urlare. Seriamente. Al
e i due idioti lo
guardavano come se fosse improvvisamente impazzito. “Cosa
cazzo avete da
guardare?” Sbottò all’improvviso, quasi
senza volerlo. Non era da lui
imprecare. Si sentì soffocare. Stringeva la bacchetta
così forte da sentire i
muscoli dell’avambraccio tremare.
Perché
non li sentite?!
Al
gli
mise una mano sul braccio. La presa era forte, salda e lo fece sentire
un po’
meglio. “Tom…” Disse soltanto.
“Calmati, per favore…”
Inspirò. Avere un crollo paranoico sarebbe stato
sconveniente, vista la
situazione.
“Forse
è
il vento…” Mormorò. “Forse
è solo il vento.”
Non
è il vento. Sento le loro
voci. Maledizione, io le sento. Perché voi no?
Cosa
c’è che non va in me?
“Non
ci
sposteremo.” Concluse Ted. “Rimarremo qui.
Mettiamoci schiena contro schiena.
Non dobbiamo lasciare nessun angolo cieco nel caso decidessero di
attaccare.”
Parve la soluzione migliore, perché nessuno
protestò.
****
“Dannazione,
non vedo nessun tipo losco!” Sbottò Rose,
affiancando Scorpius, dopo estenuanti
minuti di ricerca. “Non è che tuo padre si
è sbagliato?”
“Mio padre non sbaglia mai.” Replicò
disinvolto. “Non crederai di vederlo con
il cappuccio calato a borbottare incantesimi incomprensibili con la
bacchetta
puntata verso lo stadio, vero?”
“Beh,
no…”
Mugugnò poco convinta, strappandogli una risata.
“Come fai ad essere così
tranquillo, maledizione?!” Sbottò poi, irritata
dal suo aplomb.
Scorpius si strinse nelle spalle. “Dare di matto non mi
renderà più
concentrato. Voi Weasley non sapete reggere la tensione…
come i Potter, pare.”
“Che
diavolo intendi dire?” Si inalberò.
“Quello
che ho detto. Basta che qualcosa vada storto, un inghippo, un conflitto
interiore e perdete completamente la testa. Vi servirebbe un
po’ di
occlumanzia.”
“Perché, tu cosa
ne sai dell’occlumanzia?”
“Abbastanza.
La famiglia Malfoy la pratica da generazioni. A me l’ha
insegnata mio padre.”
Spiegò, continuando a guardarsi attorno.
“È piuttosto utile.”
“Cosa, reprimere i propri sentimenti?”
Scorpius scosse la testa. “No. Li metto da parte. Sai, come
in un cassetto.”
Fece il gesto di chiuderlo. “È difficile da
spiegare, ma ti dà una
straordinaria chiarezza mentale.”
Adesso capisco perché
così difficile
offenderlo veramente. Non è che sembra che le offese gli
scivolino addosso. Non
lo scalfiscono veramente.
Più
lo conosco, più capisco di non
averlo mai capito.
Rose
esitò. “Lo fai anche… quando siamo
assieme?”
Il ragazzo sbuffò divertito. “Certo che no! Sono
ancora un principiante… con te
non riesco a reprimere proprio un bel nulla. E, a dirla tutta, neanche
voglio.”
Disse con un sorriso talmente dolce da farla avvampare in modo
imbarazzante.
“Scorpius…
non adesso.” Borbottò.
“Sei
tu
che me l’hai chiesto, pasticcino.” Rise, poi
guardò alle sue spalle. “Ehi,
guarda quel tipo laggiù…”
Rose si voltò. Appoggiato al tronco di un albero
c’era un mago. Era
tarchiatello, di mezza età e dalla carnagione scura. Di
primo acchito Rose
l’avrebbe scambiato per un genitore. Aveva un visto gentile e
sembrava in età
da figli. Anche le vesti che indossava erano ben tenute, segno di un
modesto ma
dignitoso tenore di vita. Ma era solo, e guardava verso lo stadio. Ossessivamente verso lo stadio.
“Ma
non
ha la bacchetta…” Obbiettò confusa.
Scorpius scosse la testa.
“Guarda.”
Imitò la posa, incrociando le braccia al petto.
“La tiene sotto le braccia.”
“Chiamiamo gli auror…” Fece per
voltarsi, ma Scorpius la afferrò per un polso.
“Ehi!”
“Io lo distraggo, tu li
chiami…”
“Scorpius, aspetta, che cavolo vuoi…”
Non riuscì a trattenerlo, si diresse
verso l’uomo. Questi lo notò, ma vedendo
l’uniforme da Quidditch non tentò
subito la fuga.
“Signore!”
Esclamò e sotto lo sguardo orripilato di Rose si frappose
tra lui e lo stadio.
“Lei è il padre di Patil?”
“No, io…” Borbottò sulla
difensiva. “No.”
“No? Eppure mi era proprio sembrato. Sa, Patil è
indiana… Lei è indiano?”
Rose
si
riscosse. Malfoy era un idiota, ma adesso toccava a lei. Si
voltò e corse. Fece
pochi metri prima di trovare tre mantelli scarlatti. Uno era quello di
suo
padre.
Meno male.
Almeno dovrò risparmiarmi
la fatica di farmi credere.
“Papà!
C’è un tipo sospetto laggiù!”
Esclamò. “Forse è il mago di cui
parlava il
Signor Malfoy!”
L’uomo
si
voltò immediatamente verso di lei. “Dove
Rosie?”
“Laggiù!” Indicò.
“Quel pazzo di Malfoy lo sta trattenendo!”
Ron
la
guardò incredulo, prima di imprecare. “Razza di
incosciente!” Tuonò.
Parole sante,
papà…
Seguì
il
padre e i suoi uomini mentre, bacchette alla mano, si dirigevano verso
la
direzione da lei indicata.
Quando l’uomo vide gli auror tentò ovviamente la
fuga. La bacchetta di Ron però
fu più svelta.
“Stupeficium!”
L’uomo, colpito in pieno dall’incantesimo cadde a
terra. I due auror gli furono
subito addosso, disarmandolo. Ron si avvicinò per guardarlo
in faccia.
“Parva
Duil…” Mormorò incredulo. Questa al
Ministero non sarebbe piaciuta: quell’uomo
era l’interprete che era stato assegnato alla
tribù di Naga. Ed era inglese.
Oh, no,
questo non piacerà affatto a nessuno di noi…
****
Tom
guardava
davanti a sé. Non aveva il coraggio di guardare Albus o gli
altri negli occhi e
leggerci diffidenza, o peggio, un’accusa: è
pazzo.
Non sono
pazzo. Queste voci… le
sento, e non è immaginazione.
“Speriamo
che papà si sbrighi…”
Sussurrò James all’improvviso. “Sto
cominciando a
congelare. Fa un freddo cane. E la gamba mi sta facendo
impazzire.”
Al sospirò. “Smettila di
lamentarti…” Lui si sentiva la testa esplodere, e
le
vertigini erano tornate impietose. Ma non si lamentava.
“Vuoi
il
mio cappotto?” Chiese Ted, con quella sua premura
intramontabile.
“Non
sono
un bambino, Teddy, cavolo!” Sbuffò James burbero.
“Ho il mantello…”
Al
represse una risatina. Nonostante la situazione, c’erano cose
che non potevano
cambiare. Lanciò uno sguardo a Tom, per renderlo partecipe e
cercare di
smorzare la tensione, ma lo vide guardare davanti a sé,
assorto. Non stava
bene, questo era sicuro.
Dopotutto
sente le voci… -
Insinuò la sua coscienza.
Tom non
è pazzo!
“Ehi…”
Mormorò gentile. Tom non gli rispose. Invece gli
tirò una spinta. Finì a terra,
senza capire perché. Non subito almeno. Poi vide sbucare
dalla nebbia una coda
serpentina, che ghermì dove prima c’era lui. E
adesso c’era Tom.
Tom
sparì.
Poi
ci fu
uno schianto violento. Sentì la voce di suo padre.
E
nient’altro,
perché perse i sensi.
****
Note:
Questo
capitolo tutta azione m’è costato sudore, lacrime
e sangue, essendo la prima
volta che mi cimento in una scena d’azione così
lunga. Ditemi che ne pensate, please.
*occhioni*
Ah,
altra
cosuccia. MyBlindedEyes, la mia
attuale eroina, sotto mia supplicante richiesta, mi ha regalato una
cover. Eccovela
qui,
in tutta
la sua magnificenza.
|
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Capitolo 30 *** Capitolo XXV ***
Ciao a tutti! Spero abbiato
passato
buone feste. Io ho subito un’invasione di parenti, e con
questo ho detto tutto.
:/
@MadWorld: Grazie per i complimenti ^^ Beh,
sì, è la mia prima
scena d’azione veramente corale, quindi uff, che sollievo
sapere di non aver
fatto un pastrocchio! ;) Per Sy, beh… diciamo che mi viene
naturale come
personaggio. Mi piace, e quindi mi riesce semplice caratterizzarlo. Ho
preso
spunto dalla Row, che ha detto a chiare lettere che Scorpius sarebbe
stato
meglio del padre. Beh, io l’ho fatto completamente diverso ;D
@Rorothejoy: Ciao, grazie per i
complimenti! Lo so, è una grossa rottura dover aspettare, ma
mi permette di
lavorarci al meglio e darvi una lettura piacevole, senza intoppi.
Detesto
trovare un’errore o un incongruenza quando vado a rileggere,
quindi preferisco
farlo ottanta volte… e a volte continuo a trovarci errori!
Dai, porta paziente,
almeno, bene o male, son sempre puntuale. :P
@ElseW: Grazie! XD Beh, mi fa
piacere sapere che la aspetti XD, anzi, superpiacere. Tom non
preoccuparti, in
qualche modo se la cava sempre. In che modo, poi… beh,
questo è tutto da
vedere. Leggi un po’, va’… XD Per Sy,
beh, ricorda MOLTO Sirius, tranne che per
il fatto che è un biondino Malfoy, e quindi molto meno
rompipalle e impulsivo.
Forse, paradossalmente, è Jamie quello controllato
‘alla Sirius’, cioè per
niente. XD Alla prossima!
@SammyMalfoy: Bentornata! Grazie per i
complimenti e non
preoccuparti. So che la RL succhia un sacco di tempo! Beh, Jamie si sta
dando
da fare, ma bisogna vedere se Teddy riuscirà a tenere il
passo. Scorpius beh…
lui è un pazzo furioso, dietro quell’aria da
signorotto in vacanza. XD Su
Zabini invece, beh… aspettati colpi di coda, mia cara,
perché è pur sempre il
serpeverde, autoproclamato. Al/Tom ormai sono diventati il pairing
ufficiale di
questa storia, evviva, non me l’aspettavo visto che uno
è pure un pg originale
XD Beh, che dire… sono la coppia perfetta, cioè
quella assolutamente incasinata
e preoccupante. XD Papà Harry se lo scoprirà?
Sicuro. Ma dagli tempo, si sa che
Harry su certe cose è sempre stato un po’ tardo, e
questi sono pure due
maschietti. ;) Grazie per la recensione! Adoro che siate prolisse!
@Altovoltaggio: Addirittura sublime?! Aaargh, non
farmi arrosire
come una scolaretta, non mi merito di certo i complimenti XD Sono solo
brava ad
infilare due cavolate in croce.
@MissyMary: Ahaha, che scena epica sarebbe un
confronto
Teddy-Michel. Sai che ci potrei sul serio pensare? :P Per quanto
riguarda Hugo
dai, povero… ti assicuro che è simpatico se non
tenta di prendere il boccino ad
Al. Che poi Al, sotto sotto, è il vero stronzetto della
situazione. Se non ci
fosse stato il megameteorite l’avrebbe disarcionato, stacci
sicura. ;) Teddy
per il momento non riscuote il mio favore, perché fa il
ritroso. Cretino.
Dannati pg che si emancipano. ;) Ma abbi fiducia, lo farò
ragionare. *agita una
roncola in direzione del poveretto* Grazie per le recensioni! ;)
@Trixina: So di meritarmi il titolo di
‘stronza imperiale’ ma
che ci vuoi fare, succede se devi infilare vagonate di suspance per
dare un
senso al rating. :D La cover non è mia, ma della fantastica
MyBlindedEyes, che
ha avuto la pazienza di darmi retta anche quando rompevo le balle.
Mettila pure
sul diario, anzi, mi fa piacerissimo! Son sempre due bei giovini, Al e
Tom. Per
risp alla tua domanda su Ted, sì, ha avuto solo Vic. Non
perché non sia un
bonazzo (a dire il vero, è più bello persino di
Tom, nel senso canonico) solo
che è sempre stato troppo timido, pacato, gentile e
insomma… NOIOSO per
qualsiasi ragazza con gli ormoni al posto giusto. E poi, beh, diciamo
che Vic è
l’unica ragazza che l’abbia mai interessato.
Capisci a me. ;) Per la cover
sorry, non posso stressare quella povera donna, e dovrai accontentarti
dei miei
pasticci con photoshop. T_T
@Ron1111: Ciao! Ho lasciato un messaggino
promozionale sulla
tua fanfic sulla guferia di NA, spero non ti spiaccia.
Pubblicità per una
storia che merita davvero! XD Comunque, no, per quanto riguarda Albus,
James e
Teddy non era voluto che restassero intrappolati. Al è
caduto dalla scopa, e
così James, che avendo un’aura magica
più o meno come un rubinetto aperto è
stato subito beccato. Teddy è rimasto per fare
l’eroe della situazione. ;)
Sulla famiglia Malfoy sono d’accordo con te. Moralmente sono
da prendere a calci,
ma sono legatissimi l’uno all’altro, quindi non
è difficile che anche Draco
abbia viziato suo figlio schifosamente, sebbene Sy, per fortuna, abbia
un
carattere un TANTINO più solare (merito della madre?)
Parlerò ancora della
famiglia Malfoy, puoi giurarci! Grazie per la recensione! A presto!
@Hel_Selbstmord: Beh, grazie per i complimenti!
Non preoccuparti, so
che la RL succhia via un sacco di tempo! XD (o forse è
internet che lo succhia?
Mi confondo sempre…) Rose beh, diciamo che è il
personaggio più normale, tra
tutti. Quindi ispira immediatamente simpatia, perché
è goffa, adolescente,
carina ma non di una bellezza eccezionale o ammaliante (Vedesi:Lily,
Tom o
Zabini). Insomma, una di noi. XD Tom è un rock della
new-wave convinto. Non che
lo faccia vedere troppo in giro, ma insomma… :D Quando esce
alla babbana è
indistinguibile da un dark-stile-sobrio. Tanti auguri anche a te, e
buone
festeee!
@Ombra: Sono stata brava, visto?
Aggiornamento quasi puntuale! Dai, dai, coraggio, un giorno tutto
questo
finirà. E spero non mi odierete. Sono per gli happy-ending,
giuro!
****
Capitolo
XXV
Through it all, I
made my mistakes
I stumble and fall, but I mean these words
I want you to know
With everything I won't let this go, these
words are my heart and soul
'Cause I'd bleed my heart out to show/ And I
won't let go
(With
me, Sum 41)
Infermeria. Poco prima
di
cena.
Albus aprì
lentamente gli occhi. Mise a
fuoco, sempre molto lentamente, il soffitto a volta
dell’infermeria.
“Al, tesoro, come
stai?”
Una voce femminile, che avrebbe riconosciuto tra mille: capelli rossi,
occhi
castani e lineamenti gentili, così simili ai suoi da far
immediatamente
pensare, ad un ignaro passante, che era ovvio, la donna seduta al suo
capezzale
era sua madre.
“Mamma…”
Mormorò. Si sentiva la testa
scoppiare. Cercò di fare il punto della situazione: aveva
perso i sensi, di
questo era certo.
I
Naga… una barriera magica… e poi…
Si alzò a sedere
di scatto. “Mamma!
Dov’è Tom?” Chiese con urgenza,
guardandosi attorno. Scoprì che le tende del letto
erano state tirate, impedendogli di guardare fuori.
Tom…
Tom è stato preso dai Naga!
Ginny gli sorrise,
posandogli una mano
sulla spalla, quasi se lo fosse aspettato. “Thomas sta
bene.” Disse
semplicemente. “Non
è qui perché aveva solo
qualche graffio e Madama Chips l’ha mandato via.”
“Non gli
hanno… non gli hanno fatto
niente?”
Ginny scosse la testa, rincuorante. “Niente. Tuo padre e gli
auror sono
arrivati in tempo, ringraziando Merlino…”
“Jamie?
Teddy?” Chiese, lo sguardo fisso
sulla tenda che gli impediva di vedere il resto
dell’infermeria. Ginny con un
sospiro si alzò, tirandola. Il marito l’aveva
chiamata mentre stavano
correggendo le bozze che sarebbero andate in stampa quella sera.
Inutile dire
che aveva lasciato tutto per volare al capezzale dei figli.
“James
è laggiù.” Indicò una fila
di
letti all’entrata. “Ha una gamba rotta, ma nulla
che una mezza giornata di
degenza non possa sistemare sistemare. Teddy sta bene.”
“Cos’è
successo?” Chiese incerto. “Ho
sentito la voce di papà e poi ho perso i sensi, credo
…”
Ginny annuì, sedendosi sul bordo del letto. “Tuo
padre è riuscito a rompere la
barriera magica che impediva alle squadre auror di
entrare…” Con
l’inaspettato aiuto di Malfoy. Da non
credersi, veramente. “… a quel punto vi
hanno subito individuato.” Continuò
a raccontare. “È andato tutto bene. Poteva andare
molto peggio…” Sussurrò,
tradendo un’espressione preoccupata.
Al non riusciva a
capacitarsi: sua madre
aveva ragione. Avrebbe potuto, anzi, avrebbe dovuto
andare molto peggio.
“Stanno tutti
bene quindi?”
“Abbastanza per non dare un motivo ai genitori di lamentarsi
troppo con tuo
padre o la scuola.” Gli strizzò
l’occhio, complice, facendolo sorridere.
“Dov’è
papà?”
“Oh, tuo padre…” Ginny
sbuffò. “È occupato fino al collo in
questo momento. Probabilmente
ti manderà un gufo, in serata, per accertarsi che tu non sia
morto.”
“Mamma,
dai…” Sorrise conciliante.
“Papà
è un pezzo grosso…” La fece
ridacchiare. “Senti, ma… hai detto che non ci
sarebbero
stati problemi per lui. Allora perché è
occupato?”
“Prima di tutto hanno dovuto catturare i Naga e spedirli
all’ufficio
regolazione e controllo delle creature magiche… e non
è stato affar semplice.”
Al annuì, avido
di informazioni. “E
poi?”
“E poi ha arrestato chi ha creato quella barriera e obliviato
James …”
Al tese le orecchie.
“Chi?”
Ginny scosse la testa.
“Mi spiace
tesoro, ma queste sono informazioni riservate. Non so nulla.”
“Ma tu sei una giornalista!” Protestò
abbastanza vivacemente.
“Sportiva, ricordatelo.” Replicò
divertita. “Comunque conosci tuo padre… Se
potrà dirtelo, sarà il primo a farlo. Ma
perché ti interessa così tanto?”
Indagò. Al distolse prontamente lo sguardo.
“Beh,
curiosità…” Borbottò. Non
era
particolarmente bravo a mentire ai genitori. Tutta colpa di
un’educazione
basata sulla trasparenza, ironizzava spesso Tom.
Tom…
Era preoccupato,
naturalmente. Certo, si
fidava delle parole della madre, ma era sempre meglio avere un
riscontro
visivo.
E
poi… non sembrava stare tanto
bene.
Ginny gli lanciò
un’occhiata, poi sospirò.
“È stata una fortuna che sia finita
così, Al. Non rompertici troppo la testa.”
Al annuì,
apparentemente soddisfatto. “Quando
credi che sarò dimesso?”
Aveva molto da fare. Doveva cercare Tom, ma prima di tutto doveva
cercare Rose
e metterla al corrente di quello che sapeva.
E
magari sentire se sa qualcosa in più…
Ginny sbuffò
divertita. “Al, non credi
sia il caso di riposare?”
“Ma sto bene adesso!” Mentì.
“Voglio solo tornare in camera mia e farmi una
doccia. Mi sento uno schifo…” Mugugnò,
guardandola con occhi da cucciolo.
Sapeva che funzionavano. Era una vita che li usava impunemente.
Ginny si morse un labbro,
come sempre
faceva quando era indecisa. “Al, Poppy mi
staccherà la testa… questo è il suo
regno, e qui neppure io ho giurisdizione. E sono tua madre.”
Al sospirò.
Lì urgeva andare d’astuzia.
“Okay…”
Sospirò. “Almeno puoi chiamarmi
Rosie? Devo parlarle…”
“Va bene. Ne approfitto per andare a vedere come sta tua
sorella.”
Rose arrivò poco
dopo. Si era cambiata,
indossando abiti babbani e probabilmente si era anche fatta una doccia,
visto
l’aria riposata. La invidiò profondamente.
“Al!”
Esclamò, prima di gettargli le
braccia al collo con trasporto. Al serrò le palpebre,
ignorando la fitta di
emicrania che lo aggredì feroce.
“Rosie…”
Uggiolò, facendole così mollare
la presa.
“Oddio, scusa!
Male?”
“No, è solo la testa. Mi sembra che sia un
cocomero.” Le sorrise. “Sto bene,
davvero. Piuttosto… hai visto Tom?”
La ragazza esitò, poi scosse la testa. “Sono fuori
dall’infermeria da un po’. Non
l’ho visto, quindi credo sia uscito quasi subito.”
Al sospirò: tipico di Thomas. Non sopportava essere
costretto in un posto,
anche se era per il suo bene. In un certo senso era confortante che si
fosse
comportato da irragionevole come suo solito. “Non fa niente.
Senti, sai dirmi
che diavolo è successo? Io sono svenuto sul più
bello…”
Rose si sedette sul ciglio
del letto, cospiratrice.
“C’era una barriera, alimentata da un mago, il
colpevole, che impediva agli
auror di entrare.”
“Ma la gente
usciva…” Obbiettò.
“Era una barriera magica a senso unico. Lasciava uscire, ma
non faceva
entrare.”
“Strano.”
Commentò pensieroso. “Beh, e
il mago?”
“Si nascondeva tra la folla. Quando l’hanno preso,
hanno detto a noi prefetti
di accompagnare tutti nelle rispettive Sale Comuni, genitori compresi.
Sono
rimasta lì finché non hanno levato le
tende.”
“Voci di corridoio?”
“Niente di importante. Si sa che è quel mago
è stato subito portato via e così
i serpentoni. Che per inciso, sono arrivati con l’advolo celeriter.”
Al esitò, poi
sospirò appena. “Sì, lo
so.” Al sospirò. Niente di nuovo.
“Scorpius dov’è?”
Rose parve indispettita. “Malfoy…” Si
limitò a sibilare.
“…
Avete litigato?”
Di
nuovo?
“Ma
no!” Sbuffò di nuovo. “Parlavo di
suo padre, Draco. È venuto con noi, ovviamente, ma non
appena è entrato in Sala
Comune si è subito gettato
su
Scorpius e l’ha trascinato via. Che uomo odioso.”
Concluse.
Al si trattenne stoicamente
dal
ridacchiare. “Problemi coi genitori,
vedo…”
Rose arrossì. “Lasciamo perdere. In ogni caso non
lo vedo da ore, quindi non so
dirti se sappia qualcosa che io non so. A proposito, forse Jamie sa
qualcosa.”
Al sospirò.
“Jamie? Ti posso ricordare
che è tendenzialmente un deficiente?”
Rose fece una smorfia.
“Era sveglio
quando l’hanno portato qui…”
“A differenza del sottoscritto. Va bene, se proprio dobbiamo
…” Borbottò
tirandosi in piedi.
Rose gli diede una mano ad
alzarsi,
prendendolo a braccetto con disinvoltura. Poppy era occupata con un
paio di
genitori eccessivamente ansiosi, e dava loro le spalle. Si diressero
verso il
lettino di James. “Siete stati fantastici, lo sai? A tenere a
bada i Naga e
tutto il resto, dico.” Gli sorrise. “Non si parla
d’altro.”
Albus sbuffò. “Io non ho fatto niente. Ero pure
senza bacchetta.”
A dirla tutta, nessuno di noi ha fatto
granché.
Non è che ci siamo difesi, visto che non ci hanno neanche
attaccato.
Tutto
questo è così assurdo…
“Ehilà, Albie!”
Li accolse James, non appena furono a
portata d’orecchio. “Lo sai? Pare che la partita
l’abbiamo vinta noi, Hugo ha
preso il boccino!”
Rose sbuffò.
“Oh, sta’ zitto Jam! Come
se fosse questo l’importante…”
James, la cui gamba era retta da un complesso meccanismo di tiranti e
leve, sogghignò
senza ribattere. Sul comodino facevano bella mostra di sé
una pila di
cioccorane e una confezione gigante di piume di zucchero. “I
gemelli mi hanno
portato qualcosa per festeggiare la
vittoria.” Chiocciò gongolante.
“Volete favorire?”
“Magari dopo. Magari ti ci strozzo.”
Ipotizzò Al con un sorriso urbano. Rose
alzò gli occhi al cielo, facendolo sedere sulla sedia libera
accanto al letto.
“Senti…”
Tagliò corto Rose, onde evitare
stragi fraterne. “Sai dirci che diavolo è successo
dopo che…”
“… Al è svenuto come una
femminuccia?”
“Attento Jamie,
hai una gamba fratturata
a portata.” Sibilò il ragazzo.
James sbuffò.
“Scherzavo, dai… con la
botta che hai preso è un miracolo che tu stia parlando. In
ogni caso la spinta
che ti ha tirato Tom non ha aiutato.” Offrì
conciliante.
Rose lo guardò
sbalordita. “Ti ha tirato
una spinta?”
Al si affrettò a
spiegare, fulminando il
fratello con lo sguardo. “L’ha fatto solo per
togliermi dalla traiettoria della
coda di un Naga. Ha preso il mio posto…”
“Che
riflessi…” Commentò colpita.
“Macché
riflessi! Tommy li ha sentiti chiacchierare.
L’avrà sentito avvicinarsi,
quindi…”
“James!”
Albus si frenò dallo spaccargli la testa.
Rose corrugò le
sopracciglia.
“Parlavano? I Naga?”
“Non saprei. Li ha sentiti solo
lui.”
Spiegò James, ignorando l’occhiata linciante del
fratello. “È vero Al, ha
completamente sbroccato là dentro!”
“Era solo teso… lo eravamo tutti.”
Rose prese
un’aria assorta. “I Naga…
sono serpenti.” Rifletté. “Se avessero
parlato un dialetto indiano, umano,
non li avreste capiti, sicuro, ma
li avreste sentiti.”
Al inspirò; non gli piaceva dove il discorso stava andando a
parare.
“Sì,
fin qui ci sto.” Concesse James,
incrociando le braccia al petto. “E quindi? Si ritorna al
solito punto. Tommy è
mezzo matto.”
“No, Jam.” Lo fermò Rose. “Tom
non è matto. Ma forse è un rettilofono.”
Al inspirò,
premurandosi di mantenere
una facciata di quieta incredulità.
“Come?”
Sbottò James. Fece una risata. “Rosie,
i rettilofoni si sono estinti! L’ultimo era papà
ed ha smesso di esserlo quando
Voldemort è morto!”
“Sei davvero un
idiota.” Sbuffò Rose. “Gli
eredi di Salazar Serpeverde non erano gli unici rettilofoni al mondo. E
poi,
pensaci, avrebbe senso. Solo i rettilofoni possono capire il
serpentese. E cosa
credi che parlino tra di loro degli uomini-serpente?”
James assunse
un’aria assorta. “Okay.” Ammise.
“Ma rimane il fatto che essere un rettilofono non
è una cosa bella.”
“Sempre che lo
sia.” Obbiettò Al. “Forse
semplicemente ha sentito qualcosa che credeva
fossero sussurri.”
“Certo, tipico di Tommy dare di matto per un po’ di
vento, vero?” Replicò James
beffardo.
Rose lanciò uno
sguardo ad Albus: notò l’espressione.
“È solo una supposizione…”
Cambiò subito rotta. “Voglio dire, parlare il
serpentese è una cosa estremamente
rara.”
“Anche non avere
l’ombelico lo è.”
Rimbeccò James.
“Sono due cose
diverse.” Gli tenne testa
Rose. “Comunque sai qualcosa? Dico, sul colpevole?”
James fece una smorfia. “No, niente. Anzi, aggiornami un
po’…”
Al non disse nulla,
ascoltandoli
distratto: le sue priorità adesso erano cambiate.
…
Devo trovare Tom.
“Io
vado.” Disse alzandosi. “Ho bisogno
di farmi una doccia e cambiarmi.”
“Poppy non ti ha ancora dimesso.”
Obbiettò Rose. “Non ti farà mai
uscire…”
“Solo se mi vedrà. James, dai il meglio di te.
Piano B.” Disse al fratello, che
annuì, lieto all’idea di poter combattere, anche
da degente, l’autorità
costituita.
Uscì
indisturbato, non appena James
cominciò ad urlare ad alta voce di avere orride visioni di
orchi volanti a
causa della pozione corroborante.
A
volte paga, avere un fratello deficiente.
E
ora, Tom.
****
Torre
di Astronomia, ora di cena.
Tom aveva sempre pensato di
essere una
persona razionale.
Quando si era al dunque
però, spesso si
era reso conto di non saper gestire i propri impulsi. Quello di
spingere Albus
non era stato propriamente funzionale alla sua auto-conservazione, per
esempio.
Fortuna aveva voluto che
gli auror
fossero entrati proprio in quel momento e uno di loro, che sapeva
essere una
vecchia collega del padrino, aveva neutralizzato il suo Naga con un incarceramus che l’aveva fatto
vergognare del suo patetico tentativo di difendersi nella Foresta.
Adesso era sulla Torre di
Astronomia,
lontano da domande inopportune e, soprattutto, da occhi indiscreti; era
riuscito a eludere parenti e amici, perché sapeva che doveva
farlo.
Le
spiegazioni le chiederanno a Ted o James. Sono sicuro saranno
felicissimi di
sbrodolarsi addosso complimenti l’un
l’altro…
Si appoggiò al
parapetto, tirando fuori
il medaglione, che teneva sotto la maglietta.
Aspettava. Aspettava
perché sapeva che lui
l’avrebbe chiamato.
Dop un’estenuante attesa il medaglione divenne tiepido. Poi
caldo. Poi
bollente.
Lo aprì e il
familiare e spiacevole
strappo all’ombelico fu quasi un trionfo personale.
La sensazione si protrasse
per poco però;
impattò duramente con il pavimento della stanza in cui era
stato portato. Si
rialzò in piedi, stordito.
Il ragazzo era seduto nella
stessa
poltrona dell’ultima volta. Stavolta il fuoco era spento.
“Bentornato
Thomas.” Sorrise. “Brutto
atterraggio, eh?”
Tom si passò il dorso della mano sotto il naso. Era sporco
di sangue. Non gli
puntò addosso la bacchetta, sebbene la tentazione fosse
forte. Non era il
momento di dare in escandescenze.
“Ti rendi conto
di cosa hai fatto?” Si
limitò a ringhiare. “Hai rischiato di farci
ammazzare da quei mostri…”
L’altro ragazzo
ridacchiò. “Non
esagerare adesso. Piuttosto, hai sentito? È stato arrestato
il colpevole… un
certo Parva Duil.” Scosse la testa, con un’aria
desolata. “Pare che non avesse
mai accettato di essere stato espulso da Hogwarts. Lo sapevi? E' stato espulso per aver praticato magia sulla propria fidanzata babbana, anni fa. Messa sotto imperium, davvero una brutta storia…” Si
accese una sigaretta, con un
movimento consumato, inadatto al goffo adolescente che impersonava.
“Oh,
probabilmente ancora non lo sai. Ma
verrà scoperto presto.”
“Hai organizzato tutto tu…” Non era una
domanda. Era una costatazione.
Il ragazzo
annuì. “I nostri comuni amici
con le squame erano diventati un po’ troppo
ingombranti… Quel James Potter,
pessima idea obliarlo.” Sospirò.
“Pessima idea, in effetti.”
“Sei stato tu ad obliviarlo?”
“Naturalmente. Peccato che ci fosse un
contro-incantesimo.” Gli fece cenno di
sedersi.
Tom lo ignorò.
“Il memento…”
Quindi
lo sapeva…
Teoricamente
era un’informazione di
dominio strettamente riservato. Ma come sempre ad Hogwarts era difficile tenere un
segreto, specie se riguardava
James Sirius Potter. Si narrava da giorni di come avesse affrontato
– davvero
ridicolo – i Naga e di come avesse visto in faccia il
colpevole e per questo
fosse stato obliviato.
Non era difficile
immaginare che anche
il ragazzo ne fosse venuto a conoscenza.
“E se ti avesse
visto in faccia?” Chiese,
spiando le sue reazioni.
L’altro si
limitò a scrollare le spalle.
“Non l’ha fatto. Non ha visto questa
faccia, più che altro…”
“Eri tu o no?”
Il ragazzo fece un sorrisetto divertito. “Ti vedo bello
deciso oggi, eh?”
“Rispondi.”
“Diciamo che ero camuffato…”
Ribatté placido. Probabilmente, dal suo punto di
vista, quella giornata orribile era stata calcolata al minimo
dettaglio. “… da
colpevole.”
“Da Parva
Duil.” Concluse per lui. “Ha
preso il tuo posto, praticamente. L’hai incastrato.”
“Incastrato?”
Rise brevemente. “Oh, no! Chi pensi che mi abbia portato i
Naga? È stato lui.
Per venti galeoni. Neppure Giuda tradì per così
poco…” Sghignazzò. Sembrava
trovarlo molto divertente.
Gli mise i brividi.
“Ciò
non toglie che tu l’abbia fatto.”
“Sei dispiaciuto per lui Thomas, davvero?” Lo
guardò con curiosità. “Ti
dispiace?”
Tom ci rifletté: no, non gli dispiaceva. Non riusciva a
provare pietà per un
uomo che si era fatto corrompere da una manciata di galeoni, facendo
così
rischiare la vita a lui e ad altri studenti. Forse avrebbe dovuto, ma
non
provava la minima empatia.
Se
vendi te stesso per così poco, vuol dire una cosa sola. Che
non vali niente.
“Non riesco a dispiacermi per i deboli.”
Spiegò.
Il ragazzo sorrise. Sembrava soddisfatto dalla risposta.
“Già. Lo sospettavo…
Beh, comunque non devi preoccuparti di lui.”
“Dipende…”
Replicò salace. “Non hai
pensato all’eventualità che ti denunci? Per
salvarsi da Azkaban. Sai, con la
prospettiva della prigione molte persone tendono a scaricare la colpa
ad altri…
e nel suo caso, l’altro c’è.”
Concluse, scrutandolo attentamente.
Il ragazzo non parve
particolarmente
impressionato. “Vero.” Rispose, con
un’irritante alzata di spalle. “Te l’ho
detto. È tutto sistemato. Il caso verrà
archiviato, i nostri amici rispediti in
patria e il colpevole verrà crocifisso per il bene della
nazione. Questa storia
non è stata una bella pubblicità per il primo
ministro e il favoloso Harry
Potter…” Osservò distrattamente.
“Non devi preoccuparti per me, Thomas. Ho le
spalle coperte.”
Tom fece un breve cenno d’assenso.
Le
spalle coperte… significa che non agisce da solo. Non si
può essere così
tranquilli, ad agire in solitaria. A meno di non essere totalmente
avulsi dalla
realtà.
Possibilità
che non escludo… Questa storia della sciarada, degli
uomini-serpente e del
gioco dell’oca è da folli…
“Parlo il
serpentese.” Disse a
bruciapelo. L’altro ragazzo rimase in silenzio, poi
assentì.
“Certo, lo parli. Ma non ti servo io per una conferma,
no?”
“Perché lo parlo?”
“Beh, dei del cielo… perché ne sei in
grado!” Rise.
Tom tirò fuori
la bacchetta dalla tasca
della giacca. Gliela puntò contro. Non si premurò
neanche di vedere se l’altro
era armato. “Perché?” Chiese di nuovo.
Il ragazzo alzò
le mani, quasi volesse
fargli intendere che era disarmato. Non ci credette neppure per un
secondo. “Ti
sei documentato su Tom Riddle?” Gli chiese invece.
Tom fece una smorfia: non
avrebbe smesso
con i suoi giochetti mentali neanche sotto minaccia di una bacchetta,
era
evidente. “Sì. Tom Riddle era Lord Voldemort prima
che diventasse un mago
oscuro…” Rispose atono.
“Esattamente. Non lo sapevi?”
“Lo conoscevo solo con il suo pseudonimo.”
Ribatté. Sentiva la rabbia crescere,
montare lentamente, ad ondate. Era una cosa a livello profondo. Quel
ragazzo riusciva
sempre a farlo sentire estremamente vicino a perdere il controllo, come
nella
Foresta, con quel Naga. “Cosa c’entra questo con
me?”
“Tom Riddle era un rettilofono.”
Tom fece una risata secca,
sgradevole
persino alle sue orecchie. “E con questo, dove vuoi arrivare?
Non vorrai farmi
credere che ho a che fare con lui…”
“Coleridge lo credeva. È questo il motivo per cui
ti rapì. Pensava di crescerti
come un novello Signore Oscuro. Non è divertente?”
Sorrise. Tom si sentì
soffocare. La stanza era grande e spoglia, ma lui si sentiva oppresso
come in
uno sgabuzzino buio e polveroso.
Si impose di restare
dov’era: non
gliel’avrebbe data vinta.
“Non lo
è affatto…” Sibilò.
“Cosa
credeva, che fossi il suo erede?”
“Era pazzo, su questo non c’è alcun
dubbio. Ma bisogna ammettere che hai
parecchio in comune con uno dei maghi più geniali e
terribili di tutti i tempi…”
Indicò attorno a sé con un cenno esplicativo.
“Sei brillante, intelligente,
incredibilmente dotato. Nel tuo caso l’espressione la magia gli scorre nelle vene
è perfettamente calzante. Già a sei
anni sapevi controllare la magia accidentale in modo ammirevole,
considerando
che, appunto, è accidentale. Sai che anche Tom Riddle ne era
capace?”
Tom si sentì
qualcosa di spiacevole
all’altezza della nuca. Come uno stiletto gelido.
“Come fai a
saperlo…?”
“Di Riddle?
C’è scritto in qualsiasi
libro di Storia della Magia… Certo, alla voce
Voldemort.”
“No.” Ringhiò. “Di
me.”
Il ragazzo scrollò le spalle con orribile noncuranza.
“Te l’ho detto. So molte
cose di te.”
Tom gli lanciò un’occhiata feroce. Alla rabbia
adesso si mischiava l’angoscia.
Ridicolo.
Cerca di mettermi dubbi che neppure sussistono. Non ho nulla a che fare
con
Voldemort. Nulla.
“Voldemort
è morto anni prima che io
nascessi. Il mio rapitore era un pazzo mitomane. A chi mi ha rapito? Da
dove
vengo?”
“Una cosa per
volta, Thomas. Ricordati
chi conduce il gioco qui…”
Tom emise un ringhio frustrato. Non gli avrebbe mai risposto
direttamente. Ebbe
l’impulso di afferrare la bacchetta e…
Inspirò
lentamente.
E
cosa? Vuoi torturarlo? Estorcergli informazioni?
Oh, avrebbe voluto. In quel
momento si
rese conto che avrebbe fatto di tutto per essere in possesso di quelle
risposte.
Il ragazzo sorrise, quasi
avesse
indovinato i suoi pensieri.
Tom non ce la fece
più. Il suo
autocontrollo aveva un limite.
Sentì di nuovo
quel fuoco, un fuoco
liquido, scorrergli nelle vene. Era la sua rabbia. Si alzò
in piedi, di scatto,
puntandogli la bacchetta contro.
Non fece in tempo a capire
cosa stesse
succedendo che si trovò a terra, senza fiato.
Senza riuscire a respirare.
Cercò di
incamerare aria, ma non ci riuscì.
Era come se qualcosa impedisse ai polmoni di farlo.
Il ragazzo aveva la
bacchetta puntata
contro di lui. Quando l’aveva tirata fuori?
Poi se ne accorse: il
ragazzo non era
più tale. Era un uomo adulto, dai capelli dello stesso
biondo sporco, solo
rasati. Aveva il fisico alto, ben piazzato. L’uniforme che
indossava era tesa
fino allo spasmo e le cuciture in più punti erano
grossolanamente strappate.
“Non farlo mai più…”
Sillabò con gentilezza terrificante. “Non sei
ancora in
grado di tenermi testa, bambino…”
Lo
guardò con palese scherno, poi agitò la
bacchetta.
Thomas sentì
l’aria riempirgli i
polmoni. Tossì un paio di volte, mettendosi a sedere. Ci
vollero un paio di
minuti perché riuscisse di nuovo a parlare.
Un
incantesimo non verbale… Non è un mago comune.
“Questo…
è il tuo vero aspetto?” Chiese
lentamente. Si sentiva il respiro ancora spiacevolmente compresso.
L’uomo fece un sorrisetto. “Bingo.
Se
il tuo scatto d’ira era tutto un artificio per smascherarmi,
tanto di cappello.
Quando decidi di giocare, giochi pesante …”
Assunse di nuovo il suo aspetto
adolescenziale, con aria divertita. “Su, alzati.”
Tom si tirò in
piedi, appoggiandosi alla
sedia. Ne ebbe necessità, per quanto fosse umiliante.
“Voglio un altro
indizio…” Sussurrò. “Dammi un
altro indizio.”
Ormai era chiaro.
Quell’uomo aveva il
coltello dalla parte del manico. Le regole le dettava lui e
finché non avesse
capito come aggirarle, come metterlo sotto scacco, era costretto a
rispettarle.
Quello sorrise.
“Un indizio… Va bene. Ti
consiglio di seguire le lezioni di Trasfigurazione. È una
materia profondamente
fraintesa in Inghilterra.”
“Trasfigurazione?” Si morse l’interno
della guancia. “Perché?”
“Perché è grazie ad essa che sei nato.
Dovrebbe interessarti, no?”
****
Nei
pressi della Torre di Astronomia.
Dopocena.
Albus aveva perlustrato
l’intera scuola.
Beh, non proprio tutta naturalmente, ma buona parte.
Aveva letteralmente
setacciato tutti i
posti in cui pensava potesse essere Thomas.
Dal dormitorio, dove aveva
incontrato
Loki che con un cinismo impressionante si stava organizzando per
vendere i
barili di whiskey ai Grifondoro, fino alla biblioteca.
La giornata stava volgendo
al termine e
le prime stelle apparivano sul soffitto meteoropatico della Sala
Grande. I
genitori se n’erano andati. Gli studenti avevano cenato, lui
compreso, e il
portone della scuola era stato chiuso. Lentamente Hogwarts riprendeva i
suoi
ritmi; tutto faceva presagire una notte tranquilla.
La
cosiddetta quiete dopo la tempesta…
E Thomas, naturalmente, era
introvabile.
Si fermò di
fronte alla Torre di
Astronomia. Era l’ultima opzione, pensò con un
sospiro.
Salì la ripida
scala a chiocciola, ben
attento che nessuno lo vedesse: tra poco sarebbe scattato il suo
coprifuoco e
senza la sua spilla da prefetto rischiava un rapporto disciplinare.
Arrivò
all’ultimo piano, battuto da una
brezza gelida perché aperto. Si strinse le braccia attorno
al petto, sbuffando
insofferente.
Era una notte serena. La
luce della luna
illuminava lattiginosa la stanza.
Appoggiato al parapetto
c’era Tom.
Sospirò di
sollievo, avvicinandosi. Vide
che teneva sul braccio il proprio famiglio, il corvo Kafka.
“Tom?”
Il ragazzo si voltò. Aveva un’espressione
indecifrabile. Indossava ancora il
cappotto di quel pomeriggio e aveva i capelli arruffati, ma tutto
sommato
sembrava stare bene.
“Al…”
Rispose. “Non dovresti essere in infermeria?”
Il ragazzo sorrise. “Scappato.”
Tom ricambiò
appena il sorriso,
lasciandolo avvicinare. Al si appoggiò al parapetto,
guardando verso il lago
nero. Era una notte limpidissima. Era incredibile pensare che solo
poche ore
prima avevano rischiato la vita.
“Che stavi
facendo?” Chiese. Tom passò
due dita sul dorso del corvo che gliele becchettò
affettuosamente.
“Alicia mi ha
mandato una lettera… o
meglio, ha risposto a quella che ho mandato a casa tre settimane
fa.” Spiegò.
Al annuì. Solo
Alicia mostrava curiosità
verso il mondo del fratello, ed era l’unica a mantenere la
corrispondenza
durante il periodo scolastico.
Tom aveva un rapporto
strano con i suoi:
non ne parlava mai, a tal punto che un giorno Nott gli aveva chiesto se
non
fosse orfano. Eppure, quando al terzo anno Michel si era lasciato
sfuggire
un’offesa contro i babbani, Tom gli aveva spedito una fattura
che l’aveva
costretto a girare per due settimane con due gigantesche orecchie
d’asino.
C’erano voluti
sei mesi prima che Michel
gli rivolgesse nuovamente la parola.
Ma da allora era stato
chiaro a tutti
che, sebbene Tom non parlasse mai della sua vita coi babbani,
ciò non
significava che li trovasse stupidi o, come aveva detto Michel, primitivi.
Tom
vuole bene alla sua famiglia… ma essere a Serpeverde, che ha
un’affluenza di
purosangue quasi imbarazzante, ti spinge ad evitare di far sapere in
giro che
hai un cellulare e sei appassionato di rock babbano.
“Come sta
Alicia?” Sentiva che non era
il caso di parlare quel pomeriggio. Non subito almeno. Tom aveva lo
sguardo
fisso su Kafka e non l’aveva guardato in faccia neanche una
volta.
“Bene
direi…” Fece un sorrisetto. “Si
è
trovata il ragazzo.”
“Come suo fratello…” Scherzò,
cauto. Si rilassò quando vide Tom sorridergli e
lanciargli un’occhiata, breve ma abbastanza rincuorante.
“La situazione
è un po’ diversa.” Commentò,
tendendo il braccio al di là del parapetto. La cornacchia
spiccò il volo,
sparendo tra la fitta boscaglia della Foresta Proibita.
Al sospirò:
sentiva che qualcosa non
andava con Tom. Di nuovo. Era frustrante ammetterlo, ma sembrava si
fosse
chiuso in se stesso. Ancora.
“Non
proprio…” Obbiettò. “Anche
noi
stiamo assieme.”
“Alicia può portare a casa il suo ragazzo. Io
porto a casa mio cugino.” Ribatté,
appoggiandosi accanto a lui. “Come vedi, è
diverso.”
“Non siamo davvero
cugini.” Replicò, quieto,
anche se si sentiva un nodo alla gola. “Vuoi rimangiarti
quello che è successo
stamattina?”
Tom si irrigidì e poi con suo grandissimo sollievo, scosse
la testa. “No.”
“Bene, perché ti avrei buttato di
sotto.” Scherzò. “Stai bene?”
Chiese poi. Non
ce l’aveva fatta. Aveva bisogno di sapere come stava.
Tom esitò.
Sembrava in preda ad un
grosso conflitto interiore, da come si morse un labbro.
“Sto
bene.”
“Risposta sbagliata. Ti sei guardato allo specchio? Anzi, sei
passato in bagno
a darti una sistemata?”
“No.” Adesso sembrava infastidito. Decise di
fregarsene.
Se
non avessi deciso di fregarmene la sera in cui ha fatto rissa con
Michel,
stamattina mi sarei svegliato di nuovo in una stanza vuota.
“Avresti
dovuto.” Lo riprese. “Senti… quello
che ci è successo avrebbe mandato in crisi persino un auror.
Abbiamo rischiato
la vita…”
Tom serrò le labbra in una linea sottile.
“No.” Disse. Fissava un punto
indefinito della foresta con ferocia. “Non ci avrebbero
ucciso.”
“Come fai a saperlo?”
Tom non si riteneva un
idiota. Sapeva
che Al stava cercando di capire cosa stesse combinando. E lo conosceva
abbastanza per sapere che non si sarebbe fermato davanti ad un semplice
‘sto
bene’. Albus Severus era uno dei tipi più
determinati che conoscesse, quando
c’era qualcosa che stuzzicava la sua attenzione.
E lui era un argomento
sufficientemente
interessante, se ne rendeva conto.
Specie alla luce dei nuovi
avvenimenti
nella sua storia personale.
Trasfigurazione…
il modo in cui sono nato.
Ridicolo.
Cosa c’entra la trasfigurazione con la nascita di un essere
vivente?
Potrei
capire pozioni, esistono pozioni per favorire il parto, o per guidare
una
gravidanza.
Ma
trasfigurazione…
Ancora
domande. Maledizione.
“Tom?”
Si accorse che Al lo stava
guardando. Si
concentrò per servirgli una spiegazione convincente. Non era
semplice: alla
fine si risolse a dirgli una mezza verità.
“Non volevano
ucciderci, altrimenti
l’avrebbero fatto. E… li ho sentiti
parlare.” Si sentì disgustosamente ansioso,
all’idea che Al potesse reagire male. Ma continuò.
“Non serve che ti spieghi
cosa significa, vero?”
Al si morse
l’interno della guancia.
Sembrava pensieroso, ma non disgustato. La cosa gli diede un sollievo
enorme,
con suo grande imbarazzo. “Sei… un
rettilofono?” Chiese.
Si limitò ad assentire.
“Da quanto lo
sai?”
“Da oggi?” Replicò ironico.
“È la prima volta che avevo a che fare con dei
rettili. Abito nel Surrey, non nella foresta amazzonica. E odio gli
zoo. Fai i
tuoi calcoli.”
Al assunse di nuovo quell’aria pensosa. Rifletteva molto, per
avere fenotipo
Potter marchiato nelle vene. “Devi dirlo a
papà.” Decretò infine.
Tom fece una smorfia,
cercando di non
mostrarsi troppo insofferente. “Non credo sarebbe una buona
idea…”
Non
è neppure riuscito a sapere da chi sono nato. Ho dovuto fare
un patto con un
uomo equivoco, e presumibilmente pericoloso per avere la
possibilità di capirci
qualcosa.
“Perché no? Potrebbe fare delle ricerche. Forse ha
a che fare con la tua
nascita…” Suggerì.
“Forse… anche uno dei tuoi genitori era
rettilofono. Si
passa per discendenza, no?”
“Sì, ma questo non c’entra niente. I
rettilofoni non hanno l’obbligo di
registrarsi al Ministero, quindi potrebbe cercare ben poco.”
Lo scoraggiò da
ulteriori speculazioni. In quella storia Albus non doveva entrare.
Affatto.
E
se devo coinvolgere zio Harry per tenerlo buono, lo
farò…
A
modo mio, naturalmente.
“Devi parlarne
con papà…” Ripeté Al.
“Davvero, devi farlo. Essere un rettilofono non è
una cosa così terribile. È
solo… beh, rara.” Cercò di
incoraggiarlo, intuendo che forse era quello uno dei
problemi che lo angosciavano maggiormente.
Tom non rispose.
“Gli spedirò un gufo…”
Promise
invece.
Poi lasciò
parlare la sua voglia di non
pensare a nulla. Lo afferrò, tirandoselo contro.
Al non oppose resistenza,
anzi rispose
all’abbraccio senza esitazioni, seppellendogli il viso contro
la stoffa spessa
del cappotto.
Dopo un po’
però, tirò un lieve sospiro.
“Non per fare il guastafeste Tom… ma tu hai il
cappotto, io no. Sto morendo di
freddo.”
Tom sbuffò. “Allora muori…”
Decretò.
Al, esasperato,
cercò di tirargli un
pizzicotto sul fianco, che lui però intercettò
subito, afferrandogli la mano.
Non ci pensò neppure troppo, prima di intrecciare le dita
alle sue. Albus
rispose alla stretta, forte.
“Sai, basta
chiedere.” Disse, alzando la
testa con un sorrisetto inquietantemente saputo. “Al, voglio rimanere ancora abbracciato a te…”
Cantilenò.
Tom sentì
curiosamente le guance
scaldarsi. Non replicò, del resto ci aveva preso in pieno.
Era ridicolo come in lui si
agitassero
sentimenti tanto contraddittori, riflettè mentre lo
stringeva meglio: se da una
parte desiderava allontanare Al e occuparsi solo di sé
stesso, dall’altra
desiderava Al, solo per sé stesso. Perché quei
momenti con lui erano
assolutamente perfetti.
Momenti in cui le
preoccupazioni, i
sensi di colpa, tutto, semplicemente spariva.
Come quando da bambini si
spingevano lontanissimi
da casa, attraverso sentieri a malapena battuti. Erano completamente
soli e il
mondo era ai loro piedi.
Momenti perfetti. E adesso
erano
tornati, sebbene sotto una forma diversa.
Tutto
cambia. A volte in peggio. A volte, in meglio.
“Tom…”
Lo richiamò.
“Mhh. Che c’è adesso?”
“Devi promettermi
che se fossi nei
guai…” Inspirò. “Devi
promettermi che se le cose andassero veramente male, mi
chiederai aiuto.”
“Chiederti…
aiuto?” Cercò
di non fare una faccia troppo sbalordita. I Potter
erano dei gran permalosi. Persino Al, che era il più
controllato.
Al infatti sbuffò. “Invece dovresti farci un
pensierino. Sono ben ammanicato
dopotutto. Sai, sarei tipo il figlio del Salvatore del mondo
magico…”
Ridacchiò.
Tom lo guardò,
cercando di capire se avesse
intuito qualcosa. I suoi occhi scintillavano di una luce maledettamente
seria.
“Non sono nei
guai…” Sondò il terreno.
“I Naga sono stati presi e il colpevole arrestato.
È tutto finito.”
“Lo so, lo so. Ma
tu prometti.”
Tom esitò, poi
si limitò ad un semplice
cenno di assenso.
Al decise di farselo
bastare. Per il
momento.
Vorrei che questo momento non
finisse mai,
dove
tutto è niente, senza di te.
****
Note:
Questa
è una piccola raccolta di drabble che ho fatto per Natale.
È una raccolta di missing-moments
che proprio non riesco a
far entrare nel continuum della storia. Dateci un’occhiata,
se vi va.
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Capitolo 31 *** Capitolo XXVI ***
Poche
recensioni a questo giro, come mai? :-( Non rendete Al triste, dai!
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato la ‘10 songs
Challenge’, vi
rispondo qui per comodità. XD
@Ron1111:
Grazie per il
commento alle drabble. Per Tom non ti posso dare spoiler, ma posso
dire…
fuochino. ;P Grifondoro c’è da dire, che avrebbe
vinto anche se, purtroppo, non
fossero arrivati i Serpentoni. Al è bravo, ma il resto della
squadra stava
clamorosamente perdendo. L
Per la pubblicità… la tua fic la merita tutta!
Non vedo l’ora che quei teneri
virgulti diventino adolescenti saturi di ormoni. *_* (E poi, porca
miseria, che
razza di Gellert e Al mi hai messo, sono da trauma ormonale *_*)
@Ombra:
Grazie per i
complimenti! In effetti più che una sfida-drabble io
l’ho presa come una
raccolta di spin-off :P L’ho sfruttata così
insomma. Ti piacciono i FOB? Anche
a me ^^
@Rorothejoy:
Infatti, la
raccolta l’ho usata un po’ come spin-off, non
è escluso che lo faccia ancora.
Devo ancora piazzare un paio di flash-back che non so dove mettere.
Quindi,
mi sa, alla
prossima sfida! XD
@MyBlindedEyes:
non so se mi
leggerai qui, ma comunque sono io contenta e felicissima che tu abbia
fatto
quel lavoro grafico per me. Tra l’altro non apprezzato solo
da me, ma anche
dalle altre ragazze che mi seguono, quindi il merito qua va tutto a te
^^ Mi fa
piacere che ti sia piaciuta Lily, probabilmente in seguito
avrà più spazio, se
le cose vanno come voglio!
@Altovoltaggio:
grazie per i
complimenti a Lily! Mi fa piacere che tu l’abbia rivalutata,
visto che era
proprio l’effetto che volevo dare. Se riesco a far andare in
porto questa fic,
nella seconda parte Lily avrà un ruolo più
importante. Quindi non potevo
cominciare a darle un po’ di luce ;) Mi fa piacere che anche
Loki abbia
riscosso successo; è un personaggio indubbiamente
secondario, ma questo non
significa che non sia dotato di una personalità. Dopotutto
è il miglior amico
di Mike e persino Tom-Misantropo lo rispetta. Ebbene sì, a
proposito di Sy, è
stata la prima cotta di Mike (cosa che lui ovviamente non sa). Poi gli
interessi del bel Zabini si sono spostati verso lidi più
pulcinosi… xD Tommy
ruleggia comunque. Lo so, l’ho disegnato così, che
ci vuoi fare XD (Senza
Riddle altro che Tom però…) Qui niente scene
Tom/Al, ma in compenso ci sarà uno
svoltone. Fammi sapere poi cosa ne pensi. Ci tengo, visto che sei
sempre
sincera nei tuoi giudizi.
@Trixina:
Le canzoni
meritano tutte, quindi se ti capita, o hai voglia, scaricatele
perché sono
davvero carine, al di là dell’uso che io ne ho
fatto ;P Ti sei ritrovata in
Lily? Bene, allora ti piacerà come pg. Se tutto va come deve
andare avrà più
risalto in un secondo momento.
MissyMary:
Auguri di buon
anno nuovo! ^^ Tom e Voldy… beh, un legame
c’è, questo posso assicurartelo. Ma
di che natura, beh, si scoprirà… per quanto
riguarda la Trasfigurazione, in
questo capitolo verrà scoperto qualcosa. ;) In questo
capitolo TeddyBear non ti
piacerà… sigh, ti preavverto. Non arrabbiarti. :P
Non è detto che su Jamie/Mike
e farsi-beccare-da-Teddy non ci lavorerò su.
C’è una festa di Halloween in
arrivo e fiumi di alcool… basta, ho già
spoilerato troppo, argh! XD Grazie per
aver recensito!
****
Capitolo
XXVI
Sometimes
what you say/ confuses what you mean
A mouth of strangled
words/ Come
spinning out your mouth
Nothing’s like the dream¹
(There down this houses, Skin)
3 Ottobre 2022
Isola
di
Heligoland, Azkaban.
“Aprire
i
cancelli!”
Il
rumore dei giganteschi cancelli di Azkaban, mostri di acciaio e pietra
era
quasi insopportabile. Il secondino, alla guardiola, si scusò
con un sorriso con
il vecchio che attendeva, paziente, l’apertura.
“Troppo
grossi per oliarli tutti, eh secondino?” Scherzò,
facendolo ridacchiare.
“Sissignore,
può dirlo forte. Lei è un pastore?”
Spiò curioso le vesti talari del mago.
“Oh, sì, figliolo. Proprio così. Anche
i criminali peggiori hanno bisogno di un
po’ di fede.” Sorrise. “La pace sia con
te, figliolo.”
Quando
i cancelli si furono richiusi alle sue spalle, il parroco
sogghignò.
E
tornò biondo.
Ministro
della
Magia, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
Ufficio
Auror.
Mattina.
Harry
Potter, anche conosciuto come il Salvatore, si passò le mani
trai capelli.
In
quel momento avrebbe voluto che qualcuno salvasse lui.
Era
seduto alla scrivania del suo ufficio dalle sei di quella mattina. Ed
erano già
arrivate qualcosa come centottanta
lettere,
tra promemoria inter-ufficio e Gufi privati.
Sentì
bussare alla porta. Fu seriamente tentato di darsi morto.
“Avanti…” Proferì
funereo.
Ron entrò con un sorriso simpatetico stampato in faccia.
“Giornataccia, eh?”
“Puoi dirlo forte.” Mugolò, grato che
fosse lì per disperarsi con lui.
“Ho
notato.” Se ne tolse uno dai capelli, porgendoglielo. Harry
lo lesse con una
smorfia.
“Viene
dall’Ufficio Controllo Delle Creature Magiche.”
Sospirò. “Uther non ha preso
bene il fatto che gli abbiamo pestato i piedi.”
All’espressione confusa del
rosso, spiegò. “Vuole parlarmi. Sai, una cosa tipo
ognuno deve stare al suo posto anche se hai
salvato il collettivo culo
della comunità magica…”
“Ma di che si lamenta?” Sbuffò Ron,
buttandosi sulla sedia davanti alla
scrivania. “Voglio dire, gli abbiamo portato quei lucertoloni
già
impacchettati!”
“Lo so, ma l’indagine avrebbe dovuto essere sua. Si
trattava pur sempre di serpentoni
giganti.”
“Quei
cosi erano controllati da un mago!”
Obbiettò con forza Ron. “Da un mago terrorista!”
Harry
si tolse gli occhiali, massaggiandosi la sella del naso: con
l’età quel gesto
era diventato abituale come l’arruffarsi i capelli.
“Parva Duil non è un
Mangiamorte, né è risultato implicato nelle Arti
Oscure. Quindi aprire un
indagine su di lui non rientrava nelle nostre competenze, se vogliamo
andare a
guardare il pelo nell’uovo. La storia che pianificasse un
attentato ad Hogwarts
era un po’ tirata per i capelli, bisogna
ammetterlo…”
“Ma ha davvero fatto un
attentato!
Come lo chiami quello di ieri?”
Harry scrollò le spalle. “L’unico motivo
per cui il Wizengamot non è venuto a
tirarci le orecchie. Eravamo al posto giusto nel momento giusto. Se Jam
non
avesse ricordato, non saremo stati lì. Semplice.”
Ron
lo guardò riflessivo, incrociando le braccia al petto. Dopo
un lungo momento,
sbuffò. “Okay… Ci è andata
di lusso. Ma non avremo grattacapi dal Ministero,
vero?”
“Le solite lettere di reclamo per la mia gestione discrezionale.” Fece un cenno
evasivo. “Finirà tutto all’Ufficio
Reclami e fine della storia. No, il problema è che il
Ministero ha fatto
pressioni.”
Ron aggrottò le sopracciglia. “E per
cosa?”
“Perché il caso venga chiuso in fretta. Un
dipendente ha rapito dei semi-umani
per attaccare una scuola… Puoi solo immaginarti quanto sia
scomodo per il
prestigio internazionale del Ministero.”
Ron
lo guardò confuso. “E dove sarebbe il problema? Lo
stiamo chiudendo.” Lo
scrutò. “No?”
Harry
esitò. Era dalla sera prima che aveva un pensiero che gli
girava per la testa.
Questa
storia… è
finita in modo troppo prevedibile. Un insperato colpo di fortuna.
Se
l’avesse detto a Ron l’avrebbe tacitato di essere
paranoico.
Sì,
peccato che le
mie paranoie di solito siano piuttosto fondate…
“Harry?”
Lo richiamò l’amico. “È
finito tutto bene. Qual è il problema?”
Annuì
con aria distratta. “È solo…”
Sospirò, lanciandogli un’occhiata. “Ti
sto
parlando da Harry a Ron, non da Auror ad Auror, sia chiaro.”
Ron annuì, restituendogli uno sguardo attento.
“Ricevuto. Spara.”
“Questa faccenda… è andata troppo
liscia. Capisci? Un giorno i Naga sembravano
spariti nel nulla, quello dopo si sono letteralmente schiantati nel
perimetro
della scuola. E diciamocelo, era tutto fuorché un piano
brillante.”
Ron
scrollò le spalle. “Beh, quel tipo, quando
l’abbiamo preso mi è sembrato tutto
fuorché
un genio del crimine…”
“Appunto. Com’è possibile che abbia
potuto nascondere attorno ad Hogwarts cinque
uomini-serpente per un mese
intero e senza farsi scoprire, ma poi abbia pensato ad un piano
così…” Esitò,
cercando la parola. “… raffazzonato? Sembra quasi
che volesse farsi arrestare.”
“Magari l’abbiamo messo alle strette.
C’erano tre pattuglie attorno ad Hogwarts
e due all’interno. Senza contare le tre ad Hogsmeade. Aveva i
giorni contatti
ed avrà agito senza impulsivamente. Dai, è
chiaro!”
Era
una spiegazione logica. Così logica che probabilmente era
l’unica possibile.
Eppure Harry aveva guardato negli occhi quell’uomo, prima che
lo portassero via,
e non vi aveva visto nulla che facesse pensare ad un criminale geniale,
capace
di convincere sei guerrieri indiani a seguirlo e a chiudersi in un
mutismo ostile
alle domande degli Auror.
E
poi c’era un’altra cosa che gli dava da pensare: chi era stato coinvolto.
Per
quanto riguardava i figli e Ted si era trattata solo di una sfortunata
coincidenza.
Ma
Thomas? Due
attacchi ed entrambe le volte era presente…
Harry
non aveva mai creduto nelle coincidenze.
Ed
era quasi certo che la sera prima Tom non si fosse fatto volutamente
trovare, quando era andato a cercarlo.
“Ehi,
c’è nessuno in casa?” Ron interruppe il
suo flusso di pensieri. “Se ti chiamo
un’altra volta e non mi rispondi penserò a demenza
senile precoce, amico!”
Harry gli sorrise impacciato. “Scusa. Stavo solo
pensando…”
“Lo vedo.” Fece un mezzo sorriso comprensivo.
“Andiamo, non complicarti la vita!
La faccenda è chiusa. Parva Duil verrà condannato
e nessuno dovrà più
preoccuparsi di quel fuoriditesta.”
Harry
annuì, ma per quanto ci provasse, non riusciva a togliersi
dalla testa quella
spiacevole sensazione di incompiutezza.
“Sai…”
Esordì, per cambiare discorso. “L’aiuto
di Malfoy non me lo sarei mai aspettato.”
“Già…” Grugnì Ron,
rabbuiandosi al ricordo dell’alterco con l’attuale
Lord. “Manco
io.”
“Ammettilo. Avergli salvato la vita ventiquattro anni fa non
è stata un’idea
cattiva, in fondo.” Per quanto lo riguardava, considerava
Draco Malfoy
nient’altro che un essere umano. Capace di sbagliare, in modo
tremendo e quasi
irreversibile, ma anche di risollevare le sorti della propria famiglia
ed
essere un padre affettuoso.
E
se Scorpius è
stato smistato a Grifondoro, non deve averlo tirato su così male…
Ron
fece una smorfia, come se inghiottisse pus di bubotubero.
“Malfoy è rimasto lo
stesso furetto odioso di vent’anni fa… Ma
è pur vero che senza di lui avremmo
dovuto aspettare quell’idiota di Coven. E per i nostri
ragazzi sarebbe potuta
finire molto peggio.” Concesse.
“Hai centrato il punto. Come ti è sembrato suo
figlio?” Chiese, spiando le
reazioni.
Spero
solo che
Rosie lo faccia sedere prima di dirgli che è diventata amica
del piccolo Malfoy
…
Ron
emise uno sbuffo esasperato. “È un idiota, come
suo padre! Pensa che è andato a
chiacchierare con Duil, prima che
arrivassimo noi.”
“Per fermarlo, no?” Harry ci rifletté.
“Terribilmente stupido… ma direi che il
Cappello ci ha preso anche stavolta. Quel ragazzo è un
grifondoro.”
“Bella roba.” Commentò salace.
“L’unica cosa che mi consola è
immaginare la
faccia di Malfuretto quando ha scoperto che il frutto dei suoi lombi
è finito a
giocare per la nostra squadra…” Imitò
la presunta faccia orripilata, facendolo
ridere.
Si
sentì bussare di nuovo alla porta. Harry sbuffò
esasperato. “Avanti…” Ripeté
meccanicamente. Ron lo guardò con fraterno sguardo
suppportivo. Gli fu grato,
sebbene fosse più o meno utile come un appendiabiti.
Entrò
un hit wizard² che Harry
riconobbe
come il figlio maggiore di Liam Flannery, un vecchio compagno di
squadra. Gli
sorrise, facendo cenno di entrare. “Dimmi pure,
Fearghal.”
Il ragazzo sembrò andare letteralmente in visibilio
all’idea che conoscesse il
suo nome. Per un momento parve anche aver dimenticato la consegna. Poi
si
sbloccò. “Signore, mi spiace disturbarla, ma vengo
da Azkaban.”
Harry
si scambiò un’occhiata con Ron. “Che
succede, problemi con Duil?”
“Beh, in un certo senso signore… Si è
suicidato.”
****
Aula
di Difesa
Contro le Arti Oscure.
Ora
di pranzo.
Tom
aveva infine scovato la professoressa Prynn.
Non
era stato facile: quella donna aveva il dono di scomparire a lezione
finita, e
pareva non usare mai il proprio ufficio, come non frequentare la Sala
Professori.
Fu
una fortuna quindi trovarla al primo piano, intenta, sembrava, a
cercare
qualcosa.
Si
avvicinò. “Posso esserle utile?”
“Oh, no Thomas, grazie caro. Stavo solo ammazzando il
tempo.”
“Le
posso rubare un momento, allora?”
Ainsel sembrò infastidita. Gli sorrise però.
“Certo. Facciamo nel mio ufficio?”
Tom annuì, seguendola. Si sentiva impaziente.
Trasfigurazione…
può davvero influenzare la nascita di una persona?
La
donna lo fece entrare nell’ufficio che una volta era stato
della McGrannit. Al
momento era piuttosto spoglio, fatta eccezione per una libreria, la
scrivania e
un paio di stampe dai colori iridescenti che riflettevano la luce
filtrata
dalle finestre. Tom ne rimase sorpreso: Ainsel Prynn era una
personalità forte,
che gridava a chiare lettere la sua presenza nel Castello. Si sarebbe
aspettato
una stanza ingombra di oggetti.
Ainsel
si sedette dietro la scrivania, facendogli cenno di prendere posto
davanti a
sé.
“Dimmi,
in cosa posso aiutare uno studente brillante come te?”
Tom si sedette con un sorriso educato. Sapeva come guadagnarsi le
simpatie dei
professori. Ci aveva messo anni per costruirsi una fama di studente
sostanzialmente perfetto. E ne
andava
fiero. “C’è una cosa che non ho capito,
e speravo che lei potesse aiutarmi…”
Ainsel gli lanciò un’occhiata apparentemente
stupefatta. “Possibile? Sentiamo.”
“Si tratta della lezione introduttiva alla
materia.” Spiegò. “Ha parlato della
Trasfigurazione accomunandola, per certi versi, alla fisica babbana,
citando Lavoisier.
È insolito… nessun professore usa un babbano per
spiegare la magia.”
“Nulla si crea, niente si distrugge,
tutto si trasforma.” Recitò la donna. Lo
squadrò, valutativa. “Ad Hogwarts purtroppo
vi abituano a pensare che basti pronunciare la formula e concentrarsi
sul
movimento della bacchetta. Sbagliando. Sei nato-babbano, non
è vero?”
Tom si limitò ad assentire.
“Allora
posso farti un esempio. È come usare un computer senza
capirne il funzionamento.
Magari sapete mandare e-mail. Ma non avete idea di come sia possibile
scrivere
messaggi e mandarli in rete. Mi segui?”
“Credo di sì. Infatti mi chiedevo
perché poi non avesse approfondito… la
spiegazione.”
Prese un’aria interrogativa. “Se posso
chiedere… Il consiglio scolastico le ha
imposto di attenersi al programma?”
Ainsel ridacchiò. “Già.
A quanto pare
i miei metodi yankee non piacciono
al
vostro Preside…”
Tom non poté fare a meno di sentirsi irritato.
Vecchio
idiota.
Oltreoceano
il
progresso va avanti e noi restiamo fermi a trasformare tazzine in
volatili?
Ainsel
parve intuire ciò che pensava, perché fece un
sorriso indulgente. “Non posso
insegnarvi nulla che non si attenga al programma, ma tu, Thomas, puoi
farmi
delle domande, se ne hai. Non vedo nessuna circolare che mi proibisce
di
rispondere. Quindi forza, fammi la tua vera
domanda…”
“Mi
chiedevo…” Usò un tono quietamente
curioso, domando la soddisfazione selvaggia
che gli scorreva nelle vene. “Si può usare la
Trasfigurazione su una persona che
non è ancora tale? Intendo dire… su un bambino
non ancora nato. Magari per alterare
il suo aspetto fisico, o le sue capacità magiche.”
È
quello che sono? Un
esperimento di Trasfigurazione?
È
per questo che sono
nato senza un pezzo? È per questo che sono un rettilofono?
È
per questo che ho
sempre saputo smaterializzarmi?
Dimmelo.
Devo
saperlo.
Ainsel
scosse la testa. “La Trasfigurazione può essere
compiuta solo su un soggetto
già formato.” Spiegò. “Non
puoi calcolare gli effetti di una trasformazione su un
feto nell’utero materno. Sarebbe rischioso perché
non se ne conoscerebbero gli
esiti. Per quanto riguarda alterare le capacità magiche di
una persona…” Il
tono si fece grave. “… Ne abbiamo un chiaro
esempio in un uomo che conosci
bene, credo.”
“Harry Potter.” Mormorò Tom.
“Voldemort riversò alcune sue capacità
in lui,
quando tentò di ucciderlo.”
Perché
ogni cosa
che scopro su di me è in qualche modo legata al mio padrino?
“Esattamente.
Ma lì si trattò di pura magia, antica e
primordiale. E comunque il Salvatore era
già nato. Quello che tu mi stai chiedendo, mi pare di
capire, è se si può guidare
la nascita di una persona con la
magia per dargli determinate caratteristiche magiche.”
Tom
assentì, sentendosi la bocca secca. “Si
può fare?”
“Non
con la Trasfigurazione.”
Serrò
le nocche contro la stoffa dei pantaloni, cercando di dominare la
cocente
delusione che lo investì.
“Capisco…” Si scollò dal
palato.
Ainsel
lo guardò per un attimo, poi si alzò.
“Sai, Thomas… Trasfigurazione, come
Pozioni, è solo un ramo.”
Tom alzò lo sguardo. “E l’albero
sarebbe?”
“L’Alchimia.”
La donna si alzò, andando alla propria libreria.
“Nel Regno Unito viene
studiata in modo superficiale e qui ad Hogwarts
incorporata…” Fece una smorfia
divertita. “… nel programma di Pozioni Avanzate.
Inoltre gli alchimisti inglesi
devono dichiarare le proprie ricerche al Ministero. In un clima
così oscurantista
è chiaro che la materia langua…”
“Nicolas Flamel era inglese. In Inghilterra è
stata creata la Pietra
Filosofale.” Si risentì Tom.
“Quanto,
trent’anni fa?” Rimbeccò Ainsel.
“Un risultato notevole e fin’ora imbattuto, te
lo concedo mio giovane mago inglese…” Prese un
libro, molto simile ad un voluminoso
libro di testo babbano. La copertina recitava, in lettere dorate,
‘Introduzione
Ai Principi Alchemici’. “Ma da allora? Ci sono
stati altri alchimisti noti?”
“Non che io sappia.” Dovette ammettere.
“In America ci sono alchimisti?”
“Naturalmente, sebbene i migliori siano in
Germania.” Glielo porse. “La
Trasfigurazione non può influenzare la nascita di un essere
umano, ma…”
Tom
prese il libro. “…l’Alchimia
può farlo?”
Ainsel sorrise. “L’Alchimia può fare
molto di più, credimi.”
E
tu Tom, è proprio
il caso di dirlo, ne sei l’esempio vivente.
****
Hogwarts,
Infermeria.
Pomeriggio.
James
si stava annoiando.
‘So
benissimo,
ragazzaccio, che appena messo piede a terra andresti a scapicollarti da
qualche
parte! La gamba è debole, oltre al femore rotto hai
danneggiato anche i nervi.
Rimarrai qui fino all’ora di cena.’
Vecchia
megera…
- Pensò con convinzione.
Non che la noia fosse il vero problema.
Erano
venuti a trovarlo tutti. Dai fratelli, ai cugini, ai compagni di
squadra, per
finire prevedibilmente con gli Scamandro e Bob Jordan, cacciati
immediatamente
per aver tentato di introdurre una cassa di Burrobirre. Era passato
persino
Malfoy.
Insomma,
proprio tutti. Tranne Teddy.
Si
mosse sul letto, tentando di rendere più comoda la sua
posizione. Sospirò
pesantemente. Lanciò in aria un paio di riviste di
Quidditch. Sbadigliò
sonoramente.
La
Chips lo fulminò con un’occhiataccia.
“Mi annoio!” Si giustificò.
“Davvero!”
“La cosa non mi riguarda, ragazzo.” Con
un colpo di bacchetta rifece un letto, e fece apparire un vaso
profumato di
fiori sul comodino. “Sta’ buono.”
“Dai
Poppy, vammi a prendere un numero della Gazzetta. Voglio sapere
qualcosa su chi
mi ha spezzato il femore!”
“Non
ci penso neanche. Sono un’infermiera, non un gufo. E
comunque, si tratta di un
disgraziato criminale, un ex-alunno di Hogwarts invischiato in una
brutta
storia di magia accidentale. È stato espulso ed ha voluto
vendicarsi.”
Riassunse brutalmente concisa.
“Wow…”
Commentò colpito.
Non
ci avevamo
capito un cazzo, io e i tre piccoli geni…
Tommy-boy
non
c’entrava un benedetto accidente.
Rimase
un po’ in silenzio. Poi ovviamente la domanda venne fuori.
“Posso chiamare il
professor Lupin?”
“Non
vedo perché dovresti, visto che sta facendo
lezione.”
“E dopo che ha finito?”
“Potter, se non la smetti giuro che ti faccio ingoiare una
pozione soporifera!”
Lo minacciò. “Sta’ un po’
tranquillo!”
“Ma mi annoio!” Belò con convinzione. La
donna lo ignorò.
James
ventilò a lungo l’idea di prendere la bacchetta
sul comodino e schiantarla, per
poi andarsene nel parco.
Per
fortuna prima che traducesse quel sogno disperato in realtà,
arrivò Teddy.
“Ce
ne hai messo di tempo!” Sbottò, ignorando lo
stupido batticuore da checca che
l’aveva assalito. Teddy
gli sorrise. Aveva un paio di riviste di Quidditch in mano e una stecca
di
cioccolato di Mielandia.
Quello
fu il momento in cui fu assolutamente certo di amarlo.
“Sono
un professore, Jamie. Ho dei doveri.” Spiegò
paziente, posando riviste e
cioccolata sul comodino. “Come stai?”
“Annoiato a morte.”
Brontolò,
incrociando le braccia al petto. “Senti, dici a Cerbero di
darmi un po’ di
respiro?”
“Signor Potter!”
“James… sii più educato con Madama
Chips. Ricordati che è grazie a lei se sarai
di nuovo in piedi entro stasera.” Lo rimproverò
con gentilezza. James sbuffò.
“Scusa
Poppy…” Borbottò. “Grazie per
avermi rimesso in piedi.”
“Non
male.” Lo lodò ironico. “Ora
può andare…” Disse alla donna.
“Rimango io con
lui.”
L’infermiera sembrò poco convinta, ma non
poté protestare. “Non lo faccia
uscire. La pozione rimpolpaossa deve ancora finire di fare
effetto.” Disse
prima di andarsene.
James lo invidiò: riusciva sempre ad instillare una fiducia
sconfinata nelle
persone. Persino in quella strega arcigna. Il che era tutto dire.
“Allora…”
Ted si sedette. James notò che era a disagio.
“Come stai?”
“Me l’hai già chiesto.” Prese
la tavoletta di Mielandia, addentandola. “Tu
come stai?”
“Bene,
bene…” Si schiarì la voce. Per un
momento James fu quasi tentato di lasciar
perdere. Poi cambiò idea. Voleva delle risposte. E Teddy era
lì di sua
spontanea volontà, no?
“Credo
che quest’anno frantumerò il record di
ricoveri.” Commentò, lanciandogli
un’occhiata di sottecchi. “Oggi, e poi due
settimane fa, per il memento…”
Ted
non disse nulla, ma sembrò ancora più a disagio.
“Jamie,
so dove vuoi andare a parare.” Disse infine, cauto.
“Ma non mi sembra il
momento.”
“E quando lo sarà?” Ribatté
irritato. “Mi stai evitando!”
“Non mi sembra, ci vediamo tutti i giorni.”
“A lezione!” Sbottò. Si sentiva lo
stomaco rivoltato, ed era furioso.
Decisamente furioso. C’erano milioni
di
motivi per amare Teddy. Ma uno solo per prenderlo a calci nel sedere:
la sua
passività emotiva. Teddy era uno straordinario cacasotto, se
si trattava di
prendere una posizione in merito ai suoi sentimenti.
“Tu mi stai evitando. È
chiaro.” Decretò
impietoso. “E non hai neanche risposto al mio gufo di ieri
mattina. Merlino,
Teddy… è tanto
difficile?”
Per
lui quelle due settimane erano state un inferno. Era stato come dover
aspettare
il risultato di un esame che avrebbe cambiato il corso della sua vita.
“Non
so cosa dire…” James sentì
l’impulso di spaccargli la faccia. “Lo sai che non
è
possibile.”
“Non è possibile cosa?
Che io possa
essere innamorato di te? È perché sono un
maschio? Pensi che ti sto prendendo
in giro!?” Lo aggredì infuriato.
“No,
non lo penso!” Esclamò. “Davvero, sono
lusingato, ma…”
“Lusingato? Vaffanculo,
Teddy!”
Avrebbe voluto alzarsi in piedi, prenderlo per il bavero del mantello e
scuoterlo, finché non gli avesse dato una risposta decente.
Ma non poteva, era
immobilizzato. “Non mi serve il contentino! Non sono uno
studentello innamorato
del suo professore! Ti conosco da quando ho cominciato a pensare,
porca puttana! Non mi merito questo!” Concluse ferito.
Cercò di ignorare il groppo che gli aveva serrato la gola.
Scoprì
che non era facile.
Ted
inspirò bruscamente. “James, lo so che non te lo
meriti…”
Ma cosa vuoi sapere da me? Cosa posso
dire per non ferirti? - Se
lo chiese
confuso. Quando si trattava di sentimenti si sentiva sempre un
ragazzino troppo
stupido per apprendere un concetto che a tutti sembrava semplice,
istintivo.
“Io
ti amo, Teddy.” Disse, con semplicità.
“Non me ne frega nulla se sei un uomo,
un mio professore o se hai otto anni più di me. Me ne fotto.
Ti sto dicendo che
ti amo. E tu scappi. Tu…
sai, fai
così.” Fece una smorfia amara. “Scappi.
Non è che lo fai con cattiveria, son sicuro, ma cazzo, lo
fai. Abbandoni la
gente…”
“Io non abbandono nessuno!” Si difese, ferito. Poi
capì, e non ebbe la forza di
ribattere.
“No?”
Chiese infatti, con una serietà tremenda, così
strana sul volto solitamente
solcato da una vena di irriverente fanciullezza. “Hai
abbandonato me e poi hai
abbandonato Vic. E
adesso… Non
hai voluto rispondere ad una
semplicissima domanda, proprio roba che offende la tua intelligenza. Tu cosa provi per me?”
Ted
non rispose. A quel punto James decise di forzare la situazione. Non ce
la
faceva più.
Lo
afferrò per il mantello, tirandoselo contro. Ted non fece
resistenza, forse
preso di sorpresa, forse sbilanciato: ma quando vide il viso di James
troppo
vicino al suo, quando sentì il sapore del cioccolato di
Mielandia delle sue
labbra, si tirò indietro di scatto.
“No,
Jamie…” Sussurrò, afferrandogli i polsi
e staccandolo da sé. “No.”
“Perché
no?” James aveva uno sguardo bruciante, serio, intenso.
Spaventoso.
Si
tirò indietro del tutto. “James, per me sei
come un fratello. Non c’è
nient’altro…” Lo recitò senza
neppure occuparsi di
misurare le parole. Poi
lo guardò.
Ted
non aveva mai creduto che l’espressione ‘spezzare
il cuore’ potesse avere un
riscontro reale. Fino a quel momento.
“Jamie…”
“Vattene via…” Sussurrò. Lo
guardò angosciato. Aveva completamente perso
espressione. Persino la voce si era ridotta ad un sussurro atono.
Si
sarebbe aspettato urla, rabbia, persino odio. Ma non
quell’espressione vuota.
“Mi
dispia…”
James serrò la mascella. Le dita si chiusero attorno al
cotone delle lenzuola.
“Non azzardarti a dirlo.” Sibilò.
“Non azzardarti a dispiacerti per me.”
Teddy sentì in bocca uno spiacevole retrogusto amaro.
Deglutì. “Vuoi che me ne
vada?”
James fece una risata rauca, triste. “Non ci arrivi da
solo?”
Ted
si alzò in piedi: quando aveva lasciato Victoire non si era
sentito così
ignobile.
Neanche
lontanamente.
Beh,
il perché è
semplice. È a Jamie che hai spezzato il cuore.
Se
ne andò e per quanto razionalmente sapesse di aver fatto la
cosa giusta…
…
non gli sembrò mai irrazionalmente così sbagliata.
You can run away, while I protect the way I
am…
****
Di
fronte al Lago
Nero.
Pomeriggio.
Rose
avrebbe dovuto semplicemente godersela. Davvero, a volte avrebbe voluto
essere
un’anima semplice. Godersi la giornata tersa e insolitamente
poco fredda per
ottobre, l’erba soffice sotto il suo mantello e la compagnia
del suo ragazzo e
del suo migliore amico.
Ma
ovviamente c’era qualcosa
che non le
tornava.
Questi
due mi
stanno rifilando un sacco di palle… - Pensò.
Scorpius
la sera prima era stato portato via per cena dal padre. Era tornato
alla torre
immusonito e poco comunicativo. E sosteneva che andasse tutto bene. Prima palla.
Al
sembrava fare di tutto per evitare l’argomento Thomas, quando
fino a due giorni
prima pareva che fosse tutto quello a cui riusciva a pensare. Seconda palla.
“Andiamo,
ammettilo Mini-Potter! In fondo ti piace che tutte le fanciulle
finalmente ti
guardino come un vero uomo.”
“Ma proprio per niente. Non ho bisogno, come te, di una
schiera di ragazze
adoranti per sentirmi tale.” Brontolò Al. Sembrava
aver intuito che il sarcasmo
di Scorpius non era maligno, e aveva cominciato a rispondergli a tono,
con gran
divertimento dell’altro.
“Finitela
di beccarvi, bambini.” Si intromise Rose.
“Piuttosto, qualcuno è passato a
trovare Jamie oggi?”
“Io gli sono salito sulla gamba.” Disse subito
Scorpius. “Stamattina. Poppy mi
ha cacciato. Brandendo un pitale. Quella donna è una
squilibrata.”
“Avrei
voluto esserci…” Sogghignò Al.
“Anch’io ci sono andato comunque. Jam stava alla
grande. Mi ha sfottuto per mezz’ora…”
Lanciò un’occhiataccia a Scorpius. “A
proposito, avete vinto solo perché ho salvato la vita a
Hugo.”
“Brucia la sconfitta, eh?” Chiocciò
querulo Scorpius.
Al
prese un’espressione remota,
così
veniva chiamato in famiglia il fenomeno per cui si astraeva per evitare
di
schiantarti. Intercettò poi con lo sguardo Michel e Loki,
che risalivano
pigramente la collina. “Ci si vede
Rosie…” Prese la borsa con le sue cose e
trotterellando dietro ai due serpeverde che si erano fermati per
aspettarlo.
Rose
sbuffò. “C’era bisogno di farglielo
notare? Ci sono coccarde rosso-oro
ovunque!”
Scorpius indicò quella appuntata sul suo mantello.
“Tipo questa?”
“Merlino…” Seguì con lo
sguardo il cugino e gli amici dirigersi verso il
Castello. “Non riesco a capire come possa essere loro
amico…”
“Oh, non sono così male.”
Replicò Scorpius, pescando da un sacchetto un
calderone di cioccolato. “E poi entrambi stravedono per
lui.”
“Non
sembra da come lo prendono sempre in giro.”
Borbottò Rose, protettiva.
Scorpius
ridacchiò. “Hanno un concetto di amicizia
particolare.”
Rose
fece una smorfia. “Come te?”
Scorpius
si stese sull’erba. “Non
proprio…” Intrecciò le mani dietro la
nuca, in una
posa rilassata. “A me piace essere salutato per i
corridoi.”
Rose non disse nulla, ma si sentì stringere il cuore.
“Tuo padre come ha preso
il fatto che ci frequentiamo?” Gli chiese, cambiando
argomento.
“Ha
detto che tanto ormai il danno è fatto. Ma fuori da Hogwarts
dovrò essere pronto
a… come ha detto? Scremare.”
Deglutì il
cioccolatino, schioccando la lingua soddisfatto.
“Quindi…”
Sentì una fitta spiacevole allo stomaco.
“Scremerai?”
“Non ci penso neanche…” Sorrise monello,
tirandole il maglioncino. “Non l’hai
capito, Rosey-Posey? Io faccio
sempre
solo quello che mi va.”
Rose sorrise, a metà tra l’esasperato e il
divertito. “Viziato…”
“Terribilmente.
I miei genitori mi amano, che posso farci?” Seguì
con lo sguardo qualcosa alle
sue spalle. “Ehi, credo che ci siano nerborute visite per
te.”
Rose si voltò, vedendo i due gemelli Scamandro trotterellare
nella loro
direzione. Venivano dal castello. Era incredibile come riuscissero a
camminare
perfettamente appaiati.
“Wow,
credo di vederci doppio…” Disse infatti Scorpius
alzandosi a sedere.
Lorcan
e Lysander li raggiunsero. Stranamente non sembravano in vena di
scherzi. Erano
piuttosto pallidi. “Rosie, hai visto
Lilù?” Chiese uno dei due, riferendosi a
Lily.
“No,
credo che sia a studiare con Roxie da qualche
parte…”
Ovvero
a flirtrare
con Jordan Thomas o Sean Coote. O entrambi assieme.
“Allora…
potresti venire tu?” Chiese di nuovo, forse Lysander.
“Si tratta del Capo.”
Rose sbuffò. “Che ha fatto stavolta? Si
è messo di nuovo nei guai con Gazza?”
Lys
deglutì, mentre l’altro scuoteva la testa.
“Sta facendo a pezzi camera nostra.”
“… Cosa?”
Scorpius inarcò le sopracciglia. “E
perché?” Si intromise pacato, come se gli
avessero appena detto che James stava cogliendo margheritine al limitar
della
Foresta.
Lysander
lo squadrò: sembrò indeciso se rispondere o meno.
Alla fine, forse per
disperazione, parlò. “Non lo sappiamo.
È tornato dall’infermeria ed ha
cominciato a fare tutto a pezzi.”
“Quel cretino!” Rose scattò in piedi,
prendendo la sua roba alla rinfusa.
“Vuole davvero finire a pulire i cessi di tutta Hogwarts con
uno spazzolino? Dovrebbero
confiscargli la bacchetta fuori dalle lezioni!”
“Non sta usando la bacchetta.” Sussurrò
Lysander. “È questo il punto…”
Rose si guardò con Scorpius.
Magia
senza
bacchetta…
Non
era la prima volta che James dava di matto, spaccando qualcosa in preda
ad uno
scatto d’ira. Lo scarso controllo e la magia accidentale
anche in tarda età erano
tratti che Harry aveva passato
di peso al
primogenito.
Ma
al massimo ha
spaccato un
bicchiere… Non una stanza intera.
Quanto
diavolo deve
essere fuori di sé?
“Andiamo.”
Disse sbrigativa Scorpius. “Fate strada.”
Fecero
in un battibaleno il tragitto dal Lago alla torre di Grifondoro. La
Signora
Grassa li fece passare al grido brutale di ‘Pasticcio
d’Oca’, dopo aver come al
solito lanciato un risolino deliziato nei confronti
dell’erede Malfoy.
Trovarono
Bobby Jordan che piantonava l’ingresso della stanza, con aria
vagamente
atterrita. Rose notò che aveva la bacchetta in mano.
Mica
scemo…
“James
è qui?” Chiese. Un terribile schianto ligneo
anticipò la risposta del ragazzo.
“Dov’è
Lily?” Chiese quello, poco convinto.
“Non
c’è. Ci sono io, fatevelo bastare.”
Disse sbrigativa. “O chiamo il professor
Paciock?”
I
due gemelli trasalirono. Lysander scosse vigorosamente la testa.
Scorpius le
lanciò un’occhiata silenziosa, facendogli intuire
che sarebbe intervenuto se
glielo avesse chiesto.
Rose
gli sorrise, un po’ rinfrancata: non aveva paura di James,
naturalmente. Il
problema non era quello.
Il
problema è che
non è mai stato bravo a controllarsi… e non
voglio prendermi un’anta di armadio
in fronte.
Aprì
la porta della camera, infilandosi dentro. E soffocò
un’imprecazione.
In
quella stanza sembrava esserci esploso un calderone. I materassi erano
stati
tolti dalle reti, le tende dei baldacchini nel migliore dei casi erano
attorcigliate attorno alle colonne di legno. I bauli erano stati
divelti, e
vestiti, calzini, pacchi di biscotti e oggetti personali erano sparsi
ovunque. James
era in mezzo a quel casino, immobile e con il respiro corto.
“James…”
Mormorò piano. “Jamie?”
Il ragazzo alzò la testa, lanciandole un’occhiata
bruciante. “Levati dai
piedi.” Ringhiò gutturale.
“Che
diavolo hai…”
“T’ho detto di levarti dai
piedi!”
Ruggì, e ci fu uno schianto. Rose si riparò la
testa tra le mani, quando lo
specchio accanto alla porta si spaccò esattamente in due.
Poi
sentì la porta aprirsi dietro di sé.
“Potter,
siamo nervosetti oggi…”
Rose si voltò: Scorpius si guardava attorno come se si
trovasse in un ameno
salottino e non nell’anticamera dell’Apocalisse.
Invidiò ferocemente i suoi nervi
saldi.
Forse
un po’ di
occlumanzia dovrei farmela insegnare sul serio…
James
sembrò sul punto di lanciarsi contro di lui, ma usare tutta
quella magia doveva
averlo sfiancato. Quindi si limitò a fare una smorfia irosa.
“Malfoy… Mi stai
un po’ troppo trai piedi ultimamente… E adesso che
la tregua è finita non so se
ho voglia di essere carino con
te.”
“Tu non sei carino, Potter.” Replicò con
una scrollata di spalle. “Ti va’ di
fare due passi?”
“Con te?”
“Credo
che gli altri siano troppo preoccupati
dall’eventualità che tu gli faccia
esplodere qualche arto. E poi, hai bisogno di prendere un po’
d’aria.” Disse con
tono definitivo.
James aggrottò le sopracciglia. Poi, a sorpresa, fece un
cenno affermativo,
calpestando le macerie e raggiungendolo.
Rose
era sbalordita: li guardò andare via, assieme.
Questa
davvero le
batte tutte. Maschi…
Poi
si accorse di essere sola, in quella stanza. E che sarebbe toccato a
lei doverla
mettere in ordine, per evitare che il Capocasa vedesse il macello e
desse di
matto. Gli Scamandro e Jordan si erano volatilizzati.
“Dannazione!”
James
sapeva di aver fatto un casino.
Seguì
Malfoy, senza neppure chiedersi dove lo stesse portando. Non gliene
fregava
nulla.
Si
fermarono dopo aver passato rampe di scale, corridoi e persino quello
che
sembrava un camminatoio all’aperto. Con sorpresa, si accorse
di essere sulla
torre di Corvonero, sulle merlature. “Perché siamo
qui?” Chiese guardingo.
Scorpius
si stiracchiò. “Perché
c’è una vista mozzafiato ed è poco
frequentato. È raro
che i corvonero si avventurino al di fuori della loro Sala
Comune… Non che li
biasimi, è di gran lunga la più bella del
castello.”
“E tu come fai a sapere questa roba?” Nonostante
tutto la curiosità travalicava
anche il dolore sordo e bruciante che gli pulsava nelle vene.
Scorpius
sorrise. “Mia madre. Era a Corvonero³. Veniva qui
quando aveva voglia di
starsene per i fatti suoi.”
James
non rispose, limitandosi ad appoggiarsi ai bastioni: Malfoy aveva
ragione, c’era
una vista pazzesca, da lì si dominava l’intera
vallata. L’aria fresca gli
accarezzava il viso, facendolo sentire un po’ meglio. Forse gli doveva un favore.
“Non
pensare che adesso siamo amici, Malfoy.” Borbottò
però.
“Non
c’è pericolo.” Ironizzò
l’altro. “Fammi indovinare Potty. Problemi di
cuore?”
James serrò i denti “Sei un legimante, Rosie me
l’ha detto…” Sibilò.
“Rifallo e
ti ammazzo.”
Scorpius sbuffò. “Non ti ho letto nella mente. Che
poi non è quello che un
legimante fa. Semplicemente, ti si legge in faccia.”
“…
Comunque non mi confiderò
con te,
Malfoy.”
“Te
lo sto chiedendo?”
“Allora perché cazzo mi hai portato
qui?” Sbottò confuso.
Scorpius
si strinse nelle spalle. “Perché ne avevi
bisogno.”
James
rimase in silenzio.
“Vuoi
veramente che ti apra il mio cuore, Malfoy?” Sputò
infine con un sogghigno meccanico.
Non
riusciva a non essere odioso, anche se remotamente capiva che Scorpius,
per
qualche sua strana ragione, si stava comportando da amico. Gli faceva
troppo
male. Tutto.
Anche
respirare.
Scorpius,
di controcanto, prese un’aria esasperata. “No. Ma
potresti farlo con i tuoi
amici, invece che fare a pezzi la loro roba…”
Tu
che ne hai.
Tipico dei Potter. Non vi accorgete neanche, di quanto siete
maledettamente
fortunati. Fate un sorriso e tutti vi cascano ai piedi.
“Non
posso dirglielo…” Confessò James,
mentre sentiva come se una mano gli
artigliasse le viscere, al ricordo di Teddy. “Non
capirebbero.”
“Cosa?”
James lo guardò valutativo: aveva bisogno di parlarne a
qualcuno. Solo che
nessuno, né della sua famiglia, né dei suoi amici
andava bene. E Malfoy,
paradossalmente, era lì.
Gli
venne quasi da ridere.
“Sono
innamorato di una persona…” Sussurrò.
“… Da anni. Gliel’ho detto e mi ha
respinto.”
“E
chi è la sfortunata?”
“Vaffanculo.”
“Bel nome.” Celiò. “Potter,
taglia corto. Hai bisogno di
sfogarti. Non ci tengo a farmi soffiare la Coppa delle
Case da Zabini solo perché non sai gestire i problemi di
cuore come una persona
normale, facendoci così perdere un sacco di
punti.”
James fu indeciso se sentirsi infuriato per le offese o colpito dal
fatto che
si stesse sul serio offrendo di
ascoltarlo. Alla fine ispirò. “Si tratta
di… Teddy. Ted. Il professor Lupin.”
Dire
quel nome era tremendo, ma dirlo finalmente a qualcuno
era come acqua fresca su una bruciatura. Non la curava, ma
alleviava il dolore.
Scorpius
inarcò le sopracciglia. “Cazzo.” E non
disse altro.
Lo
apprezzò moltissimo.
“E
ti arrendi?” Chiese poi inaspettatamente.
James
lo squadrò confuso. “E che altro dovrei
fare?” Mormorò. “Ho sempre saputo che
non c’era storia. Ma ci ho voluto provare lo stesso. Ed ho
fatto la figura del
coglione.”
“Tu
fai continuamente la figura del coglione, Potter, ma arrenderti non mi
sembra
da te.”
“…
In che senso?”
Scorpius fece spallucce. “Ti prendo tutti gli anni in squadra
non perché hai
dei bei capelli o fai Potter di cognome. Ma perché quando
prendi la pluffa non
la molli più, neanche dovessero ammazzarti. Capisci che
intendo?”
James capiva. Ed era sbalordito. Lo stava incoraggiando. Malfoy.
“…
Perché non stai ridendo?”
Per
le sottane di
Merlino, ti ho detto che mi piacciono i maschietti e che ho una cotta
per un
professore come uno ragazzina cretina!
Scorpius
per tutta risposta
lo guardò come se
fosse deficiente. “E perché dovrei ridere di una
persona innamorata?”
James
per la prima volta in vita sua rimase a corto di parole. Una sensazione
quasi
buona.
Perché,
per quanto fosse assurdo, la reazione pacata di Malfoy, che aveva
sempre
considerato uno dei suoi detrattori… era…
Non
so… Mi fa stare
meglio.
Non
riuscì a trattenere un sorriso spontaneo. “Non fai
così schifo, sai?”
“Neppure
tu, Potter.” Fece una pausa, e sogghignò.
“Ma non innamorarti di me.”
James scosse la testa e malgrado tutto sentì una risata
pizzicargli la gola. “Non
sei proprio il mio tipo…”
Poi
gli tese la mano. Non era bravo con le parole, ma con i gesti sapeva di
essere
imbattibile.
Infatti Scorpius gliela strinse, con un sorriso.
****
Note:
Ok,
ok. So che volete farmi a pezzi, ma una cosa per volta. E se non altro,
Jamie ha
cominciato a maturare. Teddy invece deve solo sbrinarsi il cervello.
*Lo
minaccia con un grattaghiaccio*
1)
Qui
il
video. Cantante sottostimata, secondo me. J
Tutte le frasi in inglese sono della
canzone.
2)
Hit Wizard: in italiano vengono
tradotti ‘auror tiratori scelti’ (sbagliando).
Sostanzialmente Sono l’equivalente
della polizia: si occupano di chi infrange la legge magica e di
catturare
criminali pericolosi. Gli Auror, a loro differenza, si occupa di
mangiamorte e
maghi oscuri (dark wizard) e di chi
minaccia la sicurezza nazionale. Gli Auror sono l’equivalente
dei servizi
segreti inglesi! XD Per maggior informazioni qui
3)Astoria
(Asteria?) Greengrass. Si sa pochissimo su questa benedetta donna, se
non che è
purosangue. Ho letto alcune fic in cui veniva smistata a Corvonero. A
me non è
dispiaciuto pensarla lì. Se non altro Sy avrebbe un genitore
che non è immerso
fino ai gomiti nell’orgoglio serpeverde. ;-P
|
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Capitolo 32 *** Capitolo XXVII ***
Postaggio
anticipato per augurarvi Buona Befana! ;) Sì, beh, dopotutto
è una festa che
sento davvero, essendo una befana io stessa. Spero anche di poter
aggiornare domenica, cause esami *finger crossed*
@ElseW: No, mai
scagliare un pc attraverso la
stanza! Non rimbalza XD Grazie per il supporto emotivo però!
:P Sì, sono d’accordo
sul fatto che Rosie abbia una fortuna sfacciata, ma che ci vuoi fare,
almeno
nelle fic mettiamoceli ‘sti uomini quasi perfetti! Che poi,
ad eccezione di
Rosie, Sy si comporta come uno stronzetto con il resto del creato
femminile. Ah,
l’amour… Teddy è un coglione, ma
dopotutto dai, è un caro ragazzo un po’
(tanto) confuso. XD No,
Duil non si è suicidato. E per la Prynn… non
giudicare un libro dalla sua
copertina! Grazie per la recensione! Davvero!
@Ron1111: Beh, se mi dici
che sono IC
personaggi tu, che sei riuscita a mischiare generazioni facendo
sembrare tutti
PERFETTI, lo prendo come un super-complimento! Purtroppo non si
può lasciar
stare Tom, altrimenti che gusto ci sarebbe (Tommy non concorda). Sy
assomiglia
a Sirius, ma in una certa misura no. Dopotutto Sirius era un arrogante
cazzoncello, molto più simile a Jamie che al buon Sy. Ho
pensato che Scorpius,
con il fardello di un genitore e dei nonni così, sia dovuto
crescere per forza
arrivando a compromessi, e quindi non ha le stesse deliranti e
razzistoidi
convinzioni che aveva Draco, e in buona misura, pure Sirius (che odiava
tutta
la sua famiglia e chiunque fosse implicato nelle Arti Oscure) Teddy lo
so, non
si sta comportando bene, ma dopotutto è un appena
ventiquattrenne, confuso e
con geni che lo portano inevitabilmente a scappare se le cose si fanno
troppo
dolorose (guarda Remus). Vedrai che riuscirò a fartelo
rivalutare… oh, beh,
almeno spero! X)
@Trixina:
Davvero? ^^ Mi fa piacere
che questo capitolo ti abbia preso tanto, e vedrai I prossimi! Jamie e
Sy in
effetti potrebbero diventare buoni amici, perché, come ha
detto Al, sono più
simili di quanto non sembri, dietro i loro cognomi. E mi piaceva
l’idea che
diventassero loro amici, invece che il classico sodalizio Al-Scorpius,
anche se
certo, il nuovo trio ufficiale è Al-Rose-Scorpius XD La
storia dell’alchimia mi
è venuta in mente beh… perché era
l’unico modo di inserire anche Tom! Senza
alchimia Tommy non sarebbe mai potuto esistere! XD
@Altovoltaggio: Ottimo! Allora
avevo letto la cosa
di Astoria a Corvonero anche su Wikipedia evidentemente, anche se su HP
Wiki
non c’è niente. Comunque. La storia del
religioso… sempre su wikipedia, ho
scoperto che in realtà nel Potteverse la religione
c’è, i maghi possono essere
credenti, solo che la cosa non salta fuori nei libri.
C’è liberta totale di
culto. Per quanto riguarda la religione di Parva Duil…
è inglese, ma di origini
indiane (come le gemelle Patil, se ricordi) e quindi non è
difficile pensare
che possa essere protestante o persino cattolico. Non tutti gli indiani
sono di
religione induista, se le loro radici si limitano a nome e cognome. ;)
La
storia non è proprio a metà, diciamo che
è ad un tre quarti, salvo inghippi
narrativi. L’ho allungata così soprattutto per
dare più risalto alla vicenda
romantica. XP
@MissyMary:
Ahaahah, evangelizzare i macachi! XD Mitica! Teddy
è attualmente il personaggio con la minima
classifica di gradimento, mentre Jamie, a sorpresa, è
risalito (bella forza, è
l’eroe tragico del capitolo! XD) Mi sa che userò
un espediente narrativo
simile, alla festa di Halloween. Perché,
sinceramente potevo farmi
mancare una festa? XD S.Zabini colpirà!
@Lilin: Ciao! XD Quanto
tempo, è un piacere rivederti! Tommy-boy è un
gran
bravo ragazzo, con ottimi gusti musicali e la tendenza ad essere un
eroe
tragico. Come si può non adorarlo? XD Apparte gli scherzi, e
gli
auto-incensamenti (che poi, non mi ritengo questa gran scrittrice,
semplicemente adoro una certa tipologia di personaggi e cerco di
renderli al
meglio, sotto l’egida di Mamma Row) Teddy ormai è
diventato l’odiato della fic,
e spero davvero che ri-guadagni punti, perché altrimenti
dovrò farlo tornare
con Vic *Ted scuote forsennatamente la testa*… ecco, bravo.
Loki e Mike
purtroppo sono personaggi secondari, ma avranno un pochino
più di spazio nei
prossimi capitoli, specie Mike. ;) Grazie per i super
complimenti… e guarda di
che tratta questo capitolo? ;) Manco ci fossimo messe
d’accordo!
****
Capitolo XXVII
I'm not crazy, I'm just
a little unwell / I
know, right now you can't tell
But
stay awhile and maybe then you'll see / A different side of me
(Unwell,
Matchbox 20)
30
Ottobre 2022
Hogwarts,
Sotterranei di Serpeverde, Dormitorio Maschile.
Prima mattina.
L’eco
di umidi baci si sommava a
respiri mozzati, mentre passava i polpastrelli sulla pelle bollente e
leggermente sudata della schiena di Albus.
Lo sentiva gemere
contro il suo
orecchio, una specie di mugolio indistinto, privo di verbo, ma solo di
intenzione. Sentiva un calore cocente al basso ventre, incredibilmente
teso.
Al era sotto di
lui, lo sentiva, lo
percepiva. Si era staccato per poterlo guardare. Gli occhi, liquide
pozze verdi
in cui sarebbe annegato. Sempre. Per
sempre.
Gli aveva passato
le dita sul collo,
percependo il battito del cuore.
Poi la scena era
cambiata.
Un pavimento di
pietra, freddo, duro,
impietoso. Erano in una caverna.
Le mani attorno al collo, gli occhi di Al, quegli occhi meravigliosi,
aperti in
un feroce spavento.
Il respiro simile
ad un rantolo.
E sangue. Sangue
ovunque.
Tom si
svegliò, soffocando un urlo tra le labbra, stringendolo trai
denti ed infine,
inghiottendolo.
Si rese
conto
che era stato un incubo non appena focalizzò il letto, le
coperte attorcigliate
attorno ai piedi e la luce del candelabro che pendeva al centro della
stanza.
Era in
camera
sua, era un sabato mattina ed era ad Hogwarts.
Inspirò
lentamente, riprendendo fiato. Sentendo lo scroscio
dell’acqua e vedendo il
letto vuoto di Michel capì che si stava facendo la doccia.
Al…
Si
liberò
delle coperte con un gesto rabbioso, e si diresse verso il letto del
ragazzo.
Albus
dormiva,
ovviamente. La pendola accanto alla porta segnava a malapena la sette
del
mattino. Senza indugio scostò le tende e si
inginocchiò sul letto. La fortezza
di cuscini si ergeva maestosa ma, sapeva, penetrabile.
Ne tolse
alcuni, svelando Al, che dormiva abbracciato ad uno piuttosto grosso, a
forma
di boccino, dono dei fratelli qualche anno prima. Non se ne separava
neppure in
vacanza.
Tom
sorrise,
mentre il sollievo gli si scioglieva letteralmente nelle vene: una
sensazione
stupida, perché era stato solo un incubo. Terrificante, che
gli stava tutt’ora
serrando la bocca dello stomaco. Ma solo un incubo.
Non era
il
primo che faceva con protagonista Albus. Tutto iniziava da una
situazione decisamente
piacevole, e poi…
Serrò
la
mascella, furioso con sé stesso e con il suo subconscio.
Era
già il quarto
dall’inizio del mese.
Si
distese
accanto ad Al ed ascoltò il ritmo quieto del suo respiro,
finché non si fu
tranquillizzato.
Hogwarts
aveva ripreso i suoi ritmi, lasciandosi alle spalle il mese di paura
che aveva
patito. I professori erano entrati in pieno regime, assegnando loro
chili di
compiti.
Thomas ne
era
felice, perché tra quelli e il libro della Professoressa
Prynn aveva poco tempo
per pensare. E non voleva pensare.
Il
ragazzo
biondo, o meglio, il finto-ragazzo biondo, aveva di nuovo tranciato le
comunicazioni e lui si sentiva sempre più confuso e
angosciato. E arrabbiato.
Incessantemente arrabbiato.
Continuava
ad
indossare il medaglione però. Non si fidava, comunque, a
lasciarlo in giro.
Ci sono troppi
curiosi ultimamente…
Al si
voltò
istintivamente verso di lui, incastrando il braccio sotto il suo e
appiccicandoglisi
addosso.
Tom
sogghignò. Per quanto riguardava il loro
rapporto… non c’era molto da dire. Era
l’unica cosa bella di quel periodo.
C’era
una
parte di sé che sapeva, intuiva,
che
il suo bisogno non derivava solo da uno scoppio ormonale tardivo,
quanto
piuttosto un tentativo, spesso maldestro, di cancellare tutti i
pensieri cupi
che gli affollavano la mente.
Maldestro
perché, appunto, poi arrivavano gli incubi.
Io non ti farei
mai del male… mai.
Si
chinò su
di lui strofinandogli le labbra contro l’orecchio. Aveva
scoperto che lì, Al,
era dannatamente sensibile. Infatti lo sentì scattare
leggermente, mentre rabbrividiva
tutto.
“…Joey…”
…Joey?
Sentì Al sogghignare contro la sua maglietta.
“Ci sei cascato…” Sussurrò,
con il tono ancora impastato dal sonno. “Non puoi svegliarmi
come le persone
normali?”
Si
limitò a scostarsi
con un gesto brusco, raddrizzarsi a sedere. “Chi è
Joey?”
Al batté le palpebre, stropicciandosi un occhio. Gli
squadernò davanti il
cuscino a forma di boccino. “Lui.
Si
chiama come Joey Jenkis, il famoso battitore dei Canons.”
Tom lo
graziò
di un’occhiata che premeditava omicidio. “Ti pare
il caso di scherzare?”
“Sì, se mi svegli leccandomi un orecchio.
Ringrazia che non ti ho buttato giù
dal letto.” Replicò sbadigliando e puntellandosi
su un gomito per guardarlo.
Tom non
aveva
una bella cera. Di nuovo.
“…
Hai fatto
un incubo?” Chiese, tornando serio. Tom fece una smorfia,
senza rispondere.
Albus
sapeva
dei suoi incubi. Non che fosse difficile: due delle quattro volte aveva
urlato
tanto forte da svegliarlo. Entrambe le volte Al gli si era infilato nel
letto
ignorando le proteste, e gli aveva tenuto la mano finché non
si era
riaddormentato.
“Perché
non
ne parli con papà? Degli incubi,
intendo…”
Tom si frenò dal rispondergli male. Erano giorni che
insisteva con quella
storia.
“Non
voglio
farlo preoccupare. Li ho sempre avuti.” Tagliò
corto. “Cosa potrebbe fare poi? Consolarmi?”
“Per quello basto io.” Replicò Al,
pacatamente. “Ma ne hai molti di più
ultimamente…”
“È per la storia dei Naga, lo sai.”
Mentì sbrigativo. Ormai era diventato un
autentico asso.
Al ogni
volta
gli lanciava uno sguardo strano. Per un attimo sembrava volergli dire
qualcosa,
ma poi rinunciava. Tom spesso si chiedeva fino a che punto intuisse che
gli
stava mentendo.
Non certo al
punto di sapere quello
che faccio veramente…
“Che
ore
sono?”
“Quasi
le
sette.”
“Pensavo peggio… Mike ha di nuovo colonizzato il
bagno?” Chiese, nascondendo
uno sbadiglio nella mano. Tom si limitò ad assentire.
Non aveva
mandato un gufo al padrino, né aveva parlato con Mike.
Non stava
attendendo a nessuna delle promesse che aveva fatto ad Al…
Albus gli
lanciò un’occhiata. Ormai aveva rinunciato a
mettere bocca nella faida tra lui
e Michel.
Non posso
preoccuparmi anche di
questo… Alla fine fanno sempre pace. Succederà
anche stavolta.
Tom
intanto
sembrava intento a schiacciare il più possibile il suo
cuscino a forma di
boccino.
“Non
maltrattare Joey.” Lo redarguì. “Lo
stropicci tutto.”
Tom emise un grugnito poco comunicativo, ignorandolo; era dimagrito in
quel
periodo. Non che fosse mai stato un tipo florido, ma le guance gli si
erano
leggermente incavate, così come i capelli più
lunghi contribuivano a dargli
un’aria ancor più emaciata.
Nonna
Molly
avrebbe gridato alla consunzione, ma bisognava ammettere che
quell’aspetto gli
donava. Terribilmente. Le sue fan ormai avevano raggiunto anche lidi
Grifondoro,
di solito intoccati dal fascino tenebroso di Serpeverde.
Cosa piuttosto
seccante… Lily si fa
certe risate…
“Tom?
Perché
non stropicci qualcos’altro, eh?” Gli tolse il
cuscino dalle mani, non senza
qualche difficoltà.
“Per
esempio?” Indagò quello, lanciandogli
un’occhiata che riassumeva perfettamente
le sue intenzioni.
Al si
sentì
arrossire come una scolaretta: era quasi passato un mese e ancora si
sentiva
stupido quando stavano per baciarsi. Aveva ancora paura di tirargli una
nasata.
Probabilmente non
mi passerà mai…
“Per
esempio
non Joey.” Borbottò evasivo. “Guarda
l’ala destra… Non farebbe neanche dieci
me…”
Non riuscì a finire, prevedibilmente, visto che Tom lo
baciò. C’erano due tipi
di baci nel loro rapporto: uno lento, gentile e languido, persino un
po’
impacciato a volte. Erano quelli iniziali, o quelli che Tom gli rubava
quando
non c’era nessuno in Sala Comune. E poi c’erano gli altri. Quelli che gli lasciavano la
mascella indolenzita, le
labbra secche e la testa piena d’ovatta. Quello era uno della
seconda specie.
Si
sentì
schiacciare contro il materasso. Era un peso piacevole, Tom, non gli si
buttava
mai addosso, ma si puntellava sui gomiti. Gli lasciava spazio per
aggrapparsi a
lui, in modo persino un po’ disperato.
Adorava
quei
baci: gli facevano sentire lo stomaco contratto e un piacevole languore
al
basso ventre.
A volte
doveva
trattenersi per non strillare al povero Mike di levarsi dai piedi,
quando la
mattina Tom scattava via dal suo letto non appena sentiva la chiave
girare
nella toppa del bagno.
Statuto di
segretezza…
Nessuno
sapeva ancora niente. Si
sentiva un po’
in colpa, per via di Rose.
Sono un pessimo
amico… Forse
oggi… forse oggi glielo dirò. -
Pensò nebulosamente, mentre sentiva le
labbra di Tom scendergli lungo la gola.
Gemette
senza
il minimo ritegno, facendolo ridacchiare. Sentiva le labbra vibrargli
contro la
pelle e Merlino, era terribilmente imbarazzante, ma…
Oddio.
“Smettila
di
ridere!”
“Devo prendere la cosa sul
ridere…” Borbottò
Tom, infilandogli, au contraire, le
mani sotto la stoffa del pigiama. “Hai idea di quanto tu
sia…” Pausa. “…
eccitante?”
Al
sentì il
calore esplodergli tra collo e guance. “Devo
smettere?” Si informò.
Tom fece una smorfia, incredibilmente simile ad un ringhio.
“Non ti azzardare.”
Poi si
irrigidì. E si voltò verso il bagno, con
espressione indecifrabile. Comunque,
non allegra.
Si
voltò
anche lui.
Che idioti, ci siamo dimenticati di Mike!
Michel infatti li stava fissando. Sembrava
sbalordito. Per un attimo sembrò anche…
arrabbiato?
Oh, per tutte le
sottane viola di
Merlino…è perché non
gliel’ho detto?
Alla
fine,
per fortuna, sogghignò. Uno dei suoi rassicuranti ghigni da
pervertito.
“Ma
guarda
che abbiamo qui…” Cinguettò.
“Bel modo di iniziare la giornata!”
Al
sentì le
guance diventare roventi, mentre tirava uno spintone a Tom, che si
spostò senza
opporre resistenza. Lanciandogli un’occhiata vide che
sembrava imbarazzato
quanto lui.
“Non…
noi…
Stavamo… solo…” Balbettò
miseramente. Tom, ovviamente, si era chiuso in uno dei
suoi silenzi sociopatici. “… lottando.”
Pigolò, sentendosi profondamente
demente.
Michel lo
guardò con aria divertita. “Al, sei delizioso, ma
sappi che sei un po’ ridicolo
quando neghi l’evidenza.”
“Grazie.”
“Di niente, pulcino.” Soffiò,
assottigliando gli occhi. “Sei stato cattivo con
il tuo Michel… mi avevi promesso che mi avresti raccontato
la tua prima,
timida, volta. Sto ancora aspettando.”
“Non l’abbiamo fatto!”
Uggiolò, lanciando un’occhiata disperata a Tom,
che
finalmente sembrò riscuotersi.
“Fatti
gli
affari tuoi, Zabini.” Disse gelido. Al trattenne il respiro,
maledicendolo.
Mike sta solo
facendo lo scemo! Perché
non cerca di essere più gentile?
Così non farete mai pace! Non voglio dividermi tra voi due!
Il
sorriso di
Michel infatti si spense, e venne sostituito da una smorfia, elaborata
ma
altrettanto gelida. “Non stavo parlando con te, Dursley.”
“Ragazzi…” Certe volte avrebbe voluto
che Loki non fosse un salta-letti
impenitente, ma un amico supportivo. O uno stato cuscinetto.
Tom non
disse
nulla. Si alzò, limitandosi a sbattersi la porta del bagno
dietro.
Michel
tirò
un lieve sospiro. In qualche modo, sembrava ferito.
Al si
sentì
in dovere di alzarsi dal letto e avvicinarglisi. “Mi
dispiace… lo sai com’è
fatto.”
“Fin troppo bene.” Replicò con un mezzo
sorriso. “La sua isteria mattutina è un
classico che apprezzo sempre.”
Al ricambiò il sorriso. “Io…”
Iniziò incerto. Non aveva paura di un giudizio.
Ma era pur sempre la prima persona che sapeva.
“State
assieme?” Lo aiutò Michel.
Non
poté far
altro che annuire. “Tu lo sapevi, vero?” Gli chiese
poi, curioso.
Michel
fece
spallucce. “Era una possibilità. E lo sai che mi
piace scommettere.”
Al ridacchiò. “Ed hai vinto?”
Michel sorrise, ma non rispose.
Tom
inspirò
profondamente, posando le mani sul ripiano di marmo del lavabo.
Sentiva
il
sangue rombargli nelle orecchie. Si sentiva ridicolo.
Michel
aveva
guardato Al, confermandogli che tutte quelle battutine e quei sogghigni
non
erano che una farsa. E si era trattenuto dall’afferrare la
bacchetta e…
Chiuse
gli
occhi, inspirando lentamente.
Mike era
interessato ad Al, su questo ormai non c’era dubbio. Prima
delle partita non
aveva dato fiato alla bocca con il nobile intento di farli
riavvicinare.
Mio caro
Michel… non sei bravo a
fingere che non ti interessi mangiare nel mio piatto…
Si
guardò
allo specchio. Sembrava un invasato. Avrebbe dovuto tagliarsi i
capelli,
mangiare di più e smetterla di pensare.
Per il
lampo
rosso che gli era apparso negli occhi, invece, temeva di non poter far
niente…
****
Hogwarts,
Cortile.
Dopopranzo, verso Hogsmeade.
Rose
guardava
incredula davanti a sé, ben imbacuccata nel proprio
giubbotto, attendendo che
la piccola comitiva si muovesse verso Hogsmeade per la prima gita della
stagione.
Nel
cortile
c’erano già parecchie persone: lei, Lily, Hugo, e
poco distante l’oggetto del
suo stupore. La coppietta del mese. Scorpius Hyperion Malfoy e James
Sirius Potter.
Cioè il suo ragazzo e
suo cugino.
Erano
diventati la notizia di quelle tre
settimane. La loro amicizia, improvvisa ma platealmente ostentata,
aveva
sconvolto più di una persona in una scuola dove i cognomi
facevano ancora la
differenza.
Le loro
fans
erano nel caos, i gemelli Scamandro li studiavano guardinghi e persino
Bobby
Jordan non riusciva a farsene una ragione, sebbene fosse sovente
inserito nelle
loro conversazioni.
Deve essere
successo qualcosa di
grave. Un trauma cranico congiunto, forse. Si sono schiantati a vicenda
e
questo è il risultato…
In quel
quasi
- mese, tra l’altro, il comportamento di James era cambiato;
Gazza aveva notato
una sospensione di tiri mancini al suo indirizzo e Pix, per motivi
misteriosi,
aveva cominciato a girare con una fascia nera al braccio.
Che stia
maturando finalmente?
Rose non
sapeva se fosse un bene o un male però. James in quel
momento chiacchierava
tranquillo con Scorpius, le mani indolentemente infilate nelle tasche
del
giubbotto di pelle, ma c’era qualcosa nella sua postura, nel
modo in cui
curvava le spalle…
… Che
puzza di depressione.
Si morse
un
labbro: Scorpius non aveva voluto dirle nulla della loro chiacchierata,
né del
motivo per cui il cugino aveva distrutto un’intera stanza.
Sapeva qualcosa, ma
non si lasciava sfuggire nulla.
Che diavolo
sarà successo tra quei
due?
Si
sentì
battere la spalla. Si voltò: Al le stava davanti, con uno di
quei suoi sorrisi
soffici e una sciarpa troppo lunga. Fu contenta di vederlo solo.
Ho proprio
bisogno di due chiacchiere
con un maschio non fallocrate.
“Ciao
Rosie…”
Lanciò uno sguardo verso la coppietta. “Merlino,
sono quasi inquietanti.”
“E tu li vedi solo ogni tanto. Io ce li ho davanti tutti i
giorni, e credimi,
ancora faccio fatica ad abituarmi.”
Albus sorrise. “Jamie finalmente ha tirato fuori la testa dal
sedere e si è
accorto che un cognome non dice nulla sulla simpatia di una persona?
Sono fiero
di lui.” Sorrise, facendola suo malgrado ridacchiare.
Albus
è forse l’unico essere sulla
terra capace di sputare veleno con un sorriso dolcissimo…
“I
tuoi amici
non vengono ad Hogsmeade?”
Il ragazzo scosse la testa. “Mike sta aspettando un Gufo dal
padre.” Fece una
smorfia divertita. “Loki credo stia aspettando dozzine di
gufi invece… ma sono
certo che non vuoi sapere per quale motivo.”
“In veste di prefetto, no.” Si affrettò
ad assicurargli. Gli lanciò un’occhiata
attenta. “E Thomas?” Chiese volutamente noncurante.
Sapeva. Sapeva che Al le
stava nascondendo
qualcosa sul cugino. E qualcosa di grosso.
Al fece
un
sorriso impacciato, sistemandosi con cura la sciarpa grigio-verde al
collo.
“Voleva venire, ma ha dovuto tornare in Dormitorio a prendere
un libro per la
Pince. L’ha bloccato all’ingresso sbraitando di
ritardi di consegna… Verrà
dopo, con i ragazzini del Terzo.”
Rose fece
un
vago cenno di assenso, calamitata dalla risata di Scorpius, che si
stava
avviando con James e gli altri Grifondoro verso il sentiero sterrato
che
conduceva ad Hogsmeade.
Scorpius
rideva di una risata bellissima, e non stava ridendo con
lei.
Al le
lanciò
uno sguardo curioso, prima di prenderla sottobraccio. “Penso
che sia una bella
cosa che Malfoy abbia fatto amicizia con il nostro Jamie. Non deve
avere molti
amici…” Lasciò cadere.
“Non
sono
gelosa.” Bofonchiò.
“Certo.”
La
assecondò infatti, gentile, rischiando seriamente un calcio
negli stinchi.
Rimasero
in
silenzio per un po’, passando davanti al campo di zucche di
Hagrid.
Quando
passarono i cancelli della scuola, Rose piegò il sorriso in
un sogghignetto.
Lui poteva prenderla in giro per la sua ridicola gelosia? Benissimo.
Lei aveva
frecce migliori al suo arco. “A proposito di amicizia
virile… che sta
succedendo tra te e Tom?”
Al la guardò incerto. Di fronte ad una domanda diretta non
riusciva mai a mentire.
“Niente… Il solito,
direi.”
“Un paio di palle. Ha smesso di ignorarti, e ti ronza sempre
attorno. Molto più
di prima.”
Al
boccheggiò. Sembrava decisamente in difficoltà,
come preso tra due moniti
interiori.
“È
successo
qualcosa di grave?” Si informò guardinga.
Al scosse
la
testa. “Ma no! In effetti però…
c’è una cosa che devo dirti.” Si morse
un
labbro. “Sai che lui mi piace. E non come amico.
Come… come una ragazza.”
Sussurrò appena udibile.
“È
difficile
immaginarlo ragazza, ma sì.” Lo fece ridacchiare.
“Sì, lo so.”
Al
sembrò
quasi scomparire sotto la pesante sciarpa di serpeverde.
“Stiamo assieme. Come
te e Malfoy.”
Rose rifletté a lungo su come reagire. Alla fine disse
semplicemente. “Oh.”
“… Già.” Commentò
Al, passandosi ferocemente una mano trai capelli. “Da un
mese,
quasi.” Aggiunse.
“Da
prima
della partita?”
“Dal giorno prima.”
“Miseriaccia.” Riuscì soltanto a dire.
Era… stordita. Ormai aveva digerito
l’idea che Al prima o poi avrebbe avuto un ragazzo. Ma vedere
quell’idea
concretizzarsi era comunque un po’ strano.
Specialmente se
l’idea si concretizza
con Thomas…
“È…
okay?” Si
informò cauto. “Per te
è…”
“Ma certo!” Si affrettò a rassicurarlo
“Solo… è Tom, sai. Non la situazione.
Cioè, sì, anche. Però… tu
sei felice?” In fondo era quello che contava.
Merlino,
è questo che importa vero?
Al fece
un
mezzo sorriso. “Credo… credo di
sì.” Il sorriso prese una sfumatura sognante,
che l’avrebbe fatta ridere in altre situazioni.
“Io… sì. Credo di essere
felice.”
“Con Thomas.” Non riuscì a non tradire
incredulit e Al se ne accorse.
“Sì.”
Fece
una pausa, mentre le lasciava il braccio. “È di
lui che sono innamorato.”
Rose
inspirò.
“Al, i misteri su di lui restano, non è che
spariscono solo perché quei Naga
erano comandati da uno psicopatico che si è pure
suicidato.”
Al la guardò freddamente. “Sì, ma non
ci riguardano.”
“E prima non ci riguardavano?” Incalzò,
parimenti dura.
Non gli
avrà fatto il lavaggio del
cervello? Lo capirebbe anche un idiota che Thomas ha qualcosa che non
va. Si
aggira per la scuola con aria tetra, spaventando a morte i primini e
facendo
sospirare quelle cerebrolese delle amiche della Haggins! E non
è divertente
come sembra!
Al scosse
la
testa. “Prima c’era qualcosa che minacciava la
scuola e credevamo che le cose
fossero connesse. Ma adesso non credo sia giusto ficcare il naso. Non
lo era
neanche prima, a dirla tutta.”
Rose inspirò: il ragionamento era giusto. Eppure non
riusciva a togliersi dalla
testa che Tom fosse in qualche modo invischiato in qualcosa di
pericoloso.
Forse sono solo
prevenuta… del resto
non mi è mai piaciuto.
“Tom
non mi
piace. Tanto per mettere in chiaro le cose.” Disse,
guardandolo seria. Al
ricambiò lo sguardo, poi annuì con un sospiro
rassegnato.
“Lo so. Non ti obbligo a fartelo piacere. Ma
credimi… ha dei lati buoni.”
“Con te.” Chiarificò spassionata.
“Con il resto del mondo è uno stronzo, e in
questo periodo non fa nulla per nasconderlo.”
Fermò il suo tentativo di obiezione
con una mano. “Ma… se ti rende felice, io
sarò felice per te. È questo che
fanno gli amici. I cugini poi, sono praticamente obbligati.”
Al le strinse la mano. “Grazie. È…
molto importante per me.” Mormorò.
Rose gli sorrise. “Sappi che se ti farà soffrire
mi prenoto per affatturarlo in
modo grave.”
Al
ridacchiò.
“Glielo farò presente…”
Camminarono
a
braccetto, per la High Street del
Villaggio, guardando le vetrine, sempre in silenzio.
“Quest’anno,
oltre al banchetto di Halloween¹ quel folle di Malfoy, assieme a Jamie e gli Scamandro ha
chiesto di
organizzare un Ballo…” Rose cambiò
discorso, perché sentiva che entrambi ne
avevano bisogno. “Verrà tenuto in Sala Grande.
Già stamattina stavano
sistemando le decorazioni… Tu ci vai?”
Al
annuì. “Certo.
Anche solo per controllare che Jamie non combini pasticci e che Lils
non cerchi
di imbucarsi… sono pur sempre un Prefetto.”
Rose
ridacchiò, dandogli una pacchetta sulla mano.
“Bravo il mio ragazzo. Lo sai che
è in maschera?”
La guardò compassionevole. “Rosie, sto in camera
con i due ragazzi più
pettegoli di Hogwarts. Oltretutto Nott è stato coinvolto ai
massimi livelli,
facendo entrare l’alcohol…”
Rose
sbuffò.
“Non è divertente annunciarti le cose, Lily ha
ragione. Tom verrà?”
Al fece un sogghignetto. “Naturale. Anche se ancora non lo
sa.”
****
Hogsmeade, ai Tre
Manici di Scopa. Ora
di pranzo.
“Non
andrò a
quel ridicolo Ballo.”
“Perché?”
“Perché è ridicolo.”
“Scusa patetica. Ci vanno tutti. E poi sarà
divertente. Cos’hai contro le cose
divertenti?”
Teddy
Lupin
ascoltava l’alterco tra Albus e Thomas, seduto ad un angolo
dei Tre Manici di
Scopa. Non avrebbe dovuto, ma Al si era infervorato, e con le guance
rosse dal
freddo e dall’irritazione spiegava le sue ragioni facendosi
sentire da mezzo
locale.
“… Va
bene. Verrò. Ma non
indosserò nessuna stupida maschera.”
“Questo lo vedremo.”
Ted soffocò una risata e si impose di concentrarsi su
ciò che stava facendo
prima che i due ragazzi entrassero nel locale.
Davanti a
lui
c’era il diario, o meglio come aveva scoperto, il Grimorio del defunto Ziel, che lui, non
tanto legalmente, si era
tenuto per sé.
Idea
migliore
non poteva aver avuto, dato che in quel mese quel libricino consunto
l’aveva
tenuto impegnato, senza peraltro farlo giungere a nessuna soluzione.
Il codice
in
cui era scritto era praticamente intraducibile. Aveva provato tutti gli
incantesimi di rivelamento che conosceva, ma senza risultati.
Ma Teddy
era
felice così. Anche perché impegnarsi in quel
rompicapo lo distoglieva dal Problema James.
Alla fine
aveva deciso di identificarlo così, visto che di problema in
effetti si
trattava.
I loro
rapporti erano peggiorati fino all’inverosimile. James veniva
alle sue lezioni,
svolgeva i compiti e non dava fastidio, ma sembrava percepirlo
più o meno come
il professor Rüf: qualcosa che apriva bocca e cominciava a
parlare, ma con cui
di certo non ci si poteva rapportare.
Teddy
capiva
che si trattava di una difesa, e rispettava le distanze. Eppure non
riusciva a
togliersi dalla testa l’espressione di James, quel pomeriggio
in infermeria.
Era quasi
diventata, anzi, era
un’ossessione.
Passava i pochi momenti in cui lasciava vagare la mente a pensare a
come
avrebbe potuto farsi perdonare. Era stupido, ma si sentiva come se
avesse
sbagliato tutto facendo la cosa giusta. Stava impazzendo.
Oltretutto,
bisognava esser ciechi per non essersi accorti che James si comportava
in modo
anomalo: non combinava più disastri, era rispettoso con i
professori, non si
infilava in aule vuote con le ragazze e per finire dava retta
all’autorità
costituita. Ed era diventato grande amico di Malfoy.
In
sé erano
tutti cambiamenti positivi, certo. Ma se Ted pensava al motivo
scatenante, non
riusciva ad essere del tutto tranquillo.
Devo essere
cretino. Dovrei essere
contento.
Invece
non
ricordava di essersi mai sentito così angosciato.
Si
passò una
mano trai capelli, e dalle risatine di un gruppo di tassorosso dietro
di lui
capì che avevano cambiato colore. Si portò una
ciocca davanti agli occhi:
Grigio topo.
Era quasi
un
mese che la cromatura dei suoi capelli oscillava tra un castano spento
e quel
grigio desolante. Neville si era dimostrato particolarmente
preoccupato, anche
se non aveva capito perché.
Mi ha chiesto non
so quante volte se
avevo problemi con Vic…
Sentì
una
sedia spostarsi davanti a lui, e, quasi l’avesse chiamato,
Neville entrò nella
sua visuale.
“Problemi con Victoire?” Gli chiese premuroso. Per
circa l’ottantesima volta.
Ted si
sentì
un po’ stupido, e un po’ stufo. “Nev, mi
sono lasciato con Vic. Tre mesi fa.”
Confessò, con una certa calma. Ormai non faceva
più così male.
Il
buon’uomo
lo guardò leggermente sconvolto per una manciata di attimi.
“Oh.” Disse.
“Allora sai di lei e Jean-Luc, quel pittore
francese…”
Ted incassò la notizia con stupefacente calma. Si
stupì lui stesso di non
volersi affogare nella pinta di idromele.
“Sì.” Mentì. “E tu
come lo sai?” Si
informò però.
“Hannah.
Hanno delle amiche in comune…” Spiegò
con un gesto vago. “Mi dispiace Teddy…”
“Sto bene.” Sorrise, ed era vero. Non era per Vic
che si sentiva come uno
straccio.
Lei è
storia passata… - Gli suggeriva
una vocina nella sua
testa, particolarmente presente in quel periodo.
Neville
lo
guardò incerto. “Allora cosa
c’è che non va? Perché Ted, tu
assomigli a tua
madre. O perlomeno, il tuoi poteri da metamorfomago sono identici ai
suoi. Sai,
anche lei ha avuto i capelli di questo colore.”
“Davvero?” Sua nonna non gliel’aveva mai
raccontato. “E quando?”
“Quando era innamorata di tuo padre e credeva di non essere
corrisposta…”
Teddy
sentì
il sangue nelle guance defluire in un punto imprecisato del corpo,
prima di
tornare, prepotente. “Ah… ma io… la
cosa di Vic l’ho superata. Più o meno. Sono
felice per lei, davvero.”
“Okay.” Lo rassicurò Neville.
“Okay…”
Teddy
bevve
un lungo sorso di idromele. I capelli non mentivano. Mai.
Certo,
era
l’unico metamorfomago in circolazione, e non era del tutto
certo della sua teoria.
Ma era raro che il colore dei suoi capelli riflettesse
un’emozione sbagliata.
Neville
sembrò indovinare il suo imbarazzo, perché
cambiò subito discorso. “Hai
presente il Ballo di Halloween? Sono quasi certo che Nott
troverà il modo per
introdurre dell’alcool e sono un po’
preoccupato.”
Ted sorrise, grato di poter di nuovo indossare i panni del professore.
“Puoi
giurarci che lo farà. Dopo la storia dei Naga gli studenti
hanno bisogno di
divertirsi e rilassarsi, personalmente capisco perché il
Preside abbia detto di
sì.”
“E poi Vitious adora le feste quanto i
ragazzi…” Sorrise divertito Neville. “Un
Ballo è l’ideale… Anche se qualcuno
dovrà monitorare la situazione. Qualcuno
che non sia uno studente, ma che sia giovane.”
Teddy si sentì improvvisamente molto
stretto, in quel rassicurante angolo di locale.
“Devo
andare
alla festa?” Sussurrò. Non che le feste non gli
piacessero, ma a quanto gli era
stato dato di capire la presenza dei professori sarebbe stata limitata
ad
incursioni sporadiche.
Neville
gli
fece uno dei suoi densi sorrisi rassicuranti. “Non
preoccuparti. Sei una specie
di idolo a scuola, non se se l’hai notato… Sei
stato ufficialmente invitato.”
“Ah…” Malgrado tutto, la situazione era
comica. Da adolescente non era mai
stato un idolo. Anzi, semmai il contrario. “Ma…
perché io? Anche la professoressa
Prynn è giovane, ha solo qualche anno più di me e
sono certo che si
divertirebbe moltissimo.”
“Infatti si è offerta di accompagnarti.”
Il sorriso prese una sfumatura di
complicità maschile che lo atterrì.
“Non
è il mio
tipo.” Borbottò precipitoso. “Davvero,
non…”
“Pensavo ti piacessero le bionde.” Il sogghigno di
Neville era qualcosa di
spaventoso. “Ma comunque… devi solo andarci in
veste di professore. È più un
pro-forma che altro.”
Teddy
annuì,
annientato. Non aveva voglia di andare a quella festa. Non era
decisamente in
vena.
“Spesso
ti
dimentichi che hai solo ventiquattro anni, Ted…”
Gli sorrise Neville, sempre
più vicino a leggergli nel pensiero. “È
una festa e tu sei un ragazzo. Ti
divertirai.”
“Devo
andare
in bagno.” Bofonchiò per tutta risposta,
alzandosi.
Mentre si
lavava le mani si guardò allo specchio. Neville aveva
ragione: spesso dimenticava
che ventiquattro anni erano più vicini ai venti, che ai
trenta.
Certo,
aveva
passato metà della sua esistenza rintanato trai libri a
bersi litri di the come
un vecchietto, e sembrava che da professore riscuotesse più
successo che da studente…però…
Però
non sono davvero un vecchietto. Forse dovrei semplicemente
prenderla come un’occasione
per rilassarmi un po’.
Guardò
i
propri capelli, flosci e grigi. Chiuse gli occhi e si
concentrò. Quando li
riaprì, perlomeno erano castano cenere. Sospirò.
Rilassarti un
po’ ad una festa dove
Jamie farà il re? Illuso.
Aprì
la porta
del bagno. E, come nella peggiore delle sit-com babbane, si
trovò davanti James.
Indossava
una
giacca di pelle e aveva un’ombra di barba. Serio e assorto
nei suoi pensieri,
riflettè Ted, sembrava più adulto. Si
squadrarono, prima che il ragazzo facesse
una smorfia, evitando di guardarlo. “Scusi professore, dovrei
andare in bagno.”
Sussurrò, con cortesia terrificante.
Ted si
spostò, quel tanto che bastava per farlo passare, sentendo
un peso in fondo
allo stomaco.
Poteva
aver
letto tutti i libri della biblioteca di suo padre e avere una cultura
da
ottantenne, ma davanti ai rapporti interpersonali si era sempre sentito
un
bambino idiota. E probabilmente lo era.
Visti i
risultati…
James gli
passò affianco, senza una parola. Poi, a sorpresa, gli
afferrò il polso con
forza, dopo un mese di distanza forzata. “Vieni alla
festa?” Si informò lentamente.
“Ci vieni?”
“Sì…” Non potè
fare a meno di rispondere, colto completamente di sorpresa.
“Sì,
ci vengo.”
James si
limitò ad assentire, per poi entrare in bagno.
Teddy
tornò
al proprio posto e alle chiacchiere con Neville avendo
l’impressione che fosse
molto, molto sbagliato, professionalmente parlando, sentirsi
così felice.
****
“Tassorosso.
Che ti dicevo?” Sghignazzò allegramente Scorpius,
seduto su una panchina
davanti alla fontana, sorseggiando burrobirra bollente.
“L’effetto sorpresa li
rende inermi!”
James fece una smorfia, accendendosi una sigaretta. “Ha solo
detto che verrà.”
“Sì,
ma ha sussultato e sussurrato.”
Batté le ciglia con aria sognante. “Te
l’avevo detto,
Potty-Poo, che il mio piano avrebbe funzionato. L’hai
ignorato per quasi un
mese e…”
“… E non chiamarmi in quel modo
ridicolo.” Brontolò, quasi addentando il filtro
della sigaretta.
Scorpius non diede segno di averlo sentito. “Dicevo,
l’hai ignorato e poi hai sferrato il tuo attacco. E lui
c’è
cascato con tutte le scarpe. Ergo,
ha
funzionato.”
“E
c’era
bisogno di organizzare un Ballo?”
“Perché, Potty, non ti piacciono le
feste?” Inarcò un sopracciglio. “Che
ragazzo triste…”
“Certo che mi piacciono!” Si inalberò.
Poi tirò un sospiro, guardando verso la
locanda. “Tu sei pazzo.”
“Sì,
deve
essere il sangue Black…” Scrollò le
spalle, noncurante. “Senti, non hai mai
visto un telefilm babbano? Il Ballo scolastico è sempre
l’evento clou!”
James gli scoccò un’occhiataccia, passandosi una
mano sulla gola leggermente
ispida. “Già, ma solitamente i protagonisti non
sono un professore e un suo
studente, coglione di un Malfuretto.”
“Dettagli. Fidati, Lupin è
ancora un
tardo-adolescente. Cripto-gay.”
James sbuffò: Malfoy, per quanto potesse sembrare assurdo a
tutti, lui
compreso, era davvero un amico. In
quel mese non l’aveva lasciato a crogiolarsi nel dolore
neppure per un attimo,
architettando quel piano folle. Era
certo che non avrebbe funzionato, ma se non altro ignorare Ted era
molto più
semplice che dovercisi rapportare.
“Come
fai a
sapere con certezza che Tedd-… il professor Lupin
è gay?” Indagò.
“Lo
so e basta.”
Bevve un altro sorso di burrobirra. “Ah, e poi me
l’ha confermato Zabini.”
James dovette trattenere un sogghigno. “Ah sì? E
Zabini ci prende?”
Con me ci ha
preso alla grande. Ed io
me lo sono preso, alla grande…
“Di
solito
sì. E comunque … capelli lunghi, viso pulito,
mette le copertine ai libri di
testo ed è stato cresciuto da una figura matriarcarle? Deve essere gay.”
James
fece
uno sghignazzo, che ingoiò quando vide Rose incedere verso
di loro, carica di
sacchetti e dall’aria minacciosa. Scorpius, da bravo
squilibrato qual’era, si
illuminò.
“Zucchettina!”
Cinguettò eroico.
“Va’ a farti divorare da un Thestral,
Malfoy.” Sibilò, piantando le mani sui
fianchi. “Avevamo un appuntamento mezz’ora
fa da Scrivenshaft². E, curioso,
ti trovo qui a tracannare alcolici in compagnia di quel suino di mio
cugino.”
“Ehi!” Si inalberò James.
“Lascialo frequentare dei veri maschi! Guardalo,
poveretto, ne ha bisogno!”
“Se il maschio sei tu, Jamie, ci tengo a tenertelo lontano. E
fatti la barba,
per amor di Morgana. Sembri uno straccione.”
Scorpius li guardò con aria deliziata.
“Zucchettina…”
Cominciò, dopo un momento denso di elettricità
statica.
“Scusa per il ritardo. Stavamo chiacchierando.”
“Lo vedo. Continuate pure, io
vado
all’Ufficio Postale.” Ringhiò, voltando
loro le spalle e allontanandosi a passo
di marcia.
“Mia
cugina è
un troll…” Sospirò James. Scorpius gli
sorrise, e gli strappò la sigaretta di
mano, buttandola a terra. “Ehi!”
“Non offenderla mai più davanti a me.”
Disse, perdendo il sorriso. Lo riacquisò
immediatamente, neanche se lo fosse spalmato addosso. “Ci si
vede in giro,
Potty-Poo!” Si voltò e le trotterellò
dietro.
James
sospirò: Malfoy era uno spostato, e sua cugina
un’isterica.
Ha ragione mamma,
l’adolescenza è un
carrozzone di folli.
****
“Lo
sapevo.”
Al guardò con cipiglio cupo la vetrina di Zonko che esibiva
un cartello in
viola con scritto ‘maschere per
halloween, esaurite’.
Tom ebbe il buonsenso di non gongolare. “Era prevedibile.
Probabile che Nott le
abbia comprate tutte stamattina, per poi rivenderle ad Hogwarts a
prezzo
maggiorato. Sarebbe nel suo stile…”
“Tutti quei gufi …” Mormorò,
colto da un’intuizione. “Venivano da
Hogsmeade!”
Tom annuì, compunto. “Così
pare.”
Al fece
una
smorfia. “Loki è uno strozzino. Se solo
l’avessi saputo avrei chiesto a zio
George di lasciarmene da parte qualcuna.” Borbottò
scornato. Il negozio era
infatti una filiale dei Tiri Vispi Weasley.
“Temo
che non
si sarebbe fatto commuovere dai tuoi occhi dolci.” Fece un
mezzo sorriso. “Sta’
tranquillo, Loki probabilmente ti farò uno sconto.”
Al gli tirò una gomitata nelle costole. “Sei
contento, ammettilo!” Poi fece un
sogghignetto. “Ma sappi che andrai comunque
alla festa.”
“È obbligatoria la maschera. E temo, anche un
costume.” Gli fece notare,
osservandosi le unghie.
“Troveremo entrambi.” Annunciò deciso.
Si incamminò per la High Street,
rimuginando. Era felice però. Non era stato certo fino
all’ultimo, di poterlo convincere a venire alla festa.
A quanto pare però ci sono
riuscito… Su
di te gli occhi dolci fanno effetto, eh Tom? – Non
potè fare a meno di
pensare, compiaciuto.
“Ci
andiamo assieme?”
Chiese, mentre rovistavano in un negozio di vestiti usati, alla ricerca
di
qualcosa di vagamente simile ad un costume di Halloween. “Al
Ballo, dico.”
Tom
inarcò le
sopracciglia, prima di capire cosa davvero intendesse. “Come
coppia?”
Al si morse un labbro, spiando la sua reazione. “Credo di
sì. È quello che
siamo, no?”
“Quindi intendi dirlo a tutti?” Fece una pausa
calibrata. “Perché se ci andremo
come coppia lo sapranno tutti. Fuori e dentro Hogwarts.”
“Non proprio tutti. La
festa è solo
per quelli dal Quinto in su…”
Tom fece un sorrisetto sarcastico. “Pensi davvero che tuo
fratello non scriverebbe
un Gufo a tutta la famiglia? Per non parlare di Rose.”
“Non dobbiamo mica mettere i manifesti.”
Obbiettò ragionevole. “E poi Rosie lo
sa.” Buttò fuori, seppellendo la testa tra una
fila di polverose vestaglie da
notte. Non era sicuro che la cosa avrebbe fatto piacere a Tom. Ci fu un
lungo
silenzio, infatti.
“Ero…
certo…
che ne sarebbe venuta a conoscenza in tempi brevi.”
Stimò l’altro, lentamente.
Sembrava assorto nella contemplazione di una fila di mantelli logori.
“Sei
arrabbiato?” Spiò, raddrizzandosi.
“Perché sul serio, non dovresti. Rose è
la
mia migliore amica, non solo mia cugina. Non potevo non dirglielo. E
poi, non
voglio nascondermi.”
“Stai dicendo che ti obbligo al segreto?” Strinse
le labbra in una linea sottile.
Ultimamente era facilissimo indisporlo. A volte ad Al sembrava di
camminare su
gusci d’uovo.
“No.”
Disse,
piantandogli gli occhi nei suoi. Di solito bastava per quietarlo.
“Voglio solo
sapere se ci vieni con me. Tutto qui.”
Tom
rifletté.
Avrebbe voluto dire di sì, a dirla tutta. Era una persona
riservata, ma andare
con Al al ballo avrebbe significato far capire a tutti che il giovane
Potter non
era più un trofeo ambito. Per nessuno e specialmente per
Michel.
Ma vorrebbe anche
dire finire sotto le
luci del gossip scolastico. Al non c’è abituato,
dato che c’è sempre stato
James a prendersi tutta la fama. E poi, la cosa arriverebbe sicuramente
alle
orecchie di Harry.
E va bene che non
è mai stato molto…
acuto… in certe cose, ma comunque…
Fece per
rispondere, ma poi lo vide. Era
lui: il
ragazzo biondo, fuori dalla vetrina. Stava mangiando una manciata di
castagne
da un cartoccio, camminando tra la gente, come se nulla fosse.
“Tom…?”
Sentì
a malapena la voce di Al chiamarlo, perplessa.
“Mi sono dimenticato di fare una cosa. Ci vediamo
dopo.” Doveva seguirlo.
Seguirlo e capire cosa diavolo ci faceva ad Hogsmeade. In mezzo agli
studenti. Vicino ad Al.
“Tom!”
Lo
richiamò quasi urlando. Voltò lo sguardo per
vedere Al, che lo guardava
preoccupato. “Che succede?”
“Niente, te l’ho detto. Ho dimenticato di comprare
delle cose…”
Non si
fermò
neanche a guardare se Albus ci fosse cascato o meno. In quel momento
non gli
interessava.
Uscì,
prima
di perderlo di vista.
Al rimase
fermo giusto il tempo di capire che doveva
inseguirlo. Si gettò letteralmente fuori dal negozio, ma
quando si guardò attorno,
Tom era già scomparso.
****
Note:
1-Cena di
Halloween: ad Hogwarts ogni anno si tiene un banchetto, dove sopra la
volta
della Sala Grande volteggiano le zucche giganti di Hagrid. Non
c’è nessun
ballo, anche se non è esclusa qualche forma di
intrattenimento. Halloween
nel Mondo Magico è una festa molto
sentita.
2-Scrivenshaft: Cartoleria magica ad
Hogsmeade. Si vende tutto il necessario per la scuola.
Qualcuno
mi
aveva chiesto Halloween? XD Apparte gli scherzi, la storia ha fatto un
saltino
di un mese per esigenze di trama, come spesso ha fatto la Row. Spero di
essere
riuscita a non creare una gran confusione. ;)
|
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Capitolo 33 *** Capitolo XXVIII ***
Buoonasera.
O
buongiorno, a seconda di come la vedete. Alla fine sono riuscita a
farvi avere
il capitolo per Domenica! Putroppo a questo giro non potrò
rispondere alle
vostre meravigliose recensioni. Sappiate che vi adoro, che siete il
motore di
questa storia e che vi abbraccio forte. Senza di voi e i ragazzini di
Doppelgaenger questo periodo di studio sarebbe un inferno. ;)
PerFarmiPerdonareUnPochino:
Questa è un’opera perfetta
Al/Tom che mi ha gentilmente donato Flayu,
una TALENTUOSISSIMA disegnatrice
giapponese che ho conosciuto su DeviantArt. Ragazze… se lo
aprite vi giuro che
sbaverete per giorni. Io ce l’ho tutt’ora come
sfondo del mio pc. E non riesco
a smettere di guardarlo. PS: mi piace pensare che quello nella ciotola
sia
ribes… *ç*
Date
un’occhiata
anche alla sua Gallery. È una shipper Harry/Tom e credetemi,
sa quello che fa.
****
Capitolo XXVIII
Ti avverto, chiunque tu sia.
Oh
Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e
gli Dei.
(Oracolo
di Delfi)
Dintorni di
Hogsmeade, Stamberga
Strillante.
Quattro del
pomeriggio.
“Zucchettina,
dai, rallenta!”
“Col cavolo!”
Rose incedeva impietosa per la salita sterrata che portava alla
Stamberga
Strillante. I ragazzini del Terzo a quell’ora
l’avevano già ampiamente
visitata, con tanto di prove di coraggio. E nessuno tornava in quel
posto
lugubre per una seconda volta. Di solito quindi era un posto
tranquillo, dotato
di una serie di massi dalla forma comoda, su cui sedersi e far vagare
lo
sguardo sulla campagna circostante.
Di solito.
Rose si
sedette pesantemente, con buste e sacchetti sul suo sasso preferito,
mentre
Scorpius si accomodava accanto a lei.
“Sei
ancora
arrabbiata con me?” Chiese, forse per la settantesima volta.
“No Malfoy, è solo una tua
impressione…” Celiò. “Se ti
piace tanto Jamie,
perché non sei con lui?”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Ovvio. Perché
mi piaci più tu.”
Rose gli
lanciò un’occhiata boccheggiante.
“Non… Non è questo il punto!”
“Ah no? Mi era sembrato, scusa…”
Sogghignò. “Dai, Rosie. Non sarai
gelosa?”
“No!”
“Okay.” Rimase un po’ in silenzio, prima
di prendere una foglia caduta a terra
e cominciare a giocherellarci con le dita. “Mi dispiace per
aver perso
l’appuntamento. Ma Potter aveva bisogno di una spalla su
cui versare fiumi di
lacrime virili…”
“C’entra qualcosa il fatto che non si fa la barba
da settimane?” Si informò,
suo malgrado curiosa.
“Anche…” Rispose vago.
“C’è una certa cosa in ballo, e
quell’idiota non riesce
a organizzare nulla senza una mente superiore che coordini il tutto.
Cioè, io.”
“Gli stai facendo da infermierina?”
Borbottò, suo malgrado divertita. Scorpius
fece una smorfia, afferrandole la sciarpa e tirandola leggermente verso
di sé,
dispettoso. “Malfoy, quando sei imbarazzato lo sai che
cominci a diventare
molesto?”
“I
try to discover a little
something to make me sweeter. Oh baby refrain
from breaking my heart¹…”
Cominciò a canticchiare, finché non
la fece scoppiare a ridere. Si baciarono con le guance
straordinariamente
fredde.
Oh, Merlino. Sono
pazza di lui… Bel
casino.
“Scorpius…
non possiamo andare al Ballo assieme.” Mugugnò,
quando fu seduta accanto a lui.
“Lo
so.”
Sorrise inscalfibile. “Non fa niente.”
“Davvero?” Si accorse che qualunque cosa gli avesse
risposto, lei non avrebbe
potuto capire se quella era la verità. Occlumanzia o meno,
Scorpius Malfoy era
bravissimo a non far capire che diavolo pensava.
“Davvero.”
Disse infatti, baciandole il naso. “Penso che però
potresti concedermi un
ballo. Sai, con le maschere, la festa già avviata e
l’alcool del buon Nott… Non
credo faranno caso a noi.”
“Okay.” Sorrise, scostandogli una ciocca di
capelli, sottili come se li era
sempre immaginata anche quando lo guardava da lontano. “Ma
non sono molto brava
a ballare… e ah, non ho il costume.”
“Possiamo rimediare ad entrambe. Balleremo un lento, e quelli
li sanno ballare
anche i troll.”
“Oh, Scorpius, tu sì che sai come affascinare una
donna.”
Il ragazzo rise. “E per il costume…”
Lasciò cadere la frase, rubandole un altro
bacio.
Rose fece
mente locale. Si staccò. “Non ti azzardare a
regalarmene uno! Posso
permettermelo. È solo che è troppo tardi per
mandare Gufi in giro… Mi inventerò
qualcosa. Lily è brava a trasfigurare vecchi abiti
smessi.” Blaterò molto
velocemente.
“Okay.” Le assicurò, sempre con quel
sorriso zen. “Promesso.”
“Bene.” Poi sentirono entrambi un rumore di passi.
Rose si alzò velocemente
dalle braccia di Scorpius, guardando verso la salita. “Sta
arrivando qualcuno!”
“Lo sento.” Scorpius la prese per un braccio.
“Vieni…”
Si ripararono dietro il fitto fogliame dei cespugli. Rose si
sentì un po’
stupida.
Se solo non
fossimo chi siamo non
dovremo nasconderci …
Lanciò
uno
sguardo a Scorpius. In quel momento non credeva probabilmente di essere
osservato, perché non stava sorridendo. Aveva
un’aria seccata, e assorta.
Forse a lui
dà fastidio mentire e
incontrarci di nascosto…
Rose si
morse
un labbro. Non che
a lei facesse piacere.
Ma se
già suo padre è irritato perché
crede che siamo amici… come reagirebbe all’idea
che stiamo assieme? Per non
parlare della mia famiglia. Papà e nonno Arthur mi
disconoscerebbero se sapessero
che sto con un Malfoy.
Sentì
una
spiacevole oppressione al petto. Era ingiusto. Era dannatamente
ingiusto.
Gli
cercò la
mano e la intrecciò alla sua. Scorpius abbassò lo
sguardo. Le fece un mezzo
sorriso, e Rose pensò con precisione chirurgica che
probabilmente lo amava.
E lui?
Scorpius
era
un tesoro, nel senso vero della parola. Difficile da scovare, ma
assolutamente
stupefacente quando finalmente raggiunto.
Ma lui che cavolo
ci trova in me?
“Scorpius…”
Iniziò, a bassa voce. Il ragazzo la guardò, salvo
poi per riportare lo sguardo
verso la Stamberga Strillante.
“Rosie…
ma
quello non è Dursley?”
Guardò
anche
lei. Era decisamente Thomas. E
davanti a lui, a pochi metri, c’era un ragazzo biondo, che in
quel momento
stava scavalcando la recinzione del vecchio tugurio.
****
Tom
sfiorò
con le dita la tasca del cappotto, quella interna, dove teneva la
bacchetta.
Non gli piaceva mostrarla in giro, ma non se ne separava mai.
Il fango
secco suonava polveroso contro la suola delle scarpe mentre seguiva il
ragazzo oltre
la recinzione che delimitava la Stamberga Strillante.
La casa
più infestata di spettri della
Gran Bretagna… -
Pensò sarcasticamente, guardando la casupola che sembrava
reggersi in piedi per
magia più che per una mera legge fisica.
In
realtà
sapeva benissimo, come tutto il clan Potter-Weasley, che quel tugurio
era stato
edificato negli anni settanta del vecchio secolo per ospitare il padre
di Teddy
durante le sue trasformazioni in licantropo. In seguito era stato
teatro della
morte di Severus Piton, e ultima dimora di Voldemort.
Non
c’è da stupirsi se, anche chi sa,
preferisce tenersene alla larga. Se non è stata infestata
prima, chissà che non
lo sia adesso, con tutto il sangue che hanno visto quelle
pareti…
Sapeva
benissimo che il ragazzo era andato lì solo per attirarlo.
Quando fu davanti
alla porta, infatti, si voltò, con un sorriso. Gli
offrì il cartoccio.
“Castagne?”
Tom lo ignorò. “Che ci fai qui?”
Il
ragazzo
fece spallucce. “Gita di piacere… Non avevo mai
visto Hogsmeade di giorno.
Villaggio grazioso, non trovi?”
“Taglia
corto.” Sbottò, guardandosi attorno. Non sembrava
che nessun ragazzino avesse
voglia di osservare la casa da lontano, quel giorno.
Un’autentica fortuna. “Cosa
vuoi?”
“Te l’ho detto. Cosa pensi, che passi tutto il mio
tempo in quella villa
fatiscente a ordire orribili piani contro Hogwarts?” Fece un
cenno divertito.
Indossava il mantello e sotto un maglione celeste. Sembrava davvero un
adolescente.
“Non
ti
credo.” Sputò.
“Libero
di
non farlo. Ora, perché non abbassi la bacchetta e mi dici
cosa ti turba,
Thomas?”
Tom lo
guardò
confuso, prima di abbassare lo sguardo. Stringeva la bacchetta in
pugno, e non
si era neanche accorto di averla tirata fuori.
Dannazione.
“Hai
i nervi
tesi come una corda di violino, mmh?” Indagò
retoricamente l’altro. “Rilassati,
domani andrai ad una festa in maschera. Hai già deciso come
vestirti?”
“Non sono affari tuoi. E devi stare lontano
da…”
“Da chi? Dai tuoi amici?” Sbuffò.
“Come se mi interessassero. Oh, Thomas… non
sono il classico cattivo della storia. Non ho certo intenzione di
attentare
alla vita degli studenti di Hogwarts o fare del male ai tuoi affetti.
Sono un
uomo d’affari, non uno psicopatico.”
“Uccidere
Duil faceva parte dei tuoi affari?” Chiese, intascando
però la bacchetta:
quando aveva letto la notizia sulla Gazzetta aveva avuto la spiacevole
sensazione di sentirsi in trappola. Con quell’indiano morto
la sua situazione
in merito a quella vicenda non migliorava.
“Se
avesse
parlato ci saremo trovati entrambi nei guai, non credi? Ho solo preso
delle
precauzioni. Non dirmi che ti senti in colpa…
Perché sai, non ti crederei.”
Obbiettò, masticando con voluttà
l’ultima castagna. Gettò la carta a terra,
appoggiandosi alla porta della Stamberga.
Tom
deglutì
forzosamente un grumo di saliva e rabbia. Per quanto in quel momento
desiderasse solo mettere mano alla bacchetta e non ascoltarlo, si
rendeva conto
che aveva ragione. Non riusciva a sentirsi in colpa. Non ci riusciva.
Questo
faceva
di lui un colpevole?
Quel ridicolo
ometto meritava di
morire. Si è fatto coinvolgere per avidità, ha
fatto rischiare la vita a gente
innocente ed è stato così idiota da farsi mettere
sotto imperius e farsi poi ammazzare come un ratto. Non si
può sentire la mancanza di
gente così debole.
“Non
ho fatto
niente.” Mormorò, con un distacco che
stupì lui stesso.
Il
ragazzo
biondo non rispose. Si limitò ad un sorrisetto, come se
avesse indovinato cosa
gli passava per la mente. Sentì quella
cosa urlare e ribollire nel petto e si frenò con
tutte le forze per non darle
retta.
Non che
parlasse. Ma suggeriva. Oh, se lo faceva.
Io sono meglio di
te. Non provare
pietà non significa essere un assassino.
“Allora,
hai
parlato con la professoressa di Trasfigurazione?”
“Sì. Non era la Trasfigurazione, era
l’Alchimia. Grazie per l’informazione
sbagliata.”
“Beh, ma alla risposta sei arrivato comunque, no?”
Fece una
smorfia. “Ancora non riesco a capire come la mia nascita
possa essere stata
influenzata…”
“Ah, vedi. E qui ti voglio. Non si tratta di influenza. Tu
sei nato, grazie
all’Alchimia.”
Tom serrò le labbra in una linea sottile. Una spiacevole
sensazione di freddo
gli attanagliò la nuca, nonostante il vento fosse caduto da
un bel pezzo. “In
che modo?”
“Ogni cosa a suo tempo.” Si accese una sigaretta,
scrutando il cielo con
particolare attenzione.
A Tom
venne
quasi da ridere. Era inutile, quel gioco sarebbe finito solo quando l’avrebbe voluto
l’altro.
“Su, non fare quella faccia. Puoi scoprilo anche da
solo… ti ho dato abbastanza
indizi, del resto. Allora, ho sentito dire che i costumi di Halloween
sono
esauriti… Come conti di andarci?”
“Cosa vuoi da me?” Sibilò frustrato.
“Non so neanche il tuo nome… mi fai questi
ridicoli indovinelli e sembri aver
organizzato tutto questo… per niente. Per darmi il
tormento.”
Se solo avesse potuto prendere la bacchetta e…
Chiuse
gli
occhi, brevemente. Li sentiva bruciare come lava sotto le palpebre.
“John
Doe. Puoi
chiamarmi Doe.” Disse l’altro, tirando una boccata
ad una sigaretta.
“È
il tuo
vero nome?”
“No, naturalmente. Ma che importa. In quanto al motivo per
cui io e te siamo in affari…
beh. Gli Antichi Greci
dicevano Gnothi Seautón.
Conosci te
stesso. Alla fine, la nostra intere esistenza, Thomas, si dipana
attorno a
questa domanda…”
Tom fece una smorfia sarcastica.
“Filosofia…”
“Oh, se fossi in te non la denigrerei così. In
fondo, cosa ci differenzia dalle
bestie, se la capacità di pensare?” Si
girò tra le dita la sigaretta accesa, pensieroso.
“Se sono qui è per cercare qualcosa, naturalmente.
Hogwarts ha una cosa che
interessa alle persone per cui lavoro. E tu
mi puoi aiutare. Do ut des.
Io ti
darò le risposte e tu aiuterai me a prendere la cosa che mi
interessa. Devi
avere pazienza, però… non è facile
organizzare la cosa.”
Tom
sapeva
che tutta quella situazione era pericolosa. E che più andava
avanti e più il
suo coinvolgimento si faceva maggiore.
È
tutta la vita che voglio sapere. E se lui può darmi delle risposte, non
mi importa quanto dovrò
pagare.
“Cosa
devo
aiutarti a prendere?” Chiese incolore.
“Una
cosa che
al momento non ho neppure idea di dove si trovi.” Fece un
cenno evasivo, con
una breve risata priva di calore. “Ma non preoccuparti. Da
parte nostra,
vogliamo creare il minimo scompiglio possibile in questo delizioso
microcosmo
magico.”
“Non sei solo allora…”
Ipotizzò. Doe gli dava indizi simili a scatole cinesi. E
in quel modo, se ne rendeva conto, lo teneva completamente nelle sue
mani.
“No,
non sono
solo. Mi sembrava piuttosto ovvio.” Gettò la
sigaretta a terra. “Ti consiglio
un costume semplice, comunque. Non sembri il tipo da
fronzoli.” Si staccò dalla
parete, con un sorrisetto. “Magari nero. Dovrebbe
donarti…”
Tom si
lasciò
sorpassare, in silenzio.
“Faccio
degli
incubi.” Buttò fuori. Doveva dirlo a qualcuno o
sarebbe impazzito.
Non
Harry… non
zio Harry. Lo insospettirei,
e l’ultima cosa che
devo fare adesso è attirare l’attenzione su di me.
E poi che dovrei dirgli?
Sogno di ammazzare tuo figlio?
Doe si
voltò.
“Tutti ne facciamo. Ti posso assicurare che non dormo una
notte tranquilla da
anni. Cosa ti turba?”
Tom serrò i pugni. Ogni fibra del suo corpo gli urlava di
restare in silenzio,
che confidare una cosa simile, una cosa da deboli,
a quell’uomo era una sciocchezza, un’idiozia.
Ma forse lui
sa… lui sa che mi sta
succedendo…
“Uccido…
sto
uccidendo una persona… in quel sogno.”
Il
ragazzo lo
guardò. “E alla fine muore?” Si
informò pacatamente.
Tom aveva
la
nausea, ma si impose di rispondere. “No. Mi sveglio
prima.”
“Allora non credo tu debba preoccuparti.”
Scrollò le spalle. “Forse, però, devi
chiederti cosa rappresenta questa persona per te. Un pericolo,
forse?”
“No.
Assolutamente.” Ringhiò. Albus… Al non
sarebbe mai stato un pericolo per lui.
Anche se, a dirla
tutta, non vede
l’ora che tu abbassi la guardia per ficcare il
naso… - La voce dentro
la sua testa a volte
sembrava presentarsi autonomamente. E non era certo fosse la sua
coscienza.
Doe
guardò
verso il villaggio. “Ora è meglio se
vai… potrebbe arrivare qualcuno, e credo
che tu non voglia farti vedere in mia compagnia. Mi sbaglio?”
Tom fece una smorfia, ma girò i tacchi e se ne
andò.
Doveva
fingere che andasse tutto bene. E aspettare. E apprendere.
Rose
seguì
con lo sguardo Tom, che si allontanava lungo il sentiero.
“Che
diavolo
stava facendo?” Mormorò confusa. La cosa non le
piaceva. Non sapeva chi fosse
quel ragazzo biondo: sembrava uno studente, ma non ricordava di averlo
mai
visto a scuola. Avevano parlato a lungo, inoltre, e Tom era sempre
sembrato sul
punto di estrarre la bacchetta. Ma a quella distanza né lei
né Scorpius erano
riusciti a capire il perché di quell’alterco.
“Lo
seguiamo
per chiederglielo?” Si offrì Scorpius.
“Figurati
se
ce lo direbbe. Andiamo a chiederlo a quel tipo piuttosto.”
Disse decisa.
Avevo ragione a
non fidarmi…
Scorpius
si
passò una mano trai capelli, guardando verso il tugurio.
“Temo che non sia
possibile…”
“E
perché?”
Il
ragazzo
sospirò, spostandosi e svelandole la visuale.
“Perché si è appena
smaterializzato.”
****
Ministero della
Magia.
Secondo piano, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
Ufficio Auror.
“È
semplicemente ridicolo.”
“Harry, dai amico…”
“No, davvero Ron! È ridicolo. A cosa serve essere
a capo dell’Ufficio Auror se
poi non riesco neppure a farmi dare una risposta da Azkaban in tre
settimane?
Metà di quelle celle le abbiamo riempite noi! Stupida
burocrazia magica…”
Harry
marciava avanti e indietro, davanti alla sua scrivania. In quel mese
aveva
passato molto tempo a ripararsi dalle critiche della stampa, cosa ormai
comune
per Capo degli Auror, e il restante a cercare di capire cosa diavolo
fosse
realmente accaduto a Parva Duil.
Gli era
stato
immediatamente chiaro che l’uomo non si era suicidato. Ad
Azkaban i detenuti
erano tenuti sotto stretta sorveglianza; non si poteva certo definire
un posto
ridente, o che spingesse al buon’umore, era pur sempre una
prigione, ma certo
non era un luogo dove un sospetto poteva ammazzarsi in tutta
tranquillità.
Ron lo
guardò
con uno sbuffo, seduto sulla sua poltrona, mentre giocherellava con un
boccino
che solitamente troneggiava sul tavolo assieme a portafotografie di
ogni taglia
e dimensione.
“Dovresti
lasciar perdere. Ci hanno tolto ogni potestà sul
caso… Noi abbiamo acciuffato
il colpevole. Il resto è nelle mani del
Wizengamot.”
“Come posso lasciar perdere se questa storia non è
finita?” Obbiettò,
togliendosi gli occhiali e pulendoseli sommariamente sul bordo della
camicia.
“Il
colpevole
si è ucciso?” Suggerì Ron, paziente.
“Andiamo amico, la prendi sul personale
perché sono stati coinvolti i nostri ragazzi. Credimi, lo
capisco… ma stai un
po’ esagerando.”
“Non sono stati i tuoi figli a finire tra le grinfie di
guerrieri Naga, Ron.”
Sbottò. “Jamie si è rotto una gamba e
Al quasi la testa. Per non parlare di
Thomas e Teddy…”
“I tuoi quattro bambini…”
Borbottò Ron, con un mezzo sorriso. “Li tratti
come
se avessero ancora cinque anni a testa. Senti. Abbiamo indagato,
abbiamo
arrestato il colpevole… e stop. Non c’è
nient’altro su cui scavare. Quel tipo
avrà pensato alla bella prospettiva del carcere a vita
e…” Scrollò le spalle.
“E
cosa? È
questo il punto, Ron. Non sappiamo cosa è realmente accaduto
nella cella,
perché ci hanno letteralmente strappato il caso dalle mani.
Parva Duil non
poteva assolutamente essere un Mago Oscuro. E sai
perché?”
“Uhm… aveva una faccia da fesso?”
“Perché era un funzionario del Ministero. Lo
capisci? Ai piani alti si stanno
parando il culo.” Si infervorò, strofinandosi
inconsciamente le dita sulla
cicatrice. Oramai era poco più che un lieve solco sulla
fronte, ma nei momenti
di maggiore tensione tendeva a ricadere nelle vecchie abitudini.
“Ai
piani
alti lo stanno parando a te, Harry…”
La voce era inconfondibile per i due vecchi amici. Femminile,
autoritaria, didattica.
Hermione
Jane
Granger, chiusa elegantemente in un tailleur dalla foggia babbana,
reggeva una
pila di cartelle dall’aria pesante come se fossero volantini.
Al braccio destro
aveva l’inseparabile borsa di pelle che l’aveva
sempre accompagnata in quegli
anni di brillante carriera nel settore legale del DALM².
Ron per
la
sorpresa si fece scappare il Boccino, che prese a svolazzare per la
stanza.
Harry lo afferrò di scatto prima che puntasse la permanente
della donna.
Hermione
li
guardò con aria palesemente seccata.
“Ehi
Herm…”
Sorrise angelico Harry, intascando il boccino con noncuranza.
“Pranziamo
assieme?”
“Non
appena
mi sarò ricordata perché non devo affatturarvi
entrambi.” Fece finta di
pensarci. “Ah, giusto. perché avrei dovuto farlo
trent’anni fa.” Scaricò la
pila di cartelle sulla scrivania, squadrandoli. “Lo sapete
cosa si dice al secondo
piano?”
“Cioè questo
piano?” Suggerì Harry.
“Il tuo ufficio è un’isola felice, esule
da ogni regola che per noi, poveri maghi
comuni, invece vale.” Replicò aggrottando le
sopracciglia. “Si dice che Harry
Potter scavalchi ordini, procedure, competenze. Harry, sono stata la
prima ad
appoggiarti quando hai deciso di prendere l’indagine,
benché non ci fossero gli
estremi perché …”
“Lo sappiamo, Herm!” Sbuffò Ron.
“Sappiamo che non c’era sospetto di Maghi Oscuri
e che l’indagine avrebbe dovuto essere passata alla Divisione
Bestie, ma per la
barba di Merlino! Sei qui per farci la predica con un mese di
ritardo?”
Hermione
sospirò. Si strinse la radice del naso tra le dita.
“No. Sono qui perché Harry
mi ha chiesto una mano con il caso Duil. E a quanto pare, non te ne ha
messo a
parte.”
“Hai chiesto una mano…” Ron si
voltò verso l’amico, che assunse un’aria
imbarazzata. “Hermione è un avvocato,
cosa…”
“Hermione conosce bene il personale di Azkaban, e anche
quello del San Mungo.”
Obbiettò ragionevole, portandosi con naturalezza lontano dal
raggio d’azione
del vecchio amico. “Così le ho chiesto se poteva
fare qualche domanda, chiedere
qualche informazione… cartella… cartella
sull’autopsia.”
Ron prese
un’aria indignata. Le orecchie gli diventarono color
aragosta, e serrò i pugni.
“Hermione non doveva essere coinvolta nei tuoi dubbi
deliranti!”
“I miei dubbi hanno salvato il culo al Mondo
Magico.” Replicò duro. In quegli
anni non aveva mai perso un grammo di fiducia
nell’intelligenza di Hermione o
nel pragmatismo di Ron.
Ma non sono
diventato capo
dell’Ufficio Auror solo perché ho una vecchia
cicatrice e qualche gloria
notevole. Ma perché non c’è cosa che
sappia fare meglio che seguire il mio istinto.
Ron
ispirò
lentamente. Guardò la moglie, che gli rivolse un sorriso
comprensivo.
“Ron,
va
tutto bene. Non mi ha certo obbligato. E poi, a dirla tutta, trovo
anche io che
la morte di quell’uomo sia sospetta…”
Harry allargò le braccia, con un sorriso
soddisfatto. “Ciò non
toglie che
Harry stia camminando in equilibrio su un filo.”
Harry le sorrise bonario. “La storia della mia
vita.”
“Sai a quante persone hai pestato i piedi?”
“Dici da quando avevo undici anni? O da quanto ne avevo
uno?”
Hermione
alzò
gli occhi al cielo, nascondendo un sorriso, mentre apriva la borsa per
estrarne
un plico anonimo. “Sono i referti dell’autopsia sul
corpo di Parva Duil,
direttamente dal San Mungo. Ho
promesso
che li avrei riportati entro stasera, visto che non è
possibile avere una copia.
Sono magicamente vincolati. Ho un udienza e tornerò tra due
ore. Li voglio
trovare in ordine, su questo tavolo.” Picchiettò
sulla superficie, piantando
gli occhi in quelli dell’ex Golden Boy.
Harry
annuì,
facendo serio. “Puoi contarci ‘Mione. Grazie.
Davvero.”
La donna
fece
un mezzo sorriso, riprendendosi i chili di scartoffie con leggerezza
ammirabile.
“Non perderai mai l’abitudine di infrangere le
regole, eh Harry?”
“Aggirarle, ‘Mione.” Sorrise, prendendo
il fascicolo, mentre Ron ridacchiava.
“Solo aggirarle.”
Quando la
donna se ne fu andata, Ron si alzò di scatto dalla sedia,
andando subito alle
spalle dell’amico per leggere con lui il referto.
“Allora, che dice?”
“Non molto. Quelli di Azkaban si sono limitati ad
impacchettarlo e spedirlo al
San Mungo…” Fece una smorfia. “Meglio
saltare e andare direttamente
all’autopsia.” Sfogliò qualche pagina.
“Decesso per attacco di cuore… Flessione
del nervo vago… Bradicardia.”
“Nervo che?”
“Per farla breve quando ti passi un cappio attorno al collo
oltre che soffocare
puoi anche avere un infarto.” Tagliò corto,
assottigliando gli occhi. “Non è
morto soffocato.”
“Eh, l’hai detto.” Gli fece notare Ron
confuso. “Infarto invece che
soffocamento. Morte orrenda. C’è altro?”
“No…” Stiracchiò, andando
alle foto del corpo. Erano magiche, naturalmente, ma
a differenza di quelle amatoriali sembravano immobili. Potevano
però essere
zommate su particolari infinitesimali, e mosse con un lieve colpo di
bacchetta
sulla superficie. “Aspetta… ingrandisci sul
collo.” La foto mostrò la porzione,
dove faceva ben mostra di sé un ecchimosi violacea. Harry
sospirò.
“Che pensavi di trovare?” Ron si grattò
la folta capigliatura rossa.
“Miseriaccia Harry, questo s’è impiccato
con un lenzuolo, niente di più!”
“Zomma appena sotto all’orecchio.”
Intimò Harry, ignorandolo. “Schiarisci di
due toni.”
La foto obbedì. Harry sogghignò amaro quando
entrambi videro quello che non
andava. C’era un piccolo foro circolare sulla pelle della
vittima, ignorato dal
Medimago perché fatto con qualcosa che non era né
pozione, né bacchetta.
“Che
roba è?”
“La traccia di una siringa Ron. Servono ai babbani per
iniettare cose nelle
vene delle persone. Parva Duil non si è suicidato.
È stato ucciso.
Probabilmente è stato drogato, e poi strangolato.
L’omicida poi ha inscenato il
suicidio. Parva Duil non aveva famiglie, ed era reo confesso. Una cosa
pulita.”
Ron
boccheggiò, poi deglutì l’incertezza,
deciso. “Chi è stato l’ultimo ad avere
contatti con il detenuto?”
Harry scorse la lista, presente nella prima pagina. “Un
prete.”
“Un prete?” Ron ne aveva visti ben pochi in vita
sua, e tutti babbani, anche se
sapeva che c’erano maghi che andavano in chiesa.
“Duil era credente?”
“Questo
non
lo so. Ma di certo quella visita gli è stata
fatale.” Prese il mantello,
aprendo la porta dell’ufficio. “Tempo di andare a
fare una visitina ad Azkaban …”
Ron
esitò,
anche se si infilò il proprio mantello. “Non
abbiamo più potestà di indagine,
lo sai?”
Harry fece un sorriso che avrebbe fatto accapponare la pelle a
più di un Mago
Oscuro. Ron sospirò, ma non potè trattenere un
sorriso. “Miseriaccia, Harry…
Facciamolo e basta.”
Harry rise. “Questo è parlare.”
****
Hogwarts,
Biblioteca. Quasi ora di
cena.
Tom si
scostò
quando un gruppo di ragazze ridacchianti gli sfilò affianco,
lanciando occhiate
dense di sottointesi. Erano di Serpeverde e naturalmente speravano
tutte di
essere invitate al Ballo entro sera.
Serrò
i denti
in una smorfia: quel ridicolo Ballo stava mettendo in subbuglio tutta
la
scuola, e persino un posto tranquillo come la Biblioteca diventava un
forno di
risatine e sussurri.
Sfogliò
una
pagina del libro della Prynn, ignorando forzosamente i bisbigli alle
sue
spalle.
In quel
momento avrebbe voluto avere il suo lettore mp3, ma, ovviamente, il
campo magico
della scuola glielo avrebbe fritto.
L’Alchimia…
Era una
materia affascinante, e l’approccio che veniva dato in
America era molto
diverso da quello inglese. Si pensava più alla speculazione,
alla ricerca, che
al mero masticare leggi ormai conosciute.
C’erano
ampie
porzioni di libro dedicate alle pietra filosofale, e ai procedimenti
alchemici
per crearla.
Ovviamente
una cosa erano le formule, un’altra l’effettiva
realizzazione.
Si
massaggiò
una tempia, guardando fuori dalla finestra: tutto quello era
interessante. Ma
non gli serviva. Non c’era nulla che accennasse
all’influenza dell’Alchimia
sulla nascita di un essere umano.
Poi, fu
come
se una lampadina gli si fosse accesa in testa.
Doe non mi ha
detto che influenza ha
detto che l’Alchimia può crearlo.
Creare un essere
umano…
Non si
può creare un essere umano,
neppure con la Magia più oscura e avanzata. Non che io
sappia.
Neppure
Voldemort, l’unico Mago capace
di risorgere, è risorto dal nulla. Aveva un corpo, debole ma
pur sempre un
corpo fisico.
A meno
che…
Andò
alle
note in fondo pagina. E lo trovò.
Homunculus.
L’unico esempio di essere
vivente creato con l’Alchimia è
l’homunculus.
… e
qui se ne parla.
L’inchiostro
risultava nero su bianco nella pagina. Sfogliò fino al
paragrafo indicato, che
aveva letto senza considerarlo, preso a cercare altro.
‘[…]
L’homunculus è
una
leggendaria forma di vita creata attraverso l'Alchimia. Il primo a
parlarne fu
il celebre Alchimista Paracelso
(1493-1541), famoso per le sue scoperte nel campo della medimagia. Fu
un
seguace dell’alchimia islamica, e fervente ammiratore del
lavoro di jabir ibn
hayyan. È
tutt’ora l’unico Alchimista Europeo conosciuto ad
aver tentato di
creare la vita umana. l’impresa
pero’ gli costo’ la radiazione dall’albo
degli alchimisti. […]
la
creazione di un homunculus e’ stata bandita dalla Conferenza
internazionale dei maghi nel 1550. (vd. Statuto di restrizione sulla
creazione
di mostri alchemici).
Letture
suggerite:
Libro
delle Pietre, di Jabir Ibn Hayyan.’³
Erano
poche
righe, ma erano più di quanto avesse ottenuto in quei due
mesi. Si alzò in
piedi di scatto, facendo così voltare un gruppo di Corvonero
sedute vicino a
lui. Non si accorse neppure della loro espressione confusa e un
po’ spaventata.
Alchimia…
allora esiste un modo per pilotare
la vita umana. Esiste un modo per crearla.
Anche se proibito.
Non era
certo
che quella fosse la pista giusta, ma era l’unica che aveva. E
più si
addentrava, più ogni fibra del suo corpo si tendeva,
spasimava, per sapere di
più.
Anche
se…
Anche se
c’era una piccola parte di sé che lo pregava
di mettere fine a quelle domande.
Vuoi davvero
sapere come sei nato?
Vuoi davvero sapere se gli squilibri di un’Alchimista pazzo
c’entrano qualcosa
con te?
Strinse i
denti, e ignorò quella voce.
Si
avvicinò al
bancone della bibliotecaria. In quel momento la Pince era da qualche
parte a
terrorizzare matricole. Al bancone c’era una ragazza,
dell’ultimo anno di
Corvonero, che conosceva di vista.
“Scusami,
posso chiedere a te?”
La
ragazza
alzò lo sguardo dal proprio libro, sorridendogli. Vide
immediatamente una
scintilla di interesse accenderle lo sguardo.
Non era
stupido. Si era accorto di come le ragazze lo guardavano e
l’avevano sempre
guardato.
Perché
non
approfittarne, quindi?
“Ciao…
sì,
certo. Tu devi essere Tom, non è vero?” Chiese,
chiudendo il libro.
“Non
sapevo
di essere famoso…” Piegò le labbra in
un mezzo sorriso. “Di solito ho amici più
famosi di me.”
“Oh, è difficile non conoscere lo studente
più brillante che Hogwarts abbia
avuto dopo la Guerra Magica. Thomas Oltre Ogni
Previsione…” Chiocciò.
Tom si
chinò
leggermente sul bancone, avendo chiara
la percezione che le donne non gli sarebbero mai piaciute.
“Senti… sto facendo
una ricerca per Trasfigurazione, e avrei bisogno di sapere se un libro
è in catalogo.”
La
ragazza si
riscosse dalla contemplazione delle sue labbra o chissà che
e annuì,
recuperando professionalità. “Certo. Hai il
titolo, autore, anno di
pubblicazione?”
“Libro delle pietre(4), di Ibn Hayyan.”
Snocciolò, lanciandosi un’occhiata intorno.
Sembrava che nessun membro del Clan Potter-Weasley fosse presente.
Meglio.
La
ragazza si
alzò. “Te lo cerco subito, Tom.”
Sparì tra gli schedari.
“Thomas…”
Corresse a bassa voce, rivolto più che altro a sé
stesso. Albus a quell’ora
doveva essere già tornato.
L’ho
piantato a cercare i costumi…
Sarà furioso.
La
ragazza
tornò pochi minuti dopo. Notò che si era
ripassata il trucco. “Mi dispiace, ma
fa parte della Sezione Proibita.”
“Non è un problema, tornerò con un
permesso.” Non sarebbe stato difficile convincere
la Prynn a darglielo.
La
ragazza
prese un’espressione dispiaciuta. “È
nella collezione privata della scuola. Non
è un testo che può essere preso in prestito da
uno studente, mi dispiace.”
Tom
contenne
la scarica di rabbia che si sentì esplodere nelle vene.
“Ah.” Disse. Rifletté,
molto velocemente, perché la ragazza sembrava aver tutta
l’intenzione di
chiedergli se andava al Ballo. “Mi chiedevo…
Dov’è esattamente la collezione
privata?”
“L’ubicazione?” Chiese la ragazza, un
po’ a disagio. “… Perché vuoi
saperlo?”
“Pura curiosità. Che tipo di libri ci
sono?”
La
ragazza fece
un sorriso da bibliofila, che per un attimo gliela rese quasi
simpatica. “Libri
di Magia avanzata. E, credo, una sezione intera dedicata
all’Alchimia. Il
reparto si trova dietro la terza fila di scaffali.
C’è una porta, che dà su una
saletta interna, ma è protetta da una parola
d’ordine.”
“Capisco… da quanto lavori qui?”
Guardò il cartellino con il nome.
“Kathleen?”
Le guance della ragazza si colorarono di un rosa tenue. “Due
anni.”
“Difficile lavorare con la Pince, immagino. Non ti
lascerà neppure una chiave.”
“Oh, ha cominciato a fidarsi.” Dichiarò,
con una smorfietta orgogliosa. “E poi
tra poco se ne andrà in pensione, finalmente.”
“Probabilmente ti assumeranno al posto della Pince, non
appena ti sarai
diplomata.” Ridacchiò. “Grazie a
Merlino, il suo regime di terrore sarà
sgominato.”
La ragazza rise, deliziata di aver stabilito un contatto.
“Oh, è tremenda,
vero?”
“Già… Hai la parola d’ordine
anche della collezione privata?” La guardò negli
occhi, senza darle possibilità di ritrarsi. La ragazza
diventò paonazza. Vide
che con il linguaggio del corpo cercava di mettere le distanze tra di
loro. Non
doveva accadere.
La prese
delicatamente per un polso. La ragazza trasalì, sorpresa. Ma
non si liberò.
“Non
preoccuparti, non voglio metterti nei guai.” Le
assicurò. “Ce l’hai?”
“Sì,
ma…
cambia ogni fine del mese, comunque non posso…”
“Siamo al trenta. Significa che domani a mezzanotte
verrà cambiata.” Non si era
mai accorto di quanto fosse facile convincere le persone a fare
ciò che voleva.
Era esaltante. “Mi sbaglio?”
“No…” Deglutì, fissando le
dita magre del ragazzo attorno al suo polso.
Merlino, metà delle sue amiche avrebbero pagato
per essere nella sua situazione. “Perché vuoi
saperla?”
Tom
sorrise
meccanicamente.
Corvonero.
Purtroppo non sono mai
dei completi cretini…
“È per una scommessa, in
realtà. Ma non voglio metterti nei guai, Kathleen.
È solo una scommessa tra amici…”
“Vuoi entrare nella stanza della collezione
privata?”
“Già. E se tu potessi darmi la parola
d’ordine potrei entrare, uscire e a
mezzanotte sarebbe tutto finito. Io non avrei la nuova parola,
quindi…”
La
ragazza
sembrava combattuta. Tom capì che sarebbe bastata una lieve
spinta. “Hai già un
accompagnatore per il Ballo? Da cosa ti vesti?”
“Fata Morgana… cioè, è la
parola d’ordine, Fata Morgana. Io… ancora non so.
E
no… non ce l’ho un accompagnatore.”
Sorrise nervosa. “Tu ci vai con qualcuno?”
Tom prese la borsa che aveva posato sulla scrivania, mettendosela a
tracolla.
“Sai tenero un segreto?”
“Oh…
beh,
certo.”
Tom le
sorrise. “Anch’io, per tua fortuna. Grazie per
l’aiuto e buona serata.” Si
abbeverò dello sguardo sconvolto della ragazza, prima di
voltarsi ed uscire
dalla sala.
****
Hogsmeade,
Tre Manici di Scopa. Ora di cena.
John Doe,
come era conosciuto attualmente in Inghilterra, stava finendo la
propria pinta
di sidro. Sorrise alla Madama dei Tre Manici di Scopa. “Cena
eccellete, cara
Hannah!”
La signora Paciock gli sorrise con calore. “Le posso portare
qualcos’altro,
John?”
“No, grazie, sto bene così.” Si
passò una mano sulla tasca interna della giacca.
A quanto sembrava ad Hogsmeade i cellulari prendevano.
Bella
scoperta… se l’avessi saputo
prima non sarei certo andato ad imboscarmi in quella foresta fetida, a
gelarmi
le ossa tra centauri e tribù di acromantule.
Uscì
dalla
locanda.
“Buonasera… Sì, mi trovo ad Hogsmeade
al momento. La cucina del posto è
deliziosa, se mai le capiterà di venire in Scozia dovrebbe
proprio provarla…”
Sorrise. “Naturalmente, tutto sta procedendo secondo i piani.
L’influenza del
medaglione si fa già sentire sul ragazzo… oh,
sì. Incubi.” Si accese una
sigaretta. “Per il Grimorio? Nessun problema, Signore. Domani
ci sarà una
festa, sì, di Halloween…” Si
guardò riflesso ad una vetrina, passandosi una
mano trai capelli color grano, che diventarono color carbone.
“…
Ed io ho
già il mio costume.”
****
Ufficio del
Professore di
Trasfigurazione. Dopocena.
Ainsel
Prynn
si ravviò la chioma, con uno sbuffo stizzito, mentre si
sedeva davanti al
fuoco. Gettò una manciata di polvere volante tra le fiamme,
attendendo il
collegamento.
“Ainsel,
hai
tardato…”
“Ho dovuto fare la professoressa, Signore.”
Sorrise. Ma era contrariata. Thomas
gli stava dimostrando che si erano già mossi, e lei? Non era
riuscita ad
entrare nell’ufficio di Lupin neanche quel giorno.
Sarà
stato via al massimo un paio
d’ore… Perché diavolo ha messo un
incantesimo di protezione sulla porta del suo
ufficio? Dannati inglesi paranoici.
“Ci
sono
novità?”
“Conto di trovare il Grimorio di Ziel al più
presto, Signore.” Disse con aria
sicura. Non si sentiva più tale, però. Hogwarts
si era dimostrata una miniera
di informazioni più labirintica del previsto.
“Quel
Grimorio non deve finire nelle loro mani, Ainsel. Se così
fosse, sarebbe la
fine.”
“Non possiamo chiedere la collaborazione del DALM
inglese?” Tentò, sfacciata.
Sapeva la risposta, ma tanto valeva tentare. Di certo, con gli inglesi
a
conoscenza della cosa le indagini sarebbero state meno farraginose.
“Il
Ministero
Inglese non deve venire a conoscenza della nostra indagine.
È una questione
sovra-nazionale. Trova quel Grimorio. È il motivo per cui
sei lì, non
dimenticarlo.”
****
Note:
1.Little Respect, Erased. È una
canzone
dance anni ’80 trash, ma una specie di tormentone
conosciutissimo in Gran
Bretagna. Lol
2. DALM: Acronimo per Dipartimento
Applicazione della Legge sulla Magia.
3.Homunculus: ho pasticciato un
po’ con la
definizione data da wikipedia. No FFA non c’entra niente
stavolta. Le frasi
sono estrapolate e rielaborate da qui
4.Libro delle Pietre: esiste veramente,
come esiste il suo autore anche se ovviamente non ho idea di che cosa
parli
esattamente.
Qui
maggiori informazioni. (anche se solo in inglese)
|
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Capitolo 34 *** Capitolo XXIX ***
Grazie
mille
per essere sempre così adorabilmente disponibili. Voi e
questa fic mi state
rendendo gli esami meno faticosi. ^^ Ah… richiestina.
Rendete felice una povera
scrittrice. Ce la facciamo ad arrivare a duecento? *piazza di nuovo Al,
con un
fiocco in testa con scritto 200*
@Altovoltaggio: Ciao! Argh, non
mi infilare la Meyer
e i Cullen nel Potterverse! Sento che ne potrei morire. XD Apparte gli
scherzi,
grazie per i complimenti. E poi, dai, vuoi mettere Pattinson contro Tom
Sturridge? ;P
@MadWorld: Grazie! ^^ Come
faccio a scrivere
così? Tante seppie mentali! :P
@LyhyEllesmere: Ciao, benvenuta! :D
Che nick complesso! Mi piace molto! Grazie per i complimenti, mi fa
piacere che
questa bagatella possa emozionare qualcuno. ^^James, oh! Finalmente
abbiamo trovato
qualcuna che apprezza Jamie. Purtroppo in questi lidi è
chiamato il Re
Minchione, quindi ti lascio immaginare. XD L’Alchimia
è roba complessa, non a
caso è una disciplina esoterica… quindi
darò il meglio di me per capirla e
renderla così comprensibile anche a voi. Pubblico
regolarmente anche grazie a
voi, e al tempo libero che mi rimane, considerando che sono chiusa in
casa a
studiare. :P
@Ron1111: Sei
l’unica che ha notato la fan-art
T_T Grazie, grazie, grazie. Vero che è bravissima?
E’ l’unica che fa Harry/Tom
davvero convincenti, ed io la adoro. Il medaglione… mmh,
è simile a quello di
Salazar, ammetto di aver ripreso l’idea. Ma ricordati
perché influenzava così
le persone, perché conteneva un pezzo di anima di Voldemort,
quindi
estremamente malvagia. Ti dico solo che questo, se lo indossasse Al,
sarebbe
solo un pezzo di metallo. Eeeh, spoiler! Comunque, quando aggiorni
Alternative
Universe? (ormai la chiamo così) Mi manca il tuo Tom! T_T
@Hel_Selbstmord: Heeel! Non
preoccuparti, alla luce
del lutto che ti ha colpita ti
abbraccio telematicamente, e ti capisco! T_T Dev’essere stato
orribile. Vero,
Scorpius/James è un pairing (non slash!) mai esplorato, ma
credo che fosse
carino che invece di fare la scontatissima ‘facciamo fare
amicizia agli eredi di
Draco e Harry’ riorganizzare i Malandrini. Peccato che Jamie
sia un anno avanti
e che stia per finire! XD Crepi per la sessione ed è bello
riaverti qui,
davvero!
@Pnin: Ciao! Grazie
mille per aver lasciato
una recensione. È molto importante per me conoscere le
vostre opinioni, e lo
ammetto, parecchio gratificante. ^^ Sì, sono
d’accordo con te sulla deriva di
banalità che sta investendo il fandom slash di HP. Tutte
queste Harry/Draco mi
danno un po’ la nausea, anche se inizialmente adoravo la
coppia. Comunque sì,
totalmente Logan Lerman è un uketto! XD E anche Tom
Sturridge. Ha fatto un
film, like minds, in cui si è confermato l’uomo
con le labbra più oscene della
terra!
@Trixina: Ne ho date
troppe? Eeeh, lo sapevo,
ma vi lamentavate sempre che ero misteriosa! :P Beh,
sull’Alchimia ci ho messo
un po’ di fatica, ma diciamo che wikipedia, in tutte le sue
forme, ha aiutato
parecchio. Ah, dove sarei senza il genio wiki! XD La canzone che canta
Sy è un
tormentone al pari di ‘com’è bello far
l’amore da Trieste in giù’ in
Inghilterra, quindi Sy ha un’animaccia trash. Oppure
è solo scemo. XD Tommy-boy
è un dannato manipolatore. Ma ci piace così, no?
XD
@MissyMary: Ciao! Beh, Tommy
è il protagonista,
ma purtroppo, per tener fede al Rowling-verse, non
c’è NIENTE su cui ha
controllo, almeno, fino ad ora. Dopotutto ha solo sedici anni. :P Tom
un
homunculus? Forse che sì, forse che no. Ricorda che per ora
ha solo trovato una
pista. ;) Per il fatto che è così bello, invece,
deve ringraziare i geni.
*ehehe, risata sadica*. La povera Prynn, mi sa, ti starà
ancora più antipatica
in questo capitolo! Alla prossima! XD
@Ombra: Spinoza eh?
Condoglianze, la
filosofia è un osso duro, e sinceramente, ti stringo la mano
per non aver dato
fuoco a tutti i libri. XD Apparte gli scherzi, grazie per i complimenti
al
match Tom-ragazzadellabiblioteca. Tanto per ribadire il fatto che al
nostro
piacciono i maschietti con grandi occhioni verdi. XD Sy
dovrà tirare fuori la
testa dalla sabbia, perché alla fine è un Malfoy,
e si interessa solo di ciò
che gli piace o lo diverte. Ragazzaccio. Tom se finirà il
sogno… beh. Diciamo
solo che i sogni possono essere o non essere rivelatori. ;) Non sono
che un
brandello nel nostro subconscio dopotutto. In bocca al lupo per
Spinoza, e
grazie per il commento!
****
Capitolo XXIX
La gente mi
spaventa,
specialmente alle feste.
(Factotum,
Charles Bukowski)
31 Ottobre 2022
Hogwarts,
Corridoi. Primo pomeriggio.
Hogwarts
era
immersa nel caso. No, non caos, proprio caso.
Teddy si
guardò attorno, mentre frotte di pubescenti urlanti si
gridavano ordini e
suppliche da un lato all’altro delle scale mobili.
L’argomento di conversazione
principale erano i rispettivi costumi e maschere di Halloween o la
possibilità
di farsi incantare il viso per assomigliare ad un mostro o ad una
splendida
fata. A seconda.
Teddy si
tirò
indietro appena in tempo, prima che Pix, pazzo di gioia, scaricasse nel
corridoio gavettoni contenenti zuppa di pesce.
Quando ero
studente io, Halloween non
era così folle.
Cercò
di
approcciare la cosa da un punto di vista pedagogico: dopo lo spavento
causato
dai Naga i ragazzi volevano rilassarsi, divertirsi.
Vandalizzare?
Entrò
velocemente dentro la propria classe. Solo quando fu seduto sulla
poltrona,
davanti al fuoco, con una tazza di the, si sentì un
po’ meglio.
Le feste
gli
piacevano, era l’isteria di massa che le precedeva ad
atterrirlo.
Oltretutto,
era braccato dalla professoressa Prynn, che aveva insistito fin dalla
mattina
per farsi aiutare nell’allestire la Sala Grande per il party.
Teddy era
convinto che il risultato fosse fantastico, ma lo sarebbe stato anche
senza di
lui, tramortito da quasi cinque ore di chiacchiere a senso unico.
Oltretutto,
era nervoso.
Si
passò una
mano trai capelli, fissando il fuoco.
Aveva il
costume, Neville gentilmente glielo aveva fatto trovare al tavolo dei
professori quella mattina, con un bigliettino che l’aveva
quasi sciolto in
lacrime di pura gratitudine.
Il
problema
era il Problema James.
Quante storie,
ragazzino… - Gli sembrava
di sentire la voce di
sua nonna – Jamie
passerà la sera a
ballare e rimorchiare ragazze. È un adolescente. Non ti
considererà se ha di
meglio da fare.
Eppure…
Coprì
il
polso con una mano, il polso che James gli aveva afferrato, irruento
come
sempre.
Qual è
il problema, ragazzino? Non ti
starai per caso mettendo in testa che ti piacerebbe che James ti desse
attenzione?
Per chiarire!
…
Stava
cominciando a sentire le voci. Era un segno preoccupante.
Reclinò
la
testa sullo schienale, chiudendo gli occhi. Ventotto anni prima forse
suo padre
aveva fatto lo stesso gesto.
Non per lo stesso
motivo, comunque.
Sospirò,
alzandosi in piedi e versandosi la generosa dose di teina della
giornata.
Tu che avresti
fatto al mio posto,
papà? Che avresti fatto se Sirius fosse stato più
o meno minorenne e figlio del
tuo padrino?
…
Aveva
appena
paragonato Jamie al Primo Amore di
suo padre?
Trangugiò
la
tazza di the senza premurarsi dell’ustione di secondo grado
che ne derivò.
Era
solo… suggestionato
dalla situazione. E poi
c’era la festa. E James triste, composto, come un dannato
ragazzo con il cuore
spezzato.
Sentire
battere un gufo alla finestra fu un sollievo senza pari.
Tolse la
pergamena che portava un sigillo anonimo. Non veniva dalla scuola,
né da sua
nonna che colava la ceralacca con una precisione chirurgica. E non
c’era nessun
altro che avesse motivo per scrivergli. James, poi, il più
delle volte chiudeva
la busta con dello scotch magico.
La
lettera veniva
dal padrino.
Teddy,
Ho
motivo di credere che Parva Duil sia stato
assassinato,e che dietro la faccenda dei Naga ci fosse più
che i deliri di uno
psicopatico. Non avvertire nessuno. Solo, tieni gli occhi aperti. Mi
farò vivo
io.
PS: Divertiti alla festa e non
fare da
tappezzeria come io facevo all’epoca. Rendi fiera tua madre.
Era una gran
casinista.
Un
abbraccio,
Zio
Harry.
Teddy
serrò
le labbra. Si sedette sulla poltrona, rileggendo le poche frasi, mentre
sorseggiava il the: la lettera non era certamente chiarificatrice. E
non
portava il sigillo del Ministero.
Questo significa
solo una cosa… zio
Harry non sta indagando ufficialmente.
Sospirò.
Avendo fatto tre anni di Accademia Auror sapeva benissimo quanto
fossero rigide
le procedure di indagine dell’Ufficio. Se Harry le stava
ignorando voleva dire
che c’era un ottimo motivo. E dei sospetti.
Ci mancava solo
questa…
Altri
pensieri. Con un movimento irritato appoggiò la tazza sul
tavolino accanto al
fuoco. Naturalmente, come ogni volta che faceva qualcosa senza pensare,
il dna
di sua madre pensava bene di manifestarsi; il tavolino si
rovesciò, spedendo
nel fuoco tutto quello che conteneva. Compreso il diario di Ziel.
“Dannazione!”
Prese le molle, cercando di recuperare velocemente il quaderno. Lo
fissò
attonito quando si accorse che non stava bruciando. Si riscosse
velocemente,
afferrandolo e traendolo in salvo sul tappeto.
Per la barba di
Merlino… Un
incantesimo freddafiamma?
Prese il
diario, freddo al tatto come se fosse stato sul davanzale della
finestra. Lo
aprì. E si accorse che il codice non era più
tale. Adesso era scritto in
caratteri latini.
Un codice che si
decifra attraverso il
fuoco? Questa è magia avanzata…
Lo
sfogliò,
meravigliato. Tanta era la sorpresa che fece persino fatica a
concentrarsi e
cogliere parole.
Vi lesse
appunti. In tedesco. E lui non conosceva il tedesco.
Sospirò
rassegnato: era naturale. La lingua madre di Immanuel Ziel era il
tedesco.
Un
particolare attirò la sua attenzione. Una parola. Era
ripetuta continuamente.
Elderstab.
Corrugò
le
sopracciglia. Non conosceva il tedesco, ma quella parola gli era
familiare.
Poi un
nome
gli balzò davanti agli occhi, in mezzo alle righe.
Thomas
Dursley.
Tom?
Perché Tom, uno studente, è
citato nel diario personale di Ziel?
Sentì
uno
schianto alla porta. Sobbalzò, tirandosi in piedi.
“Oh, Ted, eccoti qua!” Sbottò Ainsel, il
corpo californiano fasciato in un
provocante vestito da … gatto? Anche gli occhi, solitamente
azzurri, erano
sfumati in un giallo-oro e in qualche modo la loro forma sembrava
più tondeggiante.
Trasfigurazione
umana…
“…
Sei un
gatto?” Sussurrò sfiancato.
“No,
cat-woman. È un personaggio immaginario babbano. Ho
risparmiato la fatica di
cercarmi una maschera!” Sorrise. “Cielo, Lupin, non
sai proprio come fare i
complimenti ad una donna, mh?”
Ted sentì i propri capelli schiarire crudelmente verso il
rosa imbarazzo. “No…
io. Ehm. Mi cercavi?”
“Già.”
Sogghignò. “Ho davvero bisogno di una mano
laggiù. Voi inglesi non avete esattamente
chiaro come vada festeggiato Halloween.”
“Beh, è una festa. La vecchia
Samhain…”
“Una festa Ted, hai detto
bene. Solo
i ragazzi la prendono con lo spirito giusto! Devi assolutamente
darmi una mano con gli ultimi ritocchi.” Lo
afferrò
per un braccio. “Forza. Prendi il costume con te. Ti
cambierai dopo. Siamo già
in spaventoso ritardo con la tabella di marcia, e il party inizia tra
tre ore
esatte.” Lo guardò negli occhi, con
serietà. “Sei l’unico che può
aiutarmi,
cucciolo.”
Cucciolo?
“Ah…
va bene.
Allora prendo il costume e ti raggiungo.” Si
schiarì la voce. “Arrivo subito.”
Per un attimo l’espressione della donna parve contrariata.
“Ti aspetto qua
fuori!” Trillò però.
Fu solo un’impressione, ma a Ted sembrò che avesse
notato il Grimorio.
****
Hogwarts, Torre
di Grifondoro,
Dormitorio delle ragazze.
Sette e mezzo circa.
She
says she's no good with words but I'm worse
Tonight
it's "It can't get much worse" vs. "No one should ever
feel like…"¹
“Per
tutte le
sottane di pizzo di Morgana Benedetta! Sono nella merda!”
Rose non era particolarmente brava a tenersi dentro i suoi problemi,
pensò Lily
suggendo con grazia da lolita il suo lecca-lecca, seduta sul letto
della
cugina, mentre quest’ultima compiva ampi cerchi minacciosi
attorno allo
specchio.
La camera
delle studentesse del Sesto Anno era immersa nel caos. Una radio
suonava da
qualche parte, mentre tonnellate di vestiti, calze e reggiseni erano
sparsi
ovunque.
Le altre
compagne si erano già dirette in Sala Comune, per
spettegolare, criticare i
propri vestiti, ridacchiare, adocchiare gli ultimi cavalieri liberi ed
aspettare l’inizio del party.
Rose era
immobile,
di fronte allo specchio, vestita con un’improbabile veste
color arancia
disidratata, che faceva a pugni con il castano miele dei suoi capelli.
“Te
l’avevo
detto che mandare un Gufo a nonna Molly chiedendole un suo vecchio
abito da
cerimonia era una pessima idea…”
Sospirò. “Voglio dire, come ti è venuto
in
mente?”
Rose mugolò, mettendosi le mani trai capelli. “Non
lo so! Non avevo uno
straccio di vestito, e tutte non facevano che puntarsi la bacchetta in
faccia e
provare occhi bistrati per i loro costumi da fata Morgana o da
Cacciatrice, ed
io volevo essere originale…”
Non volevo che Scorpius mi confondesse in
mezzo ad un trilione di fate Morgana e Dame del Lago!
“E hai pensato di vestirti da Prozia
Muriel?” Aggrottò le sopracciglia.
“Beh, è sicuramente
originale.”
“No!” Belò, tirando la manica ornata di
pizzi tendenti al verde. “Pensavo che la
nonna avrebbe tirato fuori qualcosa di non so…
retrò?”
“Merlino, Rosie… sai almeno cosa vuol
dire?”
“… Non è questo il punto!”
“Assolutamente.”
Lily si alzò dal letto, girandole attorno. “Il
punto è che questo costume fa
schifo.”
“Non
puoi
fare qualcosa? Sei così brava ad accorciarti la
minigonna…” Borbottò sarcastica.
“Non puoi trasfigurarlo in modo che non mi faccia ridere
dietro per i prossimi
cento anni?”
“Tesoro, faccio magie, non miracoli.” Sorrise Lily
dispiaciuta. “Pensavo di
lasciarti nei guai perché sono mostruosamente invidiosa del
fatto che non andrò
alla festa più in
dell’anno… ma sai,
anche volendoti aiutare, questo
va’
oltre le mie possibilità.”
“Okay.
Vado
ad uccidermi.”
“…
Rosie? Che
hai addosso?”
La voce gentile, e un po’ spaventata a dirla tutta, di Al
rischiò quasi di
farla scoppiare a piangere.
Albus, dolce
cugino…
Si
voltò verso la
porta, grata per il suo sicuro
supporto.
Al sgranò gli occhi. E scoppiò a ridere senza
ritegno.
“Piantala!
Smettila subito!” Ringhiò. Poteva andare peggio?
Certo. Malfoy mi vede, comincia a
sbellicarsi come l’imbecille che è, mi pianta e va
a tastare le tette
trasfigurate della Haggins.
Al
deglutì
una risata, togliendosi la semplice maschera nera e asciugandosi il
bordo degli
occhi.
Attimo…
Indossava…
la
divisa? E aveva una cicatrice a forma di saetta in fronte?
… ma
che cavolo…
Lily
batté le mani,
deliziata. “Oh, che carino! Ti sei vestito da
papà!”
Al sorrise quieto. “Già. È
auto-ironico.” Specificò, con una scrollata di
spalle che quasi spinse Rose ad accopparlo con un tacco.
“Molto
furbo…”
Cinguettò compiaciuta Lily, aggiustandogli con amore
fraterno la cravatta
rosso-oro.
“Certo
che
sono furbo, sono un serpeverde.” Ironizzò.
“Allora Rosie, intendi andare al
Ballo… con quello?”
“A meno di non andarci senza vestiti…”
“Audace.” Sogghignò Lily. “Mi
piace.”
“Chiudi il becco, flagello della mia esistenza.”
Borbottò. “Al, mi devi
aiutare. Sei un genio della Trasfigurazione… Non puoi
aggiustarlo?”
Al la guardò confuso. “E come?
Cioè… credo, insomma, credo sia oltre le
possibilità di chiunque.”
“Fantastico. Ammazzami. Ora.” Si buttò
seduta sul letto, prendendosi il viso
tra le mani. “La festa inizia tra mezz’ora ed io
dovrò andarci così…” Si
bloccò. “Forse posso non
andarci.”
“Non credo proprio.” La corresse serio.
“Ci andiamo assieme, come gruppo. Vuoi
davvero farmi sorbire Jamie e Malfoy assieme?
Adesso sono tutti battute e virili pacche sulla schiena. Mi vuoi vedere
morto
entro la fine della serata?”
“Ma
scusa… i
tuoi amici?” Lo guardò, incerta.
E Tom?
Non si era
dimenticato l’episodio del giorno prima. Ma non era certo
facile introdurre il
discorso.
Sai che Tom parla
in posti sperduti
con biondini sconosciuti?
Al fece
spallucce. “Tendiamo a non starci troppo trai piedi. Mike
vuole avere
territorio di caccia libero e Loki non lo vedo da ieri e credo che non
lo vedrò,
se non a fine serata, tra due ragazze con pochi vestiti addosso. E
Tom…” Si
rabbuiò, e non aggiunse altro.
“Non
viene?”
Chiese Lily confusa. “Aveva detto che sarebbe
venuto!”
“L’aveva detto, ma è dall’ora
di cena che non lo vedo.” Disse anodino. Si passò
una mano trai capelli, arruffandoli ancora di più.
“Per quel vestito… davvero,
Rosie. Non è così male a guardarlo bene. E se
magari ti metti la maschera…
forse la gente non ti riconoscerà?”
“Grazie Al, mi sei davvero
d’aiuto.”
Replicò sconfortata. Gli lanciò
un’altra occhiata: Albus sorrideva come sempre,
ma era chiaro che c’era qualcosa che lo turbasse.
Ovvio, Tom.
È sempre Tom. Gli caverò il cuore con la
bacchetta se oserà bidonarlo.
“Verrà.”
Mormorò, sfiorandogli il polso.
Albus
fece un
mezzo sorriso. Gli occhi però erano tempestosi.
“Lo spero per lui.”
Lily guardò dall’uno all’altro.
“C’è qualcosa che non so?”
“No!” Risposero
in coro, prima che un
ritmico picchiettare distogliesse l’attenzione di tutti e
tre.
“Lils, abbassa un po’ la
radio…” Ruppe il silenzio Al, andando ad aprire la
finesta. Vi trovò un enorme falco, dal piumaggio
bianco-nero.
“Wow.” Mormorò. “Di chi
è?”
“Nessuna delle ragazze ha un falco.”
Replicò Rose, incuriosita, avvicinandosi.
“Sembra il genere di famiglio che può avere un
ragazzo.”
“Oh!” Esclamò Lily, facendosi spazio
trai due. “È un Girfalco! Sono molto
costosi!”
Rose ebbe un brutto presentimento. Che si chiarificò quando
il volatile entrò
nella stanza, trascinandosi dietro un enorme pacco rosso e atterrando
dolcemente sul suo comò.
Lily lanciò un gridolino entusiasta. “Sembra un
regalo! Ed è per te, Rosie!”
“Fantastico…” Mugugnò, avendo
benissimo in mente chi poteva essere il padrone
di quel dannato pennuto, che sembrava fissarla beffardo.
“C’è un biglietto.” Sorrise
Al, slegandola dalla zampa del volatile. “Lo leggi?”
Rose la afferrò immediatamente, strappando la ceralacca.
Alla mia Rosey-Posey
È in
affitto, quindi non è tecnicamente un
regalo.
Un ammiratore
super-segreto.
Aprendo
il
pacco, ne uscì un fiume di morbida stoffa blu. Le due
ragazze stesero il
vestito sul letto. Sembrava uscito da una fiaba. C’era anche
una maschera,
cesellata in volute d’oro, che si intonavano con
l’oltremare del vestito da
strega medievale.
Lily le
lanciò un’occhiata di affettuosa malizia.
“Così, Rosey,
hai un ammiratore segreto… e con un ottimo gusto in fatto di
costumi.”
Rose scosse la testa, mentre un sorriso le affiorava involontariamente
alle
labbra.
****
Biblioteca, Otto
di sera.
“Fata
Morgana.”
Tom
aspettò
che la porta, in pesante legno di cedro, si aprisse con un leggero
cigolio.
Fece un mezzo sorriso, guardando distrattamente l’orologio da
polso.
Aveva ancora mezz’ora per poter fare il lavoro, tornare in
Dormitorio,
cambiarsi e raggiungere Al.
Poteva
fare
tutto. Poteva crearsi un alibi e continuare con le sue ricerche. Poteva
allearsi con John Doe e restare nell’ombra. Poteva proteggere
Albus e
reclamarlo per sé.
Doveva
solo
rimanere lucido.
Sfiorò
con le
dita le copertine lungo gli scaffali ordinati. Poi, lo
trovò. Libro delle pietre, Ayyan.
Lo
sfilò
dallo scaffale, sfogliandone le pagine, come a verificarne la
consistenza.
Non
poteva
portarlo via dalla sala: la ragazza non glielo aveva detto, ma era
intuibile
che oltre la parola d’ordine ci fossero altre protezioni.
Quel luogo era stato
incantato; non solo all’entrata, ma anche
l’interno. Era una strana sensazione,
ma riusciva a percepirlo.
La magia lascia
tracce ovunque…
E oltre a
quello, c’era sempre la sua razionalità a
confermarglielo.
Estrasse
un
quaderno che aveva comprato il giorno prima da Zonko: era spesso, dalla
copertina rigida e con un incantesimo di protezione già
attivato. Un diario
segreto, in poche parole.
Si
avvicinò
all’unico tavolo della sala, allineando il libro e il
quaderno. Puntò la
bacchetta contro il quaderno. “Trascribo.”
Scandì.
Il libro
si
aprì con uno scatto secco mentre la penna magica che si era
premurato di posare
sul diario cominciava a copiare diligentemente sui fogli bianchi.
Non
riuscì a
non sorridere, mentre il trionfo gli scorreva placido nelle vene.
****
Sala Grande. Nove e mezzo.
Well,
I woke up tonight and said I
I'm
gonna make somebody love me
And
now I know, I know that it's you
You're
lucky, lucky, you're so lucky!²
La Sala
Grande era completamente trasformata. Trasfigurata,
era il termine giusto, pensò Ted entrando: doveva ammettere
che Ainsel aveva
fatto un lavoro stupefacente.
La Sala
Grande raffigurava in quel momento un interno gotico, illuminato
soltanto dalla
luce di centinaia di candele nere. I tavoli erano stati eliminati e,
davanti al
piano rialzato dove si accomodavano i professori, erano state
posizionate una
pletora di casse che amplificavano la musica.
Tutto
faceva
pensare ad uno di quei giganteschi lave
party babbani a cui Victoire lo trascinava sempre.
I
ragazzi,
con vestiti e trucchi iridescenti si muovevano a ritmo, bevendo e
ridendo.
Era una
festa
molto americana. Ma a quanto
sembrava
gli studenti ne erano assolutamente entusiasti.
Teddy si
diresse immediatamente verso il tavolo delle bevande, dove grossi
recipienti
ospitavano succo di zucca ghiacciato, burrobirra bollente e punch che
Teddy
sospettava non fosse analcolico.
Almeno
non
nelle intenzioni di Nott, che vestito da Lepricauno, fumava una lunga
pipa
vicino ad un barile di quella che forse non era burrobirra. Gli fece un
gran
sorriso, quando si avvicinò.
“Professore… Festa brillante, non
trova?” Esclamò.
“Bel costume!”
Teddy
sorrise, versandosi una dose di punch e sorseggiandola.
“Grazie. Nott, è una
mia impressione o questo punch è lievemente
corretto?”
“Non so di cosa stia parlando, professore. Questi Scamandro
sono marci dentro e
alcolizzati, glielo dico io.” Sogghignò, prima di
toccarsi la falda del
cappello e allontanarsi.
Teddy
ridacchiò e lasciò perdere. Poi il suo sguardo
inevitabilmente cominciò a
vagare per la stanza, in cerca di una persona che a sua differenza,
godeva ad
essere il centro dell’attenzione.
Non fu
difficile trovarlo: James era assieme agli Scamandro e a Malfoy al
centro della
pista. Bevevano da calici colorati e ballavano in modo folle, come solo
un
adolescente può fare senza sembrare ridicolo.
James era
vestito da vampiro, mentre Malfoy sembrava un cavaliere alla
corte di Re Artù. Gli Scamandro erano avviluppati
in
chilometri di carta igenica, probabili mummie.
Ted,
rassicurato,
bevve un sorso dal proprio drink: perfetto, era whiskey incendiario al
punch.
Poi vide
che
James l’aveva notato. Pochi istanti dopo, infatti, gli era
accanto. “Professor
Lupin, è lei? Con tutte queste maschere non si capisce chi
è cosa.” Sorrise.
Aveva le iridi bianche e il volto innaturalmente pallido. Aveva
un’aria
indubbiamente lugubre ma, oggettivamente parlando, affascinante.
Un costume ben
riuscito… i vampiri
devono essere affascinanti.
“Me
in
persona. Ciao Jamie…” Sorrise di rimando.
“Ne sai qualcosa di questo punch?”
James sogghignò. “No comment.”
“Sì, lo supponevo.” Sospirò,
felice di quella breve tregua. “Vi
state divertendo? La professoressa Prynn
mi ha sfiancato, ma credo ne sia valsa la pena…”
James
scrollò
le spalle. “Mi conosci, ci dovrebbe essere più
alcool, meno ragazzine di quindici
anni e un mucchio di ninfe norvegesi. Ma è okay.”
Lo vide mordersi un labbro
con un canino vampiresco. “Tu da cosa sei vestito? Hai una
specie di spada…”
Osservò, sfiorandogli l’impugnatura del fioretto
che portava al fianco. Teddy
si sentì improvvisamente piuttosto a disagio.
“Moschettiere,
è un costume babbano. Neville l’ha preso per me.
Non sapevo che conoscesse il
romanzo di Dumas…” Sorrise nervoso, guardandosi
attorno. Si rilassò quando vide
che nessuno sembrava aver notato che James era ad un passo da lui, in
linea
d’aria. In effetti, tra le luci crepuscolari e la musica
assordante tutto
fluttuava in una calca rossastra e rumoreggiante.
“Ti
sta bene.”
Borbottò James, vuotando il proprio bicchiere in un sorso.
Poi lo guardò, come
pregandolo di riempirsi di nuovo da solo. Ovviamente, non accadde.
“Beh, allora
buona serata. Ciao.” Disse, prima di voltarsi e andarsene.
Teddy lo
guardò andare via sbigottito. E sapeva davvero che non
doveva, forse…
Ma si
sentì lo
stesso un po’ sconfortato.
Scorpius
lo
accolse con una risata malvagia. “Sei un cretino,
Potty!”
James serrò i denti, afferrandogli il bicchiere e
trangugiandone il contenuto.
“Oh, certo. Non lo vedevi com’era a disagio?
Sembrava aver paura che gli stessi
per chiedere di ballare!”
“Capisco. Non sei ancora abbastanza ubriaco per farlo
davvero.” Obbiettò
ragionevole , dandogli una pacca sulla spalla. “Altra
dose?”
“Dio,
sì.”
Grugnì, lanciando un’occhiata nella direzione in
cui era Teddy. “Cristo, è meraviglioso…
No? Guarda quella camicia. È meraviglioso.”
“Un po’ troppo inconsistente per i miei gusti. E
poi è mio biscugino o qualcosa
del genere.” Replicò passandogli un bicchiere
pieno. “Dulcis in fundo,
mi piacciono le tette.”
“Anche a me, Malfuretto. Ma lui travalica ogni
categoria…” Sussurrò, più a
se
stesso che ad altri. Inspirò lentamente, prima di dare due
sorsi al bicchiere.
“Dovevo rimanere.”
“Già. E giurargli la tua imperitura devozione. E
magari chiedergli di danzare. Com’è
che non ha funzionato?”
“È pieno di
gente, dannazione. Te ne
sei reso conto?”
Scorpius si guardò attorno. “Mmmh, vagamente.
Lascia che ti ricordi il piano. Il piano
era attirarlo in un luogo che
avrebbe stordito la sua indole da pensionato, mentre l’alcool
allentava i suoi
freni inibitori. Sembra un tipo che va giù con due dita di
sidro. E poi,
complice le tue straordinarie doti fisiche lo avresti
sedotto.”
“La fai semplice tu!” Brontolò,
sentendosi le orecchie scottare in maniere
piuttosto Weasley. “Non posso semplicemente
provarci!”
Scorpius sorrise bonario, per quanto il ghigno Malfoy glielo
permettesse. “Hai stabilito
un contatto, intanto. Credo sia proficuo.” Si
guardò attorno. “Ora…
Dov’è la
mia splendida principessa?”
“Stiamo parlando di Rosie? Perché se è
così, hai il cervello fradicio di
whiskey.”
“Lei è una principessa. La mia.”
Decretò con sicurezza, battendo le nocche
sulla cotta di maglia. Poi si illuminò, quando la intravide
all’ingresso,
seguita da quello che sembrava un paggio, ma che in realtà
era solo Albus con
una maschera.
James
spalancò la bocca in una ‘o’ quasi
perfetta. “È davvero
lei?”
“Rose!” Cinguettò Scorpius, facendo ampi
cenni con la mano. Rose fece un mezzo
sorriso impacciato, dietro la maschera, in un corpetto blu oltremare
con una
gonna assolutamente perfetta.
“Sembra
quasi
una femmina.” Riassunse James, scoccandogli
un’occhiataccia. “Tu c’entri
qualcosa?”
“Naturalmente.” Sorrise sereno. “Oh,
guarda il mini - Potter. Che cosa
graziosa. Fa’ vostro padre.”
“Idiota…” Sbuffò James,
sorridendo storto ai due quando si avvicinarono;
sentiva la lingua intorpidita dall’alcool e cominciava a
sentirsi allegro.
“Ehilà, cuginetti
meraviglia…” Strascicò.
Al lo squadrò da capo a piedi. “Hai i canini e sei
ubriaco.” Stimò con un
sospiro.
“Accoppiata vincente.” Annuì con vigore
Scorpius, lanciando un sorriso beato a
Rose, che si portò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, ricambiando
impacciata. “Buonasera misteriosa
principessa…”
“Sei un idiota.” Sussurrò, ma le
brillavano gli occhi. “Non era necessario.”
“Certo che sì. Adesso siamo Ginevra e
Lancillotto.” Le prese la mano e se la portò
alle labbra. “Allora, il mio ballo?”
“Ehm. Sto ancora cercando di abituarmi al corpetto, Lily
l’ha stretto troppo…”
Mugugnò, lanciandogli un’occhiata di avvertimento;
James sembrava pronto ad
opporsi fisicamente all’eventualità di vederli
abbracciati assieme in sua
presenza.
“La dolce Lilian? Credo di averla vista imboscata con Coote
da qualche parte,
vestita da coniglietta sexy.” Cinguettò Scorpius
e, prima che i due Potter
potessero scongelarsi dall’orrore, la trascinò in
mezzo alla calca danzante.
“Scorpius,
non è vero!” Rise, tirandogli una botta sulla
spalla. “Che bastardo!”
“In verità, non credo di essere una gran brava
persona.” Sogghignò, chinandosi
su di lei. “Ti sta benissimo… dico, il
vestito.” Aggiunse.
“Non voglio sapere come hai saputo le mie misure, davvero, mi
limiterò a
ringraziarti.” Sospirò, cercando di capire come
ballare senza farsi pestare i
piedi dalla folla. Si sentiva stupidamente leggera, sobria e felice.
“Scorpius,
è stupendo. Grazie. Anche la maschera…
è. Grazie.” Ripetè, arrossendo.
“Lo so, sono il cavaliere perfetto. Ho pensato anche a come
poter ballare
assieme senza farci scoprire. Festa in maschera, chi è cosa,
con chi diavolo
sto ballando etc, etc…” Spiegò,
prendendola fluidamente tra le braccia. “Ah, questo
è un lento.”
Rose ridacchiò. “Ma non mi dire…
Comunque. Sei davvero vestito da
cavaliere babbano?”
“Non
credi
sia profondamente ironico? In ogni caso ci sono voci che sospettano una
sua discendenza
magica, quindi forse mio padre non mi diserederà.”
“James
è già
ubriaco…Sei sicuro di non esserlo anche tu?”
Sbuffò fingendo casualmente di
parlargli all’orecchio per poterglisi avvicinare. Profumava
di bucato appena
steso, anche in mezzo ad una calca sudata. “Ti prego, dimmi
che non lo
spingerai a fare cavolate.”
“Impossibile. Sono il diavoletto sulla sua spalla.”
Sussurrò divertito. “E
anche della tua.”
Rose gli
sorrise: per quanto riusciva a capire, non capiva. Era tutto
maledettamente
perfetto. Persino se era stretta in un bustino. Persino se James era
già
ubriaco e non erano nemmeno le nove. Persino se le altre coppie gli
lanciavano
occhiate incuriosite.
Si
sentiva
sciocca e felice. Era una sensazione nuova, e avrebbe voluto provarla
per sempre.
Scorpius
le
sorrise. “Allora… Posso prenotarti per tutti i
balli della serata?”
Rose ricambiò. “Assolutamente
sì.”
If
you're lost, You can look
And
you will find me, time after time… ³
Al
lanciava
occhiate alla Sala, ma non si era mosso di un millimetro da quando la
coppia si
era allontanata: James non andava lasciato solo, dalla costanza con cui
si
riempiva il bicchiere. Avrebbe voluto essere lì solo per
controllare il
deficiente, farsi due risate con gli amici e sorridere supportivo a
Rose… ma in
realtà si sentiva come le ragazze che, sole e imbronciate,
sedevano all’angolo
della Sala, aspettando un cavaliere che non sarebbe mai arrivato.
Inspirò,
afferrando il bicchiere del fratello e dandone un lungo sorso.
Tossì mentre
l’altro, stupito, rideva.
“Che c’è Al? La tua dama ti ha dato
buca?” Sghignazzò, dandogli una pacca sulla
spalla. “Andiamo… Se hai il cuore spezzato ci
faremo compagnia a vicenda.”
“Perché, tu hai un cuore?”
Replicò, sentendosi lacrimare gli occhi, ma non
lasciò il bicchiere. Ne bevve un altro sorso, e fu meno
mortifero.
James non
disse nulla, strinse semplicemente le labbra. E Al capì che
c’era qualcosa che
non andava. Non che non l’avesse già intuito da un
mese, ma lui e James non
parlavano mai dei propri sentimenti. Probabilmente,
considerò, perché nessuno
dei due avrebbe mai voluto essere il primo a farlo.
“Stai
bene?”
Chiese però, appiattendosi una ciocca ribelle sulla fronte.
James
fece un
sogghigno agro, scuotendo la testa. “Sicuro
pivello… siamo ad una festa.”
“Hai
litigato
con Teddy?” Sparò a bruciapelo. Era un azzardo.
James aveva un intero mondo
interiore che proteggeva a colpi di spacconate e arroganza. Ma quando
lo vide
stringere il calice con forza, capì che stavolta non avrebbe
reagito. “È così,
vero?”
“Con
Teddy non
si può litigare, Albie. Dovresti averlo già
capito da anni… lui si scusa, e tu
ti senti un idiota. Ecco come vanno le cose.”
Masticò amaro. “Ora, perché non
tiri fuori le palle e chiedi a qualche ragazza di ballare? Come il tuo
favoloso
fratello, devi solo pescare dal mucchio. Sfrutta il fatto di essere il
figlio
di un eroe una volta tanto.”
Al fece un mezzo sorriso. Il ghigno di James era fragile.
“Forse sto aspettando
una persona…” Mormorò.
“Se
stai
aspettando Tommy sei proprio una checca.” Brontolò
James, rivolgendogli un
sorriso ispido.
Al scosse
la
testa, finendo il bicchiere. “Tu stai aspettando una persona,
piuttosto?”
“Da tutta la vita…” Rispose, duro. Al
non fece in tempo a decifrare
l’espressione, perché la sua attenzione fu
spostata al centro della pista. Teddy
stava ballando con la professoressa Prynn e sembrava assolutamente in
difficoltà, a giudicare dai capelli che oscillavano tra il
rosa imbarazzo e il
bianco disagio. Al
ridacchiò. “Hai visto
la faccia di Teddy?”
“Vado
a fare
rifornimento.” Si scollò dal palato, distogliendo
lo sguardo. “Non sono
abbastanza ubriaco.” Lo lasciò senza
un’altra parola. Al rimase del tutto
sconcertato quando lo vide praticamente correre
in direzione di Michel, che se ne stava appoggiato ad una parete, in
una posa
estremamente languida e solitaria. Lo vide afferrarlo per un braccio.
Per un
attimo pensò che l’avrebbe picchiato in preda ad
un raptus di razzismo tra
Case, ma poi gli parlò all’orecchio.
Michel
sorrise, chinando la testa verso le labbra di James e Al, con
precisione
drammatica, capì chi era il suo misterioso amante, che a
Settembre gli aveva
lasciato tanti dubbi in testa.
Oh,
Dio. James
è… Oh. Dio.
Boccheggiò,
guardandosi intorno alla ricerca disperata di qualcuno su cui sfogarsi,
perché
bisognava essere idioti per non capire come stavano le cose, ma non
c’era
nessuno, ovviamente, nessuno a cui avrebbe potuto dirlo.
Tranne…
Sentì
una
mano appoggiarglisi sulla spalla. Un gesto banale, se non fosse che le
dita gli
sfiorarono il collo, dolcemente.
“Ti
sei
vestito da zio Harry?”
Tom.
Al si
voltò,
dimentico della rabbia e di volergli tirare un calcio. “James
va a letto con
Michel!” Sbottò, sgranando gli occhi.
Tom
inarcò le
sopracciglia. Indossava una camicia bianca da mago e pantaloni neri.
Aveva la maschera,
una banalissima, bianca, ma tagliata a metà, così
da nascondergli parzialmente
il viso. Il mantello era indolentemente buttato sulle spalle.
Chissà
da cosa si è vestito… Comunque,
sta benissimo.
Si
riscosse
immediatamente però. “Mi hai sentito?!”
Quasi urlò. “Jamie
è…”
“Ho sentito.” Replicò pacatamente.
“E lo supponevo da un po’.”
“Perché non me l’hai detto?”
Tom
inarcò un
sopracciglio. “Mi avresti creduto? Fino a due mese fa pensavi
che Zabini fosse
solo uno snob.”
Al
deglutì,
ispirando una grossa boccata d’aria. “Credo di aver
appena avuto un trauma.
L’ultimo di una lunga serie…”
Sussurrò. “E comunque non è
perché va a letto coi
ragazzi… Cioè, certo, anche. Ma
perché… lo sai. Mike.”
Tom
sorrise,
nascondendo la soddisfazione che gli aveva procurato quella notizia,
passandogli un pollice sulla cicatrice. “Lo so. Molto ben
eseguita.
Trasfigurazione su persona, vero?”
“No, l’ho fatta con una forchetta
arrugginita.” Ironizzò, ricordandosi il
motivo per cui fino a cinque minuti prima lo odiava. “Dove
eri finito?”
“A confezionare il mio costume.” Spiegò
quieto. “La divisa da Grifondoro non ti
dona affatto.”
Al fece una smorfia. “Curioso, tutti pensano il
contrario.”
“Perché sono degli idioti.”
Replicò. Aveva l’aria stanca e il viso tirato. Si
chiese se gli stesse di nuovo mentendo, ma poi non ebbe la forza di
darsi una
risposta. Non in quel momento.
Perché
non posso avere un anno
tranquillo?
Ah, giusto. Ho
giurato a me stesso che
sarebbe stato un anno grandioso.
Attento a quel
che desideri…
“Ti
va qualcosa
da bere?”
“Solo se Nott non ci ha rovesciato due barili di whiskey
dentro.” Gli fece un
mezzo sorriso. “La maschera però ti
dona…” Si chinò su di lui, sfiorandogli
la
tempia con le labbra, un gesto innocuo se visto da lontano.
“Mi viene voglia di
togliertela.”
Al sbuffò, fallendo nel tentativo di non arrossire.
“Non pensare di corrompermi
con dei complimenti. Non hanno mai funzionato. E non funzioneranno
adesso.”
Tom fece una smorfia infastidita, quasi fosse stato colto sul fatto e
non
avesse voglia di ammettere la cosa. “Sono qui, no?”
“E ci rimarrai per tutta la sera.” Lo
guardò negli occhi. “Così ti stancherai
a
morte, ascolterai delle musica, berrai e dormirai come un
angioletto.”
Tom ghignò. “Non sono mai stato un
angioletto.”
“Mh, strano. Da piccolo mi ricordo che tua madre ti definiva
proprio…”
“Al.” Lo
minacciò. Poi sospirò.
“Tutta la sera, va bene.”
“Vorrei vedere. Devi aiutarmi a superare il trauma di avere
un fratello
bisessuale.” Inspirò, mordendosi un labbro.
“Povero papà. Credo dovrà tener
conto di Lily, per la prosecuzione delle specie…”
“Sono sicuro che James metterà nei guai qualcuna
entro i vent’anni e risolverà
il problema.” Sogghignò Tom, facendolo ridere.
“Sappi
che
non ti lascerò scappare, stasera.” Gli
comunicò. Esitò, poi lo prese per mano,
intrecciando
le dita, con forza. “Okay?”
Sapeva di essere un codardo. Che avrebbe dovuto pretendere chiarezza,
risposte
da Thomas. Ma c’era una parte di lui che sapeva che, se
l’avesse fatto,
l’avrebbe perso. E aveva paura; a volte si svegliava nel
cuore della notte con
il cuore che gli martellava nel petto. Si voltava e lui, per fortuna,
era lì.
Va tutto bene.
Tom gli
sorrise. Un sorriso piccolo, ma solo suo. “Okay.”
E non gli
lasciò la mano.
Tonight
the
music seems so loud,
I wish that we could lose this crowd.
Maybe it's better this way,
We'd hurt each other with the things we
want to say⁴
Teddy
aveva da
un po’ il sospetto che Ainsel Prynn ci stesse provando con
lui.
E quando
lo
trascinò sulla pista da ballo, premendogli i seni sulla
camicia, capì che stavolta
non aveva preso un abbaglio.
“Ti
piace
questa canzone, Ted?” Chiese vellutata.
Era
bella,
Ainsel. Con grandi occhi azzurri, ora dorati, il viso perfetto e un
corpo da
favola. I capelli biondi rilucevano bronzo alla luce delle candele. Era
davvero bella.
Ma era
tutto
lì. E improvvisamente si rese conto di quanto Victoire e
Ainsel in fondo si
somigliassero. Erano entrambe belle, di quella bellezza che ti fa
sospirare,
erano entrambe vivaci con quella grazia che ti rapiva. Ed entrambe non
erano
ciò che voleva.
“Sì…
non è
male.” Convenne. “Ora però dovremmo
controllare i ragazzi… e le bevande.”
Ainsel
rise.
“Ted, i ragazzi si controllano da soli. Siamo qui per
divertirci, come loro. Siamo
giovani, e non credo che ci sia altro divertimento disponibile nel
raggio di
miglia. Perché non riesci a godertelo?”
Perché. Bella domanda.
Perché
Jamie
non era in giro, e lui aveva paura che fosse finito da qualche parte
a…
Imboscarsi con
qualche ragazza? Del
tutto normale e rincuorante, data la tua posizione.
Non si
sentiva affatto rincuorato.
“Siamo
professori…” Sussurò, cercando di
divincolarsi con leggerezza. Ovviamente
sembrò una papera zoppa. Ainsel se ne accorse, ridendo e
afferrandolo per le
braccia.
“Sai,
prendilo come un complimento senza mezzi termini, ma sei davvero
affascinante,
mio bel moschiettere.” Disse franca, con sguardo assorto.
“Potresti quindi
farmi godere un po’ della tua bellezza senza rovinare tutto
cercando di
scappare. Sono tanto brutta?” Replicò divertita,
ma la presa era ferra.
“No,
certo
che no. È solo… ho in mente un’altra
persona.” Confessò. E in un certo senso
era la verità. Doveva vedere Jamie. E spiegarsi, una volta
per tutte.
“Hai
una
ragazza?” Si informò stupita Ainsel.
“No,
ci siamo
lasciati. Ma… soffro ancora molto.”
Mentì, premurandosi di avere una faccia
contrita, pregando lo spirito dei Malandrini. Che ovviamente pensarono
bene di
ridersela dall’alto dei Cieli.
“Beh,
ma non
è qui, giusto?” Gli passò le dita sul
collo, facendogli drizzare i peli della nuca.
E non di piacere. Si sentiva solo molto
imbarazzato. E non osava sapere di che colore erano i suoi capelli.
Quelli non si potevano
mascherare.
“Invece
sento
la sua presenza!” Sbottò, praticamente liberandosi
con uno scrollone. “Mi
dispiace… ho bisogno di prendere una boccata
d’aria.” E fuggì, lasciandola a
fissarlo come se fosse pazzo.
Probabilmente lo
sono… Ora. Dov’è Jamie?
In mezzo
a
quella calca di mascherati esseri antropomorfi, fate e vampiri non
riusciva a
vederlo. Alla fine, dopo aver lanciato un’occhiata attonita a
Rose che ballava
tra le braccia di Malfoy, trovò Albus, seduto vicino a Tom,
a quanto sembrava
vestito da fantasma dell’Opera.
Registrò
a
malapena che si tenevano per mano. A quella festa stavano succedendo
cose
incredibili.
“Al,
hai
visto Jamie?”
Al lo guardò confuso. “Sì…
beh, fino a poco fa era qui. Poi…” Si
zittì,
lanciando uno sguardo a Thomas, che per tutta risposta si
esibì in uno di quei
sogghigni urticanti.
“È
fuori, nel
corridoio.” Gli spiegò. “Quello vicino
all’entrata delle cucine.”
Al
boccheggiò, ma non disse nulla, perché Tom lo
tirò subito in piedi. “Andiamo a
prendere da bere, Al.”
Al sembrò combattuto, ma alla fine sospirò.
“Sì… ci vediamo dopo, Teddy.”
Ted non
si
soffermò troppo a pensare a quei due. Del resto non si
sentiva in grado di
giudicare nessuno in quel momento. Aveva bevuto un po’
troppo. Cioè un
bicchiere di punch.
Così
imparo a bere solo the.
Uscì
dalla
Sala, e si diresse verso la direzione indicata da Thomas.
Scansò con imbarazzo
le coppiette imboscate, e sperò di non aver riconosciuto
Lily vestita da
coniglietta allacciata a Jordan Thomas.
Di James
non
c’era traccia.
Proseguì
lungo il corridoio, sempre più imbarazzato. Poi, dietro una
grossa armatura
imponente, lo vide. Anzi, li vide.
James era
con
qualcuno e quel qualcuno era Michel Zabini. E entrambi sembravano aver
perso la
decenza e nel caso di James anche la parte superiore dei vestiti.
Si
sentì un
autentico idiota.
Perché
James
si stava solo comportando da adolescente e invece lui non si era mai
sentito
tanto furioso.
Non gli
importò dell’irrazionalità della cosa.
Non gli importò che non poteva
paragonare la fedeltà di Victoire a quella di James, quando
James non era la
sua ragazza perché, Dio mio, era James.
Ovviamente
non era una buona idea restare lì. Perché Zabini
alla fine si accorse di lui.
“Professor Lupin?” Chiese stupito e, giustamente,
infastidito.
James si
voltò di scatto, come se avesse preso uno schiantesimo in
pieno petto. Lo
guardò attonito, incapace di dire alcunché.
Capiva il
problema.
“Ragazzi…
credo sia il caso che vi rivestiate.” Disse piano, riuscendo
persino a suonare
credibile. “Tornate alla festa. La professoressa Prynn ci ha
messo impegno ad
organizzarla… è un peccato abbandonarla
così presto.”
Zabini sembrava aver voglia di fargli notare che non erano affari suoi,
ma si
trattenne perché era davanti
all’autorità costituita. James invece non
sembrò
dello stesso avviso. “Va’ a farti
fottere!” Ringhiò.
Zabini
ebbe
il buon gusto di trasalire.
Ted
inspirò.
“James, non credo tu sia nella
posizione…”
“Non lo sei manco tu!” Sbottò,
afferrando la camicia da terra, e infilandosela.
I movimenti erano goffi, rallentati, come di chi aveva decisamente
bevuto
troppo. “Non lo sei! Tornaci tu, a quella fottuta festa!
Lasciami in pace!”
Ted non
ce la
fece più. Si rese conto che davvero, ventiquattro anni erano
vicini ai venti,
ai diciassette, in modo ridicolo. Perché aveva voglia di
urlargli addosso nello
stesso identico modo.
“Venti
punti
in meno sia a Grifondoro che a Serpeverde.”
Scandì, atono. “E ora rivestitevi.
Non fatemelo ripetere per cortesia.”
Poi
girò le
spalle, andandosene. Da quel corridoio e dalla festa, dove al momento
risuonava
una canzone decisamente crudele.
This
is the hardest story that I’ve ever told
No
hope, or love, or glory
Happy
endings gone forever more⁵
****
Note:
Qui
la playlist.
1.Dance,
Dance (Fallout Boy) 2.Do
you want to (Franz Ferdinand)
3.Time
after Time (Quietdrive) 4.Careless Whisper (The
Seether) 5.Happy Ending (Mika)
Questo è il costume di Rose.
|
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Capitolo 35 *** Capitolo XXX ***
Ormai
riesco
a scrivere solo capitoli super-farciti. Troppe cose, troppo poco tempo!
*con
tono da Bianconiglio* E siamo a quota 202! Gente,
vi lovvo con tanto
sentimento!
@Pnin: Avevi ragione!
Infatti ho subito
modificato il nome dei due amanti, non appena ho potuto. Thanks per la
dritta!
:D
@Ron1111: Hai
assolutamente ragione. Tommy-boy
vuole tutto, ma prima o poi dovrà scegliere. E lo
farà, oh, se lo farà!
Purtroppo Scorpius è il frutto dei miei viaggi mentali, ma
ammetto che ho
conosciuto un paio di ragazzi abbastanza sul genere, solo, di solito,
sono
fidanzatissimi, e non con te! XD Ted è un rincoglionito
cronico, ormai ce ne
siamo accorte tutte. È colpa dei geni Lupin, sostiene Tonks
qui. Era lei, del
resto, a reggere la baracca. XD
@Altovoltaggio: Thanks per i
complimenti ai costumi.
Io adoro i balli in maschera! Il personaggio del fantasma
dell’Opera era
perfetto per Tom. Potevo non usarlo? XD Loki è il nostro
uomo e poi, voglio
dire, non azzecca la maschera ‘l’uomo delle
maschere’! XD Mi spiace, ma Twilight
non riesco a strozzarlo. Ammetto che ci siano ottime fan-fic scritte
anche su
questo fandom, e l’idea in sé, è
geniale. Ma non sopporto come scrive la Meyer
>-< Ah, ho guardato la foto, secondo me come Al
è piuttosto perfetto!
Anche se io, spiacente, me lo immagino più dolciotto! XD
@SammyMalfoy: Ciao Sammy!
Essì, Scorpius, ormai, è
considerato l’uomo perfetto. :D Divertente, considerando che
è un Malfoy e
mediamente i Malfoy sono personcine odiose. E sì,
probabilmente l’harem di Sy
indagherà. Ma pensando al loro
‘sceltissimo’ quoziente intellettivo dubito
andranno molto lontano! Comunque sì, alla fine le rispettive
famiglie lo
scopriranno, e saranno fuochi d’artificio! Ted è
un rincoglionito, e James è un
adolescente. Vedrai che troveranno il loro punto d’accordo.
Mike, beh… lui se
la spassa, non crede che faccia il donzello tradito. Non è
nel suo stile. XD
@LyhyEllesmere: Ebbene
sì, Ted è un drogato di the,
per questo motivo è sempre così lento e
rincoglionito! XD Scherzo, in effetti
ha bisogno di una svegliata, ma le cose con calma, che tutto e subito
fa troppo
fyccina. Ed io odio le fyccine. ;) Ancora grazie per i commenti e
sì, la Prynn
sottovaluta un bel po’ il nostro TeddyBear, o lo
sopravvaluta, chissà. Ciao!
@Lilin: Te li regalerei,
sai Al e Sy però…
*Guarda Tom e Rose che la fissano minacciosi, bacchette alla mano. Rose
fa il
lento gesto di passarsi un dito sulla gola*… forse
è meglio di no, ecco. XD
Teddy ormai è arrivato ai minimi storici di gradimento. Lo
capisco, se lo
merita, ma via… cercate di capirlo. Come il padre, vuole
sempre fare la cosa
giusta e finisce inevitabilmente per fare quella sbagliata. Un genio.
Ma umano.
:P Sì, Teddy è un tributo a Remus, in un certo
senso. Non provare pietà per
Mike, lo offenderesti. ;D Vero che le fan-art sono grandiose? Io adoro
quella
ragazze, e sul suo sito ce ne sono di ancora più porcellose!
XD
@Trixina: Grazie! ^^
Sì, la Prynn deve compiere
il suo dovere, ma c’è anche da dire che una
ripassatina a TeddyBear non le
dispiacerebbe. È un po’ coglione, ma è
un bel figliuolo. :D Al è profondamente
autoironico, e anche tanto paziente con Tom. ma
c’è da dire che il bello e il
cattivo tempo, Tommy-Boy l’ha sempre fatto, da quando
boicottava le estati alla
tana in poi. Quindi diciamo che Al c’è abituato.
XD
@Hel_Selbstmord: Essì,
hai reso l’idea, come al
solito. La combo Prynn-gatta-Mike/Jamie l’ha steso, ma
continua a farsi gran
pippate mentali. Guarda, sul costume di Tom ci ho pensato parecchio
(per dire,
i livelli di demenza). Per un attimo volevo vestirlo come Il Corvo, ma
poi ho
pensato che quella tutina attillata non gli donava granchè.
Poi sono arrivata
ad Alisteir Crowley e alla fine a Erik. Erik è indubbiamente
meglio. xD Il
Triangolo no, non l’avevo… argh, scusa. Comunque.
Il triangolo… beh, il triangolo
c’è già, visto che Al ama Tom, Tom ama
Al e Michel ama Al. In realtà è un
triangolo un po’ scaleno, ma pazienza. Si vedrà
prossimamente. ;D È bello
riaverti qui! Ma tu di dove sei?
@Ombra: Ted è tonto.
Ancora non si era capito? XD
Mike non c’è problema, adora essere usato da uno
col corpo di Jamie. Mica
scemo! ;D Non mi sono scordata di dirvi cosa ha scoperto. Tom non ha
avuto
materialmente il tempo di guardarlo. E poi, come fai a fabbricarti un
alibi, se
non sei ad una festa con centinaia di invitati? ;) Tommy-boy pensa a
tutto. Doe
non preoccuparti, tornerà. Adesso.
*_*
****
Capitolo XXX
Perché
quando succede qualcosa ci
siete sempre di mezzo voi tre?
(Harry Potter
e il Principe Mezzosangue, J.K. Rowling)
‘
Londra, Notturn
Alley. Esterno notte.
“Harry,
amico, non per fare il guastafeste, ma avremo bisogno di un
piano.”
L’Auror Ron Weasley, con sedici anni di onorato servizio alle
spalle, guardava
il migliore amico, il fratello, il completamente pazzo Harry Potter che
senza
colpo ferire scivolava dentro Notturn Alley.
“Ce
lo
abbiamo.” Gli assicurò con un sorriso bonario.
L’aveva sviluppato a partire dai
trent’anni, ed era dannatamente inquietante. Assomigliava a
quello di Silente.
Ron
sospirò,
seguendolo. Erano in borghese. Il distintivo lo tenevano in tasca, e
non
appuntato al petto. Si sentiva incredibilmente esposto.
Notturn Alley era nato come un quartiere squallido e sinistro, e
probabilmente
ci sarebbe morto, stimò guardando disgustato un paio di
loschi individui che
non sembravano del tutto umani infrattarsi nell’ombra.
“Ricordami, perché siamo
qui?”
Harry sospirò. “Perché qui è
dove viveva Parva Duil…”
“Posticino ridente.” Borbottò trai
denti. “La sua paga non gli permetteva
qualcosa di meglio?”
“Mmh, direi di no.” Scrollò le spalle,
del tutto a suo agio. “Visto e
considerato che la visita ad Azkaban non ha dato i suoi frutti, forse
perquisendo la casa di Duil troveremo qualcosa.”
“Non è già stata perquisita dai nostri
ragazzi?”
“A Settembre, per la scomparsa. Non cercavano la cosa
giusta.” Si fermò di
fronte ad un vecchio palazzo, stranamente piuttosto ben tenuto, visto
il luogo.
La porta era nuova, e la cassetta delle lettere era verniciata di
fresco.
“Qui.” Disse semplicemente.
“Beh, pensavo peggio…”
“Notturn Alley non è un bel posto, ma non ci
vivono solo criminali e disperati.
È solo… L’East End¹ della
Londra Magica.” Sorrise Harry, dando un colpetto alla
porta con la bacchetta. Si aprì con un soffio ben oliato.
“Entriamo, avanti.”
“Non
voglio
fare la voce della tua coscienza, amico, non sono Herm, e non mi riesce
neanche
bene… Però non siamo autorizzati
a…”
“Sono il Capo dell’Ufficio Auror?”
“Sì?”
“Bene, allora eccola qua
l’autorizzazione.” Scrollò le spalle.
“Ascolta Ron.
Sto seguendo un’impressione. So che non è
regolare, so che stiamo infrangendo
le procedure. Ma se al Ministero vogliono insabbiare tutto…
beh, io non ci sto.
E non possiamo certo andare a piangere da Shacklebolt. Ha cose
più importanti
da fare che dare un permesso ad un Capo-ufficio. Coraggio, fidati di
me.”
“Come
se non
avessi fatto altro per tutta la vita…”
Brontolò l’uomo, aprendo la porta.
La casa
era
piccola: pensata, arredata e vissuta da un uomo solo.
“Mi
viene la
depressione solo a guardarci dentro.” Sbuffò Ron,
facendo qualche passo
incerto. Si guardò attorno. “Cosa stiamo cercando
esattamente?”
“Indizi.” Tagliò corto Harry, intascando
la bacchetta e sfregandosi le mani,
gelate dal clima impietoso che filtrava dalle pareti. “Parva
Duil aveva la
responsabilità di sei Naga. Qualcuno l’ha saputo,
e l’ha contattato. Aveva un
tenore di vita medio-basso, non navigava certo nei galeoni. E
l’unico modo per
assicurarsi i suoi servizi era il modo più antico ed
efficace del mondo. La
corruzione.”
“Quindi l’ha corrotto con una grossa somma di
denaro e poi… magari allo
scambio… si è preso i Naga e ha rapito anche
lui?” Ipotizzò Ron.
“Molto probabile. L’avrà messo sotto imperio
per impedirgli di scappare, e poi se n’è liberato
quando non gli è più servito.
Per evitare che ci accorgessimo della maledizione e la rimuovessimo
facendogli dire
la verità, è entrato ad Azkaban vestito da
parroco e lo ha ucciso.” Fece una
smorfia. “Denota organizzazione. Non siamo certo davanti ad
un sociopatico che
odia il potere costituito.”
“Va bene, ha senso.” Ammise Ron. “Ma
perché fare tutto questo? Voglio dire,
rapire dei Naga, sguinzagliarli. Poi ritirarli e poi mettere in scena
tutto il
teatrino della vendetta di Duil?”
Harry spostò un paio di tomi dalla biblioteca, esigua,
dell’uomo. Uno tra
questi risultava leggermente più scostato dagli altri. Lo
aprì. Era vuoto
all’interno, ma pieno di galeoni sonanti. “Ecco i
soldi.”
“L’ha pagato prima?”
“Per guadagnarsi la sua fiducia… probabilmente
questi sono solo una parte della
cifra pattuita.” Harry chiuse il libro, mettendolo sulla
tavola da pranzo.
“Credo… che fosse tutto un
diversivo.”
Ron lo guardò confuso. “Cioè?
“Creare il panico ad Hogwarts, istituire una caccia alle
bestie, mettere in
pericolo le vite degli studenti… Sembra tutto senza senso
alla luce di come
sono finite le cose… a meno che non fosse un diversivo. Fare
tanto chiasso per
coprire un’altra operazione.”
“E quale?”
“È
quello che
ho intenzione di scoprire.” Mormorò a denti
stretti Harry. “Duil è morto e i
morti, vecchio adagio, non parlano.”
“Già.”
Convenne Ron, certo che finalmente l’amico avrebbe capitolato
di fronte
all’evidenza. “E lui era l’unico
testimone.”
“Non l’unico.” Ribatté, con quello
sguardo. Quell’aria decisa, Grifondoro, Potter. Assolutamente
portatrice di
guai. Gliel’aveva vista la prima volta quando aveva deciso di
affrontare Fuffi.
Avrei dovuto
capire a cosa avrebbe
portato e darmela a gambe.
Oh, al diavolo.
Non l’avrei fatto per
niente al mondo.
Inspirò.
“Che
intendi dire?”
“Intendo dire che Duil non è l’unico ad
aver interagito con il suo assassino.”
Ron lo
squadrò confuso, prima di capire. “Oh,
no… Harry, no! Non pensarci neanche!”
Harry gli
fece un mezzo sorriso, colmo di comprensione. “Ron. Dobbiamo
farlo.”
Ron si sfregò le mani sul viso, scornato. “No. No,
no, no. Assolutamente.
Harry, sei il mio uomo, ti giuro, ma stavolta non…”
“Dobbiamo parlare con quei Naga.”
Ron emise un lamento sconfortato. “Sento che
invecchierò di dieci anni, finita
questa storia. Lo sento.”
Harry fece una breve risata, stringendogli una mano sulla spalla.
“Hai
già
un’idea di chi potrebbe essere?” Così
folle da imbarcarsi in questa indagine fuori dalla giurisdizione di Dio
e degli
uomini?
“Beh, ci serve un mago che sappia trattare con le
creature.” Non ci mise molto
a trovare il nome adatto, perché si illuminò come
un bambino il giorno di
Natale. “Domani andremo a casa Scamandro.”
****
Hogwarts, da
qualche parte nel
corridoio del piano terra. Dieci e mezzo di sera.
Albus
Severus
Potter non si era mai imboscato.
Timidezza
o
nessuna occasione, non aveva mai provato l’ebbrezza di essere
trascinato, o di
trascinare, in un corridoio vuoto qualcuno e baciarlo con la fretta e
l’urgenza
di chi ha paura di essere scoperto.
I baci
erano
qualcosa che lo faceva letteralmente impazzire, aveva scoperto. Adorava. Baciare. Tom.
Anche se,
ad
onor del vero, fino a due mesi prima non avrebbe mai pensato che si
sarebbe
imboscato con il suo migliore amico. Ora, attualmente, suo ragazzo.
Comunque
imboscarsi
era una cosa che proprio non riusciva a trovare eccitante.
E poi era
scomodo, pensò, mentre il muro umido del primo piano gli
faceva da materasso, e
faceva freddo. Preferiva stare sul proprio letto, rifletté,
mentre si lasciava comunque
sfuggire un sospiro deliziato, sentendo le labbra di Tom succhiargli la
sensibilissima porzione di pelle appena sotto l’orecchio.
Ma era scomodo. E lui odiava le cose scomode.
Passò
quindi
le dita trai capelli di Tom, sottili e foltissimi, così neri
da amalgamarsi con
la penombra del castello. “Tom, mi fa male la
schiena.” Disse, dispiaciuto.
Dopo un
breve
attimo di sconcerto, lo sentì sospirare.
“A
me il
collo.” Ammise, raddrizzandosi. “Non capisco come
James basi la sua attività
sessuale su posizioni verticali come questa.”
Al dovette trattenere una risata, per non rivelare la loro posizione.
“Abitudine, immagino. E poi è sempre stato un tipo
adattabile.” Esitò. Doveva
proprio dirlo, perché prima non gli era andata
giù. “A proposito di Jamie… Non
capisco perché hai detto a Ted dov’era…
Voglio dire. Volevi farlo beccare con
Mike?”
Tom fece una smorfia insofferente. “Lupin me l’ha
chiesto, io gli ho indicato
dove presumibilmente si erano
imboscati
quei due. Qual è il problema?”
“La punizione che probabilmente Mike e Jamie si
beccheranno?”
“E
allora?”
Al fece
una
smorfia, senza dire niente: non gli piaceva come Tom si stava
comportando ultimamente
con gli altri. Sembrava quasi che provasse divertimento a…
Ferire le
persone. Basta vedere come
risponde a Mike. E Mike gli piaceva.
“Hai
parlato
con Michel?”
“No.” Scrollò le spalle. “Ma
lo farò.”
“Non è vero.” Lo seccò,
mentre la musica dalla Sala Grande filtrava prepotente
attraverso le pareti. “Non è vero che gli
parlerai. Sembra che non ti importi
di far pace con lui!”
“Forse è così.”
Replicò monocorde. Era stanco di doversi preoccupare degli
umori altrui. Non era Lupin. Non gli importava niente della benevolenza
della
gente.
Ma ad
Albus
importava degli altri. Da sempre.
“Sai,
ti
dovrei dare un pugno per schiarirti il cervello!”
Sbottò infatti. “Ti stai
comportando come uno stronzo, più del solito. Falla
finita.”
Tom serrò le labbra in una linea sottile.
Ti comanda a
bacchetta… Ti dà ordini,
quando ha paura della sua stessa ombra.
Si
sentì
immediatamente uno schifo ad aver formulato quel pensiero.
Esitò, poi tirò un
profondo sospiro.
“Io…
non
credo di aver voglia di far pace con Michel.” Ammise alla
fine.
“Perché?”
“Perché lui ti vuole.”
Confessò di malavoglia, trattenendo la collera.
“Ti
vuole, per un suo capriccio o per aumentare la sua collezione di
Potter, non lo
so. Non mi interessa. Ma mi dà ai nervi.”
Al rifletté. Il suo primo impulso sarebbe stato sentirsi
insultato e difendere
la buonafede di Michel anche se, a dirla tutta, neppure lui la trovava
così buona.
Ma non
posso… Anche se non penso che
Mike ci proverebbe mai, non ha importanza. Lo crede lui.
“Anche
se
fosse così, non avrebbe la minima speranza.”
Spiegò pacato. Gli fece un mezzo
sorriso. Si alzò leggermente, maledicendo silenziosamente la
sua altezza, e gli
premette le labbra all’angolo della bocca. “Tom, io
sono tuo.” Gli sussurrò,
pianissimo.
Era un rischio. Era una frase pure un po’ scema. Insomma, era
un vero suicidio.
Tom era palesemente indispettito per il mezzo litigio, ed erano in un
posto dove
il rumore distorceva le parole.
Ma era un rischio
che dovevo correre…
Credo.
Sentì
Tom irrigidirsi
contro di lui. Poi gli afferrò un braccio, stringendo. “Davvero?”
Sussurrò.
Al
tirò un
profondo sospiro: sentiva l’alcool nel respiro
dell’altro, quindi evitò di
fargli notare che gli stava facendo male. “Certo.
È così.” Attestò.
“Da sempre.
Mi lasci il braccio adesso?”
Tom
abbassò
lo sguardo. “Sì…”
Inspirò, lasciando la presa, come se solo in quel momento si
fosse accorto di cosa stesse facendo. “Credo di aver bevuto
un po’ troppo.”
Stimò, assottigliando gli occhi, ed evitando di guardarlo.
“Scusa.”
“Chiunque
qua
dentro ha bevuto un po’ troppo. Merito di Loki, che adora gli
ubriachi.”
Scherzò. “Basta bere, okay?”
Tom
annuì. “…
La festa non è male. Vuoi tornare dentro?”
“Disse l’antisociale.”
“Non
sono
antisociale.” Brontolò. Qualsiasi brutto pensiero
o rush di cattivo umore, Al
era capace di annientarlo o stemperarlo con una battuta. Ed era suo.
Non era
sano.
A guardarlo da un punto di vista razionale sapeva di pensare cose
inquietanti.
Ma non
riconoscere che provava un’assuefazione così forte
sarebbe stato semplicemente
stupido.
Era
sempre
stato assuefatto da Albus: solo che prima era una cosa nascosta,
sottopelle,
qualcosa che viveva come lui respirava.
“Non
sono
antisociale, è che non sopporto le
persone¹.” Cantilenò Al, facendolo
sorridere.
“Direi
che mi
hai ritratto perfettamente.” Mormorò. Gli
lanciò un’occhiata. Con quella divisa
da Grifondoro e le labbra rosse sembrava assolutamente corruttibile.
“Vuoi
rientrare e cercare Rose?” Gli chiese, chinandosi a parlargli
a pochi centimetri
dalle labbra.
Al deglutì. Si riprese subito, probabilmente per evitare di
dargliela vinta
così facilmente. “Punto primo, Rosie non
vorrà essere cercata. È con Malfoy.
Punto secondo, non prendermi in giro. Punto terzo… sei un
pervertito.” Gli
tirò una lieve spinta, a cui l’altro si
sottopose docilmente.
Tom
sogghignò. “Quindi… suppongo che ce ne
andiamo?”
“Punto
quarto. Cosa stiamo aspettando?”
****
Corridoio Secondo
Piano. Undici circa.
Ted non
si
era mai sentito così stanco, furioso e ridicolo.
In fondo mi sono comportato in modo
corretto. Ho beccato due studenti in atteggiamenti non consoni e li ho
puniti
sottraendo loro dei punti. Tutto perfettamente regolare.
Era
quello
che provava a non essere regolare;
non
riusciva a togliersi dalla testa quella scena. James che baciava e
accarezzava
quel ragazzo, la schiena nuda di James che…
Aprì
la porta
della propria aula, camminando attraverso i banchi vuoti.
L’unico
atteggiamento da adottare, a quel punto, era l’indifferenza.
Era la cosa
migliore, per entrambi.
Quando sei
ridicolo…
Socchiuse gli
occhi,
inspirando.
Sei furioso. Non
hai sopportato di
vederlo con un altro ragazzo. Ti ha spergiurato amore e poi, come ogni
bravo
adolescente, è andato a divertirsi con un suo coetaneo.
Si morse
un
labbro.
Se non fosse
così, però? Hai visto la
sua faccia?
Era
confuso.
Devo parlarne a
qualcuno, o impazzirò.
E continuerò a fare del male a Jamie.
Aprì
la porta
del proprio ufficio, con un sospiro. Tirò fuori la
bacchetta, pronto ad
accendere le candele.
“Expelliarmus.”
La bacchetta volò via lontano. Ci fu un lieve deelay nella
sua percezione. Sapeva che qualcuno
l’aveva disarmato,
ma non riusciva a capire chi e dove
fosse.
Lo
capì una
frazione di secondo dopo ma, come gli avevano insegnato anni prima
all’Accademia,
l’incertezza gli fu fatale.
Sentì
ogni
singolo muscolo irrigidirsi e crollò bocconi contro la
scrivania, rovesciando
una pila di compiti che era riuscito faticosamente ad impilare quella
mattina.
Era stato affatturato.
Si
sentì afferrare
per i capelli, e l’aggressore gli
parlò addosso. “Ho come l’impressione
che avrebbe dovuto accendere subito
la luce, professore.” Sussurrò la
voce. Era quella di un ragazzo. “Le persone si possono
nascondere, nell’ombra.”
Ted
cercò di
liberarsi dall’incantesimo, ma senza bacchetta poteva solo
affidarsi agli
incantesimi non-verbali. Cercò di concentrarsi e spezzare
l’incantesimo. Era un
incantesimo semplice, poteva…
Smise di
respirare.
Sentì
come se
i polmoni fossero schiacciati da una pressa invisibile.
Cercò di aprire la
bocca, ma i denti sembravano incollati tra di loro.
Pensò
nebulosamente che quello non era un petrificus
totalus comune.
Pensò
nebulosamente che stava soffocando.
Sentiva
l’alito del ragazzo addosso, e ebbe paura.
Non era
un
adolescente ubriaco, pizzicato a rubare nella stanza
dell’insegnante, quello.
Sapeva ciò che stava facendo. Era perfettamente conscio del
fatto che lo stava
uccidendo.
“Gli
studenti
saranno devastati. Il loro professore preferito…”
Il ragazzo continuava a
parlargli all’orecchio, con gentilezza terrificante.
“Cerchi di capire, mi è
stato detto di non lasciare testimoni. Come preferisce morire,
professore?
Infarto? No, troppo giovane. Oh, ci sono. Ubriaco, si è
seduto un attimo alla
scrivania e si è addormentato. Una candela,
ahimè, si è rovesciata, dando fuoco
alla stanza. Bruciato vivo, che fine tremenda.”
Sentì
la
pressione del corpo del ragazzo allentarsi. Si era alzato in piedi, e
stava
cercando qualcosa.
Gli
entrò
nella visuale, brevemente. Era magro, alto e con i capelli neri.
Sembrò
sorridergli.
“Buonanotte
professore.”
Tutto
divenne
buio e perse i sensi.
****
James si
accese una sigaretta, passando verso la porta di ingresso e infilandosi
dentro
il giardino.
Dalla
Sala
Grande si udivano scoppi e risate e urla moderatamente spaventate:
qualche
coglione aveva scaricato sul pavimento un intero arsenale di Tiri Vispi
Weasley. Una scherzo grossolano. Da dilettanti.
Se sono stati Lys
e Lor li disconosco
come discepoli.
Si
riabbottonò
distrattamente il gilet che completava il costume da vampiro. Un paio
di
ragazze gli lanciarono occhiate che pregavano perché si
fermasse. Tirò dritto.
Se ne
fotteva
di quella festa. Se ne fotteva di tutti.
Aveva
mollato
Zabini a riverstirsi, senza una parola. Non che ce ne fossero mai state
tra di
loro.
A dirla tutta
sembrava più contento
lui di liberarsi di me, che viceversa.
Raggiungendo
il giardino si trovò di fronte ad una fontana in pietra, che
era quasi sicuro
non ci fosse mai stata, e si sedette su una panchina, in mezzo a
cespugli di
rose che non avrebbero dovuto fiorire in quel periodo.
La professoressa
Prynn…
trasfigurazione.
Improvvisamente
desiderò bruciare quel giardino lezioso, fatto per coppiette
che si volevano
appartare.
Sentì
un gran
trambusto alle sue spalle. Una risata e poi un
‘Gesù Cristo, Malfoy!’
Sospirò,
quando vide Scorpius accomodarsi alla sua destra. Rose si sedette alla
sua
sinistra, guardandolo male. “Ciao angioletti
custodi.” Emise piatto, soffiando
una voluta di fumo verso il cielo stellato. “Ho interrotto il
vostro rituale di
accoppiamento?”
“La tua aria depressa mi ammoscia.”
Confermò Scorpius, la cui cotta di maglia si
era persa da qualche parte trai cespugli.
“Siete
entrambi disgustosi.” Decretò Rose, togliendosi
qualche rametto dai capelli
arruffati.
“Di
cosa ti
lamenti? Non sto denunciando la vostra piccola tresca. Considerati
fortunata.”
Replicò assente. Era così disperato che quasi gli
faceva piacere averli attorno.
Sto proprio
grattando il fondo del
barile…
“Allora,
che
è successo Potter?” Chiese Malfoy. “Il
piano?”
“A puttane.” Masticò lentamente.
Lanciò un’occhiata a Rose, che li fissò
confusa, ma avida di informazioni. “Perché non vai
a farti un giro, Rosie?”
“Perché invece non sparisci, così posso
stare con il mio ragazzo?” Ribatté, sarcastica.
“Non
mi va.
Prestamelo.”
“Muori.”
“Su, su! Nel mio cuore c’è posto per
entrambi.” Assicurò Scorpius, compiaciuto.
“Rosie. È una cosa tra maschi virili. Saresti
così deliziosa da lasciarci
cinque minuti per conferire?”
“Un giorno ti sveglierai solo, nel tuo letto freddo, nel tuo
gigantesco maniero
e capirai che hai sprecato la vita dietro un egocentrico, ridicolo,
James
Potter.” Sibilò, alzandosi in piedi di scatto e
reggendosi la gonna con
insospettata femminilità. Li squadrò.
“Maschi.” Sillabò, prima di marciare via.
Scorpius
la
guardò, assorto. Si tolse un petalo di rosa dai capelli.
“Sai Poo… Credo che
potrei amarla.”
“Condoglianze.” Borbottò funereo. Ci
pensò su. “Dici sul serio?”
Scorpius sorrise, senza rispondere. “Allora… Che
è successo con Lupin?”
“Quando
precisamente? Quando ballava con la Prynn ancorata addosso come una
gatta in
calore o quando ha beccato me ed un amichetto che ci davamo da fare nei
corridoi?”
Scorpius fece una smorfia. “Così male?”
James scrollò la cenere della sigaretta con tanta forza da
spezzarla a metà. La
gettò via, frustrato. “Non ho speranze. Non ho mai
avuto speranze. Non
sono che un moccioso e lui non è che un
pensionato etero del cazzo. E ah, abbiamo venti punti in
meno.”
Scorpius inspirò. Sembrò riflettere molto
velocemente. Poi si alzò in piedi.
“Non va bene tutta questa negatività.
Battiamoci.”
James, ancora seduto, inarcò le sopracciglia.
“Che?”
“Picchiamoci. Affrontiamoci. Pugniamo. Trovalo tu il
sostantivo che ti piace.
Sei troppo passivo, persino per essere un mezzo-finocchio. Ti serve una
scarica
di adrenalina. Apri tu le danze?”
“… Sei uscito fuori di testa definitivamente
Malfoy? Mi stai chiedendo di fare a botte?”
Scorpius si scrocchiò una spalla. “Immagino si
possa riassumere così.
Vocabolario povero, eh?”
James
serrò
le labbra, già inferocito. “Non fare lo
stronzo… non attacco briga senza
motivo.”
“Davvero?
Allora mi sono fatto tua sorella.”
James sentì un interruttore spegnersi nel cervello. Un bel
problema, considerò
la sua coscienza, mentre placcava Scorpius e lo gettava nel roseto.
Il
bastardo
Malfoy picchiava forte. A quanto sembrava non aveva ereditato i pugni
da
femminuccia del padre. Glielo fece notare. Quello replicò
con una testata al
plesso solare.
Continuarono
a picchiarsi finché una cascata di acqua gelida non li
investì violentemente.
Si
congelarono,
nel senso autentico della parola.
Scorpius
sputacchiò acqua. “Brutale zucchettina…
ma efficace, devo ammetterlo.”
“Cosa
cavolo stavate facendo?”
Ruggì imperiosa
Rose, con la bacchetta puntata verso la fontana. “Vi lascio
soli cinque minuti
e vi fate a pezzi?”
“In gergo maschile si chiama comunicare
costruttivamente.” Spiegò Scorpius.
“Meglio, Potter?”
James lo guardò: era zuppo, gelato e si sentiva furioso. Ma
sogghignò. “Sì.” Prese
la mano che l’altro gli offrì e si rimise in
piedi.
“Merlino…
Voi
due…” Alzò le mani al cielo, incredula.
“Avete dei grossi problemi
di comunicazione!”
Scorpius
sorrise dolcemente. “Probabile, pasticcino. Siamo
maschi.”
James si arruffò i capelli fradici. Poi fece un lento
sogghigno malvagio. “Se
ti sei fatto mia sorella però ti ammazzo sul serio,
Malfuretto.”
“Cosa?!”
Urlò Rose, voltandosi
inferocita, e
focalizzando il target
sotto lo sguardo deliziato del cugino.
Scorpius emise un pallido sorriso, pensando che forse suo padre non
aveva avuto
tutti i torti ad aver imprecato
Odino
quando aveva saputo dello Smistamento.
Coraggio,
cavalleria e avventatezza.
Sono catene che ti trascinano verso una sventurata fine…
“Era
solo per
farlo infuriare, non ho mai sfiorato la dolce Lilian!”
“Lily non è dolce, è
perversa.” Ringhiò Rose, afferrandolo per il
colletto. “E
tu…”
“Ed io sono completamente pazzo di te.” Disse
precipitoso. Avventatezza.
Brutta, orribile dote Grifondoro.
“Oh…”
… che però funziona, con
le Grifondoro.
James
emise
una smorfia assolutamente nauseata, allontanandosi.
Scorpius
inspirò appena, allentando delicatamente le dita di Rose dal
suo collo. “Rosie…
Era solo per far scattare Potter. Ne aveva bisogno.”
Rose serrò le labbra: Scorpius era perfetto. Era
dannatamente troppo perfetto e
troppo sbagliato assieme. Il suo cognome era sbagliato, la storia della
sua
famiglia era sbagliata, ma ogni singola cosa che faceva per lei, o per
James,
era la cosa giusta.
Ma come fa?
“Cosa
ne sai
tu, di cosa noi abbiamo
bisogno?”
Sbottò.
Scorpius perse il sorriso. Distolse lo sguardo verso il castello.
“È perché vi
osservo.” Mormorò.
“…
Scusa?”
“Osservo voi, la vostra famiglia.” Il tono era
basso. Parlava con calma
controllata, ma si rifiutava di guardarla. E Rose sapeva che era
perché si
sentiva in imbarazzo. “Voi siete… insomma, siete uniti. Siete
rumorosi,
vitali… siete divertenti.
Vi aiutate,
vi state vicini, avete i vostri codici segreti.
È… bello.”
Rose
realizzò
improvvisamente. Era tutto così ovvio. Le loro schermaglie,
le risse con suo
cugino, la competizione. “Tu in realtà…
hai sempre voluto essere amico di
James, vero?”
Scorpius scrollò le spalle, senza rispondere. Non che
servisse.
“Ed
io?”
Sussurrò Rose, sentendo un magone premere
all’altezza del petto, mentre una
paura, sottile, ma sempre presente usciva finalmente alla luce.
“Io sono solo
un mezzo per raggiungere James e gli altri?”
Scorpius la guardò, incredulo. Poi fece un mezzo sorriso,
scuotendo la testa.
“Che cervello che hai, Rose Weasley… Un mezzo,
tu?” Le prese il viso tra le
mani, quasi osservandola. “Proprio no.”
Rose
sentì il
cuore accelerare in modo imbarazzante. Pregò che fosse la
sola ad avvertirlo,
mentre tentava di sfondarle il petto. Pregò che non la
prendesse in giro. “No?”
Scorpius sorrise. “No.”
“Sì
ma… perché
ti piaccio?” Doveva sapere. “Insomma… so
di avere delle uscite imbarazzanti a
volte. Impreco. Non so truccarmi. Probabilmente ho un principio di
scoliosi
perché mi porto in giro chili di libri al giorno…
E poi…”
Scorpius, giustamente, le tappò la bocca con un bacio.
Si
staccarono, e Scorpius scrollò le spalle. “Ehi. Ho
sedici anni! Mi piaci da
morire e basta. Per la profondità spirituale rivolgiti a tuo
cugino laggiù.”
Indicò James, che si era acceso l’ennesima
sigaretta scontrosa
Rose sospirò. “Buffone.”
“E tu sei troppo seria.” Non avrebbe tirato fuori
altro, da quel bislacco
Malfoy.
“Un
giorno mi
spiegherai perché non sei mai triste?” Gli chiese
però.
Scorpius, dopo una breve esitazione, annuì.
“Sì.” Disse semplicemente. Le sorrise.
“A te sì.”
Rose ricambiò. Per il momento, decise, andava bene
così.
“Sai…
domani
comincerà a girare la voce di Malfoy e della sua dama
misteriosa.”
Scorpius sogghignò. “Ha funzionato la cosa della
maschera, eh?”
“Già… Ma ci saranno domande.”
Fece una smorfia. “Molte
domande.”
“A cui risponderò. Non preoccuparti, caramellina.
La nostra relazione è al
sicuro, nelle mie mani di esperto occlumante.”
“Ora sì che dormirò sonni
tranquilli.” Lanciò uno sguardo verso James.
“Raggiungiamolo. Non vuoi dirmi cos’ha?”
“Cose da maschi.”
Rose sospirò. “Ovvio…”
Lo
raggiunsero. James si stava accendendo forse la decima sigaretta della
serata. Guardava
cupo verso il castello, verso nessun punto in particolare.
“Sai, con questa
faccia stai rendendo giustizia alla tua aria
transilvana…” Tentò di consolarlo
Rose. “Stai bene?”
James
fece
una smorfia, senza rispondere, prima di far scattare gli occhi verso un
punto
preciso delle finestre del secondo piano. Quelle dell’ufficio
di Ted, considerò
pensierosa. Prima di accorgersi che la luce dell’ufficio era
accesa. Ed era
arancione. E barbagliava.
Da quando ha una
luce così forte nel
suo ufficio?
Poi vide
la faccia
di James. Il cugino era sempre stato un animaletto piuttosto intuitivo.
E in
quel momento aveva perso completamente colore.
“Fuoco…” Mormorò.
“Cos-…”
Rose
non fece in tempo a finire che il ragazzo gettò la
sigaretta, precipitandosi
dentro. “Jamie!”
Si
guardò con
Scorpius, che serrò la mascella. “Rose,
va’ ad avvertire i professori.” Disse,
con calma allarmante. “C’è un incendio
nelle stanze del Professor Lupin.”
Soggiunse, prima di corrergli dietro.
Rose li
guardò allontanarsi, sentendosi la testa vuota e confusa.
Questo prima di
capire.
Poi,
corse
anche lei.
****
“Potter!
Rallenta, per
Salazar, rallenta razza di
idiota o ti spedisco una fattura tarantallegra!”
Urlò Scorpius. James
testardamente finse di non ascoltarlo. Era fuoco, quello. Non poteva
sbagliarsi.
Una volta
aveva visto bruciare il granaio dei vicini, a casa dei nonni. Le fiamme
avevano
quel colore, quel modo di tremare. Non c’era nessuna candela
che fosse in grado
di fare tutta quella luce.
Si
sentì
afferrare per una spalle e si voltò, inferocito. “Mollami!”
Scorpius lo fissò brevemente negli occhi. “Tira
fuori la bacchetta, cazzone
avariato. Lo vuoi spegnere il fuoco o ci vuoi morire dentro?”
James, dopo un breve scambio di sguardi alla Sergio Leone,
tirò fuori la
bacchetta e insieme percorsero a rotta di collo le scale che in quel
momento,
forse empatiche, rinunciarono a lasciarli in balia dei loro
cambiamenti.
La porta
della classe di Difesa era chiusa, ma c’era odore di fumo.
“Merda!”
Sibilò Scorpius, tentando di aprire la porta.
“È bloccata!”
James lo
afferrò senza troppe cerimonie per la collottola,
scansandolo come se fosse un
gatto molesto.
Aveva in
faccia un’espressione tremenda.
Poi alzò
la bacchetta. “Reducto!”
La porta
venne letteralmente disintegrata. Scorpius, saggiamente, si
riparò la testa con
le mani. James neanche ci pensò, semplicemente si
infilò dentro la massa di
fumo filamentoso che filtrava dalla voragine di pietra e schegge di
legno. “Potter!”
Urlò Scorpius, inutilmente.
Papà ha ragione. Orribili
Grifondoro.
Orribili.
Si
lanciò
all’inseguimento dell’idiota, ricordandosi che,
dopotutto, se l’era cercata.
Se muoio insieme
a Potter papà mi farà
diseredare.
Salirono
la
stretta scala a chiocciola di pietra che portava all’ufficio
di Lupin, tossendo
e cercando di ripararsi naso e bocca con i lembi delle camicie.
“Redu…” James si
bloccò, guardando la
porta da cui spirava fumo orribile e denso. Là dietro
c’era Ted.
Niente magia.
Intascò
la
bacchetta e poi caricò la porta con una spallata che lo fece
urlare
interiormente di dolore. Sicuramente se l’era lussata. Non
gli importò.
Si
precipitò
dentro la stanza in fiamme. Ted era lì. Riverso a terra, in
una posa
innaturale.
Come
se…
“No!”
Urlò,
inginocchiandosi. “Ted! Teddy!”
Scorpius tossì, guardandosi attorno. “Potter!
Dobbiamo spegnere l’incendio
prima che vada a fuoco il Castello! Tira fuori la bacchetta,
dannazione!”
James si riscosse, obbedendo e dopo un paio di imperiosi aguamenti
le fiamme sembrarono ridursi a qualche debole focolare
umidiccio.
Scorpius aprì la finestra, lasciando circolare
l’aria fresca della sera, mentre
James si precipitò su Ted, che era riverso a terra, con il
volto nascosto tra
le braccia. Lo tirò su, scostandogli una ciocca
semi-bruciata di capelli. Era
pallido. Cereo. Non respirava.
“Teddy…
non
respira!” Sussurrò sentendo il panico strisciargli
lungo le vene. “Non
respira!”
Scorpius si voltò, guardando agghiacciato. “Il
fumo… il fumo gli ha fatto
perdere i sensi. Forse. Prova con un innerva!”
“C’ho già provato! Non
funziona!”
“Vado…
vado a
chiamare la Chips. Dove diavolo è Rose?”
Ringhiò Scorpius, sconvolto. Non
poteva morire. I professori non morivano. Gli adulti non potevano
morire. Non
ad Hogwarts.
James
lanciò
un’occhiata all’amico, poi si liberò
della bacchetta. Malfoy era nel panico.
Non muoveva un muscolo e li fissava. Rose non stava arrivando. Non
stava
arrivando nessuno. E Teddy non
respirava.
Devo fare
qualcosa. Io.
Si
chinò su
Teddy, mettendogli una mano sulla fronte e spingendo il viso
all’indietro. Gli
aprì la bocca e cercò di ricordare quello che
aveva imparato ad uno
stupidissimo corso di nuoto babbano.
Soffia aria nei
polmoni, comprimi la
cassa toracica. Maledizione, avevo otto anni!
Gli
strappò
la camicia dal petto. Stupidamente, pensò che avesse un
fisico perfetto anche bevendo
litri di the e mangiando solo cioccolata e pudding.
“Che… che stai facendo?”
Sussurrò Scorpius, confuso.
“Roba babbana.” Borbottò, pregando di
stare facendo la cosa giusta.
“I
babbani
sono dei barbari, uccidono i pazienti nei loro ospedali!”
“Sta’ zitto Malfoy, non mi serve un attacco di
razzismo purosangue proprio
adesso!” Ringhiò. Poi lo fece.
Compressione,
soffia aria nei polmoni,
compressione, soffia aria nei polmoni.
Le labbra
di
Ted erano fredde sulle sue e pregava, pregava, soltanto pregava.
Respira
Teddy… ti prego, stupido
idiota di un pensionato. Respira. Non lasciarci. Non lasciarmi.
Ti amo, stupido
coglione. Respira.
Poi Ted
tossì. Si irrigidì, tossì. Respirò.
“Merlino…”
Mormorò Scorpius, appoggiandosi ad uno scaffale
carbonizzato. “Merlino…”
Ripeté,
lentamente. “Ha funzionato.
È vivo.”
“Certo che è vivo.” Ringhiò
James, sentendo che stava per mettersi a piangere
senza ritegno.
Teddy si
voltò verso di loro, probabilmente sentendo le voci. Li
guardò, confuso e
sporco fuliggine. “Ragazzi…”
Esalò. Li guardò attentamente. “Siete
bagnati e fa
freddo.”
James fu indeciso se picchiarlo o scoppiare a piangere sul suo petto.
Scorpius invece
si mise a ridere, una risatina isterica, mentre si passava una mano
sulla
faccia.
“Professor
Lupin… lei è davvero un
brav’uomo.” Singhiozzò. James
pensò che qualcuno
avrebbe dovuto picchiarlo per farlo smettere di ridere in quel modo
imbecille.
Poi si
sentirono dei passi, delle voci, e arrivarono i professori.
Come in
una
specie di sogno acquoso, James si sentì tirare in piedi e
allontanare da Teddy.
Qualcuno gli mise un mantello sulle spalle, e in quel momento si
accorse di
avere freddo e di stare battendo i denti. Sentì anche, come
in fondo ad un
pozzo, il Preside che si complimentava con lui. Per cosa, poi?
Quando
tentarono di portarlo via però, sentì ogni
singola cellula del corpo
infiammarsi. “No!”
Urlò, sentendo la
voce rompersi sulla seconda lettera. “No! Fatemi
restare!”
Tutti lo fissarono in modo strano. Aveva detto qualcosa di strano?
“Preside…”
Fu
Teddy a parlare, con un filo di voce. Era tenuto in piedi dalle braccia
di Neville
e di Finch-Fletchley, il professore
di Aritmazia. “Fatelo
venire con me in infermeria. Per favore.”
Il tono era gentile, ma persino James si rese conto che non era una
richiesta.
Il
Preside
guardò Madama Chips. Quella annuì.
“Posto ce n’è. E credo che il signor
Potter
abbia una spalla lussata.”
“Ha divelto una porta con quella spalla.”
Assicurò Scorpius prontamente. “Senza
magia.”
James si
sentì arrossire, mentre Teddy lo fissava attento. Stupido
Malfoy. Ma si premurò
di fargli un sorriso, quando gli passò accanto.
****
Infermeria. Una
di notte.
Il primo
istinto di Ted, quando erano arrivati i professori, era stato di
raccontare
tutto.
Poi,
racimolando coerenza, aveva capito che la scuola non poteva permettersi
una
nuova ondata di panico. Poteva sembrare un atteggiamento incauto,
lesivo per la
sicurezza degli studenti, ma l’aggressore non aveva cercato
di aggredire uno
studente. Aveva aggredito lui perché era lì.
Stava cercando
qualcosa, ma cosa? Se
solo avessi visto cos’ha preso, prima di svenire…
Avrebbe voluto
tornare nel proprio ufficio, e fare un inventario.
Ma
sentiva i
polmoni bruciare e le ossa ridotte a schegge di cristallo.
Rimandò.
Si
lasciò
deporre sul letto e medicare dalla Chips, ringraziando silenziosamente
il tatto
dei propri colleghi, che preferirono lasciarlo alle cure
dell’infermiera che
coinvolgerlo in un interrogatorio.
Ted,
appena
fu lasciato solo con la Chips, guardò verso il letto in cui
James era stato
fatto sedere. Il ragazzo era pallido, con la camicia appiccicata al
torace e
fissava un punto imprecisato della stanza.
Indovinando il suo sguardo, la donna sbuffò. “Il
signor Potter sta benissimo.
Ha una contusione alla spalla, ma non è lussata.”
Esitò, poi scrollò le spalle.
“Ha bisogno di…” Gli lanciò
un’occhiata “Di smaltire.”
“Già…” Lasciò che
la donna finisse di medicarlo e li lasciasse soli, per
chiamarlo. “Jamie, vieni…”
James obbedì. Notò che stava facendo di tutto per
non guardarlo in faccia, e
aveva la mascella serrata.
“Credo
di
doverti ringraziare. Mi hai salvato la vita. Sei stato
fantastico.”
“Prego.”
“James,
davvero. Se non fossi arrivato tu non so se sarei qui adesso.”
“Lo so.”
Ci fu una pausa, molto lunga e silenziosa. Ted però stavolta
sapeva cosa dire.
James poteva essere cambiato, poteva star attraversando da una vena di sturm und drang adolescenziale. Ma era
sempre Jamie.
Quello
che
agiva in preda all’adrenalina e crollava poi. E se non c’era
nessuno a prenderlo, rischiava
di farsi piuttosto male.
Gli
passò le
dita trai capelli, facendogli alzare la testa. “Ehi.
È finita.”
James
serrò
le labbra in una linea, cercando di scostarsi. “Sto bene,
sto…”
“Lo so, vieni qui.” Lo costrinse a restare seduto,
e sopportò l’abbraccio
stritolante che ne conseguì. Gli abbracci di James erano
delle trappole
mortali, si scherzava in famiglia, ma Ted pensava che fossero piuttosto
teneri;
James si aggrappava alle persone.
Non
era qualche mancanza affettiva, tutt’altro.
Quello era il suo modo di dimostrare amore.
“Cristo.”
Sussultò, affondandogli il viso nella curva del collo.
“Cristo, sembravi morto.”
“Mi
dispiace,
Jamie…”
Lo sentì ridacchiare. “Cazzo, Teddy. Sei
l’unica persona al mondo che si scusa
per aver rischiato di morire.”
“Dici?” Sospirò.
“Forse…”
“Teddy…” Non sembrava avere nessuna
voglia di spostarsi, ma Ted non se ne
preoccupò poi molto. La realtà era che a
quell’attimo di tregua non avrebbe
rinunciato per niente al mondo. “Teddy, con
Zabini…”
Ted inspirò appena. “Ti ho fatto
arrabbiare.” James rimase in silenzio.
Probabilmente era stupito. “James, l’avevo capito.
Non so cosa ti abbia fatto
arrabbiare, ma… Non sei tanto bravo a fingere.
Giusto?”
Grugnì un assenso. “La Prynn. Ci ballavi e
io… Ti piace quella lì?”
“La professoressa
Prynn.” Lo corresse
in automatico. Si sentiva profondamente in imbarazzo, ma era appena
scampato da
una morte orribile, quindi non aveva troppo tempo per pensare alla cosa
didatticamente giusta da dire. “No, non mi piace. A dirla
tutta, credo che
assomigli a Vic.”
“E tu non vuoi un’altra Vic.” Ted non
riuscì a capire se fosse una domanda o un
ordine. Comunque, scosse la testa.
“Credo sarebbe un po’ patetico lasciare una ragazza
per mettersi con una sua
fotocopia…”
James ridacchiò di nuovo. Gli faceva il solletico con il
respiro, causandogli
lunghi e scomodi brividi lungo la schiena.
Molto sbagliato.
Estremamente sbagliato.
Al diavolo. Sono troppo stanco.
“Ascolta…”
Iniziò. Si sentiva la gola in fiamme e davvero, era stanco,
ma doveva
approfittare di quella tregua. Dovevano parlare.
James però si scostò immediatamente.
“No, ascolta tu. So tutto. Lasciami solo
starti vicino.”
Ted inspirò. “James…”
“Senti, mi fa schifo questa situazione. So che non puoi
cambiare per me.”
Deglutì. “Ma mi dispiace, neanche io posso
cambiare quello che provo per te.”
“Non te lo sto chiedendo.” Disse, immediatamente.
“Merlino, James, non mi sognerei
mai…”
James sbuffò. “Lo so. Ed è uno dei
motivi per cui sono innamorato di te.” Lo
guardò. E c’era una serietà
così matura nel suo sguardo che Ted pensò proprio
che trai due, il bambino in quel momento fosse lui. “Lascia
che io ti stia
vicino. Solo… come amico. Eh? Lo so che sei il mio
professore, ma tanto non ci
riesci a farlo, il professore, con me.”
Dovette convenire silenziosamente.
“Voglio
solo…
che torniamo come prima.” Mormorò James.
“Ci possiamo provare?”
Non era
quello che voleva veramente. Ma dopotutto, si disse, stargli vicino era
un
passo in più che guardarlo struggente da lontano, come un
eroe rincoglionito di
romanzi d’amore.
“Sì…”
Sorrise
Teddy. “Sì, possiamo.”
Sembrava
così
sereno e sollevato che James fu indeciso se tirargli un pugno o
baciarlo.
Decise di restarsene buono. Per il momento.
“Adesso
devi
dormire.” Gli ordinò. “Sarai un gran
figlio di lupo mannaro, ma non sei mica
invincibile. Sai.”
“E tu dovresti tornare alla Torre.”
“Sì, ma non lo farò.”
Decretò, sorridendogli furbescamente.
“Resterò qui.”
“Qui…? Intendi dire…” Lo vide
impallidire, ma tanto sapeva che avrebbe già
capitolato. Anche prima di aprire bocca. “Nel mio
letto?”
Sogghignò. “Ne vedi altri?”
“Jamie, non so se…”
“Tiro
le
tende, e sto qui finché non ti addormenti. Dai.”
Si alzò, tirandole e gli diede
un colpetto per farsi spazio, poi una gomitata vera e propria. Teddy,
vinto, si
spostò.
Dieci
minuti
dopo James gli dormiva sulla spalla.
Ted ridacchiò; era ovvio che sarebbe stato il primo a
crollare.
Dopo aver salvato
il mondo, è
caratteristica dei Potter crollare sulla prima superficie orizzontale.
Ma andava
bene così, si disse mentre appoggiava la guancia contro la
fronte tiepida di
James.
Solo
litigandoci si era accorto di quanto gli fosse mancato averlo trai
piedi.
Poi si
prese
una ciocca di capelli tra le dita.
Erano blu.
Sorrise.
****
Note:
Succede un po’ di tutto. :D La domanda è. Si sono
messi assieme?
No. Ma abbiate fiducia nel nostro Re
Minchione. Comincerà a minchioneggiare quanto prima.
Tom e Al?
Prossimamente scintille. Ad ognuno il suo. ;D
1.East End: zona di Londra famigerata per
essere povera e con alto tasso di criminalità.
|
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Capitolo 36 *** Capitolo XXXI ***
Buongiorno!
La sessione impazza ed io sto morendo! Ma non posso esimermi dallo
scrivere di
questi ragazzacci. Rendete la giornata di Dira felice. Dite ciao con
una
recensione! ;)
@Altovoltaggio: ahaha, grazie
per i complimenti! Alla
fine sono riuscita a farteli piacere un po’! Evviva, non sai
che soddisfazione
mi dai! :D Lo so, Tommy ultimamente non si sta comportando bene. Ma
è in piena sturm und drang
adolescenziale. Abbi fiducia in me!
@Pinuccia2605:
Ciao! Grazie per I complimenti! Spero di farti
cambiare idea su Al/Tom. ma credo tu sia una delle prime
shipper James/Ted. Diffondiamo
il verbo! ;)
@LihyEllesmere:
Grazie mille per i complimenti! Vero, Jamie
è dolce dolce. Solo, che di solito, non dà il
meglio di sé
per dimostrarlo. Ma si sa, quando un ragazzo è
innamorato…
@Ron1111:
Ciao! ^^ Accidenti, paragonarmi alla Row! Non devi, poi mi
monto la testa. ;P Accidenti, sai che il
paragone Laurie-Scorpius è azzeccato? In effetti, i
sentimenti sono più o meno
gli stessi. Sy è vissuto in un ambiente austero, sin da
bambino. Per questo il
caos colorato del Clan Potter-Weasley gli piace moltissimo. XD
Teddy si comporterà meglio. Ha promesso. ;P I
pensieri di Tom… diciamo che lui è inclinato
sicuramente verso il lato oscuro. Ma la vita, eheeh, è fatta
di scelte! *sventola
davanti a Tom la foto del pulcino*
@Mikyvale:
Ciao! Benvenuta! Mi fa
piacerissimo che tu abbia lasciato una recensione! Lily, beh, Lily
avrà
sicuramente un ruolo di primo piano, ma in seguito. Del resto, i miei
personaggi preferiti della nuova generazione sono proprio Al e Lily! E
promuovi la ship Ted/James! Io la adoro!
@MadWorld: Con questa
recensione ti sei fatta
ampiamente perdonare, accidenti! *_* Mi riempi di orgoglio se mi dici
che il
mio Tom è credibile. Voglio dire, io adoro Tom Riddle (e si
sarà capito in
tutte le salse) ma Thomas non
è Tom.
se fosse lui, sarebbe già perduto, perché brutto
a dirsi, ma Riddle era un
psicopatico già da bambino. Io mi ritengo una scrittrice,
nel mio piccolo, di
originali. Per
questo ho preso la nuova generazione. Era un buon
compromesso. ;P Se dici
poi che questa fic è un seguito del libro, mi riempi di
gioia. Davvero, grazie
grazie! ^^ Ted… beh, sono felice che ti piaccia, nonostante
tutti i suoi
difetti. Ho cercato di fare in modo che si capisse, quanto fosse
difficile per
un ragazzo etero da anni venire a patti con l’attrazione per
un ragazzo più
giovane, a cui per altro è legato da un sentimento di
affetto fortissimo, ma
anche fraterno. Non è semplice, rendersene conto e lavorarci
su. Che dire,
grazie per avermi dato la tua fiducia, e per apprezzare questa storia. Non
è solo mia, è anche vostra. ^^
@Pnin:
Ciao! Ho
letto le tue
critiche, e immagazzinate. ;) Mi fa piacere riceverle, non quanto i
commenti
positivi, certo, sarei un’ipocrita se dicessi
così, ma mi aiutano a capire se
ci sono cose che non girano bene. Sono ottimi consigli! Per Rose, forse
è vero,
è ripresa un po’ da Hermione e Ginny, ma
diversamente da loro, non è così
eroina. Cercherò di darle un po’ di
profondità. ^^ James darà di matto già
da questo
capitolo. Maturato sì, anche perché prima era
insopportabile, ma di certo
adulto no! XD Al invece beh… mi fa piacere essere riuscita a
crearlo come un
personaggio con uno spessore. XD
@Hel_Selbstmord: Ehi Hel! Ebbene
sì, d’ora in poi
Teddy e Jamie avranno la situazione un pochino più facile.
Purtroppo così non
sarà per l’altra coppietta. :( Ho creato una
slasher! Oddiomio!
Che
onore! XD
OT: Sì, ci hai
preso, sono toscana, ma naturalizzata romana. ;) La
sessione… non ne parliamo.
Piango lacrime di sangue. Ma dimmi, mi è parso di aver
evinto che sei una
metaller. Vero o no? Io sono nata rocker e penso che ormai ci
morirò. ;P (con
qualche deriva indie-rock)
@Ombra:
Ebbene sì, Ted è di nuovo un ragazzo blu. XD Per
quanto riguarda Harry e Ron…
ceeerto, che si divertono! Quei due sono due bambinoni!
****
Capitolo
XXXI
It waits for the day I
will let it out. To give it a reason,
to give it its might.
I
fear who I am becoming, I feel that I’m losing the struggle
within.
(It’s
the
fear, Within Temptation)
1
Novembre 2022
Dormitorio
Serpeverde. Domenica
mattina.
Tom la mattina dopo fu risvegliato da un gomito di Albus ficcato nello
stomaco.
Non era
stato
uno dei suoi risvegli migliori.
Sbuffò,
scostandosi dalla coltre aggrovigliata di lenzuola e cuscini in cui
Albus,
persino nel suo letto, era riuscito a infilarsi.
Avevano
dormito assieme. E basta.
Compagni
vacanti o meno, ad un certo punto della notte, Loki era tornato prima
di venir
cacciato perché in compagnia di due ridacchianti ragazze.
Odio la vita in
comune…
Ma Al si
era
comunque rifiutato di tornare nel suo letto. Con un sorriso che gli era
valso
la perdita della maglietta, gli aveva fatto notare che dormire
abbracciato ad
un'altra persona era un ottimo modo per conservare calore, in quei
gelidi
sotterranei.
Non era
riuscita a prendersela visto che, con lui tra le braccia e parecchio
whiskey
incendiario nelle vene, aveva dormito benissimo.
Non aveva
dimenticato neppure per un secondo il quaderno di appunti che lo
aspettava in
camera, però.
Lanciò
un’occhiata al proprio baule, dove lo aveva nascosto. Dando
uno sguardo alla
pendola vide che erano solo le sei e mezzo di mattina. Difficilmente la
Sala
Comune si sarebbe riempita prima delle nove.
Lanciò
anche uno
sguardo ad Al, che si mosse tra le coperte, rannicchiandosi beatamente
contro
il suo cuscino, che ovviamente durante la notte aveva pensato bene di
rubargli.
Si
vestì e, prendendo
la bacchetta dal comodino, aprì le serrature del suo baule.
Quando
prese
in mano il quaderno non poté evitare di fare un mezzo
sorriso.
Esecuzione
perfetta…
Non
sapeva
quanto quegli appunti sull’alchimia islamica gli sarebbero
serviti. Dubitava
che ci fosse altro se non formule astruse in un linguaggio arcaico.
Ma è
sempre meglio di niente.
Si
diresse
verso la Sala Comune, scegliendo la sua poltrona preferita.
Aprì il quaderno,
cominciando a leggere.
[…]
Geber
è
la forma
latinizzata con cui era chiamato Jabir
Ibn Hayyan, chiamato anche il ‘Padre
dell’Alchimia’. Fu il primo alchimista
che si allontanò dalla via della pura speculazione per
mettere in pratica ciò
che aveva studiato per anni. Alchimisti come Nicholas Flamel e
Paracelso devono
pagare lui tributo, per aver inventato il sistema elementare usato
nell’Alchimia medievale. Il sistema consisteva in sette
elementi, quattro
derivanti dai famosi Cinque Elementi integrati con altri due elementi
il
metallo e lo Zolfo[…]
Stava
leggendo l’introduzione. La saltò: non gli
interessava la vita di quell’uomo,
ma ciò che aveva fatto.
Sfogliò
l’indice. Il libro delle Pietre, per sua fortuna, era stato
tradotto in
inglese, e il linguaggio era stato dovutamente modernizzato.
Era un
testo
speculativo, non diceva un granché, come sospettava. Poi,
qualcosa attirò la
sua attenzione.
‘Takwin. Fu questo
l’obbiettivo di tutta la mia vita. È la creazione
della vita in laboratorio,
inclusa quella umana. Per anni ho cercato di trovare la ricetta
perfetta per
poter creare l’essere umano. Poi, ci sono riuscito. Tremano
le mie mani mentre
affido le mie memorie all’erosione del tempo.
L’essere che ho creato non può
essere definito umano. L’essere che ho creato, a cui ho dato
questo nome,
scioccamente, macchiandomi di peccato d’arroganza, volendomi
sostituire ad
Allah il Misericordioso: Adam. Come il primo uomo che Allah mise in
terra. Troppo
tardi mi sono accorto che dando lui l’anima gli ho dato la
possibilità di
ribellarsi. E lui l’ha fatto.’
Tom
chiuse il
quaderno di scatto, sentendosi la bocca secca e il sangue rombare nelle
orecchie.
Allora qualcuno
è riuscito a dar loro
un’anima.
Una nota
a
piè di pagina rubricava quel breve paragrafo come
‘considerazioni incerte’, nel
senso che era state trovate nella pergamena, ma non si era certi
fossero
davvero state scritte dalla mano di Geber. O se quella mano fosse stata
lucida.
La nota continuava, asserendo che non si era mai trovata traccia
dell’essere di
cui Geber parlava.
Homunculi con
anima… e capaci di
vivere.
Allora
io…
La sua
attenzione fu distolta da qualcuno che entrò dentro la Sala
Comune.
Era Terrance Montague, il loro Caposcuola. Un tipo piuttosto
sgradevole, che
riassumeva perfettamente le caratteristiche negative di Serpeverde:
cattiveria
gratuita, stupidità e una certa dose di auto-compiacimento
del tutto
ingiustificato.
“Dursley,
che
diavolo ci fai qui a quest’ora?” Lo
apostrofò infatti. “Scrivi le tue
memorie?”
“Montague…
non
ritengo siano affari tuoi.” Replicò quieto.
L’aveva sempre disprezzato, ma da
lontano, con una certa discrezione.
Solo che
quello non era il
momento per
infastidirlo con battute idiote.
Il
ragazzo
gli lanciò un’occhiata indispettita.
“Chi ti dà il diritto di parlarmi così,
eh? Il mio sangue è di certo più pulito del
tuo…” Evidentemente non si era
accorto che aveva in mano la bacchetta, o non lo riteneva un dettaglio
importante. “Purtroppo ormai non vale niente.”
“Come
non
darti ragione…” Mormorò, alzandosi in
piedi. Montague lo squadrò sospettoso.
Di solito
avrebbe lasciato correre; Tom sapeva, in ogni caso, di essergli
superiore.
Però,
pensò
con voluttà, perché non dimostrarglielo, per una
volta?
“Sai,
Terrance, ci fu un altro mago, nato da un babbano, che fece
letteralmente leccare la suola
delle scarpe ai
purosangue come te. Scommetto che papà il suo nome te
l’ha detto.”
Terrance sembrò improvvisamente molto
nervoso.
“Tom?”
La voce sorprese entrambi. Albus se ne stava sulla porta della Sala a
fissarli,
semi-assonnato con uno di quegli orribili maglioni Weasley. Aveva un
serpente
stilizzato sopra, ed era verde.
“Eri qua… ti ho cercato ovunque. Che ci fai
alzato?”Borbottò, stropicciandosi un
occhio. “È scandalosamente presto.”
Montague
ne
approfittò per fare qualche passo indietro, mentre Tom
nascondeva la bacchetta
nella tasca posteriore dei jeans. “Niente.”
Esordì pacatamente. “Sono venuto a
leggere qui. Non volevo accendere le candele e svegliarti.”
Al
corrugò le
sopracciglia. Guardò dall’uno all’altro.
Parve intuire l’atmosfera perché
divenne lucido di colpo. “Buongiorno Terrance.”
Disse con un sorriso tutto
gentilezza. “Sveglio anche tu? È successo
qualcosa, che sei già in divisa?”
“Mi ha chiamato il professor Lumacorno. Ieri sera
c’è stato un incendio
nell’ufficio di un professore, e pare che sia stato di
origine dolosa.” Spiegò,
insolitamente collaborativo. Lanciò un’occhiata a
Tom, poi scrollò le spalle.
“Hanno interrogato tutti i Caposcuola.”
Al si morse un labbro. “Quale professore? Cioè,
l’ufficio di quale professore?”
“Quell’ibrido di Lupin…”
Montague probabilmente non era stato smistato a
Serpeverde per la furbizia, rifletté Tom, mentre vide il
sorriso di Al gelarsi.
“Ma i suoi geni da bestia
gli hanno
salvato la pelle.”
“Oh, capisco.” Annuì Al pensieroso.
“I geni di tuo padre invece ti hanno fatto
ereditare una certa dose di idiozia, eh Terrance? Del resto non
è che ci si
possa aspettare molto, dal figlio di uno che è inciampato
dentro un armadio
svanitore e ci è rimasto per giorni interi.”
Montague si fece paonazzo. “Ce lo spinsero i tuoi parenti,
Potter!”
“Sì?” Si fece meditabondo.
“Allora chiedo scusa. Perché non riesco a sentirmi
in colpa.”
Terrance divenne letteralmente viola, estraendo la bacchetta. Ultimo
rifugio
degli imbecilli, pensò Al.
Quello
che
non si aspettava però è che anche Thomas tirasse
fuori la sua e la puntasse
alla gola di Montague.
“Levagli
la
bacchetta di dosso.” Sibilò, e il Caposcuola non
fu l’unico a sentire un lungo
brivido lungo la schiena. “Non darmi motivo per esercitarmi
al tiro al
bersaglio.”
“Tom!” Gli afferrò il
braccio, d’istinto.
Montague era pallido come un cencio. Non che Tom avesse la fama di un
violento,
ma proprio perché non l’aveva era ancora
più sconvolgente il suo scoppio d’ira.
“Lascia perdere, non ne vale la pena!”
Tom gli lanciò un’occhiata, poi abbassò
la bacchetta. “Suppongo il professor
Lupin sia in infermeria…”
Il
ragazzo
annuì, lentamente, guardando la mano che ancora reggeva la
bacchetta. “Questa…
questa te la farò pagare, Dursley! Un lurido
nato-babbano…”
“Sta’ zitto Montague.” Lo interruppe
Albus. “Il razzismo magico non va più di
moda da vent’anni. Questi discorsi falli con gli amici di tuo
padre, se non
vuoi passare dei guai. Andiamo Tom. Andiamo da Ted.”
Quando furono fuori, Thomas sapeva già cosa aspettarsi.
Attese, in silenzio,
mentre il muro dietro di loro si richiudeva.
“Sei
impazzito? Si può sapere che ti è
preso?!” Sbottò infatti Albus, appena passato
l’arco di pietra che fungeva da ingresso per la loro Sala
Comune. “Perché poi?
Terrance è odioso dal primo anno! L’hai sempre
ignorato!”
“Ti ha puntato la bacchetta addosso, se non
l’avessi notato…” Disse, cercando
di calmare la furia che l’aveva assalito.
“Probabilmente, vista la sua scarsa
attitudine al controllo, l’avrebbe anche usata.”
Perché Al era sempre così
maledettamente… debole?
Certe zecche vanno schiacciate. Per
fargli capire chi comanda. Se avessi dato una lezione a Montague, la
prossima
volta non avrebbe osato levare la
bacchetta né contro di me, né contro di te.
Fu
disgustato
lui stesso della piega dei suoi pensieri. Da quando erano
così violenti?
“Non
è questo
il punto.” Continuò Al. “Tu
l’avresti usata?”
“Se lui avesse reagito.” Confermò,
guardandolo. “Se pensi che là fuori siano
tutti come te, Al, ti sbagli di grosso.”
“Già, e se fossero tutti come lui passeremo il
giorno a scannarci.” Replicò
aspro. “Che diavolo ti sta succedendo, Tom? Non ti sei mai
comportato così!”
“Mi aveva infastidito.” Replicò, e
suonò inquietante anche a lui. Si morse un
labbro, mentre Al lo fissava senza dire niente.
“Devo
requisirti la bacchetta?” Gli chiese atono.
“Cosa? Non essere ridicolo…”
“Non lo sono! Perché se vai in giro a minacciare
chi ti infastidisce forse
davvero, dovrei farlo. La bacchetta serve ad imparare
qua dentro, non a minacciare le persone. Mike ci ha
provato con me, Montague ti ha infastidito… Quanto ci
vorrà prima che…”
“Sta’ zitto!” Sbottò,
esasperato. “Non ho tempo per queste idiozie!”
Al si morse un labbro. Tom capì di aver detto, tanto per
cambiare, la cosa
sbagliata.
Non era
vero
che le cose si erano risolte tra di loro. L’unica cosa che si
era risolta era
la tensione sessuale ed emotiva. Lui continuava a mentirgli, e Al
continuava ad
accorgersene.
E continuo a
ferirlo…
“Al…”
“Stai praticamente dicendo che non hai tempo per
me.” Gli comunicò. Scartò,
quando tento di afferrarlo per un braccio. “Ma
l’avevo notato da solo, grazie.”
“Al, non è vero.” Sussurrò,
afferrandolo per le spalle, mentre la collera
lasciava spazio al panico. “Per favore…
Scusa.” Gli impedì di divincolarsi,
spingendolo contro il muro. Aveva il terrore che se non
l’avesse fatto, gli
sarebbe scivolato tra le dita. “Albus, scusami. Non lo faccio
più.” Gli
sussurrò contro l’orecchio, affrettato. Doveva
perdonarlo. Doveva.
Se tu non mi
perdoni, io cosa faccio?
Alla
fine, lo
sentì arrendersi contro di lui. Al non avrebbe mai lottato per allontanarlo. Lo sapeva.
“Tom…
Mi fai
preoccupare, lo sai?” Sentì le dita di Al
passargli consolatorie lungo la schiena.
Aveva le mani calde. Lo tirò giù, per baciarlo, e
Tom lo baciò, aggrappandosi
come un naufrago ad una scialuppa di salvataggio. Si staccarono, con il
fiato
corto, per necessità, non per voglia. “Razza di
stupido caprone. Smettila di
fare il pazzo…”
Non sono pazzo. È
che quando ti ha puntato la bacchetta addosso ho pensato che nessuno
doveva sfiorarti. Ferirti.
Nessuno.
Tirò
un lieve
sospiro.
Tranne me.
****
Hogwarts,
Infermeria.
Sei e mezzo di mattina.
James si
passò una mano sul viso, sbadigliando con molta lena, mentre
ritornava nel
mondo dei vivi.
Svegliarsi con le ciglia impiastricciate di trucco del giorno prima non
era
esattamente un risveglio perfetto. Adesso capiva perché le
ragazze svernavano
in bagno per levarsi quella roba dalla faccia.
Svegliarsi
con il viso addormentato di Teddy davanti però era quasi il
paradiso.
I capelli
erano proprio blu. Quel blu
elettrico
che conosceva da che aveva memoria. Forse da bambino erano turchesi, ma
comunque, blu.
Il mio TeddyBlu.
Da
bambino lo
chiamava così. Come un grosso orsacchiotto speciale, anche
se in realtà Teddy
era stato una mezzapippa per anni.
Chissà
perché però i muscoli
dell’Accademia li ha mantenuti tutti…
Pensò
voluttuoso, disegnandogli il profilo della mascella con un dito. Teddy
fece un
lieve sospiro, ma sembrò gradire il gesto. James
ridacchiò.
Devo andarmene
prima che arrivi Madama
Arpia e ci becchi a farci le coccole come due checche.
Si
alzò in
piedi e indossò le scarpe, mentre Teddy si muoveva nel
letto, con un grugnito ben
poco angelico, abbracciando il cuscino ed espandendosi.
James
Sirius
Potter non aveva rinunciato. Oh, no. Neanche per sogno.
Semplicemente…
Ti ho fregato.
Avrebbe
aspettato. Paziente, come un… un cobra?
Nah. Serpente.
Che orrore. Come un
paziente tassorosso, Teddy.
Malfoy
aveva
ragione. Teddy era solo… lento. Duro di comprendonio. Tardo.
Represso.
Lo
avrebbe
sistemato lui.
Certo,
una
loro storia era una cosa molto, molto
nebulosa nella sua testa. Si immaginava solo di mettergli le mani
addosso,
sesso a letto e colazioni romantiche in modo francamente imbarazzante.
Anche
lunghe chiacchierate. Adorava
parlare
con Teddy. E poi tanto sesso bollente.
Dicono che i
mannari su quel lato
siano proprio… Beh, lui è un figlio di mannaro, e
Vic non si sarebbe tenuto un
noioso come lui se non fosse stato in grado di soddisfare le sue voglie
francesi.
Sorrise,
afferrando un foglio di carta dal bloc-notes che Poppy aveva lasciato
sul
comodino. Scrisse una breve frase e firmò con uno svolazzo.
Lo
guardò
dormire. Teddy era bello. Non c’era nessuno bello come quello
stupido, per lui.
Non solo per i lineamenti regolari e dolci, che aveva ereditato dalla
madre
(aveva sbirciato le foto) o quei grandi occhi da cagnolino triste
… Teddy era
bello tutto.
Si chinò, baciandogli le labbra. Teddy sorrise nel sonno.
“Tu aspetta Teddy…” Sogghignò
James, prima di raddrizzarsi e uscire,
canticchiando. “Aspetta.”
****
Teddy si
svegliò con un braccio addormentato, ossimoro niente male, e
un biglietto
appiccicato in faccia.
Risveglio curioso, commentò tra sé e
sé, staccandolo e leggendo.
Buongiorno
Teddy!
Hai i
capelli blu!
Baci.
J.
Sorrise,
ricordando la sera prima. A dire il vero, non aveva molto da sorridere,
considerando che era quasi scampato ad una morte atroce per mano di un
aggressore
misterioso. Ma per il momento, decise, preferiva risvegliarsi senza
pensare
alla morte.
James non
c’era. Ma era giusto che fosse così.
Ignorò una vocetta interiore che esprimeva
dissenso e scontento.
Si
passò una
mano trai capelli colorati, e fu
felice per una volta di poter far semplicemente scomparire
la barba, invece che doversi rasare. Si affettava sempre
come un macellaio.
I miei poteri
sono tornati.
La
realtà
tornò a bussare crudelmente alla sua porta nella persona del
Preside e…
… Ovviamente Harry Potter.
Era ovvio
che
Vitious, dopo un’attenta analisi delle contingenze, avesse
preferito chiamare
il suo padrino, piuttosto che sua nonna, anziana e sicuramente non
d’aiuto in
eventuali indagini.
Maledisse
la
tempra Corvonero del Preside.
“Ciao
Teddy.”
Lo salutò Harry, con l’aria di essere appena stato
tirato giù dal letto e
forzato ad una materializzazione. “Come stai?”
“Meglio.” Sorrise, stringendogli la mano.
“Davvero, sto bene.”
“Il
Preside
mi ha raccontato tutto.” Disse, tagliando i convenevoli.
“Scusami se sono un
po’ brusco, ma…” Esitò,
lanciando un’impercettibile occhiata verso Vitious.
“Oh, oh… beh!” Disse l’ometto,
capendo al volo. “Vi lascio soli. Sono sicuro
che Teddy adesso è in buone mani. Vogliamo tutti che questo
episodio venga risolto
al più presto.” Soggiunse, facendogli chiaramente
capire che qualsiasi cosa
fosse uscita da quella conversazione, sarebbe stata la versione
definitiva da
dare alla scuola.
“Signor
Preside, il mio ufficio?” Lo fermò il ragazzo.
“Come… è rimasto qualcosa?”
“Non molto, figliolo. Il Signor Malfoy e il Signor Potter
hanno domato
l’incendio in modo eccellente, ma
purtroppo…”
Teddy sentì lo stomaco annodato, pensando a tutti i libri
del padre, ai suoi
oggetti, divorati dal fuoco. Tutto
distrutto.
La rabbia
tinse di carminio cupo i suoi capelli. Li mise a tacitare velocemente,
forzandosi. “Capisco. Non si è salvato
niente…”
Il Grimorio! Quello deve essere ancora
integro. Era sotto un incantesimo freddafiamma!
“Mi dispiace davvero Ted...” Scosse la
testa il Preside. “Useremo il fondo
comune della scuola per ricomprare il necessario.”
“La ringrazio, ma posso pensarci da solo.”
Replicò, leggermente indignato.
Certo, tranne i
libri di mio padre, i
bestiari medioevali
Solo a
pensarci gli veniva da rannicchiarsi e piangere. Glissò, con
l’abilità di un
consumato ventiquattrenne. Quando il Preside li lasciò soli,
Harry tirò le
tende con un colpo di bacchetta. Sospirò.
“Mi dispiace per i tuoi libri Teddy. So che erano di Remus, e
so quanto ci
tenessi.”
“Li so a memoria.” Scrollò le spalle,
con un sorriso. “E poi… meglio loro, che
me.” Disse, con pragmatismo che non sposava affatto.
“Non
sono del
tutto convinto che tu mi dica la verità,
ma…” Sorrise. “Davvero Teddy, stai
bene?”
“Ho passato momenti migliori.” Dovette ammettere.
“Ma sono vivo.”
“Certo…” Annuì
l’uomo. “Naturalmente. Stamattina quando uno dei
gufi della
scuola mi ha tirato giù dal letto credo di aver perso un
paio d’anni di vita.
Vitious non è molto bravo a dare notizie di questo genere.
Io e Gin abbiamo pensato
addirittura che fossi in fin di vita…”
“Mi dispiace!” Mugugnò, sentendosi
colpevole a prescindere. “Avrei dovuto
mandarvi un gufo io stesso.”
“Merlino, Teddy!” Rise l’uomo.
“Sei l’unica persona al mondo che si scusa di
essere moribondo!”
Era la
stessa
cosa che James gli aveva detto la sera prima. Sorrise.
Harry si
sedette, incrociando le braccia al petto. “Bene. Sembra che
dovrò essere io a
farti l’interrogatorio.” Ghignò
malandrino. “A quanto pare tutti fraintendono
la natura della mia carica. Non che mi spiaccia, si capisce. Amo
l’azione.”
Teddy
ridacchiò, poi tornò serio. “Harry,
qualcuno ieri sera mi ha aggredito.”
L’uomo accolse la notizia senza vacillare. Era chiaro che
avesse già ipotizzato
una cosa simile. “Riesci a ricordare qualcosa?”
“Non…
non del
tutto.” Dovette ammettere, sentendosi piuttosto stupido. Era
ridicolo il modo
in cui si era fatto neutralizzare. “Mi ha preso alle spalle,
ed ha utilizzato
un incantesimo che mi ha immobilizzato.”
Ed io avrei
dovuto essere un auror…
Molto meglio come professore, pare.
“Il
Petrificus Totalus? La Pastoia
Total-Body?” Elencò Harry, un po’
sorpreso. Un allievo Auror era capace di
neutralizzare quei semplici incantesimi.
Teddy si
sentì arrossire. “Nessuno dei due. Era come
se… tutti i muscoli del mio corpo
si fossero fatti… di pietra. E mi sentivo schiacciare i
polmoni.” Esitò. “È
stato come se fosse il peso del mio corpo a schiacciarli.”
“Mai sentito nulla del genere.” Esordì
Harry, correggendosi subito dopo. “Con
questo non intendo dire che non sia possibile un incantesimo del
genere. Solo,
non è nel nostro arsenale.”
“Già… in ogni caso, sono riuscito solo
a vedere che aveva i capelli neri. Piuttosto
alto. Non molto muscoloso, quasi magro direi. Ed era giovane. Un
adolescente,
credo.”
Harry si
morse
un labbro, meditabondo. “Adolescente… credi sia
stato uno studente quindi?”
“No.” Negò immediatamente. “E
non lo dico solo perché sono i miei studenti, ma
perché era troppo calmo. Sembrava fingesse
di essere un ragazzo. Il modo in cui mi ha parlato, come mi ha
aggredito. Ho a
che fare con adolescenti tutti i giorni, Harry… e non sono
così controllati.”
Sospirò.
“Un
camuffamento?”
“Forse.”
“Sai perché era lì?”
Teddy
rifletté.
“Non lo so. Non era lì per me, comunque. Non si
aspettava che tornassi dalla
festa, me l’ha… detto. Era piuttosto propenso alle
chiacchiere.” Fece una
smorfia, al ricordo di quella voce canzonatoria all’orecchio.
Se la sarebbe
sentita nel sonno a lungo, temeva. “Stava cercando qualcosa.
Prima di svenire
l’ho visto frugare tra le mie cose. Ma non so
cos’ha portato via, o se l’ha
fatto.”
Harry
annuì,
guardando assorto davanti a sé. Sembrava perso in pensieri
tutti suoi, ma Teddy
sapeva che stava cercando di mettere assieme i pezzi. “Avevi
qualcosa di
valore? Un libro, uno strumento…”
“Niente che non si possa reperire a Diagon Alley.”
Scosse la testa. “I libri,
ma non tutti… avevano un valore affettivo, più
che altro. Niente che potesse
giustificare un furto, veramente.”
“Pensi che possa averlo fatto per spregio allora? Contro di
te, magari…”
Ted
serrò le
labbra: diversamente dal padre non aveva mai avuto problemi di
discriminazione.
Ma a volte c’era ancora qualcuno che si ricordava che nel suo
certificato di
nascita c’era appuntato ‘ibrido’.
“No,
lo
escludo assolutamente.” Disse però.
“Cercava qualcosa Harry. E voleva
uccidermi, bruciarmi…” Inspirò
lentamente. “… vivo, per evitare che raccontassi
a qualcuno di averlo visto lì. Voleva farlo sembrare un
incidente. Ero un
ostacolo, non un obbiettivo.”
Harry
sorrise
appena. “Un vero peccato che tu non abbia fatto
l’auror, Teddy. Ci servirebbe
qualcuno con la tua capacità d’analisi.”
Teddy ricambiò con una smorfia ironica. “Dietro
una scrivania forse. Non sono
fatto per l’azione. Mi sono fatto fregare come un idiota.
James invece… beh, Jamie
mi ha salvato la vita.”
“Il Preside me l’ha detto.” Harry stava
evidentemente scoppiando di orgoglio. “Se
si ricordasse che servono ottimi MAGO per entrare, sarebbe
già uno dei miei
ragazzi.”
Teddy ridacchiò. “Penserò io a
ricordarglielo, non ti preoccupare.” Si sentì
appena in colpa, ricordando di cosa con James parlasse ultimamente. Ma
fu un
attimo. Del resto, al momento, c’era ben altro a cui pensare.
“Harry… c’è una
cosa.” Doveva dirgli del Grimorio. “Forse so cosa
cercava l’aggressore.” Gli fu
fatto cenno di andare avanti. “Io… quando
è morto Ziel ho fatto l’inventario
della sua biblioteca. Ma non ho consegnato tutto al Ministero
Tedesco.”
Borbottò, sentendosi come un bambino con le mani nella
marmellata. “C’era…
c’era una cosa che non ho consegnato.”
Harry fece un mezzo sorriso, quasi divertito. “Un libro?
Teddy…”
“No, un diario. Cioè. All’inizio
sembrava un libro, era trasfigurato. Ho usato
il librum reverto ed è
diventato un
diario. Per la precisione, un grimorio.”
“Ne
ho
sentito parlare… non sono diari dove i maghi appuntano i
propri incantesimi,
che poi proteggono con formule o codici?” Aggrottò
le sopracciglia: l’unico che
avesse mai visto, ad eccezione del libro di ricette culinarie di Molly,
era
quello di Tom Riddle. Ah, e quello di Piton. Davvero non bei termini di paragone.
“Ziel
ne
teneva uno, criptato con un codice.” Si morse un labbro.
“Non sono riuscito a
vincere la curiosità, e l’ho portato nel mio
ufficio per lavorarci. Era solo…”
I capelli si colorarono di un tenue rosa. “Solo un
divertimento innocente. Mi
affascinava il codice… Non avevo mai visto niente del
genere, e poi non credevo
che nessuno avrebbe mai reclamato un diario personale.”
“Curiosità intellettuale, ho capito. Credimi, ci
ho convissuto per anni. Hermione.”
Spiegò divertito. “Lo sai, mi
conosci, non capisco, ma ehm…”
“Accetti.” Sorrise Ted. “In ogni caso,
non era un codice. La scrittura era soltanto
occultata da un incantesimo freddafiamma.” Davanti
all’espressione confusa
dell’uomo, si affrettò a spiegare. “Il
codice era finto. Non erano che…
scarabocchi, non corrispondevano a niente. Ma gettato nel fuoco, le
pagine
rivelavano ciò che c’era scritto sotto. Ed era in
tedesco.”
“Suona complicato.” Ammise Harry, passandosi una
mano trai capelli. “Ma è
ovvio, Ziel era tedesco, quindi scriveva in tedesco.”
“Esatto. Questa scoperta l’ho fatta ieri sera, poco
prima di andare alla festa.
Non sono riuscito a leggere molto. Ma c’era il nome di Tom,
nel diario.”
“Tom? Il nostro Tom?” Harry sembrò
improvvisamente incupirsi. Teddy lo capiva:
Tom non era il genere di ragazzo di cui ti preoccupava
l’incolumità. Almeno,
non solo.
Ma le eventuali
implicazioni nella
faccenda…
“Thomas
Dursley.” Confermò. “Non sono riuscito a
leggere altro, perché la professoressa
Prynn è venuta a prendermi e…” Fece un
gesto stanco. “E poi quando sono
tornato…”
“Ti hanno aggredito. Ora il grimorio
dov’è?”
Ted
scosse la
testa. “Deve essersi
salvato
dall’incendio. Quindi suppongo sia ancora nel mio
ufficio.”
“Ma secondo te non c’è,
perché l’aggressore cercava quello.”
Teddy annuì, con un lieve sospiro, scrutandolo. Harry aveva
solo undici anni
quando aveva scoperto che Hogwarts ospitava la Pietra Filosofale. Era
abituato
sin da bambino a ipotizzare congetture e scoprire connessioni. In quel
momento
però, gli sembrava confuso quanto lui.
Milly,
l’assistente della Chips, si avvicinò a loro con
circospezione. Lanciò
un’occhiata adorante ad Harry, che si aggiustò gli
occhiali, a disagio. “Mi
dispiace disturbarvi… ma ci sono visite per lei, professor
Lupin.”
“Può dir loro di aspettare?” Chiese
Harry, un po’ urtato. Certo, anche lui era
un visitatore, ma Morgana Benedetta, non serviva a niente aver
sconfitto
Voldemort?
“Si
tratta di
suo figlio e di Dursley, signore. Li ho beccati che gironzolavano
attorno
all’infermeria.”
“James?” Si bloccò Teddy, schiarendosi
poi la voce. “No. Immagino sia Al… Può
chiamarli?”
“Saranno quelli mandati in esplorazione.” Rise
Harry, mentre l’infermiera
tornava indietro.
Poco dopo
Al
corse dentro. “Teddy!”
Esclamò, con
occhi grandi di preoccupazione.
Tom arrivò poco dopo. Sembrava assolutamente annoiato da
quella faccenda: teneva
le braccia incrociate al petto, e se ne stava a minimo due metri di
distanza da
loro. Teddy si prese la briga di osservarlo, alla luce delle nuove
scoperte.
Lo vide
guardare
Al, insistentemente. Non apertamente, quello no, ma Ted aveva imparato
a spiare
gli umori altrui, e trarne conclusioni, sin da bambino.
È
venuto qui per via di Albus. Non
voleva venire qui.
Non gli
toglieva gli occhi di dosso. Praticamente non aveva degnato di uno
sguardo né
lui, né il padrino.
Lo sta
sorvegliando. Merlino, perché?
Harry si
alzò, stiracchiandosi. “Tom? Ti va di
accompagnarmi a fare due passi?”
Il ragazzo si riscosse, quasi sussultò. Per un attimo
sembrò che volesse rifiutare.
Poi lo vide annuire. “Certo. Ci vediamo a colazione,
Al.”
Il ragazzo si voltò, con un mezzo sorriso.
“Sicuro. A dopo!”
Quando
furono
andati via, Al tirò un lieve sospiro, come se si fosse tolto
un peso. Almeno,
questo sembrò a Ted.
In
realtà, Al
non si sentiva tranquillo. Tom era nervoso, e non era in grado di
sopportare
nessuno al momento. Si accorse subito di quanto quel discorso fosse strano.
Non è
una specie di psicopatico che va
tenuto tranquillo…
Anche se
quella mattina aveva avuto degli scatti che, in un certo senso, erano
stati preoccupanti.
Parlare con
papà gli farà bene. Gli ha
sempre fatto bene. Del resto è l’unico che
è sempre riuscito a prenderlo per il
verso giusto.
Perché
allora
aveva l’impressione che quella volta non sarebbe stato
così?
****
Il freddo
vento
ottobrino scompigliava i capelli di entrambi mentre scendevano il
crinale,
diretti verso la mole lucida e immobile del Lago Nero.
Tom era
dimagrito troppo, pensò Harry, guardando il profilo scarno
del ragazzo. La
camicia che indossava gli stava deplorevolmente larga e le guance
scavate
avevano un pallore malato.
Era preoccupato: conosceva Thomas da quando era nato. Per anni aveva
lottato
contro i suoi silenzi e la sua sostanziale incapacità di
comunicare disagio.
Da
bambini, quando
i suoi figli erano scontenti, tristi o semplicemente insoddisfatti,
piangevano.
Tom si rifugiava in un silenzio ostile, rubando i giocattoli ai
fratelli e
stringendoseli al petto se tentavano di portarglieli via.
Da
ragazzini
i suoi figli si imbronciavano o piagnucolavano. Tom spariva da qualche
parte, finché,
con tanta pazienza da parte sua e di Dudley, non si riusciva a
trovarlo.
I suoi
figli,
adesso, quando non stavano bene, avevano reazioni diverse: Al aveva gli
occhi
rossi, ma non piangeva. James si infuriava e poi scoppiava in lacrime
dentro il
proprio cuscino. Lily si scherniva con una battuta e poi crollava in
singhiozzi
tra le braccia di Ginny.
E in quel momento, Harry sapeva che Tom non stava bene. Lo indovinava
dalla
piega delle labbra, dal mondo in cui aveva messo distanza tra di loro,
mentre
camminavano. Dal fatto che non fosse davvero lì con la
testa, mentre si
sedevano su una panchina, da cui si godeva un’ottima vista
della Foresta e
della tomba di Silente, che si stagliava candida e immota, nel
paesaggio, eterno
memento.
“Come
va?”
Iniziò, piuttosto classicamente.
Tom si
strinse nelle spalle. “Bene.” Ci pensò,
assottigliando gli occhi. “È stato un
periodo movimentato. Lo è stato per tutti.”
Concluse.
Harry
voleva
bene a quel ragazzo magro e silenzioso. E aveva sempre cercato, con la
sua
goffa emotività da orfano, di dimostrarglielo. Non sapeva se
ci fosse riuscito
completamente, però.
“Lo
è stato
per te.” Rispose, togliendosi gli occhiali e pulendoseli
distrattamente con il
fazzoletto. “Avrei dovuto essere più presente con
voi ragazzi, me ne rendo
conto. Ma…”
“Ma hai un lavoro, e delle
responsabilità.” Tom stirò un
sorrisetto. “Non
preoccuparti, Harry. Non hai nessuna mancanza per quanto mi riguarda.
So
cavarmela da solo.”
“Non vuoi parlarmene?” Chiese, gentile, inforcando
gli occhiali. Spesso, quando
c’era di mezzo Thomas, pensava,
e un po’
se ne vergognava - Cosa avrebbe fatto
Silente?
Silente
era
stato un politico, non certo una figura pedagogica a cui aspirare.
Eppure era
l’unica figura da cui attingere nel caso di Thomas.
“Di
cosa?”
Chiese, lanciandogli un’occhiata valutativa. Calcolatrice.
“Di cosa dovrei
parlarti Harry?”
“Non saprei. Sembri pensieroso.”
Tom fece un breve sorriso. “Penso,
quindi
sono.” Parve trovarla una frase piuttosto
divertente, perché strinse trai
denti una risatina.
“Risparmiami
i giochi di parole, Tom.” Disse, più brusco di
quanto non volesse. “So di
essere un po’ troppo grande per farti da confidente, e
comunque, per questo c’è
Al…”
Tom stavolta ebbe una strana reazione. Il sorriso sembrava divertito,
ma
l’interno corpo era in tensione.
No,
decise
Harry, Tom aveva qualcosa che non andava.
“Sto
bene.”
Sembrò riflettere brevemente. “Credo di aver
scoperto molte cose di me, in
questo periodo. Credo di capirmi
meglio.”
Harry non
trovava Thomas illuminato dalla luce della consapevolezza interiore.
Sembrava,
a dirla tutta, piuttosto nervoso. Qualcosa nella piega della bocca era
instabile. “Sono contento per te. Ma credo avresti bisogno di
riposarti.”
Suggerì pacato. “Come ho detto, è stato
un periodo di forte stress per tutti.
Credo che quest’anno dovresti prendere in considerazione
l’idea di non tornare
subito al Castello, dopo le feste. Resta un po’ con la tua
famiglia.”
Sta lontano da
Hogwarts mentre cerco
di capire com’è che tu sei sempre nel posto
sbagliato al momento sbagliato… e perché
in ogni cosa che è successa c’è il tuo
nome, Tom.
La
reazione del
ragazzo fu inaspettata. Si alzò di scatto dalla panchina,
fulminando con lo
sguardo. “Tipico di te, zio Harry.
È
un consiglio o un ordine?”
Harry batté le palpebre, sorpreso. Era diventato aggressivo
di colpo, e certo,
non se lo aspettava. Ma era un adolescente, si disse.
Alla sua
età l’instabilità emotiva
faceva da cornice alle mie giornate…
“Non
è un
ordine, non sei certo uno dei miei auror!” Sorrise, cercando
di suonare
comprensivo. “Solo un consiglio. Ehi,
puoi
tornare quando vuoi al
castello. Pensavo
solo che ai tuoi avrebbe fatto piacere averti a casa.”
Cercò il suo sguardo,
volutamente. “Mi preoccupo per te. Sono il tuo
padrino.”
Tom non
rispose subito. Lo vide contrarre e decontrarre i pugni, come in un
riflesso
nervoso, mentre probabilmente decideva se parlare.
“Mi
sento…”
Scollò dal palato alla fine. E sembrava pesare ogni singola
parola come un
macigno. “Mi sento sempre così
arrabbiato...” Sussurrò, senza guardarlo.
“Continuamente.”
Harry
sentì
prepotente la sensazione di flashback assalirlo. Aveva quindici anni
quando
aveva detto una cosa simile a Sirius, a Grimmauld Place. Tom aveva il
suo
stesso sguardo nudo, spaventato.
Fu un
attimo
però. Tom richiuse violentemente lo spiraglio che aveva
aperto. Serrò la
mascella, raddrizzandosi. “Ma credo seguirò il tuo
suggerimento, Harry.” Disse,
pacato. “Rimarrò un po’ di
più a casa, quest’anno.”
Lo vide
allontanarsi. Non tanto fisicamente, aveva solo fatto qualche passo
verso il
Castello, ma emotivamente. Stava prendendo le distanze. Harry si
alzò,
prendendolo per un braccio.
“Tom…
sono
qui per te.” Una volta sarebbe bastato a frenarlo, calmarlo.
Si
sentì
invece fissato con uno sguardo incolore. “Non è
vero. Sei qui per Ted. Per
l’incendio.”
Harry non
riuscì a ribattere. Avrebbe dovuto, ma Harry non era solo
Harry. Era anche Harry Potter,
purtroppo. “Ti devo
chiedere se…”
“Se c’entro qualcosa?” Lo
bloccò. Fece un sorriso sottile. “Con
l’incendio
all’ufficio di Lupin?”
“Merlino, no! Volevo solo sapere se avevi visto qualcosa,
se…”
Tom sembrava furioso. E anche, orribile a dirsi, trionfante. Come se
avesse
avuto la conferma di qualcosa che sospettava già da tempo.
“Sono
stato
tutta la sera con Al, chiedilo a lui.” Diede uno strattone al
braccio,
liberandosi. “Mi dispiace, ma devo andare a
colazione.”
“Aspetta!” Non era mai stato bravo con gli slanci
fisici, si disse. Perché
avrebbe dovuto capire che un adolescente infuriato non andava toccato.
Tom gli tirò letteralmente una spinta. “Non
toccarmi. Non sono tuo figlio.” Ringhiò. Il suono
fu quello. Un basso suono di
gola, orribilmente simile a quello di un lupo preso in trappola. Harry
pensò
che avrebbe potuto persino attaccarlo, se avesse continuato.
Lo
guardò
risalire per la collina. Pensosamente, si sfregò la
cicatrice.
****
Little Hangleton,
interno mattina.
“Sì
signore,
ho con me il Grimorio. Certo, Signore, è andato tutto
liscio…”
Tranne per qualche trascurabile particolare.
Possibile che ci sia sempre qualche discendente dei Potter a mettere i
bastoni
tra le ruote? La cosa ha francamente del ridicolo.
“Sì,
signore.
Adesso è in mio possesso. Naturale… sì,
naturale signore. Il piano va avanti.
Sì, Signore. Adesso inizia la seconda parte del
piano.”
****
Note:
Capitolo di passaggio lo so, non succede granché. Chiedo
venia, ma non tutti possono
essere farciti di avvenimenti campali. :P
Harry è Rob Lowe. Non
sempre,
naturalmente. Ma guardate l’immagine. È il mio
Harry, perlomeno. ;)
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Capitolo 37 *** Capitolo XXXII ***
Ringrazio
per
le recensioni, perchè siete meravigliosi e vi lovvo (con
sentimento). Ci sarà
mai una giornata di de-lurking day dove avrò la
possibilità di conoscere tutti
i miei ghost-reader? :D
@Ron1111: Corrette le sviste che mi
avevi segnalato. Sei ineffabile, grazie mille. ^^ Al è un
Serpeverde, come ho
detto il Cappello SA. Sa come verranno fuori pigolanti adolescenti. A
ben
pensarci, anche Neville non doveva sembrare un gran grifondoro, ma
poi… il
Cappello SA. XD
@Trixina:
Assolutamente nessun problema! Non è
una cosa a scadenza, anche se certo, ormai con voi commentatori
assidui ho quasi un appuntamento :P Non sai quanto vi adoro. Coomunque.
Sì, ci
godo da morire a farvi imprecare davanti allo schermo. Mai detto che
sono una
sadica? XD Comunque grazie per i complimenti al Trio. Sì,
alcune frasi di Tommy
sono un chiaro rimando alla Row. Del resto, è grazie a lei
che questa storia
esiste! XD
@MikyVale: Sono i miei
preferiti perché io me li
immagino come degli Evans, non come dei Potter. ;P Infatti vedrai che
ti
combino. XD
@Ombra: Grazie!
Essì, l’adolescenza è davvero
una brutta bestia.
@Altovoltaggio: Ero
così rincoglionita da una serata
tra metal e disco (Strana accoppiata lo so) che ho finito per sballare
giorno e
aggiornare prima T_T si può essere più dementi?
XD Il rapporto tra Al e Thomas
in qualche modo è
malsano, ora come
ora. Tom ha bisogno di Albus per non precipitare nella china di
rimorsi, sensi
di colpa, follia e paura in cui sta comunque scivolando, e Al lo ama
troppo per
lasciarlo andare. Le cose non miglioreranno in tempi brevi, ma
miglioreranno. Questa
è una promessa. ;)
@Lally88: Ciao e
benvenuta! Grazie mille per i
complimenti, mi fa piacerissimo che tu apprezzi questa bagatella senza
pretese.
Mentirei se dicessi che non ci ho studiato parecchio, ma fa sempre
piacere
vedere che un personaggio originale, tuo, viene apprezzato anche in un
fandom,
purtroppo ahimè hai ragione, abusato. Spero continuerai a
seguirmi! ^^ A
presto!
@Pnin: Accidenti, i
tuoi commenti vanno
dritti al punto eh? Ma anche se mi pungolano un po’, mi danno
dà riflettere e
di questo ti ringrazio. Questi capitoli saranno un po’ di
stasi, la famosa
‘quiete prima della tempesta’. Se ci fosse sempre
tensione, mistero e
quant’altro sarebbe un po’ forzato,
perché dopotutto anche nei romanzi della
Row ci sono momenti di calma piatta. Ed io, lo ammetto, mi diverto a
descriverli infilandoci un po’ di roba sentimentale. In
effetti, c’è anche la
dicitura ‘romantico’ assieme a
‘mistero’ e ‘azione’ ;D Per
quanto riguarda
Jamie… c’ho riflettuto, e un po’ hai
ragione. L’ho ammorbidito, ma solo perché
beh, il ragazzo che ama ha rischiato di morire. Ucciso. In un certo
senso
questo ha portato a più miti consigli James, anche se
tranquilla, niente casti
baci sotto la pioggia, non voglio mica snaturare un personaggio che mi
diverto
troppo a scrivere come scemo e impulsivo! XD Spero non abbandonerai
questa
storia, ma se lo farai, beh, grazie comunque per avermi seguito fin
qui! ^^
****
Capitolo XXXII
You feel like you're
going where you've been before
You'll
tell anyone who will listen but you feel ignored
Nothing's
really making any sense at all
Let's
talk…
(Talk,
Coldplay)
1
Novembre
2022. Nove del mattino.
Hogwarts, Sala
Grande.
Quella
mattina Rose scese a colazione con la sinistra impressione che tutti la
stessero fissando.
Si
lisciò con
noncuranza l’orlo della gonna, quasi scarnificandosi una
gamba quando le unghie
si impigliarono nelle calze, ma fece finta di nulla, afferrò
più stretta la
propria borsa uscendo dal ritratto della Signora Grassa.
Era solo
un’impressione. Sicuramente.
Ma come
non
ricordare che la sera prima aveva volteggiato
tra le braccia dello Scapolo D’Oro di Hogwarts?
Che non
è più scapolo. Cioè, sì.
Non
siamo sposati. Però. È il mio ragazzo. Stronze.
Poi, come se
fosse questa la notizia
del giorno…
Aveva
atteso
tutta la notte notizie su Teddy. Verso le tre, la Caposcuola
l’aveva trovata
addormentata su una poltrona accanto al fuoco. L’aveva
svegliata e l’aveva
informata di tutto, prima di spedirla su nei dormitori.
Entro in
Sala
Grande: tolti gli incantesimi della sera prima era tornata al suo
aspetto
originario dal lavoro indefesso di decine di elfi. Si guardò
attorno, cercando
visi amici.
Ma i guai non
vengono mai da soli…
Il
gruppetto
della Haggins era seduto in formazione accanto alla ragazza, accomodata
in un
tavolo vicino all’entrata. Vide Lily, seduta ad un tavolo con
Hugo. La
ragazzina le fece cenno veloce di unirsi a loro.
Non fu
abbastanza svelta. Fu intercettata dalla Haggins dopo due soli passi.
“Weasley.”
Iniziò con un orribile sorriso cordiale. Aveva delle gengive
veramente enormi. “Ieri
sera non ti
abbiamo visto alla festa.”
“Sì… ehm.” Esordì,
molto acutamente. Lanciò uno sguardo disperato verso Lily,
che scosse la testa con rassegnazione, lasciandola in balia degli
eventi.
Grazie Lily. Argh.
“Infatti
non…
non c’ero. Sono rimasta in dormitorio.”
Annuì, sentendosi sempre più umiliata,
mentre il sorriso di Clara si faceva trionfante. “Dovevo
studiare.”
“Ma studi sempre, Rose! Ieri sera è stata una
festa meravigliosa!”
Una delle
ragazze, Fiona Finnigan, le lanciò un’occhiata
poco convinta. “Non eri alla
festa, Rose?” Chiese infatti. Clara la fulminò con
lo sguardo.
“Fifì,
l’ha
appena detto. Non era alla
festa.”
Sì che
c’ero, grossa vacca. E stavo
ballando con il mio
ragazzo. Non il tuo. Il mio.
Non lo
disse,
limitandosi a cercare di svicolare. Clara le sbarrò di nuovo
il passo.
La
situazione
stava diventando ridicola.
“Clara,
vorrei andare a mangiare.” Borbottò, lanciandole
un’occhiataccia. Non ebbe
effetto. Non l’aveva mai. “Se
c’è qualcosa che vuoi dirmi…”
“Eri al ballo con Cory, ieri sera?”
Rose batté le palpebre. “Chi?” Prima di
accorpare il nome.
“Che
soprannome idiota.” Disse, senza riflettere. Clara divenne
leggermente colorata
sulle guance. Considerando tutto il trucco che si applicava la mattina
doveva
essere paonazza.
“Ci
sei
andata con lui?”
Ripeté. “Perché se
ci sei andata, sappi che per lui sei solo…”
“Rosie.”
Esclamò Al, prendendola
sottobraccio, con disinvoltura, mentre spuntava dal nulla,
provvidenziale come
un angelo. “Oh, salve Clarabella!” Sorrise gentile,
facendola sgonfiare come un
palloncino. “Andiamo a tavola?” Si rivolse
nuovamente a Rose, che l’avrebbe
sposato, se non fossero stati consanguinei e interessati allo stesso
sesso.
Sorpassarono
il gruppetto mentre gli stringeva il braccio, stritolandoglielo. Al non
fece
una piega, portandola al tavolo Potter-Weasley.
Doveva
ammetterlo. In quel periodo Al sembrava… più
maturo. Non che fosse alzato di
dieci centimetri o avesse sviluppato dei pettorali virili, era sempre
il solito
ragazzo magrolino e con lo sguardo di un bimbo, ma c’era
qualcosa nel suo
atteggiamento che era più saldo, sicuro. Le penne
continuavano ad esplodergli
in mano e riempirlo di inchiostro, ma sembrava avere una sorta di
sicurezza
gentile che prima non aveva.
A differenza di
Thomas. Uno comincia a
perdere la brocca, l’altro diventa più affidabile.
Le cose sono
connesse?
Lily si
scostò dalla
panca, per farli sedere. “Devi imparare a rispondere a tono a
quelle oche,
Rosie. Ne va della tua dignità.”
Proferì quieta.
“Non
ci
riesco.” Ringhiò di rimando, sentendosi gli occhi
pizzicare. “Penso solo alla
voglia che ho di ficcargli la bacchetta in un occhio e a come
trattenermi per
non farlo.”
Al la liberò della borsa, sedendosi accanto a lei.
“Non ne vale la pena. Sono
solo invidiose.”
“Già, ma hanno capito che sono andata al Ballo con
Scorpius.” Prese un muffin,
addentandolo. Si ricordò troppo tardi che Lily non sapeva, e
neanche Hugo, che
cominciò a sputacchiare latte e cereali tutto attorno. Al le
lanciò uno sguardo
rassegnato.
Merda.
Lily fece
un’inquietante sogghigno, ma si limitò a mescolare
il miele nel suo the.
“Oh
Santa
Nimue! Papà ti ucciderà! No, ucciderà
lui e poi…” Iniziò Hugo frettoloso. Ci
pensò. “Oh cacchio. Sei stata disonorata.”
A quel
punto
Lily cominciò a ridere come una matta.
“Hugo, falla finita!” Sbottò,
arrossendo. “Sono solo andata con lui al Ballo,
non gli ho promesso la mia mano o cose del genere!”
Brontolò, mentre Al le
versava del caffè, aggiungendo due dita di panna.
Sentì
di
amarlo con la forza di mille armate.
“Hugo,
ballare
con qualcuno non significa legarsi a lui per la vita con un incanto fidelio.” Le diede
manforte. “Scorpius
è, certo, un Malfoy…” Lo precedette,
dato che stava formando la parola con le
labbra. “… ma penso che sia piuttosto in gamba.
Non assomiglia a suo
padre. Noi siamo
amici di Malfoy.”
Hugo
boccheggiò. Aggrottò le sopracciglia.
“Siamo amici di Malfoy?”
“Sì.”
Confermò Al. “Proprio così.”
Hugo
sembrò
riflettere sull’eventualità. Molto lentamente.
Tendenzialmente era un ragazzino
semplice, e aveva sempre subito l’influenza di Albus e James,
praticamente fratelli
maggiori.
Senza
contare
che era ufficialmente il paggio di Lily.
Emise un
lungo sospiro. “Ricevuto. Non dirò un cavolo a
papà. Ma se lo scopre succederà
un casino.”
Rose non
disse nulla, già ampiamente consapevole della situazione.
Tutto quel parlare di
Scorpius la infastidiva. E poi era altro
che voleva sapere.
Dov’è?
Dov’è Jamie? Stanno bene?
“Avete
visto
Jamie stamattina?”
“Oggi
hanno
dato giornata libera sia lui che a Malfoy.” Spiegò
Lily. “Non sai di ieri sera?”
“Ero con loro, quindi sì. Teddy come
sta?” Si informò. Neanche lui era al
tavolo degli insegnanti.
“Dovrebbero
averlo già dimesso. Aveva solo un’intossicazione
da fumo.” Spiegò Al, prendendo
un’aria assorta. Nessuno gli chiese di Thomas. Ma ormai era
la norma, pensò
Rose. Tom non faceva più colazione con loro, o non la faceva
direttamente.
Devo dirgli del
ragazzo biondo con cui
io e Scorpius l’abbiamo visto parlare alla
Stamberga…
Inspirò.
L’avrebbe
fatto, ma non davanti ai loro fratelli.
“Se
non
altro, la notizia dell’incendio, per quanto sia stata
orribile, ha distolto
tutta l’attenzione dai fatti della festa.”
Osservò Lily con leggerezza. “Perché
onestamente, Rosie, sareste stati sulla bocca di tutti. Persino un
imbecille
avrebbe capito che eri tu dietro la maschera.”
“Infatti la Haggins non mi è mai sembrata
particolarmente brillante.” Replicò
infastidita. “Non capisco davvero cosa ci sia da stupirsi
tanto. Sono una
ragazza. Lui è un ragazzo. Sono passati vent’anni
dalla guerra e dai reciprochi
contrasti familiari.”
Lily la guardò con tragica consapevolezza. “Rosie,
non per rovinarti la
giornata, ma ti ricordo che nonno Arthur chiama i Malfoy sporchi
maghi oscuri. Zio Ron odia il signor Malfoy
e…”
“Lils…” La fermò Al,
posandole una mano sul braccio. “Lo sa.” Disse
soltanto.
Fece un cenno verso Rose, che sembrava ad un passo dalle lacrime.
E
c’era
davvero. La sola idea di dare un dolore al nonno, e di sentire suo
padre darle
della donna scarlatta
l’atterriva.
Lily ne
fu
turbata. “Scusa Rosie… A me non importa! Non
importa neanche a Hughie. Siamo
amici di Malfoy.” Concluse, dando di gomito al ragazzino, che
annuì,
terrorizzato dall’eventualità che la sorella si
mettesse a piangere davanti a
lui.
“Solidarietà
Potter-Weasley sempre!” Assicurò. “Dai
sorellina, Malfoy è…”
Rifletté disperatamente.
“Ehm. Un buon portiere?”
Rose ridacchiò, deglutendo il groppo di lacrime e
preoccupazioni. Era facile
non pensare ai mille problemi che lei e Scorpius avrebbero affrontato
con le
rispettive famiglie, quando era con lui. Aveva il potere di far
sembrare tutto
semplice, come una bella commedia degli equivoci. Ma da sola si rendeva
conto
di quanto sarebbe stato difficile stare assieme fuori dalle mura
protettive di
Hogwarts.
Già
qui dentro è un bel problema…
Più
si
affezionava a quel bislacco biondino, più capiva quanto
sarebbe stata dura.
Chi dice che le
cotte adolescenziali
sono libere da problemi dovrà scontare la mia furia.
Lily
raccolse
le sue cose, mettendole ordinatamente nella sua borsa, che
passò con
naturalezza ad Hugo, che accettò la routine con una smorfia
rassegnata. “Allora
suppongo che in quanto amico di
famiglia…” Iniziò la ragazzina.
“… verrà alla festa di
Cedric?”
Rose corrugò le sopracciglia. Certo, la festa dei tre anni
del figlio di
Neville e Hannah. Sarebbe stata quella domenica. L’aveva
dimenticata. Guardò
Albus, che fece un mezzo sorriso meditabondo.
“Beh,
non
dovrebbero esserci i nostri genitori. Sarà una cena tra noi
ragazzi, Nev,
Hannah e Teddy… Non si dovrebbe correre rischi.”
“E lui è il tuo ragazzo. Sarebbe la prima festa di
famiglia a cui lo
porteresti.” Incalzò Lily. “Anche se lo
presenteremo come amico comune.”
“Non è proprio famiglia.” Corresse Rose,
imbarazzata. Ma Neville era il padrino
di metà di loro e in ogni caso, poteva essere uno pseudo
banco di prova. “… ma
glielo chiederò.”
Questa relazione
dovrà uscire da
Hogwarts, prima o poi. E da qualche parte si dovrà pur
iniziare.
****
Aula di Difesa
Contro le Arti Oscure. Pomeriggio.
“Molto
bene
ragazzi. Mi raccomando, ricordatevi i trenta centimetri sulle chimere
per venerdì.
Buona giornata a tutti.”
Ted Remus Lupin sapeva esattamente come tenere una classe. Se lo disse
un po’
compiaciuto, salutando gli studenti che sciamavano ordinati fuori dalla
sua
classe.
Fare il
professore gli usciva naturale. Non si riteneva dotato di particolare
carisma,
semplicemente, adorava Difesa Contro le Arti Oscure e sapeva come
interessare un
uditorio di studenti. La materia aiutava. I lunghi pomeriggi passati a
far
ripassare James, Al e poi Lily, anche.
Riordinò
la
cattedra, notando con una fitta al cuore come mancassero i libri del
padre,
pieni delle sue annotazioni. Fece
un lieve
sospiro.
“Teddy,
allora era vero. Dovresti riposare!” Neville era sulla porta
della classe, e lo
guardava con un sorriso gentilmente esasperato.
“Nev…”
Fece
un cenno. “Tra due settimane i ragazzi del Settimo hanno una
verifica e non
potevo lasciarli in balia di loro stessi.” Sorrise,
scrollando le spalle.
“Comunque sto bene.”
“Ciò
non
toglie che ieri sera hai rischiato la vita. Avresti bisogno di
riposo.”
“Non avrei molto da leggere.” Si
schernì.
Neville fece un sorriso empatico, posandogli una mano sulla spalla.
“Serve una
mano a riordinare?”
Teddy
esitò.
Aveva fatto lui stesso richiesta, la sera prima, ancora in balia
dell’adrenalina, di non lasciare che gli elfi pulissero
tutto. Una parte del
suo cervello non aveva realizzato che probabilmente non c’era
nulla che gli
elfi avrebbe rischiato di buttare.
Non era
ancora riuscito a salire la scala di pietra.
“Non
mi
dispiacerebbe.” Ammise.
Quando
aprì
la porta del proprio ufficio si sentì attorcigliare le
viscere.
Non si
era
salvato niente. La scrivania di mogano era completamente carbonizzata,
e così
gli scaffali, le scansie. Il tappeto era annerito e zuppo
d’acqua e mandava un
odore terribile di bruciato e bagnato assieme. Fogli mangiati dal
fuoco,
pergamene di cui era rimasto solo il rotolo d’osso giacevano
sparsi ovunque.
Mi dispiace
papà. Mi dispiace.
“Ehi…
tutto a
posto?” Sussurrò Neville, sempre tenendogli una
mano sulla spalla.
Ted vide con la coda dell’occhio i suoi capelli color viola
spento.
“Sì.”
Mormorò. “Sì, è tutto a
posto.” Si scostò gentilmente, chinandosi a
prendere
quello che restava di un compendio sulle creature oscure della Scozia.
Basta
così. Basta.
Chiuse
gli
occhi e quando li riaprì i suoi capelli erano di nuovo del
colore che dovevano
essere, e lui era positivamente infuriato. Il grimorio non era da
nessuna
parte, sposando la tesi secondo cui il suo aggressore fosse venuto
lì per
quello.
La pagherai.
Chiunque tu sia. La
pagherai.
“A
quanto
pare non mi resta che chiamare gli elfi. Ti va una tazza di
the?” Chiese,
stupendosi del tono controllato che gli uscì.
Neville
capì,
e sorrise. “Certo, volentieri. Ne avevo giusto
voglia.”
Salirono
negli appartamenti del ragazzo. C’era puzza di fumo, ma il
fuoco fortunatamente
non si era propagato, limitandosi a lambire la porta di ingresso.
Mentre
metteva il bollitore sul fuoco, Ted ne approfittò per
scrivere un Gufo veloce
al padrino, mentre Neville era occupato a vezzeggiare la sua piantina
da
appartamento.
Harry era
tornato da lui, dopo che aveva parlato con Thomas e gli aveva
raccomandato di
non fare parola a nessuno delle loro supposizioni.
Non
avrebbe
parlato di quello con Neville. C’erano tanti argomenti tra
cui scegliere,
dopotutto.
Si
sedettero,
sorseggiando the bollente.
“Jamie
è
stato davvero un eroe.” Osservò Neville.
“Harry era raggiante.”
“Lo
è stato
davvero. Sarà un ottimo auror.” Sorrise Ted,
dietro la sua tazza. In quel
momento le chiacchiere roboanti di James avrebbero aiutato,
pensò.
Ed era
sbagliato. Ma dopo aver rischiato la vita, si sentiva un po’
meno pronto a
giudicarsi.
“Non
lo metto
in dubbio!” Rispose l’uomo allegramente. Ignaro.
“Se solo non fosse a volte
così impulsivo… Ma in questo
caso…”
“In questo caso mi ha salvato la vita.” Concluse
Ted. Il the era bollente, e
lui aveva un disperato bisogno di qualcuno con cui parlare di quello. “Neville…
sai, quando ero
studente tu eri la mia figura di riferimento.”
Esordì, prendendola alla larga.
Il viso
tondo
dell’uomo si aprì in un sorriso sincero, anche se
un po’ confuso dal repentino
cambio di argomento. “Davvero? Mi fa piacere sentirlo,
Ted.”
“Io… non sono il genere di persona che si fa molti
amici.” Continuò. “Non è che
mi ritenga un misantropo. È solo che non mi apro molto con
le persone. E… penso
di essere un po’ noioso per i miei coetanei.”
Neville
ridacchiò.
“Non sei affatto noioso, Teddy. Sei solo maturo.”
“Appunto.” Quella chiacchierata aveva il tono di
una confessione, rifletté
Neville, e si aggiustò sulla sedia, attendendo.
“Vedi… io… non ho nessuno con cui
parlare. Cioè, ho la nonna e zio Harry. Sono persone
fantastiche, mi hanno
cresciuto… ma non ho qualcuno con cui parlare davvero.”
“Di
cose un
po’… personali?” Indovinò al
volo Neville. Non che fosse difficile. I capelli
di Teddy si stavano schiarendo di rosa sulle punte.
Si
tratterà di Victoire?
Ted si
limitò
ad annuire, lasciandogli uno sguardo grato. Non si era sbagliato.
Neville forse
era l’unico di cui poteva parlare del Problema
James.
Senza
citare
James, ovviamente.
“Sono
lusingato che tu abbia chiesto a me.” Esordì
l’uomo, dopo un breve silenzio.
“Avanti, dimmi tutto.”
“Nev…
è che
non so come iniziare.” Ammise, sentendosi piuttosto stupido.
“Voglio dire… ho
un problema. Non grave. Non di salute o… altro. È
un problema che riguarda… la
mia sfera emotiva.” Si rifugiò dietro il proprio
ampio vocabolario, perché
davvero, non sapeva dove andare a parare. “Sai…
non sono mai stato molto bravo
con le ragazze.”
“Siamo in due.” Scherzò Neville.
“Ragazze, un mondo alieno. Prima di Hannah
credevo non sarei mai riuscito a parlare con una che non fossero
Hermione o
Ginny.”
“Già… Vedi.” Almeno
tu non avevi
minorenni che ti molestavano. “Per anni sono stato
innamorato di Vic. Poi
mi sono messo con Vic. Non ho ricordi di altre ragazze che mi siano
piaciute, a
parte… Vic.”
Neville lo guardò comprensivo. “Sei ancora
innamorato di lei, non è vero?”
A Teddy crollò discretamente il mondo addosso.
“No… Nev. Tra me e lei… ehm,
è
finita. Completamente. Davvero. Le voglio bene, ma…
più o meno come ne vorrei
ad una sorella.”
Una sorella che
non mi parlerà mai
più.
“Oh.”
Corrugò le
sopracciglia. “C’è
qualcun’altra allora?”
A Teddy
venne
voglia di sprofondare il viso tra le mani. Non lo fece, per pura forza
di
volontà.
È
ovvio che non capisca. Non capisci
neanche tu!
“Non
proprio.
Io… mi sono chiesto.” Prese una lunga boccata
d’aria. “Sei mai stato attratto
da… persone del tuo stesso sesso?” Vedendo
l’espressione sbigottita dell’altro
si affrettò a spiegare. “In via del tutto
ipotetica, considerando che insomma…
non ci sono mai state molte donne ad attirare la tua attenzione, non
hai mai
pensato che magari non fossero le donne. Ad attrarti?”
Concluse, sentendosi il
fiatone.
“No.”
Stavolta a Teddy venne da piangere.
Neville
vedendo l’espressione sinceramente disperata di uno dei suoi
studenti migliori,
cercò di porre rimedio. “No,
però… vedi, alla tua età…
credo sia normale, ehm.”
Ci fu un
lungo silenzio denso di disagio.
“Ted,
sei
gay?”
“Oh, Merlino.” Soffocò il ragazzo.
“No, io… oh, Dio. No, senti Nev… lascia
perdere.” Sussurrò visibilmente nel panico.
“Era solo…”
“Teddy!” Lo fermò, prima che per la foga
spaccasse la tazza che serrava tra le
mani. “Teddy, calmati.” Gli afferrò i
polsi, togliendogliela dalle mani, e
posandola sul tavolino. “Scusami. Sono stato indelicato.
Perdonami, è uno dei
difetti più grossi dei Grifondoro non avere molto dialogo
tra bocca e
cervello…” Gli sorrise.
“Okay…” Sussurrò.
“Okay, io…”
“Parliamone con calma.” Gli propose, posandogli una
mano sul braccio. “Con
calma.” Ripeté lentamente.
Povero
ragazzo… Ventiquattro anni e
scopre di non avere nessuna certezza.
Se non si ha
certezze sul tuo
orientamento… Merlino Benedetto. Su cosa diavolo le hai?
Teddy
annuì,
ispirando. “Mi dispiace, non intendevo…
cioè. Non ho idea di cosa pensare. È
solo che… sono successe delle cose per cui ho…
pensato, che forse…”
“Potresti essere interessato agli uomini?”
Ted
esitò,
senza confermare né negare. Confermare… non ne
era certo. Ma negare…
La sua
infanzia era stata piuttosto solitaria. Lui e sua nonna erano vissuti
in
Cornovaglia, in un grazioso cottage immerso nel nulla. Andromeda ci si
era
trasferita poco dopo la guerra, con lui neonato.
Non era
stata
una nonna egoista. Aveva capito da subito il suo bisogno di amichetti e
gli
aveva fatto frequentare così Villa Conchiglia. Quindi solo Victoire.
James e
gli
altri bambini erano venuti dopo, e comunque prima di poter essere in
qualche
modo umanamente interessanti erano
dovuti passare anni.
Questo
significava che i primi coetanei li aveva conosciuti alla bellezza di
undici
anni. E si era trovato completamente impreparato.
Tutto il
suo
sviluppo emotivo era stato così ritardato di parecchi anni.
Fino a sedici anni
era stato praticamente asessuato, perso tra libri, tazze di the e
risultati
scolastici.
A
diciassette
anni aveva realizzato di essere innamorato di Victoire, quando un suo
compagno
di stanza gli aveva fatto notare che le stava sempre trai piedi. A
diciannove aveva
preso coraggio e l’aveva baciata. A venti aveva avuto la sua
prima volta. A
ventiquattro si erano lasciati.
E poi
c’era
James.
Non
poteva negare
che il suo corpo avesse reagito più di una volta agli
stimoli che il ragazzo
gli aveva letteralmente scaricato
addosso. Poteva ignorarlo a livello cosciente, ma dentro di
sé sapeva.
Era
successo
dopo il bacio, come un’epifania. Da allora, come Jamie gli
era vicino, il suo
corpo vibrava come una corda tesa
in
mezzo ad una raffica di vento.
Sospirò.
“Credo
che Vic sia stata l’unica ragazza ad interessarmi. Pensavo
che fosse molto
romantico. Ma adesso… penso che sia semplicemente
perché era l’unica ragazza
che conoscevo. Non dico che non l’ho amata. L’ho
fatto, ma…”
“Non
sei
sicuro di amare tutte le
donne.”
Concluse Neville. Ted fu contento di aver chiesto a lui. Sembrava aver
il raro
dono di capire al volo cosa intendeva dire. Non era certo che con Harry
sarebbe
stato così semplice; probabilmente ci sarebbero state lunghe
pause imbarazzate
e molti ‘ehm’.
“Pensavo
che
avrei finito per sposarmi con Vic … ma poi mi sono accorto
che non provavo più
le stesse cose che provavo… all’inizio.”
“Capita in un rapporto, Teddy, ma non per questo si
è gay.”
“Lo so.” Borbottò. “Ma adesso
Vic non c’è più. Ed io non sento il
bisogno di
trovarmi un’altra ragazza. Di frequentarla…
sposarla, averci una famiglia.”
Neville si sfregò una tempia con le dita, pensieroso.
“Devi darti tempo per
questo, Teddy. Tu e Victoire siete stati assieme sei anni, e poi, sei
ancora
giovane.”
“Non è questo.” Replicò Ted,
con una smorfia. “A volte, non vedevo Vic, ma
vedevo solo quello che lei avrebbe potuto darmi. Una famiglia. Era
orribile. Ho
dovuto lasciarla… Non era giusto.”
“Teddy…”
“No, lasciami finire…”
Inspirò. Ora che aveva cominciato a parlare, non
riusciva a smettere. Era come se, ordinando i pensieri, questi
fluissero
spontaneamente, trovando una loro collocazione.
Adesso capisco
perché i babbani
spendono tutti quei soldi con gli psicologi.
“Sono
arrivato qui e sono successe delle cose per cui tutto quello in cui
credevo è
stato letteralmente rivoluzionato. Anche prima di arrivare qui,
ma… soprattutto venendo
qui.” Si passò una
mano trai capelli. “E ho cominciato a farmi delle domande.
E… sono arrivato a
questo punto.”
Neville annuì. “Un punto complicato.”
Osservò con un mezzo sorriso.
Ted
ridacchiò. “Merlino, sì… E
non so proprio come uscirne.”
Non posso sotterrare il problema. Potrei
farlo se non ci fosse di mezzo James.
Ma James
sarà sempre di mezzo. James è
parte della mia vita. A lui devo rendere conto.
E a dirla tutta,
devo rendere conto
anche a me stesso.
Neville
tamburellò le dita sul bordo della tazza. “Non so
come aiutarti.” Confessò
apertamente. “Davvero Teddy, vorrei, ma credo che qualsiasi
cosa ti dica non
sarà comunque supportata da nessuna esperienza. Posso dirti
ben poco delle
donne…” Fece un sorrisetto un po’
impacciato. “Ma sugli uomini? Ancora meno.”
Fantastico…
Neville
era
stato sincero, e di quello gli era grato. Non avrebbe accettato
consigli di
circostanza.
Ma non ho
comunque concluso niente…
“Va
bene Nev,
non fa niente. Anche solo parlare con te mi ha fatto stare
meglio.” Sorrise
appena.
“Però…”
Lo
interruppe l’uomo. Sembrò incerto se continuare o
meno, alla fine però optò per
un sì. “Però conosco delle
persone.”
“Merlino, Nev, no! Non ho bisogno di gruppi di sostegno! Non
sono un alcolista
o dipendente da pozioni…”
Neville
ridacchiò. “Morgana, Teddy!” Lo prese un
po’ in giro, imitando il suo tono
indignato. “Ma per chi mi hai preso?”
Sembrò davvero divertito dalla cosa. Poi
tornò serio. “Uno dei migliori amici di mia moglie
è gay. Ernie MacMillan, te
ne ho mai parlato?”
“Credo che… giochi a…
Quidditch?” Mormorò confuso Teddy. Di Quidditch
non ne
capiva granché, tralasciando le poche informazioni che James
gli aveva pestato
nella zucca fin dalla sua infanzia.
Neville
annuì. “Esatto. Ora allena i Montrose Magpies.
È una brava persona e un tassorosso,
come te.”
“…
Stai
cercando di organizzarmi un appuntamento?”
Sussurrò terrificato.
Neville
batté
le palpebre. Poi fece una mezza risatina. “No, no…
Ernie ha già un compagno. E
poi, sinceramente credo sia un po’ troppo vecchio per
te.” Sorrise.
La differenza
d’età per me non è un
problema, pare… -
Pensò Teddy sconfortato. “Allora?”
“Allora penso che parlare con lui, potrebbe esserti
utile… per fugare i tuoi
dubbi, intendo. Che ne pensi?”
Ci rifletté. In ogni caso, non aveva molte
possibilità di avere delle risposte,
non ad Hogwarts, non in quel periodo, quindi non in tempi brevi.
Annuì. “Va
bene. Mi… mi farebbe piacere parlargli.”
“Organizzerò la cosa.” Neville gli fece
un sorriso incoraggiante. “Coraggio.
Tieni duro.”
Teddy evitò di fargli notare che non era questione di vita o
di morte, ma solo
una risposta sui suoi dubbi sessuali. Era tipico dei grifondoro
trasformare
tutto in una battaglia epica, contro gli altri o contro sé
stessi. Teddy, da
bravo tassorosso, sarebbe vissuto anche nell’ignoranza.
Ma
c’è di mezzo un certo grifondoro.
Per capire come
posso comportarmi con
Jamie, devo capire prima di tutto cosa provo io.
****
Torre Grifondoro,
Pomeriggio.
“Sai,
la
vostra Sala Comune è sempre così…
caotica.” Stimò Albus guardandosi
curiosamente attorno, mentre saltava una pila di cuscini sistemata a
terra
vicino ad una confezione vuota di piume di zucchero.
“E
la vostra
invece? Mette i brividi.” Replicò Rose con un
sorrisetto, prendendo i cuscini e
buttandoli sul divano, in quanto suo dovere di Prefetto.
Al
sorrise.
“Si tratta di design raffinato… Non mi aspetto che
una grifondoro capisca.”
“Intendi i teschi come decorazione?”
“Fratello, ricordati che devi morire.¹”
Ironizzò Al: a dire il vero da bambino la prima impressione
che aveva avuto della
sua Sala era stata di orrore. Per poco non si era messo a piangere
quando il Prefetto
di allora, nientemeno che Montague, li aveva scortati dentro. Tom per
evitare
uno scoppio di lacrime in diretta l’aveva tranquillizzato
dicendogli che i
teschi erano lì come protezione dai mostri.
Funziona
apotropaica. Solo Tom poteva
già sapere una cosa del genere a undici anni…
“Cosa
stiamo
cercando precisamente?” Interloquì, salendo le
scale del dormitorio maschile.
“Scorpius.” Tagliò corto Rose,
mordendosi un labbro. “È tutto il giorno che non
lo vedo. Non c’era a pranzo.”
“Lui e Jamie saranno andati ad Hogsmeade con il Mantello,
c’è da scommetterci.”
“Dubito… credo che Jam aspetterà ancora
un po’ prima di introdurlo ai segreti
della famiglia Potter.” Sbuffò Rose, con aria
divertita. “Però è vero che sono
diventati amici.”
“Te
l’avevo
detto, io, che erano identici. Si sono odiati, e ora si
adorano.” Ridacchiò. “Ma
James, ora che mi ci fai pensare, a pranzo è venuto. Era con
i gemelli e
Jordan.”
“Appunto.”
Al
seguì Rose
lungo le ripide scale a chiocciola della torre. Il paesaggio, da
quell’altezza,
era stupendo.
Mi sono sempre
chiesto come sarebbe
stato essere a Grifondoro… Respirare un po’ di
aria pura e non odore di cripta,
una volta tanto.
Ci
riflettè
anche quella volta. Sorrise.
No. Il mio cuore
è quello di un bieco
serpeverde. E poi questo posto sembra una voliera.
Rose si
fermò
davanti alla porta dei ragazzi del Sesto. Bussò un paio di
volte. Tre. Quattro.
Nessun segno di vita.
“Forse
non
c’è. Sarà andato a farsi una
passeggiata?” Suggerì Albus.
La
ragazza
scosse la testa: c’era qualcosa che non le tornava. Scorpius
non era tipo da
scomparire per i fatti suoi, non con una ragazza e con un giorno libero
per
tormentarla a
disposizione.
Avrebbe dovuto
sbucare dai corridoi o dalle
armature come un idiota, sostenendo che si annoiava. Lo faceva quando
ancora
non stavamo assieme. Perché non ora?
“Beh,
comunque non vuole aprire. Che facciamo?”
“Ti va una partita a scacchi?” Propose Rose, vinta.
Al
sorrise. “Volentieri!
Ma ti ricordo che sono secondo a Thomas, nel torneo familiare. Tu,
terza.”
“Oh, smettila con questa rivalità,
serpe!” Ridacchiò. Poi esitò.
“Senti…a
proposito di Tom…”
Al inarcò le sopracciglia. Ma lo sguardo si era fatto un
po’ troppo attento per
essere semplicemente curioso come voleva far credere.
“Sì?”
“Io e Scorpius eravamo ad Hogsmeade sabato… e
l’abbiamo visto parlare con
qualcuno. Alla Stamberga. Con un ragazzo biondo. Litigavano,
più che altro.”
“…
Sai chi
era?” Lo sguardo di Al non era mutato. Ma Rose ebbe comunque
l’impressione che
avrebbe fatto meglio a stare zitta.
“No,
io… non
lo so. Sembrava uno studente, ma non l’ho mai visto a scuola.
Stavano litigando
e poi… Tom se n’è andato, e quel tipo
si è smaterializzato.”
Al non disse nulla. Solo, fece una lieve smorfia. “Ho capito.
Grazie per
l’informazione.”
“Non
credo
avessero un appuntamento o roba del genere…” Si
affrettò ad assicurargli.
“Insomma, non sembravano in buoni termini, ecco.”
Al scosse la testa. Fece uno strano sorriso rassegnato. “Lo
so che non era un
appuntamento, Rosie…”
La
ragazza
fece per aprire bocca, ma…
“Ehi,
che ci
fa qui questo stronzo di Serpeverde?” Esclamò una
voce alle loro spalle, fin
troppo nota ad entrambi.
Al
sospirò,
voltandosi. “Ciao Jam.” Aveva recuperato subito la
sua aria di pacifica
esasperazione.
Rose
sospirò.
Al sarebbe stato
un grifondoro
orribile. Sa fingere troppo bene.
“Tradimento!”
Sbottò James.
“Prefetto Weasley, come hai potuto introdurre il nemico nel
nostro Quartier
Generale?” Era stato fuori, a giudicare dal giubbotto e la
sciarpa rosso oro
annodata al collo. Stranamente una delle maniche del giubbotto non era
infilata, ma lasciata penzolare sulla spalla.
Al e Rose
sapevano bene come niente fosse
lasciato al caso con James Sirius Potter.
“Che
hai
fatto al braccio?” Chiese guardinga la ragazza.
“Mi
sono
tatuato!” Chiocciò querulo, soddisfattissimo.
“Cosa?!”
Al
tirò un
lungo sospiro. “Non ci posso credere. Cioè, sapevo
che sei un idiota, ma così
idiota da farti inchiostrare permanentemente il
braccio…”
“È un memento.”
Proferì James
indispettito.
Al
sentì un
malditesta diffonderglisi alla base delle tempie. “Sei un
idiota. Mamma ti
ucciderà.”
“Mamma non lo saprà prima dell’estate,
quando mi metterò in maniche corte.”
Ghignò beato. “Sono qui per farlo vedere a
Scorpius, comunque, non a voi
secchioni.” Batté la porta con sicurezza.
“Guarda
che
non c’è…” Gli fece notare Al.
Davvero, gli stava venendo il malditesta.
È un
effetto collaterale alle demenza
di mio fratello maggiore, dottore. C’è cura?
James
sbuffò.
“Sicuro che c’è. Stamattina per
Hogsmeade mi ha dato buca. Sarà in camera a
poltrire, come il piccolo nobile del cazzo che è. Malfuretto!” Sbottò,
tirando un calcio al legno della porta.
“Ti
ha dato
buca?” Chiese subito Rose, attenta. “E
perché?”
“Che ne so? Ha detto che non aveva voglia. Ehi, Rosie. Siamo
maschi. Intesi?
Non è che ci psicanalizziamo. Ci… diamo una pacca
sulla spalla².”
“Non
ho mai
sentito niente di così cretino.” Sbuffò
Rose. “Quando hai sfasciato camera tua
non mi pare vi siate presi a pacche sulle spalle.”
James si
rabbuiò appena al ricordo della strillettera che ne era
ovviamente conseguita.
“Prima di tutto, la situazione era diversa. Io ero fuori di
testa. Malfoy sta
benissimo.” Altro calcio alla porta. “In secondo
luogo… siamo ragazzi.
Non parliamo dei nostri
sentimenti.” Concluse.
Rose
guardò
verso Al, che sbirciava da una delle feritoie dello stretto corridoio
circolare. “È vero?” Le sembrava idiota,
ma in effetti l’universo dei maschi era
idiota.
“No.”
Le
assicurò, con un mezzo sorriso. “Ma certo,
dipende…”
Per esempio io e Thomas non parliamo. Né dei nostri sentimenti,
né del
resto.
“Certo
che
no. Lui e Tommy sono amici del cuore.”
Scimmiottò James.
“Va’
all’inferno, Jamie.”
Finalmente, dopo il quinto calcio, la porta si aprì. Ne
emerse uno Scorpius moderatamente
arruffato. “Potter, sai che ti amo
incondizionatamente…” Esordì,
sbadigliando.
“Ma se mi prendi a calci la porta ancora una volta potrei
ucciderti.”
“Mi sono fatto un tatuaggio!” Latrò il
Potter per tutta risposta. Svelò la spalla, che
non era bendata, ma
arrossata, dove campeggiava un leone in campo rosso e oro, stemma
palese dei
Grifondoro, con sotto una pergamena. Tutti la lessero, rassegnati.
Giuro
solennemente di non avere buone intenzioni
Al emise
una
risatina disperata, mentre Rose alzava gli occhi al cielo.
Solo lui si
poteva tatuare un motto
appartenuto a quattro goliardi dementi.
“Buon
Merlino, Potter!” Rise Scorpius, stropicciandosi un occhio.
“Cattive intenzioni
verso chi?”
James sogghignò. “Oh, è una cosa
mia… Non è favoloso?.” Chiese
sogghignando.
Scorpius fece un sorrisetto. Poi lanciò uno sguardo agli
altri due.
“Buongiorno
biscottina…
buongiorno mini-Potter.” Recitò. “A cosa
devo l’onore di questa visita?”
Al fece spallucce. “Tempo libero. E Rosie voleva sapere se
stavi bene.”
“Sto benissimo.” Confermò con un sorriso
quieto. “Davvero.”
Ma proprio per
niente… –
Pensò Rose notando i capelli
schiacciati da un lato e l’aria di chi era appena stato
tirato giù dal letto.
Ed è
pomeriggio…
“Non
ti va di
uscire a fare quattro passi?” Chiese, spostando quasi James
di peso, per
potersi mettere davanti alla porta. “Si sta bene fuori. Anche
se manca poco al
tramonto.”
Il biondo sorrise. Sembrava distratto. “Molto romantico,
Rosey-Posey, ma no…”
“Nessun problema.” Confermò con una
sicurezza che in realtà non provava, mentre
lo spingeva dentro la camera, chiudendo la porta sui due sbalorditi
fratelli
Potter.
Scorpius
inarcò le sopracciglia, una volta soli. “Sei
entrata nella camera di un
ragazzo. Molto scandaloso…”
Rose non si fece distrarre dal suo sorriso irriverente. “Stai
bene?” Insisté.
“Rosie…”
Tentennò. “Non mi va di…”
“Lo so che non ti va. Ma a me non va di darti una pacca sulla
spalla.”
“Come scusa?” La guardò confuso.
Rose
arrossì,
scrollando le spalle. “Niente. Te lo sto chiedendo sul serio.
Ieri sera hai
domato un incendio, salvando il professor Lupin. Non sono cose che si
fanno
tutti i giorni…”
“Non ho salvato proprio nessuno.”
Ribatté, mentre il sorriso faceva posto ad
una smorfia. Si buttò a sedere sul letto, passandosi le dita
trai capelli
schiacciati. “È stato James. Ha cominciato a
premergli le mani sul petto e
soffiargli in bocca. Una cosa strana, ma…”
Rose gli si sedette accanto. “Ha usato la BSL? Non credevo se
la ricordasse… ce
l’hanno insegnata in piscina almeno dieci anni fa.”
“Non
so che
roba fosse, ma ha funzionato. Lupin ha ripreso a respirare.
Sembrava…” Deglutì,
fissando un punto impreciso della stanza. “Sembrava
morto.”
Rose,
dopo
una breve esitazione gli prese una mano tra le sue, lisciandogli il
palmo, con
attenzione. Quando era bambina vedeva sempre sua madre farlo con suo
padre. Di
solito funzionava. Scorpius
non si
ribellò, ma rimase rigido. Aveva le mani fredde.
“Me ne stavo lì, a fissarli
come un idiota, mentre Potter gli salvava la vita.” Si
scollò dal palato. “Non
ho fatto niente.”
“Che avresti potuto fare?” Lo guardò
sorpresa. “Voglio dire…”
“Potter qualcosa ha fatto.” Sibilò trai
denti. “Si è ricordato una cazzo di
manovra babbana, ma se ci fossi stato solo io… Lupin sarebbe
morto.”
“Scorpius…
Non siamo medimaghi, non siamo auror!” Obbiettò,
cercando di suonare
ragionevole. “In una situazione di crisi non sappiamo come
comportarci, nessuno
ce l’ha insegnato.”
“Potter però…”
“Jamie è un cretino i tre quarti del tempo, ma sa
mantenere il sangue freddo.
Senti…” Gli accarezzò una spalla,
contratta. “Quando eravamo piccoli Hugo cadde
da un albero e si spaccò letteralmente la testa. Tutti
cominciammo a piangere e
urlare. James invece cominciò a sbraitare di non toccarlo,
ordinò ad Al di fare
in modo che nessuno si avvicinasse e corse come un pazzo verso
casa.”
“Affascinante…” Scollò dal
palato il ragazzo. “Diventerà un ottimo
auror.”
“Già, e si beccherà milioni di sanzioni
disciplinari. Scorpius… non potevi
comportarti altrimenti.”
“Vero.” Il ragazzo la scostò
delicatamente. “Io sono il genere di persona che
quando qualcuno le sta morendo davanti spera che sia tutto un brutto
sogno.”
Rose
inspirò.
Suo
nonno… Oh, Merlino. Ha assistito
alla morte di suo nonno. E ieri sera Ted…
Deve essere stato
come un flashback
orribile.
Scorpius
non
parlava di ciò che gli faceva paura. Era sempre allegro,
spigliato, ma c’era
qualcosa, a volte, che gli scorreva sotto pelle, come
un’inquietudine
sotterranea, e in quel momento era uscita fuori completamente.
Scorpius
aveva gli occhi di un bambino spaventato. E Rose si maledì
per non essere
venuta a cercarlo prima. Perché era il suo ragazzo. Non
avrebbe più permesso a
nessuno, né licantropi né amici scavezzacollo, di
fargli del male.
“Scorpius…”
Gli
strinse forte la mano. “Eri solo un bambino.”
Scorpius la guardò; per un attimo sembrò indeciso
se liberare la mano, Rose la
sentì contrarsi tra le sue. Poi decise di fidarsi.
“Avrei potuto gridare.” Sussurrò.
“Usare la magia innata e materializzarmi a
casa di mio padre e avvertirlo. Cose del genere i bambini le fanno.
Invece…
invece non feci niente.” Ringhiò, serrando la mano
libera sulle lenzuola, fino
a farsi sbiancare le nocche. “Rimasi a guardare. Come ieri
sera. Grifondoro…”
Fece una risata amara. “Sai, credo che qualcuno dovrebbe
riorganizzare lo
Smist…”
“Non dire stronzate!” Sbottò. Scorpius
la guardò, attonito per lo sfogo.
“Sto
dicendo stronzate,
Weasley?”
“Oh, Merlino. Sì! Tu sei
un
Grifondoro. Sei coraggioso, sei impulsivo… sei
maledettamente stupido.” Gli
afferrò l’altra mano, forzandolo a stringere la
sua. “Hai seguito Jamie in mezzo ad
un incendio. E non hai pensato
che potevi rimanere ferito. Semplicemente hai pensato… oh,
Merlino!
Quell’imbecille si farà ammazzare se qualcuno non
gli va dietro. Vero?”
Scorpius sembrava troppo sorpreso per reagire. “Beh.
Sì?”
“Bene.
Questo
è essere un Grifondoro con un cervello. Ed io sono fiera di
te. Si può sempre
imparare a salvare la vita a qualcuno. E lo imparerai. Diventerai un
essere
umano fantastico, Scorpius Malfoy.” Concluse. Si sentiva un
po’ sulle spine,
perché la stava guardando come se improvvisamente le fossero
spuntate due corna
da alce.
In effetti,
invece di incoraggiarlo
l’ho sgridato…
Poi le
sorrise. Gli fece quel sorriso assolutamente luminoso e allegro, che
probabilmente l’aveva definitivamente fatta innamorare di
lui. “Rose Weasley,
sei la mia dea.” Decretò.
“Mi
accontento di averti fatto tornare il sorriso.” Disse con
semplicità. Ed era
vero. Scorpius senza il sorriso era…
Oddio, non sto
davvero pensando come
un giorno senza sole? Che banalità.
Ma quando
le
prese il viso tra le mani, quelle mani sempre un po’ fredde,
ma tanto
dolci, e la
baciò, penso che in quel
caso quella banalità ci stava tutta.
Improvvisamente
si trovò stesa sul letto, mentre i baci moltiplicavano, e
sentiva il peso
appena accennato del ragazzo sopra di lei.
Ow. Sono sul suo letto. Questo non
è…
Le trasmissioni al suo cervello si offuscarono, mentre
Scorpius si staccava
dalle sue labbra per posargliele sul collo. Un brivido piacevole, come
il
solletico avrebbe detto, ma molto meno fastidioso le si
diramò lungo tutto il
collo.
Scorpius era indubbiamente bravo, in quel genere di cose.
“Scorpius, non è il…”
“Sei tu che ti sei chiusa in camera mia,
rosellina.” Sogghignò beato. “Non
dirmi che non ti avevo avvertito…”
Rose ci
riflettè. “L’hai fatto.”
Dovette ammettere.
Scorpius annuì, accarezzandole i fianchi e insinuando le
dita sotto il
maglioncino. “Credo che la mia relazione con il tuo
maglioncino, Rosie, sia
destinata a finire. Devo ammettere di aver sviluppato una passione
segreta per
la tua camicetta.”
Rose represse una risata, tirandogli una botta sul petto.
“Che ragazzo
crudele.”
“Il
maglioncino se ne farà una ragione.”
Obbiettò pensieroso. “Ma forse dovrei
mandargli dei fiori…”
“Che scemo…” Sbuffò,
tirandoselo contro. Si sentiva esplodere dall’imbarazzo,
perché le mani di Scorpius ormai le avevano raggiunto i
fianchi nudi. Ed era il
primo tutto.
Però…
il punto è che mi fido di lui. E
che lo adoro.
Quindi…
sì? No? Almeno qualcosina?
Scorpius
le
accarezzò i capelli con la punta delle dita.
“Rose?” Era raro che la chiamasse
per nome. “Rose, mi sa che sono davvero innamorato di te. Ti
sta bene?”
Rose
sentì l’ansia
sgonfiarsi come un palloncino. Quell’ansia stupida
che si portava dietro dal loro primo bacio. Bastava così
poco?
Oh,
sì. Dopotutto ho solo sedici anni… -
Pensò confusamente, prima di
sporgersi a baciarlo, di sua spontanea volontà, e davvero
fuori c’era un
tramonto stupendo, e Scorpius era complicato in modo irritante e
perfetto e…
“Guardate
che
siamo ancora qua fuori!”
Era
James.
Si
dovettero
staccare, l’atmosfera rovinata.
Scorpius
per
un attimo sembrò avere seriamente l’intenzione di
prendere la bacchetta e
eliminare il suo primo vero amico. Fece una smorfia, assai Malfoy.
“Giusto
per
sapere, biscottino, quanti cugini sacrificabili hai?”
“Scorpius!”
Risero
tutti
e due, mentre il ragazzo si toglieva da lei. “Potter! La sto
onorando!”
Assicurò.
“Non
ci
credo, bastardo di un Malfoy! Falla uscire!” Fu la risposta.
Rose fu quasi
certa di sentire la risata di Al. “Adesso.”
Scorpius sbuffò. “Miss… È
richiesta da cugini possessivi, pare.”
“Aspetta, una cosa.” Lo fermò, mentre si
aggiustava la gonna con un movimento
imbarazzato. Si assicurò di essere in ordine per evitare
battutacce da caserma
del cugino. “Questa domenica c’è il
compleanno del figlio di Neville…”
“Del professor Paciock? Affascinante.”
Celiò, guardandola perplesso. “Quindi?”
“Quindi sono invitata per una cena a casa sua. Mi…
farebbe… piacere… se…”
Staccò lentamente, spiando ogni singola reazione del volto
del proprio ragazzo.
Era portare la loro relazione fuori da Hogwarts, anche sotto mentite
spoglie.
Era fare una cosa da coppia, come andare ad Hogsmeade o al Ballo.
Solo che stavolta
non possiamo
imboscarci dietro nessun cespuglio…
Scorpius
finse di pensarci. Lo vide chiaramente che la risposta era
già pronta. “Sì.”
Rispose dopo un’attesa inesistente.
“Verrò molto volentieri.”
“Penso
che ti
pentirai di quanto appena detto.” Lo stuzzicò.
Scorpius
fece
uno dei suoi sorrisi migliori. “Oh, bambina. La mia vita
è tutto un rimpianto
dopo aver agito. Sono un Grifondoro.”
Rose
pensò
che dopotutto, era meraviglioso avere sedici anni.
****
Note:
Continuiamo
con i capitoli high-school. Siamo in attesa del botto finale,
sì.
1-Motto
dei
frati trappisti. Piuttosto deprimente, sì. Però
fanno un ottima birra. :D
2-Dall’Era
Glaciale 3.
|
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Capitolo 38 *** Capitolo XXXIII ***
A questo
giro
non ho avuto tempo per le recensioni. Siete tutti fantastici, e vi
adoro,
davvero, rendete più piacevoli le giornate farcite di
studio. T_T Perdonare,
please, sono accollata di esami, e me ne mancano pochi alla laurea.
Grazie.
****
Capitolo XXXIII
L’eroe vero è sempre un
eroe per sbaglio.
Il suo sogno
sarebbe di
essere un onesto vigliacco come tutti.
(Umberto
Eco)
4 Novembre 2022
Dormitorio
Serpeverde, Mattina.
Tom si
svegliò in un bagno di sudore, inghiottendo ampie boccate
d’aria.
Di nuovo.
Emise un
ringhio frustrato, senza preoccuparsi di chi avrebbe potuto sentirlo.
Era
così da
quattro giorni. Da quattro lunghi giorni il suo sonno era orribile,
frastagliato da incubi spaventosi, da morti improvvise e da sangue.
Mentre
prima riusciva, comunque a stancarsi sufficientemente con lo studio per
dormire
un sonno piatto, adesso gli incubi si arrampicavano oltre la sua
stanchezza
mentale e si palesavano. Sempre.
Si
passò una
mano sul viso, mentre il medaglione sul petto gli dava un insolito
senso di
pesantezza.
Poteva
toglierlo. Ma come sempre, decise di non farlo. Doe poteva contattarlo.
John Doe… la mia miniera di indizi.
Homunculus. Sono
esistiti esseri umani
artificiali, creati con la magia. Magia oscura.
Io
c’entro qualcosa con loro?
Una parte
di
sé si rifiutava di continuare quel ragionamento. Una parte
di sé sperava che ci
fosse una spiegazione migliore di quella. Una parte di sé
non voleva saperla.
E intanto
attendeva. Logorandosi.
I
rimasugli
del sonno erano ancora impigliati agli angoli della sua mente, quando
si alzò
per dirigersi in bagno. Sapeva che era un giorno di scuola e che era
ancora
presto. Sentiva il ritmo regolare di almeno due respiri.
Doveva
gettarsi acqua fresca sul viso, riprendere il controllo e ricominciare
un’altra
giornata.
Poteva
farcela. Doveva farcela.
Il
medaglione
continuava a rimanere freddo. Doe stava organizzando qualcosa, ne era
certo.
Come era
certo che fosse stato lui ad aggredire Ted. Era una certezza sottile,
strisciante.
John Doe
aveva aggredito Lupin, lo sapeva. E non poteva dirlo.
Dirlo significa
che io ero a
conoscenza della sua identità, che sapevo tutto e
fin’ora ho mentito.
Dirlo mi
trascinerà davanti al
Wizengamot. Ed Harry…
Sentì
la
bocca storcersi in un sorriso che gli fece male.
Harry
già sospetta di me. È un auror.
Un auror che ha ucciso per la prima volta a diciassette anni per
salvare il
Mondo Magico.
Gli eroi non
perdonano.
Aprì
la porta
del bagno di scatto. Acqua fredda, una doccia magari. Era quello che ci
voleva.
Quello
che
non si aspettava quel giorno è che fossero presenti tutti
gli inquilini della
loro stanza.
Perché Michel e Loki dormivano nei loro letti, ma Albus si
stava facendo la
doccia.
Istintivamente, sentendosi ridicolo e a disagio, distolse lo sguardo
dal corpo
nudo del suo ragazzo.
Perché
era il
suo ragazzo. Era suo.
Scosse la
testa, passandosi una mano sul viso per cancellare quei rimasugli di
sonno che
gli ottundevano le capacità di ragionamento.
Saltargli
addosso e schiacciarlo contro il muro, con l’acqua tiepida
che scorreva trai
loro corpi non era una buona idea.
Maledizione.
“Oh,
Tom!”
Esclamò Al, colto di sorpresa. “Mi sono
avvantaggiato sulla doccia, visto che
per una volta dormivi anche tu…” Gli fece un
sorriso, uscendo dal vano e
infilandosi l’accappatoio.
“Sì,
hai
fatto bene.”
Al gli
lanciò
un’occhiata. Se aveva dormito di più, quella
mattina, sul suo viso non ce n’era
traccia.
Era
fradicio
di sudore.
Si morse
un
labbro per impedirsi di farglielo notare. Per impedirsi di
preoccuparsi,
intimargli di mandare un gufo al padre o farsi visitare.
Dopo la
festa
gliel’aveva fatto notare più volte, ma
l’unica cosa che aveva ottenuto era
stata silenzio oppure scatti di irritazione.
Non sembra
più lui…
Era la
verità. Thomas era sempre stato chiuso e incline al
malumore, ma adesso era…
Gli sta cambiando
il carattere. È
nervoso, irascibile. Risponde male, e senza motivo, se
risponde.
Aveva
cercato
di ignorare gli sguardi preoccupati di Loki. Aveva cercato di evitare
un
confronto con Mike, che sembrava sempre più convinto che Tom
fosse pericoloso.
Tom non
è pericoloso, non farebbe male
a nessuno.
Anche se
con
Montague si era rischiato lo scontro.
Persino
Rose
l’aveva avvicinato per parlargli di quel ragazzo biondo. Non
c’era nessun
ragazzo biondo, del loro anno o che Tom conoscesse, che avrebbe potuto
parlare
con lui.
Che sta
succedendo?
Tom
intanto
aprì il rubinetto, gettandosi sul viso manciate di acqua
fredda, a giudicare
dalla smorfia sofferente che fece. Avvicinandosi vide che gli tremavano
le
mani.
Merlino… un altro incubo.
Si
sentiva
frustrato, impotente. Tom passava molto più tempo con lui
che con il resto del
genere umano, ma anche quando si baciavano o quando lo lasciava dormire
nel suo
letto era distante, come su un pianeta diverso.
Di
impulso,
gli afferrò una mano. Era gelata. Tom si
irrigidì, e gli lanciò un’occhiata
d’avvertimento.
“Che
cos’hai?
Stai male?” Lo ignorò, stringendola forte. Tom non
lo scacciò, ma non lo neppure
guardò in faccia. “Tom.”
“Sto bene. È solo… ho avuto un altro
incubo. Ho bisogno di una doccia.” Cercò
di svicolare. Normalmente l’avrebbe lasciato fare. Ma vederlo
in quello stato,
sempre impercettibilmente peggio ogni giorno, era una tortura. Stavolta
non ce
la fece.
“No.”
Disse,
vincendo l’imbarazzo.
Lo spinse
contro il muro, approfittandosi dell’effetto sorpresa. Ce lo
spinse e si
impossessò della sua bocca. Tom cercò di fare
resistenza. Al sentì i suoi muscoli
tendersi, in modo repentino, quasi vi scorresse dentro la rabbia. Ma
poi, come
ogni volta li sentì sciogliersi contro di lui, mentre Tom
rispondeva al bacio.
Si
staccarono, con il respiro corto. Tom gli stringeva le dita sulla
spugna
dell’accappatoio, in corrispondenza dei fianchi.
“Meglio?”
“Sì…” Ammise, riuscendo
persino a sorridere. “Sì.”
Cercò le sue labbra ancora
una volta, ma Al lo fermò, tirandosi indietro.
“Senti…
ti ho
promesso che non ti avrei chiesto niente, ma questo prima
che tu cominciassi a stare male sul serio. Perché stai male,
Tom.” Scandì lentamente. Gli arpionò le
dita sulla maglietta umida di sudore,
sentendolo ansimare leggermente al tocco. “Non sono il solo
ad essermene
accorto. Cosa c’è? Che sta succedendo?”
“Niente.” Tom si ritrasse bruscamente. La linea
della mascella era tesa, dura.
Il tono esasperato. “Te l’ho detto milioni
di volte. Niente.”
“E milioni di volte mi hai mentito!”
Sbottò di rimando. Il grido rimbalzò tra
le pareti di pietra del bagno creando un’eco spiacevole.
“Ti sta succedendo
qualcosa. Non sembri più tu!” Inspirò,
cercando lo sguardo del ragazzo. Non lo
trovò. Thomas guardava oltre di lui, con i pugni serrati.
Avrebbe voluto
andarsene, si vedeva lontano un miglio, ma gli sbarrava il passo.
“Hai incubi,
quasi tutte le sere. Te ne stai per conto tuo, rispondi male alle
persone,
eviti gli amici.”
Non gli
parlò
del ragazzo biondo. Non era quello che gli interessava, dopotutto. Tom
poteva
parlare con milioni di ragazzi biondi. L’unica cosa che
doveva fare, era
parlare anche con lui.
“Non evito te.” Il tono vibrava accusa. Lo sguardo
che gli rivolse era quasi
tradito. “Non sto evitando te.”
“Pensi che questo basti? Ti stai allontanando da tutti. Mike
sembra quasi che
non sia mai stato tuo amico, non rivolgi la parola a Loki da quanto?
Giorni?
Per non parlare della nostra famiglia…”
“Non è la nostra famiglia.”
Sibilò. Il tono fu sferzante.
Al si
chiese,
guardandolo, cosa sapesse da non fargliela più considerare
tale.
Perché
c’è qualcosa che ha scoperto…
sono sicuro che ci sia qualcosa che lo faccia comportare
così.
“Tu
sei la mia famiglia.”
Decretò con
sicurezza. Poteva farlo perché lo conosceva. Poteva farlo
perché aveva passato
anni con Tom, e sapeva che dietro la scontrosità
c’era un ragazzo gentile, che
lo prendeva per mano di notte perché non avesse paura e
smontava i suoi
fantasmi con logica inoppugnabile.
“Guardami…”
Tom spostò lo sguardo verso di lui. Era indecifrabile.
Sentiva che stava
respirando sempre più lentamente, come se tentasse di
trattenere qualcosa.
“Tom, cosa c’è?”
Ripeté lentamente. “Dimmelo. Ti voglio
aiutare.”
Per un attimo, solo per un momento, lo sguardo di Tom fu messo a nudo.
Vi lesse
una
paura infinita.
Aiutarlo.
Poteva. Al? Poteva?
Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie e gli veniva da vomitare.
Certo,
poteva
dire tutto.
Confessare
del Naga, del medaglione, di John Doe e del patto. Del libro, degli
homunculus,
dei suoi sospetti.
Albus era
il
suo migliore amico. Al era il suo ragazzo. Al era il
suo.
Chi
meglio di
lui?
Per un
attimo
si cullò nell’idea di liberarsi di quel peso. Del
peso della morte di Duil, dei
segreti che doveva sopportare da Settembre, del peso di sapere di stare
aiutando un uomo che voleva nuocere ad Hogwarts.
Sempre che
accetti quello che gli stai
dicendo… che hai mentito, che hai aiutato un
assassino…
Che forse non
sei… umano?
Guardò
gli
occhi limpidi di Al. Si diceva che fossero gli occhi di una donna morta
per
amore. Non che a lui importasse.
Lui amava
gli
occhi di Al. Amava Al.
Era una
certezza che si portava dietro quietamente, da anni, che scorreva come
un fiume
sotterraneo, costante e immutabile.
Non
avrebbe
permesso che lo odiasse, che lo giudicasse. Mentire, era di gran lunga
migliore
di dire la verità.
“Niente.
Non
ho niente.” Recitò.
Sentì
la
presa delle sue dita calde allentarsi. Vide la delusione sul suo viso.
Non era
davvero capace di fingere un’emozione, o nasconderla.
“Bene. Come ti pare.” Sussurrò Albus,
prima di aprire la porta e sbattersela
dietro.
Tom
fissò la
porta chiusa.
Gli eroi non
perdonano. Mai.
Si sedette sul
bordo
della vasca e si prese il viso tra le mani. E pianse.
****
Devon, vicino a
Ottery St. Catchpole.
Casa Scamandro.
Casa
Scamandro
si ergeva su una collina, declinante come il ventre materno.
Era un cottage bianco, con il tetto nero di ardesia, e dai davanzali
coperti di
fiori. In un certo senso un’abitazione piuttosto classica, se
si ignoravano le
centinaia di specchietti che erano appesi ovunque, sul rododendro a
pochi metri
dall’ingresso o alle finestre dipinte di rosso.
“Se
non ci
stai attento, in una giornata di sole rischi di
accecarti…” Bofonchiò Ron dopo un
atterraggio da passaporta che gli aveva striato il mantello di fango.
Harry
fece un
sorriso. “Lo so. Direi che le si addice perfettamente,
no?”
Avevano
penato un paio di giorni, prima di riuscire a trovare Rolf Scamandro in
casa:
un naturalista della sua fama era difficilmente reperibile. Luna li
aveva
informati la sera prima che il suo Rolf aveva giusto un paio
d’ore da dedicare
loro quel giorno, prima di partire alla volta della Foresta Amazzonica.
Salirono
il
viottolo acciottolato, finendo per picchiare sul battente di Casa
Scamandro. Aprì
loro Luna. In quegli anni, aveva mantenuto sempre gli stessi capelli
impalpabili color del lino, gli occhi grandi e azzurri spalancati su
una
visione del mondo un tantino particolare e la corporatura esile, da
fata.
Luna non
sarebbe mai cambiata, stimò Harry con un sorriso affettuoso.
“Oh, Harry, Ronald. Harry, hai i capelli pieni di nargilli,
come al solito…”
Sospirò con un sorriso, alzandosi sulla punta dei piedi per
spazzolargli via le
creaturine invisibili.
L’uomo
si
chinò di buon grado, lasciandola fare. “Ciao Luna.
Rolf è in casa?”
“Naturalmente…” Fece un sorriso vago a
Ron che si controllò con una manata i
capelli, sorridendole incerto. “È nel suo studio.
Vi posso offrire qualcosa? Ho
appena messo in forno degli zuccotti.”
“Oh, volentie…” Ad un’occhiata
di Harry, Ron sospirò. “No, grazie Luna. Siamo
in servizio.”
“Come
volete…
Prego.” Fece un gesto vago, che poteva indicare il soffitto o
la cantina. Li
condusse attraverso due rampe di scale prima che, in un solaio arioso,
venisse
loro aperta la porta.
Rolf Scamandro era un uomo magro, quasi segaligno, con le rughe scavate
dal
sole e brillanti occhi neri. Vantava origini italiane e una
predisposizione ad
essere un tipo concreto, a differenza della moglie.
Però,
come
Luna, aveva la tendenza a non tener troppo conto del potere costituito.
Se
volevano farsi dare una mano, non doveva esibire il distintivo.
“Vai
pure
tesoro, dobbiamo parlare.” Disse spiccio. Luna gli fece un
sorriso leggero,
congedandosi in odore di zuccotti flagranti.
Si
sedettero
su soffici poltrone di pelle, mentre l’uomo si apprestava a
caricare la pipa.
“Luna mi ha accennato che avevate bisogno del mio aiuto per
un caso.” Lanciò
loro un’occhiata. “Delle creature magiche non si
occupa la Divisione Bestie?”
Ron si mosse a disagio sulla sedia, lanciando un’occhiata ad
Harry, che sorrise.
“Solitamente, Rolf. Ma si tratta dei Naga che sono stati
catturati ad Hogwarts.
Saprai della vicenda.”
“Sì, naturalmente. I ragazzi mi hanno tenuto
informato, anche se un mese fa mi
trovavo in Nepal.” Pulì la pipa con un gesto
allenato. “Grandi guerrieri, i
Naga. Creature permalose, con un senso dell’onore facilmente
suscettibile. Trovo
piuttosto strano che si siano fatti manovrare da un mago.”
“Anche noi.” Convenne Harry. “Per questo
siamo qui.”
“Bene. Dite pure.”
Harry
distese
un sorriso. Cominciava lo show.
“Pensi
che
riuscirà a contattare quella tribù?”
Ron si spazzolò via le briciole di zuccotto dal mantello,
guardandosi ad uno
degli specchietti affissi alla porta di casa Scamandro.
Harry
sospirò, guardando il cielo plumbeo, gravido di pioggia.
“Ci ha dato la sua
parola che farà tutto il possibile per rintracciare i Naga
che sono stati
rimpatriati… ma non sarà facile poterli
contattare, specie alla luce di quello
che è accaduto.”
“Un bel disastro diplomatico.” Convenne Ron.
“Seriamente però Harry… anche se
riuscisse a trovarli e riuscisse a farci parlare con loro…
Cosa credi che
otterresti? Voglio dire, sono grossi
serpenti. Non puoi prenderci il the o cose simili.”
“Umanoidi, Ron.” Lo corresse, scendendo per il
viottolo. Le prime gocce di
pioggia fredda lambivano i loro mantelli. “Se sono riusciti a
farsi convincere
ad attaccare una scuola di giovani maghi, probabilmente sono molto meno
primitivi
di quanto non si pensi.”
“Pensi il nostro uomo li abbia pagati?”
“Non con la moneta corrente, se è questo che
intendi, ma sicuramente ha dato
loro un compenso.”
Ron si
tirò
su il bavero del mantello, infastidito dalla pioggerellina che
cominciava a
cadere, facendo assumere alla collina un aspetto brumoso.
“Beh, allora che si
fa?”
“Aspettiamo. Non c’è molto che possiamo
fare, al momento. Non con il fiato del
Dipartimento sul collo.” Aveva già ricevuto un
paio di reclami ufficiosi. Se
fossero passati alle vie ufficiali avrebbe dovuto probabilmente lasciar
perdere
tutto.
“Come
stava
Teddy? Sei andato a trovarlo ieri, no? Si è
ripreso?” Chiese Ron, mentre si
dirigevano verso la passaporta che li avrebbe portati al Ministero: era
questo
il bello di lavorare per un capo che era anche il tuo migliore amico.
Gli orari
flessibili non sono un
problema…
“Bene,
considerando tutto.” Assottigliò gli occhi,
cercando tra le zolle erbose lo
stivale che aveva lasciato poco prima. “Anche se…
lo sai, la sua aggressione era
mirata.”
“Il grimorio di Immanuel Ziel, me l’hai detto,
sì. Credi che questo possa
essere connesso ai Naga?” Ron sembrava sinceramente
spazientito quella volta. Sbatté
le braccia lungo i fianchi, infatti, in una posa
esasperata.“Perché secondo me invece,
si è trattato di un furto per
motivi pecuniari. Lo sanno tutti, ad Hogwarts, che Ted aveva una
piccola
fortuna nella sua biblioteca. Non può essere che
semplicemente il ladro sia
stato sorpreso, abbia preso la prima cosa che ha trovato sottomano
e…”
“Ed abbia dato fuoco a quello che stava cercando di rubare
per fuggire? Ron,
non ha senso.” Trovò finalmente lo stivale, lucido
di pioggia. Controllò
l’orologio al polso. Ancora dieci minuti.
“L’aggressore di Teddy cercava proprio
il grimorio. E l’ha trovato.”
“Va
bene.
Ammettiamo, e dico… ipoteticamente
ammettiamo che l’aggressore fosse lì solo per
rubare il grimorio, e quando si è
visto scoperto ha tentato di mettere a tacere Ted. Come può,
questo, essere
collegato ai Naga? Amico, a cosa pensi la notte prima di
dormire?”
“Ultimamente? A questo caso.” Confessò
con assoluta tranquillità. “E
c’è un
collegamento…” Fece una pausa. Ce n’era
uno solo, purtroppo. “Tom.”
“Tom?” Ron batté le palpebre
più volte, assicurandosi di aver capito bene.
Dalla faccia del compagno capì però di averci
sentito benissimo. “Thomas?”
“Era presente ad ogni apparizione dei Naga. È
stato aggredito due volte da
loro. E il suo nome era sul grimorio. Ted l’ha
visto.” Non riusciva a togliersi
dalla mente la loro breve e penosa conversazione. Gli occhi di Tom,
carichi di risentimento
e le sue parole dure e sferzanti.
Thomas in
quel momento, ne era certo, l’aveva odiato. Aveva
riconosciuto nel suo sguardo
quello di un adolescente tradito. Lo stesso sguardo che aveva avuto lui
per
Silente.
Io non sono come
Silente. Io voglio
bene a Tom, non lo coinvolgerei mai in nessun piano suicida…
Non sto facendo
gli sbagli di Silente.
Solo che,
mentre lui, da ragazzo, non era mai riuscito a nascondere nulla a
Silente, Tom
gli stava evidentemente nascondendo qualcosa.
Un
coinvolgimento, una scoperta? Un ricatto da parte di qualcuno? Non
sapeva
dirlo.
Ma
l’avrebbe
scoperto.
Ron si
morse
un labbro, pensieroso. “È una pista poco
rilevante…” Rifletté ancora.
“Credi
che Tom…”
“Sappia di essere coinvolto? No, io non credo.”
Mentì.
‘Adesso
credo di capirmi meglio…’
“È
un ragazzo
strano, sai…” Commentò Ron, dopo
un’esitazione. “È sempre stato
strano.”
“Non è strano.” Lo precedette Harry,
duro. “Ha un passato particolare, ma è
cresciuto con i nostri figli, Ron. Fa parte della famiglia.”
L’uomo
sbuffò, in imbarazzo. “Sicuro. Sto solo
dicendo… che ci sono tante cose nel suo
passato che non tornano. L’ombelico, la sua
nascita… Coleridge, quello che ha
detto prima di morire, te lo ricordi?”
“Lui risorgerà.”
Sussurrò Harry con
una smorfia. “Era pazzo, Ron. Un mitomane. Tom non
è certo implicato con
Voldemort.”
Ron
scrollò
le spalle. “È ovvio. Voldemort era già
ossa quando è nato. Ma… sto solo dicendo
che se dobbiamo guardare il pelo nell’uovo, Tom ha molti
più motivi di un adolescente
normale di essere invischiato in qualche storia strana.”
Harry sospirò. “Sì… Vorrei
parlargli, ma… non ha risposto al mio Gufo, e due
giorni fa non ci siamo lasciati bene. A questo punto, se tentassi di
parlargli
di nuovo, peggiorerei solo le cose.”
“Uh, amico, lo sai che con gli adolescenti i discorsi seri
vanno presi con le
pinze. Specie se sono permalosi come lui.” Scherzò.
Harry
sorrise, ma non rispose. Aveva una brutta sensazione, e Merlino,
avrebbe voluta
cancellarla con tutte le sue forze. Ma non poteva. Sospirò,
guardando di nuovo
l’orologio. Era ora.
“Aggrappati Ron. Si va al lavoro.”
Ron alzò gli occhi al cielo. “Agli ordini,
capo.”
****
Hogwarts,
pomeriggio.
Nei pressi del
Lago Nero.
Albus non
voleva piangere.
Davvero,
la trovata
una cosa stupida, considerando che ormai aveva sedici anni ed era un
ragazzo.
Non
voleva,
ma aveva marinato le lezioni della mattina per potersi sedere in riva
al lago,
ben imbacuccato nel mantello, a gelarsi il sedere. Per restare solo.
E ora gli
veniva da piangere.
Non
riusciva
a sopportare quella situazione. Ci aveva provato, e per due mesi era
andato
piuttosto bene.
Ma era
arrivato al limite.
Così
si
sforzava di non piangere, quando in realtà voleva solo
lasciarsi andare ad un
pianto liberatorio e profondamente cretino.
Tom non
era
cattivo con lui. Tom lo baciava e nonostante tutto cercava di essere
gentile.
Era quel
nonostante tutto ad avvelenarli, però.
C’era
qualcosa che non voleva dirgli, qualcosa che c’entrava con il
suo umore
bizzarro, o quel biondino, con le sue sparizioni e il deperimento
fisico.
Per un
paio
di giorni aveva addirittura ventilato l’ipotesi di una
maledizione, prima di
rendersi conto che, se fosse stato così, i professori se ne
sarebbero accorti.
Ma
nessuno, a
parte lui e Rose, sembrava trovare preoccupante il comportamento di
Thomas.
Strano
sì, ma
non preoccupante.
Come se tutti si
aspettassero da
sempre che un giorno o l’altro avrebbe sbroccato…
Tirò
su con
il naso, perché spirava un vento gelido e davvero, sciarpa e
mantello o meno,
faceva dannatamente freddo.
Avrebbe
dovuto tornare al castello, mangiare un boccone e poi seguire le
lezioni del
pomeriggio.
Ma non ne
aveva voglia.
Che senso
aveva, la sua routine scolastica, se non poteva aiutare Tom?
Gli
sembrava
di essere incredibilmente stupido, e … inutile.
Forse aveva
ragione James. Il gene da
eroe passa in linea maschile, in famiglia.
Ed io che pensavo
di esserne immune…
Solo che
aiutarlo non era come combattere un drago, un troll o sconfiggere un
mago
oscuro.
Aiutare
Tom
era dieci volte più difficile. Non era certo una battaglia
di cappa e spada.
Specie
perché non so contro quale
nemico sto combattendo…
Sentì
un
lieve movimento dietro di sé, come di erba calpestata.
Trattenne il respiro, ma
poi cercò di non mostrarsi troppo deluso quando Michel gli
si sedette accanto.
“Al…” Esordì con un sorriso
vago, incrociando le braccia al petto e
rabbrividendo infastidito. “Non credi sia una temperatura
decisamente poco
piacevole per indugiare nei propri pensieri?”
“Ho il mantello.” Fece spallucce: si sentiva a
disagio. Tre giorni prima aveva
scoperto che lui e James…
Inspirò.
Non
doveva dare giudizi.
Del resto,
proprio io?
“Come
mi hai
trovato?” Chiese invece.
“Ho notato che non eri a lezione. A dire il vero,
l’hanno notato tutti. Ho
detto che eri in infermeria per un leggero raffreddore. Domani
confermerai il
mio alibi, a giudicare dallo stato del tuo naso…”
Ironizzò lanciandogli
un’occhiata. “E per rispondere alla tua domanda,
questo è il tuo posto
preferito.”
Al
sorrise:
nonostante tutto, poteva sempre contare su Zabini. Non era il genere di
amico
che un grifondoro avrebbe voluto, ma sapeva essere leale.
“Grazie. Sì, sono stato qui un po’
troppo, ma ormai il freddo non lo sento
più.”
“Mmmh…” Replicò
l’altro. “Tu e Tom avete litigato?”
Possibile che sia chiaro per tutti quando
litighiamo?
“…
Una
specie. Per litigare, si dovrebbe gridare credo. E non
l’abbiamo fatto.”
“Non vi vedo ad urlarvi addosso, sinceramente.” Gli
sorrise, dandogli una pacca
sulla spalla. “Avanti, piccolo Al… sono qui per
ascoltarti. Ma sappi che se il
mio nobile naso francese verrà raffreddato, mi sarai
debitore di molto più che
una confidenza.”
Al scosse la testa. “Nulla di grave, Mike. È
solo… Tom sta male, ma non vuole
confidarsi.”
Michel prese un’aria assorta. “Sì,
è chiaro che qualcosa lo tormenta. Non ti ha
accennato nulla?”
“No…”
“Senti…” Sembrava incerto.
“Siamo amici, non è vero?” Disse
lentamente, quasi a
provare come suonava la parola.
Al
esitò: conosceva
abbastanza Michel per sapere che, se era serio, era davvero qualcosa di
importante quella che doveva dirgli. Almeno, nelle sue intenzioni.
“Certo
che lo
siamo!” Confermò, con piglio sicuro.
“Mike, tu sei uno dei miei più cari
amici!”
Il
ragazzo
gli concesse un sorriso stiracchiato. “Bene. Quindi, se ti do
un parere, un
consiglio, tu lo prenderai come quello di un amico, non è
vero? Di qualcuno che
si preoccupa per te…” Gli appoggiò una
mano sul polso. Le mani di Michel erano
sempre tiepideQuelle di Tom erano sempre fredde.
“Perché io mi preoccupo per
te, Al.”
“Lo so… certo. Dimmi.”
“Credo
che Dursley
sia un buon amico… con tutti i suoi difetti. Ma…
non credo che sia giusto per
te. Come tuo ragazzo.” Mormorò a bassa voce.
“E ti prego… Al, ascoltami.”
Lo fermò, vedendo che voleva
protestare. “Non te lo sto dicendo perché siamo ai
ferri corti. Tom con te non
ha litigato, ed effettivamente sei l’unico con cui
è gentile. Ma… ti meriti di
meglio.”
Al serrò le labbra. Improvvisamente aveva voglia di alzarsi,
andarsene.
Mandarlo al diavolo.
Sapeva
che le
intenzioni di Michel erano buone, ma in ogni caso non riusciva a
vederle come
tali.
“Perché
pensi
che non sia giusto per me?” Chiese comunque, trattenendo
l’irritazione.
“Non è evidente? Guardati, Al. Sei qui, da solo,
al freddo, perché avete
litigato. Ed hai un’espressione così
triste…”
“Triste?” Fece una smorfia. “Io non sono
triste.”
“Ma sei preoccupato. Non è così che
dovrebbe essere una storia di due ragazzi
di sedici anni. Dovrebbe essere divertente, senza impegno, non una
specie di… missione.”
“Divertente e senza impegno? Come quella tra te e mio
fratello?” Gli uscì di
getto, con voluta cattiveria. Vedendo l’espressione
sbalordita dell’amico, per
un momento si sentì straordinariamente soddisfatto.
“So di voi due… vi ho visti
ad Halloween.”
“Al,
non è
come…”
“Non mi interessa, Mike.” Lo precedette. Fece una
smorfia. “Certo, ci sono
rimasto un po’ male, tu sei il mio migliore amico e lui
è mio fratello. Mi
sarebbe piaciuto essere a conoscenza del vero orientamento di Jamie, ma
scommetto che ti ha obbligato a tenere il segreto, e non ti biasimo per
questo.”
“Mi
dispiace
Al, non intendevo…” Michel per la prima volta in
vita sua sembrò assolutamente
sincero. Era una strana espressione la sua, quasi ansiosa.
“Non è una storia
che significa nulla, per nessuno dei due. Ti posso assicurare che non
sto
ingannando tuo fratello, o altro…”
L’avevo capito, Mike. Non lo chiami
neanche per nome. E neanche lui lo fa, scommetto.
“Lo
so… ma è
questa la storia che dici che dovrei avere?” Fece un mezzo
sorriso. “Perché mi
sembra tanto squallida.”
Michel questa volta non rispose. Voltò lo sguardo verso la
superficie gelida
del lago, mordendosi un labbro. “Forse hai
ragione…” Ammise. “Ma Al, non sono
così. Non giudicarmi solo per quello che io e tuo fratello
abbiamo fatto. Mi
conosci, posso essere migliore di così.”
Al
aggrottò
le sopracciglia. “Mi pare ovvio.”
“No,
non lo
è. Potrei esserlo.” Fece una pausa, voltandosi per
guardarlo. “Potrei esserlo
per te, se tu volessi.”
Al rimase
in
silenzio. Era chiaro che fosse stato totalmente preso in contropiede,
che non
se l’aspettasse.
Arrossì,
prevedibilmente, facendoglielo volere ancora di più. Poteva
capire perché
Dursley fosse così violento nel suo desiderio: Al era
intelligente, scaltro,
non privo talvolta di una certa malizia, ma era innocente. Essere il primo, per lui, doveva essere una
sensazione meravigliosa.
“Mike…
io…”
Corrugò le sopracciglia, mordendosi un labbro. “Ti
voglio bene e sei mio amico,
ma…”
“Tom è il ragazzo che vuoi.” Concluse
per lui, stendendo le labbra in una
smorfia amara. “Non sono uno stupido, Albus. È
chiaro a tutti. Tuttavia non lo
dico per tirare acqua al mio mulino… Lui ti sta facendo
male.”
“E
tu mi
faresti del bene, invece?” Obbiettò pacatamente,
stupendolo. Lì per lì, non fu
certo su che risposta dare.
Fece un
sorrisetto. “Naturalmente. Io ti tratterei bene.”
Decise per la verità, con una
pennellata di fascino Zabini.
Fu
ricompensato con un sorriso dolce, che gli pesò
però come un macigno.
“Ascolta…
Conosco Tom da una vita. Fa parte della mia
storia. Capisci? Non riesco ad immaginarmi la mia vita senza di
lui.” Lo disse
con semplicità, perché in fondo era
semplice. “Non
posso lasciarlo. È una
cosa per me inconcepibile. Se lo facessi…”
Scrollò le spalle. “… continuerei a
cercare
in ogni ragazzo lui. E lui soltanto.”
Michel
pensò
che non era mai stato rifiutato in modo così gentile e allo
stesso tempo
umiliante.
“È
un no?”
“Penso
proprio di sì, Mike.” Esitò.
“Mi… dispiace.”
“È okay. Ti offrivo solo una
possibilità.” Fece un mezzo sorriso sottile.
“A me
dispiace per te, mon cheri.”
Al stese
le
labbra in un sorriso più sicuro. In un certo senso, il
rifiuto non avrebbe
rovinato la loro amicizia. Pareva incredibile persino a lui, ma avrebbe
continuato a voler bene a quel Potter incredibile.
E in ogni
caso, era a conoscenza dei suoi sentimenti, se le cose con Dursley
fossero
andate male.
Rimasero in silenzio a guarda il lago. Michel dopo un po’ si
stiracchiò. “Che
dici? Rientriamo?”
“Vai tu. Vengo tra poco.” Gli assicurò.
“Davvero, vengo. Dammi solo dieci
minuti.”
Al quando
lo
vide andare via si sentì un po’ solo. Non era
abituato a stare tanto tempo con
i suoi pensieri.
E
l’aveva
appena rifiutato, a conti fatti.
Si
sentiva, a
conti fatti, triste – perché aveva mentito, era
triste – e piuttosto scombussolato.
Il cielo
si era
schiarito, dopo la pioggia mattutina. Erano le tre e già il
sole cominciava la
sua lenta discesa verso l’orizzonte.
Sta arrivando
l’inverno…
Considerazioni
banali o meno, quello che vide in cielo fu tutt’altro che
banale; all’inizio
pensò ad un falco. Ne giravano molti attorno al castello,
per ovvi motivi. Ma
era troppo grosso, dai colori troppo violenti.
Batté
le
palpebre, cercando di mettere a fuoco. Il piumaggio era rosso e aveva
già visto
quella coda lunga e affusolata.
Gli si
bloccò
il respiro in gola quando si accorse che stava guardando una fenice.
Rarissime,
le
fenici. L’ultima conosciuta in suolo inglese era stata Fanny, fida compagna del preside
Silente, scomparsa
dopo la sua morte.
Si
alzò in
piedi, seguendo la traiettoria del suo volo. Stava sorvolando il lago,
con ampi
e lenti giri. Poi mutò assetto e planò dolcemente
verso la Foresta Proibita.
Senza rendersene conto, si trovò a correre nella direzione
in cui l’aveva vista
sparire.
Vedere
una
fenice dal vivo, e non in figura, era un’occasione
più unica che rara. Non era
un volatile qualsiasi. Era una creatura leggendaria.
Sorpassò
il
capanno del guardiacaccia ed entrò nel fitto della
boscaglia.
Deluso,
si
accorse di non vederla da nessuna parte.
Forse non
è atterrata…
Sospirò,
ficcandosi le mani gelate nelle tasche del mantello, apprestandosene ad
andarsene.
Un
fischio
acuto lo fece però voltare di scatto: la fenice era
lì, appollaiata su un
tronco caduto.
Non
c’era prima!
Incerto su come
comportarsi, si limitò ad osservarla da lontano. Era
piuttosto giovane, a
giudicare dal piumaggio lucido e molto più grande del gufo
reale di suo zio
Percy.
La fenice
emise un nuovo trillo. Aveva una voce melodiosa, assolutamente diversa
dai
richiami dei normali volatili.
‘Il suo
canto infonde coraggio nei
buoni e porta terrore nel cuore dei
malvagi…’¹
Ricordava
bene il passo del libro di Newton Scamandro.
Istintivamente fece un passo in avanti, sperando che non volasse via.
Non lo
fece, e non diede segni di nervosismo neppure quando le fu praticamente
accanto.
Nervosismo?
È un uccello millenario,
figurati se si fa spaventare da uno come te…
Aveva
occhi
nerissimi, ma nonostante avesse artigli e becco piuttosto imponenti,
aveva
un’aria… mite.
Esitò,
poi stese
la mano. Quando la accarezzò sul dorso, quella fece un nuovo
trillo.
“Ciao…” Sussurrò.
“Sei Fanny?”
Non era stata più avvistata, dopo la morte di Silente.
‘Dopo
la morte del padrone le fenici
tornano libere…’
Certo,
poteva
trattarsi benissimo di un’altra fenice…
… ma
viene qui ad Hogwarts e sorvola
la sua tomba…
Il
piumaggio
sotto le sue dita era morbidissimo, come toccare talco. Si
trovò a sorridere
senza neanche sapere perché.
La fenice
restò un altro po’ a bearsi delle sue carezze,
prima di spiegare le ali, in un
tacito gesto. Al si allontanò di due passi e la vide
prendere il volo,
maestosamente. La seguì con lo sguardo finché non
diventò un puntino oltre il
fitto della boscaglia.
Sentiva
ancora sulle dita la sensazione tiepida di quelle piume. Si sentiva
molto meglio
dopo quell’incredibile incontro. Davvero.
Era come
se
un calore si stesse espandendo dalla mano fino al centro del petto.
Qualsiasi
cosa fosse, era sicuro fosse merito di Fanny…
Scrollò
le
spalle, incamminandosi verso il castello; non avrebbe detto a nessuno
di
quell’incontro.
Sentì
che era
una cosa che apparteneva solo a lui.
****
Note:
La fenice
non
è una nota di colore. ;)
1
– Tratto da
“Creature Fantastiche, Come
Trovarle” di
Newton Scamandro.
|
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Capitolo 39 *** Capitolo XXXIV ***
Sono
riuscita
a malapena a finire il capitolo per domenica. Sono mortificata per le
recensioni. Vorrei rispondere a ciascuna di voi, e spero davvero che mi
perdoniate. Scrivere la tesi assorbe praticamente tutto il mio tempo.
Ma questa
storia va avanti e vedrà la fine. Presto, a giudicare da
come si mettono le
cose. ;D Ringrazio chi mi sostiene con le sue recensioni. Siete il
motore di
questa storia, non dimenticatelo.
Un
ringraziamento quindi a Ron1111, Rorothejoy, MadWorld, Trixina ed
Altovoltaggio. T_T
****
Capitolo XXXIV
Un cuore che fa
male, è
un cuore che funziona.
(Bright
Lights, Placebo)
4 Novembre 2022
Hogwarts,
pomeriggio.
Un nugolo
di
primini sciamava chiassosamente dalla classe del professor Ted Remus
Lupin.
E il
giovane,
attraente, affascinante, autoproclamatosi tale James Sirius Potter
attendeva
che il branco di pulcini sciamasse per farlo passare. Non si beava
troppo delle
occhiate di pura adorazione che gli rivolgevano i maschi o le guance
rosse
delle ragazzine.
Del resto
lui
era una rockstar lì dentro. C’era abituato. Nel
bene o nel male.
Sì,
poteva
dire definitivamente di essere se stesso. Più o meno. Con le
dovute correzioni.
Scivolò dentro con abilità consumata, maniche
della camicia arrotolate e umore
alle stelle.
Aveva un
regalo
per Teddy. E faceva tutto parte della strategia.
‘Vai
e
stendilo, tigre’ era stato il monito di Malfoy. Doveva
chiedergli quando aveva
avuto l’occasione di guardarsi Spiderman.
Probabilmente
è molto più ferrato sui
babbani del suoi amabili parenti…
Ted stava
ordinando i libri sulla cattedra, non suoi visto che erano i libri di
testo
della scuola. I capelli blu elettrico come sempre che facevano a pugni
con il
maglione un po’ infeltrito e i pantaloni a coste di velluto.
Aveva un
gusto in fatto di vestiti agghiacciante, ma lui lo amava lo stesso.
“Teddy!”
Esordì con un largo sorriso, convinto. Doveva esserlo.
Adesso
erano
tornati amici.
“Oh,
Jamie…”
Sorrise, alzando la testa. Aveva un’ombra di barba castana
appena accennata, e
James sfoderò il suo ghigno migliore per evitare di
saltargli addosso.
Il suo
problema, l’aveva sempre saputo, era la troppa sicurezza in
se stesso. Spesso
lo portava ad uno stato di esaltazione dove tutto era permesso.
Compreso
baciare Teddy.
“Ciao!”
Si
avvicinò fino ad essere di fronte alla cattedra. Teneva
dietro la schiena il
regalo e doveva ricordarsi che
c’era
un piano.
Troppa confidenza
in me stesso.
Cattiva confidenza in me stesso.
“Ciao.”
Confermò Teddy divertito. “Cosa
c’è?”
“Ci vai alla festa di Cedric?”
“Certo. A proposito…” Ebbe una lieve
esitazione, poi continuò in tono più
sicuro. “Suppongo tu non abbia ancora il
regalo…”
“No, in effetti, ma ci pensa Lils. È brava coi
marmocchi.” Scrollò le spalle.
Ted lo guardava perplesso, con un’ombra di sorriso sulle
labbra. Era sempre
stato bravo a capire quando aveva combinato qualche marachella, da
bambino.
“Che
hai
fatto, Jamie?” Chiese infatti con un sospiro paziente.
Era
sicuro
che James avesse combinato qualche guaio.
Aveva
quello
sguardo, quel modo di tendere le labbra in un sorriso da monello. Dai
tre ai
quasi diciotto anni quel sorriso era rimasto immutato. Lo stesso
sorriso che
finiva sempre, inevitabilmente, per farlo capitolare.
Certo, a
tre
anni poteva prenderlo per un orecchio e scrollarlo fino a farlo morire
dalle
risate, una sorta di punizione blanda per le sue alzate di ingegno.
Ora,
trovandoselo davanti praticamente alla stessa altezza e con il maglione
dell’uniforme teso su due spalle da atleta…
No, non
poteva più scrollarlo.
La sua
mente
si rifiutò di formulare associazioni di pensiero di
qualsivoglia natura.
“In
realtà…”
Iniziò James inspirando soddisfazione. “Ho preso
delle cose per te.”
“… Cose?” Prese il pacco che il ragazzo
gli porgeva. Aveva le dimensioni di un
quaderno o un blocco per gli appunti babbano.
“Cioè?”
“Apri!” Gli intimò gioiosamente e Ted
pensò che il sorriso di James fosse
davvero… avrebbe detto carino fino ai dodici anni. Ora si
accorse di come,
anche se manteneva una traccia infantile, fosse attraente.
James in
realtà era attraente. E
non solo in
toni generali, purtroppo.
Oh,
Merlino…
Strappò
la
carta velocemente, ansioso di trovare altri argomenti di cui discutere.
Rimase
senza
parole.
James
fece un
mezzo sorriso quando vide gli occhi sgranati di Teddy. Ci aveva preso.
Era stata
un’idea
semplice, eppure solo lui ci aveva
pensato.
“Ho
pensato…
che visto che i libri con le note di tuo padre sono andati
persi… Beh, tuo
padre ha fatto il professore qui per un anno. Ho mandato un paio di
Gufi… e
sono riuscito a recuperare tutto il programma, dal Primo al Settimo.
Non è
stato facilissimo, ma per fortuna zia Hermione conosceva un sacco di
ragazzi
dell’ES, anche del primo anno, che teneva ancora gli appunti
di Remus come
reliquie.” Si avvicinò. L’espressione di
Ted era di stupore puro. Sfiorava con
le dita la copertina del quaderno, piuttosto voluminoso.
“Ci
sono
tutti, eh. Incantesimo trascribo.
Zia
Herm ne conosce sempre una più di
Salazar…” Lo scrutò. Gi era piaciuto?
Non si
capiva dall’espressione. “Senti, lo so che non
è come riavere i libri di tuo
padre, ma se non altro, almeno hai i suoi appunti.”
Ted lo
fermò
con una mano. “James… Io…” Si
bloccò. “Grazie.” Sussurrò.
Era evidente che non
sapesse che pesci prendere, dal colore dei capelli che era cambiato un
paio di
volte, prima che li facesse tornare blu.
“Ehi,
ci
tenevi! Non dirlo neanche.” Disse tranquillo, mentre in
realtà voleva solo
chiedergli se quello gli poteva valere un bacio.
Ted per
un
attimo, sembrò quasi spaventato. Sua impressione,
probabilmente, perché poi gli
sorrise. “Vieni qui…” Era il segnale,
quando erano ragazzini, che poteva
finalmente stritolarlo in un abbraccio.
E lo
fece,
ovviamente. Ted profumava di the.
È
incredibile, probabilmente se lo
rovescia addosso…
Oppure
era la
sua pelle ad esserne impregnata a forza di berne litri. Era un odore
dolcissimo, e serrando la presa e strofinando il naso sulla spalla gli
poteva
quasi sembrare di esserci riuscito, di averlo finalmente tutto per
sé.
Ted
ricambiava a malapena l’abbraccio, come sempre. Stavolta
però era più rigido
del solito.
Curioso…
Lo
spiò,
senza lasciare la presa. “Ti è piaciuto il regalo,
Teddy?” Ebbe cura di
sussurrare, con un tono di voce basso. Con le ragazzine di solito
funzionava.
Zabini gli rideva in faccia.
Ted
arrossì.
No, non nei capelli. Gli vide arrossire la
pelle e capì di aver fatto centro.
Dieci punti e
pluffa a Potter!
Ted non era indifferente. La cosa gli diede
una potente scossa di autostima, e dovette tacitarla a badilate mentali
per non
infilargli le mani sotto la cintura.
“Sì,
mi è…
piaciuto molto.” Si scollò evidentemente dal
palato. “Ti ringrazio, davvero.”
Si scostò dall’abbraccio, ispirando. Sembrava
sulle spine, e forse era quello
il momento giusto per…
No. Frena. Non è il momento giusto.
Hogwarts. Territorio scolastico.
“Allora
vado…”
Disse gioviale nonostante qualcosa urlasse dentro di lui di rimanere
lì, perché
Teddy sarebbe capitolato tra le sue possenti braccia di cercatore. Gli lanciò
un’occhiata, ma confermò solo la
sua risoluzione. Ted aveva un’aria scombussolata, ma teneva
le braccia
incrociate al petto.
Non ci siamo
ancora…
“Sì,
certo. Ci
vediamo domani, per… andare al compleanno.”
“Con gli altri.” Confermò rassicurante,
dandogli una pacca sulla spalla. “Buona
giornata Teddy.”
“Anche a te…” Sussurrò.
James
raccolse la sua borsa,
facendogli un
sorriso davvero innocuo, prima di
sgattaiolare
via, mordendosi un labbro.
‘Fanculo.
Lo voglio.
Ted
inspirò
bruscamente, quando sentì la porta dell’aula
sbattere.
Quella
volta
il suo corpo aveva reagito entusiasticamente
alla presenza di James, probabilmente anche alla luce delle scoperte
emotive di
pochi giorni prima.
Si era
frenato dal non abbracciarlo di rimando. Certo, era solo un abbraccio.
Ma credo che
fossi molto vicino a
qualcosa di simile ad un punto di non ritorno…
Era…
elettrico. Sentiva come una sorta di energia scorrergli sulla pelle e
crepitare.
E non era
solo per James.
… Oh,
Merlino.
Che giorno
è oggi?
Corse dentro il suo ufficio, ora spoglio, ma privo di resti
carbonizzati e
brutti ricordi. Gli elfi avevano fatto un lavoro impeccabile. Scorse il
calendario lunare sopra la sua nuova scrivania.
Si
sentì la
bocca secca, e gli venne da ridere.
Il giorno
dopo sarebbe stato plenilunio.
Niente
pelliccia per lui, naturalmente. Il problema era un altro: il suo umore
durante
quel periodo del mese diventava… instabile.
Finché
aveva
avuto Vic, il problema non si era posto: Vic adorava il suo umore lunatico perché portava ad una
certa
intraprendenza sotto le lenzuola.
Ma adesso
era
single. Da troppo tempo. E c’era il Problema
James. E il giorno dopo sarebbe stato fuori dalle mura
protettive del
castello.
Durante
la
Luna Piena.
****
Nei pressi della
Foresta Proibita.
Pomeriggio inoltrato
Tom aveva
pensato che tornare lì
avrebbe potuto
aiutarlo. Tornare dove il Naga l’aveva aggredito. Dove tutto
era cominciato.
Sul luogo
del… - aveva fatto un sorriso amaro quando ci aveva pensato
-… delitto.
Non era
certo
del perché avesse formulato un’idea del genere,
sapeva solo di essersi messo
addosso il mantello e di essere uscito, avendo cura di non essere
notato.
Era
sabato e
non aveva dovuto confondersi con gli altri studenti per le lezioni
giornaliere.
Era rimasto, sostanzialmente tutto il giorno chiuso in biblioteca.
Nessuno
l’aveva infastidito. Probabilmente per via della sua
espressione. Non che gli
dispiacesse, beninteso; dopo quella mattina nulla gli era sembrato
più dolce che
farsi ignorare e concentrarsi unicamente su se stesso.
Aveva
deluso
Albus. Il senso di bruciante desolazione che lo opprimeva si era
allontanato
solo quando anche lui l’aveva fatto. Mentre scendeva il
crinale su cui si
posava il castello si era sentito man mano più leggero.
Piuttosto
ironico. Una volta le mura del castello erano il suo rifugio preferito.
Adesso
lo soffocavano.
Inspirò,
varcando la soglia frondosa della Foresta Proibita. Camminò
per una decina di
minuti, un passo dopo l’altro, calpestando foglie e rami
secchi.
Cos’era,
lui?
Tutte le sue ricerche portavano lungo una china di orribili
conclusioni.
Si
sentiva
stanco, una sorta di tensione opprimente gli ottundeva le
capacità di
ragionamento.
La
sentiva
scorrere sotterranea, come se da un momento all’altro potesse
accadere
qualcosa.
John Doe stava preparando qualcosa. E lui non aveva il potere
di fermarlo.
Il bosco
era
avvolto nella penombra cupa di quel pomeriggio senza sole. Ormai
l’inverno
stava giungendo alle porte e il freddo continentale gli penetrava nelle
ossa,
anche sotto al mantello invernale.
Pensare
ad
Albus gli faceva male.
Avrebbe
affrontato una tribù di Naga intera in quel momento,
piuttosto che dover di
nuovo affrontare gli occhi puliti di Al e mentirgli.
Non
trovava
via di uscita.
Niente male
Tom… piangerti addosso è
decisamente da Serpeverde.
Le foglie
secche crepitavano sotto i suoi piedi, mentre si dirigeva verso il
centro della
foresta: una volta avrebbe fatto attenzione ad ogni minimo movimento.
La
foresta pullulava di creature ben poco amichevoli, persino con i
giovani maghi
della scuola. Più volte Hagrid e l’attuale
guardiacaccia, Tremayne, avevano
insistito sulla necessità di non spingersi troppo in
là.
Adesso
non
gli importava. Sentiva che quello che doveva temere non era qualche
aracnide
gigante o un centauro di pessimo umore.
“Ehi
Dursley!”
La voce era sorpresa, forse divertita. Il tono cantilenante lo
identificò come
Loki.
Stava a pochi passi da lui, con una sacca a tracolla e l’aria
perplessa, che
forse si rispecchiava nella sua.
Che ci fa qui?
“Ho
sentito
un rumore di passi, avevo paura fosse Tremayne.”
Interloquì con un
sogghignetto. “Che ci fai qui? Lo sai che siamo nel
territorio dei centauri?”
“No.”
Ammise.
Lo scrutò. Da come era fornito di sacca e bacchetta
spianata, era chiaro ne
stesse pensando una delle sue. “Ma potrei farti la stessa
domanda.”
Loki sembrò riflettere sull’eventualità
di mentirgli o meno. Strano ragazzo,
Nott. Era un buon compagno di stanza, discreto e assente. Anche un
calcolatore
con pochi scrupoli.
Sostanzialmente,
gli piaceva.
“Diciamo
che
sono qui per affari.” Spiegò, scrollando le
spalle. “Sto cercando il loro
cimitero. Se non fossi certo che sono privi di magia penserei che
l’hanno
disilluso.”
“Il
cimitero
dei centauri…” Ripeté lentamente. Gli
stava mentendo?
L’ha
mandato qui Zabini? Al?
Improbabile,
dovette ammettere. Loki non era tipo da favori, e generalmente nelle
questioni
interpersonali assumeva il ruolo di spettatore.
“Già.
Ci
dovrebbero essere un sacco di frecce conficcate a terra. Sono quelle
che cerco.”
Mimò uno spazio circoscritto con le mani. “Mi dai
una mano?” Propose. Prima che
potesse aprire bocca gli lanciò la sacca, che fu costretto a
prendere al volo
per non farsela franare addosso.
“Ho
da fare.”
Ribatté infastidito.
“Cosa?”
Non poteva rispondere, ovviamente. E Loki, dal sorrisetto che gli fece,
lo
sapeva benissimo.
“Avanti.”
Schioccò la lingua, come a spronarlo. “Mai stare
soli nella foresta. Non ti
ricordi le parole del mezzo-gigante?”
Tom per un attimo fu tentato di intimargli
di lasciarlo in pace, e proseguire
per la sua strada. Ma c’era sempre
l’eventualità che Nott lo seguisse e si
facesse domande. No, era troppo rischioso.
Doveva
assecondarlo.
“Non
c’è
nessun’altro con te?” Chiese, raggiungendolo.
“Ovvio
che no,
mio buon Dursley. Così non devo dividere i
guadagni!”
Naturale…
Si
affiancarono, cominciando a camminare. La presenza di Loki lo
infastidiva, ma
molto meno di quanto avrebbe dovuto. In fondo la ricerca del luogo del
delito
era stata solo una scusa che si era dato per allontanarsi dalla scuola
e da Al.
“Perché
cerchi il cimitero dei centauri?” Gli chiese infine.
“Le
frecce.
Le usano per accompagnare il morto nel loro Oltretomba. Sono
cerimoniali, e le
punte sono fatte in Pietra Serena. A Notturn Alley la mettono dieci
galeoni al
grammo.” Spiegò placidamente.
Tom non
poté
fare a meno di sorridere: solo Nott poteva inventarsi un modo del
genere per
fare soldi.
“Non
hai
pensato che potrebbero scoprirti?”
“Improbabile. I loro cimiteri sono lontani dai loro
accampamenti. Di solito,
qualche miglio. E in questo silenzio il rumore di zoccoli si sente da
lontano,
non credi?”
“Ti
farò
sapere quando mi troverò una freccia a pochi millimetri
dalla nuca…” Replicò
con una smorfia.
Loki rise
brevemente. “La tua ironia, Dursley. Non so se sia tipica dei
nati-babbani, ma
seriamente. È esilarante.”
Tom non rispose, limitandosi a guardarsi intorno. Gli
ripassò la sacca e Loki
la riprese di buon grado. “Da cosa si riconosce un cimitero
di centauri? Solo
le frecce?”
“Di solito usano radure naturali.” Fece un cenno
vago. “Mi sono documentato, ma
sai… Quando due gemelle ti placcano nei bagni sostenendo che
devono averti subito…
Certi obblighi passano in
secondo piano.”
Tom si trovò ad alzare gli occhi al cielo: era singolare, ma
in quel momento,
solo per quel momento, gli sembrava di essere tornato
all’anno prima. Un deja-vu.
Era una
sensazione buona.
Alla fine
trovarono
la radura.
“Le lanciano tipo pioggia mortale. Mai visto tanto spreco in
vita mia.”
Sogghignò Loki, aprendo la sacca e cominciando a strapparle
dal terreno.
“Beninteso, se qualcuno ti fa domande... Acqua in
bocca.”
Tom si sedette su un tronco malinconicamente divelto. “Avrei
motivo di farlo?”
“Vero.
Sei un
tipo silenzioso, Dursley.” Ammise con un sorriso storto.
“Ultimamente, più del
solito. Pessima giornata?” Ci pensò.
“Una lunga
serie di pessime giornate?”
Tom serrò le labbra. “Cosa ti fa pensare che mi
confiderei?”
Con Nott poteva essere onesto. Non doveva salvare nessun rapporto, non
temeva
di deluderlo o ferirlo. Non avevano abbastanza confidenza per quello. E
a Nott,
in fondo, non importava veramente.
“Nulla.
Solo,
se cammini da solo per la foresta, qualche domanda me la
faccio…” Controllò la
punta di una freccia, sfiorandola con la punta delle dita. “E
poi, detto tra
noi, camera nostra è diventata un avamposto tra schiere
nemiche.”
“…
Cosa intendi?”
“Oh, lo sai benissimo. Quando litighi con Michel, quando
litighi con il piccolo
Potters. Insomma, sei un ragazzo piuttosto problematico.”
Tom non
rispose. Sentiva l’emicrania esplodergli tra le sinapsi.
“Non sono affari tuoi,
Nott…” Replicò.
“Ecco
qua. Ti
stai piangendo addosso.”
“Prego?”
Nott non
alzò
neppure lo sguardo, continuando nella sua opera di raccolta.
“Dursley, ti stai
piangendo addosso.” Ripeté quieto. “Giri
per la scuola con un’aria da patibolo,
evitando tutti e finendo per attirare l’attenzione di
metà scuola. Capisco
litigare con Michel… sa essere piuttosto metifico, a volte.
Ma Potters…
litigare con Al è come tirare un calcio ad un
cagnolino.”
Tom non
riuscì a replicare.
“Non
so se te
lo ricordi, Dursley, ma apparteniamo alla stessa Casa.” Loki
continuava a
sorridere, come le statue greche dei documentari babbani, ma era
evidente che
fosse serio.
Tom
replicò
con una smorfia sarcastica. “Stai cercando di dirmi che sei
qui per
ascoltarmi?”
“No, sono qui per le frecce. Sto cercando di dirti che hai
rotto le palle.” Spiegò
con franchezza sgomentante. “Tutti abbiamo problemi. Ma
nessuno riesce a
rovinare l’umore a tutti quelli che gli stanno attorno come
ci riesci tu.”
Tom serrò la mascella, frenandosi dall’alzarsi e
rispondere. “Non puoi capire.”
Si limitò a dire, sentendosi, a dire il vero, piuttosto
ridicolo.
Loki gli
lanciò una nuova occhiata, chiudendo la sacca.
“Non so cosa si prova? Senti.
Qualsiasi cosa ti stia succedendo, e davvero, non
mi interessa… Hai ucciso qualcuno?”
“… No.”
“Fantastico allora. Perché quello
davvero è un problema a cui non c’è
soluzione. Perlomeno, così dice il mio
vecchio.” Fece spallucce. “Per tutto il resto,
c’è sempre modo per tirarsi
fuori dai guai.”
Tom non disse nulla. Era… strano.
Si
sentiva
preso in giro, ed era irritato. Ma non era davvero arrabbiato. Forse
perché
Loki non lo stava giudicando. E non lo avrebbe mai fatto
perché non gli interessava farlo.
E se
fosse… Se ci fosse un modo per
tirarsi davvero fuori?
Si
trovò ad
aver voglia di confidarsi.
“Credo…”
Misurò le parole. “Credo di aver fatto
delle scelte… sbagliate.” Concluse.
Loki si
mise
lo zaino a tracolla. Sembrò riflettere seriamente.
“Allora torna indietro.”
Disse.
“Non posso.” Sussurrò sentendo
l’aria comprimersi nei polmoni.
“Perché
no?”
“Se
tornassi
indietro dovrei confessare. Confessare delle cose… che
potrebbero distruggermi.”
“Insomma,
se
vai avanti o indietro, rischi comunque qualcosa.”
Tom fece una smorfia. “Un riassunto magistrale.”
Tornare indietro, e rischiare il giudizio di Albus, di Harry e di tutte
le
persone a cui teneva. La prigione, forse. Tornare indietro e perdere le
sue
risposte, che agognava da quando aveva capito di essere diverso.
Andare
avanti, continuare a mentire e peggiorare la sua soluzione.
In ogni caso,
potrei perdere.
Loki
sospirò.
“Beh, è un bel problema. Forza, Dursley. Torniamo
al castello. Si fa sera e non
è sicuro restare qui.”
Tom si
alzò,
spazzolandosi il mantello. Aveva la testa confusa: fino a quel momento,
non
aveva veramente considerato la
possibilità di tornare indietro. Di confessare tutto.
Ma dirla
ad
alta voce l’aveva resa reale, concreta, quella
possibilità.
Inspirò.
La
verità è
che aveva paura.
Non era
la
rabbia che lo atterriva, non era l’orgoglio che
l’attanagliava e neppure il
bisogno di conoscenza che l’avevano portato fino a quel
punto. Quelli erano
solo sintomi.
Era la
paura,
la sua malattia.
Di essere
diverso, e non nel modo in cui gli sarebbe piaciuto. Di non meritare,
in fondo,
che Harry l’avesse salvato da quel pazzo.
Si
affiancò
al compagno di stanza. “Tu cosa faresti?”
“Io?” Loki parve riflettere brevemente, di nuovo.
“Otterrei il massimo del
guadagno.”
“Spiega.”
“Se devo prendere una scelta tra due alternative, scelgo
quella che sarà
migliore per me.” Esplicò in tono pratico.
“Il fattore rischio? Quello c’è
sempre.”
“Tu
quindi
torneresti indietro.”
Loki fece spallucce. “Che ne so… Dipende. Non
conosco la tua situazione. Devi
vedere dove c’è più perdita. Se a
confessare tutto, o continuare a fare quello
che stai facendo. Dov’è la perdita?”
Tom non rispose.
Dove…
Sì,
sapeva
dove.
****
Londra,
Piccadilly Circus.
Pomeriggio.
Ainsel
Prynn
era sempre stata una donna sicura di sé.
Quando
era
uscita dall’Accademia di Salem con voti strabilianti era
stata immediatamente
chiamata dal Ministero della Magia americano. Aveva scalato i dedali
della
burocrazia senza mai guardarsi indietro.
Per
arrivare
esattamente dove voleva, ovvio. Cioè al Dipartimento di
Polizia Magica di
Washington.
Aveva
sempre messo
l’ambizione prima di tutto, della famiglia, degli amici,
dell’amore. E quando,
finalmente gli era stata affidata una missione di spionaggio e recupero
soggetto…
Aveva
fallito.
Il diario
era
stato trafugato, il ragazzo era in pericolo, e la sua presenza ad
Hogwarts a
quel punto era superflua.
C’erano
cose
più grandi di lei in ballo, aveva spiegato il suo capo,
intimandole di fare le
valige al più presto. La cattura di John Doe era preminente
adesso e se lei era
stata incapace di fermarlo, si sarebbero usati mezzi diversi.
Tutto sotto il
naso degli inglesi…
Era
difficile
capire le manovre delle alte sfere, rifletté mentre guardava
fuori dalla
vetrata dello Starbuck’s in cui era entrata. Supponeva che la
decisione di non
informare il Ministero inglese fosse dovuta alla natura
dell’organizzazione che
aveva assoldato John Doe. Chi lo aveva assoldato e pagato per tutte
quelle
piccole scatole cinesi ingegnose, i Naga,
l’attacco… aveva in mente un solo
obbiettivo ed era stato disposto a pagare profumatamente per
raggiungerlo.
E
c’erano
ormai molto vicini.
L’Organizzazione
era un obbiettivo internazionale, ma considerando che il padrino del soggetto era a capo della polizia magica
britannica…
Il suo
capo
aveva definito quella situazione ‘spinosa’. Non
aveva avuto tutti i torti.
Nel
dossier
che le era stato dato prima di partire alla volta della Scozia non
c’era molto
su questa sull’Organizzazione. Aveva radici ovunque, anche se
la sua sede
centrale si supponeva fosse a Monaco, in Germania.
Erano
stati
loro ad uccidere Immanuel Ziel. Era uno dei buoni,
Ainsel l’aveva persino conosciuto, che a lungo aveva
osservato, sotto
copertura, la crescita magica di Thomas Dursley.
Aveva
raccolto informazioni per cinque anni, prima che Doe lo uccidesse e
cercasse di
trafugarne i diari. Non c’era riuscito la prima volta, ma
l’aveva fatto la seconda.
L’Organizzazione
cercava di riprendersi Thomas. Era
a
loro che era stato rubato, dopotutto. Ma non era il fine ultimo. Tom
era il mezzo con cui avrebbero
ottenuto ciò
che cercavano.
Thomas
Dursley…
Oggettivamente
provava pena per quel ragazzo.
Poi si
rendeva conto che effettivamente… c’erano cose
più grandi di lei.
Ainsel
Prynn
era sempre stata una donna sicura di sé, e di ciò
che voleva. Ma quando aveva
ottenuto il posto di agente al Ministero, si era resa conto come in
fondo non
fosse veramente arrivata da nessuna parte. C’era sempre
qualcuno sopra di lei.
C’era sempre qualcuno che le dava ordini per cui non le era
concesso fare
domande.
Solo uno
strumento, come il povero Thomas Dursley.
Non era
mai
stata tipa da piangersi addosso. Così aveva agito.
Non era
stato
poi molto difficile.
Sentì
la
sedia spostarsi di fronte a lei.
“Ciao mia bella Ainsel…” Disse
l’uomo. “Posso offrirti qualcosa? Questi babbani
hanno delle invenzioni meravigliose. Come i frappuccini o i
cellulari.”
Ainsel
Prynn
era una donna sicura di sé e di ciò che voleva.
Infatti sorrise.
“Perché no, Doe. Scegli tu per me.”
****
Casa Potter,
Devon.
Dopocena.
Harry
Potter
non aveva mai scelto di fare l’eroe. Semplicemente, era
capitato.
E gli
eroi
dovevano sventare i piani dei cattivi. Lo diceva il ruolo.
Solo,
adesso,
chi erano i cattivi che avrebbe dovuto combattere?
Seduto
sulla
poltrona del suo salotto, nella sua casa, a soli dieci minuti dalla
Tana,
beveva il the serale in compagnia della moglie, che ascoltava
pigramente la
radio mentre correggeva la bozza di un articolo.
E
pensava.
Si
soffermò
ad osservare le dita sottili e sporche di inchiostro di Ginny danzare
sulla
pergamena. Le sorrise distratto.
Non aveva
mai
cercato la fama. Avrebbe preferito di gran lunga essere un campione di
Quidditch
con i genitori vivi, che un eroe del mondo magico con una schiera di
morti alle
spalle.
Per
questo
aveva cresciuto i propri figli con un solo monito: diventare degli
esseri umani
onesti e gentili. Non degli eroi.
I suoi
figli…
Amava
James,
Albus, Lily… ma anche Teddy. E Tom.
Spesso si
era
chiesto se avesse fatto bene ad affidarlo ai Dursley. C’erano
stati pessimi
precedenti, ma Dudley era diverso.
Almeno ci ha
provato.
La
verità era
che aveva scelto il cugino non per le sue doti paterne, ma per non
doversi
separare dal bambino. Kingsley aveva avuto ragione, come sempre. In
Thomas
vedeva se stesso bambino. Per questo non era riuscito ad abbandonarlo
al suo
destino.
Si
ricordava
ancora con nitore la sera in cui aveva bussato alla porta di casa
Dursley.
Dudley aveva
aperto con un’espressione
confusa sul faccione tondo. Non era sembrato spiaciuto della visita, ma
piuttosto sconcertato.
“Mi
dispiace Dudley… Disturbo?”
Harry non aveva ancora trent’anni e non aveva imparato bene a
mediare. La sua
non era una domanda, era una richiesta. Il cugino sembrava averlo
intuito,
perché aveva sbuffato.
“Anche
se fosse, ormai sei qui. Dai,
entra, o ti prenderai un malanno.” Quando si era richiuso la
porta alle spalle
l’aveva squadrato. “Dio, Harry… ma ti
pettini mai
i capelli?”
Harry aveva riso. “Ci provo da quando ho sei anni. Mi hai mai
visto riuscirci?”
“Pensavo lo facessi apposta…”
Confessò con un certo imbarazzo. “Vuoi fermarti a
cena? Robin sta mettendo in tavola.”
“No,
grazie. Gin mi aspetta… So che
non è il momento giusto, ma ultimamente il lavoro mi sta
uccidendo e non ho un
momento libero.”
“Cosa vuoi Harry?” Aveva chiesto sbrigativo. Doveva
ammettere che quel tono
spiccio non gli dispiaceva. Avrebbe evitato inutili giri di parole.
“Ho
bisogno che tu adotti un bambino.”
No, decisamente non era ancora in grado di mediare. E sarebbero passati
anni
prima che ne fosse stato capace.
“…
Cosa?”
“Ieri ne abbiamo salvato uno, durante…
un’operazione di … ehm, polizia. Ha
bisogno di una famiglia, ma mentre gliene cerchiamo una potrebbero
passare
anni. E intanto dovrebbe stare in una casa famiglia.”
Dudley l’aveva guardato con l’espressione stolida
di un tempo. Doveva ammettere
che in quel caso era perfettamente giustificata. “Mi stai
chiedendo di adottare
uno… uno di voi?”
“Non è detto che lo sia. È ancora
troppo piccolo per sapere se sarà un mago.”
O un
magonò – Aveva pensato.
Ma escludeva
quell’ipotesi. Se lo sentiva.
Dudley era
diventato rosso tutto ad un
tratto, assomigliando davvero al defunto e – non troppo
compianto – padre.
“Cosa… Sei impazzito? Come puoi venire qui, in
casa mia, e chiedermi…”
“Non te lo sto chiedendo a dire il vero.”
Replicò. “La tua famiglia è viva
grazie a me e all’Ordine della Fenice. Grazie a noi maghi,
Dudley. E tu sei
vivo grazie a me. Sono qui per riscuotere il mio debito.”
“Tu ne hai uno ben più grande con la mia
famiglia!” Sbottò aggressivo. Ma lesse
incertezza nei suoi occhi, e decise di caricare la posta.
“Dici?
Devo ringraziare i tuoi
genitori di avermi fatto sopravvivere? Dudley, non sono qui
per lanciare accuse, ma sai bene che i tuoi non mi hanno mai amato. Se
sono qui
adesso, è perché ti reputo una persona migliore
di loro. Ti sto chiedendo
aiuto. Quel bambino non ha nessuno al mondo.
Ha bisogno di una casa.”
“E non
gliela puoi dare tu?”
“Come pensi che crescerebbe se non fosse un mago, in mezzo a
dei maghi?”
Ritorse.
Dudley aveva
serrato le labbra pallide
in una linea sottile. Era palesemente combattuto. Se intimargli di
andarsene, o
dargli una possibilità.
“Dagli
una possibilità. Non ti chiedo
di darmi una risposta definitiva, ti chiedo di tenerlo in affidamento
per un
periodo. Finché non gli avrò trovato una famiglia
adatta. Ma potrebbe volerci
del tempo.”
“Io…”
“Dud, che succede?” Robin era apparsa sulla porta.
Harry sapeva come la moglie
e il cugino stessero tentando di avere dei figli da mesi. E di come
ancora non
ci fossero riusciti. Lo sapeva, perché Ginny aveva parlato
con lei.
Si sentiva
sleale, ma non gli
importava.
Il fine, in quel
caso, giustificava i
mezzi.
Quando aveva
messo Tom tra le braccia
di Robin, era stata lei a convincere il marito a portarlo a casa, a dar
lui un
nome e renderlo un Dursley.
Le
donne… quando sono madri dimostrano
una forza incredibile.
Lanciò
uno
sguardo affettuoso alla moglie, che gli sorrise di rimando.
“Ti vedo pensieroso… Cosa
c’è?” Chiese posando la penna.
“Pensavo
a
Tom. Pensi che abbia fatto bene a farlo crescere trai
babbani?” Domandò. Ginny
era sempre stata una donna acuta, e incredibilmente sincera.
“In fondo sapevamo
che sarebbe stato un mago.”
“Beh,
non
c’era certezza, e comunque sì.” Ci
rifletté brevemente. “Hai fatto la scelta
giusta. La società magica è molto chiusa. Credo
che i ragazzi come Tom abbiano
bisogno di staccare ogni tanto. È troppo…
ossessionato dalla magia.”
Harry batté le palpebre, perplesso. “In che
senso?”
“Vedi…” Ginny esitò, poi
posò carta e penna, intrecciando le mani in grembo.
“Tom
ha vissuto con tuo cugino e la sua famiglia, ma ha sempre avuto chiaro
il mondo
a cui voleva appartenere.” Fece un mezzo sorriso distratto.
“È cresciuto con i
babbani, ma ha sempre saputo di essere speciale. Come noi. Come
te.”
Harry sospirò. Il fuoco del camino gli scaldava
piacevolmente i piedi e
davvero, avrebbe voluto non avere tutte quelle preoccupazioni.
“Anche
se
fosse così Gin, ormai non mi dà più
retta.”
“Oh, Harry… l’adolescenza arriva per
tutti! Guarda Jamie. Non mi fa dormire,
dai pensieri che mi dà…”
“I
tipi di
pensieri che mi dà Tom sono molto più
preoccupanti, credimi.” Confessò
scoraggiato.
Aspettare
una
risposta da Rolf era quanto di peggio ci potesse essere. Era un uomo
d’azione.
Non era fatto per le lunghe attese.
Ginny gli
appoggiò una mano sul braccio, meditabonda.
“Cos’ha fatto?”
Harry esitò. Poi non resse più. Non era
moralmente corretto, ma del resto
quella non era un’indagine di ufficio. Poteva permettersi
fughe di informazioni
con sua moglie.
Alla fine
del
suo lungo monologo, Ginny aveva smesso di sorridere e aveva
quell’espressione
dura che gli aveva visto molte volte. Purtroppo tutte durante la
guerra.
Non è
un buon segno.
“Tom
è finito
in qualcosa più grande di lui.” Stimò
con tono definitivo. “Mi pare evidente
che è tormentato da qualcosa. Forse l’assassino di
Duil lo ha contattato. Forse
lo sta ricattando.”
“Per ricattarlo dovrebbe essere in qualche modo in contatto
con lui. Hogwarts è
sicura, Ginny… La gente non può entrare e uscire
a suo piacimento.”
“Harry, i tempi di Silente sono finiti.”
Replicò quella. “E non era poi troppo
sicura neanche allora. Ti ricordo che Sirius riuscì ad
entrare. E il falso
Malocchio? E Raptor?”
“Quindi
pensi
che … potrebbe essere dentro
Hogwarts?”
“Questo
non
lo so. C’è stato qualche ricambio di
personale?”
“Sì, la professoressa di Trasfigurazione, una
certa Ainsel Prynn. Ma Vitious ha
controllato personalmente le sue credenziali. Confermate dal Ministero
della
Magia americano stesso. Non è lei.”
“Allora
può
averlo incontrato fuori… Ogni fine del mese
c’è l’uscita ad Hogsmeade. Hogwarts
non è il luogo protetto che pensi. Non lo è mai
stato…” Mormorò guardandosi le
mani. Harry gliene prese una tra le sue. Come non ricordare che al suo
primo
anno era stata quasi uccisa da un diario maledetto, contenente un
Riddle
sedicenne?
In
effetti… Forse ho sempre avuto
un’immagine di Hogwarts un po’ falsata.
“Sono
solo
supposizioni Harry… ma… Non è da
escludere la tua ipotesi che tutto questo
trambusto serva a coprire qualcosa. Perché non
l’introdursi dell’assassino ad
Hogwarts? O il furto del diario? C’era il nome di Tom sopra.
È chiaro sia implicato.”
“E
lo era
anche Ziel… Forse è il motivo per cui
è morto. Come Duil, giusto? Non può
essere solo una coincidenza. La morte di Ziel e quella di Duil
potrebbero
essere dovute a quel diario.”
“E
Tom pensi
che lo sappia?”
“Forse. Per questo è stato così ostile
con te.” Sospirò all’espressione confusa
del marito. “Quando Riddle mi plagiò, ad un certo
punto mi resi conto di cosa stavo
facendo… ma era troppo tardi.
Avevo paura che confessando tutto sarei finita ad Azkaban. Mi credevo
colpevole, anche se non lo ero. Se sa qualcosa, se
l’assassino l’ha coinvolto,
Tom avrà paura di parlare. Sei il suo padrino, ma sei anche
un auror. Non può
dirlo a te. Capisci cosa
intendo?”
“No. Sono il suo padrino, non lo giudicherei come…
un sospetto, maledizione!”
“Tu sei un eroe, Harry. Non puoi
capire…” Rifletté con un mezzo sorriso
ad
aleggiarle sulle labbra. “Thomas ha paura di non poter essere
perdonato. Una
persona è morta, c’è stato un furto e
quei Naga hanno terrorizzato gli studenti
e i suoi amici per un mese…”
“Merlino,
Ginny! Ha solo sedici anni e… lo conosco, maledizione. Non
è un cattivo
ragazzo. Se l’hanno coinvolto, l’avranno
costretto.”
“Costretto…”
Ginny si mordicchiò l’angolo del labbro.
“Non credo. È difficile che qualcuno possa
costringerlo a fare qualcosa.”
Harry inspirò. Sua moglie non aveva tutti i torti. Tom non
si sarebbe mai fatto
intimidire da qualche minaccia.
Ma
allora…
“Allora
cosa
può averlo spinto a coprire quella persona?”
“Il bastone e la carota. Se non è il
bastone… Forse hanno qualcosa che Tom
vuole.”
“… Non capisco.”
“Harry, non ragionare come se Thomas fosse un ragazzo con un
passato normale.
Non sa da dove viene, chi erano i suoi genitori. Chi
è lui. Non È tutta la vita che vuole delle
risposte sul suo
passato. E se gliele avessero promesse? Se gli avessero detto che sanno
qualcosa su di lui. Cosa credi che avrebbe fatto?”
Harry
sentì
uno spiacevole retrogusto in fondo alla bocca. Come se il the da dolce
e
zuccherato che era si fosse fatto improvvisamente amaro per le sue
papille gustative.
****
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Capitolo 40 *** Capitolo XXXV ***
Sono
tornata!
Non sapete la gioia di poter finalmente rimettere le zampe sul mio pc,
che non
sia per scrivere qualche riga della Schifosissima Tesi (sì,
amo scrivere solo
per diletto ahimè).
La
buona
notizia è che adesso sono libera come l’aria ed ho
preparato questo capitolo in
tre-quattro giorni.
Ora
dovrei
essere in grado di rientrare in carreggiata. Yay!
Perdonate
i
refusi, ed ecco la risposta alle recensioni, dei prodi che hanno
continuato a
seguirmi. Ah, e grazie per aver apprezzato il Loki-Tommy
moment XD Speravo davvero che piacesse. Ho in serbo
grandi cose per questi due! *_*
@Altovoltaggio:
Ciao! Spero che tu sia ancora su questi canali. Comunque prometto per
Rosie e
Sy un approfondimento maggiore. Prossimamente. Giuro! :D
@LyhyEllesmere:
Ciao! Mi fa piacere che Jamie sia dolce, nonostante il suo terribile
muro di
autostima! XD Grazie mille!
@Trixina: Sì,
dopotutto a me Ginny piace. Certo, il problema maggiore è
che Mamma Row l’ha un
bel po’ Sueizzata, rendendola odiosa ai molti! XD A me piace
l’idea che sia una
donna pratica, intelligente e coi piedi per terra. Come siamo poi noi
donne! :P
Solo perché questa è una storia basilarmente
slash, non signfiica che le donne
debbano essere messe da parte! Anzi! XD
@Ombra: Ciao!
Ebbene sì, Jamie sta un bel po’ crescendo, e spero
che il lupacchiotto lo
ripaghi! ^^ Loki e Tom… mi piacerebbe che fossero amici in
un futuro. Del resto
Al rimane pur sempre il suo Amore, e quindi…
@Ron1111: Solo
una cosa. Grazie e… dov’è il tuo
aggiornamento?! :/
Capitolo
XXXV
Come glielo dici, ad un uomo
così, che adesso sono io
che voglio insegnargli una cosa?
(Oceano Mare, Baricco)
5 Novembre 2022
Tre Manici di Scopa, pomeriggio.
Ted
fissò con
malcelata insistenza l’ingresso dei Tre Manici di Scopa.
Si sentiva… nervoso.
Se
era quello
il termine esatto per raffigurare emotivamente un sentimento non meglio
definito di aspettativa.
Aveva
acconsentito all’idea di Neville di fargli conoscere
MacMillan per…
disperazione, si poteva definire. Sì.
Si
passò una
mano trai capelli, aprendo la porta di legno pesante del locale.
Avrebbe
preso
qualcosa da bere, avrebbe parlato e…
Beh,
in fondo
erano solo due chiacchiere, no?
Sì, sulla tua
sessualità. E non ne hai mai fatte. In
vita tua.
Ora
che ci
pensava, le chiacchiere da ‘uomo’ non avevano fatto
parte dei momenti
simil-paterni che aveva condiviso con Harry. Sua nonna a dieci anni si
era
presa la briga di spiegargli i fatti della vita, probabilmente come
aveva fatto
con sua madre. Tutto lì.
Dopo
si era
chiesto a lungo se il carattere strambo della sua genitrice poteva
risalire a
quella chiacchierata, per lui assolutamente traumatica.
Non
sapeva
cosa aspettarsi da Ernie. Non sapeva neanche che faccia avesse, a dirla
tutta.
Di sicuro Jamie lo
saprebbe… è un giocatore di Quidditch.
Ha una specie di enciclopedia sportiva stampata in testa…
Lo
riconobbe
subito però, non appena entrato; era seduto ad uno dei
tavoli più appartati
della sala, di questo gliene fu grato, e stava chiacchierando
amichevolmente
con Hannah.
Teddy
gli
fece un sorriso timido, quando fu individuato e salutato.
Cosa diavolo ci faccio qui? – Si chiese, mentre lo
raggiungeva e gli stringeva la
mano.
Sicuramente
dimostrava molti anni in meno di Harry, anche se era suo coetaneo.
Aveva un
viso morbido, piacevole e capelli ricci color sabbia. Era un
bell’uomo.
Oggettivamente.
“Ciao
Ted.”
Disse diretto, con un sorriso che gli ricordò
perché trai dettami Tassorosso
c’era la schiettezza. “Prego, siediti!”
Obbedì per poi ordinare meccanicamente una pinta di sidro ad
Hannah, che gli
lanciò uno sguardo affettuoso.
Sperò
che non sapesse.
“Nev
mi ha
parlato parecchio di te.” Esordì l’uomo
scrutandolo. “Sei stato il suo pupillo
per sette anni. Si è sempre rammaricato che tu non fossi
finito a Grifondoro. Ma
ehi… So riconoscere un tassorosso quando ne vedo uno. E a te
si legge in
faccia.”
Ted si sentì immediatamente un po’ meno teso: era
chiaro che l’uomo cercasse di
metterlo a suo agio. Ed era una di quelle rare persone capace di
riuscirci.
“Me
l’hanno
sempre detto. Il Cappello non è stato granché
indeciso…” Celiò. Non poté
fare a
meno di osservarlo. Si accorse che aveva un fisico piuttosto simile a
quello di
James. Spalle larghe, alto e dalle mani forti e callose.
Forse è un cacciatore? Mi
sembra di ricordare che
ciascun ruolo, a Quidditch, preveda una diversa forma
fisica…
E
aveva un
anello al dito.
Anello al dito? Ma è
sposato?
Probabilmente
Ernie si accorse del suo sgomento e seguì lo sguardo.
“Oh…” Si rimirò la mano,
ridendo. “Sì, mi sono sposato l’anno
scorso. Gran bella cerimonia. Babbana.”
Non è gay allora? Ma
quindi…
“Sua
moglie è
babbana?” Chiese, cercando di nascondere lo sconcerto. Fu
sorpreso quando Ernie
si mostrò offeso dalla domanda.
“Beh, in realtà pensavo si sapesse. Mi sono
sposato con un uomo. Sono gay.” Lo
disse con estrema calma, come se fosse abituato a dover spiegare
abitualmente i
suoi gusti sessuali, e a non provare imbarazzo per questo.
Aspetta…
L’aveva
detto
come se si aspettasse che lui non fosse a conoscenza della cosa.
Ma Neville che gli ha detto per
farlo venire a parlare
con me?
La
breve
pausa in cui Hannah portò le loro ordinazioni
servì a Teddy per farlo
riflettere.
“Mi
scusi…”
Esordì. “E che non ho mai conosciuto due maghi sposati tra di loro…”
Spiegò, in questo sincero.
Ernie
si
rasserenò immediatamente, facendo un mezzo sorriso.
“Scusami tu, sono stato un po' brusco, ma spesso le reazioni di chi non sa del mio
orientamento
sono seccanti.”
Teddy
annuì.
Quindi Neville non gli aveva detto il motivo per cui aveva bisogno di
parlargli.
Che diavolo si è
inventato allora?
Fu
Ernie a rispondergli, dopo una
bevuta consistente di sidro. “Nev mi ha detto che sei il
nuovo direttore di
Tassorosso. Una bella responsabilità. Ti servono dei
consigli su come
disciplinare gli studenti mi ha anche detto. Sono il tipo giusto,
ho
allenato per anni le riserve dei Magpies.” Lo
squadrò, con aria critica. “Beh,
non sei granché adulto e questo probabilmente è
il problema principale.”
Ted
fu
indeciso se disperarsi o mettersi a ridere: Neville si era inventato
una scusa
per farli incontrare e per non metterlo in imbarazzo. Paradossalmente
però,
l’argomento della scusa era drammaticamente vicino al suo
bisogno reale.
Cioè a come domare un
adolescente con gli ormoni
impazziti. Che fa impazzire anche i miei.
“Probabilmente…”
Convenne umile, dando un sorso al suo sidro. “Ho ventiquattro
anni.”
“Pochi.”
Sbuffò l’uomo. “Si vede che sei un
ragazzo intelligente, o non saresti
diventato professore ordinario alla tua età. Ma non basta
l’intelligenza per
domare un branco di ormoni impazziti.”
Parole sante…
Ted
si limitò
ad un sorriso di urbana empatia.
“Vedi,
allenando un branco teste calde… e ti sto parlando sia di
maschi che di femmine
… mi sono reso conto che quello che ci vuole
è… Tu diresti.” Batté un
leggero
pugno sul tavolo. “Disciplina, giusto?”
“Sì?” Si azzardò.
“Anche. Non solo. Ci vuole fermezza.”
Fece un mezzo sorriso che fece pensare a Teddy che avesse proprio una
bella
mimica facciale.
Mimica facciale? Pensi a lui in
questi termini solo
perché sai che è gay.
Cercò
di non
arrossire, ma probabilmente Ernie sapeva ben poco dei metamorfomaghi,
perché
non lanciò che un’occhiata distratta ai suoi
capelli. “Fermezza, proprio così.”
Ripetè. “Vedi… è quella
l’età in cui cominciano a sviluppare il carattere.
La
fascia d’età, dico. E devono sfidare
l’autorità. Vedere quanto
e come possono
tirare la corda. È un esercizio sano. Se ci sono ragazzini
che non lo fanno,
che subiscono tutto passivamente, beh… quelli non verranno
su bene. Ci puoi
giurare.”
“Forse
sono
solo disciplinati.” Suggerì poco contento,
sentendosi far parte della
categoria.
“Ah,
ma non
ti parlo di rispetto, qui… ti parlo di passività.
L’atteggiamento da tenere è
di fermezza. Non contraddirsi, mai. Perché a
quell’età, se trovano una falla,
sei finito. Ti metteranno in ridicolo. Forse non apertamente, ma lo
fanno
tutti.” Soggiunse. “Si tratta in fondo di far
capire loro chi comanda. Ci sono
parecchi modi. Naturalmente a Quidditch devi urlare. Fa parte dello
sport,
credo.”
“E come insegnante?”
Come faccio a tenere James a
distanza di sicurezza
mentre capisco come comportarmi?
Quella
chiacchierata si stava dimostrando molto più utile di un
confronto sulla sua
sessualità.
E sicuramente meno
spiacevole…
Ernie
si
appoggiò alla sedia, scrollando le spalle. “Ti
posso parlare dell’atteggiamento
in generale… Non bisogna esitare e non bisogna soprattutto
contraddirsi.
Qualunque decisione si prenda. Altrimenti, beh… ti possono
mangiare vivo.”
Ted
fece un
lungo sospiro. “Sì, ho avuto
quest’esperienza…”
Non con i suoi adorabili studenti. Inspiegabilmente non aveva avuto
problemi
come educatore, quanto come persona. Con una
persona.
“Gli
adolescenti non sono facili… Mi sembri un ragazzo
tranquillo, di sicuro tu non
eri di quelli che davano grane ai professori.”
Sogghignò Ernie. “Ma scommetto
che ci sono un paio di soggetti che adesso ti danno filo da
torcere.”
“Uno in particolare, in
realtà…”
“Beh,
allora
devi fargli capire che sei tu quello che tiene il coltello dalla parte
del
manico.” Lo scrutò. “Neville
è sempre stato il tipo di professore che
preferisce mantenere un atteggiamento morbido con i suoi alunni. Lo
aiuta
l’esperienza, e il fatto che è un eroe di guerra.
Diciamo che la sua fama gli
ha dato un retroterra non indifferente.”
“Ha
carisma…”
Ammise Ted con un sospiro. “Forse è quello che a
me manca. Questo… ragazzo… non
dico mi dia il tormento, ma non mi dà retta.
Minimamente.”
Bevve un altro sorso di sidro, ignorando il pizzicore che gli era
salito al
naso. Non si sarebbe mai abituato a sorseggiare alcolici con
nonchalance.
Oltre
a
questo, sentiva una continua inquietudine scorrergli sottopelle. Era la
luna,
lo sapeva.
La luna…
“Dà
retta a
me. Devi definire i ruoli. Fatto questo, ti darà retta. Puoi
giurarci.” Gli
assicurò, e davvero, Ted avrebbe voluto crederci.
In
ogni caso,
su una cosa Ernie aveva ragione: doveva definire i ruoli, o James
sarebbe
finito per franargli addosso emotivamente, di nuovo. Avrebbe finito per
fargli
una nuova dichiarazione, o tentare qualcosa che…
Inevitabilmente mi
porterà a scappare.
“Grazie
Ernie. È stato molto… istruttivo.” Gli
sorrise, sinceramente grato.
Ernie
scrollò
le spalle. “Figurati. Per così poco… E
poi tra tassorosso ci si aiuta. È uno
dei dettami della nostra Casa, essere leali l’un
l’altro.” Finì la sua pinta di
sidro. “Nev è un brav’uomo, ma
c’è da dire che i ragazzi sono sempre stati
rispettosi con lui. Come hai detto tu, è una questione sia
di carisma che di storia.”
Rise. “Non può capire…”
“Già…”
Veramente è un’altra cosa
che non può
capire.
“…
Spero che
tu non la prenda a male se ti dico una cosa.”
Continuò Ernie, riportandolo al
discorso. “Sai, sono un tipo fin troppo franco, mi dicono. Ma
io dico, ehy,
l’onesta paga sempre.” Sorrise Ernie e dal tono
allegro che gli uscì,
addizionato al fatto che la pinta davanti a sé non sembrava
fosse la prima, Ted
capì che probabilmente stava per dirgli qualcosa che
l’avrebbe imbarazzato a
morte.
Sorrise
comunque, cortesemente. “Dimmi pure.”
“Justin… Finch-Fletchley, conosci?”
“Certo, è il professore di Aritmazia. Di
vista.” Sapeva che amava il Quidditch
e leggeva quegli orribili romanzi allegati con Strega Oggi. Era un uomo
gentile, però.
“Beh…”
La
sfumatura del suo sorriso si fece sorniona, inquietandolo.
“Mi aveva detto che
eri davvero un bel ragazzo. Sinceramente, ricordandomi tuo padre,
pensavo che
avesse un po’ esagerato, ma… ho dovuto ricredermi
oggi, Morgana mi sia
testimone.”
Teddy sentì un brivido di puro panico strisciargli lungo la
nuca. Era un avance
quella?
Ernie, dimostrando una prontezza di spirito piuttosto notevole,
scoppiò a
ridere. “Merlino, ragazzino! Non ci sto provando con te, non
fare quella
faccia!”
“No, io…”
Sapeva che sarebbe arrivato un momento di orribile imbarazzo. Lo sapeva.
“Tranquillo,
Ted. Sono sposato ed amo il mio compagno.” Lo
rassicurò, con un sorriso
divertito. “Ciò non toglie, sempre se mi permetti
di essere un po’ impiccione,
che Justin ti abbia trovato decisamente carino. Sai, è un
mio vecchio amico e
noi tassorosso tendiamo ad impicciarci delle faccende di cuore dei cari
amici.”
“Io… non sono gay.” Pigolò,
più per autentico orrore che altro. Quell’uomo
poteva essere suo padre!
Patrigno. Ha
l’età di Harry, per l’amor di Nimue!
Ernie
fece
una faccia stupita, che rese ancora più traumatica la frase
che ne seguì. “Sul
serio? Merlino, che figuraccia. Pensavo proprio che tu lo
fossi.”
“E lo pensa anche il professor Finch-Fletchley?”
Mormorò sfiancato.
“Beh.
Sì.” Fece
una smorfia spiaciuta. “Ted, sono mortificato. A volte mi
capita di saltare
troppo in fretta a delle conclusioni.”
Ted strinse tra le dita il bicchiere, stringendo le labbra.
“In realtà…
Diciamo… che sono confuso.” Ammise. Ammetterlo di
fronte ad un’altra persona
per la seconda volta fu meno atroce e più liberatorio della
prima. “Al
momento.” Concluse.
Ernie
annuì,
con un sorriso che divenne immediatamente comprensivo.
“Capisco.”
“So che è un po’
tardi…”
“Non c’è certo un periodo fisso. Io
l’ho scoperto a diciotto anni, prima ho
sempre frequentato ragazze. Anche se certo… mancava
quel… qualcosa.”
Scrollò le spalle, con una serenità che Ted gli
invidiò
ferocemente. “Intendo dire, ho voluto bene alle mie ragazze.
Ma poi ho capito
che il mio non essere coinvolto… non derivava dal fatto che
fossi distaccato.
Non è stato facile.”
“Ma
poi l’hai
capito.”
“Beh, fare chiarezza dentro di sé significa anche
crescere.”
Rimasero in silenzio per un lungo, spiacevole momento. Teddy si sentiva
sulle
spine, ed avrebbe voluto chiedergli molte cose.
Non
riusciva
a formulare neppure una domanda però.
“C’è
un modo
per capirlo?” Chiese infine.
A parte frasi retoriche?
Ernie
ci rifletté
brevemente. “Io ho baciato il mio migliore amico.”
Ted
finse un
sorriso di circostanza mentre sentì che decisamente, da
lassù, qualcuno ce
l’aveva con lui.
****
“Perché
sei
così nervosa? Non è come se lo presentassi a zio
Ron…”
Rose
si
lisciò l’orlo del cappotto blumarine,
nervosamente, guardando l’ingresso del Castello, aspettando
che il suo ragazzo
e suo cugino spuntassero, per raggiungere il punto di ritrovo in cui
Neville li
avrebbe prelevati per portarti ad Hogsmeade.
Lanciò
un’occhiata a Lily, fasciata in un cappotto verde
assolutamente perfetto. Il
suo era un po’ liso sui polsini – era il suo
preferito – e era quasi certa di
stare perdendo un bottone.
“Lo
so.” Ribatté
secca, mordicchiandosi l’angolo delle labbra.
“Ciò non toglie che…”
“Tu stia platealmente esagerando?” Le
suggerì. “Malfoy ha ricevuto
un’educazione
da piccolo Lord. Sarà perfetto e tutti ci innamoreremo
perdutamente di lui.
Jamie già lo è.” Commentò con un
sorrisetto ascrivibile a quello di un gatto magico di una favola
babbana.
Stregatto? Ero quasi certa si
chiamasse così…
“Dì
la
verità. Stai godendo delle mie nevrosi?”
Borbottò cupa, squadrandola.
Lily stiracchiò un sorriso, soffiandosi sulle mani per
scaldarle dalla
tramontava invernale che batteva il cortile.
“Certo!”
“Flagello della mia esistenza.”
“Grazie.”
Sentirono
dei
passi concitati e poi un inciampare soffocato. Si voltarono entrambe
con un
sorriso di puro e incontrastato affetto. Era arrivato Albus.
Lily
inarcò
le sopracciglia. “Fratellino. Intravedo qualcosa di
… rosa sotto il tuo
mantello?”
Al sorrise impacciato, stringendosi le braccia attorno al petto.
“È la camicia.”
“Hai
una
camicia rosa?” Chiese
Rose perplessa,
mentre Lily reprimeva una risatina.
Al
arrossì. “Veramente
è glicine. Comunque
è una storia
lunga. C’entra la nonna.”
“Se
hai
addosso qualcosa di imbarazzante c’entra sempre
la nonna.” Commentò Lily beccandosi
un’occhiataccia dal fratello.
“Che
c’è? Ha
davvero un gusto terribile in fatto di vestiti! Anche mamma non
scherza… è un
miracolo che io abbia un minimo senso del gusto.”
Replicò la ragazzina con
sussiego.
“È
una bella
camicia. Perlomeno, a me
piace.”
Ribattè Al con tono definitivo.
Rose gli lanciò un’occhiata. Niente Tom.
Né in vista né in arrivo
probabilmente.
E dobbiamo tutti far finta di non
notarne l’assenza…
Lily
parve
pensarla allo stesso modo, perché non lamentò la
sua assenza a gran voce, come
avrebbe fatto fino a qualche mese prima, ma si limitò a
controllare il colore
della sua cravatta e a lodarlo per essere riuscito a coordinare due
capi in una
volta sola.
C’era
qualcosa di strano e conclamato nell’aria. Come
un’atmosfera d’attesa.
Sua
madre,
quando era piccola, le aveva
raccontato
di come Hogwarts a volte riuscisse a sublimare lo stato
d’animo dei maghi al
suo interno.
C’era
quella
sensazione nell’aria, ed era certa di non essere
l’unica a percepirla.
Ne
aveva
parlato con Scorpius e anche lui le aveva confermato di provare la
stessa
sensazione.
Qualcosa di strano sta
accadendo… Non è forse il motto
della nostra scuola?
Guardando
Al
che sopportava i vani tentavi della sorella di rendergli i capelli un
po’ meno
‘scialbi’ sperò che davvero non
c’entrasse Thomas in quella storia.
Fu
poi
distratta dall’arrivo di Scorpius e James, accoppiati come al
solito, impegnati
in una discussione che culminò in uno sghignazzo finale.
James
squadrò
il fratello. “Che ti sei messo addosso? Hai una camicia
rosa?”
“È glicine.”
Ripetè pazientemente. “È
di classe. Perché ce l’avete tutti con la mia
camicia?”
“Perché è rosa.”
Ripeté James irriverente. Si guardò attorno.
“Ehi, non c’è T-…”
Rose lanciò uno sguardo di avvertimento al cugino, che lo
ignorò. Per fortuna
fu Scorpius ad intercettarlo, e si premurò di interrompere
con disinvoltura. “Ted? Il
professor Lupin? Secondo me ha
un problema cronico nell’essere in orario. Qui come a
lezione.”
“Non
fa così
ritardo!”
“Solo perché tu probabilmente sei mediamente
più in ritardo di lui, Poo.”
“T’ho detto di non chiamarmi in quel
modo!”
Rose lanciò un’occhiata ad Al, che si era
ovviamente rabbuiato.
Ovvio. Basta l’iniziale,
specie se il nome è breve come
Tom.
“Non
gliel’ho
neanche ricordato, e lui non me l’ha chiesto.”
Disse semplicemente, ricambiando
con un sorriso il suo sguardo preoccupato. “Gli sono passato
davanti in Sala
Comune e stava leggendo. O fingendo, non so.”
“Al…”
“Sto
bene.” La
prese a braccetto. “Pensi davvero che la mia camicia sia
rosa?”
Rose
serrò la
presa attorno al suo braccio. “No, Al. A me sembra proprio
glicine.”
****
Se
ne stavano
andando. Probabilmente alla cena di compleanno del piccolo Cedric di
cui Al gli
aveva accennato qualche settimana prima.
Tom
li guardò
dalle merlature della allontanarsi verso Hogsmeade, capeggiata da
Neville.
Era
quasi
certo che Al si fosse messo quella terribile camicia lillà,
dono di Molly.
“Mani
appoggiate casualmente sul parapetto, vento che ti soffia trai capelli
e
cappotto scuro. Dursley, sul serio. Ti metti in posa per fare il bello
e
dannato?”
Tom serrò appena le labbra.
“Potrei
pensare che mi stai pedinando, Nott.”
“Devo deluderti allora.” Il ragazzo, quando si fu
voltato, gli mostrò un gufo
appollaiato saldamente al suo braccio. “Devo recapitare un
pacco ad un cliente.
Sai, incidentalmente hai deciso di struggerti in un luogo piuttosto
frequentato.”
“Non
mi sto struggendo.”
Sibilò, irritato. “Stavo
solo prendendo una boccata d’aria.”
“Come
non
darti torto. A volte i sotterranei sanno essere opprimenti.”
Sogghignò,
assicurando un pacchetto alla zampa destra del volatile.
“Nott,
perché
i tuoi gufi hanno sempre un’aria atterrita?”
Interloquì distratto, guardando la
piccola fila compatta scomparire oltre il crinale che costeggiava il
campo da
Quidditch.
Sapeva
di
dover essere con loro. Annoiato, sicuramente. Scocciato,
perché no?
Ma dovrei essere lì. Non
qui.
La
realtà era
che, per quanto si sforzasse di dimostrare il contrario, quella era la
sua
famiglia. E gli mancava, anche solo essere infastidito dalla
metà di loro.
“I
miei gufi
dici? Sarà per la natura volatile delle sostanze che
consegno. Vai, bello…”
Stese il braccio e il gufo spiccò il volo.
Tom
si voltò
di nuovo verso il parapetto. “Riguardo alla nostra
chiacchierata di ieri…”
“Hai preso una decisione?”
“… voglio essere sicuro che nessuno ne venga a
conoscenza.” Terminò, ignorandolo.
Loki sorrise divertito. “Pensi che sprecherei una confessione
simile, il primo
momento di debolezza di Thomas Dursley,
con il primo venuto? No, la riserverò per occasioni
più propizie.”
Tom
distese
un mezzo sorriso. “Ti ho sempre sottovalutato,
Nott.”
“Capita spesso. Di solito, è meglio essere nelle
mie grazie quando ciò accade.”
Chiosò il ragazzo, accendendosi la pipa, che continuava ad
usare da Halloween. Ne
tirò un paio di boccate. “Ma tu lo sei, mio buon
Dursley. Penso che un giorno
troverai il modo per ripagarmi del mio silenzio.”
Tom
si staccò
dal muro, spolverandosi le maniche del cappotto. “Hai uno
strano modo di
apprezzare le persone, Nott.”
Loki
sorrise.
“Anche tu. Allora? Hai preso una decisione?”
Tom guardò in direzione di Hogsmeade. Oltre la foresta,
oltre Hogwarts e i suoi
problemi.
“Sì.”
****
Hogsmeade, Tre Manici di Scopa.
Sala privata. Ora di cena.
Rose
era
sinceramente fiera del suo ragazzo. E sinceramente infuriata con lui,
di pari
misura.
Le
contraddizioni dell’adolescenza, avrebbe detto qualcuno.
Fino
a
qualche ora prima avrebbe giurato che la presenza di Scorpius alla
tavola dei
Paciock sarebbe stato un fiasco totale. Zio Neville non era tipo da
portare
rancore trans-generazionale come suo padre, ma comunque un Malfoy restava un Malfoy.
Aveva
sinceramente temuto quando Hannah li aveva accolti con
un’espressione
esterrefatta, facendo scendere un momento di gelo a dir poco
imbarazzante.
Poi
Scorpius
aveva sfoderato uno dei suoi meravigliosi sorrisi da paginone centrale
di
StregaOggi e aveva porto il regalo al piccolo Cedric, augurandogli buon
compleanno.
Il risultato era stato che Cedric l’aveva adorato
all’istante e Hannah al
momento rideva di una sua battuta. Persino Neville sembrava gradirlo.
Tutti
erano
innamorati di Scorpius in quella sala. E lei si sentiva decisamente
gelosa.
Al
le toccò
il braccio, con la scusa di passarle la salsa per l’arrosto
che galleggiava
placido nel suo piatto. “Tutto bene?” Le chiese.
Rose
fece una
lieve smorfia.
Sì, tutto
meravigliosamente se non fosse che sono in
preda ad un’acuta quanto ridicola crisi di gelosia
perché Scorpius non mi
considera da almeno due ore.
“Certo,
se
non fosse che temo non riuscirò ad uscire da questo vestito,
dopo il dolce.”
Al ridacchiò. “Sono felice di essere un
ragazzo.”
“Ti odio. Sappilo.”
Al
le rispose
con una di quelle sue adorabili espressioni di sorpresa. Era certa che
sapesse
sbattere le ciglia intenzionalmente.
“Cosa c’è che non va? Sembri
infastidita.”
Rose esitò. Si guardò attorno: si sentiva
piuttosto stupida e voleva evitare
con tutte le forze di farsi ascoltare dalla Malvagia
Lily o da quello stronzetto pettegolo di Jam.
Beh.
A
dirla
tutta, entrambi erano presi da altro. James parlava allegramente con
Teddy, che
aveva stranamente i capelli castani – ed era sicura che li
tenesse tali
volontariamente, dall’espressione concentrata che aveva
– e Lily…
…
stava
parlando fitto fitto con il suo ragazzo.
“Sappi
che
ucciderò Lily a fine serata.” Sussurrò
dando una forchettate feroce
all’arrosto.
Al
lanciò
un’occhiata alla sorella. “Lo sai
com’è fatta. Sta giocando.”
“Da chi avrà preso in
famiglia…”
“Temo da zio George. O forse da mio nonno. Dicevano che fosse
incredibilmente… giocoso.”
Assottigliò gli occhi, pesando
l’affermazione. “O tendenzialmente un bullo
egocentrico.”
“Mai nome fu più azzeccato di James Sirius Potter,
allora.” Stimò, facendoli
ridacchiare. Esitò, poi dovette dirlo. La sua mancanza si
sentiva acutamente,
specie perché si rifletteva negli occhi di Al. “Tu
e Tom avete litigato?”
Ancora? Tanto per cambiare?
Merlino, quanto vorrei piantargli un
paletto di
frassino nel cuore.
Al
fece una
lieve smorfia. “Non proprio. Ho cercato di tirargli fuori la
verità… su cosa abbia,
sai. Il risultato è stato che ho capito che non me la
dirà mai.”
Rose
si
mordicchiò l’interno della guancia: era terribile
vedere il suo migliore amico,
suo cugino, stare male per un idiota che probabilmente era in preda
solo della
sua personalissima tempesta ormonale.
Forse… è
questo il problema. Forse.
“È
… frustrante.”
Stimò lentamente Al, giocherellando distratto con la
forchetta. Teneva bassa la
voce, ma a giudicare da come tutti stessero lodando il piccolo Cedric
in sella
alla sua scopa-giocattolo, nessuno li avrebbe ascoltati.
“È frustrante voler
bene ad una persona, vederlo stare male e non poter far niente per lui.
Perché
lui non vuole che tu entri nel problema.”
“Tom è fatto così…”
“Già, ed è fatto da schifo.”
Serrò le labbra. “Ho paura per lui, Rosie.
Sinceramente, ho paura che si sia cacciato in qualche guaio.”
“Ma non c’è niente che…
voglio dire. Adesso è tutto a posto. Non ci sono strani
misteri o strane creature in giro per la scuola.”
“Non è quel che c’è,
è quello che sta succedendo a Tom. E sinceramente sono
stanco di abbracciarlo e dirgli che va tutto bene. Perché non va tutto bene.”
Gettò la forchetta al lato del piatto, con un
lieve tintinnare.
“Potresti
parlarne con zio Harry…” Suggerì.
“Ha
litigato
anche con lui, da quanto ho capito.”
“Fantastico…” Commentò, con
una smorfia. Avrebbe voluto aggiungere altro,
cancellare quell’espressione amara dal viso di Al. Ma
c’era solo una cosa che
poteva dire. “Perché non… prendi le
distanze da lui?”
Perché non lo lasci non
funzionerebbe
altrettanto bene, credo… con il tipo di rapporto che hanno.
Al
le lanciò
un’occhiata. “Prendere le distanze? Non sei la
prima che me lo dice…” Osservò
apparentemente distratto.
“Beh,
forse
perché è quello che dovresti fare.”
“Rosie, mi conosci. Pensi che davvero
potrei farlo?” Fece un mezzo sorriso, riuscendo a sembrare
divertito. “Io ho
deciso di andare a Serpeverde anche per lui. Lo sai.”
“Non dire cavolate. Pensi che una scelta così
importante sia stata dettata
unicamente da questo?”
Al ci rifletté, lanciando uno sguardo assorto a Cedric che
sfrecciava tra i
mobili del salotto di casa Paciock con la nuova scopa giocattolo.
“No. Non ho
detto questo… ma penso che in ogni mia scelta, Tom
avrà sempre un posto
primario tra gli elementi che me l’hanno fatta prendere. E so
che per lui è lo
stesso.”
“Al…”
Prese
coraggio. “Io non penso che sia così.”
“Forse. Ma voglio dargli ancora il beneficio del
dubbio.” Sussurrò. “Tu con
Scorpius non lo faresti?”
Rose dopo avergli lanciato un’occhiata, capitolò.
Rispose con un sospiro.
“Probabile. È un po’ il motivo per cui
non l’ho ancora ucciso per aver sorriso troppo
a Lily.”
Risero
entrambi, prima che Scorpius scivolasse tra di loro, toccando la spalla
di
Rose. “Posso rubartela un minuto, mini - Potter?”
“Prego. Stavamo giusto parlando di quanto vorrebbe
strangolarti.” Sorrise
soffice, facendo avvampare Rose, e inarcare un biondo sopracciglio.
“Al,
sei
morto.”
“Oh, il dolce.” Stornò amabilmente,
alzandosi per aiutare Hannah a servire le
porzioni.
Scorpius
si
accomodò al suo posto. “Come mai vuoi
strangolarmi, zuccherino?” Chiese
urbanamente.
“Nessun
motivo particolare, in realtà. È un impulso che
mi viene ogni tanto…” Borbottò,
cercando di sembrare disinvolta. Perché non riusciva a
sbattere le ciglia come
Lily?
“Ne
sono
deliziato. Sai che sto facendo tutto questo per te, vero?”
Soggiunse,
pizzicandole il dorso della mano, con leggerezza dispettosa.
“Lo sai, spero.”
“Per me?”
Scorpius la guardò come se fosse scema. Gli riusciva
dannatamente bene, visto
la fossetta snob che aveva sul mento. “Perché,
pensi che mi piaccia inserirmi a
caso in feste di decenni, comprar loro un regalo e fingere che ami
sostenere
una conversazione con i loro genitori?”
Rose
dovette
ammettere che era piuttosto improbabile.
“Sono
così
amabile con i Paciock perché spero che parlino bene di me ai
tuoi genitori
quando arriverà il giorno in cui tutti gli altarini verranno
scoperti.
Strategia elementare, zuccottino.” Le tirò un
secondo pizzicotto alla mano,
obbligandola a stringere la sua per farlo smettere. “Dividi et impera¹.”
“Cos’è, il motto araldico della tua
famiglia?” Sbuffò per non fargli vedere che
si era commossa.
“Uhm, no. Il mio è qualcosa sul raggirare e
tradire…” Sogghignò.
“Però ora
usciamo, perché voglio fare l’adolescente che si
imbosca scandalosamente.”
Rose trattenne una risata, lanciando un’occhiata a Lily che
le servì un
sogghigno. Alzando i pollici in segno di vittoria.
“Hai
parlato
tutta la sera con Lily…”
“Sì, ed è una ragazzina molto perversa.
Mi piace, ma manca della tua goffa e
adorabile innocenza, biscottina.”
“Alzati
e
andiamo, buffone.” Non poté fare a meno di ridere
e lasciarsi trascinare via di
fronte all’occhiata un po’ scandalizzata dei
coniugi Paciock.
Al
represse
una risata quando vide la cugina sparire con Scorpius, presi da
un’urgenza
alquanto divertente. Rose aveva le guance rosse, ma sembrava felice.
No,
era
felice. Ne era certo.
Malfoy è il ragazzo
giusto per lei.
Al
di là
delle considerazioni altruistiche, si sentiva depresso. La sensazione
che gli
aveva lasciato l’incontro con la fenice del giorno prima era
ormai svanita da
un pezzo.
E
l’incontro
con Tom, quando stava uscendo per raggiungere cugini e fratelli, era
stato il
colpo finale.
Tom non l’aveva neanche guardato. E lo sapeva che
l’aveva fatto volutamente.
Si
sentiva
intrappolato in una situazione in cui, come aveva detto a Rose, non
poteva fare
niente se non aspettare una mossa dall’altro.
Era
come una
partita a scacchi. Senza la mossa dell’avversario, poteva
solo aspettare.
E non c’è una
volta in cui ho vinto, con Tom.
Beh, tranne quando…
Sentì
una
sedia spostarsi violentemente. Quella di fronte a sé, dove
c’era Lily, registrò
distratto, guardando il proprio piatto, con la porzione di pasticcio
fumante.
“Tom!”
La
sentì esclamare.
Si
impedì sul
serio di saltare in piedi, limitandosi ad alzare lo sguardo, di scatto.
Tom
era lì,
in effetti. In giacca e cravatta monocolore, e pettinato. E aveva
persino un
pacco.
“Scusate
il
ritardo… Ho avuto dei problemi a reperire il
regalo.” Disse, dopo il breve
silenzio che scaturì dalla sua entrata. “Buon
compleanno, Cedric.” Aggiunse con
un mezzo sorriso, mentre il bambino spiava curioso da dietro il divano.
“È
un regalo
per me?” Chiese, rompendo il silenzio.
“Grazie!”
Questo bastò a tutti per riscuotersi. Hannah gli prese il
cappotto e Neville
gli strinse la mano, accogliendolo con pacato calore, subito seguito da
Teddy.
Lily gli si aggrappò ad un braccio, intimandogli di sedersi
accanto a lei.
James sbuffò. “Sei parecchio
in
ritardo. Qua stiamo già tutti mangiando.”
“Lo so.” Replicò per tutta risposta.
“Mi dispiace.”
James non replicò. Sembrò troppo sorpreso dalla
mancanza di ironia mordace
nella risposta dell’altro.
Al
rimase in
silenzio tombale fino a che Tom non gli si sedette con naturalezza
accanto,
dopo aver ringraziato Hannah per avergli riempito il piatto.
“Sei
venuto…”
Riuscì solo a mormorare, indeciso se prenderlo a calci o
baciarlo in pubblica
piazza.
“Già.”
Commentò, e il tono perse la sua fissità per un
istante, facendo sembrare Tom eccezionalmente
intimidito. “Mi dispiace per tutto questo. E… hai
vinto tu.” Disse semplicemente,
dopo una lieve esitazione.
“…
In che
senso?”
“Ti racconterò tutto.” Fissò
il piatto di fronte a sé. Aveva un’espressione
certa. Determinata. Come quelle di un tempo. Fu bello ritrovargliela
addosso. “Niente
più segreti.”
Al sentì che probabilmente avrebbe finito davvero per
baciarlo: in fondo
avevano sedici anni, e non se la sentiva di mostrarsi composto e
risentito come
avrebbe dovuto.
Era
lì.
Non ho mai vinto con Tom. Non nel
modo canonico.
Ma ho sempre fatto in modo da farmi
regalare uno scacco
matto.
****
Cancelli di Hogwarts.
Ora di cena.
“Non
avevo
mai visto i cancelli di Hogwarts. Devo ammetterlo, hanno difese magiche
notevoli. Sono percepibili anche da questa distanza.”
Ainsel fece un mezzo sorriso. “Così è
la prima volta che calca il suolo di
Hogwarts, Signor Doe?”
L’uomo fece un mezzo sorriso. “Sì. Si
può dire così.”
Ainsel levò la bacchetta e picchiò due volte sul
metallo rugginoso del
cancello. Quello si aprì con un lieve cigolio, ogni difesa
abbassata.
“Come
docente, ho libertà di muovermi entro e dentro i confini
della scuola.” Spiegò.
“Naturale.”
L’uomo
fece per entrare, ma Ainsel lo fermò.
“Lasci
che le
ricordi il nostro accordo ancora una volta. Avrete il ragazzo. Ma io
avrò ciò
che ho chiesto. Due milioni di taler²,
convertibili in valuta babbana. Dollari, possibilmente. E per quanto
riguarda
quel posto nell’ufficio del procuratore…”
“Naturalmente, mia bella Ainsel. Avrà tutto
ciò che chiede. Come le ho già
detto, i miei capi sanno essere riconoscenti con chi dà loro
diciamo… una mano.”
Ainsel
non
rispose, se non per un breve lampo cupido negli occhi. “Ho
una domanda.”
“Se posso risponderle, sarò lieto di
farlo.”
“Perché volete rapire il ragazzo?
Perchè adesso?
Gli auror non hanno ancora mollato la presa, questo lo sapete anche
voi, immagino.”
“Certo. Ma abbiamo la certezza che la sua volontà
stia… vacillando…
dal lato sbagliato.”
“Non
capisco.”
Doe sorrise. “Ainsel, Ainsel… lei mi capisce
eccome. Ogni mago sa che la forza
magica va’ di pari passo con la sua essenza vitale stessa.
Quando si è malati,
forse i nostri poteri non si affievoliscono? Quando si impazzisce, non
vanno forse
fuori controllo?”
“Se
pensate
di tirarlo dalla vostra parte convincendolo o minacciandolo, posso
assicurarvi
che non servirà. Thomas Dursley ha una volontà
d’acciaio. Piegata dai vostri
giochi, lo ammetto. Ma quel ragazzo non passerà al lato
oscuro, se mi passa la
parola, così facilmente.”
Doe inarcò le sopracciglia. “Mi permetta di
correggerle un verbo. Non passerà. Ma
sarà fatto passare.”
****
Note:
1
– Dividi et impera:
locuzione latina che
significa letteralmente “dividi e domina”.
2
– Taler : moneta magica
americana secondo
la mia immaginazione. Dollaro deriva da Taler, tallero. ;)
|
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Capitolo 41 *** Capitolo XXXVI ***
Ciao
a tutti! Accidenti, così poche recensioni e così
tante visite? Possibile che vi
siate dimenticati di me e di quanto *agogno* le recensioni? *piange*
@LyhyEllesmere: Ciao! ^^ Grazie per
il tuo affetto al pulci… err, ad Al. Ricambia! XD
Davvero puoi aspettare con James? Allora accidenti, questo capitolo
forse non fa per te visto
l’alto tasso di chiarimento tra quei due! XD Lo so, con
Ainsel vi ho messo una
gran confusione in testa, ma don’t worry lo deve fare. ;) Si
capirà presto chi
è davvero Ainsel.
@Trixina: Ciao Trix!
Ehehe,
sì, sono andato a vederlo, e l’ho adorato! Tim
Burton è un genio, punto. Lily avrà una bella
quota di maggioranza nella
seconda parte di questa storia (Detto anche continuo) di cui ho
già scritto l’introduzione.
;) Però prima si finisce questa!
@Ombra: Felice di averti fatto dimenticare
per qualche attimo l’odiosa
matematica! :D Ted avrà i capelli MOLTO blu,
t’assicuro! ;)
@Altovoltaggio: Ehi ciao! Piacere rivederti su
questi lidi! Non
preoccuparti, recensisci quando puoi, capisco benissimo il poco tempo:D
Rose e
Scorp per il momento sono un attimo accantonati, ma avranno un ruolo di
rilievo
dal prossimo capitolo in poi. Del resto vuoi che lasci da parte la mia
adorabile coppietta da Bisbetica domata? ;D
Capitolo XXXVI
In starlit nights I saw you/ so cruelly you kissed me
Your
lips a magic world
Your
sky all hung with jewels
The killing moon/ will come too soon¹
(The
Killing Moon, Echo & The Bunnymen)
Hogsmeade,
dieci di sera.
James,
davvero, non capiva.
Davvero,
ce l’aveva messa tutta per comprendere le dinamiche
intercorse in quella
serata.
Era
iniziata in modo assurdo, con Malfoy che gli si era installato in
camera,
criticando impietosamente tutti i suoi vestiti, finché non
l’aveva quasi
molestato per fargli indossare una camicia nera con la sua amabile
giacca di
pelle.
E
lui odiava le camice.
Poi
Albus si era presentato con una camicia, anche lui, ma rosa.
Era
certo che quella fosse stata una dichiarazione di intenti sessuali
piuttosto
esplicita.
Poi
quasi alla fine della cena si era presentato Misantropia, come aveva
ribattezzato il cugino adottivo, che aveva esibito una grandissima
faccia di
culo e si era accomodato accanto ad Albus, che aveva preso a
scodinzolare come
un cucciolo di retrivier decisamente poco sveglio.
E
poi Teddy.
Ah,
il pezzo grosso.
L’aveva
deliberatamente ignorato tutta la sera. Ma non platealmente.
Oh,
no. È stato un gran bastardo sottile…
Avevano
parlato, e anche parecchio.
Solo
Teddy aveva passato tutta la sera a fissare un punto imprecisato di
fronte a
sé, rifiutandosi di guardarlo. Per tutta la sera.
Ad
un certo punto si era rotto le palle – se si voleva essere
prosaici – e gli si
era spalmato addosso. Aveva caricato tutto il peso su una spalla, e
l’aveva
quasi schiacciato tra se è il muro, continuando a parlargli
dei seminari estivi
dell’Accademia Auror che avrebbe voluto seguire.
Aveva
sentito Teddy tendersi tremendamente e doveva ammetterlo, un
po’ ci si era
anche divertito. Prima che il tonto
si alzasse in piedi e scappasse dalla sala, con la scusa di dover
prendere una
boccata d’aria.
Era
da mezz’ora che mancava.
Ed
ora James fissava cupo il suo bicchiere di distillato di more,
chiedendosi se
fosse giusto perdere la testa per un imbecille del genere.
Che
okay, voglio bene e Teddy… ma è
davvero un imbecille.
Non
posso essere più esplicito di così! A
parte urlare
‘prendimi’, forse.
…
Dovrei farlo?
“…
finito Teddy?”
“Credo sia andato a prendere una boccata d’aria,
zio Nev.”
“Sì, questo lo so, ma non è ancora
tornato.”
“Zio? Lo sai no, che giorno è oggi?”
“… oh! Giusto, che sciocco! È
plenilunio.”
James
ascoltò il breve frammento di conversazione tra Neville e la
sorellina, trai
rimasugli della cena ormai conclusa.
Comprese.
E si diede dell’idiota.
La
luna piena!
Non
che Teddy si coprisse di pelliccia e ululasse alla luna…
però…
Si
ricordava da bambino come ci fossero dei giorni in cui Teddy non andava
infastidito.
Non
che diventasse violento. Ma era capacissimo di innervosirsi per una
cavolata,
uscire dalla porta e tornare a notte fonda e inzaccherato di fango.
Non
sapeva se fosse l’istinto del lupo. Forse, una parte del
‘piccolo problema
peloso’ di Remus era arrivata a Ted. La parte che lo rendeva
bucolico, o
semplicemente la parte che lo portava a diventare lunatico.
In
ogni caso, dargli il tormento e
appiccicarti a lui per tutta la sera deve averlo mandato ai
pazzi… complimenti
Jamie! Oltre ogni previsione!
Sbuffò,
guardando scornato verso Al e la sua stupida camicia rosa. Stava
chiacchierando
con Rose e Scorpius, mentre Thomas li osservava con quel suo idiotico
cipiglio
tormentato.
Hannah
e Neville si erano assentati per mettere a letto Cedric ed era quasi
certo, terribilmente certo, che
Lily fosse
scesa nel locale per farsi offrire da bere.
Se
devi andare, cerca di svignartela
adesso…
- Gli suggerì la sua cattiva
coscienza.
Poteva
non ascoltarla?
In un batter d’occhio si trovò sullo spiazzo
sterrato di fronte alla locanda,
passando indisturbato dalle scale di servizio; la luna piena si
stagliava
perfetta e beffarda nel cielo nuvoloso. Aveva trovato uno spiraglio e
da esso
gettava una luce bluastra.
Si
guardò attorno, accendendosi una sigaretta: era il modo
più sicuro per
segnalare la sua presenza a Teddy, se era nei paraggi.
Verrà
subito ad intimarmi di spegnerla…
Quando
ciò non accadde, dopo un paio di ampie boccate, si
sentì deluso.
Lo
cercò con lo sguardo: non poteva essere difficile trovare
quel gran figlio di
lupo mannaro. Non che fosse piccolo, né tantomeno era un
tipo poco
appariscente.
A
vista d’occhio, però, non c’era.
Decise
di fregarsene del fatto di non avere la giacca, anche se faceva freddo,
e
cominciò a cercarlo.
Dopo
aver percorso metà High Road lo trovò. Era nella
piazzetta, seduto su una della
panchine di pietra: se ne stava con il naso
all’insù, perso in contemplazione
della luna.
Si
sentì vagamente preso per il culo.
“Teddy!”
Lo chiamò, brutale e senza mezze misure.
Sobbalzò,
a sentirlo, e gli lanciò uno sguardo… si sarebbe
detto sfibrato.
…
forse stasera ho un po’ esagerato.
Alzò
le mani, in un implicito segno di resa. “Sono venuto qui in
pace. Davvero.
Posso farti compagnia?”
“Se
prima spegni la sigaretta.” Rispose, dopo un piccolissimo
sospiro. “Non devi
fumare Jamie. Ti fa male.”
“Non mi dici niente di nuovo.” Ribatté,
ma premurandosi di buttarla e
schiacciarla sotto il tacco della scarpa. Doveva giocare in ribasso.
Doveva
farsi perdonare.
Si
sedette accanto a lui, mettendosi umilmente a guardare la luna.
“È
bella…” Si sentì in dovere di dire dopo
un po’. “È bella quando è
piena.”
Ted finalmente gli sorrise. “Sì, è
vero. Starei a guardarla tutta la notte.
Chissà, forse è per via del mio essere un
mezzo-lupo, che dici?”
James gli sorrise di rimando. “Come lupo non sei tanto
credibile, Teddy. Non
saresti spaventoso neanche in una favola per bambini.”
Lo sentì ridere, e davvero, pensò che non era
giusto non poterlo amare con la
stessa semplicità con cui avrebbe potuto innamorarsi di una
sua compagna di
scuola.
“Sono
stato piuttosto asfissiante, vero?” Ci rifletté. A
dirla tutta, non si sentiva
poi così in colpa. “Io e te siamo
amici?” Gli chiese a bruciapelo. “Così,
secondo te… Lo siamo?”
Teddy sembrò prima preso in contropiede, poi a disagio.
“Sono un tuo
professore, tecnicamente.” Tentò.
“Sì, sì. Già sentita. Ma
diciamo… ecco. Facciamo finta che mi sono diplomato da
poche ore. Non sei più un mio professore. Potremo
essere amici?”
Ted non rispose. James non poté dire, in seguito, di non
esserselo aspettato.
“No,
vero?” Fece una smorfia. “La verità
è che non siamo mai stati amici… voglio
dire. Prima ero troppo piccolo per essere nient’altro che un
fratellino
rompipalle. Ti dirò, mi è anche piaciuto quel
ruolo… per un sacco di tempo.”
Gli sorrise, cercando di farglielo capire, perché doveva capire. “Ma adesso non
possiamo essere amici per un altro
motivo. E lo sai.”
Ted continuava a rimanere in silenzio. Le ombre che gettava la luna sul
suo
viso non gli lasciavano capire cosa effettivamente stesse pensando.
In
un certo senso è meglio così…
“Ci
ho pensato…” E l’aveva fatto. In quelle
ore poi, aveva dato fondo a tutte le
sue capacità di ragionamento. Era stato piuttosto spossante.
“E vorrei poterti
dire che ti aspetterò per sempre, Teddy. È
romantico. Un sacco. Però è anche da
idioti, se tu non provi assolutamente niente per me.”
Quella strategia non gliel’aveva consigliata Scorpius, ed
ovviamente era un
suicidio.
Ted
era un cacasotto, e se avesse avuto una via di uscita da quella
situazione,
probabilmente l’avrebbe usata.
E
dicendogli che non lo aspetterò gliela
sto appena fornendo…
Si
alzò in piedi, perché non riusciva a stare seduto
in quel momento. Nonostante
avesse bevuto idromele, sidro e persino un bicchiere di distillato si
sentiva
la bocca riarsa e i palmi delle mani sudate.
Fece
un paio di passi, avanti e indietro dalla panchina. Era quasi certo che
Teddy
lo stesse seguendo con lo sguardo, ma non alzò la testa per
controllare.
“Senti,
ci provo un’ultima volta. Io… lo so cosa vuoi,
Teddy. Sei l’unico ragazzo che a
tredici anni invece di raccontarmi di mostri mi raccontavi di
Lancillotto e
Ginevra quando ti chiedevo una storia. Ed io ero l’unico
bambino che non ti
avrebbe mai mandato al diavolo anche se, fattelo dire, mi annoiavo a
morte.
Sono ancora quel bambino… e tu, io lo so, sei ancora quel
ragazzino.”
“James…”
Si
era preparato il discorso, prima della cena. Doveva iniziare
più o meno in quel
modo. E fino a quel momento era andato piuttosto bene. Ora
però, che Teddy
l’aveva chiamato, aveva fatto la stronzata di guardarlo in
faccia.
E si
era sentito mancare il coraggio.
Proprio
io. Il Grande James Sirius
Potter. Il Re.
Perché
Ted lo stava guardando, e ascoltando. Sul serio.
È
la tua occasione, bello…
“Non
so…” Continuò, intimandosi di non
frignare o distogliere lo sguardo. “Qual è la
dichiarazione d’amore giusta, che funzioni, con te. Se devono
scendere angeli
dal cielo, arcobaleni e tramonti. Ma io sono qui… e tutto
quello che posso
dirti è che non c’è nessuno al mondo
che ti ama come ti amo io. Quindi
lasciamelo fare.”
Concluse,
e aspettò.
In
un certo senso, era certo che anche l’altro lo sapesse, era
l’ultima battuta di
tutta quella storia.
Ted
non era mai stato bravo con le tempistiche.
Sin
da bambino faceva sempre la cosa giusta al momento sbagliato o
viceversa.
Il suo
problema principale, sua nonna glielo diceva sempre, erano i tempi di
reazione.
Era
una questione di testa. Perché quando James
l’aveva raggiunto, il suo corpo
aveva cominciato a reagire, molto prima che la ragione si rendesse
conto della
sua presenza.
Aveva
sentito un nodo allo stomaco prima di tutto, e poi agitazione
scorrergli lungo
le vene.
Quando
aveva cominciato a parlare, i suoi muscoli si erano contratti,
pregandolo di
alzarsi. Alzarsi, raggiungerlo e toccarlo.
Perché
James era l’unico, e questo anche la sua stupida testa lo
sapeva, che era
sempre tornato.
Harry
aveva i suoi problemi, sua nonna gli aveva intimato di cavarsela da
solo,
Victoire aveva sempre preteso di essere cercata, ma il suo ragazzino
non aveva
mai cercato di abbandonarlo.
Sei
tu che l’hai abbandonato.
E
adesso, che era sceso il silenzio, ovviamente non riusciva a
rispondergli.
Pensava
ai milioni di motivi per cui non avrebbe dovuto farlo. Li pensava
passivamente,
senza riuscire a smettere di farlo.
Vide
così susseguirsi sul viso di James più emozioni:
imbarazzo, aspettativa,
speranza. E poi, dopo il silenzio… delusione.
Non
rispondere, effettivamente, poteva dar adito solo ad un ipotesi.
“…
Vaffanculo
Ted. Potresti almeno avere le palle di rifiutarmi.”
Sibilò, serrando la
mascella.
Adesso
sapeva cosa sarebbe successo. James se ne sarebbe andato. Era tutto
cuore,
niente testa. Un impulsivo. Se ne sarebbe andato perché era
una reazione
istintiva.
La
luna gli dava, oltre alle nevrosi, anche uno straordinario campo
sensoriale. Fu
quasi certo di poter vedere, in poche frazioni di secondo,
l’intenzione di
James di andarsene, da come spostò il peso da un piede
all’altro.
E
allora gli afferrò il braccio.
No,
non fu una cosa che aveva pensato di fare.
Perché
aveva smesso di pensare. Finalmente.
Seppe
solo che lo voleva. Voleva James e voleva essere amato.
Per
questo se lo tirò contro, senza preoccuparsi di essere
gentile. L’effetto
sorpresa glielo fece avere addosso
in
un modo che gli fece capire il vero motivo per cui aveva sempre evitato
il
contatto fisico con lui.
Adesso
sarebbe stato davvero difficile lasciarlo andare.
“Teddy…”
James corrugò le sopracciglia, per un attimo senza capire.
Fu quasi tentato di
tirargli una spinta, per levarselo di dosso e potersene andare.
Fu
un momento però.
Ted
gli aveva afferrato il braccio così forte da fargli male e
lo guardava in quel
modo.
Non
era un ingenuo, per fortuna di entrambi.
Quindi
gli prese il viso tra le mani e gli premette le labbra sulle sue: non
fu un
bacio delicato, fu piuttosto violento a dirla tutta, e sentì
i denti premergli
contro la lingua. Poi Ted lo lasciò fare, e finalmente si
baciarono.
A
posteriori, James ricordò quello come il bacio
più confuso che avesse
mai dato. Morse il labbro a Ted, prima di
riuscire a capire l’andamento della cosa, cioè chi
dei due conduceva i giochi.
Ted.
E
fu molto più piacevole quando lo capì. Forse era
la luna, ma di sicuro in quel
momento Teddy non era il solito
imbranato. Lo spinse via dalla panchina e il momento dopo si
sentì impattare
contro il muro di una casa.
James
si sentì passare la mani dell’altro lungo i
fianchi, a sollevargli la camicia
che improvvisamente gli sembrò un indumento inutile, anche
se un momento prima
era il suo unico baluardo contro il freddo.
Ted
si staccò dalle sue labbra, chinandosi a baciargli il collo,
a premergli i
denti lungo la pelle sensibile poco sotto l’orecchio.
L’effetto
fu quello di spedirgli una scarica di eccitazione al cervello, che lo
portò a
gemere come una ragazzina.
“Merlino…”
Si sentì pigolare.
Questo servì a
riportarlo con i piedi per terra. Non poteva fare la figura della
ragazzina. Ne
andava del suo orgoglio.
Forse.
Ad
ogni buon conto premette le mani sul petto dell’altro,
staccandolo. Teddy alzò
lo sguardo, assolutamente confuso e…
Merlino.
Furioso.
Certo,
togli il guinzaglio ad un
represso, ed ecco cosa succede.
James, James… l’esperienza non ti ha insegnato
niente?
Evidentemente
no, considerando che Teddy sembrava avere l’aria di uno a cui
era stato tolto
l’ossigeno.
Doveva
evitare di fargli prendere coscienza del fatto che stava comunque
respirando.
“Cosa…”
Iniziò infatti, cominciando a riprendere lucidità.
No!
Lo
riafferrò per la giacca e lo baciò
di nuovo. Miracolosamente, da come Teddy gli afferrò i
fianchi, sembrò bastare.
Così
non ti piacciono i ragazzi, eh
Teddy?
– Non poté fare a meno di
pensare, trionfante, mentre sentiva le mani dell’altro
risalire la sua schiena,
sotto la stoffa della camicia.
Non
era la temperatura ideale per denudarsi, ma a James non
importò. In quel
momento avrebbe potuto avere un igloo sotto le chiappe e se ne sarebbe
fregato.
Si
staccò quanto bastava per sfilare le asole dai bottoni,
offrendosi
spudoratamente.
Perché
sì.
Teddy
sentì una pressione sul cavallo dei suoi pantaloni. Ci mise
un attimo prima di
capire che erano dita. E che erano maledettamente piacevoli.
Soffocò
un ansito, serrandolo tra le labbra per non lasciarselo sfuggire.
Sapeva cosa
stava per succedere, conosceva la dinamica, ma il suo cervello
galleggiava in
un beato stupore.
Non
male.
Fu
quasi certo di sentire James sogghignare
contro la sua guancia, mentre – oh
Merlino – gliela lappava.
“Piace?” Gli sussurrò grondando malizia,
mentre
con dita inquietantemente abili gli slacciava i primi bottoni.
“Perché può
andare tanto meglio.”
“…
Quanto?” Articolò, senza preoccuparsi di sembrare
un cretino.
James
si leccò un labbro – fu certo che lo fece con
deliberata attenzione.
“Tanto
così.”
Ed
affondò letteralmente la mano nei suoi boxer.
Ted
riuscì solo a pensare un capitale ‘SI’
mentre la pelle finalmente toccava
pelle. La schiena di James era liscia contro le sue dita, e poteva
sentire
tutti i muscoli in rilievo.
È
così diversa da quella di Vic… -
Lo pensò
confusamente, mentre registrava il lieve alterarsi del respiro
dell’altro.
Si rese anche conto, che erano due
adolescenti in quel preciso momento. Il suo cervello, il suo raziocinio
era
andato allegramente all’inferno e c’erano solo
respiri rotti e quel tepore
umido che fino a qualche giorno prima avrebbe associato ad un letto, a
una
serie imposta di preliminari e all’attenzione: con Vic doveva
stare attento.
Mai un gesto di troppo, mai uno di meno. Non che pretendesse
chissà cosa, era
solo che…
Non
doveva deluderla.
Era
complicato. Con James invece era istintivo, naturale. E
andava bene così.
“Teddy…”
Mormorò James sulla sua bocca, prima di baciarlo.
Poi, sinceramente, smise di pensare.
“Io…”
Disse molto acutamente Teddy, dopo essersi ripuliti e più o
meno rivestiti.
A James venne da ridere. Si sentiva svuotato – eh,
beh – e placido. Se non fosse stato per il
ritrovato freddo
pungente, si sarebbe messo a sonnecchiare. Intascò la
bacchetta nei jeans,
sorridendo.
Comportiamoci
come se non ci fossimo
appena infilati le mani nelle mutande a vicenda, dai…
Glielo
devo.
“Torniamo
dentro?” Chiese con naturalezza. “Sai, comincio a
sentire freddo e non sono
così resistente. Almeno, per quanto riguarda le basse
temperature.”
Ted
per un attimo parve deluso, poi si morse l’angolo di un
labbro. Aveva capito,
anche se non era l’aquila dei doppi sensi. “Jamie,
io…”
“Teddy. È tutto okay.” Lo
rassicurò, spiccio. Dopotutto dare retta ai proprio
bassi istinti poteva essere traumatico se ti chiamavi Teddy ‘Ragione e Sentimento’ Lupin.
“Lo
sai che in questo periodo, io… in queste serate non sono
molto… lucido.”
Continuò, lanciando uno sguardo veloce alla luna.
“Intendi
rimangiarti tutto?” Chiese, fingendo delusione e dolore.
Ted
lo guardò spaurito. “No! No, per Nimue,
no… solo che…”
James batté le palpebre, riflettendo. “Hai paura
di esserti approfittato di
me?” Ghignò. “Perché sono io che mi sono
approfittato di te, razza di tonto.”
Teddy corrugò le sopracciglia, e riuscì persino a
sorridere stavolta.
“Probabile.”
“A
me basta che non cambi idea.” Disse precipitoso. Si
sentì quasi mancare l’aria
quando terminò la frase e vide l’espressione seria
di Teddy.
No,
eh!
Si
erano baciati, si erano toccati ed era stato quanto di più
confuso, doloroso e
intenso avesse mai sperimentato.
Se
avesse cominciato a piagnucolare pentimento l’avrebbe ucciso
con una
maledizione senza perdono.
Probabilmente
se spiegassi le mie ragioni
al Wizengamot la scamperei pure…
Non
avrebbe cambiato idea.
Fu
una certezza che gli si piantò nella testa come una tavola
di pietra scolpita.
Neanche
se avesse voluto.
Ormai
non posso più tornare indietro.
La
cosa invece di atterrirlo lo rasserenò: del resto, ormai,
era andata.
E
per tutto il tempo non aveva pensato quanto era sbagliato
ciò che stava
facendo, ma quanto l’aveva voluto.
Aveva
dell’incredibile.
Le
labbra di James, alla luce della luna, erano rosse e invitanti. Ci
passò un
pollice, stupendosi del gesto quanto l’altro, che trattenne
il respiro.
“Merlino,
Jamie… dovrei.” Fece una pausa. “Ma non
voglio.”
James
gli fece un sorriso ferocemente radioso, prima di placcarlo in un
abbraccio da
molestia sessuale, visto che finì per premere proprio dove non doveva.
Di
nuovo.
“Lo
sento cosa vuoi…” Gli disse infatti, con la bocca
attaccata alla sua guancia,
umida e caldissima. “Povero Teddy.”
“James.” Ringhiò, certo che i suoi
capelli fossero diventati color aragosta; il
giusto mezzo tra la rabbia e l’accecante imbarazzo.
“Scusa.”
Si affrettò a dire, ma neppure tanto, da come si
rifiutò di mollarlo. “Giusto
per informazione, da quant’è che non
fai…”
“James!” Si
sentì strozzare l’aria
nei polmoni. “Giuro che se non la pianti ti
sculaccio!”
Gli
uscì naturale, reminescenza di anni passati a minacciare
rappresaglie.
La
frase in quel momento assunse tutt’altra connotazione
però.
James
si staccò per guardarlo sbigottito. “Potrebbe
anche piacermi.” Stimò
pensierosamente. Poi scoppiò a ridere, e Ted non
riuscì a non seguirlo
nell’ilarità.
Quando
le risate si spensero, James sospirò appena.
“Posso essere il tuo ragazzo?” Gli
chiese, con una certa arroganza. Ma era teso come una corda di violino,
Ted lo
sentiva, avendocelo addosso.
“Sono
ancora un tuo professore. E questa volta non è una scusa, lo
sai. Al di là
della famiglia, penso che nessuno accetterebbe di vederci…
insieme. Adesso.”
James sospirò, ma lo sentì annuire contro la sua
spalla. Su e giù contro la
stoffa della sua giacca. Represse un brivido.
“Però
ti piaccio.” Stimò.
Ted sorrise. “Sì, mi piaci.” Dopo una
breve esitazione continuò. “E se mai ti
dicessi il contrario, sei autorizzato a schiantarmi.”
Lo sentì ridacchiare. “Mi inviti a nozze,
Teddy!” Si staccò, provocando ad
entrambi uno spiacevole brivido di freddo.
“Allora…” Iniziò.
“Posso aspettare.
Per la denominazione ufficiale, intendo. Per tutto il resto…
poco. Quasi niente”
Ted
sorrise, quando vide il broncio – che tale era, poco da fare
– disegnarsi sul
viso del suo ragazzino. Avrebbe
dovuto sentirsi a disagio, imbarazzato, ma era più forte altro.
Alla
fine, forse, li aveva davvero ventiquattro anni.
“Jamie,
non sono così tonto, credimi.” Gli
passò le dita trai capelli arruffati. “Ma
non in pubblico… Mi piace insegnare, vorrei evitare di
essere allontanato per…”
“… essere stato corrotto da uno
studente?” Gli suggerì impertinente, mentre gli
brillavano gli occhi, come di fronte ad un grosso giocattolo.
“Tecnicamente,
per averlo corrotto…”
“Per favore Teddy, tu corrompere me?
Non sapresti neanche da dove iniziare!” Sbuffò,
alzando gli occhi al cielo, mentre
gli saltava di nuovo addosso, infreddolito come non mai.
E
felice.
****
Casa
Weasley-Granger
Ottery St. Catchpole, Devon.
Notte.
Ron
Weasley era la tipologia di uomo che quando dormiva, dormiva senza
soluzioni di
continuità.
Piombava
in un coma inattaccabile, e si narrava che la moglie, in preda alle
doglie del
suo primo parto, avesse dovuto svegliarlo rovesciandogli addosso una
brocca d’acqua.
Quindi, naturalmente, quando Harry Potter era piombato nel camino di
casa
Weasley-Granger l’unica a svegliarsi era stata Hermione.
Che al momento se ne stava a braccia conserte, in vestaglia di
flanella, in
mezzo al salotto, a scrutarlo con il consueto cipiglio di
disapprovazione.
Harry si scrollò la cenere dal mantello. “Ehi.
Scusa per l’improvvisata.”
Hermione sospirò. “Figurati. Amo essere svegliata
nel cuore della notte alla
vigilia di un'udienza. Posso offrirti un the?” Chiese
urbanamente.
Harry
si pulì gli occhiali, scuotendo la testa. “No, no.
Sono di fretta. Ron dorme?”
“Comatosamente.”
“Grandioso.” Fece una smorfia.
“E… lo sveglieresti?”
“Dipende. Perché?”
Harry si morse l’interno della guancia, riuscendo comunque a
trovare la forza di
impostare un tono professionale. “Lavoro.”
“Harry, sei a capo dell'Ufficio Auror. E Ron è
un capo-squadra. Ora, a meno
che non vi abbiano entrambi declassati non c’è
motivo per cui tu ti scomodi a
chiamarlo personalmente.”
“Err.” Ammise, schiarendosi la voce. Non si poteva
mentire ad Hermione. Nemmeno
a quarant’anni suonati. Era semplicemente impossibile.
“Okay. È per la
questione dei…”
“Naga? Morgana benedetta.” Sussurrò la
donna, stringendosi tra pollice e indice
la radice del naso. “Morgana benedetta…”
Ripeté. “Dimmi soltanto…
sarà
pericoloso? Contro le direttive del Ministero?”
“Andremo in India. Adesso. Il fusorario…”
“Harry.”
“Scusa.” Inspirò.
“È importante. Sento che
è importante, Herm. Thomas è nei guai e non sono
guai inerenti a pessimi voti.”
Riassunse conciso, lanciando un’occhiata rapida dove sapeva
si trovasse la
camera da letto.
“Naturalmente.”
Hermione strinse le labbra. “Tom è il migliore del
suo anno, se non dell’intera
scuola.”
Harry annuì: sapeva che l’amica nutriva una
predilezione per il suo figlioccio,
tra tutti i nipoti più o meno acquisiti. Avevano la stessa
intelligenza curiosa
e vorace, con una pennellata di supponenza che li rendeva spesso
antipatici
alle masse. Tom era l’unico che fosse realmente felice di
immergersi in una
conversazione con lei, tra tutti i suoi figli.
“Credi
che c’entrino i Naga?” Gli chiese poi, scettica.
“Non so dirtelo con esattezza. Ma credo comunque che sia in
pericolo. Credo che
qualcuno lo cerchi, anche se non ho idea del perché. Devo
parlare con i Naga
che sono venuti qui. Sono stati rimpatriati e ricondotti al villaggio
d’origine,
ma sono gli unici, vivi, che sanno il motivo per cui erano ad
Hogwarts.”
“Ehi,
che succede?” Li interruppe un assonnato Ron, spuntando alle
spalle della
moglie. “Harry, amico, che diavolo ci fai qui?”
“Scamandro è riuscito a parlare con il
capotribù Naga. Ci ha fissato un
colloquio con lui tra mezz’ora.”
Ron corrugò le sopracciglia. “Dove, al
Ministero?”
“No, in India. Ho chiesto un favore ad un amico nei Trasporti
Magici, e mi ha
creato una passaporta che ci condurrà direttamente al
villaggio. Ma dobbiamo
sbrigarci. Vestiti.”
Ron emise un grugnito sconfortato, lanciando poi uno sguardo attento
alla
moglie.
Hermione,
dalle labbra ancora strette in una fessura, sbuffò
leggermente. “Vai Ron… Di
certo non possiamo mandarlo da solo.”
Ron fece un mezzo sorriso, non troppo convinto vista l’ora
antelucana, ma sparì
in corridoio.
“Spero
che non ti sbagli, Harry…” Esordì
l’amica. “Spero che la pista che segui sia
giusta, o ti posso assicurare che tutto questo avrà delle
conseguenze pesanti
sulla tua carriera e, collateralmente…”
Pesò la parola facendogli capire che era tutto il contrario.
“… su quella di
Ron. Non c’è una sola cosa legale in quel che stai
facendo.”
“Lo so.” Aggrottò le sopracciglia.
“Tu non faresti lo stesso per Rosie o Hugo?”
“Tom non è tuo figlio, Harry.”
La risposta di Harry fu quanto di più immediato e naturale
ci potesse essere, e
in effetti Hermione non poté non ammettere di non essersela
aspettata.
“Non
dire sciocchezze. È come se lo fosse”
****
Note:
1 -
Qui
la
canzone.
|
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Capitolo 42 *** Capitolo XXXVII ***
Prima di tutto (credo) Buona
Pasqua!
Oookay, siamo arrivati ufficialmente alla chiave di volta. Dal prossimo
capitolo basta seppie mentali.
Quindi godetevi questo, che è l’ultimo capitolo di
calma apparente. ;)
Ah, sì. Ci ho riprovato con la lemon. Non è che
sia andata un granchè. Un
grazie comunque a Narcissa63 e Chu per il supporto (sopporto) umano.
Questo capitolo è dedicato a voi due, girls
;)
@LyhyEllesmere:
Eheeh, sì, la relazione si evolverà, puoi
scommetterci!
@Trixina: Mi
fa piacere che il capitolo non ti abbia deluso! ^^Continua a seguirmi!
****
Capitolo XXXVII
Consequence is waiting for you/ Can
you
feel it up inside?
You
show how much your
father's
part of you
Thinking, it makes no sense
Would it really make you turn away?/ Would it
really change your life?
(World Outside, Palo Alto)
Inghilterra,
Scozia. Cancelli di Hogwarts.
Undici e mezzo di sera.
La cena era finita, ed era
tempo di chiarimenti.
Albus se l’era
ripetuto da
quando Ted e James erano tornati, e il giovane professore aveva
esordito
dicendo che ormai era tardi, e che era ora di tornare al castello.
Si erano così
tutti alzati,
saluti di rito, mentre James andava a recuperare Lily, improvvisato
premio in
palio in una gare di bevute tra un gruppo di giovani auror in licenza.
Adesso stava camminando a
fianco
di Tom che, con le mani affondate nelle tasche del cappotto, cercava di
difendersi dalla gelida tramontana che spirava lungo il sentiero che li
stava
riportando ad Hogwarts.
Non era il momento, quello,
di
parlare. Solo a pochi passi avevano Scorpius e Rose.
In ogni caso, sentiva lo
stomaco serrato da una morsa. L’espressione di Tom, accanto a
lui, era
indecifrabile, a causa della penombra della boscaglia che costeggiavano.
Se
solo potessimo parlare adesso…
Nei libri i chiarimenti
avvenivano subito, alla svelta, non appena si decideva di averli.
Ovviamente nella vita reale
le
cose erano più difficili.
Inciampò su una radice – seriamente, a volte
pensava di avere gravi problemi di
equilibrio, almeno sulla terra ferma – incespicando.
Tom lo afferrò al volo per un braccio, tirandolo in piedi:
nell’azione
ovviamente Al gli finì addosso, quasi soffocandosi contro la
stoffa del suo
cappotto.
“Sei sempre il
solito…”
Sospirò, tirandolo dritto. Anche nella penombra lo vide
sorridere.
Volle baciarlo. Anche se non si erano ancora chiariti.
“Al, stai
bene?” Si informò
subito Rose, raggiungendoli e costringendo Tom a fare un paio di non
voluti
passi indietro.
“Sì,
sì. Sono solo inciampato.
Tom mi ha preso al volo.” Sorrise, cercando di non essere
infastidito dalla
premura della cugina. Non era colpa sua…
Ma
voglio restare solo con Tom. Adesso. Ora.
“Non si vede
niente…
dovrebbero mettere uno straccio di illuminazione, almeno sulla strada
d’accesso.” Commentò la ragazza. Al
sentì Tom muoversi al suo fianco, e capì che
si stava innervosendo.
Del
resto ha passato tutta la serata in silenzio, ad
aspettare che finisse…
“Già…”
Commentò, quieto.
Lanciò uno sguardo a Scorpius che, come al solito,
capì al volo.
Lo ammirava: probabilmente era abituato ad esprimersi tramite sguardi
muti. La
famiglia Malfoy non sembrava una famiglia di emotivi chiacchieroni come
la sua.
“Rosie, devo assolutamente parlare con Poo o
morirò. Andiamo.”
“Scorpius!”
Esclamò, quando si sentì
trascinare via, parecchi metri più avanti in direzione
James. “Per tutte le
sottane di Merlino, lasciami!” Tentò, senza
riuscirci.
Al li guardò
sparire oltre la
curva: stranamente Teddy quella sera non si era messo a fare il cane da
pastore, come aveva ironizzato Lily, ma si era limitato a mettersi in
testa al
gruppo.
Quindi, adesso, lui e Thomas
erano soli.
“Scorpius è un ragazzo in
gamba…” Cominciò, per rompere il
ghiaccio.
Tom fece spallucce. “Sprecato per Rose.”
“Rosie è meravigliosa!”
Replicò sbalordito. “Sono perfetti l’uno
per l’altro!”
“Se lo dici tu…” Vedendo la sua
espressione bellicosa, smorzò i toni. “Sai che
Rose non è trai miei preferiti, in questa
famiglia.”
“E quali sarebbero
i tuoi
preferiti?” Interloquì. Non se la sentiva di
iniziare quel discorso. Non
brutalmente, almeno. Non con una domanda diretta come ‘Che succede?’.
“Vediamo. Lily… quando non cerca di imbarazzarmi.
Zia Hermione, una delle donne
più intelligenti che conosca… e naturalmente
tu.” Gli tirò una ciocca di
capelli dietro l’orecchio, facendolo rabbrividire. Lo
lasciò persino fare
quando gli passò le dita trai capelli, serrando leggermente
la presa contro la
nuca.
La gestualità di
Tom non era
mai troppo affettuosa. Era sempre qualcosa a metà tra il
dispetto e la dolcezza
che lui, personalmente, avrebbe riservato ad un gattino.
Non lo faceva sentire molto
mascolino, ma gli piaceva. Tanto.
“E
papà?” Gli chiese poi, con
una disinvoltura che non provava, approfittandosi del fatto che Tom
sembrava
aver abbassato la guardia.
Si era sbagliato,
perché Tom
si irrigidì all’istante. Lo vide chiaramente, o
meglio lo percepì dalla curva
che prese le sue labbra. Sottile e quanto di più simile ad
una smorfia.
“Diciamo che al
momento siamo
in rotta.” Scollò dal palato.
Erano iniziati i
chiarimenti.
Al inspirò.
“Perché?”
Chiese.
“Mi ha deluso.” Il tono era secco, come brusco fu
il gesto con cui tolse la
mano dai suoi capelli. “Sì, ma perché?
Che ti ha fatto?”
Tom rimase a lungo in silenzio. Avevano rallentato le loro andature per
poter
rimanere soli. In effetti gli altri quattro erano poco più
che figure distanti
lungo il crinale su cui si inerpicava il castello.
“A dire la
verità… non mi ha
fatto niente.” Dovette ammettere. “Sono
io… che ho sbagliato.”
“Cosa…” Inspirò. Si sentiva
la bocca secca. “Cosa hai sbagliato, Tom?”
Lo guardo che gli rivolse lo
costrinse a fermarsi e a farlo fermare. Tom sembrava…
Non aveva mai visto Tom
piangere in vita sua, neppure quando era caduto dalla prima e unica
scopa che
aveva mai sellato, a sette anni. Ed era stata una caduta tremenda, che
avrebbe
ridotto in lacrime persino James.
Adesso sembrava che stesse
per
piangere. L’espressione era quella, perlomeno.
Disperata e spaventata.
“Tutto, Al. Ho
sbagliato
tutto.”
Al prese un respiro
profondo.
Aveva paura, era inutile negarlo. Se Tom era in quelle condizioni, la
situazione non poteva essere semplicemente ingigantita dal loro essere
adolescenti e in preda a piccoli drammi quotidiani.
“Allora raccontami
tutto.”
****
India,
regione di Nagaland.
Prima mattina (fusorario).
Il fusorario li aveva quasi
uccisi.
Sette ore concentrate in una
smaterializzazione veloce e immediata non
erano un buon modo per viaggiare.
Erano atterrati su un gruppo di arbusti, con un grosso e orribile
rumore di
cose rotte.
Fortunatamente, dopo un
veloce
check-up, scoprirono si trattasse dei rami e non delle loro ossa.
Ron si tirò su, dando una mano all’amico, che si
aggiustò gli occhiali finiti
di traverso.
“I babbani ci
metteranno più
tempo a viaggiare, ma indubbiamente lo fanno con più
classe.” Sospirò Harry,
scrocchiandosi una spalla. “E senza rischiare
fratture.”
Ron si guardò attorno, spaesato.
“Amico, ma… Siamo finiti in Amazzonia?”
Harry lanciò uno sguardo perplesso alle fronde verdi che
circondavano la radura
erbosa in cui erano dolorosamente impattati. Un uccello dal becco
imponente, e
che Harry trovò formidabilmente a forma di banana,
sfrecciò tra il fogliame con
un grido acuto.
Era una vegetazione
tropicale
quella, niente da eccepire.
“Beh. Suppongo che
l’India sia
un grande continente, e non sia tutto… arido.”
Tentò. “La passaporta ci ha
portato nel posto giusto.” Fece una pausa “Deve
averci portato nel posto giusto.”
“Non è che quel cretino di Field ha sbagliato ad
incantare quel guanto, vero?”
Si informò Ron incupendosi, mentre si spostava i capelli
già fradici di umidità
dalla fronte. “Perché se è
così, giuro che lo trasfiguro in una talpa appena
torniamo.”
“Non credo,
no…” Considerò
distratto Harry, facendo qualche passo incerto. “Rolf
dovrebbe venire a
prenderci al punto di arrivo, comunque.”
“Sa qual è il punto d’arrivo?”
“Dovrebbe.”
Ron emise un ringhio sconfortato. “Dovrebbe?
Harry, miseriaccia, mi hai tirato giù dal letto nel cuore
della notte per…”
“Erano solo le undici.”
“Qualcuno lavora di pattuglia, domani. Anzi, considerando che
qua è già giorno oggi.”
Sbottò, lanciandogli
un’occhiataccia che ai tempi della loro adolescenza sarebbe
in seguito sfociata
in una litigata furiosa. Fortuna che erano entrambi maturi.
“Ti ricordo che mi
hai seguito
di tua spontanea volontà.”
“Se chiami spontanea piombarmi in casa. È
effrazione!”
… Forse.
Harry alzò gli occhi al cielo, inghiottendo un moto di
stizza che sicuramente
avrebbe fatto montare su tutte le furie l’amico. Ron non
aveva tutti i torti,
lo sapeva.
Ma lì c’era in ballo la sicurezza dei suoi figli.
L’incertezza non
era permessa.
“Senti
Ron…” Iniziò, pieno di
buone intenzioni. Si fermò, quando sentì un
rumore.
Un ramo spezzato. Si
guardò
tutto intorno, estraendo con un movimento ormai naturale la bacchetta e
spianandola
di fronte a sé. Ron fece lo stesso.
“Che
succede?” Sillabò,
pianissimo.
“Non lo so. Hai sentito quel rumore?”
L’altro annuì, scrutando attorno alla fitta
giungla attorno a loro.
La risposta si palesò pochi attimi dopo. Fu come un orribile
deja-vu. Anche se
in quel momento non erano in Inghilterra e, soprattutto, non erano ad
Hogwarts.
Dalle fronde uscirono una decina di Naga: armati di tutto punto, con
arco e
frecce, ben tese in direzione dei loro punti vitali.
Ron aprì e chiuse
la bocca un
paio di volte, prima di riuscire ad articolare La
domanda.
“Dove diavolo è Rolf?”
Harry sorrise nervosamente.
“Beh. Mettila così Ron… Siamo
sicuramente nel posto giusto.”
****
Erano tornati nella propria
Sala Comune per poter parlare in pace.
Avevano parlato. E adesso
Tom non
riusciva ad alzare lo sguardo da terra.
Neppure se avesse voluto, e non voleva.
Aveva detto tutto. Vuotato il sacco, avrebbe detto, se
l’argomento fosse stato
più leggero.
La realtà era
che, mettendo in
fila tutto ciò che aveva commesso, si era reso conto di come
fosse stato stupido a credere a
John Doe.
Era umiliante.
Non si era mai sentito
così
spaventato in vita sua. Dalle conseguenze e dal giudizio di Al e di
Harry.
Albus, intanto, non parlava. E lui non riusciva ad alzare lo sguardo.
Persino dai sotterranei si
sentiva un cupo rumore di tuoni. Si erano bagnati, rientrando al
Castello ed
erano rimasti bagnati.
L’urgenza li
aveva semplicemente spinti più vicini al fuoco.
Sentì Al fare un
passo. Verso
di lui o lontano da lui, non seppe stimarlo.
Quello che seppe fu che il
momento dopo sentì un dolore lancinante al viso e fu
sbattuto contro una
poltrona, quasi crollando a terra. Si puntellò appena in
tempo.
Al gli aveva tirato un
pugno.
Alzò lo sguardo,
sentendo il
sapore del sangue sulle labbra. La sorpresa era stata tale che non era
neppure
riuscito a difendersi o a parare il colpo.
Ma
cosa diavolo…
Al era di fronte a lui, con
i
pugni serrati e il viso contratto dalla rabbia.
Confusamente
pensò che non era
quella la reazione che si aspettava.
Disgusto,
delusione, disperazione. Quelle sì.
Ma non rabbia.
“Idiota…”
Gli sibilò, facendo
un evidente sforzo per dirglielo. “Come hai potuto essere
così idiota!?”
Non riuscì a ribattere.
“Quell’uomo,
quel John Doe ti
ha preso in giro fin dall’inizio! E tu ci sei cascato, hai
fatto quel che ti
diceva di fare! Ed hai continuato a dire che andava tutto bene mentre
quel
pazzo si aggirava per la nostra scuola e sguinzagliava lucertoloni
assetati di
sangue!”
“Ti ho detto che mi aveva promesso…”
“Ti ha mentito! Ti ha detto solo una cosa concreta in tutto
questo tempo!?”
Tom si umettò le labbra per rispondere. “Mi ha
dato degli indizi. Mi ha… fatto
capire chi potrei essere!” Ringhiò, alzandosi in
piedi. Era incredulo, furioso.
Non riusciva a capire
però se
con Al o con sé stesso.
“E se ti avesse
mentito? Non
ci hai mai pensato?!”
“Certo che ci ho pensato! Ma è l’unico
che mi abbia dato la speranza di sapere
da dove vengo!” Urlò. Lo fece senza pensare che
non era il caso, che non era
dignitoso, che qualcuno poteva sentirli.
Sentiva una compressione
spiacevole
allo stomaco e non riusciva a fermarsi. “Tu non
sai… non sai cosa significa non
sapere chi si è. Tu sei Al Potter! Tu sai chi sei. Io no. Io
sono solo chi mi
Harry mi ha fatto essere, facendomi
adottare da suo cugino!”
Ed era quello, il punto.
Sapere chi era, era stato
più
importante di tutto quanto.
Della sua famiglia, della
sua
tranquillità, di tutto.
Al rimase in silenzio, mentre entrambi inspiravano ed espiravano lunghe
boccate
d’aria.
Erano spaventati. Avevano
urlato
perché entrambi erano spaventati a morte.
Al si morse
l’angolo del
labbro. Lo faceva sempre quando era nervoso.
“… Io,
questo… Hai ragione,
questo non lo posso capire.” Ammise. Tom notò che
contraeva e decontraeva la
mano sinistra. Era quella con cui l’aveva colpito. Aveva le
nocche arrossate.
Ci
siamo fatti male entrambi…
È
sempre così.
“… Ma
avresti dovuto… avresti
dovuto dirmelo. Io neanche sapevo che per te era così
importante sapere da dove
vieni.” Sussurrò. “Pensavo che fossi
felice così.”
“Lo sono.” Ribatté, e quando lo disse
realizzò che era vero.
Era felice come Thomas Dursley.
Poteva lamentarsi quanto
voleva della piccola cittadina in cui viveva, della sua famiglia a
volte
inadatta alle sue aspirazioni o alla confusione del clan Potter-Weasley
in cui
spesso veniva forzatamente inserito. Ma era felice.
Anche se non bastava. Non
era
mai bastato.
Deglutì,
sforzandosi di
mantenere la voce ferma. “Lo sono, Al. Lo sono stato,
ma… volevo delle
risposte. E John Doe sembrava… e sembra tutt’ora
risposto a darmele.”
“E le vuoi
ancora?” Chiese Al,
strizzando gli occhi quando una goccia d’acqua gli cadde sul
naso, stillando
dai capelli fradici. “Vuoi ancora quelle risposte?”
“Non lo so. Questa storia… mi fa paura.”
Ammise. Era dura. Sentiva una
sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco, ad ammettere che gli
era tutto
sfuggito di mano. “È andata troppo avanti. Delle
persone sono morte… e
quell’uomo vuole qualcosa da me. Qualcosa che non
capisco.”
Odiava sentirsi impotente,
spaventato e … ragazzino.
Ma in effetti, lo era.
“Se volesse
te?”
Tom non rispose.
Se
volesse me…
Rimasero ancora in silenzio.
Al si passò le dita trai capelli, per evitare che gli
finissero sugli occhi.
“Adesso cosa facciamo?” Chiese.
Il plurale,
benché la
situazione fosse orribile e Al fosse chiaramente ancora furioso con
lui, gli
fece sentire uno strano calore allo stomaco.
Non l’aveva
abbandonato. Non
del tutto, almeno.
“Devo parlare con
zio Harry. E
costituirmi, suppongo.”
“Ma non hai fatto niente!” Scattò Al.
“Non hai ucciso tu quelle persone, e non
sapevi che i Naga sarebbero entrati nel campo di Quidditch!”
“Ma l’ho saputo poi. E avrei dovuto cercare
Harry… perché stanno preparando
qualcosa. Doe e la sua Organizzazione intendo, chiunque essi
siano.” Esitò, poi
tirò un profondo sospiro e continuò.
“Mi ha detto che si sarebbe messo in
contatto con me. Presto.”
“Con il… medaglione?”
Tom annuì.
Pensare a come
fermare Doe lo faceva sentire se non meglio, almeno utile.
Era quella la sua
priorità in
quel momento.
Fermarlo, qualunque cosa
avesse in mente.
“Adesso non ce
l’ho con me. Me
lo sono tolto.” Glissò sulla difficoltà
con cui era riuscito a separarsene.
Forse era davvero incantato in modo che sentisse il bisogno fisico di averlo con sé. Ora che però
non l’aveva al collo si sentiva
i pensieri più lineari, la mente più sgombra.
“Pensi che possano
controllarti con quello?”
“Non posso
escluderlo…”
“Maledizione.” Sussurrò Al.
“È come se avessero pianificato tutto, anche le
casualità, fino al minimo dettaglio.”
“Le casualità nella magia non esistono, Al.
È stata la prima lezione del
professor Vitious.” Mormorò.
No, non c’erano
state
causalità.
Dal suo incontro con il
Naga,
al desiderio di possedere il medaglione.
John Doe aveva orchestrato
tutto perché cadesse in una trappola, credesse ad un patto
quando in realtà era
solo un modo per controllarlo in attesa…
Di
cosa? È questo il punto. Di cosa?
“Dobbiamo
avvertire papà.
Tramite metropolvere.” Suggerì, stringendosi le
braccia al petto. Tom notò che
aveva le labbra livide.
“Sì.” Convenne. “Hai
freddo.” Osservò, piano.
Non aveva ancora capito come
Al avesse realmente reagito a tutto quello, a parte il pugno.
Gli credeva, e questo era
molto.
Ma si fidava?
Al fece una smorfia.
“Sono
bagnato fradicio, è naturale che abbia freddo.”
Tom non riuscì a reprimere un mezzo sorriso, quando glielo
sentì dire con il
suo solito tono imbronciato. “Al…”
“Sono furioso con te.” Lo anticipò.
“Non hai idea di quanto mi hai fatto e mi
stai facendo incazzare. Ma…” Fece un respiro
profondo. “… ti conosco. Se fossi
stato lucido non avresti creduto per un secondo a tutta questa storia.
Ha preso
un tuo punto debole, e ha spinto su quello. È…
stato furbo. È un adulto, ci sa
fare.”
Tom non rispose, ma sentì qualcosa dentro di lui
sciogliersi.
Al si inginocchiò
di fronte al
grosso camino intarsiato, gettando una manciata di metropolvere, sempre
a
disposizione degli studenti in un comoda anfora a lato, e
aspettò.
Tom lo vide rabbrividire un
paio di volte. L’umidità dei sotterranei non
giovava certo alla loro
condizione.
Alla fine le braci ebbero un
guizzo, e Tom sentì lo stomaco rivoltarsi in una morsa
spiacevole.
“Albus?”
La voce crepitante
però, era indubbiamente femminile. Ginny.
“Mamma!
Dov’è papà? Non mi
sono collegato con il camino del suo studio?”
“Sì tesoro, ma è tardi. Tuo padre non
è qui.”
“Pensavo facesse straordinari come al
solito…” Si scusò con un sorriso
tirato.
“Puoi chiamarlo? Devo parlargli, è
importante.”
“Non puoi aspettare domattina?” Chiese la donna,
sbadigliando trai tizzoni
ardenti.
“No.” La
voce di Al fu
stranamente asciutta, anche alle orecchie di Tom. “Devo
parlargli adesso,
mamma. Per favore.” Aggiunse però.
Ci fu una breve pausa in cui
il volto di Ginny sembrò scandagliare la zona adiacente al
focolare. Tom si
sentì fissato, ma non distolse lo sguardo.
“Tuo padre in
questo momento
non è in casa.” Spiegò, con calma.
“Non è neppure in Inghilterra. È andato
in
India con tuo zio Ron. Per delle indagini.”
Tom sentì la
morsa decontrarsi
per poi acuirsi di nuovo. Harry non era in Inghilterra. Hogwarts
rimaneva la
sua unica protezione. E considerando che Doe si era già
infiltrato, non era poi
così sicura.
Al sembrò
pensarla nello
stesso modo, dall’espressione spaventata che fece, o meglio,
che cercò di non
tradire, senza riuscirci.
Fu Ginny a richiamarli
all’ordine.
“Non so cosa tu gli debba dire, Al. Ma voglio che sia chiara
una cosa. Non fate
di testa vostra. Nessuno dei due. Aspettate che tuo padre
ritorni… dovrebbe
tornare domani mattina, in ogni caso. Lo avvertirò io.
Adesso andate a letto, è
tardi.”
Al sorrise alla madre, anche se non fu certo che potesse notare la
sfumatura,
tra le braci.
“Ha piovuto
tesoro?” Chiese Ginny,
poco prima che chiudesse il collegamento.
“Sì… ehm, perché?”
“Lo vedo, sei bagnato come un pulcino. Va’ a farti
una doccia prima di andare a
letto.”
“Mamma…” Tentò.
“Non farmelo ripetere.” Insistette. In un certo
senso gliene fu grato; se sua
madre si prendeva la briga di ricordargli un dovere così
stupido, benché fosse
evidente che sapesse qualcosa su Thomas, significava che quella storia
sarebbe
potuta finire bene.
“Va
bene.” Acconsentì.
“Buonanotte mamma.”
Quando si voltò
verso Tom, lo
vide fissarsi le mani, serrate strette l’una contro
l’altra. Alzò lo sguardo,
serrando appena le labbra. “Ginny ha ragione. Stai tremando.
Devi farti un
bagno caldo, se non vuoi ammalarti.” Gli disse atono.
“Devi farlo anche tu.” Ribatté,
alzandosi in piedi. “Non sei stato miracolato
dalla pioggia.”
“Dobbiamo farcelo entrambi.” Convenne stancamente.
“Ti lascio libera la doccia,
lo farò dopo. Resto qui nel frattempo,
c’è il fuoco.”
“Non scalda affatto, e lo sai. E comunque non voglio tornare
in camera.” Disse,
e lo fece di getto, ma pensandolo sinceramente.
L’idea di poter
svegliare
Michel o Loki non lo allettava affatto. Avrebbero dovuto dar loro
spiegazioni
delle loro condizioni, del labbro gonfio di Tom o delle sue nocche
spellate.
No,
grazie. Ho già troppo a cui pensare.
Tom
gli lanciò un’occhiata confusa.
“Allora dove pensi di fartela?”
“Siamo prefetti, no?” Scrollò le spalle,
afferrandolo per una mano e tirandolo
su. Tom non oppose resistenza. Non poteva, e lo sapevano entrambi.
In quel momento, per quanto
la
sensazione non fosse poi così piacevole, il più
forte dei due era lui.
“E con
ciò?”
“Bagno dei prefetti.”
“Non ci va mai nessuno, Al. È al quinto
piano.”
“Appunto perché non ci va mai nessuno è
perfetto. C’è acqua calda e… dicono sia
fantastico. Un buon posto per farsi un bagno.”
“Non mi sembra il caso. Non adesso.”
“Invece proprio
adesso.” Si
impuntò. “Papà non tornerà
prima di domattina, ed in ogni caso è solo con lui
che possiamo parlare per risolvere questa cosa. Ed abbiamo bisogno
entrambi di
scaldarci e … tranquillizzarci. Okay? Sei ad Hogwarts, Tom.
Sei al sicuro.” Gli
sorrise. “Comunque ci porteremo dietro le
bacchette.”
Tom non ricambiò la stretta, prendendo un’aria
assorta. “Va
bene.” Disse però. “In effetti non avevo
voglia di dare spiegazioni a Nott e Zabini.”
“Neppure
io… Dovrei dire che
ti ho picchiato, e la tua reputazione di duro potrebbe precipitare nel
baratro.” Scherzò: Tom non sorrideva
dall’inizio della serata. Non ne aveva
motivo, certo, ma era terribile vedergli quell’aria tesa e
spaventata addosso.
Tom intuì il suo
tentativo, e
fece un mezzo sorriso. “Non mi hai fatto così
male.”
“No, infatti non hai un labbro tumefatto.”
“Al, tu non riesci a chiudere la mano sinistra.”
Al sbuffò, facendolo sorridere stavolta, sul serio.
****
Torre
di Grifondoro.
James tornò
assonnato, ma
trionfante nella sua Casa. Salutò Lily con un bacio sulla
guancia e la
coppietta con un cenno della testa.
Scorpius sogghignò. “Domani mi racconti tutto,
Poo.”
“Non c’è mica niente da
raccontare.” Brontolò.
Poi si ricordò
che era un
legimante.
Dannato
Malfoy. Dannato pettegolo.
“Ti
odio.”
“Buonanotte anche a te, Potter.” Ghignò,
rubando un bacio ad una perplessa
Rose, prima di sorpassarlo e sparire nelle scale dei Dormitori
maschili.
James salì le
scale con calma.
Non c’era certo motivo di affrettarsi. Non aveva neppure
sonno.
Quando aprì la
porta della
propria camera trovò gli amici già profondamente
addormentati.
Strano…
da quando vanno a letto come un gruppo di
ragazzine tassorosso?
Ma c’era
qualcos’altro. Una
sensazione spiacevole. Ci mise un po’ ad identificarla.
La stanza era come al solito
immersa nel caos causato da quattro adolescenti nel pieno della
pubertà, e
quindi vestiti e libri, come dischi e sacchi di dolciumi di Mielandia,
campeggiavano ovunque.
Ma James sentiva che
c’era
qualcosa che non era al suo posto. Poi capì.
Era il suo baule, quello in
fondo a letto, in cui stipava le cose a cui teneva di più,
come il kit di manutenzione
della propria scopa e la sua pila di riviste di Quidditch che nessuno
doveva
toccare oltre a lui.
Non era al suo posto. O meglio, c’era. Ma era stato spostato;
le assi di legno
davanti erano pulite, senza un grammo di polvere o un paio di calzini
sporchi.
Lo spalancò,
gettandosi ai
piedi del letto con un rumore tale che svegliò Bobby Jordan,
il più vicino a
lui.
“Jam, cosa
cacchio…”
“Avete toccato la mia roba?” Chiese frettoloso,
contando le sue riviste, la sua
scorta personalissima di dolci e l’astuccio di cuoio rosso
contenente il kit.
Sembrava esserci tutto.
“No, per Merlino,
nessuno di
noi vuole morire giovane…” Bofonchiò
stropicciandosi un occhio. Sembrava un po’
troppo intontito, per essere andato a letto solo mezz’ora
prima.
“Ma
com’è che siete già tutti
a letto?” Interloquì.
Bobby corrugò le
sopracciglia,
facendo spallucce. “Boh. Sonno?”
James scrollò le spalle, facendo per chiude il baule.
Poi sentì
qualcosa
ghiacciargli la nuca.
Non era tutto
al suo posto.
Lo riaprì di
scatto, frugando
ferocemente, buttando persino fuori il kit e le riviste.
No,
no, no. Merda. Merda. Merda!
“Ehi…
ma che fai?” Bobby lo
guardò attonito. “Cosa diavolo cerchi?”
James alzò lo sguardo, furioso e incredulo.
“È sparito il mantello di mio
padre. Il mantello dell’invisibilità.”
****
La parola d’ordine
era Pino Silvestre. Si raccontava
che fosse
sempre la stessa da secoli.
Al dubitava fosse vero.
Forse,
semplicemente, cambia a rotazione.
Spinse
con una mano la pesante porta
di legno dei bagni del quinto piano, facendo cenno a Tom di seguirlo.
L’altro
non disse nulla, ma teneva la bacchetta così forte in pugno
che dovette prenderlo
per un braccio per portarlo dentro.
È
tanto volere un momento di quiete?
Il bagno era grande e
spazioso. Da un lato c’era una serie di docce, pulite ed
efficienti. Morbidi
asciugamani erano impilati in nicchie di pietra e al loro ingresso si
erano
accese una ventina di torce che gettavano una luce forte ma piacevole.
L’ambiente
era interamente in pietra, ma vi aleggiava un piacevole tepore,
sicuramente di
fonte magica.
“Wow. Mi chiedo
perché non ci
siamo andati prima!” Commentò.
Tom fece un lieve sospiro.
“Perché
è al quinto piano, quindi piuttosto distante dai
sotterranei… e, probabilmente,
è molto spesso occupato.” Spiegò
pratico.
“Ma ora non c’è nessuno!”
“Perché non deve esserci nessuno. È
coprifuoco.” Tom intascò la bacchetta, dopo
aver lanciato una lunga occhiata tutto attorno.
Era paranoico.
E dopo quello che gli aveva
raccontato, Al non se la sentiva di criticarlo.
Soffocò uno starnuto dentro la mano. I vestiti gli si erano
spiacevolmente
appiccicati addosso e l’aria umida del castello non aveva
neanche tentato di asciugarli.
Tom gli lanciò
un’occhiata,
disfacendosi del mantello che appoggiò ordinatamente in una
nicchia. “Infilati
subito sotto l’acqua calda.” Era un ordine, ma lo
ascoltò solo per metà.
Si avvicinò
invece alla vasca
vuota, circondata da tanti rubinetti diversi. La conosceva, suo padre
gliene
aveva parlato.
“Hai visto?” Si voltò, con gioia
infantile dipinta in viso, forse un po’
forzata, ma serviva alla causa. “Voglio usarla!”
Tom esitò, lanciando uno sguardo da lui alla vasca.
“Fa’ pure.” La cosa,
stranamente, sembrò metterlo a disagio, visto che si
voltò per cominciare a
spogliarsi.
L’elevato senso
del pudore di
Tom era leggendario, pensò Al con un sorriso, guardandolo
spogliarsi: i primi
tempi c’erano state battaglie feroci tra lui e Michel, sempre
abituato a
prendere in giro gli altri per il proprio aspetto fisico.
Certo,
Tom ha anche un problema… Gli manca un pezzo.
Gli lanciò
un’occhiata di
sottecchi, combattendo distratto con i primi bottoni della sua camicia
color glicine.
La schiena di Tom era
bianca,
del colore dell’avorio con cui erano intarsiate alcune
colonne della loro Sala
Comune. Non era particolarmente muscolosa, non come quella di Mike o di
Jamie.
Era liscia e le vertebre sporgevano leggermente, accentuate dal fatto
che Tom
fosse diventato davvero magro.
Al la trovava una schiena
bellissima.
Deglutì,
distogliendo a sua
volta lo sguardo.
Non era forse quello il
momento adatto per certi pensieri. Ma li stava facendo, e non poteva
fermarli.
I baci non erano più un problema. Ma a letto spesso
diventava tutto confuso, e
si trovava eccitato quanto imbarazzato. Forse era la mancanza di
esperienza di
entrambi a fermarli, ma neppure Tom, che pure a volte si mostrava un
discreto
pervertito, riusciva a superare la barriera dei vestiti. Per toccarlo o
per
toccarsi.
C’è
da dire che non abbiamo mai molto tempo per noi,
dividendo la camera con altri due ragazzi.
C’è
sempre il rischio che entri qualcuno … E non è
che
possiamo chiudere le tende e confidare nella discrezione di Lo e
Mike…
Ora
però…
Si sentì
deglutire rumorosamente.
Il suono fu orribilmente riverberato tra le colonne.
Fu certo che anche Tom lo
sentì, anche se non si voltò a controllare.
Zampettò
pateticamente a piedi
nudi fino ai rubinetti, aprendoli frettolosamente.
Non aveva mai pensato al
sesso, almeno finché non si era sentito attratto da Tom.
Certo, aveva sedici anni e
questo significava che da almeno tre anni aveva imbarazzanti erezioni
mattutine
che l’avevano terrificato per mesi, prima che James
impietosito, in una
conversazione umiliante, si premurasse di spiegargli che era una
‘roba assolutamente normale,
cretinetto’.
Ma la prima volta che aveva
associato il desiderio ad una persona vera,
era stato con Tom.
Era
con
Tom.
In quel momento.
La vasca intanto
si era già riempita di una schiuma
multicolore e profumatissima.
Tom a quel punto si
voltò,
storcendo il naso. “Quanti rubinetti hai aperto? Sembra di
stare dentro ad una
torta.”
Al ridacchiò,
facendo
spallucce. “Tutti?”
“Merlino…” Sospirò.
“Io vado a farmi
una doccia.”
“Fai il bagno con me.”
Lo disse di getto, desiderando morire un momento dopo. Ma sapeva che
l’avrebbe
potuto chiedere solo così.
Tom gli lanciò uno sguardo… si sarebbe detto
assorto. Forse lo era sul serio.
O forse semplicemente stava
decidendo se ridergli in faccia o meno.
“Non abbiamo
più sei anni.”
Disse, voltandosi completamente. Teneva casualmente la camicia premuta
sullo
stomaco, come se se la fosse dimenticata lì. Era un genio
nel fingere
noncuranza.
Al spostò il peso da un piede all’altro. Si
sentiva le guance scottare, ma
decise che non era un dettaglio rilevante. “Lo so.”
Rispose. “Ma voglio
comunque fare il bagno con te.”
Si voltò,
perché altri dieci
secondi a fissarsi non li avrebbe retti e si liberò dei
pantaloni e dei boxer.
Se avesse potuto si sarebbe gettato in acqua, ma onde evitare traumi
cranici,
si accontentò di scivolarci dentro.
La sensazione di benessere
che
gli provocò l’acqua bollente gli fece dimenticare
per un attimo di avere lo
sguardo di Tom fisso sulla nuca. Emise persino un suono soddisfatto.
(Un
gemito, gli avrebbe fatto notare Tom dopo.)
A quel punto
sentì dei passi
dietro di sé e poi sentì il fruscio dei vestiti.
Dentro l’acqua,
scoprì, si
sentiva meno imbarazzato. Arrischiò un’altra
occhiata, e fu rasserenato,
imbarazzato ed intrigato – tutto assieme, notevole
– dal constatare che anche
Tom non era indifferente al contesto.
“C’è un odore disgustoso.” Si
premurò comunque di fargli notare.
“A me piace.” Protestò, evitando di
ridere al rossore che si diffuse sulle guance
dell’altro. Tom e il calore non andavano troppo
d’accordo: avendo la pelle
sottile, quasi trasparente in certi punti, era normale
che i cambiamenti di temperatura repentini
lo facessero avvampare.
“Non
dubitavo…” Considerò,
lanciandogli un’occhiata. Più
di
un’occhiata. “Perché vuoi che faccia il
bagno con te?” Gli chiese a bruciapelo.
C’è una
risposta? Ma gliela
devo dire sul serio?
“Perché
le docce sono
scomode.” Mentì, avvicinandosi pericolosamente. E
non solo. Non gli importò di
sentirlo sussultare quando gli passò le braccia attorno al
collo.
Non aveva la minima idea di
cosa stesse facendo, naturalmente.
Ma in quel momento non aveva
poi molta importanza.
“Albus…”
“È Al.” Lo corresse in automatico.
“Possibile che neanche un bagno caldo riesca
a rilassarti? Sei un pezzo di legno.”
“Perché pensi che lo sia?”
Sibilò e fu certo che non fosse rosso per il caldo.
“Quello che sta succedendo…”
“Lo so,
Tom.” Sussurrò. “Sta’
zitto però.”
Era eccitato. Poche volte si era sentito così eccitato in
vita sua, e quella
era la più feroce di tutte.
Detestava il caldo. Non solo
perché il suo fisico sembrava mal sopportarlo, ma
perché lo rendeva… languido.
E nel momento attuale, con
Al
stupidamente ancorato addosso, con un ginocchio tra le sue gambe, lo
rendeva
paurosamente vicino a perdere il controllo.
Era come se la paura per
ciò
che stava accadendo cercasse di mantenerlo lucido, in un perenne senso
d’allerta, mentre tutto il suo fisico pregava
perché si lasciasse andare e
spegnesse il cervello.
Per riassumere, non riusciva
a
toccarlo anche se ogni singola cellula del corpo gli urlava di farlo.
Cercò di
allontanarlo. Di far
prevalere la ragione.
“Lo so.”
Fu la risposta di Al.
“Sta’ zitto però.”
Poi gli franò letteralmente addosso. Quando lo
sentì venire a contatto contro
di lui, completamente, qualcosa dentro di lui si sciolse.
Forse il suo controllo. Non
che se lo chiese.
Afferrò con due
dita il mento
di Al, chinandosi a baciarlo. Fu uno di quei baci, di quelli che li
lasciavano
senza fiato, mentre sentiva una scarica di adrenalina e eccitazione
cancellare
con un colpo di scopa l’angoscia.
Al gli puntellò le mani sulle spalle, salvo poi attirarlo di
nuovo a sé quando
scoprì che una certa frizione era ben più
piacevole dell’acqua calda.
Appoggiò la fronte alla sua, con un sorriso stupito. Teneva
gli occhi chiusi e
aveva il viso rosso e lucido, come una mela.
Tom sentì l’impulso di leccarglielo.
Merlino
benedetto…
E infatti, lo fece.
Passò le
labbra lungo la guancia umida di schiuma, lambendogli con la punta
della lingua
lo zigomo, per poi finire a baciargli la tempia. Lo sentì
ridacchiare.
“Morgana…”
Mormorò. Socchiuse
gli occhi e nella penombra luminosa della vasca gli brillarono di un
verde
accecante. “Ancora?”
“Naturalmente.”
La sua
educazione pro-forma si manifestava soprattutto in momenti come quello.
Al gli
sogghignò irriverente, e capì che stava pensando
la stessa cosa.
“Ti
voglio…” Aggiunse però.
“Ti voglio mio.”
“Non è grammaticalmente corretta come frase,
Tom.”
“Al diavolo.” Ringhiò, facendolo ridere
di nuovo. “Ridi di me?”
Al scosse la testa passandogli i palmi bagnati sulle guance, e sui
capelli.
Quell’odore dolciastro, di miele e spezie, cominciava a
piacergli. Era in un
certo senso stordente. “A volte, ma non adesso…
Anche perché… cioè.” Per un
attimo torno al consueto borbottio imbarazzato. “Anche
io.”
“Vuoi?” Gli parlò con le labbra
appoggiate alla gola.
“Nh.” Confermò. Gli lanciò
un’occhiata. La schiuma, pensarono entrambi, aiutava:
non che non si fossero mai visti nudi, certo…
Ma
una cosa è avere sei anni, una cosa è avere un
corpo
pronto all’uso… - Pensò Al, sentendosi
un deficiente.
Poi decise di dirlo,
perché
qualcuno, lì, doveva farlo.
“Non so da dove
iniziare…”
Confessò, in un piccolo sussurro nervoso. Stava comodo, con
le braccia di Tom
che lo tenevano stretto e le gambe allacciate alla sua vita. Gli si era
seduto
addosso, e anche se alla lunga la posizione sarebbe potuta essere
scomoda, in
quel momento era perfetta.
Tom fece un mezzo sorriso.
“Pensi che per me sia diverso?”
“Penso che
prima… stessimo
andando bene, no?”
Tom, non rispose,
tracciandogli una linea immaginaria attorno al petto. Probabilmente lo
sentirono entrambi che il cuore tentava gioiosamente di sfondargli la
cassa
toracica. Poi gli prese la mano e se la portò addosso.
“Sì.”
Sussurrò. “Senti…”
Il cuore di Tom correva
impazzito quanto il suo.
Al sorrise, chinandosi a toccargli le labbra con le dita, poi con la
bocca. Baciarlo.
Il mondo si fece improvvisamente silenzioso. Sul serio, ebbero la
distinta
percezione che tutto si fosse calmato. Persino la pioggia fuori aveva
smesso di
frustare i vetri del bovindo, in cui la sirena della vetrata giaceva
addormentata.
E poi, a posteriori, entrambi lo ricordarono così. Caldo. L’acqua rimase tiepida,
ma fu caldo.
Bollente, con gemiti
– erano
gemiti – e baci continui, quasi nessuno dei due sentisse il
bisogno di
respirare. O forse solo così potevano farlo.
Fuori il mondo, dentro loro.
****
Note:
Qui
la
canzone.
Fa da traccia a tutto il
capitolo, quindi… beh, ascoltatela. ;-P
|
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Capitolo 43 *** Capitolo XXXVIII ***
Ringrazio chi mi ha
recensito,
e per quelli che non l’hanno fatto, beh… ragazzi,
ci sono le visite, dai,
lasciatemi un commento. Non riesco a capire se la direzione presa vi
piaccia o
meno!
Dedico questo capitolo ad Ernil, perché ha fatto un
lavoro recensitorio
FOLLE questa sera, rendendomi una slasher molto felice. XD
@Trixina:
Eeheh, mi fa piacere che ti sia piaciuta la scena Al/Tom! ^^
Sì, in effetti è
stata molto dolciosa, ma era voluta. Un po’ di quiete prima
della tempesta! E
Al è adorabile, lo so. ;P (auto-pimping? No, è
che io me lo immagino così XD)
Beh, sì Harry e Ron li ha fatti un po’ come me li
ricordavo… c’è poco da fare,
per me saranno sempre dei bambinoni troppo cresciuti. XD Grazie per i
complimenti… anche io sono dispiaciuta dalla defezione dei
soliti commentatori,
ma voi mi date la forza di mandare avanti la baracca, quindi davvero
Trixina,
GRAZIE.
@Altovoltaggio:
non importa, l’importante è che alla fine mi fai
sapere che ne pensi! Le
recensioni sono importanti per il morale dell’autore e
diciamocelo, anche un
po’ per goduria personale ^^ Grazie mille per i complimenti,
specialmente
quelli ad Albus-è-Al!
@Simomart: Ciao,
benarrivata! Grazie della SPLENDIDA recensione, articolata e precisa
che mi hai
lasciato! Davvero è la tua prima storia slash! Allora
è un onore! ^^ Anche tu
già conoscevi Taylor Kirsch? Vero che è stupendo!
XD Per quanto riguarda Rose e
Scorpius avranno un peso nei prossimi capitoli, ma purtroppo dovendo
gestire
tante coppie devo fare delle scelte. Allora, per le info…
Posto ogni domenica,
verso mezzanotte, o altrimenti in mattinata tardi. Dipende da quando
torno dai
bagordi e quanto tardi mi alzo XD Per quanto riguarda la durata, penso
di
finire con il 50 capitolo massimo, ma ci sarà una seconda
parte, salvo
imprevisti, tra l’altro, un po’ più het.
;)
@Mikyvale: Non
preoccuparti Miky! L’importante è rivederti su
questi schermi ^^ Il mantello
scoprirai a cosa serve, e chi l’ha preso. Grazie mille per
continuare a
seguirmi! Stay tuned!
****
Capitolo XXXVIII
Help
me, help me
You know me better than I knew myself
Getting nothing done/ I'm getting nothing done
Failing all my friends/ And I'm failing
everyone¹
(Mayday
[M’aidez], People in
Planes)
6
Novembre 2022
India,
Regione di Nagaland. Mattina.
La situazione non era delle
migliori.
Si trovavano in una radura,
spersi nel nulla della penisola indiana, circondati da una dozzina di
indigeni
guerrieri con zanne lunghe come avambracci di un bambino. Armati.
Ron teneva la bacchetta tesa
di fronte a sé. “Harry…”
Sussurrò a denti stretti.
“Lo so.”
Si schiarì la voce.
“Siamo qui per incontrare un nostro
amico…” Iniziò scandendo lentamente
ogni
parola. “Rolf Scamandro.”
I Naga non si mossero. Poi, quello con l’arco più
grosso e con più collane e
piume addosso, emise un sibilo. Harry suppose che stesse parlando.
È
serpentese. Oh, dannazione.
Da
quando Voldemort aveva smesso di
esistere, i poteri a lui collegati si erano andati via via
affievolendo, pari
passo con la scomparsa della cicatrice.
Il che significava che a
quarantadue anni suonati non percepiva che qualche parola, e per giunta
incomprensibile, nella lingua dei rettili.
Forse
era l’unica cosa utile che mi avrebbe potuto
lasciare in eredità…
“Sta parlando in
serpentese,
vero?” Sussurrò Ron. “Ti prego, dimmi
che lo capisci.” Alla sua espressione
inspirò bruscamente. “Okay, dobbiamo combattere?
Perché devo sapere se potrei
morire lontano migliaia di miglia da casa mia. Così
saprò se Hermione onorerà la
mia tomba o ballerà sul mio cadavere.”
I Naga a quello scambio di parole, forse irritati dal non capirci
assolutamente
niente, si fecero più vicini e minacciosi.
Harry prese una decisione, velocemente. “Abbassa la
bacchetta, Ron.”
“Cosa?”
“Abbassala.” Ripeté, chinandosi a
metterla a terra, con un movimento attento.
“Harry, che
diavolo stai…”
“Ascolta. Se avessero voluto ucciderci l’avrebbero
già fatto. Credo che vogliano
catturarci.”
“Adesso sì che mi sento meglio! Per diventare il
loro pranzo? Scordatelo!”
Harry lanciò un’occhiata di ferro –
sviluppata durante gli anni passati come
caposquadra – e gli fece cenno di abbassarla.
“Fa’ come ti dico, Ron. Fidati.”
“Ricordami che ti devo un pugno sul naso.”
Sibilò, ma obbedì. Subito due
guerrieri gli furono addosso, legandoli saldamente con le mani dietro
la
schiena. Quello che sembrava il capo prese le bacchette che uno dei due
gli
porse, studiandole.
“Spero non voglia usarle come stuzzicadenti”
Borbottò Ron.
Il Naga, con gran sollievo di entrambi, si limitò a tenerle
in mano mentre ordinò
qualcosa ai suoi guerrieri.
La piccola carovana si
mosse.
Harry ebbe la percezione di camminare a lungo, ma forse era la
stanchezza della
materializzazione, addizionata al caldo umido che gli fiaccava le ossa.
Dopo un tempo imprecisato, e
un borbottio pressoché ininterrotto da parte di Ron,
arrivarono a quello che
sembrava a tutti gli effetti un villaggio.
Harry lo studiò
con
attenzione: era recintato da un alto steccato di legno, e sorvegliato
da tre postazioni
diverse. All’ingresso stava una capanna rettangolare, la
più grande di tutte.
Al centro c’era una radura, con quella che sembrava la dimora
del capo, a
giudicare dai colori accesi del legno in cui era dipinta. Davanti
c’era un
enorme Naga – molto più grosso del capo della
piccola spedizione e accanto a
lui…
“Rolf!”
L’uomo, praticamente un bambino accanto al grosso
uomo-serpente, si tolse la
pipa dalle labbra, rivolgendo loro un cenno. “Harry,
Ronald… Benvenuti nella
tribù Zhamai.” Poi si rivolse al
capotribù, parlandogli in quello che ad Harry
sembrò indiano. Non serpentese, comunque.
Il grosso essere
sferzò la
coda e rivolse qualche parola al gruppo di guerrieri. I due che li
tenevano si
affrettarono a liberarli dei legacci.
Ron si massaggiò
i polsi. “Rivoglio
la mia bacchetta.” Disse subito.
“Le terranno loro
finché la
visita non sarà conclusa.” Chiarificò
Rolf, dopo aver tirato uno sbuffo di
pipa. “Misure precauzionali. L’hanno presa anche a
me.”
Ron sembrò
innervosirsi, ma
non disse nulla. Negli anni aveva imparato a mordersi la lingua
più di quanto
volesse veramente. Harry gliene fu grato.
“Rolf, pensavamo
saresti
venuto a prenderci tu…” Azzardò, con
calma ammirevole, considerando che erano
circondati da imponenti montagne di scaglie e zanne.
“Sono dovuto
rimanere qui come
garanzia.” Spiegò. “Gli Zhamai sono una
tribù estremamente diffidente verso i
maghi. Sono stato presentato ufficialmente da un altro
capotribù non più di tre
giorni fa e nonostante abbiano accettato… beh, non si fidano
neppure di me.”
Concluse con semplicità, mentre Ron lanciava uno sguardo
sconfortato all’amico.
“Adesso capisco
perché Luna
l’ha sposato.” Sussurrò, scrutando cupo
l’aria rilassata del naturalista. “Sono
sciroccati tutti e due.”
Harry represse un mezzo
sorriso, e si schiarì la voce. “Hanno accettato di
sottoporsi ad un
interrogatorio?”
“Ne stavamo giusto parlando. Lootra, il capotribù,
mi ha spiegato che ha perso uno
dei suoi guerrieri migliori, mentre cinque sono tornati in condizioni
terribili,
perché portati via da un uomo che …
l’espressione corretta è, suppongo, ha
stimolato loro il demone della cupidigia.”
“Pensavo fossero stati portati in Inghilterra dal Ministero
Indiano.”
“È così infatti.” Rolf
scambiò qualche altra parola con il Naga, che li fissava
in modo così truce che Harry si meravigliò che
non li avessero ancora riempiti
di frecce. “Pare che il funzionario che è venuto
qui abbia promesso loro la
fama. A quanto ho capito sarebbero stati ospiti di una serie di
convegni sulle
creature magiche ad Edimburgo. Molti dei giovani di qui sono attratti
dal mondo
al di fuori del villaggio. Persino le tribù più
isolate come questa hanno avuto
contatti con i maghi.”
Harry annuì. “Chiedigli se è disposto
farci parlare con i suoi guerrieri.”
“Già fatto.” Lo precedette Rolf.
“Ha detto che non è disposto a farveli
incontrare, ma che parlerà lui con voi. Inoltre vuole avere
l’assicurazione che
la sua tribù non venga coinvolta in faccende tra
maghi.”
“L’avrà. Digli però che ho
davvero bisogno di parlare con uno dei suoi
guerrieri. Potrebbe essere testimone in un indagine auror.”
Soggiunse.
Rolf si rivolse verso
l’essere, e dopo un paio di scambi di battute, il Naga fece
un cenno,
rientrando nella capanna di legno e paglia.
“Ha detto di seguirlo.” Tradusse Rolf.
“Ma Ronald dovrà rimanere fuori.”
“Eh? E perché?” Si adombrò
l’uomo. “Qual è il problema?”
“Accetta solo di parlare con il capo. In questo caso,
Harry.”
Harry fece un sorriso di scuse all’amico. “Resta
qui. Sorveglia la situazione.”
“Certo, senza bacchetta.” Ribatté
l’altro innervosito. “Non metterci troppo. Vorrei
tornare a casa prima di colazione, fusorario permettendo.”
Harry gli fece un cenno, entrando dentro la capanna. Fu stupito dal
vedere come
fosse estremamente simile a quella che poteva immaginare per un
indigeno umano.
Il Naga si acciambellò tra un groviglio di pelli, facendo
cenno loro di
sedersi.
Harry obbedì, sperando ardentemente che non gli fosse
offerto niente di ciò che
bolliva in un angolo della capanna. Aveva un odore nauseabondo.
Rolf si accomodò
perfettamente
a suo agio accanto all’essere. “Ha detto che vuole
sapere il motivo per cui hai
bisogno di parlare con uno dei guerrieri.”
“Spiegagli che potrebbe essere un testimone, e qualsiasi cosa
dica o ricordi,
anche la più sciocca, potrebbe esserci molto
utile.” Ripeté pazientemente.
Rolf tradusse diligentemente
e
il Naga sferzò di nuovo la coda, palesemente infastidito.
“Dice che non si
fida dei
maghi, e non vuole che uno dei suoi giovani sia accusato di cose che
non ha
commesso.” Concluse con un sospiro. “Harry, se vuoi
un consiglio, accetta la
sua proposta. Siamo suoi ospiti, ma il concetto di
ospitalità Naga è
estremamente variabile.”
Harry esitò. Era venuto lì per avere delle
risposte, ma come si aspettava, la
cosa non stava funzionando. Capiva il capotribù. Ma il
capotribù era piuttosto
palese che non si sforzasse di capire lui.
“Quindi il punto
principale è
che non si fida di me, è esatto?”
“Grossomodo.” Assentì Rolf.
“Non prenderlo come un punto personale. Noi maghi
spesso veniamo visti come sfruttatori, e considerando che sei dei suoi
guerrieri sono stati effettivamente
sfruttati da un mago…” Fece un cenno vago.
“Oltre a questo, il governo magico
indiano non rispetta le loro tradizioni, il più delle volte
li vede come
selvaggi pericolosi. Capisci bene che con queste premesse, e
già tanto che
accetti di dirti ciò che sa lui.”
Harry sospirò. “Chiedigli cosa sa.”
Rolf tradusse e il Naga si premurò di fare un breve e
conciso discorso, prima
di piantargli le pupille oblique addosso.
“Ha detto che un
funzionario
del ministero è venuto a parlare qui a Luglio, credo, se ben
ricordo il
calendario Naga. Sei dei suoi guerrieri hanno acconsentito a partire
per
Londra, per…”
“Questa è la parte che so già, Rolf.
Quello che voglio sapere è cosa gli hanno
detto dopo che sono tornati.”
Rolf ripeté la domanda, ma la risposta fu desolante come
Harry si aspettava.
“Dice che arrivati lì sono stati affidati ad un
mago inglese, e poi ad un altro
mago che ha operato su di loro un’ oscura magia. Li ha
costretti ad obbedire.”
Fece una pausa. “Imperio?”
Chiese.
“Probabile.”
Fece una smorfia
l’uomo. “Non c’è
altro?”
“È tutto quello che sa.”
Harry serrò le
labbra: poco o
niente, come immaginava.
Devo
guadagnarmi la sua fiducia…
L’unico
modo era mostrargli che c’era
qualcosa che un mago poteva avere in comune con una creatura oscura.
Doveva
stabilire un contatto.
Devo
parlargli in serpentese…
Si concentrò,
guardandolo. Da
ragazzo per lui era normale come parlare inglese. E se la cicatrice
ancora c’era,
forse…
“Parlo… serpentese.”
Sussurrò a
fatica, come ricordando una lingua straniera che aveva parlato anni
prima. Ed
era così.
Dalla faccia che fece Rolf e dall’espressione sbigottita del
Naga, capì che
qualcosa aveva detto.
“Lo
parli, sì.” Convenne Lootra. “Non sapevo che i maghi potessero parlare la lingua
degli avi.”
“Non tutti.”
Fece una pausa. “So che noi maghi
non godiamo della vostra
fiducia. Ma ci sono maghi buoni, e maghi malvagi. Chi ha rapito i
vostri
guerrieri è un malvagio. E lo stiamo cercando. Devo parlare
con uno dei vostri
guerrieri perché un giovane mago, un mago innocente,
è in pericolo. Non siamo
diversi, anche io sto cercando di proteggere qualcuno.”
Il Naga lo squadrò a lungo, dandogli la spiacevole
sensazione che tentasse di
leggergli i pensieri. Poco probabile, ma chissà che la
legimanzia non
funzionasse anche per le creature oscure.
“E
sia.” Concesse. Subito dopo sibilò un
ordine ad una delle
sentinelle poste davanti alla capanna.
“Pensavo non ne fossi più capace…
intendo, di parlare il serpentese.” Interloquì
Rolf impressionato.
“Lo pensavo anche
io. C’è da
dire che non ho più avuto molti modi per esercitarmi. E
neanche motivi.”
Aggiunse con un mezzo sorriso. Tacquero quando entrò un
altro naga dentro la
capanna. Era più piccolo rispetto al capotribù,
ma in compenso aveva un aspetto
ben più feroce.
“Questo è mio figlio
Lotha.” Spiegò
Lootra. “Faceva parte dei cinque che
sono
tornati.”
Harry improvvisamente si sentì molto più nervoso,
e allo stesso tempo più
comprensivo. Fece un cenno verso la creatura, che replicò,
guardinga.
“Lotha, ho bisogno che tu ricordi a
chi
sei stato affidato con i tuoi compagni. Non Duil, l’altro.”
Il guerriero sferzò la coda. Lanciò
un’occhiata al padre, poi rispose. “Il
guerriero. Non era come l’altro mago. Non
aveva paura di noi. Non ci temeva. Era grande e potente.”
“Perché dici che era
potente? Vi ha
minacciato?”
“Noi Naga percepiamo la forza di voi
maghi.” Replicò sferzante il giovane.
“Percepiamo
il campo magico di cose e umani. Lui era potente. E ci ha fatto un
incantesimo,
come li chiamate voi. Da quel momento, siamo stati tutti in suo potere.”
“Imperio…” Sussurrò Harry
distrattamente. “Potresti
descrivermelo?”
Il Naga rimase in silenzio,
così a lungo che Harry pensò che non avesse
capito la domanda. Poi riprese. “Era
alto, due teste più di te. Indossava
vesti strane. Diverse dalle vostre. Non ricordo altro.”
Vestiti babbani… Fantastico.
Significa
che può nascondersi anche trai babbani.
“Ricordi
cosa vi ha chiesto di fare? Magari se era da solo?”
“Era da solo.”
Confermò. “E ricordo cosa
ci ha chiesto di fare. Ci ha
chiesto di cercare una pietra in una Foresta. Ha dato a Selik la pietra
e gli
ha detto di trovare un ragazzo. Selik è morto.”
Soggiunse con un sibilo che
ricordava gesso su una lavagna. Harry fece una smorfia, ma la sua mente
lavorava febbrile.
Una
pietra nella Foresta…
“Hai
visto quella pietra? Sapresti descrivermela?”
“Sì, l’ho
trovata io. Era piccola, scura
e dal grande potere.”
Harry sentì il
sangue gelarsi
nelle vene. Non c’era ombra di dubbio, di cosa si potesse
trattare,
considerando che lui stesso aveva gettato quella pietra nella Foresta
Proibita,
più di vent’anni prima. Stava parlando della
Pietra della Resurrezione. Uno dei
Doni della Morte.
“Vi
ha chiesto di recuperare… altro?”
“No.”
Negò il guerriero. “Ci ha
tenuto per giorni in una grotta,
dentro la Foresta. Con noi c’era il mago che avevamo
incontrato all’inizio,
quello che ci aveva consegnato a lui. Era sotto il nostro stesso
incantesimo.
Poi ci ha fatto un incantesimo e ci siamo ritrovati dentro un campo
recintato.
Ci hanno detto di cercare quel ragazzo, lo stesso che avrebbe dovuto
trovare
Selik. Poi siete arrivati voi.”
Harry cercò di non far trapelare lo sgomento e
l’angoscia che montavano dentro
di lui.
Aveva cercato e trovato un Dono della Morte. La Pietra. Forse era
quello meno
pericoloso o utile, ma proprio per questo non poteva essere la sola
cosa che
cercavano.
E il ragazzo…
Si schiarì la
voce. “Sai chi è il
ragazzo? Vi ha dato un nome?”
Il naga sferzò la coda, forse un segno di diniego.
“Ci ha detto che era alto e magro.
Ci ha detto che il suo campo magico
era diverso da quello degli altri giovani maghi. Ed era vero.”
Tom…
Si tratta di Tom, Merlino Benedetto.
“Sai
perché vuole il ragazzo?” Si sentiva la
bocca secca, ma
controllò perfettamente la voce. Non aveva passato quasi
vent’anni all’Ufficio
Auror senza saper controllare le proprie emozioni. Piton,
considerò amaro, si
sarebbe stupito dell’autocontrollo che era sopravvenuto con
la sua maturità.
“No.
Ma so che lo vuole.”
Il capotribù a quel punto decise di intervenire. “Il ragazzo è in pericolo,
mago. Se non l’abbiamo preso noi, è certo
che lo prenderà lui.”
****
Hogwarts,
Corridoio del quinto piano.
Notte.
Il bagno caldo li aveva
rilassati in molti modi.
Dopo aver asciugato i vestiti con un incantesimo se li erano rimessi,
il tutto
nel più perfetto silenzio.
Ma andava meglio, pensò Al, una volta che la porta del bagno
dei Prefetti si fu
richiusa alle loro spalle, lasciandoli nel corridoio buio. Poteva
andare
meglio, certo, ma stava andando un
po’
meglio.
Più
di quanto ci si possa aspettare vista la
situazione…
Lanciò
un’occhiata a Thomas,
mormorando un lumos per rischiarare
il pavimento a pochi passi da loro. L’altro ragazzo distolse
lo sguardo,
abbacinato dal fiotto di luce troppo vicino al suo viso.
“Al, fa’ attenzione.” Sussurrò
con una smorfia.
“Scusa. Ma è già tanto se non ti ho
ficcato la bacchetta nell’occhio. Non
capisco perché non lasciano le torce accese anche dopo il
coprifuoco.”
“Probabilmente perché si aspettano che nessuno
vada in giro per i corridoi.”
Suggerì ironico. “Usiamo solo la tua bacchetta.
Meglio non dare nell’occhio.
Credo che Gazza avrebbe qualcosa da ridire sulla nostra presenza
qui.”
“E da quando questo ha costituito un problema?”
Ribatté facendolo sorridere.
“Forza, andiamo. Voglio evitare di aggiungere carico alle
accuse che già ho.”
Disse, volendo suonare ironico. Al pensò che avrebbe dovuto
rivedere il suo
concetto di ‘battuta di spirito’.
“Non è
divertente, Tom.”
L’altro serrò appena le labbra. “Lo
so.”
“Ti ho già detto che sei un idiota?”
“Circa un centinaio di volte.” Fece una pausa.
“Non che tu abbia torto.”
“Cosa credi che succederà?”
Tom rimase il silenzio mentre svoltavano il corridoio. Poi fece un
breve
sospiro. “Non ne ho idea. Suppongo di poter essere accusato
di favoreggiamento
e di intralcio alla giustizia. Dopotutto ho coperto
quell’uomo.”
“Non andrai ad Azkaban.” Disse, mentre una
spiacevole morsa gli serrava lo
stomaco. “Non ci andrai.”
“Al…” Gli lanciò
un’occhiata tra l’esasperato e
l’amaramente divertito.
Piuttosto complessa, ma perfettamente intellegibile. “Se stai
cercando di
tirarmi su il morale, non funziona.”
“Scusa.” Si morse l’angolo di un labbro.
“Merlino, sei un tale…”
Al sapeva che era esattamente un tale.
Avrebbe voluto prenderlo a calci, schiantarlo e appenderlo per un piede
alla
torre di Astronomia. Non necessariamente in quell’ordine.
Alla fine Tom aveva parlato,
certo. Aveva confessato, a dirla tutta e lui aveva capito. Seriamente,
capiva
perché l’aveva fatto, ed era per questo che
l’aveva trascinato in quel bagno.
Per quanto suonasse ridicolo
e
poco consono alla situazione, aveva voluto ritagliare un momento solo
per loro,
prima che il maglio della realtà si abbattesse su entrambi.
Papà
risolverà tutto. Papà metterà a posto
le cose.
Se lo ripeteva da ore, e per
quanto ci credesse, seriamente, che suo padre fosse una specie di
supereroe…
Ho
paura.
Si sentì
afferrare la mano,
stritolarla a dirla tutta. L’espressione di Tom rifletteva la
sua.
“So che ho
sbagliato.” Disse
soltanto. “Ma non pensavo di poter tornare
indietro.”
“Che vuoi
dire?”
Tom distolse lo sguardo. “Intendo dire… che ho
scoperto delle cose. Non so se
si tratta di cose che mi riguardino direttamente, o sia stata solo una
falsa
pista per spingermi in una trappola.”
“E cos’hai scoperto?”
“Sai cos’è un homunculus?”
Al cercò di ricordare se aveva mai sentito quel termine.
Scosse la testa. “No.
Sembra una parola latina.”
“Credo lo sia. È una creatura alchemica.
Artificiale, si potrebbe dire.”
“Se sapessi che
vuol dire
artificiale…”
“È un termine babbano.” Fece una
smorfia. “In sintesi significa creato
dall’uomo. È qualcosa… o qualcuno, non
saprei dirlo, creato in laboratorio. Non
naturalmente.”
“Un uomo creato in laboratorio?” Corrugò
le sopracciglia. “Si può fare una cosa
del genere?”
“Ci hanno provato sia i babbani sia i maghi, in tempi e modi
diversi. Per
quanto riguarda i babbani, hanno usato una scienza chiamata genetica
… Per
quanto riguarda i maghi, hanno provato con l’alchimia,
tramite un processo
chiamato Takwin. È un
termine arabo.”
Soggiunse alla sua espressione confusa.
“E ci sono riusciti?”
“I babbani non ancora, i maghi sì. Almeno, un
alchimista, un arabo, dice di
esserci riuscito, secoli fa.” Fece una pausa. “Ed
è morto, per questo.”
Al lo guardò. Non che fosse facile veder impallidire Tom,
considerando che già
era pallido di suo, ma in quel momento gli sembrò terreo.
“E questo cosa
c’entra con te e la tua nascita?”
“… Non essere stupido, Al.” Disse
soltanto.
Albus dapprima non
capì. Poi
quando comprese, ebbe l’accortezza di voltarsi con la
bacchetta abbassata, di
scatto. “Aspetta un secondo. Stai dicendo che tu credi di
essere nato così?”
“Non è questione di credere.
La
realtà oggettiva dei fatti è che non ho genitori.
Che non esisto prima del ritrovamento
di Harry. In nessun registro, in nessuno ospedale del mondo magico o
babbano.
Che non mi è stato mai tagliato il cordone ombelicale
perché non l’ho mai
avuto.” La voce stava salendo di volume, tanto che Al temette
che qualcuno
potesse sentirlo. “Questo a cosa porta?”
“Porta al fatto che sei un idiota, Tom.”
Tagliò corto, cercando di mantenere un
tono di voce deciso. “Come puoi credere a quel
tipo?”
“Ti sto dicendo che non è questione di credere a
John Doe. Ma quello che ho
letto personalmente… a quello credo.”
Serrò la mascella in una smorfia
disgustata. “Potrei non essere neppure
umano…”
“Tom!”
Sbottò, stavolta senza curarsi
del tono di voce. Lo strattonò per un braccio, facendolo
voltare. “Sei
completamente idiota?”
“… Smettila di insultarmi.”
“No. Per Merlino… sei stato allattato da una
donna, sei cresciuto ed hai
sviluppato poteri come un normalissimo bambino del mondo magico! Hai
due paia
di occhi, di gambe e di braccia. E per giunta fai delle contorsioni
mentali da
pazzi.” Lo costrinse a guardarlo. “Sei il mio
migliore amico, sei il mio
ragazzo e sei più umano di certi troll che vagano per i
sotterranei con la
nostra stessa spilla. Oltre al fatto che non puoi credere che piova
solo perché
qualcuno ti ha indicato una nuvola.” Lo scrollò
per un braccio, come a
suggellare il discorso.
L’altro si liberò con uno strattone, ma senza
violenza. Arrivarono alle scale
mobili, in quel momento insolitamente quiete.
“… Ma se lo fossi, mi vorresti
comunque?” Sussurrò così piano che non
fu del
tutto certo di averlo sentito.
E seppe che la risposta,
vera
o meno che fosse, avrebbe condizionato tutto.
Per lui il problema non si
poneva. Forse peccava di leggerezza, forse era insensibile o
superficiale.
Ma se sei troppo profondo, poi ti cacci
in situazioni del genere…
Ha
ragione Lily. A volte paga essere scemi, piuttosto
che il contrario.
“Mi pare
ovvio.” Sbuffò,
calandosi nella parte del sicuro di sé. Gli andava stretta,
ma fece del suo
meglio. “Senza di me moriresti affogato nella tua
asocialità.”
Tom batté le palpebre, guardandolo per un attimo
assolutamente indecifrabile.
Poi gli prese il viso tra le mani e gli diede un bacio. Uno di quei baci.
Quando si staccarono fu perché erano a corto
d’aria. Al si sentiva le gambe più
o meno ridotte come quando era dentro la vasca.
È
grave dottore?
“Non farlo mai più quando siamo sulle
scale e mi
separa dal vuoto solo una balaustra.” Brontolò,
facendolo sogghignare appena.
Tom fece per rispondere qualcosa, quando dal corridoio dietro di loro
spuntò la
luce azzurrina di un lumos. Al vide
Tom serrare istintivamente la presa sulla bacchetta.
“Ragazzi, grazie
al cielo
siete qui!” Era Ainsel Prynn.
Al aggrottò le
sopracciglia,
confuso. “Professoressa? Cosa…”
“Vi stavo cercando. Il professor Lupin mi aveva detto che
eravate tornati nei
sotterranei, ma quando sono andata a cercavi non vi ho trovati. Per
fortuna mi
sono ricordata che siete entrambi prefetti e…”
“Cosa sta succedendo?” Tagliò corto Tom,
ogni emozione, brutta o buona che
fosse, sparita dal viso. Ad Al fece una bruttissima impressione.
“Un estraneo si è introdotto dentro Hogwarts e
tutti gli studenti sono stati accompagnati
nelle loro Case. Come ho detto, non siete al sicuro.”
“Torniamo subito al dormitorio.” Ribatté
Al, inquietato. Tom aveva una faccia
tremenda.
Che
si tratti di John Doe?
…
Che stupido. Chi altri potrebbe essere?
“Tu, Potter.
Dursley ho
bisogno che mi segua.”
“Perché?” Che suo padre fosse
già stato informato? Che avessero informato i
professori?
Impossibile, come ha fatto se non ho
detto nulla neanche a mamma?
Come
hanno fatto a risalire a Tom?
“Potter, non credo
sia questo
il momento per discutere.” Tagliò corto la donna.
“Non dovreste essere neppure
qui. Vista la situazione chiuderò un occhio sulla questione
dei punti, ma devi subito
ritornare ai sotterranei, e senza esitazioni. Abbiamo motivo di credere
che
l’intruso sia pericoloso.”
“Ma…”
“Al, vai.” Lo seccò Tom, senza
guardarlo. “Non hai sentito la professoressa?”
Cosa?
“Ma vorrei solo sapere cosa sta succedendo, e
perché avete bisogno di lui!”
Insisté, sentendosi il cuore in gola. Non aveva il minimo
senso.
Era come se tutti loro
avessero una determinata quantità di informazioni a
disposizione.
Naturalmente Tom le aveva
tutte, o comunque la maggior parte. Suo padre e gli auror pochissime,
per
quanto ne sapeva. Il master player
era quel John Doe, ed era lui che dirigeva i giochi.
Ma adesso… chi sa cosa, e quanto?
Che
sta succedendo? E perché è venuta la
professoressa
Prynn?
“Potter, sei uno
studente. Non
un auror, né un piccolo investigatore. Va’ a
letto. Dursley è in buone mani.”
Doveva obbedire. Strinse la bacchetta tra le dita, sentendosi la bocca
secca.
Tutto il suo essere urlava di non farlo, di non lasciare Tom da solo,
benché
fosse con una professoressa, la loro professoressa di Trasfigurazione.
Ma
lei non ti è mai piaciuta…
“Al,
vai.” Ripeté Tom, e fu come una
sferzata. Sembrava furioso con lui.
Non gli restò che obbedire.
****
Dormitorio
femminile.
Stanza del sesto anno.
Rose fu svegliata da un
corpo
morto che gli piombò sulla spalla. Dopo un breve attimo di
smarrimento si
accorse che si trattava della zampa del cugino. Detta anche mano.
“Cosa…
che?” Bofonchiò
sconvolta, afferrando il lume sul comodino ed accendendolo con un
movimento
ormai allenato. “Jam?”
“Hai visto il mio mantello?”
James era pallido alla luce della lampada ad olio e ancora vestito.
Doveva
essere passata la mezzanotte.
Non
dovrebbe essere a letto a russare come un troll?
“Che diavolo ci
fai qui?”
Sbottò, tirandosi a sedere e tirando su le coperte,
automaticamente, anche se
indossava una maglietta assolutamente coprente. La sua preferita,
quella dei Chudley.
“E soprattutto, come diavolo ci sei arrivato?”
“Grazie a me.” Disse un’altra voce,
mentre una figura alta si avvicinò al
letto. “Buonasera, Rosey-Posey.”
“Per le mutande di Merlino! Scorpius!”
Esclamò con un sussurro terrificato. “Se
qualcuno vi trova qui verrete appesi per le mutande alla torre di
astronomia!”
E non voglio sapere come sono riusciti ad
eludere le scale a scivolo dei dormitori…
No,
non credo di volerlo sapere. Davvero.
“Il dettaglio pare
sia
ininfluente, visto che Poo ha smarrito il suo Mantello
Leggendario.”
“Non l’ho perso! Me l’hanno
rubato!” Sbottò il ragazzo. Rose gli
tirò una botta
sul braccio, indicando con un cenno le compagne addormentate.
“Volete finirla di urlare? Se le
svegliate…”
“Quella in fondo non è la Finnigan?”
“Detta anche Rana Dalla Bocca Larga, sì. Volete
levarvi dai piedi così mi
vesto? Sala Comune.”
“Il mio
mantello…” Cominciò James.
“Scorpius, liberami di lui.” Pronunciò
brutale. Il ragazzo si illuminò in un
sorriso gioioso, afferrando peso James e trascinandolo via. Dopo che i
borbottii furono cessati, Rose ebbe il tempo di buttarsi addosso una
vestaglia
e prendere la bacchetta. Quando finalmente ritrovò le
scarpe, sepolte sotto il
letto, riuscì a scendere.
James era accanto al fuoco, e aveva una faccia orribile.
Rose deglutì, e
capì che nel
dormiveglia aveva sottovalutato il problema. Fu contenta anche di non
essersi
fermata allo specchio attaccato alla porta a controllare lo stato dei
suoi
capelli, perché probabilmente la vanità femminile
in quel momento sarebbe morta
fulminata.
Comunque odiò Scorpius per il suo pigiama coordinato e la
perfetta piega dei
capelli.
“Che
succede?”
“Hai visto il mio mantello?” Sbottò
James, finalmente libero da costrizioni. “Restituiscimelo,
se ce l’hai tu. Basta scherzi del cazzo!”
“Ho cercato di dirgli che io e te non c’entriamo
niente, anche in qualità di
Prefetti sfiancati dalle sue infrazioni. Non mi ha dato
retta.” Spiegò l’altro,
seduto sul bracciolo della poltrona.
“James, non siamo
stati noi.”
Prese un respiro vedendo l’espressione riottosa del cugino.
“Posso giurartelo
su ciò che vuoi. Io quel mantello poi non lo vorrei toccare
neanche con la punta
della bacchetta. Non so se te lo ricordi, ma è un dono della Morte…”
Scorpius inarcò
le
sopracciglia. “Wow. Allora era vero. Questo batte le reliquie
maledette e le
segrete infestate del mio castello.”
“È il mantello di mio nonno.”
Ribatté l’altro. “E qualcuno
l’ha rubato.”
Rose si massaggiò
la sella del
naso, cercando di riflettere.
Ci mancava solo questa… A volte
rimpiango
che Al sia finito nei sotterranei.
Sono circondata da monumenti al testosterone.
“Chi sapeva dove
lo tenevi?”
“Gli Scamandro, Bobby… e voi.”
Scrollò le spalle.
“Sei completamente idiota? Quel mantello ha un valore
inestimabile e lo dici a
metà Grifondoro?!” Sbottò incredula
Rose. “Pensavo lo tenessi per te!”
James fece una smorfia. “Anche se l’avessi fatto,
Rosie, qualcuno avrebbe
notato la mia insolita
capacità di
sparire nel nulla, no? Specie Lys e Lor, che sono con me dal primo
anno. Finché
non sono diventati due giganti di montagna li facevo nascondere con me.
E Bobby
è un tipo fidato. Non sono stati loro.”
“Quindi rimaniamo
noi?”
Suggerì Scorpius, in tono irritato. “Io non sapevo
neanche cosa avessi di
preciso, Potter.”
“Non sto dicendo che siete stati voi.”
Replicò duro, rimpallandogli un’occhiata
offesa. Per James non c’era niente di insultante come essere
accusato di tradire
la fiducia dei propri amici. “Sto solo dicendo che
è sparito.”
“Non vi mettete a
litigare.”
Sospirò Rose. “La cosa sensata da fare, adesso,
è aspettare domattina e andare
a cercare il Direttore della casa per denunciare il furto.”
“Dal manuale del perfetto grifondoro…”
La prese in giro James, aspro. “Col
cazzo. Io voglio prendere il colpevole adesso e riempirlo di
mazzate.” Ringhiò,
e a Rose sembrò che gonfiasse quasi i muscoli.
Stupido
troll.
“Allora cosa conti
di fare,
eh? Girare per la scuola finché non hai trovato
l’uomo invisibile?”
“No. Ma non ho intenzione di mettermi a letto ed aspettare
che il colpevole
l’abbia nascosto tra le sue cose.”
“Il professor Paciock non c’è, stanotte
dorme alla locanda…” Osservò Scorpius.
“Non stavo
parlando di andare
da zio Nev, infatti. Voglio andare da Teddy.”
“Ted? Oh, per l’amor di Nimue… lo lasci
riposare in pace?” Esclamò Rose
esasperata, mentre Scorpius faceva un sogghignetto. “Spiegami
cosa potrebbe
fare lui adesso!”
“Dire a tutti di frugare nei loro cazzo di bauli e tirare
fuori il mio
mantello!” Non aspettò risposta. Si diresse a
passo di marcia verso il ritratto
della Signora Grassa, e la svegliò brutalmente per farlo
passare.
“Lascialo stare, Rosie. È obnubilato dal
testosterone…” Mormorò dolcemente
Scorpius,
con un’aria divertita. “Che facciamo, lo
seguiamo?”
Rose sospirò: aveva passato tutta la sua vita a stare
dietro, come spalla
tragicamente consapevole, alle follie dei fratelli Potter.
Probabilmente era Dna,
attitudine o destino, ma non avrebbe mai potuto sottrarsi, esattamente
come
Hugo non poteva evitare di fare da valletto a Lily.
Aveva scelto Al come Potter di Fiducia
perché probabilmente era il più normale dei tre.
Fissazione per oscuri
personaggi familiari a parte.
Guardò Scorpius e
seppe che se
non altro, adesso erano in due.
“Sai, tu non ti rendi pienamente conto di cosa significa
stare dietro ad un
Potter.”
“Dici? Probabile. Ma ho sempre amato il brivido.”
Si scostò cavallerescamente.
“Prima tu, rosellina.”
Raggiunsero James con
fatica,
visto che il ragazzo sembrava macinare metri con
un’implacabilità da bulldozer.
Dovettero scendere la torre e passare le scale mobili prima di
avvistare la
luce fioca della sua bacchetta.
“Ah, siete
qui.” Disse quando
si vide raggiunto.
“Sai, credo che un giorno ti soffocherò nel
sonno.” Replicò Rose con una
smorfia, mentre faceva luce con la bacchetta. “È
strano…” Soggiunse.
“Cosa?” chiese James, distratto
dall’evitare di sbattere contro le armature,
preso a guardare la Mappa dei Malandrini.
“C’è
troppo silenzio.”
Mormorò. “Voglio dire, è vero,
è notte e in giro non dovrebbe esserci nessuno,
ma…”
“In effetti non vedo la gatta malefica da nessuna parte.
Avrebbe già dovuto
venire a rompere le scatole…”
Si fermò. “Come non detto gente…
È dietro l’angolo.” Sussurrò
allarmato. Rose
afferrò un confuso Scorpius e si nascosero in una nicchia
rientrate nel muro.
“Potter, sei peggio di James Bond… e quella
mappa?”
“Mentre i tuoi tramavano nell’ombra i miei
progenitori si dilettavano in
malefatte utili ai posteri.” Replicò James,
facendogli poi cenno di restare in
silenzio.
Passarono alcuni attimi in
cui
il puntino rappresentante il gatto sentinella rimase immobile.
“Beh?”
Mormorò Rose. “Perché
non si muove?”
Scorpius lanciò un’occhiata al puntino.
“Strano. È difficile che quella bestia
si fermi a farsi una toeletta.”
James non disse nulla. Si staccò dalla nicchia e si
allontanò, proprio in
direzione del Nemico.
“James!”
Sussurrò Rose, sbalordita. Nessuna
risposta.
James tornò dopo
qualche
attimo. “Venite.” Disse soltanto.
“Jamie, la gatta…”
“Venite vi ho detto.” Ripeté e alla luce
bluastra delle bacchette notò che
aveva un’espressione strana. Confusa, avrebbe detto Rose.
Forse anche
spaventata.
Quando si avvicinarono,
scoprirono che il gatto c’era. Ma era morto.
“Cosa
diavolo…” Sussurrò Rose.
“Cosa…”
“Per questo non si muoveva sulla mappa.” Disse,
illuminando il corpo esanime
dell’animale. “Sembra stata seccata da una magia.
Non c’è sangue. È solo…
morta.”
“Una… maledizione?” Rose
deglutì. “Andiamo, magari è morta per
cause naturali!”
“Con quell’espressione? Guardagli il
muso.” Rispose James.
Rose e Scorpius si
avvicinarono. La gatta non era morta naturalmente. Aveva gli occhi
vitrei
spalancati nel vuoto e la bocca protesa, come se cercasse aria.
“Morgana
benedetta…” Rose si
tirò su di scatto, distogliendo lo sguardo.
“È morta soffocata.”
“Già. Ed essendo una delle sentinelle
più efficaci della scuola, cominciò a
pensare che…” James si fermò, scrutando
di nuovo la mappa. Soffocò
un’imprecazione tra le labbra. “Ci mancava solo
questa.”
“Che succede?” Chiese Scorpius, rimasto zitto fino
a quel momento. Aveva smesso
di sorridere però, notò Rose. “Che
succede adesso?”
“Albie. È qui in giro.”
“Al? Stai scherzando!” Rose non ci capiva
più niente.
Era chiaro che non si
trattasse più solo del furto del mantello.
Che ci fa Al in giro?
La risposta arrivò quando il ragazzo
svoltò l’angolo, e aggiunse ulteriore
luce alla porzione in cui stazionavano i tre. “Ragazzi! Che
ci fate qui?”
“La stessa domanda potremo farla a te, fratellino.
Passeggiatina notturna?”
Chiese James, ma privo della solita verve sarcastica. Sembrava nervoso.
Lo erano tutti, stimò Rose, notando l’aria tesa e
pallida dell’altro cugino.
“C’è…
qualcuno nel castello.
Un intruso.” Spiegò il serpeverde.
“Pensavo che avessero consegnato tutti nei
dormitori.”
Rose lo guardò confusa. “Che storia è
questa? Nessuno ci ha detto di far
niente!”
“Come…”
Disse. “Un intruso…”
“Non ne sappiano niente, Potter. Nessuno ci ha detto di
rimanere nei nostri
dormitori. Siamo usciti perché qualcuno ha rubato il
Mantello dell’Invisibilità
a tuo fratello. Stavamo andando dal professor
Lupin…” Scorpius illuminò la
porzione di pavimento accanto a sé e il corpo del gatto.
“Ed abbiamo trovato
questo.”
Rose vide Al guardare il gatto, senza riuscire a spiccicare parola. La
domanda
aleggiava attorno a loro, pesante come un macigno.
Che
diavolo sta succedendo?
James
si umettò le labbra. “C’è un
intruso, sicuramente. Ma l’abbiamo scoperto adesso, da
te.”
E Albus capì.
Il panico e consapevolezza
lo
investirono con la violenza di un uragano, lasciandolo senza fiato.
La professoressa Prynn gli
aveva mentito. La professoressa Prynn non aveva avvertito nessuno.
L’aveva mandato
via. L’aveva
separato da Tom.
L’aveva fatto
apposta.
Oh
… Dio.
Non
è dalla nostra parte! Non è dalla nostra parte!
Rose ebbe paura che Albus
sarebbe svenuto. Lo vide perdere completamente il poco colore che aveva
e
boccheggiare come se gli mancasse l’aria nei polmoni e
terreno sotto ai piedi.
Poi lo sentì soffocare un lamento.
“L’ho lasciato andare via…”
Sussurrò coprendosi la bocca con una mano.
“L’ho
lasciato andare via.”
“Chi? Di chi parli, Al?” Lo prese per le spalle,
cercando di farsi guardare. Ma
Al non la notò neanche, scartò violentemente,
cercando di correre nella
direzione da cui era venuto.
James lo afferrò al volo, bloccandogli le braccia.
“Al! Che cazzo sta succedendo!?”
“Lasciami!”
Urlò. “Lasciami, gliel’ho
lasciato prendere! Gliel’ho lasciato portare via!”
James ignorò i
suoi tentativi
di divincolarsi. Rose pensò che la differenza di peso e
altezza in quel momento
era plateale. James lo teneva stretto contro di sé,
bloccato, ma senza
violenza, con fermezza.
E il fratello, per quanto si
divincolasse, non riusciva a farci niente.
“Chi, Al?” Ripeté di nuovo James.
“Dimmi chi, e ti lascio andare!”
“Tom…” Al si fermò, il corpo
teso fino allo spasimo e il respiro affrettato.
“Ha preso Tom. La professoressa Prynn è
l’intruso! È lei!”
“Ma che cavolo…” James non
mollò la presa, ma lanciò un’occhiata
sbalordita ai
compagni. La distrazione però gli fu fatidica. Al se ne
accorse e si liberò un
braccio, violentemente. “Everte
Statim.”
Disse soltanto, con sicurezza terrificante.
James sentì un
colpo tremendo,
come se qualcuno l’avesse spintonato con la forza di cinque
giganti. Fu
sbattuto contro il muro, mentre Al si liberò, correndo via.
“Al!”
Rose fece per corrergli dietro, ma James le si parò davanti.
“Basta fughe del cazzo!” Sbraitò,
rialzandosi con fatica, ignorando lo
stordimento e il dolore. “Io vado dietro a
quell’idiota, voi andate ad
avvertire Teddy. Subito!”
****
Note:
Mi odiate? Siii. Lo so. Me lo merito. Tenete duro.
1 - La canzone
qui . Questo gruppo merita davvero. Penso che
sarà il mio fornitore
ufficiale di canzoni per questa storia. ;P
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Capitolo 44 *** Capitolo XXXIX ***
Grazie a tutti per
l’incremento
delle recensioni! Ragazzi, siete il motore di questa storia, non
dimenticatevelo! Comunque siamo alle battute finali J
@Trixina: Mi fa piacere che la
musica ti sia piaciuta e sì, Tommy è nella merda.
Ma confida in loro! ^^ Essì,
Albie, Jamie Sy e Rosie sono il nuovo ES, assolutamente XD! No, no,
niente
Voldie resuscitato, ricordati che Voldie era solo qualcuno che
‘aspirava a’
grazie ai tre doni della morte. Lui c’entra e NON c’entra. Spero
ti sia più chiaro nei prossimi
capitoli!
@Mad
World:
Adesso mi odierai eh? XD
@Altovoltaggio: Ah, vorrei sapere
anche io che fatina dell’ispirazione mi sussurra
all’orecchio. Gli chiederei di
essere più celere! XD Mi rendi felice se dici che ha senso
il progredire degli
eventi, perché ho sempre paura di tirarla troppo per le
lunghe o
ingarbugliarmi! Mi fa tantissimo piacere che ti siano piaciuti i People
In
Planes. Li ho conosciuti di recente, e li ho adorati! E grazie per aver
citato
la frase! ^^ Non sai che piacere mi hai fatto!
@Simomart:
Ciao! Grazie ^^ I cliffhanger sono una delle poche cose che in effetti
mi
diverto e trovo facile a scrivere! Chissà perché
poi :/ E GRAZIE per aver
capito la sottotrama! Accidenti, credevo di aver fatto un casino e che
nessuno
ci capisse niente! Infatti è proprio questo il compito di
Doe! In ogni caso mi
fa piacere di essere la tua ‘prima’ slash XD Sono
d’accordo con te. Io leggo di
tutto, basta che sia scritto bene secondo me! J Gli altri avranno parti a loro
dedicate. Purtroppo se
potessi dare a tutti lo stesso spazio mi toccherebbe fare una specie di
tomo da
cento capitoli. Non che mi spiacerebbe, ma poi mi mandereste al diavolo
per la
pappardella xD Comunque, siccome conto di fare un seguito, sicuramente
Sy e
Rosie avranno ulteriore spazio, e anche gli altri due disgraziati. Stay
tuned
;)
@Mikyvale:
Sarò cattivella nei prossimi capitoli, ma ti prometto che
miglioreranno (Sseeeh
xD) La Prynn avrà la giusta punizione. Giuro. XD
@Ombra: Non
preoccuparti, l’importante è che ogni tanto passi
a fare un saluto XD A parte
gli scherzi, sono consapevole di essere una donna crudele. Giuro che
rimedierò.
xD Tom… beh, Tom ricordati che è un adolescente,
e come tale, se si vuole un
minimo di realismo, non è spesso così forte e
maturo per capire in cosa
esttamente si sta cacciando. Oltre a questo,
era preoccupato per Al. Stupido
Tom. T_T Ron è ufficialmente lucertolofobico,
mi fa comunicare. XD Alla prossima!
****
Capitolo XXXIX
How
can I decide
what’s right
When
you’re clouding up my mind?¹
(Decode, Paramore)
Hogwarts, Ufficio di
Ainsel Prynn.
Primo
piano.
La schiena di Ainsel Prynn
era
l’unica cosa che riusciva a focalizzare, di fronte a
sé.
C’erano ottimi motivi per lasciarsi travolgere dal panico.
Ma altrettanti per continuare a seguirla.
Thomas sapeva che la professoressa non lo stava conducendo ad un
consesso di
docenti preoccupati.
Semplicemente, lo sapeva.
Per questo aveva allontanato
Al: non doveva essere invischiato in quella situazione.
L’aveva capito, aveva
visto come la donna aveva cercato di separarli, e per questo
l’aveva
assecondata.
Era una maga adulta, e loro
due ragazzini. Se c’era qualcosa che tutta quella storia gli
aveva insegnato
era che non bastava avere un buon potenziale magico ed una bacchetta.
Solo
l’esperienza poteva salvarti la pelle da un gioco
più grande di te. E loro non
ne avevano abbastanza.
Io
non ne ho abbastanza.
Serrò appena le
labbra.
La donna camminava di fronte
a
lui, ma era certo che sapesse esattamente la sua posizione, anche senza
voltare
lo sguardo.
Ricordava di come avesse parlato loro dell’alchimia. Di come
gli avesse
regalato uno dei suoi libri, e l’avesse aiutato, sbucando dal
nulla, con quel suo
sorriso piacevole.
Il
sorriso è un attributo umano. Si tende ad associare
ad un’emozione positiva. Ma è fallace.
È
scoprire i denti. È dimostrare controllo su una
situazione.
Lo aveva letto da qualche
parte, o forse lo aveva pensato.
Era stato un ingenuo.
Ainsel si fermò
di fronte al
suo ufficio, e lo aprì, inserendo la chiave nella toppa.
“Prego Thomas.” Gli fece cenno di entrare.
“Non aver paura. Sei preoccupato?”
“L’ha detto lei. Un intruso è penetrato
nel castello. Non dovrei esserlo?”
Ainsel gli posò
una mano sulla
schiena, sospingendolo dolcemente all’interno della stanza.
“No, non
dovresti.” Ribatté,
chiudendosi la porta dietro. Tom sentì la serratura
scattare, con un movimento
secco. La sentì rimbombare per tutta la testa.
“Andrà tutto bene. È venuto qui
per te…”
Tom si voltò verso. Sorrideva, ovviamente.
La trovò spaventosa. Frugò lo stanza con lo
sguardo. Appena si fu abituato alla
penombra, scorse una figura seduta dietro una scrivania.
Era il ragazzo biondo.
Era John Doe.
Una parte del suo cervello,
quella non congelata dalla paura, trovò il modo per suonare
persino ironica.
Non
è come se non te lo aspettassi, no?
“Ciao
Tom.” Disse quello. “È
tempo dei chiarimenti. Non sei contento?”
Tom non disse nulla: si sentiva il cervello inceppato, come se un
ingranaggio
si fosse bloccato in una posizione innaturale, compromettendo tutto il
resto.
Persino la bacchetta, che stringeva tra le dita –
perché non gliel’avevano
ancora tolta? – la percepiva come un corpo estraneo.
“Che faccia…” Considerò il
ragazzo, alzandosi in piedi. “No, davvero. Non te lo
aspettavi?”
Continuò a rimanere in silenzio.
Una parte di sé sapeva che doveva cercare di uscire di
lì. Ma oggettivamente,
non era cosa facile.
La Prynn era accanto alla porta, e quest’ultima era chiusa.
Se avesse aperto
bocca per pronunciare un incantesimo, probabilmente l’avrebbe
disarmato. Erano
in due.
Dannazione.
“Come
sei riuscito ad entrare?” Disse,
prendendo tempo. Qualcuno doveva
essersi accorto dell’intrusione. Dubitava che la Prynn, a
quel punto palese
alleata di Doe, avesse dato l’allarme.
Ma
qualcuno doveva essersene accorto. Il castello era
pieno di barriere magiche.
…
E la professoressa ha avuto mesi per
studiarle… E neutralizzarle.
Con terrore chirurgico
capì
che non sarebbe venuto nessuno.
“È
stata Ainsel a farmi
entrare.” Fece un sorrisetto indulgente, appoggiandosi alla
scrivania. “Non che
sia stato facile, ma l’importante è il risultato.
Sono qui.” Con un cenno della
bacchetta accese le lampade ad olio disposte strategicamente per la
stanza.
Tom ci mise poco a riabituarsi alla luce. Lo sguardo gli cadde sulla
scrivania.
Vi erano appoggiati il Mantello dell’Invisibilità
e il suo medaglione.
“Oh, giusto. Ecco,
queste erano le cose che dovevo
procurarmi. Devo ammetterlo, senza la preziosa collaborazione della
professoressa Prynn avrei faticato molto di più.”
“Chi siete… Chi siete voi?”
Ripetè, sforzandosi di dominare il tono. Non gli
importava più di mantenere un certo contegno. Era spaventato
perché non sapeva.
L’ignoranza è il peggiore
dei terrori…
“Noi? Non siamo, in realtà,
un’entità unica.” Spiegò il
ragazzo,
giocherellando con la bacchetta. “Per quanto mi riguarda,
faccio parte di
un’organizzazione, diciamo così, privata. Qualcuno
la chiamerebbe setta, ma
credo che sia molto più di questo… In ogni caso,
sono pagato per questo
lavoro.” Abbozzò un sorriso, che Tom
trovò sgradevole.
Sorridono.
Sorridono tutti.
“Invece la bella
Ainsel… ah,
lei la possiamo considerare un franco tiratore. In realtà,
Thomas, era qui per
proteggerti. Agente Ainsel Prynn, direttamente dal governo
americano…”
“Non c’è bisogno di
informarlo.” Ribatté seccamente la donna.
“Non ne vedo
l’utilità.”
“Io sì, invece. L’ho davvero trattato
male in questi mesi, gli ho nascosto
tante cose. Glielo devo, capisci?”
Tom inspirò. “Governo
americano…”
“Proprio così. Sei piuttosto famoso Thomas.
Soprattutto in ambito alchemico.
Ainsel è venuta qui per evitare che io entrassi in contatto
con te e che ti
rapissi. Ironico, considerando che senza il suo prezioso aiuto stasera
non
sarei qui, né avrei questi oggetti con
me…” Indicò il medaglione e il
mantello.
“Perché…?”
Sussurrò. La testa minacciava di scoppiargli e le tempie gli
lanciavano fitte incredibili. “Perché sono
importante?”
“Non mi pare il caso di fare adesso discorsi del
genere.” Tagliò corto la
donna. “Dobbiamo andarcene, prima che qualcuno ci scopra.
Specialmente che
Potter scopra il furto del mantello.”
Doe scrollò le
spalle. “Non
hai tutti i torti, in effetti.”
“Porta via il ragazzo, e assicurati che non siate seguiti.
Per quanto riguarda
il mio compenso, mi aspetto di trovarlo entro ventiquattro ore, come
pattuito.”
“Al deposito bagagli di King’s Cross, armadietto
230, certo.” Recitò Doe,
annoiato. “I patti sono patti, mia bella Ainsel.”
“E gradirei che fossero rispettati.” Soggiunse
nervosa quella. “Come gradirei
che tu non dessi troppe informazioni al ragazzo.”
“Sì,
sì. Questo l’hai già
detto.” Fece un cenno vago con la mano. “In ogni
caso, hai ragione. È meglio
sbrigarsi…”
“Io non
verrò.” Scollò Tom dal
palato. I due lo guardarono brevemente.
Ainsel fece una smorfia
sarcastica. “Lavoro di convincimento, eh Doe? Vedo che ha
funzionato.”
“Mmh.” Si
limitò a rispondere il
ragazzo. “Non verrai Thomas? Il nostro patto non è
più valido?”
“Non lo è mai stato. Mi hai ingannato.”
Sibilò. “Ed io non voglio essere
invischiato in questa storia. Non più.”
“Lo sai che ti considereranno, molto probabilmente, mio
complice?” Suggerì con
leggerezza Doe. “Sai che probabilmente per aver favorito la
trafugazione di
questi oggetti verrai processato come un mago adulto? Quanti anni hai,
Thomas?
Sedici? La maggiore età è vicina, e credo che il
Wizengamot…”
“Non mi interessa.” Ringhiò, sentendosi
la bocca riarsa. “Non sono un assassino
né un ladro. E non sono un vigliacco. Non ti
aiuterò nei tuoi deliranti piani
di conquista.”
Doe inarcò le sopracciglia.
“Ammirevole.” Considerò. “Ma
temo che tu non abbia
frainteso. La tua ridicola idea di poter scegliere è del
tutto errata. Tu non puoi scegliere.”
Ainsel si spostò verso di lui, con la bacchetta sguainata.
Tom sentì
l’istinto urlargli
di agire. In quel preciso momento. Poteva giocare su un unico fattore
sorpresa.
“Nox.”
Gridò, puntando la bacchetta
contro una delle lanterne. Tutte quelle della stanza si spensero di
colpo.
Ainsel tentò di afferrarlo goffamente, ma riuscì
a divincolarsi, precipitandosi
verso la porta.
“Accio bacchetta.”
Tom si sentì
scivolare violentemente la bacchetta dalle dita. “Sapevo che
l’avresti fatto,
Thomas. Ma è stata una buona diversione, devo
ammetterlo.” Persino in quel momento
Doe si sentiva in dovere di chiacchierare. Fu quasi certo di sentirlo
ridere
nell’ombra, mentre la professoressa – Dio, si
sentiva in dovere di chiamarla
ancora così – lo afferrava bruscamente per le
braccia, portandogli la bacchetta
alla gola.
“Avresti dovuto togliergliela subito!”
Ringhiò la donna. “Perché mi hai
chiesto
di non farlo?!”
“Semplice, perché altrimenti non avrei potuto fare
questo. Avada Kedavra.”
E un lampo verde illuminò la stanza.
Tom un attimo dopo si accorse di essere ancora vivo. E sentì
un tonfo sordo.
Guardò il corpo della Prynn riverso a terra, senza riuscire
a respirare.
Doe aveva la sua bacchetta sguainata ancora in direzione della donna.
La sua bacchetta.
“Cosa…”
Doe non lo fece finire, levò l’altra bacchetta.
“Imperio.”
Tom sentì le tempie comprimersi e poi fu vuoto.
****
Hogwarts,
corridoio del terzo piano.
Rose e Scorpius si fermarono
di fronte alla porta degli appartamenti di Teddy.
Scorpius afferrò
il battente.
“E se
l’intruso si nascondesse
qui?” Lo fermò la ragazza.
Il ragazzo ci
rifletté. “E
perché dovrebbe? Non è noi che cerca.”
“Pensi davvero che si tratti della professoressa
Prynn?”
Scorpius schioccò appena la lingua: poteva capire la
perplessità di Rose. Anche
lui, per un attimo, era rimasto sconvolto dalla rivelazione e aveva
pensato che
mini-Potter si fosse bevuto il cervello.
Batte il portone
dell’aula,
con forza, due volte. Poi, aspettarono.
“Guardiamo i fatti.” Iniziò.
“È l’ultima arrivata, ed è
venuta a sostituire un
professore morto in circostanze poco chiare. Oltre a questo, considera
Dursley
il suo cocco. Se ne sono accorti tutti che con lui aveva un
atteggiamento
smaccatamente diverso.”
“Ma questo è perché Thomas è
uno degli studenti migliori della scuola!” Sbuffò
Rose, sentendosi chiamata in causa. Odiava il suo ruolo di eterna
seconda nella
gerarchia di famiglia.
“Va bene. Ma non era mai rintracciabile quando sono avvenuti
gli incidenti.
Alla partita, per esempio, non c’era.”
“Ma non era ancora in Scozia quando siamo stati aggrediti dai
Naga!”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Allora forse ha un
complice. In ogni caso,
non ti sembra strano che inventi una balla ad Al, per portare via
Dursley?”
A questo Rose non seppe ribattere.
“Quindi l’intruso è una falsa pista
secondo te?”
“Non lo so. Ma l’ipotesi del complice non
è campata in aria. Di certo quel
gatto non si è ammazzato da solo. E perché
ucciderlo? Il sacco di pelo non era
addestrato per avvertire Gazza qualora vedesse passeggiare un
professore, anche
dopo il coprifuoco. Chi l’ha ucciso aveva paura di essere
scoperto.”
“Merlino.”
Disse soltanto
Rose, riflettendo su quella matassa ingarbugliata.
“È tutto così…”
“Assurdo. Qualcuno vuole
Dursley.
Avevamo ragione.” Fece una smorfia. “Ci siamo
lasciati fuorviare. Imbarazzante…
i miei sogni di entrare all’Accademia Auror hanno subito una
battuta di
arresto.”
Rose lo squadrò
incredula.
“Vuoi fare l’auror?”
“Sarei molto sexy, in divisa. Anche se dovrebbero cambiare
colore. Il verde
oliva mi sbatte.”
Videro una luce schiarire il pavimento sotto la porta
dell’ufficio di Teddy. Si
aprì, e rivelò il giovane professore, in
vestaglia da notte, con un candelabro
in mano. E la bacchetta spianata.
Qua tutti hanno i nervi
tesi…
mi chiedo quanto sappiano i professori di questa storia, o se siamo
solo noi a
giocare ai detective… - Pensò Scorpius.
“Malfoy? Rosie?
Che ci fate
qui?”
Rose lanciò uno sguardo al proprio ragazzo, e lo
anticipò prima che potesse
cominciare con un fiume di ironia e spiegazioni sommarie.
“C’è un intruso nel
castello, Teddy. Cioè, pensiamo che ci sia un intruso, ma
Miss Purr è stata
uccisa e forse Thomas è stato rapito. Ed hanno rubato il
Mantello
dell’invisibilità di Jamie. Cioè, di
zio Harry.” Fece una smorfia, rendendosi
conto che era lei quella che aveva vomitato parole prive di nesso
logico.
“… Come?”
Scorpius alzò gli occhi al cielo.
Tassorosso
e Grifondoro.
Ah,
giusto. Mi sono contato.
“Professor Lupin,
Hogwarts è
sotto attacco.” Riassunse con piglio drammatico, mentre Rose
cercava di non
sbattersi una mano in faccia, per non guastare l’adrenalina
del momento. “Sul
serio, abbiamo motivo di credere che ci sia stata
un’intrusione nel castello,
aiutata dalla professoressa Prynn.”
Ted rimase in silenzio per una frazione di secondo. “State
accusando la
professoressa Prynn di aver introdotto un intruso nel castello per
rapire
Thomas?” Collegò con razionalità
invidiabile vista l’ora tarda e l’aria
insonnolita.
“Già. Ci è arrivato subito!”
Commentò ammirato Scorpius, mentre Rose gli
rifilava una gomitata nel costato. “Proprio così,
comunque.”
Ted si fece più
serio,
lanciandogli un lungo sguardo indagatore. “E che prove
avete?”
“Un gatto-sentinella morto soffocato e un mantello che rende
invisibili trafugato.
Oltre a questo, Tom è andato via con qualcuno che ha parlato
di un intrusione,
quando in realtà sembra non risultare a nessuno.”
Replicò Scorpius. “Basta
così?”
“…
Soffocato.” Teddy lo ripeté
e Rose capì che dovevano aver detto la parola chiave.
“Maledizione.” Disse
infatti. “Sbrigatevi, entrate.”
Quando lo raggiunsero Teddy rientrò nel proprio ufficio. Si
diresse verso la
scrivania e frugò in uno dei cassetti interni. Ne estrasse
una bottiglia di
liquore alle erbe e un bicchiere.
“Le pare il momento di bere?”
Chiese
incredulo Scorpius.
“Malfoy, è il modo di chiamare lo spirito del
Frate Grasso.” Sbuffò Rose.
Teddy annuì brevemente. “Non posso correre da un
luogo e l’altro del castello
ad allertare tutti, non sarei certo veloce quanto vorrei. Un fantasma
attraversa i muri invece.”
Che in effetti è ciò che fece il Frate Grasso,
apparendo dal muro interno
dell’ufficio. “Qualcuno si sta facendo un buon
bicchierino, vedo!” Esclamò, con
un sorriso compiaciuto. “Oh, il giovane
Lupin…”
“Buonasera.” Non poté fare a meno di
dire Ted, prima di mandare al diavolo i
convenevoli e arrivare dritto al punto.
“C’è un intrusione nel castello. Deve
avvertire gli altri fantasmi, che chiamino i rispettivi Direttori di
Casa.”
Il fantasma lo guardò con quella che sembrava
un’aria preoccupata.
“Un’intrusione? Chi?”
“Ancora non lo sappiamo, ma è importante che tutti
i professori siano avvertiti
al più presto. Dica al preside che serve sbarrare il portone
di entrata, e che
Tremayne metta in sicurezza i cancelli ovest.”
Il fantasma annuì, sparendo in una nuvola di fumo.
Scorpius si passò
una mano nei
capelli. “C’è un’altra
cosa…” Aggiunse, lanciando uno sguardo a Rose che
si
mordicchiò l’angolo del labbro.
“Teddy…”
Non perse tempo a
correggersi. “Albus era con Tom quando la professoressa Prynn
l’ha portato via.
E… quando l’abbia trovato stava tornando ai
sotterranei. È stato lui a capire
che la Prynn li aveva ingannati. Non siamo riusciti a fermarlo,
è scappato a
cercarli. Jamie l’ha seguito.”
“Maledizione!”
Sbottò l’uomo,
con una smorfia. “Va bene. Ci penso io. Voi dovete tornare
alla torre. Non
fermatevi, non perdete tempo.”
“Teddy! Non puoi chiederci una cosa del genere! Si tratta di
Al e Jamie e…”
“Posso e lo faccio, Rose.” Replicò
serio. “Avete fatto la cosa giusta a venire
da me. Ma dovete assolutamente tornare al vostro dormitorio.
È pericoloso e non
posso preoccuparmi anche per voi.”
Scorpius le posò
una mano
sulla spalla. “Andiamo Rosie.” Disse piano.
“Ha ragione.”
Rose si morse l’interno della guancia: si agitava in lei un
conflitto non da
poco. Da una parte, si trattava dei suoi cugini, del suo migliore
amico… e per
quanto Thomas poco le piacesse, era famiglia ed era nei guai.
D’altro canto era
letteralmente gelata dalla paura all’idea di incontrare la
Prynn, o l’intruso o
entrambi incarnati in un solo temibile mago.
Papà e mamma avrebbero fatto di
tutto per
aiutare zio Harry…
“Rose.”
La richiamò Scorpius. “No.”
Disse, e fu certa che avesse indovinato i suoi pensieri.
O
forse è la legimanzia…
Si lasciò portare
via in
silenzio. Alla porta, Teddy li fermò. Sembrò
indeciso, poi fece un mezzo
sorriso.
“Malfoy, mi raccomando, te l’affido.”
Rose lanciò uno sguardo al proprio ragazzo. Dire che era
stupito era dire poco.
Poi ricompose la sua solita maschera beffarda, e chinò
ironicamente la testa.
“Non si preoccupi professore. È nel mio codice
d’onore. Grifondoro, s’intende.”
Rose si lasciò
portare via,
sebbene dentro ribollisse di un magma di sentimenti contrastanti.
“Si può sapere perché gli hai dato
manforte?” Sbottò, dopo un paio di metri.
“Si
tratta dei nostri amici!”
“Lo so. Ma qui la posta in gioco è troppo
alta.” Replicò il ragazzo, serio. “Hai
visto come hanno ridotto Miss Purr, no? Chi ti dice che non potrebbero
fare lo
stesso con me o con te?”
Rose si morse un labbro. Si sentiva frustrata, impotente. E aveva paura.
“Non possiamo fare
gli eroi…”
Continuò Scorpius, dopo un breve sospiro, accarezzandole la
guancia. “Primo,
perché non lo siamo. Secondo, perché neanche gli
eroi sono immuni agli
incantesimi. Lasciamo fare gli adulti.”
Rose gli lanciò un’occhiata. “Questa
prudenza…”
“Non è prudenza. Mai avuta.”
Replicò, con una lieve smorfia. “È che
mio padre
alla mia età era dalla parte dei cattivi, come ben sai. E
gli incantesimi posso uccidere,
da qualunque parte tu stia. Questa è una lezione che mi
è sempre stata
piuttosto chiara.”
Rose a questo non trovò le parole per ribattere: era stata
cresciuta in una dicotomia, abituata alla distinzione certa
tra bianco e nero, buoni e cattivi. Il Bene trionfava, e il
male
veniva ricacciato negli abissi. Era un concetto semplice, e nella sua
testa il
Male era sempre assolutamente riconoscibile, etichettabile. Certo.
E non mutava mai.
Ma poi aveva conosciuto
Scorpius, l’aveva conosciuto davvero.
E aveva capito che spesso, le cose non erano semplici come gli avevano
insegnato.
Gli prese la mano,
stringendola.
“Ma alla fine i buoni vincono, no?” Gli
sussurrò. “In qualche modo…”
Scorpius sorrise, rispondendo alla sua stretta.
“Spero proprio di
sì,
zucchettina.”
****
Londra,
Ministero della magia.
Notte (fusorario)
Harry e Ron si
materializzarono con uno schiocco secco, e lo stomaco rivoltato nella
piazza
centrale del gigantesco Ministero della Magia, di fronte alla fontana.
Ron si massaggiò lo stomaco. “Credo di aver fatto
bene a non fare colazione.”
Harry non rispose. Dopo il colloquio con il Naga il suo unico
obbiettivo era
stato tornare in tempi brevi in Inghilterra. Aveva ringraziato Rolf e
la tribù,
e poi era corso verso la passaporta, ignorando le rimostranze di Ron
sul non
averci capito nulla.
“Mi vuoi dire che
ti prende?”
Interloquì Ron, comunque ben contento di tornare a casa con
argo anticipo. Dal
suo sguardo assonnato era ben chiaro fosse già in dirittura
del proprio soffice
talamo.
“I
Naga… hanno detto che
chiunque li abbia ingaggiati, cercava Thomas. Mi hanno dato la
conferma.”
“… Oh, miseriaccia.” Soffiò
il rosso, seguendolo nell’incedere verso gli
ascensori. I corridoi erano ancora vuoti, considerando che il fusorario
li
aveva riportati in orario ancora considerabile come notturno.
“E adesso che si
fa?” Chiese
Ron, infilandosi nell’ascensore, mentre l’addetto
al turno di notte chiudeva
docilmente le porte.
“Dobbiamo andare
ad Hogwarts.
I gufi ci metterebbero troppo e dobbiamo essere sul posto. Dobbiamo
portare via
Tom.”
“Lo porteremo via?” Borbottò Ron,
perplesso. “Ma Harry, sei sicuro?”
“È in pericolo, Ron. E viste le ultime intrusioni
nel castello non mi sento
sicuro a lasciarlo lì. Certo, ci sono professori addestrati,
e Teddy tiene gli
occhi aperti, ma…”
“E come giustificheremo il suo prelievo… ehm,
coatto? Non credo proprio che Tom
acconsentirà a venir via. Voglio dire, lo conosci. Si
farebbe strappare un
braccio piuttosto.”
Harry serrò le labbra in una linea sottile. “Non
ha importanza ciò che vuole.
Ad Hogwarts non è al sicuro.”
Senza contare, rifletté cupamente, che sembrava che Tom non
fosse del tutto
estraneo alla vicenda.
Era un ragazzo intelligente,
calcolato osservatore della realtà attorno a lui: non poteva
non essersi reso
conto che le intrusioni e l’aggressione erano un attacco
mirato alla sua
persona.
Adesso capiva la sua aria
tormentata, il suo essere sfuggente e le parole che gli aveva rivolto
il giorno
della loro lite.
Ginny aveva ragione, Tom sapeva. Era entrato in contatto con il
suo rapitore, e probabilmente quest’ultimo aveva fatto in
modo di fargli
credere di essere dalla sua parte.
Merlino
…
Entrarono
nell’ufficio Auror,
praticamente deserto, ad eccezion fatta per un paio di auror
nottambuli,
immersi nella redazione delle proprie rapporti. Fece loro un cenno
distratto, quando
intercettò le occhiate perplesse.
Ron gli si
affiancò di nuovo.
“Harry, amico, rifletti. Non possiamo portare via uno
studente senza una buona
ragione!”
“Sono il suo padrino, Ron.” Si massaggiò
la radice del naso. “Ma scriverò un
gufo di spiegazioni al preside. Dovrebbe riceverlo domattina.”
“Allora aspettiamo
domattina. Starà
dormendo e i sotterranei sono protetti da una parola
d’ordine. Il suo rapitore
non potrà entrare senza quella.” Fece una pausa,
afferrandogli il braccio.
“Calmati, dannazione!”
Il tono secco di Ron ebbe il potere di mettere uno stop al flusso di
angoscia
che lo attanagliava. Sapeva che portandolo via avrebbe sollevato un
polverone.
Probabilmente non ne aveva neppure l’autorità,
visto che la patria potestà
spettava a Dudley, non a lui.
Senza contare che, e Ron su questo ci aveva preso in pieno, Tom avrebbe
opposto
resistenza.
“Va bene, fammi andare in ufficio però.
Spedirò la lettera da lì.”
Replicò,
cercando di suonare ragionevole. Dallo sguardo scettico che
l’amico gli lanciò,
capì di esserci riuscito piuttosto malamente.
“Ron, si tratta di
Tom. Quei
Naga non mentivano. Sono stati rapiti e messi sotto imperio
da un mago, dallo stesso mago che ha ucciso Duil dopo
averlo corrotto per incontrarli e dallo stesso mago che probabilmente
ha
aggredito Teddy. Ti rendi conto con chi abbiamo a che fare? Non
è un
mangiamorte sbandato, né un fanatico di qualche setta
delirante. Questo tizio è
stato capace di ingannarci per mesi.
E
di penetrare le difese di Hogwarts per tre volte.”
“Lo so amico. Non credere che stia sottovalutando la
situazione, perché non è
così.” Ribatté serio. “Ma
arrivare di gran carriera, spalancando il portone e
portare via Tom non è
una buona
soluzione. La sai che il Dipartimento ci sta con il fiato sul collo e
che queste
indagini non sono autorizzate. Come se non bastasse, il caso
è stato
insabbiato.” Sbuffò. “Insomma, da
qualunque parte la guardi, tutto urla abuso
di potere.”
“Pensi che i cavilli burocratici fermeranno un
rapimento?”
“No. Penso che possiamo aspettare fino a domattina ed evitare
di attirare ancor
più l’attenzione. E poi, c’è
una domanda che continua ad assillarmi… da quando
mi hai trascinato in questa storia.”
“Quale.”
“Perché vogliono rapire Tom? Voglio dire,
cos’ha che quell’uomo vuole?”
Harry inspirò appena, guardando il camino del proprio
ufficio, dove le braci,
alimentate magicamente, rilucevano di un rosso rubino. “Non
ne ho idea.”
Ammise. “Per quanto ci pensi anche io, non riesco a capire
chi Tom…”
“Sia.” Concluse
Ron. “Dico sul serio,
Harry. È la seconda volta che tentano di rapirlo.”
“Non lo so, io…”
Sentirono un forte battito d’ali e poi un gufo,
dall’aria stremata, planò
violentemente dentro l’ufficio, finendo per crollare sulla
scrivania.
“Consegna notturna?” Esclamò Ron,
sinceramente perplesso.
“Beh, se non sono celeri i gufi di
notte…” Ironizzò Harry slegando la
lettera
dalla zampa del volatile, prostrato da quello che sembrava un volo
fatto al
massimo delle sue capacità.
“Da dove viene?”
Harry guardò il timbro elaborato sulla ceralacca.
“Da Hogwarts…” Mormorò,
strappandola con un gesto secco. Ron gli si affiancò.
La lettera portava poche
righe, scritte di fretta. Erano di Teddy.
‘Le
barriere di
Hogwarts sono state violate. Un intruso è entrato nella
scuola.’
“Merda.”
Ruggì Ron, e fu lui a afferrarlo per un braccio,
brutalmente, scuotendolo dall’iniziale intorpidimento che la
notizia gli aveva
causato. “Andiamo Harry. Useremo il camino
nell’ufficio del Preside. Spiegherò
poi io a Herm e Ginny perché ci hanno licenziato in
tronco.”
****
Hogwarts,
corridoio del primo piano, in direzione dell’ufficio
di Ainsel Prynn.
James voleva bene ad Albus.
Seriamente,
benché si
scontrassero praticamente su tutto, da argomenti più futili
come il Quidditch
tra Case, a argomenti più complessi, come le sostanziali
incompatibilità dei
loro caratteri, nutriva per lui la sincera lealtà dei
consanguinei.
Ma bisognava ammettere che
fino a quell’anno, non l’aveva stimato un
granché.
Lo considerava intelligente, ma debole. Sempre preso a scusare le
mancanze
altrui, sempre convinto che il giusto mezzo o il guardare da lontano
fosse l’atteggiamento
giusto per risolvere un problema.
Adesso però le cose erano cambiate: in quei mesi si era reso
conto che la
debolezza di carattere di Al era solo sintomo di
riflessività. Al aspettava,
non irrompeva. Ed aveva molto più sangue freddo di lui.
Adesso però era uscito completamente di testa.
I
geni Potter non si possono combattere all’infinito…
James,
dopo una corsa pazzesca, in cui
aveva maledetto l’assurda disposizione del castello, in cui
per raggiungere un
piano bisognava scalare affidarsi alla clemenza delle scale magiche,
era riuscito
quasi ad afferrarlo.
Accidenti
a lui, non è inciampato neanche una volta!
Chi dice che i cercatori sono agili solo in aria è un
idiota!
“Al,
fermati! Fermati, maledizione è
pericoloso!”
Niente. L’altro correva testardamente, con la bacchetta
stupidamente in pugno. Se
fosse caduto l’avrebbe rotta in mille pezzi.
Decise che ne aveva abbastanza. Con una falcata lo raggiunse, senza
preoccuparsi di bilanciarsi. In parole povere, lo placcò
senza pietà,
mandandolo a sbattere contro un muro.
Sperò di non
avergli rotto il
naso.
La bacchetta rotolò distante, e James pensò che
fosse una fortuna, perché probabilmente
se il fratello l’avesse avuta, gli avrebbe lanciato una
maledizione coi
fiocchi.
“Lasciami!”
Ringhiò, intrappolato tra
di lui e il muro. “Lasciami andare!”
“No! Cosa pensi di fare?! Se la Prynn è
d’accordo con l’intruso, se ha portato
via Tom, cosa credi che farà quando ti vedrà
arrivare? Sei solo un maghetto del
sesto anno, ti rivolterà come un calzino a forza di
maledizioni!” Gli tirò uno
schiaffo sulla testa, cercando di imprimergli il concetto in testa.
Al non replicò, ma il respiro rotto indicava che se avesse
avuto la
possibilità, se gli avesse lasciato un margine di azione, lo
avrebbe persino
picchiato.
Lo voltò
bruscamente, sempre
ben attento a mantenere la presa in modo che non avesse un solo arto
libero a
disposizione per colpirlo. “Scorpius e Rosie sono andati ad
avvertire Teddy. Tra
poco arriveranno i professori e il preside. Loro possono fermare due
maghi
adulti e due assassini. Non tu, non io.”
“Tom potrebbe essere già stato portato
via!”
James gli afferrò la faccia, voltandolo a forza in modo che
lo guardasse. “Al.
Maledizione, vuoi farti ammazzare?”
Sibilò, e non aveva importanza se il fratellino aveva
ingoiato un gemito di
dolore. Un paio di lividi sulla faccia non avevano mai ucciso nessuno.
Una bacchetta
in mano ad un mago, sì. “Schiarisciti il cervello.
Adesso.”
Al emise un debole singhiozzo, ma sembrò aver capito
l’antifona. James
ringraziò che solo lui, dei suoi fratelli, aveva ereditato
una certa attitudine
ad aprire come un rubinetto la propria forza magica.
O
col cazzo che sarei riuscito a farlo ragionare senza
rompermi qualche osso…
“La prenderanno.
Li prenderanno.”
Cercò di rassicurarlo. Ma lui stesso non ci credeva.
Se
qualcuno è entrato, quel qualcuno può anche
uscire.
Abbiamo
un bel dire… ma non siamo eroi come i nostri
genitori.
O
forse, non abbiamo il loro culo sconfinato.
Poi, fu un attimo.
Un lampo verde
filtrò
violentemente dalla porta dell’ufficio della professoressa a
solo pochi,
terribili metri da loro. Fu subito seguito da un cupo rumore di vento,
come
quello che mugghiava salendo dalla brughiera, nelle notti di inverno.
James sentì
un’onda di panico
spazzargli via ogni capacità di reazione.
Avadra
Kedavra. L’Anatema Che Uccide.
Al fu più svelto
di lui a
reagire – aiutato probabilmente dagli spaventosi livelli di
adrenalina che
aveva addosso.
Gli tirò uno
spintone, e lo
sentì recitare un ‘accio
bacchetta’,
prima di correre verso la porta, con intenti suicidi forse non ben
chiari
neppure a lui
“No!”
Gridò correndogli dietro. Lo afferrò,
ma Al fu più veloce. Si voltò, con la
velocità di un serpente – ironia a parte
–
e gli tirò uno spintone violento.
James non ci capì
più niente. Sapeva
solo che doveva fermarlo, a qualsiasi costo. Volarono anche degli
incantesimi che
fortunatamente mancarono entrambi il proprio bersaglio.
Quello di Al si
abbatté con
violenza sulla porta, aprendola e facendola sbattere violentemente
contro il
muro.
Si voltarono entrambi, staccandosi velocemente, bacchette alla mano.
“… Cosa
cazzo…” Sussurrò
James.
C’era la Prynn a terra, davanti a loro, subito dietro la
porta. Con una smorfia
di stupore congelata in volto. Morta.
Al indietreggiò bruscamente, portandosi una mano alla bocca;
fu certo che il
fratellino si stesse trattenendo per non vomitare. Non poteva dargli
torto.
James, dopo una breve ma
tenace lotta contro l’impulso di scappare, vinse e si
avvicinò al corpo della
donna. Aveva ancora la bacchetta in pugno. Pensò,
nebulosamente, che da morta
aveva perso molto della sua bellezza.
“Stai
indietro.” Intimò ad
Albus, ma capì che l’ordine non aveva molto senso.
Non c’era nessuno in quella
stanza.
Come
diavolo è riuscito a scappare l’assassino?
Si guardò
intorno, poi capì,
quando vide il camino dove dardeggiavano fiamme verdognole: portava
ancora le
tracce dell’uso della polvere volante.
“Maledizione, ha
usato il
camino per scappare!” Sbottò.
“Jamie…”
Sentì la voce di Al
dietro di sé, ridotta ad un sussurro. Si voltò,
preoccupato.
Al guardava un punto del tappeto, vicino al corpo della
ex-professoressa.
In quella stanza
c’era una
strega morta e due bacchette.
E la seconda la conoscevano entrambi. Tredici pollici e mezzo, di
agrifoglio e
piuma di fenice, rigida.
Era la bacchetta di Tom.
****
Note:
Mi dispiace. Coraggio.
>_< Comunque penso di finire la storia entro il capitolo
50.
Per quanto riguarda i
ragazzi,
che salgono su e giù per piani, manco fosse un labirinto,
posso capire che
susciti qualche perplessità. Quindi copio preventivamente
quello che ho trovato
su Hp Wiki.
“The castle's architecture is
always changing, a feature contributed by Hogwarts founder Rowena
Ravenclaw.”
L’articolo
qui
1-Visto che ormai
è diventata
un abitudine. La canzone
qui . Non mi fanno impazzire, ma questa canzone ha
l’atmosfera
perfetta. U.U
|
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Capitolo 45 *** Capitolo XL ***
Grazie ancora a chi mi ha
recensito. Per rispondere alle domande di alcuni, la fic
finirà entro,
probabilmente se non prima, il capitolo 50 secondo la mia numerazione,
il che
significa tra circa una decina di capitoli. ^^
@Rorothejoy:
Grazie ^^ Sì, c’è già in
mente un sequel di questa boiatella, anzi, già scritto
l’introduzione e deciso il titolo. Sarà un
po’ più het, ma non mancherà lo
slash, sovrano! XD
@altovoltaggio: certo che ha a che
fare con la tua recensione! Istintivamente hai usato la parola giusta.
E poi
c’è da dire che uno dei passatempi preferiti di
Tom Lo Stratega sono proprio
gli scacchi, ergo… XD Hai capito esattamente il motivo per
cui quel furbone di
Doe ha usato la bacchetta di Tom. ;) La questione del flusso magico
è semplice:
Jamie è l’unico ad aver ereditato la simpatica
caratterisca che, quando si
arrabbia, perde il controllo dei propri poteri e fa esplodere roba,
come il
papà. ^^
@Trixina:
Grazie XD Per la bacchetta di Tom… errore mio. In
realtà è simile a quella di
Harry (e quindi sì, di Voldemort) ma non avrei dovuto
metterci la piuma di
fenice, come mi ha fatto notare un’altra ragazza,
considerando che raramente le
fenici concedono le proprie piume. C’è solo
un’analogia, sensata, ma solo
quella comunque. ;) Grazie per i complimenti!
@Simomart:
Grazie per i complimenti! Devo ammettere che le scene
d’azione mi riescono
meglio delle altre, e sì, il parallelismo è un
po’ voluto. Del resto, i figli
spesso somigliano ai genitori, pur non essendo delle loro copie. Per
quanto
riguarda Doe, sì, è un mercenario. Come ha fatto
spesso notare fa quel che fa
perché è pagato (e sì, anche
perché è un sociopatico pazzo che si diverte nel
suo lavoro xD) e Tom c’entra con i Doni della morte, ma NON
è uno dei doni
della morte che sono tre e rimarranno tre. XD Doe comunque
sì, non ha tenuto
conto del fatto che Tommy avrebbe spifferato tutto ad Al. Hai notato i
tanti
piccoli indizi che ho lasciato, quindi GRAZIE. A volte penso di
essere proprio
negata nel thriller. T_T
@NickyIron: Ciao! Grazie per la
segnalazione, è stata una mia leggerezza, in effetti non
è possibile che abbia
una piuma di fenice. Provvedo a correggere. ;) La fenice non
è un caso, no,
tornerà e sarà importante. Grazie per seguirmi!
****
Capitolo XL
I've got this feeling that there's
something that I missed
Every
second, dripping off my fingertips
A clock
is ticking, but it's hidden far away
(Somewhere a clock is ticking, Snow
Patrol)¹
Hogwarts,
due del mattino.
Corridoio.
Teddy si era assicurato che
effettivamente Rose e Scorpius fossero tornati alla propria Casa.
Poi era corso, bacchetta
alla
mano, verso l’ufficio della Prynn.
Non poteva crederci. Di
essere
stato così ingenuo. Di non aver capito chi si nascondesse
dietro il sorriso di
quella donna. I ragazzi non potevano aver mentito. Ed era questo che lo
sconvolgeva.
Avevano avuto il
responsabile,
o a questo punto considerando i fatti, uno
dei responsabili di tutto ciò che era successo in quei tre
mesi, sotto il naso.
E nessuno di loro, nessuno, se ne era reso conto.
Quando arrivò al
piano dove
era locato l’ex ufficio della McGrannit ingoiò un
sussulto e serrò la presa
sulla bacchetta. La pesante porta di noce dell’ufficio era
spalancata.
Si avvicinò di soppiatto, ascoltando i suoni che provenivano
all’interno. C’era
qualcuno.
Mise le spalle al muro della
porta e poi con un movimento fluido - non pensava di ricordare
così bene
l’addestramento auror - spianò la bacchetta di
fronte a sé.
Se ne trovò
un’altra davanti e
il viso pallido e spaventato…
Di James.
“James!”
Abbassò la bacchetta. Il ragazzo non fece lo stesso. Tale
era l’adrenalina che lo guardava con gli occhi sgranati dalla
paura e il
respiro affrettato. “James, fermo, sono io!”
Il ragazzo sussultò di colpo, facendo un passo indietro.
“Teddy…” Articolò.
Dietro di lui, un corpo a
terra.
La Prynn, morta e accanto
Albus, appoggiato ad una delle scansie, che lo guardava con sguardo
gemello di
paura e confusione.
“Ragazzi, cosa
diavolo ci fate
qui? Cosa… che è successo?”
Al aprì la bocca per rispondere ma non ne uscì
alcun suono. Scosse la testa un
paio di volte.
“L’abbiamo
trovata così.” Rispose
per lui James, abbassando il braccio. “L’abbiamo
trovata così e…”
Rumori sopra e alle spalle di Teddy lo avvertirono che i fantasmi
avevano fatto
il loro lavoro. Il castello si era svegliato.
“Dovete andarvene.
Subito.”
Decise in fretta. “Non dovreste essere
qui…”
“La bacchetta…” Mormorò Al,
guardando il cadavere della donna.
“Tom…”
Singhiozzò, senza lacrime.
“L’hanno
rapito. Ci sono
riusciti.” Ringhiò James.
“L’hanno portato via attraverso il
camino.”
“Il camino?” Teddy ricordava che l’unico
collegamento con la polvere volante in
tutto il castello era quello nell’ufficio del preside.
L’ha
riattivato. Mio Dio. Nessuno, nessuno di noi si è
accorto di nulla.
“Sì, il
camino. Quando siamo
entrati lei era già morta e il camino…
Era… era stato appena usato.” James
sembrò scollare le parole dal palato. Raggiunse il fratello,
tirandolo via
dall’angusto spazio in cui si era rifugiato. Al non oppose
resistenza, ma
Teddy, seguendo il suo sguardo vide qualcosa che non avrebbe mai voluto
vedere.
C’era una
bacchetta a terra.
Non la riconobbe, non subito. Poi lanciò uno sguardo a
James, come a chiedere
spiegazioni. E capì.
“È di
Tom…” Sussurrò il
ragazzo, stringendo la presa sul braccio del fratello. Teddy
ricordò come era
raro che si toccassero quei due, se non per punzecchiarsi o azzuffarsi.
In quel
momento James sembrava fare di tutto per tenerselo vicino.
“Va
bene.” Disse, sperando di
suonare convincente. “Va bene, ora tornate ai
vostri…” Esitò, cambiando idea.
“Jamie, porta Al con te alla Torre. Non restate soli, per
nessun motivo. Io
resterò qui ad aspettare gli altri professori.”
“Perché?” Sussurrò Al.
“Se n’è già
andato… l’intruso.”
“Non ha
importanza. Non voglio
comunque che restiate separati. In ogni caso, non potete restare
qui.”
James non replicò, limitandosi a tirare Al. In quel momento
sembrava avere
tutta l’intenzione di andarsene il più in fretta
possibile. Poteva capirlo. Avrebbe
voluto farlo anche lui.
“John Doe.” Mormorò Al, inchiodandosi di
fronte alla porta. “È stato John Doe.
Il rapitore, quello che ha portato via Tom.”
“Al…” Lo strattonò James.
“Che cazzo stai dicendo? Andiamo.”
“Tom non c’entra niente. È stato lui,
è stato John Doe!” Il tono della voce di
Al era un crescendo. Ad un certo punto parve persino spezzarsi.
Inspirò. “Non
c’entra niente, non voleva!” La cosa che
più inquietò Teddy fu vedere gli occhi
del minore dei Potter completamente asciutti, privi di qualsiasi
emozione che
non fosse una genuina e completa angoscia. “Teddy, lui non
voleva!”
“Va bene Al…” Gli sorrise appena: farli
rimanere lì non era una buona idea.
Albus non avrebbe retto una raffica di domande e forse anche
recriminazioni.
Era così pallido che sembrava stesse per svenire da un
momento all’altro.
Merlino,
sta per avere un crollo nervoso
“Va
bene, ho capito. Lo troveremo, sta’
tranquillo.” Fece un cenno a James, che lo tirò
via, sebbene con una certa
goffa premura.
Quando se ne furono andati,
e
sperò davvero che non incontrassero nessuno sulla loro
strada, Teddy guardò il
volto di pietra di Ainsel, congelato in uno spasimo di sorpresa.
Si sentì la bocca
secca.
Avada
Kedavra.
Un morto, una bacchetta a
terra e uno studente, Tom, sparito. E solo un nome.
John
Doe. Come dire Signor Nessuno.
Sentì
dei passi dietro di sé, e si
voltò. Il preside guardava incredulo il corpo della Prynn e
dietro di lui, con
i mantelli lucidi di pioggia, con ore di sonno arretrato e i visi
stanchi e
tirati, Harry e Ron.
Ted non disse nulla, aspettò che Harry abbracciasse con lo
sguardo l’intera
scena.
“Siamo arrivati troppo tardi.” Sussurrò
l’uomo, passandosi una mano sulla
fronte.
“C’è
dell’altro…” Disse a quel
punto il giovane. “Harry, James ha detto che il Mantello
è sparito. Il mantello
dell’invisibilità.”
****
Hogwarts,
due del mattino.
Torre
Grifondoro, Sala Comune.
Rose fissò per
circa la
ventesima volta le lancette del grosso orologio sopra il camino.
Era enorme e per certi versi
piuttosto di cattivo gusto, dipinto con lacche rosso e oro.
Scandiva il tempo con le panciute lancette di ottone, lentamente.
Erano passate da poco le due. Del mattino.
Scorpius stava accanto a
lei,
con un braccio attorno alle sue spalle. La seta della sua vestaglia era
incredibilmente calda, e sapeva di pulito.
Era felice che fosse
lì.
James fissava le fiamme del
camino, ostinatamente, cercando di non guardare l’orologio, e
finendo
inevitabilmente per lanciargli uno sguardo ogni dieci secondi circa.
Rose
l’aveva cronometrato.
E
Al…
Serrò appena le
labbra,
lanciando uno sguardo al cugino. Era seduto sul davanzale di una delle
finestre, e non aveva aperto bocca da quando James l’aveva
letteralmente spinto
attraverso il buco del ritratto.
Fissava fuori dalla
finestra,
e sembrava piccolo e incredibilmente indifeso dentro i vestiti
spiegazzati. Era
quasi certa che avesse un labbro gonfio per chissà quale
colpo. James non aveva
detto niente, e lei non aveva chiesto. Ma tra le occhiate
all’orologio, ne
aveva anche intercettata una, colpevole, rivolta al fratello.
Era
fuori di sé quando è scappato. Non mi stupisce
che
Jamie abbia dovuto fermarlo con la forza. Quando vuole è
testardo come una
mandria di muli.
Erano passati solo dieci
minuti da quando James e Al erano entrati, eppure sembravano ore.
La faccia dei fratelli
Potter
era stata una doccia fredda. Rose non aveva mai visto James con
un’espressione
del genere addosso.
Né lei
né Scorpius avevano
ancora trovato il coraggio di aprire bocca.
Tirò un sospiro;
sopra di loro
i compagni stava dormendo il sonno dei giusti, ignari di cosa si stesse
scatenando fuori dalle mura protettive della torre. Lily e Hugo, la
mattina
dopo si sarebbero svegliati, vestiti e diretti verso la Sala Grande,
con
pensieri oscillanti tra la fame e la noia delle lezioni.
Rose in quel momento avrebbe
dato tutto per far parte della schiera di ignoranti e strisciare sotto
le
coperte calde della sua stanza.
Sentì i capelli di Scorpius sfiorargli la guancia. Si
voltò, e vide che la
fissava.
“Chiediglielo.” Disse soltanto, premendole le
labbra contro la tempia. Era quasi
irreale, in quel momento, quel contatto. Servì
però a Rose per riscuotersi
dalla sua apatia.
Si alzò in piedi,
sciogliendosi dall’abbraccio del ragazzo. Albus non si era
spostato di un
millimetro. Gli si sedette accanto.
“Al.”
Gli posò una mano sul ginocchio.
Era freddo e rigido. Accanto alla finestra faceva piuttosto freddo.
“Che è
successo?”
Il ragazzo non rispose. Continuò a fissare la finestra, ma
era chiaro che non stesse
guardando proprio un bel niente. Se Rose non l’avesse
conosciuto bene, avrebbe
detto che era sotto-shock.
Invece stava solo pensando.
Al, sebbene a volte soffrisse di un’orribile forma di
impulsività, repentina
come il morso di un serpente, poi finiva inevitabilmente per pensare. Rielaborare.
Era il suo modo per gestire
lo
stress, aveva commentato una volta sua madre; estraniarsi dal mondo e
macinare
meccanismi mentali.
“L’hanno…
rapito, vero?”
Lanciò uno sguardo a James, che annuì,
impercettibilmente.
“C’era
la sua bacchetta.”
Disse finalmente il serpeverde. Gli tremava la voce, ma era
più ferma di quanto
avesse pensato, considerata la situazione. “Chi
l’ha rapito ha ucciso la
professoressa Prynn e l’ha disarmato.”
Rose sentì di nuovo quella strana sensazione di
irrealtà. Stava davvero
succedendo a loro?
“Perché l’hanno rapito?”
“Non lo so.”
“Ma…”
“So quello che mi ha detto Tom so che la Prynn aveva un
complice, John Doe. E
so che lo sapeva, quando la Prynn l’ha portato via.
L’aveva capito, che la
professoressa… e mi ha allontanato. Ed
io…” A questo la voce gli si ruppe. “Io gliel’ho lasciato fare.”
“Ha cercato di salvarti il culo, idiota!”
Sbottò James. “Forse l’unico che si
è
comportato in modo sensato è stato proprio lui!”
“Devi dirci cos’è successo.”
Esordì Scorpius. Si alzò dal divano, infilandosi
indolentemente le mani nelle tasche della vestaglia.
“Apriranno un’indagine per
scomparsa di mago minorenne. E per come mi sembra di aver capito che
stiano le
cose, non credo che Dursley si trovi in una bella posizione.”
“Che intendi dire?” Mormorò confusa
Rose. Era chiaro che Tom fosse una vittima.
Cos’altro poteva essere?
Al invece si morse un
labbro,
lanciando uno sguardo di sottecchi a Scorpius.
“Sarà sicuramente mio padre ad
occuparsi delle indagini. Tom non sarà indagato.”
“Tuo padre? E dimmi, Potter, tuo padre di cosa è
capo? Ricordamelo.”
“Dell’Ufficio Auror, che domande idiote!”
Sbuffò James. “La pianti con questa
retorica da due soldi e arrivi al punto?”
Scorpius sospirò,
lanciando
loro un’occhiata esasperata. “L’ufficio
auror si occupa della cattura dei maghi
oscuri. Maghi oscuri. Non rapitori
di
maghi minorenni. Non è una delle loro competenze. Non ci
arrivate? Il vostro
eroico padre non è autorizzato a condurre nessun tipo di
indagine.” Si
massaggiò il retro della nuca, come se sentisse una fitta
all’idea che
potessero essere stati tanto
ingenui.
“Non da quando si è scoperto che il pazzo che ha
liberato i Naga non era un
mago oscuro. E già lì era palese abuso di potere,
secondo mio padre. Pare che
abbiano chiuso un occhio perché si trattava di Harry Potter.”
Scandì con uno sbuffo. “Ma non stavolta. Il
Ministero non permetterà altri conflitti di interessi.
Incaricheranno un altro
ufficio di indagare sulla sparizione. Quindi, per riassumere, ad Al
conviene
condividere quello che sa con noi… Pare che più
testimoni possibili alla difesa
aiutino.”
“Ma di che stai
parlando?!”
Sbottò James confuso. “Tommy sarà pure
antipatico come avere un dorsorugoso su
per il culo, ma è stato rapito.”
“A rigor di logica, l’ha detto Al, la Prynn
l’ha portato via con sé, e lui non
ha opposto resistenza. E parliamo del Mantello
dell’invisibilità. Quanti
sapevano che ce l’avevi tu?”
James non replicò a questo. Lanciò invece uno
sguardo al fratello, che era
impallidito e sfuggiva allo sguardo degli altri. “Albie? Che
cazzo vuol dire? Malfuretto
ha ragione?”
Albus si passò
una mano trai
capelli, lanciando uno sguardo ai tre: aveva sperato che non
giungessero a
troppe conclusioni; pretesa ridicola considerando che sia Rose che
Scorpius
erano peggio di quella coppia di investigatori babbani, Sherlock e
Holmes.
Non
ha opposto resistenza. Non c’erano segni di lotta.
La sua bacchetta era abbandonata a terra, e Tom non l’avrebbe
mai lasciata, si
sarebbe fatto amputare un braccio piuttosto…
Non
è stato Tom. Maledizione. È stato incastrato.
Lanciò uno
sguardo alle
espressioni confuse e di attesa dei tre.
“Al.”
Lo riscosse Rose. “Tom quant’è coinvolto
in questa storia?”
Ma
come faccio a spiegarvelo e farvelo accettare come
io l’ho accettato?
****
Hogwarts,
due e mezzo del mattino.
Ufficio
della professoressa Prynn.
“Non ci sono segni
di lotta,
Harry.” Esordì Ron, dopo aver lanciato un lungo
sguardo valutativo alla stanza.
“L’omicidio della Prynn è stato veloce,
e premeditato. Lei non se lo aspettava,
il suo omicida invece aveva programmato di farlo.”
Indicò il viso della donna.
“È stata sorpresa.”
“Sì…” Harry si tolse gli
occhiali, per massaggiarsi la sella del naso. Era
stanco, furioso. Erano anni che non provava quella sensazione di
accecante
impotenza. Dalla sua adolescenza, per la precisione.
E
non è decisamente una bella sensazione.
“È
terribile…” Sussurrò il
Preside. “Terribile, uno studente rapito. Sotto i nostri
occhi. Organizzato per
mesi… come abbiamo potuto non accorgerci di nulla? Come ho
potuto far entrare
questa donna qui, e lasciargli studiare le sue abitudini, fare in modo
che si
guadagnasse la fiducia di tutti noi?”
“Nessun poteva sospettare nulla, preside.”
Cercò di consolarlo Ted. “Ainsel
era… al di là di ogni sospetto.”
Lanciò uno sguardo ai due auror. “Ha aiutato
ad organizzare la festa di Halloween. Gli studenti la adoravano e
avevamo tutti
molta considerazione per lei, come docente.”
“La festa di Halloween, cioè quando sei stato
aggredito.” Harry fece una
smorfia. “Durante le feste c’è un
continua via-vai di persone da Hogsmeade, per
cibo, attrezzatura, costumi. Brillante, innegabile. John Doe sarebbe
potuto
entrare indisturbato in qualsiasi momento della giornata.”
Il preside si
passò le mani
sul viso. “Come abbiamo potuto essere così
ciechi?”
“Non si dia colpe che non ha, professore.”
Sospirò Harry. “Se potessimo leggere
le intenzioni delle persone, la nostra vita sarebbe più
semplice. Purtroppo
neanche la legimanzia ci riesce, e sì che è
quanto più simile alla lettura del
pensiero che esista.”
Se mi fossi mai preso la briga di
impararla da ragazzo, con Piton, forse adesso avrei capito cosa passava
per la
mente di Thomas… Cosa lo tormentava, invece di fare sciocche
congetture.
Vere
a questo punto, ma non sufficientemente supportate
da fatti per farmi muovere.
“Adesso?”
Si informò Teddy.
“Dirameremo un ordine di cattura per questo John Doe. Certo,
aiuterebbe se
qualcuno l’avesse visto in faccia. O che non avesse un
mantello dell’invisibilità
per nascondere se stesso e Tom.” Commentò con un
lieve sospiro. Ron gli lanciò
un’occhiata attenta.
Lo
so, amico mio…
Ron
era il metro del suo giudizio. Per
quanto da ragazzo avesse più o meno coscientemente fatto
della sua bandiera
l’infrangere le regole, nell’età era
diventato un monumento alle procedure. Le
conosceva tutte, e fungeva da grillo parlante quando lui dimenticava
– o
fingeva di dimenticarne una.
Che poi fosse ascoltato o
meno, come commentava sempre, era un altro discorso.
Harry sapeva cosa diceva lo
sguardo dell’amico: non erano autorizzati a fare un bel
niente. Quel caso si
presentava come sparizione di minore.
Nulla,
quindi, che possa interessare l’ufficio Auror.
“Qual è
il problema, Harry?”
Lo riscosse dai suoi pensieri il figlioccio. Gli sorrise.
Teddy ha un empatia straordinaria.
“Il problema
è…”
“Il
problema è che il Signor Potter non è autorizzato
a
condurre questa indagine.”
La voce fredda e formale
suonò
come uno sparo dentro la stanza.
Harry si voltò
per trovarsi di
fronte ad una delle tante facce della sua adolescenza. Una delle
più antipatiche,
per giunta.
Zacharias Smith. Aveva saputo anni prima di come fosse stato promosso
sergente
nei Tiratori Scelti, la seconda forza magica del Ministero,
assimilabile per
certi versi allo Scotland Yard²
del mondo babbano. Avrebbe
riconosciuto quel naso schiacciato ovunque. Sfortunatamente le calvizie
aveva
del tutto eliminato la famosa zazzera bionda per cui era tanto celebre
da
ragazzo.
Accanto a lui
c’era il
professore di Aritmazia, Finch-Fletchley, e altri due Tirati Scelti, in
borghese. Il professore sembrava confuso quanto il Preside.
“Ha detto che il
caso di rapimento di Dursley è stato assegnato a
lui…” Mormorò, guardando in
direzione di Harry e Ron.
Ed
ha tutte le ragioni per dirlo… – Pensò Harry,
fingendo un sorriso. “Zacharias, è un
peccato rincontrarci in queste circostanze, dopo tanti
anni…”
“Taglia corto, Potter.” Lo interruppe spiccio.
“Devo chiederti di lasciare la
scena del delitto e portare via i tuoi…
sottoposti.” Soggiunse con evidente
sarcasmo, lanciando uno sguardo sia a Ron che a Teddy.
“Il professor
Lupin è un
testimone, mi risulta. Oltretutto, lavora qui come docente.”
Gli fece notare
con pacatezza, nonostante dentro ribollisse all’idea che
neppure gli anni
avevano scalfito la pomposità di quel pallone gonfiato.
“Come se non
sapessi che ti ha
mandato a chiamare lui. Sbaglio o è il tuo figlioccio? Uno
dei tuoi,
praticamente.” Replicò l’uomo, con un
sorrisetto di sufficienza. “In ogni caso
lo interrogherò, non preoccuparti. Ora, se non ti spiace,
devo rinnovarvi
l’invito a lasciare il castello.”
“Si tratta del nipote di Harry, Smith.”
Sbottò Ron, lanciandogli
un’occhiataccia. “Non potresti avere un
po’ di tatto, per la miseria?”
L’uomo lo guardò irritato. “Lo sto
avendo, Weasley. Non l’ho arrestato, per
esempio, per abuso di ufficio e delle proprie competenze. Il Ministero
sa che
stavi continuando ad indagare sulla faccenda dei Naga, Potter.
È già stato
inoltrato un procedimento disciplinare. Quindi fatemi il favore.
Levatevi dai
piedi e lasciatemi fare il mio
lavoro.” Sorrise sottile. “Voi avete i vostri pericolosi maghi oscuri a cui badare, o
mi sbaglio?”
Harry afferrò un braccio di Ron, di scatto, vedendo le
orecchie dell’amico
virare pericolosamente al rosso. “Figlio
di…!”
“Andiamo, Ron. L’agente Smith ha
ragione.” Gli costava enormemente lasciare tutto
nelle mani di quell’imbecille, che ancora conservava livore
per gli anni
scolastici. Non era tranquillo a lasciare la salvezza di Thomas nelle
sue mani.
Ricordava di come fosse stato visto scappare via, durante la battaglia
di
Hogwarts, spintonando via primini.
Per reduci come lui e Ron,
quello era sufficiente per non lasciargli neppure in mano un caso di
lite tra
vicini.
Ma
non spetta a noi decidere…
E non possiamo restare neppure qui. Questo è
l’ultimo chiaro richiamo di Kingsley.
Andandosene strinse appena
la
spalla di Teddy con una mano. Il ragazzo gli lanciò uno
sguardo. E capì.
Sorrise leggermente e Harry vide in quell’espressione gli
occhi di Remus quando
gli aveva detto che sì, lasciava casualmente
la mappa del Malandrino sulla scrivania.
Hai
ragione, Zacharias. Teddy è uno dei miei ragazzi.
Ed
io non lascio i miei ragazzi nei guai.
****
L’imperio
non era un incantesimo totalizzante.
Per certi versi, dipendeva
da
chi e da come veniva eseguito. I principianti, riuscivano solo a
strapparti un
breve stordimento e qualche ordine mal digerito. Un mago dotato di una
forza di
volontà nella media riusciva ben presto a liberarsi.
I più abili,
invece, ti
lasciavano chiuso nelle pareti della tua mente, in uno spazio bianco
infinito,
in cui il senso del tempo si annullava e la tua coscienza vagava priva
di punti
di riferimento.
Chi l’aveva subito
una volta,
subito davvero, lo ricordava per il
resto della sua vita come un sogno orribile, perché neutro e
senza fine.
Tom, quando si
risvegliò, capì
che non era più sotto imperio
perché
si rese conto di essere in un dove,
una stanza umida e fredda e in un quando, la luce dalla feritoia di una
finestra sprangata era pallida, lattiginosa. Era la luna.
Ha
smesso di piovere…
Si
rese conto di avere le mani legate
dietro la schiena. La corda era spessa, robusta e umida e gli serrava i
polsi
in una morsa bruciante.
Gli occhi ci misero un po’ a mettere a fuoco
l’intero arredamento della stanza.
Dopo una manciata di attimi, ricordò tutto.
Al,
la confessione, il bagno, la Prynn… con Doe. L’ha
uccisa.
Sentì un sapore
disgustoso
alla bocca dello stomaco. Gli occhi gli dolevano e facevano fatica a
mettere a
fuoco. Sembrava trovarsi nella stanza in cui si era incontrato per la
prima
volta con Doe. Il camino all’angolo, morto e freddo. La
sagoma delle due
poltrone, del tavolino…
Eppure c’era
qualcosa che non
andava. Era come se fosse tutto immerso in una nebbia filamentosa.
E il pavimento, che avrebbe
dovuto essere di legno, aveva l’odore della terriccio bagnato.
Dove
sono?
Sentì un rumore
di passi alla
sua destra e poi una luce accecante, che risultò essere
quella di una candela.
Distolse lo sguardo, abbacinato.
“Oh, ti sei svegliato. Pensavo avresti dormito tutta la
notte. Beh, meglio
così. Risparmiamo tempo.”
Doe.
I lineamenti del suo viso,
ora
riconoscibili alla luce della candela, erano di una
tranquillità agghiacciante.
In quel momento
capì quanto
fosse terrificante la banalità del viso di John Doe.
Chiunque
può uccidere. La banalità del male.³
Doe tirò un lieve
sospiro e
Tom sentì l’odore acre del fumo riempirgli le
narici; si era acceso una
sigaretta.
“Quella Prynn. Non sono misogino Thomas, non fraintendermi,
ma le donne non
sono proprio tagliate per la strategia. Voglio dire, pensava davvero di
aver
fatto un accordo!” Fece una breve risata.
“È divertente, in un certo senso.
Dove possa arrivare l’essere umano per ambizione.”
Non disse nulla. Doveva
esserci un modo per liberarsi e fuggire da lì.
Qui
dove poi? Sono nel villaggio in cui sono stato
materializzato la prima volta? No. C’è qualcosa di
strano. Questo posto ha
l’odore…
Lo conosceva, quell’odore. Chiuse gli occhi.
Sì. Era lo stesso odore che
per anni aveva sentito, tutte le estati, quando passava i pomeriggi a
giocare a
nascondino con Albus.
Una
grotta. È l’odore dell’interno di una
grotta.
“Dove
siamo?” Chiese. “Questa
non è la casa.”
Doe inarcò le
sopracciglia.
Era seduto accanto a lui, alla sua altezza. “Beh, a quanto
pare l’incantesimo
sta perdendo il suo effetto.” Fece una pausa. “No,
non è la casa.”
“Dove siamo?”
“Lo sai dove siamo. Sei un ragazzo intelligente,
Thomas.”
“In una grotta.” Strattonò leggermente
le corde, inghiottendo un gemito quando
sentì la pelle tendersi dolorosamente.
“Perché mi hai tolto dall’imperio?”
“Perché devo mostrarti delle cose. E sotto imperio
non capiresti più di un bambino di pochi mesi.”
Sospirò, alzandosi in piedi.
“Un lavoraccio, il mio. Fortunatamente, ben pagato.”
“Perché mi hai rapito?”
“Perché
sono pagato. Sono un
mercenario, Thomas.” Scrollò le spalle.
“Per certi lavori bisogna avere un
certo distacco emotivo. Chi mi ha chiesto di recuperarti
è… piuttosto coinvolto
nella tua storia personale. E poi non parlerei di rapimento. Io ti sto
solo
recuperando. Sei stato rapito quando eri un neonato.”
“Da Artemius
Coleridge.”
“Esatto. Era un mitomane. Ti credeva la reincarnazione di
Voldemort e credeva
che portandoti via dall’Organizzazione ti avrebbe
liberato.” Fece una pausa.
“Una seria di coincidenze ti ha portato a farti salvare
nientemeno che dal Salvatore.
Piuttosto ironico, come
vedrai. C’è voluto molto per ritrovarti. Ti
avevano dato un nome babbano…” Fece
una lieve smorfia. “Capisci, essendo iscritto nei registri
anagrafici babbani
eri praticamente irrintracciabile. Ma poi sei arrivato ad
Hogwarts.”
“Ho ancora il mio cognome
babbano.”
Gli fece notare. Non c’erano uscite, per quanto potesse
vedere. Il buio rendeva
la stanza, o la grotta, del tutto uniforme.
Ma
ci devono essere… mi deve aver portato qui in
qualche modo…
“Certo, ma sei un mago.”
Continuò Doe, ignaro dei
suoi pensieri. “ Credimi, Tom, non sei un tipo che passa
inosservato. Ora, non
starò a dilungarmi, ma sapevamo quanti anni avevi. Sapevamo
che eri sicuramente
un mago. E sapevamo che eri in Inghilterra. Quanti bambini, nel mondo
magico,
sono nati nel tuo anno Thomas? Escludendo chi ha deciso di studiare a
scuole
magiche estere, non più di una ventina… E
così, eccoti qui.”
“E la Prynn? Che
significa che
era del governo americano?”
“Lo era, sì. Diciamo che
l’Organizzazione per cui lavoro è ricercata
internazionalmente.
E tu sei parte
dell’Organizzazione in
un certo senso. Un pezzo importante. Ainsel era venuta in Inghilterra
per
proteggerti, ma… beh, ormai conosci la storia.”
“Che diavolo
significa?” Ringhiò: era
un miracolo riuscisse a mantenere la calma. In realtà, lui
stesso si stupiva di
non essere ancora stato inghiottito dalla paura.
Era stato rapito, era senza
bacchetta, legato e alla mercé di un mago che avrebbe potuto
lanciargli in ogni
momento una maledizione, e ordinargli anche di uccidersi, se avesse
voluto.
Dubitava fosse quello,
comunque, il suo piano. Gli serviva vivo, era evidente, o non si
sarebbe preso
tutto il disturbo di organizzare quel teatrino solo per cercare di
portarlo via
con sé di sua spontanea volontà.
Doe sorrise, strappandolo
dai
suoi pensieri. “Bene. È arrivato il momento delle
spiegazioni, credo.” Si alzò,
sfilandosi la sigaretta dalle labbra. Si diresse verso il punto
più buio di
tutta la stanza, e tornò con quella che sembrava una
bacinella di zinco,
portandola davanti a lui. Teneva tra le dita due fialette, contenenti
un
liquido argenteo.
Tom istintivamente si ritrasse contro la parete.
Doe stese le labbra in un
sorrisetto sgradevole. “Non fare quella faccia. Non ho
intenzione di storditi
con delle pozioni. Non mi serve. Comunque, mi stupisce che tu non abbia
riconosciuto queste due fialette.” Le fece tintinnare tra di
loro, davanti ai
suoi occhi. Produssero un suono limpido, come campanelli
d’argento.
“…
Ricordi.” Sussurrò. “Sono
ricordi imbottigliati.”
E la bacinella era evidentemente un pensatoio rudimentale.
“Molto bene,
Signor Dursley.”
Confermò l’uomo. “Ricordi. Non sono
miei, naturalmente, ma del mio datore di
lavoro. Voleva che li vedessi. Voleva che tu sapessi. Ma solo quando
saresti
stato pronto.” Gli lanciò un’occhiata.
“Adesso credo che tu lo sia.”
Tom lo vide indugiare sul suo viso, sicuramente pallido, i capelli
umidi e
appiccicosi e la posizione innaturale in cui era bloccato. Alla sua
mercé.
Sentì la rabbia
strisciargli
attraverso le vene, ma si impose di dominarsi.
Non c’era molto,
del resto,
che potesse fare. Non era Harry Potter, lui. Nessun arcano potere
l’avrebbe
soccorso. Certo, aveva atterrato quel Naga. Ma non ricordava come
l’avesse
fatto.
Doe inoltre non era un
ominide
privo di discernimento: anche se ostentava una posa rilassata lo stava
tenendo
d’occhio, e la bacchetta era a portata di mano, spuntando
dalla tasca della
giacca che portava sotto il mantello.
Doe versò il contenuto di una delle fialette dentro la
bacinella. Il liquido
filamentoso si trasformò in bruma azzurrina. Glielo
posizionò immediatamente
davanti.
Nonostante tutto, nonostante la paura, Tom non poté fare a
meno di sentirsi la
bocca secca per l’aspettativa.
“L’attesa è il peggiore dei veleni, non
è vero?” Mormorò Doe, con tono
confidenziale.
“Avanti, dacci un’occhiata. Scoprirai chi sei. Da
dove vieni. E soprattutto
perché sei nato. Quante persona al mondo possono avere una
simile possibilità?”
“Perché, ho possibilità di
rifiutare?”
Doe sogghignò. “Thomas, Thomas. Come se
volessi.” Poi non gli lasciò il tempo
di rispondere. Gli afferrò bruscamente la testa e lo spinse
contro la
superficie della bacinella.
Tutto divenne della consistenza della nebbia e Thomas
precipitò nel ricordo.
****
Note:
*Scappa evitando la folla
inferocita, con pale e forconi, dissennatori e quant’altro*
Ve l’avevo detto che avreste rimpianto i capitoli di stasi!
*piagnucola*
1.
Qui la
canzone.
2. Scotland
Yard, o lo Yard
è la sede fisica della polizia metropolitana
dell’area di Londra. Per
informazioni
qui.
Come ho già
detto, leggendo su
Hp Lexicon ho evinto, da quel poco
che la Row ha lasciato sull’argomento, che gli hit
wizard (tradotti a culo con ‘auror tiratori
scelti’, quando non sono
auror) si occupano di crimini
comuni, mentre per quanto riguarda gli auror, loro si occupano di maghi
oscuri,
sette e quant’altro. Maggiori informazioni
qui
3. Espressione coniata dalla
filosofa e storica Hannah Arendt.
|
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Capitolo 46 *** Capitolo XLI ***
Ecco qui. Scusate per il
ritardo ma la RL mi ha uccisa. Capitolone
questo. Tutte le spiegazioni su Tommy-boy qui.
@Trixina:
Harry è assolutamente una mamma chioccia, e come sai, questa
storia è un
tributo anche a Remus e tutti quelli che non hanno visto la nuova
generazione.
Jamie alla fine è un bravo fratellone, solo che a volte se
ne scorda! XD
@Nickyiron:
Vero, lo scorso capitolo era un po’ di stallo, ma si
preparava a questo, che
penso sia piuttosto decisivo. Spero che ti piaccia e di non averti
deluso!
@Sophie: Ciao!
Cavolo grazie per la bellissima recensione! Mi riempe di gioia sapere
che anche
Tom, che è un personaggio originale, quindi un po’
più a rischio sia così
apprezzato! Ed hai ragione, Ted è proprio bello. La classica
bellezza. XD Non
preoccuparti, io questa recensione l’ho trovata davvero un
balsamo per il mio piccolo
ego scrittorio! XD
@altovoltaggio:
beh, anche io sono in ritardo, quindi pari e patta! XD La fenice
sarà
importante, ma al momento no. XD Poi vedrai! Rose e Scorpius
l’hanno visto e
grazie per avermelo ricordato, lo userò! (Che tremenda che
sono, non mi ricordo
IO tutti i particolari della storia! T_T)
@Aga: Ciao!
Benvenuta! XD Grazie, grazie per i complimenti a Sy e Tommy! :D
****
Capitolo XLI
Qualsiasi cosa si possa credere
è
immagine di verità.
(William
Blake, Proverbi Infernali)
La
verità è sempre disumana.
(Alessandro
Baricco, Oceano Mare)
La bruma cominciò
a diventare
via via sempre più consistente.
Tom non si era mai trovato
all’interno di un ricordo, ma capì che quella
nebbia azzurra avrebbe formato il
luogo in cui esso si era svolto.
Con velocità
impressionante
diventò densa, compatta
e di un grigio
cupo. Quando Tom riuscì a focalizzare dove si trovava
capì di essere in un
corridoio.
Pietra ovunque, a terra
fredda
e grigia e alle pareti, dove torce illuminavano fiocamente
l’ambiente
circostante.
Era il corridoio di un
castello, ma non era Hogwarts. L’architettura era diversa, lo
stemma che
decorava le torce non gli diceva nulla e le dimensioni del corridoio
stesso non
avevano nulla di familiare.
Passò una mano
sul muro, e non
si stupì di non trovare consistenza.
Idiota.
Di Doe nessuna traccia.
Naturale: i ricordi di un pensatoio potevano essere consultati massimo
da una
persona alla volta.
Eppure non capiva.
Cosa significava quel
corridoio vuoto?
C’era odore di
salmastro; lo
stesso odore che aveva sentito quando da bambino aveva passato alcuni
giorni a
Portsmouth con la famiglia.
Siamo
vicini al mare…
Mosse qualche passo,
guardandosi attorno. Non c’era luce a filtrare dalle pareti,
quindi
probabilmente quell’ala del palazzo era disabitata.
Sentì poi dei passi concitati provenire da dietro le sue
spalle.
Si spaventò, addossandosi al muro, ma poi la logica gli fece
tirare un sospiro
di sollievo.
Quello era un ricordo e lui
lì
non esisteva; non era che uno spettatore passivo. Infatti un uomo, in
livrea
nera e viola, gli passò accanto senza notarlo.
Aveva una faccia anonima,
niente che potesse ricordargli qualcuno o qualcosa. Probabilmente,
considerando
i vestiti, era un servo.
Strano.
Di solito la nobiltà magica usa gli elfi
domestici…
Considerando anche che era
l’unico essere vivente dentro quella memoria, prese
l’ovvia decisione di seguirlo.
Il passo era affrettato, ed era chiaro che stesse andando a fare
qualcosa o ad
incontrare qualcuno. Osservandolo vide che portava, reggendolo con una
sola
mano, un pesante catino fumante e panni di lino.
Tom relegò la
paura in un
angolo della mente: almeno lì dentro niente poteva fargli
del male. Né vederlo,
né toccarlo. In quel momento doveva solo guardare. E capire.
Anche
se conoscendo Doe non sarà affatto risolutivo ciò
che vedrò.
Il servo passò un
paio di
rampe in scale, in cupo legno di noce. Aveva un candelabro in mano, che
reggeva
per farsi luce. Anche la mancanza di una bacchetta lo fece pensare.
Che
si tratti di un magonò?
Lanciando uno sguardo alle
pareti notò degli arazzi. Rappresentavano scene marittime,
nature morte,
persino scene di guerra, con draghi e cavalieri. Erano tutti magici: i
draghi
agitavano le ali, mentre le vele delle navi beccheggiavano al vento.
Era una memoria molto
precisa,
quasi inquietante per certi versi. Chiunque ne fosse il proprietario
aveva
memorizzato alla perfezione ogni singolo dettaglio di quel castello.
L’uomo
svoltò un angolo,
sparendo. Tom soffocò un’imprecazione,
inseguendolo.
Il corridoio svoltava in un altro ma quello, diversamente dagli altri,
sembrava
avere delle porte; una di esse era socchiusa e l’uomo ci
entrò senza
chiudersela dietro.
Tom fu così introdotto in un salotto lussuoso: i mobili
erano di lucido legno scuro
e i tendaggi erano di diverse gradazioni di viola.
La stanza era comunque
immersa
nella penombra, eccezion fatta per lo spazio vicino al camino.
C’erano due
poltrone, e una di quelle era occupata.
L’occupante,
all’arrivo del
servo, si alzò.
Tom sentì la gola
serrarsi in
una morsa, quando lo vide. Non lo conosceva, ma c’era
qualcosa in lui che lo
inquietò.
Era alto, con capelli
castani
tagliati corti e una veste da mago. Ma la cosa che più lo
sconvolse furono gli
occhi. Erano i suoi: lo stesso taglio e lo stesso profondo blu cupo.
Parlò brevemente
con il servo,
a bassa voce, dandogli forse ordini. Quello poi sparì dietro
una porta, da cui
si sentivano voci e rumori. Forse una stanza da letto, a giudicare
dalla
disposizione del salotto, che a ben guardare aveva un tocco quasi
femminile.
Sono
le stanze di una donna… La moglie?
Un urlo, femminile,
squarciò
improvvisamente il silenzio che si era creato nella stanza.
L’uomo si alzò di
nuovo, e si avvicinò alla porta.
Fu fermato da una donna, di
mezza età. A Tom ricordò una delle medimaghe del
San Mungo. I vestiti erano
diversi, ma l’impressione era quella.
“Non
può entrare padrone, la
prego…” Disse quella, con tono ansioso.
“Si tratta di mio
figlio.”
Replicò l’uomo. Il tono di voce era freddo,
tagliente. Si addiceva
perfettamente alla figura austera che impersonava, anche se meno a
quella di un
padre apprensivo. Tom si avvicinò alla coppia.
Più lo guardava, più la
sensazione di deja-vu si faceva prepotente. Era come guardarsi in uno
specchio,
sebbene deformato. Quell’uomo non gli assomigliava in senso
classico, no. Era troppo
robusto, con un accenno di pancia che tendeva la veste sfarzosa, mentre
lui era
magro. Le labbra erano sottili e la barba era rossiccia, mentre lui
aveva i
capelli neri e il minimo accenno di barba. Eppure gli occhi erano gli
stessi. E
anche il tono sferzante, sarebbe potuto essere il suo con dieci anni di
più.
“Lo so, padrone,
ma in questo
momento…”
“Mio figlio. È vivo?”
Continuò, con lo stesso tono imperioso.
“Padrone…”
Supplicò la
levatrice. L’uomo la scostò, entrando dentro la
stanza. Tom lo seguì.
C’era buio, troppo. Persino per i suoi occhi, ormai abituati
alla perenne
semioscurità di quel luogo. Un enorme letto a baldacchino,
coperto da pesanti
tendaggi occupava l’intera stanza. Una sola candela
illuminava il profilo di
una donna, dietro le tende. Lo intravedeva, ma non riusciva a capire se
fosse
giovane o vecchia. O se avesse in comune con lui qualcosa, come
l’uomo. Si
voltò verso le finestre socchiuse: era notte e si sentiva
l’impetuoso
sciabordio delle onde.
Non
mi ero sbagliato, siamo vicini al mare.
Un
nuovo urlo squarciò la stanza,
facendogli accapponare la pelle.
Mentre era occupato a guardare fuori dalla finestra l’uomo si
era avvicinato al
letto, e aveva preso
qualcosa alla
donna. O meglio, qualcuno.
Con un certo malessere, si
accorse che lì dentro doveva esserci un bambino. E
dall’assenza di vagiti, come
dalle urla strazianti della donna, urla in una lingua che non
conosceva, capì
cosa stava accadendo.
È
morto. Il bambino è nato morto.
Si avvicinò
all’uomo.
Stringeva tra le braccia l’involucro di coperte. Teneva le
labbra serrate e
ignorava i lamenti della donna che avrebbe dovuto essere sua moglie.
Tom capì
immediatamente che non era dolore quello che vedeva riflesso negli
occhi, così
simili ai suoi. Era rabbia, e impotenza.
Conosceva bene quella
sensazione.
L’uomo
lasciò la stanza, e Tom
fece lo stesso. Non lanciò più che
un’occhiata alla figura gemente adagiata
trai cuscini. La tentazione fu forte, ma le risposte che voleva non le
avrebbe
avute da un atto di pietà.
“Mio
Signore…” Sussurrò il
servo, appena rientrò nel salotto. Lo aveva atteso,
confortando, sembrava, la
levatrice. “Lo dia a me. Ce ne occuperemo noi, faremo in modo
che abbia una
sepoltura…”
“No.” La voce dell’uomo non
vacillò neppure per un attimo. “Mio figlio
vivrà.”
Il servo sembrò sgomento. Comprensibile. “Mio
Signore… Vostro figlio…”
“So chi può aiutarmi.”
Il servo sembrò tremare. Tom lo vide sgranare gli occhi e
deglutire bruscamente.
“Padrone, so che ha fiducia in loro,
ma questo va oltre le vostre possibilità. Non si
può riportare in vita ciò che
ormai non lo è più. Neppure la magia
più avanzata…”
“Sciocco magonò.” Ringhiò
l’uomo. “Cosa ne sai tu di magia, Etzel? Cosa? La magia non potrà
ridarmi mio
figlio, ma l’Alchimia mi darà la
possibilità di crescerne uno.”
Il servo a
quell’affermazione
sembrò scosso da un brivido profondo. “La
scongiuro, padrone, questa è una
follia. Non vorrà davvero offrire il corpo di vostro figlio
per gli esperimenti
di quegli scellerati…”
“Silenzio!”
Tuonò l’uomo, mentre
trafiggeva con lo sguardo l’altro. “Etzel, ho
tollerato abbastanza la tua
sfacciataggine. La Thule mi ridarà un figlio, ed io
darò loro un corpo in cui
farlo rinascere. Manda il mio sparviero ad avvertirli che
offrirò il mio
primogenito.”
“Padrone…” Si alzò la
nutrice. Sembrava pallida, e scossa anche lei. “Vostra
moglie, il parto l’ha profondamente
debilitata…”
L’uomo a quella notizia non sembrò turbato. Tom
però capì che in quel momento,
per lui, non c’era spazio per altri pensieri che non fosse
quello di dare suo
figlio a quegli scellerati. Gli
occhi
brillavano di una luce folle, spaventosa.
Il dolore si poteva
manifestare in molti modi, gli aveva detto una volta Harry.
“Fate il possibile
per lei,
Sieglinde. Fate il possibile.” Ripeté, mentre la
voce si sfilacciava, si faceva
più distante.
Tom vide l’ambiente diventare sempre più chiaro,
sempre più brumoso.
Sentì uno strappò alla nuca, e un attimo dopo lo
investì una luce accecante.
Chiuse gli occhi, accorgendosi di non potersi riparare il viso con le
mani. Era
legato.
Era di nuovo nella grotta.
Con
Doe.
“Bentornato
Thomas.” Disse quello.
Ormai la magia che aveva reso quell’antro simile ad una
stanza era scomparsa, e
l’uomo era seduto su un rozzo sgabello, davanti a lui. In un
angolo era
alimentato un fuoco magico che rischiarava appena la stanza ma non la
rendeva
certo più calda.
Tom non disse nulla,
limitandosi ad aspettare che continuasse. Era chiaro che avrebbe
continuato.
Di
certo non è un tipo di poche parole…
“Allora, come hai
trovato il
ricordo?”
“Buio.” Commentò quieto. Era
frastornato. Ancora aveva nelle narici l’odore della
salsedine, e nelle orecchie la voce pacata e disumana
dell’uomo con i suoi
stessi occhi.
E
le grida… le grida di quella donna…
Doe rise appena.
“Stringato
come sempre, vedo.” Si tamburellò le dita sulla
guancia, pensieroso. “Immagino
che tu abbia capito chi erano quei due. Non intendo il servo o la
nutrice…
figure di contorno, quelle.”
Tom sentì uno strano nodo allo stomaco. Non era tristezza,
non era angoscia.
Non era niente.
Aveva capito subito che
quella
coppia tetra era legata a lui, pur non avendo visto in faccia la donna.
Eppure
non provava niente.
Perché
non significano niente per me.
È
stata Robin ad allattarmi da bambino. È stato Dudley
a farmi da padre. I miei fratelli si chiamano Alice e Vernon. Mi chiamo
Thomas
Dursley, e la mia famiglia comprende un clan di maghi che vivono in
mezzo alla
campagna… la mia famiglia comprende i Potter.
“I miei genitori,
suppongo.”
Disse infine, atono. Doe sembrò sorpreso dalla reazione.
“Ma come? Pensavo
che fosse
quello che volevi sapere. Chi eri, da dove venivi.”
“Mi hai fatto credere di essere chi non ero, perdonami se ho
qualche riserva.”
Tese le labbra in un mezzo sorriso, amaro. “Se non altro,
adesso so di essere
umano.”
“Non proprio.” Lo interruppe Doe. “Quelli
erano i genitori del bambino morto.
Che hai capito, no, che è morto durante il parto? Persino la
magia non può nulla
verso certe tragedie. Un problema congenito ai polmoni. Irrimediabile.
Molto
triste….”
“Cosa diavolo…” Sussurrò.
“Cosa significa questo? Hai detto che erano i miei genitori.
L’hai detto tu.
Adesso.” Sibilò,
inghiottendo l’ansia.
Non doveva crollare. Se
fosse
crollato, se avesse lasciato a Doe campo libero con la sua mente,
avrebbe perso
il poco controllo che gli rimaneva e a cui doveva
aggrapparsi con i denti.
Doe ridacchiò.
“Sì, sì… e in
un certo senso lo sono. Lui è un mago purosangue, come lei
del resto. L’avrai
sentita parlare in una lingua che non capivi. Era russo, credo.
Sì, mi sembra…”
Mormorò meditabondo. “Abbiamo tradotto il ricordo
a tuo beneficio, ma a quanto
pare neppure il padrone del ricordo conosceva il russo…
Curioso, visto che
quella era sua moglie.”
“Il padrone suppongo sia…”
“Tuo padre, l’uomo del ricordo. Alberich Von
Hohenheim, discendente in linea
più o meno diretta con il primo alchimista della storia,
Philippus Theophrastus von
Hohenheim,
meglio conosciuto come Paracelso.” Fece un cenno vago.
“Questi nobili… un sacco
di nomi. Non so come si chiamasse tua madre però.
Spiacente.”
“Hai detto che non
erano i
miei genitori.” Insisté, serrando la mascella in
una morsa dolorosa.
“Ci sto arrivando.” Sbuffò
l’altro. “Sei impaziente, Thomas. Lo
capisco… ma non
è affatto semplice spiegartelo, sai?”
Era grottesco. Era grottesco come quell’uomo, a poche ore
dall’aver assassinato
una donna, giocasse con lui ad indovinelli.
Gli venne da vomitare, a
pensare che per un periodo aveva pensato che in fondo fossero simili,
in quanto
complici.
Poteva odiare le persone,
poteva considerare buona parte del genere umano, babbano e magico,
geneticamente portato all’idiozia…
Ma non sono
come lui…
La cosa avrebbe dovuto in
qualche modo rassicurarlo della sua umanità.
Ma
considerando che sono nelle sue mani…
Inspirò.
“Allora spiegami. Non
mi sembra che stia cercando di scappare.”
Doe fece un mezzo sogghigno. “Ironico sempre e comunque.
È questo che mi piace
di te, ragazzino… Bene. Le spiegazioni con il secondo
ricordo.” Agitò la
fialetta ancora piena di fronte a sé. L’altra
l’aveva fatta sparire dentro le
tasche del mantello. “Ti senti pronto? Vuoi fare una
pausa?”
“Ho scelta?”
“In
realtà no, siamo un po’
stretti con i tempi.” Sogghignò.
“Chiedevo pro-forma.”
Il rito si ripeté
un'altra
volta. Tom stavolta non aspettò che Doe gli premesse una
mano sulla nuca. Si
chinò di sua spontanea volontà.
****
“… Come
ha fatto ad essere
così stupido?”
Rose fu la prima ad articolare una frase di senso compiuto, che non
fosse
un’esclamazione soffocata, quando Albus finì di
parlare.
James era terreo e aveva la mascella serrata. Fissava il fratello come
se
stesse valutando se prendersela con lui o meno. Scorpius invece aveva
stampata
in faccia un’espressione indecifrabile, ma Al era certo che
non avesse nessuna
voglia di sorridere in quel momento.
Se l’era
aspettato. Lui stesso
aveva reagito mollando un pugno a Tom.
Inspirò.
“Non si tratta di
essere stupidi. Tom… ha sempre voluto sapere la
verità sulla sua nascita. Su di
sé. Quando vuoi una cosa da tutta una vita… sei
disposto a tutto per
ottenerla.”
“Cazzate.”
Ringhiò James,
immediatamente. “Ha collaborato con un cazzo di psicopatico
assassino. E l’ha
fatto per due mesi, prima che fosse preso dai rimorsi di coscienza e
corresse a
piangere da te!”
“Non è
corso…”
“Oh, come no!” Lo fermò.
“È venuto in mezzo ad una festa, dopo mesi che non
ci
calcolava neanche come esseri viventi, e ti ha vomitato addosso le
stronzate
che ha fatto, sperando che perorassi la sua causa.” Si
alzò di scatto, dalla
sua poltrona accanto al fuoco. “Non te ne rendi ancora conto
Al? È tutta una
vita che quel bastardo ti abbindola con i suoi discorsi e ti porta
dalla sua
parte, come quando ti ha trascinato a Serpeverde!”
Al serrò le labbra. “Non mi ha trascinato
da nessuna parte. Il Cappello…”
“Il Cappello ti ha messo nella casa che tu hai scelto, come
no!” James fece un
sogghigno storto. “Anche adesso… ti stai facendo manipolare. Tommy si è
cacciato nella merda e ci si è cacciato
volontariamente, mettendo a rischio tutti quanti. È questa
la verità, pura e
semplice.”
Al si alzò in
piedi. Sentiva
il freddo ghiacciargli la schiena. Probabile fosse la posizione accanto
alla
finestra ad avergli acuito quella sensazione. Ma sentiva freddo da
quando Tom
era andato via con la Prynn. Freddo gelido, fin dentro le ossa.
“Non hai capito
niente.”
Sibilò, sentendo montare una collera sorda. Premeva in mezzo
al petto e faceva
male, tremendamente male. “Tom ha avuto paura.
Ma tu non lo capisci, vero? Il Grande James Sirius, l’eroe
senza macchia…”
Rose si fece avanti, forse
intuendo il suo stato d’animo. Le parole infatti gli uscivano
fuori
meccanicamente, con un retrogusto metallico. Quiete.
“Al…” Mormorò, tentando di
frapporsi tra lui e James. James
non fu così attento. La scansò, parandoglisi
davanti.
“’Fanculo Albie. Se quel John Doe si fosse
avvicinato a me, avrei
immediatamente chiamato papà, o chi di competenza. Lui
l’ha fatto? No. Quindi ha
collaborato. Anche se l’ha fatto senza cattive intenzioni, il
risultato resta.”
Non
capisci… lo sapevo che non avresti capito.
Quando
hai una colpa, si fa presto a trovare un
colpevole. Gli eroi non perdonano.
Io
non voglio essere un eroe. Non mi importa di trovare
un colpevole.
Rivoglio
Tom.
Sentì
la bolla di collera esplodergli
nel petto, e non si accorse di aver afferrato James per la stoffa della
camicia. Non finché non cominciò a strattonarlo.
“Ehi Al, mollami!
Mi stai strappando
la camicia!” Protestò l’altro.
A malapena captò la voce del fratello. Aveva parlato tanto,
aveva spiegato,
aveva raccontato. Tutto, meno i dubbi di Tom sul suo essere umano.
Quelli
no. Quelli no, non glieli posso dire. Guarda le
reazioni solo a quello che mi hai detto sul tuo rapporto con John Doe.
Dio,
Tom, dove sei?
Lo
vedi? Ti stanno incolpando. Rosie non parla, James
lancia accuse.
Lo
vedi?
Non ce la faccio a farglielo capire.
La bolla non era esplosa.
Era
rimasta incastrata in fondo alla gola, e sentiva il battito furioso del
cuore
pompargli nelle orecchie.
“Al…”
Si sentì afferrare per i
gomiti da James. “Al, che hai?”
Avrebbe voluto dirglielo. Ma
quando aprì la bocca per parlare si accorse di non poterlo
più fare. Sentì la
bolla comprimergli il petto, e capì di non riuscire a
respirare.
Scorpius ne sapeva qualcosa
di
crisi di panico. Da piccolo, dopo che aveva assistito al massacro di
suo nonno
ne aveva avute di deliziose per
anni,
prima che sua madre, dopo aver mandato sagacemente a quel paese fior di
medimaghi venuti dagli angoli più remoti
dell’Europa, decidesse di rivolgersi
alla medicina alternativa.
Cioè quella
babbana.
Suo padre l’aveva perdonata solo quando aveva smesso di
piangere e tremare ogni
sera prima di andare a dormire.
“Sta avendo un
attacco di
panico.” Osservò pratico, quando sentì
Al tirare i primi respiri spezzati, alla
ricerca dell’aria che la sua mente si rifiutava di fargli
assimilare.
“Un cosa?”
Sbottò James tenendo per
le braccia il fratello. “Al!”
“Attacco di panico. È sotto stress. Ti dice
niente? Roba babbana.” Sospirò.
“Spostati, Potter.”
James lanciò un’occhiata ad Al, che gli si era
ancorato addosso e non
respirava. Lo tenne stretto. “’Fanculo. Non mi
sposto, finchè…”
“Jamie, se non la pianti ti schianto.”
Sbottò Rose guardando Al, pallida quanto
lui. “Non lo vedi che sta male? Lascia fare Scorpius, se ne
sa più di noi!”
Scorpius le rivolse un’occhiata grata, afferrando per un
polso il più giovane
dei Potter: aveva le pulsazioni accelerate ed era freddo come un
ghiacciolo.
Favoloso.
Probabilmente è già da un’ora che sta
così…
“Potter,
fa’ dei respiri profondi.”
Gli afferrò il mento e lo costrinse a guardarlo. Si
specchiò in due enormi
pozze di smeraldo confuse e piene di lacrime. Fu sgomentante.
Adesso
capisco che intende Mike quando dice che gli
occhi di mini-Potter sono delle maledizioni senza perdono…
“Guardami,
Albus.” Disse,
cercando di suonare gentile. “Non è nulla. Il tuo
corpo sta reagendo così
perché sei spaventato. Fidati, io lo so. Pensa a fare dei
respiri profondi.”
Lanciò uno sguardo di traverso a James, che aveva tirato
fuori la bacchetta.
“La magia non funziona.”
“E se usassimo un confundus?”
Tentò
Rose, preoccupata. “Non respira, Scorpius.”
“Certo che respira. Deve solo continuare a farlo.”
Le assicurò con un sorriso.
“Potter, dov’è finita la tua forza di
volontà? Vuoi dirmi che i serpeverde sono
solo bravi a scappare dai problemi?” Lo accusò, ma
premurandosi di mantenere un
tono da civile conversazione. “Non farmi difendere la casata
di mio padre. Mi
sento a disagio, visto che sono un Grifondoro.”
Al gli lanciò uno
sguardo
vagamente consapevole. Gli occhi, da vitrei che erano per la crisi,
tornarono
lucidi. Tiro qualche respiro sincopato, prima di riuscire a
stabilizzarsi su un
ritmo più o meno normale.
Scorpius gli rivolse un sorrisetto di lode. “Bravo
Potter.” Fece un cenno a
James. “Ehi, aiutami a distenderlo. Pesa.”
Rose, quando lo fecero sdraiare, si premurò di aggiustargli
i cuscini sotto la
testa. “Al…” Sussurrò,
scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte: si era
coperto di sudore in pochi attimi, fino a macchiarsi la camicia.
“Che gli è
successo?”
“Stress. È crollato tutto di un colpo.”
Considerò il biondo, guardandolo. “C’era
da aspettarselo. Ha mantenuto il controllo fin’ora, ma quando
si è sentito
attaccato… sapete, la famosa goccia che fa traboccare il
vaso.”
“Vuoi dire che
è colpa mia?”
Scattò James.
“Non ho detto questo. Non funziona
così.” Scrollò le spalle.
“Adesso che
facciamo?” Mormorò
James, guardando il fratello: aveva ancora gli occhi chiusi e sembrava
non
sentire neanche le carezze di Rose. “Intendo dire…
cosa facciamo con quel che
ci ha detto? Ci faranno delle domande. Bene o male eravamo tutti fuori
quando
la Prynn è stata ammazzata. Dovremo dire la
verità.”
Rose si morse
l’interno della
guancia. Al sembrava stremato ma era certa che li stesse ascoltando.
“La cosa
che più mi preoccupa è che non sarà
zio Harry a condurre l’indagine.”
“Già.
Ma a chi dovrebbe essere
assegnata?” Chiese Scorpius, guardandoli. “Non sono
perfettamente a conoscenza
dell’organigramma delle forze magiche.”
Spiegò poi.
Rose ci rifletté
brevemente.
“Si tratta di un caso di omicidio e
di un rapimento. Credo ai Tiratori Scelti… Però
c’è anche da considerare che
c’è un mago minorenne rapito.” Si
staccò una cuticola dell’unghia, ansiosa.
“… È
brutto da dirsi, ma ormai la Prynn è morta e non
c’è più niente che si possa
fare per lei. Il rapimento sarà la priorità,
quindi.”
“Caso di
scomparsa. Dovrebbe
toccare a quelli della sezione
‘scomparsi’.” Ventilò James,
facendo schioccare
la lingua. “Almeno credo.”
“Tiratori scelti e auror…”
Mugugnò Rose. “Secondo mia madre non si possono
vedere. È una rivalità che risale alla Prima
Guerra Magica. Solo gli auror
erano autorizzati all’utilizzo delle maledizioni senza
perdono. Questo
significava che i tiratori scelti erano molto più a rischio
nella cattura di
maghi oscuri. Avevano funzioni simili, eppure c’era un
differente protocollo…
ora si sono specializzati, ma la rivalità e una certa
acredine è rimasta a
livello dell’organico.”
“La nostra enciclopedia di storia della magia
personale…” Ironizzò James. Si
passò una mano trai capelli. Al non aveva ancora aperto gli
occhi. Era certo
che non fosse svenuto, ma non lo scrollò come suo solito,
per spingerlo a reagire.
Lo
so. Ho fatto una delle mie stronzate. Tom è il suo
migliore amico. Posso pensare che sia un vigliacco bastardo, che ha
scaricato
tutto il peso delle sue colpe su Al, lasciandogli l’onore di
giustificarlo…
Ma
come reagirei io se un mio amico fosse nei guai?
Guardò
Scorpius: ironicamente si era
affezionato a Malfoy, alle sue stramberie e all’invidiabile
capacità di
essere l’uomo della situazione, senza
sforzo.
No.
È diverso. Non posso paragonare il rapporto che ho
con Malfuretto, o con qualunque dei miei amici, a quello di Albie e
Tom.
Per quanto la cosa lo
mettesse
a disagio, il loro rapporto era oltre.
Assomiglia
molto più a quello tra due innamorati.
Si riscosse, quando vide che
il fratello stava riaprendo gli occhi. “Ehi, Al…
come ti senti?”
“Male.” Rispose sincero. “Dobbiamo
concordare una versione.” Sussurrò poi.
“Eh?” Lo
guardò stranito,
lanciando un’occhiata alla cugina e a Malfoy.
Rose si schiarì la voce. “Come Al?”
“Una versione. Di quello che vi ho raccontato. Deve essere
uguale per tutti…
Non possiamo evitare di dire la verità.” Si
alzò a sedere sul divano. Era
pallido e sudato, ma lo sguardo era di nuovo lucido e acuto.
“Ma ci sono molti
modi per raccontarla.”
Scorpius fece un mezzo
sogghigno. Sembrava divertito dalla proposta. “Interessante
scelta dei termini,
Potter. Direi quasi che hai fregato la frase a mio nonno.”
“Può essere.” Sorrise appena.
“È una frase che gira spesso nei sotterranei.
Magari l’ha coniata proprio lui.”
“Non lo
escluderei.” Replicò.
“Vediamo se ho capito… Dobbiamo dare una versione
che non ci contraddica a
vicenda e che magari metta in luce la buonafede di Dursley.”
“Non avrei potuto riassumerla meglio…”
Convenne Al.
“Insomma, ci stai
chiedendo di
mentire.” Rimbeccò James, ma senza acredine.
Sembrava che lo stato del fratello
lo rendesse più mite.
Al esitò,
passandosi una mano
trai capelli. Si sentiva spossato, e avrebbe voluto così
tanto dormire. Ma l’adrenalina lo teneva
dolorosamente vigile.
“No. Tom è nei guai, mentire servirebbe solo a
depistare le ricerche… Vi sto
chiedendo di essere preparati. Di dire la verità, ma dirla bene.”
Scorpius fece una mezza
risata. “Hai mai pensato alla politica, Potter? Hai il mio
appoggio, comunque. Raggirare
gli idioti del Ministero ha un sapore così
dolce…”
“Scorpius!” Sbuffò Rose.
“Un’altra delle orazioni di tuo padre?”
“Ovvio. Mio padre detiene la verità per quanto mi
riguarda, e questo non è
negoziabile.”
Rose sospirò, ma
poi prese
un’aria determinata, quella che la rendeva inquietante
durante i compiti in
classe. “Bene. Abbiamo tutta la notte per costruire una
versione che renda Tom
più vittima che complice. Direi di metterci al lavoro, non
ci rimangono molte ore…”
Prima
che arrivi il mattino, si svegli la scuola e
scoprano tutti che Thomas è sparito e che la professoressa
è morta… - Pensò, ma
non lo disse.
“Dovrete vedere cosa rimarrà di lui quando
avrò finito di prenderlo a calci,
dopo che l’avranno ritrovato.” Brontolò
James, incrociando le braccia al petto.
“Qualcuno ha una barretta di Mielandia? Se dobbiamo stare qui
tutta la notte ho
bisogno di zuccheri.”
Al inspirò,
mentre si sentiva meno
infreddolito e un po’ più caldo. Sentiva ancora le
mani gelate, e il cuore
battergli scosso nel petto. Ma il fuoco del camino dei Grifondoro,
anche se
bruciava la legna in modo vorace e caotico, riscaldava.
Doveva farcela. Aveva la sua
famiglia, i suoi amici. E una missione.
Non
è come salvare il mondo, ma chissà, forse questo
è
il mio lato grifondoro.
Sorrise appena.
Hai
visto Tom? Da qualche parte ce l’avevo anche io.
****
Il secondo ricordo era
più
definito del precedente.
Tom aprì gli
occhi su una
sala. Uno spazio circolare, con il pavimento in terra battuta,
circondato da un
colonnato dall’aria austera, interamente di pietra. Sembrava
un sotterraneo,
dall’aria umida e stantia che si sentiva filtrare alle
spalle. Ovunque, sempre,
quell’odore salmastro.
L’ambiente era
illuminato da
torce, che gettavano una luce bluastra, indefinibile, inquietante.
Al centro c’era un
gigantesco
calderone, simile a quelli che usavano nell’aula di pozioni:
l’unica differenza
era una stemma scavato nel peltro.
Non poteva avvicinarsi. Quel particolare ricordo non gli dava la
possibilità di
spaziare. Si accorse infatti di essere bloccato accanto ad una delle
colonne;
le persone davanti a lui gli davano le spalle, in cerchio, coperte da
mantelli
neri, inquietantemente simili a quelli dei mangiamorte.
Ma
non sono mangiamorte…
Le maschere, per prima cosa,
erano assenti. Il viso era coperto dalle ombre, ma concentrandosi
riusciva a
vedere particolari, come barbe o menti.
Si concentrò
allora sullo
stemma del calderone, che sobbolliva di un vapore sulfureo, giallastro.
Quattro
bracci uncinati, che potevano ricordare il movimento di una ruota,
incrociavano
una spada corta, forse un gladio.
Era un simbolo.
Il
simbolo dell’organizzazione di cui Doe mi ha
parlato?
Gli ricordava qualcosa, ma
non
rammentava dove l’avesse già visto. Non in qualche
libro di Storia della Magia,
questo era sicuro.
Gli uomini, era presente
anche
qualche donna, lo evinceva dalle forme esili e formose sotto qualche
mantello,
sembravano aspettare qualcuno.
Quel qualcuno
arrivò,
passandogli accanto. Reggeva tra le braccia qualcosa, con estrema cura.
Era Alberich Von Hohenheim.
Suo padre.
Il mormorio che fino a poco
prima aveva animato i presenti a quel punto tacque. Aspettavano tutti
le parole
dell’uomo, era evidente.
È
il capo? Avrebbe senso. Doe mi ha sempre parlato del
suo capo…
Alberich
si tolse il cappuccio, con la
mano libera. “Fratelli, sorelle. Sono qui per offrire il mio
primogenito alla
gloria del nostro progetto. Questa sera è speciale, quindi
rompete gli indugi e
mostrate i vostri volti. Gloria alla Thule.”
“Gloria alla Thule.”
Recitarono
questi. I cappucci vennero calati. Tom cercò con lo sguardo
un viso familiare,
ma trovò solo tratti stranieri, visi dagli zigomi alti,
scavati nel freddo
delle terre del Nord. Le parole risultavano addirittura fuori sincrono.
Doe non
gli aveva mentito; il ricordo era stato tradotto in inglese a suo
beneficio.
Riconobbe, o meglio
intuì, un
viso come quello di un suo compatriota. Non fu difficile,
perché era l’unico a
sembrare fuoriposto, in quel consesso di ariani. Era più
basso di molte di
quelle figure, e tarchiato, con muscoli gallesi. Quando
abbassò lo sguardo
sulle maniche della tunica, tirate fino ai gomiti, ne ebbe la certezza.
Aveva
il Marchio. Quello era un
mangiamorte.
Hohenheim si rivolse proprio
a
lui. “Coleridge, hai portato il necessario per il
rito?”
Artemius
Coleridge. L’uomo che mi ha rapito.
“Hohenheim.”
Replicò quello,
sferzante. Si guardava attorno, con aria disgustata. Era chiaro come
non
sentisse affatto di appartenere a quel luogo. “Non credo
tutt’ora nella
riuscita dei tuoi deliri.”
“Lo deciderai
quando ne vedrai
i risultati, mangiamorte.” Replicò. “Ti
ho promesso la rinascita del tuo
signore. Ciò avverrà. Riavrai un
padrone.”
“Io ho avuto un solo padrone, il grande Lord Oscuro, ed
è morto per mano di
Harry Potter, il diavolo si prenda la sua anima.”
Sputò l’uomo, ma negli occhi
gli passò un lampo di aspettativa. “Non
servirò tuo figlio, più di quanto non
sto servendo te. E comunque, chi dovrei servire? Un
cadavere?” Concluse
sarcastico, lanciando un’occhiata al
fagotto tra le braccia dell’altro.
Due uomini si mossero per protestare, ma Hohenheim li tacitò
con un gesto della
mano. “Capisco le tue riserve, inglese. Ma la mia domanda
necessita di una
risposta. Hai con te le spoglie mortali del tuo signore?”
Coleridge tese le labbra in
una smorfia ferina. Sembrava paura mista a rabbia. Tolse da sotto il
mantello
un involto, della grandezza di un libro ma dalla superficie irregolare.
“Erano
sorvegliate giorno e notte dagli auror. Non è stato
facile…”
“Lo sappiamo. Per questo verrai ricompensato, non
preoccuparti.”
“L’unica
ricompensa che voglio
è che le ossa del mio Signore non siano
disonorate.” Replicò, poi passò
l’involucro ad uno degli uomini. La sua espressione
mutò di nuovo. Adesso c’era
un barlume di speranza, mentre il pacchetto veniva scartato con mani
attente.
Tom represse un brivido di disgusto quando vide estrarre dalla stoffa
delle
ossa; erano umane.
Le
ossa di Voldemort…
Non
riusciva a pensare, ad elaborare
una spiegazione a ciò che stava succedendo. Era come uno
spettatore passivo,
privo di pensieri, che assorbiva senza elaborare.
Era l’unico modo
per non
impazzire.
Le ossa vennero buttate nel
calderone ribollente, che emanò un potente sbuffo dal colore
smeraldo.
“Le ossa del padre…”
Mormorò Coleridge.
Hohenheim fece una smorfia
sdegnata. “Niente abracadabra oscuro, mangiamorte. Questa
è alchimia. Uno
scambio equivalente. Ma per compiere il processo, serve dare qualcosa
in
cambio. Il peso dell’anima del tuo signore è
esile, avendola frammentata ben
sei volte. Il sacrificio sarà quindi minore.”
“Quanto
minore?” Chiese l’uomo,
circospetto.
Il sorriso di Hohenheim fu un sogghigno. “Basterà
un piccolo contributo.”
Coleridge evidentemente non si era accorto degli uomini che gli erano
arrivati
alle spalle. Fu bloccato, e la bacchetta gli fu tolta e consegnata al
nobile in
pochi attimi. Furono rapidi ed efficienti.
A Tom
ricordarono John Doe.
“Che diavolo state
facendo?!”
Sbottò il mangiamorte. “Volete
uccidermi?!”
“Non esagerate adesso, inglese. Dobbiamo richiamare sulla
terra l’anima del tuo
padrone. Dobbiamo dargli una traccia da seguire, se non vogliamo che
altre
povere anime si impossessino del corpo di mio figlio. E
l’unico che ha una
connessione con lui in questa sala sei tu.”
Spiegò, mentre si avvicinava al
calderone.
Tom in quel momento si
accorse
che c’era un tavolo, poco distante, con oggetti metallici
l’uno vicino
all’altro, ordinatamente. Non avrebbero sfigurato in un
ospedale. Hohenheim
prese uno dei coltelli, testando la lama con la punta delle dita.
“Consideralo un
atto di fedeltà al tuo Lord Oscuro.”
Tom vide l’uomo
tentare
resistenza, ma soccombere miseramente. Gli tennero fermo il braccio, il
destro,
dove c’era il Marchio, mentre la lama incideva la carne. Le
urla dell’uomo
squarciarono il silenzio della sala, costringendolo a distogliere lo
sguardo
mentre sentiva un conato di vomito risalirgli lungo la gola.
L’arto venne preso
e gettato
dentro il calderone.
“Basta…” Sussurrò, anche se
nessuno poteva sentirlo. “Basta, ho capito. Basta!”
Non voleva continuare a vedere. Ma il ricordo non svanì, e
lui non riuscì a
scappare.
Vide così
Hohenheim, con
sguardo freddo e trionfante lasciar cadere il corpo di suo figlio nel
calderone. Vide la luce e vide la smorfia di feroce gioia, di totale
follia
deformare il volto di Coleridge, il suo primo rapitore.
Gli parve quasi di scorgere
l’esatto attimo in cui maturò l’idea di
portarlo via, quando sentì i vagiti, i suoi
vagiti tremare nell’aria.
Chiuse gli occhi, sentendo
quelle stesse tenebre ottenebrargli la mente.
“Sveglia,
principino.”
La voce di Doe. Di nuovo.
Non voleva aprire gli occhi.
Non voleva svegliarsi.
Sentì uno dolore sordo alla nuca e si sentì
strattonare. Doe l’aveva tirato a
sedere. Le giunture di gomiti e ginocchia urlavano. Quanto era stato
rannicchiato?
Il volto dell’uomo di fronte a sé era una maschera
indecifrabile. Come quelle
che aveva visto al museo egizio di Londra, quando era bambino.
Il
sorriso della Sfinge…
“Avanti, avanti.
Adesso sai tutto.
Hai avuto la tua verità.”
“Non è vero…” Le parole gli
uscivano come se avesse la lingua impastata di
sabbia.
“Ah, non mi credi?” Sogghignò.
“Eppure sai che tutto torna. Ti ho mai mentito?
Ammettilo, Thomas. Ti ho mai mentito veramente?”
Lo teneva stretto per un braccio, costringendolo tra sé e la
parete di pietra.
Il suo fiato sapeva di whiskey. “Mi dispiace, ragazzo mio.
È tutto vero. Tu sei
nato così. Sei un contenitore per un’anima monca.
Bella definizione, eh? Non è
mia.”
“Io non sono
Voldemort!” Urlò,
o almeno tentò di farlo. Quello che gli uscì fu
un sibilo arrochito. “Non
sono…”
“No che non lo sei. Voldemort… Un mago forse
pazzo, ma grande. Tu sei poco più
di un serpentello senza veleno…” Gli
afferrò il mento tra le dita,
costringendolo ad alzare il viso. “Non
c’è niente della sua grandezza in te.
Sei solo un mezzo per un fine.”
“… Che fine?”
“Ancora non ci sei arrivato?” Fece schioccare la
lingua, apparentemente
contrariato. “Il motivo per cui la bella Ainsel avrebbe
dovuto proteggerti. Per
cui sei stato tenuto al sicuro dietro un’identità
anonima. Il motivo per cui Hohenheim
ti ha dato proprio
l’anima di
Voldemort…” Fece un sorrisetto. “Ironica
la tua identità. Così vicina a
lui…”
“Lui chi…?”
Ma lo sapeva. Lo sapeva e aveva voglia di vomitare, urlare.
“Il vero padrone
della morte,
Harry Potter.” Gli passò le dita trai capelli,
come se fosse davvero qualcosa
da usare. Sembravano serpenti che strisciavano lungo la sua testa. O
forse
stava impazzendo.
“Harry…”
“Zio Harry.”
Motteggiò feroce Doe.
“Possiede i doni della morte. È quelli che noi
vogliamo. Ne abbiamo già due. Il
Mantello e la pietra della resurrezione, nascosta nel medaglione che ti
ho
fatto trovare addosso a quel Naga. Ho usato quei lucertoloni per
trovarla. Percepiscono
il campo magico degli oggetti.” Sorrise, trionfante come un
bambino crudele. “Hai
sentito subito una connessione con lui, non è vero? Quella
pietra è appartenuta
a Voldemort per lungo tempo, e mantiene ancora la sua
traccia… e poi Thomas?”
Lo interrogò, stringendo le dita attorno al suo cranio.
“E poi? Cosa manca all’appello?”
“Manca…”
Le parole gli uscirono senza che potesse fermarle. Doe lo aveva in suo
potere,
e non c’era niente, più
niente che
potesse fare. Era solo. Solo al mondo, adesso.
“… La
bacchetta. La bacchetta
di sambuco.”
****
Note:
Allora, ecco i chiarimenti.
Spero di aver dato una
spiegazione sensata a tutti gli interrogativi che ho dipanato lungo
questi
quaranta capitoli.
Alcuni approfondimenti.
La
società Thule:
è esistita davvero, anche se io di questa utilizzo solo
simbolo e nome. È stata
un’organizzazione simile ad una setta segreta, che si dice
abbia fondato la
base del movimento nazista. È stata citata in giochi, libri
e quant’altro e
persino in Full Metal Alchemist.
Qui per maggiori informazioni.
Qui per il simbolo.
Hohenheim: È
il vero cognome (o parte del suddetto) di Paracelso.
Qui la fonte.
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Capitolo 47 *** Capitolo XLII ***
Capitolo bello farcito
questo,
causa scarsa connessione e una voglia pazza di stare comunque
a scrivere.
Molto angst, un pizzico di dolcezza alla fine. Godetevelo. ;)
@NickyIron: Sì, ammetto
che il
trhiller confonda. xD Colpa mia, evidentemente che non ho saputo
spiegarmi
bene! Tom è stato creato non proprio per avvicinarsi a Harry
e diventarne il
figlioccio, quello è stato un effetto non voluto. Il
rapimento da parte di
Coleridge non era previsto, ma chissà forse
l’ex-mangiamorte è tornato a Diagon
Alley proprio per farlo capitare trai piedi proprio a chi la Thule non
avrebbe
mai pensato che l’avrebbe fatto trovare. La bacchetta di
sambuco è di proprietà
di Harry, ma non ce l’ha lui. Sta nella tomba di Silente, lui
ha la sua vecchia,
lo dice la Row nell’ultimo capitolo del Settimo. Altrimenti
sarebbe stato
proprio tonto, no? ;)
@Aga: Beh, no… capirai in
seguito
cos’è davvero Thomas, apparte un ragazzo con
l’anima di Voldemort. Ricordati,
chi è stato l’unico vero avversario di Harry?
Voldemort. Chi è che ora ha la
bacchetta di sambuco, l’ultimo donno della morte? Harry. ;)
Accidenti… proprio
sono una frana con gli indovinelli, dovrei darmi alle fic romantiche
punto e
basta T_T
@Trixina:
Ahaah, no, niente fine del mondo magico, anche se effettivamente, ad
avere Tre
Doni del genere in mani sbagliate c’è un
po’ da preoccuparsi. ;P Mi è venuto in
mente tutto questo… cazzeggiando invece che studiare! XD
Avrei dovuto darmi
alle sceneggiature invece che al diritto, tsé! XD Per il
resto, mi piace fare
le cose davvero per bene e odio le imprecisioni. Infatti su Firefox ho
aperta
perennemente qualche scheda di Wikipedia o di HPWiki. XD
@Sophie: Sì,
so che vi ho fatto penare un sacco… I dubbi saranno risolti
alla fine,
promesso! (Spero, argh) Beh, Tom non è Voldie,
ma… *Risata sadica* Grazie per i
complimenti!
****
Capitolo XLII
You found yourself a new sensation/ But
baby, it's a jungle out there
The ones you counted on are all but gone
Baby, it's a jungle out there
(Last
man standing, People in Planes) ¹
6
Novembre 2022, Hogwarts, Sala Grande.
La
mattina dopo.
Hogwarts era la
più famosa,
nonché unica, scuola di magia di Inghilterra.
Era conosciuta in Europa per
la qualità del suo corpo insegnanti, per aver forgiato maghi
di grande valore,
nonché notabili giocatori di Quidditch.
Ma era una scuola. Piena di
adolescenti,
con gli ormoni in subbuglio, desiderosi di distrazioni.
E quelle convenzionali erano ben poche, considerando che la scuola era
cinta da
un lago e dalla impervie montagne delle highlands.
Dunque la scomparsa di
Thomas Dursley
quella mattina era sulla bocca di tutti. Non si sapeva da chi fosse
partita la
voce, ma quando Rose e Albus varcarono la soglia della Sala Grande i
brusii si
intensificarono, mentre occhiate incuriosite investirono la giovane
Weasley con
la forza di uno tsunami.
Non erano però
dirette a lei,
ma bensì alla persona a suo fianco, che aveva dormito in una
Casa non sua
quella notte.
Per
farla breve… Al.
Non era un mistero che fosse
il migliore amico dello scomparso. Doveva
sapere.
Rose gli lanciò
un’occhiata: il
viso di Al non lasciava trasparire nulla. Contemplava un punto di
fronte a sé,
con espressione neutra.
Come
diavolo fa a nascondere così bene ciò che prova?
Sospirò appena.
Non
è questo il punto. Il punto è che lo nasconde
così
bene che poi si sente addirittura male…
“Al…”
Mormorò preoccupata
toccandogli il braccio. Lo sentì irrigidirsi. Era ancora
vestito come la sera
prima, e l’assenza di uniforme era ulteriore motivo di
curiosità. “Forse non
era il caso di scendere oggi…”
“Avremo solo rimandato l’inevitabile.”
Mormorò scrollando le spalle. “E
comunque dobbiamo parlare con Lily ed Hugo.” Fece un cenno
verso i due
ragazzini: Lily era pallida e non partecipava a nessuno dei conciaboli,
cosa
piuttosto straniante visto che era sempre circondata da fiumi di
pettegolezzi. Non
si alzò in piedi quando li vide, ma lanciò loro
un’occhiata inequivocabile. Hugo
invece smise di mangiare.
Si sedettero accanto ai
rispettivi fratelli.
“È
vero…?” Mormorò Lily
tormentandosi una ciocca di capelli con le dita. “Tom
è…”
“Sì. È stato rapito.”
Concluse Al, servendosi una dose di caffè. Ridicola,
notò
Rose. Aveva appena bagnato il fondo della tazza. “E la
professoressa Prynn era
coinvolta. Ora è morta.”
“Per tutte le
palle di drago…”
Farfugliò Hugo, e nessuno se la sentì di
riprenderlo per aver sputacchiato
tutto attorno. “Ma perché?”
“Vorrei saperlo anch’io.”
Rose capì che
stava
rispondendo solo per dovere. E che non avrebbe dovuto assecondarlo, ma
spingerlo
ad andare in cucina e farsi servire la colazione dagli elfi domestici.
Ma
ormai…
“Com’è
che sembrano saperlo
tutti?” Chiese, per sviare l’attenzione dal cugino.
Lily fece una smorfia,
lanciando
un’occhiata attorno a sé. “A me
stamattina l’ha detto Fiona Finnigan. Quella
cretina ha piagnucolato la scomparsa di uno dei belli di Hogwarts. Gli
avrei
spedito una fattura, se zio Nev non fosse stato nei paraggi e non fossi
stata
così sconvolta.” Inspirò appena.
“Lo sapete come sono queste cose. Tom ha il
suo ridicolo fan club, benché non se ne sia mai accorto.
Avranno notato la sua
scomparsa e i Tiratori Scelti fuori dalla scuola. Qualcuna
avrà chiesto a
qualche professore e…”
Al alzò il viso.
“Ci sono già
i Tiratori Scelti?”
“Perché
non è papà a seguire
l’indagine?” Chiese invece Lily.
“Dovrebbe essere lui!”
“Non è nelle sue competenze.”
“No, aspetta. Era nelle sue competenze sconfiggere un
potentissimo mago oscuro
e non lo è ritrovare Tom?!” Lily
corrugò le sopracciglia. “Si può sapere
cosa
diavolo…”
“Procedure.” Li interruppe Rose, con un sospiro.
“Non siamo più in tempo di
guerra, Lils. Le eccezioni esistono solo lì.”
“Che
stronzata.” Brontolò
Hugo, riassumendo magistralmente il pensiero di tutti.
Lily guardò la
porzione di
caffè intoccata del fratello. A quel punto gli prese la
mano, attraverso il
tavolo, stringendogliela forte. “Lo ritroveranno. Chiunque
sia il bastardo che vuole
fargli del male lo ritroveranno e lo sbatteranno ad Azkaban.”
Al sorrise appena, per tranquillizzarla. Si sentiva gli occhi di tutti
puntati
addosso, e davvero, capiva il perché. Ma aveva solo voglia
di alzarsi e mandare
tutti al diavolo.
Non
è quello che devi fare. Le voci triplicheranno.
Inoltre, se gli agenti dei
Tiratori
Scelti erano già arrivati, significava solo una cosa; presto
sarebbero
cominciati gli interrogatori.
Non sapeva molto delle
procedure di indagine del Ministero e si sentiva in ansia: quel poco di
cui era
a conoscenza glielo aveva raccontato suo padre, ma in tono leggero,
discorsivo.
Era James quello appassionato ad ogni singola frase che contenesse la
parola
‘auror’ e
‘proteggere&servire’.
Io
non voglio certo finire a fare un lavoro che mi fa
rischiare di perdere pezzi per catturare anti-sociali.
Al terzo anno aveva infatti
scelto un curriculum di studio più improntato al settore
curativo della magia.
Lumacorno stesso gli aveva detto che sarebbe stato un fantastico
medimago.
Esagerando
come sempre…
Gli venne da sorridere.
In
un modo o nell’altro, Tom, avevi ragione. Noi Potter
ce l’abbiamo tutti la sindrome da
‘salva-il-tuo-prossimo’.
Era patetico rivolgersi a
Tom
come se fosse seduto accanto a lui, lo sapeva. Ma aiutava.
Lanciò uno
sguardo alla tavola
a cui abitualmente sedevano Michel e Loki. C’erano, e Michel
gli lanciò una
lunga occhiata. Poi gli fece un breve cenno, riprendendo a mangiare.
Loki si
limitò ad uno sguardo disinteressato.
E
poi mi chiedono perché amo la mia Casa…
Il menefreghismo non era
necessariamente un difetto. Non essere sezionato con lo sguardo almeno
da loro
era un sollievo.
“Dove sono Jamie e
Scorpius?”
Chiese Lily, strappandolo dai suoi pensieri. Adorava la sorellina con
tutto se
stesso, ma in quel momento avrebbe davvero voluto che lo lasciasse in
pace.
“James si stava
ancora
preparando quando siamo usciti. Malfoy non ne ho idea.”
Rispose Rose per lui.
“Capisco.”
Annuì Lily. La
squadrò meditabonda. “Come fai a chiamare il tuo
ragazzo per cognome?”
Rose arrossì, deglutendo a disagio un pezzo di muffin.
“Beh, cerco di mantenere
un certo distacco quando non ce l’ho spalmato
contro.”
“… Sei davvero una ragazza fredda.”
“Oh, va’ all’inferno Lils!”
Sbuffò, facendola ridacchiare. Hugo alzò gli
occhi
al cielo, e poi fece la domanda che tutti stavano più o meno
consapevolmente
evitando.
“Ci
interrogheranno su Tom?”
Scese un breve silenzio.
“Probabilmente.”
Lo ruppe
Albus, con estrema calma. Era quello a rendere surreale il tutto,
rifletté
Rose. Il modo in cui Al stava affrontando la vicenda. Se non
l’avesse visto la
sera prima, aggrappato a James alla ricerca di aria, avrebbe pensato ad
una
sostituzione con Salazar Serpeverde in persona. “Dite quello
che sapete, non preoccupatevi.
In ogni caso non siete coinvolti nella vicenda.”
“In quale
vicenda?” Spiò Lily
corrugando le sopracciglia. “Albie, che sta succedendo?
Sapete qualcosa che noi
non sappiamo?”
Rose si morse l’interno della guancia: aveva sempre sostenuto
che la cuginetta
non fosse così svampita come si ostinava a mostrare. E lo
dimostrava nei
momenti meno opportuni.
Albus sorrise appena. Era un
sorriso pallido, con le labbra serrate. A Rose sembrò tanto
simile a quei
sorrisi che vedeva sui volti dei membri patinati del Ministero.
Falsi.
“Non sono affari
tuoi, Lily.”
Mormorò gentilmente, prima di alzarsi e lasciare il tavolo
seguito da una scia
di occhiate.
“Ma
che…” Lily diventò
dapprima rossa, poi sinceramente sconvolta. “Mi ha
praticamente mandato a quel
paese!” Era la prima volta che succedeva.
Hugo borbottò
qualcosa, e
rifilò ad Albus quello che sembrava un solidale sguardo di
ispido assenso.
Rose si schiarì
la voce.
“Lils, cerca di capirlo. Tutti questi occhi addosso lo hanno
innervosito. E chi
non lo sarebbe? Io ho voglia di uccidere qualcuno, magari pescando nel
mucchio.”
“Non è per le occhiate!”
Sbottò la ragazzina, un po’ ferita. “Ci
siamo
abituati, andiamo! Siamo i figli del Salvatore dei
Mondi…” Lisciò con aria
critica il proprio tovagliolo. “È per Tom, non
è vero? Al non ragiona se
succede qualcosa a Tom…”
Rose non poté controbattere. Era preoccupata anche lei.
Si sarebbe aspettata
lacrime,
preoccupazione, dolore e rabbia. Stadi normali di chi rimaneva ad
aspettare
notizie.
Al, a parte la crisi, era
rimasto
freddo come un ghiacciolo tutto il tempo.
E
ora ci sarà anche l’interrogatorio… E
non vorrei che
quello scemo si mettesse nei guai per coprire Tom. Ne sarebbe capace.
Ci ha
fatto elaborare una risposta comune.
Lily le toccò un
braccio. Era tornata
seria. Doveva ammettere che quando non assumeva quell’aria a
gatto sornione
assomigliava mostruosamente ad Al. “Cosa possiamo fare per
loro Rosie? Dico
davvero.”
Rose sospirò
guardando la
schiena, ancora fasciata di glicine, del cugino mentre si allontanava.
“Niente.
È questa la fregatura
di essere adolescenti. Proprio un bel niente.”
Quando Rose
lasciò la Sala
Grande, e lo fece con un certo sollievo – occhiate o meno a
cui era abituata, quelle le odiava
– fu intercettata da
Scorpius, che masticava placido una tortina al limone, con un giornale
sotto
braccio come un rilassato lord babbano.
“Ciao orsetto del
cuore!” La salutò,
fresco e riposato come una rosa.
“Questo nomignolo
è
intollerabile. Dimenticatelo immediatamente.”
Rimbeccò. “E comunque odio il tuo
viso riposato.”
“Ti adoro anche io.” Sorrise l’altro.
“Stai andando a lezione?”
“Teoricamente è il motivo per cui sono iscritta
qui…” Sospirò, avvicinandosi
per farsi passare un braccio attorno alle spalle e portare in un
corridoio
isolato. Si beò brevemente delle sue labbra che sapevano di
limone e zucchero,
prima di farsi lasciar andare.
Malfoy –
sì, lo chiamava per cognome
quanto gli pareva – doveva
avere una
specie di scia di ferormoni per cui attraeva o tranquillizzava.
Magari
qualcosa che c’entra con i suoi geni purosangue impazziti
da centinaia di unioni tra cugini…
“L’iscrizione
è assicurata
compiuti gli undici anni. Non ti crucciare troppo se salti qualche ora
di
lezione, vista la situazione.” Ribatté.
“Mini-Potter dov’è?”
Rose fece una smorfia. “Spero a lezione. Altrimenti
dovrò correre a cercarlo.
Sono preoccupata…”
“Se la caverà.” Scrollò le
spalle, tirandole una ciocca di capelli. “È un
piccolo e promettente serpeverde.”
“Detta così sembra una cosa brutta.”
Scorpius sbuffò. “Non lo è affatto. Per
me è un complimento di grande valore.
Comunque… parlando seriamente tuo cugino è
più forte di quanto non si creda. Se
ti fosse accaduto qualcosa io sarei
a
piagnucolare in cima alla torre di Corvonero.”
Rose fece brevemente mente
locale. “Perché tutti sanno che Tom e Al sono una
coppia? Non l’hanno detto a
nessuno!”
“Oh, per Godric.” Alzò gli occhi al
cielo, passandole le braccia attorno alla
vita, e tirandosela contro. “È talmente palese che
solo voi tonti Potter-Weasley
non ve ne siete accorti alla prima occhiata. Ad Halloween si sono
tenuti per
mano una serata intera. Oltre al fatto che a quei due piacciono le
femmine come
a te piace farti camminare un ragno addosso.”
“Non esagerare
adesso.”
Borbottò esasperata, dandogli uno schiaffetto sulla mano, ma
senza fargli
lasciare la presa. “È solo strano che nessuno ci
abbia fatto dei pettegolezzi
sopra.”
“Psicologia spicciola, Rosey-Posey. Dursley è
talmente inquietante che non noti
la sua propensione per i maschietti, ma il suo magnetico sguardo
tenebroso.
Oltre a questo, Albus passa inosservato alla maggior parte del creato,
avendo
due fratelli vistosi come Poo e Lilian.”
Rose fece un mezzo sorriso.
Sapeva
che quelle chiacchiere erano un modo gentile per alleggerirle i
pensieri.
Quello che faceva Scorpius non era mai lasciato al caso.
È
un calcolatore nato…
“Quella
è la Gazzetta del Profeta?”
Chiese, lanciando un’occhiata al plico di carta sotto il
braccio del ragazzo.
Scorpius sospirò appena. “Sì, ho
intercettato il tuo gufo stamattina.”
“E come scusa?”
“Il mio falco lo ha… Ehm.” Si
fermò, prima di sorridergli sfavillante.
“Starà
bene in un paio di giorni. Circa.”
“… Cosa c’è
scritto?” Preferì ignorare la sorte del povero
gufo di famiglia.
Aveva delle priorità in quel momento.
“C’è qualche notizia su
Thomas?”
“Non c’è molto.”
Esitò, con una smorfia. “Ma leggi.” Le
mostrò la seconda
pagina.
Rapimento
di giovane mago ad Hogwarts. Omicidio di una professoressa. Le indagini
affidate al sergente Smith, Tiratori scelti.
“Le
indagini sono subito partite, con una ricerca a tappeto nella zona. Lo
troveremo.”
“Le
pista
da seguire non e’ chiara.” Aggiunge
l’agente Smith. “La nostra
priorita’ Rimane comunque trovare il
ragazzo. Ci sono molte domande a cui deve rispondere.”
“È
pazzo?” Sbottò Rose,
incredula e furiosa: poteva non avere un rapporto idilliaco con Thomas,
ma il
cugino rimaneva comunque una vittima, anche se del suo ego gigantesco.
“Ha
praticamente già detto che Tom non è in una bella
posizione!”
Scorpius fece una smorfia, annuendo. “Infatti non mi stupirei
se mini-Potter lo
prendesse a calci nel culo, durante l’interrogatorio che ne
conseguirà. Mio
padre conosce Smith. Dice che non merita neanche di essere definito un
cretino.”
“Favoloso. Le speranze di Tom sono nelle mani di un
idiota?”
Scorpius schioccò
la lingua.
“Spera solo che tuo zio si impicci come suo solito. Speralo
davvero, Rosie.”
****
Devon,
Ottery St. Catchpole.
Casa Potter-Weasley. Mattina.
“Harry,
calmati.”
Ginny, seduta al tavolo della propria cucina, rimestava con cura il
proprio the
mattutino mentre il fratello e Hermione cercavano di riportare alla
ragione il
suo uomo.
Fosse
facile…
Conosceva Harry da quando
aveva nove anni ed era una ragazzina con le codine, innamorata di un
nome e di
una cicatrice. Conosceva suo marito da così tanto tempo che
sapeva quando era
impossibile farlo ragionare.
Per questo guardò
con muto
sostegno Hermione, impeccabilmente già vestita alle otto di
mattina. Ma non
fiatò.
Ho
più buonsenso di così.
“Calmarmi
Hermione? Sono così lontano dalla calma che dovrei
prendere la metropolvere per raggiungerla!” Sbottò
l’uomo, lanciandole
un’occhiata livorosa. Hermione inspirò appena,
lanciando un’occhiata alla
lettera bollata che campeggiava sul tavolo.
Un’ingiunzione del
Ministero.
Lui e Ron erano stati sospesi dalle indagini per il caso Thomas
Dursley, oltre
che caldamente invitati a non ficcare ulteriormente il naso nella
faccenda.
C’è
sempre qualcuno sopra di te. Il problema è che
Harry, abituato com’è ad essere sempre il solo che
si erge a paladino contro il
Male, non c’è abituato. E non lo sarà
mai. – Pensò, con un lungo
sospiro interiore.
Ron, con una mano appoggiata
sulla guancia e lo sguardo torvo fisso sulla missiva gemella tra le sue
mani,
scosse la testa. “Burocrati imbecilli.” Si
scollò dal palato.
Hermione serrò
appena le
labbra. “È la procedura, Ronald. Cosa ti
aspettavi? Che avrebbero continuato a
lasciarvi indagare indisturbati?”
“Non stavamo indagando. Stavamo facendo domande in
giro!” Replicò il rosso, a disagio. “E
comunque, affidare il caso a Smith! Se
avremmo fortuna ritroveremo le ossa di Tom tra una decina
d’an-…” Non terminò
la frase che il breve bagliore di una fiamma illuminò la
stanza.
Harry aveva dato fuoco alla
lettera, gettandone poi i resti nel lavabo.
Ginny si limitò
ad un sospiro
ed ad un lungo sorso del proprio the.
“Harry!
Cosa credi di aver risolto adesso?” Lo bacchettò
invece
Hermione.
“Nulla, ma mi ha
fatto sentire
meglio.” Ribatté quietamente. “Senza
offesa Herm. Non dormo da due giorni, il
mio figlioccio è stato rapito e un imbecille livoroso
è tutto ciò che gli ha
dato in dotazione il Ministero per salvarsi. Permettimi di essere un
po’ urtato dalla
situazione.”
“E c’è pure un omicidio di
mezzo.” Aggiunse Ron, fissando la sua lettera,
indeciso se fargli fare la stessa catartica fine.
“Non pensarci
neanche.” Lo
anticipò la moglie. “Harry, capisco come ti senti,
credimi. Ma…”
“No, non capisci.” La fermò, serrando la
mascella. “Non lo sai. Non sei stata
tu, stamattina, a buttare giù dal letto Dudley per
comunicargli che suo figlio è
stato rapito da non-si-sa chi per non-si-sa-quale motivo, ma ehi,
sicuramente
c’entra con la magia. Ma non preoccuparti, lo ritroveremo,
anche se non ho idea
di come.” Prese un respiro, che servì solo a
carburare la sua rabbia. “Hai idea
di come sia penoso dover comunicare
ad un uomo che odia il tuo mondo, che quello stesso mondo gli ha rapito
il
figlio?!”
Era stata la conversazione
più
orribile di tutta la sua vita; Dudley poteva non essere il padre
più affettuoso
ed espansivo della storia con Thomas. Ma lo considerava suo figlio e
gli voleva
bene.
“Te
l’ho affidato! Ti ho affidato mio figlio, l’ho
fatto andare alla vostra scuola di strambi! E adesso tu mi dici che
è stato
rapito da un pazzo maniaco, in una scuola che tu hai definito la
più sicura del
mondo!”
Si era sentito inutile,
impotente e soprattutto colpevole.
Non che Dudley fosse stato comprensivo: aveva urlato, aveva accusato e
aveva
minacciato, prima che la moglie gli strappasse la cornetta dalle mani e
facesse
finalmente delle domande a cui poteva rispondere.
Conclusa la telefonata si
era
sentito svuotato e persino le rassicurazioni che aveva dato a Robin, le
stesse
che dava ai parenti dei casi che seguiva, gli erano sembrate ridicole,
vuote.
Il
fatto è che Dudley ha ragione. Ho fallito.
Thomas aveva dato segni di
problemi da due mesi, e lui aveva preferito lambiccarsi in congetture,
senza mai
arrivare alla vera soluzione, piuttosto che fare l’unica cosa
sensata.
Parlagli.
E portarlo via da Hogwarts. Tenerlo al
sicuro.
“Harry…”
Disse Ginny,
strappandolo ai suoi foschi pensieri. “Basta
colpevolizzarti.” Soggiunse,
mentre si alzava e gettava quel che restava del the nel lavabo.
“Non ha senso.”
“No? Sono il suo
padrino,
Ginny. L’ho salvato io dalle fiamme ed io
ho fatto carte false, scomodando persino Kingsley per farlo affidare ad
una
famiglia di mia scelta. Mi sono sempre preoccupato per lui, e quando
aveva
bisogno di me… ecco che non me ne accorgo!”
Sbottò. “E adesso, neanche con
tutta l’autorità che il governo inglese mi ha
affibbiato riesco a fare niente.
Dannazione, mi sembra di essere tornato ad avere diciassette anni con
Silente che
gioca a dadi con la mia vita!”
“Ma non è così.”
Obbiettò tranquilla, prendendogli una mano tra le sue.
“Sei un
uomo adulto e sei un auror. Tom ti ha mentito, e su questo non avevi
controllo.
Non puoi pensare di leggere nel pensiero di un adolescente confuso e
furioso
con il mondo.” Fece una pausa. “Vi hanno escluso
dalle indagini, è vero. Era
una conseguenza inevitabile, perché voi queste indagini non
avreste dovuto
neanche farle.”
“Questo ormai
è appurato…”
Mormorò astioso. Non ce l’aveva con la moglie ed
era grato per ciò che stava
cercando di fare, ma Thomas era là fuori e lui era bandito
dai territori di
Hogwarts.
Avrebbe tutto mandato al
diavolo, persino il suo posto al Ministero, per cercarlo senza impicci.
Ma non
poteva.
Non aveva più
diciassette anni,
ne aveva quarantadue e i colpi di testa erano stati fin troppi. E la
verità era
che, per quanto disprezzasse Smith, non aveva certo più
possibilità di lui di
trovarlo al momento attuale.
“Sì,
è appurato.” Concesse la
donna. “Ma hai ricavato delle informazioni dalle
tue… diciamo chiacchierate.
Hai comunque seguito delle piste…”
“Che non mi sono servite a niente.”
“Che però possono servire adesso
a
capire chi sia il rapitore e dove possa averlo portato. Merlino, Harry,
sono
una giornalista sportiva… conosco il metodo di indagine, ma
non pensavo di
doverlo spiegare a te!” Inspirò. “Devi
dire quello che sai a Smith. Dovete collaborare.”
Ron emise un grugnito sonoro. “E pensi che ci darà
retta?”
Ginny inarcò le
sopracciglia,
come se stesse cercando di capire se il fratello maggiore fosse scemo o
meno.
“Ricordo come fosse un imbecille pieno di sé. Ma
non credo che voglia la morte
di un ragazzo sulla coscienza. Dall’intervista che ha
rilasciato stamattina al
Profeta è chiaro che brancoli nel buio. Adesso la gatta da
pelare, ovvero
genitori terrorizzati e inferociti, ce l’ha lui. Una mano la
apprezzerà
sicuramente, se potrà salvargli testa e carriera.”
“Smith punta a diventare capo del suo ufficio.”
Intervenne pronta Hermione. “È
un arrivista, una macchia come un caso non risolto potrebbe dargli
problemi.”
“Che
idiota…” Brontolò Ron.
“Sarebbe dovuto morire sotto qualche maceria o per qualche
maledizione durante
la battaglia. Non avrei pianto la sua scomparsa.”
“… Gli scriverò un gufo.”
Concesse Harry, dopo un lungo sospiro. “Gli
chiederò
un incontro. E mi fornirò di bevanda della pace. In
quantità massicce.” Soggiunse
cupo, mentre posava una mano su quella della moglie, che gli aveva
accarezzato
la spalla, comprensiva.
“Io
sarò con te, amico. Al
massimo, possiamo schiantarlo se diventa troppo sgradevole.”
Sogghignò Ron,
facendolo sorridere.
Un picchiettare alla finestra della cucina fece voltare tutti. Un gufo
di
piccola taglia, screziato di marrone e grigio, agitava le ali in una
muta
richiesta di entrata.
“È il
gufo di Ted quello?”
Chiese Ron perplesso.
“Tristan, sì.” Annuì Harry,
andando ad aprire e sciogliendo la lettera dalla
zampa del volatile.
“Perché ho come l’impressione che tu
abbia chiesto a Teddy di essere le tue
orecchie?” Ventilò Ginny, mentre
un’ombra di sorriso gli aleggiava sulle
labbra, in piena approvazione.
“Probabilmente
perché hai
ragione tesoro.” Sorrise l’uomo, scollando la
ceralacca. La lesse brevemente,
mentre un lampo cupo gli passava negli occhi. “Hanno
già cominciato gli
interrogatori. La buona notizia è che adesso hanno una
descrizione del
rapitore.”
“Beh, ottimo, no?” Spiò Ginny perplessa.
“Dov’è il problema?”
“Hanno chiamato
Teddy, James,
Rosie, Lily, Hugo, Malfoy e i due compagni di stanza di Tom.”
Elencò,
accartocciando la lettera con irritazione.
“Quindi?” Chiese confusa. “Mi sembra che
stia solo seguendo la procedura.
Interroghi prima le persone più vicine.”
“Appunto. Non ha
ancora
chiamato Al. Albus è il migliore amico di Tom, Ginny. E
Smith deve saperlo per
forza a questo punto.”
Hermione esitò,
poi si portò
una mano alla guancia, pensierosa. “Pensi che si sia
già fatto un’idea della
dinamica dei fatti? Che stia seguendo una strategia?”
“Penso che stia prendendo tempo con Albus per metterlo sotto
pressione. È una
tecnica che abbiamo usato spesso anche noi.” Diede
un’occhiata a Ron, che
annuì. “La persona più vicina al
soggetto sa di più, probabilmente si è
confessato con lei, o si è lasciato comunque sfuggire
qualcosa. Ha delle
informazioni, sa di averle.
Facendola
aspettare la porti ad innervosirsi…”
“Ne stai parlando come se Thomas fosse un
sospetto!” Sbottò Ginny incredula. “E
nostro figlio suo complice!”
Harry si incupì. “Perché ho paura che
sia questa l’idea che Smith si sia
fatto.”
****
Scozia,
Hogwarts.
Aula di Difesa contro le Arti Oscure.
Undici e mezzo di mattina.
“Mi dispiace
interrompere la
lezione, professore, ma Albus Severus Potter deve
uscire…”
Teddy alzò lo sguardo dal proiettore, dove stava caricando
alcune diapositive
sulla classificazione dei troll di montagna. Lanciò
un’occhiata al giovane
Tiratore Scelto che aveva aperto la porta senza premurarsi di bussare.
Impettito e dall’aria efficiente.
Non che pensasse male dei
tiratori,
ma sicuramente preferiva i mantelli foderati di rosso degli auror.
Più
familiari…
Lanciò
un’occhiata anche ad
Al, seduto in prima fila con Rose. Il ragazzo si era già
alzato, e aveva preso
la sua roba. “Eccomi.” Disse semplicemente. Vide
che giocherellava nervosamente
con la cinghia con cui aveva stretto i libri.
“Puoi andare Al,
ti farò avere
gli appunti della lezione.”
Il ragazzo sorrise appena, facendo un cenno a Rose, che si era sporta a
guardarlo.
Erano tutti dannatamente
nervosi.
Come non
biasimarli…
Ted aveva detestato il suo
interrogatorio. Era stato il primo, e questo se l’era
aspettato. Smith era
stato arrogante e subdolo. Ma bravo e questo non se l’era
aspettato.
A
quanto pare sa fare il suo lavoro…
L’uscita di Al fu
seguita da
una ventina di occhiate. Teddy si schiarì la voce.
“Riprendiamo la lezione ragazzi.”
Al si sentiva quasi marcare
stretto dal giovane agente: gli stava appiccicato neanche avesse paura
che
saltasse fuori da una finestra.
Non disse niente
però. Non era
il caso.
Sapeva che non era normale
che
l’avessero chiamato per ultimo. Ci doveva essere qualcosa
dietro.
Perché
non sono stato il primo?
Aspettare, tutte quelle ore,
l’aveva messo in un profondo stato d’agitazione.
Il tiratore si
fermò davanti
ad una porta, la aprì, facendogli cenno di entrare.
“Prego.”
Zacharias Smith si era preso
un ufficio al piano terra, quello che era stato una volta del primo
professore
di Difesa Oscura di suo padre, il professor Raptor. Era
un’aula in disuso, ma
in quel momento era stata approntata per essere una specie di sala
interrogatori. Quando l’agente aprì la porta, Al
si trovò di fronte ad una
stanza vuota, eccezion fatta per una cattedra e una sedia davanti.
Smith era
seduto dietro e stava sfogliando quello che sembrava un plico di fogli.
Deglutì,
nascondendo suo
malgrado un sorrisetto di scherno.
È
un modo grossolano per intimidire qualcuno, vero Tom?
“Agente…”
Formulò
cortesemente, stampandosi in faccia un sorriso educato.
L’uomo alzò gli occhi e
Al capì immediatamente che sospettava di lui. Non sapeva di
cosa, però.
“Prego, si sieda
Signor
Potter.”
Al obbedì,
posandosi i libri
sulle ginocchia.
“Mi dispiace
averla tolta alle
sue lezioni, ma il tempo stringe. Penso che
capirà.”
Al annuì, non trovando di meglio da fare o dire.
“Bene…”
Gli lanciò
un’occhiata. “Lei è molto amico di
Thomas Dursley, è così? Siete
cugini…”
“Adottivi. Tom è stato adottato dal cugino di mio
padre.” Chiarificò
automaticamente.
L’uomo fece un
cenno
distratto. “Sì, questo già lo sappiamo.
Risponda alla domanda per favore…”
Cosa diavolo è, un esame?
“Sì,
è il mio migliore amico.
Lo conosco da quando siamo bambini.”
“Siete della stessa casa… Serpeverde.”
Si staccò dal palato, lentamente. Al
trattenne una smorfia irritata. C’era ancora molta gente che
accomunava il
verde-argento automaticamente a doppiezza e sospetto.
Se
si è troppo stupidi per non vedervi dietro astuzia e
intelligenza…
“Compagni di
dormitorio, di
Casa. Passate molto tempo assieme…”
“Quando non è dai suoi nel Surrey,
sempre.” Confermò. Erano domande innocue
quelle, chiarificatrici. Inutili. Perché gliele stava
facendo?
Maledizione,
se avessi ascoltato papà, quando Jam lo
riempiva di domande…
“Non è
di molte parole, Signor
Potter…” Notò l’uomo,
stirando le labbra sottili in un sorriso. Se voleva
essere un gesto distensivo, Al non lo apprezzò per niente.
Anzi, sentiva
l’irritazione crescere. Avrebbe dovuto essere fuori a cercare
Tom, non a fargli
domande inutili sul suo carattere.
“Sono un
po’ nervoso…”
Mormorò, abbassando lo sguardo. Lo era, ma non nel senso che
stava cercando di
servire all’altro. Era irritato. Furioso. Spaventato.
“Non
c’è nulla di cui debba
preoccuparsi. Sono domande di routine… lei…
tu… Posso darti del tu?”
No.
“Certo…”
“Bene, Albus…”
“È Al.” Recitò in automatico,
prima di deglutire a disagio. L’uomo sembrò
sconcertato da quella precisazione, ma non disse nulla.
“Al…
che tipo di rapporti hai
con Thomas?”
Inspirò appena. Non intendeva nulla. In ogni caso, non era
quello il luogo dove
doveva spiegare i suoi rapporti con
il suo ragazzo.
“Amicizia. Siamo migliori amici, l’ho
già detto.”
“No, non hai capito…” Picchietto la
piuma sulle labbra, pensieroso. Era un
atteggiamento artificioso, era chiaro che stesse facendo una specie di
scenetta
per impressionarlo.
Esistono
davvero adulti così ridicoli?
“Intendo dire,
sono sempre
stati buoni i rapporti tra di voi? Avete mai litigato? Avuto qualche
scontro?”
“Come tutti gli amici, ma poi facevamo pace. Nessuno di noi
due ha un carattere
facile, ma ci compensiamo…” Replicò
sostenuto. Smith sentiva che era ostile, e
non gli importò di sembrarlo.
Al
diavolo.
“E in
quest’ultimo periodo?
Litigavate?”
“Come al solito…” Mormorò
evasivo. Lanciò un’occhiata al viso
dell’uomo. Era
rilassato in un’aria amichevole e la cosa non gli piacque per
niente. James
prima della lezione lo aveva avvicinato, o meglio, lo aveva tirato per
un braccio
finché non erano stati fuori vista.
“Sta’
attento a quello stronzo. Fa’ il simpatico, ma è
una serpe. Io ho tenuto duro e gli ho spiattellato la nostra versione.
Probabilmente pensa che sia un coglione. Non so però se
c’è cascato.”
Nel gergo da primate di James significava che non doveva prenderlo
affatto
sottogamba.
Incoraggiante…
“Intendi dire che
litigavate
spesso?” Lo riscosse dai suoi pensieri il poliziotto.
“No.” Serrò le labbra. “Tom
non aveva un carattere facile, tutto qui.” Si
sentì
del sudore gelido scendere lungo la nuca. Aveva l’impressione
di stare
sbagliando tutto.
Com’è
possibile che Jamie e Rosie hanno tenuto duro ed
io sto crollando alle prime domande?
“Capisco…”
Disse per tutta
risposta. “Ultimamente Thomas ti è sembrato
strano?”
“Nervoso. Era… nervoso. È stato
aggredito all’inizio della scuola ed ha
trascorso qualche giorno in infermeria. All’inizio ho pensato
che fosse per
quello che era sempre di cattivo umore…”
“E poi?”
“Poi ho capito che c’era qualcosa che lo
spaventava.” Quella era la parte su
cui doveva insistere. Era la verità, dopotutto.
“Non sapevo cosa e non riuscivo
a farmelo dire, per quanto insistessi… Alla fine me
l’ha detto, ieri… ieri sera
stesso.” Inspirò bruscamente, mentre sentiva una
morsa allo stomaco.
Se
solo non l’avessi lasciato andare via con la
Prynn…
a quest’ora sarebbe ancora qui. Sarebbe al sicuro.
Sarebbe
qui.
Smith annuì di
nuovo,
impercettibilmente. “E tu poi hai detto tutto ai tuoi amici e
a tua cugina.”
“Erano preoccupati anche loro. Dopo che io e James siamo
tornati alla Torre dei
Grifondoro erano con noi. Gli ho raccontato cosa era
successo… e quello che
avevamo visto nell’ufficio della professoressa.”
“Sì, a questo proposito… Sai che
abbiamo ritrovato la bacchetta di Tom?” L’uomo
inarcò le sopracciglia, attendendo una risposta. Continuava
a passarsi tra le
dita quella maledetta piuma.
Al desiderò
ardentemente
ficcargliela in un occhio.
Perché
non sei fuori a cercare Tom?
“Sì, lo
so. L’ho vista a
terra, vicino alla…” Inspirò,
ricordando quegli occhi vitrei, quella smorfia
congelata sul viso di una donna che poche manciate di minuti prima era viva. “… alla
professoressa.”
“Sai cos’è un Prior Incantato, Al?”
Gli chiese inaspettatamente, piantandogli gli occhi nei suoi. Ebbe la
sgradevole sensazione che tentasse di scavargli dentro.
Cercò di non deglutire
o dare qualsiasi segno di disagio.
“Serve per
rintracciare
l’ultimo incantesimo eseguito con una bacchetta.”
“Molto bene.” Confermò.
“L’abbiamo fatto sulla bacchetta di Thomas. Ed
è
venuto fuori che l’Avada Kedavra è stato lanciato da
lì.”
Al sentì una fitta attraversagli la nuca. Per un attimo fu
certo di non aver
capito bene.
Con
la bacchetta di Tom…?
Tom?
No.
Inspirò
bruscamente, sentendo
una fitta allo stomaco. “Non è stato Tom.
L’avrà usata il suo aggressore.
Gliel’avrà presa e l’avrà
usata per uccidere la professoressa.”
“Certo, questo John Doe…”
Aprì uno dei fascicoli sulla cattedra. Probabile
contenessero le dichiarazione degli altri. “Il misterioso
John Doe.” Schioccò le
labbra. “La signorina Weasley ci ha fornito una sua
descrizione. Lo ha
descritto, cito ‘come un ragazzo
biondo,
di media corporatura, vostro coetaneo’. Un
ragazzo… Forse uno studente?”
“No, no… Non credo.” Balbettò
frastornato. Rose non gliene aveva parlato. Cosa
diavolo stava succedendo? Quando l’aveva visto?
Poi capì.
Il
ragazzo biondo che Rose ha visto parlare con Tom
alla Stamberga Strillante.
Era
lui!
“La Signorina
Weasley non te
ne ha parlato?” Spiò, usando un tono odiosamente
incredulo. “Faccio fatica a
crederci. Pare che tra di voi vi diciate tutto…”
“Non capisco cosa…” Cercò di
dominarsi. Sentiva il sudore gelido bagnargli la
schiena. Perché non stava andando come aveva pianificato? A
quale diavolo di
gioco stava giocando quell’agente?
Smith si alzò
dalla sedia,
scendendo dalla sua posizione rialzata. A vederlo alla sua altezza non
sembrava
molto alto, e di certo assolutamente poco imponente. Eppure ebbe la
sgradevolissima sensazione di essere un insetto sotto la lente di
ingrandimento.
“Adesso Al, ti dico cosa penso io di questa
faccenda…” Si inginocchiò alla sua
altezza. “Penso che John Doe non esista. Penso che Thomas
abbia usato
l’aggressione dei Naga, nient’altro che il
tentativo folle di un mago radiato
dall’ordine di vendicarsi, per far credere a tutti di essere
ricattato, quando
in realtà è lui che ha orchestrato
tutto… con l’aiuto della professoressa
Prynn, sua complice. In giro si diceva che la bella professoressa fosse
invaghita di Thomas, lo sapevi? Che avessero una relazione.”
Cosa…?
Non riuscì a rispondere. Il cervello gli era
andato completamente in panne,
ma non dalla paura.
Dalla collera.
Quest’uomo
è un imbecille.
“Penso anche che
abbiano
ideato tutto questo per rubare oggetti di valore come la biblioteca del
professor Lupin o il Mantello dell’invisibilità di
tuo fratello James. Sapeva
dov’erano e come prenderli. Al mercato nero valgono centinaia
di migliaia di
galeoni… e ad un nato-babbano come Dursley la valuta dei
maghi può far gola.”
A
Tom? La sua famiglia è benestante anche per i canoni
magici, idiota!
“E sai anche cosa
penso? Penso
che ti abbia mentito, inventando un sacco di balle che tu
stai supportando, non solo dicendole a me adesso, ma facendole
imparare a memoria anche ai tuoi amici e familiari.” Si
rialzò, lanciandogli
uno sguardo quasi impietosito. “Ragazzino, non credevi mi
sarei accorto che
avete dato tutti la stessa identica versione? Siete stati insieme una
notte
intera, per tua stessa ammissione. Avete avuto tutto il
tempo.”
Al serrò i pugni: non si era mai sentito così
furioso in vita sua, talmente
furioso che non riusciva neanche a parlare. In quel momento sentiva la
bacchetta nella tasca del mantello pesare come un macigno, urlando per
essere
liberata e per essere usata per
tappare la bocca a quell’incompetente.
“Lei non ha capito
niente.” Sibilò
sentendo le parole
bruciare in gola come acido. “Tom è stato
rapito… Tom non ha ucciso nessuno! È
stato…”
“John Doe? Un ragazzo misterioso di cui non si ha traccia
né notizia, tranne
una descrizione sommaria di una ragazza che è stata palesemente plagiata dal migliore amico
del soggetto!” Sbottò
l’uomo, in uno scoppio di aggressività che lo fece
sussultare. “Ragazzino, i
fatti parlano chiaro. La bacchetta che ha ucciso era di Thomas Dursley,
chi ha
aggredito il professor Lupin corrispondeva alla descrizione di Thomas
Dursley e
tu stai coprendo un…”
“Stia zitto!”
Urlò saltando in piedi.
Sentiva il respiro spezzarsi e prese ampie boccate d’aria per
poter continuare.
“Tom non è un assassino!”
L’uomo
avvampò in volto, palesemente
indisposto da quello scoppio di rabbia. “Si sieda, Signor
Potter.”
Ma non poteva dargli retta. Sentiva la rabbia offuscargli lo sguardo.
Non sta capendo niente! Tom è
là fuori, e
loro cercano di incolparlo invece che salvarlo!
Sta
perdendo tempo! Sta perdendo tempo prezioso!
“A lei serve un colpevole! È
così?!” Lo interrogò senza
più timore di
fissarlo negli occhi. Gli adulti erano orribili. Perché
avrebbe dovuto portar
loro rispetto? “A lei non importa niente di ritrovare Tom, a
lei importa solo di
trovare un assassino!”
Dovrebbero
proteggerci. Non dovrebbero ingannarci,
uccidere e portarci via!
L’accusa
sembrò andare a
fondo, da come l’uomo storse il viso in una smorfia. Lo vide
sfuggirgli per un
attimo lo sguardo. “Si sieda immediatamente!”
“Cosa vuole sapere
da me? Se
ho chiesto ai miei amici di dire la verità in modo che Tom
non venisse messo in
una brutta posizione? Sì, l’ho fatto.”
Sbottò, mentre sentiva il sudore
colargli lungo la fronte. Si stava di nuovo sentendo male, ma non gli
importava.
Non gli importava neanche di stare aggredendo un membro delle forze di
difesa
magiche. “Ho detto loro di raccontare come era spaventato,
confuso e terrorizzato da qualcuno
che lo teneva
continuamente in scacco con giochetti mentali! John Doe esiste,
e gli ha imbottito la testa di stronzate, per fargli
credere di non avere più un amico al mondo, di poter avere
la verità sul suo
passato e di poterla avere ad un prezzo che non gli ha mai
detto… Mai. Questa è
l’unica versione che sentirà dalle mie
labbra… questa è la verità.”
Finì,
passandosi una mano sul viso.
Si sentiva fitte continue
alla
nuca, e gli veniva da vomitare. Chiuse gli occhi, crollando di nuovo
sulla
sedia.
Non gli importava
più niente.
Non gli importava se quell’imbecille lo avrebbe sbattuto in
cella, non gli
importava se l’avrebbe considerato un ragazzino fuori di
testa, o un
plagiatore, un complice.
“Bene.”
Sentì dire dalla voce
di nuovo controllata dell’agente Smith. “Credo che
possa bastare. Può andare.”
Al aprì gli occhi. Cercò una qualche emozione nel
volto dell’uomo, ma non ne
trovò nessuna. Non era neppure in grado di cercarle al
momento. Si alzò,
abbandonando l’aula senza neanche degnare di uno sguardo il
Tiratore che
avrebbe dovuto scortarlo di nuovo a lezione.
“Al!”
Sentì urlare alle sue spalle. Era quasi certo fosse la voce
di
James. Tirò dritto. Qualcosa gli impediva di fermarsi. Anzi,
no. Era certo che se si sarebbe
fermato sarebbe
morto. Uscì dal portone di ingresso, superando il cortile di
pietra, tirando
persino un colpo ad un gruppo di primini che si scansarono sbalorditi.
“Al, fermati cazzo!”
Era sicuramente James.
La sua ridicola corsa verso
il
nulla durò poco però. L’adrenalina che
aveva in corpo lo mollò nei pressi della
capanna di Hagrid. O forse fu James a placcarlo, non ne fu mai
completamente
certo.
Si sentì voltare bruscamente. Ah, era proprio James.
Notò che non aveva il
maglione, ma era in maniche di camicia.
Che
idiota… con il freddo che fa va sempre in giro a
pavoneggiarsi dei suoi muscoli…
“Al, che
è successo? Ho
sentito urlare, ero nascosto dietro le armature. Che ti ha fatto quel
bastardo
di Smith!?” Lo prese per le spalle, tenendolo stretto. Aveva
le mani bollenti
suo fratello. Si accorse improvvisamente di essere di nuovo freddo come
un
ghiacciolo.
“Dimmelo!”
Lo incalzò. “Se ti
ha fatto qualcosa, se ti ha messo versato qualche pozione o fatto
qualche
fattura per farti confessare qualche puttanata io lo
ammazzo!”
“Non ha… capito niente…”
Mormorò soltanto, sentendo la voce uscire come un
sussurro. Curioso, visto che fino a poco prima aveva urlato.
“Non ha capito
niente… di Tom. Lo ha… accusato.”
James inspirò.
“Ehi, guardami Al.”
Disse serio. “Quel figlio di puttana io con questo caso cerca
la promozione. Vuole
chiudere in fretta le cose… ma l’ha capito che Tom
non c’entra. E questo gli
rode. Gli abbiamo tutti detto la stessa cosa, e con te voleva giocare
l’ultima
carta. Voleva farti contraddire… trovare un appiglio, un
movente per cui
avrebbe dovuto far secca la Prynn e sparire nel nulla. Così
invece di cercare
un ragazzo rapito avrebbe cercato un assassino. Sai
quant’è più facile? Una
persona in meno. Ma non ha niente in mano per accusarlo. Niente.”
Al assorbì tutto quel discorso come un assetato beveva acqua
da una fonte
gelata. Sì, aveva un senso.
Se
non altro i ragazzi hanno tenuto duro e ti hanno
difeso, hai visto Tom?
E poi si rese conto di
quanto
fosse effettivamente ridicolo parlare con lui. Perché non
c’era.
Non
c’è…
Improvvisamente quel globo
solido di paura, rabbia e dolore, che gli aveva impedito per ore di
piangere,
manifestare emozioni, si ruppe.
Voglio
Tom…
James non era mai stato una
persona empatica con Albus. A dire il vero di solito era sensibile come
una
delle padelle a doppio fondo di sua nonna Molly.
E gli stava benissimo. Era una legge di natura.
Erano fratelli maschi.
Quindi non riusciva davvero
a
capire cosa significava quell’espressione stranissima sulla
faccia del
fratellino. Gli tremavano tremendamente le labbra però.
Poi si sentì
placcare. O
meglio, a posteriori capì che era un abbraccio disperato.
Al gli crollò
letteralmente
tra le braccia. Le gambe gli cedettero e fu costretto a sedersi con lui
a
terra, per non doverlo reggere a peso morto.
“Al…
cosa diavolo…” Essere
abbracciato, a terra, in mezzo al campo di zucche di Hagrid con suo
fratello
era una cosa che non avrebbe pensato di fare neanche quando aveva sei
anni.
Figuriamoci
a diciassette…
Poi lo sentì
piangere. Al gli
aveva schiacciato la faccia contro il petto – aveva
già detto che gli era
franato addosso? – e singhiozzava. Senza ritegno, come lui
avrebbe fatto solo
in rarissimi casi, da solo, probabilmente a chilometri da qualsiasi
presenza
umana.
Mormorava qualcosa. Si
chinò,
goffamente, per cercare di capire e quando decifrò i
singhiozzi si sentì
serrare il cuore in una morsa.
Chiamava Tom.
E si sentì
davvero orribile,
per quanto fosse assurdo, a non riuscire a darglielo.
****
Torre
di Grifondoro. Pomeriggio.
Ted aveva finito le lezioni
una decina di minuti prima quel giorno. Aveva congedato i suoi studenti
perché
non riusciva a concentrarsi a sufficienza. Ed era suo monito interiore
dare
sempre il massimo durante le lezioni.
Adesso si trovava seduto su
una delle soffici poltrone della Sala Comune di Grifondoro, a fissare
il fuoco.
L’interrogatorio
di Albus si
era concluso con Al di nuovo alla Torre, chiuso in camera di James.
Maledizione,
che situazione orribile…
Si sentiva impotente. Un
ragazzino.
Cosa
avrebbe fatto Harry nei miei panni?
Ci rifletté
brevemente e stirò
un mezzo sorriso.
Probabilmente
si sarebbe fatto espellere per aver
affatturato Smith…
Sentì qualcuno
scendere le
scale. Fu felice si trattasse di James. Era stato lui a riacchiappare
Al dopo
che era letteralmente scappato da Smith, come lo aveva informato il
giovane
Tiratore Scelto che si era scusato per non averglielo riportato in
classe.
“Come
sta?”
James fece una smorfia. “Meglio… Ha pianto come
una ragazzina di dieci per
un’oretta e poi si è addormentato. Adesso ci sono
Rosie e Lils con lui.” Stirò
un mezzo sogghigno. “È tornato in sé.
Avevo paura, dopo ieri sera, di dover
chiamare un esorcista.” Tornò serio, incrociando
le braccia al petto. “Smith comunque
è un figlio di puttana.”
“Smith ha
esagerato.” Convenne
con un sospiro, passandosi le dita trai capelli. “Ma sta
cercando…”
“Un colpevole. E sperava con tutto il cuore che fosse Tom.
Così si sarebbe
risparmiato di dover capire chi diavolo era John Doe.” James
in quel momento
sembrava incredibilmente stanco. Lo erano tutti, ma sembrava
decisamente
sfibrato.
“Ti va un
the?” Gli uscì di
getto sentendosi leggermente inappropriato e ridicolo. Ma tutta quella
situazione era inappropriata e ridicola, perciò…
James sorrise, e fu il primo
sorriso sincero che gli avesse visto fare da quarantotto ore.
L’ultima
volta eravamo ad Hogsmeade e…
Deglutì
interiormente.
“Sicuro! Ho
proprio bisogno di
invecchiettirmi un
po’.”
“Oh, falla finita.” Sbuffò, senza
riuscire ad essere autoritario: la realtà era
che in quella situazione si sentiva ragazzino quanto lui.
“Avanti, andiamo. E
mettiti qualcosa sopra. Non hai freddo?”
“Io ho sempre caldo.” Replicò
afferrandogli una mano e stringendola. Era
effettivamente piuttosto bollente. “Senti? Che mi metto a
fare uno di quei
maglioncini orribili? Mi fanno sentire un idiota.”
Ted represse una leggera risata, infilando la mano in tasca con
nonchalance,
per evitare che qualcuno degli studenti entrasse e li beccasse mano
nella mano.
Inappropriato.
“Non ti facevo
così vanitoso,
Jamie…”
“Certo che lo sono. Sono un figo, fa parte della dotazione
esserlo.” Ghignò irriverente.
“Prima tu, Teddy.” Indicò il passaggio
con un cenno galante. Ted alzò gli occhi
al cielo, e si apprestò a passare per primo.
Cinque minuti dopo erano
seduti sulle poltrone del suo salottino privato, mentre James guardava
con
occhi pigro e rilassato il the che sobbolliva nel bricco.
Era una scena… di
una certa
intimità familiare, doveva ammetterlo.
“Grazie.”
Mormorò James,
rompendo il silenzio che li aveva accompagnati fino a quel momento.
“Ne avevo
davvero bisogno. Voglio dire… consolare fratellini emotivi,
elaborare piani e
tutto il resto… è stancante.”
“Lo immagino.” Gli sorrise. Era in piedi davanti al
fuoco, e lo stava
attizzando da circa cinque minuti. Ne erano bastati due per far
riprendere le
braci. Ma aveva bisogno di tenere qualcosa in mano, e di non guardare
troppo in
direzione dell’altro ragazzo.
Che si era allungato sulla
poltrona, facendo salire casualmente la camicia fin poco sopra
l’ombelico. E
davvero, non voleva notare come i pantaloni gli stessero mollemente
appoggiati
a qualche impercettibile e -oh,
Merlino
benedetto – erotico millimetro sotto la linea del bacino.
Dovrebbero
essere casti pantaloni dell’uniforme! Gli
ha fatto qualcosa, lo so!
“… Che
stai guardando Teddy?”
Anche senza alzare lo sguardo lo sentì sogghignare.
Sperò di non essere arrossito. E non in faccia.
“Mi chiedevo
perché quei
pantaloni sembrano avere un taglio diverso dal quello
regolamentare.” Spiegò
neutro, tornando a guardare il fuoco che scoppiettava allegro
– maledetto.
“Perché ci ho lavorato su.”
Replicò in tono soddisfatto. “O meglio, ci ha
lavorato Lily. Nella versione normale mi stanno in modo
atroce… Sembra abbia un
pannolone. Non sto bene con le uniformi.”
“Che
sciocchezza…” Si schiarì
la voce, controllando lo stato del the. Gettò una manciata
di foglie a caso,
senza rendersi conto che era la miscela mattutina.
“In effetti rendo
meglio nudo.
Vuoi vedere?”
“James!”
Lo sentì ridere, e non riuscì ad avercela con lui
per essere una carognetta
inopportuna. Non trovò nulla da ridire neppure quando si
alzò, raggiungendolo.
Due nano-secondi dopo si sentì abbracciare da dietro.
A quel punto si
irrigidì.
Inopportuno. Inopportuno. Inopportuno.
Specie il modo assolutamente perfetto con cui il corpo di
James combaciava
con il suo.
“Scusa,
scusa…” Lo sentì
mormorare contro la sua spalla. “Volevo prenderti un
po’ in giro… Mi fa bene,
mi fa sembrare che sia tutto normale.”
Teddy sospirò e
levò la mano,
accarezzandogli una guancia. Era liscia, ma ispida in certi punti.
James aveva
la barba. Questa cosa stranamente lo intenerì.
“Vedrai che le
cose si
sistemeranno. Troveranno Tom.”
“Lo spero… o Al.” Esitò.
“Al ne morirà…”
“Sono molto amici, è stato un duro colpo per
lui.”
“Teddy, sono due innamorati.” Sospirò,
con l’aria di chi sputasse fuori
qualcosa perché era inevitabile.
“…
Scusa?”
Oh,
Merlino, Harry ha due…
…
Beh,
c’è sempre Lily.
“Al
e Tom giocano a maritino e moglie,
più chiaro così?” Ironizzò,
ignaro dei suoi retropensieri, come del fatto che
avesse dato per scontato che sarebbe rimasto gay e appiccicato a lui
per il
resto della vita.
Sei
un po’ patetico, Ted, vecchio mio.
“Ne sei
sicuro?” Si schiarì la
voce, togliendo il bricco fischiante dal fuoco. Si stava quasi
abituando al
peso di James sulla schiena. E alle sue mani sulla vita.
“No,
ovviamente… Se non fosse
che Albie si sta comportando come una donzelletta
abbandonata.” Grugnì una
risatina, poi tornò serio. “Questa situazione fa
schifo.”
“Migliorerà.” Assicurò.
James fece uno sbuffo, che
fu
un soffio d’aria calda contro il suo collo.
Rabbrividì.
Oh,
Ted, è ufficiale. Ti piacciono i maschietti… - Recitò una vocetta
odiosa, in fondo alla sua testa.
“Da quando fai
l’ottimista
Teddy?”
“Cerco solo di dire la cosa giusta…”
Guardò con attenzione le due tazze
fumiganti che aveva appena riempito fino all’orlo. Non si
azzardò però a
prenderne una in mano. Era certo che se la sarebbe rovesciata addosso.
“Teddy hai i
capelli… Uhm.
Direi di un curioso miscuglio di rosso e rosa. Che vuol
dire?” Indagò James,
con la voce improvvisamente vicinissima al suo orecchio.
“Eh?”
“…” Esplicò
intelligentemente, sentendosi improvvisamente i jeans tesi
all’altezza del cavallo.
Oh.
Merlino. Benedetto. Sto tornando un quattordicenne
in fregola!
…
Come se lo fossi mai stato. Sto diventando
un
quattordicenne in fregola.
“Fammi
indovinare.” Sentì le
mani di James insinuarsi sotto il suo maglione, oltre la sua camicia,
direttamente sulla sua pelle nuda. “Ti sto facendo effetto?
No, perché un po’
ci speravo…”
“Jamie…”
Tentò. Davvero, tentò.
Poi James lo
voltò e lo baciò.
C’era qualcosa di fondamentalmente diverso nei baci di James,
rispetto a quelli
di Vic. Non c’era arrendevolezza. Nessuna. Gli si offriva, ma
sembrava sfidarlo
a prendersi qualcosa.
La qual cosa gli piaceva da
morire.
Gli bloccò i
polsi,
togliendoli dai suoi fianchi, mentre faceva forza per spingerlo lontano
dal
tavolo.
James rise nel bacio
– oh,
sentì la sua risata vibrargli sulle labbra – e si
fece allontanare, solo il
tempo per passargli le braccia attorno al collo e stringersi a lui.
Sentiva
ogni suo singolo muscolo irradiare calore attraverso la camicia.
In fondo non era
così male che
avesse sempre caldo, rifletté mentre faceva qualche goffo
passo in avanti per
poggiarlo su una superficie qualsiasi, per imprigionarlo e per
impedirgli di
scappare.
Non scappare Jamie…
Rovesciarono
nell’ordine metà
libreria, un piccolo poggia-piedi, una pila di riviste su uno sgabello,
prima
che James crollasse sul divano, tirandoselo dietro. Si
staccò dal bacio,
erompendo finalmente in una risata.
“Cavolo, Teddy, se
eri represso!”
Ghignò beato. Gli brillavano gli occhi, e vicino al fuoco
sembravano cioccolata
fondente.
“Sì, lo
ero. Tantissimo.”
Convenne, mentre cercava di non ridere. Gli passò le mani
sulle guance, con
attenzione. L’effetto che gli faceva James era stupefacente.
Si sentiva libero.
Ed era inebriante come respirare
ad alta quota.
“Tantissimo…”
Lo imitò. “Ma
non preoccuparti, mio povero Teddy. Ti stappo
io.” Disse con aria furba, mentre gli afferrava i lembi del
maglione e tirava.
Si trovò assolutamente d’accordo nel toglierselo.
Del
resto fa piuttosto caldo.
“Come funziona
questa cosa
dello stappare?” Si informò, sentendosi la bocca
secca quando, riemergendo dal
maglione, trovo improvvisamente James senza camicia.
Come
ha fatto a togliersela così velocemente?!
Comunque
non era quello il punto. Il
punto era che gli piaceva ciò che vedeva.
Deglutì, senza sapere che pesci
prendere. Piuttosto ridicolo, ne conveniva.
“Teddy,
Teddy…” Soffiò James,
e Merlino, era la cosa più fottutamente – Merlino,
aveva detto fottutamente? – provocante che avesse mai visto.
Non era questione
di essere uomo o donna.
James era bello. Punto.
“Funziona…”
James aveva la
bacchetta tra le dita e gli toccò leggermente la maglietta.
Un momento dopo era
sparita. L’aveva fatta evanescere. “…
che stavolta ti insegno io.” Concluse,
prima di tirarlo giù.
Le labbra di James erano decisamente da abolire se si voleva mantenere
un
minimo di dignità.
Perché si trovo a
sussultare
quando se le trovò ad altezza cuore, impegnate in
attività che lo spinsero poi
a gemere come mai aveva fatto.
James poi gli diede una spinta, neanche troppo gentile che lo fece
ricadere
seduto sul maltrattato divano, con la schiena appoggiata ai cuscini. Lo
squadrò
poi critico, con un sogghigno mefistofelico.
“Così
va meglio. È la
posizione giusta.”
“… Per cosa?” Non che gli importasse
veramente saperlo, ora che James si era
liberato dei pantaloni.
Si sentiva imbarazzato
–
quello purtroppo faceva parte del suo essere – ma anche
incredibilmente
eccitato. Forse era la situazione, fuori la furia del mondo, dentro
solo loro
due, a renderlo meno pensante…
Ma lo voleva. Voleva James.
In
fondo era talmente semplice…
“Indovina?”
Lo riscosse James,
sedendoglisi a cavalcioni con una naturalezza invidiabile. Teddy
inspirò
bruscamente. Il contatto con un’altra eccitazione maschile,
per la prima volta,
era…
Fantastico.
E
mi si perdoni la carenza di aggettivi.
“Niente male,
eh?” Sogghignò,
incapace a quanto pare di starsene zitto. Teddy sbuffò,
tirandogli un
pizzicotto sul fianco. Lo sentì ridere sorpreso, mentre gli
affondava il viso
nei capelli.
“Ora sono
arancioni, Teddy…”
Mormorò mentre l’ultima barriera di stoffa
scompariva, facendogli sentire la
morbidezza di quelle natiche sode tra le dita. “…
che vuol dire?”
“Indovina…”
James, poi,
gli sorrise, chinandosi a baciarlo di nuovo, mentre si
accomodava tra le sue braccia, sul divano. Ce n’erano stai
tanti, di baci,
prima, durante e dopo. Non era riuscito a smettere di baciarlo neanche
un
secondo.
O forse era stato James? Non
che avesse importanza.
Gli accarezzò la
schiena,
stringendoselo addosso, mentre si beava del calore della pelle nuda.
Aveva fatto sesso con un
ragazzo. Un maschio. Aveva fatto sesso con James e si sentiva
benissimo. È
“Assolutamente
inappropriato…”
Mormorò tra sé e sé, mentre gli veniva
da ridere. Forse era la follia della
situazione o qualche gene malandrino riportato a nuova vita.
Chissà…
James si scostò
leggermente
per guardarlo: probabile che l’avesse sentito.
Fu uno sguardo assorto.
Conservava
comunque un’ombra di compiacimento, come quando da bambino
sbucava fuori da
qualche angolo urlandogli ‘te l’ho fatta
Teddy!’
Eh
sì… me l’hai proprio fatta.
“È
stata una lezione molto
istruttiva.” Si sentì in dovere di chiarificargli.
“Anche se non ho capito bene
cosa c’entrasse lo stappare.”
James sbuffò divertito. “È gergo
giovanile, Teddy. Non mi aspetto che tu lo
sappia, tranquillo.”
“Spiritoso…” Gli tirò un
ricciolo arruffato sulla nuca. “Guarda che ho
ventiquattro anni.”
“Oh, finalmente! Te ne sei accorto pure tu!”
Poi sentì che
James gli
infilava la testa nell’incavo del collo. Gli passò
un braccio dietro la nuca,
facilitandogli il compito.
Aspettò. Voleva
dirgli
qualcosa, lo sapeva.
“Ce ne hai messo
di tempo…”
Sussurrò alla fine. “Ma sei arrivato.”
Da
me.
Teddy
capì che intendeva proprio
quello. Lo sapeva, semplicemente. Con la stessa magica sicurezza con
cui quella
volta, prima di partire per la Francia, aveva saputo trovarlo trai suoi
centinaia di nascondigli preferiti.
Lo strinse a sé,
baciandogli
la testa.
“Scusami se ci ho messo tanto… Adesso sono
qui.”
E
non ho intenzione di andarmene.
Se è
tardi a trovarmi insisti.
Se non
ci sono in un posto cerca in un altro,
perché
io son fermo da qualche parte ad aspettare te.
(Canto di me stesso, Walt
Whitman)
****
Note:
1-
Qui la canzone. Avevo detto che li avrei riusati?
L’ho fatto. XD
Okay, questa aggiunta finale
era puro fan-service. Ecco la mancanza di una connessione cosa fa! T_T
Alla fine ormai si contano pochi capitoli! Tenete duro, gente! ;D
|
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Capitolo 48 *** Capitolo XLIII ***
Ehi, gente, 100 tra le
seguite
e 70 trai preferiti e duecento e passa tra le visite… Dai,
lasciatemi un segno
della vostra presenza, siamo quasi alla fine! :D
@Nicky_Iron: Hai ragione, non ci
avevo mai pensato! In effetti la Row non si è resa conto, mi
sa, che facendo
fare l’auror a Harry avrebbe finito per fargli rischiare lo
spossessamento ad
ogni missione. Però c’è da dire che la
bacchetta non l’ha mai con sé, ma è al
sicuro nella tomba di Silente, quindi, qualora dovessero spossessarlo
dovrebbero comunque poi andarsela a prendere. Boh, in effetti ora che
mi ci fai
pensare non è stata tanto furba! XD Comunque mi dispiace per
i capitoli di
stallo, presto ci sarà la fine ;)
Non preoccuparti per l’epilogo. Questa è solo la
prima parte della storia. Ce
n’è una seconda, in cui vedremo i nostri pg
finalmente (o quasi) sereni. ;)
@Aga: Grazie!
Sì, avevo paura di esagerare con l’angst di Albus
ma a quanto pare è stato
apprezzato!
@Trixina:
Ciao! Sempre puntuale, lo sai che ti adoro? Figurati se non puoi usare
tutte le
frasi che vuoi sul tuo fb… basta che mi crediti! XD Aahah,
Lily ti piace
quindi? Avrà più spazio te lo prometto, non
appena sarà finita questa prima
parte. Ha molto potenziale, e poi… mi è utile
*risata sadica* Ahaah, per quanto
riguarda Al gli faccio presente il vostro affetto, ma povero
tesoro… è tutto
raggomitolato sul letto che pigola ‘Tom’. Ah,
‘sto benedetto ragazzo! Per
quanto riguarda la scena Teddy/James… credimi, io ci ho
messo secoli per
cominciare a scrivere lemon, e ancora come vedi i risultati sono
più che altro…
limonata. :P Un consiglio può essere di scriverla solo per
te stessa. Nel
senso, non pensare che la posti, o ti verrà la timidezza la
paura ‘ma sto
scrivendo roba ridicola?’ Scrivila come se non dovessi
pubblicarla… e poi pubblicala!
XD
@Pheeny: Ciao!
Benvenuta! Sì, anche io sono sempre un po’
perplessa sulle storie con pairing
non dichiarato, ma purtroppo trattandosi della new generation non
c’era modo
per metterlo, se non strombazzarlo nell’introduzione, e non
mi piaceva. :P Le
rivelazioni padre-figli verranno fatte, non preoccuparti! XD E grazie
per i
complimenti, non preoccuparti, la recensione era perfetta! :D
@SimoMart:
Wow, hai fatto un lavoraccio fantastico! Una
recensione per ogni capitolo… troppo buona! *_* Davvero,
sì, sono una
scrittrice senza Dio, però ti adoro! Devo ammette che hai
centrato molti punti
che ho voluto sottolineare senza spiegarli bene, e sono felice che tu
abbia
letto così attentamente la mia storia! Sì, anche
io ho preferito la scena
Teddy/James… diciamo perché l’ho
scritta più facilmente. XD Del resto è
più semplice di scrivere di pg con
qualche esperienza, che pg alle prime armi nel campo del
sesso… XD Qui ci sarà
un piccolo momento Rose/Scorpius ma purtroppo per il fluff dovrai
aspettare. ^^
Spero di non deluderti comunque, e grazie, grazie, grazie davvero!
****
Capitolo XLIII
"Uno si aspetta che siano altre cose
a salvare la gente:
il
dovere, l'onestà, essere buoni, essere
giusti.
No.
Sono i desideri che salvano. Sono
l'unica cosa vera."
(Oceano
Mare, Baricco)
9
Novembre 2022
Surrey,
Little Whinging, Privet Drive.
Pomeriggio.
Harry seguiva con lo sguardo
il corso mutevole delle nuvole nel cielo di Privet Drive.
Quante volte
l’aveva fatto
durante la sua infanzia?
Tornare lì ogni volta gli dava sensazioni contrastanti: se
da una parte c’era la
rabbia per come i Dursley lo avevano trattato, castrandolo e
mortificandolo fin
da piccolo, dall’altra provava comunque nostalgia.
Fece un mezzo sorriso:
dopotutto
Silente aveva avuto le sue ragioni a lasciarlo lì, anche
contro la sua volontà.
Avevi
ragione, vecchio manipolatore… questo è un posto
che ho potuto chiamare casa.
C’era poi il
fattore tempo.
Ormai l’amarezza che aveva patito da ragazzo si era
stemperata, anche a causa
della guerra. Durante gli ultimi mesi, in cui i mangiamorte
spadroneggiavano, i
Dursley erano stati costretti a nascondersi, proprio perché
suoi parenti. Aveva
saputo poi che si erano ritirati nella vecchia casa degli Evans, morti
anni
prima: erano stati loro infatti a
morire
in un incidente stradale.
(Aveva sempre pensato che
sua
zia non fosse granché fantasiosa. Aveva trasferito una causa
di morte da una
coppia di coniugi all’altra.)
Petunia era ancora
là, a Cokeworth¹, a curare ortensie nel giardino della sua infanzia.
Dudley invece era
tornato a Privet Drive quando si era sposato, dopo un breve periodo
passato a
tentar fortuna – e forse ad accumulare porte in faccia
– a Londra.
Era lì che aveva conosciuto Robin, la sua futura moglie.
Harry era stato invitato al
loro matrimonio, e ricordava ancora nitidamente lo sconcerto provato
quando la
donna gli era stata presentata. Robin era bella, intelligente,
fisicamente
simile a zia Petunia, ma decisamente
più simpatica. Con suo sommo stupore la ragazza non solo era
sembrata
sinceramente entusiasta di conoscere lui e Ginny, ma dopo un paio di
giri di
brandy gli aveva confidato di avere un cugino mago, che in famiglia era
tenuto
in gran considerazione.
Aveva ricominciato a
rivalutare Dudley da quel momento.
Aveva pensato ai novelli
Dursley come genitori per Tom non solo perché Dud era suo
cugino. Ma anche
perché non erano i
Dursley, non
quelli con cui era cresciuto lui almeno.
E non aveva sbagliato. Tom
era
cresciuto in una famiglia che gli voleva bene. Per anni era stato
attento al
minimo segno di odio o insofferenza da parte loro, ma non ne aveva mai
visto
uno.
Lo
prova il fatto che ha saputo di essere stato
adottato solo quando si è reso conto che la sua intera
famiglia era troppo babbana
per poter aver dato alla luce un mago…
Il rombo di una macchina lo
distolse dai suoi pensieri: la familiare di Dudley stava imboccando il
vialetto
di ingresso. Sapeva che quel giorno l’avrebbe trovato solo.
Robin, che gestiva
un piccolo caffè artistico in centro, lo avrebbe tenuto
aperto fino a tardi. E
Alice e Vernon dovevano essere ai rispettivi collegi fuori
città.
Si alzò
dall’altalena,
sistemandosi gli occhiali sul naso, attendendo.
A
proposito di attendere…
Aveva mandato quella mattina
un gufo a Smith, ma naturalmente non aveva ancora avuto risposta.
Restare a
casa era fuori discussione: aspettare era qualcosa che aveva fatto per
tutta la
sua infanzia. E l’aveva sempre odiato.
Dudley, infagottato nel
proprio impermeabile, stava risalendo il vialetto lastricato, la
ventiquattro
ore sotto il braccio. Non ci mise molto a notarlo.
“Che diavolo ci
fai in casa
mia?” Sbottò, aprendo il piccolo cancello del
giardino ed entrando dentro. “Chi
ti ha fatto entrare?”
“Dudley, il cancello non ha la chiave.”
Obbiettò ragionevole. Ed io ho una
bacchetta – ma questo non
lo disse. “Devo parlarti.”
“Io no. Non vedo
di cosa
dovremo parlare. Finché non ho il mio ragazzo a casa, qui tu
non sei benvenuto!”
“Ho bisogno anche del tuo aiuto per riportarcelo.”
Ed ho bisogno che tu mi perdoni per non
averlo saputo proteggere… - Questo era un pensiero
umiliante, ma vero. La
Sindrome dell’Eroe aveva dei risvolti emotivi piuttosto
preoccupanti.
Dudley gli lanciò
un lungo
sguardo che riassumeva perfettamente gli anni di diffidenza che li
avevano
separati, e che tutt’ora li tenevano distanti. “La
vostra magia…” Sputò. “I
vostri abracadabra… oh, notevoli, senza dubbio! Mi hanno
quasi ammazzato un
paio di volte. E adesso mi portano via un figlio. Come dovrei
comportarmi, eh
Harry? Dimmelo tu. Cosa dovrei pensare del tuo mondo magico?”
Harry inspirò. Solo con gli anni era riuscito a vedere le
cose dal punto di
vista dei babbani. Dudley era spaventato.
E
ciò che ti spaventa si odia.
Era un equazione semplice,
ma
ci aveva messo quasi vent’anni per capirla.
“Ti assicuro che
il mio mondo
non è poi così diverso dal tuo, tranne che per il
fatto che invece della
tecnologia usiamo la magia.” Spiegò pacato.
“Le persone vengono rapite in
entrambi i mondi… e senza informazioni le indagini non vanno
avanti in…”
“Ho capito. Puoi finirla con le tue arringhe da
salvatore.” Replicò brusco. “Ne
sento e ascolto tutti i giorni in tribunale. Farò il
possibile per ritrovare il
ragazzo, mi pare ovvio. Anche se non so quanto potrò esserti
di aiuto… Thomas con
me è un’ostrica.” Brontolò
adombrandosi.
“Sì,
non si confida
facilmente…”
“Facilmente?” Lo
guardò come se
pensasse che fosse un idiota. Una sensazione curiosa, se associata a
Dudley. “È
così da quando è capace di parola, e
t’assicuro che lo è stato piuttosto
presto.” Si sedette pesantemente su una delle tre panchine
strategicamente
disposte nel giardinetto. Prese il pacchetto di sigarette e se ne
accese una.
La osservò per un po’. “Del resto io non
mi sono mai fatto in quattro per
cavargli fuori niente…”
Sembrava sfinito. E
preoccupato. Harry pensò che probabilmente era il solo a
poterlo capire.
“Tu sei un buon
padre,
Dudley.”
“Per Vernon e Alicia, forse.” Ribatté.
“Perché li capisco. Posso capire quando
Vern mi chiama per parlarmi di ragazze, o so come sgridarlo quando
prende un
brutto voto a scuola. Persino Alicia, che è una
femmina… Ma Thomas… è un mago.” Ammise alla fine.
“È un
adolescente più che
altro.” Sospirò, sedendosi accanto a lui. Dudley
non diede cenno di
insofferenza. Lo considerò un passo avanti.
“Neanche io so come prendere i miei
figli il più delle volte…”
“Oh, fammi il
favore. Ti
adorano come se fossi fatto d’oro.”
Grugnì, prendendo un tiro di sigaretta.
“Sei il loro eroe. Per Thomas io sono il babbano che
l’ha cresciuto…” Lo fermò
con una mano prima che potesse ribattere. “Ma non sono qui
per piangermi
addosso. Come posso aiutarti?”
Harry guardò l’altalena. Ricordava ancora la
conversazione con Thomas
undicenne. Gli sembrava pochi anni prima, invece ormai Tom era quasi un
mago
maggiorenne…
Sto
invecchiando…
“Prima che
tornasse a scuola hai
notato qualche comportamento strano in lui?”
Dudley ci rifletté. “Non più del
solito. È un lupo solitario quando è qui. Non
ha amici e sta tutto il giorno rintanato in camera con il naso nei
libri e la
musica a livello a malapena sopportabile. Ogni tanto Robin lo obbliga
ad uscire
con la scusa di pulirgliela… ma se ne va al parchetto a fare
le stesse cose.”
Concluse con una smorfia. “Quest’estate non
è stata diversa.”
“Non ha conosciuto
nessuno
quindi, che tu sappia?”
“No, nessuno. Ci
saremo
accorti se avesse avuto un nuovo amico. Sarà uscito dieci
volte in due mesi, e
sempre da solo…”
I contatti con Doe allora risalgono alla
scuola, non prima…
Non
so se considerarlo un male o un bene. Che sia
riuscito a plagiarlo in pochi mesi la dice lunga sulla bravura di quel
tipo…
Harry si aggiustò
la montatura
degli occhiali, decidendo poi di toglierseli per pulirli. Il freddo
pungente
gli diede la forza di formulare la richiesta per cui era venuto
lì. “Devo
vedere la sua stanza, Dud.”
“La sua stanza?” Gli lanciò
un’occhiata in tralice. “E perché? Tutta
la sua
roba magica se la porta via quando torna a scuola. Non
c’è niente che possa
interessarti…”
“Non si sa mai. Tu ci entri spesso?”
Dudley accusò il colpo. “Non io. Solo Robin, per
pulirla. Ma deve stare attenta
a non spostare niente o Thomas se ne accorge e pianta una grana
infinita.”
Sbuffò, alzandosi. “Comunque va bene.”
Lo portò dentro. Era tanto che non gli capitava di
percorrere i corridoi di
quella casa. Non era cambiata molto, tranne che per qualche oggetto e
la
sovrabbondanza di quadri a soggetto fotografico. Robin aveva studiato
fotografia al College, e ne aveva fatto il suo lavoro.
La camera di Thomas, neppure
a
farlo apposta, era la sua vecchia camera.
“Mi sono sempre
chiesto se sia
stato un caso che gli abbiate dato la mia…”
Osservò, mentre l’uomo stringeva la
mano grassoccia sul pomello.
Dudley stirò le labbra in un sorriso sarcastico.
“A dire il vero, fino ai
cinque anni ha avuto la mia vecchia stanza. Era il primogenito, gli
spettava di
diritto. È stato lui a voler cambiare quando ha saputo che
avevi vissuto qui.”
Harry non disse nulla, ma accusò malamente il colpo.
Ti
stimava… E l’hai tradito. Bell’eroe.
Davvero un
ottimo lavoro, Harry Potter.
Dudley
lo fece entrare. Harry si rese
conto che era forse la prima volta che metteva piede nella stanza del
figlioccio: quando veniva a prenderlo per portarlo alla Tana, Tom lo
aspettava
sempre all’ingresso.
Ebbe un fortissimo senso di
deja-vu. Ricordava il soffitto spiovente, la finestrella da cui ogni
notte
rientrava Edvige, la carta da parati consumata e persino
l’asse traballante del
pavimento sotto cui nascondeva i compiti per l’estate.
La stanza era comunque
diversa
per molti, fondamentali, aspetti. Non fu sorpreso nel vederla
millimetricamente
ordinata, era una cosa da Thomas. Ma fu sorpreso nello scoprirne il
contenuto.
C’erano dei poster
alle
pareti, di gruppi rock babbani. C’era una grossa libreria in
un angolo, piena
di libri e riviste. Persino un computer. Due scansie sopra la scrivania
erano
infine zeppe di cd.
Era una stanza vissuta.
Vissuta
da un ragazzo che aveva ben chiaro cosa e come fosse il mondo babbano.
Fu umiliante scoprirlo
così,
invadendo la sua privacy: l’aveva sempre visto come
totalmente innamorato del
mondo magico e non aveva mai pensato che probabilmente amava e si
trovava bene
anche in quello babbano.
Quello
della sua famiglia…
“Li
colleziona.” Spiegò Dudley
quando lo vide guardare i cd. “Non che gli serva, ha tutto
sul pc. Comunque
credo che alcuni siano di Alicia.”
Harry annuì.
Lanciò uno
sguardo riassuntivo alla stanza. Non c’era traccia di magia
lì dentro, Dudley
non gli aveva mentito. Lo sguardo poi gli cadde su un quadro: non era
molto
grande, e conteneva una fotografia, forse scattata da Robin.
Si avvicinò. La fotografia campeggiava proprio sul letto, ed
era curioso perché
appeso sopra non c’era nient’altro. Ritraeva una
laguna salmastra, forse
all’alba. In primo piano c’era l’acqua,
da cui spuntavano ciottoli biancastri e
sullo sfondo si intravedeva una scogliera calcarea.
“È
Dover?” Si informò.
Dudley lo guardò perplesso, poi si avvicinò alla
foto. “Le scogliere di Dover? No,
credo sia da qualche parte in Germania. Robin ci andò
parecchi anni fa per
scattare foto per una rivista, se mi ricordo bene…”
“L’ha
appesa Tom?”
Dudley scrollò le grosse spalle. “Ovvio. Qui
dentro noi possiamo entrare solo
se invitati, figuriamoci cambiargli
l’arredamento…” Ironizzò.
“A parte gli
scherzi, mi ricordo che gli piacque molto e chiese a Robin di
stampargliela. Perché,
è importante?”
Harry scrollò le spalle. “Ho solo notato che era
l’unica cosa appesa sopra al
suo letto. Il resto del muro è vuoto.”
Dudley fece un cenno
d’assenso. “Sì, è
vero.” Ci rifletté. “Vuol dire
qualcosa?”
“Non lo so, non credo.” Sospirò: venire
lì non era servito a molto, ma gli
aveva comunque aperto gli occhi su alcuni degli aspetti di Tom che meno
conosceva.
O
forse che non mi sono mai preso la briga di
conoscere.
Ho
sempre pensato che tollerasse il mondo babbano. Come
me. Ma è evidente che non sia proprio
così…
“A Tom piace stare
qui…”
Osservò.
Dudley gli lanciò un’occhiataccia.
“È ovvio. È casa sua.”
“Hai
ragione.” Ribatté
mitemente. “Ma questa è una buona cosa…
La persona che l’ha rapito l’ha
attirato a sé promettendogli di dirgli la verità
sulla sua famiglia. Ma è
chiaro che Tom consideri voi, i suoi veri genitori.”
“Ciò non toglie che abbia sempre voluto
sapere.” Replicò Dudley gravemente. “Da
quando ha scoperto di non essere un Dursley non ha più avuto
pace… Ha sempre
voluto sapere da dove veniva. Ed ha sempre avuto la percezione di
essere
diverso. Sai… per via di quella maledizione che gli ha
portato via…” Fece un
cenno distratto allo stomaco.
“Te ne ha
parlato?” Chiese
stupito.
Dudley sbuffò.
“Certo che no.
L’ho capito da solo.”
Harry gli lanciò
un’occhiata:
non avrebbe mai immaginato che il cugino, certo non famoso per il suo
acume,
avesse capito tanto di Thomas. Se ne vergognava un po’, ma
non si era mai preso
la briga di indagare a fondo i rapporti tra di loro.
“Senti
Harry…” Dudley si passò
una mano trai capelli radi, corrugando le sopracciglia, come se
tentasse di
ordinare i pensieri. “Se cerchi delle risposte da me, temo di
non poterti
aiutare. Io e Thomas non abbiamo mai parlato molto. Dopo che ha
scoperto di
essere stato adottato… anche meno. Ha preso le distanze. E
lo conosci, quando
si mette in testa qualcosa… Non avrebbe mai confidato nulla,
né a me né ai suoi
fratelli.”
“Me ne rendo conto…” Sospirò.
“Ma dovevo fare almeno un tentativo.
Io…” Esitò,
poi si forzò a continuare. “Io credo di aver fatto
degli errori con lui. Avevo
capito che c’era qualcosa che lo tormentava ultimamente. Ma
ho preferito
aspettare… pensavo che ad Hogwarts fosse al sicuro, e mi
sono sbagliato.”
Dudley rimase in silenzio a lungo. Fece per prendere un’altra
sigaretta, ma
lasciò perdere, infilandosi le mani nelle tasche sformate
del completo. “Mi ricordo
di quando gliel’ho detto… quando gli ho detto la
verità sulla sua nascita.” Lo
sguardo gli andò alla finestra, assorto. “Quando
tornò per l’estate, avemmo una
conversazione… Credo sia stata la prima e unica volta in cui
si sia mai aperto
con me. Non me la dimenticherò facilmente.”
“Questo
maledetto corvo deve fare tutto questo
baccano?” Aveva protestato Dudley, mentre cercava di caricare
la gabbia del
famiglio del figlio senza farsi amputare le dita.
Tom era appoggiato al cofano della macchina, nel parcheggio della
stazione di
King’s Cross e lo fissava con un sorrisetto appena accennato.
Dudley
se l’era guardato bene, quando era sceso dal
treno e gli era andato incontro.
Aveva
i capelli troppo lunghi – forse era una stupida
moda magica – ma tutto sommato sembrava in salute e
… senza stranezze visibili.
“Ti
stai divertendo, mmh?” L’aveva apostrofato,
sentendosi osservato dai passanti.
“Un
po’.” Aveva ammesso. “Te
l’avevo detto che i posti
stretti non gli piacciono. Se la liberassimo…”
“Nessun
uccello entrerà volando in casa mia, Thomas!”
Tom aveva fatto spallucce. “Va bene.”
Quando si era finalmente deciso a dargli una mano erano riusciti a
caricare il
baule e la gabbia in pochi attimi. Dudley aveva sospettato che avesse
usato
qualche ‘trucco’, ma aveva preferito glissare.
Tom poi si era seduto accanto al posto di guida. Indossava di nuovo i
suoi
abiti che adesso definiva ‘babbani’. Dudley
ricordò che avevano avuto una
discussione anche su quello.
“Com’è
rimettersi dei jeans, eh ragazzo?”
Tom aveva fatto spallucce. “Li ho messi anche a scuola, in
realtà. Non
indossavamo sempre la divisa.”
Dopo questo breve scambio di battute era sceso il silenzio
nell’abitacolo.
Dudley aveva guidato fuori dal parcheggio e si era premurato di
accendere la
radio su un talk-show.
Il
tragitto da Londra a Little Whinging durava un paio
d’ore. Certo, Dudley era abituato al fatto che il primogenito
non fosse un
chiacchierone: ma doveva averne di cose da dire, dopo un anno di
lontananza.
“Beh…
Com’è andata?” Crollò per
primo, schiarendosi la
voce.
Tom si era riscosso dalla contemplazione di un tir fuori dal
finestrino.
“Bene.”
Era troppo silenzioso anche per i suoi soliti standard.
“So
che vi assegnano a delle… case. Dove sei finito
tu?” Aveva insistito.
L’undicenne
gli aveva lanciato un’occhiata di
sottecchi. “Serpeverde…” Aveva detto.
“Mmh.
Ed è una buona casa?”
“È quella adatta a me.” Ci aveva
pensato. “È quella degli astuti e degli
ambiziosi.”
Dudley
aveva represso un sorriso. Il figlio non era
riuscito, aggiungendo quella seconda frase, a nascondere la palese
soddisfazione. “Proprio adatta a te, ragazzo… Chi
è venuto con te dei tuoi
cugini?”
“Al, naturalmente.” Aveva staccato un filo di
stoffa dalla cintura di
sicurezza, avvolgendoselo attorno al dito. “È la
casa giusta per entrambi.”
“Capisco…”
Il talk-show era finito alla radio e Tom ne aveva approfittato per
impadronirsene, sintonizzandola su un canale di musica decisamente
rumorosa.
“Tra
due settimane partiamo per Portsmouth. Tuo
fratello ha bisogno di un po’ di mare, con l’asma
che si ritrova…” Aveva rotto
di nuovo il silenzio dopo una canzone particolarmente urlata.
“Abbiamo preso un
cottage sulla spiaggia.”
Tom non aveva risposto subito. Aveva continuato a giocherellare con
quel
benedetto filo finché non l’aveva spezzato.
“Perché,
vengo anche io?”
La domanda era stata posta in tono tranquillo. Dudley si era voltato
per
squadrare il ragazzino, in quel momento impegnato nel guardare il
susseguirsi
di mattoni grigi della periferia londinese.
“Ovvio
che vieni anche tu. Che razza di domanda è?”
Tom aveva soffiato via dalle mani il filo spezzato.
“Pensavo… Che visto quello
che sono… era meglio se stavo da zio Harry
quest’estate.”
“Sei
cosa? Un mago? L’abbiamo sempre saputo, che razza
di sciocchezze…”
“No. Non mago.” Aveva staccato un altro filo dalla
cintura. “Ma non sono tuo
figlio.” Aveva alzato lo sguardo, lanciandogli
un’occhiata.
Dudley non era mai stato un cinesteta. Non aveva idea di cosa
significasse quello
sguardo.
Sembrava
aspettare, o forse sfidarlo.
“Tu
sei mio figlio, Thomas.” Aveva replicato,
perché era l’unica cosa da dire.
“No,
non è vero. Sono stato adottato.”
“Pensi
che questo significhi qualcosa per me e tua
madre? Per i tuoi fratelli? Io e la mamma lo sapevamo già.
Ha mai fatto qualche
differenza?”
“Non lo so…” Sembrava sincero.
“Perché mi hai adottato se sapevi che ero un
mago? O che venivo dal mondo dei maghi? A te noi non
piacciamo.”
Dudley aveva sbuffato. Sapeva che quel discorso sarebbe arrivato, prima
o poi.
Sperava quando sarebbe stato più grande. E più
ragionevole.
“Io
e la mamma volevamo un bambino e tu avevi bisogno
di due genitori. Le cose sono andate piuttosto bene fin’ora,
mi sembra.”
“Sì,
ma il mondo dei maghi…”
“Non mi piace. E va bene… su questo hai
ragione.” Aveva continuato a guidare,
fissando la strada. Non era un tipo che sapeva gestire situazioni del
genere.
Non lo era mai stato. Aveva sempre dato per scontato di essere amato e
apprezzato, quando era bambino. Si era accorto come poi,
l’amore ce lo si
dovesse meritare.
Quello
di Robin se l’era addirittura dovuto sudare. E con Thomas valeva lo
stesso discorso.
“I
maghi non mi piacciono. Ma mi piaci tu. Ci piaci tu.
A me, la mamma, Alicia e Vern. Non ho mai pensato quando eri malato o
cadevi, o
sparivi, se eri un mago o meno. Ma se stavi bene.” Aveva
spento la radio in cui
qualche idiota capellone stava ululando. “Capisci cosa
intendo Thomas?”
L’aveva sentito muoversi sul edile. Aveva controllato e aveva
notato che aveva rivolto
il viso verso il finestrino.
“Sì, credo di sì…”
Aveva detto, dopo un po’. Dudley era certo che fosse
l’unico
undicenne che aspettasse a parlare per non mostrare che stava piangendo.
Avrebbe
voluto fargli una carezza: ma sapeva che era un
gesto per cui nessuno dei due era particolarmente portato. Sia a dare,
che a
ricevere.
“Bene.
Non voglio più tornare su questa storia.” Aveva
borbottato, sintonizzando di nuovo la radio su quella musica orrenda
che
sembrava piacergli tanto. “Sei un Dursley. E verrai a
Portsmouth con noi.”
“Bene.”
Aveva ripetuto. Poi gli aveva lanciato un’occhiata
in tralice. “Mi piace il mare.”
Harry sospirò: si
sentiva
ancora colpevole per aver in qualche modo resa più difficile
la situazione tra
Tom e la sua famiglia, portandolo via dopo che Dudley gli aveva
rivelato
l’adozione.
E quell’aneddoto
non faceva
che rafforzargli quella convinzione.
Ma Dudley era un buon padre.
E
Thomas sapeva qual’erano le cose importanti.
“Mi hanno
estromesso dalle
indagini, Dud.” Disse. “Ma non sarà
questo a fermarmi.”
“La vostra concezione di legge è molto elastica,
allora…” Replicò l’altro con
una smorfia. Poi si fece serio. “Trovalo, Harry. Chiunque
l’abbia rapito, che
sia la sua famiglia o meno, non vuole di certo il suo bene.”
Harry annuì. Poi
si tastò la
tasca del giubbotto. Se la sentiva innaturalmente tiepida. Estrasse uno
degli
specchi comunicanti brevettati da George: l’altro gemello ce
l’aveva sua
moglie, Ginny.
“Che roba
è?” Si informò
Dudley un po’ inquietato.
“La versione
magica di un
cerca-persone.” Spiegò con un sorriso, aprendolo.
‘È
arrivato il gufo di risposta da Smith’
Harry inspirò
bruscamente,
infilandoselo in tasca. “Devo andare Dud. Ci sono degli
sviluppi.”
“Che genere di sviluppi?” Si allarmò
l’uomo. “Buoni o cattivi?”
“Forse riesco a convincere chi segue il caso a farmi
collaborare.” Gli diede
una pacca sulla spalla. Nonostante gli anni ‘Big D’
continuava ad essere grosso
almeno il doppio di lui. “Grazie per…”
“Trova mio figlio.” Lo anticipò.
“I ringraziamenti li accetterò dopo.”
****
Potevano essere passate ore
come giorni. Come settimane.
Tom non aveva idea di quanto tempo fosse passato. La percezione della
realtà
era sfalsata nelle viscere della terra.
Doe l’aveva
lasciato legato
per tutto il tempo. Persino per fare i suoi bisogni lo aveva
sorvegliato a
bacchetta spianata.
Tese le labbra in un
sogghigno
amaro: non era stupido. Temeva una sua fuga…
Fuga
verso dove?
Non
sapeva cosa stesse succedendo
fuori. Di certo a quell’ora avevano già scoperto
il corpo della Prynn. Qualcuno
doveva aver persino trovato la sua bacchetta.
Erano sicuramente state
fatte
congetture.
Chissà se era
Harry ad
occuparsi delle indagini.
Sperava di no. Harry doveva
starne fuori. Tutti dovevano
starne
fuori.
Si sentiva la gola riarsa,
aveva sete. Si rifiutava di prendere cibo o acqua da quel bastardo,
temendo che
potessero essere pieni zeppi di qualche pozione che gli avrebbe minato
la
lucidità.
Lucidità
poi… immerso in
quelle tenebre senza spazio né tempo sentiva che mano a mano
perdeva la
percezione di sè… Doe aveva spento il fuoco
giorni, ore, mesi prima?
Fece una risatina, che gli
raschiò la gola come carta vetrata.
Non sapeva dove fosse ora,
il
suo carceriere. Aveva parlato di tempi brevi in cui agire, ma sembrava
prendersela comoda.
Quando se n’era
andato, dopo
avergli fatto vedere i due ricordi, aveva tentato di organizzare le
idee.
Per un ridicolo momento si
era
imposto di non lasciarsi sopraffare dal terrore e dal peso di quelle
rivelazioni e aveva tentato di organizzare un piano di fuga.
Non era durato molto, questo
suo anelito.
Aveva tentato di usare
incantesimi senza bacchetta, e persino quelli non verbali anche se li
aveva
tentati poche volte in vita sua.
Non aveva funzionato niente.
Allora aveva urlato, aveva
gridato, senza dignità, con rabbia. L’aveva
maledetto.
Aveva smesso quando la gola
aveva cominciato a fargli male.
Sentì la porta
cigolare: sì,
perché c’era una porta. Chissà a cosa
era servita quella grotta. Forse un
magazzino, forse un rifugio. Ricordava che Hagrid aveva raccontato a
lui e
Albus di come, quando era ragazzo lui, la Foresta Proibita fosse spesso
visitata da bracconieri, alla ricerca di…
…
Di cosa?
Merlino,
sembravano passati mille
anni.
Da quanto era lì?
La luce della bacchetta di
Doe
gli abbacinò gli occhi. Distolse lo sguardo.
“Buongiorno. O
buonasera.
Secondo te in che periodo del giorno siamo?” Lo
apostrofò beffardo. “Ora di
mangiare comunque. Oggi vuoi farmi il favore di mettere in bocca
qualcosa?”
Non rispose. Ormai non si
sentiva quasi più le mani. Se tentava di muoverle, bloccate
dalle corde,
sentiva un dolore accecante.
“No, eh? E va
bene… non si può
dire che non abbia tentato di farti collaborare.” Vide la
luce della bacchetta
avvicinarsi, così tanto che pensò che gli avrebbe
accecato un occhio. Poi sentì
la presa ferra dell’uomo sui capelli. Lo sentì
mormorare qualcosa a fior di
labbra, e sentì i muscoli della mascella cedere come gomma
scaldata. Doe gli
inserì a forza una poltiglia dolciastra in bocca.
“Mastica, o potresti soffocare.”
Preferirei.
Ma obbedì, quando sentì che
l’aria stentava ad arrivare ai polmoni. In
fondo era serpeverde anche in questo.
L’istinto
di conservazione prima di tutto…
“Bravo
bambino.” Lo vezzeggiò.
Questo prima che gli sputasse in faccia i suoi sforzi culinari.
Tom sentì una soddisfazione divertita invaderlo, ma
durò poco. Sentì un dolore
sordo alle costole e venne sbattuto contro la parete.
“Piccolo figlio di puttana!” Sbottò,
cercando di pulirsi da quella poltiglia,
che a giudicare dalla smorfia schifata che fece non doveva aver
assaggiato.
A Tom venne da ridere. Probabilmente non c’era niente di
comico. Ma probabile
stesse persino impazzendo, al buio e al freddo.
“Sono tre giorni
che non mangi
e bevi, moccioso.” Sibilò l’uomo,
ripulendosi sommariamente con un fazzoletto.
La bacchetta la usava per far luce. Posò a terra quella che
sembrava una
ciotola, ricolma di quella sbobba nauseante e una brocca
d’acqua. “Ma sono
buono. Te la lascio qui, casomai cambiassi idea.”
“… Niente più giochetti?”
Sussurrò a stento. Aveva notato come il volto di Doe
fosse innaturalmente teso.
Forse qualcosa stava andando
storto. Forse la realizzazione del suo piano stava subendo dei ritardi.
Doe fece una smorfia.
“Ti
mancano?”
Tom si raddrizzò, tossendo. Da un po’ (settimane,
ore?) aveva una fastidiosa
tosse secca: l’umidità non stava giovando
granché al suo fisico.
In
fondo almeno il mio corpo è umano, no?
“Volete che uccida
Harry… non
è vero?”
L’aveva capito subito. Harry era il possessore della
Bacchetta. Se l’avesse sconfitto
sarebbe diventata sua e automaticamente di chiunque avesse ucciso lui.
O
disarmato.
Temeva però che
il verbo
‘disarmare’ non fosse nei vocaboli di Doe. O della
Thule.
Doe inarcò le
sopracciglia.
“Beh, mi stupisci Thomas. Non perdi un colpo.”
“… non lo farò mai. Non lo
ucciderò.”
“Oh, credimi. Lo farai. Sotto imperio
uccideresti anche il tuo migliore amico.”
Tom sentì un
dolore allo
sterno.
No. Non ci doveva pensare.
Ad Al.
Pensarci faceva troppo male. Pensare ad Albus significava avere la
consapevolezza che non l’avrebbe mai più rivisto.
Che forse sarebbe morto. Che nel
migliore dei casi, se
fossero riusciti a salvarlo, sarebbe stato incriminato da una giuria di
maghi
terrorizzati da un probabile attentatore alla salvezza del Salvatore in
persona.
Chi avrebbe mai creduto alla
sua innocenza?
Lui stesso non ci avrebbe
creduto.
Quanto
siamo stati ingenui, Al…
Lo sai? Mi capita di pensare che la mia posizione è per
certi versi simile a
quella spia, quella di cui porti il nome… Severus Piton.
Solo
che per me non c’è nessun Silente a garantire.
“E poi…
dopo che l’avrò
ucciso… vi libererete anche di me?”
Doe attizzò il fuoco con un lieve cenno della bacchetta: non
fu un gesto umano.
Probabilmente era lui ad avere freddo. “Dipende. Se ti
riconcilierai a tuo
padre non credo sarà necessario. Al padrone serve un figlio
dopotutto.”
“Piuttosto mi faccio ammazzare.” Sputò.
“Non fare
l’adolescente
riottoso, Thomas.” Sospirò l’uomo,
giocherellando con la bacchetta. “Ho persino
dovuto mettere delle barriere per impedirti di scappare…
Andiamo, siamo
sinceri. Qui sei sprecato. Cresceresti all’ombra dei Potter.
Saresti sempre un
nato-babbano, brillante, non lo nego, ma uno dei tanti nomi che
affollano il
Ministero. La Thule ti permetterebbe di essere grande. Sei il figlio di
uno dei
capi.” Si avvicinò, chinandosi alla sua altezza.
“Pensa a quante cose grandiose
potresti fare…”
“Come esperimento
del tuo
padrone?” Ghignò sarcastico. “O come suo
figlio?”
Un
contenitore per un’anima lacerata…
Gli
sembrava quasi di sentire la voce
ironica di Loki.
Questo
ti costerà un bel po’ di psicanalisi, eh
Dursley? Diciamo un migliaio di galeoni?
“Ha
importanza?” Replicò Doe.
“Per il Padrone sei…”
“Non mi interessa. Se per lui sono un figlio, un mezzo, non
me ne importa
nulla… Né di lui, né della vostra
associazione…”
L’unica
cosa che vorrei è trovarmelo davanti e riavere
la mia bacchetta.
Per
poterlo ammazzare.
Abbastanza
catartico, psicologicamente parlando.
“Oh,
fammi il favore. Ti interessa. Se
non altro per poterti vendicare, non è
così?” Non aspettò risposta. Quasi
sapesse che aveva ragione.
E
ne ha…
“Sei
così pieno di ambizione
che spesso ti sopravvaluti …
Dev’essere un problema del precedente modello. Aveva
intenzione di assoggettare
il mondo intero e spazzare via i babbani. Sì, sto parlando
di Voldemort.”
Sembrò riflettere. “ A te piacciono i babbani
Thomas?”
Tom inspirò bruscamente, sentendo una fitta allo stomaco.
“Sta’ zitto.”
“La tua famiglia, quella che ti ha adottato è
babbana…” Considerò meditabondo.
“Una tranquilla famiglia medio-borghese… Loro ti
piacciono? O cerchi di farteli
piacere, quando in realtà un po’ ti fanno
schifo?”
“Non osare
nominarli.” Ringhiò
serrando i muscoli contro le corde. Li sentì gemere,
protestando per la forzata
immobilità. “Non osare…”
Doe lo afferrò per il bavero della camicia. “Cosa? Sei nella posizione di minacciarmi?
Oh, no… Non credo
proprio.” Lo lasciò andare. “Se ti piace
tanto la tua vecchia vita, Tom, dimmi…
perché mi hai lasciato fare tutto questo?”
“Io amo la mia
vecchia vita.”
Sbottò. “Amo…”
Amo Al, amo la mia famiglia…
“Tu non ami,
ragazzino. La tua
anima non ne è mai stata capace. Era piuttosto famosa per
questo.” Rise l’uomo.
“Ti faccio un indovinello. Il pappagallo che impara a
parlare, pensi che sappia
cosa dice, o si limiti ad imitare?”
Si alzò in piedi, spazzolandosi il mantello.
“Bene, basta chiacchiere. Devo
tornare alle mie letture…” Passò
accanto alla brocca e al suo povero pasto. E
gli tirò un calcio.
Poi sorrise. “Sai,
pensandoci
bene mi servi debole… Il primo assassinio è
sempre il più difficile.”
Con un gesto della bacchetta
lo fece di nuovo precipitare nelle tenebre.
****
Hogwarts,
Sala Grande.
Pomeriggio.
Rose era immersa fino ai
gomiti nella redazione di venticinque centimetri di pergamena sulla
successione
della prima casata regnante dei goblin, anno
domini duecentoventicinque. Non alzava il naso da almeno
un’ora,
scartabellando libri e prendendo appunti a lato.
E stava proprio bene, grazie
tante.
Non c’era niente
di meglio
dello studio matto e disperatissimo
per distrarsi.
Accanto a lei Hugo si stava
esaminando l’interno di un orecchio con la punta di una
piuma. Se la ficcò
evidentemente troppo a fondo, perché lanciò
un’imprecazione che la distrasse.
Lily a quel punto sbadigliò annoiata, grata
dell’interruzione. “Hughie, rischi
la perdita parziale, se non totale dell’udito…
Sempre che ti interessi.”
Il ragazzino sbuffò. “Oh, sta zitta.
Perché invece non mi fai copiare?”
“Perché
mi diverto troppo a
vederti annaspare sul conteggio delle parole. A proposito, hai scritto
due
righe e si dice speculum, non
specho.”
“Quando fai
così sei una
stronza…”
“Mi lusinghi.”
“Perché non fate silenzio entrambi?”
Li redarguì aspra, lanciando un’occhiata verso il
posto vacante davanti a sé.
Albus non era sceso a fare i compiti con loro. Non era salito per
meglio dire,
considerando che i suoi dormitori si estendevano per buona parte sotto
la
superfice del lago.
Era comprensibile. Ma
comunque
era preoccupata. E la cosa più irritante è che
sembrava essere la sola.
James come al solito era in
giro a tramare beffardamente nell’ombra o ad infastidire
Tiratori Scelti.
Scorpius…
È
sparito.
Era frustrante non conoscere
mai l’ubicazione esatta del suo ragazzo.
Dovevi
aspettartelo, conoscendolo. Non è granché
abituato a stare troppo tempo in compagnia di una ragazza sola…
- Le
suggerì una voce che aveva l’intercalare grondante
malizia e malvagità di Lily.
La guardò male.
“Che
c’è?” Sbuffò quella.
“Ti
stanno per venire?”
Hugo soffocò uno sghignazzo, prima che gli rifilasse un
calcio nello stinco,
diabolicamente mirato.
Era assurdo. La Prynn era
stata uccisa, Thomas era sparito da soli quattro giorni e tutti sembravano aver accettato la cosa.
La vita scorreva di nuovo
normalmente, i compiti, le lezioni… Gli unici cambiamenti
che increspavano la superficie
immota della rinnovata routine, erano le due pattuglie di Tiratori
dislocate
attorno al perimetro della scuola.
E
ah, certo… la mancanza delle ore di
trasfigurazione…
Ma credo che qualcuno lo trovi persino un miglioramento…
“Non c’è niente che possiamo fare,
no?”
Le aveva risposto Hugo, quando aveva espresso la sua
perplessità. “È
tutto nelle mani del Ministero. Lo
ritroveranno. Sono gente in gamba, Rosie.”
In effetti il discorso di
suo
fratello non faceva una piega. Erano adolescenti ed erano finiti i
tempi
dell’ES, degli eroici maghi minorenni e del Magico Trio.
Lei non era sua madre, James
non era suo padre e
Scorpius…
Grazie
a Nimue non assomiglia a nessuno dei suoi, o
dovrei controllargli il braccio.
Poi c’era Albus.
Dal giorno in
cui Smith l’aveva interrogato si aggirava per i corridoi,
frequentando le
lezioni per puro dovere. Aveva tentato di parlargli, ma si era trovata
contro
un muro inespugnabile di sorrisi. Non aiutavano neppure i suoi compagni
di
casa, il bieco Nott e quel ambiguo Zabini. Erano sempre nei paraggi
pronti a
trascinarlo via.
Come
se fossi un disturbo per lui!
Lily alzò lo
sguardo dal suo
tomo di pozioni, che aveva scarabocchiato da cima a fondo. Era
un’abitudine dei
Potter la grafomania su quel libro. Anche quello di Al era zeppo di
annotazioni.
Anche
se quasi sicuramente quelle di Lily sono
classifiche sui più papabili della scuola…
“Stai pensando a
Tommy, eh?” Le
chiese.
Rose si riscosse, sbuffando.
“Merlino, Lily, ho un ragazzo!”
Lily alzò gli occhi al cielo. “Per una volta non stavo parlando di ragazzi in quel senso.”
Appoggiò una mano sulla guancia. “Secondo te lo
troveranno?”
Rose scrollò le spalle, recitando la sua oliata parte del
copione. “Sono agenti
addestrati per questo genere di situazione…”
“No, non hai capito Rosie. Ti sto chiedendo se lo troveranno.
Davvero.”
Rose battè le palpebre, alzando di nuovo lo sguardo dal suo
compito: forse si
era sbagliata. Forse non era vero che gli altri avevano deciso di
ignorare il
problema in attesa di sviluppi.
Lo sguardo della cugina era
attento, preoccupato, ansioso.
“Che si dice in
giro?” Le chiese
allora.
Lily scrollò le
spalle,
tamburellando le dita sulla propria pergamena. “Non molto. Ci
sono centinaia di
congetture sul motivo per cui Tom è stato rapito e per cui
la Prynn è stata
uccisa… alcuni vedono il tutto come una lite tra amanti
finita male. Il marito
della Prynn, presumibilmente segreto, ha rapito Tom per fare
giustizia…”
“Cosa?”
“Questa è la teoria della Haggins. Non ha molto
seguito.” La rassicurò con un
sorriso indulgente.
“Perché
io non ne so niente di
queste storie?”
“Semplice.” Intervenne Hugo, ficcandosi in bocca
una manciata di scarafaggi
alla liquirizia. “Perché Jamie ha riempito di
botte o minacciato chiunque
volesse fare a te, o ad Albie, delle domande. Ha messo in giro la voce
che
dovevate essere lasciati in pace, ecco.”
“Ah.”
Allora non fa il cretino in giro…
“Tu sai un sacco
di cose su
questa storia… ormai lo so.”
Stimò
Lily corrugando le sopracciglia. “Come sono andate davvero le
cose? Lo
ritroveranno?”
Rose si morse un labbro:
avrebbe
voluto dirle la verità.
Vorrei
ma… A chi gioverebbe?
Fortunatamente fu salvata in
corner dall’apparizione di Scorpius che, scopa sulla spalla,
fischiettava in
direzione dell’uscita. Lo vide sfilare, ignorando il tepore
della Sala Grande
in favore delle intemperie esterne.
“Che cacchio ci fa
con una
scopa?” Borbottò Hugo. “Gli allenamenti
sono sospesi per inagibilità del campo!
Sapete, meteorite pieno di serpentoni…”
Ne sta pensando un’altra delle sue!
Rose non poté non sentirsi rincuorata, mentre
raccoglieva le sue cose e lo
seguiva senza degnare di risposta gli altri due.
“Malfoy!”
Scorpius si voltò, esibendo un sorriso smagliante e la sua
divisa da Quidditch.
La cosa davvero stupefacente era che nessuno sembrava trovare
particolarmente
strana la sua mise, del tutto inadatta visti gli sviluppi del
campionato.
“Ciao, mio
girasole di campo!”
“Stai peggiorando. Per i nomignoli.” Lo
informò, poi sospirò.
“Perché questa
scopa?”
“Non è ovvio? Ho intenzione di prendere una
boccata d’aria. Stare dentro al
Castello senza far nulla mi uccide.” Scrollò le
spalle. “Vuoi farmi compagnia?”
“Scorpius, ci sono due gradi fuori… E piove.”
Scorpius le rivolse un sorriso quieto. “Lo so. Ti porto nel
mio posto speciale,
avanti. Potrai vedermi volteggiare con maestria da
lì.” Le tese la mano.
Rose si guardò attorno. Non c’era nessun altro
studente in vista.
Perché
non posso semplicemente prendere quella mano,
invece che guardarmi attorno ogni volta?
Era
una di quelle domande di cui
conosceva la risposta, ma evitava ogni volta di ripetersela.
Perché
siete come Romeo e Giulietta, ma con parenti
ancora più psicopatici…
“Mano.”
Si corrucciò Scorpius.
“O mi metto a piangere.”
Rose ridacchiò, afferrandogliela e strillò di
fastidio, sollievo e divertimento
quando Scorpius la tirò in mezzo alla pioggia, urlandole di
correre.
Quando cinque minuti dopo si
trovò di fronte ad una specie di casa sull’albero,
costruita e ben occultata
trai rami di uno dei primi alberi della macchia della Foresta Proibita,
si
pentì di aver ascoltato il proprio ragazzo.
“Questa
cosa…”
“È una capanna sull’albero!”
Trillò gioviale. “Non è bellissima?”
“Questa cosa…”
Ripetè. “È legale?”
Scorpius si pizzicò il mento, meditabondo. “Beh.
La Foresta Proibita non fa
parte dei terreni di Hogwarts. Non è accatastata come tale,
visto che si
estende oltre le mura della scuola. Quindi…”
“Quanti punti potrebbero toglierci Prefetto
Malfoy?” Lo incalzò, con cipiglio.
Scorpius sorrise
nervosamente.
“Circa un milione?”
“Scorpius!”
“Andiamo, la disilludo ogni volta che me ne vado!”
Si giustificò
immediatamente. “È il mio rifugio segreto!
L’ho costruita al primo anno
fregando la legna a Tremayne, sai, quando ha costruito quella
staccionata per
quelle orride capre di quell’orrido tizio di
quell’orrido bar…”
Rose si massaggiò
la sella del
naso: di certo, era sicura di non annoiarsi mai
con il suo ragazzo.
C’è
sempre qualcosa per cui devo urlare…
“E dimmi, quante
delle tue amiche ci hai portato
facendo loro
rischiare la vita, a giudicare dall’instabilità di
questa roba?” Borbottò,
squadrando l’agglomerato di assi cinque metri più
in su, incuneato tra due
grossi rami: il tutto sembrava retto da una buona dose di colla magica
e preghiere.
Scorpius
Malfoy, il figlio di papà che si dà al
bricolage…
Scorpius fece spallucce,
prendendo la bacchetta. Recitò un ‘accio
corda’ che fece cadere una spessa scala di corda,
umidiccia per via della
pioggia.
Rose alzò gli occhi al cielo, sentendo la familiare fitta di
gelosia ed
inesperienza trapassarla da parte a parte. “Dieci, quindici?
Non farmi tirare
ad indovinare… odio azzeccarci.”
“Nessuna.”
Sospirò il ragazzo,
lanciandole un’occhiata in tralice. “Ora vuoi
salire?”
“… scusa?”
Scorpius afferrò la corda, tirandola verso di sé
come per saggiarne la
resistenza. “Ho detto nessuna. Nessuno sa del mio
rifugio.” Corrugò le
sopracciglia. “Devo essere più chiaro, Weasley? Tu
sei la prima.”
Rose sentì le guance scottare e una specie di trionfo
ululante esploderle nel
petto.
Sorrise.
“No, sei stato
piuttosto
chiaro.” Lanciò un’occhiata alla scala.
“Sicuro che regga?”
“Se regge me… No, davvero.”
Sbuffò. “Regge. E dentro neanche ci piove, a dirla
tut-...”
Era divertente
interromperlo,
pensò Rose, mentre posava le labbra su quelle di Scorpius.
Non aveva mai
interrotto nessuno in quel modo ed era piuttosto certa che per un bel po’ avrebbe interrotto solo
lui
così.
Sentì le braccia del ragazzo cingerle la vita, mentre sul
cappuccio del
mantello picchiettavano infinite goccioline di pioggia. Le stesse che
erano
intrappolate trai capelli sottili di Scorpius, facendoli brillare alla
luce
opalescente del pomeriggio.
Non era bello, il suo Malfoy
personale. Oggettivamente aveva il viso spigoloso della sua famiglia, e
le
sopracciglia troppo sottili e troppo bionde.
Era tutto nel sorriso, la
sua
magia.
Però
a me, buffo, ma piace tutto… spigoli e
sopracciglia inesistenti.
“Hai il naso
freddo…” Lo
informò, facendolo ridacchiare.
“Pessima
circolazione. È un
problema di tutti i Malfoy. Credo c’entri con il
pallore…”
“Non c’entra affatto.”
“Amo anche quando mi riprendi, Rose. È piuttosto
grave, vero?” Sorrise, dandole
un bacio umido e caldo sul suo, di naso.
“Non grave quanto
affidarmi
alla tua parola e salire su questa trappola mortale.” Lo
prese in giro,
aspirando l’odore di erba e lana vecchia del suo maglione da
allenamento. Era
bagnato, ma la cosa buffa era che al momento a Rose non importava.
Non poté fare a
meno però di
lanciare uno sguardo verso il fitto della boscaglia. Era buia, e non si
vedeva
oltre la seconda fila di alberi.
La
Foresta nasconde molti segreti², Rosie…
Lì dentro, da
qualche parte,
era nascosto il rapitore di Tom. Con Tom.
Anche con il mantello
pesante,
impermeabile, sentì il freddo penetrarle nelle ossa a
quell’idea. Represse un
brivido.
Scorpius la strinse a
sé.
“Tutto a posto?”
“Tom è lì dentro secondo te?”
Sussurrò guardandolo. “Secondo te
è…”
Scorpius tese le labbra in una smorfia sottile. “Secondo me?
Sì. Di certo non
possono essere scappati dalle vie principali… e la Foresta
si estende per
miglia. Potresti camminare per giorni senza vedere altro che alberi. Un
posto
ideale per perdersi, un posto ideale per nascondersi.”
Rose annuì. Non
aveva mai
riflettuto veramente su quanto spesso fossero vicini ai pericoli. La
Foresta
Proibita, il Lago Nero. Persino Hogwarts riusciva ad essere ostile, a
volte;
non dimenticava come sua zia Ginny era quasi morta in una delle
innumerevoli
camere segrete e di come suo zio ci avesse trovato dentro un basilisco.
Il
draco dorme finchè non viene svegliato. Non è
forse
questo, il motto della nostra scuola?
Era
non era forse ciò che era successo
a Thomas? Fino a tre mesi prima non era che il suo insopportabile
cugino
acquisito, adesso era invischiato in una storia di alchimia, furti,
identità
segrete e… morte.
“Rose?”
La riscosse Scorpius,
dandole un buffetto sotto il mento. “Vuoi rientrare? Cominci
ad inquietare pure
me con quest’aria seria.”
Rose scosse la testa, con un mezzo sorriso. “No. Voglio
vederti volare. Prendi
la tua scopa Malfoy, io sarò quella che prega di non
schiantarsi a terra.”
E solo quando fu
all’asciutto,
dentro la capanna incredibilmente tiepida di Scorpius a guardarlo
eseguire
acrobazie in aria, che si permise di tirare un lungo sospiro di
sollievo.
Si appoggiò alla
finestrella
sbilenca, salutandolo con una mano.
Pensò alla
domanda di Lily. A
come l’aveva guardata.
No,
non ritroveranno Tom. Non con questo ridicolo
dispiegamento di forze… solo due pattuglie di tiratori!
Andiamo!
Si
morse un labbro. Provava
frustrazione, ed impotenza. Merlino solo sapeva cosa poteva provare suo
padre o
suo zio. E Al. Al che si era rinchiuso nei sotterranei.
Sopra il bosco volava basso
un
falco. Lo guardò ipnotizzata per un momento. Curioso:
sembrava molto più grosso
del normale e molto più colorato.
La
foresta nasconde molti segreti, Rosie…
****
Note:
1-Mill Town: Nei libri non si
capisce
quale sia la città natale degli Evans e dei Piton.
Però nella sceneggiatura del
sesto film la cittadina è chiamata appunto ‘Mill
Town’. Fonte tratta da qui.
2- Frase pronunciata in
“Harry
Potter e la Pietra Filosofale”
Poi alcune fantastiche
fan-art che mi hanno
regalato, questa volta ben due autrici! *_*
Quelle di Elezar81
1.
Bagno dei Prefetti [Tom/Al]
2.
Firs Kiss
[Tom/Al]
3.
Scusami [Teddy/James]
Una super-deformed
assolutamente adorabile da Iksia:
Daddy’s Dilemma
|
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Capitolo 49 *** Capitolo XLIV ***
Grazie per le splendide
recensioni.
@Pheeny:
Grazie mille!
@MadWorld: sì,
mi sono divertita a scriverla anche io! Grazie!
@Nicky_Iron:
Ahaha, beh qui spero di averti fatta divertire un po’ di
più. Questi capitoli
purtroppo sono un po’ noiosetti perché devo tirare
le fila dei 40 capitoli
prima. ;) Grazie per i complimenti comunque e per continuare a seguirmi!
@Altovoltaggio:
Ehi, bentornata! ;D Rose e Sy sono stati un po’ eclissati
dalle vicissitudini
dei fratelli Potter, ma prometto che nella seconda parte avranno
più spazio,
adolescenzialmente parlando. Gli alchimisti (o meglio la Thule) pensano
che per
‘sconfiggere’ e ‘impossessarsi della
bacchetta’ si debba ucciderne il
posessore. Un errore che del resto ha fatto anche Voldemort, facendo
fuori sia
Silente (per mano di Piton) sia Piton stesso e ancor prima Grindenwald.
Un errore
tipico da megalomani. Pochi infatti sanno che basta
‘disarmare’ l’avversario,
anche non con quella bacchetta.
@Aga: Ahaha,
grazie per i complimenti, e sì, la nuova famiglia Dursley
piace anche a me. ^^
@Simomart:
Grazie, grazie, grazie! Le tue recensioni sono sempre dettagliate,
belle e
puntuali. Mi fa piacere anche che piano piano anche i lettori imparino
ad amare
i personaggi come li amo io. In realtà, siete un
po’ i loro padroni onorari, perché
vivono anche grazie a voi^^ Dudley è un personaggio che ha
cominciato ad
interessarmi quando la Row gli ha fatto avere un cambiamento di rotta.
Adoro quando
un personaggio evolve e matura, lo trovo da parte di
un’autrice un tocco in più
alla sua storia. E sì, penso che crescendo Big D abbia
capito che essere amati
non è così scontato, se non si tratta dei tuoi
genitori. Il rapporto di Tom e
Dudley aspettavo un bel po’ a farlo, e mi fa piacere che sia
stato apprezzato. Del
resto il vero padre di Tom è Dudley, non Harry. Purtroppo
per Rosie e Sy, non
ho tempo… ma avranno più spazio nella seconda
parte ^^
@Trixina: Ho
recapitato i tuoi complimenti alle fan-artist! E sì,
l’avete notato tutti, Harry
ha spesso frainteso Thomas, vedendolo come un suo clone per molti
versi, quando
in realtà Tom è diverso da lui, sia per
esperienze che per altro. Anche se in
effetti i punti di contatto ci sono. ^^ Grazie mille per la recensione!
E Lily
avrà il ruolo di ‘quasi’ protagonista
nella prossima parte. Vedrai!
****
Capitolo XLIV
Let’s
grow old
together/ And die at the
same time.
(To lose my life, White Lies)
10
Novembre 2022
Hogsmeade,
Tre Manici di scopa.
Mattina.
Harry varcò la
soglia dei Tre
Manici di scopa senza neanche controllare di essersi asciugato le
scarpe dal
fango che infestava la strada principale – nonché
l’unica - di Hogsmeade.
“Harry!” Lo accolse Hannah Paciock, con un sorriso
che gli riscaldò le ossa
infreddolite. “Che tempaccio, eh? Si preannuncia un inverno
tremendo, neve
sicura per Natale. Forza, forza… dammi il tuo mantello, lo
metto nel
guardaroba!”
“Grazie Hannah.” Le sorrise, guardandosi attorno.
Aveva un appuntamento con
Zacharias Smith e a giudicare dal locale privo della sua presenza,
l’uomo era
in ritardo.
“Cosa ti
porto?”
“Whiskey incendiario. Niente ghiaccio.”
Recitò distratto. “Scusami …”
Aveva avvistato Smith. Se ne stava ad uno dei due bovindi della
locanda,
sorseggiando quello che sembrava proprio whiskey incendiario Ogden
stravecchio.
Beh,
almeno abbiamo un punto comune.
Si
avvicinò, sedendosi davanti a lui.
“Potter.”
Recitò l’uomo,
alzando a malapena lo sguardo dalla propria Gazzetta. “Sai
che riescono a
citarti anche quando l’indagine non è
tua?”
“Prova a dirmi qualcosa di nuovo, Smith.”
Replicò irritato. “Non ho opposto
resistenza, mi sembra, al passaggio di mano.”
“Come avresti potuto? Il Ministero si sarebbe trovato in una
posizione
sfavorevole, a doverti sbattere in cella per ostacolo ad
un’indagine.”
“Ostacolo?”
Serrò le labbra. Si
impose di calmarsi. “Se hai risposto, significa che sei
disposto a parlare
civilmente, suppongo.” Cambiò discorso.
Smith alzò gli occhi dal giornale, finalmente. Lo
squadrò diffidente. “Diciamo
di sì.” Bevve un sorso dal proprio bicchiere,
schioccando la lingua. Harry notò
che aveva la pelle tirata, grosse occhiaie attorno agli occhi e la
barba non
perfettamente rasata.
Incantesimo
di rasatura riuscito male…
A
quanto pare aveva ragione Herm. Questa gatta da
pelare è troppo grassa per lui.
“Diciamo che mi
dici ciò che
sai.” Aggiunse.
“È tutto nel rapporto che l’agente
Weasley ti ha fatto recapitare…”
“Stronzate.”
Sputò Smith. Si schiarì
la voce quando vide che Hannah, si era avvicinata con
l’ordinazione. “C’è
scritto il minimo indispensabile, non prendermi per il culo.”
“Il resto del lavoro l’abbiamo svolto come privati
cittadini, Zacharias.”
Obbiettò pacatamente, e con una certa soddisfazione.
“Posso essere arrestato
per aver fatto visita ad un amico in India?”
“In
India?” Serrò le labbra.
“Certo, i Naga… Ancora con quella teoria secondo
cui l’aggressione di Duil è
collegata al rapimento del ragazzo?”
“Non una teoria. È la realtà dei
fatti.” Replicò, facendo un lieve sorriso ad
Hannah, prendendo il bicchiere. Quando la vide allontanarsi
continuò. “Ho
incontrato il capotrib … ho incontrato uno dei guerrieri
della delegazione. Ci
ho parlato.”
“Perché, parlano?” Sbuffò
sospettoso.
“Nella loro lingua
sì. Ho
avuto… un traduttore.”
Una cicatrice traduttrice.
“E
cos’hanno detto?”
“Che sono stati venduti da Duil ad un altro mago, che li ha
messi sotto la
maledizione imperio, facendogli
compiere quello che sai.”
“Facile a dirsi. Ti ricordo che quei…
cosi… erano piuttosto resistenti agli
incantesimi.”
“Ti ricordo che qui stiamo parlando di una maledizione senza
perdono, non di
uno stupeficium,
Zacharias.”
Obbiettò, bevendo un sorso del proprio drink per evitare di
aggiungere ‘immenso
cretino incompetente’. Ma almeno lo stava ascoltando.
Più
di quanto mi aspettassi… Se è arrivato a
considerare le mie deliranti teorie
vuol dire che è decisamente disperato.
Smith fece un cenno
distratto
con la mano. “Questo può anche essere vero, ma
dimmi, pensi che avrebbero detto
la verità a te?”
“Penso che in ogni caso non avrebbero avuto molto da perdere.
Ero un mago
inglese in suolo straniero, e secondo la loro mentalità nel
loro territorio.
Potevano sbattermi fuori, e non l’hanno fatto. Mi hanno detto
la verità.”
“Quindi questo
mago li ha
messi sotto imperio…
perché?”
“Per creare un diversivo. Farci credere che agissero sotto
gli ordini di Duil,
che voleva vendicarsi di Hogwarts, quando in realtà li aveva
usati per trovare
degli oggetti. Percepiscono il campo magico degli oggetti.”
“Che oggetto?”
“La Pietra della Risurrezione, uno dei Doni della
Morte.”
L’uomo ebbe il buonsenso di deglutire. Vide il pomo di Adamo
fare su e giù in
quella gola detestabile e capì di avere finalmente la sua
attenzione.
La storia dei Doni della
Morte
era trapelata dopo la sconfitta di Voldemort e delle sue armate.
Più che
trapelata, era irrotta nei principali quotidiani nazionali, e aveva
tenuto
campo a lungo.
Fortunatamente era riuscito
a
frenare le interviste, e tutt’ora nessuno era a conoscenza di
quali fossero
esattamente i Doni e dove si trovassero.
“È
questo quello a cui
puntava? E cosa c’entra il ragazzo?”
Harry inspirò. “Questo non lo so…
Thomas è stato adottato, ma della sua
famiglia non si sa nulla. È stato rapito da bambino da un
mangiamorte, Artemius
Coleridge.”
“Voldemort…” Era il collegamento
conseguente, ma Harry si sentì comunque a
disagio.
“Sì, ci
ho pensato anche io
all’epoca. Ma Thomas non può avere nulla a che
fare con lui. Cronologicamente è
impossibile, è nato quasi dieci anni dopo.”
“Un Dono… quanti sono?”
“Tre.”
“E quanti ne ha in suo possesso?”
Harry si passò una mano sulla guancia, trattenendo appena il
respiro.
Ci siamo fatti ingannare come
cretini…
Pensavo che nessuno fosse a conoscenza del fatto che uno dei mantelli
invernali
di Jamie era Il Mantello, e invece…
“Due su
tre.”
Smith serrò la presa attorno al bicchiere. Ebbe la presenza
di spirito di
inghiottire un’imprecazione. Salvo poi lasciarla uscire
comunque. “Merda.”
“L’ultimo Dono è al sicuro.”
Lo precedette Harry. “In ogni caso, anche se
tentassero di riunirli, non funzionerebbero a dovere. L’unico
modo per
possederli è sconfiggere il precedente possessore.”
“Cioè Harry Potter.” Ironizzò
l’uomo. “In ogni caso, si torna sempre a
te.”
Harry fece una smorfia. “Per quanto i miei detrattori pensino
il contrario, non
mi piace essere al centro dell’attenzione di squilibrati
assetati di potere.”
Smith tese le labbra in un
sorriso sgradevole: non gli credeva, e non si piacevano. Ma dovevano
collaborare. Si guardarono negli occhi, forse per la prima volta in
quella
manciata di lunghi minuti.
A Harry ricordò
il genere di
sguardo che vedeva in quei film babbani, con i cowboys e le pistole,
che tanto
piacevano al defunto Vernon Dursley.
“Per quanto mi
costi
ammetterlo… Le indagini non stanno procedendo.”
Ammise dopo un breve silenzio
l’ex tassorosso. “Ma ho un’altra domanda.
Se questo John Doe vuole i Doni…
perché rapire quel ragazzo? Non avrebbe avuto più
senso rapire uno dei tuoi
figli?”
“Thomas è come un figlio per me, ma non
è questo il punto.” Replicò, sentendo
un brivido freddo scendergli lungo la nuca. Solo la certezza che Ted e
Neville
stavano vegliando sulla sicurezza dei suoi ragazzi gli dava la
possibilità di
non andarli a prendere e
nasconderli in
un luogo sicuro. “Il punto è che in qualche modo
credo sia implicato in questa
faccenda.”
“Certo, è venuto a patti con
quell’uomo.”
“L’ha ingannato.”
Calcò la parola,
finendo in un sorso il whisky. Gli bruciava nelle vene, effetto magico,
ma non
spiacevole: gli permetteva di mantenere la lucidità e la
calma. “Tom ha solo
sedici anni, Zacharias. Non è ancora abbastanza maturo per
non essere
influenzabile.”
“Avresti detto lo stesso di te, alla sua
età?”
“La situazione era diversa. I ruoli nella nostra guerra erano
definiti. Non
avevamo scelta. Quell’uomo l’ha illuso, gli ha
promesso di dargli delle
risposte sul suo passato, sulla sua famiglia. Promesse che per Tom
avevano un
peso inestimabile… e tendenzialmente, non si è
dimostrato chi era se non alla
fine, uccidendo la professoressa Prynn.”
Zacharias non
replicò,
muovendo il ghiaccio, ormai quasi sciolto, all’interno del
proprio bicchiere.
“A questo proposito…” Ebbe una lieve
esitazione, poi storse la bocca e
continuò. “Ho fatto ricerche su quella donna. Per
capire chi fosse e quanto fosse
implicata in questa storia.”
“E?” Non aveva
pensato alla Prynn.
Harry se ne rese conto in quel momento: erano tanti i fronti aperti, su
cui
esaurire energie, sonno e pensieri. E non aveva pensato a trovare
risposte
sulla professoressa di Trasfigurazione. Vitious tempo prima, quando
c’era stato
il problema dei Naga, gli aveva assicurato che le sue referenze fossero
ineccepibili.
Non aveva approfondito.
“Ho fatto un buco
nell’acqua.
Quella donna sembra non essere mai esistita. Le referenze che ha dato
al
preside erano false.”
“Ma Vitious…”
“Il preside ha chiesto all’Accademia, ma io ho
fatto un controllo incrociato.
Ho un amico che manda suo figlio a Salem. Non c’è
mai stata un’insegnante di
trasfigurazione all’Accademia Magica di Salem di nome Ainsel
Prynn.”
“Come?”
“Quello che ho detto.” Si passò una mano
trai capelli radi, serrando la presa
sul bicchiere. “Inoltre ho trovato solo porte chiuse quando
ho chiesto al
Ministero Americano. Non ho avuto un solo gufo di risposta.”
“Non ha
senso… era solo un
insegnante.”
“Solo…”
“Non era un insegnante?” Spiò Harry.
Smith si strinse nelle
spalle,
nervosamente. “Un insegnante è una civile.
Informazioni ce ne sono. Ce ne
dovrebbero essere, e dovrebbero essere fruibili. E se non ce ne
sono…”
“Il Governo non
vuole
fornirle.” Concluse per lui Harry, sentendo un dolore sordo
dietro la nuca. Era
sfinito, frustrato. “Che diavolo significa?”
“Che ci siamo infilati in qualcosa di estremamente grosso e
internazionale,
auror.” Ribatté il Tiratore, schioccando la
lingua. “Quella donna è morta e si
è portata i suoi segreti nella tomba. Ma di certo, non era
ad Hogwarts per
insegnare… Dursley è stato visto spesso in sua
compagnia. Si diceva che
avessero persino un affaire…”
Harry lo guardò incredulo. “Con Tom?”
“Inizialmente ho pensato che fosse un delitto
passionale.” Sbuffò, notando la
sua faccia esterrefatta. “Non guardarmi come un idiota, stavo
solo seguendo
delle piste, e c’era ben poco su cui lavorare, se non il
rapporto pieno di
falle del tuo braccio-destro. Ma poi… c’erano
troppi punti oscuri, troppe
lacune. È come se qualcuno stesse tirando le fila e non dal
nostro lato.”
“Hai interrogato…”
“Ho interrogato il corpo insegnante. Desolante, sembra che
lì dentro nessuno
sappia un accidenti di quello che gli succede sotto il naso. I tempi di
Silente
sono finiti da un pezzo…” Ironizzò. In
uno strano modo, Harry sentì che poteva
dargli ragione. “Poi ho interrogato gli amici del
ragazzo… i tuoi figli.
Davvero niente male… si erano preparati una versione
piuttosto avvincente e
convincente di quello che era successo secondo loro.”
“Non ne sono a conoscenza Smith.”
L’uomo lo squadrò diffidente poi
scrollò le spalle. “Sostanzialmente, hanno
detto le stesse cose che hai detto tu. Che Dursley era stato ingannato,
che
quell’uomo si era mosso all’interno di Hogwarts
occultando i suoi reali intenti
fino all’ultimo. Che aveva orchestrato l’attacco
dei Naga e l’aggressione a
Lupin. Tutto si riduce, alla fine, a due sole domande. Chi è
John Doe, e per
chi lavora.”
“Forse gli stessi della professoressa Prynn.”
Suggerì. Era come un maledetto
gioco di scatole cinesi. Ognuno aveva un informazione, ma non
c’era possibilità
di metterle assieme per avere un quadro completo. Era una strategia
sottile, e
c’era un solo master-plan ad orchestrare il tutto, solo una
persona che sapeva
tutto e aveva messo le persone le une contro le altre.
John
Doe. Chi sei?
“In ogni caso, la
priorità al momento
è ritrovare il ragazzo.” Lo riscosse Smith.
“Anche se sembra svanito nel nulla…
e poi c’è la questione della bacchetta.”
“La bacchetta di Tom, certo. Non la ha con sé,
è stata ritrovata vicino al
corpo della…” Non finì la frase,
perché realizzò l’implicazione.
Serrò le
labbra. “Non crederete…”
“La bacchetta di Dursley ha lanciato la maledizione,
Potter.” Sbottò l’uomo.
“Su questo non c’è dubbio. Ora, pensavo
che fosse stato il ragazzo, ma ci sono
dubbi anche su questo…”
“Tom non userebbe mai
quella maledizione.
Ne conosce le implicazioni, le conosce bene.” Eruppe con
forza, sentendosi la
cicatrice formicolare lievemente, quasi ricordasse come era nata.
“È solo un
ragazzo… Può essere stato disarmato.
Può essere un ennesima diversione di John
Doe.”
“Può essere, come può non
essere.” Replicò Smith, senza lasciarsi
intimidire.
“Potter, sto solo facendo il mio lavoro. Devo prendere in
considerazione tutte
le opzioni.”
Harry si tolse gli occhiali, in un gesto nervoso, salvo rimetterseli.
“E qual è
quella che ritieni più plausibile?”
“Mio malgrado…” Prese tempo, cosa che
Harry giudicò piuttosto odiosa. “Mio
malgrado neppure io penso che sia stato lui. È un
incantesimo potente,
difficile da eseguire. Basta una lieve esitazione e non sprizzi che una
manciata di scintille verdi. Ho provato a capire se il
ragazzo avesse quel genere di determinazione…
e ammetto di aver giocato sporco con tuo figlio minore.”
“Albus?” Si dominò a stento.
L’istinto di protezione a volte era una brutta
bestia. “Perché l’hai messo sotto
pressione? Cosa speravi di ottenere?”
Smith storse la bocca, irritato. “Per chi mi hai preso? Puoi
non piacermi, e
sinceramente penso che tu sia un arrogante pezzo di idiota.”
Reciproco –
Pensò Harry.
“… ma voglio chiudere questo caso quanto te. Non
provo piacere a torchiare
minorenni spaventati…” Tese le labbra in un
sorrisetto divertito. “Comunque
sarai felice di sapere che ha tenuto fede al vostro cognome. Mi ha
urlato
addosso piuttosto arrogantemente…”
“Al?” Ripeté confuso. Conosceva il suo
ragazzo, e sapeva quanto fosse raro che
alzasse la voce, e per giunta davanti all’autorità
costituita. Un exploit se lo
sarebbe aspettato da James, non da lui.
Smith si passò
una mano dietro
il collo. “Ho dislocato cinque pattuglie tra Hogsmeade, i
cancelli di Hogwarts
e la scuola. Ho battuto palmo a palmo la Foresta, per quanto ci
è stato
possibile prima di incappare nei centauri… Dursley non
è ad Hogwarts.”
“Ne sei certo?” Smith serrò le labbra,
ma Harry lo precedette. “Zacharias, non
sto mettendo in dubbio i tuoi metodi di indagine, ma questo
è più di un
semplice caso di rapimento.
Ormai te ne sarai reso conto.”
“Ma rimane un rapimento, e seguirà l’iter.”
Replicò. “Il rapitore ti contatterà.
Del resto, se cerca i Doni… è di te che
avrà bisogno.”
Harry tirò un
lungo sospiro.
I Doni della Morte…
Non ci pensava da quasi
vent’anni. Per quanto lo riguardavano erano qualcosa a cui
Voldemort aveva
aspirato, senza mai capirne la vera natura. Non erano oggetti fatti per
accrescere il potere di un mago. Non erano neppure così
potenti, sebbene
fossero indubbiamente straordinari.
Erano un monito.
Un
monito a non temere la morte, ma accettarla come
inevitabile e parte di te stesso.
Solo chi non la teme, può esserne il vero padrone.
E Thomas, in tutto quello,
che
ruolo ricopriva?
Chi
sei davvero, Tom?
Hannah si
avvicinò ai due,
titubante, quasi temendo di disturbare il loro silenzio.
“Zacharias…
è arrivato un Gufo
dal Ministero.” Gli tese la lettera, umida di pioggia.
L’uomo la prese, facendole un cenno distratto, e
aprì la ceralacca, grattandone
via la superficie con l’unghia.
Harry si sporse leggermente per guardare. “Viene dal
Dipartimento?”
Riconosceva lo stemma che campeggiava a lato del foglio.
Smith serrò le labbra in una linea sottile. “Viene
dall’ufficio del Direttore.”
Harry corrugò le sopracciglia: il Direttore,
nel gergo ufficioso del Dipartimento di Applicazione della Legge Magica
era il
Direttore del Dipartimento intero.
Non ebbe bisogno di
chiedere,
fu Smith stesso a continuare. “… Sono convocato.
Anzi, siamo convocati.”
Schioccò le labbra, senza nascondere
l’insoddisfazione. “Pare che sappiano che sei qui
con me, Potter.”
Harry non rispose. “E cosa vogliono?”
Smith si alzò, richiamando con un cenno Hannah.
“Non ne ho idea. Ma vogliono
che andiamo adesso.”
****
Hogwarts,
Sotterranei. Aula di Pozioni.
Mattina inoltrata.
Albus era stufo.
Questo per eufemizzare. Non era mai stato tipo da riversare la propria
frustrazione sull’altrui persona. Anzi, tendenzialmente
cercava in ogni modo di
tenersi le cose per sé, e al massimo esporle pacatamente in
privata sede.
Certo aveva trascorso sedici
anni di vita lisci, piatti, senza la minima asperità. Il
figlio di mezzo di
Harry Potter il Salvatore, quello meno appariscente, anzi, quello meno
notato
perché finito in una casa che l’aveva inglobato a
sé per non dargli troppo
spazio.
A Serpeverde
l’ambizione e
l’arrivismo si concentravano in una sorta di egoismo
auto-generante, per cui
nessuno ti idolatrava, sempre che tu non ti fossi auto-eletto Signore Del Globo Terraqueo,
schiacciando possibili rivali.
E non era il suo caso.
Ciò
però l’aveva
inevitabilmente portato a non
sopportare le occhiate piene di compassione della sua famiglia,
né tantomeno a
tollerare le occhiate curiose di chi non
sapeva, ma gli sarebbe piaciuto, non è che per
caso…
“Al, come
stai?” Gli ripeté
per forse la milionesima volta Rose, quando la lezione di Pozioni fu
finalmente
conclusa.
Voleva bene alla cugina, nutriva per lei un affetto incondizionato e
totale.
Ma in quei quattro giorni
aveva avuto più volte la tentazione di morderla con il
sarcasmo che sentiva
raschiargli il fondo della gola.
‘Come
vuoi che stia Rose? Adoro
essere
compatito’ – Avrebbe voluto dirle, e per
un attimo immaginò la
soddisfazione di vederla finalmente chiudere la bocca.
Poi naturalmente si
sentì
malissimo. Ma neanche poi molto.
“Sto
bene.” Ripeté, come un
disco rotto di Celestina Wackbeck. Infilò il proprio manuale
di Pozioni dentro
la tracolla, stringendo le cinghie fino a quasi farle gemere. Non che
Rose se
ne accorse. Era troppo occupata a preoccuparsi.
Lanciò uno
sguardo a Michel,
un muto sguardo, che fu immediatamente ricambiato.
Apprezzava la compagnia di
ben
poche persone adesso. Mike era una di quelle: non gli aveva fatto
domande, non gli
aveva sciorinato un ‘però te l’avevo
detto che era schizzato’… Niente.
Semplicemente lo tirava via
e
lo allietava con silenzi studiosi o al massimo con qualche
pettegolezzo.
Michel si spostò accanto a lui. “Andiamo Al, ci
aspetta il nostro gruppo di studio.”
Disse anodino, con un lieve sorrisetto di superiorità a
decorargli le labbra.
Rose assottigliò le proprie in una linea indignata.
“Stavo parlando con mio
cugino, Zabini. Se non l’avessi notato…”
“Certo che
l’ho notato,
Weasley. E la cosa non mi disturba, non dartene cruccio.”
Replicò passandogli
un braccio attorno alle spalle. “Andiamo Al. Loki ci sta
aspettando…”
Al si lasciò portare via, ignorando anche la presa non
desiderata sulla sua
spalla. Se Michel si stava approfittando della situazione, non gli
importava.
In fondo, egoisticamente,
non
gli importava fintantoché si dimostrava amichevole e gli
teneva lontane le
domande altrui.
Anche
se…
Da una parte non si stava
piacendo affatto. Perdeva il controllo con
l’autorità costituita come un matto,
scappava da Rose e ignorava la sua famiglia. Non aveva neanche risposto
al Gufo
di sua madre.
L’unica che
sembrava solidale,
o se non altro capiva era Lily. Lo aveva solo abbracciato, dopo che
aveva avuto
quell’orribile interrogatorio, sussurrandogli ‘noi siamo i buoni’.
Sì,
ma non mi sto comportando da buono, Lils…
O semplicemente, non sto avendo una reazione grifondoro al rapimento
del
ragazzo che amo.
Sottili
differenze…
Michel gli diede un colpetto
sulla nuca, sciogliendolo dalla presa. “Tua cugina
finirà per rapirti, cheri.
Crede che ti stia allontanando
dal vostro clan di peldicarota.”
“Stai parlando della mia famiglia…”
Mormorò, con un lieve sospiro. “Rosie è
solo preoccupata per me. E lo apprezzo, veramente. Se non mi guardasse
come se
dovessi scoppiare a piangere da un momento
all’altro.”
“Ma non ha tutti i torti. Hai un faccino
così…”
“Mike! Ho sedici anni,
per Nimue. E
sono un ragazzo.”
“Un ragazzo delizioso.”
Al, suo malgrado, fece un mezzo sorriso. “Potrei prenderla
come una molestia
sessuale, lo sai?”
“Beh, era intesa in effetti.” Lo
stuzzicò arruffandogli i capelli.
Al se li
riaggiustò con una risatina,
mentre svoltavano l’ennesimo corridoio di pietra umida dei
sotterranei. Non
avevano certo bisogno di affidarsi alla clemenza della memoria, loro.
Michel si fermò
davanti al
muro che nascondeva l’ingresso del loro dormitorio.
“Veni, vidi et vici.”
Recitò prima di lanciargli un’occhiata.
“Come
stanno andando le indagini?”
Al serrò appena le labbra. “Non ne ho idea. Sai,
c’è il fatto che sono un mago
minorenne e semplicemente uno di famiglia.
Credo che mio padre ne sappia più di me, ma non risponde ai
miei Gufi. C’è da
dire che ne riceve così tanti al giorno che non sempre nota
le mie lettere…”
“Perché
non hai detto a Smith
che Tom era il tuo ragazzo?”
“Per rafforzargli la convinzione che siamo una sorta di setta
incestuosa, dedita
a coprirci l’un l’altro? No grazie.”
Scrollò le spalle. Poi vide qualcosa che
attirò la sua attenzione, poco prima che il muro si aprisse
lasciando
intravedere la Sala Comune.
Era uno Tiratore. Sembrava sinceramente spaesato e si aggirava per il
corridoio
con una scatola in mano.
Al dimenticò il suo proposito di chiudersi nella nuova
stanza che gli era stata
assegnata – visto che la loro vecchia stanza aveva i sigilli
dell’indagine in
corso – e lo avvicinò.
“Salve. Posso
esserti utile?”
Chiese, pieno di gentilezza.
Il Tiratore lo
guardò confuso,
prima di rispondere al sorriso. “Ehm…
Sì. Mi chiedevo… Dove si trova
l’ufficio
del Direttore?”
“Il professor Lumacorno?”
“Sì, esatto. Devo consegnargli gli effetti
personali di Thomas Dursley, ma…”
Esitò,
in imbarazzo.
“Non preoccuparti,
questo
posto è un autentico labirinto per chi non ci passa nove
mesi l’anno…” Scherzò
fingendo empatia, mentre lo sguardo automaticamente andò
alla scatola.
Lì dentro
c’erano le cose di
Tom. E se il primo Lumacorno era stato un gentiluomo serpeverde,
unicamente
attaccato al cibo, il nipote, attuale Direttore di Serpeverde, aveva
una
curiosa propensione alla cleptomania.
“Quindi, dove si
trova?”
Chiese l’agente, lanciando un’occhiata curiosa alla
loro Sala Comune alle loro
spalle. Michel si frappose con naturalezza, sbarrandogli la vista.
“Puoi darla a
noi.” Disse Al,
scrollando le spalle. “Gliela recapiterò
io.”
Il ragazzo lanciò uno sguardo alla sua spilla.
“Prefetto Potter.” Lo rassicurò,
indicandola. “Sta’ tranquillo. Ti
accompagnerei all’ufficio, ma ci devo andare dopo e sono
già in ritardo per il
mio gruppo di studio.”
Sei un tassorosso. Dimmi che sei un
fiducioso tassorosso, avanti.
Aveva l’aria di un tassorosso, ma evidentemente
aveva anche delle direttive
ben precise da seguire. “No, credo sia meglio se mi indicata
la strada.”
“Oh, certo. Lo
vedi quel
corridoio?” Indicò alle sue spalle. Il tassorosso
–oh, se lo era –
si voltò. E Al ebbe tutto il tempo di prendere la
bacchetta.
“Confundus.”
Recitò mentre il
poveretto ondeggiò spaventosamente, come colto da un
capogiro improvviso. Gli
prese la scatola tra le mani rilassate e la rimpicciolì per
poi farsela sparire
nelle tasche del mantello.
Il giovane si riprese
velocemente, scuotendo la testa.
“Cosa…?” Si guardò le mani.
“La scatola…”
“L’hai
già consegnata.”
Sorrise, sentendosi l’adrenalina scorrere a mille.
“Non ti ricordi? Ci hai
chiesto informazioni su come raggiungere l’ufficio del
Direttore.”
Il Tassorosso batté le palpebre un paio di volte.
“Oh. Quindi l’ho consegnata?”
“Beh, se non ce l’hai in
mano…” Suggerì, sentendosi i palmi
delle mani
spiacevolmente sudati.
Andiamo.
Sei un tassorosso. Fidati. Lasciami in pace.
Quello
sospirò. “Ah… beh. Allora…
grazie.” Borbottò confuso, prima di voltar loro le
spalle ed andarsene.
Quando ebbe svoltato il
corridoio Al si sentì molto simile all’essere
invincibile. Adesso capiva come
si sentiva James ogni qual volta faceva qualcosa di potenzialmente
capitale per
la sua carriera scolastica. Entrò nella Sala Comune, con
dietro l’amico, che
era rimasto silenzioso per tutta la durata dell’operazione.
“Spero che ne sia
valsa la
pena almeno…” Osservò neutro.
“Sono le cose di
Tom.”
Replicò. Ed era tutto lì in fondo. Si tolse di
tasca la scatola, riportandola
alla forma originaria. “Le devo tenere io.”
La appoggiò su
uno dei
tavolini di mogano nero disseminati per la stanza, aprendola con un
colpo di
bacchetta. Non si era sbagliato: c’erano un paio di libri
personali, l’agenda
babbana dove appuntava le sue scalette di studio e il suo orologio
digitale,
regalo di suo padre per i suoi dieci anni. Con un mezzo sorriso
notò come ci
fosse anche la sua sciarpa verde-grigia. Non la usava mai.
Tirò fuori anche
il suo
preziosissimo, quanto inutile in quei terreni, lettore mp3.
“E se
c’è qualche indizio?”
Spiò Michel guardando indecifrabile gli oggetti. Al era
certo che di alcuni non
ne capisse neanche la funzione.
“Le hanno già esaminate. Se c’era
qualcosa, non è di sicuro qui.”
L’altro fece una smorfia. “Lo sai che quando si
tratta di Dursley perdi il
senno?”
Al sentì un nodo spiacevole allo stomaco: era vero, aveva
fatto qualcosa di
immensamente stupido, e se il Tiratore si fosse accorto di essere stato
confuso,
avrebbe passato dei guai. Enormi.
Ma
sono le cose di Tom.
“Non sono
impazzito.” Ribatté,
infilandosi il lettore in tasca. “Non capisco
perché debba tenerle Lumacorno. A
Tom darebbe fastidio. E metti che prendeva qualcosa?
Tom…”
“Tom potrebbe non tornare.”
La frase fu come uno scoppio di incantesimo nella sala deserta.
Michel non aspettò la sua risposta, continuò.
“Potrebbe essere anche fuori
dalla Scozia, o dal Regno Unito per quanto ne sai.
Al…” Lo afferrò per le
spalle. “So che ci tieni a lui, mi è dolorosamente
chiaro… Dici che fa parte
del tuo passato… ma non credi che in realtà sia
un elemento estraneo? Non
avrebbe dovuto essere tuo cugino e non avrebbe dovuto crescere con te.
Tuo
padre l’ha salvato, ma non sapeva neppure chi era, o da dove
venisse.”
Al sentì un
sapore acido in
fondo alla gola. Era il suo sarcasmo che urlava per uscire, ne era
certo, anche
se non c’era niente su cui ironizzare. “Stai
dicendo… che anche
secondo te Tom era d’accordo con il suo rapitore?”
Michel si morse un labbro, intuendo forse di aver esagerato.
Rientrò subito in
carreggiata, sorridendo appena. “Non fraintendermi. Sto solo
dicendo che forse
il suo rapitore non ha cattive intenzioni. Se avesse voluto ucciderlo
avrebbe
potuto farlo con i Naga, come mi hai detto tu…”
“Ha ucciso una persona e la gatta del custode,
Mike!”
“Sto solo dicendo che chi
l’ha
rapito… potrebbe essere stato incaricato dalla sua vera famiglia. Pensaci. Molte famiglie
magiche non vanno troppo per
il sottile quando si tratta di riavere indietro i propri figli. Tom
è un mago
molto dotato, forse proviene addirittura da una famiglia
purosangue…”
“Non mi interessano le tue teorie sul razzismo magico,
Mike.” Sbottò. “Tom è un
Dursley. Tom è parte della mia famiglia. E non mi importa
chi lo vuole. Io so cosa
vuole lui. E lui vuole noi, questa vita. Vuole me.”
Michel non rispose a questo.
Lasciò la presa sulle sue spalle, guardandolo attentamente.
Al registrò che non
l’aveva mai visto così serio.
“Spero davvero che
tutta
questa fiducia sia ben riposta, Albus.”
Al inspirò.
“Lo è.” Fece un
passo indietro. La Sala Comune gli sembrava improvvisamente troppo
stretta. Dai
finestroni che si aprivano sulla vista bluastra del Lago Nero vide
passare una
sirena. In quel momento si sentì più vicino a
quella creatura marina, che al
suo amico.
Abbiamo
qualche problemino di incomprensione…
Perché
nessuno, nessuno, capisce che posso fidarmi di Tom? Che so
che non sarebbe mai andato via di sua spontanea volontà?
È
così difficile?
“Dove
vai?” Gli chiese.
Al fece spallucce.
“A farmi un
giro.” Prese un respiro e non gli importò di
lasciarlo uscire stavolta, il suo sarcasmo.
“E per la precisione, sei tu
l’elemento estraneo. Un modo elegante per dire di farti gli
affari tuoi, vero?”
****
Londra,
Ministero della Magia.
Dipartimento di Applicazione della Legge Magica, Secondo piano.
Ufficio
del Direttore.
Harry fu fatto entrare
nell’ufficio
del Direttore del Dipartimento da una giovane ed efficiente segretaria
che rispondeva
– forse – al nome di Ella.
Zacharias lo seguiva a pochi passi di distanza: sembrava che la
convocazione
l’avesse intimidito, e per tutto il tragitto fino a
lì non aveva aperto bocca.
Non che Harry se ne fosse
lamentato: non gli dispiaceva poter rimanere solo con i propri pensieri.
“Direttrice, ci
sono l’agente
Potter e l’agente Smith.”
“Falli entrare.”
La direttrice… Harry la conosceva bene. Quasi
vent’anni prima gli era
letteralmente piombata in casa con l’Ordine, per prelevarlo
una volta compiuti
i fatidici diciassette anni.
Hestia Jones ora era una
donna
sulla sessantina, dall’aria severa, stemperata
però dalle guance perennemente
rosee e gli occhi brillanti.
Prima che la carica fosse
assegnata a lei, Harry aveva avuto parecchi problemi a relazionarsi con
l’allora
direttore, un ex-auror dal temperamento collerico. Quando si era
insediata, l’aveva
mandato a chiamare e aveva settato i suoi parametri. Harry ci si era
sempre trovato
piuttosto bene, almeno fino a quel momento.
“Lei
è così abituato ad avere il mondo sulle sue
spalle,
Harry, che non mi stupisco che voglia risolvere tutti i guai
dell’umanità. Ma qui
ci aspettiamo solo due cose da lei. Che non si faccia uccidere e che risolva i casi.”
“E
i richiami disciplinari? Il mio temperamento sovversivo?”
“Impari ad essere discreto.”
Un suo collega di origini
babbani una volta gli aveva detto, scherzando, che la Direttrice
sembrava la
fotocopia magica di M, il famoso
capo
di James Bond.
Gli era capitato di vedere i
film. Lui ne era certo.
“Harry, Agente
Smith.” Sorrise
loro brevemente. “Prego, accomodatevi.”
Harry notò che
davanti alla
scrivania era seduto un altro mago. Sulla quarantina, con ordinati
capelli
ricci e un fisico sportivo. Non gli ricordava nessuno e non riconosceva
la
foggia del mantello: era blu scuro, bordato di rosso e bianco. Lo
guardò
meglio, quando si voltò e si alzò in piedi per
salutarli.
“Vi presento Ethan
Scott, agente
del Dipartimento di Giustizia Magica americano.”
L’uomo si produsse in un sorriso affabile, che lo
qualificò immediatamente come
proveniente da quella terra. Gli tese la mano. “Abbiamo
sentito parlare
parecchio di Harry Potter. È un onore poterlo incontrare di
persona. È anche
nei nostri libri di storia, lo sa?”
Harry gli strinse la mano, lanciando un’occhiata confusa al
proprio direttore.
“Ehm… Ne sono lusingato.”
“Dovrebbe! In America non ci occupiamo granché
degli affari del Vecchio
Continente.” Rispose, beccandosi un’occhiataccia da
Smith, che Harry in fondo
si sentì di sposare appieno.
Chi
diavolo è questo tizio?
La Direttrice si
schiarì leggermente
la voce. “L’agente Scott è qui per il
caso di rapimento del giovane Dursley. Ha
informazioni che potrebbero essere d’aiuto
nell’indagine.”
Smith a quel punto si sentì legittimato a farsi avanti.
“Riguardo ad Ainsel
Prynn?” Chiese spiccio.
Harry rimase in silenzio: era la stessa domanda che avrebbe voluto
fargli lui.
“Selina
Hardcastle. Era questo
il suo vero nome.” Replico l’americano senza
scomporsi. “Era una nostra agente,
lavorava sotto-copertura.”
“E come mai non ne siamo stati informati?”
Intervenne Harry, ignorando
l’occhiata di fuoco che gli scoccò Smith.
“Per quanto ne sapevamo noi, era un
insegnante di trasfigurazione.”
Se
era una dei buoni… Perché ha spinto Tom nelle
braccia di John Doe?
“Era
un operazione sotto-copertura,
Mister Potter.” Spiegò pacato, ignaro delle sue
riflessioni. “C’erano dei
protocolli da seguire, primo trai quali la segretezza assoluta. Era
troppo
rischioso informare il corpo insegnante. In ogni caso erano agenti
qualificati,
in grado di integrarsi nel tessuto scolastico
senza…”
“Erano? Quanti dei vostri
agenti sono
ad Hogwarts?” Lanciò uno sguardo alla Direttrice,
che rimase imperscrutabile.
Ma dalla piega appena accennata della bocca capì che neanche
la donna era a
conoscenza della situazione.
E che la cosa non le piaceva
per nulla.
Sento
odore di incidente diplomatico in arrivo…
“Erano.”
Lo corresse Scott.
“Immanuel Ziel e Ainsel Prynn. Ziel… era Primus
Zimmermann, uno dei nostri
migliori agenti della Sezione Terrorismo Internazionale. Quando
è morto abbiamo
dovuto rimpiazzarlo. E qui entra in scena l’agente Hardcastle
nella quale, mi
duole ammetterlo, riponevamo la massima fiducia. Mal riposta,
evidentemente…
Considerando che si è venduta a quel gran
bastardo…” Fece un sorrisetto di
scuse all’imprecazione. “… del
camaleonte.”
Harry fece una breve capriola mentale per ricollegare nome a nome.
“Intende John
Doe?”
L’americano fece un breve cenno affermativo.
“È uno dei tanti pseudonomi dietro
cui si nasconde, sì. Noi l’abbiamo chiamato
Camaleonte perchè, beh… Diciamo che
è estremamente bravo a far perdere le tracce. È
un metamorfomago.”
“Perché
non avete condiviso
prima queste informazioni con noi?” Sbottò Smith.
“Ho passato quattro giorni a
brancolare nel buio con i miei uomini!”
“Non è una situazione facile.”
Ribattè gravemente l’uomo. “Io stesso ho
trovato
delle resistenze da parte del mio governo per venire qui, a parlare con
voi.
Come ho già detto, era un’operazione
sottocopertura.”
“Che tipo di operazione?” Spiò Harry.
Sentiva una grande confusione in testa.
Era come se improvvisamente si fosse rotta letteralmente una
diga di informazioni.
E
noi siamo sotto…
“L’agente
Zimmelmann come
l’agente Hardcastle erano incaricati della sorveglianza di
Thomas Dursley.”
“Perché sorveglianza? È solo un
ragazzo…” Harry era incredulo. I nodi stavano
venendo al pettine, ma non avrebbe mai pensato che sarebbero stati grossi.
L’agente Scott fece un lieve cenno. Avvicinò con
la mano un fascicolo che aveva
appoggiato sulla scrivania della Direttrice. Lo aprì,
girandolo verso di loro.
Harry si
avvicinò. La foto
magica che campeggiava nella prima pagina lo fece ispirare bruscamente.
L’uomo ritratto avrebbe potuto essere tranquillamente Tom con
trent’anni in più
sul viso. Le labbra, la forma degli occhi… erano le stesse.
Solo il colore dei
capelli differiva.
L’uomo guardava dritto nell’obbiettivo, con uno
sguardo terribilmente
penetrante.
Non
c’è dubbio… quest’uomo
è un suo parente.
“…
È suo padre?” Chiese atono.
L’agente Scott lo
guardò
sorpreso. “Ottimo spirito di osservazione.”
Picchiettò l’indice sulla foto.
“Alberich
Von Hohenheim, nato in Germania, attualmente a capo della Thule. I suoi
adepti
sono ricercati per aver ucciso e praticato magia nera sia in Germania
che negli
Stati uniti, subito dopo la seconda guerra mondiale babbana. Stiamo
parlando di
sacrifici umani e amenità simili…”
Smith fece una smorfia disgustata. “Non ne abbiamo mai
sentito parlare…”
L’americano scrollò le spalle. “Non ne
dubito. Qui in Inghilterra nei suoi anni
di maggiore attività era oscurata da una minaccia ben
più grande…”
“Voldemort.” Rispose in automatico Harry.
“Esattamente.” Confermò.
“Diciassette anni fa la Thule ha apparentemente
cessato ogni attività e Hohenheim è scomparso nel
nulla. Ma sapevamo che era
solo uno specchietto per le allodole. Sapevamo che suo figlio era in
Inghilterra, che era un mago, un purosangue. Abbiamo mandato un nostro
agente
ad Hogwarts, per cercarlo e raccogliere informazioni su di lui.
Sapevamo che
prima o poi Hoheneim l’avrebbe cercato…
e infatti sei mesi fa John Doe è riapparso.
È uno degli uomini a
servizio di Hohenheim, il più fidato, il più
pericoloso. Crediamo sia stato lui
a rapire il giovane Thomas.”
“Sapete
già dei Naga…” Iniziò
Harry, ma fu immediatamente fermato. Sembrava che l’agente
Scott avesse fretta
di spiegare tutto.
“Sappiamo tutto. L’agente Prynn prima
di… cambiare squadra, diciamo pure così,
ci forniva rapporti settimanali.”
Harry si passò
una mano trai
capelli, stordito. Dovette pulirsi gli occhiali un paio di volte, prima
di
riuscire a formulare una domanda che gli sembrava sufficientemente
sensata.
“Quest’uomo… rivuole quindi Thomas ed ha
incaricato Doe di recuperarlo?”
“Non si tratta solo di nostalgia paterna,
purtroppo.” Replicò Scott.
“Ora… non
avremo mai messo il ragazzo sotto sorveglianza, alle vostre spalle, se
non
fosse che la Thule ha un solo scopo fondativo. Ottenere
l’immortalità
dell’essere umano.”
“… e cosa c’entra Thomas con
questo?”
“Beh, il ragazzo è nato morto. E adesso
è vivo.” Scott fece una pausa
sgradevole. “È la chiave.”
****
Hogwarts,
Dintorni del Lago Nero.
Ora di pranzo.
Era buffo.
Thomas aveva passato sei anni a cercare un angolo dove far funzionare
il suo
lettore mp3, scandagliando il parco pezzo per pezzo, tentando di
trovare un
punto dove l’aura magica del Castello si smorzasse.
E ironia, funzionava solo nel suo punto preferito, che di solito Tom
evitava
perché troppo ventoso.
Al giocherellò con il cursore. Liste e liste di gruppi che
gli erano perlopiù
sconosciuti gli scorrevano davanti agli occhi. Il vento gli
schiaffeggiava il
viso, facendogli lacrimare gli occhi.
E andava benissimo
così.
Premette un tasto a caso. Non aveva mai capito bene come funzionava
quell’affare, lui era un tipo da Radio, non da collezione di
pezzi
prestabiliti. Gli piacevano le sorprese.
Si sentì
piuttosto soddisfatto
quando riuscì a trovare il menù di riproduzione
casuale.
Quando sentì le prime note della canzone scelta,
sentì una mano stritolargli le
viscere. Serrò appena le labbra.
He said to lose my life or lose
my love,
That’s
the nightmare I’ve
been running from.
So
let me hold you in my
arms a while,
I
was always careless as a
child.
Quella canzone non era una
sorpresa poi così gradita.
Se la ricordava. Un anno prima Tom l’aveva costretto ad
ascoltarla per
tappargli la bocca, dopo che per un intero pomeriggio gli aveva parlato
dell’ultimo campionato di Quidditch.
Gli aveva concesso
l’auricolare sinistro, intimandogli di chiudere la bocca
almeno per quei pochi minuti.
“Perché
cavolo ascolti sempre canzoni che parlano di
roba deprimente, accidenti a te! Questa parla di due tizi che si piantano.”
Un sospiro. Un colpetto sulla testa. “Sei superficiale. Parla
della difficoltà
di essere amati e di amare, Albus. La difficoltà di riuscire
a stare assieme
nonostante tutto. E ascolto questa roba perché le
cose tristi, solitamente, tendono anche ad
essere profonde.”
Si strofinò la
guancia, per
evitare che il vento freddo gli bruciasse la faccia con le proprie
lacrime.
Poi la vide. Di nuovo, come apparsa dal nulla, dalle nuvole bituminose
gonfie di
pioggia.
La fenice, Fanny.
Compiva dei larghi giri attorno al Lago Nero.
Si alzò in piedi di scatto. “Fanny!”
La chiamò.
Spense il lettore, infilandoselo in tasca. La fenice, quasi lo avesse
sentito,
planò dolcemente nella sua direzione, prima di fare un altro
giro e infilarsi
direttamente dentro la Foresta.
Poi, la sentì cantare.
Era un canto dolcissimo,
lieve
e per un attimo si chiese se non fosse tutto uno scherzo della sua
immaginazione. Non passò molto tempo a chiederselo. La
seguì, come l’altra
volta.
Quando superò la prima fila di alberi girò a
largo di Odino, il cane di Hagrid
che gli abbaiò contro festoso, forse cercando coccole. Lo
ignorò, tirando
dritto.
La Fenice era appollaiata su un ramo e cantava. Non se l’era
immaginato.
Ansimò leggermente, riempiendosi le orecchie di quella
strana sensazione di
pace, e sentì qualcosa di caldo inondargli il petto,
facendolo sentire meglio,
scacciando il freddo che gli gelava continuamente le ossa.
Improvvisamente la paura,
l’angoscia, si erano di nuovo dissolte come neve al sole.
Sorrise appena.
“Com’è che
appari quando sto quasi per crollare?” Sussurrò
appena. Gli occhi della fenice,
ossidiana pura, sembravano fissarlo e capirlo.
“Vorrei trovare
Tom… sai? Più
di ogni altra cosa. Non mi importa di quello che dice la gente, io so
che lui
non ci avrebbe mai abbandonato… Vorrei trovarlo, e
riportarlo a casa.” Le
confessò.
Come
se mi potesse capire poi, che idiota…
La
fenice a quel punto spiccò di nuovo
il volo.
“Ehi!”
Ma non fece molta strada. Si posò su un altro ramo, un
centinaio di metri più
in là. E riprese a cantare.
Al rimase indeciso sul da farsi. Il sole in quel periodo
dell’anno tramontava
presto. Mancava poche ore prima che la luce del sole venisse meno.
Ma
hai la bacchetta… e lei ti sta aspettando.
Era vero. La fenice sembrava
aspettare lui. Fece una prova e la raggiunse. Appena arrivato ci mise
poco
prima di spiccare di nuovo il volo.
Vuole
che la segua…
Normalmente non si sarebbe
fidato delle creature del bosco. A parte i centauri sapevano essere
piuttosto
infide. Ma quella era una fenice.
Anzi, era Fanny, la leggendaria fenice di Silente.
“Tu…”
Aspirò una boccata d’aria,
gelida e piena di speranza. “… Tu sai
dov’è Tom?”
Le Fenici, secondo un Bestiario che aveva consultato in biblioteca,
erano
animali molto intelligenti.
Forse ha visto qualcosa… forse ha
visto
dove Doe l’ha portato…
Sapeva che sarebbe dovuto tornare al Castello e allertare i
Tiratori. Che
una bacchetta non faceva di lui un mago potenzialmente abile a tirare
fuori Tom
da quella situazione.
Ma
se quando torno se n’è andata?
Ma la domanda era
un’altra.
Ho
scelta?
La Fenice spiccò
di nuovo il
volo, e Al smise di pensare. E la seguì.
****
Sentì un freddo
improvviso. Gelido,
come uno schiaffo bagnato.
Qualcuno gli aveva gettato
dell’acqua
addosso.
Tom si svegliò,
tossendo e
inghiottendo ampie boccate di aria gelida. Si sentiva debole, affamato
e il
freddo gli era penetrato nelle ossa fino a rendergliele vetro gelato.
Gli occhi gli bruciavano, persino alla luce debole di un fuoco appena
riacceso.
“Ben svegliato Thomas. Lasciatelo dire, amico… non
hai una bella cera.”
Doe era da qualche parte nella penombra. Lo sentì
avvicinarsi, e istintivamente
sentì la magia ribollirgli nelle vene.
Almeno quella, era
l’unica
cosa che non lo aveva ancora abbandonato.
Doe fece una risatina. “Notevole… avresti ancora
la forza di schiantarmi. Certo,
se avessi una bacchetta e se non avessi fatto in modo che qua dentro
non si
possano fare incantesimi più innocui di un lumos.”
“Come… hai…” Le parole gli
raschiavano il fondo della gola, dolorosamente. Doe
si chinò e gli appoggiò del vetro gelido contro
la guancia. Un bicchiere. Spostò
il viso e bevve avidamente. Era acqua tiepida, leggermente zuccherata.
Non poté farne a
meno,
stavolta.
“Bravo bambino.
Meglio adesso,
vero?” Gli chiese, posando il bicchiere vicino a lui. Era
accovacciato a pochi
passi di distanza. “La sete è la prima cosa che ti
frega, quando sei prigioniero…
Poi arriva la fame, e se il posto non è granché
confortevole, e tu magari eri
già bagnato fradicio…”
Schioccò la lingua. “Credo tu abbia la febbre
alta,
Thomas. Ma non preoccuparti. Questo non frustra le tue
capacità magiche.”
Non rispose nulla. Anche se
avesse avuto qualcosa da dire, non credeva sarebbe riuscito a mettere
tre
parole di senso compiuto in fila. Il suo cervello continuava a lavorare
incessantemente, ma si era accorto da un po’ di tempo (mesi,
anni?) che non c’era
più un filo logico nei suoi pensieri. Solo un urlo continuo.
Fatelo
finire.
“L’essere
umano quando è
costretto in situazioni estreme… oh, si comporta in modo
singolare. Annulla tutti
i desideri, le speranze, i codici morali… per un solo,
semplice bisogno. Sopravvivere.”
Doe continuava a parlare,
ma lo sentiva, lo capiva solo a
tratti. “Credimi, non mi diverto a tenerti legato
così, in questo posto buio e
freddo. Se avessi fatto il bravo e ti fossi arreso subito
all’inevitabile,
invece di mettere su quel teatrino… beh, non saremo arrivati
a questo punto.”
Fece un sospiro. “Ci siamo, Thomas. È
ora… sono riuscito a decifrare il diario
di quel ridicolo ometto… Ci prenderemo la bacchetta, dopo
che tu avrei ucciso
Harry Potter.”
“Io non…” Tentò. Un conato di
vomito lo assalì violentemente. Un brivido gelido
lo scosse.
Che diavolo ci aveva messo
nell’acqua?
“Non ho messo nulla
nell’acqua…” Sembrò quasi
leggergli nel pensiero. “Stai
male, Tom, è tutto qui. Sei a ridosso
dell’ipotermia, hai la febbre alta e il
tuo fisico è indebolito dalla mancanza di nutrimento. Un
terreno fertile per l’imperio.”
Si sentì scivolare qualcosa
contro il collo. Sembrava una collana.
Poi capì.
Era la pietra.
“Non vogliamo
lasciare niente
di intentato, vero?” Sussurrò Doe. “Lo
so che non ti piace tenerla addosso, ma
sono sicuro che ad una parte di te è
mancata…”
Voldemort… era un horcrux stregato
da
Voldemort…
Tom capì che
quelli sarebbero
stati i suoi ultimi attimi da innocente. Che avrebbe ucciso Harry, o
Harry
sarebbe stato costretto ad ucciderlo. Che in quelle condizioni non
sarebbe
neppure riuscito a contrastarlo. Che non avrebbe più rivisto
la sua famiglia, i
suoi amici… e Al.
“Che fai Thomas,
piangi?” Sogghignò.
Serrò le labbra e lo guardò negli occhi. Se
doveva morire o uccidere, gli
ultimi attimi da uomo libero non li avrebbe passati ad avere paura. Era
ridicolo.
La
cosa davvero ironica è che non hanno capito che
Harry è un eroe. Non esiterà con me, se
può salvare tutti…
“Imperio.”
****
Note:
Secondo i miei –sic! – calcoli ancora due capitoli.
;)
Non mi odiate. Andrà tutto bene.
… Anche se penso
di avere la
capacità persuasiva di un pilota di un boeing in fiamme.
1.
Qui la canzone.
Altre fan-art,
perché sono una
ragazza fortunata e ADORO queste ragazze.
La
prima è di Elezar81
impagabile come al solito. La adoro.
Questa
GUARDATELA
e
la conseguente reazione sono di
Iksia bravissima disegnatrice indonesiana, su cui
riverso tutto il
mio pessimo inglese. È così carina da
interessarsi a quel che ho da dire sulla
Next Generation. Ed ha capito Tom e Al senza leggere una riga! *_*
|
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Capitolo 50 *** Capitolo XLV ***
Vi ringrazio tantissimo per
le
visite, e sopratutto per i commenti. Andiamo ragazzi, trecento?
*sguardo avido
come Gollum* Questo è un capitolone! *Speranzosa*
(Ormai Dira non ha più dignità)
@NickyIron: Spero
di aver dato delle spiegazioni sensate con quest’ultimo
capitolo! T_T Dimmi di
sì!
@Pheeny: Tranquilla, la fine di
questa parte è vicina. Penso proprio che ce ne
sarà una seconda ;) Zabini hai
ragione, in fondo è un bravo diavolo, ma… aspetta
e vedrai! ;)
@Altovoltaggio:
Eeehi, ehi, io non lascio mai nulla al caso! (*faccia da paracula*) Tom
che fa
tenerezza è un ossimoro, ma è vero, fa tenerezza!
XD In effetti alla fin fine è
un adolescente spaventato. Per l’imperio… ehm,
sinceramente non saprei. So, da
fonti certe, che con una grossa forza di volontà si possa
scioglierlo. Mi spiego:
se vuoi veramente scioglierlo, puoi riuscirci e combatterlo. Ma Tom ha
anche il
medaglione impregnato di magia nera di Voldemort… quindi
diciamo che non sarà
una passeggiata per lui. ;) Grazie grazie per i complimenti ad Al e
Tom! Grazie!
Davvero!
@Simomart: Ciao! Essì, ormai siamo alle
battute finali! Mi mancherà! (Se
non fosse che sì’, ci sarà una seconda
parte) Per le due osservazioni, ecco
qui: in effetti quella cosa delle parentesi è un
po’ ridondante, e in questo
capitolo l’ho tolta. Per quanto riguarda Al… in
effetti sì, suona un po’ strano
che riesca a far fesso un Tiratore. Ma ti ricordo che è un
allievo e un
tassorosso (almeno, preso per tale). E poi Harry ha fatto fessi gente
peggiore!
XD Tipo Lucius… però è vero, ho notato
anche io che era un po’ esageratina come
scena. Grazie per l’appunto, lo seguirò in futuro!
Grazie per i complimenti
sullo “spiegone” … ammetto che mi faceva
paura, e non me ne sono ancora tirata
fuori. Dimmi tu se sono stata efficace (a me in fondo Zacharias sta
simpatico
XD) Grazie anche per i complimenti, e sì, devo ammettere che
i sogni di Tom
fossero in qualche modo… premonitori. :P
@Trixina: Trixina! Tu sei una
recensitrice di lunga data! Quindi capisci come me quante nostalgia
provi a
finire questa storia. MA, c’è un ma. A quanto pare
avrò bisogno della seconda
parte per spiegare tutto… quindi per un po’ non vi
libererete di me e dei miei
pg. XD Mi fa piacerissimo che tu abbia apprezzato questa storia e
persino la
musica (ti adoro!) che vi ho legato! Grazie, grazie,
grazie! Sono d’accordo con te
sulla cosa dell’eroe. Non puoi piacere a
tutti… e la Row questo lo ha fatto capire bene in quasi
tutti i suoi libri. E
per il resto… aspetta e vedrai! ;)
@Aga: Ciao!
Eheheeh, grazie mille e sono FELICISSIMA che tu abbia capito la trama,
avevo
tanta paura che ci potessero essere dei punti oscuri.
Comunque… no, Harry non
sarà il solito eroe della situazione. ;)
****
Capitolo XLV
Look to the stars/ let hope burn in
your
eyes
And
we'll love/ and we'll hope/ and we'll die/all
to
no avail…
(Stockholm
Syndrome, Muse)¹
Appartamenti
del professore di difesa contro le arti
oscure.
Prima
di cena.
James si passò le
dita trai
capelli, guardandosi critico allo specchio del bagno.
Non suo.
Era tutto iniziato da una
legittimissima richiesta di chiarimento su una lezione. Davvero, i MAGO
si
avvicinavano, e lui aveva bisogno di voti piuttosto consistenti nel suo
curriculum scolastico. E sapeva che Teddy non gli avrebbe mai regalato niente.
Quindi, richiesta di
chiarimento. C’era stata, molto esaustiva. L’aveva
assimilata… e poi la
successiva cosa che ricordava dopo ‘grazie
Teddy, andrò a farmi una lunga doccia bollente adesso’ era stato
l’impatto della sua schiena contro la scrivania.
Teddy si era stappato,
e i risultati gli piacevano tantissimo.
In quella situazione di
stasi
tremenda, con Tiratori del Ministero ovunque, con Tom
scomparso… era bello
poter trovare un’oasi di pace.
Fece un sorrisetto prima che
gli occhi gli cadessero su una colonia dall’aria costosa.
La prese in mano. Aveva un
nome francese.
Fece una smorfia.
Probabile fosse uno dei regali da cento galeoni di Victoire, che Teddy
si
sentiva sempre in disagio ad usare o indossare.
Soppesò il
profumo. Ci rifletté:
beh, nessuno avrebbe sentito la mancanza di un odoraccio francese.
“… Jamie, che stai facendo?”
James, colto con la boccia di profumo svitata, in bilico sulle acque
del
gabinetto, ebbene la prontezza di spirito di… nasconderlo
dietro una mano.
Veramente
geniale, amico. Veramente geniale. – Lo
rimproverò la sua Scorpius-coscienza. L’aveva
ribattezzata così da quando il cretino Malfoy si era
personalmente incaricato
dell’onore.
“Provo a
spruzzarmelo?” Tentò,
tirando fuori la sua migliore faccia da schiaffi.
“A me sembra che tu stia per svuotarlo e tirare
l’acqua, veramente.” Sospirò,
raggiungendolo e prendendogliela di mano. “È un
regalo.”
Serrò appena le labbra, tirandogli un colpo con la mano
aperta sul petto nudo.
Sogghignò quando vide l’altro sussultare per il
dolore. “Lo so che è un regalo,
tonto. È di Vitr… di Victoire?”
Teddy gli lanciò uno sguardo indecifrabile. Questo, prima di
mettersi a ridere
sinceramente.
Si sentì lievemente preso per il culo. “Che
cacchio c’è da ridere?”
L’altro scosse
appena la
testa, sorridendogli paziente. Oh, quell’espressione la
conosceva bene. Sapeva
che c’era un margine di possibilità di evitare una
punizione adesso!
No. Momento. Fece mente
locale.
Quale
punizione? Stai semplicemente segnando il tuo territorio, uomo!
Lo guardò con sguardo cupo, senza sapere di
risultare tremendamente
imbronciato. “Che cazzo c’è? Non
dovresti tenere i regali della tua ex!” Gli
tirò un pugno sulla spalla. Stavolta sentì le
nocche gemere. Il dannato Lupin
aveva dei bicipiti d’acciaio.
Com’è
possibile se l’unico sport che fa è il
sollevamento delle tazze di the?!
Teddy stavolta
reagì. Lo
bloccò tra le sue braccia. James lo sentì
sussultare appena, visto che aveva la
faccia spiaccicata contro il suo collo. Stava ancora
ridendo.
“Ma sei
scemo?” Sbottò,
cercando di divincolarsi. Si accorse, con suo sommo sgomento, che
l’altro
conosceva una presa praticamente ineludibile.
Stupida
Accademia Auror! Io non ci sono ancora andato!
“Jamie, la smetti
di tentare
di lasciarmi lividi permanenti? Guarda che mi fai
male…” Disse, con quel
pedante tono paziente. Se solo non avesse avuto quel tono di voce dolce
avrebbe
dovuto ucciderlo.
“Sì,
vedo. Tu e i tuoi
inspiegabili bicipiti.” Borbottò, sentendosi
piuttosto imbarazzato nel
constatare che quella presa si stava trasformando in un abbraccio
piacevole.
Non era abituato a quel genere di post.
Di solito schizzava via dal letto il più velocemente
possibile, dopo. Magari
evitava anche la doccia, per risparmiare tempo. Con Teddy non poteva
essere
così, naturalmente.
“James?”
Teddy lo richiamò. Si
accorse di essere accoccolato in modo ignobile addosso a lui. Se avesse
fatto
le fusa non sarebbe stato così strano. Infatti Teddy gli
fece un grattino
scherzoso sulla nuca.
“Stronzo.”
Lo gratificò.
“Perché tieni i regali della tua ex?”
“Come stavo cercando di dirti prima che tentassi di rompermi
un osso, non è un
regalo di Vic. Ma di Fleur.”
“Di sua madre.” Fece una pausa. “Ne sei
affascinato?”
“Beh, è una mezza-veela. Se non lo fossi, sarebbe
strano…”
“Pensi che sarebbe strano
se ti
perforassi la carotide coi denti?” Chiese, sentendo la
collera montare. Era
ridicolo, se ne rendeva nebulosamente conto. Ma era geloso.
Ma
non è poi così ridicolo visto che
nell’ultima settimana
ti sei svegliato tutte le mattine ringraziando un pantheon di
entità spiritiche
di vario genere perché Teddy ti considera finalmente
come un essere degno di
interesse sessuale.
Teddy gli diede un colpetto
leggero sulla nuca, sciogliendolo dall’abbraccio.
“Non capirò mai tutta questa
tua animosità verso Vic e il lato francese della tua
famiglia. Sono bravissime
persone… Certo, Fleur è un po’
egocentrica, ma…”
“Teddy.”
Sospirò paziente. Con quei
suoi grandi occhi dorati Teddy a volte sembrava il ritratto
dell’innocenza. O
del perfetto coglione. “Non è che li odio
perché sono francesi, benché mi
facciano schifo dei tizi che mangiano lumache. Ma perché ti
hanno rubato.”
Teddy inarcò le sopracciglia. “Rubato?”
James sbuffò, recuperando un minimo di dignità
mentre si infilava i pantaloni
della divisa. “Victoire. Ha cominciato a piagnucolare appena
finita la scuola
che voleva tornarsene in Francia. E tu l’hai seguita. Sei
stato sei anni in
Francia, a farle da valletto.”
“Ero il suo fidanzato.” Replicò,
suonando improvvisamente irritato.
James sentì una sensazione spiacevole alla bocca dello
stomaco. Ma non ribatté:
Teddy aveva passato anni con Victoire, e per quanto potesse pestare i
piedi,
quel fatto non poteva cambiare.
Ci rifletté.
Era una svolta niente male:
capire
che non poteva avere sempre ragione.
Decise di sfruttare quel suo
momento di maturità.
“Scusa. Hai
ragione. Però…
Cerca di capirmi.” Rettificò subito.
“È che funziona così nei rapporti. La
persona con cui stai, odia quella con cui stavi prima.”
James soddisfatto constatò come il suo momento maturo era
andato a segno, visto
che l’altro si sciolse in un sorriso.
“Sì,
immagino di sì. Non ho
mai avuto molte esperienze.” Ammise. Assunse
un’espressione meditabonda. “Non
te l’ho mai chiesto, ma…” Prese
un’aria imbarazzata.
James capì
subito. E
sogghignò. “Quante? Io?”
“Immagino che dovrei saperlo…”
Mormorò. Evitò il suo sguardo e capì
che aveva
una voglia matta di saperlo.
“Beh.” Concesse. “È un
discorso lungo e complicato. E adesso dobbiamo
andare a cena,
professore.”
Teddy corrugò le sopracciglia. Sembrò riflettere
molto velocemente. “Sì, lo… No.
Aspetta. Quante?”
James rise, avvicinandosi e afferrandogli il mento con una mano. Si
specchiò in
due iridi avide di risposte. Ora, quello gli piaceva. Gli
stampò un bacio sulle
labbra. Teddy lo ricambiò immediatamente, e forse fu solo
una sua impressione,
ma ci sentì il sapore del possesso
in
quel bacio.
“Senti…”
Brontolò, staccandosi.
“Non voglio essere, ma…”
“Non significavano nulla.” Lo anticipò,
sfregandogli il naso contro la guancia
liscia. Sospettava che con i suoi poteri evitasse di farsi crescere la
barba. “Tu
significhi.”
Teddy sospirò, sfregandogli il palmo della mano sulla testa,
dove i riccioli
erano ricresciuti e si arruffavano.
“James…”
“Sì?”
“Sarà difficile. Lo sai?”
Mormorò, staccandosi per guardarlo. “Questa cosa,
dico.”
James scrollò le
spalle. “Lo
so. L’ho sempre saputo. Da prima di te. Ma so
anche… che combatterò. Per noi
due, intendo.” Borbottò, sentendosi decisamente
esposto. “Se dovessi farlo.”
“Non è
una guerra.”
“Lo sai che
intendo.”
Teddy sorrise, passandogli
un
braccio attorno alla vita. “A volte credo tu sia
più maturo di me, Jamie…”
James sogghignò, passandogli le braccia attorno al collo.
“Ci sei arrivato,
eh?”
Per quanto ci provasse, non
sarebbe mai diventato alto quanto lui.
Oh, non che gli importasse
alla fine.
****
Dentro
la Foresta Proibita.
Ora
di cena.
Al si asciugò il
sudore che
gli si era condensato gelido sulla fronte.
Correva ed inciampava da almeno un paio d’ore. Se avesse
trovato una superficie
su cui lanciare un incantesimo orario, avrebbe anche potuto capire da
quanto
era dentro la Foresta.
Il sole era tramontato da un
bel pezzo, comunque.
“Fanny…”
Inspirò, guardando la
fenice posarsi su un ramo. “Fanny, sono stanco.
Aspetta…”
La fenice lanciò un verso acuto, quasi lo rimproverasse.
Aveva smesso di
cantare da un po’. Forse era stanca anche lei.
Faceva freddo: i rami
coprivano la poca luce del sole invernale, e con il calare della notte
aveva
cominciato a spirare un vento che parlava di pioggia e di neve.
Si strinse il mantello addosso, riempiendosi i polmoni di aria gelata.
La fenice spiccò
il volo, ma
stavolta verso di lui. Fece un passo indietro, non aspettandoselo. Se
la
ritrovò a pochi centimetri dal viso, mentre si assestava su
una delle radici secolari
degli alberi, che intricate formavano dislivelli dove era facile
inciampare.
Al esitò, poi levò la mano. La fenice non si
ritrasse neppure quella volta,
facendosi accarezzare le piume morbide. Era calda.
Certo,
muore sublimandosi in una gigantesca fiamma…
Non era certo che Fanny
sapesse dove si trovava Tom. L’aveva seguita…
perché si fidava. O forse perché voleva
fidarsi. Voleva trovare Tom, a
qualunque costo.
Sapeva che suo padre era stato escluso dalle indagini. Sapeva che gli
era stato
proibito di entrare ad Hogwarts, e sapeva che adesso aveva le mani
legate.
Non aveva neppure risposto
alla sua lettera.
Serrò appena le
labbra: aveva
fiducia di lui, era naturale. Era Tom l’idiota che aveva
nascosto tutto a
tutti. Ma Harry Potter non era lì. Non era venuto a parlare
con lui, aveva
lasciato che Smith lo trattasse come un colpevole e…
Sentì un colpetto
sulla
tempia. Era il becco di Fanny. La guardò: sembrava davvero
capire come si
sentisse o addirittura cosa pensasse.
Le
fenici sono animali leggendari… e si legano
difficilmente ad un mago.
“Jamie morirebbe
di invidia se
ti portassi al Castello…” Ridacchiò.
Alzò lo sguardo.
La luna si
stava già levando, ne poteva intravedere il chiarore dalle
fronde, e
probabilmente in Sala Comune era già stata portata la cena.
Chissà se
qualcuno si era
accorto della sua scomparsa. Ne dubitava.
Hai
passato gli ultimi giorni rintanato in camera, se
non eri a lezione… direi che hai un buon margine per
muoverti…
Non che la cosa gli desse
coraggio, né tantomeno tranquillità. Anzi.
Non era un eroe, lui. Stava
morendo di freddo, aveva fame ed era spaventato a morte. Solo la
presenza di
Fanny gli impediva di fare retro-front.
Sentì un rumore
improvviso,
come qualcosa che fosse stato calpestato violentemente. Legno.
Sobbalzò. La
fenice lanciò un
grido acuto e con un poderoso colpo d’ali si alzò
in volo.
“Fanny!”
Gridò, rendendosi
conto, con orrore, che non poteva perderla di vista. Era in mezzo alla
Foresta
e non ricordava assolutamente la strada del ritorno. Le corse dietro
mentre la fenice
si intravedeva tra il fogliame umbratile. Era buio, troppo buio.
“Lumos
maxima!” La luce della bacchetta rischiarava una
decina di
metri oltre i suoi passi, ma per il momento gli bastava per poter
vedere il
volo della fenice.
Il panico
cancellò via tutta
la stanchezza, con un colpo di spugna. Si sentiva il respiro bruciare e
i
polmoni gelati dall’aria che inghiottiva. Ma non importava.
Non doveva perderla di vista.
“Fanny!
Fermati!” Urlò
sentendosi mancare il fiato. Era troppo stanco per poter correre a
lungo. A
Quidditch almeno era a cavallo di una scopa, non era goffo, non
inciampava sui
suoi stessi piedi. James lo prendeva spesso in giro, dicendo che i
cercatori in
aria erano delle aquile, ma a terra delle papere.
Quando sentì un
ostacolo
intralciargli i piedi, forse una radice, forse un sasso,
pensò stupidamente che
James aveva ragione.
Crollò a terra e si sentì trascinare verso il
basso, a causa della maledetta
forza di gravità.
Era inciampato al limitare
di
una scarpata.
Sentì il mondo
capovolgersi un
paio di volte e dei colpi tremendi alla schiena e ai gomiti, prima che
la sua
rovinosa caduta si fermasse.
Rimase per un attimo a
terra,
cercando di respirare. Sentiva dolore ovunque, ma era piuttosto certo
di avere
ancora la testa attaccata al collo.
Non
male…
Con sollievo
ritrovò la
bacchetta ai suoi piedi, sana.
Si guardò attorno: sembrava finito dentro quello che
sembrava il greto secco di
un torrente. Doveva essere prosciugato da anni, a giudicare dalla
vegetazione
che vi cresceva rigogliosa.
Guardò lo
spicchio di luna che
aveva fatto capolino dalle fronde degli alberi: rischiarava
l’ambiente
circostante, mostrandogli dolorosamente quanto
si fosse addentrato nel bosco.
Di Fanny nessuna traccia.
Si rialzò
cautamente: sentiva
un dolore lieve alla caviglia, ma una storta non l’avrebbe
ucciso.
Doveva mantenere la calma.
Se
avesse cominciato a piagnucolare e farsi prendere dal panico non
sarebbe mai
uscito da là dentro.
E non aveva tempo per darsi
dello stupido, ad avere seguito un volatile.
Okay…
sono dentro una foresta che pullula di creature
mortifere. Ma ci sono anche creature buone… i Centauri.
Quando non li
indisponi. Gli unicorni. I Thestral.
Che probabilmente erano
molto
prima del punto in cui si trovava.
Deglutì,
stringendo con forza
la bacchetta tra le dita. Gli mancava un anno alla fine della sua
formazione
magica. Non era un primino sprovveduto.
Papà
ha avuto a che fare con Voldemort e le acromantule
qua dentro… Ed era più giovane di me!
Stese
un sorrisetto nervoso.
E
aveva molta più fortuna di quanto ne abbia tu,
Al…
Doveva capire dove si
trovava
esattamente. Si guardò attorno, e poi vide qualcosa che
attirò la sua
attenzione. Pochi metri sopra il greto si trovava un accumulo di rocce,
in
parte franate… e l’entrata.
L’entrata di una
grotta.
In sé non era
nulla di
notevole, le Highlands e quella particolare zona della Scozia ne erano
piene.
In una di esse si era nascosto per mesi il padrino di suo padre, Sirius
Black.
Quello che lo
attirò fu il
fatto che proveniva luce, da quella grotta. Come se ci fosse qualcuno
dentro.
Non
un centauro… è troppo stretta. E di certo non
qualche bestia come un acromantula, non sanno accendersi un fuoco o
usare una
bacchetta.
Risalì il greto,
aggrappandosi
alle radici che sporgevano, con la bacchetta stretta trai denti. Non
l’avrebbe
persa mai più.
L’entrata della
grotta era
stretta, ma grande a sufficienza per farsi passare un essere umano.
Notò anche che
era stata
scavata: non era naturale. Qualcuno l’aveva allargata, forse
con un
incantesimo, forse con un piccone.
Era un posto perfetto per
nascondersi. O per nascondere qualcuno.
Tese la bacchetta di fronte a sé, entrando. C’era
odore di gelo, di terra
bagnata… e di fumo.
Qualcuno aveva acceso un
fuoco. La luce debole che
vedeva era
quella di un falò.
La grotta,
all’interno, era
molto più grande di quanto non sembrasse: si snodava come
l’intestino di una
grossa bestia per metri, centinaia di metri. Chilometri, forse. Quando
si trovò
di fronte ad un bivio, completamente al buio, seppe che non ne sarebbe
uscito
se non avesse lasciato delle tracce.
“Signum.”
Mormorò, mentre la
bacchetta sputava una macchia di colore opalescente sulla pietra umida.
Brillava anche al buio e gli avrebbe indicato la via di ritorno.
Doveva solo seguire
l’odore di
fumo adesso.
Non aveva tempo per avere paura, per pentirsi. C’era qualcuno
lì dentro, e
chiunque fosse, era umano. Lo capì quando vide gli stessi
segni che aveva
lasciato lui, poco dopo aver svoltato l’ennesimo angolo. I
segni provenivano da
un altro cunicolo.
Forse
ci sono più entrate…
L’odore del fumo
si fece più
penetrante, come la luce. All’ennesimo angolo svoltato, vide
improvvisamente la
luce filtrare attraverso quella… che sembrava proprio una
porta.
Di legno, vecchia, con le
assi
spaccate in più punti. Ma una porta fatta da mani umane,
babbane o meno che
fossero.
La tastò con la
punta delle
dita. Era Era tenuta chiusa da una pesante catena rugginosa. Non
c’erano
serrature o chiavistelli.
Sembra
la porta di un magazzino…
“Recido.”
Sussurrò a bassa voce. La catena cadde ai suoi piedi,
tagliata come se fosse burro. Spinse la porta con una mano, tenendo la
bacchetta di fronte a sé.
La stanza era ricavata da un
anfratto naturale. Un fuoco, pallido e giallognolo, di sicura fattura
magica
brillava in un angolo…
E poi lo vide.
Sentì i polmoni
comprimersi, e
paura, gioia e terrore condensarglisi in una bolla bollente nel petto.
Era Tom.
Era seduto a terra, con la
schiena contro la pietra e il viso chinato in avanti. Sembrava
addormentato.
“Tom…” Sussurrò, sentendo la
voce uscirgli soffocata. “Tom.”
Lo chiamò di nuovo.
Non gli rispose. Dormiva o…
Percorse i pochi metri che li separavano, buttandosi in ginocchio di
fronte a
lui. Gli prese il viso tra le mani.
Era lui. Dimagrito,
sporco…
aveva il viso gelato. Le ciocche di capelli erano appiccicose, sudate.
“Tom!”
Lo chiamò di nuovo.
Ti
prego, svegliati. Svegliati…
Lo sentì
irrigidirsi sotto le
sue dita. Lo sentì respirare.
Merlino…
Grazie, Grazie…
Per
un attimo la vista gli fu
offuscata da un improvviso fiotto di lacrime. Se lo pulì
maldestramente, mentre
Tom alzava il viso, socchiudendo gli occhi. Erano liquidi, la pupilla
si
fondeva con l’iride.
Lo guardava senza vederlo.
Gli scostò le
ciocche di
capelli dal viso, chinandosi su di lui. “Tom… sono
io. Sono io, sono Al!”
Premette le labbra contro le sue, piano. Erano ruvide e fredde.
Il bacio
funzionò.
“Al…”
Disse finalmente, contro
la sua bocca. La voce era poco più di un sussurro, come due
sassi sfregati l’uno
contro l’altro. “Al.” Quando lo
ripeté sembrò capire. Gli occhi persero quella
patina spenta e lo vide scostarsi per guardarlo. “Al,
no… Cosa… che ci fai
qui?”
“Ti ho trovato. Sono venuto, per te. Merlino, sei
gelato!” Si tolse il
mantello, slacciandoselo per metterglielo sulle spalle.
“Sta’ tranquillo, ora
ti porto via da qui.”
Anche se non aveva idea di come: Tom sembrava stare male. Dopo il
sollievo che
l’aveva investito come un treno si era subito reso conto
delle sue condizioni:
era pallido e l’angolo delle labbra era tumefatto, come
colpito. Oltre a questo
tirava respiri secchi, bassi, come se l’aria facesse fatica
ad entrargli nei
polmoni.
“Riesci ad
alzarti?” Gli
chiese. “Devi, dobbiamo uscire di qui…”
Tom lo guardò. C’era qualcosa che non andava in
quella situazione. Sembrava
troppo… calmo.
“Tom! Mi
ascolti?”
“Devi andare… via.” Sussurrò.
I suoi occhi sembravano enormi, terrorizzati. Lo
realizzò. Era spaventato a morte. Da Doe?
In qualche modo capì che non era Doe il problema. Era
spaventato da lui.
Da
me? Ma perché?
“Non senza di
te!”
“Sono io…” Tossì, e fu come
se dovesse spezzarsi in due.
Merda.
“Sei tu
cosa?” Gli prese di
nuovo il viso tra le mani, accarezzandoglielo. Era come accarezzare una
statua
di marmo, realizzò. Ma Tom era vivo, lo guardava, respirava.
Ce l’avrebbero
fatta. “Guardami. Non sono arrivato fin qui per arrendermi.
Non ti devi
arrendere. È chiaro?”
L’imperio…
Non
era un incantesimo che dava un
unico effetto.
La prima volta aveva perso
completamente il controllo del proprio corpo. Riusciva a vedere cosa
stava
succedendo, ma non riusciva a connettersi sufficientemente alla
realtà per
capirlo davvero.
Adesso era diverso. Adesso
aveva pieno possesso dei suoi sensi.
Aveva sentito la porta
aprirsi.
Aveva pensato che fosse Doe, per questo non si era mosso: in ogni caso,
se gli
avesse ordinato di alzarsi, l’avrebbe fatto anche a costo di
sputare sangue dai
polmoni.
Sì, l’imperio funzionava in tanti modi.
Poi aveva sentito la sua voce. Per un attimo aveva pensato ad
un allucinazione: poteva essere… non era la prima volta che
sogno e realtà si confondevano,
in quei momenti.
Poi aveva sentito le sue
mani
sul viso, il fruscio del mantello. Le sue labbra erano caldissime.
Era buffo come certi
particolari fossero stampati a fuoco nella sua mente senza che se ne
fosse mai reso
conto.
E allora aveva capito che
era
reale. Che Albus era lì.
Il suo Al…
Avrebbe voluto toccarlo, stringerlo. Sentire ancora il calore che
sembrava
emanare, come fuoco vivo, caldo, bellissimo.
Al che lo stava toccando,
che
lo stava chiamando.
E non c’era imperio più potente di quello.
Aveva
dovuto svegliarsi.
Per un attimo aveva sperato.
Davvero.
Che fosse tutto finito.
Ma poi si era ricordato.
Che
idiota…
C’era un solo imperio. E lui era sotto di esso.
Al si sentì
spinto via. Fu
poco più che un tocco al centro del petto, Tom era troppo
debole per spingerlo
veramente.
“Va’
via.” Ringhiò, sordo come
una bestia ferita. “Vattene.”
“Che stai
dicendo?” Sussurrò
incredulo. “Dobbiamo andare via assieme!”
“Questa situazione… è colpa mia.
È troppo tardi. Vattene. Scappa. Sono
sotto…”
Al serrò le labbra. “Certo che è colpa
tua!” Sbottò. Tom batté le palpebre,
per
un attimo preso in contropiede. Ne doveva approfittare.
“È assolutamente colpa
tua, e appena ti sarai rimesso ti prenderò a calci nel culo!
Anzi, ti pianto.” Inspirò,
afferrandogli un braccio. “… No, non è
vero, non lo farei mai.” Rettificò
subito. “Ma faremo questo discorso dopo.
Doe potrebbe tornare e io non sono in grado di difenderti…
Quindi muoviti!
Alzati!” Lo spronò, tirandolo.
Tom a quel punto si mosse. Fece una lieve smorfia e un lamento
tristemente
simile ad un guaito, ma si tirò in piedi.
“Ti fa male da qualche parte?” Si
informò preoccupato. “Dove?”
“Ovunque…” Sussurrò, con un
sorrisetto storto, che lo fece sussultare quando la
ferita vicino alla bocca si tese dolorosamente. “Le
ossa…”
“Hai la febbre.” Inspirò. “Non
fa niente, Madama Chips ti metterà a posto in un
batter d’occhio. Usciremo di qui.” Lo
rassicurò, si rassicurò.
Non sapeva come portarlo fuori senza essere scoperto.
Perché Doe non poteva non aver messo qualche allarme
all’imbocco della caverna.
“Usciremo di qui e andrà tutto bene.”
Tom gli fece un mezzo
sorriso.
Gli sfiorò la guancia con le dita. “Sei
caldo…” Disse. E poi.
“Grazie.”
Al serrò appena
le labbra, poi
gli restituì il sorriso, cercando di non far tremare la
voce. “Se vuoi baciarmi
ti avviso che non mi fa una gran voglia… Hai un aspetto
orribile.”
Lo vide fare una smorfia appena indispettita, che gli
riscaldò il cuore, prima
che sgranasse gli occhi. Guardando oltre le sue spalle.
“Guarda guarda. Si
è intrufolato
un topolino…”
Al si voltò di
scatto.
John Doe stava sullo stipite della porta, con una lanterna in una mano
e la
bacchetta nell’altra.
Era la prima volta che lo
vedeva.
Era il ragazzo biondo
descrittogli da Rose. Eppure sapeva
che non era un ragazzo. C’era qualcosa in lui di troppo
storto, per rientrare
nell’adolescenza.
Sogghignò.
“Pensavi davvero
che saresti riuscito a portarlo fuori di qui?”
“Mi basta liberarmi di te, no?” Ribatté,
sentendo la paura strisciargli lungo
la schiena.
“In questa stanza
non si
possono lanciare incantesimi.” Lo avvertì.
Sembrava divertito. Sorrideva. “Puoi
provarci, eh… Ma sarebbe fiato sprecato.”
“Allora non puoi lanciarli neanche tu.”
Inspirò. Non doveva tremargli la mano.
John Doe inarcò
le
sopracciglia. “Beh. In effetti no. Ma non che mi
serva.” Fece un cenno. Solo
pochi secondi dopo capì che era rivolto a Tom.
“Prendigli la bacchetta.
Immobilizzalo.”
Al fu certo di non capire. Poi
sentì la
mano gelata di Tom chiudersi attorno al suo polso e strattonare
violentemente.
Si sentì afferrato, bloccato, immobilizzato. Perse la presa
sulla bacchetta per
il dolore e se la sentì sfilare dalle dita.
Cercò di voltarsi. E volle non averlo fatto.
Il viso di Tom era privo di espressione. Come una statua di marmo,
immobile.
“Imperio…”
Mormorò, sentendosi quella parola, orribile, serrargli la
gola.
Cercò di
divincolarsi, ma la
presa di Tom era innaturalmente forte. Aveva paura di fargli male, se
avesse
cercato di liberarsi.
“Già.”
Confermò Doe. “Ma non
te ne sei accorto? Ah, scusa… Probabilmente
perché gli ho ordinato di tenere il
segreto. Sai, giusto in caso.”
Si avvicinò e la luce della lanterna rischiarò i
loro volti. Al si voltò verso
Tom.
“Tom… ti prego…”
Sussurrò. Sapeva che non c’era speranza, che Tom non poteva, semplicemente.
Doe fece una smorfia.
“Che ne
facciamo di questo topolino, mmh, Tom?” Lo
squadrò. “Portalo fuori, intanto…
siamo già in ritardo.”
Al si sentì strattonato violentemente. Cercò di
pensare a qualche incantesimo
non-verbale. Prima di ricordarsi che già normalmente gli
riuscivano male…
E poi potresti fare male a Tom. È
lui che
ti immobilizza.
Guardò con odio
Doe, quando fu
fuori dall’ambiente a malapena riscaldato della caverna.
Doe piegò le labbra in un sorriso sgradevole, pizzicandosi
il mento, come
meditabondo. “Che ci faccio con te, topolino? Potrei farti
uccidere da Thomas…
Ma non ho la minima voglia di aggiungere cadaveri a
quest’operazione. E poi puoi
tornarmi utile. Perché no?”
“Mio padre ti
fermerà!” Sputò,
pensando, sperandolo.
Papà.
Dove sei? Maledizione!
Doe sogghignò.
“Oh, lo spero
proprio. Ma intanto vediamo di chiuderti la bocca. Stupeficium.”
****
Hogwarts,
Sala Grande.
James entrò in
Sala Grande
sentendo lo stomaco brontolare vivacemente. Fece un cenno ai gemelli
Scamandro
e a Bobby Jordan, ma non si fermò. Doveva monitorare la
situazione del clan
Potter-Weasley.
Si avvicinò al
tavolo dove di
solito Rose e Lily sedevano; la cugina sembrava come al solito
concentrata in
un’arringa contro qualcosa, o qualcuno. Malfoy
l’ascoltava paziente. Doveva
essere iniziata da poco, perché non era già
scattato a risolverle il problema.
È
incredibile vedere come l’adora. Ma che ci troverà
in
lei?
Si sedette accanto alla
sorella, persa nella contemplazione della propria manicure.
“Dici che il rosso
ciliegia mi
dona?” Gli chiese con aria corrucciata.
“Merlino, Lils,
non ne ho
idea.” Sbuffò esasperato. “Mi vedi
girare con le unghie dipinte?”
“Ti donerebbero.” Replicò prima di
tornare a sorseggiare il proprio succo di
zucca. Prima però gli fece scivolare lo sguardo addosso. E
sogghignò.
Lily era… la sua adoratissima sorellina, ma spesso si
chiedeva quanto fosse davvero
adorabile: a volte era inquietante.
Sembra
sempre leggermi nei pensieri… Quando ne faccio
di turpi però.
“Qual è
il problema di Rosie?”
Chiese, per stornare l’attenzione da lui. “Che ha
da protestare?”
Lily perse il sorriso, scrollando le spalle. “Si tratta di
Al. Non è venuto a
cena, neanche stasera.”
James fece una smorfia:
Al…
era rimasto ligio a ciò che ci si aspettava da un bravo
bambino come lui,
rimanendosene in disparte ad attendere gli sviluppi.
Ma persino un idiota si
sarebbe accorto che aveva in faccia uno sguardo tremendo.
Solo
bravo chi capisce a che diavolo pensa…
Si rivolse a Rose, che in
quel
momento sacramentava sull’ubicazione del suddetto.
“Se volete sapere dove sta,
perché non lo chiedete ai suoi amici serpeverde?”
Indicò con un cenno della
testa Zabini e Nott, ai propri posti mentre consumavano la cena.
Rose serrò le
labbra,
esitando. “Beh…”
“Potter ha ragione.” Replicò Scorpius,
lanciandogli un’occhiata grata. “Loro lo
sanno di sicuro.”
James lanciò un’occhiata a Rose. Sembrava stanca.
Era una brava ragazza,
rifletté, e anche se era certo che non reputasse Thomas
innocente come un
agnellino, era angosciata per come stava reagendo Al.
Non avrebbe retto una
diatriba
con dei serpeverde carognosi, no.
“Ci vado io a
chiederglielo.”
Si offrì, alzandosi in piedi. “E se non mi
rispondono li sbatto come tappeti.”
“Jamie!”
“Vado io con lui.” La rassicurò
Scorpius. “Torneremo vincitori, pantofolina.”
Quando giunsero di fronte ai
due serpeverde, James ebbe la spiacevole sensazione che non gli
avrebbero detto
un bel niente. Zabini sembrava aver ingoiato un limone marcito, da come
lo guardò.
Non
mi guardavi così quando ti scopavo però, eh?
Suppose
dovesse essere la faccia da
utilizzare nelle occasioni pubbliche. O forse era ancora un
po’ irritato per
essere stato scaricato senza diritto di replica.
Forse.
“Salve
ragazzi.” Sorrise
amabile Scorpius. “Ci chiedevamo se potevate darci una
mano.”
Loki alzò lo sguardo dal proprio piatto, dove divorava
voracemente – ma con un
certo bon-ton – una coscia di agnello arrosto.
“Quanto?” Chiese con un
sogghigno sgradevolissimo.
E
Albie è amico di questi due imbecilli?
“Si tratta di
Al.” Replicò
Malfoy, senza scomporre il proprio sorriso.
James sentì a
pelle che ci fu
un mutamento nell’atmosfera. Impercettibile, certo, ma ci fu:
da ostili
divennero ancora più ostili e protettivi.
“E
allora?” Chiese Zabini,
tamponandosi le labbra con il tovagliolo. “Non ditemi che non
riuscite a
parlarci… pare che sia una condizione comune ai membri della
sua famiglia.”
Ironizzò.
Ehi,
coglioni, è mio fratello!
Fece per scattare, ma
Scorpius
lo fermò con una mano, senza neanche guardarlo.
Possibile
che tutti sappiano quando ho intenzione di
strapazzare un idiota?!
“Siamo tutti
preoccupati per
la stessa persona mi sembra. Che senso ha farci la guerra?”
Obbiettò
ragionevole.
“Chiedilo a Potter.” Ribatté Zabini,
scoccandogli uno sguardo disgustato. Non
l’aveva mai guardato così.
Ha
il dente avvelenato o cosa?
“Voglio solo
sapere se mio
fratello sta bene.” Sbottò, ingoiando
l’impulso di tirare una testata a quel
cretino. Che avessero fatto sesso per quasi tre mesi non era rilevante.
Non gli
piaceva neanche quando se lo portava a letto, dopotutto.
Zabini capitolò,
finalmente.
“È nella nostra Casa. Ma non vi daremo la parola
d’ordine. Chiamatele misure di
sicurezza. O semplice buonsenso.” Soggiunse, scoccando un
sorriso lievemente
meno ostile a Scorpius, che ricambiò.
“Non è
là.”
La voce di Nott, notò James, era perennemente velata da una
sorta di monotonia.
Solo la sua espressione, furba e calcolatrice, stemperava il fatto che
non
fosse granché espressivo.
Stavolta però non
sorrideva.
Gli occhi bicolori, così inquietanti, trafissero Zabini.
“Che vuol dire che non è là? E dove
dovrebbe essere?” Chiese l’altro
serpeverde, perdendo per un attimo l’aria di aristocratica
noia che lo
contraddistingueva.
“Non ne ho idea. Ci sono passato prima, per prendere delle
cose, e non era
nella nostra stanza. Né in Sala Comune.”
“Che cazzo
significa?” Sbottò
James guardandoli. “Allora
dov’è?”
Scorpius serrò le
labbra,
guardando oltre il grosso finestrone dietro il tavolo dei professori.
“È
meglio chiamare i
professori, Potter. Credo che il tuo fratellino si sia appena cacciato
nei
guai.”
****
Londra,
Ministero della Magia.
Dipartimento
di Applicazione della Legge sulla Magia.
Secondo
piano.
“Beh, il ragazzo
è nato morto. E adesso è
vivo.” Scott fece una pausa sgradevole.
“È la chiave.”
Harry batté
più volte le
palpebre, cercando di ricollegare quella frase a qualcosa di sensato.
Smith, accanto a lui, si mosse a disagio sulla sedia. “Che
diavolo significa
che è la chiave? Vogliono rubare i Doni della Morte, fin qui
ci siamo arrivati…
Si vogliono servire del ragazzo? E per quale motivo?”
Ethan Scott schioccò la lingua. “Thomas
è stato usato come cavia… La Thule
faceva esperimenti su esseri umani. Alchimia avanzata, Magia Oscura,
molto
potente… Thomas è nato morto, secondo le nostre
informazioni, ma…”
“Ma adesso è vivo. Come hanno fatto a riportarlo
in vita? Non si può, è una
legge di natura.” Obbiettò con forza Harry: Era
una delle poche certezze che
aveva nella vita. I suoi genitori, i suoi amici, per quanto avesse
avuto tra le
mani oggetti potentissimi e fosse stato la nemesi di un uomo che aveva
cercato
l’immortalità, non potevano tornare dalla morte.
L’agente Scott
esitò. Sembrava
seriamente combattuto. “Quello che sto per dirvi sono
informazioni
confidenziali. Non dovranno uscire da questo ufficio.”
Smith fece una smorfia, ma fu tacitato da un’occhiata
imperiosa della propria
Direttrice.
“Parli,
Scott.” Gli intimò.
L’agente incrociò le braccia al petto.
“L’essere umano è composto da corpo e
anima. È un assioma che persino i babbani riconoscono.
Riportare in vita
un’anima significa dare vita, respiro ad un corpo. Non a caso
anima significa soffio,
respiro, in latino.”
“Taglia corto.” Sbottò Smith nervoso.
Lanciò un’occhiata ad Harry.
Per un attimo Harry pensò di essere salito nella sua scala
di simpatia. Tra lui
e quell’agente americano, sicuramente il Tiratore preferiva
lui.
“Il ragazzo che
chiamate
Thomas Dursley è stato usato come cavia per una metempsicosi
forzata. Una
trasmigrazione dell’anima, se così si
può dire.”
“Reincarnazione.” Spiegò la Direttrice.
“Forzata? Nel senso che l’anima di
qualcuno è stata fatta entrare nel corpo del
ragazzo?.”
“Il corpo del figlio di Hohenheim.”
Obbiettò l’americano. “Alla nascita il
legame tra anima e corpo è labile. Il corpo è
innocente, puro. I neonati
infatti sono spesso usati come…”
“Non voglio saperlo.” Sbottò Smith.
“Chi è l’anima che ha posseduto quel
corpo?”
“Sappiamo da fonti certe che si tratta
di…”
“Voldemort.” Lo anticipò Harry, mentre
si sentiva in bocca un sapore ferroso,
amaro. Aveva voglia di alzarsi e piantarla con quella teatrale
chiacchierata.
Scott gli lanciò
uno sguardo
attento. Poi, semplicemente, annuì.
Merlino, Tom…
In fondo l’aveva
sempre
saputo. Da quando Coleridge, prima di essere divorato dalle fiamme
dell’ardemonio
gli aveva detto che sarebbe risorto. Da quando si era reso conto di
come Tom
fosse troppo spesso simile al ricordo che aveva scorto nel pensatoio di
Silente.
Eppure non
era Voldemort.
Non era Voldemort il bambino
con cui aveva giocato, che aveva portato in moto con sé. Non
era Voldemort il
ragazzino che gli aveva confessato a mezza voce quanto
avesse bisogno di conoscere il suo passato. Non era
Voldemort il ragazzo che aveva sofferto mostruosamente in quei mesi
perché lui
non era stato capace di capirlo.
“Possedere
l’anima di
Voldemort non fa di lui Voldemort.” Sbottò dopo
che la notizia aveva lasciato
un silenzio sgomento nell’uditorio.
Scott scrollò le
spalle.
“Naturalmente… Non è Voldemort. Ma ha
un legame con lei, Signor Potter.”
“La parte dell’anima di Voldemort che era dentro di
me è morta.” Replicò.
Eppure come controbattere? Lui stesso, da quando l’aveva
salvato, da quando
l’aveva preso in braccio aveva percepito un legame tra di
loro.
Era quel legame il motivo
per
cui non l’aveva lasciato alle cure impersonali del Mondo
Magico.
Ma non era più il
motivo per
cui lo amava come un figlio. Thomas, Tom… era semplicemente
Tom. Il suo
figlioccio.
Questo era certo.
L’americano scosse
la testa.
“Signor Potter, l’anima non può morire.
È immortale, per sua stessa
definizione. Può essere lacerata, frammentata…
minata. Ma non può semplicemente
scomparire. Rimane sempre una
traccia, ovunque essa abbia abitato, forzatamente o meno.”
Lanciò un’occhiata
alla sua cicatrice, esile, eppure ancora visibile. “La sua
cicatrice non è mai
scomparsa completamente, non è vero?” E vi
gettò un’occhiata.
Harry non rispose. Non
doveva
certo spiegazioni su un fenomeno che lui stesso non aveva mai compreso
a pieno.
Pose invece una domanda. “Per questo motivo hanno usato Tom
come…”
“Come contenitore, sì.” Scott lo
fermò con un cenno della mano. “Può non
piacerle la definizione, ma a conti fatti è ciò
che è stato. Era la scelta
perfetta. Appena nato, con una potente forza magica dovuta alla sua
Casata.”
“Quindi lei mi sta dicendo che vogliono usarlo per battermi e
possedere i Doni
della Morte?”
“Ne hanno già due.” Serrò la
mascella Zacharias. “Il Mantello e la Pietra.
Manca solo…”
“La bacchetta.” Sembrava che a Scott piacesse
interromperli. O forse, a
giudicare dalle spalle contratte e l’espressione tesa,
sperava di poter
concludere velocemente la conversazione. “Possedere i Doni
della Morte. È
questo ciò pensiamo voglia Hohenheim. E la Bacchetta di
Sambuco sarà la sua
ultima conquista se non lo fermiamo.”
“Allora non ha capito il suo vero utilizzo. È una
bacchetta potente, ma
maledetta.” Serrò le labbra Harry. “Io
stesso non la uso. Ha portato solo
morte. Il suo possessore non è affatto invincibile.
Anzi.”
Evitò di dire che sarebbe bastato disarmarlo per poterla
avere. Era molto più
semplice far credere alla gente che avrebbero dovuto ucciderlo.
Uccidere
e disarmare sono due cose completamente
diverse.
‘Si
deve avere tutt’altro tipo di coraggio per porre
fine alla vita di una persona. Meglio che il segreto della Bacchetta
rimanga
tale…’
Era stata un’idea
di Hermione,
a suo tempo. E lui l’aveva sempre sposata in pieno.
“È
ininfluente. I Doni sono ciò
che vogliono la Thule e Hohenheim.”
“Potranno avere i primi due doni, ma il luogo in cui
è custodita la bacchetta è
sicuro.”
“C’è un entrata?” Chiese
Scott. “Esiste un’entrata alla tomba di Albus
Silente?”
Cadde un silenzio pesante. Smith serrò le labbra, guardando
la Direttrice,
mentre quella guardò Harry.
Scott sembrò
capire al volo
quel gioco di sguardi, perché si rivolse direttamente a lui.
“Sappiamo dov’è
nascosta… L’agente Zimmermann ne aveva scoperto
l’ubicazione. È nascosta nel
Mausoleo di Albus Silente. Quello che ci chiediamo…
c’è un entrata?”
“Se sapete che
è lì…” Mormorò
Harry.
“Non sapete che c’è un
entrata?”
E poi capì. Ricollegò improvvisamente un elemento
che fino a quel momento era
rimasto fuori dall’equazione di John Doe. Il Grimorio. Ziel,
o Zimmermann che
fosse aveva scoperto dove e come era custodita la Bacchetta. E
l’aveva scritto
nel suo grimorio.
Che
Doe ha rubato… che ha Doe.
Si alzò di scatto
e afferrò
l’agente americano per il bavero del mantello.
“Potter!”
Esclamò la direttrice
Jones, alzandosi in piedi. “Cosa
diavolo…” Si lasciò sfuggire.
“Avete scritto dove
abbiamo nascosto
la Bacchetta?” Sibilò a pochi centimetri dalla
faccia sgomenta dell’uomo. “Il
vostro agente ha lasciato una traccia
scritta!?”
“Il Grimorio era al sicuro, l’agente Hardcastle
doveva recuperarlo!” Scott
sembrò improvvisamente a disagio. Era un errore tremendo,
plateale, che
evidentemente fino a quel momento aveva cercato di tenere nascosto.
“Sappiamo
che è stata una leggerezza…”
“Leggerezza?”
Sbottò Smith, saltando
in piedi incredulo. “L’intero mondo magico
britannico ha protetto questo
segreto per anni! Ed arrivate voi americani e lo scrivete su un pezzo
di carta?”
“Su un grimorio.
Che è stato
rubato.” Continuò Harry con la mascella serrata.
“Il furto nell’ufficio del
Professor Lupin… Cercavano quello. Non era per la sua
biblioteca.”
“Dannazione.” Sbottò Smith.
“Dannazione!”
“Doe sta andando
là?” Chiese
Harry. “Voi lo sapevate e stiamo qui a chiacchierare?”
“Non siamo certi che conosca il modo per entrare!”
Esitò Scott. “Che sappia
dov’è l’entrata…”
La Direttrice a quel punto si schiarì la voce.
“Smith. Allerti i suoi agenti.
Circondi il perimetro dell’entrata. Chi è a
conoscenza della sua ubicazione?”
“Il Preside. Io. Gente fidata.” Mormorò
Harry. “Ma nessuno oltre
a noi doveva sapere che la bacchetta era nella tomba!”
Ringhiò, lasciando di colpo Scott, che si
aggiustò il mantello, tirandosi in
piedi piuttosto scombussolato.
“Voglio mettervi a
disposizione i miei uomini.” Trovò la forza di
dire. “Possiamo esservi utili.”
“Oppure volete prendervi il merito dell’eventuale
cattura di John Doe.” Replicò
il Tiratore, sarcastico.
“Il caso
è sotto…” Iniziò
l’americano.
“Il caso da questo momento è sotto la
giurisdizione del Ministero della Magia
inglese.” Lo interruppe la Direttrice, con un tono che ad
Harry ricordò la
McGrannit. “Stiamo parlando del rapimento di un mago
minorenne inglese, su
suolo inglese.
L’indagine appartiene al mio
Dipartimento.”
Fece una pausa, solo per sbattere una mano sulla scrivania, con
violenza. Harry
ricordò come quasi trent’anni prima fosse stata
sensibile alla sua giovane età
e al modo in cui era stato trattato dai Dursley. “Voi
americani avete già fatto
troppi danni e per colpa vostra un ragazzo sta rischiando la vita.
Smith, vada.
Adesso.”
Ripeté. Poi trafisse con lo
sguardo l’agente americano, che ancora esitava. “Ha
bisogno che le indichi
l’uscita, agente Scott?”
Quello serrò le labbra in una smorfia, ma sembrò
capire l’antifona. “Avrete
notizie dal mio governo.” disse semplicemente, prima di fare
un leggero inchino
e andarsene.
Harry non poté fare a meno di lanciarle uno sguardo ammirato.
Smith intanto
uscì senza
obbiettare, ben felice di poter troncare i discorsi e tornare ad essere
operativo.
Fece per seguirlo, quando la donna lo richiamò.
“Potter. Dove crede di andare?”
La guardò attonito, serrando la mascella e sforzandosi di
usare un tono
cortese. “Con Smith, mi pare ovvio.”
“Crede che sia opportuno, considerando che l’agente
Scott ha appena detto che
il bersaglio di Doe è lei?”
“Si tratta del mio figliastro, Hestia.”
Ribatté, contraendo e decontraendo i
pugni. Doveva calmarsi, non aveva senso fare una scenata, rischiando,
oltre che
una sanzione disciplinare, di essere sbattuto nelle celle del
Ministero. “Devo essere
lì.”
La donna lo guardò quietamente. “Harry…
come le ho già detto una volta, lei è convinto
che il mondo intero sia sulle sue spalle. Non solo, che possa essere
l’unico
uomo della situazione. Ma non è così. Zacharias
Smith è un ottimo agente. Uno
dei migliori Tiratori. Può non piacerle, ma ha a cuore la
salute del giovane
Dursley quanto lei.”
“Questo ne dubito.”
“Non è un mio problema.”
Replicò dura. “Lei resterà qui.
È il bersaglio e la
situazione è già abbastanza critica senza che lei
si faccia uccidere.” Fece una pausa, inchiodando gli occhi
nei suoi. “Questo è
un ordine, agente Potter.”
Harry inspirò bruscamente, ma capitolò. Per
quanto il suo intero essere si
ribellasse all’idea di non essere lì, per prendere
quel maledetto bastardo e
fargli sputare l’anima a furia di cruciatus,
sapeva bene, in fondo, che la donna aveva ragione.
Se
venissi disarmato la Bacchetta non sarebbe più mia.
Si scatenerebbe una nuova infernale spirale di omicidi…
Gregorovich,
Grindenwald, Silente, Piton…
Troppi
hanno pagato. Troppi.
Non
Tom. Non anche lui.
“Sissignora.”
Si scollò dal
palato, chinando la testa.
La donna fece un secco cenno di approvazione. “Adesso devo
chiederle di
andarsene. Torni all’ufficio auror e resti lì. In
attesa di ordini.” Fece
scivolare lo sguardo alla vetrata, da cui si vedeva la piazza
principale del
Ministero e la gigantesca fontana. “Io devo mandare alcuni
Gufi. Questa
situazione è stata gestita in modo intollerabile. Il
ministro dovrà sapere.”
Harry fece un cenno di
commiato, uscendo. Doveva esserle grato per avergli dato la
possibilità di
assistere a quella conversazione.
Essere
il Salvatore dà ancora i suoi frutti…
Quando le porte meccaniche
dell’ascensore lo risputarono nella piazza principale, il
desiderio di prendere
uno dei camini e arrivare ad Hogwarts fu talmente forte che dovette
metterlo a
tacere con violenza.
Tom…
Era colpa sua se il ragazzo
era in quella situazione. Per lui, per batterlo e prendere i Doni
avevano…
Serrò le labbra.
Lo
hanno creato.
Era orribile pensare che Tom
era tornato in vita per soddisfare il bisogno di onnipotenza di suo
padre. Che
era stato rapito da un pazzo che non aveva salvato lui, ma il ricordo
del suo
signore, di Voldemort.
Fece una smorfia amara.
Che
ironia… senza saperlo Robin gli ha dato il suo
stesso nome.
Ma era diverso. Non
c’era
nulla, tranne qualche inclinazione caratteriale o qualche tratto
somatico ad
accomunare Tom Riddle con Thomas Dursley.
Se la sua anima era parte di
quella
cosa che aveva visto alla stazione di King’s
Cross… no, decise che non gli
importava.
Si diresse verso
l’ufficio,
notando con la coda dell’occhio come le persone gli facessero
largo
naturalmente. Doveva avere una faccia tremenda.
Quando fece per infilarsi
nel
corridoio che l’avrebbe portato al suo ufficio, si
sentì afferrare un braccio
al volo. Si violentò per non scattare; sentiva i nervi a
fior di pelle.
“Harry!”
Esclamò Ron. Aveva il
viso stravolto e inghiottiva aria ad ampie boccate. Accanto a lui,
c’era
Hermione. Erano entrambi in abiti di casa: Ron era in borghese e
Hermione era
priva di uno dei suoi tailleur. “Finalmente ti abbiamo
trovato! Ti abbiamo
cercato per tutto il Dipartimento, credo persino di stare per avere un
infarto!”
“Sono appena andato via dall’ufficio della
Direttrice.” Spiegò, corrugando le
sopracciglia confuso: l’espressione di Ron era stravolta.
Troppo, persino per i
suoi canoni. Hermione invece aveva un’aria angosciata,
tormentata.
Maledizione.
Cosa adesso?
“Che
succede?”
Hermione inspirò, porgendogli una lettera spiegazzata. Non
portava nessun
sigillo, e sembrava contenere qualcosa. “Harry,
io…” Non
fece in tempo a finire la frase, che l’uomo gliela
strappò dalle mani, rovesciandola per guardarne il
contenuto. Era una ciocca di
capelli.
Sentì un brivido
gelido
ghiacciargli la nuca.
Era una ciocca di capelli
castano scuro. Piuttosto lunghi, non rasati come quelli di
James…
Merlino,
no. No. No.
Ho i tuoi bambini, Padrone
della Morte.
Facciamo uno scambio?
“Harry, non
prendere
iniziative avventate. Ti hanno detto di starne fuori, vero?”
Hermione gli
afferrò un braccio, stringendolo. “Harry, ti
prego.”
Harry non scollò
gli occhi da
quella frase, scritta in una grafia quasi elegante.
“… Non
è un bluff, non è così?
Non mi stai dicendo che potrebbe essere un bluff, Hermione.”
La donna guardò il marito, come a cercare aiuto. Ron si
morse un labbro.
“È
arrivata una lettera di Teddy
in ufficio, Harry. Me l’ha portata Stump. Albus…
Albus è sparito. Non è più al
castello.”
Benché
l’atrio centrale del
Ministero fosse pieno di gente, voci e suoni, attorno a loro
sembrò formarsi
una cappa di silenzio.
“Lasciami
Hermione.” Sussurrò,
mentre sentiva che ormai non c’era più niente,
né carriera né ordini che
potessero fermarlo. “Ha mio figlio.”
“Harry, non puoi…”
“Adesso.”
Ringhiò, piantandole gli
occhi nei suoi. La donna lasciò immediatamente la presa,
indietreggiando
istintivamente verso il marito. Ron le prese delicatamente le spalle.
“Non ti
fermeremo.” Disse
serio. “Lascia solo che venga con te, mentre Hermione va da
Gin. Non puoi
andare da solo.”
“Lui vuole me.”
“Anche Voldemort. Sei mai rimasto solo?” Chiese il
rosso, serio. “Verrò con te.
Nessuna storia, amico. Stiamo parlando anche della mia
famiglia.”
Harry non rispose.
Voltò loro
le spalle, incamminandosi verso uno dei camini. Sentì i
passi di Ron dietro di
sé, e come sempre, anche dopo tanti anni, fu il solo suono
che gli impedì di
impazzire.
****
Note:
Conto alla rovescia!
Prometto che i capitoli angosciosi finiranno con il prossimo. O al
massimo
quello dopo. Dipende se volete un capitolo risolutivo di cinquanta
pagine o due
comodi capitolini. ;)
Fidatevi di me, di Harry e del piccolo Albie.
*Scappa dalla finestra*
1. Qui
la canzone.
Anche a questo capitolo sono
stata onorata di meravigliose fan-art. Le amo profondamente tutte
quante,
quindi dateci un occhio. ;)
Family Portrait
di Elezar81.
Our
Moment
(Scorpius/Rose)
Teddy
Lupin
The
Potter Kids
di Iksia.
|
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Capitolo 51 *** Capitolo XLVI ***
Un grazie speciale alle
ragazze che mi hanno recensito! Siete state fa-vo-lo-se!
@Chiara96: Grazie mille! ^^ Non
preoccuparti se non mi hai lasciato una recensione, l’hai
fatto adesso! XD Wow,
addirittura 50 capitoli interi, ti devo un sacco! Appena ho un momento
giuro
che leggo anche la tua!
@Nicky_Iron:
Sì, so di fare ritardo, ma sai… gli esami :/
Ehehe, sì, devo ammettere che devo
molto a voi recensori. Mi fare capire le varie incongruenze della
storia, e vi
sono davvero grata per questo! Non preoccuparti, ci sarà una
seconda parte!
@Aga: Grazie
mille! Eh, beh, vedrai come risolverà la situazione
Albie… incasinandola XD Mi
dispiace, ma purtroppo causa studio non ce l’ho fatta a
scrivere tutto qui. Buone vacanze!
ElseW:
Grazie mille! E
bentornata!
Ahaha, ma davvero? Beh, grazie, Tom essendo un personaggio originale se
riesce a
far diventare Al monogamo… Wow! XD Vero, sono
d’accordo. Jamie è perfetto per
gli amori proibiti! XD Grazie per i complimenti alla Scorpius/Rose, mi
fa piacere
vedere che sono riuscita a rendere qualcosa di originale. Grazie grazie! ^^
@Aliena: Ciao! Vero,
Harry
senza Ron… XD Remus è molto Teddy e viceversa.
Beh, padre e figlio!
@Pheeny:
Grazie! Coraggio, continua a seguirmi, vedrai che ci sarà un
happy end!
@Trixina:
Wow,che mega recensione! Grazie mille per i complimenti, li
riferirò alle
fan-artist! ;) Anche io adoro i manga, vengo da lì come
formazione! XD Sì, ci
sarà un seguito! ;) I flash sui capitoli, quelli tranquilli,
mi servono per
staccare. Ne ho bisogno anche io. Sul rapporto Ted
e Victoire ho intenzione di fare qualcosa
nella seconda parte. Sulla seconda parte sì, forse
è un po’ semplicistico, ma
ho usato la classica soluzione alla Rowling. Forse non è un
granchè, ma ehm… ^^’’
Spero di essere un po migliorata qui. Harry io lo adoro, e grazie
quindi per i
complimenti!
@Simomart:
Wow, grazie per la mega recensione! Sì, volevo un Harry
più maturo, e mi fa
piacere che tu l’abbia notato ;) Grazie mille…
c’ho pensato molto per la Thule
e sapere che la trovi ‘azzeccata’ come scelta non
può che farmi piacerissimo! E’
anche bellissima la tua riflessione
sull’immortalità e l’amore. Grazie,
grazie.
Sì, penso che la seconda parte comincerà poco
dopo, esami permettendo.
@Altovoltaggio:
Mi fa piacere che ora trovi più credibile la Ted/James. Ci
ho messo molto per
svilluparli, quindi mi fa davvero piacere. Vero, tutti omosessuali
torna poco,
ma di base questa è una fic slash :P Sul rapporto
Rose/Scorpius invece dovrò
svillupparlo di più, lo so. E grazie per avermelo fatto
notare, era una cosa
che avevo notato anche io. Ci sarà spazio anche per loro
nella seconda parte. Sono
stati un po’ messi da parte qui per esigenze di trama. ;/ Oh,
e io adoro i
Muse! L’8 giugno sarò in prima fila! XD E la
canzone secondo me era perfetta.
xD
@Sophie: Mi fa
molto piacere che tu abbia sottolineato il fatto che tra Ted e James
è una cosa
graduale. Perché è nata così XD
Perfetto quindi! Davvero ti piace Doe? Allora
forse lo farò vivere, dai xD
Harry l’ho fatto cresciuto, e mi fa piacere vedere che si
nota. Grazie.
Ron e Harry
sono amici di lunga data. Gliela dovevo. ;) Grazie mille per la
recensione!
****
Capitolo
XLVI
I've
got to, that's the whole thing.
("High
Noon", 1952)
Hogsmeade. Dopocena.
“La volete fare
finita di agitarti?
Mi stai facendo venire il torcicollo!”
Rose cercò di spingere via la mole muscolosa del cugino,
spiaccicata contro la
sua schiena.
Erano nascosti dietro i Tre
Manici di Scopa, impilati praticamente l’uno
sull’altro dietro la rimessa delle
scope.
Il motivo per cui erano lì, e non nella loro Sala Comune ad
aspettare notizie,
era perché James aveva visto Teddy uscire dal Castello,
diretto verso
Hogsmeade.
C’era di mezzo
Albus, persino
un tonto come lui l’aveva capito subito.
Così si era
precipitato per
seguirlo, ed era stato intercettato da Scorpius. Dopo qualche
tentennamento, il
maggiore dei Potter aveva confessato le sue intenzioni, esaltando anche
l’altro:
Rose a volte si chiedeva come fosse possibile che si fossero odiati
tutto quel
tempo quando era evidente che si adoravano follemente a vicenda.
Forse
perché sono troppo simili…
Teddy aveva usato il
passaggio
della Strega Orba, probabilmente per fare prima, e James e Scorpius
l’avevano
seguito a distanza di pochi minuti. Lei era andata loro dietro.
“Ehi, non vedi che
la mia
signora sta scomoda?” Scorpius tirò un colpetto a
James per farlo spostare. Poi
una spinta. “Scomoda!”
James le franò sulla spalla, soffocando
un’imprecazione. “Malfoy, giuro che ti
affatturo!” Sbottò indispettito.
“Io giuro che schianto entrambi
se
non la fate finita di ballare la quadriglia!” Li
redarguì, allungando il
collo.
“Io lo facevo per
te,
fiorellino.” Si adombrò Scorpius.
“Comunque… Vedi qualcosa?”
“A parte un ubriaco steso sul selciato… no. Non
sta uscendo nessuno dal pub.”
La visuale era ottima, rifletté Rose. Peccato che, a parte
Teddy, non sapessero
chi diavolo c’era dentro la locanda.
Lo scampanellio allegro della porta la fece sobbalzare.
“Tutti indietro!”
A dispetto dell’allegro motivetto appena suonato, chi
uscì aveva l’aria
tutt’altro che allegra. Era suo zio Harry, Ted… e
suo padre.
Miseriaccia.
La cavalleria… Allora Al è stato
davvero…
Inspirò,
deglutendo una boccata d’aria
fredda. Il cielo si era sgombrato dalle nubi e uno spicchio di luna
giallognola
illuminava esattamente l’entrata e le tre figure.
Ted aveva i capelli color verde elettrico, un pugno
nell’occhio anche a quella
distanza.
Ansia?
Guardò James, in
una muta
domanda.
“Si è
appena preso una
partaccia, mi sa…” Borbottò il ragazzo.
Ted si passò una
mano trai
capelli, continuando un discorso evidentemente già iniziato
dentro la locanda. “L’entrata
per la tomba di Silente… pensavo
non ci fosse modo per entrare.”
“Dopo che Tu-Sai…” Ron
sospirò. “Dopo che Voldemort ha profanato il corpo
di
Silente la prima volta si è pensato di mettere la tomba in
un luogo più sicuro.
La bacchetta è nascosta lì.”
Lanciò uno sguardo ad Harry che era rimasto in
silenzio. “È sotto il lago nero, in una grotta
sotterranea… ma per portarci le
spoglie di Silente… beh, bisognava prima arrivarci.
L’entrata è stata creata
allora. Ci sono delle barriere protettive.” Si
grattò una guancia, con una
smorfia. “Ma le barriere possono essere disattivate. E quel
bastardo sembra
essere in possesso di informazioni di questo
genere…”
“E come le ha
avute?” Il tono
di Ted era sgomento. “… la professoressa
Prynn?”
“No. Il grimorio.” Ron lanciò uno
sguardo all’interno della locanda. Poi
abbassò la voce. Li sentirono comunque. “Il
grimorio che ti è stato rubato.”
Ted serrò le labbra, senza replicare.
L’espressione parlava da sola. “Credete
che Doe sia andato là? Alla tomba?”
“È andato
là.” Tagliò corto Harry.
“Ted, dovevi occuparti dei ragazzi… Ma soprattutto
dovevi sorvegliare Al.”
“Harry… Mi dispiace.” La faccia del
giovane Lupin la diceva lunga su quanto si
stesse tormentando per quello. Harry e suo padre dovevano essere
arrivati da
poco, rifletté Rose: avevano ancora i segni della
metropolvere addosso.
“Pensavamo fosse nei suoi dormitori.”
“Pensare non è avere la certezza, Ted.”
Anche da quella distanza Rose notò come
suo zio sembrasse a dir poco furioso. Si sentì dispiaciuta
per Ted, e in colpa.
Se
solo fossi andata a vedere come stava invece di
farmi cacciare via dai suoi compagni…
Se
solo non l’avessi asfissiato chiedendogli
continuamente come stava e avessi fatto invece qualcosa per farlo
confidare…
Si morse le labbra: si
proclamava sua migliore amica, ma non era riuscita a rendersi conto che
Al aveva
davvero intenzione di andare a
cercare Thomas.
Lanciò poi uno sguardo a James. Era livido e non era certa
che fosse per il
freddo.
Oddio,
non vorrà prendere le difese di Teddy! No, eh!
Lo afferrò per un
braccio.
“Dove credi di andare?!” Gli sibilò.
“Non è colpa di Teddy!”
Sbottò a bassa voce. “L’ho tenuto
impegnato io!”
Scorpius assunse un’espressione ilare, reprimendo una
risatina con un grugnito.
Rose inspirò. Persino in certi frangenti quei due riuscivano
ad essere due
idioti chiassosi.
“Se ci scoprono
finiremo in
punizione per un milione di anni!” Gli diede una botta sul
petto. “Che senso
avrebbe?”
“Ragazzi?”
Rose inspirò, chiudendo gli occhi, quando sentì
la voce sconcertata di suo
padre alle spalle.
Ovvio, aveva urlato
per richiamare all’ordine il
cugino.
Si voltò, sentendosi rossa, imbarazzata e stupida.
James si schiarì la voce.
Harry lanciò loro
uno sguardo
complessivo. Non sembrava contento, ma neppure particolarmente sorpreso
di
trovarli lì.
Scorpius si passò
una mano
sulla nuca, restando – Rose non lo ringraziò mai
abbastanza – in silenzio per
una volta.
Teddy impallidì
ancora di più
se possibile. Rose fu certa di vedergli a lettere cubitali
‘Sono un Professore
Fallito’ stampato in fronte.
No,
siamo noi che siamo degli studenti infernali, Ted…
“Non è
colpa di Ted!” Sbottò
James, minimamente preoccupato dall’essere fuori dalle mura
di Hogwarts e
probabilmente in dirittura di una punizione colossale.
“È un professore, non la
balia di Al!”
“Jamie…”
Tentò Ted, sembrando
incredibilmente sulle spine. “Va tutto bene,
non…”
“Se pensavi che Al avesse intenzione di fare una cazzata,
perché non gli hai
parlato tu papà?”
Lo accusò apertamente.
“Al ha deciso da solo di
andare a
cercare Tom! Non è colpa di nessuno! Non capisci che non
siamo più mocciosi?
Che le scelte che facciamo, le prendiamo da soli?”
Compresa la scelta di fare una stronzata
colossale, sapendolo.
Albie
è quello intelligente di noi. Lo sapeva. E l’ha
fatto comunque.
Cazzo,
Al. Sei un idiota.
Harry
sostenne lo sguardo del figlio
per un lungo momento. Sembrò quasi capire quello che stava
pensando. Fece un
sospiro. “Hai ragione James. Credo di aver esagerato
stavolta.”
James batté le palpebre, sbigottito.
“Sì… ehm.”
Mugugnò, non aspettandosi di
dover tacitare così presto la sua vena protettiva.
“Già.” Concluse.
Harry sorrise appena. “Dovevo immaginarlo che sareste venuti
qui…”
“Signore… Albus è stato rapito? Come
Dursley?” Chiese Scorpius, ogni traccia di
ilarità scomparsa dal volto.
Harry annuì.
“Ma sappiamo dove
si sta dirigendo il suo rapitore. I Tiratori Scelti sono già
in zona.”
“Zabini ci ha
detto che non lo
vede da questo pomeriggio, da poco prima di cena.” Intervenne
Rose, incerta. Le
sembrava tutto un orribile incubo: prima Thomas, poi Al.
“Zio, manca da ore…”
Sussurrò, sentendo la voce gonfiarsi di pianto.
Non era giusto. Non era
giusto
che succedesse una cosa del genere a loro. Ad Al, che non aveva mai
fatto male
ad una mosca…
Si sentiva piccola, stupida
e
maledettamente indifesa. Umiliata. Sua madre non avrebbe reagito
così alla sua
età. Avrebbe proposto una soluzione, avrebbe evitato che Al
compiesse una
stupidaggine simile.
Invece
io cos’ho fatto? Niente. Un
accidenti di niente.
Sentì la mano di
Scorpius
posarlesi sulla spalla. Ignorando lo sguardo indagatore di Ron si
chinò al suo
orecchio. “Non siamo auror. Non siamo professori e non siamo
preparati a questo
genere di cose. Non rompertici la testa.” Mormorò.
La stessa cosa che gli aveva
detto lei quando James aveva salvato la vita a Ted.
Fece un mezzo sorriso, un po’ rincuorata.
“Andrà
tutto bene ragazzi.” Li
rassicurò Ron, lottando evidentemente contro
l’impulso di dire qualcosa sulla
mano di un Malfoy addosso alla sue progenie. “Ma voi dovete
tornare al Castello.
Teddy vi accompagnerà e…”
“… e non se ne parla!” Sbottò
James. “Si tratta di Al! Possiamo esservi utili!”
“Scordatevelo!”
Sbottò Ron
esasperato. “Cosa pensate di fare?”
“Esservi utili!” Ripeté incupendosi.
“Smettetela di trattarci come bambini! Al
e Tom sono famiglia, ce l’avete insegnato voi che la famiglia
si protegge!”
“E l’avete fatto.” Replicò
Harry, fermandolo. Gli mise una mano sulla spalla.
“Ci siete stati utili. Siete stati voi a capire come i Naga
erano arrivati, e
voi a metterci molte pulci nell’orecchio… Senza
contare che Smith ha creduto
all’innocenza di Thomas grazie alle vostre testimonianze.
Siamo potuti arrivare
a Doe anche grazie a voi.”
James fece una smorfia. “Insomma, lasciate fare gli
adulti…”
Harry abbozzò un sorriso, stringendo la presa sulla spalla
del figlio maggiore.
“Per ora. Arriverà anche il vostro momento. Non
affrettare i tempi, Jamie.
Credimi. Non farlo.”
James si mordicchiò l’angolo di un labbro, poi
lanciò uno sguardo agli altri
due.
Rose inspirò
appena.
“Riporteceli zio Harry… riporta Al e Tom a
casa.”
****
Foresta
Probita.
Camminare nei boschi della
Foresta Proibita era tetro, cupo… e affatto sicuro.
Harry incedeva per sentieri laterali, con dietro Ron che ansimava
leggermente.
La luce della luna illuminava fiocamente i loro passi, e tutto attorno
a loro
c’era il vento che batteva gli arbusti, agitando le cime dei
faggi contorti.
“Miseriaccia, tu ti ricordi dov’è
l’entrata?” Mormorò, deglutendo e
cercando
allo stesso tempo di respirare.
“Più o meno.” Tagliò corto.
Estrasse la bacchetta, mormorando un ‘guidami’.
I punti cardinali apparvero
iridescenti davanti a lui. “Ad Est.”
Ron spostò con una mano una macchia particolarmente tenace
di rododendro, disvelando
un accumulo roccioso.
Fu un attimo. Il sibilo di un incantesimo scoppiò a pochi
centimetri da lui. Riuscì
a tirarsi indietro appena in tempo, ma una ciocca dei suoi capelli
venne
sacrificata nell’operazione. La vide, rossiccia e malinconica
ai suoi piedi.
“Fermi! Siamo
auror!” Gridò Harry,
accanto a lui, accovacciato dietro l’arbusto.
“… Potter?!”
Proruppe una voce, che
Harry riconobbe come quella di Smith. “Maledizione, abbassate
le bacchette!”
Ron borbottò
un’imprecazione,
tirandosi in piedi e spazzolandosi energicamente il mantello.
“Che diavolo
credevate di fare? Ci avete quasi schiantati!”
Il sergente Tiratore apparve da dietro il cumulo di rocce, seguito dai
suoi uomini:
aveva il volto contratto dall’ira, paonazzo quasi al pari di
Ron. “Razza di
idioti! Come potevamo pensare che foste auror?!”
“Calmiamoci tutti.” Intervenne Harry guardandosi
attorno: c’erano una mezza
dozzina di Tiratori, con le bacchette abbassate, ma le espressioni
nervose. La
Foresta non metteva certo in uno stato d’animo sereno,
rifletté. “Non
avevamo modo per avvertirvi, Zacharias.
E sarebbe stato pericoloso se Doe è nei paraggi.”
“Non è nei paraggi.” Negò
l’uomo, passandosi una mano dietro al collo.
“È già
dentro.”
“Cosa?!” Sbottò Ron. “E
perché diavolo non siete già entrati?”
“C’è una barriera.”
“Avrete chiesto l’incantesimo per scioglierla,
no?”
“Non è
uno degli incantesimi
protettivi. Quelli sono stati violati. È nuova. Puzza di
magia nera. È stato
quel Doe.” Ribatté quello con
un’espressione innervosita nello sguardo.
“Potter, non ti era stato ordinato di startene
buono?”
“Mio figlio Albus è stato rapito.”
Ribatté, poi esitò. “… anche
lui.”
“Merlino Benedetto, ma i tuoi bambini non riescono a starsene
lontano dai guai?
Cos’è, genetico?” Sbottò
esasperato. “Bene. Così adesso abbiamo due ostaggi.”
Ron si frappose tra lui ed
Harry, in un impeto protettivo. “Falla finita, Smith! Non
riesci ad avere un
po’ di tatto?”
“Me l’hai già fatta questa domanda,
Weasley. Si tratta di due adolescenti in
mano ad un pazzo che vuole profanare ad una tomba. Non mi sembra
momento di
averne.” Sbottò. “Se avete una soluzione
siete pregati di comunicarcela,
altrimenti comportatevi come parenti e levatevi dai piedi.”
“Tu
…”
“Ron.” Lo
richiamò Harry, mettendogli
una mano sul braccio. “Ha ragione.” Si
schiarì la voce, e continuò.
“Zacharias,
ho bisogno di vedere l’entrata. La barriera. Dì ai
tuoi uomini di lasciarmi
passare.”
L’uomo guardò dietro di sé, poi fece un
cenno affermativo, scostandosi.
Harry pensò che,
dopotutto,
persino i suoi detrattori erano ben felici di lasciargli la patata
bollente.
L’entrata normalmente era nascosta, trasfigurata in un
anonimo ammasso
roccioso. Adesso invece era stata svelata : un arco di pietra.
Non era un entrata. Era un
Velo.
Non quello
dell’ufficio
Misteri, naturalmente. Ma una semplice passaporta comunicante. In
realtà più
simile agli Armadi Svanitori, tralasciando la forma.
Era stata un’idea
di Hermione,
che Harry aveva faticato a lungo ad accettare. Il Velo
dell’ufficio Misteri gli
aveva portato via Sirius.
Ma Hermione, come sempre,
aveva avuto ragione. Era stato di gran lunga il miglior sistema
difensivo in
quegli anni. Trasfigurato in una roccia era rimasto quasi
vent’anni come parte
del paesaggio della Foresta. L’avevano reso comunicante con
la grotta e solo
ri-trasfigurandolo con un complicato incantesimo si riusciva ad
attivarlo.
“È stato attivato?” Chiese.
Smith annuì.
“Già. Non si
vede?”
“Perché allora non siete già
scesi?”
Smith prese un ciottolo da terra e lo tirò contro la pietra.
Con uno schiocco
fortissimo fu disintegrato e ridotto in polvere a pochi metri
dall’entrata.
“Eccolo qua il
perché.” Fece
cenno l’uomo, beffardo.
Ron gli si
accostò. “È una
barriera potente, dovremo chiamare Vitious”
“Non c’è tempo.” E aveva un
presentimento.
È
me che vuole. Se vuole avere la bacchetta, deve prima
sconfiggere me.
Sperò
solo che non fosse la sua
Sindrome da Eroe a parlare.
Guardò Ron, che
gli lanciò uno
sguardo preoccupato. Come se sapesse già cosa stava per
fare.
“Harry, non…” Tentò infatti.
“So cosa faccio.” Lo fermò.
Inspirò, guardando verso l’entrata.
“Occupati tu
del resto.”
Ed entrò.
Sentì i respiri trattenuti degli uomini dietro di
sé, inspirare e attendere.
Sentì l’esclamazione di Ron e
l’imprecazione di Smith.
Sentì, quindi la barriera
non aveva
funzionato con lui. Non l’aveva fulminato sul posto. Aveva
avuto ragione a
fidarsi del suo istinto. Era ancora vivo.
Aprì gli occhi, e si trovò dentro
l’ingresso della grotta. Fuori, coperti dalla
patina brumosa del Velo, riusciva ad intravedere Ron e i Tiratori.
“Harry!”
Lo chiamò l’amico. “Harry,
tutto bene?” Lo sentì dire, la voce attutita come
se gli parlasse da un’altra
stanza.
“Sì,
tutto bene!” Sguainò la
bacchetta. “Vado avanti.”
“Dannazione Potter, è proprio quello che
vuole!” Sbottò Smith, premurandosi
comunque di stare a distanza di sicurezza. “Aspettiamo la
squadra di spezza -
incantesimi! Dobbiamo entrare tutti assieme!”
“È solo un uomo, Zacharias. E non abbiamo tempo.
Dobbiamo stare alle sue
regole.” Lanciò uno sguardo alle sue spalle:
dietro di sé si apriva la
scalinata… e
per quanto cercasse di
sondare quel buio denso con lo sguardo non riuscì a vedere
che a pochi passi da
sé.
A tentoni cercò
una torcia.
Sapeva come fossero disposte ordinatamente lungo tutto il percorso; del
resto
lui stesso aveva contribuito, dopo la guerra, quando si era pensato
alla
ricostruzione del Castello, a creare quel rifugio per la tomba di
Silente. Si
sentiva furioso all’idea che uno sporco ladruncolo, al soldo
di un alchimista
straniero la profanasse… coinvolgendo peraltro la sua
famiglia.
La
pagherai, John Doe.
La trovò
finalmente e sussurrò
un ignis, toccandone la base.
L’incantesimo divampò, accendendo quella e tutte
le altre in sequenza. Sorrise
appena.
Molto
meglio.
Smith sembrò
sputare a terra,
in un attacco di collera impotente. “Maledizione! Potter, se
succede qualcosa a
quei ragazzi o perdi il possesso di tu-sai-cosa giuro che vado
personalmente a
raccontare tutto alla Gazzetta! Ti butterò giù
dal tuo piedistallo da eroe a
calci nel culo!”
Harry suo malgrado sorrise. “È difficile,
Zacharias. Ormai ci sto piuttosto
comodo.”
“Oh, va’ all’inferno!”
Sbottò, sparendo dalla sua visuale. Probabilmente per
andare ad imprecare senza sentirsi ribattere contro.
Ron lo guardò
serio invece. Si
avvicinò al limitare del Velo. Era pallido, dietro le
sempiterne lentiggini. “Amico,
sta’ attento laggiù. Noi qui cercheremo di rompere
la barriera.”
“Sta’ tranquillo.” Lo
rassicurò. “Andrà tutto bene.”
Si voltò, inspirando. Poi sparì nelle tenebre.
****
Era ironico.
Harry lo pensò quando fu arrivata alla base della scivolosa
scalinata che si
addentrava nelle viscere stesse delle highlands.
Era ironico che fosse proprio una grotta l’ultima dimora di
Silente, quando era
stata una grotta che gli aveva portato via la poca vita che gli
restava.
L’aveva pensato in
quel
momento, e doveva ammettere che il parallelo era leggermente macabro.
Fece qualche passo sul
terreno
ghiaioso. Doveva ammettere eppure, che a differenza della grotta di
Voldemort,
sulle cupe scogliere di Moher¹, la grotta che si estendeva
sotto il Lago Nero
era… stupenda.
Per questo l’aveva
scelta.
Era un luogo fatato. Un
particolare tipo di muschio magico, che cresceva solo in particolari
condizioni
e temperature, gli aveva spiegato Neville, tappezzava
l’intero luogo,
donandogli una luminescenza bluastra.
Sporgenze rocciose, come guglie di un duomo barocco, si inerpicavano
per
tutta la sua lunghezza.
Era una sala circolare e in
fondo, proprio di fronte alla macchia più luminosa,
c’era il mausoleo di
Silente.
Una gigantesca fenice di
pietra abbracciava la tomba bianca, che persino da lì, a
parecchie centinaia di
metri, riluceva del suo tenue lucore.
Lo spettacolo in
sé quasi ti
spingeva a distogliere lo sguardo. La Mcgrannit, a lavoro finito, aveva
ironizzato fosse decisamente una cosa vistosa.
Avevano convenuto a tutti
che
a Silente sarebbe piaciuta.
Inspirò appena, quando un refolo d’aria gelida gli
lambì la nuca, quasi a
ricordargli che non era lì per rendere omaggio al suo
mentore, ma bensì per
trovare John Doe e liberare Thomas e Al.
Stese la bacchetta di fronte
a
sé. Sembrava non esserci nessuno.
I rumori nella grotta erano assenti. Si poteva sentire il silenzio,
interrotto saltuariamente
da qualche goccia d’acqua, che rimbombava però con
la forza di una tempesta.
Non sapeva cosa doveva aspettarsi. Sapeva solo che John Doe lo
aspettava,
nell’ombra.
Poi lo vide. E gli si gelò il sangue nelle vene, prima di
infiammarsi di fuoco,
rabbia e terrore.
C’era Al disteso
davanti alla
tomba. Era a terra, esanime, senza mantello, con la sola divisa.
Sembrava incredibilmente
piccolo, da laggiù.
“Al!”
Gridò, chiamandolo. Corse verso
di lui, con i sensi tesi al massimo e il cuore che minacciava di
spaccarglisi
nel petto.
No.
No. No. Non il mio bambino, Merlino, ti prego… non
lui.
Non
lui. Non ancora.
Lo
raggiunse, inginocchiandosi di
fronte a lui, prendendolo tra le le braccia. Era leggero, e freddo.
“Al! Albus, rispondimi… Ehi…”
Lo scosse leggermente. Sentiva il sudore gelido
ghiacciarglisi lungo la schiena, e quasi credette di morire e rinascere
un paio
di volte quando vide che ancora respirava, che era pallido
sì, ma c’era ancora
colore sul suo viso.
“È solo
svenuto.”
Anche quella voce ebbe il potere di ghiacciargli il cuore.
Perché la
riconosceva.
Era pacata, ferma, bassa, perennemente venata da una cortesia innata.
Era la voce di Thomas.
Si voltò, trovandoselo davanti. Paradossalmente, fu Tom a
sembrargli in
condizioni peggiori. Era in piedi e vigile ma aveva il viso
così bianco da
sembrare cera, i capelli appiccicati sulle tempie, e qualche ciocca
ribelle
lungo le guance smunte. Sembrava dimagrito ancora, la camicia
dell’uniforme
disegnava ombre strane sul torace magro.
Come
se sotto non ci fosse niente…
Ma furono i suoi occhi che
lo
portarono a sciogliere il figlio dall’abbraccio, e posarlo
delicatamente a
terra.
Erano completamente assenti.
E conosceva bene
quell’ espressione.
Durante la sua carriera di auror l’aveva vista più
volte.
Mio
Dio, no. È sotto imperio.
“Tom.”
Mormorò, alzandosi. “Lo
vedo, sì… Tu stai bene?”
Il ragazzo fece un mezzo
sorriso, che si tese dolorosamente sulle labbra livide. Sembrava pura
meccanica, Harry capì che non stava sorridendo davvero.
“Non mi posso
lamentare, Harry. Grazie.”
“Tom… Dov’è lui?”
Chiese, serrando la presa sulla sua bacchetta. Tom era
armato. La bacchetta non era sua, l’avrebbe riconosciuta al
volo, era quella di
Al.
Dannazione.
Al e Tom avevano passato
cinque anni a fare magie assieme, ed erano legati da ricordi,
sentimenti, esperienze
e soprattutto dallo stessa gradualità di apprendimento
magico: questo, per una
bacchetta, contava quasi più del sangue. Tom sarebbe stato
in grado di usarla
come se fosse sua.
“Lui chi
Harry?” Chiese. Il
tono era monocorde. Sembrava rispondesse solo per stimolo.
“John
Doe, Tom. Dov’è? È qui non è
vero? Devi dirmi dov’è.”
“No. Non posso.” Inarcò le sopracciglia.
“Non posso.” Ripeté più
lentamente,
quasi a sé stesso.
“Ascoltami
Tom…” Si avvicinò,
di un solo passo. Il ragazzo entrò subito in tensione,
notò da come irrigidì le
spalle. Quello non era l’imperio.
Era istinto.
Maledizione,
è spaventato a morte. Se lo attaccassi mi
attaccherebbe per difesa.
L’imperio
spesso veniva definita la meno pericolosa della maledizioni
senza perdono. Sicuramente la meno dolorosa. Ma era il ragionamento di
fondo ad
essere sbagliato: non era il grado di dolore, inesistente a dire il
vero, a
renderla pericolosa.
Non
è solo mettere un mago sotto il tuo potere. È
inibirgli la sua coscienza. Si può farlo agire come se fosse
vigile, farlo
parlare, comportare normalmente. Ma è la sua coscienza ad
essere soggiogata.
Non
riconosce chi ha davanti. Azzera il suo giudizio,
la sua etica, tutto.
Diventa
solo una macchina, senza sentimenti. Esegue gli
ordini.
L’unica cosa che
l’imperio non poteva
controllare era
l’istinto.
E nel caso di una battaglia,
non è qualcosa su cui comunque puoi contare…
Ad
ogni azione corrisponde una reazione. Se levi la
bacchetta contro un maledetto, quello ti ucciderà.
Ricordava ancora con
chiarezza
straordinaria le lezioni di Malocchio Moody.
“Tom, guardami.
Puoi
combatterla.” Disse fermo. “Non è
irreversibile. Lo so che mi stai sentendo.
Devi combatterla. Devi combatterla e dirmi dove si sta nascondendo
quell’uomo…”
Era lì, lo sapeva. Lo sentiva. Non si stava mostrando,
semplicemente. Poteva
rimanere rintanato nelle ombre della grotta, ed aspettare.
Maledetto
figlio di puttana…
Sapeva che non sarebbe mai
stato semplice per lui combattere contro Tom.
“Combatterla?”
Chiese il
ragazzo, distogliendolo dai suoi pensieri. “No, Harry. Non
posso.” Ripeté.
Suonava come la cantilena di un alunno annoiato.
“Certo che
puoi.” Ribatté con
forza. “Tom, tu sei molto più forte di una stupida
maledizione della volontà.
Devi combatterla, devi dirmi dov’è Doe…
e dobbiamo portare Al via di qui. Albus.”
Ripeté, scostandosi per
farglielo vedere. “È svenuto, forse sta male. Al
è il tuo migliore amico, Tom.
Te lo ricordi, sì? Certo che te lo
ricordi…”
Con orrore si rese conto che neanche quello funzionò. Lo
sguardo del ragazzo
passò senza emozioni sul corpo esanime dell’altro.
Come se neanche lo vedesse.
Harry realizzò
che Tom era
troppo debilitato per poter combattere. E che l’unica
speranza era farlo
parlare, e intanto cercare da solo l’ubicazione di quel
bastardo.
Come
se fosse semplice. Qui dentro ci sono centinaia di
posti in cui nascondersi…
Poi Tom si mise una mano
dentro la camicia, e ne tirò fuori qualcosa. Era un
medaglione. Harry non
l’aveva mai visto prima, sebbene avesse un’aria
familiare.
“Sai cos’è questo?” Chiese il
ragazzo. “È cominciato tutto da questo,
sai.”
“È un
medaglione, Tom. Dove
l’hai preso?” John Doe doveva essere là
attorno. Abbastanza vicino da potersi
godere lo spettacolo. Ne era sicuro.
Il sorriso di Tom divenne
improvvisamente sgradevole. Non avrebbe mai creduto di poterlo dire, ma
Dio,
era identico a quello del giovane Riddle. “Nella Foresta,
Harry.”
Riportò gli occhi sul medaglione. E capì.
È
la Pietra.
La cicatrice prese a
formicolargli. Non aveva niente a che vedere con il dolore accecante
che aveva
patito da ragazzo, solo un’ombra. Ma ricordò le
parole di Ethan Scott.
Un’anima
lascia sempre una traccia, ovunque alberghi,
anche se solo per poco.
Erano l’anima di
Tom e quella
maledetta pietra ad essere in sintonia.
“Vedo che
l’hai riconosciuta
subito, anche se trasfigurata.” Mormorò il
ragazzo. “Lo sai? Mi appartiene di
diritto. Apparteneva a quello che rimane di Voldemort e… io
sono quello che
rimane di Voldemort.”
“No, Tom. Non lo sei.” Replicò furioso.
“Qualsiasi cosa ti abbiano fatto, come
ti abbiano fatto nascere… tu sei un’altra persona.
La reincarnazione. È quello
che è successo a te, tutto qui. Pilotata o meno, tu non sei
lui. Sei un’altra
cosa.”
“E cosa?” Replicò il ragazzo.
Sentì la rabbia tremargli sulle labbra, e
faticare ad uscire a causa della maledizione. “Un
contenitore?”
Harry riportò gli occhi su di lui. “Sei Thomas. Ti
prego, dimmi dov’è.”
“No.” Questa volta la voce era venata chiaramente
da qualcosa. Ma Harry capì
che non era uno sviluppo in positivo. Era rabbia.
L’istinto…
Tom è spaventato,
infuriato. Il medaglione, contiene la pietra, dove l’anima
malvagia di Riddle
ha soggiornato. È come se amplificasse la sua
rabbia…
No.
Peggio. È come se gli desse un bersaglio.
Me.
“Bacchetta alla
mano, zio
Harry.” Disse il ragazzo. “L’etichetta,
prima di tutto.” Recitò beffardo.
“Thomas, no.” Lo redarguì, saettando con
lo sguardo per l’enorme sala di
pietra. Poteva essere dovunque. “Non leverò la
bacchetta contro di te.”
“Allora morirai.” Harry sentì la sua
mano mettersi in posizione prima che
volesse davvero farlo. “Avada”
“Protego horribilis!”
Scattò e il
lampo verde del ragazzo scoppiò migliaia di scintille verdi.
Era un’amara
consolazione, ma la maledizione, come pensava, non era stato abbastanza
efficace. Era bastato uno scudo di difesa di medio livello a
vanificarla.
È
solo un ragazzino… e non ha mai scagliato
l’anatema
che uccide.
Non che non avrebbe potuto
farlo. Tom era brillante. Se ci avesse provato di nuovo…
Maledizione,
fottuto bastardo. Vuoi farmi combattere con
lui fino a che il cuore non gli cede?
Thomas
respirava male. Se n’era
accorto da un po’. Sebbene il volto mostrasse una calma
soprannaturale, i
respiri che tirava erano secchi, irregolari. Solo lanciargli un
incantesimo
l’aveva spossato.
Doveva mettere fine a tutto
quello.
“Stupefi-”
“Protego!”
Il ragazzo sorrise di trionfò quando la sua presa rimase
salda sulla bacchetta
e lo vide indietreggiare di qualche passo.
“Hai visto zio Harry? Imparo in fretta.”
Sibilò. “Non cercare Doe. Credo sia
meglio che tu dia attenzione a me… Perché sono io
il tuo avversario adesso.”
****
L’avevano
svegliato dei forti
scoppi.
Nel dormiveglia aveva
pensato,
stupidamente, al rumore dei fuochi d’artificio dei Tiri Vispi
quando li
scoppiavano ogni estate per il Solstizio.
Poi aveva aperto gli occhi.
E
davvero, avrebbe voluto non farlo.
Vide la schiena di suo
padre, a
parecchi metri davanti a sé. Suo padre, che combatteva.
C’erano lampi di luce ovunque che gli ferivano gli occhi. Un
rumore tremendo.
Ma non era l’uomo
biondo il
suo avversario. Quando si diradò il fumo dovuto ad una
leggera frana vicino a
loro, vide Tom.
Era Tom a combattere con suo
padre. Sotto imperio.
Maledizione!
Non
badavano a lui, e come avrebbero
potuto?
Quello non era un duello
scherzoso, come ogni
tanto suo padre
faceva con loro.
Non stavano facendo finta.
Si
lanciavano incantesimi per uccidersi.
Un lampo verde
fischiò poco
sopra la sua testa. Si riparò con le mani, ma poi lo vide
precipitare
dall’altro lato, rimbalzando su un incantesimo scudo di suo
padre e schiantarsi
contro la parete di roccia parecchie centinaia di metri più
in là provocando un
crollo.
Sentì suo padre
imprecare,
anche in tutto quel rumore. Aguzzò la vista e vide che
sembrava aver colpito un
arco di pietra.
Tentò di alzarsi
in piedi.
Doveva fermarli.
Non sapeva come, ma doveva
farlo. Suo padre stava cercando di difendersi, non di attaccare, ma
Tom…
Lo
saprà che è sotto imperio? Lo saprà?
Perché se non
l’avesse saputo,
forse…
Lo sguardo di suo padre, riusciva a vederlo per l’innaturale
lucore della
grotta, era feroce. Concentrato.
Come
se Tom fosse un nemico…
Sentì la bocca
secca e lo
stomaco serrato nella morsa del panico.
Doveva farli smettere.
Devo,
prima che…
Inspirò,
lanciando uno sguardo
lungo la grotta. Doe non c’era. Non c’era modo per
lui di trovarlo, lì dentro,
ed obbligarlo a sciogliere la maledizione. O se c’era, non ne
era in grado.
Non
senza una bacchetta, comunque…
Si
rialzò, sentendo la ghiaia in cui
era stato buttato conficcarglisi nelle ginocchia e nei palmi delle
mani.
Probabilmente aveva persino qualche livido sulle ginocchia. Il fastidio
servì a
renderlo lucido.
Doveva trovare una
bacchetta.
Gli venne quasi da ridere,
all’assurdità della sua richiesta, ma poi si
voltò.
Era la tomba di Silente
quella.
Un’enorme fenice
di pietra
racchiudeva la famosa tomba bianca. La gigantesca scultura era
appollaiata, con
il suo prezioso contenuto su un agglomerato calcareo, molto simile ad
una
leggera collina.
L’idea lo trafisse
da parte a
parte, come una folgorazione.
La
Bacchetta di Silente! Silente è stato sepolto con la
sua bacchetta!
Certo,
risalire quel pendio avrebbe
significato essere una specie di bersaglio inconsapevole per gli
incantesimi
del padre e di Thomas, ma…
Lo risalì
comunque. Nessuno badava
a lui. Doveva fare presto. Doveva avere una bacchetta.
Avrebbe disarmato Tom, e
sarebbe tutto finito.
Non
c’era tempo per avere paura. Doveva avere
una bacchetta.
La tomba era così
bianca che
gli ferì quasi gli occhi, quando si insinuò tra
le gigantesche ali della
fenice.
Bianca e sigillata.
Si morse un labbro.
Profanare una
tomba era un atto terribile. Specialmente quella
tomba.
Gli sudavano le mani, aveva
paura. No. Era terrorizzato.
Ma gli scoppi sotto di lui,
la
polvere calcarea che gli cadeva trai capelli, facendogli capire che la
grotta
era squassata dalla magia, non gli
davano scelta.
Devo.
Solo… come?
La tomba sembrava
un’unica
lastra di marmo, di uno spessore sufficiente per contenere le spoglie
di un
uomo, ma… Non sembrava avere aperture.
È
stata sigillata con la magia…
Si
morse un labbro, passandoci una
mano, angosciato.
Come
la apro? Come dannazione la prendo la bacchetta?
Sentì
un fruscio d’ali, un vento
leggero che smosse l’aria immobile della grotta. Si
voltò di scatto.
“Fanny!”
Sussurrò sconvolto:
come diavolo era entrata lì?
La fenice si appollaiò sul suo braccio. Era molto
più grossa di un falco,
eppure non pesava nulla.
“Come…
come hai fatto…”
Non che mi debba stupire. È una
creatura
leggendaria. Ed è definitivamente la fenice di Silente.
La fenice gli becchettò leggermente la guancia,
prima di staccarsi dal suo
braccio e posarsi sulle tomba.
“Devo prendere la bacchetta Fanny… Ti prego,
aiutami.” Sussurrò.
La fenice dispiegò le ali e Al fu accecato da
un’improvvisa vampata d’oro e
fiamme.
****
Non ci riusciva.
Erano passati solo dieci
minuti, o forse una mezz’ora. non riusciva a capirlo, ancora.
Per quanto cercasse di
disarmarlo, Tom respingeva ogni suo attacco.
Era l’imperio.
L’imperio lo teneva vigile. Probabile che quel bastardo gli
avesse ordinato di
non riposarsi, di non arretrare mai.
Gli
ha ordinato di uccidermi…
E c’era una grossa
differenza
tra chi tentava di difendersi e chi voleva uccidere.
Il primo non aveva chance
contro il secondo.
E c’era anche da
considerare
il fatto che Tom si stava violentando, fisico e mente, per combattere
al suo
livello.
“Tom, smettila!” Tentò nuovamente,
vanificando uno stupeficium. Tom
non poteva sconfiggerlo naturalmente, ma non si
stancava neppure e non riusciva a togliergli la bacchetta o
schiantarlo.
È
intuitivo, veloce… e conosce il mio arsenale di
incantesimi…
Lui stesso aveva duellato
per
anni con lui e i suoi figli d’estate. Aveva insegnato loro
come difendersi,
come evitare gli incantesimi e quali usare per rispondere efficacemente.
E quelle informazioni erano
tutte chiuse nella memoria di Tom, pronte per essere usate. Senza
filtri, senza
indecisioni o incertezze.
Tom tossì,
ansimando. Aveva il
viso coperto di sudore e un taglio lungo la fronte gli aveva lasciato
una lunga
macchia di sangue appiccicoso fino alla guancia.
“Tom, ti prego,
devi-…”
“Crucio!”
Harry sentì un dolore tremendo impadronirsi di lui. Cadde in
ginocchio, a
bocconi. Non era come quello di Bellatrix, non era neanche lontanamente
come
quello di Voldemort.
Ma era un crucio.
E il suo istinto
scattò prima
della ragione. In un scoppio di adrenalina riuscì a levare
la bacchetta.
“Everte Statim!”
Gridò.
Il ragazzo non si aspettava,
evidentemente, che riuscisse a combattere gli effetti della
maledizione, perché
non fece in tempo a farsi scudo e fu scagliato contro una roccia con
forza.
Harry, sentendo il dolore
sparire di colpo scattò in piedi, raggiungendolo.
Era ancora cosciente, neppure il colpo l’aveva fatto svenire.
E gli occhi…
Merlino. Gli occhi.
Erano rossi.
Non si era accorto fino a
quel
momento del loro colore, a causa dell’illuminazione
evanescente della sala.
Ansimava Tom… ed
era così
simile a lui.
A Voldemort.
Lo guardava, con quelle
iridi
rosse, che aveva visto nei suoi sogni, nei suoi incubi.
Per un attimo, Harry si
sentì
trasportato a vent’anni prima, a quella fatidica notte.
La bacchetta non gli tremò nelle mani mentre la
levò verso Tom.
“Expelliarmus!”
Harry sentì uno strappo violento e la sua bacchetta
volò in aria. Sentì il
rumore del legno contro la roccia, secco, come uno sparo. Si
voltò, incredulo. Perché
la voce l’aveva riconosciuta.
Era Albus.
Pallido, tremendamente
pallido, con gli occhi verdi spalancati dalla paura.
E con la Bacchetta di
Sambuco
in mano.
“Al…”
Sussurrò. “Al, cosa hai
fatto?”
“Tu… tu
volevi ucciderlo!”
Sbottò il ragazzo. “È a
terra!”
“Al, no! Merlino, tu…-“
Si sentì un
applauso
schioccare sinistramente dentro la caverna.
Uscì John Doe, come apparso dal nulla.
“… Tu sei il nuovo padrone della Bacchetta,
ragazzino. Neppure io potevo
pensare ad una soluzione migliore, lo ammetto. Harry Potter senza
bacchetta, e
suo figlio con. Avanti le nuove generazioni quindi.
Tom?” Fece una pausa. “Uccidilo e
prendigli
la bacchetta.”
****
Note:
Ci manca un ultimo capitolo.
Dai. Ve
l’aspettavate? :D
1 Le Scogliere di
Moher sono dove, nella versione filmica, sono state
girate le scene
della grotta dell’horcrux. Piccola licenza poetica.
La canzone traccia di questo
capitolo è Qui
.
|
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Capitolo 52 *** Capitolo XLVII ***
Eccoci
all’ultimo capitolo. Spero davvero di non deludere
nessuno. Come ho detto
precedentemente, ci sarà una seconda
parte. Questo, quindi, lo considero un capitolo
aperto, ma risolutivo.
Enjoy.
@Chiara96:
Ciao! Grazie mille per la recensione e grazie per aver apprezzato la
scena dell’armadio.
Era uno spezzatensione in effetti!
@NickyIron:
No, Harry non si era accorto di Fanny. Penso fosse troppo, troppo preso
ad
evitare di non farsi ammazzare da Tom. xD Grazie mille! Spero che le
tue
congetture non ti abbiano deluso!
@ElseW: Troppi
complimenti! Grazie mille! °_* Li adoro sì! XD
vediamo se combattere contro Al
gli ha giovato! XD
@RoroTheJoy:
Davvero? Non ci avevo fatto caso! Anche io adoro i WT! Dimmi se ti
piace la
canzone per questo capitolo. Ti consiglio di metterla alla fine
però, che si
riferisce a quella! Ciao!
@Altovoltaggio:
Addirittura paragonata a mamma Row! Ma grazie! :D Il concerto
è stato favoloso!
Certo, anche se ho preferito quello del 2006, c’era meno
gente e faceva meno
arena di Vasco. Però è stato fantastico, ero
proprio sotto il palco! Sotto Dom!
T_T Me-ra-vi-glio-so! Purtroppo il coro di Bday non si è
sentito! :/
@Sophie: No, non preoccuparti!
Fidati di Tommy! XD Non ancora nel senso che Harry ha visto morire
molta gente,
e questo l’ha traumatizzato. Questo è
l’ultimo capitolo! ;) Seconda parte però.
@Pheeny:
Grazie mille per i complimenti… eh sì,
Jamie/Sy/Rosie sono il nuovo trio XD
@Aga: Grazie
per i complimenti! Sì, l’ambientazione era un
po’ tanto voluta, mi fa piacere
che tu l’abbia notato ^^ Il trio grifondoro è
sì ubbidiente in effetti, ma devi
ammettere che hanno dei genitori che sanno tenerli per la collottola.
XD
Comunque prevedo più azione anche per loro.
@Trixina:
Ciao! Tu più di tutti mi premeva rispondere,
perché mi hai seguito fin dall’inizio.
Sì, ci saranno dei momenti Teddy/Vic e si riferiranno al
passato, ma anche lei
scenderà in campo. Vedremo. Al avrà un bel ruolo,
e ringrazia per essere
adorato. XD Grazie di tutto Trixina, davvero.
@Ombra: Ciao!
Essì, i nostri ragazzacci rimangono gli stessi! XD Grazie
per i complimenti e
sì, Fanny crea casini, ma del resto empatizza con il suo
nuovo padroncino. E
Albie fa dei casini! XD
@Mikyvale:
Ciao! Ci sarà una seconda parte, dove spero che anche i
personaggi secondari
avranno più risalto… almeno queste sono le
intenzioni. Lily ne avrà,
ASSOLUTAMENTE. Spero di non averti deluso con questo capitolo! E grazie
per i
complimenti e per aver capito i paralleli!
@Andriw9214:
Wow! Che letturona ti sei fatta! Mi sento onorata! Anche di averti
fatto
cambiare idea sulla next generation! Grazie grazie! Non preoccuparti,
non ci
sono brutte o belle recensioni, e la tua andava più che
bene!
****
Capitolo XLVII
La scelta ultima di un uomo quando
è
portato a trascendere se stesso
è
creare o distruggere, amare o odiare.
(Erich Fromm)
Tomba
di Silente.
Tom aveva gli occhi rossi.
Al se ne rese conto immediatamente, mentre sentiva la presa sulla
bacchetta
farsi bollente. Quasi fosse la bacchetta stessa ad emanare calore.
Certo,
il modo in cui Fanny ha aperto la tomba…
Eppure
la sentiva pulsare, contro il
suo palmo sudato, mentre Tom lo guardava.
Cercò lo sguardo
del padre,
spaventato, solo allora capendo quello che aveva fatto.
Ho
la bacchetta di Sambuco.
Ed
è quella che Doe vuole.
Tom lo guardava per la prima
volta dopo ore. Aveva quegli occhi, quello sguardo vitreo, quello
dell’imperio.
…
cosa ho fatto…
Harry però non lo
guardò.
Stese la mano e pronunciò un chiaro ‘accio’
mentre la sua bacchetta, la sua unica
bacchetta gli ritornava in mano.
“Al, scappa!” Gli gridò. Come in una
scena a rallentatore vide il padre cercare
di frapporsi tra lui e Thomas, cercando di tornare ad essere il suo
avversario.
Ma adesso c’era
John Doe.
“Oh, non credo proprio, Salvatore!” La voce del
sicario era come carta vetrata
contro le sue orecchie. Faceva male, mentre lo scoppio di un
incantesimo
vicinissimo a lui – vicino a suo padre in realtà
– lo accecò brevemente.
Fece qualche passo indietro, coprendosi il viso.
“Albus!” Era
ancora suo padre ad
urlare. Aprì gli occhi e si trovò Tom a pochi
passi da lui. “Al, vattene via,
scappa! Lascia la bacchetta e scappa!”
Lasciare
la bacchetta? No!
Era
l’unica cosa che poteva, Dio,
difenderlo.
“Scappa!”
A quel punto finalmente riuscì a farsi obbedire dalle
proprie gambe. Anche se
il suo intero essere si ribellava a quell’idea, e qualcosa
dentro di lui
tremava e piangeva… Non poteva semplicemente fermarsi.
L’istinto di
sopravvivenza
azzerò la paura e incespicò sbattendo contro un
pinnacolo di roccia prima di
correre via.
Doveva uscire di
lì.
Sicuramente suo padre era
venuto con la sua squadra, con suo zio Ron.
Sicuramente fuori,
all’entrata, c’era qualcuno. Qualcuno che avrebbe
fermato Thomas, qualcuno che
avrebbe sciolto la maledizione. Qualcuno che avrebbe fatto finire
quell’incubo.
La bacchetta era rovente e
non
aveva la minima idea di dove stesse andando. Il lucore tenue della
tomba di
Silente, dopo che Fanny l’aveva aperta, si era affievolito
fino a diventare
poco più che un vago luccichio latteo.
La luce azzurrina che
proveniva dai muschi abbarbicati alle rocce era malsana e dava
un’ombra
sfalsata alle cose.
Sbatté con un gomito contro uno spuntone di roccia, sentendo
un dolore
accecante.
Aveva nelle orecchie il
rumore
del suo respiro, forte e sincopato come il cuore che gli sbatteva
violentemente
nel petto.
Aveva paura. Non voleva. Non
era giusto.
Non si fermò. Non
si stava
neppure guardando indietro per vedere se Tom lo stava seguendo.
Lo sapeva, semplicemente.
Quando
passi tanto tempo con una persona la percepisci
la sua presenza. Acutamente.
Chissà
se per i babbani è così o è questione
di aura
magica…
Sentì uno scoppio
e un
bagliore rossastro vicinissimo al suo orecchio. La polvere che ne
scaturì,
aveva colpito a terra, lo fece tossire.
“Tom, smettila!” Urlò, voltandosi
indietro.
Era dietro di lui. A parecchi metri, ma camminava.
Sentì il panico
serrargli lo
stomaco.
Camminava.
Come
se non ci fosse bisogno neanche di rincorrermi…
L’entrata era
vicina. Non
doveva preoccuparsi, solo… arrivarci.
Era sempre più vicina. Doveva essere vicina.
Perché non la vedeva?
Poi lo capì: l’entrata era franata, dopo uno dei
tanti incantesimi di Tom deviati
da suo padre. L’arco di pietra era crollato su se stesso,
lasciando un
semicerchio poco più alto di una persona. Si apriva
sul…
Si fermò di colpo, ansimando.
Si apriva sul vuoto.
Dannazione.
È una passaporta. È una maledetta
passaporta, non c’è nessun passaggio scavato nella
roccia. L’ha rotta!
Non c’era via di
uscita. Erano
bloccati lì dentro almeno finché qualcuno non ne
avesse aperta un’altra da
fuori.
Ma non stava arrivando
nessuno. Nessuno.
Si voltò sentendo
il respiro
spezzarsi e il sangue rombargli nelle orecchie.
Tom era a pochi passi da lui. Vicinissimo. Gli occhi vuoti, vitrei come
quelli
di una bambola non riflettevano nulla. Neanche lui.
E gli stava puntando la
bacchetta addosso.
“Stupef-”
Al sentì il sangue bollirgli impazzito nelle vene e il suo
braccio scattò prima
che avesse tempo di pensare.
“Expelliarmus!”
Tom parò il suo
incantesimo
senza neanche parlare. Un dannato scudo non-verbale, persino di basso
livello.
Pareggio.
Non sarebbe durato a lungo.
Tom non aveva usato una maledizione, ma…
Non
ancora almeno.
Doe gli aveva ordinato di ucciderlo.
E a lui tremavano le mani.
Così forte che doveva obbligarsi a tenere la presa sulla
bacchetta. Questo la
diceva lunga su quanto fosse in grado effettivamente di batterlo. Nei
duelli
con i fratelli era sempre stato patetico, ricordò con
terrore. Il club dei
duellanti era una cosa a cui era girato alla larga sin dal primo anno.
E la
bacchetta gli cadeva in
continuazione.
Tom invece era brillante. E
aveva l’imperio: rodeva
via la sua
stanchezza per farlo diventare uno strumento.
Lo sentì
muoversi, cercarlo.
Ma a quel punto si era
già
tuffato tra un colonnato di rocce, scomparendo alla sua vista.
Doveva sopravvivere.
A tutti i costi.
Se fosse morto…
se fosse morto
Thomas non avrebbe più avuto scampo. Sarebbero stati
condannati, entrambi.
Non
è giusto. Non è giusto. Non doveva capitare a
noi.
A
me, che non so difendermi.
A
lui, che non sa fermarsi.
Da lontano sentiva gli
scoppi
degli incantesimi, orribili lampi di luce all’angolo della
sua visuale che gli
ferivano gli occhi.
Suo padre non poteva aiutarlo, non in quel momento: Doe non gli
lasciava
scampo.
Nascondi. Nasconditi finché non
arriva
papà.
Sentì il respiro spezzarsi e ingoiò un
sussulto. Era stanco e spaventato.
Tutta l’adrenalina l’aveva persa dopo che si era
reso conto dell’errore
tremendo che aveva commesso.
Nasconditi.
Nasconditi.
Serrò le labbra.
I passi di
Tom erano vicini, ma non riusciva a trovarlo.
Sentiva il suo respiro, simile ad un sibilo riempirgli le orecchie.
No.
Serrò le labbra.
Non
è giusto.
Oltre
la paura sentiva un grumo di…
rabbia. Cristo, era rabbia quella che sentiva rimbombargli nel petto.
Non era giusto che lui e Tom
dovessero affrontarsi. Non era giusto che Tom dovesse ucciderlo per
ordine di
un pazzo psicopatico. Era tutto completamente sbagliato.
Non
voglio morire. E lui non deve uccidermi.
L’equazione
era semplice, terribile,
ma maledettamente semplice: doveva salvarlo.
Infilò la bacchetta dentro la tasca dei pantaloni e si
arrampicò lungo la
parete di roccia che fino a quel momento l’aveva nascosto. Se
fosse riuscito
arrivare alla sommità avrebbe potuto vedere Tom senza essere
visto. Avrebbe
potuto capire dov’era.
Un
vantaggio.
I palmi delle mani gli
bruciavano, sfregando contro la ghiaia e fu un paio di volte sul punto
di
scivolare a causa delle scarpe dell’uniforme, ma
riuscì ad arrivare fino in
cima della grossa stalagmite.
Si affacciò e tirò un brusco respiro che gli si
ficcò a fondo nella gola,
bruciandola.
Tom era sotto di lui, esattamente a pochi metri in linea
d’aria. Si aggirava
tra la foresta di stalagmiti, con la bacchetta tesa davanti a
sé ad illuminare
le porzioni umbratili, dove il muschio fluorescente non cresceva.
Lo cercava.
Com’è possibile che
l’imperio gli faccia fare
questo… Com’è possibile che
lo obblighi ad uccidermi?
In una situazione diversa avrebbe urlato, avrebbe pianto. Ora
doveva capire
come annullarlo.
Pensa,
Al. Pensa.
L’imperius.
È la maledizione della volontà. La
annienta. Ma una forte volontà può combatterla.
Papà l’ha combattuta.
Tom non mi farebbe mai del male. Mai. Si
è quasi fatto ammazzare per salvarmi
dai Naga, mi ha nascosto che sapeva chi era la Prynn per mettermi al
sicuro…
Poi lo intravide. Un
bagliore,
un riverbero dovuto ad un’angolazione della luce riflessa
dalla bacchetta.
Era un luccichio, ed era
attorno al collo. Come una collana, come…
Ha
il medaglione! È quello!
Non
era solo quello, lo sapeva. Ma era
quello che confondeva Tom, che gli aveva fatto avere quegli sbalzi di
umore
tremendi per quasi tre mesi. Si trattava di fare due più due.
Ora sapeva cosa fare.
Tom doveva solo arrivare
sotto
di lui. Era un azzardo, avrebbe rischiato di far male ad entrambi, ma a
quel
punto qualche osso rotto non era certo un problema. Doveva prenderlo di
sorpresa e a giudicare da come lo stava cercando in basso, era certo
che non
avesse capito che era lì.
Non avrebbe mai pensato che
il
Quidditch gli sarebbe servito fuori dal campo ovale.
Uno schiocco violento, come uno sparo
rimbombò per le pareti, distraendo Tom: adesso aveva la guardia abbassata.
Si lasciò andare
e gli piombò
addosso. Sentì un rumore soffocato provenire dalle bocca di
Tom, e crollarono
entrambi a terra. Sentì un dolore tremendo alla spalla, che
quasi lo lasciò
senza fiato. Non c’era tempo. Infilò la mano
dentro la camicia di Tom e trovò
la cordicella del medaglione. Gli diede uno strattone violento e quella
si
spezzò.
Sì!
Lanciò il medaglione oltre le sue spalle, ma a
quel punto Tom si era già
reso conto della situazione, e si era ripreso dalla sorpresa di
sentirsi
piombare qualcuno addosso. Lo spinse via da sé e con un
colpo violento alle
reni Albus si trovò schiacciato contro la roccia, a terra,
con Tom sopra, la
sua bacchetta premuta sulla carne tenera della gola.
Sgranò gli occhi,
mentre il
respiro gli si incastrava in gola. Tom aveva il volto vicinissimo al
suo e
respirava forte, furioso.
Furioso.
È un emozione.
Aveva gli occhi di nuovo del
suo colore, poteva intravederlo perché erano sopra ad una
macchia di licheni che
si diramava lungo le stalattiti che formavano il soffitto.
“Tom…
Sono io.” Sussurrò. Non
riusciva a gridare, la bacchetta sembrava volergli perforare la
trachea. “Ti
prego. Combatti, dannazione, combattila…”
C’erano solo loro
due adesso.
Niente medaglione. Solo loro due e la maledizione.
Tom si passò la lingua tra le labbra secche.
C’erano di nuovo delle emozioni
nei suoi occhi, poteva vederle agitarglisi dentro e fargli fremere i
lineamenti. Come una tempesta cupa e violenta sulle scogliere di Dover.
Era un
immagine assolutamente idiota viste le contingenze, ma ad Al
sembrò azzeccata.
Ma era ancora confuso.
L’imperio continuava a
ottundergli le
capacità di ragionamento e l’ordine era ancora
valido.
“Falla…
finita.” Sussurrò
spaventato. Doveva funzionare.
“Stupido caprone egocentrico. Se sei tanto brillante,
dimostralo. Combatti l’imperio
e schiarisciti il cervello. Tu
non vuoi uccidermi!” Riuscì a levare le mani,
passandogliele lungo le braccia. Aveva
i tendini tirati fino alla soglia del dolore, ne era certo. Premette le
dita
sui bicipiti. Riuscì ad alzarsi, di qualche centimetro
necessario per
raggiungere la sua bocca. “Se mi
ammazzi…” Ormai doveva tentare tutto, e
sperava che le favolette della sua infanzia sull’amore
salvassero il culo ad
entrambi. “Se mi ammazzi, giuro che ti uccido.”
E lo baciò.
Un impulso nervoso.
Nella sua vita Tom aveva
imparato a classificare tutto, anche le emozioni. Era facile
classificarle e
dare loro nome e collocazione.
Ma quando si trattava di
provarle, ovvio, non c’era logica.
C’era nebbia
adesso, dentro la
sua testa. Tanta.
Nebbia, rossa, rabbia,
dolore
e paura.
C’era qualcosa che
doveva
fare, e doveva farlo. Nessuno scampo. Come respirare.
Se non respiri, muori.
Non riusciva a capire cosa
succedeva, agiva.
Aveva visto Harry, aveva combattuto con Harry. Si era reso conto
di come il padrino non combattesse neanche alla metà della
sua effettiva forza
magica. Di come stesse cercando trattenersi, di salvarlo.
Ma lui non poteva fare lo
stesso.
E poi c’era stato
Albus.
Quell’idiota di Al
aveva preso
la bacchetta ed era cambiato il comando: l’aveva dovuto
cercare.
Era diventato di nuovo tutto confuso.
Gli era piombato addosso e
improvvisamente era diventato tutto più chiaro…
ma era confuso, era stanco e
c’era ancora il comando.
Uccidilo
e prendigli la bacchetta. Uccidilo.
Ma era un impulso nervoso
che
l’aveva spinto a capire che lo stava baciando. Certo, tolto
il suo significato,
toccare la bocca con la propria era un gesto privo di senso.
L’aveva sempre
pensato.
Ma c’era Al, e con
quel bacio tutta
la sua magia gli era entrata dentro, vibrandogli con una potenza
spaventosa,
come il vento che saliva dalla brughiera del Devonshire, lo stesso
vento che
faceva sbattere le finestre della Tana, che frustrava i capelli di Al
quando
d’estate si librava in alto con la sua scopa, nel cielo, fino
a diventare un
puntino lontanissimo, che brillava contro il sole.
Al era vento. Secco, pulito,
che gli aveva riempito i polmoni…
… E finalmente
aveva respirato.
Lo sentì
staccarsi
bruscamente, come scottato, ispirando come dopo una lunga apnea
nell’acqua
gelata.
Si scostò e tirò via la bacchetta. Lo fece con
tale violenza che sbatté contro
la parete opposta di roccia, tra le due stalagmiti in cui erano caduti.
“Tom!”
La gola gli pulsava dolorosamente ma significava che la
circolazione nel punto in cui aveva premuto la bacchetta stava
ritornando.
Tom lo guardò.
“Ehi…
ehi, mi senti?” Gli
balbettò, incerto sul muoversi e eliminare la distanza tra
di loro. Era finita?
Era davvero finita?
“Certo che ti sento…”
Sussurrò. Ma parlò, Dio. Era la sua voce sfibrata
dalla
stanchezza, ma monotona, annoiata. Non avrebbe mai pensato che gli
sarebbe
mancato essere trattato come un idiota. “Sono a mezzo metro
da te e mi stai urlando
addosso.”
Probabilmente era solo gioia
mischiata al desiderio di rompergli la testa con una pietra. Lo
placcò,
facendolo sbuffare, afferrandogli la camicia tra le dita, quasi
strappandogliela. Non gli importava di essere goffo, né
tantomeno di fargli male
al momento. Gli morse le labbra, o lo baciò non gli fu ben
chiaro e non gli
importava finché lo ricambiava con la stessa sollevata
disperazione, tenendogli
il viso tra le mani.
“Va’ al diavolo!” Gli sbraitò
contro. Probabilmente dopo avrebbe pianto per
ore, ma al momento aveva solo il
bisogno di strattonarlo, picchiarlo e toccarlo. “Stupido
imbecille!”
Sentì le sue
braccia, magre,
piene di angoli e fredde stringerlo, così stretto da far
mancare il fiato ad
entrambi.
“Al…”
Lo sentì mormorare
contro la sua tempia. “Mi hai sentito.”
“Sì… ed hai un modo schifoso per
chiedere aiuto.”
Tom sorrise, Al sentì le sue labbra piegarsi contro i suoi
capelli in una
carezza morbida. “Non può muovermi obiezioni chi
ha combinato la cretinata del
secolo.”
“… È la Bacchetta di sambuco, vero?
Sono diventato il nuovo padrone.”
“Pare di sì.” Sospirò appena.
Lo sentiva tremare. Ma andava bene. Poppy lo
avrebbe rimesto in sesto, l’avrebbe sgridato fino alla
brutalità da convenzione
di salvaguardia dei diritti dei maghi, ma sarebbe andato tutto bene.
Tom gli passò le
dita trai
capelli. “Non è finita.”
Mormorò. “C’è ancora John
Doe.”
Fu come una doccia fredda
doversi staccare da lui, per alzare il viso, e rendersi conto che suo
padre
stava ancora combattendo. I lampi si stavano avvicinando, come i
rumori.
“Sta venendo a controllare…” Aggiunse,
afferrandogli un braccio. “Si sarà reso
conto che non c’è stato nessun lampo verde, o
rosso. Che non ti ho ucciso. Che
non ho il possesso della Bacchetta.”
Al deglutì, sfilandosi la bacchetta dai passanti della
cintura. “Tutto per un
pezzo di legno…”
Tom inarcò le
sopracciglia,
sembrando per un attimo assolutamente allibito. Poi stirò un
sorrisetto, vicino
a rompersi una risata: doloroso proprio perché non
c’era niente da sorridere.
Non
ancora.
Gli tirò una ciocca di capelli dietro la nuca: non aveva mai
avuto bisogno di
spiegare che detestava le pacche sulla testa. “Solo tu puoi
definire la
bacchetta più potente del mondo magico un legnetto
Al.”
“È quello che è! Almeno… in
mano a me.” Si umettò le labbra. “Adesso
cosa
facciamo?”
Tom non rispose subito: sembrava sul punto di addormentarsi, o di
svenire. Era
così debole che quando Al si alzò in piedi non
esitò neppure tanto prima di
tendergli la mano per farsi aiutare.
Però lo sapevano entrambi, dovevano trovare una soluzione.
Tom raccolse la bacchetta, e
se la rigirò tra le dita. Era la sua, quella che gli aveva
strappato nella
grotta, ma non gliela chiese indietro. C’era una luce fioca
nei suoi occhi,
molto simile a quella di una persona allo stremo. Non glielo fece
notare. Non
era il momento, gli strinse solo il polso.
Tom gli afferrò la mano, stringendola. Poi parlò.
“Ho
un’idea.”
****
Harry parò l’ennesimo incantesimo, che gli
sfrecciò al lato della testa con un
lampo violentissimo.
John Doe
sogghignò. “Mi sembri
stanco, salvatore…”
“Va’ al diavolo.” Ringhiò,
mentre un rivolo di sudore gli scendeva in mezzo
agli occhi, fastidioso.
John Doe non era un pesce piccolo. O se lo era, era maledettamente ben
addestrato al duello magico.
Era veloce, potente,
spietato.
Ed
io sono anni che non combatto seriamente con
qualcuno…
La
scrivania l’aveva intorpidito, i
riflessi non erano più quelli di un ragazzo che aveva appesa
sopra la propria
testa una spada di Damocle.
Erano quelli di un uomo di
ufficio e la magia, non utilizzata, si fiaccava.
Comunque, nonostante tutto
l’aveva
messo in
difficoltà. Il sicario aveva il
fiatone come lui, e la potenza mortifera delle sue maledizioni era
molto
diminuita dall’inizio.
E poi c’era un
altro
particolare che era un palese segnale di quanto Doe fosse sfinito. I
suoi
lineamenti si erano infiacchiti, fatti più segnati. Invecchiati.
Quando l’aveva
visto per la prima
volta gli era sembrato un trentenne. Ora sembrava averne una
cinquantina.
“Stanco? Non
credo. Se non
altro non sono invecchiato.” Motteggiò.
Doe fece una smorfia,
passandosi una mano sul viso. Ghignò.
“Che imbarazzo.
Credo che dopo
avermi visto in queste condizioni dovrò ucciderti, Harry
Potter. Ti dirò, sono
un po’ nervoso all’idea. In fondo è la
prima volta che ammazzo un eroe.”
“Non ho ancora smesso di
respirare, mi sembra.”
“Oh, questione di momenti.”
Il flusso dei rispettivi incantesimi si incontro di nuovo producendo
una
luminescenza arancione, accecante. Harry strinse i denti, ma quando con
uno
scoppio i flussi magici si interruppero, Doe aveva ancora la sua
bacchetta in
mano.
Dannazione.
Era una situazione di
stallo.
Per quanto cercasse di
disarmarlo, l’altro si difendeva. Per quanto cercasse di
colpirlo, ergeva
scudi. Alcuni incantesimi neppure li conosceva e solo i riflessi e
l’arsenale
che ricordava a memoria da quando ormai aveva diciassette anni gli
aveva
evitato di soccombere.
Lanciò
un’occhiata verso il
fondo della grotta, verso l’entrata.
E poi c’erano Albus e Tom. Non si sentivano rumori, non
c’erano lampi di luce.
Non si stavano scontrando.
Questo era un bene? Albus
era
riuscito a fuggire?
Era un male?
No, non voleva neanche pensare
all’eventualità…
Vide nella sua visuale un
raggio viola. Fece appena in tempo a deviarlo con un Sortilegio Scudo.
Doe sbuffò. “Ma come? Neppure mi presti
attenzione? Mai abbassare la guardia.
Mai.” Inarcò le sopracciglia. “Oh,
perdonami. Sarai preoccupato per i bambini.
Che dici, chi dei due ha ammazzato l’altro?”
“Figlio di puttana!” Ruggì furioso.
“Stupeficium!”
“Devi fare meglio di così, Salvatore!”
Rise l’uomo, vanificandolo con una
robusta diversione della bacchetta che lo fece scoppiare in migliaia di
scintille rosse. “Che ne dici di una bella maledizione? Al
Ministero non
saranno tanto contenti, ma ehi… il mezzo giustifica il fine.
O hai paura di
perdere la tua immagine da brav’uomo?”
Harry serrò la mascella. Usare le Maledizioni Senza Perdono.
Oh, in quel momento aveva sufficiente forza di volontà per
uccidere una decina
di John Doe.
Ma non poteva.
Le Maledizioni Senza Perdono
erano qualcosa che apparteneva ai cattivi della sua storia personale,
di quella
dell’Inghilterra magica. Solo una volta l’aveva
scagliata, contro Bellatrix
Lestrange, fuori di sé dalla rabbia. Ma non aveva
funzionato.
‘Ma
devi volerlo, Harry…Devi voler uccidere.’
Sentiva la voce strisciante di Voldemort risalirgli lungo la china dei
ricordi,
fare il nido nelle sue orecchie, balenargli davanti agli occhi.
Tom…
Il suo bambino silenzioso,
quello che si addormentava tutto rigido sulla moto per non
raggomitolarglisi
contro come ogni bambino normale, perché si vergognava.
Thomas, con quegli occhi rossi.
Oh, se lo voleva uccidere.
Ma non poteva.
Si aggiustò gli
occhiali,
sentendoli pesanti come macigni. “Io non sono un
assassino.”
“Ah no?” Interloquì Doe con un sorriso
sgradevole quando i suoi lineamenti
indeboliti dalla fatica. “La tua fama non riposa sui cadaveri
dei tuoi nemici?”
“Ho fatto
ciò che dovevo.”
Sillabò aspro. “E non devo giustificarmi con te,
né con nessun altro.”
È
così che ha messo in crisi Thomas? Con le domande,
con piccole esche…
Maledizione,
capisco perché ci sia caduto. Alla sua età
avrei fatto lo stesso, se non avessi avuto Silente e Sirius…
“Tu
non sei una persona cattiva Harry, sei una persona
buonissima a cui sono successe cose cattive. Tutti portiamo luce ed
ombra
dentro di noi. Ciò che conta è da che parte
scegliamo di agire. Questo è ciò
che siamo.”¹
Sirius poteva aver avuti
tanti
colpi di testa, tanti difetti, primo trai quali averlo considerato la
copia di
suo padre.
Ma quel discorso non l’aveva mai dimenticato e
l’aveva fatto suo.
Avrebbe dovuto dirlo a
Thomas,
quando c’era ancora tempo.
“Pensi che sia un
ragazzino
influenzabile? Ti avverto che già altri ci hanno provato
prima di te.” Fece un
sorriso quieto. “E ti assicuro che non ha funzionato. Sono
ancora qui.”
Doe tese le labbra in una smorfia, poi guardò qualcosa oltre
le sue spalle. E ghignò.
Era un largo, orribile
ghigno
felice. Possibile che i cattivi sorridessero tutti nella stessa
melliflua
maniera?
“Non sto
bluffando. Voltati,
salvatore di mondi.” Fece una pausa. “Ciao
Thomas.”
“Doe.”
Si voltò di
scatto, con il
cuore in gola e un orribile senso di smarrimento. Per un attimo, solo
per un
attimo, desiderò poter tornare ragazzo ed avere di nuovo
qualcuno a coprirgli
le spalle, e dire cosa fare.
Tom era da solo, e stringeva
in mano… la Bacchetta.
Doe non abbassò
la sua, non
era così stupido, ma gli occhi gli brillavano di
soddisfazione. Una gioia
selvaggia. “Bravo il mio ragazzo. Avanti, vieni qui. Fai
vedere ad Harry la tua
nuova bacchetta.”
Tom mosse qualche passo.
Al?
Dov’è Al?
“Tom,
dov’è Al?” Sussurrò sentendo
la
voce graffiargli la gola. Merlino, non poteva essere.
Il ragazzo non gli rispose,
ma
si voltò verso di lui.
L’espressione di gioia di Doe era troppa, perché
si accorgesse dei dettagli.
Harry non capì
subito. Era
stanco, sfibrato e Tom davvero, sembrava…
Poi lo notò.
Tom non aveva gli occhi
rossi.
Li aveva blu. Di quel blu straordinario, che a volte, quando era in
penombra
sembrava ossidiana. Il colore del mare profondo.
I suoi occhi.
“Vieni
Thomas… Harry non ti
farà del male.” Fece un ghigno sarcastico.
“Sai, lui è un eroe.” Tese la mano.
“Dammi la bacchetta.”
Tom si avvicinò, tendendogliela dalla parte del manico.
“Tom, no!” Gli
gridò, disperato. Non
voleva schiantarlo. Non poteva farlo, quando era evidente che qualsiasi
incantesimo l’avesse colpito avrebbe rischiato di ucciderlo.
Si reggeva a
malapena in piedi. E lui stesso non era certo di poter calibrare uno
schiantesimo in modo tale da farlo semplicemente svenire.
Il ragazzo non si voltò, raggiunse Doe.
“Tuo padre sarebbe fiero di te, ragazzo.” Lo
apostrofò l’uomo, facendo per
afferrare la bacchetta. Non c’era brama nel suo sguardo, solo
la soddisfazione
di aver concluso la missione. Harry era certo che a John Doe non
interessava
quella bacchetta.
Tom a quel punto si fermò. Inarcò le
sopracciglia.
“Mio padre dice sempre che non bisogna fidarsi dei
chiacchieroni. Devo
ammetterlo, per essere un babbano aveva ragione.”
Ritirò il braccio di scatto
facendo afferrare all’uomo soltanto l’aria.
“Tu parli troppo.”
Si scostò dalla traiettoria, dalla traiettoria di qualcuno
che Harry vide muoversi alle sue spalle.
Era Al, con di nuovo la sua bacchetta in mano.
“Petrificus Totalus!”
Doe non se l’aspettava era evidente. La sorpresa gli si
dipinse in volto, pura
e sgomenta prima di crollare a terra come un sacco, immobile come una
statua di
cera.
Harry ricordò di colpo come per Al fosse sempre stato
difficile scandire
precisamente gli incantesimi in situazioni di stress. In quel momento
l’espressione del figlio riflesse quella di Ginny. Era dura,
brillante.
“Albus!”
Tenne d’occhio Doe,
ma corsa da lui. “Al, stai bene?”
Il ragazzo inspirò, guardando la propria bacchetta.
“Ora che ho la mia
bacchetta sì…” Mormorò, con
un’ombra di sorriso. “Ora sì.
Mi… mi dispiace papà.
Ho fatto un casino.”
Harry gli passò
un braccio
attorno alle spalle, tirandoselo contro. Al ricambiò
l’abbraccio, stringendolo
come quando da bambino lo vedeva materializzarsi dopo una lunga
missione.
“Non dire
sciocchezze.” Gli
sussurrò trai capelli, cercando di frenare il groppo alla
gola. Suo figlio non
aveva bisogno certo di un genitore scosso in quel momento.
“Sei stato
grandioso.”
“Preferisco rimanere me stesso, grazie.”
Mugugnò, facendolo ridere.
Tom intanto si avvicinò a Doe, calciandogli via la bacchetta
dalla mano. Harry capì
subito che non andavano lasciati da soli. Per nessun dannatissimo
motivo, e ne
ebbe la conferma quando vide l’espressione di Tom.
Il ragazzo teneva la
bacchetta
contro l’uomo che lo fissava sgomento, per la prima volta con
un’espressione di
terrore dipinta in viso.
“Cosa dici, Doe, anche se non sono il padrone,
funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al, staccandosi dal suo
abbraccio. “No! Sei
impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.”
Lo
richiamò Harry. Conosceva quell’espressione.
L’aveva vista sin troppe volte in
guerra addosso a lui o ai suoi amici. Vendetta.
Il ragazzo era teso come una corda, la mascella serrata.
“Non me ne importa
nulla.
Neppure io la valgo.” Gli lanciò
un’occhiata bruciante. “Tu sai.
Non è così?”
Harry non rispose subito. Fece solo un paio di passi, facendo cenno a
Al di
restare fermo. Era quello il momento cruciale: il figlioccio era in
sé, ma lo
shock di quei giorni di prigionia, la rabbia e la paura lo rendevano
molto più
pericoloso che sotto imperio.
Troppi giovani assassini
erano
nati così, durante la guerra.
“Sì. So
tutto. E non mi
importa.” Disse piano. “Tu sarai sempre il mio
figlioccio. Sei…”
“Sono Voldemort.” Lo trafisse con lo sguardo, quasi
sfidandolo a contraddirlo. “Sono
la sua anima.”
“Voldemort era la mia nemesi, l’uomo che ha ucciso
la mia famiglia e distrutto
la mia infanzia.” Un altro passo e gli fu accanto.
“Non possiamo decidere come
nascere, o da chi. Ma possiamo decidere chi essere. Una volta una
persona mi
disse che siamo le nostre scelte.
Puoi mettere fine alla sua vita. Credimi, lo capirei. Ti ha fatto del
male, ti
ha ingannato e ti ha quasi costretto ad uccidere Albus facendoti
diventare un
assassino.”
Tom non lo guardava. Fissava la smorfia scomposta dell’uomo
sotto di lui,
immobile e incapace.
Non faceva più paura adesso.
Sembra
solo un patetico ometto…
“Oppure?”
Chiese. “L’altra
opzione, Harry.”
Il tono era indifferente, ma
Harry sentì la disperazione. La percepì nello
sguardo, nella postura, nel modo
in cui lo guardava di sottecchi.
Lo stava sfidando a dargli la risposta giusta.
“Oppure puoi scegliere di
dispiacerti
per lui. Sei tu che hai la sua vita nelle tue mani adesso. La
pietà è uno dei
sentimenti più difficili da provare al mondo. Voldemort non
l’ha mai provata in
vita sua.”
“Non mi sento particolarmente pietoso…”
Sussurrò, ma abbassò la Bacchetta
chiudendo gli occhi. Non lo guardò mentre gliela consegnava.
Al dietro di lui
respirò di
sollievo. Deglutì, guardandosi attorno nervosamente.
“Possiamo
andarcene adesso?”
Chiese spezzando il silenzio. “Questo posto mi dà
i brividi.”
Harry annuì e con un cenno leggero del
polso tirò in
piedi Doe, pronunciando a mezza voce un incarcerarmus
per legarlo.
Tom raggiunse Al. Harry lo
vide tirargli un leggero colpo contro la spalla con la propria. Poi non
si
scostò, rimase lì, accanto al figlio. Al gli
sorrise.
C’era un
linguaggio segreto
tra quei due, Harry l’aveva sempre saputo: probabilmente era
quello che li
aveva salvati.
“Ho ancora voglia di ucciderlo.” Mormorò
quando Harry si fu assicurato di
tenere di fronte a sé Doe, con la bacchetta premuta sulla
schiena. Incedevano
per la grotta lentamente, stanchi. Al aveva il braccio di Tom attorno
alle
spalle. Lo sosteneva; era palese che con l’azione di prima
doveva aver esaurito
tutte le forze.
“Comprensibile.”
Gli sorrise
appena. “Sei umano.”
Tom non rispose.
Arrivarono
all’entrata. Al si
morse un labbro, guardando il padre che soffocò
un’imprecazione.
“Sapevo di averla colpita…” Disse tra
sé e sé. “Dovremo aspettare che
riattivino il passaggio dall’esterno. Ora come ora la
passaporta è
inutilizzabile.”
Al spiò l’arco di pietra semi-franato: prima non
aveva avuto il coraggio di
passarci in mezzo, ed evidentemente aveva fatto bene a dar retta al suo
elevato
istinto di conservazione.
Serpeverde
per la vita.
“Perché?
C’è ancora il
passaggio…” Chiese comunque.
“Sì, ma non è più collegato
magicamente all’esterno.” Gli spiegò il
padre, con
un sospiro.
“Come comunichiamo con l’esterno?” Al si
rabbuiò. “C’è un
modo?”
“Temo di no… Ma credo si siano accorti che il
passaggio è stato compromesso
anche da fuori. Verranno a prenderci, sta’
tranquillo.”
“Potresti chiedere
alla tua
fenice.” Esordì Tom nel silenzio.
“Fenice?” Harry
batté le palpebre,
attonito. “Quale fenice?”
Tom inarcò appena le sopracciglia. “Quella che
c’era prima. Ero sotto imperio
Harry, e l’ho notata persino io.
Volteggiava sopra la tomba di Silente, e poi è scomparsa in
una gigantesca
fiammata. Ma ti dava le spalle, in effetti.”
Al arrossì, sotto lo sguardo sbalordito di suo padre.
“È… l’ho trovata nel
bosco un paio di settimane fa. Mi ha seguito e mi ha portato qui.
L’ho chiamata
Fanny. Anche se non so se sia quella
Fanny.” Si schiarì la voce, chiamandola. Se Tom
non avesse detto che anche lui
l’aveva vista, avrebbe pensato ad un’allucinazione.
Dopo avergli aperto la
tomba infatti era scomparsa.
Si sentì un canto, che Harry ricordò come se non
fossero passati vent’anni da
quando l’aveva vista l’ultima volta. Certo, poteva
non essere quella fenice…
Ma di certo le somigliava mentre planava dolcemente sul braccio di suo
figlio.
“È
straordinario…” Sussurrò
rapito, guardandola. Era un esemplare giovane, e le dita di Al le
carezzavano
con naturalezza le piume. “Al, credo che ti abbia scelto come
padrone… Ed è una
cosa che succede raramente.”
“Siamo solo amici.” Rispose con un mezzo sorriso,
facendosi beccare
affettuosamente il lobo dell’orecchio. “E poi ho
già Anacleto.”
Harry abbozzò un sorriso, nascondendo una risata.
“Merlino Al! Non so se ti
rendi conto, ma…”
“Certo che me ne rendo
conto.” Lo
fermò serio. “E non me ne importa nulla. Io voglio
diventare un medimago. Non sono
un nuovo Silente. Mi basta avere il suo nome. Davvero.”
Harry lo guardo incredulo, prima di ridacchiare. Era così da Al un ragionamento del genere,
così umile ed insieme cocciuto
che si sentì un idiota ad aver pensato che avrebbe avuto
problemi con la
questione della Bacchetta, che potesse esserne attratto: suo figlio
aveva le
idee chiare. Non era interessati alle luci della ribalta, né
tantomeno ad
entrarci, anche se perfettamente legittimato a questo punto.
“Diventerai un
gran mago,
Albie.”
Il ragazzo, prevedibilmente, sbuffò. “È
Al, papà.” Poi
diede un colpetto con le dita, gentile
all’ala destra della fenice. “Avverti le persone
qua sopra, Fanny. Avverti che
siamo qui ed abbiamo bisogno di aiuto per uscire.”
Guardò il padre, come a
cercare conferma. Harry gli sorrise ed annuì. Al stese il
braccio e lasciò che
Fanny volasse via.
Era finita adesso, giusto?
Accadde tutto
all’improvviso.
Era così che
succedeva nella
realtà: le cose orribili non accadevano mai a rallentatore,
ma in una semplice,
ridicola, frazione di secondo.
Tom si era subito accorto
che
sia Al che Harry non stavano affatto badando a John Doe.
La sorpresa di trovarsi una
fenice tra le mani aveva distratto entrambi. Comprensibile, ma lui
conosceva
bene quell’uomo.
E persino legato e stordito
era un pericolo.
Lo era.
Perché lo vide di nuovo sorridere.
Mormorò qualcosa a fior di labbra, mentre Harry e Albus
seguivano il volo
colorato della fenice, una macchia di fuoco in mezzo a tutto quel
celeste
opalescente.
Un incantesimo non-verbale.
Se era rimasto in silenzio
tutto quel tempo non era perché era stato vinto.
Ma
perché stava cercando di rompere l’incarcerarmus.
Le
corde gli caddero di dosso, come
serpenti morti. E Tom seppe con calcolata precisione che era ad Al che
mirava,
al nuovo possessore della Bacchetta.
John Doe voleva ancora
finire
il suo compito.
Se
non sono io, sarà lui.
Tirò
fuori dalla tasca della giacca
un’altra bacchetta – come potevano essere stati
così stupidi a non supporre che
un sicario ne avesse una di ricambio? – e gliela
puntò contro.
Tom vide gli occhi del ragazzo fissarsi su Doe e sgranarsi, grandi,
enormi, spaventati.
Harry si voltò di
scatto, ma
non avrebbe mai fatto in tempo: aveva la bacchetta abbassata.
Tom allora capì
cosa doveva
fare.
Era semplice.
Si liberò dalla presa di Al e spinse, con tutte le forze Doe
fuori dalla
traiettoria di tiro, afferrandogli un braccio. Sentì il suo
corpo urlare di
dolore per il movimento brusco e il ringhio rabbioso
dell’uomo.
Non c’era stato altro tempo, se non per fare quello, ma la
spinta li sbilanciò
facendoli cadere dentro l’arco della passaporta.
L’ultima cosa che sentì fu Albus urlare il suo
nome.
Scusa
Al.
E poi fu inghiottito dal
buio.
****
Poteva succedere qualcosa
del
genere. Poteva, sì, certo. Era plausibilissimo.
Ma non avrebbe dovuto.
Rose sentiva il fiato corto
mentre affrontava l’ultima rampa di scale della Torre di
Astronomia.
James era tornato neanche
cinque minuti prima ai dormitori, di nuovo con il Mantello e con
un’espressione
scombussolata.
Come se non potesse crederci.
E
chi ci poteva credere? Pensò sentendo i passi
di Scorpius e James dietro di
sé, distanziati, perché probabilmente per la
prima volta nella sua bibliofila
vita stava correndo più di due atleti.
Perché sì, era tutto finito.
Al era salvo, i Doni della Morte erano di nuovo al sicuro e suo zio e
suo padre
si stavano occupando di tutto, assieme al sergente Smith.
Ma Tom…
Salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola.
Sapeva che avrebbe trovato lì Albus, come sapeva che non
sarebbe rimasto in
infermeria ad attendere zia Ginny per essere portato via.
Al dava le spalle
all’entrata,
con le mani appoggiate sulla ringhiera.
Volle chiamarlo, ma non ci riuscì. Non subito almeno.
Che senso aveva poi, visto
che
non sapeva cosa dirgli?
Scorpius la raggiunse, sbuffando, mentre le metteva una mano sulla
spalla. “Da
quando corri così veloce?”
“Istinto del Clan Potter-Weasley.”
Mormorò senza riuscire a sorridere.
Thomas era caduto dentro la
passaporta
rotta. Ed era scomparso.
Teddy, arrivato poco dopo
James, aveva loro spiegato che era il primo caso di smaterializzazione
di quel
genere. Che erano stati chiamati degli esperti dal Ministero, che
avrebbero
fatto delle ricerche, perché sfortunatamente
– Teddy aveva solo riportato le parole di Smith
o era certa che avrebbe dovuto ucciderlo
- non esistevano incantesimi per far riapparire qualcuno.
Non in quel modo.
Teddy aveva anche detto che
c’erano buone possibilità che la passaporta
l’avesse trasferito in un luogo fisico.
Ma non era dato sapere
quale.
James si schiarì
la voce. La
luna in cielo si stagliava, esile, un quarto di luna.
“Va’ da lui.” Mormorò.
“Noi… beh, siamo maschi. Non è proprio
il caso, ecco.” Aggiunse.
Rose deglutì, ma non fece obiezioni. Era il suo
Potter, quello, anche se in quel momento non le era mai sembrato
così distante.
Si avvicinò, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui.
Albus aveva un grosso
cerotto
sulla guancia e il mantello di Harry addosso. I capelli arruffati gli
cadevano
sugli occhi, nascondendogli l’espressione.
“Il
coprifuoco?” Le chiese
piano.
“Al diavolo il
coprifuoco.”
Rispose. “Stai bene?”
“Sono vivo. E non avrei dovuto esserlo.” Si
scostò una ciocca di capelli. “Tom
mi ha salvato.”
“… Lo so.” Esitò.
“Al, io…”
“Tornerà.” La interruppe, guardando un
punto imprecisato, che Rose non riuscì
ad individuare. Era oltre la macchia degli alberi della Foresta
Proibita. Forse
addirittura oltre le montagne.
Lo
stai cercando, Al?
“Certo…”
Dio, che avrebbe
dovuto dirgli? Che forse gli era successa la stessa cosa accaduta a
Sirius
Black, come aveva ipotizzato Teddy? Che forse era svanito
nel nulla?
“No. Lo so che non mi credi.” Al scosse la testa.
Non piangeva. Non era
pallido. Non era sconvolto. Era tranquillo, realizzò Rose
stupita. Non ci
credeva a quello che diceva, ne era certo.
“Tom è vivo e tornerà.”
Rose inspirò, sentendosi orribile quando lo disse. Ma non
poteva non dirlo.
Non era sempre facile essere
amica di qualcuno.
Anzi,
a volte è un fottuto schifo.
“Al…
non sanno se la passaporta, in
quelle condizioni, si sia attivata o se invece… lo
abbia…”
Al la guardò. Era uno sguardo pulito come il vetro e
penetrante nello stesso
modo.
“Tu che
probabilità
sceglieresti, Rosie?” Le chiese. “Sapendo che il
ragazzo che ami ti ha salvato
la vita con la sua?”
Rose si voltò verso Scorpius. Aveva ascoltato, come James.
Erano rimasti in
disparte, ma c’erano.
Lo sapeva anche Al, si capiva dalla postura delle spalle. Sapeva di
averle
coperte, adesso.
“Sceglierei…” Esitò, poi
continuò più sicura. “…
Sceglierei quella in cui
faremo i MAGO dell’ultimo anno assieme e lo
batterò miseramente.”
Al abbassò lo
sguardo e
finalmente si lasciò stringere in un abbraccio.
“Lo
odio…” Sussurrò contro la
sua spalla. “È un vero idiota.”
Rose inghiottì il
groppo di
lacrime che avrebbe rovinato tutto. “Certo che lo
è. Ma non penso lo sia al
punto da non saper tornare indietro, no?”
Al rise appena. Un suono tenero e fragile come una piuma di zucchero.
Lo
strinse forte, perché era giusto così e
perché era quello che avrebbe fatto finché
Tom non sarebbe tornato.
“Tornerà
da te, Al. Perché prima
o poi si torna sempre a casa.”
****
Le onde frustavano
dolcemente
la risacca, lasciando una spuma soffice e del colore del latte.
Dopo ogni tempesta, arrivava
sempre il sereno per le bianche scogliere calcaree che tanti pittori
avevano
dipinto e tanti poeti avevano decantato.
E quando la tempesta
lasciava
la costa, quando l’acqua tornava ad incresparsi dolcemente,
c’era sempre
qualcosa che lasciava in regalo, quasi a volersi scusare di aver
maltrattato gli
isolani.
“Oma!
Oma guarda! C’è un ragazzo sulla
spiaggia!”
“Meike, vieni qui!
Un ragazzo?
Non fare la sciocca!”
“Ma no,
è vero ti dico! Vieni
a vedere, guarda!”
“Oh, per l’inferno di
Nurmengard…”
“Ti dicevo la verità, hai visto?
Com’è bello… Sembra un principe
addormentato!
Viene dal mare, oma? Dici che viene
dal mare, come la Sirenetta?”
“No, bambina
mia… Non viene
dal mare.” Aveva spostato con le dita una ciocca di capelli
fradici dal viso
del ragazzo. Erano color dell’ala di un corvo. Sua nipote
aveva ragione,
dall’alto dei suoi pochi anni di vita. Aveva la bellezza di
un principe. E la
tristezza di un naufrago.
“Allora da dove
viene?”
“Non lo so, tesoro
mio. Ma credo
che abbia perso la strada di casa.”
One of these days the sky's gonna break
and everything will escape and I'll know
One
of these days the mountains are gonna
fall into the sea and they'll know
That you and I were made for this
But
until that day I'll find a way to let everybody know that you're coming
back,
you're
coming back for me²
****
Note:
Finita!
…
Eddai, lo
sapete (ormai l’ho detto a
chiunque) ci sarà una seconda parte.
Fatemi organizzare, fidatemi
di me, che anche se adoro i finali aperti adoro più gli
happy-endings.
Sul serio.
Per farmi perdonare, ecco
l’ultimo capolavoro di Iksia.
Non potete odiarlo, è Tom
Quindi per
favore, non odiate me. *occhioni brillosi*
1 – Da
“Harry Potter e
l’Ordine della Fenice”
2 - Qui la
canzone. Ascoltatela, perché giuro
che l’ho scelta la prima volta che l’ho sentita. Ho
saputo subito che era la canzone
finale della prima parte.
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