Soundless

di Liz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- La Ciliegina Sulla Torta ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- I Still Ain't Over You ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- Cerco il sole, ma non c'è ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4- Promesse (oneste ma grosse) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5- Alex ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- I swear you never be lonely ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7- Loneliness frightens ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8- Il meglio di me ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9- The dark side of a smile ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10- A Christmas prayer ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11- Somebody got no reasons ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12- Listen to your heart ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13- Defying gravity ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14- Out of the shadows ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15- Come un bambino ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16- In primavera ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17- Be mine ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18- Faithfulness ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19- And the reason is you ***



Capitolo 1
*** prologo ***


 

 

Soundless destiny’s fault

 

I see your lips are on fire
And life is wine
Now the windows are open the moon is so bright
There's no one can tell us what love brings, you and I

[No I in threesome – Interpol]

 

L’uomo è nato per cercare la felicità, ma non sempre questa è a portata di mano : se ogni cosa a questo mondo fosse facile non ci sarebbe gusto a vivere, no?

Basti pensare alla gioia che prova un bambino nel riuscire a prendere un biscotto che la madre aveva nascosto nella dispensa in alto, sopra i fornelli; di certo quel sorriso non è rivolto al biscotto, ma a sé stesso che è riuscito ad arrivare fin lì.

Ma spesso le cose non vanno come si vorrebbe, anzi; le si sente scivolare silenziose tra le dita come seta. E così ci si dispera, ci si affanna per ritrovare quel piccolo pezzo di felicità che sentiamo spettarci, nonostante tutto.

Si ripensa a ogni parola detta, ogni sguardo mancato, cosa si potrebbe aver sbagliato: si vive di “se”, di condizionali e del male della lingua italiana: i congiuntivi.

Se quel giorno fossi andata a quella festa l’avrei conosciuto.

         Se fossi come lei vivrei meglio.

Se avessi mangiato quel pasticcino, magari non si sarebbe allagata la casa.

Allo stesso modo, si dice che gli amori facili non abbiano mai fatto la storia del mondo.

Ma per questo ci vuole un discorso più ampio.

 

Mettiamo per ipotesi che vi chiamate Reila e che vi svegliate in una magnifica mattina di settembre riscaldata dai raggi ancora caldi del sole, immerso nell’azzurro più terso e profondo, mentre qualche uccellino cinguetta felice tra le chiome degli alberi sotto il vostro appartamento.

Per una volta la radiosveglia non trasmette i commenti insulsi e indesiderati del deejay o qualche assurda canzone truzza, ma una di quelle che credevate non avreste più sentito e che vi trasportano con malinconia ai tempi in cui la cantavate a squarciagola con persone avreste pensato esserci per sempre.

Prendete un respiro profondo e pensate alla brioche che vi aspetta calda e cioccolatosa in cucina, mentre stiracchiate braccia a gambe indolenzite.

Vi alzate barcollando, ma felici di poter godere di una giornata del genere, nella quale siete certi avrete anche la promozione sul lavoro. Aprite la finestra e sorridete ad occhi chiusi, mentre l’aria tiepida e le voci allegre delle persone nella strada vi riempiono l’anima di pace…

E mentre riaprite gli occhi vi accorgete che dall’altra parte della strada, nell’appartamento davanti al vostro, il vostro peggior nemico, che chiameremo Evan per comodità, vi sta augurando il buongiorno con sguardo assassino e un “vaffanculo” dipinto pesantemente sulle labbra; gli rispondete con un caloroso dito medio e chiudete sbattendo le ante della finestra.

Vi recate a passo frenetico in cucina e mettete sul fuoco la caraffa del caffè o la teiera piena d’acqua, mentre disponete sul tavolo la fantomatica brioche, o qualche biscotto dietetico o la marmellata di fragole, e vi rendete conto che riuscite vedere Evan fare le vostre stesse operazioni attraverso la porta finestra di fronte alla vostra.

Dopo altri simpatici saluti vi chiudete in bagno; per fortuna, almeno questo locale non è davanti a quello di Evan: rabbrividite disgustati al pensiero di lui di sotto la doccia mentre canta “Walking on sunshine”.

Dopo aver indossato la camicetta rossa che vi porta fortuna, il cellulare vibra improvvisamente dall’alto del comodino di fianco al vostro letto; vi buttate ad angelo sul materasso e lo prendete con fervore tra le mani, schiacciando ansiosamente i tasti illuminati: è lui.

Per voi lui non ha tangibilità, è un’esistenza che si fa chiamare Maverick sui forum e nelle chat, e il cui detto è “Sono troppo vecchio per queste stronzate!”.

Vi siete conosciuti per caso, non ne conoscete né l’aspetto né il nome, ma ci parlate da mesi e solo con lui riuscite a sentirvi bene. Suvvia, quella sensazione di totale abbandono, di completa appartenenza e dipendenza… com’era la vita prima di Maverick? Neanche lo ricordate. Ma riconoscete bene quella attesa, quella smania di parlargli e confidarsi, come conferma che lui, l’uomo dei vostri sogni, esiste davvero e non è svanito via nel vento dell’ignoranza.

Lo amate, ne siete sicuri e vi cullate nell’ovatta bianca e soffocante di questa sensazione mentre rispondete al consueto sms del risveglio.

- Buongiorno, mia stella! Anche oggi mi sono svegliato pensando a te… chissà, forse ti stavo sognando :)  Maverick-

- Buongiorno anche te! Devo confessare che anche io stanotte t’ho sognato… sarebbe bellissimo potersi incontrare un giorno… devo parlarti e devo farlo di persona. Apple-

- Dopodomani, alla festa. Ore 23 sul tetto. Maverick-

E come se vi avessero appena svegliato da un coma di trent’anni, rimanete stesi sul letto a metabolizzare la portata di questa novità, col cuore a mille e un’insicurezza che non v’appartiene.

Mangiate di fretta la colazione, siete in ritardo per il lavoro: ma non è il rischio di fare tardi o il fatto che state praticamente mangiando insieme ad Evan a farvi sudare freddo.

È quel dopodomani, alla festa. Ore 23 sul tetto. che vi dà la nausea.

Correte giù per le scale del condominio, infilandovi il cappotto leggero, e vi precipitate in macchina contemporaneamente ad Evan: non lo prendete come un buon segno.

Cercate di fare tutto il più velocemente possibile, ma alla fine vi trovate in coda all’auto nera di Evan, che avanza a 20 all’ora.

Stritolate tra le dita il volante, innocente vittima della vostra agitazione: quello lì sta facendo apposta ad andare così piano! Sa che siete in ritardo e vuole farvi dispetto…!!

Ringhiate e urlate parole poco carine contro di lui, che arrivato in prossimità del semaforo appena diventato arancione, accelera con una sgommata e riesce a passare, lasciandovi soddisfatto fermi al semaforo rosso che v’ha fatto guadagnare.

“Un giorno o l’altro lo ucciderò” vi appuntate al primo posto della wishlist del blog.

No, al secondo posto: al primo posto c’è dopodomani, alla festa. Ore 23 sul tetto. dove e quando vivrete finalmente il vostro sogno.

 

 

 

 

Note totalmente inutili

Uahahahahaha!! *w*

Sì, sono tornata, con vostro grande dispiacere, con un’altra storiella rosa da spazzatura. Ma che ci posso fare, che ci posso fare… sono un’anima romantica che cerca il vero amore anche se non ci crede.

Eeeh. Che ne pensate? Reila è ispirata al personaggio di un manga. Vediamo se capirete quale… ah, e il narratore cambierà: esterno, terza persona.

Il prologo è il prologo, dev’essere diverso… (?)

Ancora non so bene dove andrò a parare, ho in mente alcune cose abbastanza complicate (come al mio solito XD)… voi fatemi sapere che ne pensate <3

 

Comunque credo che questo capitolo lo cancellerò e lo riposterò quando avrò le idee più chiare su tutta la trama. È che sono troppo curiosa di sapere i pareri altrui… *_* non resisto!!

Ergo, non deludetemi.

 

Ah, e tanti auguri!

LisettaH vostra.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- La Ciliegina Sulla Torta ***


L’amore è una forza selvaggia.

Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge.

Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavo.

Quando tentiamo di capirlo ci lascia smarriti e confusi.

[Paulo Coelho]

Capitolo 1- la ciliegina sulla torta

R

eila aveva una convinzione nella vita: se ci si ferma, anche solo per un attimo, vuol dire che la propria esistenza non ha più un senso.

Si corre, si cerca qualcosa in ogni istante della propria giornata… che cosa, nessuno lo sa davvero: può essere un oggetto, un’occupazione , una persona.

E per quanto un uomo possa avere salute, lavoro e famiglia gli mancherà sempre qualcosa. Quella cosa che è la ciliegina sulla torta, da gustare lentamente e completamente prima di morire col sorriso.

È praticamente impossibile riuscire a ottenerla, ma ciononostante nessuno ha mai smesso di provarci: forse, semplicemente, è un istinto innato nella nostra natura; o forse, è unicamente l’idea di una ventiseienne con la testa tra le nuvole.

Ma comunque sia, spesso, prima di addormentarsi, Reila si chiedeva se mai sarebbe riuscita a trovare la sua ciliegina sulla torta.

Forse sarebbe stato meglio non trovarla e continuare ad avere uno scopo, ma certe volte aveva la sensazione di esserci davvero vicina, di averla quasi tra le dita; ma poi, com’era arrivata, quell’emozione svaniva e la città tornava grigia e azzurra.

Lei avrebbe voluto che quel qualcosa fosse una persona: qualcuno con cui vivere, guardare la televisione e mangiare la pizza senza pensieri, solo essendoci. Un qualcuno in grado di ascoltarla senza fare finta, e capace di parlare di sé senza mentire: una persona che senza di lei non sapeva immaginare la giornata.

Quando ci pensava, Reila riteneva di essere solamente presuntuosa.

Del resto lei non era granché bella o sexy… anzi, era sensuale come una bambina delle elementari.

Come aspetto era anche carina: capelli castano chiaro, lisci e lunghi, che presentavano una frangetta sbarazzina e irriverente; occhi nocciola brillanti ed espressivi, un fisico snello e minuto, ma le forme… non era una ventiseienne propriamente prosperosa. Non che le fosse mai importato molto di come appariva, nemmeno al liceo si era mai accorta della popolarità di cui godeva.

Allo stesso modo non le importava che qualcuno la considerasse stupida e superficiale per il sorriso che le illuminava sempre il viso e l’eccessiva preoccupazione che l’assaliva per il minimo avvenimento; in più era anche goffa e nelle questioni sentimentali era impedita quanto negli sport, a causa delle fette di salame sugli occhi che la rendevano estremamente ingenua.

Detto tra di noi, era il tipico esempio femminile a cui nessuna vorrebbe assomigliare.

Eppure tutti quelli che la conoscevano finivano inevitabilmente per amarla.

~

«Oh, la nostra Reila ci ha degnato della sua presenza!» cinguettò ironico Larrie, seduto a capo del lunghissimo tavolo rettangolare, provocando le risate sommesse e catartiche degli altri colleghi.

«Mi scusi! La prego!» rispose supplicante Reila, mentre sudava freddo e contorceva le mani.

Larrie Bryant, il grande capo, rise grossolanamente, con quei versi tipici da fumatore di sigaro incallito; conosceva il carattere della ragazza e troppo spesso si divertiva a prenderla in giro «Suvvia Reila, sei la nostra arma vincente! Sta tranquilla.»

Lei si sedette mesta in fondo al tavolo ed estrasse dalla borsa carta e penna, facendo attenzione a non fare il minimo rumore per non attirare l’attenzione.

Come al solito, era solo colpa di Evan se aveva ritardato sul lavoro: ormai stava diventando un’abitudine, da quando si erano ritrovati vicini di casa per uno scherzo del destino.

Reila ed Evan si odiavano fin dai tempi dell’asilo e, considerando che avevano frequentato le stesse scuole fino all’università, la situazione non era mai migliorata.

Il motivo di tanto odio?

Magari certi sentimenti non hanno cause scatenanti, due si conosco e si odiano a pelle. O, chissà, potrebbe essere un segreto.

«Miei cari signori, sono fiero di voi! Questo mese i clienti sono raddoppiati, e sono anche stati molto colpiti delle vostre idee» esclamò Larrie su di giri allargando le braccia, come ad accogliere tutte quelle persone che ogni giorno gli fruttavano un bel gruzzoletto.

«Spero vivamente che continuiate tutti su questo livello! Ora, come sapete, il vostro vecchio supervisore Frank è andato in pensione, e quindi c’è un posto vacante…»

A quelle parole Reila si drizzò pietrificandosi. Il vecchio Frank le aveva predetto che c’erano molte possibilità che fosse lei a prendere il suo posto, e questo la agitava e la eccitava allo stesso tempo: insomma, la vedeva come una sfida troppo imponente. «Vorrei quindi presentarvi il vostro nuovo capo…» la ragazza chiuse gli occhi con forza e anche i suoi capelli si irrigidirono, mentre dalle labbra raggrinzite di Larrie usciva il nome del predestinato…

«Alex Coleman!»

Ah, era andata male. Un po’ le rodeva, ma ormai stava già pensando a cosa mettersi quella sera.

La sera della festa, la sera in cui avrebbe incontrato Maverick.

Reila tirò un sospiro e si abbandonò molle sulla sedia, mentre il nuovo capo entrava nell’ufficio delle riunioni con passo deciso.

Alex era in genere un personaggio che metteva ansia: il primo pensiero che procurava la sua vista era infatti “Santo cielo, ma mangerà adeguatamente?”

Alex era alto, altissimo, e magrissimo: circa 1, 90 cm per 72kg; anche da sotto il completo giacca e cravatta risaltava la sua gracilità, che negli uomini stimolava risate di superiorità, mentre nelle donne aveva risultati differenti a volte opposti: alcune lo trattavano da sfigato, altre si preoccupavano all’eccesso per lui.

Punti forti del suo sex-appeal erano gli occhi verdi, resi profondi e accattivanti dalle lunghe ciglia folte e nere, che tra l’altro erano in perfetta pan-dan coi capelli di pece, corti e ricciolini.

Tra i commenti generali, positivi e negativi, Reila rimase in silenzio. Aveva intravisto qualcosa nello sguardo di quell’uomo: il bagliore sinistro della convinzione di essere superiore a tutti. Non giudicava mai le persone al primo sguardo, ma sentì sotto la pelle quei campanelli d’allarme che non lasciavano mai presagire nulla di buono.

«Mi chiamo Alex Coleman, ho 30 anni e ho lavorato brillantemente per sei anni nella PublixAnswer co.» esordì lui, appoggiando con forza le mani sul tavolo. «Sapete come mi chiamavano?» tutti fecero no con la testa, completamente assorti dalla sua voce piena e sicura «La Macchina. Sapete perché?» le stesse dieci teste si agitarono «Perché lavoravo come una macchina, dalle 8 del mattino fino alle 10 di sera, per accontentare il cliente, e non ho mai fatto fiasco. Questo è il segreto del successo, per noi pubblicitari creativi: non smettere mai di lavorare. Pensare continuamente al prodotto, trovare almeno dieci possibilità di promozione, per essere pronti a ogni evenienza» si fermò un attimo nel notare i volti raggelati e gli sguardi precipitati nel vuoto dei suoi sottoposti: godette di quella sensazione di potere, e poi riprese «Non ho mai fallito in vita mia. Non mi aspetto che voi arriviate a questi livelli, ma almeno provateci. Se non volete accettare i miei ritmi, quella è la porta.»

Larrie tossì a disagio, giocherellando sulla punta dei piedi; Alex sospirò «Ah sì… sono sicuro che saremo una grande squadra» e uscì dalla stanza senza nessuna cerimonia, tra lo stupore di tutti.

Alcuni erano sbalorditi, altri atterriti, ma sui volti di tutti era già presente un astio profondo verso il nuovo stacanovista. Reila no: i campanelli sotto la pelle non l’avevano mai tradita, come neanche questa volta, così si ritrovava già a gironzolare nel mondo di Maverick, senza sapere ancora cosa mettersi per quella sera.

«Bene, miei cari…» gorgogliò Larrie, imbarazzato per lo sconforto generale «torniamo tutti al lavoro!»

Le dieci persone presenti nella stanza si alzarono chiacchierando sottovoce ed uscirono come pecoroni dirigendosi verso i propri uffici; poco prima che Reila entrasse nel suo, Melanie, la sua segretaria, la chiamò con urgenza.

«Allora, com’è questo nuovo capo?» domandò curiosa, mordendosi le labbra e sorridendo con gli occhi marroni.

«Mh. Magro.» fu la avvilente risposta della bionda.

«Magro.» ripeté Melanie delusa «Senti il magro ti vuole nel suo ufficio. Ora.» Reila sgranò gli occhi, sconvolta.

Mentre camminava nel lungo corridoio moquettato di rosso, si sentiva come l’uomo morto in marcia nel miglio verde.

Cosa può volere subito? Mi vuole sicuramente rimproverare per il ritardo!

Dirà che questo mio comportamento sconsiderato comprometterà i colleghi e quindi tutta l’azienda! Mi darà solo l’ incarico di prendere i caffè… o peggio, mi licenzierà! Portandosi le mani sul viso per calmarsi arrivò davanti alla porta di legno che ora le sembrava fatta di braci ardenti.

Tremando per lo sconforto bussò, chiudendo gli occhi per riposarsi dai troppi pensieri. Nessuno rispose.

Forse ho bussato troppo piano?! O forse non mi ritiene degna-«Ah scusa, stavo ancora sistemando le mie cose!» si scusò Alex, facendo sussultare la ragazza immersa nelle proprie riflessioni.

«Prego, entra pure» disse lui scostandosi per permette di entrare alla ragazza. Reila camminò a testa bassa fino alla scrivania e si sedette mesta nella poltrona di pelle nera, mentre Alex faceva lo stesso davanti a lei.

«…sei sicura di stare bene? Sei molto pallida!» chiese per precauzione.

«Eeeeh?! N-No, sto benissimo!!! La prego non si preoccupi!» esclamò Reila sorpresa, sventolandosi davanti al viso le mani in segno di scusa, con le lacrime agli occhi.

«Va bene, scusa…?» continuò Alex, stupito di sentirsi in colpa per averla fatta sentire a disagio. Poi proseguì, decidendo di non badare allo sconforto dipinto sul viso della ragazza. «Mi è stato riferito che tu sei la migliore in quest’azienda.»

«Io faccio solo del mio meglio» si rimpicciolì lei, preparandosi alla sfuriata.

«Ne sono certo. È per questo che voglio affidare a te il nostro nuovo cliente.»

«Quello francese?!» domandò stupita, ormai completamente dimentica dell’ansia di pochi attimi prima. Che volete, la donna è mobile, qual piuma al vento…

«Esattamente. Ci ha affidato uno dei suoi prodotti di punta: un profumo, nocturne: claire de lune. Se le nostre idee avranno successo, è assicurata la sua fedeltà alla nostra azienda. Mi aspetto molto da te.»

«Non si preoccupi! Le assicuro che i francesi rimarranno esterrefatti dalle nostre idee!» dichiarò Reila sicurissima di sé, con gli occhi luccicanti e il pugno stretto.

Alex sorrise e le tese una mano ossuta «Molto bene. Tra poco ti arriveranno vari campioni e dettagli. Puoi andare.»

Reila gli strinse la mano professionalmente ed uscì dall’ufficio trattenendosi dal saltellare, mentre Alex la osservava silenzioso chiudere la porta.

~

Se c’era una cosa che Reila odiava con tutta se stessa era il traffico cittadino, infatti prendeva la macchina solo se era in un brutto ritardo: provenendo da un paesino di provincia, esteso per meno di un chilometro, lei preferiva camminare.

Le ricordava le passeggiate che faceva con la madre per andare dal panettiere, il negozio più lontano da casa sua, distante ben cinquecento metri: c’erano il profumo dolce e caldo del pane appena sfornato, il panino al burro che il negoziante le regalava sempre, la sua mano stretta a quella materna. E ancora, le venivano in mente le corse per non arrivare tardi a scuola, le comari in piazza che sapevano tutto di tutti, le corse in bicicletta con i bimbi del paese.

Le passeggiate nel tramonto con suo fratello… Reila scese dalla macchina distratta, perdendosi nelle memorie più fosche e lontane, e senza sapere dove stare andando alla fine urtò qualcuno.

«Ah, mi scusi! Mi scusi tanto!» esclamò lei, preoccupata.

«Non cambi mai, eh? Stupida come al solito.» disse la vittima, acida e ironica.

«Ah, sei tu» si incupì Reila.

Lui era Evan, il famigerato Evan: il nemico mortale di Reila fin dal giorno della loro nascita, che tra l’altro era lo stesso.

Evan avrebbe potuto essere definito antitetico rispetto a Reila: saldo nei propri principi, perseguiti sempre con fierezza e senza ripensamenti; un uomo coi piedi attaccati a terra e un machiavellismo ben radicato, che sarebbe anche potuto apparire gentile e premuroso.

Gli importava relativamente del giudizio altrui, quindi non si faceva molti scrupoli nell’agire come il suo istinto gli suggeriva, tanto sugli altri ragazzi avrebbe avuto la meglio, e le ragazze gli avrebbero perdonato tutto: bastava guardarle languidamente con gli occhi azzurri e grigi dal taglio particolare, distendere le labbra rosa carnose e scompigliare con una mano i capelli corti, neri e disordinati e le donne si scioglievano come ghiaccio d’estate.

«Sei tu che mi sei venuta addosso!» ribatté lui, innervosito.

«Non dare tutta la colpa a me!»

«Vuoi farne una questione di stato?» chiese lui alzando gli occhi al cielo.

«Faccio quello che voglio!» rispose Reila, mettendo il broncio e passando oltre il ragazzo «Ora scusami, ma devo proprio andare. Stasera ho una festa e…»

«Non dirmi che è quella sulla ventiduesima strada» domandò Evan sbalordito, facendola fermare.

Reila si girò lentamente, con la faccia paralizzata in una smorfia «S-sì…sì. A-anche tu ci devi andare…?»

Il moro scosse la testa sconsolato «Basta tenere qualche metro di distanza e per me va bene.»

Reila sussultò corrugando la fronte e mostrando una linguaccia antipatica ad Evan, prima di correre su per le scale e raggiungere il proprio appartamento.

~

La festa si teneva in una vecchia fabbrica abbandonata, ora risorta come locale da affittare a chi volesse.

Reila bussò agitata alla porta scura metallica, dietro la quale si udivano la musica altissima e le urla di almeno quaranta persone. Bussò più volte e più volte fu tentata di tornare a casa, al sicuro sotto la sua coperta davanti a un buon film.

Ma no, non poteva.

Se solo pensava a quello che sarebbe successo alle ore 23 sul tetto sentiva di poter prendere in mano in proprio cuore, scaraventarlo per terra e saltarci sopra. Avrebbe finalmente incontrato Maverick, gli avrebbe confessato i suoi sentimenti e che pensava che fosse proprio lui la sua ciliegina sulla torta.

Avrebbero cominciato a vedersi spesso, ad uscire, a stare sempre assieme e piano piano il loro amore sarebbe cresciuto sempre di più: Reila ne era certa, come se il tutto fosse una facile dimostrazione matematica del corso della vita.

Bussò ancora una volta e stranamente qualcuno riuscì a sentirla: le venne ad aprire un ragazzo mezzo ubriaco che cadde a terra davanti a lei senza smettere di ridere.

In un attimo Reila si inginocchiò davanti a lui preoccupata «Santo cielo! Stai bene?!» gli chiese urlando. Ma quando altre quattro persone brille, ridendo, si gettarono ad angelo sopra il ragazzo decise che non era il caso di angosciarsi troppo.

Con le gambe tremanti scavalcò il mucchio umano e alcolico, e si addentrò tra il fumo artificiale e le luci intermittenti della festa, guardandosi attorno: sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto riconoscere Maverick in mezzo a quella ressa, ma la consapevolezza di essere probabilmente a pochi metri da lui la rendeva tremendamente irrequieta ed eccitata.

Poi smise di camminare.

Si fermò in mezzo alla sala, alzò gli occhi al soffitto e seguì l’andamento rapsodico delle luci colorate.

Cosa ci faceva in quel posto? Era tutto troppo confuso, caldo e luminoso per i suoi gusti. La gente ballava attorno a lei, dimenava bicchieri pieni di vodka rischiando di sporcarle il bel vestito bianco, cantava e urlava.

Lei non doveva essere lì, ma tra le braccia di Maverick.

All’improvviso si girò verso le scale, facendo ondeggiare i lunghi capelli morbidi lasciati sciolti per una volta. Animata da questa nuova forza, arrivò all’ultimo piano dell’edificio: spalancò la porta e si trovo davanti allo spettacolo della città di notte.

Si avvicinò alla ringhiera, sporgendosi per ascoltare meglio il sottofondo musicale del traffico.

Guardò il cielo: c’era ancora l’orizzonte? Sembrava proprio che le stelle e le luci delle case e delle automobili fossero la stessa cosa.

Sbattè le palpebre e pregò che le ore 23 arrivassero presto. Chissà se Maverick sarebbe venuto davvero…

All’improvviso la vista divenne nera e sentì bruciare la pelle del viso: qualcuno le aveva appoggiato le mani sugli occhi.

Reila perse il controllo del cuore, del respiro, della mente. Non sentiva più il proprio corpo.

«S-sei tu… Maverick?» sussurrò con voce rotta.

Lo sentì sorridere «Finalmente sei tra le mie mani».

Reila ebbe l’istinto di girarsi per poter finalmente vedere quel sorriso, ma Maverick la tenne ferma, stringendola alla vita.

Rimasero fermi, in silenzio per alcuni minuti: Maverick non voleva rovinare l’atmosfera, Reila non sapeva cosa dire.

«Non… non posso guardarti?» chiese lei alla fine.

«Che ne dici di rimanere ancora un po’ Maverick ed Apple? Rimanere due sconosciuti che sia amano.»

Reila sussultò, arrossendo notevolmente. Per fortuna era notte «…Allora anche tu devi chiudere gli occhi»

«Va bene» rispose lui sorridendo.

Senza sciogliere l’abbraccio, la ragazza si girò lentamente senza aprire gli occhi, mentre Maverick si chinava su di lei.

Fino a quando, tra lunghi secondi di esitazione, le loro labbra si incontrarono morbide e dolci.






Note totalmente inutili

Primo: scusate per l’enorme, immenso, stratosferico ritardo di questo primo capitolo. Avete pensato che avessi lasciato perdere, vero? XD e invece no, anzi. Sono più agguerrita che mai è_é

Solo che nelle vacanze non ho avuto un attimo libero, e poi è ricominciata la scuola con 473294932859254 compiti al giorno, e inoltre avevo appena finito di scaricarmi Kanon e dovevo vederlo tutto T_T (anche se mi mancano proprio le ultime due puntate <.<) (Ayu-chaan ç______________ç)
E poi… sì, avevo scritto alcuni pezzi, ma non mi piacevano affatto. Non riuscivo a scrivere come volevo e così tergiversavo e rimandavo XD Alla fine è passato quasi un mese, ma il risultato non mi soddisfa per nulla.
Ma mi sa che i ritmi saranno comunque più o meno questi, ancora per un bel po’ (causa scuola).

Secondo grazie per le 9 recensioni (*____* ma voi mi rendete la donna più felice del mondo!!) a Black Lolita, Kyraya, Meikucch, giunigiu95, BLU REI, Kokky, vero15star e _sefiri_, BabyzQueeny!!! E ai 7 preferiti

1 - aquizziana

2 - BLU REI
3 - giunigiu95
4 - kekkafrepunk
5 - kyraya
6 - ninasakura
7 - vero15star

Vorrei non deludervi mai ^__^

(come sempre, per precauzione, voglio sottolineare che questa storia è frutto solo della mia povera e poca fantasia. Analogie con altre storie sono del tutto casuali, credetemi! ç_ç)

Terzo, a tutti coloro che mi hanno conosciuto tramite Loving mi sento di dire che la tipologia della storia sarà molto diversa, largamente più introspettiva: più simile, per chi la conosce, alla mia Snowdrops. Ma manterrà comunque dei toni leggeri, senza perdersi nel melodrammatico angst di Snow o_o Ci sarà da ridere comunque!!! v_v
Parlandoci chiaro, non sarà una commedia degli equivoci XD

Quarto. Perché definisco questa storia una sfida? Perché, per una volta, vorrei riuscire a descrivere una crescita psicologica <.< non sono mai riuscita molto bene a raccontare l’evolversi lento dei sentimenti… io sono una tutto e subito!! (vi prego non pensate male XD)

Del resto, Evan e Reila sono due personalità molto diverse... Credo che a molti Reila risulterà antipatica o insopportabile, perché a volte è davvero tonta… =_= in qualche aspetto posso dire di essermi liberamente ispirata a me stessa. Soprattutto nei difetti, ma sorvoliamo.

Benché questa storia narri il rapporto tra una ragazza e un ragazzo, e io stessa l’abbia messa nel “romantico”, secondo me sarebbe stata più una “generale”… ma siccome alla fine, è il lato sentimentale/amoroso che prevale l’ho inserita in questa sezione.

Ah, le parti in corsivo sono i pensieri dei personaggi. Di solito sono relativi a chi sta parlando al momento, o al soggetto della frase precedente °o° ci tenevo a precisare, non si sa mai.

La sfortuna continua a perseguitare Reila! Da quand’è che… riusciamo a parlare così?

Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- I Still Ain't Over You ***


 

 

Capitolo 2-  I Still Ain't Over You

 

Intrecciò le dita nei suoi capelli, avvicinandosi di più.

Approfondì il bacio, noncurante del fatto che fossero praticamente degli sconosciuti.

Che c’era di male in fondo?

Aveva immaginato ad occhi aperti quella scena per mesi, ritenendola irrealizzabile, circondandola di fiori, luci e silenzio come una ragazzina alle prese con la prima cotta.

Aveva quindi tutti i diritti per fregarsene delle convenzioni e baciare il suo amore fino ad avere le labbra doloranti e la bocca secca.

Per qualche minuto avrebbe mantenuto la dimensione onirica che aveva sempre accompagnato quella relazione: se poi sarebbe svanita come fumo di sigaretta o rimasta come profumo d’incenso… ci avrebbe pensato poi.

Ma l’aria cominciava a mancare. Era proprio una sfortuna aver bisogno di respirare!

Le labbra si staccarono: entrambi respirarono profondamente per riprendere fiato e una nuvoletta bianca s’inserì tra di loro.

Senza aprire gli occhi sorrisero, consapevoli che il proprio cuore ormai era esausto per la lunga corsa.

«Mi sento una stupida» disse Apple, nascondendo il viso nell’incavo del collo di Evan.

Per un attimo, il ragazzo ebbe la sensazione di aver già sentito quella voce, ma abbandonò subito quell’idea «Anche io» rispose alla fine.

Apple alzò una mano verso il viso di Evan: esitò un attimo a sfiorarlo, ma poi cominciò a percorrere sicura i lineamenti modellati sulla pelle liscia.

Fronte alta, dovrebbe essere intelligente. Occhi grandi, ciglia lunghe…

Naso appena appena piatto, labbra morbide e carnose, zigomi leggermente squadrati.

Nella mente le si delineò un’immagine. «Al mio tre apriamo gli occhi»

Evan sorrise sulle dita della ragazza, leggermente sorpreso dalla sua determinazione «Così tanto?»

«1… 2…» Apple deglutì agitata «…3…»

Le palpebre si sollevarono velocemente, il respiro si interruppe ansioso.

E il sangue si gelò nelle vene. Gli occhi si sbarrano impietriti, la bocca si aprì stupita e le sopracciglia si arcuarono, tutto nel giro di un minuto, il tempo necessario per assimilare bene la situazione.

Arretrarono di un passo rapidamente: Evan si portò una mano sul viso, sentendo la propria energia stagnare nel corpo e la pelle impallidire; Reila si appoggiò alla ringhiera dietro di lei e, trovando chissà dove la voce, urlò battendo i piedi e chiudendo gli occhi.

Ma non un urlo di stupore, leggero e senza forze: un urlo vitale, potente, che fece addirittura fermare la musica al piano di sotto e che durò almeno trenta secondi; per istinto credeva che così facendo si sarebbe svegliata e quell’incubo osceno sarebbe scomparso.

Quando non ebbe più fiato, riaprì gli occhi speranzosa ma Evan era ancora inorridito davanti a lei. «Oh no. No no no no no no no no no no… no!» sussurrò distrutta, scuotendo la testa.

Evan tolse la mano da davanti alla bocca per parlare «Tu… Reila… Apple… stessa persona… io… Maverick… Apple e Reila… stessa persona…» questo fu tutto quello in grado di dire e di ripetere, come un 25 giri incantato, per parecchio tempo.

Reila portò entrambe la mani sul viso «Nooooo!» esclamò piagnucolando «Non doveva andare così! Non dovevi essere tu!»

«Pensi che l’abbia fatto apposta?!» enfatizzò Evan, rinsavendo «Mi hai ingannato!»

«Come puoi accusarmi?! Sono io la vittima in tutto questo!»

«Cosa? Sei stata tu a parlarmi per prima nel forum…!»

«E sei tu che mi hai aggiunto nella chat!! Sei tu che hai voluto che ci incontrassimo! Era solo un piano per farmi soffrire!» lo accusò lei, cominciando a piangere.

«Eh no! Non piangere, non mi commuovono le tue lacrime! È colpa tua e basta!»

«NOO! È colpa tua!! Maverick era la mia ciliegina sulla tortaaa-aaah!» urlò piangendo.

«Eh? Ma sei scema? Non sono una ciliegia!» sclerò Evan arrabbiato.

Lui rimase in silenzio grattandosi la testa, mentre Reila continuò a piangere: provava il forte desiderio di prenderlo per i capelli e buttarlo giù dal tetto, così sarebbe spuntato il vero Maverick che le avrebbe rivelato lo scherzo e lei sarebbe stata per sempre felice e contenta con lui.

No, in quel caso avrebbe dovuto rispondere dell’accusa di omicidio! Meglio buttare sé stessa giù dal quinto piano, in questo modo non avrebbe dovuto accettare che… che… no.

Neanche quello andava bene. Uccidersi... è una cosa sbagliata.

Reila smise di piangere e frenò i singhiozzi a forza, mentre una sensazione di vuoto e incompletezza le cominciava a schiacciare il petto.

«Senti… e ora come facciamo?» balbettò Evan infastidito, all’improvviso.

«Eh?» Reila alzò il viso ancora bagnato dalle lacrime e lo guardò sorpresa.

«Voglio dire… ci… ci siamo baciati» farfugliò il moro arrossendo, facendo venire i bollori anche alla ragazza.

«…» lo osservò pensierosa «Evan… sei timido»

«Cos…?!?!» reagì lui con violenza, vergognandosi sempre di più «Possibile che tu sia capace di dire solo cretinate? Sei davvero stupida!»

Lei non rispose: chinò la testa e tentò di nascondere le gote rosse, cercando di non guardare troppo la figura di Evan per non sentirsi a disagio «…Ecco… io non so cosa fare. Io… non lo so»

Reila aveva un vero e proprio caos primordiale nella testa: Evan era Maverick.

Lei non sopportava Evan, ma amava Maverick con tutta sé stessa.

Era come trovare un paio di scarpe bellissime di Jimmy Choo in un saldo irripetibile, e scoprire che sono scomode, fanno male e di un numero più piccolo del tuo. E Reila aveva una passione viscerale per le scarpe.

Comprarle o non comprarle? Reila passava ore nell’indecisione.

Alla fine le prendeva per capriccio, ma tra un ragazzo e un paio di scarpe c’è differenza.

Cosa doveva fare? Voleva rimanere con Maverick per sempre, ma non riusciva a stare con Evan nella stessa stanza senza litigare.

La soluzione era far finta di nulla? Non ci sarebbe riuscita, mai. Perché le sarebbero sempre venute in mente le parole dolci di Maverick, le notti passate a parlare di niente, il batticuore che le procurava.

Però non poteva, non riusciva, a fondere Evan e Maverick in un’unica persona: erano troppo diversi per poter essere un solo essere.

Non si può amare ed detestare una persona allo stesso tempo.

Evan esitò un attimo «Neanche io so cosa fare. Lasciamo decidere al destino»

«Vuoi dire… che dovremo fingere che non sia mai successo nulla?»

«Ti ho detto che non lo so! Noi… non facciamo nulla. Succederà ciò deve succedere.»

«Evan… sei passivo»

«E smettila di dire frasi idiote!!» gridò prima di andarsene, lasciando Reila da sola ed Apple per sempre.

Lui sarebbe riuscito a comportarsi normalmente? Non ne era sicuro. Sicuramente l’avrebbe tradito il ricordo dell’idealizzazione di Apple.

Fare finta di niente era impossibile, impensabile ed insensato, oltre che dannoso, come sarebbe stato stare con Reila.

Uscì dal locale e si diresse verso la macchina, deciso ad affogare quella serata in due o tre birre al solito locale.

Si immaginava una ragazza all’opposto di Reila: sveglia, bellissima, intelligente, sorridente come un sole. Forse… ecco, basterebbe solo un sorriso…

~

«Aspetta, fammi capire bene. Evan Williams, quell’Evan, è Maverick?!» esclamò Selene esterrefatta, porgendo a Reila il decimo paio di scarpe.

«…Sì…» rispose mesta la bionda, infilando le scarpe nere di raso col tacco 12 e la punta scoperta.

«…certo che certe cose possono accadere solo a te» disse sconsolata l’altra.

Selene Martinez era la migliore amica di Reila dai tempi del liceo, e al momento anche l’unica.

Era una ragazza aggressiva e forte, facilmente irascibile e parecchio cinica che però non sapeva arrabbiarsi con persone come Reila.

Per questo aveva acconsentito ad accompagnarla nel giro dei negozi di scarpe più costosi della città, ben sapendo che questo tour avveniva ogni qualvolta l’amica era davvero abbattuta: al momento erano giunte al quinto negozio e alla somma record di 250 euro già spesi e altrettanti ancora da spendere.

«Mmm… come ti sembrano queste?» domandò Reila, fingendo di avere dei dubbi: le teneva su da più di cinque minuti ed entrambe sapevano che tanto le avrebbe prese comunque.

«Molto belle e molto alte. Ma come fai a starci sopra? Sembrano trampoli!» cinguettò l’altra.

Selene era fondamentalmente un maschiaccio che indossava maglioni e pantaloni da tuta scelti a caso la mattina, si era truccata due volte nella sua vita e di scarpe col tacco non ne aveva mai neanche provata una: quindi proprio non capiva questo amore senza freni di Reila per le calzature costose da equilibrista.

Riteneva che una ragazza, se davvero bella, non avesse bisogno di trucchi o vezzi del genere; certo, parlava lei che era una ragazza bellissima: il padre era brasiliano ed aveva ereditato da lui la pelle ambrata, i lunghi capelli scuri e il fisico asciutto, mentre dalla madre crucca gli occhi azzurri e il temperamento scorbutico.

«Allora le prendo» concluse Reila, togliendo le scarpe delicatamente come fossero reliquie sacre.

 

«Sei sicura di stare bene?» chiese la mora, appena fuori dal negozio (ora da spendere rimanevano solo 100 euro).

«Sì» rispose evasiva Reila, ma Selene sapeva già che in realtà soffriva davvero.

Selene decise di non proseguire il discorso: quando avrebbe voluto Reila ne avrebbe parlato… anche se ciò non succedeva quasi mai.

I superstiti 100 euro vennero spesi in un paio di sandali Moschino rosa pallido, ma neanche questi riuscirono a placare l’animo di Reila: di solito sfogarsi nello shopping bastava per farla stare meglio, ma stavolta non era servito a nulla.

Quel vuoto dentro proprio non se ne voleva andare.

Ogni tanto si ritrovava a guardare il cellulare, aspettando un messaggio… ma cosa aspettava in realtà? Maverick ormai non esisteva più e non sarebbe mai tornato.

Alle 8 di sera accompagnò Selene a casa e poi si diresse sulla via del ritorno.

Camminò lentamente, dosando ogni passo e ogni respiro. Il suo sogno e la sua speranza di felicità erano svaniti,  per colpa di una imprevedibile e banale coincidenza…

Arrivata davanti al portone del proprio condominio, cercò le chiavi nella borsa senza energia.

Le cercò ancora.

Un’altra volta.

Immerse il viso nella borsetta, tra il borsellino ora vuoto, il cellulare e l’agenda. Delle chiavi di casa nemmeno l’ombra.

«Oh no!» pigolò con i lucciconi agli occhi. Ho perso le chiavi! Non ci posso credere! E ora come faccio? Non ho nemmeno soldi per andare in qualche hotel… potrei chiamare Selene, ma non vorrei disturbarla! E poi potrebbe pensare che la sfrutto solo per togliermi dai guai! Chiamo mamma? No, non ci penso nemmeno… E allora chi mi rimane?

«Reila? Che ci fai qui fuori?»

La ragazza si rivolse distrutta verso quella voce così maledettamente conosciuta.

«Ho perso le chiavi di casa e non so dove andare» ammise subito, apatica.

Evan si rannicchiò accanto a lei. «Stu pi da» sillabò strafottente.

Reila arricciò le labbra e mise il broncio innervosita: non solo le mandava in pezzi il cuore, ora la derideva pure.

Mentre Evan si alzava per allontanarsi, dal cielo plumbeo cominciarono a cadere delle piccole gocce che in poco tempo divennero pioggia.

Evan si girò e guardò Reila seduta sul marciapiede, bagnata come un pulcino e immusonita come una bambina viziata, che fissava senza emozioni lo spazio vuoto davanti a sé.

Sospirò seccato e ritornò da lei, che non lo degnò nemmeno di uno sguardo. «Se non sai dove andare, per stanotte puoi rimanere da me»

La bionda alzò il viso stupefatto verso quello di Evan, serio ma sereno. Dopo un lungo minuto fece sì con la testa e sussurrò un «Grazie» strascicato e risentito; dopodiché si alzò e trotterellando seguì il ragazzo dell’altra parte della strada.

 

«Aaaah! Che bella casa!» esclamò Reila entusiasta, studiando la cucina e il salotto di Evan.

Il suo appartamento era un bilocale molto spazioso, di quelli col parquet scuro, i mobili bianchi e le vetrate immense: non c’era da stupirsi, Evan si era sempre trattato molto bene.

«La smetti di scodinzolare come un cane?» la riprese lui, togliendosi la giacca.

Reila si girò verso di lui e lo chiamò con voce incerta «Evan…»

«Che c’è?!»

«Ecco…Grazie!» Reila sorrise piena di gratitudine e felicità, socchiudendo gli occhi. Evan fremette, stringendo con forza la giacca tra le mani «Allora, per ringraziamento preparerò io la cena!» cantò lei allontanandosi verso la cucina, alzando un pugno verso il cielo in segno di sfida.

Un… sorriso.

«Tenterai di avvelenarmi?» mugugnò Evan, con la voce leggermente incrinata.

«Eeeeeeeh? Il mio cibo non è veleno…»

«Non ho detto questo!!»

Reila aprì il frigorifero canticchiano, ma rimase sbigottita nel constatare che gli unici presenti all’appello erano una fetta di formaggio e dei superalcolici «…senti, quando sei andato a fare la spesa l’ultima volta?»

«Mi pare tre settimane fa» ammise lui pensieroso, alla ricerca del ricordo lontano nel tempo.

«Oh» fece Reila incupendosi. «Non è che hai almeno un po’ di pasta?»

«Eh? No… non credo. Ho del pane ma è posso»

«…ehehehehehehehe» rise lei maliziosa dopo un breve silenzio, facendo preoccupare Evan «si senta la mancanza di una donna nella tua vita!»

 «T- TU!! Tu non sei normale! Fuori da casa mia!!» sbraitò il ragazzo arrossendo.

«Va bene, va bene! Vedrò che potrò fare con del pane, una fetta di formaggio e dei superalcolici. Certo che potresti anche fare la spesa ogni tanto. Non dico molto, ma un po’ di decenza…»

«Ma tu mi ascolti mentre parlo?» chiese lui sconfitto, appoggiandosi alla parete.

Reila sorrise ma poi si bloccò all’istante. Che stava facendo?

Da quando era capace di ridere così insieme ad Evan? Fino a ieri ogni volta che si vedevano finivano per litigare!

Osservò il ragazzo sdraiarsi comodo sul divano ed accendere la tv.

          Da quand’è che… riusciamo a parlare così?

Scosse la testa allontanando quella sensazione strana e tornò alla cucina.

Evan si girò curioso verso di lei, e la sua attenzione fu attirata da qualcosa di rosso posato inconsciamente sul tavolo, vicino alla borsa di Reila: la sua agenda.

La prese in mano e ne lesse qualche pagina, scritta fitta fitta in quella scrittura rotondeggiante e infantile.

Senza accorgersene gli scappò una risata «Ehi, ma che razza di agenda! Come fai a programmare anche l’ora di pranzo?! Sei un mostro!!»

Appena se ne accorse, Reila scattò verso il ragazzo per strappargliela di mano. «LASCIALA!!» piagnucolò triste ma decisa «Sono cavoli miei!»

Il ragazzo gliela concesse sospirando e lei la rimise subito in borsa, preoccupata.

 

Gli occhi di Evan luccicarono.

«S-sei davvero sicura di aver usato solo ciò che avevo in casa?» balbettò additando il piatto che gli si presentava davanti: formaggio perfettamente fuso e filante, condito con del prosciutto miracolosamente recuperato sotto le macerie del frigorifero, e racchiuso in due fette di pane caldo.

«Sì» sorrise lei «Mi rendo conto che non è granchè, ma…»

Evan annusò il profumo invitante e caldo della pietanza e ne prese un morso. Per un attimo rimase immobile, nel gustare il boccone. Non solo sembrava buonissimo: lo era per davvero.

«Com’è?» chiese preoccupata Reila, impensierita dalla reazione del ragazzo.

«Mh… accettabile» mentì lui, alzando le spalle.

La bionda sospirò sollevata e cominciò a pulire i piatti; nella casa c’era solo il rumore dell’acqua scrosciante.

«In questo modo mi sono sdebitata, no?» cominciò lei, rivolgendo la schiena ad Evan che stava ancora mangiato il panino.

Lui divenne serio, e il suo silenzio valse più di mille parole.

«Voglio dire… per stanotte. Tu mi ospiti e io ti preparo la cena, se così può essere definita…» proseguì posata, senza lasciar trasparire emozioni «…e tutto ritorna come prima. Vero, Evan?» chiese senza guardarlo, ma soltanto fermandosi e voltando leggermente il viso.

Lui non rispose: chinò il volto e si grattò la testa pensieroso.

 

Mezzanotte.

Sulla tv scorrevano i titoli di coda del film appena finito e la musica allegra di sottofondo si diffondeva calma in tutta la casa, ormai buia.

«Forza, è ora di andare a dormire» disse Evan spegnendo la televisione con un click.

Non ricevendo risposta si rivolse verso la ragazza sdraiata sul divano e ormai caduta in un sonno profondo, col viso completamente coperto dai lunghi capelli biondi.

Fu indeciso se svegliarla o meno, ma poi decise che era meglio non disturbarla: le tolse delicatamente i capelli del viso, prolungando il tocco fino alla guancia e poi le labbra, leggermente dischiuse.

Velocemente ritrasse subito la mano e appoggiò il mento sul ginocchio, accovacciandosi, mentre si mangiucchiava le unghie immerso nei propri pensieri; rimase ad osservarla respirare tranquilla a lungo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note totalmente inutili

AHA!! Lo sapevo XD

Sapevo che le 9 recensioni al primo capitolo sarebbero state un episodio isolato *.*
Del resto vedo 19 preferiti e 4 commenti (Grazie a chi ha recensito, mi avete reso felicissima :D)… fatevi sentire ç_ç come faccio a scrivere al meglio senza i vostri consigli, i vostri pareri e le vostre critiche?

È una cosa che mi rende tanto triste çOç e poi mi fa venire meno voglia di scrivere! >_<

 

Comunque, la mia attuale fissa sono gli Augustana (ascoltate Boston è_é è un ordine), un gruppo bravissimo e sottovalutato. Mi sa che sono una delle poche che li conosce (solo grazie a umbi v_v). Quindi il titolo è una delle loro canzoni più belle: I Still Ain't Over You! Tradotto “ancora non sono sopra te” alla cazzo da me in questo istante senza vocabolario XD un po’ per dare l’idea dello stacco tra Maverick ed Apple.

Inoltre è un periodo in cui ho sbalzi di umore orrendi: per esempio, fino a 4 ore fa ero in piena fase depressa. Ora invece sono felice *w* come si dice, basta una piccola cosa… (segreto segreto). Comunque era per giustificare i possibili diversi toni di questo capitolo °_° Come ho già detto, non mi piace affatto come scrivo e quindi neanche questo capitolo, che reputo orrido v_v

 

Ah, Black lolita ha ipotizzato che in realtà Evan sapesse che Apple fosse Reila e che l’amasse, e per paura di non perderla non le avesse rivelato chi fosse. (@_@)

Naaaaaaaah XD

Sono più semplici. Niente seghe mentali da Loving v_v Evan odia Reila, ma non è per una questione di pelle :D Certo ora non può più ignorare che lei fosse Apple…

 

“Senti ma cosa vuol dire il tuo nome?” “un cazzo!” XD

Alla prossima!!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- Cerco il sole, ma non c'è ***


 

 

 

 

Capitolo 3-  Cerco il sole, ma non c'è

 

C

’era profumo di dolci. Da dove proveniva?

Era quell’albero che odorava di torta alle mele! E dietro… un coniglietto bianco!

Cominciò ad inseguirlo, nonostante fosse impedita dal vestito bianco e lungo. Ehi, ma da quando era calata la notte?

Faceva freddo e il terreno del bosco era duro e gelido. Comunque le continuava a correre e a cercare quel coniglietto.

Lo vide sparire dentro un lago, nero per la notte e circondato da milioni di rose bianche.

Lentamente si immerse nell’acqua, sollevando leggermente il vestito: era calda, trasparente, leggera; sembrava aria.

Quando si immerse completamente nel lago, vide due porte. Quale scegliere?

Oh, ecco il coniglietto! Stava entrando in quella a destra.

Lei girò la maniglia, lentamente. La porta si stava aprendo…

 

All’improvviso Reila aprì gli occhi, senza muoversi di un millimetro.

Si guardò un attimo attorno: dov’era? Non era casa sua.

E questo divano? Chi le aveva messo un a coperta addosso?

Ah… Evan.

La ragazza si alzò tenendosi la testa, cercando di conservare il ricordo del sogno appena fatto.

«Evan?» chiamò, senza ancora il pieno controllo della voce.

Quel nome risuonò nella casa vuota come una preghiera e rimase sospeso nell’aria beffardo.

Cosa ci faceva in casa del suo peggior nemico? Non avrebbe mai dovuto comportarsi così… Eppure non ci riusciva: ogni volta che pensava a lui non riusciva più a vederlo come prima. Ora lui non era più Evan Williams ma Maverick, la sua occasione di felicità perduta, la sua ciliegina sulla torta mangiata da qualcun altro.

Le mancava la sensazione di avere tra le mani la propria meta, di aver finalmente trovato la ragione per cui svegliarsi, mangiare e respirare.

Come aveva potuto innamorarsi di qualcuno che neanche conosceva? O forse… Reila scosse la testa e si massaggiò il viso.

Si mise in piedi e si diresse in cucina, dove trovò un bigliettino vicino alla sua agenda: quello lì l’aveva toccata di nuovo.

Già nervosa, aprì il pezzetto di carta e lesse il messaggio lasciato dall’ospite.

      “Dopo il lavoro vado a fare la spesa. Cerca di fare in modo di tornare a casa tua entro stasera. Evan”

Come sempre, un pugno nell’occhio sarebbe stato più delicato e premuroso.

Buttò il foglietto e si preparò per andare al lavoro.

~

«Coniglietti?»

«Sì…»

«E cosa centrano i coniglietti?»

«Bè… ecco…»

All’improvviso Reila alzò il viso dal foglio di carta pieno di conigli disegnati e guardò inorridita il proprio capo, Alex, che la fissava attendendo una risposta.

«AAAAH!! Mi scusi! Non… io ero sovrappensiero e…» urlò lei balzando all’indietro, mentre arrossiva notevolmente.

«Si calmi, signorina Lewis» rise lui, divertito dalla sua reazione.

«S-SI!!» strillò la ragazza, irrigidendosi.

«…Le ho detto di calmarsi» ripeté leggermente scocciato Alex «Allora, posso sapere cosa centrano i coniglietti con un profumo francese?»

«Vede capo, stanotte ho fatto un sogno, dove c’erano i coniglietti, e mi è sembrato un’idea carina per la pubblicità… però…» si interruppe un attimo imbarazzata «p-però se non le piace posso cambiarla!!!» esclamò ricominciando ad urlare, mentre strappava alcuni fogli scarabocchiati.

«Le ho detto che non c’è bisogno di agitarsi così! Mi fido di lei e sono sicuro che quest’idea è davvero geniale» la rassicurò l’uomo, scaldandosi un  pochino.

C’era qualcosa in quella ragazza che lo metteva profondamente a disagio: non sapeva mai cosa dire per non farla agitare, ma aveva la sensazione che se anche fosse stato zitto Reila sarebbe uscita pazza comunque.

Questo suo lato eccessivamente angosciato gli dava sui nervi, ma in contemporanea provava il desiderio di non farla più reagire così, di renderla più forte.

«Senta, signorina Lewis, c’è un modo per non farle prendere un colpo ogni volta che le parlo?»

«F-forse… mi dà fastidio che mi diano del lei… p-però…»

«Niente però. Faremo così d’ora in poi, se questo aiuterà a farti sentire meglio. Giusto… Reila?»

La bionda rimase un attimo interdetta, poi sorridendo disse «Sì!»

Alex sorrise soddisfatto «Però anche tu ora dovrai darmi del tu…»

«Eh?» Reila guardò gli occhi verdi del capo, che brillavano sicuri e spavaldi «Eeeeh?! Ma no, non potrei mai permettermi di…»

«Su non fare troppe storie. È il tuo capo che te lo ordina! Forza, prova»

«Eh? Eh… ehm… A-Alex…?» balbettò confusa e sfiancata.

«È un inizio…» sospirando per lo scarso risultato, guardò l’orologio che segnava le 12 «Ormai è ora di pranzo. Che ne dici di mangiare assieme, mentre mi spieghi il sogno coi coniglietti?»

«Ah! C-Certo come vuol… vuoi!» rispose prontamente Reila, mentre Alex la guidava fuori dal suo ufficio.

~

“Mmm… Ti invita a pranzo, parlate tutto il tempo e alla fine paga lui. Io questo lo chiamo appuntamento!” trillò la voce di Selene attraverso il cellulare.

«Ma abbiamo parlato di lavoro! Non era un appuntamento!» rispose agitata Reila, mentre camminava tranquilla sulla strada verso casa nella luce soffusa delle 6 di sera.

“Se un uomo si prende la briga di invitarti a pranzo…”

«Aaaah!! Non è vero! E comunque Alex non…» all’improvviso Reila si interruppe.

    “Alex non è Maverick”: avrebbe voluto continuare così la frase, ma non ci riuscì.

Ma chi voglio prendere in giro?

Non è Maverick che mi manca, né la sua presenza. Ciò che mi manca è la felicità che mi dava: il mio primo pensiero non è stato “Ho perso Maverick” ma “ho perso la mia speranza”.

Mi sarebbe andato bene chiunque, forse addirittura anche Evan. Sono davvero così egoista?

“Pronto? Pronto Reila?” Selena la riportò sulla terra.

«Ah… scusa»

“Nulla… comunque secondo me è un bene per te uscire con questo Alex. Per dimenticare… Maverick. Anche se è sconsigliabile mettersi con un uomo che pesa meno di te…!”

Reila sbuffò «Sì, hai ragione. Devo andare, ci sentiamo presto. Ciao» concluse spiccia spegnendo la telefonata, mentre alzava il viso verso la propria casa.

Quando mise il cellulare nella tasca del cappotto sentì uno strano rumore metallico: frugò con attenzione e ne estrasse le chiavi di casa.

Le guardò inorridita come se fossero state fatte di stabbio, e le tastò con le dita per assicurarsi che fossero proprio vere.

«Reila! Sei appena tornata anche tu?» la voce sorpresa di Evan le fece venire un infarto.

Si girò lentamente ed annuì tremante, guardando con fare colpevole il ragazzo carico di sacchetti della spesa.

«Alla fine sei riuscita a trovare una soluzione per tornare a casa tua?» chiese lui, leggermente sorpreso dalla reazione della bionda.

 «AH!!» come un fulmine lei nascose le chiavi appena ritrovate nella giacca «Ecco, io… no! Non ce l’ho fatta, scusa. Non è che…»

«Sì, vabbè. Ho capito, devo ospitarti ancora» sospirò infastidito «Dai, muoviti.» le intimò alla fine, allontanandosi verso il portone del proprio condominio.

Reila lo osservò allontanarsi ed esitò un attimo, abbassando il viso completamente rosso.

Mosse un passo esitante verso Evan, e lo raggiunse senza riuscire a guardarlo.

Inconsciamente, ho associato al nome Maverick la parola felicità…

~

Evan sistemò l’ultimo cartone di latte nel frigorifero, ormai pieno come non lo era mai stato: ieri sera si era leggermente vergognato che Reila avesse scoperto in che condizioni alimentari viveva, e ora voleva darle l’impressione che fosse stato soltanto un caso.

Chiuse la porta del frigo e cominciò a sparecchiare la tavola dove avevano appena cenato, mentre Reila sistemava silenziosamente i biscotti nella dispensa. Aveva qualcosa di strano, anche lui se n’era accorto: l’espressione era assorta, come se stesse pensando a troppe cose, e i movimenti erano lenti e distratti.

Non era la solita Reila e per questo si sentì a disagio.

La considero davvero… una stupida.

Sorride sempre come una scema, si diverte con niente e non capisce mai nulla. Ho sempre odiato questo suo essere superficiale e insulsa, e mi veniva facile sapere come comportarmi con lei.

Ma quando assume quest’espressione, io cosa dovrei fare?

Per me, lei è pur sempre Apple…

Finì di risciacquare l’ultimo piatto e di incastrarlo nella lavatrice e poi si rivolse a Reila con decisione «Senti, che ne diresti di fare un gioco?»

«Eh?» domandò lei sorpresa, voltandosi di scatto.

«Un gioco. Facciamo un gioco, per passare la serata»

«Che gioco…?»

«Ti sfido a… alla dama da bere!!» annunciò fiero, mostrandole la scatola del gioco.

«D-DA BERE?! M-ma io non… non reggo molto l’alcol!» farneticò spaventata Reila, sudando freddo: l’ultima volta che aveva bevuto due cocktail si stava per spogliare in mezzo a tutti. Per fortuna, Selene era con lei e gliel’aveva impedito.

Evan annuì consapevole «Lo sapevo… sei una pappamolle»

«Eh?» urlò lei, irrigidendosi indispettita.

«Non hai il fegato per sfidarmi, sai già di perdere…»

«NON è VERO! TI SFIDO A VINCERE!!!!» proclamò decisa più che mai.

~

«Evan, ma tu che lavoro fai?»

«Sono proprietario di un locale-ristorante»

«EEEEH?! Ma non dovresti passare tutta la tua vita lì allora?»

«Ma che dici? Siamo in due a gestire: io faccio il turno di giorno, il mio amico di notte»

«Ah… e-e ti piace?»

«Sennò non lo farei, no?»

«Mh»

«AH! Mangiata!»

«Coosa?! Noo! Mi tocca bere ancora!!»

«Non vorrai mica tirarti indietro?» la provocò Evan.

«NO!»

Reila prese in mano il quinto bicchierino pieno di vodka alla pesca e lo bevve alla goccia, strizzando gli occhi per il bruciore avvertito lungo la gola, fino allo stomaco.

«Aaaah!» sospirò rumorosamente, battendo con forza il bicchiere di vetro sul tavolo «Non è giusto però… Tu hai bevuto solo una volta…» sbiascicò barcollando.

«Non è colpa mia se sei una schiappa» la rimproverò il moro freddo, facendole mettere il broncio.

Reila mosse una pedina indispettita e gli fece la linguaccia.

«Mangiata ancora»

«EEEH?! Ma è impossibile!!»

Evan sorrise «Sai, c’è una cosa che mi sono sempre chiesto»

«Cioè?» chiese lei mesta, mentre alzava l’ennesimo bicchierino al cielo prima di berlo.

«Che cosa vuol dire il tuo nome? È parecchio strano»

«Un cazzo! È il titolo di una canzone giapponese e basta. Se la canzone si fosse intitolata Mame [*], mi sarei chiamata anche io così!!» urlò sguaiatamente, agitando per aria il bicchiere vuoto.

Evan la osservò ondeggiare completamente ubriaca «Ma allora non lo reggi davvero l’alcol! Sei già completamente ubriaca!!»

«Ehehe!» rise lei, dolcemente.

«…Forza, tocca a te»

Reila mosse una pedina, silenziosamente. Poi, senza alzare il viso cominciò «Grazie Evan, qualunque cosa tu stia facendo per me. Ma Maverick… Maverick mi manca, tantissimo, anche se era un’illusione. E tu…tu… ora…»

«…io ora cosa?» domandò Evan serio.

«zzz»

«Eeeh?» alzò di scatto gli occhi verso la ragazza, riversa addormentata sul tavolo.

Non ci credo. È davvero scema!

Com’è possibile addormentarsi così nel mezzo di un discorso?!

Evan si morse un labbro, pensieroso.         

                     “Maverick mi manca tantissimo”

All’ennesimo sussulto della ragazza, decise di alzarsi e di avvicinarsi a lei; la prese per il busto e se la mise in spalla, stringendola per la schiena, mentre lei si avvinghiava inconsciamente al suo collo.

«Mmm… Maverick…» mormorò nel sogno.

La depose dolcemente sul divano e la coprì con una coperta, stando attento a non svegliarla.

Dopotutto, lei, per quando odiosa e stupida, era Apple…

~

Reila sbatté velocemente le palpebre più volte, prima di riuscire a svegliarsi: c’era un intenso profumo di caffè, che le diede un motivo sufficiente per alzarsi e cominciare la giornata.

«Buongiorno» la salutò Evan, mentre versava la bevanda scura in due tazze.

Reila rispose sorridendo, senza capire bene cosa ci facesse lì a bere il caffè con lui.

«Senti… ieri sera, stavi per dire qualcosa. Ti ricordi cosa…? Su Maverick» chiese diretto: sì, ci aveva pensato su tutta la notte.

«Ah? No, mi spiace! Che stavo dicendo?» rispose lei, con l’espressione più ebete di questo mondo. Evan scosse la testa disperato e pose la tazza vuota nel lavandino.

Lui, che fino a tre giorni prima era il suo antagonista più accanito, ora le preparava il caffè sorridendo.

Reila si ricordò le parole che le aveva detto la sera del misfatto: “Succederà ciò deve succedere”.

Forse era destino che ora diventassero amici…!

Mentre Reila era immersa nei suoi deliri mattutini, Evan stava già preparandosi per uscire e andare al lavoro: nel prendere la giacca però fece cadere anche quella di Reila, che era posta accanto alla sua.

La sollevò svogliato, ma un rumore strano lo fece incuriosire: guardò per terra e notò che dalla tasca erano cadute alcune chiavi, legate da un cinturino con scritto “casa”.

Le raccolse facendole tintinnare «Reila»

«Si?»

Il moro ritornò in cucina con passo veloce e con violenza posò le chiavi sul tavolo, sotto gli occhi attoniti di Reila.

«Mi credi scemo, eh? Pensi che io sia stupido! Si può sapere perché mi hai mentito?» urlò senza freni.

«E-ecco… i-io… non lo so» balbettò lei, incapace di guardarlo in faccia, mentre cominciava a torturarsi le mani come ogni volta che era profondamente agitata.

«Come sarebbe a dire che non lo sai! Ma allora sei davvero cretina! Perché stanotte sei rimasta a casa mia, quando potevi benissimo… aaah! È inutile, vero?» la provocò, aumentando ancora la voce «Tu sei completamente idiota, non sai nemmeno perché fai certe cose!!»

«Evan…» tentò di dire la bionda, ma la voce le morì in gola quando vide il viso scuro e arrabbiato del ragazzo.

«Senti, ora basta. Ti sei divertita abbastanza a tirarmi scemo, da stasera non voglio più vederti in questa casa» concluse Evan, enfatizzando le ultime parole.

Reila non sapeva che cosa rispondere: neanche lei sapeva perchè aveva agito così. Non c’era un motivo, semplicemente aveva avuto quell’impulso irrefrenabile.

Siccome la risposta della ragazza non arrivava, Evan si spazientì: uscì di casa in fretta e furia, mettendosi la giacca, lasciando Reila in lacrime.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[*] Mame () = fagiolo (la confessione di una colpa da parte dell’autrice…?)

La canzone che cita Reila è “Reila” dei The GazettE (i miei veri e unici amori jrock *w*)

 

Note totalmente inutili

Bravi bravi, così va già meglio <3

9 recensioni, 26 preferiti e 400 letture *_* Me moooolto felice, e quindi contenta di scrivere e quindi più veloce (più o meno).

In teoria in questo momento ho scritto solo un dialogo, quindi è ancora poco ç_ç E ora dovrei continuare a scrivere, ma stanotte ho dormito circa 3 ore e… il mio cervello si rifiuta di lavorare più di tanto ed è assalito da idee malsane.

 

Dopo cose di cui non vi può fregare minimamente, passiamo ai ringraziamenti.

 

Grazie a: akane_val Akasuna no Chocolat aquizziana  B r o K e n BLU REI Cavolovai CEIWIN Devilcat federikuccia giunigiu95 hinata_in_love kekkafrepunk kira988 Kokky kyraya la_regina momica Niis ninasakura piper__73 queen of night Selene_Malfoy Valentina78 vampistrella vero15star _sefiri_ , per i preferiti *__* mi fa tantissimo piacere ritrovare persone che hanno seguito altre mie storie!!!

 

Valentina78: Grazie ^__^ sono contenta se mi dici che riesco ad esprimere molto i sentimenti dei personaggi, è proprio ciò che mi sono prefissata *__* che ne pensi di questo nuovo capitolo?

_sefiri_: oho, così mi fai arrossire >__< Sono contenta che ti piaccia Reila, però non è Nana Komatsu colei a cui mi sono ispirata, anche se ci assomglia *_* Oh, ti piace Alex… ho notato che piace a molti… mah XD vedremo. Continua a seguire, ci tengo *_*

Kokky: oh, quanta pressione ç_ç non aspettarti cose troppo grandi, avrei paura di deluderti ç_ç XD in effetti…per il personaggio di Selene mi sono ispirata a te come carattere *__* e per la storia del sorriso… vedrai XD Ciu

Black Lolita: Mia adorata! Mi spiace ma dovrai aspettare un po’ per sapere il motivo del loro odio… anche tu, non aspettarti chissà che cosa ç_ç mh, hai ragione: l’atmosfera tra Reila ed Evan è molto cambiata! Del resto hanno scoperto di essersi innamorati per sbaglio XD Ciu!!

Meikucch: Sei troppo tenera socia >///< grazie per tutti i complimenti e l’appoggio! Non vedo l’ora di giovedì *___* ti vi it bì XD

Vampistrella: Sono felice che la mia storia ti piaccia *___* ma… Reila forte? Decisa? °_° può dare questa impressione, ma fidati non è affatto così! Non ha idea di come comportarsi con Evan: prima cerca di ignorarlo, poi si trova a chiacchierare con lui e alla fine decide di fare la seria e scontrosa… insomma, è molto confusa. È vero che non dà affatto a vedere ciò che prova… per questo è parecchio difficile farla agire XD come personaggio è problematico, perché è complicato farla comprendere al lettore… grazie per l’immenso appoggio!!! *__*

Vero15star: Grazie *O* sei troppo buona! Anche io vedo molto bene insieme Evan e Reila, ma non è detto che debba per forza nascere amore v_v vedremo *w*

BLU REI: Ohhh!! Quanti complimenti, grazie *__* definire le chiavi un “tocco da maestro”… XD mi farai montare la testa!! “lui che cerca un sorriso per cambiare idea su di lei” …tu hai già capito tutto di Evan °_° Ciu

Piper__73: Non preoccuparti, anche io molte volte non riesco a recensire sempre le storie che seguo ^_^ Sono felice che la mia storia ti piaccia, spero che continui a ritenerla carina *__*

 

Scusate se non risponderò alle recensioni ogni volta, ma io tendo a divagare troppo XD e poi manca il tempo, il tempo!!

 

Forza forza, commentate!! Voglio sentirvi tutti almeno una volta *__*

 

“Nel caso… sarebbe sconveniente che un superiore portasse a cena una dipendente?”

Alla prossima!!

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4- Promesse (oneste ma grosse) ***


 

 

Capitolo 4-  Promesse (oneste ma grosse)

 

N

on esiste una persona più stupida di lei: da bambina non capiva quando gli altri bambini la escludevano dal gioco, e crescendo si era ritrovata a ridere di sé stessa quando gli altri la prendevano in giro; insomma, la sua ottusità faceva davvero prudere le mani ad Evan.

Perché si ostinava a mostrarsi sempre felice? Era impossibile che non fosse mai triste.

Allora perché in 26 anni l’aveva vista piangere o arrabbiarsi sul serio pochissime volte? Certo, quando litigava con lui si irritava parecchio… ma non era mai del tutto seria, ne era sicuro.

In fondo non gli aveva mai detto “ti odio” o rivolto insulti: troppo spesso si era trovato a pensare che lei reagisse solamente alle sue provocazioni, senza sentire davvero quei sentimenti.

Che fosse davvero solo colpa sua, quell’avversità che andava avanti da un ventennio?

Comunque, il tempo passava, come quando arrivati a un certo punto della propria vita, ci si guarda indietro ripensando alla scuola, alle estati e agli amici e non puoi fare altro che dire: sembra ieri.

Se ripercorrendo la tua vita vieni preso da nostalgia e amarezza, allora vuol dire che hai vissuto un’esistenza che valeva la pena di vivere: questa era la filosofia di Evan.

Ed Evan non aveva rimpianti, tranne che inspiegabilmente per le ultime tre settimane: settimane in cui lui e Reila si comportavano come sconosciuti.

Era stato lui a cacciarla di casa, ad urlarle contro; e, in fondo, non c’era niente di strano che si comportassero così tra di loro: questo ignorarsi vicendevolmente da sempre si sarebbe potuto definire armonia.

Però, chissà come, ora c’era una nota che stonava.

~

«Te ne vai già?» chiese la donna un po’ afflitta, avvolgendo il proprio corpo nel piumone caldo.

«Sì, scusa. Stasera ho una cena in famiglia» rispose Evan distratto, rivestendosi.

Emy sbuffò scontenta per farlo sentire in colpa, ma lui non le diede corda.

«Quindi fino a domani non ci vediamo…»

«Non ti basta mai, eh» rise lui, malizioso.

«Non volevo dire questo! E se è per questo, sei tu quello che vuole sempre farlo!» ribatté indispettita.

«Sarà, ma tu non ti tiri mai indietro» Il ragazzo si chinò su di lei e la salutò con un bacio sulla fronte, prima di uscire di casa.

Evan stava con Emy da un anno.

Era una donna abbastanza bella, alta e sottile, con la pelle diafana e gli occhi color delle foglie; teneva i capelli castani corti, in una pettinatura tuttavia femminile che le dava un’aria da birichina.

Era una di quelle ragazze che avreste potuto trovare sedute nel parco ad ammirare il cielo, pensando all’amore vero e a romanticherie del genere “i sogni son desideri”.

Stavano insieme da un anno, ed Emy era innamorata pazza di Evan.

~

Tornare in quel minuscolo paesino di periferia lo faceva sempre sentire a disagio.

Non che i ricordi legati a quel luogo fossero tristi: ripercorreva sempre con piacere la strada che ogni mattina per 20 anni era stato costretto a fare per andare a scuola, tornava negli ampi prati dove da piccolo giocava con gli amici e andava a salutare i suoi vecchi vicini di casa che ogni volta lo accoglievano con calore, offrendogli una torta di mele o pere o arance o coltivate da loro. Era un paesino così, dove tutti conoscevano tutti e tra le abitazioni c’erano ettari di campi o boschi.

Però, non gli piaceva passare davanti a casa sua. Non ci entrava, no: aveva giurato non ci avrebbe messo mai più piede in vita sua.

Ma il solo passarci di fianco, anche l’ignorarla, lo facevano tremare come quando da piccolo passava notti insonni accovacciato nell’ombra, ad ascoltare lamenti e continui cigolii metallici proveniente dalla stanza da letto della madre.

Senza rallentare minimamente l’andamento della macchina passò davanti a quella casa bianca, dai muri leggermente rovinati e con le finestre sempre chiuse ed oscurate, fino ad arrivare ai “quartieri alti” (anche se le differenze economiche tra gli abitanti erano minime).

Si fermò davanti a una villetta bianca con le inferriate di legno e il tetto rosso scuro, parcheggiando nel vialetto, in coda alla macchina che riconobbe essere quella dei suoi nonni paterni.

Bussò sommessamente alla porta di casa Lewis, e fu subito accolto dal sorriso splendente della signora Celestine, così simile a quello della figlia che il cuore gli si strinse in una morsa dorata.

«Evan, caro! Ti stavamo aspettando tutti!» gli disse la padrona di casa, baciandolo su entrambe le guance con le labbra rosso scarlatto.

«Mi scusi, ma ho fatto un po’ tardi sul lavoro» si giustificò lui, osservando il nuovo taglio elegante che troneggiava sulla testa della signora: da quanto si ricordava, Celestine Lewis aveva il vizio di cambiare acconciatura una volta al mese, dato che si stancava facilmente di tutto. Tranne del marito, ovviamente.

«Oh, che motivazione inflazionata! Anche mia figlia la usa di continuo… voi giovani, sempre impegnati!» rise la signora bionda, chiudendo gli occhi azzurri sottolineati dalla linea scura dell’eye-linear. I due si diressero verso la sala da pranzo, da dove provenivano un profumo di arrosto delizioso e delle voci allegre.

«Prego Evan, siediti pure di fianco a Reila» lo diresse Celestine, senza smettere di sorridere.

Il ragazzo diede un bacio e un saluto ai propri nonni e al signore Ector Lewis, seduto a capotavola, e poi si sedette di fianco alla bionda senza degnarla di uno sguardo.

Ogni anno, i Lewis invitavano a cena i signori Williams coi quali avevano un’amicizia che durava da decenni, e che ogni volta, puntualmente, si portavano dietro Evan. Così per una sera, lui e Reila dovevano fare finta di mettere da parte i loro rancori e mangiare alla stessa tavola come vecchi amici.

«Allora» esordì Ector «come procede il lavoro Evan? Hai un ristorante se non sbaglio»

Evan deglutì a stento: il signor Lewis era parecchio rigido e considerava una persona in base al successo che stava avendo o aveva avuto in vita. Insomma, doveva fare assolutamente bella figura per non essere calciato fuori dalla finestra.

«…Tutto bene. Gli affari sono molto proficui… s-stiamo pensando di allargarci anche altrove» rispose agitato, inserendo qualche piccola bugia qua e là.

Ector annuì compiaciuto: era andata bene!

«Siamo molto orgogliosi di nostro nipote» intervenne il signor Williams, bonario e lieto come sempre «Ha seguito il suo sogno ed è arrivato lontano!»

I nonni di Evan lo consideravano come un figlio.

Quando lui era ancora piccolo, appena potevano lo portavano via dalla madre e lo ospitavano a casa loro per un po’, fino a quando la madre non si accorgeva della sua assenza: a volte passavano ore, altre addirittura giornate.

Lo aiutavano nello studio e nella vita, lo coinvolgevano nei loro ricevimenti e lo trascinavano in vacanza con loro: facevano di tutto per non farlo essere triste ed Evan era molto grato loro per questo affetto incondizionato.

«Oh, anche noi siamo fieri della nostra Reila! È la punta di diamante di un’azienda pubblicitaria molto importante e…»

Mentre Celestine continuava a lodare la sua discendenza, Evan guardò di sfuggita Reila: stava mangiando silenziosa e composta, senza una virgola fuori posto, come se fosse tranquillissima e a suo agio.

In un istante gli occhi nocciola di lei incontrarono i suoi, che si scostarono subito.

Evan sperò che lei non si fosse accorta che la stava fissando e pregò che gli altri non si rendessero conto di quel profondo imbarazzo che le aveva letto nell’espressione.

Tornò ad ascoltare la conversazione, che nel frattempo era stata deviata sul giardinaggio.

 

«Oh, quanto vorrei diventare nonna anche io! Da tanto tempo mancano le risate infantili e lo scalpiccio di piccoli  piedini in questa casa!» esclamò rammaricata Celestine, servendo il dolce a ciascuno «Chissà quando Reila ci vorrà fare questo regalo!»

«Mamma…» borbottò innervosita la ragazza, completamente simile a un pomodoro.

«Sono sicura che una bella ragazza come lei abbia schiere di pretendenti!» disse la signora Williams credendo di aiutare Reila, mentre invece aveva solo peggiorato le cose.

«Si sbaglia, signora! Mia figlia ha avuto pochissime storie e al momento non mi risulta abbia nessuno! Purtroppo è così…»

«Ma come? Alla sua età, ai miei tempi, io avevo già avuto due figli!» esclamò esterrefatta la signora.

«Gliel’ho detto, mia figlia è troppo imbranata…!»

«MAMMA!» urlò indignata Reila, mentre Evan scoppiava a ridere.

«Tu invece Evan…? Hai la fidanzata?» chiese maliziosa Celestine.

«Eh?» si bloccò lui all’istante. Guardò titubante Reila, che osservava fisso nel suo piatto sempre più rossa. Apple… o meglio Reila, non sapeva di Emy. Avrebbe pensato al tradimento? Oh, ma che gli importava!

In fondo non avevano fatto nulla di che. Solo un bacio innocuo, e anche un po’ troppo casto.

Evan si schiarì la voce «Sì, sto con una ragazza da un anno» ammise alla fine.

Celestine esultò sincera «Ecco! Vedi Reila, prendi esempio da Evan!»

Il moro si voltò verso Reila e si pietrificò.

Lei lo guardava sorridente, genuinamente interessata e felice per lui.

Tutto si sarebbe aspettato, tranne una reazione del genere. Le aveva appena rivelato di aver fatto parte di un “tradimento” e lei sorrideva contenta per lui.

Era davvero stupida!

«Non sapevo questo, Evan. È una cosa molto bella amare qualcuno, vero?» domandò la bionda incuriosita.

«S-sì» balbettò lui, senza sapere come reagire. Sentiva solo la solita avversione verso la stupidità di quella lì crescere, come ogni volta che la vedeva.

«Certo che è strano, ragazzi» commento Ector.

I due lo guardarono stupiti «Che cosa?»

«Ah, anche noi l’abbiamo notato stupefatti!» intervenne il signor Williams.

«Ora che ci penso… da quando riuscite a stare nella stessa stanza senza lamentarvi? Siete anche seduti vicini!» chiese Celestine.

Reila ed Evan si guardarono sbalorditi.

«Vero. Ogni volta finivate per litigare…» precisò Ector.

I due ragazzi si osservarono in silenzio, mentre la loro pelle si colorava di imbarazzo.

«È forse successo qualcosa?» domandò la signora Williams preoccupata.

«Eeeeeeh?! No, assolutamente! Sarà la stanchezza…!» si giustificò prontamente Reila, mentre Evan la osservava ancora senza riuscire a spiccicare una parola.    

~

Nel viaggio in macchina di ritorno Evan e Reila rimasero in un silenzio tombale.

Reila ripensava continuamente alle parole di sua madre.

        Da quand’è che riusciamo a stare vicini? Da quando le sue parole sono in grado di rallegrarmi o di… ferirmi?

Mentre pensava a ciò, guardava il cielo di novembre farsi sempre più nuvoloso: le stelle sparivano piano, una a una, tentando invano di vincere le nuvole grigie.

Non trovo risposta. Forse semplicemente non c’è, per i moti del cuore.

Ma io davvero voglio avvicinarmi ad Evan?

Lo scrutò attentamente mentre guidava con lo sguardo azzurro perso sulla strada: magari anche lui stava pensando alle stesse cose.

Tornare indietro è impossibile, non riesco più a vederlo come nemico e… non voglio perderlo. Rimanere soli è… orribile.

Io voglio conoscerlo.

Ora nutro il desiderio di conoscere questa persona… vorrei davvero riuscire a far parte della sua vita.

Reila chiuse gli occhi, cullata dal rombo monofonico del motore.

Vorrei sapere cosa pensa di questa assurda situazione. Mi piacerebbe sapere se in casa ha ancora cibo e se il lavoro va bene. Sono curiosa di conoscere la sua ragazza, i suoi amici, e il suo carattere.

È la prima volta che penso a lui così… non voglio perderlo, in nessun caso.

Ma se l’unico modo per non perderlo è essergli di nuovo nemica… non ci riuscirei mai: l’affetto che ancora provo per quel lato di lui che è Maverick è più forte di me.

Aprì le palpebre.

Nevicava.

Guardò con gli occhi sbarrati i fiocchi di neve, il paesaggio in bianco e nero che stava coprendo. Ne seguiva la discesa confusa, il loro sparire sull’asfalto grigio.

Si trovò scioccamente a riflettere su come la vita dei fiocchi di neve fosse breve e destinata a essere inghiottita in mezzo a altri miliardi di fiocchi.

Non riesco a non pensare che non voglio perderlo. Di sicuro… finora è successo tutto per questo. Per mio puro egoismo.

La macchina si fermò sotto le loro case, ma nessuno dei due scese: Reila rimase avvolta nel proprio cappotto, sprofondata nel calore morbido del sedile; Evan tolse le mani dal volante e se le portò sulle gambe, chiuse in un pugno.

All’improvviso il suo cellulare squillò: lui lo strinse in mano e dopo aver studiato arrabbiato lo schermo lampeggiante bloccò la chiamata, premendo il tasto rosso.

Prese un respiro profondo ed alzò il viso con decisione «Senti, Reila. Non so che cosa tu abbia creduto...» si interruppe «…e non so nemmeno cosa tu abbia capito. Ma non riusciremo mai a diventare amici. Almeno non così facilmente»

«Eh?» fu l'unica cosa che la bionda fu in grado di dire.

«Se mi sono comportato così gentilmente con te è perché quando ti guardavo io vedevo Apple, non Reila: io aiutato la ragazza che ho conosciuto su Internet, sia chiaro. La storia delle chiavi mi ha riportato alla realtà, e mi ha fatto capire che chi avevo davanti non era altro che te: una stupida sconclusionata»

«...ma davvero pensi questo di me? Sul serio... mi ritieni una stupida?» chiese Reila, rattristata «Eppure, ero io quella con cui hai passato quei due giorni, non Apple»

«Allora potevi anche evitare di mentirmi! Si può sapere perché l'hai fatto?»

«Io… non lo so. Però non riesco a essere forte come te. Non riesco a pensare di arrabbiarmi di nuovo con te... le tue parole mi fanno un effetto diverso, ora che so che sei Maverick: quando mi dici che sono scema, non mi arrabbio più. Mi rattristo»

Lui sorrise, amareggiato «Non è così facile neanche per me. Spesso mi sono ritrovato a chiedermi cosa stessi facendo con te... ma mi rispondevo che eri Apple e...»

«Anche per me vale lo stesso, non sai quanto. Ma non riuscirei mai a... » si interruppe, decidendo di non mostrare completamente i suoi pensieri «Evan. A te va davvero bene tornare come prima? E se... ricominciassimo? »

«Cosa vuoi dire? »

«Se mettessimo da parte l'orgoglio, tutti i litigi... se diventassimo amici»

«Reila, ti ho già detto che è... »

«Piano piano. Ci sforzeremo di essere amici, o quanto meno di non sbranarci più» insistette la bionda.

«Non lo so»

«Qualcosa è cambiato, Evan, e anche noi dobbiamo cambiare. Non fa niente se alla fine... ma chi è che continua a chiamarti?!» domandò lei alla fine, irritata dal continuo suonare del cellulare di Evan.

«Non ti interessa!» le urlò lui improvvisamente scontroso, mentre chiudeva l’ennesima chiamata. Reila si fece piccola piccola e un profondo dispiacere le si dipinse sul viso.

 «… uffa, e va bene, scusa» si arrese lui alla fine.

«Eh?»

«Va... va bene. Proviamoci, se per te è così importante»

«Dici davvero?» chiese Reila, incredula. Davvero… la stava accettando?

«SI!!» esclamò lui, tra l’imbarazzo e il nervosismo «Ora vattene sennò…»

Reila però non si mosse ancora. Lo guardò seria e scandì bene le parole «È una promessa?»

Evan esitò un attimo «Sì, è una promessa. Vattene ora»

«Ok!» esplose lei, gioiosa «allora a domani!» lo salutò allontanandosi.

Evan la osservò correre sotto la neve, entrare in casa, sparire dietro il portone, fino a quando le luci del suo appartamento non furono accese.

      Sarà davvero la cosa giusta da fare? Mi sono arreso senza fare tante storie.

Ma anche io, come lei, non riesco più a odiarla completamente: un lato di lei è Apple, la mia Apple!

Ora nutro il desiderio di conoscere questa persona… vorrei riuscire a far parte della sua vita, riuscendo piano piano ad apprezzarla.

È terribilmente stupida. Sacrificherebbe se stessa per gli altri in cambio di nulla, non ha il minimo senso dell’orgoglio e si preoccupa sempre per niente. È testarda, si impiccia di affari che non la riguardano.

Per venti anni siamo andati avanti a litigate ogni giorno.

Ma sono sempre vent’anni e sono sempre discorsi: che sia un rapporto anche il nostro, dopotutto?

Non so, ma penso che sarà difficile… Merda, ho ceduto senza pensare!

~

«Reila! Cosa ci fai ancora in ufficio? Tutti se ne sono andati da un pezzo!»

Reila fece un notevole salto, spaventata dalla voce improvvisa di Alex «Ah… stavo sistemando le ultime cose per la presentazione di domani! Stavo andando via proprio ora» rispose lei, cercando di rimanere tranquilla.

 «Vedo… abiti lontano da qui?»

Reila si soffermò un attimo ad osservare il ragazzo che, la fissava appoggiato allo stipite della porta del suo ufficio. Si sentì arrossire leggermente «No… è poco più di mezz’ora a piedi»

«Quindi non usi la macchina?» continuò Alex.

«Non sempre…» rispose la bionda, sentendosi sempre più imbarazzata «Essendo nata in un paesino piccolo sono abituata a camminare»

«Ah, che bello» disse lui, senza troppo entusiasmo. «E dimmi… sei innamorata di qualcuno?» chiese alla fine, diretto. Alex odiava i giri di parole e gli eufemismi, meglio andare subito al sodo per risparmiarsi inutile sofferenze.

«CHE?» urlò Reila, sconvolta. Aveva cercato di essere tranquilla, ma a una domanda del genere non riusciva a trattenersi.

Alex la squadrò spazientito, così Reila tirò un lungo sospiro per calmarsi e, abbassando gli occhi, rispose «No… ora non ho più nessuno» Lui la guardò sorpreso. Sembrava quasi una confessione «Ora… sono sola»

Un silenzio innaturale scesa tra i due.

Appena la ragazza si rese conta delle sue parole cominciò ad arrossire violentemente e giocherellare imbarazzata con un lembo della giacca «Ah! Mi scusi… no, scusami! Non dovevo…»

«Allora che ne diresti di uscire con me?» buttò fuori lui tutto d’un fiato.

«Eh?»

«Sarebbe sconveniente che un superiore portasse a cena una dipendente?» ripeté lui.

«Eh… no… non credo!» esclamò lei, confusa ed emozionata.

Alex sorrise soddisfatto «Bene. Allora andiamo a cena fuori insieme!» disse e correndo la prese per mano, mentre la conduceva fuori dall’ufficio.

 

 

 

 

 

 

 

Note totalmente inutili

Cavolicchio o_o 12 recensioni, 39 preferiti!! Santo cielo, spero di non dover deludere tutte queste persone!! ç___ç

C’è chi ama Alex mah XD io personalmente lo odio, ma forse perché SO. Vedremo, è un personaggio molto complesso, ossessionato dalle apparenze perfette e dall’essere superiore a tutti… ehehehe.

C’è chi ha buon gusto in fatto di musica *_* o meglio, c’è chi ha i miei stessi gusti, che non so se definire belli XD Reila è una canzone stupenda, sapendo poi la storia tristissima che c’è dietro… ç__ç oh Ruki, certe fan non sono definibili se non come animali v_v Praticamente, riassumendo in 2 parole: la canzone “Reila” è dedicata alla defunta fidanzata del cantante del gruppo, morta suicida per i continui maltrattamenti e persecuzioni da parte delle “fan” che la accusavano di non essere all’altezza di lui… sigh. Leggete il testo tradotto: è poesia.

C’è chi non conosce la dama da bereSacrilegio!!! XD scherzo. In teoria vendono proprio il gioco apposta, ma si può fare benissimo artigianalmente: prendi un campo da dama, al posto delle pedine dei bicchierini (piccoli, non voglio coma etilici sulla coscienza XD) e al posto dei colori ci sono i tipi di alcol :) che ne so, vodka contro rum. Chi mangia la pedina avversaria beve! C’è anche la roulette, ma non ho mai capito bene la dinamica XD principio applicabile anche al poker *_*

C’è chi ritiene il cambiamento di Reila ed Evan improvviso: Se ci avete fatto caso, è Evan che comincia i discorsi. È lui che rivolge la parola a Reila, e sempre lui che la invita a casa sua. Reila si limita a subire: non è che non le importi, ma semplicemente… lo saprete più avanti. Evan invece s’è spiegato in questo capitolo, e spero che ora sia abbastanza chiaro ^_^

C’è chi si chiede perché Reila non abbia bruciato le chiavi nell’acido e perché non abbia reagito ad Evan: Bè… non sapeva che fare. Non sapeva neanche perché ha nascosto di poter tornare a casa. Io lo so, lei lo saprà, e anche voi lo saprete. Aspettate.

C’è chi domanda perché Evan se l’è presa! Lui ha una pessima reputazione di Reila, credo sia chiaro. Si è arrabbiato perché ha creduto che lei lo considerasse uno scemo, da poter prendere in giro così. Insomma, è molto permaloso XD

C’è chi crede che Reila l’abbia fatto perché è innamorata di Evan o_o niente di più erroneo. Reila non ama assolutamente Evan ed Evan non assolutamente Reila. Come detto sopra, saprete più avanti la spiegazione (che sarà legata alla psicologia di Reila XD) E prima che qualcuno fraintenda in qualche modo il sorriso di Reila nel sapere che Evan ha una ragazza… non c’è nessun “doppio senso”: anche questo lo saprete più avanti!

C’è chi mi fa i complimenti, mi dice di essersi innamorata di questa storia…Io non merito tanto ç//////ç sono così felice che piaccia, ma davvero non ho tutto questo talento XD sono tre frasi messe insieme con una trama inconsistente. Io ringrazio davvero tutti, di cuore.

Spero comunque che possa continuare a piacere, a essere così tanto commentata e preferita!!

Scusate se aggiorno non molto spesso, ma la scuola, gli amici, la famiglia… x_x muoio!!

A proposito :) dichiaro festa nazionale per chi come me non ha nemmeno un’insufficienza sulla pagella *O*

 

 “…Evan” “sì?” “tuo padre… se n’è andato quando avevi 5 anni, giusto?”

Alla prossima!! ^_____^

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5- Alex ***


 

Capitolo 5-  Alex  

 

N

elle storie d’amore succedono sempre cose belle.

Nelle storie d’amore per quanto un personaggio possa incontrare difficoltà, avrà sempre accanto qualcuno in grado di farlo stare meglio.

Ci sono due persone che si amano incondizionatamente fin dal primo sguardo, che insieme riescono sempre a superare le avversità. E se anche le cose non vanno sempre bene, la dolcezza pervade anche i gesti più abbietti.

Anche i “cattivi” hanno sentimenti e la loro colpa spesso è solo quella di essere impulsivi ed egoisti. Comunque, amano anche loro: anche un loro bacio è dolce e profondo come il mare.

Tutti si rendono conto pienamente dei loro sentimenti e soffrono e fanno di tutto per realizzare i loro desideri, ma c’è sempre umanità nei gesti di ognuno.

Reila era fondamentalmente una sognatrice.

Sapeva che la realtà era ben lontana delle storie narrate al cinema, nei romanzi e nelle canzoni, che quelle frasi splendide e quei gesti di passione da copione erano puramente idealistici.

Ma era convinta che gli uomini innamorati agissero, in un certo senso, tutti così: offrendo verità, corpo, anima e cervello, amore. Solamente amore.

Perché, per quanto un uomo possa essere cattivo, era convinta che l’amore potesse cambiarlo.

Per 26 anni, con due storie infelici alle spalle, era stata convinta di questo.

E ora si trovava accovacciata sul proprio letto, stretta al proprio corpo, incapace anche di piangere.

Si muoveva leggermente e senza sosta ondeggiando, nascondendo la testa tra le braccia, tremando ancora per quella sensazione di impotenza che aveva provato poche ore prima.

Era uscita con Alex, l’aveva portata a cena in un ristorante carino e molto buono: era stato piacevole, avevano riso e parlato a lungo.

Si era offerto di riportarla a casa e lei aveva accettato. Durante il viaggio l’uomo aveva guidato con una mano sola, tenendo l’altra posata sulla coscia di Reila, che non aveva il coraggio di scostarla nonostante le desse fastidio.

Quando si erano fermati sotto casa sua, Alex aveva cominciato a muovere più audacemente quella mano, cominciando a spaventare sinceramente Reila.

Si era avvicinato a lei e le aveva fatto ben intendere che la stava per baciare; Reila aveva cercato di allontanarsi ma lui era stato più forte e veloce e riuscì a vincere.

E fu il bacio più brutto che Reila avesse mai ricevuto nella sua vita: ancora prima che le loro labbra si fossero toccate, Alex aveva tirato fuori la lingua e con violenza aveva trovato quella della ragazza. Mentre lei cercava di chiudere la bocca e di allontanarlo con le mani, sentiva il sapore umido e dolciastro del bacio farle venire la nausea, i denti di Alex che le circondavano le labbra e la sua forza che era troppo superiore.

Si era sentita morire in quel bacio, ma non era la morte dolce e la rinascita che si associano solitamente a questa frase.

Era la morte del cuore, del proprio orgoglio.

Non c’era stata nessuna implicazione in quel gesto, quel bacio era stato vuoto: né amore, né affetto, né sentimenti. Solo foga, prepotenza e… il nulla.

Il vuoto totale nel cuore e negli occhi.

Alex si era allontanato sorridendo «Ora… posso dire che stiamo assieme?» aveva detto, convinto che anche Reila avesse voluto ciò.

Aveva preso il suo silenzio come un sì e le aveva aperto la portiera dell’auto , facendola scendere.

E Reila ora si trovava accovacciata sul proprio letto, stretta al proprio corpo, incapace anche di piangere. Era stato solo un bacio, ma per una romantica come lei valeva più di ogni altra cosa.

Se era stato capace di trattarla così, a cosa sarebbe potuto arrivare?

Non sarebbe mai riuscita a contrastarlo: era troppo forte, e lei era una stupida.

Strinse a sé le ginocchia e l’oppressione che sentiva al petto le fece tremare tutto il corpo: era sola, da quando Maverick se n’era andato.

Era di nuovo sola.

                 Per quanto ancora sarebbe riuscita a regger tutto questo?

Ancora una volta…

~

«Prego signore!» sorrise cordialmente Reila, mentre porgeva il pacchetto a un potenziale ottuagenario magro, bianco e tremante.

«Grazie Reila per aver accettato di aiutarmi!» disse Selene, sprofondando nella poltrona nera dietro la cassa.

«Non devi ringraziarmi, Selly! Lo sai che mi piace aiutarti in negozio!»

Selene aveva una piccola libreria in centro, di quelle con gli scaffali di legno a tutta parete pieni zeppi di libri in parte ordinati, in parte nel caos più assoluto, e con il tipico odore vinilico di carta stampata e rilegata.

A Reila piaceva un mondo aiutare l’amica quando poteva: amava stare a contatto con la gente e l’atmosfera un po’ antiquata ma cordiale che si respirava nel negozio la rilassava.

Appena si sedette di fianco alla mora per riposarsi, la porta si aprì tintinnando; la ragazza si girò sorridendo verso il nuovo cliente «Buongi-» ma non riuscì a finire perché rimase di sasso.

«Mi stai pedinando per caso?» chiese scettica.

«Ma tu che cazzo ci fai qua?!» domandò Evan, ignorando completamente la sua domanda.

«Do una mano a Selene!»

«Selene? Quella Selene?» disse Evan stupito.

Selene si alzò in piedi, anche lei sorpresa di ritrovarsi davanti al suo vecchio compagno di liceo. «Ehi.. quanto tempo…» spiccicò cordiale.

«Eh già» rispose Evan freddo, senza volerlo.

«S-sei qui per un libro?» chiede Reila, tentando di ammorbidire l’atmosfera.

Evan la guardò contrariato «E secondo te per cosa? È una libreria, no?!»

«Eh? Ah, sì. È vero!...» sussurrò lei, con dipinta sul viso un’espressione ebete.

«… comunque. Sto cercando questo libro» disse lui, porgendo un foglietto scritto a mano a Selene che annuì ricordandosi perfettamente dove fosse.

Andò a prenderlo in magazzino, lasciando i due da soli.

«A-allora, come stai?» chiese la bionda, imbarazzata.

«Mh? Bene…» rispose lui gelido, mettendo fine ad ogni tentativo di conversazione.

«Ah…» balbettò Reila, mascherando la delusione con un sorriso stupido «S-senti, quel libro è un regalo per Emy?» riprovò.

«No, è per mio nonno»

«Ah…»

Evan scosse la testa, coprendosi gli occhi con una mano «Scusa, dovrei essere più gentile…»

«Cosa? No no, non è facile, me ne rendo conto, ma non è colpa tua!» esclamò lei tutta d’un fiato.

Evan sorrise con un tono leggermente strafottente.

«Eccolo» disse Selene, tornando con in mano il libro; lo batté sulla cassa e lo porse ad Evan «Grazie mille»

Mentre lui si allontanava, la mora si rivolse scandalizzata verso Reila «E quello cos’era?!»

«Cos’era… cosa?» domandò l’altra confusa.

«Quello!!! Da quando non vi sbranate più…?! Da quando riuscita a parlare civilmente?!»

«…bè… dalla storia di Maverick ed Apple» rispose lei, distratta.

«Cacchio, sembrate quasi amici»

«DAVVERO?» esclamò Reila entusiasta «Davvero sembriamo amici?» chiese alla fine, con gli occhi luccicanti di speranza.

«S-sì…»

Reila sorrise dolcemente, portandosi entrambe le mani al viso «Che bello…»

~

Alex la cinse con un braccio attorno alla vita, fasciata dal vestito rosa, e la avvicinò «Sei bellissima stasera, Reila» le sussurrò dolcemente.

La ragazza si scostò a disagio, ricordando la paura che le aveva messo qualche sera prima.

In realtà lei non avrebbe mai voluto accettare quell’invito a uscire ma Selene, ignara di quello che era successo, aveva insistito per farla andare: l’aveva messa in ghingheri e sbattuta fuori dalla porta con un sorriso incoraggiante.

Reila non aveva avuto il cuore e il coraggio di confidarsi con lei: le sembrava stupido agitarsi e spaventarsi per un bacio costretto e non voleva farla preoccupare inutilmente.

Lei era fondamentalmente una sognatrice. Cercava sempre qualcosa di più in quello che gli altri le offrivano, ma al tempo stesso non voleva mettere loro pressione.

E cosa sarebbe stata disposta a fare pur di non rimanere sola?

         Di nuovo sola, ancora una volta, in quella stanza bianca piena di giocattoli smessi e impolverati.

Alex era un’opportunità.

La violenza di quel bacio era stata un caso. Lui le faceva complimenti e la portava sottobraccio.

Aveva una voce screziata, un po’ rude forse, ma piena di espressività; e gli occhi erano chiari, leggermente spenti. Guardavano avanti a loro con sprezzo, come se niente del mondo fosse alla loro altezza.

Anche su di lei si posavano così, qualche volta, ma per la maggior parte del tempo non la guardavano neanche.

«Dove mi stai portando?» chiese a un certo punto lei, trattenendo i tremori.

«In un locale molto carino! Vedrai…»

Sì, ce l’avrebbe fatta ad apprezzarlo.

Doveva farlo, o sarebbe ritornato tutto come 13 anni prima. Se lo sentiva nelle ossa.

~

Alex e Reila si sedettero al bancone e lui ordinò un Blue Ice per entrambi.

«Ah, Reila. Volevo dirti che tra un’ora devo già andare» buttò lì lui, freddo, disorientando la ragazza.

«Cosa? Ma…»

«Domani mattina alle 4 devo partire per un viaggio di lavoro, non posso stare qui a lungo» ribadì guardandola con ovvietà.

«Ah… ok…» balbettò Reila, sentendosi leggermente delusa.

«Ecco i vostri cocktail…» intervenne il barman, dalla voce che Reila riconobbe subito: si girò di scatto e si trovò davanti ancora una volta Evan.

Lei scoppiò a ridere mentre lui si appoggiava al bancone sconcertato «Dovremmo smettere di incontrarci in questo modo…»

«Già! Non è che mi stai seguendo?» rispose la bionda, senza smettere di ridere.

«Eh? Semmai sei tu quella che pedina!»

Alex tossì, innervosito «Reila, non è che ci presenteresti?» le chiese con una vena di ostilità nella voce.

«Ah! Sì, scusate… Evan, lui è Alex il mio…mmm… ragazzo…?»

«…fidanzato» precisò lui, tendendo la mano.

«S-sì… Alex lui è Evan, un mio… ehm…»

«…amico» la aiutò Evan, rispondendo alla stretta di mano.

Si guardarono in cagnesco per un po’, senza sapere bene il perché, mentre Reila non sapeva che dire: era una situazione parecchio imbarazzante.

«Non devi tornare a servire, Evan?» disse Alex astioso, all’improvviso.

Evan si pulì le mani nel grembiule ed annuì, salutando con un cenno Reila che gli sorrise disperata.

«Come fai a conoscerlo?» le domandò Alex gelido, sorseggiando il cocktail.

«E-ecco, eravamo compagni di scuola… e ci siamo trovati vicini di casa» forse era meglio estromettere il particolare che per un certo periodo sono anche stati amanti inconsapevoli.

Alex annuì e finì di bere in silenzio, mentre Reila dondolava le gambe avanti e indietro senza sapere cosa fare.

«Vado. Ti telefono io» disse lui, alzandosi.

Reila annuì, mentre lui si chinava per baciarla; ma, proprio mentre le sue labbra si premettere su di lei, la bionda si spostò, facendogli baciare la fronte.

Alex esitò un attimo e si allontanò senza dire altro, mentre Reila frenava le lacrime.

«Stai bene?»

Reila si voltò verso Evan, che da dietro il bancone la scrutava serio mentre puliva un bicchiere.

Lei annuì triste e cambiò discorso «E così è questo il tuo locale? Me lo immaginavo proprio così! Ma tu non avevi il turno di giorno…?»

«Sì, ma il sabato sera rimango sempre fino a una certa ora. Tra dieci minuti ho finito, però»

«Ah… e dopo torni a casa?»

«Sì. Vieni con me?»

«S-sì…»

«Va bene. Aspettami qui, torno subito»

Reila annuì, finalmente tranquilla.

Evan si stava visibilmente impegnando per esserle amico e ne era davvero contenta.

Sarebbe tutto più facile se Evan…

~

Camminarono fino a casa in silenzio, con poche parole e sorrisi d’imbarazzo.

«Senti, a casa mia ci sono ancora alcune tue cose» disse Evan quando giunsero sotto i loro appartamenti «Vieni a prenderle ora o passi un altro giorno?»

«Ah… va bene. Le prendo ora» rispose Reila tesa come una corda di violino.

 

«Ecco questa è l’ultima cosa» disse Evan, porgendo a Reila un paio di orecchini rotondi decorati con dei piccoli brillantini.

«G-grazie» balbettò la bionda.

Era tutta colpa di quello stupido pensiero se ora non riusciva a essere naturale con lui.

              Se solo Evan fosse…

Non voleva neanche ricordarlo. Scosse la testa per scacciare quella idea idiota e si avviò verso la porta, quando il cellulare di Evan, appoggiato sul tavolino vicino all’entrata cominciò a vibrare.

Reila lo osservò per un attimo, leggermente sorpresa, mentre sullo schermo lampeggiante si ripeteva la parola “papà”.

Deglutì rumorosamente, ben sapendo a cosa stava per andare incontro.

«Evan» cominciò titubante.

«Sì?» chiese il moro, stupito che la ragazza fosse ancora lì.

«Tuo padre… se n’è andato quando avevi cinque anni giusto?»

SBAM!

Evan batté con violenza la mano sul tavolino di fianco a Reila e prese il cellulare, interrompendo la chiamata.

La guardò con astio, mentre lei cercava le parole giuste per rispondere a una reazione così inaspettata e dura.

«…Perché…? Perché ti stava chiamando? Da quando…» chiese Reila, Conoscendo bene la situazione di Evan.

«Non sono affari tuoi! Non ti interessa!!» le urlò lui irato, facendola indietreggiare «Vattene»

«No!» ribatté lei senza la minima paura, avvicinandosi al ragazzo «Sono testarda e lo sai. Non me ne vado finchè non mi dice che succede»

Evan la osservò pensieroso per qualche istante.

Voleva davvero mostrare a Reila quella sua ferita, che ancora non era guarita?

Lei era pur sempre Reila… chinò la testa e sospirò «Bè...? Sì è mio padre. Vuole riallacciare i rapporti col suo povero e misero figlio. Contenta ora?» disse freddo.

Reila si portò una mano alla bocca, sconvolta «Evan, ma tu…»

Il moro digrignò i denti e sbatté di nuovo la mano, serrata in un pugno «Non ho la minima intenzione di stare a sentire né te né lui. Per cui…»

Si interruppe, notando l’espressione triste dipinta sul volto della bionda: sentì il cuore accartocciarsi su se stesso e represse la voglia stupida che gli era venuta di abbracciarla e…

Reila annuì, capendo che Evan voleva stare solo «Buonanotte, Evan».

Chiuse di corsa la porta e scese con fretta le scale, fino a giungere in strada.

Osservò il cielo invernale stellato e respirò profondamente, mentre una decisione le si delineava prepotente nella mente.

L’avrebbe aiutato.

L’avrebbe salvato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note totalmente inutili

Alex è un bastardo, sisi. Reila non riusciva proprio a reagire contro di lui… e ora ha una paura folle di lui.

Grazie a tutti quelli che leggeranno e non rideranno.

Ah, a chi indovina per primo la canzone da cui sono tratte delle frasi nelle prime righe, dedicherò il prossimo capitolo XD (mamma mia, che regalone).

 

Per il resto non c’è granché da dire. Sono attualmente in fissa con gli Skid Row (Aaaaah… Sebastian Bach, fammi tua ç____________ç). A dire il vero, ero in fissa con loro qualche anno fa, ora li ho riscoperti <3

Non so quanto vi possa fregare ma li ascolto 20 ore su 24 (4 di sonno concedetemele).

Per chi non li conosce (male, perché sono bravini eh è_é E poi Bach vale la pena! Guardate il live di I remember you +__+ io me lo sono sognato di notte! E sì, era un sogno sconcio XD) sentitevi I remember you (e I remember you two) e Monkey Business. Non potete vivere senza aver ascoltato quest’ultima canzone.

Cioè, mi gasa troppo!! Monkey business yeaaaaah!!!!

 

E poi, grazie alle 50 anime pie che hanno preferito e ai 13 che hanno recensito *///* sono così felice!! Sono felice che Alex sia cominciato già a non piacere, vuol dire che sono riuscita dove volevo. E poi… la questione Emy.

Non è che ad Evan non piaccia, però… dai, in fondo anche Evan è un ragazzo e il cervello non sempre ce l’ha nella testa (ma in qualche altra parte XD). Come ci ha fatto notare la mia Black Lolita, è comunque serio da quel punto di vista: odiando le ragazze oche/facili finisce sempre in storie serie.

Sta con Emy, ma quando aveva conosciuto Apple aveva in mente che se la cosa fosse andata in porto, l’avrebbe lasciata. Come ben sapete non è andata esattamente così XD Quindi sta ancora con lei. Non gli piace rimanere a bocca asciutta, direi.

Però non è che ogni buco sia galleria.

Vabbè.

Emy è una poverina. Più avanti darà non pochi problemi ai nostri amici… eh già. ç_ç piango per lei.

Comunque, continuate a farvi sentire così numerosi ed entusiasti *__* è molto appagante e stimolante XD Pensate che addirittura il giorno dopo il precedente capitolo, stavo già scrivendo le prime righe *__*

…oddio, mi tornano in mente momenti poco piacevoli.

Comunque, il succo è: commentate!!!

 

“Ehi Alex… ma quella è Reila?” “Sì.” “Da quando ti tratta così? Era veramente preoccupata” “è… complicato”.

Alla prossima!!

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- I swear you never be lonely ***


Capitolo 6- I swear you never be lonely

 

Come promesso, capitolo dedicato a Valentina78!!! Brava *_*

E

van era sempre stato un bambino particolare.

Non aveva amici particolarmente fidati con cui crescere assieme, ma era sempre attorniato da molti bambini attirati dal suo fascino strano.

A scuola non era mai stato isolato: rideva e giocava con tutti, tranne che con quell’unica bambina bionda che sorrideva sempre.

Tornava a casa correndo attraverso i prati verdi smeraldo che gli parevano immensi, assorbendo il più possibile il calore del sole al tramonto.

Ma, da quando riusciva a ricordare, appena entrava in casa quest’equilibrio si annullava totalmente.

Quante volte aveva aperto la porta con quelle sue manine tremanti, sperando di trovare una ricca cena gustosa, salutando con gioia la madre.

E quante volte aveva trovato la casa completamente vuota, occupata solo dall’eco del suo “Sono tornato, mamma!”…

 

Evan si rigirò nel letto, incapace di prendere sonno.

Buttò uno sguardo sulla sveglia che segnava le 4 e 30 del mattino, e poi sul cellulare: 1 nuovo messaggio.

Sospirando pesantemente tra i fruscii delle lenzuola si mise seduto e prese in mano il telefono, ben immaginando chi potesse essere il mittente.

“Ti prego, Evan. Fallo almeno per papà” citava l’sms mandato da suo fratello Erik.

A dire il vero lui ed Evan non erano propriamente fratelli, avevano in comune solo il padre.

Il ragazzo rimase in silenzio ad osservare il piccolo schermo scuro, troppo stanco per pensare.

Se Evan ripensava alla sua infanzia vedeva sua madre con un uomo diverso ogni settimana e suo padre felice con un altro bambino. Rammentava delle notti insonni passate rannicchiato in un angolo del letto, immerso nel buio e nei cigolii metallici continui del letto di sua madre e del suo nuovo compagno.

Si ricordava con precisione ogni pensiero che gli era passato per la mente in quei momenti e ogni volta riusciva a recuperare un dettaglio sempre più disgustoso.

Suo padre se n’era andato quando aveva cinque anni, senza preavviso o motivazioni: solamente, una mattina si era alzato e aveva fatto le valigie, assediato dalle domande disperate della moglie.

Kaleb Williams aveva semplicemente trovato un’altra donna, l’aveva messa incinta, e ora non poteva più vivere con persone che fingeva di amare. Così, con la valigia in mano, era passato davanti al figlio, uscendo dalla sua vita con carezza distratta sui capelli, ed era sparito dietro la porta.

Sua madre, Debra Williams, si era accasciata a terra avvolta in un vestito bianco largo e un poco sgualcito, con lo sguardo blu oltremare perso nel vuoto: occhi che Evan rivedeva spesso nei suoi sogni, occhi spalancati, tremanti, disperati. Occhi di chi aveva perso la ragione.

Evan era rimasto in piedi davanti alla donna, non capendo bene la situazione.

Aveva ripetuto “Papà deve partire? Andiamo in vacanza? Ma poi torna vero?” molte e molte volte.

Debra aveva digrignato i denti e aveva tirato uno schiaffo al suo bambino, facendolo cadere per terra. Si era alzata prepotente davanti a lui e l’aveva guardato con odio.

               È colpa tua se tuo padre se n’è andato. Non ti ama, non ti vuole.

    Perché sei un’esistenza inutile, incapace di comunicargli sentimenti di affetto.

È tutta colpa tua.

Gli aveva detto questo, con voce rotta ed irata.

Da allora Evan aveva visto il padre solo di nascosto, mentre giocava a pallone con un bambino più piccolo di lui. Rideva, lo incoraggiava, accarezzava il cane che correva scodinzolante.

Evan si nascondeva dietro degli alberi e lo osservava per un po’.

Poi tornava a casa, trovava seduto alla sua tavola uno sconosciuto che gli prometteva di portarlo a giocare al parco come un padre devoto, e che picchiava Debra perché aveva finito i soldi.

Lui si rannicchiava sotto le coperte, nel buio, chiuso nella sua piccola stanza e aspettava che le voci finissero.

Qualche volta i suoi nonni lo prendevano con loro per un po’, ed era sempre felice di andare via con loro. Però sua madre puntualmente tornava a prenderselo e lo riportava di nuovo in quella casa vuota.

Appena raggiunta la maturità Evan aveva lasciato sua madre e si era trasferito in città, vivendo di mille piccoli lavoretti che gli permettevano di arrivare a fine mese solo con qualche piccolo problema.

Piano piano era riuscito a mettere da parte un po’ di soldi e con un amico aveva aperto il locale.

E ora… ora Kaleb Williams era venuto a cercarlo, e con lui suo “fratello”.

Perché voleva fargli da padre solo ora? Evan non riusciva proprio a capirlo.

Appoggiò il telefono sul comodino e si accucciò sotto le coperte, cercando di riflettere su qualcos’altro che gli mettesse buon umore.

Non fece in tempo a capire di stare pensando a Reila che cadde subito profondamente addormentato.

~

Erik Williams era un ragazzetto di 21 anni, coi capelli castani chiari chiari e gli occhi azzurri e grigi dal taglio particolare. Un po’ piccoletto forse, dalla pelle pallida e morbida: sembrava un bambino un po’ troppo cresciuto.

Ma non si deve lasciarsi ingannare dai sensi.

Erik era un uomo. Sicuro di sé, capace di dire “grazie” e “sì” sinceramente, determinato, fermamente convinto che una buona azione al giorno ti garantisce una vita felice.

La sua famiglia era composta da lui stesso e suo padre, Kaleb Williams, un tempo sposato con un’altra. Sua madre era morta qualche anno prima per probelmi di cuore. Erik Aveva pure un fratellastro, un tale Evan, ma l’aveva visto di sfuggita solo due volte.

E in quel momento, non sapeva come né perché, si trovava sotto casa del fratello in compagnia di una donna bionda dall’espressione un po’ tonta, che l’aveva chiamato affermando di volerlo aiutare a ricongiungere Kaleb ed Evan.

Erik lo faceva perché voleva davvero bene a suo padre e non sopportava di vederlo soffrire inutilmente.

Quella donna, Reila, l’aveva chiamato all’improvviso e gli aveva chiesto di trovarsi per parlare di quella storia. L’aveva portato sotto casa di Evan e ora stava davanti a lui in silenzio, sconvolta dalla rivelazione che le aveva appena fatto.

«E…Ed Evan non lo sa…?» chiese lei a un certo punto, con la voce sottile tremante.

Erik negò col capo e abbassò gli occhi: ormai era una realtà che aveva accettato e riusciva a non starci più così male, anche se il cuore mancava un battito ogni volta che ci pensava.

La ragazza annuì comprensiva «Io so che non ho il diritto di ficcare il naso nelle questioni della vostra famiglia, ma vorrei davvero aiutare Evan. Mi ricordo di come si arrabbiasse ogni volta che suo padre veniva nominato, e ricordo anche come fosse la situazione con sua madre. Io non ho mai voluto male ad Evan e per questo… vorrei che superasse questa cosa»

Erik la guardò ammirato e sorrise «Vuoi proprio bene ad Evan, vero?»

Reila balzò per la sorpresa ed arrossì violentemente «EEEH? N-no… cioè, sì, ma siamo amici! Non è che non gli voglia bene… ma siamo amici da poco, ecco»

Il ragazzo rise divertito. Era proprio una tipa strana «Bè, allora dici di salire e parlare faccia a faccia con mio fratello?» chiese alla fine, un po’ agitato.

«Sì. Secondo me è meglio sempre dire le cose in faccia subito» rispose lei prontamente, con decisione «Allora io vado. Fammi sapere, ti prego!»

«Certo» disse Erik, scorrendo con gli occhi nomi sul citofono in cerca di quello giusto.

«Ah… potresti evitare di parlare di me ad Evan?» domandò lei, mentre si allontanava, con gli occhi luccicanti.

Mentre il ragazzo annuiva confuso la voce metallica di Evan uscì dal citofono.

«Evan? Sono Erik, tuo fratello»

~

Silenzio.

La totale assenza di alcun tipo di suono, a parte quello del traffico cittadino.

Evan giocherellava con l’orologio da polso, mentre sentiva crescere sempre di più l’imbarazzo che gli dava la visita improvvisa di Erik, che ora sedeva comodo davanti a lui.

Non erano mai stati così vicini.

A dire il vero non si erano mai neanche visti granchè.

Evan non aveva dubbi sul perché fosse lì, ma sentiva una strana sensazione di inferiorità che lo devastava.

A un certo punto il biondo si schiarì la voce e intrecciò le mani, prima posate sulle gambe.

«So bene che sai perché mi trovo qui, sono state spese molte parole sull’argomento»

Evan lo guardò con astio «Appunto. Sia a te che a papà ho detto più volte che non…»

«Almeno ascoltami» lo interruppe il fratello, fissandolo con gli occhi innocenti uguali ai suoi «Tu non sai nemmeno di cosa stai parlando»

«Cosa? Come pensi che debba reagire alla ricomparsa di un padre che per venti anni ha fatto finta che io non esistessi?!» urlò Evan furibondo. Era Erik che non sapeva di cosa stava parlando: lui aveva avuto un padre e una famiglia. Era lui che non poteva capirlo!

«Certo, comprendo la tua reazione. Ma non sai nemmeno il motivo…» rispose Erik calmo.

«Ah, c’è anche un motivo. Non è spontaneo…» sbottò il moro, sempre più arrabbiato.

«Papà sta per morire»

Silenzio.

Queste parole rimasero sospese nell’aria come se avessero un corpo e un peso.

«…cosa?» chiese Evan sconvolto, senza riuscire a comprendere bene il concetto.

«È ricoverato all’ospedale. Ha il cancro» disse d’un fiato il biondo.

Evan si guardò in giro disorientato, senza sapere cosa dire, senza sapere se dovesse dire qualcosa.

«Per questo vuole riabbracciarti. Non vuole rimpianti nella sua vita. Vuole sistemare tutti i suoi errori per andarsene con un sorriso»

«Papà… ha il cancro?» ripeté Evan per metabolizzare la scoperta.

Erik chinò il capo «Sì. Purtroppo è stato diagnosticato troppo tardi: ormai è all’ultimo stadio, ed è questione di pochi mesi…»

Evan si portò le mani al viso, mentre sentiva il proprio corpo stagnare in una sensazione di terribile impotenza.

Suo padre stava per morire.

Non poteva lasciar morire un uomo con rimpianti. Doveva, e voleva, fare in modo che se ne andasse contento.

«…Va bene» soffiò fuori, infine.

Erik lo guardò sbalordito «Portami da lui».

 ~

Le sette di sera.

Reila prese in mano il cellulare che la reclamava e rispose alla chiamata di Evan, tremante. Chissà com’era andata con suo padre…

«Pronto?» esordì titubante.

“Ciao Reila, sono Evan”

«Ah, ciao…»

“Volevo scusarmi per l’altro giorno. Sono stato antipatico, volevi solo aiutarmi…”

«No! Non preoccuparti…»

“Volevo anche dirti che ho deciso di dare a mio padre una seconda possibilità”

Reila sussultò per la sorpresa. «Davvero?! Oh Evan, ma è stupendo!» esultò felice.

“Grazie… ma dimmi, non è che con questa storia e con Erik centri un po’ tu?” buttò lì Evan, quasi sovrappensiero.

Beccata. «Eh?»

“Sul serio Reila, non devi mettere il naso in faccende che non ti riguardano. La mia vita la gestisco da solo” rispose lui, con tono leggermente freddo.

«Ma…» balbettò la bionda, che venne subito interrotta.

“Se vuoi interferire con la vita altrui trovati qualcun altro!”

Reila abbassò lo sguardo, ferita dal tono ostile del ragazzo. Eppure erano amici, ormai…

Rendendosi conto delle proprie parole per il silenzio della bionda, Evan si sentì in colpa. “Ah… no. Non così… non volevo” si scusò sincero.

Reila esitò un attimo su cosa dire.

«Ti sembra che tuo padre abbia preferito Erik a te, vero? Ma credo che tutti abbiano diritto a una seconda opportunità. Per quanto sia difficile, per quanto questo possa ferirci nell’orgoglio…»

Evan rimase un attimo senza parole. “…Sai, non sei poi così stupida come sembri”

Reila arrossì «Eh? G-grazie…?»

In quel momento il campanello di casa della ragazza suonò.

«Ah, questo dev’essere Alex… devo andare»

“… Va bene. Ciao”

Alex… non sapeva perché ma quel nome lo irritava parecchio.

Chiuse la telefonata premendo con rabbia il tasto rosso e osservò dalla finestra del proprio appartamento Reila scendere per strada e raggiungere l’uomo, che la aspettava vicino alla macchina.

C’era qualcosa di viscido in Alex, qualcosa che gli faceva prudere le mani.

Non era assolutamente giusto per Reila…

~

«Si può sapere che hai?» sbottò Alex irritato.

«Eh?» rispose sorpresa Reila, alzando il viso dal proprio piatto.

Il moro sbuffò «È tutta la sera che sei sovrappensiero e non parli. Cos’è successo di così drammatico?»

La ragazza chinò di nuovo la testa e non rispose.

La verità era che non riusciva a smettere di pensare ad Evan: come si sentiva per la storia con suo padre?

                                La mia vita la gestisco da solo

Quel “da solo” le stringeva il cuore in una profonda tristezza.

Evan riteneva davvero di essere solo? Avevano fatto la promessa di diventare amici…

All’improvviso scattò in piedi, facendo spaventare Alex.

«Ah… scusami, devo scappare» disse lei con decisione, con la mente già lontana.

«Cosa? E dove devi andare?» domandò Alex, col viso rosso di rabbia e stupore.

Lei lo guardò indifferente «Da Evan» e scappò via, correndo.

~

Dlin dlon

Evan si alzò a malincuore dal divano ed andò ad aprire la porta del proprio appartamento, rimanendo sconvolto nel trovarsi davanti una Reila tanto elegante quanto sudata e senza fiato, come se avesse corso chilometri.

«Reila?»

La ragazza si appoggiò esausta allo stipite e, con la mano, gli fece segno di aspettare un attimo mentre riprendeva fiato.

Evan sorrise di cuore.

La bionda alzò il viso e lo guardò con decisione «Evan! Non sei più solo! Renditi conto che non sei più solo! Ora hai qualcuno che ti abbraccia quando piangi, ti rimprovera con affetto quando sbagli! Hai qualcuno con cui vivere, mangiare, ridere!»

Il ragazzo la guardò sbigottito.

«E io voglio essere una di quelle persone! Voglio essere una persona con la quale mangi volentieri una pizza, e guardi un film ridendo! Vorrei far parte della tua vita, perché non sei solo e non lo sei mai stato» concluse Reila, rimasta ancora senza fiato e col cuore a mille, mentre Evan scoppiava a ridere.

«Non dirmi che stai ancora pensando a quella storia… non sono più un bambino!» disse lui, tra le risate.

La ragazza lo guardò confusa ed imbarazzata «Ah… eh… s-scusa…?» balbettò, mentre il moro continuava a ridere di gusto.

All’improvviso da dietro Evan spuntarono due ragazzi che abbracciarono il moro con slancio «Ehi Evan! Chi è questa qui?! La tua amante…? Che rubacuori!!» esclamarono prendendolo in giro.

Reila osservò Evan sorridendo dolcemente mentre questo insultava i suoi amici.

Non ha ancora completamente perdonato suo padre… suppongo ci vorrà del tempo.

A un tratto uno dei due amici si avvicinò ad Evan e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, curioso. «Evan, ma quella non è Reila?»

Il moro annuì, confuso.

«Da quando ti tratta così? Era veramente preoccupata!»

Evan lo guardò stranito, arrossendo leggermente. Volse lo sguardo alla ragazza che lo salutò con un sorriso. «È… complicato».

 

 

 

 

 

 

Note totalmente inutili

Ebbene, mi scuso infine per l’assurdo ritardo di questo altrettanto assurdo capitolo.

Mi dispiace davvero tanto non riuscire a dedicarmi di più a questa storia, ma davvero, non ci riesco…

La scuola non lascia respiro e se ho un pomeriggio libero esco col mio ragazzo… insomma, non c’è un attimo di pace che mi consenta di svaccarmi davanti al pc e lasciar scorrere a ruota libera le dita sulla tastiera.

Date la colpa ai prof e a lui quindi, non a me +lol+ Ma penso che i ritmi saranno più o meno questi… spero di ridurli, comunque.

 

Per il resto, finalmente sono entrati in scena Erik e il papà *O*

Non vedevo l’ora di scrivere del signor Williams! Non è una figura del tutto positiva, però mi piace tantissimo. È un signore molto buono e… umano, credo.

La situazione c’è sviluppata velocemente, vero? Ma va bene così, va bene così.

 

Grazie ai 57 preferiti e ai 1000 lettori *_______* vi adoro!!

E ora passiamo alle mie raison d’etre!!

S chan: Ehehehehehe… per sapere il passato di Reila devi aspettare ancora un poco. Credo rimarrete sconvolti che proprio una come Reila abbia fatto una cosa del genere. Vedremo *w*

Per quanto riguarda Alex… Certo che Reila avrebbe dovuto reagire, ma non… come dire… aveva paura. Ho provato anche io la stessa esperienza (lo ammetto, è autobiografica XD) ed è davvero nauseante… anche se si vorrebbe staccargli la lingua a morsi non si trovano le forze. Almeno per me è stato così… Grazie per i complimenti!! *_* non è vero che sono così brava XD

Per quanto riguarda il “sapere già le trame” è molto utile, davvero :) Prendi carta e penna e cominci a scrivere quello che succede nei vari capitoli, molto sommariamente. Lo trovo molto comodo soprattutto per organizzare le idee e per non creare confusione nella trama! A presto!

Black Lolita: ah, mi dispiace che sia accaduto anche a te +sorregge nel dolore comune+ non è una bella esperienza… per quanto riguarda Reila: neanche io riuscirei a stare con qualcuno senza sentimenti, ma lei ha visto crollarsi il mondo addosso dopo la “scomparsa” di Maverick e dato il suo TERRORE di rimanere sola non riesce a reagire…  eh, ve l’avevo detto che Reila a lungo andare sarebbe risultata pesante anche se tenera XD Ciu!!

Meikucch: Credo che questo capitolo ti piacerà, è tutto sul tuo amato Evan *___* grazie per tutto l’appoggio che mi dai, sei un angelo *_* Socia pawa per la vita!!

BLU REI: Ehehe, speri davvero che la mia vena sadica si sia esaurita qui? XD Ormai dovresti conoscermi bene e quindi saprai che Reila dovrà passarne ancora tante *w* grazie per i complimenti ^///^ Ciu!

Lorelei_88: Grazie per tutti i complimenti, sei davvero dolce *__* Sì, ho letto anche io Ultimi raggi di luna (ed è stato davvero bellissimo *_*), ma non è lei a cui mi sono ispirata per Reila…! Ritenta XD Ciu!

Purple: uuuuh *///* Grazie mille!! Sono felice che la mia storia e le mie “creature” ti piacciano XD Eh, su Alex c’è da parlare molto! È molto complesso come personaggio… ci divertiremo *w*

BabyzQueeny: XD Come già detto, il passato di Reila arriverà tra un po’. Non tantissimo, ma neanche pochissimo. Una via di mezzo insomma XD su Evan hai perfettamente ragione v_v “Io AMO questa storia...Cioè ma dico come fai? Scrivi beneee” Oh bè, non credo di essere così brava ^_^’’ grazie comunque!! Ciu

Sheila84: Come vedi sei stata accontentata, il passato di Evan è stato risolto subito XD

Levsky: Succederà una cose del genere ad Alex… ma non sarà Evan (SPOILEEEER O_O)

Valentina78: ECCO LA NOSTRA VINCITRICEEEEEEEE *________________* Proprio così, la canzone era Serenata rap di Jovanotti!! Complimenti :D e grazie ^///^

Kaho_chan: °///° oh mamma, addirittura? Grazie, io… io … grazie XD Sì, hai ragione, i banner sono presi da un’artista di DA ( http://shel-yang.deviantart.com/ ) che io AMO con tutta me stessa :)

 

 

So di non avere alcun diritto di chiederlo, dato l’immenso ritardo che ho sempre nel postare, ma… COMMENTATE *_________________*

 

“Dimmelo allora! Dimmi che mi ami!” “… non posso.”

 

Alla prossima!!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7- Loneliness frightens ***


Capitolo 7- Loneliness frightens

 

C

osa sareste disposti a fare pur di non rimanere soli?

Rinuncereste alla vostra felicità pur di avere qualcuno accanto?

Come quando si cerca di far funzionare dei matrimoni morti ormai da anni, nei quali la noia ha soverchiato anche i litigi.

Forse ci sarà qualcuno che risponderà “Sto bene anche da solo”… ma è davvero così?

Senza persone che ci chiamino per nome allegramente, che ci parlano, che ridono con noi… siamo davvero in grado di dire che stiamo vivendo?

L’essere umano non è fatto per rimanere solo, ne è prova la sua continua ricerca della felicità.

Ma come si può affermare di essere felici, se non si ha qualcuno a cui dirlo?

È come parlare a una pietra: se nessuno ti ha sentito, hai davvero parlato?

Se non si ha qualcuno che ci ricordi con malinconia, si ha davvero vissuto?

C’era questo chiodo fisso nel corpo di Reila.

No, non nella mente: sarebbe riduttivo reprimerlo a uno spazio così limitato.

Questa necessità, questo dubbio, questa paura si estendevano a tutto il suo io; guidavano il suo corpo, lo tenevano in forze, lo muovevano nella maggior parte delle azioni.

Così, per quanto Reila cercasse di fare sempre la cose giusta, qualche volta finiva inconsciamente per seguire il proprio io egoista.

Com’ era stato in quel momento.

C’era stato bisogno dello sguardo adirato di Alex per farle capire che quella volta, quando aveva nascosto ad Evan di aver ritrovato le chiavi di casa, lo aveva fatto solo per non perderlo.

Se quella volta non avesse agito così, avrebbe perso Evan per sempre, e lo sapeva fin dall’inizio: l’imbarazzo della storia di Maverick ed Apple avrebbe preso il sopravvento e non si sarebbero più rivolti la parola.

Invece, rimanendo con lui ancora un po’, aveva avuto la stupida convinzione che qualcosa si sarebbe potuto salvare… e così era stato, in fondo.

Non voleva lasciarlo andare, ecco perché aveva agito così.

Era stata ancora una volta stupida! Come aveva potuto fare un ragionamento tanto contorto?

Eppure qualche volta la sentiva ancora dentro, nelle vene, la paura di perdere Evan: una sensazione che l’aveva accompagnata da tutta la vita.

Alex si alzò dal divano bianco, posto al centro del salotto in casa di Reila, e si avvicinò alla bionda che, immobile alla finestra, stava capendo di aver usato sia Evan che Alex per il suo stupido capriccio.

«Stai ancora pensando a lui?» chiese Alex, sottovoce.

Reila non rispose. Si limitò a rivolgere gli occhi vuoti verso il viso scarno del moro, con movimenti lenti e assorti.

Alex sbuffò, chinando il capo «Fino a quando lui sarà più importante di me non possiamo stare assieme» disse, cominciando ad arrabbiarsi.

«No, Alex… ti assicuro che non è così» rispose la ragazza, mesta.

Il ragazzo digrignò i denti e la sbatté contro il muro, senza però farle male «DIMMELO ALLORA! Dimmi che mi ami!» le urlò contro.

Reila, spaventata, rispose senza muovere di un millimetro gli occhi ancora assorti «…non posso» ammise alla fine.

Non lo amava, non lo amava affatto.

Era un’esistenza come un’altra che Reila voleva avere vicino per capriccio.

Se Alex avesse voluto amicizia gliel’avrebbe data; se avesse voluto un rapporto inesistente tra capo e dipendente sarebbe andato bene; se avesse voluto amore lo avrebbe accettato.

                     Se avesse voluto litigare ed essere suo nemico, l’avrebbe accontentato.

Tutto pur di essere qualcuno per qualcun altro.

Alex rimase smarrito per un attimo, mentre la ragazza ripeteva la sua risposta.

Reila non riusciva neanche a vedere il volto del moro, nascosto dalla penombra; scorse solo le sue labbra contrarsi in una smorfia e il braccio alzarsi, per poi scendere velocemente.

E poi, all’improvviso, sentì un male atroce alla guancia, come se le avessero buttato addosso un blocco di cemento.

Si trovò per terra, con le lacrime di dolore agli occhi, mentre Alex si apprestava a darle un altro schiaffo.

Senza avere il pieno controllo di se stessa, Reila cominciò ad urlare e ogni schiaffo era una lacrima in più.

Cosa sareste disposti a sopportare pur di non rimanere soli?

~

Selene suonò di nuovo il citofono, al cui fianco troneggiava la scritta “Reila Lewis”.

Non ricevette nessuna risposta.

Alzò gli occhi verso l’appartamento dell’amica e notò una luce accesa: quindi era in casa! Allora perché non rispondeva?

La mora riprovò a suonare, ancora una volta a vuoto.

Senza saperne la ragione, si sentiva profondamente agitata: era forse successo qualcosa di grave a Reila?

Sentì tutto il suo corpo ribollire per quella eventualità e imprecò: non poteva neanche entrare in casa per vedere cosa fosse successo!

Mentre camminava turbata avanti e indietro davanti al portone, una vecchietta uscì dal condominio per portare il suo piccolo bassotto a fare una passeggiata notturna; Selene approfittò del momento e si intrufolò dentro l’edificio, ringraziando il cielo per la sua fortuna sfacciata.

Corse a rompicollo per le scale, fino ad arrivare all’appartamento dell’amica al quarto piano. Stava per suonare il campanello quando si accorse che la porta era aperta: tremando, la spinse leggermente ed entrò con passo felpato.

La casa era completamente buia e nell’aria sentiva dei singhiozzi strazianti che le facevano palpitare il cuore a mille.

Quando arrivò in salotto le si gelò il sangue: Reila era per terra, piangente, raggomitolata in sé stessa, mentre Alex era sopra di lei, con le mani a pugno alzate e uno sguardo inumano.

Senza capire bene cosa stesse succedendo si gettò alle spalle dell’uomo e gli bloccò le braccia con tutta la forza che aveva in corpo.

«Che cazzo stai facendo?!» urlò contro Alex che, preso alla sprovvista, non sapeva come reagire «CHE CAZZO STAI FACENDO?!» ripeté, cominciando a capire.

Selene guardò l’amica, il suo viso rosso e i suoi occhi nocciola che la scrutavano terrorizzati e sentì il suo ultimo grammo di autocontrollo distruggersi.

Con violenza prese Alex per i capelli «Chi cazzo ti credi di essere? Un dio forse!? Ti reputi degno di dare dolore a Reila?! Tu mi fai schifo…» sbraitò furente, mentre il moro riusciva a liberarsi dalla sua presa e ad avvicinarsi minaccioso a lei.

«NO!! Basta, vi prego! BASTA!!» urlò all’improvviso Reila tra le lacrime, aggrappandosi alle gambe di Alex con entrambe le braccia «Basta…» pregò sottovoce, scossa dai singhiozzi.

Alex distese il braccio alzato verso Selene e, rivolgendo uno sguardo atono alla bionda, uscì furente dall’appartamento, camminando con falcate grandi e nervose.

Selene si lasciò cadere accanto all’amica, distrutta; con una mano tremante le alzò il viso paonazzo e qualche lacrima le rigò il viso prepotente.

«Reila…» balbettò con le labbra tremolanti, mentre l’altra le prendeva la mano tra le proprie e ricominciava a piangere «Scusa Selly» disse tra le lacrime.

Selene si sentì morire.

Con Reila era sempre stato così: lei stava male, soffriva dentro, ma non lo lasciava trasparire con nessuno. Così non poteva aiutarla anche se avrebbe voluto, non capiva neanche se avesse qualche problema.

Ogni volta Selene si sentiva ferita nell’orgoglio per il fatto che Reila, la sua migliore amica, non riuscisse ad aprirsi con lei.

Quando capirai che io esisto per aiutarti?

Quando sorridi, sono felice anche io…

«Certe cose non si devono tenere dentro. È impossibile e sbagliato…» sussurrò, abbracciandola.

«Scusa…» ripetè Reila, affondando il viso tra i capelli profumati e caldi della mora.

~

«Selene… cos’è successo?» chiese Evan trafelato dalla corsa per le scale che aveva fatto subito dopo aver ricevuto un sms di Selene, che gli chiedeva di scendere in strada per una cosa importante.

La ragazza lo guardò grave, asciugandosi gli occhi ancora umidi di lacrime. Si guardò intorno imbarazzata e saltellò leggermente sul posto, prima di prendere un respiro profondo e una buona dose di coraggio.

«È per Reila»

«Cos’ha?» domandò lui, preoccupato per lo strano comportamento di Selene.

«Bè, ecco… Alex… l’ha picchiata» rispose, chinando la testa.

«Cosa?»

La ragazza sollevò il viso, ma non avendo la forza di sostenere lo sguardo sconvolto di Evan, decise di rivolgere la sua attenzione alla strada alla sua destra.

«Ora lei sta dormendo, ma ha pianto a lungo. Per fortuna avevo deciso di andarla a trovare… e… sono potuta intervenire… però…p-però… »

All’improvviso Evan la prese con forza per entrambe le braccia «Cosa le ha fatto quel verme? Se le ha fatto del male giuro che…» sbraitò fuori di sé.

«CALMATI! Non sono venuta qui per chiederti vendetta, ma per chiederti di stare accanto a Reila» lo rimproverò la ragazza.

«…perché io?» chiese confuso.

Selene sorrise «Tu fallo e basta. Promettimi che la difenderai al posto mio»

Evan lasciò la presa e la guardò dubbioso mentre si allontanava, risucchiata dalle tenebre della notte.

L’aveva capito fin da subito che quell’Alex era un pezzo di merda, glielo si leggeva negli occhi. Come aveva fatto Reila ad innamorarsi di uno così…

Mentre rientrava in casa si sentì improvvisamente triste, pervaso da un profondo senso di debolezza: Reila abitava a pochi metri da lui, eppure non era stato lui ad aiutarla.

Strinse i pugni, cercando di non pensarci troppo.

Chissà quanto starà soffrendo in questo momento quella stupida…

Evan chiuse la porta di casa dietro di sé, mentre Emy gli veniva incontro.

«Chi era?» chiese lei, leggermente preoccupata dal volto sconvolto del proprio ragazzo.

Evan scosse il capo e chinò gli occhi. Come poteva aiutare Reila? Non voleva che soffrisse.

Emy gli prese il viso tra le mani e gli diede un leggero bacio sulle labbra.

«Ma che hai? Sei freddo…»

«Scusa Emy, ma oggi non sono in vena.»

~

«Mi capisci dunque? Capisci che se agisco in questo modo è solo perché io da te e per te voglio il meglio?»

Reila guardò Alex senza emozioni, indietreggiando per ogni passo che il moro faceva verso di lei.

Tentò di avvicinarsi alla porta senza farsi notare: erano in ufficio, non le avrebbe mai fatto nulla… vero?

«Hai capito, Reila? Voglio una risposta» insistette lui, glaciale.

La bionda annuì, toccando con la schiena la parete: non poteva più scappare.

Con una mano Alex la costrinse a guardarlo, tenendo con forza il suo viso; si avvicinò di un poco con le labbra, ma la ragazza scostò il viso con un’espressione infastidita.

La lasciò andare seccato «Vai pure, non ho più nulla da dirti»

Reila uscì dall’ufficio di Alex e con passo leggero si diresse verso il proprio, dove l’attendevano gli ultimi dettagli per la campagna del profumo nocturne: claire de lune.

Senza fare rumore chiuse la porta e si accasciò a terra.  

Cosa stava facendo? Doveva lasciare Alex.

Non poteva permettere che… la suoneria del suo cellulare interruppe i suoi pensieri.

Era Selene.

«Reila! Come stai?» la sua voce si sforzava di essere squillante e allegra senza però troppi risultati.

«Bene» esitò Reila.

«… Sicura?»

La bionda scosse la testa, mentre le lacrime cominciavano a scendere lungo le sue guancie arrossate. «Sento che… ci sto cadendo ancora. Sto arrivando ancora al limite-”

Selene scosse la testa con forza, per far uscire quei pensieri tristi dalla mente «Non dirlo. Non pronunciarlo. Non pensare più agli errori passati, sono passati.»

Reila fissò lo spazio davanti a sé con sguardo vuoto e inespressivo «Non voglio più rimanere sola.» disse, chinando la testa «La solitudine… fa paura» sussurrò talmente piano da sembrare il rumore del vento.

Selene rimase senza parole: tentò di dire qualcosa ma le forze l’abbandonarono a metà del discorso: le labbra si distesero arrendendosi in una smorfia di rammarico e le mani si strinsero a pugno attorno al telefono, mentre sentiva il bruciore delle lacrime e il viso diventare rosso,.

All’improvviso Reila si riprese piangendo, arrossendo sempre di più. Con una mano strofinò gli occhi lucidi e sorrise «Ah… scusa» disse serena, tradita dalle lacrime che non riusciva a controllare.

 

 

 

Note totalmente inutili

Breaking the law breaking the low breaking the low breaking the low breaking the low breaking the low breaking the low breaking the low!!!!

Ok, scusate, ma avere un metallaro nei pensieri ogni 5 minuti fa male.

E che ci posso fare, che ci possa fare?

Di certo non mi ricoprirò di pelle e borchie e di magliette di gruppi impossibili da pronunciare, quindi lasciatemi questo spazietto etto etto :D

 

Bene bene.

Alex è fatto così. Non è che sia cattivo (non moltissimo almeno) ma odia non essere sempre il massimo e le persone deboli.

Lui deve essere il più in tutto, e come lui anche le persone che gli sono vicine.
Ma come ben sappiamo, Reila è tutto il contrario XD così lui si arrabbia e fa quello che fa… anche a me dispiace che succedano queste cose a Reila, ma il carattere di Alex non avrebbe potuto sfogarsi in modo migliore.

Con questo non cerco di giustificare chi usa violenza sulle donne, solo spiegare un po’ la “psicologia” di un personaggio tanto complesso.

 

E vabbè, che Reila sia “stupida” credo sia ormai certo.

Ma lei…

Avete capito la storia delle chiavi? Spero di sì ç_ç nel caso, insultatemi pure nelle recensioni v_v’

Comunque è tutto molto complicato.

Reila non voleva perdere Evan, ma aveva la sensazione che il loro rapporto si sarebbe potuto annullare completamente se quella sera fosse tornata a casa sua… e così, inconsciamente, ha tenuto nascoste le chiavi ecc ecc… eeeh.

 

Grazie a tutti coloro che hanno recensito, preferito, letto e chi più ne ha più ne metta! Senza di voi non sarei nulla çOç

E poi… sì, il prossimo capitolo arriva tra un bel po’ credo.

È che per 5 giorni sono via (Gita a Berlino *________________________*) e quindi non ho la possibilità di scrivere. Voi non perdete la speranza <3

 

“Guarda… vischio” “Eh?”

Alla prossima!!

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8- Il meglio di me ***


 

 

S o u n d less

Destiny’s fault

Se solo avessi capito che la tua presenza era più indispensabile dell’ossigeno…

 

 

 

Capitolo 8- Il meglio di me

R

eila odiava gli ospedali.

Vi metteva piede e sentiva una scossa partirle dalla testa e scorrere lungo tutta la schiena; un avvertimento che le diceva di non andare oltre, di non riaprire quella porta.

E così era stato anche appena era entrata in quella camera bianca e spoglia, piena di letti azzurri e verdi, di macchinari rumorosi.

Una spirale di colori che diventò un buco nero: un mondo scuro, dove quei colori sterili e freddi erano stati inghiottiti nel buio lugubre.

Era tutto nei suoi occhi castani, spalancati e pieni di orrore; era tutto nella sua mente, come un liquido malsano… tutto come dieci anni prima.

Un letto bianco, vuoto; avvolto nella pace più silenziosa e nera. Reila vi si avvicinava e ad ogni passo realizzava sempre più che il letto non era vuoto come credeva: c’era qualcuno sotto la candidezza rilucente del lenzuolo.

Il sudore, freddo, le scorreva dalla fronte ai talloni, mentre tendeva una mano tremante verso quella luce innaturale e quasi sacra.

Prendeva delicatamente tra le dita la stoffa, assaporando coi polpastrelli quella sensazione ruvida ma morbida. Sporgeva gli occhi per vedere…

Un corpo, biancastro e disgustoso. Un fetore di sangue e ferro lancinante si spargeva attorno a Reila, mentre i suoi occhi venivano svuotati da quelli sbarrati e immobili del cadavere. Jack.

«Reila…»

Sentiva dei sussurri invocare il suo nome, come se fosse quell’organismo putrefatto a chiamarla e a cercarla.

«Reila…» no… non era il corpo «Reila…» non era il corpo di Jack che la chiamava.

Era Evan, con la sua voce profonda e la r leggermente arrotondata che le aveva sempre dato i brividi.

«Reila! Ti senti bene?»

La ragazza sobbalzò, ritornando nel mondo reale: in quella stanza azzurra e verde dove Evan e Erik la squadravano preoccupati e sorpresi.

Arrossì violentemente e si nascose il viso tra le mani prima di rispondere.

«S-sì… scusate… ho avuto… era un ricordo doloroso che mi è improvvisamente tornato alla mente» balbettò sconvolta.

«Sicura di stare bene? Siamo in un ospedale, se ti senti male…» insistette Erik, sinceramente impensierito dal colorito latteo della donna.

«Sì. Non preoccuparti, davvero. Sono venuta qui per conoscere Kaleb Williams e lo farò» disse lei, determinata, mentre avanzava nella stanza seguendo Evan.

Il signor Kaleb Williams era completamente diverso da come Reila se l’era sempre immaginato: pensava fosse un uomo di spessore, bello e forte, che nella vita aveva sbagliato ma non aveva mai avuto pentimenti.

Invece chi aveva davanti era un ometto sui cinquant’anni che ne dimostrava sessanta, con l’espressione segnata da una profonda noia mista ad insoddisfazione.

Aveva dei capelli neri uguali a quelli di Evan, però più spenti e diradati; gli occhi erano verde foglia, con sfumature arancioni e grigie, ed erano bellissimi: risaltavano come pietre preziose sulla pelle pallida e tirata, malata.

Reila si avvicinò con cautela all’uomo che la salutò con un sorriso sorpreso.

«Buongiorno! Sono Reila, un’amica di suo figlio Evan»

A quelle parole il volto di Kaleb si illuminò. Era stato grazie a questa donna che suo figlio aveva deciso di dargli un’altra possibilità!

Decise di non ringraziarla: sarebbe stato uno sminuire i suoi meriti. Semplicemente le sorrise e le strinse la mano «Kaleb Williams, molto piacere!»

Erik guardò il padre e Reila attentamente; poi prese per mano il fratello e lo trascinò via con sé. «Ti andiamo a prendere un tè, papà! Tu intanto fa conoscenza con Reila!» urlò gioioso, mentre Evan si dimenava e imprecava.

Kaleb rise divertito, sereno, e a Reila si scaldò il cuore: sentì una tenerezza quasi materna riempirle gli occhi, traboccare e arrivare all’uomo che quando se ne accorse arrossì imbarazzato.

«Sa… Evan è un ragazzo molto buono» disse lei all’improvviso, provocando confusione in Kaleb «Forse è un po’ timido e scontroso all’inizio… ma sono convinta che è una persona splendida»

Kaleb distolse lo sguardo dalla bionda, amareggiato «Certamente non è grazie a me che è così»

«Si sbaglia» negò lei, enfatizzando col capo «lui è così perché vuole raggiungerla. Evan è Evan perché non vuole deluderla»

«Deludermi? Non mi ha mai deluso!» esclamò lui, quasi indignato.

Reila sorrise comprensiva. «Allora glielo dica al più presto!»

Kaleb rimase in silenzio. Quella ragazza avevo un’espressione quasi angelica, talmente era buona; però c’era qualcosa che non lo convinceva. C’era una nota che stonava in quella composizione perfetta che si era creata attorno, anche se non capiva bene che nota era.

«Sei sicura di non essere la ragazza di mio figlio?»

Reila sobbalzò « UUEEEEEEEEEH??? No no io non potrei mai…!»

«Ecco il tuo tè, vecchio!» disse all’improvviso Evan, tornato scocciato dal sequestro del fratello.

«Oh grazie!» disse l’uomo prendendo in mano la tazza bollente.

Evan guardò divertito Reila, rossa come un peperone e ansimante. «Che le hai fatto?» chiese complice al padre.

«Una domanda inopportuna, credo.»

~

Evan e Reila attraversarono la porta scorrevole dell’ospedale fianco a fianco, immergendosi nella fredda aria dicembrina che portava con sé foglie secche e profumo di neve.

La ragazza si scaldò le mani vicino alla bocca, mentre vagava con lo sguardo nel cielo grigio e azzurro pallido, lontano, in cerca di una nuvola dalla forma strana.

«Manca poco a Natale eh?» disse all’improvviso Evan, che guardava davanti a sé la via piena di luminarie e di vetrine dai colori caldi.

«Ah… sì» rispose distratta Reila.

«C’è qualche regalo che vorresti in particolare?»

«Eh? Eeeeh? E perché… perché dovresti farmi un regalo?»

«Bè, è Natale» rispose il moro con ovvietà «E poi mi hai aiutato così tanto con mio padre… anche se non avresti dovuto ficcare il naso nelle mie faccende» continuò, leggermente imbarazzato.

Reila lo fissò in silenzio, assorta «Anche se non vuoi ammetterlo si vede che in fondo gli vuoi un gran bene» osservò sorridente, con le guance arrossate per il freddo e la felicità.

«Che? Ma che dici?! Io non…» Evan interruppe la frase a metà, concentrato a guardare il sorriso della ragazza accanto a lui.

Com’era bello quel sorriso: era ciò di più vero che finora aveva visto al mondo. Era così caldo, ma allo stesso così fragile: era come la fiamma di una piccola candela, da difendere e far vivere con la protezione delle proprie mani.

Si fermò, guardando serio Reila.

«Grazie Reila» disse tutto d’un fiato.

Reila si fermò poco più avanti di lui e si girò meravigliata verso il moro, il cui sguardo sicuro e schietto la fece arrossire: per fortuna era già rossa per il freddo, quindi non si notò.

«Grazie. Non te l’avevo ancora detto…»

Reila abbassò lo sguardo sulle sue scarpe e intreccio le mani dietro la schiena, come ogni volta che era imbarazzata «Non ho fatto nulla, Evan…»

Vide le all star nere di Evan arrivare vicinissime alle sue decolleté grigie e sentì il cuore cominciare a battere forte.

«Mi sorridi…» sussurrò lui impercettibilmente, tanto che nemmeno Reila, così vicina a lui, lo sentì.

Un tocco leggero sulla sua guancia costrinse la ragazza ad alzare il viso bollente, che lasciò andare un sospiro di emozione quando si accorse di quanto gli occhi di Evan fossero... belli.

Non riuscì a trovare un altro aggettivo: erano semplicemente belli.

Verdi come la primavera, con delle striature arancioni ruggine; talmente penetranti che la fecero sentire indifesa come fosse nuda.

Non si era mai accorta di questo…

«Guarda… vischio!» disse lui senza preavviso, indicando una vetrina decorata da disegni della pianta natalizia.

«Eh?»

Piegandosi con la schiena, Evan avvicinò il viso a quello di Reila e le baciò la piega della labbra, lentamente. Sentirono i propri respiri scontrarsi come tre mesi prima a quella festa, dove era cominciato tutto…

«Prendilo come un ringraziamento» concluse lui, sorridendole fin troppo sicuro.

«Eeeeeh??» esclamò Reila, che ormai si stava sciogliendo.

«Sai dire solo “eh?”?!» la prese in giro Evan, ricominciando a camminare.

Reila invece rimase ferma, osservandolo di schiena mentre si allontanava piano.

Per un attimo, un millesimo di secondo, aveva avuto il privilegio di vedere il lato tenero di Evan.

Mentre un leggero vento le scuoteva i capelli e il cappotto si portò una mano al cuore, a sigillare quel ricordo nel petto per sempre.

Le vennero in mente le parole che le disse una volta sua mamma, quando era piccola.

              Tutte le persone cercano una sola cosa: un’altra persona.
Qualcuno in grado di amarle per i loro difetti, e che riesca sempre a tirare fuori il meglio di loro…

«Ti muovi?» la riprese Evan, scocciato.

«Ah… sì!!» strillò la bionda, correndo verso di lui.

Grazie… nonostante i nostri passati sentimenti negativi, riesci a trovare il meglio di me quando mostro solo difetti. Riesci a farlo col sorriso sulle labbra…

 

 

 

No. Non è uno scherzo. Sono tornata con un nuovo capitolo, cosa non credevo sarebbe mai successa… eppure, eccomi qui.

Essendo ormai in vacanza e beandomi nel più assoluto e totale nulla qualche giorno fa ho preso a riscorrere le mie storie… e ho riletto soundless. Mi sono ricordata quanto di me c’è dentro reila, dentro questa storia e mi sono sentita morire al pensiero di averla sospesa. Ho provato l’impeto di scrivere ciò che pensavo, ciò che succede alla povera reila e a quel santo di evan. Volevo farli vivere, ancora.

Insomma, tutto per dire che sono tornata xd meno produttiva e i tempi saranno parecchio lunghi… ma spero che mi accoglierete di nuovo numerose com’eravate all’inizio del mio ammutinamento.

Grazie dei commenti di incoraggiamento :) siete davvero fantastiche… e non preoccupatevi, non sono triste/depressa xd forse riuscirò a scrivere qualcosa di fresco e divertente data la mia attuale condizione di felicità <3

… sperèm ^_^ buona lettura!! E commentate in molti *__*

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9- The dark side of a smile ***


 

 

Capitolo 9- The dark side of a smile

 

Nei tuoi occhi vedo il desiderio, ed il
Pianto disperato che lacera la notte

-Wasting love/Iron Maiden-

 

 D

ieci anni.

Erano passati dieci anni da quella morte. Da quella lametta insanguinata.

Dieci anni che le urla dei suoi genitori la svegliavano di notte. E dieci anni dalla scatola di pillole ingoiata senza indugi.

Dieci anni da un altro tentativo di raggiungere Jack.

Da allora non aveva più tentato di rivederlo, ma ogni tanto si domandava dove aveva trovato la forza per non desiderarlo più.

E con questo dubbio si chiedeva anche se davvero di meritava di vivere...

~

Evan cominciava a pensare di non odiare più Reila.

Ora, quella sua forza che in lui aveva suscitato solo fastidio, gli si proponeva come un mistero da ammirare.

Evan conosceva il segreto di Reila e sapeva anche quanto lei se ne vergognasse terribilmente: era una verità che andava contro tutto l’essere della ragazza… ma tutti nella propria vita prima o poi hanno un periodo buio.

Chissà come avrebbe reagito la ragazza se Evan gli avesse rivelato che sapeva… ma lui era lo stesso deciso a confessarglielo, prima o poi.

 

«E tu che ci fai qui?!» chiese Evan ad alta voce, sconcertato e anche leggermente spaventato dalla scena che gli si parava davanti: ovvero un padre sorridente e, seduta accanto a lui, una Reila tutta intenta a sbucciare una succosa mela gialla.

«Sto sbucciando una mela!» rispose lei con ovvietà, salutandolo con un sorriso.

Evan sbuffò, mentre il padre lo rimproverava di essere più gentile con Reila.

La ragazza fissava coi suoi grandi occhioni castani il profilo deciso del moro, soffermandosi sui piccoli particolari: aveva due nei vicino allo zigomo sinistro e quando parlava si formava una fossetta vicino alle labbra…

La ragazza arrossì violentemente al ricordo del suo quasi-bacio con quella bocca. Sentendo il proprio cuore diventare leggero, volse il viso verso il frutto mezzo sbucciato che teneva in mano e tornò al discorso dei due uomini.

Discutevano sul come si trattano le donne. La ragazza aveva un sorriso delicato e comprensivo impresso sui lineamenti del viso, ma in realtà le parole che volavano sopra di lei le sfioravano delicatamente la mente, senza mai essere percepite: sentiva ma non ascoltava.

Il suo cuore le aveva appena ricordato che in quel giorno non c’era nulla di cui essere felici e palpitanti: quel giorno di metà dicembre meritava solo lacrime, vergogna e pentimento.

«Scusate, devo andare» disse senza forze, tenendo lo sguardo basso. I due la guardarono straniti dalla sua intromissione improvvisa e dal tono della voce.

Reila si alzò in piedi pacatamente e altrettanto lentamente uscì dalla stanza senza salutare, come fosse in uno stato di trance.

«Cos’è successo? Ho detto qualcosa che non va?» chiese Kaleb preoccupato.

Evan non rispose, si limitò ad osservare la porta da cui era appena uscita la bionda.

«Rincorrila no?!» esclamò il padre spazientito, mentre Evan stava già ormai uscendo dalla stanza.

Corse per il lungo corridoio, provocando gli sguardi stupiti delle infermiere e dei pazienti, ma di Reila nessuna traccia.

Scese a capofitto le scale, arrivando nella hall dell’ospedale: si guardò intorno per cercare la ragazza ma di lei nessuna traccia. Era come sparita.

Il moro si infilò nervoso una mano nei capelli, spettinandoli ancora di più, e cominciò a pensare.

Dove poteva essere andata quella stupida?

A un tratto gli venne un’idea che gli sollevò il cuore.

Jack.

~

La tomba di Jack era esattamente come l’aveva lasciata un anno fa.

Una pietra grigia e sterile, circondata da iris e crochi di un colore viola intenso.

Reila si inginocchiò davanti alla lapide, accarezzando con le dita le lettere d’ottone che componevano il nome di Jack, fino ad arrivare alla foto del giovane ragazzo di 18 anni che era stato.

Le faceva male quel sorriso gioioso; le lacerava il cuore sapere che, nonostante 6 piedi sotto di lei ci fosse Jack, lei non poteva in alcun modo raggiungerlo.

Era così vicino e così lontano…

Delle lacrime rigarono la pelle bianca della ragazza.

«Ti voglio bene, Jack… perché non sei ancora tornato?» sussurrò alla terra che la separava dal ragazzo.

«Te lo ricordi anche tu, Evan?» disse infine, rivolgendosi al ragazzo che aveva sentito arrivare dietro di lei.

Lui non rispose.

Reila si asciugò gli occhi, alzandosi a fatica, e guardò sorridendo il moro.

«Scusa se prima sono scappata senza salutare… ma ho sentito il bisogno urgente di venire qua.»

«Non preoccuparti. Oggi è il decimo anniversario…»

Reila si stupì «Te lo ricordi?»

Evan le rivolse una sguardo serio, che la fece tremare «So più cose di quanto credi».

Reila indietreggio. Possibile che…?

«So che sono dieci anni che stai mentendo» continuò lui «So che non l’hai ancora superata. E so anche cosa… ti è successo subito dopo la morte di Jack»

Reila si pietrificò: smise di respirare, e per qualche istante credette che anche il suo cuore avesse smesso di battere. «T-tu… sai…?» balbettò impaurita.

Evan annuì, grave.

La bionda chinò la testa, tremante. Evan sapeva. Lui sapeva!

Con un gesto di mano fermò il tentativo del ragazzo di dire qualcosa.

«Sta zitto. Non dire niente. Non dirlo. Non pronunciarlo!» urlò in preda al panico.

«No, Reila! Ormai è arrivato il momento di affrontarlo, di ammetterlo!» ribatté lui.

«NO! Cancellalo, devi cancellare tutto quello che sai! Io non… io non ho…!» strepitò la bionda, dando dei pugni sul petto di Evan, mentre le lacrime tornavano prepotenti.

Evan la prese con forza per entrambi i polsi e la immobilizzò.

«Invece sì, Reila. Tu hai tentato di morire.»

Un gemito di dolore si levò dalla gola della donna, mentre i lineamenti dolci del viso divenivano irriconoscibili.

«Hai cercato la morte per due volte! Hai desiderato di…»

«Ti prego basta!» urlò Reila stremata «Perché credi che l’abbia fatto? Io volevo Jack!! Io lo amavo, era il mio mondo, la mia vita! Era l’unico che sapevo ci sarebbe sempre stato per me! E con la sua morte sono morta anche io…» tentò di spiegare tra i singhiozzi.

Evan rimase a guardarla piangere, senza dire più nulla.

Reila ricordò la camera da letto vuota di Jack: la polvere e l’oblio che prendevano possesso di ogni cosa… sentì di nuovo quel vuoto nel petto, la stessa sensazione di solitudine che l’aveva portata a tagliarsi le vene.

Ricordò le urla dei suoi genitori quando la trovarono svenuta nel suo stesso sangue, la corsa in ambulanza e il risveglio.

Risentì sua la rabbia nel capire che aveva fallito e la volontà di riprovare a trovare Jack attraverso una scatola intera di medicinali, buttati dentro il suo corpo con un solo gesto.

Reila abbassò i pugni, liberandoli dalla stretta di Evan appoggiò la testa sul petto del ragazzo, continuando a piangere.

«Io ti accetto anche se hai compiuto degli errori nella tua vita. Ti accetto soprattutto per quelli. Puoi piangere, arrabbiarti e picchiarmi quando vuoi se ti può far sentire più… viva.» le sussurrò lui all’orecchio.

Reila smise di piangere, incapace di credere a ciò che aveva appena sentito. «Tu… mi accetti lo stesso?»

Evan sorrise dolcemente «Certo. L’unico per ricambiare la tua gentilezza con me è consolarti… e stringerti a me…»

Reila sentì i pezzi del suo corpo ricomporsi in quell’abbraccio.

 

Piano piano, Evan stava diventando la colla che teneva assieme i frammenti del suo cuore; anche se il desiderio di rivedere Jack non sarebbe mai scomparso, Reila pensò che tra quelle braccia che nemmeno meritava poteva nascere finalmente un nuovo mondo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note totalmente inutili

 

Allora, non è stata completamente colpa mia! Sono stata al mare un mese e quindi 0 pc u_u e la mia Moleskine oltretutto è andata completamente persa (Katyyyyyyyy ç_ç torna da meeeee)… senza contare che 8 ore al giorno sono costretta a lavorare =_= quindi è stato il destino a volere questo immenso ritardo *_*


Ma dovete ringraziare Wasting love degli Iron per questa ripresa di ispirazione, arrivata improvvisamente alle 12 e 10 del 20 agosto *_* e ascoltate gli Iron che fanno bene comunque.

 

Bien, siamo arrivati a un punto cruciale della storia: il segreto di Reila!
Forse è un po’ banale, un tema usato 389293812938126371 volte nelle storie di questo genere. Ma Reila per diventare quello che è ha dovuto soffrire molto.
Jack (che ancora non sapete chi è *w*) era davvero tutto il suo mondo, e anche di più. Reila lo amava davvero davvero davvero tantissimo…

 

Detto questo, PASSIAMO AI RINGRAZIAMENTI!!

Anthy: Sì, hanno dei fatto dei grandi passi avanti, ma è solo merito di Evan… è un gran tenerone, sai?! :)

Levsky: Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto *_* e scusa per il ritardo di questo!

BLU REI: Grazie per i complimenti *///* non li merito, come al solito siete troppo buone!

Valentina78: Grazie anche a te… >///<

Black Lolita: tranquilla, non mi sono per niente offesa, neanche io avrei saputo come commentarmi! E che ormai mi sa che ho questi tempi moooooooooolto dilatati… sorry! é_è Sono contenta che i miei pg ti piacciano così tanto… ogni complimento che ricevo da te mi rende sempre orgogliosa perché hai seguito praticamente tutte le mie storie! Grazie per continuare a sopportarmi ^_^

Gin TB: Grazie mille *_*

Kikka_neko: XD grazie a me? E di cosa? ^///^

Sheila84: Come mi farai arrossire! Spero di aver continuato sulla stessa linea!

Meikucch: ehehe! Chi è Jack lo si scoprirà molto presto +_+ abbi fede nella tua socia! Divertiti in Giappone!! Socia pawa!

Yellow_B: Grazie anche a te! ^__^

Yuna_09: *_* Sei troppo gentile!

Kokky: …non so che aggiungere XD Come al solito hai centrato tutti i punti… anche se come al solito esageri >///< chu!

Bellas: Grazie continua a seguire *_*

Francesca27: Un milione di anni? Uhm, forse mi basterebbero sì XD scherzo! Mi dispiace che io sia così lenta, ma la mia testa è talmente piena che non c’è spazio per molto altro ^_^’’ spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!

 

 

Stare con lei mi fa venire in mente ricordi dolorosi… sto tremando. Ma devo farcela, devo andare avanti.

ALLA PROSSIMA!!

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Capitolo 11
*** Capitolo 10- A Christmas prayer ***


Capitolo 10- A Christmas prayer

 

E

van teneva in mano una scatolina poco più piccola di un palmo, avvolta in una scricchiolante carta da regalo rossa e oro.

La guardava con paura e indecisione, rigirandola con cura come cercasse su di essa una risposta alla domanda che ormai da qualche tempo era nata nel suo cuore.

           Davvero sono arrivato a volerle bene?

Non sapeva se esserne spaventato o felice; non sapeva neanche se fosse una situazione buona o preoccupante.

Dopo 20 anni di disprezzo…! Si sentiva stupido quasi quanto lei… ma ora lei gli sorrideva.

Si voltava verso di lui e, con gli occhi pieni di una timida incertezza, gli sorrideva, come faceva con tutti.

            Aveva ottenuto quello che aveva sempre voluto.

Cercò di trattenere nel suo cuore la determinazione e, stringendo il pacchetto nella mano, suonò il campanello affianco alla scritta “Reila Lewis”.

 

«Evan? Ma che ci fai qui?» gli domandò stupita Reila, in piedi alla soglia del suo appartamento.

«È la Vigilia di Natale no? Non bisogna passarla da soli!» rispose lui con tono ironico.

La bionda lo guardò sospettosa, ma alla fine si scostò per farlo entrare in casa.

«Ma tu non hai una ragazza?» chiese alla fine, dopo che il ragazzo fu entrato .

Evan la guardò ridendo «Emy è a casa dei suoi genitori… e se è per questo… tu stai con Alex…» finì cupo, mentre una sensazione di rabbia profonda per quello che quel verme aveva fatto a Reila gli annebbiava la mente.

Reila sussultò e cambiò subito discorso «E tuo padre? Ed Erik?»

Evan tacque. Si sedette al tavolo in cucina e stette attento a non incrociare gli occhi di Reila.

«Come sta Kaleb?» chiese lei alla fine, capendo il significato di quel silenzio.

«Peggiora ogni giorno. Sono piccoli cambiamenti, quasi insignificanti, ma evidenti»

Reila si sedette di fianco a lui e posò una mano sulla sua spalla, mettendolo in leggera agitazione. Cercò di cacciare quello strano imbarazzo continuando il discorso, che pure lo infastidiva, ma meno di quelle sensazioni che proprio non riusciva a spiegarsi. «Di sicuro Erik sta peggio di me… ma la cosa che più mi innervosisce è non riuscire a dominare le mie emozioni: come ben sai, mio papà se n’è andato quando ero solo un bambino» continuò Evan «quindi dovrei essere arrabbiato con lui, o quantomeno indifferente…»

Evan si bloccò, sorpreso di quello che stava facendo: si stava confidando con lei. Eppure quegli occhi castani che lo studiavano preoccupati lo facevano sentire a suo agio.

Stava aprendo il suo cuore per la prima volta dopo anni e si sentiva al sicuro.

«…Ma?» lo esortò Reila.

«…ma per quanto io mi sforzi di non farlo, mi è inevitabile pensare che dovrò perderlo ancora. Che dovrò tornare…» non riuscì a finire la frase. Rimase sospesa tra di loro, così che anche Reila intuì quale fosse l’ultima parola.

Evan sentì le braccia esili e morbide della ragazza stringersi attorno al suo collo e la sua pelle diventare rovente a contatto col tessuto caldo del maglione.

«Ma tu non sei solo, Evan!» gli sussurrò, mentre intensificava l’abbraccio. Evan trasalì agitato quando avvertì il seno di Reila appoggiato alla sua testa: percepì il sangue bollire e pizzicargli nelle vene, sotto la pelle, mentre uno strano calore gli prendeva la mente.

La allontanò di scatto, cercando di mascherare il rossore che gli aveva colorato le guance.

Che cosa diavolo lo stava prendendo? Sembrava una verginella adolescente alle prese con la prima cotta.

Balbettò qualcosa e poi la guardò: Reila lo fissava stupita, con gli occhi pieni di domande.

Notò per la prima volta come i suoi capelli fossero biondi e dorati, quanto sembrassero morbidi e lisci, caldi e profumati. Si accorse che i lineamenti del suo viso erano ancora infantili e che il suo corpo era minuto e fragile; Evan sentì il suo cuore sorridere.

Si alzò in piedi e mise una mano nella tasca dei pantaloni, da cui estrasse il pacchetto rosso e oro che tanto lo aveva angosciato.

Ma ora era senza pensieri o dubbi, a guidarlo non c’era più la ragione ma l’istinto.

Le si avvicinò deciso, guardandola negli occhi, e le prese la mano: la strinse, la riscaldò e le diede un bacio.

Reila assisteva sbalordita ai suoi gesti, seguendoli col batticuore e tentando di non cedere sulle proprie gambe, fino a che Evan non le mise nella mano la scatolina.

Era piccola, ma il bollino con scritto il nome di una gioielleria attirava la sua curiosità di donna.

Guardò Evan senza sapere bene cosa pensare.

«Bè? Non la apri?» la autorizzò lui.

Reila sorrise felice, e cominciò a scartare il regalo, rivelando una confezione blu di velluto, decorata da un fiocco nero. Dentro c’erano degli orecchini rotondi d’argento, con al centro una pietra rosa che luccicava preziosa.

Reila li fissò in trance per qualche secondo, poi si rivolse boccheggiante verso Evan che la studiava sorridente.

«Ti piacciono?»

«… Ma… ma… perché…?» balbettò lei, diventando rossa «Oddio… non ti ho nemmeno fatto un regalo, mi sono scordata… non… mi dispiace, io…»

«Ehi ehi, calma! Lo sapevo che te ne saresti scordata, tu sei una stupida» cercò di tranquillizzarla lui, poggiando una mano sui suoi capelli «Ti piacciono?» ripetè.

Reila gli sorrise raggiante «Sono magnifici!»

Evan rispose al sorriso e prese in mano la scatola «Ti aiuto a metterli»

«Eh?»

In un momento Reila si trovò le mani di Evan che scorrevano sul suo collo, sui suoi zigomi, fino alle orecchie. Sentì le sue dita giocare col lobo dell’orecchio sinistro per infilare il suo regalo; quando ebbe finito lo vide sorridere soddisfatto.

«Ti stanno benissimo»

«Ah…» sussurrò senza sapere cosa dire.

Era così palpitante che non si accorse nemmeno della vicinanza dei loro visi. Solo quando sentì il respiro caldo di Evan sulle labbra capì cosa stava per succedere: si stavano per baciare.

La sua mente sprofondò nel silenzio, il suo corpo vibrò e gli occhi si spalancarono.

Perché? Perché Evan era diventato così dolce e premuroso?

Perché si comportava così? Lui… no.

«Te… Te…» balbettò senza forze.

«Te?» ripetè sussurrando Evan, languido, guardandola negli occhi.

«TELEFILM!!!» urlò Reila, respingendo Evan con tutta l’energia che aveva in corpo.

«Eh?» strillò Evan, vittima di un mezzo infarto, mentre Reila lo spingeva verso la porta.

«D-d-d-devo vedere un telefilm! Quindi torna a casa! Ciao!»

Aprì la porta e con uno spintone lo buttò fuori di casa, chiudendogli la porta dietro in faccia.

Respirando a fondo si accasciò a terra, esausta. Cosa… cosa stava succendo tra lei ed Evan?

Dove stavano arrivando? Era come se fossero tornati Apple e Maverick, ma ora era diverso! Erano Reila ed Evan, non avrebbero mai potuto innamorarsi!

Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, ma i suoi nervi non volevo calmarsi: sentiva ancora le mani di Evan su di lei e l’odore del suo respiro. Vedeva ancora quegli occhi verdi, socchiusi e così… sensuali.

La verità per cui aveva cacciato così in malo modo Evan era perché lo aveva desiderato. In quei pochi secondi aveva avvertito che avrebbe potuto sentirsi completa solo se si fosse aggrappata a lui. Ma lei non lo amava, lei non poteva innamorarsi di lui!

Così avrebbe solo rovinato la loro amicizia, l’avrebbe perso…

Nascose il viso tra le mani e sospirò.

Proprio in quel momento il suo cellulare squillò per avvisarla di un nuovo SMS. Reila lo estrasse dalla tasca dei jeans: era Alex.

“Devo parlarti. Possiamo trovarci ora?”

Reila scrisse lentamente la risposta “Va bene. Vieni tu da me?”

 

Evan rimase immobile e sconcertato di fronte alla porta di casa di Reila.

Non riusciva a capire cosa fosse successo: era tutto così perfetto, perché…

Portò una mano sugli occhi, e sospirò: ma cosa stava facendo?

Perché stava per baciare Reila? Aveva provato desiderio per lei.

Desiderio, desiderio, desiderio. La voleva, aveva immaginato quanto sarebbe stato bello averla tra le sue braccia, addosso a lui.

Scese le scale in silenzio, senza sapere cosa pensare.

«Ehi. Evan, giusto?» disse una voce leggermente roca.

Il moro alzò il viso e si trovò davanti Alex, appoggiato alla parete.

«Sei Evan?» ripetè.

Evan trattenne la voglia di picchiarlo a sangue ed annuì con rabbia. Alex lo ignorò.

«Che ci facevi da Reila?»

«Avevo finito… il latte» mentì. Se Alex avesse saputo che aveva fatto un regalo a Reila se la sarebbe presa con lei e non poteva permetterlo.

Alex lo guardò sospettoso ma alla fine decise di credergli «Mh. Sto aspettando che Reila mi chieda di salire, quindi puoi anche andare» disse liquidandolo.

Evan se ne andò senza salutare. Se Reila voleva quello stupido stronzo che la picchiava e la trattava male piuttosto che lui erano cavoli suoi, lui non centrava nulla…- ma Reila non l’aveva respinto, Evan non era innamorato di lei.

                       Ciò che provo non si chiama rabbia. Ha una natura meno lodevole e più contorta… si attanaglia nel cuore, mi impedisce di pensare razionalmente… è gelosia

~

Evan fermò la macchina appena all’inizio del vialetto della casa dei suoi nonni mentre Emy sospirava agitata, facendolo sorridere.

«Sono sicuro che andrà tutto bene!» la incoraggiò appoggiandole una mano sulla gamba.

Emy lo guardò sconsolata «È la prima volta che incontro la tua famiglia, sono preoccupata di non fare bella figura!»

«Sul serio, se ti agiti è peggio. Sii te stessa»

Lei annuì in silenzio, coi lucciconi agli occhi, e uscì dalla macchina.

Evan la guidò per mano fino al piccolo porticato di legno bianco e salirono le scale, ma all’improvviso si bloccò. Emy non capiva perché si fosse fermato così di colpo e si sporse per vedere la causa: davanti ad Evan, seduta sulla sedia di vimini, stava una donna avvolta in un cappotto bianco.

Sul viso aveva i segni di una bellezza giovanile ormai quasi svanita nella pelle tirata dal tempo e nel trucco pesante. Aveva i capelli neri e lisci, come quelli di Evan, e due occhi blu oltremare che trapassavano il cuore di chiunque li osservasse. Fumava distratta una sigaretta, sulla quale era rimasta la traccia di un po’ di rossetto rosso, e guardava davanti a sé con sguardo vuoto.

La ragazza guardò Evan, nervosa, e notò che era un fascio di nervi.

«Evan!» pronunciò la donna senza guardarlo.

«Mamma…» biascicò con voce rotta lui «C-che ci fai qui?»

«Anche io ho una famiglia con cui passare il Natale» rispose rivolgendogli un’occhiata raggelante «E tu chi sei?» chiese a Emy.

«Mi chiamo Emy, molto piacere!» tentò di essere cordiale, pur essendo molto in soggezione. Quella donna era la madre di Evan, doveva assolutamente fare una buona impressione! Per i maschi la mamma è sempre la mamma, la donna più importante della loro vita e…

«Sei la ragazza di Evan?» continuò Debra, interrompendo i suoi pensieri.

«Sì…»

La donna prese un tiro dalla sigaretta e squadrò la mora da capo a piedi.

«Stai attenta a non farti mettere mai incinta, i figli portano solo disgrazie» concluse con tono saccente.

Emy rabbrividì e sentì la mano di Evan stringersi in modo spasmodico alla sua, come se stesse cercando un appiglio per non cadere; alla fine, con un gesto deciso, il ragazzo la trascinò dentro in casa, lasciando fuori Debra sola con la sua sigaretta.

Appena la porta si chiuse dietro di lui, Evan ricominciò a respirare.

«Evan… ma…» ora Emy capiva perché non le avesse mai parlato dei suoi genitori, ma non trovava pace nel chiedersi perché non si era confidato con lei.

Gli strinse la mano con forza e dolcezza allo stesso tempo, ma Evan era già proiettato verso la cucina, dove trovò i suoi nonni intenti negli ultimi preparativi del pranzo.

«Evan, caro!» lo accolse calorosa sua nonna Greta, tendendo le braccia per abbracciarlo.

Il ragazzo ricambiò i saluti senza troppa emozione.

«E tu sei Emy, vero? Evan ci ha parlato di te!» continuò Greta «Io sono Greta, e lui è mio marito Ben» sorrise stringendole la mano.

«P-piacere!» balbettò imbarazzata Emy.

«Nonna, mi vuoi dire che ci fa mia mamma lì fuori?» le interruppe Evan, coi nervi a fior di pelle.

La signora lo guardò in silenzio, con aria colpevole. «Si è presentata senza preavviso, non potevamo dirle di andarsene…»

«Invece sì che potevate!»

«Cala le arie giovanotto» intervenne severo Ben «Debra è tua madre come è nostra figlia, abbiamo tutti i diritti di voler passare il Natale con lei»

Evan lo guardò stupito: gli sembrava di essere tornato adolescente, quando il nonno lo sgridava sempre con quel tono misto di intransigenza e comprensione.

Questa sensazione lo calmò notevolmente ed andò ad abbracciare il nonno, scusandosi e augurandogli un buon Natale.

«Posso aiutare a preparare qualcosa?» chiese Emy con gentilezza.

«Nono ci mancherebbe altro! È tutto pronto, vai pure a chiamare Debra» disse Greta.

Emy arrivò in soggiorno accompagnata dalla donna, che si sedette davanti ad Evan.

Non si vedevano da tre anni e non avevano niente da dirsi, ma Evan si sentiva come sotto esame. Cominciarono a mangiare, mentre i nonni ed Emy tentavano di simulare una conversazione.

All’improvviso Debra parlò. «Dimmi Evan, sprechi ancora la tua vita in quel ristorante?»

Evan fremette «Non sto sprecando la mia vita, mamma. È sempre stato il mio sogno…»

Debra rise divertita «Tu! Tu non hai mai avuto sogni, sei sempre solo stato in grado di distruggerli. Sei una delusione costante, ecco perché tuo padre ti ha abbandonato!»

Evan rimase zitto, incapace di ribattere. Strinse le posate nei pugni, mentre Greta scacciava quel silenzio di pietra che era sceso su di loro.

Ho nausea, sento che le forze mia abbandonano.

Mi sembra di essere tornato in quella casa, a vivere con lei.

Starle vicino mi fa stare male, mi priva della voglia di vivere… ma devo farcela, devo andare avanti.

Credo che ora ci sia qualcuno che conti su di me, sulla mia esistenza; qualcuno che nonostante la morte ha saputo reagire. Lei ha scelto di vivere anche per suo fratello.

Per quel qualcuno, io… andrò avanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Panamaaaa… Panamaaa! Panamaaa!

E sulle note dei Van Halen ecco che ritorno *___* Sì mi rendo conto gente, quasi due mesi! Ma meglio tardi che mai no?

È stato facile tornare a scrivere ma mi sembrava così irreale che la mia mente sviava sempre. E così sono passati due mesi.

Prometto che farò il possibile per aggiornare più frequentemente, ma quest’anno sono in quinta liceo, quindi ho la maturità, quindi sono piena fino al collo di… cioccolata. Anzi no, di studio.

E proprio il 23 comincerò il corso per la patente quindi un considerevole lasso di tempo in meno.

E poi ho anche una vita privata, ecco. Amici amore e famiglia.

Quindi il tempo si ridurrà alle mezz’ore prima di andare a dormire, come sto facendo adesso.

Comunque, se volete degli aggiornamenti sullo stato del nuovo capitolo, basta che andate sul mio blog (http://wholelottarosie.splinder.com/). Io che scrivo è un evento così raro che di solito merita un intervento su di esso, quindi mi trovate lì :)

Poi…?

Logicamente GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE GRAZIE a tutte coloro che mi supportano con commenti o aggiungendo ai preferiti questa storia.

Spero che questo capitolo vi piaccia, è incentrato tutto su Evan.

E fanno la ricomparsa due donne estremamente problematiche! Emy è difficilissima da gestire, sapete? Sarà che è il mio opposto, quindi non so proprio che farle fare.

Bè spero vi sia piaciuto lo stesso (forse l’ho già detto…)

Non so, sono le 23 e 20 e domani ho il compito di arte alla prima ora.

Anche se posterò domani pomeriggio vi auguro la buonanotte ^_^

Sperando che vada tutto bene, vi saluto, un bacio e alla prossima!!

 

“Io ti odiavo perché non potevo avere quel tuo sorriso, quelle parole.”

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Capitolo 12
*** Capitolo 11- Somebody got no reasons ***




Capitolo 11-
Somebody got no reasons

 

V

edeva quelle labbra rosa, schiuse vicino al suo viso, lasciare un sospiro di impazienza e piacere.

Con la mano accarezzò la schiena nuda della ragazza, imprigionando il suo corpo al suo, baciandola con trasporto. Lei si sollevò sopra di lui e, gemendo, cominciò a muoversi avanti e indietro, avanti e indietro; lui giocava coi suoi seni e scorreva con lo sguardo lungo tutto il suo corpo, i suoi lunghi capelli biondi e gli occhi castani socchiusi.

Poi vide solo buio.

Evan aprì gli occhi, scoprendosi sudato e affannato.

Aveva appena fatto un sogno erotico… su Reila?! Con un gesto improvviso si raggomitolò su stesso e scacciò via quella visione, nonostante il suo corpo reagisse in tutt’altro modo.

«Che c’è Evan?» chiese Emy con la voce impastata dal sonno.

Il moro si girò verso di lei e, con gesti ancora assonati, cominciò all’improvviso a baciarla.

Emy spalancò gli occhi sorpresa, ma ricambiò subito quello strano slancio di passione che Evan manifestava così raramente.

Lui l’abbracciò, e ancora immerso nel torpore del sogno, sussurrò «Reila…»

Sia lui che Emy fecero finta di nulla.

~

Reila si mise seduta sul letto disfatto, osservando per un istante la notte fuori dalla finestra.

Senza energie, prese il primo maglione che le capitò a tiro nella stanza e lo infilò sopra il proprio corpo, uscendo poi dalla camera da letto attenta a non fare troppo rumore.

Mentre apriva la porta, Alex si rigirò nel letto mugulando e Reila si spaventò che si fosse svegliato, ma era un falso allarme: l’uomo continuò a dormire, accennando ogni tanto a un qualche russare.

Reila invece si diresse in cucina dove si preparò un tè caldo.

Con la tazza di liquido scuro bollente si sedette sul bordo della finestra, guardando la luna, piena e bianca e pura. Pura come tutti credevano lei fosse.

Pura come invece non era mai stata.

In realtà, dopo la morte di Jack, lei non aveva più avuto amore sincero nel suo cuore.

Aveva odiato tutti, Selene compresa, a lungo.

                       Volevo andarmene, far smettere tutto: basta invidia, rancore, tristezza, allegria. Basta indossare una maschera di gioia e amore… avrei voluto togliermela, mostrare a tutti il mio vero io, carico di odio verso il mondo che non era Jack. Vorrei svelare a tutti questo segreto per vedere quante delle persone che mi circondano mi rimarrebbero accanto… ma non oso, perché so che non ne rimarrebbe nessuna. Volevo solo sparire… o voglio solo essere amata davvero, per una volta. Davvero, come faceva solo Jack…

Reila bevve un ultimo sorso dalla tazza di porcellana, tremando leggermente nel ricordare le parole di Evan al cimitero.

Io ti accetto anche se hai compiuto degli errori nella tua vita. Ti accetto soprattutto per quelli. Puoi piangere, arrabbiarti e picchiarmi quando vuoi se ti può far sentire più… viva.

Come poteva lei meritare tutto questo? Era Evan la persona che più meritava di essere definita pura; non lei. Lei che con lui, per tutta la vita, non aveva fatto altro che fingere…

Strinse le spalle, abbracciandosi nel tentare di ricordare la sensazione dell’abbraccio di Evan, e le sembrò proprio che fosse lì, dietro di lei, a scaldarla e sorreggerla.

   ~

«Ehm… è proprio necessario arrivare insieme al lavoro? Così ci scopriranno tutti…» Reila osservò titubante Alex nella speranza che la capisse, ma lui non la guardava nemmeno.

«E allora che c’è di male? Stiamo insieme per davvero»

«S-sì ma… è imbarazzante…»

«Smettila di fare la bambina Reila» la rimproverò lui. La bionda annuì arrendendosi, mentre le porte dell’ascensore si aprivano con il solito fischio.

Entrarono nell’ufficio camminando l’uno di fianco all’altro, e Reila stava appena cominciando a respirare e a tornare di un colorito normale che Melanie, la sua pettegola segretaria, fece una battuta infelice.

Appena la coppia passò davanti alla sua scrivania infatti urlò «Ehi, non starete mica assieme da venire assieme al lavoro?»

Tutto il corpo di Reila, capelli compresi, si paralizzò; Alex invece guardò Melanie senza scomporsi e pronunciò un semplice, conciso e sonoro «Sì» che Reila sentì riecheggiare nelle orecchie di tutti i colleghi presenti.

Melanie guardò Reila a bocca aperta «D-davverooooo??»

La bionda si girò la sua segretaria, verso i suoi colleghi e poi verso Alex: tutti pendevano dalle sue labbra, tranne l’ultimo che più che con curiosità la guardava con sfida.

Alla fine annuì sommessa. Melanie strillò.

~

«Detto questo, potete andare» disse Alex, liquidando i suoi sottoposti da quella noiosa riunione di routine. «Anzi, no aspettate!» continuò all’improvviso «dobbiamo fare tutti i complimenti alla nostra Reila Lewis, per aver brillantemente portato a termine il progetto Nocturne: claire de lune con i francesi. Sono rimasti entusiasti del suo progetto e in futuro si rivolgeranno di nuovo a noi.» Partì un piccolo applauso «Andatevene!» concluse senza delicatezza.

Reila rimase in piedi, come impalata, per un po’; poi l’onda di vergogna tornò tranquilla nel suo mare e la ragazza uscì dall’ufficio quasi correndo.

Mentre camminava a testa bassa per il corridoio, una ragazza nuova la fermò «Ti sei proprio sistemata bene, vero Reila?» disse sorridente, senza cattiveria.

Reila abbozzò un sorriso e senza risponderle se ne andò: voleva arrivare al suo ufficio e lì rimanere rinchiusa fino alla morte.

Prima però di arrivare alla porta sentì parlare dei suoi colleghi, uomini e donne.

«Quella Reila, speriamo non si monti la testa…»

«Di sicuro Alex la loda così perché ci va a letto!»

«Non si può negare che sia brava, però questo è giocare sporco! Scoparsi il capo per magari avere una promozione… che brutta persona!»

Lei esitò un attimo sulla soglia dell’ufficio, guardandoli con la coda dell’occhio. Poi, scomparve dietro la superficie di legno recante la targhetta dorata con scritto il suo strano e insolito nome.

~

Che ragazza carina, pensò Emy appena vide Reila.

Non brillava certo di bellezza, anzi era piuttosto anonima. Però aveva due occhi di terra e un sorriso talmente dolce da renderla invidiosa.

Emy si era sorpresa quando Evan l’aveva invitata a cena da questa sua amica, che da quanto ne sapeva fino a pochi mesi prima era stata la sua più acerrima nemica. Aveva accettato, ma si sentiva inquieta.

Reila. Quel nome.

~

«Sicura che non ti è di disturbo aiutarmi?» chiese Reila ad Emy, preoccupata.

«Tranquilla, non preoccuparti!» rispose sorridendo, continuando a lavare i piatti.

«Ma tu sei mia ospite, non dovresti lavorare! Guarda quei due…» scherzò la bionda, facendo cenno a Selene ed Evan, che chiacchieravano dei bei tempi del liceo, comodamente seduti sul divano.

Emy rise e riasciaquò l’ultimo piatto.

 

«Ti ricordi com’era Reila al liceo? Era tenerissima, sempre coi capelli legati in due trecce…» scalpitò Selene, eccitata.

«Già, sembrava Pippi Calzelunghe…!» la prese in giro Evan.

«Coooosa? Non è vero, era dolcissima!» ribatté la mora.

Evan rise, mentre il silenzio calava un attimo tra di loro. Selene lo squadrava, esitando se rivolgergli quella domanda che da sempre le frullava nella testa oppure no.

Alla fine decise che era più che opportuno.

«Evan… ma tu perché odiavi Reila?»

Evan si girò di scatto verso Selene, con occhi spalancati; la guardò senza parole né pensieri per qualche secondo. Sentiva il suo cuore sospeso nella sorpresa- «Di che state parlando?» si intromise all’improvviso Reila, seguita a ruota da Emy.

Selene rispose sincera, come se nulla fosse «Di perché tu ed Evan vi odiavate»

Reila si sedette per terra pensierosa, mentre Evan la osservava curioso e intimidito.

«Mh… ora che ci penso… non mi ricordo neanche.»

«EH?!» urlarono all’unisono Selene ed Evan, sconvolti e stupefatti.

Reila ed Emy guardarono stupite il viso contratto di Evan. «Che c’è?» riprese spaventata la prima «Eddai, sarà stato un motivo dell’asilo che ora non mi ricordo!»

Selene rise sonoramente «Certo che sei proprio forte! E tu, Evan? Anche tu non ti ricordi del perché vi siete odiati per vent’anni?!»

Evan distolse lo sguardo, concentrandosi su un punto alla sua sinistra. «Già… neanche io mi ricordo…»

«Lasciatevelo proprio dire: siete due stupidi!» continuò la mora ridendo, seguita a ruota da Reila che non aveva ben chiara la situazione.

Solo Emy notò gli occhi tristi del proprio ragazzo, e la delusione che gli deformava i lineamenti che tanto le piacevano.

 

Certo che mi ricordo perché ti odiavo.

Tu mi sembravi tremendamente stupida, ma nonostante questo sapevi sempre le cose perfette da dire, e tutti ti volevano bene, mentre io… ero solo capace di ferire le persone attorno a me, per questo mia mamma è diventata quella che è.

 Per chiunque, anche per gli sconosciuti avevi un sorriso caldo e gentile, mentre io mi crogiolavo nella mia tristezza e mi facevo compatire da tutti. Io ti odiavo perché non potevo avere quel tuo sorriso, quelle parole.

Tutto ciò che ho sempre saputo fare era mostrare sentimenti sbagliati… sono sempre stato un’esistenza vuota e fredda: ecco perché mio padre se n’è andato.
Ci sono diversi modi di uccidere: mi uccidevi con le tue parole perfette, e ora mi uccidi confessandomi che l’unico sentimento che ci ha legati in questi vent’anni per te non aveva neanche motivo.

Devo pensare che non mi hai mai odiato davvero, o che sono l’unico del quale non ti sia mai importato nulla?

Evan sorrise, rincuorato nel vedere il viso di Reila girarsi sorpreso vero di lui e poi illuminarsi di un sorriso.

Non sei capace di odiare non è vero?

Mentre osserveva Evan sorridere verso Reila, Emy sentì di nuovo quella stretta al cuore, la stessa dell’altra notte.

 

 

 

 

Scusate scusate scusate, non ho un briciolo di tempo per rispondere ad ognuna di voi… solamente, GRAZIE MILLE per tutto il supporto che mi date, per i complimenti, per i sorrisi che mi strappate con le vostre meravigliose recensioni! Siete davvero gentili e speciali!

E avete visto? Ho aggiornato entro un mese ;D un traguardo personale!!

Spero che il capitolo vi piaccia. Mi rendo conto che Emy mi sta simpatica. Pensare che prima di scrivere di lei la odiavo. Buò.

Alla prossima!!

“Ti prego, non portarmelo via!! È tutto quello che ho!”

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Capitolo 13
*** Capitolo 12- Listen to your heart ***


 

 

 

{S o u n d l e s s}

Sei perso o incompleto?

 

 

Capitolo 12- Listen to your heart

 

«C

iao Evan!» strillò Selene con gioia, battendo una mano sul bancone del bar al quale si era appena seduta, mentre i braccialetti legati al polso tintinnavano allegramente.

«Ciao!» disse Reila più pacatamente, sedendosi stando attenta a non rovinare le scarpe nuove.

Evan si girò a occhi spalancati verso le ragazze, tralasciando per il momento il mojito che una coppia gli aveva ordinato. «Che ci fate qui?!» domandò quasi impaurito.

Reila era venuta solo una volta a trovarlo al lavoro, ed era successo per caso e in compagnia di quell’essere, Alex…

«Siamo curiose di vederti al lavoro!» rispose la mora, con aria di sfida. Il ragazzo guardò poi Reila, che reagì sorridendo colpevole e spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Evan sbuffò, nascondendo un sorriso: Reila stava indossando i suoi orecchini.

«Il mio lavoro è impegnativo. Ho molti clienti al momento, per cui se non vi dispiace…»

«Invece ci spiace!» rispose ridendo Selene, volendo fargli dispetto.

Evan non si fece scappare l’occasione «Sai che in questo momento siete terribilmente antipatiche?»

La frase ottenne l’effetto desiderato: Reila si rabbuiò e guardò Selene preoccupatissima, come se l’amica l’avesse costretta a fare qualcosa che non voleva e, ora che la situazione si stava mettendo male, non avesse il coraggio per tirarsene fuori. Evan sentì uno sbuffo al cuore nel vedere quegli occhi così dispiaciuti «Ma si può sapere che volete?» continuò alla fine.

Reila esitò un attimo «…dimmi come aprire un negozio!»

Evan la guardò sorpreso «Un negozio?!»

«Sì, sai quei posti dove si vende qualcosa…» lo prese in giro Selene, volendo vendicarsi dell’antipatica di prima.

«Voglio aprire una pasticceria!» continuò Reila, con decisione.

«E questa da dove esce? Non l’avevo mai sentita!»

Reila si strinse nelle spalle e arrossì «È sempre stato un mio sogno… so che è irrealizzabile però…»

«Non è… una cosa stupida» la consolò Evan, arrossendo leggermente e stando attento a non guardarla, non consapevole che Selene lo stava fissando incuriosita.

Evan sentì Reila sorridere, ancora impacciata «Allora come devo fare?»

«Semplicemente devi avere soldi e fortuna. Ma mi sembra che di entrambi sia parecchio sfornita»

«Ti sbagli!» lo riprese ridendo la bionda «Apparte per scarpe e cibo, io non spendo nulla, quindi mi ritrovo con un bel gruzzoletto da parte…»

Evan la guardò a metà tra il divertito e il sorpreso. «E la fortuna?»

«La fortuna?»

«Sì, la fortuna.»

Reila lo guardò sorridendo, con uno sguardo perso nel vuoto di chi ha perso il filo del discorso. «…»

«Oddio ma che sto dicendo? A forza di stare con gli stupidi si diventa stupidi!» esclamò Evan, portandosi una mano sul viso in segno di arresa.

«Se hai finito di bisbigliare cose inutili, hai dei clienti al bar» lo rimproverò Selene, tranquilla.

«E di chi è la colpa se non sto lavorando?!» urlò Evan irritato.

Reila scese con un salto dalla sedia, e con un gesto della mano disse «Scusate, ora devo andare. Ci vediamo presto! Ciao!»

«Ehi! Ma siete venute qui solo per disturbare quindi, non è così?» sbraitò Evan a Selene, che alzò le spalle con menefreghismo.

Quando Reila uscì dal locale fece tintinnare il campanello sopra la porta e lasciò al suo posto una ventata di aria fresca profumata di neve.

Evan rimase un attimo fermo ad asservare il punto dove la bionda era sparita, come aspettando di vederla rientrare; poi, lentamente, ritornò al suo lavoro.

«Grazie Evan» disse Selene all’improvviso.

Allo sguardo interrogativo di Evan rispose con un sorriso di comprensione. «Stai mantenendo la promessa che mi hai fatto. Stai proteggendo Reila»

~

«Reila?»

La voce cristallina di Emy fece girare di scatto la ragazza che, trovandosi sorpresa, le sorrise agitata. Emy la guardava con occhi altrettanto inquieti attraverso i corti capelli bruni.

Comunque, appena Reila la riconobbè si rilassò, ridendo stavolta per la felicità. «Oh Emy, sei tu! Mi hai fatto spaventare!»

L’altra non le rispose: la fissava, con le iridi verdi piene di domande.

«Che ci fai qui?» chiese alla fine, con voce leggermente tremante.

«Eh?» Reila rimase un attimo stupita dal tono quasi minaccioso della ragazza. «Ah… ero venuta a trovare Evan! Anche tu sei qui per lui, vero?»

«Perché?»

Reila si accorse degli occhi lucidi di Emy che stavano per traboccare di lacrime, e cominciò ad agitarsi. «B-bè… è un mio amico…»

La mora mosse un passo verso di lei rossa in viso e con le guance rigate dalle lacrime, facendola indietreggiare spaventata.

«Tu sei fidanzata vero? Stai con qualcuno, no?!»

«S-sì…»

«E allora perché? Perché Evan pensa più a te che a me? Perché guarda te invece di me?» urlò Emy, afferrandola per le braccia e costringendola così ad osservarla negli occhi disperati.

«Emy…»

«Perché… mentre facciamo l’amore… lui sussurra il tuo nome?» sussurrò lasciando la presa sulle braccia della bionda. Si portò le mani al viso per nasconderlo, Come se quello che stesse per dire così non potesse entrare dentro di lei, non potesse scalfirla.

Mentre  facevamo l’amore lui ha pronunciato il suo nome… più e più volte.

All’improvviso alzò il viso, guardando Reila disperata «Ti prego, non portarmelo via!! È tutto ciò che ho!»

Mentre Emy continuava a piangere fissandola con aria di sfida mista a supplica, Reila sentiva la propria mente vuota galleggiare, incapace di formulare un pensiero compiuto.

Senza aggiungere nient’altro, col cuore sospeso tra dolore e sorpresa, si girò e scappò via, senza voltarsi indietro neanche una volta.

~

Ormai in ufficio Melanie era rimasta l’unica a rivolgerle la parola spontaneamente, ma Reila era sicuro che lo facesse solo per lavoro, sicuramente.

E se fosse stato anche per pena?

No, questo non poteva accettarlo: l’ultima cosa che Reila avrebbe voluto era questa.

Inoltre doveva trovare il coraggio di farla finita con Alex… ma ogni volta che lo vedeva il cuore le doleva di paura. Le avrebbe di certo fatto ancora del male: ma aveva capito che, per quanto si vorrebbe andare d’accordo con tutti, da certe persone è meglio stare alla larga.

Stare sola faceva male, molto male: non era nulla a confronto degli schiaffi che Alex poteva darle. Però… Evan.

«Alex io… mi sento molto a disagio» gli confessò Reila con un’audacia non sua, conquistata chissà dove.

Il moro la studiò attentamente «Cosa vuoi dire?»

Reila si sistemò sulla poltrona davanti alla scrivania dell’uomo e tentò di riaccumulare la tenacia di pochi secondi prima, già andata dispersa.

«Mi dà fastidio che gli altri mi evitino perché sto con te…»

«In pratica, hai paura di quello che pensano?»

«Sì»

«E questo conta più di me?»

Reila si pietrificò: avrebbe voluto e dovuto rispondere “Sì”, ma non lo fece. Si limitò a stare zitta, innervosendo Alex ancora di più.

«Devi imparare a crescere Reila» disse sbuffando «Sei una donna adulta, non puoi continuare a essere insicura: rischi che così ti calpestino tutti i piedi! Ed è quello che sta succedendo, quello di cui mi vuoi dare la colpa. Sei debole e nella società questo non è ammesso. Ti avevo già avvertito, no? Devi essere più forte se vuoi stare con me. Io ho degli standard… la mia donna deve essere come me!»

«Io non sono come te» rispose Reila, con una vena di disprezzo nella voce che per fortuna ad Alex sfuggì.

«E allora cosa vorresti fare?» continuò lui, alzandosi e avvicinandosi alla ragazza. «Lasciarmi?» sussurò a pochi centimetri dal viso della bionda. Prese una ciocca dei suoi capelli tra le dite e la rigirò senza attenzione «Lo sai che non lo accetterei. Io voglio renderti forte, Reila, con le buone… o anche con le cattive»

Reila strinse i denti e scattò in piedi. «… Ci vediamo dopo allora» bisbigliò tremando.

Alex la guardò esterrefatto mentre usciva dal suo ufficio, scappando per nascondere le lacrime che prepotenti tradivano quella finta sicurezza.

~

«Aaaah! Ma si può sapere dove sei finita, Katieee?!» urlò Reila in preda al panico totale, gettando per aria tutto il contenuto della sua borsa.

Controllò sotto il tavolo, sotto il letto, sotto ogni singolo mobile ma della sua agenda non c’era alcuna traccia… si portò le mani tra i capelli disperata, col cuore a mille.

Come avrebbe fatto ora?

Proprio mentre stava per lasciarsi andare allo sconforto, il campanello suonò: alla porta trovo Evan, con in mano la sua adorata Katie.

Appena Reila la vide si gettò su di essa urlando, ignorando completamente il ragazzo.

«KATIE! Sei tornata da me!!» strepitò entusiasta, strappandola dalle mani di Evan.

«L’avevi lasciata al ristorante» la informò lui, dandole una leggera pacca di ripresa sulla fronte. Reila lo ringraziò senza guardarlo e lo invitò ad entrare «Ho appena fatto una torta alle mele…»

«Ti stai esercitando per la tua futura pasticceria?» chiese il moro cercando di instaurare una conversazione. Reila si comportava in modo molto strano e voleva metterla a suo agio: ma seguendola ovunque andasse e tentando di parlarle stava ottenendo solo l’effetto opposto.

«Grazie ancora per avermi riportato Katie, non so come avrei fatto senza di lei…» disse a un certo punto la bionda, servendo al ragazzo la fetta di dolce in un piattino di porcellana.

Evan le sorrise, ma lei era troppo intenta a rimirare il suo ritrovato tesore per accorgersene.

«Sai… ogni giorno della mia vita è programmato nei minimi dettagli in queste pagine. Se l’avessi persa davvero…» continuò sedendosi, senza continuare la frase: sarebbe stato troppo triste anche solo pensare a una tale eventualità.

«Ma questo… non è angosciante?» domandò Evan, provocando la solita reazione di palpitazione eccessiva in Reila. «È triste non avere sorprese nella vita»

«Non sempre le sorprese sono belle» lo riprese Reila, scaldandosi leggermente.

«E allora?» disse Evan, masticando di gusto l’ultimo boccone «Fa parte del crescere»

Reila chinò la testa senza rispondere. Lo sapeva benissimo che, nonostante avesse 26 anni, era ancora una bambina delle medie, sia nel corpo poco sensuale che nello spirito troppo infantile; non c’era però bisogno di rinfacciarglielo…

«Perché per una volta non sei te stessa? Insegui i tuoi sogni, realizzali, apri quella cavolo di pasticceria e fregatene di tutti! Lascia stare Katie e vivi alla giornata…»

“Sei una donna adulta, non puoi continuare a essere insicura: rischi che così ti calpestino tutti i piedi!”

«Non è… che io non voglia. Ma non è per niente facile. Una insicura e stupida come me vive di sicurezze…»

… Programma la sua giornata nel minimo dettaglio ed evita un futuro incerto, per non trovarsi in difficoltà, per essere sicura di non sbagliare, per essere certa di non dover incombere nel giudizio altrui.

«Però… sarebbe davvero bello se…» ammise a bassa voce alla fine, arrossendo.

Evan si alzò in piedi e con un gesto teatrale prese la povera Katie, finita in un attimo dalle stelle al cestino. Reila la osservò giacere inerme tra la spazzatura; squadrò la sua mania di autocontrollo per qualche secondo, poi ne distolse lo sguardo portandolo verso Evan.

«Ci proverai?»

«…Sì»

 

 

Note senza il minimo senso

Vediamo… non aggiorno da circa 4 mesi.

Pensavate fossi stata rapita da un ricco sceicco e rinchiusa nel suo harem, eh?! E invece vi è andata male! :P

A dire il vero, i ¾ di questo capitolo erano pronti da 3 mesi e passa: tutto questo ritardo è colpa dell’ultimo dannato quarto…

Come al solito spero che vi piaccia ç_ç e che qualcuno si ricordi di meeeeeehhh…

Mi rendo conto che forse questi capitoli sono un po’ insulsi: non succede nulla di che, però credo siano importanti perché Reila ed Evan si stanno avvicinando sempre di più…

Passiamo ai ringraziamenti :D alle 6 persone che si sono ricordate di meee çOç

Francesca_27: ehehe… SCUSAAA ç_ç mi spiace averti fatto aspettare così tanto! Comunque hai inquadrato perfettamente Reila, ma devi pensarla complicata all’ennesima potenza <3

Kikka_neko: grazie milleeee <3

Meikucch: ihih, anche io non odio Emy, anche se… vabbè, tranquilla, si saprà molto anche su di lei ^_^

Sheila84:  grazie per tutto J e se mi ricordo bene, il compito di arte era andato bene… 9 :P

Black Lolita: Grazie per i complimenti… concordo: abbasso la mamma di Evan è___é spero che questo capitolo ti sia piaciuto anche se è poco EvanxReila L

Kokky: ribadisco: abbasso la mamma di Evan XD ah, tra poco mi metto alla pari con PB >_< promesso!!

 

“Ma tu non ce l’hai il cane!” “Uh! Allora è arrivato il momento di prenderlo!”

 

Alla prossima!!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13- Defying gravity ***


 

I tuoi veri colori
sono belli come un arcobaleno

Capitolo 13- Defying gravity

 

P

er Selene la risata di Reila aveva qualcosa di magico, come se fosse un richiamo spirituale.

Qualche volta sembrava strana anche a lei questa sensazione, ma il sorriso dell’amica le piaceva così tanto…!

Da quando l’aveva conosciuta aveva sentito il dovere di proteggerla, di difendere lei, così indifesa, così fragile… così sola.

L’aveva conosciuta poco prima che Jack morisse e aveva visto giorno per giorno la sua vita e il suo essere mutare profondamente. Era sempre stata insicura ma dopo quell’incidente era tornata a uno stato emotivo quasi infantile: come se non fosse mai cresciuta e fosse rimasta in quella fase di dipendenza assoluta dalle persone care.

L’aveva sempre vista come un pulcino bagnato ed abbandonato.

«Sono contenta» disse sorridendo la mora, osservando Reila con dolcezza.

«Per cosa?» le chiese l’altra, senza smettere di ridere.

«Ora sembri molto più felice…»

Reila si sentì in leggero disagio e continuò a impastare con le mani l’insieme di farina uovo zucchero e burro, che serviva per fare dei dolci.

Selene fece schioccare la lingua e continuò «Evan ed io eravamo preoccupati: nell’ultimo periodo sembravi così giù…»

Reila la guardò sorpresa, sospendendo per un attimo l’attività ripetitiva delle mani «Davvero?»

Altrettanto stupita rispose l’altra «Certo! Ma non volevamo essere invadenti, sappiamo quanto sei timida e riservata… EHI! Ma che fai piangi?!» finì la frase scattando in piedi, in reazione alle inaspettate lacrime della bionda, che cominciò a singhiozzare senza controllo.

«Reila?»

«S-scusa…»

Perché? Perché sto piangendo? Forse perché, invece che ignorarmi i miei amici si sono preoccupati per me, nonostante…

«Evan… sa cosa t’ha fatto Alex» confessò all’improvviso Selene, senza guardarla negli occhi lucidi, che si spalancarono tra orrore e stupore. «Perdonami ma ho dovuto dirglielo, non posso proteggerti da sola contro un uomo del genere…»

Reila tirò su col naso e lentamente abbracciò Selene, stando attenta a non sporcarle la maglietta con le lacrime.

Pensavo: se mi mostro sempre allegra e disponibile sarò accettata da tutti, no? Risulterò simpatica. Se mi mostrassi triste o arrabbiata… se rivelassi i miei lati peggiori… il mio odio… nessuno… nessuno mi accetterebbe e rimarrei di nuovo sola. È giusto fingere, mentire sempre, per essere felici. E nonostante io finga di essere felice da una vita, c’è ancora chi capisce quando sono triste.

«Se rimanessi di nuovo sola… compirei lo stesso errore» sussurrò tremante «Vorrei di nuovo morire» disse alla fine senza alcun timore, lasciando Selene di stucco: lei non sapeva di come Evan le avess fatto capire che non bisogna vergognarsi dei propri errori.

Sono così: sono una che non impara mai. La solitudine mi spaventa, terribilmente. Il solo pensiero mi priva di forze. Mio fratello era il mio mondo. Era tutto per me, e la sua morte ha sconvolto tutto il mio universo. Non mi sentivo più me… percepivo il mondo come un posto ostile, che ormai non aveva più nulla da darmi. mi sono sentita sola. Inadatta.  Nessuno mi avrebbe mai accettata per i miei difetti… nessuno vuole accanto persone tristi.

«Ma Reila… anche dopo la morte di Jack non sei mai stata sola»

La bionda la guardò come se non capisse cosa stesse dicendo «Hai fatto tutto da sola. Hai deciso tu, nella tua mente, di essere sola. Io e te ci eravamo già incontrate da tempo»

Reila si staccò dall’amica, quasi offesa, ma Selene la trattenne per le mani.

«Devo confessarti che, per quanto io ti adori, quando ti compatisci così miseramente non ti sopporto. Hai perso tuo fratello, che amavi con tutta te stessa: è di sicuro un’esperienza che segna e che ti perseguiterà per sempre. Ma quando neghi di aver mai sperimentato altro vero affetto al di fuori di quello di Jack mi viene voglia di urlare.» Selene prese un sospiro, ma non staccò neanche per un secondo gli occhi azzurri da quelli castani di Reila. «Me, i tuoi genitori, Evan: sembra che per te l’affetto di queste persone valga meno di niente»

«Non è assolutamente vero, Selly» rispose Reila, senza sapere bene che espressione assumere: arrabbiata, offesa, triste…? Le stava mostrando quello che il suo cuore aveva sempre urlato in silenzio e ora non sapeva come reagire. Aveva sempre mentito: come comportarsi con la verità?

«Lo so, Reila. Ma se la pensi davvero così… se davvero credi che sia il nascondere i tuoi veri sentimenti che garantisce il nostro affetto… se davvero lo consideri così vuoto… allora avresti fatto meglio ad ucciderti, perché nulla ha senso»

Queste parole le piombarono addosso come una doccia fredda, spezzandole il cuore. Selene la guardava decisa, ma tremava…

Reila chiuse gli occhi, aveva capito: Selene stava dicendo cose così orribili perché voleva aprirle gli occhi.

«Che senso ha vivere se non puoi farlo liberamente?»

Reila strinse le mani dell’amica tra la sue, mentre un’altra lacrima le rigava la guancia «Grazie…»

Selene le sorrise dolcemente, mentre le chiedeva perdono per le sue ultime parole. Reila negò con la testa, ringraziandola ancora.

«Non piangere più Reila…»

«…scusa ma non ci riesco…»

«Non sono io la persona che in questo momento è capace di farti stare meglio, vero?»

Reila la guardò senza comprendere, continuando a piangere.

Selene lasciò le mani dell’amica e con una velocità sorprendente prese il proprio cappotto, infilandoselo. «Scusa ma mi sono ricordata che devo portare il cane a fare una passeggiata!»

Reila la osservò confusa, mentre si soffiava il naso «Ma tu non hai il cane…»

La mora aprì la porta pensierosa «Ah! Allora è arrivata il momento di prenderne uno!» urlò sparendo per la tromba delle scale.

Quando fu fuori dall’edificio prese in mano il proprio cellulare e cercò nella rubrica i nomi sotto la E. Quando trovò quello giustò schiacciò il tasto verde ed aspettò.

Appena sentì risposta dalla parte opposta del telefono disse «Reila ha bisogno di te. Corri… va da lei»

~

«Reila! Cos’hai? Perché piangi?» chiese Evan preoccupato, ancora col fiatone per la corsa che Selene gli aveva fatto fare.

La bionda lo guardava estereffata stare sull’uscio del suo appartamento «Evan! Ma che ci fai qui?»

«Sono io che faccio le domande qui!» la riprese entrando «Perché stai piangendo?!»

A quelle parole Reila si accorse dello stato pietoso in cui si trovava, e si nascose il viso tra le mani «AH! Ti prego non guardarmi! Voltati, chiudi gli occhi! Non guardare…»

Non guardare le mie lacrime. Non puoi vedere questa mia debolezza.

Ricordandosi però le parole di Selene, Reila alzò gli occhi verso Evan, la cui espressione preoccupata non era cambiata di una virgola. «Vuoi che rimanga da te stanotte?» chiese lui, audace, facendole avere un tuffo al cuore.

«Eeeeeeeeeeeeeeh?! M-ma che dici?!..»

«Non posso lasciarti in questo stato!» urlò anche lui.

«M-m-ma Emy…» balbettò Reila, che si sentiva tremendamente in colpa per lei. Ogni singolo momento che passava con Evan le sembrava un tradimento…

Evan distolse lo sguardo da lei, puntando un qualcosa di impreciso sopra di lui «Emy e io abbiamo litigato»

«Eh?» chiese Reila sentendosi morire. Era di sicuro per colpa sua…

«Ho intenzione di lasciarla»

Reila trattenne il respiro rumorosamente, portandosi entrambe le mani alla bocca per la sorpresa. Non poteva permetterlo, soprattutto se era per causa sua che Emy avrebbe sofferto così tanto… «NO! Tu per lei sei tutto…!!» lo implorò, avvicinandosi a lui.

«Ma… la mia felicità? Non è con lei. Io non la amo più» ammise il moro, arrossendo leggermente. Ultimamente una sottile idea aveva cominciando ad attaccare nella sua mente: e se il suo posto fosse vicino a Reila…?

«…Evan» la voce dolce di Reila lo richiamò dai suoi pensieri.

«Non posso lasciarti in queste condizioni» continuò il ragazzo «Dai vatti a sciaquare il viso»

Reila annuì sommessa e si diresse in bagno, mentre Evan camminava verso la cucina, dove notò l’impasto per i dolci abbandonato a metà. «Volevi cucinare qualcosa?» urlò a Reila in modo che lei sentisse. La ragazza arrivò asciugandosi ancora il viso arrossato «Ah… sì, dei dolci… non importa li farò domani»

Evan osservò Reila attentamente e si stupì di come gli sembrassero belli i suoi occhi leggermente gonfi, con le ciglia ancora imperlate di lacrime, e le guance così lisce e rosse. Stava diventando davvero una situazione insopportabile.

«N-no, facciamoli ora! Così puoi insegnarmi, e ti potrò aiutare quando aprirai la tua pasticceria!» disse alla fine, sorridendo e guardandola negli occhi.

«Evan…» sussurrò lei, incredula.

«Sì?»

Dimenticandosi per un attimo di Emy, Reila si abbandonò a quel sorriso e con un salto gettò le braccia al collo di Evan, respirandone il profumo e sentendo sulla guancia lo sfregare della barba leggere del ragazzo.

Evan indietreggiò di un passo sotto il suo peso «C-che hai?»

«Ho deciso. Lascio Alex, lascio il lavoro, lascio tutto» Lascio tutto tranne la mia unica certezza: il mio affetto per te.

Reila si sorprese di aver pensato una cosa del genere, ma decise di non farci troppo caso.

«Ho deciso di fare come mi hai detto tu, come mi ha detto Selly. Seguirò i miei sogni. Aprirò una pasticceria, e Alex... lo lascerò. Ma tu mi prottegerai vero? Promettimelo!»

Evan ricambiò l’abbraccio, anche se ancora stupito. «S-sì… ma così all’improvviso?»

A dire il vero Evan aveva sperato in una risposta diversa sul perché aveva deciso di lasciare Alex: aveva desiderato che questo portasse a una qualche svolta, dato anche l’abbraccio impetuoso o così stretto… ah, ma che scemo che era! Lui e Reila non erano mica innamorati.

Forse.

«Mi hai detto tu che posso essere egoista ogni tanto!» continuò intanto Reila, con tono ovvio.

Evan sorrise «Certo che puoi… e non temere quello stuzzicadenti di Alex non potrà nulla contro i miei bicipiti!» affermò sicuro di sé, mostrando il braccio con fierezza.

Reila lo squadrò confusa «Quali bicipiti?»

«Come quali…» piagnucolò Evan deluso.

«Boh mi sembra che Alex ne abbia di più…» rispose la ragazza con troppa serietà.

«Vogliamo fare i dolci o no?» cambiò discorso il ragazzo, scocciato.

«Ah! Sì!»Reila sciolse l’abbraccio, lasciando il ragazzo leggermente dispiaciuto: era una bella sensazione averla tra le proprie braccia…

«Allora, che dolci facciamo?»

«Quelli che vuoi, li so fare quasi tutti!» disse la bionda con innocenza.

Evan la guardò annoiato «Tsk! Presontuosa!»

«Eeeeeh?» piangnucolò lei «ma io…»

«Su, dai, all’opera!» la spronò lui ridendo.

~

«Non credevo fosse così faticoso fare dei dolci» ammise Evan, massaggiandosi il collo.

«Ma no, è anche l’ora tarda» disse la ragazza mentre indicava l’orologio che segnava le 3 di notte.

Evan sospirò. Effettivamente si sentiva parecchio stanco e l’odore caldo e fragrante dei biscotti lo cullava dolcemente, facendogli pesare le palpebre. «Forse è ora di andare a dormire, non credi?»

«…eh?»
Evan sorrise all’espressione smarrita di Reila «Sta tranquilla non ti salterò addosso»

«EEEEEEEEH?! C-che vuoi dire??» urlò Reila, completamente rossa in viso.

Il ragazzo si portò le mani sugli occhi disperato: più cercava di farla sentire a suo agio, più lei si agitava. Quando invece la chiamava stupida, lei sorrideva.

Quella lì era tutta strana… «Lascia stare» concluse, mentre la ragazza mugugnava ancora confusa.

In realtà lei non pensava che Evan fosse serio quando aveva detto che avrebbe dormito da lei.

Così quando il ragazzo si infilò nel suo letto, aprendole le lenzuola, si sentì sprofondare nella vergogna e nella colpa… e nella felicità.

Mentre si accucciava accanto a lui, cercando di scaldare la propria parte di letto, chiuse gli occhi: e le tornarono in mente quegli occhi verdi e disperati, che la supplicavano di non sottrare loro la loro ragione di vita.

Ma poi sentì il profumo di Evan pervaderle la mente e il suo respiro accanto al proprio: questo bastò per cancellarle ogni timore dai ricordi. Tese le braccia verso Evan e appoggiò la testa al suo petto, lasciandolo sorpreso.

«Grazie Evan…»

Il ragazzo borbottò qualcosa, cercando di trattenere i propri istinti; tuttavia non sapeva quanto sarebbe stato capace di resistere…

Aveva una strana voglia di lei. Ma era diverso dalle altre volte: non aveva voglia del piacere; aveva proprio voglia di lei.

«Non era necessario fare tutto questo per me» continuò la ragazza «Sto bene, sul serio. Potevi davvero andare a casa…»

«Avresti voluto così?»

Reila scosse il capo, arrossendo.

Evan sorrise «Non ringraziarmi Reila. Io… ho capito, sai. Credi che il tuo modo di essere sia una montatura per piacere agli altri. Credi di vivere nell’ipocresia. Ma non è così.»

Sentì Reila stringere la presa attorno a lui, e ricambiò la stretta, sentendola tremare al suo fianco.

«Sono rimasto perché volevo che capissi che l’amicizia che provo per te non dipende dal fatto che sorridi sempre. Credo che quella che indossi non sia una maschera, ma un’evoluzione della tua personalità: tu sei davvero così, non riusciresti mai a far del male a qualcuno, trovi sempre il lato migliore in ogni cosa e un sorriso per ogni persona, nonostante tutto. E questo è splendido»

Reilà negò «Non sai quanto mi costa obbligarmi a essere ottimista…»

«Ma lo sei, ci riesci» la interruppe Evan «e questo vuol dire che lo sei davvero»

Reila rimase senza parole.

In un pomeriggio lui e Selene erano riusciti a farle capire che tutte le sue convinzioni erano fasulle. Si sentì girare la testa benché fosse sdraiata e sentì l’ennesima lacrima scenderle sul viso «…Scusa»

Sentì Evan ridere leggermente «Basta scusarti. Sono felice di averti detto queste cose. E se hai così poca fiducia in te stessa… va bene anche così. Io e Selene siamo qui per incoraggiarti. Affronteremo il mondo assieme. Ma ora non piangere più, ok?»

Reila rise lasciandosi scappare un sospiro.

Come aveva fatto prima a vivere senza Evan? Anzi, addirittura odiandolo? Com’era possibile che avesse avuto in antipatia una persona del genere? Oh, ma alla fine Reila l’aveva sempre saputo. Anche l’odio era stato finzione… e ora, questo calore… cominciò a credere fosse amore.

Mentre Evan la stringeva più forte a sé, sussurrò «…Ho paura, Evan. Ho tanta paura»

 

Si addormentarono assieme, pochi minuti più tardi. Ma mentre Reila sprofondava nel sonno, un unico pensiero le veniva alla mente. Perdonami Emy…





 

Note senza il minimo senso

Ma come mai negli scorsi capitoli mi cambia il Georgia col Verdana? È davvero brutto… mh prima o poi lo cambierò… spero che almeno Times New Roman si veda L

Vabbuò.

Che bel capitolo eh? (Seeeee ndtutti)

No intendevo come svolta nella storia, ovviamente. L’ho scritto veramente di melma, me ne rendo perfettamente conto :D

Comuuuunque ancora qualche capitolo d’attesa, ma ormai il destino è scritto. Qualche capitolo… (sfoglia lo schemino, col riassunto dei capitoli)

Insomma. Piccolo spoiler. Si deve aspettare il cap 18. Per cosa e per chi penso lo sappiate no?

Boh comunque il titolo e la frasetta all’inizio sono presi dalle canzoni di Glee. Cos’è Glee? Un telefilm. E che telefilm. Guardatelo, infedeli!

E un bel periodo per telefilm questo. È pure ricominciato LOST!!!!!!!!! Cioè, io me lo guardo su internet in inglese :P non resisto ad aspettare la FOX!!! Manca solo che riprendano Fash Forward… eeehh <3

Comunque grazie a chi ha aggiunto tra i preferiti questa storia, i vari lettori occasionali, quelli più abituali e chi mi ha recensito!! Che ci sia un ritorno di ispirazione? XD Non so, non ci spero troppo. Più che altro non ci credo.

Tra l’altro quest’anno ho la maturità quindi figuriamoci quanto tempo avrò… ah!! Ho la patente!! Anche se mamma e papà non mi lasciano usare la macchina MAI ç_ç ma io che l’ho fatta a fare alloraaa!

Ma stiamo divagando troppo….

 

In realtà lo so. Mi ricordo perfettamente perché ti odiavo…

 

Alla prossima!!

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14- Out of the shadows ***



Capitolo 14-
Out of the shadows

 

S

e c’era una cosa che Reila amava era svegliarsi la mattina con qualcuno accanto.

Andava bene chiunque, anche Alex: l’importante era aprire gli occhi e sentire subito di non essere sola, di aver sognato accanto a qualcuno.

Quando si era svegliata accanto ad Evan, dopo un leggero smarrimento inziale, era arrossita di colpo, come se l’avessero sorpresa a rubare col dito la crema sopra una torta.

Poi però era stata distratta dalla luce mattutina che dalla finestra delineava il profilo del ragazzo, dalla leggera barba che gli era spuntata sulle guance e che sicuramente le avrebbe fatto il solletico se fossero stati vicini… Provò l’impulso di baciarlo.

Si nascose il viso tra le mani, scuotendo la testa.

Evan non è mica la Bella Addormentata nel bosco!, pensò agitata.

Comunque, tutto quel movimento aveva finito per svegliare anche Evan, che si trovò davanti Reila rossa come un peperone e coi capelli tutti spettinati.

Dopo essersi stiracchiato ed aver sbadigliato, si girò sul fianco per guardare la ragazza in faccia.

Com’è tenera, pensò.

«Buongiorno…» le disse sorridendo.

Reila mosse le labbra per rispondere ma non ne uscì alcun suono: Evan ne rimase un attimo stupito, poi si accorse anche lui che il motivo per cui la bionda era così agitata era la loro stretta vicinanza.

Arrossì leggermente anche lui, ruotando gli occhi altrove per decidere cosa fare.

Poi, preso dall’eccitazione mattutina, spinse una mano audace sul fianco della ragazza e trascinò il viso ancora più vicino.

Gli occhi castani di Reila si spostavano velocemente sul suo volto, confusi, in cerca di una risposta a quello che stava succedendo. La sentiva tremare per la tensione sotto la sua mano, ma ormai, anche se avesse voluto, non sarebbe riuscito a fermarsi: quelle labbra rosee e morbide, che già aveva gustato e che qualche volta lo tormentavano in sogno, quelle labbra erano a questo punto troppo invitanti e possibili…

Inaspettatamente fu Reila ad impedire il fatto. Un secondo prima che si baciassero si era portato le mani al viso e si era raggomitolata nelle spalle, facendosi piccola piccola.

Evan si fermò sorpreso: a dire il vero, avrebbe potuto e voluto senza troppa difficoltà scostarle le mani e alzarle il viso, ma decise che non era il caso.

Si rigirò supino sospirando, mentre Reila tastava il terreno per capire se era passato tutto o no.

Entrambi non sapevano cosa dire: scusa o mi dispiace? Oppure che altro…?

Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, Reila si riavvicinò ad Evan, sussurrandogli nell’orecchio.

«Grazie… grazie.» Evan si girò verso di lei e sentì il suo cuore accelerare nel vederla sorridere in un modo così dolce ma determinato «Ora puoi anche tornare da Emy».

Senza aggiungere nient’altro, Reila si alzò dal letto, dirigendosi verso il bagno.

Quelle parole così sussurrate avevano lasciato ad Evan una sensazione parecchio piacevole, ma dovette sopprimerla anche stavolta.

Ancora sdraiato sotto le coperte, si grattò il capo con aria preoccupata. Se non fai qualcosa subito finirai per impazzire, gli disse una voce dentro la sua testa ed Evan non potè che darle ragione.

Prima però doveva farla finita con Emy una volta per tutte.

 

Reila chiuse la porta del bagno dietro di sé, serrandola a chiave.

Sospirando si lasciò scivolare su di essa, sedendosi sul pavimento freddo di marmo e abbracciando le ginocchia. Tremava.

Ma non era paura, no, lo sapeva benissimo. Conosceva bene quella sensazione, le sapeva dare un nome: ma non poteva (doveva) essere sua per il momento.

Al volto di Emy in lacrime che si affacciava sulla sua mente, si affacciò quello di Alex mentre l’aveva picchiata.

Alzò il viso, rosso per l’agitazione, e con sguardo risoluto decise che era arrivato il momento di farla finita con Alex.

~

Evan cominciava a spazientirsi: era passata mezz’ora e Reila non era ancora uscita dal bagno.

Cosa cavolo stava facendo chiusa là dentro? Corrugò la fronte e decise di andare a controllare se fosse successo qualcosa: non si poteva mai sapere con quella lì!

Si mise seduto sul letto, massaggiandosi le tempie, e poi si diresse verso il bagno: bussò alla porta ma nessuno rispose. Riprovò: nulla.

Provò ad aprire la porta e la trovò aperta, ma la stanza era vuota.
«Reila?» La cercò nella stanza degli ospiti, in cucina, nell’ingresso.

Niente, non c’era. Se n’era andata senza salutarlo, chissà dove poi? Era pure domenica, quindi non era giorno di lavoro…

Cosa avrebbe potuto avere di così importante da fare da non salutarlo nemmeno?!

Evan ripensò alla sera precedente, per trovare un’indizio.

«Ho deciso. Lascio Alex, lascio il lavoro, lascio tutto»

Evan sbiancò, portandosi una mano alla bocca per la preoccupazione.

Non sarà… non sarà mica andata da sola da…?!

~

Il taxi si fermò davanti a una piccola villetta bianca, con un piccolo giardino a lato con due alberi ancora spogli per il freddo.

Reila non era mai stata a casa di Alex: siccome era sempre lui a chiedere di vedersi, era Alex che venive sempre a casa sua.

Tuttavia aveva logicamente il suo indirizzo. Così era scappata dalla sua stessa casa, senza salutare Evan e aveva preso un taxi al volo.

Non aveva voluto avvisare il ragazzo perché lo avrebbe sicuramente solo fatto preoccupare inutilmente. Non sarebbe successo nulla: non gli avrebbe lasciato il tempo di farle ancora del male, sarebbe scappata prima.

 

Reila scese tremante dal taxi, ringraziando l’ometto alla guida, che subito dopo ripartì.

Percorse il vialetto di ghiaia ripassando nella mente il discorso che aveva programmato di dire ad Alex durante tutto il viaggio, ma l’agitazione le impediva di ricordarselo completamente. Sapeva già che davanti ad Alex avrebbe fatto scena muta.

No, non ci riusciva. A due passi dalla porta, si girò e corse via traballante sui tacchi leggermente troppo alti.

Corse attraverso il viale alberato, le sembrava infinito.

Rallentò la corsa, senza fiato e si lasciò andare seduta sull’orlo del marciapiede.

Non ci riuscirò mai, sono troppo debole. Anche se ora non ho paura di restare sola se perdo Alex ho comunque troppa paura. Fa troppo male…

All’improvviso le parole di Evan le tornarono alla mente, assieme al suo respiro ritmico e assordante, alla luce che stamattina delineava il suo viso accecante e i suoi occhi verdi così vicini e... quelle labbra, oh, quanto aveva desiderato quelle labbra poche ore prima!

Ma aveva detto no, aveva resistito perché… sarebbe stato tradimento.

Reila si alzò in piedi di scatto: stava tornando da Alex. Doveva farcela, sconfiggere le sue paure e Alex… doveva farlo per Evan.

Ripercorse di nuovo correndo lo stesso percorso di poco prima ed arrivò ansimante alla sua meta.

Suonò il campanello con qualche incertezza e restò in attesa.

«Chi è?» chiese una voce dall’interno.

«Reila»

Era arrivato il momento di cambiare, di crescere.

Appena vide il volto di Alex, Reila sentì nel cuore la stessa sensazione di smarrimento che ebbe davanti al cadavere di Jack. Mentre il ragazzo le chiedeva sopreso cosa fosse successo, la sua mente rimaneva bianca e vuota e la sua bocca incapace di parlare.

Strinse i pugni e prese fiato per calmarsi.

«Sono qui per lasciarti, Alex» disse infine tutto d’un fiato.

«Cosa?» chiese Alex con un sorriso incredulo.

Reila alzò il viso e lo guardò negli occhi, dello stesso colore di quelli di Evan, eppure così diversi. «È finita, Alex. Ti lascio»

Il ragazzo rimase un attimo senza parole, cercando di capire se la bionda fosse seria o se fosse uno scherzo di pessimo gusto. Gli occhi castani della ragazza, pur tremanti e rivelatori di una certa paura erano seri e penetranti: no, non stava scherzando.

Senza smettere di guardarla chiese, con aria quasi di sfida «Perché?»

Reila cercò di riorganizzare il più velocemente possibile il discorso che aveva preparato prima, ma ne ottenne poco «Perché per me non è neanche mai iniziata. Io non ti ho mai amato davvero… e poi, non sei quello che cerco»

Ora Alex stava cominciando ad arrabbiarsi: lo si leggeva nel viso, nel vibrare teso del suo corpo.

«Quindi, questi mesi assieme sono stati una menzogna»

«Sì» fu la risposta schietta e coraggiosa di Reila.

«Ma si può sapere cosa vuoi da me allora? Non ti ho mai voluto far del male sul serio, se l’ho fatto era per renderti più forte, più adulta!» ribatté Alex, consapevole che ciò che aveva spaventato Reila era stato l’episodio di qualche tempo fa.

La bionda piegò il viso, sorridendo «Sai, si può aiutare una persona anche abbracciandola…»

Alex sbuffò «Così non si cresce, Reila. Evitare gli ostacoli, rifugiarsi negli altri è sbagliato. Devi imparare a sopravvivere da sola: questo era quello che volevo farti capire»

«Allora hai sbagliato persona anche tu! Perché io, da sola, proprio non riesco ad andare avanti. Senza qualcuno accanto, proprio non riesco a fare nulla!»

Rimasero in silenzio, entrambi ansimanti di rabbia.

«E io, io non sono sola» riprese Reila all’improvviso, guardandolo di nuovo direttamente negli occhi «È molto più bello sapere di poter contare su qualcuno caro. Che senso avrebbe la nostra vita, se non lasciassimo dei segni negli altri? Io non sono sola… come te»

Appena finito di parlare, Reila vide il volto scuro di Alex avvicinarsi. Capì subito cosa stava succedendo: aveva perso. Ma non aveva più la forza di reagire, aveva troppa paura.Si sentiva trascinata dentro quella casa per il polso da una forza troppo grande per lei, non poteva farci nulla… quando all’improvviso quel movimento si interruppe.

Si voltò alla sua sinistra e vide Evan stagliarsi contro Alex, afferarlo per il braccio con cui la stava trattenendo e allontanarlo da lei.

I due ragazzi si guardarono furenti, sotto gli occhi attoniti e smarriti di Reila.

Come ha fatto a capire dov’ero? Perché… perché è venuto fin qui per me?

«Lasciami andare» disse Alex minaccioso verso Evan.

«No, fino a quando non giurerai di lasciar stare Reila, per sempre» rispose Evan, altrettanto ostile.

Al silenzio irriverente di Alex, Evan rispose con la forza: in un attimo spostò la presa dal suo polso al colletto della sua camicia e, indietreggiando, lo sbattè con prepotenza addosso al muro.

«Giuralo!» urlò tremando per la furia.

Alex assunse un espressione tra lo spaventato e l’arrabbiato. Provò a liberarsi da quella presa, ma fu inutile: la forza di Evan era aumentata a dismisura per la sua rabbia e la sua volontà di proteggere Reila. Anzi, in risposta ai suoi tentativi di liberarsi, Evan aumentò la stretta.

«Non so perché non l’ho fatto prima, appena ho saputo che avevi alzato le mani su Reila» disse sorridendo, mentre alzava il braccio destro per tirargli un pugno.

«EVAN!» urlò Reila, gettandosi su di lui «Basta Evan, non esagerare!» lo supplicò piangendo, aggrappandosi al braccio alzato e carico.

«Non esagerare, Reila? Non esagerare?! Questo stronzo ti ha picchiato, cazzo!! E sicuramente oggi l’avrebbe rifatto!» esplose Evan senza controllo, lasciando la bionda senza parole, mentre le lacrime le rigavano il volto.

Tuttavia, vedendo lo stato in cui era la ragazza, Evan lentamente si calmò, in lunghi attimi di esitazione. Non poteva dire di no a quel viso e a quegli occhi supplicanti. Sospirando lasciò andare Alex, che si massaggiò il collo.

Afferrò Reila per la mano e si girò verso la porta, trascinadola dietro di sé ancora confusa. Prima di varcare la porta, però Evan si girò verso l’altro ragazzo «Sei fortunato che Reila sia così» disse sorridendo vittorioso.

«Non riuscirai mai a proteggerla davvero in questo modo. Deve imparare a combattere da sola» lo provocò Alex, serio.

Evan si girò verso di lui spazientito. Con pochi passi gli fu davanti: esitò qualche secondo e poi, tra le imprecazioni di Reila, gli tirò un pugno dritto sul naso, facendolo cadere a terra.

Senza aggiungere nulla, ritornò da Reila e prendendola per mano la portò fuori, verso la sua macchina.

Reila lo guardava con occhi spalancati ed Evan sorrise di quell’espressione «Scusami, ma dovevo farlo. Quel tizio proprio non lo sopportavo!»

La bionda non rispose, ancora confusa da tutto quello che era successo. Era davvero finita?

Alex non l’avrebbe più picchiata, mai più spaventata? Poteva ora… essere davvero felice?

Si girò verso Evan, che proprio in quel momento stava mettendo in moto la macchina, ed era concentrato alla guida.

Appoggiò la testa al sedile e rise tranquilla, con un sorriso che le nasceva dal cuore e non riusciva a fermare. Chissà cosa avrebbe pensato Evan se l’avesse vista in quel momento!

Guardò il cielo azzurro del mattino attraverso il finestrino con gli occhi di un bambino: sì, era tutto finito. La sua nuova vita cominciava da ora.

Con il passare del tempo, si riprese lentamente da tutte quelle sorprese e le vennero in mente le domande che le avevano affollato la mente pochi minuti prima.

«Evan, ma come facevi a sapere dov’ero?» chiese guardando il ragazzo, intento a cambiare la marcia.

Evan sorrise «Ci sono arrivato ricordandomi i tuoi discorsi di ieri sera… e poi hai lasciato Katie a casa, aperta sul tavolo della cucina sull’indirizzo di Alex» ammise alla fine.

Reila rise. «Ops…»

«…Bè, meglio così no? A proposito, non ho ancora sentito un grazie!»

Evan fermò la macchina al rosso del semaforo e si voltò verso la ragazza: lei lo guardava sorridendo, con gli occhi pieni di lacrime e gratititudine. Reila non disse nulla, ma per Evan quello sguarde valse più di mille grazie: lo osservò attentamente, lo portò nel cuore e lì lo chiuse, così sarebbe durato per sempre.

Scattò il verde ed Evan ripartì, mentre una lunga pausa di silenzio calava tra di loro.

«Allora… Che programmi hai per dopodomani?» riprese Evan.

Reila lo guardò confusa «Dopodomani? Perché?»

Evan rise incredulo «Come perché? È il 5 febbraio! È il tuo… o meglio, il nostro compleanno!»

«AH!!!» urlò la ragazza «Me n’ero totalmente scordata!!!»

«… tu sei tutta stupida»

Reila si rabbuiò «Scusa… Comunque penso che come al solito andrò dai miei genitori con Selene»

Evan mormorò qualcosa, ma Reila non ci fece caso. «Tu invece farai qualcosa?»

Il moro alzò le spalle: in realtà non è che gli era mai importato tanto del suo compleanno, però quest’anno sperava di poter fare qualcosa con Reila per festeggiare. Era una speranza che lui stesso trovava stupida e impensabile, ma la covava nel cuore incosciamente.

«Non lo so. Non credo farò nulla»

«Ah… ehm… nemmeno con… Emy?» tentò Reila, esitante.

Evan strinse il volante leggermente più forte «Te l’ho già detto Reila. Appena mi sarò calmato le parlerò e la lascerò»

Reila si sentì a disagio. «Ma perché avete litigato?» sussurò.

Evan esitò «Non sono affari tuoi»

In realtà, non voleva dirglielo perché il motivo era proprio lei, Reila. Emy si lamentava che Evan passasse così tanto tempo con lei e che per questo la trascurava… Evan sapeva di essere nel torto: era più che comprensibile questa reazione da Emy, era più che normale. Eppure non poteva fare a meno di arrabbiarsi e di urlare. Non riusciva a capire come il suo essere vicino a Reila potesse essere un problema, come potesse portare infelicità a qualcuno. Era una cosa così bella invece per lui!

Dopo la risposta secca di Evan, Reila non insistette oltre. Sapeva benissimo anche lei qual’era la causa del litigio e, davvero, non avrebbe mai voluto fare questo ad Emy… ma non riusciva neanche a concepire il pensiero di allontanare Evan, ora come ora.

Reila aveva appena iniziato la sua nuova vita, aveva appena inziato a cambiare e a pensare di più alla sua felicità… per quanto il pensiero di Emy le stringesse il cuore, la sola idea di perdere Evan le portava le lacrime agli occhi.

Il solo immaginare di perderlo rendeva la sua vita insopportabile.

~

Come Reila aveva previsto, passò il suo compleanno dai suoi genitori con Selene.

Fu una festa tranquilla e serena; Reila sentiva di poter finalmente ridere davvero, libera da ogni preoccupazione, arrabbiandosi per le battute di sua mamma e ridendo con la sua Selly, a cui doveva davvero tanto.

La sera alla fine tornò a casa da sola: la sua amica approfittò della visita nella sua città natale per tornare anche lei dai suoi genitori e rimanere da loro a dormire.

Anche Celestine aveva chiesto a sua figlia di rimanere, ma Reila aveva rifiutato. In fondo, non poteva ignorare che fosse anche il compleanno di Evan e doveva rifarsi della sua stupida dimenticanza a Natale…

Fu così che verso mezzanotte si trovò sotto casa del ragazzo, aspettando che rispondesse al citofono. L’attesa la fece preoccupare un po’: e se Evan non era a casa?

Alla fine però, il moro rispose con voce assonnata ma sorpresa all’arrivo di Reila e la accolse volentieri in casa propria.

Appena lo vide, Reila lo abbracciò, augurandogli buon compleanno.

Evan non fece in tempo a ricambiare quel fugace contatto, ma fu contento di essere ancora abbastanza addormentato da non provare troppo intensamente quegli istinti che altrimenti anche quella breve vicinanza avrebbe acceso.

«Un regalo per te!» esclamò all’improvviso Reila, dopo essersi tolta il cappotto.

Evan prese il pacchetto sorridendo sopreso, mentre la ringraziava. Reila assistette emozionata allo scarto, preoccupata che il regalo non gli sarebbe piaciuto.

Quando Evan vide cosa Reila gli aveva regalato gli si illuminò il viso di un sorriso entusiasta.

«Ma tu sei pazza! Una… una macchina fotografica!»

Reila saltellò contenta che gli piacesse «Mi sono ricordata che al liceo ti piaceva sempre fare foto e ho pensato che sarebbe stato carino! Ti piace?»

«Scherzi?! È magnifico!» esclamò Evan, sempre più contento. I suoi occhi brillavano come quelli di un cucciolo che ha appena scoperto un gioco nuovo ed entusiasmante. «Aspetta qui, anche io ti ho preso un regalo»

Reila lo seguì con lo sguardo mentre prendeva il pacchetto, appoggiato sul tavolo in cucina «Ma Evan! Non dovevi!» disse imbarazzata.

Evan le si avvicinò, mettendele il regalo tra le mani «Non devo: voglio. E comunque non è niente di che… Anzi è un regalo proprio stupido» ammise leggermente a disagio.

Avvolto nella carta argentata c’era un libro abbastanza spesso: “Come aprire una propria attività senza spendere troppo”.

Appena lo vide Reila scoppiò a ridere, provocando in Evan un profondo imbarazzo.

«Ecco, lo sapevo, è un regalo stupido! Non ti piace!»

«NO! No no, anzi mi sarà sicuramente utilissimo!» lo tranquillizzò tra le risate «E mi piace molto! Però è un gesto davvero tenerissimo da parte tua…»

«…E questo ti fa ridere?»

«No, però…» balbettò Reila, smettendo di ridere.

Sorrise all’espressione imbronciata di Evan e gli diede un bacio sulla guancia, ringraziandolo e scappando subito via.

Evan rimase immobile, fermo nella sorpresa e nel tentativo di controllarsi: se continuava così le sarebbe saltato addosso senza preavviso… doveva stare calmo.

La seguì in salotto, sedendosi di fianco a lei sul divano, mentre recuperava il suo regalo e cominciava a studiarlo.

Rimasero entrambi in silenzio, a scoprire quei due oggetti così semplici, ma così pieni di significato.

«…Grazie Evan» disse all’improvviso Reila, senza guardarlo «Grazie davvero. Senza di te ora io di sicuro non sarei in grado di sorridere ancora…» ammise arrossendo.

Evan non disse nulla, né si mosse; rimase a fissarla impacciata e piccola nel suo imbarazzo.

«Dimmi Reila: sul serio non ti ricordi il motivo per cui mi odiavi?»

Reila lo guardò con gli occhi sgranati, spaventati da quella domanda improvvisa ed inaspettata.

Evan aveva pensato a ciò per tutto questo tempo? Si era tormentato nel pensare che tutto il loro rapporto, benché sorretto dall’odio, fosse una bugia?

Reila strinse i pugni e scosse la testa «No, non me lo ricordo. Ma ormai è passato, no? Voglio dire… ci vogliamo bene ora, no?» chiese timorosa della risposta.

Evan sorrise, arrendendosi. «Certo. Certo che sì»

Nonostante la risposta rassicurante, Reila continuò a guardarlo pensierosa ancora per un po’.

In realtà lo so. Mi ricordo perfettamente perché ti odiavo… per me odiarti ed esser odiata era una consolazione.

Potevo sfogare su di te tutti i miei sentimenti negativi con la certezza che ciò non mi avrebbe danneggiato, perché anche se tra di noi c’era un legame negativo, era un legame. 

Anche se odiata, non sarei stata mai sola, perché eravamo legati da qualcosa.

Odiarti era l’unico modo per tenerti con me… non c’era altro modo.

 La verità è che io non ti ho mai odiato davvero… sono spregevole. Ti ho usato, come ho usato molte altre persone… sono l’essere più disgustoso di questa terra.

Forse un giorno riuscirò a diventare meritevole di te… quando accadrà potrò chiedere scusa. Farò di tutto per poterlo fare con sincerità.

Perché…

io ti amo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Note per riempire lo spazio

Buongiorno a tutti :D

Quanto tempo, siori e siore, che si dice dalle vostre parti?

Bè in realtà non so bene cosa scrivere, a parte come al solito le mie più sentite scuse sul ritardo del nuovo capitolo.

Suvvia, è un capitolo lungo, Alex viene buttato nel dimenticatoio a calci nel… naso e Reila si rende conto di amare Evan!

Cioèèè… se questo non è un capitolo con cui riuscire a farmi perdonare *///* nèè?

È che sono straimpegnata: a scuola DEVO andare bene e, mi dispiace dirvelo, da fine aprile a luglio avrete ben poche notizie dalla sottoscritta… essì, ebbene dovrò affrontare anche io la maturità e credetemi, quando dico che dovrò studiare giorno e notte non mento XD

Tra l’altro il 21 aprile comincia la seconda serie di Glee in America, è ricominciato Flash Forward e Lost volge al termine (che bella, che magnifica stagione!!! Una puntata più bella dell’altra!!!)…

In più fino al 15 aprile sono in gita a Madrid (:DDDDDDDDDDDDDDDDDD) quindi niente superaggiornamenti veloci ç_ç

E poi… basta. Dovrò riuscire a giostrarmi tra scuola impossibile, famiglia e ragazzo… aiuto ;_; quanto voglio l’estateeee!!

Ringrazio Kikka_Neko, MakyMay, Maka27, Sheila84, Francesca27 e Black Lolita (come sempre XD <3) per gli incoraggiamenti e i complimenti ^__^ Siete davvero fantastiche!!

Bien, nient’altro da riferire.

 

Senza te che mi mostrassi la strada, io sempre mi sono smarrito…

 

Alla prossima!! (Spero il più presto possibile!)

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15- Come un bambino ***


 

 

 

S o u n d less

Destiny’s fault

È lo stesso volto che un tempo non potevo vedere che ora è diventato il mio mondo

 

Capitolo 15- Come un bambino

 

R

eila correva, correva, correva a perdifiato attraverso il parcheggio dell’ospedale, noncurandosi delle macchine e attirando perciò su di sé l’ira degli automobilisti che avevano rischiato di tirarla sotto.

Ma Reila non aveva il tempo di fermarsi e scusarsi: doveva correre.

Evan l’aveva chiamata all’improvviso, alle 6 del mattino, con voce tremante ed agitata. Anche dal lato opposto del telefono Reila aveva sentito il suo sudore freddo, il suo respiro affannato: Evan aveva paura.

Senza salutarla l’aveva informata che Kaleb, suo padre, aveva avuto un infarto. L’ospedale lo aveva chiamato e lo aveva rassicurato dicendogli che per fortuna l’intervento era stato tempestivo e suo padre stava bene ed era fuori pericolo; tuttavia sia lui che Erik stavano andando a trovarlo.

“Non so perché ti ho chiamato… non so neanche perché ti sto dicendo queste cose” le aveva detto il moro al telefono, infastidito dal suo stesso comportamento “Forse ho solo bisogno… di abbracciarti…”

Reila era arrossita, sorpresa.

«Arrivo anche io. Aspettami lì» aveva concluso alla fine con Evan.

Così, senza pensarci due volte, la bionda aveva preso al volo la macchina e, senza smettere di correre, si era trovata davanti al ragazzo, che la aspettava fuori dalla stanza del padre.

Appena lo vide esclamò il suo nome ed Evan si voltò verso di lei, sorridendole. Reila tuttavia si accorse dello sguardo triste del ragazzo e lo osservò mentre la conduceva dentro la camera, indecisa su cosa dire.

«Reila! Ma cosa ci fai qui?» esclamò Kaleb Williams, sorpreso ma felice di vederla.

Reila notò il pallore del suo viso, le guance tirate e le profonde occhiaie: ma notò anche la prepotente luce che ancora aveva negli occhi, e questo bastò per renderla tranquilla.

«Sta davvero meglio allora?» chiese sedendosi.

«Certo. Non devi preoccuparti così tanto Reila!» le rispose prendendole la mano in segno di ringraziamento, mentre gli rispondeva con un sorriso.

Evan osservò la scena appoggiato alla parete, con le braccia conserte. «Vado a cercare Erik» disse poi all’improvviso, con voce leggermente infastidita.

Appena fu uscito Kaleb sospirò con sconforto.

«Scommetto che a lui non importa nulla» disse, osservando la porta dietro la quale il figlio era appena sparito  «è qui solo per pietà, ma… anche solo la mia presenza gli dà fastidio»

Reila lo guardò stupita «NO! Non è affatto così, mi creda!»

Kaleb la squadrò accigliato e Reila gli sorrise, tenendogli la mano «Davvero non ha capito perché si comporta così? Evan è preoccupato per lei. Avrebbe dovuto sentire la sua voce al telefono…»

L’uomo sorrise leggermente «Ne dubito fortemente, sai Reila?»

La ragazza negò con la testa e si avvicinò a Kaleb, abbassando la voce come se gli stesse per confessare un segreto «…Per tutta la vita… sempre… ha desiderato che lei tornasse» Quando mi confidò queste cose sembrava un bambino; avvertii il desiderio di proteggerlo. «…ma il suo orgoglio gli impedisce di manifestare ciò che davvero prova. Mi creda, stamattina era davvero terrorizzato. Evan è felice di far parte della sua vita. Sarebbe bellissimo vederlo parlare di lei come un bambino, non crede?»

Kaleb la osservò senza sapere cosa dire, confuso. Alla fine sorrise felice «Sei molto gentile Reila»

«Eeeh? Ma no, non deve farmi questo genere di complimenti!!» urlò la ragazza, arrossendo.

«Invece te li meriti, ragazza. Evan è davvero fortunato ad avere accanto una persona come te»

Avere accanto…

A queste parole Reila si rabbuiò, chinando la testa, sotto gli occhi attenti di Kaleb «Si sbaglia. Io… io su questa terra, la più inutile… e miserabile…»

«Reila!!» la voce cristallina di Erik le fece prendere un colpo. La bionda alzò il viso, ritornato sorridente all’improvviso e si alzò, andando verso i due ragazzi «Erik! Come stai?»

«Bene, anche se nostro padre ci ha fatto prendere un bel colpo!»

Kaleb continuava ad osservare pieno di pensieri Reila, mentre questa parlava e sorrideva con Erik.

Cosa stava per dirgli Reila? Sembra sempre così allegra, così dolce e premurosa… dove trova la forza per essere sempre così?

A un certo punto si accorse di Evan, che lo stava fissando preoccupato da dietro il fratello.

Kaleb gli sorrise compiaciuto, con una felicità che nasceva dal cuore «Come un bambino, eh?»

~

Da quando aveva compreso i suoi veri sentimenti, Reila si sentiva a disagio a rimanere da sola con Evan, e non solo per i sensi di colpa verso Emy.

Anche mentre camminava a fianco del moro fuori dall’ospedale sentiva la testa vuota, leggera e sospesa in quel silenzio che le faceva battere il cuore.

Appena Evan la sfiorava, anche solo per caso, anche solo con lo sguardo, la sua mente viaggiava libera in fantasie da quattordicenne alla prima cotta e la sua pelle si imporporava per l’emozione.

Spesso si ripeteva di smetterla di crearsi illusioni in modo così stupido. Anche solo immaginare l’ipotesi che Evan potesse ricambiarla non faceva altro che confermare l’aggettivo con cui molti la descrivevano: stupida.

Arrivarono alla macchina della ragazza senza proferire parola: Reila era immersa nel suo imbarazzo adolescenziale, Evan nel cercare le parole giuste da dire alla ragazza.

L’aveva chiamata così all’improvviso alle 6 del mattino, e lei era addirittura corsa da lui tutta trafelata… alla fine, ancora non l’aveva abbracciata come avrebbe voluto.

Prima di salire sull’automobile, avanzò leggermente la mano nel tentativo di afferrare la ragazza; ma gli sfuggì tra le dita.

Durante il viaggio la situazione non cambiò granchè, fino a quando, mentre parcheggiava la macchina sotto casa, Reila non prese coraggio e attaccò discorso.

«Sono contenta che tuo padre stia meglio»

Evan rimase in silenzio ancora un po’, spostando lo sguardo fuori dal finestrino «Ho parlato coi dottori, prima che tu arrivassi. Hanno detto che gli rimane meno di un mese da vivere» disse atono.

Evan sentì Reila trattenere il respiro e si girò verso di lei, che lo osservava con gli occhi lucidi e aperti dalla paura.

Il moro ricambiò lo malinconia dello sguardo facendo battere il cuore alla ragazza, e continuò «La verità è che non saprei cosa fare se entrassi dentro quella stanza e mio padre mi dicesse che di me non ne vuole più sapere, ancora. Che l’ho deluso…»

La voce bassa e preoccupata di Reila sussurò un «… Evan…» timido e affranto, per poi proseguire fievole ma sicura «Io sono convinta che questo non succederà mai… anzi, anche Kaleb ha la tua stessa paura. Lui ti vuole bene, Evan. Te ne vuole davvero tanto»

Reila prese per mano il ragazzo, che si rifiutava di guardarla in viso: di sicuro non avrebbe resistito davanti a quel volto e a quegli occhi e sarebbe scoppiato a piangere. Non poteva permettere che Reila lo vedesse così… scesa dalla macchina all’improvviso, spaventando Reila che lo seguì a ruota chiamando il suo nome.

Poi, immersi in un silezio quasi sacro, si incamminarono verso casa lentamente.

A un tratto Reila sentì Evan sorridere al suo fianco e balbettare imabarazzato «Scusa… ti ho detto cose strane all’improvviso… Ti accompagno sotto casa»

Reila sorrise leggermente, con malinconia, ed annuì, accelerando il passo per mettersi al pari del ragazzo.

Attraversarono la strada e giunsero davanti al portone del condominio di Reila, che salì sul gradino basso per aprire la porta.

L’attimo prima che entrasse però un battito accelerato del cuore la fece voltare verso Evan: il ragazzo aveva allungato la mano verso quella di Reila distesa lungo il fianco, sfiorandole le dita dolcemente.

Reila alzò il viso verso quello di Evan, sorpresa dal suo sguardo così intenso, e con dispiacere si rese conto che era da un bel po’ di tempo che non aveva più osservato così da vicino il verde puro dei suoi occhi: Evan la guardava seducente attraverso le folte ciglia, assorto come se in quel momento esistesse solo lei, facendo palpitare la bionda che sentiva il cuore battere peggio di un tamburo in tutto il corpo tranne che nel posto dove avrebbe dovuto stare.

Senza smettere di osservarla negli occhi, il moro aumentò la stretta attorno la sua mano, chinandosi verso di lei e avvicinando i loro visi e i loro respiri, lentamente.

La bionda gustò sul proprio viso la sensazione ruvida della barba leggera del ragazzo provando un brivido di piacere intenso ma zuccheroso. Evan le aveva sfiorato la guancia, accarezzandola con la propria: non cercò le sue labbra, voleva solo sentirla vicina come aveva desiderato da quella mattina.

Ma improvvisamente come si era avvicinato, Evan si allontanò da Reila, andandosene senza neanche salutarla né guardandola.

C’è qualcosa di strano in questo sentimento. È dolce e avvolgente come un profumo… provo il desiderio che non se ne vada mai, che mi coccoli per sempre. Senza te che mi mostri la strada, io sempre mi sono smarrito…

Reila rimase immobile davanti al portone, osservando assorta la figura di Evan che spariva dalla pate opposta della strada.

Poi si girò e chiuse la porta dietro le sue spalle.

~

Selene e Reila girarono entrambe su stesse con passi lenti, per osservare al meglio il locale vuoto ed enorme che l’agente immobiliare stava mostrando loro.

Si divertirono ad indicare gli angoli e le pareti immaginando con occhi sognanti i mobili, i tavolini, le finestre e i fiori che avrebbero decorato la futura pasticceria di Reila, sotto gli occhi divertiti e un po’ annoiati dell’uomo.

«Allora che ne pensa, signorina?» chiese a Reila, interrompendo una delle sue scenette con Selene.

La bionda si rivolse a lui con un sorriso entusiasta «è semplicemente perfetto!» esclamò allegra, provocando un riso soddisfatto all’agente.

«Quanto ha detto che costa?» s’intromise Selene, più pragmatica dell’amica.

L’uomo esitò un attimo «Centocinquantamila…».

Appena sentì la cifra Reila sbarrò gli occhi incredula, cominciando a sudare freddo, mentre Selene la soccorreva celere nel sorreggerla dal probabile crollo. «C-centoquanti…» balbettò la bionda con un filo di voce.

Anche l’agente immobiliare si avvicinò a Reila preoccupato, facendole aria con la cartelletta di fogli che teneva in mano «Suvvia signorina, per essere in centro è molto economico! E valuti gli spazi grandi… sarebbe perfetto per una pasticceria!» le spiegò, cercando di tranquillizzarla.

Reila gli sorrise malinconica «Sconti non ne fate, vero?».

L’uomo rise spiacente, provando una strana simpatia per questa strana ragazza.

 

«Sul serio Reila, se hai bisogno di soldi ti posso aiutare volentieri» insistette Selene, per la quarta volta, ma l’amica declinava sempre la sua offerta.

«No Selly, davvero. Ho da parte un bel po’ di soldi, accenderò un mutuo… me la caverò» rispose Reila, intenzionata a non chiederle aiuto.

Sto cercando di imparare a vivere da sola. Voglio non dipendere più dagli altri. Voglio essere adulta.

Selene la guardò preoccupata, mentre escogitava qualcosa per farle cambiare idea: le dispiaceva che l’amica fosse così nei guai, senza un lavoro e con un sogno molto costoso, ma la sua attenzione fu deviata dalla persona che le attendeva sotto casa di Reila.

Emy si avvicinò alle due sorridendo timidamente, mentre Reila la salutava stupita – e anche a disagio.

«Devo parlarti Reila» le disse all’improvviso la moretta, con gli occhi verdi scintillanti di tristezza.

La bionda la studiò attenta, timorosa che Emy avesse scoperto i suoi sentimenti per Evan, ma alla fine accettò. Salutò Selene e con Emy salì in casa.

La mora la guardò preoccupata mentre chiudeva il portone del condominio.

 

Reila versò distratta il tè caldo nella piccola tazza di porcellana posata sul tavolo davanti ad Emy, troppo impegnata a ordinare ai propri pensieri: si domandava perché Emy fosse lì, cosa avesse da dirle di così importante.

Inoltre Emy non dava il minimo cenno di voler cominciare un discorso serio e greve, talmente era tranquilla e compita nel sorseggiare la bevanda calda. Dalla parte opposta Reila stava sudando come non mai, conscia delle sue colpe, con il cuore a mille e una temperatura corporea pressoché quella del tè che stava bevendo anche lei.

«Ehm…» balbettò la bionda, per far capire alla mora che ormai era arrivata al limite della tensione sopportabile.

Emy alzò gli occhi verdi dal tavolo e li rivolse a lei, che rimase un attimo interdetta nel trovarli distanti e insofferenti.

«Scusami per le cose che ti ho detto quella volta, fuori dal locale di Evan, ma ero davvero triste…» le disse all’improvviso, tanto che Reila si spaventò per tanta franchezza.

La sua mente rievocò quel breve incontro e la tenaglia dei sensi di colpa si strinse ulteriormente attorno al suo cuore. Quella ragazza così carina ed indifesa si era affidata a lei e alla sua morale e lei cosa aveva fatto? L’aveva tradita, innamorandosi di Evan in modo travolgente. E ora Emy le veniva a chiedere addirittura scusa!

«…Non preoccuparti Emy. L’ultilma cosa che devi fare è scusarti»

La mora sorrise, stupendo Reila «Evan stamattina mi ha detto di volere lasciarmi»

«Eh?»

«Ma io non l’ho accettato. Sono scoppiata a piangere, ho fatto leva sui suoi sensi di colpa e alla fine non l’ha più fatto»

Emy chinò la testa per nascondere le lacrime, mentre stringeva tremante i pugni sulle gambe. «Io… sono una persona spregevole non è vero? Io pur di essere felice, faccio soffrire lui… e anche te»

La verità è che sono debole e cattiva. Ma quando facevamo l’amore… ho sentito sussurrato più volte il tuo nome. Più e più volte.

Reila sgranò gli occhi, impietrita da quelle parole. Nella sua mente vagavano mille parole di conforto, miriadi di frasi fatte: ma non disse nulla, non volendo apparire ipocrita.

Emy aveva capito. Emy sapeva.

Sapeva che Reila amava Evan.

Poi Emy alzò il viso verso quello di Reila, sorridendo amaramente alla sua espressione spaurita e persa.

Si alzò dalla sedia e si diresse verso l’uscita «Scusami Reila. Ma io non riesco a farmi da parte», le rivelò poco prima di sbattere la porta e lasciare da sola una Reila paralizzata dalla confusione.

Dopo qualche minuto necessario per digerire lo shock, Reila si alzò barcollante, raccogliendo le tazze e la teiera per portare al lavello.

Furono gesti automatici, vuoti, non pensati: la sua mente era altrove.

Con entrambe le mani si appoggiò distrutta al piano della cucina, mentre i tremori delle lacrime diffondevano freddo e dolori lungo tutto il corpo.

Sono io quella spregevole, non Emy, non lei, non lei. Nonostante stesse piangendo non ho saputo trovare parole sincere per lei: le frasi mi si gelavano sulle labbra, il cuore era come schiacciato.

No, sono io quella da compatire, perché mentre diceva quelle cose… io l’ho odiata.

Avrei voluto insultarla, dirle cose cattive per le sue azioni egoiste verso Evan; volevo farla sentire un verme. Volevo picchiarla.

Perché… perché in realtà in lei ho rivisto tutta me stessa e tutti i miei gesti. Mi sono confrontata con un carattere uguale al mio, che farebbe di tutto pur di non sperimentare la solitudine, e ho provato un profondo disgusto.

Un carattere egoista, perverso, invidioso.

Io in realtà sono solo gelosa: io voglio Evan, e non mi interessa se Emy soffre per questo, nonostante anche i miei pensieri adottino una facciata di ipocriti sensi di colpa. La verità è che non mi sento affatto in colpa.

Io voglio solo Evan. Solo lui e la mia felicità.

Sono davvero così meschina e falsa? Mi faccio schifo.

 

 

«Evan è davvero fortunato ad avere accanto una persona come te»

«Si sbaglia. Io… io su questa terra, la più inutile… e miserabile… la peggiore persona esistente… sono io.»

 

 

 

 

 

 


 

Note per riempire lo spazio

 

Bah, sinceramente non vedo l’ora del prossimo capitolo. Finalmente le cose diventeranno interessanti… mi spiace che molti lettori si siano persi per strada, annoiare non è mai stata mia intenzione ^^ vi prometto che la prossima storia (se ci sarà) cercherò di tenere un ritmo più serrato u.u

Purtroppo il tempo libero non è molto, ma vi assicuro che se non lo dedico a Lost ( ç_____ç) o a Glee o a Flash Forward lo dedico a Soundless. Quindi non arriverà poi così tardi il prossimo aggiornamento, dai <3

 

Francesca27: Hihi! hai ragione, finalmente niente più Alex!! Cominciava a starmi sinceramente sulle balle anche perché non sapevo mai come farlo agire: ha una mentalità troppo contorta per i miei gusti ç_ç

MakyMay: Scientifico xD sperimentale tra l’altro, quindi una zappata decipla tra i cosiddetti J Per me la cosa è più complicata, mi spiace ._. non posso buttarla via e basta come quel pesce lesso di Alex .__.

Black Lolita: carissima! Ahi ahi, spero di non averti fatto tornare delle remore su Emy XD e cavolo, Reila è moooolto più contorta di quel che sembra e il suo essere così insicura di certo non aiuta L spero che questo capitolo non ti abbia annoiata, è un po’ noiosetto in effetti… chu <3

Kikka_neko: Haha, Evan paladino della giustizia!! XD Ci starebbe nei panni di superman, il suo ego ci starebbe proprio a suo agio! Comunque, al più presto provvederò a fare una Reila tascabile meccanica, come quei cagnolini che fanno ora che abbaiano e scodinzolano ^^ diventerei milionaria, credo (?!) XD

 

Grazie a tutti per il supporto!

 

Come reagirà Reila alla reazione di Emy? Cambierà il suo rapporto con Evan?

Intanto un addio già preannunciato… e nel dolore non può esserci che una nota d’amore…

I capelli!!! I tuoi meravigliosi capelli lunghi!!!!

 

Alla prossima!! Col capitolo che tutte aspettavano!! ;)

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16- In primavera ***


Se io dovessi morire prima di svegliarmi
è perché tu mi hai lasciato senza fiato.
Perderti è come vivere in un mondo senza aria.
Sono qui da solo e non voglio partire,
il mio cuore non si muoverà, è incompleto.
Se solo ci fosse un modo per farti capire.

[No air – Jordin Spark & Chris Brown]




Capitolo 16-
In primavera

R

 

iuscire a vivere senza rimpianti sarebbe stupendo. Tra 50 anni vorrei essere in grado di guardare al passato senza mai dire “peccato”. Sarebbe davvero… meraviglioso.

~

Due occhi increduli e spalancati si posarono sulla bionda, appena entrò nel locale di Evan.

Selene ed Evan squadrarono esterrefatti Reila, che li guardava sorridente ma dubbiosa, con un’espressione leggermente stupida stampata sul volto.

Selene si portò una mano alla bocca per lo stupore mentre con l’altra indicava i capelli biondi di Reila «Ma… ma perchèèèèèèèèè???!!!»

«Ah…?» chiese Reila senza capire cosa stesse succedendo e senza mutare espressione.

«I capelli!!! I tuoi meravigliosi capelli lunghi!!!» urlò Selene scandalizzata dall’ottusità dell’amica e dalla novità, strattonando il braccio di Evan per fargli notare il cambiamento, come se il moro non l’avesse visto.

Reila si toccò una ciocca di capelli dorati, che da lunghi fin sotto le spalle erano stati accorciati a lunghezza collo, con un taglio a caschetto. La ragazza sorrise dispiaciuta ai due «Mi dispiace Selly, ma era arrivato il momento di cambiare» disse, pronunciando fiera ed orgogliosa le ultime parole.

«E da quando sei così coraggiosa tu?» la prese in giro Evan sorridendo provocando una scherzosa linguaccia sul viso sereno della bionda, mentre Selene ancora piangeva sui capelli tagliati.

Evan la osservò attentamente in quell’espressione così infantile contornata da un taglio di capelli così adulto: poteva tagliarsi i capelli, tingerseli, rifarsi il seno… sarebbe rimasta comunque una deliziosa mocciosa.

Certo è che quel taglio non gli dispiaceva affatto. Anzi…

Reila si avvicinò ai due amici sotto lo sguardo avvolgente di Evan. Si rivolse al ragazzo con un sorriso smagliante e stranamente sicuro di sé, mentre Selene le toccava malinconica la chioma liscia e mutilata.

«Va tutto bene, Evan?» gli chiese poi Reila notando qualcosa di strano negli occhi del ragazzo.

A dire il vero, Evan non stava affatto bene: aveva appena detto addio a suo padre, ma come poteva dirlo così a Reila? Di sicuro si sarebbe preoccupata in modo esagerato inutilmente e forse avrebbe anche pianto… si immaginò la scena con un tenue sorriso.

«A dire il vero Emy mi fa impazzire» le mentì «Non vuole che la lasci e per questo continua a piangere»

Appena Evan vide l’espressione sconvolta sul viso di Reila, pensò che forse sarebbe stato meglio raccontarle la verità; rimase stupito da un’epressione talmente shokkata che quasi metteva agitazione pure a lui. Eppure Reila ed Emy erano abbastanza in buoni rapporti… cosa c’era da essere così spaventati?

Evan decise di non aggiungere altro e Reila venne distratta da Selene, che ancora la rimproverava per i capelli.

Ogni tanto le mandava delle rapide occhiata, ripensando a quello che gli aveva detto il padre.

“Promettimi che ti prenderai cura di lei”.

Non sai quanto vorrei farlo, papà…

 

Qualche ora prima.

Evan squadrò preoccupato Kaleb Williams e il suo volto sempre più grigiastro e secco; osservò le labbra screpolate e ritirate, il collo magro, scorrendo fino alle mani ossute e troppo asciutte, e sentì nel petto qualcosa che lentamente gli scavava il cuore.

A distanza di quattro settimane dall’ultimo infarto, suo padre gli sembrava ormai diventato un cadavere vivente che faceva fatica anche a parlare.

Il termine dato dai medici era ormai scaduto: qualche giorno, forse settimana, e Kaleb Williams si sarebbe spento in quella stanza bianca e verde antisettico, odorosa di antibiotici e disinfettante. Ogni mattina e ogni sera Evan non riusciva a non pensare che forse quel giorno sarebbe stato l’ultimo in cui avrebbe avuto un padre, l’ultima occasione per mettere finalmente le cose in ordine con lui e con sé stesso. Così, appena quel giorno vide che anche la luce dei suoi occhi verdi brillanti stava cominciando a spegnersi realizzò che non voleva dire addio a suo padre con dei rimpianti nel cuore.

Il moro si sedette stanco sulla sedia di fianco al letto del padre e, incapace di guardarlo di nuovo negli occhi, gli chiese come si sentisse.

Il padre, che prima lo aveva accolto con un sorriso affaticato, divenne subito serio «…Evan»

Il ragazzo rispose a quell’appello, timoroso di quello che stava per dire «Sì?»

«…portami fuori, in giardino. Stanno sbocciando i primi fiori, vero?»

Evan annuì, senza saper bene cosa pensare. Con gesti meccanici recuperò la sedia a rotelle a aiutò Kaleb a salirci.

 

Appena uscirono all’aria aperta, lo smeraldo striato delle iridi di Kaleb sembrì rinvigorirsi del cielo azzurro terso e dell’aria primaverile carica di promesse: ma fu solo un bagliore.

Evan guidò la carrozzina di fianco al prato verde appena tagliato, costeggiando cespugli pieni di gemme e alberi da frutto già fioriti di colori pastello.

Kaleb prese un profondo respiro cercando di trattenere dentro di sé il più possibile la sua ultima primavera «Ahh, che meraviglia!» aveva esclamato appena passati sotto la chioma di un albicocco, nella cui ombra si fermarono «Andarsene di primavera… che sfortuna, eh?» disse poi con un sorriso di serena rassegnazione stampato in faccia.

«Papà…» aveva sussurrato Evan da dietro la sedia a rotelle; quasi un rimprovero.

«Sai Evan, mi sarebbe piaciuto vivere in modo che nessuno soffrisse mai» continuò Kaleb osservando il cielo turchino sopra di lui, sorprendendo il figlio per il tono tranquillo della sua voce roca e secca «Me ne rendo conto troppo tardi, purtroppo… ma vorrei che sapessi che non mi hai deluso. Mai. Io sono sempre stato fiero di te»

Evan fu incapace di rispondere; solo, strinse le mani attorno alle maniglie della sedia a rotelle, stupito e al tempo stesso sofferente mentre il suo cuore sprofondava nella carne affetto da mille spilli.

Sospirando Kaleb riprese, stavolta con un’ inflessione più addolorata e franta «Mi dispiace se ho fatto soffrire te e la mamma, sono stato tremendamente egoista: per la vostra felicità ho calpestato voi e la vostra. Perdonami se non sono stato un buon padre»

Kaleb esitò un attimo prima di dire l’ultima frase, ma alla fine ce la fece: quello che aveva sempre voluto dire ad Evan, il suo primo figlio, e che mai aveva avuto il coraggio di spiegare, si rivelava ora così prepotente proprio mentre Kaleb era più debole.

Delle lacrime salate rigarono il viso rugoso dell’uomo, che si fecero scoprire da Evan per un respiro affannato e spezzato troppo sonoro.

«Papà!» aveva esclamato Evan con voce cristallina, appoggiando un mano sulla spalla del padre «Non piangere papà».

Kaleb si commosse a quell’ accento così innocente e sincero: a momenti lo rivedeva bambino, mentre con gli occhi preoccupati lo guardava dal basso e lo pregava di non soffrire più e di insegnargli ad essere forte.

Cosa che lui non aveva mai fatto.

«Evan… sono così felice che tu mi abbia concesso una seconda opportunità. Sono sempre stato fiero di essere tuo padre… volevo solo sapessi questo»

«Papà, parli come se questo fosse un addio» osservò Evan, angosciato. Quasi sentì la bocca di suo padre distendersi in un sorriso amaro «Non è un addio vero? Non mi stai lasciando vero?» lo implorò il moro, sentendo gli occhi bruciare per le lacrime trattenute «Proprio ora… proprio ora che non voglio che tu te ne vada»

Le parole di Evan rimasero sospese nell’aria tra di loro, prive di risposta.

Kaleb Williams si limitò a piegare il capo e dire «… ora rientriamo, comincia a fare freddo»

Evan rimase attonito qualche secondo, poi prese forza e rispinse la sedia a rotelle lungo il percorso fatto poco prima.

 

Quando arrivò il momento dei saluti, Kaleb fermò il figlio ormai sulla porta chiamandolo per nome.

«Salutami tanto Reila» gli aveva chiesto, con voce rotta.

Evan aveva annuito e aveva atteso le altre parole del padre che sapeva sarebbero arrivate.

«Promettimi che ti prenderai cura di lei. Fammi questa promessa. Giuralo» aveva aggiunto al silenzio confuso del ragazzo, che alla fine annuì sicuro.

«Papà?»

«Sì?»

«Ti voglio bene»

Evan si chiuse alle spalle la porta di quella stanza d’ospedale, i suoi colori sterili e suo padre, che poco prima di uscire aveva intravisto sorridere con occhi colmi di gioia.

~

Mentre ancora Reila e Selene stavano chiacchierando allegramente, interpellando ogni tanto Evan occupato a servire alcuni clienti al bar, il cellulare del ragazzo cominciò a suonare nella tasca dei suoi pantaloni.

Scusandosi con gli avventori, il moro rispose alla chiamata sotto gli occhi curiosi di Reila, che notarono preoccupati il volto di Evan cambiare improvvisamente espressione, diventare pallido e sconvolto.

La ragazza potè leggergli negli occhi che qualcosa dentro il suo cuore si era spezzato.

Senza dire nient’altro che un “arrivo subito” Evan chiuse la chiamata, correndo a togliersi il grembiule nero della divisa.

Reila si alzò in piedi «Evan, ma cosa succede?» chiese ansiosa.

Il moro alzò il viso sofferente verso il suo «…papà è morto».

~

Evan, Reila e Selene raggiunsero correndo Erik, immobile davanti alla porta chiusa della stanza dove prima riposava Kaleb.

Reila chiamò forte il suo nome, riconoscendo nei suoi occhi grigi rossi di pianto la stessa espressione che lei aveva assunto davanti al cadavere di Jack; gli si fece incontro decisa e lo abbracciò forte, mentre Erik ricominciava a piangere tremando, ricambiando la stretta dolce ma vigorosa della bionda.

Evan osservò il fratello con sguardo eloquente ed entrò nella stanza, per vedere il padre un’ultima volta, lasciando indietro Selene e Reila, ancora stretta ad Erik.

«Mi dispiace…» gli sussurrò la ragazza, mentre anche i suoi occhi si bagnavano di lacrime.

 

Le nuvole bianche e spumose come panna si rincorrevano placide nel cielo ceruleo, riflettendosi nelle iridi di Evan, di un verde oggi sempre più scintillante per la profonda marea di lacrime trattenute che cullava nel petto.

Sembrava così tranquillo, quel cielo. E quegli uccellini cinguettavano ancora felici, come avevano fatto anche poche ore prima.

Erano le stesse cose che Evan aveva osservato col padre quella mattina, eppure ora sembravano così diverse pur rimanendo sempre uguali…

Il ragazzo si sedette sulla panchina vicino all’uscita dell’ospedale che dava sul guardino, facendo scricchiolare la ghiaia sotto le all star nere; si scompigliò atterrito i capelli neri e sfilò poi il cellulare dalla tasca, raccolse tutto il coraggio che aveva per cercare la parola “mamma” nella rubrica del telefonino e schiacciò il tasto verde.

La voce di sua madre era l’ultima che avrebbe voluto sentire il quel momento, eppure doveva dirgli che Kaleb era morto.

Tuttavia, appena sentì la voce stanca di Debra dalla parte opposta del telefono si rese conto che davvero non sapeva perché stava chiamando sua madre: che cosa si aspettava? Parole di conforto o la prova che a sua mamma un cuore fosse ancora rimasto?

Senza aggiungere nulla, Evan disse subito «Papà è morto»

A quelle parole, brevi ma intense, Debra non rispose: il silenzio vibrante che usciva dal telefonino fece sperare ad Evan che sua madre stesse piangendo, triste anche lei per le perdita dell’ex-marito.

Almeno avrebbero avuto qualcosa in comune… ma come al solito, la voce di sua madre suonò dura e fredda come la roccia «…E tu come fai a saperlo?! Non dirmi che eri in contatto con lui perché…»

Evan strinse i dentri contrito dalla rabbia ed esplose urlando, mentre il volto gli si imporporava.

«BASTA MAMMA! SMETTILA! Esistono anche parole gentili! Anche io…» ma non riuscì a terminare la frase perché ormai aveva realizzato che riporre ancora speranze in sua madre era del tutto inutile.

Non gli aveva mai mostrato affetto: perché avrebbe dovuto cominciare proprio ora?

Trattenendo il respiro Evan chiuse la chiamata, mentre la voce di Debra urlava ancora qualcosa di incomprensibile.

All’improvviso sentì aprirsi la porta, con un rumore ferreo e arrugginito:  nel giardino comparve Reila, che lo guardava ansiosa con gli occhi lucidi di lacrime. «Evan, finalmente ti ho trovato… tutto bene?» chiese con un filo di voce, avvicinandosi al ragazzo.

Come splendevano i suoi capelli alla luce del cielo primaverile. Sembrava un sole, una stella, una luce di salvezza. E quegli occhi brillanti, che lo osservavano con la solita nota ingenua ma dolce.

Evan si alzò, muovendo dei piccoli passi verso di lei, arrivandole a pochi centimetri.

Aveva voglia di riempire quel vuoto che sentiva nel petto, voleva sentirsi completo davvero per la prima volta nella sua vita… provò un’intenso desiderio di abbracciare Reila, che ancora lo guardava preoccupata senza aspettarsi tuttavia una risposta alla sua domanda iniziale: sul viso di Evan il suo stato d’animo era palese.

Il ragazzo spinse le mani attorno al corpo di Reila, appoggiando la testa sulla sua esile spalla. Era come se durante quei mesi Reila fosse diventata parte del suo corpo, quel pezzo che mancava per completare il puzzle, il mattone necessario per sostenere tutto il muro: e avrebbe voluto fagocitarla in modo che non avrebbe mai potuto andarsene da lui come invece avevano fatto tutti. Voleva renderla sua lì, in quel momento, per sentirsi completo e dimenticare per un secondo la morte con l’amore.

Ma si limitò a baciarla lievemente sul collo, mentre la ragazza tratteneva il respiro senza sapere come reagire.

Un bacio, due: Evan non riusciva più a fermarsi.

Con le labbra era arrivato fino alla guancia di Reila, quando lei, per mascherare l’imbarazzo e il batticuore, decise di continuare a parlare «…T-ti ho sentito parlare al telefono…»

Evan la guardò languido per qualche secondo, prima di ricominciare irremovibile a consumarla coi suoi baci.

«… Ho pensato che avessi… bisogno… d’aiuto» balbettò lei, incapace di respirare per il profumo del moro, troppo buono e inebriante perché lei potesse mantenere il controllo.

Evan era intanto pericolosamente giunto alle labbra, che pregustava con occhi ardenti; le si avvicinò ancora di più, schiudendo la bocca e guardandola con occhi sognanti.

«E così sono corsa da te!» esplose Reila, cercando inutilmente di mantenere un tono di voce normale.

Appena Evan, leggermente spazientito, le sussurrò «Scusa Reila potresti stare ferma? » sulla pelle arrossita, la bionda capì che ormai erano arrivati nel punto di non ritorno.

Arrossì violentemente e rimase immobile, in attesa della mossa del ragazzo: stavolta sapeva cosa fare.

Fu così che, chinandosi su di lei e stringendola forte a sé, Evan cominciò a baciarla come solo nei suoi sogni era successo più volte.

 

Reila accolse le labbra di Evan tremante per l’emozione: quanto aveva desiderato quel contatto!

Sentì le braccia del ragazzo avvolgersi attorno alla sua vita, stringerla forte a sé facendole quasi male; ma era un dolore colmo di dolcezza e di bisogno. Sì, nei movimenti lenti e caldi del ragazzo Reila lesse un bisogno infinito di non sentirsi solo.

Reila ricambiò l’abbraccio profondo, allacciando le mani dietro al collo di Evan e così gli permise di approfondire il bacio, sempre più disperato e anelante.

Ma nonostante una fievole vocina nella testa della ragazza le rammentasse il nome di Emy, Reila non riuscì a fare altro che cercare sempre di più la bocca di Evan: ormai il suo corpo e la sua mente si erano annullati. Reila esisteva solo in quel bacio e per quel bacio.

 

 

 

 

 

 


 

Note per riempire lo spazio

 

 

Finalmente il capitolo che tutte stavate aspettando!! (spero J)

Essì, Reila ed Evan finalmente si “dichiarono”… ci sono voluti 16 luuuuunghi capitoli ma alla fine spero ne sia valsa la pena. Sono felice per loro, è mai possibile? XD

Come spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^

Ho troppe speranza, ‘nevvero?

Beh, voi fatemi sapere cosa ne pensate… come faccio  a migliorare senza i vostri consigli? :(

E poi tra poco è il mio compleanno (<3) quindi fatemi questo piccolo piccolo regalo…

 

Tra l’altro la fine non è più così lontana. 4 o 5 capitoli al massimo, credo.

Cavolo anche Soundless sta per finire…

 

Kikka_neko: Mi spiace che tu ti sia trovata in una situazione così brutta ^^ spero che tutto si sia risolto al meglio :D Grazie per i complimenti e l’appoggio, la Reila tascabile è in fase di progettazione!!!

MakyMay: XD grazie! Troppo gentile con al solito, spero che il capitolo abbia seguito le tue aspettative!!

 

 “…così necessaria. Sei come aria… acqua… vitale.”

Alla prossima!!

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17- Be mine ***


 

 

Capitolo 17- Be mine

 

L

a sensazione ruvida ma piacevole della leggera barba di Evan percorse con piccole scosse la pelle del viso di Reila, dandole dei brividi sottili lungo tutta la schiena.
Le sembrava impossibile come un particolare così insignificante e normale potesse essere per lei così eccitante, tanto da aumentare vertiginosamente la temperatura del suo corpo.

Perso ormai il pieno controllo del suo corpo, la bionda affondava le mani nei capelli neri e spettinati di Evan, con cui giocava distratta. Il ragazzo aveva risposto a tanta passione aumentando il ritmo serrato con cui tormentava le labbra di Reila, stretta tra le sue braccia.

Era piccola in confronto a lui, e infinitamente più fragile: eppure Evan sentiva per certo che se avesse interrotto quell’abbraccio lui sarebbe crollato in mille pezzi di vetro.

Tuttavia, nonostante facesse di tutto per rimanere così per sempre, Reila si divincolò dalla sua bocca, ansimante e rossa come un peperone.

Com’è bella, pensò Evan sorridendo.

«Evan…» mormorò Reila sfinita, con la voce ridotta a un sussurro «… ma che stiamo facendo?»

Questa frase riportò Evan alla realtà. Una realtà dove lui stava ancora con Emy.

Sorrise malinconico, accentuando la stretta delle mani attorno alla vita della ragazza, sentendola così fremere piacevolmente tra le sue dita «Hai ragione. Io ho Emy…» rispose Evan, ma l’espressione sicura di Reila faceva capire quanto lei fosse convinta del bacio appena avvenuto.

«… Ma non è forse questa la parte migliore del lasciarsi? Trovare qualcun altro di cui non hai mai abbastanza, che vuole stare solo con te…» aggiunse quindi il moro, osservandola negli occhi intensamente.

Reila sobbalzò, sorpresa dal tono provocante di Evan, ma ancora di più dal fatto che lui pensasse questo di lei. Bisbigliò di nuovo il suo nome mentre il ragazzo continuava serio il discorso «Se è per Emy, smettila di preoccuparti. In un modo o nell’altro deve capire che è finita».

Reila scosse la testa, spostando la presa delle sue mani sulle spalle del moro «Non è questo. Ormai è troppo tardi per avere delle remore verso Emy…»

Evan le sorrise e aprì la bocca per dire qualcosa, ma Reila lo bloccò appoggiando un dito sulle sue labbra «È che io… fino a poco tempo fa… non lo sapevo. Non riuscivo a decifrare l’emozione che mi dava stare con te. Pensavo fosse una profonda amiciza. Ma no… non è così. È come se stessimo assieme da sempre e la fase della cotta fosse lontana anni luce! La verità è che io… io per te…»

Sentivo il cuore battere solo in sua presenza. Il respiro si faceva bollente come la mia pelle e le gambe tremavano ogni volta che mi sfiorava, ogni volta che lo vedevo allontanarsi con Emy.

«Reila…» sussurrò languido Evan, ritornando a sfiorare le sue labbra.

Le accarezzò con dolcezza, mordendole morbidamente , coccolandole con il suo respiro caldo, fino a quando un sapore salato si insinuò nella sua bocca. Si staccò da Reila, stupito nel vederla piangere silenziosamente.

«Hey…» le prese delicatamente il volto tra le mani, asciugandole gli occhi coi pollici. Si soffermò a scrutare preoccupato le iridi nocciola sfocate della lacrime, per tentare di capire cosa stesse succedendo dentro la sua testa.

Sotto quegli occhi attenti la ragazza chinò la testa, appoggiandola poi al petto di Evan, mentre di fianco al viso stringeva nei pugni la stoffa leggera della sua maglietta.

«I-io sono una persona orribile, sai Evan? Sono proprio disgustosa. Io… io non ti ho mai odiato davvero…» esitò un attimo, incerta se alzare il viso per constatare la reazione di Evan. Alla fine continuò tremante, temendo le conseguenze di quello che stava per rivelargli «Io ho semplicemente usato il tuo rancore per tenerti stretto a me. Anche te… ho usato anche te per non sentirmi sola. Sono spregevole, vero?»

Il silenzio di Evan le provocò dei brividi di terrore lungo le gambe, che stava sentendo cedere. Per fortuna Evan la sostenne per un fianco, mentre con l’altra mano le alzò il viso delicatamente.

Nel vedere gli occhi di Evan luccicare sorridenti e colmi di dolcezza il cuore di Reila sembrò ricomporsi dai pezzi in cui era caduto, per poi tornare a battere impazzito alla voce bassa e intima del ragazzo «No, affatto. Sei così bella quando ridi… ma sei ancora più bella quando piangi. Sei così…»

Evan si interruppe, perso nel carezzare la guancia di Reila, smarrito nel guardare le sue labbra schiuse e calde. La guardò negli occhi intensamente, facendola sobbalzare.

Perché ora? Perché le sto confessando tutto ora? Papà è appena morto.

«Promettimi che ti prenderai cura di lei».

Ne saresti contento forse… forse sto cercando qualcuno che mi ami e mi aiuti…

«… Così necessaria. Sei come aria… acqua… vitale»

Mentre Reila arrossiva violentemente in preda al batticuore Evan si chinò nuovamente su di lei, imprigionando le sue labbra tra le sue

Un giorno sarebbe bello essere amati per i nostri difetti.

Un giorno… ci arriveremo.

Insieme.

~

Il giorno del funerale di Kaleb fu il 15 aprile; un giorno stranamente caldo, con il sole alto nel cielo blu terso.

Finita la cerimonia Reila lasciò soli i fratelli Williams, accompagnati da Emy, precedendoli verso la macchina di Evan: non voleva essere troppo invadente, in fondo erano questioni legate alla loro famiglia.

Mentre i tre osservavano la lapide di Kaleb, ritratto sorridente e felice nella foto, Erik si rivolse scocciato al fratello «Perché non piangi?» gli chiese rimproverandolo.

Evan lo guardò serio «Perché dovrei?»

«Come perché? Papà… non c’è più! Non ti rende triste?» gli rispose Erik indignato

«Certo. Certo che sono triste. Ma si piange solo quando si hanno dei rimpianti e io riesco a lasciarlo senza averne…»

I due si sorrisero malinconici e si allontanarono dalla tomba del padre, seguita da Emy.

Prima di salire sull’auto Reila chiese ad Evan come stasse, ma lui non le rispose, ignorandola completamente. Reila pensò che non l’avesse sentita ma si sentiva poco tranquilla.

Lasciarono Erik sotto casa sua ed accompagnarono Emy all’ospedale, dove doveva cominciare il suo turno da infermiera. Prima di entrare nella struttura si soffermò pensierosa ad osservare l’auto nera del proprio ragazzo correre via.

 

Evan fermò la macchina davanti a casa sua e poi si rivolse a Reila sorridendo «Vuoi salire da me?» disse, lasciandole intendere chiaramente le sue intenzioni

La ragazza arrossì sorpresa, non riuscendo a sostenere lo sguardo del moro «Non so, Evan. Mi sento così in colpa per…»

Reila non riuscì a finire la frase, interrotta da Evan che sporgendosi su di lei dal sedile del guidatore era giunto a baciarla. Ma era un bacio diverso da quelli che si erano scambiati fino a quel momento: non era per niente timido e casto, anzi.

Le loro labbra si tormentavano mosse da una passione travolgente, che li portò in breve a far toccare per la prima volta anche le loro lingue. Il sapore di Evan fece girare la testa a Reila che gemette soffocata da tanto impeto, mentre Evan si azzardava a morderle in modo eccitante il labbro inferiore.

Il ragazzo si staccò da lei lentamente con tanti piccoli baci e le sorrise comprensivo «Non sforzarti Reila. Se non vuoi…»

«NO! NON HO DETTO QUESTO!!»

L’urlò crucciato della ragazza stupì entrambi, ma appena Reila si rese conto di quello che aveva detto cominciò ad arrossire morendo di imbarazzo. «I-io non…» balbettò coi lucciconi agli occhi, mentre Evan rideva come un pazzo.

Reila osservò sollevata il moro, felice che non soffrisse troppo per la morte del padre. Poi si ricordò della sua figuraccia e gli chiese perché stesse ridendo, desiderando di scomparire all’istante.

«Perché sei così buffa!» le rispose Evan senza smettere di ridere.

Reila aggrottò le sopracciglia arrabbiata «Ah, io sarei buffa!? Allora dimmi cosa ci trovi in me!»

Evan la osservò sopreso da questa domanda, ma non rispose. Temendo di aver esagerato Reila cominciò ad agitarsi «B-bè… Emy è bellissima. È alta, sexy e simpatica, mentre io sono bassa, piatta come una tavola e frignona! Sarà che non lo capisco… affatto!»

Il ragazzo le sorrise dolcemente, prendendole il viso tra le mani.

Com’era tenera quando si arrabbiava, pensò. Decise però di non darle ancora alcuna soddisfazione e si limitò a ribadire «Vedi che sei proprio buffa?»

Gli occhi della ragazza spalancati tradirono il suo orgoglio ferito.

Non risponde! Vuol dire che non vuole ammettere che in me non ci trova nulla!

Lo sapevo, lo sapevo!

Sicuramente gli piaceranno le tette grosse e le gambe da cerbiatta!

Reila pensò questo, cominciando a palparsi il seno come per verificare che fosse davvero così poco rispetto a quello di Emy.

A quel gesto Evan arrossì scandalizzato «MA CHE STAI FACENDO?»

Reila si girò piangente verso Evan «Scusami…»

L’ammissione di una colpa?, rifletté Evan, che spazientitò le diede uno sbuffetto sulla testa «Basta, decido io: tu vieni con me. Non faremo sesso, placa la coscienza».

Reila nascose il viso arrossendo ed afflitta pronunciò «Ah… va bene» con delusione, mandando Evan ancora più in confusione.

~

Seduti sul divano uno di fianco all’altro, mentre un film troppo ignorato si svolgeva davanti a loro.

Evan guardava spesso Reila, rivolgendole delle occhiate profonde che la ragazza prontamente ignorava, non sapendo cosa fare: stavano davvero assieme? Come doveva comportarsi con lui? Avrebbe dovuto avvicinarsi, abbracciarlo oppure aveva frainteso tutto? Cosa voleva dire stare con Evan?

Eppure aveva una voglia così ardente di stringersi a lui, percepire ancora le sue mani attorno a lei… Così all’ennesimo sguardo Reila decise di parlare.

«Che hai?» gli chiese sorridendo.

All’improvviso Evan si mise a cavalcioni sul divano, avvicinandosi a lei. Ben presto la sovrastò completamente, lasciandola senza fiato.

Al solito il profumo stuzzicante di Evan le annebbiò la mente, impedendole così ogni reazione: il suo corpo era come paralizzato nei baci che Evan stava spargendo lungo tutto il suo viso, tra dolcezza e desiderio.

Reila chiuse gli occhi, arrendendosi al suo amore, e deglutì imbarazzata appena sentì la voce di Evan solleticarle l’orecchio «Cosa mi piace di te?»

Il ragazzo le smosse dolcemente col naso una ciocca di capelli, respirandone il profumo «I tuoi capelli dorati e leggeri…», sospirò passando a mordicchiarle dolcemente il lobo dell’orecchio, mentre la sentiva tremate sotto di lui in preda ai brividi.

Evan sorrise compiaciuto e le baciò la guancia, stando ben attento a far aderire anche la punta della lingua «… la tua pelle liscia che arrossisce ogni volto che la tocco…»

Accarezzò il profilo della ragazza con il prioprio viso, raggiungendo gli occhi con le labbra «… i tuoi occhi sinceri…».

Poi, ripercorrendo lo stesso cammino stavolta con la bocca, Evan la baciò sulle labbra, facendole aderire con le sue a lungo e profondamente «… i tuoi sorrisi gentili…».

Nel frattempo aveva insinuato una mano troppo audace sotto la maglietta di Reila, alzandola all’altezza del petto. Aveva cominciato ad accarezzarle la pancia, che si muoveva ritmicamente sotto il suo tocco, tendendosi per i brividi. Il ragazzo si spostò lungo il corpo della ragazza, lasciandole dei baci ardenti lungo l’addome, risalendo fino a quando non la sentì respirare profondamente al contatto delle sue dita con i suoi seni. «… il tuo corpo piccolo e fragile, ma così caldo»

Reila strinse le braccia attorno alla sua schiena e la sensazione di sentirlo forte e grande sopra di lei la accese, facendole fare pensieri poco casti. Si immaginò come potesse essere fare l’amore con Evan, mentre anche solo il suo tocco la faceva impazzire.

All’improvviso sentì delle gocce cadere calde sulla sua pelle. Aprì gli occhi sconvolta e si irrigidì «Evan perché stai piangendo?»

A quella domanda inaspettata il ragazzo si fermò. Stupito, si toccò il viso rendendosi conto di stare piangendo lacrime.

Reila si mise seduta preoccupata, mentre anche Evan si alzava da sopra di lei asciugandosi gli occhi, che pure rimanevano lucidi «Scusa. Mi ero impegnato a non piangere per papà, ma lasciandomi andare mi sono distratto…»

Reila lo osservò triste e lo abbracciò, stringendo le braccia esili attorno al suo collo.

Evan rispose all’abbraccio stringendo entrambe le braccia attorno alla schiena ancora mezza nuda della ragazza e pianse silenziosamente.

Rimasero così a lungo, per ore forse; anche i loro cuori avevano cominciato a battere insieme… «È notte fonda, forse è il caso di andare a dormire. Oggi è stata una giornata triste» gli sussurrò Reila, sciogliendo quell’eterno abbraccio. Evan annuì e la baciò lentamente per poi alzarsi e tenderle una mano.

Reila lo guardò confusa attraverso la penombra «Rimani con me stanotte»

Gli occhi della bionda scintillarono mentre gli porgeva la mano come risposta affermativa.

 

Si stesero sul fianco tra le coperte uno davanti all’altro. Evan riusciva a sentire l’imbarazzo e la profonda emozione di Reila, per cui strinse un braccio attorno alla sua vita per farla sentire più a suo agio.

La bionda si avvicinò strisciando nel letto, fino a raggiungere il petto del ragazzo, che strinse al suo viso arrossato con entrambe le mani.

«Voglio solo… sentirti» mormorò Evan baciandole i capelli, lasciandole una sensazione piacevolissima in tutto il corpo.
Proprio in quel momento il telefono di casa cominciò a suonare.

Al terzo squillo Evan riuscì a staccarsi da Reila e a rispondere alla chiamata.

Mentre parlava Reila osservò sdraiata tra le lenzuola la sua schiena con le lacrime agli occhi: era Emy.

«Pronto? Ah, sì sì sono da solo. No, mi spiace ora non posso, domani va bene. Ciao… anche io»

Quel “sono da solo” spezzò il cuore a Reila.

Ecco cosa voleva dire stare con Evan: doverlo dividere con qualcun altro. Sentirsi l’altra.

Il moro si girò e la guardò triste ma ammagliato dalla sua figura avvolta nel suo letto. «Scusa» sussurrò senza muoversi.

Reila scosse la testa e tese entrambe le braccia verso di lui.

«Torna da me» bisbigliò affranta appena risentì il calore del corpo di Evan tra le dita.

Torna mio.

 

 

 

 

 


 

Note per riempire lo spazio

 

 

Evan e Reila stanno assieme!!! Alèèèè!!! Non siete contente? XD

Bè devo scappare a studiare biologia… spero che questo capitolo vi piaccia ^^

Grazie a Kikka_neko, MakyMay e Kyraya per l’infinito appoggio J spero che questi aggiornamenti frequenti vi garbino ;D

 

“La stai tradendo con Reila?!” “…sì” “Ecco perché Reila è triste. Dimmi ti rendi conto che la stai facendo soffrire? O magari la cosa ti diverte!”

 

Alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18- Faithfulness ***



Capitolo 18
- Faithfulness

 

Q

uando Evan aprì gli occhi la mattina dopo si trovò completamente aggrappato a Reila, che si stringeva a lui con decisione.

Si stupì di essersi mosso così tanto nel sonno, ma alla fine non ci badò più di tanto: essere così, con Reila, era tutto ciò che aveva sempre voluto.

Le accarezzò leggermente i capelli e la ragazza mugulò nel sonno, strappandogli un sorriso ancora inebetito.

Eccolo il suo tassello mancante, il pilastro che teneva tutto assieme: era stretto morbidamente tra le sue braccia, profondamente addormentato, come spesso capitava nei suoi sogni.

Finalmente addosso a lui, stretta con tutto il suo morbido corpo, stava Reila, la ragazza che amava. Evan si sentì arrossire leggermente mentre ripensava ai giorni precedente e a tutti i baci che si erano scambiati, perché ancora non riusciva a credere di poter davvero definire Reila sua. Solo sua.

E all’improvviso quell’abbraccio così intimo non gli bastò più: la voleva, la desiderava, la anelava come se fosse un principio vitale. Voleva possederla, avere la sua pelle, il suo viso imbarazzato e… sentendosi già troppo eccitato Evan decise che era meglio smettere di pensare a Reila in questo modo.

Nonostante fossero mesi che la desiderasse in questo modo, nonostante ora avrebbe potuto soddisfare questo suo sogno, doveva mettere a tacere l’istinto ancora una volta.

Perché se anche Reila era solo sua, Evan non poteva dire lo stesso di sé.

Si rese conto di essere stato profondamente egoista: aveva agito noncurandosi dei sentimenti della ragazza e di quanto avrebbe sofferto a doverlo dividere con Emy. Il ragazzo si ricordò sofferente gli occhi di Reila alla fine della chiamata di Emy e provò un odio profondo verso se stesso.

No, prima di fare l’amore con Reila doveva lasciare Emy perché Reila non si meritava di essere tratta come l’altra.

Evan sospirò amareggiato, coccolandosi ancora un po’ nel calore intenso di quell’abbraccio.

~

«Mamma, papà… questo è il locale!» disse Reila solenne, mentre l’agente immobiliare apriva la porta del locale che aveva già visitato poco tempo prima.

I coniugi Lewis si guardarono attorno con espressione stupita, la stessa che avevano fatto appena Reila aveva comunicato loro di aver lasciato il lavoro per aprire una pasticceria.

Aveva rinunciato a una carriera di successo molto retribuita in un’agenzia pubblicitaria per… aprire una chimerica pasticceria.

Sulle prime i genitori si arrabbiarono con la figlia, preoccupati soprattutto che si rovinasse la vita.

La prima a cedere e a perdonare Reila fu Celestine, che covava nel cuore, al nascosto di Ector, un profondo orgoglio per la figlia che era riuscita a trovare la forza di seguire i propri sogni. Invece perché il cuore di Ector si ammorbidisse e accettasse di vedere la figlia ci volle un po’ più di tempo, dato il suo carattere molto rigido e la sua idea sul successo. Ma ogni papà ama alla follia la propria bambina e davanti alle preghiere della sua Reila non seppe più resistere.

Accettarono leggermente scettici di vedere il locale dove la figlia aveva deciso di portare avanti la sua assurda idea, ma alla fine ne rimasero entusiasti, soprattutto per la luce che brillava negli occhi della loro bambina.

«È meraviglioso, Reila!» esclamò Celestine sorridendo, mentre seguiva con lo sguardo la figlia che correva da un parte all’altra per mostrarle dove e cosa avrebbe voluto posizionare i quel dato punto.

Ector intanto parlava animatamente con l’agente immobiliare, informandosi sulle cose di base come il riscaldamento, i vari collegamenti con acquedotto e fogne e altre cose che Reila non avrebbe mai saputo se non grazie ai consigli di Selene.

Appena Ector terminò di discutere con l’agente si diresse verso le due donne, che chiacchieravano leggermente scaldate sul colore della tappezzeria.

«Reila, io e tua madre abbiamo una cosa da dirti» disse all’improvviso alla figlia, interrompendo il suo elogio del color panna.

Reila li guardò confusa e leggermente preoccupata dal tono serio del padre, che non aveva mai preannunciato nulla di buono; si rivolse speranzosa di un appoggio alla madre, che le sorrise smagliante.

Ector infilò le mani nelle tasche dei pantaloni scuri, sollevando il capotto lungo e grigio, mentre Celestine gli si avvinghiava a un braccio.

«Abbiamo riflettuto a lungo su questa tua… bizzarra scelta, ma siamo giunti alla conclusione che se ti rende così felice allora è la cosa giusta»

Reila deglutì ansiosa, ma si impedì ancora un attimo di sentirsi sollevata. «Mi sono appena informato sul prezzo – anch’esso è abbastanza buono per la posizione e la dimensione del locale – anche se ormai io e tua madre avevamo già preso la nostra decisione. Siccome è un sogno a cui tieni tanto abbiamo deciso di aiutarti, pagandoti i tre quarti del prezzo»

In quel momento Reila smise di respirare, spalancando gli occhi mentre rimaneva paralizzata.

Aveva sentito bene? I tre quarti del prezzo?!

I suoi genitori, da sempre così attaccati al suo successo lavorativo, la volevano aiutare a portare avanti un sogno che ritenevano assurdo?

«… M-ma… state scherzando?» chiese Reila ancora incredula.

La madre negò con la testa, aperta in un sorriso eccitatissimo «Reila, siamo così fieri che hai deciso di seguire il tuo desiderio! È una cosa meravigliosa!»

Reila la squadrò stranita e rivolse gli occhi al padre che le sorrise comprensivo; si avvicinò a loro tremante, temendo di essere in un sogno.

«Ma non posso accettare, è una cifra troppo alta!»

Il padre la riprese leggermente stizzito e Reila decise di non insistere oltre: sapeva bene quanto suo padre odiasse ripetere le cose.

Così in preda all’eccitazione si gettò sui genitori, abbracciandoli tra le lacrime. «GRAZIE! Vi prometto che appena guadagnerò abbastanza soldi ve li restituirò…»

Celestine ricambiò l’abbraccio sorridente, mentre Ector tossiva imbarazzato.

~

Selene applaudì estasiata alla notizia dell’amica e anche Evan le sorrise complimentandosi per la fortuna.

«Sì, mamma e papà sono davvero fantastici! Ma ho già promesso che logicamente un giorno restituirò tutto, quindi dovrò lavorare molto sodo!» cinguettò Reila altrettanto felice, mentre finiva di mangiare.

«Certo che la tua famiglia è davvero ricca» commentò invidiosa Selene, avendo come risposta da Reila un tenue sorriso, quasi colpevole.

«Comunque credo ci sia qualcosa di più interessante stasera di cui parlare» esordì Evan sibillino, attirando a sé gli sguardi delle ragazze: quello di Selene confuso e curioso, quello di Reila sconvolto e palpitante.

Evan le sorrise dolcemente, rassicurandola. In fondo stava facendo questo solo per lei: se Selene l’avesse saputo sarebbe diventato ufficiale e Reila non sarebbe più stata solo l’altra

«Io e Reila stiamo assieme»

Le sue parole furono doccia gelata per entrambe.

Reila arrossì talmente tanto che Evan credette sarebbe esplosa, mentre gli occhi di Selene sembravano per stare uscire dalle orbite per quanto erano spalancati dalla sorpresa.

«V-voi… state assieme?!» balbettò la mora appena riprese le capacità locutorie, spostando velocemente uno sguardo leggermente accusatorio sulla bionda, che sentendosi troppo in imbarazzo scappò in cucina con la scusa di lavare i piatti sporchi della cena.

«Ma Emy? Sei riuscito a lasciarla?» continuò Selene, cominciando a riprendersi.

Evan esitò un attimo, mentre anche Reila si immobilizzò dietro di loro «Bè… non proprio».

«COSA?!» esclamò Selene scattando in piedi «La sta tradendo con Reila?!»

Evan annuì serio e tentò di parlare, ma la ragazza lo interruppe urlando, arrabbiata «Ecco perché Reila in questi giorni è così giù di morale! Dimmi, ti rendi conto che la stai facendo soffrire? O magari la cosa ti diverte!»

Anche Evan si alzò in piedi, e appena Selene finì di parlare lanciò un’occhiata per controllare Reila, che rimaneva girata di spalle ma immobile.

«Calmati, Selene. Io non voglio che Reila soffra, assolutamente! E lo sai bene anche tu!»

Selene lo squadrò sdegnata «E allora lascia Emy, o Reila. Devi scegliere»

«Credi che questa situazione dipenda da me?! Fosse per me io avrei già scelto, ma Emy… Emy è troppo fragile. Soffrirebbe troppo…»

«E Reila no?»

A quella domanda Evan si sentì sprofondare e il suo cuore mancò qualche battito. Guardò sconvolto la mora che ricambiò lo sguardo con astio «Me ne vado. Mi viene la nausea»

Si avvicinò a Reila per darle un bacio e se ne andò sbattendo la porta, lasciandosi il silenzio più assoluto e freddo alle spalle.

Dopo qualche minuto che sembrò eterno Reila riprese a lavare i piatti e nell’appartamente si diffuse il rumore dall’acqua e della porcellana dei piatti.

Evan si avvicinò alla ragazza, senza però osare toccarla; la osservava di schiena, intenta a mascherare il profondo dolore.

So benissimo… di non meritarla. Come so che stare con me la farà solo soffrire. Ma io sono egoista, e meschino.

Non mi interessa di nulla, se non averla per me, e me soltanto.

Mi faccio disgusto da solo per come la sto trattando.

All’improvviso il cellulare di Evan cominciò a squillare.

Era Emy, proprio come qualche giorno prima. Evan rispose col cuore morente «Emy. Sì sto bene. Sì sono solo, ma stasera non ne ho voglia. No, Emy, non ti sto evitando…»

Gli occhi di Evan ricaddero però su Reila, sul suo corpo fragile scosso da tremori che anche lui riusciva a vedere.

La situazione non poteva andare avanti così: la ragazza che amava stava soffrendo a causa sua… a questo punto che differenza c’era tra lui ed Alex?

Assolutamente nessuna.

Io sono l’essere che più odio al mondo perché lei sta soffrendo a causa mia.

La voce di Emy che lo chiamava lo risvegliò dai pensieri «No… scusa Emy, ti ho mentito. Stasera non posso perché non sono da solo. Sono con Reila» pronunciò alla fine con tono neutro. Senza aspettare una risposta spense la chiamata e il cellulare, gettandolo per terra.

Forse in questo modo sono diventato più degno di lei.

Con un movimento veloce Reila si girò esterrefatta verso il ragazzo, lasciandosi sfuggire qualche piccola lacrima.

Fu un attimo: si gettarono entrambi l’uno sull’altro, in una foga mai provata prima.

Si baciarono appassionatamente senza lasciarsi in attimo di respiro, mentre le mani di Evan scorrevano sulla schiena di Reila stringendola a sé.

Oh, quanto le piacevano quelle mani! E quando si muovevano leggere, sfiorandola coi polpastrelli lungo le pelle nuda…

Istintivamente Reila cominciò a sbottonare la camicia del ragazzo, trovandosi a massaggiare il suo petto e a baciarlo sospirante, mentre Evan le slacciava il reggiseno, nascosto ancora dalla maglietta.

Si fermarono un istante, per guardarsi negli occhi consapevoli di stare per oltrepassare il punto di non ritorno.

Al diavolo tutto, al diavolo Emy, Selene e i sensi di colpa.

Quella sera sarebbero stati solo Reila ed Evan.

Senza smettere di fissarla Evan sfilò la maglietta alla ragazza, facendo cadere anche il reggiseno color pesca ai suoi piedi. La accarezzò titubante con lo sguardo fino al suo seno, tremendamente emozionato; poi, tremando allungò una mano verso il suo corpo, mentre con l’altra la riportava stretta al suo.

Appena entrarono in contatto la loro pelle bruciò e ogni timidezza svanì: Reila appoggiò il mento nell’incavo del collo di Evan, baciandolo e mordendogli l’orecchio con dolcezza, mentre la mano di Evan affondava e stuzzicava i suoi seni facendole provare dei brividi che mai aveva provato con appena delle carezze.

Evan si sentiva impazzire: le labbra di Reila lo bramavano continuamente e lasciavano che il suo respiro infuocato gli riscaldasse la pelle languidamente, eccitandolo; ma fu la voce di Reila, mormorata e colma di piacere che gli fece perdere completamente il controllo.

La bionda bisbigliava il suo nome in mezzo a mille sospiri, soffiando al suo orecchio, mentre con le mani sfiorava lentamente la parte basse della schiena, dandogli i brividi. In un attimo Evan si chinò ancora di più su di lei, arrivando a sfiorare con le labbra il suo petto piccolo e sodo, trattenendola con un braccio attorno alla vita. Sentendo le labbra umide del ragazzo chiudersi attorno ai suoi capezzoli, Reila inarcò la schiena in preda a delle scosse liquide di piacere che percorrevano sottopelle tutto il suo corpo.

Evan sorrise.

Alla fine lei era lì, mezza nuda tra le sue braccia, sotto le sue mani e le sue labbra attente e scrupolose nel assaporare ogni singolo centimetro di pelle, così come aveva desiderato a lungo. Gli vennero in mente i mesi passati a sognarla la notte, a sentirsi un fuoco dentro ogni volta che la sfiorava…

All’improvviso Evan si bloccò, sorprendendo Reila: la bionda sollevò il viso verso il suo in cerca di una risposta, ma trovò solo un sorriso amaro.

«Basta così Reila. Forse è meglio che io torni a casa»

«Cosa?»

«Non dimenticare che ufficialmente io sto ancora con Emy. E la nostra prima volta deve essere speciale…» disse Evan, dandole un bacio leggero e dolce sulle labbra «… perché è speciale»

A malincuore Reila annuì, ma impedì ad Evan di staccarsi da lei.

«Rimani almeno con me!» lo pregò con gli occhi scintillanti di lacrime.

Evan le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed annuì, abbracciandola.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Note per riempire lo spazio

 

Buh!

A dire il vero in questi giorni mi sento parecchio giù… un mio caro amico si è trasferito in Australia martedì e con molta probabilità non ci vedremo più, anche se manterremo qualche contatto (sia lodato faccialibro!).

Quindi sono un po’ giù di tono… mi sparo a palla canzoni tristi e mi metto ogni 3 secondi a guardare nostre vecchie foto… sono troppo nostalgica ç_ç in fondo mica va a morire, si trasferisce solo a una ventine di ore di aereo di distanza…

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che la mia malinconia non lo abbia pregiudicato! Alla fine forse ha pure aiutato, considerati i toni non proprio leggeri ^^ La relazione tra Evan e Reila si evolve molto rapidamente, vero? Sono impazienti, sono impazienti… Evan sono mesi che sbava dietro Reila e lei pure (anche se l’ha capito da poco J). Quindi logicamente hanno voglia di fare il grande passo

Ma c’è ancora Emy. Emy Emy Emy, che proprio non ne vuole sapere di lasciare il suo Evan!

Comunque il prossimo capitolo è già scritto (INCREDIBBBBBBBBBBILE!) quindi a distanza di qualche giorno saprete come andrà a finire con Emy ;)

Passiamo ai ringraziamenti!!

 

Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra i seguiti o i preferiti o quelle da ricordare; grazie anche a chi legge e mi segue silenzioso ^^

Come farei senza di voi?

Passiamo all’angolo recensioni!

Maka27: Ehehe Emy dovrai sopportarla ancora per poco ^^ ha capito che tra lei ed Evan è ormai finita, ma non riesce a lasciarlo andare da un’altra… alla fine non è così cattiva dai J spero che il capitolo ti sia piaciuto!

Sheila84: Grazie per tutti i complimenti mi fai arrossire *///* spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ultimamente ho parecchio ispirazione e sto aggiornando a tempi record! Per rifarmi di tutti i ritardi immensi che ha avuto questa fic...!

Black Lolita: Carissima! Non preoccuparti, sei perdonata, in fondo mi hai sempre recensito fin da Snowdrops ;) Come ti capisco, anche io dovrei essere super impegnata con la maturità ma invece sono nullafacente <.< Evan è insicuro in questi capitoli vero? xD bè è fatto così, non vorrebbe ferire Emy… ma ormai ha capito che non può fare altro! E… mi spiace deluderti ma ormai la storia sta volgendo al termine, tra l’altro verso una direzione simile a quella che speri tu! xD Ormai è giunta ora di far trovare un po’ di felicità a Reila… e non preoccuparti se non riuscirai a recensire subito, so che il tuo appoggio è sempre con me e questo mi aiuta molto <3 grazie!

 

 

Ehi ma che fine avete fatto tutti? La mia storia non vi ispira più neanche un commentino-ino-ino?

Dai ormai siamo agli sgoccioli… 2 capitoli e tutto sarà finito… cosa vi costa dedicarmi due minutini-ini-ini del vostro tempo, che sono orgogliosa mi dedichiate?

Forza, fatevi sentire! Come regalo di compleanno *____*

 

 

Non so se fu solo per far colpo su di me, per portarmi a letto, ma in quel momento sentii che tutta la mia vita non era stato uno sbaglio, perché mi aveva condotto lì con lui e quella frase. Evan è la mia anima gemella, ma… io non sono la sua.

 

Alla prossima!

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19- And the reason is you ***


EDIT: data la scarsa lunghezza che avrebbe avuto il capitolo 19, ho deciso di unirlo col capitolo 20. Per tutti quelli che hanno già letto il 19, basta andare a metà, al terzo “~” xD. Spero che quest’ultimo capitolo vi piaccia.

Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che mi hanno seguita… grazie, davvero. Vi voglio bene <3


I've found a reason for me
To change who I used to be
A reason to start over new

 

Capitolo 19- And the reason is you

 

I

o lo amo… lo amo davvero tanto!

Non sono mai stata brillante in nulla: per chi mi circondava ero una delusione continua, anche per i miei genitori. Quanto avrebbero voluto che diventassi medico! Invece si trovano con una figlia infermiera, come se non bastasse anche mediocre.

Ma quando vidi Evan…

«Un’ infermiera così giovane e carina! Quello che fai è davvero ammirevole!» mi disse così.

Non so se fu solo per far colpo su di me e portarmi a letto, ma in quel momento sentii che tutta la mia vita non era stata uno sbaglio perché mi aveva condotto lì, con lui e quella frase.

Evan è la mia anima gemella, ne sono sicura. Ma io… non sono la sua.

~

Reila entrò eccitata nel locale freddo e vuoto che aveva comprato qualche ora prima.

Era suo. Suo. Il suo sogno era finalmente suo.

Certo, doveva ancora pensare e sistemare un’ infinità di cose ed era certa che sarebbe impazzita in mezzo a tutta la burocrazia… però sentiva dentro di sé una felicità avvolgente e calda: dentro quel posto ancora grigio e disadorno Reila si sentiva a casa.

Per la prima volta la sua vita stava volgendo verso una direzione che sembrava quella giusta: ancora un piccolo sforzo e Reila avrebbe potuto definirsi realizzata. Aveva trovato la sua ciliegina sulla torta, e l’aveva trovata in Evan: una persona che l’amava davvero, la rispettava e la proteggeva, come aveva sempre desiderato; qualcuno con cui vivere, guardare la televisione e mangiare la pizza senza pensieri, solo essendoci; un qualcuno in grado di ascoltarla senza fare finta, e capace di parlare di sé senza mentire: una persona che senza di lei non sapeva immaginare la giornata. [*] Ma anche qualcuno senza cui lei non riusciva a pensare di vivere e respirare.

E anche se c’era ancora l’ombra di Emy tra di loro Reila si sentiva lo stesso calma: aveva capito che la felicità esiste perché esiste il dolore e che lei non poteva farci nulla. Non potevano essere tutti felici nello stesso istante: prima o poi la contentezza sarebbe arrivata per tutti.

Ormai aveva imparato a non subire più i sentimenti altrui, arrivando ad innamorarsi davvero.

Quant’ho lottato contro me stessa per averlo, per riuscire a sfiorare le sue labbra e poterlo prendere per mano?

Quanto sono riuscita a diventare meritevole di lui? Ancora non lo sono, ma il tempo passato a costruire castelli di sogni, di amore, di sesso di sguardi incrociati e di coccole mi ha migliorata.

Solo io so quanto l'ho desiderato.

Vederlo e solo sognare di averlo mio, mi faceva venir l'ansia, mi faceva venir il batticuore e mi faceva stare bene ma male.

Si rese conto di essere cresciuta in quei mesi, solo grazie ad Evan; sorrise divertita nel ripensare a quella fatidica sera in cui Maverick ed Apple si incontrarono sul tetto di un edificio e si baciarono, dando origine a una serie di eventi che a distanza di tempo le sembrarono assurdi.

Reila si appoggiò una mano sul cuore sorridendo, sentendolo battere più forte al solo pensiero di Evan.

Come riuscire a descrivere ciò che provava in quei momenti? Le parole non basterebbero per raccontare il calore e l’allegria che il pensiero di non essere sola le davano.

Era una profonda soddisfazione, una sensazione di orgoglio e piacere che la facevano volare.

Reila era davvero fortunata. Miliardi di persone passano la vita per cercare quella sensazione e provarla anche solo per un secondo, mentre lei la provava incessantemente da ormai due settimane.

~

Quando uscì dal locale trovò davanti a sé Evan appoggiato alla propria auto che la aspettava.

Reila sorrise sopresa verso il ragazzo che la salutò facendole cenno di andare ad abbracciarlo; senza farselo ripetere Reila trotterellò da lui contenta, arrossendo col batticuore mentre si stringeva morbidamente a lui.

«Ma cosa ci fai qui?»

«Ma come amore? Dobbiamo festeggiare la tua nuova pasticceria, no?» le rispose sorridendo.

Il cuore di Reila andò a fuoco nel sentire come l’aveva chiamata: “amore”. La bionda alzò il viso raggiante e gli diede un leggero bacio sulla bocca, alzandosi in punta di piedi quanto più poteva per raggiungerlo.

«Dai andiamo a casa!» suggerì lei, sfuggendo velocemente alla presa di Evan, che la guardò ridendo senza speranze.

 

Evan fermò l’auto sotto casa propria; ma sia i suoi pensieri che quelli di Reila erano stati totalmente deviati dai progetti che avevano fatto per quella serata: davanti al portone del suo condominio stava infatti Emy, che lo attendeva composta e immobile, lasciando trasparire dagli occhi una sensazione di profonda inadeguatezza.

«Evan…» mormorò Reila preoccupata, rivolgendosi al ragazzo.

«Vai in casa, Reila. Ci sentiamo dopo»

I due si guardarono a lungo, cercando uno negli occhi dell’altro una sorta di premonizione.

All’improvviso Evan sorrise, accarezzandole dolcemente una guancia col dorso della mano «Sto morendo dalla voglia di baciarti. È meglio che vai»

Reila arrossì ed annuì, scendendo dall’abitacolo; salutò Reila con un cenno di mano e si avviò verso casa sua.

Quando Evan fu davanti a lei, Emy gli gettò le braccia al collo cercando un contatto coi suoi occhi sfuggenti «Evan! Perché eri con lei?»

«Sono cose che non ti intiressano» rispose lui stizzito allontanandola per andare ad aprire il portone esitando con le chiavi, per riflettere su ciò che doveva fare.

Appena entrarono nell’appartamento di Evan, Emy gli si fece incontro e gli diede un bacio stringendo le mani attorno alla sua nuca; Evan tuttavia non rispose ai tentativi della mora di approfondire il bacio, rimanendo immobile e glaciale a quel contatto.

«Che bacio freddo…» sussurrò Emy leccandosi le labbra.

«Ma cosa ci fai ancora qui Emy?»

La voce secca e distante di Evan le spezzarono ulteriormente il cuore, già ferito da quegli ultimi due mesi in cui Evan le aveva più volte detto chiaramente di volerla lasciare.

Ogni volta le scoppiava a piangere, scongiurandolo di non farlo perché senza di lui lei sarebbe morta. Gli aveva detto queste precise parole e, col senno di poi, la ragazza aveva provato una profonda vergogna di essersi ridotta in quello stato.

Ma non riusciva a farci nulla: amava troppo Evan e ammettere che fosse finita la distruggeva da dentro.

«Io non ti amo più Emy» disse Evan all’improvviso, rimuovendo con dolcezza le braccia di Emy strette attorno al suo collo. La guardò intensamente con gli occhi colmi di malinconia ed Emy si ritrasse spaventata con un movimento violento.

«N-no… Evan… non farlo!» balbettò scoppiando a piangere.

Doveva riuscirci anche questa volta, doveva tenerlo ancora stretto a sé. Ma vide Evan chinare il capo sconsolato, mentre si portava una mano sulla fronte e capì che ormai era tutto finito.

Tutto.

«Finiscila Emy. Non ne posso più delle tue lacrime. Io ti voglio ancora bene e, ti prego, non vorrei mai arrivare ad odiarti.»

Emy deglutì, cercando a stento di rimanere in piedi.

Sono una delusione continua. Un’esistenza che è d’impiccio a tutti.

«Tu… sei stato con Reila?»

Il ragazzo la fissò sbalordito, senza capire dove Emy volesse andare a parare. «No, se per “essere stato” intendi “esserci stato a letto”» disse alla fine, diffidente «… ma sul fatto che io la ami non ci sono dubbi»

Evan vide Emy stringere i pugni fino a che le mani non divennero rosse; tremava nello sforzo di non piangere e gli fece un’enorme pena. Ma doveva rompere con lei una volta per tutte. «Tu non meriti di essere presa in giro. Io non ti amo, non più almeno… e tu devi ancora incontrare la tua anima gemella»

Si avvicinò a lei titubante, studiandola attentamente «Baste Emy» ripetè abbracciandola «Separiamoci»

È arrivato il momento che tu trovi la vera felicità.

 

Emy uscì all’aria calda degli inizi di maggio respirandola profondamente, mentre una leggera brezza le scuoteva i capelli corti.

Cercò di rimettere assieme i pezzi del suo cuore mentre osservava l’espressione scossa di Reila in piedi davanti a lei, che molto probabilmente stava aspettando di salire da Evan per sapere come fosse andata.

Emy sorrise amaramente mentre si allontanava senza salutare dalla bionda, che aveva sussurrato il suo nome preoccupata. La mora di fermò pensierosa a pochi passi da lei «Non ce l’ho con te, Reila, per niente. È stata solo colpa mia che non sono stata capace di tenermelo stretto».

Reila sentì delle piccole lacrime scorrerle sulle guance mentre guardava l’immagine di Emy allontanarsi per sempre lungo la strada illuminata dal sole.

 

Reila si girò verso la porta da cui Emy era appena uscita e la osservò chiamarla ancora aperta.

Era arrivato il momento di scegliere: essere egoisti e andare da Evan a fare l’amore con lui fino a morire, o scappare dai sentimenti come aveva sempre fatto?

Era davvero così cresciuta come pensava? Non era forse una stupida convinzione, creata da lei stessa per credere di essere meritevole di Evan?

Chinò la testa tremando e corse via, dirigendosi verso l’unica persona che avrebbe saputo indicarle la strada.

~

Appena Selene aprì la porta di casa Reila la si gettò tra le braccia, piangendo.

La mora rimase meravigliata per qualche secondo, spaventandosi anche un po’, ma poi aveva accolto in casa l’amica con dolcezza e tranquillità, facendola sedere sul divano in salotto e portandole una tazza di tè per calmarla.

Nonostante fosse leggermente arrabbiata – per quanto si sforzasse di esserlo – con Reila ed Evan non riuscì a rifiutarla ridotta in quello stato; così ascoltò in silenzio le parole di Reila, rotte dai singhiozzi.

«Non so neanche io bene di cosa ho paura… forse ho solo timore di tutta questa felicità! Evan ora è mio, solo mio. Stiamo assieme e io sento di poter toccare il cielo con un dito, perché finalmente mi sono innamorata davvero… Ma…»

Selene la guardò seria «… Ma?» la incitò.

La bionda si girò verso di lei, completamente rossa in viso «… Ma ho paura che questa felicità un giorno possa finire!»

Un sorriso tenue comparve sul viso della mora, che avvolse Reila in un caldo abbraccio consolatorio

«Quanto sei sciocchina Reila? È comprensibile che tu sia spaventata ma è una cosa stupida non tentarci almeno per timore del futuro… se è destinata a durare sarà così. Altrimenti, potrete vivere senza rimpianti…»

Reila ricambiò la stretta, calmandosi un attimo tra le braccia dell’amica

«…Poco fa ho incontrato Emy; Evan l’aveva appena lasciata. Quando ho visto il suo viso mi sono sentita morire per come la sto facendo soffrire. Nonostante mi ripeta che senza dolore non esiste la felicità, non riesco a non ritenermi schifosamente egoista…»

È giusto calpestare i sentimenti degli altri pur di raggiungere la propria felicità? È davvero intrinseco nella natura umana pensare solo a realizzare sé stessi, inseguendo la mera illusione di avere trovato il proprio scopo, senza preoccuparsi minimamente del mondo che ci sta attorno?

Selene esitò un attimo su come rispondere. Di certo si era arrabbiata con Evan perché aveva coinvolto Reila in quel triangolo assurdo, mentre a Reila rimproverava il fatto di non aver resistito ed essersi lasciata trascinare; ma conosceva bene Reila e questa volta doveva essere davvero qualcosa di serio per farla scontrare con la propria morale.

«Io ho calpestato Emy senza curarmi minimamente di lei. Io volevo Evan con tutta me stessa e nient’altro…» continuò la bionda mentre si asciugava le lacrime, ormai quasi completamente calma dopo quell’improvvisa crisi di pianto.

«Ti sbagli anche in questo caso, Reila. Cercare la felicità, desiderare una persona, inseguire un sogno… non è egoista: è umano»

Le parole di Selene la stupirono, smuovendole qualcosa dentro. Reila arrossì profondamente, senza neanche saperne il perché.

«Tu ami Evan?»

«…Certo»

«E allora cosa ci fai ancora qui? Ha appena lasciato Emy per te! Corri tra le sue braccia e festeggiate! Al dopo ci penserete quando sarà il momento!» la spronò Selene con tono allegro, mentre la aiutava ad alzarsi e la accompagnava alla porta.

Reila le sorrise come a lei piaceva tanto e Selene sentì di aver fatto la cosa giusta; alla fine, la felicità di Reila era l’unica cosa che mai le era importata da quando erano amiche. Aveva anche provato il sogno di essere lei a renderla felice, per poter avere quel sorriso che tanto le scaldava il cuore solo per sé; col tempo però il desiderio di vederla felice sempre e comunque aveva annullato il desiderio di essere lei il motivo della sua felicità.

La salutò con un bacio e le augurò buona fortuna, guardandola allontanarsi sorridente.

~

La bionda si precipitò in camera da letto, aprì l’armadio immenso e ne tirò fuori il suo vestito preferito rosa pallido, che avrebbe poi coperto con un maglioncino bianco.

Oh, ma perché si stava agitando così tanto? Non era necessario vestirsi benissimo per andare a cena da Evan: ormai l’aveva vista anche nel suo pigiamone antistupro, cosa poteva esserci di peggio?

Ciononostante, senza rifletterci, infilò sopra i collant bianchi spessi le sue Dior nuove, rosa chiaro con un cinturino di strass sulla caviglia. Le avrebbero portato fortuna: erano belle, erano nuove, ed erano pure costate un capitale!

Si sentì ancora più stupida, ma ormai stava già correndo per strada nel suo vestito forse un po’ troppo elegante, verso una serata che sapeva sarebbe stata la più bella della sua vita.

 Suonò il citofono tremante ed Evan le aprì; senza smettere di correre salì le scale, stando però attenta alle scarpe, e alla fine si trovò davanti al ragazzo che la aspettava sulla soglia del suo appartamento.

Appena lo vide Reila rallentò la corsa, per godersi quel momento di sospensione, dove il cuore di entrambi poteva finalmente smettere di battere nell’ansia dell’attesa.

Reila notò con piacere che anche Evan era stato stupido come lei e si era vestito abbastanza bene: una camicia nera, jeans scuri e quella barba del giorno prima a cui lei proprio non sapeva resistere.

«Ehi» la salutò lui, leggermente impacciato, mentre anche la ragazza arrossiva imbarazzata.

Ormai Evan aveva imparato a convivere con quell’innocenza che lo prendeva appena era solo con Reila: ancora non sapeva dargli un motivo; forse era solo dato dal fatto che con lei era sempre tutto completamente diverso? Anche la sua sola vista sembrava diversa da quella delle altre ragazze: Reila era più… più cosa?

Nel frattempo la la bionda gli si era avvicinata titubante, senza sapere cosa fare. Dov’era finita tutta la sicurezza che aveva avuto fino a poco prima? Era svanita completamente, mentre i dubbi ricominciavano a riaffiorare. Ma appena Evan la strinse morbidamente, Reila capì cosa intendeva Selene poco prima:

la loro storia finirà? Si lascieranno? Poco importa, perché mentre Evan la baciava Reila sentì di aver raggiunto quella sensazione, la ciliegina sulla torta che anelava da una vita; che tutti cercano nella vita.

E se anche un giorno questa finirà potrà dire di aver avuto il privilegio di assaporarla, di non avere quindi creato motivi di rimpianto. Potrà affermare di avere trovato il senso della vita… e Reila aveva trovato il suo tra le braccia di Evan.

Una scarica la percorse interamente quando la lingua di Evan sfiorò la sua, portandola istintivamente a stringere le mani attorno al suo collo. Il ragazzo si staccò ansimante, osservando serio gli occhi languidi di Reila.

La guardò intensamente, scrutandola fin nel profondo; Reila chiuse le palpebre e una piccola lacrima le percorse una guancia mentre si lanciava di nuovo su Evan.

Leggermente sopreso da un tale slancio di passione, il moro chiuse la porta di casa con un calcio, spingendo Reila verso il salotto senza smettere di baciarla; le sua mani la accarezzavano, la stringevano, la assaporavano in ogni parte: finalmente Evan poteva avere Reila senza più remore, poteva gustarla lentamente… ma ormai non riusciva neanche più a pensare, talmente era la foga con cui Reila lo baciava e si addossava a lui. Sorrise compiaciuto nel pensare che non avrebbe mai immaginato Reila così passionale.

Si staccarono con lentezza e Reila chinò subito il viso, rosso di vergogna, per non dover guardare Evan negli occhi: sapeva benissimo che il suo cuore non avrebbe retto.

Evan le accarezzò le guance col dorso della mano, scorrendo poi sulla pelle del collo e sotto il maglioncino bianco, cominciando a sbottonarlo con una lentezza disarmante e facendolo poi cadere a terra. Con la stessa mano tornò a lambire la spalla di Reila, spostandosi sul suo petto sotto il quale sentiva il suo cuore pulsare più velocemente del normale.

Spostò gli occhi assorti sul viso della bionda, talmente arrossato e arruffato che gli strappò un sorriso di tenerezza; le diede un bacio sulla fronte, mentre cominciava a scostare una spallina del suo vestito. La sentì trattenere il fiato mentre la sua mano scendeva lungo la cerniera dell’abito, sfiorandola lungo tutta la schiena, ma percepì anche la stretta della mani della ragazza sulla sua camicia acuirsi per poi spostarsi sui bottoni e slacciarli così con un leggero impaccio; Evan tremò per l’emozione, ma Reila non se ne accorse.

Ben presto si trovarono nudi addosso all’altro, sdraiati sul tappetto del salotto ai piedi del divano.

Le mani di Evan percorsero il corpo di Reila, indugiando sui suoi seni, mentre lei si tendeva sotto di lui tra imbarazzo e piacere. Arrivò a sfiorarle l’ombelico e poi più giù; trattennero entrambi il respiro e Reila inarcò la schiena, raggiungendo le labbra del ragazzo: le baciò, le mordicchiò dolcemente e le assaporò con attenzione, gemendo un po’ più forte quando arrivò al limite. Voleva Evan, lo desiderava con tutta sé stessa. Voleva sentirsi completa e piena di lui.

Evan intuì le intenzioni della ragazza e adagiandola dolcemente sotto di lui, la baciò senza fretta. Poi, piano piano scivolò dentro di lei, posizionandosi meglio sopra il suo corpo.

«Evan» mormorò Reila trattenendo il fiato mentre il ragazzo entrava completamente dentro di lei. Evan sentì il proprio cuore esplodere nel sentire la sua voce dolcemente eccitata e si chinò a baciarla di nuovo, mentre le mani vagavano sul suo seno.

Cominciò a muoversi dolcemente, mentre i sospiri crescevano e i gemiti si diffondevano nell’aria scura e silenziosa dell’appartamento. Mentre Evan le teneva le cosce Reila si strinse alla sua schiena contratta nei movimenti, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo; sentirla respirare affannata sulla sua pelle aumentava l’eccitazione di Evan, che senza più controllo si mise seduto in ginocchio trascinadola con sé. Affondò nel petto di Reila il viso, mentre lei gli stringeva la testa e gli baciava i capelli con una dolcezza spiazzante.

Mentre veniva pochi secondi dopo Reila, Evan sentì il proprio animo calmarsi e rinvigorirsi; si sentì vivere e si chiese se l’avesse mai percepito davvero così chiaramente.

In nessun caso avrebbe pensato che quella ragazza che aveva odiato per vent’anni, coi suoi occhi spauriti e le sue preoccupazioni eccessive, sarebbe diventata il collante della sua anima, la causa che gli impediva di crollare sotto il peso della vita… ma intanto che si baciavano ancora ansimanti, tutti i pensieri di Evan svanirono per concentrarsi come calore nel suo cuore e lì depositarsi, per sempre.

Alla fine il sorriso di Reila, quella piccola fiamma debole da proteggere, era riuscito a penetrare così in profondità in lui che il suo ricordo non l’avrebbe più lasciato.

«Reila…» sussurrò lui, allontanandosi di pochi centimetri da lei.

Mentre Evan sfuggiva al suo tentativo di baciarlo ancora la ragazza mugulò «Eh?», confusa e un po’ imbronciata.

«… Finalmente posso dirtelo…» le bisbigliò sfiorandole il naso col suo.

Reila arrossì ed Evan le alzò il mento col pollice, baciandola delicatamente a stampo «Ti amo»

Il ragazzo non riuscì a decifrare l’espressione della bionda e probabilmente anche lei non sapeva bene come comportarsi. Ma, dopo aver esitato un attimo spostando gli occhi velocemente, fissò lo sguardo sul viso di Evan con una decisione un po’ troppo evidente e scandì con enfasi «Anche io…»

«Lo so» la provocò lui, fingendo rassegnazione.

«Eeeh?» borbottò lei, preoccupata.

Evan sorrise felice. «Ti prego, non smettere mai di dire “eh?”…»

 

 

 

 

 

 

[*] Dal capitolo 1 – “La ciliegina sulla torta”

 

 


 

Note per riempire lo spazio

 

Non per dire… ma ho praticamente finito il liceo (speriamo XD), è finito Lost e ora finisce pure Soundless.

È un momento di grandi cambiamenti!!

See… magari… mai i cambiamenti che vorrei comunque ç_ç

Comunque…

Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno sostenuta in questa storia, commentandola, leggendola o anche solo guardandola di sfuggita.

È cominciata nel 2008 – così tanto tempo fa? O_O – e mi ha seguita a lungo, così a lungo che mi dispiace infinitamente doverla lasciare…

 

 

Vallinda: grazie per tutti i complimenti, sei troppo gentile <3 spero che il capitolo ti sia piaciuto!! Fammi sapere che ne pensi ;)

Valentina78: grazie!! Fammi sapere che pensi di questo capitolo <3

Black Lolita: ma ciau <3 hai ragione, in fondo Evan e Reila si amano già da molto tempo ed è quindi inevitabile che non riescano più a controllarsi… Comunque come vedi finalmente Evan ha tirato fuori le palle e ha lasciato Emy! Spero che ora sarai felice >-< essì, l’ispirazione sembra essermi tornata pensa che ho già in mente una bozza moooolto bozza di una nuova storia, però si dovrà aspettare un po’ prima di leggerla perché è ancora molto confusa e ora manca un mese alla maturità… quindi alla morte XD un bacio :*

 

 

Bene, ragassuole mie siamo giunti alla fine… L

Ho già in mente un abbozzo per la prossima storia, ma causa maturità non arriverà a breve, anche per il fatto che ancora è molto confusa ^^ Spero di ritrovare qualcuna di voi anche lì!

Un bacio enorme a tutti *_*

ALLA PROSSIMA!!

Liz

 

 

 

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