Doppio sospetto di Mannu (/viewuser.php?uid=32809)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Doppio sospetto
1.
Spossata, si fermò a contemplare il lavoro fatto appoggiandosi al lungo manico della rotospazzola. Il
Coyote era ridiventato suo, finalmente. Due giorni passati a pulire dappertutto come una massaia, e non
come un'astronauta. Si era fermata a riposare di tanto in tanto, approfittandone per occuparsi di incombenze
meno faticose e più attinenti al suo ruolo di comandante e proprietaria di una astronave da carico. Aveva
comprato del carbocomburente per rifornire i motori di manovra, riproponendosi di non trascurare più l'obsoleto
propellente liquido. Aveva scoperto che il suo committente era finito in galera e quindi che per l'ultimo
viaggio non sarebbe stata pagata. Viste com'erano andate le cose, non ci aveva fatto affidamento su quei soldi,
ma valeva la pena provare. Come poteva sapere che nel container di deperibili da consegnare a una colonia penale
si nascondevano le armi per una rivolta di carcerati? Il giudice le aveva fatto capire che non era stata incriminata
dando per scontata la sua buona fede, e che le era già andata bene così. Quindi una volta vistosi annullato il
contratto, nonostante lei lo avesse onorato da parte sua, si era guardata bene dal protestare. Niente male come
primo ingaggio, si disse piena di amarezza.
Era stanca e sentiva tutti i muscoli indolenziti. Ci aveva dato dentro con vigore per tutto il tempo, contenta di
sfogarsi esprimendo la sua forza fisica per pulire e sistemare tutto quanto. Aveva speso un piccolo capitale per
riparare tutti i danni e per rifare meglio lavori eseguiti in precedenza con un po' troppa approssimazione. Come le
staffe di ancoraggio della sua branda sovradimensionata. Ora non scricchiolavano più poiché non erano fissate attraverso
il rivestimento della parete, ma si congiungevano direttamente alla struttura portante metallica. Risistemare il
rivestimento era stato un lavoraccio, ma alla fine non si vedeva nulla ed era soddisfatta. Con la stessa energia,
con lo stesso ardore quasi guerresco aveva riparato i danni provocati dai galeotti evasi che l'avevano tenuta ostaggio
a bordo della sua stessa corvetta. Non l'avrebbe mai detto che gli arredi del bagno sarebbero giunti a essere così
costosi. Forse era il mercato di Prometeo, dov'era ormeggiato adesso il Coyote, a essere un po' troppo caro.
Puntò la rotospazzola sulla parete ed eliminò un'ombra scura che le era incredibilmente sfuggita fino a quel
momento. Al pensiero che la sua nave conservasse ancora qualche traccia del passaggio di tutti quei maledetti
bifolchi, le venne il sangue alla testa. Conosceva un solo modo per calmarsi: scalciò dentro la sua cabina le ciabatte
di gomma che aveva comprato sulla Terra e a piedi nudi percorse lo spinale per tutta la sua lunghezza, più volte,
esaminando con cura pavimento, pareti e perfino il soffitto. Poi entrò nel bagno, nella cabina dell'equipaggio rimessa
a nuovo, nella mensa, nella sua stessa cabina. Anche se quello era il primo posto che aveva pulito in modo maniacale e
ossessivo, controllò di nuovo che non vi fossero tracce né odori alieni. Perquisì anche il ponte di comando alla
ricerca di macchie e sporcizia, ma a parte un capello scuro, lungo e riccio, quindi certamente suo, non trovò
altro. Passò ugualmente la rotospazzola qua e là, per sicurezza. Ne approfittò per spegnere la console che aveva
collegato a una emittente di notiziari letti da cronisti per farsi compagnia con una voce umana. Era da un'ora che
blaterava unicamente di una comunità post-nucleare recentemente ritrovata sul pianeta, nella parte dell'Europa
dell'Est che aveva subito gli effetti dell'olocausto nucleare più di altre regioni. Ogni tanto qualche sopravvissuto
riemergeva dai rifugi antiatomici: si chiese quanti invece non sarebbero mai più riemersi, ma la sua mente non
indugiò a lungo su quell'ozioso pensiero. Aveva infatti gettato uno sguardo lungo il corridoio spinale della sua
corvetta e si era resa conto che aveva pulito la camera d'equilibrio e il locale adiacente solo un paio di
volte. Strappò con forza la rotospazzola dal pavimento, al quale quella aderiva saldamente grazie a potenti magneti
regolabili, e ripassò da capo entrambi i locali, con rinnovato ardore, incurante del freddo metallo sotto i suoi
piedi scalzi.
Quando ebbe terminato ripose la preziosa rotospazzola ormai bisognosa a sua volta di una bella ripulita e si sedette
spossata sul telaio della sua cuccetta maggiorata. Si guardò la pianta dei piedi: fu felice di constatare che non
sembrava affatto sporca. Non si illudeva: non sarebbe durata a lungo tutta quella nettezza. La polvere la faceva da
padrona ovunque, anche sulle astronavi. La sua unica consolazione era che la polvere è direttamente proporzionale
alla quantità di equipaggio imbarcato.
Era di nuovo sudata fradicia, al punto che la maglia le si era fastidiosamente appiccicata addosso. Tenere basso il
riscaldamento non si era dimostrata una buona idea: appena interrompeva il suo faticare, cominciava a
starnutire. L'alternativa al raffreddore era stare al calduccio e sudare copiosamente per il duro lavoro. Aveva svuotato
e riempito da capo i serbatoi di acqua per uso sanitario e quindi non era un problema fare la doccia. Negli ultimi due
giorni aveva perso il conto delle volte che si era messa sotto il getto caldo ed era rimasta lì, a farsi scorrere
l'acqua sulla pelle per lavare via sudore, fatica, stanchezza e tutto il resto. Ma non i brutti ricordi: quelli le
rimanevano appiccicati addosso, dentro.
Scattò in piedi più repentinamente che poté, ignorando le proteste di cosce e polpacci induriti dalla fatica. Non voleva
pensarci nemmeno un minuto. Si diresse decisa in bagno e si denudò per farsi una doccia, certa di meritarla. Cercò
inutilmente di ignorare l'abbondanza della sua carne: si era illusa di avere perso peso con tutto quell'esercizio fisico
ma la bilancia, incapace di mentire, le aveva indicato impietosamente un chilogrammo standard, scarso perfino, di
differenza rispetto alla pesata precedente memorizzata prima di partire per Mastodonte. Tutta quella fatica per smaltire
un solo chilo. Si odiava. Per consolarsi tese i muscoli delle braccia e provò qualche posa da culturista, imitando
alcuni maschioni che aveva visto pavoneggiarsi nella palestra di Spyro. Funzionava anche con lei: i muscoli
ingrossati apparvero evidenti. Però sono forte, si disse compiaciuta.
L'acqua calda e il sapone schiumoso e profumato la riconciliarono in parte con se stessa e col resto del mondo. Riuscì
a rilassarsi al punto da percepire maggiormente le proteste delle sue membra affaticate. Braccia, gambe, addominali...
le doleva un po' dappertutto, perfino il collo. Pensò di essersi maltrattata per due giorni consecutivi, e che era ora
di smetterla.
Avvolta nel suo telo di spugna preferito dedicò molto tempo ai suoi lunghi capelli, asciugandoli lentamente e con
cura. Sempre folti e ricci per natura, erano l'unica cosa che le dava davvero soddisfazione del proprio corpo. Ma
solo da quando aveva cominciato a trattarli massicciamente col balsamo: diversamente erano in grado di diventare
in breve tempo una detestabile e incontrollabile massa di nodi, arruffati e fastidiosissimi. Accudire i capelli così
a lungo peggiorò i dolori alle braccia, obbligate a stare sollevate: si costrinse a sopportare ma giunse il momento
in cui dovette cedere. La doccia le aveva conciliato il sonno e si sentì tanto spossata da infilarsi a letto nuda
così com'era, senza nemmeno riporre la spugna umida sull'apposito essiccatoio per il recupero dell'umidità. Si
addormentò subito e il suo ultimo, dolce pensiero fu che aveva dimenticato di mangiare e ciononostante non sentiva
fame.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Doppio sospetto
2.
Un suono flautato ma deciso proveniente dagli strumenti del ponte di comando bloccò la mano diretta alla sua bocca. Smise
di masticare i croccanti fiocchi di cereali dolci con cui stava cercando di placare la fame che l'aveva convinta a uscire
dalla branda e a esplorare la dispensa. Si era resa conto di non aver riordinato bene le cose e di non aver rimpiazzato
il cibo buttato via a causa della confezione lasciata aperta. Anche la dispensa aveva dovuto essere ripulita da cima a
fondo per cancellare le tracce del passaggio dei galeotti fuggitivi. Aveva trovato i fiocchi di cereali, ma nulla per
inzupparli come dovuto. Per pigrizia se li era portati nel suo alloggio e aveva cominciato a sgranocchiarli rumorosamente,
asciutti così com'erano, stando sul letto. Non fu necessario tenere le orecchie tese a lungo: il suono si ripeté dopo
pochi secondi, identico. C'era proprio qualcuno che voleva parlare con lei.
Abbandonò la scatola dei cereali misti sulla coperta e andò fino al ponte di comando. Senza nemmeno sedersi sulla
poltrona del comandante, toccò lo schermo e rispose alla chiamata. A causa del suo arrivo un po' frettoloso lì su
Prometeo non aveva fatto alcun tipo di abbonamento quindi il Coyote non poteva sfruttare i servizi a pagamento offerti
dalle strutture del molo. Tra questi c'era il collegamento video con la banchina. Tanto meglio, pensò stringendosi
nella semplice tunica nera che indossava. Sono di sicuro un orrore da vedere, oltre che mezza nuda.
- Chi è? - gracchiò. Aveva ancora la voce impastata dal sonno. Era un'altra sgradita conseguenza dello stare a letto
troppo a lungo.
- Sono io.
Ebbe un tuffo al cuore. Poi un altro. Fu subito preda dell'ansia. Era davvero lui: la qualità del collegamento audio
era molto buona e non aveva dubbi a riguardo. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
- Io chi? - niente da fare, non riusciva a schiarirsi del tutto la voce. Detestava quelli che non si presentavano
quando non c'era il video. Lui andava sul sicuro, sapeva di essere riconoscibile. Quella sicurezza ostentata così la
fece innervosire.
- Sono Spyro. Posso?
Senza rispondere comandò lo sblocco del cancello che impediva a chiunque passasse sul molo di percorrere la passerella
fino a giungere alla sua camera di equilibrio. Mentre lo attendeva, ritta in piedi nel corridoio spinale davanti alla
soglia dell'anticamera, la tensione che all'improvviso la attanagliava di nuovo le ricordò l'affaticamento dei muscoli
che ripresero a dolere un poco. Rifece il nodo alla cintura della tunica avvolgendosi strettamente in essa e incrociò
le braccia sul petto. Il portello esterno si aprì, ricordandole che lui aveva il codice. Pensò che per fare così in
fretta aveva dovuto divorare a balzi la passerella. Terminata la compressione, toccò al portello interno aprirsi. L'aria
fredda che la investì la fece rabbrividire ricordandole quanto poco era vestita.
- Fermo lì! - gli puntò un dito contro, decisa. L'uomo, massiccio e imponente chiuso in una tuta di volo che lei non
sapeva possedesse, non osò mettere piede a bordo.
- Ho appena pulito tutto quanto! Tu con quella cosa addosso qui non ci entri!
- Ma Miki... - accennò una protesta allargando le braccia. Senza volere il casco che teneva in mano batté contro lo
spesso e pesante portello.
- Sbrigati che fa freddo! - lo rimproverò lei cercando di stare seria. Le sembrò buffo e fin dal primo momento che le
era apparso sulla soglia aveva dovuto lottare con se stessa per non correre tra le sue braccia. Visto che rimaneva
imbambolato e stupito lì, al termine della passerella, lei scattò verso il pannello di controllo della camera di
equilibrio e comandò la chiusura della porta, lasciandolo fuori.
- È l'inizio della mia punizione?
Anche questa volta dovette trattenersi dal ridere. Col suo fisico tozzo e muscoloso riempiva una tuta intima
integrale che sembrava un pigiama per bambini. Era di quelle da indossare sotto un certo tipo di tute da vuoto,
scafandri tecnici a strati di cui il più interno era piuttosto aderente perché anti-g. Quindi quel pigiamino era
giocoforza attillato: candido e senza insegne, con le aperture per il catetere e i sensori biometrici mantenute
sigillate da comune velcro. Le cadde lo sguardo sui genitali, ridicolmente evidenziati dal tessuto teso.
- Non eri in viaggio sul Raja? - decise di ignorare quello che lui le aveva detto. Era in piedi davanti a lei e non
l'aveva sfiorato. Lui doveva aver percepito quella freddezza scostante e non aveva osato toccarla.
- Ho visto i notiziari! - sbottò. Il viso di lui, un viso buono coi lineamenti ampi e forti, era teso e denunciava
stress. Non si radeva da due giorni, giudicò. Aveva delle rughe vicino agli occhi e le parvero accentuate, più scavate
di quanto se le ricordava. Sembrava perfino che i capelli bianchi fossero aumentati di numero. Notò che aveva bisogno
di tagliarsi i capelli.
- Ti sei preoccupato? - lo stava prendendo in giro, e le stava piacendo. Sì, forse era l'inizio della sua punizione.
- Abbastanza da noleggiare un monoposto... - ecco spiegata la tuta strana, si disse Miki trattenendo lo stupore. Gli
shuttle monoposto sottoponevano il pilota a pesanti stress fisici che le tute tecniche aiutavano a sopportare. Aveva
sentito parlare che fossero capaci di arrivare oltre i sei g di accelerazione. Shuttle che anche se noleggiati, erano
costosi.
- Ah, bravo... - un punto per lui, si disse. L'aveva spiazzata e non sapendo cosa dire, si era espressa in modo
banale. Ma riuscì a controbattere. Quell'uomo la stava già confondendo.
- Un po' in ritardo, direi – riuscì a trattenere una smorfia e a restare, a suo dire, impassibile.
- Ma tu stai bene? - aveva abbassato la voce, esprimendosi pacatamente. Vuole fare il maschio rassicurante, si disse
Miki decisa a non abboccare.
- A te che sembra? - non era la migliore delle risposte da dare, se ne rese conto. Sentì che quella recita non
sarebbe andata avanti ancora per molto. Non sarebbe riuscita a trascinare lontano la sua delusione.
- Direi che sei in gran forma – le posò le mani sulle spalle, sorridendole. Le sue mani grandi e calde, attraverso
il tessuto nero della tunica le scaldarono la pelle subito, come se lei fosse stata nuda. Il suo sorriso la scaldò
dentro e si sentì avvampare le guance. Si odiò per quella reazione così improvvisa e veloce che ogni volta tradiva
i suoi pensieri.
- Seee, come no... - si sottrasse a quelle mani incandescenti e lo invitò a seguirla nella stanza della mensa. Caricò
con dell'acqua due bicchieri a prova di rovesciamento, ampolle trasparenti che servivano a bere in assenza di
gravità. Gliene porse uno e si accomodò su una sedia facendola scorrere all'indietro nei binari incassati nel
pavimento. Lui la imitò sedendosi di fronte a lei.
Calmo e premuroso, la riempì di parole dolci fino a quando la convinse a raccontargli tutto. Demolì la sua ritrosia
a rivangare l'accaduto un poco alla volta finché ci riuscì. La ascoltò in silenzio per tutto il tempo mentre lei,
dapprima controvoglia poi sempre più convinta, gli vuotava addosso tutti i ricordi della brutta avventura appena
vissuta: l'arrivo su LV-41, la sorpresa del container dov'erano nascoste le armi, la minaccia degli evasi, il lungo
tormento del viaggio di ritorno con tutte le violenze e le umiliazioni, il movimentato epilogo lì, su Prometeo. Alla
fine era sul punto di piangere, ma riuscì a terminare il suo resoconto senza che le si incrinasse la voce. Per
cercare di scacciare il doloroso nodo che le si era addensato nel petto e anche per darsi un tono, succhiò un po'
d'acqua fresca dalla sua ampolla. Si accorse di tremare.
- Sapevo che sei una tosta, ma complimenti... lo sei davvero tanto.
Tosta, si chiese alzando gli occhi fino a incontrare quelli di Spyro. Ma se sono sul punto di crollare a pezzi solo
per averti visto, pensò. Si guardò bene dal dirglielo, limitandosi a sorridergli.
- Sono una coi coglioni, eh? - lui sorrise a sua volta.
- Puoi dirlo forte.
- Maschilista del cazzo... - continuò pacata senza smettere di sorridere, appoggiando il volto sul palmo della mano e
puntellando il gomito sul tavolo.
- Anche per elogiare una donna le attribuisci caratteristiche maschili. Voi uomini vi sentite proprio al centro del
mondo, eh?
Spyro sembrò rabbuiarsi in viso. Forse non capiva? Normale, pensò lei. Gli uomini non capiscono mai. O fingono di non
capire perché fa loro comodo. L'amarezza di quel ragionamento che le affiorò spontaneo nella mente quasi la
travolse. D'un tratto Spyro non le sembrò più attraente e irresistibile, ma solo uno stupido stronzo come tanti
altri. Reagendo alla sua poco velata accusa, anche se formulata col sorriso sulle labbra, si stava strangolando da
solo con un discorso inconcludente sui valori delle persone eccetera. Miki lo ascoltò con un orecchio solo: sapeva
già cosa ribattere e non appena lui dette cenno di essersi del tutto impantanato nel suo discorso così serio e fondato,
lo disse.
- Però quando è venuto il momento te ne sei andato per la tua strada. L'alternativa era venire con te, punto e
basta.
Miki non sorrideva più ora. Si sentiva piena di una strana calma: quasi vedeva Spyro come un estraneo e ciò che le
stava accadendo sembrava scritto in un copione che entrambi conoscevano già. L'uomo recitò la parte dell'amante
addolorato.
- Io vorrei solo che tu stessi con me... ti pare così brutto?
- Vedi che ho ragione? - ribatté lei quasi con cattiveria – Sono sempre io che devo venire con te. Vieni tu con me...
ti pare così brutto?
- Dai, adesso non litighiamo per questa storia...
- Ti dà fastidio, eh? - lo aveva punto in profondità a giudicare dalla luce che gli brillò negli occhi castani e
cupi.
Spinse con le gambe per far scorrere all'indietro la sedia e si alzò. Non poteva più averlo di fronte: stava portandola
alle lacrime. Gli diede le spalle.
- Ma come... tutti i discorsi sulla tua indipendenza, sulla voglia di volare con la tua nave... non capisco.
- Eh, già! Non capisci! - lo accusò, pentendosi immediatamente di aver alzato la voce.
- Miki, ti contraddici. Me l'hai detto mille volte che ti piace cavartela da sola, che non vuoi aiuto per fare ciò che
vuoi fare. Hai ragione e ti rispetto e ammiro moltissimo per questo... ma davvero, ora non capisco cosa vuoi...
Si sentì travolgere da quelle parole. Era troppo, non poteva più resistere. Cedette al pianto e le si spezzò la voce.
- Nemmeno io so cosa voglio, cazzo!
Spyro si alzò e andò ad abbracciarla. Prima lei lo respinse bruscamente, ma lui insisté con delicatezza. Piangendo
ormai senza freni, lei si rifugiò nel suo abbraccio, respirò l'odore della sua pelle e si lasciò cullare dalla sua
voce calda. Ma non poteva durare a lungo. Avrebbe dovuto risolvere quel problema, sciogliere il nodo che si sentiva
nel petto; stare tra le braccia di Spyro non era il metodo migliore per farlo. Gli sfuggì, vincendo la sua forza quando
lui cercò di trattenerla.
- Esci...
Spyro non si mosse. Si umettò le labbra e spostò il peso da una gamba all'altra. Aveva capito bene, ma non voleva
credere alle sue orecchie.
- Cosa? - bisbigliò appena. Non lo aveva mai sentito parlare con quel tono di voce così basso, sottile.
- Esci, per favore. Scendi dalla mia nave, vattene! - non avrebbe voluto essere così sgraziata, ma si stava sforzando
di trattenere una crisi di pianto. Non riusciva a staccare gli occhi dal pavimento. Si sentiva come una morsa nel
petto, qualcosa che le stava straziando lo stomaco e schiacciando i polmoni. Doveva pensare, e non poteva con lui
presente. Stupido uomo, possibile che non lo capisce da solo?
- Torno più tardi, quando ti sarai calmata, eh?
- Fai con comodo – era un'altra Miki a parlare. Carica di risentimento, in preda a un conflitto. Non si
riconosceva. Non riconobbe nemmeno Spyro quando le passò vicino per uscire dal locale adibito a mensa. Cupo in
volto, teso. Seccato. Ma sì, che si incazzi pure un po' anche lui, lo sbeffeggiò l'altra Miki mentre lei soffriva
nel vederlo andare via. Seguì la procedura di decompressione della camera di equilibrio ascoltando i rumori. Conosceva
tutto a memoria e riconobbe ciascuna fase con precisione: inizializzazione, chiusura del portello interno,
decompressione, apertura del portello esterno. Quando udì il tonfo del portello che si chiudeva sulla camera di
equilibrio vuota, Miki si sciolse di nuovo in lacrime, sommessamente.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Doppio sospetto
3.
- Vaffanculo.
Ebbe l'accortezza di controllare che la comunicazione fosse stata chiusa prima di esprimere platealmente il suo
disappunto. Si buttò contro lo schienale della poltrona di comando e incrociò strettamente le braccia sul petto,
sbuffando seccata. Mormorò ancora qualche insulto, poi rimise il cervello al lavoro. Controllo di Prometeo non voleva
sentire ragioni: senza equipaggio minimo, il Coyote non avrebbe mai avuto l'autorizzazione a lasciare l'ormeggio. Le
autorità portuali di Apollo non erano così fiscali, e lei non era mai stata su Prometeo prima con la sua
corvetta. Avrebbe tanto voluto che Spyro trovasse il pontile vuoto al suo ritorno, ma quella piccola vendetta non
sembrava praticabile al momento. Cominciò a giocherellare nervosamente con la cerniera della sua nuova tuta azzurra,
da lei stessa personalizzata con orgoglio con le mostrine di stellapilota di quinta categoria e la toppa del Coyote
sulla manica. Non aveva molte possibilità: o assumeva un membro di equipaggio per un semplice e infruttuoso volo di
trasferimento, o si trovava un contratto di qualche genere. Avrebbe potuto anche sbarcare e cercare un lavoro a
terra: il suo conto corrente languiva di nuovo dopo le ultime spese e non sarebbe potuta rimanere ormeggiata ancora
a lungo. Ma rigettò quell'idea subito: non la gradiva affatto. Sapeva già come sarebbe andata a finire: per pagare
meno tasse portuali avrebbe dovuto disattivare e abbandonare il suo Coyote, come aveva fatto quando era stato a lungo
fermo su Apollo per l'installazione dei propulsori, e cercarsi un alloggio sulla stazione. Il che significava che
in capo a una trentina di giorni si sarebbe ritrovata per strada a fare la fame senza la sua nave, senza un alloggio,
senza un lavoro. Non conosceva né il mercato del lavoro di Prometeo né il costo della vita, ma non poteva certo essere
più economico di Apollo. Era una stazione relativamente nuova, in parte in fase di adattamento da ex struttura militare
quale era stata e in buona parte ancora da completare. I costi di gestione di quel colosso orbitante dovevano essere
straordinari. Rassegnata, impugnò la penna ottica e si collegò alla Rete della stazione per consultare le offerte
di lavoro. Se avesse trovato un contratto avrebbe potuto sperare di guadagnare qualcosa. Sarebbe stato un
inizio. Ammesso che vada tutto liscio, si disse pensando con amarezza al container che celava armi tra i medicinali
che aveva trasportato ignara su una colonia penale.
Dopo circa un'ora passata a frugare ovunque, fu molto tentata di lasciar perdere tutto per evitare che la frustrazione
e la rabbia la portassero a compiere qualche gesto inconsulto. Lavoro alla sua portata ce n'era: non molto e quasi tutto
legato ai cantieri aperti dove la sua piccola corvetta si sarebbe trovata a suo agio, ma c'era. Purtroppo lei, non
lavorando per nessuna società di trasporti registrata, doveva utilizzare un meccanismo basato su una graduatoria per
ottenere il lavoro. I privati come lei si iscrivevano in graduatoria, veniva loro assegnato un posto in coda per un
determinato compito e quando fosse giunto il loro turno, si sarebbero visti assegnare un incarico, senza dover fare
altro. Peccato che per iscriversi alla graduatoria era necessario fornire i codici personali di tutti i membri
dell'equipaggio, e che per avere diritto a inserire annunci di ricerca del personale, il comandante doveva essere
iscritto in graduatoria. Miki era furiosa. Era nella medesima situazione di partenza e non le veniva lo straccio
di un'idea per uscirne. Pur senza molta fiducia provò a contattare Philo Kaufman, il motorista che l'aveva accompagnata
nella sua ultima disavventura. Con la gentilezza e la cortesia che lo contraddistinguevano declinò la sua offerta di
lavoro, raccontandole di essere già sotto contratto e senza lasciarle intendere i motivi veri del rifiuto. Motivi
che non faticava a immaginare: Kaufman era un professionista vero, un esperto molto navigato e aveva capito che lei
era una pericolosa dilettante, con l'aggravante di essere perseguitata da una sfiga senza pari.
Come al solito, la soluzione più facile era la meno praticabile. La meno probabile. Se Spyro fosse venuto con lei! Si
rammaricò con se stessa, poiché si sentiva responsabile, anche se quel testone aveva i suoi meriti. Per la prima volta
nelle ultime ore riuscì a pensare a lui senza dolore, senza sospirare. Aveva pensato che fosse ormai suo, che potesse
dominarlo a suo piacimento. Invece tutte le volte che le capitava davanti era capace di ridurle il cuore in
marmellata. Ma possibile che debba essere sempre io a piegare le ginocchia, pensò sbattendo un pugno sul bracciolo
della poltrona. Si alzò subito e cominciò a passeggiare lungo lo spinale, nuovamente innervosita. Prima che io rompa
qualcosa a pugni proprio sul ponte di comando della mia nave, si disse. Ma dopo pochi passi proprio dagli strumenti
della plancia giunse un noto segnale acustico. Una chiamata radio.
- Coyote – rispose svogliata stando in piedi, china sugli strumenti ma senza guardarli, abbreviando la formula voluta
dal protocollo di comunicazione. Non era per nulla incuriosita: dato il suo umore del momento, non poteva che
immaginare altri guai in arrivo.
- Qui Controllo di Prometeo. Trasmissione subspaziale riservata, soggetta a tariffazione standard secondo la
normativa RN 5515 e successive modifiche. Patris Michaela, confermi la sua identità, prego.
Era una cosa da non fare, ma era davvero troppo comoda per rinunciarci. Grazie a un software illegale poteva rapidamente
emulare la strisciata del suo badge. Non ricordava più dove l'aveva messo e all'improvviso non voleva perdere quella
trasmissione, anche se avrebbe dovuto pagare l'occupazione di banda sul canale subspaziale. Significava infatti che
la trasmissione arrivava dallo spazio extra-mondo, da oltre il sistema solare. Poteva valerne la pena. Attivò il
software, digitò la password, Controllo di Prometeo si dichiarò soddisfatto e le aprì il canale. Non c'era video,
ma non ce ne fu bisogno.
- Ciao, bella figa! Come stai, mia splendida tettona?
Aveva studiato il principio di funzionamento della rete di comunicazione subspaziale, ma non si ricordava nulla. Le
bastava sapere che garantiva la comunicazione quasi in tempo reale con un'ottima qualità del segnale audio e banda
a sufficienza anche per il video. Qualunque fosse la distanza da coprire. Quella era la voce di Morgan, ma l'avrebbe
riconosciuto anche se avesse parlato per interposta persona.
- Tu? - fu l'unica parola che riuscì a pronunciare in fretta con le labbra deformate in un sorriso difficile da
scacciare.
- C'è qualcun altro che ti fa complimenti così? Dimmelo, devo conoscere la concorrenza e agire di conseguenza.
- Ma tu sei cosciente dei soldi che stai spendendo per dirmi queste cazzate? - ovviamente Morgan, a bordo della...
scorse gli strumenti con gli occhi fino a trovare il nome della nave: NNC 30868 Intruso, stava pagando la tratta più
lunga.
- Finalmente ti sto parlando: il comandante non voleva concedermi l'autorizzazione a usare la console di
comunicazione. Mi ha vietato l'uso del video, e ciò mi rattrista moltissimo perché non posso vederti. Dai,
raccontami come sei vestita. Anche sotto, tette di zucchero!
Miki fece una smorfia divertita. Sapeva che quell'appellativo sarebbe saltato fuori, prima o poi.
- Non ti perdi niente – gli disse con tono un po' mesto. Era contenta di sentire che Morgan non era affatto cambiato,
ma anche di sapere che quel pervertito era a qualche anno-luce di distanza da lei.
- Non dire così, mi fai preoccupare! Ho visto che sei diventata famosa... che ti succede? Sei assillata dagli
ammiratori? Hai troppi amanti e non riesci a dormire? Troppo sesso fa male, soprattutto se lo fai con le persone
sbagliate!
- Finiscila di dire stronzate... il quarto d'ora di celebrità è passato senza lasciare strascichi – o forse no, si
disse pensando alla sua difficoltà di trovare lavoro. Che davvero lei e il Coyote fossero divenuti famigerati a causa
di quanto accaduto? Il cliché del marinaio superstizioso apparteneva a un fumoso passato vecchio di diversi secoli.
- Senti, bella... qui mi stanno già bussando sulla spalla per farmi chiudere... So che una gnocca da paura come te
non ha problemi a ottenere ciò che vuole, ma io tra un po' passo da quelle parti: se tu avessi bisogno di qualcosa,
che so... un marinaio provetto, un amante perfetto...
- Me la caverò, tranquillo – il semplice pensiero di avere nuovamente quel maniaco di Morgan a bordo la inquietò.
- Sono qui per te, mia dea del sesso spinto. Tu chiama e vedrai che Morgan corre. Ti penso sempre!
- Seee, certo... come no.
- Davvero! Non mi credi? Mi spezzi il cuore! Non ti ho mai mentito. Da quando ti ho vista ti sogno sempre e...
- E falla finita...
- ...e quando ti sogno mi...
- Uffa! - sbottò Miki. Non era più divertente: eppure lo sapeva che dare retta a Morgan era un grave errore. Non
sapeva capire quando è il momento di smetterla.
- Va bene, non mi vuoi più. Vado a lanciarmi nello spazio senza tuta, non posso più vivere senza di te. Mi avrai
sulla coscienza, per sempre.
- Idiota... - il tono di Miki era bonario, ma l'insulto era sentito.
- Ci vediamo, bella tettona! Ricordati quello che ti ho detto. Ciao!
- Ciao, imbecille... ciao.
Cercò di chiudere il canale prima che lo facesse lui, ma non fu abbastanza svelta. Neanche la soddisfazione di
sbattergli giù la linea, si rammaricò. Poi, pentita di quella sua reazione così infantile, pensò che tutto sommato
le aveva fatto piacere ricevere quella chiamata. A modo suo Morgan era stato gentile.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Doppio sospetto
4.
Per noia consultò il sistema di comunicazione dopo aver mangiato un boccone e fu molto sorpresa di trovare un
messaggio privato. Non era Spyro.
Un certo Eric Zama era in cerca di lavoro e veniva a chiederlo a lei. Da come era scritto il messaggio, era chiaro
che era stato indirizzato a molti destinatari diversi, ovviamente non visibili. Illuso. Era un tecnico generico:
avrebbe potuto farle comodo, se avesse avuto un contratto con uno dei cantieri di Prometeo, per esempio. Caschi male,
si disse chiudendo il messaggio disinteressata. Ma esitò a cancellarlo. Ci stava ripensando. Lo riaprì e contattò
Zama, fissandogli un appuntamento e mettendo subito in chiaro di non farsi troppe illusioni: non aveva contratti al
momento. Zama non si scompose: la sua voce era un po' troppo nasale e gracchiante per essere piacevole, ma per tutta
la durata della comunicazione le sembrò una persona pacata e tranquilla. Dopo meno di un'ora era davanti al portello
della sua camera di equilibrio e lei lo stava facendo entrare.
- Chiedo il permesso di salire a bordo.
- Concesso – era piccolo di statura e piuttosto magro. Sulla quarantina, vestiva in modo dimesso, con abiti un po'
logori e fuori moda da così tanto tempo che presto sarebbero tornati in voga. Aveva il viso stretto e gli zigomi
sporgenti, un naso largo e schiacciato, le labbra carnose e sporgenti. Sembrava intimidito: si rese conto che lo
stava squadrando severamente da capo a piedi, le braccia conserte e la schiena rigida.
- Posso? - chiese quello inarcando le sopracciglia, non osando mettere piede oltre la soglia. Evidentemente
l'atteggiamento di Miki non lo rassicurava.
- Avanti, avanti – sciolse le braccia e gli indicò la porta della sala comune, aperta come sempre. Quello entrò
portandosi dietro una banale sacca da viaggio, un po' sporca e consumata. Ebbe la sensazione che Zama non se la
passasse tanto bene. Si diede della sciocca: avrebbe dovuto capirlo. Per contattare direttamente i comandanti delle
navi ormeggiate e chiedere lavoro, doveva essere conciato male quanto lei, se non peggio. Per cercare di rimediare
alla sua freddezza iniziale lo fece accomodare e gli offrì un'ampolla carica d'acqua.
- Sono senza un contratto, te l'ho detto – niente preamboli, si disse. D'un tratto sentì la necessità di congedare
quell'uomo, pentita di avergli dato un appuntamento.
- Accetto di stare senza paga, se vuole. Almeno ho un posto dove andare, se mi concede vitto e alloggio.
- In cambio di cosa? - vitto e alloggio gratis? Aveva forse scambiato la sua nave per la sede di una fondazione
caritatevole?
- Sono un tecnico generico... magari ha bisogno di qualcuno che fa manutenzione qua e là. Di solito c'è sempre qualcosa
da fare su una nave. Anche se questa è molto piccola e davvero ben tenuta, complimenti. È pulitissimo, qui.
Meno male che qualcuno se ne accorge, pensò Miki soddisfatta. Sentiva ancora un po' di dolore ai muscoli della
schiena per la fatica fatta con la rotospazzola.
- Ho sempre provveduto io alla piccola manutenzione ordinaria, e anche a quella straordinaria.
Lo vide incupirsi e abbassare lo sguardo, avvilito. Capì che non era quello che sperava di sentirsi dire.
- Posso eseguire lo stivaggio, se occorre.
Miki pensò che normalmente allo stivaggio ci avrebbero pensato gli operai del molo merci, ma non volle infierire.
- Il mio problema – giunse le mani sul tavolo e cercò di tenere sotto controllo il tono di voce per non sembrare
scortese – è che per cercare un contratto devo ingaggiarti. L'ingaggio prevede, ovviamente, che io ti paghi. Se
ti ingaggio e non trovo un contratto, anche se minima tu diventi una perdita secca. E non posso pagarti meno di
dieci giorni, per legge. Non ho denaro da buttare via, mi capisci?
- Mi ingaggi pure... e se non trova un contratto, fra dieci giorni le restituirò i soldi. Io sarò stato regolarmente
pagato e non le sarò costato altro che i contributi di legge. Se vuole posso cercare di restituirle anche quelli, ma
non ho denaro al momento.
Questo l'avevo intuito, pensò Miki soppesando la proposta. Era illegale e la poneva in una condizione pericolosa. Zama
avrebbe potuto non restituirle la paga e mantenere dalla sua la legge e la ragione, ovviamente. Se lei avesse avuto
indietro i soldi della paga, sarebbe passata dalla parte del torto, e Zama avrebbe potuto anche denunciarla, certo
che qualunque giudice gli avrebbe dato ragione. O estorcerle del denaro minacciando di farlo. Non poteva
permetterselo.
- Non credo sia fattibile – disse secca, appoggiandosi allo schienale.
- La capisco... - cupo in viso, giocherellò con l'ampolla piena. Non aveva bevuto nulla.
- Devo muovere questa nave. Devo farlo con profitto, non posso permettermi troppe perdite – ribadì lei.
- Certo. Immagino che per lei sia difficile credermi. Anche io ho bisogno di denaro. Però potrei davvero sistemare la
nave... ci sarà pur qualcosa che posso fare per guadagnarmi la paga minima...
Miki si sentì in colpa, ma le passò in fretta. Sembrare cani bastonati per per farla sentire male era una specialità
degli uomini che incontrava, pensò. Tranne Morgan, forse.
- Devo salpare, non fare le pulizie a bordo. Quelle le ho appena finite.
- Scommetto che trovo almeno un condotto NS-EF che ha bisogno di un intervento.
Miki ci pensò. Non avrebbe scommesso su tutti i locali tecnici del Coyote. A volte la manutenzione che lei
faceva da sé non rientrava esattamente entro gli standard.
- Prometto di usare pochissime parti di ricambio – le sorrise, mostrandole una fila di denti piccoli e ingialliti,
ma regolari.
Voleva andarsene, salpare, lavorare. Essere autonoma, indipendente. Lo voleva fortemente. Quel tipo, Zama, non la
convinceva appieno: forse non era un balordo, forse era solo un disperato come lei. Forse ancora di più, dato che
almeno lei aveva il Coyote.
- Venga in plancia, la registro. Così mi iscrivo subito in graduatoria e cerco un contratto.
Nonostante il colore scuro della pelle lo vide illuminarsi. La seguì e seguì per filo e per segno le sue
indicazioni. Risultando ora in regola, aveva accesso alla graduatoria e a tutti quei contratti cui poteva
aspirare con una corvetta con due membri di equipaggio. Non appena registrato nel sistema informatico della nave,
Zama si mise al lavoro, col permesso di Miki ovviamente. Sparì davvero alla ricerca dei condotti di manutenzione
NS-EF.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Doppio sospetto
5.
- Non ci posso credere – bisbigliò quando vide confermato dai sensori l'agganciamento del container di tipo E.
- Come dice, comandante?
Si aggiustò le cuffie sulle orecchie anche se non era necessario e mise una mano sul microfono a bastoncino che
aveva davanti alla bocca per avvicinarlo. Era nervosa e non riusciva a controllarsi.
- No, niente... a volte parlo da sola.
- Il container è agganciato, possiamo andare quando vuole.
Attivò la sequenza di accensione precedentemente scaricata dal server di Controllo e dagli strumenti comprese che il
Coyote aveva cominciato a scivolare fuori dalla struttura provvisoria dove aveva caricato il materiale
edile. Sorprendentemente, Zama aveva dimostrato di conoscere un modo alternativo per trovare lavoro. Si era collegato
a un server indipendente, mantenuto da volontari, sul quale si coordinavano però quasi soltanto contratti piccoli e a
breve termine. Come quello che aveva adesso: trasportare un container di tipo E fino a uno dei due toroidi di Prometeo,
in costruzione. Con la rotta preimpostata era un gioco da ragazzi. Basta non fare cazzate durante lo scarico, si
disse. Non poteva crederci: aveva trovato da fare. L'unico svantaggio era che la paga era proporzionata al lavoro
da fare: misera. Ma quello era già il secondo contrattino che otteneva e c'erano buone probabilità che gliene
assegnassero un terzo. La console configurata per le comunicazioni emise un suono flautato: era il segnale di chiamata
della radio.
- Scusa, ho una chiamata... arrangiati da solo per un minuto, torno subito.
Sono proprio una cretina, si disse. Aveva mantenuto con Zama dei rapporti molto formali fino a quel momento, ma le
era bastato leggere sullo schermo il nome di un certo Pavel Zebrinsky per cadere in confusione. Commutò immediatamente
il canale in cuffia per ricevere la chiamata. Non c'era il segnale video. Le tremavano le mani e sentiva qualcosa
sfarfallare nello stomaco. Era contenta di aver fatto ciò che aveva fatto, ma il rimorso la pungeva ugualmente.
- Coyote – rispose cercando di essere formale. Sono proprio stupida, si disse.
- Miki, sono io.
- Ciao.
- Ciao. Non mi pare sia bello quello che hai fatto.
Era risentimento quello che sentiva nella sua voce?
- Ho trovato un incarico e un equipaggio, che c'è di male? - dall'altra parte ci fu una pausa e un rumore come uno
sbuffo, appena percettibile.
- Chissà chi ti sei presa a bordo. E stai facendo la spola col toroide: non sarà mica un incarico decente, quello.
Miki avvampò di rabbia. Ma perché sminuirla in quel modo? Perché dava per scontato che quello che faceva lei era
sbagliato in partenza? Chi si credeva di essere? Fu tentata di chiudere la comunicazione lì, ma non prima di averlo
mandato al diavolo con un bello strillo. Strinse i denti.
- Certo, non è bravo come Kaufman... ma mi sta dando davvero una mano. Poi, come giustamente dici, non è un lavoro
particolarmente difficile. Perfino io e lui ce la stiamo cavando bene.
Il gelo della sua voce doveva essere giunto fino a lui. Infatti impiegò qualche secondo di troppo a rispondere.
- Dai, esci dalla zona del toroide che è interdetta ai voli civili e non posso avvicinarmi.
- Fossi matta. Ho un incarico da rispettare, non me ne posso andare a spasso con la merce.
- Allora consegna e poi raggiungimi a queste coordinate per un rendez-vous – sullo schermo fluì in fretta una raffica
di informazioni rinchiuse in una tabella.
- Il Coyote non ha flange da rimorchio – ribatté prontamente lei, con tono di voce vittorioso. Ma quello
che sentiva nel ventre era un pungolo doloroso. Non poteva far attraccare il monoposto di Spyro poiché non aveva
flange di attracco abbastanza robuste. Pur essendo uno shuttle piccolissimo, da quello che vedeva sui suoi strumenti
doveva essere lungo almeno un centinaio di metri e avere una massa di qualche migliaio di tonnellate.
- Cazzo, Miki! Sei insopportabile quando fai così.
Sta forse per scoppiare, si chiese. Che scoppiasse. Che provasse un po' di ciò che tormentava lei.
- Ti chiamo io alla prima pausa che riesco a fare – non seppe dire perché gli lasciò aperto quello spiraglio. Forse
era per se stessa più che per lui.
Si salutarono un po' freddamente e lei rimase sorpresa dal fatto che lui non insistette. Fu morsa dalla gelosia,
che la fece sanguinare: passò il tempo necessario a raggiungere il cantiere rimuginando sulle possibilità che Spyro
potesse farle la carognata di lasciarla per un'altra. Una meno bizzosa, meno orgogliosa e magari più bella e più
sottomessa di lei. Le tornò alla mente una conversazione radio cui aveva assistito all'insaputa di lui: si era
rivolto all'interlocutrice misteriosa salutandola con un “ciao bella” che la faceva avvampare d'ira e gelosia al
solo pensiero.
Tornò sul canale interno e si coordinò con Zama per sganciare il container e svuotare la camera di equilibrio. Non era
una procedura regolare, ma teneva lì il carico altrimenti ci avrebbe messo più tempo a trasferire il container dentro
e fuori dalla nave che a completare il viaggio. E poi la legge parlava chiaro: se a un controllo avessero trovato
Zama lavorare con la camera di equilibrio senza la tuta da vuoto, avrebbe passato un bel guaio. Non aprendo mai il
portello interno, il problema non si poneva. Se avesse dovuto anche noleggiare o comprare una tuta da vuoto per
l'equipaggio che ne era sprovvisto, il suo margine di guadagno, già minimo, sarebbe stato annullato. Comprese la
differenza tra un dilettante e un professionista: Kaufman aveva la sua tuta da vuoto personale per lavorare.
Contrariamente a quello che si aspettava però, una volta consegnato il carico non le fu confermata la rotta di rientro
alla struttura provvisoria che fungeva da magazzino e molo di carico. Non c'era più lavoro per lei.
- Comandante, se vuole cercare altri contratti, questo è il momento – le suggerì in cuffia Zama.
- Sali tu a farlo, io sono impegnata con la navigazione.
Essendo stata troppo ottimista, si trovava a dover abbandonare in fretta la zona del cantiere perché la sua
autorizzazione al volo in quella zona era scaduta. Non aveva calcolato una rotta di allontanamento sicura e
quindi doveva farlo subito, senza perdere tempo. C'erano molti veicoli e operatori EVA che se ne andavano a spasso
in quella zona: doveva stare attentissima. Una manovra sbagliata e la collisione sarebbe stata inevitabile. Valutò
le coordinate di Spyro: poteva raggiungerle con tre sole accensioni. Impostò la rotta e il computer la confermò. Nel
frattempo il suo equipaggio, composto da un solo membro, l'aveva raggiunta e si era messo al lavoro sulla console
alla sua destra, in rispettoso silenzio.
Terminò la simulazione e attivò immediatamente. Subito un acutissimo segnale di allarme le perforò i timpani: era il
sistema anticollisione. C'era un rimorchiatore leggermente fuori rotta che sarebbe passato troppo vicino al suo sentiero
di uscita e fu costretta a correggere a mano la navigazione, combattendo contro la CPU che voleva ripristinare il
percorso originale, ritenuto sicuro. Alla fine il segnale di allarme si spense e lei poté tirare un sospiro di sollievo,
ma solo quando verificò di essere uscita dall'affollata zona del cantiere.
- Quasi come navigare in mezzo ai detriti, eh? - Zama la stava guardando, sorridendo con fare incoraggiante. Doveva
sembrare davvero un disastro per indurlo a dire una sciocchezza del genere, pur con il lodevole intento di incoraggiarla
e di allentare la tensione.
- Almeno in mezzo ai detriti posso tenere acceso l'antimeterorite.
L'idea di farsi strada nel cantiere a colpi di laser la fece sorridere per un attimo. Ma poi pensò che la battuta di
Zama fosse dovuta al tentativo di sdrammatizzare: evidentemente aveva capito di essere agli ordini di una dilettante.
- Trovato qualcosa? - sperò che Zama le desse un buon motivo per invertire la rotta. Non voleva incontrare Spyro,
anche se anelava aggrapparsi al suo collo e riempirlo di baci.
- Ci sarebbe questo, disponibile subito.
Miki valutò l'offerta di lavoro. Un container di classe F da trasportare fino ad Apollo. Non c'erano molti dettagli,
ma la paga era insolitamente alta.
- Li conosci? - chiese riferendosi all'azienda appaltante. Era incuriosita dal contenuto del container: cosa poteva
essere per valere così tanto?
- Non ho idea di chi siano – rispose Zama grattandosi la nuca.
- Pagano tanto. È vero che c'è un'orbita intera da fare per arrivare su Apollo, ma è tanto lo stesso.
- Nessuno ha accettato, per ora... se ci sbrighiamo, è nostro – Zama puntava il dito scuro contro lo schermo che
mostrava l'offerta di lavoro. Sembrava quasi avere fretta. Con quel viaggio la sua paga sarebbe stata assicurata
e anche a lei facevano gola i soldi. A chi no?
- Buttiamoci. Vai, accetta – decisa, Miki annullò la rotta di incontro con Spyro e stette a macchine ferme in attesa
che le venisse confermato l'incarico.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Doppio sospetto
6.
- Non sono molto d'accordo con quello che sta per fare, comandante.
- Lo annoterò sul giornale di bordo – Miki fece fare qualche giro a vuoto all'avvitatore per vedere se la batteria
era carica. Quello ronzò regolarmente, pronto all'uso. Stretta una punta adeguata nel mandrino, appoggiò l'attrezzo
sulla testa della prima vite che assicurava il coperchio del pannello di controllo del container caricato e premette
il grilletto, con decisione.
La forza di serraggio era tale che fu l'attrezzo a ruotare anziché la vite. Usando due mani e ripromettendosi di
non farsi cogliere nuovamente impreparata, Miki attivò l'avvitatore tenendolo fermo con forza. La vite cedette con
uno schiocco metallico.
- Se è solo curiosità, rischiamo di pagarla cara – commentò Zama, scettico e cupo.
- È prudenza, dettata dall'esperienza. Mi hanno già fottuta una volta, è stato abbastanza – finalmente anche l'ultima
vite venne via, permettendo la rimozione del coperchio del pannello. Esattamente come le aveva detto Spyro, così
facendo aveva esposto un tastierino di controllo, uno schermo e messo a nudo un sacco di componenti elettronici,
tra cui sperava ci fossero i sistemi di controllo di apertura del container.
Come aveva appena detto a Zama, che le ciondolava intorno un po' incuriosito, un po' preoccupato e spaventato al tempo
stesso, il solo ricordo del container refrigerato che sotto i medicinali nascondeva armi l'aveva fatta diventare
abbastanza paranoica da compiere quella scorrettezza. Sui documenti di carico era riportato che il container era
carico di “beni di lusso”, quindi doveva fare attenzione. Aveva appena infranto la legge manomettendo il pannello
di controllo di un container che non era certo di sua proprietà. Stava per peggiorare la situazione aprendo il
container stesso per ispezionarne il contenuto: era una prerogativa del personale amministrativo del molo, non certo
del comandante della nave da carico che eseguiva il trasporto. Ma non me ne frega niente, si disse decisa mentre
inseriva nella fessura apposita la memoria a bastoncino dove aveva messo il software datole malvolentieri da Spyro. Era
stato davvero poco contento di non averla vista arrivare alle coordinate dove l'aveva a lungo attesa invano, ma si era
dimostrato collaborativo consigliandola quando lo aveva chiamato.
Dopo pochi secondi il pannello sopra il tastierino a sfioramento si illuminò di una tonalità azzurra mostrando un menù
a caratteri bianchi. Miki inspirò e toccò il tasto che corrispondeva al comando di apertura del portello di carico del
container. Era fatta: aveva cinque minuti di tempo a disposizione, una pausa forzata nel sistema di registrazione dei
sensori da parte del sistema operativo del container. Se Spyro si fosse sbagliato e quel software non avesse impedito
la registrazione delle manovre, o se per qualche altra ragione il destinatario si fosse accorto di quella manomissione,
avrebbe potuto dire addio al suo brevetto di stellapilota. A meno che fosse riuscita a dimostrare che il contenuto del
container rappresentasse una minaccia per lei e la sua nave.
I container di quella classe erano abbastanza grandi da poter disporre della propria fonte di alimentazione e quindi
il portello si aprì rumorosamente, ma senza problemi. Una barriera traslucida si frapponeva tra lei e l'interno, buio:
un grande telo di materiale con memoria di forma, forse a garantire una certa protezione, forse per evitare
contaminazioni. L'atmosfera del Coyote non aveva nulla che non andava, a parte la temperatura dell'aria lì nella
stiva. Ma Miki era troppo preoccupata per sentire freddo. Individuata una delle fessure per passare, spinse con una
mano e superò la barriera parzialmente trasparente.
- Accendi la luce! - esclamò rivolta a Zama, rimasto fuori. Dopo pochi secondi luci tubolari a bassa intensità, di un
freddo colore azzurrognolo, lampeggiarono incerte per stabilizzarsi poco a poco.
C'erano sei contenitori rettangolari, come sei armadi a una sola anta, allineati e distanti tra loro. Tre per lato,
agganciati in modo tale che non si potessero rovesciare né spostare. Il container era grande e quelle casse metalliche
lo occupavano per poco più della metà. Il resto dello spazio disponibile era impegnato dal sistema di ormeggio che
impediva il danneggiamento del carico.
Si avvicinò al primo contenitore: alto circa un paio di metri e largo uno, a occhio e croce sembrava davvero un armadio
per abiti. Non c'era serratura, ma solo una semplice maniglia da ruotare. Il metallo, verniciato di un grigio pallido,
non recava indicazioni di alcun tipo: solo vicino alla maniglia c'era un adesivo a freccia curva, rossa, che indicava la
direzione di rotazione per l'apertura. La curiosità e vanità femminile la spinsero ad aprire il primo contenitore: voleva
proprio vederli, quei lussuosi abiti.
Balzò all'indietro ritraendo di scatto la mano dalla maniglia e spaventata si portò le braccia al seno. Lo spavento fu
tale che non riuscì nemmeno a gridare. Rimase col cuore che le martellava nella gola per un paio di secondi prima che
il suo cervello vincesse la paura e ricominciasse a funzionare.
Effettivamente un vestito c'era: un elegante tailleur nero, composto da una seria gonna nera e da una giacca dal
taglio classico e molto sobrio, chiusa su una camicia bianca di pizzo, vezzosamente sbottonata. Stava addosso a una
giovane donna dai bei lineamenti, i capelli lunghi, ondulati e neri, finemente truccata, con gli occhi sbarrati,
inespressiva, immobile.
- Cazzo... - fu l'unica cosa che Miki riuscì a dire quando la gola paralizzata glielo consentì.
Un androide. Ne aveva sentito parlare, ovviamente. Il famosissimo modello 58 prodotto dalla Tel.Ra.Dyne. Una rivoluzione
nel campo della robotica. Le tornarono alla mente le pagine dei notiziari che si erano rapidamente riempiti di ogni
genere di informazione su quei nuovi prodotti, frutto delle tecnologie più spinte. Ricordava poco, a dire il
vero. Era stato quello un periodo difficile, per lei: era appena scappata da casa, aveva speso tutto per comprare
il Coyote e viveva mangiando un giorno sì e uno no quando non riusciva a trovare lavoro. Chiaramente la
notizia di un nuovo costoso giocattolo per multi-milionari l'aveva lasciata indifferente. Di quelle sofisticate
bambole meccaniche non ne aveva mai vista una dal vivo e stentava a credere che potessero fare tutto quello che
si ricordava di aver letto. Però era davvero realistica: sembrava una persona viva, non una macchina. Era perfino
leggermente profumata, proprio come la perfetta segretaria d'azienda che sembrava voler incarnare. Ma se ne stava
immobile, incastrata dentro un imballo di schiuma espansa sagomata, che la riparava dagli urti del trasporto, come
una bambola a grandezza naturale. Proprio come un giocattolo, in un angolo della scatola, in una nicchia squadrata
ricavata nell'imballo antiurto, c'erano gli accessori: un paio di serie scarpe col tacco alto, lucide, chiuse in una
confezione trasparente.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Doppio sospetto
7.
- Non mi piace per niente – con la penna ottica toccò lo schermo e il messaggio appena ricevuto si ingrandì a pieno
schermo. Non lo aveva fatto per rendere più agevole la lettura: il messaggio era stato chiaro fin da subito. Il
destinatario del carico aveva preteso di cambiare la destinazione e la modalità di pagamento: ora offrivano
contanti. Le suonò come un ricatto, e forse lo era. La cifra non era poco per un trasporto, e averla in contanti
la preoccupava un po'. Infatti mentre un pagamento tramite versamento su conto corrente non avrebbe certo richiesto
la sua presenza, i contanti invece sì. Non sapeva perché, ma non aveva affatto voglia di vedere chi si sarebbe
presentato a ritirare il container. Aveva rimontato il pannello a regola d'arte, ma il timore che si accorgessero
di qualcosa e che la prendessero male non la lasciava tranquilla.
- Scenderai con me? - aveva rinunciato a dare del lei a Zama: semplicemente non ci riusciva. Lui invece sembrava non
avere il medesimo problema.
- Certo, se lo desidera.
Miki impostò la nuova rotta e come da regolamento la comunicò a Controllo di Apollo che, stranamente, non ebbe nulla
da obiettare. Effettivamente non era una variazione significativa: avevano spostato il punto di attracco di una
cinquantina di moli. Poco male: sarebbe arrivata prima. Mancava più di un'ora alla fine dell'orbita e decise di
scaricare un po' di tensione con un po' di sollevamento pesi: non avrebbe dovuto smettere di allenarsi, se desiderava
un risultato. Ma era un po' pigra, a volte. Non aveva detto nulla a Zama, ma la gravità del Coyote era
impostata a undici decimi fin da prima che lui si imbarcasse per poter sfruttare meglio i pesi che aveva. Non
si era ancora lamentato, segno che tutto sommato non c'era poi tutta questa differenza, se non c'era niente da
sollevare.
- Ci vediamo tra un'ora, più o meno. Se non hai niente da fare, vai pure in cuccetta. Se ti addormenti, ti sveglio
io.
Guardò l'uomo dalla pelle scura abbandonare il ponte di comando. Attese che nessun rumore giungesse più dall'alloggio
dell'equipaggio e poi si chiuse nella sua cabina, sentendosi un po' a disagio. Non era abituata a stare chiusa lì
dentro: la porta era sempre aperta perché era sempre da sola a bordo. Poter intravedere lo spinale oltre la soglia
del suo alloggio faceva sembrare più grande la sua nave.
Si cambiò in fretta e fissò ai polsi due cavigliere da un chilogrammo standard per rendere le cose più interessanti: si
sentiva carica e giudicò che i suoi due manubri da mezzo chilo l'uno non fossero abbastanza. Supina sul pavimento, si
aggrappò con le gambe alla sua brandina e, portate sul petto le mani appesantite, cominciò a flettere gli addominali,
sollevando il torso più verticalmente che poteva. Magari riesco a smaltire un po' di pancia, si disse cercando di
ricordare da quanto tempo era che non faceva esercizi e che non andava in palestra.
A ogni flessione la sua pancia le rammentava invece quanto abbondante fosse, arricciandosi in fastidiosi accumuli
di grasso. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla respirazione, come le aveva insegnato l'allenatore della palestra
di Spyro. Un uomo tutto muscoli asciutti e compatti, apparentemente capace di compiere qualsiasi esercizio. Un uomo
che aveva imparato a odiare: era lo stesso che allenava Spyro e si era forse messo in testa di farla diventare una
ragazza copertina, di quelle dal fisico superbo, scolpite, snelle e perfette. Lei si sentiva tutt'altro che perfetta
e le restrizioni che l'allenatore aveva cercato di imporle le aveva vissute più come un tormento che come un
addestramento. Per tacere degli esercizi: le era sembrato di essere iscritta a un corso di body building professionale,
non a una banale palestra come tante altre. Forse quel tizio si era convinto di dover fare bella impressione con Spyro
facendola diventare come lui che, se avesse voluto, avrebbe potuto sollevare lei e tutta la panca coi pesi coi quali
avrebbe dovuto allenarsi.
Ma Miki non voleva diventare come Spyro, e non solo fisicamente. Le sarebbe bastato essere se stessa e, con quel
testardo di mezzo, la cosa sembrava essere più complessa di quanto era disposta a sopportare. Continuando a flettere
gli addominali che si stavano indurendo sempre più per la fatica, pensò a lui. Le voleva bene, certo. Anche lei
gliene voleva, tantissimo. Lo desiderava. Ma poteva lui stringerla a sé fino a soffocarla, anche se per il solo
affetto? Era giusto ferirlo stando volontariamente lontana da lui, anche se semplicemente reclamava la propria
libertà? Già accaldata per la fatica fisica, la testa le esplose con una vampata di rossore. Rabbia. Voleva poter
scegliere, ma Spyro sembrava aver già scelto anche per lei.
Aveva perso il conto delle flessioni fatte. Quaranta? Cinquanta? Sentiva gli addominali caldi e affaticati al punto
giusto e si fermò. Afferrò anche i manubri da mezzo chilo e, supina sul pavimento, cominciò a distendere le braccia
verticalmente. Braccia e pettorali, anche se non ne ho bisogno, si disse constatando il fastidio del seno voluminoso
che si metteva sempre di mezzo nonostante il reggiseno speciale, di tipo contenitivo per attività
sportiva. L'irritazione dovuta al fatto di non riuscire a scacciare dalla mente quel cocciuto astronauta
cresciuto troppo, sommata a quella per il proprio corpo che non le piaceva, le montò la rabbia tanto da credere
di poter lanciare i pesi così in alto da farli sbattere contro il soffitto della cabina. Prese nota mentalmente
che appena il suo conto l'avrebbe permesso, avrebbe dovuto prendere due manubri da cinque chili e magari anche
cavigliere più pesanti di quelle. Altro che fitness: avrei dovuto frequentare un dojo di sumo, si rimproverò. In
quel momento si sentiva più dell'umore di lottare che di fare esercizi.
Quando il terminale presente nel suo alloggio trillò come da programma, dieci minuti prima che il Coyote
raggiungesse l'inizio del sentiero di approccio al molo 171 di Apollo, Miki fu colta di sorpresa. Era ancora a metà
di una serie di piegate frontali che avrebbero dovuto rassodare le cosce e i glutei a danno della cellulite. In realtà
quell'esercizio non aveva sortito effetti apprezzabili da quando le era stato consigliato. Gocciolante di sudore
andò di corsa a lavarsi e fu al suo posto, seduta sulla poltrona di comando, avvolta nella sua tuta blu
personalizzata, tre minuti prima dell'inizio delle manovre di accostamento. Zama era già sceso nella stiva,
anche se non ve n'era la necessità. Lo scarico del container, operazione automatizzata, sarebbe stato a cura
del personale del molo della stazione.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Doppio sospetto
8.
- Merda – sospirò, incurante che la radio della tuta potesse raccogliere la colorita espressione di malumore e
trasmetterla su un canale aperto a chiunque.
Osservò non senza apprensione la pesante ganascia della gru di carico del suo Coyote abbandonare la presa
sul container che rimase a galleggiare all'interno della struttura semichiusa del molo 171.
Avrei dovuto immaginarmelo, si lamentò con se stessa. Il molo era troppo lontano, avrebbe dovuto intuirlo dal
numero. Era un molo periferico, decisamente sottoutilizzato, disertato perché scarsamente servito dai sistemi
di trasporto interni della stazione. Essendo vicino al centro del cilindro della stazione, era pressoché equidistante
dai centri di smistamento merci più importanti, installati nei pressi dei due spazioporti situati alle estremità
opposte di Apollo. Quindi non c'era un presidio fisso di operatori; la sua corvetta era l'unica nave attraccata;
non c'erano strutture automatizzate per la movimentazione delle merci ma solo un vecchio, enorme braccio meccanico
cui era stata tolta la gabbia motrice, rimpiazzata da un manipolatore universale sottodimensionato. Per fortuna
il container da scaricare era piccolo e con una massa limitata: quando Miki comandò al braccio di avvicinarsi per
afferrare il container galleggiante nei pressi della stiva aperta, dubitò che potesse sopportare la massa anche
solo di un container di tipo D stivato al massimo. Come se non bastasse, a farla bollire dalla rabbia al punto
che le si appannava la visiera, stava pagando un marinaio che avrebbe dovuto essere lì al suo posto, ma che essendo
privo di una tuta da vuoto qualsiasi, se ne stava tranquillo nella porzione abitabile del molo in compagnia del
cliente, stando a quanto lui stesso le aveva detto. Sperò che stesse respirando aria stantia, fredda e
puzzolente. Detestava arrabbiarsi mentre era in piena attività EVA: non poteva grattarsi la testa e il prurito la
stava facendo ammattire. Sospirò esasperata e la visiera si appannò di nuovo, mandandola in bestia.
- Ma porca troia! Zama, questa me la paghi!
- Ma comandante, io... - era mortificato. Poverino, pensò. Si è offerto di usare la mia tuta. Ma non presterei a
nessuno le mie mutande, figuriamoci la mia tuta EVA, pensò Miki risoluta.
- Come va lì? - cercò di calmarsi, sperando che l'uomo capisse che non ce l'aveva davvero con lui. Si stava stancando
di tutte le carognate che la sorte le riservava. Era giunta al punto che alla minima difficoltà, di fronte al più
piccolo contrattempo, reagiva con veemenza sproporzionata.
- Tutto tranquillo... la camera di equilibrio è aperta e in attesa di accogliere il container.
Dovendo io fare tutto a mano, rimarrà così ancora un bel po', si disse Miki mentre con la pulsantiera del bracciale
della sua tuta regolava la velocità del braccio meccanico del molo. Si stava avvicinando troppo in fretta.
L'aggancio andò bene al primo colpo: a dispetto delle norme di sicurezza Miki galleggiava a fianco del container a
pochi metri di distanza e poté guidare con precisione il poderoso braccio meccanico che terminava con l'inadeguato
adattatore universale. Violando altre due o tre norme di sicurezza basilari, si aggrappò a una maniglia della gru del
molo e si fece trasportare nella camera di equilibrio dopo aver comandato alla gru estensibile del Coyote di
ritrarsi entro la stiva. Aggrappata in quel modo riuscì a risparmiare il carburante della tuta e a guidare l'arto
gigante, snodato in più punti, con grande precisione. Depositò con delicatezza il container al centro della camera di
equilibrio e attese con pazienza che venisse chiuso il portello esterno. Con lentezza altrettanto esasperante la gravità
artificiale fu portata da zero a otto decimi di quella terrestre, il valore standard di Apollo, e l'enorme ambiente fu
riempito d'aria. I container di quel tipo erano troppo piccoli per avere una flangia a tenuta d'aria e non c'era
alternativa: per scaricarli dovevano essere portati entro un locale attraverso la banale ma lentissima camera di
equilibrio.
- Finalmente! - esclamò quando gli strumenti della sua tuta le indicarono che la compressione dell'enorme locale,
pensato per accogliere parecchi container di classe C e anche B, tra i più grandi, era terminata. La temperatura
ambiente era di undici gradi sopra lo zero Celsius e saliva lentamente. Avrebbe tenuto acceso il riscaldamento della
tuta. Uno dei passaggi pedonali si aprì ed entrarono diverse persone. Li vide rabbrividire mentre le si avvicinavano,
scambiandosi nuvolette di fiato condensato. C'era anche Zama: aveva indossato una giacca pesante, tolta probabilmente
dal suo bagaglio. Non lo aveva ancora visto indossarla e lo riconobbe solo per via del colore scuro della sua
pelle. Sfiorò la pulsantiera sull'avambraccio sinistro della tuta, comandando lo sblocco dei ganci magnetici del
casco. Senza la visiera protettiva davanti agli occhi, la luce le colpì le retine con maggiore intensità, permettendole
di afferrare più dettagli. E, cosa più importante di tutte, poteva finalmente grattarsi la cute per spegnere il
prurito.
C'erano tre uomini con Zama, tutti vestiti in eleganti abiti civili. Nessun funzionario del porto, ciò è strano,
si disse. C'erano dei controlli di rito da effettuare, soprattutto sulle merci scaricate in modo così insolito.
- Buongiorno capitano – quello avanti a tutti non tolse nemmeno le mani di tasca. Fu tentata di correggerlo: non
era capitano, era il comandante della nave che gli aveva portato a destinazione i suoi giocattoli. Trasalì: non
doveva farsi sfuggire nulla sul contenuto del container. Per lei dovevano essere solo “beni di lusso”.
- Resti finché non controlliamo, eh? - non era una richiesta, ma un'arrogante affermazione. L'uomo fece un cenno a
uno dei due che erano con lui e quello estrasse un telecomando. La porta del container si aprì con uno scatto, le
luci all'interno si accesero balbettando.
Doveva essere lui il capo: un altro cenno della mano e il tizio col telecomando entrò spingendo con le mani il
diaframma protettivo fino a trovare la fessura per passare. Uscì poco dopo, con un muto cenno di assenso: cosa aveva
potuto controllare di quelle sofisticatissime bambole elettriche in pochi secondi?
- Pagala – di fronte a quell'ordine perentorio l'altro uomo, alto e ben vestito ma non come il suo capo, estrasse di
tasca delle schede al portatore e le tese a Miki. Quella, impacciata dai guanti corazzati della tuta da vuoto, fatti
per lavori pesanti e non per maneggiare oggetti così piccoli e sottili, riuscì a malapena a non far cadere le card
mentre se le infilava nel collare rigido della tuta. Non aveva tasche, ovviamente. Nel farlo poté constatare che
erano tutte card da mille, e che la cifra pattuita era stata pagata per intero.
Tirò un sospiro di sollievo, ma badando bene a tenerselo per sé. Era ora di tornare sul Coyote, e in fretta. La
tuta EVA era pesante, goffa e decisamente scomoda, e non vedeva l'ora di togliersela. L'unica cosa buona di aver
ormeggiato così lontano era che il condotto rigido e pressurizzato era tutto per la sua nave, gratis. Come per lo
scarico del materiale, nessuna autorità portuale si era fatta viva a esigere tasse.
- Arrivederci – disse rivolta a quello dei tre che dava gli ordini, che stava confabulando con gli altri due vicino
al container aperto. In risposta ebbe uno sguardo poco simpatico e un distratto cenno affermativo della testa,
quasi minaccioso. Le parve che quel maleducato arrogante non vedesse l'ora che lei si togliesse di mezzo. Anche
lei lo desiderava. Guardò Zama che la stava raggiungendo: era rimasto in disparte per tutto il tempo, come se non
osasse intervenire.
- Ha bisogno di aiuto, comandante?
- Vuoi portarmi in braccio? - si pentì subito di aver dato quella risposta sgarbata e si affrettò ad aggiungere un
sorriso riparatore. Ci sarebbe voluto un muletto per sollevarla mentre se ne stava chiusa dentro la tuta EVA, dotata
dei motori necessari a muoversi nel vuoto e di numerose attrezzature per lavorare. Zama non sembrò cogliere la
sfumatura seccata, ma solo il sorriso che ricambiò.
Si diressero entrambi verso il passaggio pedonale, rimasto aperto. Ma avevano percorso pochi metri quando da
quell'apertura giunsero dei rumori insoliti per un molo deserto: voci concitate, esclamazioni. Furono raggiunti di
corsa dai due uomini del capo: quello col telecomando proseguì lanciato verso la porta, quello che le aveva dato i
soldi in contanti intimò loro di fermarsi immediatamente, con molta poca gentilezza, cupo in viso. Dopo pochi istanti
giunse anche il capo, ancora più scuro in viso. Ce l'aveva con lei.
- Quanti cazzo siete su quella nave? - il tono di voce non lasciava dubbi: qualcosa stava andando storto. Miki non
poté fare a meno di avvampare di fronte all'improvvisa ira dell'uomo. Non aveva fatto nulla di male, se non aprire
il dannato container. Ma non era quello il problema, in apparenza.
- Io e lui – con un cenno della testa indicò Zama al suo fianco. Non mosse inutilmente le braccia, preferendo spendere
ogni movimento nel migliore dei modi. La tuta era rigida e pesante nonostante i motori che potenziavano la sua forza
fisica aiutandola a muoverla e a sostenerla. Allenarsi coi pesi le serviva anche per poter usare più agevolmente
quel tipo di tuta. Poche cose potevano nuocerle mentre se ne stava chiusa lì dentro, ma se fossero riusciti a farla
cadere, difficilmente avrebbe potuto rialzarsi senza un consistente aiuto, anche a otto decimi di gravità.
- E quello chi è allora? - ringhiò l'uomo, aggiungendo una empia bestemmia, molto sentita a giudicare dal tono di
voce.
Lo stavano trascinando attraverso il passaggio pedonale proprio in quel momento. Ci volevano tre uomini per tenerlo
fermo, e ci riuscivano a stento. Un tuffo al cuore. Poi un altro. Un altro ancora e suo il povero muscolo cardiaco
sembrò non doversi più risollevare dalle budella dov'era finito alla vista di Spyro.
- È il mio secondo ufficiale – mentì lei, con voce tetra. Spyro si dibatteva nella presa dei tre, ma senza convinzione
ora che l'aveva vista. Capì che si stava lasciando condurre nella sua direzione.
- Io dico che mi stai prendendo per il culo, puttana – sottolineò l'aggressività di quella frase estraendo un'arma
così rapidamente che Miki la vide solo quando se la trovò puntata contro la faccia, così vicina da poterne sentire
l'odore acre e oleoso.
Si sentì gelare. Il pensiero che si trovava di nuovo dentro un pasticcio di qualche genere la sfiorò appena, subito
sostituito dall'angoscia. Nel vederla minacciata, Spyro aveva reagito come un animale selvaggio. Era quasi riuscito
a divincolarsi quando fu colpito due volte alla testa, tra le grida e la confusione della colluttazione. Si accasciò
pesantemente sulle ginocchia e poi cadde sulle mani, stordito. Impotente, lei guardò uno dei tre scagnozzi alzare il
braccio armato di pistola senza riuscire a capire se intendesse sparagli alla testa o semplicemente tenerlo sotto
tiro. Miki ebbe voglia di piangere, di gridare, di impedire all'uomo armato di fare qualsiasi cosa: voleva
travolgerlo, inchiodarlo sotto il peso della tuta nella speranza di fargli molto male. Se fosse stata armata, non
avrebbe esitato a sparare.
Ma un rumore improvviso, molto forte, colse alla sprovvista lei e tutti quelli che si trovavano in quel grande locale
deserto, ancora freddo. Tutti i passaggi carrabili si stavano aprendo contemporaneamente. Non appena lo spazio fu
sufficiente, dalle fessure schizzarono degli oggetti verso di loro, volando. Traiettorie precise, nette, calcolate,
voli rapidissimi coordinati tra loro che puntavano appena sopra le loro teste. Poi la vista le si sdoppiò e annebbiò,
le orecchie lacerate da un suono terrificante che presto sfumò in un silenzio frusciante.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Doppio sospetto
9.
Furiosa. No, troppo poco. Incazzata nera le parve un pallido eufemismo. Un infermiere piuttosto massiccio, col
camice verde che lasciava vedere il petto nudo e villoso, era già passato due volte a dirle di abbassare il tono
di voce. La stava squadrando severo anche in quel momento. Le aveva detto chiaro e tondo che non l'aveva ancora
sbattuta fuori solo perché era anche lei in osservazione. Non si sentiva affatto intimidita: l'avrebbe preso a
calci nelle palle senza pensarci due volte. Si sentiva sicura di sé come un leone, feroce come una tigre e pronta
a scatenarsi come un orango furioso. Non sapeva cosa la trattenesse, lì nella sala grande del pronto soccorso, in
osservazione per trauma da granata flash-bang.
Come Zama, l'oggetto della sua rabbia incontenibile. Come Spyro, ancora sdraiato su un lettino al di là di una
doppia porta blu con l'oblò oscurato alla bell'e meglio da garza tenuta in posizione dal cerotto adesivo. Tutti
vittime degli ordigni. Cosa l'hanno fatto a fare l'oblò trasparente se poi lo chiudono con la garza, si chiese
irritata. Non la facevano entrare per stare a fianco del suo uomo. Ogni cosa la irritava in modo insopportabile.
- E sai cos'è che mi fa proprio incazzare? - a voce più bassa riprese la sua sfuriata nei confronti dell'uomo dalla
pelle scura, piccolo piccolo nel suo sedile. Lo sovrastava, minacciosa. Lo spintonò con forza come se volesse
bucargli la spalla con le dita.
- Che alla fine di questa merda dovrò pure pagarti i dieci giorni, perché il fottuto contratto che ti ho fatto è
valido, cazzo! Non potevi continuare a fare il marinaio invece che diventare sbirro?
Il doppio battente della stanza del pronto intervento si scostò e apparve un camice bianco. Alto, magro, barba e
capelli bianchi, pancia sporgente e severo in viso.
- Signorina, se non si calma la buco con la torazina!
Il medico non attese una replica e tornò da dov'era venuto, inseguito dallo sguardo di fuoco di Miki e da appellativi
poco simpatici che però evitò di pronunciare a voce alta. Lo aveva riconosciuto: era quello che li aveva accolti tutti
e tre, prestando loro le prime cure. I “clienti” del suo carico invece stavano probabilmente ricevendo un trattamento
analogo nell'infermeria del carcere. Si lasciò andare pesantemente sulla sedia più vicina, incrociando le braccia sul
seno per non far vedere che tremava. Di rabbia.
- Sono stufa di tutto questo. Ne ho piene le palle, capito? - si era rivolta a Zama che ovviamente non capiva. Non
poteva capire. Era arrivato solo alla fine dell'ultima puntata, lui. Non sapeva nulla di nebulose, di sua madre che
le aveva dato la caccia dal pianeta fino a La Tana, una stazione spaziale clandestina costruita coi rottami di due
navi naufragate. Non sapeva nulla di bizzose ragazzine viziate che l'avevano messa nei guai fino al collo, né di
lucertole elettriche con aghi avvelenati. Probabilmente non immaginava nemmeno cosa si provasse a vedersi puntate
addosso le armi pesanti di un droide di sorveglianza, esperienza che invece era toccata a lei. E se gli avesse
raccontato di rapimenti di pesci canterini alieni e di corazze automatiche extraterrestri, probabilmente Zama
avrebbe trovato il modo, discretamente come suo stile, di avvisare il vicino reparto di neurologia.
Voleva solo lavorare in pace. Essere indipendente, guadagnare facendo ciò che più le piaceva fare: stare al comando
di una nave spaziale. Invece era finita al pronto soccorso, nuovamente nei guai. Non sapeva cosa contenesse la pistola
ipodermica che le aveva iniettato medicinale incolore con un freddo sibilo. Sentiva ancora il metallo gelato contro
la pelle del collo quando ci pensava. Qualsiasi cosa fosse stata, le aveva fatto bene. Si sentiva carica come un
cannone. Spyro invece aveva un bel trauma cranico cui andava a sommarsi lo shock da granata flash-bang, quelle
sganciate dai droni volanti della polizia e che li avevano messi tutti al tappeto, buoni e cattivi, vittime e
carnefici. Le si era spezzato il cuore quando, tornata in grado di vedere e sentire abbastanza bene, lo aveva
visto faticare a stare in piedi aiutato dai soccorritori prima, e arrancare verso la barella per sdraiarcisi poi. Per
la prima volta le era sembrato fragile, vulnerabile. Lui, forte e muscoloso, largo come un armadio capiente.
Zitto zitto, Zama era quello che se l'era cavata meglio di tutti. Il bastardo, pensò Miki ipotizzando che il fatto
di essere uno sbirro forse gli dava diritto a un bonus contro i danni da stordimento inflitti dalle dannate granate
accecanti e assordanti. Si chiese se ci fossero davvero dei trucchi per difendersi da quegli ordigni. Se sì, Zama
doveva conoscerli tutti. Se ne stava lì, in disparte, zitto e tranquillo, senza osare nemmeno guardarla.
Aveva cercato di spiegarle la situazione, ma Miki aveva perso le staffe così in fretta che i colleghi in divisa
erano intervenuti, timorosi che shock o no lei gli mettesse le mani addosso. In poche parole, era stata usata come
esca. Sospettando che fosse coinvolta come complice nella vicenda dell'evasione fallita, i poliziotti avevano
segretamente chiesto che le accuse contro di lei fossero fatte cadere per poter permettere loro di risalire a chi
aveva realmente organizzato l'evasione. Volevano la mente: chi aveva finanziato l'operazione acquistando le armi
e pagando il viaggio del Coyote. Pensando che Miki sarebbe presto tornata in contatto col mandante, un
agente sotto copertura avrebbe dovuto offrirsi come equipaggio per permettere alla polizia di tenerla più facilmente
sotto controllo. Per intervenire al momento opportuno e acciuffarli tutti. Ma era andato tutto storto: Miki si era
rivelata pulita. A finire nella rete degli sbirri solo pesci piccoli che stavano cercando di far entrare su Apollo
una grossa quantità di sostanze chimiche illegali, da usare per la produzione di pericolosi stupefacenti, molto
potenti e richiestissimi. Le sostanze erano nascoste nel container degli androidi, e lei pur essendo entrata lì non
si era resa conto di nulla. I malviventi, tutte mezze tacche o quasi, erano stati tanto arroganti e spavaldi da non
nascondere nemmeno tanto bene la roba.
Di nuovo la doppia porta blu si aprì. Ne uscì Spyro, curvo e abbattuto. In un attimo gli fu addosso, abbracciandolo
strettamente. Le si bagnarono gli occhi così in fretta che non fece nemmeno in tempo a pensare di trattenersi che
due grossi lacrimoni caldi e dolorosi le rotolarono lungo le guance fino a inumidire la giacca dell'uomo.
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