Il Figlio Di Poro E Penia

di Meiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

E no, quella non si prospettava una bella giornata.
Già i nuvolosi grigi sopra, nel cielo, avevano fatto presagire un bel temporale, di quelli che a lei però piaceva, dato che poteva vedere i fulmini e i lampi che si scatenavano nelle nuvole e cadevano a terra facendo tremare la terra.
Oddio, un po’ gli faceva davvero paura, aveva sempre il brutto presentimento che prima o poi uno di quei fulmini gli sarebbe caduto in testa, ed ogni volta che lo pensava aveva l’istinto di farsi le corna, certo che a volte si chiamava la scalogna in maniera assurda!
Tolse la mano dalla tenda bianca, alzandosi leggermente i pantaloni in jeans, ogni giorno aveva l’impressione che fossero sempre più larghi, riuscivano a bloccarsi ai fianchi, dato che in quel punto era abbastanza rotonda.
No, non abbastanza, ERA maledettamente rotonda!
Orrore!
Era già da dieci giorni che si era messa a dieta e tutto quello che aveva perso era solo un kilo e un po’ di gonfiore.
Si, si sentiva già meglio, ma il suo orrendo culo di sicuro non ci sarebbe entrato nella minigonna blu di jeans.
Uffi
Sbuffò all’idea, controllando poi in un secondo momento la chat, c’era i soliti simpatici scemi che scherzavano, facendole nascere un sorrisetto sulle labbra.
Almeno c’erano loro.
Di colpo il cellulare prese a vibrare, non usava mai la suoneria, e aveva il vibratore potente, tanto che il cellulare si muoveva formando una curva sul tavolo.
“Samantha”
Un nome che descriveva perfettamente la persona che lo possedeva.
Bello...ma terribilmente narcisista ed egocentrico.
Si appoggiò sul tavolo, lasciando che il cellulare vibrasse nella sua mano.
Che fare?
Rispondere?
Però avrebbe dovuto subire quella cretina che chissà come gli aveva appioppato il suo numero di cellulare nella sua rubrica.
L’avrebbe ammazzata un giorno nel caso avrebbe toccato ancora il suo telefonino.
Che poi gli faceva lo scherzo idiota della suoneria che non si toglie.
Ma ora era estate, e non poteva più toccarglielo.
Comunque, rispondere?
O lasciare suonare?
Magari si sarebbe inventata la scusa che stava dormendo.
O magari l’avrebbe spento.
...

“Stronza, hai spento pur sapendo che ero io?”

...e chi l’avrebbe retta più?
Sbuffò, lanciando una preghiera a quello che stava lassù che certe volte sembrava mandarle le benedizioni come le disgrazie.
-Si?-
-Rachel? Sono Sammy-
Sammy...
-Dimmi, che c’è?-
-Ecco, volevo chiederti di darmi un passaggio-
-Un passaggio?-
-Si, fino al Cinema Civico-
ma se era dall’altra parte della città, mentre Samantha “Sammy” ci avrebbe messo dieci minuti a piedi!!
Rachele, perché così si chiamava, solo che Samantha “Sammy” detestava quel nome e la chiamava in inglese, molto più “trendy” secondo la ragazza.
Comunque, Rachel restò in silenzio, limitandosi prendere un respiro profondo.
Sammy uggiolò dall’altro capo del cellulare.
-Ti prego Rachy-
ipocrita.
Tzé
Se si trattava di passaggi, prestiti o qualcos’altro comunque a scrocco sempre a fare la santarellina.
Tutto il resto...
Solo fango alle mani...
Perché poi Rachel cedesse, questo la ragazza non lo aveva mai capito.
Questa intanto si stava passando una mano tra i capelli cortissimi neri, solo una ciocca più lunga di colore blu, una pazzia che si era lasciata fare da MaryRose.
Quella si che era una vera amica, una ragazza in gamba che se la cavava sempre nonostante le difficoltà che incontrava.
E con lei Maria e Sasha, o meglio Memole.
Quella si che era una compagnia divertente.
Peccato per Filomena che se n’era andata via.
Maledizione...
A proposito, doveva chiedere quando era la prossima uscita con i pattini a rotelle.
-Rachy?!-
ah, gia, la principessa aveva sempre al scheda esaurita.
-Allora Rachy? Guarda che non voglio sprecare tutti miei soldi con te!-
E allora perché mi hai chiamato?
-Senti Sammy, non posso, ho da fare-
-Restare chiusa in casa ti occupa così tanto la vita?-
ecco, adesso la sentiva sghignazzare per la battutina riuscita.
-Beh, mica posso pensare sempre a te-
affondato.
-Dai Rachy, perché ti arrabbi così?-
ORA si arrabbiava così, coglioncella!
Uff...
-Va bene Sammy, dammi cinque minuti e sono sotto casa sua-
bugiarda, ci avrebbe messo un quarto d’ora, ma quello era il lasso di tempo in cui Sammy si decideva solo le scarpe.
La ragazza dall’altro capo era festante, mentre Rachele aveva decisamente l’umore sotto le scarpe e oltre, ecco come una buona giornata poteva sfumare in quel modo.
Che poi fuori si sarebbe scatenato il temporale!
-Mamma, io esco-
-Con questo tempo? Ti sei presa l’ombrello-
-Si-
la ragazza sedò li la conversazione, dirigendosi velocemente il garage, ogni volta era un’impresa togliere il motorino dallo spazio ristretto tra la macchina e il muro, Rachele doveva certe di quelle manovre assurde solo per metterlo in orizzontale davanti alla salita del garage.
Ma perché aveva il garage piccolo e in quella posizione?
E soprattutto, chi gliel’aveva fatta fare a uscire fuori in motorino co sto tempaccio?
...la sua cara amica Sammy...

“Povera stupida!
Che razza di cretina
Ma questa è tutta matta!
AH! RACHEL LA PAZZA! RACHEL LA PAZZA!”


Assordanti...decisamente fastidiose ed assordanti.
Che le procuravano colo un fastidioso mal di testa, dovuto...a cosa?...alla rabbia...
Rabbia compressa, nascosta, chiusa a fatica dentro una scatola e scaraventata giù, nel profondo del cuore.
Nessuno doveva vedere...nessuno...
Rachel sospirò, facendo partire il motorino, sua madre stava per raggiungerla in garage, l’aveva sentita mentre scendeva le scale.
Doveva andare via da li, via!!
Lasciò dietro di se una piccola scia bianca di fumo, dovuta al poco utilizzo del mezzo di locomozione, mentre Rachel avvertiva sopra di lei le nuvole rombare come il motore di una jeep senza marmitta, facendole venire le ali ai piedi.
Non aveva nessuna intenzione di bagnarsi!!
Non aveva voglia di portare Sammy
Non voleva uscire di casa
Non voleva
Non voleva
Non voleva!
Prese un profondo respiro, mentre girava per le vite della città, mangiandosi la strada in sella al suo motorino, di certo non era una scheggia, ma era comunque un piacere viaggiarci sopra.
Quando voleva.
Prese un altro profondo respiro, mentre girava per l’ennesima stradina, fermandosi di fronte al negozio di abiti firmati, almeno la madre di Samantha era una persona abbastanza simpatica.
Abbastanza.
Chissà come mai, in quel momento gli tornò in testa una frase che aveva letto da qualche parte, seguita da una musica.
...

“Love is a simbol of eternity...”

E poi come continuava?
E sopratutto, perché gli era tornado in testa adesso?
Le capitava ogni tanto, come i Deja-Vu
Spesso riviveva momenti che aveva gia vissuto, rispondendo allo stesso modo, rifacendo gli stessi movimenti.
La cosa non la spaventava più di tanto, ma di certo era strano.
“Probabilmente succede perché passi molto tempo al computer, e cose che tu hai gia fatto ti sembra di viverle per la prima volta”
Come dire...lei non è mai vissuta, e non stava vivendo?
...se vivere significava fare QUELLA vita...
Allora le andavano bene le cose così come stavano andando...
Non voleva più vivere allora...
Forse preferiva morire allora...
-Rachel! Ma quanto ci hai messo! Sarà colpa tua se mi bagnerò tutta!-
e allora, stronzetta, perché non sei andata da sola al Cinema Civico?
Cos’hai in mente stavolta?
Come mi sfigurerai davanti agl’altri?
...ti odio...
Con tutto il mio cuore, ti odio...
La ragazza dai capelli neri si limitò a mettersi la ciocca blu dietro l’orecchio, mentre l’altra ragazza si metteva seduta dietro di lei, continuando a borbottare.
Silenzio, silenzio.
Il mal di testa intanto peggiorava, tra un po’ le esplodeva la testa, ne era certa.

Live another day
Climb a little higher
Find another reason to stay


?
Ancora quella canzone in testa, peccato che ricordava solo la prima parte…

You won't find it here
Look another way
You won't find it here
So die another day


Errore. Il primo pezzo e il ritornello.
Le succedeva così molto spesso.
Il che le dava un po’ di fastidio...
Di sicuro però era una bella canzone, a giudicare dalla musica che le si ripeteva a mo di giradischi rotto in testa, mentre trasportava dietro di se Sammy.
Sammy, che nomignolo scemo.
Tipico di una ragazza così.
Che fa tanto l’angioletto e la santarellina agl’occhi dei parenti e professori.
Ma tu vai a scoprire la sua vera faccia.
Tipico...banale si potrebbe dire...
Ma in fondo, anche questo fa parte di noi, no?
Comunque...
Rachel parcheggiò li vicino il motorino, per fortuna il Cinema Civico era così vecchio che poche persone andavano a veder ei film li, dopo la costruzione del nuovo multi sala in periferia.
Però a Rachele piaceva, era davvero un bel posto, anche solo per fermarsi, sedersi, mangiare qualcosa e guardare le persone che passavano, parlavano, si fermavano anche loro.
Non in quella situazione.
In quel momento, mentre Samantha abbandonava li il casco, obbligando così Rachele a mettere a posto anche quello, davanti al Cinema Civico c’erano un gruppo di ragazzi che la ragazza dai capelli neri conosceva bene, purtroppo; sbuffò, sistemandosi ancora il ciuffetto colorato, d’istinto si portò le mani sul naso per sistemarsi gli occhiali, ma li aveva lasciati a casa.
Maledizione.
Agganciò le chiavi del motorino su uno dei passanti dei jeans, avviandosi verso il gruppo, per fortuna da quelle parti di macchine ne passavano poche, anche perché la strada li era stata chiusa per lavori in corso.
Una manutenzione che durava da tre anni.
Rachele restò leggermente distante dal gruppo.
Ma guarda, c’erano tutti all’appello, tutti vestiti all’ultima moda a fumare, che schifo di abitudine.
-Ma guarda chi c’è! Rachel la pazza!-
-Non sapevo che Sammy se l’era portata appresso-
-Stai a vedere che in discoteca non ci fanno entrare? Guarda come ti sei conciata-
...ok, ora se ne andava.
Rachele stava per andarsene in silenzio, ricevendo altre sfrecciatine da parte di quel gruppo, quando qualcuno la prese a braccetto.
Oh no...
-Rachele, mio splendore!-
Non anche lui...
-E dai Andrew! Lasciala tranquilla alla tua ragazza-
non era la sua ragazza!
-Dici così solo perché la vorresti tu.
Amore mio, che ne dici di una serata io e te da soli?-
La ragazza lo osservò in silenzio, di certo i suoi occhi erano diventati neri data la poca presenza di luce, in quel caso adorava il fatto di averli cangianti.
-Non mi va, lasciami andare-
-Oooh, la signorina fa la difficile!-
-Eddai Rach-
NON RACH! NON STORPIARE IL MIO NOME!!
La ragazza mollò la stretta del braccio del ragazzo, che si esibì in una serie di capricci fomentati dalle risatine degl’altri.
-Buuaah, non mi ama-
-Lo sai che Rach è difficile in fatto di ragazzi-
-Magari se te la slinguazzi un po’ potresti dominarla-
-Come una bestia-
-Si, una brutta bestia!-
la testa le faceva un male cane.
Troppo male...troppo male...
In quel momento un fulmine zittì il gruppo, mentre Rachele non li guardava, limitandosi ad andarsene in silenzio verso il suo motorino, montando e partendo ignorando tutto e tutti. Le faceva un male cane la testa, e non aveva più voglia di tornare a casa.

“Beh, che hai amore?”

Sto male mamma...
Sapessi...
Ma per te il mio male è dovuto al fatto che non riesco a vivere...
Ma come posso vivere...qui?
Come?
...una goccia di pioggia le cade sulla spalla ed una sulla guancia, e lanciò in silenzio una bestemmia, optando per un riparo verso la parte più vecchia della città, il Cinema Civico ne era proprio ai confini.
Penetrò in una delle stradine vecchie lastricate, optando per l’arco dove di solito si fermavano le coppiette, certa che nessuno sarebbe andato a romperle l’anima.

Live another day
Climb a little higher
Find another reason to stay
Ashes in your hands
Mercy in your eyes
If you're searching for a silent sky..


Ecco…ora le era tornata in mente la prima strofa, mentre la musica le ritornava in testa, abbastanza fastidiosa adesso.
Comunque se non andava errata era una canzone dei Dream Theater.
Ma in quel caso di bello aveva davvero poco, le fece venire solamente un grande vuoto, mentre in silenzio restava seduta sul motorino, le mani in tasca e la schiena in parte appoggiata al muro, in una posizione un po’ pericolosa, mentre lanciava un’occhiata fuori dal buio dell’arco.
La pioggia cadeva con forza, ingrigendo e soffocando i rumori.
Le piaceva la pioggia, e lentamente sentiva il mal di testa scomparire, distrutto dal rumore.

“Il rumore della pioggia è come un fischio alle orecchie”

Lo aveva letto da qualche parte, ed era vero.
Un fischio che però non la infastidiva, le svuotava la testa da qualsiasi pensiero.
In silenzio, così, nel buio di quell’arco.
Alzò il capo davanti a lei, il buio li era fitto, e non si vedeva la fine dell’arco sul terreno.
Ecco...
“A lui piace quel tipo di buio, e sono sicura che in questo momento è qui, davanti a me, che mi sta osservando, in silenzio.
Pare che gli piaccia osservarmi, soprattutto di notte, in camera mia, lo vedo sempre...”
...forse era davvero ammattita...parlare di qualcosa che forse non esiste...
Non forse. Non esiste.
Eppure...aveva sempre la netta sensazione che costui fosse li, ad osservarla, con aria magari interessata, in silenzio.
Avevano un punto in comune lei e questo estraneo, il che la fece sorridere ancora più amaramente.
Adesso...tutto è soffocato dalla pioggia...magari...anche il suo pianto...peccato...che non sapeva più come piangere...
Probabilmente se lo era al momento dimenticato, ma in quell’istante, Rachel si limitò a rannicchiarsi leggermente su se stessa, voltando il capo da quel punto buio sotto l’arcata, osservando il viale piccolo sommerso dalla pioggia, mentre la sua mente veniva ammutolita, persino quella canzone che si stava ricordando adesso era scomparsa, come dimenticata.
Se si concentrava, da li al mare era una distanza minima, praticamente la parte vecchia della città si affacciava sul mare.
Ma il temporale sembrava soffocare anche il bel suono delle onde che s’infrangevano sulla costa.
Cominciava anche a fare freddo...
Rachele si strinse a se le gambe, restando in una posizione di precario equilibrio, ascoltando e tenendo socchiusi gli occhi, la pioggia le dava un’effetto ipnotico che non le dispiaceva, mentre tentava di riscaldarsi.
Ad un tratto, avvertì dei passi muoversi verso l’arco, e fermarsi a poca distanza da lei.
Le venne d’istinto.
Alzò lo sguardo, giusto per lanciare un’occhiata al pazzo che usciva co sto tempo terribile.
...
Un’angelo...
Rachele avvertì il respiro bloccarsi, mentre osservava la figura li vicino, sotto la pioggia.
Era...un angelo...un’angelo vero, con due ali al momento chiuse dietro la schiena, il piumaggio era bianco, candido, mentre le piume si bagnavano per l’acqua che cascava sopra il ragazzo.
Rachele liberò lentamente le gambe, scendendo giù dalla moto, restando ancora pietrificata alla vista di quell’essere.
Probabilmente sognava...
Si, stava sognando, era assurdo...
Osservò ancora le ali con un moto d’incredulità, per poi alzare lo sguardo verso le spalle e il viso dell’angelo.
Un viso un po’ sporco, macchiato in parte di sangue che intorno al labbro e su un taglio aveva formato una leggera crosticina, per di più un’occhio era pesto, assumendo una tinta violacea li intorno, quell’occhio era chiuso, mentre l’altro aperto rivelava solo una sottile linea d’iride che poteva essere verde.
I capelli, rovinati dalla pioggia, tracciavano i confini del volto, rendendo ancora più pallida la pelle su quel castano rossiccio, mentre l’occhio non ferito e socchiuso rilasciava...lacrime...
Sotto la pioggia, davanti a Rachele...stava piangendo un’angelo...
Adesso il fischio della pioggia stava soffocando perfino lo stupore della ragazza, che rimase accanto al motorino, osservando con aria scioccata l’essere che aveva di fronte a se.
Era un’angelo, eppure...non aveva nulla di santo o cosa...anzi...sembrava solo un ragazzo con le ali che stava piangendo...
Portava un giubbotto in jeans sopra ad una maglietta nera di cotone, con dei jeans in parte rovinati e sporchi.
La ragazza rimase ad osservarlo, l’angelo sembrava non aver intenzione di muoversi da quel punto, lasciandosi bagnare dalla pioggia, solo chinando leggermente il capo, lasciando così che le lacrime dall’occhio sano cadessero giù e si mischiassero alla pioggia.
Era decisamente assurdo, ERA TOTALMENTE ASSURDO!!
L’urlo nella mente di Rachele sembrò svegliarla da quell’intontimento, mentre lentamente cercava di avvicinarsi al ragazzo, seguendo il suo istinto.
Una mano si allungò verso la pioggia, lasciandosi bagnare dall’acqua gelida, intenzionata a toccare le piume per vedere se quello era solo un sogno.
Mentre si avvicinava, notava solo ora un sottile bagliore scaturire da ogni singola piuma, come delle lucciole, mentre il bagliore bloccava di nuovo Rachele, il suo respiro era tornato, ma stavolta usciva dalla bocca, e le venne un’affanno stupito nel vedere quel bagliore.
In quell’istante, l’angelo alzò lo sguardo, spalancando l’iride, era...verde...azzurra...era un misto di tutte le sfumature di verde e azzurro, mentre la ragazza ritraeva stupita la mano.
Perché solo adesso si era accorto di lei?
Perché prima non l’aveva vista?
Fatto sta che l’angelo la guardò stupito, per poi fare qualche passo indietro, e mettersi a correre, infilandosi nei vicoletti di quella parte vecchia della città.
Rachele non ci pensò neanche un secondo, scattando e iniziando a bagnarsi in mezzo alla pioggia, guardandosi attorno alla ricerca di quel ragazzo.
In quel momento la sua mente gli stava urlando.
“Ma cosa sto facendo? Sono impazzita per caso? Poco fa ho visto un’angelo davanti a me, e adesso lo sto addirittura cercando! E’ tutto così folle!!
Non ha un senso logico questo!!”
Rachele si ritrovò in uno piccolo spiazzo, la pioggia la stava inzuppando fino alle ossa, e il vento che ogni tanto partiva a soffiare la stava congelando, mentre si guardava intorno, ansimando, la ciocca blu appiccicata in parte ai lineamenti del viso.

“Provo un’enorme solitudine”

Adesso le veniva in mente questo?
...in effetti, se si era messa a cercare quella visione...forse...era per colmare il senso di solitudine che avvertiva dietro di se...
Accanto a se...dentro di se...
Rachele chiuse un secondo gli occhi, prendendo fiato, per poi notare un bagliore venire da una stradina li vicino, e facendola partire di scatto.
Li, in mezzo a quella stretta via, c’era una piuma.
Era passato di la!
La formazione delle vie in quel vecchio borgo era a spina di pesce, vie più grandi che si ramificavano in strade più piccole.
Era stata creata così per le invasioni, in modo che pirati o altri si perdessero nelle vie della città o non riuscissero a catturare i popolani.
E lei si stava perdendo in quelle vie, in mezzo alla pioggia, bagnata.
Prese ancora fiato, per poi continuare la strabuzza, uscendo verso una via più grande.
Un batter d’ali attirò la sua attenzione, spaventata all’idea che l’angelo avesse spiccato il volo.
No...c’era un bambino...poco distante da lei...
Un bambino con le ali...rattoppate?!
Sulle ali piccole e bianche c’erano delle toppe cucite con del filo bianco, quasi a voler chiudere qualche strappo.
Quel bambino...aveva qualcosa di familiare...
Rachele partì di nuovo a correre, mentre il bambino nel vedersela arrivare scappò via di nuovo, stavolta infilandosi in una viuzza troppo stretta per Rachele, almeno lei credeva così.
Rischiava d’incastrarsi, ma l’allungatoia le avrebbe fatto perdere le tracce del bimbo.
La pioggia adesso era infiltrata nei vestiti, i rivoli d’acqua le scatenavano dei brividi di freddo, mentre i capelli erano totalmente fradici.
Rachele prese un profondo respiro, per poi appiattirsi sul muro ed iniziare a percorrere quella viuzza che si era stretta, ma per la ragazza sembrò non finire mai.
Incredibilmente ci riusciva a passare, anche se strusciava sui muri leggermente ruvidi che le graffiavano le mani.
Quando ne uscì fuori, s’inginocchiò a terra, le mani l dolevano un po’, ed era stanca di tutto quel correre.
Alzò lo sguardo per capire dov’era, e notò stupita di essere nella piazza più grande, li davanti a lei la cattedrale della città, che appariva candida sotto quella pioggia, i lavori di ripulitura avevano tolto l’orrendo nero dello sporco ridandogli quell’aspetto candido-rosato datogli dal marmo, che in alcuni punti era corroso.
La ragazza la osservò stupita, per poi notare il bambino entrare nella cattedrale, ed osservarla dall’interno, vicino ad una delle porte, con fare incuriosito e timido.
Un bambino dai capelli neri come la pece, i vestiti che gli andavano un po’ larghi, e quelle ali rattoppate, bagnate, che lasciavano scorrere delle gocce di pioggia.
La ragazza prese un profondo respiro, l’odore della pioggia s’infilava nella sua mente veloce, in quel momento aveva il sentore della strada lastricata, del mare che era poco distante, e del vento freddo che soffiava, facendo rabbrividire di nuovo la ragazza, che stavolta avanzò lenta per i primi passi, per poi scattare a correre, notando che il bambino spariva dietro il portone, chiudendolo dietro di se.
Un portone in bronzo battuto e legno, con le immagini dell’Antico e Nuovo Testamento.
Rachele lo spinse, muovendolo, era pesante, ed ottenne lo spazio sufficiente da passare, per poi venire di nuovo immersa nel buio, illuminato in parte dalle candele.
Dietro di lei il rumore della pioggia veniva soffocato dal silenzio nella chiesa, mentre Rachele si guardava intorno, in silenzio e con il respiro ansante.
Davanti a lei, lontano, l’altare, e poi a seguire le panche in legno lucido, dovevano essere una trentina per due file, il tetto era ricoperto con una struttura in legno, mentre i muri erano di marmo, la luce veniva solo dai candelabri accanto ai dipinti dei santi e nelle tavole dove c’erano anche le candele lampadine, alcune accese, mentre altre candele avevano quasi consumato tutta la cera.
Rachele fece qualche passo in silenzio, muovendo velocemente la mano per fare il segno della croce, guardandosi intorno, non c’era anima viva a quell’ora, era sola, eppure aveva visto il bambino entrare li dentro, non aveva dubbi.
O forse...era un’altra di quelle assurde visioni?
Oddio, stava impazzendo veramente.
Prima un’angelo che sembrava aver ricevuto un sacco di pugni, e poi quel bambino con le ali rattoppate.
Rachele avvertì di nuovo il mal di testa tornarle, era veramente insopportabile adesso.
Si guardò intorno, quasi cercando una via di fuga da quel dolore.
Silenziosamente...si avvicinò al tavolo con le candele in cera, cercando nella tasca dei jeans una moneta, ne aveva sempre qualcuna dato che le scocciava metter egli spicci nel portafoglio.
Mise in silenzio una moneta, il cui rumore rimbombò nella chiesa, evidentemente o avevano svuotato da poco la cassetta, o non metteva mai nessuno un’offerta.
Afferrò una candela, era corta, lunga quanto la sua mano, ma sarebbe bastata, e l’accese, per poi in silenzio fare una preghiera.
“Tieni nonno, una candela per te. Spero che il posto dove sei ora sia meglio di questo.
...mi sento così sola...
Mi manchi, e mi mancano tante altre cose.
Vorrei...vorrei non essere più sola...”
Rachele si asciugò in fretta una goccia di pioggia che le era scesa sugl’occhi, quasi fosse una lacrima.
“Comunque, spero che tu stia bene.
Mi raccomando, divertiti li dove sei.
E non fumare!”
L’ultimo pensiero le fece venire un sorriso sulle labbra, che poi si spense, quando avvertì dei rumori venire da sotto la chiesa, il cancello che portava ai sotterranei era stranamente aperto, inducendola ad oltrepassare quella zona vietata.
Pare che li fossero rimasti i resti del santo della cattedrale, oltre che patrono della città.
Scese in silenzio, avvertendo il freddo della pietra entrarle nelle ossa, mentre affacciava la testa.
Non sembrava esserci nessuno...
Scese con prudenza, non aveva voglia di avere una ramanzina dai preti del luogo.
Si guardò intorno, i muri e il terreno erano pieni di polvere, mentre la tomba del santo patrono, una lastra in pietra, appariva come una cosa povera.
L’odore di umido era leggermente fastidioso, mentre continuava a girare, infilandosi ancora più a fondo, la tomba in realtà era falsa, e le catacombe si trovavano più in giù.
Avvertì un fruscio venire da sotto di lei, una scala la poteva portare verso le catacombe, li verso il fondo.
Rachele restò in silenzio ad osservare la vecchia scala in legno, per poi scendere, avvertendo il suo peso che faceva scricchiolare il legno.
“Cosa...sto...facendo...”
la sua mente stava smettendo di pensare, mentre i suoi piedi toccarono la pietra, accanto a lei le tombe aperte o meno, mentre si avviava verso i cunicoli, il respiro si era fatto sottile e silenzioso.
La galleria sembrò non finire mai, quando si vide in uno spiazzo che portava ad altre vie.
E li, accovacciato su se stesso, con le ali che si sporcavano nella polvere.
...l’angelo...
Rachele lo osservò, sembrava dormire, la testa appoggiata sulle ginocchia strette dalle braccia, i capelli bagnati appiccicati al volto, e le ali che si allungavano sul terreno, sporcandosi, il bianco diventava un grigio polvere.
Il bagliore di quelle ali illuminava leggermente la scena, mentre Rachele si avvicinava lentamente, inginocchiandosi davanti al ragazzo, che sembrò non notarla.
La ragazza allungò una seconda volta la mano, accarezzando i capelli umidi dell’angelo, rendendosi conto che poteva sentirne la consistenza.
Erano morbidi, nonostante fossero umidi...ed avevano un bel colorito rossiccio.
La mano della giovane fece alzare il volto al ragazzo, aveva ancora quell’occhio pesto, e il taglio sulla guancia con il labbro che di sicuro era spaccato.
Nel vedere lo stato di quel volto Rachele avvertì una sorta di tristezza, mentre la mano dai capelli scivolava sul volto, accarezzando leggermente il taglio che doveva fare male al ragazzo, dato che fece una piccola smorfia.
Perché...chi era stato...
Rachele osservò l’occhio sano del ragazzo, immergendosi di nuovo in quello strano colore, probabilmente i suoi erano ancora neri, data la poca luce presente.
Il ragazzo si lasciò accarezzare, osservando la ragazza davanti a lui.
Una mano si allungò a toccare la ciocca lunga blu elettrico, giocherellandoci con le dita, mentre Rachele si lasciava scappare un sorriso.
I due tornarono a guardarsi negl’occhi.
“Chi sei?”
la ragazza non riuscì a dirlo, la voce era come scomparsa.
Lui si limitò ad accarezzarle il volto...per poi sporgersi verso di lei, allargando le gambe in modo da avvicinarla a se, una braccio passò intorno al suo corpo, portandola verso quello dell’angelo, mentre lui le accarezzava ancora una guancia, per poi sfiorare in un bacio casto le labbra di Rachele, che per qualche istante rimase impietrita dalla sorpresa, per poi socchiudere gli occhi, lasciandosi baciare, le labbra accarezzavano le sue con dolcezza, senza forzare. Dolcemente...mentre le ali si alzavano, e aiutavano le braccia a tenerla stretta in quell’abbraccio caldo e un po’ bagnato.

“...love is a simbol of eternity...e poi?...non ricordo...”

Quando Rachel aprì gli occhi, era sulle scale che portavano alle catacombe, e questo bastò a raggelarla.
Cos’era successo prima?
...
Spinta da una forza sconosciuta, la ragazza si alzò di scatto, e corse via, superando la chiesa, voltandosi un secondo giusto per prendere fiato e guardarsi intorno.
Era tutto come prima...come prima...
Non fece neanche il segno della croce, aprendo il portone con forza e uscendo da li, percorrendo rapida le vie del borgo, mentre la pioggia sopra di lei diminuiva d’intensità, fino a raggiungere l’arcata, il motorino ancora li.
Velocemente s’infilò il casco e fece partire il motore, allontanandosi da quel luogo, con addosso ancora quell’intenso calore, e uno strano sentore vagamente aspro.

Fine Capitolo 1

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Era riuscita a trovare in internet quella bellissima canzone di sottofondo.
E se la stava ascoltando con gusto, continuando a scrivere.
Scrivere, scrivere.
Le dita si muovevano veloci sulla tastiera, mentre il suo sguardo era incatenato ad ogni singolo tasto, per poi alzarsi solo qualche istante per vedere se il tasto presentava degl’errori di grammatica o con i verbi.
Aveva sempre avuto qualche problema con i verbi, fin da piccola, infatti ancora adesso aveva qualche sfuriata con i Gerundi.
Sorrideva nel pensare alle tante volte che sua madre cercava di aiutarla nel culcarsi in testa quei maledetti verbi.
...gli unici ricordi che ancora adesso uscivano fuori dalla sua testa...
Da un po’ di tempo se ne stava rendendo conto, adesso che la sua mente era spesso sgombra da inutili problemi e preoccupazioni.
Di quando era piccola, lei, non si ricordava tanto, poco, pochissimo.
La sua vita, i suoi ricordi iniziavano da quando era stato all’estero in poi, e non erano pochi, erano quasi dieci anni di vita, undici.
Ma degl’altri sei-sette? Perché vi era il vuoto?
Il potente richiamo del pianoforte nella melodia la distrasse, riconcentrandola al suo testo, il rumore della tastiera si ripropose con più energia.
Non si doveva fermare.
Non doveva, o sarebbe finita per lei.
Avrebbe ricominciato a pensare.
A pensare alla paura che l’aveva portata fino a casa, una paura strana, che mai aveva provato. E dire che prima aveva provato solo un’intenso calore.
...la sua paura...
Lei era terrorizzata dall’idea di essersi sognata tutto, tutto! Da quando aveva visto quell’angelo sulla soglia dell’arcata, a quel bambino, alla pioggia, alla chiesa, ai sotterranei, al bacio, a tutto!
E lei non voleva che fosse un’illusione.
Perché se no...avrebbero avuto ragione...quelle urla...quelle maledette voci che spesso tornavano nella sua mente.

“PAZZA!!SEI SOLO UNA PAZZA SCHIZZOFRENICA!!”

Facevano male...
Lacrime, lacrime sulla soglia degl’occhi, mentre continuava a scrivere, spinta dalla furia, spinta dalla paura, spinta dalla tristezza.
Tristezza, che nasceva su quegl’occhi, scivolando lungo le guance, mentre gli occhiali si macchiavano di lacrime, mentre le dita proseguivano nella loro frenetica corsa, mentre quelle urla sembravano raggiungerla e ucciderla.

-Ma sei totalmente fuori di testa?-
-Ehi pazza, adesso pulisci, anzi, lecca tutto-
-Forza, puniamola!-
-Ehi, signorina fuori di testa?-
-ahahahah!!-
-PAZZA!!-


Si fermò nello stesso istante che si fermò la melodia, prendendo fiato, era come se non avesse respirato fino a quel momento, con le lacrime che scivolavano giù dagl’occhi, il mal di testa che era tornato a pulsarle.
Prese dei profondi respiri, controllando il testo, aveva smesso di lacrimare, e si tolse gli occhiali, asciugandosi gli occhi e le lenti, leggermente rovinate per l’uso indiscriminato e a volte un po’ barbaro.
Salvò il testo nel computer, e fece ripartire una serie di brani, mentre chiudeva tapparelle e spegneva la luce, mettendosi sdraiata sul letto, fuori il tempo era grigio, minacciava di nuovo di piovere.
Pioggia...pioggia...
Lentamente, la melodia le entrò in testa, mentre cercava di rilassarsi, nel buio della stanza.

Close your eyes, it’s so clear

Obbedì al testo, chiudendo gli occhi, e se ne pentì.
Lo vide di nuovo, in lacrime, le ali che grondavano acqua da tutte le parti, il volto ferito.
L’angelo...poi...
Il bambino dalle ali rattoppate...
La pioggia...

In the eye of storm you'll see a lonely dove
The experience of survival is the key
To the gravity of love


La gravità dell’amore…
L’amore…
Inaspettatamente si portò a ricordare le lezioni di filosofia di Platone, e sul suo testo che parlava dell’amore, definendo l’amore figlio della Miseria e dell’ Espediente.
Espediente...
Miseria...


Come figlio di Poro e di Penia, ad Amore è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero, ed è molto lontano dall’essere delicato e bello, come pensano in molti, ma anzi è duro, squallido, scalzo, peregrino, uso a dormire nudo e frusto per terra, sulle soglie delle case e per le strade, le notti all’addiaccio; perché conforme alla natura della madre, ha sempre la miseria in casa.
Ma da parte del padre è insidiatore dei belli e dei nobili, coraggioso, audace e risoluto, cacciatore tremendo, sempre a escogitar machiavelli d’ogni tipo e curiosissimo di intendere, ricco di trappole, intento tutta la vita a filosofare, e terribile ciurmatore, stregone e sofista


Look around just people, can you hear their voice
Find the one who'll guide you to the limits of your choice


Le parole della canzone si susseguirono ai ricordi di Rachele, la ragazza in qualche modo era riuscita a ricordare quella parte del testo di Platone che l’aveva sempre attratta: la spiegazione dell’Amore, il fatto che Socrate definiva l’Amore in una visione del tutto estranea a ciò che si pensa dell’amore in generale.
Praticamente Amore era un furbastro, un tipo scaltro e senza un soldo in tasca che se ne andava in giro ad incantare ricchi e poveri con la sua magia.
Rachele ridacchiò immaginandosi un bambino pieno di graffi e con i vestiti stracciati che però sorrideva allegro e furbo come una vecchia volpe.
La canzone terminò con quella simpatica immagine, facendosi sostituire da un’altra che provocò un forte senso di tristezza e malinconia a Rachele, che però continuava a sorridere.
Era la sua canzone preferita, la sapeva a memoria, poteva dirla tranquillamente in italiano dall’inizio alla fine, però in inglese era semplicemente unica.
Partiva sempre con la batteria, per poi addolcirsi all’inizio della strofa.

This romeo is bleeding
But you can't see his blood
It's nothing but some feelings
That this old dog kicked up


It's been raining since you left me
Now I'm drowning in the flood
You see I've always been a fighter
But without you I give up


Era un flusso continuo di pensieri, in cui lei smetteva del tutto di pensare, troppo attenta ad ascoltare quella musica, quelle parole, mentre la tristezza, come sempre, le toccava il cuore in una gentile carezza.

I can't sing a love song
Like the way it's meant to be
Well, I guess I'm not that good anymore
But baby, that's just me

And I will love you, baby - Always
And I'll be there forever and a day - Always
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you – Always


La mormorava tra le labbra, assaporandosi ogni pausa, ogni istante di quella canzone, come se quella fosse l’ultima volta che se l’ascoltava.
E ancora una volta avvertiva la tristezza invadere il suo corpo, mentre un’immagine sfuocata si faceva avanti nella sua mente.

When he holds you close, when he pulls you near
When he says the words you've been needing to hear
I wish I was him
With these words of mine
To say to you till the end of time


Rachele si bloccò per qualche istante, mentre l’immagine sfuocata si rivelava come la figura del ragazzo che aveva visto sotto la pioggia, ora la batteria era la pioggia, e la melodia creava sottofondo intorno a lui, mentre la guardava in silenzio, con quell’occhio verde socchiuso, che faceva scivolare della lacrime.

If you told me to cry for you
I could
If you told me to die for you
I would
Take a look at my face
There's no price I won't pay
To say these words to you


Adesso erano le labbra del giovane che sembrava mormorare la canzone, quel labbro spaccato, che però cantava con dolcezza, mentre Rachele rimaneva immobile ad osservare lui che cantava.

Well, there ain't no luck
In these loaded dice
But baby if you give me just one more try
We can pack up our old dreams
And our old lives
We'll find a place where the sun still shines

And I will love you, baby - Always
And I'll be there forever and a day - Always
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you – Always


“E io ti amerò, piccola
Sempre
E sarò li per sempre e un giorno
Sempre
Sarò li fino a quando le stelle smetteranno di splendere
Fino a quando il paradiso esploderà e le parole non avranno più ritmo
So che quando morirò, tu sarai nella mia mente
E ti amerò sempre”

-Mi amerai per sempre...-
Rachele non ottenne alcuna risposta, la canzone trascinava via con se l’immagine del ragazzo, mentre una lacrima scappava via dal suo controllo.
Stava impazzendo...sognava che quell’angelo l’amasse per sempre, mentre ancora in quel momento si stava chiedendo se non era stata tutta una folle illusione, un parto della sua mente.
Sospirò esausta, con la testa che non aveva ancora smesso di fargli male, quando il telefono vibrò con forza, creando un rumore basso, ma continuo e fastidioso.
Rachele andò a vedere il display
“MaryRose”
-Pronto?-
-Ciao Ra. Stavi dormendo?-
-No, tranquilla, dimmi Mary-
-No niente, io e le altre siamo in città per una pattinata alla stazione degli autobus. Vieni?-
Rachele sorrise, meno male che Mary era arrivata al momento giusto.
-Certo, cinque minuti e sono da voi-

Era seduto sul letto, alle spalle aveva la finestra, mentre fissava un punto vuoto li fuori, verso il mondo esterno, dallo stereo usciva fuori una melodia con il pianoforte, che cercava di svuotargli la testa.
Appena lo aveva visto Sam aveva fatto una scenata pazzesca, tutto rovinato e per giunta con le ali bagnate fradice.
Sorrise divertito nel ricordare la faccia sconvolta del cameriere appena lo aveva visto, subito lo aveva allontanato da quel luogo, se lo avrebbe visto il padrone...
Gia...il padrone...
Adesso aveva l’occhio meno gonfio, e il labbro era stato ripulito dalle mani del suo cameriere, che gli diede un buffetto in testa, sospirando.

“Un giorno di questi mi farai morire!”

No, sperò ardentemente che Sam non morisse mai...altrimenti...la sua vita sarebbe stata ancora più terrificante di ora...
Con l’onnipresenza de padrone che lo spiava...per poi ucciderlo...
Si strinse a se le gambe, mentre ricordava la pioggia sul corpo e sulle ali, era stata una sensazione fresca e leggera.
Poi... quella ragazza...
Se Sam avesse saputo quello che aveva combinato, lo avrebbe di sicuro scorticato vivo.
Ridacchiò al pensiero, mentre la musica si ripeteva, portandolo via da quella stanza, mentre guardava il giardino esterno, una bambina stava giocando con un grosso cane, il pelo candido e lungo del cane attirava l’attenzione del ragazzo, così come la figurina della bambina, vestita pantaloni rossi e una maglietta con sopra una giacca a vento.
I capelli erano lasciati andare, erano a caschetto fino alle spalle, di un bel castano chiaro, solo un cerchietto per la frangetta ormai troppo lunga.
Quella bambina...sua sorella...doveva proteggere sua sorella da quell’uomo...
Quell’essere abominevole...che si divertiva ad usarlo come una marionetta...
Una marionetta...
Strinse il pugno, mentre continuava a guardare quella bambina, ad inseguirla c’era una ragazza bionda, che dava le spalle al ragazzo, che preferì ignorarla, mentre gli tornavano in mente quei due occhi scuri che cambiarono sfumatura quando furono abbastanza vicini al suo volto.
Occhi cangianti, che nascondevano chissà quali segreti...
Capelli neri cortissimi...e quella ciocca blu tra le dita...
L’aveva baciata...ma che cosa gli era passato per la testa?
...aveva visto quel bimbo...che lo stava inseguendo...
Il bimbo povero...il bimbo dalle ali rattoppate...
Lo aveva inseguito fino a li...
Doveva ucciderlo...
Non voleva che lo seguisse più, non lo voleva più accanto a se.
-Maledetto...-
-Vedo che sei sveglio-
alzò la testa di scatto, sorpreso di vedere quella figura sorridergli con ipocrisia.
Odio.
Un lampo che attraversò i suoi occhi, mentre lo vedeva chiudere dietro di se la porta, i capelli grigi sconvolti e il viso orrendo, però aveva giacca e cravatta, doveva essere tornato da poco dal lavoro, infatti aveva abbandonato la cartella vicino alla porta, che aveva chiuso a chiave.
Come se avesse possibilità di scappare...
-Così mi potrò divertire, ho avuto una giornata molto pesante.
Sei pronto, Raffaele?-
Il ragazzo lo guardò, annuendo in silenzio, mentre avvertiva la paura, lo schifo, e la rabbia avvelenargli il sangue, l’uomo intanto si slacciava la cravatta, avvicinandosi al ragazzo.
Avrebbe chiuso gli occhi, e avrebbe visto il buio come al solito.
...il buio...era scalfito da due occhi cangianti.
Voleva vederla di nuovo...
...il bambino...
Il bambino che l’aveva seguito fino a li...doveva ucciderlo...
Cercò di pensare a questo e altro, mentre avvertiva il peso del vecchio uomo sopra di se, la bocca sul collo, la lingua accarezzava la pelle, fino al pomo, mentre le mani toccavano fameliche quel corpo, per poi a volte stringerlo con violenza.
...che schifo...
Preferiva soprattutto stringergli le natiche, con forza, le mani erano ruvide sulla pelle, mentre la bava tracciava una scia lungo il collo, raggiungendo i capezzoli, gia rigidi per l’orrore, la bocca se li gustava, mentre il ragazzo continuava a tenere gli occhi chiusi, la maglietta gli era stata tolta con la forza, mentre le sue dita furono obbligate ad aprire i pantaloni.
Una delle mani ruvide lo strinse con forza sul braccio, facendogli male.
-Sei...troppo lento...-
l’altra mano afferrò i jeans, cominciando a levarli di prepotenza, mentre Raffaele digrignava i denti, tenendo lo sguardo verso l’alto e permettendosi qualche lacrima che scivolava verso le tempie, mentre avvertiva il tessuto sfregare sulle sue gambe, che venivano allargate dalla mano che stava prima sul braccio, liberandolo, mentre lui si copriva gli occhi, per vedere il buio.
Sussultò e soffocò un’urlo di paura quando le mani gli accarezzarono il membro, per poi avvertire dei movimenti sopra di lui, probabilmente si stava togliendo i pantaloni eleganti.
Non doveva pensare...non doveva pensare...
Le mani ricominciarono a toccargli il membro, creando un moto di nausea nello stomaco, mentre la bocca si riempiva di amaro, in una smorfia di dolore, mentre i boxer scivolavano giù con delicatezza, gli piaceva guardarlo, per poi sorridere con fare bieco.
Non doveva pensarci...non doveva pensarci..
Come una sorta di luce fioca, gli tornarono in mente i due occhi cangianti, quel viso lievemente rotondo, quel volto, quella ragazza che lo aveva seguito fino a li.
Avvertì il dolore improvviso, e strozzò un lamento, mentre continuava a versare lacrime, una mano sulla bocca, l’altra a stringere con forza il lenzuolo ormai rovinato, mentre il dolore vecchio era raggiunto da uno nuovo.
Ogni volta faceva terribilmente male.
E quegl’occhi...che apparivano di varie sfumature...sembrarono una consolazione, mentre avvertiva i rumori gutturali di quell’uomo, chiudendo gli occhi e lasciando scorrere via le lacrime.
Basta vi prego
Vi prego...

BAAASTAAA!!!

La bambina alzò lo sguardo verso la finestra, mentre la ragazza bionda davanti a se la vide compiere il gesto, il cane bianco scodinzolava li vicino a lei.
-Tutto ok Chiara? Qualcosa non va?-
la bambina guardò la ragazza, scuotendo la testa, riprendendo a giocare, mentre da quella stanza, Sam, appoggiato alla parete, poteva sentire chiari i rantoli di piacere del suo padrone, mentre violentava Raffaele.

-Che hai fatto di bello ieri?-
-? Sono rimasta a casa come al solito, perché?-
MaryRose saltò giù dal marciapiede, a volte Rachele si stupiva che quella ragazza potesse fare cose simili, mentre Memole si avvicinava, sfrecciando con un’eleganze che vedeva solo Rachele.
La ragazza dai capelli a cresta VERDI (un’altra delle sue follie) si voltò a guardarla.
-Perché ti ho vista in giro per il motorino, mentre andavi verso il Cinema Civico-
Rachele rimase per qualche secondo spiazzata, per poi voltarsi verso Mary Rose, continuando a pattinare.
-E tu cosa ci facevi fuori a quell’ora, con un temporale del genere?-
-Non cambiare argomento!-
Maria si avvicinò a Rachele, prendendole le spalle con le mani, guardandola con aria abbattuta, quella ragazza era davvero troppo alta per i gusti della ragazza dai capelli neri.
-Non mi dire che hai dato uno strappo a Samantha-
Rachele abbassò lo sguardo, inconsciamente si tastò la spalla, li dov’era rimasta la cicatrice di una grave ustione.

-Vediamo se le fa male! Secondo me prova piacere, svitata com’è!-
-SII! Magari il dio del fuoco le ha dato la grazia di non bruciarsi!-
-Ah, questa è bella! Facci vedere il dio del fuoco Rach!!-
-Dai dai!!-


Il dio del fuoco, neanche lei sparava cazzate simili...
La ragazza si limitò a non rispondere, mentre Maria l’abbracciava da dietro e MaryRose la guardava male.
-Avevi promesso che non l’avresti più fatto-
-Già. Comunque adesso io sono qui-
Rachele si staccò dall’affetto di Maria, girando intorno alle altre cercando di recuperare un po’ di sorrise.
Memole la seguiva, per poi farsi venire un’idea.
-Andiamo alla vecchia fabbrica?-
-Ok-
-Ok cosa, Mary? Ti ricordo che la stanno smontando, e non è sicuro-
-Ma oggi è Domenica, quindi!-
Mary partì senza nemmeno dare il tempo a Rachele di controbattere, la ragazza poté solo seguirla, copiata da Maria, mentre Memole cercava di raggiungerla, in modo da sfidarla a chi correva di più, per fortuna in quel giorno la strada verso la fabbrica era deserta, quindi potevano correre più che potevano.
-Comunque Rachele, secondo me dovresti dirlo a tua madre...-
Rachele prese un profondo respiro.
-Dirgli cosa? Che vengo giornalmente maltrattata da almeno quattro anni?
O che ho cercato di far smettere questa serie di maltrattamenti con un bel taglio netto?-
Rachele alzò il pugno sinistro a Maria, che si limitò a pattinare, mentre la ragazza la supplicava con lo sguardo di non pensare più a quella storia.
Non voleva dirlo a sua madre, non voleva!
Chissà che casino sarebbe scoppiato in casa, adesso che lei e suo padre si erano calmati, dopo l’ennesima sfuriata.
Era certa, presto uno dei due se ne sarebbe andato di casa...per la seconda volta...
Oppure tutti e due, lasciandola sola, così si sarebbe fatta la sua vita.
Si...da sola...contro tutti...

-Devi imparare ad ignorarli! Tu ignori loro e loro ignorano te, è facile!-

...si...dannatamente facile...tanto che ci aveva rimediato un bel calcio.

-GUARDAMI QUANDO TI PARLO!-

Era iniziato tutto da li.
Era diventata l’immondezza del loro stress, il loro sfogo preferito, maledetti stronzi...
Rachele vide oltre gli alberi la figura vecchia, arrugginita, ma comunque maestosa della vecchia fabbrica apparirle nel grigio del cielo, era uscita di casa con il rischio che piovesse, poco male, tanto aveva il cappello e in più la giacca con il cappuccio.
La vecchia fabbrica di chiodi era ormai da parecchi anni in disuso, però nell’ultimo periodo si era pensato di smontarla per sostituirla con un centro commerciale.
Fino al momento del cantiere, però, la fabbrica era un luogo perfetto dove pattinare ed esibirsi in varie acrobazie.
Oltre infatti ad alcuni punti smontati, c’erano travi, muri, curve pericolose, piani che si raggiungevano con un balzo, e altro ancora, un vero parco di divertimenti per gli appassionati di skate e roller blade.
Infatti le ragazze non si stupirono nel vedere qualcuno che si stava gia mettendo all’opera, ovviamente tutto quanto di nascosto, la polizia infatti aveva sancito multe molto salate a coloro che entravano nella fabbrica di nascosto.
Rachele entrò nel buco della rete nascosto tra i cespugli, li dove il marciapiede incontrava una macchia di verde piena di spazzatura, il buco l’avevano fatto i primi che avevano avuto l’idea di entrare in quel luogo.
“Com’è scomodo entrare con i pattini!”
Rachele seguì Maria, seguendo le altre due, per poi soffermarsi, alzando lo sguardo verso le arrugginite canne da dove era uscito il fumo per molto anni, adesso in disuso.
...e li, davanti a quella fabbrica, a Rachele sembrò di diventare sempre più piccola, fino a diventare una bambina, quella bambina a cui piaceva visitare la città, soprattutto la parte antica con il nonno, che la teneva per mano, e a volte in braccio.
...gli tornò in mente il vecchio carillon di suo nonno, ora rotto, custodito in camera sua...
...gli tornarono in mente tante cose...
...ma soprattutto, in quel momento...
“Ho la sensazione di aver scordato qualcosa”
un’ansia strana l’attanagliò nello stomaco e nel cuore, agitando Rachele, che si concentrò sulle ciminiere della fabbrica, sforzandosi di ricordare, con il risultato di niente, solo una goccia d’acqua che le cadeva in fronte.
Oh, non di nuovo?!
-Rachele, vieni?-
la ragazza obbedì a Maria, raggiungendola, zigzagando tra i pezzi che erano aumentati, c’erano molti mucchi di mattonelle rotte, ferri vecchi, vetri e finestre rotte e altro ancora.
La sensazione di ansia non l’abbandonò nemmeno quando iniziò a fare qualche semplice acrobazia, anche cadendo e facendosi male, mentre osservava Mary Rose e Memole scatenarsi in tutti i modi, soprattutto l’ultima.
Memole, o meglio Filomena.
“Che cos’ho dimenticato?”
la ragazza si mise seduta su un vecchio ed enorme tubo arrugginito, forse si sarebbe sporcata un po’ i jeans.
Osservò in silenzio il cielo sopra di lei, molte nuvole se ne stavano andando via, lasciando dietro di scie il cielo che sfoggiava una serie di colorazioni che andavano dall’arancione, al rosa scuro al rosso, fino al viola.
Presto sarebbe calata la sera.
Prese un profondo respiro, l’aria puzzava un po’ di gas e fogna, ma sotto sotto c’era un sentore di fresco che si levava verso il tramonto, da dove veniva il vento, freddo.
La tramontata avrebbe portato via le nuvole...
Rachele si mosse verso il tramonto, salendo un piano, sedendosi sui resti di un muro, con le gambe nel vuoto, tra lei e il terreno c’erano parecchi metri di altezza.
Restò in silenzio ad osservare il tramonto, ammirando il sole che ormai affondava nella linea di orizzonte, con il vento che le portava via la ciocca blu.
Li l’odore era di polvere e stantio, ma il vento trascinava con se un profumo strano, che però le piaceva, prendendo una bella boccata.
Gli tornò in mente il ragazzo...quel ragazzo dagl’occhi verdi...
L’ansia si fece più forte, cosa aveva dimenticato?

“Where...or when?”

Perché le tornava in testa quella frase? Non aveva senso!
Avvertì uno scricchiolio dietro di se, e si voltò.
...il bambino...
Quel bambino dell’altra volta, i capelli scuri un po’ sporchi, così come il volto, era molto vicino a lei, ora poteva vederlo meglio.
Aveva i capelli neri, spettinati e un po’ sporchi, come il viso, rotondo e leggermente sporco, come i bambini che si divertivano a giocare nella polvere.
I vestiti erano grandi per lui, e sapevano di vecchio, mentre le scarpe da ginnastica dovevano essere all’inizio bianche, ma ora erano grigie, con qualche strappo e buco, slacciate, evidentemente non sapeva allacciarsi le scarpe.
Tornò sul volto, osservando gli occhi, erano grandi, di un colore nero che appariva piacevole, aveva una luce brillante, allegra.
E dietro la schiena...quella piccole ali, ali da bambino, bianche, con le piume un po’ scarmigliate e rovinate, c’erano persino delle toppe in alcuni punti, piccole toppe colorate con varie fantasie, ce n’era persino una a fiori.
Rachele osservò quel bambino, che la guardava tranquillo, il viso sereno, però non sorrideva. Appariva serio.
La ragazza si tolse i roller più velocemente che poté, rimanendo in calzini, i pattini dietro la schiena.
-Ehi, piccolo, mi dici chi sei?-
la ragazza s’inginocchiò verso di lui, che la guardava, per poi scuotere la testa, scatenando un moto di affetto nella ragazza.
-Sei timido, eh?-
il bimbo annuì.
-Beh, io sono Rachele, piacere.
Ti ho gia visto al Borgo, vero?-
Annuì.
-Non sai parlare?-
negò.
-E allora perché non mi parli?-
il bimbo indietreggiò di un passo, a prima vista doveva fare al massimo la seconda elementare, quindi era davvero piccolo.
La ragazza cercò qualcosa in tasca, tirandone fuori una caramella, ne aveva sempre qualcuna con se.
-Vuoi una caramella?-
il bimbo annuì, avvicinandosi lentamente, mentre Rachele si limitava ad allungargli la mano, lui la prese lentamente, per poi allontanarsi, assaggiandola, mostrando un sorriso di gradimento, chinando la testa in segno di ringraziamento, mentre Rachele se ne mangiava anche lei una.

Un gran demone, o Socrate: infatti, tutto ciò che è demoniaco è intermedio fra dio e mortale

...
Rachele scosse leggermente la testa, quella frase apparsa così, nel bel mezzo del nulla, l’aveva lasciata un po’ spiazzata.
...si parlava sempre di amore...che veniva definito per la sua condizione un po’ mortale e un po’ demoniaco...
Era però comunque figlio di due dei, anche se non molto conosciuti, ed in effetti il fatto che non venissero considerati molto faceva pensare.
Rachele si stupì nel pensare a questo, mentre il bambino si gustava la caramella, mettendosi seduto, le ripiegate dietro la schiena, mentre le scarpe mostravano la suola consumata.

Ha il potere di interpretare e di portare agli dèi le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli dèi

Come poteva pensare ad una cosa del genere ADESSO??
-Vuoi un’altra caramella?-
il bambino scosse la testa, rialzandosi in piedi, mentre Rachele lo fissava seria.
-E allora, cosa vuoi?-
il bimbo la guardò, per poi voltarsi, e scappare via, mentre Rachele scattava in avanti, cercando d’inseguirlo, scalza, per il pavimento impolverato.
Il bimbo correva veloce per gli scalini che reggevano ancora, quindi non poteva usare i pattini.
Corse fino al pian terreno, cercando dappertutto, ma del bimbo non trovò traccia.
A terra c’era solo la carta della caramella, come a ricordarsi che lui c’era stato...e che stavolta non se l’era sognato.
La ragazza si mise una mano in tasca.
Non aveva più caramelle...dunque...
-Rachele!-
la ragazza si voltò verso Maria, che la raggiunse.
-Ti ho cercato dappertutto, ma che ci fai scalza?-
-Oh beh...-
-Comunque dobbiamo andare, pare che stai arrivando la polizia- la ragazza s’infilò velocemente i pattini, per poi con Maria sgusciare via dalla fabbrica, in tasca aveva ancora la carta della caramella.

-Sam, io esco-
Raffaele scese rapidamente le scale, sistemandosi la giacca nera, prendendo le chiavi dalla ciotola bianca in soggiorno, mentre l’uomo sbucava da una porta, annuendo.
Il ragazzo si voltò verso il vecchio, lanciandogli un lungo sguardo.
-Augurami buona caccia-
-Buona fortuna-
il ragazzo uscì dalla stanza, mentre sulle scale Chiara era rimasta in silenzio a guardare, nascosta dall’elegante balconata, con in mano il suo peluche, mentre una cameriera la raggiungeva per riportarla a dormire.

Fine Capitolo 2

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

-Perché mi sono lasciata convincere da te?-
Rachele guardò sbuffando il ragazzo accanto a lei, che le sorrise con aria da angioletto, afferrandole il braccio e strusciandosi sul suo collo.
-Perché tu mi vuoi tanto tanto bene!-
-Dai Marco, smettila!-
il biondino ridacchiò, mentre Rachele si permetteva di dargli uno scappellotto sul braccio, a quell’ora di sera il Corso Principale della città era sempre affollato di gente, che soprattutto si riversava in strada, dato che le macchine non potevano passare a quell’ora.
Rachele si voltò a guardare le persone che passavano accanto a lei, erano molte le compagnie di amici, e anche le coppie le famiglie, molte di quelle persone le accennavano con la testa un saluto, conoscendola di vista o di persona.
La ragazza continuò a restare abbracciata a Marco, il ragazzo chiacchierava tranquillamente con qualche compagnia, quando si fermavano, mentre lei restava in silenzio ad ascoltare, guardandosi intorno.
Aveva come la sensazione che quel bimbo prima o poi sarebbe riapparso, ma per ora sembrava restare nascosto.
...e poi si diede per l’ennesima volta della cretina, doveva smetterla di pensare a quell’assurda storia, il fatto di aver dato la caramella ad un bambino con le ali rotte la stava distruggendo per il fatto che era una cosa senza senso!

I was just a silent girl
Always dreaming of a little angel
Close to my reality
Sing, la la la


Rachele sentì quelle parole come se avessero spazzato via tutti i suoi pensieri, quella canzone gli era tornata la per puro caso, però la trovava terribilmente adatta alla situazione che stava vivendo.
Intanto Marco la trascinò via con se, avviandosi verso la fine del Corso, per poi rigirarsi e risalire, era ancora presto per entrare in qualche bar, avevano appena finito di mangiare fuori.
La ragazza si guardò intorno, desiderosa di vedere qualche faccia amica, e anche spaventata all’idea di vedere la faccia di Sammy della compagnia, stringendo senza volerlo il braccio al biondo vicino a lei, che la guardò stupito.
-Ehi, tutto ok?-
-Eh? Ah, si. Spiegami però una cosa, come mai mi hai chiesto di uscire con te?-
-Così, volevo stare con la mia migliore amica-
Rachele guardò poco convinta il ragazzo affianco, limitandosi a prendere un profondo respiro a quello che le stava per toccare.
-Hai litigato di nuovo con Antonio, eh?-
-...si-
Rachele lanciò lo sguardo verso l’alto, rilasciando il respiro di prima, era incredibile quanto quei due litigassero, d’accordo che l’amore è bello se non è litigarello, ma ogni giorno c’era qualcosa!
Marco intanto si abbatteva affianco alla ragazza, che si passò una mano tra i capelli, ora si spiegava perché Marco avesse voluto uscire con lei di Domenica sera, cosa che il ragazzo non fa mai, anche perché quel giorno Antonio non aveva da lavorare quindi stava tutto il tempo con lui.
-Cos’è successo stavolta?-
-Non lo so, da un po’ di tempo è parecchio nervoso, e poi lo vedo spesso insieme ad una ragazza, e non è la sorella-
Antonio aveva il problema di non capire esattamente la sua situazione sentimentale, ammettendo si che era gay, ma anche guardando le ragazze, cosa che Marco non riusciva a sopportare, perché sapeva quanto il suo compagno poteva essere capace di tradirlo, era giù successo una volta.
Rachele aveva assistito a tutto lo svolgersi dei fatti, con la funzione di arbitro e consolatrice, anche se lei si riputava l’ultima persona a cui chiedere consigli in fatto di ragazzi, anche perché lei stessa era un po’ sfigatella in amore, aveva avuto si qualche storia, però le aveva detestate tutte.
E poi si era anche innamorata...
-Non so cosa pensare, che poi Antonio ed io abbiamo litigato sul fatto che io non gli dico mai niente, però anche lui si rifiuta di rivelarmi i suoi segreti-
allora, c’è da dire che all’inizio lo scoprire che Marco fosse gay stupì tantissimo Rachele, tanto che all’inizio la ragazza si trovava imbarazzata nel commentare ragazzi e ragazze quando restava con il biondino, ma alla fine si era trovata un amico ancora più divertente del solito, il che era davvero una bella scoperta.
Inoltre ci poteva parlare anche dei suoi casini amorosi, era incredibile quanto un’omosessuale fosse sensibile, una parte del ragazzo che a Rachele fece piacere scoprire, almeno così non avvertiva troppo la solitudine.
Però i casini vennero gia quando Marco confessò di essersi innamorato di Antonio.
Gia la differenza di età era sensibile, in quanto Marco aveva 18 anni e Antonio 27, inoltre Antonio all’inizio non era nemmeno gay, anzi, gli piacevano da morire le ragazze, infatti ci provava con tutte, ci aveva provato anche con Rachele stessa, che lo aveva messo nella lista delle persone antipatiche, per poi diventare sua amica.
Poi vabbeh, il come sono finiti a stare insieme è una lunga storia.
Ora però la ragazza si trovava di fronte al fatto che Marco stava per l’ennesima volta male per colpa di Antonio.
-Non so cosa dirti Marco, perché non hai provato a parlarci stasera?-
-Perché è uscito da oggi pomeriggio e non mi ha detto niente-
ahia.
Rachele fece un’espressione che voleva dire “ahia, mo so guai”, mentre i due si giravano, risalendo di nuovo il Corso, non erano voluti andare al Cinema anche perché non c’era nessun film interessante.

I'm living with false hope, and my eyes
Just wanna see a ray of light
I'm gonna find it in my fairy tale


La ragazza sentì di nuovo quella canzone dentro la sua testa, in qualche modo le era tornata in mente la prima strofa, e se la stava ripeendo mentalmente, mentre Marco cercava di cambiare tema della conversazione, optando per qualcosa di più delicato, tanto erano in vena stasera da quel che si capiva.
-I tuoi litigano ancora?-
Rachele annuì, prendendo per l’ennesima volta un profondo respiro, il fiato si condensava per la serata fredda, erano in pieno autunno.
-Anche stamattina si sono messi a litigare, mamma ha sbattuto la porta e si è messa a piangere, mentre mio padre ha preferito lavorare al computer.
La tua telefonata è arrivata giusto in tempo, così stasera non mi sono dovuta sorbire quell’aria elettrice-
-Ormai ci siamo, vero?-
-Già-
Marco si strinse di più a se la ragazza, che sorrise un po’ amareggiata, lasciandosi crogiolare nel calore del suo amico, mentre questo si guardava intorno, alla ricerca di un bar dove prendere una cioccolata calda.
Rachele si voltò un attimo, per poi fare una faccia sconvolta ed entrare frettolosamente nel bar, mentre Marco si stupiva del suo atteggiamento, voltandosi poi a guardare Sammy che in quel momento si fermava un attimo dal ragazzo a parlare con lui, mentre la ragazza dai capelli neri restava in silenzio, cercando di evitare di farsi vedere.
La canzone, soprattutto il primo ritornello le tornò in testa, mentre si voltava a guardare Marco, che parlava tranquillamente con Sammy e le altre ragazze.

I was just a silent girl
Always dreaming of a little angel
Close to my reality
Sing, la la la


Sapevano benissimo che lui era gay, e per questo spesso parlavano molto male di lui alle sue spalle, mentre Rachele restava in silenzio, anche se l’avrebbe difeso non avrebbe fatto altro che stimolarle ancora di più a parlare male di Marco.
“Non sono capace di difendere nemmeno il mio amico”
-Ehi, andiamo?-
la ragazza alzò lo sguardo verso gli occhi azzurri di Marco, annuendo, seguendolo verso un tavolo vicino alla vetrata del bar, osservando Sammy e le altre che ridevano, Rachele si limitò a non parlare, appoggiando il viso sulla mano aperta, osservando il mondo di fuori che si muoveva.

The summer is here, we kiss and fall in love
I wanna share the memories of long forgotten love


Si era dimenticata la frase in mezzo, e al momento non le veniva in mente, mentre ordinava una cioccolata calda con panna, Marco invece un Marocchino.
La ragazza osservò l’amico, i genitori erano del Nord, ed aveva ottenuto da loro un bel colore azzurro d’occhio mentre il suo biondo era scuro, tendente al castano, e non era per niente un ragazzo brutto.
I due iniziarono a chiacchierare del più e del meno, lasciando che tutte le cose ridicole che passavano nelle loro testa diventassero parole, pur di distrarsi un po’ dai loro casini, divertendosi, sorseggiando le loro bevande calde e scaldandosi un po’ il sangue e il cuore.
Quando stavano per uscire dal bar erano le dieci, e Rachele si stava rimettendo il cappotto mentre Marco cavallerescamente pagava il conto, quando la ragazza sentì qualcuno bussare al vetro.
Sotto il suo sguardo pietrificato, c’era...il bambino...che la guardava con aria un po’ triste, per poi scappare via, sotto lo sguardo perplesso e un po’ sconvolto della ragazza.

Now wake up, my silent girl
Take to flight, like a foolish angel
Sing me your fantasy
Sing, la la la


-Ehi, Rachele, andiamo?-
la ragazza si voltò verso Marco, finendo di aggiustarsi il cappotto e seguendo il biondino, uscendo dal bar con ancora uno stato di agitazione addosso, di nuovo quell’ansia che era riuscita a mandare via tornava prepotente, mentre guardava la strada che andava a diventare deserta, quando tra la gente passò il suo secondo stupore.
L...L’angelo!
Un ragazzo dai capelli castano rossicci un po’ costruiti con il gel si stava avviando verso un rumoroso bar verso la fine del Corso, la ragazza lo osservò a lungo mentre passava li davanti a lei, un po’ distante.
Era lui, l’aveva riconosciuto! Ma...ma dov’erano le sue ali?
-Rachele, mi vuoi dire cos’hai?-
la ragazza si risvegliò da quello stupore, voltandosi verso Marco, per poi guardare il ragazzo, che era scomparso, e cercando di risvegliarsi sgridandosi mentalmente.
Che idiota, credeva davvero che fosse lui, sarà stata un’altra volta una sua illusione, di sicuro era qualcuno che ci assomigliava parecchio!
Però...quel bambino con le ali rattoppate...non era stata una sua illusione.
-Niente Marco, mi sento un po’ giù-
-Beh, allora andiamo a folleggiare!-
la ragazza lo guardò stranita, il ragazzo sembrava molto più tranquillo di quello che era, o che doveva essere.
-Ma domani abbiamo scuola!-
-E dai, che ti frega! Per stanotte c’è lo possiamo permettere! Tanto a casa ti ci porto io!-
Rachele non era molto sicura dell’idea dell’amico, ma ricordandosi che Marco era astemio e detestava con tutte le sue forze l’alcool, cercò di convincersi che forse si sarebbe perfino divertita.
La puzza di fumo era qualcosa di allucinante in quel locale, le sarebbe rimasta impregnata addosso per parecchi giorni!
L’aria era anche calda e soffocante, e la musica dopo un po’ l’aveva assordata, mentre Marco la trascinava verso un buco libero dove mettersi a sedere, appoggiare i cappotti ed iniziare a scatenarsi con la danze, oggi il ragazzo sembrava intenzionato a divertirsi.
Vederlo così sorridente e così voglioso di ballare le fece venire una gran tristezza, stava scappando dall’ansia di scoprire che Antonio magari lo tradiva con una ragazza!
E mentre il dj di turno nel bar si divertiva a fare il suo lavoro con la musica di “What Is Love”, vecchia canzone di Haddaway, Rachele con una risata si faceva trascinare nell’allegra di Marco, iniziando così a ballare in mezzo alla gente, il locale era lungo e stretto, per arrivare la bar bisognava passare per la folla di quelli che ballava, e da li veniva molto fumo, nonostante fosse proibito.
Rachele intanto aveva iniziato a ballare, restando attaccata a Marco, avvertendo la sensazione selvaggia di muoversi abbracciarla e infondendole una grande energia che la faceva danzare, ritrovandosi anche ad unirsi ad altre ragazze che come lei si stavano divertendosi.
Era come in un ostato di estasi mentre ballava, poteva solo avvertire la musica, i respiri di chi gli stava accanto, il calore di Marco che l’abbracciava con fare possessivo, il suo amico aveva comunque la responsabilità che non gli accadesse nulla, anche se i genitori della ragazza si fidavano di lui.
Il respiro era diventato impercettibile tanto la musica le faceva vibrare il corpo, era talmente alta che entrava dentro di lei fin nelle viscere, scuotendola, mentre la ragazza tendeva a chiudere gli occhi per estraniarsi ancora di più.
Quando riaprì gli occhi anche Marco copiava il suo modo di fare, continuando con un braccio a tenerla stretta a se, quando la ragazza, voltandosi, si bloccò.
Il...il ragazzo...l’angelo!
Era molto più vicino a lei di prima, e stavolta poteva vederlo bene, era davvero lui, il taglio sulla guancia non era possibile da copiare, i capelli castano rossicci un po’ rovinati...e stava flirtando con un’altra ragazza!!
Era una con i capelli castani, sciolti sulle spalle, che si muoveva un po’ a tempo di musica, tenendo le sue braccia sulle spalle di lui, che le sorrideva, per poi parlarle all’orecchio facendola sorridere ancora di più, aveva una minigonna a vita molto bassa e molto corta, con una canottiera aderente per far vedere il fisico magro, e non si poteva dire che fosse brutta, anzi...
Rachele avvertì un profondo dolore, come se una macchina le fosse passata sopra, mentre vedeva lui avvicinarsi, iniziando a baciarle il collo.
Davanti agl’occhi di Rachele si riproposero le immagini di quella giornata di pioggia, di quel ragazzo, di quel bacio...
La ragazza si allontanò da Marco, che gia si era fermato per vedere cos’aveva Rachele, quest’ultima corse verso il bagno, scoprendo però che era chiuso, e si appoggiò sul muro li accanto, sconvolta, non aveva un posto dove nascondersi, dove arrabbiarsi, dove riprendersi, dove...dove piangere...
CHE RAZZA DI CRETINA!!
Quell’assurda storia di quelle ali, di sicuro se l’era sognate! Si era sognata tutto!
Ed adesso voleva svegliarsi da quell’orrendo incubo, svegliarsi e sapere che la sua vita di merda sarebbe ricominciata come al solito, con i suoi bassi e i suoi pochi alti, senza che fosse accaduto mai nulla, senza che quel bambino fosse mai apparso nella sua vita.
Il bambino dalle ali rattoppate, che era li, in piedi davanti a lei, e la guardava triste, anche lui stava piangendo come la ragazza, sembrava piangere per lei, per quello che le stava accadendo.
Rachele rimase pietrificata nel vederlo, era veramente spaventata nel vedere quel bambino la, in quel locale, per poi voltarsi e notare che nessuno lo aveva visto, nessuno lo stava vedendo, nemmeno le persone che passarono davanti a Rachele.
Vedeva quel bambino...quel bimbo solo lei...ed era terrorizzata...
Stava impazzendo, stava totalmente impazzendo!
In quel momento stava crollando a terra, con le lacrime agl’occhi, spaventata, arrabbiata, triste, il ragazzo stava baciando il collo a quella tipa, il fumo la stava soffocando, stava ballando in mezzo a degli sconosciuti, e per giunta quel bimbo che nessuno vedeva, solo lei, stava piangendo!!
“BASTA!! FATEMI USCIRE DA QUESTO INCUBO!!”
-Rachele! Ehi piccola!-
la ragazza alzò lo sguardo, incrociando gli occhi azzurri di Marco, il ragazzo si era inginocchiato verso di lei spaventato dall’atteggiamento dell’amica, che si limitò ad abbracciarlo sul collo, stringendosi a lui, parlandogli a voce normale per farsi sentire, anche se quello sarebbe apparso un sussurro.
-Portami via-
il ragazzo la strinse, facendola rialzare in piedi.
-Ok, vieni, andiamo via da questo posto, sono stanco anch’io-
lei annuì, asciugandosi con la manica della maglia a collo alto le lacrime, voltandosi a guardare il bimbo.
Era scomparso, come al solito.
Rachele si lasciò scappare altre lacrime mentre veniva trascinata da Marco, quando egli stesso si fermò, facendo cozzare la ragazza sulla sua schiena, stupendola.
-Marco cosa...-
la ragazza spalancò lo sguardo, mentre vedeva Antonio baciare con tanto di lingua una sedicenne, appoggiato vicino alla porta, con in mano un bicchiere mezzo pieno di birra.
Doveva essere ubriaco...
Rachele afferrò in fretta e furia i cappotti, per poi prendere Marco e tentare di trascinarlo via, urtando inavvertitamente contro qualcuno, che si voltò a lamentare, mentre lei teneva lo sguardo basso, trascinando con se il ragazzo.
-Ehi!-
-Mi scusi!-
urlò quelle scuse, continuando a portare via con se Marco, che osservava con aria sconvolta il bacio appassionato del moro, che solo quando Marco gli passò accanto lo vide, quel viso chiaro era dipinto in un’espressione di puro orrore, per poi svanire fuori dal locale, attirando su di se l’attenzione di Antonio che si staccò dalla sedicenne, che si lamentò ubriaca.
-Ehi idiota!!-
intanto il ragazzo dagl’occhi rossicci aveva guardato la ragazza che l’aveva urtato uscire dal locale, riconoscendo quella ciocca blu elettrico e i corti capelli neri.
...
-Marco! Dai Marco andiamo!-
-Quello...quel maledetto STRONZO!!-
Marco lanciò un’urlo di rabbia, facendo mollare la presa alla ragazza, che lo guardò iniziare a piangere, arrabbiato, furente, e triste, terribilmente triste.
Rachele gli abbracciò il capo, stringendolo a se, per poi guardare con paura Antonio, ubriaco che usciva dal locale, che si guardava intorno, per poi avvicinarsi ai due ragazzi.
-Oddio!-
Antonio afferrò una spalla di Marco, facendo voltare il ragazzo.
-Ehi Marco senti io...-
-Non mi toccare!!-
il biondo fece partire una sberla che colpì in faccia il moretto, mentre Rachele si allontanava, avvertendo la paura ghiacciarle il sangue, in quei momenti si sentiva troppo debole per poter fermare Marco, e il fatto che lui fosse furente la fece rabbrividire, quando il ragazzo si arrabbiava diventava davvero pericoloso, e pochi riuscivano a calmarlo.
-Ti odio brutto pezzo di merda! Sei solo uno schifoso bugiardo!-
-Marco, senti, quella era solo uno svago...-
-UNO SVAGO?! Coglione, allora anch’io sono solo uno svago, sono uno stupido con cui ti diverti a fare un nuovo tipo di sesso, vero?!-
-Marco...-
la voce di Rachele tremava leggermente, mentre reggeva in mano i due cappotti, avvertendo il freddo entrargli dalla maglia a collo alto fin nella pelle sudata, verso le ossa, mentre Marco all’ennesimo tentativo di Antonio di parlare mollava un cazzotto buttando a terra il ragazzo, questa volta il ventisettenne si arrabbiò, scaraventando via la bottiglia di birra che si era portato appresso.
-Adesso mi hai fatto davvero incazzare marmocchio!!-
Antonio afferrò Marco, scaraventandolo a terra, a quell’ora la strada era deserta, e i tre si erano allontananti a sufficienza da non farsi sentire, mentre Rachele si nascondeva nel buio, osservando scioccata la sfuriata tra i due, adesso la paura le aveva gelato completamente il sangue insieme alle vene.
Era spaventata...spaventatissima...
Marco e Antonio ormai si stavano pestando in maniera di sangue, tanto che ci scappò persino del sangue.

“C’era sangue, si stavano picchiando con violenza, e lui le tirava i capelli, mentre lei si sbracciava, tirandogli ceffoni e pugni per difendersi, mentre lei, piccolina, si rifugiava dentro lo sgabuzzino, tappandosi le orecchie e chiudendo gli occhi, non voleva sentirli, non voleva sentirli...”

-EHI! SMETTETELA!!-
la ragazza si risvegliò, vedendo una terza figura iniziare a separare i due, Marco era a terra, asciugandosi del sangue che colava dalla bocca, mentre Antonio era placcato da una figura più piccola di lui, urlando.
-LEVATI DI MEZZO ROMPICAZZI!-
-IDIOTA! COSI SPAVENTI LA RAGAZZA!!-
-NON ME NE FREGA UN CAZZO!-
-INVECE FREGATENE PERCHE’ COSI FACENDO AMMAZZERAI QUALCUNO!!-
Antonio venne bloccato dalle parole del ragazzo che lo placcava, mentre Rachele osservava Marco mettersi lentamente in piedi, notando che era stato ben pestato, il viso era ridotto in brutte condizioni, come quello di Antonio.
Ma si erano fermati...si erano fermati...
Rachele si permise un singhiozzo, lasciandoselo scappare, attirando così su di se l’attenzione di tutti e tre i ragazzi, la ragazza si tappò la bocca, cercando di bloccarsi, ma i singhiozzi cominciarono ad aumentare, alcune volte facendosi frenetici, il corpo si smuoveva, mentre altre lacrime cominciavano a calare sul viso, fortunatamente non si era truccata, se no sarebbe apparsa orribile in quella situazione.
Marco cercò di avvicinarsi alla ragazza, ma il ragazzo che placcava Antonio fu più veloce, abbracciandola con forza, iniziando a sussurrare.
-Shh, è tutto finito, calmati...calmati piccola-
la ragazza piangeva, lasciando che quel corpo caldo la coccolasse gentilmente, mentre gli altri due ragazzi si guardarono un attimo, per poi rivolgersi a quello che stava parlando.
-Bello spettacolo, i miei complimenti, l’avete spaventata a morte!-
la ragazza alzò lo sguardo verso il suo consolatore, e ci rimase di sasso scoprendo che era...l’angelo...
Questo si voltò verso di lei, accarezzandole affettuoso la testa, sorridendogli con aria gentile.
-Adesso calmati, è tutto a posto piccola-
lei lo guardò stupita.
-Ma...tu...-
-Rachele, scusami-
lei si voltò verso Marco, e si staccò decisa dall’abbraccio di quello sconosciuto, avvicinandosi all’amico biondo, che l’abbraccio colpevole, mentre Antonio si limitava a tenere lo sguardo basso, rivolto da un’altra parte.
-Marco, risolveremo la faccenda più tardi, intanto torna a casa-
il biondo si limitò ad annuire, lasciando che l’altro se ne andasse, per poi prendere il suo cappotto, ed aiutare Rachele a sistemare il suo.
-Torniamo a casa?-
-...-
Rachele stava per annuire, ma la lotta le aveva ricordato troppo la situazione in famiglia, e scosse decisa la testa, era ancora un po’ spaventata.
Alzò lo sguardo verso Marco, però lui doveva chiarirsi con Antonio...come faceva?
-Se vuoi ti accompagno io dopo a casa-
Rachele si voltò verso il ragazzo dagl’occhi verdi, che si fece avanti, mentre la ragazza era tentata di dire di no, la scena di prima l’aveva colpita come uno schiaffo.
L’idea di stare sola però non le andava molto.
...
-Per me non c’è problema. Torna pure a casa Marco, devi anche medicarti-
-Non mi fido molto a lasciarti con questo estraneo-
Rachele scosse la testa, sorridendo, asciugandosi l’ultima lacrima che era scappata via.
-Vai-
Marco sbuffò, allontanandosi, facendosi promettere che appena lei sarebbe arrivata a casa gli avrebbe fatto uno squillo, il biondo velocemente sparì nel buio, mentre la ragazza si voltava verso il ragazzo dagl’occhi verdi.
-Comunque io sono Rachele-
-Piacere, Raffaele-
i due si strinsero la mano, poi lui apparve visibilmente imbarazzato ed impacciato, stupendo la ragazza.
-Allora, hai detto che non volevi andare a casa, ed io non voglio tornare nel locale. Che facciamo?-
Rachele osservò in silenzio il comportamento del ragazzo, non si fidava per niente di lui, poi avverti ancora il freddo, rabbrividendo leggermente, Raffaele la guardò tremare, e sorrise, offrendogli il braccio.
-Prendiamo qualcosa di caldo al bar-
lei annuì, anche se non lo prese sotto braccio, affiancandolo e seguendolo mentre risalivano il Corso.

Quando arrivò nell’appartamento che divideva con Antonio, il salotto era al buio, e la finestra spalancata per lasciar entrare l’aria fredda, rendendo l’atmosfera fredda, e facendo rabbrividire il biondo, che si affrettò a chiudere, per poi fermarsi di fronte alle luci che c’erano fuori dall’appartamento, la via dov’erano era tutta illuminata dai lampioni, erano proprio nel Centro, vicino a loro il centro commerciale ancora illuminato.
Avvertì la sua presenza quando si mosse sul divano, attirando su di se l’attenzione di Marco, che si era tolto il cappotto, sotto aveva una giacca della tuta giallo accesso e sotto ancora una maglietta senza maniche bianca, con i jeans che scivolavano sui fianchi mostrando un pezzo di boxer bianchi.
Nessuno dei due parlò, Marco perché aveva il terrore di sentirsi dire che era finita, che non potevano più stare insieme, che magari Antonio si era stancato!
Anche la prima volta si erano lasciati perché Antonio non era sicuro del fatto di voler avere una relazione con un ragazzo, mentre Marco gli aveva detto chiaro e tondo in faccia che lo mollava perché preferiva scoparsi una troietta che amarlo.
Era così incazzato quella volta...
I due rimasero a lungo in silenzio, poi Marco sospirò, deciso a prendere in mano la situazione, piuttosto che farselo dire preferiva prendere lui l’iniziativa.
-Se non hai niente da dirmi io vado a preparare le valigie, me ne vado-
-E dove pensi di andare?-
-Forse tornerò dai miei, o magari mi farò ospitare da qualche amico-
in effetti non aveva idea di dove andare, e non voleva disturbare Rachele, però di restare li non se la sentiva, anche perché quell’appartamento era pieno di ricordi, di immagini, di cose che ogni volta portavano Marco a pensare a lui e ad Antonio insieme.
Quel posto era terribile...
Voleva andarsene da li...
Antonio osservò il profilo del ragazzo, cercando di ricordare il perché si era messo con lui, il perché ancora adesso il pensiero che lui se ne andasse lo faceva stare male, il perché adesso aveva voglia di abbracciarlo ed implorarlo di non andarsene.
Non gli veniva.

Venire ad incontrarti, chiederti scusa
Se non so quanto sei adorabile

Io devo trovarti
Dirti che ho bisogno di te
Dirti che ti ho messo da una parte


Sapeva solo che in quel momento aveva un’urgenza di abbracciare quel ragazzo che con il viso tutto arrossato gli aveva detto che lo amava, che si era innamorato di lui, e che non si vergognava di essersi innamorato di un’uomo.
Quel ragazzo era di sicuro molto più maturo di lui, che continuava a flirtare con le ragazze, mentre in realtà pensava solamente a quel biondino di diciotto anni, omosessuale.
Si vergognava, si vergognava a dire che anche lui era innamorato di Marco, si vergognava e aveva paura di essere deriso, di essere rifiutato da tutti solo perché si era innamorato di un ragazzo, un ragazzo che però gli appariva molto più bello di tutte le ragazze che vedeva ad incontrava.

Correndo in cerchio
Vengono fuori le storie
Capi di una scienza apparte

Nessuno ha detto che sarebbe stato facile
E’ solo una vergogna per entrambe le parti
Nessuno ha detto che sarebbe stato facile
Nessuno ha mai detto che sarebbe stato così duro


Marco si spostò dalla finestra, tenendola aperta, il vento muoveva leggermente la tenda bianca, mentre il biondo si spostava verso l’altro divano del salotto, davanti allo sguardo di Antonio che si era messo seduto, Marco cadde sprofondando nel divano, lasciando andare un respiro stanco, massaggiandosi gli occhi, oggi portava le lenti a contatto, gli occhiali li aveva lasciati in camera.
Restò zitto ad ascoltare il silenzio presente della stanza, interrotto solo dallo sbuffo di Antonio, che fece riaprire gli occhi al ragazzo, non si era addormentato, non aveva più sonno da un po’ di tempo.
-Almeno dimmi perché Antonio-

O, riportami sulle stelle

Il moro non rispose, passandosi una mano tra i capelli corti, nerissimi, mentre entrambi avvertivano il forte odore di fumo nel locale che aveva impregnato i vestiti uscire fuori, facendo puzzare la stanza, per fortuna la corrente d’aria lo allontanava un po’.
-Perché stavi flirtando con quella sedicenne? Perché non mi dici cosa ti passa per la testa, perché da quando ci siamo rimessi insieme non facciamo altro che litigare?-
Marco stava lasciando andare tutte le domande che lo stavano torturando in testa, lasciando anche che una lacrima facesse quello che gli andava, era troppo stanco per muoversi, per pensare, sperava che parlando la sua testa si sarebbe sgonfiata, avrebbe cancellato via tutto quelle domande, quelle paura, quell’ansia che lo attanagliava.
Antonio invece stava zitto ad ascoltare, si vergognava...come si vergognava del fatto che era innamorato di quel ragazzo, che gli piaceva lui e non, come normalmente si suppone, una bella ragazza, ma un ragazzo biondi, di diciotto anni.
Il silenzio di Antonio fece innervosire Marco, che strinse il pugno, lasciando che le lacrime se ne andassero.

Io stavo solo tirando ad indovinare
Numeri e figure
Spingendo da una parte i tuoi rompicapi

Domande di scienza
Scienza e progresso
Non parlare così forte come il mio cuore


Antonio mormorò quelle parole, tenendo il capo basso, doveva dire qualcosa, o Marco avrebbe pianto con ancora più forza, diventando lamentoso.
-Io e te non siamo normali Marco-
il biondo rimase colpito da quelle parole, mentre le lacrime continuavano a scorrere imperterrite, la mano che prima si era stretta a pugno si era bloccata, il respiro si era mozzato, per poi tornare lentamente, per un attimo il biondo aveva pensato di morire li.
Antonio invece continuava a parlare, a voce bassa, cercando di dare un ragionamento logico alle sue idee.
-Io e te siamo due maschi, e ci amiamo a vicenda, e questo non è normale.
L’omosessualità...è una malattia...
Ed io e te siamo malati-
Erano malati di quell’amore reciproco, era totalmente insensato e fuori di testa che due ragazzi si potessero innamorare, si potessero amare, potessero vivere insieme come se niente fosse.
-Quando ho visto quella ragazza che ci provava con me, ho pensato che con lei potevo guarire da questa malattia, invece ha peggiorato solo le cose.
Mentre la baciavo, infatti, ho pensato a te, a come la gente ti guarda, al fatto che avevi ammesso che eri omosessuale.
Ed io...sono spaventato...dal fatto che io come te lo sia...-
Marco teneva gli occhi spalancati, avvertendo il corpo fargli male, il cuore fargli male, la testa che gli faceva male, quelle parole erano come sassate, gli stavano entrando nel cervello come sassate, quelli erano i pensieri della gente...Antonio stava pensando come l’altra gente.
E dire che sembrava che non fosse così quando si erano rimessi insieme per la seconda volta, sembrava tutto andare bene, invece Antonio...Antonio in quel momento gli stava spiegando che li faceva schifo perché era un gay! O come simpaticamente la gente lo chiamava un finocchio!

Dimmi che mi ami
Torna indietro e infastidiscimi
Oh, ed io salirò sulla partenza

Correndo in cerchio
Incastoniamo le storie
Tornando indietro a come eravamo


-Ogni volta che vedo una bella ragazza mi viene voglia di parlarci, ma ogni volta penso a te, alla nostra relazione, al fatto che io e te stiamo insieme.
E al fatto che non è assolutamente normale insomma...io e te potremmo essere amici, ma noi due stiamo insieme!-
Lo pensava ogni volta che vedeva una ragazza, ed insieme a lui pensava che era malato, che essere omosessuale era la cosa più sbagliata che poteva esserci, che gli altri non li accettavano, perché erano diversi.
Eppure Marco amava Antonio, si era innamorato di lui...

Nessuno ha detto che sarebbe stato facile
E’ solo una vergogna per entrambe le parti
Nessuno ha detto che sarebbe stato facile
Nessuno ha mai detto che sarebbe stato così duro

O, riportami sulle stelle


-Insomma...-
-Smettila, ho capito-
Marco si rialzò in piedi, più che altro perché la sua mente gli stava urlando di alzarsi, di smettere di lesionarti inutilmente, che ormai si era capito.
Antonio era disgustato dal fatto che Marco lo amava, era disgustato dal fatto che era omosessuale come quel ragazzo, era schifato dal fatto che ogni volta che vedeva ad una bella ragazza gli veniva in mente l’immagine del biondino.
Aveva capito, lui era stato chiaro, e Marco era stanco di farsi del male.
Non potevano tornare indietro, non potevano andare avanti.
Allora era meglio fermarsi li.
Marco continuava a piangere, ma la sua voce era ferma e tranquilla come al solito.
-Dormirò qui stanotte.
Cercherò al più presto un posto dove andare, non ti preoccupare.
Mi dispiace per il disturbo che ti ho causato fino adesso.
Perdonami Antonio-
Il moretto ascoltò quelle parole in silenzio, avvertendo in ognuna di questa una sorta di lama che lo trapassava, perché aveva parlato, perché aveva dato voce alla sua ragione.
Marco si allontanò da Antonio avviandosi in bagno e chiudendo a chiave la porta come al solito, aprendo l’acqua della doccia, senza neanche un lamento, un urlo, qualche protesta, qualcosa che potesse smuovere il ventisettenne, obbligarlo ad alzarsi da quella poltrona, a bussare alla porta del bagno, ad abbracciare Marco e a dirgli che tutto quello che aveva detto erano solo una marea di cazzate.
Niente, Marco si fece la doccia, mentre Antonio andò a dormire, doveva svegliarsi presto l’indomani, doveva andare al lavoro...

-Ti volevo chiedere scusa-
Rachele si fermò, stupita, mentre vedeva Raffaele sorridere con aria mesta, guardandola colpevole.
-Volevo chiederti scusa se ti ho fatto star male quando mi hai vista con quell’altra ragazza, non era mia intenzione-
la ragazza spalancò leggermente gli occhi, rimanendo colpita da quelle parole, era strano ricevere delle scuse ora, dopo aver preso una cioccolata per distendersi i nervi, dopo la passeggiata con quelle chiacchiere e quelle risate.
Tutta la sua rabbia era scemata via, seguendo il vento, come una fiamma che muore senza aria da bruciare.
Lei ci pensò su, per poi scuotere la testa e sorridere.
-Non fa niente. In fondo, io e te non siamo fidanzati.
Per caso quella era la tua ragazza?-
Raffaele ridacchiò all’idea, mentre affiancava la ragazza, riprendendo a camminare.
-No, non lo è. Era solo...una distrazione...-
-Anch’io lo sono stata?-
Raffaele si voltò di scatto a guardare il profilo di Rachele, la ragazza non aveva voglia di guardarlo in faccia, limitandosi a guardare il mare, erano arrivati verso la spiaggia, sotto il Corso, il mare era calmo, il suo rumore placido e continuo era ipnotizzante per la ragazza, che fissava il buio del cielo confondersi con il nero dell’acqua.
Il ragazzo si voltò anche lui verso il mare, fissandolo per poter capire se lei era stata veramente uno svago passeggero.
L’aveva visto sotto la pioggia, ferito, e poi lo aveva seguito fin la sotto, e lui l’aveva abbracciata...l’aveva baciata...seguendo la sua tristezza...per poi ricordarsi quegl’occhi cangianti, che lo avevano aiutato a dimenticare ciò che era successo con quell’uomo, in quegl’istanti.
...no...
-No, tu non sei una distrazione-
lo disse con un tono triste, quasi abbattuto, spingendo Rachele a voltarsi verso di lui, il vento che soffiava sollevava leggermente la sua ciocca colorata, attirando lo sguardo del ragazzo, che se la prese tra le dita, giocandoci, mentre gli occhi di lei si erano tinti di un nero brillante, come il mare che rifletteva il cielo di quella sera.

Love is a simbol of eternity...

Rachele avvertì di nuovo quella frase ritornarle in testa, come un sussurro, stavolta aveva l’impressione che se la sarebbe ricordata, mentre Raffaele si aera avvicinato a lei, appoggiandole il capo sulla spalla, la loro differenza di altezza non era tanta, mentre Rachele rimaneva immobile, avvertendo di nuovo quella sensazione avvolgerla con delicatezza, come se il tempo, in quegl’istanti, si stesse fermando, tutti i suoi pensieri erano svaniti, nella sua testa c’era solo il calore del ragazzo, mentre le sue mani si muovevano da sole, abbracciandolo.

Love is a simbol of eternity...that wipes away all sense of time…il resto…

Le braccia di Raffaele la strinsero a se, mentre sotto lo sguardo sbalordito di Rachele apparivano di nuovo, candide, luminose, pure.
Le...le ali...d’angelo...
Le sue energie erano svanite, mentre una mano di allungava verso quelle ali, tentando di accarezzare le piume, avvertendone una tra le dita, sotto il suo sguardo sconvolto, una lacrima faceva capolino dagl’occhi.
-Tu...tu hai...-
Raffaele era rimasto immobile avvertendo quelle dita sulle sue piume, per poi stringerla di più a se, mentre lei si lasciava racchiudere in quell’abbraccio, nascondendo il volto in quel petto, sconvolta.
-Oddio...sto impazzendo...-
-Perdonami...-
Rachele alzò lo sguardo verso il ragazzo, gli occhi verdi fissi su quelli al momento neri di lei, che lasciava scappare qualche lacrima, che lui si affrettò ad asciugare via, abbracciandola di nuovo e stringendola a se, come se da un momento all’altro la ragazza sarebbe svanita via, lei rimase immobile, lasciandosi cullare da quelle braccia.
Bastava quell’abbraccio, ora, bastava così...
Quando Raffaele la lasciò andare, Rachele sembrò più sollevata, stringendo comunque con una mano la maglietta del ragazzo sotto il cappotto.
-Potresti riportarmi a casa per piacere?-

Il carillon lasciava una musichetta sottile, che però si faceva sentire per tutta la grande sala, mentre lei appoggiava sulla scala la scatolina, era notte tarda, e tutti ormai stavano dormendo, lei era sgaiattolata via dalla sua stanza, insieme a quell’oggetto, che ora rilasciava la sua musica, dopo averlo caricato per bene, ed ora lei si metteva comoda, seduta su quello scalino, ad osservare il buio, aspettando il fratello, i capelli castani erano leggermente spettinati, mentre tra le braccia stringeva il suo pupazzo, un coniglietto di pezza con gli occhi a bottone. Il buio dell’enorme sala sembrava inglobare quella figurina con il rumore del carillon, che continuava a rilasciare quella musichina, mentre la bimba si guardava intorno, come se avvertisse qualcuno.
Alzò lo sguardo verso l’alto, per poi lentamente spostarlo, fino a fermarlo al buio accanto a se, limitandosi a guardarlo con aria innocente, muovendo poi la manina in un gesto di saluto, tornando poi a guardare la scala e la porta d’ingresso, mentre il carillon continuava a suonare, lentamente la musichetta andava a finire, mentre la bimba restava sulle scale, fino ad addormentarsi li, con il pupazzo di pezza e la scatolina che non emetteva più alcun rumore.

Fine Capitolo 3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

La ricreazione di solito la passava fuori in giardino con le altre, ma stavolta l’idea di dover sopportare tutto quel fumo dell’intera scuola le fece venire una nausea tale che preferì restare in classe ad ascoltare la musica, era appoggiata con la testa sullo zaino, quasi cercando di prendere sonno.
No, stava davvero dormendo, quella notte non c’era riuscita.
Ancora una volta era successo, avevano litigato, di solito avevano degl’orari fissi, lo facevano soprattutto la sera, in camera loro, quando il nonno era andato a dormire da basso, in modo da non disturbarlo o peggio in modo che lui non si mettesse in mezzo a difendere la figlia, cosa che suo padre detestava.
Poi ieri sera avevano avuto una litigata silenziosa, di quelle in cui lei sembra non aver la voce per quanto parli a bassa voce, incazzata nera, mentre lui le rispondeva ad alta voce innervosito.
Lei aveva cercato di ascoltarsi la musica sul lettore, ma ogni tanto tendeva ad abbassare il volume, sperando che avessero finito per mettersi a dormire.
Erano andati avanti per ben due ore, alla fine lui spazientito era uscito di casa, mentre lei continuava a piangere, per poi chiamare l’uomo del mistero, come amaramente chiamava Rachele il tipo che spesso veniva a prendere sua madre.
Suo padre era convintissimo che fosse il suo amante, mentre lei negava tutto.
Era ridicolo, e la ragazza aveva perso ore di sonno, tanto che la lezione lei non l’aveva proprio sentita per la stanchezza.
La ragazza socchiuse gli occhi, guardando per vedere se era gia rientrati tutti, oggi la ricreazione durava più del solito per sua fortuna, lasciandola dormicchiare in santa pace. Sentì il lettore mp3 mandare una canzone dall’intro dolce, una chitarra mischiata a quella che era una tastiera.
La chitarra elettrica con la batteria le tolse parte del sonno, mentre ascoltava stupita la canzone, era quella del giorno di pioggia, allora non si sbagliava, era davvero dei Dream Theater.
L’ascoltò in silenzio, ormai era sveglia, cercando di ricordarsi il testo della canzone, rendendosi conto che ad ogni parola la ragazza tendeva a ricordare Raffaele...l’angelo...
Il giorno prima l’aveva riportata a casa in moto, era stato fantastico, era come se tutti i suoi pensieri fossero spariti, lasciati dietro la scia della moto, un po’ come faceva lei quando voleva stare lontana da tutti e se ne andava per i campi con il suo motorino, aveva provato un’incredibile sensazione di leggerezza e di libertà.
E poi...la presenza di quel ragazzo...lei aveva appoggiato la testa dove si trovava l’ala destra, non sapeva come ma un momento prima c’erano e un momento dopo erano scomparse, come se non fossero mai esistite.
Forse stava davvero impazzendo...

-Perdonami...-

Le aveva chiesto scusa...le aveva chiesto scusa per cosa? Per quelle ali? Perché avrebbe dovuto chiedere scusa?
Stava tutto prendendo una piega insensata, gia dal loro primo incontro a quell’abbraccio.
...già...quell’abbraccio caldo e sicuro, l’aveva stretta a se con tristezza, e prima si era curato di asciugare via quelle stupide lacrime, non aveva mai pensato di essere diventata così frignona.
Rachele copiò il movimento che aveva fatto Raffaele, per poi guardarsi la mano, era stato gentile, così gentile.
E lei era spaventata, ancora non si scordava quella ragazza del locale, anche se ora il suo viso appariva ancora più sfuocato così come la figura in generale, la musica, gli odori e l’aria soffocante erano dei ricordi che stavano svanendo via nell’aria fredda della classe, quella era sempre stata una stanza fredda, tanto che avevano acceso una stufetta elettrica che era ancora li, appoggiata su uno dei bianchi, dove di solito si andavano a mettere davanti le più freddolose della classe.
Svaniva tutto velocemente, e lei ricordava solo pochi secondi, mentre lui le parlava all’orecchio, la teneva stretta a se.
Ma tanto, di che doveva preoccuparsi? In fondo lei e Raffale e erano solo conoscenti, no? E poi, lui aveva detto che era stata una distrazione.
Di sicuro era uno di quegli stronzi che se ne prendono una a settimana.
“No, non è affatto così”
Rachele prese un profondo respiro, restando pigramente abbracciata al suo zaino, era inutile convincersi, la ragazza aveva la convinzione che Raffaele non fosse così, anche se le prove le aveva avute sotto il naso, anche se lo conosceva così poco!
Una passeggiata vicino alla spiaggia non basta per conoscere una persona, e lui poteva benissimo averla preso in giro!

-No, tu non sei una distrazione-

...quella frase la colpiva ancora, anche se era la sua mente a ripetergliela e non la voce del ragazzo.
La ragazza si voltò verso la finestra vicino a lei, da quella stanza si poteva vedere la parte industriale della città, un po’ di campi e soprattutto il mare, un mare grigio, proprio come il cielo, nuvole grigie sfumavano in più toni segnalando la possibilità di pioggia, e lei era andata a scuola in motorino!
-Rachele!-
la ragazza alzò di scatto la testa, e per poco non prese un grosso respiro per poter raccogliere la sua pazienza, doveva aspettarsi che LUI le facesse visita anche quel giorno.
Il ragazzo in questione si mise davanti a lei dall’altra parte del banco, sedendosi su uno degli sgabelli e avvicinandosi a lei, facendole venire l’istinto di scostarsi, non voleva vederlo ‘sto pezzo di scemo!
Orlando non era cattivo, ma insistente, e lei era stufa di ripetergli continuamente di no.
-Senti Rachele, che ne dici se io e te oggi pomeriggio andassimo al parco a farci una passeggiata?-
il ragazzo in questione aveva capelli ricci neri, occhi dello stesso colore e pesava verso gli ottantacinque chili, ma non certo di muscoli.
La ragazza non cercò di guardare la pancia di quel ragazzo che lei definiva per non essere offensiva “addominali rilassati”, anche perché in fondo lui non gli stava antipatico, ma ogni volta che poteva andava a cercarla!!
-Orla’, sai bene che oggi ho lezione di canto-
-Beh si, lo so, ma pensavo che per una volta ti potessi assentare-
Rachele sbuffò con aria un po’ scocciata, avvertendo con un senso leggero di schifo l’odore di patatine che il ragazzo che emanava, non ammazza di certo un cavallo però era fastidioso quel sentore.
La ragazza lo guardò un po’ male.
-Sai anche bene che non lo farò mai-
-Maddai Rachele!! Per una volta!-
la musica di “Caruso” irruppe nella sua mente con gentilezza, facendola voltare verso la finestra, il mare appariva mosso e grigio, ma la giornata era così limpida che si vedevano le isole in lontananza.
La voce di Lucio Dalla le fece tornare in mente la giornata in cui vide Raffaele, e si fermò a pensarci, tenendo le braccia incrociate sul petto e lo sguardo un po’ spento, le era salita una sensazione di tristezza, nostalgia.
Aveva voglia di fuggire e mettersi cercare ancora quel ragazzo, e magari di trovare anche quel bambino, e chiedergli chi era e cosa voleva da lei.
-Rachele, ci sei?-
la ragazza si voltò verso il ragazzo, che la guardava in attesa di una risposta.
La campanella che segnava la fine della ricreazione suonò, e come di consueto Rachele cercò i suoi occhiali, mettendoseli e sistemandoseli con due dita sul naso, per poi guardare il compagno di scuola.
-No Orlà, mi spiace-
lui la guardò stupito, poi fece un’aria abbattuta, come da cucciolo picchiato, e la ragazza ebbe la sensazione di odiarlo, non lo sopportava quando faceva il cane bastonato, era solo un modo per farle venire pietà, e questo non lo sopportava.
La gente che cerca pietà dagl’altri non sa vivere, non ha un briciolo di orgoglio.
Le tornò in mente quel giorno, quando era uscita con i suoi a fare spese, e quella bambina povera si era messa a seguire sua madre, e la donne che le dava corda, chiedendo elemosina.
Aveva avuto l’istinto di urlargli “MA SEI CRETINA? MA NON HAI UN BRICIOLO DI ORGOGLIO? INVECE CHE FARE LA MORTA DI FAME TROVATI UN LAVORO E NON COINVOLGERE TUA FIGLIA”
Però si era trattenuta, limitandosi ad allontanarsi, mentre la bimba si scrollava di dosso alla donna, raggiungendo la madre che continuava a chiedere l’elemosina.
La chiamavano disperazione quella...
Ecco, ancora adesso aveva voglia di urlare contro quel ragazzo, che però se n’era andato, non ottenendo pietà da Rachele.
Però ottenendo l’attenzione delle altre compagne di classe.
-Ehi Rach, ancora a fare cose sconce con il tuo fidanzatino?-
-Ma smettila, non vedi che lei è una suora?-
-Scommetto che non sa neanche cosa vuol dire scopare o pomiciare-
-Già, è davvero ridicola-
la ragazza si limitò ad ignorarle, prendendo il libro della lezione e cominciando a ripassare, oggi toccava a lei essere interrogata, mentre la sua vicina di banco le prendeva senza permesso il quaderno degli appunti cominciando a ripassare e a copiare le soluzione degl’esercizi.
...voleva scappare da li, fuggire da quella gabbia di scimmie.
Prendere una valigia, dei soldi, e fuggire, magari in autobus, o in treno.
Dovunque, purché lontana da li.
MaryRose lo faceva spesso, mentiva ai genitori che se ne fregavano di lei e lei andava a trovare il suo ragazzo a Napoli.
Ma Rachele era diversa, e si detestava per questo.
L’arrivo della prof bloccò il flusso dei suoi pensieri. Al solito il magone le strinse le budella, salendo in gola e soffocandola, mentre l’insegnante dopo una controllata veloce a chi c’era in classe e chi no chiamava la ragazza per essere interrogata.
Aveva studiato, aveva studiato, doveva stare tranquilla, sarebbe andato tutto bene, tutto bene...

Avvertiva la musica svuotargli per qualche istante la mente, mentre i suoi occhi erano fissi sul disegno, sistemando il tratto lungo il viso, cercando di ammorbidire la linea, aveva fato il mento un po’ troppo spigoloso, poi ricontrollò tutto il volto, passando a sistemare gli occhi, cancellando la linea di guida e pensando ad allungare la linea dell’occhio, aveva scelto un’immagine di un volto orientale, doveva essere giapponese, però rispetto a quello che si pensava di solito della bellezza giapponese questa era davvero carina, forse gli occhi un po’ vicini, però non era brutta, la rogna sarebbero stati i capelli, li aveva lunghi e neri...
Abbassò leggermente il volume del lettore cd, sapeva che l’insegnante non avrebbe gradito la sua musica, già era abbastanza difficile convincerla a dare il permesso di usare il lettore cd, ma se la musica era troppo alta si rischiava di essere costretti a spegnerlo.
Osservò l’occhio che aveva fatto, doveva sistemare meglio la linea sotto ed allungarlo ancora un pochino, controllò che le misure dell’occhio sul foglio corrispondesse al doppio dell’immagine che aveva appeso li vicino.
Osservò quell’occhio, era abbastanza allungato, eppure era anche abbastanza aperto.
Aveva voglia di modificare l’iride...ma ancora non si era deciso il colore giusto.
Forse avrebbe modificato anche i capelli, l’importante era comunque seguire lo schema base dell’immagine.
Gli tornò in mente che toccava a lui andare a prendere Chiara a scuola, oggi Sasha era impegnata con il lavoro, aveva il turno della mattina...
...ed oggi quell’uomo non tornava a casa, era partito per un altro dei suoi viaggi...
Per una volta, Raffaele avvertì una sensazione di leggerezza, avrebbe avuto un po’ di libertà da passare con gli altri...e soprattutto per dare la caccia a quel maledetto.
Quella notte era stato distratto, ma stavolta lo avrebbe trovato e ammazzato!
...che poi la sua distrazione si era rivelata essere Rachele...quella stessa ragazza che aveva sperato di rivedere...
Gli sembrava ancora strano aver sperato di vederla e poi se l’era ritrovato così all’improvviso. Rachele...
Aveva ancora voglia di vederla. La presenza dell’insegnante che passava per vedere il lavoro distrae il ragazzo dai suoi pensieri, tornando concentrando sul suo disegno, doveva ancora sistemare quel naso, la bocca andava bene, forse il labbroni sotto un po’ storto, poi veniva tutta la coloritura.
Aveva voglia di usare l’acquarello, anche la matita nera che stava utilizzando era acquerellabile.
Sulla musica degli Hoobastank la campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni, con delicatezza il ragazzo sistemò il disegno nel tubo in plastica, per poi sistemare le altre cose nello zaino e raggiungere i suoi compagni che lo aspettavano sulla porta, avviandosi verso l’uscita, mischiandosi con la fiumana di persone che si avviava.
In quegl’istanti il tempo sembrava rallentare, il cielo grigio che entrava da una tonda finestra sopra di lui illuminava la testa in gesso del David, attirando l’attenzione del ragazzo, che poi fu di nuovo immerso nella conversazione dei suoi compagni, stavano pensando d’incontrarsi per una partita di basket.
Perché no?
Non aveva problemi con lo studio, domani non aveva interrogazioni, e poi aveva voglia di stare fuori da quella casa, anche se Sam si sarebbe un po’ incazzato.
Chiara, doveva andare a prendere Chiara.
Scese le scale che portavano verso l’uscita, e quando varcò la soglia, gli sembrò di respirare per la prima volta, mentre seguiva ancora la gente uscendo, la giornata grigia prevedeva un po’ di pioggerellina, mentre lui si guardava intorno, salutando gli altri e facendo il gesto di chiamarlo.
Ecco, il tempo rallentava, mentre vedeva i motorini iniziare a partire e l’autobus intralciare il traffico.
Raggiunse la sua moto che spiccava tra le altre, mettendosi velocemente il casco e accendendo, per poi alzare distrattamente uno sguardo verso la scuola, in quel momento un gruppetto di ragazzine rideva sonoramente, mentre una di loro si allontanava senza fiatare.
La ciocca blu di capelli gli fece venire un colpo, non poteva essere che anche li si vedevano!
-Rachele?-
la ragazza si voltò verso il motociclista davanti a lei, riconoscendo la moto, e sorridendo con aria incredibilmente sollevata, lasciando stupito il ragazzo, era come se fosse accaduto chissà quale miracolo.
-Raf! Che sorpresa!-
la ragazza si avvicinò a lui mentre si toglieva il casco e spegneva un attimo la moto, osservò il cappotto nero della ragazza che la infagottava un po’, rendendola rotondetta.
-Frequenti anche tu questa scuola?-

Eccoti, sai ti stavo proprio aspettando
Ero qui, ti aspettavo da tanto tempo


-Si, quarto anno sperimentale-
-Ecco perché non ti ho mai visto, io faccio il corso accademico-
quello che durava quattro anni, e se loro erano coetanei, lui quest’anno finiva...
-Quindi hai gli esami!-
-No, ho deciso di fare il quinto anni integrativo-
non era vero, a dire la verità ci stava ancora pensando, però in quel momento gli venne in mente di dire così, la ragazza annuì, mentre lui si rimetteva il casco e accendeva la moto, per poi guardare la ragazza, che si voltava un secondo e guardava l’edificio con aria abbattuta, ormai gli studenti stavano diminuendo di numero, così come le macchine.
-Come torni a casa?-
-Uh? Ah, ho il motorino-
la ragazza indicò l’ultimo motorino della fila, ormai gli altri erano svaniti, lasciando che il colore melassa facesse il suo effetto sul ragazzo, che la guardò stupito.
-Bel colore-
Rachele sorrise orgogliosa.
-L’ho scelto io-
-Vabbeh, io ti saluto, ci vediamo-
-Si, e grazie ancora per ieri sera!-
-Figurati, ciao!-
lui partì con una sgommata dopo aver fatto manovra per uscire da quella posizione.
La ragazza video l’amico andarsene, e sorrise nostalgica, era proprio strano trovarselo anche a scuola.
Rachele si voltò indietro, e il sorriso le morì all’istante, mentre vedeva una figura arrivare senza fretta verso di lei.
E ora? L’avrebbe aspettata? Avrebbe ancora una volta fatto quell’assurdo giro?
Che fare?

-Bel colore-
-L’ho scelto io-


Velocemente Rachele si mise il casco e partì frettolosamente in motorino, mentre vedeva con la coda dell’occhio arrivare Sammy, scappando via con l’ansia che le faceva battere il cuore, dallo specchietto sulla destra vedeva chiaramente la ragazza urlare e agitare le mani.
Era....era fuggita da lei...
La ragazza prese un profondo respiro, notando poi la moto di Raffaele distante da lei accelerare di colpo e sfrecciare via sotto lo sguardo della ragazza, che avvertì una strana sensazione di leggerezza, come se fosse stata su un palloncino e facesse attenzione perché non si rompesse.
E con questo misto di ansia e leggerezza Rachele si avviò verso casa, sfrecciando sulla strada in discesa, per poi mettere la freccia e girare a destra.

Chiara uscì dalla scuola un po’ tardi, era stata l’ultima classe ad uscire dall’edificio in fila indiana, aveva tenuto la mano alla sua amica Silvia, per poi lasciarla andare, la madre dell’amica era proprio accanto al portone della scuola, mentre la bimba andava avanti, guardando con aria tranquilla le mamme o i papà abbracciare i vari figli che uscivano dalla scuola, la bambina invece andava avanti, uscendo dal cancello della scuola, guardandosi intorno per vedere Sasha o magari Sam, di solito erano loro a venire a prenderla.
Suo padre non veniva mai, aveva sempre tanto lavoro da fare.
Quando tornava a casa poi lui non la salutava mai, andava sempre da Raffele, gli piaceva molto stare con lui, ogni volta che lo vedeva sorrideva con aria così contenta.
Però qualche volta l’uomo pensava anche a lei.
Quando voleva se la prendeva in braccio e la coccolava.
Chiara ogni volta rimaneva stupita da quell’atteggiamento, e lui nel vedere la sua faccia stupita ridacchiava, aveva un’alito che sapeva di tabacco.

-Cosa c’è piccola? Non ti piacciono le coccole del tuo papà?-

-Chiara!!-
la bimba si voltò, sentendosi chiamare, forse era qualcuno che chiamava un’altra bambina, c’erano quattro Chiara per tutta la scuola.
Vide un ragazza raggiungerla, togliendosi il casco, rivelando i capelli rossicci un po’ spettinati e gli occhi verdi, mentre la bimba sorrideva, correva verso i ragazzo che la prese in braccio, schioccandole un bacio sulla guancia.
-Ciao bellissima, oggi ti porto a casa in moto, ti va?-
-SII!-
-Che hai fatto di bello?-
-Oggi abbiamo fatto un tema d’italiano e ho preso buono.
Abbiamo fatto anche dei disegni!-
-Che bello! Quindi hai fatto la brava bambina, giusto?-
Chiara annuì, mentre Raffale e la metteva sulla moto e le metteva in testa il casco, allacciandolo bene, per poi mettersi il suo e montare con la bambina tra le braccia, accendendo la moto e dandola un po’ di gas.
-Mi raccomando, reggiti-
la bimba si limitò ad annuire, mentre Raffaele ripartiva, sfrecciando tra le auto e fermandosi al primo semaforo non troppo lontano da li, Chiara restava in silenzio stringendosi al ragazzo, che appena fu verde ripartì di corsa, sfrecciando sulla strada e facendo un po’ di slalom nei punti dove c’era più traffico.
Ad arrivare a casa c’impiegarono dieci minuti, ad accoglierli un cane dal pelo bianco lungo e brillante che abbaiava, a giudicare dal muso doveva essere un volpino, mentre un uomo usciva di casa a vedere chi era, la moto si fermò li vicino, Chiara si tolse velocemente il casco e corse dal cane, abbracciandolo contenta, mentre Raffaele fu più lento, osservando la scenetta.
-Ciao Batuffolo!-
-Buongiorno Raffaele-
-Ciao Sam-
il ragazzo parcheggiò la moto li, segno che sarebbe riuscito quel pomeriggio, mentre la bambina andava in camera sua seguita dal cane per togliersi il grembiule un po’ stropicciato e scendere poi a mangiare.
-Dov’è Sasha?-
-La signorina arriva più tardi, tu comincia a mangiare-
-E papà? Quando torna papà?-
Raffaele non rispose, tagliandosi una fetta di pane e mangiandola, ricevendo uno scappellotto da Sam per la sua ingordigia, mentre Chiara ridacchiava per la scenetta.
-Tuo padre torna tra una settimana Chiara-
-Nel frattempo baderemo io, Sam e Sasha a te-
-Tu sei troppo pericoloso, gia l’idea di farla tornare in moto con te non mi sembrava una buona idea-
-Uff-
-E non uffare con me giovanotto!-
quando diceva “giovanotto” Chiara si metteva a ridacchiare, trovava divertente quella parola, mentre Raffaele finiva di mangiare quel pezzo di pane e si metteva davanti alla bambina, sorridendo tranquillo, mentre il cane si era messo sdraiato li vicino ad aspettare la padroncina. Era qualcosa di veramente bello...quella bambina era qualcosa di veramente bello...


Il primo grado della scala dell'Eros è l'amore della bellezza dei corpi
Il secondo e il terzo grado della scala dell'Eros sono l'amore della bellezza delle anime, delle attività umane e delle leggi
Il quarto grado della scala dell'Eros è l'amore della bellezza delle conoscenze
Il vertice della scala dell'Eros è la visione del Bello-in-sé


Da dietro il camerino di prova Sasha si stava togliendo il maglione che aveva pensato di comprare, il tessuto le pizzicava sulla pelle e non aveva voluto rischiare, i capelli apparivano confusi e spettinati rispetto all’acconciatura che aveva prima di provare quel maglioncino blu scuro, gettandolo sullo sgabello e passando all’altro maglioncino, con il collo alto di un bel colore viola scura, simile al colore dell’uva, non era troppo aderente ma sottolineava la vita magra della ragazza.
Il tessuto non le dava fastidio, anzi teneva ben al caldo.
-Allora?-
la voce fuori dal camerino non la interruppe mentre continuava a guardare se c’era qualcosa che non la convinceva, per poi togliersi il maglioncino e piegare sia questo che quell’altro che aveva gettato.
-Quello blu mi da fastidio, prendo quello viola-
sciolse definitivamente l’acconciatura, rivelando i capelli biondi scompigliati, mentre usciva dal camerino con la borsa e i due capi in mano, ad attenderla Enrico era rimasto appoggiato al muro masticando la gomma alla nicotina, quel giorno non aveva sigarette e doveva arrangiarsi in qualche modo.
Di certo Ruben si sarebbe infuriato appena avrebbe scoperto che il “chapati” si era fregato una delle sue caramelle, al contrario dell’italiano l’africano aveva intenzione di smettere di fumare.
Intanto Sasha si avvicinò al ragazzo, che la seguì fino alla cassa, la ragazza aveva deciso di non tornare subito a casa optando per un’uscita con il suo ragazzo, Enrico per una volta tanto aveva il turno che coincideva.
I due si ritrovarono a camminare per il lungo corridoio del centro commerciale fuori città, Sasha continuava a guardarsi intorno stretta ad Enrico che aveva un’aria decisamente annoiata, tanto dopo andavano al cinema, e li si sarebbe goduto un po’ la sua ragazza.
-Ti annoi?-
-Uh? Si, abbastanza, non c’è nulla d’interessante qui-
-Bah non direi, questa è l’ora in cui ci sono i ragazzi che devono prendere i pullman-
i due si misero a sedere in un bar vicino al fast food, osservando con una punta di noia i ragazzi che chiacchieravano creando un sacco di caos dentro e fuori dal locale, c’erano dai ragazzi della terza media ai ragazzi di quarta liceo, di solito era trovare qualcuno di quinto dato che avevano la patente.
Enrico li osservò con aria abbattuta, giocherellando con la codina di capelli castano scuro, Sasha invece sorseggiava della birra.
-Beh, qualcuno di carino c’è-
-Li vedi solo tu-
-Uffa,tu sei strano di gusti.
Mi hai sempre detto di essere gay, eppure ti sei messo con me, perché?-
il giovane uomo sorrise, voltandosi verso la ragazza e permettendosi un sorriso di sfottò.
-Perché tu sei una bella ragazza-
-E allora?-
-E allora a me piacciono le cose belle, e quello che è bello me lo prendo-
Sasha lo guardò con un’occhiata di sospetto, fin da quando lo aveva conosciuto gli era sembrata una persona fuori dal comune, molta gente lo definiva matto, ma Enrico era uno di quelli che o si faceva amare o odiare, non aveva mezze misure.
E forse questo era il suo punto debole più grande.
Non avere cose come l’ abilità, la capacità di riuscire ad equilibrare il bianco e il nero era fondamentale per quella società in cui c’erano molte bianche nere e bianche e il giusto e sbagliato era solo una questione di punti di vista.
Però l’idea di essere considerata bella le faceva piacere, anche se il fatto di stare con Enrico era cominciato come un gioco, un capriccio di tutti e due, per poi diventare una specie di legame di ferro.
Non bello, non così brillante ma duro, loro potevano stare anche ai due poli opposti della terra, però quando volevano cercavano sempre di stare insieme, anche solo per una nottata. Era strano il loro rapporto...
-Cosa fai oggi pomeriggio?-
-Ho promesso a Rubens che sarei rimasto a casa, lui doveva fare il turno del pomeriggio. Te?-
-Voglio tornare da Chiara, di sicuro Raffele se ne sarà andato a zonzo con i suoi amici-
-Date un sacco di libertà a quel ragazzo-
Sasha rimase in silenzio, il dito fino a quel momento aveva seguito tutta la circonferenza del bordo del bicchiere, adesso in vece si era fermato, mentre la giovane donna si alzava, pagando e voltandosi verso l’uomo.
-Andiamo, il film sta per cominciare-

A venirla a prendere quel giorno era stata Clara, anche perché su madre dopo la discussione con suo padre aveva preso la macchina se n’era andata.
Di sicuro con il suo amante, tutti in famiglia lo sapevano che ne aveva uno, come suo padre del resto.
Almeno poteva contare sull’aiuto della compagna, in modo da poter andare a scuola di musica senza fare ritardo, ad accoglierla come sempre c’era Daniela che chiacchierava con i bambini e i genitori, in quel giorno della settimana c’era Veronica che insegnava canto e tastiera ai piccini.
Rachele stava per scappare in aula, quando scorse una figurina nota che le corse addosso, abbracciandola e bloccandola, mentre lei gioiva, in quei momenti sembrava davvero una bambina.
-Flavia, amorino mio!!-
la ragazza si coccolò la piccola, i ricci neri le solleticavano tutto il viso mentre la piccola si stringeva a lei, era una specie di angioletto con quei capelli ricci e leggeri e gli occhi scuri.
Dovette litigarci scherzosamente qualche minuto perché Flavia non la voleva lasciare, per poi trascinarla con se verso l’aula di canto, passando davanti a quella di solfeggio e fermandosi a salutare gli altri.
Anche lui era li.
-Ciao Rachele-
-Ciao Graziano-
la ragazza velocemente si avviò verso l’aula con la piccola in braccio, cercando di soffocare un senso di malinconia giocando con la piccolina, innamorarsi di qualcuno d’irraggiungibile non era stata per niente una buona idea, lui aveva una vita tutta sua, e lei era stata solo una sua allieva di solfeggio.
Però fino alla fine la ragazza ci aveva sperato, rendendosi però conto che la cosa non poteva funzionare.
A parte l’età, cioè lui 23-24 anni e lei 17, ma poi anche perché lui era in continuo movimento, in quanto era anche insegnante di batterista e a volte partecipava a qualche complesso come percussionista.
Proprio due vite distinte le loro.
Flavia bussò alla porta, mentre Rachele la apriva, Margherita in quel momento stava parlando con Roberto, il direttore della scuola di musica, e Flavia non perse tempo per farsi coccolare anche da lui e dall’insegnante, mentre Rachele zitta zitta appendeva il cappotto e aspettava.
-Rachele, hai gia scelto la canzone per la fine del saggio?-
lo chiedeva sempre ad Ottobre, mentre il saggio era a Giugno.
-Io e Margherita abbiamo fatto una piccola lista, oggi proveremo alcune canzoni per sentire quelle migliori-
-Mi raccomando-
la ragazza annuì, per poi iniziare la sessione di vocalizzi, quel giorno gli esercizi di canto saltavano per passare subito alle canzoni.
Rachele non aveva una grande scala come Eleonora, certe volte quella piccoletta metteva paura.
Ma aveva una grande espressività, pathos, e Margherita e Roberto cercavano di puntare molto su questa capacità di interpretare la canzone.
Un difetto nella voce di Rachele era che le vocali ogni tanto le facevano abbassare il tono di voce, come le “A” o le “O”.
Rachele preferiva le canzoni italiane a quelle straniere, ed aveva una grande passione per Mina e Mia Martini.
Provarono anche delle canzoni straniere, in modo da accorciare la lista, mentre la ragazza provava per la seconda volta la canzone di Anna Oxa “Quando nasce un’amore”
In quel momento gli venne in mente Graziano, rattristandola, si era innamorata di lui senza nemmeno accorgersene, all’inizio era solo un gioco con le altre, poi era diventato qualcosa di serio, troppo serio e troppo assurdo.
Come le ali di Raffele, ancora una volta quel pensiero spuntava nella sua mente, il vedere le sue ali ogni volta la spaventava, perché le vedeva solo lei! Quindi era LEI quella fuori di testa!

-Perdonami-

...per un attimo la mente di Rachele si svuotava, mentre cominciava a cantare, adesso nella sua mente c’era solo la canzone, mentre Margherita ad alta voce le dava dei consigli, per poi seguirla con la sua voce, la voce della sua insegnante era stupenda, era un soprano, e quando la sentiva cantare le venivano i brividi.
In quel momento Rachele non pensava a niente, quando cantava tutto ciò che aveva in testa veniva come coperto da un telo, tutto il resto erano suoni, forme, parole.
Appena finì la canzone Rachele si ricordò di Marco, chissà come stava, non l’aveva più chiamata quella sera e quel giorno, forse aveva finito i soldi.
La ragazza provò una nuova canzone, mentre nella stanza entrava una terza figura, appena Rahcele finì di cantare questa gli saltò addosso, il suo “dolce” peso e il profumo dolciastro che ricordava lo zucchero soffiato la fecero voltare, incontrando il viso di Ilaria.
Le due uscirono dalla stanza mentre provava Clara, intavolando una conversazione anche con Simona e Antonella, appena arrivate, dopo avevano lezione di solfeggio con Graziano, la ragazza cercò di non pensarci, quella ormai era una storia vecchia.
Si era confessata durante il saggio dell’anno prima, ricevendo ovviamente un rifiuto, almeno aveva potuto chiudere sta storia.
-Avete visto Marco oggi?-
-No, oggi non è venuto-
-Sono preoccupata, ieri sera ha...avuto una litigata con Antonio-
Simona e le altre la guardarono stupita, mentre Rachele ricordava con una punta di ansia e paura ciò che era successo, quella lotta, quei pugni e il sangue l’avevano turbato parecchio. Raccontò velocemente ciò che era successo, mentre le altre commentavano la faccenda con una punta d’ansia.
Loro erano le poche a conoscere il fatto che Marco fosse gay, ma come Rachele avevano accettato la cosa anche con un certo divertimento, dato che il ragazzo era sempre stato un tipo particolare che incuriosiva.
-Temo che questa sia la rottura definitiva-
-In fondo tutte sapevamo che Antonio è fatto così-
-Si, però che stronzo! Non può fare così!-
in quel momento arrivò Paolo, seguito da Marco, il biondino subito raggiunse Rachele, abbracciandosela.
-Amore!!-
-Marco! Perché non mi hai chiamata?-
-Perché stavo facendo la doccia e preparando la valigia-
Rachele sentì il fiato bloccarsi un secondo, per poi guardare stupita il biondino che sorrideva tranquillo.
Allora...si erano lasciati...
-Vieni Rachele? Dobbiamo provare!-
-Voglio assistere anch’io!!-
Marco si trascinò dietro la ragazza, che si voltò verso le altre compagne che continuavano a chiacchierare, forse parlavano del fatto che Marco se ne fosse andato di casa da Antonio.
Ma adesso...
-Ma ora dove stai?-
-A casa di Paolo, i suoi sono andati via una settimana ed io resto da lui, almeno fino a quando non trovo un posto dove stare-
-Se vuoi puoi...-
-Non dirlo!-
già...a casa sua, e chi ci vorrebbe andare? Aveva perfino evitato di far venire Maddalena da Napoli per la situazione disastrosa di casa sua, non poteva permettere a nessuno di avvertire quell’ansia e quella tensione in casa.
La ragazza afferrò un microfono, mentre Paolo dopo dei vocalizzi veloci si preparava, avevano ancora bisogno del testo, però sapevano quasi tutta la canzone.
Paolo era l’unico insieme a Marco a cantare, l’unico maschio in tutta l’accademia.
Ed aveva deciso di fare un duetto con Rachele, la ragazza ne era stata entusiasta, mentre i due iniziavano a cantare, attirando l’attenzione anche degl’altri che entravano in silenzio nella stanza.
Ecco, ora aveva il magone, mentre sentiva dietro il bisbigliare sommesso di quelli che entravano, Margherita faceva da coro.
Aveva sempre l’ansia, anche sul palcoscenico, a volte temeva di morire, eppure l’adrenalina era uno stimolo che le permetteva di dare il meglio di se e di scatenarsi, anche se all’inizio aveva sempre una rigidità di tutti i muscoli.
Entrambi i cantanti si muovevano a ritmo di musica, anche perché dovevano eseguire qualche passo prestabilito, questa canzone la dovevano fare per il concerto di Telethon insieme ad altre canzoni gia provate e stabilite più un balletto.
La musica risuonò nella stanza, così come le voci dei due più quella di Margherita, mentre gli altri dietro si erano messi a ballare trascinati da Marco.
A sentire l’assolo di Sax nella canzone Rachele provò pensare a suo zio e a suo nonno, a loro piaceva tanto suonare il sax, su zio poi sapeva suonare Sax e chitarra.
Quando terminò la canzone ci furono gli applaudi di tutti, quel brano doveva essere seguito da un altro, sempre con loro due come duetto più un terzo, quell’anno si volevano scatenare.
Anche perché era quasi l’ultimo anno per tutti, ormai chi doveva fare gli esami, chi l’anno prossimo cominciava il quinti, chi si doveva trasferire.
Insomma, per quel gruppo preciso era l’ultimo anno ormai, quindi volevano scatenarsi il più possibile.
Forse anche per questo Graziano diede l’ok per saltare la lezione di quel giorno e provare un po’ tutti i brani, per fortuna gli orari coincidevano tutti in qualche modo.
Rachele, mentre ballava con Marco, si guardò intorno, respirando l’odore della stanza, cercando d’imprimersi tutto quello che aveva passato, avrebbe voluto non lasciare mai quel luogo...
La musica che irrompeva nella sua mente bloccò i suoi pensieri, mentre Marco la coinvolgeva in un’altra danza collettiva.

L’ultima volta che l’aveva visto era stato al borgo.
Cominciò a camminare in silenzio tra i vari violetti, guardandosi attorno con aria tranquilla, le mani in tasca, mentre le viuzze lo portavano verso la strada principale che portava alla vista sul mare, il cielo continuava ad essere di un colore grigio sfumato, mentre continuava a camminare, continuando a guardarsi intorno, le persone erano poche quel giorno, ormai il giorno si faceva sempre più lungo.
Raffaele s’inoltrò ancora dentro i vicoletti, continuando cercare con fare tranquillo, spiando dappertutto, raggiungendo poi la chiesa, fermandosi un attimo al ricordo che sopraggiungeva, in quel momento una folata di vento lo gelò, per poi fargli vedere una piuma rovinata che volava, voltandosi di scatto in direzione del vento.
...ECCOLO!
Il ragazzo partì di corsa, la figura era svanita di botto, mentre lui iniziava la corsa, guardando dappertutto e infiltrandosi nei vicoli, per poi notare quella figura continuare a correre per allontanarsi, e Raffaele incalzò, fermandosi di fronte alla strada principale che portava alla città.
Si guardò intorno, per poi individuarlo e ripartire di corsa, superando la sua moto che aveva lasciato li, la figura passava silenziosa tra le gente e le macchine, mentre Raffaele cercava di passare, rischiando di farsi mettere sotto, raggiungendo la cima del Corso, per poi individuarlo e correre per la piazza, in quel momento la figura superò alcuni bambini, mentre un’altra piuma rovinata scappava via, e il ragazzo continuava a correre, fino a raggiungere alla stazione dei treni fermandosi.
Era sparito...
Con il fiatone, Raffaele lanciò un ringhio rabbioso, stavolta no nera riuscito ad acchiapparlo, maledizione, ci era mancato così poco!
Il ragazzo si rimise le mani in tasca, cercando di raggiungere di nuovo la moto, passando per il corso, fermandosi un attimo in piazza, guardando quei bambini che continuavano a giocare con una punta di tristezza,, ricordandosi di Chiara, adesso la bambina doveva essere a casa, o magari Sam l’aveva portata fuori a giocare.
Passò un’altra folata di vento, e anche stavolta Raffaele vide una piuma volare via sotto il suo naso, mettendolo in allerta, era ancora qui, e magari lo stava spiando.

è qualcosa di intermedio fra mortale e immortale

non è un dio, ma un demone

è aspirazione all'immortalità


Raffaele cominciò a camminare, guardandosi attorno per vedere se riusciva a scovarlo, di sicuro lo stava inseguendo, e questo gli dava fastidio, doveva essere lui a inseguirlo!!
Il ragazzo partì di nuovo a correre, mentre il vento lanciava un’altra folata, la piuma come sempre era li a volare via, mentre il ragazzo accelerava, infilandosi nel primo negozio che gli capitò a tiro, una biblioteca, prendendo fiato, per poi guardare fuori dalla porta a vetro, sembrava che non l’avesse raggiunto stavolta, e il ragazzo si concesse un’attimo di pace, per poi guardarsi intorno, era pieno di libri li attorno.
Con fare tranquillo, iniziò a girellare, osservando le copertine alla ricerca di qualcosa d’interessante, raggiungendo anche gli album pieni di foto che si mise a sfogliare interessato, ammirando l’abilità di quei maestro dello scatto, per poi interessarsi a generi letterari di tipo storico, per poi guardare incuriosito i libri più piccoli e fini, sfogliandone qualcuno e continuando poi a guardare, fino a fermarsi all’ennesimo libro.
...era una sensazione familiare, erano due occhi che ti guardano con fare interessato...
Il ragazzo si voltò lentamente, e se lo trovò a meno di un metro da se.
Due occhi neri su un viso un po’ malconcio e leggermente sudato che lo guardavano con aria curiosa.
Sembrava che avesse corso anche lui.
-E così, ti sei divertito con me, eh?-
il bimbo non rispose, mentre Raffaele si guardava intorno, non sembrava esserci nessuno nel negozio.
Tornò a guardare il bambino, le ali del piccolo erano rattoppate e perdevano un po’ le piume, mentre Raffele liberava le sue, mostrandole, erano ali grandi, candide, e rischiavano di cozzare contro i libri.
-Hai fatto male ad incrociarmi nella tua strada.
Ora ti ammazzo, maledetto-
Il bimbo rimase immobile, per poi guardare dietro di se, ignorando Raffaele che stava per colpirlo con un pugno, quando il bimbo si voltò, avvicinandosi alla porta vetrata, per poi uscire frettolosamente, lasciando stupefatto il ragazzo, che iniziò di nuovo a seguirlo, guardandosi intorno con aria inviperita, per poi fermarsi stupito.
Quel bimbo ora stava stringendo con la sua manina un lembo di un cappotto di una ragazza, in quel momento lei stringeva la sua mano con quella del ragazzo li accanto a lei, mentre Raffele sbuffava, con aria arrabbiata.
Tzé, maledetto moccioso...

Fine Capitolo 4

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