NESSUNA CERTEZZA

di londonlilyt
(/viewuser.php?uid=3436)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 14 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 15 ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 16 ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 17 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 18 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 19 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 20 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 21 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 22 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 23 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 24 ***
Capitolo 25: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


lady oscar

Oscar aprì e chiuse la porta del suo lussuoso appartamento sull’isola di Manhattan con cautela; il perchè si preoccupasse di non far rumore era un mistero. Era venerdi notte ed erano le undici di sera passate e molto probabilmente metà del palazzo era già partito per il week end, mentre l’altra metà sarà a qualche festa. Non si sarebbe stupita nello scoprire che lei era stata l’unica stupida a lavorare fino a tardi di venerdi sera.

Stancamente si gettò sul divano scalciando le scarpe dai tacchi a spillo micidiali: prima o poi l’avrebbero uccisa queitrampoli. Un’altra settimana come quella appena passata e presto l’avrebbero rinchiusa in una di quelle graziose cliniche di mattoni bianchi con i fiori sempre in boccio che decoravano i giardini.

Sempre rimanendo sdraiata si spoglió, lasciando cadere l’abito di taglio severamente maschile che indossava a lavoro sul pavimento e rimanendo solo con la biancheria intima; faceva un caldo atroce per essere solo fine giugno e lei si era dimenticata, come al solito, di programmare il condizionatore dell’aria.

Con un sospiro chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Non poteva fare a meno di pensare ai guai che stava passando in ufficio, oramai la situazione era diventata la sua spina nel fianco. Sei mesi fa aveva trovato lavoro presso la Fraiser Assicurazioni, una solida compagnia assicurativa in via di espansione che dopo aver visto le sue credenziali le aveva fatto un’offerta lusinghiera che lei non aveva esitato ad accettare.

Così il suo primo giorno di lavoro era uscita a testa alta dall’ascensore con lo sguardo fisso davanti a se e si era diretta nel suo ufficio, mentre i suoi colleghi, tutto maschi a parte le loro segretarie, abbandonavano le loro incombenze per dare un’occhiata alla “bambolina sexy”, bionda, con gli occhi azzurri e un fisico da infarto, che stava attraversando i loro corridoi come se stesse camminando sulla passerella. Sghignazzando e bisbigliando a voce alta che chiunque l’avesse assunta come segretaria fosse un “bastardo fortunato” e che qualunque cifra le fosse stata promessa loro l’avrebbero volentieri raddoppiata.

Quando però avevano visto che le era stato assegnato l’ufficio all’angolo, il più grande del piano e con due finestroni che avevano una vista stupenda di Central Park, e che lei era il nuovo direttore del settore Investimenti e Finanza e di conseguenza il loro capo, le riasate si erano fermate di botto e la guerra era iniziata.

Una guerra fatta di dispetti e boicottamenti; l’ultimo dei quali aveva portato alle dimissioni della sua segretaria due settimane fà ed al momento sembrava che non si riuscisse a trovare un’adeguata sostituta e che le segretarie già presenti nel piano fossero tutte troppo impegnate per darle una mano. Perciò, ultimamente faceva tutto da sola: si batteva i rapporti, si prendeva gli appuntamenti, faceva le fotocopie, aveva addirittura trasferito tutte le chiamate del suo ufficio sul cellulare, il quale non smetteva due miniti di squillare. La sua vita era diventata un inferno.

Ma era dannata se avrebbegettato la spugna! Non si sarebbe fatta spaventare facilmente e non era un tipo che abbandonava il campo alla prima avversità, alla fine l’avrebbe avuta vinta lei anche se le sarebbe costato un ulcera.

Con passo stanco si diresse verso il frigo, poteva sentire il mal di testa che iniziava a farle pulsare le tempie, aveva bisogno di un’aspirina e una notte di sonno di quindici ore. Con tristezza si rese conto che il frigo era quasi vuoto, non aveva avuto neanche il tempo di andare a fare la spesa ultimamente; le uniche cose commestibili erano una mela e del formaggio, sempre meglio di nulla pensò, quindi prese anche una bottiglietta d’acqua e se ne andó in camera da letto.

Scolò la bottiglia, mangió piano il suo magro bottino e dopo aver spento la luce si avvolse tra le lenzuola profumate addormentandosi di colpo.

Il mattino dopo fù svegliata bruscamente dall’insistente squillare del telefono, senza neanche aprire gli occhi tastò il comodino alla ricerca della cornetta e poco dopo rispose con un flebile:

-Pronto-

-Oscar tesoro non dirmi che sei ancora a letto?- trillo una voce acuta dall’altro capo.

-Mamma?- cosa voleva sua madre a quell’ora del mattino e per di più di sabato?

-Assicurami che hai già preparato le valigie e che stavi per uscire di casa? Il tuo aereo è tra tre ore!- le ricordó agitata.

Aereo? Perchè mai doveva prendere l’aereo?

-Non mi dirai che ti sei dimenticata che questo pomeriggio tua sorella si sposa?!-

-No, no, mamma, non ti preoccupare aspettavo il taxi, ci vediamo tra qualche ora- con un gemito nascose la testa sotto al cuscino.

Maledizione! Si alzó come una furia e scomparve nell’armadio a muro, si era completamente dimenticata che la sua sorella maggiore si sposava per la terza volta...o era la sua terza sorella sorella che si sposava per la prima volta? Che importanza aveva! Sapeva solo che doveva sbrigarsi se non voleva perdere l’aereo. Gettò sul letto il vestito ancora avvolto nella custodia di plastica del negozio e prese la valigia dal ripostiglio, perchè diavolo pesava così tanto? Ebbe presto la sua risposta quando l’aprì: conteneva ancora i vestiti che aveva usato l’ultima volta che era andata a trovare la sua famiglia il mese scorso e non era stata disfatta, che colpo di fortuna!

Il trillo del citofono la fece correre alla porta, era il portinaio che l’avvisava dell’arrivo del taxi.

Solo quando l’aereo prese velocità e decollò si concesse un sospiro di sollievo, sarebbe arrivata in tempo per la cerimonia dopo tutto, con un sospiro di sollievo chiuse gli occhi e cercó di mettersi in una posizione comoda, aveva diverse ore di sonno da recuperare.

Mezza addormentata non potè fare a meno di sorridere all’idea che presto avrebbe  riabbracciato sua nonna, lei era l’unico membro della sua famiglia a cui fosse realmente affezionata; un’immagine della coriacea vecchietta con il perenne mestolo in mano le passò davanti agli occhifacendo diventare il suo sorriso ancora più ampio. Se non fosse per lei, eviterebbe di andare dai suoi del tutto: con sua madre aveva un rapporto insipido, con le sue sorelle si scambiava solo le cartoline per le feste e con suo padre...bhè suo padre era tutto un’altro universo.

Suo padre era un acuto e spietato uomo d’affari di vecchio stampo, di quelli che credevano ancora che i figli maschi servivano per continuare la stirpe e le figlie femmine dovevano solo apparire carine e ben educate ai pic-nic aziendali. Ma il destino non era stato clemente con lui, e dopo la nascita dell’ennesima femmina, la quinta per l’esatezza, aveva deciso che a mali estremi estremi rimedi e che l’impero dei de Jarjeys di New Orleans sarebbe andato a lei. Oscar, l’ultimo genita.

Così era iniziata la sua vita, suo padre l’aveva iscritta al club di calcio, baseball e hokey, per forgiarle il carattere e lo spirito competitivo continuava a riperterle, mentre lei avrebbe voluto andare a quello di balletto come le sue coetanee. Aveva scelto tutte le sue scuole e durante le estati degli anni del liceo l’aveva obbligata a lavorare nella sua compagnia. Alla fine la sua salvezza era stata l’università. Era riuscita ad entrare in quella che si trovava il più lontano possibile da casa, certo suo padre non l’aveva presa bene, ma almeno la figlia stava studiando alla facoltà di economia, abbandonando tutte le assurde nozioni di diventare un’artista, gli artisti non fanno i soldi  fanno la fame, le aveva gridato dopo un’accesa lite.

Quella era la cosa che Oscar rimpiangeva più di tutte: l’aver perso la possibilità di coltivare il talento nella pittura che aveva scoperto quando era bambina. Ora non aveva il tempo e nel profondo sapeva di essere ancora succube degli insegnamenti del padre anche se faceva come piú le aggradava, sarebbe valsa la pena però fare qualche corso e scoprire se le sue capacita di pittrice erano ancora lì.

Il putiferio però era scoppiato quando, dopo la laurea, aveva lavorato al suo fianco solo per due anni, durante i quali aveva deciso di cercare di farsi strada nel mondo dell’alta finanza di Wall Street. A suo padre era quasi venuto un colpo apoplettico, la mamma l’aveva dovuto sedare e la nonna voleva solo prenderlo a mestolate fino a fargli entrare un pò di sale in zucca. Ma il risultato finale era sempre stato lo stesso, musi lunghi per anni e il fatto che non fosse piú la benvenuta a casa sua, almeno fino a quando era andato in pensione; allora aveva venduto la sua quota azionaria di maggioranza e aveva lasciato la compagnia nelle mani del consiglio di amministrazione, a quel punto si era ammorbidito nei suoi confronti e non le era più stato tanto ostile. Ora mantenevano un rapporto di educata freddezza.

La macchina che aveva noleggiato all’aereoporto sfrecciava silenziosa tra le stradine secondarie della città, che a quell’ora erano poco trafficate. Per fortuna non doveva passare per il centro, la sua famiglia abitava in una casa in antico stile coloniale che faceva parte di una piantagione e che avrà avuto almeno duecento anni, una di quelle con le colonne sul davanti, una veranda al piano di sopra e un patio sul retro che in primavera era sempre fiorito. Suo padre l’aveva voluta comprare non appena l’aveva vista, pagando una cifra esorbitante e sostenendo che era la dimora ideale per loro e ribattezzandola Villa de Jarjayes.

Infatti, a quanto pareva, la sua famiglia poteva vantare origini aristocratiche. Apparentemente, i de Jarjayes  discendevano da una delle tante famiglie scampate alla rivoluzione francese ed emigrate in Louisiana, dove avevano prosperato senza perdere il loro orgoglio nobile. Oscar non sopportava quando suo padre iniziava con “l’orgoglio nobile” e con il solito discorso che loro erano superiori a tutti e certi privilegi gli spettavano di diritto. Lei non era daccordo, tutti gli uomini erano uguali e ognuno aveva diritto alla sua libertà e ad esprimere le proprie idee, in genere finiva sempre in uno scontro verbale tra loro  perciò evitava anche solo di sfiorare l’argomento.

Oscar rallentò l’andatura non appena vide spuntare la casa e parcheggiò nello spiazzo rotondo davanti notando che nell’ingresso regnava il caos.

Le doppie porte di legno massiccio erano spalancate e del personale in livrea si affaccendava da una parte all’altra. In tutto quel trambusto, riuscì a localizzare sua madre nel salone principale che dava ordini come un generale, se solo fosse riuscita a mantenere quel tipo di fermezza davanti al marito tutti sarebbero stati piú contenti.

-Oscar tesoro! Finalmente sei arrivata!- la salutò abbracciandola velocemente, per poi tornare subito sul ponte di comando.

-Ciao mamma- ma l’altra donna era già sparita.

Non le rimaneva altro che salire di sopra, lavarsi, cambiarsi e andare alla ricerca di sua nonna, con tutta questa confusione chissà dove si era andata a nascondere. Aveva una fame terribile ma sapeva che si sarebbe dovuta rassegnare ad aspettare l’inizio del ricevimento, dubitava che qualcuno fosse disposto a sfamarla. Automaticamente si diresse verso la sua vecchia stanza sperando che non fosse stata presa d’assedio come il resto della casa, ma per fortuna era vuota e tutto era come sempre. I suoi disegni sui muri, il lungo specchio in un angolo, il suo armadio, la sua cassettiera e vicino alla finestra il suo fedele letto con il baldacchino oramai consumato dal tempo. I colori dell’arredamento erano scuri e sobri, nessun tipo di fronzolo femminile era in vista e non vi era nulla che facesse capire che la stanza fosse stata occupata per anni da una ragazza. Dopo aver posato la valigia sul letto si chiuse in bagno.

La cerimonia fú strappa lacrime come da copione: la sposa era radiosa, ed era la sua terza sorella che si sposava, lo sposo sprizzava gioia da tutti i pori e i consuoceri potevano tirare un sospiro di sollievo. Essendo la fine di giugno si era deciso di tenere il ricevimento nei giardini della villa, quindi mentre gli sposi erano impegnati con le foto di rito, gli ospiti venivano diretti verso i tavoli dove sarebbe stato servito l’aperitivo.

Oscar camminava con andatura lenta al fianco della nonna, nonostante la vecchietta fosse sulla soglia degli ottant’anni, era ancora arzilla e aveva una lingua affilata che non aveva eguali.

-Quel vestito ti dona- la complimentò, le capitava raramente di vedere il lato tutto al femminile della nipote.

-Grazie, nonna- quando aveva visto il vestito esposto nella vetrina di una botique non aveva saputo resistere e l’aveva comprato.

Era una creazione di seta rossa che le aderiva al corpo come una seconda pelle, con uno spacco vertiginoso sul davanti che faceva scendere morbidamente il tessuto fino ai piedi creando un piccolo strascico molto elegante, le spalline erano sottili e la schiena rimaneva scoperta per buona parte; il fatto che non indossasse il reggiseno la faceva sentire a disagio, ma non avrebbe rovinato l’effetto del vestito per nulla al mondo. Per capelli trucco e accessori aveva optato per uno stile semplice, dal tronde l’abito parlava già da se e non vi era alcun bisogno di strafare.

-Allora?- le chiese quindi la nonna.

-Allora cosa?- cercadno di tergiversare, prese due bicchieri di champagne da una cameriere di passaggio e gliene offrì uno.

-Non fare la finta tonta con me che ti ho visto nascere! L’hai finalmente incontrato?- chiese serie con tono cospiratorio.

-Ma di chi stai parlando?- chiese confusa, anche se aveva qualche sospetto.

-Ma del tuo grande amore, no! Di chi credi stia parlando?- sbottò scocciata, sua nipote poteva essere davvero ottusa quando ci si metteva.

-Ancora con questa storia, nonna?- chiese con un sospiro.

-Tu ancora non mi credi vero? Ha! Ne riparleremo quando finalmente l’avrai visto con i tuoi occhi-

Vi erano alcune cose da dire a proposito della nonna di Oscar: la prima era la sua convinzione di essere una potente sacerdotessa vudu e la seconda era la sua convinzione di essere abilissima nel leggere i tarocchi. Perciò, quando Oscar era nata, durante uno dei suoi riti propiziatori che facevano venire i brividi alla governante e alla cuoca, la donna aveva scoperto che sua nipote era la reincarnazione di una sua antenata, morta tragicamente insieme al suo grande amore durante la rivoluzione prima che i due fossero in grado di coronare il loro sogno d’amore e quindi gli spiriti dei due amanti tragicamente separati erano rinati a nuova vita in modo da poter passare insieme gli anni felici che gli erano stati negati.

-Mia cara non puoi aspettarti che il cielo lo faccia cadere dritto ai tuoi piedi, un minimo impegno da parte tua è richiesto!-

-Hai mai pensato nonna, che magari, questo mio grande amore si è perso in una congiunzione cosmica e non è riuscito a rinascere nella mia stessa era?- la prese in giro infilandosi in bocca una tartina.

-Scherza, scherza...ma lo sai che ride bene chi ride ultimo!- sbuffó.

-Dai nonna non te la prendere!- le disse abbracciandola –lo sai che ti voglio bene e che mi diverte prenderti un pò in giro- si le voleva bene ma non era così rintronata da credere ad una cosa del genere.

-Lasciamo perdere per il momento. Dimmi piuttosto, come va il lavoro-

-Pesante ma procede, sono sicura che è giusto il primo periodo con il tempo le cose si aggiusteranno- mentì, non le andava di scaricare su sua nonna le preoccupazioni riguardanti gli avvenimenti dell’ufficio.

-Mmmm...- la guardò con gli occhi chiusi a fessura, non le piaceva quando faceva così, sembrava quasi che riuscisse a leggerle nel pensiero –vuoi che mi metta a fabbricare alcune delle mie bamboline? Per il malocchio sai!-

-Cosa?- non potè fare a meno di ridere –oh nonna quanto mi sei mancata!-

-Allora perchè non torni a casa più spesso?-

-La sai perché e questo non è ne il luogo ne il momento adatto per parlarne –la prese sotto braccio e la condusse all’ombra –cerchiamo di goderci la festa-

Era oramai buio ed Oscar se ne stava da sola seduta su una delle tante panchine di pietra disseminate per il giardino, le lanterne che erano state accese al calar della sera emanavano una morbida luce dorata, il cielo era trapuntato di stelle e la luna piena brillava in tutto il suo splendore. Come le aveva fatto notare sua nonna prima di ritirarsi, una serata ideale per gli innamorati e lei non poteva che essere daccordo e anche un pò invidiosa delle coppiete che le passeggiavano attorno mano nella mano.

In generale non le pesava il fatto di non avere nessuno accanto, ma era in serate come quella che sentiva il profondo bisogno di dividere la sua vita con qualcuno davvero speciale. Non che le occasioni le fossero mancate, ma non erano andate a buon fine; i potenzili fidanziati venivano messi in soggezione dalla sua bellezza e dai suoi occhi, quando si metteva davvero d’impegno il suo sguardo aveva lo stesso effetto di quello di Medusa: li lasciava tutti pietrificati! Per non parlare di quelli che erano scappati non appena si erano resi conto che lei guadagnava molti più soldi di loro. I pochi abbastanza coraggiosi da instaurare una relazione con lei la lasciavano dopo qualche mese, sostenendo di sentirsi messi sempre in secondo piano dal suo lavoro e che lei era troppo competitiva, a cosa le serviva un uomo se era praticamente autosufficente sotto ogni punto di vista e che ogni tanto anche loro volevano rivestire il ruolo del maschio nella loro relazione. In definitiva, tutti cercavano una donna che fosse dolce e femminile, che gli consentisse di pagare le bollette e che si lasciasse coccolare e proteggere, ne andava del loro orgoglio di macho dopo tutto!

Arrivati a questo punto disperava di riuscire a trovare qualcuno che fosse adatto a lei, qualcuno che senza paura riuscisse a vedere dietro la facciata fredda e altera che era costretta a presentare al resto del mondo. Nei momenti più disperati era anche disposta a credere alle storie di sua nonna, anche perchè di storie gliene aveva raccontate tante durante la sua infanzia, tutte approposito della sua antenata e molte di loro avevano dell’assurdo.

Di come fosse stata cresciuta come un uomo in modo che, una volta adulta, potesse intraprendere la carriera militare diventando comandante delle guardie reali. Nella francia del 1700? Era già tanto se le era permesso mettere piede fuori di casa figuriamoci avere una carriera di qualche tipo! Ma quello che l’aveva sempre colpita era l’uomo sempre presente in quelle storie, una figura silenziosa che le stava sempre vicino in qualunque situazione, che aveva imparato ad amarla da lontano e cercava di proteggerla ad ogni costo, anche da se stessa. Chissà quante gliene avrà fatte passare a quel poveretto prima di capire che in fondo anche lei lo amava, ma il cuore di lui era sempre rimasto costante e sincero nel tempo ed alla fine la sua pazienza era stata premiata.

Era davvero triste che il loro amore fosse stato sommerso e portato via dal sangue della rivoluzione. Oscar rivolse lo sguardo verso il cielo con un sorriso triste sulle labbra, avrebbe dato qualsiasi cosa per avere qualcuno così accanto. Qualcuno che l’avrebbe abbracciata e rassicurata che alla fine tutto si sarebbe aggiustato, qualcuno che non pretendeva che fosse lei quella sempre forte e decisa  perchè in definitiva, anche lei avrebbe voluto essere il tipo di donna che gli uomini cercano; ma il problema risiedeva nel non sapere da che parte iniziare ad essere femminile e dolce, le vecchie abitudini erano dure a morire.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


Nel frattempo, in un piccolo ristorantino messicano del New Jersey, tre uomini erano seduti ad un tavalo in un angolo appartato del locale e discutevano sommessamente.

I tre erano Richard Grant, Simon Cort e André Granier, rispettivamente l’editore del “Bureau Gazzette” e due dei suoi reporter.

-Sono queste tutte le informazioni raccolte da Alain?- chiese André aprendo un fascicolo dalla copertina gialla.

-Sono tutte in quel fascicolo-

André continuó a sfogliare le pagine leggendo brevemente alcune righe, il suo amico Alain aveva fatto un ottimo lavoro investigativo, era riuscito a mettere il dito nella piaga giusta.

Alain e André erano grandi amici, si erano conosciuti all’università e da li non si erano più separati, lavoravano addirittura per lo stesso giornale, con l’unica differenza che lui si occupava di cronaca mentre all’amico piaceva il giornalismo investigativo. Ultimamente Alain stava investigando su una delle famiglie mafiose locali, e le sue indagini l’avevano condotto ad una compagnia assicurativa, la Fraiser Assicurazioni, dove si presupponeva si attuasse il più lucrativo riciclaggio di denaro sporco della famiglia in questione, tutto stava nel procurarsi le prove. Il suo amico era andato molto vicino nell’ottenere quello che gli serviva per scrivere un articolo da prima pagina e far crollare la compagnia, ma era stato scoperto, ed ora era in ospedale cercando di recuperare le forze dopo quattro settimane di coma provocate da un’eplosione, che naturalmente la polizia aveva catalogato come accidentale, ma loro sapevano che non era così.

Ora si trovavano in quel ristorantino perché André aveva acconsentito ad aiutare Alain e a chiudere l’indagine, anche perchè non gli andava giù quel che era successo e aveva deciso di colpire i responsabili dove faceva più male.

-Abbiamo una copertura adeguata?- chiese ancora.

-Una con i fiocchi- Simon prese un’altro fascicolo e glielo porse –questa é la nostra preda, Oscar Francoise de Jarjayes, nuovo direttore del settore Investimenti e Finanza e al momento in disperato bisogno di un’assistente-

-Credi che sia coinvolta nei loschi traffici della compagnia?- chiese guardando le foto a colori di una biondina che camminava per strada parlando al telefonino, doveva ammettere che era bella da togliere il fiato, non gli sarebbe dispiaciuto conoscerla.

-Non credo, é arrivata sulla scena solo sei mesi fà, lei si occupa di far fruttare gli investimenti non di sapere da dove vengono i soldi-

-Quindi non mi resta che giocare a fare “la segretaria” per un pó di tempo e nel mentre ficcanasare in giro-

-Abbiamo tutto quello che ti serve, identità falsa, lettere di referenze, lettere di presentazione dell’agenzia di collocamento, i numeri telefonici forniti sono miei o di Richard, se qualcuno decidesse di controllare le tue referenze sei coperto-

-Quando devo iniziare?- André non aveva ancora staccato gli occhi dal fascicolo con le informazioni raccolte su Oscar, sulla carta era un tipo davvero interessante, chissa se lo era anche di persona.

-Domani-

-Così presto?- disse stupito, non gli stavano dando molto tempo per prepararsi.

-Questa é un occasione d’oro, riusciresti ad infiltrarti dritto nel cuore di tutta l’operazione di riciclaggio –dalla tasca interna della giacca tiró fuori una spessa busta marrone –qui c’é tutto quello di cui avrai bisogno-

Stava per afferrare la busta, quando Richard lo bloccó.

-Sei sicuro di volerlo fare André?- era la prima volta che apriva bocca da quando si erano seduti.

-Perchè?- chiese stupito.

-Dopo quello che é successo ad Alain, sono del parere che bisognerebbe lasciar perdere l’intera faccenda, non vorrei che capitasse qualcosa di simile anche a te-

-Mi é stato chiesto un favore ed é quello che sto facendo- poi sfodero un sorriso smagliante – e comunque, mi aspetto due settimane di vacanza retribuita extra alla fine di questa faccenda-

-Come vuoi, ma stai attento- lo ammonì –ai primi avvenimenti che ti sembrano strani abbandona la copertura e vieni via di lì-

-Staró attento, non mi va di finire la mia carriera cosi presto-

I tre rimasero ancora per qualche tempo nel ristorante per sistemare gli ultimi dettagli e poi si separarono, come se non si fossero mai incontrati.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


Se c’era una cosa che Oscar detestava era New York di lunedi mattina, tutti erano più di cattivo umore del solito, il fine settimana era appena passato ed ora bisognava tornare alla realtà di tutti i giorni, e il pensiero di dover tornare in quel covo di serpi che chiamava ufficio non la rallegrava per nulla.

Quindi mentre era in ascensore fece un profondo respiro e prese il coraggio a quattro mani, non l’avrebbero piegata cosi facilmente giuró, la scena era sempre la stessa, le camminava a testa alta tra i corridoi che portavano al suo ufficio augurando buon giorno a tutti quelli che incontrava, e ricevendo solo risposte smozzicate o grugniti d’assenso, ma riusciva sempre ad arrivare a destinazione senza eccessivo spargimento di sangue, il suo.

Una volta arrivata nel suo ufficio si chiuse in fretta la porta alle spalle, resistendo alla tentazione di chiuderla a chiave, posó la valigietta sul basso tavolino accanto al divano in pelle e appese la giacca dell’abito nell’attacappanni nell’angolo. Facendo già una lista mentale delle cose che avrebbe dovuto fare quel giorno, aprì la 24ore e ne tolse i fascicoli che le sarebbero serviti immediatamente, stava per sedersi alla sua scrivania quando...la trovó già occupata...da uno dei bagnini super abbronzati e super muscolosi di Baywatch.

Oscar abatté le palpebre più volte per accertarsi che fosse davvero lì, e che non fosse frutto delle sue fantasie notturne diventate reali per chissà quale recondita ragione, ma lui era lì, e le stava sorridendo, un sorriso dai denti bianchissimi che gli arrivava fino agli occhi, del verde smeraldo più luminoso che avesse mai visto, i capelli castani erano corti e ordinatamente pettinati, anche li poteva vedere arricciarsi con ribellione alle tempie e sulla nuca, “chissà se sono morbidi come appaiono” pensó Oscar, facendo scivolare lo sguardo sui lineamenti decisi del viso, il naso regolare e la mascella appena rasata. Poi l’occhio le cadde sulla camicia aderente che indossava, anche se perfettamente consona al posto di lavoro non lasciava nulla all’immaginazione, ma era legale indossare qualcosa di così attillato?

Notó che il bagnino le stava parlando, ma non riusciva a capire una parola, era concentrata su altre cose, da dove accidenti sbucava? C’era qualche conferenza di appassionati in città e lei non ne sapeva nulla?

-Signorina si sente bene?- le chiese preoccupato, lo stava fissando da cinque minuti buoni senza dire una parola.

Non che gli dispiacesse, tuttaltro, in questo modo aveva la possibilità di osservarla a sua volta, e subito pensó che le foto di lei che gli avevano mostrato non le rendevano affatto giustizia. Il biondo dei capelli era di un caldo giallo oro, gli occhi erano di un blu terso come il cielo di primavera, la pelle del viso era bianca e senza trucco, vide anche che le mancava la solita spruzzata di lentiggini sul naso che tormentava molte ragazze dalla carnagione così chiara, “chissà se quella pelle é morbida e setosa come sembra” pensó André, quasi gli formicolavano le punte delle dita per il desiderio di toccarla.

L’abito dal taglio maschile che indossava le dava un’aspetto austero, e nascondeva tutte le curve che era sicuro si celavano tra gli strati di tessuto, nascondendo alla vista qualsiasi cosa potesse far ricordare che fosse una donna, più passavano i secondi più André era intrigato da questa ragazza che voleva a tutti i costi nascondere la sua bellezza.

-Allora signorina?- la vide trasalire di colpo e...arrossire leggermente, era carina con quel rossore che le tingeva le guance, le dava l’aria da quindicenne alle prese con il suo primo fidanzato.

-Ma lei chi é?- gli chiese cercando di ricomporsi, lei era il capo qui, quella che comandava, non quella che si faceva prendere alla sprovvista dal primo venuto.

-Mi scusi non mi sono presentato- si alzó dalla poltrona e le si avvicinó con la mano tesa –mi chiamo André Jones, sono il suo nuovo assistente-

Oscar gli strinse la mano automaticamente, dovendo sollevare la testa per guardarlo in viso, visto che era più alto di lei di almeno due apanne. La scarica elettrica che le attraversó il corpo al contatto con quel palmo forte e caldo che peró la stringeva con gentilezza, la prese totalmente alla sprovvista facendole quasi mancare il respiro, il suo sorriso non era mai scomparso e gli occhi non avevano smesso di brillare, poi quello che lui aveva detto le arrivó finalmente al cervello.

-Il mio nuovo assistente?- ripeté.

-Si, l’agenzia non l’ha chiamata?- ora veniva la prova del fuoco, convincerla che era genuino.

-No non mi ha chiamato- gli rispose sospettosa –mi faccia vedere le sue referenze-

André le porse le lettere che Simon gli aveva dato senza battere ciglio.

La donna le prese e si accomodó alla scrivania iniziando a studiarle con attenzione, non era possibile che l’angezia gli avesse mandato lui, aveva espressamente chiesto una donna, possibilmente sulla soglia dei cinquanta, una signora di una certa età che non si sarebbe fatta abbindolare dai suoi colleghi e con una certa esperienza, già si era immaginata una simpatica vecchietta che le avrebbe portato la cioccolata calda non appena arrivata in ufficio e che le avrebbe reso la vita più semplice, non...lui!

Le lettere erano in ordine, gliel’avevano madato per davvero loro, come detestava il lunedi mattina.

-Mi dispiace, le sue referenze sono in ordine, ma non puó rimanere- come lo mandava via ora, magari era in disperato bisogno di lavorare.

-Perché?- Simon gli aveva detto che era in disperato bisogno di un assistente, allora perché lo voleva mandare via senza neanche un periodo di prova? –si da il caso che le mie referenze siano ottime, cosa c’é che non le va bene?-

-Nulla, é solo che..lei non é quello che avevo chiesto all’agenzia. Aveva espressamente chiesto che mi mandassero una donna e che...-

-Mi vuole mandare via solo perché sono un uomo?- la interruppe sorpreso, che fosse lesbica? Sarebbe stato uno speco bello e buono, per non parlare della sua cocente delusione –lo sa che la discriminazione basata sul sesso é un reato?-

Non lo sapesse! Era una vita che muoveva in un ambiente che l’avrebbe volentieri bollata come un incompetente al primo sguardo solo perché era una donna, aveva dovuto faticare il triplo degli altri, senza mai abassarsi a prendere le scorciatoie che passavano per i letti dei dirigenti, che molte delle sue colleghe preferivano.

-Senta...- alzó lo sguardo e incroció quello di lui, non sorrideva più e i suoi occhi erano attenti e fisse su di lei, era strano ma le sembrava di aver già visto quegli occhi, quello sguardo così dolce e rassicurante, sincero e aperto verso il prossimo, sarebbe stato davvero facile fidarsi di quegli occhi...troppo facile.

Un’idea terribile inizió a farsi strada nella sua mente.

-Quanto le hanno dato?- chiese fredda.

-Cosa?- André non poteva credere alla trasformazione a cui aveva appena assistito, lo sguardo di lei era gelido e duro come un blocco di ghiaccio, il corpo era teso come una molla pronta a scattare, cosa diavolo era successo per farla reagire in maniera così violenta?

-Qualunque cosa le hanno dato gliene dó il doppio- prese il blocchetto degli assegni e inizió a scrivere –le vanno bene tremila dollari?-

-Aspetti un minuto...-

-Cinquemila, é la mia ultima offerta- strappó l’assegno e lo gettó dall’altro lato della scrivania.

Ci mancava solo che i suoi colleghi d’ufficio le mandassero un ragazzo carino come assistente in modo da poter mettere in giro ulteriori voci su di lei, o peggio, che con il suo aiuto riuscissero a montare un caso di molestie sessuali contro di lei e che le rovinassero per sempre la carriera, non voleva correre il rischio.

-Ma cosa le succede? Tratta sempre così i suoi dipendenti? Adesso capisco perché nessuno vuole venire a lavorare per lei!- adesso era quai in preda al panico, non avrebbe trovato un’altra copertura migliore di questa, doveva convincerla a farlo rimanere.

-Le dó due minuti per andarseneprima che chiami la sicurezza- sollevó la cornetta dimostrando che non scherzava.

-Senta signorina, non so chi siano questi “loro” di cui lei sta parlando, ma ho bisogno di questo lavoro- la vide vacillare per un secondo e decise di continuare sulla stessa linea –sono settimane che non ho un impiego fisso, mi dia qualche giorno per dimostrarle che sono all’altezza delle mansioni richieste, se ancora non sarà contenta mi potrà mandare via. Che ne pensa?-

Oscar continuava a fissarlo, la cornetta ancora stretta nella mano, avrebbe fatto bene a fidarsi? Sembrava un ragazzo onesto, aveva un non so che di innocente attorno a lui, forse a forza di stare in quell’ufficio con la guardia sempre alzata stava diventando un pó paranoica.

Fallo restare, non te ne pentirai, gridava una vocina nella sua testa, e perché no, dopo tutto aveva davvero urgente bisogno di un assistente, e poi poteva mandarlo via in qualuncue momento.

-Va bene puó rimanere- acconseti sconfitta -ma se decido che se ne deve andare se va senza tante storie!-

-Affare fatto- André non lo diede a vedere ma era terribilemte sollevato.

-Ma la devo avvisare che non sarà facile lavorare per me- decise di sorvolare il sopracciglio alzato di lui –i miei “colleghi” mi detestano perché sono una donna e occupo una posizione di potere, soprattutto quelli che speravano di avere la promozione e di trasferirsi in questo ufficio, non le renderanno la vita facile-

-Non crede di stare esagerando?-

-“puttana con i tacchi a spillo” e “business Barbie” sono alcuni dei nomignoli che mi sono stati affibiati negli ultimi sei mesi, é ancora sicuro di volerlo il lavoro?- era in imbarazzo nel dirgli tutte queste cose, ma doveva metterlo in guardia.

-Sono in grado di difendermi da solo- non riusciva credere che le dessero addosso solo perché era bella e intelligente, più di tutti loro messi insieme ne era certo.

-Bene, allora si metta al lavoro- da un cassetto tolse un paio di fogli –questa e una lista di cosa su cui mi serve una ricerca accurata, riguardano alcune delle proposte che sto vagliando e mi servono per questo pomeriggio-

-Come vuole- prese i fogli e le sorrise –vedrà che non se ne pentirà-

-Oh me ne saró pentita prima di pranzo non si preoccupi, ora vada e stia attento ai barracuda-

Una volta sola Oscar giró la poltrona verso la finestra accavallando le gambe, che cosa aveva fatto? Si chiese in preda al panico, l’avrebbero lapidata nel giro di un paio d’ore, proprio non aveva bisogno di un’altra complicazione nella sua vita in questo momento.

E come aveva previsto la notizia della presenza del nuovo assistente del boss, per di più bello da togliere il fiato, viaggió per l’ufficio come una saetta, i più commentarono che c’era da aspettarselo, dal tronde “business Barbie” non andava mai troppo lontana da Ken.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


André che oramai stava seduto davanti al computer da diverse ore, si stropicció gli occhi stanco, non aveva mai lavorato tanto in vita sua quanto nelle tre settimane appena passate. La sua datrice di lavoro imponeva dei ritmi disumani, ed era sempre di corsa per colpa di una scadenza o di un’altra, se era possibile faceva una vita più sregolata della sua, l’aveva vista mangiare raramente e quasi mai si prendeva una pausa, come facesse a mantenere un ritmo del genere tutti i giorni non lo sapeva. Ma una vaga idea stava iniziando a farsela. Se c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi giorni era che Oscar era di una testardaggine senza pari, non accettava un no come risposta ed era spietata negli affari, di una cosa doveva darle atto peró, sopravvivere in quell’ufficio era un’impresa titanica. Come facesse a sopportare l’ostracismo dei colleghi con quella calma indifferenza era un mistero, lui era tentato di venire alle mani almeno due volte al giorno stando ad ascoltare le cose che dicevano su di lei.

Il suo stomaco si mise a brontolare in protesta e dando un’occhiata all’orologio si rese conto che erano quasi le due, ecco perché il suo cervello aveva smesso di funzionare, era già uscito a pranzo e lui non se ne era accorto.

-Io vado a pranzo- gridó attreaverso la porta aperta dell’ufficio.

-Va bene a dopo-

Non aveva neanche alzato lo sguardo dal rapporto che stava leggendo, chissa se si sarebbe ricordata di mangiare oggi.

Tre quarti d’ora più tardi la ritrovó nella stessa posizione, non si era mossa, di sicuro non aveva mangiato.

-Sono tornato- le disse dalla porta.

-Mm...mm...-

-Sei andata a mangiare?- quando Oscar gli aveva comunicato che poteva restare si erano dichiarati d’accordo nell’usare un tono imformale, almeno quando erano da soli nell’ufficio di lei.

-Tra un minuto- disse distratta.

-Si come no! Meno male che ci sono io- le tolse dalle mani il fascicolo che stava leggendo e le mise davanti una busta marrone –mangia-

-Non ho fa me e soprattutto tempo- gli disse, cercando di riprenderi il rapporto.

-Mangia- le ripeté –ti ho portato un panino con prosciutto e formaggio e del té freddo, la cosa più semplice che sono riuscito a trovare non essendo sicuro dei tuoi gusti. Non sarai vegetariana per caso?-

-No, ma ti ripeto che al momento non ho fame- ed era vero, in questi ultimi giorni non era stata per niente bene, e l’appettito era la prima cosa che se ne era andata.

-Ti ho portato il dolce- le porse una scatolina sigillata di plastica trasparente con una forchettina –torta al cioccolato con doppio strato di crema e la glassa sopra-

Sorridendogli come ringraziamento Oscar si affretto ad assaggiarla con un’espressione beata.

Ad André non era mai capitato di vedere una persona così golosa, l’aveva vista fare delle rinuncie con una volontà di ferro, ma non sapeva resistere al cioccolato, le piaceva in tutti i modi, era una vera e propria cioccodipendente, e lui cercava di accontentarla, se era contenta non lo faceva lavorare troppo sodo.

-Tua madre non ti ha mai detto che se non mangi tutto il pranzo non hai diritto al dolce?- rise divertito.

-Ho quasi trent’anni faccio quello che mi pare- un colpo di tosse le fece quasi andare di traverso la torta.

-Cosa stai prendendo per quella posse?- era preoccupato, erano quasi cinque giorni che tossiva parecchio e sembrava andare di male in peggio.

-Non ti preoccupare, é solo il caldo che mi irrita le vie respiratorie, nulla di serio- bevve qualche sorso del té che le aveva portato e per poco non le cadde il bicchiere –maledizione! Ho una presentazione fra quindici minuti!-

Raccolse tutto il materiale che le sarebbe servito e prese la giacca.

-Non saró di ritorno prima dell’orario di chiusura, ci vediamo domani- e corse via.

-Ci vediamo domani- rispose alla stanza vuota.

Il mattino dopo André non vide Oscar, sapeva che non sarebbe arrivata fino a tardi perché aveva una colazione di lavoro, l’occasione adatta per dare una controllatina alle pratiche del piano, che per fortuna erano state trasferite sul data base e quello che gli serviva era solo la password del suo capo.

Trovó delle cose interessanti, movimenti di denaro verso una banca dei Caraibi, degli investimenti dai guadagni sospetti, con annessa una lista di clienti che valeva la pena controllare, l’avrebbe passata a Simon il prima possibile, stampó tutto e nascose i fogli nella sua valigetta.

Poco dopo vide arrivare Oscar, che gli passó davanti con uno striminzito “ciao” e si chiuse nel suo ufficio. Stampó dei rapporti che aveva fatto per lei il giorno prima, così avrebbe avuto una scusa per entrare nella stanza, bussó e aprì la porta senza aspettare una risposta,  solo che lei non era alla scrivania, e una veloce ricerca gliela fece trovare sdraiata sul divano con gli occhi chiusi.

-Oscar ti senti bene?- sembrava un pó accaldata e il respiro non era normale.

-Solo un piccolo capogiro, dammi cinque minuti-

-Ci credo, non mangi!- la rimproveró con sollecitudine.

-Non ora André...- fù interrotta da un eccesso di tosse.

-Non stai affatto bene- le si avvicinó e le toccó la fronte, scottava ed era imperlata da un velo di sudore –stai bruciando di febbre, dovevi rimanere a casa-

-Sto benissimo e ho del lavoro da sbrigare-

-Va bene Wonder Woman, ora ti accompagno a casa- il tono non ammetteva repliche.

Oscar non aveva la forza di controbattere, ne di cimentarsi in uno dei suoi sguardi pietrificatori, le doleva ammetterlo, ma lui aveva ragione, sarebbe dovuta rimanere a letto quella mattina.

In poco tempo la portó di sotto e la fece entrare in un taxi, senza dare troppo nell’occhio, visto che sarebbero rimasti nel traffico chissa per quanto lei decise di farsi un sonnellino, non riusciva a tenere gli occhi aperti in ogni caso, le bruciavano da matti. Il portiere rimase molto sorpreso nel vederla rientrare così presto e in braccio ad uno sconosciuto, visto che André aveva deciso che così avrebbero fatto prima.

Una volta nell’appartamento la mise sul letto.

-Cerca di metterti comoda vado a cercarti delle aspirine-

Tornó poco dopo con un bicchiere con dentro del succo d’arancia, lei era riuscita a spogliarsi e ad infilarsi sotto le coperte.

-Bevi- le sollevo la testa e le amise il bicchiere sulle labbra –ho trovato quelle effervescenti, te ne ho sciolto una dentro a del succo-

Le fece bere il succo e tiró le tende mentre lei si raggomitolava sotto le coltri calde.

E adesso? Si chiese, non poteva lasciarla da sola in quelle condizioni, aveva dato un’occhiata al frigo ed era pressoche vuoto, avrebbe dovuto farle un pó di spesa e passare anche in farmacia, la scatola delle aspirine era finita. Rimase a guardarla chiedendosi se dovesse avvisare qualcuno, non aveva mai parlato della sua famiglia, ogni tanto nominava la nonna, che compariva anche nell’unica foto che aveva sulla scrivania, ma non credeva fosse il caso di avvisare una vecchietta sulla soglia degli ottanta che la nipote stava male. La madre? Il padre? Qualche amica? Possibile che non ci fosse nessuno?

Prese la rubrica che stava vicino al telefono, ma era vuota, cosi come lo era la memoria del telefono, nessun numero ricorrente, ora che osservava meglio, sembrava quasi che l’appartamente fosse poco vissuto, c’erano pochissime cose personali in giro ed era immacolato, possibile che passasse tutto il suo tempo in ufficio?

Decise di sbrigarsi ad uscire, se tardava avrebbe trovato i negozi pieni di gente e non ne sarebbe più uscito. Quando due ore dopo ritornó trovó Oscar nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata, non si era mossa, le toccó la fronte, scottava ancora, la febbre non era ancora scesa.

Le aveva comprato del succo fresco e tanta frutta, sul comodino le mise una brocca dell’acqua con un bicchiere e la scatola delle aspirine, di sicuro lei avrebbe dormito fino al mattino dopo, non c’era ragione per lui di rimanere, sarebbe tornato l’indomani per controllare le sue condizioni, grazie al cielo era sabato, nessuno dei due sarebbe dovuto andare in ufficio.

Oscar si sveglió nel cuore della notte con una sete terribile e il disperato bisogno di andare al bagno, la luce della lampada quasi l’accecó, con passo un pó instabile si diresse al bagno, aveva vagamente notato il bicchiere con la brocca sul comodino, non aveva l’abitudine di tenerli lì, ma era grata di non dover andare fino alla cucina.

Seduta sul bordo del letto si riempì il bicchiere e lo bevvé tutto d’un fiato, si sentiva il corpo in fiamme, poi notó le altre cose che stavano vicino alla brocca. una delle ciotole che in genere usava per i cereali la mattina era coperta con un piattino, curiosa sollevvó il piatto e annusó il contenuto, sembrava...melone? come era arrivato del melone sul suo comodino? Poi vide la scatola delle aspirine, con attaccato sopra uno dei fogliettini gialli adesivi che stavano vicino al telefono per i messaggio. C’era scitto qualcosa sopra, lo prese e lo avvicinó alla luce:

“Prendile. Se scopro la scatola ancora intatta sono guai grossi! André”

André? André era stato lì nel suo appartamento? Poi si ricordó, certo che era stato lì, era stato lui a riportarla a casa e a metterla a letto, molto probabilmente la frutta, la brocca dell’acqua e la scatola delle aspirine erano opera sua, doveva essere uscito appositamente a comprare queste cose per lei, visto che erano settimane che non riusciva a fare una spesa decente.

Si prese due aspirine e mangió qualche pezzo di melone, non aveva fame, ma aveva un saporaccio in bocca che la stava infastidendo, rimise tutto a posto e spense la luce sistemandosi nel letto con un sospiro soddisfatto.

André l’aveva riportata a casa e aveva fatto in modo che avesse tutto il necessario lì a portata di mano, era stato davvero gentile, ma da lui c’era da aspettarselo. Nelle ultime settimane era stato la gentilezza fatta a persona, lavorava sodo e bene, da quando aveva scoperto che andava matta per il cioccolato, glielo faceva sempre trovare sulla scrivania, non si lamentava mai ed era sempre allegro, esistevano davvero persone come lui?

Lei non era abituata a ricevere gentilezze da nessuno tranne che da sua nonna, in ufficio a malapena le rivolgevano la parola a meno che costretti,sua madre era sempre stata troppo impegnata, le sue sorelle erano troppo egocentriche per accorgersi che c’era qualcun altro oltre loro al mondo, e suo padre era l’uomo più coriaceo che avesse mai conosciuto, le aveva insegnato a non aspettarsi nulla da nessuno, a contare sempre e solo sulle sue forze e a non fidarsi di nessuno.

Poi era apparso lui, lui con gli occhi del colore del mare dei tropici, dallo sguardo dolce e caldo, non voleva ammetterlo, ma la sua presenza le stava facendo uno strano effetto, da subito il loro rapporto era stato diverso da quello normale tra impiegato e datore di lavoro,  avevano instaurato un rapporto amichevole che sembrava venisse naturale ad entrambi, era come se...era come se si conoscessero da sempre. Le sembró di sentire la voce roca di sua nonna che diceva “te lavevo detto io!”, spalancó gli occhi nella stanza buia, non era possibile, che fosse lui...no che sciocchezze!

Ed ora Oscar non vedeva l’ora di andare in uffico solo perché sapeva che lui sarebbe stato lì, anche i pettegolezzi che giravano in uffico non le davano più così fastidio, certo era stata costretta a difendersi con i suoi superiori, ma non le importava più di tanto, sapeva come fare il suo lavoro e le cifre parlavano da sole, fino a quando entravano i soldi nelle tasche della compagnia e lei non si faceva cogliere in fragrante delitto, tutti rimanevano contenti.

Lentamente inizió ad assopirsi, l’ultimo pensiero coerente prima di addormentarsi, fù la constatazione che l’indomani sarebbe stato sabato, non avrebbe rivisto il suo assistente prima di due lunghi giorni, che peccato.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ***


Il giorno dopo mentre Oscar si stiracchiava sotto le coperte si rese conto di due cose, dalla cucina proveniva un odorino niente male e che il suo stomaco brontolava in modo poco signorile, a parte qualche pezzetto di frutta non mangiava da ieri mattina. Chi c’era nella sua cucina? Che fosse tornato? Si chiese con il battito accellerato. Bhé stare lì a fare delle ipotesi assurde non serviva, di certo non era un ladro, i ladri non si mettevano a cucinare nelle case che intendevano derubare, si infiló la vestaglia e andó in cucina.

Lui era davvero tornato, e se ne stava nella sua cucina intento a rigirare qualcosa in una pentola e a canticchiare sommessamente, poi si voltó e la vide, ferma sulla soglia.

-Oscar!- esclamó sorpreso –dovresti essere a letto! Come ti senti?-

-Un pó meglio- rispose flebile, le stava sorridendo quel suo sorriso che arrivava fino agli occhi e li accendeva di una luminosità particolare e lei sentiva un formicolio strano che le percorreva tutto il corpo.

-Bene, hai fame?- le indicó la pentola -ti ho fatto del brodo e ti stavo per preparare una zuppa di pollo, ti va di mangiare?-

-Zuppa di pollo?- adocchió la pentola con sospetto, non aveva mai incontrato un uomo che sapesse cucinare qualcosa di commestibile.

Lui se ne accorse, perché specificó offeso.

-Ti assicuro che é ottima, uso la ricetta di mia madre!- la fece girare dirigendola verso la sua camera da letto –ora rimettiti sotto le coperte e aspetta paziente che ti porti da mangiare-

-Quante storie! Mi sembri mia nonna- bisbiglió.

-Ti ho sentito sai!- le gridó dietro.

Cinque minuti dopo lei era comodamente adagiata su una pila di cuscini e lui le stava servendo il pranzo a letto su un vassoio.

-Ecco qui madamigella!- prese la sedia che stava nell’angolo e si sistemó vicino al letto.

-Deliziosa- lo complimetó dopo il primo assaggio.

-Ha! Donna di poca fede- era contento di vedere che stava meglio, e anche se era stata male non gli era sembrata più bella, i capelli arruffati, le guance rosse gli occhi lucidi che sembravano ancora più blu, era sicuro che lei non si rendesse assolutamente conto di quanto fosse adorabile in quel momento, un uomo avrebbe fatto follie per averla accanto.

-Volevo ringraziarti...per...tutto insomma, non eri tenuto a prenderti cura di me- non era pratica nel fare ringraziamenti siceri, e quello le sembrava inadeguato.

-Figurati, non avevo la più pallida idea di chi avvisare e tu non eri in condizioni di prenderti cura di te stessa- era curioso peró, come mai non ci fossero foto neanche a casa sua, o nessun oggetto che riflettesse i lati della personalità di chi abitava  nella casa –carino l’appartamento, ci abiti da molto?-

-Mi sono trasferita l’anno scorso, era vicino a quasi tutti i potenziali posti di lavoro, quindi l’ho preso- continuava a concentrarsi sulla zuppa, si sentiva in imbarazzo ad averlo lì, nella sua camera da letto, nessun uomo vi era mai entrato.

Il pensiero la fece sussultare, era vero, non aveva mai portato uno dei suoi rari fidanzati nella sua camera da letto, non ci avevano mai dormito, era lei che andava sempre da loro o se partivano per il fine settimana passavano le loro notti in albergo, se doveva venire a prendere un cambio lo faceva da sola o li lasciava nel salotto, nessun uomo aveva mai varcato la soglia di questo suo spazio privato, sentì il viso andarle a fuoco.

-Cosa c’é? Sei diventata rossa all’improvviso, ti sta tornando la febbre?- si chinó per toccarle la fronte –no, fresca come una rosa. Ti volevo chiedere, il quadro che é appeso nel tuo salotto dove l’hai comprato? Tra poco é l’anniversario...-

Il resto della frase fù perso per Oscar, era paralizzata, lui l’aveva accarezzata, un tocco totalmente innocente e lei andava in tilt, cosa le stava succcedendo? Che fosse colpa dell’influenza? Ma le era successa la stessa cosa quando lui le aveva stretto la mano in ufficio, che fosse attratta da lui? In così poco tempo? Non era possibile, in genere lei era molto più lenta nelle questioni riguardanti le relazioni private, impiegava parecchio tempo a decidere se era interessata a un uomo oppure no. L’ultimo fidanzato che aveva avuto risaliva a...tre anni fa! Così tanto? Non c’era da meravigliarsi allora che stesse reagendo in maniera talmente profonda alla presenza di André, ma sapeva che era una causa persa in partenza, le loro diversità erano troppo grandi e prima o poi li avrebbero separati, come le era sempre successo in passato, doveva tenere con un lui un rapporto più professionale...

-Oscar?- la chiamó piano –Oscar? Sei ancora con noi?-

-Eh?- si era persa nelle sue fantasticherie mentre lui le stava parlando –Scusa, dicevi?-

-Ti stavo chiedendo del dipinto, ne voleva comprare uno simile ai miei genitori per il loro anniversario, a mia madre piacerebbe tanto-

-Quale dipinto?-

-Quello appeso nel tuo salotto, un olio su tela di un paesaggio, quello con il lago e le montagne...-

-Ho capito quale intendi- lo interruppe a testa bassa –é un...regalo...di diverso tempo fà-

Sapeva benissimo quale quadro aveva visto, era quello che aveva dipinto lei, sua nonna l’aveva trovato in soffitta e l’aveva fatto incorniciare regalandoglielo per un natale, “in caso tu voglia un cambio di carriera” le aveva detto “questo potrebbe darti uno spunto”, e lei l’aveva tenuto.

-Non hai nessuna notizia neanche dell’autore? Non c’é il nome ma solo le iniziali “OFJ”, magari potrei...-

-No non lo conosco, hai finito!- non ebbé il coraggio di guardarlo in faccia, meno male i capelli le coprivano buona parte del viso, che aveva deciso di rimanere un costante color rosso quel giorno.

-Va bene...- perché si era arrabbiata per una cosa tanto banale? Gli si sgranarono gli occhi all’improvviso, a meno che...-non dirmi che l’hai dipinto tu?- le iniziali coincidevano.

-No, cosa ti viene in mente!- giocherelló nervosa con il cucchiaio nel piatto.

-Ehi,- le sollevó il mento fino a che i loro occhi non si incontrarono –perché ti vergogni? Non saró un esperto, ma per essere il lavoro di una principiante credo che sia ottimo-

-Non é quello, e che...- liberó il viso e lanció un occhiata ai grattacieli che si intravedevano dalla finestra –mio padre mi ha sempre impedito di dipingere, fino a che non l’ha proprio proibito ed io mi sono convinta che dopo tutto non c’era nessun talento da coltivare, quel quadro é molto vecchio, mia nonna l’ha scovato in soffitta a prendere la polvere e me l’ha mandato sperando che mi tornasse la voglia di dipingere di nuovo-

-Che peccato! E più me ne parli, più sono convinto che tua nonna mi piacerebbe tantissimo- le disse con un sorriso.

L’idea di André e sua nonna che mettevano a ferro e fuoco la casa di suo padre la fece quasi ridere a voce alta, era vero, quei due sarebbero andati d’amore e d’accordo.

-Perché tuo padre ti ha impedito di coltivare il tuo talento per la pittura?-

-Devi sapere che mio padre avrebbe tanto voluto un maschio, che un giorno prendesse il controllo della compagnia di famiglia, ma ha avuto tutte femmine, cinque per l’esattezza, ed alla fine si é dovuto accontentare di me. Ha deciso che tipo di studi avrei dovuto fare e il tipo di vita che avrei dovuto vivere, continuava a ripetermi che il mondo degli affari é duro e spietato e che lo sarei dovuto diventare anche io se volevo sopravvivere e farmi strada, l’amore per l’arte non aveva nessun posto nel suo piano, diceva che gli artisti fanno solo la fame non i soldi e che dovevo dimenticarmi certe sciocchezze, così alla fine ho lasciato perdere-

-Ma é uno scempio!- non poteva crederci! Che razza di uomo l’aveva cresciuta? Che razza di uomo voleva trasformare sua figlia in un barracuda a caccia di soldi e basta?

-Adesso é fatta, non vale la pena piangerci sopra- non lo voleva ammettere ma le faceva piacere che se la prendesse a cuore per qualcosa accaduto tanto tempo fà.

-Non é mai troppo tardi Oscar, se decidessi di cambiare carriera, varebbe la pena di scoprire se il tuo talento é ancora lì- vide l’orologio che segnava l’una, aveva un appuntamento con Simon quel pomeriggio, doveva andarsene –me ne devo andare, ho promesso ad un amico di passarlo a trovare-

-Certo non volevo trattenerti- se ne andava di già?

-Stai a letto e riposati mi raccomando, ci vediamo lunedì in ufficio-

-Va bene, grazie ancora-

-Prego, ma non farmi più nulla del genere, la prossima volta te ne stai a letto quando non ti senti bene-

-Va bene mamma chioccia- lo prese in giro.

-Se proprio devo...riposati ora, ciao-

Con una punta di tristezza sentì la porta del suo appartamento che si apriva e chiudeva e poi il silenzio. Perché gli aveva detto tutte quelle cose di lei e della sua famiglia? In genere non era così espansiva con gli uomini, neanche con quelli con cui aveva una relazione. Era talmente confusa, e la cosa non le capitava spesso, e non le piaceva affatto.

DIV>

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 ***


Dopo quel fine settimana il loro rapporto cambió totalmente, stavano diventiventando velocemente amici, sapevano di dover stare attenti nell’ufficio, ma trovavano il tempo di fare due chiacchere. Non potendo andare apertamente a pranzo assieme, se Oscar non era impegnata, in genere André usciva a comprare qualcosa per entrambi e lo consumavano nella quiete dell’ufficio di lei.

Avevano imparato molto l’uno dell’altro, Oscar ora sapeva tante cose approposito della sua famiglia, che aveva tre fratelli più piccoli, che anche lui veniva da New Orleans e che i suoi abitavano in un villino nei pressi del quartiere francese, che si amavano alla follia, che aveva una marea di zie, zii e cugini e il quadro finale che ne risultava era un gruppo rumoroso e impiccione di persone imparentate fra loro, ma che lui non cambierebbe per nulla al mondo.

André era rimasto sconcertato dai racconti dell’infanzia di Oscar, se non fosse stato per sua nonna, con il tempo sarebbe diventata una copia di suo padre, l’essere cosi affezionata a quella vecchietta aveva fatto in modo che il lato sensibile e dolce del suo carattere, quello che aveva intravisto nel dipinto appeso al muro, non appassissero e morissero, era convinto che la persona giusta potesse aiutarla finalmente a spiegare le ali e ad essere più libera. E sospettava che stava iniziando a sviluppare un debole per lei se non una bella infatuazione in piena regola. Cosa avrebbe detto lei? Alle volte gli sembrava che anche lei provasse le stesse cose, poi la diffidenza prendeva il sopravvento e tornava ad essere la solita riservata Oscar che cercava di mantenere della distanza da lui. Ma se si faceva coinvolgere, come l’avrebbe presa quando le avrebbe detto che lui faceva il giornalista come lavoro e non l’assistente? Si sarebbe di certo sentita presa in giro e tutti i progressi che aveva fatto sarebbero andati dritti dentro lo scarico. Che pasticcio!

Oscar era seduta alla sua scrivania e ripensava la telefonata appena ricevuta, Roger Whittaker, uno dei membri anziani del consiglio di amministrazione della società, l’aveva appena invitata a giocare a golf, insieme ad una coppia di azionisti. Sarebbe dovuta andare al Lyons Country Club questa domenica e doveva portarsi un porta mazze personale. Questa era una di quelle poche volte che ringraziava suo padre delle cose poco ortodosse che le aveva insegnato, tra le quali giocare a golf, le aveva detto che un giorno avrebbe potuto ritornarle utile, si facevano più affari sui campi da gioco che non nelle sale conferenze.

L’unico problema era il porta mazze, anche se sapeva giocare non lo faceva mai, a chi avrebbe potuto chiedere un favore del genere? Oggi era già giovedi, le persone normali aveva fatto tutti i programmi per il fine setttimana a quest’ora. Lo sguardo vagó verso la porta che la separava dalla scrivania di André, magari lui...no non poteva chiederglielo, averlo così vicino e per di più a pochi passi dal suo diretto superiore l’avrebbe uccisa.

In questi ultimi tempi non riusciva a non pensare a lui, non sapeva come toglierselo dalla testa, eppure erano solo amici, no? Non poteva credere che stesse iniziando a provare qualcosa per lui,erano così diversi, le loro vite erano ed erano state diverse, magari doveva iniziare a farsene una ragione, lui non aveva posto nella sua vita per una arrampicatrice assetata di potere, perché era questo ció che lei era vero? Le sembrava quasi di sentire parlare suo padre, suo padre che la spronava a mirare più in alto a guadagnare sempre più soldi e ad avere una posizione di potere. Ma lo voleva davvero? O una parte di lei sognava ancora di diventare una pittrice squattrinata ma felice?

In questi ultimi tempi non era più sicura delle certezze che avevano guidato la sua vita fino ad ora, e tutto per colpa di un paio di occhioni verdi appartenenti ad un uomo dalla gentilezza sproporzionata, che le faceva da assistente.

Prendendo coraggio si diresse alla porta e l’aprì, lui era alla sua scrivania intento a battere al computer qualcosa, molto probabilmente uno dei rapporti che le sarebbero serviti in futuro.

-Hai bisogno di qualcosa Oscar?- le chiese con un sorriso.

Per un attimo si dimenticó del perché fosse venuta, persa in quel sorriso sempre presente che le mandava il cervello in pappa.

-Ehm..ecco...io volevo...- stava facendo la figura della stupida, perché non glielo chiedeva e basta –mi stavo domandando se...hai impegni per questo fine settimana-

André alzó lo sguardo lentamente su di lei, aveva sentito bene? Si chiese con il cuore che batteva all’impazzata, gli aveva appena chiesto se aveva piani per questo week-end, che volesse invitarlo ad uscire con lei? Certo ci sperava con ogni fibra del suo corpo, non aspettava altro da settimane, lui non era riuscito a farsi venire il coraggio di invitarla, non con le bugie che c’erano fra loro.

-Non ancora perché?- rispose con cautela.

-Perché uno dei miei capi mi ha invita a unirmi a lui per una partita di golf questa domenica, e volevo sapere se eri disposto a...-

Golf non era il suo sport, ma poteva andare, pensó lui, tutto pur di passare del tempo con lei fuori da questo ufficio.

-...farmi da porta mazze- terminó lei.

Rimase completamente immobile, farle da porta mazze? Era questo che era venuta a chiedergli, di fargli da porta mazze! In quel momento la natura pacifica, sensibile e gentile di André voló fuori dalla finestra, come poteva essere così ottusa da non accorgersi minimamente che era interessato a lei in modo del tutto non professionale?                                                                        

Oscar interpretó il suo silenzio come indecisione e pensó che magari era meglio dargli un incentivo.

-Si guadagnano $50 all’ora-

-Tieniti i tuoi soldi! Mi sono ricordato di avere già un impegno!- le rispose sgarbato con un tono che non aveva mai usato prima con lei.

Senza un’altra occhiata ritornó al suo computer, con la voglia di torcerle quel collo sottile dalla pelle morbida e bianca che si ritrovava!

Lei lo guardó in maniera strana, cosa aveva detto per farlo arrabbiare così?

-Va bene...grazie lo stesso- cercando di presevare un pó della sua dignità, tornó nel suo ufficio chiudendo la porta.

Era seduta da appena cinque minuti, quando la porta si spalancó e il suo assistente fece il suo ingresso senza bussare.

-Va bene, lo faccio gratis, ma ad una condizione- esordì.

-Sarebbe?- cosa gli era preso tutto insieme?

-Che il sabato successivo esci con me- tutta la sua rabbia era scomparsa quando gli era venuta questa brillante idea.

-Cosa?- l’occhiata che gli rivolse gli fece chiaramente capire che pensava fosse uscito di senno.

-Io ti faccio da porta mazze e tu esci con me, semplice e lineare- le spiegó orgoglioso di se per la bella trovata.

-Ma ti sei ammattito!- era rimasta senza parole, ma non per molto –no, non ci penso minimamente, questo é un ricatto bello e buono!-

-Non lo definirei esattamente ricatto, ma una proposta d’affari, tutto dipende da quanto disperatamente ti serve il porta mazze- avrebbe dovuto pensare prima ad una strategia del genere, si sarebbe risparmiato un sacco di notti insonni.

-Non così disperatamente!- non poteva credere alle sue orecchie, non se lo sarebbe mai apettato, non da lui per lo meno –credo che la troppa confidenza ti abbia dato alla testa, e che ti sia dimenticato chi é il capo qui!-

-Di che cosa hai paura? Che ti possa divertire?- chiese sarcastico, certe volte era così rigida e contenuta che sembrava avesse ingoiato un manico di scopa.

-Non esco con gli assistenti!- la frase pronunciata con disprezzo ebbe l’effetto di uno schiaffo su di lui, Oscar se ne accorse e si pentì immediatamente di averla pronunciata. Cosa le era passato per la mente di dire una cosa del genere, suo padre faceva commenti simili non lei.

-Ah, ora capisco. In fondo non sei altro che una piccola provinciale snob che frequenta solo i figli di papà carichi di soldi, scusa se ho pensato che magari ti saresti potuta interessare a un tipo come me- non riusciva a capacitarsene, dalle loro chiaccherate si era fatto un’idea diversa del suo carattere, ma in fondo era uguale e tutti quelli che erano cresciuti in mezzo al lusso ed erano abituati a pretendere sempre e solo il meglio.

Al diavolo la copertura, se ne sarebbe andato non appena finita la settimana, non valeva la pena perdere altre energie con lei. Ci aveva provato in tutti i modi ad andarle vicino, ma la guardia era sempre alzata, erano rari i momenti in cui riusciva ad  intravedere una persona diversa dalla fredda donna d’affari.

-André...- ed ora come si sarebbe scusata?

-Lasci perdere signorina- giró sui tacchi e se ne andó sbattendo la porta, non gli importava un accidente se tutto l’ufficio lo sentiva.

Oscar rimase immobile a fissare la porta chiusa, cosa aveva combinato? Come era degenerata la situazione a quel modo, gli aveva chiesto un favore ed erano finiti con il scambiarsi insulti. Il fatto era che la sua proposta l’aveva presa alla sprovvista e non le piaceva essere presa alla sprovvista, tutti i campanelli d’allarme nella sua testa si erano messi a suonare e per autodifesa l’aveva aggredito, ferendolo in un modo che aveva visto usare da suo padre diverse volte, quando considerava gli altri inferiori a lui, un modo di comportarsi che l’aveva sempre mandata su tutte le furie e che aveva giurato di non emulare mai, invece...

Invece aveva visto gli occhi di lui incupirsi, un lampo di sorpresa gli aveva attraversato lo sguardo, sostituito in fretta prima dal dolore e poi da un’espressione fredda che non avrebbe voluto rivedere mai più.

Lei non era come suo padre, continuó a ripeterlo mentre si alzava e si dirigeva alla porta aprendola con decisione, lui era tornato alla sua scrivania e non diede il minimo indizio di averla sentita.

-André...- lo vide irrigidirsi, ma non si mosse –sono venuta a scusarmi, non mi andrebbe di farlo con la tua schiena-

-Scuse accettate, ora se non le dispiace dovrei tornare al lavoro- non l’aveva guardata e non ne aveva intenzione, era furennte di rabbia, soprattutto verso se stesso, per essersi lasciato coinvolgere così profondamente da lei, gli era basto guardarla dritto negli occhi per sentire che stranamente erano legati, dal primo momento, sarebbe stato meglio invece se si fosse concentrato solo sul lavoro che era venuto a fare senza deviazioni di sorta.

-André perfavore, non renderlo ancora più difficile di quanto non lo sia già, mi dispiace, ho detto cose poco carine - le avrebbe fatto sudare ogni più piccola concessione.

-Sono certo che ingoiare un pó di quell’orgoglio di ferro di cui sei munita deve costarti parecchio, attenta a non strozzarti!-

Se l’era meritato, lo ammetteva, ma adesso erano pari, al prossimo insulto gli avrebbe risposto per le rime.

-Non intendevo dire ció che ho detto, la tua proposta mi ha preso in contropiede, dovresti sapere oramai che non sono quel tipo di persona, non penserei mai niente del genere, soprattutto non di te-

Era vero lo sapeva, e un pó della sua rabbia inizió a svanire.

-Scuse accettate- le ripeté, ma guardandola dritta negli occhi.

-Bene- si voltó pronta a ritornare nel suo ufficio ma non si mosse, non bastava, se voleva che le cose tra loro ritornassero come prima doveva essere sicera e fargli capire che la sua reazione non aveva nulla a che vedere con lui personalmente.

-Il fatto e che...- cominció piano -...non sono molto brava e gestire le relazioni interperspnali, non mi viene facile fidarmi del prossimo. Negli affari non mi batte nessuno, riesco a capire quello che gli altri pensano in un batter d’occhio, ma quando si tratta della sfera personale non sono molto pratica, mio padre mi ha sempre insegnato a non fidarmi di nessuno, a contare sempre su me stessa e ad essere indipendente, e le brutte abitudini sono dure a morire. A parte Rosalie, la mia più cara amica, sei il primo con cui abbia avuto un rapporto di amicizia simile, sai delle cose su di me che, a parte lei, non ho mai raccontato a nessuno-

André rimase a guardarla per un lungo momento, riusciva a vedere chiaramente quanto le fosse costato fare un’ammissione del genere, gli ultimi rimasugli di rabbia si sciolsero come neve al sole. Ora sapeva di aver sbagliato, per riuscire ad arrivare dritto al centro avrebbe dovuto prendere la strada più lunga e circondarla per cercare di sgretolare tutte le barriere protettive che aveva eretto durante gli anni, sapeva che ne sarebbe valsa la pena, aveva intuito tempo fa quale tipo di donna si celasse dietro gli abiti maschili e le apparenze insignificanti, ed era deciso a farla sua prima o poi.

-Sono io che devo scusarmi, non volevo che il mio invito suonasse come un ricatto, non credvo mi avresti detto si e quella mi era sembrata una buona idea per convincerti ad accettare. Se vuoi ancora che ti accompagni alla partita di golf , non ho altro da fare questo fine settimana-

-Davvero?- era contenta, lui aveva capito e non era più arrabiato, e da quello che aveva detto non voleva neanche più uscire con lei il sabato successivo, invece di essere contenta una strana ondata di delusione la travolse.

-Ma si, così lunedi lo posso raccontare ai barracuda là fuori e farli schiattare di invidia!- la battuta aveva lo scopo di allentare la tensione e di farla ridere e così fu, i lineamenti del viso le si erano distesi e sembrava più tranquilla, anche se aveva ancora uno sguardo strano.

-Ci sto, puoi spargere la voce con dovizia di particolari. Ci vediamo domenica al Lyons Country Club alle dieci-

-Saró puntuale-

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 ***


La domenica successiva Oscar si alzó di ottimo umore, canticchiava mentre faceva la doccia e mentre si preparava per andare al Country Club, chiamó un taxi e si preparó una cioccolata calda mentre aspettava, cosa avrebbe dato per una tazza di quella fatta in casa come solo sua nonna sapeva fare, mmmm...quasi le veniva l’acquolina, invece avrebbe dovuto accontentarsi delle bustine da sciogliere nel latte caldo, peccato.

Il Lyons era appena fuori città, traffico permettendo sarebbe dovuta arrivare in un’oretta. Mentre il paesaggio passava veloce fuori dal finestrino i suoi pensieri vagavano pigri senza meta, era la prima volta in mesi che non si era svegliata ossessionata dal lavoro, si chiese che se in qualche modo centrava il fatto che avrebbe visto André quella mattina.

Seppure avrebbero dovuto tenere un atteggiamento formale tra di loro non poteva fare a meno di pensare che quella era la prima volta che si vedevano fuori da un ambiente lavorativo, se non si contava la volta che l’aveva soccorsa in un momento di disperato bisogno, e quella non contava, lei non era stata nel pieno delle sue facoltà mentali, non era stata in grado di gustarsi l’attimo appieno, la sua vicinanza, il suo calore, il suo...scosse la testa con decisione, ma cosa andava a pensare! Aveva gia deciso che con lui non ci poteva essere nulla, quindi non aveva nessun bisogno di fantasticare a quel modo.

Il taxi si fermó davanti all’ingresso e dopo aver preso la borsa con le mazze lo pagó e si diresse alla reception, la ragazza al banco la informó che il Signor Whittaker la stava aspettando, così come il giovanotto che era arrivato una ventina di minuti fà.

Voltandosi nella direzione indicatale Oscar vide André che stava comodamente seduto su una delle poltrone in pelle e la osservava, era vestito completamente di bianco, dove li aveva presi abiti del genere? Si sarebbe confuso senza problemi con il personale che lavorava per il  club. Senza togliere nulla all’aria conturbante che aveva quella mattina, certo non aveva quell’aspetto quando stava in ufficio, oppure si?

André le si avvicino, era rimasto qualche attimo senza parole quando l’aveva vista entrare, il cappellino con la visiera verde che le proteggeva gli occhi dal sole, la maglietta color limone con colletto bianco e rifiniture sulle maniche della stessa tinta, i pantalocino aderenti, non corti come avrebbe voluto, ma che mettevano in bella vista le lunghe gambe affusolare, riusciva a trovare attraenti anche le scarpette chiodate che indossava per la partita. Decisamente preferiva quello che vedeva ora a quello che vedeva in ufficio tutti i santi giorni.

-Buon giorno- le disse.                                                                                              

-Buon giorno- dovette sollevare il capo per guardarlo in viso, era sempre così quando le stava troppo vicino.

-Dammi- le tolse la sacca dalle mani –pronta?-

-Andiamo Roger ci sta aspettando-

Le si mise diestro e la seguì, notando con piacere il fondoschiena che ondeggiava nella naturale grazia della sua camminata, questa giornata poteva anche rivelarsi meno noiosa di quello che aveva pensato in principio.

Quando arrivarono nella saletta privata dove la stavano aspettando rimase in disparte, sapeva quale era il suo ruolo per il resto della giornata, ma chissa se avrebbe scoperto delle cose interessanti, era probabile che la conversazione si sarebbe spostata sul lavoro.

Gli altri due uomini insieme a Roger Whittaker erano, Mark Spencer, avvocato e Thomas Dratt, capo di una nota impresa edile. André sapeva che il primo era il cofondatore della compagnia ed ora membro del consiglio di amministrazione, era convinto di aver già sentito nominare il secondo uomo, ma non gli veniva il maente, e il terzo non aveva la più pallida idea di chi fosse, sarebbe valsa la pena passare i niminativi a Simon e fargli fare delle indagini.

Il gruppo con relativi porta mazze si incamminó verso il campo verde chiaccherando amabilmente e pronto per iniziare la partita, sarebbe stato interessante osservare come se la sarebbe cavata Oscar, non aveva mai incontrato una donna che sapesse giocare a golf.

Dopo un’ora André dovette ammettere che lei era davvero brava, stava dando del filo da torcere ai suoi compagni, per nulla intimorita dal fatto che uno di loro fosse il suo diretto superiore, aveva una luce negli occhi che non prometteva bene per gli avversari. Anche se avrebbe volentieri pestato a sangue il biondino che corrispondeva al nome di Mark, non aveva staccato gli occhi da Oscar per più di due secondi per volta, se le lanciava un’altra occhiata lasciva diretta al suo fondoschiena non rispondeva più delle sue azioni. E più gli stava vicino più la sensazione di conoscerlo aumentava, forse aveva letto il suo nome sul giornale, magari facendo l’avvocato era stato coinvolto in qualche caso di pubblico interesse...poi gli venne quasi un colpo. Si era ricordato dove aveva visto il suo nome, nel fascicolo di Alain! Era l’avvocato della famiglia mafiosa, quello che li faceva uscire tutti di galera, che spesso faceva da prestanome e che si occupava degli investimenti.

La sua Oscar stava beatamente giocando a golf con un mafioso dal colletto bianco, chissa se Roger aveva a che fare con gli affari della famiglia, si chiese con interesse, magari era lui che all’interno dela compagnia copriva i movimenti loschi di denaro, avrebe dovuto fare una capatina in incognita nel suo ufficio e cercare di scoprire qualcosa, avrebbe anche dovuto contattare Simon il più in fretta possibile.

Alla fine Oscar si lasció battere, anche se di poco, la  prudenza sulla salvaguardia dell’orgoglio maschile aveva avuto la meglio sul suo spirito combattivo, quello che la incitava a dare sempre il meglio in ogni occasione, cosa che le fù utile, perché alla fine della giornata i tre uomini pendevano letteralmente dalle sue labbra, se avesse chiesto una promozione e uno sostanziale aumento glieli avrebbero dati senza battere ciglio. Soprattutto il biondino, le stava sbavando dietro come un assatanato, e lei...le cose erano due, o non se ne rendeva conto o stava cercando di sfruttare la situazione a suo vantaggio, e lui era convinto che la prima ipotesi fosse quella veritiera.

Era incredibile come Oscar fosse totalmente inconsapevole del fascino che esercitava sugli altri, a parte forse i suoi colleghi d’ufficio che oramai la detestavano più per principio che per una valida ragione, lei era come il sole, tutto le orbitava intono ma nulla poteva andarle troppo vicino, ogni giorno che passava ne era sempre più affascinato.

Oscar non poteva essere più contenta sullo svolgimento della giornata, le era costato farsi battere, anche se per pochi punti, ma aveva fatto grandi progressi nel campo delle pubbliche relazioni all’interno della società, sapeva che Roger la stimava, era stato lui a volerla assumere quando tutti gli altri erano stati scettici verso di lei inquanto donna, non erano convinti che fosse in grado di ricoprire una posizione del genere e non creare problemi alla compagnia, per quanto riguradava gli altri due, non era male ingraziarsi gli azionisti di maggior rilievo, anche se non le piaceva il modo in cui il biondino l’aveva guardata per tutto il giorno.

Poi c’era stato André, l’aveva avuto vicino tutto il pomeriggio, anche se era stata costretta ad ignorarlo per la maggior parte del tempo, ma lui era rimasto li, silenzioso e attento, l’aveva anche scoperto a fissare il biondino con una luce assassina nello sguardo, che fosse stato per lei? Le sarebbe piaciuto pensarlo.

Ora doveva chiamarsi un taxi e tornarsene a casa, aveva fatto i salti mortali per convincere Mark che non le serviva un passaggio a casa, non le piaceva che sapesse dove abitava, lui non c’era rimasto benissimo, ma non lo voleva attorno. Stava per farsi dare il telefono dalla receptionist del club, quando qualcosa fuori attrasse la sua attenzione, un uomo tutto vestito di bianco era pigramente appoggiato sul cofano di una Mercedes sportiva e la stava guardando attraverso le porte a vetro.

Con un sorriso prese la sacca e lo raggiunse.

-Cosa ci fai ancora qui? Credevo che te ne fossi andato diverse ore fa- era vero, lei era rimasta per un drink e quattro chiacchere, ma gli aveva detto che se voleva poteva andare.

-Pensavo che ti servisse un passaggio a casa e sono rimasto ad aspettarti- e a sperare che non se ne andasse con il biondino mafioso.

-Grazie, non mi andava davvero di prendere un taxi- perché il cuore le stava battendo così forte? Dal tronde le stava solo dando un passaggio a casa nulla di speciale.

-Andiamo- le prese le mazze e dopo averle sistemate nel cofano la fece accomodare e si sistemó nel sedile di guida.

Un silenzio imbarazzato scese tra loro, entrambi avevano tante cose da dirsi ma non sapevano da che parte iniziare.

-Credi che...-

-Ti sei....-

Iniziarono insieme.

-Prima tu...-

-Prima tu...-

A quel punto si misero a ridere, se continuavano non sarebbero andati da nessuna parte.

-Prima le signore- la invitó con un sorriso.

-Grazie ancora per il favore, so che deve essere stato noioso per te, ma l’ho apprezzato-

-Di nulla- come faceva a non capire che l’unica cosa che si ricordava della giornata trascorsa era il panorama, e gli effetti che le aveva lasciato addosso, il sole le aveva colorato le guance e fatto diventare i capelli di intenso color oro, anche il suo profumo era diverso, l’odore del sapone che usava per lavarsi si era mischiato con quello dell’erba e dell’aria fresca, ora profumava come un prato fiorito in primavera. Era bella ta togliere il fiato in questo momento.

-Come fai a permetterti una macchina del genere?- chiese incuriosita.

-Non é mia- le spiego con un sorriso biricchino –l’ho noleggiata, non potevo presentarmi con il mio maggiolino scassato ti pare?-

L’immagine di lui al volante di un maggiolino mezzo arrugginito la fece sorridere, era un tipo semplice lui, il lusso per lui non era da prendere seriamente, se l’aveva se lo godeva, ma se non l’aveva era lo stesso, come era diverso da tutti quelli che aveva conosciuto. Suo padre si muoveva nei circoli dei ricchi e famosi, voleva che lei coltivasse solo le amicizie che potevano ritornarle utili, se avesse scoperto che aveva un rapporto del genere con il suo assistente gli sarebbe venuto un infarto.

Magari valeva la pena dirglielo,  per metterlo fuori combattimento per un pó.

-Come mai ti sei lasciata battere?- le chiese all’improvviso.

-Come fai a essere sicuro che ho perso di proposito?- chiese stupita, come fatto ad accorgersene?

-Ti ho osservata giocare, hai fatto il minimo numero di errori per perdere con dignità, mi sarei aspettato che li stracciassi senza pietà-

-L’idea era quella, ma alla fine devi sempre cercare di ingraziarti il tuo capo-

Lui sorrise, l’idea non era male, magari avrebbe dovuto seguire il consiglio.

-Mi sembra di aver già visto il biondino da qualche parte, tu non hai avuto la stessa sensazione?- tanto valeva sondare il terreno.

-Mark Spencer? Non mi sembra, ma magari essendo un avvocato di grido é finito sui giornale-

Era sincera non sapeva nulla, pensó seriamente di metterla in guardia, di convincerla a lasciare quel posto prima che scoppiasse il caos e che le succedesse qualcosa, ma farlo avrebbe significato far saltare la sua copertura e lui non aveva ancora raccolto delle prove definitive, seguire la pista che partiva da Roger Whittaker era un ottimo punto, avrebbe deciso il dafarsi più in là.

Il traffico non era ancora fitto, quindi riuscirono ad arrivare al palazzo dove abitava lei in meno di un’ora, lui parcheggiò la macchina e l’accompagnó alla porta.

“Sei così bella stasera Oscar, ho una voglia terribile di baciare quelle labbra rosa e morbide che hai”

Ma lei era inconsapevole dei pensieri che passavo per la testa del ragazzo, era solo contenta di poterlo avere vicino ancora per un pó, prese le chiavi e aprì il portone.

-Grazie per il passaggio-

-Non pensarci, ho sempre avuto un punto debole per le damigelle in difficolta-

-Buona notte André- gli sorrise, doveva essere contagioso, quando era con lui sembrava che non riuscisse a smettere.

-Buona notte Oscar- le stava per andarsene, magari ora era il momento giusto, al massimo gli avrebbe sbattuto il portone in faccia e lui avrebbe fatto una figuraccia –ehi Oscar!-

Lei si era fermata e lo guardava con uno sguardo interrogativo.

-Esci con me sabato?- vide un soppracciglio dorato che si alzava stupito –che male c’é? Non é un appuntamento, solo due amici che vanno a divertirsi-

-Lo sai che in genere non si dovrebbero complicare così le relazioni di lavoro?- ma che stai dicendo stupida! Dligli di si e falla finita!

-Allora considerami licenziato!- le disse ridendo –allora? Ora mi dici di si?-

Lo guardó a lungo, dritto in quelle due pozze verdi che brillavano nella luce artificiale del lampione che illuminava la sua strada, perché no? Era da tanto che non usciva a divertirsi, tutte gli intrattenimenti a cui era stata ultimamente erano stati di una noia mortale e per un motivo o per l’altro collegati al lavoro, aveva bisogno di un diversivo.

-Va bene- rise all’espressione stupita di lui –vattene prima che cambi idea!-

-D’accordo...allora ci...vediamo sabato!- si era aspettato più resistenza da parte della donna, che in fondo fosse attratta da lui, ma aveva paura ad ammetterlo? Pensiero interessante.

Lo osservó mentre camminava lungo il marciapiede diretto alla macchina e ricordandosi di qualcosa all’improvviso lo richiamó.

-Guarda che se domani non sei in ufficio puntuale sono dolori!-

Lui semplicemente rise, mise in moto e andò via.

Oscar si chiuse il portone alle spalle e vi si appoggiò sopra con gli occhi chiusi pensando:

“Mio Dio che cosa ho fatto!”

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 ***


Quella settimana fù una delle peggiori per lei, non solo era piena di lavoro e appuntamenti di ogni genere, ma il suo cervello si rifiutava di collaborare, nei momenti meno oppurtuni continuava a vagare verso l’uomo che stava seduto alla scrivania appena fuori dal suo ufficio, e al fatto che il sabato sarebbero usciti insieme.

Cercava di evitarlo in tutti i modo, cosa difficile visto che avrebbe dovuto passargli davanti per poter uscire dal suo ufficio, per qualche strana ragione si sentiva in imbarazzo, lui le aveva assicurato che non era un appuntamento, era solo un’uscita tra amici, allora perché si sentiva così nervosa?

Perché sei attratta da lui ammettilo! Le gridò la vocina petulante che da un pó di tempo a questa parte aveva preso dimora nella sua testa, ci mancava solo lei! Piano, piano si stava trasformando in un caso da manicomio, sentiva le vosi e parlava con se stessa.

Se André si era accorto di qualcosa non lo dava a vedere, meglio cosi almeno non penserà di voler uscire con una svitata a cui mancava qualche giorno della settimana, continuava tranquillo a svolgere il suo lavoro, ad essere gentile e...ad essere più allegro del solito. Ora che ci pensava aveva notato che era più di buon umore del normale, chissa come mai.

Quando arrivó il venerdi mattina, si sedette sulla comoda poltrona in pelle del suo uffcio e tiró un lungo sospiro di sollievo, la settimana era finalmente finita,  e lei non aveva arrecato nessun danno alla compagnia, poteva ritenersi soddisfatta. E domeni sarebbe stato sabato. Mmmm.

Poco dopo la porta si aprì dopo un breve bussare e André entró con in mano una tazza fumante e dei fascicoli.

-Ti ho portato della cioccolata calda, anche se non so come fai a berla, siamo in agosto! Questi sono i fascicoli che volevi ieri, sono finalmente riuscito a scovarli...-

Ma lei non lo ascoltava, aveva lo sguardo fisso sulla cioccolata che le mandava rivoli di vapore sul viso e lo osservava di sottecchi, quella camicia azzurra con cravatta coordinata gli stava d’incanto, per non parlare di quei pantaloni, aderivano nei punti giusti...

-Oscar? Oscar? Lo so che la cioccolata ti piace ma ti dispiacerebbe cercare di tornare dal paradiso dei golosi e prestare un pó di attenzione?- le disse divertito, era stata strana per tutta la settimana, lo evitava quando possibile, e quando no cercava di non guardarlo in faccia, sembrava che fosse in costante stato di imbarazzo, perché? Perché doveva uscire con lui? No non era il caso, la teoria che lui le piaceva stava acquiatando ogni giorno più punti, bene, domani le avrebbe dato il colpo di grazia.

-Eh?- sentì il viso che le diventava porpora, che strano era sempre stata convinta che fosse incapace di arrossire, invece la vicinanza di lui le aveva provato il contrario, sembrava che non riuscisse a fare altro ultimamente –si mi ricordo gli appuntamenti della giornata-

-Bene allora torno di là, ho delle ricerche da fare- stava per andarsene quando si fermó sulla porta –ah dimenticavo, domani ti passo a prendere alle nove-

La cioccolata che stava cercando di assaggiare le brució la lingua lasciandogliela insensibile.

-Va...bene- che figura da idiota, grido la vocina petulante.

-Vestiti comodi e sportivi mi raccomando!- con delicatezza si chiuse la porta alle spalle.

Oscar corse al piccolo frigo e prese una bottiglietta d’acqua ghiacciata, aveva la lingua in fiamme, e come ultima umiliazione le sembró di sentire qualcuno che sghignazzava dall’altro lato della porta.

Il giorno dopo si sveglió all’alba, impiegó due ore a decidere cosa intendesse lui per abbigliamento “comodo e sportivo”, alla fine decidendo per un paio di jeans ed una magliettina aderente con la scritta “Dolce&Gabbana” sul davanti e i suoi fedeli stivali, senza tacchi a spillo. Alle otto e mezza era nel suo salotto a passeggiare avanti e indietro, convincendosi che tanto alla fine non sarebbe venuto, e quando alla fine il citofono suonó per poco non le venne un colpo e rischió di inciampare nelle frange del tappeto.

La voce gracchiante del portiere la informó che un signore l’aspettava di sotto, con il cuore che batteva prese le chiavi di casa e scese nell’atrio.

Non appena lo vide, la saliva decise di scomparire del tutto dalla sua bocca e la lingua le si attacco al palato, avrebbe dovuto essere cieca per non apprezzare il modo in cui i jeans gli fasciavano le gambe muscolose e il fondoschiena sodo, la maglietta era senza maniche e della stessa sfumatura verde dei suoi occhi, i capelli erano leggermente arruffati, non ne volevano proprio sapere di stare apposto, e il suo sorriso era sempre lì ad accoglierla.

-Buon giorno, sei pronta per andare?- le chiese aprendole la porta.

-Si, ma non mi hai ancora detto dove stiamo andando-

-È una sorpresa-

Oscar si fermó di botto non appena girato l’angolo, lui si era fermato davanti ad un maggiolino giallo, che sebbene non arrugginito, aveva visto tempi migliori, non poteva crederci che l’avesse davvero, aveva pensato che stesse scherzando, e per poco non scoppió a ridere, non voleva lo prendesse come un’insulto.

-Non é una limousine, ma ci porterà a destinazione senza problemi- le aprì la portiera con un gesto galante e la fece entrare.

L’interno era lindo e profumava di vaniglia, dovuto all’alberello giallo che penzolava allegro dallo specchietto, chissa se avrebbe fatto un botto all’accensione.

Ma la macchina fù silenziosa, e la radio partì insieme al motore rallegrando l’atmosfera.

-Non vuoi neanche darmi un piccolo indizio su dove siamo diretti?- era incuriosita, dove voleva portarla?

-Diciamo che é un posto insolito, dove non vai spesso- disse con sorriso, se le avesse detto dove la voleva portare si sarebbe di sicuro rifiutata.

Rimasero in silenzio per il resto del viaggio, e Oscar guardava con attenzione i segnali stradali cercando di capire dove la volesse portare, ma senza successo, poi quando svoltó due volte consecutive per la stessa direzione, inizió a venirgli un sospetto, non poteva essere, non aveva intenzione di portarla in un posto del genere.

Ma alla fine dovette rassegnarsi, erano all’ingresso, e la scritta colorata che diceva “Playland”, la prendeva in giro dall’alto dei sei pali che necessitava per tenerla su. L’aveva portata in un parco di divertimenti.

-Non posso credere che mi hai portato qui- lo guardó al colmo dello stupore, notando che non era per nulla scomposto, aveva la tipica espressione dei bambini presi con le mani nel sacco e per nulla pentiti.

-Andiamo ti divertirai fidati!- la prese per mano e la trascinó alla biglietteria.

-Cosa ti credi che abbia, ancora dieci anni?- chiese offesa.

-Ma tu li hai mai avuti dieci anni Oscar?- le chiese porgendole il biglietto –andiamo, ti faró divertire come mai in vita tua, dammi una possibilità-

Lei lo guardó scettica, non era affatto sicura che quello fosse il tipo di divertimento adatto a lei, ma l’aspettativa che gli brillava negli occhi era troppo da sopportare, non voleva deluderlo, era davvero convinto che si sarebbe divertita.

-Va bene, ma solo per un paio d’ore, poi mi porti da qualche altra parte-

-Affare fatto!-

Al colmo della soddisfazione la tiró verso le barriere, aveva previsto ogni tipo di resistenza da parte di lei, ma lo scopo di quella giornata era di farla divertire con qualcosa di semplice, un pó stupido ed eccitante, voleva che perdesse tutto quel contegno che la caratterizzava, voleva vedere i suoi occhi brillare e sentire una risata che nasceva da pura felicità, e non da blando divertimento, come spesso gli accadeva, l’aveva vista sorridere, ma mai ridere di cuore.

Dopo un giro nella centrifuga, uno nella torre e dello zucchero filato, Oscar doveva ammettere che non era poi niente male quel posto, e pensare che non era mei stata in un parco divertimenti, in genere le sue vacanze le passava in posti esotici con il mare a due passi o nella villa sulla spiaggia dei suoi genitori, d’estate per lo più aveva lavorato e il poco tempo libero che si era mai concessa preferiva passarlo con sua nonna o con la sua amica Rosalie. Quante cose si era persa crescendo nel modo poco ortodosso imposto da suo padre?

Se l’aveva chiesto spesso ultimamente, ma ora più che mai, quando era circondata dai colori, non c’era angolo in questo posto che non fosse dipinto con colori brillanti, e da una marea di bambini, c’erano bambini di ogni età da per tutto, i visini contenti, e le loro risate allegre che permeavano l’aria, non poteva fare a meno di sorridere allo spettacolo che offrivano.

Pranzarono in uno dei ristorantini all’interno del parco e dopo di che André la dichiaró pronta per l’attrazione principale di Playland, “il drago sputa fuoco”, che altro non era che una delle montagne russe più spaventose che avese mai visto, alle sue proteste, che comprendevano anche il pranzo appena mangiato, lui non fece una piega sottolineando il fatto che tutto il divertimento del giro era di non dare di stomaco durante o dopo.

Oscar venné legata per bene nell’abitacolo, lo stesso per André al suo fianco, ma prima che iniziasse la corsa non poté fare a meno di lanciargli un’occhiataccia che prometteva vendetta, ma lui scoppio a ridere e le consiglió di rilassarsi.

L’ondata di terrore seguita da un afflusso anormale di adrenalina, che la investì al primo giro della morte, fù qualcosa che non aveva mai provato prima, le andó dritta al cervello, il panorama attorno a lei era solo una macchia confusa di colori, l’unica cosa che riusciva a percepire era solo l’alta velocità e il fatto che lo stomaco le fosse finito al posto delle tonsille, allora non le restó che seguire il resto della comitiva di ragazzini che aveva affollato il mezzo insieme a loro, e lanciarsi in una serie di grida euforichee liberatorie.

Quando scesero, lei era una delle poche persone che avevano stampato sulla faccia un sorriso ebete, anche André sembrava non aver preso la corsa tanto bene.

-Se devi dare di stomaco c’é un bel cespuglietto da quella parte- gli disse trattenendo a stento le risa.

-Molto divertente saputella- anche se aveva lo stomaco sotto sopra ne era valsa la pena, l’espressione di lei in questo momento non l’avrebbe mai dimenticata.

–Dai rifacciamolo di nuovo!- gridó allegra quasi saltellando sú e giú.

-Sul mio cadavere! Una volta basta e avanza!- disse allontanandosi.

Avevano fatto solo qualche passo, quando qualcosa dietro ad una siepe attrasse la loro attenzione.

-André...- lo chiamó piano.

Sotto alla siepe c’era una bambina che piangeva a dirotto abbracciandosi le ginocchia e con il capo chino.

-Che cosa pensi le sia successo?- chiese preoccupata.

-Molto probabilmente si é persa, vieni, vediamo se riusciamo a farci dire qualcosa-

Entrambi entrarono nell’aiuola e le si inginocchiarono vicino.

-Ehi piccola, perché piangi?- le chiese Oscar in tono gentile.

-Ho...perso la...mia mamma!- rispose tra un singhiozzo e l’altro ma senza alzare la testa.

-Magari se ci dici come si chiama la tua mamma ti possiamo aiutare a cercarla- continuó André con lo stesso tono gentile usato da Oscar.

-La mia mamma...dice che...non devo...parlare con gli...sconosciuti-

-Consiglio utilissimo, allora io sono Oscar e questo signore vicino a me é il mio amico André. Adesso ci dici quale é il tuo nome?-

-T-Tia-

-Che nome carino, mi dici quanti anni hai Tia?-

-Sette-

-Sei una signorinella oramai, cosa ne dici se andiamo a cercare la tua mamma insieme? Credo che sia molto preoccupata visto che non riesce a trovarti-

Due occhioni verdi pieni di lacrime e impauriti si posarono su di loro, fissandoli con diffidenza e speranza allo stesso tempo.

-Mi...portate dalla mia...mamma?- chiese con una vocina sottile e tremante.

-Certo, andiamo- André le tese la mano aperta e la bimba la prese con riluttanza.

Istintivamente la bimba afferró anche la mano di Oscar e si mise a camminare tra i due, era così carina pensó lei, con i riccioli rossi scompigliati, un vestitino di cotone leggero verde e i sandaletti estivi rosa trapuntati di fiorellini.

-Da dove iniziamo a cercare la madre?- gli chiese.

-Non so questo posto é immenso, forse é meglio se la portiamo al padiglione per i bambini scomparsi e la facciamo chiamare all’altoparlante-

 -Ottima idea, sei pronta tesoro?- la bimba fece di si con la testa con un’espressione solenne che la fece sorridere, e vedenderla con il visino tutto rosso e accaldato le fece pena –cosa ne pensi se sulla via ci compriamo un bel succo di frutta o del gelato?-

-Gelato!- rispose ritrovando l’allegria istantaneamente.

-Tutte uguali voi donne, alla minima avversità vi affogate di zuccheri- le prese in giro André cercando di alleviare l’ansia della piccola.

-Ah! Non lo sai che il gelato cura tutto! Non é vero Tia?- aveva capito ed era stata al gioco.

-Certo, la mia mamma mi da sempre un dolcetto quando mi sento triste-

-Visto, la mamma di Tia deve essere una persona davvero saggia- così riuscì a strappare un sorriso alla bambina.

-Va bene lo so quando sono sconfitto dalla maggioranza, allora andiamo a prendere questo gelato?-

 I tre si incamminarono mano nella mano verso il chioschetto dei gelati, e dopo aver comprato tre coni al cioccolato con la panna montata, andarono verso il padiglione che ospitava i bambini che si erano persi in attesa di di essere venuti aprendere dai rispettivi genitori. Lungo la strada si accorsero che Tia era quel tipo di bambina a cui bastavano cinque minuti per prendere confidenza per poi stordirti con una marea di chiacchere, alle quali i due risposero con pazienza e un pò divertiti.

Una volta arrivati a destinazione André spiegó all’impiegato cosa era successo, il quale si affrettó a fare un annuncio per la madre di Tia, non gli restava che aspettare.

Il padiglione era attrezzato di giochi, perciò la bambina aveva un modo per passare il tempo mentre aspettava la madre, e quando invitó Oscar a sedersi sul pavimento con lei per costruire qualcosa con i blocchi colorati la ragazza non se lo fece ripetere due volte.

André rimase leggermente in disparte ad osservarle, non riusciva a staccare gli occhi dalle due, Tia nell’esuberanza del gioco si era messa in braccio a Oscar, che le aveva fatto uno spazio tra le ginocchia aperte e sembrava a proprio agio, rispondendo con sollecitudine alle domende della piccola e aiutandola a costruire quello che in teoria doveva essere il castello delle fate. Aveva sempre sentito che l’istinto materno veniva naturale a tutte le donne, ma non l’aveva mai visto in azione, e soprattutto non se lo sarebbe mai aspettato da lei, con il tipo di infanzia avuta si era spettato che fosse più chiusa verso il prossimo, invece era riuscita a trovare un’affinità istantanea con la piccola, non si prodigava in smancerie ma era gentile e attenta, e al momento, molto molto attraente ai suoi occhi.

I pensieri di Oscar in quel momento erano pressapoco sulle stesse linee, si era stupita di come questa bimba le fosse diventata subito simpatica, doveva essere l’orologio biologico che si faceva sentire in un modo tutto suo, in genere non si soffermava molto sul pensiero di avere dei bambini, aveva la sua carriera che le impegnava i giorni e non aveva tempo per infilarci anche un bimbo, non ora. E poi non aveva trovato il padre ideale, qualcuno che non fosse così preso dal suo lavoro come lei, qualcuno che non avrebbe dato ai suoi bambini lo stesso tipo di infanzia che aveva avuto lei, ma una spensierata fatta di giornate all’aperto e gite a Playland, qualcuno come...lo sguardo le si posó involontariamente sull’uomo che stava seduto su una panchina troppo piccola per lui.

Si, qualcuno come André.

I pensieri di entrambi furono interrotti dall’arrivo di una signora trafelata, che altri non poteva essere che la mamma di Tia, visto che la piccola era una sua versione in miniatura.

-Tia!- le gridò andandole incontro e abbracciandola –oh tesoro! Mi hai fatto prendere uno bello spavento! Non allontanarti mai più!-

-Mammina...- la bambina le restituì l’abbraccio con forza.

-Siete stai voi a portarla qui?- chiese rivolta ai due giovani che stavano lì vicino.

-L’abbiamo trovata che piangeva tutta sola e l’abbia portata subito qui- le spigeò André.

-Grazie tante, non so davvero come ringraziarvi!- gli disse con le lacrime agli occhi.

-Si figuri, é stato un piacere fare due chiacchere con la piccola Tia, e sono sicura che abbia imparato la lezione e non si allontanerà più, non e vero?- le disse Oscar.

-Si, mai più- le rispose la bimba con sicurezza.

-Grazie ancora, adesso andiamo tesoro é quasi ora di andare a casa- la prese per mano e si avvió verso la porta –saluta e ringrazie questi ragazzi così gentili-

-Ciao Oscar, ciao André, grazie per avermi trovato!-

-Prego, ciao-

-Ciao Tia-

La bambina scomparve con la mamma e anche loro uscirono dal padiglione.

-Cosa ti va di fare ora?- le chiese André.

-Se andiamo via adesso, facciamo in tempo ad andare a cenare da qualche parte, cosa ne pensi?-

-Ottima idea-

Così decisero di andarsene, il pomeriggio era quasi finito e loro due avevano passato abbastanza tempo lì a divertirsi.

Sulla strada per l’uscita passarono difronte ad un chiosco con tanti pupazzi appesi alle pareti di diverse grandezze, era uno di quelli dove bisognava colpire i barattoli con le palle e a seconda del numero di barattoli vincevi un premio, André non resistette alla tentazione e ad Oscar non poté far altro che fermarsi con un’espressione esasperata.

-Ma non lo sai che questi chioschi sono truccati? Al massimo vincerai un pupazzetto che ti entra in tasca- gli disse sotto voce.

-Lo so, ma se sai dove sta il trucco e dove colpire magari riesci a vincere un pupazzone che a malapena ti entra in macchina-

Definitivamente André sapeva dove stava il trucco, visto che alla fine Oscar si ritrovó tra le braccia un peluche gigante sotto le sembianze dell’asinello sfigato e sempre pessimista dei cartoni di Winnie Pooh, quello tutto orecchie e con il fiocchetto rosa su una coda che si staccava in continuazione.

-Cosa ci dovrei fare con questo adesso?- gli chiese sorpresa.

-Che ne so! Quello che voi ragazze fate con cose del genere, ve lo mettete sul letto- il suo dovere l’aveva fatto, l’aveva vinto.

Ora si ritrovava con quel coso gigante tra le braccia, al colmo dell’imbarazzo perché alla sua età non si andava in giro abbracciate a cose del genere, ma...segretamente le piaceva il povero asinello, non aveva mai avuto pupazzi, solo mazze, palle, guantoni, nulla di così cariso e morbido, lo mise nel sedile posteriore e prese posto al lato passeggero.

-Preferenze per il ristorante?- le chiese mettendo in moto.

-No fai tu- non le importava davvero, le bastava stare ancora insieme, il posto era di poca importanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CAPITOLO 9 ***


Alla fine la portó in un ristorantino francese che aveva una vista incredibile sulla statua della libertà, che a quell’ora era illuminata in maniera molto suggestiva. Il locale non era molto grande e l’atmosfera che vi regnava era intima e privata, dovuta alle luci soffuse e alle candele che erano accese sui tavoli.

-Questo posto é davvero carino, come l’hai scovato?- prese il menù e le diede un occhiata, il cibo sembrava buono.

-Per caso, per lavoro- rispose vago, non poteva certo dirle che all’epoca stava seguendo un caso per un articolo.

L’arrivo del cameriere riempì lo strano silenzio che era calato tra di loro, ordinarono da mangiare a da bere e poi si ritrovarono di nuovo soli.

-Allora ti sei divertita?- le chiese sorridendo.                                                             

-Mi stavo chiedendo quanto avresti impiegato a uscirtene con un “te l’avevo detto io”- ma non era arrabiata, tutt’altro.

-Andiamo, lo sai che non sono il tipo che gioisce delle disgrazie altrui!-

-Sei terribile, si mi sono divertita, più di quello che avrei immaginato-

-Ah! Te l’avevo detto io!- a quel punto la senti ridere, una risata allegra e spensierata, come era bella quando rideva, gli occhi le brillavano e il colore diventava di un azzurro terso e pulito.

La loro cena fù portata al tavolo poco dopo e iniziarono a mangiare chiaccherando del più e del meno e della giornata rilassante che avevano avuto, ed alla fine finirono con il parlare di lavoro.

-Cosa vorresti fare se non facessi l’assistente?- era curiosa, come poteva essere che un ragazzo con le potenzialità di André si accontentasse di fare il semplice assistente.

-Se non facessi quello faccio?- non gli piaceva questa conversazione, parlare troppo nel dettaglio del suo lavoro significava mentirle, ed era una cosa che non voleva fare -conoscendomi molto probabilmente sarei finito per fare l’assistente sociale-

Oscar sorrise, era vero, sarebbe stato un ottimo assistente sociale, magari di quelli che si occupano di bambini in difficoltà, aveva visto come al parco Tia si era fidata subito di lui, emanava un calore ed una sicurezza che non aveva mai incontrato in nessuno.

-E tu Oscar?-

La voce profonda di lui la strappó ai suoi pensieri.

-Non ho mai pensato ad un cambio di carriera, mi piace quello che faccio-

-Non mi dire che neanche in uno dei tuoi giorni più neri, dove tutto stava andando a rotoli, non hai mai pensato a cambiare lavoro?-

-Dovresti aver capito che non sono il tipo di persona che abandona alla prima difficoltà, più le cose diventano difficili più cerco di riuscire- spostó lo sguardo verso la baia ora buia.

Si questo l’aveva imparato in effetti, l’accanimento nell’essere la migliore e nel dimostrare costantemente di essere all’altezza di ogni situazione, la osservó mentre sembrava guardare con interesse la statua della libertà.

-Il panorama da lì sù é incredibile- la informó.

-Davvero?- poi si rese conto dell’errore, non voleva ammettere di non esserci mai salita –voglio dire...si certo-

-Non dirmi che non ci sei mai salita?- chiese stupito, quella era stata la prima cosa che aveva fatto non appena arrivato in città.

-No e che non...-

-...non hai mai avuto tempo- finì per lei.

-Esatto- ma la scusa non reggeva.

-Ne vale la pena?- le chiese ad un tratto, con il desiderio di capirla meglio.

-Di cosa? Di salire sulla statua? Credo di si...-

-No- la interuppé piano –vale la pena immergersi così tanto nel lavoro senza lasciare spazio per niente altro. Accanirsi nel seguire la strada che é stata scelta per te, senza considerare il mondo che ti circonda-

-Non capisco cosa vuoi dire- chiese sconcertata, e con la sensazione che non le sarebbe piaciuto dove lui stava andando a prare.

-Il tuo lavoro occupa ogni singolo aspetto della tua vita, sei brava a fare quello fai e lo fai senza guardarti indietro...o da nessun altra parte se é per quello. Il mondo sta passando sotto la finestra del tuo ufficio e tu a mala pena te ne accorgi; non cercare di negarlo, ho lavorato al tuo fianco per gli ultimi due mesi-

Non faceva nulla del genere! Pensó iniziando a scaldarsi.

-Ho un lavoro impegnativo e se me lo voglio tenere, devo impegnarmi al massimo. Lo sai come stanno le cose per me all’interno della compagnia, se mollo la presa anche per un attimo mi fanno le scarpe-

-Torniamo sempre alla domanda iniziale, perché lo fai e se ne vale la pena-

Lei lo guardó interdetta, quella era la sua carriera, se non avesse avuto forti motivazioni nel perseguirla non avrebbe avuto tutto il successo che ne conseguiva e sicuramente non avrebbe continuato a fare quel lavoro che alle volte di gratificante aveva solo lo stipendio.

-Certo che ne vale la pena, é ció che ho deciso di fare e non mi tiro indietro alle prima avversità!- gli rispose decisa, e con un tono che diceva chiaramente che la discussione finiva qui e che lui aveva finito di impicciarsi dei fatti suoi per oggi.

Era andata subito sulla difensiva, ed era partita all’attacco, che fosse in qualche modo a disagio? Forse era meglio finire la discussione qui, ma una cosa l’aveva capita, qualunque cosa lei dicesse era ancora strettamente legata al tipo di educazione ricevuta dal padre, e al tipo di esempio che le era stato dato, sii sempre la migliore e non badare agli altri, il succo degli insegnamenti ricevuti era tutto lì, lei non se ne rendeva ancora conto ma aveva tutte le intenzioni di mostrarle che c’erano altre cose al mondo a parte il lavoro e la carriera.

La loro infanzia era stata così diversa, la sua casa era sempre stata piena di risate, chiasso e allegria, sua madre si sforzava in tutti i modi di mantenere la pace tra gli uomini della famiglia che adorava, tra di loro avevano un tipo rapporto che faceva invidia a molti, erano molto vicini e nonostante discutessero animatamente alla prima occasione facevano pace quasi subito, non riusciva ad immaginare una famiglia diversa da quella che aveva.

All’improvviso gli venne un’idea, pensando alla sua famiglia si era appena ricordato che sua madre aveva organizzato una riunione, in occasione del loro anniversario di matrimonio e del fatto che suo fratello Julian arrivava in visita da Parigi dove ora lavorava, erano sei mesi che non lo vedevano, l’avrebbe invitata, e poi sarebbe rimasto in disparte a lasciare che la natura facesse il suo corso, sperando nel meglio, e sperando che non scappasse nella direzione opposta.

-Va bene pace- disse con un sorriso conciliatore –che ne dici del dolce?-

-Non ti salverai con così poco- lo avvertì, ancora offesa per l’opinione poco lusinghiera che le aveva dato sulle sue scelte di vita.

-Qui anno una mousse al cioccolato che e la fine del mondo-

E come se il cameriere gli avesse letto nel pensiero, porto al tavolo due coppette di vetro con il dessert al cioccolato ricperto di panna montata e la ciliegina in cima.

-Va bene perdonato- il suo cervello aveva abbassato tutte le difese alla vista di quella delizia e aveva immaediatamente iniziato il rilascio delle endorfine, e poi non le andava di rimanere arrabbiata con lui, la serata era stata troppo piacevole per farla finire con un litigio.

Ripresero a chiaccherare amichevolmente mentre mangiavano il dolce e lasciarono il locale di ottimo umore, si era fatto tardi e la giornata era stata lunga, quindi André decise ri riportarla a casa.

Dopo aver parcheggiato e fatto scendere anche l’asinello dalla macchina la accompagnò al portone.

-Sei sicuro di non volerlo?- chiese indicando il pupazzo.

-E come la spiego una cosa del genere ai miei amici? Lo sai che mi prenderebbero in giro fino alla fine dei miei giorni. Tienilo, in ricordo di una bella giornata-

-Grazie- gli sorrise alzando lo sguardo verso di lui, grande sbaglio.

Le stava così vicino che poteva sentire il suo profumo, sentiva l’odore del sapone con qui si era lavato quella mattina misto a quallo suo personale, una combinazione che le stava facendo girare la testa, alle spalle aveva la luce dorata che illuminava la porta, la quale creava un suggestivo gioco di ombre sul suo viso scolpito, e gli brillavano gli occhi come al solito, due pozze verdi che la guardavano con una intensità che la faceva tremare dentro.

Addesso mi bacia, pensò, e desiderandolo con un ardore tale che la faceva quasi sentire male.

-Buona notte Oscar- le augurò sfiorandole una guancia con il dorso della mano e dandole un bacio casto sulla fronte.

-Buona notte- rispose automaticamente, tutto qui! Stava quasi per gridarlo ad alta voce.

André si voltò e lasciò sola.

Con le mani che tremavano Oscar aprì il pesante portone, che le si richiuse alla spalle con un tonfo sordo.

Non é delusione quella che provo, si disse, e continuò a ripeterselo come un mantra dentro l’ascensore, mentre entrava in casa, quando si preparò per andare a letto e mentre giaceva sveglia a guardare il soffitto.

Non é delusione quella che provo si ripeté di nuovo prima di addormentarsi con gli occhi pieni di lacrime.

André si sedette al posto di guida e sbatté la testa più volte contro il volante, dandosi dello stupido. Perché non l’aveva baciata? accidenti a lui!

Era così bella con la luce dei lampioni che illuminava tutta, mentre si stringeva addosso quel pupazzo insulsamente gigante, le dava un’aria così innocente e desiderabile, aveva dovuto trattenersi con tutte le forze, voleva essere sicuro che certi cambiamenti nella loro relazioni fossero consenzienti, ma forse avrebbe fatto meglio a prendere l’iniziativa, avrebbe dovuto baciarla fino a farla svenire e avrebbe dovuto dirle ciò che aveva recentemente scoperto, e cioé che si era innamorato di lei.

Dei suoi occhi blu come il mare, del suo sorriso luminoso, dei suoi capelli color del grano in estate, del suo carattere forte misto ad una dolcezza che aveva rara occasione di manifestarsi, sospero sconfitto, era un caso senza speranza, se il suo amico Alei fosse venuto a conoscenza di una cosa simile lo avrebbe tormentato ogni secondo della sua vita.

Quando il mattino dopo Oscar si svegliò, si ritrovò faccia a faccia con l’asinello triste.

-E tu come sei arrivato qui?- gli chiese, non si ricordava di esserselo portato fino al letto –lascia perdere dalla tua espressione ne deduco che non hai passato una bella nottata, consolati amico mio non sei l’unico-

Con uno sbadiglio si girò sulla schiena e si stiracchiò per bene, lei in fatti non aveva dormito benissimo, aveva continuato ad avere una serie di sogni erotici che l’avevano lasciata ansante nel letto, e tutti comprendevano il suo bell’assistente dagli occhi verdi.

Perché non l’aveva baciata? si chiese per l’ennesima volta, eppure la serata stava andando così bene, magari non era interessato, magari l’aveva presa sul serio quando gli aveva detto che tra loro non cipoteva essere niente altro che amicizia visto che lavoravano nello stesso posto, forse doveva dvvero licenziarlo e trovargli un’altro impiego, così sarebbero potuti vedere senza doversi nascondere. Poi le venne in mente che se lo mandava via non l’avrebbe visto tutti i giorni. Grrrrr!

Era talmente assorta nei suoi pensieri che in un primo momento non si accorse che il telefono stava squillando.

-Pronto- ma non le andava davvero di rispondere.

-Buon giorno-

Le augurò una voce profonda e calda che conosceva bene.

-Buon giorno- rispose arrossendo.

-Come sta il mio amico asinello?-

-Bene é qui sdraiato accanto a me nel letto- poi si accorse della stupidaggine che aveva appena ammesso, e lo sentì ridere sommessamente –voglio dire...-

-Beato lui, scommetto che si é preso anche il posto d’onore-

-In effetti- mormorò diventando ancora più rossa, che se la stesse immaginando sdraiata nel letto con affianco il pupazzo?

-Volevo sapere se ti va di fare colazione con me, conosco un posticino che fa dell’ottimo caffé e delle ottime ciambelline, ti va?-

-Mmm...le ciambelline hanno la glassa sopra?- chiese cercando di fare la difficile, ma non poteva fermare il sorriso che le era spuntato sulle labbra all’idea di vederlo per colazione.

-Tutto quello che vuoi dolcezza-

Al sentirsi chiamare dolcezza un’ondata piacevole di calore le invase tutto il corpo.

-Va bene ci vediamo tra un’ora-

-Ti passo a prendere, aspettami-

-D’accordo, a dopo-

-A dopo-

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** CAPITOLO 10 ***


>I giorni che seguirono potevano definirsi tranquilli, in ufficio cercavano di trattarsi educatamente, ma alla fine delle giornata andavano sempre a bere qualcosa insieme, e se ne avevano voglia finivano per cenare insieme in un ristorante o si facevano portare qualcosa di speciale dritto sulla porta di casa di Oscar, essendo la casa più vicina, finivano sempre li le serate.

Si pensò Oscar, queste ultime giornate erano state davvero tranquille, e lei era pronta a gridare dalla frustrazione sessuale accumaulata! Era sempre la stessa storia, passavano la serata insieme e lui se ne andava sempre salutandola con un bacio fraterno, e lei finiva per farsi una doccia fredda, cosa le era preso? Perché non si decideva e gli saltava addosso una volta per tutte! Non avrebbe retto un’altra settimana di questa tortura, non riusciva più a dormire bene, faceva sogni a luci rosse che avrebbero fatto arrossire la più navigata attrice di porno e aveva la testa perennemente tra le nuvole. Era vero quello che si diceva, che meno lo fai più ci pensi. Non era da lei, non era il tipo che stava a costruire castelli in aria per un uomo.

-Allora Oscar che mi rispondi?-

Lei lo guardò sbattendo le palpebre diverse volte, le aveva per caso chiesto qualcosa?

-Non mi stavi ascoltando vero?- chiese rassegnato –in questi giorni é quasi impossibile avere una conversazione decente con te, c’é qualcosa che ti preoccupa?-

Se la voglia di strappargli i vestiti, e bacialrlo fino a cansumarlo si poteva chiamare preoccupazione...allora era mooolto preoccupata.

-No, pensavo al lavoro, nulla di serio, dicevi?-

-Mi chiedevo se ti andava di accompagnarmi a trovare i miei questo fine settimana. È il loro anniversario e hanno organizzato una mega festa nel giardino di casa e mi hanno detto che potevo portare qualcuno se mi andava-

-A casa dei tuoi?- che era meravigliata era poco.

-Si, hanno abbastanza spazio, così non saremo costretti ad andare in albergo, i miei fratelli si divideranno il monolocale sopra il garage, io dormo nella mia vecchia stanza e tu puoi avere quella per gli ospiti, che te ne pare?-

Andare a conoscere tutta la sua famiglia, dormire nella stanza di fianco alla sua,  stare sotto lo stesso tetto! Sarebbe morta ne era certa! Non ci poteva andare!

-Va bene- disse invece –sono curiosa di conoscere i tuoi-

André lasciò andare il respiro che non si era accorto di trattenere, aveva accettato, non vedeva l’ora di farla conoscere a sua madre. Non si era mai sentito così eccitato all’idea di presentare una ragazza a sua madre.

-Allora prenoto i biglietti e partiamo venerdi notte se non hai impegni-

-No, venerdi va bene, ci incontriamo direttamente all’ereoporto?-

-Impiegheremo meno tempo in quel modo-

-D’accordo, fammi sapere a che ora e ci vediamo direttamente li- poi diede un’occhiata all’orologio –dobbiamo andare se non vogliamo arrivare tardi-

Poco dopo lasciarono il piccolo locale ignari del fatto che il furgone nero parcheggiato all’angolo li stava spiando.

Si incontrarono direttamente allo sportello per il check-in, e André era assai curioso sul grosso pacco, quadrato e sottile, con cui l’aveva vista arrivare, lei gli aveva risposto che era il regalo di anniversario per i suoi genitori, non le andava di presentarsi a mani vuote, e che per sapere cosa era avrebbe dovuto aspettare che sua madre lo aprisse. La sua curiosità crebbe a dismisura quando lei lo imbarcò sull’aereo allo sportello per gli oggetti fragili o ingombranti, cosa poteva essere?

Quando arrivarono all’aereoporto di New Orleans decisero di noleggiare una macchina, era tardi e non avevano voluto disturbare nessuno dei familiari di lui per farsi venire a prendere.

La radio trasmetteva della bella musica e Oscar si stava godendo il tragitto in silenzio accanto ad André che guidava, passando attraverso le strade del centro che erano animate di vita notturna, non aveva mai notato come fossero colorate le strade a quell’ora, che strano, eppure aveva passato quasi tutta la sua vita in quella città.

-Visto che sei in città ti va di andare a trovare i tuoi?- era sicuro della risposta, ma aveva voluto chiederglielo lo stesso, per correttezza.

-Perché rovinare il fine settimana- l’unica cosa che le dispiaceva era di non poter vedere sua nonna.

Un’ora dopo parcheggió di fronte alla villetta dei suoi, nel vialetto non c’era più spazio, tutti i suoi fratelli dovevano già essere arrivati, e dal chiasso e dalle luci provenienti dalla casa, i festeggiamento dovevano essere iniziati da un paio d’ore.

André dovette bussare con forza due volte prima che qualcuno venisse ad aprire, ed Oscar rimase a bocca aperta nel trovarsi davanti una copia più matura e invecchiata dell’uomo che le stava accanto.

-Finalmente!- tuonò l’uomo avvolgendolo in un abbraccio da orso –ci stavamo chiedendo che fine avessi fatto-

-Ciao pà!- restituì l’abbraccio con calore.

-I tuoi fratelli si stavano lamentando come femminucce del doverti aspettare svegli, voi giovani! Non reggete nulla!- lo sguardo gli cadde sulla biondina che li stava guardando con un misto di stupore e divertimento –questa deve essere la tua amica Oscar, lieto di conoscerti, George, il padre di André-

-Lieta di conoscerla- vide la sua mano sparire in quella grande e callosa di lui, così simile a quella del figlio.

-Niente formalismi ti prego, considerati di famiglia per questo fine settimana-

-Grazie-

Gli fece strada nel salotto annesso alla sala da pranzo, dove attorno ad un tavolo rotondo sedevano altri tre giovani intenti in una partita a carte, che abbandonarono non appena lo videro.

-Ehi! Il figlio il prodigo é finalmente arrivato!-

-Quel titolo spetta a te vagabondo!- rise mentre abbracciava il fratello che non vedeva da mesi –te ne sei andato fino in Francia pur di sfuggirci!-

-Ah...ti sbagli cherì  sono andato in Francia per le francesi!- gli disse con una alzata significativa di sopppracciglia, alla quale tutti scoppiarono a ridere.

André salutò il resto della comitiva, scambiando battutine con tutti, fino a quando ogni paio di occhi era puntato con curiosità su di lei, mettendola un pò a disagio.

-Ragazzi questa é Oscar, un mia cara amica, vedete di trattarla bene. Oscar questri tre scapestrati sono i miei fratelli, Julian, Ryan e Jean-

-Piacere- strinse la mano a tutti notando che André era l’unico che assomigliava come una goccia d’acqua al padre, gli altre dovevano assomigliare al lato materno della famiglia, con capelli più chiari e occhi nocciola.

In quel momento una brunetta in vastaglia e camicia da notte lilla, scese di corsa le scale.

-George mi sembra di aver sentito...André!- la brunetta gli si lanciò squittendo di gioia tra le braccia –tesoro finalmente sei arrivato! Oramai credevo che saresti venuto domattina-

-Ciao mamma- la abbracciò con affetto chinandosi leggermente per poterle dare un bacio, sua madre non era molto alta e a mala pena le cima della testa gli arrivava alla spalla.

-Finalmente ho di nuovo i miei bambini sotto lo stesso tetto!-

-Mamma!- gridò un coro di voci maschili imbarazzate.

-Oh fate silenzio!- poi si rivolse ad Oascar con un sorriso –tu devi essere l’amica di André, io sono Linda sua madre-

-Piacere signora- esistevano davvero persone così cordiali? Si domando una stranita Oascar.

-Per carità! Signora chiamavano mia madre, chiamami Linda. Immagino sarete assetati dopo il lungo viaggio, ho del té freddo appena fatto-

-Grazie il té andrà bene- le disse sorridendo.

-Per me una birra mamma se non ti spiace-

-Subito in arrivo-

Il turbine di capelli castani e vestaglia lilla sparì in cucina, seguita da un coro “anche per me una birra” dal resto degli uomini presenti.

Linda tornò dieci minuti dopo con un vassoio, che Ryan si affrettò a prendere e passare attorno al gruppo seduto comodamente nel salotto a chiaccherare, mentre l’unica donna della famiglia si sedeva sul bracciolo della poltrona del marito.

Mentre tutti erano impegnati in una piacevole conversazione sugli ultimi pettegolezzi di famiglia e del vicinato, Oscar ne approfittò per guardarsi attorno. La casa non era grandissima, ma era arredata con gusto e discrezione e con dei colori caldi che ti davano il bevenuto non appena entravi, facendoti sentire a casa, i muri e le mensole erano pieni di fotografie, cerimonie di lauree e diplomi, un foto del matrimonio di George e Linda e diverse foto di gruppo di bambini che immaginava fossero André con i fratelli.

Questa casa dava l’impressione di vita vissuta, non riuscì a non paragonarla con quella dei suoi genitori, tutto a casa loro era immacolato e all’ultima moda, tutta questa casa era a malapena grande quando il pian terreno della villa, i suoi genitori avevano tanto spazio che non sapevano che farsene, sua madre sarebbe stata orripilata nel dover adattarsi a dividere così poco spazio con altre sei persone.

-Allora che avete in proggetto per domani?- la domanda di André attirò la sua attenzione.

-Si va tutti al parco per un barbecue, ne hanno costruiti deversi in mattoni per l’uso pubblico, e visto che tua madre ha invitato un numero spropositato di persone...-

-Oh George!- lo interuppe lei, ma rideva e non sembrava affatto imbarazzata –i tuoi fratelli hanno invitato qualche amico, e tutte le tue zie e zii hanno accettato, con rispettiva prole, e il nostro giardino non é grande abbastanza-

-Oh certo quindi ci approppriamo di un giardino più grande, e poi lo sai che non ho mai potuto sopportare tua Cugina Muriel, quindi non capisco perché l’hai invitata, per non parlare di...-

-George!- ma tutti scoppiarono a ridere –Oscar penserà di essere capitata in una casa senza buone maniere!-

Ma Oscar sorrideva come tutti gli altri, era incredibile come si prendessero in giro, lei e le sue srelle si erano limitate a tollerarsi a vicenda mentre crescevano.

-Quasi dimenticavo, ho un regalo per voi- annunciò André alzandosi, ma prima che potesse andare lontano lei lo trattenne.

-Ti dispiacerebbe portare anche il pacco marrone che ho lasciato vicino alla porta?-

-Era ora! Stavo morendo di curiosità- il sorriso che le rivolse era così birbone che non resistetté alla tentazione di ricambiarlo.

Tornò poco dopo con il pacco e una busta bianca che diede ai genitori.

-La busta é da parte mia, il resto da parte di Oscar-

-Non dovevate disturbarvi- disse Linda.

Ma era deliziata nello scoprire che il figlio gli aveva regalato un fine settimana a New York in un albergo di lusso e due biglietti per andare a vedere uno show a Broadway.

-Tesoro é meraviglioso ti ringrazio- lo abbracciò di nuovo.

Il pacco di Oscar li aveva incuriositi entrambi, e quando lo scartarono si resero conto che era un quadro. Un olio su tela delle cascate del niagara al tramonto.

-Ma é stupendo!- le disse Linda.

-Mai visto nulla di simile, molto suggestivo, meglio di qualsiasi cartolina tu possa comprare- Geroge era altrettanto colpito.

Era piaciuto immensamente a tutti e due.

-André mi aveva detto tempo fa che vi sarebbe piaciuta una cosa del genere e quando l’ho visto mi é sembrato adatto- mentì senza guardare André che molto presto avrebbe scoperto la verità.

E infatti non appena si avvicinò per dargli un’occhiata per poco non gli venne un colpo. Controllò le iniziali per esserne completamente sicuro ed erano uguali a quelle del dipinto che era appeso nell’appartamento di lei, le cercò lo sguardo, ma lei si ostinava a non guardarlo, aveva dato ai suoi genitori uno dei dipinti fatti da lei, ed era ancora più bello di quello che aveva visto. Gli si strinse il cuore, non c’era da meravigliarsi che ne fosse così innamorato, per lei certi gesti non erano nulla ma per lui aveva tutt’altro significato.

-Bhé direi che é arrivata l’ora di andarcene tutti a dormire- annunciò.

Così iniziarono a salutarsi e ad augurarsi la buona notte, Linda ringraziò nuovamente Oscar abbracciandola, il dipinto le piaceva davvero tanto, e Geroge le fece l’occhiolino dicendole che la moglie l’aveva tormentato per mesi chiedendo un nuovo quadro da appendere sul camino, ed ora l’aveva e lui poteva tornare a dormire tranquillo, il che gli procurò un’occhiata esasperata dalla moglie.

André prese le loro cose e l’accompagnò al piano di sopra nella camera degli ospiti.

-La mia stanza e quella di fianco, se ti serve qualcosa bussa, e se senti rumori disumani é mio fratello Ryan che russa, per sfortuna deve dormire con me. Il bagno é in fondo al corridoio-

-Grazie, questa stanza é molto carina- iniziò a girovagare fingendo di controllare qualcosa, sapeva che lui moriva dalla voglia di farle l’interrogatorio approposito del quadro, ma se poteva evitarlo...

Ma lui la fermò cingendole la vita da dietro, il profumo di lei lo avolse come un caldo abbraccio, facendogli battere il cuore più in fretta, forse non era stata una bella idea andarle così vicino.

-Hai dato ai miei genitori uno dei tuoi quandri, non é vero?- disse piano.

-E se anche fosse?- si chiese come avevano fatto le parole ad uscire dalla sua gola serrata, il corpo di lui era stretto al suo e sentiva l’alito caldo che le solletticava l’orecchio quando parlava.

-Perché?- chiese ancora, senza lasciarla andare.

-Perché no? Stava solo prendendo polvere nella soffitta dei miei, quindi ho chiesto alla nonna di farmelo mandare tramite corriere espresso, non mi andava di buttarlo, tutto qui- fece con una scrollatina di spalle.

-Tutto qui?- disse incredulo –quando mia madre verrà a sapere chi l’ha dipinto...-

-No!- lo interruppé voltandosi di scatto, mossa azzardata, visto che si ritrovò faccia a faccia con i pettorali scolpiti di lui che si intravedevano dalla maglietta aderente che indossava. Cosa stava per dirgli? Oh si, il quadro –per favore, non mi va che si sappia chi sia l’autore-

-Cosa? Dici sul serio?- era deluso, non vedeva l’ora di dirlo a tutti.

-Per favore André- lo supplicò.

Non le aveva mai visto quello sgurdo, davvero si sentiva in imbarazzo quando qualcuno parlava del suo talento come artista.

-Va bene- acconsentì ma dentro stava per scoppiare dalla voglia di gridare ai quattro venti che la donna che amava era in grado di creare qualcosa di così bello –ma un giorno di questi dovremmo seriamente parlare a proposito di questo tuo imbrarazzo nei confronti del tuo talento come pittrice. Visto che siamo in vena di favori, vorrei che facessi qualcosa per me-

-Cosa?-

-Potresti evitare di menzionare il fatto che ti faccio da assistente?- si era scervellato cercando una scusa valida da darle, era sicuro che durante questi due giorni l’argomento lavoro sarebbe saltato fuori e la sua copertura rischiava di crollare miseramente.

-Che c’é ti vergogni?- chiese con un soppracciglio alzato.

-No, e che i miei fratelli possono essere delle vere carogne quando si mettono d’impegno, e il fatto che io sono il più grande non é un deterrente. Già li sento facendo battuttine pessime su “André la piccola segretaria”- a quello lei non poté nascondere un sorriso –quindi se non voglio finire con il prenderne a pugni qualcuno, é meglio evitare anche di sollevare l’argomento, basta che dici che ci siamo conosciuti tramite amici-

-D’accordo- forse era meglio, magari alla fine sarebbe stata lei a sferrare il primo pugno dopo aver sentito battuttine del genere e non stava bene, era pur sempre un ospite.

-Sei un tesoro- intensificò l’abbraccio e le diede un leggero bacio sulle labbra rimanendo per aualche secondo ancora con le labbra vicina alle sue –meglio che ora tu vada a letto, buona notte-

-Buona....notte- ma Oscar rimase ferma nello stesso punto dove lui l’aveva lasciata, per diverso tempo dopo che la porta si chiuse dietro di lui.

André chiuse piano la porta dietro di se, dopo di che picchiò la fronte un paio di volte contro lo stipite, dandosi del cretino, del deficente e dell’imbecille, avrebbe dovuto gettarla sul letto e baciarla fino a quando non gli avrebbe chiesto pietà, poteva ancora sentire il suo sapore sulle labbra anche solo con un bacio leggero come quello che le aveva appena dato...stupido!

Trovare suo fratello Ryan che lo guardava divertito dall’altro lato del corridoio non aiutava, per niente.

-Non una parola- scandì furibondo.

-Non ho detto nulla!- rise, poi lo vide passargli vicino come un fulmine –Dove vai?-

-A fare una doccia fredda!- abbaiò.

-Idiota!- gli gridò dietro.

-Lo so!- gli rispose sbattendo la porta del bagno.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** CAPITOLO 11 ***


Il giorno dopo riempirono le quattro macchine disponibili, compresa quella di Oascar e André, e si diressero al parco, avevano dato appuntamento a tutti lì, visto che nessuno arrivava da lontano, le era stato detto che i vari membri della famiglia vivevano in città o nei dintorni, quindi non sarebbe stato un problema per nessuno arrivare in città.

La giornata era gloriosa, per essere la fine di settembre il tempo reggeva ancora bene, tutto a vantaggio di chi voleva passare una bella giornata all’aperto.

Furono tra i primi ad arrivare, ma nel giro di un’ora tutto il clan era al completo, e Oscar non riusciva a ricordare neanche la metà dei nomi, nonostante avesse una memoria formidabile, assai utile per gli affari, il susseguirsi di facce sorridenti si rivelò troppo, e quando lo confidó ad André lui scoppiò a ridere dicendole che anche lui aveva lo stesso problema, ogni anno c’erano nuove aggiunte e non riusciva  a tenersi aggiornato.

Ben presto l’aroma della carne arrostita alla brace permeò l’aria facendole venire l’acquilina in bocca, e mentre i bambini erano impegnati a rincorrersi e ad arrampicarsi, gli adulti si godevano un succulento pranzetto all’ombra degli alberi, e Oscar si era trovata a dividere la coperta con André e i fratelli, e ridere quasi fino alle lacrime delle loro avventure di gioventù, scoprendo che erano stati i padroni incontrastati del quartiere per diversi anni.

-Che ci volete fare, le sorelle ci adoravano e i fratelli ci invidiavano!- spiegò Julian con un sorriso beato mentre ricordava i vecchi tempi.

Poi un coro preoccupato di “oh-oh” la fece voltare, un signore alto e dal fisico atletico si stava avvicinando a loro con in mano un kit di mazze e palle per giocare a baseball.

-Zio Lennie non di nuovo!- disse Ryan.

-Ah! Mi dispiace mio caro, ma questa volta non é colpa mia, tuo zio Albert vuole la rivincita per la batosta presa l’ultima volta- ma lo sguardo acceso diceva che era stato ben felice di accettare la sfida –sono venuto a chiedere se siete dei nostri!-

Prima che un’altro coro di “neanche sul mio cadavere” rispondesse all’offerta dello zio Lennie, Oscar intervenne.

-Io ci sto!-

-Eh?- lo zio Lennie sembrava sconcertato –senza offesa signorina, ma sai come si gioca?-

-Certo che lo sa, altrimenti non te l’avrebbe chiesto!- Intervenne Julian stizzito.

-D’accordo- ma l’idea non gli andava molto, e prima di allontanarsi le disse da sopra una spalla –ma se ti rompi un unghia poi non lamentarti-

-Adesso gli rompo la stupida mazza sulla testa!- mormoro Jean.

Fù Ryan a lanciare ad André uno sguardo di fuoco.

-Non l’hai avvisata sullo zio Lennie non é vero?-

-Non ho avuto tempo- rispose contrito, e ancora sorpreso che suoi fratelli l’avessero difesa.

-Nessuno raccoglie il guanto di sfida quando viene lanciato dallo zio Lennie, é una di quelle regole non scritte della notra famiglia-

-Già,- continuò André –lo zio Lennie ha giocato a baseball per diversi anni, come professionista in tornei minori, ora fa l’insegnante di ginnastica in un liceo e la sua squadra ha vinto il torneo nazionale per gli ultimi dieci anni di fila, e due dei suoi ex-studenti ora hanno un brillante carriera sportiva, quindi non perde occasione di vantarsi e di dimostrare a tutti che fenomeno sia, e...-

-E...- lo spronò lei, al quale lo zio Lennie piaceva sempre meno.

-Lo zio Lennie é un po maschilista-

-Non l’avrei mai detto!- stava per rompergliela lei la mazza sulla testa a quel bulletto di periferia!

-Non prendertela Oscar, é fatto cosi, e abbiamo imparato a lasciarlo perdere- si scusó Jean.

-Ciò non toglie che voglio giocare- disse alzandosi.

-Sei sicura?- le chiese scettico –lo zio Lennie non farà altro che mettere il dito nella piaga per il resto della giornata se vince-

-Allora non ci resta che cercare di non perdere- si diede un’occhiata attorno –allora venite?-

Julian e Jean si rifiutarono, l’unico che non aveva dato risposta era Ryan che sembrava impegnato a guardare altrove.

-E tu Ryan?- gli chiese seguendo il suo sguardo e vedendo un gruppo di ragazze che lo stavano osservando a loro volta.

-Mi sa che vengo- si alzò e si spolverò i jeans per togliere dell’erba –ma prima devo presentarmi a quel gruppo di fanciulle, le invito a vedere la partita, durante la quale mi infortunerò dopo circa venti minuti e passerò il resto della giornata a farmi consolare per cercare di superare il grande dolore del mio infortunio. A dopo!-

Oscar rimase impassibile e poi si voltò verso André.

-Tuo fratello é oltraggioso, lo sapevi?-

-Lo so, a volte mi vergogno di lui- ma poi rise, trascinando tutti gli altri –andiamo non facciamo aspettare il granduomo-

Quando arrivarono allo spiazzo designato, le squadre erano gia state formate e toccava ora ai rispettivi capitani trovare i giocatori mancanti.

-Guarda qui che fanfarone!- allo sguardo perplesso di lei spiegò –si é fatto la squadra con i migliori giocatori, lo zio Albert non ha la minima possibilità di vincere-

-Allora non mi resta che giocare con lo zio Albert, che mi sembra anche più simpatico, e tu?-

-Io in genere faccio da arbitro, a quanto pare sono l’unico che riesce a rimanere imparziale-

Dopo una mezz’ora le due formazioni erano pronte e schierate ed era il turno dello zio Lennie a lanciare, e Oscar doveva ammettere che non era niente male, ma ciò non gli dava il diritto di ritenersi superiore.

Era il suo turno di battere, con un sorriso quasi malefico si mise in posizione, era arrivato il momento di far cadere il caro zietto dalla nuvoletta su cui si era appollaiato negli ultimi anni.

-Strike uno!- gridò André.

Quindi lo zio ci stava dando davvero dentro.

-Strike due!-

-Non ti preoccupare, non é un gioco adatto a tutti- le disse lo zio Lennie, pregustandosi l’eliminazione.

Zio Lennie era troppo sicuro di se, Oscar vide la palla arrivare a tutta velocità e con mossa svelta e sicura la colpì facendola sparire tra le cime degli alberi, era un home run.

-Mi auguro che quella non fosse la tua palla preferita- gli disse con gli occhi sgranati in maniera innocente, mentre faceva il giro del diamante e cercava di resistere alla tentazione di fargli la lingua.

Quando arrivò alla base fu accolta dal sorriso trionfante dell’arbitro.

-È stata una cosa senza precendi, nessuno é mai riuscito a battere un home run allo zio Lennie, anche se in tanti ci hanno provato-

-Lo zio Lenni sta per avere tante brutte sorprese oggi!- gli confidò in tono cospiratorio.

Giocarono per un’altra ora e Oscar diede del filo da torcere a Lennie, gli fece sudare ogni punto, alla fine però persero ugualmente, ma fù solo per un punto, e l’effetto era lo stesso, rendere lo zio livido. In trionfo se ne tornarono all’ombra sulla coperta, visto che le signore stavano per distribuire il dolce e qualcosa da bere.

Oscar se ne stava in solitudine seduta contro il tronco di un albero con un bicchiere di té freddo in mano, André era andato a fare due chiacchere con il padre e lei aveva deciso di non unirsi a lui anche se invitata, voleva stare un po lì da sola, era ricoperta di polvere, stanca e aveva appena perso una partita, e...non si era mai sentita così bene.

Lasciò vagare lo sguardo attorno a se, i bambini giocavano, sotto un albero più avanti c’erano le neo mamme che chiaccheravano allegre con i loro bimbi che gattonavano sulla coperta, gruppetti di uomini e donne sparsi qua e là discutevano animatamente, in lontananza poteva vedere i fratelli di André che fraternizzavano con il gruppo di ragazze avvicinato da Ryan, che se ne stava beato con un finto impacco freddo sul ginocchio e coccolato da una rossa molto graziosa.

Era la prima volta che sperimentava qualcosa di così campestre, e doveva ammettere che le piaceva, le piaceva molto questa famiglia, a parte lo zio Lennie naturalmente, ma tutti sembravano essere così uniti, l’unica persona con cui lei aveva un rapporto simile era sua nonna, per il resto era come se fosse sempre vissuta sola, seguendo regole non sue e ideali che non approvava.

Poi era arrivato André, si era insinuato piano piano nella sua vita, facendole notare cose che a cui non aveva mai badato prima, era come se dopo anni di freddo inverno fosse finalmente arrivata la primavera, cosa significavano tutti quasti sentimenti intricati che provava? Che si stesse davvero innamorando di lui? In cosi breve tempo poi? Era possibile?

I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che le stava sventolando un piatto sotto al naso, con sopra una fetta gigante di torta.

-Sei troppo seria, non va bene in una giornata così spensierata- André era tornato e le aveva portato il dolce –i perdenti hanno il diritto a doppia razione-

-E gli arbitri?- chiese indicando la sua fettona.

-Gli arbitri meritano un premio per la loro imparzialità!- spiegò allegro.

Si stavano godendo il dolce in santa pace, quando uno dei bambini che stavano giocando nelle vicinanze si staccò dal gruppo marciando dritto verso di loro con passo svelto.

-Ehilá Philip, che succede?- chiese André, il bambino aveva una luce risoluta nello sguardo, mai visto nessuno cosi deciso.

-Ecco, volevo sapere se tu e Oascar state per sposarvi-

-Cosa!- la torta gli ando di traverso,e inizió tossire.

-No Philip, io e André non siamo fidanzati- non sapeva se ridere o arrabbairsi, l’aveva forse mandato qualcuno a spiare?

-Ah! Gliel’avevo detto che non potevate essere fidanzati, non state appicicati tutto il tempo a sbaciucchiarvi!- disse trionfante e facendo un gesto si assenso ai compagnetti poco distanti.

-Fatti gli affari tuoi pulce!- poco sapeva che lui non pensava ad altro, stare appiccicato a lei a sbacciucchiarsi ogni minuto.

-Se lui non ti sposa io sono disponibile- disse serio ad Oscar.

-Ehi! Trovate una della tua taglia!- stentava a crederci, si era aspettato che qualcuno ci provasse con lei, ma non il suo cuginetto di otto anni!

-Quelle frignano in continuazione, e non sanno che farsene delle palle da baseball. Non ho mai visto nessuna femmina usare la mazza come fa lei, certe cose non bisogna lasciarsele scappare!- tutto il discorso fu recitato con la più sussiegosa delle espressione.

-Ti ringrazio Philip- era davvero serio pensò lei –se mai mi venisse la voglia improvvisa di sposarmi, tu sarai il candidato numero uno-

-Sempre meglio di niente, ora devo tornare dai miei amici!- giró di spalle e scappo a gambe levate dagli amici, senza dubbio per raccontargli l’avvenuto.

-Che cosa é appena successo?- chiese guardando André di sottecchi, mentre tornava a dedicarsi alla sua torta.

-Vallo a capire-

-Quella é stata la mia prima proposta di matrimonio sai- ammise divertita.

-Ma dai! Che razza di uomini hai frequentato finora!-

-Quelli di età sbagliata apparentemente- la situazione aveva dell’ilare.

-Mha, cerca di non montarti la testa, molto probabilmente nella sua testolina contorta avrà pensato che se ti sposa, sarai costretta a giocare sempre nella sua squadra e così lui può vincere tutte le partite!-

A quel punto nessuno dei due poté trattenre le risate ancora a lungo.

Il sole stava oramai tramontando, tutti avevano sistemato le loro cose e richiamato all’ordine i bambini che non volevano andarsene, ci furono calorosi arrivederdi e di nuovo tanti auguri per l’anniversario di George e Linda, e tutti furono daccordo di fare un’altra riunione al più presto.

Oscar sedeva pensierona accanto ad André, che non poteva fare a meno di chiedersi il perchè di quella faccia serie.

-Come mai cosi silenziosa?- aveva abbassato il volume della radio in modo che potessero parlare civilmente senza alzare la voce.

-Nulla di particolare. La tua famiglia é davvero adorabile, tuo padre e tua madre si rispettano e i tuoi fratelli sono davvero speciali, non mi sorprende che ne sei venuto fuori così bene-

-Sai come si dice “la mela non cade mai lontana dall’albero”- ma il senso di colpa che ultimamente si era fatto più forte lo avvisava che una volta che lei avesse scoperto che le aveva mentito, non sarebbe stata così magnanima nei giudizi.

Il tragitto per tornare a casa fù abbastanza breve, tutti si dichiararono stanchi e pronti a infilarsi sotto le coperte dopo una doccia calda, con la promessa di riunirsi il mattino dopo per colazione con le speciali frittelle allo sciroppo e uvetta di Linda.

Il mattino dopo fecero colazione tardi, e dopo un pigro fine mattinata passato a oziare, era arrivato il momento per loro di tornarsene New York, il loro aereo partiva nel primo pomeriggio.

Si salutarono sulla porta di casa, loro avevano l macchina e non aveva senso che qualcuno li accompagnasse fino all’aereoporto, una lacrimosa Linda lo abbracció intimandogli di tornare presto visto che non lo vedeva spesso, e il padre gli disse semplicemente di stare a sentire sua madre, dal tronde le madri avevano sempre ragione, anche Julian, Ryan e Jean furono d’accordo, una volta tanto, che non si vedevano con regolaritá e che dovevano rimediare in qualche modo.

Oscar non fù esente dai saluti, tutti le dissero di essere stati contenti di aver fatto la sua conoscenza e che speravano di rivederla presto, George la ringraziò ancora per lo stupendo dipinto, Linda le bisbiglió in un orecchio di prendersi cura di suo figlio, chissá che idea si era fatta di loro due, e i fratelli di Andrè con la scusa di abbracciarla e salutarla, e con grande faccia tosta, le fecero scivolare in tasca un biglietto con tutti i loro numeri di telefono.

Il taxi sfrecciava silenzioso per le strade di Manhattan, brulicanti di turisti e di tutti quelli che si accingevano a tornare a casa dopo il fine settimana, i due occupanti della macchina sedevano vicini ma ognuno immerso nei propri pensieri. Non avevano parlato molto durante il volo, anche perché André aveva deciso di schiacciare un pisolino e aveva dormito per quasi tutto il viaggio.

Ma a lei non dispiaceva, aveva avuto ampio tempo per predndere delle decisioni, voleva chiarezza, voleva sapere che tipo di rapporto esisteva tra loro due, si aspettava davvero solo amicizia da lei? O magari qualcosa d’altro? Non né poteva più di stare nell’incertezza, era meglio sapere dove stavano e poi agire di conseguenza, se davvero lui non stava cercando qualcosa di diverso da lei, preferiva esserne sicura, in un modo o nell’altro il loro rapporto sarebbe cambiato da quella sera.

Erano arrivati al suo palazzo, era sicura che lui l’avrebbe accompagnata alla porta, non era molto privato ma era lontano dalle orecchie del tassista, con il cuore che le rimbombava nelle orecchie scese e si avvicinò al portone. Lui era lì al suo fianco, sempre vicino, in queste ultime settimane era come se fosse diventato la sua ombra.

-Spero che ti sia divertita in questi due giorni- le disse piano.

-La tua famiglia é stata molto gntile, sono stati tutti molto carini con me- lui la stava guardando con l’espressione tenera che ormai aveva imparato a conoscere bene e che la scaldava dentro, perché non mi baci André? Si chiese afflitta, e cercando di trovare un modo per sollevare l’argomento che la stava rodendo da diverso tempo.

-Sará meglio che vada, si sta facendo tardi e domani ci sono molte cose da fare in ufficio- la baciò sulla guancia, ma invece di scostarsi subito rimase qualche attimo ancora a inspirare il profumo di lei.

Le loro labbra erano a un soffio l’una dall’altra e Oscar non resistette più, lasciò cadere il borsone a terra e dopo avergli afferato i lembi della maglietta con un piccolo gemito incolló le labbra alle sue. Nessuna reazione, anzi sembrava sconcertato, stava per ritrarsi delusa, quando le braccia di lui la strinsero fino a stritolarla, e lo sentì ricambiare il bacio.

Al colmo della gioia gli fece scivolare le braccia attorno al collo e si alzó in punta dei piedi per consentirgli un migliore accesso e per aderigli completamnte contro il corpo.

Finalmente lo stava baciando! Schiuse le labbra per dargli campo libero e quando la lingua di lui trovò la sua, fù come se una serie di fuochi d’artificio le si erano accesi dentro bruciandola, ma allo stesso tempo innondandola di colori brillanti, si sentiva fiamme, aveva come la sensazione che ogni fibra del suo corpo stesse per sciogliersi in una pozza di fuoco liquido, non voleva smettere ma allo stesso tempo voleva che le cose rallentassero, tutto era troppo veloce.

Si staccaro con un sorriso tremante e il fiato corto.

-Avevo iniziato a...pensare che fossi...gay- la sua risata roca e profonda la fece tremare in maniera deliziosa.

-Con la sofferenza di queste ultime settimane...ti assicuro che ho iniziato a desiderarlo!- se la strinse più vicina se era possibile, non voleva perdersi nessuna delle sue curve che gli premevano contro in maniera così sensuale.

-Dillo a me!- le scappò un ansito quasi di dolore –accidenti a te e ai tuoi baci casti sulla porta di casa! Mi hai fatto impazzire, pensavo che non te ne importasse nulla!-

-Ah Oscar...- con un sospiro le accarezzó una guancia con le nocche della mano –non hai ancora capito che mi sono totalmente e irrimediabilmente innamorato di te?-

-Eh?- si era spettata passione e desiderio, ma non quello, il cuore le batté ancora più violentemente in petto.

-Perché credi che ti abbia portato a casa dai miei?- ma non si apettava una risposta –volevo farti capire quanto tu sia diventata importante per me, quanto tu sia speciale e quanto desideri averti accanto a me. Tenerti stretta e starti vicino-

-Perchè...- inizio con voce malferma –perché non hai detto nulla prima? Credevo volessi davvero che ci fosse solo amicizia tra noi due-

-Perchè l’ultima volta che mi sono fatto avanti con una proposta abbiamo litigato, perché volevo che superassi da sola tutti i dubbi che avevi sul nostro rapporto e volevo inoltre che ti lasciassi un pó andare, facendo emergere la ragazza dolce e sensibile che tieni sempre sotto chiave, quella in grado di dipingere quandri che riescono a toccarti nel profondo con la loro bellezza-

Per la prima volta da un tempo immemorabile gli occhi le si riempirono di lacrime, come aveva fatto? Come aveva fatto a vedere tutte le cose che lei aveva cercato di nascondere e soffocare negli anni, dedicandosi alla sua carriera come voleva il padre, ma lui era riuscito a vedere al di lá, non si era convinto come tutti gli altri che lei fosse fredda e inavvicinabile.

-Andrè...- cosa poteva dirgli? L’emozione le serrava la gola, e non sapeva davvero cosa rispondere a ció che lui le aveva appena detto.

-Mio piccolo tesoro, non piangere- le asciugò le ciglia umide con il pollice, aveva capito, non c’erano bisogno di parole, non in quel momento.

La bació nuovamente, ma questa volta con una dolcezza infinita che rischiò davvero di farla scoppiare in singhiozzi, la testa le girava e il corpo tremava incontrollabilmente, aveva bisogno di qualche minuto per riprendersi.

-E adesso?- gli chiese quando lui posó la fronte alla sua con gli occhi chiusi, cercando di riprendere fiato –che si fá, come procediamo?-

-Sta a te deciderlo, come prima cosa è meglio che me ne vada, altrimenti saró tentato di rimanere con te tutta la notte ed e meglio di no, non in questo momento- quasi rise all’espressione delusa e afrranta di lei, se non fosse per il fatto che lui si sentiva allo stesso modo, se non peggio –non disperare ci vediamo in ufficio tutti i giorni-

-Non é la stessa cosa- ma forse aveva ragione lui, doveva allontanarsi per poter riflettere.

-Non disperare, ora che ti ho trovata non ti lascerò scappare tanto facilmente- le diede un’altro bacio veloce e la spinse verso la porta –vai, prima che quegli occhioni azzuri che ti ritrovi mi facciano cambiare idea-

-Buona notte- gli auguró con un dolce sorriso che lo colpì dritto alla bocca dello stomaco.

-Dormi bene amore mio-

Alla svelta rientró nel taxi dicendo al conducente di ripartire, non si voltò a guardarla, se l’avesse fatto, sarebbe immediatamente tornato da lei, facendo crollare tutti i buoni propositi, doveva lasciarla sola darle tempo, voleva che una volta tra le sue braccia ci rimanesse per sempre.

-Sembra che non ti sia andata bene stasera amico-

Il tono divertito dell’autista lo fece tornare in se.

-Ti assicuro che invece mi é andata benissimo!- e il sorriso che gli spuntó sulle labbra non volle proprio andare via, neanche mentre dormiva.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** CAPITOLO 12 ***


Oscar era davanti allo specchio dando gli ultimi ritocchi al suo costume, era Halloween, lei e Andrè stavano andando ad una festa mascherata, sorrise alla sua immagine riflessa, quel costume le si addiceva, quando lui le aveva parlato della festa, l’idea le era venuta quasi subito, e aveva dovuto sudare sette camicie e otto negozi per il noleggio di costumi prima di trovare quello che voleva. Sua nonna ne sarebbe stata deliziata se l’avesse vista, le sembrava quasi di sentirla “finalmente stai iniziando a darmi retta” le svrebbe detto con gli occhi che brillavano soddisfatti.

Guardó l’ora, quasi le otto, Andrè sarebbe arrivato a momenti, il pensiero di rivederlo le fece correre la mente alle settimane appena trascorse.

Il giorno dopo la sua dolce confessione sulla porta di casa, non avevano potuto vedersi, lei doveva fare dei soppralluoghi e aveva degli incontri con possibili investitori, non si era neanche avvicinata all’ufficio e lui non l’aveva chiamata, le aveva lasciato il suo spazio, ma quando era arrivata a casa c’era un mazzo di rose ad attenderla, due di ogni colore, ed un biglietto: “Non sapevo il tuo colore preferito, quindi li ho presi tutti”, non era firmato ma era sicura su chi le avesse mandate

Come si faceva a non voler stare accanto ad un uomo così dolce? Ora che sapeva di essere corrisposta, cosa aveva da perdere? Nulla. Non le importava dei commenti al vetriolo che sarebbero nati sul lavoro, era abituata a quelli, e non sarebbero certo stati peggiori di quello che giá le dicevano alle spalle. Non aveva bisogno dell’approvazione dei suoi, sapeva che se non fosse andata a casa con un multimilionario suo padre non l’avrebbe neanche fatto entrare in casa, nessuno sarebbe mai stato all’altezza dei suoi canoni. E poi c’era la famiglia di lui, era certa che loro non avrebbero avuto nessun problema nel vederli insieme, anzi, immaginava che Linda ne sarebbe stata contenta.

Quindi aveva deciso, l’aveva chiamato nel suo ufficio e con uno slancio amoroso atipico per lei, gli aveva gettato le braccia al collo e l’aveva baciato, ampiamente ricambiata, fino a che entrambi erano rimasti senza respiro e gli aveva bisbigliato un “si” a fior di labbra.

Si voleva che fossero una coppia, si voleva che iniziassero a scambiarsi stupidi e insulsi messaggi nel cellulare, si voleva litigare con lui per il solo gusto di fare pace dopo, nel modo più dolce possibile, si a tutto ció che era incluso nell’essere innamorati.

E da lì avevano iniziato, uscivano il più spesso possibile, passavano i fine settimana rigorosamente insieme e adesso potevano andare in tutti quei locali che erano esclusivamente riservati alle coppie, e lei non era mai stata così felice, si sentiva come se avesse ritrovato qualcosa o qualcuno che credeva perso per sempre.

Ma in tutta questa felicitá c’erano delle ombre, dopo quasi quattro settimane di uscite, non avevano ancora passato una notte a fare sesso...no, si corresse, a fare l’amore. Non era stato per mancanza di occasioni, ora conosceva il corpo di lui come se fosse il suo, ma in entrambi c’era stato come il tacito accordo di non accellare i tempi e aspettare il momento giusto, ció non toglieva la possibilitá di esplorare nuovi territori anche senza arrivare all’atto finale, e doveva ammettere che il suo calmo e pacato assistente aveva un immagginazione da dieci e lode!

Poi c’era il fatto che lei non gli aveva detto “ti amo”, non ancora per lo meno, cosa la bloccava, era sicura che lui l’amava, anche dopo che gliel’aveva detto, lo si poteva chiaramente leggere nel suo sguardo e in ogni gesto che compiva verso di lei. Come l’abbracciava, come l’accarezzava, come la baciava, tutto era permeato dell’amore che lui le portava, e allora?

Era sicura di provare gli stessi forti sentimenti nei suoi confronti, stava provando sensazioni che non aveva mai sperimentato con nessun altro, sensazioni che non avevano nulla a che fare con il lato fisico della loro relazione, allora perché non riusciva a ricambiare la sua dichiarazione?

Il suono del campanello la riportó alla realtá, il portiere lo conosceva ormai, quindi non l’avvisava più, lo faceva salire e basta, con un sorriso smagliante gli aprì, giá si pregustava la sua reazione.

-Soldato André agli ordini!- le fece il saluto militare con tanto di battito di tacchi.

Ed entrambi rimasero sconcertati.

Entrambi indossavano una divisa militare in stile francese di fine 1700, blu e oro, con l’unica differenza che Andrè indossava quella del soldato semplice, mentre Oscar aveva puntato per i ranghi più alti.

-Se non sapessi che é impossibile direi che hai fatto di tutto per spiarmi- gli disse tra il divertito e il deluso.

-Dillo a me! Io speravo di sedurti con il fascino della divisa, invece...- ma non gli dispiaceva, era stupenda, con i capelli biondi sciolti, tutti i bottoncini e ricami dorati che spiccavano contro il blu, i pantaloni aderenti che mettevano in mostra le lunghe gambe affusolate e gli stivali al ginocchio, emanava un aurea di comando che sembrava andare ben oltre la semplice immagine che doveva dare il costume.

-Magari sará il fascino della mia uniforme a sedurre te- e afferandolo per il risvolto della giacca lo bació per salutarlo come si deve.

-Questa cosa é troppo strana per essere solo una coincidenza, te ne rendi conto vero?- vederla con addosso la divisa stava facendo cose strane alla sua libido.

-A quanto pare, mia nonna ti direbbe che era destino- si sciolse dall’abbraccio e prese le chiavi dal tavolino che stava vicino alla porta –andiamo?-

-Andiamo-

Il locare era davvero carino, decorazioni a tema erano sparse un pó da per tutto, zucche intagliate decoravano i tavoli, festoni arancio e nero pendevano dal soffitto, scheletri dalle ossa fosforescenti erano facevano bella mostra di se contro i muri. Cocktail speciali dai colori di rigore erano stai aggiunti al menù, e un dj vestito da Freddy Kruger si occupava della musica.

Oscar ballava e si divertiva, gli avventori del locale non avevano ancora capito se era un uomo o una donna, e lei si stava facendo due risate alle loro spalle, la giacca nascondeva parecchio, quindi non si vedeva nessuna curva rivelatrice, quando lo fece notare ad André lui la guardó in maniera strana, dicendole che se non riuscivano a capire di che sesso era erano tutti cechi, nessun uomo di sua conoscenza aveva un fondoschiena da infarto come lei, fù grata della semi oscuritá, così lui non poteva vedere di quale tonalitá di rosso era diventata.

Erano seduti da un pó su uno dei divanetti a bere qualcosa, quando il dj decise di dare un contentino alle coppiette e mettere su un lento, e mentre le note di “Stand by me” si diffondevano nel locale, André la trascinò sulla pista e se la tenne stretta, e...chi era lei per rifiutarsi?

Gli si strinse contro e cullata dal battito ritmico del suo cuore si lasció scivolare addosso le note e le parole della canzone.

“When the night has come, and the land is dark, and the moon is the only light we see”

All’improvviso ebbe la sensazione di non trovrsi più nel locale, spalancò gli occhi, ma vedeva ancora buio e sentiva in sottofondo altri rumori a parte la musica, le sembrava acqua, acqua che scorreva, come un fiume, poteva addirittura sentire l’odore di terra umida.

“No I won’t be afraid, oh I won’t be afraid, just as long as you stand by me, stand by me”

In lontanaza poteva vedere dei puntini luminosi che si agiatavano a mezz’aria, e qualcosa d’altro che assomigliava a vegetazione, alla luce flebile della luna riuscì a distinguere che ciò che vedeva erano lucciole e salici, sparsi su quella che doveva essere la riva, che cosa le stava succedendo? Dove era finita?

Due figure erano distese sull’erba poco distante, erano abbracciate,  i loro movimenti lenti e sinuosi.

“if the sky we look upon should tumble and fall, or the mountain should crumble to the sea”

Si rese conto che le due figure stavano facendo l’amore in riva al fiume, I loro vestiti erano ammucchiati tutt’intorno e assomigliavano in maniera incredibile alle uniformi che lei e André indossavano quella sera, poi senti una voce di donna che sussurrava “Oh André, solo con te mi sento davvero viva” un’altra voce profonda ripose nello stesso tono sussurato “Ti amo Oscar, ti ho sempre amato, e prometto di starti sempre vicino”.

no I won’t cry, I won’t cry, no I won’t shed a tear, just as long as you stand, stand by me”

Stava avendo sogni erotici nel bel mezzo della pista da ballo? Non poteva essere, sembrava quasi che stesse avendo una visione, i contorni della sua visuale erano sfuocati, ed aveva la sensazione di essere davvero stata nel posto che vedeva davanti a se, come se facesse parte di una’altra vita lontana, come se avesse giá vissuto l’incontro appassionato che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.

Quando questa volta riaprì gli occhi attorno a se c’erano altre coppie che ballavano, il locale aveva le luci soffuse e Andrè la stava ancora cullando con dolcezza mentre le ultime battute della canzone stavano sfumando, sostituite in fretta da un’altra dal ritmo più accelerato.

-Che succede, hai una strana espressione- la guardó con attenzione vedendo che in effetti era leggermente pallida.

-Nulla, é solo che...ti dispiace se andiamo via? Credo di averne avuto abbastanza-

-No certo, andiamo-

André era preoccupato, Oscar era stata strana sin da quando avevano lasciato il locale, ed ora se ne stava ranicchiata, in silenzio, accanto alui sul divano di casa sua, sorseggiando una tazza di cioccolata calda. Cosa era successo?

I suoi pensieri vagarono inevitabilmente alle settimane appena trascorse. Erano state meravigliose, entrambi avevano imparato a conoscere più a fondo l’altro, si erano divertiti come non mai e si erano avvicinati in una maniera tale, che non aveva mai sperimentato con nessun’altra, nonostante non avesero ancora passato un’intera notte insieme, gli assaggi che aveva avuto lo rendevano sicuro che la loro prima volta sarebbe stata magica e che valeva la pena procedere lentamente, doveva solo cercare di capire da dove provenisse l’umore strano di questa sera.

Oscar sedeva tranquilla, in quella che con il tempo era diventata la sua posizione preferita, la schiena adagiata nell’incavo caldo al fiano del suo uomo e il braccio di lui cha la cingeva con dolcezza. Si sentiva strana. Non era ancora riuscita a capire pienamente cosa le fosse successo alla festa, che avesse a che fare con Halloween?

Si ricordava nei dettagli le storie che la nonna le raccontava su questa ricorrenza, su come fosse la notte la notte ideale per le anime dei defunti di comunicare con i vivi, e se le fosse stato concesso di intravedere uno scorcio del suo passato? Allora avrebbe davvero dovuto inizare a credere alle assurde teorie sulla reancarnazione che professava sua nonna.

Che confusione!

Poi c’erano le parole dei due amanti che le pulsavano dentro come vive, accompagnate dalla melodia della canzone che avevano ballato al locale, non era tipo da prestare attenzione particolare alle parole delle canzoni e al loro significato, ma non riusciva a togliersele dalla testa.

Le sembrava fossero particolarmente dirette a lei e alla sua storia con André.

André, che le stava accanto in silenzio come adesso.

André, che la coccolava come nessun altro in vita sua.

André, che la capiva senza bisogno di spiegazioni.

André, che l’amava senza riserve.

André, l’unico vero amore che avesse mai avuto.

Fù quel pensiero a colpirla con la forza di un pugno in pieno petto, lo amava, i segni erano tutti lì davanti a lei, ma non ci aveva fatto caso più di tanto.

Era innamorata di lui, la faceva sentire come se si fosse svegliata da un lungo sonno, tutto intorno a lei aveva iniziato ad avere sfumature di colore più accese, o semplicemente ora notava cose a qui prima non badava per nullla, nell’amore non c’era posto per i dubbi o le insicurezze, era per quello che la canzone continuava a rimbombarle in testa,  qualunque cosa accadesse lei sarebbe stata al sucuro, perché Andrè le era accanto.

Posó la tazza e con un sospiro beato gli si accoccoló accanto abbracciandolo stretto, assaporando il suo profumo e facendosi avolgere dalla sua vicinanza.

-Oscar c’é qualcosa che non va?- le chiese finalmente ricambiando l’abbraccio –mi sei sembrata strana sin da quando abbiamo lasciato il locale-

-Niente, è solo che...- si scostó leggermente, voleva guardare nei suoi meravigliosi occhi verdi mentre gli diceva quello che non aveva mai detto a nessuno –ho scoperto qualcosa di molto importante stasera-

-Sarebbe?- la gola gli si chiuse per il terrore, che fosse stato smascherato? Che avesse scoperto che lui era un impostore ed ora era tutto finito tra loro due. No! Non poteva permetterlo!

-Ho scoperto che...ti amo André-

lui rimase immobile sbattendo le palpebre, fino a quando tutti i suoi sensi di colpa furono spazzati via dall’ondata di sollievo e felicitá che lo travolse.

-Lo so, avrei dovuto rendermene conto prima...- inizió in fretta, interpretando male il suo silenzio.

-Oscar amore...- cercò di interromperla.

-Tutti i dubbi, le incertezze e poi...-

-Non fa nulla...- rise.

Cercó di interrompere quel fiume di parole senza senso che le stava uscendo di bocca, ma senza successo, lei continuava a blaterare sconclusionatamente di canzoni, sogni, significati, musica, e lui non ci capiva più nulla, dopo vari tentativi infruttuosi, scelse la via più semplice.

La zittì con un lungo bacio caldo, fino a quando non la sentì tremare tra le sue braccia.

-Lo so tesoro- le bisbigliò sulle labbra –solo uno stupido non si sarebbe accorto della veritá-

-Ti amo così tanto- gli affondo il viso nello spazio tra spalla e collo, il cuore che le batteva all’inpazzata per l’intensitá delle emozioni che la stavano sommergendo –resta con me stanotte, rimani qui-

-Niente potrebbe tenermi lontano da te stanotte-

Le sollevò il viso per poterla guardare e le sorrise, prima di baciarla a lungo e con tutto l’amore che provava per lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** CAPITOLO 13 ***


Oscar si ritrovò sdraiata sul divano, sotto di lui, senza sapere come, era concentrata solo sulle sue labbra, sul suo corpo, che aderiva perfettamente al suo, sulla sua lingua umida che l’accarezzava in un modo che la faceva fremere  tremare di desiderio. Il cuore le batteva come un tamburo in petto, questa sarebbe stata la loro prima volta.

Sentì le mani di André che l’accarezzavano da per tutto sopra i vestiti, portava ancora l’uniforme, anche se si era tolta la giacca si sentiva troppo vestita, voleva stare pelle contro pelle con lui.

André stava lentamente perdendo il controllo, sapere che questa notte sarebbe stata tutta per loro minacciava di fargli perdere la ragione, le sfilò la camicia dai pantaloni in modo da essere in grado di sfiorarle la pelle calda e tesa sulle costole e il contorno dei seni con i polpastrelli, sapendo giá che le forme sode e rotonde erano perfette per i palmi delle sue mani.

Spostó le labbra dalla sua bocca, andando a stuzzicare la zona, che sapeva essere sensibile, appena sotto l’orecchio, venendo ricompensato da un basso gemito di piacere, allora fece scivolare la mano verso l’apertura dei pantaloni di lei, sfilando i bottoni uno per volta e accarezzandola con le nocche facendola ansimare.

-Questi devono andare- le disse facendole scivolare l’indumento lungo i fianchi, che si inarcarono per facilitargli il compito.

Ringraziò la sua buona stella che le aveva fatto sfilare gli stivali al ginocchio non appena arrivata a casa, nello stato in cui era non avrebbe avuto la presenza di spirito di stare ad allentare i lacci che li chiudevano, con un sorriso soddisfatto fece scivolare via anche le calze di cotone, ora l’unica barriera che si frapponeva tra lui e il paradiso era la sottile camicia bianca.

Tornò a sdraiarsi su lei, puntellandosi suoi gomiti per cercare di non gravarle troppo addosso, le catturó di nuovo le labbra in un gioco eccitante di lingue calde, decidendo che era arrivato il momento di liberarsi anche di quell’ultimo ostacolo.

Il primo bottone cedetté con fatica al suo assalto, reso goffo dal tremore delle dita, così come per il secondo, anche il terzo decise di dargli dura battaglia, facendogli perdere quella poca pazienza che era riuscito a mantenere con fatica, afferró i lembi e strappò con violenza, facendo saltare i restanti bottoni e facendola sussultare, ma quello che vide lo lasció senza fiato.

Indossava un completo intimo rosso fuoco, tutto pizzo trasparente e seta, con delle roselline ricamate sul bordo delle coppe e su quello del tanga, il colore intenso contrastava in maniera eccitante contro il biancore della pelle di lei.

-Ti piace?- gli chiese un pò imbarazzata, quel coordinato apparteneva all’ultima linea di Victoria Secret, l’aveva comprato diversi mesi fá, ma non l’aveva mai indossato prima, ed ora era contenta di averlo fatto vista la sua reazione.

-Mi piace?- la vose gli uscì strozzata –mio Dio Oscar! Mi farai uscire fuori di testa!-

Posò la fronte sulla sua cercando di riprendere fiato e di calmare il battito forsennato del cuore, fece aderire i fianchi a quelli di lei dimostrandole esattamente quanto apprezzasse la sua biancheria intima.

Oscar sentiva il corpo in fiamme, la pelle più sensibile del normale, la rendeva acutamente consapevole della presenza dell’uomo sdraiato su di lei, che la stava accarezzando come se avesse tra le mani l’oggetto più prezioso di questo mondo, ma la sensazione dei suoi vestiti iniziava a infastidirla.

-Via...- strattonando e strappando, gli tolse la camicia gettandola per terra, divertita pensò che alla fine di questa serata, entrambi avrebbero dovuto risarcire i negozi che gli avvevano noleggiato i costumi.

Ora era libera di toccarlo come più le piaceva, il torace muscoloso, i capezzoli scuri, le spalle e i bicipiti duri e contratti, che al momento sostenevano tutto il suo peso, la schiena inarcata e liscia. Fece scorrere la punta delle dita sotto la cintola per potergli accarezzare il fondoschiena, ma i pantaloni restavano ancora un grosso impedimento.

Stava per attaccare la cerniera quando lui le bloccò i polsi e glieli fermò ai lati della testa.

-No- vedendo la sua espressione di disappunto si affrettó a spiegare –anche se mi piace quando prendi l’iniziativa, voglio che stanotte ti rilassi e lasci che sia io a prendermi cura di te, voglio che ti abbandoni completamente a ciò che stai provando, senza riserve, senza dubbi, ma soprattutto senza controllo-

Lei deglutì a vuoto e lo guardó negli occhi, diventati sue pozze verdi di desiderio senza fine, gli sfiorò lentamente il viso con le nocche in silenzio e lui gliele bació senza interrompere il contatto visivo.

Allora lo abbracciò e lo bació, comunicando con in gesti quello che per la troppa emozione non riusciva a dire a parole, quella notte non gli avrebbe donato solo il suo corpo, ma anche il cuore e l’anima, da custodire e proteggere. Niente dubbi le aveva detto, e lei non ne aveva più, era sicura che avrebbe capito, non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni.

Infatti non furono neccessarie, lui riprese ad accarezzare quella pelle liscia e setosa che conosceva così bene, le sue labbra scesero a baciarle il collo, la spalla, sempre più giù fino all’attaccatura del seno, lasciando una scia umida che asciuagandosi al calore stesso del suo corpo e la faceva rabbrividire.

Le tiró giù le bretelline rosse, liberando i capezzoli rosati e duri per il desiderio, a turno li prese in bocca per succhiarli e leccarli come se stesse assaporando qualcosa di dolce e squisito, lei continuava a gemere e muoversi senza pace sotto di lui, eccitandolo ancora di più con l’attrito dei loro corpi vicini.

La mano di lui scese ad acccarezzarle una fianco, poi la vita sottile, lo stomaco piatto, le sue dita si insinuarono sotto l’orlo del tanga tra i riccioli biondi del pube, fino ad arrivare alla fessurina calda e umida che aspettava solo il suo tocco.

-Apriti di più per me tesoro...così brava...sei completamente bagnata e pronta per me- quelle parole ebbero il potere di farla tremare.

La sentì trattenere il respiro qundo la penetró con un dito, quindi iniziò ad accarezzarla lentamente.

Oscar non capiva più nulla, tutto il suo mondo girava attorno a quelle dita esperte che la stavano facendo impazzire, dentro e fuori, oramai i suoi gemiti andavano a tempo con il tocco abile di lui, il corpo le tremava senza ritengno e tutte le sensazioni erano concentrate nel basso ventre, non avrebbe retto un minuto di più di quella tortura, ma quando pensava che finalmente il sollievo fosse vicino lui si fermo lasciandola sola.

-No!- quasi sull’orlo delle lacrime gli afferró un polso, non poteva fermarsi ora!

-Amore... devo finire di spogliarmi- sorrise all’evidente reticenza nel lasciarlo andare.

Si mise seduto e tolse gli stivali lanciandole un’occhiata di apprezzamento, non l’aveva mai vista così bella, i capelli biondi sparsi in disordine, le braccia piegate sopra le testa, la pelle in genere così bianca, ora era soffusa di un tenue rosa, il respiro pesante, le gambe divaricate dove riusciva a vedere l’alone umido lasciato sul tanga dal desiderio di lei, era stupenda, avrebbe portato per sempre questa sua immagine nel cuore.

Neanche lei riusciva a maschera l’amirazione per il corpo di lui, era così solido e caldo, i muscoli che guizzavano ad ogni movimento, la peluria che sapeva essere morbida al tatto, e qundo lo vide liberarsi degli ultimi vestiti in un unico e fluido movimento non riuscì a trattenere un ansito di sorpresa, l’aveva visto eccitato altre volte ma questa volta le sembrava aumentato di dimensioni. Il pensiero che presto l’avrebbe avuto dentro di se le fece attraversare il corpo da un brivido caldo che le terminò tra le cosce, con ogni probabilitá sarebbe venuta non appena l’avrebbe presa.

Prima di sdraiarsi nuovamente al suo fianco André le sfiló il tanga gettandolo lontano, ora sarebbe stata tutta sua, con un sorriso felino si sistemò tra le sue cosce e le spostó le gambe in modo tale che gli avvolgesse i fianchi.

La bació a lungo e affondo, muovendo i fianchi in maniera da stuzzicarla con quello che sarebbe venuto dopo e continuando ad accarezzarla con la mano libera.

-Tutta mia...- le bisbigliò prima di baciarla nuovamente e penetrarla con un unica profonda spinta.

Il corpo di Oscar esplose in una miriade di scintille dorate, tremando percepiva le contrazioni dei suoi muscoli interni attorno al sesso di André, gli avvolse le braccia attorno al collo per tenerlo il più vicino possibile mentre il terremoto che la scuoteva calava di intensitá.

Anche lui tremava, ma per lo sforzo di non muoversi mentre veniva stretto dall’orgasmo di lei, le contrazioni delle pareti calde che lo avvolgevano gli stavano procurando quasi un dolore fisico, ma quando a tempesta finita posò su di lui quello sguardo di un’azzurro brillante pensò di essere l’uomo più fortunato di tutta la terra, questa sarebbe stata una notte che nessuno dei due avrebbe potuto dimenticare tanto facilmente.

-Questo è solo l’inizio- le assicurò.

-No aspetta...- cercó di protestare, aveva bisogno di qualche minuto per riprendersi.

Ma lui non le diede retta, come se fosse una bambolina di pezza la sollevó tra le braccia e dopo essersi seduto se la mise a cavalcioni sui fianchi stando attento a non interrompere il contatto tra i loro corpi. Ebbe la soddisfazione di vedere gli occhioni blu di lei diventare tondi come piattini mentre la nuova posizione le faceva provare nuove ondate di piacere.

Slaccio i gancetti del reggiseno che ancora aveva addosso e lo mandò insieme al resto dei vestiti, le sue mani ripresero ad accarezzarzarla come se fosse la prima volta che la toccava, le infiló una mano tra i capelli per tenerle ferma la nuca e catturarle le labbra in un bacio selvaggio. Non gli ci volle molto per riaccedere il desiderio di lei, in poco tempo iniziò a muoversi contro di lui in un ritmo sempre più veloce.

Il cervello sconvolto dall’eccitazione di Andrè registrò vagamente che se continuavano di questo passo tutto sarebbe finito troppo in fretta, allora le afferrò i fianchi e la costrinse a rallentare, imponendole un ritmo lento e cadenzato, trasformando il piacere di entrambi quasi in agonia.

Stava per morire ne era certa, nessuno poteva sopravvivere ad una tortura talmente deliziosa, sarebbe di certo spirata in una nuvoletta di fumo se non trovava immediato appagamento, ma nonostante i suoi mugolii di protesta e le sue insistenze, lui mantenne lo stesso andamento, spinte lente e profonde che combinate al tocco delle sue labbra e della sua lingua erano mirate a farla impazzire.

-Andrè ti prego...- gemette contro il suo collo.

Forse l’aveva stuzzicata abbastanta, era più che pronta, la prova gli stava colando sul sesso, sotto forma del liquido denso che proveniva dal corpo dei lei. La stese sotto di se e aumento il ritmo, era finito il tempo dei giochi.

Lei non riusciva e non soprattutto non voleva, trattenere i gridolini di piacere che salivano su per la gola in armonia con le spinde veloci di lui, gli allacciò le braccia intorno al collo e sollevo i fianchi andandogli incontro e cercando di facilitargli i movimenti, il corpo era teso verso il raggiungimento del piacere ultimo.

-Più veloce- gli sussurò, e fù accontentata.

Fece scivolare una mano tra i loro corpi uniti e con il pollice le acarezzo il piccolo bocciolo duro nascosto tra le pieghe umide del suo sesso,  fu ricompensato da un’altro gemito di goduria da parte di lei.

Il corpo di Oscar fù travolto dall’estasi, le ondate di piacere così intense che credette di stare per svenire, non aveva nessun controllo sulle scosse che le scuotevano ogni singola parte del corpo, tremava da per tutto, un’esperienza che non aveva paragoni di nessun genere, vagamente era consapevole che anche il suo compagno stava per venire e stava per ritrarsi da lei, no lo voleva fino in fondo, serró le ginocchia in modo da non farlo scappare.

-Oscar...non ho il preservativo...lasciami....- faticava a parlare.

-Prendo la pillola, resta- rispose con il fiato corto, era vero, aveva iniziato non appena le loro uscite erano diventate ufficiali, sempre attento il suo dolce Andrè.

Lui esitò solo un attimo, con un’altro paio di spinte violente raggiunse l’orgasmo crollandole addosso con un urlo selvaggio, mentre svuotava il suo corpo sprofondato in quello di lei.

Il silenzio della stanza era interrotto solamente dal respiro ansante dei due amanti stesi sul divano ancora immobili, entrambi restii a rompere l’incantesimo che li aveva avvolti dopo quell’eperienza che aveva un che di magico per entrambi.

Quando riaprì gli occhi, Oscar si chiese se era davvero svenuta o se si era addormentata, aveva perso la cognizione del tempo, ma doveva esserne passato parecchio, visto che entrambi i loro respiri erano tornati normali, il peso di Andrè la stava schiacciando contro il divano, ma non importava, glielo faceva sentire più vicino. Con un sorriso beato constató che finalmente aveva scoperto cos’era il Nirvana, l’aveva raggiunto ed era ancora viva per raccontarlo, ma soprattutto non vedeva l’ora di sperimentarlo nuovamente,.

-Ti sto schiacciando- la frase improvvisa la fece sussultare, anche perchè lui non si era mosso e non aveva dato nessun segno essere sveglio –mi spiace non volvo spaventarti-

Le tolse il grosso del suo peso di dosso e le sfioró piano la fronte con le labbra.

-Come ti senti?- le chiese rauco, non aveva un briciolo di forza per muoversi.

-Sbattuta come un uovo- rispose con innocenza.

-Bene, sono contento di essere l’artefice della sbattuta- le sorrise malizioso e le baciò le guance diventate rosse.

-Non ho le forze necessarie per muovermi- pigramente gli accarezzó il braccio.

-Allora? Nessuno ci vieta di starcene qui senza muovere un muscolo-

Ma la parte di lui che era ancora sprofondata nel corpo di lei aveva altre idee.

-Andrè!- squitti fingendo di essere scandalazzita.

-Se lo ignori se ne va- le assicurò sfregando il naso contro il collo morbido di lei.

-Bhè, non mi va di offenderlo dopo che ha fatto tanto per attirare la mia attenzione, non è carino-

Lui la guardó per un attimo e poi scoppiò a ridere.

-Peste, ora vedrai di cosa è capace- frenó ulteriori battute e proteste con le proprie labbra.

E come le aveva detto al principio, quello non fù che l’inizio.

Non appena sveglia, Oscar si rese conto di due cose: la prima, era la sensazione di totale benessere che la pervadeva. La seconda, era il peso micidiale che le ancorava al materasso la parte bassa del corpo.

Lanciando un’occhiata da sopra la spalla, nella fioca luce che pasava attraverso le tende socchiuse, vide la testa scompigliata di Andrè, adagiata sulla parte bassa della sua schiena, sentiva il suo alito caldo che le solleticava le natiche e  le sue braccia le stringevano la vita. Come era finito in quella posizione?

Con un sospiro riaffondò la testa nel cuscino, la posizione era scomoda, ma non le andava di svegliarlo, anche se moriva dalla voglia di vedere i suoi occhi verdi, ancora gonfi di sonno e mezzi coperti da ciocche di capelli scuri, che le auguravano il buon giorno. Con una punta di monelleria agitó piano il sedere e attese. Nulla. Lui continuava a russare alla grande. Ridendo sommessamente diede un’altro scossone, avvertì il cambio di ritmo nel suo respiro e lo sentì muovere contro di lei.

Non aveva mai dormito così bene in un letto che non fosse il suo, pensò André stiracchiandosi leggermente, il cuscino era morbido, caldo e profumava in maniera famigliare, socchiudendo un occhio peró, si trovò davanti un piccolo quadrato di pelle chiara, e un rigonfiamento che assomigliava tanto a...poi gli venne in mente la proprietaria di quelle curve e sorridendo sollevó la testa, anche lei lo stava guardando, gli occhi brillanti quanto i suoi e i capelli arruffati.

-Buon giorno- gli augurò piano.

-Buon giorno- sbadiglió stropiciandosi gli occhi.

-Ti ho mai detto quanto mi piace il tuo sedere?- per enfatizzare meglio il punto strofinò la guancia ruvida contro la parte interessanta, visto che era ancora nella posizione ottimale per farlo –é a forma di cuore-

-È il primo complimento del genere che ricevo- rise allegra.

-Molto male-  le si sdraio accanto e le augurò di nuovo il buon giorno con un bacio –ti va una tazza di caffé?-

-Cioccolata!-

-A cosa te lo chiedo a fare!- con slancio scese dal letto e si avvio verso il bagno –mi faccio una doccia e te la preparo, tu puoi rimanere a poltrire a letto ancora qualche minuto se ti va-

Lo vide sparire oltre la soglia e pochi minuti dopo le arrivò il rumore dell’acqua che scorreva. Si, sarebbe rimasta ancora a letto, avvolta dal profumo di lui a gustarsi i ricordi della notte precedente.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** CAPITOLO 14 ***


Con ancora i capelli umidi ed un asciugamano attorno alla vita, André entrò in cucina fischiettando e accese la macchinetta per il caffé. Prese due tazze dal mobile e ne riempì una di latte, l’avrebbe scaldato nel microonde e aggiunto la polverina per la cioccolata.

Stava gustandosi il suo caffé caldo quando squillò il telefono, non aveva nessuna intenzione di rispondere e sperava che neanche Oscar lo facesse, oggi non c’erano per nessuno, stava beatamente ignorando la segreteria telefnonica che era partita, quando la voce gracchiante che stava lasciando il messaggio attrasse la sua attenzione.

“Oscar tesoro sono la nonna, volevo solo sapere come stavi. Sai ieri notte stavo leggendo i tuoi tarocchi e ho visto delle cose che una signora della mia etá non dovrebbe vedere...”

Per poco non gli andò il caffé di traverso.

“...il cuore sai,” continuò la voce “comunque volevo solo accertarmi che tutto fosse apposto...e lei giovanotto veda di trattare bene la mia bambina, altrimenti dovrá vedersela con me! Connessioni cosmiche o no!”

A quel punto fù colto da un eccesso di tosse e il liquido marrone che stava cercando di bere volò da per tutto.

-Che diamine!- cercó di ripulire il disastro e tenere il telefono sotto controllo, come se si aspettasse di veder uscire dalla cornetta la nonna di Oscar da un momento all’altro.

Aveva appena finito quando Oscar fece il suo ingresso in cucina, i capelli tirati su e avvolta in un morbido accapatoio di cotone.

-Tua nonna ha appena lasciato un messaggio- le disse porgendole la tazza fumante e azionando il tasto della segreteria per l’ascolto dei mesaggi.

Ebbe la soddiafazione di vedere cioccolata volare da per tutto e il viso in fiamme di lei.

-C’é qualcosa di cui dovrei vergognarmi?- chiese divertito mentre l’abbracciava e si apprestava a pulirle le gocce di cioccolato dal viso con la lingua.

-Non chiedere, ti posso assicurare che non vuoi sapere- e al momento lei aveva altre cose per la testa, che non avevano a che fare con sua nonna e le sue presunte arti magiche.

Il loro piccolo interludio erotico venne interrotto da un assordante brontolio, proveniente da entrambi.

-A quanto pare é il caso di soddisfare qualche altro bisogno fisico-

-In effetti ho un pó di fame, facciamo colazione fuori? Come al solito non credo di avere nulla di appetitoso nella mia cucina- lo informó baciandogli il collo.

-Affare fatto, ma prima devo andare a casa a prendere dei vestiti, non posso andare in giro vestito da gendarme per i prossimi due giorni-

-Va bene, mi vesto e usciamo insieme- stava per staccarsi ma lui la trattenne.

-Perdita di tempo, facciamo che io vado a prendermi dei vestiti puliti e poi ci incontriamo in quella pasticceria francese che ti piace tanto-

L’idea di visitare la sua pasticeria preferita le fece dimenticare tutto il resto.

-Aggiudicato!- gridò saltandogli al collo.

-Donna ragionevole- commentò ironico –allora ci vediamo lì tra un paio d’ore-

Ma l’André che se ne stava seduto da solo in silenzio, sul treno della metropolitana che lo stava riportando verso casa, non aveva l’espressione di uno che abbia appena passato la notte con la donna che ama. Era preoccupato, nonostante le cose tra lui e Oscar stessero andando a gonfie vele, sulla loro felicitá pendeva sempre la minaccia delle bugie che lui era stato costretto a raccontare, e che ora stavano diventando ogni giorno più pericolose.

Lavorando alla compagnia aveva scoperto cose incredibili.

Roger Whittaker stava cercando di ripulire i fondi della societá con l’aiuto di alcuni complici, non sapeva con esatezza chi fossero, ma aveva qualche sospetto, e come se non bastasse stavano cercando di far ricadere la colpa su Oscar, in modo tale che la mafia si vendicasse su di lei per le perdite subite e che loro potessero godersi i profitti. Inoltre aveva scoperto che l’uomo che ricopriva la sua carica prima di lei, era morto in circostanze misteriose, il caso era ancora aperto e la polizia non aveva nessuna pista, che l’uomo avesse scoperto qualcosa e fosse stato messo a tacere?

Aveva scovato diversi rapporti di investimenti falsi, con la firma di Oscar, falsa anch’essa, le cifre non erano esorbitanti, ma se sommate in un lungo periodo di tempo, si accumulavano fino a diverse centinaia di milioni. Per non parlare dell’evasione fiscale, sapeva che le grandi compagnie facevano di tutto per pagare sempre il minimo al fisco, ma lui si era imbattuto in documentazioni sospette che aveva passato a Simon, il quale gli aveva confermato la loro illegalitá.

La cosa che più lo faceva rabbrividire era la prospettiva che quei criminali mettessero in atto il loro piano, per poi sparire e lasciare la sua donna nell’occhio del ciclone, a combattere contro la mafia, il fisco e i creditori. Avrebbe dovuto parlarle, e al più presto anche, anche se significava la fine del loro rapporto.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** CAPITOLO 15 ***


Oscar non era mai stata così contenta, i giorni appena trascorsi non avevano eguali, anche sua nonna aveva notato la differenza nel suo tono di voce quando l’aveva chiamata, non era arrivata fino al punto di ammettere che aveva finalmente trovato l’unico e il solo, ma alla vecchietta era bastato sapere che lei era felice.

Il sorriso perenne che aveva in faccia era stato oggetto di discussione in ufficio, quasi tutti erano convinti che fosse dovuto ad una paralisi, conseguenza di un intervento di chirurgia plastica andato male, ma non le importava, al momento non le importava di nulla tranne che dell’uomo seduto alla scrivania davanti al suo ufficio.

Essere innamorati era una cosa meravigliosa, la sua produzione di endorfine doveva aver raggiuto livelli illegali tanto si sentiva bene, ed il fatto che André passasse sei notti su sette nel suo apppartamento doveva avere il suo peso sull’umore notevolmente migliorato.

Eh si, sospiró sdraiata al buio ad ascoltare il respiro regolare di lui che le dormiva accanto, in questi ultimi giorni avrebbe scambiato qualsiasi cosa per qualche ora passata in sua compagnia.

Un crampo di fame improvvisa la convinse ad andare in cucina a trovarsi qualcosa da mangiare, per una volta tanto il frigo era pieno di ogni ben di Dio, avevano fatto la spesa in previsione del fatto di non dover lasciare la casa per tutto il fine settimana.

Prima che potesse accendere la luce della cucina, il suo piede urtó qualcosa di solido procurandole fitte di dolore alle dita e alla caviglia, accidenti che male! Pensò cercando di trattenre un grido di dolore.

Una volta fatta luce si rese conto di aver urtato la valigetta porta documenti di André, e che alcuni fogli erano scivolati fuori da una tasca laterale sprovvista di cerniera. Mentre li raccoglieva, lo sguardo le cadde sulla carta intestata, erano della compagnia e quelli che aveva in mano erano dei rapporti di investimento, di otto mesi fa, che strano, quelle pratiche erano state archiviate diverso tempo addietro, perché le aveva con se?

Diede una veloce lettura, gli occhi le si sgranarono per la sorpresa, quei rapporti recavano la sua firma, così come i permessi per il passaggio dei fondi, ma le cifre erano strane. Per essere sicura rilesse la pagine, ma non c’erano errori, il rapporto diceva chiaramente che l’investimento da lei autorizzato non aveva dato i profitti sperati. Come era possibile?

Diede uno sguardo anche al resto dei fogli, ma i rapporti e i profitti degli investimenti non variavano, sulla carta sembrava che stesse buttando i soldi della compagnia nello scarico, ma era sicurissima del contrario. Cosa stava succedendo? Non ricordava esattamente le cifre, ma non poteva aver fatto un errore di giudizio così grossolano, Roger le aveva addirittura fatto i complimenti per il lavoro svolto. Roger! Avrebbe dovuto parlarne con lui al più presto, ma le servivano altre prove, e per quelle avrebbe dovuto aspettare di essere in ufficio lunedì mattina.

Rimise i fogli a loro posto e tornò a letto, la fame completamente dimenticata. Mentre ritornava al fianco di un ignaro André, non poteva fare a meno di porsi delle domande. Che ci fosse qualcuno che stava falsificando i suoi resoconti? A che scopo? Derubare la compagnia magari? Se la faccenda continuava, prima o poi avrebbe attirato l’attenzione e allora su chi sarebbe ricaduta la colpa?

Tutte le sue domande però non avrebbero avuto risposte, fino a quando non avesse avuto la possibilitá di fare delle ricerche.

Non appena arrivata in ufficio Oscar si mise subito all’opera, diede uno sguardo a vecchi rapporti di investimento a lungo e breve termine, notando che quelli falsificati pesantemente erano questi ultimi, il resto erano piccole cifre che singolarmente sarebbero sparite nel margine di perdita, e per cui non si sarebbero subito notate, ma che se sommate nel complesso risultavano in una cifra esorbitante.

Per i giorni seguenti continuò le sue ricerche, tra una riunione e l’altra, e alla fine della settimana si trovò d affrontare l’amara veritá, qualcuno stava sistematicamente derubando la societá, facendo ricadere le colpe sulla sua sezione, se si continuava di questo passo, al bilancio di fine anno, sarebbe stato lampante che la compagnia era sull’orlo della banca rotta e che lei era l’unica responsabile, non c’era documento che non recasse la sua firma, in molti casi sospettava che fosse falsa, ma poco importava, era stata messa in una posizione terribile, ed ora non le restava che andare a parlare con Roger e mostrargli le prove.

L’ufficio di Roger si trovava al piano superiore, una volta che la segretaria l’ebbe fatta passare, entrò con passo deciso, quel colloquio non sarebbe stato piacevole per nessuno dei due.

-Oscar!- l’uomo aggirò la scrivania e le strinse la mano con calore –accomodati. Vuoi qualcosa da bere? Posso chiedere a Louise di portarti del caffé-

-No grazie, sto bene- sistemò i fascicoli sulle ginocchia e attese che l’altro tornasse alla sua scrivania.

-Cosa posso fare per te?- le chiese gioviale.

-Ho scoperto qualcosa di poco pulito all’interno della compagnia Roger- non c’era modo di addolcire la pillola, doveva dirglielo e basta –qualcuno sta derubando la compagnia usando come tramite il mio ufficio-

-Cosa!- esclamò allibito –non é possibile, ne sei proprio sicura?-

-Ho paura di si- gli porse la prima pila di fascicoli –questi rapporti, sono tutti falsi, come credo lo sia anche la mia firma alla fine della pagina-

L’uomo rimase in silenzio per qualche minuto, mentre scorreva le pagina.

-Non capisco, a me sembrano in regola- disse scettico.

-Sono fatti a regola d’arte, nessuno si sarebbe accorte dell’imbroglio, a meno che non stesse crcando qualcosa di specifico- gli mise davanti altre due cartelle –qui ci sono i rapporti originali, ne avevo tenuto una copia, e per essere più sicura ho fatto dei controlli incronciati al di fuori della compagnia. Tutto sommato in quella pila di fogli c’é un ammanco di tre milioni di dollari-

-Buon Dio!-

-Incredibile me ne rendo conto. Quello che non capisco é come abbiano fatto ad andare avanti senza sollevare i sospetti di nessuno, a meno che...- ma non finì la frase, non voleva fare accuse infondante.

-A meno che cosa Oscar? Lo sai che quello che dirai non uscirá da questo ufficio- la incintó.

-A meno che non abbiano degli appoggi nell’alta gerarchia della societá, qualcuno con abbastanza potere da poter coprire le loro tracce, sono un paio di giorni che ci penso, e non sono riuscita a trovare un’altra spiegazione. Mi spiace Roger, ma credo che qualcuno all’interno del consiglio di amministrazione stia tradendo la tua fiducia- poverino, era rimasto senza parole, gli aveva davvero dato un brutto colpo.

-Non ci posso credere- stancamente si massaggió le tempie –hai parlato a qualcun’altro della faccenda?-

-No, ho creduto che come mio diretto superiore e membro maggioritario del consiglio dovessi essere informato per primo-

-Bene, hai fatto bene, ti ringrazio, non voglio che nasca il panico negli uffici, o uno scandalo, le nostre azioni in borsa crollerebbero e perderemmo tutto-

-Cosa farai ora?- chiese sollecita.

-Non lo so, dovró fare un’indagine interna, se ci disfiamo delle mele marcie in fretta, magari saremo in grado di riparare i danni-

-Mi dispiace averti dato queste brutte notizie Roger- era davvero rammaricata che il compito era caduto su di lei.

-Non ti preoccupare, ma devo chiederti di non farne parola con nessuno, sará meglio per tutti se risolviamo la faccenda senza tanto rumore-

-Come vuoi, per me non c’è nessun problema- si alzó, non aveva più nulla da fare in quell’ufficio –mi terrai informata?-

-Certo, non appena avró trovato i colpevoli, sarai la prima a saperlo- la salutó sulla porta augurandole buona giornata e diede istruzioni alla sua segretaria di non essere disturbato per i prossimi venti minuti, aveva una telefonata importante da fare.

Roger afferró i fascicoli aperti che ancora stavano sulla scrivania e uno per volta li passó nel trita documenti, poi si sedettè sulla sua poltrona e prese il telefono, quando la voce dall’altro lato rispose disse semplicemente:

-Abbiamo un problema-

Oscar tornó nel suo ufficio con un’aria pensierosa, magari poteva fare qualcosa per dare una mano a Roger, tenere d’occhio i suoi colleghi e magari fare delle indagini su di loro, cercando di capire chi si era improvvisamente arricchito. Dietro alla sua porta, trovó André che l’aspettava sul divano con il pranzo.

-Che faccia! È successo qualcosa?- le chiese mentre gli si sedeva accanto e iniziava a rovistare tra le cose da mangiare.

-Ho appena avuto un colloquio poco piacevole con Roger, tutto qui-

-Qualcosa di spicevole immagino, vista la tua espressione- riusciva a vedere chiaramente che era preoccupata.

-Cosa di lavoro, non ti preoccupare- non voleva mentirgli, anzi voleva raccontargli cosa stava accadendo, ma aveva dato la sua parola a Roger, fino a che la faccenda non si fosse conclusa non poteva farne parola con nessuno.

-Non me lo diresti neanche per questo?- le chiese sventolandole sotto al naso una porzione di profitterole ricoperti di cioccolato.

-Mmmmm....- gli andó vicino con un’espressione maliziosa –per quelli, posso ricompensarti in tutt’altra maniera-

-Affare fatto!- non gli importava un fico delle sue diatribe da ufficio, quando Oscar aveva quell’espressione lui finiva sempre le sue giornate con un sorriso beato.

Per le feste del ringraziamento, decisero in accordo di evitare rispettivi amici e parenti e scappare per un romantico lungo fine settimana in un albergo, in montagna a sciare, lei adorava la neve, lui un pó meno, infatti l’aveva presa in giro dicendole che voleva andare lì solo perché servivano cioccolata calda a tutte le ore.

L’albergo era molto pittoresco, piccolo e vecchio stile, completamente sommerso dalla neve e con un panorama da togliere il respiro, il personale era molto gentile e disponibile, il luogo ideale per stare in solitudine insieme.

Il sole splendeva alto nel cielo e André se ne stava comodo su una sdraio ad abbronzarsi, Oscar era andata a prendere gli sci, aveva voglia di fare un pó di moto, l’aveva invitato ad unirsi a lei ma aveva rifiutato, preferiva poltrire al sole, specialmente dopo la nottata appena passata. La vide sbucare dalle doppi porte dell’albergo con gli sci in spalla e la tuta che le sderiva addosso come una seconda pelle, era bella da togliere da star male.

-Sei sicuro che non vuoi venire?- gli chiese una volta vicina.

-No grazie, non sono il migliore degli sciatori e non voglio rompermi nulla durante queste vacanze-

-E se prometto di portarti sulla pista dei bambini? Vediamo se riesco a farti migliorare la tecnica!-

-No- rise divertito –me ne resto qui e mi faccio un bel pisolino, devo recuperare le energie- le disse con una alzata di sopracciglia significativa.

-Pigro!- ma lo bació lo stesso prima di andarsene.

Si sistemó comodo e chiuse gli occhi, un lungo sonnellino non glielo toglieva nessuno.

Due ore dopo fù bruscamente svegliato da un inserviente dell’albergo.

-Signore! Signore si svegli!- la ragazza lo scosse con forza.

-Che...c’é?- con fatica socchiuse le palpebre per trovarsi davanti una brunetta dall’aria preoccupata.

-Signore mi spiace disturbarla, ma...ha chiamato l’ospedale locale, a quanto pare la sua fidanzata ha avuto un incidente sulla pista ed é stata portata al pronto soccorso-

-Cosa!- si alzó di scatto per fronteggiare la ragazza –quando? Maledizione!- si guardó attorno disperato –come diavolo ci vado!-

-Se vuole abbiamo a disposizione delle macchina con autista-

-Davvero? Va bene faccia in fretta!-

Trenta lunghissimi minuti dopo si trovava davanti all’accettazione del pronto soccorso.

-Mi é stato detto che la mia fidanzata si trova qui a causa di un incidente sugli sci, il nome é Oscar De Jarjeyes- disse agitato, pregando che non si fosse fatta nulla di grave.

La donna allo sportello diede una controllata veloce al tabellone degli arrivi.

-Sala 4- rispose indicando una serie di porte alla sua sinistra.

Schizzó via come un proiettile ed entró nella saletta senza bussare, e quando la vide per poco non gli si fermó il cuore. Era sdraiata su un lettino con gli occhi chiusi e un enorme cerotto su un lato della fronte, a parte qualche graffio e livido sul viso e il colorito cereo, sembrava che stesse bene. Le si avvicinó e le prese una mano.

-Oscar tesoro...- la chiamó piano accarezzandole una guancia con la mano libera –amore apri gli occhi e dimmi che stai bene-

Le palpebre tremarono e poi comparvervo i suoi occhi blu leggermente offuscati.

-André....-

-Dio ti ringrazio!- le acarezzó le labbra con le proprie, stava quasi male dal sollievo –mi hai fatto prendere un colpo-

-Mi spiace, tutta colpa dell’albero- stava cercando di fare dello spirito ma la testa le doleva troppo.

-Come stai? Cosa é successo?-

-Il dottore dice che ho una leggera commozzione cerebrale e che devo rimanere sotto osservazione per stanotte, il cerotto é per il taglio, mi ha messo quattro punti. Per il resto avró una serie di lividi e contusioni che mi costringeranno a letto per il resto del nostro soggiorno, mi spiace, non volevo rovinare la nostra prima vacanza insieme-

-Figurati, tanto il letto é l’unico posto dove avevamo deciso di passare la maggior parte del nostro tempo- con un sorriso rassicurante le baciò di nuovo, non riusciva a smettere di toccarla –dimmi come ti sei fatta male-

-Non devo aver allaciato bene uno degli sci...si é sganciato dallo stivale e non sono riuscita ad evitare un grosso abete, mi sarei rotta l’osso del collo se non fossi riuscita a rallentare con quello rimasto-

-Sei stata molto fortunata. Ora riposati, io vado a parlare con il dottore-

-Daccordo...- stanca richiuse gli occhi

Il mattino dopo venne dimessa, con la raccomandazione di non strapazzarsi e di riposare per un paio di giorni, avviso che André le fece seguire alla lettera, anche se le tenne compagnia per tutto il tempo e riuscrono a divertirsi comunque, alla fine dispiacque ad entrambi dover andare via così presto.

Un uomo in tuta da sci e occhiali scuri li stava osservando partire dalla finestra della sua stanza, quando ad un tratto il cellulere posato sul davanzale squillò.

-Cosa hai scoperto?- chiese la voce all’altro capo.

-Non é stato un incidente- rispose l’uomo lanciando un’occhiata al paio di sci posati contro il muro –gli sci sono stati manomessi-

-Capisco. Torna alla base, si entra in azione il prima possibile- la comunicazione fù subito interrotta.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** CAPITOLO 16 ***


Oscar sbadigliò soporitamente, mentre usciva dal piccolo caffé con una tazza di cioccolata calda in mano, doveva andare in ufficio, ma non ne aveva molta voglia. Faceva un freddo terribile e il taglio in fronte le pulsava un pochino. Tra qualche giorno sarebbe dovuta andare in ospedale a farsi togliere i punti, le sarebbe rimasta una bella cicatrice a testimonianza del suo incontro ravvicinato con un’abete, che sfortuna.

Stava per attraversare la strada in un punto poco trafficato, quando un furgone nero le si parò davanti con uno stidio di gomme e tre uomini vestiti con abiti scuri scesero dallo sportello laterale.

-Che diavolo...- la tazza le cadde di mano rovesciandosi sull’asfalto.

Non fece in tempo a finire la frase perché venne afferrata per la vita e scaraventata sui sedili in pelle del veicolo, che ripartì sgommando.

L’interno dell’abitacolo era fioccamente illuminato da una lampada posta sul tettuccio, la poca luce le permetteva di delineare vagamente i contorni degli uomini che l’avevano rapita, che ora se ne stavano in silenzio seduti davanti a lei. Che razza di rapitori erano?  Li poteva benissimo vedere in faccia, e con la memoria formidabile che si ritrovava il loro identikit sarebbe arrivato in tutte le centrali di polizia nel giro di ventiquattrore.

-Se sono soldi che cercate, vi posso dare il numero del mio conto in banca, così mi rispermiate del tempo prezioso, ho una riunione alle dieci- li avvertì, con una spavalderia che era lontana dal provare, ora come ora era grata agli insegnamenti del padre sul dimostrare nessuna paura all’avversario.

-Non siamo qui per farle del male signorina- cercò di tranquillizzarla uno di loro, che lei prontamente soprannominó “il buono”.

I tre tirarono fuori dalla tasca interna delle loro giacche i rispettivi distintivi, erano tutti agenti dell’FBI.

Lei non fece una piega, anche se dentro tremava, cosa potevano volere?

-Chi mi dice che le patacche non le abbiate vinte nella scatola dei coco pops?- chiese sarcastica.

-Ci avevano avvisato che lei era una testarda- disse l’altro, parecchio brutto, con la faccia buterata, ma una cura per l’acne quando era adolescente no?

-Mi perdonerete se non sono accondiscendente, vista la situazione-

-Basta con i convenevoli signorina, non siamo molto pazienti- quello che voleva dire era che lui perdeva la calma facilmente, si lui doveva essere il cattivo del gruppo pensò lei.

-Vi posso ricordare, chi ha rapito chi?- forse arrufargli il pelo non era la tattica migliore.

-Ha ragione. Siamo alla ricerca di informazioni- “il brutto” le gettó un fascicolo dalla copertina bianca sulle ginocchia –lo apra e mi dica se riconosce qualcuno di quegli uomini-

Con diffidenza fece come le era stato chiesto, la cartella conteneva una serie di foto in bianco e nero. Questa volta non riuscì a nascondere la sorpresa, in quasi tutte le fote era ritratto Roger in atteggiamenti amichevoli con diversi uomini, tra i quali riconobbe Mark Spencer, l’avvocato con qui aveva giocato a golf qualche mese fa, ma gli altri le erano sconosciuti.

-Credo che sia in grado di riconoscere almeno due degli uomini in quelle foto, non é vero?- le chiese “il cattivo” in tono mellifluo – mi permetta di dirle chi sono gli altri con cui i suo capo se la sta spassando-

Le strappo il fascicolo di mano e prese alcuni degli scatti.

-Questo- le indicò un uomo sulla cinquantina che stava stringendo la mano a Roger –é Vincent Marino, se il nome non le dice nulla, la informo che é il capo famiglia di una delle organizzazzioni mafiose emergenti del momento, temuto nell’ambiente e spietato come pochi. Questo- prese una’altra foto dove era ritratto anche Mark nel gruppo e stava accanto ad un’altro giovane sulla trentina –é Frank Marino, rampollo ed erede di Vincent. Inutile dirle che il signor Spencer é l’avvocato che copre tutte le loro malefatte trasformandole in attivitá legali. Gli altri uomini sono tutti tira piedi o guardie del corpo-

Oscar continuava a guardare le foto impassibile, non poteva credere che il suo capo si fosse fatto coinvolgere da persone del genere.

-E il punto sarebbe?- chiese con aria di sufficenza.

-Il punto signorina- si affrettò a rispondere “il buono”, per evitare al suo collega di iniziare con le maniere forti –é che Roger Whittaker sta utilizzando la Fasier Assicurazioni, per il riciclaggio di denaro sporco per conto della famiglia Marino-

Nell’abitacolo caló il silenzio.

-Non vi credo- il tono di voce asciutto –Roger non farebbe mai una cosa del genere!- non voleva crederci, le era sembrata una persona per bene, abile negli affari, ma mai l’avrebbe visto nelle vesti di criminale e per di più impegolato con la mafia locale.

-Sa come é nata la societá di assicurazioni per qui lavora signorina?- ma “il brutto” non si fermò per una risposta –circa venticinque anni fá Vincent Marino fornì al signor Whittaker il capitale necessario per acquistare una quota maggioritaria della compagnia, che all’epoca stava affondando ed era sull’orlo della banca rotta, le hanno cambiato il nome e l’hanno rimessa in sesto. Possiamo dire che nel corso degli anni l’investimento di Vincent ha reso cento volte tanto e gli ha fornito una roccaforte per riciclare i proventi dei suoi traffici illegali. Ora Roger Whittaker non é altro che il cane al guinzaglio della famiglia Marino-

-Avete le prove di quanto state dicendo?- si era innocenti fino a prova contraria.

-Per la maggio parte, piccole cose che non sono sufficenti per incastrare i grossi pesci. Speravamo che lei ci potesse aiutare-

-A far cosa? Spiare la mia compagnia e il mio diretto superiore?- era impazziti –se trapelasse una cosa del genere non troverei più nessun lavoro nell’ambiente!-

-Ma almeno conserverebbe intatto il collo- le disse sadico “il cattivo” –crede davvero che quel taglio sulla fronte sia stato un incidente?-

-Come?- di che cosa diavolo stava parlando?

-Uno dei nostri la stava seguendo, i suoi sci sono stati sabotati, una pressione accentuata e si sarebbero sganciati, per fortuna ha dei riflessi pronti, altrimenti non sarebbe riuscita a salvarsi-

-Non é possibile, state usando quel banale incidente solo per intimidirmi. Vi avviso che non funziona, non sono il tipo che cede ai bulletti!- precisò con voce alterata, ma con la sensazione di stare arrampicandosi sugli specchi.

-Creda ciò che le fa più comodo, ma la avviso che la prossima volta potrebbere non essere così fortunata-

“Il cattivo” tornò all’attacco.

-Come vuole. Parliamo allora del suo assistente- le disse lanciandole un’altra cartellina –o devrei dire il suo nuovo ragazzo?-

Oscar guardó la cartellina con il battito del cuore accellerato, cosa potevano avere contro André?

Lo sguardo le cadde sull’intestazione che diceva: “André Granier alias André Jones”, cosa significava?

-Non esiti, la apra. Credo che la troverá interessante-

Conteneva tutte le informazioni possibili e immagginabili su di lui, dove era nato, dove era andato a scuola, la sua famiglia, una lista di tutti lavori che aveva fatto e delle foto. André con degli uomini che non aveva mai visto, degli scatti di loro due a Playland, alla festa al parco con la sua famiglia, le loro uscite serali insieme. Da quanto tempo li stavano spiando?

-Mi permetta di fornirle i dettagli mancanti. Il gruppo di uomini con qui il suo spasimante é ritratto sono: l’editore della Bureau Gazzette e vari collaboratori del giornale. Il suo assistente altro non é che un giornalista a caccia di uno scoop. Ci incuriosisce sapere cosa ha scoperto-

No! Gridava ogni fibra del suo corpo, non poteva essere! Lui non poteva averla tradita in questo modo, non con delle bugie simili.

-Vedo che siamo riusciti ad attirare la sua attenzione-

-Da quanto tempo mi state spiando?- chiese fredda, non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire quando l’avessero scossa, non pensarci, non ora, ora doveva pensare a come liberarsi dei federali.

-Poco dopo il suo arrivo- rispose “il buono” –volevamo essere sicuri che non fosse coinvolta nei traffici illegali del gruppo, dovevamo andarci cauti, dopo che il suo predecessore era atato eliminato a distanza di poco tempo dalla nostra comparsa-

-Il mio predecessore?- chiese sorpresa.

-Si, l’uomo che occupava il suo posto prima di lei, morto in circostanze misteriose, siamo convinti che abbiano scoperto che fosse stato avvicinato e magari lo credevano un anello debole. L’hanno eliminato senza batter ciglio-

Mio Dio, in quale pasticcio si era cacciata senza volerlo! Se tutto quello che le avevano detto era vero, ora si trovava nei guai fino al collo, soprattutto adesso che Roger sapeva che lei sospettava qualcosa.

-Si trova in grossi guai signorina, se hanno giá cercato di eliminarla, vuol dire che sospettano che lei sa qualcosa- tutto stava scoprire cosa fosse questo qualcosa -noi siamo in grado di proteggerla, se ci dará un mano possiamo fare in modo che lei sparisca senza lasciare traccia una volta che tutta la faccenda si sará conclusa-

Lei rise ma senza allegria.

-Fatemi capire bene, dovrei spiare per voi e cercare di non farmi ammazzare nel frattempo e poi fareste qualcosa per proteggermi? Scusate ma non lo trovo un patto vantaggioso!-

-Se accettasse di collaborare, saremo in grado di proteggerla mentre si procura le informazioni necessiarie- chiarì “il brutto”.

-Come avete fatto sulla pista di sci?- colpo basso ma andato a segno.

-Eravamo solo degli osservatori e non avevamo motivo di sospettare che la sua vita fosse in pericolo-

-Misera scusante. Ora se avete finito fatemi scendere!- ordinó, sfoderando il suo sguardo pietrificatore per la prima volta in mesi.

Al “buono” non restò altro da fare che cedere, dovevano convincerla a collaborare, non farla scappare o forzarla a raccontare ai suoi superiori che l’FBI stava conducendo un’indagine su di loro, non che lo non ne fossero a conoscenza, ma non volevano che sapessero quanto si stessero avvicinando alla veritá. Bussó sul vetro che li separava dall’autista, pochi minuti dopo si fermarono e “il brutto” le aprì lo sportello.

Stava per scendere quando lui le bloccó la strada con un braccio.

-Se per caso cambiasse idea mi chiami- le disse porgendole un biglietto da visita –le consigliamo, per la sua sicurezza, di non fare parola con nessuno del nostro piccolo incontro-

Le porse la valigetta e la fece scendere.

Mentre il furgone stava per ripartire “il cattivo” si sporse dalla portiera ancora aperta per gettare sul marciapiede i fascicoli che le avevano mostrato.

-Questi se li puó tenere, noi ne abbiamo diverse copie- le disse con un sorriso perfido, non era soddisfatto di come erano andate le cose e non ne faceva mistero.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** CAPITOLO 17 ***


Oscar rimase ferma a guardare il mezzo che si allontava, poi raccolse i fogli che si erano sparpagliati per terra e li infiló nella valigetta.

Nonostante le sue arie da sbruffona era sconvolta, cosa avrebbe fatto ora?

Come prima cosa doveva accertrsi che tutte le informazioni che le avevano dato fossero vere, ma come? Se iniziava a ficcanasare negli uffici, qualcuno l’avrebbe notata e magari l’avrebbe riferito a Roger. Doveva trovare un modo per uscire da questo pasticcio e scoprire quale ruolo stavano cercando di farle inavvertitamente giocare. Cosa c’entrava lei con il riciclaggio del denaro? Quella era una cosa che si poteva fare anche senza che lei venisse coinvolta in prima persona. Allora perché Roger stava cercando di farla incolpare?

Le serviva aiuto, ma a chi poteva chiederlo?

L’unica persona che le veniva in mente era André, ma a quanto pareva anche lui era coinvolto in questa storia.

Non voleva crederlo, non voleva credere che si fosse subdolamente insinuato nella sua vita in maniera così completa, solo per poter spiare meglio all’interno della compagnia. Non poteva essersi sbagliata in questa maniera su di lui, semplicemente si rifiutava di contemplare le conseguenze che una cosa del genere avrebbe avuto su di lei.

Avrebbe affrontato un problema per volta, cercando di uscirne fuori tutta d’un pezzo, cuore compreso.

Stancamaente si guardò attorno, doveva andarsene, ma non riconobbe nulla. Dove diavolo l’avevano mollata quegli idioti!

Un’ora dopo un taxi la lasciava davanti all’edificio che ospitava gli uffici dell’assicurazione, si era formulata un piano d’azione mentre era in macchina e la prima fermata era l’ufficio di Roger, avrebbe chiesto innoccentemente come andavano le indagini, così avrebbe tastato il terreno. Con passo deciso si diresse verso la sua meta, era fortunata, Louise non era alla sua scrivania, senza esitare bussò alla porta.

-Avanti-

Quando fece il suo ingresso Roger la accolase con il solito calore invitandola a sedersi, Giuda!

-Oscar, mi fa piacere vedere che ti sei ripresa dalla tua piccola disavventura- le disse indicando il piccolo cerottto che ora le copriva la ferita –non si é mai troppo attenti sugli sci-

-Giá é vero- immaggino che  sarai deluso di non avermi eliminato al primo colpo –avevo un momento libero, così sono venuta a chiedere come procedevano le tue indagini, hai per caso scoperto qualcosa?-

-Non...ancora- era la sua immagginazione o si era fatto rigido –ma ti posso assicurare che sto facendo tutto il possibile, a quanto pare abbiamo a che fare con delle persone astute-

-Magari se vuoi posso dale una controllatine alle ultime transazioni che sono passate per il mio ufficio?- sbagliava o era sudore quello che gli imperlava la fronte? –così, per darti una mano e facilitarti il compito. Magari riesco a farti avere una lista di sospetti-

-No!- ma si riprese in fretta –voglio dire...non c’é bisogno che ti interessi della faccenda, credo di avere tutto sotto controllo-

-Bhè, in fondo é il mio nome e la mia reputazione che si sta cercando di infangare, non posso stare seduta e aspettare che mi facciano a pezzetti- si era davvero agitato ora, sarebbe stata una buona mossa quella di rincarare la dose? –dammi il nome della persona che sta conducendo l’inchiesta e vedró se magari ha bisogno del mio aiuto-

-Figurati...non voglio distrarti da...- si toccó il colletto della camicia come se lo stesse strozzando –hai giá tanto lavoro da fare, che...-

-Insisto- lo interruppe spietata.

-Ehm...allora cercheró di convincerlo a passare per il tuo ufficio durante la settimana- fece finta di riordinare dei fogli –ora se non ti dispiace avrei molto lavoro da sbrigare-

-Certo, ti ringrazio- si alzó e si diresse alla porta.

-Puoi farmi il favore di dire a Louise che non voglio essere disturbato per la prossima ora, ho delle telefonate importanti da fare-

-Nessun problema- con un sorriso forzato si chiuse la porta alle spalle e si diresse al telefono che stava sulla scrivania della segretaria, per fortuna non era ancora tornata.

Come sospettava la luce che segnalava l’uso di una linea esterna era accesa, sollevó la cornetta e premette il pulsante per la condivisione delle conversazioni.

-Si ma a quanto pare il tuo uomo ha fallito!- senti dire a Roger.

-Calmati Roger, é stata solo fortunata, la prossima volta non avrá scampo- la voce le sembrava vagamente familiare.

-Oggi é tornata nel mio ufficio Mark! Non sapevo che scusa inventare, dobbiamo finire l’operazione prima del previsto e sbarazzarci di lei, lo sai che altre persone potrebbero essere coinvolte e allora tutti i nostri sforzi saranno inutili!- disse agitato.

-Questa linea non é sicura, incontriamoci domai al solito posto, e poi decideremo il dafarsi-

-Va bene, quella mi rende nervoso, non capisco perché tu mi abbia costretto ad assumerla-

-Era un ottimo capro espiatorio, a domani Roger-

Con quello la telefonata si concluse.

Con mano tremante Oscar mise a posto il ricevitore, era vero, Roger c’era dentro fino al collo e stava cercando di eliminarla. Con passo malfermo si diresse all’ascensore, doveva allontanarsi il più in fretta possibile. L’unico posto dove andare che le venne in mente fù il suo ufficio, doveva riprendersi e poi magari andarsene a casa, non sarebbe riuscita a passare un’altro minuto in quel posto, vicino a delle persone che la volevano morta.

Non incontró nessuno sul suo cammino, neanche André era alla sua scrivania, meglio così, al momento non voleva vedere neanche lui, la sua presenza l’avrebbe costretta a pensare al suo tradimento e non si sentiva abbastanza forte. Si chiuse la porta alle spalle con un tonfo e si gettó sul divano facendo lunghi e profondi respiri, doveva calmarsi, si sentiva lo stomaco in subbuglio e aveva la nausea.

Una decina di minuti dopo André la trovó ancora nella stessa posizione, con gli occhi chiusi e il viso pallido.

-Cosa ti é successo questa volta?- chiese tra il proccupato e il divertito –non avrai di nuovo la frebbe?-

Altro che febbre! Avrebbe voluto gridargli, tu come ti sentiresti se avessi appena scoperto che il tuo capo ti vuole morta, l’FBI ti sta alle costole e che il ragazzo che ami é un’impastore! Ma invece si limitó ad un flebile nulla.

-Avanti, si vede che non stai bene- le si sedette accanto toccandole la fronte –non hai la febbre, magari uno dei soliti disturbi femminili?- voleva essere una battuta ma non sortì l’effetto desiderato.

Lei aprì gli occhi per guardarlo, quelli di lui erano velati di apprensione, come si poteva fingere in quel modo? Non era possibile, e in quel momento non le importava un bel niente se era un bugiardo mentitore, voleva solo che l’abracciasse per qualche minuto, si mise seduta e gli si gettó tra le braccia tremando e inspirando il suo profumo che parve calmare un pó della sua ansia.

-Ehi! Ora mi fai davvero preoccupare, che succede?-

-Nulla, e che ho...- cosa poteva dirgli? -...ho il mal di testa- finì con voce tremante.

-Avresti dovuto restare a casa- le disse premuroso –il dottore ti ha raccomandato di non strapazzarti dopo la brutta botta che hai preso-

-Credo che me ne andró a casa per resto della giornata- doveva anche formulare un piano per domani, doveva seguire Roger e spiare il suo incontro con Mark Spencer, e fare una scenata all’infingardo mentitore che ora la stringeva con tanta tenerezza.

-Ottima idea, ti chiamo più tardi per sapere come stai, ho delle faccende da sbrigare stasera e non credo di far in tempo a passare da te-

-Non ti preoccupare, tanto credo che passero il resto del della giornata a letto- che cosa doveva fare? Si chiese. Doveva incontrarsi con i suoi colleghi del giornale? Non pensarci, continuava a ripetersi, se ci pensi ora rischi di crollare e ti servono tutte le tue facoltá mentali intatte. Poi lo fai a pezzettini.

-Brava, ora vai- l’aiutó a rimettersi in piedi e la spinse fuori dalla porta.

Oscar non riusciva credere di aver attuato un pedinamento in piena regola, per l’occasione si era completamente vestita di nero, aveva raccolto i capelli sotto una cuffia di lana e aveva noleggiato la macchina più anonima che era riuscita a trovare. Ed ora si ritrovava a seguire Roger per la strade della cittá, per fortuna era inverno e faceva buio molto presto, le tenebre l’avvrebbero nascosta meglio.

Vagamente si chiese se “il buono”, “il brutto” e “il cattivo”, avessero incaricato qualcuno di seguirla, sperava di si, si sarebbe sentita relativamente più al sicuro.

Roger era andato a casa dall’ufficio, vi era rimasto per circa un’oretta prima di uscire di nuovo.

Non appena fù di nuovamente in strada Oscar si rimise all’inseguimento, ben presto si rese conto che l’uomo si stava dirigendo verso il porto, quando iniziarono a passare per zone poco trafficate, decise di spegnere i fari, c’era abbastanza luce per guidare se stava attenta e in questo modo non avrebbe dato nell’occhio, diminuendo così il rischio di essere scoperta.

Vide la macchina dell’altro fermarsi dietro un magazzino e lei fece altrettanto, ma stando attenta a parcheggiare lontano e dietro dei conteiner che nascondevano la sua auto a pennello.

Scese senza far rumore, aveva visto Roger entrare al numero 42.

Il magazzino sembrava abbastanza vecchio, sperava solo che non ci fosse un sistema d’allarme e un facile accesso. Sembrava che la buona sorte la stesse assitendo, perché trovó una finestra rotta dalla quale poter entrare.

Decise che la prossima volta avrebbe pianificato meglio e che si sarebbe procurata tutta l’attrezzatura per la sorveglianza, in modo da poter origliare le conversazioni altrui dall’abitacolo caldo della macchina. Stando attenta a non inciampare nei vari detriti lasciati sul pavimento si diede una veloce occhiata attorno. A chi apparteneva questo magazzino visto che i due uomini ne avevano le chiavi? Valeva la pena fare delle ricerche, anche perché da quello che riusciva a vedere il posto non veniva usato che come deposito di materiali di scarto.

Vide una luce accessa nell’angolo opposto da dove stava lei e con passo silenzioso si avicinó il più possibile, i due stavano facendo comunella all’interno di un cerchio costituito da pile di casse di legno, ideale per nascondersi e non essere visti, e ideale per essere spiati.

Si era appena acquattata dietro uno dei cubi di legno, quando due mani l’afferarono da dietro bloccandola e tappandole la bocca per impedirle di gridare, ora sarebbe morta pensó terorrizzata.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** CAPITOLO 18 ***


-Shh- le sussuró una voce che conosceva bene –non una parola!-

Oscar fece cenno di si con il capo, per poco non svenne per il sollievo, sarebbe rimasta in vita dopo tutto. Ma cosa ci faceva André lì? Chi stava seguendo, lei o uno dei due uomini?

Non ebbe tempo di farsi altre domande, perché venne distratta dalle voci concitate dei due uomini che discutevano.

-Ti dico che ci ha scoperti!- ripeté Roger per l’ennesima volta –altrimenti non sarebbe venuta a ficcanasare nel mio ufficio due volte!-

-Calmati Roger, sei troppo paranoico, sapevamo che prima o poi avrebbe fiutato qualcosa, tanto meglio per noi che é successo alla fine della nostra operazione. Ora non ci resta che chiudere i conti, trasferire le ultime somme di denaro e potremmo passare il natale al caldo con nuove identitá, ci servono solo un’altro paio di settimane-

-Settimane! Ma sei impazzito! L’FBI potrebbe giá essere sulle nostre tracce, per non parlare di Vincent! Il tuo problema Mark é che sei sempre stato troppo avido!- gli rimproverò.

-E tu non pensi in grande abbastanza Roger, non sono io quello che si vuole liberare dalle grinfie dei Marino, io voglio solo i soldi, é l’unica cosa a cui sono fedele-

-E la ragazza? È diventata troppo sospettosa!- continuó agitato.

-Devi ammettere che grazie a lei siamo riusciti a rubare più soldi in minor tempo, é intelligente e abile, ma ahimé facilmente sacrificabile, come avevamo stabilito all’inizio. Un vero peccato se me lo chiedi, una bellezza del genere non andrebbe sprecata-

A quelle parole Oscar non poté fare a meno di sussultare, quei due stavano parlando della sua dipartita come una persona normale parla delle condizioni del tempo, le braccia che la circondavano accentuarono la loro stretta, come per rassicurarla che non le sarebbe sucesso nulla di male, mentre i due continuavano a discutere.

-Cosa hai intenzione di fare?- domandò.

-Tutte le prove sono a suo carico, possiamo farla fuori noi o aspettare che lo faccia Vincent come ripicca- rispose impassibile.

-I morti non possono difendersi, se riesce in qualche modo a provare la sua innocenza i prossimi sospetti cadranno sui membri dell’amministrazione e le forze dell’ordine sanno giá della mia connessione con la famiglia Marino, Saró io il sospettato numero uno!-

-Se la facciamo fuori, dovremmo ritardare la nostra fuga, non possiamo simulare tre incidenti in un breve lasso di tempo!-

-Non mi importa! Ti ho giá detto che mi rende nervoso! Con quegli occhi freddi, sembra che sappia che le sto mentendo ogni volta che me la ritrovo davanti!-

-Ti ripeto che sei troppo paranoico Roger, ma se puó farti stare tranquillo me ne occuperó prima della fine della settimana-

-Molto meglio-

-È meglio che c’é ne andiamo, più a lungo restiamo qui, più facile diventa attirare attenzioni indesiderate-

La luce si spostó dalle casse, lasciando le due figure nascoste nel buio completo. I due rimasero immobili fino a quando non sentirono il rumore delle auto che si allontavano dal magazzino.

Senza dire una parola si alzarono, André la prese per mano e con passo sicuro la condusse verso la finestra dalla quale era entrata, non era stata fortuna quella che gliel'aveva fatta trovare aperta, lui doveva averla scassinata per primo.

-Come sei arrivata fino a qui?- chiese in tono piatto una volta fuori.

-Con una macchina a noleggio, l’ho parcheggiata laggiù dietro a dei container- che fosse arriabiato? Sorpreso di trovarla lì? Dalla voce non si capiva, e con il buio non poteva vederlo bene in viso.

-Dammi le chiavi, la riporteró io all’autonoleggio domani- le prese le chiavi di mano e dopo averla afferata per un polso la trascinò verso il suo maggiolino.

Era arrivata la resa dei conti pensó lei, ora non si potevano più ignorare le bugie che c’erano tra di loro. Oscar non sapeva cosa provare, rabbia per il tradimento subito? Speranza, nel credere che ci fosse una spiegazione logica a tutta questa storia? Paura, dello scoprire che in definitiva lui l’aveva davvero usata? Tristezza, per il loro rapporto che questa notte sarebbe cambiato inesorabilmente?

Si rese conto di provarle tutte, si sentiva pronta ad esplodere, come una lattina di coca-cola dopo essere stata agitata, sentiva le bollicine che una volta a galla scoppiavano a ripetizione.

André era furibondo, quando l’aveva vista sbucare da un agolo buio non aveva creduto ai suoi occhi, cosa ci faceva lei in quel magazzino?  Che motivo poteva avere di sospettare dei due uomini che lui stava seguendo? O peggio ancora era lui che stava seguendo? L’aveva scoperto ed ora voleva accertarsi cosa stesse combinando.

Alla rabbia peró era ben presto subbentrata la paura, se venivano scoperti sarebbe stata la loro fine, la discussione che avevano appena origliato aveva concretizzato i suoi sospetti. Lei era in pericolo, e lui doveva fare tutto il necessario per cercare di tenerla al sicuro.

Anche se, come prima cosa doveva cercare di arginare i danni di questa notte, ora non c’era più modo di nascondere la veritá, avrebbe dovuto raccontarle tutto, sperando che alla fine non l’odiasse.

Non aprirono bocca per tutto il tragitto, entrambi cercando di rimandare l’inevitabile, ma fin troppo presto si ritrovarono faccia a faccia avvolti nel silenzio del salotto nell’appartamento di lei.

Si guardarono negli occhi un lungo momento, da dove iniziare? Come si poteva attraversare il baratro che si era aperto tra loro.

-Oscar...- iniziò lui titubambte.

Ma lei non lo fece finire, giró di spalle, sparendo in cucina per qualche secondo, quando tornò gettó sul basso tavolino davanti al divano un fascio di fogli.

-Mi spieghi questo signor Jones, o dovrei chiamarla Granier?- gli disse sarcastica.

Cautamente si diresse al tavolo e dopo essersi seduto diede un’occhiata ai fogli, era proprio nei guai fino al collo.

-Chi te l’ha dato?- chiese piano, le prove della sua colpevolezza erano tutte li, chissá da quanto tempo le aveva.

-L’FBI- a questo punto era inutile mentire o raccontare mezze veritá.

-L’FBI!- esclamò sorpreso, questo complicava ulteriormente la faccenda.

–A quanto pare sono mesi che spiano me, te e tutto il mio ufficio, devo dire che hanno fatto un lavoro dettagliato, c’é addiritura una copia di tutti i documenti falsi che hai usato per farti assumere da me-

-Non é come credi Oscar- continuava a guardare i fogli, non aveva il coraggio di guardare lei.

-E cosa credo André? Che tu mi abbia usato per scrivere due articoletti da prima pagina?- il tono era gelido –cosa ti spettavi, una qualche esplosiva rivelazione tra le lenzuola?-

La sua testa si sollevó di scatto a guardarla.

-Quello che c’é tra noi non ha nulla a che fare con il mio lavoro- cercó di spiegarle.

-Il tuo lavoro! Giá inizia da lì, cosa diavolo sei venuto a fare nel mio ufficio?-

-Faccio un favore ad un amico, l’indagine era sua, ma la sua copertura é saltata e come risultato si é fatto quattro settimane di coma dopo un’esplosione sospetta. Immaggino che i federali ti abbiano detto delle connessioni di Roger Whittaker con la mafia locale?- ma la domanda era retorica –mi è stato chiesto aiuto per scovare delle prove che colleghino la compagnia con il riciclaggio di denaro sporco della mafia, la posizione come tuo assiste sembrava il posto ideale da dove iniziare-

-Continua, che altro hai scoperto?- chiese perentoria, voleva avere tutti i pezzi di quel mosaico per poter decidere la prossima mossa.

-Non molto sul riciclaggio, piccole cose che però potrebbero far scoppiare un putiferio, in compenso ho scoperto che Roger Whittaker e Mark Spenser stanno sistematicamente derubando la compagnia, con l’aiuto di qualcuno all’interno del tuo ufficio. Qualcuno sa esattemente quali investimenti non desterebbero troppe domande e quali sono troppo rischiosi da contraffare. Da quello che ho capito dai discorsi di questa sera, Roger vuole sparire e liberansi dalla morsa della mafia, mentre il signor Spenser vuole solo arricchirsi ulteriormente, si vede che la parcella pagata dalla mafia non gli basta più.

La situazione é seria Oscar, vogliono farti figurare come unico responsabile del crollo dell’azienda, così che, in caso la mafia decidesse di vendicarsi saresti la prescelta, così come ti sarebbero addosso tutte le autoritá governative- la vide ipallidire leggermente, ma non si azzardava a toccarla, sapeva che il suo tocco non sarebbe stato il bevenuto –spiegami come mai Roger sospetta che di essere stato scoperto?-

-Perché...ho trovato dei documenti, erano scivolati da una tasca della tua borsa, mi sembravano strani, così ho fatto dei controlli, in un paio di giorni ho scoperto cosa stava succedendo. Come una stupida sono andata a raccontare tutto a Roger, e...-

-Che cosa!- la interruppe orripilato lui –non é una sorpresa che vogliano farti fuori-

-Non é come se avessi ogni diritto di sospettare del mio capo, e poi...- si interruppe indecisa se dirgli o meno del fallito tentativo di farla fuori, alla fine decise per il si –il loro primo tentativo é andato a male-

-Primo...? Come? Quando?- poi sgranò gli occhi –l’incidente in montagna!-

-L’FBI ci stava seguendo anche allora, hanno recuperato i miei sci e constatato che erano stati manomessi- non provava nessuna pena nel vederlo così sconvolto.

-Che altro ti hanno detto i federali?- se erano coinvolti anche loro voleva dire che in pentola bolliva qualche grossa operazione.

-A parte che il mio assistente poteva vantare un’avventurosa doppia vita?- disse sarcastica –nulla di diverso da quello che sai giá-

-Mi dispiace Oscar, non volevo che lo venissi a sapere così...-

-Oh, sono sicura che ti sarebbe stato più comodo se non l’avessi scoperto per nulla!- lo interruppe con voce alterata –permettimi di darti una notizia flash, l’interludio piacevole é finito! Ti voglio fuori dal mio ufficio entrodomani mattina, vattene, non abbiamo più nulla dirci!-

-Invece abbiamo ancora tante cose da dirci- si mise in piedi cercando di mantenere la calma, attaccarla non sarebbe servito a niente –non ho mai considerato la nostra storia come un interludio piacevole, tra noi c’é qualcosa d’altro...-

-Vuoi dirmi che non hai cercato di essere amichevole per vincere la mia fiducia?- con un moto di rabbia pensò che non gli ci era voluto tanto tempo per raggirarla.

-Si...no...all’inizio magari, ma poi più imparavo a conoscerti, più mi piacevi, volevo starti vicino...- ma apparentemente lei non aveva voglia di lascirgli finire nessuna delle sue spiegazioni.

-Come no! Tutti cercano di iniziare le loro relazioni con il prossimo su una montagna di bugie, le rende più stabili!- l’ironia colava da ogni parola.

-Ci sono stati momenti nei quali desideravo con tutto me stesso poterti dire la veritá, ma le cose che scoprivo rendevano sempre più evidente quanto fossi in pericolo, prima di raccontarti tutto volevo trovare il modo di aiutarti- 

-Santo cielo! Adesso non mi verrai a dire che tutte le bugie che hai raccontato sono per il mio bene! Per proteggermi!- non poteva credere alle sue orecchie, guardandosi velocemente attorno afferró la prima cosa a portata di mano e gliela lanciò con violenza, fortuna volle che fosse uno dei cuscini imbottiti che stavano sulla poltrona –brutto ipocrita d’un bugiardo! Vattene immediatamente da casa mia!-

Era il colmo, pensó lei, con quale coraggio le veniva a dire che le aveva mentito per proteggerla, e anche se fosse avrebbe dovuto dirle la veritá non appena le cosa tra loro due erano diventate serie, se quello che le aveva detto era la vero, come poteva credere ora che lui fosse sincero.

-Oscar cerca di...- era difficile parlare mentre cercavi di schivare una serie di oggetti che ti venivano scagliati contro –ti vuoi calmare e...-

-Calmare! Se ti devo mandare via da casa mia in barella, ti posso assicurare che stasera sono dell’umore adatto per farlo senza provare nessun rimorso!-

Quando André la vide afferrare uno dei pesanti soprammobili di cristallo, decise che era arrivato il momento di intervenire con le maniere forti, la doveva fermare prima che qualcuno si facesse male, in particolar modo lui.

Prima che glielo potesse scagliare addosso le afferró un polso e senza tante cerimonie la scaraventò sul divano, dove la immobilizzó con il peso del proprio corpo.

-Ora ti calmi e mi dai una possibilitá di redimermi?- chiese con il fiatone.

-Vai a quel paese!- sapeva che lui era molto piú forte e pesante di lei, ma quel fatto non le impedì di dimenarsi come un’ossessa cercando di liberarsi.

Lui rimase pazientemente ad aspettare che si calmasse e che la sua rabbia sfumasse, almeno leggermente e dopo quasi dieci minuti la sentì arrendersi, anche perché era rimasta senza fiato e senza forze.

-Adesso mi starai ad ascoltare?- le chiese calmo.

-Cosa? Dimmi cosa potresti dirmi che giustificherebbe un comportamento così scorretto da parte tua?- cercó di guardarlo torva, ma la posizione era nettamente in suo svantaggio.

-Dirti che mi dispiace, che il mio comportamento non ha scusanti, ma se significherebbe tenerti al sicuro non esitererei a farlo di nuovo-

-Il fine non giustifica i mezzi André- averlo così vicino iniziava a farle un certo effetto, le riaccendeva sensazioni che al momento erano fuori luogo.

-Come puoi affermare che tutto quello che c’é tra noi é una bugia? Io ti amo maledizione!- la scosse leggermente al colmo della disperazione, la stava perdendo.

-E su cosa sarebbe basato questo nostro amore? Mi hai fatto innamorare di una persona che non esiste- vide gli occhi di lui riempirsi di dolore, ed era sicura che i suoi rispecchiassero la stessa emozione –ti rendi conto della montagna di menzogne che ci separa? I sotterfugi per non farmi avvicinare al tuo appartamento, il fatto che in questi mesi non ho mai incontrato uno dei tuoi amici. E la festa con i tuoi genitori? Mi sono anche sentita dispiaciuta per te quando mi hai chiesto di non menzionare il lavoro, invece tutto era una tattica per non farti scoprire- si odió nel sentire la voce incrinarsi, non avrebbe pianto.

Lui si rendeva conto che quello che diceva era  vero, ma ogni affermazione era ugualmente come una pugnalata al cuore, non sarebbero riusciti a risanare la frattura così facilmente.

-Oscar...- ma cosa poteva dirle? Aveva tradito la sua fiducia, ma aveva sempre pensato di poterla convincere a dargli il beneficio del dubbio, ora non l’avrebbe mai perdonato.

-Vattene André- gli intimó con voce bassa e stanca –ti voglio fuori dal mio ufficio e dalla mia vita per sempre, non voglio piú vedeti-

Non avrebbe potuto fare altro stasera, si disse sconfitto, era meglio se andava via e la lasciava sola.

-Lascia che ti dica un’ultima cosa- le fece scivolare una mano sulla nuca e la bació, piano e con tenerezza, fino a quando non sentì la sua involontaria risposta –l’André che ti ama Oscar non ha niente a che vedere con il giornalista-

Poi se ne andó, senza voltarsi e chiudendosi piano la porta alle spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** CAPITOLO 19 ***


Oscar rimase immobile, sdraiata sul divano dove lui l’aveva lasciata, non aveva la forza di muoversi, il silenzio dell’appartamento le si stava chiudendo addosso come mura invisibili, rischiando di schiacciarla. L’aveva mandato via, aveva chiuso tutti i loro rapporti. L’aveva perso per sempre.

Gli occhi le bruciavano, avrebbe dovuto piangere, sfogarsi in qualche modo, ma non ci riusciva, il suo viso era asciutto e lo sarebbe rimasto, il cuore invece sanguinava e faceva male. Un dolore sordo e pulsante che lentamente si stava diffondendo per tutto il corpo, chiuse gli occhi e si raggomitoló su un fianco abbracciando un cuscino.

Sulle labbra aveva ancora il sapore del suo bacio, tenero e dolce come pochi, come si rimetteva insieme un cuore in frantumi? Come avrebbe fatto ad andare avanti senza di lui? Come al solito tante domande e nessuna risposta, non una per lo meno che le potesse portare conforto.

André salì in macchina e inizió a guidare come un disperato per le strade della cittá, rischiando di andare a schiantarsi un paio di volte, ma non gli importava, era completamente insensibile a tutto quello che lo circondava, non voleva vedere niente e non voleva pensare a niente.

Perché iniziare a pensare alla scenata appena accaduta nell’appartamento di Oscar, rischiava solo di farlo ammattire. L’aveva persa, lei lo odiava, aveva stampato in mente in maniera indelebile, l’espressione carica di dolore che le aveva visto quella sera e lui era stato la causa di tutta quella sofferenza. Come poteva farsi perdonare e avere una seconda possibilitá?

Dopo la terza quasi collisione con un’altra macchina, decise che forse era meglio fermarsi, non sapeva dov’era e non gli interessava, ora gli importava solo cercare di placare il battito del cuore e l’ondata di pena che gli stava attraversando il corpo facendogli tremare le mani. Aveva rovinato tutto, ma non si sarebbe arreso, avrebbe trovato il modo di riconquistarla, quello che si era creato tra loro non poteva finire in questo modo, avrebbe lottato con le unghie e con i denti per riaverlo.

Ora peró doveva cercare di tenere in vita quella donna cocciuta, prese il cellulare e chiamó un numero dalla rubrica.

-Simon sono André, la mia copertura é saltata, dobbiamo chiudere l’indagine il piú in fretta possibile-

Quando Oscar riaprì gli occhi non seppe dire quanto tempo fosse passato, se pochi minuti oppure ore, non aveva importanza, sembrava che finalmente avesse riacquistato una parvenza di calma, anche se il dolore era sempre lì, dubitava di vederlo passare tanto presto.

 A fatica si mise a sedere e si strofinó gli occhi, la testa le scoppiava, vagamente si rese conto di non essersi tolta nemmeno la giacca quando era arrivata a casa, poco male avrebbe direttamente buttato i vestiti nella spazzatura, non li voleva rivedere mai piú.

Con passo stanco andó a prendere la sua valigetta, mentre era in stato catatonico le era venuta un’idea su come uscire da quel pasticcio senza rimetterci la vita e la carriera, ed includeva il coinvolgimento dell’FBI, aveva conservato il biglietto da visita datole dal “brutto”.

Travis Perkins

Tel. 555-6394

-Thó guarda “il brutto” ha anche un nome-

Prese il telefono e compose il numero, fece diversi squilli prima che una voce assonnata le rispondesse pronto.

-Agente Perkins, sono la signorina De Jarjeyes-

-Signorina sta bene? Le é successo qualcosa?- la voce era divenuta subito attenta.

-No sto bene, per il momento almeno. Ho ripensato a quello che mi ha detto e...se decido di aiutarvi, lo faró solo alle mie condizioni- gli spiegó decisa.

-Signorina, non credo che lei abbia le conoscenze necessarie...-

-Questi sono i patti- lo interruppe piatta –non ho nessuna intenzione di rimetterci vita e carriera in modo che lei e suoi colleghi vi possiate coprire di gloria-

Ci fu qualche secondo di silenzio.

-Quali sono le sue condizioni?-

-Non al telefono, meglio incontrarci di persona, ci sono delle cose di cui lei e suoi colleghi non credo siate a conoscenza-

-Va bene la contatteremo noi con l’ora e il luogo dell’incontro-

-Daccordo- e chiuse la comunicazione.

Andó alla finestra e aprì le tende, il cielo iniziava a schiarirsi lentamente, presto sarebbe arrivata l’alba, un nuovo giorno, si rese conto di non aver nulla da aspettare con impazienza per la nuova giornata, non il lavoro, non il suo amore, a quel pensiero un’altra fitta al cuore le fece trattenere il respiro.

Tutti quelli che dicevano che era meglio “aver amato e perso che non aver amato affatto” erano idioti, come si poteva sopportare una sofferenza del genere piú di una volta nella vita? Bisognava essere masochisti.

Mai piú, si disse osservando con sguardo freddo il sole che tingeva il cielo di un pallido rosa, mai piú avrebbe permesso a qualcuno di entrare nella sua vita in maniera così profonda, come lo aveva permesso ad André. Si sarebbe dedicata al lavoro e avrebbe smesso di perdere tempo persa in sogni ad occhi aperti, che non le aveva portato altro che un brusco risveglio.

Con ironia constató che alla fine, stava per diventare esattamente quello che suo padre aveva sempre desiderato, una donna d’affari spietata e senza cuore. Il suo cuore ormai era stato ridotto in briciole da due profondi e dolci occhi verdi.

Oscar arrivó in ufficio in ritardo, di proposito, quel giorno avrebbe dovuto mettere in moto il piano ideato dai federali il giorno prima. Aveva passato ore in loro compagnia progettando una fine a tutta questa faccenda, lei gli aveva offerto le prove delle operazioni di furto, frode e evasioni fiscali attuate da Roger e e Mark Spencer e loro non avrebbero fatto in alcun modo il suo nome e le avrebbero fornito protezione fino a quando tutto non si fossero accertati che in nessun caso lei sarebbe stata coinvolta. Avrebbe dovuto lasciare la cittá per qualche giorno, ma tanto non avrebbe più avuto un lavoro a cui rendere conto.

 La loro idea era di evitare l’ergastolo ai due in cambio del loro aiuto per incastrare la famiglia Marino, indipendentemente da quanto i loro avocati di difesa sarebbero stati bravi, con le prove da lei fornite la prigione non gliela toglieva nessuno.

Inoltre non sarebbero durati a lungo dietro le sbarre visto che Vincent Marino avrebbe trovato un modo per eliminarli, la loro unica possibilitá sarebbe stata quella di collaborare, non gliene avrebbero dato altra.

Ora lei doveva cercare di trafugare i dati contenuti nel portatile chiuso nell’ultimo cassetto della scrivania di Roger, aveva una serie di dischetti a un cd fornito dai federali che le avrebbe consentito di bypassare eventuali misure di sicurezza, il fatto di avere una cimice e un segnalatore di posizione cuciti nel reggiseno le dava un pó di sicurezza in più, doveva solo trovare il momento adatto.

Si diresse prima nel suo uficio, non voleva dare eccessivamente nell’occhio, cercó di non badare alla scrivania vuota che negli ultimi tempi era stata occupata da André, nelle ultime ore era riuscita a far scendere il dolore a livelli sopportabili, ora non rischiava più di toglierle il respiro, non poteva fare a meno di chiedersi dove fosse ora e cosa stesse facendo. Il modo in cui si erano lasciati pesava anche a lui, oppure era sollevato che le cose fossero finite tra loro? Scuotendo la testa per schiarirsi le idee si tolse cappotto e giacca e riprese la valigetta, non doveva pensarci, adesso se la fortuna l’assisteva l’ufficio doveva essere vuoto e sbarazzarsi di Louise sarebbe stato relativamente facile.

Il cuore le batteva all’impazzata, sapeva che i federali stavano seguendo ogni suo movimento, ma quella certezza non l’aiutava, quello che stava facendo era pericoloso, a questo punto non aveva nessuna idea su come avrebbe reagito Roger se si fosse sentito braccato.

Quando arrivó difronte all’ufficio di Roger non poté credere alla sua fortuna, la segretaria non era alla scrivanie e l’uomo non era nel suo ufficio.

Come un fulmine chiuse la porta e corse alla scrivania, le avevano detto l’ultimo cassetto, provó ad aprirlo, chiuso a chiave, i federali le avevano fornito un passe-partout, erano pronti a tutto quelli, si liberò della serratura senza problemi, il portatile era dove le avevano detto.

Lo accese e attesse che finisse di caricare, per poi inserire il cd con il programma che le avevano dato, non avrebbe lasciato nessuna traccia sulla memoria fissa quindi nessuno si sarebbe mai accorto nel furto di dati.

Dopo pochi minuti inserì il primo dischetto e inizió a scaricare varie liste di bonifici bancari, con destinatario, numeri di conto e nomi insieme ai fascicoli che aveva giá consegnato, sarebbero bastati per fargli avere una condanna si settant’anni a testa, certo c’era la possibilitá che ne uscissero molto prima per buona condotta, ma la mafia non avrebbe aspettato.

Tolse il terzo dischetto e ne inserì un quarto, ma quanto ci metteva! Le sembrava di essere lì da un’eternitá, quando invece erano passati solo dieci minuti, chiunque sarebbe potuto entrare e scoprirla in fragrante reato.

Con un’ondata di panico sentì delle voci fuori dalla porta, Louise era tornata.

-Aspettatmi Janice, lascio queste pratiche sulla scrivania del signor Whittaker e vengo con a pranzo con te-

Stava per essere scoperta! Cosa poteva fare?

Più in fretta che poté infiló tutto sotto la scrivania e vi strisció anche lei sistemando la sedia davanti, la luce dello schermo sembrava come un faro acceso nella notte, senza fare rumore lo chiuse, in quel momento la segretaria entró ridendo e continuando a chiaccherare con l’amica, non aveva neanche lanciato un’occhiata al tavolo.

Con sollievo Oscar attese che la porta si fosse richiusa, prima di dare un’occhiata al monitor, quel maledetto le chiedeva di inserire un’altro dischetto! Con destrezza eseguì l’operazione decidendo di stare nascosta.

Il download finì in pochi secondi, chiuse il portatile e lo rimise al suo posto, richiuse il casssetto e infiló i dischetti nella sua valigetta, doveva andarsene veloce come il vento!

Ma quando aprì la porta per uscire si ritrovó faccia a faccia con il diavolo in persona. Mark Spencer.

-Signor Spencer! Che piacere rivederla- con un enorme sforzo di volontá si impose di calmarsi, l’aveva vista solo uscire dall’ufficio di Roger, non poteva sospettare che stesse facendo qualcosa.

-Signorina De Jarjeyes, che deliziosa sorpresa- cosa ci faceva li?

-Se sta cercando il signor Whittaker non é in ufficio, volevo aspettarlo ma mi sono resa conto di essere in ritardo per una riunione- si diede un dieci e lode per l’assenza di nervosismo dalla voce.

-Ma che peccato, mi sarebbe piaciuto invitarla a pranzo- stava combinando qualcosa ne era certo,

-Mi spaice ma sono in ritardo, arrivederci- lo oltrepasso senza guardarlo e si incamminnó lungo il corridoio con quella che sperava risultasse come un’andatura dignitosa, stva facendo ogni sforzo necessario per non correre.

Mark rimase a guardarla per qualche minuto, poi andò nell’ufficio del suo socio. Nessuno lo sapeva ma nella stanza avevano fatto installare un sistema di sorveglianza audio e video con sensori di movimento, si ativava solo se qualcuno entrava nell’ufficio, non si sapeva mai cosa sarebbe potuto risultare utile. Le immaggini venivano mandate automaticamente ad una centralina raccolta dati, ma se se ne aveva la necessita c’era una cassetta registrata che ti forniva le immaggini delle ultime quattro ore.

Aprì un finto pannello di legno dietro al mobile del bar e prese il nastro, ora avrebbe scoperto cosa stava combinando la biondina da sola nell’ufficio del suo capo. In pochi secondi le immagini di Oscar che scassinava la scrivania vennero proiettate sul televisore, ed in quel momento Roger decise di fare ritorno nel suo ufficio.

-Roger, entra e chiudi la porta per favore, sei appena in tempo per lo spettacolo- disse divertito.

-Cosa ci fai qui? Ti ho detto che non mi piace quando vieni nel mio ufficio!- qundo gli si mise affianco per poco non gli venne un colpo –che diavolo é quella roba?-

-A quanto pare siamo stati scoperti- quello complicava un pò le cose, ma non era irreparabile, li forzava solo ad accellerare i tempi.

-Mio dio! Cosa sta facendo con il mio portatile!- stava per venirgli una crisi respiratoria.

-Calmati Roger-prese carta e penna dalla scrivania e scrisse sul foglio “molto probabilemente ci sono cimici nel tuo ufficio, segui quello che dico senza fare storie” –ora che siamo stati scoperti ci tocca accellerare l’operazione, dobbiamo sparire questo pomeriggio stesso-

-Hai ragione, immaggino che sia tutto pronto- improvvisó alla cieca.

-Certo, il piccolo aereo privato che ci deve portare a Cuba é pronto alla partenza, avviseró il pilota di aspettarci  per le 18:00. dovremmo avere abbastanza tempo per raggiungere Forest Hill- quello era l’aereoporto più lontano a cui era riuscito a pensare, se qualcuno aveva intenzione di fermarli, una volta scoperto l’inganno avrebbe impiegato almeno un’ora per tornare in cittá, e per quel tempo loro sarebbero giá andati via.

-Va bene Mark ci incontriamo direttamente lì- oramai l’uomo stava sudando copiosamente ed era in preda al panico, il socio gli indicó di nuovo il foglio, diceva “ci vediamo al magazzino alle 17:00, partiamo stanotte con la barca. Lascia a me la puttanella bionda”, lui fece solo un cenno con il capo.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** CAPITOLO 20 ***


Oscar si chiuse nel suo ufficio e prese il cellulare, aveva un numero da contattare, bastava che mandasse un sms, e poi i federali avrebbero fatto il resto, le venne difficile scrivere quelle due semplici parole “missione compiuta”, stava tremando come una foglia. Il messaggio venne spedito e lei si sedette sul divano gettando il telefono di lato.

Ora doveva solo aver pazienza e aspettare.                                                               

Un improvviso bussare alla porta per poco non la fece cadere dal divano, chi poteva essere?

-Avanti?- fece una veloce scansione dell’ufficio alla ricerca di qualcosa che potesse usare come arma, magari....

-Pony Express signorina- le disse il ragazzo in tuta e giubbottino fluorescente.

-Eh?- doveva essere qualcuno finito nell’ufficio sbagliato, maledizione a lui! Le aveva fatto venire un accidente!

-Ci è stato detto che lei ha un pacco per il signor Travis Perkins, sono venuto a prenderlo- le spiegó con calma.

-Oooh....- era uno degli agenti del “brutto” sotto copertura –certo, ora ricordo-

Prese i cinque dischetti e li mise in una busta marrone.

-Questi devono essere consegnati al signor Perkins il piú in fretta possibile-

-Non si preoccupi signorina- le porse un foglietto ripiegato –questa è la sua ricevuta-

-Grazie- una ricevuta?

Quando l’uomo lasció l’ufficio spiegò il fogliettino, era un messaggio per lei “se ne vada immediatamente, sul retro del palazzo c’è un nostro agente che l’aspetta per portarla in salvo”.

Non se lo fece dire due volte, afferrò solo il telefono e lasció lì tutto il resto, tanto non le sarebbe servito. Senza dire nulla a nessuno prese l’ascensore e scese al pian terreno, sapeva che non lotano dai bagni delle signore c’era un uscita di sicurezza che dava su una strada laterale, le bastava girare l’angolo e avrebbe trovato l’agente.

La porta si spalancò e lei si mise a correre, sul marciapiede c’erano poche persone, nessuno si sarebbe preoccupato di lei. Non appena ebbe girato l’angolo vide un uomo scendere da una macchina scura, doveva essere l’agente mandato da Perkins.

-Faccia in fretta signorina!- la incitó facendo il giro per aprirle la portiera.

Poi tutto successe così in fretta che lei non ebbe il tempo di reagire in nessun modo. L’egente era a terra e lei si ritrovò con una pistola puntata al fianco lontano dalla vista dei passanti che si erano raggrupati attorno all’uomo che sembrava essere collassato, qualquno gridó per un’ambulanza, nessuno aveva notato l’uomo che ora le stava affianco emergere dalle ombre.

-Sali in macchina e mettiti al volante. Non fare mosse false altrimenti finisce male, oramai non ho piú nulla da perdere- le bisbiglió l’uomo svelto.

Mark Spenser l’aveva scoperta.

Cercando di mantenere la calma si mise al volante, non voleva che quel pazzo si mettesse a sparare su dei passanti innocenti.

-Cosa hai fatto a qul poveretto?- volle sapere, mentre metteva in moto e si inseriva nel traffico cittadino.

-Non l’ho ammazzato, se é quello che pensi, l’ho solo tramortito, stará fuori dai piedi il tempo necessario per potercela dare a gambe- le fece un sorriso maligno –ora dimmi dove sono i dischetti che dovevi consegnare a quell’agente. Perché era un agente dell’FBI quello vero?-

-Si era dell’FBI, e per quanto riguarda i dischetti non li ho piú, li ho gia passati ad un’altro ufficiale- ebbe il piacere di sentirlo imprecare, visto che era alla guida non le poteva fare nulla, altrimenti si sarebbero schiantati in due.

-Ti faró rimpiangere il giorno che hai deciso di ficcanasare nei miei affari!- le promise con rabbia.

Come se giá non lo facesse, pensó lei con il cuore in gola.

André sbadiglió e bevvé un’altro sorso di caffé, al momento la caffeina era l’unica cosa che lo teneva lucido, non riusciva a dormire e aveva mangiato pochissimo negli ultimi due giorni. Sapeva che l’indomani sarebbero usciti sulla prima pagina del giornale gli articoli scritti da lui e da Alain, allora la bomba sarebbe scoppiata, se anche i federali erano coinvolti e sapevano di lui, tutto sarebbe stato una corsa contro il tempo per vedere chi si aggiudicava tutte le glorie dell’indagine. Ora la questione era: chi avrebbe fatto la prima mossa.

Quindi al momento era mezzo sdraiato sul sedile anteriore del suo maggiolino e parcheggiato in una stradina laterale, teneve contemporaneamente d’occhio l’edificio dove lavorava Oscar e il monitor del portatile che aveva acceso sul sedile affianco, una piccola spia luminosa gli indicava che lei era ancora nel suo ufficio.

Qunado le aveva sistemato dei segnalatori di posizione nella valigetta, nel telefono e nel cappotto non avrebbe mai pensato che un giorno li avrebbe usati, il sistema di sorveglianza era un prestito da parte di un amico patito di gadget di Simon.

Vide il puntino luminoso spostarsi sullo schermo, Oscar stava lasciando l’edificio, ed ora si stava muovendo velocemente, doveva aver preso un taxi, accese il motore pronto a seguirla, quel tipo di segnalatore aveva un raggio di cinque km, quindi non aveva nessuna paura di perderla.

Ben presto peró si accorse che qualcosa non andava, stava seguendo un percorso che gli era familiare, verso il porto, che stesse andando....no! non poteva essere così temeraria da andare al magazzino sul molo!

Invece si, ormai la direzione del puntino luminoso era piú che evidente. Cosa sta andando a fare laggiú?

Certo della loro meta, André premette il piede sull’acceleratore, seguendo una via meno trafficata, con un pó di fortuna sarebbe dovuto arrivare prima di loro. Difatti era arrivato da qualche minuto quando vide un’auto scura fermarsi davanti all’ingresso del magazzino, ma quando vide la persona che accompagnava Oscar gli venne un colpo, era Mark Spencer e a quanto pareva la stava tenendo sotto tiro con una pistola.

Li vide sparire dietro la vecchia porta in legno senza darsi un’altra occhiata attorno, non l’avevo visto.

 Apparentemente, erano stati i cattivi a fare la prima mossa.

Prese il telefono e chiamó Simon.

-André! Come va la sorveglianza?- domandó con interesse.

-A rotoli, stammi a sentire, hai ancora quel conttatto all’FBI?- non aveva un minuto da perdere ogni secondo era prezioso per la vita di Oscar.

-Si, siamo ancora in ottimi rapporti, perché?-

-Mi serve un favore, ascoltami bene-

Dopo aver lasciato Simon con istruzioni ben precise scese dalla macchina senza idugio, non avrebbe permesso a quei criminali di far del male alla donna che amava.

Oscar venne condotta nel magazzino che aveva giá visitato un paio di notti fa, e vicino al cumulo di casse di legno c’era un agitato Roger Whittaker che aspettava passeggiando avanti e indietro, che sgranó gli occhi non appena li vide.

-Cosa ci fai lei qui!- chiese nervoso –avevi detto che te ne saresti occupato in maniera definitiva!-

-Non agitarti Roger non ti fa bene, tu vatti a mettere vicino a quelle casse e non ti muovere- le diede uno spintone per farla muovere.

 –Dove sono i dischetti con i dati trafugati dal mio portatile?- il suo capo non era piú l’affabile uomo d’affari –li rivoglio!-

-Come ho giá detto al suo socio in macchina, non sono in mio possesso- senza farsi notare si diede un’occhiata in giro, doveva procurarsi un arma di qualche tipo e sfuggire ai due, non c’era nulla facilmente raggiungibile, l’avrebbero fatta fuori prima che potesse muovere solo un muscolo.

-Cosa!- gridó confuso.

-A quanto pare li ha giá consegnati all’FBI- rispose calmo Mark, non sembrava affatto perturbato dalla cosa.

-All’FBI! Ci saranno alle costole in men che non si dica!- era diventato pallido e aveva iniziato a sudare.

-Non ti agitare, oramai dovrebbero essere all’aereoporto a dare la caccia ai fantasmi. Ora tieni la pistola e cerca di tenere a bada la nostra ospite-

Sicuro che il suo socio avesse tutto sotto controllo, scoperchió una delle casse e ne tirò fuori dei documenti e un portatile, lo collego alla rete tramite il cellurare e inizió a picchettare sulla tastiera.

Oscar si guardò di nuovo attorno, magari poteva distrarre Roger e nascondersi da qualche parte in cerca di una via d’uscita.

-Non ci pensare, se solo ti azzardi a muovere un sopracciglio ti sparo!- ma la sicurezza della minaccia contrastava pesantemente con il tremore della mani.

Era terrorizzato constató lei, forse riusciva a farlo parlare e a convincerlo a mettersi contro Mark e a costituirsi, all’FBI serviva tutto l’aiuto che lui gli avrebbe potuto fornire.

-Perché Roger? Perché ti sei associato con uomo del genere?- chiese indicando Mark con un gesto della testa –credevo fossi una persona per bene-

-In caso non l’avessi ancora capito, non ci sono persone per bene all’interno della Frasier Assicurazioni- le disse freddo –chi piú chi meno ha venduto l’anima a Vincent Marino-

-Non riuscirai a farla franca tanto facilmente Roger- gli disse calma –perché non ti costituisci? Sei ancora in tempo-

-L’FBI al momento é impegnata in una caccia al tesoro senza sbocchi, quando arriveranno qui non troveranno niente e nessuno- ma la mano ebbe un’altro tremito.

-Che ne sará di tua moglie e di tua figlia?- qualcosa doveva pur convincerlo.

-Staranno benissimo, una volta inscenata la mia finta morte, l’assicurazione sborerá un sacco di soldi, ed io saró libero-

-Non sará così facile, non vedi che il vostro piano ora fa acqua da tutte le parti? L’FBI ne é al corrente, e anche la stampa-

-La stampa! Cosa diamine stai farneticando, la stampa non ha nessun motivo di interessarsi a noi!-

-È interessata alle vostre connessioni con la mafia locale,  un reporter é stato mandato sotto copertura nel mio ufficio, e ti posso assicurare che ha scoperto un sacco di cose interessanti che andranno sulle prime pagine molto presto- a quello vide la testa si Mark sollevarsi dal computer, ora sembrava preoccupato –nessuno crederá alla vostra storia, e non smetteranno certo di cercarvi-

-Non ci posso credere!- poi si rivolse al suo socio con fare minaccioso –questa é tutta colpa tua! Se avessimo chiuso la faccendo mesi fá ora non ci troveremo in questo pasticcio! La nostra copertura é saltata!-

-Non importa- ribadì, ma sapeva che quella era una complicazione indesiderata –il trasferimento dei fondi é quasi ultimato, tra una decina di minuti potremmo andarcene, anche se sanno dove sono i soldi ora, non riusciranno mai a rintracciarli una volta spostati nelle banche di tutto il mondo-

-Visto, non c’é nulla che puoi fare per fermarci!- disse Roger trionfante e parzialmente rabbonito dalla sicurezza del suo socio.

-Così sembra- il suo tempo stava per scadere, cosa poteva fare? Cercare di guadagnare altro tempo –dimmi un’altra cosa, perché io? Perché avete scelto me come vittima predestinata?-

Guardó incerto il suo socio, come se non fosse sicuro se rivelarle la veritá o meno, ma lui era impegnato altrove e tanto lei sarebbe morta, che male poteva fare?

-È stata un’idea di Mark, dopo che il nostro precedente socio si era tirato indietro e fummo costretti a trovare un rimpiazzo, era anche in ordine un cabio di strategia, così scegliemmo te dopo aver letto il curriculum. Tutto il consiglio era contro perché eri una donna, ti ritenevano inadatta al lavoro-

Questa poi! Pensó lei furente.

-Cosa che ha giocato a nostro favore, una volta scoperto l’ammanco di denaro, si sarebbe alzato un coro di “lo sapevamo!” ed io sarei stato accusato di uno stupido errore di giudizio nel voler assumerti e niente altro-

-Sembra che abbiate pensato proprio a tutto- disse sarcastica.

-Si proprio a tutto. Abbiamo finito- il tono di del biondo avvocato sembrava assai soddisfatto, mentre prendeva un’asse di legno e fracassava il portatile.

-Dammi la pistola Roger, la signorina qui é stata fin troppo paziente e noi non abbiamo piú tempo-

L’uomo gliela diede senza fare troppe storie, non era un uomo d’azione lui, preferiva lasciare a Mark i lavori sporchi, lui era il burocrate della banda.

-Ora é arrvato il momento di fare un pó di pulizia-

Con un sorriso perfido premette il grilletto senza pietá e il rumore dello sparo echeggió nel magazzino semi vuoto .

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** CAPITOLO 21 ***


Oscar rimase immobile con gli occhi chiusi, aspettava una fitta di dolore da qualche parte o la luce calda che ti aspetta alla fine del tunnel, o qualche altra delle sensazioni che si dovrebbero provare da morti, ma non accadde nulla, era ancora viva.

Spalancó gli occhi e quello che vide le ghiacció il sangue, Mark teneva ancora in mano la pistola fumante, e guardava quasi con disprezzo il cadevere che ora giaceva a pochi passi da lui, aveva sparato a brucia pelo uccidendo Roger.

-Mio Dio...- bisbiglió senza accorgersene, ed ebbe l’effetto di attirare l’attenzione dell’uomo su di se.

-Non preoccparti dolcezza verrá anche il tuo turno, bisognava eliminare gli anelli deboli della catena prima, devo dire che se non mi fosse stato utile, l’avrei eliminato molto tempo prima-

Quell’uomo era un pazzo maniaco, un assassino a sangue freddo.

-E come credi che si spiegherá la piolizia questa scia di cadaveri che ti stai lasciando dietro?- il suo cervello crecava freneticamente un via di fuga, non poteva starsene li senza far nulla spettando che lui le sparasse!

-Molto semplice mia cara- inizió a spiegare azionando il tamburo della pistola –una lite tra amanti-

-Cosa?- nessuno avrebbe mai creduto che lei e Roger...brrr!

-Come ti credi che verrá interpretato il fatto che lui si sia battuto con le unghie e con i denti contro il consiglio per farti assumere? E visto che anche Roger verrá coinvolto nello scandalo dei fondi mancanti, si pensera che voi due agivate in comunella, alla fine siete stati traditi da un litigio durante la fuga e vi siete fatti fuori a vicenda, che peccato, eri anche carina, un vero spreco!- gli scappó una risata –bando alle ciance mia cara ho una barca da prendere-

Ma prima che potesse premere il grilletto, una delle casse che stavano in cima alla pila alla sua sinistra, cadde schiantandosi al suo fianco con un gran fracasso, e facendolo finire disteso per terra, momentanemaente frastornato.

Dopo un primo momento di sorpresa Oscar scattó in azione, con i fedeli tacchi a spillo gli infilzó la mano che teneva la pistola per poi calciarla lontano in mezzo ad un mucchio di rifiuti, non l’avrebbe di certo ritrovata così facilmente, stava per girarsi e scappare, quando per ripicca gli sferró anche un calcio dritto sulla milza.

Quando qualcuno l’afferró per un gomito pronto a trascinarla via, agì d’istinto e gli sferró un pugno dritto in un occhio, che per fortuna mancó colpendogli una spalla.

-Va bene piccola Tyson, ora andiamocene peró!- si massaggió la zona dolente iniziando a tirarla verso l’uscita.

-André ma cosa...- come era arrivato lì prorpio al momento giusto?

-A dopo le spiegazioni, al momento siamo un pó in pericolo- le fece notare spiccio.

-Aspetta!- gridò all’improvviso, si era ricordata del portatile, anche se era a pezzi i dati si potevano sempre recuperare dall’hardware, era l’unico modo che avevano per rintracciare il denaro sparito.

Tornó indietro e afferrò quello che le interessava.

-Oscar!- la rimproveró stupefato, certo non gli stava facilitando il salvataggio, Spencer sarebbe potuto rivenire in qualsiasi momento.

-Andiamo-

Fianco a fianco si misero a correre verso l’altro lato del capannone dove stava l’ingresso, ma nessuno dei due aveva previsto la comparsa dell’uomo munito di pistola che ora gli sbarrava la strada.

-State andando da qualche parte?- Thomas Dratt era errivato per unirsi al gruppo.

Oscar e André si guardarono stupefatti, da dove era saltato fuori?

-Noto che siete sorpresi, ma prima dite che ne avete fatto del mio socio?-

-Quale dei due?- gli chiese André con un soppracciglio alzato.

Ma il socio in questione stava correndo verso di loro tenendosi la mano dolorante, i tacchi di Oscar dovevano avergli fatto davvero male.

-Mark sei un idiota!- lo accusó senza mezze misure non appena gli fú vicino –sono entrato perché ho sentito lo sparo! Dovevi usare un silenziatore!-

-Sta zitto! Andiamoce allora!-

-E questi due?- chiese agitando la pistola nella loro direzione.

-Legali da qualche parte e fai saltare questo posto come stabilito. Voglio che la puttana muoia soffrendo- rispose lanciandole uno sguardo carico d’odio.

I due uomini armati li legarono stretti a delle vecchie tubature che correvano lungo il muro.

-Giusto per curiositá signor Dratt, lei come é entrato a far parte della banda- André strattenne una smorfia di dolore, il bastardo ci sapeva fare con i nodi.

-Un conto da sistemare con vincent Marino, sai come si dice, colpisci il nemico dove fa piú male, con il suo strozzinaggio ha mandato la mia impresa sull’orlo della banca rotta, ed io ho preso al volo l’opportunitá di vendicarmi- fece un passo indietro per ammirare il suo lavoretto, erano legati come il tacchino di natale, e presto questo posto sarebbe stato piú rovente di un forno.

-Non riuscirete a scappare, L’FBI é stata avvisata dell falso allarme, non sono mai arrivati a quell’aereoporto- Siamon gli aveva mandato un breve sms con gli ultimi aggiornamenti, i federali sarebbero dovuti arrivare a minuti –oramai saranno a pochi isolati da qui-

-Maledizione!- imprecó l’avvocato –tutta colpa vostra! Ancora pochi attimi e l’avremmo fatta franca!- sollevó la pistola pronto a farli fuori entrambi, ma l’altro lo bloccó.

-Dammi qui! Quella pistola é registrata! Ti dovrai accontentare di farli arrostire!- prese un piccolo telecomando dalla tasca –nulla di personale sapete, una volta premuto questo il magazzino salterá in aria nel giro di tre minuti, con tutte le prove del mio coinvolgimento-

Dratt premette il bottone e gettó il dispositivo per terra, la porta di legno si chiuse con un tonfo alle loro spalle, André e Oscar furono lasciati soli nel magazzino pronto ad esplodere.

-Accidenti! C’é l’avevamo quasi fatta!- disse lei tirando le corde, sperando che esse o le tubature cedessero.

-Calmati, se tiri farai in modo solo di stringere i nodi- facile a dirsi piú che a farsi, pensó lui mentre cercava di infilarsi le mani in tasca, di sradicare le tubature non c’era sparanza, non erano così vecchie come sembravano.

-Calmati!- gridó –stiamo per saltare in aria in caso tu non te ne sia accorto!-

-Bingo!- rise, togliendosi dalla tasca laterale un coltellino multiuso.

-E quello da dove sbuca fuori?- chiese colpita, magari non sarebbero morti dopo tutto.

-Un ricordo delle giovani marmotte!- aprì la lama e inizio a tagliere la corda, la quale era grossa e indurita dal tempo e dalla sporcizia.

Oscar rimase a guardarlo con il cuore che batteva all’impazzata, se fosse per la sua vicinanza o per la situazione pericolosa in cui si trovavano, non avrebbe saputo dirlo, ma lui era li, era venuto a salvarla, nonostante si fossero separati in maniera terribile lui era venuto lo stesso. Giá ma come sapeva dove trovarla? Chiese la parte ancora razzionale del suo cervello.

-Come hai fatto a sapere dove trovarmi?- chiese guardinga.

La breve occhiata che le rivolse le fece capire che stava per ricevere una risposta che non avrebbe gradito.

-Ti stavo controllando, diverso tempo fa ho sistemato dei trasmettitori di posizione nelle tue cose- un’altro punto in suo sfavore.

-Mi stavi spiando!- invei con voce alterata e gli occhi chiusi a fessurina –verme!-

-Oscar non é il momento!- doveva sbrigarsi o sarebbero saltati in aria.

Con uno sbuffo sprezzante distolse lo sguardo da lui, non poteva crederci, la stava spiando! Ma la solita parte razionale le fece notare che era inutile offendersi, visto che se lui non fosse arrivato ora sarebbe distesa in una pozza di sangue con una pallottola in testa.

Fú distratta dai suoi macabri pensiere, da uno strano e insistente “bip-bip”, incuriosita diede uno sguardo la attorno, non vedeva nulla, ma il suono era vicino. Con la punta del piede sollevó leggermente un pezzo di tela cerata che copriva un cumulo di rifuti, quello che sentiva era il rumore del timer del detonatore, erano a pochi passi da una carica di esplosivo, ma quello che la fece sbiancare erano le dieci bombole con sopra scritto “gas” che stavano sotto al telo.

-André...- gemette terrorizzata.

-Cosa c’è?- il tono di voce non gli era piaciuto per nulla, e quando sengui il suo sguardo si bloccó per qualche secondo –porca puttana!-

Freneticamente finì di tagliare le sue corde e inizió quelle di Oscar, sul timer aveva visto che gli restava solo un minuto, dovevano allontanarsi al piú presto o sarebbero diventate carbonelle. La corda cedette e loro scattarono verso l’uscita sperando che non fosse bloccata.

Si fiondarono fuori senza fermarsi, dei furgoni scuri si erano appena fermati e una squadriglia armata stava scendendo dalle portiere aperte.

-Allontanatevi sta per saltare tutto in aria!- gridó André.

In quel momento scoppió l’inferno e loro erano ancora troppo vicini.

I due giovani furono investiti da una pioggia rovente di detriti e fumi velenosi, l’onda d’urto li scaraventó per aria e André fece di tutto per farle scudo con il suo corpo e proteggerla.

Oscar era ancora intontita, la testa le faceva male, doveva averla sbattuta mentre cadeva, avrebbe avuto una serie di lividi infinita, sentiva degli strani bruciori in diversi punti e qualcosa di pesante che la stava schiacciando. Poi le arrivarono le grida sopra il fragore dell’esplosione, dovevano essere i federali, il peso le venne tolto di dosso e lei si azzardó ad aprire gli occhi.

Intorno a lei c’erano persone che correvano in ogni direzione, il cielo era nero come la pece, coperto da una spessa cortina di fumo, e lei sentiva dolore da per tutto, nel suo campo visivo comparve un uomo che le si inginocchió accanto.

-Signorina si sente bene?- era l’agente Perkins –che cosa é successo?-

-Sono al...molo- cercó di dirgli, non dovevano lasciarli scappare.

-Come?- non la sentiva bene.

-Mark Spenser e Thomas Dratt...stanno cercando di scappare con una barca-

Doveva averla capita, perché lo vide sbraitare ordini all’agente piú vicino, con perfidia speró con tutto il cuore che fosse “il cattivo”, con fatica tentó di mettersi a sedere, dov’era André?

-Rimanga sdraiata signorina, potrebbe avere qualcosa di rotto- le disse l’agente che aveva rimpiazzato Perkins.

-Sto bene...voglio vedere come sta André-

-Signorina per favore- sembrava a disagio –non è un bello spettacolo- le disse alla fine.

-Cosa...?- che fosse morto? No!

Con disperazione si guardó attorno, lui era sdraiato sullo stomaco immobile a pochi metri da lei lontano dalle fiamme, senza indugio gli si avvicinò carponi. Non riuscì a trattenere il grido di dolore che le salì alla gola nel vedere la sua schiena martoriata.

Si ricordava che lui l’aveva stretta tra le braccia cercando di farle scudo, e quello era il risultato ora, il suo giubbotto aveva preso fuoco come un fiammifero lasciandogli sulla pelle estese ustioni.

-André amore...- chiamó piano, ma lui non rispose, doveva essere svenuto.

La vista le fú offuscata dalle lacrime, era tutta colpa sua, tutto quel pasticcio, avrebbe dovuto rivolgersi direttamente alle autoritá e convincerlo a mollare tutta la faccenda, invece ora........

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** CAPITOLO 22 ***


L’ambulanza si fermó con uno sdridio di gomme davanti al pronto soccorso, un gruppo composto da infermieri e dottori li aspettava nell’ingresso, e Oscar li seguiva al massimo della disperazione. I due paramedici avevano iniziato a protestare quando gli aveva detto di aver intenzione di viaggiare con l’ambulanza, ma dopo averle dato un’occhiata non avevano piú proferito parola, anche lei aveva disperato bisogno di andar all’ospedale.

Ora lui era dentro una delle salette per le prime cure e lei lo osservava impotente dalla porta a vetri.

-Signorina?- un’infermiera le si era avvicinata –cosa le é accaduto?-

-Nulla...io...- non riusciva a staccare lo sguardo dall’uomo ancora incosciente dentro la saletta.

L’infermiere dette un’occhiata prima a lei e poi dentro la saletta, l’esperienza le aveva fatto capire la siatuazione al volo.

-Venga con me, anche lei ha bisogno di cure mediche. Il suo amico verrá subito portato nel reparto ustionati e lei potrá andare a vederlo non appena un dottore l’avrá visitata-

-No...non posso...- non l’avrebbe lasciato solo per un minuto.

-Mi creda é in ottime mani- gentilmente, ma con fermezza la condusse in una delle stanze usate per le visite e la fece sdraiare su un lettino.

Due ore dopo arrivava zoppicando alla stanza dove l’infermiera le aveva detto avevano sistemato Andrè, ora era piena di fasciature. Aveva riportato due bruciature non gravi sulla gamba sinistra, i palmi delle mani erano erscoriati, aveva un bernoccolo sulla nuca e una serie di echimosi e tagli minori che si sarebbero fatte sentire il giorno dopo, il dottore le aveva dato un antidolorifico e le aveva detto che se voleva poteva andare.

E lei era andata dritta a vedere come stava André.

Era in una stanza da solo, rimase a guardarlo dal vetro che dava sul suo letto, il macchinario che controllava le sue funzioni vitali che lampeggiava a un ritmo stabile, le sacche con dei liquidi colorati appese ai loro sostegni metallici, era pieno di aghi e tubicini. Non poteva morire si disse con fermezza, non l’avrebbe permesso!

-Signorina...-

La voce inaspettata la fece sussultare, un uomo di mezza etá la stava guardando serio, portava il camice e aveva una cartella in mano, doveva essere il dottore di turno.

-Conosce per caso il ragazzo in quella stanza?- le chiese pacato.

-Si, sono la sua fidanzata- dirlo a voce alta le faceva un certo effetto, anche perché a questo punto era una bugia, visto che non stavano piú insieme –come sta dottore?-

-È ancora in prognosi riservata, le bruciature non sono gravi come sospettavano, ma sono pur sempre ustioni di terzo grado, se riusciamo ad impedire l’infezione si riprenderá in quattro o cinque settimane, dipende dalle sue capacitá di recupero. Mi spiace ma una volta guarito rimarrano delle brutte cicatrici, nei prossimi giorni posso far venire il chirurgo plastico per vedere di salvare il salvabile-

-Lo posso vedere?-

-Certo, ma si faccia dare camice e mascherina dall’infermiera, queste stanze sono progettate per rimanere asettiche e ridurre al minimo i rischi di infezione- detto questo stava per andarsene quando si voltó nuovamente verso di lei –se il ragazzo ha famiglia, li contatti il prima possibile, bisogna essere preparati al peggio-

-Va bene, grazie dottore- l’uomo la lasciò sola e lei tornó a guardare attraverso il vetro.

Come avrebbe detto ai genitori di André,che il loro figlio era in fin di vita in un letto d’ospedale? Un’immagine fugace di Linda in lacrime le attraversò la mente, non era una telefonata che avrebbe voluto fare, ma non poteva aspettare, se in caso fosse successo il peggio loro dovevano essere qui.

Raccogliendo tutto il coragio prese il cellulare che era rimasto in tasca, non avrebbe potuto usarlo nell’ospedale ma era un emergenza.

Una quindicina di minuti dopo, munita dell’abbigliamento adatto, entrava nella camera di André, la telefonata ai suoi genitori non era stata piacevole, in lacrime la madre le aveva assicurato che sarebbero partiti con il primo aereo e Ryan li avrebbe di sicuro accompagnati, era l’unico che fosse abbastanza vicino.

Con pesantezza prese posto nella bassa poltroncina imbottita posta accanto al letto, l’infermiera le aveva detto che l’avevano sedato con della morfina e che avrebbe dormito per diverse ore, ora non le restava che vegliare al suo fianco e sperare per il meglio, fece scivolare una mano nella sua stringendogliela appena e sperando che lui avvertisse la sua presenza.

-Ti prego André non morire- ma non ebbe nessuna risposta, solo il cadenzato “bip” dei monitor.

Durante la notte gli salì la febbre e l’effetto della morfina stava svanendo, André aveva iniziato a delirare e a chiamare il suo nome in continuazione, convinto di averla lasciata morire nell’esplosione, e lei non poteva fare altro che stargli vicino e cercare di rassicurarlo che stava bene e che era riuscito a proteggerla, ora doveva solo riposare e pensare a guarire, gli sedeva accanto impotente, mentre le infermiere cambiavano le sacchette delle sue flebo una dopo l’altra, dovevano tenerlo idratato, far si che la febbre scendesse e medicargli la schiena scongiurando sempre la comparsa di un’infezione, nel mezzo della notte non riuscì piú a tenere gli occhi aperti e si addormentó, sempre tenendo stretta la mano di lui.

L’infermiera che ebbe il compito di svegliarla il giorno dopo, quasi se ne dispiacque, la collega del turno precedente, le aveva detto che la ragazza bionda era rimasta su quella poltrona per tutta la notte, senza mai lasciare la mano dell’uomo sdraiato nel letto, ma fuori dalla porta c’era una coppia che sosteneva di essere i genitori del paziente e volevano vederlo, e le visite erano ammesse una alla volta.

-Signorina si svegli- le scosse gentilmente una spalla.

Oscar si svegliò di soprassalto, trovandosi davanti il viso preoccupato di una giovane infermiera e subito pensó al peggio.

-Non si preoccupi, il suo amico sta bene, dorme, é solo che le visite sono ammesse solo una alla volta e fuori ci sono i suoi genitori che vorrebbero entrare-

-Come?- ancora intontita dal sonno le ci vollero diversi minuti per registrare quello che la donna le stava dicendo –oh! Certo ora esco-

Quando si alzò dalla poltrona tutto il suo corpo gridó in protesta, non c’era un angolo che non le facesse male, e bruciature le pulsavano insistentemente, la testa le girava e aveva dei crampi allo stomaco, era da ieri mattina che non mangiava nulla, non la forma migliore per incontrare i genitori di lui, per fortuna le tende erano tirate sul vetro che dava sul corridoio, non la potevano vedere.

Prima di andarse gli baciò la fronte ancora calda e imperlata di sudore.

-Torno al piú presto-

L’incontro con George e Linda fú denso di emozione, lei aveva gli occhi gonfi di pianto ma sembrava si fosse ricomposta e anche lui aeva lo sguardo incupito dalla proccupazione, entrambi vollero sapere cosa era successo, e Oscar gli diede una breve versione, riveduta e corretta, degli avvenimenti degli ultimi mesi, che avevano portato alla loro presenza nel magazzino quel giorno. Prima di sparire nella camera di André le consigliarono di andare a casa a cambiarsi e di riposare un pò, aveva l’aria di una che ne aveva passato delle belle e non sarebbe stata utile a nessuno, stremata e sull’orlo del cedimento, sarebbe potuta tornare più tardi per accertarsi delle condizioni di André.

Una volta sola Oscar si sedette su una delle sedie riservate ai visitatori, non si reggeva più in piedi, e il dolore stava lentamente prendendo possesso del suo cervello, Linda aveva ragione era sull’orlo del collasso, doveva andare a casa per qualche ora, almeno per cambiarsi i vestiti, che oramai erano da buttare.

-Caffé?- le disse una tazza da sotto il suo naso.

Sollevó gli occhi e vide Ryan che le sorrideva, non l’aveva visto insieme ai suoi genitori.

-Grazie- prese la tazza e bevvé qualche sorso, per poco non venne avvelenata ma non si lamentó –scusa se non ti ho salutato ma non ti avevo visto-

-Figurati, la mamma ha ragione sai, dovresti andare a casa, fai spavento!-

-Molto gentile- disse offesa cosa si aspettava!

-Andiamo biondina ti porto a casa- si ofrì.

-Non vuoi vedere tuo fratello prima?- chiese alzandosi.

-L’infermiera non mi fará entrare e mamma chioccia non lascerá la postazione tanto facilmente, e poi- a quel punto le rivolse un largo sorriso –se mio fratello scopre che non mi sono preso cura di te e che ti sei sentita male sono dolori una volta lasciato quel letto d’ospedale!-

L’intento era stato quello di strapparle un sorriso e per quanto tiepido ci era riuscito.

Si incamminarono piano verso l’uscita, anche i piedi le facevo un male atroce, poi si ricordó di avere ancora addosso i tacchi a spillo, li avrebbe butti una volta giunta a casa tutti! Uno dopo l’altro! Per il momento si accontento di sfilarsi questi e gettarli nel primo cestino per l’immondizia che trovarono.

-Ah...- sospiró agitando le dita dei piedi finalmente libere –molto meglio!-

-Decisamente- concordó lui –ti sei abbassata di almeno dieci centimetri!-

Lei lo guardó a bocca aperta, come poteva fare delle battute di spirito in un momento del genere?

-Sei oltraggioso lo sai?- non sapeva ridere o infuriarsi, ma in un certo qual modo le aveva tolto un pó della spossatezza che l’aveva pervasa.

-Solo nei momenti del bisogno- poco sapeva Oscar che quello di fare delle battutine era l’unico modo che Ryan aveva di scendere a patti con la possibilitá di stare per perdere il fratello maggiore.

Una volta entrati nel taxi e dato l’indirizzo all’autista, l’espressione di Ryan si fece seria.

-Allora, dimmi cosa é successo. E dammi la versione originale e dettagliata, non quella che hai fornito ai miei genitori-

Oscar lo guardó stanca, tanto sarebbero rimasti a lungo nel traffico, che male poteva fare? Allora gli raccontó tutto nei dettagli, omettendo quelli della relazione nata tra lei e il fratello.

-Waw che pasticcio!- esclamò colpito.

-Dillo forte, ora non ci resta che sperare che la mafia non risalga mai a noi o siamo fritti-

-E il fatto che mio fratello é innamorato perso di te, come entra in tutta la faccenda?- chiese a brucia pelo.

-Non ci entra, la complica e basta!- poi si rese conto di cosa aveva appena ammesso, la risposta le era venuta automatica senza pensare, e dall’espressione di lui, era chiaramente troppo tardi per ritrattare.

-Quello zuccone questa volta l’ha combinata davvero grossa!-

-Siamo arrivati- sollevata di poter cambiare argomento, non aveva nessuna voglia di discutere la sua relazione con André, non ora per lo meno.

-Vuoi che ti accompagni di sopra?- le chiese preoccupato, era pallida e sembrava stesse per crollare.

-Non c’é ne bisogno- voleva rimanere un pò sola –é meglio se ora stai vicino ai tuoi genitori-

-Come vuoi, ci vediamo dopo in ospedale-

Rimase sul marciapiede fino a quando il taxi non si fu allontanato, poi si avvicinó al portone, per ricordarsi che non aveva le chiavi, erano rimaste in ufficio, maledizione! Avrebbe dovuto suonare per il portiere e farsi aprire da lui.

Fred, il portiere, era un signore sulla cinquantina che rimase a bocca aperta nel vederla, doveva essere ridotta davvero male se suscitava quel tipo di reazione.

-Cosa le é successo? Vuole che le chiami un dottore?-

-Solo un piccolo incidente Fred, e sono giá stata al pronto soccorso, non ti preoccupare, dovresti farmi la cortesia di aprirmi la porta di casa, temo di aver perso le chiavi-

Una ventina di minuti dopo, Oscar si trovava nuda davanti allo specchio esaminando i danni. Era conciata proprio per le feste, i lividi spiccavano bluastri da per tutto, aveva due occhiaie nere che facevano paura e i suoi capelli erano tutti bruciacchiati, avrebbe dovuto andare dal parrucchiere farne tagliare un bel pó.

Andó in bagno per lavarsi come meglio poteva, il dottore le aveva detto niente doccia per qualche giorno, ora che ci pensava avrebbe dovuto cambiare la medicazione alle bruciature e comprare la pomata che le era stata prescritta, piú tardi si disse, ora voleva solo sdraiarsi nel letto comodo.

Ma quando si ritrovó avvolta nelle coltri accoglienti del suo letto il sonno non veniva, ogni volta che chiudeva gli occhi si ritrovava davanti l’immagine di André steso sul lettino dell’ospedale che delirava e chiamava il suo nome. Il dottore non l’aveva ancora dichiarato fuori pericolo, c’era ancora una distinta possibilitá che non si riprendesse e lei rischiava di perderlo.

Le lacrime che si era rifiutata di versare negli ultimi giorni le salirono agli occhi in un fiume inarrestabile, e non riuscì a trattenere i singhiozzi che le scuotevano il corpo, non poteva perderlo, non ora, non ora che le cose tra loro erano messe così male. Non poteva continuare a fargli credere che tra loro non ci fosse piú nulla da salvare, perché la sua rabbia nei confronti della sua duplicitá, era evaporata come neve al sole, di fronte alla prospettiva di perderlo nulla contava piú.

Il suo ultimo pensiero coerente prima di addormentarsi tra le lacrime, riguardava la sua inabilitá di stare a guardare mentre la vita lo abbandonava lenta, non per la seconda volta, non ne avrebbbe avuto il coraggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** CAPITOLO 23 ***


Era oramai pomeriggio inoltrato quando Oscar riusci a tornare in ospedale, vi erano stati ben pochi cambiamenti nelle condizioni di André, apparentemente la febbre era scesa a livelli accettabili, ma non scomparsa del tutto, non aveva ancora ripreso conoscenza, ma quello poteva essere attribuito alla morfina, il dottore voleva gradualmente diminuire la dose e vedere quale intensitá di dolore il paziente poteva sopportare.

Si era offerta di rimanere al suo fianco mentre il resto della sua famiglia andava a riposarsi, si sarebbero stabiliti nell’appartamento di lui fino a quando non sarebbe stato in grado di uscire dall’ospedale.

Quella fú la loro routine per i seguenti quattro giorni, c’era sempre qualcuno al capezzale di André per fargli compagnia, anche se la morfina lo metteva fuori combattimento per la maggior parte del tempo, non importava a nessuno di loro, si sentivano di essere utili in qualche modo e lui sembrava riposare con piú serenita se avvertiva una presenza amica accanto.

La mattina del quinto giorno Oscar venne scossa dal suo dormiveglia dalla stretta improvvisa della mano che teneva intrecciata a quella di André, sembrava che stesse per svegliarsi. La notte prima il dottore aveva ordinato solo un blando antidolorifico e gli effetti dovevano essere svaniti da un bel pò, anche se non l’aveva dichiarato completamente fuori pericolo, si era ritenuto soddisfatto sull’inizio naturale del processo di cicatrizzazione.

-André- lo chiamó piano accarezzandogli i capelli arruffati.

-Oscar...- sussurò ancora prima di aprire gli occhi, anche se solo uno era visibile, visto che l’altro era nascosto dalle lenzuola.

-Ci hai fatto prendere un colpo, come ti senti?- avvicino il viso al suo, non voleva che facesse nessun movimento incauto.

-Male cane...la schiena...-

-Lo so, ti sei arrostito per bene- vide un angolo della sua bocca sollevarsi in una imitazione di sorriso.

-Brucia maledettamente...- la stretta della mano si accentuò.

-Vado a chiamare l’infermiera, ti dará qualcosa per il dolore- cercò di liberare la mano ma lui non la lasció.

-Voglio...vederti piú...andare via...- non riusciva a pensare con lucidá, chissa di che cosa l’avevano imbottito -...il fuoco...colpa tua...stare lontani...-

-André non sai quello che dici, fammi chiamere l’infermiera- non poteva credere a quello che le stava dicendo, doveva aver capito male.

-Dolore...tutto finito...mai più...- non disse altro visto che era scivolato nuovamente nell’incoscenza.

Oscar non riusciva a muoversi, tutte le sue paure si erano appena concretizzate, lì davanti ai suoi occhi, André non la voleva piú vedere, voleva che gli stesse lontano e quello che era peggio la considerava responsabile del brutto incidente di cui era stato vittima. Gli guardó la schiena e quasi si sentì male al pensiero, che lui avrebbe portato per sempre il ricordo di questa terribile esperienza, ed era tutta colpa sua!

Con le ginocchia che le tremavano andó fuori per chiamare l’infermiera, ma non ebbe il coraggio di rientrare nella stanza, non voleva lasciarlo solo, ma non voleva neanche essergli vicino se si fosse nuovamente svegliato e le avesse chiesto di andarsene, non l’avrebbe sopportato.

Un paio d’ore dopo Ryan la trovó ranicchiata su una sedia fuori dalla stanza di André, e dalla sua faccia pensó che fosse accaduto qualcosa di terribile.

-Mio Dio Oscar cosa é successo?- il terrore era palpabile in ogni parola.

-Nulla, tuo fratello sta bene, si é anche svegliato e siamo riusciti a fare due chiacchere- due chiacchere che non si sarebbe scordata tanto facilmente si disse con amarezza, poi si preparó a raccontare la bugia che le avrebbe permesso di sparire senza che nessuno si facesse domande o si chiedesse cosa fosse successo tra loro due –devo andare a New Orleans per qualche giorno-

-Perché? È forse successo qualcosa?- dal suo pallore doveva essere qualcosa di grave.

-Mia nonna non sta bene- non ebbe il coraggio di guardarlo mentre mentiva così spudoratamente –l’hanno ricoverata d’ugenza e devo andare ad accertarmi che non sia nulla di grave-

-Mi dispiace, André non sará contento nel vedere che non sei qui-

-Giá- sconfittá uscì dall’ospedale.

Una volta in strada, si incamminò verso casa cercando di perdersi nella folla che gremiva i marciapiedi, tutti erano in giro per le spese natalizie.

Le vetrine e i lampioni erano decorati a festa, da per tutto si sentivano i cori natalizi che ti invitavano ad unirti al canto con la loro allegria, tutti sembravano contenti, come era possibile che non si fosse accorta che il natale era alle porte?

Per lei non era mai stato speciale e quest’anno lo sarebbe stato ancora di meno, aveva solo voglia di stare da sola e leccarsi le ferite in un angolino buio, non aveva piú speranze, non avrebbe potuto ricucire il suo rapporto con André, era davvero tutto finito, anche quando si erano separati prima dell’esplosione, segretamente aveva sperato che una volta sparita la rabbia, si sarebbero potuti riconciliare, appianare le loro divergenge e ricominciare da capo,

Ora nulla di tutto ciò sarebbe accaduto, e lei avrebbe dovuto imparare a convivere con il senso di colpa, di essere stata la causa di tanto dolore.

Le fredde giornate di dicembre scorrevano lente, Oscar passava il suo tempo barricata dentro casa, uscaiva di rado, se non per andare a comprare del cibo, gli articoli di giornale comparsi sulla “Bureau Gazzette” avevano scatenato un putiferio, le azioni della sua compagnia erano crollate e tutto era stato messo sotto sequestro dall’FBI, il suo nome non era comparso da nessuna parte come promesso, neanche in relazione all’esplosione del magazzino, la quale indicava come unica vittima Roger Whittaker.

A quanto pareva i federali erano riusciti a catturare le loro prede prima che varcassero i confini delle acque territoriali con la loro barca, chissa se li avevano anche convinti a collaborare. Ma non le importava.

Avrebbe dovuto cercarsi un’altro lavoro, ma non riusciva ad interessarsi a nessuna delle posizioni disponibili sul mercato, non era neanche sicura di voler ancora fare qul tipo di lavoro, forse aveva bisogno di un cambiamento. Fú con quell’idea che decise di andarsene da quell’appartamento, l’affitto era pagato solo fino al primo di gennaio e se voleva vacarlo bastava dare due settimane di preavviso al padrone di casa, e così fece, almeno aveva qualcosa da fare, impacchettare tutte le sue cose e magari cercarsi una nuova casa.

Con tristezza le ci vollero solo due giorni per impacchettare tutta la sua roba, non aveva certo riempito quella casa con effetti personali, ma quello che le diede il colpo di grazia fú la scatola piena delle cose che André aveva lasciato a casa sua, si rese conto di aver toccato il fondo quando si ranicchiò sul divano con indosso un felpone che conservava ancora l’odore di lui. Ora era ufficialmente patetica.

Ryan, convinto che lei fosse fuori cittá e alle prese con una crisi familiare, le lasciava regolari messaggi nella segreteria con il bollettino medico del fratello, per lo meno si stava riprendendo rapidamente, il dottore l’aveva dichiarato fuori pericolo e era disposto a dimetterlo un paio di giorni prima di natale, avevano deciso di fargli fare la convalescenza a casa, dove i suoi genitori potevano prendersi cura di lui.

Quello le fece decidere di non andare a casa dei suoi per le feste, non voleva stare dove poteva cedere alla tentazione di andare a vederlo e magari rendersi ridicola difronte a tutta la famiglia riunita, sua nonna non era stata affatto contenta della notizia, era dall’estate che non si vedevano, suo padre lo era anche meno stranamente, ma poi aveva scoperto il perché.

Sapendo del crollo della compagnia per cui lavorava era tornato all’attacco cercando di convincerla a prenere il posto di presidente nella compagnia di famiglia, quello le bastò per convincersi di aver preso la decisione giusta ed evitare la villa per un bel pò, sarebbe rimasta a New York per Natale e magari avrebbe sviluppato un pò di interesse nel rimaettere in sesto la sua vita andata a rotoli.

Natale era passato da qualche giorno, tutti si stavano preparando per i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno, ma ad André non importava nulla, era sdraiano nel suo letto e si crogiolava nell’auto-commiserazione, Oscar era sparita dalla circolazione e lui non aveva il coraggio di chiamarla o di andare a trovarla.

Quando si era svegliato all’ospedale e se l’era trovata vicino era stato al settimo cielo, non si era fatta nulla e gli era rimasta vicino, aveva voluto dirle che gli dipiaceva, che tutto quello che era successo non era colpa sua, che voleva che lo perdonasse e che non lo lasciasse mai piú, ma il torpore provocato dalla morfina non lo faceva pensare coerentemente e il dolore alla schiena era stato insopportabile.

Ora andava meglio, aveva una benda di sei metri quadrati, ma non gli faceva piú male come prima, e gli sarebbe rimaste delle belle cicatrici come ricordo della sua dissavventura, non che gli importasse un gran che, con un po di chirurgia plastica il dottore aveva detto che si poteva migliorare la situazione, ma di non aspettarsi una scomparsa totale.

Mentre era perso nei suoi pensieri macabri la porta della sua stanza si spalancò, e suo fratello Ryan fece il suo ingresso con un’allegria che gli dava solo sui nervi, perché di tutti i suoi fratelli lui doveva essere quello a vivere così vicino a casa dei suoi? Se lo era ritrovato tra i piedi ogni santo giorno!

-Ehilá fratellone!- gli passo accanto arruffandogli i capelli come se avesse cinque anni per poi gettarsi sul letto affianco con un tonfo, e lontano da possibili vendette –che fai qui tutto solo?-

-Ma non hai un lavoro da fare!- rispose acido.

-Siamo sotto le feste caro il mio Grinch!- l’aveva visto con il morale sotto le scarpe troppo a lungo, era arrivato il momento di intervenire, era chiaro che le cose tra lui e Oscar fossero messe male e non ne capiva il perché.

-Non hai nessun altro da tormentare?-

-Perché fare la fatica, tu sei a portata di mano- disse contento.

André nascose la testa nel cuscino e gemetté di diperazione.

-Se non te ne vai dico alla mamma che stai importunando il malato in convalescenza!- ebbe il risultato di farlo solo scoppiare a ridere.

-Che credi che abbia, ancora cinque anni?-

-Da come ti comporti, che vuoi?-

-Veramente ero venuto a chiederti se volevi venire con me per l’ultimo dell’anno. Vado con un paio di amici a New York, magari se esci e ti diverti ti passa quel lungo muso!-

-No grazie- rispose secco, l’ultima cosa che gli ci voleva era andare così vicino a dove stava Oscar.

-Possiamo comunque andare a stare nel tuo appartamento? Anche se tu non ci sei?-

-Alla faccia del buon samaritano!- grido allibito –sparisci-

-Va bene- fece finta di andarse ma con fare casuale chiese –senti un pò, che fine ha fatto la bindina?-

André guardò con un soppracciglio alzato, e quello da dove saltava fuori?

-Lo sai no, quella biondina con il sedere a forma di cuore che ti sbavava dietro- chiese con un coraggio da medaglia d’oro.

-Ehi!- si mise a sedere furibondo –non ti permetto di parlare di Oscar a quel modo!-

-Pensavo che, essendo tu non piú interessato, avrei potuto farle una visitina mentre ero in cittá- incurante del pericolo che correva decise di continuare –anche se una così é meglio perderla che trovarla-

-Cosa vorresti dire?- chiese con un tono di voce che rasentava il ringiare di un cane pronto all’attacco.

-Andiamo, la sciaquetta si é dileguata dall’ospedale una volta che si é resa conto che la tua bella schiena muscolosa sarebbe rimasta deturpata da orribili cicatrici, ora una così superficiale é buona solo per...-

Non ebbe la possibilitá di finire, perché il fratello incurante dei dolori l’aveva afferrato per bavero della camicia e l’aveva scaraventato contro il muro tagliandogli la provviggione di ossigeno.

-Prova a dire un’altra cosa del genere sulla mia fidanzata e, fratello o non fratello, ti riduco a brandelli!- urlò. Continuando a sbatacchiarlo contro il muro.

-Allora vattela a riprendere, maledizione a te!- si liberò facilmente dalla sua stretta, le settimane passate in ospedale l’avevano indebolito, l’avrebbe potuto stendere con due dita, ma la sua intenzione non era stata quella di fargli del male –ti sei commiserato abbastanza, se la ami davvero va da lei e chiarisci la situazione!-

-Non é facile come credi- solo ora capiva le intenzioni del fratello e quasi si vergognava di averlo attaccato.

-Invece si, Oscar mi ha raccontato tutto, e quello che non mi ha detto me lo sono potuto immaginare da solo, va da lei e striscia, con una come lei, si fa di tutto per tenersela stretta- decise che era il momento di andasene e lasciare il fratello da solo –partiamo in treno tra un apio di giorni, fai in modo di farti trovare alla stazione, altrimenti ti lego come un salame e ti ci trascino a calci a New York!-

André rimase a lungo a fissare il pavimento, era vero, se l’amava talmente tanto cosa stava aspettando? Perché non andava da lei e la convinceva a perdonarlo una volta per tutte, in modo che potessero ricominciare da capo? Di cosa aveva paura? Tanto peggio di così non poteva di certo andare!

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** CAPITOLO 24 ***


Oscar sussultò al suono del citofono, cosa diavolo voleva il portiere, ora che era nel bel mezzo della su telenovela Sud Americana preferita!

-Cosa succede Fred?-

-Signorina c’é un certo Ryan Granier che vorrebbe salire da lei-

-Eh?- che voleva da lei Ryan? Poi sentì la sua voce in sottofondo che diceva: “Andiamo biondina fammi salire! Si gela qui!”.

-Va bene Fred lo faccia salire- rispose con un sospiro, pentendosene due segondi dopo, non aveva nessun motivo di parlare con il fratello di André.

Dieci minuti dopo gli apriva la porta.

-Salve biondina...che ti e successo ai capelli!- chiese indicando il caschetto corto e scalato che portava ora.

-Gli ho dovuti tagliare- ringraziando il cielo aveva evitato di commentare sulla felpa che indossava, anche se sapeva benissimo che apparteneva al fratello –cosa sei venuto a fare?-

-Non mi inviti ad entrare? Fa freddo e mi andrebbe davvero una tazza di caffé-

In silenzio si fece da parte per farlo passare, chissa perché era venuto?

-Stai andando da qualche parte?- chiese indicando gli scatoloni impilati in un angolo.

-Ho deciso di trasferirmi- rispose sparendo in cucina.

Pochi minuti dopo posò sul tavolo un vassoio con le tazze e la caffettiera.

-Allora cosa ci fai in cittá?-

-Siamo venuti per i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno, e ho pensato di venire a vedere come te la passavi, non abbiamo fatto in tempo a rivederci prima delle feste- disse con finta innocenza, entrembi sapevano per quale ragione si era tenuta alla larga.

-Siamo?- chiese con presunta indifferenza.

-Si io e un gruppo di amici- la osservò con attenzione mentre sferrava il primo colpo –e mi sono dovuto portare dietro quel musone di André, visto che ci lascia stare nel suo appartamento sono stato costretto ad invitarlo-

-Ah...- André era tornato in cittá!

-Abbiamo intenzione di passare l’ultimo dell’anno nel piú famoso locale di spogliarello della cittá!- mentì con allegria.

-Eh!- alzò la testa di scatto, come si permetteva di portare André in un posto del genere!

-Ma si, oramai l’unico modo in cui riesce a rimorchiare una ragazza e pagandola- bevvé un sorso di caffé nascondere il sorriso che gli era spuntato nel vedere l’espressione scioccata di lei.

-Cosa vorresti dire?- sicurissima di aver sentito male.

-Lo sai, con quelle orribili cicatrici ormai nessuna ragazza normale lo vorrebbe piú- senza riguardo verso la sua incolumitá fisica decise di rincarare la dose –se vuoi il mio parere hai fatto benissimo a mollarlo, neanche io che sono suo fratello riesco a guardarlo-

-Oh, vedo che la tua tazza é vuota, aspetta che te la riempio!- gli offrì a denti stretti, afferrando la caffettiera calda e rovesciandogli il contenuto bollente dritto sull’inguine.

-Porca miseria!- scattò in piedi cercando di limitare i danni e riuscendo solo a bruciarsi una mano con quello che aveva nella tazza.

-Ma che sbadata, aspetta ti porto qualcosa per pulirti- disse con il tono di scuse piú falso che Ryan avesse sentito.

Tornò pochi secondi dopo con una bomboletta e uno straccio.

-Lascia che ti aiuti!- gli spruzzò sulla macchia quella che in seguito si riveló essere varecchina concentrata per sgrassare lo sporco piú incrostato, i jeans erano da buttare, non c’era speranza alcuna di salvarli dopo un trattamento del genere.

-Forse é meglio che me ne vada, prima che tu riduca a zero le mie possibilitá di mettere al mondo una nuova generazione di affascinanti Granier- se non fosse stato assolutamente fuori luogo sarebbe scoppiato a ridere.

-Faresti meglio, se non vuoi andartene con qualcosa di rotto- gli disse minacciosa –come ti permettiti di certe di tuo fratello! Le qualitá di André vanno ben oltre le apparenze fisiche!-

-Ma che t’importa? Tanto l’hai lasciato no?- ora si andava al cuore della faccenda.

-Ma non ho mai smesso di...- si fermò quando si rese conto a gioco stava giocando –vattenene Ryan e impicciati degli affari tuoi-

-Non capisco, lui ti ama e tu lo ami, come mai allora non siete a far pace dentro un letto, invece di piangervi addosso come delle lagne!-

-Non é semplice come credi- cercó di spiegargli a testa bessa.

-Vi amate e non avete nessun motivo per non stare insieme, non ti viene piú semplice di così-

-André non vuole piú avere niente a che fare con me- ammetterlo a voce alta faceva male.

-Cosa?- esclamó stupito –come puoi...-

-Me l’ha detto lui stesso!- lo interruppe arrabbiata, che diritto aveva di ficcanasare nel suo cuore spezzato –in ospedale-

-In ospedale?- cercó di fare mente locale di quando questo sarebbe potuto succedere, nelle settimane in cui André era sto lucido lei non si era fatta viva, quindi doveva essere successo...-e quando sarebbe successo? Quando lui era incoscente o quando era fatto di morfina?-

-Ti assicuro che...-

-Non ti é venuto il piú piccolo dubbio che magari, dico solo magari- le disse con enfasi non lasciandola finire –tu abbia frainteso?-

Lei rimase imbambolata a guardarlo con gli occhi sgranati, e se avesse ragione? Se avesse deciso di credere a quello che lui diceva solo perché  lei si sentiva responsabile per l’incidente? Una fiamella di speranza le si accese nel petto iniziando a bruciare sempre più viva, forse c’era qualche speranza....

-Zuccona!- la insultó spazientito – chiamalo e falla finita!-

Si accompagnó da solo alla porta e la lasciò sola a meditare.

Che fosse vero? Si chiese, se avesse davvero frainteso e le cose tra loro si potessero ancora aggiustare? Il solo pensiero le faceva battere il cuore all’impazzata, ora restava solo da vedere se avrebbe avuto il coraggio di fare il primo passo e chiamarlo.

André non poteva credere di aver ceduto alla fine, si era lasciato infilare infilare in un taxi, insieme a suo fratello e quegli idioti dei suoi amici e ora erano diretti ad un veglione di fine anno in qualche locale, per certo squallido conoscendo i gusti di suo fratello Ryan, lui invece avrebbe voluto starsene a casa e commiserarsi un’altro pó cercando di trovare il coraggio di contattare Oscar.

-Eccoci arrivati!- lo informò allegro il fratello –forza scendi-

Di mala voglia scese dal taxi, per rimanere pietrificato sul marciapiede.

-Che razza di scherzo é!- ma la portiera della macchina si chiuse prima che lui potesse rinfilarvisi dentro.

-Tu mio caro sei in missione qui- gli disse Ryan dal finestrino, indicando il palazzo in cui abitava Oscar –cerca di tornarne vincitore, o almeno convincila ad aspitarti per questa notte, visto che non hai le chiavi di casa!-

Con quello il taxi partì sgommando e gli sembrò di sentire un vago buona fortuna proveniente dal finestrino ancora aperto.

Non ci poteva credere, l’avevano mollato nel bel mezzo del campo nemico senza nessun tipo di arma, ne sarebbe uscito a brandelli, ma l’idea che l’avrebbe rivista tra poco, gli faceva battere il cuore come se in petto avesse un branco di cavalli selvaggi.

Oscar occhieggó la sua porta con sospetto, non era possibile, non poteva aver appena sentito il suo campanello suonare, eppure ne era sicura, chi poteva essere a quest’ora e per di più l’ultimo dell’anno? Visto che il portiere non l’aveva avvisata di avere visite, doveva essere qualcuno dei vicini di casa.

-Salve Oscar- la salutò André dalla soglia.

Quella era l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare davanti alla sua porta.

-André...- non le uscì altro, era troppo sorpresa e dovette deglutire diverse volte, per cercare di mandare giù il nodo che gli si era formato in gola. Lui era fermo lì, nel corridoio davanti alla sua porta, con le mani in tasca e i capelli scompigliati dal vento.

-Cosa é successo ai tuoi capelli?- li aveva tagliati indecentemente corti, gli era sempre piaciuto infilare le dita nella loro massa morbida. Ma aveva notato anche il pallore acentuato e le mezze lune scure sotto gli occhi, i quali sembravano ancora più grandi, ma soprattutto più tristi , di come se li ricordava.

-Sono stata costretta a tagliarli, il fuoco li aveva rovinati- rimasero in silenzio a guardarsi, a quanto pareva nessuno dei due sapeva come comportarsi.

-Non mi inviti ad entrare? Qui fa freddo e io sono ancora convalescente sai- vedendola impallidire alla sua allusione sull’esplosione avrebbe voluto rimangiarsi tutto.

-Certo entra- aveva notato che era pallido e aveva perso peso, le venne una fitta la cuore al pensiero di quanto doveva aver sofferto.

André si blocco qualche passo oltre la soglia, nell’appartamento regnava il caos, c’era disordine da per tutto, scatoloni negli angoli e il luogo sembrava ancora più spoglio di come lo era l’ultima volta che vi era stato.

-Stai andando da qualche parte?- che stesse scappando?

-Ho deciso di trasfermi, non ho più un lavoro e non posso permettermi l’affitto di questo posto- non era esattamente una bugia ma una mezza veritá, se voleva avrrebbe potuto benissimo usare i risparmi che aveva messo da parte, almeno finché non avesse trovato un’altro impiego.

-Vuoi qualcosa da bere?- chiese evitando la sua occhiata scettica e invitandolo a sedersi.

-Un caffé andrá benissimo- rispose togliendosi la giacca e sedendosi, stando attento a non poggiare la schiena sulla spalliera del divano.

-Torno subito- era immensamente grata di una piccola tregua, era sotto sopra, cosa ci faceva li? Non le aveva giá detto di stargli lontana? Che fosse venuto invece per le cose che aveva lasciato lì? E se invece era venuto perché Ryan aveva ragione e lui provava ancora qualcosa per lei?

-Come sta tua nonna?- lo sentì chiedere dal salotto.

-Sana come un pesce, come sempre dal tronde- poi si diede dell’idiota, si era appena sbugiardata alla grande, sapere che lei aveva mentito e averne l’assoluta certezza, erano due cose completamente diverse.

-Piccola bugiarda-

Lei si voltò di scatto, la sua voce era troppo vicina, ed infatti lo vide appoggiato allo stipite della porta, con fare casuale.

-Dimmi perché sei sparita inventandoti una cosa del genere?- chiese avvicinandosi di più a lei e bloccandola contro il ripiano della cucina.

-Perché...non c’era più niente da fare per me all’ospedale, tu stavi bene...- balbettò incerta.

-Accidenti Oscar!- la interruppe arrabbiato, ma la rabbia fù in fretta rimpiazzata dalla disperazione –sei ancora talmente arrabiata con me, che non riesci a trovare un briciolo cuore per perdonarmi?-

-Io non...- tanto valeva prendere il toro per le corna e sperare che Ryan avesse davvero ragione –ho fatto solo quello che mi hai chiesto in ospedale, ti ho lasciato in pace e me ne sono andata-

-Cosa! Come? Quando!- non si ricordava un bel niente –se vuoi che la nostra relazione finisca qui e subito, basta dirlo, non hai bisogno di invertarti storie del genere-

-No non ho bisogno di inventarmi storielle- gli disse offesa –sei stato tu a dirmi di andarmene, quando hai ripreso conoscenza, che era tutto finito e che...- non riuscì a finire.

-E che?- la incitó calmo.

-E che era tutta colpa mia se eri ridotto in quelle condizioni- gli disse con un bisbiglio.

-Come!? Non é possibile, io non...- l’afferró per le spalle e la scosse con gentilezza –devi aver frainteso, quando mi sono svegliato e ti ho trovato li, ero solo contento che non ti fosse accaduto nulla, volevo dirti di starmi sempre vicino e di non lasciarmi più, volevo che mi perdonassi e che avessimo un’altra possibilitá di iniziare da capo-

-Davvero?- lo guardò negli occhi, quanto le erano mancate quelle iridi verdi che la guardavano con amore e speranza, proprio come ora.

-Davvero, come hai potuto credere una cosa del genere?- chiese stupito.

-Forse perché in fondo...- distolse lo sguardo dal suo -...in fondo sapevo, che era colpa mia se eri ridotto in quelle condizioni-

-Oscar...- sentì una goccia umida che gli cadeva sul dorso della mano ancora posata sulla sua spalla, erano lacrime.

-Avrei dovuto andare direttamente dai federali, invece di fare di testa mia, avrei dovuto convincerti a lasciar perdere tutto, invece ero così arrabiata che non ho pensato ad altro che uscire da questa faccenda con il minimo danno possibile. Non pensando che altre persone potevano andarci di mezzo, e...-

-No, no, no- cercava di asciugarle le lacrime che orami cadevano copiose ma invano, non l’aveva mai vista piangere –mio Dio Oscar come puoi anche solo pensare una cosa del genere! È stato un incidente, prenditela con Mark Spencer se vuoi dare la colpa a qualcuno, ma tu non c’entri nulla!-

-Mi dispiace André, per tutte le cose terribili che ti ho detto, per non averti dato un minimo di fiducia, per...-

-Basta così- le impose, posandole un dito sulle labbra e fermando quel fiume di scuse, inutili a suo parere –io ti amo, conta solo quello, se ti va di rincominciare da capo, possiamo iniziare a costruire da lì. Che ne dici?-

Lei sollevò piano il capo, gli occhi lucidi di lacrime e le lunghe ciglia scure umide di pianto, dargli un’altra possibilitá? E glielo chiedeva pure! Nelle ultime settimane si era sentita come se fosse passata attraverso l’inferno, senza vedere nessuna via d’uscita, ed ora se lo trovava davanti, più innamorato che mai e chiedendo il suo perdono.

Come al solito non riusciva a mettere a parole quello che le si agitava dentro, perciò fece l’unica cosa che tra loro funzionava meglio di mille discorsi fioriti, gli avvolse le bracia al collo per baciarlo, a lungo e fino a quando entrambi erano senza fiato.

-Allora quello...era un si?- chiese abbracciandola stretta come se non volesse più lasciarla andare.

-Si, si e ancora si!- gridò, ricoprendogli il viso di una pioggia di piccoli baci e sentendo il cuore in procinto di scoppiare.

-Bene, mi sei mancata tanto lo sai- le sussurrò dentro un orecchio, facendola rabbrividire.

-Anche tu mi sei mancato tanto. Ti amo André-

André l’afferrò per la vita e la fece sedere sul ripiano che le stava alle spalle, infilandosi tra le sue ginocchia aperte in modo da poter far aderire meglio il corpo di lei al suo, quanto gli era mancata!

-André...la tua...schiena...- riuscì a chiedere tra una boccata d’aria e l’altra.

-Amore, ora come ora, solo l’essere in punto di morte mi impedirebbe di fare l’amore con te!-

Con una risata spensierata, la prima dopo tante settimane, gli strinse più vicino cingendogli i fianchi con le gambe.

-Credo che staremo più comodi a letto- suggerì ansimando.

Senza dire una parola la sollevò di peso e si diresse correndo verso la camera da letto, dove la scaraventò sul materasso con un sorriso giocoso dicendole:

-Ora sei tutta mia, per sempre-

Due meravigliose ore dopo, Oscar giaceva ancora sveglia nel letto accanto ad André, il quale si era addormentato dopo aver fatto l’amore bisbigliandole un tenerissimo ti amo, ed ora dormiva appagato, stringendole la vita con fare possessivo e dividendo con lei lo stesso cuscino.

Ma lei non riusciva a prendere sonno, aveva paura che si sarebbe svegliata per scoprire che era stato tutto un sogno e che lui non era mai venuto a casa sua, quelle ultime ore erano state cariche di profonde emozioni, pensò sospirando,anche se tutto era finito nel più stupendo dei modi.

Non avrebbe sprecato questa nuova possibilitá che le era stata data, avrebbe coltivato con cura l’amore che l’uomo al suo fianco le aveva donato, e questa volta, i dubbi e le insicurezze sarebbero davvero stati cose del passato, il loro rapporto aveva affrontato una dura prova, ma erano riusciti a superarla, ora nulla li avrebbe separati, ed ogni ostacolo l’avrebbero superato insieme, uniti.

All’improvviso sentì una serie di botti e scoppi provenienti da fuori, un’occhiata all’orologio le disse che era arrivata la mezza notte, si era quasi dimenticata che oggi era l’ultimo dell’anno.

Con soddisfazione pensò che non avrebbe potuto avere uno sfondo più perfetto per quella notte, un nuovo anno era arrivato e un nuovo inizio era arrivato per lei, una nuova vita da vivere come più le piaceva con la persona che amava, questa notte avrebbe portatano una nuova rinascita, una nuova Oscar, che aveva imparato che la vita va vissuta al di la di obblighi e doveri.

Con un sorriso beato chiuse gli occhi, ma prima baciò l’uomo addormentato sussurrandogli a fior di labbra:

-Buon anno mio dolcissimo amore-

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** EPILOGO ***


SEI MESI DOPO.

Oscar si sistemó meglio contro il corpo di André, continuando a sorseggiare beatamente dal bicchiere di té freddo che aveva in mano.

Entrambi erano seduti sul divanetto in vimini, sistemato sul minuscolo terrazzo del loro appartamento, avevano appena finito di cenare e ora si godevano quella fresca serata di inizio estate.

-La cena era deliziosa- la complimentò lui sorseggiando il suo bicchiere di vino.

-Grazie, tutto merito della signora Maria- la signora in questione era una donna di origini italiane, che abitava al pian terreno e che le stava insegnando a cucinare.

Questa sera si era cimentata nelle lasagne al forno, infatti diventava ogni giorno più brava, oramai non dovevano più usare il piccolo estintore che André aveva insistito a tenere sotto il lavandino, dopo i suoi primi tentativi ai fornelli.

Oggi era il suo compleanno e lei aveva programmato una serata romantica, durante la quale gli avrebbe dato il suo regalo, era sicura che ne sarebbe andato matto.

Con un sospiro soddisfatto pensó ai cambiamenti radicali che erano avvenuti nella sua vita negli ultimi mesi, tutti iniziati quella lontana sera di fine anno.

Visto che tutta la sua roba era giá impacchettata, André le aveva suggerito di trasferirsi nel suo appartemento, e poi magari se voleva ne avrebbero potuto cercare uno che piaceva ad entrambi, lei aveva accettato con gioia, con l’unica variante, che avevano deciso di cercare una casa da comprare invece di affittare un’altro appartamento.

Lei non lavorava più nel mondo dell’alta finanza, infatti dopo accese discussioni André l’aveva convinta ad iscriversi all’universitá e a seguire un corso d’arte, e dopo i primi mesi di più completa e totale frustrazione, ora stava iniziando a vedere i frutti, al momento per tutta la casa erano sparsi pennelli, colori e tele. Una mattina un’André mezzo addormentato, aveva preso per sbaglio uno dei suoi pennelli, e alla vista della schiuma verde che gli usciva dalla bocca gli era quasi venuto un accidente, il fatto che lei avesse riso per dieci minuti buoni non aveva aiutato per niente.

Dopo il crollo della societá di assicurazioni, con l’aiuto di Mark Spenser, l’FBI era riuscita a montare un processo contro la famiglia Marino, che era attualmente in svolgimento e che aveva attirato un grande interesse pubblico. Andrè aveva rifiutato di scrivere degli articoli, lasciando la copertura dell’evento ad Alain, non voleve avere più nulla a che fare con quella gente, preferiva tornarnare alle sue storie di cronaca. Una cosa che l’aveva fatta ridere quando aveva scoperto che lui era uno di quelli che scrivevano sui giornali quegli articoli con storie strappa lacrime, affronto che le era costato una settimana di moine per farsi perdonare.

Una cosa che non l’aveva fatta ridere era stato sapere che, l’avvocato non avrebbe pagato per l’omicidio di Roger, visto che ora veniva protetto dai federali, e che Thomas Dratt se la sarebbe cavata con molto poco, se la mafia non decideva di fargliela pagare.

Visto che non lavorava più ora divideva il suo tempo tra i dipinti e l’amministrazione del palazzo dove abitavano. Infatti era riuscita a convincere il padrone a darle l’amministrazione della proprietá in cambio dell’affitto mensile, così ora si occupava di riscuotere gli affitti, di tenere la proprietá in ottimo stato e di sedare le liti tra vicini. Oramai conosceva per nome tutti gli inquilini e riceveva sorrisi di saluto da tutti.

La ciliegina sulla torta era stato il piccolo cerchietto dorato che portava al dito, a testimonianza del fatto che ora era diventata la signora Granier. Infatti, in una stupenda sera di primavera, nel mezzo del giardino fiorito dei suoi genitori e sotto un cileo stellato da mille e una notte, le aveva chiesto di sposarlo, e lei non aveva esitato un secondo nel rispodenrgli di si. Così alla fine di maggio erano finalmente diventati il signore e la signora Granier. E non un minuto troppo presto.

L’evento peró aveva portato un’ulteriore incrinazione dei rapporti con la sua famiglia, suo padre aveva dato di matto quando gli aveva detto che avrebbe lasciato il mondo che lui aveva scelto per lei e che si sarebbe data alla pittura, poi le cose erano peggiorate quando l’aveva informato che André sarebbe diventato suo marito, lui aveva sbraitato per più di dieci minuti, che non avrebbe mai permesso che sua figlia spossasse uno “scribacchino senza futuro”. Così evitava di andare a trovarli, e si accontentava di parlare con sua nonna al telefono, cosa che sarebbe cambiata presto, visto che André le aveva chiesto se voleva che lei venisse a vivere con loro una volta comprata la casa, e la faccenda era stata chiusa in quel modo.

Non le importava nulla, non era stata mai contenta come in quel periodo e non avrebbe permesso a nulla e nessuno di rovinarglielo, guardando il cielo stellato le scappó un’altro sospiro.

-Come mai tutti questi sospiri?- chiese baciandole i la testa bionda, i capelli le erano ricresciuti e lui era contento che avesse deciso di non tagliarli più.

-Sono solo contenta, la serata é meravigliosa e siamo insime, tutto é quasi perfetto-

-Quasi?-

-Non ti ho ancora dato il tuo regalo di compleanno- gli disse con un sorriso enigmatico e entrando in casa.

Poco dopo gli porse una busta bianca rettangolare, con una coccardina rossa sul davanti e con scritto sopra il suo nome.

-Intrigante- disse incuriosito, cosa poteva essere?

Dalla busta tiró fuori due quadratini di carta liscia, della stessa grandezza di una polaroid, ma dall’aspetto strano, infatti erano tutti neri a parte due zone biancastre a forma di cono, assomigliavano tanto ad una...ecografia?

-Buon compleanno tesoro- gli disse ridendo alla sua espressione confusa, e puntando a qualcosa dentro il cono –lo vedi questo puntino che é leggermente più bianco di tutto il resto?-

-No davvero...- cercó di osservare l’immagine da diverse distanze, ma per vederci qualche cosa bisognava essere dotati di una fervida immaginagione.

-Bhé mio caro, quel puntino continuerá a crescere e fará la sua apparizione in questo mondo esattamente tra sette mesi e mezzo-

Silenzio assoluto accolse la notizia.

-Oh mio Dio...- sussurró guardando con attenzione il punto che gli aveva indicato la moglie –un bimbo...stiamo per avere un bimbo!-

-A quanto pare...-

Non ebbe occasione di finire perché fú interrotta dall’ululato di gioia di lui.

-Un bambino! Stiamo per avere un bambino!- con cautela se la mise in grembo e la bació con trasporto –fammi vedere!-

Senza tante cerimonie le sollevó la semplice maglietta di cotone in modo da scoprirle la pancia, che era piatta come al solito, e vi posó sopra il palmo della mano aperto, accarezzandolo con un’espressione tenera che gli faceva brillare gli occhi di un verde luminoso.

-Lo sapevo!- esclamó sicuro –sapevo che c’era qualcosa di strano, morivo dalla volgia di chiedertelo, ma ho pensato che volevi farmi una sorpresa!-

-E sei sorpreso?- chiese divertita.

-Molto sorpreso- la bació di nuovo in maniera lenta e suggestiva –ora capisco le tonnellate di sott’aceti che hanno fatto la loro comparsa nel nostro frigo e perché i tuoi quadri sembravano strani-

-Strani?- chiese curiosisa.

-Tenui colori pastello avevano iniziato a fare la loro comparsa un pò da per tutto, mi stavo chiedendo quando avresti iniziato a dipingere gattini e cuccioli di altro tipo!-

-Cosa!- non poté fare a meno di scoppiare a ridere –sei impossibile! La vuoi sapere un cosa triste? Non riesco piú a mangiare del cioccolato-

-Come sarebbe a dire?- cercó di non ridere alla sua espressione seria.

-Non sopporto piú neanche l’odore- specificó triste.

-Oh tesoro! Mi dispiace!- le diede un bacio di consolazione.

-A chi diamo per primo la bella notizia?- volle sapere posandogli la testa nell’incavo della spalla e facendosi abbracciare.

-Direi Ryan-

-Ryan?- dire che era sorpresa era poco, avrebbe scommesso sui suoi genitori.

-Si lui, se non fosse per lui non sarei mai arrivato alla tua porta la notte di capo d’anno, mi ha praticamente scaricato sul marciapiede ed e scappato lasciandomi li al freddo e al gelo- e non gli era stato mai così grato.

-Davvero? Sai che il giorno prima é venuto a farmi visita, dicendo le cose piú terribili sul tuo conto, gli ho rovesciato addosso una caffettiera bollente e poi gli ho spruzzato i jeans con la varecchina! Magari se non fosse venuto, non ti avrei mai aperto la porta quella notte-

-Che bugiardo! Mi aveva detto che una cameriera distratta gli aveva rovinato i pantaloni nuovi!- a quel punto scoppió a ridere –credo che il signor Cupido si sia guadagnato il diritto di essere il primo a sapere-

-Aggiudicato!- rise felice.

Rimasero a lungo abbracciati in silenzio, ascoltando i rumori della cittá attorno a loro, il loro bimbo stretto al sicuro tra i loro corpi caldi, appagati nel stare insieme e ansiosi di scoprire cos’altro il futuro aveva in serbo per loro.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=45697