NESSUNA CERTEZZA di londonlilyt (/viewuser.php?uid=3436)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 14 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 15 ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 16 ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 17 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 18 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 19 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 20 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 21 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 22 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 23 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 24 ***
Capitolo 25: *** EPILOGO ***
Capitolo 1 *** CAPITOLO 1 ***
lady oscar
Oscar aprì e chiuse la porta del
suo lussuoso appartamento sull’isola di Manhattan con cautela; il perchè si
preoccupasse di non far rumore era un mistero. Era venerdi notte ed erano le
undici di sera passate e molto probabilmente metà del palazzo era già partito
per il week end, mentre l’altra metà sarà a qualche festa. Non si sarebbe
stupita nello scoprire che lei era stata l’unica stupida a lavorare fino a tardi
di venerdi sera.
Stancamente si gettò sul divano
scalciando le scarpe dai tacchi a spillo micidiali: prima o poi l’avrebbero
uccisa queitrampoli. Un’altra settimana come quella appena passata e presto
l’avrebbero rinchiusa in una di quelle graziose cliniche di mattoni bianchi con
i fiori sempre in boccio che decoravano i giardini.
Sempre rimanendo sdraiata si
spoglió, lasciando cadere l’abito di taglio severamente maschile che indossava a
lavoro sul pavimento e rimanendo solo con la biancheria intima; faceva un caldo
atroce per essere solo fine giugno e lei si era dimenticata, come al solito, di
programmare il condizionatore dell’aria.
Con un sospiro chiuse gli occhi e
si massaggiò le tempie. Non poteva fare a meno di pensare ai guai che stava
passando in ufficio, oramai la situazione era diventata la sua spina nel fianco.
Sei mesi fa aveva trovato lavoro presso la Fraiser Assicurazioni, una solida
compagnia assicurativa in via di espansione che dopo aver visto le sue
credenziali le aveva fatto un’offerta lusinghiera che lei non aveva esitato ad
accettare.
Così il suo primo giorno di
lavoro era uscita a testa alta dall’ascensore con lo sguardo fisso davanti a se
e si era diretta nel suo ufficio, mentre i suoi colleghi, tutto maschi a parte
le loro segretarie, abbandonavano le loro incombenze per dare un’occhiata alla
“bambolina sexy”, bionda, con gli occhi azzurri e un fisico da infarto, che
stava attraversando i loro corridoi come se stesse camminando sulla passerella.
Sghignazzando e bisbigliando a voce alta che chiunque l’avesse assunta come
segretaria fosse un “bastardo fortunato” e che qualunque cifra le fosse stata
promessa loro l’avrebbero volentieri raddoppiata.
Quando però avevano visto che le
era stato assegnato l’ufficio all’angolo, il più grande del piano e con due
finestroni che avevano una vista stupenda di Central Park, e che lei era il
nuovo direttore del settore Investimenti e Finanza e di conseguenza il loro
capo, le riasate si erano fermate di botto e la guerra era iniziata.
Una guerra fatta di dispetti e
boicottamenti; l’ultimo dei quali aveva portato alle dimissioni della sua
segretaria due settimane fà ed al momento sembrava che non si riuscisse a
trovare un’adeguata sostituta e che le segretarie già presenti nel piano fossero
tutte troppo impegnate per darle una mano. Perciò, ultimamente faceva tutto da
sola: si batteva i rapporti, si prendeva gli appuntamenti, faceva le fotocopie,
aveva addirittura trasferito tutte le chiamate del suo ufficio sul cellulare, il
quale non smetteva due miniti di squillare. La sua vita era diventata un
inferno.
Ma era dannata se avrebbegettato
la spugna! Non si sarebbe fatta spaventare facilmente e non era un tipo che
abbandonava il campo alla prima avversità, alla fine l’avrebbe avuta vinta lei
anche se le sarebbe costato un ulcera.
Con passo stanco si diresse verso
il frigo, poteva sentire il mal di testa che iniziava a farle pulsare le tempie,
aveva bisogno di un’aspirina e una notte di sonno di quindici ore. Con tristezza
si rese conto che il frigo era quasi vuoto, non aveva avuto neanche il tempo di
andare a fare la spesa ultimamente; le uniche cose commestibili erano una mela e
del formaggio, sempre meglio di nulla pensò, quindi prese anche una bottiglietta
d’acqua e se ne andó in camera da letto.
Scolò la bottiglia, mangió piano
il suo magro bottino e dopo aver spento la luce si avvolse tra le lenzuola
profumate addormentandosi di colpo.
Il mattino dopo fù svegliata
bruscamente dall’insistente squillare del telefono, senza neanche aprire gli
occhi tastò il comodino alla ricerca della cornetta e poco dopo rispose con un
flebile:
-Pronto-
-Oscar tesoro non dirmi che sei
ancora a letto?- trillo una voce acuta dall’altro capo.
-Mamma?- cosa voleva sua madre a
quell’ora del mattino e per di più di sabato?
-Assicurami che hai già preparato
le valigie e che stavi per uscire di casa? Il tuo aereo è tra tre ore!- le
ricordó agitata.
Aereo? Perchè mai doveva prendere
l’aereo?
-Non mi dirai che ti sei
dimenticata che questo pomeriggio tua sorella si sposa?!-
-No, no, mamma, non ti
preoccupare aspettavo il taxi, ci vediamo tra qualche ora- con un gemito nascose
la testa sotto al cuscino.
Maledizione! Si alzó come una
furia e scomparve nell’armadio a muro, si era completamente dimenticata che la
sua sorella maggiore si sposava per la terza volta...o era la sua terza sorella
sorella che si sposava per la prima volta? Che importanza aveva! Sapeva solo che
doveva sbrigarsi se non voleva perdere l’aereo. Gettò sul letto il vestito
ancora avvolto nella custodia di plastica del negozio e prese la valigia dal
ripostiglio, perchè diavolo pesava così tanto? Ebbe presto la sua risposta
quando l’aprì: conteneva ancora i vestiti che aveva usato l’ultima volta che era
andata a trovare la sua famiglia il mese scorso e non era stata disfatta, che
colpo di fortuna!
Il trillo del citofono la fece
correre alla porta, era il portinaio che l’avvisava dell’arrivo del taxi.
Solo quando l’aereo prese
velocità e decollò si concesse un sospiro di sollievo, sarebbe arrivata in tempo
per la cerimonia dopo tutto, con un sospiro di sollievo chiuse gli occhi e cercó
di mettersi in una posizione comoda, aveva diverse ore di sonno da recuperare.
Mezza addormentata non potè
fare a meno di sorridere all’idea che presto avrebbe riabbracciato sua nonna, lei era l’unico
membro della sua famiglia a cui fosse realmente affezionata; un’immagine della
coriacea vecchietta con il perenne mestolo in mano le passò davanti agli
occhifacendo diventare il suo sorriso ancora più ampio. Se non fosse per lei,
eviterebbe di andare dai suoi del tutto: con sua madre aveva un rapporto
insipido, con le sue sorelle si scambiava solo le cartoline per le feste e con
suo padre...bhè suo padre era tutto un’altro universo.
Suo padre era un acuto e spietato
uomo d’affari di vecchio stampo, di quelli che credevano ancora che i figli
maschi servivano per continuare la stirpe e le figlie femmine dovevano solo
apparire carine e ben educate ai pic-nic aziendali. Ma il destino non era stato
clemente con lui, e dopo la nascita dell’ennesima femmina, la quinta per
l’esatezza, aveva deciso che a mali estremi estremi rimedi e che l’impero dei de
Jarjeys di New Orleans sarebbe andato a lei. Oscar, l’ultimo genita.
Così era iniziata la sua
vita, suo padre l’aveva iscritta al club di calcio, baseball e hokey, per
forgiarle il carattere e lo spirito competitivo continuava a riperterle, mentre
lei avrebbe voluto andare a quello di balletto come le sue coetanee. Aveva
scelto tutte le sue scuole e durante le estati degli anni del liceo l’aveva
obbligata a lavorare nella sua compagnia. Alla fine la sua salvezza era stata
l’università. Era riuscita ad entrare in quella che si trovava il più lontano
possibile da casa, certo suo padre non l’aveva presa bene, ma almeno la figlia
stava studiando alla facoltà di economia, abbandonando tutte le assurde nozioni
di diventare un’artista, gli artisti non fanno i soldi fanno la fame, le aveva gridato dopo
un’accesa lite.
Quella era la cosa che Oscar
rimpiangeva più di tutte: l’aver perso la possibilità di coltivare il talento
nella pittura che aveva scoperto quando era bambina. Ora non aveva il tempo e
nel profondo sapeva di essere ancora succube degli insegnamenti del padre anche
se faceva come piú le aggradava, sarebbe valsa la pena però fare qualche corso e
scoprire se le sue capacita di pittrice erano ancora lì.
Il putiferio però era scoppiato
quando, dopo la laurea, aveva lavorato al suo fianco solo per due anni, durante
i quali aveva deciso di cercare di farsi strada nel mondo dell’alta finanza di
Wall Street. A suo padre era quasi venuto un colpo apoplettico, la mamma l’aveva
dovuto sedare e la nonna voleva solo prenderlo a mestolate fino a fargli entrare
un pò di sale in zucca. Ma il risultato finale era sempre stato lo stesso, musi
lunghi per anni e il fatto che non fosse piú la benvenuta a casa sua, almeno
fino a quando era andato in pensione; allora aveva venduto la sua quota
azionaria di maggioranza e aveva lasciato la compagnia nelle mani del consiglio
di amministrazione, a quel punto si era ammorbidito nei suoi confronti e non le
era più stato tanto ostile. Ora mantenevano un rapporto di educata freddezza.
La macchina che aveva noleggiato
all’aereoporto sfrecciava silenziosa tra le stradine secondarie della città, che
a quell’ora erano poco trafficate. Per fortuna non doveva passare per il centro,
la sua famiglia abitava in una casa in antico stile coloniale che faceva parte
di una piantagione e che avrà avuto almeno duecento anni, una di quelle con le
colonne sul davanti, una veranda al piano di sopra e un patio sul retro che in
primavera era sempre fiorito. Suo padre l’aveva voluta comprare non appena
l’aveva vista, pagando una cifra esorbitante e sostenendo che era la dimora
ideale per loro e ribattezzandola Villa de Jarjayes.
Infatti, a quanto pareva, la
sua famiglia poteva vantare origini aristocratiche. Apparentemente, i de
Jarjayes discendevano da una delle
tante famiglie scampate alla rivoluzione francese ed emigrate in Louisiana, dove
avevano prosperato senza perdere il loro orgoglio nobile. Oscar non sopportava
quando suo padre iniziava con “l’orgoglio nobile” e con il solito discorso che
loro erano superiori a tutti e certi privilegi gli spettavano di diritto. Lei
non era daccordo, tutti gli uomini erano uguali e ognuno aveva diritto alla sua
libertà e ad esprimere le proprie idee, in genere finiva sempre in uno scontro
verbale tra loro perciò evitava anche
solo di sfiorare l’argomento.
Oscar rallentò l’andatura non
appena vide spuntare la casa e parcheggiò nello spiazzo rotondo davanti notando
che nell’ingresso regnava il caos.
Le doppie porte di legno
massiccio erano spalancate e del personale in livrea si affaccendava da una
parte all’altra. In tutto quel trambusto, riuscì a localizzare sua madre nel
salone principale che dava ordini come un generale, se solo fosse riuscita a
mantenere quel tipo di fermezza davanti al marito tutti sarebbero stati piú
contenti.
-Oscar tesoro! Finalmente sei
arrivata!- la salutò abbracciandola velocemente, per poi tornare subito sul
ponte di comando.
-Ciao mamma- ma l’altra donna era
già sparita.
Non le rimaneva altro che salire
di sopra, lavarsi, cambiarsi e andare alla ricerca di sua nonna, con tutta
questa confusione chissà dove si era andata a nascondere. Aveva una fame
terribile ma sapeva che si sarebbe dovuta rassegnare ad aspettare l’inizio del
ricevimento, dubitava che qualcuno fosse disposto a sfamarla. Automaticamente si
diresse verso la sua vecchia stanza sperando che non fosse stata presa d’assedio
come il resto della casa, ma per fortuna era vuota e tutto era come sempre. I
suoi disegni sui muri, il lungo specchio in un angolo, il suo armadio, la sua
cassettiera e vicino alla finestra il suo fedele letto con il baldacchino oramai
consumato dal tempo. I colori dell’arredamento erano scuri e sobri, nessun tipo
di fronzolo femminile era in vista e non vi era nulla che facesse capire che la
stanza fosse stata occupata per anni da una ragazza. Dopo aver posato la valigia
sul letto si chiuse in bagno.
La cerimonia fú strappa lacrime
come da copione: la sposa era radiosa, ed era la sua terza sorella che si
sposava, lo sposo sprizzava gioia da tutti i pori e i consuoceri potevano tirare
un sospiro di sollievo. Essendo la fine di giugno si era deciso di tenere il
ricevimento nei giardini della villa, quindi mentre gli sposi erano impegnati
con le foto di rito, gli ospiti venivano diretti verso i tavoli dove sarebbe
stato servito l’aperitivo.
Oscar camminava con andatura
lenta al fianco della nonna, nonostante la vecchietta fosse sulla soglia degli
ottant’anni, era ancora arzilla e aveva una lingua affilata che non aveva
eguali.
-Quel vestito ti dona- la
complimentò, le capitava raramente di vedere il lato tutto al femminile della
nipote.
-Grazie, nonna- quando aveva
visto il vestito esposto nella vetrina di una botique non aveva saputo resistere
e l’aveva comprato.
Era una creazione di seta rossa
che le aderiva al corpo come una seconda pelle, con uno spacco vertiginoso sul
davanti che faceva scendere morbidamente il tessuto fino ai piedi creando un
piccolo strascico molto elegante, le spalline erano sottili e la schiena
rimaneva scoperta per buona parte; il fatto che non indossasse il reggiseno la
faceva sentire a disagio, ma non avrebbe rovinato l’effetto del vestito per
nulla al mondo. Per capelli trucco e accessori aveva optato per uno stile
semplice, dal tronde l’abito parlava già da se e non vi era alcun bisogno di
strafare.
-Allora?- le chiese quindi la
nonna.
-Allora cosa?- cercadno di
tergiversare, prese due bicchieri di champagne da una cameriere di passaggio e
gliene offrì uno.
-Non fare la finta tonta con me
che ti ho visto nascere! L’hai finalmente incontrato?- chiese serie con tono
cospiratorio.
-Ma di chi stai parlando?- chiese
confusa, anche se aveva qualche sospetto.
-Ma del tuo grande amore, no! Di
chi credi stia parlando?- sbottò scocciata, sua nipote poteva essere davvero
ottusa quando ci si metteva.
-Ancora con questa storia,
nonna?- chiese con un sospiro.
-Tu ancora non mi credi vero? Ha!
Ne riparleremo quando finalmente l’avrai visto con i tuoi occhi-
Vi erano alcune cose da dire a
proposito della nonna di Oscar: la prima era la sua convinzione di essere una
potente sacerdotessa vudu e la seconda era la sua convinzione di essere
abilissima nel leggere i tarocchi. Perciò, quando Oscar era nata, durante uno
dei suoi riti propiziatori che facevano venire i brividi alla governante e alla
cuoca, la donna aveva scoperto che sua nipote era la reincarnazione di una sua
antenata, morta tragicamente insieme al suo grande amore durante la rivoluzione
prima che i due fossero in grado di coronare il loro sogno d’amore e quindi gli
spiriti dei due amanti tragicamente separati erano rinati a nuova vita in modo
da poter passare insieme gli anni felici che gli erano stati negati.
-Mia cara non puoi aspettarti che
il cielo lo faccia cadere dritto ai tuoi piedi, un minimo impegno da parte tua è
richiesto!-
-Hai mai pensato nonna, che
magari, questo mio grande amore si è perso in una congiunzione cosmica e non è
riuscito a rinascere nella mia stessa era?- la prese in giro infilandosi in
bocca una tartina.
-Scherza, scherza...ma lo sai che
ride bene chi ride ultimo!- sbuffó.
-Dai nonna non te la prendere!-
le disse abbracciandola –lo sai che ti voglio bene e che mi diverte prenderti un
pò in giro- si le voleva bene ma non era così rintronata da credere ad una cosa
del genere.
-Lasciamo perdere per il momento.
Dimmi piuttosto, come va il lavoro-
-Pesante ma procede, sono sicura
che è giusto il primo periodo con il tempo le cose si aggiusteranno- mentì, non
le andava di scaricare su sua nonna le preoccupazioni riguardanti gli
avvenimenti dell’ufficio.
-Mmmm...- la guardò con gli occhi
chiusi a fessura, non le piaceva quando faceva così, sembrava quasi che
riuscisse a leggerle nel pensiero –vuoi che mi metta a fabbricare alcune delle
mie bamboline? Per il malocchio sai!-
-Cosa?- non potè fare a meno di
ridere –oh nonna quanto mi sei mancata!-
-Allora perchè non torni a casa
più spesso?-
-La sai perché e questo non è ne
il luogo ne il momento adatto per parlarne –la prese sotto braccio e la condusse
all’ombra –cerchiamo di goderci la festa-
Era oramai buio ed Oscar se ne
stava da sola seduta su una delle tante panchine di pietra disseminate per il
giardino, le lanterne che erano state accese al calar della sera emanavano una
morbida luce dorata, il cielo era trapuntato di stelle e la luna piena brillava
in tutto il suo splendore. Come le aveva fatto notare sua nonna prima di
ritirarsi, una serata ideale per gli innamorati e lei non poteva che essere
daccordo e anche un pò invidiosa delle coppiete che le passeggiavano attorno
mano nella mano.
In generale non le pesava il
fatto di non avere nessuno accanto, ma era in serate come quella che sentiva il
profondo bisogno di dividere la sua vita con qualcuno davvero speciale. Non che
le occasioni le fossero mancate, ma non erano andate a buon fine; i potenzili
fidanziati venivano messi in soggezione dalla sua bellezza e dai suoi occhi,
quando si metteva davvero d’impegno il suo sguardo aveva lo stesso effetto di
quello di Medusa: li lasciava tutti pietrificati! Per non parlare di quelli che
erano scappati non appena si erano resi conto che lei guadagnava molti più soldi
di loro. I pochi abbastanza coraggiosi da instaurare una relazione con lei la
lasciavano dopo qualche mese, sostenendo di sentirsi messi sempre in secondo
piano dal suo lavoro e che lei era troppo competitiva, a cosa le serviva un uomo
se era praticamente autosufficente sotto ogni punto di vista e che ogni tanto
anche loro volevano rivestire il ruolo del maschio nella loro relazione. In
definitiva, tutti cercavano una donna che fosse dolce e femminile, che gli
consentisse di pagare le bollette e che si lasciasse coccolare e proteggere, ne
andava del loro orgoglio di macho dopo tutto!
Arrivati a questo punto disperava
di riuscire a trovare qualcuno che fosse adatto a lei, qualcuno che senza paura
riuscisse a vedere dietro la facciata fredda e altera che era costretta a
presentare al resto del mondo. Nei momenti più disperati era anche disposta a
credere alle storie di sua nonna, anche perchè di storie gliene aveva raccontate
tante durante la sua infanzia, tutte approposito della sua antenata e molte di
loro avevano dell’assurdo.
Di come fosse stata cresciuta
come un uomo in modo che, una volta adulta, potesse intraprendere la carriera
militare diventando comandante delle guardie reali. Nella francia del 1700? Era
già tanto se le era permesso mettere piede fuori di casa figuriamoci avere una
carriera di qualche tipo! Ma quello che l’aveva sempre colpita era l’uomo sempre
presente in quelle storie, una figura silenziosa che le stava sempre vicino in
qualunque situazione, che aveva imparato ad amarla da lontano e cercava di
proteggerla ad ogni costo, anche da se stessa. Chissà quante gliene avrà fatte
passare a quel poveretto prima di capire che in fondo anche lei lo amava, ma il
cuore di lui era sempre rimasto costante e sincero nel tempo ed alla fine la sua
pazienza era stata premiata.
Era davvero triste che il
loro amore fosse stato sommerso e portato via dal sangue della rivoluzione.
Oscar rivolse lo sguardo verso il cielo con un sorriso triste sulle labbra,
avrebbe dato qualsiasi cosa per avere qualcuno così accanto. Qualcuno che
l’avrebbe abbracciata e rassicurata che alla fine tutto si sarebbe aggiustato,
qualcuno che non pretendeva che fosse lei quella sempre forte e decisa perchè in
definitiva, anche lei avrebbe voluto essere il tipo di donna che gli uomini
cercano; ma il problema risiedeva nel non sapere da che parte iniziare ad essere
femminile e dolce, le vecchie abitudini erano dure a
morire.
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Capitolo 2 *** CAPITOLO 2 ***
Nel frattempo, in un
piccolo ristorantino messicano del New Jersey, tre uomini erano seduti ad un
tavalo in un angolo appartato del locale e discutevano sommessamente.
I tre erano Richard Grant,
Simon Cort e André Granier, rispettivamente l’editore del “Bureau Gazzette” e
due dei suoi reporter.
-Sono queste tutte le
informazioni raccolte da Alain?- chiese André aprendo un fascicolo dalla
copertina gialla.
-Sono tutte in quel
fascicolo-
André continuó a sfogliare
le pagine leggendo brevemente alcune righe, il suo amico Alain aveva fatto un
ottimo lavoro investigativo, era riuscito a mettere il dito nella piaga giusta.
Alain e André erano grandi
amici, si erano conosciuti all’università e da li non si erano più separati,
lavoravano addirittura per lo stesso giornale, con l’unica differenza che lui
si occupava di cronaca mentre all’amico piaceva il giornalismo investigativo.
Ultimamente Alain stava investigando su una delle famiglie mafiose locali, e le
sue indagini l’avevano condotto ad una compagnia assicurativa, la Fraiser
Assicurazioni, dove si presupponeva si attuasse il più lucrativo riciclaggio di
denaro sporco della famiglia in questione, tutto stava nel procurarsi le prove.
Il suo amico era andato molto vicino nell’ottenere quello che gli serviva per
scrivere un articolo da prima pagina e far crollare la compagnia, ma era stato
scoperto, ed ora era in ospedale cercando di recuperare le forze dopo quattro
settimane di coma provocate da un’eplosione, che naturalmente la polizia aveva
catalogato come accidentale, ma loro sapevano che non era così.
Ora si trovavano in quel
ristorantino perché André aveva acconsentito ad aiutare Alain e a chiudere
l’indagine, anche perchè non gli andava giù quel che era successo e aveva
deciso di colpire i responsabili dove faceva più male.
-Abbiamo una copertura
adeguata?- chiese ancora.
-Una con i fiocchi- Simon
prese un’altro fascicolo e glielo porse –questa é la nostra preda, Oscar
Francoise de Jarjayes, nuovo direttore del settore Investimenti e Finanza e al
momento in disperato bisogno di un’assistente-
-Credi che sia coinvolta
nei loschi traffici della compagnia?- chiese guardando le foto a colori di una
biondina che camminava per strada parlando al telefonino, doveva ammettere che
era bella da togliere il fiato, non gli sarebbe dispiaciuto conoscerla.
-Non credo, é arrivata
sulla scena solo sei mesi fà, lei si occupa di far fruttare gli investimenti
non di sapere da dove vengono i soldi-
-Quindi non mi resta che
giocare a fare “la segretaria” per un pó di tempo e nel mentre ficcanasare in
giro-
-Abbiamo tutto quello che
ti serve, identità falsa, lettere di referenze, lettere di presentazione
dell’agenzia di collocamento, i numeri telefonici forniti sono miei o di
Richard, se qualcuno decidesse di controllare le tue referenze sei coperto-
-Quando devo iniziare?-
André non aveva ancora staccato gli occhi dal fascicolo con le informazioni
raccolte su Oscar, sulla carta era un tipo davvero interessante, chissa se lo
era anche di persona.
-Domani-
-Così presto?- disse
stupito, non gli stavano dando molto tempo per prepararsi.
-Questa é un occasione
d’oro, riusciresti ad infiltrarti dritto nel cuore di tutta l’operazione di
riciclaggio –dalla tasca interna della giacca tiró fuori una spessa busta
marrone –qui c’é tutto quello di cui avrai bisogno-
Stava per afferrare la
busta, quando Richard lo bloccó.
-Sei sicuro di volerlo fare
André?- era la prima volta che apriva bocca da quando si erano seduti.
-Perchè?- chiese stupito.
-Dopo quello che é successo
ad Alain, sono del parere che bisognerebbe lasciar perdere l’intera faccenda,
non vorrei che capitasse qualcosa di simile anche a te-
-Mi é stato chiesto un
favore ed é quello che sto facendo- poi sfodero un sorriso smagliante – e
comunque, mi aspetto due settimane di vacanza retribuita extra alla fine di
questa faccenda-
-Come vuoi, ma stai
attento- lo ammonì –ai primi avvenimenti che ti sembrano strani abbandona la
copertura e vieni via di lì-
-Staró attento, non mi va
di finire la mia carriera cosi presto-
I tre rimasero ancora per
qualche tempo nel ristorante per sistemare gli ultimi dettagli e poi si
separarono, come se non si fossero mai incontrati.
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Capitolo 3 *** CAPITOLO 3 ***
Se c’era una cosa che Oscar
detestava era New York di lunedi mattina, tutti erano più di cattivo umore del
solito, il fine settimana era appena passato ed ora bisognava tornare alla
realtà di tutti i giorni, e il pensiero di dover tornare in quel covo di serpi
che chiamava ufficio non la rallegrava per nulla.
Quindi mentre era in
ascensore fece un profondo respiro e prese il coraggio a quattro mani, non
l’avrebbero piegata cosi facilmente giuró, la scena era sempre la stessa, le
camminava a testa alta tra i corridoi che portavano al suo ufficio augurando
buon giorno a tutti quelli che incontrava, e ricevendo solo risposte smozzicate
o grugniti d’assenso, ma riusciva sempre ad arrivare a destinazione senza
eccessivo spargimento di sangue, il suo.
Una volta arrivata nel suo
ufficio si chiuse in fretta la porta alle spalle, resistendo alla tentazione di
chiuderla a chiave, posó la valigietta sul basso tavolino accanto al divano in
pelle e appese la giacca dell’abito nell’attacappanni nell’angolo. Facendo già
una lista mentale delle cose che avrebbe dovuto fare quel giorno, aprì la 24ore
e ne tolse i fascicoli che le sarebbero serviti immediatamente, stava per
sedersi alla sua scrivania quando...la trovó già occupata...da uno dei bagnini
super abbronzati e super muscolosi di Baywatch.
Oscar abatté le palpebre
più volte per accertarsi che fosse davvero lì, e che non fosse frutto delle sue
fantasie notturne diventate reali per chissà quale recondita ragione, ma lui
era lì, e le stava sorridendo, un sorriso dai denti bianchissimi che gli
arrivava fino agli occhi, del verde smeraldo più luminoso che avesse mai visto,
i capelli castani erano corti e ordinatamente pettinati, anche li poteva vedere
arricciarsi con ribellione alle tempie e sulla nuca, “chissà se sono morbidi
come appaiono” pensó Oscar, facendo scivolare lo sguardo sui lineamenti decisi
del viso, il naso regolare e la mascella appena rasata. Poi l’occhio le cadde
sulla camicia aderente che indossava, anche se perfettamente consona al posto
di lavoro non lasciava nulla all’immaginazione, ma era legale indossare
qualcosa di così attillato?
Notó che il bagnino le
stava parlando, ma non riusciva a capire una parola, era concentrata su altre
cose, da dove accidenti sbucava? C’era qualche conferenza di appassionati in
città e lei non ne sapeva nulla?
-Signorina si sente bene?-
le chiese preoccupato, lo stava fissando da cinque minuti buoni senza dire una
parola.
Non che gli dispiacesse,
tuttaltro, in questo modo aveva la possibilità di osservarla a sua volta, e
subito pensó che le foto di lei che gli avevano mostrato non le rendevano
affatto giustizia. Il biondo dei capelli era di un caldo giallo oro, gli occhi
erano di un blu terso come il cielo di primavera, la pelle del viso era bianca
e senza trucco, vide anche che le mancava la solita spruzzata di lentiggini sul
naso che tormentava molte ragazze dalla carnagione così chiara, “chissà se
quella pelle é morbida e setosa come sembra” pensó André, quasi gli
formicolavano le punte delle dita per il desiderio di toccarla.
L’abito dal taglio maschile
che indossava le dava un’aspetto austero, e nascondeva tutte le curve che era
sicuro si celavano tra gli strati di tessuto, nascondendo alla vista qualsiasi
cosa potesse far ricordare che fosse una donna, più passavano i secondi più
André era intrigato da questa ragazza che voleva a tutti i costi nascondere la
sua bellezza.
-Allora signorina?- la vide
trasalire di colpo e...arrossire leggermente, era carina con quel rossore che
le tingeva le guance, le dava l’aria da quindicenne alle prese con il suo primo
fidanzato.
-Ma lei chi é?- gli chiese
cercando di ricomporsi, lei era il capo qui, quella che comandava, non quella
che si faceva prendere alla sprovvista dal primo venuto.
-Mi scusi non mi sono
presentato- si alzó dalla poltrona e le si avvicinó con la mano tesa –mi chiamo
André Jones, sono il suo nuovo assistente-
Oscar gli strinse la mano
automaticamente, dovendo sollevare la testa per guardarlo in viso, visto che
era più alto di lei di almeno due apanne. La scarica elettrica che le
attraversó il corpo al contatto con quel palmo forte e caldo che peró la
stringeva con gentilezza, la prese totalmente alla sprovvista facendole quasi
mancare il respiro, il suo sorriso non era mai scomparso e gli occhi non
avevano smesso di brillare, poi quello che lui aveva detto le arrivó finalmente
al cervello.
-Il mio nuovo assistente?-
ripeté.
-Si, l’agenzia non l’ha
chiamata?- ora veniva la prova del fuoco, convincerla che era genuino.
-No non mi ha chiamato- gli
rispose sospettosa –mi faccia vedere le sue referenze-
André le porse le lettere
che Simon gli aveva dato senza battere ciglio.
La donna le prese e si accomodó
alla scrivania iniziando a studiarle con attenzione, non era possibile che
l’angezia gli avesse mandato lui, aveva espressamente chiesto una donna,
possibilmente sulla soglia dei cinquanta, una signora di una certa età che non
si sarebbe fatta abbindolare dai suoi colleghi e con una certa esperienza, già
si era immaginata una simpatica vecchietta che le avrebbe portato la cioccolata
calda non appena arrivata in ufficio e che le avrebbe reso la vita più
semplice, non...lui!
Le lettere erano in ordine,
gliel’avevano madato per davvero loro, come detestava il lunedi mattina.
-Mi dispiace, le sue
referenze sono in ordine, ma non puó rimanere- come lo mandava via ora, magari
era in disperato bisogno di lavorare.
-Perché?- Simon gli aveva
detto che era in disperato bisogno di un assistente, allora perché lo voleva
mandare via senza neanche un periodo di prova? –si da il caso che le mie
referenze siano ottime, cosa c’é che non le va bene?-
-Nulla, é solo che..lei non
é quello che avevo chiesto all’agenzia. Aveva espressamente chiesto che mi
mandassero una donna e che...-
-Mi vuole mandare via solo
perché sono un uomo?- la interruppe sorpreso, che fosse lesbica? Sarebbe stato
uno speco bello e buono, per non parlare della sua cocente delusione –lo sa che
la discriminazione basata sul sesso é un reato?-
Non lo sapesse! Era una
vita che muoveva in un ambiente che l’avrebbe volentieri bollata come un
incompetente al primo sguardo solo perché era una donna, aveva dovuto faticare
il triplo degli altri, senza mai abassarsi a prendere le scorciatoie che
passavano per i letti dei dirigenti, che molte delle sue colleghe preferivano.
-Senta...- alzó lo sguardo
e incroció quello di lui, non sorrideva più e i suoi occhi erano attenti e
fisse su di lei, era strano ma le sembrava di aver già visto quegli occhi,
quello sguardo così dolce e rassicurante, sincero e aperto verso il prossimo,
sarebbe stato davvero facile fidarsi di quegli occhi...troppo facile.
Un’idea terribile inizió a
farsi strada nella sua mente.
-Quanto le hanno dato?-
chiese fredda.
-Cosa?- André non poteva
credere alla trasformazione a cui aveva appena assistito, lo sguardo di lei era
gelido e duro come un blocco di ghiaccio, il corpo era teso come una molla
pronta a scattare, cosa diavolo era successo per farla reagire in maniera così
violenta?
-Qualunque cosa le hanno
dato gliene dó il doppio- prese il blocchetto degli assegni e inizió a scrivere
–le vanno bene tremila dollari?-
-Aspetti un minuto...-
-Cinquemila, é la mia
ultima offerta- strappó l’assegno e lo gettó dall’altro lato della scrivania.
Ci mancava solo che i suoi
colleghi d’ufficio le mandassero un ragazzo carino come assistente in modo da
poter mettere in giro ulteriori voci su di lei, o peggio, che con il suo aiuto
riuscissero a montare un caso di molestie sessuali contro di lei e che le
rovinassero per sempre la carriera, non voleva correre il rischio.
-Ma cosa le succede? Tratta
sempre così i suoi dipendenti? Adesso capisco perché nessuno vuole venire a
lavorare per lei!- adesso era quai in preda al panico, non avrebbe trovato un’altra
copertura migliore di questa, doveva convincerla a farlo rimanere.
-Le dó due minuti per
andarseneprima che chiami la sicurezza- sollevó la cornetta dimostrando che non
scherzava.
-Senta signorina, non so
chi siano questi “loro” di cui lei sta parlando, ma ho bisogno di questo
lavoro- la vide vacillare per un secondo e decise di continuare sulla stessa
linea –sono settimane che non ho un impiego fisso, mi dia qualche giorno per
dimostrarle che sono all’altezza delle mansioni richieste, se ancora non sarà
contenta mi potrà mandare via. Che ne pensa?-
Oscar continuava a
fissarlo, la cornetta ancora stretta nella mano, avrebbe fatto bene a fidarsi?
Sembrava un ragazzo onesto, aveva un non so che di innocente attorno a lui,
forse a forza di stare in quell’ufficio con la guardia sempre alzata stava
diventando un pó paranoica.
Fallo restare, non te ne
pentirai, gridava una vocina nella sua testa, e perché no, dopo tutto aveva
davvero urgente bisogno di un assistente, e poi poteva mandarlo via in
qualuncue momento.
-Va bene puó rimanere-
acconseti sconfitta -ma se decido che se ne deve andare se va senza tante storie!-
-Affare fatto- André non lo
diede a vedere ma era terribilemte sollevato.
-Ma la devo avvisare che
non sarà facile lavorare per me- decise di sorvolare il sopracciglio alzato di
lui –i miei “colleghi” mi detestano perché sono una donna e occupo una
posizione di potere, soprattutto quelli che speravano di avere la promozione e
di trasferirsi in questo ufficio, non le renderanno la vita facile-
-Non crede di stare
esagerando?-
-“puttana con i tacchi a
spillo” e “business Barbie” sono alcuni dei nomignoli che mi sono stati
affibiati negli ultimi sei mesi, é ancora sicuro di volerlo il lavoro?- era in
imbarazzo nel dirgli tutte queste cose, ma doveva metterlo in guardia.
-Sono in grado di
difendermi da solo- non riusciva credere che le dessero addosso solo perché era
bella e intelligente, più di tutti loro messi insieme ne era certo.
-Bene, allora si metta al
lavoro- da un cassetto tolse un paio di fogli –questa e una lista di cosa su
cui mi serve una ricerca accurata, riguardano alcune delle proposte che sto
vagliando e mi servono per questo pomeriggio-
-Come vuole- prese i fogli
e le sorrise –vedrà che non se ne pentirà-
-Oh me ne saró pentita
prima di pranzo non si preoccupi, ora vada e stia attento ai barracuda-
Una volta sola Oscar giró la
poltrona verso la finestra accavallando le gambe, che cosa aveva fatto? Si
chiese in preda al panico, l’avrebbero lapidata nel giro di un paio d’ore,
proprio non aveva bisogno di un’altra complicazione nella sua vita in questo
momento.
E come aveva previsto la
notizia della presenza del nuovo assistente del boss, per di più bello da
togliere il fiato, viaggió per l’ufficio come una saetta, i più commentarono
che c’era da aspettarselo, dal tronde “business Barbie” non andava mai troppo
lontana da Ken.
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Capitolo 4 *** CAPITOLO 4 ***
André che oramai stava
seduto davanti al computer da diverse ore, si stropicció gli occhi stanco, non
aveva mai lavorato tanto in vita sua quanto nelle tre settimane appena passate.
La sua datrice di lavoro imponeva dei ritmi disumani, ed era sempre di corsa
per colpa di una scadenza o di un’altra, se era possibile faceva una vita più
sregolata della sua, l’aveva vista mangiare raramente e quasi mai si prendeva
una pausa, come facesse a mantenere un ritmo del genere tutti i giorni non lo
sapeva. Ma una vaga idea stava iniziando a farsela. Se c’era una cosa che aveva
imparato negli ultimi giorni era che Oscar era di una testardaggine senza pari,
non accettava un no come risposta ed era spietata negli affari, di una cosa
doveva darle atto peró, sopravvivere in quell’ufficio era un’impresa titanica.
Come facesse a sopportare l’ostracismo dei colleghi con quella calma
indifferenza era un mistero, lui era tentato di venire alle mani almeno due
volte al giorno stando ad ascoltare le cose che dicevano su di lei.
Il suo stomaco si mise a
brontolare in protesta e dando un’occhiata all’orologio si rese conto che erano
quasi le due, ecco perché il suo cervello aveva smesso di funzionare, era già
uscito a pranzo e lui non se ne era accorto.
-Io vado a pranzo- gridó
attreaverso la porta aperta dell’ufficio.
-Va bene a dopo-
Non aveva neanche alzato lo
sguardo dal rapporto che stava leggendo, chissa se si sarebbe ricordata di
mangiare oggi.
Tre quarti d’ora più tardi
la ritrovó nella stessa posizione, non si era mossa, di sicuro non aveva
mangiato.
-Sono tornato- le disse
dalla porta.
-Mm...mm...-
-Sei andata a mangiare?-
quando Oscar gli aveva comunicato che poteva restare si erano dichiarati
d’accordo nell’usare un tono imformale, almeno quando erano da soli
nell’ufficio di lei.
-Tra un minuto- disse
distratta.
-Si come no! Meno male che
ci sono io- le tolse dalle mani il fascicolo che stava leggendo e le mise
davanti una busta marrone –mangia-
-Non ho fa me e soprattutto
tempo- gli disse, cercando di riprenderi il rapporto.
-Mangia- le ripeté –ti ho
portato un panino con prosciutto e formaggio e del té freddo, la cosa più
semplice che sono riuscito a trovare non essendo sicuro dei tuoi gusti. Non
sarai vegetariana per caso?-
-No, ma ti ripeto che al
momento non ho fame- ed era vero, in questi ultimi giorni non era stata per
niente bene, e l’appettito era la prima cosa che se ne era andata.
-Ti ho portato il dolce- le
porse una scatolina sigillata di plastica trasparente con una forchettina
–torta al cioccolato con doppio strato di crema e la glassa sopra-
Sorridendogli come
ringraziamento Oscar si affretto ad assaggiarla con un’espressione beata.
Ad André non era mai
capitato di vedere una persona così golosa, l’aveva vista fare delle rinuncie
con una volontà di ferro, ma non sapeva resistere al cioccolato, le piaceva in
tutti i modi, era una vera e propria cioccodipendente, e lui cercava di
accontentarla, se era contenta non lo faceva lavorare troppo sodo.
-Tua madre non ti ha mai
detto che se non mangi tutto il pranzo non hai diritto al dolce?- rise
divertito.
-Ho quasi trent’anni faccio
quello che mi pare- un colpo di tosse le fece quasi andare di traverso la
torta.
-Cosa stai prendendo per
quella posse?- era preoccupato, erano quasi cinque giorni che tossiva parecchio
e sembrava andare di male in peggio.
-Non ti preoccupare, é solo
il caldo che mi irrita le vie respiratorie, nulla di serio- bevve qualche sorso
del té che le aveva portato e per poco non le cadde il bicchiere –maledizione!
Ho una presentazione fra quindici minuti!-
Raccolse tutto il materiale
che le sarebbe servito e prese la giacca.
-Non saró di ritorno prima
dell’orario di chiusura, ci vediamo domani- e corse via.
-Ci vediamo domani- rispose
alla stanza vuota.
Il mattino dopo André non
vide Oscar, sapeva che non sarebbe arrivata fino a tardi perché aveva una
colazione di lavoro, l’occasione adatta per dare una controllatina alle
pratiche del piano, che per fortuna erano state trasferite sul data base e
quello che gli serviva era solo la password del suo capo.
Trovó delle cose
interessanti, movimenti di denaro verso una banca dei Caraibi, degli
investimenti dai guadagni sospetti, con annessa una lista di clienti che valeva
la pena controllare, l’avrebbe passata a Simon il prima possibile, stampó tutto
e nascose i fogli nella sua valigetta.
Poco dopo vide arrivare
Oscar, che gli passó davanti con uno striminzito “ciao” e si chiuse nel suo
ufficio. Stampó dei rapporti che aveva fatto per lei il giorno prima, così
avrebbe avuto una scusa per entrare nella stanza, bussó e aprì la porta senza
aspettare una risposta, solo che lei non
era alla scrivania, e una veloce ricerca gliela fece trovare sdraiata sul
divano con gli occhi chiusi.
-Oscar ti senti bene?- sembrava
un pó accaldata e il respiro non era normale.
-Solo un piccolo capogiro,
dammi cinque minuti-
-Ci credo, non mangi!- la
rimproveró con sollecitudine.
-Non ora André...- fù
interrotta da un eccesso di tosse.
-Non stai affatto bene- le
si avvicinó e le toccó la fronte, scottava ed era imperlata da un velo di
sudore –stai bruciando di febbre, dovevi rimanere a casa-
-Sto benissimo e ho del
lavoro da sbrigare-
-Va bene Wonder Woman, ora
ti accompagno a casa- il tono non ammetteva repliche.
Oscar non aveva la forza di
controbattere, ne di cimentarsi in uno dei suoi sguardi pietrificatori, le
doleva ammetterlo, ma lui aveva ragione, sarebbe dovuta rimanere a letto quella
mattina.
In poco tempo la portó di
sotto e la fece entrare in un taxi, senza dare troppo nell’occhio, visto che
sarebbero rimasti nel traffico chissa per quanto lei decise di farsi un
sonnellino, non riusciva a tenere gli occhi aperti in ogni caso, le bruciavano
da matti. Il portiere rimase molto sorpreso nel vederla rientrare così presto e
in braccio ad uno sconosciuto, visto che André aveva deciso che così avrebbero
fatto prima.
Una volta nell’appartamento
la mise sul letto.
-Cerca di metterti comoda
vado a cercarti delle aspirine-
Tornó poco dopo con un
bicchiere con dentro del succo d’arancia, lei era riuscita a spogliarsi e ad
infilarsi sotto le coperte.
-Bevi- le sollevo la testa
e le amise il bicchiere sulle labbra –ho trovato quelle effervescenti, te ne ho
sciolto una dentro a del succo-
Le fece bere il succo e
tiró le tende mentre lei si raggomitolava sotto le coltri calde.
E adesso? Si chiese, non poteva
lasciarla da sola in quelle condizioni, aveva dato un’occhiata al frigo ed era
pressoche vuoto, avrebbe dovuto farle un pó di spesa e passare anche in
farmacia, la scatola delle aspirine era finita. Rimase a guardarla chiedendosi
se dovesse avvisare qualcuno, non aveva mai parlato della sua famiglia, ogni
tanto nominava la nonna, che compariva anche nell’unica foto che aveva sulla
scrivania, ma non credeva fosse il caso di avvisare una vecchietta sulla soglia
degli ottanta che la nipote stava male. La madre? Il padre? Qualche amica?
Possibile che non ci fosse nessuno?
Prese la rubrica che stava
vicino al telefono, ma era vuota, cosi come lo era la memoria del telefono,
nessun numero ricorrente, ora che osservava meglio, sembrava quasi che
l’appartamente fosse poco vissuto, c’erano pochissime cose personali in giro ed
era immacolato, possibile che passasse tutto il suo tempo in ufficio?
Decise di sbrigarsi ad
uscire, se tardava avrebbe trovato i negozi pieni di gente e non ne sarebbe più
uscito. Quando due ore dopo ritornó trovó Oscar nella stessa posizione in cui
l’aveva lasciata, non si era mossa, le toccó la fronte, scottava ancora, la
febbre non era ancora scesa.
Le aveva comprato del succo
fresco e tanta frutta, sul comodino le mise una brocca dell’acqua con un
bicchiere e la scatola delle aspirine, di sicuro lei avrebbe dormito fino al
mattino dopo, non c’era ragione per lui di rimanere, sarebbe tornato l’indomani
per controllare le sue condizioni, grazie al cielo era sabato, nessuno dei due
sarebbe dovuto andare in ufficio.
Oscar si sveglió nel cuore
della notte con una sete terribile e il disperato bisogno di andare al bagno,
la luce della lampada quasi l’accecó, con passo un pó instabile si diresse al
bagno, aveva vagamente notato il bicchiere con la brocca sul comodino, non
aveva l’abitudine di tenerli lì, ma era grata di non dover andare fino alla
cucina.
Seduta sul bordo del letto
si riempì il bicchiere e lo bevvé tutto d’un fiato, si sentiva il corpo in
fiamme, poi notó le altre cose che stavano vicino alla brocca. una delle
ciotole che in genere usava per i cereali la mattina era coperta con un
piattino, curiosa sollevvó il piatto e annusó il contenuto, sembrava...melone?
come era arrivato del melone sul suo comodino? Poi vide la scatola delle
aspirine, con attaccato sopra uno dei fogliettini gialli adesivi che stavano
vicino al telefono per i messaggio. C’era scitto qualcosa sopra, lo prese e lo
avvicinó alla luce:
“Prendile. Se scopro la
scatola ancora intatta sono guai grossi! André”
André? André era stato lì
nel suo appartamento? Poi si ricordó, certo che era stato lì, era stato lui a
riportarla a casa e a metterla a letto, molto probabilmente la frutta, la
brocca dell’acqua e la scatola delle aspirine erano opera sua, doveva essere
uscito appositamente a comprare queste cose per lei, visto che erano settimane
che non riusciva a fare una spesa decente.
Si prese due aspirine e
mangió qualche pezzo di melone, non aveva fame, ma aveva un saporaccio in bocca
che la stava infastidendo, rimise tutto a posto e spense la luce sistemandosi
nel letto con un sospiro soddisfatto.
André l’aveva riportata a
casa e aveva fatto in modo che avesse tutto il necessario lì a portata di mano,
era stato davvero gentile, ma da lui c’era da aspettarselo. Nelle ultime
settimane era stato la gentilezza fatta a persona, lavorava sodo e bene, da
quando aveva scoperto che andava matta per il cioccolato, glielo faceva sempre
trovare sulla scrivania, non si lamentava mai ed era sempre allegro, esistevano
davvero persone come lui?
Lei non era abituata a
ricevere gentilezze da nessuno tranne che da sua nonna, in ufficio a malapena
le rivolgevano la parola a meno che costretti,sua madre era sempre stata troppo
impegnata, le sue sorelle erano troppo egocentriche per accorgersi che c’era
qualcun altro oltre loro al mondo, e suo padre era l’uomo più coriaceo che
avesse mai conosciuto, le aveva insegnato a non aspettarsi nulla da nessuno, a
contare sempre e solo sulle sue forze e a non fidarsi di nessuno.
Poi era apparso lui, lui
con gli occhi del colore del mare dei tropici, dallo sguardo dolce e caldo, non
voleva ammetterlo, ma la sua presenza le stava facendo uno strano effetto, da
subito il loro rapporto era stato diverso da quello normale tra impiegato e
datore di lavoro, avevano instaurato un
rapporto amichevole che sembrava venisse naturale ad entrambi, era come
se...era come se si conoscessero da sempre. Le sembró di sentire la voce roca
di sua nonna che diceva “te lavevo detto io!”, spalancó gli occhi nella stanza
buia, non era possibile, che fosse lui...no che sciocchezze!
Ed ora Oscar non vedeva
l’ora di andare in uffico solo perché sapeva che lui sarebbe stato lì, anche i
pettegolezzi che giravano in uffico non le davano più così fastidio, certo era
stata costretta a difendersi con i suoi superiori, ma non le importava più di
tanto, sapeva come fare il suo lavoro e le cifre parlavano da sole, fino a
quando entravano i soldi nelle tasche della compagnia e lei non si faceva
cogliere in fragrante delitto, tutti rimanevano contenti.
Lentamente inizió ad
assopirsi, l’ultimo pensiero coerente prima di addormentarsi, fù la
constatazione che l’indomani sarebbe stato sabato, non avrebbe rivisto il suo
assistente prima di due lunghi giorni, che peccato.
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Capitolo 5 *** CAPITOLO 5 ***
Il giorno dopo mentre Oscar
si stiracchiava sotto le coperte si rese conto di due cose, dalla cucina proveniva
un odorino niente male e che il suo stomaco brontolava in modo poco signorile,
a parte qualche pezzetto di frutta non mangiava da ieri mattina. Chi c’era
nella sua cucina? Che fosse tornato? Si chiese con il battito accellerato. Bhé
stare lì a fare delle ipotesi assurde non serviva, di certo non era un ladro, i
ladri non si mettevano a cucinare nelle case che intendevano derubare, si
infiló la vestaglia e andó in cucina.
Lui era davvero tornato, e
se ne stava nella sua cucina intento a rigirare qualcosa in una pentola e a
canticchiare sommessamente, poi si voltó e la vide, ferma sulla soglia.
-Oscar!- esclamó sorpreso
–dovresti essere a letto! Come ti senti?-
-Un pó meglio- rispose
flebile, le stava sorridendo quel suo sorriso che arrivava fino agli occhi e li
accendeva di una luminosità particolare e lei sentiva un formicolio strano che
le percorreva tutto il corpo.
-Bene, hai fame?- le indicó
la pentola -ti ho fatto del brodo e ti stavo per preparare una zuppa di pollo,
ti va di mangiare?-
-Zuppa di pollo?- adocchió
la pentola con sospetto, non aveva mai incontrato un uomo che sapesse cucinare
qualcosa di commestibile.
Lui se ne accorse, perché
specificó offeso.
-Ti assicuro che é ottima,
uso la ricetta di mia madre!- la fece girare dirigendola verso la sua camera da
letto –ora rimettiti sotto le coperte e aspetta paziente che ti porti da
mangiare-
-Quante storie! Mi sembri
mia nonna- bisbiglió.
-Ti ho sentito sai!- le
gridó dietro.
Cinque minuti dopo lei era
comodamente adagiata su una pila di cuscini e lui le stava servendo il pranzo a
letto su un vassoio.
-Ecco qui madamigella!-
prese la sedia che stava nell’angolo e si sistemó vicino al letto.
-Deliziosa- lo complimetó
dopo il primo assaggio.
-Ha! Donna di poca fede-
era contento di vedere che stava meglio, e anche se era stata male non gli era
sembrata più bella, i capelli arruffati, le guance rosse gli occhi lucidi che
sembravano ancora più blu, era sicuro che lei non si rendesse assolutamente
conto di quanto fosse adorabile in quel momento, un uomo avrebbe fatto follie
per averla accanto.
-Volevo ringraziarti...per...tutto
insomma, non eri tenuto a prenderti cura di me- non era pratica nel fare
ringraziamenti siceri, e quello le sembrava inadeguato.
-Figurati, non avevo la più
pallida idea di chi avvisare e tu non eri in condizioni di prenderti cura di te
stessa- era curioso peró, come mai non ci fossero foto neanche a casa sua, o
nessun oggetto che riflettesse i lati della personalità di chi abitava nella casa –carino l’appartamento, ci abiti
da molto?-
-Mi sono trasferita l’anno
scorso, era vicino a quasi tutti i potenziali posti di lavoro, quindi l’ho
preso- continuava a concentrarsi sulla zuppa, si sentiva in imbarazzo ad averlo
lì, nella sua camera da letto, nessun uomo vi era mai entrato.
Il pensiero la fece
sussultare, era vero, non aveva mai portato uno dei suoi rari fidanzati nella
sua camera da letto, non ci avevano mai dormito, era lei che andava sempre da
loro o se partivano per il fine settimana passavano le loro notti in albergo,
se doveva venire a prendere un cambio lo faceva da sola o li lasciava nel
salotto, nessun uomo aveva mai varcato la soglia di questo suo spazio privato,
sentì il viso andarle a fuoco.
-Cosa c’é? Sei diventata
rossa all’improvviso, ti sta tornando la febbre?- si chinó per toccarle la
fronte –no, fresca come una rosa. Ti volevo chiedere, il quadro che é appeso
nel tuo salotto dove l’hai comprato? Tra poco é l’anniversario...-
Il resto della frase fù
perso per Oscar, era paralizzata, lui l’aveva accarezzata, un tocco totalmente
innocente e lei andava in tilt, cosa le stava succcedendo? Che fosse colpa
dell’influenza? Ma le era successa la stessa cosa quando lui le aveva stretto
la mano in ufficio, che fosse attratta da lui? In così poco tempo? Non era
possibile, in genere lei era molto più lenta nelle questioni riguardanti le
relazioni private, impiegava parecchio tempo a decidere se era interessata a un
uomo oppure no. L’ultimo fidanzato che aveva avuto risaliva a...tre anni fa!
Così tanto? Non c’era da meravigliarsi allora che stesse reagendo in maniera
talmente profonda alla presenza di André, ma sapeva che era una causa persa in
partenza, le loro diversità erano troppo grandi e prima o poi li avrebbero
separati, come le era sempre successo in passato, doveva tenere con un lui un
rapporto più professionale...
-Oscar?- la chiamó piano
–Oscar? Sei ancora con noi?-
-Eh?- si era persa nelle
sue fantasticherie mentre lui le stava parlando –Scusa, dicevi?-
-Ti stavo chiedendo del
dipinto, ne voleva comprare uno simile ai miei genitori per il loro
anniversario, a mia madre piacerebbe tanto-
-Quale dipinto?-
-Quello appeso nel tuo
salotto, un olio su tela di un paesaggio, quello con il lago e le montagne...-
-Ho capito quale intendi-
lo interruppe a testa bassa –é un...regalo...di diverso tempo fà-
Sapeva benissimo quale
quadro aveva visto, era quello che aveva dipinto lei, sua nonna l’aveva trovato
in soffitta e l’aveva fatto incorniciare regalandoglielo per un natale, “in
caso tu voglia un cambio di carriera” le aveva detto “questo potrebbe darti uno
spunto”, e lei l’aveva tenuto.
-Non hai nessuna notizia
neanche dell’autore? Non c’é il nome ma solo le iniziali “OFJ”, magari
potrei...-
-No non lo conosco, hai
finito!- non ebbé il coraggio di guardarlo in faccia, meno male i capelli le
coprivano buona parte del viso, che aveva deciso di rimanere un costante color
rosso quel giorno.
-Va bene...- perché si era
arrabbiata per una cosa tanto banale? Gli si sgranarono gli occhi
all’improvviso, a meno che...-non dirmi che l’hai dipinto tu?- le iniziali
coincidevano.
-No, cosa ti viene in mente!-
giocherelló nervosa con il cucchiaio nel piatto.
-Ehi,- le sollevó il mento
fino a che i loro occhi non si incontrarono –perché ti vergogni? Non saró un
esperto, ma per essere il lavoro di una principiante credo che sia ottimo-
-Non é quello, e che...-
liberó il viso e lanció un occhiata ai grattacieli che si intravedevano dalla
finestra –mio padre mi ha sempre impedito di dipingere, fino a che non l’ha
proprio proibito ed io mi sono convinta che dopo tutto non c’era nessun talento
da coltivare, quel quadro é molto vecchio, mia nonna l’ha scovato in soffitta a
prendere la polvere e me l’ha mandato sperando che mi tornasse la voglia di
dipingere di nuovo-
-Che peccato! E più me ne
parli, più sono convinto che tua nonna mi piacerebbe tantissimo- le disse con
un sorriso.
L’idea di André e sua nonna
che mettevano a ferro e fuoco la casa di suo padre la fece quasi ridere a voce
alta, era vero, quei due sarebbero andati d’amore e d’accordo.
-Perché tuo padre ti ha
impedito di coltivare il tuo talento per la pittura?-
-Devi sapere che mio padre
avrebbe tanto voluto un maschio, che un giorno prendesse il controllo della
compagnia di famiglia, ma ha avuto tutte femmine, cinque per l’esattezza, ed
alla fine si é dovuto accontentare di me. Ha deciso che tipo di studi avrei
dovuto fare e il tipo di vita che avrei dovuto vivere, continuava a ripetermi
che il mondo degli affari é duro e spietato e che lo sarei dovuto diventare
anche io se volevo sopravvivere e farmi strada, l’amore per l’arte non aveva
nessun posto nel suo piano, diceva che gli artisti fanno solo la fame non i
soldi e che dovevo dimenticarmi certe sciocchezze, così alla fine ho lasciato
perdere-
-Ma é uno scempio!- non
poteva crederci! Che razza di uomo l’aveva cresciuta? Che razza di uomo voleva
trasformare sua figlia in un barracuda a caccia di soldi e basta?
-Adesso é fatta, non vale
la pena piangerci sopra- non lo voleva ammettere ma le faceva piacere che se la
prendesse a cuore per qualcosa accaduto tanto tempo fà.
-Non é mai troppo tardi
Oscar, se decidessi di cambiare carriera, varebbe la pena di scoprire se il tuo
talento é ancora lì- vide l’orologio che segnava l’una, aveva un appuntamento
con Simon quel pomeriggio, doveva andarsene –me ne devo andare, ho promesso ad
un amico di passarlo a trovare-
-Certo non volevo
trattenerti- se ne andava di già?
-Stai a letto e riposati mi
raccomando, ci vediamo lunedì in ufficio-
-Va bene, grazie ancora-
-Prego, ma non farmi più
nulla del genere, la prossima volta te ne stai a letto quando non ti senti
bene-
-Va bene mamma chioccia- lo
prese in giro.
-Se proprio devo...riposati
ora, ciao-
Con una punta di tristezza
sentì la porta del suo appartamento che si apriva e chiudeva e poi il silenzio.
Perché gli aveva detto tutte quelle cose di lei e della sua famiglia? In genere
non era così espansiva con gli uomini, neanche con quelli con cui aveva una
relazione. Era talmente confusa, e la cosa non le capitava spesso, e non le
piaceva affatto.
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Capitolo 6 *** CAPITOLO 6 ***
Dopo quel fine settimana il
loro rapporto cambió totalmente, stavano diventiventando velocemente amici,
sapevano di dover stare attenti nell’ufficio, ma trovavano il tempo di fare due
chiacchere. Non potendo andare apertamente a pranzo assieme, se Oscar non era
impegnata, in genere André usciva a comprare qualcosa per entrambi e lo
consumavano nella quiete dell’ufficio di lei.
Avevano imparato molto
l’uno dell’altro, Oscar ora sapeva tante cose approposito della sua famiglia,
che aveva tre fratelli più piccoli, che anche lui veniva da New Orleans e che i
suoi abitavano in un villino nei pressi del quartiere francese, che si amavano
alla follia, che aveva una marea di zie, zii e cugini e il quadro finale che ne
risultava era un gruppo rumoroso e impiccione di persone imparentate fra loro,
ma che lui non cambierebbe per nulla al mondo.
André era rimasto
sconcertato dai racconti dell’infanzia di Oscar, se non fosse stato per sua
nonna, con il tempo sarebbe diventata una copia di suo padre, l’essere cosi
affezionata a quella vecchietta aveva fatto in modo che il lato sensibile e
dolce del suo carattere, quello che aveva intravisto nel dipinto appeso al
muro, non appassissero e morissero, era convinto che la persona giusta potesse
aiutarla finalmente a spiegare le ali e ad essere più libera. E sospettava che
stava iniziando a sviluppare un debole per lei se non una bella infatuazione in
piena regola. Cosa avrebbe detto lei? Alle volte gli sembrava che anche lei
provasse le stesse cose, poi la diffidenza prendeva il sopravvento e tornava ad
essere la solita riservata Oscar che cercava di mantenere della distanza da
lui. Ma se si faceva coinvolgere, come l’avrebbe presa quando le avrebbe detto
che lui faceva il giornalista come lavoro e non l’assistente? Si sarebbe di
certo sentita presa in giro e tutti i progressi che aveva fatto sarebbero
andati dritti dentro lo scarico. Che pasticcio!
Oscar era seduta alla sua
scrivania e ripensava la telefonata appena ricevuta, Roger Whittaker, uno dei
membri anziani del consiglio di amministrazione della società, l’aveva appena
invitata a giocare a golf, insieme ad una coppia di azionisti. Sarebbe dovuta
andare al Lyons Country Club questa domenica e doveva portarsi un porta mazze
personale. Questa era una di quelle poche volte che ringraziava suo padre delle
cose poco ortodosse che le aveva insegnato, tra le quali giocare a golf, le
aveva detto che un giorno avrebbe potuto ritornarle utile, si facevano più
affari sui campi da gioco che non nelle sale conferenze.
L’unico problema era il
porta mazze, anche se sapeva giocare non lo faceva mai, a chi avrebbe potuto
chiedere un favore del genere? Oggi era già giovedi, le persone normali aveva
fatto tutti i programmi per il fine setttimana a quest’ora. Lo sguardo vagó
verso la porta che la separava dalla scrivania di André, magari lui...no non
poteva chiederglielo, averlo così vicino e per di più a pochi passi dal suo
diretto superiore l’avrebbe uccisa.
In questi ultimi tempi non
riusciva a non pensare a lui, non sapeva come toglierselo dalla testa, eppure
erano solo amici, no? Non poteva credere che stesse iniziando a provare
qualcosa per lui,erano così diversi, le loro vite erano ed erano state diverse,
magari doveva iniziare a farsene una ragione, lui non aveva posto nella sua
vita per una arrampicatrice assetata di potere, perché era questo ció che lei
era vero? Le sembrava quasi di sentire parlare suo padre, suo padre che la
spronava a mirare più in alto a guadagnare sempre più soldi e ad avere una
posizione di potere. Ma lo voleva davvero? O una parte di lei sognava ancora di
diventare una pittrice squattrinata ma felice?
In questi ultimi tempi non
era più sicura delle certezze che avevano guidato la sua vita fino ad ora, e
tutto per colpa di un paio di occhioni verdi appartenenti ad un uomo dalla
gentilezza sproporzionata, che le faceva da assistente.
Prendendo coraggio si
diresse alla porta e l’aprì, lui era alla sua scrivania intento a battere al
computer qualcosa, molto probabilmente uno dei rapporti che le sarebbero
serviti in futuro.
-Hai bisogno di qualcosa
Oscar?- le chiese con un sorriso.
Per un attimo si dimenticó
del perché fosse venuta, persa in quel sorriso sempre presente che le mandava
il cervello in pappa.
-Ehm..ecco...io
volevo...- stava facendo la figura della stupida, perché non glielo chiedeva e
basta –mi stavo domandando se...hai impegni per questo fine settimana-
André
alzó lo sguardo lentamente su di lei, aveva sentito bene? Si chiese con il
cuore che batteva all’impazzata, gli aveva appena chiesto se aveva piani per
questo week-end, che volesse invitarlo ad uscire con lei? Certo ci sperava con
ogni fibra del suo corpo, non aspettava altro da settimane, lui non era
riuscito a farsi venire il coraggio di invitarla, non con le bugie che c’erano
fra loro.
-Non
ancora perché?- rispose con cautela.
-Perché
uno dei miei capi mi ha invita a unirmi a lui per una partita di golf questa
domenica, e volevo sapere se eri disposto a...-
Golf non
era il suo sport, ma poteva andare, pensó lui, tutto pur di passare del tempo
con lei fuori da questo ufficio.
-...farmi
da porta mazze- terminó lei.
Rimase
completamente immobile, farle da porta mazze? Era questo che era venuta a
chiedergli, di fargli da porta mazze! In quel momento la natura pacifica,
sensibile e gentile di André voló fuori dalla finestra, come poteva essere così
ottusa da non accorgersi minimamente che era interessato a lei in modo del
tutto non professionale?
Oscar interpretó il suo
silenzio come indecisione e pensó che magari era meglio dargli un incentivo.
-Si guadagnano $50 all’ora-
-Tieniti i tuoi soldi! Mi
sono ricordato di avere già un impegno!- le rispose sgarbato con un tono che
non aveva mai usato prima con lei.
Senza un’altra occhiata
ritornó al suo computer, con la voglia di torcerle quel collo sottile dalla
pelle morbida e bianca che si ritrovava!
Lei lo guardó in maniera
strana, cosa aveva detto per farlo arrabbiare così?
-Va bene...grazie lo
stesso- cercando di presevare un pó della sua dignità, tornó nel suo ufficio
chiudendo la porta.
Era seduta da appena cinque
minuti, quando la porta si spalancó e il suo assistente fece il suo ingresso
senza bussare.
-Va bene, lo faccio gratis,
ma ad una condizione- esordì.
-Sarebbe?- cosa gli era
preso tutto insieme?
-Che il sabato successivo
esci con me- tutta la sua rabbia era scomparsa quando gli era venuta questa
brillante idea.
-Cosa?- l’occhiata che gli
rivolse gli fece chiaramente capire che pensava fosse uscito di senno.
-Io ti faccio da porta
mazze e tu esci con me, semplice e lineare- le spiegó orgoglioso di se per la
bella trovata.
-Ma ti sei ammattito!- era
rimasta senza parole, ma non per molto –no, non ci penso minimamente, questo é
un ricatto bello e buono!-
-Non lo definirei
esattamente ricatto, ma una proposta d’affari, tutto dipende da quanto
disperatamente ti serve il porta mazze- avrebbe dovuto pensare prima ad una
strategia del genere, si sarebbe risparmiato un sacco di notti insonni.
-Non così disperatamente!-
non poteva credere alle sue orecchie, non se lo sarebbe mai apettato, non da
lui per lo meno –credo che la troppa confidenza ti abbia dato alla testa, e che
ti sia dimenticato chi é il capo qui!-
-Di che cosa hai paura? Che
ti possa divertire?- chiese sarcastico, certe volte era così rigida e contenuta
che sembrava avesse ingoiato un manico di scopa.
-Non esco con gli
assistenti!- la frase pronunciata con disprezzo ebbe l’effetto di uno schiaffo
su di lui, Oscar se ne accorse e si pentì immediatamente di averla pronunciata.
Cosa le era passato per la mente di dire una cosa del genere, suo padre faceva
commenti simili non lei.
-Ah, ora capisco. In fondo
non sei altro che una piccola provinciale snob che frequenta solo i figli di
papà carichi di soldi, scusa se ho pensato che magari ti saresti potuta
interessare a un tipo come me- non riusciva a capacitarsene, dalle loro
chiaccherate si era fatto un’idea diversa del suo carattere, ma in fondo era
uguale e tutti quelli che erano cresciuti in mezzo al lusso ed erano abituati a
pretendere sempre e solo il meglio.
Al diavolo la copertura, se
ne sarebbe andato non appena finita la settimana, non valeva la pena perdere
altre energie con lei. Ci aveva provato in tutti i modi ad andarle vicino, ma
la guardia era sempre alzata, erano rari i momenti in cui riusciva ad intravedere una persona diversa dalla fredda
donna d’affari.
-André...- ed ora come si
sarebbe scusata?
-Lasci perdere signorina-
giró sui tacchi e se ne andó sbattendo la porta, non gli importava un accidente
se tutto l’ufficio lo sentiva.
Oscar rimase immobile a
fissare la porta chiusa, cosa aveva combinato? Come era degenerata la
situazione a quel modo, gli aveva chiesto un favore ed erano finiti con il
scambiarsi insulti. Il fatto era che la sua proposta l’aveva presa alla
sprovvista e non le piaceva essere presa alla sprovvista, tutti i campanelli
d’allarme nella sua testa si erano messi a suonare e per autodifesa l’aveva
aggredito, ferendolo in un modo che aveva visto usare da suo padre diverse
volte, quando considerava gli altri inferiori a lui, un modo di comportarsi che
l’aveva sempre mandata su tutte le furie e che aveva giurato di non emulare
mai, invece...
Invece aveva visto gli
occhi di lui incupirsi, un lampo di sorpresa gli aveva attraversato lo sguardo,
sostituito in fretta prima dal dolore e poi da un’espressione fredda che non
avrebbe voluto rivedere mai più.
Lei non era come suo padre,
continuó a ripeterlo mentre si alzava e si dirigeva alla porta aprendola con
decisione, lui era tornato alla sua scrivania e non diede il minimo indizio di
averla sentita.
-André...- lo vide
irrigidirsi, ma non si mosse –sono venuta a scusarmi, non mi andrebbe di farlo
con la tua schiena-
-Scuse accettate, ora se
non le dispiace dovrei tornare al lavoro- non l’aveva guardata e non ne aveva
intenzione, era furennte di rabbia, soprattutto verso se stesso, per essersi
lasciato coinvolgere così profondamente da lei, gli era basto guardarla dritto
negli occhi per sentire che stranamente erano legati, dal primo momento,
sarebbe stato meglio invece se si fosse concentrato solo sul lavoro che era
venuto a fare senza deviazioni di sorta.
-André perfavore, non
renderlo ancora più difficile di quanto non lo sia già, mi dispiace, ho detto
cose poco carine - le avrebbe fatto sudare ogni più piccola concessione.
-Sono certo che ingoiare un
pó di quell’orgoglio di ferro di cui sei munita deve costarti parecchio,
attenta a non strozzarti!-
Se l’era meritato, lo
ammetteva, ma adesso erano pari, al prossimo insulto gli avrebbe risposto per
le rime.
-Non intendevo dire ció che
ho detto, la tua proposta mi ha preso in contropiede, dovresti sapere oramai
che non sono quel tipo di persona, non penserei mai niente del genere,
soprattutto non di te-
Era vero lo sapeva, e un pó
della sua rabbia inizió a svanire.
-Scuse accettate- le
ripeté, ma guardandola dritta negli occhi.
-Bene- si voltó pronta a
ritornare nel suo ufficio ma non si mosse, non bastava, se voleva che le cose
tra loro ritornassero come prima doveva essere sicera e fargli capire che la
sua reazione non aveva nulla a che vedere con lui personalmente.
-Il fatto e che...-
cominció piano -...non sono molto brava e gestire le relazioni interperspnali,
non mi viene facile fidarmi del prossimo. Negli affari non mi batte nessuno,
riesco a capire quello che gli altri pensano in un batter d’occhio, ma quando
si tratta della sfera personale non sono molto pratica, mio padre mi ha sempre
insegnato a non fidarmi di nessuno, a contare sempre su me stessa e ad essere
indipendente, e le brutte abitudini sono dure a morire. A parte Rosalie, la mia
più cara amica, sei il primo con cui abbia avuto un rapporto di amicizia
simile, sai delle cose su di me che, a parte lei, non ho mai raccontato a
nessuno-
André rimase a guardarla
per un lungo momento, riusciva a vedere chiaramente quanto le fosse costato
fare un’ammissione del genere, gli ultimi rimasugli di rabbia si sciolsero come
neve al sole. Ora sapeva di aver sbagliato, per riuscire ad arrivare dritto al
centro avrebbe dovuto prendere la strada più lunga e circondarla per cercare di
sgretolare tutte le barriere protettive che aveva eretto durante gli anni,
sapeva che ne sarebbe valsa la pena, aveva intuito tempo fa quale tipo di donna
si celasse dietro gli abiti maschili e le apparenze insignificanti, ed era
deciso a farla sua prima o poi.
-Sono io che devo scusarmi,
non volevo che il mio invito suonasse come un ricatto, non credvo mi avresti
detto si e quella mi era sembrata una buona idea per convincerti ad accettare.
Se vuoi ancora che ti accompagni alla partita di golf , non ho altro da fare
questo fine settimana-
-Davvero?- era contenta,
lui aveva capito e non era più arrabiato, e da quello che aveva detto non
voleva neanche più uscire con lei il sabato successivo, invece di essere
contenta una strana ondata di delusione la travolse.
-Ma si, così lunedi lo
posso raccontare ai barracuda là fuori e farli schiattare di invidia!- la
battuta aveva lo scopo di allentare la tensione e di farla ridere e così fu, i
lineamenti del viso le si erano distesi e sembrava più tranquilla, anche se
aveva ancora uno sguardo strano.
-Ci sto, puoi spargere la
voce con dovizia di particolari. Ci vediamo domenica al Lyons Country Club alle
dieci-
-Saró puntuale-
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Capitolo 7 *** CAPITOLO 7 ***
La domenica successiva
Oscar si alzó di ottimo umore, canticchiava mentre faceva la doccia e mentre si
preparava per andare al Country Club, chiamó un taxi e si preparó una
cioccolata calda mentre aspettava, cosa avrebbe dato per una tazza di quella
fatta in casa come solo sua nonna sapeva fare, mmmm...quasi le veniva
l’acquolina, invece avrebbe dovuto accontentarsi delle bustine da sciogliere
nel latte caldo, peccato.
Il Lyons era appena fuori
città, traffico permettendo sarebbe dovuta arrivare in un’oretta. Mentre il
paesaggio passava veloce fuori dal finestrino i suoi pensieri vagavano pigri
senza meta, era la prima volta in mesi che non si era svegliata ossessionata
dal lavoro, si chiese che se in qualche modo centrava il fatto che avrebbe
visto André quella mattina.
Seppure avrebbero dovuto
tenere un atteggiamento formale tra di loro non poteva fare a meno di pensare
che quella era la prima volta che si vedevano fuori da un ambiente lavorativo,
se non si contava la volta che l’aveva soccorsa in un momento di disperato
bisogno, e quella non contava, lei non era stata nel pieno delle sue facoltà
mentali, non era stata in grado di gustarsi l’attimo appieno, la sua vicinanza,
il suo calore, il suo...scosse la testa con decisione, ma cosa andava a
pensare! Aveva gia deciso che con lui non ci poteva essere nulla, quindi non
aveva nessun bisogno di fantasticare a quel modo.
Il taxi si fermó davanti
all’ingresso e dopo aver preso la borsa con le mazze lo pagó e si diresse alla
reception, la ragazza al banco la informó che il Signor Whittaker la stava
aspettando, così come il giovanotto che era arrivato una ventina di minuti fà.
Voltandosi nella direzione
indicatale Oscar vide André che stava comodamente seduto su una delle poltrone
in pelle e la osservava, era vestito completamente di bianco, dove li aveva
presi abiti del genere? Si sarebbe confuso senza problemi con il personale che
lavorava per il club. Senza togliere
nulla all’aria conturbante che aveva quella mattina, certo non aveva
quell’aspetto quando stava in ufficio, oppure si?
André le si avvicino, era
rimasto qualche attimo senza parole quando l’aveva vista entrare, il cappellino
con la visiera verde che le proteggeva gli occhi dal sole, la maglietta color
limone con colletto bianco e rifiniture sulle maniche della stessa tinta, i
pantalocino aderenti, non corti come avrebbe voluto, ma che mettevano in bella
vista le lunghe gambe affusolare, riusciva a trovare attraenti anche le
scarpette chiodate che indossava per la partita. Decisamente preferiva quello
che vedeva ora a quello che vedeva in ufficio tutti i santi giorni.
-Buon
giorno- le disse.
-Buon giorno- dovette
sollevare il capo per guardarlo in viso, era sempre così quando le stava troppo
vicino.
-Dammi- le tolse la sacca
dalle mani –pronta?-
-Andiamo Roger ci sta
aspettando-
Le si mise diestro e la
seguì, notando con piacere il fondoschiena che ondeggiava nella naturale grazia
della sua camminata, questa giornata poteva anche rivelarsi meno noiosa di
quello che aveva pensato in principio.
Quando arrivarono nella
saletta privata dove la stavano aspettando rimase in disparte, sapeva quale era
il suo ruolo per il resto della giornata, ma chissa se avrebbe scoperto delle
cose interessanti, era probabile che la conversazione si sarebbe spostata sul
lavoro.
Gli altri due uomini
insieme a Roger Whittaker erano, Mark Spencer, avvocato e Thomas Dratt, capo di
una nota impresa edile. André sapeva che il primo era il cofondatore della
compagnia ed ora membro del consiglio di amministrazione, era convinto di aver
già sentito nominare il secondo uomo, ma non gli veniva il maente, e il terzo
non aveva la più pallida idea di chi fosse, sarebbe valsa la pena passare i
niminativi a Simon e fargli fare delle indagini.
Il gruppo con relativi
porta mazze si incamminó verso il campo verde chiaccherando amabilmente e
pronto per iniziare la partita, sarebbe stato interessante osservare come se la
sarebbe cavata Oscar, non aveva mai incontrato una donna che sapesse giocare a
golf.
Dopo un’ora André dovette
ammettere che lei era davvero brava, stava dando del filo da torcere ai suoi
compagni, per nulla intimorita dal fatto che uno di loro fosse il suo diretto
superiore, aveva una luce negli occhi che non prometteva bene per gli
avversari. Anche se avrebbe volentieri pestato a sangue il biondino che
corrispondeva al nome di Mark, non aveva staccato gli occhi da Oscar per più di
due secondi per volta, se le lanciava un’altra occhiata lasciva diretta al suo
fondoschiena non rispondeva più delle sue azioni. E più gli stava vicino più la
sensazione di conoscerlo aumentava, forse aveva letto il suo nome sul giornale,
magari facendo l’avvocato era stato coinvolto in qualche caso di pubblico
interesse...poi gli venne quasi un colpo. Si era ricordato dove aveva visto il
suo nome, nel fascicolo di Alain! Era l’avvocato della famiglia mafiosa, quello
che li faceva uscire tutti di galera, che spesso faceva da prestanome e che si
occupava degli investimenti.
La sua Oscar stava
beatamente giocando a golf con un mafioso dal colletto bianco, chissa se Roger
aveva a che fare con gli affari della famiglia, si chiese con interesse, magari
era lui che all’interno dela compagnia copriva i movimenti loschi di denaro,
avrebe dovuto fare una capatina in incognita nel suo ufficio e cercare di
scoprire qualcosa, avrebbe anche dovuto contattare Simon il più in fretta
possibile.
Alla fine Oscar si lasció
battere, anche se di poco, la prudenza
sulla salvaguardia dell’orgoglio maschile aveva avuto la meglio sul suo spirito
combattivo, quello che la incitava a dare sempre il meglio in ogni occasione,
cosa che le fù utile, perché alla fine della giornata i tre uomini pendevano
letteralmente dalle sue labbra, se avesse chiesto una promozione e uno
sostanziale aumento glieli avrebbero dati senza battere ciglio. Soprattutto il
biondino, le stava sbavando dietro come un assatanato, e lei...le cose erano due,
o non se ne rendeva conto o stava cercando di sfruttare la situazione a suo
vantaggio, e lui era convinto che la prima ipotesi fosse quella veritiera.
Era incredibile come Oscar
fosse totalmente inconsapevole del fascino che esercitava sugli altri, a parte
forse i suoi colleghi d’ufficio che oramai la detestavano più per principio che
per una valida ragione, lei era come il sole, tutto le orbitava intono ma nulla
poteva andarle troppo vicino, ogni giorno che passava ne era sempre più
affascinato.
Oscar non poteva essere più
contenta sullo svolgimento della giornata, le era costato farsi battere, anche
se per pochi punti, ma aveva fatto grandi progressi nel campo delle pubbliche
relazioni all’interno della società, sapeva che Roger la stimava, era stato lui
a volerla assumere quando tutti gli altri erano stati scettici verso di lei
inquanto donna, non erano convinti che fosse in grado di ricoprire una
posizione del genere e non creare problemi alla compagnia, per quanto
riguradava gli altri due, non era male ingraziarsi gli azionisti di maggior
rilievo, anche se non le piaceva il modo in cui il biondino l’aveva guardata
per tutto il giorno.
Poi c’era stato André,
l’aveva avuto vicino tutto il pomeriggio, anche se era stata costretta ad
ignorarlo per la maggior parte del tempo, ma lui era rimasto li, silenzioso e
attento, l’aveva anche scoperto a fissare il biondino con una luce assassina
nello sguardo, che fosse stato per lei? Le sarebbe piaciuto pensarlo.
Ora doveva chiamarsi un
taxi e tornarsene a casa, aveva fatto i salti mortali per convincere Mark che
non le serviva un passaggio a casa, non le piaceva che sapesse dove abitava,
lui non c’era rimasto benissimo, ma non lo voleva attorno. Stava per farsi dare
il telefono dalla receptionist del club, quando qualcosa fuori attrasse la sua
attenzione, un uomo tutto vestito di bianco era pigramente appoggiato sul
cofano di una Mercedes sportiva e la stava guardando attraverso le porte a vetro.
Con un sorriso prese la
sacca e lo raggiunse.
-Cosa ci fai ancora qui?
Credevo che te ne fossi andato diverse ore fa- era vero, lei era rimasta per un
drink e quattro chiacchere, ma gli aveva detto che se voleva poteva andare.
-Pensavo che ti servisse un
passaggio a casa e sono rimasto ad aspettarti- e a sperare che non se ne
andasse con il biondino mafioso.
-Grazie, non mi andava
davvero di prendere un taxi- perché il cuore le stava battendo così forte? Dal
tronde le stava solo dando un passaggio a casa nulla di speciale.
-Andiamo- le prese le mazze
e dopo averle sistemate nel cofano la fece accomodare e si sistemó nel sedile
di guida.
Un silenzio imbarazzato
scese tra loro, entrambi avevano tante cose da dirsi ma non sapevano da che
parte iniziare.
-Credi che...-
-Ti sei....-
Iniziarono insieme.
-Prima tu...-
-Prima tu...-
A quel punto si misero a
ridere, se continuavano non sarebbero andati da nessuna parte.
-Prima le signore- la
invitó con un sorriso.
-Grazie ancora per il
favore, so che deve essere stato noioso per te, ma l’ho apprezzato-
-Di nulla- come faceva a
non capire che l’unica cosa che si ricordava della giornata trascorsa era il
panorama, e gli effetti che le aveva lasciato addosso, il sole le aveva
colorato le guance e fatto diventare i capelli di intenso color oro, anche il
suo profumo era diverso, l’odore del sapone che usava per lavarsi si era mischiato
con quello dell’erba e dell’aria fresca, ora profumava come un prato fiorito in
primavera. Era bella ta togliere il fiato in questo momento.
-Come fai a permetterti una
macchina del genere?- chiese incuriosita.
-Non é mia- le spiego con
un sorriso biricchino –l’ho noleggiata, non potevo presentarmi con il mio
maggiolino scassato ti pare?-
L’immagine di lui al
volante di un maggiolino mezzo arrugginito la fece sorridere, era un tipo
semplice lui, il lusso per lui non era da prendere seriamente, se l’aveva se lo
godeva, ma se non l’aveva era lo stesso, come era diverso da tutti quelli che
aveva conosciuto. Suo padre si muoveva nei circoli dei ricchi e famosi, voleva
che lei coltivasse solo le amicizie che potevano ritornarle utili, se avesse
scoperto che aveva un rapporto del genere con il suo assistente gli sarebbe
venuto un infarto.
Magari valeva la pena
dirglielo, per metterlo fuori
combattimento per un pó.
-Come mai ti sei lasciata
battere?- le chiese all’improvviso.
-Come fai a essere sicuro
che ho perso di proposito?- chiese stupita, come fatto ad accorgersene?
-Ti ho osservata giocare,
hai fatto il minimo numero di errori per perdere con dignità, mi sarei
aspettato che li stracciassi senza pietà-
-L’idea era quella, ma alla
fine devi sempre cercare di ingraziarti il tuo capo-
Lui sorrise, l’idea non era
male, magari avrebbe dovuto seguire il consiglio.
-Mi sembra di aver già
visto il biondino da qualche parte, tu non hai avuto la stessa sensazione?-
tanto valeva sondare il terreno.
-Mark Spencer? Non mi
sembra, ma magari essendo un avvocato di grido é finito sui giornale-
Era sincera non sapeva
nulla, pensó seriamente di metterla in guardia, di convincerla a lasciare quel
posto prima che scoppiasse il caos e che le succedesse qualcosa, ma farlo
avrebbe significato far saltare la sua copertura e lui non aveva ancora raccolto
delle prove definitive, seguire la pista che partiva da Roger Whittaker era un
ottimo punto, avrebbe deciso il dafarsi più in là.
Il traffico non era ancora
fitto, quindi riuscirono ad arrivare al palazzo dove abitava lei in meno di
un’ora, lui parcheggiò la macchina e l’accompagnó alla porta.
“Sei così bella stasera
Oscar, ho una voglia terribile di baciare quelle labbra rosa e morbide che hai”
Ma lei era inconsapevole
dei pensieri che passavo per la testa del ragazzo, era solo contenta di poterlo
avere vicino ancora per un pó, prese le chiavi e aprì il portone.
-Grazie per il passaggio-
-Non pensarci, ho sempre
avuto un punto debole per le damigelle in difficolta-
-Buona notte André- gli
sorrise, doveva essere contagioso, quando era con lui sembrava che non
riuscisse a smettere.
-Buona notte Oscar- le
stava per andarsene, magari ora era il momento giusto, al massimo gli avrebbe
sbattuto il portone in faccia e lui avrebbe fatto una figuraccia –ehi Oscar!-
Lei si era fermata e lo
guardava con uno sguardo interrogativo.
-Esci con me sabato?- vide
un soppracciglio dorato che si alzava stupito –che male c’é? Non é un
appuntamento, solo due amici che vanno a divertirsi-
-Lo sai che in genere non
si dovrebbero complicare così le relazioni di lavoro?- ma che stai dicendo
stupida! Dligli di si e falla finita!
-Allora considerami
licenziato!- le disse ridendo –allora? Ora mi dici di si?-
Lo guardó a lungo, dritto
in quelle due pozze verdi che brillavano nella luce artificiale del lampione
che illuminava la sua strada, perché no? Era da tanto che non usciva a
divertirsi, tutte gli intrattenimenti a cui era stata ultimamente erano stati
di una noia mortale e per un motivo o per l’altro collegati al lavoro, aveva
bisogno di un diversivo.
-Va bene- rise
all’espressione stupita di lui –vattene prima che cambi idea!-
-D’accordo...allora
ci...vediamo sabato!- si era aspettato più resistenza da parte della donna, che
in fondo fosse attratta da lui, ma aveva paura ad ammetterlo? Pensiero
interessante.
Lo osservó mentre camminava
lungo il marciapiede diretto alla macchina e ricordandosi di qualcosa
all’improvviso lo richiamó.
-Guarda che se domani non
sei in ufficio puntuale sono dolori!-
Lui semplicemente rise,
mise in moto e andò via.
Oscar si chiuse il portone
alle spalle e vi si appoggiò sopra con gli occhi chiusi pensando:
“Mio Dio che cosa ho
fatto!”
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Capitolo 8 *** CAPITOLO 8 ***
Quella settimana fù una
delle peggiori per lei, non solo era piena di lavoro e appuntamenti di ogni
genere, ma il suo cervello si rifiutava di collaborare, nei momenti meno
oppurtuni continuava a vagare verso l’uomo che stava seduto alla scrivania
appena fuori dal suo ufficio, e al fatto che il sabato sarebbero usciti
insieme.
Cercava di evitarlo in
tutti i modo, cosa difficile visto che avrebbe dovuto passargli davanti per
poter uscire dal suo ufficio, per qualche strana ragione si sentiva in
imbarazzo, lui le aveva assicurato che non era un appuntamento, era solo
un’uscita tra amici, allora perché si sentiva così nervosa?
Perché sei attratta da lui
ammettilo! Le gridò la vocina petulante che da un pó di tempo a questa parte
aveva preso dimora nella sua testa, ci mancava solo lei! Piano, piano si stava
trasformando in un caso da manicomio, sentiva le vosi e parlava con se stessa.
Se André si era accorto di
qualcosa non lo dava a vedere, meglio cosi almeno non penserà di voler uscire
con una svitata a cui mancava qualche giorno della settimana, continuava
tranquillo a svolgere il suo lavoro, ad essere gentile e...ad essere più
allegro del solito. Ora che ci pensava aveva notato che era più di buon umore
del normale, chissa come mai.
Quando arrivó il venerdi
mattina, si sedette sulla comoda poltrona in pelle del suo uffcio e tiró un
lungo sospiro di sollievo, la settimana era finalmente finita, e lei non aveva arrecato nessun danno alla
compagnia, poteva ritenersi soddisfatta. E domeni sarebbe stato sabato. Mmmm.
Poco dopo la porta si aprì
dopo un breve bussare e André entró con in mano una tazza fumante e dei
fascicoli.
-Ti ho portato della
cioccolata calda, anche se non so come fai a berla, siamo in agosto! Questi
sono i fascicoli che volevi ieri, sono finalmente riuscito a scovarli...-
Ma lei non lo ascoltava,
aveva lo sguardo fisso sulla cioccolata che le mandava rivoli di vapore sul
viso e lo osservava di sottecchi, quella camicia azzurra con cravatta
coordinata gli stava d’incanto, per non parlare di quei pantaloni, aderivano
nei punti giusti...
-Oscar? Oscar? Lo so che la
cioccolata ti piace ma ti dispiacerebbe cercare di tornare dal paradiso dei
golosi e prestare un pó di attenzione?- le disse divertito, era stata strana
per tutta la settimana, lo evitava quando possibile, e quando no cercava di non
guardarlo in faccia, sembrava che fosse in costante stato di imbarazzo, perché?
Perché doveva uscire con lui? No non era il caso, la teoria che lui le piaceva
stava acquiatando ogni giorno più punti, bene, domani le avrebbe dato il colpo
di grazia.
-Eh?- sentì il viso che le
diventava porpora, che strano era sempre stata convinta che fosse incapace di
arrossire, invece la vicinanza di lui le aveva provato il contrario, sembrava
che non riuscisse a fare altro ultimamente –si mi ricordo gli appuntamenti
della giornata-
-Bene allora torno di là,
ho delle ricerche da fare- stava per andarsene quando si fermó sulla porta –ah
dimenticavo, domani ti passo a prendere alle nove-
La cioccolata che stava
cercando di assaggiare le brució la lingua lasciandogliela insensibile.
-Va...bene- che figura da
idiota, grido la vocina petulante.
-Vestiti comodi e sportivi
mi raccomando!- con delicatezza si chiuse la porta alle spalle.
Oscar corse al piccolo
frigo e prese una bottiglietta d’acqua ghiacciata, aveva la lingua in fiamme, e
come ultima umiliazione le sembró di sentire qualcuno che sghignazzava
dall’altro lato della porta.
Il giorno dopo si sveglió
all’alba, impiegó due ore a decidere cosa intendesse lui per abbigliamento
“comodo e sportivo”, alla fine decidendo per un paio di jeans ed una
magliettina aderente con la scritta “Dolce&Gabbana” sul davanti e i suoi
fedeli stivali, senza tacchi a spillo. Alle otto e mezza era nel suo salotto a
passeggiare avanti e indietro, convincendosi che tanto alla fine non sarebbe
venuto, e quando alla fine il citofono suonó per poco non le venne un colpo e
rischió di inciampare nelle frange del tappeto.
La voce gracchiante del
portiere la informó che un signore l’aspettava di sotto, con il cuore che
batteva prese le chiavi di casa e scese nell’atrio.
Non appena lo vide, la
saliva decise di scomparire del tutto dalla sua bocca e la lingua le si attacco
al palato, avrebbe dovuto essere cieca per non apprezzare il modo in cui i
jeans gli fasciavano le gambe muscolose e il fondoschiena sodo, la maglietta
era senza maniche e della stessa sfumatura verde dei suoi occhi, i capelli
erano leggermente arruffati, non ne volevano proprio sapere di stare apposto, e
il suo sorriso era sempre lì ad accoglierla.
-Buon giorno, sei pronta
per andare?- le chiese aprendole la porta.
-Si, ma non mi hai ancora
detto dove stiamo andando-
-È una sorpresa-
Oscar si fermó di botto non
appena girato l’angolo, lui si era fermato davanti ad un maggiolino giallo, che
sebbene non arrugginito, aveva visto tempi migliori, non poteva crederci che
l’avesse davvero, aveva pensato che stesse scherzando, e per poco non scoppió a
ridere, non voleva lo prendesse come un’insulto.
-Non é una limousine, ma ci
porterà a destinazione senza problemi- le aprì la portiera con un gesto galante
e la fece entrare.
L’interno era lindo e
profumava di vaniglia, dovuto all’alberello giallo che penzolava allegro dallo
specchietto, chissa se avrebbe fatto un botto all’accensione.
Ma la macchina fù silenziosa,
e la radio partì insieme al motore rallegrando l’atmosfera.
-Non vuoi neanche darmi un
piccolo indizio su dove siamo diretti?- era incuriosita, dove voleva portarla?
-Diciamo che é un posto
insolito, dove non vai spesso- disse con sorriso, se le avesse detto dove la
voleva portare si sarebbe di sicuro rifiutata.
Rimasero in silenzio per il
resto del viaggio, e Oscar guardava con attenzione i segnali stradali cercando
di capire dove la volesse portare, ma senza successo, poi quando svoltó due
volte consecutive per la stessa direzione, inizió a venirgli un sospetto, non
poteva essere, non aveva intenzione di portarla in un posto del genere.
Ma alla fine dovette
rassegnarsi, erano all’ingresso, e la scritta colorata che diceva “Playland”,
la prendeva in giro dall’alto dei sei pali che necessitava per tenerla su.
L’aveva portata in un parco di divertimenti.
-Non posso credere che mi
hai portato qui- lo guardó al colmo dello stupore, notando che non era per
nulla scomposto, aveva la tipica espressione dei bambini presi con le mani nel
sacco e per nulla pentiti.
-Andiamo ti divertirai
fidati!- la prese per mano e la trascinó alla biglietteria.
-Cosa ti credi che abbia,
ancora dieci anni?- chiese offesa.
-Ma tu li hai mai avuti
dieci anni Oscar?- le chiese porgendole il biglietto –andiamo, ti faró
divertire come mai in vita tua, dammi una possibilità-
Lei lo guardó scettica, non
era affatto sicura che quello fosse il tipo di divertimento adatto a lei, ma
l’aspettativa che gli brillava negli occhi era troppo da sopportare, non voleva
deluderlo, era davvero convinto che si sarebbe divertita.
-Va bene, ma solo per un
paio d’ore, poi mi porti da qualche altra parte-
-Affare fatto!-
Al colmo della
soddisfazione la tiró verso le barriere, aveva previsto ogni tipo di resistenza
da parte di lei, ma lo scopo di quella giornata era di farla divertire con
qualcosa di semplice, un pó stupido ed eccitante, voleva che perdesse tutto
quel contegno che la caratterizzava, voleva vedere i suoi occhi brillare e
sentire una risata che nasceva da pura felicità, e non da blando divertimento,
come spesso gli accadeva, l’aveva vista sorridere, ma mai ridere di cuore.
Dopo un giro nella
centrifuga, uno nella torre e dello zucchero filato, Oscar doveva ammettere che
non era poi niente male quel posto, e pensare che non era mei stata in un parco
divertimenti, in genere le sue vacanze le passava in posti esotici con il mare
a due passi o nella villa sulla spiaggia dei suoi genitori, d’estate per lo più
aveva lavorato e il poco tempo libero che si era mai concessa preferiva
passarlo con sua nonna o con la sua amica Rosalie. Quante cose si era persa
crescendo nel modo poco ortodosso imposto da suo padre?
Se l’aveva chiesto spesso
ultimamente, ma ora più che mai, quando era circondata dai colori, non c’era
angolo in questo posto che non fosse dipinto con colori brillanti, e da una
marea di bambini, c’erano bambini di ogni età da per tutto, i visini contenti,
e le loro risate allegre che permeavano l’aria, non poteva fare a meno di
sorridere allo spettacolo che offrivano.
Pranzarono in uno dei
ristorantini all’interno del parco e dopo di che André la dichiaró pronta per
l’attrazione principale di Playland, “il drago sputa fuoco”, che altro non era
che una delle montagne russe più spaventose che avese mai visto, alle sue
proteste, che comprendevano anche il pranzo appena mangiato, lui non fece una
piega sottolineando il fatto che tutto il divertimento del giro era di non dare
di stomaco durante o dopo.
Oscar venné legata per bene
nell’abitacolo, lo stesso per André al suo fianco, ma prima che iniziasse la
corsa non poté fare a meno di lanciargli un’occhiataccia che prometteva
vendetta, ma lui scoppio a ridere e le consiglió di rilassarsi.
L’ondata di terrore seguita
da un afflusso anormale di adrenalina, che la investì al primo giro della
morte, fù qualcosa che non aveva mai provato prima, le andó dritta al cervello,
il panorama attorno a lei era solo una macchia confusa di colori, l’unica cosa
che riusciva a percepire era solo l’alta velocità e il fatto che lo stomaco le
fosse finito al posto delle tonsille, allora non le restó che seguire il resto
della comitiva di ragazzini che aveva affollato il mezzo insieme a loro, e
lanciarsi in una serie di grida euforichee liberatorie.
Quando scesero, lei era una
delle poche persone che avevano stampato sulla faccia un sorriso ebete, anche
André sembrava non aver preso la corsa tanto bene.
-Se devi dare di stomaco
c’é un bel cespuglietto da quella parte- gli disse trattenendo a stento le
risa.
-Molto divertente saputella-
anche se aveva lo stomaco sotto sopra ne era valsa la pena, l’espressione di
lei in questo momento non l’avrebbe mai dimenticata.
–Dai rifacciamolo di
nuovo!- gridó allegra quasi saltellando sú e giú.
-Sul mio cadavere! Una
volta basta e avanza!- disse allontanandosi.
Avevano fatto solo qualche
passo, quando qualcosa dietro ad una siepe attrasse la loro attenzione.
-André...- lo chiamó piano.
Sotto alla siepe c’era una
bambina che piangeva a dirotto abbracciandosi le ginocchia e con il capo chino.
-Che cosa pensi le sia
successo?- chiese preoccupata.
-Molto probabilmente si é
persa, vieni, vediamo se riusciamo a farci dire qualcosa-
Entrambi entrarono
nell’aiuola e le si inginocchiarono vicino.
-Ehi piccola, perché
piangi?- le chiese Oscar in tono gentile.
-Ho...perso la...mia
mamma!- rispose tra un singhiozzo e l’altro ma senza alzare la testa.
-Magari se ci dici come si
chiama la tua mamma ti possiamo aiutare a cercarla- continuó André con lo
stesso tono gentile usato da Oscar.
-La mia mamma...dice
che...non devo...parlare con gli...sconosciuti-
-Consiglio utilissimo,
allora io sono Oscar e questo signore vicino a me é il mio amico André. Adesso
ci dici quale é il tuo nome?-
-T-Tia-
-Che nome carino, mi dici
quanti anni hai Tia?-
-Sette-
-Sei una signorinella
oramai, cosa ne dici se andiamo a cercare la tua mamma insieme? Credo che sia
molto preoccupata visto che non riesce a trovarti-
Due occhioni verdi pieni di
lacrime e impauriti si posarono su di loro, fissandoli con diffidenza e
speranza allo stesso tempo.
-Mi...portate dalla
mia...mamma?- chiese con una vocina sottile e tremante.
-Certo, andiamo- André le
tese la mano aperta e la bimba la prese con riluttanza.
Istintivamente la bimba
afferró anche la mano di Oscar e si mise a camminare tra i due, era così carina
pensó lei, con i riccioli rossi scompigliati, un vestitino di cotone leggero
verde e i sandaletti estivi rosa trapuntati di fiorellini.
-Da dove iniziamo a cercare
la madre?- gli chiese.
-Non so questo posto é
immenso, forse é meglio se la portiamo al padiglione per i bambini scomparsi e
la facciamo chiamare all’altoparlante-
-Ottima idea, sei pronta tesoro?- la bimba
fece di si con la testa con un’espressione solenne che la fece sorridere, e
vedenderla con il visino tutto rosso e accaldato le fece pena –cosa ne pensi se
sulla via ci compriamo un bel succo di frutta o del gelato?-
-Gelato!- rispose
ritrovando l’allegria istantaneamente.
-Tutte uguali voi donne,
alla minima avversità vi affogate di zuccheri- le prese in giro André cercando
di alleviare l’ansia della piccola.
-Ah! Non lo sai che il
gelato cura tutto! Non é vero Tia?- aveva capito ed era stata al gioco.
-Certo, la mia mamma mi da
sempre un dolcetto quando mi sento triste-
-Visto, la mamma di Tia
deve essere una persona davvero saggia- così riuscì a strappare un sorriso alla
bambina.
-Va bene lo so quando sono
sconfitto dalla maggioranza, allora andiamo a prendere questo gelato?-
I tre si incamminarono mano nella mano verso
il chioschetto dei gelati, e dopo aver comprato tre coni al cioccolato con la
panna montata, andarono verso il padiglione che ospitava i bambini che si erano
persi in attesa di di essere venuti aprendere dai rispettivi genitori. Lungo la
strada si accorsero che Tia era quel tipo di bambina a cui bastavano cinque minuti
per prendere confidenza per poi stordirti con una marea di chiacchere, alle
quali i due risposero con pazienza e un pò divertiti.
Una volta arrivati a
destinazione André spiegó all’impiegato cosa era successo, il quale si affrettó
a fare un annuncio per la madre di Tia, non gli restava che aspettare.
Il padiglione era
attrezzato di giochi, perciò la bambina aveva un modo per passare il tempo
mentre aspettava la madre, e quando invitó Oscar a sedersi sul pavimento con
lei per costruire qualcosa con i blocchi colorati la ragazza non se lo fece
ripetere due volte.
André rimase leggermente in
disparte ad osservarle, non riusciva a staccare gli occhi dalle due, Tia
nell’esuberanza del gioco si era messa in braccio a Oscar, che le aveva fatto
uno spazio tra le ginocchia aperte e sembrava a proprio agio, rispondendo con
sollecitudine alle domende della piccola e aiutandola a costruire quello che in
teoria doveva essere il castello delle fate. Aveva sempre sentito che l’istinto
materno veniva naturale a tutte le donne, ma non l’aveva mai visto in azione, e
soprattutto non se lo sarebbe mai aspettato da lei, con il tipo di infanzia
avuta si era spettato che fosse più chiusa verso il prossimo, invece era
riuscita a trovare un’affinità istantanea con la piccola, non si prodigava in
smancerie ma era gentile e attenta, e al momento, molto molto attraente ai suoi
occhi.
I pensieri di Oscar in quel
momento erano pressapoco sulle stesse linee, si era stupita di come questa
bimba le fosse diventata subito simpatica, doveva essere l’orologio biologico
che si faceva sentire in un modo tutto suo, in genere non si soffermava molto
sul pensiero di avere dei bambini, aveva la sua carriera che le impegnava i
giorni e non aveva tempo per infilarci anche un bimbo, non ora. E poi non aveva
trovato il padre ideale, qualcuno che non fosse così preso dal suo lavoro come
lei, qualcuno che non avrebbe dato ai suoi bambini lo stesso tipo di infanzia
che aveva avuto lei, ma una spensierata fatta di giornate all’aperto e gite a
Playland, qualcuno come...lo sguardo le si posó involontariamente sull’uomo che
stava seduto su una panchina troppo piccola per lui.
Si, qualcuno come André.
I pensieri di entrambi
furono interrotti dall’arrivo di una signora trafelata, che altri non poteva
essere che la mamma di Tia, visto che la piccola era una sua versione in
miniatura.
-Tia!- le gridò andandole
incontro e abbracciandola –oh tesoro! Mi hai fatto prendere uno bello spavento!
Non allontanarti mai più!-
-Mammina...- la bambina le
restituì l’abbraccio con forza.
-Siete stai voi a portarla
qui?- chiese rivolta ai due giovani che stavano lì vicino.
-L’abbiamo trovata che
piangeva tutta sola e l’abbia portata subito qui- le spigeò André.
-Grazie tante, non so
davvero come ringraziarvi!- gli disse con le lacrime agli occhi.
-Si figuri, é stato un
piacere fare due chiacchere con la piccola Tia, e sono sicura che abbia
imparato la lezione e non si allontanerà più, non e vero?- le disse Oscar.
-Si, mai più- le rispose la
bimba con sicurezza.
-Grazie ancora, adesso
andiamo tesoro é quasi ora di andare a casa- la prese per mano e si avvió verso
la porta –saluta e ringrazie questi ragazzi così gentili-
-Ciao Oscar, ciao André,
grazie per avermi trovato!-
-Prego, ciao-
-Ciao Tia-
La bambina scomparve con la
mamma e anche loro uscirono dal padiglione.
-Cosa ti va di fare ora?-
le chiese André.
-Se andiamo via adesso,
facciamo in tempo ad andare a cenare da qualche parte, cosa ne pensi?-
-Ottima idea-
Così decisero di andarsene,
il pomeriggio era quasi finito e loro due avevano passato abbastanza tempo lì a
divertirsi.
Sulla strada per l’uscita
passarono difronte ad un chiosco con tanti pupazzi appesi alle pareti di
diverse grandezze, era uno di quelli dove bisognava colpire i barattoli con le
palle e a seconda del numero di barattoli vincevi un premio, André non
resistette alla tentazione e ad Oscar non poté far altro che fermarsi con
un’espressione esasperata.
-Ma non lo sai che questi
chioschi sono truccati? Al massimo vincerai un pupazzetto che ti entra in tasca-
gli disse sotto voce.
-Lo so, ma se sai dove sta
il trucco e dove colpire magari riesci a vincere un pupazzone che a malapena ti
entra in macchina-
Definitivamente André
sapeva dove stava il trucco, visto che alla fine Oscar si ritrovó tra le
braccia un peluche gigante sotto le sembianze dell’asinello sfigato e sempre
pessimista dei cartoni di Winnie Pooh, quello tutto orecchie e con il
fiocchetto rosa su una coda che si staccava in continuazione.
-Cosa ci dovrei fare con
questo adesso?- gli chiese sorpresa.
-Che ne so! Quello che voi
ragazze fate con cose del genere, ve lo mettete sul letto- il suo dovere
l’aveva fatto, l’aveva vinto.
Ora si ritrovava con quel
coso gigante tra le braccia, al colmo dell’imbarazzo perché alla sua età non si
andava in giro abbracciate a cose del genere, ma...segretamente le piaceva il
povero asinello, non aveva mai avuto pupazzi, solo mazze, palle, guantoni,
nulla di così cariso e morbido, lo mise nel sedile posteriore e prese posto al
lato passeggero.
-Preferenze per il ristorante?-
le chiese mettendo in moto.
-No fai tu- non le
importava davvero, le bastava stare ancora insieme, il posto era di poca
importanza.
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Capitolo 9 *** CAPITOLO 9 ***
Alla fine la portó in un
ristorantino francese che aveva una vista incredibile sulla statua della
libertà, che a quell’ora era illuminata in maniera molto suggestiva. Il locale
non era molto grande e l’atmosfera che vi regnava era intima e privata, dovuta
alle luci soffuse e alle candele che erano accese sui tavoli.
-Questo posto é davvero
carino, come l’hai scovato?- prese il menù e le diede un occhiata, il cibo
sembrava buono.
-Per caso, per lavoro-
rispose vago, non poteva certo dirle che all’epoca stava seguendo un caso per
un articolo.
L’arrivo del cameriere
riempì lo strano silenzio che era calato tra di loro, ordinarono da mangiare a
da bere e poi si ritrovarono di nuovo soli.
-Allora
ti sei divertita?- le chiese sorridendo.
-Mi stavo chiedendo quanto
avresti impiegato a uscirtene con un “te l’avevo detto io”- ma non era
arrabiata, tutt’altro.
-Andiamo, lo sai che non
sono il tipo che gioisce delle disgrazie altrui!-
-Sei terribile, si mi sono
divertita, più di quello che avrei immaginato-
-Ah! Te l’avevo detto io!-
a quel punto la senti ridere, una risata allegra e spensierata, come era bella
quando rideva, gli occhi le brillavano e il colore diventava di un azzurro
terso e pulito.
La loro cena fù portata al
tavolo poco dopo e iniziarono a mangiare chiaccherando del più e del meno e
della giornata rilassante che avevano avuto, ed alla fine finirono con il
parlare di lavoro.
-Cosa vorresti fare se non
facessi l’assistente?- era curiosa, come poteva essere che un ragazzo con le
potenzialità di André si accontentasse di fare il semplice assistente.
-Se non facessi quello
faccio?- non gli piaceva questa conversazione, parlare troppo nel dettaglio del
suo lavoro significava mentirle, ed era una cosa che non voleva fare
-conoscendomi molto probabilmente sarei finito per fare l’assistente sociale-
Oscar sorrise, era vero,
sarebbe stato un ottimo assistente sociale, magari di quelli che si occupano di
bambini in difficoltà, aveva visto come al parco Tia si era fidata subito di
lui, emanava un calore ed una sicurezza che non aveva mai incontrato in
nessuno.
-E tu Oscar?-
La voce profonda di lui la
strappó ai suoi pensieri.
-Non ho mai pensato ad un
cambio di carriera, mi piace quello che faccio-
-Non mi dire che neanche in
uno dei tuoi giorni più neri, dove tutto stava andando a rotoli, non hai mai
pensato a cambiare lavoro?-
-Dovresti aver capito che
non sono il tipo di persona che abandona alla prima difficoltà, più le cose
diventano difficili più cerco di riuscire- spostó lo sguardo verso la baia ora
buia.
Si questo l’aveva imparato
in effetti, l’accanimento nell’essere la migliore e nel dimostrare
costantemente di essere all’altezza di ogni situazione, la osservó mentre
sembrava guardare con interesse la statua della libertà.
-Il panorama da lì sù é
incredibile- la informó.
-Davvero?- poi si rese
conto dell’errore, non voleva ammettere di non esserci mai salita –voglio dire...si
certo-
-Non dirmi che non ci sei
mai salita?- chiese stupito, quella era stata la prima cosa che aveva fatto non
appena arrivato in città.
-No e che non...-
-...non hai mai avuto
tempo- finì per lei.
-Esatto- ma la scusa non
reggeva.
-Ne vale la pena?- le
chiese ad un tratto, con il desiderio di capirla meglio.
-Di cosa? Di salire sulla
statua? Credo di si...-
-No- la interuppé piano
–vale la pena immergersi così tanto nel lavoro senza lasciare spazio per niente
altro. Accanirsi nel seguire la strada che é stata scelta per te, senza
considerare il mondo che ti circonda-
-Non capisco cosa vuoi
dire- chiese sconcertata, e con la sensazione che non le sarebbe piaciuto dove
lui stava andando a prare.
-Il tuo lavoro occupa ogni
singolo aspetto della tua vita, sei brava a fare quello fai e lo fai senza
guardarti indietro...o da nessun altra parte se é per quello. Il mondo sta
passando sotto la finestra del tuo ufficio e tu a mala pena te ne accorgi; non
cercare di negarlo, ho lavorato al tuo fianco per gli ultimi due mesi-
Non faceva nulla del
genere! Pensó iniziando a scaldarsi.
-Ho un lavoro impegnativo e
se me lo voglio tenere, devo impegnarmi al massimo. Lo sai come stanno le cose
per me all’interno della compagnia, se mollo la presa anche per un attimo mi
fanno le scarpe-
-Torniamo sempre alla
domanda iniziale, perché lo fai e se ne vale la pena-
Lei lo guardó interdetta,
quella era la sua carriera, se non avesse avuto forti motivazioni nel
perseguirla non avrebbe avuto tutto il successo che ne conseguiva e sicuramente
non avrebbe continuato a fare quel lavoro che alle volte di gratificante aveva
solo lo stipendio.
-Certo che ne vale la pena,
é ció che ho deciso di fare e non mi tiro indietro alle prima avversità!- gli
rispose decisa, e con un tono che diceva chiaramente che la discussione finiva
qui e che lui aveva finito di impicciarsi dei fatti suoi per oggi.
Era andata subito sulla
difensiva, ed era partita all’attacco, che fosse in qualche modo a disagio?
Forse era meglio finire la discussione qui, ma una cosa l’aveva capita,
qualunque cosa lei dicesse era ancora strettamente legata al tipo di educazione
ricevuta dal padre, e al tipo di esempio che le era stato dato, sii sempre la
migliore e non badare agli altri, il succo degli insegnamenti ricevuti era
tutto lì, lei non se ne rendeva ancora conto ma aveva tutte le intenzioni di
mostrarle che c’erano altre cose al mondo a parte il lavoro e la carriera.
La loro infanzia era stata
così diversa, la sua casa era sempre stata piena di risate, chiasso e allegria,
sua madre si sforzava in tutti i modi di mantenere la pace tra gli uomini della
famiglia che adorava, tra di loro avevano un tipo rapporto che faceva invidia a
molti, erano molto vicini e nonostante discutessero animatamente alla prima
occasione facevano pace quasi subito, non riusciva ad immaginare una famiglia
diversa da quella che aveva.
All’improvviso gli venne
un’idea, pensando alla sua famiglia si era appena ricordato che sua madre aveva
organizzato una riunione, in occasione del loro anniversario di matrimonio e
del fatto che suo fratello Julian arrivava in visita da Parigi dove ora
lavorava, erano sei mesi che non lo vedevano, l’avrebbe invitata, e poi sarebbe
rimasto in disparte a lasciare che la natura facesse il suo corso, sperando nel
meglio, e sperando che non scappasse nella direzione opposta.
-Va bene pace- disse con un
sorriso conciliatore –che ne dici del dolce?-
-Non ti salverai con così
poco- lo avvertì, ancora offesa per l’opinione poco lusinghiera che le aveva
dato sulle sue scelte di vita.
-Qui anno una mousse al
cioccolato che e la fine del mondo-
E come se il cameriere gli
avesse letto nel pensiero, porto al tavolo due coppette di vetro con il dessert
al cioccolato ricperto di panna montata e la ciliegina in cima.
-Va bene perdonato- il suo
cervello aveva abbassato tutte le difese alla vista di quella delizia e aveva
immaediatamente iniziato il rilascio delle endorfine, e poi non le andava di
rimanere arrabbiata con lui, la serata era stata troppo piacevole per farla
finire con un litigio.
Ripresero a chiaccherare
amichevolmente mentre mangiavano il dolce e lasciarono il locale di ottimo
umore, si era fatto tardi e la giornata era stata lunga, quindi André decise ri
riportarla a casa.
Dopo aver parcheggiato e
fatto scendere anche l’asinello dalla macchina la accompagnò al portone.
-Sei sicuro di non
volerlo?- chiese indicando il pupazzo.
-E come la spiego una cosa
del genere ai miei amici? Lo sai che mi prenderebbero in giro fino alla fine
dei miei giorni. Tienilo, in ricordo di una bella giornata-
-Grazie- gli sorrise
alzando lo sguardo verso di lui, grande sbaglio.
Le stava così vicino che
poteva sentire il suo profumo, sentiva l’odore del sapone con qui si era lavato
quella mattina misto a quallo suo personale, una combinazione che le stava
facendo girare la testa, alle spalle aveva la luce dorata che illuminava la
porta, la quale creava un suggestivo gioco di ombre sul suo viso scolpito, e
gli brillavano gli occhi come al solito, due pozze verdi che la guardavano con
una intensità che la faceva tremare dentro.
Addesso mi bacia, pensò, e
desiderandolo con un ardore tale che la faceva quasi sentire male.
-Buona notte Oscar- le
augurò sfiorandole una guancia con il dorso della mano e dandole un bacio casto
sulla fronte.
-Buona notte- rispose
automaticamente, tutto qui! Stava quasi per gridarlo ad alta voce.
André si voltò e lasciò
sola.
Con le mani che tremavano
Oscar aprì il pesante portone, che le si richiuse alla spalle con un tonfo
sordo.
Non é delusione quella che
provo, si disse, e continuò a ripeterselo come un mantra dentro l’ascensore, mentre
entrava in casa, quando si preparò per andare a letto e mentre giaceva sveglia
a guardare il soffitto.
Non é delusione quella che
provo si ripeté di nuovo prima di addormentarsi con gli occhi pieni di lacrime.
André si sedette al posto
di guida e sbatté la testa più volte contro il volante, dandosi dello stupido.
Perché non l’aveva baciata? accidenti a lui!
Era così bella con la luce
dei lampioni che illuminava tutta, mentre si stringeva addosso quel pupazzo
insulsamente gigante, le dava un’aria così innocente e desiderabile, aveva
dovuto trattenersi con tutte le forze, voleva essere sicuro che certi
cambiamenti nella loro relazioni fossero consenzienti, ma forse avrebbe fatto
meglio a prendere l’iniziativa, avrebbe dovuto baciarla fino a farla svenire e
avrebbe dovuto dirle ciò che aveva recentemente scoperto, e cioé che si era
innamorato di lei.
Dei suoi occhi blu come il
mare, del suo sorriso luminoso, dei suoi capelli color del grano in estate, del
suo carattere forte misto ad una dolcezza che aveva rara occasione di
manifestarsi, sospero sconfitto, era un caso senza speranza, se il suo amico
Alei fosse venuto a conoscenza di una cosa simile lo avrebbe tormentato ogni
secondo della sua vita.
Quando il mattino dopo
Oscar si svegliò, si ritrovò faccia a faccia con l’asinello triste.
-E tu come sei arrivato
qui?- gli chiese, non si ricordava di esserselo portato fino al letto –lascia
perdere dalla tua espressione ne deduco che non hai passato una bella nottata,
consolati amico mio non sei l’unico-
Con uno sbadiglio si girò
sulla schiena e si stiracchiò per bene, lei in fatti non aveva dormito
benissimo, aveva continuato ad avere una serie di sogni erotici che l’avevano
lasciata ansante nel letto, e tutti comprendevano il suo bell’assistente dagli
occhi verdi.
Perché non l’aveva baciata?
si chiese per l’ennesima volta, eppure la serata stava andando così bene,
magari non era interessato, magari l’aveva presa sul serio quando gli aveva
detto che tra loro non cipoteva essere niente altro che amicizia visto che
lavoravano nello stesso posto, forse doveva dvvero licenziarlo e trovargli
un’altro impiego, così sarebbero potuti vedere senza doversi nascondere. Poi le
venne in mente che se lo mandava via non l’avrebbe visto tutti i giorni.
Grrrrr!
Era talmente assorta nei
suoi pensieri che in un primo momento non si accorse che il telefono stava
squillando.
-Pronto- ma non le andava
davvero di rispondere.
-Buon giorno-
Le augurò una voce profonda
e calda che conosceva bene.
-Buon giorno- rispose
arrossendo.
-Come sta il mio amico
asinello?-
-Bene é qui sdraiato
accanto a me nel letto- poi si accorse della stupidaggine che aveva appena
ammesso, e lo sentì ridere sommessamente –voglio dire...-
-Beato lui, scommetto che
si é preso anche il posto d’onore-
-In effetti- mormorò
diventando ancora più rossa, che se la stesse immaginando sdraiata nel letto
con affianco il pupazzo?
-Volevo sapere se ti va di
fare colazione con me, conosco un posticino che fa dell’ottimo caffé e delle
ottime ciambelline, ti va?-
-Mmm...le ciambelline hanno
la glassa sopra?- chiese cercando di fare la difficile, ma non poteva fermare
il sorriso che le era spuntato sulle labbra all’idea di vederlo per colazione.
-Tutto quello che vuoi dolcezza-
Al sentirsi chiamare
dolcezza un’ondata piacevole di calore le invase tutto il corpo.
-Va bene ci vediamo tra
un’ora-
-Ti passo a prendere,
aspettami-
-D’accordo, a dopo-
-A dopo-
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Capitolo 10 *** CAPITOLO 10 ***
>I giorni che seguirono potevano definirsi tranquilli, in ufficio
cercavano di trattarsi educatamente, ma alla fine delle giornata andavano sempre
a bere qualcosa insieme, e se ne avevano voglia finivano per cenare insieme in
un ristorante o si facevano portare qualcosa di speciale dritto sulla porta di
casa di Oscar, essendo la casa più vicina, finivano sempre li le serate.
Si pensò Oscar, queste
ultime giornate erano state davvero tranquille, e lei era pronta a gridare
dalla frustrazione sessuale accumaulata! Era sempre la stessa storia, passavano
la serata insieme e lui se ne andava sempre salutandola con un bacio fraterno,
e lei finiva per farsi una doccia fredda, cosa le era preso? Perché non si
decideva e gli saltava addosso una volta per tutte! Non avrebbe retto un’altra
settimana di questa tortura, non riusciva più a dormire bene, faceva sogni a
luci rosse che avrebbero fatto arrossire la più navigata attrice di porno e
aveva la testa perennemente tra le nuvole. Era vero quello che si diceva, che meno
lo fai più ci pensi. Non era da lei, non era il tipo che stava a costruire
castelli in aria per un uomo.
-Allora Oscar che mi
rispondi?-
Lei lo guardò sbattendo le
palpebre diverse volte, le aveva per caso chiesto qualcosa?
-Non mi stavi ascoltando
vero?- chiese rassegnato –in questi giorni é quasi impossibile avere una conversazione
decente con te, c’é qualcosa che ti preoccupa?-
Se la voglia di strappargli
i vestiti, e bacialrlo fino a cansumarlo si poteva chiamare
preoccupazione...allora era mooolto preoccupata.
-No, pensavo al lavoro,
nulla di serio, dicevi?-
-Mi chiedevo se ti andava
di accompagnarmi a trovare i miei questo fine settimana. È il loro anniversario
e hanno organizzato una mega festa nel giardino di casa e mi hanno detto che
potevo portare qualcuno se mi andava-
-A casa dei tuoi?- che era
meravigliata era poco.
-Si, hanno abbastanza
spazio, così non saremo costretti ad andare in albergo, i miei fratelli si
divideranno il monolocale sopra il garage, io dormo nella mia vecchia stanza e
tu puoi avere quella per gli ospiti, che te ne pare?-
Andare a conoscere tutta la
sua famiglia, dormire nella stanza di fianco alla sua, stare sotto lo stesso tetto! Sarebbe morta ne
era certa! Non ci poteva andare!
-Va bene- disse invece
–sono curiosa di conoscere i tuoi-
André lasciò andare il
respiro che non si era accorto di trattenere, aveva accettato, non vedeva l’ora
di farla conoscere a sua madre. Non si era mai sentito così eccitato all’idea
di presentare una ragazza a sua madre.
-Allora prenoto i biglietti
e partiamo venerdi notte se non hai impegni-
-No, venerdi va bene, ci
incontriamo direttamente all’ereoporto?-
-Impiegheremo meno tempo in
quel modo-
-D’accordo, fammi sapere a
che ora e ci vediamo direttamente li- poi diede un’occhiata all’orologio
–dobbiamo andare se non vogliamo arrivare tardi-
Poco dopo lasciarono il
piccolo locale ignari del fatto che il furgone nero parcheggiato all’angolo li
stava spiando.
Si incontrarono
direttamente allo sportello per il check-in, e André era assai curioso sul
grosso pacco, quadrato e sottile, con cui l’aveva vista arrivare, lei gli aveva
risposto che era il regalo di anniversario per i suoi genitori, non le andava
di presentarsi a mani vuote, e che per sapere cosa era avrebbe dovuto aspettare
che sua madre lo aprisse. La sua curiosità crebbe a dismisura quando lei lo
imbarcò sull’aereo allo sportello per gli oggetti fragili o ingombranti, cosa
poteva essere?
Quando arrivarono
all’aereoporto di New Orleans decisero di noleggiare una macchina, era tardi e
non avevano voluto disturbare nessuno dei familiari di lui per farsi venire a
prendere.
La radio trasmetteva della
bella musica e Oscar si stava godendo il tragitto in silenzio accanto ad André
che guidava, passando attraverso le strade del centro che erano animate di vita
notturna, non aveva mai notato come fossero colorate le strade a quell’ora, che
strano, eppure aveva passato quasi tutta la sua vita in quella città.
-Visto che sei in città ti
va di andare a trovare i tuoi?- era sicuro della risposta, ma aveva voluto
chiederglielo lo stesso, per correttezza.
-Perché rovinare il fine
settimana- l’unica cosa che le dispiaceva era di non poter vedere sua nonna.
Un’ora dopo parcheggió di
fronte alla villetta dei suoi, nel vialetto non c’era più spazio, tutti i suoi
fratelli dovevano già essere arrivati, e dal chiasso e dalle luci provenienti
dalla casa, i festeggiamento dovevano essere iniziati da un paio d’ore.
André dovette bussare con
forza due volte prima che qualcuno venisse ad aprire, ed Oscar rimase a bocca
aperta nel trovarsi davanti una copia più matura e invecchiata dell’uomo che le
stava accanto.
-Finalmente!- tuonò l’uomo
avvolgendolo in un abbraccio da orso –ci stavamo chiedendo che fine avessi
fatto-
-Ciao pà!- restituì
l’abbraccio con calore.
-I tuoi fratelli si stavano
lamentando come femminucce del doverti aspettare svegli, voi giovani! Non
reggete nulla!- lo sguardo gli cadde sulla biondina che li stava guardando con
un misto di stupore e divertimento –questa deve essere la tua amica Oscar,
lieto di conoscerti, George, il padre di André-
-Lieta di conoscerla- vide
la sua mano sparire in quella grande e callosa di lui, così simile a quella del
figlio.
-Niente formalismi ti
prego, considerati di famiglia per questo fine settimana-
-Grazie-
Gli fece strada nel salotto
annesso alla sala da pranzo, dove attorno ad un tavolo rotondo sedevano altri
tre giovani intenti in una partita a carte, che abbandonarono non appena lo
videro.
-Ehi! Il figlio il prodigo
é finalmente arrivato!-
-Quel titolo spetta a te
vagabondo!- rise mentre abbracciava il fratello che non vedeva da mesi –te ne
sei andato fino in Francia pur di sfuggirci!-
-Ah...ti sbagli cherì sono andato in Francia per le francesi!- gli
disse con una alzata significativa di sopppracciglia, alla quale tutti
scoppiarono a ridere.
André salutò il resto della
comitiva, scambiando battutine con tutti, fino a quando ogni paio di occhi era
puntato con curiosità su di lei, mettendola un pò a disagio.
-Ragazzi questa é Oscar, un
mia cara amica, vedete di trattarla bene. Oscar questri tre scapestrati sono i
miei fratelli, Julian, Ryan e Jean-
-Piacere- strinse la mano a
tutti notando che André era l’unico che assomigliava come una goccia d’acqua al
padre, gli altre dovevano assomigliare al lato materno della famiglia, con
capelli più chiari e occhi nocciola.
In quel momento una
brunetta in vastaglia e camicia da notte lilla, scese di corsa le scale.
-George mi sembra di aver
sentito...André!- la brunetta gli si lanciò squittendo di gioia tra le braccia
–tesoro finalmente sei arrivato! Oramai credevo che saresti venuto domattina-
-Ciao mamma- la abbracciò
con affetto chinandosi leggermente per poterle dare un bacio, sua madre non era
molto alta e a mala pena le cima della testa gli arrivava alla spalla.
-Finalmente ho di nuovo i
miei bambini sotto lo stesso tetto!-
-Mamma!- gridò un coro di
voci maschili imbarazzate.
-Oh fate silenzio!- poi si
rivolse ad Oascar con un sorriso –tu devi essere l’amica di André, io sono
Linda sua madre-
-Piacere signora- esistevano
davvero persone così cordiali? Si domando una stranita Oascar.
-Per carità! Signora chiamavano
mia madre, chiamami Linda. Immagino sarete assetati dopo il lungo viaggio, ho
del té freddo appena fatto-
-Grazie il té andrà bene-
le disse sorridendo.
-Per me una birra mamma se
non ti spiace-
-Subito in arrivo-
Il turbine di capelli
castani e vestaglia lilla sparì in cucina, seguita da un coro “anche per me una
birra” dal resto degli uomini presenti.
Linda tornò dieci minuti
dopo con un vassoio, che Ryan si affrettò a prendere e passare attorno al
gruppo seduto comodamente nel salotto a chiaccherare, mentre l’unica donna
della famiglia si sedeva sul bracciolo della poltrona del marito.
Mentre tutti erano
impegnati in una piacevole conversazione sugli ultimi pettegolezzi di famiglia
e del vicinato, Oscar ne approfittò per guardarsi attorno. La casa non era
grandissima, ma era arredata con gusto e discrezione e con dei colori caldi che
ti davano il bevenuto non appena entravi, facendoti sentire a casa, i muri e le
mensole erano pieni di fotografie, cerimonie di lauree e diplomi, un foto del
matrimonio di George e Linda e diverse foto di gruppo di bambini che immaginava
fossero André con i fratelli.
Questa casa dava l’impressione
di vita vissuta, non riuscì a non paragonarla con quella dei suoi genitori,
tutto a casa loro era immacolato e all’ultima moda, tutta questa casa era a
malapena grande quando il pian terreno della villa, i suoi genitori avevano
tanto spazio che non sapevano che farsene, sua madre sarebbe stata orripilata
nel dover adattarsi a dividere così poco spazio con altre sei persone.
-Allora che avete in
proggetto per domani?- la domanda di André attirò la sua attenzione.
-Si va tutti al parco per
un barbecue, ne hanno costruiti deversi in mattoni per l’uso pubblico, e visto
che tua madre ha invitato un numero spropositato di persone...-
-Oh George!- lo interuppe
lei, ma rideva e non sembrava affatto imbarazzata –i tuoi fratelli hanno
invitato qualche amico, e tutte le tue zie e zii hanno accettato, con
rispettiva prole, e il nostro giardino non é grande abbastanza-
-Oh certo quindi ci
approppriamo di un giardino più grande, e poi lo sai che non ho mai potuto
sopportare tua Cugina Muriel, quindi non capisco perché l’hai invitata, per non
parlare di...-
-George!- ma tutti
scoppiarono a ridere –Oscar penserà di essere capitata in una casa senza buone
maniere!-
Ma Oscar sorrideva come
tutti gli altri, era incredibile come si prendessero in giro, lei e le sue
srelle si erano limitate a tollerarsi a vicenda mentre crescevano.
-Quasi dimenticavo, ho un
regalo per voi- annunciò André alzandosi, ma prima che potesse andare lontano
lei lo trattenne.
-Ti dispiacerebbe portare
anche il pacco marrone che ho lasciato vicino alla porta?-
-Era ora! Stavo morendo di
curiosità- il sorriso che le rivolse era così birbone che non resistetté alla
tentazione di ricambiarlo.
Tornò poco dopo con il
pacco e una busta bianca che diede ai genitori.
-La busta é da parte mia,
il resto da parte di Oscar-
-Non dovevate disturbarvi-
disse Linda.
Ma era deliziata nello
scoprire che il figlio gli aveva regalato un fine settimana a New York in un
albergo di lusso e due biglietti per andare a vedere uno show a Broadway.
-Tesoro é meraviglioso ti
ringrazio- lo abbracciò di nuovo.
Il pacco di Oscar li aveva
incuriositi entrambi, e quando lo scartarono si resero conto che era un quadro.
Un olio su tela delle cascate del niagara al tramonto.
-Ma é stupendo!- le disse
Linda.
-Mai visto nulla di simile,
molto suggestivo, meglio di qualsiasi cartolina tu possa comprare- Geroge era
altrettanto colpito.
Era piaciuto immensamente a
tutti e due.
-André mi aveva detto tempo
fa che vi sarebbe piaciuta una cosa del genere e quando l’ho visto mi é
sembrato adatto- mentì senza guardare André che molto presto avrebbe scoperto
la verità.
E infatti non appena si
avvicinò per dargli un’occhiata per poco non gli venne un colpo. Controllò le
iniziali per esserne completamente sicuro ed erano uguali a quelle del dipinto
che era appeso nell’appartamento di lei, le cercò lo sguardo, ma lei si
ostinava a non guardarlo, aveva dato ai suoi genitori uno dei dipinti fatti da
lei, ed era ancora più bello di quello che aveva visto. Gli si strinse il
cuore, non c’era da meravigliarsi che ne fosse così innamorato, per lei certi
gesti non erano nulla ma per lui aveva tutt’altro significato.
-Bhé direi che é arrivata
l’ora di andarcene tutti a dormire- annunciò.
Così iniziarono a salutarsi
e ad augurarsi la buona notte, Linda ringraziò nuovamente Oscar abbracciandola,
il dipinto le piaceva davvero tanto, e Geroge le fece l’occhiolino dicendole
che la moglie l’aveva tormentato per mesi chiedendo un nuovo quadro da
appendere sul camino, ed ora l’aveva e lui poteva tornare a dormire tranquillo,
il che gli procurò un’occhiata esasperata dalla moglie.
André prese le loro cose e
l’accompagnò al piano di sopra nella camera degli ospiti.
-La mia stanza e quella di
fianco, se ti serve qualcosa bussa, e se senti rumori disumani é mio fratello
Ryan che russa, per sfortuna deve dormire con me. Il bagno é in fondo al
corridoio-
-Grazie, questa stanza é
molto carina- iniziò a girovagare fingendo di controllare qualcosa, sapeva che
lui moriva dalla voglia di farle l’interrogatorio approposito del quadro, ma se
poteva evitarlo...
Ma lui la fermò cingendole
la vita da dietro, il profumo di lei lo avolse come un caldo abbraccio,
facendogli battere il cuore più in fretta, forse non era stata una bella idea
andarle così vicino.
-Hai dato ai miei genitori
uno dei tuoi quandri, non é vero?- disse piano.
-E se anche fosse?- si
chiese come avevano fatto le parole ad uscire dalla sua gola serrata, il corpo
di lui era stretto al suo e sentiva l’alito caldo che le solletticava
l’orecchio quando parlava.
-Perché?- chiese ancora,
senza lasciarla andare.
-Perché no? Stava solo
prendendo polvere nella soffitta dei miei, quindi ho chiesto alla nonna di farmelo
mandare tramite corriere espresso, non mi andava di buttarlo, tutto qui- fece
con una scrollatina di spalle.
-Tutto qui?- disse
incredulo –quando mia madre verrà a sapere chi l’ha dipinto...-
-No!- lo interruppé
voltandosi di scatto, mossa azzardata, visto che si ritrovò faccia a faccia con
i pettorali scolpiti di lui che si intravedevano dalla maglietta aderente che
indossava. Cosa stava per dirgli? Oh si, il quadro –per favore, non mi va che si
sappia chi sia l’autore-
-Cosa? Dici sul serio?- era
deluso, non vedeva l’ora di dirlo a tutti.
-Per favore André- lo
supplicò.
Non le aveva mai visto
quello sgurdo, davvero si sentiva in imbarazzo quando qualcuno parlava del suo
talento come artista.
-Va bene- acconsentì ma
dentro stava per scoppiare dalla voglia di gridare ai quattro venti che la
donna che amava era in grado di creare qualcosa di così bello –ma un giorno di
questi dovremmo seriamente parlare a proposito di questo tuo imbrarazzo nei
confronti del tuo talento come pittrice. Visto che siamo in vena di favori,
vorrei che facessi qualcosa per me-
-Cosa?-
-Potresti evitare di
menzionare il fatto che ti faccio da assistente?- si era scervellato cercando
una scusa valida da darle, era sicuro che durante questi due giorni l’argomento
lavoro sarebbe saltato fuori e la sua copertura rischiava di crollare
miseramente.
-Che c’é ti vergogni?-
chiese con un soppracciglio alzato.
-No, e che i miei fratelli
possono essere delle vere carogne quando si mettono d’impegno, e il fatto che
io sono il più grande non é un deterrente. Già li sento facendo battuttine
pessime su “André la piccola segretaria”- a quello lei non poté nascondere un
sorriso –quindi se non voglio finire con il prenderne a pugni qualcuno, é
meglio evitare anche di sollevare l’argomento, basta che dici che ci siamo
conosciuti tramite amici-
-D’accordo- forse era
meglio, magari alla fine sarebbe stata lei a sferrare il primo pugno dopo aver
sentito battuttine del genere e non stava bene, era pur sempre un ospite.
-Sei un tesoro- intensificò
l’abbraccio e le diede un leggero bacio sulle labbra rimanendo per aualche
secondo ancora con le labbra vicina alle sue –meglio che ora tu vada a letto,
buona notte-
-Buona....notte- ma Oscar
rimase ferma nello stesso punto dove lui l’aveva lasciata, per diverso tempo
dopo che la porta si chiuse dietro di lui.
André chiuse piano la porta
dietro di se, dopo di che picchiò la fronte un paio di volte contro lo stipite,
dandosi del cretino, del deficente e dell’imbecille, avrebbe dovuto gettarla
sul letto e baciarla fino a quando non gli avrebbe chiesto pietà, poteva ancora
sentire il suo sapore sulle labbra anche solo con un bacio leggero come quello
che le aveva appena dato...stupido!
Trovare suo fratello Ryan
che lo guardava divertito dall’altro lato del corridoio non aiutava, per
niente.
-Non una parola- scandì
furibondo.
-Non ho detto nulla!- rise,
poi lo vide passargli vicino come un fulmine –Dove vai?-
-A fare una doccia fredda!-
abbaiò.
-Idiota!- gli gridò dietro.
-Lo so!- gli rispose
sbattendo la porta del bagno.
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Capitolo 11 *** CAPITOLO 11 ***
Il giorno dopo riempirono
le quattro macchine disponibili, compresa quella di Oascar e André, e si
diressero al parco, avevano dato appuntamento a tutti lì, visto che nessuno
arrivava da lontano, le era stato detto che i vari membri della famiglia vivevano
in città o nei dintorni, quindi non sarebbe stato un problema per nessuno
arrivare in città.
La giornata era gloriosa,
per essere la fine di settembre il tempo reggeva ancora bene, tutto a vantaggio
di chi voleva passare una bella giornata all’aperto.
Furono tra i primi ad
arrivare, ma nel giro di un’ora tutto il clan era al completo, e Oscar non
riusciva a ricordare neanche la metà dei nomi, nonostante avesse una memoria
formidabile, assai utile per gli affari, il susseguirsi di facce sorridenti si
rivelò troppo, e quando lo confidó ad André lui scoppiò a ridere dicendole che
anche lui aveva lo stesso problema, ogni anno c’erano nuove aggiunte e non
riusciva a tenersi aggiornato.
Ben presto l’aroma della
carne arrostita alla brace permeò l’aria facendole venire l’acquilina in bocca,
e mentre i bambini erano impegnati a rincorrersi e ad arrampicarsi, gli adulti
si godevano un succulento pranzetto all’ombra degli alberi, e Oscar si era
trovata a dividere la coperta con André e i fratelli, e ridere quasi fino alle
lacrime delle loro avventure di gioventù, scoprendo che erano stati i padroni
incontrastati del quartiere per diversi anni.
-Che ci volete fare, le
sorelle ci adoravano e i fratelli ci invidiavano!- spiegò Julian con un sorriso
beato mentre ricordava i vecchi tempi.
Poi un coro preoccupato di
“oh-oh” la fece voltare, un signore alto e dal fisico atletico si stava
avvicinando a loro con in mano un kit di mazze e palle per giocare a baseball.
-Zio Lennie non di nuovo!-
disse Ryan.
-Ah! Mi dispiace mio caro,
ma questa volta non é colpa mia, tuo zio Albert vuole la rivincita per la
batosta presa l’ultima volta- ma lo sguardo acceso diceva che era stato ben
felice di accettare la sfida –sono venuto a chiedere se siete dei nostri!-
Prima che un’altro coro di
“neanche sul mio cadavere” rispondesse all’offerta dello zio Lennie, Oscar
intervenne.
-Io ci sto!-
-Eh?- lo zio Lennie
sembrava sconcertato –senza offesa signorina, ma sai come si gioca?-
-Certo che lo sa,
altrimenti non te l’avrebbe chiesto!- Intervenne Julian stizzito.
-D’accordo- ma l’idea non
gli andava molto, e prima di allontanarsi le disse da sopra una spalla –ma se
ti rompi un unghia poi non lamentarti-
-Adesso gli rompo la
stupida mazza sulla testa!- mormoro Jean.
Fù Ryan a lanciare ad André
uno sguardo di fuoco.
-Non l’hai avvisata sullo
zio Lennie non é vero?-
-Non ho avuto tempo-
rispose contrito, e ancora sorpreso che suoi fratelli l’avessero difesa.
-Nessuno raccoglie il
guanto di sfida quando viene lanciato dallo zio Lennie, é una di quelle regole
non scritte della notra famiglia-
-Già,- continuò André –lo
zio Lennie ha giocato a baseball per diversi anni, come professionista in
tornei minori, ora fa l’insegnante di ginnastica in un liceo e la sua squadra
ha vinto il torneo nazionale per gli ultimi dieci anni di fila, e due dei suoi
ex-studenti ora hanno un brillante carriera sportiva, quindi non perde
occasione di vantarsi e di dimostrare a tutti che fenomeno sia, e...-
-E...- lo spronò lei, al
quale lo zio Lennie piaceva sempre meno.
-Lo zio Lennie é un po
maschilista-
-Non l’avrei mai detto!-
stava per rompergliela lei la mazza sulla testa a quel bulletto di periferia!
-Non prendertela Oscar, é
fatto cosi, e abbiamo imparato a lasciarlo perdere- si scusó Jean.
-Ciò non toglie che voglio
giocare- disse alzandosi.
-Sei sicura?- le chiese
scettico –lo zio Lennie non farà altro che mettere il dito nella piaga per il
resto della giornata se vince-
-Allora non ci resta che
cercare di non perdere- si diede un’occhiata attorno –allora venite?-
Julian e Jean si
rifiutarono, l’unico che non aveva dato risposta era Ryan che sembrava
impegnato a guardare altrove.
-E tu Ryan?- gli chiese
seguendo il suo sguardo e vedendo un gruppo di ragazze che lo stavano
osservando a loro volta.
-Mi sa che vengo- si alzò e
si spolverò i jeans per togliere dell’erba –ma prima devo presentarmi a quel
gruppo di fanciulle, le invito a vedere la partita, durante la quale mi
infortunerò dopo circa venti minuti e passerò il resto della giornata a farmi
consolare per cercare di superare il grande dolore del mio infortunio. A dopo!-
Oscar rimase impassibile e
poi si voltò verso André.
-Tuo fratello é
oltraggioso, lo sapevi?-
-Lo so, a volte mi vergogno
di lui- ma poi rise, trascinando tutti gli altri –andiamo non facciamo
aspettare il granduomo-
Quando arrivarono allo
spiazzo designato, le squadre erano gia state formate e toccava ora ai
rispettivi capitani trovare i giocatori mancanti.
-Guarda qui che fanfarone!-
allo sguardo perplesso di lei spiegò –si é fatto la squadra con i migliori
giocatori, lo zio Albert non ha la minima possibilità di vincere-
-Allora non mi resta che
giocare con lo zio Albert, che mi sembra anche più simpatico, e tu?-
-Io in genere faccio da
arbitro, a quanto pare sono l’unico che riesce a rimanere imparziale-
Dopo una mezz’ora le due
formazioni erano pronte e schierate ed era il turno dello zio Lennie a
lanciare, e Oscar doveva ammettere che non era niente male, ma ciò non gli dava
il diritto di ritenersi superiore.
Era il suo turno di
battere, con un sorriso quasi malefico si mise in posizione, era arrivato il
momento di far cadere il caro zietto dalla nuvoletta su cui si era appollaiato
negli ultimi anni.
-Strike uno!- gridò André.
Quindi lo zio ci stava
dando davvero dentro.
-Strike due!-
-Non ti preoccupare, non é
un gioco adatto a tutti- le disse lo zio Lennie, pregustandosi l’eliminazione.
Zio Lennie era troppo
sicuro di se, Oscar vide la palla arrivare a tutta velocità e con mossa svelta
e sicura la colpì facendola sparire tra le cime degli alberi, era un home run.
-Mi auguro che quella non
fosse la tua palla preferita- gli disse con gli occhi sgranati in maniera
innocente, mentre faceva il giro del diamante e cercava di resistere alla
tentazione di fargli la lingua.
Quando arrivò alla base fu
accolta dal sorriso trionfante dell’arbitro.
-È stata una cosa senza
precendi, nessuno é mai riuscito a battere un home run allo zio Lennie, anche
se in tanti ci hanno provato-
-Lo zio Lenni sta per avere
tante brutte sorprese oggi!- gli confidò in tono cospiratorio.
Giocarono per un’altra ora
e Oscar diede del filo da torcere a Lennie, gli fece sudare ogni punto, alla
fine però persero ugualmente, ma fù solo per un punto, e l’effetto era lo
stesso, rendere lo zio livido. In trionfo se ne tornarono all’ombra sulla
coperta, visto che le signore stavano per distribuire il dolce e qualcosa da
bere.
Oscar se ne stava in
solitudine seduta contro il tronco di un albero con un bicchiere di té freddo
in mano, André era andato a fare due chiacchere con il padre e lei aveva deciso
di non unirsi a lui anche se invitata, voleva stare un po lì da sola, era
ricoperta di polvere, stanca e aveva appena perso una partita, e...non si era
mai sentita così bene.
Lasciò vagare lo sguardo
attorno a se, i bambini giocavano, sotto un albero più avanti c’erano le neo
mamme che chiaccheravano allegre con i loro bimbi che gattonavano sulla
coperta, gruppetti di uomini e donne sparsi qua e là discutevano animatamente,
in lontananza poteva vedere i fratelli di André che fraternizzavano con il
gruppo di ragazze avvicinato da Ryan, che se ne stava beato con un finto
impacco freddo sul ginocchio e coccolato da una rossa molto graziosa.
Era la prima volta che
sperimentava qualcosa di così campestre, e doveva ammettere che le piaceva, le
piaceva molto questa famiglia, a parte lo zio Lennie naturalmente, ma tutti
sembravano essere così uniti, l’unica persona con cui lei aveva un rapporto
simile era sua nonna, per il resto era come se fosse sempre vissuta sola,
seguendo regole non sue e ideali che non approvava.
Poi era arrivato André, si
era insinuato piano piano nella sua vita, facendole notare cose che a cui non
aveva mai badato prima, era come se dopo anni di freddo inverno fosse
finalmente arrivata la primavera, cosa significavano tutti quasti sentimenti
intricati che provava? Che si stesse davvero innamorando di lui? In cosi breve
tempo poi? Era possibile?
I suoi pensieri vennero
interrotti da qualcuno che le stava sventolando un piatto sotto al naso, con
sopra una fetta gigante di torta.
-Sei troppo seria, non va
bene in una giornata così spensierata- André era tornato e le aveva portato il
dolce –i perdenti hanno il diritto a doppia razione-
-E gli arbitri?- chiese
indicando la sua fettona.
-Gli arbitri meritano un
premio per la loro imparzialità!- spiegò allegro.
Si stavano godendo il dolce
in santa pace, quando uno dei bambini che stavano giocando nelle vicinanze si
staccò dal gruppo marciando dritto verso di loro con passo svelto.
-Ehilá Philip, che
succede?- chiese André, il bambino aveva una luce risoluta nello sguardo, mai
visto nessuno cosi deciso.
-Ecco, volevo sapere se tu
e Oascar state per sposarvi-
-Cosa!- la torta gli ando
di traverso,e inizió tossire.
-No Philip, io e André non
siamo fidanzati- non sapeva se ridere o arrabbairsi, l’aveva forse mandato
qualcuno a spiare?
-Ah! Gliel’avevo detto che
non potevate essere fidanzati, non state appicicati tutto il tempo a sbaciucchiarvi!-
disse trionfante e facendo un gesto si assenso ai compagnetti poco distanti.
-Fatti gli affari tuoi
pulce!- poco sapeva che lui non pensava ad altro, stare appiccicato a lei a
sbacciucchiarsi ogni minuto.
-Se lui non ti sposa io
sono disponibile- disse serio ad Oscar.
-Ehi! Trovate una della tua
taglia!- stentava a crederci, si era aspettato che qualcuno ci provasse con
lei, ma non il suo cuginetto di otto anni!
-Quelle frignano in
continuazione, e non sanno che farsene delle palle da baseball. Non ho mai
visto nessuna femmina usare la mazza come fa lei, certe cose non bisogna
lasciarsele scappare!- tutto il discorso fu recitato con la più sussiegosa
delle espressione.
-Ti ringrazio Philip- era
davvero serio pensò lei –se mai mi venisse la voglia improvvisa di sposarmi, tu
sarai il candidato numero uno-
-Sempre meglio di niente,
ora devo tornare dai miei amici!- giró di spalle e scappo a gambe levate dagli
amici, senza dubbio per raccontargli l’avvenuto.
-Che cosa é appena
successo?- chiese guardando André di sottecchi, mentre tornava a dedicarsi alla
sua torta.
-Vallo a capire-
-Quella é stata la mia prima
proposta di matrimonio sai- ammise divertita.
-Ma dai! Che razza di
uomini hai frequentato finora!-
-Quelli di età sbagliata
apparentemente- la situazione aveva dell’ilare.
-Mha, cerca di non montarti
la testa, molto probabilmente nella sua testolina contorta avrà pensato che se
ti sposa, sarai costretta a giocare sempre nella sua squadra e così lui può
vincere tutte le partite!-
A quel punto nessuno dei
due poté trattenre le risate ancora a lungo.
Il sole stava oramai
tramontando, tutti avevano sistemato le loro cose e richiamato all’ordine i
bambini che non volevano andarsene, ci furono calorosi arrivederdi e di nuovo
tanti auguri per l’anniversario di George e Linda, e tutti furono daccordo di
fare un’altra riunione al più presto.
Oscar sedeva pensierona
accanto ad André, che non poteva fare a meno di chiedersi il perchè di quella
faccia serie.
-Come mai cosi silenziosa?-
aveva abbassato il volume della radio in modo che potessero parlare civilmente
senza alzare la voce.
-Nulla di particolare. La
tua famiglia é davvero adorabile, tuo padre e tua madre si rispettano e i tuoi
fratelli sono davvero speciali, non mi sorprende che ne sei venuto fuori così
bene-
-Sai come si dice “la mela
non cade mai lontana dall’albero”- ma il senso di colpa che ultimamente si era
fatto più forte lo avvisava che una volta che lei avesse scoperto che le aveva
mentito, non sarebbe stata così magnanima nei giudizi.
Il tragitto per tornare a
casa fù abbastanza breve, tutti si dichiararono stanchi e pronti a infilarsi
sotto le coperte dopo una doccia calda, con la promessa di riunirsi il mattino
dopo per colazione con le speciali frittelle allo sciroppo e uvetta di Linda.
Il mattino dopo fecero
colazione tardi, e dopo un pigro fine mattinata passato a oziare, era arrivato
il momento per loro di tornarsene New York, il loro aereo partiva nel primo
pomeriggio.
Si salutarono sulla porta
di casa, loro avevano l macchina e non aveva senso che qualcuno li
accompagnasse fino all’aereoporto, una lacrimosa Linda lo abbracció
intimandogli di tornare presto visto che non lo vedeva spesso, e il padre gli
disse semplicemente di stare a sentire sua madre, dal tronde le madri avevano
sempre ragione, anche Julian, Ryan e Jean furono d’accordo, una volta tanto,
che non si vedevano con regolaritá e che dovevano rimediare in qualche modo.
Oscar non fù esente dai
saluti, tutti le dissero di essere stati contenti di aver fatto la sua
conoscenza e che speravano di rivederla presto, George la ringraziò ancora per
lo stupendo dipinto, Linda le bisbiglió in un orecchio di prendersi cura di suo
figlio, chissá che idea si era fatta di loro due, e i fratelli di Andrè con la
scusa di abbracciarla e salutarla, e con grande faccia tosta, le fecero
scivolare in tasca un biglietto con tutti i loro numeri di telefono.
Il taxi sfrecciava
silenzioso per le strade di Manhattan, brulicanti di turisti e di tutti quelli
che si accingevano a tornare a casa dopo il fine settimana, i due occupanti
della macchina sedevano vicini ma ognuno immerso nei propri pensieri. Non avevano
parlato molto durante il volo, anche perché André aveva deciso di schiacciare
un pisolino e aveva dormito per quasi tutto il viaggio.
Ma a lei non dispiaceva,
aveva avuto ampio tempo per predndere delle decisioni, voleva chiarezza, voleva
sapere che tipo di rapporto esisteva tra loro due, si aspettava davvero solo
amicizia da lei? O magari qualcosa d’altro? Non né poteva più di stare
nell’incertezza, era meglio sapere dove stavano e poi agire di conseguenza, se
davvero lui non stava cercando qualcosa di diverso da lei, preferiva esserne
sicura, in un modo o nell’altro il loro rapporto sarebbe cambiato da quella
sera.
Erano arrivati al suo
palazzo, era sicura che lui l’avrebbe accompagnata alla porta, non era molto
privato ma era lontano dalle orecchie del tassista, con il cuore che le
rimbombava nelle orecchie scese e si avvicinò al portone. Lui era lì al suo
fianco, sempre vicino, in queste ultime settimane era come se fosse diventato
la sua ombra.
-Spero che ti sia divertita
in questi due giorni- le disse piano.
-La tua famiglia é stata
molto gntile, sono stati tutti molto carini con me- lui la stava guardando con
l’espressione tenera che ormai aveva imparato a conoscere bene e che la
scaldava dentro, perché non mi baci André? Si chiese afflitta, e cercando di
trovare un modo per sollevare l’argomento che la stava rodendo da diverso
tempo.
-Sará meglio che vada, si
sta facendo tardi e domani ci sono molte cose da fare in ufficio- la baciò
sulla guancia, ma invece di scostarsi subito rimase qualche attimo ancora a
inspirare il profumo di lei.
Le loro labbra erano a un
soffio l’una dall’altra e Oscar non resistette più, lasciò cadere il borsone a
terra e dopo avergli afferato i lembi della maglietta con un piccolo gemito
incolló le labbra alle sue. Nessuna reazione, anzi sembrava sconcertato, stava
per ritrarsi delusa, quando le braccia di lui la strinsero fino a stritolarla,
e lo sentì ricambiare il bacio.
Al colmo della gioia gli
fece scivolare le braccia attorno al collo e si alzó in punta dei piedi per consentirgli
un migliore accesso e per aderigli completamnte contro il corpo.
Finalmente lo stava
baciando! Schiuse le labbra per dargli campo libero e quando la lingua di lui
trovò la sua, fù come se una serie di fuochi d’artificio le si erano accesi
dentro bruciandola, ma allo stesso tempo innondandola di colori brillanti, si
sentiva fiamme, aveva come la sensazione che ogni fibra del suo corpo stesse
per sciogliersi in una pozza di fuoco liquido, non voleva smettere ma allo
stesso tempo voleva che le cose rallentassero, tutto era troppo veloce.
Si staccaro con un sorriso
tremante e il fiato corto.
-Avevo iniziato a...pensare
che fossi...gay- la sua risata roca e profonda la fece tremare in maniera
deliziosa.
-Con la sofferenza di
queste ultime settimane...ti assicuro che ho iniziato a desiderarlo!- se la
strinse più vicina se era possibile, non voleva perdersi nessuna delle sue
curve che gli premevano contro in maniera così sensuale.
-Dillo a me!- le scappò un
ansito quasi di dolore –accidenti a te e ai tuoi baci casti sulla porta di
casa! Mi hai fatto impazzire, pensavo che non te ne importasse nulla!-
-Ah Oscar...- con un
sospiro le accarezzó una guancia con le nocche della mano –non hai ancora
capito che mi sono totalmente e irrimediabilmente innamorato di te?-
-Eh?- si era spettata
passione e desiderio, ma non quello, il cuore le batté ancora più violentemente
in petto.
-Perché credi che ti abbia
portato a casa dai miei?- ma non si apettava una risposta –volevo farti capire
quanto tu sia diventata importante per me, quanto tu sia speciale e quanto
desideri averti accanto a me. Tenerti stretta e starti vicino-
-Perchè...- inizio con voce
malferma –perché non hai detto nulla prima? Credevo volessi davvero che ci
fosse solo amicizia tra noi due-
-Perchè l’ultima volta che
mi sono fatto avanti con una proposta abbiamo litigato, perché volevo che
superassi da sola tutti i dubbi che avevi sul nostro rapporto e volevo inoltre che
ti lasciassi un pó andare, facendo emergere la ragazza dolce e sensibile che
tieni sempre sotto chiave, quella in grado di dipingere quandri che riescono a
toccarti nel profondo con la loro bellezza-
Per la prima volta da un
tempo immemorabile gli occhi le si riempirono di lacrime, come aveva fatto?
Come aveva fatto a vedere tutte le cose che lei aveva cercato di nascondere e
soffocare negli anni, dedicandosi alla sua carriera come voleva il padre, ma
lui era riuscito a vedere al di lá, non si era convinto come tutti gli altri
che lei fosse fredda e inavvicinabile.
-Andrè...- cosa poteva dirgli?
L’emozione le serrava la gola, e non sapeva davvero cosa rispondere a ció che
lui le aveva appena detto.
-Mio piccolo tesoro, non
piangere- le asciugò le ciglia umide con il pollice, aveva capito, non c’erano
bisogno di parole, non in quel momento.
La bació nuovamente, ma
questa volta con una dolcezza infinita che rischiò davvero di farla scoppiare
in singhiozzi, la testa le girava e il corpo tremava incontrollabilmente, aveva
bisogno di qualche minuto per riprendersi.
-E adesso?- gli chiese
quando lui posó la fronte alla sua con gli occhi chiusi, cercando di riprendere
fiato –che si fá, come procediamo?-
-Sta a te deciderlo, come
prima cosa è meglio che me ne vada, altrimenti saró tentato di rimanere con te
tutta la notte ed e meglio di no, non in questo momento- quasi rise
all’espressione delusa e afrranta di lei, se non fosse per il fatto che lui si
sentiva allo stesso modo, se non peggio –non disperare ci vediamo in ufficio
tutti i giorni-
-Non é la stessa cosa- ma
forse aveva ragione lui, doveva allontanarsi per poter riflettere.
-Non disperare, ora che ti
ho trovata non ti lascerò scappare tanto facilmente- le diede un’altro bacio
veloce e la spinse verso la porta –vai, prima che quegli occhioni azzuri che ti
ritrovi mi facciano cambiare idea-
-Buona notte- gli auguró
con un dolce sorriso che lo colpì dritto alla bocca dello stomaco.
-Dormi bene amore mio-
Alla svelta rientró nel
taxi dicendo al conducente di ripartire, non si voltò a guardarla, se l’avesse
fatto, sarebbe immediatamente tornato da lei, facendo crollare tutti i buoni
propositi, doveva lasciarla sola darle tempo, voleva che una volta tra le sue
braccia ci rimanesse per sempre.
-Sembra che non ti sia
andata bene stasera amico-
Il tono divertito
dell’autista lo fece tornare in se.
-Ti assicuro che invece mi
é andata benissimo!- e il sorriso che gli spuntó sulle labbra non volle proprio
andare via, neanche mentre dormiva.
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Capitolo 12 *** CAPITOLO 12 ***
Oscar era davanti allo
specchio dando gli ultimi ritocchi al suo costume, era Halloween, lei e Andrè
stavano andando ad una festa mascherata, sorrise alla sua immagine riflessa,
quel costume le si addiceva, quando lui le aveva parlato della festa, l’idea le
era venuta quasi subito, e aveva dovuto sudare sette camicie e otto negozi per
il noleggio di costumi prima di trovare quello che voleva. Sua nonna ne sarebbe
stata deliziata se l’avesse vista, le sembrava quasi di sentirla “finalmente
stai iniziando a darmi retta” le svrebbe detto con gli occhi che brillavano
soddisfatti.
Guardó l’ora, quasi le
otto, Andrè sarebbe arrivato a momenti, il pensiero di rivederlo le fece
correre la mente alle settimane appena trascorse.
Il giorno dopo la sua dolce
confessione sulla porta di casa, non avevano potuto vedersi, lei doveva fare
dei soppralluoghi e aveva degli incontri con possibili investitori, non si era
neanche avvicinata all’ufficio e lui non l’aveva chiamata, le aveva lasciato il
suo spazio, ma quando era arrivata a casa c’era un mazzo di rose ad attenderla,
due di ogni colore, ed un biglietto: “Non sapevo il tuo colore preferito,
quindi li ho presi tutti”, non era firmato ma era sicura su chi le avesse
mandate
Come si faceva a non voler
stare accanto ad un uomo così dolce? Ora che sapeva di essere corrisposta, cosa
aveva da perdere? Nulla. Non le importava dei commenti al vetriolo che
sarebbero nati sul lavoro, era abituata a quelli, e non sarebbero certo stati
peggiori di quello che giá le dicevano alle spalle. Non aveva bisogno
dell’approvazione dei suoi, sapeva che se non fosse andata a casa con un
multimilionario suo padre non l’avrebbe neanche fatto entrare in casa, nessuno
sarebbe mai stato all’altezza dei suoi canoni. E poi c’era la famiglia di lui,
era certa che loro non avrebbero avuto nessun problema nel vederli insieme,
anzi, immaginava che Linda ne sarebbe stata contenta.
Quindi aveva deciso,
l’aveva chiamato nel suo ufficio e con uno slancio amoroso atipico per lei, gli
aveva gettato le braccia al collo e l’aveva baciato, ampiamente ricambiata,
fino a che entrambi erano rimasti senza respiro e gli aveva bisbigliato un “si”
a fior di labbra.
Si voleva che fossero una
coppia, si voleva che iniziassero a scambiarsi stupidi e insulsi messaggi nel
cellulare, si voleva litigare con lui per il solo gusto di fare pace dopo, nel
modo più dolce possibile, si a tutto ció che era incluso nell’essere
innamorati.
E da lì avevano iniziato,
uscivano il più spesso possibile, passavano i fine settimana rigorosamente
insieme e adesso potevano andare in tutti quei locali che erano esclusivamente
riservati alle coppie, e lei non era mai stata così felice, si sentiva come se
avesse ritrovato qualcosa o qualcuno che credeva perso per sempre.
Ma in tutta questa felicitá
c’erano delle ombre, dopo quasi quattro settimane di uscite, non avevano ancora
passato una notte a fare sesso...no, si corresse, a fare l’amore. Non era stato
per mancanza di occasioni, ora conosceva il corpo di lui come se fosse il suo,
ma in entrambi c’era stato come il tacito accordo di non accellare i tempi e
aspettare il momento giusto, ció non toglieva la possibilitá di esplorare nuovi
territori anche senza arrivare all’atto finale, e doveva ammettere che il suo
calmo e pacato assistente aveva un immagginazione da dieci e lode!
Poi c’era il fatto che lei
non gli aveva detto “ti amo”, non ancora per lo meno, cosa la bloccava, era
sicura che lui l’amava, anche dopo che gliel’aveva detto, lo si poteva
chiaramente leggere nel suo sguardo e in ogni gesto che compiva verso di lei.
Come l’abbracciava, come l’accarezzava, come la baciava, tutto era permeato
dell’amore che lui le portava, e allora?
Era sicura di provare gli
stessi forti sentimenti nei suoi confronti, stava provando sensazioni che non
aveva mai sperimentato con nessun altro, sensazioni che non avevano nulla a che
fare con il lato fisico della loro relazione, allora perché non riusciva a
ricambiare la sua dichiarazione?
Il suono del campanello la
riportó alla realtá, il portiere lo conosceva ormai, quindi non l’avvisava più,
lo faceva salire e basta, con un sorriso smagliante gli aprì, giá si pregustava
la sua reazione.
-Soldato André agli
ordini!- le fece il saluto militare con tanto di battito di tacchi.
Ed entrambi rimasero
sconcertati.
Entrambi indossavano una
divisa militare in stile francese di fine 1700, blu e oro, con l’unica
differenza che Andrè indossava quella del soldato semplice, mentre Oscar aveva
puntato per i ranghi più alti.
-Se non sapessi che é
impossibile direi che hai fatto di tutto per spiarmi- gli disse tra il
divertito e il deluso.
-Dillo a me! Io speravo di
sedurti con il fascino della divisa, invece...- ma non gli dispiaceva, era
stupenda, con i capelli biondi sciolti, tutti i bottoncini e ricami dorati che
spiccavano contro il blu, i pantaloni aderenti che mettevano in mostra le
lunghe gambe affusolate e gli stivali al ginocchio, emanava un aurea di comando
che sembrava andare ben oltre la semplice immagine che doveva dare il costume.
-Magari sará il fascino
della mia uniforme a sedurre te- e afferandolo per il risvolto della giacca lo
bació per salutarlo come si deve.
-Questa cosa é troppo
strana per essere solo una coincidenza, te ne rendi conto vero?- vederla con
addosso la divisa stava facendo cose strane alla sua libido.
-A quanto pare, mia nonna
ti direbbe che era destino- si sciolse dall’abbraccio e prese le chiavi dal
tavolino che stava vicino alla porta –andiamo?-
-Andiamo-
Il locare era davvero
carino, decorazioni a tema erano sparse un pó da per tutto, zucche intagliate
decoravano i tavoli, festoni arancio e nero pendevano dal soffitto, scheletri
dalle ossa fosforescenti erano facevano bella mostra di se contro i muri.
Cocktail speciali dai colori di rigore erano stai aggiunti al menù, e un dj
vestito da Freddy Kruger si occupava della musica.
Oscar ballava e si
divertiva, gli avventori del locale non avevano ancora capito se era un uomo o
una donna, e lei si stava facendo due risate alle loro spalle, la giacca
nascondeva parecchio, quindi non si vedeva nessuna curva rivelatrice, quando lo
fece notare ad André lui la guardó in maniera strana, dicendole che se non
riuscivano a capire di che sesso era erano tutti cechi, nessun uomo di sua
conoscenza aveva un fondoschiena da infarto come lei, fù grata della semi
oscuritá, così lui non poteva vedere di quale tonalitá di rosso era diventata.
Erano seduti da un pó su uno
dei divanetti a bere qualcosa, quando il dj decise di dare un contentino alle
coppiette e mettere su un lento, e mentre le note di “Stand by me” si
diffondevano nel locale, André la trascinò sulla pista e se la tenne stretta,
e...chi era lei per rifiutarsi?
Gli si strinse contro e
cullata dal battito ritmico del suo cuore si lasció scivolare addosso le note e
le parole della canzone.
“When the night has come, and the land is
dark, and the moon is the only light we see”
All’improvviso ebbe la sensazione di non trovrsi più nel locale, spalancò gli
occhi, ma vedeva ancora buio e sentiva in sottofondo altri rumori a parte la
musica, le sembrava acqua, acqua che scorreva, come un fiume, poteva addirittura
sentire l’odore di terra umida.
“No I won’t be afraid, oh I won’t be afraid, just as long as you stand
by me, stand by me”
In lontanaza poteva vedere
dei puntini luminosi che si agiatavano a mezz’aria, e qualcosa d’altro che
assomigliava a vegetazione, alla luce flebile della luna riuscì a distinguere
che ciò che vedeva erano lucciole e salici, sparsi su quella che doveva essere
la riva, che cosa le stava succedendo? Dove era finita?
Due figure erano distese
sull’erba poco distante, erano abbracciate,
i loro movimenti lenti e sinuosi.
“if the sky we look upon should tumble and
fall, or the mountain should crumble to the sea”
Si rese conto che le due figure stavano facendo l’amore in riva al fiume, I
loro vestiti erano ammucchiati tutt’intorno e assomigliavano in maniera
incredibile alle uniformi che lei e André indossavano quella sera, poi senti una
voce di donna che sussurrava “Oh André, solo con te mi sento davvero viva”
un’altra voce profonda ripose nello stesso tono sussurato “Ti amo Oscar, ti ho
sempre amato, e prometto di starti sempre vicino”.
“no I won’t cry, I won’t cry, no I won’t shed a tear, just as long as
you stand, stand by me”
Stava avendo sogni erotici
nel bel mezzo della pista da ballo? Non poteva essere, sembrava quasi che
stesse avendo una visione, i contorni della sua visuale erano sfuocati, ed
aveva la sensazione di essere davvero stata nel posto che vedeva davanti a se,
come se facesse parte di una’altra vita lontana, come se avesse giá vissuto
l’incontro appassionato che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
Quando questa volta riaprì
gli occhi attorno a se c’erano altre coppie che ballavano, il locale aveva le
luci soffuse e Andrè la stava ancora cullando con dolcezza mentre le ultime
battute della canzone stavano sfumando, sostituite in fretta da un’altra dal
ritmo più accelerato.
-Che succede, hai una
strana espressione- la guardó con attenzione vedendo che in effetti era
leggermente pallida.
-Nulla, é solo che...ti
dispiace se andiamo via? Credo di averne avuto abbastanza-
-No certo, andiamo-
André era preoccupato,
Oscar era stata strana sin da quando avevano lasciato il locale, ed ora se ne
stava ranicchiata, in silenzio, accanto alui sul divano di casa sua,
sorseggiando una tazza di cioccolata calda. Cosa era successo?
I suoi pensieri vagarono
inevitabilmente alle settimane appena trascorse. Erano state meravigliose,
entrambi avevano imparato a conoscere più a fondo l’altro, si erano divertiti
come non mai e si erano avvicinati in una maniera tale, che non aveva mai
sperimentato con nessun’altra, nonostante non avesero ancora passato un’intera
notte insieme, gli assaggi che aveva avuto lo rendevano sicuro che la loro
prima volta sarebbe stata magica e che valeva la pena procedere lentamente,
doveva solo cercare di capire da dove provenisse l’umore strano di questa sera.
Oscar sedeva tranquilla, in
quella che con il tempo era diventata la sua posizione preferita, la schiena
adagiata nell’incavo caldo al fiano del suo uomo e il braccio di lui cha la
cingeva con dolcezza. Si sentiva strana. Non era ancora riuscita a capire
pienamente cosa le fosse successo alla festa, che avesse a che fare con
Halloween?
Si ricordava nei dettagli
le storie che la nonna le raccontava su questa ricorrenza, su come fosse la
notte la notte ideale per le anime dei defunti di comunicare con i vivi, e se
le fosse stato concesso di intravedere uno scorcio del suo passato? Allora
avrebbe davvero dovuto inizare a credere alle assurde teorie sulla
reancarnazione che professava sua nonna.
Che confusione!
Poi c’erano le parole dei
due amanti che le pulsavano dentro come vive, accompagnate dalla melodia della
canzone che avevano ballato al locale, non era tipo da prestare attenzione
particolare alle parole delle canzoni e al loro significato, ma non riusciva a
togliersele dalla testa.
Le sembrava fossero
particolarmente dirette a lei e alla sua storia con André.
André, che le stava accanto
in silenzio come adesso.
André, che la coccolava
come nessun altro in vita sua.
André, che la capiva senza
bisogno di spiegazioni.
André, che l’amava senza
riserve.
André, l’unico vero amore
che avesse mai avuto.
Fù quel pensiero a colpirla
con la forza di un pugno in pieno petto, lo amava, i segni erano tutti lì
davanti a lei, ma non ci aveva fatto caso più di tanto.
Era innamorata di lui, la
faceva sentire come se si fosse svegliata da un lungo sonno, tutto intorno a
lei aveva iniziato ad avere sfumature di colore più accese, o semplicemente ora
notava cose a qui prima non badava per nullla, nell’amore non c’era posto per i
dubbi o le insicurezze, era per quello che la canzone continuava a rimbombarle
in testa, qualunque cosa accadesse lei
sarebbe stata al sucuro, perché Andrè le era accanto.
Posó la tazza e con un
sospiro beato gli si accoccoló accanto abbracciandolo stretto, assaporando il
suo profumo e facendosi avolgere dalla sua vicinanza.
-Oscar c’é qualcosa che non
va?- le chiese finalmente ricambiando l’abbraccio –mi sei sembrata strana sin
da quando abbiamo lasciato il locale-
-Niente, è solo che...- si
scostó leggermente, voleva guardare nei suoi meravigliosi occhi verdi mentre
gli diceva quello che non aveva mai detto a nessuno –ho scoperto qualcosa di
molto importante stasera-
-Sarebbe?- la gola gli si
chiuse per il terrore, che fosse stato smascherato? Che avesse scoperto che lui
era un impostore ed ora era tutto finito tra loro due. No! Non poteva permetterlo!
-Ho scoperto che...ti amo
André-
lui rimase immobile
sbattendo le palpebre, fino a quando tutti i suoi sensi di colpa furono
spazzati via dall’ondata di sollievo e felicitá che lo travolse.
-Lo so, avrei dovuto
rendermene conto prima...- inizió in fretta, interpretando male il suo
silenzio.
-Oscar amore...- cercò di
interromperla.
-Tutti i dubbi, le
incertezze e poi...-
-Non fa nulla...- rise.
Cercó di interrompere quel
fiume di parole senza senso che le stava uscendo di bocca, ma senza successo,
lei continuava a blaterare sconclusionatamente di canzoni, sogni, significati,
musica, e lui non ci capiva più nulla, dopo vari tentativi infruttuosi, scelse
la via più semplice.
La zittì con un lungo bacio
caldo, fino a quando non la sentì tremare tra le sue braccia.
-Lo so tesoro- le bisbigliò
sulle labbra –solo uno stupido non si sarebbe accorto della veritá-
-Ti amo così tanto- gli
affondo il viso nello spazio tra spalla e collo, il cuore che le batteva
all’inpazzata per l’intensitá delle emozioni che la stavano sommergendo –resta
con me stanotte, rimani qui-
-Niente potrebbe tenermi
lontano da te stanotte-
Le sollevò il viso per
poterla guardare e le sorrise, prima di baciarla a lungo e con tutto l’amore
che provava per lei.
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Capitolo 13 *** CAPITOLO 13 ***
Oscar si ritrovò sdraiata
sul divano, sotto di lui, senza sapere come, era concentrata solo sulle sue
labbra, sul suo corpo, che aderiva perfettamente al suo, sulla sua lingua umida
che l’accarezzava in un modo che la faceva fremere tremare di desiderio. Il cuore le batteva
come un tamburo in petto, questa sarebbe stata la loro prima volta.
Sentì le mani di André che
l’accarezzavano da per tutto sopra i vestiti, portava ancora l’uniforme, anche
se si era tolta la giacca si sentiva troppo vestita, voleva stare pelle contro
pelle con lui.
André stava lentamente
perdendo il controllo, sapere che questa notte sarebbe stata tutta per loro
minacciava di fargli perdere la ragione, le sfilò la camicia dai pantaloni in
modo da essere in grado di sfiorarle la pelle calda e tesa sulle costole e il contorno
dei seni con i polpastrelli, sapendo giá che le forme sode e rotonde erano
perfette per i palmi delle sue mani.
Spostó le labbra dalla sua
bocca, andando a stuzzicare la zona, che sapeva essere sensibile, appena sotto
l’orecchio, venendo ricompensato da un basso gemito di piacere, allora fece
scivolare la mano verso l’apertura dei pantaloni di lei, sfilando i bottoni uno
per volta e accarezzandola con le nocche facendola ansimare.
-Questi devono andare- le
disse facendole scivolare l’indumento lungo i fianchi, che si inarcarono per
facilitargli il compito.
Ringraziò la sua buona
stella che le aveva fatto sfilare gli stivali al ginocchio non appena arrivata
a casa, nello stato in cui era non avrebbe avuto la presenza di spirito di
stare ad allentare i lacci che li chiudevano, con un sorriso soddisfatto fece
scivolare via anche le calze di cotone, ora l’unica barriera che si frapponeva
tra lui e il paradiso era la sottile camicia bianca.
Tornò a sdraiarsi su lei,
puntellandosi suoi gomiti per cercare di non gravarle troppo addosso, le
catturó di nuovo le labbra in un gioco eccitante di lingue calde, decidendo che
era arrivato il momento di liberarsi anche di quell’ultimo ostacolo.
Il primo bottone cedetté
con fatica al suo assalto, reso goffo dal tremore delle dita, così come per il
secondo, anche il terzo decise di dargli dura battaglia, facendogli perdere
quella poca pazienza che era riuscito a mantenere con fatica, afferró i lembi e
strappò con violenza, facendo saltare i restanti bottoni e facendola sussultare,
ma quello che vide lo lasció senza fiato.
Indossava un completo
intimo rosso fuoco, tutto pizzo trasparente e seta, con delle roselline
ricamate sul bordo delle coppe e su quello del tanga, il colore intenso
contrastava in maniera eccitante contro il biancore della pelle di lei.
-Ti piace?- gli chiese un
pò imbarazzata, quel coordinato apparteneva all’ultima linea di Victoria
Secret, l’aveva comprato diversi mesi fá, ma non l’aveva mai indossato prima,
ed ora era contenta di averlo fatto vista la sua reazione.
-Mi piace?- la vose gli
uscì strozzata –mio Dio Oscar! Mi farai uscire fuori di testa!-
Posò la fronte sulla sua
cercando di riprendere fiato e di calmare il battito forsennato del cuore, fece
aderire i fianchi a quelli di lei dimostrandole esattamente quanto apprezzasse
la sua biancheria intima.
Oscar sentiva il corpo in
fiamme, la pelle più sensibile del normale, la rendeva acutamente consapevole
della presenza dell’uomo sdraiato su di lei, che la stava accarezzando come se
avesse tra le mani l’oggetto più prezioso di questo mondo, ma la sensazione dei
suoi vestiti iniziava a infastidirla.
-Via...- strattonando e
strappando, gli tolse la camicia gettandola per terra, divertita pensò che alla
fine di questa serata, entrambi avrebbero dovuto risarcire i negozi che gli
avvevano noleggiato i costumi.
Ora era libera di toccarlo
come più le piaceva, il torace muscoloso, i capezzoli scuri, le spalle e i
bicipiti duri e contratti, che al momento sostenevano tutto il suo peso, la
schiena inarcata e liscia. Fece scorrere la punta delle dita sotto la cintola
per potergli accarezzare il fondoschiena, ma i pantaloni restavano ancora un
grosso impedimento.
Stava per attaccare la
cerniera quando lui le bloccò i polsi e glieli fermò ai lati della testa.
-No- vedendo la sua
espressione di disappunto si affrettó a spiegare –anche se mi piace quando
prendi l’iniziativa, voglio che stanotte ti rilassi e lasci che sia io a
prendermi cura di te, voglio che ti abbandoni completamente a ciò che stai
provando, senza riserve, senza dubbi, ma soprattutto senza controllo-
Lei deglutì a vuoto e lo
guardó negli occhi, diventati sue pozze verdi di desiderio senza fine, gli
sfiorò lentamente il viso con le nocche in silenzio e lui gliele bació senza
interrompere il contatto visivo.
Allora lo abbracciò e lo
bació, comunicando con in gesti quello che per la troppa emozione non riusciva
a dire a parole, quella notte non gli avrebbe donato solo il suo corpo, ma
anche il cuore e l’anima, da custodire e proteggere. Niente dubbi le aveva
detto, e lei non ne aveva più, era sicura che avrebbe capito, non c’era bisogno
di ulteriori spiegazioni.
Infatti non furono
neccessarie, lui riprese ad accarezzare quella pelle liscia e setosa che
conosceva così bene, le sue labbra scesero a baciarle il collo, la spalla,
sempre più giù fino all’attaccatura del seno, lasciando una scia umida che
asciuagandosi al calore stesso del suo corpo e la faceva rabbrividire.
Le tiró giù le bretelline
rosse, liberando i capezzoli rosati e duri per il desiderio, a turno li prese
in bocca per succhiarli e leccarli come se stesse assaporando qualcosa di dolce
e squisito, lei continuava a gemere e muoversi senza pace sotto di lui,
eccitandolo ancora di più con l’attrito dei loro corpi vicini.
La mano di lui scese ad acccarezzarle
una fianco, poi la vita sottile, lo stomaco piatto, le sue dita si insinuarono
sotto l’orlo del tanga tra i riccioli biondi del pube, fino ad arrivare alla
fessurina calda e umida che aspettava solo il suo tocco.
-Apriti di più per me
tesoro...così brava...sei completamente bagnata e pronta per me- quelle parole
ebbero il potere di farla tremare.
La sentì trattenere il
respiro qundo la penetró con un dito, quindi iniziò ad accarezzarla lentamente.
Oscar non capiva più nulla,
tutto il suo mondo girava attorno a quelle dita esperte che la stavano facendo
impazzire, dentro e fuori, oramai i suoi gemiti andavano a tempo con il tocco
abile di lui, il corpo le tremava senza ritengno e tutte le sensazioni erano
concentrate nel basso ventre, non avrebbe retto un minuto di più di quella
tortura, ma quando pensava che finalmente il sollievo fosse vicino lui si fermo
lasciandola sola.
-No!- quasi sull’orlo delle
lacrime gli afferró un polso, non poteva fermarsi ora!
-Amore... devo finire di
spogliarmi- sorrise all’evidente reticenza nel lasciarlo andare.
Si mise seduto e tolse gli
stivali lanciandole un’occhiata di apprezzamento, non l’aveva mai vista così
bella, i capelli biondi sparsi in disordine, le braccia piegate sopra le testa,
la pelle in genere così bianca, ora era soffusa di un tenue rosa, il respiro
pesante, le gambe divaricate dove riusciva a vedere l’alone umido lasciato sul
tanga dal desiderio di lei, era stupenda, avrebbe portato per sempre questa sua
immagine nel cuore.
Neanche lei riusciva a maschera
l’amirazione per il corpo di lui, era così solido e caldo, i muscoli che
guizzavano ad ogni movimento, la peluria che sapeva essere morbida al tatto, e
qundo lo vide liberarsi degli ultimi vestiti in un unico e fluido movimento non
riuscì a trattenere un ansito di sorpresa, l’aveva visto eccitato altre volte
ma questa volta le sembrava aumentato di dimensioni. Il pensiero che presto
l’avrebbe avuto dentro di se le fece attraversare il corpo da un brivido caldo
che le terminò tra le cosce, con ogni probabilitá sarebbe venuta non appena
l’avrebbe presa.
Prima di sdraiarsi
nuovamente al suo fianco André le sfiló il tanga gettandolo lontano, ora
sarebbe stata tutta sua, con un sorriso felino si sistemò tra le sue cosce e le
spostó le gambe in modo tale che gli avvolgesse i fianchi.
La bació a lungo e affondo,
muovendo i fianchi in maniera da stuzzicarla con quello che sarebbe venuto dopo
e continuando ad accarezzarla con la mano libera.
-Tutta mia...- le bisbigliò
prima di baciarla nuovamente e penetrarla con un unica profonda spinta.
Il corpo di Oscar esplose
in una miriade di scintille dorate, tremando percepiva le contrazioni dei suoi
muscoli interni attorno al sesso di André, gli avvolse le braccia attorno al
collo per tenerlo il più vicino possibile mentre il terremoto che la scuoteva
calava di intensitá.
Anche lui tremava, ma per
lo sforzo di non muoversi mentre veniva stretto dall’orgasmo di lei, le
contrazioni delle pareti calde che lo avvolgevano gli stavano procurando quasi
un dolore fisico, ma quando a tempesta finita posò su di lui quello sguardo di
un’azzurro brillante pensò di essere l’uomo più fortunato di tutta la terra,
questa sarebbe stata una notte che nessuno dei due avrebbe potuto dimenticare
tanto facilmente.
-Questo è solo l’inizio- le
assicurò.
-No aspetta...- cercó di
protestare, aveva bisogno di qualche minuto per riprendersi.
Ma lui non le diede retta,
come se fosse una bambolina di pezza la sollevó tra le braccia e dopo essersi
seduto se la mise a cavalcioni sui fianchi stando attento a non interrompere il
contatto tra i loro corpi. Ebbe la soddisfazione di vedere gli occhioni blu di
lei diventare tondi come piattini mentre la nuova posizione le faceva provare
nuove ondate di piacere.
Slaccio i gancetti del
reggiseno che ancora aveva addosso e lo mandò insieme al resto dei vestiti, le
sue mani ripresero ad accarezzarzarla come se fosse la prima volta che la
toccava, le infiló una mano tra i capelli per tenerle ferma la nuca e
catturarle le labbra in un bacio selvaggio. Non gli ci volle molto per
riaccedere il desiderio di lei, in poco tempo iniziò a muoversi contro di lui
in un ritmo sempre più veloce.
Il cervello sconvolto
dall’eccitazione di Andrè registrò vagamente che se continuavano di questo
passo tutto sarebbe finito troppo in fretta, allora le afferrò i fianchi e la
costrinse a rallentare, imponendole un ritmo lento e cadenzato, trasformando il
piacere di entrambi quasi in agonia.
Stava per morire ne era
certa, nessuno poteva sopravvivere ad una tortura talmente deliziosa, sarebbe
di certo spirata in una nuvoletta di fumo se non trovava immediato appagamento,
ma nonostante i suoi mugolii di protesta e le sue insistenze, lui mantenne lo
stesso andamento, spinte lente e profonde che combinate al tocco delle sue
labbra e della sua lingua erano mirate a farla impazzire.
-Andrè ti prego...- gemette
contro il suo collo.
Forse l’aveva stuzzicata
abbastanta, era più che pronta, la prova gli stava colando sul sesso, sotto
forma del liquido denso che proveniva dal corpo dei lei. La stese sotto di se e
aumento il ritmo, era finito il tempo dei giochi.
Lei non riusciva e non
soprattutto non voleva, trattenere i gridolini di piacere che salivano su per
la gola in armonia con le spinde veloci di lui, gli allacciò le braccia intorno
al collo e sollevo i fianchi andandogli incontro e cercando di facilitargli i
movimenti, il corpo era teso verso il raggiungimento del piacere ultimo.
-Più veloce- gli sussurò, e
fù accontentata.
Fece scivolare una mano tra
i loro corpi uniti e con il pollice le acarezzo il piccolo bocciolo duro
nascosto tra le pieghe umide del suo sesso,
fu ricompensato da un’altro gemito di goduria da parte di lei.
Il corpo di Oscar fù
travolto dall’estasi, le ondate di piacere così intense che credette di stare
per svenire, non aveva nessun controllo sulle scosse che le scuotevano ogni
singola parte del corpo, tremava da per tutto, un’esperienza che non aveva
paragoni di nessun genere, vagamente era consapevole che anche il suo compagno
stava per venire e stava per ritrarsi da lei, no lo voleva fino in fondo, serró
le ginocchia in modo da non farlo scappare.
-Oscar...non ho il
preservativo...lasciami....- faticava a parlare.
-Prendo la pillola, resta-
rispose con il fiato corto, era vero, aveva iniziato non appena le loro uscite
erano diventate ufficiali, sempre attento il suo dolce Andrè.
Lui esitò solo un attimo,
con un’altro paio di spinte violente raggiunse l’orgasmo crollandole addosso
con un urlo selvaggio, mentre svuotava il suo corpo sprofondato in quello di
lei.
Il silenzio della stanza
era interrotto solamente dal respiro ansante dei due amanti stesi sul divano
ancora immobili, entrambi restii a rompere l’incantesimo che li aveva avvolti
dopo quell’eperienza che aveva un che di magico per entrambi.
Quando riaprì gli occhi, Oscar
si chiese se era davvero svenuta o se si era addormentata, aveva perso la
cognizione del tempo, ma doveva esserne passato parecchio, visto che entrambi i
loro respiri erano tornati normali, il peso di Andrè la stava schiacciando
contro il divano, ma non importava, glielo faceva sentire più vicino. Con un
sorriso beato constató che finalmente aveva scoperto cos’era il Nirvana,
l’aveva raggiunto ed era ancora viva per raccontarlo, ma soprattutto non vedeva
l’ora di sperimentarlo nuovamente,.
-Ti sto schiacciando- la
frase improvvisa la fece sussultare, anche perchè lui non si era mosso e non
aveva dato nessun segno essere sveglio –mi spiace non volvo spaventarti-
Le tolse il grosso del suo
peso di dosso e le sfioró piano la fronte con le labbra.
-Come ti senti?- le chiese
rauco, non aveva un briciolo di forza per muoversi.
-Sbattuta come un uovo-
rispose con innocenza.
-Bene, sono contento di
essere l’artefice della sbattuta- le sorrise malizioso e le baciò le guance
diventate rosse.
-Non ho le forze necessarie
per muovermi- pigramente gli accarezzó il braccio.
-Allora? Nessuno ci vieta
di starcene qui senza muovere un muscolo-
Ma la parte di lui che era
ancora sprofondata nel corpo di lei aveva altre idee.
-Andrè!- squitti fingendo
di essere scandalazzita.
-Se lo ignori se ne va- le
assicurò sfregando il naso contro il collo morbido di lei.
-Bhè, non mi va di
offenderlo dopo che ha fatto tanto per attirare la mia attenzione, non è
carino-
Lui la guardó per un attimo
e poi scoppiò a ridere.
-Peste, ora vedrai di cosa
è capace- frenó ulteriori battute e proteste con le proprie labbra.
E come le aveva detto al
principio, quello non fù che l’inizio.
Non appena sveglia, Oscar
si rese conto di due cose: la prima, era la sensazione di totale benessere che
la pervadeva. La seconda, era il peso micidiale che le ancorava al materasso la
parte bassa del corpo.
Lanciando un’occhiata da
sopra la spalla, nella fioca luce che pasava attraverso le tende socchiuse, vide
la testa scompigliata di Andrè, adagiata sulla parte bassa della sua schiena,
sentiva il suo alito caldo che le solleticava le natiche e le sue braccia le stringevano la vita. Come
era finito in quella posizione?
Con un sospiro riaffondò la
testa nel cuscino, la posizione era scomoda, ma non le andava di svegliarlo,
anche se moriva dalla voglia di vedere i suoi occhi verdi, ancora gonfi di
sonno e mezzi coperti da ciocche di capelli scuri, che le auguravano il buon
giorno. Con una punta di monelleria agitó piano il sedere e attese. Nulla. Lui
continuava a russare alla grande. Ridendo sommessamente diede un’altro
scossone, avvertì il cambio di ritmo nel suo respiro e lo sentì muovere contro
di lei.
Non aveva mai dormito così
bene in un letto che non fosse il suo, pensò André stiracchiandosi leggermente,
il cuscino era morbido, caldo e profumava in maniera famigliare, socchiudendo
un occhio peró, si trovò davanti un piccolo quadrato di pelle chiara, e un
rigonfiamento che assomigliava tanto a...poi gli venne in mente la proprietaria
di quelle curve e sorridendo sollevó la testa, anche lei lo stava guardando,
gli occhi brillanti quanto i suoi e i capelli arruffati.
-Buon giorno- gli augurò
piano.
-Buon giorno- sbadiglió
stropiciandosi gli occhi.
-Ti ho mai detto quanto mi
piace il tuo sedere?- per enfatizzare meglio il punto strofinò la guancia
ruvida contro la parte interessanta, visto che era ancora nella posizione
ottimale per farlo –é a forma di cuore-
-È il primo complimento del
genere che ricevo- rise allegra.
-Molto male- le si sdraio accanto e le augurò di nuovo il
buon giorno con un bacio –ti va una tazza di caffé?-
-Cioccolata!-
-A cosa te lo chiedo a
fare!- con slancio scese dal letto e si avvio verso il bagno –mi faccio una
doccia e te la preparo, tu puoi rimanere a poltrire a letto ancora qualche
minuto se ti va-
Lo vide sparire oltre la
soglia e pochi minuti dopo le arrivò il rumore dell’acqua che scorreva. Si, sarebbe
rimasta ancora a letto, avvolta dal profumo di lui a gustarsi i ricordi della
notte precedente.
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Capitolo 14 *** CAPITOLO 14 ***
Con ancora i capelli umidi ed un asciugamano attorno
alla vita, André entrò in cucina fischiettando e accese la macchinetta per il
caffé. Prese due tazze dal mobile e ne riempì una di latte, l’avrebbe scaldato
nel microonde e aggiunto la polverina per la cioccolata.
Stava gustandosi il suo
caffé caldo quando squillò il telefono, non aveva nessuna intenzione di
rispondere e sperava che neanche Oscar lo facesse, oggi non c’erano per
nessuno, stava beatamente ignorando la segreteria telefnonica che era partita,
quando la voce gracchiante che stava lasciando il messaggio attrasse la sua
attenzione.
“Oscar tesoro sono la
nonna, volevo solo sapere come stavi. Sai ieri notte stavo leggendo i tuoi
tarocchi e ho visto delle cose che una signora della mia etá non dovrebbe
vedere...”
Per poco non gli andò il
caffé di traverso.
“...il cuore sai,” continuò
la voce “comunque volevo solo accertarmi che tutto fosse apposto...e lei
giovanotto veda di trattare bene la mia bambina, altrimenti dovrá vedersela con
me! Connessioni cosmiche o no!”
A quel punto fù colto da un
eccesso di tosse e il liquido marrone che stava cercando di bere volò da per
tutto.
-Che diamine!- cercó di
ripulire il disastro e tenere il telefono sotto controllo, come se si
aspettasse di veder uscire dalla cornetta la nonna di Oscar da un momento
all’altro.
Aveva appena finito quando
Oscar fece il suo ingresso in cucina, i capelli tirati su e avvolta in un
morbido accapatoio di cotone.
-Tua nonna ha appena
lasciato un messaggio- le disse porgendole la tazza fumante e azionando il
tasto della segreteria per l’ascolto dei mesaggi.
Ebbe la soddiafazione di
vedere cioccolata volare da per tutto e il viso in fiamme di lei.
-C’é qualcosa di cui dovrei
vergognarmi?- chiese divertito mentre l’abbracciava e si apprestava a pulirle
le gocce di cioccolato dal viso con la lingua.
-Non chiedere, ti posso
assicurare che non vuoi sapere- e al momento lei aveva altre cose per la testa,
che non avevano a che fare con sua nonna e le sue presunte arti magiche.
Il loro piccolo interludio
erotico venne interrotto da un assordante brontolio, proveniente da entrambi.
-A quanto pare é il caso di
soddisfare qualche altro bisogno fisico-
-In effetti ho un pó di
fame, facciamo colazione fuori? Come al solito non credo di avere nulla di
appetitoso nella mia cucina- lo informó baciandogli il collo.
-Affare fatto, ma prima
devo andare a casa a prendere dei vestiti, non posso andare in giro vestito da
gendarme per i prossimi due giorni-
-Va bene, mi vesto e
usciamo insieme- stava per staccarsi ma lui la trattenne.
-Perdita di tempo, facciamo
che io vado a prendermi dei vestiti puliti e poi ci incontriamo in quella
pasticceria francese che ti piace tanto-
L’idea di visitare la sua
pasticeria preferita le fece dimenticare tutto il resto.
-Aggiudicato!- gridò
saltandogli al collo.
-Donna ragionevole-
commentò ironico –allora ci vediamo lì tra un paio d’ore-
Ma l’André che se ne stava
seduto da solo in silenzio, sul treno della metropolitana che lo stava
riportando verso casa, non aveva l’espressione di uno che abbia appena passato
la notte con la donna che ama. Era preoccupato, nonostante le cose tra lui e
Oscar stessero andando a gonfie vele, sulla loro felicitá pendeva sempre la
minaccia delle bugie che lui era stato costretto a raccontare, e che ora
stavano diventando ogni giorno più pericolose.
Lavorando alla compagnia
aveva scoperto cose incredibili.
Roger Whittaker stava
cercando di ripulire i fondi della societá con l’aiuto di alcuni complici, non
sapeva con esatezza chi fossero, ma aveva qualche sospetto, e come se non
bastasse stavano cercando di far ricadere la colpa su Oscar, in modo tale che
la mafia si vendicasse su di lei per le perdite subite e che loro potessero
godersi i profitti. Inoltre aveva scoperto che l’uomo che ricopriva la sua
carica prima di lei, era morto in circostanze misteriose, il caso era ancora
aperto e la polizia non aveva nessuna pista, che l’uomo avesse scoperto
qualcosa e fosse stato messo a tacere?
Aveva scovato diversi
rapporti di investimenti falsi, con la firma di Oscar, falsa anch’essa, le
cifre non erano esorbitanti, ma se sommate in un lungo periodo di tempo, si
accumulavano fino a diverse centinaia di milioni. Per non parlare dell’evasione
fiscale, sapeva che le grandi compagnie facevano di tutto per pagare sempre il
minimo al fisco, ma lui si era imbattuto in documentazioni sospette che aveva
passato a Simon, il quale gli aveva confermato la loro illegalitá.
La cosa che più lo faceva
rabbrividire era la prospettiva che quei criminali mettessero in atto il loro
piano, per poi sparire e lasciare la sua donna nell’occhio del ciclone, a
combattere contro la mafia, il fisco e i creditori. Avrebbe dovuto parlarle, e
al più presto anche, anche se significava la fine del loro rapporto.
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Capitolo 15 *** CAPITOLO 15 ***
Oscar non era mai stata così contenta, i giorni appena
trascorsi non avevano eguali, anche sua nonna aveva notato la differenza nel suo
tono di voce quando l’aveva chiamata, non era arrivata fino al punto di
ammettere che aveva finalmente trovato l’unico e il solo, ma alla vecchietta era
bastato sapere che lei era felice.
Il sorriso perenne
che aveva in faccia era stato oggetto di discussione in ufficio, quasi tutti
erano convinti che fosse dovuto ad una paralisi, conseguenza di un intervento di
chirurgia plastica andato male, ma non le importava, al momento non le importava
di nulla tranne che dell’uomo seduto alla scrivania davanti al suo
ufficio.
Essere innamorati
era una cosa meravigliosa, la sua produzione di endorfine doveva aver raggiuto
livelli illegali tanto si sentiva bene, ed il fatto che André passasse sei notti
su sette nel suo apppartamento doveva avere il suo peso sull’umore notevolmente
migliorato.
Eh si, sospiró
sdraiata al buio ad ascoltare il respiro regolare di lui che le dormiva accanto,
in questi ultimi giorni avrebbe scambiato qualsiasi cosa per qualche ora passata
in sua compagnia.
Un crampo di fame
improvvisa la convinse ad andare in cucina a trovarsi qualcosa da mangiare, per
una volta tanto il frigo era pieno di ogni ben di Dio, avevano fatto la spesa in
previsione del fatto di non dover lasciare la casa per tutto il fine
settimana.
Prima che potesse
accendere la luce della cucina, il suo piede urtó qualcosa di solido
procurandole fitte di dolore alle dita e alla caviglia, accidenti che male!
Pensò cercando di trattenre un grido di dolore.
Una volta fatta luce
si rese conto di aver urtato la valigetta porta documenti di André, e che alcuni
fogli erano scivolati fuori da una tasca laterale sprovvista di cerniera. Mentre
li raccoglieva, lo sguardo le cadde sulla carta intestata, erano della compagnia
e quelli che aveva in mano erano dei rapporti di investimento, di otto mesi fa,
che strano, quelle pratiche erano state archiviate diverso tempo addietro,
perché le aveva con se?
Diede una veloce
lettura, gli occhi le si sgranarono per la sorpresa, quei rapporti recavano la
sua firma, così come i permessi per il passaggio dei fondi, ma le cifre erano
strane. Per essere sicura rilesse la pagine, ma non c’erano errori, il rapporto
diceva chiaramente che l’investimento da lei autorizzato non aveva dato i
profitti sperati. Come era possibile?
Diede uno sguardo
anche al resto dei fogli, ma i rapporti e i profitti degli investimenti non
variavano, sulla carta sembrava che stesse buttando i soldi della compagnia
nello scarico, ma era sicurissima del contrario. Cosa stava succedendo? Non
ricordava esattamente le cifre, ma non poteva aver fatto un errore di giudizio
così grossolano, Roger le aveva addirittura fatto i complimenti per il lavoro
svolto. Roger! Avrebbe dovuto parlarne con lui al più presto, ma le servivano
altre prove, e per quelle avrebbe dovuto aspettare di essere in ufficio lunedì
mattina.
Rimise i fogli a
loro posto e tornò a letto, la fame completamente dimenticata. Mentre ritornava
al fianco di un ignaro André, non poteva fare a meno di porsi delle domande. Che
ci fosse qualcuno che stava falsificando i suoi resoconti? A che scopo? Derubare
la compagnia magari? Se la faccenda continuava, prima o poi avrebbe attirato
l’attenzione e allora su chi sarebbe ricaduta la colpa?
Tutte le sue domande
però non avrebbero avuto risposte, fino a quando non avesse avuto la possibilitá
di fare delle ricerche.
Non appena arrivata
in ufficio Oscar si mise subito all’opera, diede uno sguardo a vecchi rapporti
di investimento a lungo e breve termine, notando che quelli falsificati
pesantemente erano questi ultimi, il resto erano piccole cifre che singolarmente
sarebbero sparite nel margine di perdita, e per cui non si sarebbero subito
notate, ma che se sommate nel complesso risultavano in una cifra
esorbitante.
Per i giorni
seguenti continuò le sue ricerche, tra una riunione e l’altra, e alla fine della
settimana si trovò d affrontare l’amara veritá, qualcuno stava sistematicamente
derubando la societá, facendo ricadere le colpe sulla sua sezione, se si
continuava di questo passo, al bilancio di fine anno, sarebbe stato lampante che
la compagnia era sull’orlo della banca rotta e che lei era l’unica responsabile,
non c’era documento che non recasse la sua firma, in molti casi sospettava che
fosse falsa, ma poco importava, era stata messa in una posizione terribile, ed
ora non le restava che andare a parlare con Roger e mostrargli le
prove.
L’ufficio di Roger
si trovava al piano superiore, una volta che la segretaria l’ebbe fatta passare,
entrò con passo deciso, quel colloquio non sarebbe stato piacevole per nessuno
dei due.
-Oscar!- l’uomo
aggirò la scrivania e le strinse la mano con calore –accomodati. Vuoi qualcosa
da bere? Posso chiedere a Louise di portarti del caffé-
-No grazie, sto
bene- sistemò i fascicoli sulle ginocchia e attese che l’altro tornasse alla sua
scrivania.
-Cosa posso fare per
te?- le chiese gioviale.
-Ho scoperto
qualcosa di poco pulito all’interno della compagnia Roger- non c’era modo di
addolcire la pillola, doveva dirglielo e basta –qualcuno sta derubando la
compagnia usando come tramite il mio ufficio-
-Cosa!- esclamò
allibito –non é possibile, ne sei proprio sicura?-
-Ho paura di si- gli
porse la prima pila di fascicoli –questi rapporti, sono tutti falsi, come credo
lo sia anche la mia firma alla fine della pagina-
L’uomo rimase in
silenzio per qualche minuto, mentre scorreva le pagina.
-Non capisco, a me
sembrano in regola- disse scettico.
-Sono fatti a regola
d’arte, nessuno si sarebbe accorte dell’imbroglio, a meno che non stesse crcando
qualcosa di specifico- gli mise davanti altre due cartelle –qui ci sono i
rapporti originali, ne avevo tenuto una copia, e per essere più sicura ho fatto
dei controlli incronciati al di fuori della compagnia. Tutto sommato in quella
pila di fogli c’é un ammanco di tre milioni di dollari-
-Buon Dio!-
-Incredibile me ne
rendo conto. Quello che non capisco é come abbiano fatto ad andare avanti senza
sollevare i sospetti di nessuno, a meno che...- ma non finì la frase, non voleva
fare accuse infondante.
-A meno che cosa
Oscar? Lo sai che quello che dirai non uscirá da questo ufficio- la
incintó.
-A meno che non
abbiano degli appoggi nell’alta gerarchia della societá, qualcuno con abbastanza
potere da poter coprire le loro tracce, sono un paio di giorni che ci penso, e
non sono riuscita a trovare un’altra spiegazione. Mi spiace Roger, ma credo che
qualcuno all’interno del consiglio di amministrazione stia tradendo la tua
fiducia- poverino, era rimasto senza parole, gli aveva davvero dato un brutto
colpo.
-Non ci posso
credere- stancamente si massaggió le tempie –hai parlato a qualcun’altro della
faccenda?-
-No, ho creduto che
come mio diretto superiore e membro maggioritario del consiglio dovessi essere
informato per primo-
-Bene, hai fatto
bene, ti ringrazio, non voglio che nasca il panico negli uffici, o uno scandalo,
le nostre azioni in borsa crollerebbero e perderemmo tutto-
-Cosa farai ora?-
chiese sollecita.
-Non lo so, dovró
fare un’indagine interna, se ci disfiamo delle mele marcie in fretta, magari
saremo in grado di riparare i danni-
-Mi dispiace averti
dato queste brutte notizie Roger- era davvero rammaricata che il compito era
caduto su di lei.
-Non ti preoccupare,
ma devo chiederti di non farne parola con nessuno, sará meglio per tutti se
risolviamo la faccenda senza tanto rumore-
-Come vuoi, per me
non c’è nessun problema- si alzó, non aveva più nulla da fare in quell’ufficio
–mi terrai informata?-
-Certo, non appena
avró trovato i colpevoli, sarai la prima a saperlo- la salutó sulla porta
augurandole buona giornata e diede istruzioni alla sua segretaria di non essere
disturbato per i prossimi venti minuti, aveva una telefonata importante da
fare.
Roger afferró i
fascicoli aperti che ancora stavano sulla scrivania e uno per volta li passó nel
trita documenti, poi si sedettè sulla sua poltrona e prese il telefono, quando
la voce dall’altro lato rispose disse semplicemente:
-Abbiamo un
problema-
Oscar tornó nel suo
ufficio con un’aria pensierosa, magari poteva fare qualcosa per dare una mano a
Roger, tenere d’occhio i suoi colleghi e magari fare delle indagini su di loro,
cercando di capire chi si era improvvisamente arricchito. Dietro alla sua porta,
trovó André che l’aspettava sul divano con il pranzo.
-Che faccia! È
successo qualcosa?- le chiese mentre gli si sedeva accanto e iniziava a
rovistare tra le cose da mangiare.
-Ho appena avuto un
colloquio poco piacevole con Roger, tutto qui-
-Qualcosa di
spicevole immagino, vista la tua espressione- riusciva a vedere chiaramente che
era preoccupata.
-Cosa di lavoro, non
ti preoccupare- non voleva mentirgli, anzi voleva raccontargli cosa stava
accadendo, ma aveva dato la sua parola a Roger, fino a che la faccenda non si
fosse conclusa non poteva farne parola con nessuno.
-Non me lo diresti
neanche per questo?- le chiese sventolandole sotto al naso una porzione di
profitterole ricoperti di cioccolato.
-Mmmmm....- gli andó
vicino con un’espressione maliziosa –per quelli, posso ricompensarti in
tutt’altra maniera-
-Affare fatto!- non
gli importava un fico delle sue diatribe da ufficio, quando Oscar aveva
quell’espressione lui finiva sempre le sue giornate con un sorriso
beato.
Per le feste del
ringraziamento, decisero in accordo di evitare rispettivi amici e parenti e
scappare per un romantico lungo fine settimana in un albergo, in montagna a
sciare, lei adorava la neve, lui un pó meno, infatti l’aveva presa in giro
dicendole che voleva andare lì solo perché servivano cioccolata calda a tutte le
ore.
L’albergo era molto
pittoresco, piccolo e vecchio stile, completamente sommerso dalla neve e con un
panorama da togliere il respiro, il personale era molto gentile e disponibile,
il luogo ideale per stare in solitudine insieme.
Il sole splendeva
alto nel cielo e André se ne stava comodo su una sdraio ad abbronzarsi, Oscar
era andata a prendere gli sci, aveva voglia di fare un pó di moto, l’aveva
invitato ad unirsi a lei ma aveva rifiutato, preferiva poltrire al sole,
specialmente dopo la nottata appena passata. La vide sbucare dalle doppi porte
dell’albergo con gli sci in spalla e la tuta che le sderiva addosso come una
seconda pelle, era bella da togliere da star male.
-Sei sicuro che non
vuoi venire?- gli chiese una volta vicina.
-No grazie, non sono
il migliore degli sciatori e non voglio rompermi nulla durante queste
vacanze-
-E se prometto di
portarti sulla pista dei bambini? Vediamo se riesco a farti migliorare la
tecnica!-
-No- rise divertito
–me ne resto qui e mi faccio un bel pisolino, devo recuperare le energie- le
disse con una alzata di sopracciglia significativa.
-Pigro!- ma lo bació
lo stesso prima di andarsene.
Si sistemó comodo e
chiuse gli occhi, un lungo sonnellino non glielo toglieva nessuno.
Due ore dopo fù
bruscamente svegliato da un inserviente dell’albergo.
-Signore! Signore si
svegli!- la ragazza lo scosse con forza.
-Che...c’é?- con
fatica socchiuse le palpebre per trovarsi davanti una brunetta dall’aria
preoccupata.
-Signore mi spiace
disturbarla, ma...ha chiamato l’ospedale locale, a quanto pare la sua fidanzata
ha avuto un incidente sulla pista ed é stata portata al pronto
soccorso-
-Cosa!- si alzó di
scatto per fronteggiare la ragazza –quando? Maledizione!- si guardó attorno
disperato –come diavolo ci vado!-
-Se vuole abbiamo a
disposizione delle macchina con autista-
-Davvero? Va bene
faccia in fretta!-
Trenta lunghissimi
minuti dopo si trovava davanti all’accettazione del pronto soccorso.
-Mi é stato detto
che la mia fidanzata si trova qui a causa di un incidente sugli sci, il nome é
Oscar De Jarjeyes- disse agitato, pregando che non si fosse fatta nulla di
grave.
La donna allo
sportello diede una controllata veloce al tabellone degli arrivi.
-Sala 4- rispose
indicando una serie di porte alla sua sinistra.
Schizzó via come un
proiettile ed entró nella saletta senza bussare, e quando la vide per poco non
gli si fermó il cuore. Era sdraiata su un lettino con gli occhi chiusi e un
enorme cerotto su un lato della fronte, a parte qualche graffio e livido sul
viso e il colorito cereo, sembrava che stesse bene. Le si avvicinó e le prese
una mano.
-Oscar tesoro...- la
chiamó piano accarezzandole una guancia con la mano libera –amore apri gli occhi
e dimmi che stai bene-
Le palpebre
tremarono e poi comparvervo i suoi occhi blu leggermente offuscati.
-André....-
-Dio ti ringrazio!-
le acarezzó le labbra con le proprie, stava quasi male dal sollievo –mi hai
fatto prendere un colpo-
-Mi spiace, tutta
colpa dell’albero- stava cercando di fare dello spirito ma la testa le doleva
troppo.
-Come stai? Cosa é
successo?-
-Il dottore dice che
ho una leggera commozzione cerebrale e che devo rimanere sotto osservazione per
stanotte, il cerotto é per il taglio, mi ha messo quattro punti. Per il resto
avró una serie di lividi e contusioni che mi costringeranno a letto per il resto
del nostro soggiorno, mi spiace, non volevo rovinare la nostra prima vacanza
insieme-
-Figurati, tanto il
letto é l’unico posto dove avevamo deciso di passare la maggior parte del nostro
tempo- con un sorriso rassicurante le baciò di nuovo, non riusciva a smettere di
toccarla –dimmi come ti sei fatta male-
-Non devo aver
allaciato bene uno degli sci...si é sganciato dallo stivale e non sono riuscita
ad evitare un grosso abete, mi sarei rotta l’osso del collo se non fossi
riuscita a rallentare con quello rimasto-
-Sei stata molto
fortunata. Ora riposati, io vado a parlare con il dottore-
-Daccordo...- stanca
richiuse gli occhi
Il mattino dopo
venne dimessa, con la raccomandazione di non strapazzarsi e di riposare per un
paio di giorni, avviso che André le fece seguire alla lettera, anche se le tenne
compagnia per tutto il tempo e riuscrono a divertirsi comunque, alla fine
dispiacque ad entrambi dover andare via così presto.
Un uomo in tuta da
sci e occhiali scuri li stava osservando partire dalla finestra della sua
stanza, quando ad un tratto il cellulere posato sul davanzale
squillò.
-Cosa hai scoperto?-
chiese la voce all’altro capo.
-Non é stato un
incidente- rispose l’uomo lanciando un’occhiata al paio di sci posati contro il
muro –gli sci sono stati manomessi-
-Capisco. Torna alla
base, si entra in azione il prima possibile- la comunicazione fù subito
interrotta.
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Capitolo 16 *** CAPITOLO 16 ***
Oscar sbadigliò soporitamente,
mentre usciva dal piccolo caffé con una tazza di cioccolata calda in mano,
doveva andare in ufficio, ma non ne aveva molta voglia. Faceva un freddo
terribile e il taglio in fronte le pulsava un pochino. Tra qualche giorno
sarebbe dovuta andare in ospedale a farsi togliere i punti, le sarebbe rimasta
una bella cicatrice a testimonianza del suo incontro ravvicinato con un’abete,
che sfortuna.
Stava per attraversare la
strada in un punto poco trafficato, quando un furgone nero le si parò davanti
con uno stidio di gomme e tre uomini vestiti con abiti scuri scesero dallo
sportello laterale.
-Che diavolo...- la tazza
le cadde di mano rovesciandosi sull’asfalto.
Non fece in tempo a finire
la frase perché venne afferrata per la vita e scaraventata sui sedili in pelle del
veicolo, che ripartì sgommando.
L’interno dell’abitacolo
era fioccamente illuminato da una lampada posta sul tettuccio, la poca luce le
permetteva di delineare vagamente i contorni degli uomini che l’avevano rapita,
che ora se ne stavano in silenzio seduti davanti a lei. Che razza di rapitori
erano? Li poteva benissimo vedere in
faccia, e con la memoria formidabile che si ritrovava il loro identikit sarebbe
arrivato in tutte le centrali di polizia nel giro di ventiquattrore.
-Se sono soldi che cercate,
vi posso dare il numero del mio conto in banca, così mi rispermiate del tempo
prezioso, ho una riunione alle dieci- li avvertì, con una spavalderia che era
lontana dal provare, ora come ora era grata agli insegnamenti del padre sul
dimostrare nessuna paura all’avversario.
-Non siamo qui per farle
del male signorina- cercò di tranquillizzarla uno di loro, che lei prontamente
soprannominó “il buono”.
I tre tirarono fuori dalla
tasca interna delle loro giacche i rispettivi distintivi, erano tutti agenti
dell’FBI.
Lei non fece una piega,
anche se dentro tremava, cosa potevano volere?
-Chi mi dice che le patacche
non le abbiate vinte nella scatola dei coco pops?- chiese sarcastica.
-Ci avevano avvisato che
lei era una testarda- disse l’altro, parecchio brutto, con la faccia buterata,
ma una cura per l’acne quando era adolescente no?
-Mi perdonerete se non sono
accondiscendente, vista la situazione-
-Basta con i convenevoli
signorina, non siamo molto pazienti- quello che voleva dire era che lui perdeva
la calma facilmente, si lui doveva essere il cattivo del gruppo pensò lei.
-Vi posso ricordare, chi ha
rapito chi?- forse arrufargli il pelo non era la tattica migliore.
-Ha ragione. Siamo alla
ricerca di informazioni- “il brutto” le gettó un fascicolo dalla copertina
bianca sulle ginocchia –lo apra e mi dica se riconosce qualcuno di quegli
uomini-
Con diffidenza fece come le
era stato chiesto, la cartella conteneva una serie di foto in bianco e nero.
Questa volta non riuscì a nascondere la sorpresa, in quasi tutte le fote era
ritratto Roger in atteggiamenti amichevoli con diversi uomini, tra i quali
riconobbe Mark Spencer, l’avvocato con qui aveva giocato a golf qualche mese
fa, ma gli altri le erano sconosciuti.
-Credo che sia in grado di
riconoscere almeno due degli uomini in quelle foto, non é vero?- le chiese “il
cattivo” in tono mellifluo – mi permetta di dirle chi sono gli altri con cui i
suo capo se la sta spassando-
Le strappo il fascicolo di
mano e prese alcuni degli scatti.
-Questo- le indicò un uomo
sulla cinquantina che stava stringendo la mano a Roger –é Vincent Marino, se il
nome non le dice nulla, la informo che é il capo famiglia di una delle
organizzazzioni mafiose emergenti del momento, temuto nell’ambiente e spietato
come pochi. Questo- prese una’altra foto dove era ritratto anche Mark nel
gruppo e stava accanto ad un’altro giovane sulla trentina –é Frank Marino,
rampollo ed erede di Vincent. Inutile dirle che il signor Spencer é l’avvocato
che copre tutte le loro malefatte trasformandole in attivitá legali. Gli altri
uomini sono tutti tira piedi o guardie del corpo-
Oscar continuava a guardare
le foto impassibile, non poteva credere che il suo capo si fosse fatto
coinvolgere da persone del genere.
-E il punto sarebbe?-
chiese con aria di sufficenza.
-Il punto signorina- si
affrettò a rispondere “il buono”, per evitare al suo collega di iniziare con le
maniere forti –é che Roger Whittaker sta utilizzando la Fasier Assicurazioni,
per il riciclaggio di denaro sporco per conto della famiglia Marino-
Nell’abitacolo caló il
silenzio.
-Non vi credo- il tono di
voce asciutto –Roger non farebbe mai una cosa del genere!- non voleva crederci,
le era sembrata una persona per bene, abile negli affari, ma mai l’avrebbe
visto nelle vesti di criminale e per di più impegolato con la mafia locale.
-Sa come é nata la societá
di assicurazioni per qui lavora signorina?- ma “il brutto” non si fermò per una
risposta –circa venticinque anni fá Vincent Marino fornì al signor Whittaker il
capitale necessario per acquistare una quota maggioritaria della compagnia, che
all’epoca stava affondando ed era sull’orlo della banca rotta, le hanno
cambiato il nome e l’hanno rimessa in sesto. Possiamo dire che nel corso degli
anni l’investimento di Vincent ha reso cento volte tanto e gli ha fornito una
roccaforte per riciclare i proventi dei suoi traffici illegali. Ora Roger
Whittaker non é altro che il cane al guinzaglio della famiglia Marino-
-Avete le prove di quanto
state dicendo?- si era innocenti fino a prova contraria.
-Per la maggio parte,
piccole cose che non sono sufficenti per incastrare i grossi pesci. Speravamo
che lei ci potesse aiutare-
-A far cosa? Spiare la mia
compagnia e il mio diretto superiore?- era impazziti –se trapelasse una cosa
del genere non troverei più nessun lavoro nell’ambiente!-
-Ma almeno conserverebbe
intatto il collo- le disse sadico “il cattivo” –crede davvero che quel taglio
sulla fronte sia stato un incidente?-
-Come?- di che cosa diavolo
stava parlando?
-Uno dei nostri la stava
seguendo, i suoi sci sono stati sabotati, una pressione accentuata e si
sarebbero sganciati, per fortuna ha dei riflessi pronti, altrimenti non sarebbe
riuscita a salvarsi-
-Non é possibile, state
usando quel banale incidente solo per intimidirmi. Vi avviso che non funziona,
non sono il tipo che cede ai bulletti!- precisò con voce alterata, ma con la
sensazione di stare arrampicandosi sugli specchi.
-Creda ciò che le fa più
comodo, ma la avviso che la prossima volta potrebbere non essere così
fortunata-
“Il cattivo” tornò
all’attacco.
-Come vuole. Parliamo
allora del suo assistente- le disse lanciandole un’altra cartellina –o devrei
dire il suo nuovo ragazzo?-
Oscar guardó la cartellina
con il battito del cuore accellerato, cosa potevano avere contro André?
Lo sguardo le cadde
sull’intestazione che diceva: “André Granier alias André Jones”, cosa
significava?
-Non esiti, la apra. Credo
che la troverá interessante-
Conteneva tutte le
informazioni possibili e immagginabili su di lui, dove era nato, dove era
andato a scuola, la sua famiglia, una lista di tutti lavori che aveva fatto e
delle foto. André con degli uomini che non aveva mai visto, degli scatti di
loro due a Playland, alla festa al parco con la sua famiglia, le loro uscite serali
insieme. Da quanto tempo li stavano spiando?
-Mi permetta di fornirle i
dettagli mancanti. Il gruppo di uomini con qui il suo spasimante é ritratto
sono: l’editore della Bureau Gazzette e vari collaboratori del giornale. Il suo
assistente altro non é che un giornalista a caccia di uno scoop. Ci incuriosisce
sapere cosa ha scoperto-
No! Gridava ogni fibra del
suo corpo, non poteva essere! Lui non poteva averla tradita in questo modo, non
con delle bugie simili.
-Vedo che siamo riusciti ad
attirare la sua attenzione-
-Da quanto tempo mi state
spiando?- chiese fredda, non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire
quando l’avessero scossa, non pensarci, non ora, ora doveva pensare a come
liberarsi dei federali.
-Poco dopo il suo arrivo-
rispose “il buono” –volevamo essere sicuri che non fosse coinvolta nei traffici
illegali del gruppo, dovevamo andarci cauti, dopo che il suo predecessore era
atato eliminato a distanza di poco tempo dalla nostra comparsa-
-Il mio predecessore?-
chiese sorpresa.
-Si, l’uomo che occupava il
suo posto prima di lei, morto in circostanze misteriose, siamo convinti che
abbiano scoperto che fosse stato avvicinato e magari lo credevano un anello
debole. L’hanno eliminato senza batter ciglio-
Mio Dio, in quale pasticcio
si era cacciata senza volerlo! Se tutto quello che le avevano detto era vero,
ora si trovava nei guai fino al collo, soprattutto adesso che Roger sapeva che
lei sospettava qualcosa.
-Si trova in grossi guai
signorina, se hanno giá cercato di eliminarla, vuol dire che sospettano che lei
sa qualcosa- tutto stava scoprire cosa fosse questo qualcosa -noi siamo in
grado di proteggerla, se ci dará un mano possiamo fare in modo che lei sparisca
senza lasciare traccia una volta che tutta la faccenda si sará conclusa-
Lei rise ma senza allegria.
-Fatemi capire bene, dovrei
spiare per voi e cercare di non farmi ammazzare nel frattempo e poi fareste qualcosa per proteggermi?
Scusate ma non lo trovo un patto vantaggioso!-
-Se accettasse di
collaborare, saremo in grado di proteggerla mentre si procura le informazioni
necessiarie- chiarì “il brutto”.
-Come avete fatto sulla
pista di sci?- colpo basso ma andato a segno.
-Eravamo solo degli
osservatori e non avevamo motivo di sospettare che la sua vita fosse in
pericolo-
-Misera scusante. Ora se
avete finito fatemi scendere!- ordinó, sfoderando il suo sguardo pietrificatore
per la prima volta in mesi.
Al “buono” non restò altro
da fare che cedere, dovevano convincerla a collaborare, non farla scappare o
forzarla a raccontare ai suoi superiori che l’FBI stava conducendo un’indagine
su di loro, non che lo non ne fossero a conoscenza, ma non volevano che sapessero
quanto si stessero avvicinando alla veritá. Bussó sul vetro che li separava
dall’autista, pochi minuti dopo si fermarono e “il brutto” le aprì lo
sportello.
Stava per scendere quando
lui le bloccó la strada con un braccio.
-Se per caso cambiasse idea
mi chiami- le disse porgendole un biglietto da visita –le consigliamo, per la
sua sicurezza, di non fare parola con nessuno del nostro piccolo incontro-
Le porse la valigetta e la
fece scendere.
Mentre il furgone stava per
ripartire “il cattivo” si sporse dalla portiera ancora aperta per gettare sul
marciapiede i fascicoli che le avevano mostrato.
-Questi se li puó tenere,
noi ne abbiamo diverse copie- le disse con un sorriso perfido, non era
soddisfatto di come erano andate le cose e non ne faceva mistero.
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Capitolo 17 *** CAPITOLO 17 ***
Oscar rimase ferma a
guardare il mezzo che si allontava, poi raccolse i fogli che si erano
sparpagliati per terra e li infiló nella valigetta.
Nonostante le sue arie da
sbruffona era sconvolta, cosa avrebbe fatto ora?
Come prima cosa doveva
accertrsi che tutte le informazioni che le avevano dato fossero vere, ma come?
Se iniziava a ficcanasare negli uffici, qualcuno l’avrebbe notata e magari
l’avrebbe riferito a Roger. Doveva trovare un modo per uscire da questo
pasticcio e scoprire quale ruolo stavano cercando di farle inavvertitamente
giocare. Cosa c’entrava lei con il riciclaggio del denaro? Quella era una cosa
che si poteva fare anche senza che lei venisse coinvolta in prima persona.
Allora perché Roger stava cercando di farla incolpare?
Le serviva aiuto, ma a chi
poteva chiederlo?
L’unica persona che le
veniva in mente era André, ma a quanto pareva anche lui era coinvolto in questa
storia.
Non voleva crederlo, non
voleva credere che si fosse subdolamente insinuato nella sua vita in maniera
così completa, solo per poter spiare meglio all’interno della compagnia. Non
poteva essersi sbagliata in questa maniera su di lui, semplicemente si
rifiutava di contemplare le conseguenze che una cosa del genere avrebbe avuto
su di lei.
Avrebbe affrontato un
problema per volta, cercando di uscirne fuori tutta d’un pezzo, cuore compreso.
Stancamaente si guardò
attorno, doveva andarsene, ma non riconobbe nulla. Dove diavolo l’avevano
mollata quegli idioti!
Un’ora dopo un taxi la
lasciava davanti all’edificio che ospitava gli uffici dell’assicurazione, si
era formulata un piano d’azione mentre era in macchina e la prima fermata era
l’ufficio di Roger, avrebbe chiesto innoccentemente come andavano le indagini,
così avrebbe tastato il terreno. Con passo deciso si diresse verso la sua meta,
era fortunata, Louise non era alla sua scrivania, senza esitare bussò alla
porta.
-Avanti-
Quando fece il suo ingresso
Roger la accolase con il solito calore invitandola a sedersi, Giuda!
-Oscar, mi fa piacere
vedere che ti sei ripresa dalla tua piccola disavventura- le disse indicando il
piccolo cerottto che ora le copriva la ferita –non si é mai troppo attenti
sugli sci-
-Giá é vero- immaggino che sarai deluso di non avermi eliminato al primo
colpo –avevo un momento libero, così
sono venuta a chiedere come procedevano le tue indagini, hai per caso scoperto
qualcosa?-
-Non...ancora- era la sua
immagginazione o si era fatto rigido –ma ti posso assicurare che sto facendo
tutto il possibile, a quanto pare abbiamo a che fare con delle persone astute-
-Magari se vuoi posso dale
una controllatine alle ultime transazioni che sono passate per il mio ufficio?-
sbagliava o era sudore quello che gli imperlava la fronte? –così, per darti una
mano e facilitarti il compito. Magari riesco a farti avere una lista di
sospetti-
-No!- ma si riprese in
fretta –voglio dire...non c’é bisogno che ti interessi della faccenda, credo di
avere tutto sotto controllo-
-Bhè, in fondo é il mio
nome e la mia reputazione che si sta cercando di infangare, non posso stare
seduta e aspettare che mi facciano a pezzetti- si era davvero agitato ora,
sarebbe stata una buona mossa quella di rincarare la dose? –dammi il nome della
persona che sta conducendo l’inchiesta e vedró se magari ha bisogno del mio
aiuto-
-Figurati...non voglio
distrarti da...- si toccó il colletto della camicia come se lo stesse
strozzando –hai giá tanto lavoro da fare, che...-
-Insisto- lo interruppe
spietata.
-Ehm...allora cercheró di
convincerlo a passare per il tuo ufficio durante la settimana- fece finta di
riordinare dei fogli –ora se non ti dispiace avrei molto lavoro da sbrigare-
-Certo, ti ringrazio- si
alzó e si diresse alla porta.
-Puoi farmi il favore di
dire a Louise che non voglio essere disturbato per la prossima ora, ho delle
telefonate importanti da fare-
-Nessun problema- con un
sorriso forzato si chiuse la porta alle spalle e si diresse al telefono che
stava sulla scrivania della segretaria, per fortuna non era ancora tornata.
Come sospettava la luce che
segnalava l’uso di una linea esterna era accesa, sollevó la cornetta e premette
il pulsante per la condivisione delle conversazioni.
-Si ma a quanto pare il tuo
uomo ha fallito!- senti dire a Roger.
-Calmati Roger, é stata
solo fortunata, la prossima volta non avrá scampo- la voce le sembrava
vagamente familiare.
-Oggi é tornata nel mio
ufficio Mark! Non sapevo che scusa inventare, dobbiamo finire l’operazione
prima del previsto e sbarazzarci di lei, lo sai che altre persone potrebbero
essere coinvolte e allora tutti i nostri sforzi saranno inutili!- disse
agitato.
-Questa linea non é sicura,
incontriamoci domai al solito posto, e poi decideremo il dafarsi-
-Va bene, quella mi rende
nervoso, non capisco perché tu mi abbia costretto ad assumerla-
-Era un ottimo capro
espiatorio, a domani Roger-
Con quello la telefonata si
concluse.
Con mano tremante Oscar
mise a posto il ricevitore, era vero, Roger c’era dentro fino al collo e stava
cercando di eliminarla. Con passo malfermo si diresse all’ascensore, doveva
allontanarsi il più in fretta possibile. L’unico posto dove andare che le venne
in mente fù il suo ufficio, doveva riprendersi e poi magari andarsene a casa,
non sarebbe riuscita a passare un’altro minuto in quel posto, vicino a delle
persone che la volevano morta.
Non incontró nessuno sul
suo cammino, neanche André era alla sua scrivania, meglio così, al momento non
voleva vedere neanche lui, la sua presenza l’avrebbe costretta a pensare al suo
tradimento e non si sentiva abbastanza forte. Si chiuse la porta alle spalle
con un tonfo e si gettó sul divano facendo lunghi e profondi respiri, doveva
calmarsi, si sentiva lo stomaco in subbuglio e aveva la nausea.
Una decina di minuti dopo
André la trovó ancora nella stessa posizione, con gli occhi chiusi e il viso
pallido.
-Cosa ti é successo questa
volta?- chiese tra il proccupato e il divertito –non avrai di nuovo la frebbe?-
Altro che febbre! Avrebbe
voluto gridargli, tu come ti sentiresti se avessi appena scoperto che il tuo
capo ti vuole morta, l’FBI ti sta alle costole e che il ragazzo che ami é un’impastore!
Ma invece si limitó ad un flebile nulla.
-Avanti, si vede che non
stai bene- le si sedette accanto toccandole la fronte –non hai la febbre,
magari uno dei soliti disturbi femminili?- voleva essere una battuta ma non
sortì l’effetto desiderato.
Lei aprì gli occhi per
guardarlo, quelli di lui erano velati di apprensione, come si poteva fingere in
quel modo? Non era possibile, e in quel momento non le importava un bel niente
se era un bugiardo mentitore, voleva solo che l’abracciasse per qualche minuto,
si mise seduta e gli si gettó tra le braccia tremando e inspirando il suo
profumo che parve calmare un pó della sua ansia.
-Ehi! Ora mi fai davvero
preoccupare, che succede?-
-Nulla, e che ho...- cosa
poteva dirgli? -...ho il mal di testa- finì con voce tremante.
-Avresti dovuto restare a
casa- le disse premuroso –il dottore ti ha raccomandato di non strapazzarti
dopo la brutta botta che hai preso-
-Credo che me ne andró a
casa per resto della giornata- doveva anche formulare un piano per domani,
doveva seguire Roger e spiare il suo incontro con Mark Spencer, e fare una
scenata all’infingardo mentitore che ora la stringeva con tanta tenerezza.
-Ottima idea, ti chiamo più
tardi per sapere come stai, ho delle faccende da sbrigare stasera e non credo
di far in tempo a passare da te-
-Non ti preoccupare, tanto
credo che passero il resto del della giornata a letto- che cosa doveva fare? Si
chiese. Doveva incontrarsi con i suoi colleghi del giornale? Non pensarci,
continuava a ripetersi, se ci pensi ora rischi di crollare e ti servono tutte
le tue facoltá mentali intatte. Poi lo fai a pezzettini.
-Brava, ora vai- l’aiutó a
rimettersi in piedi e la spinse fuori dalla porta.
Oscar non riusciva credere
di aver attuato un pedinamento in piena regola, per l’occasione si era
completamente vestita di nero, aveva raccolto i capelli sotto una cuffia di
lana e aveva noleggiato la macchina più anonima che era riuscita a trovare. Ed
ora si ritrovava a seguire Roger per la strade della cittá, per fortuna era
inverno e faceva buio molto presto, le tenebre l’avvrebbero nascosta meglio.
Vagamente si chiese se “il
buono”, “il brutto” e “il cattivo”, avessero incaricato qualcuno di seguirla,
sperava di si, si sarebbe sentita relativamente più al sicuro.
Roger era andato a casa
dall’ufficio, vi era rimasto per circa un’oretta prima di uscire di nuovo.
Non appena fù di nuovamente
in strada Oscar si rimise all’inseguimento, ben presto si rese conto che l’uomo
si stava dirigendo verso il porto, quando iniziarono a passare per zone poco
trafficate, decise di spegnere i fari, c’era abbastanza luce per guidare se
stava attenta e in questo modo non avrebbe dato nell’occhio, diminuendo così il
rischio di essere scoperta.
Vide la macchina dell’altro
fermarsi dietro un magazzino e lei fece altrettanto, ma stando attenta a
parcheggiare lontano e dietro dei conteiner che nascondevano la sua auto a
pennello.
Scese senza far rumore,
aveva visto Roger entrare al numero 42.
Il magazzino sembrava
abbastanza vecchio, sperava solo che non ci fosse un sistema d’allarme e un
facile accesso. Sembrava che la buona sorte la stesse assitendo, perché trovó
una finestra rotta dalla quale poter entrare.
Decise che la prossima
volta avrebbe pianificato meglio e che si sarebbe procurata tutta
l’attrezzatura per la sorveglianza, in modo da poter origliare le conversazioni
altrui dall’abitacolo caldo della macchina. Stando attenta a non inciampare nei
vari detriti lasciati sul pavimento si diede una veloce occhiata attorno. A chi
apparteneva questo magazzino visto che i due uomini ne avevano le chiavi?
Valeva la pena fare delle ricerche, anche perché da quello che riusciva a vedere
il posto non veniva usato che come deposito di materiali di scarto.
Vide una luce accessa
nell’angolo opposto da dove stava lei e con passo silenzioso si avicinó il più
possibile, i due stavano facendo comunella all’interno di un cerchio costituito
da pile di casse di legno, ideale per nascondersi e non essere visti, e ideale
per essere spiati.
Si era appena acquattata
dietro uno dei cubi di legno, quando due mani l’afferarono da dietro
bloccandola e tappandole la bocca per impedirle di gridare, ora sarebbe morta
pensó terorrizzata.
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Capitolo 18 *** CAPITOLO 18 ***
-Shh- le sussuró una voce
che conosceva bene –non una parola!-
Oscar fece cenno di si con
il capo, per poco non svenne per il sollievo, sarebbe rimasta in vita dopo
tutto. Ma cosa ci faceva André lì? Chi stava seguendo, lei o uno dei due
uomini?
Non ebbe tempo di farsi
altre domande, perché venne distratta dalle voci concitate dei due uomini che
discutevano.
-Ti dico che ci ha
scoperti!- ripeté Roger per l’ennesima volta –altrimenti non sarebbe venuta a
ficcanasare nel mio ufficio due volte!-
-Calmati Roger, sei troppo
paranoico, sapevamo che prima o poi avrebbe fiutato qualcosa, tanto meglio per
noi che é successo alla fine della nostra operazione. Ora non ci resta che
chiudere i conti, trasferire le ultime somme di denaro e potremmo passare il natale
al caldo con nuove identitá, ci servono solo un’altro paio di settimane-
-Settimane! Ma sei
impazzito! L’FBI potrebbe giá essere sulle nostre tracce, per non parlare di
Vincent! Il tuo problema Mark é che sei sempre stato troppo avido!- gli
rimproverò.
-E tu non pensi in grande
abbastanza Roger, non sono io quello che si vuole liberare dalle grinfie dei
Marino, io voglio solo i soldi, é l’unica cosa a cui sono fedele-
-E la ragazza? È diventata
troppo sospettosa!- continuó agitato.
-Devi ammettere che grazie
a lei siamo riusciti a rubare più soldi in minor tempo, é intelligente e abile,
ma ahimé facilmente sacrificabile, come avevamo stabilito all’inizio. Un vero
peccato se me lo chiedi, una bellezza del genere non andrebbe sprecata-
A quelle parole Oscar non
poté fare a meno di sussultare, quei due stavano parlando della sua dipartita
come una persona normale parla delle condizioni del tempo, le braccia che la circondavano
accentuarono la loro stretta, come per rassicurarla che non le sarebbe sucesso
nulla di male, mentre i due continuavano a discutere.
-Cosa hai intenzione di
fare?- domandò.
-Tutte le prove sono a suo
carico, possiamo farla fuori noi o aspettare che lo faccia Vincent come
ripicca- rispose impassibile.
-I morti non possono
difendersi, se riesce in qualche modo a provare la sua innocenza i prossimi
sospetti cadranno sui membri dell’amministrazione e le forze dell’ordine sanno
giá della mia connessione con la famiglia Marino, Saró io il sospettato numero
uno!-
-Se la facciamo fuori,
dovremmo ritardare la nostra fuga, non possiamo simulare tre incidenti in un
breve lasso di tempo!-
-Non mi importa! Ti ho giá
detto che mi rende nervoso! Con quegli occhi freddi, sembra che sappia che le
sto mentendo ogni volta che me la ritrovo davanti!-
-Ti ripeto che sei troppo
paranoico Roger, ma se puó farti stare tranquillo me ne occuperó prima della
fine della settimana-
-Molto meglio-
-È meglio che c’é ne
andiamo, più a lungo restiamo qui, più facile diventa attirare attenzioni
indesiderate-
La luce si spostó dalle
casse, lasciando le due figure nascoste nel buio completo. I due rimasero immobili
fino a quando non sentirono il rumore delle auto che si allontavano dal
magazzino.
Senza dire una parola si
alzarono, André la prese per mano e con passo sicuro la condusse verso la
finestra dalla quale era entrata, non era stata fortuna quella che gliel'aveva
fatta trovare aperta, lui doveva averla scassinata per primo.
-Come sei arrivata fino a
qui?- chiese in tono piatto una volta fuori.
-Con una macchina a
noleggio, l’ho parcheggiata laggiù dietro a dei container- che fosse
arriabiato? Sorpreso di trovarla lì? Dalla voce non si capiva, e con il buio
non poteva vederlo bene in viso.
-Dammi le chiavi, la
riporteró io all’autonoleggio domani- le prese le chiavi di mano e dopo averla
afferata per un polso la trascinò verso il suo maggiolino.
Era arrivata la resa dei
conti pensó lei, ora non si potevano più ignorare le bugie che c’erano tra di
loro. Oscar non sapeva cosa provare, rabbia per il tradimento subito? Speranza,
nel credere che ci fosse una spiegazione logica a tutta questa storia? Paura,
dello scoprire che in definitiva lui l’aveva davvero usata? Tristezza, per il
loro rapporto che questa notte sarebbe cambiato inesorabilmente?
Si rese conto di provarle
tutte, si sentiva pronta ad esplodere, come una lattina di coca-cola dopo
essere stata agitata, sentiva le bollicine che una volta a galla scoppiavano a
ripetizione.
André era furibondo, quando
l’aveva vista sbucare da un agolo buio non aveva creduto ai suoi occhi, cosa ci
faceva lei in quel magazzino? Che motivo
poteva avere di sospettare dei due uomini che lui stava seguendo? O peggio
ancora era lui che stava seguendo? L’aveva scoperto ed ora voleva accertarsi
cosa stesse combinando.
Alla rabbia peró era ben
presto subbentrata la paura, se venivano scoperti sarebbe stata la loro fine,
la discussione che avevano appena origliato aveva concretizzato i suoi
sospetti. Lei era in pericolo, e lui doveva fare tutto il necessario per
cercare di tenerla al sicuro.
Anche se, come prima cosa
doveva cercare di arginare i danni di questa notte, ora non c’era più modo di
nascondere la veritá, avrebbe dovuto raccontarle tutto, sperando che alla fine
non l’odiasse.
Non aprirono bocca per
tutto il tragitto, entrambi cercando di rimandare l’inevitabile, ma fin troppo
presto si ritrovarono faccia a faccia avvolti nel silenzio del salotto
nell’appartamento di lei.
Si guardarono negli occhi
un lungo momento, da dove iniziare? Come si poteva attraversare il baratro che
si era aperto tra loro.
-Oscar...- iniziò lui
titubambte.
Ma lei non lo fece finire,
giró di spalle, sparendo in cucina per qualche secondo, quando tornò gettó sul
basso tavolino davanti al divano un fascio di fogli.
-Mi spieghi questo signor
Jones, o dovrei chiamarla Granier?- gli disse sarcastica.
Cautamente si diresse al
tavolo e dopo essersi seduto diede un’occhiata ai fogli, era proprio nei guai
fino al collo.
-Chi te l’ha dato?- chiese
piano, le prove della sua colpevolezza erano tutte li, chissá da quanto tempo
le aveva.
-L’FBI- a questo punto era
inutile mentire o raccontare mezze veritá.
-L’FBI!- esclamò sorpreso,
questo complicava ulteriormente la faccenda.
–A quanto pare sono mesi
che spiano me, te e tutto il mio ufficio, devo dire che hanno fatto un lavoro
dettagliato, c’é addiritura una copia di tutti i documenti falsi che hai usato
per farti assumere da me-
-Non é come credi Oscar-
continuava a guardare i fogli, non aveva il coraggio di guardare lei.
-E cosa credo André? Che tu
mi abbia usato per scrivere due articoletti da prima pagina?- il tono era
gelido –cosa ti spettavi, una qualche esplosiva rivelazione tra le lenzuola?-
La sua testa si sollevó di
scatto a guardarla.
-Quello che c’é tra noi non
ha nulla a che fare con il mio lavoro- cercó di spiegarle.
-Il tuo lavoro! Giá inizia
da lì, cosa diavolo sei venuto a fare nel mio ufficio?-
-Faccio un favore ad un
amico, l’indagine era sua, ma la sua copertura é saltata e come risultato si é
fatto quattro settimane di coma dopo un’esplosione sospetta. Immaggino che i
federali ti abbiano detto delle connessioni di Roger Whittaker con la mafia
locale?- ma la domanda era retorica –mi è stato chiesto aiuto per scovare delle
prove che colleghino la compagnia con il riciclaggio di denaro sporco della
mafia, la posizione come tuo assiste sembrava il posto ideale da dove iniziare-
-Continua, che altro hai
scoperto?- chiese perentoria, voleva avere tutti i pezzi di quel mosaico per
poter decidere la prossima mossa.
-Non molto sul riciclaggio,
piccole cose che però potrebbero far scoppiare un putiferio, in compenso ho
scoperto che Roger Whittaker e Mark Spenser stanno sistematicamente derubando la
compagnia, con l’aiuto di qualcuno all’interno del tuo ufficio. Qualcuno sa
esattemente quali investimenti non desterebbero troppe domande e quali sono
troppo rischiosi da contraffare. Da quello che ho capito dai discorsi di questa
sera, Roger vuole sparire e liberansi dalla morsa della mafia, mentre il signor
Spenser vuole solo arricchirsi ulteriormente, si vede che la parcella pagata
dalla mafia non gli basta più.
La situazione é seria
Oscar, vogliono farti figurare come unico responsabile del crollo dell’azienda,
così che, in caso la mafia decidesse di vendicarsi saresti la prescelta, così
come ti sarebbero addosso tutte le autoritá governative- la vide ipallidire
leggermente, ma non si azzardava a toccarla, sapeva che il suo tocco non
sarebbe stato il bevenuto –spiegami come mai Roger sospetta che di essere stato
scoperto?-
-Perché...ho trovato dei
documenti, erano scivolati da una tasca della tua borsa, mi sembravano strani,
così ho fatto dei controlli, in un paio di giorni ho scoperto cosa stava
succedendo. Come una stupida sono andata a raccontare tutto a Roger, e...-
-Che cosa!- la interruppe
orripilato lui –non é una sorpresa che vogliano farti fuori-
-Non é come se avessi ogni
diritto di sospettare del mio capo, e poi...- si interruppe indecisa se dirgli
o meno del fallito tentativo di farla fuori, alla fine decise per il si –il
loro primo tentativo é andato a male-
-Primo...? Come? Quando?-
poi sgranò gli occhi –l’incidente in montagna!-
-L’FBI ci stava seguendo
anche allora, hanno recuperato i miei sci e constatato che erano stati
manomessi- non provava nessuna pena nel vederlo così sconvolto.
-Che altro ti hanno detto i
federali?- se erano coinvolti anche loro voleva dire che in pentola bolliva
qualche grossa operazione.
-A parte che il mio
assistente poteva vantare un’avventurosa doppia vita?- disse sarcastica –nulla
di diverso da quello che sai giá-
-Mi dispiace Oscar, non
volevo che lo venissi a sapere così...-
-Oh, sono sicura che ti
sarebbe stato più comodo se non l’avessi scoperto per nulla!- lo interruppe con
voce alterata –permettimi di darti una notizia flash, l’interludio piacevole é
finito! Ti voglio fuori dal mio ufficio entrodomani mattina, vattene, non
abbiamo più nulla dirci!-
-Invece abbiamo ancora
tante cose da dirci- si mise in piedi cercando di mantenere la calma,
attaccarla non sarebbe servito a niente –non ho mai considerato la nostra
storia come un interludio piacevole, tra noi c’é qualcosa d’altro...-
-Vuoi dirmi che non hai
cercato di essere amichevole per vincere la mia fiducia?- con un moto di rabbia
pensò che non gli ci era voluto tanto tempo per raggirarla.
-Si...no...all’inizio
magari, ma poi più imparavo a conoscerti, più mi piacevi, volevo starti
vicino...- ma apparentemente lei non aveva voglia di lascirgli finire nessuna
delle sue spiegazioni.
-Come no! Tutti cercano di
iniziare le loro relazioni con il prossimo su una montagna di bugie, le rende
più stabili!- l’ironia colava da ogni parola.
-Ci sono stati momenti nei
quali desideravo con tutto me stesso poterti dire la veritá, ma le cose che
scoprivo rendevano sempre più evidente quanto fossi in pericolo, prima di
raccontarti tutto volevo trovare il modo di aiutarti-
-Santo cielo! Adesso non mi
verrai a dire che tutte le bugie che hai raccontato sono per il mio bene! Per
proteggermi!- non poteva credere alle sue orecchie, guardandosi velocemente
attorno afferró la prima cosa a portata di mano e gliela lanciò con violenza,
fortuna volle che fosse uno dei cuscini imbottiti che stavano sulla poltrona
–brutto ipocrita d’un bugiardo! Vattene immediatamente da casa mia!-
Era il colmo, pensó lei,
con quale coraggio le veniva a dire che le aveva mentito per proteggerla, e
anche se fosse avrebbe dovuto dirle la veritá non appena le cosa tra loro due
erano diventate serie, se quello che
le aveva detto era la vero, come poteva credere ora che lui fosse sincero.
-Oscar cerca di...- era
difficile parlare mentre cercavi di schivare una serie di oggetti che ti
venivano scagliati contro –ti vuoi calmare e...-
-Calmare! Se ti devo
mandare via da casa mia in barella, ti posso assicurare che stasera sono
dell’umore adatto per farlo senza provare nessun rimorso!-
Quando André la vide
afferrare uno dei pesanti soprammobili di cristallo, decise che era arrivato il
momento di intervenire con le maniere forti, la doveva fermare prima che
qualcuno si facesse male, in particolar modo lui.
Prima che glielo potesse
scagliare addosso le afferró un polso e senza tante cerimonie la scaraventò sul
divano, dove la immobilizzó con il peso del proprio corpo.
-Ora ti calmi e mi dai una
possibilitá di redimermi?- chiese con il fiatone.
-Vai a quel paese!- sapeva
che lui era molto piú forte e pesante di lei, ma quel fatto non le impedì di
dimenarsi come un’ossessa cercando di liberarsi.
Lui rimase pazientemente ad
aspettare che si calmasse e che la sua rabbia sfumasse, almeno leggermente e
dopo quasi dieci minuti la sentì arrendersi, anche perché era rimasta senza
fiato e senza forze.
-Adesso mi starai ad
ascoltare?- le chiese calmo.
-Cosa? Dimmi cosa potresti
dirmi che giustificherebbe un comportamento così scorretto da parte tua?- cercó
di guardarlo torva, ma la posizione era nettamente in suo svantaggio.
-Dirti che mi dispiace, che
il mio comportamento non ha scusanti, ma se significherebbe tenerti al sicuro
non esitererei a farlo di nuovo-
-Il fine non giustifica i
mezzi André- averlo così vicino iniziava a farle un certo effetto, le
riaccendeva sensazioni che al momento erano fuori luogo.
-Come puoi affermare che
tutto quello che c’é tra noi é una bugia? Io ti amo maledizione!- la scosse
leggermente al colmo della disperazione, la stava perdendo.
-E su cosa sarebbe basato
questo nostro amore? Mi hai fatto innamorare di una persona che non esiste-
vide gli occhi di lui riempirsi di dolore, ed era sicura che i suoi
rispecchiassero la stessa emozione –ti rendi conto della montagna di menzogne
che ci separa? I sotterfugi per non farmi avvicinare al tuo appartamento, il
fatto che in questi mesi non ho mai incontrato uno dei tuoi amici. E la festa
con i tuoi genitori? Mi sono anche sentita dispiaciuta per te quando mi hai
chiesto di non menzionare il lavoro, invece tutto era una tattica per non farti
scoprire- si odió nel sentire la voce incrinarsi, non avrebbe pianto.
Lui si rendeva conto che
quello che diceva era vero, ma ogni
affermazione era ugualmente come una pugnalata al cuore, non sarebbero riusciti
a risanare la frattura così facilmente.
-Oscar...- ma cosa poteva
dirle? Aveva tradito la sua fiducia, ma aveva sempre pensato di poterla
convincere a dargli il beneficio del dubbio, ora non l’avrebbe mai perdonato.
-Vattene André- gli intimó
con voce bassa e stanca –ti voglio fuori dal mio ufficio e dalla mia vita per
sempre, non voglio piú vedeti-
Non avrebbe potuto fare
altro stasera, si disse sconfitto, era meglio se andava via e la lasciava sola.
-Lascia che ti dica
un’ultima cosa- le fece scivolare una mano sulla nuca e la bació, piano e con
tenerezza, fino a quando non sentì la sua involontaria risposta –l’André che ti
ama Oscar non ha niente a che vedere con il giornalista-
Poi se ne andó, senza
voltarsi e chiudendosi piano la porta alle spalle.
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Capitolo 19 *** CAPITOLO 19 ***
Oscar rimase immobile,
sdraiata sul divano dove lui l’aveva lasciata, non aveva la forza di muoversi,
il silenzio dell’appartamento le si stava chiudendo addosso come mura
invisibili, rischiando di schiacciarla. L’aveva mandato via, aveva chiuso tutti
i loro rapporti. L’aveva perso per sempre.
Gli occhi le bruciavano,
avrebbe dovuto piangere, sfogarsi in qualche modo, ma non ci riusciva, il suo
viso era asciutto e lo sarebbe rimasto, il cuore invece sanguinava e faceva
male. Un dolore sordo e pulsante che lentamente si stava diffondendo per tutto
il corpo, chiuse gli occhi e si raggomitoló su un fianco abbracciando un
cuscino.
Sulle labbra aveva ancora
il sapore del suo bacio, tenero e dolce come pochi, come si rimetteva insieme
un cuore in frantumi? Come avrebbe fatto ad andare avanti senza di lui? Come al
solito tante domande e nessuna risposta, non una per lo meno che le potesse
portare conforto.
André salì in macchina e
inizió a guidare come un disperato per le strade della cittá, rischiando di
andare a schiantarsi un paio di volte, ma non gli importava, era completamente
insensibile a tutto quello che lo circondava, non voleva vedere niente e non
voleva pensare a niente.
Perché iniziare a pensare
alla scenata appena accaduta nell’appartamento di Oscar, rischiava solo di
farlo ammattire. L’aveva persa, lei lo odiava, aveva stampato in mente in
maniera indelebile, l’espressione carica di dolore che le aveva visto quella
sera e lui era stato la causa di tutta quella sofferenza. Come poteva farsi
perdonare e avere una seconda possibilitá?
Dopo la terza quasi
collisione con un’altra macchina, decise che forse era meglio fermarsi, non
sapeva dov’era e non gli interessava, ora gli importava solo cercare di placare
il battito del cuore e l’ondata di pena che gli stava attraversando il corpo
facendogli tremare le mani. Aveva rovinato tutto, ma non si sarebbe arreso,
avrebbe trovato il modo di riconquistarla, quello che si era creato tra loro
non poteva finire in questo modo, avrebbe lottato con le unghie e con i denti per
riaverlo.
Ora peró doveva cercare di
tenere in vita quella donna cocciuta, prese il cellulare e chiamó un numero
dalla rubrica.
-Simon sono André, la mia
copertura é saltata, dobbiamo chiudere l’indagine il piú in fretta possibile-
Quando Oscar riaprì gli
occhi non seppe dire quanto tempo fosse passato, se pochi minuti oppure ore,
non aveva importanza, sembrava che finalmente avesse riacquistato una parvenza
di calma, anche se il dolore era sempre lì, dubitava di vederlo passare tanto
presto.
A fatica si mise a sedere e si strofinó gli
occhi, la testa le scoppiava, vagamente si rese conto di non essersi tolta
nemmeno la giacca quando era arrivata a casa, poco male avrebbe direttamente
buttato i vestiti nella spazzatura, non li voleva rivedere mai piú.
Con passo stanco andó a
prendere la sua valigetta, mentre era in stato catatonico le era venuta un’idea
su come uscire da quel pasticcio senza rimetterci la vita e la carriera, ed
includeva il coinvolgimento dell’FBI, aveva conservato il biglietto da visita
datole dal “brutto”.
Travis Perkins
Tel. 555-6394
-Thó guarda “il brutto” ha
anche un nome-
Prese il telefono e compose
il numero, fece diversi squilli prima che una voce assonnata le rispondesse
pronto.
-Agente Perkins, sono la
signorina De Jarjeyes-
-Signorina sta bene? Le é
successo qualcosa?- la voce era divenuta subito attenta.
-No sto bene, per il
momento almeno. Ho ripensato a quello che mi ha detto e...se decido di
aiutarvi, lo faró solo alle mie condizioni- gli spiegó decisa.
-Signorina, non credo che
lei abbia le conoscenze necessarie...-
-Questi sono i patti- lo
interruppe piatta –non ho nessuna intenzione di rimetterci vita e carriera in
modo che lei e suoi colleghi vi possiate coprire di gloria-
Ci fu qualche secondo di
silenzio.
-Quali sono le sue
condizioni?-
-Non al telefono, meglio
incontrarci di persona, ci sono delle cose di cui lei e suoi colleghi non credo
siate a conoscenza-
-Va bene la contatteremo
noi con l’ora e il luogo dell’incontro-
-Daccordo- e chiuse la
comunicazione.
Andó alla finestra e aprì
le tende, il cielo iniziava a schiarirsi lentamente, presto sarebbe arrivata
l’alba, un nuovo giorno, si rese conto di non aver nulla da aspettare con
impazienza per la nuova giornata, non il lavoro, non il suo amore, a quel
pensiero un’altra fitta al cuore le fece trattenere il respiro.
Tutti quelli che dicevano
che era meglio “aver amato e perso che non aver amato affatto” erano idioti,
come si poteva sopportare una sofferenza del genere piú di una volta nella
vita? Bisognava essere masochisti.
Mai piú, si disse
osservando con sguardo freddo il sole che tingeva il cielo di un pallido rosa,
mai piú avrebbe permesso a qualcuno di entrare nella sua vita in maniera così
profonda, come lo aveva permesso ad André. Si sarebbe dedicata al lavoro e avrebbe
smesso di perdere tempo persa in sogni ad occhi aperti, che non le aveva
portato altro che un brusco risveglio.
Con ironia constató che
alla fine, stava per diventare esattamente quello che suo padre aveva sempre
desiderato, una donna d’affari spietata e senza cuore. Il suo cuore ormai era
stato ridotto in briciole da due profondi e dolci occhi verdi.
Oscar arrivó in ufficio in
ritardo, di proposito, quel giorno avrebbe dovuto mettere in moto il piano
ideato dai federali il giorno prima. Aveva passato ore in loro compagnia
progettando una fine a tutta questa faccenda, lei gli aveva offerto le prove
delle operazioni di furto, frode e evasioni fiscali attuate da Roger e e Mark
Spencer e loro non avrebbero fatto in alcun modo il suo nome e le avrebbero
fornito protezione fino a quando tutto non si fossero accertati che in nessun
caso lei sarebbe stata coinvolta. Avrebbe dovuto lasciare la cittá per qualche
giorno, ma tanto non avrebbe più avuto un lavoro a cui rendere conto.
La loro idea era di evitare l’ergastolo ai due
in cambio del loro aiuto per incastrare la famiglia Marino, indipendentemente
da quanto i loro avocati di difesa sarebbero stati bravi, con le prove da lei
fornite la prigione non gliela toglieva nessuno.
Inoltre non sarebbero
durati a lungo dietro le sbarre visto che Vincent Marino avrebbe trovato un
modo per eliminarli, la loro unica possibilitá sarebbe stata quella di collaborare,
non gliene avrebbero dato altra.
Ora lei doveva cercare di
trafugare i dati contenuti nel portatile chiuso nell’ultimo cassetto della
scrivania di Roger, aveva una serie di dischetti a un cd fornito dai federali
che le avrebbe consentito di bypassare eventuali misure di sicurezza, il fatto
di avere una cimice e un segnalatore di posizione cuciti nel reggiseno le dava
un pó di sicurezza in più, doveva solo trovare il momento adatto.
Si diresse prima nel suo
uficio, non voleva dare eccessivamente nell’occhio, cercó di non badare alla
scrivania vuota che negli ultimi tempi era stata occupata da André, nelle
ultime ore era riuscita a far scendere il dolore a livelli sopportabili, ora
non rischiava più di toglierle il respiro, non poteva fare a meno di chiedersi
dove fosse ora e cosa stesse facendo. Il modo in cui si erano lasciati pesava
anche a lui, oppure era sollevato che le cose fossero finite tra loro?
Scuotendo la testa per schiarirsi le idee si tolse cappotto e giacca e riprese
la valigetta, non doveva pensarci, adesso se la fortuna l’assisteva l’ufficio
doveva essere vuoto e sbarazzarsi di Louise sarebbe stato relativamente facile.
Il cuore le batteva
all’impazzata, sapeva che i federali stavano seguendo ogni suo movimento, ma
quella certezza non l’aiutava, quello che stava facendo era pericoloso, a
questo punto non aveva nessuna idea su come avrebbe reagito Roger se si fosse
sentito braccato.
Quando arrivó difronte
all’ufficio di Roger non poté credere alla sua fortuna, la segretaria non era
alla scrivanie e l’uomo non era nel suo ufficio.
Come un fulmine chiuse la
porta e corse alla scrivania, le avevano detto l’ultimo cassetto, provó ad
aprirlo, chiuso a chiave, i federali le avevano fornito un passe-partout, erano
pronti a tutto quelli, si liberò della serratura senza problemi, il portatile
era dove le avevano detto.
Lo accese e attesse che
finisse di caricare, per poi inserire il cd con il programma che le avevano
dato, non avrebbe lasciato nessuna traccia sulla memoria fissa quindi nessuno
si sarebbe mai accorto nel furto di dati.
Dopo pochi minuti inserì il
primo dischetto e inizió a scaricare varie liste di bonifici bancari, con
destinatario, numeri di conto e nomi insieme ai fascicoli che aveva giá
consegnato, sarebbero bastati per fargli avere una condanna si settant’anni a
testa, certo c’era la possibilitá che ne uscissero molto prima per buona
condotta, ma la mafia non avrebbe aspettato.
Tolse il terzo dischetto e
ne inserì un quarto, ma quanto ci metteva! Le sembrava di essere lì da
un’eternitá, quando invece erano passati solo dieci minuti, chiunque sarebbe
potuto entrare e scoprirla in fragrante reato.
Con un’ondata di panico
sentì delle voci fuori dalla porta, Louise era tornata.
-Aspettatmi Janice, lascio
queste pratiche sulla scrivania del signor Whittaker e vengo con a pranzo con
te-
Stava per essere scoperta!
Cosa poteva fare?
Più in fretta che poté
infiló tutto sotto la scrivania e vi strisció anche lei sistemando la sedia
davanti, la luce dello schermo sembrava come un faro acceso nella notte, senza
fare rumore lo chiuse, in quel momento la segretaria entró ridendo e
continuando a chiaccherare con l’amica, non aveva neanche lanciato un’occhiata
al tavolo.
Con sollievo Oscar attese
che la porta si fosse richiusa, prima di dare un’occhiata al monitor, quel
maledetto le chiedeva di inserire un’altro dischetto! Con destrezza eseguì
l’operazione decidendo di stare nascosta.
Il download finì in pochi
secondi, chiuse il portatile e lo rimise al suo posto, richiuse il casssetto e
infiló i dischetti nella sua valigetta, doveva andarsene veloce come il vento!
Ma quando aprì la porta per
uscire si ritrovó faccia a faccia con il diavolo in persona. Mark Spencer.
-Signor Spencer! Che
piacere rivederla- con un enorme sforzo di volontá si impose di calmarsi,
l’aveva vista solo uscire dall’ufficio di Roger, non poteva sospettare che
stesse facendo qualcosa.
-Signorina De Jarjeyes, che
deliziosa sorpresa- cosa ci faceva li?
-Se sta cercando il signor
Whittaker non é in ufficio, volevo aspettarlo ma mi sono resa conto di essere
in ritardo per una riunione- si diede un dieci e lode per l’assenza di
nervosismo dalla voce.
-Ma che peccato, mi sarebbe
piaciuto invitarla a pranzo- stava combinando qualcosa ne era certo,
-Mi spaice ma sono in
ritardo, arrivederci- lo oltrepasso senza guardarlo e si incamminnó lungo il
corridoio con quella che sperava risultasse come un’andatura dignitosa, stva
facendo ogni sforzo necessario per non correre.
Mark rimase a guardarla per
qualche minuto, poi andò nell’ufficio del suo socio. Nessuno lo sapeva ma nella
stanza avevano fatto installare un sistema di sorveglianza audio e video con
sensori di movimento, si ativava solo se qualcuno entrava nell’ufficio, non si
sapeva mai cosa sarebbe potuto risultare utile. Le immaggini venivano mandate
automaticamente ad una centralina raccolta dati, ma se se ne aveva la necessita
c’era una cassetta registrata che ti forniva le immaggini delle ultime quattro
ore.
Aprì un finto pannello di
legno dietro al mobile del bar e prese il nastro, ora avrebbe scoperto cosa
stava combinando la biondina da sola nell’ufficio del suo capo. In pochi
secondi le immagini di Oscar che scassinava la scrivania vennero proiettate sul
televisore, ed in quel momento Roger decise di fare ritorno nel suo ufficio.
-Roger, entra e chiudi la
porta per favore, sei appena in tempo per lo spettacolo- disse divertito.
-Cosa ci fai qui? Ti ho
detto che non mi piace quando vieni nel mio ufficio!- qundo gli si mise
affianco per poco non gli venne un colpo –che diavolo é quella roba?-
-A quanto pare siamo stati
scoperti- quello complicava un pò le cose, ma non era irreparabile, li forzava
solo ad accellerare i tempi.
-Mio dio! Cosa sta facendo
con il mio portatile!- stava per venirgli una crisi respiratoria.
-Calmati Roger-prese carta
e penna dalla scrivania e scrisse sul foglio “molto probabilemente ci sono
cimici nel tuo ufficio, segui quello che dico senza fare storie” –ora che siamo
stati scoperti ci tocca accellerare l’operazione, dobbiamo sparire questo
pomeriggio stesso-
-Hai ragione, immaggino che
sia tutto pronto- improvvisó alla cieca.
-Certo, il piccolo aereo
privato che ci deve portare a Cuba é pronto alla partenza, avviseró il pilota
di aspettarci per le 18:00. dovremmo
avere abbastanza tempo per raggiungere Forest Hill- quello era l’aereoporto più
lontano a cui era riuscito a pensare, se qualcuno aveva intenzione di fermarli,
una volta scoperto l’inganno avrebbe impiegato almeno un’ora per tornare in
cittá, e per quel tempo loro sarebbero giá andati via.
-Va bene Mark ci
incontriamo direttamente lì- oramai l’uomo stava sudando copiosamente ed era in
preda al panico, il socio gli indicó di nuovo il foglio, diceva “ci vediamo al
magazzino alle 17:00, partiamo stanotte con la barca. Lascia a me la puttanella
bionda”, lui fece solo un cenno con il capo.
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Capitolo 20 *** CAPITOLO 20 ***
Oscar si chiuse nel suo
ufficio e prese il cellulare, aveva un numero da contattare, bastava che
mandasse un sms, e poi i federali avrebbero fatto il resto, le venne difficile
scrivere quelle due semplici parole “missione compiuta”, stava tremando come
una foglia. Il messaggio venne spedito e lei si sedette sul divano gettando il
telefono di lato.
Ora
doveva solo aver pazienza e aspettare.
Un improvviso bussare alla
porta per poco non la fece cadere dal divano, chi poteva essere?
-Avanti?- fece una veloce
scansione dell’ufficio alla ricerca di qualcosa che potesse usare come arma,
magari....
-Pony Express signorina- le
disse il ragazzo in tuta e giubbottino fluorescente.
-Eh?- doveva essere
qualcuno finito nell’ufficio sbagliato, maledizione a lui! Le aveva fatto
venire un accidente!
-Ci è stato detto che lei
ha un pacco per il signor Travis Perkins, sono venuto a prenderlo- le spiegó
con calma.
-Oooh....- era uno degli
agenti del “brutto” sotto copertura –certo, ora ricordo-
Prese i cinque dischetti e
li mise in una busta marrone.
-Questi devono essere
consegnati al signor Perkins il piú in fretta possibile-
-Non si preoccupi
signorina- le porse un foglietto ripiegato –questa è la sua ricevuta-
-Grazie- una ricevuta?
Quando l’uomo lasció
l’ufficio spiegò il fogliettino, era un messaggio per lei “se ne vada
immediatamente, sul retro del palazzo c’è un nostro agente che l’aspetta per
portarla in salvo”.
Non se lo fece dire due
volte, afferrò solo il telefono e lasció lì tutto il resto, tanto non le
sarebbe servito. Senza dire nulla a nessuno prese l’ascensore e scese al pian
terreno, sapeva che non lotano dai bagni delle signore c’era un uscita di
sicurezza che dava su una strada laterale, le bastava girare l’angolo e avrebbe
trovato l’agente.
La porta si spalancò e lei
si mise a correre, sul marciapiede c’erano poche persone, nessuno si sarebbe
preoccupato di lei. Non appena ebbe girato l’angolo vide un uomo scendere da
una macchina scura, doveva essere l’agente mandato da Perkins.
-Faccia in fretta
signorina!- la incitó facendo il giro per aprirle la portiera.
Poi tutto successe così in
fretta che lei non ebbe il tempo di reagire in nessun modo. L’egente era a
terra e lei si ritrovò con una pistola puntata al fianco lontano dalla vista
dei passanti che si erano raggrupati attorno all’uomo che sembrava essere
collassato, qualquno gridó per un’ambulanza, nessuno aveva notato l’uomo che
ora le stava affianco emergere dalle ombre.
-Sali in macchina e mettiti
al volante. Non fare mosse false altrimenti finisce male, oramai non ho piú
nulla da perdere- le bisbiglió l’uomo svelto.
Mark Spenser l’aveva
scoperta.
Cercando di mantenere la
calma si mise al volante, non voleva che quel pazzo si mettesse a sparare su
dei passanti innocenti.
-Cosa hai fatto a qul
poveretto?- volle sapere, mentre metteva in moto e si inseriva nel traffico
cittadino.
-Non l’ho ammazzato, se é
quello che pensi, l’ho solo tramortito, stará fuori dai piedi il tempo
necessario per potercela dare a gambe- le fece un sorriso maligno –ora dimmi
dove sono i dischetti che dovevi consegnare a quell’agente. Perché era un
agente dell’FBI quello vero?-
-Si era dell’FBI, e per
quanto riguarda i dischetti non li ho piú, li ho gia passati ad un’altro
ufficiale- ebbe il piacere di sentirlo imprecare, visto che era alla guida non
le poteva fare nulla, altrimenti si sarebbero schiantati in due.
-Ti faró rimpiangere il
giorno che hai deciso di ficcanasare nei miei affari!- le promise con rabbia.
Come se giá non lo facesse,
pensó lei con il cuore in gola.
André sbadiglió e bevvé
un’altro sorso di caffé, al momento la caffeina era l’unica cosa che lo teneva
lucido, non riusciva a dormire e aveva mangiato pochissimo negli ultimi due
giorni. Sapeva che l’indomani sarebbero usciti sulla prima pagina del giornale
gli articoli scritti da lui e da Alain, allora la bomba sarebbe scoppiata, se
anche i federali erano coinvolti e sapevano di lui, tutto sarebbe stato una
corsa contro il tempo per vedere chi si aggiudicava tutte le glorie
dell’indagine. Ora la questione era: chi avrebbe fatto la prima mossa.
Quindi al momento era mezzo
sdraiato sul sedile anteriore del suo maggiolino e parcheggiato in una stradina
laterale, teneve contemporaneamente d’occhio l’edificio dove lavorava Oscar e
il monitor del portatile che aveva acceso sul sedile affianco, una piccola spia
luminosa gli indicava che lei era ancora nel suo ufficio.
Qunado le aveva sistemato
dei segnalatori di posizione nella valigetta, nel telefono e nel cappotto non
avrebbe mai pensato che un giorno li avrebbe usati, il sistema di sorveglianza
era un prestito da parte di un amico patito di gadget di Simon.
Vide il puntino luminoso
spostarsi sullo schermo, Oscar stava lasciando l’edificio, ed ora si stava muovendo
velocemente, doveva aver preso un taxi, accese il motore pronto a seguirla,
quel tipo di segnalatore aveva un raggio di cinque km, quindi non aveva nessuna
paura di perderla.
Ben presto peró si accorse
che qualcosa non andava, stava seguendo un percorso che gli era familiare,
verso il porto, che stesse andando....no! non poteva essere così temeraria da
andare al magazzino sul molo!
Invece si, ormai la
direzione del puntino luminoso era piú che evidente. Cosa sta andando a fare
laggiú?
Certo della loro meta,
André premette il piede sull’acceleratore, seguendo una via meno trafficata,
con un pó di fortuna sarebbe dovuto arrivare prima di loro. Difatti era
arrivato da qualche minuto quando vide un’auto scura fermarsi davanti
all’ingresso del magazzino, ma quando vide la persona che accompagnava Oscar
gli venne un colpo, era Mark Spencer e a quanto pareva la stava tenendo sotto
tiro con una pistola.
Li vide sparire dietro la
vecchia porta in legno senza darsi un’altra occhiata attorno, non l’avevo
visto.
Apparentemente, erano stati i cattivi a fare
la prima mossa.
Prese il telefono e chiamó
Simon.
-André! Come va la
sorveglianza?- domandó con interesse.
-A rotoli, stammi a
sentire, hai ancora quel conttatto all’FBI?- non aveva un minuto da perdere
ogni secondo era prezioso per la vita di Oscar.
-Si, siamo ancora in ottimi
rapporti, perché?-
-Mi serve un favore,
ascoltami bene-
Dopo aver lasciato Simon
con istruzioni ben precise scese dalla macchina senza idugio, non avrebbe
permesso a quei criminali di far del male alla donna che amava.
Oscar venne condotta nel
magazzino che aveva giá visitato un paio di notti fa, e vicino al cumulo di
casse di legno c’era un agitato Roger Whittaker che aspettava passeggiando
avanti e indietro, che sgranó gli occhi non appena li vide.
-Cosa ci fai lei qui!-
chiese nervoso –avevi detto che te ne saresti occupato in maniera definitiva!-
-Non agitarti Roger non ti
fa bene, tu vatti a mettere vicino a quelle casse e non ti muovere- le diede
uno spintone per farla muovere.
–Dove sono i dischetti con i dati trafugati
dal mio portatile?- il suo capo non era piú l’affabile uomo d’affari –li
rivoglio!-
-Come ho giá detto al suo
socio in macchina, non sono in mio possesso- senza farsi notare si diede
un’occhiata in giro, doveva procurarsi un arma di qualche tipo e sfuggire ai
due, non c’era nulla facilmente raggiungibile, l’avrebbero fatta fuori prima
che potesse muovere solo un muscolo.
-Cosa!- gridó confuso.
-A quanto pare li ha giá
consegnati all’FBI- rispose calmo Mark, non sembrava affatto perturbato dalla
cosa.
-All’FBI! Ci saranno alle
costole in men che non si dica!- era diventato pallido e aveva iniziato a
sudare.
-Non ti agitare, oramai
dovrebbero essere all’aereoporto a dare la caccia ai fantasmi. Ora tieni la
pistola e cerca di tenere a bada la nostra ospite-
Sicuro che il suo socio
avesse tutto sotto controllo, scoperchió una delle casse e ne tirò fuori dei
documenti e un portatile, lo collego alla rete tramite il cellurare e inizió a
picchettare sulla tastiera.
Oscar si guardò di nuovo
attorno, magari poteva distrarre Roger e nascondersi da qualche parte in cerca
di una via d’uscita.
-Non ci pensare, se solo ti
azzardi a muovere un sopracciglio ti sparo!- ma la sicurezza della minaccia
contrastava pesantemente con il tremore della mani.
Era terrorizzato constató
lei, forse riusciva a farlo parlare e a convincerlo a mettersi contro Mark e a
costituirsi, all’FBI serviva tutto l’aiuto che lui gli avrebbe potuto fornire.
-Perché Roger? Perché ti
sei associato con uomo del genere?- chiese indicando Mark con un gesto della
testa –credevo fossi una persona per bene-
-In caso non l’avessi
ancora capito, non ci sono persone per bene all’interno della Frasier
Assicurazioni- le disse freddo –chi piú chi meno ha venduto l’anima a Vincent
Marino-
-Non riuscirai a farla
franca tanto facilmente Roger- gli disse calma –perché non ti costituisci? Sei
ancora in tempo-
-L’FBI al momento é
impegnata in una caccia al tesoro senza sbocchi, quando arriveranno qui non
troveranno niente e nessuno- ma la mano ebbe un’altro tremito.
-Che ne sará di tua moglie
e di tua figlia?- qualcosa doveva pur convincerlo.
-Staranno benissimo, una
volta inscenata la mia finta morte, l’assicurazione sborerá un sacco di soldi,
ed io saró libero-
-Non sará così facile, non
vedi che il vostro piano ora fa acqua da tutte le parti? L’FBI ne é al
corrente, e anche la stampa-
-La stampa! Cosa diamine
stai farneticando, la stampa non ha nessun motivo di interessarsi a noi!-
-È interessata alle vostre
connessioni con la mafia locale, un
reporter é stato mandato sotto copertura nel mio ufficio, e ti posso assicurare
che ha scoperto un sacco di cose interessanti che andranno sulle prime pagine
molto presto- a quello vide la testa si Mark sollevarsi dal computer, ora
sembrava preoccupato –nessuno crederá alla vostra storia, e non smetteranno
certo di cercarvi-
-Non ci posso credere!- poi
si rivolse al suo socio con fare minaccioso –questa é tutta colpa tua! Se avessimo
chiuso la faccendo mesi fá ora non ci troveremo in questo pasticcio! La nostra
copertura é saltata!-
-Non importa- ribadì, ma
sapeva che quella era una complicazione indesiderata –il trasferimento dei
fondi é quasi ultimato, tra una decina di minuti potremmo andarcene, anche se
sanno dove sono i soldi ora, non riusciranno mai a rintracciarli una volta
spostati nelle banche di tutto il mondo-
-Visto, non c’é nulla che
puoi fare per fermarci!- disse Roger trionfante e parzialmente rabbonito dalla
sicurezza del suo socio.
-Così sembra- il suo tempo
stava per scadere, cosa poteva fare? Cercare di guadagnare altro tempo –dimmi un’altra
cosa, perché io? Perché avete scelto me come vittima predestinata?-
Guardó incerto il suo
socio, come se non fosse sicuro se rivelarle la veritá o meno, ma lui era
impegnato altrove e tanto lei sarebbe morta, che male poteva fare?
-È stata un’idea di Mark,
dopo che il nostro precedente socio si era tirato indietro e fummo costretti a
trovare un rimpiazzo, era anche in ordine un cabio di strategia, così
scegliemmo te dopo aver letto il curriculum. Tutto il consiglio era contro
perché eri una donna, ti ritenevano inadatta al lavoro-
Questa poi! Pensó lei
furente.
-Cosa che ha giocato a nostro
favore, una volta scoperto l’ammanco di denaro, si sarebbe alzato un coro di “lo
sapevamo!” ed io sarei stato accusato di uno stupido errore di giudizio nel
voler assumerti e niente altro-
-Sembra che abbiate pensato
proprio a tutto- disse sarcastica.
-Si proprio a tutto. Abbiamo
finito- il tono di del biondo avvocato sembrava assai soddisfatto, mentre
prendeva un’asse di legno e fracassava il portatile.
-Dammi la pistola Roger, la
signorina qui é stata fin troppo paziente e noi non abbiamo piú tempo-
L’uomo gliela diede senza
fare troppe storie, non era un uomo d’azione lui, preferiva lasciare a Mark i
lavori sporchi, lui era il burocrate della banda.
-Ora é arrvato il momento
di fare un pó di pulizia-
Con un sorriso perfido premette
il grilletto senza pietá e il rumore dello sparo echeggió nel magazzino semi
vuoto .
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Capitolo 21 *** CAPITOLO 21 ***
Oscar rimase immobile con
gli occhi chiusi, aspettava una fitta di dolore da qualche parte o la luce
calda che ti aspetta alla fine del tunnel, o qualche altra delle sensazioni che
si dovrebbero provare da morti, ma non accadde nulla, era ancora viva.
Spalancó gli occhi e quello
che vide le ghiacció il sangue, Mark teneva ancora in mano la pistola fumante,
e guardava quasi con disprezzo il cadevere che ora giaceva a pochi passi da
lui, aveva sparato a brucia pelo uccidendo Roger.
-Mio Dio...- bisbiglió
senza accorgersene, ed ebbe l’effetto di attirare l’attenzione dell’uomo su di
se.
-Non preoccparti dolcezza
verrá anche il tuo turno, bisognava eliminare gli anelli deboli della catena
prima, devo dire che se non mi fosse stato utile, l’avrei eliminato molto tempo
prima-
Quell’uomo era un pazzo
maniaco, un assassino a sangue freddo.
-E come credi che si
spiegherá la piolizia questa scia di cadaveri che ti stai lasciando dietro?- il
suo cervello crecava freneticamente un via di fuga, non poteva starsene li
senza far nulla spettando che lui le sparasse!
-Molto semplice mia cara-
inizió a spiegare azionando il tamburo della pistola –una lite tra amanti-
-Cosa?- nessuno avrebbe mai
creduto che lei e Roger...brrr!
-Come ti credi che verrá
interpretato il fatto che lui si sia battuto con le unghie e con i denti contro
il consiglio per farti assumere? E visto che anche Roger verrá coinvolto nello
scandalo dei fondi mancanti, si pensera che voi due agivate in comunella, alla
fine siete stati traditi da un litigio durante la fuga e vi siete fatti fuori a
vicenda, che peccato, eri anche carina, un vero spreco!- gli scappó una risata
–bando alle ciance mia cara ho una barca da prendere-
Ma prima che potesse
premere il grilletto, una delle casse che stavano in cima alla pila alla sua
sinistra, cadde schiantandosi al suo fianco con un gran fracasso, e facendolo
finire disteso per terra, momentanemaente frastornato.
Dopo un primo momento di
sorpresa Oscar scattó in azione, con i fedeli tacchi a spillo gli infilzó la
mano che teneva la pistola per poi calciarla lontano in mezzo ad un mucchio di
rifiuti, non l’avrebbe di certo ritrovata così facilmente, stava per girarsi e
scappare, quando per ripicca gli sferró anche un calcio dritto sulla milza.
Quando qualcuno l’afferró
per un gomito pronto a trascinarla via, agì d’istinto e gli sferró un pugno
dritto in un occhio, che per fortuna mancó colpendogli una spalla.
-Va bene piccola Tyson, ora
andiamocene peró!- si massaggió la zona dolente iniziando a tirarla verso
l’uscita.
-André ma cosa...- come era
arrivato lì prorpio al momento giusto?
-A dopo le spiegazioni, al
momento siamo un pó in pericolo- le fece notare spiccio.
-Aspetta!- gridò
all’improvviso, si era ricordata del portatile, anche se era a pezzi i dati si
potevano sempre recuperare dall’hardware, era l’unico modo che avevano per
rintracciare il denaro sparito.
Tornó indietro e afferrò
quello che le interessava.
-Oscar!- la rimproveró
stupefato, certo non gli stava facilitando il salvataggio, Spencer sarebbe
potuto rivenire in qualsiasi momento.
-Andiamo-
Fianco a fianco si misero a
correre verso l’altro lato del capannone dove stava l’ingresso, ma nessuno dei
due aveva previsto la comparsa dell’uomo munito di pistola che ora gli sbarrava
la strada.
-State andando da qualche
parte?- Thomas Dratt era errivato per unirsi al gruppo.
Oscar e André si guardarono
stupefatti, da dove era saltato fuori?
-Noto che siete sorpresi,
ma prima dite che ne avete fatto del mio socio?-
-Quale dei due?- gli chiese
André con un soppracciglio alzato.
Ma il socio in questione
stava correndo verso di loro tenendosi la mano dolorante, i tacchi di Oscar
dovevano avergli fatto davvero male.
-Mark sei un idiota!- lo accusó
senza mezze misure non appena gli fú vicino –sono entrato perché ho sentito lo
sparo! Dovevi usare un silenziatore!-
-Sta zitto! Andiamoce
allora!-
-E questi due?- chiese
agitando la pistola nella loro direzione.
-Legali da qualche parte e
fai saltare questo posto come stabilito. Voglio che la puttana muoia soffrendo-
rispose lanciandole uno sguardo carico d’odio.
I due uomini armati li
legarono stretti a delle vecchie tubature che correvano lungo il muro.
-Giusto per curiositá
signor Dratt, lei come é entrato a far parte della banda- André strattenne una
smorfia di dolore, il bastardo ci sapeva fare con i nodi.
-Un conto da sistemare con
vincent Marino, sai come si dice, colpisci il nemico dove fa piú male, con il
suo strozzinaggio ha mandato la mia impresa sull’orlo della banca rotta, ed io
ho preso al volo l’opportunitá di vendicarmi- fece un passo indietro per
ammirare il suo lavoretto, erano legati come il tacchino di natale, e presto
questo posto sarebbe stato piú rovente di un forno.
-Non riuscirete a scappare,
L’FBI é stata avvisata dell falso allarme, non sono mai arrivati a
quell’aereoporto- Siamon gli aveva mandato un breve sms con gli ultimi
aggiornamenti, i federali sarebbero dovuti arrivare a minuti –oramai saranno a
pochi isolati da qui-
-Maledizione!- imprecó
l’avvocato –tutta colpa vostra! Ancora pochi attimi e l’avremmo fatta franca!-
sollevó la pistola pronto a farli fuori entrambi, ma l’altro lo bloccó.
-Dammi qui! Quella pistola
é registrata! Ti dovrai accontentare di farli arrostire!- prese un piccolo
telecomando dalla tasca –nulla di personale sapete, una volta premuto questo il
magazzino salterá in aria nel giro di tre minuti, con tutte le prove del mio
coinvolgimento-
Dratt premette il bottone e
gettó il dispositivo per terra, la porta di legno si chiuse con un tonfo alle
loro spalle, André e Oscar furono lasciati soli nel magazzino pronto ad
esplodere.
-Accidenti! C’é l’avevamo
quasi fatta!- disse lei tirando le corde, sperando che esse o le tubature
cedessero.
-Calmati, se tiri farai in
modo solo di stringere i nodi- facile a dirsi piú che a farsi, pensó lui mentre
cercava di infilarsi le mani in tasca, di sradicare le tubature non c’era
sparanza, non erano così vecchie come sembravano.
-Calmati!- gridó –stiamo
per saltare in aria in caso tu non te ne sia accorto!-
-Bingo!- rise, togliendosi
dalla tasca laterale un coltellino multiuso.
-E quello da dove sbuca
fuori?- chiese colpita, magari non sarebbero morti dopo tutto.
-Un ricordo delle giovani
marmotte!- aprì la lama e inizio a tagliere la corda, la quale era grossa e
indurita dal tempo e dalla sporcizia.
Oscar rimase a guardarlo
con il cuore che batteva all’impazzata, se fosse per la sua vicinanza o per la
situazione pericolosa in cui si trovavano, non avrebbe saputo dirlo, ma lui era
li, era venuto a salvarla, nonostante si fossero separati in maniera terribile
lui era venuto lo stesso. Giá ma come sapeva dove trovarla? Chiese la parte
ancora razzionale del suo cervello.
-Come hai fatto a sapere
dove trovarmi?- chiese guardinga.
La breve occhiata che le
rivolse le fece capire che stava per ricevere una risposta che non avrebbe
gradito.
-Ti stavo controllando,
diverso tempo fa ho sistemato dei trasmettitori di posizione nelle tue cose-
un’altro punto in suo sfavore.
-Mi stavi spiando!- invei
con voce alterata e gli occhi chiusi a fessurina –verme!-
-Oscar non é il momento!-
doveva sbrigarsi o sarebbero saltati in aria.
Con uno sbuffo sprezzante
distolse lo sguardo da lui, non poteva crederci, la stava spiando! Ma la solita
parte razionale le fece notare che era inutile offendersi, visto che se lui non
fosse arrivato ora sarebbe distesa in una pozza di sangue con una pallottola in
testa.
Fú distratta dai suoi
macabri pensiere, da uno strano e insistente “bip-bip”, incuriosita diede uno
sguardo la attorno, non vedeva nulla, ma il suono era vicino. Con la punta del
piede sollevó leggermente un pezzo di tela cerata che copriva un cumulo di
rifuti, quello che sentiva era il rumore del timer del detonatore, erano a
pochi passi da una carica di esplosivo, ma quello che la fece sbiancare erano
le dieci bombole con sopra scritto “gas” che stavano sotto al telo.
-André...- gemette
terrorizzata.
-Cosa c’è?- il tono di voce
non gli era piaciuto per nulla, e quando sengui il suo sguardo si bloccó per
qualche secondo –porca puttana!-
Freneticamente finì di
tagliare le sue corde e inizió quelle di Oscar, sul timer aveva visto che gli
restava solo un minuto, dovevano allontanarsi al piú presto o sarebbero
diventate carbonelle. La corda cedette e loro scattarono verso l’uscita
sperando che non fosse bloccata.
Si fiondarono fuori senza
fermarsi, dei furgoni scuri si erano appena fermati e una squadriglia armata
stava scendendo dalle portiere aperte.
-Allontanatevi sta per
saltare tutto in aria!- gridó André.
In quel momento scoppió
l’inferno e loro erano ancora troppo vicini.
I due giovani furono
investiti da una pioggia rovente di detriti e fumi velenosi, l’onda d’urto li
scaraventó per aria e André fece di tutto per farle scudo con il suo corpo e
proteggerla.
Oscar era ancora intontita,
la testa le faceva male, doveva averla sbattuta mentre cadeva, avrebbe avuto
una serie di lividi infinita, sentiva degli strani bruciori in diversi punti e
qualcosa di pesante che la stava schiacciando. Poi le arrivarono le grida sopra
il fragore dell’esplosione, dovevano essere i federali, il peso le venne tolto
di dosso e lei si azzardó ad aprire gli occhi.
Intorno a lei c’erano
persone che correvano in ogni direzione, il cielo era nero come la pece,
coperto da una spessa cortina di fumo, e lei sentiva dolore da per tutto, nel
suo campo visivo comparve un uomo che le si inginocchió accanto.
-Signorina si sente bene?-
era l’agente Perkins –che cosa é successo?-
-Sono al...molo- cercó di
dirgli, non dovevano lasciarli scappare.
-Come?- non la sentiva
bene.
-Mark Spenser e Thomas
Dratt...stanno cercando di scappare con una barca-
Doveva averla capita,
perché lo vide sbraitare ordini all’agente piú vicino, con perfidia speró con
tutto il cuore che fosse “il cattivo”, con fatica tentó di mettersi a sedere,
dov’era André?
-Rimanga sdraiata
signorina, potrebbe avere qualcosa di rotto- le disse l’agente che aveva
rimpiazzato Perkins.
-Sto bene...voglio vedere
come sta André-
-Signorina per favore-
sembrava a disagio –non è un bello spettacolo- le disse alla fine.
-Cosa...?- che fosse morto?
No!
Con disperazione si guardó
attorno, lui era sdraiato sullo stomaco immobile a pochi metri da lei lontano
dalle fiamme, senza indugio gli si avvicinò carponi. Non riuscì a trattenere il
grido di dolore che le salì alla gola nel vedere la sua schiena martoriata.
Si ricordava che lui
l’aveva stretta tra le braccia cercando di farle scudo, e quello era il
risultato ora, il suo giubbotto aveva preso fuoco come un fiammifero
lasciandogli sulla pelle estese ustioni.
-André amore...- chiamó
piano, ma lui non rispose, doveva essere svenuto.
La vista le fú offuscata
dalle lacrime, era tutta colpa sua, tutto quel pasticcio, avrebbe dovuto
rivolgersi direttamente alle autoritá e convincerlo a mollare tutta la
faccenda, invece ora........
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Capitolo 22 *** CAPITOLO 22 ***
L’ambulanza si fermó con
uno sdridio di gomme davanti al pronto soccorso, un gruppo composto da
infermieri e dottori li aspettava nell’ingresso, e Oscar li seguiva al massimo
della disperazione. I due paramedici avevano iniziato a protestare quando gli
aveva detto di aver intenzione di viaggiare con l’ambulanza, ma dopo averle
dato un’occhiata non avevano piú proferito parola, anche lei aveva disperato
bisogno di andar all’ospedale.
Ora lui era dentro una
delle salette per le prime cure e lei lo osservava impotente dalla porta a
vetri.
-Signorina?- un’infermiera
le si era avvicinata –cosa le é accaduto?-
-Nulla...io...- non
riusciva a staccare lo sguardo dall’uomo ancora incosciente dentro la saletta.
L’infermiere dette
un’occhiata prima a lei e poi dentro la saletta, l’esperienza le aveva fatto
capire la siatuazione al volo.
-Venga con me, anche lei ha
bisogno di cure mediche. Il suo amico verrá subito portato nel reparto
ustionati e lei potrá andare a vederlo non appena un dottore l’avrá visitata-
-No...non posso...- non
l’avrebbe lasciato solo per un minuto.
-Mi creda é in ottime mani-
gentilmente, ma con fermezza la condusse in una delle stanze usate per le
visite e la fece sdraiare su un lettino.
Due ore dopo arrivava
zoppicando alla stanza dove l’infermiera le aveva detto avevano sistemato
Andrè, ora era piena di fasciature. Aveva riportato due bruciature non gravi
sulla gamba sinistra, i palmi delle mani erano erscoriati, aveva un bernoccolo
sulla nuca e una serie di echimosi e tagli minori che si sarebbero fatte
sentire il giorno dopo, il dottore le aveva dato un antidolorifico e le aveva
detto che se voleva poteva andare.
E lei era andata dritta a
vedere come stava André.
Era in una stanza da solo, rimase
a guardarlo dal vetro che dava sul suo letto, il macchinario che controllava le
sue funzioni vitali che lampeggiava a un ritmo stabile, le sacche con dei
liquidi colorati appese ai loro sostegni metallici, era pieno di aghi e
tubicini. Non poteva morire si disse con fermezza, non l’avrebbe permesso!
-Signorina...-
La voce inaspettata la fece
sussultare, un uomo di mezza etá la stava guardando serio, portava il camice e
aveva una cartella in mano, doveva essere il dottore di turno.
-Conosce per caso il
ragazzo in quella stanza?- le chiese pacato.
-Si, sono la sua fidanzata-
dirlo a voce alta le faceva un certo effetto, anche perché a questo punto era
una bugia, visto che non stavano piú insieme –come sta dottore?-
-È ancora in prognosi
riservata, le bruciature non sono gravi come sospettavano, ma sono pur sempre ustioni
di terzo grado, se riusciamo ad impedire l’infezione si riprenderá in quattro o
cinque settimane, dipende dalle sue capacitá di recupero. Mi spiace ma una
volta guarito rimarrano delle brutte cicatrici, nei prossimi giorni posso far
venire il chirurgo plastico per vedere di salvare il salvabile-
-Lo posso vedere?-
-Certo, ma si faccia dare
camice e mascherina dall’infermiera, queste stanze sono progettate per rimanere
asettiche e ridurre al minimo i rischi di infezione- detto questo stava per
andarsene quando si voltó nuovamente verso di lei –se il ragazzo ha famiglia,
li contatti il prima possibile, bisogna essere preparati al peggio-
-Va bene, grazie dottore-
l’uomo la lasciò sola e lei tornó a guardare attraverso il vetro.
Come avrebbe detto ai
genitori di André,che il loro figlio era in fin di vita in un letto d’ospedale?
Un’immagine fugace di Linda in lacrime le attraversò la mente, non era una
telefonata che avrebbe voluto fare, ma non poteva aspettare, se in caso fosse
successo il peggio loro dovevano essere qui.
Raccogliendo tutto il
coragio prese il cellulare che era rimasto in tasca, non avrebbe potuto usarlo
nell’ospedale ma era un emergenza.
Una quindicina di minuti
dopo, munita dell’abbigliamento adatto, entrava nella camera di André, la
telefonata ai suoi genitori non era stata piacevole, in lacrime la madre le
aveva assicurato che sarebbero partiti con il primo aereo e Ryan li avrebbe di
sicuro accompagnati, era l’unico che fosse abbastanza vicino.
Con pesantezza prese posto
nella bassa poltroncina imbottita posta accanto al letto, l’infermiera le aveva
detto che l’avevano sedato con della morfina e che avrebbe dormito per diverse
ore, ora non le restava che vegliare al suo fianco e sperare per il meglio,
fece scivolare una mano nella sua stringendogliela appena e sperando che lui
avvertisse la sua presenza.
-Ti prego André non morire-
ma non ebbe nessuna risposta, solo il cadenzato “bip” dei monitor.
Durante la notte gli salì
la febbre e l’effetto della morfina stava svanendo, André aveva iniziato a
delirare e a chiamare il suo nome in continuazione, convinto di averla lasciata
morire nell’esplosione, e lei non poteva fare altro che stargli vicino e
cercare di rassicurarlo che stava bene e che era riuscito a proteggerla, ora
doveva solo riposare e pensare a guarire, gli sedeva accanto impotente, mentre
le infermiere cambiavano le sacchette delle sue flebo una dopo l’altra,
dovevano tenerlo idratato, far si che la febbre scendesse e medicargli la
schiena scongiurando sempre la comparsa di un’infezione, nel mezzo della notte
non riuscì piú a tenere gli occhi aperti e si addormentó, sempre tenendo
stretta la mano di lui.
L’infermiera che ebbe il
compito di svegliarla il giorno dopo, quasi se ne dispiacque, la collega del
turno precedente, le aveva detto che la ragazza bionda era rimasta su quella
poltrona per tutta la notte, senza mai lasciare la mano dell’uomo sdraiato nel
letto, ma fuori dalla porta c’era una coppia che sosteneva di essere i genitori
del paziente e volevano vederlo, e le visite erano ammesse una alla volta.
-Signorina si svegli- le
scosse gentilmente una spalla.
Oscar si svegliò di
soprassalto, trovandosi davanti il viso preoccupato di una giovane infermiera e
subito pensó al peggio.
-Non si preoccupi, il suo
amico sta bene, dorme, é solo che le visite sono ammesse solo una alla volta e
fuori ci sono i suoi genitori che vorrebbero entrare-
-Come?- ancora intontita
dal sonno le ci vollero diversi minuti per registrare quello che la donna le
stava dicendo –oh! Certo ora esco-
Quando si alzò dalla
poltrona tutto il suo corpo gridó in protesta, non c’era un angolo che non le
facesse male, e bruciature le pulsavano insistentemente, la testa le girava e
aveva dei crampi allo stomaco, era da ieri mattina che non mangiava nulla, non
la forma migliore per incontrare i genitori di lui, per fortuna le tende erano
tirate sul vetro che dava sul corridoio, non la potevano vedere.
Prima di andarse gli baciò
la fronte ancora calda e imperlata di sudore.
-Torno al piú presto-
L’incontro con George e
Linda fú denso di emozione, lei aveva gli occhi gonfi di pianto ma sembrava si
fosse ricomposta e anche lui aeva lo sguardo incupito dalla proccupazione,
entrambi vollero sapere cosa era successo, e Oscar gli diede una breve
versione, riveduta e corretta, degli avvenimenti degli ultimi mesi, che avevano
portato alla loro presenza nel magazzino quel giorno. Prima di sparire nella
camera di André le consigliarono di andare a casa a cambiarsi e di riposare un
pò, aveva l’aria di una che ne aveva passato delle belle e non sarebbe stata
utile a nessuno, stremata e sull’orlo del cedimento, sarebbe potuta tornare più
tardi per accertarsi delle condizioni di André.
Una volta sola Oscar si
sedette su una delle sedie riservate ai visitatori, non si reggeva più in
piedi, e il dolore stava lentamente prendendo possesso del suo cervello, Linda
aveva ragione era sull’orlo del collasso, doveva andare a casa per qualche ora,
almeno per cambiarsi i vestiti, che oramai erano da buttare.
-Caffé?- le disse una tazza
da sotto il suo naso.
Sollevó gli occhi e vide
Ryan che le sorrideva, non l’aveva visto insieme ai suoi genitori.
-Grazie- prese la tazza e
bevvé qualche sorso, per poco non venne avvelenata ma non si lamentó –scusa se
non ti ho salutato ma non ti avevo visto-
-Figurati, la mamma ha
ragione sai, dovresti andare a casa, fai spavento!-
-Molto gentile- disse
offesa cosa si aspettava!
-Andiamo biondina ti porto
a casa- si ofrì.
-Non vuoi vedere tuo
fratello prima?- chiese alzandosi.
-L’infermiera non mi fará
entrare e mamma chioccia non lascerá la postazione tanto facilmente, e poi- a
quel punto le rivolse un largo sorriso –se mio fratello scopre che non mi sono
preso cura di te e che ti sei sentita male sono dolori una volta lasciato quel
letto d’ospedale!-
L’intento era stato quello
di strapparle un sorriso e per quanto tiepido ci era riuscito.
Si incamminarono piano
verso l’uscita, anche i piedi le facevo un male atroce, poi si ricordó di avere
ancora addosso i tacchi a spillo, li avrebbe butti una volta giunta a casa
tutti! Uno dopo l’altro! Per il momento si accontento di sfilarsi questi e
gettarli nel primo cestino per l’immondizia che trovarono.
-Ah...- sospiró agitando le
dita dei piedi finalmente libere –molto meglio!-
-Decisamente- concordó lui
–ti sei abbassata di almeno dieci centimetri!-
Lei lo guardó a bocca
aperta, come poteva fare delle battute di spirito in un momento del genere?
-Sei oltraggioso lo sai?-
non sapeva ridere o infuriarsi, ma in un certo qual modo le aveva tolto un pó
della spossatezza che l’aveva pervasa.
-Solo nei momenti del
bisogno- poco sapeva Oscar che quello di fare delle battutine era l’unico modo
che Ryan aveva di scendere a patti con la possibilitá di stare per perdere il
fratello maggiore.
Una volta entrati nel taxi
e dato l’indirizzo all’autista, l’espressione di Ryan si fece seria.
-Allora, dimmi cosa é
successo. E dammi la versione originale e dettagliata, non quella che hai
fornito ai miei genitori-
Oscar lo guardó stanca,
tanto sarebbero rimasti a lungo nel traffico, che male poteva fare? Allora gli
raccontó tutto nei dettagli, omettendo quelli della relazione nata tra lei e il
fratello.
-Waw che pasticcio!-
esclamò colpito.
-Dillo forte, ora non ci
resta che sperare che la mafia non risalga mai a noi o siamo fritti-
-E il fatto che mio
fratello é innamorato perso di te, come entra in tutta la faccenda?- chiese a
brucia pelo.
-Non ci entra, la complica
e basta!- poi si rese conto di cosa aveva appena ammesso, la risposta le era
venuta automatica senza pensare, e dall’espressione di lui, era chiaramente
troppo tardi per ritrattare.
-Quello zuccone questa
volta l’ha combinata davvero grossa!-
-Siamo arrivati- sollevata
di poter cambiare argomento, non aveva nessuna voglia di discutere la sua
relazione con André, non ora per lo meno.
-Vuoi che ti accompagni di
sopra?- le chiese preoccupato, era pallida e sembrava stesse per crollare.
-Non c’é ne bisogno- voleva
rimanere un pò sola –é meglio se ora stai vicino ai tuoi genitori-
-Come vuoi, ci vediamo dopo
in ospedale-
Rimase sul marciapiede fino
a quando il taxi non si fu allontanato, poi si avvicinó al portone, per
ricordarsi che non aveva le chiavi, erano rimaste in ufficio, maledizione!
Avrebbe dovuto suonare per il portiere e farsi aprire da lui.
Fred, il portiere, era un
signore sulla cinquantina che rimase a bocca aperta nel vederla, doveva essere
ridotta davvero male se suscitava quel tipo di reazione.
-Cosa le é successo? Vuole
che le chiami un dottore?-
-Solo un piccolo incidente Fred,
e sono giá stata al pronto soccorso, non ti preoccupare, dovresti farmi la
cortesia di aprirmi la porta di casa, temo di aver perso le chiavi-
Una ventina di minuti dopo,
Oscar si trovava nuda davanti allo specchio esaminando i danni. Era conciata proprio
per le feste, i lividi spiccavano bluastri da per tutto, aveva due occhiaie
nere che facevano paura e i suoi capelli erano tutti bruciacchiati, avrebbe
dovuto andare dal parrucchiere farne tagliare un bel pó.
Andó in bagno per lavarsi
come meglio poteva, il dottore le aveva detto niente doccia per qualche giorno,
ora che ci pensava avrebbe dovuto cambiare la medicazione alle bruciature e
comprare la pomata che le era stata prescritta, piú tardi si disse, ora voleva
solo sdraiarsi nel letto comodo.
Ma quando si ritrovó
avvolta nelle coltri accoglienti del suo letto il sonno non veniva, ogni volta
che chiudeva gli occhi si ritrovava davanti l’immagine di André steso sul
lettino dell’ospedale che delirava e chiamava il suo nome. Il dottore non
l’aveva ancora dichiarato fuori pericolo, c’era ancora una distinta possibilitá
che non si riprendesse e lei rischiava di perderlo.
Le lacrime che si era
rifiutata di versare negli ultimi giorni le salirono agli occhi in un fiume
inarrestabile, e non riuscì a trattenere i singhiozzi che le scuotevano il
corpo, non poteva perderlo, non ora, non ora che le cose tra loro erano messe
così male. Non poteva continuare a fargli credere che tra loro non ci fosse piú
nulla da salvare, perché la sua rabbia nei confronti della sua duplicitá, era
evaporata come neve al sole, di fronte alla prospettiva di perderlo nulla
contava piú.
Il suo ultimo pensiero
coerente prima di addormentarsi tra le lacrime, riguardava la sua inabilitá di
stare a guardare mentre la vita lo abbandonava lenta, non per la seconda volta,
non ne avrebbbe avuto il coraggio.
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Capitolo 23 *** CAPITOLO 23 ***
Era oramai pomeriggio
inoltrato quando Oscar riusci a tornare in ospedale, vi erano stati ben pochi
cambiamenti nelle condizioni di André, apparentemente la febbre era scesa a livelli
accettabili, ma non scomparsa del tutto, non aveva ancora ripreso conoscenza,
ma quello poteva essere attribuito alla morfina, il dottore voleva gradualmente
diminuire la dose e vedere quale intensitá di dolore il paziente poteva
sopportare.
Si era offerta di rimanere
al suo fianco mentre il resto della sua famiglia andava a riposarsi, si
sarebbero stabiliti nell’appartamento di lui fino a quando non sarebbe stato in
grado di uscire dall’ospedale.
Quella fú la loro routine
per i seguenti quattro giorni, c’era sempre qualcuno al capezzale di André per
fargli compagnia, anche se la morfina lo metteva fuori combattimento per la
maggior parte del tempo, non importava a nessuno di loro, si sentivano di
essere utili in qualche modo e lui sembrava riposare con piú serenita se
avvertiva una presenza amica accanto.
La mattina del quinto
giorno Oscar venne scossa dal suo dormiveglia dalla stretta improvvisa della
mano che teneva intrecciata a quella di André, sembrava che stesse per
svegliarsi. La notte prima il dottore aveva ordinato solo un blando
antidolorifico e gli effetti dovevano essere svaniti da un bel pò, anche se non
l’aveva dichiarato completamente fuori pericolo, si era ritenuto soddisfatto
sull’inizio naturale del processo di cicatrizzazione.
-André- lo chiamó piano
accarezzandogli i capelli arruffati.
-Oscar...- sussurò ancora
prima di aprire gli occhi, anche se solo uno era visibile, visto che l’altro
era nascosto dalle lenzuola.
-Ci hai fatto prendere un
colpo, come ti senti?- avvicino il viso al suo, non voleva che facesse nessun
movimento incauto.
-Male cane...la schiena...-
-Lo so, ti sei arrostito
per bene- vide un angolo della sua bocca sollevarsi in una imitazione di
sorriso.
-Brucia maledettamente...-
la stretta della mano si accentuò.
-Vado a chiamare
l’infermiera, ti dará qualcosa per il dolore- cercò di liberare la mano ma lui
non la lasció.
-Voglio...vederti
piú...andare via...- non riusciva a pensare con lucidá, chissa di che cosa
l’avevano imbottito -...il fuoco...colpa tua...stare lontani...-
-André non sai quello che
dici, fammi chiamere l’infermiera- non poteva credere a quello che le stava
dicendo, doveva aver capito male.
-Dolore...tutto finito...mai
più...- non disse altro visto che era scivolato nuovamente nell’incoscenza.
Oscar non riusciva a
muoversi, tutte le sue paure si erano appena concretizzate, lì davanti ai suoi
occhi, André non la voleva piú vedere, voleva che gli stesse lontano e quello
che era peggio la considerava responsabile del brutto incidente di cui era
stato vittima. Gli guardó la schiena e quasi si sentì male al pensiero, che lui
avrebbe portato per sempre il ricordo di questa terribile esperienza, ed era
tutta colpa sua!
Con le ginocchia che le
tremavano andó fuori per chiamare l’infermiera, ma non ebbe il coraggio di
rientrare nella stanza, non voleva lasciarlo solo, ma non voleva neanche
essergli vicino se si fosse nuovamente svegliato e le avesse chiesto di
andarsene, non l’avrebbe sopportato.
Un paio d’ore dopo Ryan la
trovó ranicchiata su una sedia fuori dalla stanza di André, e dalla sua faccia
pensó che fosse accaduto qualcosa di terribile.
-Mio Dio Oscar cosa é
successo?- il terrore era palpabile in ogni parola.
-Nulla, tuo fratello sta
bene, si é anche svegliato e siamo riusciti a fare due chiacchere- due chiacchere
che non si sarebbe scordata tanto facilmente si disse con amarezza, poi si
preparó a raccontare la bugia che le avrebbe permesso di sparire senza che
nessuno si facesse domande o si chiedesse cosa fosse successo tra loro due
–devo andare a New Orleans per qualche giorno-
-Perché? È forse successo
qualcosa?- dal suo pallore doveva essere qualcosa di grave.
-Mia nonna non sta bene-
non ebbe il coraggio di guardarlo mentre mentiva così spudoratamente –l’hanno
ricoverata d’ugenza e devo andare ad accertarmi che non sia nulla di grave-
-Mi dispiace, André non
sará contento nel vedere che non sei qui-
-Giá- sconfittá uscì
dall’ospedale.
Una volta in strada, si
incamminò verso casa cercando di perdersi nella folla che gremiva i
marciapiedi, tutti erano in giro per le spese natalizie.
Le vetrine e i lampioni
erano decorati a festa, da per tutto si sentivano i cori natalizi che ti
invitavano ad unirti al canto con la loro allegria, tutti sembravano contenti,
come era possibile che non si fosse accorta che il natale era alle porte?
Per lei non era mai stato
speciale e quest’anno lo sarebbe stato ancora di meno, aveva solo voglia di
stare da sola e leccarsi le ferite in un angolino buio, non aveva piú speranze,
non avrebbe potuto ricucire il suo rapporto con André, era davvero tutto
finito, anche quando si erano separati prima dell’esplosione, segretamente
aveva sperato che una volta sparita la rabbia, si sarebbero potuti
riconciliare, appianare le loro divergenge e ricominciare da capo,
Ora nulla di tutto ciò
sarebbe accaduto, e lei avrebbe dovuto imparare a convivere con il senso di
colpa, di essere stata la causa di tanto dolore.
Le fredde giornate di
dicembre scorrevano lente, Oscar passava il suo tempo barricata dentro casa,
uscaiva di rado, se non per andare a comprare del cibo, gli articoli di
giornale comparsi sulla “Bureau Gazzette” avevano scatenato un putiferio, le
azioni della sua compagnia erano crollate e tutto era stato messo sotto
sequestro dall’FBI, il suo nome non era comparso da nessuna parte come
promesso, neanche in relazione all’esplosione del magazzino, la quale indicava
come unica vittima Roger Whittaker.
A quanto pareva i federali
erano riusciti a catturare le loro prede prima che varcassero i confini delle
acque territoriali con la loro barca, chissa se li avevano anche convinti a
collaborare. Ma non le importava.
Avrebbe dovuto cercarsi
un’altro lavoro, ma non riusciva ad interessarsi a nessuna delle posizioni disponibili
sul mercato, non era neanche sicura di voler ancora fare qul tipo di lavoro,
forse aveva bisogno di un cambiamento. Fú con quell’idea che decise di
andarsene da quell’appartamento, l’affitto era pagato solo fino al primo di
gennaio e se voleva vacarlo bastava dare due settimane di preavviso al padrone
di casa, e così fece, almeno aveva qualcosa da fare, impacchettare tutte le sue
cose e magari cercarsi una nuova casa.
Con tristezza le ci vollero
solo due giorni per impacchettare tutta la sua roba, non aveva certo riempito
quella casa con effetti personali, ma quello che le diede il colpo di grazia fú
la scatola piena delle cose che André aveva lasciato a casa sua, si rese conto
di aver toccato il fondo quando si ranicchiò sul divano con indosso un felpone
che conservava ancora l’odore di lui. Ora era ufficialmente patetica.
Ryan, convinto che lei
fosse fuori cittá e alle prese con una crisi familiare, le lasciava regolari
messaggi nella segreteria con il bollettino medico del fratello, per lo meno si
stava riprendendo rapidamente, il dottore l’aveva dichiarato fuori pericolo e
era disposto a dimetterlo un paio di giorni prima di natale, avevano deciso di
fargli fare la convalescenza a casa, dove i suoi genitori potevano prendersi
cura di lui.
Quello le fece decidere di
non andare a casa dei suoi per le feste, non voleva stare dove poteva cedere
alla tentazione di andare a vederlo e magari rendersi ridicola difronte a tutta
la famiglia riunita, sua nonna non era stata affatto contenta della notizia,
era dall’estate che non si vedevano, suo padre lo era anche meno stranamente, ma
poi aveva scoperto il perché.
Sapendo del crollo della
compagnia per cui lavorava era tornato all’attacco cercando di convincerla a
prenere il posto di presidente nella compagnia di famiglia, quello le bastò per
convincersi di aver preso la decisione giusta ed evitare la villa per un bel
pò, sarebbe rimasta a New York per Natale e magari avrebbe sviluppato un pò di
interesse nel rimaettere in sesto la sua vita andata a rotoli.
Natale era passato da
qualche giorno, tutti si stavano preparando per i festeggiamenti dell’ultimo
dell’anno, ma ad André non importava nulla, era sdraiano nel suo letto e si
crogiolava nell’auto-commiserazione, Oscar era sparita dalla circolazione e lui
non aveva il coraggio di chiamarla o di andare a trovarla.
Quando si era svegliato
all’ospedale e se l’era trovata vicino era stato al settimo cielo, non si era
fatta nulla e gli era rimasta vicino, aveva voluto dirle che gli dipiaceva, che
tutto quello che era successo non era colpa sua, che voleva che lo perdonasse e
che non lo lasciasse mai piú, ma il torpore provocato dalla morfina non lo
faceva pensare coerentemente e il dolore alla schiena era stato insopportabile.
Ora andava meglio, aveva
una benda di sei metri quadrati, ma non gli faceva piú male come prima, e gli
sarebbe rimaste delle belle cicatrici come ricordo della sua dissavventura, non
che gli importasse un gran che, con un po di chirurgia plastica il dottore
aveva detto che si poteva migliorare la situazione, ma di non aspettarsi una
scomparsa totale.
Mentre era perso nei suoi
pensieri macabri la porta della sua stanza si spalancò, e suo fratello Ryan
fece il suo ingresso con un’allegria che gli dava solo sui nervi, perché di
tutti i suoi fratelli lui doveva essere quello a vivere così vicino a casa dei
suoi? Se lo era ritrovato tra i piedi ogni santo giorno!
-Ehilá fratellone!- gli
passo accanto arruffandogli i capelli come se avesse cinque anni per poi
gettarsi sul letto affianco con un tonfo, e lontano da possibili vendette –che
fai qui tutto solo?-
-Ma non hai un lavoro da
fare!- rispose acido.
-Siamo sotto le feste caro
il mio Grinch!- l’aveva visto con il morale sotto le scarpe troppo a lungo, era
arrivato il momento di intervenire, era chiaro che le cose tra lui e Oscar
fossero messe male e non ne capiva il perché.
-Non hai nessun altro da
tormentare?-
-Perché fare la fatica, tu
sei a portata di mano- disse contento.
André nascose la testa nel
cuscino e gemetté di diperazione.
-Se non te ne vai dico alla
mamma che stai importunando il malato in convalescenza!- ebbe il risultato di
farlo solo scoppiare a ridere.
-Che credi che abbia,
ancora cinque anni?-
-Da come ti comporti, che
vuoi?-
-Veramente ero venuto a
chiederti se volevi venire con me per l’ultimo dell’anno. Vado con un paio di
amici a New York, magari se esci e ti diverti ti passa quel lungo muso!-
-No grazie- rispose secco,
l’ultima cosa che gli ci voleva era andare così vicino a dove stava Oscar.
-Possiamo comunque andare a
stare nel tuo appartamento? Anche se tu non ci sei?-
-Alla faccia del buon
samaritano!- grido allibito –sparisci-
-Va bene- fece finta di
andarse ma con fare casuale chiese –senti un pò, che fine ha fatto la bindina?-
André guardò con un
soppracciglio alzato, e quello da dove saltava fuori?
-Lo sai no, quella biondina
con il sedere a forma di cuore che ti sbavava dietro- chiese con un coraggio da
medaglia d’oro.
-Ehi!- si mise a sedere
furibondo –non ti permetto di parlare di Oscar a quel modo!-
-Pensavo che, essendo tu
non piú interessato, avrei potuto farle una visitina mentre ero in cittá-
incurante del pericolo che correva decise di continuare –anche se una così é
meglio perderla che trovarla-
-Cosa vorresti dire?-
chiese con un tono di voce che rasentava il ringiare di un cane pronto
all’attacco.
-Andiamo, la sciaquetta si
é dileguata dall’ospedale una volta che si é resa conto che la tua bella schiena
muscolosa sarebbe rimasta deturpata da orribili cicatrici, ora una così
superficiale é buona solo per...-
Non ebbe la possibilitá di
finire, perché il fratello incurante dei dolori l’aveva afferrato per bavero
della camicia e l’aveva scaraventato contro il muro tagliandogli la
provviggione di ossigeno.
-Prova a dire un’altra cosa
del genere sulla mia fidanzata e, fratello o non fratello, ti riduco a
brandelli!- urlò. Continuando a sbatacchiarlo contro il muro.
-Allora vattela a
riprendere, maledizione a te!- si liberò facilmente dalla sua stretta, le
settimane passate in ospedale l’avevano indebolito, l’avrebbe potuto stendere
con due dita, ma la sua intenzione non era stata quella di fargli del male –ti
sei commiserato abbastanza, se la ami davvero va da lei e chiarisci la
situazione!-
-Non é facile come credi-
solo ora capiva le intenzioni del fratello e quasi si vergognava di averlo
attaccato.
-Invece si, Oscar mi ha
raccontato tutto, e quello che non mi ha detto me lo sono potuto immaginare da
solo, va da lei e striscia, con una come lei, si fa di tutto per tenersela
stretta- decise che era il momento di andasene e lasciare il fratello da solo
–partiamo in treno tra un apio di giorni, fai in modo di farti trovare alla
stazione, altrimenti ti lego come un salame e ti ci trascino a calci a New
York!-
André rimase a lungo a
fissare il pavimento, era vero, se l’amava talmente tanto cosa stava
aspettando? Perché non andava da lei e la convinceva a perdonarlo una volta per
tutte, in modo che potessero ricominciare da capo? Di cosa aveva paura? Tanto
peggio di così non poteva di certo andare!
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Capitolo 24 *** CAPITOLO 24 ***
Oscar sussultò al suono del
citofono, cosa diavolo voleva il portiere, ora che era nel bel mezzo della su
telenovela Sud Americana preferita!
-Cosa succede Fred?-
-Signorina c’é un certo
Ryan Granier che vorrebbe salire da lei-
-Eh?- che voleva da lei
Ryan? Poi sentì la sua voce in sottofondo che diceva: “Andiamo biondina fammi
salire! Si gela qui!”.
-Va bene Fred lo faccia
salire- rispose con un sospiro, pentendosene due segondi dopo, non aveva nessun
motivo di parlare con il fratello di André.
Dieci minuti dopo gli
apriva la porta.
-Salve biondina...che ti e
successo ai capelli!- chiese indicando il caschetto corto e scalato che portava
ora.
-Gli ho dovuti tagliare-
ringraziando il cielo aveva evitato di commentare sulla felpa che indossava, anche
se sapeva benissimo che apparteneva al fratello –cosa sei venuto a fare?-
-Non mi inviti ad entrare?
Fa freddo e mi andrebbe davvero una tazza di caffé-
In silenzio si fece da
parte per farlo passare, chissa perché era venuto?
-Stai andando da qualche
parte?- chiese indicando gli scatoloni impilati in un angolo.
-Ho deciso di trasferirmi-
rispose sparendo in cucina.
Pochi minuti dopo posò sul
tavolo un vassoio con le tazze e la caffettiera.
-Allora cosa ci fai in
cittá?-
-Siamo venuti per i
festeggiamenti dell’ultimo dell’anno, e ho pensato di venire a vedere come te
la passavi, non abbiamo fatto in tempo a rivederci prima delle feste- disse con
finta innocenza, entrembi sapevano per quale ragione si era tenuta alla larga.
-Siamo?- chiese con
presunta indifferenza.
-Si io e un gruppo di
amici- la osservò con attenzione mentre sferrava il primo colpo –e mi sono
dovuto portare dietro quel musone di André, visto che ci lascia stare nel suo
appartamento sono stato costretto ad invitarlo-
-Ah...- André era tornato
in cittá!
-Abbiamo intenzione di
passare l’ultimo dell’anno nel piú famoso locale di spogliarello della cittá!-
mentì con allegria.
-Eh!- alzò la testa di
scatto, come si permetteva di portare André in un posto del genere!
-Ma si, oramai l’unico modo
in cui riesce a rimorchiare una ragazza e pagandola- bevvé un sorso di caffé nascondere
il sorriso che gli era spuntato nel vedere l’espressione scioccata di lei.
-Cosa vorresti dire?-
sicurissima di aver sentito male.
-Lo sai, con quelle
orribili cicatrici ormai nessuna ragazza normale lo vorrebbe piú- senza
riguardo verso la sua incolumitá fisica decise di rincarare la dose –se vuoi il
mio parere hai fatto benissimo a mollarlo, neanche io che sono suo fratello
riesco a guardarlo-
-Oh, vedo che la tua tazza
é vuota, aspetta che te la riempio!- gli offrì a denti stretti, afferrando la caffettiera
calda e rovesciandogli il contenuto bollente dritto sull’inguine.
-Porca miseria!- scattò in
piedi cercando di limitare i danni e riuscendo solo a bruciarsi una mano con quello
che aveva nella tazza.
-Ma che sbadata, aspetta ti
porto qualcosa per pulirti- disse con il tono di scuse piú falso che Ryan
avesse sentito.
Tornò pochi secondi dopo
con una bomboletta e uno straccio.
-Lascia che ti aiuti!- gli
spruzzò sulla macchia quella che in seguito si riveló essere varecchina
concentrata per sgrassare lo sporco piú incrostato, i jeans erano da buttare,
non c’era speranza alcuna di salvarli dopo un trattamento del genere.
-Forse é meglio che me ne
vada, prima che tu riduca a zero le mie possibilitá di mettere al mondo una
nuova generazione di affascinanti Granier- se non fosse stato assolutamente
fuori luogo sarebbe scoppiato a ridere.
-Faresti meglio, se non
vuoi andartene con qualcosa di rotto- gli disse minacciosa –come ti permettiti
di certe di tuo fratello! Le qualitá di André vanno ben oltre le apparenze
fisiche!-
-Ma che t’importa? Tanto
l’hai lasciato no?- ora si andava al cuore della faccenda.
-Ma non ho mai smesso
di...- si fermò quando si rese conto a gioco stava giocando –vattenene Ryan e
impicciati degli affari tuoi-
-Non capisco, lui ti ama e
tu lo ami, come mai allora non siete a far pace dentro un letto, invece di
piangervi addosso come delle lagne!-
-Non é semplice come credi-
cercó di spiegargli a testa bessa.
-Vi amate e non avete
nessun motivo per non stare insieme, non ti viene piú semplice di così-
-André non vuole piú avere
niente a che fare con me- ammetterlo a voce alta faceva male.
-Cosa?- esclamó stupito
–come puoi...-
-Me l’ha detto lui stesso!-
lo interruppe arrabbiata, che diritto aveva di ficcanasare nel suo cuore
spezzato –in ospedale-
-In ospedale?- cercó di
fare mente locale di quando questo sarebbe potuto succedere, nelle settimane in
cui André era sto lucido lei non si era fatta viva, quindi doveva essere
successo...-e quando sarebbe successo? Quando lui era incoscente o quando era
fatto di morfina?-
-Ti assicuro che...-
-Non ti é venuto il piú
piccolo dubbio che magari, dico solo magari- le disse con enfasi non
lasciandola finire –tu abbia frainteso?-
Lei rimase imbambolata a
guardarlo con gli occhi sgranati, e se avesse ragione? Se avesse deciso di
credere a quello che lui diceva solo perché lei si sentiva responsabile per
l’incidente? Una fiamella di speranza le si accese nel petto iniziando a
bruciare sempre più viva, forse c’era qualche speranza....
-Zuccona!- la insultó spazientito
– chiamalo e falla finita!-
Si accompagnó da solo alla
porta e la lasciò sola a meditare.
Che fosse vero? Si chiese,
se avesse davvero frainteso e le cose tra loro si potessero ancora aggiustare?
Il solo pensiero le faceva battere il cuore all’impazzata, ora restava solo da
vedere se avrebbe avuto il coraggio di fare il primo passo e chiamarlo.
André non poteva credere di
aver ceduto alla fine, si era lasciato infilare infilare in un taxi, insieme a
suo fratello e quegli idioti dei suoi amici e ora erano diretti ad un veglione
di fine anno in qualche locale, per certo squallido conoscendo i gusti di suo
fratello Ryan, lui invece avrebbe voluto starsene a casa e commiserarsi
un’altro pó cercando di trovare il coraggio di contattare Oscar.
-Eccoci arrivati!- lo
informò allegro il fratello –forza scendi-
Di mala voglia scese dal
taxi, per rimanere pietrificato sul marciapiede.
-Che razza di scherzo é!-
ma la portiera della macchina si chiuse prima che lui potesse rinfilarvisi
dentro.
-Tu mio caro sei in
missione qui- gli disse Ryan dal finestrino, indicando il palazzo in cui
abitava Oscar –cerca di tornarne vincitore, o almeno convincila ad aspitarti
per questa notte, visto che non hai le chiavi di casa!-
Con quello il taxi partì
sgommando e gli sembrò di sentire un vago buona fortuna proveniente dal
finestrino ancora aperto.
Non ci poteva credere,
l’avevano mollato nel bel mezzo del campo nemico senza nessun tipo di arma, ne
sarebbe uscito a brandelli, ma l’idea che l’avrebbe rivista tra poco, gli faceva
battere il cuore come se in petto avesse un branco di cavalli selvaggi.
Oscar occhieggó la sua
porta con sospetto, non era possibile, non poteva aver appena sentito il suo
campanello suonare, eppure ne era sicura, chi poteva essere a quest’ora e per
di più l’ultimo dell’anno? Visto che il portiere non l’aveva avvisata di avere
visite, doveva essere qualcuno dei vicini di casa.
-Salve Oscar- la salutò
André dalla soglia.
Quella era l’ultima persona
che si sarebbe aspettata di trovare davanti alla sua porta.
-André...- non le uscì
altro, era troppo sorpresa e dovette deglutire diverse volte, per cercare di
mandare giù il nodo che gli si era formato in gola. Lui era fermo lì, nel
corridoio davanti alla sua porta, con le mani in tasca e i capelli scompigliati
dal vento.
-Cosa é successo ai tuoi
capelli?- li aveva tagliati indecentemente corti, gli era sempre piaciuto
infilare le dita nella loro massa morbida. Ma aveva notato anche il pallore
acentuato e le mezze lune scure sotto gli occhi, i quali sembravano ancora più
grandi, ma soprattutto più tristi , di come se li ricordava.
-Sono stata costretta a
tagliarli, il fuoco li aveva rovinati- rimasero in silenzio a guardarsi, a
quanto pareva nessuno dei due sapeva come comportarsi.
-Non mi inviti ad entrare?
Qui fa freddo e io sono ancora convalescente sai- vedendola impallidire alla
sua allusione sull’esplosione avrebbe voluto rimangiarsi tutto.
-Certo entra- aveva notato
che era pallido e aveva perso peso, le venne una fitta la cuore al pensiero di
quanto doveva aver sofferto.
André si blocco qualche
passo oltre la soglia, nell’appartamento regnava il caos, c’era disordine da
per tutto, scatoloni negli angoli e il luogo sembrava ancora più spoglio di
come lo era l’ultima volta che vi era stato.
-Stai andando da qualche
parte?- che stesse scappando?
-Ho deciso di trasfermi,
non ho più un lavoro e non posso permettermi l’affitto di questo posto- non era
esattamente una bugia ma una mezza veritá, se voleva avrrebbe potuto benissimo
usare i risparmi che aveva messo da parte, almeno finché non avesse trovato
un’altro impiego.
-Vuoi qualcosa da bere?-
chiese evitando la sua occhiata scettica e invitandolo a sedersi.
-Un caffé andrá benissimo- rispose
togliendosi la giacca e sedendosi, stando attento a non poggiare la schiena
sulla spalliera del divano.
-Torno subito- era
immensamente grata di una piccola tregua, era sotto sopra, cosa ci faceva li?
Non le aveva giá detto di stargli lontana? Che fosse venuto invece per le cose
che aveva lasciato lì? E se invece era venuto perché Ryan aveva ragione e lui
provava ancora qualcosa per lei?
-Come sta tua nonna?- lo
sentì chiedere dal salotto.
-Sana come un pesce, come
sempre dal tronde- poi si diede dell’idiota, si era appena sbugiardata alla
grande, sapere che lei aveva mentito e averne l’assoluta certezza, erano due
cose completamente diverse.
-Piccola bugiarda-
Lei si voltò di scatto, la
sua voce era troppo vicina, ed infatti lo vide appoggiato allo stipite della
porta, con fare casuale.
-Dimmi perché sei sparita
inventandoti una cosa del genere?- chiese avvicinandosi di più a lei e
bloccandola contro il ripiano della cucina.
-Perché...non c’era più
niente da fare per me all’ospedale, tu stavi bene...- balbettò incerta.
-Accidenti Oscar!- la
interruppe arrabbiato, ma la rabbia fù in fretta rimpiazzata dalla disperazione
–sei ancora talmente arrabiata con me, che non riesci a trovare un briciolo
cuore per perdonarmi?-
-Io non...- tanto valeva
prendere il toro per le corna e sperare che Ryan avesse davvero ragione –ho
fatto solo quello che mi hai chiesto in ospedale, ti ho lasciato in pace e me
ne sono andata-
-Cosa! Come? Quando!- non
si ricordava un bel niente –se vuoi che la nostra relazione finisca qui e
subito, basta dirlo, non hai bisogno di invertarti storie del genere-
-No non ho bisogno di
inventarmi storielle- gli disse offesa –sei stato tu a dirmi di andarmene,
quando hai ripreso conoscenza, che era tutto finito e che...- non riuscì a
finire.
-E che?- la incitó calmo.
-E che era tutta colpa mia
se eri ridotto in quelle condizioni- gli disse con un bisbiglio.
-Come!? Non é possibile, io
non...- l’afferró per le spalle e la scosse con gentilezza –devi aver
frainteso, quando mi sono svegliato e ti ho trovato li, ero solo contento che
non ti fosse accaduto nulla, volevo dirti di starmi sempre vicino e di non
lasciarmi più, volevo che mi perdonassi e che avessimo un’altra possibilitá di
iniziare da capo-
-Davvero?- lo guardò negli
occhi, quanto le erano mancate quelle iridi verdi che la guardavano con amore e
speranza, proprio come ora.
-Davvero, come hai potuto
credere una cosa del genere?- chiese stupito.
-Forse perché in fondo...-
distolse lo sguardo dal suo -...in fondo sapevo, che era colpa mia se eri
ridotto in quelle condizioni-
-Oscar...- sentì una goccia
umida che gli cadeva sul dorso della mano ancora posata sulla sua spalla, erano
lacrime.
-Avrei dovuto andare
direttamente dai federali, invece di fare di testa mia, avrei dovuto
convincerti a lasciar perdere tutto, invece ero così arrabiata che non ho
pensato ad altro che uscire da questa faccenda con il minimo danno possibile.
Non pensando che altre persone potevano andarci di mezzo, e...-
-No, no, no- cercava di
asciugarle le lacrime che orami cadevano copiose ma invano, non l’aveva mai
vista piangere –mio Dio Oscar come puoi anche solo pensare una cosa del genere!
È stato un incidente, prenditela con Mark Spencer se vuoi dare la colpa a
qualcuno, ma tu non c’entri nulla!-
-Mi dispiace André, per
tutte le cose terribili che ti ho detto, per non averti dato un minimo di
fiducia, per...-
-Basta così- le impose,
posandole un dito sulle labbra e fermando quel fiume di scuse, inutili a suo
parere –io ti amo, conta solo quello, se ti va di rincominciare da capo,
possiamo iniziare a costruire da lì. Che ne dici?-
Lei sollevò piano il capo,
gli occhi lucidi di lacrime e le lunghe ciglia scure umide di pianto, dargli
un’altra possibilitá? E glielo chiedeva pure! Nelle ultime settimane si era
sentita come se fosse passata attraverso l’inferno, senza vedere nessuna via
d’uscita, ed ora se lo trovava davanti, più innamorato che mai e chiedendo il
suo perdono.
Come al solito non riusciva
a mettere a parole quello che le si agitava dentro, perciò fece l’unica cosa
che tra loro funzionava meglio di mille discorsi fioriti, gli avvolse le bracia
al collo per baciarlo, a lungo e fino a quando entrambi erano senza fiato.
-Allora quello...era un
si?- chiese abbracciandola stretta come se non volesse più lasciarla andare.
-Si, si e ancora si!-
gridò, ricoprendogli il viso di una pioggia di piccoli baci e sentendo il cuore
in procinto di scoppiare.
-Bene, mi sei mancata tanto
lo sai- le sussurrò dentro un orecchio, facendola rabbrividire.
-Anche tu mi sei mancato
tanto. Ti amo André-
André l’afferrò per la vita
e la fece sedere sul ripiano che le stava alle spalle, infilandosi tra le sue
ginocchia aperte in modo da poter far aderire meglio il corpo di lei al suo,
quanto gli era mancata!
-André...la
tua...schiena...- riuscì a chiedere tra una boccata d’aria e l’altra.
-Amore, ora come ora, solo
l’essere in punto di morte mi impedirebbe di fare l’amore con te!-
Con una risata spensierata,
la prima dopo tante settimane, gli strinse più vicino cingendogli i fianchi con
le gambe.
-Credo che staremo più
comodi a letto- suggerì ansimando.
Senza dire una parola la
sollevò di peso e si diresse correndo verso la camera da letto, dove la
scaraventò sul materasso con un sorriso giocoso dicendole:
-Ora sei tutta mia, per
sempre-
Due meravigliose ore dopo,
Oscar giaceva ancora sveglia nel letto accanto ad André, il quale si era addormentato
dopo aver fatto l’amore bisbigliandole un tenerissimo ti amo, ed ora dormiva
appagato, stringendole la vita con fare possessivo e dividendo con lei lo
stesso cuscino.
Ma lei non riusciva a
prendere sonno, aveva paura che si sarebbe svegliata per scoprire che era stato
tutto un sogno e che lui non era mai venuto a casa sua, quelle ultime ore erano
state cariche di profonde emozioni, pensò sospirando,anche se tutto era finito
nel più stupendo dei modi.
Non avrebbe sprecato questa
nuova possibilitá che le era stata data, avrebbe coltivato con cura l’amore che
l’uomo al suo fianco le aveva donato, e questa volta, i dubbi e le insicurezze
sarebbero davvero stati cose del passato, il loro rapporto aveva affrontato una
dura prova, ma erano riusciti a superarla, ora nulla li avrebbe separati, ed
ogni ostacolo l’avrebbero superato insieme, uniti.
All’improvviso sentì una
serie di botti e scoppi provenienti da fuori, un’occhiata all’orologio le disse
che era arrivata la mezza notte, si era quasi dimenticata che oggi era l’ultimo
dell’anno.
Con soddisfazione pensò che
non avrebbe potuto avere uno sfondo più perfetto per quella notte, un nuovo
anno era arrivato e un nuovo inizio era arrivato per lei, una nuova vita da
vivere come più le piaceva con la persona che amava, questa notte avrebbe
portatano una nuova rinascita, una nuova Oscar, che aveva imparato che la vita
va vissuta al di la di obblighi e doveri.
Con un sorriso beato chiuse
gli occhi, ma prima baciò l’uomo addormentato sussurrandogli a fior di labbra:
-Buon anno mio dolcissimo
amore-
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Capitolo 25 *** EPILOGO ***
SEI MESI DOPO.
Oscar si sistemó meglio
contro il corpo di André, continuando a sorseggiare beatamente dal bicchiere di
té freddo che aveva in mano.
Entrambi erano seduti sul
divanetto in vimini, sistemato sul minuscolo terrazzo del loro appartamento,
avevano appena finito di cenare e ora si godevano quella fresca serata di
inizio estate.
-La cena era deliziosa- la
complimentò lui sorseggiando il suo bicchiere di vino.
-Grazie, tutto merito della
signora Maria- la signora in questione era una donna di origini italiane, che
abitava al pian terreno e che le stava insegnando a cucinare.
Questa sera si era
cimentata nelle lasagne al forno, infatti diventava ogni giorno più brava,
oramai non dovevano più usare il piccolo estintore che André aveva insistito a
tenere sotto il lavandino, dopo i suoi primi tentativi ai fornelli.
Oggi era il suo compleanno
e lei aveva programmato una serata romantica, durante la quale gli avrebbe dato
il suo regalo, era sicura che ne sarebbe andato matto.
Con un sospiro soddisfatto
pensó ai cambiamenti radicali che erano avvenuti nella sua vita negli ultimi
mesi, tutti iniziati quella lontana sera di fine anno.
Visto che tutta la sua roba
era giá impacchettata, André le aveva suggerito di trasferirsi nel suo
appartemento, e poi magari se voleva ne avrebbero potuto cercare uno che
piaceva ad entrambi, lei aveva accettato con gioia, con l’unica variante, che
avevano deciso di cercare una casa da comprare invece di affittare un’altro
appartamento.
Lei non lavorava più nel
mondo dell’alta finanza, infatti dopo accese discussioni André l’aveva convinta
ad iscriversi all’universitá e a seguire un corso d’arte, e dopo i primi mesi
di più completa e totale frustrazione, ora stava iniziando a vedere i frutti, al
momento per tutta la casa erano sparsi pennelli, colori e tele. Una mattina
un’André mezzo addormentato, aveva preso per sbaglio uno dei suoi pennelli, e
alla vista della schiuma verde che gli usciva dalla bocca gli era quasi venuto
un accidente, il fatto che lei avesse riso per dieci minuti buoni non aveva
aiutato per niente.
Dopo il crollo della
societá di assicurazioni, con l’aiuto di Mark Spenser, l’FBI era riuscita a
montare un processo contro la famiglia Marino, che era attualmente in
svolgimento e che aveva attirato un grande interesse pubblico. Andrè aveva
rifiutato di scrivere degli articoli, lasciando la copertura dell’evento ad
Alain, non voleve avere più nulla a che fare con quella gente, preferiva
tornarnare alle sue storie di cronaca. Una cosa che l’aveva fatta ridere quando
aveva scoperto che lui era uno di quelli che scrivevano sui giornali quegli
articoli con storie strappa lacrime, affronto che le era costato una settimana
di moine per farsi perdonare.
Una cosa che non l’aveva
fatta ridere era stato sapere che, l’avvocato non avrebbe pagato per l’omicidio
di Roger, visto che ora veniva protetto dai federali, e che Thomas Dratt se la
sarebbe cavata con molto poco, se la mafia non decideva di fargliela pagare.
Visto che non lavorava più
ora divideva il suo tempo tra i dipinti e l’amministrazione del palazzo dove
abitavano. Infatti era riuscita a convincere il padrone a darle
l’amministrazione della proprietá in cambio dell’affitto mensile, così ora si
occupava di riscuotere gli affitti, di tenere la proprietá in ottimo stato e di
sedare le liti tra vicini. Oramai conosceva per nome tutti gli inquilini e
riceveva sorrisi di saluto da tutti.
La ciliegina sulla torta
era stato il piccolo cerchietto dorato che portava al dito, a testimonianza del
fatto che ora era diventata la signora Granier. Infatti, in una stupenda sera
di primavera, nel mezzo del giardino fiorito dei suoi genitori e sotto un cileo
stellato da mille e una notte, le aveva chiesto di sposarlo, e lei non aveva
esitato un secondo nel rispodenrgli di si. Così alla fine di maggio erano
finalmente diventati il signore e la signora Granier. E non un minuto troppo
presto.
L’evento peró aveva portato
un’ulteriore incrinazione dei rapporti con la sua famiglia, suo padre aveva
dato di matto quando gli aveva detto che avrebbe lasciato il mondo che lui
aveva scelto per lei e che si sarebbe data alla pittura, poi le cose erano
peggiorate quando l’aveva informato che André sarebbe diventato suo marito, lui
aveva sbraitato per più di dieci minuti, che non avrebbe mai permesso che sua
figlia spossasse uno “scribacchino senza futuro”. Così evitava di andare a
trovarli, e si accontentava di parlare con sua nonna al telefono, cosa che
sarebbe cambiata presto, visto che André le aveva chiesto se voleva che lei
venisse a vivere con loro una volta comprata la casa, e la faccenda era stata
chiusa in quel modo.
Non le importava nulla, non
era stata mai contenta come in quel periodo e non avrebbe permesso a nulla e
nessuno di rovinarglielo, guardando il cielo stellato le scappó un’altro
sospiro.
-Come mai tutti questi
sospiri?- chiese baciandole i la testa bionda, i capelli le erano ricresciuti e
lui era contento che avesse deciso di non tagliarli più.
-Sono solo contenta, la
serata é meravigliosa e siamo insime, tutto é quasi perfetto-
-Quasi?-
-Non ti ho ancora dato il
tuo regalo di compleanno- gli disse con un sorriso enigmatico e entrando in
casa.
Poco dopo gli porse una
busta bianca rettangolare, con una coccardina rossa sul davanti e con scritto
sopra il suo nome.
-Intrigante- disse
incuriosito, cosa poteva essere?
Dalla busta tiró fuori due
quadratini di carta liscia, della stessa grandezza di una polaroid, ma
dall’aspetto strano, infatti erano tutti neri a parte due zone biancastre a
forma di cono, assomigliavano tanto ad una...ecografia?
-Buon compleanno tesoro-
gli disse ridendo alla sua espressione confusa, e puntando a qualcosa dentro il
cono –lo vedi questo puntino che é leggermente più bianco di tutto il resto?-
-No davvero...- cercó di
osservare l’immagine da diverse distanze, ma per vederci qualche cosa bisognava
essere dotati di una fervida immaginagione.
-Bhé mio caro, quel puntino
continuerá a crescere e fará la sua apparizione in questo mondo esattamente tra
sette mesi e mezzo-
Silenzio assoluto accolse
la notizia.
-Oh mio Dio...- sussurró
guardando con attenzione il punto che gli aveva indicato la moglie –un
bimbo...stiamo per avere un bimbo!-
-A quanto pare...-
Non ebbe occasione di
finire perché fú interrotta dall’ululato di gioia di lui.
-Un bambino! Stiamo per
avere un bambino!- con cautela se la mise in grembo e la bació con trasporto
–fammi vedere!-
Senza tante cerimonie le
sollevó la semplice maglietta di cotone in modo da scoprirle la pancia, che era
piatta come al solito, e vi posó sopra il palmo della mano aperto, accarezzandolo
con un’espressione tenera che gli faceva brillare gli occhi di un verde
luminoso.
-Lo sapevo!- esclamó sicuro
–sapevo che c’era qualcosa di strano, morivo dalla volgia di chiedertelo, ma ho
pensato che volevi farmi una sorpresa!-
-E sei sorpreso?- chiese
divertita.
-Molto sorpreso- la bació
di nuovo in maniera lenta e suggestiva –ora capisco le tonnellate di sott’aceti
che hanno fatto la loro comparsa nel nostro frigo e perché i tuoi quadri
sembravano strani-
-Strani?- chiese curiosisa.
-Tenui colori pastello
avevano iniziato a fare la loro comparsa un pò da per tutto, mi stavo chiedendo
quando avresti iniziato a dipingere gattini e cuccioli di altro tipo!-
-Cosa!- non poté fare a
meno di scoppiare a ridere –sei impossibile! La vuoi sapere un cosa triste? Non
riesco piú a mangiare del cioccolato-
-Come sarebbe a dire?-
cercó di non ridere alla sua espressione seria.
-Non sopporto piú neanche
l’odore- specificó triste.
-Oh tesoro! Mi dispiace!-
le diede un bacio di consolazione.
-A chi diamo per primo la
bella notizia?- volle sapere posandogli la testa nell’incavo della spalla e
facendosi abbracciare.
-Direi Ryan-
-Ryan?- dire che era
sorpresa era poco, avrebbe scommesso sui suoi genitori.
-Si lui, se non fosse per
lui non sarei mai arrivato alla tua porta la notte di capo d’anno, mi ha
praticamente scaricato sul marciapiede ed e scappato lasciandomi li al freddo e
al gelo- e non gli era stato mai così grato.
-Davvero? Sai che il giorno
prima é venuto a farmi visita, dicendo le cose piú terribili sul tuo conto, gli
ho rovesciato addosso una caffettiera bollente e poi gli ho spruzzato i jeans
con la varecchina! Magari se non fosse venuto, non ti avrei mai aperto la porta
quella notte-
-Che bugiardo! Mi aveva
detto che una cameriera distratta gli aveva rovinato i pantaloni nuovi!- a quel
punto scoppió a ridere –credo che il signor Cupido si sia guadagnato il diritto
di essere il primo a sapere-
-Aggiudicato!- rise felice.
Rimasero a lungo
abbracciati in silenzio, ascoltando i rumori della cittá attorno a loro, il
loro bimbo stretto al sicuro tra i loro corpi caldi, appagati nel stare insieme
e ansiosi di scoprire cos’altro il futuro aveva in serbo per loro.
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