Dirty play

di __Evelyn__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHAPTER ONE ***
Capitolo 2: *** CHAPTER TWO ***
Capitolo 3: *** CHAPTER 3 ***
Capitolo 4: *** CHAPTER 4 ***
Capitolo 5: *** CHAPTER 5 ***
Capitolo 6: *** CHAPTER SIX ***



Capitolo 1
*** CHAPTER ONE ***


Un ringraziamento speciale a Mohran, che mi aiuta nel caricare le ff, perché io sono proprio una fallita con i computer. Insomma, odio reciproco!

 * * *

CHAPTER ONE

Ero ad un ricevimento, non esattamente di mia spontanea volontà. Allen mi aveva convinto non so con quale trabocchetto a parteciparvi.

C’era molta gente, la musica dell’orchestra alta e alcuni coristi che si preparavano per la parte culminante di tutta la serata. Se quella era una festa di fidanzamento tra due nobili non osavo nemmeno immaginare come potesse essere un matrimonio.

Ebbene sì, non ero un tipo da party. Insomma, non disprezzavo il divertimento, ma preferivo la tranquillità di una biblioteca ad un salone straripante di gente sconosciuta.

Sbuffai, restando in piedi, appoggiato goffamente con una spalla ad uno dei molti pilastri in marmo bianco .

Era tutto dannatamente colorato e luminoso e il mio unico occhio iniziava a risentirne.

Che noia, tutte quelle persone che ballavano. Forse ero a disagio perché non ero un gran ballerino, anzi, una vera e propria schiappa.

«Lavi, sembra che tu voglia socializzare solo con quella colonna. Fatti un giro in pista e goditi la serata! Il buffet è fantastico, garantito!»

Sorrisi all’albino che roteava con Linalee tra la folla.

Ballare, non se ne parlava neanche.

Bere, il buffet era irraggiungibile.

L’unica soluzione per avere un po’ di tranquillità sembrava essere il giardino esterno.

Iniziai un difficile slalom per raggiungere la grande porta a vetri che dava sul buio frammento di paradiso terrestre della villa.

Quando riuscii a mettere fuori il naso dallo stanzone affollato, rimasi colpito dalla sfarzosità che si presentava anche lì.

Dalla porta si scendevano degli scalini, che conducevano ad un vasto spiazzo ghiaioso con una pomposa fontana al centro. Una vasca rotonda di circa cinque metri circondava una statua brillante che rappresentava un angelo che sorreggeva un cuore umano.

Il significato? Sperai non ce ne fosse uno.

Attorno allo spiazzo il giardino si allargava a dismisura: era un intricato labirinto di alte siepi, sotto le quali fiori di ogni genere cresceva senza alcuna deformazione. Tutto era perfetto e colorato. Qua e là si scorgevano delle panchine di pietra, forse in altro marmo.

Più mi allontanavo dalla musica, più le tenebre mi avvolgevano.

Mi appoggiai al bordo della fontana, mentre lei continuava imperterrita a spruzzare i suoi freschi getti attorno alla minacciosa scultura.

Mi sedetti. Da lì potevo ammirare le stelle. La luce non disturbava la mia visuale, così potevo guardare il cielo con comodo. Per un attimo mi immaginai intento a danzare con una bella dama, ma la rovinai pensando che probabilmente mi scaricherebbe dopo pochi minuti, ritrovandosi con i piedi sanguinanti.

Sogghignai tra me. Che dovevo farci! Quando uno è negato, è negato.

L’occhio si stava abituando al buio, il resto del corpo alla frescura dell’aria e in generale mi stavo rilassando parecchio. Avrei atteso lì fino alla conclusione dei festeggiamenti, dopo di che me ne sarei andato anche prima di Allen. In verità non capivo nemmeno perché ero rimasto. Anche se me la fossi svignata non se ne sarebbe accorto nessuno, tanto meno Allen, troppo intento a far danzare la sua bella.

Impegnato nei miei intricati piani di fuga non mi resi nemmeno conto delle altre presenze nel giardino.

C’erano alcuni gruppetti di ragazzi che chiacchieravano, dei signori che discutevano ad alta voce di politica e una coppia che si baciava appassionatamente nascosta tra le prime siepi. Notai che il ragazzo era il giovane che si era appena fidanzato. L’avevo memorizzato all’inizio, appena entrati ci aveva accolto lui stesso.

La ragazza tra le sue braccia però non somigliava minimamente alla futura sposa, anzi, era proprio l’opposto.

Alla faccia dell’onestà, pensai disgustato.

Sulle scale, erano fermi tre uomini a fumarsi una sigaretta indisturbati.

Ne notai uno in particolare. Memorizzai i suoi lineamenti e i suoi modi di muoversi. Era involontario ormai. Aveva attirato la mia attenzione perché aveva delle rassomiglianze con qualcuno che avevo già visto.

Sbarrai l’occhio. Non poteva essere lui.

L’uomo mi sorrise. Per poco non finii in acqua.

Cominciò ad avvicinarsi ed io indietreggiai. Non era il posto adatto per uno scontro così presi a camminare nel labirinto di cespugli, sicuro che mi stesse seguendo. Mi voltai solo quando ero arrivato ad un piccolo stagno al centro di uno spiazzo: la fine della mia corsa e il luogo di un incontro fatale.

Lui era già lì appollaiato su un masso un po’ più grande degli altri. Come immaginavo. A che gli serviva farsi tutta quella strada quando poteva attraversare tutto ciò che voleva con facilità.

«Buona sera, guercio. Che onore rincontrarti.»

Lo guardai in cagnesco. Non era proprio necessario appesantire ulteriormente l’atmosfera. Notai che gli erano cresciuti parecchio i capelli, perché li teneva raccolti in una ordinata coda di cavallo.

«Lo so che sono bello, però puoi anche non fissarmi con quegli occhi da stralunato!»

Distolsi lo sguardo imbarazzato. Accidenti a lui e le sue cavolate.

«Ti metto a disagio, piccolo?» La voce calda e tranquilla.

Per un attimo mi sentii come attratto da una forza strana. Non avevo più voglia di combattere.

«No, va tutto bene.»

«Lo dici adesso.»

«Allora diciamo che andrà tutto bene.»

Simulai un mezzo sorriso a cui lui rispose. Non intravvedevo nessun residuo della furia omicida che si era scatenata sull’Arca.

Mi tranquillizzai un poco e decisi di chiedergli se era lì per uccidermi.

«No, ovviamente. Io sono qui solo per divertirmi! In oltre vedere che la coppia di festeggiati è fallita in precedenza, è spassoso. Comunque mi fa piacere rivedere un po’ di vecchi amici.»

Amici. Percepii il cambiamento di espressione sul mio viso.

«Non siamo amici, io e te.»

«Suvvia, potrei esserti d’aiuto.»

«Non ti aspettare che ti supplichi come quell’altro!»

«Tranquillo, io pensavo ad una situazione di stallo. In fondo tu sei un bookman e in parte un esorcista, giusto?»

Non capivo dove volesse andare a parare quindi gli diedi corda. Saperne qualcosa di più non mi avrebbe certo rovinato.

«Cosa si fa tra amici allora?» Chiesi innocentemente.

«Si chiacchiera, si gioca, si ride … fammi pensare un po’. Secondo te?» Mi fece segno di sedermi accanto a lui. Peggio di così non poteva andare, quindi tanto valeva rischiare fino all’ultimo.

Mi avvicinai un po’ titubante, come un cagnolino affamato, ma pauroso di ciò a cui va incontro.

Picchiettò ancora la mano sulla superficie fredda della roccia, il solito sorriso stampato in faccia. Per un attimo ebbi l’impulso di tirargli un pugno, ma poi mi tranquillizzai, fingendo indifferenza.

«Come sta il piccolo?» Mi domandò spostandosi leggermente per lasciarmi più spazio.

Feci spallucce. Il piccolo! Sbuffai all’idea che lo chiamasse ancora così.

«Ti ho visto dentro, prima. Per la verità ti stavo seguendo. Non mi stavo divertendo lì. Troppe persone. La musica poi, la sento da qui e non c’era nessuna dama con cui valeva danzare!»

«Fantastico, eccone un altro.»

 Lui scoppiò a ridere.

«Un altro cosa, scusa?!»

«Tutti sanno ballare, stare al ritmo! Che noia ragazzi, non è così importante saperlo fare, no?»

Di nuovo quella familiare risata.

Eravamo seduti uno accanto all’altro, quando lui si alzò e mi si mise di fronte. Mi porse la mano come si fa alle signore per chiedere la concessione di una danza. Rimasi in silenzio. Tyki mi guardava con fare speranzoso. Poi, non vedendo nessuna reazione mi afferrò la mano e ci depositò un leggero bacio. Mi sentii avvampare, sia per l’imbarazzo che per l’irrefrenabile voglia di piantargli un calcio in mezzo alle gambe semiaperte.

«Se è uno scherzo, non è divertente.»

Sbuffò impaziente.

«Moccioso, rovini l’atmosfera. Adesso sposta il culo da quel grande sasso e metti una mano qui.» Lo guardai sempre più rosso in volto. Dove dovevo mettere la mano? Che dovevo fare? Porca miseriaccia!

«Ehi, riprenditi!»

Mi alzai e mi misi davanti a lui. Gli lasciai condurre il gioco, dopotutto io ero un ignorante totale in quella materia. Mi prese per un polso e guidò la mia mano al suo fianco, l’altra stretta nella sua calda. Per un attimo, quando mi appoggiò la sua sulla spalla, temetti mi trapassasse e strappasse il cuore, ma riflettendoci su, non aveva motivo di sporcarsi i raffinati guanti bianchi.

Mi fece muovere i primi passi, ma praticamente camminai su i suoi piedi. «Accidenti, sei peggio di quanto immaginassi!» Sorrise ironico.

Continuai a guardare i miei piedi troppo impacciati nei movimenti e goffi a confronto di quelli di Tyki, agili e pronti a schivarmi.

Con una mano continuava ad alzarmi il mento, trasformando poi quel tocco in una carezza piacevole. Finii per abbassare lo sguardo solo per ricevere la sua attenzione, mentre lo ammiravo inosservato.

Non mi era mai passato per la testa che Tyki Mikk, il quasi assassino del mio migliore amico, potesse apparirmi attraente! Mi riscossi da quei pensieri inutili.

Ora eravamo un po’ più vicini. Seguivo il ritmo che lui mi dettava, in base alla musica che proveniva dalla villa, poco più lontana. Era un pulsare lento, quindi anche noi rallentammo, rendendomi la cosa un po’ più semplice. L’atmosfera attorno a noi era … romantica?!

Mi allontanai di scatto, ma le sue mani non si separarono da me e nemmeno le mie.

«Qualcosa non va, guercio?»

Mugugnai qualcosa, ma in tono poco convinto.

«Senti, stai andando bene. Avvicinati, non ti farò mangiare da Tease, promesso!»

Mi veniva da ridere, non so se per la battutina, o per la situazione assolutamente improbabile, ma alla fine scoppiai. Tyki mi fissava tra lo sconcerto e l’imbarazzo, io ero piegato in due come un cretino, la stretta salda con la sua mano, pronto ad impedirgli ogni tentativo di fuga.

«Adesso mi spaventi, però. Io fumo, ma qui c’è qualcuno che prende altre sostanze, mi sa.»

«No, giuro. Non ci capisco niente nemmeno io.»

«Tu di cosa parli?»

Mi interrompo bruscamente, ancora appoggiato con le mani sulle ginocchia. Di cosa stavo parlando? Non stavo mica facendo cadere le mie difese proprio davanti ad un Noah, vero? O santo cielo! Eppure non riuscivo a trattenermi, avevo bisogno di sfogarmi e lui, in qualche modo mi sembrava la persona adatta.

«Non ci capisco niente, di tutto,di questa storia, dell’arca, del quattordicesimo, poi tu! Mi porti solo problemi, accidenti.»

Ghignò, questa volta quasi malevolo.

«Bene, bene, bene! È una novità che qualcuno mi riveli le sue faccende personali. Non sperarci troppo, con me non caverai un ragno dal buco. Sono chiuso ermeticamente, in quel senso. Però se ti fa piacere va avanti, ma nel frattempo, balliamo.»

Con uno strattone violento mi riavvicinò a sé. Mi ritrovai faccia a faccia con il suo petto. Questa volta lui mi posò la mano sul fianco, costringendomi ad afferrargli la spalla.

Strinse la presa sul mio fianco, obbligandomi ad avvicinarmi.

«Guarda in alto.» Il suo tono non era più così morbido e allegro, quindi cominciai a temere seriamente.

Nel roteare un po’ più forte mi sfuggì un fremito. Iniziava a girarmi la testa. C’era qualcosa nell’aria, uno strano profumo, poco diverso da quello di Tyki, ma al contempo distante mille miglia come fragranza. Iniziai a sentirmi le gambe molli. Dove avevo già sentito quell’aroma?

Sbarrai l’occhio, ma era troppo tardi.

«Questo è … giocare sporco!» Mi afferrò la testa e se la premette contro il petto.

«Non esattamente, diciamo che anche gli amici si tradiscono. Sta tranquillo, dopo starai meglio.»

Percepii le labbra di Tyki contro la mia fronte imperlata di sudore, mentre la nausea mi colpiva, rischiaindo di vomitargli sul completo scuro. Le sue braccia mi sorreggevano, mentre perdevo il controllo del mio corpo.

Poi buio.

 

Spero vi sia piaciuto il primo capitolo, se recensirete non potrete che farmi felice! Grazie in anticipo e ciao!

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Capitolo 2
*** CHAPTER TWO ***


CHAPETER TWO

All’ordine regnava il panico e lo sgomento.

Da più di tre giorni non si avevano più notizie del giovane Bookman e tutti erano in ansia, per la paura che avesse fatto una brutta fine.

Eravamo in periodo di guerra e l’idea di un compagno e amico disperso era insopportabile.

«Allen, buone notizie, più o meno.» La voce sfinita di Reever mi richiamò dal fondo del corridoio.

«Dimmi.» Gli corsi incontro impaziente.

«Hebraska dice che percepisce l’attivazione, anche se solo momentanea, dell’Innocence di Lavi. Questo significa che sta bene, o per lo meno che non è morto.» Mi sorrise, cercando di camuffare alla meno peggio la stanchezza che le piccole ore di sonno non gli cancellavano.

Lo ringraziai con un’amichevole pacca sulla spalla e mi allontanai, diretto alla mensa.

Stupido coniglio!, mi dissi mentre mi asciugavo una fugace lacrima.

Ero un poco sollevato da quella notizia, non completamente, certo. La tristezza, in ogni caso, non sembrava volermi abbandonare.

Che fosse mia la colpa se adesso il rosso era preso da chissà quale pericoloso scontro? Che egoista ero stato! Volevo passare una serata senza Link, sicuro di poterlo disperdere tra la folla senza prendermi tutte le colpe. Linalee aveva assecondato i miei piani, Lavi aveva subito pensato male sulla mia proposta alla ragazza, ma non ci davo molto conto alle cavolate del mio amico. Lo avevo praticamente costretto perché lui poteva essere la mia scorta in caso la mora avesse avuto degli imprevisti.

Avrei voluto sotterrarmi per non sentirmi sguardi accusatori addosso. Quando sollevavo il viso, però, l’unico a guardarmi era Link. Senso di colpa?

Con lentezza ero arrivato alla cucina, seguito dall’appiccicoso biondo, incurante dei fatti che stavano sconvolgendo la sede.

Il povero vecchio Bookman aveva quasi avuto un mancamento nel rendersi conto che il suo stupido allievo era scomparso da più di quarantotto ore.

Kanda apparentemente non aveva fatto una piega. Pasti regolari, allenamenti regolari, meditazione regolare. In ogni caso, se qualcuno gli dava notizie non respingeva con il solito disappunto.

Linalee aveva pianto per ore, incessantemente. Il suo pianto aveva scatenato una cascata da parte del Supervisore, il quale aveva lasciato incompleto il lavoro su Kumurin IV, che aveva distrutto mezzo nuovo stabilimento.

Si era comunque cercato di non interrompere le missioni, altrimenti sarebbe scoppiato il caos.

Tutto ciò era realmente accaduto in soli tre giorni?!

«Ehi, Johnny, come va?»

«Ah, Allen! Hai saputo la novità?»

Aveva gli occhi arrossati. In quel periodo sembrava di sua rutine.

«Oh, sì, grazie.»

«Per l’esattezza, l’attivazione dell’Innocence non è un indizio sufficiente per garantire l’incolumità del ragazzo.»

«Link, chiudete il becco!»

Avrei voluto fargli ingoiare quel maledetto block notes che teneva costantemente in mano.

«Allen…?»

«Beh, ecco … diciamo che c’è un minimo di possibilità che l’Innocence perda il controllo e si attivi da sé. Però è un’opzione improbabile.» Improvvisai qualcosa per rassicurare l’amico.

Mi congedai dopo aver ordinato una montagna di cibo. Sicuramente mangiare mi avrebbe tirato un po’ su il morale già sottoterra.

«Link, perché avete detto quelle cose al povero Johnny?!» Chiesi una volta raggiunto il tavolo

«È inutile illudere in precedenza le persone.»

«Lavi sta bene, ne sono certo. È un tipo in gamba, se la sa cavare.»

«Visto, Allen, vi siete illuso in precedenza.»

Con quelle parole mi zittì. Che razza di bastardo mi avevano appioppato?! Quasi quasi era meglio il caratteraccio di Kanda, che quel verme insensibile.

Dopotutto c’era da dire che tra i due non scorreva buon sangue. La storia del “due nei” non era mai andata giù al biondino, ma Lavi lo scherzava proprio per questo.

In ogni caso non c’erano scuse per augurarsi la morte di qualcuno.

Mangiai voracemente ogni pietanza riposta con cura nei piatti, che si svuotavano uno dopo l’altro. Due nei mi osservava, intento a mangiarsi qualche dolce preparato dal Sovrintendente Lvellie.

Kanda non tardò ad arrivare, sguardo brutale come al solito. Lo vidi prendere il tipico piatto di Soba e sedersi ad un tavolo appartato.

L’unico che osò avvicinarsi fu Marie, per proclamargli l’avviso che ormai si era divulgato per tutta la Dark Religious.

Il problema era che, molto probabilmente era una falsità. Non ricordavo in alcun modo che Hebraska potesse percepire l’attivazione delle Innocence almeno che non fosse al suo interno, altrimenti le missioni sarebbero state più semplici, ovviamente.

Azzannai con rabbia un povero sandwich e poi un altro, senza sosta per evitare di pensare tra un alimento e l’altro, ma la mente era affollata dai ricordi e premonizioni orribili. Alla fine mi interruppi, cosa che sconvolse non pochi dei presenti. Notai una leggera reazione anche nel mio pedinatore temporaneo.

Non sapevo come distrarmi, così escogitai la maniera più efficace per staccare la spina. Mi avvicinai al tavolo del giapponese e gli proposi di allenarci insieme.

Per un attimo mi parve sul punto di scoppiare a ridere, ma tutto ciò che ottenni fu un sadico ghigno.

«Se ti va di essere massacrato, a me va bene. Un pidocchio in meno.»

Ci dirigemmo nella zona di combattimento, seguiti da un ingente gruppetto di curiosi. Nessuno dei due proferì più una parola, nemmeno un insulto. A quanto pare non ero il solo che aveva bisogno di sfogarsi, perché combattemmo con rabbia, incuranti del dolore provocato dal legno contro la pelle. Forse avevo appena scoperto come comunicare con quella macchina da combattimento.

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Capitolo 3
*** CHAPTER 3 ***


CHAPTER THREE

Avevo riaperto l’occhio da poco, la testa mi pulsava e i muscoli erano troppo tesi.

Cercai di riconoscere in qualche modo il luogo dove ero stato portato. L’aria era gelida, le mie braccia erano indolenzite e legate ad una sbarra di metallo con una spessa corda. Tentai più volte di liberarmi, tirando con tutto il peso del corpo, ma il nodo non sembrava cedere, anzi, iniziava a graffiare la mia pelle, che presto si riempì di tagli sanguinanti.

Mi resi conto che il mio tentativo si stava trasformando in letterale disperazione. Lacrime brucianti mi rigavano il viso, mentre il gelo mi faceva tremare violentemente.

Ero seduto su un materasso morbido, ma intiepidito solo dal mio sempre più flebile tepore. La zona cieca creata dal mio occhio bendato mi impediva di scorgere cosa si trovava alla mia destra, costringendomi quindi a torcere pericolosamente il collo.

Gocce rosse incidevano la mia pelle pallida, accompagnare dalle copiose lacrime portate da quella situazione assurda. Ero agitato. Non riuscivo a vedere bene. C’era una inutile candela appoggiata su un ripiano di legno che forniva luce sufficiente per vedere fino ai miei piedi. Quando notai che con i miei sobbalzi la facevo oscillare pericolosamente iniziai ad andare nel panico totale. O congelato o bruciato. Il mio destino sembrava prevedere solo queste due opzioni.

«Perché non ti tranquillizzi un po’?»

La sua voce invase impetuosa le mie orecchie doloranti e gelide. L’avevo sentita provenire da … sopra di me?! Alzai il viso e scorsi il suo mezzo busto sporgersi dalla parete del muro d’assi di spesso legno scuro. La flebile luce lo illuminava in modo inquietante.

Mi sorrise poco rassicurante e portò una delle grandi mani ai miei polsi. Raccolse una goccia più veloce delle altre, che aveva tracciato una scia rossa fin sotto il gomito. Cancellò la strada della piccola lacrima rossa e si portò il dito alle labbra.

«È proprio come lo ricordavo.»

L’immagine di lui in quella strana forma che leccava il mio sangue dalla sua mano mi si presentò come se fosse appena successo.

«Un déjà – vu spiacevole, immagino.»

«Razza di basta …»

Mi zittì con una mano, coprendomi sia il naso che la bocca. Nuovamente quell’orribile sensazione di panico e la consapevolezza di non poter nulla contro di lui.

«Sono di buon umore, quindi vedi di non rovinare tutto, guercio.»

Mi contorsi cercando uno spiffero d’aria tra le sue dita, ma non sembrava mollare la presa. Alla fine, quando vide che stavo per perdere i sensi mi liberò da quella stretta quasi mortale.

Sparì nuovamente nella parete, sempre che non fosse stato lì sin dall’inizio.

Mi lasciò il tempo per riprendere fiato, ma l’aria pungente mi infastidiva la gola, graffiandola con le sue invisibili lame affilate. Annaspai ancora un po’ prima di impormi un autocontrollo decisamente inefficace.

Mi rannicchiai su me stesso, aspettando che la personificazione del demonio si ripresentasse.

Passò molto tempo, o forse solo dei minuti, quando iniziai a perdere completamente le forze, stremato dal freddo. L’occhio iniziò inesorabilmente a chiudersi, mentre il calore mi abbandonava quasi completamente. L’ultima cosa che percepii fu un fruscio di qualcosa di meravigliosamente caldo che mi avvolgeva.

Era la seconda volta che aprivo l’occhio convinto di essere morto? Sì, l’avevo memorizzato eppure mi sembrava tutto irreale e lontano. Qualcosa crepitava poco distante da me. Sembrava il piacevole rumore del fuoco che consuma la legna.

Mi ci vollero circa venti minuti per rendermi conto che in quel posto non si gelava più.

«Ti senti meglio?»

Tyki Mikk era seduto su materasso, proprio infondo ai miei piedi. Mi accarezzo premurosamente una caviglia. Ritrassi la gamba a quel contatto quasi disgustante e mi strinsi le ginocchia al petto.

Le mani erano ancora strette nella fune. Notò il mio sguardo pieno di sgomento.

«Se ti slego poi scappi e se scappi poi dovrei ucciderti.»

«Affronterei il rischio.»

Lui sogghignò maligno.

«Io però non voglio farti fuori. Vorrei divertirmi un po’, prima.»

«Allora slegami, così possiamo essere pari, no?»

«Non credo tu abbia compreso appieno le mie parole.»

Detto questo mi afferrò per le caviglie e mi costrinse ad allungare le gambe, poi le bloccò con il suo peso. Lo guardai sgranando gli occhi. Cosa diavolo stava succedendo?!

Cercai ancora di liberare i miei polsi dalla morsa del nodo, ma fallendo miseramente non feci che riaprire i graffi, scavando maggiormente nella pelle.

Tyki si protese verso di me, accorciando pericolosamente la distanza dei nostri volti. Il suo alito caldo mi solleticava il viso, tanto che potevo sentirne quasi il sapore. Tabacco, credo.

Le lacrime ricominciarono a scendere, sentendo le sue dita sfregare contro la carne viva dei polsi. Le cancellò con la lingua, lasciandomi ancora più sbigottito.

«A – aspetta!»

Lui mi morse un orecchio.

«Come ballerino sei un fallito, ma vediamo se te la cavi un po’ meglio come amante.»

Cercai di respingerlo in tutti i modi, finché non conclusi i miei tentativi con una poderosa testata.

Lui si mise a sedere con un gemito, portandosi la mano al naso probabilmente rotto. Sentii lo scricchiolio delle ossa che tornavano al loro posto, mentre il Noah mi afferrava per il bavero della maglia.

«Stupido ragazzino. Ti piace giocare duro, eh? Bene allora! Se vuoi scappare fallo. Giochiamo al gatto ed il topo, piccolo guercio?»

Mi slegò i polsi e finalmente riuscii a guardare il danno che avevo commesso. Rabbrividii alla vista di tutto il sangue che riprendeva la sua corsa.

«Non credo resisterai per molto, anzi, sei sicuro di riuscire ad alzarti in piedi?»

Mi sollevai sui gomiti, poi a sedere ed infine mi alzai, aggrappandomi alla testata del letto. Non osai alzare l’occhi per paura di crollare a terra.

Ero ancora più disorientato. Il locale in cui mi trovavo mi dava un senso di claustrofobia. Era praticamente insopportabile.

«Puoi ancora cambiare idea …»

Ero certo che stesse sorridendo. Sussurrai un “no” poco convinto, poi mi costrinsi a sollevare lo sguardo. Tutto era confuso, ma non mi sarei certo arreso, quindi mossi il primo passo con voluta lentezza verso quelle che mi sembravano scale che portavano all’esterno. Avevo pensato alla possibilità di trovarmi in una stanza sotterranea, per l’esattezza notai che si trattava di un rifugio estivo per i cacciatori. Era naturale che in quel periodo pre - primaverile l’aria fosse ancora gelida. La serata della festa era stata un’eccezione, dato che comunque era una località posta a meno di un chilometro dalla costa marina.

Sentii un soffio alle mie spalle e percepii la presenza del moro a pochi centimetri dal mio corpo. Rabbrividii due volte. Una perché mi pareva troppo vicino, l’altra perché la sua vicinanza non mi dispiaceva affatto. Anzi, il mio corpo era come attratto da una forza paranormale che mi diceva di voltarmi e non rifiutare la sua offerta.

Ovviamente prevalse il mio orgoglio. Non avrei ceduto a quel ricatto. Tastai la mia gamba destra per cercare il mio martello e con sollievo lo trovai ancora lì.

Mossi altri passi incerti verso i gradini, certo di potercela fare, o per lo meno provarci. Non potevo arrendermi al Piacere! Oddio, che parola sublime! Solo a pensarci mi veniva voglia di …

Cominciai praticamente a correre. Ero sicuro fosse colpa di Tyki, se nella mia testa frullavano pensieri simili.

«Ti verrò a prendere, stanne certo!»

Sentii la sua voce come un sussurro sommesso, mentre ormai io arrancavo in mezzo alla neve. Merda!, pensai. Mi ero aspettato un posto freddo, ma una località in alta montagna non era proprio ciò che avevo ipotizzato.

Il manto bianco mi arrivava quasi al ginocchio. Il freddo era penetrante. Ringhiai al ricordo delle parole del Noah. “Non credo resisterai per molto”.

No, non avrei abbassato le armi per nulla al mondo, anche se mi cedevano le gambe.

Presi il martello, sentendolo vagamente tra le dita quasi insensibili.

«Innocence … attivati. Martello … allungati!»

Lui obbedì, ma mi pentii subito, perché a circa quattro metri da terra ricaddi rovinosamente sul soffice manto bianco.

Era la fine? Non potevo morire così! Il vecchio si sarebbe incazzato e avrei perso contro il Noah.

«Martello! Allungati!» Urlai con decisione.

Mi aggrappai con più forza possibile. Ce la posso fare! Ce la posso fare!, mi ripetevo nel frattempo.

Mi avvinghiai alla mia arma, riuscendo a distanziare di circa due chilometri quel maledetto postaccio, ma alla fine le forze mi abbandonarono e stramazzai sul terreno ghiacciato. Il martello finì a qualche metro da me. Non sentivo più le mani e le gambe, primi segni dell’assideramento. Ero decisamente più di là che di qua.

Sogghignai malevolo. Avevo perso? Di già?

«Che schifo …» Biascicai a fatica.

La consapevolezza di non riuscire più a muovere un muscolo mi irritava troppo. A quel punto aspettai solo che il destino fatale mi travolgesse con il suo perfido manto di disperazione, mentre la bufera di neve mi pungeva con i sui aghi ghiacciati.

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Capitolo 4
*** CHAPTER 4 ***


Vorrei ringraziare di cuore tutti quelli che mi hanno lasciato una recensione! ^__^ mi ha fatto davvero piacere. Un altro ringraziamento è per quelli che seguono la mia ff! spero continuiate a leggere i miei capitoli e che vi piaccia la storia! Au revoir!

 

CHAPTER FOUR

 

Ero migliorato moltissimo negli ultimi tempi. Sapevo maneggiare una katana piuttosto bene e in particolare avevo preso più destrezza con la mia arma anti – Akuma. Puntualmente mi presentavo da Kanda alle ore prestabilite e in due giorni avevamo già fatto a botte più di tre volte.

Ci avevano assegnato una missione in comune e per la prima volta nessuno dei due si era lamentato. Forse perché si trattava di una questione importante.

Con noi avrebbe partecipato anche il Vecchio Bookman, se Kumui non avesse ritenuto la missione troppo pesante.

Sospirai infelicemente e mi infilai l’uniforme scura. Era decisamente bella, ammisi. Johnny aveva un ottimo lavoro.

Link non si separava da me, anzi sembrava ogni giorno più appiccicoso. In questa missione, però avevo intenzione di sbarazzarmene per un po’, non a caso avevo trafficato nell’ufficio del supervisore appena ero stato sicuro che il biondo dormisse profondamente.

Lassativo, sogghignai. Niente di meglio per mettere fuori gioco un nemico. Efficace ed imbarazzante, direi.

L’avevo nascosto nella tasca della mia uniforme, in un punto a prova di combattimento.

Quella mattina mi lavai i denti lentamente, mentre mi stupivo ancora una volta del silenzio dei bagni. Era strano non sentire gli insulti di Lavi al “Signor Due Nei”.

«Che faccia stralunata, mammoletta.»

«Allen …» Bofonchiai, ricordandogli inutilmente qual era il mio nome.

«Fa lo stesso.»

 Appunto.

Dovevamo partire di lì a qualche minuto, quindi mi risciacquai e poi diressi verso l’uscita principale. Un Finder ci aspettava pazientemente, a cavallo della solita piccola barchetta di legno. Salutai Linalee e poi l’uomo che ci avrebbe accompagnato.

Mi stupii immensamente quando all’imbarcazione mi raggiunse solo l’esorcista dal carattere burbero.

«Link non si è sentito molto bene, l’hanno portato in infermeria. Mi ha detto di tenerti d’occhio, ma io non sono il tuo babysitter quindi non sperare che ti pari il culo come quel tipo là.»

Decisamente chiaro e diretto. Sospirai di sollievo, almeno non dovevo portarmi sulla coscienza il fatto di averlo avvelenato con gli strani intrugli di Kumui.

Kanda guardò costantemente attorno a sé. Non incrociammo mai gli sguardi, anche se io continuavo a non togliergli gli occhi di dosso. Era da qualche tempo che mi accadeva e non riuscivo a spiegarmi quell’orribile e stupenda sensazione.

Lui probabilmente percepiva il peso del mio sguardo, perché la sua posa era rigida ed innaturale.

Passammo anche delle lunghe ore su un treno, dove finii per addormentarmi. Per una volta fu mia la sensazione di essere osservato, ma dalla reazione del mio occhio, l’altro Esorcista non centrava proprio nulla.

Mi sollevai di scatto e come previsto, trovai Kanda con l’arma sfoderata, pronto a distruggere qualsiasi cosa gli si parasse contro. Per un attimo restai imbambolato a guardare la fiamma assassina che illumina i suoi occhi. Se ne accorse e si voltò.

«Pivello, dove sono quei bastardi?!»

«Sopra.» Dissi infilzando il soffitto della nostra cabina e saltando sul tetto del treno, subito seguito dal giapponese.

«Sono otto, sette meno questo.» Affondai la spessa lama nell’addome di un Akuma.

«Tsh, secondo livello. Lascia fare a me.»

«Non vorrai divertirti solo tu!»

Nuovamente uno contro l’altro. Li abbattemmo uno ad uno, fino a giungere all’ultimo, che venne tagliato in quattro dalle nostre armi.

«L’ultimo era mio!»

«Scusa, ma non c’era scritto mica il tuo nome, poi lo abbiamo distrutto insieme. Di che ti lamenti, ancora?» Gli sorrisi ingenuamente

«Giuro che …»

«Onorevoli Esorcisti? Vi prego di tornare nella cabina a voi assegnata, prego. Il capotreno vorrebbe parlarvi.»

 * * *

«Ancora una volta … è una questione di fondamentale importanza! Non potete farci questo! Degli Akuma …»

«Me ne frega si e no degli Akuma! Avete distrutto mezzo vagone, quindi vi supplico e ordino di scendere!»

«Ma signore, ascoltatemi …»

«Stupido vecchio cocciuto. Io me ne vado.»

«M – Ma Kanda!»

L’Esorcista si allontanava a passi svelti, senza nemmeno guardare se lo seguivo.

Lo raggiunsi velocemente, pur restando a debita distanza per evitare i suoi sguardi pieni di rabbia. Anch’io ero decisamente di cattivo umore, quindi mi ritrovai ancora più sollevato di non avere tra i piedi “Due nei”.

Mi ricordai della boccetta di vetro che avevo rubato e tastai la tasca per accertarmi ci fosse ancora. Sentii il piccolo rigonfiamento sotto la stoffa, mi tranquillizzai e iniziai ad escogitare il modo più ecologico possibile per sbarazzarmi di quella sostanza altamente tossica.

Era già pomeriggio quando raggiungemmo un piccolo villaggio tra le colline basse della regione.

«Io guardo in giro, tu vai a prenotare due camere in qualche locanda decente. Voglio passare la notte in un posto caldo.»

Detto ciò cominciò ad allontanarsi, probabilmente per controllare che non ci fossero pericoli in vista. Non aspettò la mia risposta, forse troppo sicuro del fatto che non avrei obbiettato.

Varcai il grande portone che dava accesso alla città e rimasi stupito dalle poche persone che girovagavano per le strade. Erano tutti pressoché uomini, la maggioranza con indosso divise militari.

Un villaggio in guerra a quanto pare. Questo mi riportò coi piedi per terra, ricordandomi che io non ero diverso da loro. Un soldato con la sua bella divisa, inviato ad uccidere i nemici, per recuperare compagni preziosi per lo stesso scopo.

Era dura la vita, quando dovevi stare sempre sull’attenti, nel bel mezzo delle battaglie.

Fatti pochi passi sulla strada lastricata, due guardie mi bloccarono.

«Dovete dare i vostri dati personali, così vi registreremo. Il vostro nome?»

Uno impugnava un’arma, mentre l’altro aveva un piccolo taccuino consumato e strappato.

«Allen Walker.»

«Età?»

«Quindici anni.»

«Siete solo?»

«No, con un compagno.»

«Nome ed età.»

Iniziavo ad irritarmi.

«Yu Kanda.» Dissi timoroso che potesse arrivare e farmi lo scalpo per aver pronunciato il suo nome. «Diciotto anni.»

«Deve accedere alla città?»

Sbuffai. «Sì.»

«Allora sarà meglio che si sbrighi, dopo le sette scatta il coprifuoco e agli estranei si spara a vista.»

Non credo solo agli estranei, pensai. Salutai e mi allontanai. Poi inviai Tim ad avvisare il giapponese. Lui schizzò via, ubbidiente e sparì oltre l’alto muro che circondava le abitazioni. Qua e là notai delle sentinelle.

Cercai insistentemente una locanda disponibile; finalmente trovai un albergatore disposto ad accoglierci. A quanto pare a quell’ora era già tutto occupato. Dovetti accettare una camere per due persone, letti separati e bagno incluso. Sinceramente per me era meglio così. Lo trovavo uno spreco di denaro e camere occupare due stanze quando si poteva benissimo stare in coppia.

Sbuffai al pensiero che l’altro Esorcista si sarebbe sicuramente arrabbiato.

Tornai al portone principale e trovai il mio irritante compagno di viaggio intento a litigare con la guardia che mi aveva fatto le domande.

«Vi ho detto: NESSUNA ARMA!»

«Non lascerò mai Mugen nelle vostre luride mani, razza di …»

«Scusatemi? Scusatemi!» Interruppi quello che stava per trasformarsi in uno spargimento di sangue, a sfavore del militare, però.

I due si voltarono dalla mia parte.

«Moyashi, come osi dare i miei dati personali!»

«Erano necessari per alloggiare. Comunque, sentite signore, non è proprio possibile fare uno strappo alle regole?»

Kanda si voltò indispettito. Mi sistemai Tim sulla spalla ed attesi una risposta. La guardia non stacco gli occhi un secondo dallo stemma della Darck Religious.

«Voi siete … oddio, sia lodato il cielo!» Sussurrò. Feci per chiedere spiegazioni, ma la sentinella si volatilizzò di corsa col sorriso sulle labbra.

Kanda mi guardò stupito, poi il suo sguardo tornò impassibile.

«Allora, dov’è l’albergo?»

 

Avevamo spento da poco la luce, non per dormire ma per obbligo. Avevamo cenato nella mensa affollata della locanda. Io avevo divorato ogni pietanza del posto, lasciando felicemente compiaciuto il cuoco. Kanda non aveva praticamente toccato cibo.

«Buona notte.»

Dissi dal mio letto, poco distante dal suo.

Nessuna risposta, come mi aspettavo. Rimasi comunque in attesa. A lui piaceva essere sempre l’ultimo a dire la sua, nelle discussioni, magari …

Il mio respiro lentamente si stabilizzo e il sonno cominciò ad avvolgermi.

«Buona notte …»

Non so come feci a percepire quel flebile sussurro, ma per alcuni secondi trattenni il fiato e repressi l’istinto di voltarmi e guardarlo. No, avrei rovinato tutto.

Durante la notte lo sentii alzarsi un paio di volte, raggiungere il piccolo bagno e poi tornarsene lì, seduto sul materasso con il viso tra le mani. Lo guardavo indisturbato, mentre la poca luce della luna faceva brillare la pelle appena sudata per i continui incubi che lo avevano fatto girare e rigirare tra le lenzuola.

Non ero pienamente cosciente quando, dopo averlo visto in piedi di fianco al letto mi ero messo a sedere. Stropicciandomi gli occhi avevo sbadigliato rumorosamente, lui era rimasto immobile con lo sguardo di chi è stato colto in fragrante in qualche atto illegale.

«Come mai …»

«Torna a dormire, mammoletta!» Le sue parole non risuonarono dure come avrebbe voluto, quindi mi alzai e mi chiusi nella piccola stanza allegata. Feci un bagno caldo. Finito quello rimasi seduto sul bordo vasca, avvolto nella salvietta candida, cercando di percepire un qualche suono nella stanza accanto.

Mi rivestii e sgusciai nella camera buia. Stavo per infilarmi nel mio letto, quando vi trovai un intruso a scaldare le mie coperte.

Stava dormendo pacificamente, senza il solito sguardo minaccioso.

Gli spostai delle lunghe ciocche dal viso e avvicinai le labbra alla sua pelle. Aveva un buon profumo. Quando mi resi conto di averle appoggiate alla sua guancia mi ritrassi di scatto.

Consapevole del mio gesto mi dissi che era l’effetto del sonno, anche se ero più cosciente che mai.

A quel punto gli rimboccai le coperte e mi intrufolai nel letto accanto.

L’odore dei suoi capelli ricordava tanto la fragranza che si sentiva nei corridoi della Sede. Mi aiutò a sprofondare lentamente nel sonno, mentre poco distante da me, percepii nuovamente il fruscio delle coperte.

Non fu quello, però a risvegliarmi del tutto.

Il mio occhio aveva percepito un gran numero di Akuma e anche Kanda sembrava sull’attenti, pronto all’imminente scontro.

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Capitolo 5
*** CHAPTER 5 ***


CHAPTER FIVE

 

La testa pulsante come un post – sbornia, le ossa che parevano fratturate e la pelle indolenzita sembravano di mia rutine ad ogni risveglio da qualche avvenimento bizzarro. L’ultimo era stata una bella passeggiata arrancando nella neve. Inutile, oltretutto.

Per la verità erano successe parecchie cosucce, negli ultimi … provai a contare i giorni che potevano essere passati, ma come unica risposta ottenni un’allucinante fitta alle tempie.

Meglio, almeno avrei fatto a meno di scervellarmi per tutto il tempo.

Tentai di appoggiarmi sui gomiti, ma con pessimi risultati. Comunque era bastato per rendermi conto di non trovarmi più nell’orribile buco sotterraneo dove ero stato con quel pazzo.

Prima di tutto era una camera da letto. Lussuosa come solo una suite può esserlo e con segni di rigorosa ricchezza.

Rammentai dei polsi sanguinanti, ma quando alzai le braccia per ricontrollare i danni, trovai con piacere le candide bende che me li avvolgevano. Mi massaggiai la pelle attraverso la stoffa rimasi immobile, sotto delle lenzuola ad accarezzarmi la pelle.

 …

… la pelle?!

Solo allora mi resi conto di non aver su uno straccio d’abito. Ero completante nudo. L’unico indumento, se così si poteva chiamare era la benda all’occhio destro.

Cercai di coprirmi il più possibile, per quanto si potesse fare con delle coperte di seta bianche. Così, raggomitolato e arrotolato come un salame rimasi all’ascolto di ogni possibile estraneo nella stanza. Quest’ultimo non tardò ad arrivare. La porta cigolò piano. Passi leggeri trotterellarono affianco al grande letto.

Percepii una figura sporgersi su di me, quindi finsi di dormire. La cameriera mi squittì nell’orecchio.

«Ancora dorme, poverino.» Il tono della voce era sarcastico. «Menomale che Sir Tyki l’ha trovato. Altrimenti questo era spacciato. In ogni caso vediamo di mettere a posto quelle dannate bende. Ma guarda cosa mi tocca fare! Io! Un livello due dovrei essere in giro ad evolvermi, invece eccomi qui, a fare la babysitter a questo marmocchio!»

Come fece per sollevare le coperte io le sferrai un calcio dritto nello stomaco, sbattendo la donna – Akuma contro la parete poco distante. Mi alzai trascinandomi frenetico le lenzuola e cercai il mio martello per la stanza. L’Akuma, intanto si stava rialzando.

«Come osi! Misero umano! Io ti amma …»

L’esplosione mi fece volare dall’altra parte della stanza.

«Le avevo raccomandato di non toccarti con un dito, ma non ci si può mai fidare nemmeno degli alleati.»

Cercai di rimettermi in piedi, evitando in tutti i modi di lasciare parti imbarazzanti in vista. A quel maniaco non volevo far vedere un fico secco! Ben che meno dopo quella storia nel rifugio estivo dei cacciatori.

La sola sensazione delle sue mani sul mio corpo mi faceva rabbrividire.

Sembrò quasi accorgersene, perché si avvicinò e, alla seconda scarica di brividi, sorrise maliziosamente. Io affatto. Piuttosto stavo pensando a dove poteva essere finita la mia innocence.

Mise una mano in tasca. «Cercavi questo?»

L’oggetto da me tanto agognato era ora tra le sue minacciose mani.

Un altro sorriso.

«Lo vuoi?» Uno sguardo indagatore mi perlustrava. Mossi appena le coperte, tirandole un po’ più su, a celare fin oltre l’ombelico.

«Potremmo fare uno scambio, però o prima accetti o … bye bye innocence!»

Sussultai a quelle parole, ricordando dove le avevo sentite pronunciare la prima volta da quella voce. Aggrottai la fronte.

«Ho un’altra scelta?»

«No, probabilmente. Però potremmo fare un gioco, per decidere chi dei due ha la meglio. Così potresti gradire un po’di più.» Pensai all’allegra chiacchierata che avevamo fatto in precedenza.

«Prima una cosa. Quanto sono andato lontano?» Sorrisi sapendo di aver sorvolato parecchio territorio.

«Sei stato piuttosto bravo. Più di due chilometri, non l’avrei mai immaginato ridotto com’eri. Anzi, come sei. Sono più di tre giorni che non mangi. Così non farai che peggiorare le cose. Adesso ti porterò in pranzo, poi decideremo il da farsi. Non scappare, neh …»

Detto ciò si dissolse in uno sciame di orrende farfalle nere.

Non ci mise molto, mentre io escogitavo (o tentavo di escogitare) una maniera per scappare. Peccato non fossi in grado di sparire come lui. Inoltre aveva io mio martello, quindi ero spacciato. Se avessi riprovato a svignarmela, probabilmente stavolta non mi avrebbe risparmiato. O forse sì? Insomma, se volava arrivare ad uccidermi, non avrebbe atteso così tanto e se voleva farmi morire di fame, non sarebbe andato a prepararmi da mangiare.

Usò la porta, questa volta. Forse per mettermi a mio agio. Sbuffai. Quanti forse!

«Ecco qua, piccolo guercio.»

Mi sorrise, un sorriso sincero, questa volta. Mi venne spontaneo ricambiare e vedendo una risposta sembrò essere ancora più soddisfatto.

«L’hanno preparato i cuochi della reggia. Prometto che non si verificherà più un simile incidente.» Disse indicando la parete sporca di fuliggine dell’esplosione. Doveva aver impedito che mi attaccasse. In breve, mi aveva risparmiato ancora una volta.

Sul vassoio c’erano diverse pietanze. Avrei voluto fare lo sciopero della fame, ma era un po’ troppo tardi, dato che avevo già cominciato ad ingozzarmi, prima di formulare quel pensiero. C’erano un piatto abbondante di minestra, un altro con costolette di maiale, un cesto di pane, due bottiglie da bere ed un vassoio coperto.

«Serviti pure! Direi che disprezzi gli Akuma, ma non il cibo che sanno cucinare, eh!»

Scoppiò a ridere. Era seduto poco distante da me, dalla parte opposta del materasso. Io avevo il vassoio posato sulle gambe, prontamente coperte dal lenzuolo.

«Hai freddo?» Chiese, mentre il suo sguardo scendeva lentamente dal collo verso zone inesplorate.

Mi sentii avvampare e mi mossi appena, per assicurarmi di mantenere una certa distanza. Non sapevo se rispondere di sì o di no. Le due mezze idee che mi frullavano in testa per entrambe le opzioni mi mettevano ancora più a disagio.

«Dunque?» Insistette lui, calmo.

Se rispondevi di sì, poteva pensare a modi strani per scaldarmi e se dicevo no, chissà, magari il maniaco mi toglieva anche il lenzuolo!

«Beh … ehm … ecco …»

Come mi aspettavo scoppiò in una fragorosa risata.

«Sei ancora più carino quando sei confuso, coniglietto!»

Mi irrigidii a quel nomignolo. Farfugliai un lamento di disapprovazione, poi mi rituffai sul cibo. Bevvi tutta la bottiglia d’acqua, mentre l’altra se la prese lui. Non avevo mai pensato che, anche se Noah, avesse bisogno di acqua e cibo. In ogni caso erano pur sempre umani. Pazzi, assassini, indiscutibilmente sadici, ma umani. Dopotutto gli uomini non sono diversi dai Noah, solo quest’ultimi sono la reincarnazione dei peggiori peccati che essi possano commettere.

Il Piacere è un peccato?

Se te lo perdi sì, pensai lasciandomi sfuggire un sorrisetto. Lui non lo ignorò, quindi iniziò ad insistere sul farsi dire ciò che mi frullava per la testa, la stessa cosa che avevo pensato quella sera alla festa.

«No, non ho voglia di dirti nulla.»

«Bene, allora passiamo subito al gioco, ti va?»

Annuii. Che altro potevo fare. Certo, l’idea di non ribellarmi non era il massimo, solo prima di qualsiasi combattimento volevo riavere il mio martello.

Salì a carponi sul letto e poi si sedette a gambe incrociate. Estrasse un mazzo di carte dalla tasca e cominciò a mescolarle. Rabbrividii. Che sapesse della mia pressoché totale ignoranza nel poker?

Sorrise affabile e cominciò a distribuire le carte. Per lo meno erano occidentali, quindi riconoscevo il loro valore. Cominciammo a giocare, ma una carta dopo l’altra, mi avvicinavo ad una inesorabile sconfitta. Tyki non smise di sorridere, guardandomi mentre impacciato mi sfuggivano quasi le carte dalle mani.

«Scala reale.»

Concluse per la terza volta dopo meno di dieci minuti.

«Stai imbrogliando!» L’avevo visto con Allen sul treno.

«Ah, ragazzo. Nessuno ha stabilito le regole. In ogni caso … ho vinto!»

Sgranai gli occhi.

«Signor Neo, voglio la rivincita!» Cercai in tutti i modi di allungare quel momento, prima che arrivasse quello fatale.

Scosse il capo. «Non do mai rivincite. H-O V-I-N-T-O. Adesso prenderò ciò che mi spetta.»

Altri brividi percossero la mia schiena scoperta, mentre le sue mani si avvicinavano alla pelle. Cominciai a sudare freddo. Dentro di me, qualcosa non andava. Qualcosa mi stava impedendo di ritrarmi, eppure avrei potuto saltar giù dal materasso ed allontanarmi.

Ebbi un fremito al nostro primo contatto. Non so per quale motivo, ma mi aspettavo che la sua mano fosse gelida. Mi ero fatto ingannare da quel colorito abbronzato e cadaverico allo stesso tempo.

Mi attirò a sé ed io non protestai. Sarebbe stato inutile?

Mi tenne stretto in un breve abbraccio, dove percepii i battiti accelerati del Noah. Anche quello non me lo sarei aspettato.

Che idiota, pensai.

Il suo respiro caldo mi carezzava l’orecchio sinistro e la spalla. Le labbra non erano molto distanti dal lobo e le mani stavano percorrendo il tragitto dai miei fianchi ai capelli.

Il mio viso ribolliva per l’imbarazzo. E stavo anche immobile?!

Provai a respingerlo e a colpirlo, ma non si smosse di un solo millimetro.

«Sta’ tranquillo …»

Mi tirò la testa all’indietro e cominciò ad accarezzarmi il collo con la punta del naso. Su e giù, lentamente. Al naso, si sostituirono presto le labbra morbide e la lingua. Cominciai ad ansimare, sferrando pugni a destra e a manca.

«La – lasciami! Ah!»

Mi morse il labbro inferiore, dopodiché infilò nella mia bocca spalancata la sua umida e calda lingua. Cercai di respingere quella presenza indesiderata, ma finii per rispondere a quel bacio che di casto non aveva proprio niente.

«Non hai niente di cui lamentarti, per ora. Risparmia la voce per più tardi.»

Premette il corpo contro il mio, le mani che scorrevano sul mio corpo, tracciando disegni infuocati. Tutto bruciava! Di passione. Di rabbia. Di piacere!

Presto i suoi suntuosi abiti finirono a terra. La cosa sconvolgente? Glieli avevo sfilati io! Le lenzuola che mi coprivano non tardarono a raggiungerli.

L’unica cosa che indossavo erano le varie bende bianche più quella sull’occhio. Quando Tyki fece per toglierla, mentre mi faceva scorrere le labbra lungo il viso, scostando i ciuffi rossi ribelli, voltai la testa di scatto e mugugnai quasi impercettibilmente.

«Se non vuoi proprio levartela, sarà per un’altra volta.»

Mi baciò ancora, dolcemente, stavolta. Questa volta, più che una lotta sembrava una lenta e sensuale danza. Mi tolse letteralmente il respiro.

Sorrise soddisfatto quando prese a torturare zone più sensibili ed io cominciai a gemere in modo incontrollato. Penso si sia divertito parecchio a sentirmi urlare a causa dei suoi giochetti successivi.

Dopo avermi ripetuto lo stesso trattamento circa due o tre volte, cademmo esausti sul materasso. Mi ero abbandonato sul suo petto. Mentre respirava pesantemente, io venivo trasportato su e giù, più dolcemente di quello che mi aveva fatto fare prima.

L’aria era ancora bollente, io ero ancora bollente. Tyki era ancora più bollente.

Si sfilò da sotto di me, la pelle imperlata di sudore, i capelli arruffati. Mi sorrise quando notò il mio sguardo sul suo corpo scoperto.

Ero distrutto. Avevo bisogno di una bella dormita, come se non fossi stato nel mondo dei sogni per abbastanza tempo! Tutto era così irreale in quella stanza quasi magica. Sospirai e rabbrividii.

Il Noah si avvicinò e mi circondò con le braccia. Mi accoccolai contro il suo petto.

«Sì, come amante sei decisamente meglio …»

Lo colpii con un pugno dritto nello stomaco, poi mi lasciai trasportare dalla stanchezza,il battito del suo cuore a cullarmi.

Che idiota!, mi ripetei.

 

 

 Grazie mille mhoran per avermi aiutata e sostenuta nella pubblicazione del capitolo. Altri ringraziamenti a coloro che gentilmente seguono la mia storia e quello che l'hanno messa nei preferiti. Mi date la soddisfazione di andare avanti a scrivere questa fic. Spero che per chi nelle recensioni mi ha domandato che fine avrebbe fatto Lavi questo capitolo sia una risposta.

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Capitolo 6
*** CHAPTER SIX ***


Angolo dell’autrice:

Ciao a tutti quelli che seguono la mia fan fiction e grazie per continuare a leggere. Vorrei solo annunciare che i prossimi due capitoli non saranno particolarmente movimentati, in quanto non ci saranno sviluppi drastici sia in campo sentimentale che in quello della storia in generale.

Ecco qui le risposte alle recensioni:

mohran: grazie per il commento, come sempre sei la prima a recensire (chissà come mai ;P). cosa posso dirti … Cross è il solito guasta feste, e tu la solita impicciona! Insomma, se Lavi e Tyki si vogliono divertire, l’unica che dovrebbe avere il permesso (per prendere spunti per la ff, come no!) dovrei essere io! Tu puoi spiare gli altri. Inoltre, dato che sei una KandaxAllen super fan spero ti piaccia anche questo capitolo.

Skadi: sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo (è uno di quelli che preferisco, chissà perché ;P), però vorrei precisare che non sono stata aiutata nella stesura della ff, ma nella pubblicazione, dato che sono una completa incapace con i computer. Spero ti piaccia anche il prossimo, anche se, come già annunciato, non ci saranno grandi avvenimenti.

valentinamiky: non importa come ti esprimi nelle recensioni, l’importante è che ti sia piaciuta e che continui a seguirla. Grazie ancora per il commento.

XShadeShinra: grazie per la recensione e le constatazioni, non importa se hai recensito 5 capitoli in uno, sono contentissima perché comunque l’hai fatto. Mi dispiace di aver cambiato un po’ il carattere del mio adorato Lavi e me ne sono accorta anch’io. Sono contenta che ti sia piaciuta, anche se il povero Link non era proprio … nella sua forma migliore, ma in questo capitolo voglio chiarire il malinteso. Non è stato Allen ha farlo andare in infermeria. Non ho fatto una scena rossa perché pensare di scriverle … >///< non posso reggerlo! Sentiti sempre libera di correggermi ciò che trovi errato o che non capisci. Grazie ancora e spero continuerai a seguirla.

CHAPTER SIX

 

«ALLEN!»Qualcosa non andava. Da quando Kanda mi chiamava per nome?

«Cazzo! Apri gli occhi, pidocchio!»

Così era un po’ meglio. Doveva avermi colpito uno degli Akuma di livello tre. Cercai di guardarmi attorno, mentre venivo sballottato qua e là dal mio compagno. Mi aveva caricato in spalla poco dopo che il nemico mi aveva scaraventato addosso a lui.

Mi mossi appena, il necessario per fargli capire che ero più o meno cosciente. Lui mollò la presa, facendomi ruzzolare a terra.

Mugugnai un “grazie” che non ottenne un misero commento di rimando.

Il giapponese si lanciò sul tetto della casa accanto, dove attivò l’Innocence e attaccò un altro Akuma.

Mi sentivo strano, la testa era a posto, ma qualcos’altro non lo era affatto. Mi alzai faticosamente. Mi portai una mano alla spalla, da dove provenivano le scosse di dolore pazzesche.

Tastai il tessuto dell’uniforme. Era bagnato!

«Kan … da.» Dissi con voce flebile, mentre mi accasciavo a terra. Stavo perdendo decisamente troppo sangue, quella ferita andava richiusa al più presto.

Il giapponese non sembrò degnarmi di uno sguardo, troppo impegnato a fare a fette gli a Akuma che invadevano la città.

Ero KO con una mano premuta ad evitare il dissanguamento, quando sentii un’imprecazione preoccupata poco lontano da me, seguita da una corsa veloce. D’innanzi avevo un enorme Akuma dal colore verdognolo, che minacciava di ammazzarmi da un momento all’altro.

«Esorcista, eh!, avrò il piacere di uccidere un’Esorcista, eh!»

Quasi non ebbe il tempo di concludere la frase che Kanda gli recise la testa dal collo, facendola volare lontano.

«Che diavolo fai?!»

«Mi prendo una piccola pausa …»

Il suo sguardo ricadde sulla spalla dilaniata. Sbuffò infuriato e mi raccolse. Mi caricò in spalle e cominciò a correre verso l’uscita della città.

«Non puoi … abbandonarli!»

«Zitto.»

 

Riuscii a restare lucido per quasi tutta la durata della corsa. Quando fummo a debita distanza, Kanda mi depositò al suolo, dolcemente questa volta.

«Devo toglierti la giacca.» Annunciò. «Farà un po’ male.»

Cominciò a sbottonarmi piano la divisa dell’Organizzazione. Quante volte mi ero immaginato quelle mani pallide che compievano quel gesto tanto intimo e lento. C’era un piccolo dettaglio: il contesto dei miei desideri era tutt’altro!

Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo volto, impegnato nel cercare di non toccare troppo violentemente la zona lesa. Quando se ne accorse mi segnalò la sua disapprovazione con un grugnito.

Non avevo il coraggio, ma volevo sapere ad ogni costo il perché della sua invasione nel mio letto. Presi un bel respiro.

«Senti …»

Mi zittì appena sollevò il lembo della giacca della divisa.

«Ah! Fa … male!»

Lui sorrise maligno. Mi aiutò a mettermi seduto, tenendo un braccio dietro la mia schiena. Tra noi non c’era mai stato un contatto così diretto. Mi sfilò anche la camicia e l’aria fredda delle prime ore del mattino mi trafisse.

Per qualche minuto rimase ad esaminare il danno, poi sembrò decidersi sul da farsi ed estrasse da una tasca il materiale medico. Ripulì con delicatezza, riunì i due lembi di pelle divisi e cominciò a ricucire con uno spesso ago. Era piuttosto doloroso, ma sopportabile, in confronto a quello che avevo passato in precedenza.

Si interruppe un momento per controllare che fossi cosciente. Mi accorsi di aver afferrato la sua divisa lunga.

«Tutto okay? Guarda che ho quasi finito … pivellino!»

Concluse con gli ultimi punti la cucitura sulla mia spalla e cominciò a fasciarla, avvolgendo anche parte del mio petto.

Sospirai di sollievo quando ebbe finito, mi aiutò ad alzarmi e mi condusse tra il bosco.

Tremavo violentemente a causa delle basse temperature.

«Dove andiamo?»

«Poco più a nord della città ho avvistato un piccolo rifugio sotterraneo. Dovremo fare in fretta. Altrimenti non resisterai molto in questo stato.»

Annuii quasi sconvolto di tutta quella attenzione. Che si stesse veramente preoccupando per me?!

Per velocizzare lo spostamento mi sollevo e caricò in spalla. Non impiegammo molto per arrivare. Mi ero completamente afflosciato su di lui, in modo da evitare di essergli ulteriormente d’intralcio. Kanda alzò una porta – botola e vi si fiondò dentro.

Il posto era piuttosto freddo, soprattutto perché era progettato per le battute di caccia estive. Dall’entrata ruzzolò un po’ di neve ghiacciata.

Era completamente buoi la sotto. Fortunatamente Kanda trovò una candela mezza consumata su un vecchio tavolino traballante.

Proprio attaccato ad esso c’era un piccolo letto malandato. L’Esorcista mi depositò sul letto ed accese la candela, poi il fuoco. Ci rendemmo conto in ritardo del sangue sulle lenzuola. Mi allontanai traballante, ma desideroso di non guardarlo. C’erano delle corde sulla testata del letto, anch’esse zuppe di liquido vermiglio secco.

Deglutii.

Non erano le uniche cose presenti. Sul cuscino sporco, era appoggiata una fascia, simile a quella di qualcuno che conoscevo bene.

Mi voltai coprendomi la bocca a trattenere un conato di vomito.

«Non può essere …»

Kanda era davanti a me e non appena si avvicinò lo strinsi involontariamente, premendo il viso contro il suo petto.

Lui non si oppose.

«Cazzo …» Sembrava piuttosto preoccupato, ma se non l’avessi imparato a conoscere non avrei mai intravisto la sua speranza che strisciava via. Mi venivano le lacrime agli occhi, ma pur imponendomi di non piangere, queste sembravano intenzionate ad uscire.

Le sue braccia forti mi sorressero quando un colpo di stanchezza mi colpì, facendomi sciogliere tutti i muscoli delle gambe.

Mi fece sedere a terra e si sbarazzò delle lenzuola, gettandole nel camino ardente.

La fascia la nascose in una tasca, mentre si toglieva la divisa.

Cercò altro per coprirmi e poi mi avvolse una coperta di lana più pesante delle altre. Pur avendo il fuoco e la coperta, però non smettevo più di tremare.

Il giapponese fece finta di niente, mentre se ne stava a pulire la sua stupida katana in un angolino, poco più lontano del fuoco. Incrociammo gli sguardi un paio di volte, finché non smisi di fissarlo e mi persi nei miei loschi pensieri su ciò che poteva essere accaduto in quella stanzetta sotterranea.

Non mi accorsi che Kanda mi si era fatto più vicino. Me ne resi conto quando le sue labbra raccolsero una mia lacrima fuggiasca.

Rimasi pietrificato, con gli occhi sbarrati da quel gesto assolutamente intimo.

Mi circondò con le braccia e mi strinse a sé.

«Smettila di piangere, sembri un marmocchio!»

Mi costrinse a guardarlo in faccia. Il suo sguardo era duro come al solito, ma i suoi modi di fare tradivano l’indole scorbutica.

Ebbi l’impulso irrefrenabile di assaggiare le sue labbra. Effettivamente avevo una certa fame, così avvicinai maggiormente i nostri volti e sfiorai le sue labbra con le mie. Non rispose, quindi mi ritrassi sicuro che non sarei più riuscito a guardarlo in faccia a causa di quel gesto imbarazzante. Non che il suo fosse stato da meno.

Kanda mi spinse improvvisamente contro il muro. Ecco! L’avevo solo fatto incavolare.

«Mammoletta!» Cominciò ed io sperai solo non durasse troppo; era già abbastanza orribile non essere ricambiati. «Quando fai una cosa simile …» Mi preparai. «… falla bene!»

Altro stupore mi invase, unito alla sua lingua nella mia bocca semiaperta.

Cercai di allontanarlo. Non perché si interrompesse il bacio, ma perché non ero pronto completamente ed un simile contatto. Lui non cedette, costringendomi a rispondere.

Si separò da me, ansimante ed eccitato, solo quando fu soddisfatto della mia espressione di totale abbandono alle emozioni.

Un sorriso preannunciatore dell’apocalisse (la mia apocalisse, però) comparve sul suo volto, mentre ammirava il mio stretto tra le sue mani. Si infilò tra le mie gambe e mi obbligò a sedegli sopra. Ero più piccolo di statura, oltre che più giovane, ma tutto quello mi stava piacendo davvero.

Risposi al sorriso, anche se in modo differente.

Prese a baciarmi ed a toccare la mia pelle che divenne lentamente imperlata di sudore. Le sue mani si spinsero velocemente alla mia cintura, che sfilò e spinse lontano.

Mi bloccai, ancora tremante, anche se per un altro motivo rispetto a prima.

«Hai paura?»

Scossi il capo, celando il mio letterale terrore. Non avevo mai fatto nulla di così azzardato. Cioè non nego di essermi toccato, per carità, solo non avevo mai pensato potesse farlo qualcun altro. Beh, forse sì …

Mi sollevò il mento e strofinò il naso contro il mio. «Sì, invece …»

Annuii al suo sussurro quasi dolce.

Lui mi abbracciò e mi trascinò a terra. Rimanemmo immobili, stretti l’un l’altro.

«Posso aspettare … aspetto da un po’, riuscirò ancora …»

Lo guardai giocando con una ciocca di capelli.

«Perché l’hai fatto? Perché oggi?!»

«Non stavo dormendo.»

Mi si secco la bocca a quell’affermazione, ma non rimase asciutta per molto, dato che presto fu occupata da una lingua umida ed estranea. Per lo meno, baciarci mi distraeva un po’ dalla preoccupazione per Lavi. Solo una cosa mi spinse a lasciare a malincuore le sue labbra.

«Kanda …»

«Che vuoi? Ti da fastidio?»

Sorrisi. «No, non è quello. Vorrei parlare di Link» vidi un accenno di sorriso. «Non dirmi che …»

«Ops, deve essermi scivolata un po’ di quella robaccia di Kumui nel suo bicchiere della colazione …»

Lo guardai di sottecchi. «Tutto da solo?»

Sghignazzò malevolo. «Ok, Jerry è dalla mia parte!»

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