Nottingwish di Matt_Plant (/viewuser.php?uid=80614)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio nome é Allan, Allan Chord! ***
Capitolo 2: *** Judy Chord, la cozza! ***
Capitolo 3: *** Androgina e la setta rossa ***
Capitolo 4: *** Due imbranati e tante pozioni colorate. ***
Capitolo 5: *** Un folle inseguimento. ***
Capitolo 6: *** Due tute e uno spazzolone! ***
Capitolo 7: *** Begonia ***
Capitolo 1 *** Il mio nome é Allan, Allan Chord! ***
Ciao! Questa è la mia prima fanfic, spero che questa storia
vi
diverta e vi faccia diventare degli eroi! Si, perché tutti
in
fondo, nel nostro piccolo, possiamo diventarlo; basta un pizzico di
immaginazione ed eccoci nei panni del nostro eroe personale, non privo
di difetti, che affronta la vita di tutti i giorni.
Ricorda, tu sei l'eroe della tua vita.
In questo capitolo presenterò Allan Chord, un ragazzo molto
distratto e sfortunato, gliene succederanno di tutti i colori,
fidatevi. Ora siamo ancora agli inizi, ma lo vedremo crescere e
diventare un eroe!
Vorrei creare un mio stile di scrittura frizzante e divertente grazie a
questa storia!
Ma spetta a voi commentare cari lettori, dunque, non mi resta che
augurarvi buona lettura e di raccomandarvi di essere sinceri...se la
storia non vi piace,
esprimetelo nelle vostre recensioni senza timore...E se vi piace, non
potrò che esserne felice!
Fatevi sentire in tanti! ;)
1. Il mio nome è
Allan, Allan Chord!
Tic-Tac, Tic-Tac.
Un orologio scandiva a ritmo costante i secondi che passavano.
Io lo fissavo accigliato. La testa mi faceva male e respiravo a fatica.
Distogliendo lo sguardo da quell'orologio mi scoprii disteso su un
letto, il panciotto ben in evidenza.
Con un piccolo dolore alle cornee, i miei occhi blu come il mare si
spostarono, facendo il giro della stanza.
Mi trovavo in un ambiente sconosciuto. Quella stanza era enorme e
affollatissima, ma era anche così malinconica e triste.
I miei occhi si dovettero abituare alla desolazione di quel posto,
perché intorno a me vedevo tutto grigio. Le pareti, il
pavimento. E poi c' erano letti e persone stese sopra, a pancia in su
come me. Alcuni dormivano, altri si lamentavano, anche se non riuscivo
a capire per cosa.
Nonostante tutti questi particolari, la mia testa non arrivava a capire
dove mi trovavo in quel momento. Fu l' arrivo di un' infermiera con una
grossa siringa in mano a destare in me qualche sospetto.
Finalmente capii: ero in un ospedale.
Con impeto provai ad alzarmi, ma gli arti mi facevano male e ogni volta
ricadevo sul letto come un salame. "Colpa degli anni" continuava a
ripetermi la mia testa. Erano venticinque.
- I reumatismi, - boccheggiai. - le mie ossa!- tentennai in un ultimo
mal riuscito tentativo di alzarmi da quel maledetto letto.
Una domanda mi sorgeva così spontanea: "come ci ero finito
in ospedale?"
Non me lo ricordavo; fare mente locale con un' emicrania da urlo era
praticamente impossibile.
Intanto vidi l'infermiera che si stava avvicinando verso il mio letto,
la siringa in mano puntata verso l' alto. Era una bella donna
quell'infermiera. Era
alta, aveva un gran seno prosperoso e profumava di vaniglia da qui a
là. Ma il bello è che non me ne importava un bel
niente
della sua avvenenza. O almeno non in quel momento. Vederla avanzare
così bella verso me, armata di un siringone, mi terrorizzava
più di qualsiasi altra cosa.
L' infermiera avanzava. Aveva dei grandi occhioni verdi che le
indolcivano il volto abbastanza duro. I capelli erano di un biondo
chiarissimo e li portava
in un caschetto che le ricopriva fronte e orecchie.
Se prima respiravo a fatica, ora quasi non respiravo affatto. Chiunque
mi conosceva sapeva che la punta acuminata di una siringa mi piegava in
ginocchio e mi faceva piangere come un bambino.
La "femme fatale" era giunta al mio cospetto. Lucy, potevo leggere sul
cartello identificativo.
Mi irrigidii.
Gli occhi smeraldini di Lucy avevano assunto una nota interrogativa.
Poi la donna sorrise, mostrando denti perfetti. Infine
abbassò
"l' arma dalla punta
decisamente non arrotondata" e la indirizzò verso di me.
Sussultai e gemei.
Probabilmente Lucy pensò che non ero del tutto cosciente,
perchè non parlò, ma si limitò ad
affondare l' ago
dentro la mia carne.
Quando sentii l' arma premere sulla pelle del mio avambraccio, di colpo
ricordai tutto.
Il sole raggiante del primo mattino illuminava le strade di una grande
metropoli. Era Nottingwish, la città in cui abitavo con mia
sorella. Lo so, il nome non promette nulla di buono, ma io adoravo
vivere in quel posto.
Ero per strada, salutavo la gente, anche se loro neanche mi
calcolavano. Avevo un colloquio di lavoro quel giorno ed ero vestito
elegante: giacca e cravatta marroni abbinate a dei pantaloni di velluto
bianco, scarpe scamosciate di un blu sgargiante, insomma quel giorno
avevo scelto i migliori abiti che avevo trovato nel mio armadio. Anche
se devo dire che la gente che incontravo per strada non sembrava essere
d'accordo con me. Beh, forse i colori non si intonavano molto fra loro,
ma che ci volete fare, la mia indole inappropriata era molto evidente.
Guardai l' orologio da polso. Era tardi e dovevo fare in fretta; non
potevo rinunciare anche a questo lavoro.
Decisi di trovare una scorciatoia. Conoscevo ogni strada di Nottingwhis
come le mie tasche. Per me non era un problema trovarne una.
Dovevo solo arrivare al municipio. I seggi elettorali stavano per
iniziare e un buon posto da scrutatore era un ottimo lavoro per un
perenne disoccupato come me. Dovevo ottenere questo lavoro. Per me e
per mia sorella.
Di colpo sentii la scarpa inumidirsi.
-Oh, accidenti!- dissi guardando un cagnolino che mi aveva lasciato un
ricordino tutt'altro che piacevole. - Dovevi farla proprio addosso a
me?- gli chiesi.
Ovviamente il cane non rispose. Invece si girò, mostrandomi
le
chiappe e smosse le zampe posteriori, disfacendosi del suo misfatto.
Senza pensare troppo, mi tolsi la scarpa bagnata e continuai a
camminare come uno zoppo verso la mia meta.
La gente per strada rideva, ma non me ne importava proprio niente.
C' era una scorciatoia proprio dietro l' angolo. Era un vicolo buio e
desolato, non praticato dalla gente. Molti non lo conoscevano, ma non
io che avevo una mappa di Notthingwhis impressa nella mia testa.
Mi affrettai. Prima di girare l' angolo diedi una rapida occhiata ad
una vetrina, per specchiarmi.
Rimasi a fissare il mio riflesso per un po'. Avevo gli occhi blu che
brillavano come zaffiri in quel volto così rotondo e
imperfetto.
I capelli mi
ricadevano sulla fronte, erano di un biondo sporco e lisci come l'olio.
Sorrisi, mostrando le fossette sotto le guanciotte. Ciò era
un
bene: pettinarmi i
capelli era una pratica che potevo evitare benissimo. Il mio naso era
così rotondo e schiacciato sulla superficie che sembrava
quello
di un cinghiale.
La mia bocca, sottile e dal colorito pallido, sembrava non ci fosse.
Perfetto, pensai. Non ero nato per apparire,io, Allan Chord.
Di colpo mi riaffiorarono in mente le parole di mia sorella: "Qualunque
cosa succeda, cerca di arrivare in tempo al colloquio di lavoro."
E dovevo farlo. Senza un lavoro avremmo perso tutto, andando sul
lastrico. Mia sorella frequentava la prestigiosa università
della città e gli studi costavano parecchio.
La strada del vicolo era buia, i raggi del sole non illuminavano quelle
strette mura. Mi fermai di colpo. Tra l' oscurità scorsi un
muro
davanti a me.
Rimasi allibito. non ricordavo che fosse un vicolo cieco.
Poi qualcuno si mosse nell'oscurità. Sgranai gli occhi nel
tentativo di vedere meglio.
Alte figure si stavano avvicinando verso me. Poi vidi qualcosa di
brillante.
Avevo paura e sarei scappato se le mie gambe non sarebbero state sul
punto di cedere.
Le alte figure erano incappucciate e stringevano in mano dei coltelli
appuntiti come rasoi. Erano in tre.
Di colpo capii che quelle erano persone poco raccomandabili, volevano
qualcosa da me.
Uno dei tre banditi si avvicinò, sussurrandomi delle parole
all'orecchio. La sua voce aveva un tono terribilmente pungente. -
Sgancia tutto quello che hai in tasca.- disse con un ghigno.
Io, tremavo come una foglia, la scarpa bagnata dal cane ancora in mano.
Non ero mai stato una persona coraggiosa.
Annuii a quella richiesta. Mi portai le mani alle tasche, ma non avevo
niente. Ne' contanti, ne' carte di credito. Avevo solo le chiavi di
casa.
Lo dissi ai tre banditi. Quello più vicino a me era ancora
col fiato sul mio collo.
- L'orologio.-
- L'o...orologio?- ripetei balbettando.
No. La mia testa mi suggeriva di non dare la cosa a cui tenevo di
più. Non potevo dar loro l' orologio. Per me era troppo
importante, era un antico cimelio di famiglia e me lo aveva donato mio
padre prima di morire. Evidentemente non avevo riflettuto a lungo con
chi avevo a che fare.
- No.- dissi tirando fuori un briciolo di coraggio e offuscando la mia
vigliaccheria.
I tre banditi, dapprima spiazzati, alzarono i coltelli.
- Non ti conviene farci arrabbiare.- E il bandito più vicino
a
me si tolse il cappuccio, mostrando una testa pelata e tanti tatuaggi
su tutto il capo. - Gli
intelligenti sanno che non devono giocare col fuoco, rischiano di
scottarsi. E ora dacci quel dannato orologio!-
I miei occhi blu si scontrarono contro quelli grigissimi e perforanti
di quel malvivente. Per un attimo mi sembrò che da quelle
iridi
presto sarebbero
scaturite delle fiamme che mi avrebbero abbrustolito, ma ovviamente non
successe.
I miei occhi, dettati dalla semplicità, non ressero il
confronto
contro quelli ruvidi e perfidi dell'uomo. E presto abbassai lo sguardo.
Ma di dare l'orologio non se ne parlava neanche da morto.
Ad un tratto la mia vigliaccheria ritornò in un lampo e feci
quello che ogni vigliacco sa fare meglio, scappare.
O almeno tentai di farlo, ma non ci riuscii. I banditi mi presero e mi
tennero fermo, mentre la lama di uno dei tre si conficcò
nella
mia carne.
Fui investito da un dolore lancinante al petto. Una coltellata
sconquassante mi aveva perforato una vertebra. Gridai e caddi
a
terra inerme.
Presto mi ritrovai disteso in una pozzanghera rossa, era il mio sangue.
Il bandito senza cappuccio mi tirò via l' orologio da polso
con
tale impeto che mi lasciò profondi graffi in tutta la mano.
Quell'orologio a cui tenevo tanto mi era stato rubato. In quel momento
volevo solo giustizia. Mi sarei ripreso l'orologio di mio padre, non
importava a che prezzo.
Quella fu l' ultima cosa a cui pensai, poi svenni in quel lago fatto
col mio stesso sangue.
“Ecco com'era andata.” pensai. Qualcuno doveva
avermi
trovato lì, in quel vicolo cieco. E poi mi aveva portato in
ospedale.
Lucy, l'infermiera aveva già finito di siringarmi.
La guardai. Senza l'arma in mano sembrava solo una bella donna,
nient'altro.
Ma non me la dava a bere. Sapevo che presto sarebbe tornata alla carica
con una nuova siringa.
No. Non intendevo perdonarla per quel suo gesto così
avventato.
Mi rigirai nel letto, dandole le spalle. E la mia immaginazione prese
il volo.
Io vestito da supereroe. Lucy che urlava spaventata. Io che la
inforcavo con una siringa più grossa di lei.
Si, in quel momento desiderai essere l'uomo siringa. E scatenare la mia
vendetta su quell'infermiera formosa quanto antipatica.
Eccoci qua, come vi sembra?
Vi aspetto nell'angolo recensioni... ;)
Un abbraccio a tutti i coraggiosi eroi che sono arrivati fino alla fine!
Matt_Plant
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Capitolo 2 *** Judy Chord, la cozza! ***
Ecco a voi
un'altro capitolo! :)
Sarà caratterizzato da momenti seri e da alcuni un
pò folli!
Che cosa posso dirvi, miei cari eroi? Bhè, buona lettura...!
2.Judy Chord, la cozza!
Il cielo era scuro. L'alba di un nuovo giorno si faceva attendere.
Erano tante le nuvole che circondavano la luna, quella palla bianca che
quella mattina non ne voleva propio sapere di farsi sostituire dal sole.
Driin!
La sveglia trillò così forte che fece sobbalzare
Judy.
Mia sorella, quel giorno, doveva svegliarsi molto presto. Aveva un
esame e doveva ripassare.
Ci metteva sempre così tanto! Faceva fatica a ricordarsi le
cose
ed era sempre così agitata. L'università la
vedeva come
una grossa montagna tutta da scalare. Ma lei la avrebbe scalata,
perchè le piaceva tanto studiare.
- Ancora cinque minuti, mamma.- disse la ragazza in un sussurro, la
voce roca del primo mattino. Ma io e Judy avevamo perso i nostri
genitori da tanti anni.
La sveglia continuava ad agitarsi sul comodino, ancora qualche trillo e
sarebbe caduta a terra con un tonfo secco. Poi la ragazza la
stoppò con la
sua grande manona.
Mia sorella sembrò destarsi da un sonno da letargo. Si
sedette
sul letto, inforcò gli occhiali e infilò ai piedi
le
pantofole.
Con fatica aprì gli occhi. Erano uguali ai miei, blu come il
mare e intensi come zaffiri. Ci assomigliavamo molto io e Judy. Questo
perchè eravamo gemelli. E quali gemelli omozigoti non si
assomigliano?
Si guardò intorno, gli occhi ridotti a due fessure. La casa
era
in ordine e non c'era nulla che non fosse al suo posto.
Si, Judy era
una perfetta casalinga. Il suo passatempo preferito era di pulire alla
perfezione ogni centimetro del nostro abitacolo. Per lei più
che
un obbligo quello era un piacere. Erano tante quelle volte in
cui
la osservavo lucidare i mobili, lustrare il pavimento, stendere la
biancheria. E poi sorridevo. Lei non mi vedeva mai, era così
presa dal suo piacere quotidiano tanto da non pensare a nient'altro.
Con passi pesanti, attutiti un pò da quelle pantofole
ricamate,
andò in cucina. La prima cosa che faceva ogni mattina era di
bere la sua bevanda speciale. Non the, non caffé, ma un
cocktail
di sua invenzione. Miscelava varie bevande come coca-cola e sciroppo di
arachidi e poi beveva tutto d'un sorso.
Ogni volta che la vedevo bere
quel suo intruglio, mi si rigirava lo stomaco. Ma a Judy piaceva.
Non dicevo nulla a mia sorella. Le lasciavo fare i suoi intrugli, come
una bambina che gioca a creare pozioni.
Entrambi vivevamo nella nostra unicità. A volte avevamo idee
contrastanti e molte volte ci trovavamo in sintonia., come due perfetti
gemelli omozigoti.
Eravamo molto legati io e Judy. D'altronde fin da quando eravamo un
ammasso di cellule avevamo condiviso tutto; dall'ovulo materno alle
razioni di cibo che nostra madre ci mandava attraverso quei grandi tubi
che lambivano il nostro ombelico.
Il sole era già spuntato nel cielo quando Judy
finì di
bere il suo miscuglio. Anche se un'unica nuvolona ribelle era vicina
alla stella di fuoco.
- Oh, il sole.- disse, la voce ritornata limpida. Un raggio di luce
illuminò il suo viso rotondo e pieno di imperfezioni. Era un
viso così raggiante, così solare. Finalmente si
era
svegliata.
Poi il sole venne oscurato da quella nuvola. E il suo volto venne
investito da un senso di amarezza. "E' così che dev'essere"
brontolò un pò malinconica.
Perche'?
Judy non era esattamente "baciata dal sole". Era fuori forma, aveva un
gran seno decadente e dalla sua bocca sporgevano dei denti storti e
grandi.
Un naso ricurvo e appiatito sulla punta regnava nel suo volto rotondo e
pacioccoso. La bocca era sottile e un pò screpolata e al suo
interno celava quei denti, che si rivelavano ad ogni suo sorriso.
L'unica cosa bella che entrambi possedevamo erano gli occhi, grandi,
belli e profondi come l'abisso di un'oceano. A volte
non parlavamo, perchè i nostri occhi provvedevano a farlo
per
noi.
Judy andò in soggiorno e ripassò tutta la
lezione. L'esame era vicino, molto vicino. E lei iniziava ad agitarsi.
- Per mille acciderbolini fritti!- pronunciò tutto d'un
fiato. A Judy non piaceva dire
parolacce e così si inventava ogni sorta di giri di parole
pur
di non lanciare una bestemmia.
In cuor suo sperava che quell'esame andasse bene. Aveva studiato
così tanto.
Il suo sguardo scivolò su una mia fotografia. E sorrise.
- Arriverò presto a trovarti, fratellino.-
sussurrò
a se stessa, lo sguardo fisso sul mio volto. - Ma prima di tutto
l'esame.-
E così Judy si rigettò completamente nel suo
grande libro universitario.
Mi trovavo sul letto. Ero avvolto come un fagotto in quelle lenzuola
profumate.
I miei arti erano irrigiditi. Chissà da quanto tempo mi
trovavo in ospedale. Ormai avevo perso il conto dei giorni.
Tastai le lenzuola, me le scrollai di dosso e le buttai al fondo del
letto.
Un'ondata di tanfo mi arrivò dritta nelle narici. Segno che
il
mio corpo puzzava. Dovevano essere molti i giorni di agonia passati in
quel posto triste.
Alzai il pigiamotto marrone che Lucy, l'infermiera mi aveva messo.
Volevo vedere la ferita che quei banditi mi avevano fatto. Ma non
potevo, perchè una grossa garza mi avvolgeva la vita e
arrivava
fino al petto. Toccai quel
pezzo di stoffa bianca e un dolore lancinante mi trafisse lo stomaco,
il punto dove la lama del coltello aveva trafitto la mia carne. Per
poco non urlai e fui felice di non
averlo fatto. Quelle urla avrebbero sicuramente attirato l'attenzione
della
siringoide.
.
Alla fine mi arresi e pensai a mia sorella. Chissà se era
riuscita a superare il suo esame all'università, quello per
cui
era così preoccupata da giorni. Studiare non era mai stato
il mio forte,
ecco perchè mi ero fermato alle superiori. Ma a Judy piaceva
studiare. Ero sicuro
che un giorno sarebbe arrivata lontano, di certo più di me
che
dovevo correre come un matto per ottenere un lavoro.
E mentre pensavo a lei, eccola che la vidi apparire dalla porta. Ed
ecco che di colpo tutto il dolore che provavo veniva lenito dai suoi
occhi belli ed espressivi come i miei.
Si, quando vedevo Judy, io la immaginavo come una principessa, che con
il suo canto colorato riesce ad illuminare ogni cuore.
Judy scivolò sul pavimento grigio e cadde con un tonfo
secco. Quelli dell'ospedale avevano
appena passato la cera. Tutti i malati si girarono a vedere e
scoppiarono in una grande risata.
Io la vedevo bellissima. Ma Judy una principessa non era. Lei, forse
poteva ricoprire il ruolo di un orco delle favole. Ma non quello di
Sissy o di Cenerentola.
Judy si rialzò da terra andando a sbattere contro un letto
su cui era sdraiato un vecchio pieno di muscoli.
- Ehi, stai attenta a come cammini!- disse l'uomo arrabbiato, i pugni
serrati.
Mia sorella sorrise, mostrando i denti storti tenuti insieme da un filo
d'argento. Portava ancora l'apparecchio, nonostante avesse
già
venticinque anni.
- Mi scusi, non intendevo disturbarla.- cercò di
discolparsi. Ma
l'uomo aveva ancora il muso ingrugnito.
- Credo che sia una buona cosa per
tutti che lei si rimetta a dormire.- si scansò dal letto un
pò spaventata e corse subito da me.
- Allan, come stai?-
La salutai e le dissi che ero felice di vederla. - Potrei stare meglio,
sorellona- E lei mi abbracciò con la sua stretta potente.
Io mi divertivo a chiamarla sorellona, perchè lei era nata
un minuto prima di me.
Mi accarezzò una guancia. Sudavo freddo e avevo i brividi
per il
dolore allo stomaco. La sua manona si bagnò. Ma non le
importava.
Vedermi così in agonia le spezzava il cuore, quello si che
le importava.
- Com'è successo?- mi domandò, una lacrima le
inumidì il viso.
Dopo che raccontai tutto l'accaduto a Judy, lei si mise letteralmente a
piangere. E il viso del vecchio con cui si era scontrata si
addolcì. Poi l'uomo tirò fuori un fazzoletto e
iniziò a singhiozzare pure lui.
Le avevo creato così tante delusioni. Non avevo ancora un
lavoro, mi ero fatto rubare l'orologio di nostro padre, ed ero disteso
agonizzante su un letto d'ospedale. Anche io mi vergognavo tanto di me
stesso. Come ero bravo a cacciarmi nei guai.
Seguirono lunghi attimi di selenzio, rotti solo dal singhiozzare
incessante del vecchio.
Decisi di chiedere a Judy com'era andato il suo esame.
- Bene.- mi rispose entusiasta. - Ho fatto ventotto su trenta.- E si
asciugò le lacrime.
- Complimenti!-
- Allan, Allan!- chiamò a gran voce qualcuno con una vocina
stridula.
Forse avevo altre visite, pensai. Ma non era così.
Lucy, l'infermiera teneva in mano una grossa siringa, sguardo vispo sul
volto.
- E' l'ora della punturinaaa!- urlò. Sembrava contenta. Io
lo ero un pò meno.
Il mio corpo già rigido diventò di pietra. Mi
nascosi dietro quello della mia amata sorellona.
- Proteggimi.- le dissi spaventato.
Judy, che sapeva quanto mi terrorizzavano gli aghi, sorrise amabilmente.
-Oh, Allan non fare il bambino, ti innietterà delle
medicine, così ti sentirai meglio.-
"No!" pensai. Neanche il suono rassicurante della voce di mia sorella
poteva farmi ragionare.
- No, guardala! Lei ci gode a farmi le iniezioni!- dissi sputacchiando
quelle parole come un lama arrabbiato.
L'infermiera sorrise, mostrando denti perfetti.
- Dopo questa ti prometto che non te ne farò mai
più.-
premette sulla siringa e spruzzò in aria un pò di
liquido. - Perchè allora sarai dimesso.-
Dimesso. Era una parola che mi piaceva molto.
Finalmente potevo abbandonare quel posto triste e Lucy, con il suo
pungiglione sarebbe stata solo più un ricordo.
- Niente più punture, allora?- le chiesi. Il tono della mia
voce era infantile come quello di un bambino.
- Niente più punture.- confermò e premette per
l'ennesima
volta l'ago sulla mia carne, fin quando il liquido giallo
sparì.
- Ecco fatto, Allan!- sorrise soddisfatta. - Ancora un giorno di riposo
e potrai tornare a casa con tua sorella.-
E se ne andò. Solo allora mi accorsi che quella donna
già mi mancava.
E un'altro capitolo sen'è andato, ma non disperate,
tornerò!
Nel prossimo capitolo parlerò del clan dei banditi che ha
pugnalato e derubato Allan...non mancate!!
ringraziamenti:
Girl_in_the_Mirror:
grazie per le tue belle parole!! Si vede che le hai scritte col cuore e
ti ringrazio per tutti i tuoi complimenti su questa storia... :) Che
cosa ne pensi di questo capitolo??
Lovy91:
grazie per la
tua recensione, sono contento che la storia ti piaccia e spero che
continuerai a seguirmi!! (mi raccomando continua la storia sui
gemelli!) ;)
Un abbraccio:
Matt_Plant
|
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Capitolo 3 *** Androgina e la setta rossa ***
Ciao a tutti!
Questo capitolo mi è uscito dalla testa ieri sera guardando
la
pioggia. Ho pigiato qualche tasto ed ecco qui un nuovo capitolo pronto
per essere letto da voi! ;)
L'ho scritto in terza persona, senza i pensieri di quel pasticcione di
Allan, spero che piaccia... :)
Buona lettura!
3. Androgina e la
setta rossa.
Quella sera era rumorosa.
Grandi gocce cadevano al suolo e facevano crepitare le pozzanghere.
Lunghi fruscii sommessi d'acqua valicavano le strade e andavano a
finire nei tombini. L'aria profumava di ciclamino e foglie secche
trasportate dal vento.
C'era aria di tempesta.
Una donna magrissima e dal volto cattivo guardava il panorama di
Nottingwish, dall'alto. Si nascondeva tra l'oscurità della
notte, lenita solo dal debole luccichio delle stelle alte nel cielo.
Androgina, era il suo nome. E non era una donna come tutte le altre.
Un soffio di vento smosse i suoi capelli, lisci, lunghi e frastagliati.
Il volto corrugato e affilato era incorniciato da grandi occhi neri da
pesce e privi di iridi. Il naso era piccolo e all'insù e la
bocca era così sottile e liscia nel suo verde smeraldino,
che
sembrava composta da un tessuto vegetale.
Si, perchè androgina non era come tutte le altre donne.
Androgina era una driade, dotata di poteri fuori dal comune, quelli che
le donne forse si sognano di notte.
La sua pelle di un giallo coriaceo era dura come il guscio di una
tartaruga. Non portava vestiti fatti di stoffa, ma un corpetto fatto di
foglie verdi e una gonna fatta dello stesso materiale, che le arrivava
a metà coscia. Nient'altro.
Androgina poteva essere una di quelle eroine belle e coraggiose che
vanno a zonzo per la città a salvare la gente. Ma lei era
perfida come una strega. Aveva scelto la via più facile,
quella
del male.
La driade poteva contare sull'aiuto dei suoi fidati informatori e
aiutanti. Persone senza scrupoli, come lei d'altronde. Si trattava di
banditi e assassini, pronti ad alzare le armi al suo minimo cenno del
capo. Non erano supereroi, non avevano superpoteri, ma a loro bastavano
le armi, pugnali dalla punta acuminata e così tagliente da
ridurre in brandelli qualsiasi cosa.
Androgina era sospesa in aria. La forza di gravità per lei
non
era un problema perchè sapeva volare. Fissava le strade
della
città, illuminate dalle luci dei lampioni.
Allargò le braccia e se le portò vicino alla
testa. Dalle sue
unghie affilate come artigli spuntarono dei rovi secchi e ispidi che
avvolsero il suo corpo magro e coriaceo. Un turbine di foglie secche e
rosicchiate dai vermi le gironzolarono intorno come se si trovasse
dentro un'uragano vegetale.
Infine i rovi si staccarono dal suo corpo e si allungarono nell'aria,
poi scesero giù e si andarono a schiantare sulla strada. Con
la
stessa potenza di tante meteore grosse e infuocate, le liane e i rovi
si conficcarono con forza nel duro cemento, producendo un rumore sordo.
Solo allora Androgina si lasciò andare alla forza di
gravità, accompagnata dai suo rovi e dalle sue liane
scendeva
giù veloce. Quando arrivò a terra, i piedi nudi
della
driade al contatto della strada produssero un rumore simile ad uno
schiaffo sull'acqua: " Schiaff".
- Dove sono quegli imbecilli!- disse, la voce che rimbombava come
quella di un eco lontano.
Androgina cercava i suoi informatori. Ma non li trovava. Era nervosa e
sul suo volto freddo le spunatava una sensazione che non avrebbe dovuto
avere: la fretta.
Ancora pochi attimi e sarebbe diventata ancora più forte, i
suoi
poteri sarebbero stati incrementati di dieci, cento volte e lei sarebbe
diventata la regina tumultuosa di Nottingwish.
Ancora pochi attimi e il suo malvagio sogno si sarebbe avverato.
I banditi le avrebbero donato un dono speciale. Glielo avevano promesso
e presto glielo avrebbero portato.
Ma degli imbecilli, neanche l'ombra.
Con un debole strattone, le liane e i rovi imbruniti, ritornarono
dentro le unghie di Androgina. Gli occhi da pesce rifletterono tutti e
sette i colori dell'arcobaleno e brillarono al chiarore di luna.
Ed ecco che arrivarono i tre banditi.
Portavano un'unica tunica rossa che ricopriva i loro corpi dalla testa
ai piedi. Le lame scintillanti dei coltelli erano ben in evidenza nelle
cinture che lambivano le loro vite, come se si aspettassero di essere
attaccati da un momento all'altro.
E poi il vento, la pioggia e le foglie smossero, bagnarono e sporcarono
quelle tuniche. Ma ai maghi rossi, una setta di ladri e assassini
antica e misteriosa, non importava di certo. Quella setta non aveva
nulla a che fare con la magia, no non erano maghi ma ladri e assassini
senza scrupoli, quel nome lo avevano scelto decenni prima, per indicare
il loro sinistro modo di vestirsi.
Scaltri, agili e irruenti come tori inferociti avrebbero tenuto testa
persino ad Androgina e ai suoi superpoteri, se lo avessero voluto. Ma
non lo facevano, non si ribellavano alla donna dalle fruste letali,
perchè sapevano che la loro padrona, una volta ricevuto il
dono,
li avrebbe ricompensati come meglio poteva. Così si facevano
trattare male, stando buoni e docili come agnellini e tenendosi dentro
i rancori. Aspettavano il momento in cui anche loro sarebbero saliti al
potere.
Avevano portato il dono. Loro non sapevano cosa farsene, ma lei, lei
avrebbe saputo come trarne tutti i benefici possibili e avrebbe
scatenato l'oscurità su quella città
così
ordinaria. E non si sarebbe fermata lì.
No, avrebbe continuato ad estendere il suo dominio su tutta la terra.
Androgina serviva loro come loro servivano a lei. E non c'era altro
modo per definire la cosa.
- Allora, il dono.- si affrettò a dire la donna-driade
salutando i suoi servitori con un unico cenno del capo.
I banditi la guardarono torvi. Poi ghignarono, sotto i cappucci.
- Ecco, nostra signora.- disse uno dei tre con voce spettrale. E
porse un orologio d'oro grosso quanto la sua mano, ingrinzita da tante
piccole rughe.
Lei fissò quell'oggetto scintillante, gli occhi da pesce che
si spostavano velocissimi.
- E questo cos'è!- urlò con impeto. Dalle sue
unghie
guizzarono fuori le foglie secche e bucate dal morso dei vermi. Poi
riuscì a trattenere la sua rabbia. E si sforzò di
essere
gentile con i suoi servitori. Anche se le riusciva malissimo.
- Mi avevate promesso il dono, l'oggetto che avrebbe incrementato il
mio potere. Dov'è?-
Androgina prese il dono, strattonandolo dalle mani del bandito e lo
sbattè violentemente a terra.
- Deficienti, siete solo un'ammasso di buoni a nulla.- gridò
e
una raffica di foglie secche la avvolse in una spirale. Ma ancora una
volta, Androgina si trattenne dall'usare i suoi poteri.
Il bandito che gli aveva porso l'orologio sorrise. Era un sorriso
spento e maligno. Si tolse il cappuccio, rivelando la testa pelata
riempita da tanti tatuaggi. Ne aveva uno che partiva dal collo e
arrivava fin sopra la fronte, rappresentava un drago rosso ed era il
simbolo di quella setta antica e misteriosa.
- Il dono che le abbiamo portato è più di un
semplice
orologio.- disse e andò a raccogliere l'orologio che si era
scheggiato.
La driade sbuffò e poi guardò incuriosita il
bandito.
- Spigatevi meglio.- disse, il volto visibilmente più
tranquillo.
- Già.- intervenne un discepolo dei maghi rossi. -
Quell'orologio apparteneva al settimo figlio di un settimo figlio.-
-E' più intriso di magia di tutti i doni che le abbiamo
portato fin'ora, mia signora.- disse l'ultimo dei tre banditi.
Un lungo soffio di vento fece spostare la pioggia che, arrabbiata venne
giù ancora più forte.
- Questo orologio servirà alla nostra signora per
incrementare i
suoi poteri.- il bandito senza cappuccio si fermò, per
trovare
le parole giuste. - E anche per ripagare, finalmente, i nostri servigi.-
A quelle parole Androgina rimase immobile e una smorfia di vittoria le
si stampò in volto. Fissò la pioggia che scendeva
giù a catinelle, mentre i rovi e le liane assorbivano
l'acqua.
Poi prese il dono dalle mani del bandito.
- Se non c'è altro, mia signora.- dissero all'unisono i tre
banditi.
La donna driade sembrò destarsi da una trance.
- Si, c'è ancora una cosa che devo dirvi.-
I tre banditi che stavano per andarsene si girarono di scatto, tutti e
tre insieme.
- Si, mia signora?- parlò, quasi sussurrò il
bandito senza cappuccio, la testa pelata zuppa d'acqua.
- Guardate le mie foglie.- E senza dire più una parola le
foglie
secche presero a girarle intorno, formando un muro vegetale compatto.
Su quello sfondo la driade fece apparire un'immagine.
C'erano due supereroi un pò goffi che guardavano la
città
dall'alto di un grattacielo. Poi quei supereroi abbandonarono il
grattacielo e si buttarono nel vuoto. Volavano alti e si tenevano per
mano, come due scolaretti che escono da scuola. Ad un tratto un grosso
uccello si appoggiò sopra di loro e incominciò a
beccare
sulle loro teste.
I due supereroi caddero nel vuoto come due pere cotte. Riuscirono a
riprendere la stabilità di volo solo quando furono a pochi
metri
da terra.
- Presto nasceranno nuovi supereroi, e loro sceglieranno la parte del
bene.-
- Non credo che siano un problema fin quando sono così
imbranati!- E i tre malviventi sorrisero tutti insieme. Il loro era un
ghigno malefico, simile al verso di una iena.
Androgina bloccò il flusso di foglie secche e raggrinzite. E
li guardò quasi indignata.
- State attenti, voi discepoli dei maghi rossi. Non bisogna
sottovalutare mai due supereroi.- Ma poi Androgina ci
riflettè
su. Sottovalutare era così umano.
- Bene mia signora. Li cercheremo e li annienteremo ancora prima che
possano acquisire i loro superpoteri.-
E i tre se ne andarono, lasciando quella donna dalle fruste facili con
il dono in mano.
Raggiunsero l'oscurità della notte e non tornarono
più.
Eccoci alla fine. Ho deciso di fare un cap serio e intriso di
mistero..."Nella prossima puntata" vedremo finalmente Allan e Judy
diventare due supereroi veri e propri! E lo diventeranno in un modo
tutto speciale! Alla prossima, quindi! ;)
Ringraziamenti:
Girl_in_the_Mirror:
ma
ciao! Ogni volta che leggo una tua recensione mi emoziono! Sai, Judy
è anche la mia preferita, presto la vedrai crescere e...non
ti
dico altro altrimenti ti rivelo tutto qui, in seduta stante!! Continua
a seguirmi e fra poco capirai cos'ho in serbo per lei! ;)
Piaciuto il capitolo un pò tenebroso??
Lovy91:
Prima di tutto
devo dirti una cosa ed è importante! Io sono un ragazzo,
quindi
nelle tue prossime recensioni puoi cambiare le "a" in "o"?? Potresti
danneggiarmi psicologicamente se non lo fai! E' vero, scriviamo
entrambi di gemelli, che coincidenza! Ti piace questo cap?
Erika91:
Ciao e grazie per avermi fatto notare questo mio errore...vuol dire che
sei una lettrice attenta, complimenti! :) Ma la storia
ti piace almeno un pò?
lilyprongs: Ecco che rispondo al tuo
commento...Vedi che anche tu sei riuscita ad inquadrare la mia
personalità con poche semplici parole??
Si, è così che mi vedo quanto mi guardo allo specchio! ;) Accetto "la sfida", ci
conosceremo meglio con i nostri scritti cara Lily!
Sono contento che la storia ti sia piaciuta e che tu la trovi originale. Sai, a volte non mi accorgo di
certe cose mentre scrivo e non credevo affatto
che questa storia fosse profonda, ma sono contento che tu me lo abbia
fatto notare!! ;)
Passo a te la penna, (o
meglio la tastiera!) Cosa ne pensi di questo cap un pò
serioso?!?
Un abbraccio:
Matt_Plant
|
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Capitolo 4 *** Due imbranati e tante pozioni colorate. ***
Ciao a tutti!! Allora,
premetto che questo capitolo l'ho scritto di getto, percui non so se
sia proprio il massimo...:]
Ad ogni modo leggetelo e poi fatemi sapere che cosa ne pensate...!
4.Due imbranati e tante
pozioni colorate.
Il sole era pallido. Il tramonto si stava avvicinando.
Ero seduto sul mio letto. Guardavo fuori dalla finestra.
Tutto ciò che accadeva per strada si rifletteva nei miei
occhi
blu come il mare. Vedevo tutto bellissimo, forse un pò
troppo.
Là fuori la gente passeggiava tranquilla per la
città.
C'era chi tornava dal lavoro, chi si divertiva con gli amici. E poi
c'erano le coppiette e i vecchietti malinconici che vivevano di bei
ricordi.
Vedevo tutto perfetto forse per il fatto che presto avrei lasciato
quell'ospedale. Già, non vedevo l'ora! Presto mia sorella
sarebbe arrivata a prendermi. E poi come due scolaretti che escono da
scuola saremmo tornati a casa.
Il mio sguardo si spostava velocissimo da una macchina all'altra.
Presto avrei visto quella di Judy, anche perchè sarebbe
stato
impossibile non notarla.
Ed eccola che arrivò. Io e Judy avevamo una perfetta
telepatia.
Quando uno pensava all'altra, ecco che quest'ultima appariva come per
magia.
Un maggiolino marroncino parcheggiò bruscamente nel grande
parcheggio dell'ospedale. Era quella la macchina di mia sorella. Lo so,
il colore non era il massimo, ma riuscite ad immaginare un mezzo di
trasporto migliore per una ragazza strana e particolare come lei? E poi
entrambi amavamo quell'auto. Nostra madre l'aveva guidata per una vita
intera, prima di morire assieme a nostro padre per un tragico incidente.
Judy scese dalla macchina e chiuse la portiera con un tonfo secco. Il
motore del veicolo scoppiettò e sbuffò come fosse
arrabbiato e tante gocce di un nero intenso come la pece presero a
cadere sull'asfalto.
- Su, non fare così.- disse Judy, gli occhioni blu piegati
in una smorfia rimproveratoria.
Il motore ruggì e una spessa coltre di fumo nero invase
l'aria.
Mia sorella tossicchiò e si portò una mano sul
naso,
mentre cercava disperatamente di disperdere il fumo qua e là
con
quella libera.
- Ma guarda te cosa mi tocca vedere, il pieno oggi te lo scordi!- disse
portandosi le mani sui fianchi.
Io guardavo tutta la scena dall'alto.
E pensare che avevamo speso una fortuna per restaurare quella macchina.
Io e Judy non ne volevamo proprio sapere di comprarne un'altra. Eravamo
talmente abituati allo scoppiettare del motore del nostro maggiolino
che quasi non ci facevamo più caso.
"Però credo che sia proprio ora di cambiamenti." pensai
guardando Judy che entrava all'ospedale.
Judy entrò in ospedale. Era tanta la voglia di vedermi.
Presto saremmo usciti da quel luogo triste.
Quel giorno si sentiva bellissima, nella sua semplicità. E
non
le importava di che cosa credeva la gente. Portava un vestito tutto
rosso, con tanti girasoli colorati e grossi quanto una sua mano. Aveva
rispolverato l'armadio e con stupore vi aveva trovato quel vestito
degli anni ottanta. Era di nostra madre.
- E si mamma, sei stata giovane anche tu.- disse pensierosa mentre
attraversava il lungo corridoio che portava alla mia stanza.
Judy sapeva di non essere neanche lontanamente bella quanto lei. Ma le
piaceva crederlo. A volte la sognava ad occhi aperti e la
immaginava ballare con nostro padre mentre la canzone "The time of my
life"
risuonava in sottofondo. Si, proprio come nel famoso film "Dirty
dancing".
Una bambina passeggiava tranquilla tenendo in mano il suo gelato.
- Ma ciao bella bambina!- disse tutto d'un fiato mia sorella.
La piccola la guardò incuriosita, gli occhioni che le
spuntavano
da dietro il cono gelato. Poi urlò spaventata come se la sua
sola vista la avesse traumatizzata. Con agilità
tentò di
scappare, ma un grande ostacolo le si prospettava davanti: era mia
sorella. Con foga la bambina le andò a sbattere addosso.
E quel vestito riempito da tanti girasoli si sporcò. Il
gelato
colò, mentre una macchia blu grande quanto la mano di mia
sorella si allargò sullo sfondo rosso.
- Porca pupù, ma che cosa succede oggi!- e prese a sfregare
la
macchia con un fazzoletto. Ma riuscì solo a peggiorare le
cose,
perchè la carta si sbriciolò, lasciando tante
piccole
palline bianche.
- Che pasticcio!-
La bambina finalmente riuscì a scappare e si
rifugiò tra
le braccia della mamma, che si stava avvicinando verso Judy.
- Mamma, mamma! Lei ha detto pupù!-
Una signora grande e grossa, simile ad una lottatrice di sumo avanzava
verso lei. Era alta più di un metro e novanta e pesava molto
più di mia sorella. Al confronto Judy sembrava un fuscello.
- Che cosa succede qui?- disse con una voce molto maschile.
Mia sorella stava ancora guardando i danni al vestito. Al suono di quel
vocione alzò gli occhi e si ritrovò lo sguardo
inferocito
della donna che le aveva appena porto la domanda. Sussultò.
- Oh,, niente la bambina mi è venuta addosso e mi ha
sporcato il
vestito, ma niente di grave.- sorrise, mostrando i denti storti tenuti
insieme
dall'apparecchio. Poi mise a posto gli occhiali.
- Tolgo il disturbo, arrivederci.- E se ne andò, mostrando
un
sorriso a trentadue denti e lasciandosi alle spalle la donna e quella
bambina pestifera.
" In questo ospedale sembrano avercela tutti con me!"
borbottò dirigendosi verso la mia stanza.
- Allan, come stai?- mi chiese mia sorella, i denti storti ben in
evidenza sotto le labbra sottili.
Io mi tolsi le lenzuola e la abbracciai. Quello fu il mio modo un
po' speciale per dirle che stavo bene. Sotto il piagiama marrone
c'era ancora la garza bianca che mi circondava il busto, ma
il
dolore era diminuito di parecchio. Lo squarcio che la lama del coltello
aveva aperto nella mia carne era stato cucito. Ma una ferita
ben
più grande si celava dentro il mio cuore.
"L'orologio" pensai scandendo le sillabe una ad una e dimenticandomi
per un attimo della presenza di Judy. Quel giorno ero perfettamente
lucido e mi soffermai a pensare a cosa mi era accaduto.
Non sarebbe dovuto succedere. No, non avrei dovuto permettere che
quell'oggetto mi venisse rubato. Ma, ahimè, avevo lottato,
seppur senza successo.
"Non avrei potuto fare di meglio" mi abbandonai a quelle parole che
assumevano una nota di soddisfazione nella mia testa. Avevo vinto la
mia vigliaccheria almeno per un pò di tempo e lo avevo fatto
con
le mie sole forze. Certo, le figure incappucciate erano in tre e armate
di coltelli, non avevo possibilità contro di loro.
- Allan.- chiamò piano mia sorella. Il mio sguardo era
ancora
avvolto da quei pensieri che riempivano prepotentemente la mia testa.
- Allan!- urlò a gran voce e passò una sua grossa
manona tra i miei occhi blu come il mare.
Mi risvegliai dalla mia trance, un pò bruscamente. E
sorrisi, il
mio naso simile a quello di un cinghiale si allargò.
- Judy, come sono felice di vederti.- dissi allegro e mi tirai a sedere
sul letto. Il materasso sprofondò leggermente. Poi mia
sorella
si sedette vicino a me. Le molle del letto scricchiolarono come l'uscio
di una vecchia porta
cigolante. A quel punto, nel materasso una grossa conca si
avviluppò tra me e lei e sprofondammo.
Mia sorella sembrò non farci caso e prese ad accarezzarmi
una guancia.
- Oh, Allan anche io sono tanto felice di vederti.- e un debole raggio
di luce
fece brillare gli occhi di Judy, preziosi e profondi quanto il
luccichio di due pietre preziose.
- Lo riconosco, dove l'hai trovato?- dissi indicando il vestito
sgargiante di Judy.
Lei sorrise e i suoi occhi si inumidirono un po'. Ma non pianse.
Judy mi guardò malinconica. Poi prese il vestito e lo
allargò. Sorridendo, mostrò le fossette sulle
guanciotte.
- E' incredibile cosa si riesce a trovare nei vecchi armadi.- e
tirò su col naso, ricacciando le lacrime che tentavano di
uscire.
- Quanto era bella la mamma.-
Notai una grande macchia blu, ma non chiesi spiegazioni a mia sorella.
Quello avrebbe rovinato il ricordo di nostra madre.
- Ma ora andiamo, è ora di tornare a casa!- mi disse
raggiante, cambiando discorso all'improvviso.
Senza farmelo ripetere due volte mi alzai. Ma scoprii che riuscivo a
farlo con fatica.
- Non sforzarti, faccio io.-
Non riuscii a capire subito le intenzioni di mia sorella. Lei si
protrasse verso di me, mi prese il braccio e se lo avvolse attorno al
collo. Poi con una forza sorprendente mi alzò di peso dal
letto
e incominciò a portarmi in giro per la stanza.
I malati dapprima guardarono impietriti quella donna-cannone sollevare
come una piuma un uomo di settanta chili. Poi incominciarono a ridere
osservando quella scenetta divertente.
Si, Judy poteva essere benissimo una di quei pagliacci che fanno
tornare il sorriso ai bambini in ospedale. Le sarebbe riuscito
benissimo.
- Ma come è forte la mia sorellona!-
Mi guardò estasiata, come se quelle parole fossero state
per lei la luce dopo il buio, l'arcobaleno dopo la tempesta. Con
velocità afferrò le mie
gambe e mi prese di peso in braccio, portandomi ad un'altezza
spropositata.
Io, con le gambe a penzoloni tiravo qualche debole pugno sulla schiena
di mia sorella. E la imprecai di lasciarmi scendere. Lei, non sentiva
niente.
- Judy, non esagrare.- la rimproverai un pò sul divertito,
la testa a penzoloni che arrivava fino al suo fondoschiena.
- Non preoccuparti, non c'è pericolo, tua sorella
è una
tipa in gamba.- e prese a correre, raggiungendo il lungo corridoio
dell'ospedale.
Dietro di noi una voce maschile disse: - Mi mancherete!- la
riconoscevo. Era quella del vecchio pieno di muscoli che Judy aveva
urtato il giorno prima. Alla fine eravamo diventati amici. Superando i
pregiudizi
iniziali, scoprii che non era poi così male come persona.
Il corridoio era lungo e io e Judy dovevamo fare anche le scale.
L'ascensore era bloccato.
- Oh, per mille pesciolini rossi!- fece lei premendo insistentemente il
pulsante dell'ascensore. Solo dopo un pò io le feci notare
un
grosso cartello con su scritto "guasto".
- Non c'è problema, faremo le scale.-
E detto questo si sistemò gli occhiali e iniziò a
percorrerle, tenendomi sempre in braccio.
- Sorellona, io avrei una domanda.- dissi concitato, il volto rosso
come un peperone. Il sangue mi stava andando alla testa. - Puoi fare
qualcosa per non farmi patire il mal di mare?-
- Oh, si fratellino. Bastava chiedere- rispose con
semplicità.
Poi mi capovolse velocemente come se stesse maneggiando una racchetta
da golf. Avvolse un braccio attorno ai miei polpacci e con l'altro mi
tenne sotto le ascelle.
Sorrisi. In quel momento mi sentivo io la pricipessa, portata
all'altare dal principe che si chiamava Judy. Un principe molto
formoso. Davanti a me solo il seno di mia sorella; troppo grande per
riuscire a vedere oltre.
- Fai attenzione a dove cammini, non voglio finire di nuovo a letto!-
dissi un pò spaventato.
Mia sorella non rispose e seppur con un pò di affanno
riuscì a percorrere le scale come un razzo.
- Visto, che ti avevo detto?- ghignò sotto i baffi, poi
tirò un sospiro di sollievo. - Tua sorella è o
non
è in gamba?-
Ma nello stesso istante in cui lo disse un carrello sfuggito dalle mani
di un'infermiera distratta ci venne addosso. Era uno di quei
carrelli-letto che si trovano in ospedale e che servono per trasportare
i malati da una stanza all'altra, ma il materasso non c'era. Era
presente solo il duro metallo grigio.
Io e Judy fummo letteralmente investiti e cademmo come due salami una
addosso all'altro sopra quell'aggeggio.
- Fermate quel carrello!- sentii l'infermiera urlare.
Ma quello non aveva alcuna intenzione di farlo e le persone si
limitavano a guardare la scena, indecisi se ridere o se preoccuparsi.
-Judy!- imprecai. Mia sorella mi stava schiacciando con tutto il suo
dolce peso.
Il carrello sfrecciava a tutta velocità. Come un treno sulle
rotaie, filava dritto in quel lungo corridoio.
Un'anziana signora fu investita, poi una donna e un bambino.
Chiusi gli occhi, stavamo facendo una strage! Schiacciato come una
polpetta non riuscivo a fare nulla per fermarlo. E
Judy non riusciva neanche ad alzarsi sopra quel mio corpo dolorante.
Mia sorella urlò, la sua voce mi arrivò
direttamente nei
timpani e mi lasciò stordito per qualche istante. Solo dopo
un
paio di secondi capii perchè l'aveva fatto.
Alzai piano la testa. La fine del corridoio era vicina. Davanti a me,
ad una decina di metri vidi una
porta. Un grande cartello era affisso su di essa; vietato l'accesso
c'era scritto a caratteri cubitali.
Presto ci saremmo andati contro, ne ero certo. D'altronde io e judy non
eravamo di certo due persone baciate dalla fortuna. Ci saremmo
schiantati e potevo dire addio alla mia casa, perchè sarei
tornato all'ospedale, magari a fare qualche altra puntura.
Ero indeciso se lasciare spazio all'ottimismo, sperando che quella
porta fosse aperta e che dietro ci fosse un morbido muro fatto di
piume, oppure se farmi schiacciare dal peso del pessimismo
più
atroce.
Ma non ci fu il tempo per pensare.
Sbam!
Il carrello andò a sbattere con forza sulla porta e questa
si
aprì. Ci ritrovammo in una grande stanza riempita da tanti
scaffali stracolmi di pozioni colorate. Queste erano sistemate con cura
a file parallele in grandi beute trasparenti.
Il carrello scivolò all'indietro, sul
pavimento bagnato e ci catapultò direttamente su uno di
quegli
scaffali.
Le pozioni colorate vacillarono e lo scaffale ci cadde addosso. Il
vetro si infranse, e una pioggia tagliente riempì la stanza.
Io e Judy ci riparammo le teste con le braccia. Poi un'esplosione, le
fiamme riempirono la stanza. Infine un
miscuglio di odori pervase l'aria. Cen'erano di molti tipi come la
citronella e la vaniglia. Odori molto intesi che mi perforavano le
narici e mi arrivavano dritti in gola.
Mi sentii subito strano. Avevo la testa pesante e un pò di
nausea. Guardando l'espressione di mia sorella capii che
anche
lei provava le mie stesse sensazioni .
- Judy, stai bene?- sussurrai con voce labile, la pelle delle braccia
segnata da tanti piccoli tagli sanguinanti.
- Credo di si.- disse e si scrollò i vetri di dosso, facendo
attenzione a non tagliarsi.
Intanto la gente dell'ospedale sbucò da dietro la porta,
ormai
distrutta dalle fiamme, per vedere che cosa avevamo combinato.
- Avete sentito?- disse un discepolo dei maghi rossi, la tunica
vermiglia ancora umida per la pioggia. Si tolse il cappuccio e
rivelò la testa rasata riempita dai tanti tatuaggi.
- Si.- fu la risposta degli altri due. Le loro voci avevano un tono
spettrale e un timbro molto simile.
Attorno a loro solo boschi. Un'ampia radura piena di querce secolari li
circondava. Le foglie degli alberi formavano un muro così
compatto sopra le loro teste che sembrava notte.
- Sono vicini.- produsse il bandito senza cappuccio, la voce ridotta ad
un sussurro. Estrasse il pugnale dalla cintura e lo fece roteare in
aria. - Sarà un piacere ucciderli.- e la lama dell'arma gli
ritornò in mano, scivolando tra le dita.
- Potrebbe essere stata una banale esplosione.- intervenne uno dei due
banditi incappucciati.
-Già, come sappiamo che siano loro i predestinati?-
- Lo sono e basta. Me lo sento.- e lanciò il coltello.
"Swish" sibilò la lama appuntita sferzando l'aria.
Filò
dritto per un paio di metri. Poi si conficcò nella dura
corteccia di un albero poco distante.
- Andiamo.- dissero all'unisono. E corsero, facendo svolazzare le loro
tuniche rosse.
- Farmaci in fase di sperimentazione!- sbottò un uomo alto e
magrissimo, distinguendosi subito dalla folla accalcata all'uscio della
porta distrutta.
- Disastro, disastro!- imprecò alzando le mani in aria e
portandosele sopra i capelli ricci e ispidi. E si avvicinò
verso
di noi.
"E' un dottore, o forse un ricercatore." pensai. Di certo aveva tutta
l'aria di uno scienziato pazzo. Aveva due occhi verdi e socchiusi che
gli
incorniciavano il volto un pò affilato. Due grandi occhiali
rotondi gli ingrandivano le pupille, regalandogli un'espressione
stupita. I capelli, ricci ispidi e lunghi gli ricadevano frastagliati
sulla fronte e vagavano ribelli ondeggiando nell'aria. Due piccole
rughe si intravedevano sopra il volto pallido e gli occhi erano segnati
da profonde occhiaie nere.
Io mi tastai i vestiti, non sapendo cosa dire. Erano appiccicati al mio
corpo e il tanfo degli odori mischiati mi perforava le narici.
Judy era di fianco a me, il vestito che prima era di un rosso vivace
ora era spento. I liquidi contenuti nelle beute ci avevano lavati
completamente.
- E' stata colpa mia.- sospirò l'infermiera a cui era
sfuggito il carrello. - Sono così dispiaciuta.-
- Non si preoccupi. Io e Judy siamo sempre pronti ad incapparci nei
disastri!- risposi ironico. E mi scrollai gli ultimi vetri rimasti
addosso.
Intanto la gente riempiva la stanza, per riuscire a vedere meglio.
- Bè, non c'è più niente da vedere,
andate via, mi
occupo io di loro due.- urlò a gran voce l'uomo che
assomigliava
ad uno scienziato pazzo.
E tutti abbandonarono la stanza. Alcuni un pò delusi per lo
spettacolo degno di un teatrino finito troppo presto.
- Ho da dirvi delle cose.- disse rivolgendosi verso di noi. - Ma devo
fare in fretta, stanno arrivando. si, si fra poco saranno qui.-
Io e Judy non riuscivamo a capire le intenzioni dell'uomo. Aveva
assunto un'aria un po' svampita. Impossibile capire le sue emozioni.
- Il mio nome è Mardock, lo scienziato Mardock. Per ora vi
basti
sapere questo. Si, si. Quello che mi preme dirvi è che
queste pozioni
potrebbero avere degli effetti collaterali sul vostro organismo.- si
fermò, per trovare le parole giuste. - Mutazioni. In poche
parole il vostro corpo cambierà, ma è impossibile
prevedere come. A breve svilupperete dei poteri paranormali.-
Quelle parole ci lasciarono un storditi. Ci lanciammo una rapida
occhiata. Poi scoppiammo a ridere. Judy lanciò un unico
risolino
sommesso. Poi un fischio che le passò da una fessura che
aveva
tra i denti davanti.
Mardock rise con noi. Poi il suo volto si fece serissimo.
- Poteri paranormali, chi noi?- chiesimo all'unisono io e mia sorella,
le nostre voci ora erano dipinte dallo stupore.
- Si, si. Si tratta solo di aspettare. Solo il tempo potrà
dirvi
cosa succederà. Non vi preoccupate vi assisterò
nei
vostri cambiamenti.-
Eravamo confusi. Ci eravamo sempre considerati normali. Ma ora le cose
stavano prendendo una piega diversa. Era impensabile che
due venticinquenni particolari come noi potessero
diventare come superman o catwoman. No, quelle cose si vedevano solo
nei film.
- Su, forza alzatevi. Avete una macchina? Dobbiamo abbandonare questo
ospedale. Fra poco arriveranno, si si, proprio così.- e
indicò il lampadario bruciacchiato sopra di noi. - Come
falene
attratte dalla luce.-
- Si, il nostro maggiolino è parcheggiato qua sotto.- disse
Judy
passandosi le mani sul viso che era crucciato in un'espressione
interrogativa.
- Ma chi arriverà?- chiese poi sull'impaziente.
- Ladri, assassini, senza scrupoli. si, si. Sono armati di pugnali e
stanno cercando proprio voi.-
A quelle parole mi prese un tuffo al cuore. Non credevo alle mie
orecchie. Erano loro. Quelli che mi avevano pugnalato e aggredito,
privandomi dell'orologio.
Questa volta presi io in braccio mia sorella. E seguito da quello
scienziato pazzo corsi giù per le scale.
Cinque minuti dopo ci ritrovammo nel grande parcheggio.
Ma avevamo compagnia.
Eccoci qua...che cosa ne pensate di questo strano modo di diventare dei
supereroi?? Volevo fare qualcosa di diverso della solita pioggia di
meteoriti. A voi il giudizio! ;)
ringraziamenti:
Girl_in_the_Mirror:
ciao
misteriosa "ragazza nello specchio"! ;) Non
preoccuparti, puoi
recensire quando vuoi, io sono sempre qui pronto a cogliere al volo
ogni tuo commento! Il capitolo precedente è stato misterioso
e
sono contento che tu l'abbia trovato interessante, ma ora sono curioso
di sapere che cosa ne pensi invece di questo! Come avrai notato siamo
ritornati alle scenette divertenti di intermezzo e al delirio
di questi personaggi particolari...tuttavia non ho abbandonato del
tutto le parti serie e questa volta c'è una sorta di
scenografia che lega
un po' la trama...cosa ne pensi?? ;)
lovy91:
ciao, ora finalmente
sai che sono un ragazzo! ;)
Comunque non preoccuparti, l'importante
è che la storia ti piaccia! Che cosa ne pensi di questo
capitolo?? un bacione.
lilyprongs:
ciao
Morgan..! ;)
Sono contento che la mia personalità sia di tuo gradimento. Si, è vero,
i miei scritti sono realistici, d'altronde non sono una ragazzina e non
vedo il mondo pieno di fiocchi colorati, forse qualche volta mi
succede, ma non in questa storia!! ;)
E sono anche contento che sia riuscito a caratterizzare bene Allan e
Judy. Anche a me piace descrivere, proprio come a te! Ti piace il cap??
Un bacione...:)
TheOnlyRealBoss92: ciao,
vedo con piacere che c'è un nuovo lettore! :)
Sono contento che la mia sottile ironia ti sia piaciuta e in merito al
tuo appoggio ti dico questo: dobbiamo farci valere e dimostrare che
anche noi maschietti ci sappiamo fare con la penna, ho visto che siamo
entrambi alla prima fanfiction, ma ci faremo le ossa!! ;)
D'ora in avanti farò più attenzione agli
errori,
grazie per avermelo detto...come ti sembra il capitolo??
p.s.: viva l'uniporco, il mio preferito, sempre!! :]
Un abbraccio:
Matt_Plant
|
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Capitolo 5 *** Un folle inseguimento. ***
Ciao a tutti! Prima di tutto mi scuso per il ritardo nella
pubblicazione di questa storia...proprio non cel'ho fatta a postare
prima (quando finisce la scuola?? Lo so che mancano ancora troppi
giorni...*-*)
Dunque: questo e' un
capitolo poco impegnato, ma spero che vi piaccia comunque, la storia
riprende dalla scena del parcheggio... ;)
Buona lettura e...ci rivediamo alla fine! :)
4.Un folle
inseguimento.
Il cielo era diventato scuro. Ancora pochi attimi e il buio avrebbe
soffocato la luce.
Ancora pochi attimi e io e Judy ci saremmo trovati di fronte alla dura
realtà. Quella che ci attendeva e quella che forse avrebbe
soffocato pure noi.
Là, in quel grande parcheggio, il nostro maggiolino era
parcheggiato poco distante da noi. Ma fu altro ad attirare la nostra
attenzione.
Nascosti tra l'oscurità c'erano le tre sinistre figure
ammantate nelle loro tuniche rosse.
In quel momento sentii la tensione diventare palpabile. Judy
sussultò tra le mie braccia. Poi si portò una
mano sulla
bocca e con l'altra tirò su gli occhiali. Lo scienziato
pazzo di fianco a me gemette e fece lo stesso.
Io non portavo gli occhiali. Non avevo nulla da massacrare per poter
placare la mia agitazione. Le mie mani tremavano e il mio volto assunse
un pallore mortale. Sembrava avessi visto un fantasma. ma quegli
assassini erano ancora peggio di qualsiasi forma eterea immaginabile.
Deglutii.
- Per mille balonottere azzurre.- Judy imprecò a bassa voce.
Poi
avviluppò le braccia attorno al mio collo e serrò
gli
occhi.
Era spaventata e tremava come una foglia. Ma proprio non me la sentivo
di consolarla. Anche perché io ero messo peggio di lei.
Sapevo
di che cosa erano capaci quelle persone, l'avevo sperimentato sulla mia
pelle.
Loro ci scrutavano da sotto i cappucci, i menti affilati ben in
evidenza.
- Eccoli.- produsse uno dei tre discepoli dei maghi rossi. Poi si
portò una mano sulla cintura e prese il coltello. La lama
scintillò al riverbero della luce artificiale dei lampioni.
- Bene, bene.- sussurrò. - Siete voi i mutanti.- e
spostò
rapidamente l'elsa del pugnale per indicare prima me, poi mia sorella.
- Non so di cosa stiate parlando.- intervenne Mardock con la sua
espressione svampita. - Ci stavamo solo facendo un giretto.-
I ghigni malefici dei tre malviventi risuonarono per tutto il
parcheggio.
- Non giocare col fuoco.- fece con voce spettrale il bandito con l'arma
in mano. - Ecco cosa succede a chi si prende gioco di noi.-
E lanciò il coltello. Questo sibilò, sferzando
l'aria. La
lama rasentò il viso dello scienziato pazzo. Poi si
conficcò sulla ruota di una macchina.
"Fiuu" la gomma si afflosciò al suolo.
Erano individui estremamente sbrigativi. Passavano subito ai fatti,
senza troppi giri di parole.
Rimasi immobile, a fissare il vuoto. Le mie gambe erano sul punto di
cedere. E il dolce peso di Judy non contribuiva affatto a farmi stare
in piedi.
All'improvviso il comodo letto dell'ospedale mi sembrò un
paradiso.
Mardock si tastò il viso. Si era aperta una ferita e il
sangue
gocciolava lentamente. La lama lo aveva preso di striscio. Con foga
tirò fuori dalla tasca del camice una pozioncina gialla
contenuta in una provetta e la gettò ai piedi dei banditi.
Il vetro si infranse e il liquido
sfrigolò sull'asfalto. Pochi secondi dopo si
formò un
muro compatto di fumo giallastro e l'odore acre dello zolfo invase
l'aria.
- Alla macchina!- gridò all'improvviso lo scienziato pazzo.
E
tutti insieme ci precipitammo a grandi passi verso il
maggiolino.
Il bosco di Nottingwish era in silenzio. Le stelle brillavano alte nel
cielo e l'aria fresca del primo autunno faceva cadere le foglie.
Un rovo secco si stagliò alto, vicino a quelle stelle e
ricadde dritto, vinto
dalla forza di gravità. Come un rigido tronco di un albero
scendeva veloce. Poi sparì tra le unghie affilate di una
donna.
Androgina, la donna-driade era acquattata nella sua tana. In silenzio,
osservava il dono.
Abitava lassù, sola. Tra alti dirupi scoscesi, in mezzo agli
alberi dove si trovava a suo agio e dove poteva tramare i suoi loschi
piani per conquistare il mondo.
Cingeva l'orologio avvolgendolo tra le liane e i rovi secchi. I suoi
occhi da pesce riflettevano tutti e sette i colori dell'arcobaleno ed
erano intrisi d'odio.
La spina di un rovo bucò il vetro dell'orologio e le
lancette si
fermarono all'istante. Androgina fu avvolta da una spirale di
luce.
Poi dieci, cento, mille liane e rovi secchi partirono da tutto il suo
corpo e coprirono quel cielo stellato.
- Cos'è, una due cavalli?- sbottò Mardock, il
volto troppo tranquillo, nonostante la tensione di quel momento.
Nel grande parcheggio dell'ospedale il maggiolino faceva i capricci.
Avevamo avuto il tempo per scappare e rifugiarci dentro la macchina.
Con foga avevo catapultato mia sorella al volante. In famiglia era lei
la più brava a trattare con quell'auto. Judy poteva essere
definita la donna che sussurrava ai motori. Era talmente brava a farsi
ascoltare da loro.
- Non è una due cavalli!- rispose lei sull'offesa premendo
la
pianta del piede sull'acceleratore. - Questa macchina ci
porterà
lontano, giusto piccina?- aggiunse poi carezzando il volante e
mostrando tutti i denti storti. Infine guardò da sopra gli
occhiali nello specchietto retrovisore.
Dietro di noi in un'immensa nuvolona gialla tre chiazze rosse
spiccavano nella semi-oscurità di quella sera. Mardock ci
aveva
spiegato che aveva lanciato un fumogeno irritante ai piedi dei tre
banditi. Ma questi stavano avanzando verso la macchina come se non
fosse successo niente.
- Ben detto sorellona, mai sminuire le auto d'epoca.- dissi abbozzando
un sorriso un po' stentato. - Questo maggiolino partirà.-
- E' quello che dovremmo sperare tutti, se non vogliamo finire al
macello!- intervenne lo scienziato pazzo. E come se si fosse accorto
solo in quel momento del pericolo imminente, si agitò. I
suoi
ricci saltavano per aria ribelli. E il suo viso si crucciò
in un'espressione preoccupata.
All'improvviso un rumore quasi inpercettibile sferzò l'aria.
Poi ce ne fu un'altro, più potente.
Mi girai di scatto. E sussultai.
Una lama appuntita come un rasoio aveva forato il vetro del cofano,
andandovi a conficcarsi con forza. Le crepe frigolarono e tante piccole
spaccature si allargarono sulla lastra trasparente. Poi il vetro si
spaccò e il pugnale cadde sul sedile posteriore insieme a
tante piccole pietruzze taglienti.
Il maggiolino partì, come se fosse stato arrabbiato del
danno appena subito.
- Interessante.- iniziò lo scienziato pazzo fissando
quell'arma.
Aveva assunto nuovamente un'espressione più rilassata e
riflessiva. - Me lo passi?- Io ero terrorizzato, lui quasi eccitato.
Judy uscì dal parcheggiò e imboccò una
stretta via
laterale, sguardo vigile sulla strada. Girava il volante tenendoselo
stretto, come un gioiello prezioso. Sembrava stesse guidando un
go-kart.
Presi l'arma con riluttanza. Con ogni probabilità era con
quella che mi avevano squartato come una mucca. E gliela porsi.
Mardock la esaminò con attenzione, scrutandone ogni minimo
dettaglio. La lama luccicava e luccicavano anche i suoi occhi quando la
guardava. Ero sempre più convinto che il suo sguardo celasse
molto più di ciò che
si poteva vedere all'apparenza. C'erano tante domande a cui mi sarebbe
piaciuto ricevere una risposta, ma non lì, non in quel
momento.
- Al mio laboratorio! Si, si di là.- fece lui indicando una
stradina
dissestata alla sua destra. Judy annuì e girò il
volante,
liberandolo finalmente dalla sua stretta fatale.
I tre banditi non mollavano il nostro inseguimento. Correvano a grandi
passi e inseguivano la nostra macchina come se stessero rincorrendo una
bicicletta.
- Judy, accellera, ti prego!-
All'improvviso un odore acre invase l'auto, costringendo tutti a
tapparsi il naso. Solo mia sorella non poteva. Lei doveva guidare.
- Chi ha fatto la puzzetta?- annusò l'aria lo scienziato
pazzo
avvalendosi di solo una narice. L'altra la tenne chiusa con un dito.
Poi indicò con l'indice rovesciato la povera Judy. - Si, si
sei stata tu!-
Lei si volto
a guardarlo, il volto rosso come un peperone.
- Chi, io?-
Un'altro coltello sfrecciò alla destra della macchina e si
andò a conficcare nello specchietto, vicino a Judy.
- Porcabirba!- urlò mia sorella. E per lo spavento
girò di scatto il volante. Le gomme del maggiolino
protestarono.
Poi la macchina sfrecciò veloce sul ciglio della strada e si
andò a schiantare fuori dalla carreggiata.
La puzza di bruciato soffocò l'odore acre, rendendo l'aria
irrespirabile. Poi ci fu una piccola esplosione. E mia sorella fu
investita da un grosso pallone di nylon bianco. L'airbag.
Mi voltai all'istante.
I banditi smisero di correre. Ora annaspavano verso la macchina come
leoni stanchi per l'inseguimento delle loro prede.
Quelle prede eravamo noi. Non sapevo cosa volevano da me e Judy. Una
cosa era certa: ci volevano morti.
" Mutanti." mi balenò per la testa quell'unica circoncisa
parola. Ancora non riuscivo a credere di esserlo divento.
" Superpoteri." pensai scandendo le sillabe una ad una.
Eravamo immobili.
Mardock non batteva ciglio. Judy attendeva in silenzio, la faccia
completamente immersa nell'airbag.
Io mi tenevo stretto al sedile. Le mie mani stringevano la soffice
pelle ricamata su cui ero seduto.
E poi con uno strattone violento, la portiera si aprì. Il
vento
soffiava leggermente e fui pervaso da un brivido freddo che mi
salì prepotentemente sulla schiena.
La voce gelida del bandito che aveva aperto la portiera
arrivò
alle mie orecchie come un rimbombo confuso. Eppure parlava pianissimo.
- Ora pareggeremo i conti.-
- Gia, una volta per tutte.- e un'altro bandito strattonò
dallo
specchietto il suo pugnale. I vetri caddero sull'asfalto. - Questo
appartiene a me.- produsse infine spaccando il finestrino. E mia
sorella fu investita per l'ennesima volta da tante piccole pietruzze
taglienti.
Judy era agitata. Cercava di liberarsi da quel maledetto pezzo di
nylon, ma non ci riusciva. Era sprofondata interamente e lanciava
qualche lamento soffocato.
Forse era meglio così. Non avrebbe visto in faccia la morte
e
sarebbe vissuta per sempre nel suo magico mondo fatto di principi
azzurri e di principesse. Quel mondo tanto sospirato, di cui le non
faceva parte.
Poi un pezzo di vetro punse l'airbag e questo si bucò. Mia
sorella si accasciò sul volante. Subito dopo il bandito
alzò il pugnale in aria per colpirla. La lama appuntita come
un
rasoio spaventò Judy, che lanciò un urlo
soffocato
dall'agitazione.
Non potevo stare a guardare. No, non avrei permesso che le facessero la
stessa cosa che avevano fatto a me.
Con uno strattone disarmai il malvivente. Il pugnale cadde sull'asfalto
e produsse un rumore fortissimo. Forse un po' amplificato da quel
silenzio irreale.
Quando si trattava delle cose che amavo, sapevo offuscare la mia
vigliaccheria e diventare coraggioso. E Judy era una delle cose a cui
tenevo di più al mondo.
- Mossa sbagliata.- disse il malvivente vicino a mia sorella e raccolse
il pugnale, lentamente.
Oramai eravamo accerchiati. Ma proprio quando sembrava tutto perduto.
Proprio quando sembrava che il buio avesse soffocato la luce ecco che
accadde un fatto strano.
Strinsi forte la mano di mia sorella e un lampo di luce
balenò dai
nostri occhi profondi come l'abisso di un'oceano. Tutta la strada si
illuminò, come fosse stata irradiata da un grosso faro
nel mare.
I nostri corpi, pulsanti di luce distrassero i tre banditi. Poi quello
vicino a me mi stattonò e cercò di portarmi fuori
dalla
macchina.
Le mie mani si allontanarono da quelle di Judy. Solo i nostri mignoli
rimasero legati insieme.
Poi il buio.
Di colpo sentii che il bandito aveva lasciato la sua presa. Le mie
orecchie si tapparono. Poi caddi come una pera cotta su qualcosa di
bagnato. Era terra.
Ci guardammo intorno. Eravamo in un grande bosco. Il camino di una
piccola casetta mandava gorgogli di fumo nell' aria.
- Ma questo.- iniziò Mardock un po' confuso. - Questo
è
il mio laboratorio!- starnazzò poi iniziando a saltellare.
- Questo è il suo laboratorio?- chiese Judy ancora tremante.
Un
pezzo di nylon le si era avviluppato tra i capelli, creandole una
specie di cuffia. - Ma come ci siamo arrivati qui?-
- Semplice, toccando i vostri mignolini, avete innestato una specie di
reazione a catena. Si, si teletrasporto.- e iniziò a
sbattere la
scarpa a ritmo intermittente.
- Su, forza entrate.- disse velocemente. - Ho delle cose da darvi.-
E aprì bruscamente la porta del laboratorio.
"E' incredibile" pensai sorridendo. Ci eravamo tolti da quell'impiccio
con qualcosa di ridicolo: i nostri mignoli. Il tutto mi faceva pensare
ad un cartone animato giapponese: un pò di magia per Terry e
Magghie, dove quelle
simpatiche gemelline se ne vanno a zonzo per la città
teletrasportandosi qua e
là.
E si, io e Judy eravamo diventati proprio due gemellini magici;
perché a quanto pareva potevamo farlo anche noi.
Eccoci qua, per il prossimo cap prevedo di inserire molte gag
divertenti e alcune scenette deliranti!! Non mancate alla "prossima
puntata", dunque...! ;] E per favore, a tutti i
lettori che mi hanno messo tra le seguite, ma non mi hanno lasciato una
recensione...Recensiteeeee!! ^ò^
Mi fareste tanto piacere!! ;)
ringraziamenti:
TheOnlyRealBoss:
Ciao!
Piaciuto il pezzo del parcheggio?? Davvero hai fatto leggere la storia
dell'uniporco alla tua prof di ita??! Bhè, bravo, almeno
questi
insegnanti capiranno che "i promessi sposi" sono da archiviare!! ;)
Girl_in_the_Mirror:
Eh, si! La scenetta del carrellino mi sono divertito a scriverla! Per
quanto riguarda i superpoteri, 1 lo hai già visto in questo
capitolo, per quelli individuali dovrai aspettare il prossimo! Un
bacione.
p.s.: è
vero, Allan e Judy sono molto teneri insieme!
lilyprongs:
Ciao!! Ma che
carina, sei proprio una fedele cagnolina!! ;) ( Ah, ah, ho fatto la
rima!!) Vabè, apparte gli scherzi, che mi dici di questo
cap; ti
è piaciuto come Allan, Judy e Mardock, lo scienziato pazzo
si
sono tolti dai guai?? Baci.
lovy91:
ciao lovy, come va? Grazie per i complimenti, cosa ne dici di
questo cap??
Un abbraccio:
Matt_Plant
|
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Capitolo 6 *** Due tute e uno spazzolone! ***
Sono in un terribile ritardo,
lo
so...tutta questa valanga di compiti mi ha sotterrato e la scuola non
ha fatto altro che stringermi con la sua morsa fatale!! (Ok, ora la
smetto con questi paroloni da poeta...*-*)...Ma ora che sono iniziate
le vacanze natalizie sono ritornato su efp! ;)
In questo cap. ho inserito molti dialoghi, spero vi piacciano
e che la storia risulti sempre piacevole e divertente!
Buona lettura a tutti! :]
6. Due
tute e uno spazzolone!
Il momento era giunto.
Androgina stava per realizzare il suo sogno malvagio.
Un muro compatto e vegetale aveva attanagliato il cielo, coprendo le
stelle. E così quella notte era diventata ancora
più buia.
Le liane e i rovi secchi si muovevano veloci; convulsi si allungavano,
creando un'enorme ombra agitata che avvolgeva tra le tenebre tutta la
città di Notthingwish.
Nonostante tutto quel trambusto nessuno in città si era
accorto di nulla. O almeno fino a quel momento.
- Oh, santo cielo!- si spaventò una ragazza, sguardo vigile
e
fisso su una finestra appannata dal suo respiro. - Rosso di sera bel
tempo si spera, ma il verde scuro?-
Mia sorella era spiazzata. I suoi occhioni blu non riuscivano a credere
a quello che stavano vedendo.
Mi avvicinai alla finestra.
- Judy, che c'è?- domandai alzando un sopracciglio,
regalando una strana espressione interrogativa al mio volto.
- Guarda un pò qua, fratellino.- rispose e
strofinò una
mano sulla lastra trasparente. La ritirò all'istante, era
gelida.
Il mio volto diventò paonazzo e il mio sguardo
incontrò quello di Judy. Rimanemmo lì, a
guardarci intensamente negli occhi. Poi sbirciammo nuovamente fuori
dalla finestra. Infine presi dalla disperazione, scoppiammo a urlare.
Non erano urla di terrore, ma di circostanza. Non trovavamo altro modo
per esprimere le nostre sensazioni, le nostre emozioni.
E intanto Mardock sobbalzò. I ricci si
drizzarono sopra la sua testa.
Eravamo nel suo laboratorio. Era tutto così disordinato.
In quello stanzino piccolo e angusto lo scienziato pazzo svolgeva i
suoi esperimenti. Il pavimento era liscio e scivoloso e le pareti di un
giallo acceso e riempite dai piccoli quadri appesi ai chiodi
arruginiti.
Grandi lampadari allungati e rettangolari pendevano dal soffitto e
illuminavano la stanza, forse un pò troppo. Mi sembrava di
stare
sotto i riflettori.
Un grande camino accesso irradiante di luce e calore rendeva il
laboratorio ancora più accecante per i miei occhi.
Beute, provette e matracci erano posti sopra gli scaffali in modo
pericolante. Sembrava stessero per cadere da un momento all'altro.
Mi ero tenuto alla larga dagli scaffali. Judy aveva fatto lo stesso; il
suo vestito con i girasoli e il mio pigiama marrone ora erano asciutti
e pieni di macchie e noi non avevamo avuto alcuna voglia di subire
altri danni.
Al centro della stanza c'era un grosso tavolo di marmo, anch'esso
stracolmo di materiali che normalmente si trovano in un laboratorio.
Lì lo scienziato pazzo aveva spostato con un'unica manata le
pozioni e vi aveva sistemato sopra un oggetto avvolto in una lastra
opalescente. Ma non
ci aveva detto subito di cosa si trattava.
Mardock sospirò. Poi si diresse pensieroso verso me e Judy,
per capire che cosa stava succedendo.
- Qui c'è qualcosa che non va.- starnazzò
leggermente
allarmato. E scrutò l'orizzonte fuori dalla finestra da
sopra gli occhiali rotondi.
- La donna dalle fruste facili sta tramando qualcosa di losco. Si, si
me lo sento.-
- Chi è la donna dalle fruste facili?- cominciavo ad essere
preoccupato. Una goccia di sudore prese a gocciolarmi sul viso e cadde
sul pavimento. Non capii se era per la tensione o per le fiamme
divampanti che emanavano calore dal camino.
Era successo tutto così velocemente.
La mia vita e quella di mia sorella non erano mai state così
frenetiche come nell' ultima settimana.
Prima l'incidente in ospedale, poi l'inseguimento della stessa setta
che mi aveva aggredito e rubato l'orologio. Infine quello strano
fenomeno paranormale che Mardock aveva definito teletrasporto.
Ma ora sembrava ci fosse un nuovo problema.
- E' una donna estremamente pericolosa. E'
lei l'artecife di questo strano fenomeno, è in grado di
scatenare un pandemonio grazie alle sue liane e ai suoi rovi secchi. Il
suo nome è androgina. Si, si.-
- E' una supereroina?- chiese Judy sgranando gli occhioni blu.
Probabilmente stava pensando di essere in un film. E non le potevo dare
torto.
Nonostante la confusione che la mia vita stava attraversando, ero
felice di avere ancora la mia sorellona al mio fianco. E sapevo che
anche per Judy era lo stesso. Di una cosa ero certo, finchè
io e
Judy fossimo rimasti insieme, niente o nessuno poteva farci paura.
- No, no, pollicina, mi dispiace, Androgina è perfida come
una strega. Non ne sono sicuro, ma credo
sia lei che controlla la banda di ladri che ci ha attaccato sta sera.-
- Accidenti, ma che cosa vogliono da noi?- domandai.
- Ormai ci siete dentro fino all'osso del collo. A causa dell'incidente
avete acquisito dei superpoteri e in un modo o nell'altro ora vi
vogliono far fuori, così da essere sicuri che non
intralciate i
loro loschi piani.-
- Come possiamo difenderci da questa minaccia che incombe su di noi e
su Notthingwish?- chiese Judy.
- Già cosa possiamo fare se non sappiamo neanche come
utilizzare i nostri poteri?-
- Non ci metteremo molto a capirlo. No, no, non con la tecnologia di
cui dispongo. Bisogna solo trovare un filo conduttore per incanalare al
meglio i vostri poteri affinchè possiate utilizzarli senza
fare
altri disastri. Ho io la soluzione per la ragazza.-
- Ah, sono Judy, Judy Chord e questo è mio fratello Allan.-
diede il via alle presentazioni mia sorella, come se ci trovassimo a
banchettare con un amico. Ma Mardock tagliò subito corto.
- Va bene, va bene perfetto. Seguitemi!-
Avevamo seguito Mardock fin nel seminterrato del laboratorio. Senza
aggiungere una parola aveva dato a Judy il suo incanalizzatore di
potere. Era l'oggetto che aveva appoggiato sul tavolo di marmo.
Grazie a quell'oggetto mia sorella avrebbe potuto utilizzare
i suoi
poteri.
- L'unica possibilità di salvezza sta nelle tue mani. Si, si
signorina.- aveva detto poi notando la stranissima espressione sul
volto di mia sorella. Quella di una bambina che ha appena ricevuto una
nuova bambola.
Judy fissò l'oggetto che cingeva tra i ditoni sbattendo
freneticamente le palpebre. Si trattava di un grande spazzolone per il
bagno tutto azzurro.
- Ma io con questo ci pulisco casa!-
Sorrisi sotto i baffi divertito. In effetti non si poteva pensare
ad un migliore utilizzo per un oggetto simile. Ma evidentemente non era
così.
- No, no. Premi il bottone al centro, e vedrai che con quello la casa
la distruggi!- replicò lui portandosi le mani sui capelli
ricci
e disordinati. - Non farlo ora, però!- aggiunse velocemente,
tanto che la frase diventò un unico balbettio disordinato.
Mia sorella annuì. - E Allan? Come farà ad
utilizzare i suoi superpoteri?- chiese preoccupata.
- Per il ragazzo devo ancora lavorarci, troverò un oggetto
tecnologico adatto anche per lui.-
" Spero solo che non sia un altro oggetto per la toilette." borbottai
tra me e me mentre Mardock prese a fissarmi da sotto gli occhiali
rotondi..
Proseguimmo per il lungo corridoio. Se al di sopra il laboratorio
risultava un piccolo stanzino stretto e angusto, non si poteva
dire lo stesso per il seminterrato; un' ampio spazio simile ad una
grotta ancestrale.
C'era poca luce. Le torce appese alle pareti rocciose mandavano qualche
debole fiamma inossidata.
Ci fermammo.
Lo scienziato tirò fuori dalla tasca del camice bianco un
dispositivo
rettangolare con un pulsante rosso al centro. Lo premette.
All'istante si formò una spaccatura sul pavimento. Due
grandi
lastre di vetro spuntarono da quel solco nel terreno. Dentro le capsule
trasparenti, in un liquido rosa denso e opalescente galleggiavano due
tute dai colori scintillanti.
- Eccovi le tutineee!- enunciò concitato. - Ho pensato
che avrete bisogno di costumi per non farvi riconoscere dalla
gente quando userete i vostri superpoteri.- Lo scienziato diede a me il
dispositivo e cercò di estrarre le tute dalle due lastre di
vetro.
Senza che me ne rendessi conto, un dito mi scivolo sull'interruttore
rosso.
Le capsule si aprirono in due e il liquido rosa prese a sgorgare
dappertutto. Era una sostanza simile al plasma che prese ad indurirsi
pian piano.
Le tute vennero catapultare fuori dalle capsule e andarono a finire
sulla mia testa e quella di Judy.
Mardock cacciò un urlo, mentre il suo corpo veniva avvolto
da quell'intruglio rosa.
"Ops!" pensai mentre le mie guance diventavano rosse sotto il costumino
di colore verde acido. Non riuscivo proprio a stare lontano dai guai.
- Accidenti, ma voi ne combinate una più del diavolo! Avete
idea
di quanto mi ci vorrà per ripulire tutto quanto? Per fortuna
c'è qualcuno che mi darà una mano.-
"Clap" Mardock battè le mani e subito dopo si
sentì un
ronzio provenire dal corridoio. Quello di ali vibranti che si stavano
avvicinando.
Quando io e mia sorella riuscimmo a toglierci le tute dalle teste, a
stento ci trattenemmo ad esultare per la meraviglia.
Tre esili corpi femminili erano sospesi in aria. Squttivano amabilmente
e lanciavano petali di rose rosse lungo il cammino.
- Vi presento le fate del cristallo.- enunciò con riverenza
lo scienziato pazzo. - Mie fedeli aiutanti e sostenitrici.-
Judy rimase estasiata.
Una delle fatine si avvicinò verso lei. Le altre volarono
dal loro padrone.
" Priiuu!" faceva la fatina mingherlina che le si era appoggiata sulla
spalla.
- Oh, ma che carina!- disse mia sorella accarezzandole una guanciotta e
abbandonandosi ad un sorrisone sdentato.
La creaturina era così piccola. Aveva due grandi occhioni
color
acquamarina e una piccola chioma di fluenti capelli viola che
terminavano sul suo viso con una frangia disordinata. Portava un
vestitino di petali di rosa rossa e sul suo polso teneva un cesto di
vimini pieno di fiori.
- Fate?- chiesi incredulo mentre porgevo il dito alla piccolina. Questa
si posò subito sopra. Era leggerissima. - Ma è
impossibile!-
- Tutto è possibile, Allan.- rispose Judy con gli occhioni
lucidi. - Da qualche ora a questa parte quella parola sembra non
esistere più nel nostro dizionario di famiglia...-
Mia sorella aveva ragione. Ora non risultava difficile vedere le cose
da una prospettiva diversa.
- Loro due sono Annabell, Clarabell.- iniziò Mardock
indicando
le due fate sopra la sua testa. Avevano iniziato a fare delle piroette
in aria. Poi come per magia una polverina dorata prese a cadere dai
loro corpi. Questa si andò a posare sull'intruglio rosa che
prese a sciogliersi all'istante, fin quando sparì del tutto.
- E quella sul tuo dito è Dionisia.- concluse finalmente
libero.
- E' difficile da spiegare come loro siano qui, vi basti sapere che
abitano
sotto il mio laboratorio, in un mondo incantato racchiuso dentro una
piccola porticina.-
- Oh, mi promette che un giorno mi ci porterà dentro quella
porticina?- chiese Judy con un'espressione sognante.
- D'accordo, pollicina. Ma ora c'è qualcosa di
più
importante a cui ti dovrai dedicare. Si, si. Forza indossate tutti e
due le tute,
dovrai intervenire per rompere il facio di rovi secchi di Androgina.-
Eravamo usciti dal laboratorio. Tutti e tre fissavamo il cielo.
Judy aveva premuto il pulsante al centro dello spazzolone e un
uccellino le si era depositato proprio sopra il suo incanalizzatore di
potere.
Mardock aveva spiegato che probabilmente il suo potere individuale era
quello di controllare gli uccelli.
- Ehi, ciao! Quindi tu saresti il mio aiutante!-
- Ma no, pollicina! Un solo pennuto non basta. Dai, su prova ancora,
concentrati.-
Fissai la mia tuta.
"Che colore orribile" pensai. Se non altro rappresentava il mio strambo
modo di vestire.
La avevo indossata senza obbiettare. Avevo infilato le gambe e chiuso
la cerniera. Con mia grande soddisfazione avevo visto che questa si era
chiusa subito.
Judy mi aveva fissato gelosetta. Lei non era stata altrettanto
fortunata.
Aveva indossato l'enorme calzamaglia fatta di un materiale simile alla
pelle, ma così lucida e di un giallo abbagliante da
risultare un
faro persino per la più cieca delle talpe. La sua cerniera
arrivata da altezza busto si bloccò. Io la avevo
afferrata e tirata su con
tutta la forza che avevo. Questa si era richiusa con qualche borbotto
metallico.
Ma ora mia sorella faceva fatica a muoversi dentro quella tuta
così
stretta e aderente. Allungò il pollicione sullo spazzolone e
finalmente
riuscì a premerlo nuovamente.
All'istante un grande stormo nero iniziò a roteare sotto il
fascio verde scuro di liane e rovi secchi. Judy non sapeva proprio
cosa fare. Aveva messo una mano appoggiata sul fianco e lasciato quella
con lo spazzolone alzata a mezzaria. - E ora che si fa?- si rivolse
verso lo scienziato pazzo.
La massa nera di volatili diventò una spirale perfetta.
Questa lentamente stava roteando verso il basso in direzione di Judy.
- Stanno arrivando. Si, si, aspettano i tuoi ordini, devi solo dir loro
di rompere il fascio di rovi secchi.-
- In che modo questo ci potrà aiutare?- chiesi guardando
l'estensione vegetale che attanagliava il cielo. Si estendeva fino a un
punto in cui i miei occhi non riuscivano a vedere. Neanche tanti
uccelli come quelli avrebbero potuto sfalciare quel muro
così
compatto, seppur vegetale.
- Tantovale provare, non oso immaginare cosa succederebbe se quelle
dannate liane raggiungessero il generatore della città .-
Dozzine di piccioni, fringuelli e corvi atterrarono ai piedi di mia
sorella. Cinguettando e gracchiando incrinarono le teste, fissando la
loro padrona.
Anche Judy li fissò.
- Coraggio pollicina, non è ora di essere timida,
dì loro cosa fare!-
Mia sorella raccolse un pò di coraggio, tirò su
la tuta e mise a posto gli occhiali.
- Coraggio miei beniamini, all'attacco!- disse infine, inscenando una
specie di coreografia teatrale e alzando lo spazzolone in direzione del
cielo.
-Aaargh!- la donna driade ritrasse all'istante le sue fruste letali.
Si era creato uno squarcio in cui stava passando attraverso un grande
stormo di uccelli.
- Dannate bestiacce.- diceva Androgina serrando i pugni e digrignando i
denti. E detto questo le liane avvolsero il suo corpo coriaceo. Dentro
quest'ultime qualcosa si mosse e un' immagine apparve in modo nitido e
perfetto. Raffigurava una ragazza con una tuta aderente, armata di uno
spazzolone che controllava gli uccelli.
- Ancora lei!- disse infuriata. E i suoi occhi rifletterono tutti e
sette i colori dell'arcobaleno. - Questa volta morirà.-
Androgina si abbandonò ad uno dei suoi peggiori ghigni
malvagi.
Poi, con furia lanciò il dono lontano. Ormai non le serviva
più. Aveva bisogno di qualcosa di potente, di molto potente.
Ed ecco a voi Judy Chord, "la piccionaia" che ve ne pare del
superpotere di controllare gli stormi d'uccelli?? ^-^
Per quanto riguarda il potere individuale di Allan, non l'ho ancora
definito bene, ragion percui non l'ho inserito in questo
cap....suggerimenti??
ringraziamenti:
Lovy
91: ciao lovy, finalmente le vacanze, eh?? Che cosa ne
pensi del nuovo cap.? Un bacione.
TheOnlyRealBoss:
Hey, quanto tempo! Appena posso ti lascierò una bella
recensione
per la tua storia, mi sono perso proprio tanti capitoli della valle
delle eufrasie... :[
Ma
ora dimmi, come ti sembra il cap.?? Ah, si...La driade e Mardock in un
certo senso sono "vicini di casa"...( anche se non si può
proprio dire che Androgina sia la classica ragazza della porta
accanto!) troverai la conferma a questa tua affermazione nel
prox
capitolo!! ;)
Girl
in theMirror: ciao misteriosa ragazza
nello specchio!!! ;]
Come avrai potuto notare anche io sono stato assorbito da mille impegni
e non solo per quanto riguarda la scuola, ma anche
da altri piccoli problemi che un diciottenne come me deve affrontare
ogni giuorno ( ma io mi chiedo, non si può tornare indietro
nel
tempo???) Ad ogni modo grazie per le tue belle parole, dentro il
maggiolino Judy è stata proprio forte e ora finalmente hai
potuto scoprire il suo potere individuale, tutto particolare e inusuale
come sempre!! Che cosa te ne pare?? ^-^ Un abbraccio
e a presto! ;)
Grazie
a chi mi segue ancora...
* Buone
feste a tutti!!!! *
:]
Matt_Plant
|
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Capitolo 7 *** Begonia ***
Scusate per la mia lunga assenza su efp, ho cercato di rimediare
stendendo un capitolo più lungo del solito, spero vi
piacerà...
Buona lettura!! :]
7.
Begonia.
Passò una settimana da quella terribile sera tragi-comica.
La nostra vita in una notte, aveva subito cambiamenti radicali, ma io e
mia sorella avevamo deciso di non pensarci. Cercavamo di vivere i
nostri giorni come li avevamo sempre vissuti prima di diventare dei
supereroi. E scoprimmo che ci riusciva molto bene.
Quella mattina ero in giardino. Innaffiavo i fiori giulivo.
Nell'aiuola c'erano le begonie, alcuni crisantemi e molte rose rosse.
Insomma in quell'aiuola c'erano i più bei fiori autunnali
che
madre natura poteva produrre. O almeno io la pensavo così.
La
bellezza di quei petali sapeva lenire ogni mia angoscia e farmi stare
bene.
Anche a Judy piacevano i fiori, non si limitava a portarli disegnati
sopra un vestito. No, odorava il loro profumo naturale, osservava ogni
sfumatura dei loro colori sgargianti. Non li aveva mai ricevuti da
nessun ragazzo, ma ne aveva regalati tanti
a tutti. Si, Judy dava un fiore a qualunque persona a cui voleva bene.
Non importava se era la più semplice delle margherite oppure
una
rosa sofisticata; non importava perché quello era un pegno,
che
mia sorella donava unitamente al suo cuore. Per sempre.
Aveva regalato un fiore a me e uno alla sua migliore amica Elle. E lo
regalava ogni giorno ai nostri genitori andandoli a trovare al cimitero.
Judy apprezzava le bellezze della natura soprattutto perché
studiava scienze agrarie all'università. Ed era riuscita a
contagiare anche me.
Là fuori l'aria era fresca e rifugiavo mento e bocca sotto
l'impermeabile giallo che indossavo.
"L'uomo banana" pensai divertito. Ma non mi importava del colore, se
non altro quell'impermeabile teneva caldo.
Mi chinai e presi una begonia. La più bella di tutte, quella
che spiccava come un gioiello prezioso in mezzo a tante pietre tutte
uguali.
- Questa è per te, sorellona.- dissi a bassa voce tirandomi
su.
- Perché anche tu a volte hai bisogno di ricevere un fiore.-
Judy era al calduccio dentro casa. A fare un bel bagno fumante e a
giocare con la schiuma che versava sempre abbondantemente dentro la
vasca. Non poteva sentirmi, ma appena fosse uscita le avrei fatto una
bella sorpresa. Un pensiero semplice che le avrebbe fatto sicuramente
piacere.
Passai la pompa su quell'unico fiorellino. Poi questa si
attorcigliò attorno alla mia caviglia.
La pompa mi scivolò via dalle mani come una saponetta
bagnata e
mi andò a finire dentro il giubbotto. L'acqua gelida entro e
questo si gonfiò, assumendo la forma di un salvagente
riempito
d'aria.
In quel momento mi maledissi da solo. Cercavo di sganciare la cerniera,
ma questa si era bloccata proprio tra il mio mento e il grande tubo
pieno d'acqua.
- Accidentaccio!-
urlai
attirando l'attenzione dei vicini. Il mio sguardo si posò
sopra
una finestra dove un'arcigna signora mi fissava dall'alto.
Era la signora Lensbury, la più temibile e antipatica di
tutte le vicine di casa.
- Mille mille bolle
bluu, mille mille bolle...lavano, profumano, detergonooo! Spuma di
Champagnaaa!-
Judy era immersa nella vasca da bagno. Attorno a
lei tante bolle di sapone fluttuavano per la stanza.
Come era d'abitudine quando era più piccola, Judy si era
portata
dietro un giochino. Si, quando facevamo il bagno io e mia sorella
adoravamo giocare dentro la vasca mentre nostra madre ci insaponava. Di
solito ci lavavamo insieme, ma crescendo avevamo perso questa abitudine.
Judy smise di soffiare dentro il cerchio dove stava nascendo una nuova
bolla. Questa si afflosciò e sparì.
- Ho sentito un rumore.- disse guardinga afferrando l'asciugamano e
armandosi dello spazzolone.
- Aiuto!-
urlavo io dal giardino.
- Porca birba!-
gridò mia sorella. Uscì dalla vasca e si
catapultò fuori dalla stanza alla velocità della
luce.
Judy uscì dalla porta del giardino allarmata.
- Che succede
fratellino?-
Stavo disperatamente tentando di togliermi l'impermeabile giallo. Al
suono della voce di Judy mi girai di scatto. E la fissai.
Un grande asciugamano bianco e infradiciato le avvolgeva corpo e
capelli. Ai piedi portava solo un paio di pattine lilla, con ciuffi di
cotone colorati che si disperdevano qua e là per il prato.
Era appena uscita dalla vasca.
- Judy, vai dentro che prendi freddo!- la rimproverai battendo i denti.
Ma forse quello che rischiava di più di prendere un
raffreddore ero io.
Il lungo tubo della pompa non voleva proprio saperne di abbandonare il
mio giubbotto. E intanto questo si gonfiava. L'acqua spingeva e lo
riempiva, ma non riusciva ad uscire da nessun buco.
La signora Lensbury imprecò qualcosa da dietro la finestra.
Ma
era impossibile capire cosa stesse dicendo. Alla fine sparì
dietro due tende bianchissime.
- Oh santi lumi, ma che cosa succede?- chiese mia sorella unendo le
mani ai fianchi rotondi.
- Chiudi l'interruttore della pompa, io non riesco più a
muovermi!- risposi sbrigativo tentando di rialzarmi senza successo.
- Non ti preoccupare ci sono qua io.- e detto questo prese la rincorsa,
alzò
leggermente l'asciugamano e si catapultò addosso a me. Ma
inciampò sul tubo e andò a sbattere contro
l'impermeabile. Questo esplose.
Riuscii solo a vedere il brutto muso ingrugnito della nostra vicina che
spuntava da dietro la ringhiera. Poi un grande getto d'acqua in
direzione del cielo. D'istinto chiusi gli occhi.
Sentii l'impermeabile sgonfiarsi e l'acqua uscire. Ma subito dopo fui
schiacciato da un peso opprimente allo stomaco.
Judy si trovava per l'ennesima volta sopra il mio corpo indolenzito.
Riaprii gli occhi e vidi un volto corrugato e bagnato a pochi
centimetri dal mio. Un occhio di vetro vispo e perforante come il
ghiaccio mi
stava fissando tra due sbarre della ringhiera.
- Io vi faccio
sfrattare.-
disse la signora Lensbury sputacchiando quelle parole come un lama
arrabbiato. La sua voce era impossibile da ascoltare. Era
così
tonante e burberosa da costringere chiunque ad utilizzare dei tappi per
le orecchie.
- Signora Lensbury, ci lasci spiegare. Noi...-
- Non c'è più niente da spiegare.- si
affrettò a
rispondere lei in un borbotto. - Ho già visto abbastanza!-
A quel punto l'arcigna vicina di casa si ritirò
dentro la
sua catapecchia, sbattendo la porta dell'entrata con un tonfo secco.
Sussultai. In tutti quegli anni in cui io e mia sorella avevamo vissuto
vicino alla Lensbury, non mi ero ancora abituato al
suo occhio. Ne
aveva solo uno, di vetro. L'altro lo teneva nascosto dietro una benda
perenne. Quello "buono" si muoveva velocissimo e mi faceva senso. Ad
ogni modo si poteva dire che quest'ultimo
faceva per tre. Si, perché la signora riusciva a vedere
qualsiasi cosa succedesse nel vicinato.
Fissai mia sorella. E sorrisi.
- Se non altro mi hai tirato fuori da un gran bell' impiccio.- dissi
dolcemente e le porsi la begonia che si era un po afflosciata. -
Tieni, è per te.-
Lei avvolse i suoi ditoni attorno all'esile gambo del fiore.
- Ah, grazie è splendida!- rispose, gli occhi illuminati
dalla gioia. - Nessuno me ne aveva mai regalata una.-
Lo sapevo, ma quello era uno dei tanti modi per vedere mia sorella
felice.
- Ok, ora credi che tu possa lasciarmi respirare almeno un po'?-
- Certo fratellino, basta chieder...Allan!-
Sobbalzai, mentre mia sorella prese il mio stomaco come un materassino
su cui poter saltare tranquillamente.
- Tu hai il colloquio di lavoro oggi!-
Judy si scostò di scatto dal mio corpo. Io mi alzai
altrettanto velocemente e corsi a più non posso.
Me lo sentivo, quel lavoro lo avrei ottenuto. A tutti i costi.
- Cerca di non farti licenziare!- disse salutando con la mano. E per
poco l'asciugamano non le cadde.
" Per oggi basta figuracce." pensò acchiappandolo alla
velocità della luce. E in una giravolta Judy si
rifugiò
al calduccio dentro casa.
- Prego si sieda.-
- Grazie.-
Mi trovavo al colloquio.
Ero riuscito ad arrivare sano come un pesce fino là. Questo
per me era già un gran risultato.
Il capo-redattore mi aveva accompagnato nel suo ufficio. Una
grande stanza arredata con mobili antichi e molto luminosa grazie alle
finestre che partivano dal pavimento e arrivavano fino al soffitto.
Eravamo passati dall' ampio e lungo corridoio, dove indaffarati
dipendenti battevano le dita sulla tastiera del computer, pronti a
scrivere nuovi articoli.
E ora ero là. Seduto faccia a faccia con quell'uomo
bassiccio e con la pipa in bocca.
Lui mi fissava. Io battevo nervosamente le dita sulla sua scrivania.
- Dunque il curriculum ce l'ha?- mi chiese portandosi la pipa in mano
per poi riportarsela tra le labbra. La sua voce era calma e profonda,
tanto che riuscì persino a tranquillizzarmi.
Notai che non usciva del fumo dalla pipa, era spenta.
Probabilmente gli piaceva tenerla semplicemente in bocca.
- Si, eccolo.-
Lui lo prese con fare disinvolto e incominciò a leggerlo.
- Bene, bene, cos'abbiamo qua.-
Le mie dita scivolarono tra i bordi della scrivania. Poi si fermano a
toccare un prezioso portagioie che mi ricordava tanto quella di mia
madre.
Il mio indice ne ripassava i bordi mentre il medio ne tastava il
contenuto.
Gli occhi nocciola Del signor Holdes si alzarono, mentre la mia mente
viaggiava
tra un turbinio di ricordi piacevoli. E avvolti nel mistero.
Una stanza. Uno specchio. Una porta.
Nient'altro che un ricordo offuscato da mille altri pensieri.
Una donna alta e biondissima fissava i suoi gioielli. Poi li ripose
dentro una scatolina dorata.
Un piccolo ciondolo prismatico giaceva lì, in mezzo a tutti
quei
gioielli. Lei lo afferrò e se lo portò al cuore.
Un
barlume di luce iniziò a circondarla, mentre una debole
brezza
smosse i suoi capelli.
Un bambino con un caschetto biondo sporco spuntò da dietro
la porta. La fissava accigliato.
Mia madre ritrasse spaventata il ciondolo notando il mio volto riflesso
sullo specchio. Poi sorrise e mi abbracciò, dandomi un bacio
sulla fronte.
- Le piace il mio portagioielli?- la voce del referente aziendale mi
riportò alla realtà.
- Io...- incominciai.
L'uomo alzò un sopracciglio, regalando al suo volto
un'espressione interrogativa.
- Si, è un oggetto molto bello.- mi arresi all'evidenza. -
Credo di averne uno uguale a casa.-
Lui allargò il sorriso in modo gentile. Poi il suo sguardo
scivolò di nuovo sul curriculum, diventando serio. Aveva
notato
la lunga sfilza di licenziamenti a cui ero andato incontro in tutti
quegli anni.
Mi morsi le labbra in modo nervoso.
" Ecco come un uomo gentile e disponibile cambia la sua espressione e
diventa una furia ambulante." pensai sconsolato. Già mi
immaginavo la scena: io con i vestiti ancora umidicci che venivo
catapultato fuori da una finestra dell'ufficio a calci nel sedere; in
stile Paperon de paperoni.
Seguirono attimi di silenzio, a me sembravano interminabili. Poi il
signor Holdes abbandonò il curriculum sulla scrivania.
- Non giudico mai le persone dal loro curriculum, ma le metto alla
prova. Congratulazioni, lei é sulla buona strada per essere
assunto!- mi disse porgendomi la
mano. Io gliela strinsi incredulo.
- Ma prima.- annunciò lasciando in sospeso la frase e
alzando il
mento in modo solenne. - Dovrà dimostrarmi la sua
abilità
a scrivere con il computer.-
Sorrisi e annuii in modo docile. E giurai a me stesso che non avrei
fatto un altro dei miei pasticci.
Intanto tra le ombre del bosco di Notthingwish qualcuno stava tramando
qualcosa.
Là, dove i raggi del sole non penetravano tra i fitti
alberi;
là, dove il silenzio regnava quasi irreale, c'era Androgina.
Le
sue liane e i suoi rovi secchi si muovevano veloci e convulsi come in
preda alla frenesia.
Questa volta aveva in mente un piano diabolico e nessuno poteva
fermarla.
- Ecco qual è il mio destino. So
cosa fare.- disse la donna-driade avvinghiando le sue liane attorno ad
un antico tomo
ingiallito dal tempo.
Nella sua tana, attendevano in silenzio i discepoli dei maghi rossi.
Portavano le teste basse, come fossero in penitenza. Nascosti sotto i
cappucci si intravedevano gli aguzzi menti affilati uniti ad un sorriso
beffardo.
- Scappati. Vi sono sfuggiti
dalle grinfie come dei vermi viscidi.- infervorò, gli occhi
da
pesce che si muovevano velocissimi. Si girò, dando le spalle
agli assassini e concentrandosi solo sul libro. Il suo nuovo gioiello.
- Il loro potere é grande, mia
signora.- rispose il discepolo che si tolse il cappuccio, il tatuaggio
del drago ben in
evidenza sulla testa pelata.
- Non mi interessa.- tuonò irata, le foglie secche che si
sollevarono a mezz'aria. Tra le ombre, Androgina assumeva una postura
spettrale; le foglie turbinavano attorno al suo corpo in un unico
uragano vegetale. Poi il flusso rallentò.
- Non ha importanza.- rispose la donna-driade ritirando le lame
taglienti con la stessa velocità con cui le aveva estratte.
- Ho
intenzione di usare i loro poteri per uno scopo più grande.-
Seguirono attimi di silenzio, interrotti solo dal fruscio del vento.
- La profezia.- continuò Androgina in un sussurro. - Ora
che i miei poteri sono più potenti, richiamerò
l'antico signore e niente potrà fermarmi.-
Una debole brezza smosse i suoi capelli covini. Sorrise, pensando
all'azione che finalmente avrebbe dato una svolta decisiva
alla
sua esistenza malvagia.
"Blop blop" qualcosa ribolliva dentro una grande pentola.
- Tubiduuù!- cantava Judy rigirando uno dei suoi intrugli.
Di solito li
preparava di mattina, ma quel giorno aveva fatto uno strappo alla
regola. Aveva voglia di qualcosa di gustoso e nutriente.
La fiamma ossidata sotto la pentola sparì quando Judy spense
il
gas. Affondò il mestolo e tirò su una bella
porzione di
brodaglia fumante.
- Ecco qua.- disse soddisfatta riempendone un bicchiere fino all'orlo.
- Con questo avrò energia sufficiente per tutta la
giornata.-
continuò. In effetti aveva proprio bisogno di tirarsi su
dopo
tutto quello che era successo al suo corpo mutantizzato.
"Driin!"
Qualcuno suonò il campanello. Mia sorella si pulì
le mani
sul grembiule che aveva indossato, la splendente begonia fissata con
una spilla da balia vicino alla spalla.
- Eccomi arrivooo!- disse alzando quest'ultimo con fare principesco.
" Chi sarà a quest'ora?" pensò poi in un affanno.
Aprì la porta e si trovò di fronte lo scienziato
pazzo.
La fissava da sopra gli occhiali rotondi.
- Oh, salve, lei qui?-
- Trovato.- annunciò lui entrando subito in casa.
- Non capisco, che cosa significa?- chiese mia sorella unendo le mani
ai fianchi rotondi. Ma non ricevendo risposta fece accomodare Mardock
in cucina. Frugò tra le stoviglie e ne estrasse una grande
tazza decorata con delle composizioni floreali.
Lo scienziato pazzo si sedette, svuotò la tasca del
giubbotto e ne
estrasse un grande oggetto d'oro grosso quanto la sua mano. Lo fece
ciondolare a mezz'aria, lasciando che lo sguardo di Judy potesse
analizzarlo meglio.
- Questo è
l'incanalizzatore di potere di Allan.- spiegò appoggiando
l'oggetto sul tavolo.
Judy che era intenta a travasare il suo intruglio nella tazza si
avvicinò e nel suo sguardo si accese una nota di stupore.
- Un momento, ma questo lo riconosco.- disse afferrando l'oggetto che
luccicava al riflesso del sole. - E' l'orologio di
Allan, glielo avevano rubato quei ladri vestiti di rosso. Apparteneva a
nostro padre e prima ancora a nostro nonno.-
- Dici sul serio?-
Judy annuì.
- Si, si, certo, ora è tutto più chiaro. Ad ogni
modo
l'ho modificato per bene, come lo spazzolone che ti ho dato, anche
questo oggetto intriso di scienza unito alle capacità
paranormali di Allan, è in grado di far scaturire i suoi
superpoteri.- lo scienziato mandò giù qualche
sorso della
bevanda di Judy. La sua carotide si muoveva veloce, mia sorella rimase
lì ad immaginare entro quanto tempo avrebbe tossito
o
sputato quel suo miscuglio. Ma il suo sguardo non fece una piega. Anzi
sembrava compiaciuto.
- Dove lo ha trovato? Allan sarà così felice di
sapere
che il suo prezioso gioiello è di nuovo qui, nella nostra
casa!-
- Attenta pollicina, non è un giocattolo! L'ho trovato
passeggiando in mezzo al bosco, si, si! Ma dovete stare attenti, se
l'orologio è riuscito ad attirare l'attenzione della setta
dei
maghi rossi, vuol dire che è molto più prezioso
di quanto
possa sembrare. Tuo fratello dovrà fare attenzione quando
userà i suoi poteri, si,si. Perché saranno
potentissimi.-
Judy non prestò particolare attenzione alle sue parole.
Sollevò la tazza dal tavolo; era vuota, allo scienziato
doveva essere proprio piaciuta la sua invenzione giornaliera. E
così Felice e
contenta si diresse al pentolone, pronta per un nuovo travaso.
Dopo aver attraversato il corridoio dei dipendenti, il signor Holdes mi
fece accomodare in uno scomoda sedia scorrevole rilegata ad un antro di
scrivania. Sopra quest'ultima un computer di vecchia generazione era in
fase di accensione. Il monitor era ancora spento e io
potevo intravedere il mio riflesso preoccupato.
- Coraggio, accenda!- mi disse con un'aria leggermente scocciata. Poi
appoggiò la mano rugosa sulla scrivania che
scricchiolò.
Unii le labbra in modo confuso. Poi mi decisi a premere il pulsante che
si illuminò di una luce verde opaca.
Mentre aspettavo la schermata di avvio, guardai di fronte a me. Un
pò più in là, vicino all'entrata del
grande
corridoio, era affissa alla parete un' insegna a caratteri cubitali.
"Notthingwish News" lessi compiaciuto. Mi chiesi come avevo
fatto
a non notarla prima.
- Bene, bene. Ora scriva ciò che le detto.-
iniziò il il
capo redattore avvisandomi che il computer si era acceso. Io mi misi in
posizione; pronto per battere alla
tastiera. Se tutto sarebbe filato liscio, presto sarei diventato un
nuovo dipendente di quel giornale. Il solo pensiero mi faceva
rabbrividire.
" meglio stare con i piedi per terra!" pensai mentre le parole del
signor Holdes scivolavano via dalla sua bocca velocissime, le mie dita
in frenesia sulla tastiera nero corsetto.
- Che cosa succederà alla nostra economia se il nostro
presidente...- continuava senza fermarsi. Ma per fortuna non avevo
problemi a stare al passo con la dettatura.
"...Let it be, let it
be...Whisper words of wisdom, let it be..."
La canzone dei Beatles proveniva da una radio, probabilmente posta su
una scrivania vicina. Ma non mi feci distrarre e continuai a scrivere.
Un leggero mal di testa iniziò a farmi appesantire gli
occhi, ma
non mollai. Alzai lo sguardo. Nel volto del signor Holdes potevo
scorgere un'espressione compiaciuta.
Bé, non potevo dire di essere Mozart alla tastiera, ma se
non
altro me la stavo cavando abbastanza bene. " Chissà come
sarà contenta Judy!"
- Perfetto. Va bene così.- disse il signor Holdes
togliendomi la
tastiera da sotto il naso, per poi spingerla sotto lo schermo.
Sorrisi compiaciuto alla notizia della mia performance. Poi spensi
rapidamente il computer.
" Il misfatto è ormai fatto!" mi complimentai con me stesso
tra
me e me. " Non vedo l'ora di dirlo a Judy!" ma nello stesso
istante in cui pronunciai il nome di mia sorella, una forte emicrania
smorzò il mio sorriso. Mi portai le mani sulle tempie; il
dolore
si fece insopportabile, intorno a me sentivo tutti i suoni amplificati
in un unico rumore.
- Sta bene?- sentii rimbombare nella mia mente la voce del
capo-redattore.
Non riuscii a rispondere. E mentre sentivo che la testa mi stava per
scoppiare da un momento all'altro, lo schermo del computer si accese di
scintille, prendendo fuoco.
Chiusi gli occhi. E quando li riaprii la testa non mi faceva
più male.
" Al fuoco, al fuoco!" gridò terrorizzata una delle
segretarie.
Il signor Holdes mi fissava accigliato. Il suo sguardo si
posò
prima su di me e poi sul computer ormai in fiamme. Poi si
allontanò, vedendo il fuoco avanzare verso alcuni fogli.
Alcuni temerari giornalisti si armarono di estintori per estinguere le
fiamme. Come era successa una cosa del genere? Non lo sapevo.
Ma
sospettavo che centrassero qualcosa i miei poteri paranormali. In
quell'istante capii che fare finta di niente non mi avrebbe aiutato a
dimenticare quello che ero diventato.
Le fiamme divamparono sulla scrivania convogliandosi in un' unica,
alta fiammata. Decisi di allontanarmi dal fuoco; perché
sinceramente, rimanere carbonizzato non rientrava nella mia personale
lista dei desideri.
Gli spruzzi di polvere degli estintori resero l'aria irrespirabile,
mentre in un movimento generale tutti i dipendenti arrancarono verso le
scale e gli ascensori.
Rimasi solo. In compagnia dei pochi coraggiosi giornalisti-pompieri e
del capo-redattore, che mi scortò all'uscita.
Percorremmo il corridoio in silenzio. Poi ci fermammo vicino alle scale.
- Io, mi volevo scusare con lei per quello che é successo.-
dissi con un' espressione colpevole. Anche se in realtà non
avevo la più pallida idea di come avevo fatto a fare una
cosa
del genere.
- Non si preoccupi, a meno che lei non abbia poteri pirocinetici,
dubito che quello che sia successo sia stato a causa sua.- ci fu una
pausa in cui il signor Holdes si portò la pipa in mano.
Estrasse un
panno di lino dalla tasca dei pantaloni e iniziò a
strofinare la pipa. Teneva
a quell'oggetto come ad un paio di occhiali nuovi e costosi. -
Nonostante il suo curriculum disastroso, può ritenersi
fortunato. Non ho mai visto nessuno dei miei dipendenti scrivere
così velocemente con la tastiera.-
Un barlume di speranza si riaccese dentro di me. Forse quello
significava che la mia assunzione non era stata revocata...o forse
significava che non dovevo trarre conclusioni affrettate.
Rimasi in silenzio a osservare l'attenzione morbosa che il capo
prestava alla sua pipa. Poi mi decisi a chiedere spiegazioni.
- Significa che sono assunto?- chiesi con una nota di impazienza.
Il signor Holdes sorrise amabilmente, lo sguardo alto ad osservare
l'orologio affisso alla parete. - Incomincerà a lavorare
domani. Prepari un articolo per sta sera e me lo porti. Ma da ora in
poi niente più sorprese di questo tipo, o potrei seriamente
iniziare ad insospettirmi, intesi?- scherzò ritirandosi
sbrigativo nel suo
ufficio.
Feci cenno di no con la testa. E per una volta anche io mi sentii come
mia sorella; con la testa fra le nuvole.
La cucina di casa Chord era vuota.
Dopo aver scaraventato frettolosamente le tazze vuote nel lavandino,
una impaziente Judy aveva accompagnato lo scienziato pazzo di sopra.
Non vedeva l'ora di fargli vedere le stanze.
- Ecco qua.- aveva detto mia sorella saltellando di qua e di
là.
- Qui è dove dormo io.- concluse mostrando a Mardock lo
stanzone.
Lui fissava da sotto gli occhiali rotondi la ragazza cicciottella
mentre si destreggiava nelle sue piroette. Non diceva una parola. Ma a
giudicare da come le sue labbra si allungarono per baciare l'aria, era
pensieroso. Probabilmente gli sembrava
una di quelle oche giulive che si vedono in televisione. Poi il suo
sguardo venne abbagliato dalla luce solare.
Una finestra ad arco adornata di tende color caramello rendeva luminosa
la stanza. Il linoleum riluceva brillante e perfettamente pulito nel
suo ocra temperato. Un gran lettone ad una piazza e mezza era sistemato
al centro della stanza e la rendeva ancora più allegra
grazie alle lenzuola rosa con tanto di principessine ricamate.
- Mi segua!- disse Judy con l'intento di continuare il giro della casa.
Ma Mardock la fermò guardingo.
- Hai sentito, Pollicina.- disse con un'espressione stranissima in
volto.
Judy smise di fare piroette e si voltò a guardarlo. Ma lei
non
aveva sentito proprio nulla, così unì le mani ai
fianchi
rotondi, come faceva sempre quando non capiva qualcosa. - Oh signur, ma
che cosa c'è adesso?-
Mardock allungò la mano ad un orecchio e fece cenno di
ascoltare.
"frish."
era vero; un fruscio quasi
imprescrittibile trascendeva dal piano inferiore. Come se tanti oggetti
lisci e avvicinati si sfregavano tra di loro.
Poi un boato assordante sovrastò l'aria, attirando anche
l'attenzione di Judy.
- Che cosa è stato?- chiese Judy in un affanno; le scale la
sfinivano sempre.
Lo scienziato pazzo tastò e annusò l'aria
cercando di afferrarla tra
i palmi delle mani. Inutile dire che non ci riuscì.
- Ferma.- annunciò. - Vai a prendere lo spazzolone! Qui
c'è bisogno dei tuoi servitori.-
Lo sfrigolio si fece più intenso come se qualcosa o qualcuno
si
stesse avvicinando. Judy, spaventata non se lo fece dire due volte.
Alzò la gonnella, fece dietrofront e si catapultò
in
bagno a prendere il suo incanalizzatore di potere.
Fece ritorno pochi secondi dopo con l'arma tra le mani.
- Dobbiamo essere prudenti, Pollicina.- annunciò lo
scienziato
pazzo proseguendo per primo. Aveva gli occhi sbarrati e gli occhiali
glieli facevano enormi. Sembrava che le sue palpebre fossero
tenute su da dei paletti di legno.
Mia sorella girò la testa di scatto. - Sono loro?-
chiese
con un'espressione di puro terrore in volto, lo spazzolone svolazzante.
- E' la stessa banda di assassini che ci ha attaccato l'altra notte?-
Mardock fece cenno di no con la testa, ma non fece in tempo a fornire
ulteriori delucidazioni. Il muro della cucina tremò, mentre
grandi crepe presero a salire su di esso.
La parete si incrinò e una pioggia di
calcinacci accompagnata da una nebbia di polveri riempì la
casa.
Judy si riparò la testa dietro le braccia, poi cadde e
rotolò giù dalle scale. Mardock si
lanciò a
capofitto dietro un mobile del corridoio.
Dietro la polvere, un gorgoglio di fruste vegetali accompagnava un
esile donna dai capelli corvini.
Il soqquadro del momento fu interrotto da una risata composta da mille
voci sovrapposte. Poi la polvere ricadde sul pavimento bianco ricoperto
dai calcinacci e il volto di Androgina si rese visibile.
Judy si alzò da terra tremante. Con fatica aprì
gli occhi
socchiusi e fissò quella strana creatura che avanzava verso
lei,
insensibile alla pioggia tagliente che continuava a cadere dal soffitto.
- Tu!- si sentì rimbombare. - Pagherai per ciò
che hai fatto.-
- Povera sciocca.- disse Androgina schioccando la lingua biforcuta in
modo sprezzante. - Pensavi davvero che i tuoi uccellacci potessero
fermarmi?-
Un rovo secco partì dalle sue membra e stritolò
il collo
di Judy che lanciò un lamento soffocato. La ragazza venne
sollevata da terra, mentre veniva avvolta e imprigionata da altre liane
verdastre.
Mardock sbucò guardingo da dietro l'armadio. -
Stai tranquilla, pollicina!-
disse lanciando una pozione contenuta in una
provetta. Il giallo opalescente
dell'intruglio sfrigolò al contatto con il corpo coriaceo
della
donna-driade che ritrasse le sue fruste vegetali all'istante.
Judy cadde a terra con un tonfo secco. Sapeva cosa fare. Premette
all'istante il pulsante al centro dello spazzolone. Ma androgina fu
più veloce. Dal suo corpo guizzarono fuori le foglie
rosicchiate
dai vermi che sferzarono l'aria alla velocità della luce. I
due
furono travolti da mille lame taglienti e caddero a terra incolumi.
La povera Judy piena di tagli sanguinanti venne portata via da
Androgina e dalle sue liane.
E mentre il suo stomaco veniva cinto da fitte lancinanti, la begonia
le scivolò via dal grembiule, cadendo a terra. La ragazza
sperò con tutto il cuore che suo fratello la sarebbe venuta
a salvare.
E poi...e poi una frusta vegetale ridusse i petali del fiore in mille
frammenti arancioni.
Quella fu l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi.
Infine, il buio.
Lo so, il finale è un po' tragico, xò ci voleva
un
po' di suspence!! E voi che cosa ne pensate??
Fatemi sapere! ;]
Ringraziamenti:
Lunatharis: Ciao! Mai dire mai...Si, di
sicuro qualcosa di buono alla fine
concluderanno anche loro, dai!
Lovy91:
Ciao
Lovy, sono contento che le fatine ti siano piaciute...Lo so che
é passato tanto tempo, ma ti é piaciuto il nuovo
capitolo??
Un abbraccio:
Matt_Plant
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