Long Lost John di Ariadne_Bigsby (/viewuser.php?uid=16808)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Walking On Thin Ice ***
Capitolo 2: *** (Just Like) Starting Over ***
Capitolo 3: *** Mind Games ***
Capitolo 4: *** I Know ***
Capitolo 5: *** Nobody Told me ***
Capitolo 6: *** Remember ***
Capitolo 7: *** Be-Bop-A-Lula ***
Capitolo 8: *** You are here ***
Capitolo 9: *** I'm scared ***
Capitolo 10: *** Watching the wheels ***
Capitolo 11: *** Please, please me ***
Capitolo 1 *** Walking On Thin Ice ***
Long
Allora….era
da un po’ che volevo buttare giù questa storia. In realtà avrei dovuto
pubblicare questo prima di “Here There and Everywhere”, però ho deciso di fare
il processo inverso : partire dal sequel e pubblicare successivamente il
prequel.
Si,
questa storia è proprio quello che è accaduto prima di “Here There…”, ovvero la
storia di John, dalla sua morte fino alla sua discesa sulla Terra. Ovviamente
tutto visto con gli occhi di John.
Stamani
a scuola ho buttato giù il primo capitolo, riorganizzando le idee che avevo…
Cercherò
di pubblicare i capitoli di questa storia in concomitanza con l’altra
fiction…Beh, detto questo…
Enjoy!
Ringrazio anticipatamente chi leggerà la storia e chi la
recensirà.
Walking on Thin Ice
“I may cry some day, But the tears will dry whichever way. And
when our hearts return to ashes, Itll be just a story,”
8 Dicembre 1980 Record Plant Studio, New York
“Sono
esausto! Ho passato un’intera giornata chiuso qui in studio a registare.
Sono
passati circa due mesi dalla pubblicazione di “Double Fantasy” ed ormai sono
troppo preso dal comporre nuove canzoni per fermarmi un’altra volta.
Ho
davvero un sacco di materiale pre-registrato a casa, tanti spunti per nuove
canzoni.
Dopo
un “silenzio” di cinque anni sono felice di essere tornato in pista.
Cinque
anni…La nascita di Sean ha cambiato moltissime cose..ed io non voglio essere un
padre assente, troppo preso dalla sua vita. Non voglio che mio figlio cresca
senza una figura paterna. Non voglio che passi ciò che ho passato io nella mia
infanzia e nella mia adolescenza.
Voglio
che abbia un punto solido di riferimento.”
Questi
pensieri affollavano la mente di John Lennon, seduto alla sua scrivania nello
studio di registrazione.
Stava
rimettendo in ordine le sue cose, dopo un’intensa giornata lavorativa. Lui e
Yoko, sua moglie stavano lavorando su una canzone che avevano già utilizzato per
“Double Fantasy”.
La
canzone si intitolava “Walking on Thin Ice” ed era cantata da Yoko.
Il
cantante era rimasto così soddisfatto dai risultati ottenuti, che aveva fatto
trasferire tutta la registrazione su nastro: voleva portarla a casa per
ascoltarla tutta con calma.
Era
totalmente saturo di musica, almeno per quella sera.
Contravvenendo
alle sue ripetute promesse di smettere di fumare, John si accese una delle sue
“Gitane.
Aspirò
il fumo mentre si lasciava sprofondare nella poltrona. Si sentiva veramente
stanco e spossato e questo lo rendeva nervoso: era sempre stato un tipo energico
e scattante. Ma ora le sue forze stavano come venendo meno.
Il
cantante fece un lungo sospiro “Troppo lavoro! Si disse “Va bene partire in
quarta per creare subito un nuovo album…ma forse mi sto lasciando prendere
troppo la mano…” scosse leggermente la sigaretta per far cadere la cenere
rimasta attaccata al tubicino “d’altro canto non sono più un
ragazzino.
I
tempi delle “consegne lampo” di nuovi
album sono finiti da un bel pezzo ormai..”
Il
cantante si accigliò per un attimo, indugiando sui ricordi che pensava di aver
sepolto bene sotto una coltre di disprezzo neanche troppo implicito.
Riluttante,
John Ono Lennon si vide passare davanti immagini, dove lui era ancora il “Beatle
John”.
Si
ricordava le sedute con Paul, cercando
di mettere assieme parole e note.
Erano
ricordi offuscati come da una leggera nebbia, erano vere e proprie fotografie
impresse nella sua mente. Fotografie riposte con cura in fondo ad un cassetto
dove, col tempo, avrebbero perso la loro brillantezza.
John
aspirò nuovamente il fumo a pieni polmoni,
ma lo rilasciò quasi subito.
Quanti
anni erano passati? Dieci?
Erano
già passati dieci anni da quando tutto era finito?
“Per
la miseria! Dieci fottutissimi anni?” si ritrovò a pensare il cantante, come se
se ne fosse reso conto solo in quel momento “e ne sono passati venti da
quando…”
Di
nuovo, un’altra immagine a lungo rimasta nel dimenticatoio si fece strada nei
suoi pensieri.
Vide
tre ragazzi: uno era veramente giovane, doveva avere circa diciassette
anni.
Portava
un buffo ciuffo “alla Elvis” ed imbracciava una chitarra.
Il
secondo era un ragazzino di circa diciotto anni, dalla faccia d’angelo e dai
grandi occhi verdi. Lui, a differenza del suo compagno imbracciava un basso, ma
lo portava al contrario perché era mancino.
Il
terzo era un ragazzo alto, il più alto dei tre e dinoccolato: anche lui aveva i
capelli impomatati di brillantina, cercando di ricopiare il ciuffo di Elvis Presley ed anche lui
portava una chitarra a tracolla, quella chitarra comprata a rate.
Ma
a differenza degli altri due, che sembravano smarriti e preoccupati, lui teneva
la testa alta, in atteggiamento di sfida.
Lo
sguardo esprimeva tutta la sfrontatezza e l’arroganza che può esprimere il volto
di un adolescente che si sente invincibile.
John
Lennon si lasciò andare ad un sorriso nostalgico.
Erano
anni che non sorrideva più a quel ricordo: per gli ultimi dieci anni, quei
ricordi erano legati indissolubilmente alla più totale mancanza di valori, anni
macchiati da eccessi per i quali, ogni volta, il cantante provava brividi di
disgusto.
Erano
giovani, gli idoli di un mondo che li additava come quattro giovani dalla
faccetta pulita e rassicurante..òa realtà era ben diversa.
La
sigaretta si era ormai consumata fino al filtro.
Tra
le mani dell’ ex-Beatle.
Lui
la fissò per un attimo “ Fanculo, io me ne accendo un’altra…” si
disse.
Dopo
averla accesa, John rimase nuovamente immobile.
Stavolta
non pensava a nulla in particolare, anche se, voci dal passato si insinuavano
senza freni nella sua mente.
Alla
fine fece qualcosa di inaspettato.
John
Ono Lennon si alzò dalla comoda sedia imbottita e si diresse verso il suo
cappotto nero, che si trovava sull’attaccapanni.
Ormai
era chiuso li dentro da quasi 20 minuti ma non gli
importava.
Cominciò
a frugare con calma nelle tasche del pesante cappotto: ovviamente non lo trovò
al primo tentativo, ma alla fine le sue mani toccarono ciò che
cercava.
Estrasse il suo portafoglio di pelle
marrone e lo aprì.
Non
era mai stato un patito dei portafogli all’ultima moda ed usava quel consunto
portafogli da ormai dodici anni.
Le
sue dita indugiarono per un attimo prima di estrarre quello che cercava da una
delle strette taschine del portafoglio.
Il
tempo aveva fatto appiccicare la pelle sulla patina della pellicola e Lennon
dovette impiegare molta pazienza per estrarre la foto senza danneggiarla, ma
alla fine ci riuscì.
Nella
foto erano ritratti quattro ragazzi sorridenti.
Le
dita di John toccarono il viso del giovane in posa al centro: aveva i capelli di
una tonalità che poteva essere castano chiaro, così come poteva benissimo
passare per un biondo scuro e gli arrivavano fin sotto le orecchie.
Il
suo occhio destro era semi-nascosto da una frangetta.
Il
suo sorriso pareva spensierato.
John
percorse con l’indice quei volti a lui così noti.:alla sua destra c’era Paul,
con i suoi grandi e malinconici occhi verde bosco che mandavano in delirio le
loro fan…George, il piccolo, dolce George, timido e riservato ma dalle idee
sempre geniali e Ringo, col suo naso spropositato ed i suoi occhi cristallini
come l’acqua. Ringo era stato il vero “collante “ dei Beatles, era stato l’unico
elemento portante.
John
rimase incantato per un attimo, guardando la foto.
Ripercorse
ancora una volta con lo sguardo i quattro volti, lasciando il suo per
ultimo.
Quando
alzò lo sguardo si vide riflesso nello specchio appeso al muro davanti, ed
avvertì il peso degli anni gravargli sulle spalle come un macigno.
Aveva
quaranta anni, il giorno dopo avrebbe avuto quaranta anni e due mesi
esatti.
John fissò con un sorriso mesto la sua
immagine riflessa: era proprio lui, lo stesso John della foto, quella foto
rimasta sepolta per anni.
Il
suo viso era più magro ed affilato, qualche ruga era già spuntata qua e là- I
suoi capelli non erano più lunghi come quelli della foto perché li aveva fatti
tagliare proprio come li portava quando era un diciassettenne di belle speranze.
Però
erano dello stesso biondo scuro, anche se facevano capolino piccoli ciuffi
brizzolati. Osservò le sue labbra sottili, il suo naso aquilino che pareva
ancora più prominente, a causa della sua magrezza…
Senza
rendersene conto, John aveva lasciato consumare anche la seconda sigaretta fra
le sue mani.
La
gettò nel cestino, centrandolo e rivolse lo sguardo verso la finestra.
Il
cielo di Manhattan era buio, ma rischiarato dalle mille luci della “città che
non dorme mai”.
L’ex-Beatle
John si rese conto che era tardi e che doveva fare presto, se voleva salutare il
suo bambino prima che si addormentasse.
Raccolse
i nastri che aveva lasciato sulla scrivania e si infilò il cappotto.
Quando
fu salito in macchina si accorse di aver dimenticato la foto sul
tavolo…
Manhattan, Upper West Side.
Dakota Building
La
sontuosa limousine stave per svoltare e dirigersi verso il parcheggio del
palazzo, ma l’autista fu fermato da Lennon. “Aspetta, mi ci vuole più tempo per
salire se scendo al parcheggio…e io voglio dare la buonanotte a Sean..Fammi
scendere qui”
L’autista
obbedì ed accostò al marciapiede, per permettere a John di uscire.
Il
cantante raccolse i nastri che si era portato dallo studio e scese dall’auto,
mentre la moglie si attardò un attimo all’interno.
John
Lennon camminò a passo svelto verso l’ingresso, così svelto da non notare
l’ombra al lato del portone.
Ormai
era vicino alla porta d’ingresso, dove avrebbe preso l’ascensore per il settimo
piano.
Sarebbe
entrato in casa e si sarebbe diretto a passo sicuro nella stanza di Sean, dove
gli avrebbe dato la buonanotte e magari cantato la sua ninnananna
preferita…
“Hey,
Mr Lennon!” lo apostrofò una voce sconosciuta.
John
non fece in tempo a girarsi, quando sentì un dolore acuto allo stomaco, come se
lo avessero trapassato con un ferro arroventato.
Nel
giro di pochi secondi avvertì la stessa sensazione alla spalla e, di nuovo, allo
stomaco.
Quasi
non sentì l’urlo angosciato della moglie, né il fragore dei nastri che gli
cadevano dalle mani e cozzavano contro il cemento del
pavimento.
Si
sentiva incredibilmente pesante, le gambe sembravano non riuscire più a
sostenere il suo peso.
Aveva
solo voglia di stendersi e chiudere gli occhi…voleva scacciare il
dolore.
John
Lennon, colpito da quattro pallottole esplose da quell’ombra che lo aveva atteso
per una giornata intera, si accasciò per terra, dove chiuse gli occhi, senza
sapere chi gli avesse sparato e per quale motivo.
Prima
di perdere conoscenza pensò: “Perdonami Sean…Non potrò darti il bacio della
buonanotte..perdonami…………”
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Capitolo 2 *** (Just Like) Starting Over ***
Long
(Just like) Starting Over
“Let's take a chance and fly away somewhere “
“Vi
voglio bene…” mi ritrovo a pensare in quello che credo essere il mio ultimo
momento di lucidità prima del buio.
Chiudo
gli occhi con forza li stringo più che posso,
Il
mio unico desiderio è far sparire questo dolore insopportabile: non ho mai
provato un simile dolore fisico in tutta la mia vita…ah già, che stupido!
La
mia vita sta finendo..
Eppure…eppure…perché
non perdo conoscenza?
Perché
continuo a pensare, perché continuo a sentire tutto il mio corpo?
Sento
ancora il dolore ma…si è come affievolito!
Si,
è davvero così..il dolore sta lentamente sparendo…
Forse
l’ambulanza è arrivata almeno per una volta in tempo? Forse ho qualche
possibilità di farcela?
Vedo
già i titoli dei giornali “John Lennon scampato ad un attentato! “
Si
è trattato di un attentato, vero?
Voglio
dire…erano pallottole quelle.
Mi hanno sparato ben quattro volte.
Qualcuno
mi odiava e mi voleva morto,….
Mi
viene quasi da ridere per il paradosso: io, che ho sempre fatto della
non-violenza il mio slogan…sono stato vittima di un
attentato!
Però…è
ancora presto per dirlo!
Forse ce la farò..
Ma…perché
non sento le voci dei medici?
Perché questo silenzio?
Intorno
a me non c’è nessun rumore: ne’ le
urla, ne’ il rumore di un’eventuale barella…
C’’è
solo silenzio.
Ed
i miei occhi continuano ad essere chiusi ermeticamente.
Quello
che mi rassicura un po’ è che…sto respirando!
Se
fossi morto non starei certo respirando.
O
sbaglio?
Continuo
a restarmene sdraiato: comincio ad avere paura.
Perché
è tutto così silenzioso?
Perché?
“Ma
che…succede?” mi ritrovo a mormorare.
Nessuna
risposta.
Comincio
ad avere paura adesso: il sudore comincia a colarmi in rivoli freddi sulla nuca
ed il mio corpo è involontariamente scosso da tremiti.
“Non
capisco… perchè sono ancora capace di provare sensazioni se….se…”
Non
riesco più a formulare quel pensiero.
“Come
faccio a pensare se sono morto?” le
parole mi escono di bocca in un sussurro.
Forse
è ora che io apra gli occhi.
Li voglio aprire, ma allo stesso tempo ho
paura di quello che potrei vedere.
“Coraggio
John, un attimo e passa tutto .
Si
tratta di aprire gli occhi e constatare se sei diventato ad un tratto sordo ed
insensibile perché quelle cazzo di pallottole ti hanno beccato qualche punto
cruciale e ti sei giocato la spina dorsale…oppure si tratta semplicemente di
aprire gli occhi e constatare che ho davvero tirato le cuoia! Che sarà
mai?”
Sento
le mie palpebre tremare, ma ancora sembrano non volermi obbedire.
“Cazzo
John, apri quei maledetti occhi
miopi che ti ritrovi!”
Alla
fine ci riesco: i miei occhi si aprono.
Un
bianco accecante mi costringe quasi a richiuderli, è davvero
troppo.
Decido
di riprovarci ed aprirli pian piano, lasciandomi tutto il tempo per abituarmi a
quel bianco….così
bianco!
Ora
i miei occhi sono totalmente aperti e tutto quello che c’è davanti a me è un’
infinita distesa di bianco.
Bianco
e basta.
“Cazzo,
cazzo..” mi ritrovo a pensare “non è possibile…tutto questo è
assolutamente…”
Le
parole mi muoiono in gola. Certo che è possibile.
Nelle
mie orecchie risona il minaccioso rumore di uno sparo..il rumore si ripete altre
tre volte.
Sento
di nuovo l’urlo di Yoko…e stavolta le sento…sento tutte quelle voci che non
avevo sentito prima, le sento tutte insieme, come in una cacofonia.
Sono
come delle eco che rimbombano nella mia testa e in quel paesaggio completamente
bianco che mi circonda.
“Gli
hanno sparato……fermatelo……impeditegli di scappare…..chiamare un’ambulanza…..
.John, John mi senti?......Cristo santissimo, hanno sparato a……..Fate piano
ragazzi, sta perdendo troppo sangue……..Mr Lennon, Mr Lennon?.......ragazzi non
possiamo fare nulla..è morto.”
Morto.
Morto
Sparito,
dissolto, senza vita, andato.
La
verità mi colpisce violenta come in un pugno nello stomaco.
Deglutisco
a fatica, sento il solito sudore freddo colare a fiotti sulla mia nuca e sulla
mia fronte.
“No…”
non ho la forza per urlare la mia disperazione.
Mi sento
completamente…svuotato.
Annientato.
Sento
le lacrime fare capolino dagli occhi e non tento nemmeno di
asciugarle.
Le
lascio cadere sulle mie guance, mentre fisso immobile il vuoto.
O
meglio, il bianco senza fine.
Ma
è proprio in quel momento che sento l’adrenalina crescere: sento un’energia
repressa investirmi con forza.
Sono
sopraffatto da tutta questa scarica di adrenalina ed il mio impulso è di balzare
in piedi ed urlare, urlare i nomi che erano presenti nella mia testa da tempo, anche se non lo avrei mai
ammesso.
I
nomi dei miei amici.
“Paul!”
urlo io disperato, mentre le lacrime continuano a scendere silenziose. “George!”
sento che l’esplosione è vicina…. “Ringo!”
Nessuno accorre in mio aiuto.
“Sean!
Yoko!” mi hanno abbandonato
tutti.
“…Julian…..Cynthia..”
sono gli ultimi nomi che pronuncio, flebilmente.
Poi
arriva la tanto temuta
“esplosione”.
Un
singhiozzo fortissimo mi scuote da capo a piedi e, prima che possa fare qualcosa
per impedirlo sono in ginocchio a piangere tutta la mia anima, senza riuscire a
fermarmi.
Non
volevo fermarmi.
“Cazzo..cazzo..Sono
morto e avevo ancora così tanti sbagli a cui rimediare!” urlo “Non è..giusto! Io
volevo essere un uomo migliore, volevo fare ammenda per tutti gli errori che ho
commesso!”
La
mia voce riecheggia in quello spazio anonimo e mi rimbalza contro cn tutta la
sua veemenza “ No! Non voglio…essere..qui!”
….E
dopo la fase adrenalinica piombo nella fase di disperazione più nera: mi porto
le mani al volto, per non vedere più nulla. “Sono morto, sono morto e questo è
l’inferno. Sono condannato a rimanere qui in mezzo al nulla per tutta
l’eternità. Cazzo, l’eternità!
I
miei 40 anni di vita mi sono sembrati un periodo lunghissimo…ma non sono niente,
niente in confronto a…a..”
Di
nuovo, sono sopraffatto da tutte le emozioni per continuare la
frase.
Lascio
vagare il mio sguardo sul paesaggio (se così si può chiamare) ed è in quella che mi accorgo di una
cosa.
C’è
una maniglia sospesa in aria.
In
un lampo sono di nuovo in piedi, davanti a quella
maniglia.
La
guardo per un attimo “…eppure..mi ricorda qualcosa…”
La
accarezzo per un attimo: è un’elegante maniglia di ottone, un po’ consumata dal
tempo.
“Giurerei
di averla già vista…Ma non riesco a ricordare dove. ”
Il
dilemma ora è: tiro la maniglia o non la tiro?
Un
vero e proprio dubbio amletico.
La
mia mano è già in posizione, l’altra mi sta asciugando le
lacrime.
Mi
accorgo solo in quel momento di stare indossando un elegante completo nero:
sembra in tutto e per tutto uno di quei completi che usavo quando ero uno
sciocco Beatle.
Beatle John.
“Basta…ora
tiro questa fottuta maniglia.
Male che mi vada precipiterò nelle
fiamme, come si conviene al più rispettabile degli
inferni.”
Scaccio
i miei ultimi timori e tiro la maniglia, lentamente.
Il
luogo in cui mi ritrovo è tutto fuorchè un inferno.
Un tempo, quel posto era stato un
paradiso per me, un’oasi, un rifugio.
Mi
ritrovo in una stretta stanzina: a destra c’è un letto dalle lenzuola azzurro
chiaro, davanti al letto una finestra che dà su una stradina, a sinistra del
letto una scrivania.
Sulla scrivania regna il caos più
assoluto: foglietti pieni di scritte, libri alla rinfusa, penne
smangiucchiate…
Quella
era la mia camera, la mia stanza da letto.
E
non era una camera qualsiasi: era la mia cameretta di quando vivevo con la zia
Mimi, Ero a Mendips.
Mi
mossi verso la scrivania, rendendomi conto con una stretta al cuore che è tutto
esattamente come lo avevo lasciato prima di partire per
Amburgo.
Prendo
con mano tremante il primo foglio che mi capita fra le mani.
Sono
solo poche righe, scritte con una calligrafia che ben conoscevo.
Paul…
“Lennon,
vedi di essere pronto per domattina, non fare il solito scansafatiche del
cazzo e fatti trovare p u n
t u a l e alle 8 al posto che
sai tu.
Siamo
grandi, siamo belli, siamo i
migliori! Andiamo a conquistare Cruccolandia!!”
“Allora
ci sei anche tu eh?”
Per
poco non mi viene un infarto! (ah già…sono morto…)
Era
una voce che non sentivo da anni e che avrei riconosciuto fra mille, nonostante
fossero passati tanti anni.
“E’
bello rivederti John..” mi dice lui abbracciandomi all’improvviso “mi sei
mancato”
Io
non respingo l’abbraccio, ma rispondo con lo stesso
slancio.
“Mi
sei mancato anche tu Stu..”
Penny
Lane:
Ahah,
ho trovato anche io un nome per il mio “spazio
ringraziamenti”
Ok,
questo è il II capitolo, scritto oggi in un momento di pausa dallo studio di
Kant… ( -.-“ se il capitolo fa schifo è colpa sua)
Passiamo
ai ringraziamenti!!
Zaz:
Ti ringrazio per la bella recensione! J
L’idea
di fare questa “full immersion” nella mente di John è tutta dovuta all’aver
letto la sua biografia (Ho copiato Alessia e l’ho comprata anche io
Xd)
Comunque…si!
Ci sarà Big Jim in spirito e …presenza (carne ed ossa proprio no…) e ci sarà
anche l’avvistamento di Ari…Xd
Andry
Black:
Come per Zaz, ti ringrazio per l’apprezzamento e per la recensione J
Per
quanto riguarda Jules……John avrà molto da imparare in questa storia (già in
questo capitolo ho cercato di fargli citare il suo povero primogenito la la
bistrattata Cyn…)
John
con la sigaretta è una delle immagini che più mi ricorrono nella mente (beh,
John con la sigaretta è SEXY, che
diamine!)
Marty
Youchy: Ma
grazieee!!! Sono contenta di essere riuscita ad esprimere bene (così, almeno mi
dite voi J)
i pensieri e le impressioni di John. John per me non è mai morto davvero. Possono averlo ammzzato
ma…..beh noi siamo ancora qui ad ascoltarmo ed il che mi pare
indicativo..:)
The
Thief:
Grazie per la recensione! Si, anche per me ogni volta è il solito
trauma..ogniqualvolta leggo la storia di John (su wiki o sul libro che ho
comprato) mi ritrovo sempre li a pensare “No John, NON SCENDERE DA QUELLA
MACCHINA! NO!..
Sempre!
Come dicevo prima, sono contenta di aver reso bene la malinconia che (secondo
me) attanagliava John. E’ solo una mia ipoteso, ma secondo me John sotto quella
“corazza” di disprezzo era pieno di nostalgia per quegli anni
spensierati…
John
è stato davvero uno che ha fatto la storia. Con i Beatles ha rivoluzionato
un’epoca e da solo ha portato al mondo un bellissimo messaggio di pace e
speranza. J
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Capitolo 3 *** Mind Games ***
Long
Mind Games
“Yeah we're playing those mind games forever Projecting our images
in space and in time”
Non
saprei dire per quanto tempo io e Stu siamo rimasti abbracciati: se avessi avuto
venti anni di meno, credo che lo avrei sciolto subito mormorando qualcosa che
sarebbe suonato come “Finocchio”.
Ma
ora è diverso: ho quaranta anni ( o meglio,
avevo)e li avrò per sempre.
Sono
cresciuto ed ho capito che non era più il caso di fare questi commenti pieni di
cattiveria gratuita.
Ora
è cambiato davvero tutto.
Quando
ci sciogliamo dall’abbraccio mi fermo a fissare il mio amico: è sempre il solito
piccolo Stuart Sutcliffe, vittima costante delle mie frecciatine
sulla sua statura (ricordo che, una volta, fingendo di compilare un fantomatico
identikit di Stu avevo detto “Segni particolari…Bassezza alta!)
Ha
sempre quel look da James Dean: il giacchetto di pelle nera ed i pantaloni dello
stesso colore. Fra i capelli gli immancabili Way-farer che gli facevo sparire
sempre. Mi guarda con i suoi occhi glaciali, ma capaci lo stesso di esprimere un
calore indescrivibile.
“Stuart,
dove sono? Non è un sogno, vero? Sono davvero m…”
Stuart
mi interrompe, prima che io possa sommergerlo con la mia raffica di domande
“Calmati John! Devi riprenderti…”
Ed
ecco che il John strafottente sbuca dal suo angolino recondito.
“Calmati
John un cazzo! Voglio sapere cosa sta succedendo!Sono morto? Sono in coma e sto
sognando? O è tutto un trip?”
Stuart
mi guarda compassionevole : “No, non sei cambiato di un’acca. Sei esattamente il
solito John che suonava ad Amburgo. Il teppistello drogato di Preludin “ mi
squadra come se volesse memorizzarmi “lo stesso irascibile John, sempre pronto
ad attaccare briga. Forse
di aspetto sei un po’cambiato in effetti…Ero rimasto al ciuffo da teddy-boy!” fa
un lieve risolino.
“Logico
che ho un aspetto diverso…Ho quaranta anni, razza di tonto!”
Stu
non si scompone: “Quaranta anni portati meravigliosamente”
“Stuart,
ma che diamine blateri? Gli
urlo.
Sento
tutta la rabbia repressa che preme per uscire. E non è affatto
piacevole.
“John…forse
è meglio se andiamo a fare un giro, che ne dici?”
“Si,
fantastico..” convengo cupamente.
Stuart
mi fa strada ed io scendo le scale, dirigendomi a colpo sicuro verso la porta
d’ingresso, quando lui mi ferma indicandomi la porta della cantina.
“Eh?
Perché la cantina?”
“Perché
si…tu seguimi e basta”
E’
proprio in quel momento che passo davanti ad uno specchio, quello stesso
specchio che zia Mimi mi faceva pulire finché non mi si anchilosavano le braccia
perché ci lasciavo sempre degli aloni, quando controllavo il mio stupido ciuffo
da teddy-boy prima di uscire di casa.
La
figura stravolta che ricambia il mio sguardo è quella di un ragazzo ventenne
dalla faccia molto, molto
familiare.
“Per
la miseria!” penso “sono diventato il John della fotografia! Sono tornato
giovane!”
La
mia bocca è spalancata in una comica o, degna di Michelangelo.
Stuart
ride della mia sorpresa, mentre continuo a fissare come un allucinato la mia
immagine riflessa.
“Vieni
o no?” mi incita lui aprendo la porta della cantina.
Lanciando
un ultimo sguardo al ragazzino sconvolto dello specchio gli vado dietro e mi
immergo nell’oscurità della cantina.
Il
buio dura solo un attimo, perché ci ritroviamo entrambi in un vasto, illimitato
spazio erboso.
L’erba
è fresca,soffice di un verde stupefacente e bagnata di rugiada, il cielo è roseo
e le nuvole sembrano formare strani disegni nei quali, con la mia immaginazione
mi pare di vedere una chitarra.
“Bello
eh?” mi chiede Stuart inforcando gli occhiali da sole ed ammirando il paesaggio
sconfinato “mi piace venire qui a pensare. A volte anche ad osservare quello che
succede.”
“Io,
io…si….è bellissimo, ma…”
“Qui
possiamo parlare in pace, prima che la notizia si sparga”
“La…notizia?”
Stuart
mi fissa come se fossi un povero ritardato
“Tu sei la notizia John…quantro credi di
poter mantenere l’anonimato?”
“Ma,
io…”
Stuart
mi invita a sedermi sull’erba. Non so perché ma mi ritornano in mente gli hippy
e le manifestazioni per la pace.
E’
tutto così assurdo!
“John”
inizia lui mentre mi sistemo in una posizione confortevole “partiamo dalla
brutta notizia. Tu sei morto.”
“E
chi mi dice che non sei un sogno? ,i aspetterei una simile risposta!”
Stu
alza gli occhi al cielo, borbottando qualcosa tipo “Santa pazienza, assistimi
tu!”
“Fidati”
riprende il discorso “sei morto da qualche ora ormai”
Deglutisco,
ripensando all’assordante rumore degli spari.
“Ti
hanno assassinato!”
“Ma
dai! E io che pensavo volessero chiedermi un autografo...”
“La
questione è seria John!”
Stuart
batte sul manto erboso col pugno, producendo un rumore soffice
“Sei
stato ammazzato sui gradini di casa tua! Il nome di chi ti ha ucciso è Mark
David Chapman…ma non ti preoccupare!” aggiunge in fretta vedendo che stavo per
ribattere” lo hanno preso. Ti posso assicurare che non lo attende un bel
futuro.”
“Bene”
commento freddamente, Io non ho mai odiato veramente nessuno nella mia vita,
ma ora sentivo la rabbia ed il desiderio di vendetta ribollirmi nel sangue.
Volevo ucciderlo, si, volevo spezzare con le mie mani la vita dell’uomo che si
era preso la mia senza motivo, a sangue freddo
“John…stai
strappando l’erba, fai attenzione” osserva pacatamente Stuart.
Non
so perché ma, questo ragazzo riesce sempre a farmi tornare sulla via della
razionalità.
Poi
gli rivolgo la domanda che premeva dal fondo del mio cuore.
“…E
Yoko e Sean? Loro…?”
Stuart
sorride ed annuisce “stanno bene. Tua moglie (e noto una leggera sfumatura di
rimprovero nel tono in cui lo dice) è solo sotto shock. Tuo figlio non sospetta ancora nulla. Sta
dormendo.”
Quest’ultima
rivelazione mi colpisce forte come una martellata in testa.
“Gli
altri sono già stati informati..” prosegue Stu, senza che gli avessi chiesto
nulla. Non c’è bisogno che mi spieghi chi sono “gli altri”…Paul, Ringo, George
per primi..e poi Julian e Cynthia..
Annuisco
con lo sguardo perso “sono morto, sono morto, sono morto..” mi ripeto in una
specie di litania mentale.
Dicono
che, quando si muore si vede tutta la vita sfrecciarti davanti…
Grandissima
cazzata.
Sei
troppo occupato a pensare al dolore per dedicarti ai ricordi. La vita ti passa
davanti solo quando hai la piena consapevolezza di averla persa: mi vedo, acmora
bambino scorrazzare nei prati di Strawberry Field, vedo andarsene mio padre, mia
zia Mimi prendermi con sé, rivedo gli innumerevoli disegnini che
facevo.
Vedo
l’adolescente che giocava a fare il duro ma che nascondeva una animo fragile ed
era sempre in cerca di conferme; sorrido quando ripenso al mio primo
bacio
con Barbara Baker, la mia prima ragazza e al ricordo di mamma che mi insegna a
suonare il banjo.
Per
un attimo riesco a sentire sulle mie dita il pulsare dei calli dovuti alla
pressione sulle corde.
Devo
sembrare un uomo nel bel mezzo di un trip sconvolgente mentre ripercorro le
tappe del successo dei Beatles, mentre incontro ancora una volta Cynthia, la mia
prima moglie, mentre ricevo la notizia di essere diventato padre..
A
velocità supersonica vedo un giovane dalla barba lunga ed incolta ed i capelli
nello stesso stato sposare una donna minuta dai tratti orientali, mi vedo
lasciare i Beatles e ripercorrere quel cammino che ho percorso insieme alla mia
compagna…per arriva dove sono ora.
Stuart
è rimaato in un silenzio rispettoso mentre io mi facevo questo viaggione
mentale; quando comincio a dare segni di ripresa apre bocca.
“Lo
so, la consapevolezza di tutto quello che hai perso arriva sempre di botto. Può
dare fastidio in effetti…Uff, dovrei parlarne con Il Capo e dirgli di andarci un
po’ più piano!”
“Il..capo?”
domando io al culmine della sorpresa “Vuoi dire che esiste davvero?
All’improvviso
mi sento un po’ un verme ed arrossisco, al pensiero di tutte le mie polemiche
verso quel dio che tutti dicevano di adorare.
“Rilassati
John” dice Stuart “non è come credi..Non so come altro definirlo…è solo che p
lui a controllare tutto!” si morde pensieroso il labbro”Comunque puoi pure
toglierti il dubbio, visto che fra non molto parlerai direttamente con
lui”
Rimango
a bocca aperta come un ebete mentre Stu sorride imbarazzato e si gratta la
testa
“Ehm…non appena avrò pagato la bolletta del
telefono...”
Penny
Lane
Questo
capitolo era originariamente attaccato a quello precedente, ma ho deciso di
spezzettarlo per aumentare la suuuspaaaannnsss(ma come al solito non
ho resistito alla voglia di trascrivere tutto a computer e di pubblicare)
Finalmente, per la gioia di Zazar entra in scena il nostro Stuartino alias “voce
della ragione”
Passiamo
ai ringraziamenti veri e propri:
Andry:
Kant
continuo ad odiarlo, però prendermi una pausa dal suo studio è stato un
piacevole diversivo…Mi sono divertita come una matta a scrivere i dialoghi fra
Stu e Johnny :) Visto che John si è ricordato di Julian? Sta
migliorando!
Thief:
Il
tono straziante forse è anche dovuto alla mia disperazione a causa
dell’interrogazione (si lo so, ho rotto con Kant…Xd) che poi non c’è neanche
stata >.
Marty:
Hai
proprio ragione! Tutti sono convinti che John, al di là delle frasette
sprezzanti non avesse mai rinnegato il suo passato.E’ un lato della personalità
di John che mi intriga….il suo rapporto amore/odio con i Beatles…
*.*
Zaz:
…..e
Stuart è quiiiii!!!!!!!! *parte sigla di uomini e donne* Ti prego solo di
lasciarmelo in vita fino alla fine delle storie, poi puoi pure trucidarlo come
credi *Stu, legato in un angolino insieme a John mi fissa terrorizzato mentre lo
“vendo” a Zaz*Sono contenta di essere riuscita ad esprimere bene il dolore e
l’ansia di John, anche se è stato difficile anche per me…Povero
Johnny!!
Grazie
a chi ha recensito, ma anche a chi legge soltanto! Al prossimo
capitolo!!
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Capitolo 4 *** I Know ***
Long
I Know
The years have passed so quickly One thing I've understood I am
only learning To tell the trees from the wood
Ormai
il sole è alto ed il cielo è passato da quel tenue color rosato ad un azzurro
deciso ed io e Stu siamo sempre seduti sull’erba a chiaccherare.
La
nostra è una vera e propria chiacchierata fra “compari”, ci parliamo con la
stessa spigliatezza di un tempo, nonostante siano passati tantissimi anni
dall’ultima volta in cui ci siamo visti.
L’argomento
principale della nostra conversazione è la nostra vita prima che il successo ci
travolgesse: Stuart rievoca il viaggio ad Amburgo ed il locale dove ci
esibivamo.
Io
comincio a parlare della birra tedesca e delle pasticche di Preludin che ci
ingollavamo per restare svegli ed attivi e di come i miei occhi sembrassero
quelli di un rospo, alla fine.
Stuart
mi parla delle sue impressioni e io ridendo gi ricordo di come suonava (o
meglio, tentava di suonare) il basso, tutto incurvato come se fosse in una sorta
di trance mistica con quello strumento (ma l’unica cosa mistica che c’era era il
suo smarrimento nel premere quelle quattro cordicelle).
Io
rimango sorpreso dal fatto che Stuart non mi chieda quelle cose che per lui
dovevano essere le più importanti: non mi chiede di Astrid, non mi chiede di sua
madre, non dice nulla riguardo a quello che io, George, Paul e Ringo siamo
diventati quando lui ormai non c’era più.
Poi
ad un certo punto, Stuart spazza via questi miei dubbi con una frase che mi
lascia oltremodo spiazzato.
“Comunque,
devo dire che con “I am the Walrus” hai superato te stesso, John. Non la
smettevo più di ridere quando l’ho sentita!”
Lo
fisso interdetto.
“E
tu come fai a sapere di quella canzone? L’ho scritta nel…”
“1967,
in occasione del vostro film, “Magical Mystery Tour”,,,” recita Stuart come se
fosse uno studente che si è imparato un testo a memoria “vedi Joh, conosco
questa canzone (ed anche molte altre) perché..beh perché ti ho visto
suonarla!”
“Mi
hai…visto?”
Ok,
ora sta decisamente diventando troppo: già è stato difficile per me,
materialista e nichilista convinto, accettare tutto questo Ora viene pure fuori
questa onniscienza…
Bene,
le cose non fanno che migliorare!
Stuart
si avvicina e mi dà una pacca amichevole sulla spalla “Povero John! Ancora così
spaesato e sperduto….beh ti abituerai, senz’altro.”
Lo
incenerisco con lo sguardo “Guarda che ne facevo volentieri a
meno…..”
Stuart
si rende conto di aver appena usato le parole sbagliate e si morde il labbro,
probabilmente pensando a qualcosa da dire per tirarmi su di morale.
“John…”mi
mette una mano sulla spalla “scusami, è che io..”
“Non
preoccuparti Stu. So che stai facendo di tutto per rendermi la cosa meno
difficile…”
“Io
voglio solo aiutarti John. Ti sono debitore..”
E,
con mia sorpresa riesco a capire al volo di quale debito stia parlando
Stuart.
Ad
Amburgo fu coinvolto in una rissa ed il piccolo Stuart stava avendo decisamene
la peggio.
Attirato
dalle grida mi mossi verso il retro del bar dove avevo visto il mio amico per
l’ultima volta: Stuart era a terra sanguinante e mi sentii in dovere di
proteggere il mio amico, buttandomi nella mischia.
Ne
uscii con un occhio nero e vari tagli, ma riuscii comunque a mettere in fuga gli
aggressori: Stuart sarebbe morto per via delle botte se non mi fossi tirato in
mezzo.
Tuttavia
fu proprio a causa di tutti i colpi ricevuti alla testa quella sera che Staurt
morì
“Un’
edema John…” sentii la voce di
Astrid ... una voce del passato.
“Ed
io sono debitore a te per avermi raccolto così tempestivamente ed avermi fatto
parlare, senza lasciarmi modo di pensare a quello che mi è successo!” dico
allargando un po’ le braccia.
“Era
il minimo che potessi fare. “
“Come
hai fatto ad arrivare così in fretta?”
Stuart
si passò una mano fra i capelli e disse semplicemente “Janice”
Lo
fisso con aria interrogativa “Janice?”
“Una
delle tue innumerevoli fan..”
“Ah..”
perfetto, anche le fan!
“Beh
io ero a bermi una birretta al pub “ spiega Stuart fissandosi le scarpe “ e
c’era anche questa Janice. La conosco perché ci ho parlato molte volte e poi
sai..qui ci si conosce tutti!”
Mi
guarda per un attimo e continua il discorso “Beh lei ad un certo punto ha
cacciato un urlo ed ha lasciato cadere il suo bicchiere.Si è portata le mani al
viso ed ha detto semplicemente “Hanno sparato a John Lennon! Sta venendo
qui!”
Mi
immagino fin troppo bene la scena: le parole di Staurt mi fanno vedere la scena
esattamente com’era, come in un
proiettore.
“Ovviamente
è scoppiato il putiferio.,,Volevano andare tutte ad incontrarti ma le ho
persuase di lasciarmi andare da solo” ( e qui mi si forma in mente l’immagine di
Stuart, arrampicato sul bancone del bar che cerca di farsi sentire nel caos
creato dalle fan)
“Vo-volevano
incontrarmi?” deglutisco “le fan? “
“Ora
capisci perché non potrai mantenere a lungo la tua privacy? Per questo ti ho
portato qui..per tranquillizzarti prima che tu sia assalito da un’orda di
ex-adolescenti scalmanate”
“Io..capisco”
mi gira la testa, sono veramente confuso e spiazzato.
“E
forse faremo meglio ad andare. Non vorrei che a loro venisse in mente di venire
a cercarti qui!” dice Staurt guardandosi intorno rapidamente, come se temesse di
veder spuntare una fan esaltata da una zolla di terra.
“Io…voglio
restare un po’ da solo Stuart..” gli dico
“Come?”
“Da
solo.Vorrei trovare un po’ di tempo per pensare e….meditare.”
“Ah,
come vuoi John.Lo capisco... Ma come farai a tornare dopo?”
“Me
la caverò….oppure troverò il modo di farti sapere che puoi venire a prendermi
per darmi in pasto alle fan” riesco perfino a sorridere mentre lo
dico.
“Solo
una cosa Stu!” gli dico prima che lui scompaia dalla mia vista.
Stuart,
che si era già voltato mi guarda “Dimmi John.”
“Se
io volessi..come dire..dare una sbirciatina sulla terra..?”
“Basta
che tu lo voglia John.Non so come spiegarti ma…basta che tu lo desideri e potrai
ottenere tutto quello che vuoi”
E
detto questo se ne va, lasciandomi solo.
Si
è alzato un po’di vento ed il cielo si è annuvolato. In lontananza si cominciano
ad udire dei tuoni ed io ho come la sensazione che questo tempo sia sintonizzato
sul mio stato d’animo.
Faccio
un passo in avanti: non ho punti di riferimento.
Tutto
è erba, con questo cielo immenso sopra di lei.
Cosa
voglio fare? Voglio davvero guardare cosa sta succedendo? Voglio davvero vedere
come hanno reagito le persone a me più care alla notizia della mia
morte?
Mi
accorgo che il paesaggio è cambiato: il cielo è sempre dello stesso colore
grigio, ma l’erba davanti a me è sparita. Al suo posto c’è il mare, un mare
stranamente calmo, appena increspato dal vento.
Ed
io sono sulla scogliera, proprio al limite estremo.
Rimango
li in piedi e mi lascio accarezzare dal vento fresco: chiudo gli occhi ed
inspiro quell’aria.
“Com’è
tutto strano qua…”penso tenendo gli occhi chiusi “non avrei mai pensato che dopo
la morte ci fosse questo! Sembra il più assurdo dei sogni.Anz no, sembra la
rappresentazione dei propri sogni..”
Sochiudo
appena gli occhi, mentre penso intensamente al da farsi: guardo o non
guardo?
E
se quello che vedessi mi lasciasse ancora più distrutto di come lo sono
ora?
Guardo
giù, verso il mare: se solo lo volessi potrei decidere di vedere quello che sta
accadendo sulla terra, ma i dubbi restano tanti.
Riuscirò
a guardare senza provare la nostalgia? Riuscirò a sopravvivere senza sapere
nulla?
Rilasso
le spalle mentre guardo inespressivo il mare: i capelli sono agitati dal vento
ma non me ne curo.
Alla
fine prendo la mia decisione: non è stato facile ma credo che sia meglio così.
Sorrido e,
senza pensarci salto dalla scogliera, tuffandomi fra le onde.
Tanto
qui, tutto è possibile.
Penny
Lane
Mi
scuso anticipatamente per la brevità del capitolo, ma volevo inserirlo come
capitolo di “intermezzo” J
Purtroppo
mi sono ritrovata a buttare già tutto adesso e si sta facendo tardi per me,
quindi mi scuso anche per il fatto di non poter mettere i ringraziamenti veri e
propri e mi limito a citarvi. Prometto che dal prossimo capitolo ringrazio tutti come si
deve.
Ringrazio
Andry, Thief, Zaz e Marty per le loro recensioni, ma anche chi ha
soltanto letto.
Baci
e al prossimo capitolo!
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Capitolo 5 *** Nobody Told me ***
Long
Nobody Told Me
Nobody told me there'd be days like these Strange days indeed --
strange days indeed
“Ok,
ho sbagliato…e allora?”
Stuart
è venuto a ripescarmi dopo la mia idea geniale di buttarmi in acqua.
“Tanto che male poteva farmi? Mica posso
morire due volte!” sto cercando di arrancare dietro a Stu che sembra parecchio
incazzato.
“Non
ti posso lasciare solo neanche per due minuti!”
“Stuart
non mi sembra di aver combinato chissà che! Era solo una maledettissimo tuffo in
acqua… Mi andava e mi sono buttato!”
Stuart
si zittisce per un attimo, mentre continuo ad arrancargli dietro: ho i vestiti
zuppi e mi sembrano terribilmente pesanti.
“Stu?”
Stuart
sospira “John ora non posso spiegarti…Ora dobbiamo proprio andare!”
“Ah
già, devi offrirmi in sacrificio ad un’orda di fan scalmanate…Certo che questo
deve essere proprio l’inferno! Voglio il nome ed il cognome di quello stronzo
che ha detto che da morti finiscono le preoccupazioni!”
Riesco
perfino a far sorridere Stuart:
“Beh,
forse la gente comune si.. Ma tu non sei una persona comune: sei John
Lennon!”
“Lo
so, lo so….Devo rendere conto di una fama che per me era diventata ingestibile..”
“Sei
tu che te la sei resa ingestibile, con tutte le paranoie che ti
facevi…”
Questa
frase di Stu mi irrita: io non mi facevo nessuna paranoia! Io volevo solo far
sentire la mia voce, far capire quali erano i veri problemi! E tutto questo mi
era precluso perché ero solo un Beatle che cantava canzoncine d’amore della
serie “Io ti amooo….e anche tu mi amiii….non ti lascerò maiiiiii…” Come
potevo far riflettere la gente su tutti i problemi che avevamo davanti agli
occhi senza deludere le aspettative? Senza attirarmi antipatie?
Ok,
basta….tanto ormai è finito tutto e, per unire la beffa al danno mi toccherà
“vivere” per tutta l’eternità con questo aspetto.
Con
l’aspetto del Beatle John.
“John
siamo arrivati…ti senti pronto?” Stuart è arrivato ad una piccola casetta di
legno sulla costa. Sembra fatiscente, ma ormai ho capito che non bisogna fare
troppo caso alla forma.
“Non
del tutto..” rispondo io cercando di fare un sorriso “Non so come potrei reagire
davanti all’isteria della fan..Non mi ci sono mai abituato del
tutto!”
“Ad
Amburgo non ti dispiaceva…anzi…”
Sbuffo:
Amburgo era Amburgo.
Questo
è tutto un altro discorso.
“Stu
la piantiamo di parlare di Amburgo? “
“E
perché mai? So che, quando suonavamo ad Amburgo ti sentivi davvero
realizzato.Suonavi quello che ti andava, ti comportavi come ti pareva senza
dover rendere conto a
nessuno”
Stuart
ha ragione: Amburgo era tutto un altro paio di maniche.
Niente
falsi ruoli da ragazzini perbene: eravamo dei rocker incazzati neri, co il
suonare, il bere e le conquiste come obiettivi principali..
Ok
basta rimuginare: è solo deleterio
Nel
frattempo il mio vestito ed i miei capelli si sono asciugati del tutto ed io non
me ne sono neanche accorto!
“Allora? Andiamo?” mi incita Stuart:
sembra quasi sia lui a voler farsi il bagno di folla!!
“Io…”
faccio un grosso respiro per infondermi quel coraggio che non ho “si..sono
pronto..”
Mio
dio, neanche stessi andando verso il patibolo! Anzi no..è molto peggio
dell’andare al patibolo..
“Buona
fortuna John…se, ehm riesci a liberarti in fretta..ci troviamo a casa
tua”
“Ok, grazie….”
Ed entro.
La
prima cosa che sento è un boato così forte che mi meraviglio non mi abbia
scagliato a terra.
Poi
comincio a vedere dove mi trovo e rimango a bocca aperta: sono allo Shea
Stadium, la porta che ho appena aperto mi ha portato dritto dritto sul palco nel
bel mezzo dello stadio.
Gli
spalti sono pieni e dico pieni idi gente e tutta questa gente fa il medesimo
fracasso: non riesco a sentire neanche una parola definita, ma solo urla senza
senso.
“Ehm,
scusate..scu..scusate!” cerco di farmi sentire, ma è come parlare al
muro.
Le
urla sono intensissime, la gente saltella sugli spalti come
impazzita.
“Ho
bisogno di un microfono…” mi dico in preda al nervosismo: ed eccolo che appare!
Un microfono attaccato alla sua asticella.
Regolo
il volume e lo imposto al massimo, prima di avvicinarlo alle labbra, inspirare
profondamente ed urlare
“Porca
miseria, volete fare silenzio per favore? “
Lo
Stadio si ammutolisce e mi sento fiero di me stesso: ma l’entusiasmo dura poco
perché ben presto si sente un’altra voce urlare “Jooooohn! Noi ti amiamo!!” e
subito le altre 69.999 persone riattaccano il loro coretto.
Stavolta
nel caos riesco quasi a distinguere della parole di canzoni: un gruppo più
spostato verso la destra dello stadio sta intonando “Give peace a chance”.
Riesco perfino a sorridere, prima di ricominciare ad urlare nel
microfono.
“Statemi
bene a sentire tutti…ehi, ma mi state ascoltando o fate finta? Gente! Volete
tapparvi la bocca per dieci e forse anche meno miseri minuti?”
Stavolta
il tono arrabbiato della mia voce sortisce qualche effetto: lo stadio piomba di
nuovo nel silenzio.
E’quasi
inquietante: 70.000 persone zitte e mute che ti fissano con la stessa
avidità.
Chi
l'avrebbe mai detto che mi sarei trovato in una situazione simile?? Fare fronte
a quest'orda immane di gente?
E
soprattutto, chi lo avrebbe detto che li avrei fronteggiati dopo morto, da
solo?
“Ehm…salve..beh
vedo che..beh si insomma..Siamo tutti qui!”
Chiudo
gli occhi aspettandomi di nuovo l’onda d’urto delle urla ma non accade nulla del
genere e riprendo il discorso un po’ sollevato
“Beh,
come sapete io sono morto.Beh non sarei qui altrimenti!”
Silenzio.
Bene, mi stanno ascoltando.
“Sono
stato assassinato e penso sia giusto dirlo, per chi ancora non lo sapesse…”
geniale John..certo che lo sanno..
“E,
ehm..detto questo vi..vi auguro…ogni bene e ehm…penso che ci vedremo
spesso..e…”
“John
ma come sarebbe a dire ci auguri ogni bene? Te ne vai già via? Non canti per
noi??” urla una voce di donna da un punto remoto degli spalti
Oh
oh..
“Ehm
non mi sono preparato per l’occasione.Ehm, se mi date un po’ di tempo potrei
preparare qualcos….”
Lo
stadio mi ruggisce contro tutto il suo disappunto e comincio a capire che questo
non è l’inferno: è molto, molto peggio.
“John
Lennon, devi suonare per noi! Sii! Suonaaa!Suona!Suona!” ben presto tutte le
voce dello Shea si fondono in un’unica voce che mi ordina di suonare qualcosa
per loro.
Indietreggio intimorito allontanandomi dal centro del palco e guardandomi attorno in cerca di
una via d’uscita.
Non faccio in
tempo a rengirare la testa, quando mi rendo conto con orrore che i miei adorati fan
hanno deciso di mobilitarsi e di venirmi incontro: 70.000 fan che scendono a
rotta di collo dalle gradinate per raggiungermi sul palco
Stavolta
sono davvero terrorizzato e, senza pensarci due volte inizio a correre
verso l’uscita più
vicina.
Ricordo
che nel 1965, finito il concerto, una macchina nera ci aveva prelevato
direttamente sull’erba dello stadio per allontanarci dall’isteria dei fan e
questa macchina aveva svoltato precisamente verso la parte sinistra dello
stadio.
Alzo
gli occhi, pregando chiunque fosse disposto ad ascoltarmi di farmi trovare un
varco per sfuggire a quella spaventosa montagna di gente e sono esaudito. C’è
un’uscita
che sembra messa apposta per me.
Poi
m guardo alle spalle e ciò che vedo mi lascia senza parole per la paura: i fan
stanno guadagnando terreno, sono tantissimi e mi stanno rincorrendo
Cerco
di aumentare la velocità facendo delle falcate più lunghe, il suduore che mi
cola lungo la fronte “Mancano pochi metri..Oh dio oh dio devo raggiungere quella
porta prima che mi acchiappino!”
Le
urla si fanno sempre più vicine ed assordanti, mi sento frastornato e
confuso..ma ormai la salvezza è vicina.
Con un urlo trionfante afferro il maniglione antipanico e
dopo aver rivolto ai fan isterici un sorriso trionfante spingo il maniglione e
mi lascio cadere al di là della porta.
“Giornata
pesante eh?” è il commento di Stu mentre atterro sul mio letto di
Mendips.
“Non
me ne parlare…” commento alzando gli occhi al cielo e mettendomi a
sedere.
“Insomma..i
tuoi fan ti hanno dimostrato tutto il loro affetto…”
“Quello
non è affetto..quella è ossessione.Se mi avessero preso i avrebbero fatto a
pezzi..”
Stuart
alza il sopracciglio “Non ti preoccupare, sei immune a questo genere di
dimostrazioni di affetto..”
“Ah
ah…”
“Beh,
di sicuro ti avrebbero strapazzato un po’”
“Ed
è proprio quello che voglio evitare…” dico in tono lugubre
“John
non potrai scappare per sempre da te stesso.Dovrai affrontarli prima o
poi.”
“Volevano
che suonassi qualcosa per loro..”
Stuart
mi picchietta sulla testa come se fossi un cagnolino e
lo fulmino con lo sguardo. “Su su John..che sarà mai..Ti metti li, prendi la
chitarra e strimpelli qualcosa.Potremmo chiamare qualcuno a darti una
mano!”
“E
chi?”
“Elvis”
“Elvis
è qui?” ah già è morto anche lui..logico che sia qui
“Si..ovviamente
lui e tutti gli altri hanno preferito farsi una specie di loro club privè..”
dice Stu in tono lievemente risentito “ ma ovviamente puoi iscriverti anche tu.
Basta che tu sia stato un V I P “
Sbuffo
spazientito.
“Stu?
Ora mi dici perché ti sei incazzato con me prima? Perché non dovevo buttarmi in
acqua?”
Stuart
mi piantò in viso quei suoi occhi glaciali “John, hai notato come laggiù potevi
sentire chiaramente il vento, la rugiada sull’erba, il calore del
sole..eccetera?”
“Beh
si ma…” non finisco la frase: mi ricrdo subito di come i miei vestiti si sono
asciugati senza che io me ne accorgessi.
“Devi
sapere che quel luogo è il posto più vicino alla terra che esiste quassù…” Stu
si passa una mano fra i capelli, con sguardo pensieroso “quando ero appena
arrivato ci passavo ore intere solo per non perdere nessuna di quelle
sensazioni..E ho come l’impressione che anche tu farai lo stesso come tutti
quelli che se ne sono andati all’improvviso dalla terra senza aver avuto il
tempo di dirle addio..”
Sono
senza parole
“Inoltre,
quell’acqua è il vero punto di contatto fra questo posto e la terra.”
“Oh…”
“Se
tu ti buttassi in quell’acqua rimbucheresti sulla Terra, nel luogo che hai
scelto tu. E’un posto quasi proibito quello. Chi ci va deve promettere di non
mettere mai piede sulla terra. Osservare i nostri cari e quanto succede nel
luogo che abbiamo lasciato è lecito.Cercare di rientraci no….Quindi mettitelo
bene in testa John..”
Più
chiaro di così si muore: ma io sono veramente convinto della scelta che ho fatto
su quella scogliera? Riuscirò a resistere senza osservare i miei
cari?
O
tornerò a gettarmi in quelle acque, contravvenendo alle
regole?
Penny
Lane:
Andry:
Stu poverino è troppo puccioso! Cerrca di
aiutare il povero Johnnino che è veramente spaesato! (*ari pat patta sulla testa
di John*) John non finisce mai di lavorare, povero caro! Le fan lo seguiranno ovunque! Per Big Jim,
pazienta ancora un poco….fra pochissimo entrerà in scena pure
lui!
Thief:
Grazie
Sono contenta di essere riuscita a ricreare in modo così vivido il dialogo fra
Stu e John! I ricordi saranno una componente fondamentale di tutta la
stooria…quindi li inserirò spesso, qua e là…
Marty:
Quoto
in pieno. John ormai è immortale J
(suo malgrado, aggiungerei…) Stu racconterà a John molte delle sue impressioni e
gli darà anche tanti consigli…..ma tutto questo più
avanti!!
Zaz:
Stuuuu!
Stuuuu! Povero Stu, che triste fine lo aspetta, una volta finita la storia!! Si,
mi sono commossa anche io a scrivere del loro incontro:John rimase scioccato
dalla morte del suo migliore amico e volevo che il loro incontro dopo tanti anni
fosse qualcosa di tenero J
Per l’”aldilà” mi sono un po’ ispirata a quello descritto in” Amabili resti”,
sia il libro che il film :
Grazie
a chi ha recensito ma anche a chi ha solo letto !Alla
prossimaaaaa!!!
|
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Capitolo 6 *** Remember ***
Remember
Remember when you were small How people seemed so
tall
“Mi hanno scoperto! Hanno visto dove sono andato a
rifugiarmi! E’ la fine, sono fottuto!” urlo mettendomi le mani nei capelli e
sbirciando dalla finestra del salotto.
Sul vialetto si è radunata una piccola grande folla di
ragazze urlanti che reggono striscioni con il mio nome scritto sopra insieme a
foto e frasi di canzoni.
“John !Johhhhn ahhhh!” urlano quasi ad una sola
voce.
Bussano decise alla porta: io sono schiacciato contro di
essa, la testa semi-girata come se potessi trattenerla da un eventuale tentativo
di sfondamento.
“Stu..Stuuuu!!!” urlo sempre in questa posizione.
“Eccomi John, cos’è tutta quest’ansia?” Stu mi raggiunge con
l’aria più calma di questo mondo: in mano ha un pennello.
Un
pennello. Io sono in questa situazione ingestibile e lui dipinge?
“Stu ma non lo vedi che la situazione è catastrofica? Queste
sfondano la porta!”
“No, non lo faranno…” replica Stu sempre con
calma.
In
quella comincio a sentire dei tonfi agghiaccianti e mi schiaccio ancora di più
verso quella misera porta di legno
“Ma non le senti? Stu sono un reggimento di ragazze!” non
parlo neanche. Squittisco.
“Lo
so..e io ti dico che non possono sfondare
la porta,”
“E tu che ne sai? Tu mica hai mai avuto problemi di questo
genere…” rispondo sempre in preda all’ansia (anche se allento un po’ la presa
convulsa sulla porta)
“No, però io vivo qui da un pizzico più di te…” risponde con
una live amarezza Stuart “ e so come vanno le cose qui.
"Staccati da quella porta Winnie, non possono fare
assolutamente nulla."
“Non chiamarmi Winnie, cazzo!”
“Ah lo vedi che ti ho rassicurato?” Stuart incrocia le
braccia e mi fissa attraverso le lenti scure dei suoi occhiali.
Fuori le urla perseverano ed i tonfi sono aumentati.. Ma
inaspettatamente la porta tiene duro.
“Perché non possono entrare?” chiedo staccandomi
definitivamente dalla porta e lasciandomi cadere sulla poltrona più vicina e
fissando il salotto.
Stuart alza le spalle e si riaggiusta gli occhiali “Non
possono..non gli è consentito. Questa è casa tua John, è il tuo spazio. Non
possono entrare…” mi tira una leggera pacca sulla spalla “a meno che tu non lo
voglia…” aggiunge in tono divertito.
“No, non voglio.”
“Bene, allora problema risolto!” taglia corto Stuart dirigendosi verso la solita porta della
cantina.
“E ora dove vai?’” gli chiedo alzandomi leggermente per
controllare i movimenti del mio amico.
Lui sventola il pennello a mo’ di
spiegazione.
“A
casa a dipingere un po’…e poi immagino che tu voglia riprenderti un po’ da tutti
questi avvenimenti da solo. E qui non
potrai combinare cazzate…” alza gli occhi al cielo “o almeno lo
spero..”
“Se
ti sei rotto della mia presenza basta dirlo…” rispondo sprofondando
nella poltrona.
“No John, è bello vederti…Cioè..era meglio se ci vedevamo un
po’ più tardi..Ma visto che ci siamo…ehm..” si sta impappinando nei suoi stessi
discorsi “Ok ci si vede!”
E se ne va, lasciandomi solo (si fa per dire, visto che le
ragazze la fuori sembrano aver deciso di stabilirsi nel giardino) con i miei
pensieri.
Mi guardo un attimo intorno: si, è tutto come lo avevo
lasciato prima di partire per Amburgo.
C’è la radio, il caminetto con le mie foto da bambino, la
piccola libreria bianca di Zia Mimi..
Non c’è la televisione, ma questo è normale. La zia Mimi non
ne aveva una e per guardare la BBC dovevo andare da….
Mi
viene un groppo in gola al pensiero: possibile che anche lei sia
qui?
Cerco di scacciare il pensiero prima di farmi troppe
paranoie.
Mi guardo intorno, quasi sperando di vederla sbucare dalla
porta di cucina o della cantina 8visto che tutti continuano ad usarla per uscire
da qui..).
Con le mani in tasca proseguo il mio
giro di perlustrazione della mia piccola Mendips, evitando accuratamente le finestre o buttandomi per terra e
gattonandoci sotto pur di non essere visto da quelle scalmanate la
fuori.
Anche la cucina è come la ricordavo, piccola e dai muri gialli e blu, gli
scaffali sempre riempiti da barattoli di conserva, marmellate o prodotti in
scatola.
Passo una mano su un barattolo bianco con la scritta “Dundee
Marmelade” ripensando a quando prendevo una sedia da bambino per arrivare al
prezioso barattolo ed intingerci un dito dentro.
Sorrido ripensando a quella volta in cui la zia Mimi mi
beccò in pieno sulla sedia, il dito ancora dentro il barattolo e l’espressione
di chi si è appena reso conto che si è ficcato nei guai.
“Tu e quella marmellata! Ecco chi è che la
finisce!”
tuonava la Zia Mimi.
“Suvvia Elizabeth è solo un po’ di
marmellata..Mica ha ammazzato qualcuno!” ecco lo zio George che prendeva le mie
difese.
“Questo ragazzino deve imparare che una volta
che ho detto di no, quello è no !” e così via…
“Non la compro più!”
E poi, puntualmente la settimana successiva la marmellata
rifaceva la sua trionfale ricomparsa sullo scaffale.
Quello più alto però.
E’ bello perdersi in questi ricordi vagando in quella casa
che hai tanto amato (e al contempo odiato) toccando questo o quell’oggetto e
rievocando tutta la sua storia.
Salgo di nuovo le scale e mi dirigo in camera, lanciando
un’occhiata al muro. Sulla parete a destra del mio letto troneggia un poster di
Elvis, l’unico sopravvissuto all’opera di “sfoltimento” della zia.
“Non voglio vedere questa roba! Mi
hai capito John
Winston Lennon?”
“E che palle, donna! E’ solo un
poster!”
“Non…mi..interessa…non lo voglio vedere
li.”
“Si si si, come vuoi, fra un minuto..Prima
devo finire questa ! “ e le sventolavo davanti l’ennesima rivista che parlava solo ed
esclusivamente di rock n’roll.
Ovviamente il poster rimaneva li finché la zia non
approfittava di una mia qualche assenza da casa.
E poi scoppiava il pandemonio.
Mi butto sul letto ridacchiando e fissando il soffitto. E’
bello essere a casa, anche se non è esattamente come avevo previsto.
Prima
di m…cioè prima che…insomma prima avevo chiamato
la zia per dirle che prossimamente sarei venuto a farle visita.
Mi siedo di scatto. “Cazzo è dal ’74 che non metto piede in
Inghilterra!”
E lo credo..con tutti quei casini con la green-card.
Bell’affare! Ho tanto sudato per avere quella carta ed i men che non si dica mi
ritrovo morto.
Bah, se lo sapevo me ne restavo a Tittenhurst.
Sbuffo:
se non altro sto prendendo tutta questa faccenda della morte in maniera molto positva…
Ma riuscirò davvero a restarmene buono buono?
Ripenso ai omenti sulla scogliera, ripenso al fatto che il
confine fra questo mondo e la Terra è più labile di quanto sembri.
Basterebbe solo un piccolo salto e potrei…
Comincio a fantasticare sull’eventualità.
Tornare sulla
terra. Parlare con mia moglie
. Dire a tutti che sto bene. Il mio assassino
sistemato per le feste.Tattarattattà
e
vissero tutti felici e contenti.
Ma che bella favoletta, davvero! Peccato che continuerei ad
essere morto.
Irrimediabilmente relegato quassù.
“No, non voglio guardare sulla Terra..farebbe troppo male”
dice una parte di me, la parte razionale e calma.
“Se non so cosa succede laggiù impazzisco.” Sbraita un’altra
parte più ansiosa.
“Bene, ci mancava pure la vocina interiore! Mi sa che sono
proprio sistemato ora!” disco mettendomi a sedere ed appoggiando il viso sulle
mani.
“E poi questa storia del Capo
…” mi ritorna in mente il discorso di Stu “ e la bolletta del telefono!” scuoto la testa incredulo.
“Il club dei VIP…sembra quasi una brutta copia della terra!”
Fuori il cielo ha già cominciato ad imbrunire: mi dirigo
verso la finsetra con circospezione e scosto la tendina.
Ovviamente l’esercito di ragazzine in calore è sempre li
appostato: chi gioca a carte, chi dorme nel sacco a pelo, chi suona la chitarra,
chi continua a urlare il mio nome.
Chiudo
le tendine, oscurando un po’ la stanza e mi stendo di nuovo sul letto
osservando la scrivania, dove un tempo studiavo e scrivevo canzoni.
E poi la vedo:vedo sbucare dall’oscurità della stanza la mia
prima chitarra, quella piccola chitarra rossa comprata per 17 sterline da una
riluttante zia Mimi.
Avrei voglia di suonarla, ma mi rendo conto che la
stanchezza è troppa:che strano provare di nuovo questa sensazione.
Chiudo gli occhi steso nel mio letto e per un attimo mi
sembra di essere tornato bambino, quando rubavo la marmellata, ma me ne tornavo
a letto col sorriso sulle labbra perché in realtà avevo anche dato fondo alle
scorte di cioccolato, ma nessuno se ne era accorto.
Penny Lane:
Bella foto, vero?
L’ho trovata girovagando per internet alla ricerca di foto varie sui Beatles ed
ho pensato subito di inserirla nel capitolo….Ahh John che contempla il mare, il
punto di contatto fra la terra e l’ “Aldisù”…*sospira>*
Ok, passiamo ai ringraziamenti, prima che cominci con i miei
scleri insulsi xD
Night:
Buhahah
Ringo che butta lo zucchero alle spalle è favoloso!! Vabbè il tempo passato con
quei 4 non è mai sprecato U.U Il fatto che Elvis si sia fatto tutto il clubbino
esclusivo è sempre stata anche una mia idea fissa. Elvis era troppo snob per
unirsi ai comuni mortali U.U Ci sarà un incontro, probabilmente…ma devo ancora
pensarci!
Marty:
Stu
è il punto di contatto fra l’esperienza Amburghese (non so se esiste questa
parola ma vabbè) e quello che poi è successo…Ci saranno altri riferimenti perché Amburgo è stata una tappa
fondamentale nella “crescita” (musicale e non) di Johnny..:) Sono contenta che
l’idea dell’acqua come punto di contatto sia piaciuta…sulle prime pensavo ad una
semplice porta, ma ho accantonato subito l’idea…
Thief:
Awwww
a Stu vogliamo tutti bene! *abbraccia Stu che la guarda come se fosse impazzita*
E’ la “voce della ragione” nella storia (si sa, John è imprevedibile…ci vuole
per forza qualcuno che gli dia un’occhiata e che gli impedisca di fare i soliti
casini). Ritrovarsi tutta quella gente alle calcagna deve essere stata
un’esperienza sconvolgente (so che John si trovava molto a disagio in quelle
situazioni e cercava di sdrammatizzare facendo battutine o smorfie idiote )
ò
Andry:
Eh
beh, nessuno è perfetto! Neanche Stuuu *mi lancia un’occhiata assassina ma
appena sillabo la parola “Zaz” si contiene* John si caccerà sicuramente in
qualche guaio (sarebbe stranissimo che se ne rimanga zitto e buono in un
angolino) ma riuscirà a cavarsela, come sempre. E poi arriverà anche
Ariadne….Xd
Grazie a chi ha recensito…ma anche a chi ha solo letto! Alla
prossima!!
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Capitolo 7 *** Be-Bop-A-Lula ***
jjj
Be-Bop-A-Lula
“Be-bop-a-lula,
I don't mean maybe”
“John! John!
Joooooooohn !”
John
Winston Lennon, 16 anni stava ancora dormendo nella grossa, quando la voce acuta
di sua zia lo strappo prepotentemente dal sogno che stava facendo.
“Mmmh…che….cosa…c’è?”
mugolò il ragazzo da sotto le coperte, la voce ancora impastata dal
sonno.
“A
volte riesci a sorprendermi, ragazzo..” rispose la zia entrando in camera “oggi
non hai quella…esibizione alla chiesa
di St.Peter?”
John,
che era disteso sul suo fianco destro, la faccia voltata verso la parete, si
girò lentamente verso la fonte del rumore:,la luce del sole filtrava fra le
tendine ed il ragazzo dovette aprire piano gli occhi, troppo abituati
all’oscurità poiché aveva tenuto il viso coperto dalle lenzuola, come se fossero
un nido dentro il quale rifugiarsi.
“Lo
so benissimo donna. Però la festa è
alle 3.” Rispose John ritrovando subito il suo tono strafottente.
“Sono
le 11, ti pare il caso di restare ancora a letto?” infierì la zia cominciando a
strappare via le coperte dal letto.
John si aggrappò alle lenzuola come se
fossero un tesoro prezioso e cominciò a lamentarsi “Mimi, per piacere non
cominciare di mattina a rompere! Ho sonno e oggi devo suonare…vorrai pure che il
tuo nipote preferito sia in forma smagliante..vero? ” si fermò un attimo e
dedicò alla zia uno di quei sorrisi
che (secondo lui) l’avrebbero fatta cedere. Peccato che la zia fosse immune a
quei sorrisetti che volevano accattivarsi la sua simpatia.
“Non
discutere con me John. Ora ti alzi, metti a posto la camera e poi potrai andare
a fare colazione.”
“Ok,
però prima faccio colazione e dopo metto in ordine…” acconsentì John,
scendendo di malavoglia dal letto. Si stiracchiò, mentre la zia si dirigeva
verso un’altra stanza della casa borbottando qualcosa sulla svogliatezza del
nipote. Mentre si stropicciava gli occhi, John pensò che c’era un’atmosfera particolare
quel giorno.
Era
il 6 Luglio del 1957, John ed il suo piccolo gruppo, i “Quarrymen” erano stati
ingaggiati per suonare ad una festa nel piccolo parco della chiesa di St.Peter
Era un’ottima occasione per farsi conoscere dalla gente e per mostrare le proprie abilità.
Ovviamente tutto questo si applicava solo a lui, a John stesso. Il ragazzo era
consapevole della propria superiorità tecnica su gli altri membri del gruppo.
Dopo
essersi lavato e vestito con quella camicetta a quadri rossa che gli aveva
regalato Julia, sua madre ed un paio di pantaloni neri, John scese le scale con
sorprendente leggerezza e si diresse verso la cucina, dalla quale proveniva un
delizioso profumo di caffè. Quando guardò l’orologio capì che, come al solito, la zia aveva
“arrotondato” di molto sull’ora (erano infatti le 10 e mezza) John sospirò
rassegnato. Sua zia non vedeva di buon occhio la sua passione per la chitarra ed
aveva cercato di ostacolarlo in tutti i modi.
Aveva
perfino cercato di far sparire la chitarra rosso fuoco del nipote (ma John la
aveva prontamente intercettata e se la era ripresa, imprecando e giurando che da
quel giorno in poi ci avrebbe pure dormito insieme se qualcun altro avesse
osato sfiorarla) quella chitarra
pagata 17 sterline e che, secondo lei non lo avrebbe mai portato a nulla, se non
ad una vita da vagabondo come suo padre.
John
si sedette al tavolino della cucina, sorseggiando il caffè ed agitandolo
un poco per far spandere lo zucchero e per disperdere il calore: prese due
biscotti dal contenitore e cercò di buttarli giù. Non aveva molto appetito, ed
il che era strano. Poteva ricollegare tutto questo all’ansia per l’imminente
show ed all’emozione.
Non
sarebbe stata la prima volta in cui si esibiva davanti ad un pubblico: John ed
il suo gruppo avevano già suonato in Rosebery Street ed avevano pure avuto un
discreto successo (e John si era attirato le antipatie di un gruppetto di
teppisti, li aveva sentiti minacciarlo di botte non appena fosse sceso dal palco
ed era stato costretto a rifugiarsi in una casa li vicino, per scampare ad un
pestaggio da parte di quegli esaltati).
Screzi
con il pubblico a parte, John adorava esibirsi sul palco: appena le sue dita si
erano mosse su quelle corde
aveva provato un’emozione indescrivibile. Era la cosa più bella del mondo,
meglio di qualunque sigaretta fumata di nascosto ai grandi, meglio di qualunque furtarello
con gli amici, meglio di Elvis…insomma uno sballo !
E
John sapeva che quella era la sua
strada: non riusciva a vedere alternative nella sua vita. Cercò di immaginarsi
per un attimo seduto dietro ad una scrivania, con la camicia immacolata, il
colletto inamidato, davanti a se una macchina da scrivere con tonnellate e
tonnellate di pratiche dal contenuto misterioso ma agghiacciante da revisionare
e compilare.
John
rabbrividì e bevve i rimasugli di caffè in un sorso solo: decisamente quello non
sarebbe stato il suo futuro. Lui era destinato a qualcosa in più, era destinato
a brillare su tutti….solo che non lo sapeva ancora.
Ovviamente
non avrebbe mai osato formulare pensieri del genere: era vero che non riusciva
ad immaginarsi come un qualunque “working
class man “ ma il suo futuro gli appariva ugualmente nebuloso ed incerto.
Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui fra dieci anni. Nel dubbio lui suonava e
questa era la dannazione di zia Mimi, che avrebbe invece preferito che lui si
impegnasse di più a scuola, invece di farsi sospendere per la cattiva condotta o
fare collezione di brutti voti.
Dopo
che ebbe finito di fare colazione, il giovane John Lennon sparecchiò con calma,
e si diresse verso camera sua in cima alle scale: mentre si dirigeva verso le
scale, si vide riflesso nello specchio dell’ingresso. Era uno specchio molto
grande dalla cornice color dell’oro, anche se in alcuni punti il legno era
annerito. John contemplò la propria immagine. Sbuffò quando si accorse che il
suo adorato ciuffo “alla Elvis” si era afflosciato e doveva quindi correre a
impomatarsi di brillantina prima di uscire. Salì le scale evitando di fare
rumore (o la zia avrebbe potuto affibbiargli qualche incombenza da svolgere,
cosa di cui lui non aveva la minima voglia) e si diresse in bagno dove cominciò
a risistemare i capelli. Fatto ciò tornò in camera (che, come sempre era nel
caos più completo e la zia ormai l’aveva definita “Hiroshima dopo il
bombardamento”) si mise a sedere sul letto sfatto ed acchiappò la sua piccola
chitarra posta a fianco della testiera.
Cominciò
a strimpellare qualche nota delle canzoni che avrebbero suonato quel pomeriggio
poiché avevano in programma alcuni pezzi: John ovviamente aveva già in testa di
“fare a modo suo”. Aveva dato indicazioni agli altri membri del suo gruppo sulle
canzoni da suonare: non che per suonare lo skiffle ci volesse un grande talento
musicale (Pete Shotton per esempio era stonato come una campana e, per lui un la poteva benissimo confondersi con un
si) ma la chiesa di St.Peter aveva
richiesto un programma e John, con il suo solito spirito dittatoriale aveva
imposto ai suoi “colleghi” una lista di canzoni.
Queste
canzoni erano “Be-Bop-A Lula“ , “Come go with me” (dove, nonostante i pomeriggi
passati a leggere i testi, John continuava a dimenticarsi le parole della strofa
centrale) ”Puttin’ on the Style” e “Baby let’s play house”. In realtà John aveva
avuto anche una mezza idea di inserire l’irriverente “Maggie Mae”, la canzone
degna della miglior peggiore bettola di Liverpool. Sarebbe stata una figata suonarla ad una festa
parrocchiale, pensava John mentre si accingeva a pulire la chitarra.
Il
tempo intanto passava e la zia per fortuna non si faceva vedere: John alla fine
decise di mettere un minimo d’ordine nella stanza (“Non vorrei che Mimi mi
chiudesse a chiave in casa se continuo a tenere la stanza in questo stato..”
aveva pensato John mentre raccoglieva le innumerevoli riviste che spargeva sul
pavimento dopo averle lette) e di ripassare velocemente gli accordi delle
canzoni ( e le parole di quella dannata “Come Go With Me” che proprio non ne
voleva sapere di entrargli in testa).
All’ora
di pranzo, mentre il ragazzo mangiava in fretta e furia un pezzo di pane col prosciutto, trafugato dalla
cucina, sentì un gioioso
strombazzare sul vialetto e per poco non gli andò tutto di traverso per la
sorpresa. John si affacciò alla finestra e quello che vide lo fece morire dalle risate:
sul montacarichi un furgoncino
scassato e fuligginoso (guidato dal padre di Rod Davis) stavano i suoi
“colleghi”. Sembravano tutti molto rilassati e felici e si sbracciavano per
chiamare il loro leader sul furgoncino.
“Winnie
muoviti che arriviamo
in ritardo! Non inauguriamo la giornata con le nostre solite figure!” gli urlò
contro Pete Shotton.
“Shotton
aspetta che salga su quel furgone e ti stacco quella maledetta testolina di cazzo che ti ritrovi “ ci
pensò un attimo “anzi no, prima ti uso per fare una mega figura di merda al
concerto e poi ti ammazzo perché abbiamo fatto schifo!” gli urlò John di rimando
dalla finestra.
Pete
ovviamente non se la prendeva mai a male per queste risposte (era consapevole di
essere un musicista scarso quasi quanto sapeva che John odiava con tutto il
cuore essere chiamato Winnie).
Un
trafelato John uscì a razzo di casa (rischiando di travolgere una sconvolta zia
Mimi) ma dovette rientrare di corsa perché nella foga si era dimenticato la
chitarra sul letto. Dopo aver fatto dietro-front John si precipitò di nuovo
fuori di casa, mentre la zia gli urlava dietro “John ma quante volte ti avrò detto di metterti
gli occhiali?! La prossima volta ammazzerai il gatto, me lo sento!”
John
rise fragorosamente e si diresse verso il furgone: Len Garry gli
porse la mano per aiutarlo a salire e sistemarsi sulle panche poste dal padre di
Rod. Erano circa le due e mezzo, quando il furgoncino partì alla volta della
piccola chiesa di St.Peter (Il padre di Rod aveva insistito per scattare ai
ragazzi alcune foto sul retro del furgone) dove arrivarono con lieve anticipo.
Il
cortile della chiesina era gremito di gente: bambini che si ingozzavano di
zucchero filato, ragazzi che giravano per le bancarelle, adulti che parlavano di
quei temi che loro trovano così tremendamente interessanti e che
risultano incomprensibili al 99% degli adolescenti, poliziotti con i loro cani
ammaestrati (sarebbero stati una delle attrazioni della giornata), coppiette di
fidanzatini che passeggiavano mano nella mano…
Mentre
John scendeva dal furgone, leggermente frastornato dal rumore del motore e dal caldo sprigionato da esso,
si sentì chiamare da una voce conosciuta. “Johnny!Johnny!” disse una donna dalla
folta chioma color rame che si sbracciava per farsi vedere. John sorrise e si
diresse verso di lei “Salve Julia. Ti sei fatta un bel pezzo per venire qui eh?”
disse John sorridendo
“E
come potevo mancare?” rispose lei spalancando gli occhi azzurri “è il
tuo primo concerto importante e non me lo sarei perso per tutto il tè della
Cina!” sorrise e fece una carezza sul volto di John.
“Grazie
mamma…sono contento che tu sia venuta..” replicò John arrossendo leggermente ma
riprendendosi subito alla vista di un’altra chioma conosciuta, stavolta
bionda.
“Scusami
Julia, torno sub…” stava per dire John, ma lei aveva seguito il suo sguardo ed
aveva intuito. Prima che John potesse finire lo bloccò con un gesto della mano
“Ah, non dirmi nulla! Vai pure John ci vediamo dopo…in bocca al lupo per lo
spettacolo!Sarò in prima fila ad
applaudire e a dire a tutti che quel ragazzo stupendo che potrebbe benissimo
scalzare Elvis è mio
figlio!”
John
arrossì di nuovo, mentre lei si allontanava e la ragazza bionda si avvicinava
“John!” trillò lei tutta felice “Ciao Barbara..” rispose John dando alla ragazza
un rapido bacio sulla guancia.
“Ehi,
che allegria! Tutto bene Johnny?” gli disse lei prendendogli la mano
“Scusami
Babs..è che sono un po’ nervoso.”
Barbara
aggrottò le sopracciglia “Tu? Nervoso? Ma fammi il piacere, mi sorprenderei
molto di meno se tu mi dicessi che hai intenzione di andare a lavorare in un
circo..che poi non è neanche del tutto da escludere visto come ti
comporti..”
In
tutta risposta, John le dedicò una di quelle espressioni da idiota che facevano
sempre scoppiare a ridere gli astanti , cosa che lei fece senza esitare. Lui le
strinse la mano un po’ più forte, ma il suo sguardo continuava ad essere rivolto
verso il piccolo palco innalzato sul furgoncino sopra l’’erba riarsa dal
sole.
C’era
una piccola processione e la performance di un altro gruppo prima dei Quarrymen
e John passò un po’ di tempo con Barbara, la sua ragazza prima di andarsene dai
suoi amici.
“Beh?
Quando ti rendi conto che la tipa non sa suonare nemmeno una nota di
“Be-Bop-A-Lula” ti ricordi che esistiamo anche noi?” lo provocò Colin Hanton.
“Tutta invidia, tutta invidia..” replicò John sorridendo ed imbracciando la
chitarra. Si specchiò su un vetro del furgoncino, si sistemò il ciuffo (i
ragazzi dietro di lui sbuffarono) e poi salì sul loro piccolo palco. John fu il
primo a salire ed aiutò gli altri con gli strumenti. Il pubblico li osservava,
chiacchierando senza posa.
Era
arrivato il temuto momento delle presentazioni: John abbozzò un sorriso che
voleva essere accattivante e, con la chitarra rossa in spalla si avvicinò allo
stelo del microfono.
“Come
butta gente?” la sua voce squillante risuonò per tutto il cortile “fa un po’
caldo eh? Il sole si è ricordato che in effetti esiste anche l’Inghilterra..” si
rese conto che la gente lo stava guardando un po’ stranita.
“Psst
John maledizione!” gli bisbigliò Pete “vogliono uno spettacolo di skiffle, non un dannatissimo
cabaret!”
John
gli assestò un calcio negli stinchi, stando attento a nascondere il piede dietro
l’amplificatore, sempre con un sorriso smagliante.
“Bene
gente direi che è ora di cominciare! Noi siamo i “Quarrymen”! Si, veniamo
proprio da quella scuola, la Quarrybank! Eh, ehm..noi siamo…” (nuova occhiata
truce da parte di Pete) “ ..dunque l’albino al mio fianco è Pete Shotton che
suona il washboard perché non riesce a suonare nient’altro. Poi abbiamo Len
Garry al Tea Chest Bass, Colin Hanton alla batteria ed il signor Davis al
banjo..” disse John indicando uno ad uno i componenti del gruppo “ed io sono
John Lennon con Winston per secondo nome. Però non dovete confonderlo con il
Winston delle sigarette, non siamo neanche cugini di secondo grado!” dal
pubblico si levò qualche risolino divertito, davanti al carisma di John “…io
invece suono la chitarra e canto. Abbiamo un po’ di canzoni in programma per voi
quest’oggi e vorrei cominciare da un grande classico che risuona da anni nei
porti della nostra amata Liverpool, un canto nato sulle rive del Mersey…Signore e signori i
Quarrymen ora si esibiranno in “Maggie Mae!”E John iniziò a suonare
freneticamente sulla sua chitarra, prima che qualcuno potesse dissentire: gli
altri furono costretti ad andargli dietro per evitare una figuraccia.
Ce
l’aveva fatta, era riuscito a proporre quella canzoncina irriverente davanti ad
un pubblico di gente per bene. Ovviamente John la cantava con uno stile tutto
suo, dove l’accento Scouser si avvertiva appena. Dopo “Maggie Mae” (il pubblico
si era profuso in applausi scroscianti e la madre di John aveva addirittura
iniziato a saltellare dall’emozione) John si cimentò nell’esecuzione “Baby let’s
play house” che fu accolta più tiepidamente e di “Be-Bop-A-Lula” che cantò
dirigendo più volte il suo sguardo verso Barbara Baker e facendole l’occhiolino.
Arrivò infine il temuto momento in cui avrebbe dovuto suonare “Come go with me”
e John dovette fare appello a tutto il suo coraggio per iniziare: cominciava a
sentire il caldo opprimente e la spossatezza dovuta all’adrenalina ed
all’emozione.
Come
previsto John si era dimenticato la strofa centrale e, mentre la canzone
procedeva cominciò a pensare disperatamente ad altre parole da inserirci. Alla
fine optò per una frase che non aveva assolutamente nulla a che fare con il
testo originale e che fece sorridere gli ascoltatori più attenti. Fra questi
ascoltatori spiccava un ragazzino sulla quindicina: aveva i capelli scuri
pettinati alla perfezione che gli conferivano un’aria da bambinetto smarrito ed
aveva due grandi occhi verdi che scrutavano John colmi di ammirazione e
meraviglia. Trovava incredibile questa rapidità nell’improvvisare le parole.
Ben
presto il piccolo concerto terminò: John e compagni furono lodati dal pubblico e
premiati con una scorta notevole di birre, che i ragazzi presero a tracannare
senza sosta mentre si spostavano in uno stanzone attiguo alla chiesa. Era
arrivato il momento dell’esibizione dei cani poliziotto ed ai ragazzi era stata
concessa una pausa. Ovviamente avevano esagerato con l’alcool e se ne stavano in
panciolle (John era praticamente riverso su una panchina posta nella sala in
preda ad un attacco di risate incontrollabili e interessatissimo a contare il
numero di travi sul soffitto).
Mentre
il gruppo osservava John che contava con entusiasmo le travi, fecero il loro
ingresso nella sala due ragazzi: il primo era alto e biondiccio, le mani
infilate in tasca e l’aria rilassata. Il secondo era quel ragazzo dagli occhi
verdi e l’aria da bambino che aveva osservato John suonare con tanto
interesse.Lui , a differenza del suo compagno sembrava preoccupato ed
ansioso.
“John?”
lo chiamò il primo ragazzo, che si chiamava Ivan Vaughan “John c’è qui una
persona che vorrebbe parlarti..”
John,
sempre ridacchiando si mise a sedere e scrutò Ivan “Ma io non vedo nessuno. Ci
sei solo tu e quel bambino. Cos’ è una fan timida?” disse sporgendo il collo per
guardare oltre le spalle di Vaughan.
Ivan
sospirò :”No John il ragazzo dietro di me deve parlarti..” John si ricompose per
un attimo “Hai anche il coraggio di chiamarlo ragazzo? Questo qui avrà dodici
anni al massimo..ehi, ehi tu! Quanti anni hai? Dodici?” berciò John all’indirizzo del
ragazzino.
“No..”
rispose lui piano ma con tono risoluto “ne ho quindici..”
“Wow,
addirittura quindici! Ma allora sei
grande!” commentò John in tono sarcastico. Poi parve ritrovare la calma e gli
chiese in tono più gentile (ma sempre con quel sorrisetto ironico stampato in
faccia) “Beh? Che c’è? “
“Io..beh
volevo dirvi che è stato uno spettacolo..Interessante…” disse il ragazzino
sistemandosi la sua candida giacchetta bianca. “Uh uh..ma non hai caldo con
quella?” disse John indicando la giacca.
Ivan
sospirò e poi disse “John, ascolta e non sviare..”
Il
ragazzino prese un po’ di coraggio e disse “Beh io..ehm..ecco…” guardò
fissamente per terra strusciando un po’ il piede “ecco, ilfattoèchemipiacerebbesuonareconvoi “
disse il ragazzino a a velocità supersonica.
“Cosa
vorresti fare tu?” esclamò John
strabuzzando gli occhi e facendosi quasi
scappare di mano la bottiglia di birra.
“Suonare.
In un gruppo, ecco”
Gli
altri membri dei Quarrymen osservavano John in attesa della risata, ma John
deluse le loro aspettative e non rise. Pose la bottiglia sulla panca e si
avvicinò al ragazzino lentamente, così lentamente da incutergli timore e
costringerlo a fare un passo indietro.
“Come
ti chiami?” gli chiese in tono neutro.
“Paul.
Paul Mc Cartney” rispose il ragazzino tendendo la mano. John la fissò per un
attimo, poi la strinse.
“Vorresti
suonare con noi eh ?” gli chiese John in un tono che poteva sembrare
canzonatorio. Paul (che era più basso di John di tutta la testa) alzò i suoi
grandi occhi verso quelli di John “Si. Suono la chitarra .Ho imparato da solo.
Posso dimostrartelo se vuoi…” John non proferì parola, ma prese la sua fida
chitarra rossa e la porse al
ragazzino. “Vedremo. Cosa sai suonare? Qualche ninna-nanna? Le canzoncine
Disney?” lo provocò John.
“No..”
rispose risoluto McCartney. Sotto gli occhi stupiti di John e dei Quarrymen
imbracciò la chitarra al contrario (Ivan non sembrava particolarmente colpito,
forse ne era già a conoscenza) “posso suonarti “20 Fight Rock” di Eddie
Cochran.”
E
senza aspettare la risposta di John, il piccolo Paul iniziò a suonare la famosa
canzone ben conosciuta da ogni amante del rock n’roll cantando con una vocetta
acuta, ma dolce che pareva la netta contrapposizione della voce un po’ acerba ed
aspra di John.
E
fu proprio in quel momento che la vita di John Winston Lennon subì una brusca
inversione di marcia: aveva conosciuto colui che sarebbe diventato il suo
migliore amico, il suo partner musicale, colui che lo avrebbe accompagnato in
quel tortuoso cammino che era la scalata verso il successo. La vita di John
prese in quel caldo giorno di inizio Luglio la rotta che lo
avrebbe portato verso lidi sconosciuti, verso coste piene di ricchezza, verso le
spiagge del successo e verso la leggendaria isola dell’immortalità.
Penny
Lane
Zaz:
Uuuh!
Ho Stu in dotazione ancora per un pochetto! Che bello!!! *si mette a ballare con
Stu mentre John la guarda male* Per quanto riguarda il commento…non ti
preoccupare..io che dovrei dire? Ho ancora 122873289371378 (periodico) capitoli
da recensire…e non trovo mai il tempo >.< L’immagine è perfetta, appena
l’ho vista ho pensato che fosse perfetta per la storia..Sembra quasi fatta
apposta *guarda sospettosa John che fischietta con aria innocente* Uhiuh sai che
non ci avevo pensato a Stu che bisticcia con gli artisti? Mi hai dato
un’idea…grazie!!
Night:
*fa
pat-pat a Night* lo so, lo so…..John poteva benissimo restarsene li. Aveva la
villa, aveva il giardino…cosa vuoi di più dalla vita? *
Ari:
Ti prego John non rispondere un Lucano!
John:
Perché? E’ sottinteso!
Ari:
-.-“
Quando
pensa a quando era bambino…awwww è davvero dolcino! Ce lo vedevo troppo a
mangiare la marmellata di nascosto *John nel frattempo sta dando fondo ai
cioccolatini*
Thief:
Si,
John è un eterno indeciso, un’anima tormentata. Sarà interessante vedere come si
comporterà nel corso della storia e se tenterà o meno di contravvenire alle
regole *John si prepara un armamentario degno di Indiana Jones* Per quanto
riguarda i guai..mm non garantisco nulla! *risata
malvaglia*
Andry:
Ehm,
ehm, ehm *si lancia occhiate d’intesa con John che comincia a preparare
freneticamente le valigie* ma noo…cosa ti fa pensare che io sia Ariadne..ehm
ehm..
Scherzi
(sigh ) a parte..sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto! Penso che
insisterò molto sui ricordi di John (come ho fatto in questo capitolo)
alternando le vicende di John nell’Aldisù con questi lunghi flashback sui
momenti più importanti della sua vita…
Grazie
a tutti voi che avete recensito ma anche a chi ha solo letto! Al prossimo
capitolo!!
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Capitolo 8 *** You are here ***
uij
You are here
“Three thousand miles over the ocean Three thousand light years
from the land of the rising sun”
“Vieni
micio..psst ! Vieni micio!” allungo
il braccio verso il gattino dal pelo tigratonche è entrato furtivo in
camera.
Il
gatto mi squadra per un attimo, mettendosi tutto composto sulle zampe anteriori,
la coda davanti alle zampe posteriori. Il suo sguardo è attento e vigile e
sembra studiarmi per valutare sia sia il caso o meno di avvicinarsi.
“Betsy!
Vieni piccola, sono John…” la invito di nuovo, lasciando la Gallutone Champion
accanto alla scrivania.
Betsy,
il gatto che mia zia teneva quando avevo undici anni si muove verso di me, con
lo stesso passo guardingo ed elegante che ricordavo. Sul collo fa bella mostra
di sé quel collare rosso che Betsy sfilacciava sempre e che mia zia,
puntualmente, ricomprava.
La
gatta mi piomba sulle ginocchia con un balzo agile e calcolato; si alza sulle
zampe posteriori, si appoggia al mio petto ed avvicina il suo nasetto rosa e
trapunto di piccoli nei al mio, Mi sta annusando, come faceva sempre quando da
ragazzino andavo a cercarla per farle qualche coccola. Dopo essersi sincerata
della mia identità, Betsy decide che può davvero stare tranquilla.
La
mia mano ha già cominciato ad accarezzarle la testa ma, mentre la osservo mentre
si acciambella sulle mie ginocchia, mi fermo per un attimo. Betsy mi guarda con
aria di rimprovero e spinge la mia mano con la testa, come a dire “Beh? Che fai?
Continua, forza!”
In
breve, Betsy è comodamente acciambellata sulle mie gambe e le sue fuse
riecheggiano per tutta la stanza. Mentre la accarezzo penso di nuovo a tutto
quello che mi è successo in questi ultimi tempi. La chitarra era riuscita a
impedire alla mia mente di vagare ma ora non posso fare a meno di
farlo.
“E
io devo pure abituarmi a tutto questo?” penso “la vedo dura! Se non altro, le
oche là fuori hganno deciso di darmi un po’ di tregua e fare
silenzio.”
Non
ho voglia di alzarmi e controllare, un po’ per paura di ciò che potrei vedere,
un po’ perché non ho il coraggio di far scendere Betsy che è in estasi sulle mie
ginocchia che conficca lievemente le unghie nella mia gamba per esprimere tutto
il suo gradimento.
“Potrei
chiamare Stu…ma sarà senz’altro impegnato a spennellare su una delle sue tele,
oppure a bersi un tè con Manet o Magritte..”
E
io? Cosa posso fare per ambientarmi meglio? Con chi potrei familiarizzare per
rendere tutta questa situazione più accettabile?
“Vediamo
un po’ chi conosco del posto…” penso mentre continuo ad accarezzare il dorso del
gatto con gesto meccanico “Stu ha detto qualcosa su Elvis ed un club privato..”
faccio una smorfia “Il club dei musicisti
morti… sembra il titolo di un qualche filmetto horror..Dunque,k ragioniamo:
Stu l’ho incontrato e….” trattengo un respiro per un attimo (buffo, sono morto
ma posso ancora respirare…!).
Nella
mia mente si inseriscono di prepotenza delle note a me familiari. Il testo non
ha importanza, finchè non arrivo a sussurrare quel nome che ho gelosamente
conservato nei miei ricordi per anni..
Julia..
Il
bussare improvviso mi riporta bruscamente alla realtà, così bruscamente che
Betsy scende dalle mie gambe,
protestando con tutta la sua indignazione.
“Avanti!”
dico io, osservando la porta già socchiusa. Immagino già di vedere Stuart,
sporco di pittura, gli occhiali calcati sul naso e tutti storti per la foga con
la quale è solito dipingere e la sua solita aria impassibile che ormai lo
caratterizza..
Oppure
potrebbe anche essere….
Ma
dietro la porta non c’è Stuart (..e neanche Julia, con mio grande disappunto)ma
un’altra persona che ha significato tanto per me, per tutti i Beatles: una
persona che ci ha aiutato ad uscire dall’ombra, una persona che ci ha tenuto per
mano per quasi 6 anni e che ci ha mostrato che esistevano ben altri palchi da
calcare, oltre quello del Cavern.
“Eppy!”
esclamo al culmine dello stupore e della contentezza: fino a pochi secondi prima
mi ero ripromesso di non chiamarlo così..ma l’abitudine ha avuto la meglio su di
me.
Brian
fa una smorfia nel quale si legge tutto il suo disgusto per quel nomignolo da
zietta nubile che gli avevo affibbiato quando ero un ragazzino.
“Salve
John.” Risponde Brian con quel tono calmo, posato, senza inflessioni Scouser,
quel tono di voce che avevo spesso imitato e sbeffeggiato, ma che ora riesco ad
apprezzare.
“Io,
tu…non mi aspettavo di vederti qui!” rispondo io, sinceramente
meravigliato.
“Beh
John siamo tutti qui, come ben sai, E’ solo che ci sono talmente tanti posti che
qualcuno potrebbe arrivare in ritardo, però, prima o poi arriva…”
E’
Brian, esattamente come lo conobbi nel 1962: è lo stesso giovane elegante e dai
modi affabili, il gestore di quel bel negozio di dischi a Liverpool. Come allora
indossa uno dei suoi immancabili completi giuacca&cravatta (come me del
resto, solo che, a differenza del mio completo nero, lui ne indossa uno blu
scuro con bottoni leggermente più chiari)
“E..qual
buon vento ti porta qui?” azzardo, cercando di alleggerire
l’atmosfera.
“Ho
saputo..” risponde lui abbassando gli occhi a terra “mi dispiace molto John. Non
meritavi una fine simile…”
“Ti
ringrazio..” dico io in tono incerto (cosa devo fare, le condoglianze a me
stesso o ringraziare?)
“Vedo
che il tuo amico pittore ti ha già spiegato un po’ di cose..” riprende Brian
assumendo di nuovo il suo tono da manager.
Eppy
il manager serioso.
“Più
o meno. Ci sono ancora un po’ di particolari che mi sfuggono ma, credo che con
il tempo potrò imparare, no?”
Brian
annuisce, sempre con quell’aria di distaccata professionalità che mi lascia un
po’ spiazzato.
“A
cosa devo il piacere di questa visita Ep..ehm Brian?” mi correggo all’ultimo
secondo.
Brian
sorride: il suo è un sorriso particolare. E’ affabile ma, come lo Avvertivo anni
fa, sento ancora quel distacco che fa la differenza fra un sorriso sincero ed
uno di circostanza. Non è cattiveria: Brian è sempre stato così, non si è mai
lasciato trasportare dalle emozioni. Ma questi gesti all’apparenza così
calcolati mi feriscono.
“Che
ne dici di metterci un po’ più comodi John? Questo non è il luogo più adatto per
parlare..”
Lancio
uno sguardo preoccupato fuori dalla finestra, Brian intercetta il mio sguardo ed
aggiunge.
“E
non preoccuparti. Ho l’autista..”
Penny
Lane:
…e dopo
due mesi di “abbandono” riecco le
avventure di Johnnino in paradiso. Ora è alle prese con il suo vecchio amico e
manager Brian Epstetin. Ho ritardato tanto perché ero molto indecisa sul
personaggio da far incontrare a John in questo capitolo: la mia prima scelta era
stata Julia, la mamma di John, ma ho accantonato subito l’idea perché mi sembra
ancora troppo presto.John deve ancora scoprire alcune cose ed incontrare altre
persone…credo che lascerò Julia per ultima ma devo ancora pensarci bene! Il
capitolo è un po’ corto e probabilmente fa anche abbastanza schifo, ma mi è
venuto in mente leggendo “John” di Cynthia Lennon nel quale lei diceva che
Brian, pur essendo un mentore ed una figura amica non partecipava alla vita “tra
amici” dei Beatles e ho voluto trasportare questo suo rapporto fra l’amicizia ed
il distacco professionale nella storia.
Ed ora passiamo alle
recensioni!
Andry
Black: L’incontro
fra John e Paul è molto bello da descrivere secondo me. E’ bello cercare di dare
una propria “versione” dell’incontro fra quei due adolescenti che, in quel caldo
6 luglio si sono stretti la mano senza sapere che avrebbero..cambiato il mondo
(nel vero senso della parola). E’ interessante vedere come due mentalità così
diverse si siano “capite” al volo e abbiano dato vita a qualcosa di unico…(a
Liverpool, quando ci hanno portato in quella saletta dove si sono conosciuti
John e Paul mi si è accapponata la pelle dall’emozione *__*) Grazie per la
recensione!
Night:
Ah,il
sorrisino accattivante di John è una delle cose più belle che esistano! Come si
fa a dire di no davanti ad un
sorriso simile? (Fermatemi finchè siete in tempo, sennò mi perdete…Xd) Anche io
ho la filosofia di vita del “Lo faccio dopo!” (ed è l’esasperazione dei miei
genitori…) e una madre che adora arrotondare sull’ora per convincermi ad alzarmi
-.- Sono contenta di aver saputo rendere al meglio tutti i personaggi! Grazie
per la recensione!
Thief:
Ma
grazie! Si sa che John era un pigrone di natura e me lo immaginavo benissimo
tutto rintanato sotto le coperte per scroccare quei 5 minuti di dormita in
più! Ti ringrazio per i
complimenti, se sono riuscita davvero a “evocare” nella mente dei lettori
l’immagine di tutta la scena…allora ho raggiunto l’obiettivo che mi ero
prefissata! Di solito scrivo i capitoli basandomi sulle immagini che mi si
formano nella mente..ho una memoria fotografica e forse è dovuto anche a questo.
Prima “penso” alla scena come se fosse un film e poi la trascrivo…(forse dovrei
concentrarmi di più sui particolari però..) Grazie per la
recensione!!
Zaz:Ehehe
ci sarà una scena con Stuart tutto preso dai suoi dibattiti artistici con
qualche pittore ( non so se ci metterò Picasso…mm devo controllare se nell’80’
era già morto sennò non posso inserirlo Xd) Mi fa piacere che il capitolo ti sia
piaciuto e che tu sia riuscita a vedere bene tutta la scena! Mi piaceva l’idea
di un Paul timido ed impacciato: dopotutto era solo un ragazzino di 15 anni,
John ne aveva diciassette ed era già un “uomo navigato” (se se ) Grazie per la
recensione!!
GRAZIE
ANCHE A CHI HA SOLTANTO LETTO: AL PROSSIMO CAPITOLO (sperando che non debbano
passare altri 2 mesi)
|
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Capitolo 9 *** I'm scared ***
fdf
I’m scared
“You don't have to suffer, It is what it is, No bell book or
candle, Can get you out of this, oh no!”
“Eccolo!
E’ lui!” E’ uscito di casa!”
“John!
Jooohn! Guardami!”
“Sposami,
John!”
“Sei
bellissimo!”
…Ok,
la situazione non è affatto brutta come me la ero aspettata. E’ molto, molto più
tragica. Le fans sono tantissime, è quasi impressionante vedere così tanta gente
pigiata nel vialetto di Mendips e i Menlove Avenue.
“John!”
John!” sento un urlo un po’ più forte e più vicino, rispetto al baccano prodottp
dal vociare di così tante persone. Non faccio neanche in tempo a girarmi, che
sento una stretta ferrea sul braccio sinistro, che mi costringe a fermarmi in
mezzo alla calca che, inaspettatamente si distanzia un po’, lasciando me e la
persona che mi tiene per il braccio in mezzo ad una specie di cercio. I bordi
del cerchio sono una massa di forme confuse ed urlanti.
“John
,una volta mi firmasti un autografo!” dice la persone che mi tiene stretto a sé.
E’ una ragazza, avrà si e no 18 anni (o almeno così appare ai miei occhi): è
carina, con capelli rossi portati a caschetto con la frangia e gli occhi
azzurri. Sembra che sia sull’orlo delle lacrime.
“Johm
ti ricordi di me? Mi firmasti un autografo una volta! Ci scrivesti ‘ A Mary Ellen Parker, con affetto John ’
te lo ricordi?” Stringe ancora più forte il mio braccio e le lacrime cominciano
a rigarle le guance, davanti al mio silenzio sbigottito, mentre tutte le altre
ragazze continuano ad urlare come ossesse frasi che che si confondono fra di
loro, perdendo ogni significato.
“John!
John, mi firmasti un autografo nel 1964!” continua a strillare lei in tono
isterico. Ormai il braccio non lo sento eanche più, da quanto lo sta
stringendo.
“D-davvero?”
riesco a balbettare, frastornato da tutte quelle urla ed in preda ad un senso di
panico crescente, mentre penso “Ma dove cazzo è Brian quando serve?”
La
ragazza rispondente al nome di Marie Ellen Parke, che crede di poter vantare una
qualche pretesa su di me, solo perché 16 anni fa le ho scritto il mio nome su un
pezzo di carta con tanto di dedica, continua a strattonarmi e a frignare, mentre
le sue “colleghe” si avvicinano pericolosamente.
Ho
paura, davvero.
Nei
loro sguardi si legge la stessa bramosia: tutte loro hanno lo stesso sguardo
vuoto e privo di vita, ma ormai dopo anni di esperienza e ben 17 anni di incubi
notturni (e anche diurni..) riesco a vederci quel bagliore folle che indica il
loro unico desiderio, quel desiderio che dà vita a quello sguardo smorto e che
le fa camminare come delle macchinette dalle inquietanti sembianze
umane.
So
quel è il loro scopo: ho passato almeno 6 anni della mia vita cercando di
sfuggire dalle grinfie di simili soggetti: il loro scopo è quello di
avvicinarsi,c afferrare, toccare, prendersi in qualunque modo quello che,
secondo qialche loro folle convinzione, considerano di loro diritto. E la
sfortuna vuole che l’oggetto del loro interesse sia proprio io e che al momento
sia completamente solo ed indifeso.
Annaspo
mentre mi libero dalla stretta della ragazza piangente con uno strattone….e
quello che le succede dopo essermi liberato mi turba, nonostante non sia la
prima volta che assisto ad un Fatto
simile.
La
ragazza, se fino a quel momento aveva conservato uno sguardo più o meno “normale
(ovviamente si fa per dire..) ora è cambiata. I suoi occhi sono vuoti ed assenti
come quelli di tutte le altre, ma infondo riesco a scorgere lo stesso lampo di
follia e anche la rabbia perché me la sono scrollata di dosso.
Ora
sono davvero terrorizzato:me ne sto in piedi, nel vialetto della casa dove sono
cresciuto, circondato da una marea di ragazze completamente fuori di testa, il
cui unico scopo nella vita (vita? Ma
non siamo tutti morti?)sembra essere quello di agguantarmi per i vestiti e
strattonarmi da una parte all’altra, senza mai mollare la presa, come se da me
dipendesse tutta la loro vita.
Mi
giro intorno, giro come una trottola impazzita mentre cerco un aiuto. Un aiuto
qualsiasi, basta che qualcuno mi tiri fuori da qui.
“Dove
cazzo è Brian?” stavolta riesco perfino ad urlarlo, ma le mie parole si
disperdono nell’aria, catturate anche quelle dalle urla delle
ragazze.
Indietreggio,
con le mani protese in avanti come per farmi scudo ma, mentre indietreggio mi
rendo conto che sto andando dritto dritto fra le grinfie di un gruppo delle
scalmanate. Con un sobbalzo mi accorgo che non c’è via di scampo e che il
cerchio sta diventando ridicolmente piccolo.
Merda,
ora si che sono in trappola.
“John!
John, noi siamo tue grandi fan!”
E,
sentendo queste parole mi ritorna in mente una cosa che mi ghiaccia il sangue
nelle vene. Un ricordo che si infila prepotentemente fra i miei pensieri, tutti
rivolti a trovare un modo per uscire illeso da quel piccolo inferno.
Fa
freddo, tanto freddo: fuori il cielo è buio, è quel buio invernale che sembra
arrivare sempre prima a coprire ogni cosa, in quelle fredde giornate di
neve.
Le
uniche luci sono quelle delle macchine che sfrecciano per la strada, quelle dei
lampioni, che gettano una luce fredda sui marciapiedi e quella fioca e
accogliente del lampadario posto sul soffitto di un imponente corridoio di
pietra.
“John!
Sono Mark! John sono un tuo grande fan!” sussurra la voce bassa di un uomo, ma
dal timbro sorprendentemente infantile e cantilenante
“Sono
un tuo grande fan!” ripete con una punta di isteria nella voce mentre, com gesto
meccanico, estraggo una biro nera dalla tasca del cappotto e scrivo per
l’ennesima volta nella mia vita il mio nome, sull’ennesimo Lp con la mia faccia
stampata sopra. Le luci del porticato sono davvero basse, ma tanto sono così abituato a scrivere il mio nome che
non me ne curo neanche. Il flash improvviso di una macchina fotografica illumina
l’ambiente e mi rendo conto di aver scritto bene. “A Mark. John Lennon ”.
Con
un sospiro porgo l’Lp al fan con la vocetta infantile e accenno un sorriso, che
però mi muore subito sulle labbra.
“Ehi,
tutto ok?” chiedo al ragazzo. Sta stringendo l’Lp convulsamente e trema da capo
a piedi, mentre si morde nervosamente il labbro Non ce la fa neanche a guardarmi
negli occhi e sembra sconvolto. Non risponde.
“Hai
bisogno di aiuto?” Gli chiedo gentilmente. Lui fa cenno di no
con la testa, tenendo sempre gli occhi bassi.
“No
Mr Lennon, sto bene, grazie.” Abbozza un sorriso incerto e mi guarda. Mi fa
quasi impressione, perché, nonostante sia sorridendo, i suoi occhi sembrano
freddi e vuoti. Gli occhi che può avere un pazzo. Decido di non curarmene e gli
sorrido di rimando, sollevato. Ci sarebbe mancato solo che si facesse venire una
crisi epilettica o qualcosa di simile sotto casa mia.
“Di
nulla. Buona serata.”
“Arrivederci
Mr Lennon”. E mi guarda di nuovo con quello sguardo strano, apatica.
Ed
è in quel momento che il peso della consapevolezza mi colpisce forte come un
pugno.
“John! Sono Mark! John sono un tuo grande fan
!”
Mark.
E’
stato lui.
“Sei
stato ammazzato sui gradini di casa tua! “ sento Stuart dirmi “ Il nome di chi
ti ha ucciso è Mark Chapman.”
E’
lui.
“Sono
un tuo grande fan!”
“John!
John Siamo tue grandi fan!”
Non
faccio neanche in tempo a formulare un altro pensiero di senso compiuto, quando
mi rendo conto di quello che mi è stato appena detto. Mi ritornano in mente le
facce e reagisco.
“State
indietro cazzo!” stavolta esplodo sul serio e il mio urlo è così forte e così
spaventoso che sovrasta tutte le altre voci e le placa.
“Non
mi toccate! Non vi azzardate ad avvicinarvi!” urlo di nuovo. Sto quasi per
mettermi a piangere, ripensando a tutto quello che mi è successo, a quello che avevo lasciato indietro,al
fatto che non avrei avuto seconde possibilità. Mi volto con decisione verso Menlove
Avenue, la mia espressione deve essere davvero terrificante, perché le tizie che
mi ostruiscono il passaggio si fanno da parte senza fiatare.
Vedo
un’elegante macchina nera che mi aspetta sulla strada, proprio davanti al
cancello bianco e nero di Mendips,
vedo Brian con una faccia a metà fra lo sconvolto e l’impaurito, bloccato dal
mio urlo mentre cercava di spintonare via il muro umano e raggiungermi per
aiutarmi. E corro, corro in mezzo alla piccola breccia chge si è aperta fra la
folla: mi ricordo corse simili verso macchine nere eda anonime come quella, ma
non ricordo di averne mai fatta una in questo silenzio sbigottito. E soprattutto
non ricordo di averla mai fatta in quello stato d’animo.
Mi
fiondo sul sedile posteriore dietro il guida, sbattendo la portiera con violenza
e Brian si siede accanto a me. Il suo sguardo è preoccupato.
“Andiamo
via Brian” lo prego, con una voce
che non sembra neanche la mia.
La
macchina si mette in moto e, in pochi secondi stiamo sfrecciando in una strada
spoglia e battuta dal vento, una strada che non esisteva nel mondo reale ma che,
per fortuna esiste qui,
Penny
Lane:
Yeeee!!
Finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare! E anche in tempi relativamente brevi!
Questo capitolo era inizialmente attaccato a quello precedente . Non avevo
scritto ma avevo un’idea ben precisa di come articolarlo…..l’idea di staccarlo
dall’altro capitolo mi è venuta ascoltando la canzone “I’m scared” di John. Mi
piace e il testo si adattava abbastanza abene a quelle che sono le tematiche del
capitolo…quindi li ho separati e ci ho appioppato il titolo “I’m scared.” Ma
passiamo alle recensioni U.U
Marty_Youchy:
Sii!
John e Eppy sono carini insieme *John mi fulmina con lo sguardo*. Ehm….finchè
Brian rimaneva nei limiti dell’amicizia Xd Comunque si…credo che si siano voluti
bene (ehm..forse Brian di più…) La faccia di John quando semppre che Brian era
morto faceva impressione: si vedeva che era scioccato e che non poteva
crederci….:(
Gtazie
per la recensione!
Zaz:
Brian
li considerava come dei figliocci *__* E’ stato il primo a credere in loro e non
ha mai mollato…..il che non fa che aumentare la mia stima nei suoi confronti
J
Per il club privato….devi pazientare ancora pochissimo! Forse potrei addirittura
inserirlo già nel prossimo. Non sono sicura ma può essere. Grazie per la
recensione!
Grazie
a tutti voi che avete recensito ma anche a chi ha solo letto! Al prossimo
capitolo!!
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Capitolo 10 *** Watching the wheels ***
fdf
Watching The Wheels
“I'm just sitting here watching the wheels go round and round, I
really love to watch them roll”
Nessuno
dei due sembra aver voglia di parlare. Da quando siamo entrati nell’auto, io e
Brian non siamo riusciti ad intavolare un discorso civile.
Me
ne sono rimasto sul sedile, fermo e composto come una statua. Una statua
sull’orlo di una crisi di nervi.
Brian
guarda ora il paesaggio fuori dai finestrini oscurati dell’auto, ora me,
mordendosi il labbro ogni volta. Per ben quattro volte cerca di aprire bocca e
rimane invece con un’espressione da pesce lesso stampata in faccia e poi la
richiude, rendendosi conto di non avere la più pallida idea di cosa
dire.
“John?”
azzarda dopo un tempo che sembrava interminabile.
“Mh-mh?”
“Ehm..vuoi
bere qualcosa?”
“No.”
Ding ! Fine primo round.
“Ehm, John? Hai
detto qualcosa?”
“No.”
“Ah..”
alza le spalle come per dire “Beh, io almeno ci ho provato!”.
Fine
secondo round
“Brian?”
Lui
sussulta, come se fosse stato attraversato da una scarica elettrica.
“Dimmi
John!” si protende verso di me e mi fissa con attenzione. Penso che è già
notevole che non si sia messo a farmi le carezzine sulla
testa.
“Dov’è
che stiamo andando, se è lecito saperlo?”
“A
Londra.” Risponde Brian come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Lo
fisso come se avesse detto che la Regina d’Inghilterra ha deciso di andare a
distribuire caramelle.
“A
Londra?” ripeto con aria stupita.
Brian
annuisce e si serve dell’acqua da bere. “Londra” ripete
semplicemente.
Silenzio.
Ma
dove diamine sono finito?
Che razza di Aldilà è questo?
“Perché
a Londra?” chiedo facendo cenno a Brian di passarmi la bottiglia di Perrier
(pure la Perrier hanno! Certo che sono attrezzati!)
“Perché
continuavano a spostare la benedetta sede. Poi Elvis si è rotto le scatole e da
despota quale è ha votato per far rimanere la sede a Los Angeles.
Poi è arrivato Jimi Hendrix e gli ha detto che Los Angeles non andava bene. C’è
stato un pandemonio, si sentivano gli
strilli fino a Belgravia..e poi alla fine c’è stat una votazione e è stato
decretato che la sede sarà Londra per i prossimi 100 anni.”
Elvis?
Jimi Hendrix? La sede?
“Eh?”
è tutto quello che riesco a rispondere.
“Ah
già. Scusami John, è che ho preso il vizio di dare tutto per scontato. Forse sto
perdendo copi come manager.”
“Stronzate. Sei il migliore Eppy.” Gli
dico sorridendo, cercando di fargli capire che sono uscito definitivamente dal
mio mutismo
apatico.
“E
tu sei il solito…il solito impertinente!”
Alzo
gli occhi l cielo: è incredibile, non è cambiato di una virgola. Non riesce
ancora a sparare una sana parolaccia, quando ci vuole.
“Dillo
Bry. Dì che sono uno stronzo di prima classe.” Lo incito dandogli una leggera
gomitata.
“Ma
no. E’ che forse sei un po’ eccessivo a volte..”
“E
tu sei Eppy Epstein.”
“Stronzo.”
“Evvai!
Stiamo progredendo Bry!” rido sollevando il bicchiere e facendolo tintinnare
contro quello di Brian.
“Mi
fa piacere rivederti così allegro John. Mi dici che diamine ti è preso poco
fa?”
Alzo
le spalle “Forse non è il momento di parlarne. A tempo debito ti dirò tutto, ma
ora devi spiegarmi tutta la faccenda di Elvis, di Jimi Hendrix e della sede di
Londra.”
Brian
si ricompone ed assume il suo tipico tono professionale da manager.
“Devi
sapere John, che esiste un posto…cioè, non è proprio un posto. Uhm, come
spiegarti? “
Incredibile!
Brian che non sa spiegarsi!
“Diciamo
che è una specie di club. Un club molto, molto esclusivo, ideato per gente come
te.”
“Io?
Ah è un club per miopi?” cerco di ironizzare, ma penso di aver già capito di che
club si tratta. Stu me ne aveva parlato.
Brian
decide di ignorare la mia battuta e prosegue “Un club per quei musicisti che
hanno lasciato il segno sulla Terra.”
“Ah,
io ho lasciato il segno?” chiedo sbalordito e lusingato.
“John,
ma ci sei?”
“No,
sono al bar...certo che ci sono!”
“John,
tu hai lasciato il segno! Eri uno dei Beatles, santo cielo!” commenta Brian
esasperato.
“Ah,
già…quelli…” dico girando il viso a
guardare la mia immagine riflessa nel finestrino.
“Perché
tutto questo astio John?”
Contemplo
per un attimo il mio riflesso di
giovane venticinquenne e rispondo a bassa voce “Bah, tutta una serie di motivi
Bry…Troppo lunghi da spiegare.”
“Va
bene, rispetto la tua decisione, anche se non capisco..” risponde Brian
guardando a sua volta fuori dal finestrino. Senza che io me ne sia accorto,
l’auto è entrata un quella che sembra in tutto e per tutto una tipica strada
londinese: sulla strada passeggiano persone vestite nei modi più disparati. Ci
sono uomini e donne vestiti con abiti moderni ma anche tante persone vestire con
abit che avrebbero fatto la loro figura in un film in costume. Osservo, con
occhi spalancati e con le mani premute sul vetro un uomo, con un’elegante
marsina ed il cilindro in testa mentre si ferma a chiacchierare con un altro
uomo, che porta un vestito color oro, con una gigantesca gorgigliera bianca. I
due captano il mio sguardo stupefatto e mi salutano con un garbato cenno del
capo, al quale rispondo agitando la mano leggermente e boccheggiando come un
pesce.
La
macchina rallenta e finalmente si ferma davanti a quello che sembra un
grattacielo dalla foggia vittoriana, come buona parte di tutti gli edifici di
Londra.
Brian
ed io scendiamo e ci avviciniamo alla sontuosa scalinata di marmo: man mano che
saliamo le scale riesco a leggere la targa posta accanto all’ingresso
.
“Dipartimento
musicale” c’è scritto. L’interno è un vasto atrio con colonne di legno scuro, ed
il pavimento è di marmo bianco tirato a lucido: si sente il clik clik dei nostri passi mentre ci
avviciniamo al bancone in mezzo all’atrio.
“Buongiorno
Elizabeth.” Dice cordialmente Brian alla donan seduta dietro al bancone ed
intenta a leggere un libricino in pelle.
“Oh,
Mr Epstein, buondì.” Risponde osservandoci. Ha i capelli neri lunghi fino alle
spalle e gli occhi verde bosco. Pernuna frazione di secondo mi viene in mente
Paul, con i suoi occhioni verdi che, una volta, mandavano in visibilio le
ragazzine, ma scaccio subito il pensiero.
“Cosa
posso fare per lei?” chiede Elizabeth.
“Non
per me. Per lui” risponde Brian indicandomi. La donna mi squadra per un attimo,
poi estrae un libro impolverato e dalla copertina rosa e lucida da sotto il
tavolo.
“Siete
un musicista signore?” “Ehm, si capisce…”
“Scrivete
il vostro nome qui allora.” Mi dice la tipa indicandomi uno spazio vuoto sotto
una lunga lista di nomi, fra i quelli riesco a distinguere Brian Jones, Buddy
Holly e Elvis Presley, insieme a moltissimi altri.
Dopo
aver scritto il mio nome, Elizabeth osserva un attimo la mia firma e poi mi
sorride.
“Bene
Mr Lennon. Piano nove.” Dice osservando un attimo una lista che tiene fra le
mani.
“Wow,
stavo giusto cominciando a chiedermi quando il numero nove avrebbe fatto la sua
apparizione…” penso, mentre Brian mi fa strada verso un ascensore.
“Beh,
buona fortuna John!” mi dice Brian dandomi una pacca sulla spalla
Lo
guardo, con aria rassegnata “L’ultima volta che uno mi ha detto questa frase mi
sono ritrovato inseguito da 70000 persone. E non è stato piacevole.”
Brian
ridacchia, probabilmente immaginandomi mentre corro come un forsennato, con quell’orda barbarica alle
calcagna.
“Non
preoccuparti John. Qui sarai fra amici, fra tuoi pari. Puoi stare
tranquillo.< Ti aspetterò al dodicesimo piano”
“Perché
al dodicesimo piano?” gli chiedo mentre le porte si aprono.
“Ehm,
Mozart mi ha chiesto se mi andava un tè..”
“……ciao
Brian.”
“Ciao
John, divertiti!”
Penny
Lane:
Aggiornamento
velocissimo, visto che ora devo già staccare. Il famoso Club farà il suo ufficiale
ingresso nel prossimo capitolo, con tutte le rockstars! Ringrazio Beth, che è
nuova (sono contenta che le mie storie ti piacciano J)
e Zaz!
Grazie
a tutti voi che avete recensito ma anche a chi ha solo letto! Al prossimo
capitolo!!
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Capitolo 11 *** Please, please me ***
kjh
Please, please me.
“Oh please, please oh yeah
Like I
please you.”
Faceva
un freddo cane nel furgoncino; i finestrini non si chiudevano e l’aria gelida
penetrava all’interno, costringendo i 3 ragazzi ammucchiati nel retro a
stringersi l’un l’altro.
Erano
vestiti di tutto punto, con pesanti cappotti, cappelli e guanti; il respiro si
trasformava in condensa.
Stavano
viaggiando da ormai 4 ore senza mai fermarsi, perché erano già in ritardo e
avrebbero dovuto essere a Londra già da un’ora almeno.
Fuori
il cielo era buio, nemmeno le stelle avevano deciso di accompagnarli inn quel
viaggio faticoso e scomodo.
“Passami
la b-bottiglia” balbettò uno dei tre ragazzi infreddoliti, affondando il naso
nella sciarpa.
Quello
che aveva ricevuto l’ordine protese una mano verso il basso, afferrando il collo
di una bottiglia di whiskey scadente che si erano portati dietro per combattere
il freddo pungente, ma prima di passarlo all’altro ragazzo, lo stappò e diede un
lungo sorso, rabbrividendo.
“E
dai, John! Ci deve bastare!” protestò Paul, tirando di nuovo fuori il naso dalla
sciarpa e protendendo la mano verso la bottiglia.
“Tanto
fa schifo..” sentenziò John pulendosi la bocca con la mano,Paul sbuffò di
impazienza r i attaccò a sua volta alla bottiglia, mentre John cercava di
sistemarsi in una posizione più comoda.
“Fantastico..”
pensò “ho le mani, il naso e i piedi gelati e lo stomaco in fiamme.”
“Posso
averne un po’anche io?” chiese timidamente il ragazzo con gli occhi azzurri
seduto accanto a Paul.
“Oh,
certo Rich! Ecco qua!” rispose gentilmente Paul, porgendo la bottiglia al
piccolo batterista.
Richie
si tirò giù la sciarpa dalla bocca e dette anche lui due sorsi dalla bottiglia,
facendo una smorfia.
“John
ha ragione. Fa davvero schifo.”
“Non
potevamo permetterci altro..” osservò John in tono inespressivo, lanciando
un’occhiata fuori dal finestrino. Buio pesto.
“Dite
che andrà bene? Dite che mi farà suonare? Non sopporterei di vedermi relegato in
un angolino a suonare un accidenti di tamburello.”
John
fece un sorrisetto tirato: povero
Richie! Era il loro “nuovo acquisto”, ma il loro produttore non sembrava
particolarmente colpito dalle sue capacità.
Ad
essere sinceri, Riche aveva un modo molto strano di suonare la batteria, ma
secondo lui e Paul era un metodo particolare e interessante: sembrava andare
fuori tempo, quando in realtà si atteneva perfettamente al ritmo della
canzone.
“Non
preoccuparti Rich..” lo rassicurò Paul mettendogli una mano sulla spalla “sono
sicuro che saprai farti valere.”
Richard
Starkey lo guardò con quei suoi occhioni azzurri dal taglio malinconico,
sperando che Paul stesse dicendo la verità, perpoi concentrarsi sulle sue
bacchette che giacevano in un angolo.
John
si stiracchiò e fece uno sbadiglio, mentre il furgoncin sobbalzava: vedeva Alan
al volante, con un’aria seria e anche un po’corrucciata e George, seduto a
fianco del guidatore, che sonnecchiava.
“Beato
lui che ce la fa..” pensò John lanciando un’occhiata alla custodia della sua
chitarra “cosa non darei per poter dormire un po’. Ma con questo freddo è una
parola..”
Paul
sembrava aver pensato la stessa cosa e infatti, poco dopo propose:
“Dovremmo
provare a dormire. Mettiamo gli strumenti sulle panche e stendiamoci per terra
il più vicino possibile. Così dovremmo riuscire a
riscaldarci!”
John
sbatté un attimo le palpebre, immaginando la scena: ma che bel sandwich di
Beatles che sarebbe venuto fuori!
“Va
bene..” acconsentì, cominciando a spostare la chitarra “Io però sto nel mezzo
perché sono il più grande!”
“Veramente
il più grande sarei io…” obiettò Richard, alzando timidamente la
mano.
“Oh,
ma chi se ne frega! Mettiamoci a dormire e basta!” sbottò Paul stendendosi sul
duro pavimento del furgoncino.
“E
bravo Paul..” pensò John mentre si sistemava accanto al bassista e chiudeva gli
occhi “ alla fine il posto al centro se l’è beccato lui.”
“…Lennon,
togli quel braccio dal mio stomaco o ti giuro che te lo stacco…” ringhiò Paul
sentendo qualcosa posarsi su di lui.
John
ridacchiò e ritrasse il braccio “Scusa Paulie-tesoro è che aspettavo da tanto la
notte in cui avremmo dormito insieme…”
“Vaffanculo.”
“Ti
voglio bene anche io Paul.” Rispose John in tono zuccheroso, chiudendo gli
occhi.
“Bah,
questi due non battono pari..” pensò Richie sconcertato.
Pioveva
a dirotto quando i Beatles varcarono le porte degli studi di Abbey Road in
riardo perché erano rimasti imbottigliati nel traffico, bagnati fradici perché
non avevano l’ombrello e trafelati perché si erano fatti tutto l’isolato a corsa
con gli strumenti sulle spalle.
Geroge
Martin sospirò vedendo quei quattro scapestrati che si fiondavano dentro gli
studi, neanche stessero correndo per la loro vita.
“Oh,
buongiorno “ esordì John passandosi una mano fra i capelli bagnati “beh, forse
non tanto meteorologicamente parlando..”
“Salve
ragazzi…”sospirò il signor Martin per poi pensare “Saranno giovani di talento,
ma a me sembrano quattro impiastri” osservando George che si frugava
freneticamente nelle tasche alla ricerca del suo plettro.
“Bene,
appena siete pronti potete accomodarvi nello studio 1.” Li informò George Martin
ritrovando il suo tono professionale, avviandosi verso l’interno.
In
pochi minuti, i ragazzi avevano appeso i loro cappotti umidi ad un attaccapanni
e si erano diretti nello studio.
Ringo
si sentiva inadatto e completamente fuori luogo, mentre rigirava nervosamente le
sue bacchette fra le mani: non gli era piaciuto come lo aveva guardato quel
Martin in giacca e cravatta.
“Shh,
Rich..” bisbigliò John mettendogli una mano sulla spalla “andrà tutto bene, non
preoccuparti..”
Ringo
lo osservò incredulo: aveva conosciuto John abbastanza da capire che delle
parole di incoraggiamento erano assolutamente rare da parte di John. Lo aveva
sempre visto come una persona cinica e fredda, ma con quelle poche parole capì
che forse si era sbagliato sul suo conto.
Paul
lo osservò, mentre aggiustava le corde del suo violin-basso: lui conosceva bene
John e sapeva che era preoccupato quanto Ringo, se non di più.
Da
quella seduta di incisione dipendeva tutto il loro avvenire, aveva detto John
quando erano ancora a Liverpool: lo aveva detto, non con quel tono profetico e
con gli occhi rivolti verso l’alto, come quando voleva scherzare. No, lo aveva
detto con tono fermo e risoluto, guardandoli uno per uno con quel suo sguardo un
po’ assente, dovuto alla miopia, quella miopia che lo mandava puntualmente a
sbattere contro qualcosa almeno una volta a settimana.
Anche
George era preoccupato ma, come Paul, cercava di dissimulare i suoi timori
pensandoci poco o non pensandoci affatto.
Anche
lui era intento a pulire la
chitarre e a sistemare le corde: aveva la fronte corrugata e le labbra serrate
in una smorfia concentrata.
“Siete
pronti ragazzi?” disse John estraendo l’armonica dalla tasca e soffiandoci
dentro per cancellare eventuali residui di polvere o acqua.
I
tre annuirono: Paul imbracciò il basso, George colpì le corde a vuoto e Ringo
alzò le bacchette a mo’ di risposta. Anche John prese la chitarra, tenendola
stretta per il manico.
“Bene,
allora andiamo!”
John
misurava a grandi passi la sala d’attesa degli studi, incaèace di sedersi per
due secondi.
Aveva
provato a fermarsi per mettersi comodo, ma quei pensieri che gli ronzavano in
testa, come delle zanzare particolarmente fastidiose, erano troppi per
permettergli di stare seduto.
Doveva
aver fatto avanti e indietro almeno una cinquantina d volte, assorto nel
turbinio dei suoi pensieri.
Gli
altri si erano seduti appena erano usciti dallo studio e nessuno aveva più
proferito parola.
Alla
fine Ringo aveva suonato la sua amata batteria, mettendoci tutto il sentimento
possibile, mentre Martin li
osservava dai vetri della “sala dei nastri” con aria indecifrabile.
Paul
aveva iniziato a guardarsi le unghie, facendo le smorfie più assurde con quella
boccuccia a cuore che si trovava, George fissava il soffitto e fumava una
sigaretta e Ringo contemplava la porta come se potesse vederci
attraverso.
“E
se non va bene?” si chiese John facendo avanti e indietro per l’ennesima volta “
se dice che fa schifo? Se non sfondiamo?”
Avrebbe
voluto mangiarsi le unghie dal nervosismo, ma tenne le braccia dietro la
schiena.
“Se,
se,se… ma perché tutte le nostre speranze devono per forza stare dietro a un se ?” si chiese, lanciando un’occhiata
verso la porta,dalla quale non proveniva alcun rumore.
Tuttavia
John non poteva impedirsi di immaginare cosa sarebbe successo se fosse andato tutto per il verso
giusto.
“Ma
ti immagini? La fama, il successo..Suonare con un gruppo davanti a tante
eprsone, far vedere a tutti che questi quattro ragazzetti di Liverpool hanno
prodotto qualcosa di buono, qualcosa che vale…”
Involontariamente,
John sorrise, mentre la sua fantasia galoppava “Immagina che poi fate veramente
il botto: diventare leggenda, quando tutto quello che volevi era solo un po’di
successo. Immagina libri, trattati, documentari, film su di noi…” rabbrividì
mentre la grandezza delle sue fantasie aumentava in modo vertiginoso “Immagina
di diventare la band di maggior successo di tutti i tempi, con gente che fra 50
anni, fra 100 anni parlerà ancora di noi..”
Paul
osservava John da un po’: stava per dirgli di piantarla di fare avanti e
indietro come un’anima in pena e si darci un taglio con quelle e espressioni
idiote quando la porta si aprì.
John
schizzò a sedere in una frazione di secondo, facendo sobbalzare George, che per
poco non fece cadere la sigaretta sulla preziosa moquette rossa degli
studi.
“Bene
ragazzi, vi comunico che avete registrato la vostra hit sa primo posto nelle
classifiche…”
Penny Lane:
Sono
tornata!!! Dopo mesi di assenza, problemi che si accatastavano l’uno sull’altro,
mancanza di tempo e perdita di questo capitolo (lo avevo scritto su un quaderno
che ho trovato giusto stamani) ho deciso di tornare a scrivere in questa
sezione, che mi mancava tanto! Spero di ritrovare i miei “vecchi” lettori e
intanto ringrazio i “nuovi” (se ce ne saranno). Come avete visto, anche questo
capitolo è occupato da un flashback su un altro dei momenti "clou" della vita di
John. Orami ho deciso che, nel corso della storia inserirò altri momenti clou
per ricollegarmi al primo capitolo. Il prossimo momento clou dovrebbe essere
l'incontro con Yoko Ono, ma ancora non sono sicura...Spero di poter aggiornare
presto anche “Here there and everywhere”, così come tutte le altre storie. Non
garantisco assiduità , visto che con gli orari dell’Università il tempo è
veramente poco, ma spero di poter comunque aggiornare senza troppi intervalli di
tempo! A presto!!
Grazie
a tutti voi che avete recensito ma anche a chi ha solo letto! Al prossimo
capitolo!!
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