Trovami un modo semplice per uscirne

di NeverThink
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


TROVAMI UN MODO SEMPLICE PER USCIRNE

 

 

PROLOGO

 

 

Ci sono volte in cui, nel pieno della notte, ti svegli con il cuore che batte troppo velocemente per essere controllato.
Ti porti una mano sul petto chiudendo gli occhi cercando di rimuovere le immagini che sono come marchiate a fuoco nella tua mente.
Nella tua stanza guardi ogni particolare, illuminato dalla luce lunare che rende tutto straordinariamente argenteo, con il respiro veloce e troppo pesante.
Cerchi di riassumere la pace e la tranquillità.
Ma quelle immagini sono più forti di qualsiasi tuo tentativo di cancellarle.
Riaffiorano prepotenti impossessandosi di quel briciolo di autocontrollo che ti permetteva di restare con con la testa alzata.
Era solo un sogno. Continui a ripeterti mentre ti alzi a ti dirigi a guardare la pioggia, che dietro il vetro della tua finestra, bagna la strada con violenza.
Poi, nel buio della notte, nel cielo coperto di nuvole, vedi il suo viso, quello marchiato a fuoco nella tua mente e senti le lacrime rigarti inesorabilmente il viso.
Le senti calde e pungenti rotolarti sulla pelle liscia, morbida e bianca. E ti rendi conto che lui non c’è, che, come le foglie al vento d’autunno è volato via, per non fare mai più ritorno.
Gli avevi donato tutto ciò che il tuo fragile cuore era capace di donare, avevi dato tutta se stessa e lui aveva fatto lo stesso.
Ma un giorno tutto è finito, senza un reale e preciso motivo.
Poi un rumore attira la tua attenzione.
Un cuore che batte troppo piano.

 

Salve gente!
Prima fiction su Robert e psero davvero vi sia piaciuto questo piccolo prologo e, soprattutto, attirato la vostra curiorità! Questa storia la dedico a delle persone speciali: Greta, Jess, Mona e , soprattutto, alla mi dolce e tenera Pattina... ti voglio bene.

A presto!

Rò.

 


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Note dell’autrice.
Salve a tutti. Voglio premettere una cosa prima di tutto. Questo capitolo è un capitolo di introduzione, Robert entrerà in scena nel prossimo capitolo (che è quasi completato e posterò presto). Sono contenta che il prologo sia piaciuto, spero davvero di non deludervi con il primo capitolo. Nel secondo ci sarà azione… si si…
Volevo ringrazi ere le persone che anno recensito:
Merion: Grazie mille! Spero di non averti delusa e spero che leggerai anche io secondo capitolo! A presto!
ElfoMikey: honey! Sono contenta di sapere che ti piaccia! Spero di non deluderti con questo! Alto fino al cielo e grande quanto il mare!
Luinil: ciao! Grazie per i complimenti, grazie davvero bella! Spero ti piacerà questo! Fammi sapere!
Kriscullen_: Ciao! Sono contenta che ti sia piaciuto il prologo! Questo capitolo, come ho già detto, è solo un’introduzione che spero comunque ti piaccia. XD  A presto!
Ed ora… enjoy!

CAPITOLO I

 

 

“Audry?” La voce di mia madre mi riportò alla realtà. Mi voltai a guardarlo distogliendo lo guardo dal libro che avevo sulle gambe.
“Domani non ci sarò.” Non risposi, oramai era un rituale.
“Quanto tempo?” Chiesi fredda.
“Credo… un paio di settimane.” Ritornai a fissare il libro. Senza rispondere. “Tesoro… è per lavoro. Tornerò il più presto possibile.” Con la mano mi accarezzò i capelli ramati. Alzai lo sguardo fissandola negli occhi, poi, con mio grande sforzo, sorrisi.
“Tranquilla mamma. Voglio solo che tu sia felice.” Cercavo di essere il più convincente e il più credibile possibile. Il suo viso si illuminò di un sorriso. Sorprendente come mia madre credesse a tutti i miei sorrisi, a tutte le mie espressioni. Ma erano tutte finte, tutte costruite e mai sen’era accorta, in un certo senso era positivo. Ma a volte, avrei voluto se ne rendesse conto.
“Quando parti?” Aggiunsi chiudendo il libro e poggiandolo sulla poltrona accanto al divano.
“Domattina presto.” Abbassò lo sguardo. “E’ stato tutto improvviso. Scusami piccola.” Sussurrò. Sapevo che non lo faceva di proposito.
“Tranquilla mamma. Oramai ho diciannove anni. So badare a me stessa.” Dissi cercando di sorridere, mentendo, in un certo qual modo. Sospirò e, baciandomi la fronte, si diresse verso il piano superiore.
Amavo mia madre, era la donna più bella del mondo, sia dentro che fuori. Lavorava per una casa di moda e fu per questo che, quando avevo sei anni ci trasferimmo da un paesino sperduto della Francia in California. Ero piccola e ambientarmi fu abbastanza facile. Ma mia madre non c’era mai e passavo i miei giorni da sola o dalla vicina che aveva settantadue anni. Almeno fino ai quindici anni quando finalmente imparai a badare a me stessa. Arrivata ai diciannove anni, oramai, lasciarmi sola per mia madre non era un più una preoccupazione o un problema e, a me, infondo piaceva starmene per conto mio.
Salì anch’io in camera. La finestra era aperta e il sole del tardo pomeriggio riscaldava la stanza tingendo ogni cosa d’arancione. Riposi il libro sul letto e mi ci stesi sopra con un tonfo. Sospirai guardando il soffitto bianco.
Avrei presto iniziato il college. Il solo pensiero di frequentare biologia mi faceva venire i brividi, ma, infondo era la scelta giusta, mi piaceva. Sarei stata per conto mio, lontano da mia madre, dal suo continuo tentativo di volersi far perdonare della vita che aveva scelto.
Le mie giornate in quella ultima settimana di settembre erano piuttosto noiose. Le mie mattinate erano fatte di lunghe dormite e i miei pomeriggi di lunghe camminate sulla spiaggia. La sera, bè, di locale in locale con la mia unica amica, l’unica che riusciva a sopportare i miei idioti sbalzi d’umore. L’unica che avrebbe fatto di tutto per vedermi felice, e le dovevo tutto.
Tutta la mia vita era un sogno, un sogno noioso. Era così che la consideravo.
Lentamente sentì il mio respiro farsi più pesante, regolare e tranquillo. Quando riaprì gli occhi il sole illuminava flebile la stanza. Mi misi a sedere con un forte emicrania. Mi portai un mano sulla fronte e mi resi conto che mi era addormentata. Non avevo le scarpe e un lenzuolo mi copriva. Guardai la radiosveglia.
Le sette del mattino?
Avevo dormito all’incirca dodici ore. Mi misi in piedi stiracchiandomi. Mi sentivo riposata, il colmo sarebbe stato non esserlo. Mi madre sicuramente la notte precedente era venuta a controllare che tutto fosse a posto, e, vedendomi dormire, mi coprì con il lenzuolo chiudendo la finestra.
Scesi rumorosamente le scale, come mio solito, e mi diressi in cucina.
“Mamma?” Nessuna risposta.
“Cèline?” Chiamai ancora. Quando varcai la soglia della cucina notai un biglietto piegato con cura sul tavolo.

Ciao tesoro. Mi dispiace non averti salutato come si deve questa mattina, ma non volevo svegliarti.
Tornerò presto te lo prometto.
Ti voglio bene piccola mia. Ti chiamerò appena l’aereo atterra.
Dimenticavo di dirti che sono in Florida.
Mamma.

Era la scrittura di mia madre. Impossibile confonderla.
“Florida?” Sussurrai scettica. “Vicino eh?” Poggia il foglio su tavolo e mi diressi verso il frigo. Avevo bisogno di succo d’arancia: il mio preferito.
Mia madre si era dimenticata di dirmi dove andava. Non era la prima volta, capitava spesso soprattutto perché le sua partenze erano improvvise. Non volevo deprimermi quella mattina pensando a mia madre e alle pochi attenzioni che durante l’infanzia mi aveva dedicato. Decisi così che era meglio uscire.
Magari sarei potuta passare dal negozio di tatoo dove Stephanie lavorava prima che iniziassimo insieme il college. Le avrei fatto un saluto. Più tardi sarei andata a controllare gli aerei per il college che si trovava nello stato di Wisconsin.
Feci colazione in fretta e mi vestì con straordinaria lentezza perché mi resi conto che erano soltanto le sette e mezza. Un’ora dopo dovevo ancora scegliere la maglia da mettere. Non ero una ragazza che curava particolarmente l’estetica, ma quella mattina andare lentamente era un obbligo.
Mi sporsi dalla finestra guardando il mare. Ebbene sì, vivevo davanti al mare e cosa più assurda… non sapevo nuotare. Pochi lo sapevano, era piuttosto imbarazzante. Dopo esserci trasferite qui Cèline cercò, molto spesso, di insegnarmi a nuotare, ovviamente, senza successo. Proprio non ci riuscivo e odiato il mare, era così... così… bagnato.
Riuscì a mettermi le scarpe e lavarmi i denti contemporaneamente senza rompermi l’osso del collo. Mezz’ora dopo ero sulle strade affollate di Long Beach.
“Stephanie?” Chiesi entrando nel locale, facendo suonare il campanello sopra di esso. Quel suono era parecchio irritante.
“Chi mi cerca?” Sentì la sua voce ma non capì da dove venisse visto che nel piccolo locale non c’era nessuno.
“Audry. Ma dove sei?” Chiesi dirigendomi verso il laboratorio. Ad un tratto la vidi scattare in piedi da dietro il bancone facendomi sobbalzare. La fulminai con lo sguardo.
“Sembri mia nonna. Ti spaventi per tutto.” Mi disse infilandosi gli occhiali. Scossi il capo.
“Se tu esci, così, senza preavviso è normale.” Risposi in mia difesa. “ E poi tua nonna è…”
“Strana?” Annuì. “Più simili di così.” La guardai torva e lei alzò gli occhi al cielo, poi prese un catalogo e me lo mise sotto il naso.
“Fatti un tatuaggio. Tingi la tua pelle, come faccio io, mia cara.” Feci una smorfia storcendo il naso.
“Non credo sia una buona idea. Ago fobia, ricordi?” Le dissi restituendole il catalogo. Rabbrividì al solo pensiero.
“Ah, giusto. Avevo dimenticato.” Ripose il tutto su uno scaffale.
“E poi non hai proprio tinto la tua pelle. Dovresti dire che l’hai macchiata.” Uscì da dietro il bancone e mi mostro la rosa sulla caviglia. Poi si avviò a un grande stereo, riposto con cura in un angolo della stanza.
“E’ tinta.”
“E’ macchiata.” Bofonchiai.
“Allora, hai fatto le valigie?” Cercò di cambiare discorso o saremmo andate avanti così per tutto il giorno. Inarcai un sopracciglio.
“Ma se partiamo fra poco più di due settimane.” Dissi ovvia. Lentamente si giro a guardarmi aggrottando la fronte.
“Audry… le due settimane sono passate. Audry, partiamo domani, ricordi?” Sgranai gli occhi nel sentire quelle parole e mi irrigidì.
“Domani? No! Partiamo il venticinque! Me lo ricordo bene!” Dissi con voce strozzata. Si alzò lentamente venendomi incontro e poggiandomi una mano sulla spalla.
“Oggi e ventiquattro.” Sgranai gli occhi e, inevitabilmente, mi feci prendere, come al solito, dal panico.
“Domani?” La voce mie era rimasta in gola. Stephanie annuì. Mi voltai di scatto e corsi via ignorando la sua voce che dalla soglia del locale gridava il mio nome.
C’era una questione urgente: avevo poche ore per preparare i bagagli. Un’impresa impossibile, ma non avevo alternativa. Afferrai il mio cellulare dalla tasca anteriore dei miei jeans scoloriti e composi il numero di mi madre, sperando che non fosse già salita sull’aereo. Dopo quattro squilli la chiamata fu aperta.
“Audry?”
“Mamma! Domani parto per il college!” Strillai.
“Lo so, tesoro.” La sua voce calma mi sbigottì talmente tanto che mi bloccai al centro della strada all’istante.
“Cosa?”
“Si tesoro. Non lo ricordavi? Guarda che è tutto pronto, tutti i documenti sono in camera. Me ne sono occupata io la settimana scorsa. I bagagli gli hai fatti, no? Di che ti preoccupi?” Sgranai gli occhi sorpresa.
Mia madre che organizza tutto?
Strabuzzai gli occhi qualche volta.
“E’ già tutto pronto?”
“Certo piccola!”
“Come ci arrivo nel Wisconsin?” Una cosa che sicuramente non aveva pensato. La sentì sospirare.
“Audry… hai l’aereo con Stephanie domattina alle atto.” Nella sua voce c’era rammarico. “Cosa ti succede?” Rimasi a fissar con sguardo vuoto il la strada grigia, resa ancora più chiara dal sole mattutino.
“Nulla, mamma.” Fu tutto quella che riuscì a dire con voce piatta.
“Non è da te dimenticare certe cose. Sei sicura che sia la scelta giusta?” Nulla era certo nella mia giovane vita, ma di sicuro, lo stato di Wisconsin era ciò che desideravo. Una delle poche certezze che allora avevo. Forse l’unica. Probabilmente era anche la cura all’apatia.
“Si, è ciò che voglio. Ti richiamo mamma. Ciao.” La sentì farfugliare qualcosa che sembrava un saluto e chiusi la comunicazione.
Consapevole di dover solo riporre i miei pochi abiti dentro una valigia rallentai i passo infilandomi le mani in tasca. Ero talmente tanto presa dalla routine, dalla noiosità delle mie giornate da aver totalmente perso la cognizione del tempo. Ero troppo occupata a compatire me stessa da aver scordato che giorno fosse.
Non era mai successo.
Ma presto, tutto, sarebbe cambiato.


Quando la mattina successiva mi alzai, realizzai per davvero ciò che mi stava succedendo: entro poche ore gran parte della mai vita sarebbe cambiata.
Il college.
Mi alzai lentamente dopo aver visto che la radio sveglia sarebbe suonata due minuti dopo. La disattivai. Odiavo quel suono.
Mi lavai vesti e feci colazione aspettando che Stephanie e sua madre passare a prendermi.
Le valigie erano poste con cura accanto alla porta di ingresso. Il clacson suonò e mi fiondai in macchina.
Ma chi mai avrebbe immaginato che, lì, in un’università come tante, avrei incontrato il mio peggior, e miglior, incubo?


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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Note dell’autrice: salve gente! Chiedo scusa per l’enorme ritardo, ma ero in fase trasloco e solo oggi ho avuto internet. Bene, e’ entrato in ballo Robert, un po’ antipatico forse, dipende dai punti di vista. Ho scritto altri capitoli, quindi spero di poter postare al piu’ presto il prossimo.

Ringrazio di cuore chi ha messo tra i preferiti questa storia e tuti coloro che hanno letto senza recensire.

E un ringraziamento speciale va a ElfoMikey, che ha recensito il capitolo scorso: grazie grazie grazie! Stephanie e’ ispirata ad una mia amica, una pazza sclerata che e’ un fenomeno. L’azione piano arrivera’! Grazie ancora per aver recensito Honey! <3

 

 

 

CAPITOLO 2

 


Scesi dal taxi che portò me e Stephanie al college. Una struttura marrone e… enorme. L’unica che cosa che uscì dalla mia bocca mentre facevo cadere le valigie dalle mie mani fu: “Waw.” Occhi sgranati e bocca spalancata.
“Mamma mia. Questo posto è… wow!” Non feci caso alle persone che passando ci fissavano, prendendoci per pazze. Bhè, in effetti guardare quel posto come bambine davanti a Disneyland non era proprio l’ideale. Dopo un minuto di contemplazione decidemmo che forse era meglio entrare.
Mi chinai e presi le valige poggiate sull’erbetta verde. Era sera e l’intero campus era illuminato da lampioni posti vicino a panchine e alla piccola piazza vicino alla fontana che si trovava poco lontano dall’entrata principale. I ragazzi uscivano, ridendo e scherzando. Sicuramente andavano in qualche locale per divertirsi e passare del tempo insieme. Altri camminavano sull’erba, parlando. C’erano anche delle coppie di fidanzati che, tenendosi per mano, camminavano nel silenzio, apparente, della sera.
Entrammo nella struttura e ci facemmo dare le chiavi delle nostre stanze. Avevo bisogno di dormire. Avevo bisogno di riposarmi dopo un giorno di viaggio.
Guardai il numero della mia stanza: 1264.
Guardai quello della stanza di Stephanie: 1235.
“Dici che se chiediamo una stanza in comune ci mangia.” Esordì poggiando una borsa.
“Non credo. Prova.” Incalzò lei.
“Perché io? Prova tu.” Mi difesi.
“No. È stata una tua idea.” La fissai per qualche istante. Sbuffai.
“Okay, ci proverò io.” Mi avvicinai alla signora biondo platino dietro il bancone scuro.
“Ehm… scusi, mi chiedevo se fosse possibile stare in stanza con la signorina Sparks.” Dissi indicano con pollice Stephanie. La signora, che avrà avuto all’incirca cinquant’anni, smilza, piena di rughe e la pelle abbronzata dalle lampade, si tolse gli occhiali guardandomi con sufficienza.
“Siamo al completo, cara. Se foste arrivate qualche giorno fa c’era ancora possibilità.” Avrei voluto replicare, ma non volevo farmi nemici. Non era il caso.
“Oh grazie comunque.” Dire che il mio sorriso fosse finto, era poco.
“Di nulla cara.” Tornai all’istante seria girando i tacchi. Incrociando lo sguardo di Stephanie scossi il capo e lei sbuffò. Ci dirigemmo insieme verso le stanze. Dopo aver vagato per i corridoi poco affollati riuscì a trovare la mia stanza. Il sollievo che provai fu indescrivibile. Finalmente avrei dormito, mi sei riposata. Finalmente, si cominciava una nuova vita.
Aprì vittoriosa la porta della mia stanza e ciò che trovai sul divano fu molto imbarazzante.
Un ragazzo dormiva, con la bocca socchiusa, l’espressione rilassata, i capelli arruffati e… in boxer.
Sgranai gli occhi lanciando un grido per lo spavento. Lui scatto all’istante cadendo giù dal divanetto posto sotto al finestra. Si guardò intorno e mi vide. Dire che la sua faccia diventò rossa per la vergogna era, davvero, troppo poco.
“E tu chi sei?” Chiese ancora seduto sul pavimento.
“Io ci devo vivere qui!” Sbottai irritata.
“Impossibile. Qui ci sono io.” Aggrottò irritato le sopracciglia prima di rialzarsi.
“Ti sarei grata se ti coprissi.” La mia voce era piana di acidità che trapelò senza vergogna.
“Sai, sapendo che sarei stato solo in camera non mi sono preoccupato di certi piccoli particolari.” Disse isterico aprendo l’armadio accanto a un letto sfatto.
“Ci deve essere per forza uno sbaglio. Io dovrei dividere la stanza con una ragazza.” Si infilò un paio di jeans. “A meno che tu non abbia” Alzai le mani per indicare delle virgolette “Doti nascoste.” Mi fulminò con lo sguardo. Alzai gli occhi al cielo e furiosa mi diressi al piano inferiore.
“Ehi aspetta!” Lo sentì urlare. Non mi voltai e mi diressi a grandi passi vero la signora all’entrata.
“Mi sa che c’è stato un errore.” Sbottai distogliendo la sua concentrazione dalle parole crociate.
“Io non ci sto in camera con una ragazza!” Lo sentì di fianco a me. Lo intravidi con al coda dell’occhio, sentì la sua voce vicinissima, potei avvertire il profumo delicato del suo dopobarba. Mi voltai fissando per una attimo il suo profilo.
“Io non posso stare in stanza con questo!”
“Ehi!”
“Zitto!” Sbottai più acida che mai.
“Voi due! Basta!” La donna si alzò dalla sedia puntandoci un dito contro. “Sono gli ultimi posti liberi. A meno che qualcuno non se ne vada da qui, voi siete costretti a convivere. Non voglio sentire repliche. Non voglio sentire i vostri lamenti. Non vi voglio nemmeno sentirvi fiatare. Capito? Ed ora, cari, sono stanca e vorrei tornare su quella sedia e vorrei anche che voi ve ne andaste. Grazie.” Sgranai gli occhi sorpresa da tale risposta. La donna si rimise gli occhi sedendosi sulla sedia girevole di tessuto rosso.
Sentì la rabbia crescere e, voltandomi di scatto, mi diressi verso la prima rampa di scale disponibile.
Sentì i suoi passi dietro di me. Lo sentì sbuffare. Entrai in camera con una tale furia da far sbattere la porta al muro, nel momento in cui la spalancai, e scheggiare il muro bianco.
“Ehi faresti meglio a star calma.” Mi voltai fulminandolo con gli occhi.
“Bene.” Esordì. “Questa è la tua parte di stanza.” Dissi marcando con il dito una linea immaginaria sul pavimento. Mi guardò inarcando un sopracciglio. “Non superarla.” Conclusi seria.
“Altrimenti cosa fai? Mi cacci?”
“No. Voli dalla finestra.” La sua espressione sarcastica si tramutò in rabbia. “E ti sarei grata se ora stessi zitto e mi facessi andare a letto.” Dissi alzando l’indice. Mi guardò esterrefatto. Mi voltai per sistemare la mia roba. Presi infine spazzolino e asciugamano dirigendomi verso il bagno. Avrei voluto farmi una doccia ma era troppo stanca e probabilmente mi sarei addormentata sotto l’acqua.
Quando uscì, nel buio della stanza, lo vidi seduto sul suo letto con il viso illuminato dai raggi lunari. Era assorto nei suo pensieri e non mi resi conto di quanto il suo viso mi fosse familiare e di quanto fosse, in un certo qual modo, affascinante. Feci un passo guardando il pavimento. Con al coda dell’occhio lo vidi alzare il capo.
Forse ero stata troppo brusca. Forse non avrei dovuto reagire in quel modo. In fondo aveva ragione. Se li era stato detto che sarebbe stato da solo… ma io ce l’avevo con la signore rugosa al piano di sotto. La conversazione che avevamo avuto in presenza di Stephanie mi aveva di certo inacidita.
“Ehm…” Mi sedetti sul letto dopo aver riposto nel beauty nel mie cose. “Forse non avrei dovuto reagire in quel modo. Ecco, volevo innanzitutto scusarmi per la tremenda acidità e maleducazione. Forse siamo partiti col piede sbagliato.” Alzai la sguardo che fino a quel momento era fisso alla finestra e, al buio, incontrai due occhi chiari come il cielo in primavera.
“Forse.”
“Sono Audry Morel. Tu…” Sussurrai dopo essermi infilata sotto le lenzuola.
“Non hai davvero capito chi sono?” La sua voce era calda e bassa.
“Dovrei?” Chiesi confusa.
“No. Mi chiamo Robert. Robert Pattison.” E nel buio delle notte, in quella piccola stanza mi lasciai cullare dal suo respiro, che tranquillo mi aiutò a scivolare nel mondo dei sogni.


Quando la mattina mi svegliai ci misi un po’ per mettere a fuoco la stanza e ricordare dove fossi. Poi proprio mentre il sole, debole, filtrava dalle persiane semichiuse, ricordai ciò che la sera prima era accaduto. Voltai la testa e lo fissai. Era steso con un braccio dietro la testa. L’espressione rilassata di chi dorme, le labbra socchiuse. I suoi lineamenti erano familiari e all’inizio non capì perché.
Mi alzai e camminai a piedi nudi sul pavimento fresco dirigendomi in bagno: avevo bisogno di una doccia. La stanchezza del giorno prima era sparita dopo una lunga e rilassante dormita.
L’acqua calda scivolava sul mio corpo dalla pelle bianca, portava con se alcuni dei pensieri che mi affliggevano, in primis: mamma. Riuscì a non pensare a lei nemmeno quando uscì e mi avvolsi il corpo con un asciugamano verde. Il mio colore preferito. Asciugare la grande massa informe che avevo al posto dei capelli era quasi impossibile. Evitai con cura di guardarmi allo specchio. Ero piuttosto anonima come ragazza. Capelli rame, occhi verdi, viso sottile. Alta all’incirca un metro e sessanta, volendo essere generosi. Lo specchio, possiamo dire con fermezza, era il mio peggior incubo. Ma alla fine del mio aspetto fisico non mi interessava più di tanto. Il non passare ore a truccarmi o a scegliere i vestiti era un esempio lampante.
“Oh no.” Sussurrai non appena mi resi conto di aver lasciato i vestiti sul letto sfatto. “No no no.” Aggiunsi petulante. Mi sarebbe toccato uscire dal bagno. Entrare nella stanza. Nella stanza dove dormiva quel ragazzo. Uscire con solo un asciugamano addosso. Sospirai rassegnata e avvicinai l’orecchio alla porta di legno chiaro per cercare di capire se stesse dormendo ancora. Non proveniva alcun rumore.
Lentamente aprì la porta sbirciando. Lui era ancora steso, nella stessa posizione di prima. Sospirai di sollievo. In punta di piedi, nel massimo del silenzio, mi diressi verso il letto cercando di fare il meno rumore possibile e quindi evitare di svegliarlo. Afferrati i vestiti mi diressi verso il bagno. Afferrai la maniglia.
“E’ inutile tanto ero sveglio.” Mi voltai di scatto spaventata, come colta con le mani nel sacco. “Ho il sonno leggero. Carina con i capelli bagnati.” Aggiunse mentre io sgranavo gli occhi. Non dissi nulla, rossa in viso mi limitai a chiudermi nel bagno, senza smettermi di darmi della stupida e dell’idiota.
Bussò alla porta.
“Ehi guarda che mi serve il bagno.” Dopo qualche minuto aprì la porta asciutta e vestita. Era seduto sul letto con lo sguardo perso nel vuoto e i capelli arruffati.
“Si, buon giorno anche a te.” Nella mia voce avvertì una nota d’acidità e sperai che non se fosse accorto. Non mi andava di litigare a quell’ora del mattino. Si alzò e solo allora mi resi conto di quanto fosse alto.
“Certo, certo. Buon giorno.” E senza degnarmi di uno sguardo si diresse in bagno. Il tono con cui mi rispose sgonfiò tutte le mie buone intenzioni. E io che cercavo di essere gentile. Di certo, dopo quello, non gli avrei reso al convivenza una passeggiata. Sentì la rabbia salire mentre a gran passi mi dirigevo verso il letto. Sistemai la mia roba e uscì dalla camera sbattendo la porta con violenza. Lo sentì imprecare qualcosa, senza capire cosa a causa della spessa porta di legno.
Mi diressi verso la camera di Stephanie.
“Io non lo sopporto! Io non lo tollero.”
“Come?” Guardai due ragazzi dai capelli rossicci guardarmi in cagnesco. Diventai rossa in viso per la vergogna.
“Ehm. Ops, ho sbagliato stanza.” Sussurrai chiudendo in fretta la porta. Era la stanza 1634.
Feci qualche passo.
Stanza 1635.
Cercai un momento di cacciare indietro la penosa figuraccia di qualche secondo prima, vergognandomi ancora di più. Aprì la porta.
“Io non lo sopporto! Io non lo tollero!” Ripetei.
“Ma chi sei?” Una ragazza dai capelli neri e ricci mi fisso’ stralunata ancora nel mondo dei sogni. Balbettai delle scuse mentre Stephanie si metteva in piedi e mi guardava sbadigliando.
“Jane, perdona il suo stato mentale ma, poveri ha subito un trauma qualche anno fa. Continua a dormire.” La ragazza annuì col capo e si rimise a letto. Con la mano feci segno a Stephanie di uscire. Seguì gli ordini.
“Il mio stato mentale è impeccabile.” Sibilai.
“Sarà meglio per te avere una scusa plausibile. Nessuno osa svegliarmi in questo modo.” Mi fulminò con lo sguardo. “Lo sai bene.”. Alzai gli occhi al cielo. Particolarmente irascibile.
“Il tizio con cui divido la camera!”
“Tizio?” Chiese confusa trovando, d’un tratto interessante la conversazione.
“Si si. Un tizio assurdo!” Agitavo le ani in aria come un’ossessa. Fortunatamente fra i corridoi non si aggiravano persone o mi avrebbero presa per pazza.
“Aspetta. Non è una ragazza? E’ un ragazzo?” Chiese aggrottando le sopracciglia.
“Si Stephanie. E’ un ragazzo. Sai il sesso opposto a nostro!”
“Ma non è possibile!” Alzai gli occhi al cielo irritata. Lo sapevo anche io che non era possibile. Eppure…
“Sai la signora al piano di sotto no? Bhè, non ci sono più posti, quindi, devo dividere la stanza con un essere che non fa altro che farmi innervosire ogni secondo. E’ irritante.” Continuavo a gesticolare e a muovere la braccia. Stephanie me le bloccandomele lungo i fianchi.
“Stai tranquilla. Respira. Ci devi solo dormire lì. Puoi studiare in biblioteca, no?”Annuì inerme. Poi scoppiai a ridere.
“Cosa c’è ora?” Chiese allontanandosi.
“Nulla… i tuoi capelli.” Si voltò verso la finestra vendendo la sua sagoma riflessa.
“Oddio!” Esclamò scioccata da se stessa. “Sembro… sembro…”
“Tua nonna.” Dissi ridendo e trovandomi dopo alcuni secondi piegata in due dalle troppe risate.
“Mia nonna!” Scossi il capo. Fortuna che c’era lei.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Note dell’autrice: come avevo promesso, non e’ passato molto prima di postare. Fortunatamente il capitolo era gia’ pronto, come i prossimi due.
Cerchero’ di essere il piu’ veloce possibile nel postare, quindi nello scrivere.
In questo capitolo ci sara’ un nuovo personaggio e spero vi piacera’, anche se ho i miei dubbi.
Fatemi sapere come vi sembra!

Ed ora… ENJOY!

 

 


CAPITOLO III

 

“Le regole sono tre: studia, divertiti e fatti gli affari tuoi.” Eravamo sedute al tavolo del pub dell’ università. La compagna di stanza di Steph ci aveva, in un certo qual modo, preso sotto la sua protezione. Era all’ultimo anno, vicino alla laurea e al nostro secondo giorno di permanenza li ci stava dando qualche dritta.
Il locale era abbastanza grande, tavoli sparpagliati, musica in sottofondo, un grande bancone che il pomeriggio fungeva come punto di ristoro e di sera luogo per prendere da bere, a quanto mi era stato spiegato. Il bancone era di vecchio legno, logoro e consumato, ma aveva qualcosa di affascinate. I muri erano di un giallo chiaro che rendeva l’atmosfera luminosa anche con poche piccole finestre. Presi a sorseggiare la mia aranciata dopo aver addentato un pezzo del mio panino.
“Ovviamente chi vuole può chiedere di lavorare qui, ma la fila è talmente lunga e al posto vostro non pensieri nemmeno di prendere in considerazione l’idea.”
“Non pensavo di farlo.” Dissi scuotendo la testa prima di ingoiare un altro boccone.
“Bene. Ci ho provato un anno e non e’ bello. Rimani qui fino a tardi, se ti capita il turno serale, e ti perdi tutte la feste.” Scosse la testa inorridita al solo pensiero. Risi, debolmente.
“Però se volete guadagnare qual cosina in più senza muovervi dalla struttura, bhe, potete provare in biblioteca. Lì non ci vuole lavorare mai nessuno. Alzai di colpo il capo.
“Biblioteca?” Annuì col capo. All’istante mi si illuminarono gli occhi e con la coda dell’occhio vidi Stephanie alzare gli occhi al cielo.
“A chi devo chiedere?” Jane la ragazza di fronte a me mi guardò con aria perplessa.
“Alla signora Darcy.” La guardai. Scosse il capo. Chi era la signora Darcy?
“La bionda all’ingresso.” Spalancai gli occhi. Non era possibile. Non lei. Sbattei le palpebre qualche volta e sentì ridere Steph.
“Lei?” Chiesi balbettando.
“Cosa le hai fatto di male?” Sussurrò Jane. Mi guardai intorno con aria innocente.
“Io nulla.” Mi difesi e mi resi conto che la mia voce era particolarmente stridula.
“Sei strana Audry Morel. Molto strana. Solitamente è gentile con tutti.”
Incredula seguì Jane e Stephanie in biblioteca. Da sola mi diressi dalla signora Darcy. Acida, come mi si era mostrata precedentemente mi diede il lavoro in biblioteca. Fra un libro e l’altro, fra un aiuto e l’altro potevo anche studiare. Sarebbe stato… rilassante.


Stranamente riuscì a evitare il mio compagno di stanza, la notte andavo a dormire presto e lui rientrava tardi, al mattino stessa identica scena. Forse tutto era tremendamente facile perché anche lui evitava me. In questo li ero molto grata. Steph, che si era adattata benissimo al luogo e alle persone, a differenza di me, non era ancora riuscita a inquadrare il mio compagno di stanza e ne ero felice. Se li fosse andato a genio? Se li fosse stato simpatico come, quasi, tutti lì dentro? Sarebbe stata una tragedia, perche- lo avrei dovuto vedere più spesso del solito e non andava bene, nel modo più assolto dovevo stare alla larga da lui.
Quattro giorni dopo la mia chiacchierata con Jane presi a lavorare in biblioteca.
Avevo sempre amato i libri, sempre adorato leggere. Nonostante fossi un genio in matematica me l’ero sempre cavata egregiamente in lettere. Cosa che ovviamente non avevo ereditato da mia madre. Lei era un tipo… leggero.
Dopo aver seguito la mia prima lezione chi biologia all’ora di pranzo scesi in biblioteca dove addentai il mio panino. Fra un morso e l’altro presi a sistemare dei libri di Wilde. Di tanto in tanto ne sbirciavo il contenuto. Stavo scendendo dalla scala che mi serviva per raggiungere li scaffali più alti, quando circa al quarto scalino, scivolai travolgendo qualcuno.
“Maledizione mi stai schiacciando.” Mi alzai di corsa chiedendo scusa e aiutando il ragazzo che avevo pestato.
“Perdonami perdonami.” Supplicai. Era un ragazzo piuttosto alto con i capelli nero corvino e occhi nocciola. Mi fisso un istante negli occhi.
“Tranquilla. Non preoccuparti.” Disse guardando per terra. Sorrise tornando a guardare il mio viso.
“Mark Clever.” Disse porgendomi una mano.
“Audry Morel.” Dissi stringendola. Ci guardammo per qualche istante.
“Scusami ancora.” Sussurrai rossa in viso.
“Nah, non e’ la prima volta. Sai solitamente amo farmi schiacciar da ragazze carine.” Alla larga! Gridava una vocina nella mia testa. Ma in fondo, chi segue mai la propria coscienza?
“Studi qui?” Chiesi senza pensarci.
“Si. Seguo lingue. Tu suppongo di si.” Dire che la mia domanda era stupida, era fin troppo poco.
“Biologia.” Dissi in un risolino.
“Primo anno suppongo, non ti ho mai vista qui.” Annuì energicamente col capo. “Il tuo nome non è… di dove sei?”
“California. Long Beach. I miei sono francesi.”
“Ecco spiegato il nome.” Disse sorridendo, mostrando denti bianchissimi e perfetti.
“Mark!” Una voce maschile poco familiare lo chiamo. Lui alzò gli occhi al cielo sospirando.
“Arrivo!” Urlò voltando appena la testa. Poi tornò a guardare il mio viso.
“E’ stato un piacere conoscerti Audry. Un vero piacere. Spero di rincontrarti ancora.” E strizzandomi un occhio si allontanò.
“E’ stato un piacere anche per me!” Dissi alzando la voce di un’ottava in modo che mi sentisse. Mentre accelerava il passo, alzò una mano in segno di saluto.


Erano circa le otto quando rientrai in camera, circa mezz’ora prima la biblioteca era stata chiusa. Avevo un urgente bisogno di una doccia per togliere via la polvere che sembrava essersi attaccata alla mia pelle come colla. A quanto pareva nessuno faceva visita a quelli scaffali da tempo. Sospirai mentre giravo la chiave nella serratura. La luce era accesa. Notai subito i vari fogli sparpagliati sulla moquette, i libri sul piccolo tavolo, la finestra spalancata, Robert seduto a gambe incrociate sul pavimento con un grande libro sulle gambe, una matita dietro un orecchio. Distrattamente mentre leggeva mordicchiava il tappo di una penna.
Alzò lo sguardo fissandomi per qualche secondo.
“Ciao.” Sussurro prima di ritornare al suo libro. Risposi al saluto e posai la borsa sul letto attenta a non dare fastidio e soprattutto a non parlargli. Mi diressi verso l’armadio e aprendo l’anta feci cadere una scarpa. Sobbalzai e mi voltai verso Robert. Aveva gli occhi chiusi e le narici dilatate, le labbra contratte in una smorfia.
Non dissi nulla.
“Ti sarei grato se evitassi qualsiasi movimento che causi rumori eccessivi.” Sibilò.
“Certo.” Farfugliai. Presi la mia roba e mi diressi in bagno chiudendo la chiave.
L’acqua calda scendeva sul mio colpo. Riuscì a calmarmi e a rilassarmi. Pettinai il groviglio di capelli bagnati e lasciandoli umidi pulì il bagno, togliendo la mia roba. Robert aveva lasciato la finestra aperta rinfrescando la stanza, così optai per una tuta, invece dei soliti pantaloncini e canotta che usavo per dormire.
Sgranai gli occhi.
La porta non si apriva.
La porta era bloccata.
Cercai di non entrare nel panico.
“Aiuto!” Gridai nel totale panico. In bagno diventò sempre più piccolo, stretto.
“Robert!” Gridai sbattendo in pugni sulla porta.
“Che c’e’? Chiese irritato.
“Sono bloccata! La porta non si apre! Aiutami!”
“Gira la chiave no?” Mi fermai all’istante. Li sembravo per caso una cretina?
“Ovvio che l’ho girata!”
“Esci dalla finestra.” Rispose ovvio.
“Ma saremo almeno a dieci metri d’altezza!” Lo sentì sbuffare e dei passi si avvicinarono alla porta.
“Sicura di aver girato la chiave? Magari…”
“Si che l’ho girata la chiave!” Cominciavo a sudare freddo. Quel posto stava diventando troppo piccolo.
“Robert sono leggermente claustrofobica!” Urali nel panico mentre lui tirava la porta cercando di capir se non fosse solo colpa mia.
“Allora facciamo così: tu spingi e io tiro.”
“Okay, okay.” Poggia le mani sul legno e comincia a spingere.
“Sicura di spingere?”
“Sicuro di tirare?” Sbuffai.
Alcuni minuti dopo eravamo ancora allo stesso punto.
“Forse dovrei chiamare qualcuno.” Disse.
“Ma non mi…” Non feci in tempo a finire la frase che la porta di scatto si aprì. Lui si allontanò di scatto ma io non potei fare a meno di fermarmi finendo così su di lui. Due in un giorno.
Il mio viso a poche spanne dal suo. Rimasi pietrificata, non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo.
“Ti sarei grato che evitassi di rompermi le ossa.” Disse sarcastico. Pesavo appena sessanta chili.
Mi alzai velocemente scusandomi e, ovviamente, ringraziandolo.
“La prossima volta sta più attenta.” Sussurrò. Annuì col capo diventando probabilmente rossa.
“Mi dispiace.” Due in un giorno. Che fenomeno. Schioccò la lingua. Sorrisi e prendendo un libro mi sedetti a gambe incrociate sul letto.
“Chimica.”
“Sei qui per biologia?” Lo guardai confusa.
“Si. Come hai…?”
“Chimica, biologia, algebra... i tuoi libri parlano da soli.” Bhe effettivamente il mio letto ne era sempre pieno, ma non credevo avesse dato una sbirciata.
“Tu?” Chiesi e quasi avevo paura che mi rivoltasse contro, che rispondesse in malo modo, come spesso succedeva fra di noi, in quei pochi attimi in cui parlavamo.
“Architettura.” Sgranai gli occhi incredula.
“Cosa c’e’?” Sussurrò.
“Nulla.”
“Si è abbastanza complicato.” Rispose alla domanda che, probabilmente, era scritta a caratteri cubitali sul mio viso.
“A che anno sei?”
“Ho ripreso il secondo.” Aggrottai le sopracciglia.
“Presumo tu abbia… vent’anni?”
“Ventitré.” Aspettai che continuasse, ma non disse nulla. Ciò mi convinse a non insistere.
“Tu?” Continuò dopo un po’. Alzai lo sguardo dal libro e incontrai il suo sguardo. I suoi occhi, illuminati dalla fioca luce della stanza erano verdi e limpidi. Difficile non perdercisi. Deglutì cercando di trovare le parole che d’un tratto erano sparite.
“Diciannove.” Risposi con voce spezzata. Ma che ti prende?
Ritornò al suo libro e io al mio. Per il resto della serata nessuno dei due disse una parola. Ci tenemmo compagnia silenziosamente mentre studiavamo. Guardavo di tanto in tanto la sua espressione assorta, il modo in cui mordicchiava la penna, l’espressione contratta tipica di chi pensa. Il modo in cui si passava la mano fra i capelli arruffati, un gesto semplice e involontario. Lo osservai anche quando, poggiando il viso su una mano, cominciò a disegnare assorto. Poi le palpebre mi si fecero pensanti. Silenziosamente, senza nemmeno guardare che ora fosse, chiusi il libro poggiandolo sul comodino e infilandomi sotto le coperte. Mi guardò con la coda dell’occhio.
“Buona notte Audry.” Chiusi gli occhi voltandomi su un fianco, verso il muro al quale era poggiato il letto.
“’Notte Robert.”

 

 

*

ElfoMikey: ciao bella! Grazie, grazie di tutto! Per la recensione, per l’appoggio… per essermi amica! Sono contenta di sapere che ti sia piaciuto il capitolo, tantissimo! Audry piace tanto anche a me! Un mio personaggio che finalmente mi piace! Tu adori le mie storie? Bhe’, io adoro te!
narcissa82: ciao! Grazie, davvero non so che dire! Sono contenta che ti piaccia il mio modo di scrivere (anche se a me non tanto). Scrivere in prima persona pero; mi piace molto, soprattutto perche’ mi diverte e riesco a descrivere con piu’ facilita’ quello che sente il protagonista. Grazie per aver messo al storia fra i preferiti, grazie infinitamente! Per me e’ davvero importante. Alla fine non hai dovuto aspettare molto, no? XD
violae: salve! Si Aurdry mi piace molto e su Robert non mi esprimo *_* Sono felice di sapere che ti abbai divertito! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! Grazie per aver recensito, grazie mille!
Picci151: ciaoooo! Sono contenta tu l’abbia scoperta e sono contenta che ti sia piaciuta! Io m diverto a scriverla e sapere che diverte anche gli atri e’ una cosa bellissima! Grazie per aver recensito e spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! XD
doddola93: ciao! Alla fine lo hai letto! Sono contenta di sapere che ti piaccia! Come sai adoro il tuo modo di scrivere e sono felice che ti sia piaciuta la mia fic! Fammi sapere che ne pensi di questo capitolo! Mille grazie, davvero!

Grazie anche a tutti coloro che leggono senza recensire e chi ha aggiunto la storia fra i preferiti!

Alla prossima! Baci, Panda.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Note dell’autrice: eccomi qui gente. Ancor in ritardo per la stupida connessione che non reggeva e l’odioso computer che per una settimana è entrato in come, ma ora, finalmente, è tutto sistemato!
Per il piacere di un genietto, non faccio nomi, Daiana, oggi ho postato. Allora, qualcosa, anche se piccola, in questo capitolo succede. Non anticipo nulla e lascio a voi il “divertimento”.

Ed ora… Enjoy!

 

CAPITOLO IV

 

Mi sembra uguale a un dio l’uomo che siede
di fronte a te e ascolta da vicino
il dolce mormorio della tua voce
ed il tuo riso
che accende il desiderio. Io sento il cuore
scoppiarmi in petto: basta che ti guardi
per un istante, e non esce un solo
filo di voce,
ma la lingua si spezza e un fuoco scorre
sottile per le membra e un’ombra scende
fitta sugli occhi e rombano di cupo
suono le orecchie,
e m’inonda un sudore freddo, un tremito
mi scuote tutta, e sono anche più pallida
dell’erba e sento i passi delle morte
che s’avvicina.
Ma tutto è sopportabile giacché….
Saffo
poetessa greca, VII sec. a. C.

 

 

Mi svegliai la mattina dopo straordinariamente riposata.
Durante i giorni successivi le mie giornate funzionavano così: al mattino lezioni, pranzo, lezioni, biblioteca, studio. La parte più difficile, chissà per quale motivo, era rappresentata dalla sera. Quasi ogni giorno, eccetto feste del campus a cui decideva di partecipare, Robert e io ci facevamo compagnia con lunghi silenzi, mentre cercavamo di assimilare ciò che veniva spiegato durate le lezioni. Non volevo trovarmi troppo lavoro per gli esami. Preferivo fare tutto e per bene. Puntavo al massimo, d’altronde.
Avevo legato con qualche persona, oltre a Stephanie vedevo anche Jane e una ragazza conosciuta in biblioteca, Caroline. Di tanto in tanto mi imbattei anche in Mark.
Quella mattina ero in biblioteca, tutto era calmo, e non c’era molto lavoro da fare, così approfittai per leggere uno dei tanti libri che erano li. Ero seduta a gambe incrociate sulla moquette rossa, appoggiata con la schiena ad uno scaffale di legno scuro e massiccio.
“Audry! Non indovinerai mai!” La voce di Stephanie mi fece sobbalzare e si sedette accanto a me.
“Cosa? Ha trovato il punto dove fare il tuo fantasmagorico tatuaggio?”
“No, non ancora, anche se…”
“Arriva al sodo.” Si avvicinò al mio orecchio coprendosi la bocca con un mano.
“Guarda che siamo sole. Non c’e’ nessuno.” Non prese in considerazione in mio suggerimento.
“Mi hanno detto che al campus abbiamo un attore!” Sussurrò eccitata.
“Ah. Ma cosa devi dirmi?” Si allontanò fulminandomi con lo sguardo. Mi diede un scappellotto.
“Sei un’idiota!” Mi massaggiai il punto colpito che cominciava a pulsare.
“Ahi.” Mugolai.
“Era quello.”
“Oh.” La guardai confusa.
“Non sei eccitata all’idea?” La fissai per un breve istante. Scossi convinta il capo.
“Morel tu sei strana forte.” Sussurrò sgranando gli occhi.
“Me lo dicono in tanti.”
“Non sono riuscita a capire come si chiamasse però. Ho sentito delle ragazze parlarne, ma non hanno fatto nomi e poi lo hanno indicato, era su una panchina. Un gran bel tipo se devo essere sincera, e si sa ho dei gusti difficili ma quando si tratta di…” Si sedette accanto a me, la schiena poggiata agli scaffali, le gambe distese.
“Certo, certo.” La interruppi.
“Però ero in ritardo per cui non sono rimasta ad ammirarlo. Devo averlo visto da qualche parte. In un film intendo, ma non ricordo quale.”
“Per cosa eri in ritardo?”
“Il pranzo!” Ridacchiai scuotendo il capo. Non sarebbe cambiata mai e quella consapevolezza mi rendeva felice.
“Come va con il tuo amico?” Chiese esaminando il libro che mi aveva rubato dalle mani.
“Quale?”
“Il tuo compagno di stanza.” Disse dando una sbirciata alla prima pagina.
“Oh, lui. Bhe’, direi… normale. Non ci parlo molto e poi la nostra è un’antipatia reciproca. Andiamo d’accordo solo la sera, quando dobbiamo studiare.” Borbottò qualcosa ma non capì nulla.
“Speri ancora in un’altra stanza?”
“Sempre.” La sentì sospirare.
“Hai bisogno di uscire.”


Odiavo fare in bucato. Odiavo dover aspettare davanti ad una lavatrice in attesa che tutto venisse lavato.
Ero intenta a guardare i vestiti girare velocemente nell’acqua, assorta nei miei pensieri, riguardati un’ennesima volta, mia madre.
Quella mattina avevo ricevuto una sua chiamata. Ovviamente durante il suo soggiorno in Florida si era limitata a brevi messaggi vocali, in segreteria. Solo due volte. Dopo circa tre gironi dal suo ritorno a Long Beach ricevetti la sua prima vera chiamata, durata cinque minuti.
Ora devo scappare piccola, ti chiamo presto. Ti voglio bene. Furono le sue parole che si riappendere. Non avevo avuto il tempo di salutarla.
“Morel.” Non mi voltai, sapevo già chi era.
“Clever.” Gli sorrisi mentre poggiava la cesta della biancheria si una lavatrice, senza staccare lo sguardo dal mio.
“Come stai?” Chiese aprendo la portella.
“Bene, anche se terribilmente stanca. Tu?”
“Bene, direi.” In silenzio, per i minuti successivi, mise la sua biancheria in lavatrice. Dopo si sedette sulla poltroncina accanto alla mia.
“Allora, Audry… che si dice da quelle parti?” I suoi occhi nocciola si illuminarono all’istante.
“Bhe’… studio, biblioteca, libri.”
“Non esci mai?” Chiese titubante. Deglutì.
“Direi di… no.”
“Mmm.” Lo vidi riflettere un momento. “Stasera in un locale c’e’ della musica dal vivo. Ti andrebbe di… venire con me? Ho un amico che suona li e insomma…”
“Certo.” Non gli diedi nemmeno il tempo di finire. Se fossi uscita Steph non mi avrebbe dato il tormento. Mi sembrava buono come piano.
“Alle otto all’ingresso?” Annuì sorridente.
Ma il motivo era davvero Staphanie?


Tornai in camera che erano circa le sette. Robert non era in camera, il letto intatto. La sua roba sistemata.
Dopo essermi fatta una doccia, asciugata i capelli rame, mi misi qualcosa di semplice, che sembrava potesse andar bene. I miei soliti jeans scoloriti, una camicetta blu. I capelli che in dolci onde ricadevano sulle spalle.
Esci con un ragazzo? Le parole di Stephanie non abbandonavano la mia testa, la sua voce non cessava. Sbuffai, mentre mi infilavo la giacca e la grande borsa di cuoio a tracolla.
Feci un respiro profondo e mi diressi giù per le scale. Mark era già li, all’entrata.
“Sono in ritardo?” Chiese cordiale. Consapevole di essere stata precisa come un orologio svizzero.
“Oh no, ero in anticipo. Waw… sei… carina.” Disse deglutendo rumorosamente. Sorrisi ancor di più, lusingata dal suo comportamento.
“Andiamo?” Chiesi. Annuì col capo e uscimmo dalla struttura.
Salimmo sulla sua auto, nera e tirata a lucido. Piccola, ma spaziosa all’interno. Durante il piccolo viaggio, parlammo del più e del meno, senza discorsi impegnativi. Mi disse che era di New York, ritrovatosi lì per colpa di un amico. Parlammo principalmente di lui, non amavo parlare di me, era una cosa che mi risultava particolarmente difficile e angusta. Sembrò non capirlo.
Quando arrivammo nel locale erano quasi le nove, forse. Non era molto affollato, nell’aria aleggiava un odore di alcool e fumo. Un piccolo palco era improvvisato in fondo alla stanza, su di esso degli strumenti e un piano forte, nero, lucido. Dei tavoli era disposti in maniera ordinata e il pavimento di legno, che scricchiolava ad ogni mio passo, era opaco, a differenza del lucido bancone che si trovava della parete frontale all’entrata. La luce era debole, creava un’atmosfera… intima. Il mormorio delle persone faceva da sottofondo ai miei pensieri.
“Facciamo così: tu scegli un tavolo mentre io prendo da bere. Cosa preferisci?” Ci pensai un momento.
“Birra, direi.” Annuì e si allontano accarezzandomi un braccio. Scelsi un tavolo, aggirandomi fra di essi, nell’angolo, tranquillo, la fila più esterna. Mi tolsi la giacca. E mi voltai per vedere Mark. Lo vidi parlare con qualcuno, un ragazzo castano di spalle. Intravide il mio sguardo e scusandosi, prese i due bicchieri e si diresse verso di me, sorridendo.
“Ecco a te. Fra un po’ dovrebbe cominciare.”
“Grazie.” Bevvi un sorso, scese fredda e ghiacciata. Sentì la gola congelarsi.
“Che musica fanno?” Chiesi poggiando i gomiti sul tavolo, tenendomi il viso con la mani.
“Mah, un po’ di tutto. Non so di preciso cosa, oggi. Molte volte sono solo improvvisazioni, ma quelle, bhe’, vengono fatte al piano e sono… davvero rilassanti.”
“Vedremo.” Dissi. Era facile stare con lui. Semplice. Era di buona compagnia e si poteva parlare tranquillamente senza essere a disagio. Proprio come mi capitava per Stephanie.
Parlammo ancora, questa volta delle sue band preferite. Avevamo gusti differenti. Lui amava le pesanti chitarre, i ritmi veloci e feroci delle batterie. Io amavo le chitarre veloci e leggere, il tamburellare leggero della batterie, il suono cupo e forte dei bassi. Io ero più… soft, in un certo qual modo. Ma non sgradivo di certo alcuni pezzi che lui amava tanto. La musica classica, che lui sembrava odiare. Ero talmente presa dalla conversazione, come anche lui, che non ci rendemmo conto del ragazzo che si posizionò davanti al piano nero. Non notai i suoi sguardi fugaci e furtivi sul piccolo pubblico. Sentì dolci e lente note librarsi nell’aria, avvolgermi, entrarmi dentro, fino a fondersi con le mie ossa.
Alzai lo sguardo ammaliata, da tanta bellezza. Vidi il suo corpo snello, seduto sullo sgabello. La testa china e concentrata, le labbra serrate, la mani che lente si muovevano sui tasti d’avorio. Incrociai il suo sguardo perplesso quando alzò il capo. Sgranò gli occhi. Le labbra si dischiusero appena, come per dire qualcosa ad un immaginario microfono.
“Bravo eh?” Non risposi alla domani di Mark. Non avevo la forza. Fissavo il suo viso, la sua espressione che dalla sorpresa si tramutava in… rabbia?

 


*


Doddola93: Genio! Sono felicissima che tu abbia letto! I tuo parere sta davvero diventando importante! Che dire? Mark probabilmente dopo questo lo odi, ma non e’ colpa mia! E’ colpa loro! Inserirti nella storia… mmm… interessante. Sono contenta che Audry ti piaccia come personaggio, la mia fantasia ha qualche possibilita’ forse! Spero la scena finale ti sia piaciuta, per me e’ davvero importante! *.* Grazie, grazie mille! A presto bella!
Dea1907: ciao! No, il film non l’ho mai visto. Mark perfido? Vedremo… spero ti sia piaciuto questo capitolo! XD
Narcissa82: ciao! Waaaaa! Sono contentissima di sapere che il capitolo ti è piaciuto, non sai quanto! Spero ti sia piaciuto anche questo. La fine l’ho lasciata in sospesa e sarà ripresa nel capitolo successivo che è già pronto! A presto!
Picci151: Mark? Mark… non è così male dai! Nel prossimo saranno svelati alcuni tuoi dubbi. Davvero te lo vedi architetto? Mmm… ci ho preso allora! XD
Last_Sunrise: ciaoooo! Sono contenta tu abbia recensito! Davvero ti piace? Ecco a te il capitolo! Grazie, grazie mille!
ElfoMikey: mio mostriciattolo! Robert carino… forse si, forse no… lo scoprirai! Davvero ti è piaciuta la prima frase? *_* Grazie, grazie di tutto! <3
Pucciat_: salve! La trovi originale? Grazie, davvero, non so cosa dire! Ci tengo molto a questa storia, davvero tanto! Il loro rapporto conflittuale mi piace, strano ma vero. Forse l’unica cosa che mi convince realmente. A presto, e grazie mille!

A voi,
Panda.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Note dell’autrice: salve gente! Eccomi qui, con il quinto capitolo! Spero con tutto il cuore che vi piaccia!
Allora, vediamo un po’… non succede nulla di (relativamente) eclatante. Qualcosina ci sarà in questo il capitolo, ma non vi anticipo nulla.

Quindi.. enjoy!

 

 

CAPITOLO V

 

 

La tua immagine abita tra il mio occhio
e la mia palpebra chiusa. Il tuo ricordo
s’insinua in ogni battito
del mio cuore…

Le mille e una notte, XII-XVI sec.


 

Guardai sbalordita il piano, anche dopo che Robert ebbe lasciato il palco. Per il resto della serata, dopo quello scambio di sguardi, non mi guardò più.
Che mi fossi sbagliata? Li, sul quel piccolo palco improvvisato, con l’espressione, a volte rilassata, a volte contratta dalla concentrazione, la fronte corrugata, la labbra arricciate, il sorriso, l’irritazione, sembrava un'altra persona. La voce calda, le labbra che mi muovevano lente sul microfono. Perplessa e senza parole non riuscivo a togliermi dalla tasta la sua immagine, il suo corpo sullo sgabello, la linea sottile e snella del suo addome.
“Ehi, tutto okay?” Mi voltai verso Mark che, ovviamente, si era accorto dalla mia aria assente.
“Non dirmi che ha incantato anche te con il suo carisma.” Borbottò. Sorrisi e scossi il capo.
“No, no.” Mentì. “Mi chiedevo se…”
“Cosa?” Fissai per un momento il tavolo logoro. Maledetta boccaccia.
“Ti andrebbe… di fare in giro?” Chiesi. Fu la prima cosa che mi saltò in mente.
“Certo!” Le sue labbra carnose si aprirono in un largo sorriso.
Ci alzammo.
“Solo un attimo.” Sussurrò, e, prendendomi per mano, mi guidò verso il bancone. Feci attenzione a non sbattere contro i tavoli e le sedie.
“Rob!” Esclamò allegro. Il ragazzo si voltò mostrando una schiera di denti perfetti, gli occhi limpidi e chiari. Lo guardai scioccata e sgranai gli occhi.
Stupida, stupida, stupida!
“Ciao Mark.” Sussurrò poi lui con al fronte corrugata, senza degnarmi di uno sguardo, il che mi irritò parecchio.
“Bravo come sempre. Ehm… ti presento…”
“Audry.” Lo interruppe Robert, freddo. Mi rivolse uno sguardo, duro e truce. Se gli sguardi avessero potuto uccidere probabilmente mi sarei trovata a terra, priva di vita.
“Robert.” Risposi con la stessa freddezza e lo stesso distacco, cercando di controllare il tremare della ma voce.
“Vi conoscete?”
“Purtroppo si.” Risposi.
“Purtroppo?” Ribattè lui, irritato e forse un po’… deluso.
“A quanto vedo dispiace anche a te.” Sibilai sentendo la rabbia montare. Odiavo quando qualcuno mi si rivolgeva in quel modo. Non rispose. Prevedibile.
“Qualcuno si degna di chiarirmi un po’ le idee?” Sbottò Mark irritato dalle nostre battutine acide.
“E’ la mia compagna di stanza, al campus.” Mark aprì automaticamente la bocca, sorpreso. Chiudi quella fogna, avrei voluto dirgli, ma mi sembrava piuttosto sgarbato. Optai per il silenzio.
“Compagna?” Ripetè lui incredulo.
“Sei sordo per caso?” Robert incrociò le braccia al petto e sposto il tutto il suo peso sulla gamba destra.
“Non c’erano più posti.” Risposi in un sussurro. Mark sbattè le palpebre, troppo velocemente.
“Non mi avevi detto di avere una ragazza.” Serrai la mascella non appena quelle parole uscirono come uno sputo dalla bocca di Robert.
“Io non sono la sua ragazza.” Mi guardò torvo, digrignando i denti. Senti Mark afferrare la mia mano e trascinarmi via. Non mi ero nemmeno accorta di aver avanzato, avvicinandomi a Robert, e che il suo viso era a poche spanne dal mio, rosso di rabbia.
“Credo sia meglio andare. Si è fatto tardi.” Lo sentì sussurrare mentre ci dirigevamo verso la porta. Lanciai un’ultima occhiata alla sua espressione, contratta per la rabbia. Avrei voluto fare marcia indietro e dargli un pugno in pieno viso, ma uno, Mark non me lo avrebbe permesso e due, la convivenza con Robert sarebbe stata ancora più difficile di quanto si presentava dopo quel momento. Ah, terzo… probabilmente avrebbe avuto lui la meglio, in caso si sentisse di picchiare una ragazza che le arrivava appena sopra la spalla.
Per tutto il tragitto per arrivare al campus stemmo in silenzio.
All’ingresso dalla grande struttura in pietra lui parlò.
“Sei la prima che reagisce così con lui.” Mi voltai perplessa.
“In che senso?”
“Bhè, solitamente tutte gli cascano ai piedi per ciò che fa.” Enfatizzò le ultime parole aiutandosi con le mani.
“Non vedo cosa ci sia di nuovo in qualcuno che suona il piano. Un sacco di ragazzi sono bravi, come lui.” Mi costò ammetterlo.
“Suonare… il piano?” Chiese incredulo. Alzai un sopracciglio. Sorrise e scosse il capo.
“Si, certo. Tutto okay, Mark?” Domandai preoccupata mente un risolino usciva dalla sua bocca.
“Mai stato meglio.” Disse annuendo. Gli sorrisi.
“Anche se non capisco perchè tu ce l’abbia con lui. Siamo amici da tempo ed è… un tipo a posto.” Sussurrò le ultime parole, senza esprimersi troppo. Ridussi gli occhi a sue fessure.
“Okay, okay. Non mi riguarda.” Gli fui grata per aver ceduto.
“Il mio sguardo inceneritore funziona, eh?” Gli diedi una gomitata e strizzandogli un occhio. Rise. Una risata dolce e sincera.
“Credo sia meglio se torni in camera prima che lo faccia lui. Se ci tieni al tuo amico.” Aggiunsi borbottando. Mi stampò un bacio sulla guancia.
“A domani.” Non mi aveva dato la buona notte, questo implicava che lo avrei rivisto la mattina seguente. Non mi dispiaceva.
“Ciao ciao, Mark. E’ stato un piacere.”
“Oh no, il piacere è stato tutto mio.” Sorrisi, divertita.
Dopo essermi svestita e infilata sotto le coperte, il viso che vidi, la voce che sentì, le immagini, non appartenevano al ragazzo che pochi minuti prima avevo salutato. Appartenevano a quel ragazzo che silenziosamente, in quel preciso istante, entrò in camera, facendo accelerare vertiginosamente il battito del mio cuore ed il mio respiro. Cos’era a causarlo? Non riuscivo a dare una risposta a quella domanda, almeno non ancora. Cercai di immaginarlo, udendo i suoi passi leggeri sulla moquette, mentre si aggirava per la stanza in cerca della sua maglia e dei suoi pantaloni grigi di tuta. Lo immaginai sfilarsi la maglia prima i entrare in bagno, dove aprì l’acqua. Sentì il getto picchiare rumoroso sul fondo. Mi sorpresi a immaginare così tanto su di lui. Mi sorpresi e mi diedi ancora della stupida, mentre scuotevo il capo e mi rannicchiavo sotto le lenzuola.
Cancellare quel viso dalla mia mente fu impossibile… per tutta la notte.


La luce filtrava dalla finestra, illuminando fastidiosamente il mio viso. Sbattei le palpebre e strizzai gli occhi non ancora abituati alla luce del giorno. Mi misi a sedere. La porta del bagno si aprì, Robert uscì con i capelli bagnai, l’acqua li aveva resi più scuri. Non mi guardò, fissava il pavimento, le labbra chiuse in una linea retta.
Sbadigliai.
“Ciao.” Sussurrai con voce piatta e ancora impastata dal sonno. Fece un cenno con la testa a mo’ di saluto, senza aprire bocca. Bene, anche di primo mattino.
Scossi la testa.
“Hai finito col bagno?”
“Si.” Un monosillabo sussurrato, appena udibile. Il suo tono però era acido. Cercai di mantenere la calma, che solo con lui sembravo perdere in pochi istanti e ciò di certo non contribuiva a mantenermi tranquilla, era una reazione a catena.
Per alcuni istanti, la sera prima, avevo creduto di aver esagerato. Avevo supposto che forse ero io a non vedere ed essere ceca. Forse ero io che non permettevo una convivenza semplice con quel ragazzo. Forse ero partita io col piede sbagliato, forse lui non c’entrava nulla… bhè forse un pochino. Alla sua reazione però, la sua freddezza, la sua scortesia, il suo malumore, la sua acidità in poche ore mi avevano convinta del contrario. Lui c’entrava ed era tutta colpa sua.
Sentì la porta sbattere. Sobbalzai nella doccia, mentre l’acqua calda mi scivolava sul corpo.
Fui assalita dalla rabbia.
“Sei morto Robert Pattinson.” Sibilai a denti stretti.


“Salve.” Un sussurro al mio orecchio. Mi voltai e mi ritrovai davanti al viso una margherita.
“Ciao!” Risposi guardando i suoi occhi nocciola, sorridendo.
“Ho deciso di invitarti al cinema.” Lo guardai perplessa.
“Cinema?”
“Non ti piace?” Scossi il capo.
“Adoro andare al cinema.” Sorrisi e presi fra le mani la margherita.
“E’ un si?” Increspai le labbra.
“Dipendaeda che vorresti farmi vedere.”
“Non saprei. A te la scelta.” Fissai il pavimento..
“Bhè, mi sembra un’ottima idea. Anche se non so quanto ti convenga. Sono piuttosto noiosa.” Dissi guardandolo negli occhi.
“Correrò il rischio”
“Cercherò di esserlo il meno possibile.” Sorrise e prima di scappare via, mi baciò una guancia.


Camminavo sulla verde erbetta del campus diretta in biblioteca. In teoria avrei dovuto trovare silenzio, tanto silenzio, e invece non fu possibile. I miei pensieri era chiassosi, si muovevano nella mia testa col rumore di mille auto da corsa. Andavano e venivano, l’auto si avvicinava silenziosa, si aggirava per un po’ nella mia testa rumorosa, e poi andava via e il suo rumore piano svaniva per far spazio, ovviamente, a un’altra auto. Terribilmente tutto frustrante, perchè non riuscivo a liberarmi di quei pensieri, anche se avrei voluto con tutta me stessa.
Tutti si muovevano attorno a me caotici. Ridevano, scherzavano, qualcuno tentava anche di studiare, approfittando di quella pausa pranzo, ma era impossibile farlo lì. Per questo mi stavo dirigendo in biblioteca. Alcuni si dirigevano al pub-ristoro pranzo del college, e fu lì che vidi ciò che probabilmente era meglio non vedere. Sentì all’improvviso la rabbia montare, gli occhi automaticamente mi si ridessero a due fessure e digrignai forte i denti. Alzai il passo e Stephanie mi notò… non appena lei fui davanti.
“Che stai facendo?!” Ringhiai… letteralmente.
“Ciao anche a te Audry.” Rispose lei quasi imbarazzata. Mi fulminò immediatamente lo con lo sguardo.
“Cosa stai facendo?” Ripetei ancora cercando di fissare i suoi occhi e non l’individuo accanto a lei.
“Come cosa sto facendo? Audry? Tutto okay?” Chiese preoccupata, alzandosi. Probabilmente potevo sembrare una pazza, ma non lo ero ancora del tutto…. Forse.
“Ciao Morel.” Mi voltai e probabilmente gli occhi mi diventarono rossi dalla rabbia.
“Hai deciso di rendermi la vita un inferno Pattinson?” Quasi urali. Roteo gli occhi e si alzò a fronteggiarmi, o meglio, a sovrastarmi. Era abbastanza più alto di me.
“Lo conosci? La conosci? Okay, c’è qualcuno che vuole spiegarmi cosa sta accadendo?” Ignorai le parole di Stephanie, fissai i suoi occhi azzurri piano d’odio, la sua espressione contratta dalla rabbia. Ero una ragazza, non avrebbe alzato le mani su di me. Già, lui no… ma io si. E se anche lo avesse fatto, bhè, ero pronta a correre il rischio.
Gli diedi uno spintone, allontanandolo da me.
“Audry!” Gridò Stephanie prendendomi per un braccio.
“Non mi toccare!” Urali scrollandomela di dosso. Attorno a noi si era accalcata una piccola folla, ma la ignorai. Per Jane tutto sarebbe stato controproducente alla mia popolarità.
“Tu sei matta.” Sbottò Robert. Cercai inutilmente di mantenere la calma,ma il sangue mi ribolliva nelle vene. Fu allora che la migliore amica mi trascinò via, scusandosi con Robert. Quando fummo lontane si decise a parlarmi.
“Ma che ti è preso?”
“A me?”
“Si!” Mi sedetti, incrociando le gambe, sull’erbetta verde e sbuffai.
“Non puoi socializzare col nemico.” Sussurrai. Piano la rabbia stava svanendo e subito mi resi conto della mia reazione esagerata. Mi diedi, inevitabilmente, della stupida.
“Il nemico? Cavolo Audry, è il tipo di cui di parlavo l’altro giorno! Sai… l’attore! Quale nemico?!” Alzai lo sguardo su lei, perplessa a occhi sbarrati. “Non hai mai avuto con nessuno una ragione del genere. Un secondo… non sarai mica gelosa? Audry!” Mi alzai di scatto. Già, la calma era la mia caratteristica. Razionale e paziente. Due aggettivi che mi descrivevano alla perfezione. Eppure, in quel ragazzo, c’era qualcosa che mi faceva andare in escandescenza, che mi faceva salire il sangue al cervello, e non ero più responsabile delle mie azioni.
“Gelosa? E’ il mio compagno di stanza! Quello che odio con tutto il cuore! Non credevo fosse… il tuo bell’attore.” Le ultime parole uscirono in un sussurro.
“Cosa? Il tuo compagno di stanza?”La sua voce aumento di qualche ottava, risultando un suono acuto e stridulo. Annuì.
“E non me lo hai presentato?” La fulminai con lo sguardo.
“Come facevo a saperlo io?” Sbottai.
“E lo odi?” Incrociai le braccia al petto.
“Lo detesto.” Sibilai.
“Hai seri problemi ragazza.” Detto questo mi tirò per un braccio facendomi alzare e, circondandomi le spalle con un braccio, e ci dirigemmo verso la biblioteca.

 


*


Grazie a tutti colore che leggono senza recensire e chi ha messo al storia tra i preferiti. Grazie, grazie infinite!
Doddola93: tesoro! *.* Ti ho mai detto che il tuo parere per me è importantissimo? Forse si… anzi, se senza il forse! Io non sono un genio, sono solo una mezza pazza che fa ciò che ama fare. Tu sei il mito, e non scherzo. Mark ti sta antipatico? Ma come mai? E’ così simpatico… XD Non potevo non inserire Caroline! Grazie, grazie di tutto bella. Grazie dal profondo del cuore! <3
pucciat_ : ciao! Ansia? Waw… non credevo di fare questo effetto. Grazie per i complimenti! Cerco sempre di mettere tutta me stessa nelle storie e cerco di render decentemente le emozioni dei vari personaggi. Sono felicissima di sapere che ti sono arrivate! *.* Spero questo capitolo ti sia piaciuto. Grazie, grazie ancora!
ElfoMikey: moglie! *.* Se mi dici certe cose io mi sciolgo. Spero di non averti delusa,mostriciattolo! <3


A voi, Panda.

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Note dell’autrice: salve gente! Eccomi qui con il sesto capitolo!
Fortunatamente sto riuscendo a postare senza ritardi, come precedentemente. Il computer mi è amico ultimamente!
Piano paino qualcosa sta succedendo e le prossimo capitolo… basta non parlo più o vi racconto tutta la storia!
Il capitolo lo dedico al mio Genio che oggi ha un esame al conservatorio! Buona fortuna, dolcezza!
Vi avviso, nel prossimo capitolo c’è azione. Questo è più che altro un’introduzione.

 Ed ora… enjoy!




CAPITOLO VI

 

 

Come il giacinto che i pastori pestano per i monti,
e a terra il fiore purpureo sanguina.

Saffo, fr. 105 b Voigt

 

 

 “Ho sentito parlare di una ragazza che ha fatto una scenata di gelosia per Pattinson.” Sgranai gli occhi e fissai Jane.
“Non era una scenata di gelosia!” Ribattei. Lei alzò lo sguardo con espressione confusa, poi guardò Stephanie intenta a divorare un piatto di pasta.
“Era lei.” Disse annoiata quella che era la mia migliore amica.
“Cosa hai fatto? Vuoi rovinarti la carriera?” Sibilò. “Ti piace Pattinson? Ma hai bevuto? Quello è troppo per te.”
“Ora non esageriamo, ragioniamo razionalmente. Primo: è un essere infimo. Due: non c’entra nulla la mia carriera. Tre: non mi piace. Quattro: caso mai, sono io a essere troppo per lui.” Presi a bere la mia soda, fiera della mia risposta.
“La tua amica è strana.” Sussurrò poi a Stephanie che, mentre mangiava, leggeva Peter Pan, o meglio, la mia copia sbrindellata di Peter Pan.
“Lo so.”
“Ehi! Vi sento!” Alzarono entrambe, contemporaneamente gli occhi al cielo.
“Io me ne vado.” Disse alzandomi, molto irritata.
“Perchè?” Chiesero in contemporanea.
“Perché, miei cari Pincopanco e Pancopinco, devo studiare e poi uscire.”
“Con un ragazzo?”
“Mark?”
“Si Jane, un ragazzo. Si Stephanie, Mark.”
“Mark Clever?” Guardai incuriosita Jane.
“Si… Mark Clever. Lo conosci?”
“Oh certo. Lavorava qui l’anno scorso.” Annuì. Mi chiesi se fossero usciti insieme, ma non parlai. Eppure, quel pensiero, non mi irritava per nulla.
“E poi è il foglio della signora Darcy.” Aggiunse mentre mi allontanavo. Mi bloccai dov’ero, voltandomi lentamente.
“La signoria Darcy?” Chiesi con voce stridula.
“Si.” Riducendo gli occhi a due fessure mi allontanai maledicendo quel poco di sale in zucca che avevo.


Entrai n camera come una furia e lo vidi, lì, sul letto. Una matita dietro un orecchio, mordicchiava il tappo della sua biro assolto. Alzò istantaneamente lo sguardo, fulminandomi con una sola occhiata. Sbuffai ed entrai decisa, e, soprattutto, molto irritata. Combattuta tra rabbia e vergogna. Col senno di poi, mi accorsi che la mia reazione era stata, forse, troppo esagerata, ma per qualche strano motivo con lui mi era difficile mantenere la calma. La mia impeccabile pazienza, era sparita da quando avevo iniziato a studiare lì. Meglio dire, da quando ero entrata per la prima volta in quella stanza.
Cercai di mantenere l’autocontrollo, di non mostrare il mio viso, sul quale era dipinta un’espressione fra la vergogna, il risentimento, la rabbia, l’irritazione. Mi avvicinai al letto e presi i libri che mi servivano. Non mi rivolse parola, non mi degnò di uno sguardo. Mi diressi verso la porta a grandi passi. Uscendo, sbattei la porta.
Con i libri in mano mi diressi in biblioteca, dove avrei trovato silenzio e dove nessuno mi avrebbe disturbato. Ma di certo, al mio autocontrollo fu messo ancora a dura prova perchè, mentre camminavo fra i corridoio, tutti si voltavano a guardarmi.
Maledizione, pensai.
Allungai il passo rifugiandomi fra gli scaffali della biblioteca.
Precisamente dinanzi ai miei occhi avevo le opere di Shakespeare. Sfiorai i libri polverosi e ne presi uno. Romeo e Giulietta. Un classico della letteratura di quel tempo, mi risposi di rileggerlo… un giorno, dopo la lingua lista di libri che mi era annotata sul taccuino che mai abbandonavo. Il prossimo, dopo quello attuale,
Anna Karenina, sarebbe stato Peter Pan… ancora.
Nelle ore successive il tempo per studiare fu davvero poco. La signora Linton mi aveva chiesto di catalogare dei vecchi libri, cosa che, ovviamente feci con grande piacere. Respirai fin troppo polvere e comunicai a starnutire. Non ero allergica alla polvere, ma d’altronde, da fastidio a tutti. Quando ebbi finito mi sedetti ad uno dei tavoli per gli studenti, con l’intenzione di studiare.
”Non ci dovresti lavorare qui?” Alzai lo sguardo mentre cercavo nella borsa la mia matita.
”Fungo solo da aiuto.” Fissai i suoi occhi nocciola, sorridendo.
”Ciao.” Disse allegro sedendosi sulla sedia davanti alla mia.
”Ciao.” Risposi prima di tornare alla ricerca della matita sperduta.
”Cosa cerchi?”
”La mia matita. Ero sicura di averla presa prima. La penna è ancora qui. L’ho usata per catalogare.” Risposi scuotendo la testa. Si, ne ero sicura e dato che ero sicura, che la pazzia non si fosse ancora del tutto impadronita di me, doveva essere da qualche parte. Cercai sulla moquet rossa, su tavolo scuro, mi voltai cercandola dietro di me, ma nulla, la matita non c’era.
”Ehm… Audry?”
”Si?” Lo vidi alzarsi dalla sedia e sporgersi verso di me. Il suo viso a poche spanne dal mio e potevo avvertire il suo respiro, il profumo di limone che mi colpì in pieno viso. Trattenni il fiato quando alzò una mano portandola dietro la mia testa. Sentì i capelli cadermi delicati sul collo e fu allora che ricordai.
”L’hai usata come fermacapelli.” Sussurrò porgendola, senza allontanarsi però da me. Sentì le guance avvamparmi di rossore mentre fissavo la matita che avevo, ora, fra le mani. Feci una piccola risata isterica.
”Giusto. L’avevo dimenticato.” Dissi imbarazzata mentre lui tornava a sedere sulla sua sedia.
Rise diverto e ancor di più sentì il viso tingersi di rosso.
”Non credevo fossi così… istintiva.” Disse aprendo un libro.
”Come?” Aggrottai la fronte, non capendo cosa intendesse.
”Molti al campus parlano della tua scenata.” Sgranai gli occhi e serrai le labbra in una linea retta.
”Cosa?!?” La mia voce si era alzata di qualche ottava, uscendo come un suono strozzato e acuto.
”Anche tu cotta di Pattinson? Credevo non ti piacesse… dopo il pub…” Nella sua voce c’era rammarico e tristezza.
”Io cotta di quello? Oh no, no, no. Le cose qui sono state fraintese. Io odio quel ragazzo. E’ il mio peggior incubo. Non mi sono arrabbiata perché ero gelosa di lei, ma perché la mia migliore amica non può socializzare con il nemico. E mi sorprende che qui ne parlino tutti.” Sbuffai incrociando le braccia al petto. Lo sentì soffocare una risate.
”Perché ridi ora?” Chiesi irritata.
”Perché sei la prima ragazza che dice di odiare Robert.” Abbassai lo sguardo e sorrisi imbarazzata.
”E’ un bene?”
”Assolutamente si… per me.” Sorrise e i suoi occhi si illuminarono.
”Sssh.” Sentimmo bisbigliare al tavolo accanto al nostro.
Fu allora che mi alzai e mi sporsi sul tavolo, avvicinandomi al suo viso. Posai un bacio, leggero e delicato sulla sua guancia. Un tocco veloce e fugace. Ritornai a sedere.
Sul suo viso sorpreso, l’ombra di un sorriso. Imitandolo cercai di concentrami sul mio libro… con molto insuccesso.


Quando la sera successiva scesi al pian terreno, vicino l’ingresso, lui era lì ad attendermi. Le mani nelle tasche dei jeans scuri, poggiato al bancone dell’entrata, il viso verso… la signora Darcey.
Sbuffai dirigendomi verso i due che parlavano e ridevano tranquillamente. Quando la signora mi vide sul suo viso di dipinse un’espressione irritata e scocciata.
”Cosa vuoi ora?” Sbotto guardandomi con aria piena di sufficienza. Aprì la bocca per replicare, ma Mark si voltò, alle parole della madre, sorpreso.
”Audry.” Esclamò raggiate. La signora Darcey si voltò a guardarlo con occhi sgranati.
”Ciao Mark.” Risposi sorridendo. La signora dietro il bancone, sulla sua sedia di tessuto rosso strabuzzo gli occhi alzandosi da essa.
”Vi conoscete?” La sua voce si era alzata di qualche ottava.

”E’ la ragazza di sui ti parlavo mamma.” Sussurrò lui imbarazzato. Feci un risolino e lui mi sorrise flebilmente.
”Ah… lei.”
”Audry, mamma. Mamma Audry.” Feci un piccolo passo in avanti con sorriso più finto che fossi stata capace di fare in tutta la mia giovane vita.
”Si la conosco.” Sbotto lei acidamente tornando a sedere. Sentì l’irritazione salirmi.  Feci un respiro profondo affondando le mani nella tasche dei pantaloni.
”Andiamo?” Chiesi spazientita. Odiavo quella donna.
”Si.” Mi voltai a mi diressi verso la porta principale.
”Grazie mamma. Gentile come sempre.” Lo sentì sussurrare mentre aprivo la grande porta di vetro. Risi scuotendo il capo. L’idea di irritarla mi allettava davvero tanto, in quel momento. Mi aveva allettato sin dalla prima sera. Avrebbe potuto dare a qualcun altro quella stanza, invece volle infliggermi quella atroce sofferenza: dividere la camera con un ragazzo che qualsiasi cosa facesse ti faceva ribollire il sangue nelle vene…perfino quando respirava.
”Mi dispiace.” La voce di Mark mi riporto alla realtà, facendomi distaccare dalla fitta rete di pensieri nel quale ero caduta. “Solitamente non è così… odiosa.”
”Oh tranquillo. Tua madre mi odia dal giorno in cui ho messo piede in questo posto.” E così, gli raccontai tutta la storia. Il primo incontro con la signora Darcey, Robert, il secondo incontro, l’odio che lei nutriva per me. Per tutto il viaggio in macchina non fece altro che ascoltare l’accaduto, ridendo di tanto in tanto, contagiandomi.
Arrivammo nel parcheggio, al cinema. Scesi dalla sua auto tirata a lucido, ci dirigemmo verso l’edificio.
Ero tranquilla e quella notte si prospettava tale, ma ovviamente la mia sfortuna non poteva aver fine.
Alzai lo sguardo incontrando quello di un ragazzo che mi fece ribollire all’istante il sangue nelle vene.

 


*

 doddola93:Genio! Io non sono fenomenale, sono solo… non normale XD Sono contenta di sapere che ti sia piaciuto il capitolo precedente, ripeto, il tuo parere conta tantissimo! E io mi diverto farli litigare! Nel prossimo capitolo succederà qualcosa e ne prossimo ancora… okay, sto zitta! Grazie per aver recensito! Grazie, grazie mille! Ti voglio bene! <3
ElfoMikey: ciao! Eccomi qui con il capitolo! Spero ti è piaciuto questo anche se un po’ noioso e piatto. Davvero ti piace Audry? Grazie Grè, grazie davvero! <3 Ti adoro!
narcissa82: sta tranquilla, davvero! L’importante per me è che tu li abbia letti e che ti siano piaciuti! Loro sue nella stessa stanza non possono strare… forse. Farli litigare mi risulta automatico, ma non sempre. Si probabilmente ha fatto male ma… okay ora va a finire davvero che ti anticipo tutto. Questo capitolo ammetto che è un po’ noioso, anzi lo so perché è così, ma davvero nei prossimi capitoli ci sarà più azione. Speri ti sia piaciuto questo! Grazie ancora!
pucciat_: ciao! Sono contenta di saper che sé piaciuto il capitolo, davvero tanto! *_* I tuoi complimento non li merito tutti, sono solo una povera pazza che fa un qualcosa che le piace XD Spero comunque questo capitolo ti sia piaciuto, lo spero con tutto il cuore! Grazie per al recensione, grazie davvero cara!

 
A voi, Panda.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 

Note dell’autrice: salve gente! Eccomi qui con un nuovo capitolo!
Vi dico solo che all’interno vi è una piccola sorpresina… ma di certo non dico cosa! Solo una parola: Robert.
Okay, la pianto, a voi i giudizi!

Enjoy!

 

CAPITOLO VII

 


Simile ad una tempesta di primavera, Dionidoro,
il mio cuore segue le onde incerte del mare.
Ora una grande pioggia, altre volte appari sereno,
e ridendo riversi tenerezza dagli occhi.
Io, come un naufrago sopra i marosi, misuro le onde cieche,
sbattuto qua e là dalla tremenda tempesta.
che possa sapere qual è il mare in cui sto nuotando.
Meleagro, Antologia Palatina, XII, 156.

 

 

Immobilizzata guardavo il suo viso, gli occhi azzurri, le labbra distese in un sorriso che si spense nell’esatto momento in cui vide me e Mark. Accanto a lui c’era una ragazza, dalla linea perfetta, il viso d’angelo, lunghi capelli del color dell’oro e occhi scuri come la notte.
Lei si voltò a guardare il suo viso indurito e seguì la direzione del suo sguardo che portava dritto a me.
”Rob?” Mark si avvicinò a lui, che subito sposto distolse lo sguardo da me.
”Ehi, Mark.” Sussurrò lui con l’ombra di un sorriso sul viso. Non mi avvicinai, rimasi lì in disparte, irritata guardando altrove, almeno fino a che Mark non mi invitò a raggiungerlo. Con passo pesante e strisciato mi diressi verso i due che parlavano. Sorrisi alla barbie che mi guardava con aria sprezzante, ma non ci feci caso. Il suo cervello, probabilmente, non riusciva a contenere più di un concetto alla volta.
Robert non on si degnò nemmeno di una parola, un segno, un cenno. Non si degnò nemmeno di guardarmi. Tutto questo sarebbe dovuto essermi indifferente, per come io era fatta, ma sin dal mio arrivo al college, tutto era cambiato, ed ero sicura solo di chiamarmi Audry. Tutto aveva subito un vertiginoso capovolgimento. Quel ragazzo, mi stava facendo impazzire. Iniziavo a dare di matto ed ero sicura che, se avrebbe continuato così, avrei avuto una crisi di nervi. Alla luce di tali pensieri, sentì, ancora, la rabbia montarmi. Sbuffai e Robert si voltò a guardarmi. Il viso indurito dalla rabbia e l’irritazione.
”Nessuno ti costringe a restare.” Sbotto incrociando le braccia la petto. Lo imitai.
”Qui sei tu di troppo, Pattinson.” Ringhiai.
”Ah si?” La sua impertinenza e sfacciataggine mi dava ai nervi.
”Si. Io sono qui con Mark.”
”Okay, ragazzi. Tranquilli!” Disse lui circondandomi le spalle con un braccio. Lui seguì quel movimento con lo sguardo, fissò la mano di Mark che accarezzava la mia spalla. La sua fronte era aggrottata e le labbra serrate. Scosse il capo guardando poi in basso. Mi mossi sul posto irritata.
”Ci vediamo, Mark.” Sussurrò prima di alzare lo sguardo su di me. Qualcosa cambiò. Fu come se i suoi occhi, il suo sguardo, mi penetrasse, sotto la pelle, fino alle ossa. Come se i suoi occhi si fondessero con i miei, un amalgamato di cielo ed erba primaverile. Un espressione che non seppi decifrare, che mi lasciò scossa. Sgranai gli occhi, prima di sbattere le palpebre qualche volta. Un azzurro che ardeva. Trattenni il fiato, mentre il mio cuore perdeva un battito. Abbassò lo sguardo, per poi andare via. La barbie mi fissò incredula e confusa, per un attimo, poi lo seguì.
”Audry?” Non mi voltai quando sentii la voce di Mark cercare la mia attenzione. Rimasi a guardarlo mentre si allontanava, mentre entrava in una sala. Scossa e confusa, un po’ come la ragazza che gli era accanto.
”Audry? Tutto okay?” Scossi il capo riprendendomi e mi voltai sorridente.
”Tutto okay.” Risposi mentendo.
”Non si direbbe. Mi dispiace. Davvero, non credevo voi vi odiaste così… tanto.”
”Nah, sta tranquillo.” Risposi sorridendo e scuotendo il capo, tanto che i capelli color del rame mi finirono davanti al viso. Portò una mano su di esso, spostandomeli e portandoli dietro ad un orecchio. Il suo viso piano si avvicinò al mio e, per qualche strano motivo, fui presa dall’ansia. Così, mi ritrassi, senza essere troppo brusca.
”Allora, lo vediamo questo film?” Dissi cercando di alleggerire la tensione. Lui annuì, flebilmente visibilmente rammaricato. Ci dirigemmo alla biglietteria e nella mia testa si alternavano immagini. I suoi occhi erano come marchiati a fuoco nella mia mente. Il colore dei suoi occhi, il loro ardore, erano vividi in essa, dai colori sfavillanti, come se fosse ancora, lì, dinanzi a me. Scossi il capo cercando di cancellarle… con grande insuccesso. Sbuffai, frustrata.
Solo dopo capii il perché.


”Aurdy? Tutto okay?” Mi voltai verso Stephanie che mi scrutava dietro il suo bicchierone di birra fresca.
”No. No che non va tutto bene.” Dissi poggiando la fronte sulla braccia conserte, poggiate sul tavolo. Mi accarezzò i capelli affettuosamente.
”Che ti succede?” Sussurrò.
”Non lo so. Non so più nulla.” Ma in verità il mio cuore urlava la risposta, ed io troppo ceca ed orgogliosa non volli ammetterla, forse, semplicemente perché, non ne ero ancora consapevole.
”C’entra Mark?”
”Anche…”
”Anche? C’entra Pattinson?” Alzai di colpo il capo fulminandola con lo sguardo. Lei alzò gli occhi al cielo sbuffando. “Allora perché hai detto anche?” Poggia la testa sul tavolo, questa volta. La guancia che premeva sul legno scuro, gemendo.
”Audry…”
”No, lui… non c’entra. O forse si. Ma non per quello che pensi tu. La convivenza sta diventando pesante, e non riesco ad avere un altro posto. Forse c’è possibilità fra una settimana.” Dissi strascinandomi le parole con tono piatto.
”Capisco. Vedrai che si risolverà.” Mi disse mettendomi davanti al viso il suo hot dog. “Ed ora, cara, affoga i tuoi dispiaceri nel cibo.” Allontanai il piatto mettendomi diritta ed appoggiandomi allo schienale della sedia.
”Non ho fame.” Allora mi porse il suo bicchiere.
”Affoga i tuoi dispiaceri nell’alcool.” Allontana anche quello.
”Io me ne vado in camera. Questa festa non la sopporto.” Mi guardai intorno e il locale, non molto lontano dal campus, ero immerso in una cappa di fumo. Nell’aria aleggiava odore di sigarette e alcool. Arriccia il naso e presi al mia giacca.
”Ma dai, non vorrai lasciarmi da sola. Devi avere una vita sociale!” Mi rimproverò.
”C’è Jane con te.”
”La ragazza che ci sta provando da un’ora con il barista? Oh, di certo io non la conosco.” Disse alzando le mani in segno di innocenza.
”Qualcuno dovrà riportarla sana e salva. E quel qualcuno sarai tu, casa Stephanie.” Sbuffò prima di poggiare il viso su una mano.
”Non sbronzarti anche te.”
”Cero, certo.” Le scompigliai i capelli e, infilandomi al giacca, uscì da quel locale. Faceva caldo lì e la gente era troppo per i miei gusti. La musica alta che non faceva altro che aumentare la mia emicrania.
Il campus distava poche centinai di metri dal locale, sarebbe stata una belle passeggiata al frescure della sera se qualcuno non mi avesse disturbata.
Affondai le mani nella mia giacca verde stringendomi in essa.
Sentì dei passi dietro di me, pesanti e chiassosi, una mano si poggio sulla mia spalla facendomi trasalire. Mi costrinse a voltarmi mostrandomi il suo volta, l’iride azzurro cielo in netto contrasto con nero della notte.
”Pattinson?” Chiesi guardandolo con aria confusa. Sul suo viso vi era stampato un largo sorriso.
”Audry!” Disse lui raggiante. “Ti ho mai detto che si splendida?” Sentì ancora il sangue ribollire nelle vene, poi guardia i suoi occhi lucidi.
”Cavolo ma sei ubriaco.” Dissi sbuffando ed allontanandomi da lui.
”Non del tutto.” Disse barcollando.
”Ma fammi il favore.” Con uno strattone allontanai la sua mano e ripresi a camminare. Lo sentì subito di fianco a me.
”Dove vai?” Chiese e quasi inciampò nei suoi stessi piedi.
”A dormire.”
”No, rimani con me.” Mi voltai mettendomi le mani sui fianchi. Fissai i suoi occhi perdendomi per qualche attimo in quell’azzurro limpido come il mare. Il suo sguardo si fece serio mentre suo respiro, impregnato d’alcool, mi colpì in pieno viso. Indietreggiai mentre il suo sguardo penetrava il mio e non fui capace di scappare, di voltare il capo, fu come se i suoi occhi imprigionarono i miei, li catturarono senza possibilità di fuga, di ribellione. I miei piedi, spostandosi piano l’uno dietro l’altro, si allontanavano da lui, lui che avanzava con occhi ardenti, le labbra dischiuse. In pochi istanti mi ritrovai con le spalle contro il muro freddo, che costeggiava il marciapiede. Il suo viso a poche spanne dal mio, gli occhi che non mollavano i miei. Il respiro corto, il muoversi velocemente del mio torace, le vertigini che mi assalirono quando poco le labbra sulla mia guancia, quando piano si spostarono sul mento, sul collo, sfiorando la mia pelle con delicatezza. Un tocco che mi provocò tremolii e brividi. Intrappolata mi abbandona alle mie sensazioni, bloccata dalle sua braccia poggiate sul muro, accanto alla mia testa. Il suo profumo mi invase le narici penetrando nei polmoni. Seguì il profilo della mia mascella prima di allontanarsi.
”Non mi odiavi?” Disse ridendo. Sentì la rabbia montare e gli diedi una spintone, scollandomelo di dosso. Perse l’equilibrio e cadde per terra.
”Sparisci!” Ringhiai riprendendo a camminare rossa in viso per la collera. Lo sentì gemere e mi voltai. Chino sulla strada cercava di rialzarsi, con grande insuccesso. Sbuffai e alzando le mani al cielo mi diressi verso si lui.
”Vieni, ti riposto al campus.” Così portando un suo braccio intorno alle mie spalle lo guidai, a fatica, verso gli alloggi. Non potevo lasciarlo lì, i sensi di colpa subito mi pervasero. Il buon senso aveva superato al collera. L’unica consolazione era che, l’indomani, non avrebbe ricordato nulla.


Quando arriva in camera Robert si reggeva appena in piedi. Per tutto il tragitto non fiatò, fortunatamente, forse perché troppo stanco e ubriaco. Lo condussi a fatica verso il suo letto, dove lo aiutai a distendersi.
Chiuse gli occhi gemendo.
”Ti prendo dell’acqua.” Mi diressi verso il mio letto, sul quale vi era il mio zaino. Tirai fuori una piccola bottiglia e gliela porsi. La finì in pochi attimi. Una gocciolina d’acqua gli scese lunga il mento, percorrendo al pelle chiara del collo. Mi costrinsi a distogliere lo sguardo, alzandomi dal letto sul quale mi ero seduta per aiutarlo a bere.
Lo sentì afferrarmi il polso. I suoi occhi ardevo e sul suo viso vi era l’ombra di un’espressione intrisa di paura.
”Non andare via.” Sussurrò. Fui colpita da tali parole, come una secchiata d’acqua gelida. Sgranai gli occhi sorpresa.
”Io… non…” Le parole mi morirono in gola.
”Ti prego.” La sua voce era ormai pari ad un sussurro appena udibile. Sospirai chiudendo gli occhi.
”Non vado via.” Non so cosa mi convince a rimanere lì, a sdraiarmi accanto a lui, ad accarezzargli i capelli mentre poggiava la testa sul mio petto e mi circondava l’addome con un braccio. Non so quale parte di me mi impedì di alzarmi da quel letto prima delle cinque del mattino, sistemandomi nel mio letto. Non so cosa cambiò in me quella notte, ma in fondo, ero io a non volerlo ammettere.

 

 

*

Doddola93: tesoro! Che bello trovare la tua recensione! Allora, che ne pensi di questo capitolo? Spero ti sia piaciuto, lo spero davvero tanto! Se io sono bravissima, allora convinciti, che lo sei anche tu! Grazie davvero di tutto, grazie! Gli occhi mi brillano quando leggo le tue recensioni! Ti voglio bene! <3
ElfoMikey: ciao! Ecco qui il settimo capitolo! Sono contenta di sapere che ti è piaciuto il capitolo e spero di non averti delusa con questo! Chi hai incontrato Audyr?... boh… XD
narcissa82: ciaooo! Sono contenta che tu non lo abbia noioso, ance se per me lo era. Sei una delle poche che mi dice di trovare Mark interessante. Lui è così innocente e la competizione si, ci vuole… per lui. Sul finale non anticipo nulla, nel modo più assoluto! XD Spero questo capitolo non ti abbai delusa… grazie mille per la recensione! Grazie!


A voi, Panda.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Note dell’autrice: perdono perdono perdono!
Se non si fosse capito chiedo perdono per l’enorme ritardo, ma non ho avuto tempo, la settimana scorsa, né di scrivere, né di postare, per via della scuola.
Sommersa da compiti, interrogazioni e verifiche, fortunatamente per il momento le acque si sono calmate, ed eccomi qui con un capitolo che spero sia di vostro gradimento.

Ed ora… enjoy!

 

CAPITOLO VIII

 



You're just a sad song with nothing to say
about a life long wait for a hospital stay
and if you think that I'm wrong,
this never meant nothing to you
at all, at all...
Disenchanted, My Chemical Romance.

 


Il sole filtrava dalle persiane della stanza, illuminando fastidiosamente il mio viso.
Aprii piano gli occhi sbattendo più e più volte le palpebre. Fissai il soffitto color del latte prima di volgere lo sguardo alla mia destra, verso il letto di Robert. Era vuoto. Mi misi a sedere guardandomi intorno, scrutando oltre la porta del bagno, ma quella era aperta, e non vi era nessuna traccia di Robert, né della sua presenza. Mi presi il viso tra le mani, ricordando ciò che era accaduto la notte precedente. Sospirai passandomi una mano fra i capelli ramati e scuotendo il capo.
Mi alzai diretta nel bagno, di certo una doccia calda mi avrebbe schiarito le idee, fatto ragione. Nella mia testa vi era troppa confusione, far chiarezza sembrava un’impresa ardua e impossibile, ma dovevo provarci, perché vivere nell’indecisione e nell’insicurezza era la cosa che odiavo di più.
Sbuffai irritata dai miei pensieri.
La doccia fortunatamente ebbe l’effetto che desideravo, per metà. Mi sentivo più calma e rilassata, ma la le auto da corsa erano ancora in movimento nella mia testa. Mi vestii velocemente e con i capelli ancora bagnati uscii dal bagno in cerca del mio asciugacapelli perduto. Ma quando varcai la soglia mi bloccai. Seduto sul bordo del suo letto c’era Robert. Lo sguardo basso e i capelli scompigliati. Alzò lo sguardo e sul suo viso vi era l’ombra di un sorriso. Le guance gli si tinsero di rosso, mentre alzava un sacchetto bianco e un bicchiere di caffè.
”Ti ho portato la colazione.” Disse alzandosi e venendo verso di me. Corrugai la fronte, confusa.
”Perché?” Abbasso lo sguardo alzando un angolo della bocca.
”Ecco… volevo ringraziarti per ieri… per avermi riaccompagnato.” Chinai il capo sorridendo e scuotendo il capo.
”Oh, tranquillo.” Risposi mentre mi porgeva la colazione. Per qualche assurdo e inspiegabile motivo sentii il viso avvamparmi di rossore e il cuore aumentare i battiti, quando, per una frazione di secondo le mie dita sfiorarono le sue.
”Ho trovato solo quelle ricoperte di glassa al cioccolato.” Dondolò da un piede all’altro, imbarazzato. Sorrisi divertita da tale comportamento e per un momento dimenticai tutto, il rancore, l’odio, la rabbia. Tutto.
Guardai all’interno del sacchetto e vi trovai un paio di ciambelle.
”Amo quelle al cioccolato.”
”Ah, sono anche le mie preferite.” E ancora mi persi nei suoi occhi, dimenticando le dita che sembravano stessero andando a fuoco mente mantenevano il bicchiere di caffè. Il mio sguardo fu imprigionato dal suo.
”Ne vuoi una?” Chiesi dirigendomi verso il mio letto. Lui rimase, lì, in piedi fermo, come combattuto se sedersi accanto a me, o andare via congedandosi. In fondo, noi eravamo nemici giurati… no?
Fisso il pavimento per qualche attimo, poi scuotendo il capo si diresse verso di me. Incrocia le gambe, poggiandomi al muro. Presi una ciambella e gli porsi il sacchetto.
”Non dovresti asciugarti i capelli?” Ingoia un pezzo di ciambella.
”Si, ma prima faccio colazioni. Muoio di fame.” . Rispose con un risolino, rimanendo sempre sul bordo del letto.
”Se ho fatto cose che non avrei dovuto fare…ti chiedo di perdonarmi.” Sussurrò guardandomi.
”Tranquillo… non hai fatto nulla.” Mentì. Non mi andava di litigare, almeno non in quel momento, in cui per la prima e seconda volta, dipende dai punti di vista, stavamo parlando come persone normali e civili.
Rise e la sua risata calda e roca si diffuse nella stanza.
”Ti sei svegliato presto questa mattina.” Osservai, bevendo un po’ di caffè.
”Si.Io…” Lo scrutai un momento mentre voltava lo sguardo verso la finestra.
”Cosa?” Lo sentii sospirare prima di stringersi nelle spalle.
”Volevo … ecco io sono uscito a prenderti al colazione.” Strabuzzai gli occhi qualche volte, incredula. “Per farmi perdonare, per la notte scorsa.” Annuì col capo. “Ma ora non ti montare la testa.” Aggiunse alzandosi. Ecco come rovinare un momento perfetto, di totale tranquillità. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene mentre la rabbia montava sempre di più.
”Non ti montare la testa?” Sibilai a denti stretti, chiudendo gli occhi.
”Si.” Scattai in piedi rossa in viso. “Non ti montare la testa?” Ringhiai su tutte le furie rossa in viso.
Si voltò, lentamente riducendo gli occhi a due fessure.
”No osare urlare con me!” Parole che uscirono dalla sua bocca come uno sputo.
”Io urlo quanto mi pare!” Mi avvicinai a lui dandogli uno spintone. Indietreggiò di qualche passo e finì sul pavimento, inciampando in una mia scarpa. Il suo respirò accelerò e i suoi occhi si riempirono d’odio. Scatto in piedi ed istintivamente indietreggia spalancando gli occhi. Le sue mani erano percosse da leggeri tremolii e in pochi istanti mi ritrovai i suoi viso, furioso, a pochi centimetri dal mio.
”Non provarci mai più.” Sibilò a denti stretti, sovrastandomi. Si voltò, diretto a grandi passi verso la porta.
”Ma che problema hai!?” Gridai prima che aprisse la porta. Non so perché non stetti zitta, sarebbe stata la cosa migliore… o la cosa peggiore. Non riuscivo a tenere la lingua ferma e la bocca chiusa, non con lui perlomeno. Lentamente si voltò a guardarmi ed io, ferma lì, con cuore che batteva talmente forte che sembrava volesse squarciami il petto, lo fissavo, senza distogliere il mio sguardo.
”Che problema ho?!” Le labbra sigillate prima in un linea retta si dischiusero.
”Si! Cavolo non ti ho fatto nulla! Se sei arrabbiato col modo non prendertela con me! Non hai capito nulla, come al solito!” Gridai alzando le braccia al cielo, scuotendo il capo.
”Scusami tanto. Tanta fatica e non ho capito nulla. Grazie per avermi illuminato, Audry.” Disse con voce monocorde e piena di rammarico. La sua espressione, il suo volto, la sua voce, i suoi occhi ardenti mi lasciarono spiazzata. Il suo viso nel giro di pochi istanti, era totalmente cambiato. Come se fosse caduto nell’ombra, il suo animo, come se lo avessi detto qualcosa che lo aveva ferito nel profondo, qualcosa che forse non potevo sapere.
Mi morsi la lingua.
Chinò il capo scuotendo la testa. Aprì la porta e la sua figura sparì altre esse.
”Robert…” Sussurrai.


Il vento fresco di intrufola in ogni angolo della mia maglia, mi scompigliava i lunghi capelli ramati, mi accarezzava dolcemente il viso. Il sole stava tramontando illuminando le fronde degli alberi che si ergevano in cortile. La giornata era passata, senza essere stata vissuta. La discussione avuta con Robert al mattino mi aveva cambiato l’umore. Tutto sembrava essere cominciato per il meglio, per finire per il peggio. Presi il caffè che avevo poggiato affianco a me, sul muretto del tetto della grande struttura del campus e ne bevvi un sorso. Ancora il vento sul viso.
Che stessi sbagliando?
Darmi risposte, in quel periodo, era un’impresa ardua. La mia mente era un agglomerato di neuroni che litigavano fra loro, facendo solo un gran baccano, facendo il tifo alle auto da corsa. Tutto si era svolto così lentamente e inaspettato, che mi ritrovai a pensare ancora, come tutto il giorno e il giorno precedente a… Robert. Vedevo il suo viso, i suoi occhi, le sue labbra, nella mia mente. La sua voce sembrava un dolce eco di alcuni miei pensieri.
Che avessi frainteso? Se fossi io il problema?
Sospirai, scuotendo il capo.
Ero arrivata fin lì con l’intendo di dare certezza alle mie incertezze, ma avevo ottenuto l’effetto contrario. Delle incertezze si erano fatte largo, aggiungendosi alle altre.
Sbuffai irritata dai miei stessi pensieri, da me stessa, tanto che non sentì la porta aprirsi e dei passi avvicinarsi a me.
”Ehi.” La voce di Stephanie fece breccia fra i miei pensieri, facendomi sobbalzare.
”Ehi.” Le risposi con l’ombra di un sorriso sul viso. “Credevo di essere in un mosto lontano dal mondo, in cui nessuno avrebbe potuto scovarmi.”
”Se vuoi vado via.”
”Ma no, sciocca. Non intendevo questo, lo sai.” Le dissi dandole una leggere gomitata, dopo che si sedette accanto a me. Fece un risolino.
”Ti stavo cercando.”
”Come hai fatto?”
”Bhe, vedi Audry, tu sei un tipo abbastanza strano. Di certo non sei un tipo particolarmente socievole. Sono andata in biblioteca e lì non c’eri, l’ho dovuta anche perlustrare a fondo, è stato traumatico.” Risi passandomi una mano fra i capelli. “Di certo non potevi essere in posti pieni di gente, in camera tua non… “ Non finì la frase e gliele fui grata. “Ecco ho cercato di pensare con la tua testa ed eccomi qui.” Finì con un largo sorriso.
”Sei un genio.”
”Nah… Caroline ti ha vista dalla finestra della biblioteca.” Scoppiai a ridere dopo una tale affermazione. Ed io che credevo fosse frutto del suo sacco. “L’ho sempre detto che sei un tipo strano, ho davvero provato a pensare come Audry Morel, ma cara mia, è davvero un’impresa. Arrivare in Alaska a piedi sarebbe più semplice.”
”Magari un giorno lo farai.”
”E morire di fame per una stupida pianta selvatica? No grazie, passo.” Disse scuotendo il capo e alzando le mani. Risi prima di bere un sorso di caffè.
”Che ci fai qui?” Ovviamente non potevo passarla liscia.
”Nulla.”
”Audry?”
”Si?”
”Spara.”
”Non ce nulla.” Dissi volgendo lo sguardo al tramonto, al sole quasi scomparso oltre l’orizzonte.
”Non mi inganni. Non sei brava a mentire.” Sospirai, oramai rassegnata.
”Sono venuta per pensare.” Risposi vaga.
”A cosa.” Sospirai.
”Pattinson.” Sgranò gli occhi, poi la sua espressione si addolcì per mostrare un sorriso. Così gli raccontai quelle che era successo il giorno precedente e la mattina stessa.
”Lo sapevo.”
”Cosa?”
”Ti piace.” Scossi il capo.
”Hai frainteso.”
”Ne sei sicura?” Il suo sguardo penetrò il mio, si legò ad esso impedendomi di sostarlo altrove.
”… no…”

 

*

AlessandraMalfoy: ciao bella! Sono contenta di sapere che il capitolo precedente è stato di tuo gradimento e spero che anche questo ti sia piaciuto. La parte dei fissa la muro è stato un parto scriverla XD Grazie, grazie di tutto!
doddola93: socia, mio adorato genio! Grazie! Sai quanto contino per me le tue recensioni *_* nah, io scrivo soltanto, e non so come fai a dire che tutto questo sia stupendo, davvero non lo so. Ma sono contenta di sapere che lo pensi, dato l’opinione che io o di te. Sapere che ciò che scrivo ti piace mi rende felicissima. Grazie tesoro, grazie davvero! <3
ElfoMikey: ciaooooo! *_* Adori come scrivo? Bhe, forse me lo hai detto qualche volta XD Grazie honey, grazie davvero. Finalmente qualcuno che adora Mark! Sei un mito, un vero mito. Grazie di tutto, grazie davvero. <3
pucciat_: speravo in una tua recensione! Io fantasia? Stiamo parlando della stessa persona? Grazieeeee! Cavolo non sai quanto mi faccia piacere sapere che la fic ti piaccia, dato che ti reputo davvero brava a scrivere. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. E ancora grazie! =*
OkikkaO: ciao! Sul serio ti piacciono? Oddio, grazie! *_*
Fairwriter: ciao! Mi hai lasciata seriamente senza parole. Sapere che Audry ti piace come personaggio mi rende felicissima… come sapere che il resto della storia ti piace! Per me è davvero importante! Tifo per Mark? Finalmente un’altra! XD A presto e grazie infinite per la recensione!
cloddy_94: ciao! Se devo essere sincera l’unica cosa che davvero mi piace di questa fic è il rapporto amore-odio creatori tra i due ( che devo ammettere non c’era quando ho pensato la trama della fic). Ho cercato di postare il più presto possibile e spero questo capitolo ti sia piaciuto XD

A voi, Panda.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Note dell’autrice:
Imperdonabile.
Chiedo perdono.
Siate clementi.
Il cavo del mio computer è andato all’oltre tomba, lasciandomi sola. Ecco spiegato l’enorme ritardo. Ma, grazie un angelo, non faccio nomi Dod, che mi ha rinviato i miei file ho potuto postare.
la storia piano si sviluppa e delle cosucce vengono a galla nella nostra Audry, ma di certo non sarò qui ad anticiparle.
Ed ora, senza perdermi in stupide chiacchiere…

Enjoy!

 

CAPITOLO IX

 

Ascolta il tuo cuore.
Esso conosce tutte le cose.
L’alchimista, Paulo Coelho.

 

 

Quella notte Robert non dormì in camera. Passai tutto il tempo con le orecchie tese, in uno stato di dormiveglia, sperando che tornasse. Lo speravo, certo, ed ero convinta che fosse perché la lite avvenuta quella mattina aveva forse superato tutte le nostre numerose liti, superando ogni limite. Era il mio peggior nemico ma era sempre una persona che, a quanto parava, per qualche oscuro motivo e ragione, avevo ferito. Mi sentivo in colpa, ovvio, ma ancora non avevo capito il reale motivo di tanta ansia. Troppo orgogliosa e cieca per vedere la realtà con occhi diversi, da un’altra prospettiva. Chiusa nelle mie stupide convinzioni, nel mio piccolo mondo, per vedere realmente ciò che mi stava accadendo intorno, ciò che stava accadendo in me, i cambiamenti e le rivelazioni celate e soffocate all’interno del mio cuore.
Riuscii a dormire qualche ora, forse. La mattina seguente mi alzai con un gran mal di testa e due occhiaie tendenti al violaceo. Davanti allo specchio cercai di dare un ordine ai capelli arruffati, senza grande successo, fu per questo che decidi di raccoglierli in una cada. Sospirai scuotendo il capo rammaricata.
Con passo strisciato e il capo chino mi diressi verso la porta di legno scuro, con la borsa a tracolla, contenente i libri. Afferrai la maniglia ma la porta si aprì di scatto facendomi cadere all’indietro. Davanti a me si ergeva la figura snella e slanciata di Robert. I capelli erano più arruffati del solito, gli occhi arrossati e lucidi, due occhiaie evidenti quasi quanto le mie, se non di più. Il suo sguardo incrociò per pochi attimi il mio, poi si fu spostato altrove. Non disse nulla, le sue labbra erano chiuse in una linea retta, l’espressione vacua. Fu come se il mio stomaco fosse stretto in una morsa, e potei avvertire quasi dolore fisico. Non riuscivo a comprendere tale espressione o tale comportamento. Non riuscivo a capire in cosa lo avessi ferito. Fra di noi c’era sempre stato odio, no? Forse con qualche mi frase avevo toccato un tasto dolente per lui, o una ferita non ancora rimarginata.
Mi alzai dal pavimento, rimettendomi diritta. Lo guardai dirigersi verso il bagno con un asciugamano in mano.
”Cosa vuoi?” Chiese freddo. Aprii la bocca per rispondere ma le parole mi morirono il gola. Scosse il capo e passandosi una mano fra i capelli strine la maniglia della porta.
”Scusa.” Sussurrai. Si bloccò sulla soglia e sposto la testa leggermente di lato.
”Vattene.” Sibilò prima di chiudersi la porta alle spalle. Rimasi pietrificata, incapace di muovermi per minuti che sembravano infiniti. Potevo sentire il getto d’acqua battere sul fondo della doccia e sul suo corpo. Mi voltai e con occhi bassi mi diressi fuori per una boccata d’aria.


”Posso farti una domanda?” Mi voltai verso Caroline che aveva poggiato dei libri su un tavolo vuoto della biblioteca. Annuii col capo guardandola negli occhi.
”Cosa c’è fra te e Pattinson?” Alzai le sopracciglia sorpresa. Lei si sfilò gli occhiali poggiandoli su un libro.
”Fra me e lui?” Chiesi con un filo di voce, appena percettibile. Lei annuì.
”Nulla. Perché?” Lei fissò un attimo il pavimento.
”Ieri l’ho sentito urlare con la signora Darcy.”
”Cosa c’entra quella vegera?” Corrugai la fronte confusa.
”Diceva che non ce la fa più, che tu lo stai esasperando e che vuole un’altra camera. Ma lei ha detto che non è possibile al momento. Ed è strano.”
”Perché?”
”Bhe, si potrebbe tranquillamente fare un cambio. Per questo lei e Robert hanno litigato. Ma perché ha tutta questa impazienza di andarsene da quella stanza?” Chinai il capo e sospirai.
”La signore Darcy mi odia e sa che io e lui non andiamo d’accordo.”
”Dici che ci gioca su questo?”
”Si. E forse potrebbe c’entrare anche Mark.”
”Sa che esci con lui?” Annuii col capo passandomi una mano sul viso, frustrata.
”Capisco. Bhe, è un vostro diritto poter cambiare stanza. Certo lo si può fare solo in casi eccezionali ed estremi e questo mi pare proprio che lo sia. Nessuno litiga in quel modo…”
”Si, credo davvero lo sia.” Ammisi… mio malgrado. “Hai ancora bisogno di me? Io andrei… sono molto stanca.” Chiesi con sguardo supplicante. Caroline sorrise e scosse il capo.
”Tranquilla, io qui ho quasi finito. Ci vediamo domani.”
”Grazie. A domani.”
”A domani.” E rimettendosi gli occhiali sul naso riprese i libri che aveva poggiato sul tavolo e si diresse verso uno dei tanti scaffali.
Uscii dalla biblioteca con le idee ancora più confuse di prima. Tutti sfrecciavano di fianco a me, tutti diritti verso le proprie camere, o in qualche locale. Persone che sostavano nei corridoi parlando del più e del meno.
”Ehi!” Sentii qualcuno toccarmi il braccio e mi voltai.
”Ciao Mark.” Dissi racimolando un po’ di entusiasmo.
”Come stai?” Chiese sorridendo.
”Bene. Tu?” Mi portai una ciocca di capelli, che mi era caduta davanti al viso, dietro un orecchio.
”Potrebbe andare meglio. Stanotte Rob ha dormito da me e ha avuto un sonno… movimentato. Ma cosa è successo? Ieri non ha voluto dirmelo. Era piuttosto abbattuto.” Nell’udire quel nome il mio cuore perse un battito.
Ma… perché?
Troppo cieca, troppo stupida.
”Non lo so.” Sussurrai chinando il capo.
”Oh. Ti va una pizza stasera?” Chiese entusiasta.
”Veramente sono molto stanca e vorrei andare a dormire.” Balbettai.
”Capisco. Allora, buona notte Audry.” Si sporse e il suo viso mi fu troppo vicino in poco tempo. Il suo espiro sul mio viso, le sue labbra a pochi centimetri dalle mie. Spostai il capo di lato intuendo le sue intenzioni.
”Buona notte, Mark.” Così, mi voltai diretta in camera mia, lasciandolo, lì, solo e interdetto.
Quando entrai in camera lui non c’era. Mi sedetti sul pavimento portandomi gli auricolari alle orecchie. Poggiai la testa sul tavolino e chiusi gli occhi.
Strane immagini si susseguivano nella mia testa, senza chiarezza, in modo molto confuso. Vedevo mille volti, mille espressioni, potevo sentire le voci di coloro con il quale avevo parlato, ed intravedevo il suo viso, i suoi occhi, la sua figura allontanarsi, la sua voce dura. E più mi avvicinavo ad uno stato di incoscienza, tipico di chi è sul punto di addormentarsi, la sua immagina si faceva sempre più flebile, sino a sparire.


Mi sveglia con la testa che mi girava ed un’orribile sensazione di nausea mi attanagliava. Sbadigliai alzandomi leggermente, reggendomi sui gomiti. Corrugai la fronte quando mi resi conto di essere nel mio letto. Se la ragione non mi aveva ancora abbandonata, per far largo alla pura e totale pazzia, io mi ero addormenta su un tavolino. Così mi voltai verso di esso confusa più che mai e fu allora che capii.
Robert era seduto sul suo letto a gambe incrociate. Istintivamente guardai la radiosveglia che segnava le tre del mattino. Non riuscivo a capire se fosse sveglio dato che il suo viso era nascosto nel buio. Così affinai lo sguardo sporgendomi verso di lui, perdendo l’equilibrio e cadendo sul pavimento, con un rumoroso tonfo.
Sentii soffocare una risata.
”Sono sveglio.” Disse mentre cercavo si sbrogliare il groviglio di coperta e lenzuola che mi avvolgeva.
”Si, me ne sono accorta.” Mi dimenai cercando si liberarmi, ma non ebbi molto successo. Sbuffai in segno di resa e mi stesi sul pavimento.
”Mi… daresti una mano?” Chiesi con un filo di voce, sentendo le guance avvamparmi per l’imbarazzo.
”Dammi un motivo valido per cui dovrei farlo.” La sua voce era dura, e qualsiasi forma di letizia sembrava essere sparita da essa.
”Perché se rimango qui finirò per essere divorata dai cani alsaziani.”
”Poco convincente.” Sospirai.
”Ascolta, Robert… qualsiasi cosa io abbia detto che ha potuto ferirti, ti chiedo perdono. Non volevo. È solo che tu sei così… così…”
”Così come?” La sua voce era ferma e cupa. Cercai di mettere da parte l’orgoglio o l’odio. Dovevo mostrarmi matura, quale ero.
”Odioso.”
”E’ di rimando.” . Sbuffai irritata.
”Io cerco di mettere da parte tutto il rancore e tu-“
”Perdonami.” Quelle nove lettere mi lasciarono spiazzata e senza parole. “Ti chiedo perdono anch’io. Non avrei dovuto reagire in quel modo, ma come è per te difficile mantenere la calma, lo è per me.” Negli attimi successivi nessuno dei due parlò. Il suo viso rimase nascosto nell’ombra.
”Ma… me la daresti un mano?” Chiesi con tono implorante. Lo sentii fare un risolino mentre si alzava dal letto per poi dirigersi verso di me. Un raggio argenteo della luna che filtrava attraverso le persiane illuminò il suo viso quando si chinò per aiutarmi, lasciandomi senza fiato. La sua pelle aveva assunto il color di una perla, e i suoi occhi apparivano limpidi e chiari, grigi come il cielo durante una nevicata. La sua mano calda sforò la mia spalla nuda, a causa della maglietta a collo largo che era scesa. Mi sollevò con un braccio, circondandomi le spalle con esso, e cerco di sbrogliare i groviglio di lenzuola. Respirai a fondo il suo profumo di pulito, e il suo respiro mi solleticava la pelle del collo, mentre lui, chino, cercava di aiutarmi. Sperai non sia accorgesse del mio cuore che batteva all’impazzata e che mi era balzato in gola. Il mio respiro si fece sempre più corto e irregolare. Lo sentii sogghignare e avvampai di rossore, maledicendomi. Dopo circa un minuto riuscì a liberarmi e porgendomi una mano, che accettai, mi aiutò ad alzarmi.
”Grazie.” Sussurrai sollevando coperte e lenzuola.
”Prego.” Ritornò a sedersi sul suo letto. Cerai di regolarizzare il battito del mio cuore, il respiro corto.
Perché tale reazioni? Avrei dato di tutto per saperlo, o di tutto per riacquistare la vista.
”Sei stato tu?”
”Che intendi?” Chiese stendendosi sul letto.
”Ricordo di essermi addormentata poggiata al tavolino.” Mi diressi verso l’armadio per prendere la tuta con cui dormivo.
”Si. Sono stato io.” Mi fermai davanti alla porta del bagno, quando lo senti sospirare.
”Grazie, ancora.” Dissi voltandomi.
”Prego, ancora.”
”Perché lo hai fatto?”
”Cosa?”
”Portarmi… sul letto.” Chinai il capo e sentii una ciocca di capelli ramati coprirmi un occhio.
”Per quanto io possa avercela con te, non ritenevo une giusta scelta lasciarti dormire sul pavimento.” . Annuii col capo.
”Ho chiesto a Mark di parlare a sua madre. Magari potremo cambiare… stanza.” Sussurrò.
”Oh… capisco.”
”E’ ciò che vuoi, no?” Chiese mettendosi a sedere, poggiando i piedi sul pavimento e o gomiti sulle ginocchia.
”Si… ciò che voglio. E’ ciò che vuoi anche tu, no?” Chiedi dirigendomi verso il bagno, portandomi quella ciocca solitaria dietro l’orecchio.
”Si… ciò che voglio.” Non riuscì a decifrare il suo tono di voce, così differente da come probabilmente me lo aspettavo.
Ma era davvero ciò che volevo?

 

*

AlessandraMalfoy: tesoro, ciao! Che piacere leggere la tua recensione! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo, lo spero con tutto il cuore. Non vedo l’ora di sentirti! A presto!
KeLsey: ciao! *_* Anche a me piace l’odio-amore! Forse l’unica cosa che mi convince! Cavolo come sono contenta di sapere che la storia ti piaccia, non sai quanto mi faccia piacere sapere cosa ne pensi! Si, sono entrambi parecchio nervosi, ma non so perché mi viene spontanei farli litigare, è più forte di me XD Spero di non averti delusa con questo capitolo. A presto bella, ti voglio bene! (L)
fede_sganch: ciao! *_* Grazie mille per la recensione! Sono contenta che la scena della colazione ti sia piaciuta e che ti piaccia l’intera storia! Scusa per l’attesa ma il mio pc è davvero, davvero molto sciocco ^^ A presto! Grazie mille ancora!
doddola93: tesoro! Che gioia leggere la tua recensione! Mi fai commuovere come sempre! Uno dei miei intenti è quello di far sentire il lettore parte della fiction, farlo sentire un personaggio e sapere che in parte con te ci sono riuscita… è una cosa bellissima! Sono io ch emi inchino alla tua maestria. Che dire? Unica, sei unica e le tue recensioni mi mettono sempre il buon umore. A presto dolcezza, ti voglio bene! <3
narcissa82: ciao! Che bello sapere che l’hai seguita! Credevo di averti delusa in quel modo, di averti annoiata! *_* Sugli imprevisti, bhe, diciamo che la storia ne è piena, cerco sempre di non essere prevedibile anche se alla fine lo sono. Bhe, diciamo che sono entrambi ciechi e non vogliono capire ciò che succede intorno a loro e ciò che sono, in realtà. Okay, forse sto parlando troppo. Mi incuriosisce la mezza idea che hai, o avevi, dei prossimi capitoli. Mi piacerebbe tanto saperla! Ci ha presto? Grazie mille per la recensione, grazie davvero! *_* a presto!


Un ringraziamento speciale va ancora alla dolce Dod, grazie anche per le chiacchierate e le infinite risate e sorrisi.

E un grazie speciale va alla mia Juliette, per la nuova amicizia. Grazie Cip!

 

A voi è tutto,
       Con affetto, Panda.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO X

 


L'amore non deve implorare e nemmeno pretendere, 
l'amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé.
Allora non è più trascinato, ma trascina.
Hermann Hesse, poeta tedesco, 1877-1962.
premio nobel, 1946.

 

“Buon giorno!” Aprii piano gli occhi, svegliata dalla voce di Staphanie.
”Cosa ci fai qui?” Chiesi con voce impastata dal sonno.
”Ho visto che non scendevi stamattina, così ho deciso di venire qui.” Mi portai la coperta fin sopra la testa rannicchiandomi, girata verso il muro sulla quale il letto era poggiato.
”E’ presto, va a dar fastidio a Jane.” Grugnii cercando di riaddormentarmi.
”Audry, è quasi ora di pranzo.” . Sgranai immediatamente gli occhi, mentre il mio cervello elaborava le informazioni. Con grande velocità mi misi a sedere, tanto forte da avere per un attimo le vertigini.
”Ora di pranzo?” Chiesi con voce strozzata e acuta. Le annuì energicamente col capo sedendosi sul bordo del mio letto.
”Ho perso la lezione.” Mugugnai prendendomi il viso fra le mani.
”Dai, non è così tragico, Audry.” Disse con tono dolce Stephanie accarezzandomi un braccio.
”Si, lo so. Ma ci tenevo.” Mi lasciai ricadere sul materasso.
”Non hai mai dormito così tanto.”. Annuii. Spiegarle l’accaduto della notte precedente sarebbe stata un’impresa, e poi, non mi andava. Era un discorso troppo lungo da fare appena svegli.
”Si, lo so.” . I suoi occhi vagarono per la stanza ordinata.
”Il tuo compagno?” Chiese fissando il suo letto fatto.
”Non lo so.” Ammisi alzandomi e dirigendomi verso l’armadio.
”Siete piuttosto ordinati.” Notò. Iniziai a cercare un maglia.
”Sai quando devi condividere la stanza con un ragazzo devi per forza essere ordinata, e così credo sia per lui.” Afferrai un jeans non appena l’ebbi trovata e mi diressi verso il bagno.
”Giusta osservazione. Non ci avevo pensato.”
”Perché, da quando tu pensi?” Chiesi aprendo l’acqua della doccia.
”Ah ah, divertente Morel.” Feci un risolino, prima che comparisse sulla soglia.
”Mark?” . Mark, mi ero dimenticata di lui.
”Cavolo Mark.” Mormorai passandomi una mano sul viso. “Credo di averlo offeso ieri.”
”Perché?”
”Diciamo che sono stata… fredda.” Ammisi mentre lei chiudeva la porta e si dirigeva sul letto.
”Perché l’ho incontrato ieri, quando ho finito di parlare con Caroline.” Il rumore dell’acqua che si infrangeva contro il fondo della doccia era forte e la mia voce, probabilmente, era appena udibile  Stephanie, così dovetti alzarla di qualche ottava. La sentii dire qualcosa ma non riuscii a decifrare le sua parole.
”Aspetta, non ti sento!” Gridai. Cercai la lavarmi il più in fretta possibile e di asciugarmi e vestirmi, il più in fretta possibile. Con i capelli ancora umidi uscii dal bagno, trovandola seduta sul mio letto e gambe incrociate.
”Dicevi?” Chiesi raggiungendola.
”Mark.” Annuii con capo e le raccontai ciò che era avvenuto il giorno prima, evitando di raccontarle delle notte, non seppi nemmeno io quale fu il motivo che mi spinse a tenerla allo scuro.
”Oh.” Fu tutto quello che disse non appena ebbi finito.
”Oh?”
”E’ evidente che tu e Pattinson vi odiate.” Mi portai le dita alle tempie massaggiandomele.
”Ma non mi dire.” Risposi con sarcasmo.
”Ma è evidente che ti piace.” Alzai di scatto il viso, fissandola con sbigottimento. Lei si alzò in piedi sbuffando e alzando le braccia al cielo.
”Dai, Audry! C’era note di delusione e tristezza nella tua voce quando hai detto che voleva andare via! Cavolo hai le guance rosse! Puoi prendere in giro te stessa ma non la tua migliore amica.” Rimasi con gli occhi puntati sul pavimento, sbigottita da tali affermazioni.
Che volessi mentire a me stessa? Che volessi illudermi di un qualcosa che forse non c’era e non vi era mai stato? Autodifesa? Insensata?
Scossi il capo. Tra me e lui vi era astio, ogni minima cosa ci portava ad una lite… eppure… momento in cui tale odio sembrava essere sparito, lasciando spazio a… alla normalità?
”No, impossibile.” Dissi più a me stessa che a lei. La sentii sbuffare.
”Vivi nelle tue stupide convinzioni Audry. Ed ora alza il deretano e andiamo a mangiare. Ho fame.” Feci ciò che mi disse, con l’ombra di un sorriso sul viso. Presi la borsa, mettendola a tracolla, ed uscimmo insieme dalla stanza, ma oramai le parole di Stephanie si era insediate nella mia mente e non volevano andar via. Rumore come auto da corsa, mi impedivano di pensare ad altro. Avrei voluto vendicarmi, dandola in pasto ai coccodrilli, ma non ce n’erano nei dintorni, così decisi di ritrarre il piano di vendetta.
Mi passai una mano sul viso frustata.
Maledetta Stephanie… maledette auto da corsa.

Camminavo per il campus, diretta all’entrata principale. Mi servivano dei libri da riportare in biblioteca. Aprii la porta dell’ingresso e mi diressi verso la scalinata.
”Audry.” Sobbalzai e mi girai verso al voce alle mie spalle. Mark era poggiato ad una di quelle panche di legno scuro poggiate alla parete , accanto a lui, Robert. Entrambi mi fissarono, ma gli occhi sul quale i miei si soffermarono non erano quelle di Mark, come credevo, bensì quelli di Robert. Mi specchiai per attimi infiniti in quell’azzurro cielo.
”Ti ho cercata tutta la mattina.” Disse Mark venendomi incontro, per poi baciarmi una guancia. Gli sorrisi flebilmente passandomi una mano fra i capelli ramati.
”Mi sono svegliata tardi.” Mormorai guardando con la coda dell’occhio Robert, che paino di dirigeva verso di noi.
”Hai studiato fino a tardi?” Chiese corrugando la fronte.
”Non proprio.” Risposi vaga quando Robert gli fu vicino con l’ombra di un sorriso sul viso.
”Credo sia stata colpa mia.” Disse Robert voltandosi verso Mark.
”Che intendi?” Rispose l’altro con un tono di acidità nella voce. Alzai le sopracciglia sorpresa da tale reazione.
”Che forse l’ho svegliata o quando sono tornata e magari non è scucita più a dormire.” Balbettò lui, sorpreso almeno quanto me.
”Certo,certo.” Sgranai gli occhi, fissando Mark sbigottita. Incrociai le braccia al petto, infastidita. Lui non gli aveva fatto nulla, e per quanto Pattinson poteva darmi ai nervi, non se lo meritava.
”Tranquilla piccola, ho parlato con mia madre. Forse vi cambiano stanze.” Guardai Robert per un momento che lo fissava con un sopracciglio alzato.
”Ma ti sei fumato il cervello?” Sbottò poi portandosi una mano su un fianco. Ci voltammo verso lui.
”Io Rob? Io?” Rimasi lì, impalata cercando di capire cosa stesse succedendo, senza capire nulla.
”Si, tu! Cavolo amico ma che ti prende? Non ti ho fatto nulla!”Disse poi allargando le braccia al cielo.
”Forse è meglio per me se me ne torni in camera. Sapete, la biblioteca chiama.” Mi voltai verso la scala.
”No Audry!” Rivolsi lo sguardo a Mark.
”Cosa?” Chiesi con leggera isteria.
”Questo tizio deve smetterla di darti fastidio!” Sgranai gli occhi e sentii l’irritazione salire.
”Lui non ha fatto nulla di male! Anzi se non fosse stato per lui avrei dormito sul pavimento!” Sbottai in difesa di Robert. La convinzione delle mie parole, il tono convinto con cui le avevo pronunciate, mi lasciò scossa. Stavo difendendo Robert Pattinson. Entrambi si voltarono verso di me, con un’espressione scioccata.
”Lo stai difendo?” Chiese Mark con voce strozzata. Robert mi guardava con le sopracciglia alzate le sorpresa. Deglutii rumorosamente, sentendomi in soggezione.
”Bhe, io… ecco…no, cioè… si. Non ha fatto nulla, Mark.” Entrambi strabuzzarono gli occhi, sorpresi e quasi sbigottiti. Mi grattai la testa imbarazzata, avvampando di rossore in viso.
”Non so cosa dire.” Disse irritato Mark. Sbuffai alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia.
”Io me ne vado.” Guardai per un istante gli occhi azzurro cielo di Robert, occhi che penetrarono i miei, distolsi immediatamente non lo sguardo, e Mark si accorse di quella piccola schermaglia di sguardi. Scossi il capo salendo velocemente la scalinata.
Sorpresa da me stessa, mi dirigevo a grandi passi verso la mia camera.
L’avevo difeso.
Era forse un’illusione? Un sogno? Un incubo? Un mondo parallelo? Il mio organo dell’immaginazione mi aveva forse giocato brutti scherzi?
La conferma che tutto ciò fosse realmente accaduto, che fosse cruda realtà, arrivò pochi istanti dopo, quando dietro me sentii i passi accelerati di Mark.
”Audry!” Mi chiamò con un leggere fiatone. Mi voltai , guardandolo in volto.
”Cosa c’è?” Chiesi incrociando le braccia al petto.
”Io.. mi dispiace. Non avrei dovuto reagire così. Perdonami, non so che mi sia preso.” Era palesemente dispiaciuto, lo si poteva leggere in quegli occhi nocciola. Sospirai, chiudendo un secondo gli occhi.
”Non dovresti chiedere scusa a me, Mark, ma a… Robert. Non credi?” Chiesi piegando la testa leggermente di lato. Lui annuì col capo, guardando il pavimento.
”Si, forse hai ragione.”
”Io toglierei il forse.” Fece un risolino in risposta, poi puntò ancora i suoi occhi nei miei.
”Ti va di fare un giro stasera?” Chiese poco dopo.”
”Veramente l’ho già promesso a Sthephanie.” Dissi dirigendomi verso la stanza.
”Domani?”
”Ecco… io…” In realtà, non mi andava molto di uscire il giorno successivo, così cercai in pochi attimi di inventare una scusa che potesse sembrare plausibile.
”Ti prego, ti prego, ti prego.” Supplico facendo lo sguardo innocente. Sospirai, rassegnata.
”Okay.”
”Fantastico!” Trillò allegro. Sorrisi flebilmente. Prima di andare via si avvicinò scroccandomi un bacio a fior di labbra. Lo guardai andare via correndo e sbuffai.
”Ma che diamine mi sta succedendo?”


”Dai Audry, che male c’è? E’ solo una festa universitaria.” Guardai Stephanie alzando un sopraciglio.
”Devo ricordarti le condizioni di Jane all’ultima festa universitaria?” Lei mi circondò la spalle con un braccio conducendomi all’esterno del grande plesso. Sbuffai quando Jane mi fu vicina.
”Che bello ragazze, un’altra festa!” Gioì mentre la fulminavo con lo sguardo.
”Già, una festa.” Sibilai rivolta a Stephanie che cercava di reprimere una risata. Mi condussero oltre le scale pensando solo al divertimento e lo svago. Per qualsiasi cosa concernente la parola festa, quelle ragazze erano un’unica entità, pericolosa e spaventosa.
”Un momento! Dobbiamo aspettare Caroline.” Dissi fermandomi di colpo.
”Alla fine ha deciso di venire?” Chiese Stephanie. Annuii energicamente col capo.
Sedendomi sul muretto che costeggiava la verde erbetta ben curata, non ascoltai le ciance di quei due strambi individui, incentrati sulla migliore qualità di birra in circolazione e quale tipo ci fosse stata alla festa.
”Audry?” alzai lo sguardo su Stephanie, approfittando, dato che Jane era momentaneamente al telefono. “Perché Pattinson ti sta guardando?” Alzai le sopracciglia sorpresa e mi guardai intorno cercando il suo viso che, finalmente, intravidi oltre il vetro di una finestra. Incrociai per pochi istanti il suo sguardo, fissai esterrefatta i suoi occhi azzurri come l’oceano, ignorando quello di Stephanie fisso su di me. Poi qualcosa, oltre la finestra, attirò la sua attenzione e i suo viso scomparse altre una leggera tenda chiara, lasciando posto a due occhi color nocciola. Sgranai gli occhi: Mark. Sul suo viso comparve un sorriso ed io sgranai gli occhi. Alzò la mano in segno di saluto ed io, troppo sorpresa risposi con un cenno, mentre lui mi faceva segno di aspettare.
”Audry? Perché sei pallida?” Mi voltai verso Jane che con aria confusa e preoccupata mi fissava.
”Via!” Sussurrai scattando in piedi.
”Ma Caroline?” Chiese Stephanie. “Perché tutta questa fretta? Mark non ti ha fatto segno di attendere?” La fissai fulminandola negli occhi. Evidentemente non aveva capito che la chiave di tale comportamento stava proprio nel dover aspettare Mark, che, per qualche oscuro motivo, non volevo vedere.
”Salve ragazze!” Ci voltammo tutti di scatto verso Caroline che aggrottò la fronte quando incrociò i nostri sguardi.
”Bene, ci siamo tutte, ora andiamo.” Dissi con convinzione e una nota di impazienza nella voce. “Andiamo, andiamo!” Dissi incitandole, vendendole ferme come lucertole al sole.
Per la prima volta, ero contenta di andare ad una festa.

 

*

Salve gente, eccomi qui!
Allora la nostra Audry ha sempre più le idee confuse, il che può essere positivo o negativo, dipende dai punti di vista.
La fine di questo capitolo ovviamente è un’anticipazione del prossimo, dove vi sarà una piccola “sorpresa”, ma non vi dico cos’è.
Ora la pianto di parlare… alla fine non credo vi interesse delle stupide chiacchiere di una pazza squilibrata.

Un enorme ringraziamento va a tutti coloro che hanno inserito questa fic tra i preferiti e chi legge anche senza recensire.

Ma soprattutto…
cloddy_94: ciao! *_* Grazie… io… io non so che dire! Cavolo questa storia per me è davvero importante e sono felicissima di sapere che ti piaccia! Visto? Non hai dovuto attendere tanto per il decimo capitolo! ^.^ Sul sentimento… non parlo. Alla prossima, cara. Grazie mille per la recensione!
Fairwriter: Juls, mia dorata! Sul serio ti piace come ho reso Robert? Cioè è un po’ difficile alla dine perché a raccontare è lei e per la maggior parte del tempo litigano. Bhe, ci vuole tempo per cambiare stanza, o no. Ti lascio sulle spine che è meglio XD Cavolo sapere che tutto questo ti piace è… è… bellissimo! Cavolo, il tuo parere è importante per me! Spero ti sia piaciuto anche questo, lo spero tanto! A presto Cip, ti voglio bene! <3
fede_sganch: ciao! Rob innamorato…? Forse si, forse no. Perché si, perché no… okay, la pianto o potrei andare avanti all’infinito. Alla fine, come ho già detto, non ho ritardato molto, no? Il mio computer sta collaborando… per sua fortuna. A presto cara, spero ti sia piaciuto questo capitolo!
ElfoMikey: semplicemente unica. Audry interessante?... boh. <3 Ti voglio bene!
doddola93: ciao! Giusta osservazione la tua. Come fai poi a rotolarti sul pavimento? O.o A volte mi fai paura sai? XD Certo, te l’avevo detto che si sarebbe stata! C’è anche qui! Si si, tu sei un angelo. Si sentiva la mia mancanza? Sai che non si fumano i semi di girasole, no? Davvero ti piacciono loro? Io mi diverto molto a scrivere delle loro liti, non so perché. Forse questo non è un bene. Sono meravigliosa solo se lo sei tu. Ti voglio bene, tesoro <3


A voi,
          con affetto,
              Panda.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


ATTENZIONE: ho scritto una one Confusion. È il punto, di vista di una scena di questo capitolo, di Robert.

 


CAPITOLO 11

 


Non capirsi è terribile-
non capirsi e abbracciarsi,
ma benché sembri strano,
è altrettanto terribile
capirsi totalmente.
In un modo o nell’altro ci feriamo.
Ed io, precocemente illuminato,
la tenere tua anima non voglio
mortificare con l’incomprensione,
né con la comprensione uccidere.
Evgenij A. Evtusenko, poeta russo, 1933.

 

 


Avvolta dalla forte musica, riuscivo a malapena a capire ciò che mi diceva Caroline, al io fianco.
”Forse dovresti andarci piano.” La sentii urlare per sovrastare la musica. Mi voltai a guardarla portandomi un ennesimo bicchiere alle labbra.
”Nah, io no credo.” Risposi ridacchiando e bevendo un sorso di rum… forse. Lo sentii scendere lungo l’esofago, sentii bruciarmi la gola e lo stomaco… del tutto vuoto.
”Audry, non hai mangiato nulla. Dai ti prendo un pezzo di pizza.” Riflettei sulle sue parole qualche attimo prima fare un cenno di disaccordo.
”Ma io non ho fame.” Gridai in un lamento.
”Aspettami qui, torno subito. E questo “ Disse togliendomi il bicchiere di mano. “Lo prendo io.” Le gridai di ridarmelo ma non mi ascoltò. Per un momento la stanza fu come se girasse vertiginosamente attorno a me, così strabuzzai gli occhi qualche volta mettendo a fuoco le figure che si muovevano troppo velocemente e in maniera confusionaria intorno a me. Grugnii alzando e dirigendomi barcollando verso il bagno. Non feci caso alle persone che urtai che le spalle, non feci caso alle imprecazioni e rimproveri provenienti da essi. Con la testa dolente, la vista offuscata e un forte senso di nausea, attraversai la moltitudine di gente che mi si presentava davanti. Intravidi una porta, credendo ovviamente che fosse quella del bagno delle donne, così afferrai la maglia, ma il caso volle che quello non lo fosse, così di colpo si aprì, scaraventandomi sul pavimento, freddo e duro.
Mugugnai qualcosa poggiando la testa su di esso e chiudendo gli occhi, corrugando la fronte.
Sentii qualcuno sussurrare il mio nome. Sentii della mani accarezzate il mio viso e sollevarmi la testa dal pavimento. Aprii gli occhi confusa e stanca. Cercai inutilmente di mettere a fuoco il viso che avevo davanti, ma la sua voce, la sua voce era come una dolce melodia sussurrata nel cuore della notte, sotto i raggi argentei della luna, in un mondo dove esiste solo perfezione. La sua voce, così calda e roca, bassa e rassicurante, così tremendamente familiare, mi fece immaginare quel viso che per giorni, settimane intere avevo odiato.
”Robert.” Sussurrai in un lamento. Delle braccia avvolsero il mio corpo e mi sollevarono.
”Si. Sono io.” Un suono che arrivò alle mie orecchie in modo ovattato. Poggia la testa sul suo petto, chiudendo gli occhi e gemendo. Lo sentii muoversi, leggero e costante come le onde del mare, tutto quell’ondeggiare aumentò la nausea che attanagliava il mio stomaco. Portai indietro la testa, facendo ricadere oltre il suo braccio e ciondolando così assieme alle onde. Gemetti ancora.
”Fammi scendere.” Farfugliai.
”Cosa?” Chiese mentre sentivo l’aria fredda accarezzarmi il viso accaldato.
”Lo… stomaco.” Sussurrai aprendo gli occhi e dimenandomi per scendere.
Barcollando feci qualche passo, ma le sue mani non mollarono i miei fianchi, stringendoli mi attiravano a sé. Fu come se vedessi me dall’esterno. Come ricordassi la scena di un film, rimossa dalla mente. Immagini si susseguirono successivamente nella mia mente, e molte nemmeno riuscivo a metterle tutte a fuoco. Alcune sfocate altre nitide.
Sentii una porta aprirsi  e chiudersi. Il suo suono era come quello di una portiera di auto. Sentii l’aria fredda assalirmi ancora una volta ed ebbi un brivido di freddo, delle braccia calde mi strinsero ancor di più a loro, mentre un dolce profumo invadeva i miei polmoni. Fluttuai fra quelle braccia, ancora in balia di dolci e costanti onde. I ricordi successivi furono sempre più nitidi e chiari.
Mi posò sul letto e chiusi gli occhi sospirando. Le sue mani mi accarezzarono il viso, portandomi i capelli indietro, lasciandomelo scoperto.
”Non ti muovere.” . Scossi debolmente il capo. Conciata in quel modo dove sarai potuta andare? Al massimo sarai rotolata giù dal letto, senza possibilità di rialzarmi. E avrei passato l’intera notte lì, al freddo. Gemetti corrugando la fronte e girandomi leggermente su un fianco.
”Se stai ferma passa prima, Audry.” Ancora quelle voce invase la mia mente, rivoluzionandola. Ogni pensiero, ogni cosa assunse altri significati. Prese dolcemente il possesso di quel poco di coscienza che mi rimaneva mozzandomi quasi il fiato e facendomi, probabilmente, sorridere.
”Tieni bevi questo.” Aprii gli occhi, incontrando i suoi occhi azzurri. Annui debolmente, mentre mi portava una tazza alle labbra. Riconobbi il forte ed amaro odore del caffè, che quasi mi bruciò la lingua.
”Piano.” Sussurrò, accarezzandomi la nuca con una mano. Guardai i suoi occhi, senza distogliere lo sguardo. Allontanò la tazza e la poggiò sul comodino.
Le sue mani ancora si posarono sul mio viso, e per qualche oscuro motivo avvicinai famelica il mio viso al suo, attratta dalle rosee e succose labbra che a pochi centimetri dalle mie si schiudevano. Sentii il suo respiro fondersi con il mio mentre le sue dita sfioravano le mie labbra.
”Hai bisogno di dormire.” Sussurrò spostandole poi sulla guancia.
”Ho bisogno di...” Sussurrai.
”Non sai quello che dici.” Disse in un risolino. “Se non fossi sotto l’effetto dell’alcool non lo diresti.”
”No. Si. Non lo so.” Dissi in un gemito lasciandomi cadere sul materasso e chiudendo gli occhi.
”Dormi, Audry.”
”Resta.” Sussurrai avvicinandomi ad uno stato di incoscienza. Sussurrò qualcosa, ma ero troppo stanca per capire. Voltai il capo di lato, poggiando una guancia sul fresco cuscino, mentre una sua mano mi sfiorava il viso e l’altra stringeva la mia mano. Poi, piano tutto svanì, e le immagini sfocate e confuse piano si fecero più scure, lasciando poi spazio al… buio.


Mi sveglia la mattina successiva con un forte e terribile mal di testa. Poggiandomi sui gomiti mi passai assonnata una mano sul viso e sbadigliai e mi ci volle qualche secondo per abituarmi alla luce mattutina. Ma, spostando la mano, mi accorsi di non essere sola. Qualcosa attirò la mia attenzione, o meglio qualcuno.
Robert era seduto per terra, con la testa poggiata sulle braccia, incrociate sul letto.
Accigliandomi non potei fare a meno di chiedermi perché lui fosse lì. Fissai il suo viso rilassato, tranquillo, come se stesse facendo un bel sogno. Inclinai la testa di lato, guardando le labbra dischiuse e ascoltando il leggero suo respiro.
Sorrisi intenerita e conscia allo stesso tempo di non ricordare assolutamente nulla della sera prima. Cercai di fare mente locale, portandomi i capelli all’indietro con entrambe le mani. I miei ricordi si fermavano alla festa. Ai bicchieri di birra, ai cocktail… e piano le immagini si facevano più chiare, ricordando quei pochi momenti di lucidità.
”No.” mugugnai, capendo perché egli fosse lì. Mi lasciai ricadere sul materasso con un grosso tonfo, dimenticandomi di Robert poggiato al materasso. Sobbalzò e mi portai una mano davanti alla bocca.
Alzò di scatto il capo guadandosi allarmato intorno.
-Ma cosa… ah. – mormorò guardando il letto.
-Scusami. – dissi grattandomi la nuca, imbarazzata. Il suo sguardo incrociò il mio per istanti che parvero infiniti. Dentro di me, la paura. Paura di una sua reazione, di una ipotetica lite, che oramai non riuscivo più a reggere. Poi la sua espressione, il sorriso che comparve su suo viso, scacciò ogni preoccupazione.
”Buon giorno.” Disse con voce dolce. Sorrisi sporgendomi in avanti e poggiandomi una mano sul collo.
”Buono giorno.” Risposi portandomi le gambe al petto.
”Ehm… mi spieghi perché sei…” Comincia sentendo le guance avvamparmi di rossore e mi concentrai sulle pieghe della trapunta.
”Ieri… ecco, non eri in condizioni di tornare a casa da sola ed io-“
”Grazie.” Non gli diedi nemmeno il tempo di finire. Il suo sguardo quasi s’impossesso del mio e non potei, non riuscii a distogliere il mio, forse perché in fondo, non volevo.
”Insomma, hai fatto la stessa cosa con me.” Sussurrò passandosi la mani sul viso. Mi guardai le mani ed incrocia le gambe.
”L’hai fatto per dovere, quindi.” Dissi con voce monocorde, un po’ rammaricata. Non rispose. Fissò un punto indefinito delle trapunta con oggi sgranati.
”Ho bisogno di una doccia.” Mormorò alzandosi e stiracchiandosi.
”Si, anch’io.” La mia voce assunse una nota di tristezza che non gli sfuggì.
Si diresse verso la porta del bagno, dopo aver preso ciò che gli occorreva.
In fondo, cosa mia spettavo?
Era ovvio che a spingerlo a riportarmi a in camera era stato il senso dovere o il di colpa. Sospirai portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Ovvio, aveva, in un certo qual modo, ricambiato il favore.
Mi diedi, della stupida sorpresa da tali miei pensieri.
Sciocca!, mi ammonii. 
La mia testa sembrava dovesse scoppiarmi da un momento all’altro, la nausea ancora mi attanagliava, e le vertigini mi facevano vedere l’intera stanza quasi sfocata. In poche parole, i postumi della sbornia si facevano sentire, e si sarebbero fatti sentire, probabilmente, per tutta il giorno.
Fantastico, pensai.
”Audry?” Alzai lo sguardo quando la voce di Robert fece breccia fra i miei pensieri. Il suo sguardo cristallino mi trafisse con violenza che mai avrei ceduto possibile.
”A spingermi non è stata solo la gratitudine. Lo avrei fatto comunque… anche… con il tuo odio.” Fui travolta da tali parole, rimanendo esterrefatta.
La porta alle sue spalle si chiuse e sentii l’acqua battere sul fondo della doccia.
Ripensai alle sue parole, al suo sguardo.
Anche con il tuo odio.
Confusa, sorpresa, felice, triste. Mille emozioni diverse, s’impadronirono contemporaneamente di me, dandomi alla testa. Improvvisamente avvertii il dolce suo profumo. Improvvisamente potei avvertire le sua dita sfiorare la mia pelle, il palmo della sua mano premere sulla mia guancia.
Che mi stava succedendo?
Cercai di liberarmi di quelle sensazione, del suo viso che sembrava essere marchiato a fuoco nella mia mente.
Anche con il tuo odio.
La sua voce sia aggirava nelle mia mente, eco di ogni pensiero. Mi presi il viso fra le mani, gemendo.
Mi lascia ricadere sul materasso, affondando il viso nel cuscino.
Anche con il tuo odio.
”Ma che accidenti mi prende?”


Camminavo fra li scaffali della biblioteca, portando e dei libri alla titolare. Era tardo pomeriggio e non avevo mangiati nulla per via del forte senso di nausea. Ciocca di capelli ribelli mi ricadevano sul viso e sentivo la stanchezza farsi avanti, mentre i piedi e le braccia cominciavano a dolermi. Avrei voluto studiare, quel pomeriggio, ma la mia mente viaggiava troppo e mi era del tutto impossibile concentrarmi, e la stanchezza e a nausea non contribuivano. Ma maggiormente, erano i miei pensieri. La mia mente tornava sempre al mattino, alle sue parole, al suo viso. Anche se avrei voluto non pensarci e, arrivata a quel punto lo desideravo con tutto il cuore tendendo conto che tra me e lui non correva buon sangue, mi era del tutto impossibile.
Sbuffai voltando uno scaffale, scontrandomi con qualcuno. Caddi a terra e i libri mi finirono sul ventre, mozzandomi il fiato e causandomi una lancinante fitta. Chiusi gli occhi, gemendo di dolore.
”Oddio, perdonami.” riconobbi subito quella voce, impossibile non dimenticarla quando si aggirava senza sosta nella tua testa. Giusto per togliersela via.
”Gli scontri con i ragazzi di qui sembrano frequenti.” dissi a me stessa.
”Come?” chiese chinandosi e aiutandomi a impilare i libri che avevo addosso.
”Nulla.”
”Ti sei fatta male?” chiese alzandosi a porgendomi una mano. L’accettai e mi aiutò a rimettermi in piedi.
”Un po’, ma tranquillo è già passato.” dissi chinandomi afferrando i libri. Ma lui mi precedette, afferrandoli. Rimasi interdetta, fissandolo a bocca aperta.
”Cosa c’è?” chiese guardandomi.
”Da quando ti sei addolcito?”chiesi inclinando il capo.
”Se vuoi te li mollo per terra.” rispose serio. Sbuffai avvicinandomi e allungando le mani.
”Da qui.” dissi cercando di prenderli.
”No, ormai gli ho presi.” rispose ritraendosi
”No, dammeli. E’ compito mio.” presi i libri e cominciai a tirare, sbilanciandolo in avanti.
”No!” disse tirandoli a se.
”Si!-“tirai e non calibrai molto la forza e persi l’equilibrio, cadendo in avanti, finendoli contro e facendo cadere nuovamente i libri. Puntai i miei occhi nei suoi, perdendomi in essi. Le mani possiate sul suo petto, il mio respiro che di confondeva col suo. Sgranai gli occhi, sorpresa da tanta vicinanza.
”Audry?-
”Si?- mi sorpresi accorgendomi del fiato che improvvisamente mi mancava.
”Sei su un mio piede.” sbattei le palpebre qualche volte, prima di allontanarmi.
”Se tu avessi avuto buon senso non sarebbe successo.” dissi acida, riprendendo i libri.
”Se tu non fossi così cocciuta non sarebbe successo.”
”Oh, ora è colpa mia!” sbottai guardandolo in viso, mentre le mani cominciavano a prudermi.
”Certo!- disse sprezzante.
”Certo, è sempre e solo colpa mia, giustamente!”
”Dio, non so nemmeno che ci faccio qui!” esclamò alzando al voce di un’ottava.
”Allora vattene!- dissi alzandola anch’io.
”E quello che farò!” sentii il sangue ribollirmi nella vene e se non se ne fosse andata entro trenta secondi uno dei libri, o tutti, li sarebbero finiti su un piede.
”Bene!” dissi avvicinandomi con gli occhi che probabilmente mi sarebbero potuti uscire dalle orbite.
”Bene!” ringhiò prima di andarsene, rosso in viso dalla rabbia.
Rimasi a guardarlo mentre si allontanava col fiato corto e i denti digrignati. Cercai di regolarizzare il battito accelerato del mio respiro ed il cuore che sembrava volesse uscire dal mio petto, squarciandolo crudelmente.
Sbuffai, ancora, di irritazione prima di girare i tacchi e dirigermi verso la dirigente, maledicendo quel maledetto giorno in ci decisi di studiare in quell’università.

 

 

*
pucciat_: ciao! Che piacere sentire che hai seguito la fiction! *_* Davvero ti piace così tanto? Oddio, grazie! Cavolo io ti reputo bravissima a scrivere e sapere che ti piace la mia storia… mi rende felicissima! Si… anche a me piace la dinamica amore-odio! Forse l’unica cosa che mi piace. Non potrei mai cacciarti a calci ^.^ A presto cara! =*
doddola93: Dà, mia socia! *_* Il tuo parere è a dir poco importantissimo! Ma dai Mark è simpatico!... in fondo. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, non sai quanto! Caroline c’è anche qui! Come potevo non metterla?... Mi manchi tesoro, spero di poteri sentire presto.
fede_sganch: ciao Fè! Mi adori? *_* Oddio, non merito tutti questi complimenti! Ma sono felicissima di sapere che reputi “bella” la mia fiction, non sai quanto! A presto cara!
Fairwriter: Juls, ciao! Se Mark ti da ora ai nervi aspetta i leggere i prossimi capitoli! XD Sono contentissima di sapere che non ti ho delusa! Ci tengo un sacco a sapere cosa pensi ciò che scrivo! Ti voglio bene Juls, te ne voglio tanto! (vedi di scrivere presto qualcosa anche tu!) <3
KeLsey: Eri, ciao! *_* Hai letto! Davvero ti piace così tanto?? Tranquilla, sapere che il capitolo è stato di tuo gradimento è al cosa più importante per me! A presto belle! (L)
A y s s a: ciao! *.* nuova lettrice! Grazie, grazie mille per la recensione… mi ha fatto un sacco piacere! Addirittura dipendente? O.O Oddio… non so cosa dire.. solo: grazie! Si Audry è tremendamente confusa e ho cercato di darle un caratterino abbastanza forte e… singolare per certi versi. A presto e grazie ancora! *_*


A voi, Panda.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12

 


L'amore non deve implorare e nemmeno pretendere, 
l'amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé.
Allora non è più trascinato, ma trascina.
Hermann Hesse, 1877-1962, poeta-scrittore-pittore svizzero,
premio nobel per le letteratura, 1946.

 

“E’ insopportabile, io non lo sopporto!”, dissi scandendo ogni parola. Con rabbia addentai il panino che avevo fra le mani e, sedendomi sul verde prato, incrociai le gambe. Stephanie nel contempo scarabocchiava distrattamente la copertina di un quaderno, sorseggiando di tanto in tanto la sua soda.
”Io non so che diavolo abbia. Io non capisco. Perché? Eh? Perché? Stephanie mi stai ascoltando?”,  chiesi corrugando la fronte.
”Certo, certo.”, rispose distrattamente annuendo impercettibilmente col capo e continuando a scrivere.
”Oh guarda c’è un gnomo verde!”, esclamai fissandola. Fece un grugnito d’assenso. Sospirai poggiando un gomito su un ginocchio e passandomi una mano intorno al collo. Decisi di rinunciare, di non sprecare fiato in parole inutili, smettere di fare un discorso senza senso al vento. Già, perché il mio discorso era senza senso. La mia mente non poteva pensare a Robert Pattinson, l’odioso compagno di stanza che innumerevoli volta avevo immaginato al patibolo.
Mi passai una mano fra i capelli e tirai un altro morso al mio panino.
”Allora? Che facciamo stasera?”, alzai lo sguardo su Sthepanie, che avevo poggiato quaderno e penna sul prato, accanto a lei e con la soda in mano mi guardava eccitata. Alzai gli occhi al cielo. Avevo avuto la conferma che per ben quindici minuti avevo parlato più che altro a me stessa, o meglio, al vento che sembrava l’unico a volermi ascoltare e confortare. Ma in fondo, cosa c’era da confortare?
”Audry, tutto okay?”, sgranai gli occhi, prima di scoppiare a ridere. Non aveva davvero udito nulla ci ciò che le avevo detto. Scuotendo il capo, mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Arrabbiarmi non avrebbe avuto senso, nel modo più assoluto.
”Sei strana Morel.”, disse lei alzando un sopracciglia e cercando qualcosa nello zaino.
”Lo prendo come un complimento.”, risposi in un risolino. Alzò gli occhi al cielo.
”Ti voglio comunque bene.”, mi accarezzò un braccio in segno di conforto.
”Oh grazie. Te ne voglio anche io.”, e mi lasciai andare ad una tranquilla risata.
Parlammo ancora mentre io finivo il mio panino e lei la sua soda, poi Stephanie si diresse verso la sua camera e d io verso la mia, ma voltato l’angolo del corridoio vidi una figura longilinea poggiata al muro. Deglutendo mi diressi verso esse, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Che gli avrei detto? Che avrei fatto? Cosa gridava il mio cuore? Perché mi facevo tutte quelle domande?
Avrei voluto avere le risposte, qualcuno che mi dicesse cosa fare nei momenti critici, ma si sa, siamo noi a dover scegliere della nostra vita, siamo noi a scrivere la nostra vita attraverso quelle che sono le scelte più difficili.
Sorrisi flebilmente quando i suoi occhi nocciola incontrarono i miei.
”Audry.”, disse raggiante mettendosi diritto.
”Mark.”
”Non ti ho più vista.”, si passo una mano sulla luca guardandomi negli occhi.
”Ho…avuto un po’ di cosa da fare.”, cercai la chiave nella borsa che avevo in spalla.
”Capisco.”, cominciò da un piede all’altro mentre io aprivo la porta della camera e gli facevo segno di entrare. Posai la borsa su una sedia e con un tonfo sordo mi lascia andare sul letto.
”Tutto okay?”, chiese sedendosi accanto a me. Annuii e sorrisi mettendomi a sedere.
”Un po’ stanca. Tu stai bene?”, chiesi sporgendomi verso di lui per poterlo guardare meglio in volto.
”Si, sto… bene.”, corrugai la fronte dinanzi al suo tono di voce incerto. Mi avvicinai a lui tanto che le nostre spalle si sfiorarono e gli poggiai una mano su una guancia, costringendolo a guardarmi negli occhi.
”Mark… cos’hai?”, chiesi in un sussurro. I suoi occhi nocciola parvero dorati, illuminati dai raggio del solo che filtravano attraverso la leggera tenda.
”Ti ho persa.”, mormorò senza abbassare lo sguardo, fissandomi con occhi ardenti.
”Cosa?”, sussurrai facendo scivolare la mano dalla sua guancia.
”Sei andata via.” . Sbattei le palpebre qualche volta, sorpresa.
”Io… no, Mark, sono qui.”, risposi sorridendo. Lui mi imitò e prendendomi il viso fra le mani mi baciò a fior di labbra. Quando si allontanò da me, chinai il capo.
”Ti va di uscire stasera?”, alzai lo sguardo su di lui ed annuii flebilmente dopo alcuni attimi.
”Alle otto all’entrata.”, mormorò prima di baciarmi ancora sulla labbra.
Quando qualcuno che ti piace ti bacia il tuo cuore intraprende una forte corsa, il suo battito diventa simile al galoppare di un cavallo. La stanza comincia a girare e senti le gambe molli, mentre il cervello si scollega dal resto del tuo corpo. Qualcosa nel tuo cuore urla che è la cosa giusta e senti qualcosa cambiare all’interno di esso. Eppure, in quel momento, in me, non cambiò nulla.


Quella sera mi vestii dedicando al mio armadio meno attenzione, meno di quanto gliene dedicassi normalmente. Mi infilai apaticamente dei pantaloni che solo dopo mi accorsi essere neri, un maglia verde. Distrattamente mi spazzolai i capelli e mi infilai la giacca pensando al pomeriggio trascorso. Pensai a Mark, ed ogni volta che tornavo alle sue labbra che si posavano sulle mie, un viso dalla pelle chiara e occhi azzurri si impossessava dei miei pensieri e i ricordi repentinamente mutavano, riportandomi ad una mattina in cui quel viso, poggiato sul mio letto, era ricolmo di serenità.
Scossi il capo, cercando di cacciare via, per l’ennesima volta quei pensieri, e uscii dalla mia stanza. Quando però aprii la porta quel viso, che poco prima avevo scacciato dalla mia mente, comparve dinanzi al mio. Sobbalzai, portandomi spaventata una mano sul cuore. Allarmato lo visi piegarsi leggermente in avanti, verso di me, per guardarmi in volto dato che il mio sguardo, in quel momento era fisso al pavimento.
”Perdonami, Audry. Non volevo spaventarti.”, e sentii la sua mano poggiarsi sulla mia spalla mentre cercavo di regolarizzare il mio respiro accelerato. Lo guardai negli occhi non conoscendo, probabilmente, quel che il mio inconscio già conosceva: vi era qualcos’altro, o meglio, qualcun altro a contribuire a quel battito accelerato.
Rimasi a fissar ei suoi occhi, quasi ammaliata. Lui corrugò la fronte, passandomi una mano davanti al viso.
”Audry?”, scossi il capo, come riprendendomi da un momento, in realtà infinto, di smarrimento.
”Si, ero…”, scossi il capo passandomi una mano fra i capelli e portandomeli indietro.
”Tutto okay?”, ancora la sua mano mi sfiorò il braccio. Annuii energicamente con la testa, sperando non mi ritenesse più strana di quanto già gli risultassi.
”Si, si. Non è nulla.”. Sul suo viso si dipinse un sorriso sghembo che costrinse anche me a portare gli angolo della mia bocca verso gli occhi.
”Esci?”, chiese guardandomi da capo a piedi con un’espressione indecifrabile.
”Si.”, risposi sentendomi appena a disagio.
”Mark.”, rispose, ma la sua non era una domanda. Chinai appena il capo, fissandomi le scarpe da tennis.
”Divertiti.”, mi passò vicino, con troppa violenza, dandomi urtandomi con la spalla per entrare nella stanza, facendomi perdere appena l’equilibrio.
La porta si chiuse dietro di me. Con occhi sgranati guardai la porta oramai chiusa.
”Grazie.”, mormorai, fissando il legno scuro. Scossa e confusa, sorpresa da quel repentino cambiò ci umore mi diressi verso l’entrata. Più ci pensavo e più sentivo l’irritazione montare. Non era possibile cambiare così repentinamente umore, non è possibile avercela tanto con una persona che, in fondo, on ti ha fatto nulla.
Sbuffando scesi le scale ed incontrai Mark che mi aspettava seduto su una sedia.
”Morel.”
”Cleever.”, dissi quando fui dinanzi a lui.
”Sei bellissima.”, sussurrò accarezzandomi i capelli ramati. Scostai lo sguardo dal suo.
”Andiamo?”, chiesi impaziente. Lui annuì e insieme uscimmo dalla struttura.


”Bhe, direi che il film era carino.”, disse Mark voltandosi verso me. Alzai un sopraciglio.
”Oh si, certo. Molto interessante l’alba dei morti viventi… o quel che era. Educativo e di grande pregio cinematografico.”
”Avevi detto che i film d’azione ti piacciono.”, disse accigliandosi. Incrocia la braccia al petto, per mantenere con più facilità la giacca che avevo in mano.
”Ho detto che mi piacciono i film d’azione, infatti. Non mi pare che questo lo fosse Mark.”, dissi in un risolino.
”Oh, mi spiace.”, sussurrò guardando in basso. Gli tirai una leggere gomitata, ridendo.
”Tutto sommato era abbordabile.” . Si fermò, piano, e fui costretta a fermarmi anch’io guardandolo con aria interrogativa.
”Mark? Cosa c’è?”, sul suo viso era dipinta un’espressione indecifrabile. I suoi occhi fissarono per istanti infiniti i miei, poi accarezzandomi piano il collo mi attirò a se. Mi bacio la labbra, ma qualcosa mi costrinse ad allontanarmi e, a giudicare dalla sue espressione, lo lasciai alquanto deluso.
”Mark.”, rabbrividii, e non seppi per quale preciso motivo. In fin dei conti non stavo facendo nulla di male. Non stavo uccidendo nessuno, o almeno ancora non lo sapevo.
Ci voltammo entrambi verso quella voce che oramai conoscevo fin troppo bene. Mi irrigidii quando incontrai il suo sguardo duro, freddo. Il mio corpo all’istante sembrò fatto di dura e ghiacciata pietra.
”Ciao, Rob.”, disse lui altrettanto freddo. Mi era persa qualcosa?
”Audry.” , il modo in cui pronunciò il mio nome era strano, non lo avevo mai udito. La rabbia che trapelava dalle sua voce non era nemmeno paragonabile a quella che mi aveva riservato durante le nostre liti, ed ebbe l’effetto di una secchiata d’acqua ghiacciata in pieno viso.
Per un breve istante incatenò il mio sguardo al suo, poi lo spostò su Mark ed io mi resi conto che non era solo. Accanto a lui vi era quella finta bionda, quello stampino di barbie. Fu strano come mille emozioni e sensazioni diverse si impossessarono del mio corpo. L’irritazione salì, e volevo che quella ragazza perdesse l’odioso sorriso che aveva dipinto sulle labbra carnose. Lo stomaco mi si strinse in una morsa ed ebbi un’irrefrenabile voglia di allontanarla da lui. Quella consapevolezza mi fece gelare il sangue. Come quando scopri che è successo qualcosa di terribile, quando il tuo intero copro sempre essere risucchiato dal tuo stomaco.
Vidi nella mi testa, l’immagine di lui che la accarezzava i capelli chiari, le mani si lei sul suo viso, le loro labbra che piano si incontrarono.
Sgranai gli occhi, sorpresa dalla natura dei miei pensieri e volli prendermi a schiaffi per la scempiaggine che sembrò essersi impossessata di me… come se non fosse già abbastanza.
Le mani mi prudevano mentre desideravo che quella ragazza dal corpo mozzafiato, andasse via. Mentre immaginavo mille modi per tosarle i lunghi capelli biondi.
Nessuno, dopo Robert parlò.
Poi, lui, scosse il capo, guardando in basso, prima di mischiare ancora l’azzurro dei miei occhi con l verde dei miei. E dentro, vi trovai tutto. In pochi minuti ero riuscita a provare emozioni che certa gente vive nel corso di mesi. Fui colpita dall’intensità del suo sguardo, tanto che trattenni il respiro. Vidi rabbia, mischiata a delusione. Sentivo il cuore battere furiosamente, quasi volesse squarciarmi crudelmente il patto; sentivo il respiro farsi più corto. Poi, sospirando a passo veloce corse via.
Non so cosa mi spinse in quel momento a corrergli dietro, ignorando la voce di Mark che chiamava il mio nome, o quello della barbie che chiamava quello del ragazzo, che per qualche oscuro motivo, stavo inseguendo.
Non mi curai delle imprecazioni di una signora quando la urtai con la spalla. Non mi curai del perché il mio cuore non avesse decelerato nelle sua corsa.
Non mi curai, soprattutto di ciò che mi spine verso di lui.
Volevo solo che sul suo viso comparisse un sorriso, volevo solo che quegli occhi tornassero a brillare, come quella notte, quando ad avvolgermi erano mortali lenzuola.
Chiamai il suo nome, ma non si voltò. Lo seguii nel parcheggio, dove vi si diresse con passo quasi furioso.
Lo chiamai ancora, nel silenzio della sera. Si voltò.
”Cosa accidenti vuoi, Morel?”, esclamò alzando la braccia la cielo.
Già, cosa volevo?
Avrei voluto rispondergli, la realtà era che non lo sapevo. Non sapevo perché fossi lì, perché avessi il cuore che batteva furiosamente, e perché le mani e le gambe mi tremassero.
”Io… io non lo so.”, la verità alla fine, è sempre la miglior strada.
Rise isterico, passandosi nervoso una mano fra i capelli.
”Come non detto. Segui una persona nel parcheggio e non sai nemmeno il perché. Brava, Audry, brava.”, la sua voce piani si affievolì.
Scossa e sbigottita dalla sua reazione e dalla tempesta di emozioni che il suo sguardo poco prima mi aveva causato, tentai di parlare, optando ancora per la verità, troppo confusa per poter elaborare una mezza scusa.
Mi avvicinai paino a lui e sentii gli occhi inumidirsi.
Spalancò gli occhi, sorpreso probabilmente dalla mia reazioni. Le sue labbra si dischiusero e portando una mano sul suo viso, scostai dalla sua fronte quel ciuffo di capelli solitario.
”Cosa…”, la voce gli morì il gola.
”La verità Pattinson?”, sussurrai accarezzandogli il viso. “Non lo so. I tuoi occhi… sono stati loro a portarmi fin qui.”
”Non dire stupidaggini, Morel. Non…”. Non scostai il mio sguardo dal suo, mi persi ancora in quel mare azzurro.
”Non…?”, lo incitai, quando una sua mano calda mi sfiorò il viso. Chiusi gli occhi, imprimendo nella mia mente quel tocco delicato.
”Non mentirmi.”, mormorò mentre ancora mi graziavo di quel leggero tocco.
”Non mento.”
”Tu mo idi.”, sussurrò quando riaprii gli occhi. I suoi erano ricoperti da un velo di tristezza, ma allo stesso tempo di felicità. Ancora una tempesta mi si scatenò dentro.
”Anche tu mi odi.”, costammo entrambi le mani dal viso dell’altro. Lui abbasso lo sguardo.
”Dovresti rientrare. Mark si arrabbierebbe.” . Guardai un momento la struttura alle mie spalle.
”Anche lei.”. Non rispose, si limitò a guardare la strada umida. “Capirà che l’attendo in auto.” .
Sospirai e senza dire una parola ritornai dentro, sentendo il suo sguardo perforami la schiena.
Conscia del fatto che qualcosa era cambiato… per sempre.

 

 

*

Salve gente perdonatemi l’enorme ritardo, ma la scuola mi sta facendo impazzire.
capitolo importante che spero vi sia piaciuto, direi che qualcuno si è sbilanciato… senza fare nomi.

Vorrei ringraziare decentemente tutte coloro che hanno recensito il capitolo precedente, ma non ho davvero tempo!
Grazie mille a:
doddola93;
Fairwriter;
lazzari;
fede_sganch;
JulyTHFreiheit92;
KeLsey;
Sognatrice85;
A l y s s a;
Nessie93.

Mi rifarò, promesso!

A presto gente,
vostra Panda.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


CAPITOLO 13

 

La ricchezza del mio cuore è infinita come il mare, 
così profondo il mio amore: più te ne do, più ne ho, 
perché entrambi sono infiniti.
William Shakespeare, drammaturgo e poeta inglese, 1564-1616.

 


“Ci vediamo Audry.”, mormorò Mark sulla soglia della mia camera. La sua voce era fredda e glaciale. Rimasi scossa dal suo tono.
”Okay. Ci… vediamo.”, sussurrai voltandomi.
”Audry.”. Mi voltai e guardai il nocciola dei suoi occhi per alcuni istanti.
”Si?”, chiesi senza sapere che aspettarmi.
”Niente. Buona notte.”, e col capo chino, l’espressione frustrata si allontanò lungo il corridoio, fino a che la sua figura longilinea non spari dietro l’angolo.
Entrai in camera chiudendomi la porta alle spalle, poggiandomi con la schiena contro lo scuro legno e poi scivolare lungo essa, fino a sedermi sul pavimento. Stesi le gambe, buttando la testa all’indietro.
Cosa stava succedendo?
Tutte quelle mie sicurezze erano vacillate, sgretolandosi come castelli di sabbia.
Rividi nella mia mente i suoi occhi persi, il suo viso, le sue labbra.
Cosa stava succedendo?
Ero partita tempo prima con l’idea di seguire semplici, relativamente, corsi di biologia. Laurearmi e poi trovarmi un lavoro, realizzarmi come meglio potevo. E invece, la prospettiva dello studio e vita tranquilla era andata a farsi benedire, con l’incontro di quel giovane ragazzo.
Lo odiavo da un lato per questo. In fondo era pure sempre colpa sue se i miei nervi erano a pezzi, se ogni volta che i suoi occhi incontravano i miei il mio respiro accelerava e, qui, entrava in gioco un altro punto cruciale: la causa di tale respiro non era sempre la rabbia, e l’avevo capito quella sera. Quando i suoi occhi incontravano i miei, quando la sua pelle veniva a contatto con la mia, il mio cuore cominciava a galoppare e le mie guance avvampavano di rossore. Anche in quel momento, il mio cuore aveva accelerato i suoi battiti.
Scossi il capo, come per cacciare dalla mia mente quegli odiosi pensieri, che piano mi conducevano alla realtà.
Mi alzai sospirando, mi diressi verso l’armadio e poi in bagno, dove indossai gli indumenti per la notte.
Mi accinsi ad infilarmi sotto le coperte, quando la porta lentamente si aprì.
”Ciao.”, mormorò fermandosi sulla soglia, con una mano sulla maniglia.
”Ciao.”, risposi. Si chiuse la porta, dandomi un momento le spalle.
”Audry.”, non risposi attendendo che continuasse… ma non lo fece. Deglutii, rumorosamente.
”Rob…”, cominciai, senza sapere bene cosa volessi dire. Lui si voltò visibilmente sorpreso.
”Non mi hai mai chiamato così, Morel.”, potei appena udire la sua voce, pari ad un sussurro.
”Se vuoi posso chiamarti Pattinson.”, mormorai d’improvviso irritata.
”No, ti prego… non… non arrabbiarti.”, spalancai gli occhi, mentre lui abbassava lo sguardo sulla punta delle scarpe.
”Perdonami.”, mormorai, rimanendo lì accanto al mio letto. Sospirò frustrato, passandomi una mano sul viso. Sentii il bisogno di andare da lui, di accarezzarli il viso, cancellare quell’espressione dal suo viso d’angelo, ma non lo feci. Rimasi lì, inerme.
”Cosa c’è?”, sussurrai.
”Buona notte.”, disse prima di dirigersi nel bagno.
”Buona notte.”, mormorai quando fu dentro.
Mi infilai così sotto le coperte, girandomi su un fianco, verso il muro bianco e freddo come neve.
Sentii, come tempo prima, l’acqua battere sul fondo della doccia. Immaginai ancora l’acqua bagnargli il viso, i capelli arruffati.
Chiusi gli occhi, ripensando per un memento al tocco leggero della sua mano. Mi lascia cullare dal ritmo irregolare della doccia, del battere del getto sull fondo.
Piano, come il rumore delle auto da corsa nella mia mente, un’importanza consapevolezza si fece sempre più forte, in me. Supina, ora, con gli occhi chiusi, scavavo nel mio cuore, cercando quella risposta che da tempo era celata al suo interno. Poi piano, risalì a galla.
Spalancai d’improvviso gli occhi, quando nel buio pesto della mia palpebra chiusa, il suo viso si fece vivido come illuminato dal sole.


Il giorno successivo mentre camminavo nel campus, diretta in biblioteca, vidi Mark camminare verso me, dietro un ragazzo nerboruto. Credeva non lo avessi visto… credeva. Lo intravidi cambiare immediatamente strada, ma non riuscii a distinguere l’espressione sul suo viso.
Sbuffa sentendo l’irritazione salirmi e le mani prudermi.
Era possibile? Una continua contraddizione, Mark.
Sbattei le palpebre bloccandomi all’istante?
Mark? Ne sei sicura Audry?
Rimasi costernata dalla falsità e dall’ipocrisia con cui trattavo me stessa.
La contraddizione non era Mark, forse lui era il più coerente… senza il forse. Io ero l’incoerente. Io che primo odiavo ogni fibra del suo essere, io che non riuscivo a sopportare un solo respiro che emanava, io che la sera prima…
Sentii il mio respiro accelerare e il cuore battermi all’impazzata mentre la consapevolezza di ciò che il mio cuore cantava si faceva ancora più chiara della notte precedente.
Amicizia, interesse, dolcezza… sarebbe potuto diventare qualcosa di più?
Scossi il capo.
Come potevo negare qualcosa di cui già ero venuta a conoscenza?
E ripensai al suo viso, ai caldi occhi azzurri… al suo respiro sul mio collo…
“Ehi, cavolo sta attenta!” . Mi voltai verso la persona che avevo urtato accidentalmente con la spalla. I libri mi caddero dal braccio e la borsa insieme ad essi. Guardai con chi mi ero scontrata ed il mio cuore perse un battito.
“Scusa, non ti avevo visto.”, mormorai abbassandomi e cercando di concentrare la mia attenzione sui libri. Inspirai profondamente.
“Dove vai?”, chiese raccogliendo libri e fogli che erano finiti sopra i miei.
“Biblioteca.”
“Ovviamente.” . Alzai su di lui lo sguardo, incontrato i suoi occhi, il suo viso sul quale era dipinta un’espressione indecifrabile.
“Come , scusa? Perché ovviamente?”, chiesi confusa, alandomi, reggendo con le braccia i vari libri.
“Sei sempre lì, in biblioteca.”, disse imitandomi. Alzai un sopracciglio.
“E allora?”, risposi stizzita.
“Allora nulla. Potresti fare qualcos’altro.” . Inclinai la testa leggermente di lato.
“Tipo cosa?”, chiesi. Aprì la bocca per rispondere ma dalla sua bocca non vi uscì alcun suono. Scosse il capo, prima di sospirare.
“Non ho idea di cosa stia per fare.”, mormorò guardandosi la punta delle scarpe. Alzò poi lo sguardo su di me, ancora. “Risarebbe una sottospecie di conferenza, o come vuoi chiamarla. Leggono Shakespeare. Ecco… vieni.”, disse grattandosi la nuca.
“Shakespeare?”
“Bhe, stai sempre lì in biblioteca e pensavo ti piacesse. Insomma, potrebbe essere interessante… per te intendo.”
“Oh… capisco. Quando?”, sentii le guance avvamparmi di calore.
“Stasera.”, rispose, gli occhi resi ancor più chiari dalla luce del sole.
“Potrebbe essere interessante. A dopo, Pattinson.”
“E’ un si?”, chiese corrugando la fronte. Annuii col capo.
“A dopo, Morel.“, e col più bel sorriso che potesse rivolgermi si allontanò, lasciando dietro di una dolce fragranza agli agrumi.


Mi godevo la piacevole sensazione che l’acqua calda produceva a contatto sul mio esile corpo.
Aveva il potere di rilassarmi, di sgombrarmi la mente da qualsiasi tipo di pensiero, pensieri che mi avevano tormentata per gran parte del pomeriggio.
Due erano le parole che di aggiravano nella mia mente: Robert Pattinson.
Due semplici parole accompagnate dal battito accelerato del mio cuore, un battito che mi dava le vertigini.
Sospirai, passandomi piano le mani sul capelli buttandoli totalmente all’indietro, godendomi l’acqua sul viso, inebriandomi con il dolce profumo di frutti dello shampoo, concentrandomi sullo scroscio dell’acqua.
Sussultai quando qualcuno con violenza cominciò a bussare alla porta. Spensi così l’acqua, ponendo fine a quel magico e rilassante momento. Uscii la testa dalle doccia e mentre afferravo l’asciugamano gridai: “Cosa c’è?”
”Audry, muoviti! Ho bisogno del bagno!” Il mio cuore accelerò i battiti udendo la sua voce.
Deglutii rumorosamente, “Okay!”, risposi avvolgendo il mio corpo con l’asciugamano.
Mi guardai allo specchio, prima di avvolgermi i capelli con una salvietta. Poggiai le mani sul lavandino prima di asciugarmi e vestirmi con movimento troppo frettolosi.
Uscii dalla camera con ancora i capelli umidi e ciò ce vidi mi mozzò il fiato. Era steso sul letto, in posizione supina. Il viso era rilassato e le labbra dischiuse. I capelli arruffati ricadevano castani sulla federe bianca. Aprii gli occhi di scatto, facendomi sussultare... ancora.
”Ora posso?”, chiese mettendosi in piedi. Annuii col capo dirigendomi verso il mio armadio, senza guardare il suo viso. Sentii la porta chiudersi alle mie spalle.

Mi guardai distrattamente un’ultima volta allo specchio, portandomi una ciocca color del rame dietro un orecchio.
”Sei ridicola, Audry.”, mi dissi scuotendo il capo e guardando in basso. Io, avrei seguito Pattinson ad una conferenza? Io e Pattinson?
La sola idea mi faceva venir un gran prurito lungo tutto il corpo e farmi ridere istericamente.
Era impossibile ormai non ammettere l’evidenza, ciò che piano avevo capito e non ancora del tutto compreso. Confusa e spaesata, facevo fatica a capire ciò che davvero volevo.
Così ignara di ciò che il destino aveva in serbo per me, uscii dal bagno.
”Pronta.”, dissi affondando le mani nelle tasche. Lui che era poggiato al muro, mentre con le mani giocherellava con una sigaretta, alzò lo sguardo incontrando il mio.
”Ciao.”, disse con un filo di voce, spalancando gli occhi, mostrando un azzurro cielo più limpido del solito.
”Ciao.”, mormorai sentendo le guance avvamparmi di rossore. Rimassi a fissare il suo viso per attimi che mi parvero infiniti, poi un sorriso comparve sul suo viso ed insieme ci dirigemmo ad ascoltare Shakespeare.

Guardavo un uomo di all’incirca trentenni muoversi su di un palco. Aveva i capelli neri, che ribelli ondeggiavano ad ogni suo passo, la barba incolta e una voce calda e profonda.
Recitava sonetti e versi come solo gli attori teatrali sanno faro, di quelli che recitano per professione.
Chissà se Robert sarebbe stato convincente come quell’uomo pieno di maestria e perfezione.
Nel teatro immerso nel buio, illuminato dalle soli luce fioche del palco, guardai il suo viso, il suo profilo che per alcuni attimi mi ricordo quello delle marmoree ed imponendo statue greche. La sua pelle sembrava fatta di porcellana, fragile porcellana che, al solo tocco della mia mano, avrebbe potuto creparsi.
”…sian dunque i versi miei, unica eloquenza e muti messaggeri della voce del mio cuore, a supplicare amore e attender ricompensa.”
Quanto di vero c’era in quelle parole? Quanto reali erano? Quanto applicate alla realtà potevano essere Sopirai voltandomi a guardare ancora l’uomo.
Shakespeare, ancora applicabile alla realtà, ad un mondo ben diverso dal suo, ma in realtà così vicino.
”Ti annoia?”, chiese sporgendosi verso me. Involontariamente mi sporsi anch’io verso di lui, senza distogliere lo sguardo dal palco.
”…ben più di quella lingua che più e più parlò. Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi.”, conclusi con l’attore, per poi poggiarmi con la schiena allo schienale della poltroncina. Con la coda dell’occhio lo vidi voltarsi verso ma, ma non potei capire quale fosse l’espressione sul suo volto.
”Questo conferma le mie tesi.” . Mi voltai verso Robert che fissava dritto davanti a se.
”Quali tesi?”, chiesi confusa.
”Che sei un topo da biblioteca.”, rispose ovvio. Sgranai gli occhi ed aprii la bocca scioccata.
”Come prego?”, chiesi con un filo di irritazione nella voce.
”Mi hai sentito, Audry.”, sussurrò con tono neutro. Sentii automaticamente la rabbia montare e le mani prudermi, come sempre del resto.
”Cosa stai insinuando Pattinson?”, chiesi in un sibilo sporgendomi verso di lui. Si voltò di scatto verso di me, fissandomi con aria stralunata.
”Stai bene? Forse dovresti prendere un po’ d’aria, Audry.”, disse notando l’irritazione nella mia voce. Ridussi gli occhi a due fessure.
”Non cambierai mai, Pattinson.”
”Non cambierai mai, Morel.” .
”Se dovete discutere, andatevene!”, ci ammonì una signore di mezza età, seduta nelle file davanti alla nostra.
”Oh, non si preoccupi tolgo il disturbo.”
”Brava Audry, scappa.”, mi alzai di scatto, guardandolo in cagnesco.
Ah, è così?
Non so perché lo feci, non so cosa mi spinse a farlo, ma con prepotenza e impertinenza gli schiaccia il piede con il tallone.
”Audry!”
Dasvidania, Pattinson.”, dissi prima di uscire dal teatro fiera di me stessa.


Aprii con forza e violenza la porta, desiderando solo di rifugiarmi sotto le coperte.
Illusa, ecco cos’ero. Mi ero solo illusa che dietro che l’antipatica e l’arroganza ci fosse qualcuno che valesse la pena scoprire, qualcuno che magari non era come risultava all’apparenza.
Stupida!, mi ammonii all’istante, dirigendo a gran passi furiosi verso le grande scalinata.
”Signorina Morel.”, sentii la voce della signore Darcy chiamare il mio nome, e, con il viso rosso dalla rabbia, mi voltai a guardarla, pronta a staccarle la testa a morsi se solo aveva parlato di… Mark.
”Si è liberata una camera.” .
Mi bloccai, lì sul gradino, come se i miei piedi fossero incollati al pavimento.
Sospirai sollevata, ma piano nella mia mente riaffiorò la sua immagine.
”Oh no!”, mormorai a me stessa.
Questa non ci voleva!, pensai sedendomi e prendendomi il viso fra la mani.
La pazzia aveva terminato il suo corso, ”Cosa? Mi dispiace?”

 

 

*

Eccomi gente! La scuola è finita, per mia grande fortuna!
Ora il tempo per scrivere non mancherà e di certo potrò postare con più frequenza!
La storia va avanti e le cose si sviluppano. Spero di non aver deluso nessuno!

Tante persone fra i preferiti? Grazie, grazie a tutte voi ragazze!

Un grazie enorme alla mia Juls!

Grazie a tutte coloro che hanno recensito soprattutto!

KeLsey: Eri, mia adorata! Che piacere leggere la tua recensione! Faccio del mio meglio, quando scrivo e sono felice di sapere che è piaciuto il capitolo, come ho reso le viarie emozioni. Ci ho sudato un po’ quando l’ho riletto. Almeno lei ha capito “cosa il suo cuore canta”. Grazie mille, tesoro. Ti voglio bene (L)
Nessie93: ciao! Guarda ultimamente sto sudando, scrivere dal punto di vista di Audry, tipo incasinato, si sta rivelando un’impresa. Io ce la metto tutta e spero ti piaceranno anche i prossimi capitoli. A presto, cara! E grazie mille per la recensione! *.*
cloddy_94: ciao! Ehi, il fatto che tu voglia continuare a leggere è una cosa positiva!... per me. Si effettivamente, mia cara Zombie, la fanno più difficile di quella che è, ma se fosse facile non ci sarebbe una storia. Son contenta tu abbia recensito, davvero! Spero di non averti fatta attendere troppo! Grazie mille! A presto!
Piccola Ketty: ciao! *.* Ecco a te il seguito. Tutta in una sera?... onoratissima! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! A presto!
lazzari: ciao! Io direi che entrambi sono lunatici e soprattutto molto, ma molto, tonti. Ora che la scuola è finita, avrò più tempo per scrivere e postare! Almeno fino a fine mese… -.-“ A presto bella! Grazie mille per la recensione!
A l y s s a: ciao! Mia adorata compagna! Parole sante! Almeno in questo capitolo Audry ha capito cosa, più o meno, prova. Non sai quanto mi rende felice sapere che il capitolo precedente ti è piaciuto! *.* ci tengo molto al tuo parere, lo sai! Davvero ti ha commosso la parte finale? A quella ci tengo molto, davvero tanto! Non sia quanto mi rende felice la tua recensione! Spero di non averti delusa con questo capitolo! A presto! =*
Bauci_Selvi: ciao! Tutti di seguito? O.O okay, sono senza parole, ma felicissima! *.* Sono contenta di sapere che ti piace come scrivo! Io… grazieee! Spero ti sia piaciuto anche questo! A presto!
Sogantrice85: ciao! *.* Okay, letta la tua recensione ho iniziato a saltellare per la stanza come una cretina. Ti ringrazio davvero di cuore! Non mi merito recensioni così belle! *.* Le cose si evolveranno in positivo e in negativo, ma non parlo altrimenti rivelo davvero tutto! Spero questo capitolo ti sia piaciuto, ci tengo a sapere cosa ne pensi (sto iniziando a leggere la tua fiction *_* ). A presto, cara… e grazie ancora!
Fairwriter: mia adorata Juls, mia cip… sorella! Non sai quanto conti il tuo parere… no, non è vero, lo sai! Beh, che dire? Grazie, grazie infinite! La tua recensione è bellissima come sempre! *.*  Spero questo capitolo ti sia piaciuto! Grazie per tutto, Juls, non smetterò mai di dirtelo! A presto! Ti voglio bene <3
pucciat_ : ciao! Che piacere leggere una tua recensione! Dopo la quiete, la tempesta. Davvero l’ultimo episodio ti ha presa? *.* Il bacio… il bacio… non c’è stato. Era troppo ovvio, no? Le cose ovvie sono noiose, e cerco sempre di non rendere la fiction… noiosa. Montepulciano? … magari! La scuola mi ha tenuta occupata, tanto che ho dovuto portare ad un’interrogazione di filosofia tutto il programma del secondo quadrimestre… per questo posto solo ora XD (ed ora la scuola è finita!). Ora vedi di postare anche tu! A presto! =*

 

A voi, con infinito affetto,
Panda.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


CAPITOLO 14

 


Tramontata è la luna e le Pleiadi:
a mezzo è la notte:
il tempo trascorre;
e io dormo sola.
Saffo, poetessa greca, VII-VI sec a.C.

 

 

Chiusi un momento gli occhi respirando profondamente, poi sospirai.
”Quando?”, chiesi dirigendomi verso la signora Darcy.
”Tre giorni.”, rispose con indifferenza, senza guardarmi in volto. Fissai per un momento le venature del legno del bancone, prima di annuire debolmente e congedarmi con educazione… che ovviamente quella donna non meritava da parte mia, data la sua infinita acidità ogni qual volta aprivo bocca o irrompevo in una stanza.
Salii con lentezza le scale, con un turbinio di pensieri nella testa, con un senso di nausea che mi attanagliava lo stomaco, per un motivo che, con grande difficoltà, dovetti ammettere: Robert Pattinson.
Una parte di me voleva cancellare il suo viso dalla mia mente, lo odiava come non aveva mai odiato nessuno. Mi irritava ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni sua parola, perfino il suo respiro mi irritava, ma l’altra parte di me, lo desiderava. Lo desiderava, lo agognava. Quella parte che da qualche giorno faceva aumentare di due battiti in mio cuore ogni volta che il suo corpo era vicino al mio, ogni volta che i suoi occhi si perdevano nei miei, che mi costringeva ad ascoltare ciò che aveva da dire, ciò che aveva da ridire. Quella parte che mi costringeva a lottare contro me stessa per non poggiare il mio orecchio sul suo petto ed udire il dolce battere incessante del suo cuore. Quella stessa parte che in quel momento desiderava poter rimanere, contro la volontà dell’altra, in quella camera, quella parte che in quel momento dominava il mio animo.
Con passo strisciato mi diressi verso la mia camera, ma arrivata davanti alla porta mi bloccai.
Cosa avrebbe significato dormire ancora una notte lì? Una notte dopo un’ennesima discussione? Una notte con la consapevolezza che il ragazzo che mi dormiva accanto era ormai ciò che i miei sensi desideravano?
La consapevolezza di tali sentimenti, di tali emozioni, di tali fatti mi costrinse a deviare il mio cammino per dirigermi alla stanza 1235.
Sperai Stephanie fosse in camera, che non avesse deciso di uscire proprio quel giorno. Bussai una, due, tre volte, poi sentii delle imprecazioni e all’istante capii che l’avevo svegliata. Feci un risolino sommesso, poi la porta si aprii.
”Audry… stavo… Audry?”. Stephanie indossava il suo solito pigiama giallo ed aveva i capelli arruffati, il viso era assonnato ma la fronte immediatamente di aggrottò quando vide il mio viso. A giudicare dalla sua espressione non dovevo aver una bella cera.
”Posso dormire qui?”, chiesi grattandomi la nuca imbarazzata.
”Se non ti scoccia dividere il letto con me, ovviamente.”, rispose mostrandomi un sorriso.
”Jane?”, domandai notando il letto vuoto.
”E’ uscita. Aveva un appuntamento se non sbaglio.”, disse dirigendomi verso il letto, accendendo l’abajour accanto ad esso. Calò il silenzio nella piccola stanza, lei seduta a gambe incrociate attendeva che io parlassi, si vedeva, si notava, ma io non ebbi la forza o la volontà di farlo.
Così, mi avvicinai alla finestra guardando la luna che di tanto in tanto veniva coperta dalle nuvole, cercando per un momento di sgombrare la mente dai fastidiosi pensieri e dalle insistenti immagini che in essa si susseguivano.
”Hai intenzione di parlare o devo cavarti le parole di bocca?”, chiese dopo alcuni attimi. Sopirai, passandomi una mano fra i lunghi capelli ramati. “Si tratta di Pattinson, vero Audry?”, aggiunse poi, quando i miei occhi incontrarono i suoi. Rassegata all’evidenza, annuii.
”Fra tre giorni cambio stanza.”, sussurrai guardandomi la punta delle scarpe da tennis.
”Oh…ora capisco.”, aggiunse lei prima di farmi segno di sedermi accanto a lei. “Lo sapevo, l’ho saputo sin dall’inzio.”
”Cosa?”, chiesi confusa.
”Che sarebbe finita così.”
”Così come?”
”Che ti saresti innamorata, Audry.”. Mi voltai di scatto verso Stephanie che con infinita dolcezza mi sorrise, accarezzandomi appena una ciocca di capelli.
”Non è amore.”, ribattei sicura di ciò che dicevo.
”Ma è comunque qualcosa che va al di là della semplice conoscenza, o della semplice amicizia. Qualcosa che non è odio.”
”Come fai a dirlo?”
”Ora non saresti qui. Ti conosco bene, Audry, più di quanto tu immagini. E lo vedo nei tuoi occhi, vedo ciò che provano nel vedere i suoi occhi. Puoi mentire a tutti, Audry, anche a te stessa, ma non puoi mentire alla tua migliore amica.” . Abbassai lo sguardo, non riuscendo a reggere il suo.
”Lui mi odia, Stephanie.”, mormorai con vece roca.
”Ne sei sicura, Audry?”, chiese. Annuii col capo.
”Quando imparerai a vedere?”
”Io vedo.”, ribattei guardandola in viso.
Lei mi sorrise, “Guardare, Audry, non guardare.”, disse poi accarezzandomi dolcemente la guancia.


La mattina seguente un forte tonfo mi costrinse ad aprire gli occhi, terrorizzata. Cacciai un urlo, mettendomi a sedere di colpo, facendo cadere dal letto Stephanie, che mi maledisse in tre lingue diverse.
”Ops, scusate, non volevo svegliarvi.”. Mi passai una mano fra i capelli portandomeli indietro e guardando Jane che seduta sul pavimento di massaggiava con una mano, mentre con l’altra reggeva un paio di scarpe rosse dotate di un vertiginoso tacco a spillo.
”Oh si certo, Audry, ti perdono non preoccuparti se mi hai buttata giù dal letto procurandomi una frattura al coccige. Tranquilla, amica.”, disse Stephanie cercando di alzarti.
”Cosa?”, chiesi voltandomi e guardandola con aria confusa un momento. Poi sgranai gli occhi, “Oddio, scusa, non volevo!”, mi affrettai a dire mentre mi alzavo per darle una mano.
”E a me? Non mi aiuta nessuno?”, chiese Jane. Porsi una mano a Stephanie ed entrambe ci voltammo verso la ragazza, fulminandola con lo sguardo, “Okay, faccio da sola.”, si affrettò ad aggiungere. Guardai la radiosveglia, segnava le otto del mattino.
”Fatto le ore piccola stanotte?”, chiese Stephanie a Jane che si era stesa sul letto, chiudendo gli occhi.
”Si, mi sono addormentata a casa di mia sorella. Ieri sono stata a cena da loro, ed ho incontrato l’amore della mia vita.”, sospirò nel pronunciare amore.
”Non lo avevi già incontrato la settimana scorsa?”
”No Stephanie, quello era l’amore della settimana, non della vita.” . Mi voltai verso Stephanie che alzò automaticamente un sopracciglio. Soffocai un risolino, poi concentrò la sua attenzione un momento su di me.
”Dice sempre così.”, sussurrò facendo roteare l’indice vicino la tempia.
”Ti ho vista Stephanie, non sono pazza.”, esordì Jane.
”Non lo penso. E’ solo che il mio indice ha vita propria e si muove autonomamente.”, rispose lei facendo spallucce. Feci un risolino, divertita da quella piccola schermaglia di battute.
”Credo sia meglio andare, per me. Ti restituisco la maglia più tardi, okay?”, dissi dirigendomi verso la porta. Lei annuii col capo, “Ci vediamo dopo.”, aggiunse salutandomi poi con la mano.”
”Buona notte, Jane.”
”Buona notte, Audry.”. Uscii dalla stanza con in mano la mia maglia e i jeans che avevo indossato al sera prima. Indosso avevo la maglia che Stephanie mi aveva prestato per la notte, la sera precedente. Una maglia di due taglie in più che mi arrivava sopra il ginocchio.
Silenziosamente mi diressi verso la mia camera, nei corridoi deserti potevo udire le voci provenire dalle stanze, persone che si accingevano ad uscire, così allungai il passo, sperando qualcuno non mi vedesse. Arrivata sulla soglia, mi ricordai di aver lasciato la mia chiave in camera.
”Oh no.”, mormorai a me stessa. Sospirai e presi a bussare alla porta, all’inzio con leggerezza, poi aumentando la potenza vedendo che Robert non veniva ad aprirmi.
”Un attimo.”, sbraitò.
Fantastico, pensai, preparati alla furia, Audry.
La porta si aprì a un Pattinson dai capelli arruffati e occhi cristallini mi fu davanti… e fu strano ciò che provai. Un susseguirsi di emozioni di sensazioni, che troncarono ogni collegamento esistente tra l cervello ed il corpo. Fu come se ogni mio organo fosse stato risucchiato da un enorme buco nero, presente nel mio stesso corpo. Spiegare ciò che sentivo, è impossibile. Provai un immediato e stupendo senso di appagamento, come se ogni cosa in quel momento fosse al suo giusto posso. Le api sui fiori, i canarini nei loro nidi, il bambino che guardava il suo aquilone librarsi nell’aria, la nonna e la torta appena sfornata sul davanzale, la mamma che sorrideva in risposta al suo bambino.
Mi accorsi di aver trattenuto per istanti che mi parvero infiniti, il respiro.
”Audry.”
”Robert.” . Sulla soglia della stanza rimanemmo a guardarci, l’uno perso negli occhi dell’altra, con i visi che non tradivano emozioni, soprattutto il suo, per me difficile da leggere.
”Belle gambe.”, furono le parole che qualcuno disse dopo un fischio di apprezzamento. Mi voltai di scatto sorpresa, sentendo le guance avvamparmi di rossore.
”Si, e non sono tue.”. Mi voltai di scatto verso Robert che, rosso in volto, aveva risposto con ben troppa energia al ragazzo. Ma il suo volto dopo alcuni attimi cambiò  espressione e ritornò a guardare me, allibito.
”Come scusa?”, chiesi con voce strozzata. Lui aprì la bocca per rispondere, ma da essa non i uscì alcun suono. Attesi, fino a che qualche secondo dopo, non arrivò.
”Ehm… bhè, sono le tue no?”, chiese guardando un punto alle mie spalle, spostando poi lo sguardo ancora su di me.
”Giusto.”, risposi spaesata e confusa da tale reazione. “Mi faresti entrare?”, aggiunsi vedendo che tra noi calò nuovamente in silenzio.
”Oh si, scusami.”, mormorò entrando in camera e lasciandomi il passaggio libero. Mi diressi verso il mio armadio e quasi potei avvertire il suo sguardo non abbandonarmi.
”Non hai dormito qui stanotte.”, la sua, ovviamente, non era una domanda.
”No.”, risposi in un sussurro.
”Sei stata da Mark.”, anche questa non era una domanda. Il tono freddo e dure presente nelle sua voce mi irritò.
”Non credo ti riguardi.”, risposi prendendo dei vestiti e ciò che mi serviva per la doccia.
”Si, certo.”. Mi voltai a guardarlo ed il mio cuore accelerò la sua corsa. Il suo sguardo incatenò il mio ed un brivido mi attraverso da capo a piedi.
”A te che importa?”
”Mi importa, Audry.”, fece un passo in avanti e il cuore fu come mi salisse in gola.
”Perché? Perché potrei farlo soffrire? Perché è tuo amico.”, chiesi con un filo di voce, perdendomi nel mare dei suoi occhi.
”Importa perché…”, la parole fu come gli mancassero.
”Perché?”, lo incitai prima di deglutire rumorosamente.
”Perché… è mio amico.”, mormorò poi guardando in basso. Mi voltai e mi diressi verso il bagno, desiderosa di una doccia, ma prima di chiudermi alle spalle la porta, pronunciai ciò che forse ancora non sapeva: “Si è liberata una camera, fra tre giorni tutto questo finirà.”, poi entrai nel bagno e dopo aver chiuso la porta mi poggiai ad essa, scivolando fino al pavimento, buttando la testa indietro e chiudendo gli occhi.
”Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore è intelletto sottil d'amore intendere con gli occhi”, sgranai gli occhi nell’udire tali parole, oltre la porta di legno scuro.
Ed il mio cuore, perse un battito.

 

*

Eccomi gente, qui con un altro capitolo Questo è più che altro di… transizione, si si.
Allora, dato che ho davvero poco tempo, non riesco a ringraziare a modo gli angeli che hanno recensito il prossimo capitolo. Le cito, con la promessa di rifarmi nel prossimo aggiornamento:

Piccola Ketty;
Nessie93;
Sognatrice 85;
lazzari;
KeLsey;
ilachan89yamapi;
A l y s s a.

Ancora scusa, per non potervi rispondere come vorrei, perdonatemi, davvero.


A presto, un bacio, Panda.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


CAPITOLO 15

 


Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse.
 E il mondo appare diverso da quassù.
Non vi ho convinti?
Venite a veder voi stessi.
Coraggio!
È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva.
John Keating ,l’attimo fuggente, 1989.

 


Scarabocchiavo distrattamente la copertina del quaderno dove raccoglievo gli appunti di chimica generale, mentre con la coda dell’occhio osservavo Robert studiare. Il suo viso era concentrato su un libro, che non riuscii a capire di cosa fosse.
Mordicchiava, anche lui distrattamente, il tappo di una biro, mentre una piccola ruga fra le folte sopracciglia rendeva la sua espressione alquanto concentrata.
Avrei dovuto essere in biblioteca nel giro di dieci minuti, non ero mai arrivata in ritardo, eppure non riuscivo ad alzarmi. Era come fossi incollata al letto, come se i miei muscoli fossero scollegati dalla parte razionale di me, costringendomi a resta lì, beandomi quasi, delle figura di Robert.
Era ovvio, oramai, anche se non volevo ammetterlo. Era ovvio, ciò che mi succedeva, dalla notte in cui nella mia palpebra chiusa avevo visto il suo viso. Era ovvio, eppure io non volevo ammetterlo.
Ammetter cosa? Ammettere che… che ogni volta che i miei occhi incontravano i suoi i battiti del mio cuore aumentavano di frequenza, che mille farfalle spiccavano il volo nel mio stomaco, ogni cosa perdeva di significato e ogni fibra del mio essere mi conduceva a lui. Le mani fremevano per accarezzare i morbidi capelli chiari, la stessa pelle, le labbra rosee. Eppure anche il suo solo respirare mi dava ai nervi. I suoi gesti mi facevano ribollire il sangue nelle vene.
Che fosse possibile? Che fosse normale?
In quel periodo nella mia vita non vi era nulla di normale. E mentre guardavo il suo viso concentrato, per la prima volti fui chiara a sincera a me stessa. Spalancai le porte del mio cuore, della mia mente e della mia anima, dando libero sfogo alle mie emozioni, ai miei sentimenti.
Si, ero attratta da Robert Pattinson. Ero attratta dalla sua voce, quella stessa voce che mille volte aveva dato voce a pensieri ostili, una voce mutevole, una volta roca, una volta adolescenziale, attratta dal suo dolce viso, quel viso indurito dalla rabbia, addolcito dal sorriso, attratta dall’oceano blu e verde dei suoi occhi, nella quale amavo perdermi di tanto in tanto, occhi rossi dalla rabbia.
Tutto mi piaceva e tutto mi irritava.
Una tempesta di emozioni si era scatenata dentro me, e non avevo modo di fermala.
Rimasi, lì, a guardare il suo viso, finalmente conscia di ciò che provavo.
Avevo ammesso a me stessa di provare qualcosa per Robert Pattinson.
Sospirai, arresa ai miei stessi sentimenti, alla testardaggine, all’orgoglio che mi aveva portato a celare ciò che il mio cuore da tempo probabilmente cercava di cantare.
Con la coda dell’occhio lo vidi alzare il capo. Sentii le guance avvampare di calore, mentre scarabocchiavo sulla copertina del quaderno. Fu come se il suo sguardo bruciasse sulla mia pelle, come se mi perforasse la carne, come se si fondesse con le mie ossa.
Dopo attimi che mi parvero eterni, chinò il capo.
Il mio cuore rallentò la sua folle corsa.
”Non dovresti essere in biblioteca?”, chiese prendendomi alla sprovvista.
Cose avrei dovuto rispondere? Cosa avrei dovuto dire? Che non andavo per bearmi della sua presenza?
Alzai il capo, “Ehm… no oggi non ci vado. Oggi ho deciso di prendermi una pausa dal personaggio del topo da biblioteca.”, dissi con una nota di acidità nella voce. Mi morsi al lingua, maledicendomi. Sperai vivamente non nascesse un’ennesima discussione. Non mi andava di litigare, non mi andava di rendere le cose ancor più difficili di quanto già erano.
Sbuffò, scuotendo il capo, ma non parlò… e gliene fui grata.
”Non capisco perché tu debba interpretare sempre a modo tuo ogni mia frase, ogni mia parola.”, mormorò poco dopo. Quella frase, mi lasciò interdetta.
Che fosse vero?
”Cosa intendi dire?”, chiesi incrociando le gambe e sporgendomi in avanti, inclinando il capo verso destra.
”Semplicemente quello che ho detto, Audry. La mia non era un critica. Se tu non te ne fossi accorta o resa conto, passo parte del mio tempo libero in biblioteca.” . Sbattei le palpebre qualche volta, sorpresa.
Ogni mia convinzione si sgretolò come castelli di sabbia. Mi sentii una stupida quando compresi ciò che mi aveva detto. Ero saltata alle conclusioni sbagliata e il dubbio che quella non fosse stata la prima volta mi assalii.
Se avessi interpretato a modo mio ogni sua frase, ogni suo gesto, ogni suo tono?
Come avevo fatto a non notarlo in biblioteca?
Toppo presa dall’odio, dalla confusione, da stupide ed errate convinzioni.
Sgranai gli occhi, mentre mi mettevo dritta, poggiandomi al muro. Il suo sguardo, i suoi occhi, si incatenarono ai miei e non potei fare nulle per evitarlo. Inerme mi persi dentro essi, nelle mille congetture, nei mille pensieri, che caotici mi vorticavano nelle mente, senza un filo logico.
”Io… io…”, le parole mi mancarono. Fui salvata dal bussare alla porta.
”Audry, apri questa porta o la butto giù.”, mi voltai riconoscendo la voce di Stephanie. Mi alzai e la feci entrare.
”Sono passata dalla biblioteca ma non c’eri, così sono venuta qui. Mi devi accompagnare a fare shopping e non dire di no altrim-... oh, ciao!”, disse quando si voltò notando che Robert era nella stanza.
”Ciao.”, rispose lui facendole segno con la mano.
”Ho interrotto qualcosa?”, chiese spostando lo sguardo da lui a me, confusa dall’espressione indecifrabile del suo viso e probabilmente anche del mio.
”No.”, rispondemmo, mio malgrado, contemporaneamente. Dietro quel no, si celava un si, almeno da parte mia.
Il silenzio calò nella stanza.
”Allora Audry? Andiamo?”, mi chiese ulteriormente Stephanie. Annuii col capo e afferrando al giacca e la borsa mi diressi verso la porta.
”A dopo… Robert.”, mormorai guardando ancora una volta i suoi limpidi occhi azzurri.
”A presto, Audry.”. Fu per me difficile scostare lo sguardo.
”Arrivederci, signor Pattinson.”, disse Stephanie facendo capolino con la testa altre la parta, poiché mi aveva preceduta nell’uscire.
”Arrivederci.”

 

“Come ti sembra questa?”. Mi voltai verso Stephanie, sgranando gli occhi.
“E’ leopardata.”, risposi con un filo di voce, scioccata.
“Si ma… guardala! Dice chiaramente: provami… provami... non la senti, Audry?”, chiese dolcemente.
“Si è vero! Dice chiaramente: non provarmi… non provarmi…”
Sbuffò, “Mi rovini sempre tutto. Sei una uccidi-entusiasmo.”
“Oh, grazie.”, dissi facendo una smorfia.
“Prego. Sempre disponibile per la verità.”, rispose facendo spallucce. 
Scossi il capo, prendendola per le spalle, “Andiamo, prova questa orribile maglia leopardata.”, la spinsi nel camerino più vicino.
Poco dopo fu fuori.
“Ingannatrice tentatrice.”, rispose dirigendosi verso lo scaffale dal quale aveva preso la maglia.
“Fammi indovinare: avevo ragione io.”, chiesi con un sorriso compiaciuto.
Mi guardò fulminandomi con lo sguardo, “Non una sola parola in più sull’argomento, grazie.”, disse dirigendosi a gran passo all’esterno del negozio.
“Ti va un frappé?”, chiese.
“I centri commerciali ti fanno senza dubbio male.”, dissi mentre i dirigevamo al bar.
“Perché?”, chiese corrugando la fronte.
“Beh, passi il tuo tempo a provare vestiti su vestiti (non c’è negozio che passi inosservato), e magiare. Se la memoria non mi inganna, hai mangiato un hot dog mezz’ora fa.”
“Questi sono dettagli, Audry.”
“Oh si, senza dubbio.”
“Allora? Lo vuoi un frappé?”, chiese incrociando le braccia al petto e battendo il piede, impaziente.
Annuii col capo ed aprii la bocca per dirle a che gusto lo desideravo, ma mi precedette.
“Cioccolato.”, disse senza nemmeno guardarmi in volto, girandosi per dirigersi all’interno del bar.
Feci un risolino, affondando poi le mani nelle strette tasche dei jeans.
Quel pomeriggio, riuscii a non pensare. Riuscii a non pensare a Mark, riuscii a non pensare a ciò che forse provava per me, e a cosa non provavo io per lui, forse. Riuscii a non pensare a Robert. Riuscii a evitare la sua immagine nella mia mente, il dolce eco della sua voce calda.
“Ecco a te.”, Stephanie tornò con due bicchieri di frappé.
“Grazie mille.”, dissi portandomi la cannuccia alle labbra.
“Oh, guarda! Quel negozio non dice chiaramente: entra… entra…”
Roteai gli occhi, sospirando. Quella tortura non avrebbe mai avuto fine. Stephanie mi sorpassò, dirigendosi al negozio alle mie spalle, che non avevo il coraggio di guardare.
Sbuffando, mi voltai.
“Ah!”, gridai quando il freddo frappé mi fu sulla maglietta bianca. Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, scioccata. Alzai lo sguardo per vedere con chi mi fossi scontrata… e sarebbe stato meglio non farlo.
“Oh mio Dio.”, disse lui portandosi la mano sulla bocca, come a tapparla. “Aurdy, perdonami!”, disse allungando la mani verso me. Istintivamente mi allontanai.
“Non mi toccare,” sbottai, “hai già fatto abbastanza danni.”, conclusi sporgendomi leggermente in avanti quando sentii il liquido freddo scivolarmi lungo il ventre, entrato crudelmente e prepotentemente dalla scollatura della maglia.
“Non ti avevo vista!”, si difese.
“Uffa, guardami!”, dissi indicandomi la grande macchia sul tessuto bianco. Per alcuni istanti rimase fermo. Oltre le spesse e scure lenti dei suoi occhiali da sole non riuscii a capire dove fosse indirizzato il suo sguardo.
Sospirò e la sua mano circondo il mio polso.
“Ehi, dove mi stai portando?”, chiesi opponendo resistenza quando cominciò a camminare.
“Non puoi andare in giro così.”, disse trascinandomi.
“Ma dai, non mi dire.”, ironizzai, ma non rispose. “Devo avvisare Stephanie.”, continuai cercando di liberarmi dalla sua ferrea presa.
“L’avviserai dopo.”, rispose con voce monocorde. Sbuffai e, vinta, mi lasciai guidare all’interno di un negozio, senza opporre resistenza. Di colpo si fermò, guardandosi un po’ intorno. Il suo sguardo incontrò quello di una ragazza che riconobbi subito: la barbie che era con lui al cinema. Avvertii ancora una volta l’irrefrenabile voglia di tosarle i lunghi e setosi capelli biondi. Le mani cominciarono a prudermi, quando lei annuii a qualcosa che lei aveva minato con mani e labbra, probabilmente. A distrarmi furono le sue mani che leggere si posarono sulle mie spalle.
Sobbalzai a quel tocco, presa di dieci modo per uccidere una barbie. Mi condusse in un camerino.
“Ma cosa…?”, cominciai.
“Entra, ed aspettami qui. Non muoverti!”, disse puntandomi l’indice contro, come fossi una bambina.
Sbuffai allargandole braccia e facendole poi ricadere lungo i fianchi, “Ma tu guarda questo.”, mormorai d’irritazione, ma non mi udii poiché si era allontanato troppo velocemente.
Mi voltai e mi sedetti sullo sgabello che si trovava in un angolo del camerino.
Nella testa l’immagine della ragazza bionda, simile ad una modella. Sbuffa ancora, portandomi la mani fra i capelli, e reggendomi la testa , poggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Audry?”, sentii la sua voce oltre la porta.
“Si?”, chiesi, alzando lo sguardo. Dall’apertura sopra la porta del camerino, mi lanciò una maglia, che riuscii, per grande fortuna, a prenderla senza farla cadere.
Era bianca, simile quella che già indossavo. Dalla grande borsa marrone presi delle salviette imbevute e mi pulii la striscia scura che il frappé mi aveva lasciata sul ventre piatto. Indossai la maglia, alzandomi leggermente la maniche.
Mi alzi in punta di piedi, poggiando le braccia ed il gomito sulla porta di legno.
Tossii appena per attirare l’attenzione. Robert era poggiato al muro, udendo la mia voce alzò lo sguardo incontrando il mio. Per un istante il mio cuore cessò di battere.
Con un colpo di schiena si mise eretto, avvicinandosi a me. Si era sfilato dal viso i grandi occhiali da sole e il berretto nero.
“Come va?”, chiese con voce calda.
Aprii la porta, mostrandogli la maglia. Feci un giro si me stessa.
“Direi che è esattamente uguale a quella di prima.”, disse corrugando la fronte. Annuii col capo.
Il suo sguardo incrociò ancora il mio. Per attimi che mi parvero infiniti.
“Direi di si.”
“Scusami ancora, Audry.”, mormorò facendosi avanti, poggiando anch’gli le mani sulla porta.
“Non importa.”, mormorai fissano i suoi occhi ardenti.
Quale mondo era celato dietro essi? Così vicini, eppure così lontani. Con facilità i miei occhi si fondevano con i suoi… verde nell’azzurro, azzurro nel verde. Un mondo così diverso da quello che custodivo dentro, un mondo dal quale cercavo quasi di escluderlo. Solo allora, quando piano, senza premeditazione, con un gesto semplice ed involontario, casuale e delicato, mi accarezzò i capelli, capii che era stato tutto un errore. Escluderlo dal mio universo, aveva causato i litigi, le incomprensioni.
La diffidenza, la rabbia, l’irritazione, emozioni che io stessa, con un comportamento irresponsabile e immaturo, avevo causato.
Il piacere, il riso, la spensieratezza... avrei potuto ottenerle. Se avessi lasciato da parte l’orgoglio e la testardaggine, forse le cose, ora, sarebbero diverse.
“Cosa c’è?”, mormorò facendo scivolare la mano, abbandonando la ciocca sulla quale con dolcezza si era soffermato.
“Nulla.”, soffiai.
“Non ci credo.”
“Perché?”, il respiro mi si fece più corto quando piano riprese a giocare con una lunga ciocca di capelli, in un gesto casuale.
“Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima. A volte quella frase, rispecchia la realtà.”. Sospirai e l’aria fu come mi bruciasse i polmoni, causandomi dolore.
“Se fosse così, ora, cosa vedresti?”, chiesi con un filo di voce.
“Vedrei una ragazza che ha paura… paura di rivelarsi al mondo. Di mostrare se stessa. Una ragazza dai grandi occhi verdi, dai capelli color del rame che si ostina a rimanere nel buio. Una ragazza che si ostina a non guardarsi intorno, a capire. Di chi può fidarsi e di chi no. Una ragazza tenace, ma allo stesso tempo fragile. Che guarda con gli occhi, ma non con l’anima.”
“Shakespeare.”, soffiai, mentre la consapevolezza della veridicità delle sue parole mi colpiva in pieno, come un secchio d’acqua fredda.
Cosa c’è di reale, cosa c’è di finto…
“Acuta.”, rispose mostrando una schiera di denti perfetti e bianchi.
“Che diresti a quella ragazza?”
“Di lasciarsi andare… alla vita. Di vivere il momento. ‘Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai che vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà.’ “
Vidi il suo viso farsi sempre più vicino. “Cogli l’attimo, Audry.”, mormorò poi al mio orecchio.

 

*

Eccomi qui, gente. Eccomi di nuovo con un altro capitolo. Perdonatemi il ritardo ma mi sono un po’ persa con questa fiction e… e la scorsa settimana ho dimenticato di postare ^.^”
Cosa molto importante che mi dimentico di dire da un sacco di tempo: il Robert di questa fiction è un Robert che non ha fatto Twilight. E’ comunque un attore, sia chiaro, semplicemente senza essere mai stato Edward Cullen. Svolgere la storia mi sarebbe stato molto difficile, anche impossibile. Ritrarlo come un pezzo ragazzo normale è complicato.
Non ho molto tempo. Ho deciso di postare un’altra storia questa settimana perciò devo finire assolutamente il capitolo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia e coloro che l’hanno inserita fra i preferiti.
Ma soprattutto gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo:

cloddy_94: Ciao! Ebbene si, Robert si è… “esposto”, a modo suo. Allora credo che il capitolo abbia risposto ad alcune tu domande e spero che il giudizio da parte tua sia comunque positivo. Ora diciamo pure che arriva la parte più difficile e complicata… solo io mi incasino la vita così. Sono contenta ti sia piaciuta l’ultima frase, non sai quanto! Grazie mille per al recensione *.* A presto, cara!
KeLsey: ciao, Eri! *.* Sono contentissima di sapere che la fiction ti piaccia! (io amo le tue ed è risaputo!) Quei due insieme?... mmm… io non parlo XD Mi spiace per il ritardo. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. A presto, cara! Ti voglio bene (L)
Nessie93: ciao! Bhe, alla fine lui cedeva di parlare con la porta no? XD Lo psicologo servir, più avanti ed anche parecchio! Dichiarazione? Eeeeeeh, è più probabile che io assomigli a Nicole Kidman XD Okay, la smetto con le cavolate e le esagerazioni. Dovrai aspettare per sapere cosa succederà, non credi la situazioni di sbrogli con molto facilità e subito. Sono contenta ti siano piaciuto i capitoli! Davvero tanto! A presto, bella!
Sogantrice85: ciao! La mia faccia dopo aver letto la tua recensione
à O.O   sono senza parole credimi. TI piace davvero così tanto? E’ che… rileggendo non capisco come sia possibile, a me non sembra così… meravigliosa. Ma… grazie! Sono felicissima di sapere che ti piaccia, davvero tanto! *.* E spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! Grazie, grazie mille volte! A presto, cara!
Piccola Ketty: ciao! Grazie! Insomma… ci lavoro tanto a questo fiction e sudo quando devo scrivere i capitoli perché non voglio che siano banali… e spero di riuscirci almeno un po’. Spero la maturità sia andata bene ^.^ A presto! E grazie ancora!
Lazzari: ciao! Bhe, in questo capitolo hanno parlato con calma, no? E lei ha ammesso finalmente a se stessa che è… cotta. Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo, tanto tanto! Ci tengo molto a questa storia e sapere che pensi… ciò che pensi è gratificante, in un certo qual modo. Perciò, grazie, grazie mille! A presto! (Spero di non averti fatta attendere molto XD)
Miss Simy Pattinson: ciao! O.O sono scioccata. Io… okay, non so che dire. Mi hai lasciata senza parole! Sai.. mi diverte alla fine scrivere di Robert antipatico e non so nemmeno perché. Non mi annoia XD Eh, Audry ora non fa più finta, ha ammesso a se stessa ciò che prova, dopo bene 14 capitoli. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo… è stato un po’ difficile scriverlo, dato che mi ero bloccata all’ultima parte, non sapendo come andare aventi. Grazie ancora per la recensione! *.* E per i complimenti!
Fairwriter: Juls, mia Juls! Sarebbe fico, già ti ci vedo a fare il discorsetto! Sono contenta di non averti delusa e soprattutto… non io ad essere magnifica, lo sei tu! *.* Oh, Juls… ecco che mi commuovo! Non puoi scrivermi certe cose! Sei speciale, davvero e ti voglio tanto bene, Cip. Spero ti sentirti presto, voglio un reso conto Londinese! A presto, tua Ciop.
Dream girl 2: ciao! Davvero è la prima? O.O Oddio! *ecco che si scioglie* Sono contenta ti piaccia, davvero… e che ti sia appassionando! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto, e grazie mille per la recensione!
A l y s s a: principessa, Patt, ciao! Tu mi fai commuovere ogni volta che leggo una tua recensione! E’ un po’ difficile credere in me stessa. Si, Stephanie è al sua migliore amica e, anche se non è un personaggio sempre presente, è fondamentale per Audry e, di conseguenza, per la storia. Le gambe di Audry credo saranno un punto debole per il nostro Patty. Spero vivamente che il capitolo non sia come te lo immaginavi XD Non li farò soffrire… non troppo (scherzo). Grazie per le bellissime parole, Patt e per le chiacchierate! Sei davvero una persona fantastica! A presto bella! Tua piccola Rose.

Qui è tutto gente,
          con immenso affetto,
                      vostra Panda.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


CAPITOLO 16

 


You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens
To my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love.*
Muse, Unintended.

 

 

“Audry!”. Sentii le braccia di Stephanie circondarmi il collo e stringermi forte a sé.
“Stephanie!”, risposi spaesata. Piano lei si allontanò guardandomi poi con espressione seria.
“Sei impazzita!”, esclamò diventando rossa in viso.
“Cosa?”
“Ti ho cercata ma non ti ho trovata! Sono entrata nel panico per colpa tua! Irresponsabile!”, parlò prima il suo sguardo si spostasse su un punto, non molto indefinito, alle mie spalle, “Oh.” , sussurrò poi.
Con la coda dell’occhio vidi Robert affiancarmi e grattarsi imbarazzato la nuca. Feci spallucce, un movimento però appena percettibile.
Con sguardo perplesso e stralunato, Stephanie guardò prima me poi Robert e piano la sua espressione divenne quella tipica di qualcuno che la sa lunga.
“Colpa mia.” , disse Robert alzando la mano, indicandosi.
“Capisco. Oh, non importa.” , disse sorridendo.
“Signorina! Ha dimenticato questa busta!” , una ragazza dai corti capelli neri venne verso di noi, correndo.
Tutti ci voltammo.
“E’ stato un piacere per noi averla per un’ora… mettendo a soqquadro un intero reparto per cercarle la maglia giusta. Una maglia che ha dimenticato.” , continuò sprezzante. Di scatto mi voltai verso Stephanie che allungò un mano per prendere la busta.
“Mi perdoni.”, disse sorridendo per poi girarsi verso di me, quando la ragazza andò via.
“Sei entrata nel panico, eh? Mi ha fatto anche sentire in colpa!”, dissi incrociando le braccia al petto.
Lei roteò gli occhi sbuffando, “Come la fa drammatica.”, sospirò poi.
“Forse è meglio per me andare. Devo… devo recuperare la mia roba.” , mormorò Robert fissandomi negli occhi.
All’istante un brivido mi attraversò la schiena, scuotendomi. Lo stomaco mi si strinse in una dolorosa morsa.
“Ma sono io a dover… cambiare stanza.” , sussurrai perdendomi nel suo sguardo ardente.
“Oh, no. La signora Darcy si è sbagliata, nella stanza c’è un ragazzo, per cui sono io a dover cambiare.”
Annuii flebilmente col capo, prima di guardarmi la punta dei piedi.
“Allora, ci vediamo, Audry.”, disse cominciando a dondolare da un piede all’altro.
“Si, a dopo, Robert.”, risposi guardandolo in viso, ancora una volta per attimi che mi parvero infiniti.
“Ciao, Stephanie.” . Anche lei lo salutò, aiutandosi con la mano, poi si allontanò, con quella sua stramba camminata, ma allo stesso tempo… affascinante. Rimasi a fissarlo, conscia del fatto che a legarmi a lui non era solo una stanza, che presto non ci sarebbe stata più, non era solo odio, antipatia, ma qualcosa di più forte, qualcosa che nasceva dal profondo del mio petto, lì nell’angolo più nascosto e buio del mio cuore. Dove ogni cosa nasce per poi propagarsi, impossessandosi di quel piccolo muscolo, illuminando ogni fibra del tuo essere, ogni fibra del tuo corpo, ogni fibra della tua anima.
“Oramai non puoi più nascondere.”, la voce di Stephanie, dolce ed ovattata, fece breccia nei miei pensieri.
“Che ne sono attratta?”, soffiai con una nota di malinconia. Mi voltai verso lei.
“Non credevo l’avresti ammesso.”, disse sgranando appena gli occhi.
“Arriva, ad un certo punto, il momento in cui nascondere non serve più annulla. Accettare la realtà, la potenza degli avvenimenti è l’unica cosa saggia da fare. Lottare contro se stessi, facendosi dolo del male, porta alla rovina, Stephanie. Solo alla… rovina.”, e la mia voce andò scemando.
Non parlò, sentii solo il calore della sua mano sulla mia guancia e la sue braccia circondarmi poi le spalle. Mi abbandonai a quel semplice ed importante gesto, grata di avere con me la mia migliore amica.

 

Il vento fresco mi scompigliava i capelli ramati, raccolti in uno scignon trattenuto da un matita. Stringevo fra le braccia dei libri che avevo preso dalla biblioteca, che avevo letteralmente divorato in pochi giorni. Mi piaceva leggere, era una delle cose che mi affascinava e divertiva, e, secondo mia madre una cosa del tutto inutile.
Mia madre. Da quanto non sentivo mia madre? Due settimane, tre settimane, forse? Nemmeno più lo ricordavo.
Dai computer della biblioteca ero riuscita a leggere la mia posta elettronica. Aveva detto che l’indomani mi avrebbe cercata al college, dato la mia ostinazione a non voler comprare un cellulare, cosa per me del tutto inutile… ma l’e-mail risaliva a tre giorni prima. Ovviamente non mi aveva chiamata, come suo solito.
Sospirai portandomi dietro l’orecchio una ciocca che mi era finita davanti al viso, solleticandomi la palle del viso e soprattutto le palpebre.
“Audry.”, sussultai quando udii quella voce troppo familiare alle mie spalle. Prima di voltarmi, chiusi un momento gli occhi, inspirando sospirando. Sorridendo, poi, mi voltai.
“Ciao, Mark.”, mormorai.
“Non ti sei fatta più sentire. Sei sparita.”, disse con voce neutra.
“Perdonami, ma ho avuto mille cose da fare, davvero. Non ne ho avuto il tempo materiale.”, dissi sorridendo flebilmente. Lui annuì col capo.
“Sei impegnata stasera?”, chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
Magnifico, pensai.
“Ehm… io…”, con lo sguardo immerso nel panico e lo stomaco annodato, cercai di trovare una scusa plausibile per dire che quella sera ero impegnata… anche se non era vero.  Ma dirgli la realtà, quindi che non mi andava di uscire con lui perché mi era accorta che il mio cuore batteva per qualcun’ altro, ovvero il mio miglior nemico, nonché suo miglior amico… non era il caso.
Fortunatamente mi salvai in calcio d’angolo… o meglio, qualcuno mi salvò.
“Ciao.”, la sua voce fece irruzione nella nostra conversazione. Il mio cuore prese, irrazionalmente, a galoppare.
“Ciao.”, mormorai.
“Rob.”, rispose Mark, dandogli una pacca sulla spalla. La sua voce, però era monocorde.
Cattivo segno, pensai.
Lo sguardo di Robert indugiò sul mio. Immediatamente sentii le guance avvamparmi di rossore e fui costretta ad abbassare lo sguardo.
“Ho interrotto qualcosa?”, mormorò spostando lo sguardo da me a Mark.
“Si.”, rispose secco e glaciale l’altro. Vedi Robert fissarlo con espressione indecifrabile.
“No, invece.”, dissi in sua difesa. Non fui stupida dalle mie parole, oramai conscia dei sentimenti che mi spingevano a desiderare la sua presenza, ma loro si. Ancora una volta, come tempo prima, mi guardarono sbalorditi: lo stavo difendendo.
Allargai le braccia al cielo, “Non sono pazza.”, mi lamentai ciondolando con la testa a destra e sinistra.
“Oh ma io lo so, tesoro.”, rispose Mark circondandomi le spalle con un braccio, attirandomi a se, quasi con uno strattone. Robert contrasse la mascella e strinse le mani in pugni, fino a che le nocche non divennero bianche, come se le ossa dovessero uscire dalla carne da un momento all’altro. Il suo corpo si irrigidii all’istante.
Cercai di divincolarmi dalla presa ferrea di Mark, che guardava compiaciuto, in un certo qual modo, Robert. Sentii un impeto di rabbia assalirmi e il desiderio di respingerlo con violenza si fece più forte. Ma non so per quale motivo, non lo feci. Con delicatezza cercai di spostare il suo braccio, ancora senza successo. Intanto i miei occhi cercavano quelli di Robert che freddi reggevano lo sguardo dell’amico.
“Ci vediamo, Mark. A dopo, Audry.”
“Non so se potrà venire.”, rispose Mark quando Robert ci voltò le spalle per andar via. Si immobilizzò all’istante, girando appena il capo. Strinse ancor i pugni, serrò ancora la mascella. Voltò il capo, puntando i suoi occhi nei miei. Ardevano… di… tristezza? L’intensità di quello sguardo, in apparenza innocuo, ebbe la forza di una slavina, mi fece sussultare ed un brivido mi attraverso da capo a piedi, scuotendomi sotto il braccio di Mark. Lui se ne accorse. Si voltò a guardarmi, ma non avevo la forza di staccare gli occhi dal viso di Robert, da quegli occhi che nascondevano dietro sipari azzurri un modo a me ignoto. Non avevo la forza di scrollarmi quel braccio di dosso, anche se avrei voluto.
“Lasciami.”, dissi in un soffio. Ma Mark non sembrò udire la mia richiesta, perso ed assorto nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso su quello di Robert, che invece udii alla perfezione le mie parole. Un angolo della sua bocca si sollevo verso l’occhio, illuminando appena il suo viso. Un sorriso quasi… compiaciuto.  Fu per me inevitabile rispondere a quel sorriso.
“Lasciala, Mark.”, sibilò. Lui sgranò gli occhi.
“Come, scusa?”, chiese l’altro.
“Lasciala.”
“Non ci penso minimamente, amico.”
“Lasciami.”, dissi con più convinzione, guardando in cagnesco Mark. Lui rispose allo sguardo, perplesso.
La figura di Robert sparì dietro l’angolo del corridoio.
Per alcuni istanti la sua immagine, l’immagine del suo volto, rimase imprigionata nel mio occhio, poi sentii delle labbra sfiorarmi delicatamente la tempia. Istintivamente mi ritrassi, sobbalzando.
Con forza mi scollai di dosso il suo braccio.
“Ma che pensi di fare, eh?”, strillai su tutte la furie, “Ti sembra il modo, o i momento per questi stupidi giochetti da bambini? Non so se potrà venire… ma ti è dato di volta il cervello?”
Lui mi guardò sgranando gli occhi.
“Ma… io… tu…”
“Quando hai intenzione di emettere parole e non monosillabi, fammi un fischio.”, dissi a denti stretti voltandomi, lasciandolo, lì, con oggi sgranati ed espressione sorpresa.
“Ti piace.”, la sua voce poteva essere paragonata benissimo ad un secco colpo di frusta. Fu strano ciò che provai e sentii. Fu come se una secchiata di acqua gelata mi colpisse in pieno viso, in pieni petto. Mi immobilizzai, lì, al centro del largo corridoio. Quasi inerte. Non avevo la forza o il coraggio per voltarmi. Il mio respiro si fece più accelerato.
“Eh? Si, Audry. Lui ti piace.”, disse sprezzante. Mi voltai, seria, con le mani che mi prudevano dalla rabbia.
“Tu non sai niente.”, sibilai, prima di allontanarmi… colpita, lì, al centro del petto.

 

*
Eccomi gente… che dire? Mi dispiace per l’enorme ritardo, ma ultimamente in casa siamo in sette e non si capisce nulla… diciamo anche otto, considerando il cane.
Però, oggi sono riuscita a ritagliarmi un piccolo spazio ed eccomi qui. Purtroppo non posso ringraziarvi come vorrei ç_ç
Perciò ringraziare di cuore, dal profondo del cuore coloro che hanno recensito lo scorso capitolo: grazie a Fefè, a Satyricon, a Ryry_, a Marghe, a cloddy_94, a lazzari, a Luxi, a Piccola Ketty, alla mia Patt, a Kia.
Con la promessa di rifarmi nel prossimo capitolo… dove ne vedrete di belle! ;P

*Potresti essere la mia scelta
Involontaria di vivere la mia vita offerta
Potresti essere colei che amerò sempre
Potresti essere colei che ascolta
Le mie inquisizioni più profonde
Potresti essere colei che amerò sempre
.

A voi è tutto, Panda.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


CAPITOLO 17

 


È finita la primavera,
il cipresso ha teso alta la sua snella figura,
e la rosa ha aperto ridente la scatola di canditi,
l’usignolo è venuto,
s’è posato sul ramo,
e ampio s’è fatto il mercato del piacere,
il giardiniere ha profumato le chiome del giardino,
ed un re v’è entrato a rimirarlo,
e visto un calice di vino,
lo ha preso in mano,
ma è caduta una pietra e ha infranto il calice.
O tu che hai scheggiato tutto quanto possedevo,
solo se avrò te sarò felice;
se anche quando sto con te
mi vergogno di quel che faccio,
l’idea d’esser senza di te
non m’entra nel cuore.
Nezami, poeta persiano, XV sec. d. C.

 

 

Scesi le scale velocemente, tanto che i miei capelli sembrarono rimbalzare come molle sulla mia schiena. Mi sentivo infastidita, irritata, nervosa, scocciata. Sbuffai pesantemente facendo scorrere i palmi sul freddo corrimano della scala, incollato al muro.
Com’era possibile che una cosa che il mio cuore aveva di recente scoperto, qualcosa celato a lungo, probabilmente, nascosto quasi con gelosia nel suo angolo più remoto, fosse già ovvio ad altre persone? Come avevano potuto vedere?
Non potei fare a meno di desiderare che lui non lo avesse capito. Ma una parte di me, una parte del mio inconscio invece, desiderava di si. L’altra aveva paura di un rifiuto, di un semplice e dolorosissimo no. Paura di esporsi, di mostrare chi si è veramente… non essere accettati… non essere… amati. 
Ripensai al suo viso indurito dall’astio, ripensai al suo viso ammorbidito dalla gentilezza.
Chi era realmente Robert Pattinson?
Ancora non lo sapevo. Una volta gentile, una volta freddo. Cosa cantava, cosa gridava il suo cuore?
Desideravo risposte, risposte che mai sarebbero potute arrivare. Perché? Chi eravamo noi? Conoscenti? Compagni di stanza?
Eppure la parole amici,  semplice parola con la quale, in quel momento, desideravo definirci, mi sfuggiva come foglie al vento. Troppo lontana da ciò che la realtà cruda e quasi violenta mi mostrava.
Mi diressi a grandi falcate verso l’ingresso. Non sapevo dove stessi andando. Seguivo le gambe, che sembravano essere totalmente scollegate dal resto del corpo, dalla cervello che si perdeva in futili congetture. Sobbalzai quando udii la voce della signora Darcy chiamarmi.
“Signorina Morel.”, disse alzandosi dalla rosse sedia girevole. Prima di voltarmi chiusi un attimo gli occhi, ispirando a fondo.
“Mi dica.”, risposi gentile dirigendomi verso lei.
“Deve chiamare questo numero. Sua madre. Non riusciva a contattarla e ha chiamato qui.”, disse impassibile distogliendo immediatamente il suo sguardo dal mio viso.
“Grazie.”, mormorai guardando il bigliettino fra le mie dita. Lo fissai per pochi istanti prima di dirigermi verso il telefono appeso al muro, in fondo alla grande stanza, accanto alla grande libreria dedicata ai volumi riguardanti il regolamento del college.
Inspiegabilmente mi tremarono le mani, mentre componevo il numero. Amavo mia madre, ma i rapporti fra me e lei erano più quelli di una volta, quando era una bambina che seguiva tutto ciò che gli adulti li suggeriscono. Lei eterna ragazza lavoratrice, troppo occupata e presa dalla carriera per accorgersi delle figlia che cresce. Non la colpevolizzavo per questo, non la condannavo. Le volevo troppo bene per farlo. Mi aveva cresciuta, da sola. Mi aveva messa al mondo. Mi amava.
Primo squillo. Secondo squillo. Terzo squillo…. all’ottavo rispose.
“Alò?”. Riconobbi la voce dolce sottile voce di mia madre.
Sorrisi, “Maman?”, chiesi, riacquistando per pochi secondi quel che era rimasto del mio, oramai dimenticato, accento francese.
“Aurdy, mon cheri! Comment ça va?”, chiese , “
Tu me manques...”, mormorò,
“Oh, mi manchi anche tu.”, mormorai portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio, “Io sto bene, mamma. Tu? Ora dove sei?”, continuai.
“Oh Audry, sono a casa. È così vuota senza te. Retour. Mi mancano i tuoi libri in giro per casa. Tornerai alla fine del semestre? Anche solo per pochi giorni.”, disse con voce tremante.
Sentii un nodo alla gola, deglutii a fatica. “Vorrei poter tornare, mamma, soprattutto ora… ma sai che non posso.”, mormorai pensando al college… a Robert.
“Aspetta… ahi detto, ora?”
“Oh… ehm… nulla di particolare. Ora non posso parlare, prometto che ti spiegherò tutto in un e-mail dettagliata.”, mi affrettai a dire, “ma dimmi della Florida.”
“Oh tesoro, ti sarebbe piaciuta! Avresti dovuto esserci! Prometto che ti ci porterò, presto.”. Scossi il capo udendo le sue parole, chinando appena il capo tristemente. Non lo avrebbe fatto mai. Una frase che avevo sentito altre volte… per New York… per Milano… per Vancouver… e tante, tante altre mete. “C’est tres beau!”
E’ bellissima. Ho i miei dubbi, mamma.
Alle mie spalle sentii la signora Darcy tossire.
“Mamma, devo andare. Mi dispiace, il tempo è scaduto.”
“Dovresti comprati un cellulare.”
Schioccai la lingua in segno di disapprovazione, “Non fanno per me, lo sai.”
Rise, “Nous nous sentons tot?”
“Si, mamma. Ci sentiremo presto.”
“Me lo prometti?”
“Oui. Je vous promets.”, dissi in un risolino.
“téléphone-moi dès que vous pouvez. Bonne nuit, mon cheri! Je t’aime.” *
Bonne nuit maman, je t'aime trop.”, risposi prima di riappendere. Con grande gioia della signora Darcy.
Mi voltai e sobbalzai quando mi ritrovai quel viso a poche spanne dal viso.
“Credevo avessi solo origini francesi.”, disse con sguardo indecifrabile. Cercai di tenere a freno on battito accelerato del mio cuore, la sua folle corsa.
“Bhe… mi sono trasferita da bambina qui… dalla Francia.”, mormorai colta di sorpresa, perdendomi in un istante infinito nel suo sguardo, una combinazione perfetta di azzurro e verde.
“Come facevi a sapere delle… mie origini?”, chiesi corrugando la fronte.
“Il tuo nome…”
“Oh.”, mormorai. Effettivamente era abbastanza ovvio.
“E poi… Mark.”, mormorò con voce dura. Tasto dolente.
“Mi dispiace per prima.”, dissi in un soffio chinando il viso, guardandomi al punta delle scarpe.
“Anche e me.”. Nella sua voce vi era una nota di malinconia.
“Forse dovrei chiudere il becco, di tanto in tanto.”, sussurrai.
Soffocò una risata. Sentii le sue dita sotto il mio mento e mi costrinse ad alzare il capo, “Non potrebbe mai essere colpa tua.”, la sua voce andò scemando a causa del suo respiro sempre più corto. Sollevai un angolo della bocca verso l’alto.
Mi fece l’occhiolino e non potei non ridere.
“Parla ancora in francese.”, disse incrociando le braccia al petto.
Corrugai la fronte, “E cosa vorresti che ti dicessi?”
“Sorprendimi.”
“T’es fou.”, dissi roteando gli occhi ed uscendo dal grande atrio.
“Che significa…”
“Tu sei pazzo, Robert Pattinson.”, ridacchiai mentre l’aria fresca della sera mi assaliva. Sentii i suoi passi dietro me. Il mio cuore ebbe un sussultò quando avvertii il suo profumo, grazie ad una folata di vento.
“Me lo dicono in molti.”. Fece un piccola pausa, “Hai da fare?”
“Ora?”
“No. Ti va di fare un giro?”, chiesi . Le parole mie uscirono dalle bocca e non potei fare nulla per frenarle. Mi morsi la lingua, desiderando di cancellare gli ultimi tre secondi.
Sorrise, “Certo.” . Lo guardai incredula, ma… sollevata. Sorrisi e cominciai a camminare con lui al mio fianco.
Il cuore prese a galopparmi ed avrei voluto fermalo, ma mi era del tutto impossibile, così mi abbandonai e mi rassegnai ad esso. Mi sentivo leggera, quasi appagata. Forse tutto era dipeso dalla telefonata di mia madre, dall’aver sentito al sua voce che, nonostante tutto, riusciva sempre a tranquillizzarmi, o forse dalla sua vicinanza. Il mio corpo era come emettesse elettricità e sperai, con tutta me stessa, non si accorgesse del mio corpo teso e rigido. Potei quasi avvertire il calore del suo corpo, grazie all’estrema vicinanza del mio braccio al suo.
Feci un respiro profondo, riempiendo il più possibile d’aria i miei polmoni. Espirai, senza troppo rumore.
Robert soffocò una risata, così mi voltai istintivamente verso lui, corrugando appena la fronte.
“Perché ridi?”, chiesi increspando le labbra.
“E’ che… sei così… non lo so, Morel. Sei strana.”
“Oh. Ora , sì, che mi è tutto chiaro.”, annuii guardando il verde prato del campus.
“Intendevo dire che… tutto sommato sei…”, si fermò in cerca delle parole esatte, “… simpatica.”, disse infine. Mi voltai a guardarlo incredula e spaesata, in un certo qual modo.
“Simpatica.”, ripetei a bassa voce. “Nonostante tutto.”
“Bhe, si, insomma…”
“Tendi davvero a spiegare ogni tua parola?”, chiesi in un risolino.
“No… solo con te.”, mormorò. Mi voltai a guardarlo ed incrocia i suoi occhi. Resi verdi dalla fioca luce dei lampioni.
“Perché?”, chiesi curiosa con il cuore che batteva frenetico nel mio petto. Avevo paura della risposta.
Per pochi istanti rimase in silenzio. Guardò un punto indefinito del marciapiede, con espressione indecifrabile ed un brivido mi attraversò la schiena… e non fu la folata di vento che mi sfiorò il viso in quel momento. “Non so mai come comportarmi con te.”, nella sua voce vi era strana incertezza, “Ogni mia parola scatena il tuo odio.”, mormorò.
“Oh. Oh.”. Fui sorpresa dalle sua parole, inaspettata eppure estremamente dolci come il miele. Chiusi un momento gli occhi, respirando a fondo i suo profumo, inebriandomi con esso, “Però… le cose di fanno in due.”, mormorai, “Imperdonabile.”, dissi facendo schioccare la lingua.
“Se io avessi detto la stessa frase. Cosa avresti fatto?”, chiese.
“Nulla.”, sussurrai. Alzò un sopracciglio. “Nulla… okay, non lo so.”, mormorai sbuffando appena.
Rise, “Si, le cose si fanno in due.”
Sorrisi e rimasi quasi sbalordita dalla mia reazione. Forse, una settimana prima avrei sbraitato, mi sarei arrabbiata, come succedeva spesso con lui… ma in quel momento non ci riuscii, forse perché semplicemente non volevo.
“Hai cenato?”, chiese. Scossi il capo. “Ti va del messicano?”
Mi portai un dito su mento, “Sto ponderano, Pattinson.”, dissi. Feci una smorfia e poi sorrisi, “Con immenso piacere.”

 

“Ecco i menù.”, disse un ragazzo dai capelli neri e grandi occhi color del mare.
Eravamo in un piccolo ristoranti dalle luci calde e soffuse. Un tavolo appartato, in fondo alla stanza. L’aria era calda, tanto che mi sfilai di dosso la maglia a maniche lunghe, rimanendo con una semplice canotta blu. Raccolsi i capelli in una coda, lasciando la pelle del collo e delle spalle scoperta.
Non vi era nessuno, nel locale. Una coppia terminava la propria cena mentre noi prendevamo posto. Accanto all’entrata vi era un bancone dal legno consumato dal tempo, dietro esso un signore dalla pelle scura armeggiava con dei bicchieri. Sulle mensole appese al muro decine di bottiglie di alcolici.
“Grazie.”, rispondemmo con cortesia in coro. Cominciammo a sfogliare il menù.
“Tinga de Puebla?”, chiesi corrugando la fronte.
“Scommetto che non hai mai mangiato messicano.”, disse sorridendo.
“Intuitivo.”, risposi.
“Bhe, nemmeno io.”, sussurrò sporgendosi sul tavolo e avvicinandosi a me, come se mi stesse confidando un segreto.
“Secondo te cosa c’è?”
“Non ne ho la più pallida idea.”
“Okay, passo.”, dissi senza permettergli di finire la frase.
“Sopa de pollo a la mexicana?”, chiesi. Fece una smorfia. “Passo.”
“Huevos rencheros.”, dissi nascosta oltre il grande menù.
“Buono. Ma non te lo consiglio.”. Mi sporsi oltre i vari fogli rilegati con della pelle.
“Non ci sei mani venuto!”
“E allora?”, chiese facendo spallucce.
“E cosa mi consigli?”, chiesi scoprendo solo gli occhi. “Sopa de limon?”
“Pollo tapado.”, disse annuendo.
“Sarebbe?”, chiesi.
“Pollo.”
“Oh, giusto.”, mormorai in un risolino.
“Deciso?”, la voce del ragazzo di prima mi fece sobbalzare.
“Allora, pollo tapado e…”, fece una breve pausa guardando confuso il menù, “….e huanchinango a la veracruzana.”, disse poi annuendo. Chiudemmo i menù, porgendoli poi al ragazzo che, dopo aver preso le ordinazioni si congedò con un cenno della testa.
“Cos’hai ordinato?”, ridacchiai.
“Non ne ho la più pallida idea, Audry.”, rispose facendo spallucce e sul suo viso comparve un sorriso sghembo. Il mio cuore riprese a galoppare.
“Allora, signor Pattinson,”, dissi, “di dov’è originario?”, chiesi poggiando i gomiti sulla tovaglia color della crema e prendendomi la mandibola fra le mani.
“Londra. E lei, signorina Morel?”
“Nata a Parigi.”. Osservai le pagliuzze verdi dei suoi occhi, cercando di oltrepassare quel muro che li circondava, che mi sbarrava l’accesso alla sua… anima.
“Come mai sei qui?”, mi chiese.
“A sei anni mia madre ha deciso che, per seguire la sua carriera, era meglio trasferirci in California. Vengo da Long Beach.”, spiegai.
“Cosa fa tua madre?”, chiese curioso.
“Lavora per una casa di moda. Una cosa starna e complicata. Viaggia molto, da sempre.”, mormorai chinando appena il capo, guardando il piatto rosso.
“E non ti è mai andata giù gran che.”, la sua non era una domanda. Feci una smorfia, senza parlare.
“Tua padre?”, continuò. La curiosità nella sua voce mi colse indubbiamente di sorpresa. Da quando gli interessava chi fossi?
Deglutii, “Non lo so. Non l’ho mai conosciuto.”, mormorai.
“Mi dispiace.”, sussurrò chinando lo sguardo, quasi colpevole.
“Nah,”, sorrisi, “non l’ho mai conosciuto. Non è un tasto dolente… alla fine.”
“Long Beach. Lontano dal Wisconsin.”, osservò dopo alcuni attimi di silenzio.
“Esatto, lontano.”, risposi guardandolo negli occhi, perdendomi in essi, cullata dal frenetico battito del mio cuore.
“Quindi stai scappando.”, ancora una volta non era una domanda.
“No… io… non credo.”, la voce mi tremò appena e non potei controllarla.
“Non credi o fingi di non crederlo?”. Sentii il respiro mancarmi, le parole premevano per uscire e già prevedevo il loro tono acido. Lottai contro me stessa per non rovinare tutto, ancora. Per non litigare, ancora. Deglutii come a mandare già quel groppone di stupide parole. Robert attese, paziente, e su suo viso si susseguirono varie emozioni: tranquillità, ansia, paura.
“Fingere… non fingere… cosa cambia?”, mormorai.
“Cambia… per me.”. Corrugai la fronte confusa.
“Non so da cosa io stia scappando, Pattinson. Se lo sapessi, probabilmente non negherei.”, sussurrai. Fu strano come quel ragazzo, con poche e semplice parole, era riuscito a farmi ammettere cose che fino ad allora avevo evitato. Solo allora mi resi conto che il mio era un precario tentativo di fuga. Ma fuggire da cosa?
“Sai cosa vedo?”, chiese con voce dolce come miele, vellutata come pesca. Scossi il capo. “Ti mostri forte, tenace, ed in fondo, lo sei. Ma sei fragile, fragile come bicchieri di cristallo, come foglie pronte a cadere dai rami alla prima folata di vento. Cerchi di mascherare chi sei. Cerchi di negare a te stessa chi sei veramente. Hai paura che qualcuno possa farti soffrire, Audry? Magari devi solo allargare i tuoi orizzonti, guardare con nuovi occhi persona dalla quale diffidavi e guardare con attenzione che ti è accanto. Forse… forse…”, la parole sembrarono mancargli, “hai solo bisogno di sicurezze, Morel.”, mormorò in fine, chinando il capo, come a scusarsi delle parole che uscirono dalla sua bocca con la violenza di una cascata. 
“Cosa ne sai tu di me?”, soffiai a corto d’aria.
“Ancora non lo so… è ciò che penso… ciò che… sento.”, la sua voce fu un suono appena udibile. Sentii un brivido attraversarmi tanto forte da scuotermi. Sul suo viso vi era quasi panico.
“Perché hai paura?”, quasi gemetti, sconvolta dal repentino cambio di intensità della conversazione che mi lasciò all’istante prima di fiato. Aprii bocca per replicare ma da essa non vi uscì alcun suono. I suoi occhi mi scrutavano con espressione indecifrabile. Il silenzio calò fra noi, pesante, incolmabile, imbarazzante.
“Anche tu stai scappando.”, dissi con decisione.
“Come fai a dirlo?”
“Londra è lontano dal Wisconsin.”. Rise, facendo poi una smorfia. “ Da chi scappi, Rob?”
Esitò appena, poi rilassò le spalle e le parole uscirono lente e a volte smorzate, “Da ciò che sono. Da quella che era la mia vita. Da ciò che mi riservava. Mi piace recitare, ma non è ciò che mi serve ora nella vita. Non è ciò… che desidero e di cui ho bisogno. E’ come se a causa delle recitazione, nell’interpretare vari ruoli, abbia perso me stesso.”, soffiò.
“Non puoi per sempre scappare da te stesso, Pattinson.”, mormorai, poi sorrisi con fare malizioso, “Christopher McAndless diceva: Ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto. E' ovunque, in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo in cui guardiamo le cose. Ma lo stesso Christopher McAndless ha poi detto: la felicità è autentica solo quando è condivisa.”
Corrugò la fronte, “Cosa cerchi di dirmi?”, chiese.
“Che puoi scappare quanto vuoi, che puoi abbandonare la tua vita quanto vuoi. Ritrovi parte di te stesso, è vero. Vedi tutto con occhi nuovi. Ma la felicità arriva ed è totale, piena ed autentica, quando al condividi con qualcuno. Quando condividi la tua vita con qualcuno.”
“Uhm…”, si portò un dito sul mento, pensando alle mie parole, con la fronte corrugata, una ruga che la solcava, “Sei consapevole di quanto sia contorto il tuo discorso?”, chiese poi fondendo il suo sguardo col mio. Annuii, e sorrisi, quando il suo volto si illuminò. E mi persi nelle mille sfaccettature dei suoi occhi.


      

      to be continued…


E voi pensate che il capitolo sia finito qui? Assolutamente no! E poi capirete perché XD
Cosa succederà con la cena messicana? (è un libro chiuso al momento).
E non poteva mancare un riferimento-citazione. (Into the wild <3)

*telefonami appena puoi.

Bene, avevo detto che sarei riuscita a postare prima (per grande gioia di Patt). Spero il capitolo non abbia annoiato. Perciò, ora, evitando stupide ciarle, ringrazio che ha recensito lo scorso capitolo.

Piccola Ketty: ciao! Sono contenta ti abbia lasciata in fibrillazione e spero che questo abbia avuto lo stesso affetto… anche se nutro parecchi dubbi. *.*  grazie davvero cara, grazie davvero!
Nessie93: Chià! Le tue recensioni sono sempre… ooooh *.*  In questo capitolo diciamo che si calmano entrambi, depongono le armi. Il fatto che tu possa capire Robert per me è importantissimo! Forse sono almeno un po’ riuscita nel mio intento! Sul serio non fanno annoiare? A me sembra di essere ripetitiva e trovare sempre metafore o similitudini diverse è un’impresa. A volte ci sudo davanti al pc. Sono contente ti sia piaciuto il capitolo, davvero! E spero anche questo! A presto cara, grazie di tutto!
Satyricon: ciao! Mark è partito come personaggio sopportabile (almeno quello era l’intento), per poi trasformarsi in un odioso rompiscatole. E non è nemmeno finita qui. Okay, meglio se taccio o combino casini. Spero non ti abbia deluso questo capitolo! Grazi per la recensione!
Ryry_: ciao! Mark… ehm… ehm… passo. Bhe, dai, in questo capitolo tanto freddi non sono… no? Cioè, hanno deposto per un po’ le armi. Ho cercato di postare il prima possibile, anche perché voglio evitare di trascurare le altre fiction. Spero di non averti fatto attendere troppo. Grazie davvero per la recensione. A presto!
Sognatrice85: ciao! Eheh, Mark… Mark è una costante. Almeno a capita qualcosa della vita XD Direi che leggere ciò che scrivo fa male alla salute… respira! O.O Comunque, sono felice ti sia piaciuto il capitolo precedente, davvero tanto! E grazie mille per la recensione, ci tengo ormai a sapere che ne pensi. A presto cara, un bacio.
A l y s s a: ed eccoci qui, Patt… ciao! Bhe, si, Patty l’ho riposto nel cassetto e, quando devo scrivere, lo tiro fuori. E’ molto utile, sai? Sei molto intuitiva, Patt, ne sei consapevole? Mark inizio ad odiarlo anche io… e c’è da dire che è un mio personaggio -.-“  Eh si, Audry è innamorata di Patty e finalmente l’ho ha pienamente ammesso. Perciò ora è da vedere cosa succederà (per alcuni versi non lo so nemmeno io :S).  Direi che di entrambi i personaggi hai capitolo molto, si si. L’ho sempre detto che la mia Patt è un genio, e continuo a ripeterlo! Visto? Grazie per avermi dato i via per postare! XD Il tuo parere è il tuo parere, cara, lo sai! A presto, Patt! Ti voglio bene… e grazie. <3

 

A voi è tutto,
       Panda.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


CAPITOLO 18




Fra uomo e donna non può esserci amicizia.
Vi può essere passione,
ostilità,
adorazione,
amore,
ma non amicizia.
Oscar Wilde, 1854-1900, scrittore, poeta e drammaturgo.

 

 

L’eco della conversazione avuta con Robert non faceva altro che risuonarmi nella testa. La conversazione per il resto della serata ebbe toni più leggeri, ma l’espressione indecifrabile dipinta sul suo viso non andava via dalla mia mente. Fui scossa da quella conversazione, forse per questo le parole di Robert non facevano altro che risuonarmi nella testa. Gli argomenti delicati della conversazioni mi diedero quasi alla testa.
Mentre mi perdevo nella mia fitta rete di pensieri mi fu portato sotto il naso il mio piatto di pollo al tapado. A Robert il suo piatto…. di… in quel momento mi sfuggiva il nome. Guardammo con occhi sgranati i rispettivi piatti. Io poi guardai il suo, lui il mio. Poi ci cambiammo una fugace occhiata.
“L’aspetto del tuo pollo è migliore del mio.”, mormorò.
“Buon per me!”, esclamai mostrando un largo sorriso. Mi fece la linguaccia prima di prendere una forchettata di cibo dal suo piatto. Ci guardammo, “Pronto?”, chiesi. Annuì col capo. Assaggiammo.
Masticai, una, due, tre volte… buono, pensai. Ma accadde qualcosa di strano, di imprevisto. Di fronte a me il viso di Robert assunse diverse tonalità: dal rosa al rosso, al viola, al blu.
“Acqua!”, gracchiò portandosi una mano alla gola, afferrando il bicchiere che aveva davanti. Bevve con avidità quel liquido trasparente. Risi di gusto, mentre si asciugava le lacrime che gli avevano inumidito gli occhi. Mi fulminò con lo sguardo.
“Non ridere.”, mugugnò, “Poteva andarmi in fiamme la gola.”, disse poggiando alla sedia e guardando con disgusto il piatto davanti a sé.
“Ci saranno degli estintori, qui, no Pattinson?”, ridacchiai.
“Ah ah, divertente.”, disse. Puntò il piatto con l’indice, “Questo piatto ha attentato alla mia vita.”, sibilò.
Risi, ancora, passandomi una mano sul collo, “Oh si certo, arrestiamo la pietanza assassina!”, esclamai portandomi le mani davanti al viso, fingendomi terrorizzata.
“Ma quanto sei divertente, stasera.”, disse acido.
Roteai gli occhi, “Scherzo.”, dissi, “E poi sono sicura che non è così terribile come dici.”, continuai guardando il piatto.
Mi avvicinò il piatto, “Serviti, Morel.”, dissi in un ghigno. Incerta sul da farsi, ma temeraria e orgogliosa come sempre affondai la forchetta nel cibo contenuto nel piatto portandomelo in bocca. Mi maledii all’istante. Sgranai gli occhi e dopo aver ingoiato il boccone, apri la bocca buttando disperatamente aria e aspirandola, sperando che attenuasse il bruciore. Mi fiondai sul mio bicchiere d’acqua. Era vuoto. Tutto intorno a me diventò rosso, eco del bruciore che mi ardeva la gola, disperata e senza pensarci, spinta dall’istinto di sopravvivenza afferrai la bottiglia bevendo direttamente da esse. Mentre trangugiavo il contenuto sentii Robert soffocare delle risate.
“Te l’avevo detto io.”, ridacchiò. Staccai la labbra dal bordo della bottiglia e con la gola che ancora pizzicava gli feci la linguaccia. “Sto aspettando, eh.”, disse incrociando le braccia al petto.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando, “Oh grande Robert Pattinson. Lei aveva ragione!”
“Ora va meglio.”, disse compiaciuto. Feci una pernacchia.
“Faresti concorrenza ad una bambina.”
Storsi il naso, “Lo so. Stupida pietanza assassina.”, sibilai riducendo gli occhi a due fessure, quelli di Robert puntati sul mio viso. Curioso avvicinò la sua forchetta la mio piatto.
“Il mio pollo è buono.”, dissi guardando l’aria diffidente con al quale guardava il pezzo di carne conficcato fra i denti della posata. Si portò alla bocca il cibo. Spalancò gli occhi.
“Buono!”, esclamò cercando di prendere un altro pezzo.
“Ehi, allontana le zampe dal mio pollo!”, esclamai sfilandogli il piatto. Mi guardò, incredulo.
“Audry! Condividi ciò che Dio a messo a disposizione di tutti.”, disse.
“Ciò che il san e buon cuoco mi ha cucino, semmai!”, risposi portandomelo dietro le spalle.
“Poco… poco, poco. Audry, condividi il cibo!”, disse sporgendosi sul tavolo facendo cadere la cesta vuota del pane e il coltello accanto al suo piatto.
“No, no!”, ghignai. Con la forchetta cercò di prendere il mio pollo. Non ci riuscì.
Si sedette con un tonfo a dir poco sordo.
“Guarda che hai combinato.”, mi ammonì guardando al cesta del pane ed il coltello. Sgranai gli occhi.
“Io?”
Annuì energicamente col capo. Sorrisi maliziosamente e mi portai alla bocca un pezzo di pollo. Masticai piano, lentamente, guastanti il buon sapere della pietanza, accompagnandomi con un accentuata mimica facciale. Ridusse gli occhi a due fessure. Nel giro di pochi istanti scattò in piedi sporgendosi verso il piatto, cercando di togliermelo dalle mani. Mi alzai dalla sedia e scattai all’indietro. I bicchieri vuoti sul tavolo caddero sulla tavola. La posate si schiantarono sul pavimento.
Risi, risi di gusto dell’espressione di Robert. La fronte corrugata, la punta della lingua che usciva dal lato sinistro delle labbra, in un espressione concentrata.
“Troppo lento, Mr Pattinson.”, ridacchiai.
“Troppo antipatica, Mrs Morel.”, sbuffò. Sentimmo qualcuno tossire. Ci voltammo, il cameriere ci fulminò con la sguardo. Tornammo a guardarci e colpevoli soffocando le risate, ci sedemmo ai nostri posti, sistemando la tavola, come bambini sorpresi a rubare biscotti. Quando il ragazzo fu via, scoppiamo entrambi in una fragorosa risata.
“Facciamo una cosa, Pattinson. Condividerò i mio pollo solo se dopo passiamo a prendere un hot dog.”, dissi con le lacrime agli occhi.
“Affare fatto, Morel.”, disse stringendo la mano che gli avevo offerto.
Mangiammo insieme dal mio piatto, fra risate e battute.

 

“Questo si che è cibo.”, dissi dopo aver tirato un morso al mio hot dog.
“Ancora una volta sono d’accordo con te, Audry. Il che non capita mai.”, disse pensieroso.
“Credo non metterò più piede in un ristorante messicano.”, dissi, “Se non per magiare del pollo al tapado.”, aggiunsi.
“Quello di che era buono.”, disse dopo aver mandato giù un boccone. Con i denti afferrai la cannuccia del bicchiere di coca cola che tenevo in mano, bevendo una lunga sorsata.  Sobbalzai quando sentii qualcosa di freddo e bagnato toccarmi la guancia. Lanciai istintivamente un grido, allontanandomi e strofinandomi la parte del viso colpita. Era appiccicosa. Spalancando la bocca e sgranando gli occhi, mi voltai verso Robert che, tranquillamente fischiettava guardandosi intorno, con aria indifferente. Osservai il bicchiere in coca cola che stringeva in mano. Fu allora che capii.
“Robert?”
“Audry?”, chiese lui innocentemente. Mi portai la cannuccia alle labbra e tenendo un po’ di bevanda in bocca mi voltai verso si lui, spruzzandoli in piena faccia il liquido nero. Si bloccò all’istante, con gli occhi sbarrati.
Compiaciuta presi a camminare, dondolando a destra e sinistra , proprio come una bambina appena vendicatasi di un dispetto.
“Audry?”, mi voltai istintivamente. Sentii il getto del liquido freddo sulla faccia.
“Robert!”, strillai. Mi asciugai con la giacca la faccia e con espressione scioccata lo guardai. Compiaciuto reggeva il mio sguardo. Poi, una luce strana si accese nei miei occhi.
Presi ancora una sorsata di coca cola spruzzandogliela addosso, solo che quella volta, con  un movimento fluido del bacino, schivò il colpo che altrimenti lo avrebbe colpito in pieno ventre. Lui fece lo stesso, colpendo mi però la manica. Tolsi il coperchio di plastica incastrato ai bordi del bicchiere di carta blu. Afferrai un pezzo di ghiacciò, scuotendo la mano nel tentativo di scrollarmi dalla mano il liquido nero. Con un colpo secco e preciso, il pezzo di ghiaccio si scontrò con la sua fronte.
“Mi dispiace.”, dissi con un ghigno. Spalancò la bocca e da esse uscì un respiro mozzato.
“A me, no.”, rispose poi imitandomi, ed il pezzo di ghiacciò mi colpì freddo la testa, mentre mi voltavo per scappare. Bloccandomi nell’istante dopo il contatto.
Fissai il suo viso.
Non so cosa fu a spingermi verso lui, ad avvicinarmi a passo lento con espressione maliziosa. Era come se le mie gambe si muovessero senza il mio consenso. Avrei voluto tornare indietro, ma non vi era possibilità, i miei arti ed il mio… cuore, non me lo permisero.
Sentii il cuore cominciare galoppare, mentre mi avvicinavo il mio viso al suo. La testa prese a girarmi quando il suo profumo inondò i mie polmoni. Il suo respiro per qualche strano motivo, si fece più corto.
“Mai fare arrabbiare Audry Morel.”, sussurrai a poche spanne dal suo viso.
“E’ una minaccia?”, soffiò.
Storsi il naso, “Libera interpretazione.”. Con discrezione, approfittando del suo momento di distrazione, rovesciai il contenuto del mio bicchiere sulla sua testa. Trattenne il respiro a contatto col liquido freddo e chiuse gli occhi. Spalancò la bocca e lo vidi, scendere freddo, sulle sue labbra, bagnandole. Sentii l’irrefrenabile voglia di posarci sopra sulle mie. Quella consapevolezza mi mozzò il fiato. Si passò le dita sugli occhi, per riaprili. I suoi occhi si accesero di una luce strana, desiderosa di vendetta.
Ebbi un fremito, arretrando.
Allargò le braccia, piano, sporgendosi verso me, sogghignando.
“Non.Ti.Avvicinare.”, lo avvertii puntandogli l’indice contro. Non rispose. Continuai ad arretrare accigliata per alcuni secondo, poi mi voltai e scattai.
“Vieni qui, Morel!”, urlò. Correvo più veloce che potevo, con l’aria che mi bruciava la pareti dei polmoni. Mi voltai un attimo per guardare indietro, quando sentii i suoi passi vicino ai miei. Persi l’equilibrio inciampando in un increspatura del marciapiede. Barcollai, rallentando. Fu allora che sentii se sue braccia fredde intorno alle mie spalle. Sentii la maglia sottile attaccarsi fastidiosamente alle scapole… ma oltre la sua maglia bagnata e fredda, sentii il calore sul suo corpo. Il suo petto, il suo ventre caldo mosso ritmicamente dal suo respiro, il battito del suo cuore contro la mia schiena. Il suo respiro fra i miei capelli, mi solleticava la pelle sotto l’orecchio, facendomeli finire delicatamente davanti al viso. Un fremito mi attraversò e, lui, se ne rese conto. Piano allentò la stretta, allontanando il suo viso dal mio capo.
No!, gridai nella mia testa. Tremai, desiderando che le sua braccia tornassero a circondarmi, tenendomi stretta a se, cullata dal suo cuore.
Ma non accadde ciò che temevo. Non mi allontanò. Con la mani poggiate sulle mie braccia, mi costrinse piano e delicatamente a voltarmi e fu allora che trattenni il respiro.
I suoi occhi erano vicini ai miei, ardevano e diffondevano calore, nonostante il loro colore freddo.
Il petto aderiva al suo, il mio ventre seguiva il suo respiro. Il battito del mio cuore era un eco del suo. Il suo viso, così tremendamente vicino al mio, mi diede alla testa, ed ebbi un improvviso attacco di vertigini quando le gambe mi si fecero molli. Osservai le sua labbra, pochi centimetri mi distaccavano da lui. Se avessi voluto avrei potuto poggiare le mie sulle sue. Sentivo il suo respiro caldo sul mio viso, una piacevole sensazione provocava sulla mia pelle. Gli angoli della sua bocca di alzarono verso gli occhi, illuminando appena il suo sguardo ardente. Alzò la mano, portandola sul mio viso, seguendo il contorno della mia guancia, il profilo del collo scoperto. La sua mano era come bruciasse la mia, lasciando una scia incandescente, simile a pura roccia lavica.
“Sembra pesca.”, mormorò, “Non ho mai sentito pelle così… morbida.”
Tentai di parlare, ma le parole mi morirono in gola, fattasi immediatamente asciutta.
“Doni della natura.”, risposi dopo alcuni istanti, chiudendo gli occhi per imprimere meglio nella mia mente quel momento, quel fugace e delicato contatto.
I suoi occhi erano un tutt’uno con i miei e il resto del corpo era totalmente scollegato  dalla mia mente, non rispondeva agli impulsi che gli invia.
Allontanati, suggeriva. Allontanati.
Senza premeditazione, portai la mia mano fra i suoi capelli, così morbidi al tatto, simili a fili di seta. Scese sulla sua nuca, cominciandola ad accarezzare. Tremò.
“Perché stai tramando?”, soffiai.
“Anche tu stai tremando.”, rispose. Solo allora me ne accorsi.
“Non lo so.”, annaspai.
“Non lo so.”, continuò lui col vico a poche spanne dal mio.
“Vieni.”, disse dopo alcuni istanti. Il suo corpo si allontanò dal mio.
No!, gridai dentro me. Desideravo ancora sentire il suo calore, la sua mano sulla pelle del mio viso, i suoi capelli sotto la mia. Fui tentata di andare verso lui e stringerlo ancora a me, ma non lo feci. L’osservai allontanarsi di qualche passo e prendere la sua giacca. Correndo appena, ritornò da me e me la posò sulla spalle umide.
“No, così avrei freddo tu.”, mormorai scuotendo il capo. Cercai di togliermi la giacca. Me lo impedì.
“Non potrei mai.”, mormorò accarezzandomi uno zigomo con i polpastrelli.
Chinai il capo, leggermente imbarazzata. Lui ritrasse la mano.
“Ho un’idea.”, dissi.  Mi sfilai la giacca, “Non fiatare!”, lo ammonii all’istante. Richiuse la bocca. “Indossala,”, dissi, “fidati per favore, Rob.”, lo pregai con voce sottile. Mi guardò negli occhi e dopo alcuni istanti di indecisione, mi assecondo.
Fece un risolino, cogliendomi di sorpresa.
“Ho capito.”, disse in un ghigno. Mi bloccai, pietrificata sul posto.
Mi avrebbe respinta, lo sapevo. Sentii immediatamente e irrazionalmente gli occhi gonfiarsi e la rabbia salire.
Stupida, mi dissi. Stupida, stupida, mi ripetei tremante.
Allargò un lembo della giacca facendomi segno di avvicinarmi, “E’ grande abbastanza per entrambi.”, disse un sorriso bellissimo. Dandomi ancora della stupida per i pensieri appena avuti, mi avvicinai. Circondò le mie spalle con un braccio e io circondai con le mie i suoi fianchi. Rincuorata dal calore del suo corpo e il frenetico battito del suo cuore, mi diressi con lui verso la nostra… quasi ex stanza, senza sapere che quella stanza in futuro avrebbe cambiato tutto.

 

*                                                                              

Eccomi qui, gente, ancora una volta.
Allora, i nostri due strambi protagonisti si sono… per come dire… avvicinati. Non vi dirò nulla, altrimenti vi tolgo il gusto della sorpresa.
Non ho molto perciò passo ai ringraziamenti, poiché ci tengo a farli.

fede_sganch: ciao! Da quanto tempo! Anche io amo Into the Wild! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente, e spero ti sia piaciuto anche questo. Eh si, almeno per il momento hanno deposto le armi. A presto, cara! Grazie davvero!
winnie poohiana: ciao! *_*  Sul serio ti piace? Ooooh, grazie infinite, davvero! Spero di non averti annoiata con questo capitolo! A presto… e ancora mille grazie per la recensione!
akire83: ciao! Speravo in una tua recensione! Hai colto ciò che speravo arrivasse. Sul serio. Audry prova ad essere più… accomodante nei confronti di Robert, proprio perché in fondo vuol capire chi è lui in realtà, e così viceversa. Spero questo capitolo non sia stato scontato o altro, perché davvero, è difficile non esserlo delle volte. Mi ha fatto piacere, molto, la tua recensione. Spero di non averti fatto attendere molto. Grazie ancora di cuore! A presto!
Piccola Ketty: ciao! Si si, iniziano ad avvicinarsi… e a non litigare. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! XD Mille grazie!
Nessie93: ciao, Chià! Le tue recensioni sono sempre così.. *_*  Non credo riuscirò a ringraziarti mai abbastanza. Quella sera mi hai aiutata tanto, e lo sai. Sapere che non ti annoia per me è importantissimo, perché è proprio quella la mia paura. La storia è lunga e le persone potrebbero annoiarsi. Reinventarsi non è mai facile, specialmente con questi due personaggi (io che mi metto sempre nei casini). Grazie davvero, tesoro. Grazie per l’aiuto e le fantastiche recensioni!
Ryry_ : ciao! *_*  Allora, per quanto riguarda il discorso fatto, non è finita lì… insomma sarà ripreso in futuro. Poi il messicano… bhe, l’intento era creare una situazione leggere e rilassante per i due ragazzi… che poi tanto rilassante non è.  Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, e spero di non averti delusa con questo! XD A presto, e mille grazie!
Satyricon: ciao! Bhe, l’idea di loro che parlano in francese mi piaceva, perciò l’ho inserita
J  Spero ti sia piaciuto cos’hanno ordinato. Mi è venuto tutto di getto, e spero di non essere risultata… stupida come scena. Grazie mille per la recensione, davvero! A presto, cara!
lazzari: ciao! Eh si, parlano senza ammazzarsi, strano ma vero XD Spero di non averi fatto attendere troppo! E, tu, sei troppo buona *_* non merito tutti questi complimenti!
Sognatice85: ciao! Che piacere leggere la tua recensione! Bhe, si, entrambi più o meno, scappano da se stessi… l’argomento sarà poi ripreso, credo. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto, cara. Grazie!
meginlove: ciao! Sono contenta ti piaccia la mia storia… ci tengo molto a questa, e non so nemmeno io perché! Grazie per la recensioni, mi ha fatto un infinito piacere! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! XD
A l y s s a: ciao, mia dolce Patt! Se tu non ci prendi su i capitolo mi dai ispirazione con le tue ipotesi… tu sei il mio genio malefico, Patt! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente, sai che ci tengo tanto al tuo parere, per me è davvero fondamentale! Patt, tu sei di parte, io non scrivo capolavori…, ma mi fa tanto piacere sapere che lo pensi! Sei un angelo Patt e non potrò mai ringraziarti abbastanza, tu che mi dai ispirazione! Ti voglio bene! <3
Fairwriter: ciao, Juls! Mi sono mancate le tue recensioni! Sempre pronte per viaggiare sulle ali della fantasia. Mi mancano le tue fiction, Juls, perciò… torna! Ti voglio bene, Cip. Grazie, di cuore. Tua Ciop.

 

A voi, con affetto,
                     Panda

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


CAPITOLO 19

 

 

Odi et Amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior. (*)
Catullo, poeta latino, 84 -55 a .C. , carme 85.





In silenzio, soffocando lievi risolini, varcata la soglia del dormitorio, ci dirigemmo al primo piano. Con passi felpati raggiungemmo la
nostra camera. Sentivo improvvisamente le palpebre pesanti e non desideravo altro che potermi stendere sul letto e perdermi in chissà quale mondo fatato.
Fu Robert ad aprire la porta e fui io a varcare per prima la soglia.
“Prego.”, disse spalancando la porta e facendomi spazio per farmi entrare.
“Grazie.”, riposi avvampando appena di rossore. Sorrise per poi chiudersi la porta alle spalle.
Fui avvolta dal buio della stanza ed il mio cuore accelerò i suoi battiti quando sentii il suo respiro soffiarmi fra i capelli, filtrando fra essi, fino ad accarezzarmi la pelle del collo.
“I tuoi capelli sanno di coca-cola.”, rise.
“Lo so.”, fu ciò che riuscii ad emetter col cuore in gola. Lo sentii sospirare ed allontanarsi.
No, avrei voluto gridare, ma non lo feci, conscia che sarebbe stata la cosa più errata da fare.
“Ho bisogno di una doccia.”,mormorai avvicinandomi al mio armadio e prendendo ciò che mi occorreva.
“Anche io. Aspetterò il mio turno.”, disse lui con voce calda. Mi voltai verso il suo letto quando sentii un tonfo sordo e lo vidi, steso, lì, sul letto. Gli occhi chiusi e le labbra dischiuse. Fremetti. E scuotendo il capo, entrai in bagno, cercando di cacciare via la sua immagine perfetta, quella di cui i miei occhi si erano appena beati. Impossibile, ovviamente.
Il getto caldo della doccia mi sciolse i nervi. L’acqua scorreva sul mio corpo portando va alcuni dei miei pensieri, lasciando però quelli più impertinenti ed odiosi.
Quanto reale era quelle sera? Cosa sarebbe successo il giorno dopo? Cosa significavano quei piccoli gesti? Tutto da allora sarebbe cambiato?
Non riuscivo a darmi risposta. 
Una parte di me disperata si aggrappava alla speranza che tutto sarebbe potuto cambiare. L’altra si ostinava a sostenere che nulla, invece, sarebbe cambiato. Divisa tra due parti di me stessa. Impossibile, ma vero. E si sa, a volte, le cose che ci appaiono impossibili, sono le più reali… solo che ancora non lo avevo capito.
Che fosse tutto vero, che fosse tutta finzione, in quel momento volevo solo bermi dei ricordi di una serata in cui il sorriso non mi aveva abbandonata nemmeno per un momento. Un sera in cui le nostre parole non erano dettate dalla rabbia o dall’ira, o dall’irritazione, ma semplicemente da pensieri gentili.
Chiusi l’acqua e rimasi in ascolto. Non provenivano rumori dalla stanza.
Vestita, uscii dalla stanza e guardai Robert disteso sul letto, le mani dietro la testa,le gambe pendevano dal bordo del letto, il busto totalmente storto.
“Robert?”, sussurrai. Nessuna risposta. “Robert?”, chiesi ancora, alzando la voce di un’ottava. Nessuna risposta.
A piedi nudi mi diressi verso il letto. Il suo viso, perfetto nell’ombra, era rilassato ed il suo respiro leggero e costante, allora capii: si era addormentato. Sorridendo appena, gli afferrai le gambe e le portai sul letto, in modo che il mattino dopo non avesse dolori alle articolazioni.
Lo osservai raggomitolarsi sul fianco sinistro, il viso rivolto verso il mio letto. Feci per dirigermi sotto le coperte, ma fui pietrificata dalla sua voce.
“Audry.”, mormorò con voce impastata. Mi voltai, con le mani alzate, pronta a chiedere scusa, ma la voce mi mori in gola.
Dormiva. Non era cosciente, prima di giungere a tale conclusione me ne accertai chiamando il suo nome. Il mio, l’aveva sussurrato nel sonno.
Con cuore a mille, sotto le coperte, chiusi gli occhi. Mi addormentai cullata dal suo respiro regolare.
Audry, aveva sussurrato. Ed era reale.


Uscii dal bagno,vestita e lavata.
Le immagini della sera prima sembravano solo il ricordo di un sogno. Troppo particolare per passare in osservato, troppo per essere vero.
Dopo aver essere caduta in uno stato di incoscienza avevo visto, per l’ennesima volta il suo viso, nella palpebra chiusa del mio occhio.
Sobbalzai, quando mi accorsi che si stava abbottonando la camicia. Sobbalzai, nel vederlo, prprio come prima che entrassi in bagno, quando lui, invece, usciva. Possibile una reazione del genere?
“Scusa, non volevo spaventarti.”, mormorò guardandomi in volto mentre le mani armeggiavano i bottoni.
“Non è colpa tua.”, dissi passandomi una mano fra i capelli. Sorrise.
“Oh.”, soffiai vedendo degli scatoloni ai piedi del letto. Robert alzò lo sguardo e seguì piano il mio, poi capì.
“Giusto. Domani.”, dissi con voce monocorde.
“E’ ciò che volevi.”, disse guardandomi in volto ed afferrando una felpa dalla sedia. Sentii il mio stomaco stringersi in una morsa, mentre mi risucchiava piano verso luoghi oscuri.
Il suo sguardo ardeva in un’espressione indecifrabile.
“E’ ciò che volevi.”, dissi ben ricordando quali sentimenti egli nutrisse nei miei confronti.
Non rispose, si limitò a chinare lo sguardo, evitando il mio.
Si voltò ed aprì la porta della camera.
“Buona giornata, Morel.”
“Buona giornata, Pattinson.”, mormorò lasciandomi lì, sola nella stanza, con il cuore che batteva velocemente, lo stomaco stretto dall’angoscia.
“Non andare.”, mormorai quando la porta fu chiusa.

 

Entrai in biblioteca, tenendo in mano i miei libri di biologia. Delle ciocche scomposte mi ricadevano sul viso, mentre i capelli erano raccolti grazie ad una matita.
Mi avviai fra gli scaffali, desiderosa di pace. Mille pensieri mi vorticavano caotici nella testa, un fastidioso ronzio d’api, uno sciame che si aggirava in essa. Più tentavo di cacciare via i pensieri più le api di rafforzavano… sicuramente la pazzia aveva fatto il suo corso.
A passo svelto mi infilai nel corridoio contenente opere quattrocentesche. Mi poggiai ad uno scaffale e mi lasciai scivolare lungo esso, fino a sedermi sulla rossa moquette. Lasciai i libri accanto a me, facendoli cadere con un tonfo sordo e mi lasciai cullare dal silenzio.
Silenzio. Niente più.
Io, il silenzio… e le api.
Non so quanto tempo passai lì, poggiata agli scaffali, le testa indietro, una stesa l’altra alzata, con un braccio poggiato sul ginocchio. Forse quindici minuti, o trenta, o di più. A riportarmi alla realtà fu una voce conosciuta.
“Audry?”, chiese debolmente. Aprii gli occhi di scatto, sobbalzando.
“Scusa, non volevo spaventarti.”, disse di fronte a me. Alzai lo sguardo ed incontrai due grandi occhi marroni.
“Caroline.”, dissi sorridendo, “Tranquilla. Tutto okay?”, chiesi sfilandomi la matita dai capelli e lasciando che i capelli mi scivolassero sulle spalle.
Annuì col capo, “Tu, piuttosto? Cosa ci fa qui tutta sola?”, chiese sedendosi accanto a me.
“Avevo bisogno di… silenzio.”, dissi facendo spallucce e chiudendo gli occhi, poggiando ancora la testa agli scaffali.
“Oh, allora vado via.”, disse facendosi per alzarsi. Aprii gli occhi di scatto e afferrai il suo braccio.
“Volevo.”, dissi, “Non andare via, tranquilla.”, sorridendo.
“Okay.”
“Secondo me non c’è posto più bello di questo corridoio. Non ci viene mai nessuno.”
Caroline fece un risolino, “Bhe si, il quattrocento non è molto amato. Tutti preferisco l’ottocento o il novecento. Un vero peccato, non credi?”, chiese.
“Si, un vero peccato.”, risposi fissando la moquette.
“Audry, so che magari non ho il diritto… che, insomma, è impertinente come domanda… cosa ti tormenta? Non sei costretta a dirmelo, insomma, voglio solo che tu sappia che se hai bisogno di sfogarti con qualcuno io ci sono. Non dirò mai nulla a nessuno.”, disse tutto d’un fiato, poi. La guardai negli occhi e capii che era sincera. Sì, diceva la verità.
Sorrisi, intenerita e lusingata dalle sua parole, comunque non pronta a parlare di ciò che mi attanagliava.
“Grazie, Caroline. E sappi che il tutto è reciproco. Comunque va tutto bene, solo un po’ stanca. Le lezioni e Stephanie mi stanno facendo impazzire.”, mentii col sorriso.
“Anche a me… tranne per Stephanie, sia chiaro.”, disse, “Anche se Jane ultimamente… insomma mi è molto vicina, il che non è un bene. Quella ragazza è peggio di un uragano.”
“L’uragano Jane.”, dissi in un risolino.
“Esatto, è così la chiamo.”
Sorrisi e calò il silenzio, rotto dai nostri respiri.
“Ascolta… ho preso questo libro qualche giorno fa,”, disse porgendomelo, “ci sono delle belle poesie dentro. Perché non le leggi? Alcune ti aiutano a pensare o chiarire alcuni tuoi… sentimenti, insomma… è interessante, almeno per me lo è stato.”
Carezzai con la punta delle dita la ruvida e rigida copertina del libro, prima di sfogliarne velocemente la pagine. Alzai lo sguardo e sorrisi, “Grazie, Caroline.”
Lei fece spallucce e si alzò, “Ci vediamo, Audry.”
“A presto.”, risposi tornando a guardare il libro.
Non vi erano scritte sulla copertina e la pagine del frontespizio era stata stappata. Lessi la prima poesia, sfiorando la carta gialla ed invecchiata ruvida sotto i miei polpastrelli.


Odi et Amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Forse mi chiederai come sia possibile.
Non lo so, ma è proprio così, e mi tormento.

 

… ma è proprio così, e mi tormento,
dissi fra me.
“Non pensare a domani.”, mormorai, “Carpe diem.”
E l’immagine del suo viso mi si prostrò alla mente, e la sua voce era un debole eco dei miei pensieri, nella mia testa.
Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai che vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà. Cogli l’attimo, Audry. , aveva detto.
“Robert.”, mormorai ed il cuore sembrò esserci bloccato, quando il fiato mi si mozzò, procurandomi dolore la petto.
“No, Audry. Mark.”, mormorò una voce, simile ad un colpo di frusta.
Alzai lo sguardo incontrando lunghe fiamme nocciola.

 

*

Salve gente, ed eccomi, ancora una volta con un… ehm… capitolo.
Allooooora, citazione di Catullo, ovviamente l’odi et amo, in questa fiction, ora non poteva mancare XD
Cosa succederà nel prossimo capitolo? Bhe, di certo non sarò io a dirvelo ^.^
Passarei a rngraziare subito coloro che hanno recensito lo scorso capitolo.

Xx_scrittrice_xX: ciaoooo! Che dire? Cioè, tu sei un angelo, sei troppo buona! *_* Io mi sono divertita un sacco a scrivere di quei due al ristorante, ma tanto tanto… il che è strano. Eh si, si sono avvicinati, e la storia non è di certo finita! Grazie mille per la recensione cara, davvero, mi ha fatto tanto piacere ^.^ A presto!
Piccola Ketty: ciao! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente! E spero sia stato di tuo gradimento anche questo. Dai, non ti ho fatto attendere troppo XD A presto. Grazie davvero!
akire83: ciao *_*  Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Ci tengo moltissimo a questa storia, è una di quelle a cui sono più legata. Eheh… la scena del ristorante è un po’ simile a quello che combino io con le mie amiche… senza però provare ciò che provano quei due XD  A volte è difficile sorprendere. A me piace narrare la quotidianità... nel senso, mi piacerebbe che il lettore si rivedesse nei personaggi, nelle loro emozioni e pensieri, per me è quella la grande sfida. Non credo ci sia bisogno perennemente di colpi di scena… mi piacciono le cose avvenute gradualmente, ad un tratto ti rendiconto che le cose sono cambiate… e non lo capisci durante il corso delle cose. Okay, è un ragionamento contorto e senza senso ^^”  Grazie mille per la recensione! Grazie davvero!
Ryry_: ciao! Si dai, tutti sotto la giacca! *_* Lì lì per baciarsi… mmm… eheh, facevo il tifo anche io. So che può non aver senso, ma un senso c’è. Dentro di me c’è la lettrice e la “scrittrice”. Una tifa l’altra no. Okay, dai, non sono così pazza come sembra… è che sono un po’ malaticcia oggi. Spero di non averti fatat attendere troppo. A presto e grazie mille!
Nessie93: ciao! Le tue recensioni è inutile, sono le tue recensioni. Sul serio come stessi guardando un film? E’ ciò che succede quando scrivo. Ho tutto nella mia testa, come fosse un film. Eheh, la giacca… chi non vorrebbe essere al posto di Audry! Quando si è direttamente coinvolti non ci si rende conto di come stanno realmente le cose… non si è razionali. Non credi? Grazie mille per la recensione, tesoro, grazie davvero! Pensare cosa ne pensi mi fa sempre piacere. Grazie per tutto.
Satyricon: ciao! Eh eh, la fine… si scoprirà presto, di certo, per il momento, non parlo. Sono contenta ti siano piaciute le scene al ristorante e con l’hot dog, può sembrare stano, ma mi sono divertita nel scriverle. Spero questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Grazie mille per la recensione. A presto!
Sognatrice85: ciao! *_* Bhe, si,credo sarà ripreso… la fiction è composta da un bel po’ di capitoli XD Sono felicissima di sapere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, davvero molto! E spero di non averti fatta aspettare troppo! Grazie per la recensione, ci tengo a sapere cosa ne pensi! A presto, bella!
lazzari: ciao! *_* Io… grazie! Hai colto nel segno la tematica di questo capitolo…e di tutta la storia: odi et amo. Sono contenta ti piaccia la storia! E su Robert e Audry in camere diverse, non mi esprimo. Ti dico solo che la fiction ha ancora in serbo per te molti capitoli. Grazie per al recensione, cara! A presto!
A l y s s a: ciao, mia Patt! facciamo-finta-di-non-provare-niente-l'uno-per-l'altra-e-soffriamo-in-silenzio, sono morta dalle risate quando l’ho letta! Sei sempre la solita Patt troppo buona, non c’è niente da fare. Oh, come sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente! Il tuo parere sai che è importantissimo! Eh si, Audry… dai, dai, tanto noi prenderemo l’originale… parlo di Patty, si intenda. Grazie tesoro, le tue recensioni sono sempre così… *_*  Tu sei fantastica, non c’è nulla da dire. Tanti auguri per gli esami! Andrà benissimo! Ti voglio bene.

 

A voi, con immenso affetto,
                                 Panda.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***






CAPITOLO 20

 

Non lo so…
se abbiamo ognuno il suo destino
o se siamo tutti trasportati in giro per caso
come da una brezza…
ma io credo,
può darsi le due cose,
forse le due cose capitano nello stesso momento.

Forrest Gump, film 1994.


 

“Mark.”, dissi con voce fredda, scattando in piedi.
“E così ho perso.”, disse in uno sputo.
“Non capisco di cosa tu stia parlando,”, dissi chinandomi a prendere i miei libri, “Perso? Sono un gioco, Mark?”, continuai guardandolo in volto, sentendo la rabbia montare.
“Non sei mai stata un gioco.”, mormorò  e la sua voce si addolcì, “Mai.”, fino a diventare una dolce carezza.
“E’ ciò che hai detto.”
“Cosa c’è fra te e Robert, Audry?”, chiese con espressione indecifrabile e voce atona.
“Niente. Assolutamente niente.”
“Eppure hai sussurrato il suo nome, o credevi, o speravi che al mio posto ci fosse lui?”, chiese, “Ti prego dimmelo.”. La sua voce aveva assunto toni amari, malinconici. Ebbi una stretta allo stomaco.
“Credevo fosse lui. Ora scusami, ma devo andare.”, risposi con voce piatta, voltandomi per andare.
“Audry!”, lo sentii esclamare. Mi fermai e voltai appena la testa guardandolo con la coda dell’occhio.
“Devo andare, Mark. Ho lezione.”, e ripresi a camminare.
“No!”, gridò nel silenzio del corridoio. Lo sentii afferrarmi il braccio e costringermi a voltarmi verso di lui, con un movimento secco e violento.
Sobbalzai, “Mark…”, mormorai sgranando gli occhi, incredula e sorpresa.
“Non puoi andar via così.”, disse col volto indurito dalla rabbia.
“Mark, lasciami, mi fai male.”, dissi con voce incrinata. Mi stringeva il polso, tanto forte che le nocche divennero bianche, intorno ad esso.
Con uno strattone mi avvicino a sé e la presa intorno al mio polso si fece meno intensa, ingabbiò il mio viso fra le sue mani e allora capì cosa avesse intenzione di fare. Le sue labbra furono in un attimo sulle mie, crudeli e prepotenti, le baciarono. Cercai di divincolarmi, cominciando a graffiare il dorso delle sue mani, sperando che mollasse la presa, poi il mio pugno colpì il suo stomaco. All’istante si allontanò arretrando, tossendo.
“Non provare mai più a toccarmi!”, ringhia col viso rosso per la furia, “Mai più.”
“Non è finita, Audry.”, disse mentre mi allontanavo.
“Non è mai iniziata, Mark.”, sibilai.


Con passi veloci e pesanti, con la rabbia che mi ribolliva nelle vene, dandomi alla testa, mi diressi all’esterno della grande struttura. Sulle labbra potevo ancora sentire il sapore delle sue. Le sue mani stringermi energicamente.
Sbuffai, ringhiando, tanto che due ragazze, che per caso si trovavano a passar di lì, si voltarono confuse e quasi spaventate.
I capelli ondeggiavano ad ogni mio passo. Camminavo, nemmeno io sapevo quale fosse la meta, semplicemente mi allontanavo da quella gabbia di matti, di cui io ne facevo parte. Stretti al petto i miei libri e quel libro, dalla copertina smunta che mi aveva dato Caroline.
percossi, con lo stesso passo, il viale in cui si trovava il collage e svoltato l’angolo mi scontrai con qualcuno. I libri mi caddero, rovesciandoti con un gran tonfo sul marci piade.
“Diamine!”, gridai allargando la braccia al cielo e sbuffando di rabbia. Mi chinai per raccogliere i libri, ma rialzai immediatamente il capo, udendo la voce della persona con la quale mi ero scontrata.
“Mi scusi, signorina. “, era una voce sottile, delicata, tramante, anziana. Una vecchietta, dall’aria stanca, cercò di chinarsi per raccogliere la busta della spesa che le era caduta.
Mi sentii una stupida e il cuore mi strinse in una morsa, nel vedere il viso solcato da rughe segnate dal tempo, la pelle traslucida, simile a fragile porcellana bianca, i capelli color della neve.
“No, mi perdoni lei. “, dissi subito, scuotendo il capo, “Aspetti, lasci che l’aiuti.”, dissi facendo scivolare il libro che avevo raccolto e mi protesi verso la signora aiutandola a mettersi in posizione eretta. Sembrava di maneggiare creta, sembrava che al minimo tocco potesse spezzarsi.
“Ti aiuto.”, disse una terza voce. Quella voce. Voltai appena il capo per vedere il viso di quel ragazzo capace di farmi girare la testa, e mozzarmi il respiro.
Mi sorrise, flebilmente, prima di raccogliere la spesa della signora per metterla nella piccola busta di carta.
“Si è fatta male?”, chiesi tenendola per un braccio, “Mi dispiace, non volevo. “, sussurrai chinando il capo.
“No, no, sono una roccia.”, gracchiò lei.
“Ecco qui la sua spesa.”, disse raggiante Robert alzandosi in piedi, “E i tuoi libri.”, continuò rivolgendosi a me.
Sorrisi, flebilmente, grata che lui fosse lì.
“Purtroppo la nostra Audry è un po’… come dire… distratta, per via delle lezioni, ma sono sicuro che non era sua intenzione.”, disse rivolto alla signora, “Io sono Robert e lei,”, disse rivolgendomi un’occhiata, “come penso abbia già capito, è Audry.”
Sorrisi alla fragile vecchietta, “Possiamo accompagnarla a casa?”, chiesi. Guardai Robert, immediatamente, nel panico, rendendomi conto che aveva parlato anche per lui, ma annuii piano con il capo.
Sospirai, piano, di sollievo.
“Oh no, non è necessario.”, disse ridendo lei.
“Dove abita, signora…?”, chiese Robert.
“Olivia Williams. In fondo alla strada.”
“Bene, allora l’accompagniamo.”, sorrisi prendendo a camminare.
“Grazie.”, rispose sincera la signora.
Con la coda dell’occhio guardavo Robert, che camminava guardando avanti.
Perché era lì? Perché era sempre presente?
Le cose arrivano sempre senza preavviso, avvenimenti inaspettati. Quando meno te lo aspetti.
E lui era lì. Come la sera precedente. Come nei corridoi, in biblioteca, in cortile, al centro commerciale.
“Magari avete da fare, vi starò facendo perdere tempo.”, disse la signora Williams.
“Oh no.”
“Magari volevate farvi una passeggiata.”, disse imboccando un vialetto.
“Nah, si figuri. Ed poi io passavo per caso. Non ero con Audry.”, disse Robert, mentre io l’aiutavo a salire i gradini della veranda. La signora mi guardò, corrugando la fronte, e su di esse le rughe furono accentuate.
“E’ stata una coincidenza che lui fosse lì.”, le sorrisi.
Lei fece un risolino, “Ragazza, non esistono coincidenze.”
Corrugai la fronte confusa e alzai lo sguardo su Robert. Mi guardava. L’intensità del suo sguardo mi colpì in pieno viso come una secchiata d’acqua fredda. Un brivido mi percosse la schiena, mentre i suoi occhi chiari ardevano come fiamme azzurre, illuminati da un solitario raggio di sole che filtrava attraverso i rami di un albero.
Non esistono coincidenze.
Scostò il suo sguardo dal mio e sul suo viso comparve un sorriso.
“Le porto la spesa dentro.”, disse prima di scomparire oltre la porta con la signora Williams, lasciandomi lì, sola, immersa nei miei stupidi pensieri.
Gli attimi parvero interminabili mentre riflettevo sulle parole dell’anziana signora.
“Tu non entri?”, la voce di Robert mi riportò alla realtà. Sobbalzai colta di sorpresa. Affacciato alla porte, poggiato allo stipite della porta, sbilanciato in avanti, sorrideva, mostrandomi quella bellissima schieri di denti bianchi e le stelle che gli brillavano negli occhi.
Scossi il capo, prima di sorridere ed entrare.
Non esistono coincidenze.

 

La signora Willson, nella mezz’ora che passai a casa mangiando biscotti e vendo the, aveva ottantacinque anni. Vedova, aveva due figli, che abitavano dall’altro capo della città. Cinque nipoti. Aveva un gatto, Porzia che, stranamente, mostrava simpatia nei miei confronti. Ci mostrò delle foto di famiglia, soprattutto del marito defunto cinque anni prima, per cancro.
Io e Robert ascoltavamo in silenzio, scambiandomi di tanto in tanto fugaci sguardi, che più di una volta mi intinsero le guance di porpora.
Mille domande mi vorticavano nelle testa, insistenti e rumorose. Attendevo il momento giusto per poterle esporre a Robert, desiderosa di risposte.
“E’ stato un piacere conoscerla, signora Williams. “, disse sorridente Robert.
“Oh no, chiamami Olivia.”
“Olivia.”, ripeté lui.
“Mi scusi ancora.”, aggiunsi io rammaricata.
“Sta tranquilla, cara. Goditi questo bel giovanotto. Siete persone splendide e davvero fortunate.”, confusa e spaesata guardai Robert, sul suo viso un’espressione concentrata, come se stesse pensando intensamente a qualcosa. Aveva le labbra arricciate.
Poi capii. Mi voltai di scatto verso al signora, sventolando le mani in aria, per spiegarle che aveva frainteso, “Oh no, no, no. Noi stiamo insieme.”. Robert sgranò gli occhi.
“Ah no?”, chiese lei voltandosi a guardarlo, come avesse bisogno di una conferma. Lui scosse il capo.
Olivia sgranò gli occhi, “Allora cosa aspetta giovanotto! Si faccia avanti!”, lo sgridò.
Lui rise, mentre io guardavo i due sconcertata. Lo stomaco chiuso in una morsa. Le guance sembrano bruciassero, come ci fossero piccoli fiammelle poggiate su esse.
“Si è fatto tardi,”, disse Robert per spezzare il silenzio che pochi istanti dopo calò, “dobbiamo tornare.”
“Grazie.”, disse ancora Olivia. Sia io che Robert sorridemmo.
“Si figuri.”, dissi.
Salutammo quella dolce vecchietta con un braccio e ci allontanammo sul vialetto, sotto il suo sguardo vigile e, in un certo senso, complice, prima che rientrasse in caso sorridente.
Che avesse capito anche lei cosa il mio cuore celava?
Ancora il silenzio calò. Udivo solo i nostri passi e il respiro accelerato del mio petto. Il cuore che batteva in esso, frenetico.
“Spero tu sia consapevole che è arrivato il momento della domanda.”, dissi stringendo al petto i libri.
“Suppongo di si.”, disse con tono indecifrabile. Senza un preciso motivo fui pervasa da uno strano senso d’ansia.
“Da dove sei sbucato?”, chiesi, voltandomi per guardarlo, mentre ci dirigevamo per il campus. Lui si passò una mano fra i capelli, imbarazzato, prima di rivolgermi uno sguardo.
“Bhe, ti ho vista uscire furente dall’ingresso della biblioteca e, non so perché, sono sincero, ti ho seguita. Forse per sapere… perché.”, disse sorridendo appena e facendo spallucce. E, poi, fuse i suoi occhi nei miei.
“Oh.”, mormorai, fissando la strada.
“Olivia ci è quasi rimasta secca.”, disse in un risolino.
Mugugnai qualcosa e mi coprii immediatamente il viso, rossa per l’imbarazzo, chinando appena il capo. Scossi il capo, arrestandomi sul posto di colpo.
“Cosa c’è?”, chiese.
“Non ricordarmelo. Mi sento tremendamente in colpa.”, mugugnai ancora. Lo sentii ridere sommessamente, un suono caldo e nascosto all’interno del suo petto. Poi, poggiò le sue mani sulla mi, spostandomele dal viso. Un brivido mi percosse la pelle.
“Quella donna ti adora. Le stavi particolarmente simpatica.”, disse con fare dolce, la voce simile ad una morbida carezza.
“Bugiardo. Lo dici solo per non farmi sentire in colpa.”, mormorai. Il polso ancora bloccati all’altezza delle mie spalle dalle sue mani.
“Non darmi del bugiardo, Morel.”, disse serio. Il tono della sua voce mi sorprese.
“No.”, soffiai. Il suo viso, così vicino al mio mi diede alla testa.
“Bene.”, disse prima di allontanarsi di un passo da me.
“Sei strano Pattinson.”, dissi in un risolino, “Te l’hanno ma detto?”
“Sei strana Morel. Te l’hanno mai detto?”, ripete lui dandomi una leggera spinta.

*

Salve gente, eccomi qui… ancora.
Bene, prima domenica in cui ho solo da fare inglese. Yeeeeeeh!
Okay, ciarle a parte.
Allora, che dire su Audry e Robert? Bhe, ci sarebbe da dire di più su Mark, in questo caso… o forse su entrambi. Mmm, a voi la decisione.
Ora mi eclisso, ma prima, ringrazio i nove angeli che hanno recensito lo scorso capitolo:

Piccola Ketty: ciao! Eheh, ne fanno uno avanti e poi cento indietro… e poi altri centouno in avanti. Spero ti sia piaciuto il capitolo. Grazie mille per la recensione cara, grazie davvero!
Sognatrice85: Marghe, ciao! Sei sempre così buona… non merito tanto! Sono contenta ti sia piaciuta la citazione. Non so da quanto attendevo il momento adatto per metterla e giuro, ce ne sono ancora un’infinità che vorrei mettere. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Ci tengo al tuo parere, oramai, lo sai. Grazie di cuore.
Ryry_: ciao! Eh si, direi che Mark spunta nei momenti più opportuni e devo dire che mi aiuta molto XD è come… è come una pulce (meno male che è una mia creazione). Mark gira intorno a Audry, ma sarà l’unico? E Audry non gira intorno a Mark di certo, adesso. Spero ti sia piaciuto il capitolo. A presto! E Grazie *_*
Nessie93: Chiarè! Che dire? Sempre troppo gentile, non mi merito tutto ciò, lo sai! Anche questa la conosci, no? (l’hai letta! XD). Spero la sua riflessione abbia anticipato bene, il “seguito” e soprattutto spero di non averti delusa con l’intero capitolo, anche se sono sicura che l’ultimo pezzo ti è piaciuto (ormai un po’ ti conosco). Mi piace passare dalla gioia alla tristezza, o viceversa. E’ bello trattare un po’ tutte le emozioni in un capitolo, non lo so perché ma mi diverte. Okay, non sono così strana come può sembrare ^.^ Ovviamente le tue recensioni possono solo farmi più che piacere! Ormai ci tengo troppo a sapere che ne pensi! Alla prossima, Chiarè! Grazie infinite per tutto!
Xx_scrittrice_xX: ciao, tesoro! Ehi, ma Audry ha capito di essere cotta di Patty! Bene, ora sai che vuole Mark ^.^” ti prego non odiarmi! Spero di averti fatta attendere troppo e, soprattutto spero di non averti delusa. A presto, Eli. Grazie per tutto, la compagnia, le chiacchierate, gli schizzi e i consigli! A presto! =*
lazzari: ciao, Lory! Effettivamente la storia non è finita e di certo Robert e Audry non possono ignorarsi, insomma… poi Olivia fa la sua bella parte. Santa donna. Okay, la mia mente da segni di inabilità mentale… o forse è solo l’ora. Comunque, si, bhe, mi diverto quando scrivo questa fiction, e non so nemmeno perché. Sono un caso clinico. Okay, ora basta. Sono felice di sapere che il capitolo ti è piaciuto, davvero! A presto, cara!
pucciat_: ciao! *_*  Che bello sapere che, più o meno, stai bene. Era da tanto che eri sparita, da efp, intendo. Non ti devi preoccupare delle recensioni, perché sapere che tu segui le mie fic è già tanto (inutile dire che amo il tuo modo di scrivere). Spero tutto si risolva per il meglio. A presto cara, e grazie, grazie davvero di cuore.
Satyricon: ciao! Eh si, qualcosa è cambiato, al di là dell’apparente freddezza. Oooooh, anche io amo Catullo! *_*  Eheh, Mark cosa vuole? Booooh. Vabè, credo un po’ si sia capito. Ma tranquilla, non sono sadica XD Sono contenta di sapere che il capitolo precedente ti sia piaciuto e spero non ti abbia deluso con questo. A presto, cara!
A l y s s a: mia Patt! Visto? Postato! Cito: “Secondo me si è comportato così al mattino con Audry, non perchè fosse pentito in qualche modo della sera precenza, ma perchè aveva paura che fosse Audry quella che si fosse pentita di essersi lasciata andare, e così come "difesa personale" ha eretto una barriera per proteggersi; come se avesse indossato una maschera per celare a Audry i suoi veri sentimenti.” . L’ho detto io che tu sei un genio U.U  Si, si, Patt, confida in me! Ehi, magari possiamo soprannominare Mark Fungo… dai, il Fungo Mark. Suona però. Okay, sto delirando. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, Patt. Inutile dire che il tuo parere è super importante! Ti voglio bene, tata. A presto!


A voi, con immenso affetto,
                                  Panda.


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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Un grazie speciale alla mia Ely…  

 

 

 

CAPITOLO 21



Se è tardi a trovarmi insisti
se non ci sono in un posto cerca in un altro,
perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te.
Walt Whitman, poeta e scrittore statunitense, 1819-1892.

                                                      

“Ti va di uscire stasera?”, mi voltai verso Stephanie che sgranocchiava patatine. Alzai la testa, stesa sul suo letto, e la guardai. Era seduta sul davanzale della finestra.
“Okay.”, dissi, poggiando la testa sul cuscino.
“Sul serio?”, chiese lei incredula.
“Certo!”, dissi corrugando la fronte, rivolgendole un’occhiata.
“Waw. Esci senza fare storie.”, e si portò in bocca un’altra patatina. Feci spallucce e chiusi gli occhi, pendendomi nelle dolci note di una chitarra che si diffondevano dallo stereo.
“Ehi… ti va di fare shopping?”
“No.”, risposi secca, senza aprire gli occhi.
“Ma Audry… insomma! Credevo ti fossi un po’ addolcita. Merito di Pattinson o Cleever?”, chiese.
Senti il sangue salirmi alla testa, l’ira ribollirmi nelle vene. Scattai a sedere e sentii il viso andarmi in fiamme, quando nella mie mente fu chiara l’immagine di Mark… le sue labbra prepotenti sulle mie, il mio polso ingabbiato nella sua mano. Con la coda dell’occhio vidi Stephanie scattare in piedi, preoccupata a confusa.
“Audry?”, chiese allarmata, guardandomi in viso.
“Non.nominarlo.mai.più.”, dissi a denti stretti.
“Oh. Non credevo il rapporto con Robert potesse andare peggio.”, rispose con una nota di tristezza nella voce, sedendosi accanto a me, sul letto.
Chiusi un attimo gli occhi, scuotendo energicamente il capo, “Non parlavo di Robert.”, dissi poi guardandola in viso. Lei prima corrugò la fronte, increspando le labbra pensierosa, poi dilatò gli occhi sorpresa.
“Parli di M-“
“Sssh!”, l’ammonì chiudendo con forza gli occhi.
“Okay. Ho perso qualche passaggio. La cosa che più mi sorprende Audry, è che tu non me ne abbia parlato.”, disse con tono di rimprovero misto a rammarico.
Aprii gli occhi, incrociando quelli tristi di lei. Sospirai, colpevole.
“Perdonami.”, dissi, “Non ho scusanti. E’ solo che… volevo rimuovere l’episodio, che ancora mi fa ribollire il sangue nelle vene. Te lo avrei detto. Non dirlo a te, sarebbe stupido, Stephanie. Lo sai.”, dissi sincera, sorridendo flebilmente. Era la verità, semplice e in ritardo.
“Cosa ti ha fatto?”, i suoi occhi ardevano di preoccupazione.
Stramba ed adorabile Stephanie, lei, la mia migliore amica.
E così le raccontai ciò che era successo nella libreria, non omettendo particolari.
Alla fine del mio resoconto lei sgranò gli occhi ed aprii la bocca.
“Waw. Ora lo odio, ancor di più.”
“Ancor di più?”, chiesi confusa.
Lei annuii col capo, “Non mi è mai andato a genio… non lo so perché. Ha un qualcosa di… non so che.”, disse socchiudendo appena gli occhi e prendendosi il mento fra indice e pollice.
Granai gli occhi, “E me lo dici solo ora?”, chiesi e la mia voce era un suono strozzato.
Fece spallucce, “Boh, sembrava ti piacesse. Parteggio in definitiva per Pattinson. Quel tipo si che mi è simpatico.”, disse annuendo energicamente alle sue stessa parole.
“Tu non parteggi per nessuno.”, risposi secca.
“Perché?”
“Perché non c’è nessuno per cui parteggiare. Punto. Discorso chiuso.”, dissi.
“Ti ha baciata. Bleah.”, disse rabbrividendo.
“Stephanie!”, dissi ancor più sconcertata dal sapere che considerazione di lui aveva la mia migliore amica. Considerazione che mi era stata tenuta nascosta. Perché? Perché credevo di piacesse.
“… e poi non è brutto.”, aggiunsi incrociando le braccia al petto.
“Si, si certo.”, disse lei non curante. Sbuffai.
“Sono senza parole.”, disse sconcertata.
“Io ne avrei quattro.”, risposi sorridendo flebilmente.
“Mi dai una patatina?”


Mi diressi, lungo il corridoio, a passo strisciato. Le spalle basse, il capo chino.
Sospirai e mi passai una mano fra i capelli.
Avevo lo stomaco chiuso ed annodato. Sentivo le gambe molli, la testa mi doleva e pulsava, come il sangue nelle ferite più recenti.
Immagini si susseguivano sulla retina del mio occhio, dolci e crudeli. Diverse emozioni si alternavano nel mio animo, mi costringevano prima a sorridere, al ricordo di quel limpido e vivido verdazzurro, poi a stringere i denti per la rabbia, al ricordo di quelle labbra premute prepotentemente sulle mie.
Aprii gli occhi di scatto, mentre le mani cominciavano a prudermi ed il desiderio di picchiare il suo viso si fece più vivido. Fui scossa e quasi sconcertata dal repentino cambio di emozioni, dalla natura sanguinaria di essa. Non ero mai stata in tipo incline alla violenza, e quei pensieri mi lasciarono interdetta.
Scossi il capo, troppo violentemente, tanto che ebbi una piccola vertigine, e fu costretta ad appoggiarmi al muro per non cadere.
Aspettai di avere equilibrio sufficiente per evitare di cadere a terra ed arrancai fino alla porta di legno scuro della mia camera.
Afferrai la chiave, ma mi bloccai. Un brivido mi percosse la schiena, un tutta la sua lunghezza.
E se fosse dentro?, pensai.
Lo immaginai disteso sul letto, con gli occhi chiusi ed i muscoli facciali rilassati, i capelli arruffati e le labbra dischiuse.
Scossi il capo, cercando, inutilmente, di cacciare via quei pensieri.
Spinsi la porta. La camera era vuota. Fu terribile e quasi imbarazzante, riconoscere a me stessa la delusione dovuta alla sua assenza. Non guardai con attenzione la stanza, per cui non notai che qualcosa non andava. Con passo pesante mi diressi verso l’armadio, prendendo il beauty e l’asciugamano col del prato, per poi dirigermi in bagno.
“I vestiti puliti.”, mi dissi battendo il palmo della mani sulla fronte.
Mi voltai e aprii di nuovo l’armadio, afferrando ciò che mi occorreva, poi, quando chiusi l’anta, capii. Capii cosa c’era di strano, capii cosa avrei dovuto notare appena entrata, ma ero troppo presa dal cercar di sbollire la rabbia e la delusione per vedere.
Il respiro mi si mozzò ed non potei fermare le mie braccia, che velocemente, scivolarono lungo i miei fianchi, facendo cadere gli abiti.
Stupida.
Sapevo che quel momento sarebbe arrivato prima o poi, ma non lo immaginavo così. Sapevo che sarebbe arrivato, ma non avevo mai pensato che potesse accadere davvero.
Fui colta di sorpresa, e non sarebbe dovuto succedere.
Giunsi alla conclusione che ero davvero una stupida ed il mio orgoglio mi aveva portata ad un punto in cui era impossibile tornare sui propri passi. Oramai ci ero dentro. Era impossibile riavvolgere la pellicola della vita, di quelle ultime settimane per cambiare il corso degli avvenimenti. L’unica cosa che potevo fare era continuare la mia vita, la strada che pericolosamente avevo appena intrapreso… che fosse giusta o meno.
Ma non ora. Non in quel momento.
Osservai la moquette, il letto vuoto.
La sua roba non c’era più.
Lottai contro le lacrime di nostalgia che premevano crudeli sulle mie palpebre chiuse.
Era andato via.


Sbattei con violenza la porta, lottando contro il disprezzo che provavo per me stessa.
Disgustata dal mio orgoglio, dalla mia testardaggine.
Tutto era cambiato, così, da un giorno all’altro e nemmeno me n’ero resa conto.
Troppo cieca, troppo stupida per vedere, per capire cosa la vita mi stava regalando su un piatto d’argento… o quasi.
Lottai contro le lacrime prepotenti, sentendo gli occhi piano inumidirsi. Lacrime di rabbia, lacrime di rancore.
Non era possibile.
Tutto era cambiato, ogni cosa, tutto della mia vita in quel momento era diverso, soprattutto da ciò che mi aspettavo. Quando si dice: la vita è imprevedibile…
Con passo pesante scesi le scale, furiosa, delusa.
Aprii con violenza la porta ed uscii nell’aria del tardo pomeriggio. Senza meta, cominciai a camminare, sull’erbetta verde e fresca, circondata dagli alberi ciechi e sordi.
Stupida, stupida, stupida.
Era furiosa, ma con me stessa, col mio caratteraccio, con la mia arroganza, con la mia inutile testardaggine.
Uno sciame di api insistenti si aggirava nella mia testa con un gran fracasso.
Camminavo, credendo di essere sola. Poi, un voce attirò la mia attenzione, mentre camminavo a passo svelto. In un primo memento pensai fosse uno scherzo giocatomi dall’immaginazioni, ma, quando quella voce ripeté il mio nome, capì che era reale.
“Audry?”, chiese e sentii la sua mano sfiorare la mia spalla.
Mi voltai, tremante per lo stupore, fino ad incontrare il suo viso illuminato dalla fioca luce del crepuscolo. Una ruga gli solcava la fronte. Avrei voluto passarci le dita sopra ed eliminarla… a fatica riuscii a reprimere quello sfrenato desiderio.
“Robert…”, soffiai.
Poi un angolo della bocca si sollevò verso l’altro, illuminandogli di una strana luce gli occhi. Raggiante disse: “Ciao.”,


 

*

Eccomi qui gente, non ho molto tempo. Il letto mi chiama e il mio naso e la mia testa gridano pietà per questa stupida influenza. Perciò passo direttamente ai ringraziamenti, ci tengo davvero a farli.

Sognatrice85: Marghe, ciao! Sono contenta Olivia ti sia piaciuta, non era prevista… è uscita da se. Cioè, ho scritto di lei e nemmeno me ne sono accorta ^^” Ad ogni modo, sono anche contenta che le citazioni ti vadano a genio! Sono una delle parti che più adoro di più adoro nei capitoli! (forse perché non sono mie, chi lo sa). Spero di non averti delusa con il recente avvenimento. La storia non è ancora finita ;P
doddola93: ciao, tesoro! Eheh, il “non esistono coincidenze” con loro ci sta, si capirà anche il perché più avanti, direi. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Sai quanto ci tengo al tuo parere! E io, cara, mi diletto solo in ciò che mi piace, perché amo farlo nulla più. Non è niente di speciale, tu si un po’ di parte ammettilo XD Però mi fa piacere sapere che ciò che scrivo è di tuo gradimento perché sai cosa penso del tuo modo di scrivere. Spero ti sia piaciuto anche questo. Mi manchi.
Xx_scrittice_xX: Ely, ciao! Visto? Ho postato! Te lo avevo promesso! Solo millenni anche XD Bhe, se vuoi possiamo fare un assalto insieme a Mark, potrebbe essere interessante cara! Sono contenta che Olivia ti sia piaciuta! Mi ha ispirata un po’ mia nonna, che, più o meno, è sveglia come Olivia. Ci tengo a sapere che ne pensi. Un mega bacio!
Piccola ketty: ciao! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Bhe, riguardo all’essere più vicini, la risposta in fondo già ce l’hai. Al momento non condividono la camera, non si vedono lì… dovranno pur vedersi in altri modi. Tolgo Robert finisce la fiction, no? Spero ti sia comunque piaciuto il capitolo. Grazie mille per la recensione, davvero, di cuore.
Ryry_ : ciao! Oh, oh, la ciabatta Mark! Mi piace! XD Bhe, direi che Mark… non mi esprimo che è meglio! *_*  Sono contenta il capitolo ti sia piaciuto e che Olivia sia la nonna “perfetta”. Lo capiranno prima o poi? La risposta è nel titolo, direi. Sta solo interpretarlo nel modo giusto (non ti preoccupare è l’influenza che mi fa dire tante cavolate, più o meno). Grazie mille per la recensione cara!
lazzari: ciao, Lory! Visto, ho postato! Audry è particolarmente testarda, forse anche più di Robert XD Sono contenta lo scorso capitolo ti sia piaciuto! Ormai ci tengo tanto a sapere che ne pensi della storia! Spero di non averti delusa troppo con questo capitolo. Mark, Mark… Mark è la ciabatta XD Un bacio, cara. Grazie infinite, davvero.
Nessie93: Chiarì! Tu mi fai sempre troppi complimenti che non merito, davvero. Anche tu sei di parte. Ti devo fare un altro bel discorsetto XD Comunque, ciarle a parte. Sono contenta ti piaccia… come “descrivo” ciò che provano loro. Insomma, mi diverte tanto farlo e sapere che ti piace è per me… *_* importantissimo. Ero sicura che la parte finale e quella di Olivia ti sarebbero piaciute, ne ero sicura. Un po’ ho imparato a conoscerti, sai? Sei un angelo, tesoro, non mi merito tutto questo. Se vuoi posso inserirti nella fiction con un mitra per andare a stanare Mark. E’ una possibilità, no? Grazie di cuore, Chià, davvero <3
A l y s  s a: ciao, Patt! Ma quale bravura! O.O Bhe, quello era il compito di Mark sin dall’inizio, se non si fosse capito e credo non sia ancora finito, in tutta sincerità. Ad ogni modo, sono contentissima di sapere che il capitolo ti è piaciuto! Sai quanto conto per me il tuo parere! Troppo, Patt, davvero! Colpire il fungo Mark nella parti basse sarebbe stato troppo cattivo, dai XD e poi, testuale “
Perché era lì? Perché era sempre presente?...E lui era lì. Come la sera precedente. Come nei corridoi, in biblioteca, in cortile, al centro commerciale. Ma tesoro, è ovvio, lui ti ama, è il tuo angelo custode, è un filo invisibile che vi lega.”, io non mi esprimo ^.^ Ciò che volevo mettere in evidenza nella parte finale era proprio la spensieratezza fra i due, il fatto che, quando non si scannano, stanno bene insieme, si divertono. Grazie, Patt, grazie di cuore, Ti voglio bene <3
Fairwriter: oddio, Juls, sei qui! Anche a te Mark da fastidio? Batti il cinque fratella! (meglio gemella ;) ) Sai quanto ci tengo a sapere che ne pensi, sin dall’inizio. Mi sei mancata, Cip, davvero! Mi sono mancate anche le tue storie! Comunque, non potevi rendermi più felice! Sapere che ti è piaciuto il capitolo… per me è importantissimo, davvero! Spero di non averti delusa con questo! Ti voglio bene, Cip. Tua, Ciop.
Londoner: ciao! Oddio, che sorpresa! Davvero non me lo aspettavo! Li hai letti tutti insieme? Sono contenta ti piaccia la storia! Per me è davvero molto importante! Spero di non averti delusa con questo capitolo. Grazie mille per la recensione, davvero! Di cuore!
pucciat_: ciao, Ila! *_* Sono contenta di “sentirti”. Non mi devi ringraziare, amo ciò che scrivi e come lo scrivi, davvero! Davvero quella frase ti è piaciuta così tanto? O.O Non mi merito tutto ciò! Mandy Moore? Io amo Mandy Moore, come cantante e attrice! E Audry fisicamente nella mia mente le assomiglia davvero molto! Solare, allegra, quel viso dolce ma sicuro di se. Mi piace *_*   Spero di sentirti. Un bacio <3

 


A voi è tutto,
               con affetto,
                              Panda.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


 

 

 

 

CAPITOLO 22

 

 Fish in the sea
You know how I feel
River running free
You know how I feel
Blossom in the tree
You know how I feel
It's a new dawn
It's a new day
It's a new life
For me
And I'm feeling good(*)
Muse, Feeling Good.

 

 
“Ciao.”, disse con un largo sorriso sul viso.
“Ciao.”, soffiai incredula, con il cuore scoppiettante.
“E’… tutto okay?”, chiese corrugando appena la fronte, mentre il sorriso abbandonava il suo viso.
Sospira e annuii piano col capo. Cosa avrei dovuto dirgli: Sei tu la causa del mio malumore? Riesci a sentire il battito frenetico del mio cuore?
Lui non avrebbe capito, si sarebbe arrabbiato ed io sulla difensiva sarei stata cattiva, come altre tante volte. In quel momento, quell’idea, quel ricordo, mi fecero inorridire.
“Sicura?”, chiese incerto.
“Si.”, mormorai annuendo. Sorrise, flebilmente, chinando appena il capo, “Che ci fai qui?”, chiesi curiosa, anche cercando di sviare il discorso.
“Ero seduto lì,”, disse indicandomi il muretto che costeggiava il verde prato, “Leggevo.”
“Mi spiace di averti disturbato.”, dissi, rammaricata.
Lui schioccò la lingua, “Nah.”, disse,  sul suo viso comparve un sorriso.
Sorrisi imbarazzata.
“La stanza…”, la mia voce uscii senza premeditazione, senza il mio consenso. Scemò quando mi resi conto cosa stavo per dire.
Avanti, dillo, diceva una vocina dentro la mia testa.
Cosa? Che la stanza… è vuota senza lui? Che mi dispiace che sia andato via?
Esatto.
Con lo sguardo mi incitò a continuare, aprii la bocca ma da essa non vi uscì alcun suono.
Avanti, dillo.
“La stanza…”, ripetei con voce tremante, poi sospirai e sentii il peso della menzogna sulle spalle, “Com’è la tua nuova stanza?”
Lui sbatté le palpebre un paio di volte, prima di passarsi distrattamente una mano fra i capelli chiari, “E’… è okay.”, mormorò. Poi rise, “Anche se l’aria è sempre satura dell’odore di patatine al formaggio.”
Non potei fare a meno di sorridere, incantata dal dolce suono delle sua risata, “Positivo o negativo?”
“Bhe, non saprei con precisione. Insomma, può diventare nauseante. Devo fare un patto con il mio nuovo compagno.”
Feci un risolino.
“Alla fine… era ciò che volevi?”, chiesi con voce pari ad un sussurro, abbassando lo sguardo.
“E ciò che volevi anche tu.”
Si tornava, involontariamente sempre sullo stesso argomento. Oramai sembrava essere di tradizione, rispondere a quella domanda con un’altra domanda, è dovetti ammettere che un po’ mi irritava, ma il desiderio di osservare il suo viso in tranquillità, giunto dalla consapevolezza di non essere più nella stessa stanza, era più forte di quanto pensassi e neutralizzò l’irritazione che in pochi secondo pervase il mio corpo.
Mi portai distrattamente una ciocca di capelli dietro un orecchio.
“Ti va un birra?”, chiese dondolando sul posto.
Il mio cuore incespicò in quelle parole.
Sorrisi, “Posso prima prendere la borsa?”
Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’alto, una chiara e dolce risposta.


Camminavamo al buio. Mi strinsi nella giacca quando una leggera folata di vento filtrò fra i capelli, sfiorandomi la nuca.
La testa mi doleva ancora, pulsava esattamente come mezz’ora prima. Entrata in camera, dimenticai di prendere dal cassetto del comodino un’aspirina, troppo presa dal ragazzo che mi attendeva sulla soglia della porta, poggiato allo stipite.
Gli occhi mi bruciavano e mi facevano male, poi ricordai, cosa l’oculista mi aveva consigliato di usare in certi casi.
Frugai nella grande borsa marrone e, con la coda dell’occhio, vidi Robert osservarmi incuriosito.
“Trovati!”, esclamai alzando la piccola custodia nera sopra la mia testa. Robert al mio fianco si allontanò istintivamente, colto di sorpresa, quasi spaventato dal mio gesto. Abbassai il braccio e sorrisi, imbarazzata, “Scusa.”
Lui mi guardo, corrugando la fronte.
Aprii la custodia e mi portai sul naso gli occhiali neri.
Robert strabuzzò gli occhi, incredulo, “Poeti gli occhiali?”, chiese.
Chinai appena il capo, cercando di nascondere attraverso i capelli, le mie gote che si erano involontariamente intinte di rosso, “Bhe, quando mi bruciano gli occhi e comincia a far male la testa. Mi è stato consigliato. Ma la mia vista è impeccabile.”, dissi impettita. Ridacchiò… ed il con lui.
Alzò lo sguardo su di me, ed ancora il mio cuore balbettò, capriccioso.
“Ti donano.”, aggiunse, e la sua voce era una dolce carezza.
Arrossii e sperai che non notasse il porpora vivo della mia pelle.
“Grazie.”, mormorai.
Tra noi cadde il silenzio, di quelli odiosi ed imbarazzanti che con tutte le tue forze vorresti riempire, ma non sai mai come fare, cosa dire e magari spati la prima idiozia che ti passa per la testa, senza pensare se sia consona o se abbia realmente senso.
“Quando si dice: ne sono passati di ponti sotto l’acqua.”, dissi.
Robert mi guardò, scioccato, incredulo, dilatando gli occhi.
Mi guardai appena introno, muovendo solo gli occhi, cercando di capire da dove derivasse la sua strana espressione. Cercai di capire anche cosa avessi potuto dire di… e fu lì che mi sbattei il palmo della mano sulla fronte, per poi coprirmi il viso con una mano, rosse per la vergogna.
Ne sono passati di ponti sotto l’acqua.
“No!”, mugugnai. Robert soffocò un risolino e alzando lo sguardo, poggiando i polpastrelli sulla mia spalla gli diedi una leggere spinta, “Non ridere!”, cercai di nascondere l’imbarazzo.
Lui alzò la mani, in segno di difesa, “Okay, okay.”, aggiunse con un sorriso mozzafiato sul viso.
Mi sistemai gli occhiali e chiusi un momento gli occhi, “Intendevo dire: acqua sotto i ponti.”, risposi solenne per poi riaprire le palpebre, incontrando ardenti fiamme azzurre.
Stupida.
Quella era sicuramente l’ennesima dimostrazione che tacere, nel mio caso, era sempre la cosa più giusta.
“Non lo metto in dubbio, Morel.”
“Volevo farti notare come le cose siano… cambiate.”, feci spallucce e cercai immediatamente di cambiare argomento. Comunque,”, esordii cercando di condurre il discorso su un’altra strada, “Cosa leggevi, prima che arrivassi?”, chiesi con nonchalance.
“Già… cambiate.”, mormorò sovrappensiero, poi si voltò verso di me, con un mezzo sorriso,”So we'll go no more a-roving.”
“Byron.”
Sorrise ed annuii, “Qualcosa mi dice che non ti è sconosciuto.”
Feci un risolino, “Ma, credo di averlo letto qualcosa, se non sbaglio.”, chiesi facendo finta di nulla.
Scosse il capo, “Ne sono sempre più convinto.”
“Di cosa?”, chiesi mentre attraversavano la strada deserta, diretti ad un pub.
“Della tua instabilità mentale.”, rispose ovvio.
Mi fermai e lo guardai, alzando scettica un sopracciglio. Sul suo viso si dipinse un’espressione preoccupata e subito prese ad agitare le mani davanti a sé.
“Scherzavo, Audry.”
“Oh.”, sussurrai interdetta, prima di sorridere imbarazzata.
Lui sospiro e roteò gli occhi, poi, prendendomi sotto braccio mi trascinò nel locale… ed il mio cuore prese a galoppare.


“Da quanto suoni?”, chiesi bevendo un sorso di fredda birra. Robert alzò di scatto il capo, sorpreso.
“Come?”, chiese, poggiando il suo bicchiere sul tavolo.
“Da quanto tempo suoni?”, chiese ancora corrugando appena la fronte.
“Ehm… da anni. Non ricordo nemmeno io da quanto.”, e rise. Una risata rauca e quasi soffocata, un caldo suono che, da quella vicinanza potevo udire solo io, nel caos del pub.
Sorrisi ed annuii con capo, automaticamente e quasi distrattamente mi portai il bicchiere alle labbra.
“Audry…”, la sua voce era un delicato tocco sul viso.
“Si?”, alitai alzando lo sguardo, perdendomi oceano dei suoi occhi, per attimi che parvero minuti.
“Io…”, le parole sembrarono morirgli in gola, mentre i suoi occhi fissavano i miei, come se contenessero ciò di cui avesse bisogno per continuare, “Non ho mai avuto occasione… o coraggio, per chiederti scusa.”, mormorò, abbassando lo sguardo.
Rimasi interdetta, con la bocca appena spalancata per la sorpresa, “Non capisco.”
“Mi dispiace, Audry. Quella sera, quando eri con Mark, in quel pub... io… sono stato imperdonabile.”, scandì ogni parola con estrema lentezza, con tono grave e serio. Continuavo a fissare il verdazzurro dei suoi occhi, pervasa ancora dalla confusione. Per un minuto buono, entrambi tacemmo.
“Potresti… dire qualcosa.”, disse con leggera isteria nella voce.
“Dispiace anche a me, Robert.”, mormorai chinando lo sguardo, circondando il bicchiere con le mani, mentre sentivo le guance avvamparmi di rossore.
“Non stai confessando un omicidio.”, ridacchiò lui, sollevando appena un sopracciglio, passandosi imbarazzato una mano fra i capelli arruffati.
“Potrei dire lo stesso di te.”, ribattei mordendomi il labbro inferiore, “Non stai confessando un omicidio.”, sorrisi.
“Sei incredibile, Morel.”, ridacchiò poggiandosi allo schienale della sedia.
“Bene o male?”
“Bene.”
Chinai ancora il capo, avvampando irrazionalmente di rossore, “Non ti ho mai fatto i complimenti.”, annaspai.
Robert corrugò la fronte, confuso, bevendo un altro sorso di birra.
“Si, insomma… dai, ero ovvio. Bastava guardare come la gente ti guardava!”, esclamai.
“E come?”, chiese mentre un sorriso sghembo si illuminava appena il viso.
“Erano tutti impressionati, Robert. Anche… Mark,”, pronunciai quel nome in tono acido, “lo era. Un dato di fatto insomma.”, sorrisi.
“Anche tu?”
“Si, anche io.”, ammisi sorridendo e bevendo un sorso di birra, “Le mie orecchie ne erano estasiate.”, enfatizzai aiutandomi con le mani.
“E se io portassi Audry Morel, ancora una volta, in quello stesso locale?”
Sgranai gli occhi, colta di sorpresa, “Quando?”
“Venerdì.”
“Questo venerdì?”
“No Audry, quello del mese prossimo.”, ridacchiò scuotendo il capo.
Capii che mi stava prendendo in giro, “Ehi!”, dissi dandogli un buffetto sul braccio. Non mi ero resa conti di quanto fossimo vicino. Quella vicinanza fece sorridere silenzioso il mio cuore.
“Cosa dirò a Robert Pattinson?”, chiese con gli occhi che ardevano come fiamme azzurre.
“Che Audry Morel ci sarà.”


 *

(*)Un pesce nel mare
Sai come mi sento
Un fiume che scorre libero
Sai come mi sento
Un fiorellino sull'albero
Sai come mi sento
e' una nuova alba
e' un nuovo giorno
e' una nuova vita
per me
e sto bene

Ed eccomi gente, qui per voi dopo un weekend fantastico!
Citazione dei Muse, tanto per essere in tema, non potevo non metterla dopo il concerto di sabato.
Allora, ci tengo a ringraziare in particolare gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo, e grazie e lei, la mia lunatica pazza schelarata.

 Londoner: ciao! Waw, l’hai letta! *_* Non sai che piacere, davvero! Sono contenta ti piaccia la storia. Mi spiace averti fatta aspettare ma non ho potuto postare prima. A presto, cara! Grazie mille, davvero!
Ryry_ : ciao! Eh si, la tua socia è davvero un angelo, l’ho sempre detto XD Molto perspicace… okay, io non parlo! Eh si, Robert si è trasferito… ma non sarà di certo un ostacolo! Grazie mille per la recensione, cara, grazie! A presto!
Sognatrice85: ciao, Marghe! *_* Sei sempre così buona… non merito tutto questo! Spero di non averti fatta attendere troppo, ma per un motivo e per l’altro non ho potuto davvero farlo prima. Spero ti sia piaciuto questo. A presto cara!
pucciat_: ciao! Che piacere leggere ancora una tua recensione! Ci tengo molto al tuo parere! Sono contenta di sapere che il capitolo ti è piaciuto, e spero di non averti delusa! Prendo molto seriamente la minaccia, sappi collo ;P A presto!
lazzari: ciao, Lory! Hai visto? Alla fine ce l’ho fatta a postare! Un po’ in ritardo, ma ce l’ho fatta! Eheh, Robert è andato via… ma influirà davvero sulla storia? Spero di questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Grazie davvero, cara, grazie infinte. A presto!
marina70: ciao! Che piacere leggere una tua recensione! (ho letto qualcosa di tuo e scrivi davvero bene!) Sono contenta ti piaccia la mia fiction,ci tengo davvero molto… e sono contenta anche di sapere che ti piacciono le poesie! È una parte che mi diverte molto! A presto, cara. Grazie!
Lucy_Scamorosina: Waw, l’hai davvero “divorata”? Sono sconcertata o.o Sono contenta ti piaccia la fiction, ci tengo davvero tanto a questi due idioti *_*  Spero di non averti fatto attendere troppo, ma fra compiti e concerto non si è capito più nulla! A presto! Grazie mille per la recensione!
Nessie93: ciao, Chià! Dichiararsi? O.o mi ritieni così ovvia e scontata? Però sono contenta ti sia piaciuto il capitolo e le varie parti. Spero di non averti delusa con questo capitolo, anche se conoscendoti credo ti sia piaciuto. Sei per il romanticismo ed avvicinamenti, no? Perciò ora fai pure le tue ipotesi… io di certo non parlo XD A presto, cara. Ti voglio bene.
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Bhe, Robert è andato… ma di certo non è scomparso! *_* Sono contenta di sapere che il capitolo ti è piaciuto! Ci tengo al tuo parere! E lo sai. Eh, si, si cono incontrati alla fine… e spero non aver deluso le tue aspettative! Io non ti voglio male e la fine di questo capitolo ne è la dimostrazione! U.U  Ti voglio bene, tesoro. E grazie, grazi di tutto.
A l y s s a: principessa Patt! Ciao! Guarda, Stephanie è ispirato ad un personaggio reale ed io l’adoro! *_* Sono felice che, anche se Patty è andato via, il capitolo ti è piaciuto. Il tuo parere è sacro. Il finale ti ha tirato su di morale… ora spero che questo capitolo ti sia piaciuto. vUn po’ sapevi cosa sarebbe successo XD Grazie di tutto, Patt. Per le chiacchierate, per l’appoggio, per le risate. Sei una persona speciale. Ti voglio bene. Mi manchi.

 
A voi è tutto,
un bacio, Panda.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Per te...
Buon compleanno, Fè!
   


 

 

 

 

CAPITOLO 23

 

 
Non mangia che colombe l'amore,
e ciò genera sangue caldo,
e il sangue caldo genera caldi pensieri
e i caldi pensieri generano calde azioni,
e le calde azioni sono l'amore.
William Shakespeare, poeta e scrittore inglese, 1564-1616.

 

 

«Audry Morel, brutta bugiarda dici-menzogne!».
Bene, un giretto all’inferno a braccetto a Belzebù in quel momento era un’idea piuttosto allettante. Effettivamente potevo apparire una bugiarda, incoerente, sciocca dici-menzogne -anzi, lo ero per davvero- , ma avevo le mie buone ragioni, ragioni del cuore che la mente non conosce.
Sapevo che nel giro di tre secondi una tempesta si sarebbe abbattuta sul tranquillo paesaggio del mio animo, e sapevo soprattutto, che il l’uragano Stephanie avrebbe lasciato dietro di se solo distruzione. E addio bel paesaggio naturale.
Ad ogni mondo, consapevole della natura pseudologia fantastica, mi voltai. Okay, non era pseudologia fantastica, ma ai miei occhi era buona giustificazioni per tanti miei comportamenti… a partire da Robert, gli stessi che mi aveva aggiudicato il soprannome di “dici-menzogne.”
«Okay, me lo merito», dissi alzando la mano in difesa. Stephanie, a pochi metri da me, mi guardava con espressione dura, bocca contratta e narici dilatate.
Si…  avrei preferito un giretto con Belzebù.
«Te lo meriti? Meriti che ti passi sopra con un tir rimorchi?».
Risi, nervosa e mi grattai la nuca. Con mia grande sorpresa mi resi conto che era un gesto ereditato da Robert. Cominciai a sudare freddo.
«Beh… magari non proprio un tir rimorchi vero… uno… giocattolo?». Sorrisi innocentemente.
Mi incenerì, letteralmente, con lo sguardo.
Si avvicinò con passo lento, ma pesante, fino a fronteggiarmi. Poi mi diede uno scappellotto.
«Ehi!», esclamai massaggiandomi la mano colpita.
«Questo dovrebbe bastare», disse compiaciuta incrociando le braccia al petto.
«Tu sei impazzita», dissi girando i tacchi e dirigendomi verso la biblioteca.
«Io?», chiese isterica. «Fino a prova contraria, mia dici-menzogne quella che si nasconde dalla sua migliore amica perché non ha voglia di uscire, nonostante abbia proposto lei di fare un giro… sei tu», disse allungando il passo per affiancarmi e puntandomi un dito contro.
«Non mi nascondo da te! E’ solo che… l’ho dimenticato». Le ultime due parole furono un lieve mormorio.
Ed ecco che i sensi di colpa si facevano sempre più avanti, intensificandosi ad ogni secondo.
«L’ahi dimenticato?», chiese stupida, fermandosi di colpo. Chinai appena il capo, fissandomi la punta della scarpe da tennis. Annuii flebilmente, colpevole.
«Sono sconcertata», disse. Alzai lo sguardo a cercai di trattenere le risate mentre fissavo la sua espressione. Ridere in quel momento non era la mossa più intelligente da fare.
«Mi dispiace. Stephanie, davvero, non ho scuse. Perdonami, perdonami».
Chinò il capo, con espressione indecifrabile e mi senti ancora più in colpa.
Stupida dici-menzogne, mi sgridai.
«Spero almeno sia stato perché.. ti sei addormentata», mugugnò. Era visibilmente dispiaciuta e delusa. Lo stomaco mi si strinse in una morsa.
«Veramente sono uscita», ammisi tormentandomi la mani, nervosamente.
«Uscita?». La sua voce risulto un suono acuto e strozzato.
«Con… Robert», risposi in un sussurro.
Lei sgranò gli occhi, guardandomi per un minuto con espressione sconcertata. Attesi quei sessanta secondi che parvero essere molti di più, e forse lo erano davvero. Poi, Stephanie si riprese, scrollando le spalle.
«Okay».
«Okay?». Lei annuii col capo e cominciò a camminare verso la biblioteca.
«Si», rispose semplicemente. «Potevi dirlo prima. Mi sorprende che tu non l’abbia fatto, Audry».
«Ci sarei arrivata», dissi affiancandola. «Non sei… più arrabbiata?», balbettai.
Lei scosse il capo e sorrise, «Come potrei, Audry». E nel suo sguardo vidi solo sincerità e dolcezza.
Sbattei le palpebre più volte e la guardai confusa. «Mi hai chiamata dici-menzogne».
Lei rise. «Da quando prendi tutto alla lettera».
La guardai ancora più confusa, o forse troppo cieca per vedere, troppo testarda per ammettere, per capire.
«Su di te quel ragazzo hai una certa… influenza. Inutile nasconderlo a me. E poi ha già confessato».
«Nemmeno fosse un omicidio», borbottai. Automaticamente sorrisi al ricordo della sera prima.
Lei scosse il capo in un risolino, prima di cominciare a camminare.
«Vieni in biblioteca?», chiesi.
«Si, Caroline mi ha consigliato un libro. Volevo leggerlo», rispose facendo spallucce.
«Quale?».
«Anna Karenina».
«Oh, l’ho letto! È una meraviglia!», annuii energicamente alle mie stesse parole.
«E’ ciò che ha detto anche Caroline», sospirò Stephanie. Ridacchiai.
«E quindi… sei uscita con Pattinson, eh?», chiese lei tirandomi una gomitata giocosa.
Arrossii violentemente e mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Non era proprio un appuntamento».
«Certo, certo. Ed ora? Uscirete ancora?», chiese ostentando eccitazione.
«Ehm…», le mie guance divennero probabilmente purpuree, «Venerdì».
«Waw», scandì lei, sgranando gli occhi.
«Ero sicura che l’avresti invitato ad uscire prima o poi», disse lei occupando un tavolo vuoto della biblioteca. Poggiai la mia borsa sul tavolo, sedendomi.
«Veramente, Stephanie… è stato lui».
Mi guardò, scioccata. «Waw». Alzai un sopracciglio.
«Okay, ammetto che me l’aspettavo. Sapevo che non lo avresti mai invitato di tuo pugno. Ma è stato bello sentirtelo dire», ridacchiò.
«Sadica, ecco cosa sei», dissi riducendo gli occhi a due fessure.
«E’ così divertente prenderti in giro, Audry. Sei così ingenua, così priva di cattiveria… mi chiedo infatti per quale assurdo motivo tu abbia litigato così tante volte con Pattinson. La cosa devo ammettere mi sorprende molto, non è da te. Beh, questo spiegherebbe davvero tante cose. Cioè, ovvio che ne sei attratta, ti comporti così solo con lui, fai e dici certe cose solo con lui e credo che-»
«Ne hai ancora per molto?», sbottai irritata, muovendomi nervosa su posto.
Perché? Perché probabilmente aveva ragione da vendere. Forse era quella la chiave, sin dall’inizio, due facce della stessa medaglia. Forse era chiaro al mio inconscio, ed io non me n’era accorta. Troppo orgogliosa per ammettere che la chiave delle liti, delle discussioni, era racchiusa, custodita segretamente in un angolo della mia mente, e del mio cuore, successivamente. Incisa sul suo volto, dipinta nei suoi occhi, sospirata sulla sua labbra. Nascosta nelle sue parole, in ogni respiro, in ogni battito del suo cuore, in ogni secondo. Nell’aria. Ed io ancora non lo sapevo.
Quella consapevolezza si fece avanti, piano e lenta.
«Beh, potrei continuare davvero per molto… ma se vuoi mi fermo, anche perché Pattinson sta vendo qui», disse abbassando appena il capo e sistemandosi i capelli.
Quanto la sentii pronunciare il suo nome un fremito mi attraverso il corpo, come fosse colpito da una scarica di elettricità. Mi venne la pelle d’oca sulla nuca lo stomaco mi si torse in agonia.
«Cosa?», chiesi incapace di muovermi. «Se è uno scherzo, non è divertente», sibilai con voce secca. Che reazione sciocca e infantile.
Lei scosse velocemente il capo, portandosi poi una mano dietro la nuca e alzando lo sguardo per poi sorridere. Pensai, finalmente, che non stesse scherzando e ne ebbi la conferma, quando una voce maschile, che ben conoscevo, fece irruzione fra noi.
«Ciao», disse alle mi spalle.
«Ciao», rispose Stephanie. Piano, lentamente, mi voltai, quasi titubante, e lo vidi. Alto, snello, davanti a me. Un sorriso largo sul viso asciutto, gli occhi chiari scintillavano come stelle nel cielo notturno senza nuvole.
Cosa succede, Audry? Cos’è questo rumore?
Nelle orecchie l’eco del battito del mio cuore. Sentivo il sangue pulsare. Come potevano poche settimane, giorni, ore, cambiare tutto, così radicalmente. Cosa mi stava accadendo? Chi era lui per farmi sentire così?
«Ciao», farfugliai, scuotendo impercettibilmente il capo, dandomi della stupida e riaffiorando da quel momento adolescenziale nel quale ero caduta.
«Sono venuto in biblioteca per studiare… vi ho viste e ho pensato: “ehi, perché non fare un saluto? Sarebbe scortese non farlo”», disse dondolandosi sui piedi, grattandosi imbarazzato la nuca.
Sorrisi. «Sei venuto per studiare?», chiesi con innocenza. Annuì col capo.
«Beh, anche noi», continuai. «Puoi sederti qui». Sentii lo sguardo di Stephanie sul viso ed arrossi appena. Cercai di non curarmene.
Lui sorrise. «Non vorrei-»
«Oh, no, non disturbi», esordì Stephanie alzandosi dalla sedia, facendola strisciare a ricevendo occhiatacce da altri studenti, seduti ad altri tavoli. «Anzi, perché non ti siedi al mio posto? Devo andare a cercare un libro», agitò con enfasi la mani in aria, sorridente.
Robert la guardò confuso mentre si metteva la borsa a tracolla.
«Anna Karenina mi aspetta», disse rivolgendosi a Robert, facendo spallucce.
«Oh bello quel libro, è uno dei miei preferiti!», esclamò lui facendo un gesto con la mano.
Stephanie guardò torvo prima lui, poi me. «Possibile che sia l’unica a non averlo letto?».
«Possibile», dissi scollando a spalle.
«Perché, l’hai letto?», chiese poi Robert voltandosi verso me.
«Almeno tre volte», sorrisi. I suoi occhi indugiarono limpidi nei miei, mentre dimenticavo la sagoma di Stephanie ad un metro da me.
«Okay, okay, allora io vi lascio parlare… del libro. Ci vediamo dopo, Audry. Ciao Robert, è stato un piacere sapere che anche tu hai letto quel maledetto libro di cui non sapevo l’esistenza fino a ieri», disse allontanandosi e facendoci segno con la mano. Robert soffocò una risata e si accomodò di fronte a me.
La sua espressione era indecifrabile. Mi mossi inquieta sul posto, prima di afferrare dalla mia tracolla un libro. Ne fissai la copertina anonima, affranta. Era ridicolo. Non sarei mai riuscita a capire una sola frase dell’argomento più recente con Robert davanti. Con la coda dell’occhio mi scrutava… ed era una cosa che mi aveva infastidita. Quando, alle elementari, Stephanie mi guardava fare i compiti, per poi copiarli, mi arrabbiavo. Non riuscivo a concentrarmi. Mi mossi ancora sul posto, come se la sedia scottasse ed alzai disperata lo sguardo su di lui. I miei occhi incrociarono i suoi.
«Su di te si potrebbero fare molti studi», disse con l’ombra di un sorriso.
Alzai un sopracciglio.«Tipo cavia da laboratorio? Assomiglio ad un roditore?», chiesi sfiorandomi una ciocca di capelli che mi ricadeva davanti la spalla.
Rise. «Non intendevo quello».
«Oh. E cosa?», chiesi corrugando la fronte confusa.
«Hai guardato il libro come ti stesse parlando. Insomma, sembravi concentrata in una conversazioni senza parole con la copertina. Ti sei agitata, come ti avesse… insultata? Infastidita? In tal caso, direi che non sarebbe colpa del libro, no, Audry?», ponderò prendendosi il meno fra le mani ed annuendo.
Sospirai. «No, non è colpa del libro», mormorai.
Lui sorrise ed annuì paino col capo. «Come immaginavo. Tolgo il disturbo», e fece per alzarsi.
Fermalo!, gridò una voce nella mia testa.
«Aspetta!». Le parole fluirono dalla mia bocca senza che me ne accorgessi, la mia mano sfiorò la sua. Mi morsi la lingua.
Robert voltò il capo verso di me, accigliato. «Scusa?»
«Non… non intendevo dire… questo. Non volevo mandarti via», balbettai. Gli occhi verdazzurro di Robert si posarono sulla mano. La ritrassi all’istante, come toccasse carboni ardenti.
«Scusami», dissi avvampando di rossore.
Cercò di reprimere un sorriso mentre si rideva.
Studiammo per l’ora successiva, o meglio, io cercai di studiare. Ignorare la figura di Robert davanti a me, il modo in cui mordicchiava il tappo della biro, o si passavo distrattamente la mano fra i capelli, o la fronte increspata sopra il suo sguardo concentrato. L’odore debole del suo dopobarba, il costante rumore del suo respiro. Dopo un’ora non ricordavo un accidente di ciò che avevo letto.
Spazientita chiusi ilo libro in uno sbuffo, Robert saltò sul posto, alzando si scatto lo sguardo.
«Cosa c’è?», chiese confuso.
«Non ce la faccio», sbuffai infilando il libro nella tracolla.
«A…studiare?».
Annuii col capo, fissando i suoi occhi dapprima confusi, poi divertiti.
«Allora siamo in due. Non ricordo una sola parole di quello che ho letto». Fece un risolino, chiudendo il libro. «Ti va un caffè?».
Annuii col capo e non potei controllare il sorriso che mi colorò il viso.
 
«Allora… allora ci si vedere, Robert», dissi portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio, avvampando irrazionalmente di rossore, lì, accanto alla porta del pub.
«Direi di si».
«Grazia per il caffè», aggiunsi sistemandomi la borsa sulla spalla. Robert sorrise, e fece un gesto con la mano per minimizzare il tutto. Feci un risolino.
«Ci si vede in giro», aggiunsi, «Ciao», ed in fretta mi allontanai.
«Ci si vede Venerdì, Morel!», urlò… ed il mio cuore accelerò i suoi battiti.
 

*


Sono qui solo di passaggio, purtroppo. I compiti mi aspettano e ho un sacco da fare.
Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, e prometto che dalla settimana prossimo ricomincio a ringraziare a modo, giuro!
lazzari, Nessie93, fede_sganch, mamarty, Xx_scrittrice_xX, Ryry_, Jordy Klein, rondone, Sognatice85, Fairwriter, marina70, A l y s s a.
Grazie di cuore, ragazze, davvero.

A presto,
con immenso affetto, Panda.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


 

 

 

CAPITOLO 24


L’amore è un fumo che nasce dalla nebbia dei sospiri;
se purificato, è un fuoco, che guizza negli occhi degli amanti
se agitato, è un mare che si nutre delle loro lacrime…
ma che altro può essere?
pazzia discreta,
soffocante amarezza
e dolcezza che alla fine ti salva.
William Shakespeare, drammaturgo e poeta inglese.

 

Seduta sulla moquette della mia camera, mi immergevo nelle lettura. Poggiata al letto, con le gambe strette al petto ed il libro sulle ginocchia sfogliavo il libro che mi aveva prestato Caroline, qualche giorno prima.
Distrattamente giocherellavo con il ciondolo della collana che mi aveva regalato mia madre il Natale precedente, un semplice e argentato punto interrogativo.
Mamma. Mi mancava, anche se odiavo ammetterlo, ferita nell’animo dal suo disinteresse. Ma sapevo che non lo faceva di proposito, perciò cercavo di non darci peso.
Da quanto non la sentivo? Sì, dalla sera in cui.. cenai con Robert.
Scossi il capo, cercando di liberarmi dai pensieri dispettosi della mia mente e, facendo cadere sulla moquette il libro, mi diressi verso la finestra, guardando oltre il vetro. Osservai gli studenti fermi sul muretto del cortile a parlare ed immaginai il chiacchiericcio che poteva udirsi, osservai ragazze uscire dalla struttura, con libri stretti al petto. Ridevano, scherzavano.
Fu allora che decisi che era giunta l’ora di uscire da quella camera, da quel luogo che in ogni istante mi ricordava lui, la sua assenza. Il letto vuoto, niente lenzuola, niente trapunta. Niente maglie sulla testiera, niente scarpe ai piedi del letto. Niente libri, niente profumo di dopobarba. Sì, dovevo uscire, o sarei impazzita in quelle quattro mura che d’un tratto mi parvero la prigione di François Villon.
Mi voltai, dando la spalle alla vetrata, e mi diressi verso il letto afferrando la felpa, ma col piede andai a sbattere contro qualcosa. Abbassai lo sguardo e vidi il libro, aperto ad una pagina che none a di certo quella che stavo leggendo. Mi chinai e lo afferrai il libro sbrindellato, lessi la prima pagina.


Subito a me il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
non esce, e la lingua si spezza.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e gli occhi più non vedono
e rombano le orecchie.
Saffo.


Sbattei più volte le palpebre incredula, fissando e rileggendo quelle parole.
No, un libro non può aprirsi volontariamente. Coincidenze, solo coincidenze. I libri non sono vivi. Quel libro era pieno di poesie… d’amore.
Scostai lo sguardo da quella pagina, guardando quella a fianco ed il fiato mi si mozzò, stringendomi il petto.


Rimani!
Non te n' andare.
Io ti veglierò.
Io ti proteggerò.
Ti pentirai di tutto fuorché di essere venuta a me, liberamente, fieramente.
Ti amo.
Non ho nessun pensiero che non sia tuo; non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai.
Non vedo nella mia vita altra compagna, non vedo altra gioia... Rimani.
Riposati.
Non temere di nulla.
Dormi stanotte sul mio cuore...
Gabriele D’Annunzio.


Risi, con leggera isteria nella voce.
E le parole di Olivia mi tuonarono nella mia testa: “Non esistono coincidenze”.
Sgranai gli occhi, facendo cadere il libero per terra, scivola tomi dalle mani.
«Non è possibile… sono pazza.» sussurrai fissando il libro ai miei piedi. «Parlo con un libro.» dissi alzando lo sguardo e guardandomi distrattamente intorno, quasi nel panico.
Afferrai la borsa poggiata sulla sedia accanto al letto e fuggii dalla stanza, lasciando il libro, lì per terra… e in quella prigione il ricordo del volto di Robert.


Con passo svelto mi diressi verso la camera 1635.
Era poco, ma sicuro. Quando il tuo animo è scosso da qualcosa anche solo lontanamente simile all’amore, non puoi far altro che farti trascinare dagli eventi, in totale balia d’essi, non puoi opporre resistenza. L’uomo è un essere passionale e, che lo si voglia o no, la ragione non può dominare sul sentimento. Può mitigarla, ma non può dominarla. Struggente esso si abbatte su di te e non puoi fare niente per evitarlo. Mitigato alle bellezza, alla pietà, alla gioia, ti scuote.
E temevo che… che il brivido che mi attraversava la schiena quando il suo corpo era accanto al mio, che il fuoco che mi bruciava la pelle quando mi sfiorava, potesse essere indice di… di un qualcosa che avrebbe potuto tramutarsi in amore. Tremai ancora, mentre mi dirigevo verso la 1635.
Il mio torace, forse irrazionalmente, si muoveva veloce e non potevo far nulla per evitare che il cuore battesse tanto forte da farmi male il petto.
Bussai violentemente ed incessantemente alla porta, fino a che essa non fu aperta e la figura di Stephanie non mi si presentò agli occhi. Indossava i suoi soliti occhiale rossi da lettura, ed aveva i capelli corti e ribelli raccolti in una coda scomposta.
Non sapevo quale espressione fosse dipinta sul mio viso, ma non doveva essere una delle migliori perché Stephanie mi fisso allarmata, sgranando gli occhi.
«Cos’è successo?» chiese sfiorandomi il braccio, suggerendomi di entrare.
Feci come suggeritomi e ed entrai, affondando le mani nelle tasche della felpa. Mi sedetti sul letto, con sguardo quasi perso e concentrato. Stephanie si chinò sulla ginocchia, davanti a me, il viso illuminato dalla flebile luce dalla lampada sul comò.
«Audry? Devo cavarti le parole di bocca, o mi spieghi di tua spontanea volontà cosa succede? Se vuoi posso ricorrere ad infiniti modi di tortura… e lo sai che potrei farlo.»
La guardai, sbattendo più volte le palpebre, confusa dalle sue parole.
«Sto scherzando.» chiarì corrugando la fronte. «Morel, mi stai facendo preoccupare.» continuò quasi in un lamento.
Aprii la bocca per parlare, esprimere ciò che provavo, ma le parole mi morirono in gola. L’aprii nuovamente, per poi richiuderla. Stephanie mi guardava, in attesa, la fronte corrugata per l’ansia e la preoccupazione, così feci un respiro profondo, chiudendo un attimo gli occhi.
«E se me ne innamorassi?» chiesi riaprendoli e guardando i suoi grandi occhi scuri.
Stephanie mi guardò perplessa. er un minuto buono non proferì parola, mettendomi ancor più in agitazione. Poi sembrò riprendersi, dal momento di amnesia in sui era caduta. Alzò un sopracciglio ed inclinò il capo. «Fammi capire bene,» esordì, «tu mi hai fatto preoccupare per… questo?». La sua voce era pacata. Conoscevo quel tono e non era per nulla una cosa positiva. Istintivamente presi il cuscino del letto, portandomelo davanti, quasi a proteggermi. Mi rannicchiai, su me stessa, fino a asconde il mento dietro il cuscino.
«Forse…»
Sobbalzai, quando all’istante Stephanie scattò in piedi, fissandomi con una smorfia di rabbia. «Tu sei totalmente impazzita, ecco cosa c’è!» ringhiò prima di scuotere il capo e sedersi sul letto di Jane. «E se mi innamorassi?» disse cercando di imitare la mia voce ed il tono che avevo usato. «Ed io che credevo fosse successo qualcosa di grave… che dovessi dirmi qualcosa di importante!» sbuffò.
Spalancai la bocca, offesa dalle sue parole… un gesto decisamente teatrale, il mio. «E’ importante!» ribattei indignata, poggiando il cuscino che tenevo fra le braccia, sul materasso.
«Ed io sono la regina Elisabetta!» disse guardandomi con fare serio.
Sbuffai ed incrociai le braccia al petto, mettendo il broncio. «Io vengo qui, per confidarmi con te, e parlare di cose serie… e tu?»
«Audry,» disse Stephanie con voce ferma, gli occhi scuri puntai nei miei, «innamorarsi non è un dramma. Non aver paura di amare… non aver paura di mostrare agli altri la meravigliosa persona che sei.», il suo tono di voce era dolce come il miele, sincera nell’animo e nel cuore, lo vedevo dai suoi occhi, occhi che per me non erano un ostacolo, ma un semplice laghetto d’acqua trasparente. Lo specchio di quell’anima pura e genuina.
«Non temere la vita, Audry, non temere di amare… perché è ciò che ci rende uomini… in questo caso donne.». E fece un risolino alle sue stesse parole.
Un angolo della mia bocca istintivamente ed automaticamente si sollevò verso l’alto e chinai il capo, fissando i miei jeans scoloriti.
«Ma…»
«Niente ma, ragazza!» disse e avvicinandosi a me, mi strinse in un abbraccio carico di dolcezza.
Sorrisi. ?Grazie.» dissi poggiando la guancia sulla sua spalla e chiudendo gli occhi.
«Sono qui, Audry. Ci sarò sempre, lo sai.» mormorò. «Dai, ti offro un frullato.» continuò allontanandosi e mettendosi diritta.
Feci un risolino e scossi il capo. Era il bello di Stephanie. Era capace, sempre, di tirati su di morale, ed io non potevo desiderare amica migliore. Lei era lì, era lì sempre, per la stramba amica Audry.
«Cioccolato?» chiesi portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Stephanie sorrise. «Assolutamente si.»
Ed insieme, legate da un’amicizia indissolubile, stretta l’una all’altra in un abbraccio, uscimmo da quella stanza.

«E ricordi quel ragazzo…. come si chiamava?» ridacchiò Stephanie voltandosi verso me.
«Chi?» chiesi in un risolino.
«Quello che ti spedì a casa le cinquanta rose rosse.»
«Sam!» dissi io ridendo di gusto. Guardare ai primi anni di liceo, con una nota nostalgica, è sempre fonte di letizia, o rammarico, tutto dipende dagli avvenimenti che hanno caratterizzato la tua vita e come l’hai vissuta. Per me, guardare al liceo, era come guardare nei castelli di morbida plastica che si trovavano nei parchi. Dovevi solo preoccuparti di alzarti presto al mattino e compiere il tuo dovere di studente. Poi, basta.
«Quel ragazzo era totalmente cotto di te.» ridacchiò dandomi una leggera spallata.
«Beh, come dimenticare le cinquanta rose rosse davanti la porta di casa. Una cosa che passa davvero inosservata, non credi?» chiesi ricordandomi l’espressione divertita di mia madre e Stephanie il giorno in cui compii diciassette anni. Non fecero che prendermi in giro per un anno.
«La tua faccia, poi, era a dir poco rossa, Aurdy».
«Ah-ah, divertente» dissi tirandole una leggera gomitata.
Ci stavamo dirigendo verso il pub-ristorante del college, per una cena a base si sandwich, quando, una volta varcata la porta il mio cuore si bloccò, osservato da due paia di occhi che ben conoscevo.
Stephanie, accanto a me s’irrigidì, e ciò non era da lei.
«Oh… merda», sussurrò mentre rimpiangevo di aver conosciuto quell’azzurro e… quel nocciola.

 

*

Ed eccomi ancora qui, dopo tanto. Questa stupida scuola giuro che mi farà impazzire prima o poi ç_ç
Ad ogni modo, non mi perdo in stupide e futili ciarle perché ci tengo a ringraziare gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.

Perdonami, Patt.

Sognartice85: ciao, Marghe! Sono contenta tu ti riveda in lei… non sai quanto mi abbia fatto piacere leggere le tue parole! Spero anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento… grazie, davvero, cara. Grazie di cuore. A presto, e buona fortuna per tutto.
Ryry_: ciao, Sò! Allora… ti dico solo che succederanno delle cose abbastanza interessanti nei prossimi due o tre capitoli… ovviamente no ti dico cosa, sia chiaro XD La tua recensione mi ha fatto morire dalle risate e, come ben sai, mi ha dato anche dell’ispirazione! Beh, lei più o meno ha capito di esserne attratta, no? Grazie cara, grazie davvero.
lazzari: ciao! *_* grazie per la magnifica recensione! Mi ha fatto davvero tanto piacere! Beh, dai, è un po’ difficile studiare con l’amato Rob davanti. Sfido chiunque a concentrarsi su un libro avendo davanti tanta fonte di bellezza ed ispirazione. Okay, la pianto. Comunque, ti chiedo perdono per il ritardo, con la speranza che questo capitolo ti sia piaciuto quanto gli altri. Grazie.
Nessie93: ciao, Chiarì! Beh, come puoi ben notare in ogni storia a capitoli c’è un po’ d’amicizia… non può di certo mancare! Sono contenta che la parte finale del capitolo ti sia piaciuta, sul serio! Ed ovvio che lei se ne fosse andata… vuole bene ad Audry, e quale migliore occasione per lasciarla sola con Robert? Tutti hanno una conversazione segreta con un libro, ma pochi lo ammettono XD Grazie per la bellissima recensione. Sei sempre così gentile *.*  Grazie mille, Chià. Grazie. <3
Londoner: ciao, Fè! Scusa se ti ho fatto aspettare così tanto, ma davvero non ce l’ho fatta a postare. Sono contenta lo che lo scorso capitolo ti sia piaciuto e che l’intera storia ti piaccia. Per me è davvero moto importante. Grazie davvero per la recensione, cara! A presto!
Xx_scrittrice_xX: mia Ely! Che farei senza te? Sei un tale angelo… sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Davvero! E spero con tutto il cuore ti sia piaciuto anche questo! Il tuo parere, lo sai, è importante. Beh, i tontoloni… okay, non parlo o rovino tutto XD Ti voglio bene, sciocca. Grazie di tutto.
Jordy Klein: bellissimo? O.O  oddio… grazie, grazie! Scusa il ritardo, ma per problemi (scuola) non ho potuto fare prima. A presto!
Fairwriter: mia amata Juls! Non hai idea ti quanto mi faccia piacere leggere una tua recensione! Il tuo parere per me fondamentalissimo! Se io sono bravissima tu allora cosa sei? XD Grazie Juls. Spero tu riesca a leggere questo capitolo. Ti voglio bene, Cip. Tua, Ciop <3


A voi è tutto, con immenso affetto,
                                                   Panda.


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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


 

 

 

 

 

CAPITOLO 25

 


So excuse me forgetting, but these things I do
You see I've forgotten, if they're green or they're blue
Anyway, the thing is, what I really mean
Yours are the sweetest eyes I've ever seen.(*)
Elton John, Your Song.



Il mio sguardo si spostava velocemente dal color del mare a quello del caramello. Incapace di muovermi o proferiva parole, li fissavo, statuari e belli come sempre. Mio malgrado, il mio cuore gridava il nome di uno solo di loro, avrei voluto che così non fosse. In quel momento avrei voluto sprofondare in tre metri di neve e rimanere lì fino anche non si fosse sciolta.
«Forse dovresti salutare, Audry.» disse Stephanie dandomi una leggera gomitata, facendomi riprendere dal momento d’amnesia in cui ero caduta.
Sbattei le palpebre più volte e notai che sia Robert, che Mark, seduti ad un tavolo avevano alzato una mano a mo’ si saluto, gli occhi che brillavano. E fu inevitabile per me, sentirmi in colpa, mentre i due ragazzi si scambiavano una fugace occhiata ricolma di risentimento.
«Si, certo.» risposi alzando la mano. Nel panico mi voltai verso Stephanie.
«Prendiamo posto, Audry.» sibilò Stephanie a denti stretti, conscia che gli occhi dei ragazzi ci scrutavano attenti.
Annuii col capo e ci dirigemmo verso un tavolo libero, nell’angolo della grande stanza. Mentre mi allontanavo sorrisi impacciata e imbarazzata ai due, indugiando, involontariamente, con lo sguardo sul viso di Robert. Mark, accortosene, si mosse nervoso.
Mi sedetti, dando le spalle al loro tavolo ed osservai Stephanie guardarli con la coda dell’occhio.
«Dici che sono nei guai?» le chiese mordendomi il labbro inferiore e corrugando in ansia la fronte.
«Non saprei…» mormorò prestandomi poca attenzione.
Sbuffai. «Ora si che mi sei di grande aiuto». Poggiai il gomito sul tavolo di legno invecchiato, reggendomi il mento con il palmo della mano. «Smettila di guardare!» ringhiai nervosa.
«Se proprio devo» sbuffò tornando a guardarmi. I suoi occhi attesero nei miei, consci che presto una domanda avrebbe rotto il silenzio.
La domanda non tardò ad arrivare.
«Cosa stanno facendo?» chiesi con la fronte corrugata per l’ansia, mordicchiandomi distrattamente un unghia.
«Stanno parlando… e bevono una birra».
«Più precisa».
«Sembrano…» Stephanie affinò lo sguardo, poi spalancò le palpebre.
«Cosa succede?» chiesi sporgendomi verso lei, sfiorandole il braccio, spaventata. «Robert gli appena tirato un pugno! Oddio, Mark ha un coltello!» sibilò.
Spalancai gli occhi e l’aria quasi mi mancò, mentre un vortice di emozioni mi trascinava in un baratro il mio giovane animo. Con la paura e la morte negli occhi mi voltai, alzandomi appena dalla sedia, pronta a scattare in soccorso di… Robert. Ma, ciò che vidi, era diverso da come mi aspettavo. Due occhi incontrarono i miei, confusi. Mi scrutavano limpidi, fra il divertito ed il sorpreso. Anche se mi costava ammetterlo, terribilmente adorabili. Robert mi osservava, l’ombra di un sorriso sul viso illuminato, Mark sorseggiava la sua birra, concentrato sulle venature del legno del tavolo.
Immobile, incapace di muovere un solo muscolo fissai per attimi infiniti i suoi occhi chiari, poi scuotendo il capo, come riprendendomi dal momento di amnesia nel quale ero caduta, mi sedetti con le gote purpuree per l’imbarazzo. Stephanie sghignazzava di fronte a me, ed il suo sguardo vagava dal mio viso a quello dei ragazzi alle nostre spalle.
La fissai in cagnesco, e se il mio sguardo avrebbe potuto incenerire… beh, lo avrebbe fatto. «Sei assurda» ringhiai con il volto rosso per la rabbia.
«Avresti dovuto vedere la tua faccia, Audry» disse ridendo e poggiandosi con un gomito al tavolo.
«Non è divertente!» sbottai. ­«Che macabra figuraccia ho fatto» dissi in un lamento, poggiando la fronte sul tavolo e chiudendo gli occhi.
«Eppure Pattinson continua a fissarti» ponderò.
«Non lo guardare!» esclamai alzando immediatamente il capo.
Lei fece spallucce. «Okay». E guardò ancora me.
Fissai i suoi occhi impaziente, poi le parole sgorgarono senza che me ne rendessi conto. «Davvero?»
Stephanie fece un risolino e scosse il capo, mentre io colpevole mi morsi la lingua, maledicendomi.
«Si».
«Oh. Oh».
«Aspettami qui, bella innamorata del bosco. Vado a prendere da bere» disse Stephanie alzandosi.
«Ehi! Bella cosa?», la mia voce risultò un suono acuto e strozzato mentre con lo sguardo seguivo Stephanie diretta al bancone. Fece spallucce, strizzandomi un occhio.
Sbuffai, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo e incrociando le braccia.
Sentivo sguardi bruciarmi la schiena ed automaticamente mi mossi nervosa sul posto. Di certo quello non era il posto adatto al il mio equilibrio emotivo, ne ero consapevole. Avrei dovuto uscire dal locale, convincere Stephanie che non era il posto adatto per un frappè, soprattutto dopo l’episodio di pochi minuti prima. Avvampai ancora di rossore, al ricordo.
Avevo dietro me due ragazzi, indubbiamente bellissimi, che per mio grande piacere sembravano immersi una tranquilla conversazione.
Riaffiorai dal mare dei miei pensieri quando sentii dei passi dietro di me, e potevo già sentire il gusto di frappé fragola solleticarmi la gola.
Mi preparai a parlare, ma una voce mi batte sul tempo. Sobbalzai.
«Ciao, Audry». Conoscevo bene quella voce… e non era la voce che in quel momento desideravo sentire. Chiusi gli occhi un momento, ispirando, poi mi voltai e sentii le fiamme bruciare nei miei occhi.
«Mark.»
Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’alto, in un sorriso beffardo.
«Dobbiamo parlare». Lo disse con tono deciso e voce ferma. Lo guardai negli occhi, senza muovermi.
«Non abbiamo niente da dirci.»
«Audry.», la sua voce, un colpo di frusta.
Analizzai le varie possibilità. Uno, stenderlo e dargli il ben servito con una mossa di danza classica, magari un bel fuettè. Versargli sul bel visino d’angelo maledetto delle fredda birra, urticante per gli occhi, ma mi accorsi che non ne avevo a portata di mano. Perciò, con mio grande rammarico, optai per una terza opzione: ascoltare a malincuore ciò che aveva da dirmi.
Sospirai. «Ti ascolto.»
Lui fece una smorfia schioccando la lingua, voltandosi un attimo guardare Robert, che aveva gli occhi ridotti a due fessure, disse: «In privato. Usciamo, per favore».
Scostai lo sguardo dal suo viso, e senza accorgermene si posò su quello di Robert. Mi guardava con espressione indecifrabile, come se desiderassi comunicarmi qualcosa di importante con lo sguardo.
Mark tossì. A malincuore distolsi lo sguardo.
Sospirai. «Okay.»
Mi alzai e, con Mark alle mie spalle, ci dirigemmo fuori dal locale.
Voltandomi incrocia le braccia al petto. «Cosa vuoi?» bottai freddamente.
«Forse sono stato un po’… brusco l’ultima volta, Audry. Volevo chiederti scusa.» mormorò abbassando lo sguardo. In quel momento Mark sembrava l’essere più innocuo sulla faccia della terra.
Sospirai, amaramente, conscia che ero una grande idiota. «Scuse accettate.»
«Mi dispiace, davvero.»
Mi morsi il labbro inferiore e sospirai, passandomi una mano fra i capelli. «Ti credo.»
Incontrai il suo sguardo, serio e si fuse al mio ed io, ignara del futuro, rimasi lì immobile.
«Audry…» la sua voce era un lieve sussurro perso nella tempesta ed avrebbe dovuto mettermi in guardia, non fino a quando cominciò ad avanzare verso di me.
«Ti prego…» continuò.
«Non hai intenzione di arrenderti, vero?» chiesi con voce strozzata, indietreggiando di un passo.
«No, per il momento.»
Oramai era a poche decine di centimetri da me e potevo avvertire il forte profumo di dopobarba. Feci per indietreggiare, ma mi afferrò per il polso bloccandomi.
«Lasciami, ora. O colpirai altre parti anatomiche del tuo corpo.» sibilai a denti stretti sentendo le mani prudermi.
«Okay, piantala, Mark». Conoscevo bene quella voce, impressa a fuoco nella mia mente. Chiara, limpida, decisa. Fu il raggio di sole filtrato attraverso una spessa coltre di nubi grigie, quello che ti illumina e riscalda il viso all’improvviso. Col cuore che martellava contro il mio petto, causandomi quasi dolore, volsi lo sguardo oltre le spalle di Mark scorgendo la sua figura snella. Ogni cattiva sensazione, ogni preoccupazione mi scivolò addosso e non sentivo più la mano di Mark stringere in una presa ferrea il mio gomito.
«Vattene, Rob.» ringhiò Mark voltandosi.
«No.», il tono di voce di Robert non ammetteva repliche. Era un tono che non credevo potesse appartenergli, mi lasciò scossa, rivelandomi una delle tante sorprese di quel strano ragazzo dagli occhi color del mare.
«Lasciala». Lingue di fuoco bruciavano negli occhi di Robert. Fissava Mark con sguardo impenetrabile.
«Non ti riguarda». Fu allora, quando Mark strinse appena la presa al mio braccio, che riaffiorai dal momento di ipnosi nel quale ero caduta e, sentendo le mani prudermi, mi scrollai il braccio di Mark da dosso e lui si voltò di scatto corrugando la fronte.
«Non provarci mai più, Mark. Ho rimpiangerai il giorno in cui mi hai conosciuta.» sibilai a denti stretti. «L’impatto del mio piede sul tuo corpo sarà così forte che non potrei avere prole.»
Mark mi fissò, sconcertato, la bocca dischiusa. «Audry…»
«Non hai sentito, Mark?» abbaiò Robert. Mark si voltò rosso in volto per la rabbia verso Robert, avanzando verso di lui, con una grande falcata. Robert fece lo stesso.
«Ehi!» gridai, frapponendomi fra i due che distanziavano un paio di metri, allargando le braccia. «Vi state comportando come bambini!».
«Togliti, Audry.» sibilò, Mark.
«Sta zitto.» ribatté Robert.
«Gira alla larga, Pattinson. Lei non è tua», la voce di Mark era carica di odio, uscii dalle sue labbra come uno sputo.
«Non toccarla, Cleever.», il tono di Robert era deciso, un tono che non ammetteva repliche. Mi voltai a guardare il suo viso rosso di rabbia, il petto che veloce si muoveva ed il cuore che martellava, come quello di Mark, a contatto con la mia mano poggiata sul suo petto. Incontrai per un attimo il suo sguardo e la mano a contatto con la sua gabbia toracica sembrò prendere fuoco. Uno sbuffo di Mark ci riportò al suo viso.
«Audry, piccola…»
«Non chiamarmi piccola» sibilai facendo scivolare le mie mani dai loro petti.
 Mark mi guardò con sguardo duro. «Non sai quello che fai.»
«Vattene.» sillabai con voce chiara, calma e fredda come il ghiaccio.
Per alcuni secondi, che parvero a me infiniti, i suoi occhi si persero nei miei, come cercassero di convincermi a cambiare idea, ma duri, i miei, impenetrabili non cedettero ad essi. Sentii Robert alle mie spalle quasi trattenere il fiato, avrei voluto voltarmi, ma non lo feci.
Mark, finalmente cedette. Sul suo viso era dipinta un’espressione afflitta. Scosse il capo, voltandosi, con le spalle basse, come sotto il peso di un grosso macigno, si allontanò con spalle rigide, ripetendo: «Non sai quello che fai.»
Fissai la sua figura longilinea e statuaria allontanarsi e, quando voltò l’angolo, sentii Robert fare un respiro profondo alle mie spalle.
Mi voltai e lo vidi passarsi le mani sul viso, che si soffermarono a coprirglielo totalmente.
Il mio cervello mi gridava di star ferma, di non avvicinarmi di un passo, ti affondare le mani nelle tasche della felpa, ma il mio corpo, scollegato dalla parte raziocinante di me stessa, sprizzante d’elettricità, si avvicinò piano a lui. Non potei quasi controllare i miei movimenti, senza pensarsi sfiorai la sula sue mani e lui scattò subito, scoprendosi il viso, come il sipario del teatro, rivelando due occhi chiari e limpidi, come l’oceano. Ardevano, come fiamme blu, e si fusero ai miei. Solo quando ebbi una leggera vertigine mi resi conto di aver irrazionalmente trattenuto il fiato.
«Me la sarei cavata da sola.» mormorai con occhi spalancati, rapita da quel verdazzurro.
«Lo so.»
L’intensità de suo sguardo, uno sguardo che forse desiderava rivelarmi un mondo ignoto, rivelarmi come davvero essa era fatto, mi scosse l’animo, lasciandomi disarmata. «Ma non ho potuto non… la sua mano… il tuo…». Le parole gli morirono in gola, mentre i suoi occhi accigliati non si staccavano dai miei. Tremai, senza saperne il motivo. Attesi che continuasse, ma non lo fece.
«Il tuo…?» chiesi in un soffio.
Robert scosse il capo, facendo un risolino carico di isteria, passandosi poi una mano fra i capelli. Corrugai le sopracciglia confusa dal suo repentino cambio d’umore.
Con un lungo passo si avvicinò a me, tanto che potei sentire il suo respiro caldo sulla pelle del viso. Trattenni ancora il respiro.
«Non ha il diritto, Audry… lui… non è nessuno per… per…» ancora la parole gli morirono in gola, mentre i suoi occhi, a poche spanne dai miei, ardevano come fiamme. «Audry, io…»
I suoi polpastrelli mi sfiorarono piano la pelle del viso, lasciando una scia lavica sulle mie gote. I suoi occhi vagarono sul mio viso, e l’ombra di un sorriso colorò il suo. Con l’altra mano mi scostò una ciocca di capelli dal viso, portandomela dietro un orecchio. Sussultai.
«Desideri che mi fermi?» chiese con voce bassa e roca.
Impietrita, incapace di proferire parola, scossi appena il caso, e le sue labbra si distesero in un sorriso sghembo.
Era tutto strano. Era come se guardassi la scena dall’esterno, e che la ragazza che agognava le labbra di Robert non ero io. Non esisteva nulla all’infuori della bolla si sapone nella quale ci trovavamo. Nessun corridoio, nessun suono, nessuna voce. Immersi nel silenzio, nell’incessante martellare del mio cuore contro il petto, quasi volesse librarsi nella aria, e sbattere le ali come una farfalla in volo.
«Robert… io…» sussurrai chiudendo gli occhi, godendomi per pochi attimi le sensazione del suo respiro sulla pelle accaldata, il profumo di pulito che emanava.
«Tu?», la sua voce era appena percettibile.
«Audry! Oddio ho creduto che Mark… ops, ho interrotto qualcosa?»
Riaprii di scatto gli occhi e Robert di allontanò da me in un istante. Confusa, tramortita, imbarazzata, furiosa, maledì Stephanie che, ad occhi sgranati, vagava con lo sguardo da me a Robert, da Robert a me.
Maledetta…

 

*


(*)
E scusami se l'ho dimenticato
ma è una cosa che mi succede
lo vedi, ho dimenticato
se sono verdi o azzurri
comunque ciò che conta,
quello che voglio davvero dire,
è che i tuoi sono gli occhi più dolci che ho mai visto.


Ringraziamenti.

Winnie poohina:  ciao! Grazie mille per la recensione! Sono contenta di sapere che il capitolo ti è piaciuto! E spero sia di gradimento anche questo capitolo! Grazie per avermi indicato il gruppo, è bellissimo *-* A presto, cara!
Nessie93: ciao, Chiarì! Hai visto? Ho postato alla fine! Il nome di Stephanie non c’entra un pifferetto con la tua vecchia zia. E’ una storia lunga, legata ad un’amica reale. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, ovviamente. Le tue recensioni sono sempre così belle e corpose! *-* Beh, Villon è un poeta francese, non tutti lo fanno a scuola. In teoria lo si fa al quarto. Comunque, spero di non averti delusa con questo capitolo, davvero. E che Mark ti sia più antipatico. A presto. Ti voglio bene.
Sognatrice85: ciao, Marghe! Che piacere leggere la tua recensione, non immagini quanto! *-*  Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero, per me è molto importante! Spero di non averti delusa con questo. A presto, cara… e grazie, grazie davvero di cuore.
lazzari: ciao, Lory! *-*  Si, lo so, Audry è un po’…. Tarda, più che altro orgogliosa. E’ restia ad ammettere il tutto dato i loro precedenti. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. L’avevo detto che avrei postato presto XD Grazie mille per la recensione, davvero. A presto!
Ryry_ : ciao, Sori! *-*  Grazie, grazie davvero! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Aww… spero non mi odierai così tanto ora – o forse si -, è stato fatto per una giusta causa. Ed ovviamente non finisce tutto qui. E’ solo un assaggio, come mi piace definirlo. Ad ogni modo… grazie ancora, tesoro. Davvero. A presto!
Lucy_Scamorosina: ciao! Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo! E spero ti sia piaciuto anche questo! A presto! *-*
Xx_scrittrice_xX: adorata Ely!
Ancora: che farei senza te? Eh si, il capitolo “amicizioso” ci voleva. Sono contenta di sapere che ti è piaciuto… anche se non c’è il suo amato XD Ovviamente, spero vivamente non averti delusa con questo capitolo e di aver suscitato ulteriormente la tua curiosità. Grazie davvero, Ely. Ti voglio bene.
doddola93: ciao, Dà. Non sai quanto mi abbia fatto piacere leggere la tua recensione,non immagini minimante. Sono contenta di sapere che il capitolo ti è piaciuto e, se leggerai questo, spero vivamente sia di tuo gradimento. Mi manchi, sai? Ti voglio bene.


A voi, con immenso affetto,
                                            Panda.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


 

 

 

CAPITOLO 26

 

Io l'ho già capito,
ma loro ancora no:

si stanno innamorando.

L'amore avvolgerà i sogni e la realtà.

E tra voi si forzerà un mondo di magia…

… e il giorno poi le ombre dissolverà, spalancherà la via.

E lui non ha che lei ormai

nei pensieri suoi.
Il Re Leone, L’amore è nell’aria stasera.

 

 

«Stavate per baciarvi, non è vero?» chiese Stephanie.
«No.» risposi secca, mentre mi dirigevo in camera.
«Si, certo, vallo a raccontare a qualcun altro.»
«Ricordo che sei stata tu ad interrompere tutto.» dissi scuotendo il capo.
«Perciò ammetti che stavate per baciarvi.»
Mi voltai a guardarla con occhi sgranati. «No, certo che no!»
Stephanie roteò gli occhi. «Probabilmente non cambierai mai. Sei così testarda.» sbuffò.
«Probabile.» risposi facendo spallucce.
«Non capisco. Perché ti ostini a negare anche a me che stava per baciarti, o che stavi per baciarlo, o che stava per baciarti, o che…»
«Va bene, va bene!» strillai con leggere isteria nella voce. «Probabilmente lo avrei baciato! Contenta ora?»
Stephanie sorrise. «Sì, ora sì.»
Scossi il capo ed entrai in camera gettando sul letto i libri e la borsa. Mi avviai all’armadio, dopo essermi tolta le scarpe direttamente dal tallone, e presi un asciugamano.
«Credo che il tuo cervello non funzioni a modo, Stephanie.» ironizzai andando in bagno per gettarmi un po’ d’acqua sul viso.
«Stai dicendo che sono pazza?» chiese. Alzai il capo, chiudendo l’acqua, per poi affondare il viso nell’asciugamano. Stephanie comparve sulla soglia della porta, poggiandosi allo stipite.
«Io?» chiesi con aria innocente. «No, assolutamente no.»
«Certo, certo.»
Feci un risolino. «Dovresti essere più elastica.» aggiunsi facendo spallucce riponendo l’asciugamano al suo posto.
Stephanie mi guardò accigliata e sconcertata. «Non ero io quella che ti stava prendendo in giro?»
Sorrisi, sedendomi sul letto. «Esattamente.»
Stephanie corrugo la fronte e, fissando il pavimento concentrata, mi raggiunse. Il materasso si piegò sotto il suo peso.
«Questo, devo ammettere, che non è piacevole.» ponderò prendendosi il mento fra l’indice ed il pollice.
Feci un risolino. «Ora sai cosa provo io.», e le scompigliai i capelli. Stephanie sbuffò e si stese di lato, poggiando la testa sulle mie gambe.
«Quando esci con Pattinson?» chiese.
«Venerdì.»
«Sai già cosa metterti?»
Corrugai la fronte. «Pensavo ad un paio di jeans e…»
Stephanie scatto in piedi, facendomi sobbalzare. Mi guardò accigliata con la bocca spalancata, come avessi commesso un’eresia. Sbattei le palpebre più volte, confusa.
«Cosa ho detto?» balbettai.
«Tu hai bisogno di un po’ di insano shopping. Su, alzati.» disse scattando giù dal letto e strattonandomi per un braccio.
«Stai scherzando vero?» chiesi, e la mia voce risultò un sono strozzato. Sapevo che qualcosa non funzionava nella testa di Stephanie, ma non fino a questo punto. Mi stava praticamente costringendo a fare shopping. Ed io odiavo fare shopping.
«Certo che no.» disse Stephanie facendo spallucce e infilandosi la giacca. «Devi essere perfetta.»
«Stephanie…» risposi in un lamento. «Ti prego, non farmi questo.»
Lei roteò gli occhi trascinandomi fuori dalla stanza, senza darmi il tempo di infilarmi la giacca o la borsa a tracolla. «Ti sto solo facendo un favore» sbuffò. Ma la cosa che mi lasciò perplessa fu che ci credeva davvero.


«Guarda quel vestito in vetrina, dimmi se non è fantastico!»
«Non è fantastico.» sbuffai incrociando le braccia al petto e spostando tutto il peso sulla gamba destra, scocciata.
Stephanie si voltò di scatto con sguardo serio e sguardo, come lo chiamavo io, inceneritore.
«Potresti metterci un po’ più di allegria, Audry. E poi la frase era retorica. A dire il vero non dovevi nemmeno rispondere, perché quel vestito è davvero la fine del mondo, ed ora, noi, entreremo in questo negozio e tu lo proverai per poi comprarlo. Certo che non hai preso proprio nulla da tua madre.» disse d’un fiato.
«Scherzi, vero?» chiesi con vocina stridula, accigliandomi. Osservai un attimo il vestito color del cielo privo di spalline e, chiudendo le palpebre, scossi il capo. «Tu sei pazza.»
Aprii di scatto gli occhi quando Stephanie mi afferrò il polso trascinandomi dentro. Persi appena l’equilibrio, ma non potei oppormi alla presa ferrea della sua mano, così, riluttante mi feci condurre dentro. Mi guardai intorno con uno strano senso di dejà-vù, ma senza capire da dove derivasse. Osservai gli scaffali d’entrata… le camicie da uomo, i golfini da donna. Poi l’occhio mi cadde sui camerini. Le porte di legno chiare che non coprivano per intero la piccola rientranza nel muro… i ricordi mi colpirono in pieno viso come una secchiata d’acqua gelata.


Mi alzai in punta di piedi, poggiando le braccia ed il gomito sulla porta di legno.
Tossii appena per attirare l’attenzione. Robert era poggiato al muro, udendo la mia voce alzò lo sguardo incontrando il mio. Per un istante il mio cuore cessò di battere.
Con un colpo di schiena si mise eretto, avvicinandosi a me. Si era sfilato dal viso i grandi occhiali da sole e il berretto nero.
«Come va?» chiese con voce calda.
Aprii la porta, mostrandogli la maglia. Feci un giro si me stessa.
«Direi che è esattamente uguale a quella di prima.» disse corrugando la fronte. Annuii col capo.
Il suo sguardo incrociò ancora il mio. Per attimi che mi parvero infiniti.
«Direi di sì.»
«Scusami ancora, Audry.» mormorò facendosi avanti, poggiando anch’gli le mani sulla porta.
«Non importa.» mormorai fissano i suoi occhi ardenti.

Okay, ero stata una sciocca a non accorgermene prima, ma ,in balia dei sentimenti negativi circa quel vestito e desiderosa di essere altrove, magari sul letto della mia camera a leggere un buon libro, non mi ero accorta del negozio, dell’entrata, dell’insegna, tanto meno della ragazza bionda che si stava avvicinando con un sorriso smagliante verso di noi, mostrando una schiera di denti perfetti e bianchissimi.
«Salve. Posso aiutarvi?» chiese guardando prima Stephanie, poi indugiando con lo sguardo sul mio viso.
«Ecco, la mia amica qui vorrebbe provare il vestito in vetrina. E’ possibile?» chiese Stephanie con estrema educazione. Cosa che probabilmente io non sarei stata capace di fare in quel momento, presa dall’irritazione, pensando alla sera in cui la vidi per la prima volta, al cinema, accano a Robert. La perfetta Barbie bionda… e bellissima. E fu allora, che capii, fu allora che la gelosia si rivelò a me, facendomi aprire gli occhi. E mi accorsi che ero stata gelosa di lui sin dall’inizio, sin da quella sera, in cui temetti che lei potesse avere qualche… legame “speciale” con lui. Troppo orgogliosa e ceca per capire cosa il mio cuore provava e cantava come un usignolo in primavera.
La detestavo, senza nemmeno conoscerla. Ecco, quel’era la verità.
Interdetta, immobile, incapace di muovere un solo muscolo, persa nei miei pensieri negativi, pervasa da una gelosia che non credevo di essere capace di provare, non mi accorsi che Stephanie si era allontanata seguendo la Barbie.
«Audry?» mi chiamò corrugando la fronte.
Scossi il capo. «Sì, arrivo». E mio malgrado, riluttante, seguii anche io la ragazza che avrei tanto voluto decapitare.

Guardavo sorpresa la mia immagine riflessa nello specchio. Guardai il mio corpo sottile fasciato dal tessuto morbido, le spalle scoperte, sulla quale mi ricadevano i lunghi capelli dai riflessi ramati.
«Allora?» domandò Stephanie ticchettando sulla porta.
«E’… Dio, odio ammetterlo!» sbuffai irritata sedendomi sullo sgabello all’angolo del camerino. Vidi, riflessa nella specchio, Stephanie alzarsi in punta di piedi e sbirciare da sopra le porte.
Si accigliò. «E’ anche meglio di quanto pensassi, Aurdy.» mormorò con sorpresa.
Grugnii fissando il riflesso dei suoi occhi. Subito le si illuminarono. «Dai, ammettilo.»
«Cosa?» chiesi con indifferenza sapendo già cosa intendesse.
«Lo sai benissimo. Dai, avanti, ammettilo.»
La guardai con sguardo truce, incrociando le braccia al petto come fanno i bambini, grugnendo. «Okay, okay! Mi piace!» esclamai allagando la braccia per poi farle ricadere svogliatamente.
Stephanie annuii trionfante. «Ora si che ci siamo.» annuii alle sue stesse parole. «Chiamo la ragazza per…»
«No!» parlai, interrompendola, senza poter controllare il monosillabo che uscii come cascata dalla mia bocca.  Mi morsi immediatamente la lingua, dilatando gli occhi.
Stephanie sconcertata mi guardò negli occhi, sbattendo più volte le palpebre.
«Perché?» chiese prima di aprire le porte ed entrare nel camerino e puntarmi un dito contro. «Sputa il rospo Morel.»
Messa alle stette, non avendo una bugia plausibile da utilizzare, dissi la verità. «Quando andai con Mark al cinema… ecco… lei era con Robert.»
«Soli? Un appuntamento?» chiese curiosa.
«Suppongo di sì.» risposi facendo spallucce.
«Waw.» sussurrò sbattendo più volte le palpebre. Poi il suo sguardo cambiò, come se la sapesse lunga. «Sei gelosa.»
«Questa non è una domanda.» latrai.
Rise. «Ti piace parecchio, eh?»
«Chi la bionda?» chiesi alzando un sopracciglio, in realtà sapendo a chi si riferisse.
«No, idiota. Lui.»
Sospirai. «Si. Più di quanto immagini.»
Stephanie si fece più vicino, carezzandomi la testa. «Sapevo che ti saresti innamorata di Robert.»
«Sssh!» l’ammonii. «Potrebbe sentirti.»
«Chi?»
«Barbie!» bisbigliai. Stephanie roteò gli occhi.
«Ora se non ti dispiace,» dissi alzandomi e aprendo un’anta della porta, «vorrei rivestirmi.» continuai spingendola fuori dal camerino.
«D’accordo. Ma non c’è bisogno di tutta questa violenza, Audry.»
Risi, felice al pensiero che presto avrei rivisto il viso di Robert.


Davanti allo specchio del bagno mi riavviai con le mani i lunghi capelli, indossando un golfino color della notte. Mi infilai un paio di piccoli orecchini e rimansi a fissarmi davanti allo specchio. Avevo lo stomaco annodato e le guance purpuree, febbricitanti d’emozione. Mi sentivo una ragazzina di quattordici anni. Così, scuotendo il capo e dandomi della sciocca, mi diressi in camera, afferrandomi poi le scarpe da tennis. Mi sedetti sul letto per allacciarle.
Mi sentivo strana, questo era certo, ed avevo paura della reazione di Robert non appena mi avrebbe vista. Cercavo di tenere lontano tale pensiero, immaginando la sua espressione disgustata mista al rimpianto.
«Audry!» mi ammonii da sola, dimostrando ancora a me stessa che la pazzia stava per davvero facendo il suo terribile corso.
Immersa nei pensieri, con lo sguardo fisso sul letto di fronte a me, sobbalzai quando qualcuno bussò alla porta. Il mio cuore prese a galoppare frenetico e sembrava non aver intenzione di rallentare la sua folle corsa. Tremante  mi avvicinai alla porta, e una volta afferrata con forza la maniglia, l’aprii. Fu strano come all’istante tutto intorno a me sparisse, come ogni mia preoccupazione divenisse solo il ricordo di una vita passata, che nemmeno sembrava appartenermi. Mi sentii appagata e felice, immersa nell’azzurro cielo dei suoi occhi allegri.
Sorrideva con aria maliziosa e sentii ancor di più le guance avvamparmi di rossore.
«Ciao.» disse.
«Ciao.» soffiai a corto di voce.
«Stai benissimo.» mormorò scorrendo con lo sguardo sul mio corpo, facendomi muovere sul posto, a disagio.
«Grazie.» riuscii a rispondere.
Poi tornando al mio viso, sorridendo con infinita gentilezza mi chiese se fossi pronta. Annuii col capo e prendendo con ami tremanti la giacca e la borsa dalla testata del letto, mi chiusi la porta alla spalle.
Con occhi imperturbabili, mi sorrise e mi porse il braccio. Feci un risolino e scossi il capo, aggrappandomi al suo braccio.
«Anche tu stai benissimo.» dissi guardandolo negli occhi, ammaliata dalla luce che emanavano.
Rise. «Grazie, Morel.»



*

Ringraziamenti.

Ryry_: cara, Sò, ciao! Bene… non saprò mai ringraziarti abbastanza, credimi! Spero di non averti fatta attendere troppo! Sono contenta che, nonostante tutto, il capitolo sia stato un po’ di tuo gradimento. Spero di non averi annoiata con questo. Nel prossimo c’è più movimento. Questa la chiamerei… La Quiete Prima Della Tempesta. A presto, cara!
Mamarty: ciao! *-*  Sul serio ti è piaciuto? Grazie mille per la recensione! E spero ti sia piaciuto questo capitolo, anche se non succede nulla di eclatante. Grazie davvero di cuore! A presto, cara!
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Eh già eccomi qui, finalmente. Non saprò mai ringraziarti abbastanza… fai così tanto per me. Spero di non averti delusa, e ti prego, se è successo, dimmelo. A presto, tesoro. Ti voglio bene. E mi manchi.
Londoner: Fè! Oh, non sia che piacere leggere la tua recensione! Mi ha fatto tanto piacere, sul serio! La scena di Stephanie è uscita così, senza premeditazione e sono felice ti sia piaciuta! Spero ti sia piaciuto questo capitolo… anche se il “principe” non è molto presente. Grazie mille per la recensione, cara! A presto!
lazzari: ciao, Lory! Tempo al tempo cara… XD Comunque, l’alienato bacio… mmm… era quasi arrivato, okay. Ma sarebbe stato scontato, a parer mio. Grazie di cuore per la recensione e spero ti sia piaciuto questo capitolo, anche se non esageratamente elettrizzante (come se poi gli altro lo fossero. A presto, bella!
Sognatrice85: ciao, Marghe! *-* Oh, le tue recensioni sono sempre così… belle. Eh, Mark, Mark, Mark… è un fungo. E Stephanie… beh, alla fine lei non poteva saperlo. Sono contenta di non averti delusa, sul serio. Spero che questo capitolo, in cui, come ho già detto, non succede gran che, ti sia piaciuto. A presto, cara!
winnie phooina: ciao! *-*  Sono felice di sapere che lo scorso capitolo ti è piaciuto e spero ti sia piaciuto anche questo, davvero! Grazie per tutto, cara, davvero. A presto!
Piccola Ketty: oh, ciao! *-* non hai idea di quanto mi faccia piacere leggere una tua recensione! Non importa se non puoi recensire ogni capitolo. Sapere che la segui mi rende comunque felice, credimi! Sono contenta di sapere che ti piaccia la storia, per me è davvero molto importante. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. A presto, cara. E grazie mille… di tutto.
Nessie93: ciao, Chià! Sono contentissima di sapere che lo scorso capitolo è stato di tuo gradimento e spero lo sia stato anche questo. Eh, già, niente pugni per Robert… ma non è detto che le avrebbe prese. Non è sempre lo stesso in tutte le fiction. Parentesi a parte. E Stephanie… un bacio, a parer mio, non ci stava molto. A presto, cara!
carlottina: ciao! *-* dopo essermi gongolata per la tua recensione, volevo vivamente ringraziarti di cuore per le bellissime parole. Sono contenta ti piaccia la storia e la protagonista… ci sono così dannatamente legata. Oddio, sono legata a tutti i personaggi. XD Bob nei panni di studente mi è sempre piaciuta come idea, perciò n’è uscita una fiction, patetica o interessante che sia. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, in caso contrario, mi piacerebbe saperlo. A presto! E grazie davvero mille!


A voi, con immenso affetto,
                                         Panda.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


La canzone è Your Song di Elton John.

 

 

 


CAPITOLO 27


So excuse me forgetting but these things I do
you see I've forgotten if they're green or they're blue
anyway the thing is what I really mean
yours are the sweetest eyes I've ever seen.
I hope you don't mind that I put down in words,
how wonderful life is while you're in the world.(*)
Elton John, Your Song.

 

«Non sapevo avessi un’auto.» dissi osservando la vettura nera che mi si presentava davanti. Robert accanto a me fece spallucce aprendomi la portiera dell’auto.
«Prego, Morel.» disse  facendo un inchino.
Feci un risolino. «Che galanteria, Pattinson.» dissi. Avrei voluto aggiungere oggi, ma non mi permisi di farlo, temendo potesse dar vita a qualche stupida discussione. Quella sera, era meglio andare cauti.
Sedutami al posto del passeggero, Robert richiuse la portiera dell’auto per poi fare il giro della macchina. Passò davanti al parabrezza e non potei non guardare il profilo del suo viso, la sagoma alta e snella del suo corpo. Mi costrinsi  a non fissarlo quando si sedette al posto di guida.
«Come ben sai, non ci vorrà molto per avvivare.» disse in un sorriso, facendo partire l’auto.
«Già… vorrei non saperlo.» mormorai, guardandomi le mani che reggevano la giacca, sulle gambe.
Robert non rispose subito. Per alcuni istanti fissò concentrato la strada dinanzi a sé, ma non seppi dire se meditava circa ciò che avevo detto o se era concentrato sulla guida. Poi parlò. «Quando sei uscita con Mark.» sibilò.
Mi voltai a guardarlo, sorpresa dal tono della sua voce. «Sì.» annuii alle mie stesse parole.
Osservai cauta la sua espressione. Sbatté le palpebre più volte per poi corrugare le sopracciglia. «Come “non vorresti saperlo”?» chiese voltandosi un attimo per guardarmi.
Un angolo della mia bocca istintivamente si sollevò verso l’alto, senza che potessi controllarlo. «Non vorrei saperlo. Tutto qui.» mormorai passandomi una mano fra i capelli.
Robert annuì impercettibilmente, e non riuscii a vedere che espressione fosse dipinta sul suo viso.
«Perché…» esordì lui.
Deglutii rumorosamente e nervosa mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Vorrei non essere mai uscita con Mark, quella sera. Non avrei…», le parole mi morirono in gola quando mi resi conto di ciò che stavo per pronunciare e che avrebbe potuto rovinare tutto.
«Non avrei?» chiese guardandomi un momento in viso.
Non avrei voluto litigare con te, avrei voluto dire, ma non lo feci. Mi limitai a rispondere dicendo: «Niente… non avrei voluto.». La mia voce era incerta e tremante, cercai di nasconderlo, e sperai non se ne accorgesse. Sembrò non farci caso e non fece domande. Gli fui grata quando cambiò argomento.
«Allora Morel… parlami di ciò che ti piace.» disse mostrandomi uno dei più bei sorrisi che i miei occhi avessero mai potuto ammirare. E così, grata che avesse cambiato discorso, cominciai a parlare di ciò che più mi entusiasmava nella vita, sotto il suo sguardo vigile, attento… ma soprattutto curioso.


«Ballavi?» chiese accigliandosi.
Sorrisi, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Quando era piccola. Cioè, in realtà ho ballato fino a.. sedici anni.» ammisi.
Lui parcheggiò sul ciglio della strada. Il tempo sembrò volare e mi sorpresi che fossimo già arrivati. Arricciai le labbra, consapevole dell’effetto che lui aveva su di me. Poi si voltò verso di me.
«Sorprendente.» rispose ammiccando.
Feci un risolino, scuotendo il capo. «Sì, certo, certo.»
«Cosa?» mi chiese con gli occhi fissi nei miei, illuminati dalla fioca luce di un lampione.
Rimasi incantata dalla bellezza del suo viso, folgorata dal canto del mio cuore. Il cuore mi balzò in gola e la bocca diventò secca. Fui rapita da quella visione, come lo ammirassi per la prima volta, vedessi davvero il suo viso.
«Audry?» chiese corrugando la fronte, preoccupato.
«Uhm…». Cercai di darmi un contegno e sbattei più volte le palpebre, come per imprendermi dal momento in cui mi ero, per un attimo, persa in un mondo perfetto. «Danza classica.» farfugliai.
Robert inclinò il capo. «Sul serio?»
Sorrisi. «Difficile da credere?»
«Un po’. Ma in realtà questo spiega alcune cose.»
«Cosa?»
«Il tuo modo di camminare. Il tuo essere agile, aggraziata.»
Sentii le guance avvamparmi di rossore e chinai il capo, guardando il lembo della giacca che stavo torturando come le mani.
«Grazie.»
«Non era un complimento.» disse con voce bassa e roca. Alzai di scatto il capo, guardandolo scioccata, incapace di credere che avesse pronunciato per davvero quelle parole.
Lui alzò immediatamente le mani, probabilmente allarmato dalla mia espressione, o conscio che sarei potuta scoppiare di rabbia da un momento all’altro. «Scherzavo, Audry.» ridacchiò.
«Oh. Oh.» mormorai con guance purpuree, e fui grata che la poca luce non gli mermettesse di notarlo. Per alcuni istanti, che parvero infiniti, rimanemmo l’uno negli occhi dell’altra, dimenticando perché fossimo lì.
«Forse sarebbe meglio andare. Volevo bere qualcosa, prima di…», la sua voce scemò fino a spegnersi.
«Suonare.» completai la sua frase, abbozzando un sorriso. Annuì col capo e scendemmo. Chiuse l’auto e ci dirigemmo verso il locale.
«Ascolta.» cominciò grattandosi imbarazzato la nuca.
Oh, oh, pensai allarmata, timorosa.
«E’ una serata un po’… particolare.» continuò.
«Cosa intendi?» chiesi corrugando la fronte, mentre si fermava davanti e l’entrata e si voltava verso me. «Mi rendo conto che forse avrei dovuto parlartene.» disse abbassando lo sguardo.
mi irrigidii, ma cercai di mantenere un tono pacato. «Puoi farlo ora.»
Sorrise, teneramente. «E’ una serata… rock’n’roll. Probabilmente non troveremo gente al di sotto dei trent’anni.»
«Oh.» sussurrai, annuendo paino col capo. «Tutto qui?» chiesi sorridendo.
Robert si mordicchiò il labbro inferiore, guardandomi sotto le lunghe ciglia, ed annuì col capo.
«Sai una cosa Pattinson?» chiesi facendo un passo in avanti.
«Amo il rock’n’roll. E non sono venuta per stare con altra gente della mia età. Sono venuta qui perché me l’hai chiesto tu, perché volevo ancora sentirti suonare. Del resto del mondo non mi importa.» mormorai e fui sorpresa dalla sincerità dalle mie parole. Mi morsi la lingua, sperando di non aver parlato troppo. Ma le parole mi erano uscite di bocca con la violenza di una cascata e non potei far nulla per fermarle.
Sul suo viso indecifrabile, fu come se potessi cogliere frammenti di lotta interiore. I suoi occhi ardevano e l’intensità del suo sguardo mi scosse l’animo, tanto che mi accorsi di trattenere il respiro. Solo allora mi resi conto di quanto il suo viso fosse vicino.
«Vieni spesso qui?» soffiai a corto d’aria, cercando di riempire il silenzio creatosi.
«Si. Mi piace molto. E mi lasciano usare il pianoforte.» mormorò con voce bassa, passandosi una mano fra i capelli e allontanandosi, per poi voltarsi ad aprire la porta. Col capo, mi fece segno di entrare.
«Grazie.» mormorai. Quando fui dentro, m’accigliai sorpresa. Il locale era affollato, molto più di quanto pensassi. Un forte chiacchiericcio faceva da sottofondo. Ai tavoli, sparsi nella stanza, davanti al piccolo palco improvvisato uomini dai trenta ai quaranta, sorseggiavano birra, uomini sui sessanta bevevano scotch e whisky. Ad un tavolo in fondo, ragazzi di poco più di vent’anni bevevano super alcolici. Il forte odore di sigaretta mi colpii in pieno, tanto che, involontariamente, arricciai il naso. Robert mi prese per mano, un gesto casuale, ma che mi scatenò una tempesta dentro. La mia mano sembrò prendere fuoco ed il mio cuore accelerò i suoi battiti mentre avvampavo di rossore. Sperai non se ne accorgesse. Sembravo un’adolescente alla sua prima cotta.  Avanzò nella stanza e salutò con la mano un tavolo – non riuscii a capire quale – al centro della stanza. Arrivati al bancone di scuro legno logoro, chiamò una ragazza che ci dava le spalle. Aveva lunghi capelli biondi che lisci le ricadevano lungo la schiena.
«Candy?», la chiamò. La mia mano ancora nella sua. La ragazza si voltò rivelando due occhi chiari come il mare, così dannatamente simili a quelli di Robert. Quando riconobbi i lineamenti del suo viso, le labbra piene, la pelle rosea e simile a seta, sentii lo stomaco attorcigliarsi su stesso e mi irrigidii, digrignando i denti.
Barbie.
I suoi occhi si soffermarono un momento sui miei. «Ciao.» disse guardando anche Robert.
«Ciao.» mormorai fredda.
Candy si voltò poi verso me, sorridendo cordiale. I suoi occhi si posarono sul mio vestito che si intravedeva dalla giacca aperta. «Bel vestito.» disse abbozzando un sorriso.
Seria annuii, sentendo le mani prudermi. «Grazie.» risposi dondolandomi sui talloni, nervosa.
«Mi porti… due birre?» chiese Robert voltandosi verso me e corrugando la fronte. Annuii flebilmente.
«Okay. Solito tavolo.» rispose raggiante Candy, prima sorridermi ad allontanarsi. Il suo comportamento non mi piaceva. Troppo gentile, troppo cordiale, per una che era uscita con Robert. Magari fra loro c’era stata una storia, o magari solo un bacio. Non lo sapevo e, anche se avrei voluto, chiederlo a Robert era fuori discussione. Così mi limitai a rimuginare sull’idiota che ero mentre ci dirigevamo verso il tavolo al lato del palco. Sembrava mi perseguitasse, quella Candy, e ciò mi mandava in escandescenza.
Feci un respiro profondo cercando di cancellare i cattivi e marci pensieri dalla mia testa. Ci sedemmo così al tavolo, in attesa delle birre, che non tardarono ad arrivare. Quando Candy si allontanò tirai un respiro di sollievo. Sì, era invitabile. La odiavo. E ciò che non potei negare a me stessa, era che ero dannatamente gelosa.
«Tutto okay?» mi chiese Robert corrugando la fronte. Annuii col capo prima di bere un sorso di birra. Con la coda dell’occhio lo notai osservarmi, con l’ombra di un sorriso sulla labbra. Sorrisi appena, mentre bevevo.
«Ho qualcosa sul viso?» chiesi con molta nonchalance poggiando il bicchiere sul tavolo.
Robert fece un risolino. «Perché?»
«Mi stavi fissando.» risposi facendo spallucce. Si portò il bicchiere alla labbra, senza staccare i suoi occhi dai miei.
«Sì. Ma ti stavo osservando… per altri motivi. Il tuo viso non ha nulla che non vada.»
Poggiai un gomito sul tavolo, reggendomi il collo con una mano, mentre fissavo i suoi occhi verdazzurro. «E’ una cosa positiva, Pattinson?» chiesi sorridendo.
«Assolutamente, sì.» mormorò, e la sua voce fu una dolce e lieve carezza.
«E… questi altri motivi,» dissi facendo roteare una mano in aria, «possono essere rivelati al mondo?»
Mi parve di veder lampeggiare nei suoi occhi della malizia, mentre le labbra di allargavano in un sorriso sghembo.
«Un giorno, sarò felicissimo di farlo. Se lo facessi ora, dolce Audry, sarei costretto ad ucciderti.» disse schioccano la lingua.
«E sarebbe un peccato.» annuii portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Un vero peccato.» rispose lui. Fu lì, mentre osservavo i suoi occhi limpidi e cristallini, che mi resi conto di quando fossimo vicini, di quando ci fossimo avvicinati durante quel piccolo scambio di battute. Il mio cuore riprese a galoppare.
«Credo sia arrivato il momento di iniziare.» disse.
«Forse.» sussurrai col fiato corto.
Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’altro e, mentre si sporgeva verso di me, il cuore mi balzò in gola. Le sue labbra si posarono delicate sul mio zigomo. «Ti tengo d’occhio, Morel. Non puoi fuggire.» mormorò allontanandosi ed alzandosi, prima di bere un sorso di birra.
«Non ho intenzione di farlo, Pattinson.» soffia senza voce. Lui mi strizzò un occhio e si diresse sul piccolo palco, sedendosi al piano.


L’osservavo ammaliata muovere le mani sui tasti d’avorio. Non v’era al mondo visione migliore di lui sorridente, allegro, solare… vivo, mentre suonava Great Balls of Fire. Muoveva ritmicamente la testa. La fronte luccicante per via del velo di sudore. Era bravo e non c’erano dubbi, immerso nella musica rock’n’roll dei primi anni sessanta. Con lo sguardo seguii la linea snella del suo corpo, il profilo del viso, le labbra sorridenti. La camicia scura gli aderiva all’addome piatto, e dovetti darmi un contegno, per non stramazzare al suolo in preda ad un attacco di tachicardia. Mentre mi reggevo il viso con una mano e sorseggiavo un altro bicchiere di birra, sentii qualcuno posarmi una mano su una spalla. Sobbalzai e mi voltai. Un signore di all’incirca sessant’anni mi sorrideva.
«Mi scusi, signorina. Dato è qui tutta sola, le andrebbe di ballare?» chiese. Mi voltai a guardare il centro della grande stanza e notai che molte coppie sgambettavano in quella pista improvvisata. «Non ci sono doppi fini. Ma le damigelle sono tutte finite.» aggiunse.
«Certo che ballo con lei!» esclamai alzandomi. «Io sono Audry.» dissi porgendogli una mano.
«Michel, ma puoi chiamarmi Mich.»
Annuii e sorrisi. Poi Mich mi porse il braccio e, dopo averlo afferrato, si dirigemmo in pista. Iniziammo a ballare. Dire che Mich era un ballerino provetto di rock’n’roll era davvero poco. Alto quanto me, apparentemente mingherlino, mi sballottava a destra e sinistra facendo sgambettare e saltellare come una matta, ma soprattutto facendomi divertire. Ridevo, ridevo di gusto mentre Mich mi faceva ruotare su me stessa. Poi la musica, piano scemò e sfociò in una nuova melodia, più calma, tranquilla. Mi voltai verso il piano forte ed i ragazzi che dietro di lui suonavano il resto degli strumenti. Conoscevo bene quella canzone, tanto che il mio cuore si sciolse mentre riconoscevo le prima note. Gli occhi Robert incatenarono i miei e sentii un brivido percorrermi la schiena, mentre il cuore martellava contro il mio petto.
Sì, non c’era dubbio. Mi stavo… innamorando. E lo ammisi, totalmente, in quel momento, a me stessa. Disarmata non mi curai che potesse capire tutto dai miei occhi, che ero sicura brillavano di una luce diversa. Mi sorrise e vidi dolcezza e tenerezza nel verdazzurro della sua anima. Fremetti, col cuore ricolmo di gioia, leggero come una bolla di sapone. Tutto ciò che v’era intorno sembrò sparire in quell’attimo che mi parve infinito. C’eravamo io e lui, e le note del caro vecchio Elton ad inondare la stanza gremita di gente.
« It's a little bit funny, this feeling inside. I'm not one of those, who can easily hide.» intonò al microfono. Il suoi occhi erano ancora fusi nei miei ed io, lì, inerme, non riuscivo a muovere un solo muscolo.
«Mi concede un ultimo ballo, madamigella Audry?», la voce di Mich mi riposto alla realtà. Mi voltai verso l’uomo ed annuii piano col capo, abbozzando un sorriso. Così, poggiai una mano sulla spalla di Mich, l’altra mano nella sua, e prendemmo a ballare. I miei occhi però cercavano sempre i suoi, il suo dolce sorriso. Cantava con estrema delicatezza, la sua voce era simile al miele, denso, morbido, fluido, dolce.
«I know it's not much, but it's the best I can do wy gift is my song and this one's for you.», mi sorrise ed i suoi occhi brillarono di una stana luce, brillavano come Venere nel cielo notturno, e mi mozzarono il fiato. Le parole della canzone fu come se si fondessero al sangue che caldo mi circolava nelle vene, al sangue che il mio giovane cuore pulsava.
«And you can tell everybody, this is your song it may be quite simple but now that it's done, I hope you don't mind, I hope you don't mind that I put down in words,.», e fu allora che capii. Capii ciò che avrei dovuto capire sin dall’inizio. A legarmi a lui non era odio, non era antipatia… era attrazione. Ero stata attratta dal suo viso, dai suoi occhi sin dall’inizio, ma ero troppo orgogliosa e stupida per ammetterlo a me stessa. E se lo avessi fatto prima, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente.
E i miei pensieri erano eco di quella canzone, del dolce sorriso che aveva accompagnato l’ultima frase. How wonderful life is while you're in the world…
Che fosse reale? Che fosse sincero? Che fossero per me? Non lo sapevo, ma avevo intenzione di scoprirlo.
«Yours are the sweetest eyes I've ever seen.»
Continuai  a volteggiare con Miche, perdendomi nell’infinito mare degli occhi di Robert. Poi la canzone andò scemando. Robert continuava a suonare le dolci noti finali e tutti in pista iniziarono a muoversi con estrema lentezza, fino a fermarsi.
Fu allora che mormorò, come perso nei suoi pensieri: «Audry…»
Mi voltai di scatto spalancando gli occhi, il cuore che batteva troppo velocemente per essere controllato.
Cosa?



*

(*) scusami se l'ho dimenticato
ma è una cosa che mi succede
lo vedi, ho dimenticato
se sono verdi o azzurri
comunque ciò che conta,
quello che voglio davvero dire,
è che i tuoi sono gli occhi più dolci che ho mai visto.
spero che non ti dispiaccia
quello che ho messo per iscritto
Come è meravigliosa la vita
ora ce ci tu sei nel mondo.


Ringraziamenti.

Piccola Ketty: tesoro, ciao! Che piacere leggere le tue recensioni, non hai idea di quanto mi rendano felice! Sapere che leggi comunque, anche senza recensire, mi rende felicissima, credimi! Visto? Alla fine sono usciti insieme! Spero che ti sia ancora col “fiato sospeso”. A presto, cara! Grazie, grazie di cuore! Ti voglio bene.
mamarty: ciao! Beh, qui qualcosa in più c’è stata no? Spero di non averti delusa. A presto! E grazie mille, davvero, per le recensione. Grazie!
Xx_scrittrice_xX_ : ciao, Ely! Non smetterò mai di ringraziarti a modo, sei un angelo, davvero! Sono contenta che il capitolo precedente p stato di tuo gradimento e spero di non averti delusa con questo. L’appuntamento non è finito, ovviamente. Grazie di tutto, tesoro. Ti voglio bene.
Sognatrice85: ciao, Marge! Che piacere immenso ricevere un’altra tua recensioni! Mi fanno sempre sorridere! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! A presto, cara! Grazie di cuore, sul serio.
lazzari: ciao, Lory! L’appuntamento è arrivato e spero sia stato di tuo gradimento, anche se non è ancora finito. Beh, sì, Adry l’ha ammesso, finalmente. Grazie mille per la recensione, davvero. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. A presto!
Ryry_: ciao, So! Grazie mille per la recensione! Sono contenta, tutto sommato, tu voglia decapitare la Barbie, davvero! Spero di non averti delusa con questo capitolo. Cavolo, devo ancora leggere la storia che scrivi con Ely, per colpa della gita mi sono persa un sacco… ma oggi dovrei recuperare. Grazie di cuore per la recensione! A presto, cara!
Nessie93: ciao, Chià! Recensione bellissima come sempre, non saprò mai ringraziarti a modo. Eh già, i due sono usciti insieme e non si sono ancora scannati! XD Sono contenta che lo scorso capitolo sia stato di tuo gradimento e spero di non averti delusa con questo. Grazie mille, Chià, davvero. Ti voglio bene.
winnie poohina: ciao! *-*  non sai che piacere sapere che è stato di tuo gradimento! Senza te non avrei scoperto quel magnifico gruppo. Ti ringrazio di cuore, per tutto! Sono contenta ti piaccia il mio Pattinson! A presto, cara!
KeLsey: ciao, Eri! Che farei senza te? Sono contentissima ti sia piaciuto lo scorso capitolo, non potevi rendermi più felice! Spero di non averti fatta attendere troppo, ma con Praga è stato un po’ un casino. Sei sempre così troppo buona. Grazie davvero, Eri… grazie. Ti voglio bene.


A voi, un bacio,
                     Panda.
 
Ed ora fuggo!


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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


 

 

 

CAPITOLO 28

 

Donami mille baci,
poi altri cento,  poi altri mille,
poi ancora altri cento, poi di seguito mille,
poi di nuovo altri cento.
Quando poi ne avremo dati migliaia, confonderemo le somme, per non sapere,
e perché nessun malvagio ci invidi, sapendo che esiste un dono così grande di baci.
Catullo, poeta latino.

 

Col cuore palpitante d’emozione, impietrita al centro della stanza, osservai Robert alzarsi dal pianoforte ed asciugarsi la fronte madida di sudore con un tovagliolo di stoffa. Batté il cinque al chitarrista e scese i quattro scalini al lato del palco. Alzò il capo e, quando incontrò il mio sguardo, sorrise. Il mio cuore accelerò i suoi battiti e avrei dato qualsiasi cosa per poter decelerarli. Si avvicinò con passo lento ed un sorriso mozzafiato sul viso roseo.
Il fiato mi mancava, e tramavo, ma non era di certo a causa del freddo. Accigliata lo guardai fermarsi a poche decine di centimetri da me.
«Hai intenzione di rimanere qui in piedi tutta la sera?» chiese grattandosi la nuca.
Deglutii e scossi il capo, più a me stessa che a lui, come a volermi riprendere dal momento di shock in cui ero caduta.
«Forse sono troppo scossa per potermi muovere.» mormorai fissando i suoi occhi.
Robert rise. «Sono stato tanto terribile?»
«No, affatto. Mi hai impressionata… è stato… interessante.» sorrisi avvampando di rossore.
«Sì, lo credo anch’io.», il suo sguardo, di un’intensità sconvolgente, sembrava volesse comunicarmi qualcosa nascosto nella sua frase, un’esortazione a leggere fra le righe.
«Ho bisogno di bere.» dissi dirigendomi verso il bancone. Non sapevo se Robert mi era dietro, non mi voltai a guardarlo, ancora scossa da quella canzone e dal modo in cui i suoi occhi mi avevano scrutata. Confusa, scombussolata… avevo bisogno di una birra.
Mi sedetti ad uno sgabello del bancone. Un attimo dopo Robert era seduto accanto a me.
«Ma tu guarda un po’… ti lascio un attimo da sola e tutti ti piombano addosso. Spero tu non abbia spezzato il cuore del povero Mich.»
Mi voltai e corrugai la fronte. «Mi ha solo chiesto di ballare… non c’era… doppi fini.» farfugliai.
«Vedi Audrey, spezzare il cuore di un povero sessant’enne non è di certo una cosa piacevole…»
Scioccata dal suo discorso aprii la bocca per replicare, ma lui mi zittì con un gesto della mano.
Per chi mi aveva presa?
Si poggio con un braccio al bancone. «Ci rimarrà malissimo se non ballerai più con lui, perciò… io credo… sia giusto, nei confronti di Mich intendo, tornare qui nuovamente, la settimana prossima. Lo faccio per Mich, eh.» dissi mettendosi dritto ed alzando la mani come per scolparsi.
Lo guardai, accigliata, prima di sbattere ripetutamente le palpebre. Poi, mi presi il mento fra le mani. «Sai, credo tu abbia ragione. Non potrei mai fare questo al povero Mich.» annuii.
Robert sorrise e rimanemmo, in attimi eterni, a guardarci negli occhi. Verde nell’azzurro, azzurro nel verde. Ma il tutto fu crudelmente interrotto.
«Possibile con non abbia presentato la tua amica, Rob?» chiese asciugando un bicchiere.
Entrambi ci voltammo verso Candy, che sorridente mi guardava. Sentii l’irrefrenabile voglia di saltare sul bancone e staccarle la testa a morsi.
Ma che ti prende, Audry?, pensai, la gelosia ti fa andare fuori di testa. Prenderne nota.
«Oh, sì, che maleducato. Candy, Audry. Audry, Candy.»
«Piacere di conoscerti.»
«Il piacere è tutto mio.» mentii sforzandomi di sorridere. Mi chiesi se notò che il mio sorriso era totalmente finto.
«Due birre, Candy.» disse Rob poggiando le braccia sul bancone.
«Ci dai dentro stasera.» ironizzò lei strizzandogli un occhio.
Vidi Robert irrigidirsi e guardarla torvo. «Divertente. Davvero.» disse sprezzante. Mi voltai a guardarlo, corrugando confusa la fronte. Cosa c’era dietro? Perché tale risposta? E cosa intendeva dire Candy? Domande che mi vorticavano nella mente, galleggiavano nel mare dei miei pensieri.
Candy rise e si allontanò per riempire due bicchieri di birra.
«Che intendeva dire?» chiesi voltandomi verso Robert. Le parole mi uscirono di bocca e non potei fermale, perché in fondo… non volevo fermale.
«Niente. Candy è solo molto idiota.» sviò il discorso fissando le bottiglie sistemate sugli scaffali dietro il bancone.
Annuii piano col capo. «Okay.»
«Sei incantevole oggi.» mormorò. Mi voltai ed incontrai i suoi occhi. Il mio cuore incespicò.
«Grazie.» risposi sentendomi avvampare di rossore. «Potrei dire la stessa cosa di te.»
Robert alzò le sopracciglia.
Corrugai la fronte. «L’ho detto davvero?» chiesi.
Robert fece un risolino, annuendo col capo.
«Fantastico.» mormorai passandomi una mano fra i capelli. Sciocca, Audry.
Per un attimo calò il silenzio. Sentivo lo sguardo di Robert sul mio viso e sembrò che la mia pelle prendesse fuoco.
Mi mossi nervosa, desiderosa di riempire quell’imbarazzante silenzio. «Ti ho detto che sei stato bravo?» farfugliai.
«Sì.» sorrise.
Arrivarono le birre e Candy, sorridendo a Robert si allontanò.
Fantastico. «Oh. Ehm… suonerai ancora stasera?»
«Potrei.»
«E dipende da cosa?»
«Da te.»
«Cioè?» chiesi avvicinando il bicchiere alle labbra per una lunga sorsata.
«Se vorrai, sarò felice di farlo. Se non vorrai sarò felice di non farlo, Audry.» rispose prima di bere.
«Difficile decisione.» mormorai accarezzandomi il mento.
«Premetto però, che non ne ho la benché minima voglia.» ridacchiò.
«Oh, ti prego Robert, suona ancora!» dissi inclinando il capo verso di lui e sbattendo le ciglia con fare civettuolo.
«Giochi sporco così.» sorrise. «Ma se è ciò che vuoi…» fece per alzarsi, istintivamente gli afferrai un braccio.
«No!» esclamai con troppa voce.
Robert si voltò e mi guardò di sottecchi, poi spostò lo sguardo sulla mia mano. La ritrassi all’istante, come se il suo braccio scottasse. Robert sorrise, una traccia di malizia sulle labbra, e si sedette senza smettere di guardarmi.
«Okay. Resterò.»
«Oh, non sei costretto.» annuii alle mie stessa parole, in totale imbarazzo, prima di bere un’altra lunga sorsata di birra.
«Ma se ti ho appena detto che non ne ho voglia.»
«Oh, giusto.» mormorai dandomi dell’idiota. Feci un risolino nervosa, e Robert rise. «Non ridere di me.» mi lamentai.
«Non rido di te. Rido con te.»
Accennai un sorriso ed il suo sguardo mi mandò ancora in confusione. Il suo viso, bello da mozzare, brillò.
«Ti va di fare un giro?» chiese, seguendo con l’indice le venature del bancone.
«Sì, ne sarei felice.» risposi. «Concedimi solo un minuto. Aspettami qui.» aggiunsi scattando in piedi per dirigermi verso il bagno. Ero sicura che mi stesse guardando, mentre mi allontanavo. Okay, non ne ero sicura, ma ci speravo.
Poggia le mani al lavandino e feci un respiro profondo, prima di guardarmi allo specchio. L’immagine che vidi riflessa mi lasciò sorpresa e perplessa. Apparentemente ero la Audry di sempre, però gli occhi verdi brillavano come smeraldi alla luce del sole e la gote erano intinte di rosso. Sorrisi e scossi il capo. Da quanto non mi sentivo così? Due? Tre anni?
Mi sentivo leggera, allegra, felice. Mi riavviai i capelli e, sospirando, uscii dal bagno passandomi le mani sul vestito, sistemandomelo. Quando alzai il capo tutte quelle sicurezze acquisite nell’ora precedente si sgretolarono come castelli di sabbia bagnati dalle crudeli onde del mare. Mi irrigidii e mi bloccai, incapace di muovermi. Osservai Candy carezzare il viso di Robert, a poche spanne dal suo, prima di baciarlo sulla guancia e stringerlo a sé.
Stupida!, pensai, Stupida, Audry!
Sì, ero stata una stupida e pensare che ci fosse qualcosa che andava al di là della semplice amicizia, delle semplice conoscenza, mi ero illusa. Mi ero esposta, avevo spogliata la mia anima durante quella canzone, e credevo lui fosse sincero. Mi sbagliavo.
Sentii irrazionali lacrime inumidirmi gli occhi, premere crudeli per uscire. Cercai di trattenerla, ma il mio patetico tentativo di nascondere il mio stato d’animo fu inutile. Una lacrima di delusione, di rammarico, di rabbia mi rigò una guancia. L’asciugai velocemente, prima di dirigermi a passo svelto verso il tavolino. Recuperai la mia borsa, la giacca e senza nemmeno indossarla mi diressi verso l’uscita. Senti Robert chiamare il mio nome, ma, troppo infuriata, non mi voltai. Non mi voltai a guardare Candy, non mi voltai a guardare i loro corpi così vicini.
Ogni volta che qualcosa, nella vita, sembrava andare per il verso giusto, un nuovo evento la scombussola, scuote l’animo, lasciando l’amaro ed il dispiacere della delusione.
Uscii dal locare, sbattendo la porta. Fui assalita dall’aria fredda della sera, ma non me ne curai. Presi a camminare, con la rabbia ch emi ribolliva nelle vene. Che illusa.
«Audry!» sentii chiamarmi. Conoscevo quella voce e sentirla fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. «Audry!» gridò ancora, ma non mi voltai. Continuavo a camminare imperterrita. Poi sentii la sua mano posarsi sulla mia spalla e costringermi a voltarmi.
«Ma che diavolo ti prende?» chiese con fiatone.
Sentii le mani prudermi e dovetti chiudere gli occhi per evitare di stritolargli il collo fra le mani.
«Cosa diavolo mi prende?» esclamai aprendo le braccia al cielo. «Cosa diavolo mi prende?»
«Sì!» rispose rosso il volto.
«Sai una cosa, Pattinson? Io mi sono esposta. Io mi sono aperta. Diamine, ho messo da parte l’orgoglio, ho accantonato il passato. E tu? Vai con la prima che ti capita, quando mi inviti ad uscire?»
«Cosa?» chiese lui corrugando la fronte, scioccato.
Fu lì che capii. Capii ciò che avrei dovuto capire prima. L’apparente verità mi si rivelò agli occhi, come il sole che sorge al mattino.
«Oh. Ora capisco.» dissi più a me stessa che a Robert, annuendo col capo. «Quest’appuntamento aveva per entrambi significati diversi.»
Robert si passò una mano fra i capelli, nervoso. «Vuoi spiegarmi?» gridò esasperato.
«Non è possibile che stia per dire questo…» mormorai abbassando lo sguardo. «Sono uscita con te perché… perché mi piaci, Robert! Perché, cavolo, credevo fossi una persona fantastica ed io, scioccamente, mi sono fatta trascinare dal battito del mio cuore. Una parte di me gridava di non fidarmi… ma io ho ceduto.» la parole mi morirono in bocca, mentre la voce mi tremava.
«Audry… io…»
«Ma davamo al tutto significati diversi, Robert. Perché… tu hai Candy. Come ho fatto a non capirlo prima? Da quel giorno al cinema! Sono stata una sciocca.» mormorai e mi asciugai la lacrima che spillò da un occhio. Il viso di Robert era una maschera di tristezza ed delusione.
«Ho frainteso tutto.» sussurrai voltandomi per andare via.
«Era tutto vero, Audry. Ogni parola, ogni respiro, ogni nota. Non c’era falsità, non c’era ironia, fraintendimenti. Ti ho invitata per una ragione, la stessa che mi ha portato a cantare quella canzone. E non avrei cercato il tuo viso, desiderato i tuoi occhi, se non fossi convinto di ogni singola parola. Era il mio appello al tuo cuore, non a quello di Candy.» la sua voce era lieve e dolce come il miele. Chiusi gli occhi per un istante. «Audry… non posso amare mia cugina.», a quelle parole li riaprii di scatto, irrigidendomi. Fu come aver sognato quel piccolo suo discorso. Fu come appartenesse ad un mondo evanescente.
Mi voltai lentamente ed incontrai il suo viso, imperscrutabile.  «Tua cugina?» chiesi, e la mia voce risultò un suono strozzato ed acuto.
Robert annuì. «Sì.»
Scioccata ed imbarazzata, fissai un punto indefinito della strada, assestando il colpo appena ricevuto.
«Oh
Idiota! Impulsiva! Idiota!
«Io…» esordii rossa in volto per la vergogna. «Oh mio dio.» mugugnai voltandomi e avanzando di qualche passo per scappare via da quella scena carica di imbarazzo, carica di scempiaggine. Sì, stavo scappando. Odiavo farlo, ma non avevo alternativa. La mia mente era un guazzabuglio di pensieri, il mio animo una tempesta di emozioni e sensazioni.
Ma le cose non andarono come mi aspettavo. In fondo, nella mia vita, nulla andava come mi aspettavo.
Sentii la sua mano ingabbiarmi il polso in una stretta ferrea e, strattonandomi, mi costrinse a voltarmi. Avvenne tutto velocemente e la mia mente ed il mio cuore non ebbero tempo di immagazzinare e codificare azioni, sensazioni e pensieri. Fu come essere in balia di un tornado. Non puoi opporti ad esso, lasci che ti trascini.
Le sue labbra furono all’improvviso sulle mie.
Non erano come avevo immaginavo nei miei sogni più segreti, erano molto meglio. Erano morbide, calde. Si plasmarono alle mie con estrema semplicità e descrivere ciò che il mio cuore palpitante provò, è impossibile. Incespicò, perse un battito, prima di ricominciare a galoppare più velocemente di prima, tanto che credevo potesse squarciarmi il petto.
Dimenticai il mio nome, dove fossi e come fossimo arrivati fin lì. Mi sentivo appagata, felice… mi sentivo Audry. Nuda davanti all’immensità delle emozioni che si abbatterono sul mio animo.
Le sue mani si posarono sul mio collo e mi sfiorò con il pollici la mascella. Dischiusi appena le labbra, annaspando ossigeno.
Robert allontanò appena il suo viso, le sue labbra si distanziarono di qualche millimetro dalle mie.
«Potevi deciderti prima.» mormorai con voce tremante.
«Perdonami.»
«Solo ad una condizione.» dissi aprendo gli occhi ed incontrando i suoi occhi color del mare, illuminati dalla fioca luce di un lampione.
«Quale?». Davanti al suo viso, alle sue labbra, al suo respirò caldo sul mio viso, al suo dolce e fresco profumo capii che Olivia aveva ragione. Non esistono coincidenze.
«Baciami.» sorrise e mi baciò ancora. Gli gettai le braccia al collo e dischiusi le labbra, catturando avidamente le sue. Il mio corpo aderì totalmente al suo e sembrò prendere fuoco, in balia di un fiume di lava. Le sue mani si posarono sulla mia schiena, stringendomi a sé.
Sorrise nel bacio e mi allontanai istintivamente.
«Se avessi saputo tempo fa che avresti reagito così, ti avrei baciata molto prima.» mormorò sorridendo.
Un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto e premetti il palmo della mia mano sulla sua guancia.
«Com’è meravigliosa la vita…» mormorai perdendomi nell’azzurro liquido dei suoi occhi.
«Ora che ci sei tu nel mondo.» continuò con voce gonfia d’emozione.
E catturò, ancora, le mie labbra.

 

*

Ringraziamenti.

lazzari: ciao Lory! Sono contenta di sapere che ti sia piaciuto lo scorso capitolo, non sai quanto. E’ una parte delicata ed importante questa  (ed era anche ora). Hai colto molto, sai? Entrambi hanno paura di lasciarsi andare completamente, ma il tempo, indubbiamente, è dalla loro parte. Perciò con questo capitoli, abbastanza importante, spero di non averti delusa. Grazie mille per la magnifica recensione, davvero.
Ello: ciao! *-*  oh, un’altra Eleonora! Amo quel nome! *-* Comunque, ciarle a parte… l’hai letta tutta d’un fiato? Davvero? Cioè… io non so cosa dire, solo… grazie! Sono contenta ti piaccia e mi scuso per l’enorme ritardo dovuto al fattore scuola. Sono contenta ti piaccia il mio modo di scrivere, cerco sempre un linguaggio ricercato… ma non so se ci riesco, anzi a parer mio, non ci riesco proprio. Ma scrivere mi fa sentire bene, perciò eccomi qui. Spero di non averti delusa con questo capitolo. E grazie, grazie mille, davvero.
Nessie93: ciao, Chià! Eh, già, siamo arrivati. Bene, che dire? Prima di tutto, grazie. Davvero. Secondo, davvero ti è piaciuto? *-* cioè… oooh. Il tuo essere stata agitata sin dal viaggio in auto è stato un bene, nel senso… ne sono felice, qualcosa è arrivato! Possiamo dire che in questo capitolo entrambi hanno “inteso” e spero che, il modo in cui l’abbiano fatto, è stato di tuo gradimento… qualcosa però mi dice di sì. Un po’ ti conosco. Grazie, tesoro, per la bellissima recensione. Sei sempre così dannatamente accurata che è un piacere leggerle! Ti voglio bene.
winnie phooina: ciao, Ale! E finalmente siamo qui. XD Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo, cara. Ricevere la tua recensioni mi ha fatto un enorme piacere, davvero! Spero ti sia piaciuto questo capitolo, lo spero davvero. Grazie mille per la recensione!
KeLsey: ciao, Eri! *-* ce l’abbiamo fatta, o meglio… ce l’hanno fatta XD  Davvero te ne sei innamorata? Sono contenta ti piaccia… “questo” Robert, davvero! Lo sai che per me il tuo parer è dannatamente importante! Spero di non averti delusa con questo capitolo. L’aria si è fatta un po’ tesa anche qui. Ti voglio bene, Eri. (L)
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Sono contenta di sapere che lo scorso capitolo ti è piaciuto. Che tu ci creda o no, mi fa un immenso piacere sapere cosa pensi di ciò che scrivo. Eh, sì, Robert l’ha detto veramente… ed, in questo capitolo, l’ha fatto veramente XD Spero ti sia piaciuto questo aggiornamento. Grazie.
Fairwriter: mia, Cip! Non sai che piacere leggere la tua recensione! Sai quanto ci tenga a sapere cosa ne pensi dei capitoli! Sono contenta che la parte finale del capitolo scorso ti sia piaciuto e mi chiedo che impressione tu abbia avuto di questo. Ci sono voluto così tanti capitoli… se tu ti inchini a me, io mi inchino a te, mia adorata. Ti voglio bene, Juls… e mi manchi. Tua, Rose.
Piccola Ketty: ciao, Kè! Ma io non ti voglio morta, no, no! Non potrei mai volerlo XD Sono contenta ti piaccia ciò che scrivo, davvero, ci tengo così tanto al tuo parere. Eh, sì, l’ha proprio pronunciato. E in questo capitolo… beh, tanto lo sai. Grazie, di cuore, Ketty. Grazie di tutto, davvero. Il tuo aiuto… sta diventando importante. Ti voglio bene.
cris91: ciao! *-* Sono contenta ti piaccia la mia fiction! Anche a me non piace far scoccare tutto subito… non ha senso. Che gusto c’è poi a scrivere e leggere? Sono contenta tu abbia il fiato sospeso, è una cosa a cui punto quando scrivo. Ti invoglia a leggere, e sapere che ti piace… oh, mi rende felicissima! Grazie per la recensione!
Sognatrice85: ciao, Marghe! Anche io amo Your Song e sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Un attimo… ti sei commossa? Davvero? Cioè… per la storia? Per ciò che ho scritto io? O.O  Sì, ha fatto il nome di lei e spero ti sia piaciuto questo capitolo! E’ importante! Grazie di cuore per la recensione!
Lorelag: ciao! *-*  divorata in due giorni? Okay, ora mi sciolgo. Sono contenta ti piaccia la storia e il mio modo di scrivere. Ci metto il cuore quando lo faccio. Il terrore che i dialoghi ed i pensieri risultino banali è tanto, perciò fa sempre piacere avere un riscontro esterno. Questo Robert… è un po’ strano… anche un po’ diverso dagli altri delle mie fiction, cono contenta ti piaccia. Spero ti sia piaciuto questo capitolo! Grazie mille per la splendida recensione!
Ryry_: ciao, So! *-* Eh sì,  Robert ha sussurrato il suo nome e il “capitolo” è arrivato. Son contenta ti sia piaciuto il capitolo… come la canzone! Ci ho messo il cuore nel scrivere questo capitolo, e spero sia stato di tuo gradimento. Grazie mille, davvero, per la recensione!
ginevrapotter: ciao! *-*  grazie per la recensione, grazie per avermi detto che pensi di questa storia! Sono contenta di piacciano le citazioni all’inizio dei capitoli, mi diverte un sacco metterle… anticipano un po’ ciò che è nel capitolo. Sono anche contenta che trovi… bello il modo in cui è scritta. Per me è davvero importante! Grazie, grazie di cuore!
candidalametta: ciao! *-* oddio, non sai che piacere mi ha fatto leggere la tua recensione. Ciò che hai detto… mi ha resa davvero felice. Per me è molto importante sapere che ciò che scrivo riesca a far staccare il lettore, anche per pochi minuti, dal mondo reale. Sono contenta, di esserti riuscita a regale piccole emozioni che ti hanno fatta… star meglio. Grazie, anche a te.


A voi, un bacio,
                    Panda.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


CAPITOLO 29



I want to recognise your beauty’s not just a mask…
… I want to satisfy the undisclosed desires in your heart.
Muse, Undisclosed Desires.

 

«Allora… noi andiamo, Candy.» disse Robert sporgendosi sul bancone, prima di rivolgermi un’occhiata divertita. Arricciai le labbra.
«Oh, okay. Ciao, Rob. E’ stato un piacere conoscerti, Audry.» disse lei raggiante, voltandosi per guardami.
«Sì, anche per me.» risposi imbarazzata, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Ci vediamo, cugina.», sorrise Robert, poggiando un gomito sul tavolo e rivolgendomi un’occhiata colma di malizia. Mi voltai a guardarlo riducendo gli occhi a due fessure e fulminandolo con lo sguardo. Gli tirai un pizzicotto sul fianco sinistro. Lui si mosse, e si massaggiò la parte dolorante sibilandomi un “ahi”. Provai a tirargli un altro pizzicotto, ma la sua mano fermò la mia, cacciandola via. Credetti che quel gioco finisse nel giro di pochi attimi, ma le sue mani indugiarono a giocar con le mie, fino ad intrecciare le nostre dita. Trionfante, sorrisi fra me.
«Non sparire, eh!» aggiunse Candy, fingendo di non aver notato il piccolo giocoso screzio.
«Okay.» ridacchiò lui carezzandomi il dorso della mano con il pollice.
Candy mi strizzò un occhio, prima che ci allontanassimo, uscendo dal locale.
L’aria frizzante pungeva sulla pelle accaldata del mio viso, e fremevo per il contatto delle nostre dita, ancora intrecciate fra loro.
Mentre ci dirigevamo verso l’auto, Robert rise.
«Ed ora cosa c’è?» domandai alzando un sopracciglio.
Lui fece spallucce. «Niente.» sghignazzò.
Rotai gli occhi, sbuffando. «Se ridi per ciò che penso io, non è di certo una bella cosa. Molto imbarazzante, direi.» mugugnai chinando appena il capo e guardandomi la punta della scarpe, imbarazzata.
«Mi sa che ciò che penso io è ciò che pensi tu.»
«Cosa pensi che io pensi?»
«Penso che tu pensi che io pensi cosa tu pensi.» rispose aprendomi la portiera, che così divideva i nostri corpi, e poggiò i gomiti su essa.
«Quindi… tu pensi che io pensi cosa tu stia pensando che io pensi?» chiesi corrugando la fronte.
Lui rise. «Penso che non abbia senso.»
«Io penso che pensare faccia male.» ridacchiai chinando appena il capo e portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Sì, direi di si.» disse accarezzandomi ciocche ribelli, prima di farle ricadere sulla spalla.
«Ho sempre desiderato farlo.» mormorò con voce calda.
«Cosa?» chiesi inclinando il capo e corrugando la fronte.
«Questo.» mormorò premendo il palmo della mano sulla mia guancia. Chiusi gli occhi assaporando a fondo quel contatto, riponendolo accuratamente nel cassetto dei ricordi.
«Ho sempre desiderato riceverlo.» soffiai col fiato corto. Quando la sua mano scivolò dal viso, sfiorandolo piano con i polpastrelli. Sentii la pelle bruciarmi, piangeva il contatto perso, durato troppo poco. Ma, quando aprii gli occhi, pronta a salire in auto, il suo viso dannatamente vicino al mio, mi mozzò il respiro. Le sue labbra erano a pochi millimetri dalle mie, potevano sfiorarle. Il suo respirò caldo mi colpii in pieno viso, dandomi alla testa.
«Ma più di tutto, Morel, ho sempre desiderato fare questo.» mormorò prima di premere le labbra sulle mie. Un semplice bacio, un posarsi di petali di rosa, ma che quasi m costò caro. Dovetti reggermi alla portiera dell’auto per non cadere.
Sorrisi. «Devi spiegarmi molto cose, Pattinson.» mormori sfiorandogli la mandibola con la punta delle dita.
«Abbiamo tanto tempo, Morel.»
«Mi piace.»
Sorrise e mi baciò ancora a fior di labbra, esattamente come pochi istanti prima. Si allontanò e, una volta entrata in auto, mi chiuse la portiera.
Tremai, sorridente, e non era per il freddo.


I miei passi risuonavano ovattati grazie alla moquette del lungo corridoio del dormitorio. Tenevo la borsa con entrambe le mani mentre giocavo con il manico di pelle rigida. Fissavo la punta delle mie scarpe da tennis cercando di evitare di guardarlo e, così, evitando di aumentare il colore purpureo che mi colorava le gote. Il mio viso sembrava essere in fiamme, dannatamente scordante con il resto del corpo.
Anche lui, dal canto suo, era in silenzio. Non fiatava mentre guardava dinanzi a sé con sguardo concentrato. Non facevo che osservarlo con la coda dell’occhio, desiderosa di piccoli gesti o espressioni che potessero darmi un pretesto valido per voltarmi ed osservarlo.
Così, stanca, chiudendo un momento gli occhi, voltai il capo e fui sorpresa di incontrare il suo sguardo. Sul suo viso, un sorriso sghembo.
Corrugai la fronte. «Mi stavi per caso osservando?» ridacchiai.
Lui scosse il capo. «No, certo che no… ma ho i muscoli del collo che si muovono da soli, mi spiace, ma non posso controllarli». Fece spallucce.
Gli diedi una piccola spinta con la spalla. «Bella questa.» osservai prima di portarmi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Dannatamente bella.» mormorò e la sua voce parve una lieve carezza, miele sulla mia pelle.
Alzai lo sguardo su di lui ed abbozzai un sorriso imbarazzata, poi lui si fermò e guardò dietro di me. «Ci siamo.»
«Di già?» mugugnai voltandomi e accorgendomi all’istante di ciò che avevo pronunciato senza pensare. Strizzai gli occhi, dandomi della stupida. Poi, mi voltai.
«Intendevo… è passato in fretta il tempo.»
Lui annuì sorridendo. «Certo, ovvio.»
Ridussi gli occhi a due fessure. «So a cosa stai pensando.»
«Sul serio?»
«Certo.»
Lui sorrise ed incrociò le braccia al petto. «Sentiamo.»
«Tu pensi che io si una totale imbranata e, date le ultime… performance, potrei anche darti ragione. Ma, sai, Pattinson, mai fermarsi all’apparenza.» annuii alle mie stesse parole poggiandomi con una spalla allo stipite della porta.
Robert annuì piano col capo, con lo sguardo concentrato su un punto indefinito del mio abito. Poi alzò lo sguardo e scrollò le spalle. «Sbagliato.», e sorrise.
«No, non è vero.» sbuffai dandogli una leggere spinta.
«Sì, è vero. Ritenta, Morel.» disse con leggere malizia nella voce.
Aprii la bocca per parlare, ma la richiusi immediatamente rendendomi conto che, in realtà, non avevo nulla da dire.
«Ti serve una mano, Audry?» chiese innocentemente.
Arricciai le labbra. «No.» lo sfidai mettendomi dritta ed incrociando come lui le labbra al petto. «Allora,» esordii, «tu stai pensando che… che… che io non so a cosa tu  stia pensando!» esultando puntandogli un dico contro, poggiandolo un attimo sul suo petto.
Sorride, ma scosse il capo. «Non ci siamo ancora.»
«Ah, no?» chiesi accigliandomi.
«No.» mormorò poggiando un braccio sullo stipite della porta, quasi sovrastandomi. Il suo profumo mi inondò i polmoni dandomi alla testa. Cercai di mantenere un minimo di controllo, ricordai all’istante le sue labbra sulle mie, una sensazione che mi si rivelò tanto potente da poterne gustare il sapore sulla lingua.
«Potrei dirti cosa sto pensando io.» mormorai con bocca secca, annegando nel mare dei suoi occhi.
«Uhm… e a cosa stai pensando, Morel?» chiese. Il suo viso era vicinissimo al mio, tanto che in un secondo avrei potuto annullare la distanza che era a separarci.
«Che vorrei baciarti.» soffiai col fiato corto.
«Guarda un po’,» mormorò avvicinandosi piano, «è ciò che penso anche io.», ed annullò la distanza che vi era fra noi. Le sue labbra di mossero piano sulle mie, quasi avesse paura di romperle. Dolcemente si incastrano fra loro, mentre affondavo le mie mani fra i suoi capelli che, in quel momento, mi parvero della stessa consistenza della seta. Le sue, invece, si posarono delicate sui miei fianchi, attirandomi a sé.
Mi allontanai dal suo viso quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. «Mi stai viziando.» mormorai.
«Potrei dire lo stesso.»
«Sei stato tu a baciarmi ora… e prima. Potrei…», ma non riuscii a terminare, temendo una sua reazione.
E se quella sera fosse solo un episodio? Se avevo frainteso? Se il giorno dopo avesse fatto finta che non si fosse stato nulla?
«Potrei?» domandò con voce roca.
Deglutii rumorosamente. «Potrei desiderarne ancora domani.» sussurrai sfiorandoli la mandibola con i polpastrelli. Lui dischiuse le labbra prima di chiudere gli occhi.
«Come potrei non desiderarne altri, Audry.» disse aprendo gli occhi e puntando lo sguardo nel mio. Il mio cuore, a quelle parole, incespicò prima di accelerare vertiginosamente i suoi battiti. Mi morsi il labbro inferiore poggiando la fronte nell’incavo del suo collo.
«Hai un buon profumo.» mormorai sulla sua pelle calda. Robert mi cinse le spalle e mi strinse a sé, poggiando il mento sul mio capo, io circondai con le braccia il suo addome.
«Mi ignorerai domani?» chiesi chiudendo gli occhi e poggiando le guancia sulla sua spalla.
«Non ti ho mai ignorata, Audry. Non potrei farlo mai.» sussurrò al mio orecchio, carezzandomi i capelli.
Alzai il capo, per guardarlo in volto e sorrisi. «Che situazione assurda.» mormorai scuotendo il capo e poggiandomi ancora a lui, ma mi allontanò da sé tenendomi per le spalle.
«Che intendi dire?» chiese con l’ombra di un sorriso.
Allungai le braccia sporgendo il labbro inferiore. «Ehi che fai?» dissi circondando con le braccia il suo addome e stringendomi a lui.
Sorrise sommessamente. «Sì, sei strana.»
«Forse.» dissi un risolino. «Comunque intendevo dire che… tutto ciò è strano... e non mi dispiace.»
Rise. «Avevo avuto un sentore.»
«Shakespeare direbbe che è colpa della luna.» aggiunsi.
Per qualche istante rimanemmo così, immobili, stretti l’uno all’altra, prima che mi allontanassi.
«Forse è meglio andare.» mormorai guardandolo negli occhi.
«Lo credo anch’io.», abbozzò un sorriso.
«Ci vediamo domani.» mormorai passandomi una mano fra i capelli, cercando di ignorare la parte di me stessa che urlava di trattenerlo.
«Sì. Buona notte, Morel.» mormorò sfiorandomi il viso con una mano.
«Buona notte, Pattinson.» risposi ed attesi quel bacio che non arrivò.
Corrugai la fronte e sbuffai. «Hai intenzione di non farlo più?» chiesi quando fece un passo indietro.
«Cosa?» chiese sorridendo.
«Lo sai.»
«No, non lo so. Perché non me lo mostri?»
Rotai gli occhi e sospirai, poi feci spallucce e mi avvicinai a lui, alzandomi sulle punte per baciarlo a fior di labbra. «’notte». Mi allontanai e sorrisi.
Sul suo viso vi era un’espressione compiaciuta. Fece un inchino e poi, strizzandomi un occhio, si allontanò.
L’osservai con il cuore palpitante d’affetto ed emozione, prima di entrare in camera. Chiusi la porta e mi poggiai su essa lasciandomi poi cadere. Con un braccio poggiato su una gamba piegata osservai la stanza. Poggiai il capo alla porta e risi di felicità chiudendo gli occhi e osservando l’immagine del suo viso dipinta sulla palpebra chiusa del mio occhio.


La radiosveglia suonò alle sette in punto e, mugugnando, tastati il comodino per poi spegnerla, facendo cadere tutto ciò che vi era poggiato sul ripiano. Mi portai il cuscino sulla testa, speranzosa di cadere ancora dolcemente fra le braccia di Morfeo, quando, una strana immagine, forse un ricordo, mi si stagliò davanti, come fosse… reale. Scattai a sedere e sgranai gli occhi, per poi strizzarli con forza. L’immagine, si rivelò ancora, e capii che non era un sogno che non era sciocca immaginazione che le sue labbra sulle mie erano stati reali, che, quel momento, non era frutto di una speculazione della mia mente che piano degenerava. No, era… era realtà.
Mi passai una mano sul viso, poggiando il gomito sul ginocchio e sorrisi. «Non è possibile.» dissi prima di perdermi in un risolino. «Non è possibile.» ripetei.
Alzai lo sguardo e mi voltai verso la finestra. Scesi dal letto e mi diressi verso il vetro, poggiandoci sopra la mano. Un sole, timido come la luna a mezzanotte, illuminava il campus deserto, la strada trafficata da poche auto. Osservai un tre ragazzi rientrare nel dormitorio, ridacchiando fra loro e tirandosi spinte.
Sorrisi senza rendermene conto. Mi sentivo il viso in fiamme, scossa ancora dal ricordo della sera prima.
Sopirai e, quasi saltellando, mi diressi in bagno per una doccia calda. Sotto il getto d’acqua calda diedi il meglio di me stessa, liberando la rockstar nascosta da qualche parte in me. M’infilai un paio di jeans scoloriti e una maglia rossa, prima di afferrare la mia borsa e dirigermi al bar per la colazione. Mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio, mentre fischiettavo e mi dirigevo verso la stanza di Stephanie. Non cercarla, in quel momento, sarebbe stato folle.
Bussai ripetutamente alla porta fino a quando delle imprecazioni mi fece capire che Stephanie era sveglia.
Di scattò la porta si aprì e lei fece la sua comparsa sulla porta, perfettamente in… disordine.
«Sono pronta.» disse chiudendosi la porta alle spalle.
Aggrottai le sopracciglia. «Oh, vedo.» annuii.
«Ascoltami bene… dieci minuto fa ero, con Alice nel paese delle meraviglie.» borbottò passandosi una mano fra i corti capelli, cercando di darli un ordine.
Annuii energicamente. «Ora mi è tutto chiaro.»
«Sei allegra?» chiese quasi scioccata, guardandomi appena terrorizzata.
«Potrei.» risposi facendo spallucce e voltandomi per sorriderle.
Lei sbatté le palpebre confusa, cercando quel tassello mancante per poter completare il quadro e capire finalmente cosa stesse accadendo. «Non dovevi uscire con Pattinson?» chiese grattandosi la nuca.
«Già.» sorrisi.
All’improvviso sgranò gli occhi. «Non dirmi che…» sibilò gesticolando con le mani.
Abbozzai un sorriso e feci spallucce. «Io non ho idea di cosa tu stia parlando.» mi voltai a guardarla e sperai che dal mio sguardo capisse che non volevo ulteriori domande, che l’argomento si concludesse in quel momento.
Per alcuni istanti i suoi occhi rimasero nei miei illuminandosi di gioia, felicità. Chinai d’un tratto il capo, quasi imbarazzata da ciò che lei aveva letto nel libro dei miei occhi.
«Io lo sapevo.»
«Che sarebbe andata a finire così?» chiesi guardandomi la punta delle scarpe da tennis.
«Sì. In fondo… ci ho sempre sparato e anche se non vuoi ammetterlo, nemmeno a te stessa, so che lo speravi anche tu.» disse mentre scendevamo le scale, dirette al pub per la colazione.
Non risposi, conscia che forse aveva ragione… forse.
«Lo rivedrai ancora?» chiese con fare dolce. Mi voltai a guardarla ed accennai un sorriso, quasi involontariamente, al ricordo del suo viso.
«Così si dice.» risposi portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Mi era sempre stato difficile, sì, parlare di ciò che sentivo. Lo era stato con mia madre, lo era stato con lei, la mia migliore amica. Non ero una che esternava i proprio sentimenti con grande facilità, superare il muro che divideva il mio animo dal resto del mondo mi era quasi impossibile e, per quanto mi sforzassi di aprirmi, il tutto risultava impossibile.
«Bene. Io lo sapevo!» canticchiò Stephanie facendomi ridere.
Scossi il capo prima di sospirare. «In fondo, me l’avevi detto.»
Lei fece un risolino prima di circondarmi le spalle con un braccio e stringermi a sé.
«E sai perché?»
«No.»
«Perché ti voglio bene, Audry.»

 

*

05-06-10, ore 15.15: grazie, di cuore.
Ti voglio bene.


Salve gente. Eccomi qui, finalmente. E’ tardi e non ho molto tempo. Domani mattina sono di “studio matto e disperatissimo”, per cui ho deciso di postare ora.
Non ho nemmeno il tempo di ringraziare a modo. E’ un periodo difficile e il tempo manca sempre.
Stupido quinto anno.
Perciò un grazia speciale a:
Piccola Ketty, Ello, Xx_scrittrice_xX, lazzari, Nessi93, winnie poohina, ginevrapotter, Sognatrice85, KeLsey, Bauci_Selvi, Fairwriter, CinziaBella1987, Ryry_, candidalametta e uley.
Grazie, di cuore, ragazze, davvero.


Vostra, Panda.

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