Behind their shoulder

di Happy_Pumpkin
(/viewuser.php?uid=56910)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Win your match ***
Capitolo 2: *** Leaves ***
Capitolo 3: *** What comes is better than what came ***
Capitolo 4: *** The only word you've got to say is... yes ***



Capitolo 1
*** Win your match ***



Piccola premessa:
Argh. Questa è una sasunaru, una sasunaru come la concepisco io, senza troppe ukettosità pucciose di mezzo. E' nostaglica e a tratti inutile, portate pazienza. Doppio argh: è pure sportiva. Non so, forse mi facevo di canne quando ho scritto.
Dedico questa mini-long fiction a delle persone per me importanti. Faccio questa dedica in maniera totalmente sincera, in ordine alfabetico, perché auguro a ciascuna delle destinatarie tutto il bene possibile.

A Bella, con la quale condivido un amore per il trio di Ame (scrivi su di loro**) e visto che entrambe abbiamo scoperto l'erotismo delle MadaIta (scrivi anche su di loro**) Lasciando perdere i miei messaggi poco subliminali, devo proprio ringraziare Deathnote e prì che ci hanno fatto conoscere. Scoprire che fai i miei stessi studi è stata una grande giuoia; ricorda: dobbiamo scavare insieme, eh!

A hu chan, perché è il mio modo per dirti che, qualsiasi cosa succeda, ti sono vicina. Magari l'intera inutilità della storia ti servirà da distrazione, assieme al picchiare sulla tastiera e scrivere fiumi di righe. Sono fiera del tuo traguardo all'università **

A Ila, visto che mesi fa le sono arrivate calze e scarpe - veramente belle - grazie anche ai miei mistici influssi positivi (sì, certo, come no XD) Devi ammettere però che la mia rima magica era proprio ganza *O* Cerca di riemergere dai libri di scuola, ogni tanto, lo studio fa male ù.ù

A Ile, innanzi tutto per sperare che l'esame incombente ti vada alla grande, poi perché magari un giorno inventeranno davvero il teletrasporto e allora potremo sentirci, vederci, parlarci ogni giorno. Eppure, teletrasporto o meno, condividiamo ogni volta sempre tantissime cose e ne sono tanto, tanto, felice.

A Odu, che quest'anno ha la maturità e, pur odiando la filosofia, deve comunque averci a che fare. Vedrai che andrà bene, ne sono sicura. Spero sempre che tu abbia l'ispirazione per continuare a scrivere su Naruto e, perché no, propormi quell'attesa storia ambientanta nell'antica Grecia**

A prì, alla quale per prima, dopo mesi, ho accennato qualcosa di relativo alle sasunaru. Grazie per l'intraprendente spirito suicida mostrato nell'apprezzare la mia produzione letteraria. Mi manca gufettare fino alle due di notte ç__ç







Capitolo I
Win your match




Gli spalti attorno al campo da gioco erano gremiti di folla. D'altronde, la semifinale dei campionati regionali di pallavolo attirava sempre un buon numero di persone. Le scuole che riuscivano a parteciparvi lo dovevano ai duri allenamenti svolti nei mesi precedenti: arrivare a quel traguardo, dopo tante fatiche, era una soddisfazione. Ciò che contava in seguito era semplicemente vincere.

Shikamaru osservò gli avversari alla battuta, non senza una certa apprensione perché avevano un eccellente servizio. Doveva ammettere, però, che la difesa della propria squadra era comunque su buoni livelli. L'imprevedibilità, era il vero problema: lui che era abituato alla riflessione e agli schemi, detestava che qualcosa andasse contro i suoi progetti.
La sua agilità mentale gli consentiva, tutto sommato, di arginare le problematiche improvvise con una strategia fulminea e, così, evitare il disastro.

Era l'ultimo set: dovevano giocarsi il matchpoint contro l'Ueta. Al momento, soltanto un punto distanziava le due squadre: bastava un errore, un microscopico sbaglio e la sconfitta sarebbe stata dietro l'angolo per entrambe le contendenti.

Shikamaru si terse il sudore dalla fronte, assottigliò gli occhi, osservò attentamente dove si posizionava il battitore e con un gesto della mano avvisò i suoi compagni di tenersi pronti.

L'arbitro fischiò. Il ragazzo alla battuta si elevò in una schiacciata e lanciò la palla oltre la rete: un servizio rapido, veloce e piuttosto infido visto che superava la prima linea.

Non appena udì il fischio dell'arbitro, Shikamaru corse al suo posto di alzatore. Kiba, a centro campo, ebbe una prontezza sufficiente da ricevere il servizio con un bagher ben controllato. Allora, l'alzatore fu pronto a compiere il suo lavoro: alzare la palla allo schiacciatore.

A dire il vero, il suo era un compito non facile. Anche adesso, nel mezzo della partita, con il fiato degli avversari sul collo, la tensione e il cuore che pompava sangue, ossigeno, adrenalina, Shikamaru seppe che, scegliendo uno solo dei due schiacciatori, avrebbe fatto inevitabilmente un torto all'altro.

Ormai, non si trattava più di favoritismi o preferenze; contava solo una cosa: portare la squadra alle finali.

Strinse i denti e fu questione di pochi secondi. Pochi secondi per decidere, facendo la differenza.

In precedenza aveva notato un buco nella difesa degli avversari; forse, ipotizzò prima di piegare le dita per accogliere la palla, quella falla difensiva sarebbe stata sufficiente per creare un po' scompensi. Nel momento in cui fletté i gomiti, così da alzare, comprese chi sarebbe stato il giocatore giusto.

“Sasuke!” gridò.


Il ragazzo era già pronto. Aveva le gambe piegate, lo sguardo serio e adombrato, le labbra assottigliate. I muscoli guizzarono nello scatto in avanti: tre soli passi, per arrivare in un salto a sorpassare la rete, tendere la mano e schiacciare.

Ma non c'era alcuna palla nella sua traiettoria quando si elevò: mimò il gesto e, facendolo, si rese conto di aver recitato una perfetta finta. La palla, infatti, spettava soltanto a Naruto.

Naruto, l'ultimo entrato nella squadra. Naruto che, nonostante fosse stupido e testone, aveva compreso perfettamente le tattiche ideate da Tsunade e percepiva, con sorprendente precisione, il momento in cui toccava realmente a lui.

Il giocatore dai capelli biondi, gli occhi lucidi dall'attenzione e la tensione, era corso immediatamente in avanti e nel vedere la palla alzata da Shikamaru, che gli dava le spalle, inconsapevolmente sorrise. Per un solo istante, ebbe il terrore di perdere quell'opportunità, lasciandosi sfuggire la schiacciata dalle mani. Ma in seguito, non appena il palmo della sua mano toccò la palla, realizzò di essere riuscito a raggiungerla; allora schiacciò, con tutta la forza che aveva in corpo, la rabbia accumulata in quei mesi d'allenamento, la passione che metteva in un gioco amato con tutto se stesso.
Il suo lancio, preciso e potente, sorpassò il muro avversario e non venne intercettato dalla difesa che, come aveva osservato Shikamaru, aveva lasciato uno spazio di troppo: errore imperdonabile in una semifinale di tale portata.

L'arbitro fischiò.


In quel preciso istante tutto il campo si zittì: la folla rimase con le bocche semiaperte, gli striscioni tra le mani e gli incoraggiamenti sospesi. I giocatori si fissarono gli uni con gli altri, in un secondo di stupore. E poi, alla fine del fischio, Shikamaru e i propri compagni di squadra realizzarono di aver vinto la partita. Avevano vinto e un solo suono era stato sufficiente a decretare la fine di cinque set giocati sul filo del rasoio.


Fu Naruto il primo ad esplodere in un grido di gioia e, in qualche modo, di liberazione:

“Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!” lo ripeté più e più volte, rosso in gola, con le lacrime agli occhi che si mischiarono al sudore.

Ricevette il caloroso abbraccio dei suoi compagni di squadra: un abbraccio unico, che rese i protagonisti simili a una sorta di sfera caotica e rumorosa. Anche Sasuke, suo malgrado, venne coinvolto dall'esultanza generale. Dopo aver sospinto l'irruento abbraccio di Kiba, dovette sorbirsi la festosa allegria di Naruto che gli batté pacche sulle spalle e, tronfio nonché megalomane come al suo solito, non si risparmiò nemmeno di alzare le dita al cielo in segno di vittoria e farsi una corsa sotto gli spalti.

Sasuke, sospirando, scosse la testa per poi prenderlo per il collo della maglia e ribadirgli:

“Stupido, non è una partita di calcio.”

Naruto, stranamente, non si offese della provocazione: “Dai, Sasuke, abbiamo vinto. Divertiti!”


Divertiti.

Suonava davvero semplice quell'incoraggiamento. Sasuke prese uno degli asciugamani dalla panchina e, portandoselo al collo, guardò la gente esultare, applaudendo con un certo vigore. Rispetto al silenzio di pochi minuti fa, sembrava essere scoppiata l'Apocalisse. Non mancò di notare la delusione cocente degli avversari: avevano il volto rigato dalle lacrime. Piangevano per una sconfitta che aveva segnato il futuro, almeno per quell'anno.

Forse anche lui, se avesse perso, avrebbe rischiato di piangere. La pallavolo era la sua vita. Dedicava ore agli allenamenti, a studiare schemi assieme all'allenatrice e ai compagni di squadra, giornate intere spese a correre, a fare esercizi. E le notti... quante notti passate a studiare, per recuperare il tempo speso durante il giorno. Spesso, crollava sulla propria scrivania, risvegliandosi al mattino con la sensazione di non aver concluso nulla.

Avrebbe voluto essere in grado di fare tutto, risultando pur sempre il migliore. In quel periodo della sua esistenza, Sasuke sentiva di riuscire ad essere realmente se stesso esclusivamente giocando a pallavolo: in campo, tra i suoi compagni, arginava la sua voglia di rimanere da solo e si sentiva parte di qualcosa. Poi, l'ebbrezza della vittoria, la tensione della competizione... ogni sensazione, gli ricordava di star compiendo un gioco anche per sé. Si sentiva invincibile e niente, come la pallavolo, poteva trasmettergli quella sublime illusione.

Ad un certo punto, si sentì chiamare. Voltandosi si rese conto che era uno dei giocatori avversari, venuto a complimentarsi nonostante il viso fosse ancora umido dalle lacrime.


“Avete giocato davvero una bella partita.” disse, con voce un po' soffocata.


Si strinsero la mano.


“Anche voi.” ammise sinceramente Sasuke.


Osservò il ragazzo andarsene. Probabilmente, lui non sarebbe riuscito a fare lo stesso: andare dal proprio avversario e complimentarsi dopo aver subito una sconfitta. Naruto, invece, ci sarebbe riuscito eccome; con un sorriso, nonostante l'amarezza, avrebbe stretto la mano che li aveva fatti perdere. Perché era entusiasta al limite del masochismo nel trovare squadre superiori, capaci di metterlo alla prova.


“Te la sei presa perché Shikamaru ha scelto te, anziché Naruto?”


Sasuke guardò diversi secondi Tsunade. Non gli ricambiò lo sguardo direttamente ma, con le braccia incrociate, un cappellino sulla testa dagli scompigliati capelli biondi, contemplava soddisfatta la propria squadra.


“No – negò Sasuke, impassibile – Shikamaru ha fatto quello che riteneva giusto.”


Certo, gli dava fastidio non essere stato lui a segnare il punto della vittoria, ma non era così infantile per prendersela. Ovviamente, se avessero perso a causa di Naruto glielo avrebbe fatto rimpiangere per tutta la vita.


L'allenatrice si girò e sorrise, per poi alzare le spalle: “Meno male, la pensavo diversamente. Allora direi che stasera puoi venire a festeggiare assieme a noi.”


“Se ne avrò voglia.” ribadì il ragazzo stando sul vago.


“Io scommetto di sì.” disse lei, con fare un po' complice.

Poi si allontanò e prese Naruto per le orecchie, visto che stava per arrampicarsi sugli spalti così da raggiungere la piccola tifoseria della propria scuola.

Al vedere quella scena, ripensando alle ultime parole di Tsunade Sasuke sorrise.
Quella, fu l'ultima partita di pallavolo che giocò con il Takeguji.

*

L'estate precedente Naruto, in occasione delle vacanze estive, era entrato a far parte del Takeguji, dopo essersi trasferito da poco nella scuola. Venne accolto bene dagli altri componenti, anche se ogni tanto questi si divertivano a prenderlo in giro perché veniva da un paesino campagnolo nel cuore dell'Hokkaido e non aveva mai visto il mare.

Da loro, invece, il mare era il protagonista di ogni estate e gli allenamenti continuavano anche in quell'occasione. Qando la palestra non era disponibile, al mattino c'era sempre la spiaggia: chilometri e chilometri di sabbia, da percorrere insieme correndo. Appoggiando i piedi sul lungomare, l'acqua marina esplodeva in tante gocce d'acqua e per un solo istante tantissime impronte vivevano sul terreno sabbioso, per poi venire cancellate dalla mano del mare.


Sasuke si sarebbe sempre ricordato quella mattina d'estate.


La squadra, accompagnata da Tsunade, aveva appena finito di correre. Mentre l'allenatrice si era seduta senza troppe cerimonie sulla sabbia, posando a terra la sua borsa con un fida bottiglia di saké e alcune carte con schemi da studiare assieme agli allievi, gli altri avevano deciso di buttarsi in mare, lanciando in aria le proprie magliette.


Kiba era stato il primo a tuffarsi: dopo una corsa e un salto, scomparve tra le onde, per poi riemergere rumoroso come al suo solito. Shikamaru, sbuffando, era rimasto sdraiato sulla riva sdraiato, con le braccia incrociate dietro la testa e le gambe accavallate.

Neji aveva tentato di rimanere in disparte, nella sua ottica di capitano, ma Kiba lo aveva preso per un braccio fino a gettargli la testa sotto l'acqua; certo, l'irruenza di Choji nel gettarsi tra le onde aveva sicuramente contribuito a infradiciare il compagno di squadra. Lo stesso Choji che, pur sfiancandosi negli allenamenti, non dimagriva neanche di mezzo chilo; allora, dando per impossibile una dieta, accompagnava la fine di ogni allenamento con un pacchetto di patatine o, meglio ancora, una capatina al ristorante take-away più vicino.

Sasuke si era seduto sulla spiaggia. Ogni tanto guardava gli altri tuffarsi in mare, per poi chiudere gli occhi e pensare a niente in particolare. Grazie alla risacca, non gli dava nemmeno più di tanto fastidio il vociare dei suoi compagni e, tutto sommato, ciò rendeva quel momento di pausa piuttosto piacevole.

Almeno, finché un Naruto fradicio, coi capelli grondanti d'acqua, i pantaloncini zuppo e il sorriso entusiasta, non gli si piazzò davanti coi pugni sui fianchi e uno sguardo trionfante:

“Allora, quand'è che ti decidi a entrare in acqua?”


Sasuke alzò la testa e lo studiò con tutta l'aria irritata di cui era capace:

“Mai.” tagliò corto.

Di solito, gli altri rinunciavano e tornavano a farsi gli affari propri. Ma, come scoprì quel giorno, Naruto non era propriamente “gli altri”. Ed era oltretutto più fastidioso e insistente della media umana; dunque, per logica, superava anche le soglie di sopportazione di Sasuke, per quanto basse.


“Avanti – ribadì il ragazzo – non ti costa nulla. Ti alzi, fai un tuffo e quando vuoi esci.”


“Facciamo così – propose Sasuke, fingendo una calma che non aveva – tu giri la schiena, ti tuffi e quando vuoi esci. Io sto qui seduto, mi faccio gli affari miei e quando voglio mi alzo.”


Naruto strinse i denti e dilatò le narici. Lo faceva sempre quando litigava con Sasuke.


“Sai di essere insopportabile, vero? - siccome non voleva risposta aggiunse, alzando le spalle – Perfetto, stai lì come un vecchio. Quando ti vedrò mummificato nella sabbia, non verrò a salvarti.”


“Ecco, splendido, se non lo fai mi faresti un favore.” ribatté.


Naruto strinse i pugni e senza dire una parola se ne andò. A quel punto, Sasuke credette veramente di aver vinto la sua personale sfida contro di lui.

Ma nel momento in cui ricevette una maglietta grondante d'acqua in piena faccia, capì di essersi clamorosamente sbagliato. Con una lentezza impressionate, si tolse il vestito di dosso, si alzò in piedi stringendolo ancora tra le mani e fissò i suoi compagni.

Tutti, persino Kiba, smisero di muoversi. Guardarono a loro volta Sasuke, con la voglia di scoppiare a ridere per l'impagabile scena di vedere lui, orgoglioso e sempre distaccato, stare immobile coi capelli fradici, lo sguardo irritato e una maglia non sua tra le mani.


Poi, la goccia che fece traboccare il vaso: Naruto, tenendosi le braccia attorno alla vita, scoppiò a ridere. L'Uchiha si diresse contro a passo di carica e, dopo aver gettato la maglia in acqua, gli si lanciò addosso. Fu divertente vedere i due compagni di squadra accanirsi l'uno nei confronti l'altro per poi finire platealmente in acqua, tra schizzi di schiuma marina, bolle e un dimenarsi di piedi.


Quando realizzò pienamente la stupidità di una lotta senza né capo, né coda, Sasuke si arrestò, allontanando con uno spintone Naruto. Rimase in piedi, immerso fino all'ombelico.


“Sei infantile, oltre che irritante.”


Naruto rise: “Non sono stato io a entrare fino in acqua per giocare.”


“Non stavo giocando. Specialmente con te.” sbottò il ragazzo.


Fece per andarsene e uscire; fu allora che Naruto ne approfittò per tirare fuori la lingua e fare una smorfia. In quel preciso istante, Sasuke si voltò un'ultima volta; vedendolo, faticò a trattenere un sorriso, ma per amor proprio non esitò a muovere un passo verso di lui e spingerli la testa sott'acqua.

In fondo, era divertente per una volta non pensare realmente a nulla. Naruto si dibatteva e trascinava anche lui, mentre gli altri li incoraggiavano; già Kiba aveva scommesso 500 yen che avrebbe vinto Naruto.

Tsunade, chiudendo la bottiglia di saké, sorrise nel guardare i suoi alunni divertirsi e stare insieme spensierati. Naruto, con il suo entusiasmo contagioso, aveva portato allegria e voglia di fare in quella piccola squadra non troppo importante. Sentiva che tutti, insieme, sarebbero riusciti a creare qualcosa di grandioso.


Vedere Sasuke partecipare, stare al gioco e arrabbiarsi, la sorprese e parallelamente la fece sentire più sicura; sicura che, in un modo o nell'altro, anche lui voleva essere parte di quel gruppo, per quanto amasse stare sempre sulle sue. Aveva bisogno di un rivale e di una spinta che facesse emergere quella competitività e quella voglia di vivere che possedeva: quel rivale, quella spinta, altri non era che Naruto.


Dopo che che tutti uscirono dall'acqua, si sedettero sulla sabbia. Kiba era sdraiato con le braccia e le gambe spalancate a prendere il sole; ogni tanto si grattava una guancia con la mano, ricordando un cane infastidito dai granelli di sabbia infilati tra la pelliccia.

Poi di tanto in tanto spendeva qualche parola per discutere con Naruto su chi fosse stato il miglior giocatore di pallavolo del Giappone. Entrambi difendevano ostinatamente le proprie posizioni e non volevano saperne di dar ragione all'altro.

Shikamaru si limitò a sospirare e a chiudere gli occhi; ma se come lui anche Neji e Choji tutto sommato riuscirono a ignorare i due rumorosi litiganti, Sasuke minacciò con tono di voce straordinariamente controllato:


“O tacete, o andate a litigare lontano da qui.”


Kiba borbottò qualcosa in protesta, poi svogliatamente si girò con la pancia sulla sabbia, lasciando la schiena scoperta al sole.

Naruto, seduto con le gambe incrociate, mise il broncio. Dopo aver atteso diversi istanti, annoiato dal silenzio della spiaggia si alzò in piedi, scrollandosi la sabbia di dosso, e propose:

“Ho un'idea: perché non costruiamo una rete da pallavolo qui sulla costa? Allenarsi sulla sabbia farà bene e poi magari riusciamo a coinvolgere anche gli altri ragazzi della zona. Sarà divertente!”


Tutti e sei i componenti, allenatrice compresa, lo guardarono perplessi diversi istanti. Poi Shikamaru ammise, alzando le spalle:


“Perché no? Non è male, in fondo. Anche se non ho per nulla voglia di mettermi lì a montare reti finito di correre.”


Kiba si alzò a sedere e, dopo essersi infilato un dito nell'orecchio per togliersi dei grumi di sabbia, commentò:
“In effetti l'esagitato qui non ha tutti i torti. Tutti insieme dovremmo fare abbastanza in fretta.”


“Che ne pensa, Tsunade? - domandò Choji, gonfiando pensieroso le guance – Ah, magari possiamo mettere su un chiosco. Finiti gli allenamenti viene fame e non è facile trovare negozi aperti anche di domenica.”


L'allenatrice si massaggiò il mento, infine inaspettatamente sorrise:

“Ma sì, non avete tutti i torti. Avremo uno spazio tutto nostro e, come dice Naruto, possiamo coinvolgere anche altri giovani. Più iscritti per la nostra scuola, non male davvero. Oltretutto il preside mi darebbe un incentivo sullo stipendio, ultimamente sono sempre al verde e... - prima di infangare ulteriormente la sua reputazione, vista la natura di cattiva investitrice, si riscosse e scattando in piedi esclamò – avanti, pelandroni! Muovete il sedere e andate fino alla palestra per prendere tutto l'occorrente!”

“Muovete? - domandò Shimakaru, inarcando un sopracciglio – E lei non viene con noi?”


“Nah, io sono l'allenatrice: non ho bisogno di sfiancarmi, a differenza di voi. Andrò a fare un saluto nel bar di Jiraiya, almeno lì farà fresco mentre vi aspetto.”


Cercò di far finta di nulla, ma tutti sapevano che andare a fare un saluto, in realtà voleva dire bersi un bicchiere di saké. Quanto al fresco del locale, indubbiamente aveva ragione: meglio che stare sulla spiaggia sotto il sole, anche se ne avrebbe giovato l'abbronzatura.


Accettando quel compromesso poco equo, la squadra si incamminò, Shikamaru con le chiavi della palestra i mano e gli altri spintonandosi scherzosamente.

Solo Sasuke era rimasto immobile, con le braccia incrociate. Naruto, voltandosi, lo vide e consigliò agli altri di proseguire. Allora, gli andò incontro e domandò, nonostante sapesse già la risposta:

“E tu non vieni?”


“No. Non ho tempo da perdere in sciocchezze. Quest'anno abbiamo il campionato.”


Naruto sospirò: “Senti, so di venire da fuori. Ma tu dammi tempo e vedrai che imparerò come stare in questa squadra. Fino ad allora, ritienimi pure uno stupido esaltato noioso, liberissimo di farlo, ma... - si fece serio, quando ribadì – ricorda sempre che io amo la pallavolo esattamente quanto la ami tu. Ogni cosa che faccio, la faccio per migliorare, crescere, e giocare da campione.”


Fu con quelle parole, che Sasuke realizzò di non aver mai compreso realmente Naruto. Ingiustamente, in quel poco tempo lo aveva considerato alla stregua di un qualsiasi un ragazzo superficiale, capace solo di divertirsi e sorridere. Invece, possedeva la sua stessa passione, la sua stessa competitività che lo portava sempre e solo a cercare di dare il meglio di sé.


Si fissarono negli occhi.

Poi, dopo un istante, Sasuke fece presente:
“Non stare imbambolato a guardarmi. Ti ricordo che abbiamo una rete da costruire.”

Dicendo questo lo toccò appena sulla spalla e scattò in avanti, voltandosi solo per accennare ad un sorriso. Naruto, colto di sorpresa, scoppiò a ridere e poi, aggrottando le sopracciglia, lo rincorse: i suoi passi sollevarono nuvole di sabbia e la risacca, il vento, il sole, asciugarono la propria pelle odorosa di salsedine. La maglietta in una mano svolazzava come uno stendardo, mentre Sasuke correva con la propria, fradicia, indosso.


*

Sdraiato sul letto intento a fissare distrattamente la tappezzeria rovinata della stanza, Naruto ripensò a quel giorno. Si chiese come stesse Sasuke, anche se già sapeva cosa provasse. Tuffando il volto nel cuscino, avvertì il senso di colpa farsi strada.
Rimpianse di aver proposto la creazione di quello stupido campo da gioco: se non l'avesse fatto, a quest'ora tutto sarebbe stato diverso.

Eppure, quell'estate nessuno avrebbe pensato che gli eventi avrebbero potuto prendere una piega simile. Forse proprio perché era estate e credevano di avere il futuro davanti, insieme.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Leaves ***




Capitolo II
Leaves



La sera della vittoria, l'intera squadra aveva organizzato una cena al ristorante di Jiraiya, il cui proprietario diversi mesi fa aveva cessato l'attività sulla spiaggia in modo da trasferirla verso il centro. Per via dell'occasione speciale, il locale era stato chiuso  così da ospitare comodamente non solo i giocatori ma anche i loro amici e sostenitori. Tsunade, assieme a Sakura e Ino, era arrivata con un certo anticipo per aiutare Jiraiya a preparare le portate. Aveva tra le braccia buste contenenti pregiata carne di Kobe, riso e verdure, mentre sia Ino che Sakura si erano occupate di trasportare saké e bevande analcoliche.
Fu divertente stare tutti insieme nella cucina attrezzata ma senza troppe pretese, con un grembiule in vita, un mestolo in mano e la pentola sul fuoco.
L'estate scorsa Jiraiya aveva il bar sulla spiaggia ma, trasferendosi, aveva rivoluzionato radicalmente il luogo: era passato infatti a gestire un ristorante di ramen, pur conservando un angolino più informale, dedicato alle chiacchierate con gli amici. Era sempre stato un tipo espansivo, pronto ad offrire un sorriso allegro a chiunque fosse particolarmente giù di morale.
A volte, quando Tsunade entrava e aggiornava il proprietario sulle ultime novità, credeva di avvertire ancora l'odore del mare che impregnava le sedie in vimini presso l'ingresso. Si immaginava le impronte di piedi, spuntate sul pavimento non troppo lucido per colpa di un incauto Choji che poco si preoccupava di asciugarsi nel momento in cui bisognava mangiare.
Eppure, tutto era destinato a svanire. Si sentiva solo il profumo del ramen, della salsa di soia sul bancone e il piccante del wasabi. Non c'era più niente di quell'estate.
Affettando in strisce sottili la carne, si rimproverò per quella nostalgia che avvertiva. Davvero stupido pensarci dopo una vittoria simile.
Quando vide che Jiraiya, chiacchierando del più e del meno, anziché controllare l'olio spiluccava beatamente da una ciotola, lo colpì con l'ampio mestolo in legno:
“Giù quelle zampacce!”
Jiraiya ritrasse la mano, scrollandola: “Ahi! Tsunade sei una donna molesta! Che differenza vuoi che faccia, un pezzo in più o uno in meno.” sbuffò.
“E tu sei un uomo insopportabile. Ora cerca di fare qualcosa, altrimenti ti caccio dalle cucine.”
Assottigliò gli occhi e aggrottò le labbra rosse in una smorfia, puntando vagamente minacciosa il mestolo in avanti.
“Va bene, va ben...” ma non finì di parlare che Sakura, finendo di impanare le verdure per il tenpura, esclamò precipitandosi verso i fornelli.
“L'olio! Sta bruciando!”
Tsunade e Jiraiya accorsero a loro volta, lasciando perdere ciotole e liti imminenti.
Ma ormai era troppo tardi: l'olio scurito sembrava contemplarli tristemente dal wok.
“Oh, cavoli.” borbottò Jiraiya.
Rimasero a fissare diversi secondi la larga padella, finché Sakura trattenne malamente una risata, gonfiando le guance, e poi non resistendo scoppiò a ridere senza un motivo preciso. Forse a causa delle buffe facce perplesse di Jiraiya e Tsunade, forse per l'atmosfera allegra che si respirava.
Ad ogni buon conto, alla fine risero anche loro. Quando Ino entrò, rimase spiazzata a guardare i tre ridere, con l'odore di olio bruciato che aleggiava nelle cucine e un mestolo caduto a terra.

Sasuke aveva bussato alla porta dell'appartamento di Naruto. Non si aspettava certo che gli venisse ad aprire nel giro di un nanosecondo con un sorriso smagliante, il vestito perfettamente a posto e i capelli ordinati. No, non era mai stato un illuso in fin dei conti. Ma nemmeno avrebbe creduto di dover sentire il rumore di oggetti che cadevano, un imprecare malamente soffocato e qualcosa di vicino a una mandria di bufali che si avvicinava alla porta.
Dopodiché, sorprendentemente, Naruto gli venne ad aprire in canotta, pantaloncini, in testa il fido cappellino a forma di animale non meglio identificato e una mano appoggiata sul gomito.
“Sono inciampato.” si giustificò, prima che Sasuke potesse anticiparlo.
Questi fece una smorfia divertita poi notò: “E già che inciampavi hai pensato bene di trascinare con te anche gli scatoloni accumulati da mesi, vero?”
Era una stanza piccola, quindi Naruto poteva dirsi fortunato a non avere un compagno con cui condividere la  camera del collegio. Probabilmente, disordinato com'era, avrebbe rischiato di venire assassinato di notte.
“Ne ho messi a posto un bel po' da quando sono arrivato.”
D'estate. Ora siamo in primavera. A quest'ora avresti dovuto finire da un bel pezzo.” notò con un velo di amichevole acidità.
Naruto sbottò: “Senti, sei venuto fin qui per darmi un passaggio o per farmi la predica?”
“Per ricordarti che, almeno stasera, devi essere puntuale, razza di stupido. Anche se non nego che esercitare una certa pressione psicologica su di te dia le sue soddisfazioni.”
“Certo, come no – borbottò, scostandosi poi dalla porta – entra un secondo, mi cambio e sono pronto.”
Senza aspettare una risposta, si allontanò raccattando malamente gli oggetti caduti per buttarli alla rinfusa in uno degli scatoloni. Fece una corsa e andò in camera, cercando contemporaneamente di togliersi la canotta.
Sasuke sorrise. Nonostante si sentisse un po' a disagio, si sedette sulla sedia della piccola sala. Lì osservò il cucinino affollato di pentole che ancora odoravano di ramen, il videoregistratore d'antiquariato con accanto svariate partite di pallavolo registrate, i libri di scuola accatastati in un angolo. Ogni singolo centimetro di disordine appartenente a quel luogo, in qualche modo rispecchiava l'animo allegro, entusiasta e pieno di vita di Naruto.
Poi, se lo vide arrivare con una maglia nera che faticava a passare per la testa e un paio di jeans dal fondo un po' sdrucito.
“Se quel testone enorme ti cresce ancora, dovrai cercare di prendere seri provvedimenti.” ironizzò Sasuke, alzandosi in piedi.
“Non ho il testone – protestò, riuscendo finalmente a sistemarsi il vestito – sono le maglie ad essere piccole.”
“Certo.” annuì, falsamente convinto.
Allora, il compagno di squadra lo spintonò, per poi trattenere una risata.
Insieme uscirono di casa, dopo che Naruto si era ricordato all'ultimo di portare delle bevande analcoliche, nella sacrosanta convinzione che quei bevitori incalliti di Jiraiya e Tsunade si fossero dimenticati di avere dei minorenni a tavola.
Ovviamente, Sasuke non aveva una fiammante macchina sportiva ad attenderlo sotto casa. Bensì, era lui, in compagnia di Naruto, a dover aspettare alla fermata che un fantastico bus li conducesse fino in centro.
D'altronde, a entrambi andava bene così: Naruto era perennemente in ritardo agli appuntamenti; Sasuke arrivava anche troppo in anticipo. Con quel compromesso, riuscivano ad equilibrarsi splendidamente. A lungo andare, fare il viaggio insieme era diventata un'abitudine irrinunciabile: l'eventuale mancanza del compagno di viaggio, avrebbe colmato entrambi di un senso di vuoto e forse anche di una solitudine più celata.
Sul bus fu Naruto, come sempre, a parlare del più e del meno. Sasuke ascoltava, fingendo di essere seccato, anche se in realtà in un modo o nell'altro l'amico riusciva sempre a trascinarlo in un dialogo spontaneo, per merito – o per colpa, a seconda dei punti di vista – della sua maniera entusiasta di vedere le cose.
Quella sera in particolare si ritrovarono a conversare sulla finale, sul buffo approccio di Kiba con le ragazze quando usciva ancora sudato dagli spogliatoi, persino su come riuscisse Shikamaru, anche il giorno di un match, a farsi il riposino dopo pranzo.
Improvvisamente, guardando fuori dal finestrino, Naruto domandò: “Chissà in che condizioni sarà il nostro campo di pallavolo sulla spiaggia. Ieri non sono andato a controllarlo; dovremo farci una bella partita uno di questi giorni.”
“Starà bene. Il tempo è sempre stato clemente.” lo rassicurò Sasuke, con fare piuttosto impersonale.
“Già – confermò Naruto, non troppo convinto – è che, sai, lì abbiamo iniziato a fare amicizia, a stringere con gli altri della squadra. Quanta gente si è riunita con noi d'estate, quante partite, scherzi, bagni... se cadesse tutto a pezzi, credo che qualcosa andrebbe perso per sempre.”
“Sono solo assi di legno e reti.” fece presente, fissandolo.
Naruto continuò a guardare fuori. Contemplò il paesaggio primaverile che scivolava accanto a loro, veloce e inesorabile.
“Il prossimo anno sarà l'ultimo che passeremo insieme. Finito quello, la nostra squadra non esisterà più. Almeno, non come noi la conosciamo.”
Il ragazzo dai capelli scuri scrutò a lungo l'amico. Gli sembrò di non riconoscere più il volto solare di sempre, che pareva invece aver lasciato il posto a una sorta di inusuale espressione malinconica. Naruto cercò di far finta di niente; per difendersi come poteva dall'occhiata indagatrice di Sasuke, continuò a fingersi interessato nei confronti del panorama cittadino. Anche se, con gli occhi umidi, le luci della città diventavano nient'altro che una massa di confusi puntini luminosi.
All'improvviso, il compagno incrociò le braccia e propose, ostentando una certa indifferenza:
“Facciamo così: in qualsiasi momento, in qualsiasi giorno, se il nostro campo rischierà di cancellarsi io andrò sulla spiaggia per evitare che succeda.”
Naruto ascoltò la promessa, sinceramente stupito, e inaspettatamente sorrise. Sapeva che la parola di Sasuke valeva come oro.
A quel punto si portò tronfiamente il pollice al petto e dichiarò:
“Mi impegno anch'io a farlo e... – poi, quando l'autobus si arrestò alla loro fermata, propose – se proprio non possiamo tornare indietro, cerchiamo allora di rendere ogni giorno il massimo.”
In fondo, per una volta aveva ragione. Non sarebbe stato facile, ma tanto valeva provare a cogliere tutto quello che una singola giornata era in grado di offrire.
Durante il breve tragitto che li separava dal ristorante, entrambi i ragazzi notarono che aveva cominciato ad alzarsi il vento. Trasportava l'odore del mare e, chissà, forse nascosto tra le folate vi era persino qualche granello di sabbia rubato alla spiaggia.
Nonostante il locale fosse luminoso, un cartello indicava a chiare lettere che, per quella sera, era chiuso al pubblico. Qualche avventore curioso di tanto in tanto sbirciava oltre le vetrate opache, nel tentativo di scorgere il motivo di quell'aria di festa che aleggiava nel quartiere.
Quando Sasuke e Naruto entrarono, gli altri invitati li accolsero con sorrisi, chiacchiere e amichevoli pacche sulle spalle. Pareva quasi che quel piccolo angolo di mondo fosse diventato in una notte la casa di tutti, un centro caldo verso il quale dirigersi. I tavoli centrali erano stati disposti in maniera tale da formare una lunga fila, dove non mancavano i fornelletti per scaldare la carne e i taglieri su cui posare i grandi piatti colmi di portate.
Naruto si passò una mano tra i capelli arruffati dal vento e mostrò orgoglioso il sacchetto contenente le bevande analcoliche, quasi avesse compiuto un'impresa epocale.
Tsunade aveva sbuffato, sbirciando sospettosa tra le buste, e poi ribatté indignata:
“Cosa ti suggeriva quel cervellino vuoto, Naruto? Era ovvio che avrei pensato anche a voi!”
Dicendo questo scoppiò improvvisamente a ridere e sfregò con un pugno la testa di Naruto, il quale si ritrovò avvinghiato nella morsa della donna. Nonostante i vani tentativi di divincolarsi, alla fin fine le sue poco convincenti proteste vennero rese totalmente irrisorie dai propri palesi sorrisi.
Sakura osservò divertita la scena, dopo aver aiutato Ino a disporre le ultime cose sulla tavolata. Le piaceva trovarsi in quell'atmosfera così allegra e spensierata: tutti, in fondo, dopo tanta tensione avevano bisogno di ritrovarsi insieme e dimenticare, per una sera, i problemi, l'ansia della finale e la consapevolezza che rimaneva solo più un anno da giocare per molti dei compagni.
Era contenta che fosse arrivato Naruto tra loro. Sebbene all'inizio non fosse stato facile per nessuno adattarsi ad un nuovo componente, nel corso dei mesi la squadra era riuscita non solo a ingranare le marce giuste ma anche a migliorarsi.
Lo stesso Sasuke, come notò quella sera, aveva fatto notevoli progressi. Non tanto in ambito tecnico, essendo già di per sé veramente capace, quanto nella sfera sociale: egli era riuscito, seppur nel suo modo un po' scostante, ad entrare maggiormente in contatto con le persone che gli erano vicine.
Era difficile, a quel punto, capire quanto potesse aver influito la presenza di Naruto, ma Sakura era intimamente convinta che quel ragazzo avesse la straordinaria capacità di renderli tutti più uniti.
La cena, infine, si svolse nel migliore dei modi: le chiacchiere arrivarono a sovrastare in fretta i fischi del vento che, soffiando, faceva tintinnare le campanelle appese all'entrata del ristorante.
Tsunade e Jiraiya erano particolarmente briosi; la prima, in particolar modo, si dilettò a raccontare retroscena esilaranti sulla sua carriera da studentessa che frequentava squadra femminile di pallavolo. Le ripicche, gli sbagli, le competizioni... tanti elementi che nello sport erano sempre esistiti. A distanza di tempo, ripensarci non lasciava mai troppa amarezza, forse perché mitigata dalla nostalgia.
Quando la conversazione iniziò a smorzarsi, Naruto si alzò in piedi e sollevò un bicchiere di aranciata. Dopo essersi schiarito la gola con un colpo di tosse, annunciò:
“Non so voi, ma io farei un brindisi a Neji.”
Tutti si zittirono. Neji socchiuse appena gli occhi e gli altri accennarono ad un sorriso che non mancava di un certo rimpianto. Lo schiacciatore proseguì, tirando un bel sospiro:
“Perché è il nostro fidato capitano, preciso, pignolo, osservatore, freddo, sprezzante, un po' troppo forse – alcuni risero per la leggera battuta – ma soprattutto capace e determinato. Grazie a lui, siamo arrivati tanto avanti. Sappi sempre che, anche se la finale sarà l'ultima partita che giocherai con questa squadra, anche se non mi sopporti perché sono troppo casinista... non ti libererai tanto facilmente di noi.”
Gli altri annuirono, alzando i propri bicchieri.
“Al capitano!” esclamarono in coro.
Un tintinnio di tanti vetri.
Neji non disse nulla. Si limitò a bere, dopo aver scosso appena la testa, per poi guardare il suo bicchiere vuoto. Fu difficile evitare di pensare al fatto che, il prossimo anno, probabilmente anche lui si sarebbe sentito vuoto, esattamente come quel bicchiere.
Certo, nulla gli avrebbe impedito di riempirlo nuovamente, ma sapeva che non avrebbe più bevuto lo stesso succo d'arancia.
Shikamaru appoggiò una guancia sulla mano. Una volta che Neji si fosse diplomato, sarebbe toccato a lui prendere il posto di capitano. Gli sarebbe piaciuto se lo Hyuuga fosse rimasto: egoisticamente, perché non aveva alcuna intenzione di sobbarcarsi una simile responsabilità; intimamente, perché per quanto fossero entrambi piuttosto misantropi riconosceva il valore e l'importanza di averlo accanto, non solo come compagno di squadra ma anche come amico.

Nonostante iniziasse a farsi tardi, il gruppetto rimase ancora a parlare nel ristorante, mentre i tavoli erano ormai svuotati del cibo. Nessuno voleva realmente tornare a casa e spegnere la magia di quella notte.
Sasuke si stirò la schiena e senza dire una parola si alzò a prendere una boccata d'aria. Quando lo vide alzarsi, Naruto lo seguì allegro, tamburellando le mani sulla pancia per protestare, neanche tanto convinto, di aver mangiato troppo e rischiare un'indigestione.
Sulla porta, il compagno di squadra notò: “Senti, se sei in procinto di vomitare non è per forza detto che tu debba seguirmi.”
Offeso, l'amico replicò: “Seguirti? Ci siamo alzati nello stesso momento. Se preferisci resta dentro e aspetta che io rientri.”
“Perché dovrei aspettare io?” ribatté.
Naruto alzò le spalle, spalancando le braccia: “Non so, sei tu quello complessato qui.”
A quel punto, Sasuke si limitò a sospirare, faticando a trattenere un sorriso, per poi dire: “Lasciamo perdere. Discutere con te è inutile quanto parlare con una parete.”
Il compagno di squadra ridacchiò, non certo per il sarcastico complimento ricevuto, bensì per la soddisfazione di aver fatto cedere l'inossidabile Sasuke per esasperazione. Effettivamente, riusciva ad esasperarlo molto bene, traguardo non trascurabile visto di chi si stava parlando.
All'aria aperta, notarono entrambi che stava iniziando a cadere qualche goccia d'acqua: era una pioggerellina sottile e irritante, visto che andava un po' in tutte le direzioni a causa del vento.
Naruto assottigliò gli occhi, infastidito dalle numerose goccioline, mentre Sasuke si limitò a mettere le mani in tasca e sedersi su uno dei due bassi scalini che conducevano all'entrata.
Poco dopo l'amico lo imitò, protestando inutilmente contro le penose condizioni atmosferiche.
“Domani dovremmo andare tutti insieme ad allenarci sulla spiaggia.” disse improvvisamente, incrociando le braccia dietro la testa.
“Certo, con la sabbia umida di pioggia sarà sicuramente fattibile.” ironizzò Sasuke, non trattenendo però un sorriso.
“Infatti, sarebbe più difficile. Niente di meglio per prepararsi alla finale.” asserì convinto, ignorando la provocazione.
Dopo aver guardato un attimo il vicino di scalino, Sasuke convenne: “Forse hai ragione.”
Sorpreso, Naruto osservò, lanciando un'occhiata al cielo: “Incredibile, tu che mi dai ragione! Magari è per questo che il tempo fa così schifo.”
Rise e Sasuke gli dette una leggera spinta sulla spalla, sbottando:
“Piantala di dire e fare cose da stupido.”
Lentamente, Naruto smise di ridere. Inspirò l'aria umida, odorosa di pioggia, e si alzò in piedi, calciando distrattamente un sassolino del marciapiede malamente assestato. Si voltò verso Sasuke, domandandogli:
“Mi trovi proprio così stupido?”
La serietà improvvisa di quella domanda, lasciò il giovane Uchiha piuttosto basito; quella volta, faticò a non darlo a vedere. Di primo acchito, avrebbe voluto negare tutto. Negare tutto e dirgli che non solo non lo considerava stupido ma... ma cosa, esattamente?
Un amico? E poi? Sentiva che forse Naruto era qualcosa di diverso: un fratello, una parte fondamentale della sua vita che, nel giro di quei mesi, era inevitabilmente migliorata. Era non solo un compagno di squadra, forse addirittura il supporto di cui aveva bisogno perché, ogni volta che entravano in campo, sapeva di voltarsi e trovarlo accanto.
L'idea di rivestirlo apertamente di tanta importanza, però, allo stesso tempo lo faceva sentire vulnerabile. Mettere a tacere l'orgoglio, anche e soprattutto se si trattava di Naruto, diventava davvero difficile.
“Non serve che tu faccia la vittima.” si limitò a dirgli. Tutto lì. Una risposta davvero patetica e codarda, la sua.
“Grazie tante, eh.” sbottò Naruto.
Sembrava offeso, più che deluso. Troppe volte Sasuke dimenticava che il ragazzo era orgoglioso almeno quanto lui.
Quando lo vide andarsene a passo di carica e fare per aprire la porta, senza rifletterci due volte si alzò in piedi di scatto e lo afferrò per la maglia, fermandolo.
“Aspetta.” disse secco.
L'amico si voltò eppure, nonostante tutto, Sasuke ancora lo tenne stretto per la manica, senza mostrare la minima intenzione di lasciarlo.
Fu allora che si guardarono negli occhi, anche se le sferzate della pioggia si erano fatte più intense e il vento, subdolo, soffiava forte, scompigliando i capelli di entrambi i ragazzi.
Sarebbe stato facile muovere un passo avanti e andare più vicino. Naruto era lì, davanti a lui: lo fissava, privo di aspettativa ma comunque in attesa di un gesto da parte sua.
Se fosse stato più folle e meno attaccato alle convenzioni, Sasuke probabilmente lo avrebbe persino abbracciato. Quella, era una necessità che non sapeva davvero spiegarsi. Gli piaceva limitarsi a pensare di non essere mai stato particolarmente abituato a dei gesti d'affetto, sebbene dentro di sé sentisse che quella era solo una piccola verità, parte di una realtà ben più grande.
Non si dette ascolto: si limitò, infatti, ad appoggiare una mano sul suo collo. Lo sfiorò con le dita che rimasero lì, a contatto con la pelle umida di pioggia, e vi indugiarono per dei secondi interi.
Naruto trattenne il fiato però non fece nulla. Non voleva rovinare tutto con un suo gesto impulsivo. Nel momento in cui Sasuke abbassò appena gli occhi, perdendo per un istante il magnetismo che aveva reciprocamente attratto gli sguardi di entrambi, Naruto comprese che forse stava sbagliando.
Allora fece per sfiorarlo. Ma appena si mosse Sasuke, come se fosse stato folgorato, ritrasse il braccio di scatto e affondò la mano in una tasca dei pantaloni.
“Torno a casa ora – disse in un sussurro – ci vediamo domani.”
Gli voltò la schiena, allontanandosi a passo rapido.
Ammutolito, Naruto non trovò le parole per replicare e costringere l'amico a restare. Rimase immobile a guardarlo andarsene; comprese che qualsiasi tentativo di fermarlo avrebbe solo peggiorato le cose. Allora, si sentì come su una lastra di ghiaccio: un solo passo lo avrebbe fatto cadere in acqua. E lì non ci sarebbe stato alcun Sasuke ad attenderlo.
Sakura aprì la porta d'ingresso, con in mano due tazze di tè caldo. Fece appena in tempo a scorgere la figura di Sasuke che domandò, preoccupata:
“Dove sta andando?”
Naruto si lasciò cadere sul gradino: “A... casa.”
La ragazza gli si sedette accanto, porgendogli una tazza: “Avevo pensato di bere romanticamente qualcosa assieme a Sasuke, ma a quanto pare sono costretta a restare con te.”
Assunse un tono serio, quando lo disse, ma sorrise nel tenere stretta tra le dita la tazza bollente.
Naruto la prese e gonfiò le guance, borbottando qualcosa di indefinito in protesta, per poi soffiare un po' sulla bevanda calda. Sakura gli dette un pugno sulla spalla:
“Stavo scherzando, razza di scemo! Io ho già bevuto. Avevo pensato a voi due che volevate fare gli uomini duri, fuori, nel mezzo di una tempesta.”
Anche il ragazzo sorrise, replicando: “Nah, l'avevo capito benissimo. Volevo solo stare al gioco.”
Rimasero fianco a fianco per diversi minuti a guardare la strada cittadina, percorsa ormai solo da più poche macchine. Anche se Naruto continuò a sorseggiare il tè, Sakura non lo fece, rimanendo immobile con la tazza ancora calda in mano. Entrambi, però, dentro di loro speravano di veder Sasuke tornare e ammettere, per una volta, che effettivamente faceva troppo freddo per camminare da solo.

*

In quel momento, in realtà Sasuke Uchiha era su un bus, diretto a casa. Seduto su uno dei posti in plastica, teneva una testa appoggiata sulla mano, evitando accuratamente di pensare a qualcosa.
A metà del tragitto, si rese conto che la tempesta stava peggiorando: le folate di vento piegavano gli alberi del viale e i fogli di giornali buttati in giornata volteggiavano irrequieti, illuminati dai lampioni. Si morse un labbro, dopo aver contemplato distrattamente le gocce d'acqua che scivolavano rapide sul finestrino.
Istintivamente si alzò in piedi e prenotò la fermata successiva. Fortunatamente, il suo senso dell'orientamento e la conoscenza della città gli permisero di imboccare la strada più vicina alla spiaggia. Non distava granché dal punto in cui era, anche se percorrere il tragitto di corsa e sotto la pioggia, per giunta di notte, gli avrebbe creato non pochi problemi.
Nonostante tutto, si riparò con un avambraccio e continuò a correre.
A dire il vero, non seppe esattamente perché lo stesse facendo. Metro dopo metro, capì solo che in qualche modo si sentiva meglio: fu come se ogni senso di colpa, ogni paura provata, gli scivolasse via. Si stava svuotando, alla stregua del bicchiere d'aranciata bevuto in compagnia.
Eppure, parallelamente si ritenne anche codardo. Non voleva fuggire davanti ai problemi, né evitarli. Ma quella sera aveva realizzato di essere meno forte e molto più scoperto di quanto non avesse creduto.
Quando raggiunse il lungomare, credette di volersi assicurare che la rete e il chiosco costruito stessero bene semplicemente per onorare la promessa fatta a Naruto. Ma nel momento in cui li avvistò in lontananza e il suo cuore perse un colpo, comprese che lo faceva perché teneva a quel luogo: i suoi ricordi migliori erano racchiusi lì. Costruendo in compagnia la rete, i pali, assemblando con chiodi e martello le assi per il chiosco, giocando a pallavolo sulla sabbia aveva imparato a conoscere e apprezzare Naruto sotto ogni aspetto, anche quelli più improbabili.
Non voleva che tutto questo venisse cancellato.
Aumentò la velocità, nonostante il fiatone.
E poi, lo vide: la rete era caduta a terra, sepolta in parte dalla sabbia carica d'acqua, mentre i paletti erano stati portati lontano dal vento.  Però il chiosco, dove si radunavano tanti ragazzi d'estate, nella sua bruttezza e fragilità era ancora in piedi. Un po' storto forse, ma reggeva alle folate.
Sarebbe bastato cercare qualche sostegno e sicuramente avrebbe potuto resistere l'intera notte, fino a che l'indomani seguente non l'avessero aggiustato tutti insieme. A quel punto non rimaneva che attraversare la strada, percorrere quei pochi metri nella sabbia e sfruttare i pali per appoggiarli al chiosco.
Un'ultima corsa per mantenere la sua promessa.
Ma una volta raggiunto il marciapiede dalla parte opposta, Sasuke non riuscì più a ricordare la catena di eventi successivi: sentì solo lo stridere delle gomme che perdevano attrito sulla strada bagnata. Si voltò appena, dandosi dello stupido perché le sue gambe non volevano saperne di muoversi. Eppure, con quelle gambe aveva corso tanto; a ben pensarci, era una vita intera che correva.
Non seppe nulla, alla fine. Non avvertì il dolore quando venne investito, così come non avvertì lo sbalzo che lo aveva scaraventato via. In un ultimo attimo di lucidità, pensò che sarebbe stato bello venire trasportato nel vento, alla stregua di una foglia. Purtroppo, però, lui era soltanto un essere umano: non abbastanza leggero per volare, non troppo robusto per resistere al dolore.




Sproloqui di una zucca

Incredibile, riesco ad aggiornare a tempi di lumaca anche quando ho già tutto pronto ò.ò
Evidentemente devo essere un caso clinico!
In ogni caso, finalmente ho avuto un po' di tempo solo per me così da postare e ricontrollare il capitolo che, come sempre, spero sia di vostro gradimento.
Nel complesso ho voluto dar vita a una storia piuttosto lineare, semplice come trama. Un omaggio sincero ai classici manga e anime sportivi, con qualche cliché del genere che però ho voluto personalizzare così da non scadere - per quanto possibile - nel banale.
Ah, è la seconda volta che faccio investire Sasuke: la prima fu tempo addietro, per colpa di un calesse LOL


_Sumiko_: Pardon, non preoccuparti, la colpa è mia che ho frammentato la narrazione temporale dando le cose erroneamente per scontate XD Grazie mille dei complimenti, specie per quanto riguarda lo stile dato che, come ovvio, ci tengo particolarmente ** Povero Naruto fanatico, in fin dei conti era innocente; un po' rompiballe forse, ma innocente XD  Ti ringrazio del tuo commento, sperando di ritrovarti anche alla prossima *O*

ryanforever: Innanzi tutto, ti ringrazio per i complimenti; in secondo luogo, sono felice di aver trovato un'amante della pallavolo. Giocare alle superiori è stato in qualche modo incisivo e me l'ha fatta adorare, sebbene come te abbia dovuto abbandonarla e me ne rammarichi davvero tanto. Vorrei proprio riuscire a trasmettere, tra le righe, l'amore che provo per questo sport. Spero di non deluderti coi capitoli futuri! Alla prossima **

meg89: Ah, il caro vecchio angst! Sì, in effetti sono stata un po' crudele, specialmente con Sasuke, per quanto io non lo detesti, anzi. Bene, spero allora, hu chan, che la scoperta dell'universo sportivo pallavolesco (?!) sia piacevole e sono lusingata di contribuire in qualche modo. Sob, purtroppo niente Shino ç___ç Se mai volessi scrivere una fiction con Mr. Aburame dedito alla pallavolo io sarei la prima a leggere! So anche che tu non nutri un grandissimo interesse nei confronti delle SasuNaru, almeno, non al livello di altri pairings da te prediletti, dunque sono contenta di vederti leggere questa storia ** Grazie per i complimenti sullo stile e sull'IC: credimi, ne gioisco eccome *O*
Un bacione enorme, mia hu chan adorata! HugHugHug

Kagchan: Non è vero che non la meriti, e poi l'ho fatta davvero d'istinto. Homework kills: sante parole! Spettacoloso, anche tu un'amante-giocatrice di pallavolo! E' bello sapere di far rivivere ricordi così belli ** Oddio, una delle migliori fic non penso ma grazie per aver provato ad illudermi XD Grazie di tutto, Ila, specie perché non avendo avvisato nessuno della comparsa di questa nuova storia, la tua recensione è stata graditissima! Un bacione!

_BellaBlack_:  Non sono tanto avvezza a fare dediche, forse per la mia natura un po' orsettosa, dunque mi fa piacere vedere che è stata apprezzata** Io non posso far altro che squagliarmi per la considerazione che hai sulla maniera in cui tratto personaggi, ne sono profondamente lusingata. Oltretutto, leggere che l'ambientazione, per me importante, è apprezzata anche nel dettaglio, mi commuove parecchio.
Shikamaru! Guarda, io lo adoro a mia volta, anche se purtroppo ho meno occasioni di parlare di lui. Mi rispecchio in alcuni lati del suo carattere e oltretutto non potevo evitare di menzionarlo come giocatore di pallavolo. Secondo me sarebbe davvero perfetto come alzatore!
E' sempre meraviglioso vedere che la vita quotidiana dei personaggi nei loro gesti, comportamenti, azioni abituali è così apprezzata: ti ringrazio di ogni tua singola parola, perché per me sono realmente preziose.
Spero, come sempre, di non deludere coi capitoli a venire! Un bacione enorme e un abbraccio!**

Grazie a quanti hanno letto, inserito la storia tra i preferiti, seguiti. Alla prossima!


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** What comes is better than what came ***





CAPITOLO III
What comes is better then what came





“Io sto bene, Itachi.”
“Non credevo fossi così bravo a raccontare bugie.”
“Forse perché questa volta vorrei davvero crederci.”
Si guardarono, in silenzio. Itachi in piedi accanto al letto, Sasuke sdraiato con le mani che istintivamente stringevano le lenzuola.
“Vai pure.”
“Mi chiederai mai di restare?” domandò Itachi, osservando intensamente il fratello.
“Non credo. Tu faresti lo stesso.”
“Probabilmente.” ammise infine.
Era giusto così: suo fratello aveva la propria vita, e la sua visita doveva essere una piccola parentesi che si sarebbe richiusa in maniera rapida, impercettibile quanto un battito di ciglia.
Entrambi, in realtà, detestavano essere vicini solo grazie al dolore. Eppure il dolore è un componente della vita che maggiormente accomuna gli esseri umani, persino più dell'amore: tutti, prima o poi, sono destinati a soffrire ma quanti realmente amano?

*

A volte nella vita sono gli eventi spiacevoli, le sofferenze, le perdite a rendere forte una persona. Non necessariamente però questa forza è vera: può essere soltanto uno scudo, una noce dal guscio ritorto, dietro la quale non c'è altro che cristallo. E' più simile a un callo, esteticamente poco gradevole forse, ma utile nel momento in cui qualcosa lo sfiora e ci si accorge di non sentire più nulla, nemmeno il dolore.
Mikoto era una persona forte al di fuori, disposta a concedere un sorriso materno per compensare l'eccessiva rigidità di alcuni atteggiamenti, però non le sembrava mai di riuscire a fingere abbastanza bene. Il telefono aveva squillato nel cuore della notte: il trillo, deciso e impietoso, rimbombò per i corridoi vuoti nella casa. Lei aveva sollevato affannata le coperte ed era corsa a piedi nudi, percorrendo piastrella dopo piastrella la distanza che la separava da quel suono orribile. Il battito del cuore, sempre più rapido, le impediva di procedere in armonia coi pensieri, che invece erano distorti, caotici, privi di un filo che li tenesse uniti.
Sasuke.
L'unica parola che riuscì a mormorare svegliandosi di soprassalto. La ripeté mentalmente mentre correva verso il telefono, mischiando il suo nome con ipotesi di cui lei stessa aveva paura.
E poi sollevò la cornetta. Prima la appoggiò irrazionalmente al petto, senza battere ciglio, con la bocca di poco spalancata: sembrava volesse raccogliere tutta l'aria del mondo in quel momento, anche se il respiro era bloccato, immobile quanto lei.
Infine rispose e... non si stupì di sentire un rantolo, al posto della propria voce: “Pronto?”
Non ricordò esattamente cosa successe in seguito. Una voce parlava e ogni parola era un ago che si infilava sotto la sua pelle. Più veniva ferita, più lentamente scivolava a terra, con la presa sulla cornetta talmente debole che pochi minuti dopo il telefono le cascò di mano.
Si sentì presa in giro e spaventata. Qualcuno si divertiva a vederla sprofondare, di anno in anno, nonostante lei sola fosse  riuscita a mandare avanti la propria famiglia. La mancanza di Fugaku in quell'istante si fece quasi opprimente, vivida, come se una striscia di evidenziatore avesse calcato tante e troppe volte le parole “morto” e “perduto”.
Poi lentamente si alzò in piedi. Le gambe erano molli, quasi fossero fatte di gelatina. Non riusciva a frenare il tremito al labbro mentre appoggiava malamente la cornetta, anche se d'altronde nemmeno poté sentirsi stupida o debole. Era così naturale avere paura, da non riuscire a percepire altro che la paura stessa.
Poi il pensiero di suo figlio solo, in un letto d'ospedale, soffocò l'insidiosa voglia di scoppiare a piangere e rifugiarsi in un angolo, nella sciocca attesa che qualcuno la incoraggiasse, le accarezzasse la testa e le dicesse che... sì, tutto andava bene. Allora con calma metodica, nonostante la presa della mano non fosse salda, raccolse un fazzoletto di carta, si soffiò delicatamente il naso e trasse un profondo respiro che suonò incerto.
Avrebbe voluto chiamare Itachi e dirgli di venire. Ma non lo fece: per quanto le sarebbe piaciuto sentire la voce del primogenito, avere la certezza che almeno lui le sarebbe stato accanto, capiva che in quel momento la sua presenza sarebbe stata inutile.
Così da sola, con indosso i primi vestiti che aveva sottomano, Mikoto Uchiha uscì di casa. Si dimenticò di chiudere la porta a chiave, la cornetta rimase accanto al tavolino e la chiavi faticarono ad entrare nel quadrante della macchina. E tutto, ogni suo gesto, le sembrava sempre troppo lento.
“Sono qui con te.”
Eppure i chilometri sembravano infiniti, lontani, esattamente come la solitudine.

La famiglia di Sasuke era strana a ben pensarci. Sebbene piccola, i tre componenti più stretti che la formavano in realtà erano parecchio distanti l'uno dall'altro. Il secondogenito non aveva mai stretto un rapporto vero e proprio con suo fratello: si vedevano rare volte e la lontananza li rendeva più simili a estranei che a conoscenti.
Giorni prima Sasuke si era svegliato, semicosciente, in una camera d'ospedale, accorgendosi in seguito che sua madre vegliava su di lui, seduta scomodamente su una sedia collocata accanto al letto. Mikoto era sempre stata una persona capace di conciliare l'affetto materno con una giusta dose di severità, conciliando armoniosamente aspetti caratteriali così diversi.
Quando vide che Sasuke la guardava, la donna per un istante trattenne il fiato e non disse una parola: ebbe per diversi secondi la paura di illudersi, ma bastò un respiro, un accenno di sorriso, per convincerla del contrario. Non si lanciò in abbracci disperati per quanto, nel profondo, forse ne avvertì l'impulsiva necessità. Si limitò a sospirare, sorridere e accarezzare delicatamente la fronte del figlio, quasi avesse paura di sfiorarlo.
Non parlò. Se lo avesse fatto, sicuramente avrebbe tradito il suo stato di debolezza.
Sasuke invece non si mosse. Si lasciò accarezzare, stranito e confuso, mentre la fronte rimaneva appena corrucciata; avrebbe voluto pensare ma la mente era chiusa da un vuoto incolmabile di parole e significati.
Dopo quel risveglio il ragazzo fece fatica a realizzare lucidamente quante ore fossero passate: era come se lo scorrere del tempo avesse perso la sua forma, dilatandosi in un incedere incerto e stanco. Solo quando calava la notte Sasuke comprendeva di aver perso il giorno intero, che era passato al suo fianco senza che se ne fosse accorto.
Una di quelle mattinate Mikoto stava percorrendo il corridoio sul quale si affacciavano le altre camere d'ospedale, quando vide Itachi. Si arrestò e lo guardò venirle incontro a passo deciso ma per nulla marziale. Sorrise nello scorgere i tratti delicati eppure severi del suo volto asciutto, gli occhi intensi, appena velati da un'ombra, i capelli lunghi legati in una coda che lasciava sfuggire qualche ciuffo corvino.
Il primogenito si fermò davanti alla madre, con le mani lungo i fianchi, e per diversi istanti si guardarono senza scambiare una parola. Finché Itachi non la salutò, piegando leggermente una gamba così che l'oceano nero dei suoi jeans scuri si deformò appena in un ondeggiare di piccole pieghe.
“Ciao, mamma.”
“Sono contento che tu sia qui.” disse lei semplicemente, soffocando la voglia di abbracciarlo. Con Itachi, aveva sempre a sensazione di sbagliare a essere troppo espansiva, allora si limitò a sorridere e a umettarsi poi istintivamente le labbra.
“Dovevi chiamarmi prima.” fece presente lui, incrociando le braccia. Il suo tono di voce e l'espressione del volto rimasero invariati. Ogni volta Itachi riusciva a nascondere incredibilmente bene quello che provava, al punto che chi non lo conosceva lo riteneva indifferente a quanto gli accadeva. In realtà era solo una forma di autodifesa, Mikoto lo sapeva bene.
Sapeva che dietro quelle parole c'era solo il rammarico per non essere stato presente fin da subito.
“Va bene così.” si limitò a dire lei, sfiorandogli la guancia con le dita della mano. Mano che ritrasse  lentamente, per poi scostarsi di poco e indicare la stanza in cui era ricoverato Sasuke.
Itachi annuì ed entrò dentro, dopo averle lanciato un'occhiata indecifrabile.
Chissà cosa si sarebbero detti i due fratelli, chissà quante parole mancate, quanti sguardi eloquenti, quanti silenzi.
L'assenza di parole tra i due andava oltre la semplice incapacità di comunicare, la madre lo aveva realizzato da tempo. A volte, Mikoto credeva di riuscire a intromettersi nel filo illogico dei loro dialoghi eterei, poi però capiva di percepire solo una minima parte di quanto accadeva.
Erano fratelli, uniti a modo loro, seppur divisi da condizioni e modi di pensare diversi. E se da un lato la donna si dispiaceva di non essere parte di quel meraviglioso mondo dove non sempre le parole servivano, dall'altro era contenta che due caratteri così chiusi, diffidenti e tendenti alla solitudine, riuscissero a trovare schemi compatibili tra di loro.
Non entrò nella stanza: si limitò infatti a guardare fuori da una delle finestre che dava sul corridoio, senza stupirsi di sentire il vociare degli astanti, il ronzio dei macchinari, i passi degli infermieri, ma non le voci dei suoi figli.

L'intera squadra, compresi Sakura, Ino e Jiraiya, era in sala d'attesa. Quel giorno i membri del team  attendevano che il dottore desse loro il permesso, in via del tutto eccezionale, di andare a trovare il proprio compagno.
Quando comparve il chirurgo, si alzarono tutti in piedi di scatto, quasi avessero avuto delle molle sulle sedie.
“Se volete seguirmi e promettete di mantenere un tono composto, vi conduco dal vostro amico.”
Accettando di buon grado il patto, tutti si affrettarono a seguire il medico che li condusse lungo un corridoio dotato di diverse stanze. Nell'entrare in quella di Sasuke, che era solo, inizialmente furono  un po' timorosi, come se oltrepassando la porta della camera avessero potuto rompere qualche strano equilibrio.
Naruto non la oltrepassò, effettivamente.
Guardò Tsunade che lo fissò a sua volta e, con una comprensione inaspettata, non lo incoraggiò ad entrare. Chiamò il dottore per domandare, ignorando i saluti dei compagni rivolti a Sasuke:
“Come sta?”
L'interpellato fu inizialmente sorpreso, poi prese Tsunade in disparte e spiegò:
“Ha avuto un leggero trauma cranico, qualche costola rotta e presenta una frattura al femore sinistro. Con un po' di riabilitazione non è nulla di incurabile ma...”
“Ma?” lo incalzò Naruto, intromettendosi. Tsunade non parlò, fissando l'uomo in tensione.
“La frattura di alcune vertebre della zona lombare ha provocato una lesione al midollo spinale.”
Tacque.
Naruto boccheggiò. Poi, impulsivamente, afferrò il medico per il camice e lo strattonò:
“Non faccia tanti giri di parole! Sasuke potrà giocare ancora a pallavolo? Potrà...”
Rimase con le parole in sospeso, senza mollare la presa.
Tsunade socchiuse gli occhi quando il dottore ammise: “Al momento è paralizzato. Se...”
La parola paralizzato ebbe su Naruto l'effetto di mozzargli il fiato. Per un solo istante fu come se il suo cuore avesse smesso di pulsare sangue, lasciando il corpo incapace di muoversi.
Il ragazzo mollò la presa dal camice e si allontanò di corsa da quel luogo. Detestava gli ospedali, il loro odore asettico che non riusciva a coprire mai del tutto quello della malattia; detestava anche che qualcuno come Sasuke fosse costretto ad arrendersi e ad abbandonare ciò che più amava al mondo.
Scappando come un vigliacco, senza passare nemmeno a salutare, Naruto non poté evitare di pensare che se era accaduta una cosa simile, la colpa era soltanto sua. Provò rabbia nei confronti di se stesso, ma anche verso Sasuke, perché era stato tanto stupido da ascoltarlo. Cosa importava di uno sciocco campo di pallavolo, se non c'era più il suo compagno a contendergli la schiacciata?

La visita dei propri compagni di squadra fu per Sasuke relativamente inaspettata. Sospettava che effettivamente quei seccatori prima o poi sarebbero passati, eppure vederli coi propri occhi gli fece più piacere di quanto non credesse.
Fu Kiba il primo ad irrompere con la sua solita grezza presenza:
“Sasuke! Che accidenti ci combini ad un passo dalla finale?!”
Anche gli altri ci scherzarono su, circondando il letto seppure con una certa cautela. Nessuno, infatti, mancò di notare la gamba destra ingessata e un braccio fasciato.
Sakura accennò ad un sorriso quando vide che le bende attorno al capo non impedivano a qualche ciuffo di capelli attorno alla fronte di spuntare ribelle, quasi volesse fuggire dalla costrizione delle fasce. La ragazza avvertì la presenza di Tsunade che, stranamente seria, le aveva appoggiato la mano sulla spalla ed era rimasta muta a guardare Sasuke. Lo scrutava con quella distaccata apprensione mostrata solo poche volte negli allenamenti; in realtà la loro istruttrice, nonostante si mostrasse forte e piuttosto menefreghista, era una delle persone più sensibili e altruiste che Sakura conoscesse. Solo che non amava darlo a vedere, limitandosi invece a far sfoggio della sua dura corazza di donna.
Sasuke non aveva parlato granché. Dando prova di straordinaria pazienza, aveva ascoltato i racconti degli altri e accettato di buon grado i loro amichevoli rimproveri. Tutti, in un modo o nell'altro, si erano presi un bello spavento alla notizia che il compagno di squadra era stato investito.
Poi, di tanto in tanto, l'infortunato li tranquillizzava dicendo di stare bene ma mentiva sulle sue vere condizioni di salute. In realtà, pensò lui amaramente, non sentiva più le gambe: le vedeva, sotto il lenzuolo, ma era come guardare gli arti di qualcun altro.
Allora lo schiacciatore teneva i pugni chiusi e, fingendo di ascoltare, si sforzava di muovere un piede, un ginocchio, anche solo un dito. Non poteva ammettere di fronte a tutti, tantomeno di fronte a se stesso, di non riuscire a camminare. L'idea, la paura, di restare paralizzato gli era totalmente inaccettabile.
Improvvisamente, stringendo ancora il lenzuolo, domandò:
“Dov'è Naruto?”
Tutti smisero di parlare e si guardarono attorno. Neji rimase con le braccia incrociate appoggiato alla parete, il volto in direzione dell'ampia finestra, mentre Shikamaru sospirò e si passò una mano dietro il collo, come se dovesse prepararsi al peggio.
Fu Kiba che, grattandosi meditativo una guancia, commentò:
“Non so, fino a un attimo fa era qui...”
Tsunade si umettò le labbra, poi sbuffò e intervenne: “Quello sciocco non si sentiva tanto bene. Siamo rimasti un po' tutti sconvolti dall'incidente. Ma ora non pensarci, devi cercare solo di rimetterti – gli puntò minacciosa un dito contro – e vedi di tornare in forma per la finale. Non rinunceremo alla vittoria solo perché ti sei fatto qualche livido.”
Sasuke la fissò un istante, limitandosi infine ad annuire: “Ci sarò.”
Entrambi sapevano. Sapevano che avevano detto solo un'infinita serie di bugie.
Se solo avesse potuto camminare gli sarebbe stato possibile rincorrere Naruto, ovunque fosse andato, scuoterlo e dirgli di non pensare a troppe assurdità, né assumersi qualche strana colpa. Avrebbero dovuto concentrarsi solo sulla finale, nient'altro che la finale. E poi... loro.

In palestra si sentivano i cigolii delle scarpe sul legno lucido, il rimbalzare delle pesanti palle bianche e l'ansimare dei giocatori. Di tanto in tanto, l'allenatrice richiamava i suoi allievi per dare loro qualche nuova direttiva o correggerli su determinate posizioni.
Scrutò Naruto prepararsi al margine della riga esterna all'alzata di Shikamaru, sotto rete. Quando l'alzatore sollevò la palla, vide Naruto correre, saltare e schiacciare con la solita potenza. Una differenza sostanziale tra lui e Sasuke era che quest'ultimo dava maggior spazio alla precisione del tiro, mentre il compagno si concentrava più sulla forza d'attacco, indubbiamente notevole.
Tsunade si ricordò di averli trovati spesso a sfidarsi contro il muro per chi saltava più in alto, alla fine della sessione d'allenamento: si sporcavano la mano col gesso e, dopo essersi dati lo slancio, sfioravano la parete segnata dalle tacche per calcolare l'altezza. In fondo la costante competitività tra quei due giocatori non era necessariamente un male; non solo li spronava a migliorarsi costantemente ma al momento giusto, inoltre, veniva dimenticata così che i due fossero uniti per la squadra.
Conoscendo la determinazione di Naruto, Tsunade comprese che era nel carattere del ragazzo non piangersi troppo addosso. Soffriva come tutti gli altri per le condizioni di Sasuke, eppure si rifiutava di distrarsi da quello che lo faceva sentire veramente vivo.
Diede un'occhiata all'orologio da polso e richiamò i giocatori:
“Fate un ultimo tiro, poi si torna a casa. Stasera abbiamo fatto più tardi del solito.”
Choji si passò una mano sulla faccia sudata, lamentandosi: “Ci ha schiavizzati per ore, non ne potevo più!”
Shikamaru si limitò a sbuffare e a sdraiarsi a terra, con le gambe spalancate.
“Niente lamentele, mollaccioni – li esortò Tsunade, incrociando le braccia e sfoderando per contro un bel sorriso – Vi ricordo che dobbiamo spremerci al massimo per la finale!”
“E Sasuke?” fece presente Kiba, dopo aver raccolto due palloni da terra.
“E' Sasuke a stare male, non voi.” si limitò a dire la donna.
Quest'ultima notò che era arrivata Sakura, di ritorno dal doposcuola. Con sorprendente tenacia e attaccamento alla squadra, nonostante la mole di studio quotidiana, spesso passava a controllare i compagni, anche solo per sostenerli. A volte, se aveva tempo, faceva un salto al chiosco più vicino per comprare qualcosa da mangiare da condividere tutti insieme.
Tsunade si sorprese quando vide che la giovane era andata direttamente verso Naruto e lo aveva preso in disparte per poi chiedere se potevano assentarsi un attimo. Sospirando, l'allenatrice dette il suo consenso, intimando agli alunni di farsi gli affari loro se non volevano fare venti giri attorno al campo da gioco.
Non ci furono obiezioni. D'altronde, in quei giorni con sorprendente empatia i giocatori avevano evitato di porre troppe domande a Naruto sul perché si ostinasse a non andare a trovare Sasuke, pur essendo il suo migliore amico. Sasuke, a sua volta, non chiese più notizie di Naruto. Anche se i suoi occhi scuri invano ancora lo cercavano, con aria di sfida quasi, oltre la porta della stanza.
E lui... non c'era.



Sproloqui di una zucca

Mea culpa, mea culpa! Finalmente sono ritornata, dopo una lunga e prolungata assenza. La verità è che nella mia vita sono accorsi una serie di notevoli cambiamenti, il tutto corredato dalla stesura finale della tesi. Non avevo né tempo, né testa di riprendere in mano le storie, correggerle e ricontrollarle come invece era mia abitudine fare. Così questo lavoro è rimasto in muta (se avesse parlato mi sarei preoccupata XD) attesa che io ci rimettessi mano, apportassi cambiamenti e lo rendessi degno grammaticalmente.
Ma ora ho finalmente riaquistato un po' di tempo da dedicare a me stessa e a una delle cose che più amo: scrivere.
Perdonate l'attesa, spero di compensare annunciando che il prossimo lunedì l'ultimo capitolo sarà pronto per voi, fiammante di nuova correzione, così da concludere questa mini-long.

ryanforever: Sono contenta che la scena tra Sasuke e Naruto ti sia piaciuta molto, non è mai facile descriverli e rendere appieno quello che desideravo trasparisse. E poi... ebbene sì, ho fatto investire Sasuke. Povero, non lo odio ma in un modo o nell'altro gli faccio sempre del male XD
Sì, Neji è più grande di un anno ed è il solo. Spero di vederti anche in questo capitolo e di conoscere il tuo parere. A presto!

_Sumiko_:  Mi spiace ancora per l'attesa, sono proprio un mostro T^T  Con questo capitolo iniziano a delinearsi le conseguenze dell'incidente e le reazioni di tutte le persone che circondano Sasuke, che spero di aver reso adeguatamente. Grazie mille dei complimenti, vorrei davvero che le impressioni non cambino anche nei capitoli a seguire! Un bacio!

mikkabon: Bene, sono felicissima di sapere che tutto sommato né trama, né avvenimenti, non risultino realmente banali, nonostante trattino dei argomenti relativi al quotidiano. Sì, sono tremenda: faccio investire i personaggi con crudele divertimento. Però spero di compensare questa "piccola" sofferenza, regalando qualche soddisfazione ai poveri protagonisti. Forse XD. Grazie del tuo entusiasmo, alla prossima!

Rota:  Sì, lo faccio proprio di proposito, sono davvero cattiva! L'effetto in effetti era proprio da colpo al cuore, sono contenta che nonostante la malvagità degli intenti il risultato sia stato quello sperato. Hu chan, sai che amo i tuoi deliri! E amo anche che tu apprezzi quello che ho scritto *sparge cuoricini et amore a volontà verso l'hu chan*
Ma è come tagliare la testa a un crostaceo che osa sgusciare fuori dalla sua tana impudentemente
lol, che figura poetica! Adesso sappi che mi sto immaginando Sasuke vestito da crostaceo, sempre con la faccia incazzata ovviamente. Aiutooo!
Abbraccione megastritolante!

Sunako e Sehara: Oh, Ile, io a mia volta non dovrei più stupirmi di come le tue parole riescano sempre a commuovermi. Perché mi spornano a far sempre meglio e ad apprezzare aspetti della storia che io da sola non noterei. Ti ringrazio per ogni singola cosa che hai scritto, per me conta moltissimo. E' vero: Sasuke e Naruto insieme sono splendidi ed è un peccato che non sempre vengano trattati come meriterebbero. Sono perciò contenta che io riesca a farti apprezzare il modo in cui ho parlato di loro e non solo, anche degli altri personaggi.
Perciò, grazie mille di tutto tesoro mio. Un bacione gigantesco e alla prossima!
Ps: Ma no, povero Sasuke. Comprendo il tuo odio eppure... porta pazienza, mia diletta pusher! Anche se... dopo questa tua ultima perla sono rotolata dal ridere XDXD

annamariz: Grazie mille di tutti i complimenti, ne sono davvero onorata! *O* Spero di non deludere le tue aspettative, tantomeno con questa storia. Scusa ancora per il ritardo colossale dell'aggiornamento, in futuro conto e spero di mantenere un ritmo più serrato. Mi auguro che questo capitolo sia all'altezza! Bacione e al prossimo aggiornamento!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** The only word you've got to say is... yes ***




CAPITOLO IV
The only word you've got to say is... yes.



Mollata la palla, Naruto dopo un paio di proteste si era arreso e aveva seguito Sakura fuori dalla palestra. Così, insieme, erano usciti all'aria aperta, sotto il cielo stellato della sera. Dopo la tempesta, nelle settimane successive il tempo era stato particolarmente bello e il sole aveva brillato quasi ogni giorno.
All'improvviso Sakura si voltò verso di lui e consigliò, senza troppi giri di parole:
“Dovresti andare a trovare Sasuke. Mancavi solo tu e, anche se non lo ammetterà mai, ha chiesto di te. Perché ti ostini a far finta di nulla?”
Aveva gli occhi umidi, nonostante il tono duro della voce.
Naruto in un primo tempo abbassò lo sguardo, poi spiegò fissandola:
“A cosa serve tutto questo? A cosa serve andare a trovarlo, raccontargli degli allenamenti, della finale imminente, quando sappiamo benissimo che Sasuke non potrà più fare nulla? Non ho la minima intenzione di illuderlo.”
“Nessuno vuole illuderlo, non lo stiamo semplicemente lasciando solo. E tu, più di tutti, dovresti essergli accanto. O, magari, il problema è che non hai il coraggio di vederlo così?” lo provocò, assottigliando appena gli occhi verdi.
La verità era che Sakura non sopportava quella situazione. Non sopportava che Naruto, ottimista e solare, si ostinasse a mantenere una linea di comportamento che non sarebbe stata utile a nessuno.
“Okay – replicò Naruto alzando le spalle – se vuoi uccidermi, fallo.”
La ragazza lo scrutò un istante, poi gli dette una spinta sul petto e borbottò:
“Potrei anche farlo ma morto non serviresti a un granché.”
“Accidenti, hai ammesso che ho una qualche utilità nel mondo!” si finse stupito e spalancò gli occhi.
Sakura replicò con uno “Scemo” detto a mezza voce, poi scoppiarono entrambi a ridere come non facevano da giorni. Quando la risata si smorzò, simile a un fuoco che si estingueva, i due compresero che non ci sarebbe stato altro da dire.
“Faccio la doccia, prendo il borsone e torno a casa.” annunciò infine Naruto, stiracchiandosi la schiena.
Sakura non espresse particolari commenti, se non un: “Ci vediamo domani.”
Lo vide entrare in palestra, salutando Shikamaru che stava uscendo. Poi alzò lo sguardo verso le stelle e si chiese se non fosse il caso anche per lei di tornare a casa, nonostante tutta la sua vita fosse altrove.

Con la borsa in spalle, la felpa allacciata in vita e una scarpa slacciata, Naruto percorreva a piedi la strada. Non aveva voglia di prendere il pullman. Nonostante gli allenamenti sfiancanti, sentiva di aver bisogno di ossigenare il cervello con una camminata.
Di solito, gli sarebbe piaciuto avere qualcuno accanto con cui chiacchierare. Usualmente Sasuke e lui percorrevano un pezzo insieme, per poi separarsi. Certo, Sasuke non era un grande interlocutore, ma tutto sommato entrambi si divertivano nel rimbrottarsi a vicenda per far passare il tempo.
Ora, nella solitudine di quei passi, Naruto non poté fare a meno di pensare al proprio compagno di squadra e, quasi di conseguenza, alla sera prima dell'incidente. Gli dette fastidio rendersi conto di avere tante cose in sospeso con lui, oltre che con se stesso.
Passò davanti all'ospedale: si sentì stupido a guardare quell'edificio, camminando per cercare allo stesso tempo la stanza dov'era ricoverato Sasuke. Tirò su col naso, tergiversando con qualche ciottolo sul marciapiede.
Poi, smise di pensare e infilò le mani in tasca, sistemandosi il borsone su entrambe le spalle. A passo di carica entrò nel cortile d'ingresso e basandosi sulla propria memoria guardò le finestre. Quella della camera di Sasuke, se non andava errato, si trovava sull'ala frontale al secondo piano, anche se a guardarle bene erano proprio tutte uguali.
Pensoso, si sedette per terra con le gambe incrociate e buttò sull'erba lo zaino, alzando il collo in alto per cercare di fare mente locale. Dopo un po' avvertì una fastidiosa fitta alla cervicale, dunque decise di lasciar perdere e passare a qualcosa di più pratico.
Andò verso il vialetto, afferrò diversi sassolini controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi e si piazzò nuovamente sotto le finestre. Scrollò le spalle, scuotendo i ciottoli in un palmo della mano.
“A noi due.” mormorò, umettandosi con determinazione la lingua.
A chi fosse esattamente riferita quella sfida, non era dato saperlo. Forse era diretta alle finestre, forse a Sasuke, suo malgrado nascosto dietro una di quelle.
Tirando a caso, Naruto colpì una delle tanto sospirate finestre e con una mira invidiabile, centrò il legno degli infissi che la chiudevano. Attese qualche secondo, sperando che Sasuke, avendo il letto accanto alla finestra, non rotolasse a terra nel tentativo di aprire un'anta. A quel punto sì che Naruto avrebbe realmente dovuto sentirsi in colpa.
Sbuffò.
Lanciò un altro sassolino. Quando fu in procinto, con notevole impazienza, di lanciarne un terzo, finalmente sentì il classico rumore di un'imposta che stava per venire aperta. Trattenne il fiato.
Lentamente la finestra si aprì e Naruto pensò febbrilmente a che accidenti dover dire a Sasuke, come giustificarsi per quella comparsata improvvisa a sera tarda dopo giorni di assenza. Forse doveva fuggire a gambe levate, giusto per non dare a quello stupido la soddisfazione di prenderlo in giro. No, la fuga era da escludere: Sasuke lo avrebbe sicuramente visto correre per il giardino con uno zaino in spalle e, a quel punto, poteva anche considerare di seppellirsi a trecento metri di profondità per la vergogna.
Rimase dov'era e appena notò una figura affacciarsi esclamò:
“Sasuke! Sono io!”
“Io chi?” gracchiò una voce.
Splendido. Sasuke oltre che paralizzato doveva essersi perso qualche neurone per strada la sera dell'incidente.
“Naruto, razza di scemo!”
Certo, dare dello scemo a Sasuke procurava sempre una grande soddisfazione.
“Come ti permetti, maleducato!” esclamò con tono più forte e indignato.
A quel punto, Naruto cominciò a nutrire qualche dubbio sull'identità di Sasuke che, prima, aveva dato stupidamente per appurata. Sentì i sassolini farsi più pesanti tra le mani sudate.
“Oh – accennò, ostentando una certa nonchalance – pensi un po,' devo aver sbagliato stanza.”
Strizzando gli occhi, effettivamente si accorse che alla finestra era affacciato un signore piuttosto anziano che, se solo il ragazzo avesse potuto vederlo meglio, lo stava guardando con parecchio disappunto.
“Me n'ero accorto, imbecille. Qui la gente sta male e vuole riposare.” rantolò.
Dopodiché, senza aspettare ulteriori scuse, sbatté la persiana, lasciando Naruto a contemplare l'edificio accompagnato solo da un silenzio cosmico.
Arrabbiato, dandosi dello stupido il ragazzo lanciò a terra i sassi e raccattò lo zaino. Decise di tornare sui suoi passi e rientrare a casa: l'idea di contattare Sasuke di notte era stata folle come quella di andarlo a trovare. L'indomani avrebbe maledetto Sakura, per quanto le volesse bene.
“Sei il solito idiota, Naruto.”
Sentendosi preso in causa Naruto si girò, all'occorrenza pronto a dire quattro parole al vecchietto di prima. Poi alzando lo sguardo, si accorse che presso finestra accanto si era sporto in avanti Sasuke.
“Sasuke?” domandò, giusto per evitare ulteriori fraintendimenti.
“Chi altri?” replicò questi.
“Non so – fece Naruto, alzando le spalle – magari il resto dei pazienti di quest'ospedale?”
Sasuke, sdraiato sul letto, aveva fatto appoggio sul gomito per sporgere in avanti la testa. L'unica cosa che poteva fare in ospedale, oltre a farsi visitare, era guardare fuori. Allora si era fatto posizionare il letto a contatto con l'unica apertura sul mondo, così da non dover fare particolari sforzi né per aprire le ante, né per sporgersi.
“Che vuoi?” domandò all'improvviso, con tono più duro di quanto non volesse.
“Nulla – fece Naruto sulla difensiva – passavo di qua per tornare a casa.”
“Perfetto, tornatene a casa allora.”
Sasuke si era sentito tradito. Non aveva voluto cercare una motivazione sul perché Naruto non si fosse mai fatto vedere. Riusciva solo a pensare che fra tutte le persone con cui aveva a che fare, era stato ignorato proprio da lui.
“Ormai sono qui. Vieni giù a cacciarmi, se ci riesci.” lo sfidò.
Le sue parole non passarono per il cervello. Aveva tanta voglia di provocare Sasuke, costringerlo davvero ad alzarsi e ad affrontarlo come avevano sempre fatto.
“Mi piacerebbe prenderti a pugni, non sai quanto.”
Si guardarono, anche se nella penombra della notte non poterono scorgere bene i rispettivi volti.
A quel punto, Naruto si rimboccò le maniche, fece cadere ancora a terra il borsone e propose.
“Tu aspetta e vedi che...”
“Che... cosa? - lo incalzò Sasuke ironico – Che vieni fin quassù?”
“Puoi giurarci!” esclamò l'altro senza pensarci.
“Arrampicati allora, o torna domani come tutte le persone normali.” propose.
Quando non ricevette risposta da Naruto, per un istante credette che avesse deciso di andarsene, eppure non sarebbe stato certo lui a fermarlo. Eppure nel momento in cui non riuscì più a intravederlo, nonostante il risentimento che provava nei suoi confronti con una certa apprensione cercò di spingersi più avanti.
Poi lo sentì respirare e allora, perplesso, Sasuke corrugò le sopracciglia. Trattenendo il fiato per il dolore, si sporse ancora e si sorprese nel vedere che Naruto, con sorprendente forza di volontà, si stava arrampicando, sfruttando i davanzali e le grondaie come appiglio.
“Cosa diavolo stai facendo?” sbottò, scuotendo la testa.
In realtà sorrise.
Naruto mugugnò qualcosa di incomprensibile in risposta, troppo concentrato a non perdere la presa per degnarsi di guardarlo.
“Anche se siamo al secondo piano non vuol dire che cadendo rimarrai illeso, razza di stupido.”
Avrebbe voluto essere più indifferente e meno preoccupato ma non ci riuscì. Alla fine, quando vide Naruto appollaiarsi sulla sua finestra, con le mani graffiate e la fronte sudata, tirò un accenno di sospiro.
“Se mi impegno posso anche raggiungere il tetto.” lo sfidò Naruto, incrociando le gambe nel dare con noncuranza le spalle al vuoto.
“Va bene, fallo in un altro momento però.” replicò Sasuke, fingendosi irritato.
Poi guardò Naruto. Quando era giù nel cortile scorgeva la sua figura alla luce dei lampioni, ora, ne intravedeva appena il viso grazie alla debole luce vicina alla parete, mentre il resto del suo corpo era accarezzato dall'ombra.
Non avrebbe mai pensato che, nonostante tutto, il suo cuore avrebbe accelerato così tanto all'idea di ritrovarselo davanti dopo settimane di assenza.
“Sai – disse all'improvviso Naruto con un groppo in gola – non volevo proprio vederti. Credevo di farlo per te, per non farti del male. Poi Sakura mi ha fatto capire che in realtà ero solo codardo: avevo paura di non vedere più il Sasuke che conoscevo.”
Aggrottò la fronte e si guardò le mani.
Gli era costato parecchio parlare così schiettamente di fronte a lui.
Sasuke lo comprese. Per diversi istanti rimase zitto, visto che a sua volta non sapeva cosa dire, quali parole usare. All'inizio pensava solo che, se mai Naruto si fosse fatto vivo, lo avrebbe insultato.
Ma ora che ce lo aveva davanti, ogni suo proposito era stato accantonato in un angolo, anche se la rabbia nei suoi confronti era rimasta immutata, accompagnata però da tanti altri sentimenti che gli tormentavano lo stomaco.
“Come sta il campo sulla spiaggia?” domandò all'improvviso, scrutando l'amico con fare indagatore.
Naruto fece una smorfia, ammettendo: “Non lo so. Da dopo l'incidente non ci sono più andato.”
“Perché?”
Si fissarono.
“Pensavo ad altro. A te, alla finale, a...”
Poteva esserci spazio per un noi?
Mordendosi un labbro, Sasuke afferrò Naruto per il collo della manica e lo trascinò verso di sé. Il ragazzo, colto completamente alla sprovvista, dovette appoggiare una mano sul cuscino a fianco alla testa del compagno per non cadergli addosso.
I loro volti, malgrado tutto, si trovarono a pochi millimetri di distanza.
Senza distogliere lo sguardo, Sasuke mormorò:
“Non avere compassione per me, Naruto. Non tu.”
Quella volta, il ragazzo dai capelli biondi non tentò di divincolarsi. Restò immobile, così che entrambi annegarono negli occhi intensi dell'altro.
“Non è compassione la mia. E' paura. E rabbia anche.”
A quel punto, Sasuke lasciò la presa ma Naruto non si mosse. Non sapeva quali parole usare o in che maniera impostare il discorso. Si sentì un bambino al primo giorno di scuola, quando aveva tutti gli strumenti per scrivere ma ancora non capiva in che maniera farlo.
Naruto invece lo guardava, incredibilmente serio e corrucciato. A dire il vero, era in tensione tanto quanto Sasuke. Per la vicinanza improvvisa, così come per la paura di sentire parole per le quali avrebbe voluto essere sordo.
Infine Sasuke si sentì un traditore nel prolungare ancora quell'attesa, avrebbe dovuto dire la verità e mai quanto quel giorno gli sarebbe piaciuto improvvisarsi uno splendido bugiardo:
“Non rimarrò paralizzato tutta la vita. Oggi pomeriggio mi è stata offerta una possibilità.” Quella... sì, quella era la parte migliore.
E Naruto colse con ogni fibra di se stesso ogni singolo aspetto positivo della notizia, sentendo una fitta di gioia che, stranamente, gli avvolgeva lo stomaco e gli accarezzava il cuore.
“Cosa? - mormorò, incredulo – Nessuno mi ha detto...”
“Perché nessuno lo ha ancora saputo – lo anticipò – sei il primo a cui lo dico.”
Dette quelle parole, Naruto lentamente tolse la mano dal cuscino e altrettanto lentamente si rimise a sedere sul davanzale, senza però distogliere gli occhi da Sasuke.
Questi invece si guardò un istante le gambe prima di dire:
“Nell'ospedale universitario di Fukuoka sono specializzati in operazioni di vertebroplastica e più in generale nella cura di lesioni alla spina dorsale. Non muovo più le gambe perché le vertebre fratturate schiacciano l'intera colonna vertebrale. Sottoponendomi a diverse operazioni, invece, è probabile che riescano a risistemarle e a guarirmi dalla paralisi.”
“Oh. Accidenti.” biascicò.
Voleva sentirsi felice, esultare, dire a Sasuke di dirigersi immediatamente nel Kyūshū e farsi operare il più in fretta possibile. Ma per una serie di motivi non lo fece, tra i quali vi era l'egoistica consapevolezza che in quel modo non avrebbe più rivisto il compagno.
�"Tutto qui quello che hai da dire?” domandò Sasuke, seppur con un accenno di sorriso.
Facendosi sospettoso, Naruto indagò: “E... ci sono rischi?”
“Posso solo rimanere paralizzato. Vista la situazione, direi che tentare non cambierebbe granché la mia condizione attuale se qualcosa andasse storto.”
Finendo di parlare, Sasuke guardò Naruto. Fu come se attendesse qualcosa. Non qualcosa, una domanda: la domanda fatidica che, in fondo, tutti e due aspettavano.
“Tornerai a giocare?” lo disse in un sussurro.
“Forse ci vorranno mesi, forse anni, di fisioterapia ma le possibilità sono buone. Magari il recupero non sarà tale da poter praticare la pallavolo a livello agonistico ma... continuerò a giocare.”
Ci vollero diversi secondi affinché Naruto potesse in qualche modo cercare di controllarsi, incamerare le emozioni e lo sconvolgimento che la prospettiva di veder nuovamente Sasuke su un campo da gioco gli aveva provocato. Se non averlo più accanto era il prezzo da pagare, gli andava benissimo ugualmente.
Dilatò le narici e replicò: “Vorrei davvero tanto prenderti a pugni.”
Stranamente, Sasuke non obiettò come al suo solito.
Guardò un istante fuori dalla finestra, oltre la figura di Naruto e fece presente:
“Questo vorrà dire che per seguire la terapia a Fukuoka dovrò trasferirmi lì.”
Passarono diversi secondi di silenzio.
Infine, Naruto sorrise e alzò le spalle, commentando:
“Immaginavo. A questo punto, credo proprio che ci ritroveremo in campo come rivali e non più come compagni di squadra.”
“Suppongo di sì.” Sasuke, a differenza di Naruto, non sorrideva.
Cadde nuovamente il silenzio.
Naruto non sapeva realmente cosa pensare: fino a poche ore fa era convinto di non vedere più Sasuke in piedi, adesso riteneva lecito immaginare che avrebbero giocato da avversari.
Accennando a un altro sorriso, fingendo una spensieratezza che non aveva, annunciò:
“Ora forse è meglio se scendo e cerco di sgattaiolare fuori. Penso che farmi beccare dagli infermieri sia più salutare di finire spiaccicato a terra.”
Il ragazzo in un primo momento non replicò. Lo osservò muoversi per cercare di scendere senza cadergli propriamente addosso poi, prima che potesse spostarsi, gli disse:
“Naruto, riguardo la sera dell'incidente...”
Si zittì. Aggrottò le sopracciglia, indurendo lo sguardo per cercare di non dare a vedere di trovarsi in difficoltà.
L'amico non si mosse, in attesa.
A quel punto, Sasuke decise di giocarsi il tutto per tutto, fissandolo:
“Avrei voluto abbracciarti.” la sua verità, in un soffio.
Perfetto. A quel punto Naruto aveva il sacrosanto diritto di ricattarlo a vita.
Il suo silenzio, in effetti, preoccupò Sasuke che già era in procinto di smentire ogni cosa, dandosi mentalmente dello stupido, e dichiarare con il suo solito fare schivo di averlo preso in giro.
“Perché non l'hai fatto?” domandò invece Naruto.
“Era una cosa stupida.” ammise, irrigidendosi.
No, per lui non lo era affatto. Anche adesso, si rese conto, gli sarebbe piaciuto toccarlo.
Poi, lo vide sorridere e replicare:
“Io sono specializzato nel fare cose stupide, ricordi?”
Lo disse muovendosi più avanti. Erano nuovamente vicini, vicini come sul campo da gioco, quando si affiancavano insieme per darsi lo slancio e murare; vicini in un'intimità che solo loro due sapevano di poter avere.
Sasuke smise di pensare alle conseguenze. Lentamente, mosse una mano e passò le dita tra i suoi capelli biondi, ancora bagnati dalla doccia dopo l'allenamento.
In un sussurro complice domandò:
“Sei così stupido anche da accettare un bacio?”
“Io sì. E tu?” chiese.
Non ebbe nemmeno bisogno di pensarci:
“Credo di non essermi mai sentito tanto stupido come questa sera.”
Pronunciata la parola sera, avvicinò le labbra a quelle di Naruto. Le sfiorò appena con la lingua, forse per indugiare e comprendere ciò che andava fatto, ma non credette nemmeno per un istante di stare sbagliando.
Così, alla fine si baciarono, entrambi mostrando una delicatezza accorta. Naruto, in bilico sul davanzale di una finestra; Sasuke, sdraiato su un letto d'ospedale. E la notte non faceva intravedere i loro corpi, anche se le stelle illuminavano il cielo.

*

Un anno dopo. Finale del torneo di primavera.

L'intera squadra era in fibrillazione. I componenti ascoltavano con sorprendente attenzione gli ultimi consigli di Tsunade, anche a volte se la testa era altrove.
Da una parte, tutti erano concentrati sull'imminente incontro per la finale del torneo; dall'altra, non potevano evitare di pensare al fatto che entro breve avrebbero rivisto... lui.
A distanza di un anno, ancora bruciava la sconfitta alla finale che avevano perso per un solo set contro gli avversari. Ora la voglia di rivincita era persino più forte e ognuno, dall'affamato Choji allo svogliato Shikamaru, aveva compreso il proprio ruolo meglio di quanto non fosse accaduto il giorno in cui giocarono senza Sasuke.
Neji era venuto ad assistere, lasciando gli allenamenti con i propri compagni d'università. Si sentì coinvolto alla stregua di tutti gli amici che aveva lasciato perché, in fondo, lui era pur sempre parte di quella squadra che lo aveva visto crescere.
Sakura, in piedi accanto all'allenatrice, scorse Naruto allontanarsiper praticare un po' di stretching, dopo aver ascoltato gli ultimi consigli tattici .
Lo raggiunse, affiancandoglisi, e disse:
“Oggi giocherai contro Sasuke.”
“Lo so – confermò lui, allegro – e francamente non vedo l'ora. Sono impaziente di fargli vedere quanto io sia migliore di lui.”
“Non montarti troppo la testa.” scherzò Sakura, dandogli un buffetto dietro la nuca.
Il ragazzo protestò ma tornò a ridere, con gli occhi luminosi dall'aspettativa.
Un anno intero: aveva dovuto attendere un anno intero per avere nuovamente l'occasione di confrontarsi con Sasuke. Nei giorni di qualifica le loro squadre si erano incontrate solo una volta ma in quel frangente il suo avversario aveva dovuto terminare la fisioterapia.
Il suo recupero, a ben pensarci, era stato sorprendente. Sorprendente per tutti, forse, ma non per Naruto. Perché questi conosceva la determinazione, l'ostinazione e la testardaggine di Sasuke meglio di chiunque altro.
Aveva sperato con tutto il cuore di avere l'occasione di fronteggiarsi un'ultima volta con lui prima di iniziare l'università. Dopo quello strano incontro alla finestra dell'ospedale, si erano rivisti soltanto più poco, fino a che non era venuto il giorno della partenza.
Si erano sentiti a volte per telefono, a volte per lettera. Si tenevano in contatto, solo loro due, anche se di tanto in tanto Sasuke scriveva qualche riga a Tsunade, salutando la squadra e avvisandoli che ben presto sarebbe tornato a giocare.
Poi, Naruto lo intravide uscire dagli spogliatoi. Stava parlando con l'allenatore e non guardò verso di loro. Tutti, a dire il vero, attendevano che Sasuke si voltasse dalla loro parte del campo.
Quando fu tempo di prendere posizione, finalmente il ragazzo dai capelli neri scrutò la propria squadra di un tempo; nel farlo, dopo averlo evitato con tutte le proprie forze, sentì una fitta di nostalgia: sapeva che sarebbe stato inevitabile provare affetto per il passato.
Poi guardò Naruto e pensò che dopo quella partita ogni cosa sarebbe stata diversa, magari in senso positivo. Probabilmente tutti e due avrebbero avuto più spazio l'uno per l'altro.
Si fissarono e, nell'attesa che gli ultimi giocatori scendessero in campo, Naruto annunciò avvicinandosi sotto rete:
“Ora il chiosco è più grande e solido. Anche la rete da gioco: non riuscirebbe a smuoverla nemmeno un tifone.”
Sasuke sorrise: “Allora aspettami. Ti batterò persino lì.”
“Scordatelo. Oggi ho intenzione di vincere.”
“Vincere? - ripeté Sasuke, piegando le ginocchia e attendendo il fischio dell'arbitro – Non contarci troppo, Naruto.”
Pochi secondi e l'arbitro fischiò.
Alla battuta, il giocatore della squadra di Sasuke si elevò in un salto e schiacciò la palla; la partita era iniziata.
Sasuke e Naruto si guardarono un'ultima, meravigliosa, volta prima di spostarsi seguendo gli schemi. Un istante, solo per loro, mentre il tempo, il sudore, il tabellone che segnava i punti cessavano di esistere.

Rifletti un istante.
Alle spalle, abbiamo un anno trascorso insieme come compagni di squadra; davanti a noi, una vita intera: come rivali e, forse, come gli amanti che in passato non siamo riusciti ad essere.
Allora... vuoi essere il mio amante?

La palla volò nell'aria e oltrepassò la rete, ricordando un prigioniero intento a scavalcare il muro che lo separava dal resto del mondo. Invece, il respiro irregolare dei due ragazzi in attesa sembrò semplicemente voler sussurrare

... sì.



Sproloqui di una  zucca

Fatto, ultimo capitolo pubblicato e storia conclusa, con un certo dispiacere da parte mia. Perché ho adorato questo Naruto e questo Sasuke. Il senso di complicità e rivalità che li lega, fino ad essere attrazione, non poteva che venire splendidamente espresso con la pallavolo, sport che amo e che secondo me incarna perfettamente il modo d'essere di entrambi.
Ho evitato volontariamente di dedicare una parte al momento in cui il dottore annuncia a Sasuke la possibilità di guarire. Semplicemente per non scadere in troppi tecnicismi medici e per far avvicinare chi legge a Naruto, alla sorpresa di ricevere una notizia simile nel cuore della notte.
Spero con questo capitolo di aver degnamente concluso la storia che vorrebbe essere una piccola parentesi nel vasto quanto variegato universo del SasuNaru: semplice e un po' nostalgica, nient'altro che questo.
Casomai non vi foste ancora stufati di queste parentesi, ho pubblicato un'altra mini-long, questa volta più long che mini, nuovamente dedicata a a Sasuke e Naruto. Ebbene sì, nonostante tutto mi piace scrivere su di loro <3

 
ryanforever: Bene, sono contenta di essere stata perdonata, ciò mi rende immensamente sollevata *ritira scudo contro i pomodori* Spiace tanto anche a me di essere arrivata alla fine, ma data la trama ritenevo che prolungare ulteriormente il tutto sarebbe risultato inadeguato e avrebbe portato un senso di ridondanza che non mi sarebbe gradito. Mi rende tanto felice che la caratterizzazione e le scene con Mikoto ti siano piaciute: è un personaggio che, in quanto madre e in quanto Uchiha, potrebbe offrire tanti spunti. In conclusione spero di essere stata abbastanza brava con Sasuke e Naruto, anche se il fatto che io voglia tanto bene ad entrambi (a livello di coppia, và XD) non sempre mi porta al lieto fine.
Grazie di aver seguito questa storia con tanta partecipazione, spero di ritrovarti molto prossimamente! Un grande bacione!

_Sumiko_:  Tiro un sospiro nel constatare che, nonostante l'attesa, l'irritazione sia stata dimenticata leggendo il nuovo capitolo. Rinnovo le mie scuse e ti ringrazio per l'infinita, nonché paziente, comprensione. Le tue parole mi rendono orgogliosa da un lato e commossa dall'altro: per come reputi IC i personaggi, cosa a cui tengo particolarmente, e per quanto hai apprezzato della narrazione. Credo sia negli avvenimenti della vita reale che si incontrino le maggiori difficoltà nel mantenere ben caratterizzati i personaggi.
Ti ringrazio delle tue recensioni e dell'alta opinione che hai di questa storia, mi auguro che anche con questo capitolo le tue impressioni possano rimanere inalterate. Spero oltretutto che ci rileggeremo in futuro! Bacione!

Kagachan: Oh, Ila! ** Grazie mille per la tua pazienza nel riscrivere e tentare di pubblicare le recensioni, è veramente odioso quando tutto va a farsi benedire ed EFP rifiuta di collaborare. Quindi considero doppiamente preziosi i commenti che, gioia e gaudio, dopo tante fatiche sei riuscita a postare.
Sono contenta che la fiction ti piaccia e che non deluda le aspettative, specialmente che il puzzle iniziale si sia completato senza troppi problemi. Che bello, anche a te è piaciuta Mikoto! Sono felice anche per la povera Signora Uchiha XD E' proprio vero: si tratta di una mamma, con tutto quello che comporta essere madre. Dev'essere forte per i suoi figli, mascherando il dolore e la paura, e questo non è mai immediato.
Quanto al buon Sasuke... sì, poveretto, è stato investito proprio mentre tentava di salvare il salvabile presso la spiaggia. In ogni caso concordo con te: Sasuke e Naruto sono personaggi complicati, seppure nella loro semplicità, e non sia mai che con loro tutto fili liscio XD Hai perfettamente inquadrato i loro sentimenti e le motivazioni che li hanno mossi in questi capitoli, sono davvero entusiasta di questo!
Con questo finale, mi auguro che rimarrai soddisfatta perché - sì, hai pienamente ragione - questa fiction è anche tua, la dedica è sempre valida, riga dopo riga. Attenderò impaziente che la tua voglia di scrivere ritorni alla grande e che quindi, contemporaneamente, io possa bearmi della tua ItaNaru (sono molto paziente **). Un mega-abbraccio-stritolante tutto per te, in attesa di poterci sentire!**

LaGrenouille:  Benvenuta, o nuova commentatrice! Splendido, ho trovato un'altra fan della pallavolo; in effetti speravo di incontrare persone a cui piacesse e che fossero in grado di amarla anche in questo contesto puramente letterario. E' bello leggere che tu abbia apprezzato questi momenti di gioco, specialmente perché non è facile cercare di trasmettere simili episodi. Quindi ben venga che tu sia una feticista del dettaglio, ci ritroviamo molto sotto quest'aspetto!
Ho molto apprezzato come tu hai definito il rapporto tra Sasuke e Naruto "attraversato da corrente elettrica", meraviglioso modo di descriverlo e vederlo, non avrei potuto trovare una maniera migliore per parlare dell'ottica sotto la quale io li percepisco. Altrettanto positivo per me è stato comprendere che il rapporto tra Itachi e Sasuke, seppur non facilitato dalla lontananza, ti abbia colpito (io ho una sorella più piccola e abbiamo caratteri tanto diversi, eppure ancora non saprei definire con esattezza la natura del legame che ci unisce).
Grazie quindi del tuo commento e delle opinioni che hai espresso, ne sono davvero felice. Mi auguro di rivederti prossimamente su questi schermi! Bacione!

annamariz: Grazie davvero per mostrare nuovamente apprezzamento per questa storia e, più in generale, verso l'autrice, questo mi motiva moltissimo. Pur essendo alla fine, mi auguro che la conclusione non lasci pienamente insoddisfatti e che continuino ad essere ben considerati i personaggi, così come la trama in generale.
Rinnovo i miei ringraziamenti e attendo il tuo parere. Un grande bacione!

mikkabon: Ohibò, anche questa volta sono scampata alla morte, meno male! Sì, in effetti riconosco di essere giusto un pochettino crudele e infima ma credo che con questo capitolo mi sia riscattata, almeno in parte, di molto delle cattiverie che ho fatto subire. Almeno credo ò.ò
Sasuke e Naruto, in qualsiasi modo vada, non possono essere da soli... si chiamano, anche solo telepaticamente, c'è poco da fare ** In ogni caso, lieta di sapere che l'attesa sia stata ricompensata dal capitolo!
Grazie di tutto e un bacione anche a te, spero di rivederti da queste parti!

Grazie infine anche a tutti i lettori! Arrivederci a presto, yeah!


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=465162