Il cacciatore di tesori

di Alaire94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** stupidi umani ***
Capitolo 2: *** il ragazzo ***
Capitolo 3: *** lungo il Sentiero ***
Capitolo 4: *** lo stregone ***
Capitolo 5: *** il bosco dei ricordi ***
Capitolo 6: *** arrivo a Pakal ***
Capitolo 7: *** lettere ***
Capitolo 8: *** il labirinto ***
Capitolo 9: *** una nuova trappola ***
Capitolo 10: *** alghe assassine ***
Capitolo 11: *** la sala della mappa ***
Capitolo 12: *** il patto ***



Capitolo 1
*** stupidi umani ***


1.     Stupidi umani

Avevo scalato montagne, attraversato mari e affrontato ogni sorta di mostro.  Avevo visto gente nascere e tanta altra morire, ma niente era come questo posto, perché era l’inferno.

Le fiamme mi circondavano, un caldo pazzesco mi penetrava nella pelle e il fumo nelle narici. Lo sentivo già depositarsi sui polmoni e bloccarmi il respiro. Sei arrivato al capolinea, hai toccato il fondo, mio caro Rhon mi dissi.

Avrei voluto tornare indietro, scegliere l’altra strada e vivere almeno un altro secolo, ma ormai il guaio era fatto. Dopo glorie e avventure era arrivata la fine del più noto cacciatore di tesori. E tutto per un altro pugno di soldi e pietre preziose.

Vedevo il tesoro, dietro a un muro di fiamme e non c’era peggiore tortura: sarei morto lì, con l’oro a pochi metri, senza poterlo prendere.

Proprio in quel momento, infatti, caddi a terra. Ormai non riuscivo più a respirare.

Mi stavo spegnendo, lo sapevo bene, ma non avevo paura. Forse perché avevo visto talmente tanti orrori in vita che la morte mi sembrava una piccolezza. C’era un’unica cosa che non sopportavo della morte: i miei tesori sarebbero stati persi, quei tesori che erano stati la ragione della mia vita e la causa della mia fine.

- Addio, bastardo – disse il mostro aprendo le sue enormi fauci. Addio mondo …

 

* * *

 

Noi Drow non siamo una razza buona. Viviamo nella Terza Terra, quella dei cattivi, in antri oscuri e profondi nei quali pochi si addentrerebbero. Siamo elfi oscuri, alti e atletici, con la pelle color dell’ebano e i capelli bianchi come la luna, ma la nostra principale caratteristica sono gli occhi: stretti e felini  riflettono la pura malvagità.

Il nostro unico scopo è quello di possedere oro facendo razzie e seminando terrore in tutte le Cinque Terre. Di natura scontrosa e disonesta spesso litighiamo fra noi, soprattutto quando si tratta di soldi.

Proprio a causa della cattiva fama della mia razza, quando quel giorno entrai nella Terra degli Umani, tutti si voltarono a guardare lo straniero. Nonostante avessi il cappuccio del mantello calato sulla testa, la mia pelle scura, così come la mia scia non passarono inosservati.

- Un elfo oscuro … andiamo via – sentivo sussurrare le madri ai loro bambini, per poi scappare via col terrore dipinto sui loro piccoli visi.

Io avanzavo camminando lentamente in mezzo a quel fuggi  fuggi generale e guardando la scena dall’alto verso il basso, un po’ infastidito.

In realtà non era mia intenzione irrompere nelle case di persone innocenti e portare via tutto come è usanza fra la mia gente, ma ormai ero abituato ai pregiudizi, neanche ci facevo caso. Il mio unico vero obiettivo era ovviamente quello di impossessarmi del tesoro di cui mi era giunta voce dovesse trovarsi da quelle parti.

Attraversando la strada ormai deserta, entrai in un locale chiamato “La taverna dell’orso” per mangiare qualcosa, visto che era almeno dal giorno prima che non toccavo cibo.

Mi sedetti al bancone e ordinai, cercando di ignorare gli sguardi sospettosi e spaventati della gente. Mentre stavo mangiando la mia bistecca un uomo prese coraggio e mi si avvicinò, probabilmente a nome di tutti. – Devi andartene di qui, non puoi restare – mi disse gonfiando il petto. – Io non me ne andrò – risposi semplicemente, senza neanche guardarlo in faccia. – Invece sì, chiamerò le autorità e ti farò cacciare. Noi amiamo le nostre famiglie e non vogliamo vederle distrutte – spiegò l’uomo sempre più convinto. Io trattenni una risata, poi dissi: - poveri illusi, non mi interessa proprio nulla delle vostre famiglie. Sono solo qui di passaggio e quando avrò finito il mio compito me ne andrò –

- voi sporchi Drow tendete trappole ovunque, non possiamo fidarci, quindi porta le tue chiappe da elfo fuori dalla Terra degli Umani – esclamò con un sorriso compiaciuto, credendosi forse il più furbo.

A quelle parole poggiai la forchetta sul piatto. Quel piccolo umano mi aveva appena fatto passare la fame e io odio quando qualcuno mi rovina il pasto, soprattutto se si tratta di un piccolo ed irritante umano. Mi alzai quindi dalla sedia che spostandosi produsse un rumore stridulo, mi tirai giù il cappuccio ed afferrai l’uomo per il colletto sollevandolo da terra. – Io non permetto a nessuno di darmi ordini, hai capito?! – Gridai e la mia voce risuonò per tutto il locale, zittendo tutti. L’umano, ora terrorizzato, non mosse un muscolo. Allora io lo lasciai cadere bruscamente a terra e gli puntai l’ascia alla gola. – Per ciò che hai fatto di meriti la morte – conclusi pieno di rabbia. Odiavo gli umani più di qualsiasi altro essere delle Cinque Terre in particolar modo quando erano così stupidi da irritare un Drow errante.

Stavo per tagliargli la gola e spargere il suo sangue ovunque con mia immensa soddisfazione, quando ….

 

 

Angolo dell’autrice: 

come avrete notato ho preso in prestito una razza del gioco di ruolo D&D, il resto però è completamente inventato da me.

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Capitolo 2
*** il ragazzo ***


2. Il ragazzo

 

Stavo per tagliargli la gola e spargere il suo sangue ovunque con mia immensa soddisfazione, quando un giovane si fece avanti fra la folla del locale. Aveva i capelli neri, lunghi e legati in una coda di cavallo e due occhi penetranti che in un qualche modo mi colpirono, calmando in parte la mia rabbia. – No, aspetta, non vogliamo inutili spargimenti di sangue, Rick chiederà scusa e ti pagherà la cena per due sere – propose il ragazzo. Io ci pensai un attimo senza abbassare l’ascia. Infondo che mi cambia la sua morte?

Abbassai l’arma. – Va bene, chiedimi scusa – ordinai sedendomi di nuovo al bancone. – Scusa, chiedo umilmente perdono – disse l’uomo mentre con mani tremanti tirava fuori del denaro dalla tasca. – Ecco, questo è tutto quello che ho.

Io presi i soldi e li misi velocemente nella tasca del mantello. Non mi piace che troppe persone vedano dove metto il mio denaro: poca è la gente affidabile a questo mondo.

Dopo aver lasciato andare l’umano ordinai da bere. Il giovane dagli occhi penetranti, intanto, si sedette vicino a me e io lo squadrai sospettoso. – Cosa vuoi, ragazzo? – Chiesi – mi domandavo cosa ci facesse un Drow da queste parti – rispose lui, con un tono stranamente curioso. – Sono un cacciatore di tesori, vagabondo per le Cinque Terre – risposi io, cercando di stare sul vago – interessante … e che tesoro cerchi? –

Io questa volta lo fissai intensamente negli occhi, alla ricerca delle sue intenzioni: non mi piacevano le sue domande. – Io tengo per me i miei affari – risposi quindi, diffidente. Passò qualche secondo di silenzio in cui io sorseggiai il mio bicchiere di whisky.

- Hai coraggio ad avvicinarmi, ragazzo, dovresti saperlo che noi Drow siamo splendidi ingannatori, pronti ad attaccare quando meno te lo aspetti – lo misi in guardia, cercando di spaventarlo, ma lui continuò a guardarmi in modo fiero: era impavido, il giovane. – Io non ho paura di niente – commentò con lo sguardo infiammato.

Io finii di bere e mi alzai lentamente dalla sedia. – Degli eroi ne sono piene le fosse – conclusi infine, pagando e uscendo dal locale.

Mentre camminavo tirai fuori dal mantello il foglietto che mi aveva dato un vecchio druido nella cittadina da cui ero partito. Sopra vi erano impressi con una calligrafia sottile un nome e un indirizzo. Era lì che dovevo andare, nonostante non sapessi proprio dove si trovasse questo Sentiero dell’inverno e l’unico modo di saperlo era chiedere informazioni a qualcuno. Un po’ innervosito per questa seccatura afferrai per un braccio una donna, impedendole di scappare. Questa urlò così forte da farmi fischiare le orecchie e ciò mi seccò ancora di più. – Conosci quest’uomo? – Chiesi cercando di ignorare le sue urla snervanti e mostrandole il foglietto. La donna finalmente smise di urlare e lesse il foglio. – Sì, è il vecchio stregone, abita sul Monte Falagon – rispose con la voce incrinata dalla paura – e dov’è questo Monte Falagon? – Chiesi io. – Quello là – disse la donna indicando col dito il monte che sovrastava con la sua imponenza la cittadina. Era davvero immenso.

Senza altre parole lascai andare la donna che scappò subito come uno scarafaggio spaventato. Io nel frattempo entrai in una bottega e acquistai i viveri che mi sarebbero serviti per i giorni a venire. Il viaggio verso il Sentiero dell’inverno sarebbe stato lungo e ricco d’insidie, ne ero sicuro.

 

Il giorno seguente mi svegliai all’alba e sbirciai dalla piccola finestra della mia stanza nella locanda. C’era ancora buio, ma una sottile linea di sole stava cominciando a spuntare da dietro le case della cittadina di Argon.

Mi vestii lentamente, mi infilai il mantello e mi misi a tracolla la sacca con dentro la mia ascia.

L’ascia che possedevo non era una qualunque: era magica ed era quindi anche la fonte di tutti i miei poteri, senza essa sarei stato perduto. Inoltre tenevo troppo alla mia arma, mi ricordava i tempi antichi del mio addestramento magico, quando ero ancora al villaggio e il mio maestro era il grande druido Ra-Zhar.

Prima di scendere la sfoderai, osservandola con un sorriso. Era ancora abbastanza lucida e pulita: nell’ultimo periodo, infatti, non l’avevo usata se non per uccidere qualche animale.

Dopo aver fatto colazione nella locanda mi avviai lungo la strada fino ad uscire da Argon. Mi inoltrai nella foresta e per un attimo mi sentii più rilassato. Non mi piaceva la gente, preferivo quasi le bestie feroci nascoste fra gli alberi, se non altro esse non fuggivano alla mia vista.

Camminai e camminai per ore, sotto il sole cocente che mi batteva sul cappuccio nonostante l’ombra degli alberi. Niente fermò il mio cammino, nessuna bestia o mostro fatato mi costrinse a perdere tempo. Dopo qualche giorno sarei già stato dallo stregone Merlok  ed entro qualche settimana avrei già avuto fra le mani il tesoro. A questo pensiero sorrisi, poi guardai il sole: era l’una, più o meno. Un gorgoglio nello stomaco mi costrinse a fermarmi in una radura.

Dopo aver pranzato mi stesi sul prato guardando le fronde e il cielo azzurro. Quando avrei recuperato anche questo tesoro, avrei avuto in tutto più o meno cinquecentomila monete d’oro e settemila pietre preziose. Era davvero molto, considerando che il conto poteva anche essere errato visto che quando avevo effettuato il conto, avevo bevuto qualche bicchiere di troppo. In ogni caso la somma stava cominciando a diventare troppo elevata per le poche difese magiche che ricoprivano la cripta. La prossima volta è meglio che ci dia un’occhiata pensai .

Proprio in quel momento un leggero fruscio interruppe le mie riflessioni. Mi alzai e scrutai attorno a me. Non sembrava ci fosse nulla di strano: le foglie degli alberi ondeggiavano al leggero venticello e qualche insetto si muoveva fra i cespugli. Mi misi in ascolto. Soltanto il cinguettio degli uccelli rompeva il silenzio della foresta. Strano, si vede che sto proprio diventando vecchio …

 

Angolo dell’autrice:

probabilmente questo capitolo non è entusiasmante come il primo, comunque vi invito a continuare a leggere perché i prossimi saranno un po’ più movimentati.

Comunque ringrazio tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo, mi ha davvero fatto piacere J e spero seriamente che troviate ancora interessante la mia storia.

Per Ramiza: il flux of consciousness non so cosa  sia, ma sono contenta di averlo inserito XD per il fatto del Drow, in effetti ho preso in prestito solo qualche caratteristica perché comunque volevo creare qualcosa di mio.

 

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Capitolo 3
*** lungo il Sentiero ***


3.  lungo il Sentiero

Mi distesi di nuovo sull’erba, ma non ero più tranquillo come poco prima. Avevo l’impressione che qualcuno o qualcosa mi stesse osservando, acquattato fra gli alberi. Mi misi di nuovo seduto per avere più controllo della situazione.

Qualcosa, infatti, mi colpì alle spalle con urlo rauco. Degli artigli mi penetrarono nelle spalle provocandomi un’intensa fitta di dolore e automaticamente si innestò la mia rabbia. Mi gettai in avanti, facendo cadere l’essere a terra  e in questo modo riuscii a vederlo. Era un gallik, un minuto e basso umanoide agile come una scimmia. Proprio grazie alla sua agilità si rimise subito in piedi, pronto all’attacco fissandomi con un verso stridulo. Io approfittai della pausa per recuperare la mia ascia, che era caduta durante l’aggressione e cercare di colpirlo, ma il gallik saltava da una parte all’altra come una cavalletta. Prima che riuscissi a fermarlo, mi saltò addosso e con una manina viscida tentò di rubare il sacchetto di monete che mi aveva dato l’umano, ma io con un’abile mossa gli spezzai il polso e la creatura cadde a terra, dolorante. Approfittando di questo vantaggio, pronunciai un incantesimo e colpii il terreno con l’ascia. Immediatamente un raggio di luce blu si propagò nella radura, colpendo in pieno il gallik. Quando la luce si disperse, al posto del mostro vi era un mucchio di cenere e una chiazza d’erba bruciata.

Meglio andare via, non è più sicuro qui pensai prendendo la mia roba e rimettendomi in cammino. La spalla destra mi faceva molto male e dalla ferita usciva del sangue che mi stava lentamente inzuppando il mantello. Appena riuscii mi fermai e mi medicai la ferita con alcune erbe medicinali, ma ciò non sarebbe bastato: avevo bisogno di cure serie che sarei riuscito ad avere soltanto arrivando alla rocca. Aumentai il passo e continuai a camminare e camminare. Ormai il Monte Falagon era molto vicino. Infatti, verso sera trovai un cartello di legno che indicava l’inizio del Sentiero dell’Inverno.

Poco dopo mi accampai sotto un grande albero non lontano dal sentiero e mi preparai la cena. Ero molto stanco e, nonostante la medicazione, la ferita continuava a sanguinare e a farmi male. Fino a quando avrei potuto resistere? Già cominciavo a sentirmi debole e sapevo benissimo che prima o poi le forze mi avrebbero lentamente abbandonato.

Intanto la notte stava arrivando piano piano, allungando le ombre e trasformando gli alberi e i cespugli in tetre figure nere. Un timido spicchio di luna, però,  spuntava dalle nubi, rischiarando così almeno un po’ quell’oscurità.   Io,invece,  nonostante fossi solo e ferito in una foresta, non avevo affatto paura: avevo ancora tanti tesori da conquistare in questo mondo, ma se fosse sopraggiunta la morte l’avrei accettata con onore, infondo voleva dire che quello era il volere del fato.

Un fruscio fra gli alberi mi distolse dai miei pensieri. C’era qualcosa o qualcuno nascosto fra i cespugli, ma non me ne meravigliai: era da un po’ di tempo, precisamente da quando avevo ucciso quel gallik, che avevo l’impressione di essere osservato. Probabilmente era una bestia che stava solo aspettando il momento giusto per attaccarmi e forse aspettava proprio che diventassi talmente debole da non riuscire a camminare. Una preda facile, insomma. In effetti, anche ora, ero troppo debole per scovare la creatura nel bosco e ucciderla a sangue freddo, ma sarei riuscito a fregarla comunque: sarei arrivato a destinazione prima che quella perfida bestiaccia potesse uccidermi.

Con quell’ultima riflessione mi coricai sull’erba fresca, sicuro che l’essere non sarebbe stato così vigliacco da attaccarmi durante il sonno.

La mattina mi svegliai un po’ più riposato, ma più debole del giorno prima. Dopo qualche minuto di pausa mi rinfilai il mantello e mi misi la custodia dell’ascia in spalla, poi ripresi il cammino.

Il cielo era grigio e denso di nuvole e, nonostante non fossi un esperto in meteorologia, ero sicuro che da lì a qualche ora avrebbe cominciato a piovere.   

Infatti, dopo un’oretta, proprio quando il sentiero aveva cominciato a farsi duro ed ero costretto a tagliare con l’ascia i rami dei pini, la prima goccia mi cadde sul mantello.  Imprecai in tutte le lingue che conoscevo, mentre sentivo le forze lasciarmi lentamente per colpa della fatica del procedere su quel maledetto Sentiero dell’inverno. Da lì a poco una pioggia torrenziale cominciò a scendere dal cielo, rendendo i sassi scivolosi e la terra fangosa. Ma io, nonostante la debolezza e la ferita che mi pulsava come se fosse viva, continuavo ad arrancare nel fango, sempre più veloce, mentre la pioggia mi bagnava dalla testa ai piedi.

La rocca era sempre più vicina: la vedevo grande e imponente sopra di me, che dominava la vallata. Io dovevo raggiungerla e il più presto possibile, o sarei diventato il pasto della bestia che mi osservava nell’ombra. Ogni passo per me stava diventando pesante quanto un masso, sentivo le gambe cedere e il mondo roteare davanti ai miei occhi come una trottola, mentre il sangue caldo della ferita mi sporcava la maglia e il mantello. Ma io sono un Drow e noi abbiamo una volontà di ferro, non mi sarei fermato davanti a nulla, avrei affrontato il dolore e anche la morte se si fosse reso necessario.

Forte delle mie convinzioni, affondai piedi e mani nel fango per arrivare fino alla mia meta, ormai distante pochi metri. Scosso dai brividi di freddo e tremante come una foglia al vento, guardavo il mondo attraverso un velo opaco e ondeggiante, mentre, avanzando a quattro zampe come un animale, arrivai davanti al portone della rocca. Ero profondamente infuriato. Come può un Drow ridursi così? Pensavo continuamente e forse soltanto questo pensiero mi impedì di svenire. Con le ultime forze rimaste bussai quindi al portone, poi non vidi più nulla.

 

Ero in una grande stanza. La candela sul comodino di fianco a me illuminava ogni cosa di una luce opaca. Il grande armadio di legno lucido ai piedi del letto gettava sul pavimento una grande ombra e la tenda rossa davanti alla finestra ondeggiava, scossa da una leggera brezza proveniente da uno spiffero. Se la avesse guardata un bambino, probabilmente la avrebbe scambiata per un fantasma e si sarebbe accucciato impaurito sotto le coperte pulite, ma io, un cacciatore di tesori senza paura, osservavo incantato il suo piccolo movimento oscillatorio. E’ così che ingannavo il tempo mentre aspettavo che qualcuno venisse a spiegarmi come ero arrivato lì, visto che io ricordavo poco o nulla.

Dopo poco più di un’oretta un vecchio minuto e con una lunga barba grigia aprì la piccola porta della camera. – Vedo che sei già sveglio – disse con una vocina flebile. Io annuii. – Cosa ti ha portato fino a qui? – Chiese e io guardai perplesso. – Non mi ricordo nulla – risposi semplicemente. L’uomo si sedette sul letto e con un sospiro disse: - ieri, nel bel mezzo di un temporale, hai bussato ferito alla mia porta. Io ti ho accolto e ti ho medicato la ferita.

A quelle parole mi si affacciarono alla mente diverse immagini, una dietro l’altra. Il giovane del locale, l’attacco del gallik, la bestia che mi inseguiva … finalmente mi ricordavo tutto. Ma ora dovevo fare in fretta, dovevo avere le informazioni che mi servivano e andarmene subito: avevo un tesoro da conquistare. Cercai di alzarmi, ma una fitta mi colpì la spalla costringendomi a rimettermi seduto. – Non così in fretta, sei ancora debole – osservò il vecchio – io non ho tempo da perdere, devo avere informazioni e andare via – dissi, frettolosamente. – Per quanto riguarda le informazioni puoi chiedermi ciò che vuoi, se ti è utile, per il resto ancora non se ne parla –

- dov’è il tesoro? – Chiesi allora schiettamente e senza tanti giri di parole …

 

 

Angolo dell’autrice:

mi scuso ancora per questi capitoli che forse non sono all’altezza delle vostre aspettative, ma sono necessari per la descrizione del mio personaggio e del proseguimento.

Ringrazio di nuovo coloro che hanno commentato il capitolo precedente e spero che continuiate a fidarvi e a seguire questa storia e soprattutto: RECENSITE, RECENSITE, RECENSITE J mi fa davvero piacere leggere le vostre recensioni.

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Capitolo 4
*** lo stregone ***


4. Lo stregone

- Dov’è il tesoro? – Chiesi schiettamente e senza tanti giri di parole. – Diretto e prepotente come un Drow, vedo – commentò lo stregone con un sorriso appena accennato. – Allora? Dov’è? – Insistetti – dovrai attraversare grandi foreste e paludi, lo sai vero? – Chiese Merlock mentre accendeva una candela con l’ultima fiammella di un’altra che ormai era finita. Mentre lo guardavo compiere quell’azione in modo così paziente e calmo io cominciavo ad innervosirmi … - ma per chi mi hai preso?! Io sono un Drow! Non uno stupido essere codardo come un coniglio – esclamai alzando di qualche tono la voce. Così facendo, finalmente Merlock cominciò a spiegare: - chiedo perdono, ma io volevo soltanto avvertirti perché io conosco la vera pericolosità di questa ricerca ... vedi, una parte di quel tesoro apparteneva a me una volta, così come il resto apparteneva ad altri undici maghi – a quelle parole una ruga segnata dagli anni e dalle sofferenze si accentuò di più sulla fronte di Merlock. Io sospirai: stava per raccontarmi la storia della sua vita, potevo mettermi comodo. - … Un giorno però tutto il patrimonio che avevamo accumulato in tanti anni ci venne sottratto inspiegabilmente. Infatti, il luogo dove lo avevamo nascosto era pieno di complessi incantesimi e maledizioni, quindi colui che ce l’aveva rubato era evidentemente più potente di noi tutti messi insieme … - continuò il mago, poi io lo interruppi, impaziente: - e adesso dove si trova l’oro? –

- L’unica cosa che so è che ora è nascosto nelle profonde gallerie di Bohr – rispose semplicemente Merlock, ma ero io ora a voler sapere di più: la storia mi aveva incuriosito. – E avete scoperto chi vi aveva sottratto il patrimonio? – Chiesi – purtroppo no … sai, ci fu una lotta fra noi maghi. I più avari volevano riavere il proprio tesoro a costo della vita, altri erano contrari. Nacque una grande lite, alcuni di noi ci lasciarono persino la pelle e alla fine coloro che volevano riavere i loro averi se ne andarono verso le gallerie di Bohr , ma io rimasi qui e non venni mai a sapere certi particolari – rispose Merlock. – E gli altri? Sono riusciti a recuperare il tesoro? –

- No, fu una strage e morirono quasi tutti.

Io riflettei qualche secondo sulle parole del mago: ora sapevo più o meno dove si trovava il tesoro, ma come potevo scoprire la sua esatta posizione? E inoltre quali insidie mi aspettavano in quel luogo?

- Queste gallerie cos’hanno di così insidioso? – Chiesi, cercando di rispondere ai miei dubbi. – Sono molto intricate ed inospitali, ricche di lunghi cunicoli bui, dove vi abitano le bestie più mostruose – rispose con enfasi, forse cercando di spaventarmi. – Beh, mi piacciono queste ricerche impossibili – commentai invece io, con un sorriso soddisfatto.

Merlock nel frattempo assunse un’espressione pensosa, poi disse: - ad ogni modo, forse c’è qualcosa che potrebbe facilitarti il compito –

- ovvero? – Chiesi io, ora più interessato che mai. – Mi è arrivata voce che uno dei pochi maghi sopravvissuti tracciò una mappa delle gallerie, segnando la posizione del tesoro – rispose con la mente ancora persa nei ricordi. – Una mappa … interessante … e dov’è? – Chiesi nuovamente, con un sorrisino compiaciuto: questa caccia al tesoro cominciava a prospettarsi davvero interessante.

- Non lo so, probabilmente solo colui che l’ha tracciata lo sa – spiegò ancora lo stregone. – E quindi chi l’ha tracciata? –

- Karl Kalhar, abita non molto lontano da qui, nella cittadina di Pakal.

Io annuii. Ora avevo tutte le informazioni che mi servivano e contavo di andarmene in fretta, subito alla ricerca di questo Karl. – Comunque dovrai stare attento: Karl è un tipo un po’ scontroso – aggiunse Merlock e io annuii di nuovo.

- Ora ti lascio, è meglio che riposi – concluse il vecchio, uscendo dalla stanza e chiudendo la porta.

Io mi raggomitolai sotto le coperte, cercando di calmarmi. Mi fremevano le gambe: non ce la facevo più a stare lì seduto sul letto. Io ero una persona attiva, avevo bisogno di azione e invece ero costretto a letto quando un grande tesoro mi aspettava. Per questo la frustrazione mi assaliva, rendendomi ogni secondo più nervoso.

Improvvisamente, però, qualcosa mi distrasse. La tenda ondeggiò più forte e una figura passò davanti alla finestra aperta. Cos’è? Pensai mettendomi in ascolto. Sarà un qualche animale conclusi, rilassandomi. Una folata di vento proveniente dalla finestra mi colpì e un brivido di freddo mi scese lungo la schiena.

Con un dolore e uno sforzo immane scesi dal letto e mi misi in piedi. Ero molto debole e le gambe mi tremavano, ma lentamente riuscii ad arrivare alla finestra. Mi sporsi. La stanza era a piano terra e davanti ai miei occhi si espandeva il fitto bosco. Chissà, magari è la bestia che mi ha inseguito per tutto il viaggio e che finalmente ha deciso di mollare la preda ipotizzai con un sorriso, felice di averla ingannata. Dopodiché chiusi la finestra, mi stesi di nuovo sul letto e mi addormentai.   

 

Loraine, l’elfa dagli occhi turchini, era davanti a me. I capelli neri si muovevano a una leggere brezza come il suo abito bianco, che le scivolava addosso come un velo e lasciava trasparire la sua pelle rosea. Veniva verso di me e mi chiamava con voce flebile. Mi accarezzava una guancia e poi mi afferrava una mano. Voleva che io la seguissi verso la luce, ma io mi opponevo. Rimanevo dov’ero, perché sapevo che per me nella luce non c’era profitto, visto che ormai Loraine era morta.

Era stato un orco, l’aveva uccisa brutalmente e bruciato la nostra casa. Io mi ero salvato perché in quel momento ero al fiume a pescare qualcosa per il pranzo. Il giorno dopo me ne andai, ma non ritornai più al villaggio da cui Loraine mi aveva convinto a fuggire, cominciai a cercare tesori, perché era rimasta l’unica ragione per cui ancora potevo vivere.

Se solo fossi rimasto con lei, se solo non l’avessi lasciata sola …

Da anni cercavo di estinguere quei rimorsi che mi rodevano l’anima, ma forse non me ne sarei liberato mai.

Quando mi svegliai una piccola lacrima mi scese lungo la guancia, ma me la asciugai rapidamente: un Drow non piange come un bambino. Mi misi seduto. Dalla finestra entrava una tiepida aria mattutina: Merlock doveva essere venuto a riaprirla mentre dormivo.

Cercai di muovere il braccio e inaspettatamente mi accorsi che il dolore era diminuito, ora lo muovevo meglio.

Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì ed entrò il mago. Aveva la barba tutta scompigliata e gli occhi lucidi di chi si è appena svegliato. – Allora? Come va questa mattina? – Mi chiese portando un vassoio con la colazione. – Benissimo, penso che ripartirò nel pomeriggio.

 

 

Angolo dell’autrice:

bene ecco concluso anche il quarto capitolo. Finalmente si comincia a capire un po’ della trama, ma ancora  la vera storia e gli intrighi devono ancora cominciare, quindi mi raccomando continuate tutti a seguirmi J. Poi, come avete visto, Rhon non è del tutto privo di sentimenti …

Comunque ringrazio ancora una volta coloro che hanno recensito e continuate mi raccomando!

 

 

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Capitolo 5
*** il bosco dei ricordi ***


5. Il bosco dei ricordi

Infilai il mantello e mi misi l’arma in spalla. – Sei sicuro di voler partire? – Mi chiese Merlok , allungandomi  la sacca con i viveri. Stava cominciando ad innervosirmi questo vecchio: sembrava una mamma apprensiva e io non vedevo l’ora di andarmene. – Sì, sicurissimo – risposi imboccando il corridoio verso l’uscita. Merlok allora aprì il portone, mi salutò e me ne andai.

Prima di ripartire, mi fermai sulla cima della montagna per osservare l’ambiente circostante. Ai piedi del monte vi era una grande foresta dagli alberi fitti e dietro di essa spuntavano i tetti di alcune case: doveva essere la cittadina di Pakal. Sorrisi. Non sarebbe stato difficile arrivare fino a lì, avrei dovuto soltanto rifare la strada dell’andata e prendere la via per la foresta.

Iniziai subito ad incamminarmi seguendo il sentiero e cercando di non perdermi.

Tutto procedette tranquillo e la sera mi accampai in un piccolo spiazzo di fianco al sentiero. Accesi un fuoco per cuocere un coniglio che avevo catturato lungo la strada: ero davvero stanco del solito cibo stantio. Dopo aver mangiato mi stesi sull’erba, ancora leggermente bagnata dalla pioggia di qualche giorno prima. Il cielo, al di sopra delle punte dei pini, era limpido e potevo ammirare i miliardi di stelle che tempestavano l’oscurità. Attraverso una nuvoletta si intravedeva un quarto di luna, che gettava una tenue luce sugli alberi. Mi piaceva stare così, nella mia solitudine, a guardare le stelle, a sentire i versi degli uccelli notturni e il cri cri dei grilli. Infondo era la natura la mia sola amica: io non ero fatto per stare con gli altri, nemmeno con quelli della mia razza. Io dovevo stare da solo, fra gli animali e le bestie, nella foresta, dove tutti gli equilibri della società non contavano nulla. In natura, infatti, l’unica legge valida era quella della sopravvivenza.

Un improvviso fruscio fra gli alberi interruppe i miei pensieri. Non feci neanche in tempo a rendermi conto di cosa stava succedendo che quattro figure balzarono fuori dall’oscurità, assalendomi. Uno mi saltò addosso con un coltello in mano, ma io gli sferrai un pugno in pieno viso, facendolo cadere al mio fianco. Possibile che in questo mondo non esista un attimo di tranquillità? Pensai mentre mettevo ko un altro piccolo umano. Doveva essere un gruppo di briganti, che viveva soltanto di ruberie ai viandanti di passaggio da quelle parti. Purtroppo per loro, però, avevano incontrato la persona sbagliata.

Con un rapido gesto recuperai la mia ascia e squarciai il petto al primo che cercò di aggredirmi. Vidi il terrore dipinto sui volti dei compagni, ma non si persero d’animo. Tentarono di attaccarmi tutti insieme: due si impegnarono a tenermi fermo, cercando di farmi perdere l’arma, e il terzo a uccidermi con un colpo di coltello. Io, però, con qualche pugno e calcio mi liberai subito dalla stretta dei due e con l’ascia colpii il terzo, che cadde a terra senza vita.

I due uomini rimasti si guardarono stupiti e, prima che potessi ucciderli, scapparono a gambe levate fra gli alberi.

Che codardi … pensai. La stupidità degli umani non smetteva mai di stupirmi.

Senza indugiare oltre mi distesi nuovamente sull’erba, per godere del silenzio di quel luogo. Ora non c’erano più fruscii o rumori sinistri e anche la sensazione di essere seguito che avevo avuto prima di arrivare dallo stregone era svanita. Probabilmente la bestia aveva ormai adocchiato qualche altra preda.

 

Il cavallo era già stanco dopo due ore di viaggio. L’avevo trovato lungo la strada, probabilmente lasciato da un mercante o da qualche altro viaggiatore. Io l’avevo preso, infondo poteva essere utile per arrivare a Pakal prima del previsto.

Dopo essermi fermato verso l’una per mangiare qualcosa, ripartii subito in sella al cavallo. Il sole picchiava sulla mia testa prepotente, illuminando quel groviglio di alberi che si stava per aprire davanti a me. Di fianco al sentiero vi era un cartello penzolante, sbiadito dal tempo e sul punto di cadere. Con una mano spostai la polvere che ricopriva la scritta. Bosco dei ricordi vi era scritto.

Avanzai, tagliando alberi e cespugli davanti a me. Ero entrato in un luogo buio e sinistro, dove le fitte chiome degli alberi facevano entrare soltanto pochissimi e tenui raggi di sole. Io, però, non avevo paura: avevo affrontato luoghi ben peggiori, dove la morte era l’unica sovrana. Ovviamente ciò non voleva dire che non dovevo stare all’erta, infatti, se c’era una cosa che avevo imparato in tutti quegli anni, era che anche il luogo più bello del mondo poteva riservare pericolose insidie.

Proprio per questo procedevo lentamente, scrutando attentamente l’oscurità con i miei occhi felini. In mezzo a quel groviglio, infatti, individuai qualcosa di insolito. Era una ragazza, seduta con la schiena contro un albero, che cantava una canzoncina allegra.

 Sul momento non la riconobbi, ma poi, avvicinandomi ancora di più scoprii che era Loraine. Con mia sorpresa smise di cantare e mi fissò coi suoi piccoli occhi azzurri. – Oh, Rhon, sei tu? – Chiese con un sorriso spensierato. Era proprio come la ricordavo: bella e solare. – Sì, sono io – risposi, un po’ spaesato. – Allora sei tornato! Ti ho aspettato qui per così tanto tempo! – Esclamò l’elfa, sorridendo ancora. Poi, per un attimo si rattristò: - ma sembri così cambiato … cosa ti è successo? –

Io non risposi e continuai a guardarla, mentre mille ricordi si susseguivano nella mia mente. Era per lei che avevo lasciato tutto ciò che per me allora era importante. Per lei avevo intrapreso una vita umile, nonostante sapessi che non era quella la mia strada.

- E’ passato tanto tempo … - risposi infine, vedendo la sua aspettativa negli occhi. – Ma ora possiamo tornare a casa? – Chiese di nuovo lei, mentre il sorriso le ritornava sul viso. A quella domanda, ripresi improvvisamente lucidità: quel posto era magico e una strana forza stava cercando di manipolarmi, avrei dovuto capirlo subito. – No, non si può, perché la casa è distrutta e tu sei morta – affermai convinto, con una nota amara nella voce. Io ora ero un cacciatore di tesori, alla continua ricerca di nuovi averi, la vita in una piccola casa mi sarebbe risultata stretta per quello che ero ora.

Loraine scomparve in una nuvola di vapore: non era altro che un frutto della mia mente, diventato realtà per mezzo di una magia.

Dovevo andare via da quel luogo, o avrei potuto perdermi all’interno dei miei stessi ricordi. Spronai il cavallo, mentre con l’ascia liberavo il sentiero davanti a me. Vedevo in lontananza i mille volti di tutte le persone che avevo incontrato fino ad allora e di tutte quelle la cui vita era terminata per causa mia. Cercai di non farci caso, ma di proseguire: si poteva diventare pazzi, vittime dei fantasmi del proprio passato.

La fine di quel bosco non era lontana, ma prima un’ultima figura mi sbarrò la strada. Era mio padre: riconoscevo il mio stesso sguardo fiero nel suo. – Perché sei andato via? Perché ci hai abbandonati? – Disse, in tono accusatorio, ma io non lo ascoltai e invece spronai ancora il cavallo, facendo dissolvere la figura di mio padre. Se c’era una cosa di cui non mi sarei mai pentito, era di aver lasciato il popolo dei Drow. Io ero un lupo solitario, fatto per guadagnare ciò di cui avevo bisogno con le mie stesse forze. Era troppo facile razziare un villaggio e rubare tutto come facevano i Drow, ben altro ci voleva invece per scovare i tanti tesori nascosti in tutte le Terre.

 

 

Angolo dell’autrice:

non smetterò mai di ringraziare coloro che recensiscono questa storia, dandomi un loro parere e più precisamente ringrazio:

Valerie_Laichettes, che da quanto posso vedere segue la storia dall’inizio, e Warlock J

Per Raukath: grazie mille per i complimenti e sono contenta che la storia ti piaccia. J

Per Ely79: ti ringrazio per avermi fatto notare il fatto delle particelle riflessive, in questo capitolo ci sono stata più attenta, spero di esserci riuscita. Per quanto riguarda il ragazzo della taverna … non do anticipazioni, si scoprirà …

 

Bene, con questo alla prossima e mi raccomando, chi passa di qui faccia il piccolo sforzo di recensire, anche soltanto per dire se la storia piace oppure no. Sono apprezzate anche le critiche.

 

 

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Capitolo 6
*** arrivo a Pakal ***


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6. Arrivo a Pakal

In poco tempo uscii da quel bosco infernale e mi trovai davanti la cittadina di Pakal. Alte mura la circondavano e alcune guardie facevano la ronda avanti e indietro sopra di esse, mentre altre sorvegliavano la porta d’entrata della cittadina.

Io mi avvicinai in sella al mio cavallo, col cappuccio del mantello calato sulla testa . Vidi i volti delle guardie impallidire leggermente vedendo i miei occhi stretti e malvagi, ma non ci badai e aspettai semplicemente che pronunciassero qualche parola. – Lei non può entrare qui – disse uno dei due uomini appostati davanti al portone. – Perché? – chiesi in tono accusatorio, mentre speravo per loro che avessero una motivazione valida. – Il sindaco, nella legge numero cinquantaquattro ha detto espressamente che tutti i provenienti dalla Terza Terra non possono varcare la soglia di Pakal – spiegò la guardia. Io sorrisi leggermente: Quant’erano ridicoli gli umani con le loro leggi così inutili …

- Ah, è così quindi? – Chiesi ancora, probabilmente con un ghigno malefico sul viso. Le guardie annuirono, forse credendo che avrei accettato semplicemente le loro parole, ma si sbagliavano di grosso. Non ero proprio dell’umore giusto per perdere tempo dando retta a delle stupide leggi: avevo già avuto abbastanza seccature nelle ultime ore.

Prima che qualcuno se ne accorgesse estrassi l’ascia e tagliai di netto la testa al primo uomo, spargendo il suo sangue ovunque, tanto che qualche schizzo arrivò perfino sul mio mantello. Il secondo tentò di scappare ma io lanciai con precisione un pugnale che portavo sempre con me, colpendolo dritto dritto alla testa. Ora nessun abitante della Terza Terra avrebbe riscontrato problemi ad entrare a Pakal.

Le guardie di vedetta rimasero un attimo sconcertate, poi provarono a scagliare qualche freccia che evitai prontamente. Probabilmente avrebbero allertato il sindaco che avrebbe messo una taglia sulla mia testa, soltanto una in più, da aggiungere alle altre mille che già pendevano su di me. Certo non mi avrebbe cambiato la vita.

Appena entrato nella cittadina, ancora una volta dovetti bloccare un giovane terrorizzato, perché mi indicasse l’abitazione di Karl Kalhar. Seguendo le indicazioni arrivai a una piccola casetta. Suonai due volte la campanella d’entrata, ma nessuno arrivò ad aprire. Aspettai qualche minuto, suonai un altro paio di volte, ma ancora nessuno rispose. Eppure tutte le finestre erano spalancate e qualcuno si muoveva dentro l’abitazione. Aguzzai un po’ la vista e in effetti notai qualcosa di insolito: quella figura era troppo agile e furtiva per essere un vecchio mago. Insospettito scavalcai la recinzione con pochi e svelti gesti e, abbassandomi, mi diressi verso la finestra più vicina. Con un agile salto entrai nella casetta. La figura sconosciuta era fuggita, probabilmente avendo sentito il suono della campanella, e davanti ai miei occhi si presentava, invece, una scena piuttosto macabra. Il vecchio Karl Kalhar era steso sul pavimento della cucina in un lago di sangue, con gli occhi spenti e vitrei, tipici della morte, e un’espressione di sorpresa e panico stampata sul volto rugoso.

Stetti qualche secondo ad osservare stupito la scena del crimine, mentre una tremenda frustrazione stava cominciando ad assalirmi: e ora chi mi avrebbe detto dove si trovava la mappa delle gallerie di Bohr?

Cercando di reprimere quella rabbia esaminai il corpo: doveva essere morto da non più di dieci minuti, quindi, chiunque fosse la persona che aveva scorto in quella cucina, era certamente l’assassino di Karl Kalhar. Ma perché uccidere un vecchio mago? Che senso poteva avere quell’azione?

 

Angolo dell’autrice:

lo so, questo capitolo è un po' corto, ma prometto che mi impegnerò di più col prossimo XD

scusate le scene macabre, ma d’altronde non ho messo il rating arancione per niente.

Tanto per cambiare ringrazio i miei sostenitori XD e tutti quelli che continuano a leggere questa storia, in particolare Warlok e Dreaming _Archer: grazie dei complimenti e sono contenta che il mio stile vi piaccia.

 

Per Ely79: ti ringrazio ancora per gli appunti che mi fai. Io infatti sono dell’idea che le critiche, purché sempre rispettose, aiutino a migliorare. Io cerco di fare del mio meglio, tentando di riparare ai miei errori … d’altronde io non ho neanche un beta reader come hanno alcuni in questo sito e sinceramente non ho neanche intenzione di trovarlo, quindi mi arrangio da sola J per cui i tuoi appunti mi sono utili.

 

Per Raukath: hai espresso benissimo quello che sento quando scrivo … dentro la mia mente c’è come un film e io non faccio altro che riportarlo dalla mia testa al foglio (che sia di carta o di word). Per cui sono davvero contenta che tu abbia colto questo aspetto …

 

Per Valerie_Laichettes: sono contenta che tu abbia fatto caso anche al mio modo di scrivere, perché io ci tengo molto a scrivere correttamente e senza errori, anche perché a me dà molto fastidio leggere testi pieni di errori di grammatica e sintassi … rovina la magia della lettura, non trovi? E devo dire purtroppo che in questo sito ce ne sono parecchi di testi così …

Detto questo ciao a tutti. Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 7
*** lettere ***


7. Lettere

Guardai un’ultima volta il corpo senza vita. Mi faceva un po’ compassione quel povero vecchio, ma ormai certo non potevo fare più niente. Forse avrei potuto avvertire le guardie del luogo, ma dopo quello che avevo combinato all’entrata di Pakal non sarebbe stata una buona idea, a meno che non avessi avuto intenzione di passare qualche notte in prigione e io avevo sicuramente qualcosa di meglio da fare.

Dopo quella breve riflessione, feci un giro delle stanze, alla ricerca di qualche indizio. Misi tutta la casa sottosopra, aprii cassetti e svuotai armadi, ma alla fine, sul fondo di un cassetto pieno di vestiti, trovai qualcosa. Erano delle lettere, unite da un nastro rosso e ormai ingiallite dal tempo. Le aprii tutte e le lessi una per una. Le aveva spedite un certo Adam Rider a Karl, in cui, probabilmente dopo anni, gli chiedeva sue notizie. Niente di particolarmente interessante, almeno finché non lessi la lettera dell’undici giugno, la quale, a un certo punto recitava così:

 

Se devo essere sincero, non ho chiesto tue notizie solo ed esclusivamente per parlare di questioni futili, bensì volevo chiederti qualcosa di molto più importante. Mi è giunta voce, infatti, che tu sei ancora interessato al nostro antico tesoro e che stai preparando una mappa delle gallerie di Bohr. Quindi, a questo proposito, una domanda mi sorge nella mente: perché? …

Incuriosito da queste parole, mi apprestai a leggere la lettera successiva, quella del ventidue luglio: che rivelasse qualcosa di più su questo tesoro?

 

... dopotutto approvo la tua idea. In fondo se si rendesse necessario ritrovare il nostro tesoro, è utile avere una mappa delle gallerie, anche se l’impresa sarebbe comunque ardua, infatti, come tu ben ricorderai vi sono sempre il guardiano e il grande enigma da risolvere prima di poter arrivare alla meta. In ogni caso dobbiamo fare in modo che la mappa non sia facilmente accessibile, dobbiamo nasconderla in un luogo che solo noi potremmo trovare: al Grande Albero, il nostro ex quartier generale.

Ovviamente Alahmir dovrà esserne all’oscuro: è troppo avido e se solo entrasse in possesso del tesoro non oso pensare a come potrebbe usarlo …

 

Proprio come avevo previsto la lettera diceva esattamente il luogo in cui era nascosta la mappa e soprattutto mi aveva comunicato un’altra informazione importante: il tesoro era sorvegliato da un guardiano e protetto da un enigma. Niente di più interessante, sarebbe stato proprio uno spasso conquistare quel tesoro. Inoltre chi mai poteva essere questo Alahmir? Era chiaramente un nemico di Abram e Karl, ma qual’era il suo scopo? Era ancora vivo?

Mentre mi ponevo queste domande presi le lettere e le bruciai con una fiamma magica.

Questo Karl era stato proprio stupido e ingenuo come la maggior parte degli umani: deteneva in casa lettere tanto importanti e non aveva pensato a farle sparire prima che qualcun altro le leggesse. Ma d’altronde io non potevo che ringraziarlo della sua stupidità.

Dopo aver fatto sparire gli ultimi residui delle lettere, uscii dalla casa senza indugiare. Non avevo più altro tempo da aspettare: dovevo arrivare presto al Grande Albero.

Mentre percorrevo le strade strette della cittadina con il cappuccio calato sul viso, alcune guardie mi inseguirono per arrestarmi, ma io non ebbi pietà così come non ne avevo avuta per le altre due: le uccisi a sangue freddo, con precisi colpi di ascia. Non volevo fare nessuna eccezione: questa era la punizione per chi mi faceva un torto.

Uscii dalla città in sella al mio cavallo, prendendo un sentiero fra le colline. Non avevo dubbi: sapevo esattamente dove si trovava il Grande Albero perché, per mia fortuna, mi ci ero imbattuto un’altra volta grazie ai miei vagabondaggi.

 

Passò qualche giorno, in cui, per una volta, viaggiai indisturbato fino al Grande Albero.

Era una pianta come tutti gli altri, una grande e maestosa quercia, ricoperta dall’edera e circondata dai cespugli. Era difficile distinguerla dagli altri, se non per una piccola incisione, ricoperta proprio da qualche foglia di edera e posizionata vicino alle radici.

Dovetti rovistare fra i cespugli per qualche minuto prima di trovarla e quando ci riuscii, la premetti con forza. Subito venni investito da un’ondata di magia che mi attraversò il corpo come una scossa elettrica, prendendomi quasi alla sprovvista. In pochi secondi venni catapultato in un’altra dimensione, anche se non molto lontana dal luogo di partenza: sapevo di trovarmi all’interno dell’albero.

 

Angolo dell’autrice:

Bene, è concluso anche il settimo capitolo.

Avverto i miei lettori che probabilmente d’ora in poi posterò con meno frequenza perché fino ad ora la storia l’avevo già scritta e mi sono limitata a copiarla e correggerla mentre adesso devo proprio continuarla quindi penso che capiate che si fa un po’ più complicato … comunque non temete: il nostro Rhon ritornerà presto nuovamente all’attacco! XD

 

Come al solito ringrazio i miei fedeli recensori per i complimenti: sono davvero soddisfatta e quasi commossa dalle vostre recensioni! J Ovviamente rinnovo il mio invito a recensire (anche ai lettori silenziosi) se serve anche con delle critiche: tranquilli non mi offendo! Anzi, sono ben aperta a proposte di miglioramento. Detto questo … ciao a tutti!!!  

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Capitolo 8
*** il labirinto ***


8.  Il labirinto

Davanti a me c’erano esattamente cento porte di legno tutte uguali, a parte una piccola scritta su una targhetta di metallo che indicava il possessore di quella determinata porta. Il Grande Albero, infatti, non era altro che un immenso contenitore nel quale i maghi o stregoni che facevano parte del Consiglio delle Terre, potevano creare una sorta di appartamento magico dove provare nuovi sortilegi. Probabilmente uno dei maghi detentori del tesoro faceva parte del Consiglio delle Terre e aveva deciso di usare l’appartamento come quartier generale. Non sarebbe stato facile trovare la porta giusta fra le cento che avevo di fronte a me.

Cominciai con molta pazienza, nonostante la mia smaniosa voglia di trovare la mappa, a leggere tutte le targhette di metallo. Dopo qualche minuto mi trovai davanti una porta che, con mia enorme sorpresa, era socchiusa. Lessi velocemente la targhetta: Karl Kalhar, vi era scritto. Quindi, a quanto pareva, lo stregone morto era un Consigliere delle Terre.

Senza esitare altro tempo, aprii la porta. Mi trovai in una stanza circolare, con un grande tavolo rettangolare di legno pregiato, sotto i quale vi erano dodici sedie tappezzate di velluto rosso. Dal soffitto pendeva un lampadario d’oro massiccio le cui candele, splendenti di una fiamma magica, illuminavano l’ambiente di una luce soffusa.

Dopo aver osservato attentamente la stanza, mi diressi verso la porta di legno che vedevo esattamente dall’altra parte. La aprii e mi trovai all’inizio di un corridoio illuminato da alcune torce appese alle pareti. Cominciai ad avanzare, guardandomi attorno in modo circospetto.

Una folata di vento proveniente da chissà dove fece sbattere la porta, facendomi trasalire. Ciò mi insospettì e tornai sui miei passi per verificare che la porta si potesse ancora aprire, ma, dopo aver girato la maniglia, mi accorsi che era chiusa a chiave. Non avrei più potuto tornare indietro. Nonostante ciò non mi spaventai e invece continuai a camminare con l’ascia sguainata, pronto ad attaccare.

Nell’aria aleggiava un’atmosfera magica, percepivo energie muoversi attorno a me come correnti marine e ciò non presagiva nulla di buono. Forse Karl, Adam e gli altri dieci maghi non erano degli sprovveduti come pensavo, li avevo sottovalutati.

Ad un certo punto il corridoio si diramò. Per un attimo rimasi spaesato, poi scesi il percorso di destra, sperando fosse quello giusto, ma scoprii con mia immensa sorpresa, che era un corridoio a fondo chiuso. Rimasi qualche secondo a fissare il muro di fronte a me, sorpreso, poi capii. Mi trovavo in un labirinto.

Cercai di mantenere il sangue freddo che avevo sempre avuto e, senza pensare oltre, ma stando comunque attento a  ciò che mi accadeva attorno, tornai indietro. Presi l’altra strada e camminai lungo il corridoio.

I miei passi rimbombavano in quei cunicoli in un modo a dir poco inquietante, ma io cercai in tutti i modi di tenere la mente lucida per pensare razionalmente e trovare la strada giusta.

Avrei potuto imboccare un altro corridoio alla mia destra, ma non lo feci, continuando a procedere dritto. Cercai di concentrarmi, di guardarmi attorno attentamente: l’unico modo per uscire di lì era infatti quello di ricordarsi i corridoi che avevo già percorso.

Svoltai a destra e, proprio lì appoggiato al muro, vi era uno scheletro. Un brivido mi scese lungo la schiena: sapevo che in quel luogo non era difficile concludere la propria vita così.

D’altronde ora capivo il perché quel Karl Kalhar si fosse lasciato sfuggire quelle lettere sul fondo dell’armadio: anche se qualcuno fosse arrivato al Grande Albero, molte erano le possibilità di morire in quell’infernale labirinto.

Senza abbattermi, né spazientirmi per quel muro grigio davanti a me, tornai nuovamente sui miei passi. Questa volta presi il corridoio di sinistra. Continuai a camminare, quando improvvisamente sentii dei passi alle mie spalle. Chi mai poteva trovarsi in quel luogo?

Ad essere sinceri, per un attimo mi spaventai, ma come sempre ripresi in fretta il controllo di me stesso, ricordandomi che in quel labirinto non potevo permettermi errori. Mi voltai con l’ascia sguainata e, con sgomento, mi trovai faccia a faccia con lo scheletro che avevo visto poco prima. Subito lo colpii con l’ascia, riducendolo a un ammasso di ossa. Credendo per un attimo di averlo ormai eliminato, feci l’errore di voltarmi per riprendere il cammino, ma pochi secondi dopo sentii qualcosa di freddo e viscido afferrarmi per il collo. Quell’orrendo scheletro si era ricomposto e rialzato e ora mi bloccava il respiro.

Con un’abile mossa lo feci cadere a terra, cominciando a colpirlo senza sosta con l’ascia. Esso, però, tentava continuamente di ricomporsi. Era duro a morire, forse perché in realtà era già morto.

Finalmente, dopo aver sbriciolato per bene quelle vecchie ossa, lo scheletro smise di rialzarsi, così potei procedere, questa volta stando più attento e guardandomi le spalle.

Girai a sinistra e, prima che potessi accorgermene, una botola si aprì sotto i miei piedi, facendomi salire lo stomaco in gola. Per fortuna riuscii ad aggrapparmi in tempo al bordo del buco, evitando così di cadere nell’abisso, dove mi aspettava una bella pozza di acido. Brividi scossero il mio corpo alla vista del pericolo appena scampato.

Con uno sforzo immane e rischiando più volte di cadere nell’acido, riuscii ad issarmi con un sospiro di sollievo sul pavimento stabile del labirinto.

 

 

Angolo autrice:

mi scuso per il ritardo, anche se l’avevo già preannunciato.

Ringrazio come al solito per le recensioni e ora procedo con le risposte.

Dreaming_Archer: dico solo che il fatto che Rhon sappia dove andare non significa che sia facile arrivarci …

Warlock: grazie per i complimenti! Sei fin troppo gentile! J

Valerie_ Laichettes: grazie anche a te per i complimenti … spero che la mia storia continui a piacerti …

Ely79: beh, per quanto riguarda la tua recensione, penso che Warlock mi abbia proprio letto nel pensiero …  quindi ti invito a leggere il suo commento

 

Detto questo, ciao a tutti!

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Capitolo 9
*** una nuova trappola ***


9. Una nuova trappola

Continuai il percorso, che per ora sembrava essere quello giusto, tastando per bene il pavimento prima di mettervi il piede, per non cadere in trappole come quella da cui mi ero appena salvato.

Guardando davanti ai miei piedi, cominciai a notare delle impronte di scarpa. Sembravano fresche. D’altronde, ora che ci pensavo, qualcuno doveva pur aver aperto la porta principale, visto che l’avevo trovata socchiusa. Strinsi gli occhi, riflettendo, mentre l’irritazione cominciava a farsi strada in me: qualcun altro era sulle tracce del tesoro.

Continuai a camminare seguendo le impronte: se l’intruso non era stato ucciso prima, poteva ormai aver già trovato la via d’uscita.

Comminando, un’altra trappola si attivò al mio passaggio: una freccia venuta da chissà dove cercò di colpirmi, ma io la schivai prontamente. Questa, però, si conficcò fra le costole di un altro scheletro che subito si animò. Cercò di attaccarmi con la spada che teneva stretta nella mano ossuta, ma io con un colpo d’ascia gli staccai il braccio. Nonostante mi facesse piuttosto ribrezzo, presi in mano il braccio staccato, impedendo così che si ricongiungesse al corpo. Ora mi trovavo ad avere due armi, mentre lo scheletro non ne possedeva neanche una, con mia immensa soddisfazione.

Il mostro cominciò a saltare da una parte all’altra del corridoio, cercando di confondermi, ma purtroppo per lui i miei sensi e i miei riflessi erano molto più affinati rispetto a un comune umano. Con un semplice gesto riuscii a fermare l’essere, nonostante la sua agilità e ridussi le sue ossa in briciole con l’ascia e la sua stessa spada.

Avanzai ancora in quel tetro luogo di morte e finalmente arrivai sano e salvo alla fine del labirinto. Qui, però, i problemi non erano ancora finiti. Mi trovavo, infatti, di fronte a una grata. Sul muro, proprio di fianco ad essa vi erano dieci leve, apparentemente uguali. Subito capii che l’unico modo per aprire quella grata e procedere, era azionare le leve fino a trovare quella giusta. Altro non era che un tentativo in più per eliminare chiunque tentasse di arrivare alla mappa. In fondo erano piuttosto ingegnosi questi maghi ed ero sicuro che non si sarebbero fermati a un labirinto e a un semplice sistema di leve.

Senza perdere altro tempo in stupidi pensieri, tirai verso il basso la prima leva, stendendomi immediatamente sul pavimento di pietra in modo da poter schivare frecce o coltelli nel caso ve ne fossero stati. Come pensavo una raffica di coltelli volò da una parte all’altra del corridoio. Sentii il rumore delle lame che fendevano l’aria passare proprio qualche centimetro sopra la mia testa. Inghiottii un nodo amaro in gola, mentre brividi di adrenalina e pura paura mi scossero. Per fortuna che avevo avuto l’accortezza di stendermi …

Prendendomi un attimo di respiro, azionai la seconda leva.

Per qualche secondo non accadde nulla. Trattenni il respiro, assaporando quell’interminabile attesa e cercando di capire in un qualche modo cosa stava per accadere. Ma tutto taceva, un silenzio tombale carico di attesa e mistero attanagliava quel luogo.

All’improvviso qualcosa si mosse. Fu un piccolo movimento di una lastra di pietra che presto, però, si moltiplicò per dieci volte.

Dalle pareti pezzi di muro stavano venendo sempre più in fuori con un rumore sordo, finché sotto quelle lastre non si aprirono delle fessure nere come la pece. Da queste uscì una nube di polvere e nell’ambiente si sparse un orrendo odore di putrefazione.

Restai immobile, brandendo l’ascia con tutte e due le mani. Mi leccai le labbra e mi tirai su le maniche. Sapevo che questa volta non sarebbe stato facile: non lo era mai quando si combatteva contro la morte.

Creature orrende e putrescenti, tenute insieme soltanto da qualche osso e pezzo di tessuto, avanzavano verso di me guardandomi con occhi rossi da sotto le loro bende.

Girai su me stesso più di una volta, mentre dei sudori freddi mi imperlavano la fronte: mi avevano circondato. Non sapendo proprio che fare in quel momento, attesi. Attesi che fossero loro a fare la prima mossa, mentre io stringevo l’arma con mani sudate e pregavo qualche dio di risparmiare la mia sciagurata vita.

Improvvisamente i mostri mi attaccarono tutti insieme e forse quella fu, per quel momento, la mia salvezza.

Spiccai un grande salto e in un qualche modo passai sopra le teste delle mummie, cogliendole alle spalle. Prendendo al volo quel vantaggio, colpii due esseri con un solo fendente della mia ascia, tagliandole a metà. Mentre tentavo di colpirne altre due, però, tre mi arrivarono alle spalle e mi afferrarono le braccia, prima che io potessi fermarle.

Il tanfo di morte, ora così brutalmente vicino, mi riempì le narici, tanto da farmi quasi venire l’istinto di vomitare, ma mi trattenni: ora dovevo solo pensare a salvarmi la pelle.

Proprio in quel momento, infatti, un mostro più grosso degli altri e con una sciabola nella mano putrefatta, seguito da tutte le altre creature, si posizionò davanti a me, aprì la bocca, mostrando una lunga fila di denti cariati, e lanciò una specie di mugolio sinistro.

Intanto cercai più volte di liberarmi, ma quei tre mostri mi tenevano in una stretta d’acciaio.

Il capo degli esseri alzò la sciabola col chiaro intento di tagliarmi la testa. Io nel frattempo continuavo a tentare di togliermi di dosso quelle bestie schifose, mentre una vera paura mi rodeva le budella e, nonostante cercassi di impedirlo, mi annebbiava la mente in modo insopportabile.

La sciabola stava calando inesorabilmente sulla mia testa, quando …

 

Angolo dell'autrice:

bene, è concluso anche il capitolo 9. Nonostante tutte le cose che ho da fare questa estate continuo a scrivere imperterrita, d'altronde le avventure di Rhon sono ancora tante ...

Comunque, passiamo subito alle risposte alle recensioni:

Ely79: Rhon è sì un temerario spaccone, ma ogni tanto gli è concesso provare un po' di paura? Soprattutto se si trova a dover combattere da solo contro una squadra di mummie come in questo capitolo ...

in ogni caso ti ringrazio delle recnesioni, mi dai sempre degli ottimi consigli!

 

Warlock: ringrazio anche te per le recensioni ... comunque per quanto riguarda il fatto delle creature nei dungeons, effettivamente ho pensato anche a questa cosa, altrimenti, come hai detto tu non avrebbe molto senso inserire creature viventi...

Per quanto riguarda questo capitolo spero ti sia piaciuto di più.

 

Raukath: sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto molto, spero che anche questo ti piaccia così tanto. Per quanto riguarda le mie descrizioni, io cerco di non farle troppo articolate innanzitutto perché a mio avviso annoiano certe volte e anche perché non è nel mio stile, preferisco dare delle semplici immagini significative che caratterizzino i luoghi, le persone ecc...

 

Dreaming_Archer: grazie dei complimenti, spero che continuerai a seguire! :)

 

ciao a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** alghe assassine ***


10. Alghe assassine

La sciabola stava calando inesorabilmente sulla mia testa, quando una molla scattò nel mio corpo.

Mi sporsi in avanti, assestando una testata nel putrido ventre del mostro che, preso alla sprovvista, lasciò cadere l’arma. Le tre creature nel frattempo mollarono leggermente la presa sulle mie braccia, consentendomi di fuggire. Recuperai l’arma e la sbattei potentemente a terra. Un raggio azzurro si liberò dalla lama lucente, illuminando tutto il corridoio.

Quando la luce si disperse, sul pavimento non era rimasto altro che un mucchio di cenere. Mossi qualche passo: ora ero piuttosto debole. Sarei riuscito ad arrivare alla fine di quella terribile trappola mortale? Cominciavo a temere che sarei morto lì, come molti altri prima di me …

Col cuore che batteva ancora per lo sforzo della lotta appena affrontata, spinsi la sesta leva, sperando fosse quella giusta.

Seguì qualche attimo d’attesa, in cui mi misi guardingo, cercando in un qualche modo di prevedere la prossima trappola.

Con mio stupore udii un rumore metallico e la grata davanti a me cominciò lentamente a sollevarsi. Sorrisi fra me: anche questa volta mi ero salvato.

Proseguii per un corridoio semibuio che poi si aprì in una grande stanza. Qui vi era una vasca d’acqua putrida e stagnante che ricopriva la maggior parte della superficie e, verso sinistra, ancorata a un pontile di legno, vi era una barchetta. Io, invece, mi trovavo nell’unica parte ferma della stanza e proprio davanti a me vi era il pontile.

Era piuttosto chiaro ciò che dovevo fare: attraversare l’acqua fino ad arrivare alla porta che si trovava esattamente dall’altra parte.

Tutto sembrava tranquillo e statico, nessun movimento mi insospettiva, eppure ero certo che non poteva essere così semplice.

Lentamente procedetti lungo il pontile che dondolò leggermente sotto il mio peso. Salii sulla barchetta, sempre attento, e cominciai a remare verso la riva opposta.

All’inizio non sembrò succedere nulla, poi intravidi sulla superficie dell’acqua dei lievi cerchi concentrici e delle piccole bolle. Remai più veloce, per arrivare prima, ma ciò che era nell’acqua si mosse prima di me. Fu più veloce della luce e più silenzioso del respiro, tanto che io quasi non me ne accorsi. Con forza, qualcosa che non feci in tempo a vedere, mi rubò dalle mani uno dei remi.

Imprecai forte, tanto che la mia voce rimbombò in tutta la stanza. Ora come avrei fatto a raggiungere l’altra sponda con un solo remo?

L’unica opzione era buttarsi in acqua, ma non sarebbe comunque stata una mossa intelligente, visto che lì sotto vi era sicuramente qualcosa di spaventoso.

Prima che potessi trovare una soluzione o perlomeno estrarre l’ascia, un’alga enorme uscì dall’acqua, mi afferrò un braccio e mi trascinò nell’acqua gelida e putrida.

L’alga si arrotolò attorno al mio corpo, tanto da stritolarlo e cominciò a spostarmi velocemente nell’acqua. Nel frattempo sentivo un dolore atroce attraversarmi le membra a più riprese, senza contare il fatto che stavo cominciando ad esaurire l’aria.

Lottavo e cercavo di divincolarmi da quella stretta, ma era inutile: quella pianta aveva una presa d’acciaio, sembrava di essere dentro una morsa.

Ad un certo punto cominciai a sentire le forze abbandonarmi, percepivo la presenza oscura della morte chiamarmi e invitarmi nel suo abbraccio. Nonostante la tentazione di cedervi fosse grande, perseverai nello sforzo di lottare contro quell’insidia marittima. In fondo, anche se era squallida e resa importante solo dall’oro, tenevo alla mia vita e certo non sarebbe finita sul fondo di quella vasca.

Intanto, però, sentivo il buio dei sensi avvicinarsi sempre di più come un’oscura minaccia, ma non mi sarei lasciato morire: avrei combattuto fino all’ultimo pur di salvarmi la pelle.

Per fortuna all’improvviso mi ricordai del coltello che tenevo alla cintura, quello che avevo usato per uccidere una delle guardie a Pakal. Cercai, quindi, di muovere la mano destra verso la cintura e, con un notevole sforzo, raggiunsi il pugnale. Impugnare quella piccola elsa fu un incredibile sollievo, tanto che sentii la morte meno vicina.

Con un difficile, ma rapido gesto, ficcai il pugnale nella pianta che subito mi lasciò andare. Svelto, nonostante il peso dell’ascia, nuotai verso la superficie.

Presi una grande boccata d’aria col sollievo e la sorpresa di essere ancora vivo. Mi guardai attorno: la riva non era lontana, ma il problema sarebbe stato raggiungerla sano e salvo.

Nuotai più veloce che potevo, nonostante le forze mi abbandonassero ogni secondo di più e le alghe tentassero continuamente di afferrarmi per i piedi o per le braccia.

Una ci riuscì e mi riportò negli abissi, mentre il mio cuore faceva un balzo. Questa volta avrei dovuto aggrapparmi con i denti alla mia vita per salvarmi: sentivo già la morte opprimere la mia carne insieme a quella maledetta pianta.

Ancora una volta mi liberai col pugnale che, però, mi sfuggì nell’acqua. Non tentai neanche di recuperarlo, invece nuotai verso la riva. Era vicina, molto vicina. Avevo il fiato corto e le ultime forze si stavano lentamente spegnendo. Non puoi mollare ora mi dissi, continuando a nuotare più veloce che potevo. Schivai una di quelle orrende alghe e finalmente raggiunsi il pontile. Mi ci aggrappai saldamente e stavo per ritornare sulla terra ferma, quando un’alga mi afferrò un piede, spingendomi in acqua. Io, però, continuai a stare aggrappato al pontile. Non volevo mollarlo: quello era la mia vita, se l’avessi lasciato ero sicuro che questa volta non mi sarei salvato.

La pianta tirava con forza, sentivo le braccia doloranti e in procinto di staccarsi, ma strinsi i denti. Dovevo assolutamente farcela. Per mia fortuna così fu: l’alga mi mollò improvvisamente e saltai agilmente sul piccolo pontile per poi tornare sulla terra ferma.

 

Angolo autrice:

innanzitutto ringrazio coloro che hanno trovato qualche minuto per leggere questo capitolo nonostante fuori il sole picchi e inviti ad uscire …

Comunque, passo subito alle risposte:

Dreaming_Archer: per quanto riguarda l’uscita dal labirinto, è effettivamente un errore mio: Rhon non poteva sapere che era la fine del labirinto. Cerco sempre di calcolare tutto, ma purtroppo qualcosa mi sfugge …

 

Warlock: sono contenta che gli episodi di azione dello scorso capitolo ti siano piaciuti, spero che siano di tuo gradimento anche questi …

Per quanto riguarda la frase “incriminata” ti consiglio di leggere la risposta che ho dato a Dreaming_Archer.

Invece, per la paura provata da Rhon … è vero che è un Drow potente e malvagio, ma non è una macchina.

 

Ely79: per quanto riguarda gli errori sulle particelle pronominali, cerco di fare il possibile, ma alcuni sfuggono inevitabilmente al mio controllo … spero che questo capitolo sia migliore anche da questo punto di vista

 

Raukath: mi piace molto lasciare i capitoli così in sospeso … lo so, sono cattiva, ma se non altro ci si incuriosisce e si è spinti più volentieri a leggere … spero che anche questa nuova avventura di Rhon ti piaccia …J

Per quanto riguarda la tua storia, la leggo davvero volentieri perché la trovo stupenda!

 

Data81: sono davvero felice di avere un nuovo lettore!!

Procediamo con ordine, perché vorrei rispondere a tutto. Allora, innanzitutto ho proposto questa storia direi abbastanza diversa dalle solite storie fantasy grazie al personaggio di Rhon, proprio perché volevo scrivere qualcosa di un po’ originale. Pensandoci bene, in quante storie il protagonista è di indole malvagia? Io almeno, non ne ho letta nessuna …

Per quanto riguarda la cosa che hai detto sui coltelli, io non potevo proprio saperlo, quindi ho inserito i coltelli perché secondo le mie conoscenze non ci ho trovato nulla di impossibile, invece sul fatto degli dei che ha pregato Rhon, non ci avevo proprio pensato … sarà per la prossima volta …

Il ragazzo che Rhon ha incontrato nei primi capitoli, nonostante non si sia ancora rivisto, vedrete cosa succederà … non voglio anticipare nulla.

Grazie per i complimenti e continua a leggere, mi raccomando! Ciao, ciao

 

Valerie_Laichettes: sono contenta che i capitoli precedenti ti siano piaciuti e soprattutto ti ringrazio per trovare il tempo di recensire la mia storia nonostante tu sia in vacanza, te ne sono davvero grata!

Non preoccuparti: le avventure di Rhon sono ancora tante!! Siamo solo all’inizio …

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Capitolo 11
*** la sala della mappa ***


11. La sala della mappa

 

Mi scrollai l’acqua di dosso, cercando di asciugarmi come potevo e mi strizzai i lunghi capelli bianchi. Restai qualche secondo fermo per recuperare un po’ di forze e affrontare la prossima insidia. Dentro di me imprecai e maledissi quelle acque profonde per avermi sottratto il pugnale che mi aveva donato tempo addietro un nano che mi aveva ospitato nella sua dimora. Era un’arma molto preziosa che, nonostante le sue piccole dimensioni, era molto utile nei momenti di bisogno.

Avrei dovuto comprarne un altro nella prima città che avrei trovato sul mio cammino, ma non sarebbe stato sicuramente un pugnale migliore di quello che avevo appena perso.

A quei pensieri una cieca rabbia si impossessò di me. Avrei voluto ritornare in quegli abissi soltanto per estirpare alle radici quelle alghe magiche e riprendere il pugnale, ma purtroppo sapevo bene che compiendo un’azione del genere avrei giaciuto anche io nel fondo della vasca insieme alla mia amata arma.

Decisi di non riflettere oltre, per evitare di fare qualcosa di avrei potuto pentirmi e invece, sempre circospetto, mi avviai verso la porta. Girai la maniglia, ma proprio come immaginavo, era chiusa. Ora cosa diavolo faccio? Mi chiesi, guardandomi in giro e cercando qualcosa che potesse aiutarmi.

Certamente quella porta non aveva una serratura qualsiasi, doveva essere magica come la maggior parte di tutto ciò che si trovava in quel luogo. Magari si apriva con una chiave, ma dove poteva trovarsi?

Imprecai ancora, maledicendo questa volta quella porta e quella dannata stanza di morte, prima di mettermi a tastare il muro e il pavimento in cerca di una fessura o di una pietra nella quale si potesse trovare una chiave. Cercai per più di un’ora senza risultati. D’altronde era come cercare un ago in un pagliaio: ci si poteva mettere anni. Eppure, se avevo cara la mia pelle, dovevo continuare. Toccai quel muro ruvido, misi le dita in tutti gli spazi fra una pietra e l’altra, ma non trovai nulla di nulla per un’altra ora. I dodici maghi erano stati maledettamente astuti nel creare quelle trappole.

Ora, dopo tutte quelle ore di ricerca, ero in preda alla rabbia e alla frustrazione.

- Maledetti maghi! Idioti! Stupidi e bastardi!- sbottai all’improvviso, perdendo anche l’ultima briciola di pazienza che mi era rimasta. Volevo uscire al più presto da quel luogo con la mappa nella tasca del mantello, invece mi trovavo a lottare contro una stupida porta. Tirai un sospiro e ricominciai cercando di mantenere la calma, ma subito la persi trovandomi di fronte la parete vuota.

- Vai all’inferno!- imprecai. – E voi, maghi! Se mi sentite, vi troverò e vi sterminerò fino all’ultimo! Brucerete nelle fiamme, fottutissimi bastardi, figli di putrescenti e puzzolenti troll! – gridai, calciando con forza il muro mentre sentivo andarsene la rabbia, lasciando spazio al sollievo dello sfogo. Quanto avrei voluto avere fra le mie mani il collo di chi aveva inventato tutto ciò, per sentirlo esalare l’ultimo respiro.

Proprio in quel momento diedi un ultimo calcio al muro e, con mia immensa sorpresa, dopo qualche rumore meccanico, una piastrella uscì dal muro, lasciando un piccolo buco nero.

Con attenzione mi avvicinai e, sperando non succedesse nulla, infilai la mano nella fessura. C’era qualcosa lì dentro, un oggetto freddo e metallico. Lo estrassi: era la chiave che cercavo, un piccolo arnese lungo una spanna, di metallo, segnato dalla ruggine e con qualche pietra di poco valore incastonata.

Subito la infilai nella serratura della porta che, con un impercettibile scatto, si aprì. Nel frattempo fremevo di attesa e aspettativa: cosa mai poteva esserci questa volta dietro la porta?

Non la spalancai, ma appena la serratura scattò, aprii una piccola fessura e sbirciai.

Vi era una stanza circolare, dalle pareti affrescate con immagini di guerra: un esercito di cavalieri con le loro armature che, con le lance nelle mani, affrontavano uno schieramento di troll. Sul soffitto invece, vi erano rappresentati gli dei buoni della religione umana e sul pavimento un mosaico degli dei degli inferi. Un lampadario enorme di cristallo le cui candele erano accese magicamente, illuminava di una luce soffusa una colonna di pietra scura, proprio sotto di esso, a cui era attorcigliato un serpente d’oro con gli occhi di rubino.

Sulla colonna, alta a misura d’uomo, vi era una teca vuota.

Per un attimo mi stupii nel capire che in quella teca avrebbe dovuto trovarsi la mappa, poi notai una figura snella che cercava di aprire una porta posizionata sul fondo della stanza.

Non sapevo chi fosse, eppure, quei capelli lunghi color cenere, accuratamente legati in una coda avevano qualcosa di familiare.

Mi ritirai nuovamente nella stanza delle alghe senza chiudere la porta. Avevo bisogno di qualche secondo per riflettere. Come poteva aver fatto un semplice umano ad arrivare fino a lì?

Da quando avevo intravisto le impronte nel labirinto ero certo che qualcun altro fosse sulle tracce del tesoro, ma mai avrei pensato che potesse essere uno stupido umano. E ora? Cosa potevo fare?

Pensai di irrompere silenziosamente nella sala, mozzargli la testa con un solo colpo della mia ascia e prendere la mappa, poi però cambiai idea, non perché fosse un gesto ignobile, bensì perché in fondo poteva essermi utile avere un complice.

Aprii lentamente la porta e con passo felpato mi diressi verso l’uomo che era ancora intento a scassinare la serratura della porta con un piccolo fil di ferro. Che illuso se pensava di riuscire ad aprire una porta magica in quel modo!

Ad ogni modo, nonostante il mio aspetto spaventasse, dovevo cercare di sembrare il più affidabile possibile se volevo ingannarlo.

Gli misi una mano sulla spalla. L’intruso sobbalzò e si voltò di scatto verso di me …

 

Angolo autrice:

come avrete capito, in questo capitolo è successo qualcosa di piuttosto importante … spero che vi sia piaciuto ..

ad ogni modo, mi scuso per il ritardo, ma avevo altre mille cose da fare … e ora passiamo alle risposte dei miei lettori fidati:

 

Dreaming _Archer: spero che anche questo capitolo ti abbia incuriosita J e che continuerai a leggere … comunque per quanto riguarda le parole che uso, cerco sempre di trovare un equilibrio, in modo da non essere né troppo scarna né troppo pesante e minuziosa nelle descrizioni: preferisco dare spazio all’immaginazione del lettore.

 

Ely79: grazie per i complimenti, per quanto riguarda la critica invece, rileggendolo me ne sono accorta anche io … il problema è che quando lo rileggo prima di pubblicarlo, questi errori non li noto … cerco di correggere il più possibile, ma purtroppo qualcuno sfugge sempre …

 

Raukath: beh, sono contenta che il dungeon che ho architettato ti sia piaciuto … ora la storia avrà una svolta, spero che ti piacerà …

Ho notato anche io che piano piano sto migliorando e devo dire che il fatto di spezzettare la storia in capitoli che vengono esaminati uno ad uno, è un ottimo esercizio per migliorare … spinge ad essere sempre più precisi …

 

Warlock: beh, direi che i poteri magici dell’ascia sono l’asso nella manica di Rhon XD comunque sono contenta che ti sia piaciuto molto questo capitolo così denso d’azione … ti ringrazio anche per le recensioni alle altre storie!!

 

Detto ciò, al prossimo capitolo!

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Capitolo 12
*** il patto ***


12. Il patto

 

I miei occhi si spalancarono, stupiti: era il giovane che avevo incontrato nella taverna, con quegli occhi color del ghiaccio e quei lineamenti gentili e duri allo stesso tempo. Ripercorsi nel giro di pochi secondi tutto il discorso di quel giorno alla taverna e capii immediatamente quanto ero stato stupido: il ragazzo doveva avermi seguito fino alla rocca del mago, per poi raggiungere Karl Kalhar. Che fosse stato lui ad ucciderlo? No, mi dissi, sembra un giovane troppo ingenuo.

Gli occhi azzurri del ragazzo mi fissavano freddamente, attendendo la mia prossima mossa.

- Ora usciremo da questo posto, poi parleremo di affari – annunciai, facendo tirare un sospiro di sollievo al ragazzo. Mi diressi verso la porta e cercai nelle tasche la chiave con cui avevo aperto la porta dalla quale ero entrato: magari si apriva anch’essa con quella. Purtroppo, però, non la trovai, probabilmente era già tornata magicamente nella fessura dove l’avevo raccolta. Sospirai. – Dovremo cercare la chiave – dissi, rivolto al ragazzo, che ancora non aveva pronunciato una parola. – E se non la troveremo? – chiese, forse con un po’ di preoccupazione nella voce. – La troveremo – ribattei, sicuro. – Altrimenti marciremo qui – aggiunsi in tono grave.

- La serratura si potrebbe scassinare, proprio come stavo facendo … - osservò. Io ridacchiai a quell’affermazione ingenua. – Come pensi di scassinare una serratura magica? Solo un potente mago ci riuscirebbe – spiegai poi, mettendomi a tastare il muro attentamente. – Ma … - tentò di ribattere il giovane, ma io lo interruppi: - cerca in silenzio – dissi seccamente.

Lo vidi fulminarmi con lo sguardo, per poi dedicarsi alla ricerca. Stava già cominciando ad irritarmi, come avrei potuto sopravvivere fino alle gallerie di Bohr senza aver ceduto a uno scatto di nervi?

Continuammo la ricerca nel completo silenzio, ognuno troppo intento a scrutare l’altro per dire qualcosa.

Cercammo per più di due ore senza nessun risultato, fino a cadere completamente nello sconforto. Probabilmente avrei finito i miei giorni in quel posto lugubre, oltretutto in compagnia di quell’umano. Quella prospettiva era a dir poco raccapricciante.

- E se la chiave non si trovasse nella parete? – ipotizzò il giovane, dopo qualche minuto appoggiato alla parete immerso nei pensieri. Io scossi semplicemente la testa: e dove mai poteva trovarsi altrimenti?

Il ragazzo non badò alla mia reazione, si alzò e cercò lungo la colonna d’oro che sosteneva la teca. Continuai a scuotere la testa, compiacendomi del fatto che non avrebbe trovato nulla lì e sostenendo dentro di me la stupidità degli umani.

Con mia immensa sorpresa, però, il giovane ricomparve da dietro la colonna con un sorrisetto furbo, che io avrei volentieri fatto sparire con un pugno in bocca, e un piccolo oggetto nella mano.

- Visto? Proprio come avevo pensato … - commentò compiaciuto, facendomi vedere una piccola chiave di metallo sulla cui estremità superiore si trovava un rubino rosso che luccicava di mille tonalità.

- Era l’occhio del serpente – precisò, ancora con quella snervante aria furba. – Datti poche arie e apri quella dannata porta – commentai acido, probabilmente mandando in fumo le poche speranze di poterlo ingannare in seguito.

Non appena l’umano aprì la porta, una luce accecante ci avvolse in un abbraccio cocente. Ci sentimmo trascinati in un turbine e pochi secondi dopo eravamo sull’erba del bosco.

Il giovane rimase qualche secondo stordito, poi anche lui si alzò e andò a recuperare il cavallo che aveva lasciato nascosto fra i cespugli. Anche io raggiunsi il mio, poi tutti e due ci allontanammo dal Grande Albero, incamminandoci lungo il sentiero.

Lasciai passare qualche minuto in cui calò un silenzio imbarazzante, ma non ci badai. Cercai infatti di mettere insieme nella mia mente tutti gli elementi di quella storia, visto che ancora non capivo alla perfezione come il ragazzo della taverna potesse trovarsi al mio fianco.

Era sicuramente lui l’animale che mi seguiva nel bosco e che avevo scorto dalla finestra dell’abitazione del mago. Anche la porta socchiusa della sala dei concili e le impronte nel labirinto erano certamente sue. D’altronde chi mai avrebbe potuto essere così distratto se non un umano?

Eppure c’erano ancora alcuni punti da chiarire, infatti non avevo idea di come avesse fatto ad arrivare fino a lì né chi fosse l’assassino di Karl Kalhar. Ero sicuro che presto l’avrei saputo, ma ora era giunto il momento di mettere in atto il mio ingannevole piano, sempre che ci riuscissi.

- Senti … che ne dici di stringere un patto? – chiesi, accennando un sorriso incoraggiatore, nonostante sembrasse più un ghigno sui miei lineamenti malvagi. Il giovane restò un attimo in silenzio, riflettendo. – Un patto? – chiese. Annuii. – Di cosa si tratta? – domandò ancora, serio. Sorrisi fra me: che stesse per cascare nella mia rete?

- Ti permetterò di tenere la mappa e ti aiuterò ad arrivare al tesoro, in cambio però, voglio metà della somma che troveremo – proposi, cercando di essere convincente. Lui sorrise in un modo strano che non riuscii a comprendere. – Perché dovrei accettare? In fondo la mappa è in mano mia – replicò guardandomi con quegli occhi gelidi. – Perché io potrei ucciderti da un momento all’altro e poi … hai cercato di aprire una serratura magica semplicemente scassinandola, non riusciresti ad arrivare illeso alle gallerie di Bohr senza le mie conoscenze – risposi. Il giovane si fece nuovamente pensieroso. Che avesse finalmente deciso di non potercela fare da solo?

- Come ho già detto quel giorno alla taverna, io non ho paura di te, anche se sei un Drow … sono capace di difendermi … ad ogni modo le tue conoscenze potrebbero effettivamente essermi utili, per cui ci sto – concluse il ragazzo, con sguardo focoso. Nonostante fosse un umano, non sembrava un totale sprovveduto, anche se non abbastanza intelligente da comprendere i miei inganni. A quei pensieri esultai dentro di me: stava andando tutto liscio.

- Qual è il tuo nome? – mi chiese all’improvviso, lasciandomi qualche secondo spiazzato. – Se dovremo viaggiare insieme, dovremo pur sapere almeno i nostri nomi … - spiegò. – Rhon D’Ayurd – risposi, anche se un po’ titubante. – Shirin Kurter – disse il giovane porgendomi la mano, che io afferrai con riluttanza. Sarebbe stato un viaggio davvero lungo …  

 

Angolo autrice: 

Passiamo subito alle risposte:

 

Warlock: è giusto che Rhon provi un po’ di fatica e difficoltà, se no che storia sarebbe? Mi dispiace per gli errori, spero che in questo capitolo ce ne siano meno … Per quanto riguarda il fatto della chiave, penso che ora l’abbia capito … semplicemente è ritornata da sola nel nascondiglio XD in fondo se la serratura è magica anche la chiave lo è, no?

 

Dreaming _Archer: Beh, per quanto riguarda il fatto della chiave, ti invito a leggere ciò che ho scritto a Warlock che mi aveva posto la stessa domanda, e per il ladro ora si sono svelati tutti i misteri … o quasi! Immagino che in fondo te lo aspettavi …

 

Ely79: sono contenta che le descrizione della stanza ti sia piaciuta, a dire il vero non ne faccio molte, ma quelle che metto cerco di scriverle il meglio possibile. Per gli errori tenterò di migliorare J

 

Raukath: Beh, ora avrai visto che la tua supposizione era giusta: è proprio lui! J

 

Valerie_Laichettes: come hai detto tu, è normale che Rhon voglia ingannarlo: lui fa solo ciò che più gli conviene …

Grazie per avermi segnalato gli errori … probabilmente mi ero dimenticata di rileggere il capitolo, in questo dovrebbero essercene di meno …

L’intruso non si è accorto di Rhon, perché lui è entrato furtivamente e il ragazzo non l’ha sentito perché era intento a scassinare la serratura

 

Bene, al prossimo capitolo e mi raccomando … chi passa di qui lasci un piccolo commento!

 

 

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