The Time Has Come For Us

di LaMicheCoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo [Anno: 2264] ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Fuggire dall'Ombra di Se Stessi [Anno: 2261] ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387] ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Kal-tor ri nem-torcu iwe’ th’hi! [Anno: 2261] ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Urla nella Mente [Anno: 2387] ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Missione di Salvataggio [Anno: 2261] ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Di'Ranov! [Anno: 2387] ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Alea Iacta Est [Anno: 2261] ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Un Freddo ed Infranto Hallelujah [Anno: 2387] ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Ti Ho Trovato [Anno: 2261] ***



Capitolo 1
*** Prologo [Anno: 2264] ***


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Autore: Nemeryal
Titolo:  The Time Has Come for Us
Fandom: Star Trek [The Original Series – Star Trek XI: Il Futuro Ha Inizio]
Genere: Generale
Avvertimenti: Shonen-ai (Canon e unilateralmente non-canon), Movieverse
Personaggi: Spock, James T. Kirk, Leonard “Bones” McCoy, Montgomery Scott, Pavel Chekov, Hikaru Sulu, Nyota Uhura, Christine Chapel, Altri, Nuovo Personaggio.
Musica: Varie
Note: Prima Long fic su Star Trek! Alèèèèè!! Finalmente è arrivata, la Long di cui tanto vi avevo parlato! Bon, iniziamo con le note basilari!
Questa Fiction avrà una struttura ad anello, ovvero quello che andrete a leggere non sarà propriamente il prologo, ma l’epilogo o, almeno, parte di esso. E’ una struttura con cui mi ero trovata particolarmente bene per la mia prima Long, lascia quel senso di “sospensione” che a me piace molto.
Piccola questione..la mia conoscenza di Star Trek è circoscritta unicamente alla TOS, ai relativi 6 film e all’ultimo di JJ Abrams, più qualche episodio della Serie Animata e alcuni dei romanzi. Cercherò di informarmi il più possibile andando su Memory Alpha, ma vi chiedo già in anticipo di perdonarmi se troverete qualche cosa di “strano”, un evento aut similia, di cui si parla nella serie Enterprise o nella TNG e che nella fic non viene citato.
Pooi..ah sì! Il pairing Nyota/Spock. Ho pensato a lungo se inserire o no questo pairing all’interno della fiction, lo giuro sulla cicatrice che Nimoy ha sulla guancia destra, analizzando i pro e i contro della cosa e alla fine la mia decisione è questa: no. Non ci riesco, non ce la faccio, se scritte bene posso apprezzare delle fiction con tale pairing, ma io non riesco a sentirla “mia”, non so gestirla e quindi, sorry amanti delle Nyota/Spock, in questa Long Fiction troverete solo un rapporto di amicizia fra i due, nulla di più. È più forte di me..per quanto nell’ultimo film non ci siano tutte quelle occhiate che tanto fanno palpitare il cuore alle Spirk fans (Like me!) non riesco davvero a vedercelo Spock con Uhura.
Vediamo..ah, sì! Prima di alcuni pezzi vedrete dei titoli di alcune Soundtrack fra parentesi. Senza dilungarsi troppo, sono il sottofondo musicale che avevo pensato per quel pezzo. Lavoro moltissimo con la musica.
E a proposito di questo, il titolo “The Time Has Come For Us” è un verso del ritornello della canzone “Victoria Speramus” dei Krypteria.
Calzante in un certo senso, no?
Okay, vi lascio alla lettura! Tai Nasha no Karosha!

Dedica: A Silentsky e a Pimplemi_chan il mio personale sostegno morale e scrittorio!
Ringraziamenti:  A tutti i Trekker della sezione che continuano a seguire tutti i miei scleri scrittori su questa serie. Grazie, grazie davvero. Questa Long Fiction è per voi.

 

Prologo

Anno: 2264

 

(Final Fantasy VII Advent Children Original Soundtrack – Yakusoku no Chi –The Promise Land-)

 Il fumo violetto dell’incenso si levava lento dalle lunghe bacchette, disegnando spirali e curve e forme sinuose, volteggiando nell’aria greve della stanza, intrecciandosi l’uno con l’altro, per poi disperdersi con un palpito e svanire, lasciando dietro di sé solo una scia di intenso profumo.
La Sacerdotessa Anziana di Vulcano, vestita di porpora e argento, con veli d’un bianco purissimo che le cadevano rigidi dalle spalle, stava al centro della stanza buia; le labbra truccate di carminio, gli occhi dal taglio allungato, con l’iride verde arabescata di grigio, il profilo severo e il naso adunco apparivano e svanivano con un palpito nel lampeggiare continuo delle candele.
Attorno a lei, alcune giovani donne di Vulcano, i lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle, la fronte cinta da una tiara d’oro e il corpo flessuoso avvolto da una veste candida, attendevano in piedi, in silenzio, gli occhi rivolti verso terra, le dita intrecciate in grembo.
Il silenzio nella stanza era tale da permettere ai presenti di percepire il roco respiro dei membri più anziani, il crepitio dello stoppino divorato dalle fiamme e le lacrime di cera che scivolavano pallide lungo il corpo affusolato delle candele.
Un giovane umano dai capelli castano chiaro, quasi biondo, si accostò lentamente al vecchio Vulcaniano poco distante dalla Sacerdotessa, e chinò il viso nella sua direzione
-Sono sinceramente addolorato per la vostra perdita, Ambasciatore-
Sebbene sussurrate, le parole parvero esplodere, spezzando inesorabilmente la strana atmosfera di quiete ossessiva e sacra che permeava la Sala.
Il vecchio alzò gli occhi, stranamente vuoti, verso il giovane e aprì la bocca, come per parlare, ma la voce si dissolse non appena sfiorò le labbra secche e pallide; uscì solo qualche frammento di suono, schegge di emozione che gli costarono le occhiate di disapprovazione degli altri Vulcaniani presenti.
Il giovane abbassò il viso, serrando la mascella e schiarendosi appena la gola, quasi a voler cancellare il muto singhiozzo che gli aveva appena fatto sussultare il petto. Fece per dire qualcosa, ma dei passi leggeri lo costrinsero a voltarsi verso la porta,i cui stipiti, di vetro e cornalina, accoglievano il bagliore danzante delle candele, riflettendolo tutto intorno.
Una donna umana ed un Vulcaniano, fermi sulla soglia, chinarono la testa, rivolgendo il gesto di saluto dapprima alla Sacerdotessa più anziana, poi alle più giovani e infine agli altri presenti.
Gli abitanti di Vulcano si scambiarono occhiate silenziose, ma ricche di astio verso il loro fratello, per il suo sguardo così pieno, così toccato dal dolore, dalla perdita, per la piega delle labbra e la mascella contratta, in un vano tentativo di controllarne il tremore.
Il giovane si scostò di lato, per permettere al vecchio Vulcaniano di avvicinarsi ai nuovi arrivati: l’anziano chinò il capo verso la terrestre, che ricambiò il saluto con occhi lucidi, per poi poggiare le mani sulle spalle dell’altro figlio di Vulcano, stringendo talmente tanto la presa da far sbiancare le nocche.
L’uomo fece un rapido cenno alla giovane, che si diresse verso di lui con passo incerto.
-Allora? Novità?- le domandò, umettandosi le labbra secche e distogliendo lo sguardo dai due Vulcaniani poco distante.
-Nessuna- la donna scosse il capo e le spalle si abbassarono con un sospiro.
-Come nessuna?- sibilò l’uomo, avvicinando ancora di più la testa verso di lei –Le persone non spariscono nel nulla, Nyota!-
-Lo so- fu la risposta secca –Ma..-
-Non possiamo attendere oltre- la voce graffiante della Sacerdotessa fece alzare di scatto la testa ad entrambi –La cerimonia deve cominciare-
Il giovane sgranò gli occhi e voltò le spalle a Nyota, per rivolgersi alla Vulcaniana.
-Vi prego, Nobile T’Pen!- esclamò, allargando le braccia –Concedeteci ancora un momento!-
-Non abbiamo un momento, James Kirk- ribattè la Sacerdotessa, assottigliando lo sguardo e arricciando le labbra –Abbiamo atteso anche troppo. È ora di dire addio a nostro Fratello-

 

***

 

-Comandante- il Romulano ai visori sollevò la testa, voltandosi verso il proprio superiore –Una nave di piccole dimensioni è appena comparsa sullo schermo. Secondo i nostri dati, proviene dalla Colonia Vulcaniana di Rok1-
Il Comandante poggiò lentamente la schiena contro la poltrona, alzando appena il mento e unendo fra le loro le dita, i gomiti rilassati sui braccioli.
-Molto bene, tenente- si congratulò con un sorriso accennato sulle labbra –Ti stavo aspettando- mormorò poi, socchiudendo gli occhi scuri –Sono pronta a riceverti..-

 

 

1La parola rok in Vulcaniano significa “Speranza” (Questo sito è oltremodo utile à http://www.starbase-10.de/vld/)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Fuggire dall'Ombra di Se Stessi [Anno: 2261] ***


2261

Capitolo 1
Fuggire dall’ombra di se stessi.

Anno:  2261

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Memories of That Day)
 La mattina, su Rok, era come il lento aprirsi di un ventaglio: la luce tenue, tra il rosa e lo scarlatto, si snodava dolcemente sulle creste rocciose e sulle valli, come lunghi nastri punteggiati di stelle oramai offuscate.
L’alba si stendeva placida sulle case e i villaggi, posandosi leggera sui fiumi argentini, fondendosi con essi, crepandosi e infrangendosi a ritmo delle onde. Un vento caldo sollevava le foglie pesanti degli arbusti e turbinava sulle distese di sabbia, colorandosi d’oro e di rubino.
Immerso nel verde del Giardino di Vokaya1, Selek osservava il quieto nascere del giorno in silenzio, le dita intrecciate dietro la schiena e gli occhi scuri illanguiditi dalla luce del mattino; le labbra sottili erano appena incurvate verso il basso, rendendo le rughe che le circondavano ancora più profonde.
La veste nera, con ricami di filo smeraldo, gli cadeva dritta dalle spalle piegate dalla vecchiaia, allargandosi severa lungo i fianchi e sul selciato.

-Thol2 Selek- un sussurro, dietro di lui, lo fece voltare, costringendolo a dare le spalle al sereno sorgere dell’alba  –Non mi aspettavo di trovarvi qui-
-Ambasciatore Sarek- salutò cordialmente Selek, chinando il capo –Desideravo vedere il mattino sorgere su questo luogo colmo di ricordi- indicò con un ampio gesto del braccio le fontane scintillanti, gli alberi dalle cortecce rosse e le foglie ricoperte di scaglie nere, e i piccoli fiori che aprivano timidi le corolle scarlatte.
Sarek si avvicinò in silenzio, tenendo le mani intrecciate al petto, e si accostò a Selek, chiudendo gli occhi e respirando a fondo l’aria calda di Rok.
-Cosa vi ha portato qui, Selek?- domandò, fissando l’altro Vulcaniano con aria grave –Perché indugiate nel passato, tralasciando futuro?- e fece un gesto lento con le dita, spaziando dalle cime aguzze dei monti alla città di Gad-shen3, adagiata sulla valle.
Selek non rispose subito, limitandosi a fissare il cielo con sguardo assente, prima di tornare a fissare Sarek.
-Vedete, Ambasciatore- mormorò, schioccando le labbra rugose e inarcando le sopracciglia –Il futuro che voi dite, per me è il passato. Eppure- si fermò un istante, corrugando la fronte –Questo passato non sarà mai il mio futuro. Però, osservo l’alba sorgere in questo luogo per ricordarmi che potrà sempre esserci un futuro, anche quando il passato sembra distrutto-
-La logica del vostro ragionamento mi sfugge- l’accenno di un sorriso si posò sulle labbra dell’Ambasciatore –Con tutto il rispetto dovuto-
Selek si lasciò sfuggire una risata roca e il sole comparve con un lampo dietro di lui, baluginando sui tratti severi del viso, sulla fronte ampia e sul naso aquilino.
-A volte, bisogna saper essere logici anche alla maniera degli essere umani- rispose –L’ho..imparato dal passato-
Sarek inarcò il sopracciglio destro, poi chinò il capo e fece per andarsene.
-Nel tuo passato..lei è viva, vero?- domandò d’un tratto, girandosi appena ad osservare Selek.
Quello prese un respiro profondo.
-Nel mio futuro..lei è morta, ma perché il tempo aveva fatto il suo corso-
-Shaya tonat4- mormorò l’Ambasciatore, scendendo lungo il sentiero acciottolato –Spock-

 

Dicono che la speranza sia sempre l’ultima a morire, una forza, un fuoco che si spegne lentamente, poco a poco, ma la cui più piccola fiamma continua ad ardere, dorata, sotto un sudario di cenere.
Dicono che non bisogna mai arrendersi, nemmeno davanti agli ostacoli più duri, ma solo lottare, lottare e lottare ancora, afferrare il destino per le spalle e gettarlo a terra, schiacciandogli la testa sotto i piedi.
Dicono che qualunque cosa accada, tutto si risolverà per il meglio, che una soluzione ad un problema esiste ogni volta, anche se all’inizio sembra impossibile.
Ad Eleni Theokore, rinchiusa in una lurida cella, in compagnia di un cadavere in putrefazione, quelle sembravano solo stronzate.
Erano parole prive di fondamento, pronunciate da qualcuno cui forse erano venute in mente mentre era comodamente seduto su una poltrona di velluto sanguigno, fra le mani un calice di cristallo colmo di vino e lo sguardo rivolto verso una distesa di campi verdeggianti, costeggiati da alti alberi dalle fronde nere e attraversati da un fiume gorgheggiante, dalle acque d’argento.
Perché era sicura oltre ogni limite che nessuno che aveva visto la propria vita, i propri diritti calpestati e gettati al vento, i propri compagni cadere uno dopo l’altro, coperti di sangue, o il proprio futuro sgretolarsi davanti agli occhi, in mille e più frammenti di specchio, inutili e brillanti, nessuno che si fosse trovato in una situazione del genere avrebbe mai potuto pronunciare parole simili.
Poggiò la nuca contro il freddo muro della cella, lo sguardo cieco per l’oscurità in cui era costretta da..giorni? settimane? Mesi? Scrollò il capo con un sospiro, per poi digrignare i denti a causa della fitta che le aveva percorso come una scarica elettrica il petto, infrangendosi contro le costole.
Si portò una mano all’altezza del cuore, soffocando un gemito e mordendosi le labbra, coperte di sangue secco; distese le gambe dolenti, sporche di polvere e coperte di escoriazioni, scarlatti, sul pavimento incrostato di fango e continuò a massaggiarsi il petto, sperando di mitigare il dolore.
-Dovrebbe riposarsi, Comandante- le consigliò una voce femminile proveniente dalla cella accanto alla sua, una voce arrochita dalla stanchezza e appesantita da un forte accento russo –Provare ad allontanarsi almeno per un po’ da questo posto-
-A che servirebbe?- chiese Eleni, poggiando la tempia destra contro le sbarre fredde della cella.
-Servirebbe..- la voce sbuffò e tossì, rauca –Non si accorgerebbe di morire ogni istante di più-
-Haleema come sta?- chiese la donna, stringendo l’anello dorato appeso alla catenella che portava al collo.
-Dorme-
-Fai attenzione che..-
-Non credi anche tu che possa essere una liberazione?-
-Non perderò altri membri dell’equipaggio- ringhiò Eleni, assottigliando lo sguardo.
-Mi spiace, Comandate- fu la risposta –Ma non dipende più da lei, ormai-
-Vorrei che lo fosse-
Il silenzio spiegò le ampie ali, raccogliendo entrambe nel proprio abbraccio privo di voce.
-Tu pensa solo a rimanere in vita, Eleni-
-Per quale motivo dovrei, a questi punti? Non dipende da me, no?-
-La tua vita- cominciò l’altra -Non dipenderà da altri che da te..e poi, hai una promessa da mantenere-
-Una promessa fatta ad un morto? Non conta più..-
-Invece conta più di quella di un vivo. Un vivo può scioglierla, un morto no-
Eleni si lasciò sfuggire un sorriso sarcastico e prese il piccolo anello fra le dita, sfiorandolo con dolcezza.
-Oh certo. Gli ho promesso di vivere, ma adesso sono come morta. Il legame era “fin che morte non ci separi”, giusto? Se io adesso morissi, allora saremmo entrambi sullo stesso piano di esistenza e potrei mantenere la mia promessa, vivendo nella morte-
-Hai ancora la forza di fare speculazioni filosofiche?-
-Fa parte del mio corredo genetico-
-Greci- fu lo sbuffo un poco divertito che la donna ricevette come risposta.
-Perché, voi russi cosa portate nel corredo genetico?-
-Domanda facile, Comandante. Il ghiaccio della Siberia, il fuoco dei Rivoluzionari..-
-E il veleno della Vodka- aggiunse una voce bassa, un sussurro quieto, come il frullare d’ali di una colomba.
-Grazie, Haleema- soffiò la donna russa ed Eleni sentì una piccola lacrima bruciare, appesa alle ciglia.
La asciugò con un gesto veloce, secco, per poi riappoggiare la nuca alla parete. Portò le ginocchia al petto, poggiandovi sopra il mento e circondando le gambe con le braccia.
-Sapete- mormorò la russa, sconfitta –Mi sarebbe piaciuto rivedere Leningrado, una volta completata la missione..-
-La rivedrai, ne sono sicura, Ida- le sussurrò dolcemente Haleema.
-No..nemmeno come cadavere..- fu la risposta della donna.
-Dicono..- cominciò Eleni rialzando la testa –Che la speranza sia sempre l’ultima a morire-
-Cazzate- commentò con rabbia Ida  –Solo emerite cazzate-

 

***

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Frontier Village Dali)
-Un attacco di Klingon in arrivo, Jim?- si informò McCoy, voltando le spalle al Capitano e rivolgendo la propria attenzione allo scaffale che si trovava dietro di lui; cominciò a prendere alcuni flaconi, più o meno alti, grossi e piccoli,  storcendo ogni volta la bocca per poi mettere il medicinale di nuovo sullo scaffale –Finirai per consumarle queste benedette pillole, lo sai?-
-Non finché riuscirai a procurartele- ribattè Kirk, seduto sul bordo dei uno dei letti dell’Infermeria; teneva la testa piegata e con le dita andava a distendere e corrugare le sopracciglia, massaggiando ritmicamente la fronte.
-Tieni- sbuffò il medico, aprendo una confezione di pillole e lasciandone cadere due sul palmo aperto del Capitano –Ma dovresti andarci piano-
-Sì sì, lo so- lo liquidò Jim, ingoiando veloce le pastiglie e gettando la testa all’indietro, gli occhi chiusi e una ruga profonda che gli solcava la fronte.
McCoy si sedette accanto al Capitano, aspettando che quello tornasse a prestargli attenzione, e intrecciò le mani sulle ginocchia, battendovi sopra le dita.
-Jim, che ti succede?- domandò, vedendo che l’altro aveva assunto un colorito più sano rispetto a quando era entrato in Infermeria –L’ultimo attacco Klingon risale a quattro mesi fa e non saremo nel territorio circostante Mukade prima di una settimana. Escludo che il tuo mal di testa sia dovuto ai nostri cari amici dalla fronte spaziosa-
Kirk gemette qualcosa in risposta, passandosi una mano dietro la nuca e facendo scricchiolare le vertebre del collo.
-Sputa il rospo, ordini del medico- lo minacciò McCoy, inarcando il sopracciglio destro –Non sarà ancora per la storia di Carol, vero?-
-Eh? Cosa?- Jim sgranò gli occhi e si alzò di scatto dal letto, agitando le mani davanti al viso –No, no, no, che vai a pensare? Con Carol è finita praticamente da un anno! No- storse la bocca in un sorriso ironico –Non è per lei..-
-Lo spero!- Bones emise uno sbuffo che sapeva più di risata e guardò l’altro di sottecchi –Deve essere stato un duro colpo per lei, poverina, sapere di essere stata messa da parte per un’altra donna-
Jim corrugò la fronte, schiudendo appena le labbra e passandovi sopra la punta della lingua; poi inarcò le sopracciglia e le iridi scure furono illuminate da un lampo divertito.
-Ah, ho capito, intendi lei..- si portò i pugni al fianchi e alzò la testa –Come si fa a non esserne innamorati? Lei è tutta mia-
-Attento- lo ammonì il dottore –Scotty è molto geloso della sua bambina-
-Scotty sa che non le farei mai del male- gli ricordò Kirk, accarezzando con una mano le pareti candide dell’Infermeria –Preferirei sacrificare la mia vita piuttosto che questa Nave..-
-Ne sono sicuro- il medico inarcò un sopracciglio, arricciando le labbra –Ora ho capito perché la Marcus ti ha lasciato-
-Non mi ha propriamente lasciato- ribattè Jim, gesticolando con la mano –Ha solo detto che non vedeva il motivo di continuare una relazione in cui una delle componenti era sempre occupata a viaggiare in lungo e in largo per lo spazio-
-E soprattutto perchè la componente maschile è innamorata della propria Nave e la vezzeggia come fosse una donna in carne, ossa e forme- completò McCoy con un sorriso sardonico sulle labbra.
-Divertente- commentò Kirk, sarcastico –Almeno le ho lasciato un bel ricordo della nostra storia-
-Speriamo che il tuo ricordo non abbia due gambe, due braccia e tanta voglia di piangere dalla mattina alla sera- commentò il dottore, incrociando le braccia al petto.
-Un figlio? No, dai non scherzare su queste cose, Bones!- esclamò Kirk, orripilato –Mi ci vedi con un figlio a carico?-
-Io mi preoccuperei di più per il bambino- lo corresse McCoy con uno sbuffo divertito –Sai che sfortuna avere parte del tuo corredo genetico? Ehi, Jim..?-
Un’ombra scura era calata improvvisamente sul viso del Capitano e gli occhi si era fatto cupi, distanti, ma soprattutto lucidi; trattenendo il fiato, Kirk alzò la testa di scatto e uscì in fretta dall’Infermeria, ignorando gli ordini dell’Ufficiale Medico di tornare indietro.

(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Missing You)
Percorse i corridoi in fretta, rispondendo solo con qualche veloce occhiata ai membri dell’equipaggio che si mettevano sull’attenti quando passava, e ignorandoli completamente quando gli bloccavano la strada per rivolgergli la parola.
Fu con un sospiro di sollievo che si gettò dentro le porte aperte del TurboLift, sussurrando appena un “Ponte cinque”, mentre macchie di colore, ricordi, suoni, odori gli colpivano ripetutamente la fronte e lacrime bollenti premevano con forza contro le palpebre serrate.
Prese un respiro profondo, tentando di mantenere il controllo, ma più cercava di concentrare la mente su qualcos’altro che non fosse il dolore muto e martellante alle tempie, più sentiva l’aria farsi calda, soffocante, il terreno tremare, mentre l’odore acre del sangue gli penetrava con forza nelle narici.
Si lanciò fuori dal TurboLift senza nemmeno aspettare che le porte scorrevoli fossero aperte del tutto e si diresse quasi di corsa ai suoi alloggi, entrandovi con un rantolo e gettandosi a terra carponi, mentre il respiro si tramutava in singhiozzi strozzati, spezzati.
-Esci dalla mia testa- ringhiò, mordendosi le labbra fino a sentire un sapore metallico sulla lingua –Vattene dalla mia testa, cazzo!-
Si portò le mani alle tempie, ma già dietro le palpebre chiuse poteva vedere il profilo rossastro di alcuni massi ergersi dietro un velo di polvere rossa e grigia; un vento secco, sibilante, frustava il terreno impervio e secco, sradicando i pochi arbusti che erano riusciti a sopravvivere.
E poi vide un corpo, disteso a terra, la consapevolezza di essere la causa della sua morte, una morte orribile, un coltello Klingon, affilato e scintillante sotto le fiamme di Genesis, e il sangue che colava a fiotti, impregnando di porpora la camicia altrimenti bianca, e in due iridi scure –le sue, erano le sue, vedeva se stesso, più vecchio, più lontano, sofferente!- il volto di lui  e un odio immenso, profondo, terribile, per loro, i Klingon, loro che lo avevano ucciso, ammazzato senza pietà, che lo sacrificato come un capretto sul loro altare di teschi e ossa.
-David..- sussurrò, con le lacrime che creavano solchi roventi lungo le guance –Maledetti Klingon, avete ucciso mio figlio..-
Il morso della coscienza che riemerge, un ringhio, un ruggito.
No, no, non era vero!
Prese un respiro profondo, annaspando in cerca di aria, ma i suoi polmoni si riempierono all’istante di cenere e fumo, facendolo piegare su se stesso, tossendo mentre le fiamme gli lambivano il petto.
Il terreno tremava, squassato da un ruggito di rabbia, da un ringhio vibrante sempre più forte.
-Esci dalla mia testa, Spock!- gridò, al limite della sopportazione, inarcando la schiena e tendendo con sforzo immane le braccia pesanti, sentendo i muscoli guizzare con un gemito di protesta e i nervi spezzarsi con un crepitio assordante; si appigliò alla realtà, la propria realtà, con tutta la forza della disperazione, artigliando l’aria con le dita, stringendo i falsi ricordi in una morsa ferrea e trascinandoli a terra, con un gesto secco, furioso.
La piana si squarciò davanti ai suoi occhi chiusi, le fiamme ebbero un ultimo guizzo, un ultimo scintillio, e si accasciarono, morenti; il terreno si assestò con un poderoso colpo, per poi rimanere silenzioso, muto, e il vento diminuì di intensità, fino a calare e svanire come nebbia sottile; le piante alzarono i rami torti al cielo,  le cortecce smembrate e le foglie accartocciate, per poi essere spazzate via da un suono insistente, continuo, un fastidioso ronzio.
Jim emise un gemito strozzato, prendendo lunghi e profondi respiri, prima di stendersi completamente a terra, supino, le braccia allargate, la schiena sudata contro il pavimento gelido, gli occhi sgranati e rivoli di sudore freddo che gli colavano lungo il viso pallido, mescolandosi alle lacrime già secche sulle guance.
Si portò una mano alla tempia, strizzando le palpebre e maledicendo con ogni sorta di grugnito il suono sibilante che gli stava perforando le orecchie e il cervello; gli ci volle qualche minuto per capire che il ronzio altro non era che il segnale di chiamata dell’intercom.
Si alzò di scatto, ignorando le urla di protesta dei muscoli, barcollando fino all’apparecchio.
-Qui Kirk- balbettò, cercando di riprendere il controllo.
-Jim!- l’esclamazione di McCoy investì il Capitano con tutta la forza presente nelle corde vocali del medico –Buon Dio, mi hai fatto prendere un colpo!-
-Bones..- sibilò Kirk, sfregandosi con forza la fronte –Evita di urlare, ti prego-
-Evita di urlare? Evita di urlare? Sei scappato dall’Infermeria senza una parola, come se avessi avuto dei Klingon alle calcagna, reggendoti a malapena in piedi, bianco come uno straccio e mi chiedi di non urlare?-
-No- il Capitano prese un altro respiro –Te lo ordino-
Silenzio.
-Jim, come Medico Capo, ma soprattutto come amico, vorrei che passassi la notte in Infermeria, anche solo per un semplice controllo..-
-Bones, ne abbiamo già parlato- lo interruppe Kirk, scuotendo la testa–Sto bene, te lo assicuro! Adesso mi faccio una bella dormita e tornerò come nuovo, forse è solo tensione-
-Tensione? Questa scusa poteva andare bene tre anni fa, o forse neanche quello, visto che allora avevi le energie necessarie per farti prendere a pugni da un Vulcaniano emotivamente instabile mentre rischiavamo di venire ammazzati da un Romulano altrettante instabile o di finire dentro un buco nero per colpa del suddetto squilibrato - il crepitio indicò che McCoy aveva appena ripreso fiato dopo la lunga arringa –Jim, questa notte, solo per degli esami e..-
-No, Bones. Va tutto bene. Qui Kirk. Chiudo-  interruppe la comunicazione senza nemmeno aspettare la protesta del medico e si gettò sul letto, chiudendo gli occhi e coprendosi il viso con il braccio.

 

-Maledizione!- esclamò McCoy, colpendo l’intercom con un pugno –Maledizione, Jim, che ti prende?

 
Solo in quel momento, avvolto dalle tenebre, da una cecità voluta, Kirk si accorse di stare ancora tremando: il corpo, bollente, era scosso da brividi gelati, e i denti continuavano a battere, accompagnati dalle gocce di sudore che colavano fredde dalla fronte aggrottata.
Si morse il labbro inferiore, inspirando a fondo e ripensando alla conversazione appena avuta col medico.
Bones era preoccupato per lui, lo capiva, certo, ma cosa poteva dirgli?
“Oh, non preoccuparti Bones, ho solo dei ricordi di Spock, no, non il nostro Spock, quello vecchio che ora abita a Rok e che viene dal futuro, sai quello che si fa chiamare Selek5? Sì, proprio lui, ho i suoi ricordi che mi frullano nella testa come atomi impazziti e mi stanno facendo diventare matto, perché ci sono momenti in cui non riesco più a distinguere la mia realtà dalla mia realtà, quella del me che abita dall’altra parte della staccionata del paradosso temporale”
Oh sì, idea geniale. Perché non ci aveva pensato prima? Ah sì, aveva già abbastanza problemi col suo Primo Ufficiale, ecco perché.
La prima volta aveva anche trovato divertente vedere il mondo come sarebbe dovuto essere in realtà, ma col tempo la cosa gli era sfuggita di mano e a quel punto non poteva rivolgersi nemmeno al suo Spock, al suo Primo Ufficiale, per chiedere aiuto, o un semplice consiglio.
Ma aveva bisogno, un bisogno disperato di mettere un freno a quelle correnti di memorie, ricordi, rimpianti e sentimenti che lo sorprendevano nei momenti più diversi, costringendolo ad una lotta furiosa fra la propria coscienza e quella di un altro.
Non aveva nascosto nulla a Spock di quanto era accaduto tre anni prima su Delta Vega, ma aveva volontariamente tralasciato il dettaglio del Mind Meld: da quanto aveva appreso, soprattutto dal Legame, il Contatto Telepatico era per i Vulcaniani qualcosa di personale, troppo intimo perché ne si potesse parlare con scioltezza o indifferenza.
Con quel Contatto, si era completamente fuso con l’anima di Spock, ne aveva sondato ogni piega, fatto suo ogni lato, anche il più nascosto, fino a vedere chi fosse davvero il suo Primo Ufficiale. Aveva visto, scoperto il suo lato umano, era entrato in contatto con esso fino a comprenderne ogni più intima sfumatura, e aveva troppo rispetto per Spock, il suo amico più che il suo sottoposto, per ammettere di aver oltrepassato la sua maschera di rigore e freddezza, l’ unica difesa contro il mondo che lo circondava, quella stessa maschera che persino Nyota, col suo amore, non era riuscita a superare.
No, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. L’egoismo e la meschinità non erano fra i suoi difetti.
In verità, aveva anche pensato a rivolgersi al diretto interessato, chiedergli perché, accidenti, oltre ai ricordi della Supernova, avesse assorbito tutto il resto, costringendolo a condividere in silenzio una vita che non era sua, a viverla attraverso gli occhi di un altro e vedersi, lì, sulla Enterprise, come sarebbe dovuto essere in realtà se Nero non fosse mai arrivato nel loro Universo6.
Affondò la nuca nel cuscino e intrecciò le mani al petto, piegando il ginocchio destro e fissando il soffitto, in silenzio.
Se l’altro Kirk era davvero tutto quello che aveva visto, sentito, provato attraverso gli occhi di Spock, lui cos’era? Lui, così giovane, strafottente, insofferente, con un quoziente intellettivo da genio, ma l’istinto di sopravvivenza praticamente nullo, che si lanciava a testa bassa nelle situazioni più difficili solo perché..bhè, perché esistevano, che non credeva alle situazioni senza via di uscita e che infrangeva, senza nemmeno troppi rimpianti, il regolamento di Starfleet?
Era come un piatto preparato dal sintetizzatore? Con lo stesso aspetto, lo stesso gusto, ma completamente diverso dal cibo originale?
Da bambino aveva sempre vissuto nell’ombra di suo padre, affiancato dal suo fantasma pallido e silenzioso, e aveva cercato in ogni modo di fuggire da quel gelo, ribellandosi a qualsiasi cosa, a qualsiasi legge e qualsiasi costrizione, incapace trascorrere la sua esistenza in catene, e con la sola voglia di vivere, vivere e vivere ancora, per non essere morto prima del tempo, come lui.
Ci era riuscito, dopo sacrifici, dubbi, lotte, alla fine aveva finalmente cessato di essere il figlio del defunto salvatore della USS Kelvin, per diventare il Capitano della USS Enterprise, il più giovane mai registrato negli archivi di Starfleet. Aveva anche creduto, per qualche tempo, di essere completamente se stesso, ci aveva creduto davvero e si era sentito..realizzato, pienamente se stesso, James Tiberius Kirk.
Ma poi erano arrivati loro, i ricordi.
E allora la sua fuga era ricominciata, una fuga contro qualcuno che era vivo e morto allo stesso tempo, che era lui e non lo era, vecchio e giovane, saggio e ribelle, due Kirk diversi come la linea temporale in cui esistevano, ma uniti da un unico legame: Spock.
Ma stava fuggendo da se stesso, dalla propria ombra, un correre senza meta, tra bivi e curve che portavano sempre al solito vicolo cieco, alla stessa domanda: cosa avrebbe fatto lui?
Perché era lui, ma non lui, era un Kirk diverso da Kirk, il nome era lo stesso, ma tutto il resto era diverso, sbagliato.
Agiva e sceglieva credendo di essere nel giusto, ma c’era sempre quella voce che lo faceva cadere nel dubbio, che gli chiedeva “Ma lui avrebbe fatto lo stesso?” avrebbe scelto sinistra invece di destra, bianco al posto del nero, la fuga al sacrificio?
Era un tendere inutilmente la mano verso qualcosa di necessario, verso la propria essenza, la propria esistenza, ma senza riuscire mai, mai e poi mai a raggiungerla davvero, ostacolati sempre da lui, dall’altro, dalla perfezione che non sarebbe mai potuto essere, perché non poteva essere la perfezione, lei esisteva ed era già esistita, così diversa da quella piccola e sciocca imitazione, che giocava ad essere qualcuno che non sarebbe mai stato.
Il sedativo cominciò a fare effetto: un calore diffuso, languido, lo avvolse lentamente, annebbiandogli i pensieri, appesantendo le palpebre e il respiro.
La mente prese ad offuscarsi, velandosi di nero, portando via con sé ogni dubbio e ogni domanda, cancellandola, almeno per quella breve parentesi di riposo, di un sonno senza sogni, senza ricordi, senza memorie.
Sarebbe stato solo lui, il pensiero, l’essenza di Kirk, passato, presente e futuro, e avrebbe galleggiato in uno stato di quiete assoluta.
Avrebbe riposato e basta.
Avrebbe recuperato le forze e dato anima e corpo per la missione che lo attendeva, perché non era contemplata altra possibilità che la riuscita.
Non poteva permettersi di dubitare.
L’altro l’avrebbe fatto e lui non era da meno.
Lui era James Tiberius Kirk e non avrebbe permesso che qualcun altro prendesse il suo posto, nemmeno se stesso.
Lui era James Tiberius Kirk, e avrebbe fatto le sue scelte, avrebbe preso le sue decisioni, giuste o sbagliate che fossero, semplicemente perché era lui a volerlo.
Lui, James Tiberius Kirk.

Ma anche l’altro è James Tiberius Kirk. Era ed è, e tu? Tu cosa sei? Cosa sarai? Kirk o la sua scialba imitazione parallela?
Un ultimo barlume di coscienza e poi le tenebre.

 



 

1 Ricordo” in Vulcaniano

2 “Nobile” in Vulcaniano

3 ”Alba” in Vulcaniano

4 “Grazie” in Vulcaniano

5 Il nome usato da Spock nell’episodio della Serie Animata “Yesteryear”

6 E’ diventato opinione comune tra i fan che, durante il Contatto avvenuto tra lo Spock del Futuro e Kirk, la versione Reboot del nostro Capitano preferito abbia “assorbito” anche gli altri ricordi di Spock, non solo quelli relativi alla Supernova. E, ehi! Se c’è un modo per rendere ancora piSSicologicamente tormentato un pg come il Kirk Reboot, sono pronta a cogliere la palla al balzo!

 

Angolo di Nemeryal, Data Astrale 63962.8 (http://www.ussdragonstar.com/utilitycore/stardates.asp)
Nuovo capitolo! E compaiono anche i primi OC!
Che dite, Kirk Reboot troppo OOC e mentalmente disturbato? Speremmu de nu! XD Anche perché sarebbe fantastico rendere OOC un pg che è già abbastanza OOC rispetto al pg cui fa riferimento!
E ora, rispondiamo alle recensioni!

 

Maya891: Ecco il seguito! Spero di non deluderti!

Lady Amber: Certo, se non fosse oscuro e incasinato non sarebbe nel mio stile XD The Promise Land è una musica bellissima, ma è di Nobuo Uematsu, un nome una garanzia!

 

Persefone Fuxia: Ah, i Romulani! Se non ci fossero dovrebbero inventarli..che è poi è quello che ha fatto papà Roddenberry se ci pensiamo bene..ehm! Frase comprensibilissima, invece, mi trovo d’accordo te! Infatti Uhura sta bene solo con Chekov (quando lui non è impegnato con Sulu) oppure con Scotty U.U
Sono una scema, lo so!
HyperTrek! Oh my dear Spock, ho dimenticato di nominarlo! *si da cocco telematico sulla testa* Liberarmi di te? Non sia mai!

 

Abdulla: Compagna Spirkiana! Ebbene sì, sono anche io una Spirkiana convinta XD (Hai visto anche il link che ti ho mandato per email, no? Tra un po’ cascavo dalla sedia mentre leggevo!) Sono felicissima per la fiducia che riponi nella trama e i Romulani DEVONO esserci, in qualche modo! Sono così teneri..più o meno!
Oh sì, lo so quale collegamento sinaptico hanno fatto i tuoi neuroni *ghigno* Sarà giusto, non sarà giusto? Solo il tempo ce lo dirà *svanisce in una polvere di ghiaccio secco*

 

Thiliol: Speriamo di non deludere nessuna aspettativa! Mi sento un poco sotto pressione XD

 

Romennim: Oh sì, sono una Autrice sadica. E tanto anche! Spero di non deluderti!

 

6 Recensioni! Mi fate commuovere!
Ringrazio: Lady Amber, Persefone Fuxia e Thiliol  per aver inserito questa storia tra le seguite!

 

Al prossimo capitolo!
Tai Nasha no Karosha!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387] ***


2387

Capitolo 2
Mamu lafot’hi ni th’

Anno: 2387

 

(Final Fantasy X Original Soundtrack – To Zanarkand)
La notte, su Vulcano, arrivava lenta.
Si alzava, come fiamme di nero cobalto, a coprire il volto scintillante dei tre soli, racchiudendoli fra le proprie spire, fino a cancellarli per quel poco che serviva loro a riposare e risultare ancor più splendenti il mattino successivo.
Il tramonto era un lampo scarlatto, che tingeva di sangue le creste aguzze dei Monti, per poi gettarsi come le acque di una cascata sulle convalli, i villaggi, le case; riempiva le colline con il proprio manto sanguigno, tinteggiandole delle più svariate tonalità di rosso, e poi si ritirava, come un’onda, per lasciare il posto al cupo velluto della notte, costellato di astri adamantini.
Dal balcone della vecchia dimora di Sarek, l’Ambasciatrice di Romulus osservava il quieto morire del giorno, in silenzio; il vento della sera ne faceva oscillare i capelli castani, soffici e striati di grigio e le lunghe dita, ancora forti nonostante l’età, stringevano la ringhiera in una morsa ferrea. Le vene svettavano verdi sul dorso, laddove la tensione dei muscoli era più forte.
Le labbra erano strette, una linea nera e sottile sul volto dai tratti severi, e gli occhi scuri, posati sulle valle che si apriva dirimpetto al balcone, erano accesi dalla preoccupazione.
La veste, lunga fino ai piedi, bianca con strisce nere che si avvolgevano intorno alla stoffa, era coperta da un “velo” fatto di anelli di metallo, che le cadeva sulle spalle, tintinnando ad ogni soffio di vento.
Dava la schiena alla grande finestra del Salone e talvolta alzava il viso al cielo, schiudendo le labbra e sbattendo le palpebre, stringendo sempre di più la presa attorno alla ringhiera del balcone.
-Ambasciatrice- una voce gentile, proveniente dalla casa, fece voltare la Romulana, che si concesse un sussulto appena accennato –La notte su Vulcano è molto fredda. Prego, venite dentro-
-Lady Perrin- l’Ambasciatrice chinò un poco il capo verso la donna bionda che la fissava dalla soglia del balcone –Non datevi pena per me. Non sarà certo il freddo a piegarmi-
-Ne sono sicura- Perrin sorrise e intrecciò le mani all’altezza del petto, raggiungendo la Romulana e chiudendo gli occhi, assaporando l’aria bollente di Vulcano, attraversata dai soffi gentili e delicati della sera.
-Qualcosa vi preoccupa, Ambasciatrice?- domandò la vedova, spostando con un gesto aggraziato il velo candido che le era andato a coprire il viso –Mi sembrate lontana da Vulcano, questa sera-
La Romulana alzò viso verso il cielo, prima di rispondere
-Il mio Pianeta sta correndo un grave pericolo. I Vulcaniani troverebbero la mia preoccupazione logica-
-Ma Spock è corso in aiuto di Romulus- le ricordò Perrin poggiandosi sulla ringhiera scura –Preoccuparsi è illogico-
All’Ambasciatrice non sfuggì il tono amaro con cui la donna aveva pronunciato il nome del Vulcaniano. Un sorriso tirato le apparve sulle labbra
-Voi non sembrate d’accordo su questo- commentò la Romulana, voltandosi e tornando a fissare il cielo tinto di viola –Provate ancora del rancore, della rabbia per il figlio di Sarek, non è vero?-
Perrin fece finta di non sentirla, ma il contrarsi dei muscoli del viso e il defluire improvviso del sangue sulle guance erano un chiaro segno del suo disagio.
Dopo alcuni istanti di silenzio, l’Ambasciatrice  lasciò cadere il braccio destro lungo il fianco e si voltò lentamente verso la vedova
-Voi siete terrestre, non è vero Lady Perrin?- domandò, mentre una scintilla di derisione le attraversava gli occhi scuri.
-Naturalmente- la donna parve stupita –Per quale motivo me lo chiedete?-
-Solo che..- la Romulana lasciò la risposta in sospeso, volutamente –Mi chiedo per quale motivo siate ancora qui su Vulcano, nonostante vostro marito sia morto da ben diciannove anni. Non avete nostalgia della Terra?-
-La mia casa è qui- la vedova si soffermò con forza su “casa” e “qui” –Non ho più nulla che mi leghi alla mia vecchia patria-
-Dite che la vostra casa è qui, ma trovo che siate in torto..questa è la casa di Sarek, la casa di Spock. Il loro pianeta, la loro casa- accarezzò la ringhiera con le lunghe dita, mentre il suo profilo si stagliava scuro contro le tenebre della notte imminente –Voi, qui, non avete più nulla-
-Custodirò la dimora di Sarek e il suo ricordo finché avrò vita- le labbra rugose di Perrin vibravano, scosse da quel sussurro così simile ad un ringhio –Vulcano è la mia casa, anche ora che mio marito è morto. Non mi importa cosa pensino tutti gli altri, nemmeno cosa pensiate voi, Ambasciatrice-
-Io penso- rispose con un sorriso sardonico la Romulana –Che voi vogliate difendere i diritti inesistenti che vi legano a questa casa- e indicò con un gesto vago l’alta finestra, le mura scarlatte, il giardino e le fontane, sfiorando con le dita il profilo aguzzo dei monti –In fondo, voi non siete che una vedova, mentre Spock e la sua discendenza..bhè, essi hanno dalla loro parte il diritto di sangue-
-Perché mi state dicendo questo?- l’incredulità e la rabbia si mescolavano negli occhi sgranati della donna –Perché ora?-
La Romulana sbuffò e tornò a fissare il cielo
-Per farvi stare tranquilla, Lady Perrin- le disse, scuotendo appena la testa –Avrete questa casa, finché avrete vita. Fino ad allora, la dimora di Spock e dei suoi discendenti sarà su Romulus-
-Per quale motivo siete ancora convinta che io odi Spock?- la vedova si morse le labbra e strofinò fra loro i palmi delle mani –Sarek amava suo figlio, era orgoglioso di lui, il suo ultimo pensiero è stato per Spock! Perché dovrei odiare chi mio marito amava con tutto se stesso?-
-Proprio perché il suo ultimo respiro è stato per suo figlio, non per la sua seconda moglie. Per tutti,  Amanda era la moglie di Sarek, mentre voi siete solo la vedova- il tono dell’Ambasciatrice era gelido, non c’era alcuna soddisfazione in esso, nessun intento derisorio.
-Io non ero il fantasma di Amanda, non lo sono ora e non lo sarò mai- replicò con rabbia Perrin, assottigliando lo sguardo –Siete una sciocca se mi considerate tale-
La Romulana rimase in silenzio, lo sguardo catturato dal candore delle stelle e avvolto dal blu cupo della notte.
-Perché, Ambasciatrice, perché ora? Perché mi dite tutto questo su di me, su Spock, su Amanda? Non ne capisco il motivo!-
-Voi siete umana, Perrin- mormorò la Romulana, senza guardarla –Voi conoscete le emozioni, conoscete il turbamento. Il vostro animo percepisce, sebbene in parte, i cambiamenti che regolano l’equilibrio dell’Universo, siete in contatto, anche minimo, con tutti vostri simili, con coloro che amate e se succede loro qualcosa, potete avvertirlo. È quello che voi chiamate presentimento.
-Ho un presentimento, Lady Perrin, come un brivido che mi corre lungo la schiena. Non so dargli un nome, una forma e nemmeno un volto. Sappiate solo questo: voi siete umana, Vulcano non è il vostro mondo, sarete per sempre una estranea qui e da tutti sarete ricordata come la “sostituta” di Amanda.
-Ma Spock, nonostante l’odio ed il rancore che ancora provate nei suoi confronti, ha di voi tutt’altra considerazione. Ricordatevelo.
-Vi darà aiuto se lo chiederete, anche se voi, diciannove anni fa, non l’avreste fatto. Vi lascerà la casa, anche se, per diritto di sangue, avrebbe la possibilità ed il potere per mandarvi via. La discendenza di Sarek non si è estinta, ma finché Spock vivrà e voi camminerete su queste terra, non permetterà a nessuno dei suoi eredi di allontanarvi.
-Ricordatevelo, Lady Perrin. Se mai dovesse accadere qualcosa, ricordatevi di Spock non come lo avete creato nella vostra mente, forgiato col vostro dolore, ma come è in realtà..e siate pronta ad essere nobile quanto lui-

 

***

 

(Final Fantasy X-2 Original Soundtrack – Eterny. Memory of Lightwaves)
-M’Shien, passami i dati della Jellyfish sullo Schermo Quattro-
Berz’uk si allungò sulla sedia, tendendo le braccia indolenzite dietro la schiena e strizzando le palpebre, mentre un gemito gli usciva dalle labbra socchiuse.
Stava lavorando da ore, senza riposarsi un momento, mentre formule, equazioni e calcoli gli vorticavano nella testa e gli occhi, piccoli e scuri, bruciavano per la troppa esposizione alla luce tagliente degli schermi computerizzati.
Si passò una mano sulla fronte, sfregando con forza le creste ossee che apparivano appena sotto la pelle tesa: esse, insieme alla corporatura massiccia e i capelli stopposi che gli ricadevano selvaggi sulle spalle, partendo dalla nuca e lasciando nuda gran parte della testa, erano i segni inequivocabili delle sue origini Klingon.
-Berz’uk- lo chiamò suo fratello gemello, Yerzek, dalla postazione accanto alla sua –Stiamo ricevendo gli aggiornamenti da Vulcano-
-Passali a T’Lenna- rispose, armeggiando con la tastiera ed esaminando alcuni diagrammi –Mi chiedo perché quei cervelloni dalle orecchie a punta non possano inviarglieli direttamente, senza dover passare da noi-
-T’Lenna è una rinnegata per loro- gli ricordò il gemello, grattandosi la nuca con il retro di un pennino –Hanno permesso a Starfleet di farla collaborare con noi solo perché si tratta di un’emergenza-
-Vulcaniani, valli a capire- sbuffò Berz’uk, annotando alcuni calcoli sul Padd accanto a sé, per poi riportarli sul computer.
-Signor Berz’uk?- una voce appesantita da un forte accento terrestre, del sud est asiatico, lo chiamò dalla postazione dietro alla sua  –T’Lenna sullo Schermo Sei, aggiornamento sulla Nana Bianca-
-Perfetto, grazie Koothrapali-
Berz’uk sfiorò lo schermo del computer con le dita, aprendo una nuova finestra di comunicazione.
-Qui Berz’uk-
Il viso di una donna Vulcaniana apparve sul pannello: i capelli castani le circondavano il viso squadrato e gli occhi scuri erano un mescolarsi continuo di emozioni, che lei non cercava in alcun modo di tenere nascoste.
Come sua madre prima di lei, T’Lenna era cresciuta lontano dalla fredda logica Vulcaniana ed era entrata in armonia con le proprie emozioni, vivendole appieno e senza contrastarle, ma non sottomessa ad esse.
T’Lenèk, sua madre, aveva abbandonato il marito con la cerimonia del Koon-ut-kal-if-fee, per unirsi a Sybok e, come lui, lasciarsi alle spalle le leggi e la serenità di Surak. Aveva avuto tutto quello cui i Vulcaniani avevano rinunciato, era diventata pura emozione e si era lasciata guidare da essa, attraverso la gioia, il dolore, la sofferenza e il piacere.
Il profondo rispetto che aveva avuto per Sybok era diventato col tempo qualcosa di più profondo ed intimo, l’ultima barriera che ancora si frapponeva fra lei e la completa negazione dei precetti di Surak: la passione.
Si era lasciata andare, si era abbandonata ad essa, rinunciando alla Logica, rinunciando ad una casa, rinunciando a Vulcano.
Quando T’Lenna era nata e Sybok era stato allontanato dal Pianeta, T’Lenèk aveva cresciuto sua figlia da sola, lontano da quella che una volta era la sua famiglia e aveva continuato l’opera che il suo amante aveva cominciato: diffondere su Vulcano l’ardore delle emozioni.
La mente di T’Lenna, svelta, pronta, adatta all’apprendimento, era stata notata da Spock al suo ritorno dalla ricerca di Sha Ka Ree, e aveva insistito con l’Alto Consiglio sulla necessità di istruire meglio quella che era la sua unica nipote.
Ma nonostante l’impegno dell’Ambasciatore, T’Lenna non era stata accettata.
I membri dell’Alto Consiglio potevano anche tollerare la presenza di un mezzosangue nelle proprie scuole o nella loro prestigiosa Accademia delle Scienze, ma non la figlia di rinnegati, soprattutto la figlia di Sybok.
Spock aveva quindi portato T’Lenna sulla Terra e aveva caldeggiato la sua entrata all’Accademia di Starfleet, dove erano stati ben felici di accoglierla e dove lei aveva potuto approfondire meglio le proprie capacità e le proprie conoscenze, fino, ma questo Berz’uk lo pensava solo per spirito di vendetta nei confronti dell’Alto Consiglio, a far pentire amaramente chi non l’aveva voluta nell’Accademia delle Scienze.
Tutto questo Berz’uk non l’aveva saputo dalla diretta interessata, ma dall’Ambasciatore stesso.
Ed era stato proprio Spock a fargli il nome della nipote quando Starfleet lo aveva messo a capo della squadra che avrebbe supportato quella di Vulcano nella missione di “assorbire” la Supernova e salvare Romulus.
-Signore, le sto inviando i dati relativi alla Nana Bianca- lo informò la Vulcaniana e subito alcuni numeri cominciarono a comparire sullo schermo –La fusione ancora non è iniziata, ma sono più propensa a fidarmi di Yerzek quando è alla soglia del coma etilico a causa della birra Romulana, piuttosto che di una stella che sta collassando-
-Grazie, dolcezza- disse Yerzek, senza distogliere lo sguardo dal proprio computer e continuando ad inserirvi calcoli ed equazioni.
-Passa i dati al dottor Hofstatder e al dottor Cooper- le rispose Berz’uk, mentre sulle labbra si disegnava un veloce sorriso –Voglio che calcolino nuovamente varie ipotesi su quando avverrà l’esplosione-
-Devo poi comunicarla anche all’Accademia delle Scienze Vulcaniana?- domandò T’Lenna –Avranno già calcolato variabili su variabili mentre noi stiamo qui a passarci dati su dati-
-Mandali comunque- Berz’uk si passò una mano sulla fronte –Non che non mi fidi dei nostri amici dalle orecchie a punta, ma preferirei avere delle ipotesi in più che delle ipotesi in meno-
-Uh, molto logico da parte tua, fratello- lo canzonò Yerzek, voltandosi appena e facendo l’occhiolino in direzione di T’Lenna.
La Vulcaniana alzò gli occhi al cielo
-Riolozhikaik1-
-No, solo idiota- precisò Berz’uk con un ghigno.
-Ti faccio presente che sono nella postazione accanto alla tua, fratello- gli ricordo Yerzek, scoccandogli un’occhiata gelida.
-Lo so. È per questo che l’ho detto-
T’Lenna sbuffò, mentre gli angoli della bocca si sollevavano in un sorriso, poi corrugò le sopracciglia e schiuse le labbra.
-Berz’uk- disse allarmata –Una comunicazione urgente da Vulcano-
Il mezzo Klingon tornò immediatamente serio.
-Cosa dice?-
-Sono nuovi dati sulla Nana Bianca-
Berz’uk avvertì un soffio gelido insinuarsi lungo la colonna vertebrale e spandersi, maligno, in tutto il corpo.
-La fusione è appena iniziata - la voce della Vulcaniana venne scossa da un tremito –La stella esploderà fra pochi minuti-

 

***

 

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – A Face Unforgotten)
-Jellyfish, qui Vulcano-
L’Ambasciatore premette il pulsante accanto alla cloche ed una piccola schermata si aprì sul visore accanto: un Vulcaniano dalla pelle scura, che riconobbe subito come Seredok, colui che era stato messo a capo del progetto che avrebbe permesso di salvare Romulus dalla distruzione, comparve sul monitor.
A Spock bastò solo uno sguardo alle labbra carnose, strette e tirate, per capire la situazione.
Le dita attorno alla cloche tremarono appena, ma la voce rimase ferma quando chiese
-Quanto?-
-Quattro punto sette minuti-
Chiuse gli occhi, mentre le nocche sbiancavano e il respiro si trasformava in un rantolo soffocato.
-Mettetemi in contatto con Starfleet sullo schermo Due-
Seredok annuì e subito lo spazio sul visore si divise a metà; sull’altra parte dello schermo apparve il viso tirato e serio di Berz’uk.
-Vorrei parlare con l’ingegnere Wolowitz-
Il mezzo Klingon annuì e la sua immagine venne sostituita dal viso appuntito e pallido di un giovane terrestre dai capelli castani, tagliati corti.
-Voi avete collaborato con i migliori ingegneri di Vulcano per costruire la Jellyfish- disse e la sua non era una domanda, ma un’affermazione, fredda e logica –A massima curvatura..-
-I motori potrebbero non resistere alla pressione, Ambasciatore. Potreste arrivare in tempo, oppure no, ma la Jellyfish rischierebbe comunque di implodere e voi e la Materia Rossa con loro. Ambasciatore, Romulus..-
-Romulus può ancora essere salvato- lo interruppe Spock, iniziando ad aumentare la velocità di curvatura.
-Ambasciatore, non siate illogico- la voce di Seredok si fece più dura –Potete ancora assorbire la Supernova, ma quella di Romulus è una situazione senza via di uscita-
-Non esistono le situazioni senza via di uscita- l’Ambasciatore sorrise, mentre gli occhi si illuminavano, illanguiditi da ricordi a stento offuscati dagli anni trascorsi –L’ho imparato da un vecchio amico-
-Ambasciatore!- esclamarono all’unisono il Vulcaniano ed il terrestre, ma il loro grido si spense, la loro voce divenne muta non appena le dita rugose di Spock andarono ad interrompere la comunicazione.

 

***

 

-Maledizione, si farà ammazzare!- ringhiò T’Lenna, dopo aver sentito il resoconto di Wolowitz. Mentre la rabbia le esplodeva nel cuore, infrangendosi contro il petto ed infiammandole l’animo, la vista le si appannò per le lacrime che si stavano raccogliendo veloci ai lati delle palpebre.
Serrò la mascella e le rigettò indietro con un gesto feroce del capo, prima di sbattere il pugno contro uno dei pannelli incassati sulla superficie del tavolo grigio-azzurro.
Un fischio la avvertì di una comunicazione in arrivo e quando, dopo aver alzato la testa con disperazione, lesse il nome dell’Accademia delle Scienze Vulcaniana, percepì le proprie mani tremare per l’ira, come attraversate da scariche elettrice.
Aprì la comunicazione soffiando come un gatto e come vide il volto di T’Len, la sua sorellastra, apparire serio e composto sullo schermo, la vista le si velò di rosso.
-Sasaudauka!2- gridò –Aitlura shroitor s’kan’hi ni th3’!-
-Kayazo Spokam’at nahr4- replicò T’Len senza perdere la propria freddezza –Mamu lafot’hi ni th’5-
-Due punto tre minuti- annunciò funereo uno degli scienziati accanto a T’Lenna.
La Vulcaniana si portò le mani alle tempie e quando la sorella fece per parlare, interruppe la comunicazione e aprì un nuovo canale con Berz’uk
-Dimmi che siete riusciti a contattarlo!- la voce si stava spezzando, era come una lastra di cristallo che ad ogni istante si venava sempre di più, crepandosi irrimediabilmente –Fatelo ragionare!-
-Ha chiuso ogni comunicazione- il mezzo Klingon scosse la testa –Non vuole ascoltare-
T’Lenna affondò le dita nei capelli, tirandoli fino a sentirli bruciare e sanguinare.

 

***

 

-Mandana6, dovresti riposarti-
La Romulana si voltò, tenendosi una mano sul ventre gonfio per la gravidanza, e piegò la testa in direzione del suo interlocutore.
-Ti ringrazio, Ma’rib, ma intendo aspettare qui-
-Mandana..- Ma’rib le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla –Tu hai fiducia nei Vulcaniani? Anche se non ci hanno dato la tecnologia per creare la Materia Rossa?..Credi davvero che ci salveranno?7-
-Nero ha fiducia in Spock e io in mio marito- replicò la Romulana, socchiudendo gli occhi scuri - L’Ambasciatore Spock vuole salvare Romulus..e lui è un Vulcaniano-
-Ma è in parte umano- le ricordò Ma’rib –Forse è questo che lo rende diverso dai Vulcaniani e degno di fiducia-
-Forse- Mandana alzò il viso al cielo –O forse, qui su Romulus ha trovato qualcosa che vuole salvare ad ogni costo-

 

***

 

Quando Shral era nato, su Andoria, tutti credevano che avrebbe ereditato le caratteristiche di Talel, sua madre, una Aenar, ma il giovane aveva una vista perfetta, il colorito della pelle era giusto un poco più pallido rispetto agli altri Andoriani e non aveva alcun potere telepatico.
O almeno, tutti dicevano che ne fosse privo.
Shral era di un parere decisamente opposto: più volte, infatti, aveva intavolato discussioni e litigi su quanto il sangue di sua madre avesse influito sulle proprie capacità telepatiche.

Forse non sono potenti come quelli degli Aenar purosangue, diceva, ma sono comunque consistenti per un Andoriano comune.
Si vantava di saper percepire i pensieri delle altre persone, che si accavallavano nella sua testa come zanzare fastidiose e moleste, e di essere in grado di avvertire le emozioni di chi gli si trovava davanti.
Sulla prima “dote” nessuno poteva dire nulla -chi infatti avrebbe voluto entrare nella mente di Shral?-, ma sulla seconda erano nate e morte varie scuole di pensiero, una più ridicola dell’altra.
Certo è che quando Shral entrò nella Sala Ricreativa Quattro e posò il proprio sguardo su un membro della Sezione Scientifica seduto in disparte, in uno degli ultimi tavoli, capì subito che non sarebbe servito alcun potere telepatico per indovinarne l’umore.
Il Romulano era infatti piegato su stesso, la fronte poggiata sulle dita intrecciate e le braccia piegate sul tavolo; il corpo sembrava scosso dai brividi e le mani tremavano, incontrollate.
-Ehilà- salutò Shral, avvicinandosi e ignorando l’aura di tensione che si era creata attorno all’altro -Brutta giornata, eh?-
Il Romulano alzò lentamente la testa e lo gelò con una semplice occhiata.
-Sto bene- rispose seccato, tornando ad appoggiare la fronte sulle mani chiuse a pugno.
-Hn. Si vede- commentò l’Andoriano grattandosi la guancia destra e poggiando il gomito sul tavolo –Hai una bellissima cera-
-
Areinnye'n-hnah8- ringhiò l’altro, senza darsi la pena di sollevare il viso.
-Uh, siamo in quel periodo?- lo stuzzicò Shral, con un ghigno divertito sulle labbra.
-I Romulani non sono soggetti al Pon Farr- la risposta arrivò come un soffio irato –Confido che tu lo sappia-
-Io sono soggetto allo scherzo- ribatté l’Andoriano, assottigliando appena lo sguardo –Confido che tu lo sappia-
L’altro si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e alzò la testa, poggiando la nuca contro la parete candida.
-Sei un idiota, Shral- gli disse, schioccando la lingua contro il palato.
-Anche tu- gli sorrise l’Andoriano, inarcando un sopracciglio –Ma ti voglio bene lo stesso-
Il Romulano non rispose, ma si limitò a scuotere la testa, mentre gli angoli della bocca si sollevavano appena, stanchi.
-No, davvero, che ti prende?- a Shral, infatti, non erano sfuggiti il colorito pallido dell’altro, le borse sotto gli occhi o il respiro che usciva tremulo e gorgogliante dalle labbra violette –Faresti meglio ad andare in Infermeria-
-Sto bene, è solo che..- l’altro non riuscì a terminare la frase che il corpo ebbe un tremito violento e le dita si artigliarono ai capelli, tirandoli con forza, mentre gli occhi diventavano opachi, la bocca si apriva ed un urlo agghiacciante veniva strappato con violenza dalla gola.
Tutto il volto si trasfigurò, divenendo una maschera pallida e grottesca di dolore e orrore.
Shral scattò in piedi e circondò il Romulano con le braccia, mentre quello si gettava carponi a terra e vomitava schiuma e sangue e bile, le labbra macchiate di verde e bianco.
-Non state lì impalati!- urlò l’Andoriano rivolto agli altri membri dell’equipaggio, che fissavano la scena increduli, con gli occhi sgranati e le mani a coprire la bocca –Chiamate l’Infermeria!
Presto!-

 

***

 

(Final Fantasy X Original Soundtrack – Song of Prayer –Shiva-)
Avvolte dal nero del cielo, le stelle, da lontano, sembrano immobili.
Fisse, nella loro eternità splendente, niente pare possa toccarle; non un soffio di vento le sfiora, non una fiamma le scalda, fredde e immobili osservano i pianeti con i loro occhi opalescenti, di cristallo.
Ma quel giorno, quando la Supernova trapassò Romulus con la sua onda incandescente, con la sua lingua di fuoco, oro e scarlatta, le stelle parvero sgretolarsi e crollare, svanendo come sottile polvere d’argento.
Simili a lacrime, scivolarono lungo la volta del cielo.
E piansero.

 

1”Illogico” in Vulcaniano
2”Sparisci!”
3”Non voglio ascoltarti!”
4”E’ stata la scelta di Spock”
5”Io non ho colpa”
6Nome della moglie di Nero (Vedi Memory Alpha)
7Secondo quanto raccontato nel fumetto Star Trek: Countdown, Nero in un primo tempo avrebbe collaborato con Spock per salvare Romulus, mentre Vulcano non avrebbe dato ai Romulani il materiale per creare la Materia Rossa (vedi Memory Alpha)
8”Va all’Inferno” in Romulano

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale 63990.4
No, okay, io sono matta. Io sono completamente folle.
Ecco, avete presente quelle frasi in Vulcaniano? E’ stato un casino farle grammaticalmente giuste! Io sono idiota, ci ho perso mezz’ora fra il sito della Fondazione Vulcaniana per vedere la grammatica, la sintassi, le declinazioni (I Vulcaniani hanno le declinazioni! Lo capite?!? COME IN LATINO E IN GRECO! –e anche in russo-), mentre sul sito Inglese-Vulcaniano, Vulcaniano-Inglese andavo a cercare tutte le parole.
Sono matta, punto.
Fine della storia XD
Ah! Non so quanti di voi seguano la seria “The Big Bang Theory” –fatelo! In inglese sottotitolata in italiana, fatelo davvero- ma chi la segue avrà certamente colto la citazione dei nomi Cooper, Hofstadter, Koothrapali e Wolowitz. Sono dei geni quei quattro, non c’è bisogno di aggiungere altro, tranne che un..BAZINGA! XD

 

Angolo delle Recensioni

 Abdulla: Gita sul Monte Biscia, doccia, gelato e niente di meglio che rispondere alla tua recensione! PiSSicologicamente è bello! Ora dobbiamo solo vedere come riuscirà a cavarsela il nostro caro Kirkuccio Reboot.
Ah..Kirk, sempre nei nostri cuori di trekker XD –Lui ed il suo sguardo magnetico!-
Spero davvero di non deludere le tue aspettative e che gli OC riescano a risultare interessanti, anche quelli di loro che magari compariranno poche volte ^^

 

Lady Amber: Guarda che arrossisco, eh! Mi commuovo! Dovremmo fare tutte una bella seduta piSSicologica al nuovo Kirk, che dite? (E lo stressiamo a suon di giochi di parole!)
Ho iniziato anche io a vedere Hetalia..ma è puccio! E’ divertentissimo!
Ecco qua il seguito, con altre colonne sonore! (Firmate Nobuo Uematsu!)

Thiliol: E zii! Abbiamo anche una voce favorevole sul film di Abrams! (Non che lo detesti, solo che ho trovato molto..come dire, forzati alcuni caratteri dei pg. Magari è stata una sua scelta, ma mi ha fatto storcere un po’ il naso)
Quella parte mi è venuta prima di pubblicare il capitolo, mentre correggevo. Prima nemmeno doveva esserci, ma poi..mi è uscita naturalmente!

 

Persefone Fuxia: Urca, qui avrai giusto un paio di paragrafi da analizzare! XD
D’oh, stupido errore di battitura >.<  Avranno a che fare coi Romulani, non avranno a che fare coi Romulani..bah XD

 

Romennim: figurati! Nessuno è mai in ritardo, è solo il mondo che è sempre in anticipo!
Ti ringrazio, è stato alquanto difficile riuscire a rendere plausibile il tormento interiore di Kirk e sono felice di esserci riuscita!

 

 

Al prossimo capitolo!
Tai Nasha no Karosha!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Kal-tor ri nem-torcu iwe’ th’hi! [Anno: 2261] ***


2261(2)

Capitolo 3
Kal-tor ri nem-torcu iwe’ th’hi!

Anno: 2261

 

(Saiyuki Original Soundtrack – Sanzo Kaisou)
-Riprenditi, forza!- il medico si trascinò fino al corpo del Vulcaniano e gli accostò un orecchio al fianco.
Un brivido freddo gli percorse come una scarica elettrica la spina dorsale, fino a conficcarsi con forza nelle tempie: il battito del Vulcaniano, di solito più veloce rispetto a quello dei un semplice terrestre, era lento persino per gli standard umani. Era fioco, fragile, come se ogni contrazione degli atri fosse stato un movimento troppo faticoso perché il cuore potesse sostenerlo ancora a lungo.
Passandosi una mano sulla fronte sudata, il medico si chiese da quanto tempo il Vulcaniano si trovasse effettivamente nella cella e a quali tipo di torture fosse stato sottoposto.
Quando lui, dopo essere stato diviso dagli altri membri dell’equipaggio, era stato gettato a forza dentro quella squallida e minuscola cella, il Vulcaniano si trovava già lì, in condizioni critiche.
Ma i primi tempi il Vulcaniano aveva qualche breve intervallo di lucidità, se tali si potevano chiamare i momenti in cui si alzava di scatto, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta in un ringhio spaventoso, con la saliva che colava bianca e schiumosa ai lati della labbra. La voce gli usciva come rantoli incomprensibili dalla gola irritata, le parole rotolavano via, sibilanti e spezzate, impregnate di sangue, mescolate in frasi senza senso. Il medico, la cui conoscenza della lingua Vulcaniana era alquanto limitata, distingueva appena qualche frase lacerata dalla febbre, ma il più delle volte i suoni che l’altro emetteva mentre raschiava il terreno con le dita lunghe e ricoperte di graffi, non erano altro che quello. Suoni.
Poi, con un tempo che il medico non era riuscito a calcolare, quegli intervalli si erano fatti sempre più rari, fino a scomparire del tutto.
Il Vulcaniano stava morendo e lui non poteva fare nulla per impedirlo.
Se solo avesse avuto i suoi strumenti, le sue macchine, allora sì, forse, avrebbe potuto salvarlo!
O almeno, sarebbe riuscito a salvare il suo corpo, ma la sua mente..

Se si vuole uccidere un Vulcaniano gli avevano detto una volta Non serve un phaser o un veleno. Distruggi la sua mente e distruggerai lui.
Il medico posò una mano sulla fronte sudata del Vulcaniano, scostandogli la frangia scura, scomposta e sporca, che era andata a coprirgli occhi cerchiati di nero, incollandosi alla pelle.
Un rumore improvviso alle spalle lo fece voltare di scatto.
Una guardia nerboruta, con due zanne ricurve che partivano dal labbro superiore e arrivavano oltre il mento cadente, stava aprendo la cella, il mazzo di chiavi ben stretto tra le dita callose, coperte di bubboni verdi.
Aprì la porta con un cigolio ed entrò, sbuffando come un toro inferocito.
Un ringhio uscì dalle labbra del medico che, nonostante la debolezza, fece per alzarsi e sfidare la guardia aliena a prenderlo e portarlo via, ma una stretta ferrea al polso lo trascinò di nuovo a terra. Incredulo, il medico si voltò a fissare il Vulcaniano che, il viso acceso dalla febbre, gli occhi sgranati e folli, lo stava chiamando.
Il medico corrugò le sopracciglia e scosse la testa, senza capire cosa il Vulcaniano gli stesse urlando: dalle labbra rotte, macchiate di verde e costellate da grumi di sangue ormai secco, uscivano solo suoni gutturali, come se le parole, nel tentativo di liberarsi dalla stretta della gola, stessero raschiando con prepotenza la bocca.
-Dante’kam1- pregò e quel punto, sul volto del medico si dipinse un’espressione confusa, stupita. -Kal-tor ri nem-torcu iwe’ th’hi!2-
Il Vulcaniano emise un altro gemito, seguito da un rantolo, poi il suo corpo ebbe un ultimo spasimo e rimase immobile; gli occhi, vuoti, spenti, fissavano attoniti il soffitto e il respiro era tornato ad essere un flebile alzarsi del petto insanguinato.
Dante serrò la mascella e si rialzò, barcollando di fronte al corpo del Vulcaniano, il sudore che gli rigava freddo le tempie e la vista cosparsa di macchie nere.
-Non lo porterai via, hai capito?- ringhiò, rivolto alla guardia –Ho già perso un Vulcaniano una volta, non lascerò che accada di nuovo-
La guardia rimase un istante in silenzio, poi scoppiò a ridere, un suono grottesco, un abbaiare rauco e continuo, graffiante.
Prima che potesse ribellarsi, il medico sentì le dita tozze della guardia chiudersi attorno al polso e venne trascinato fuori dalla cella, con quella risata gorgogliante che gli palpitava nelle orecchie.

 

***

 

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Queen of the Abyss)
Kharandel, il mercante di schiavi, soppesò per qualche istante il calice di vino che teneva fra gli artigli ricurvi, prima di portarselo alle labbra e sorseggiarlo con cura.
Schioccò la lingua verde contro il palato, con evidente soddisfazione, e tornò a rivolgere lo sguardo ai propri clienti: quello che doveva essere il capo stava seduto con la schiena rigidamente appoggiata contro il divano, mentre sotto il rigonfiamento del mantello scuro, che ne celava i lineamenti, le mani erano poggiate sulle cosce. Dietro di lui stavano altre sei figure incappucciate, immobili e silenziose.
Il mercante ghignò e accavallò le gambe, facendo dondolare il largo piede, le cui dita, lunghe e sottili, erano unite da una membrana sottile di pelle grigiastra.
Dalla sua sinistra arrivò il suono pesante dei passi delle sue guardie, accompagnato dallo strascicare affaticato della mercanzia. Si voltò, deliziato, mentre la porta di legno rosso si apriva senza un cigolio e Kuy-Tahk-t’uhl, uno dei suoi sottoposti, strattonava, a suon di ringhi e sbuffi, la catena d’argento e di rubini cui erano legati alcuni schiavi.
Kharandel aveva ordinato che venissero portati solo alcuni rappresentati delle specie su cui era riuscito a mettere le mani sopra, lasciando la merce più preziosa in coda alla fila. Ci sarebbe stato anche l’altro da portare, ma tanto era ormai diventato una merce inutile, senza valore; sarebbe morto presto, diventando uno dei cadaveri in più che marcivano sui pavimenti delle celle.
La prima a fare la sua comparsa fu Vaaina, una femmina di Orione, dai lunghi capelli neri che le cadevano in morbide pieghe sulle spalle, arricciandosi sui seni torniti e sollevandosi ad ogni respiro; poi venne la volta di Anubereth, un giovane di Aset, un pianetucolo ai confini del quadrante, sfuggito alla “tutela” della Federazione; aveva la carnagione scura degli abitanti del deserto e gli occhi di un intenso azzurro, resi ancor più lunghi e profondi dal pigmento naturale, scuro, che ne sottolineava il profilo.
Poi Siye, la Deltana.
 Kharandel l’aveva pagata fior di Crediti e monete d’oro in un bordello della città, e non si era minimamente interessato su come Siye ci fosse finita. L’importante era che, in una vendita, sarebbe valsa il doppio, se non il triplo, di quello che aveva pagato nel comprarla. Era una Deltana, e lui era l’unico a possedere una schiava del genere su tutto Mukade.
Le labbra seriche del mercante si piegarono in un ghigno astuto.
Sì, lei e l’ultimo esemplare non venivano mostrati a tutti i suoi clienti, ma solo a quelli più facoltosi e che, cosa più importante, dimostravano di essere tali. E a giudicare dal plico di permessi e Crediti che il suo nuovo cliente gli aveva lasciato sul tavolino di vetro come “piccolo anticipo” ..bhè non doveva certo passarsela male in quanto a disponibilità economica.
E poi l’ultimo della fila, Kharandel dovette trattenersi per non lasciarsi sfuggire una risata gorgogliante.
Un Essere Umano, ma non un Essere Umano qualunque, no.
Era uno degli ultimi sopravvissuti al terribile incidente che aveva portato le loro navette di salvataggio a finire inesorabilmente catturate dalla gravità di Mukade e schiantarsi sulla sua superficie.
Oh, sì. Uno schiavo umano, per di più appartenente alla Federazione e poteva essere comprato, picchiato, seviziato, ucciso senza che Starfleet potesse alzare un dito. Non si potevano infrangere regole che non esistevano, e su Mukade le leggi della Federazione non avevano alcun valore.
Solo una cosa infastidiva oltre ogni immaginazione il mercante di schiavi: gli esseri umani erano deboli.
Molti, in quelle due settimane da quando li aveva catturati, erano già morti, o per le ferite riportate nello schianto o nel combattimento contro Kuy-Tahk-t’uhl e altri dei suoi, oppure per inedia. E anche l’esemplare che aveva ordinato di portare non stava facendo bella mostra di sé: i capelli fulvi gli circondavano scomposti il viso magro, emaciato e pallido, e la barba gli era già ricresciuta, nascondendo, almeno, i tagli che le guardie gli avevano fatto, se apposta o per pura casualità a Kharandel non importava, quando l’avevano rasato; gli abiti, o meglio, la tunica lunga e sporca che era andata a sostituire la divisa lacera e macchiata di sangue, pendeva in modo grottesco dalle spalle e dal corpo smagrito. Gli occhi offuscati, gonfi, e le incrostazioni di sporco non aiutavano a dare una visione positiva di insieme, ma tant’è..le donne erano ridotte anche peggio.
Una voce dentro il mercante rise, dicendogli che forse la colpa per quello era anche sua.
-Allora- iniziò Kharandel –Che cosa ne pensate?-
Il cliente si alzò lentamente dal divano e passò in rassegna i quattro schiavi, prima di fermarsi davanti all’essere umano e prendergli il volto tra le dita, alzandogli appena il mento e voltandolo un po’ a destra e un po’ a sinistra, quasi stesse controllando in che stato versava un cavallo o un Burumin di Oridian VII.
-A quanto lo vendi?- domandò  il cliente, lasciando andare l’umano, dal cui viso era defluito il poco sangue rimasto e si reggeva a stento sulle gambe tremanti.
-Seicentotrenta crediti o settecentocinquanta monete d’oro3- rispose Kharandel, ghignando –Gli Umani sono merce preziosa-
Il cliente annuì
-Quanti ve ne sono rimasti, ancora?-
-Una quindicina- il mercante si passò la lingua sulle labbra –Gli Umano sono merce preziosa e..richiesta-

 

***

 

(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Organization XIII)
-Una quindicina?- Kirk, seduto sul bordo della cuccetta, sgranò gli occhi –Così pochi?-
-Considerate le condizioni igieniche e di salute in cui sembrano trovarsi, e la richiesta di schiavi umani, il fatto che quindici uomini si siano salvati è da considerarsi un inaspettato colpo di fortuna-
-Un colpo di fortuna?- il Capitano sbatté un pugno sul tavolo, facendo traballare lo schermo del visore –Spock, vuol dire che dei centoventi membri della USS Ifigenia ne possiamo salvare solo quindici! E forse nemmeno quelli- si prese la testa tra le mani, costringendosi a riprendere la calma.
Il Vulcaniano, dall’altra parte dello schermo, rimase in silenzio.
Kirk, dopo un paio di respiri profondi, rialzò lo sguardo e fissò il suo Primo Ufficiale.
-E’ riuscito ad avere una visione, seppur minima, della planimetria della prigione dove li tengono rinchiusi?-
Il Vulcaniano scosse la testa
-No, Capitano. Il Contatto non è ancora del tutto stabile, non ricevo che qualche immagine sfocata e frasi senza alcun senso logico- si interruppe, chiudendo un istante gli occhi. Una ruga comparve sulla fronte di Spock, le labbra si schiusero appena e le palpebre ebbero un fremito.
-Spock?- lo chiamò Jim –Allora?-
Quando il Vulcaniano riaprì gli occhi, Kirk fu certo di aver visto le iridi scure del suo Primo Ufficiale tingersi per un istante di un tenue azzurro.
-Il Contatto dovrebbe essere completo in uno punto tre minuti, anche se è difficile assicurarlo con certezza, tenendo conto del poco tempo che ho avuto a disposizione per instaurare il Legame e la distanza che mi separa dal medico della USS Ifigenia-
-Medico?- il Capitano inarcò un sopracciglio.
-Dante Bellini, Aiutante Medico sulla USS Ifigenia- spiegò il Vulcaniano –Ho avuto l’occasione di conoscerlo durante i primi anni dell’Accademia- di nuovo, una goccia azzurra si infranse sulle iridi di Spock e il riflesso di un sorriso gli comparve sulle labbra.
Il tempo di un battito di ciglia, e Kirk stava di nuovo fissando lo sguardo distaccato del suo Primo Ufficiale.
L’ombra dell’Aiutante Medico, Dante Bellini, svanì come era apparsa, inghiottita dallo stesso Legame che l’aveva fatta affiorare nella mente e nel corpo di Spock, come l’onda che si distende e si ritira, increspandosi, sulla battigia.
-Mi tenga informato sulla situazione, signor Spock- Jim emise un breve sospiro, prima di passarsi una mano sulla fronte e stringersi la radice del naso fra le dita –Appena avrà la planimetria, le manderò in aiuto altre due squadre, di cui farò parte io stesso-
-Non posso che trovarmi in disaccordo con la sua ultima affermazione- lo avvisò il Vulcaniano, piegando appena la testa –La sua incolumità è fondamentale. Se lei dovesse morire…-
-Il signor Scott è pienamente in grado di prendere il mio posto sulla Enterprise e ricondurvi sani e salvi sulla Terra-
-Non ho alcun dubbio a riguardo- ribattè Spock, con assoluta calma –Ma la mia opinione rimane comunque la stessa. Non dovrebbe scendere su Mukade e mettere a rischio la sua incolumità, Capitano-
-Sai che sono sempre disposto ad ascoltare i tuoi consigli e le tue opinioni- Jim sorrise al suo Primo Ufficiale –Ma ciò non toglie che scenderò io stesso con una delle prossime squadre di soccorso-
-Dovrei sorprendermi della inefficienza nel consultarmi costantemente su cose che hai già deciso?-
Kirk sorrise di nuovo.
-No, Spock- scosse la testa –Mi dà sicurezza emozionale- e prima che il Vulcaniano potesse rispondere, a parole o con un sopracciglio inarcato, il Capitano spense la comunicazione e si distese sulla cuccetta della navetta non-registrata che avevano usato per avvicinarsi a Mukade senza essere scoperti.

 

***

 
-Eleni! Eleni, rispondi!-
La donna emise un gemito strozzato, mentre una scarica di dolore le partiva dal basso ventre fino alla gola, lacerandole le corde vocali e strappandole un urlo.
Si mise a carponi, in preda agli spasmi e ai conati di vomito, gli occhi che si gonfiavano senza controllo, il volto livido, contratto, sofferente.
Un altro conato, ma dalle labbra le colò solo un rivolo di saliva, mista al verde acido della bile e dei succhi gastrici.
Si riappoggiò al muro della cella, ansimando e con la sensazione che il ventre stesse palpitando per il dolore.

 

***

 

Dante portò le mani in avanti per attutire l’impatto col terreno, poi si voltò di scatto e socchiuse gli occhi in direzione della guardia che lo aveva gettato di nuovo nella cella.
L’energumeno abbaiò e se ne andò sulle gambe grosse e tozze, facendo roteare l’anello col mazzo di chiavi; il medico rimase girato verso l’entrata della cella fino a quando il loro tintinnare non si perse in lontananza.
Chiuse un istante gli occhi, portandosi una mano alla tempia, dove poteva ancora sentire il tocco caldo e deciso delle dita del cliente incappucciato. Avvertiva inoltre una sorta di ronzio nelle orecchie e una punta fissa di dolore dietro alla nuca, come se qualcosa stesse cercando di forargli la cassa cranica con un phaser al massimo della potenza.
Scosse la testa per liberarsi dalla foschia che gli aveva velato gli occhi per un istante, prima di incespicare verso il Vulcaniano, ancora disteso a terra. Sembrava non essersi mosso dacché lo aveva pregato di proteggerlo dalla guardia.
Dante lo prese per le spalle e lo scosse un poco, ma gli occhi rimanevano vuoti, fissi, le pupille talmente dilatate da aver inghiottito il marrone dell’iride.
-Ehi, svegliati ragazzo- lo chiamò –Sono io, sono Dante-
Il Vulcaniano non ebbe alcuna reazione: non un respiro più veloce degli altri, non un movimento dei muscoli facciali o un irrigidimento delle braccia o delle gambe. Nulla.
Il medico lo riappoggiò a terra e si portò una mano alla fronte.
Sentì la rabbia e l’impotenza montare come un’onda dentro di sé, poi un soffio, come una brezza gentile..un’idea.
Certo, il suo vocabolario era ridotto ai minimi termini, però..
Si schiarì la gola secca, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri, quando si accorse di non dover fare alcuno sforzo per ricordarsi la lingua Vulcaniana. Strano a dirsi, ma le parole rilucevano nella sua mente come se il tempo non le avesse mai intaccate, come se fossero state sempre lì a sua disposizione in attesa di essere riesumate dopo una decina d’anni di attesa.
-Shroicu s’kan th’hi?4- chiese e a quelle parole il Vulcaniano parve riscuotersi. Gli occhi ebbero un guizzo e rotearono, increduli e folli, verso Dante, che gli sorrise -Hal-tordu un’ yeht ek’ha5-
Il Vulcaniano annuì, lo sguardo allucinato e attonito, poi alzò un braccio, facendo per posare le dita sul volto di Dante, ma il medico si alzò in piedi di scatto, le mani che stringevano con forza le tempie, e crollò a terra, con un gemito.

(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Missing You)
Bianco..
Bianche le pareti, bianco il soffitto, bianchi i tavoli ordinatamente disposti sul pavimento, bianco.
Avanzò di un passo, chiedendosi dove fosse finito ed ecco che un fiume di persone, candide e senza volto, si riversarono in quella stanza lucida e asettica, passandogli accanto come il mormorare delle onde di un fiume e sfiorandolo col soffio gentile di una brezza primaverile.
D’un tratto, il suo sguardo si sentì guidato verso uno dei tavoli, quello al centro esatto, se di centro si poteva parlare, della stanza.
Lì stava seduto l’unica macchia di colore in un tutto quel bianco accecante, l’unica persona che lui, Dante Bellini, avrebbe preferito non rivedere mai più.
Il medico chiuse gli occhi e si diresse a passo svelto verso il tavolo, ignorando le proiezioni mentali che si accavallavano fra le sedie. Oh sì, aveva capito. Non appena i suoi occhi avevano incontrato quelli scuri dell’altro, aveva capito ogni cosa.
-Non ti avevo detto che il Contatto non mi garbava, Spock?- lo apostrofò duramente il medico, rimanendo in piedi accanto al Vulcaniano e fissandolo con astio.
-Dottore, non c’era altro modo per comunicare con lei-
Dante sbuffò e roteò gli occhi, per poi stringersi la radice del naso fra le dita.
-Spock, perché sei qui? E sappi che con “qui” non intendo la mia proiezione mentale della mensa dell’Accademia, ma “qui” nella mia testa-
Il Vulcaniano annuì e lo fissò col solito sguardo, acuto e distaccato.
-Ho bisogno della planimetria della dimora di Kharandel- spiegò, posando le mani sulle cosce e piegando la testa di lato –E lei è l’unico membro della Ifigenia con cui sono riuscito a venire in contatto-
-Oh certo!- esclamò il medico –Perché quando siamo arrivati quel figlio di una cagna di Kharandel mi ha fatto fare un bel tour nei sotterranei, prima di sbattermi in quella lurida cella- sospirò –Spock, quando ci hanno portati via a forza, ero più concentrato a mantenermi in piedi, piuttosto che ad osservare il paesaggio-
-Ma la sua mente lo era- il Vulcaniano indicò con un ampio gesto della mano il luogo in cui si trovavano, ora sgombro di tavoli e di persone, ad eccezione di loro due –Tutto quello di cui necessitiamo per liberarvi, lei e tutti gli altri membri dell’Ifigenia, sono le immagini registrate dal suo subconscio-
Dante chiuse un istante gli occhi e avvertì uno spostamento d’aria intorno a lui, subito colmato dal ruvido ondeggiare delle fronde sopra la testa, dal cinguettare eccitato di qualche piccolo uccello e dal profumo, intenso, dell’erba e dei fiori.
-La foresta di Vallombrosa- la voce di Spock sembrò raggiungerlo da una lunga distanza e quando Dante riaprì gli occhi lo vide in piedi, sotto un albero dal tronco spesso e la corteccia scura, l’ombra dei rami che picchiettava sul suo viso spigoloso.
-E’ così semplice?- domandò il medico –Devo solo concentrarmi e lasciare che le immagini fluiscano libere? E ogni particolare, anche il più insignificante- e indicò una farfalla cavolaia che ondeggiava pigramente sopra una margherita, e una lucertola che saettava tra l’erba, tutti particolari cui, della sua ultima visita a Vallombrosa,non prestato attenzione –Sarà a tua disposizione per la planimetria?-
Spock annuì.
-E sia, allora-
Dante emise un lungo sospiro e chiuse gli occhi.

 

***

 
-Qui Ponte. Capitano Kirk, risponda-
Jim si alzò di scatto dalla cuccetta e premette il tasto di attivazione dell’intercom.
-Qui Kirk- rispose –Parli pure, Tenente Maly'hi-
-Una chiamata criptata da parte del Primo Ufficiale, il signor Spock, proveniente da Mukade-
La mano di Jim tremò appena.
-La passi sul visore-
Il Capitano tornò a sedersi e il viso di Spock comparve, pallido e tirato, sullo schermo.
-Abbiamo la planimetria, Capitano- lo informò.
Kirk annuì
-Molto bene, preparo altre due squadre di soccorso, poi scenderemo e daremo il via alla missione di salvataggio. Rimanga sulla navetta e attendi il mio arrivo-
Il Primo Ufficiale non tentò nemmeno di fermarlo e questo mise Jim in allarme.
-Capitano?-
-Sì? Cosa c’è, signor Spock?-
-C’è un Vulcaniano tra i prigionieri-

 

 

1”Dante..” –’kam è un suffisso che la lingua Vulcaniana usa per distinguere tra “titolo” onorifico e “titolo” familiare. In questo caso, suonerebbe come un “Onorevole Dante” o qualcosa del genere..un po’ come il –sama giapponese, per intenderci.

 

2”Non lasciare che mi portino via!”

 

3Non ho idea del valore effettivo della richiesta, ma non sono riuscita a trovare alcun dato per la conversione Crediti della Federazione à Moneta. Se voi sapete qualcosa riguardo, fatemelo sapere e cambierò subito^^

 

4”Mi senti?”

5”Andrà tutto bene”

 

 

 

Diario di Nemerya, Data Astrale 64034.5.
Maru Kaite Chikyuu! Maru Kaite Chikyuu! Maru Kaite Chikyuu! Boku Hetalia!!!
Yeehh! Anche l’Italiano ha fatto la sua comparsa! Un altro connazionale, oltre al polpo Paul! (Che se tanto mi da tanto, a questi punti sarà finito in un piatto di patate in qualche ristorante extra-lusso in Germania)
Bhè, che dire su questo capitolo?
Pseudo di passaggio direi. Si prepara l’azione che darà il via a tutto e i nuovi personaggi sono stati tutti presentati. A proposito..alzino la mano quanti credevano che il Vulcaniano fosse Spock! XD
Vallombrosa. Aaah, quanto mi piace la Toscana! In parte sono toscana anche io, ma forse sono più emiliana (Ligure solo per ¼ e francese di adozione..mooolta adozione!) e Vallombrosa è un paesello che mi è rimasto nel cuore! E’ così bello^^ In più il mio prozio ci lavorava come Guardia Forestale e ancora adesso mi racconta tante di quelle belle storie su di lui, sul bosco..mi sembra quasi di viverci (e la cosa non mi dispiacerebbe affatto) Per il personaggio di Dante, c’è, fra le mie Shot scritte e cestinate, una in cui compaiono lui e Spock, ma credo che la pubblicherò solo quando sarò pienamente convinta del risultato, per ora, limitatevi alla Long Fiction XD (Dai, che il personaggio toscano ci mancava!)
Pooi..Hn. La questione Mukade – USS Ifigenia – Nave non Registrata.
Anche se verrà spiegato meglio nei prossimi capitoli, solo una cosa. Kirk usa una nave non registrata poiché il pianeta Mukade (di mia totale invenzione) ha rifiutato di far parte della Federazione ed è, in aggiunta, talmente vicino all’Impero Klingon che i nostri amici dalla fronte spaziosa farebbero carte false (strano,eh?) per provocare una bella guerra intergalattica tra loro e la Federazione. Scaricando ovviamente tutta la colpa su Kirkuccio, manco a dirlo XD
Ultima cosa! Facciamo tutti i nostri auguri ad Abdulla e auguriamole un buona fortuna perché esca in modo fantasmagorico dall’esame di Stato!E in più, ecco anche il mio primo video (comico) su Star Trek!  http://www.youtube.com/watch?v=-mOyHL_fCjo

 

Angolo delle Recensioni

 Lady Amber: T’Lenna è un personaggio di cui mi è piaciuto molto scrivere e sono contenta che la sua caratterizzazione ti sia gradita^^ Visto che ho esaudito il tuo desiderio? Spock è quiii! Cielo, per quello che compare..*tossicchia*
Aspetto tuoi commenti sulle musiche di questo capitolo!
PASTAAAAAHHHH e anche VODKAAAAAAAA!

 

Thiliol: Cara, ti ringrazio assai! Che bello, quante cose in comune! Anche qui un po’ di Vulcaniano, ma meno faticoso rispetto alla prima volta!  Anche io avevo iniziato a studiare l'elfico, tanto tempo fa,con un mio amico. Poi abbiamo smesso non mi ricordo nemmeno per quale motivo, ma ho ancora il quaderno con l'alfabeto e i primi tentativi di scrittura!
Io adoro Big Bang Theory e stimo Sheldon alla follia! Ma non posso aspettare fino a settembre per vedere la nuova serie, non posso! Non reggerò! *Modalità melodrammatica: ON*
Spero ti piacerà anche codesto capitolo!

 

Persefone Fuxia: I Romulani sanno essere belli acidi, ma credo che questo sia uno dei motivi per cui li adoriamo tanto! Eh già, chissà cosa avrà voluto dire *sorriso maligno*
PoFero Sybok, a me fa impazzire come personaggio! Ci sarebbero così tante cose da scrivere su di lui! (Suvvia cara, lo so che è difficile, ma dobbiamo farci forza! Almeno nella TOS Vulcano c’è ancora..ma tutti quei Romulani! BUAHAAAHAHAHAHAHAHAHA! *scoppia in lacrime*)
Uh, il caro Shral! Mi piace come personaggio. Non ho idea di come mi sia uscito dalla tastiera, ma prevedo per lui grandi cose (e lui spera anche grandi fan) e chissà come mai ha quel rapporto col Romulano..bah!
Oh sì! Vedrai, non lo lascerò riposare sugli allori della cara Enterprise!

 

 

Al prossimo capitolo! Ci vediamo tutti nel 2387!
Tai Nasha no Karosha!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Urla nella Mente [Anno: 2387] ***


2387(2)

 Capitolo 4
Urla nella mente

 

Anno: 2387

 

(Final Fantasy X Original Soundtrack – The Truth Revealed)
Shral alzò il viso, incontrando gli occhi ametista del Medico di Bordo, il dottor Michael Aartsengel.
L’uomo, sulla quarantina e di carnagione olivastra, si avvicinò lentamente al lettino dove il Romulano stava riposando, per poi rivolgersi all’Andoriano con un sospiro.
-Le sue condizioni sono stabili- disse, incrociando le braccia al petto e fissando il malato.
Shral prese un respiro profondo, ringraziando mentalmente gli dei, ma una scossa di amarezza vibrò un istante nella sua mente e si affrettò ad alzare il viso verso Michael, riconoscendo in lui il proprietario di quella emanazione emotiva.
-Cosa succede, Dottore?- chiese, alzandosi dalla sedia accanto al letto del compagno –Perché ha avuto quell’attacco in Sala Ricreativa, prima?-
Il medico si schiarì appena la gola e spostò il peso da un piede all’altro, a disagio.
L’Andoriano colse quel movimento appena percettibile e avvertì l’insano bisogno di prendere l’Umano per le spalle e scuoterlo, stringerlo fino a sentire le ossa spezzarsi sotto le dita e un urlo di dolore schizzare via dalle sue labbra carnose. Si trattenne a stento, cercando di dominare il sangue che gli ribolliva come impazzito nelle vene. Conficcò le unghie nella carne e fissò Aartsengel col volto contratto dall’ira.
Il medico sospirò ancora, prima di parlare.
-Fisicamente parlando, non ha nulla. Il suo corpo è sano, il suo organismo è perfetto, non c’è nulla a livello biologico che possa spiegare l’attacco di poco fa- Michael scosse il capo –Ma la sua mente, è quella a preoccuparmi. Si trova in stato di shock, ma non ne capisco il motivo. E’ come se il suo cervello avesse subito una trauma tale da riversane gli effetti anche sul corpo e provocare l’attacco di poco fa-
Shral aggrottò le sopracciglia e osservò il Romulano, ancora incosciente.
Il respiro era irregolare, un ansimare faticoso e gorgogliante, il volto pallido, gli occhi cerchiati di viola e i capelli incollati alla fronte sudata, ma il pannello elettronico sopra la sua testa non segnalava nulla di anomalo tranne il battito del cuore, un poco più accelerato del normale.
-Una spiegazione deve esserci- mormorò l’Andoriano, più a se stesso che al dottore.
-Ma la spiegazione c’è- rispose quello –Solo che non riusciamo a trovarla-
Il sibilo dell’impotenza crepitò nella mente di Shral, che decise di ignorare quella scarica emotiva da parte del medico per concentrarsi sulle onde emanate dal cervello del Romulano.
Chiuse gli occhi, estraniandosi dal mondo che lo circondava, cancellando l’Infermeria, Michael, il letto, il colore delle pareti, il respiro del compagno, tutto, fino a quando non si ritrovò a galleggiare nella propria mente, fino ad essere solo un impulso nervoso in più.
Cercò di intrecciare i proprio pensieri a quelli del Romulano, penetrando nelle scarse difese mentali che il suo cervello aveva eretto come risposta allo shock di poco prima. Filamenti dorati di emozioni e ricordi si alzarono nel buio e Shral si allungò verso di essi, con le dita del pensiero tese verso di loro.
Come serpenti, i filamenti emotivi del Romulano sfuggirono alla sua presa, ma l’Andoriano fu abbastanza veloce da sfiorarne la punta.
La realtà si infranse contro il suo petto con la forza di un macigno.
Shral boccheggiò e cadde dalla sedia, portandosi le mani alle tempie e rischiando di mordersi la lingua a causa del battito convulso dei denti; sentiva le lacrime scorrere rapide e bollenti lungo le guance e la nausea chiudergli lo stomaco in una morsa gelida. La schiena tremava per i singhiozzi e i conati di vomito e la vista si oscurava a tratti, chiazzandosi di nero e facendogli perdere ogni contatto con la realtà.
-Tenente!- la voce di Michael rimbombò nella sua mente col fragore di un tuono –Shral! Shral, per l’amor del cielo, riprenditi! Infermiera!-
Ma Shral riusciva a fatica a concentrarsi su qualcosa che non fossero le urla che cozzavano contro le tempie e si urtavano fra loro, prive senso, di logica, solo urla, rumori, scoppi e grida che esplodevano e rombavano e ringhiavano senza tregua.
Prese un respiro talmente profondo da dargli la sensazione di star inghiottendo acqua e non aria, portandolo al soffocamento; gli occhi bruciavano, il corpo tremava come una foglia scossa dalla bufera e brividi gelidi si rincorrevano ghignando lungo la schiena, le braccia, le gambe, il collo.
Dovette fare appello agli ultimi, laceri brandelli di volontà rimastigli per riaffiorare da quel baratro di morte e disperazione.
-Shral, stai bene? Cosa è successo?-
L’Andoriano alzò il viso verso Michael, chino su di lui, poi abbassò di nuovo gli occhi, cercando di schiarirsi le idee.
-Loro..urlavano- mormorò –Urlavano e piangevano-
-Loro chi?- domandò ancora il dottore, scuotendolo.
-Non lo so..io non lo so davvero-

 

***

 

-Ambasciatrice! Ambasciatrice!-
La Romulana aprì gli occhi di scatto e si alzò a sedere con un ringhio, snudando i denti come una belva in procinto di attaccare.
Lady Perrin si ritrasse, spaventata, il vecchio cuore che batteva frenetico sotto le dita.
Il medico Vulcaniano, accanto al letto, scoccò all’Ambasciatrice un’occhiata piena di disprezzo, prima di alzarsi e dirigersi senza una parola verso l’uscita.
La vedova strinse le labbra e raggiunse il Vulcaniano, frapponendosi fra lui e la porta..

-Kal-torka hal-tor s’la se’kam th’hi1- le disse il medico e non si diede nemmeno la pena di nascondere la nota di astio che vibrava nella voce.
-Rai2- ringhiò Perrin, socchiudendo gli occhi chiari –Non finché non mi avrete detto cosa è successo all’Ambasciatrice-
-Qualcosa che io non posso curare- rispose il Vulcaniano, adattandosi alla lingua della donna –Sarà l’Ambasciatrice stessa a parlarvene quando vorrà farlo-
Perrin fece per ribattere, quando le parole della Romulana parvero emergere dal fondo della sua coscienza.
Per tutti,  Amanda era la moglie di Sarek, mentre voi siete solo la vedova”
Abbassò il viso e si scostò dalla porta, sentendo su di sé lo sguardo orgoglioso e trionfante del medico.
-Vi ringrazio per essere venuto, nonostante l’ora tarda, dottore- mormorò –Lunga Vita e Prosperità-
-Lunga Vita e Prosperità, Lady Perrin-
La vedova attese che il Vulcaniano fosse uscito dalla stanza, prima di mordersi con forza il labbro e serrare le palpebre, quasi a voler negare la scena di cui era stata, suo malgrado, protagonista.
Costretta ad abbassare lo sguardo, lei che era stata moglie di uno dei più grandi personaggi della storia di Vulcano e della Federazione!
Sapeva che Amanda aveva avuto un posto, nel cuore di suo marito che lei non sarebbe mai riuscita ad occupare, ma non una volta, durante la loro vita insieme, Sarek l’aveva guardata come se fosse solo lo spettro della moglie defunta.
L’aveva sempre guardata con l’amore riservato a Perrin, non al ricordo di Amanda Grayson.
Una donna straordinaria, Amanda, che era riuscita a farsi ben volere, o almeno ad essere apprezzata, anche dai freddi abitanti di quel pianeta così caldo; era riuscita ad elevarsi al di sopra dei pregiudizi dei Vulcaniani, era stata moglie dell’Ambasciatore Sarek e madre del Primo Ufficiale Spock, poi divenuto Capitano e in seguito Ambasciatore come suo padre, e colui che aveva gettato le basi per una pace duratura con i Romulani.
Moglie e madre di due figure che sarebbero state ricordate per sempre nella storia del pianeta.
Lei, invece, cos’era?
Vedova di un Ambasciatore malato e debole, matrigna di un ibrido che aveva rinunciato alla sua dimora su Vulcano per trasferirsi su Romulus ed unirsi ad una delle loro donne, avere una discendenza con lei invece che con una Vulcaniana di buona famiglia come la tradizione avrebbe voluto!
Vedova e matrigna di due figure distorte dal tempo, che avevano mandato in frantumi tradizioni vecchie di secoli.
Lady Perrin si asciugò una lacrima e rassettò la lunga veste con mani tremanti, prima di tornare a sedersi accanto al letto dell’Ambasciatrice.
La Romulana non si era mossa dacché aveva avuto il suo scatto, era ancora seduta, le dita artigliate alle lenzuola candide, quasi fossero l’unico appiglio rimastole con la realtà; gli occhi, sgranati, erano attraversati dal dolore, dalla rabbia, dalla confusione, ma tutte quelle emozioni non si riflettevano sul suo viso, ancora pallido, reso più duro e più tagliente dalla linea scura, serrata delle labbra e dalla mascella contratta.
-Ambasciatrice..- la vedova provò a poggiarle delicatamente una mano sopra le dita serrate, ma non ottenne alcuna reazione se non un contrarsi improvviso dei muscoli –Che cosa vi è accaduto? Cosa avete sentito?-
-Urla- rispose secca l’Ambasciatrice, senza distogliere lo sguardo dal vuoto –Urla nelle mente-

 

***

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – The Sword of Doubt)
Dolore sulla fronte, fiamme sottili che lambiscono la pelle, ricordando la sofferenze, la rabbia, il desiderio di vendetta.
Avrebbe pagato. Per ogni singola vita che aveva spento. Avrebbe pagato.
Lui e il suo dannato popolo.
Li aveva ingannati, aveva mentito.
Aveva portato parole di pace, di speranza, aveva promesso un futuro. Aveva promesso la salvezza.
E invece, aveva portato solo morte.
E morte sarebbe stata la loro risposta, la loro vendetta.
Avrebbe pagato.
Doveva pagare.
Mentre il crepitio della Supernova si perdeva nel silenzio cupo dell’Universo, Nero incise l’ultimo segno sulla fronte e si voltò a guardare i proprio compagni.
C’era dolore nei loro occhi.
Dolore, sofferenza, rancore, rabbia, terrore, solitudine, disperazione, ira. Nel loro sguardo, infiammato dalle lacrime trattenute a stento, dalle urla che risuonavano nelle loro menti e che mai sarebbero cessate, Nero colse un unico messaggio.
Vendetta.

C'era una tradizione su Romulus che quando una persona cara moriva si usava dipingere il dolore sulla propria pelle. Antichi simboli di amore e di perdita. Con il tempo il disegno sarebbe sbiadito, e con esso il periodo del lutto. La vita sarebbe continuata ugualmente. Noi dipingiamo questi simboli sulla nostra pelle, ora. Ma noi bruciamo internamente in profondità. Così che non sbiadirà mai. Perchè la vita non continua. Noi moriamo con i nostri amici. Noi moriamo con le nostre famiglie. Noi moriamo con Romulus. E tutto ciò che ci rimane è la vendetta.3

 

***

-La Supernova è stata assorbita dal Buco Nero- annunciò Berz’uk, scrollando il capo.
-Già, ma a quale prezzo?- Yerzek, accanto a lui, si alzò dalla postazione e si avvicinò alla grande finestra che dava su San Francisco –Romulus..- non completò la frase, incapace di proseguire.
Il fratello avrebbe desiderato alzarsi e dirgli qualcosa per confortarlo, ma le parole parevano fuggire dal suo controllo. Si scioglievano e svanivano in un soffio di vento, prima che potesse afferrarle e dare loro un senso, una possibilità di rendere meno doloroso quel momento.
Ma non c’era nulla che lui, che altri potessero fare.
Quello che era successo non poteva essere cambiato.
Avevano salvato la Galassia, ma degli innocenti avevano pagato per quello accadesse.
Berz’uk non credeva davvero negli dei, ma in quel momento si infuriò con se stesso per non avere una fede contro cui scagliarsi con tutta la rabbia che sentiva premere bollente contro il petto e gli occhi. Avrebbe potuto maledire un dio qualsiasi, gridando al massacro, quasi quella ipotetica divinità avesse chiesto un pegno di sangue perché le loro vite fossero salve.
Ma Berz’uk non credeva in nessun dio, in un alcuna entità benevola che viveva nel cielo e nemmeno in una maligna che dimorava nelle viscere della terra. E questo lo faceva stare ancora peggio.
Non aveva nessuno cui scaricare le colpe se non se stesso.
Era colpa sua se tutte quelle vite..
Si morse il labbro, soffocando un ringhio di dolore e delusione, amarezza e sconforto.
Colpa sua, era solo colpa sua.
Era stato messo a carico di quel progetto e non era riuscito a fare nulla! Nulla!
Tutte quelle persone, tutti loro..
Fece per colpire il lo schermo con il pugno, quando una finestra del visore si illuminò, mostrandogli il viso adombrato di T’Lenna, dall’altra parte.
-Berz’uk- disse la donna –Non è colpa tua-
-E di chi, allora?- soffiò, socchiudendo gli occhi scuri.
La Vulcaniana strinse le labbra e il mezzo Klingon ne lesse la risposta nello sguardo adirato.

Vulcano.
T’Lenna dava a loro la colpa, per non aver concesso a Romulus la tecnologia necessaria per salvarsi, per aver mandato un solo uomo ad affrontare le fiamme ardenti della Supernova.
-T’Lenna..- la supplicò –T’Lenna..-
-A quest’ora quei cani staranno festeggiando- la voce della Vulcaniana vibrò e lacrime d’ira le colmarono gli occhi arrossati –Romulus, la piaga pulsante e viva del loro passato, ora..- si bloccò, portandosi una mano al viso, tremando.
-Anche su Vulcano c’era chi sperava che Spock riuscisse nell’intento di..-
-Oh sì!- ringhiò T’Lenna, mostrando i denti –Io e lui! Nessun altro! Tutti speravano che i Romulani sparissero dalla faccia dell’Universo ed è quello che hanno avuto! Luridi cani, falsi e ipocriti!-
-T’Lenna!- la richiamò Berz’uk, furioso –Smettila di parlare così! Ora è la rabbia e il rancore che parlano, non tu!-
-Stai zitto, ibrido! Tu non sai..tu non sai nulla- ringhiò la Vulcaniana, ma prima che il mezzo Klingon potesse replicare in qualsiasi modo, sullo schermo del computer di Yerzek comparve un messaggio proveniente da Vulcano.
Riprendendo il controllo sulla rabbia che gli vibrava nel petto e nella gola, Berz’uk si mise alla postazione di suo fratello.
-La Narada..- mormorò, corrugando la fronte –Nero, cos’ hai intenzione di fare?.-

 

***

-Shral..- il nome sussurrato, un crepitio roco dalle labbra secche.
L’Andoriano si voltò e si chinò sul lettino, mentre un falso sorriso di rassicurazione gli si dipingeva sul volto.
Il Romulano roteò gli occhi verso di lui e gli artigliò la spalla con le lunghe dita, lo sguardo trapassato dalla follia e dal dolore.
-Falli smettere!- esclamò con la voce colma di orrore –Falli smettere Shral! Falli smettere di urlare!-
Un gemito di dolore scappò dalle labbra dell’Andoriano, che cercò di togliere le dita dell’amico dalla spalla; la loro presa, però, era troppo forte e le unghie non facevano che affondare ad ogni ansimo.
-Falli smettere!- gridò ancora l’altro, tentando di alzarsi –Falli smettere, Shral! Falli smettere di urlare!-
Shral urlò e strinse il polso del Romulano con tutte le forze che aveva, cercando di allontanarne la mano.
L’Andoriano gridò ancora e la sua voce si mescolò all’urlo sempre più insistente dell’altro.
-Falli smettere! Falli smettere, Shral! Falli smettere di urlare!-

 

***

-Abbiamo la Jellyfish sullo schermo, prod4-
Nero socchiuse gli occhi e serrò la mascella.
-Armate i phaser e state pronti a fare fuoco-
Ayel annuì e si voltò
-Armate i phaser!-
Vendetta.
Avevano solo quello.
E solo quello avrebbero avuto.

 

***

Berz’uk sgranò gli occhi.
-Cercate di contattare la Jellyfish!- ruggì –Provate su qualsiasi canale!-
Tornò a fissare lo schermo, incapace di credere a quello che vedeva.
-BaQa’5-

 

***

(Wolf’s Rain Original Soundtrack – Shiro)
Spock si lasciò scivolare lentamente a terra mentre, con un ultimo, biancheggiante palpito, la supernova veniva inghiottita dal Buco Nero creato dalla Materia Rossa.
Per un istante, fu solamente la luce e il crepitare della stella morta, poi..il silenzio.
Silenziose le stelle, silenzioso l’Universo, silenzioso il Buco Nero da cui, seguendo una rotta prestabilita, si stava allontanando la Jellyfish. Sempre in silenzio.
L’Ambasciatore desiderò intensamente che anche all’interno della navetta regnasse il silenzio, come un dittatore incontrastato, ma sentiva i suoi ansimi disperati lacerare quel pesante drappo di solitudine, quasi fossero pugnali.
Romulus, distrutto.
Aprì la bocca incapace di parlare, boccheggiando, crollando in ginocchio.
Tutto quello per cui aveva lottato, per cui aveva voltato le spalle al Consiglio degli Anziani di Vulcano, era andato distrutto.
Aveva spinto la Jellyfish fino ai limiti delle sue possibilità ed era riuscito a sopravvivere, i motori avevano resistito alla sforzo della velocità Warp, ma non era servito.
Romulus, era stato distrutto.
Come in un incubo, aveva visto l’onda scarlatta della Supernova avventarsi con un ruggito di belva contro il pianeta, stringerlo fra le sue fauci fiammeggianti e ridurlo in cenere.
E quella polvere dorata, ricordo di quella che per lui era diventata una seconda casa, sparì, portata via dal soffio gelido del Buco Nero.
E Romulus era stato distrutto.
Si portò una mano alla tempia e chiuse gli occhi, lasciando che altro dolore si mischiasse alla sua sofferenza, alla sua anima squarciata dal rimorso.
Poteva sentirle, seppur flebili, urla e grida e pianti nella mente, in un angolo recondito della sua testa, un palpito continuo di disperazione, come un cuore che ancora non si era arreso, che cercava di vivere, nonostante tutto, nonostante la distruzione e la morte.
Poteva avvertire quegli echi infiniti di dolore grazie all’Unione con sua moglie, una donna di Romulus, con cui in quel momento, almeno in una misera parte, poteva condividere la sofferenza.
Una parte di lui riuscì a tirare un respiro di sollievo, che vibrò nella sua anima straziata, un sospiro egoista e di gioia, al pensiero che, almeno loro, erano in salvo.
Riaprì gli occhi e nella sua mente si riaffacciarono all’istante le immagini, vivide e lucenti, di Romulus, con le sue montagne, i giardini, le fontane, le case, le piazze..poteva ancora sentire le risate di quei bambini cui si fermava spesso a parlare di Vulcano e del suo passato comune con Romulus, rivide alcuni abitanti che gli sorridevano, felici per la pace che era comparsa all’orizzonte, il saluto di alcuni Romulani che avevano deciso di entrare a far parte di Starfleet, nonostante la diffidenza non solo dei loro parenti e amici, ma anche della stessa Federazione.
E anche se a quelle immagini si sovrapponevano i sibili irati dei più conservatori, gli insulti loro e dei Vulcaniani, tutto, gioia e dolore, bene e male, facevano parte di un ricordo che sarebbe presto svanito, di un Pianeta di cui non rimaneva nemmeno più un frammento di roccia o il petalo di un fiore.
La storia di Romulus si era conclusa, la sua gente era morta in un doloroso abbraccio, crepitante di fiamme scarlatte, le loro lacrime e i loro gemiti e le loro urla e i loro pianti avrebbero per sempre accompagnato quei pochi sopravvissuti. E quando anch’essi sarebbero scomparsi, e con loro ogni memoria, Romulus e la sua gente sarebbero stati definitivamente distrutti.
Perché, Spock, aveva fallito.
Perché lui, Spock, li aveva condannati.
Perché lui, Spock, li aveva uccisi tutti.

 

 

 

 

 

1”Fatemi passare” (Lett. “Fatemi uscire da qui”)
2”No”
3Vedi Memory Alpha sotto la voce “Nero”
4 “Pretore” è il modo in cui Ayel si rivolge a Nero
5Invettiva Klingon. Traducetela nel modo più fantasioso vi venga in mente XD

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale 64053.3 (Oddeo! Mi sono accorta adesso che nell’Universo di Star Trek quest’anno sarebbe il 2387 O_O E’ un segno!!! SPOOOCK!)
Ehm *tossicchia*
Questo capitolo è stato abbastanza facile da scrivere (ovviamente, farà schifo Uhuh! Legge dei grandi numeri!)..vedi Perrin, sono stata buona! Guarda, per quanto ti odi ti ho dato uno spessore piSSicologico!
-Eh certo. Il fatto che altrimenti avresti rischiato di cadere nel bashing più basso e assurdo che esista non ha nulla a che fare con questo risvolto, vero?-
…Spock! La tua matrigna insinua che io sia una persona brutta e cattiva!
-La logica è dalla parte di Lady Perrin, Nemeryal-
Tu! Tu brutto traditore, pusillanime e…e..illogico!
Oh no. No, Spock non mi guardare così! No! No! Stai lontano! No! Mi fai paura! SPOCK!!!
-Plak-tow!!!!!!!-
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!
*scappa*

 

Angolo delle Recensioni

 
Abdulla
(Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387]) Stai tranquilla^^ Il tempo non è un problema!
Sono andata a vedere la scheda sugli Andoriani presente su Memory Alpha e ho deciso che doveva assolutamente esserci un Andoriano nella mia fan fiction..se poi è un pazzoide come Shral (Ehi! Nd Shral) ancora meglio!
Sono contenta che la narrazione ti sia piaciuta ^^ Purtroppo il cambio veloce di punti di vista è un mio bel difettuccio XD E anche qui mi sa di aver fatto un po’ troppa confusione..ops!
Ho trovato la grammatica Romulana su internet O_O Oh mio santo Nimoy..E io che avevo trovato complicato il Vulcaniano! Il Romulano è folle!!!!
à http://www.freewebs.com/csdr/p3.html

 

Thiliol: Eh sì! Lo sapevo!!! Muahahahahahaha! Sono malvagia, sono malvagia malvagia malvagia!
Devo leggere anche Nessuno è Perfetto, ne ho letto alcuni pezzi e l’ho trovata assolutamente valida..solo che le Spock/McCoy non mi fanno impazzire -_- Sono scema lo so..
Vedi Dante! Hai una fan! XD

 

Abdulla: Eh già..adesso la quindicina rimasta mi vuol fare la pelle..anche loro sulla già lunga lista nera dei personaggi che mi vogliono uccidere. Sigh..troveranno man forte..eccome se la troveranno..
Oh, ma l’Enterprise è come il prezzemolo! E’ dappertutto! Credo che il suo equipaggio oramai sia convinto di essere perseguitato dalla sfiga. E come dargli torto?
Oh! Piccino! Vedi Dante? Piaci!

 

Lady Amber: Eeeeh sì! Ma sono un genio del male! Tutti pensavano fosse Spock!
Una fan di Saiyuki! (Hakkaiiii!
Goijoooo!!! Okay, basta..contegno!) Douch! Un tempo c’erano tutte le Soundtrack di Saiyuki! Ma nu!! Stupido Tubo >.<
Oh, Dante guarda! Guarda come piaci! *si volta e vede Dante saltellare insieme a Feliciano dietro una farfallina*..eccolo lì. Almeno non grida “Pastaaah” *si sente un urlo “FIORENTINAAAAAAAHHHHH”*
No, okay, io gli faccio male..

 

Persefone Fuxia: Muahahah! Anche tu caduta nella trappola..eccellente!
Vedi Dante, sei anche “Fascinating” e il retroscena spero lo sarà altrettanto *ghigno* L’istinto di conservazione di Kirkuccio temo sia pari a zero. Se non sotto.
Però se si mette nei guai c’è Spock che si adopera per salvarlo..e poi..*scena tagliata per rispetto nei confronti dei minorenni*

 

*esce fuori dal nascondiglio*
Al prossimo capitolo! Si ritorna nel 2261!
Tai Nasha no Karosha!

-PLAK-TOW!!!!!-
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Missione di Salvataggio [Anno: 2261] ***


2261-5-

Capitolo 5
Missione di Salvataggio

 

Anno: 2261

 

(Kingdom Hearts I Original Soundtrack – Treasured Memories)
I raggi lunari scivolavano argentei sulle cupole splendenti della Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato1: le spire azzurre e bianche che si rincorrevano sulla superficie curva e liscia della più alta facevano a gara per raccogliere lo scintillio candido delle stelle. Accanto, la cupola dorata risaltava, colpita dalle luci della città, e la sua compagna, oltre le due arricchite di placche argentate, mostrava solo in parte il proprio volto, nascosto nell’ombra.
Il fiume cantava sotto la Chiesa, accompagnando lo scricchiolare delle scarpe dei passanti sulla neve fresca e le grida eccitate dei bambini che si rincorrevano sotto la luce dei lampioni e l’imponente facciata.
Sotto di essa, Ivan teneva in braccio il piccolo Rafail, che si sporgeva dal petto del padre con la manina tesa ad indicare la guglia più bassa, incantato dai riflessi dei fiocchi di neve che vi turbinavano attorno.
Ivan rideva, piccoli cristalli di ghiaccio incastonati come gemme preziose nell’accenno ispido di barba, sulla lunga sciarpa nera o nel cappello blu notte, da cui uscivano alcune ciocche bionde, bagnate per la neve.
Ida si strinse di più nel cappotto, sfregandosi le palme delle mani e soffiandovi sopra per riscaldarle, nonostante fossero protette da un paio di guanti di lana; il respiro si condensò davanti ai suoi occhi, divenendo una macchia bianca contro il cielo notturno di Leningrado2.
Alzò lo sguardo su Ivan, nascondendo un sorriso dietro la sciarpa, prima di chinarsi a terra e raccogliere un po’ di neve fra le mani e appallottolarla. Cercando di non ridere, alzò il braccio e lanciò la palla, che andò a schiantarsi con un sonoro tonfo contro la schiena di Ivan. L’uomo emise un verso sorpreso e si voltò, sul volto un finto cipiglio indignato.
La donna scoppiò a ridere, mentre Ivan poggiava Rafail a terra e gli sussurrava qualcosa all’orecchio; il bambino, le guance arrossate per il freddo e gli occhi lucidi per la stanchezza e la gioia, annuì, facendo dondolare il pon pon rosso del cappellino.
-Stai pronta, mamma!- le gridò Rafail, inginocchiandosi a terra e raccogliendo un po’ neve.
Ida sorrise in direzione di Ivan e non si scansò quando si vide arrivare addosso la palla di neve; alzò le mani per proteggersi il viso, i capelli che le aderivano bagnati alle tempie e le labbra livide per il freddo.
Fece per abbassare le braccia, ma qualcuno, più veloce, le cinse la vita, costringendola contro il suo petto.
La donna chiuse gli occhi. Sentiva il cuore di Ivan pulsare caldo sotto le proprie guance e il suo respiro profondo, appena ansante per la corsa che aveva fatto per raggiungerla. Le mani di lui erano forti, la stringevano con dolcezza, ma decisione, come se non la volesse lasciare, per paura di perderla.
Ida scostò il volto dal torace dell’uomo e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte, per potersi perdere nei suoi occhi così caldi e intensi. Ivan le accarezzò la schiena, poi le posò un lieve bacio sulla fronte.
La donna sorrise, con le guance arrossate, alzandosi in punta di piedi e sfiorando le labbra di lui con le proprie.
Ivan strofinò il naso contro il suo e sorrise, rendendo più profonda la piccola cicatrice sotto l’occhio sinistro.
-Quanto starai via?- le chiese.
-Non sarà una missione lunga- rispose Ida, evitando il suo sguardo e osservando il piccolo Rafail giocare con la neve poco più in là –Si tratta solo di un anno-
-Un anno è lungo- le ricordò lui, prendendole il mento fra le dita –E lo Spazio è pericoloso-
La donna sorrise
-Sì, ma è solo una missione di ricerca e studio- disse, circondandogli il collo con le braccia –Staremo lontani dai territori Klingon e i Romulani ci hanno dato un permesso particolare di transito quando ci troveremo ai confini della zona Neutrale-
-Non ti fidare del Romulano che porta doni3- annuì Ivan, aumentando la stretta attorno alla sua vita.
-I Romulani ora vogliono la pace- Ida sbatté le palpebre, con la sensazione che l’abbraccio dell’uomo le stesse togliendo il respiro –Dopo quello che è successo due anni fa..-
-Lo so. Fai attenzione comunque. Abbiamo bisogno di te, qui- Ivan accennò al piccolo Rafail con un movimento del viso.
Ida ansimò, sentendosi intrappolata fra le braccia dell’uomo. Il respiro le lacerava i polmoni e la gola, gli occhi bruciavano e il cuore batteva impazzito contro il petto.
-Ivan..- gemette, facendo leva con le braccia per allontanarsi da lui –Ivan, lasciami!-
Alzò lo sguardo, ma non era più Ivan a tenerla stretta tra le braccia, ma l’Ombra. Nera, orribile, viscida, sinuosa e pericolosa come un serpente. La Chiesa si sgretolò davanti ai suoi occhi, il lampione si sciolse, la sua luce divenne nera come la pece e colò pesante sulla neve candida, stendendosi su di essa come un corvo che dispiega le proprie ali contro il sole.
Si voltò, terrorizzata, in direzione di Rafail, ma del bambino non erano rimasti altro che gli occhi, grandi, supplichevoli, che la chiamavano silenziosi, con un grido muto e straziante, che le affondava bollente nel cuore, mentre la stretta dell’ombra si faceva più forte, sempre più forte, mozzandole il fiato, impedendole di respirare.
Sentì dietro di sé il fiume ribollire e le sue acque agitarsi melmose contro le caviglie, artigliandosi alla sua pelle e salendo, salendo ghiacciato e pesante, avvolgendola, gambe, braccia, petto, fino ad arrivare al collo e al viso e da lì riversarsi nelle labbra aperte in un urlo di disperazione e di aiuto.
Boccheggiò, annaspando in cerchia di aria, ma stava affogando, nelle tenebre e nelle acque melmose del fiume, col grido di Rafail che schioccava e rimbalzava e rombava nella sua mente e nel suo cuore, con Ivan che la teneva stretta, sempre più stretta, col fiato tenacemente aggrappato alla gola, il respiro costretto nei polmoni brucianti, gli occhi che lacrimavano e si appannavano, e il Padre Eterno che la fissava grave dallo sfondo dorato della facciata, circondato dagli angeli, e la guardava senza fare nulla, mentre lei affogava, stretta dalle tenebre, dall’ombra, dal fiume, da Ivan e da Rafail che urlava senza voce, Rafail dagli occhi grandi e supplichevoli.
-Ida!-
Riaprì gli occhi di scatto, inghiottendo l’aria stantia della cella;boccheggiò e si gettò carponi a terra, scossa dai conati di vomito. Sentì una mano accarezzarle la schiena per cercare di calmarla, mentre tutto il corpo era attraversato da brividi di freddo e paura, e le braccia tremavano, incontrollate.
La donna prese un respiro profondo e si asciugò le labbra con il dorso della mano, chiudendo gli occhi e ignorando il tremito che la stava attraversando come una scossa.
Tornò a sedersi, poggiando la schiena contro il muro e prendendo qualche respiro profondo, poi si azzardò a riaprire gli occhi. Dovette sbattere più volte le palpebre, perché la vista era appannata e i contorni, seppure bui, immersi nell’oscurità, erano velati e parevano quasi ondeggiare.
Si sfregò gli occhi con le mani e si accorse di avere le guance bagnate di lacrime.
-Stai bene?- mormorò Haleema, affiancandosi a lei e mettendole una mano sulla spalla.
Ida annuì, ancora incapace di parlare. Abbassò la mano e i suoi occhi si posarono sulla fede d’oro che portava all’anulare: la superficie era graffiata e il colore era opaco, freddo.
Chiuse le dita a pugno e le portò al petto.
-Hai sognato Ivan, vero?- le chiese Haleema, lasciandole andare la spalla e raccogliendo le ginocchia al petto.
Ida non rispose, evitando di guardarla.
-Ida..- le sussurrò Eleni, la voce rotta dalla fatica e dal dolore, dalla cella accanto –Se lui è..morto..né tu, né Ivan, né tuo figlio dovete..sentirvi in..colpa-
La donna serrò la mascella per reprimere un singhiozzo, sbattendo veloce le palpebre per cacciare via le lacrime che erano andate a raccogliersi ai lati degli occhi.
Non si era nemmeno accorta di aver ceduto alla stanchezza. L’ultima cosa che ricordava era di aver continuato a gridare fino a quando Eleni non le aveva risposto di star bene, e poi il buio.
Si stava arrendendo. Stava scivolando nel passato, nei ricordi, la sua mente stava iniziando a proteggersi dal dolore e dalla sofferenza del presente e di un futuro che non avrebbe conosciuto.
Là, a Leningrado, nella neve che turbinava lenta, sotto la luce dei lampioni e delle stelle, dove il piccolo Rafail non sarebbe mai cresciuto e l’amore di Ivan non si sarebbe mai spento, là, la sua mente e il suo corpo avrebbero trovato un rifugio da cui non sarebbero mai usciti.
Ma arrendersi, rifugiarsi in un mondo illusorio di ricordi e memorie non era quello che desiderava.
Rafail, Ivan, Leningrado, l’avrebbero aiutata ad andare avanti, come un obiettivo, una nuova missione che non le era permesso fallire.
-Era la sera prima della mia partenza per San Francisco- spiegò, poggiando la nuca contro il muro mentre un sorriso malinconico le si posava sulle labbra.

 

***

(Final Fantasy VII Advent Children Original Soundtrack – Aeris No Theme)
Diario di Bordo, parla il Tenente Comandante, Montgomery Scott.
Data Astrale: 53781.44
Il Capitano Kirk insieme alla squadra di salvataggio, di cui fanno parte anche il Primo Ufficiale, il signor Spock, l’Ufficiale Medico Capo, il signor McCoy e il Tenente Sulu, sono partiti dalla Base Stellare K-9 da otto giorni punto cinque ore.
Sono quattro giorni punto nove ore che non riceviamo più alcun messaggio criptato da parte della Nave non-registrata Odysseus.
Non è mi è comunque concesso intervenire in nessun modo, né inviando un messaggio dalla stessa Enterprise né lasciando la Base Stellare K-9. A conti fatti, non mi è neppure permesso prendere una qualsivoglia decisione che vada contro gli ordini precedentemente datimi dal Capitano Kirk.
L’unica cosa possibile è aspettare.
Aspettare la riuscita o aspettare la sconfitta, non ci è concesso altro.
Nonostante la preoccupazione, nonostante la paura, devo aspettare. Un qualsiasi intervento di Starfleet ai confini dell’Impero Klingon potrebbe essere usato da questi ultimi come pretesto per una guerra intergalattica.
Tutto in segreto, agire per Starfleet senza far sapere a nessuno che è Starfleet a muovere le fila, usare Navi non-registrate concesse dalla Federazione per evitare che si sappia del coinvolgimento della Federazione stessa nel piano di salvataggio.
Le trame di Starfleet sono sottili e segrete e se qualcuno, alla fine, ci rimetterà, sono pronto a scommetterci le gondole della Enterprise che  quel qualcuno sarà proprio il Capitano Kirk. Oh, certo. Se la guerra intergalattica dovesse davvero scoppiare, la colpa non sarebbe di Starfleet, perché Starfleet, a tutti gli effetti, non è mai davvero intervenuta per salvare i membri della Ifigenia, interferendo nelle leggi di un mondo che a Starfleet ha candidamente mostrato il dito medio, e..

Scott si bloccò, riconsiderando a mente lucida l’ultima parte che aveva appena registrato. Si lasciò sfuggire un sospiro impotente e premette uno dei tasti sulla consolle della poltrona del Capitano.
-Computer, cancellare l’ultima parte- decise, passandosi una mano sugli occhi –Anzi, cancella tutto a partire da “L’unica cosa possibile è aspettare”-
Il Tenente Comandante  si passò una mano sul collo, mentre i dati venivano cancellati dal database con un sommesso crepitare del computer.
Certo, ci mancava solo che Starfleet ascoltasse quel rapporto e poi lo strapazzasse per bene di conseguenza. Forse la Corte Marziale no, ma avrebbe sicuramente dovuto dire addio alla Enterprise e a tutto quel ben di Dio che aveva al posto dei motori. E, soprattutto, avrebbe dovuto dire addio al Capitano e all’equipaggio.
-Io non sono fatto per il comando!- sbottò, allargando le braccia nel silenzio della plancia vuota –Io sono più un tipo da motori e simili, che passa il suo tempo libero con un bicchiere di Scotch Whiskey in una mano e un cacciavite nell’altra! Cosa ci sto a fare, io, sulla poltrona di comando?-
Si strinse la radice del naso fra le dita, soffocando un’imprecazione fra i denti.
Era preoccupato, diamine!
Preoccupato che quella combriccola di matti capitanati di Kirk non facesse più ritorno, che la Enterprise dovesse lasciare la Base Stellare K-9 senza il suo miglior capitano al comando e che Starfleet potesse perdere uno dei suoi uomini più promettenti.
Nemmeno lavorare sui suoi adorati motori riusciva a distoglierlo da quei pensieri cupi.
Solitamente, tutte i brutti presentimenti, il pessimismo, la rabbia, il rancore, la preoccupazione, scorrevano dalla sua mente fino alle dita, crepitavano come fiammelle nelle sue mani e svanivano in un soffio caldo, trascinati via dal rombare delle turbine, persi nei condotti che percorrevano simili ad un labirinto il corpo flessuoso della Nave. Se aveva un problema tecnico da risolvere, ecco che anche quelli personali parevano risolversi con una controllata al reattore, ai fusibili delle macchine, agli schermi o agli scudi.
Tutto assumeva una connotazione più terrena e manuale, e non c’era nulla di manuale che lui, Montgomery Scott, non sapesse risolvere.
Eppure questa volta era diverso.
I presentimenti si rifiutavano categoricamente di scomparire in uno sbuffo di fumo, cancellati da una macchia d’olio scuro e appiccicoso, ma si aggrappavano con tenacia al suo animo, scalciando come cavalli imbizzarriti e scalpitando inferociti dentro la sua testa.
Sfregò fra loro i palmi delle mani, sbuffando contrariato, cercando di inventarsi qualcosa per tenersi occupato, quando la porta del TurboLift si aprì con un ronzio sommesso.
Scott si voltò di scatto.
-Scotty!-
-Nyota!- esclamò sorpreso lui.
Il Tenente Uhura rimase per alcuni istanti ferma sulla soglia del TurboLift, mordicchiandosi il labbro inferiore e schiarendosi appena la gola.
Se oltre a loro ci fosse stata la plancia al completo, Scott non avrebbe mai osato chiamare Nyota col suo nome, limitandosi ad un neutro e professionale “Tenente Uhura” o, al massimo, ad un semplice “Uhura”, ma lì, da soli, poteva anche tralasciare la freddezza del protocollo lavorativo per qualcosa di più caldo e famigliare.
-Sei venuta a controllare se è arrivato qualche messaggio?- le chiese Scotty, vedendola a disagio.
-Sì- ammise lei, avvicinandosi alla propria postazione e prendendo l’auricolare metallico fra le dita.
Scott si limitò ad annuire, mentre la donna si girava sulla sedia, dandogli le spalle, il viso piegato a sinistra e rivolto verso l’alto, le mani posate sulla consolle delle comunicazioni e gli occhi fissi, le labbra appena dischiuse e l’orecchio attento a captare anche il più piccolo segnale da parte di Kirk e Spock.
Era bella, Scotty doveva ammetterlo.
Col corpo alto e flessuoso avvolto nella divisa scarlatta della Sezione Tecnica, il viso triangolare dai tratti delicati, la pelle d’ebano e gli occhi grandi e profondi, accentuati dal collo sottile e dalla coda di cavallo che le ricadeva con grazia oltre le spalle5,Nyota era fra le donne più belle che avesse incontrato.
Uhura dovette accorgersi del suo sguardo, perché abbassò gli occhi scuri e gli rivolse un accenno di sorriso.
Scotty ricambiò, rivolgendole un cenno di incoraggiamento.
La amava? No, ma gli sarebbe piaciuto.
Rispettava Uhura e voleva per lei tutto il bene possibile, per lei, che sembrava così fragile con quel viso minuto e lo sguardo limpido e aperto, ma col sangue ardente dell’Africa che le scorreva dentro come fuoco, che le illuminava il volto e gli occhi, che riscaldava con dolcezza chi si fosse avvicinato per tenerla stretta a sé e amarla come meritava, ma che bruciava chiunque si fosse avvicinato solo per ferirla.
Scotty aveva visto più volte il fuoco ardere dentro i suoi occhi e incendiarle lo sguardo, ma non lo aveva mai visto sciogliersi in lacrime di cenere spenta e inutile.
Nemmeno quando il silenzio si era insinuato gelido fra lei e Spock l’aveva vista piangere.
Non c’era stato nessun segno della disfatta della loro relazione, forse per quel “legame” che gli altri membri dell’equipaggio, soprattutto i più vicini ai due, dicevano esistesse fra loro. Un legame per cui i pensieri dell’uno si fondevano, si abbracciavano e si univano con quelli dell’altra, in una dolce assenza di parole, dove non c’era bisogno di voce, ma solo del “legame” dei loro spiriti sempre in accordo, sempre per mano anche quando c’erano piani e TurboLift e pianeti a dividerli nel mondo fisico.
Forse era proprio per quello che Uhura aveva accettato tutto senza una sola lacrima a rigarle il volto.
Forse aveva sentito dentro di sé il filo della loro relazione sfaldarsi lentamente, con un tendere sommesso del legame, fino a quando non si era sciolto, lì, nel silenzio e nell’ombra dell’Universo. Era scomparso come una goccia di pioggia che dal cielo si infrange sulla superficie calma del mare. Era divenuto parte dell’Immenso, del Tutto, increspandone appena la superficie, poi più nulla.
Ma quella goccia, anche se persa nell’Immenso, continuava ad esistere.
Forse si stava solo lanciando in qualche ridicolo volo pindarico sull’Essere, ma Scotty aveva la netta sensazione che il legame fra i due esistesse ancora, ma si fosse trasformato. Le loro mani non era più intrecciate, ma si sostenevano una con l’altra, là per darsi aiuto e conforto ovunque e ogni volta che ce ne fosse stato bisogno.
Scotty scosse la testa, con un sorriso amaro a piegargli le labbra.
Le voleva bene, ma non l’amava. Non ancora, almeno.
Magari chissà, col tempo..riusciva quasi a vederla, più anziana, coi capelli striati d’argento, che si piegava su di lui, accarezzandogli con dolcezza il viso; riusciva a scorgere nei suoi occhi quello stesso calore che tante volte aveva visto avvolgere il gelo Vulcaniano nello sguardo di Spock.
Ma erano solo sue illusioni, nulla di più. Voleva bene a Nyota e la rispettava, desiderava per lei tutto il bene possibile, tutta la felicità e l’amore che si meritava, nulla di più. E nel futuro..chi poteva dirlo?
-Scotty, perché sorridi?-
-Come?- chiese lui.
-Stavi sorridendo- gli spiegò di nuovo Uhura, scrollando il capo.
Il sorriso sul volto di Scott scomparve quando vide l’espressione di Nyota.
-Ancora nessun messaggio, vero?-
La donna trattenne il respiro, gli occhi fattisi lucidi per qualche istante, poi si tolse l’auricolare e l’appoggiò con un sospiro sopra la consolle.
Scotty fece per avvicinarsi e metterle una mano sulla spalla, ma esitò.
-Ascoltami, Nyota- le disse portandosi le mani ai fianchi –Spock è riuscito a mirare ad un proiettile con un proiettile più piccolo, con una benda sugli occhi e stando in groppa ad un cavallo6-
Uhura aggrottò le sopracciglia, confusa.
-Cosa?- domandò, con uno sbuffo divertito.
Scotty sorrise e le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla
-Per lui, questo è un gioco da ragazzi. Vedrai, andrà tutto bene..- la rassicurò –Ora, vado! I miei bambini mi stanno aspettando!- esclamò, raggiungendo con pochi balzi il TurboLift.
Nyota si alzò dalla postazione e si voltò verso di lui, proprio mentre le porte cominciavano a scivolare sui cardini con un ronzio.
-Grazie, Scotty-
-Di nulla, milady- la salutò l’Ingegnere, sfiorando la tesa di un capello immaginario e rivolgendole un piccolo inchino.

 

***

 

(Kingdom Hearts I Original Soundtrack – Destiny’s Force)
Dante scattò in piedi e si accasciò contro la parete per non cadere di nuovo.
La guardia, scaraventata davanti all’entrata della sua cella da chissà quale forza, emise un grugnito e strabuzzò gli occhi, col sangue violetto che scorreva denso lungo il labbro sporgente.
Il medico deglutì a vuoto, col cuore che pulsava impazzito contro le costole e il respiro che usciva in ansimi brevi e gorgoglianti.
Il corpo esanime della guardia crepitò e divenne polvere rossa, che andò a mescolarsi il grigio del pavimento, brillando sopra le chiazze scure di sangue secco e fango.
L’uomo cercò di rimettersi in piedi, ma la debolezza gli attraversò le ginocchia come una scossa, costringendolo ad abbandonarsi nuovamente contro il muro, mentre gli altri, pochi schiavi che erano rinchiusi con lui in quell’ala dei sotterranei gridavano per la sorpresa ed il terrore.
Il medico si portò una mano alla nuca, laddove sentiva ancora il Contatto con Spock pulsare e ardere come fosse una fiamma e gemette, lasciando cadere la testa contro il petto e scivolando carponi a terra.
Ignorò il rumore secco e stridente delle sbarre che si piegavano, accartocciandosi su se stesse, troppo concentrato sul dolore intenso che gli martellava contro la testa, sempre più forte, sempre più vicino.
Si raggomitolò su se stesso, con la ferita del Legame che si propagava come lava incandescente lungo il collo, la schiena, gli arti, ribollendo dietro le palpebre, nelle vene, gorgogliando dentro i polmoni, incenerendogli il cuore.
Due mani lo afferrarono per le spalle e lo costrinsero ad alzare gli occhi.
-Dottore, dobbiamo andare-
-Spoc..Spock!- boccheggiò Dante, portandosi le mani al volto e affondandovi le unghie –Basta, ora…Basta!-
Il Vulcaniano annuì e gli posò le dita sulla tempia sinistra.
Gli occhi del medico divennero opachi, poi si rivoltarono dietro le orbite e il suo corpo, privo di sensi, si abbandonò contro il petto del Primo Ufficiale.
Spock si alzò e affidò velocemente il dottore ad un membro della squadra di sbarco, facendogli segno perché si sbrigasse ad uscire da lì.
Si chinò  sul corpo del Vulcaniano ancora a terra, constatando che respirava ancora e che il battito cardiaco, seppur debole e più lento del normale, non era cessato.
Si caricò il ferito sulle spalle e si gettò fuori dalla cella; gli altri membri della squadra di sbarco incaricati di occuparsi di quel settore lo avevano già preceduto, portando con loro anche gli schiavi delle diverse razze rinchiusi nel sotterraneo.
Svoltò l’angolo e vide uno dei suoi compagni, il phaser ben stretto tra le mani, che lo aspettava, come d’accordo.
Gli fece un cenno sbrigativo con la testa e lo seguì lungo lo stretto corridoio, illuminato a tratti dalla luce traballante delle lampade ad olio fissate sul soffitto. Arrivarono all’entrata dei sotterranei, laddove varie strade si diramavano, perdendosi nel buio, verso gli altri settori e celle.
Sopra di loro, in cima alla scalinata che portava al piano superiore, Spock poteva sentire il crepitare dei phaser e del fuoco di copertura, le urla dei suoi compagni e delle guardie di Kharandel, e l’odore intenso e metallico del sangue.
A terra, davanti all’entrata di uno dei corridoi, giacevano due membri della Sezione Tecnica; accanto a loro, con una ferita che dal collo le arrivava fino al ventre scoperto, il corpo senza vita di una donna di Orione, i cui occhi, vacui, fissavano il vuoto, sbigottiti, come a chiedersi per quale motivo le fosse stata negata la salvezza.
Spock si tese, ogni senso all’erta per cogliere il minimo segno dell’aggressore, quando, nel buio di una delle entrate dietro di lui, udì un ringhio. Si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere una delle guardie balzare dalle tenebre, un’ascia bipenne tra le mani tozze.
Indietreggiò e l’avversario si piegò sulle gambe bitorzolute, snudando le zanne impiastrate di saliva verdastra, per poi darsi la spinta in avanti e spiccare un salto. Il Vulcaniano percepì il ronzio sommesso di un phaser dietro di lui e si scansò.
Il flusso energetico gli sfiorò la guancia destra e andò a schiantarsi contro il petto della guardia, che sgranò gli occhi emettendo un ruggito incredulo. Il corpo massiccio venne sbalzato all’indietro, contro i cardini e gli infissi di una delle entrate. Ci fu un boato tremendo e il terreno franò, bloccando così l’accesso al corridoio.
-Signor Spock, state bene?-
Il Primo Ufficiale rimase qualche istante in silenzio, osservando attonito le pietre che intrappolavano i suoi uomini e gli altri schiavi: poteva sentirne le urla, i colpi di tosse dovuti alla polvere, il rantolo di qualcuno rimasto sotto le macerie e il pianto di convulso di chi si era visto strappare via la libertà ad un passo dal raggiungerla.
-Signor Spock, dobbiamo andare!-
-Sì..- rispose il Vulcaniano annuendo e voltandosi verso il compagno, bianco in volto e con la mascella contratta –Avete ragione. Andiamo, signor Marrow-
 Fecero per salire la scalinata, quando dal’ingresso davanti a loro uscì un altro membro della squadra di sbarco: portava fra le braccia una donna sull’orlo dell’incoscienza, col sangue che le scorreva lungo le gambe e la testa abbandonata contro il petto. Dietro di lui, altre due donne, il volto e gli abiti laceri chiazzati di rosso, gli occhi sgranati e le labbra livide.
Spock fissò il phaser che la più minuta teneva fra le mani, poi alzò lo sguardo.
-Il Tenente Kane- mormorò l’uomo che teneva fra le braccia la donna svenuta –Non ce l’ha fatta-

 

***

Kirk rotolò dietro il divano bitorzoluto, si inginocchiò e si sporse dallo schienale, facendo fuoco.
Una delle guardie di Kharandel fece scudo al suo signore col proprio corpo, muggendo come un toro inferocito e disintegrandosi all’istante.
Il mercante schioccò la lingua contro il palato e si gettò carponi sul pavimento, proprio mentre un altro colpo di phaser proveniente da destra lo sfiorava al fianco.
Jim ringhiò e si lanciò fuori dalla sua barriera improvvisata, ignorando le urla dei suoi compagni.
Tese le braccia, pronto a far partire il colpo, quando si sentì afferrare alla caviglia e gettare a terra; gemette, il gusto metallico del sangue che gli riempiva la bocca, e si voltò: una delle guardie, che lui credeva, se non morta, almeno tramortita, lo stava fissando con occhi di fuoco, il sangue violaceo che colava dalle zanne ricurve.
-Mollami!- gridò, puntandogli contro il phaser.
La scarica energetica lo raggiunse al centro della fronte e la guardia rimase con gli occhi fissi ancora per qualche istante, sbigottito, prima di lasciare la presa e polverizzarsi.
Kirk fece leva sulle braccia per tirarsi in piedi, storcendo le labbra a causa del dolore che gli attanagliava la gamba.
Dovette cambiare strategia quando un’altra guardia si erse davanti a lui, calando l’ascia con un sibilo: rotolò ancora, sfuggendo al colpo altrimenti mortale, ma andò a cozzare contro il tavolino basso posto al centro della stanza.
Alzò lo sguardo e vide la guardia ridere della sua risata gutturale mentre alzava l’ascia per menare un altro fendente, poi un lampo, un grugnito e divenne polvere.
-Tenente Heinrich!- ansimò Jim, rivolto all’uomo davanti a lui –Mi avete salvato la vita..-
-State bene, Capi..-
-Heinrich!- gridò Kirk, inorridito.
Il Tenente, un rivolo di sangue che gli colava dalle labbra, abbassò gli occhi velati e fissò incredulo la lama rossa che gli aveva trafitto il petto. Il suo corpo ebbe un sussulto quando il pugnale venne estratto con velocità e ferocia, poi cadde a terra, senza vita.
Jim boccheggiò, mentre Kharandel si portava l’arma alle labbra e ne leccava il filo insanguinato.
-Bastardo!- gridò, alzandosi in piedi e gettandosi goffamente contro il mercante.
Il dolore alla caviglia gli annebbiò la mentre per qualche istante, proprio mentre atterrava l’avversario e cercava di tenere il pugnale lontano da sé; dovette rinunciare al phaser per impedire all’altra mano dell’avversario di chiudersi attorno alla sua gola.
-Maledetto- sibilò il Capitano, cercando di bloccare le braccia di Kharandel –Maledetto!-
-Per ogni mio uomo ucciso- soffiò l’altro, gli occhi ridotte a due fessure opalescenti –Sette dei tuoi dovranno morire!-
-Scordatelo!-
Kirk strinse la presa attorno ai polsi del mercante, il pugnale talmente vicino al viso da potervi scorgere il proprio riflesso e sentirne la punta fredda contro lo zigomo.
-Muori, cane!- abbaiò Kharandel, gonfiando le guance e sputandogli in faccia.
Jim girò il viso e l’altro approfittò di quell’attimo di distrazione, per ribaltare le posizioni.
-Ora sono io ad avere il coltello dalla parte del manico- ridacchiò, librandosi con uno strattone dalla presa di Jim e schiacciandogli la caviglia dolente con il piede palmato.
Il Capitano gridò, accecato dal dolore, ma tese in alto le braccia, cercando di afferrare nuovamente i polsi del mercante e salvarsi la vita. Il pugnale calò su di lui con uno scintillio, ma uno dei suoi uomini apparve con un balzo alle spalle di Kharandel; il mercante, percepito lo spostamento d’aria, si voltò e gli tagliò la gola con uno scatto repentino del polso.
Seppur nauseato dall’odore del sangue e della morte, Kirk prese un respiro affannoso e usò le ultime energie rimastegli per ribaltare di nuovo le posizioni.
Il sacrificio di LeBoeuf non sarebbe stato vano..
Il mercante rise
-Ora due tuoi uomini sono morti Kirk! Altri cinque e potrò ripagare la vita della guardia che mi hai ucciso!-
-Sogna pure, bastardo!- e Jim lo colpì al viso con un pugno e poi un altro e un altro ancora.
Non aveva più la forza per trattenere le braccia di Kharandel, ma avrebbe continuato a colpirlo senza tregua per impedirgli di levare il pugnale contro di lui.
Colpiva per disperazione, per rabbia, con l’incoscienza che montava come la marea, annebbiandogli la vista, oscurandogli la mente, ma con le immagini di Heinrich e LeBoeuf che lampeggiavano senza sosta davanti ai suoi occhi, che si frapponevano al volto tumefatto del mercante e gli davano la forza di colpire ancora, e a ancora e ancora.
Il sangue grigiastro di Kharandel sulle nocche si mischiò al suo e a quello dei suoi uomini e delle guardie, in un impiastro denso, caldo, viscido.
Vedeva Kharandel, solo Kharandel, che lo scherniva, lo derideva, agitava il pugnale, uccideva Heinrich e rideva, uccideva LeBoeuf e ghignava, sibilava, coperto di sangue scarlatto, di sangue grigio, ma continuava a ridere, oppure gemeva?, senza sosta, rideva, rideva e rideva e lui non vedeva altro che il suo sporco sorriso, ma era sangue quello che gli colava dalle labbra?, e il suo volto contratto dalla ferocia, dallo scherno, sembrava non avere più un volto, i denti brillanti e aguzzi tra le labbra seriche, atteggiate al sorriso e al ghigno, i denti macchiati di saliva verdastra e sangue grigio, sparsi sulle labbra rotte e la faccia sfigurata dai pugni, e vedeva lui, solo lui, il resto era nebbia, nebbia e sangue, sangue e nebbia, grigio e scarlatto, scarlatto e grigio, e urla, urla, urla, solo urla, urla, urla..
-Capitano!-
Un braccio forte lo trascinò via dalla nebbia di sangue e follia che l’aveva avvolto, costringendolo in piedi, nonostante il dolore, nonostante la rabbia.
-Jim!-
Un sussurro, forte e deciso, un richiamo disperato, un appello alla coscienza.

-Ho perso il comando. Non ho più il comando sui miei uomini!-
Due mani ferree attorno alla gola, il respiro caldo, ansante, sul viso. Gli occhi vacui, persi in un sogno, in un incubo.
-Capitano..-
Nebbia, ancora nebbia, nei suoi occhi e nella sua mente, nel suo sguardo smarrito in un’illusione, nella paranoia, nella paura, preda della sua Bestia.
-Jim-7

Kirk sbatté più volte le palpebre, la mente che faticava a tornare lucida.
Spock era accanto a lui, poteva sentirne il fiato caldo contro il viso, gli occhi scuri che cercavano il suo sguardo, le dita strette al suo braccio, una presa salda, sicura.
Un appello alla coscienza.
-Sto..sto bene, Spock- mormorò deglutendo a vuoto e fissando il viso martoriato di Kharandel ai suoi piedi.
Dio, con che rabbia si era accanito contro di lui..
-Capitano, dobbiamo andare- e sebbene il tono del Vulcaniano fosse neutro come sempre, Jim non faticò a coglierne la nota d’allarme e urgenza.

 

***

 

-Sulu! Mi senti, Sulu?-
-Capitano!- Hikaru raggiunse in fretta la consolle per le comunicazioni della Odysseus –La sento, Capitano!-
-Dica..dica al dottor McCoy..nell’hangar, con..tutta la squadra..sti..stiamo arrivando-
-Molto bene, Capitano-
Sulu si affrettò a chiamare l’Infermeria, incurante degli sguardi che lo avevano seguito fino a quel momento.
Quando ebbe chiuso la comunicazione, rimase qualche istante in silenzio.
La voce di Jim era..strana.

 

 

 

 

1Chiesa di San Pietroburgo realmente esistente. Non è bellissima? http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/db/Chiesa_del_sangue_versato.JPG/300px-Chiesa_del_sangue_versato.JPG
2Sì, so che Leningrado è l’odierna San Pietroburgo, però, dato che nella TOS Chekov parlandone la chiama, ovviamente visto che il nome è stato cambiato nel 1991, “Leningrado” (Episodi: Troubles With Tribbles” e “I, Mudd) e considerando che nell’XI è cambiata solo la linea temporale degli eventi, ho voluto mantenere il vecchio nome della città, come al tempo di papà Roddenberry ^_^
3Detto tipico dell’Universo Trekker. Chi mi dice chi lo ha pronunciato, in che film e in quale occasione vince un peluche di Spock XD
4La data è sparata beatamente a caso. Ho provato con lo Stradate Calculator, ma inizia a contare gli anni dal 2284 e quindi..*sigh
5Ovviamente mi sto rifacendo alla Uhura versione Zoe Saldana. Non che Nichelle Nichols fosse brutta XD Au contraire!
6”Però, se anche io credessi che lei viene da un futuro ipotetico e che io ho fatto quello che dice, cosa a cui io non credo, mi parla di teletrasportarci sulla Enterprise mentre viaggia più veloce della luce, senza una piattaforma di ricezione […] Il Teletrasporto a Transcurvatura è come mirare ad un proiettile con un proiettile più piccolo, con una benda sugli occhi e stando in groppa ad un cavallo!”  (Star Trek XI: Il Futuro Ha Inizio)
7Se mi dite di che situazione stiamo parlando e da quale episodio è presa, oltre al Peluche di Spock della nota 3, vincente anche il peluche di Bones e Kirk!

 

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale: 64137.5
*arriva trascinandosi e strisciando* Puff..pant..Oh per il santo Roddenberry! Scotty, sei terribile da mantenere IC!! Anche perché non sei ancora Scotty, cioè, sei Scotty, ma non sei Scotty, sei il prequel di Scotty, sulla buona strada per diventare lo Scotty che tutti conosciamo..che casino @_@
Quella e la parte con Kirk che combatte con Kharandel sono state le più difficili da scrivere, non tanto per la situazione, quanto perché mi sono lasciata un po’ trascinare –un po’ tanto- e quindi ho paura di essere andata, come dire, sì, ecco, OOC.
Soprattutto con Kirk.
Ho paura di averlo fatto un po’ sanguinario. Un po’ tanto. *deglutisce a vuoto*
Che macello XD Tra guardie, schiavi e uomini muore un po’ di gente..a questi punti mi viene il dubbio di essere io la sanguinaria e la sadica e non Kirk piSSicologicamente andato.
Uhm. Debbo ponderare su codesto punto.

 

Angolo delle Recensioni

 
Thiliol:
Lo ammetto, sono una pessimista cronica e ipercritica con i miei lavori XD Però sono felice che non sia venuto uno schifo! Grazie ^_^

 
Sidereal Space Seed: Ma che figata il tuo nuovo nick! Mi piace da impazzire *_* Complimenti per la scelta!
Oggi, invece, la casa vi propone un piatto di combattimenti, con contorno di tormenti interiori, con un pizzico di interferenze mentali per dare più gusto al tutto *Modalità Cameriere: ON*
Non credo che riusciremo mai a perdonare Abrams per quello che ha fatto ç_ç
Tra le altre cose ho scoperto non è la prima volta che Vulcano viene distrutto! Mi sono vista la prima parte di Star Trek: Of Gods and Men –il film fatto dai fan con un cast anche di vecchi personaggi, come Uhura o Pavel –CHEKOOOOV!!!!..Ehm- e lì, badim e badàm, Vulcano viene distrutto perché neutrale. –Anche lì, casini temporali a non finire e Charlie –sai, quello di Charlie X?- che ne combina di tutti i colori-
Mi sa che i produttori Trekker sono un po’ maniaci della distruzione di pianeti XD
Massì, dai, un punto a Perrin, dai!
Spero che il periodo nero sia migliorato ^_^

 

Lady Amber: Sì, povero Nero! *tira su col naso* Adesso voglio un po’ cercarmi il fumetto e vedere un po’ come l’han fatto..
Visto, c’è Dante! Anche se per poco, ma c’è! XD

 

Persefone Fuxia: Grazie ^^ E’ stato abbastanza difficile e mi sono ispirata alla reazione di Spock in non mi ricordo bene quale episodio della TOS. Anche se i poteri mentali dei Romulani sono un poco più deboli dei Vulcaniani, credo che l’esplosione di un pianeta e relativa morte degli abitanti abbia “leggermente” mandato in tilt le loro sinapsi! Quindi, se la reazione di un Vulcaniano per la morte di..quanti erano? Un centinaio o più di Vulcaniani, ho provato ad immagine un Romulano con la morte di milioni e milioni di Romulani.
Muahahaha. E fra poco la cosa si farà ancora più oscura!

 
MkBDiapason [Recensione: Capitolo 1: Fuggire dall'Ombra di Se Stessi [Anno: 2261]] Ma figurati, nessun problema! Un recensore non è mai in ritardo, né in anticipo! Recensisce sempre quando intende farlo!
Oh! Una fan di Final Fantasy! E del IX, anche! ç_ç Mi commuovo! Anche io adoro il IX, è stato il primo cui io abbia mai giocato e a cui mi sia così affezionata! (Il primo CD lo so praticamente a memoria..)
Evvai! Cercherò in ogni modo di evitare che il germe Mary Sue, intacchi le mie povere creaturine!
Un misto di NuKirk e KirkPrima? Uhm. Fascinating! Con il carisma del Prime, col suo sguardo e capelli, ma col fisico del Nu. Na, ma che eresia vado dicendo? Kirk non sarebbe Kirk senza un po’ di quella pancettina sul davanti che lo rende adorabile! XD
Sono contenta che questo Kirk ti sia piaciuto! *inchino*

 

MkBDiapason [Recensione: Capitolo 3: Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387]] In effetti, avevo una villetta accanto alla casetta di Spock, poi i Vulcaniani mi hanno cacciato e diffidato perché non mi staccavo un secondo dal nostro Primo Ufficiale. E visto che non si fidavano a mandarmi su di un altro pianeta, mi hanno spedita indietro nel tempo. Eh, ma quando la mia macchina del tempo sarà pronta…XD
Grazie mille ^^
Più che pazienza, sono completamente matta! XD

  Ringrazio inoltre: Pimplemi_chan, Persefone Fuxia, Lady Amber e MkBDiapason per aver commentato la mia ultima One-Shot: “’Cause She’s Loving Him Still, After All This Time” [SaavikxDavid]

Bon, Spock non mi ha ancora scoperta dall’ultima recensione! Ah-ah! Lo sapevo che travestirsi da ficus benjaminus sarebbe servito!
Alla prossima!
 Tai Nasha No Karosha!

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Di'Ranov! [Anno: 2387] ***


2387(2)

Capitolo 6
Di’Ranov!

Anno: 2387

(Kingdom Hearts I Original Soundtrack – Night Of Fate)
-Ambasciatore! Ambasciatore Spock! Mi sentite?!-
La voce di Berz’uk esplose nel silenzio irreale della Jellyfish. Il tono era urgente, affettato e una lunga nota di terrore e incredulità vibrava nella voce roca del mezzo Klingon.
Spock alzò di scatto la testa, richiamato alla realtà, strappato via con forza dal suo stato di nebbia e dolore, e si rimise in piedi, barcollando appena sulle gambe rese deboli dalla disperazione. Raggiunse la cabina di pilotaggio, ma prima che potesse aprire la comunicazione con Starfleet, il visore accanto cominciò a lampeggiare come impazzito, segnalando che la Narada stava armando i phaser.
-Nero!- boccheggiò, chiudendo il canale di Berz’uk per aprirne un altro con la nave del Romulano.
Mandò la richiesta di un confronto a voce su tutte le frequenze, mentre il pilota automatico portava la Jellyfish a distanza di sicurezza dal Buco Nero, in modo che non fosse attratta inesorabilmente dalla sua forza di gravità.
-Ashenauka fo-dane’hi!1-
Una spia rossa si accese sulla consolle di comando; palpitò per un istante, poi divenne verde, ad indicare che gli scudi erano alzati e al massimo della potenza. Mentre le comunicazioni venivano rifiutate una dopo l’altra, Spock armeggiava con gli altri comandi.
Si preparò a fare fuoco, anche se preferiva non dover ricorrere ai phaser, e spostò la schermata con i dati relativi agli scudi su di un visore più vicino alla cloche.
-Nero..- mormorò –La rabbia ti distruggerà-
Premette un altro pulsante.

Shati-hashek. Ska’at2.
Annunciò la voce metallica della Jellyfish.
Nello stesso istante in cui il primo colpo di phaser partiva dalla Narada, Spock riprese il comando della Nave e virò a destra abbastanza in fretta da subire solo un lieve danno agli scudi.

Fo-dane. Te’to Sateh3.
Il visore che teneva sotto controllo la Narada cominciò a lampeggiare furioso, indicando che altri due colpi di phaser erano stati lanciati dalla Nave.
Spock strinse la cloche e si preparò a schivarne almeno uno.
Riuscì a spostare la Jellyfish in modo da evitare il primo phaser, ma la potenza del secondo lo mandò a cozzare contro la consolle. Il sapore metallico del sangue gli riempì la bocca, colando denso dalle labbra.
L’Ambasciatore raddrizzò le spalle, asciugandosi il volto col dorso della mano e tornò a stringere la cloche fra le dita, cercando di mettere una certa distanza fra sé e la Narada.

Fo-dane. To’i’ Sateh.4
Virò a destra, sempre tenendo sotto controllo il pannello della Nave Romulana che aveva rinunciato ad attaccare per quel momento e cercava di raggiungerlo. Spock si apprestò ad attivare la velocità Warp, ma la voce metallica lo informò, crepitando
Tchas-threshan. Qilit’woi vitorau.5
-No..- scrollò il capo, deglutendo a vuoto,e riaprì il canale delle comunicazioni con Starfleet.
Il volto corrucciato di Berz’uk comparve sul visore, scosso a tratti da alcune interferenze.
-Ambasciatore!- esclamò il mezzo Klingon –Cosa sta succedendo?-
-Ho bisogno di parlare con l’ingegnere Wolowitz- lo interruppe Spock, lasciando Berz’uk a fissarlo con sguardo vacuo dal pannello.
-Ambasciatore..-provò, ma la comunicazione venne interrotta e sostituita da uno degli altri computer di Starfleet.
-Spohkhkan!6 – gridò T’Lenna, gli occhi accesi da un biancheggiare continuo di emozioni contrastanti -Qa-ra tor-mu? Sahr-tor’ka sa-tra’!7-  lo implorò.
-Bokelau th’ variben Wolowitzkam’ha8- l’Ambasciatore vide lacrime di delusione scintillare sulle ciglia scure della nipote, come piccoli cristalli di ghiaccio lucente -Nirsht-pon fanweht9-
T’Lenna prese un respiro profondo, col labbro che tremava.
La donna chiuse gli occhi e si girò, coprendo il visore con la mano e trasferendo la chiamata.
Nel momento stesso in cui il volto smunto e affilato dell’ingegnere tremolava sul pannello, l’Ambasciatore ricevette una richiesta di comunicazione da parte della Narada, che troneggiava nera contro l’oscuro Universo.
-Ambasciatore!- ansimò Wolowitz, balbettando, ma Spock spense il visore, mentre la voce tagliente e pregna di rancore di Nero si faceva strada nel silenzio carico di attesa della Jellyfish.
-Ci avete tradito, Spock- ringhiò il Romulano, un rivolo di sangue smeraldo che colava dalla fronte, laddove si era inciso con ira e disperazione volute di inchiostro nero –Voi e Vulcano-
-No!- ribatté l’Ambasciatore, con un movimento deciso del capo –Il Nucleo della Nana ha cominciato a fondersi prima di quanto ci fossimo immaginati, io ho provato..-
-Tu hai fallito- sibilò Nero –Per colpa tua Romulus è distrutto!-
Le urla, i pianti, il dolore, la rabbia palpitarono nella mente di Spock, che sentiva il proprio cuore strappare un battito egoista  per ogni Romulano morto a causa sua. Lui era sopravvissuto, gente innocente aveva perso la vita. Uomini, donne e bambini..cosa avrebbe fatto se anche sua moglie e suo figlio fossero stati sul pianeta?
-Tu non puoi capire- l’astio e la disperazione si mescolavano nella voce di Nero, impossibile capire quale sentimento prevalesse sull’altro –Ma forse..se anche tu perdessi ciò che hai di più caro..tua moglie e tuo figlio, scampati alla distruzione che tu hai provocato..forse capiresti-
A quelle parole, Spock alzò la testa di scatto
-Non puoi farlo, Nero!-

 

***

-Wolowitz, ma cosa succede?- Berz’uk si gettò senza tante cerimonie sulla postazione dell’ingegnere, prendendo l’uomo per le spalle e scuotendolo con forza –Perché hai interrotto la comunicazione?-
-Non sono stato io!- si difese l’altro, soffocando un gemito mentre il mezzo Klingon aumentava la stretta –E’ stato l’Ambasciatore..-
-La Jellyfish ha armato i phaser!- gridò M’Shien, alcune postazioni accanto a quella di Wolowitz –Si sta preparando ad attaccare la Narada!-
-Attaccare?!- Berz’uk lasciò andare di colpo le spalle dell’ingegnere, che cozzò con malagrazia contro lo schienale della sedia.
 –Perché non usa la velocità Warp?- domandò confuso il mezzo Klingon, aggrottando la fronte e schiacciando alcune icone sul pannello  di M’Shien –Perché non si salva la vita?-
-I motori non possono sopportare la velocità Warp- ammise Wolowitz, barcollando verso la postazione della Caithiana e massaggiando le spalle doloranti –L’Ambasciatore ha preteso troppo usando la massima velocità per raggiungere Romulus. Fortunatamente la Nave non è esplosa, ma alcuni circuiti sono fuori uso per il sovraccarico-
-E me lo dici adesso?- abbaiò Berz’uk, voltandosi di scatto e colpendo l’uomo alla mascella, facendolo crollare a terra.
Wolowitz gemette e cercò di rimettersi in piedi, sputando sangue scarlatto e pulendosi le labbra rotte con il dorso della mano.
Un silenzio irreale esplose assordante nella stanza. Gli occhi dei presenti erano tutti fissi su Berz’uk che ansimava come una belva, lo sguardo opalescente per la rabbia, con Wolowitz che, ancora a terra, lo guardava incredulo, le guance arrossate per la vergogna e il colpo ricevuto, la bocca sporca di sangue.
Il mezzo Klingon rimase ancora per qualche istante a ringhiare, poi si voltò di scatto e corse via.

 

***

-Vi’proi fasei Yel-Halitra, Seredok’kam10-annunciò T’Len, voltandosi a guardare il Vulcaniano che, alcune postazione più in là, fissava con occhi freddi il pannello con i dati relativi alla Jellyfish.
-Kov-guhsh te’11- rispose flemmatico quello, mentre la donna annuiva e premeva alcuni pulsanti sulla consolle davanti a lei.
-Pace e Lunga Vita, Berz’uk’kam- salutò Seredok con voce neutra, senza nemmeno degnarsi di guardare chi ci fosse effettivamente sullo schermo 7.
-Non sono Berz’uk, Seredok-
Le narici del Vulcaniano si dilatarono per l’ira e le labbra divennero solo una striscia nera sul volto dagli zigomi alti; gli occhi avvamparono e si sgranarono appena, con le dita che artigliavano il bordo del tavolo lucido e le nocche che sbiancavano per la presa ferrea.
-T’Lenna- cominciò con voce tesa, evitando qualsiasi suffisso, persino quello più famigliare. T’Lenna non era nemmeno degna di mostrare il proprio volto agli abitanti di Vulcano, figurarsi avere una qualche considerazione anche a livello sociale. -Qa-ra..-
-Cuciti le labbra e ascoltami- lo zittì la Vulcaniana senza troppe cerimonie.
Seredok serrò la mascella e assottigliò lo sguardo, facendo per controbattere, ma T’Lenna lo interruppe ancora.
-L’Ambasciatore non può più utilizzare la velocità Warp-
-Lo sappiamo- le ricordò il Vulcaniano con un moto di sdegno e parlando come se ogni parola nella lingua terrestre gli costasse un enorme sforzo –Teniamo noi la Jellyfish sotto controllo-
-Bene, bravi- si complimentò con un ringhio T’Lenna –Dovete mandare delle navette di supporto a Spock per aiutarlo contro Nero-
Seredok premette alcuni pulsanti, confrontando i dati degli armamenti della Jellyfish con la potenza dei phaser della Narada, poi attinse agli archivi di Vulcano e calcolò le possibilità che avevano le più veloci di raggiungere l’Ambasciatore in tempo utile.
-Nessuna delle nostre navi potrebbe arrivare nel tempo necessario- ammise, scuotendo il capo –Sono tutte troppo lente rispetto alla Jellyfish. La più veloce delle nostre potrebbe arrivare al Buco Nero di Romulus entro un’ora punto trenta-
Seredok osservò senza parlare la giovane Vulcaniana che si mordeva il labbro inferiore
-Se questa nave andasse al massimo consentito dalla velocità Warp?- chiese T’Lenna, ma il Vulcaniano notò che non si stava riferendo a lui, ma ad una persona che la donna aveva accanto a sé.
Decise comunque di rispondere, visto che aveva i dati delle Navi sul pannello ed aveva già fatto tutto i calcoli necessari.
-A massima velocità Warp, la nostra Nave esploderebbe-
T’Lenna sbatté più volte le palpebre, poi si girò e inarcò un sopracciglio.
-Esploderebbe sicuramente o probabilmente?-
-C’è il 97.5% di possibilità. Il che significa..-
-Che c’è il 2.5% che non lo faccia- concluse la Vulcaniana –Quindi potrebbe farcela-
-Non può farcela, è illogico-
-Il mondo non è basato sulla logica. È fondato sul Caso-
-Non intendo proseguire questa irrazionale discussione- sibilò Seredok –E’ ovvio che io non possa fidarmi del tuo giudizio, così ottenebrato dalle tue emozioni e dal desiderio di salvare a tutti i costi la vita di tuo zio-
T’Lenna fece per replicare, ma una mano tozza le si posò sulla spalla e il Vulcaniano si ritrovò ad affrontare lo sguardo ardente di Berz’uk.
-Allora continui la discussione con me- replicò, con un ghigno di sfida sulle labbra carnose –Io sono ottenebrato dal desiderio di salvare a tutti i costi una vita innocente-
Seredok non disse nulla, ma si limitò a prendere un profondo respiro, le narici dilatate e bianche per la rabbia e l’indignazione crescenti.
-Qual è la vostra Nave più veloce?- chiese il mezzo Klingon e il Vulcaniano osservò impassibile le dita tozze armeggiare contro il pannello.
-La Goldenhawk- rispose –Ma come vi ho già detto..-
-Sfrutteremo quel 2.5% di possibilità, allora- lo interruppe Berz’uk, alzando gli occhi scuri –Con l’Ambasciatore ha funzionato-
-Ma si è ritrovato senza la possibilità di usare la velocità Warp- gli ricordò Seredok, tentando di mantenere la calma.
-Se Nero venisse eliminato prima di poter creare problemi, la Goldenhawk e la Jellyfish potrebbero arrivare alla prima Base Spaziale a velocità d’impulso e da lì essere recuperati da altre navi-
-Il ragionamento di per sé potrebbe avere una qualche logica, ma c’è solo il 2.5% di possibilità che i motori della Goldenhawk non esplodano e comunque la nave non potrebbe arrivare prima di venti punto quattro minuti, anche a massima velocità Warp-
Era un tentativo debole, Seredok lo sapeva: Berz’uk aveva già preso la sua decisione. Ma lui, lui che era stato messo a capo della spedizione dell’Accademia Vulcaniana, cosa avrebbe fatto?
La logica gli gridava che non c’erano speranze, che l’Ambasciatore avrebbe dovuto combattere Nero da solo e da solo arrivare alla Base Spaziale più vicina. Le parole di T’Lenna erano, però, come il ronzare fastidioso di un insetto: fioco, ma costante, continuava imperterrito a vibrare dentro di lui e già la sua mente lavorava febbrile nel calcolare nuove funzioni ed equazioni per il possibile intervento della Goldenhawk.
-E sia- mormorò Seredok annuendo.
Lo schermo gli restituì il sorriso stanco di Berz’uk e il lampo di soddisfazione di T’Lenna.
-Shitau’ka mek’te hali-kel’te se’kan12- ordinò secco il Vulcaniano, mentre inviava ai cancelli i permessi necessari alla loro apertura al passaggio della Goldenhawk -Seruk’kan, Goldenhawk’ha svi’ri’a sfek ru’a lirt’ke 13-
Accadde all’improvviso.
Inviato l’ultimo permesso, ci fu un crepitare e i visori si spensero, tutti nello stesso momento.
Esclamazioni di stupore si levarono dalle postazioni, unito al ticchettare frenetico delle dita sui pannelli e sulle tastiere e al suono fastidioso e prepotente che segnalava il negato accesso alle funzioni dei computer.
-Qa’ra pamuvesh-tor?14- Seredok abbandonò la sua postazione, scivolando come un’ombra fra gli altri Vulcaniani, gli occhi scuri che saettavano da uno schermo all’altro, confusi.
-Tampring fasei svi-udish’he- gli rispose Syuker, scrollando il capo e provando ogni codice possibile per ripristinare le funzioni del terminale -Vashauzo torektra’hi ri-fainu tumak. Svi-shauzo hali-kel’te sviribaue.16-

 

***

 

-Cosa succede?!- Berz’uk diede un colpo al visore, ma quello si limitò a tremolare, con la scritta “Comunicazione Interrotta” che lampeggiava scarlatta contro lo sfondo nero.
T’Lenna premette alcuni pulsanti sulla consolle, tentando e ritentando codici e vie per ripristinare il contatto con l’Accademia delle Scienze di Vulcano, ma ogni cosa risultava inutile.
La scritta non accennava a sparire, ma pareva quasi ridere del loro terrore e della loro inefficienza.
-Non riesco a rimettermi in contatto con Seredok- ringhiò la Vulcaniana, colpendo la consolle con un pugno –Non capisco cosa sia successo!-
-Perché hanno interrotto la comunicazione?- Berz’uk fece spostare T’Lenna di lato, sperando di riuscire a ripristinare le comunicazioni, ma sapeva che se non c’era riuscita lei, lui avrebbe avuto ben poche speranze.
Il mezzo Klingon assottigliò lo sguardo, poi agguantò l’umano seduto alla postazione accanto a quella di T’Lenna e lo spinse via, sedendosi al suo posto. Armeggiò per alcuni istanti sul suo pannello, poi aprì un altro canale di comunicazione.
-Cooper! Hofstader!- abbaiò, mentre il volto allungato del primo si affiancava a quello occhialuto del secondo –Pena la corte marziale, ditemi cosa sta succedendo!-
-Sembra che qualcosa abbia tagliato ogni comunicazione con l’Accademia di Vulcano- gli rispose il dottor Cooper, mentre il suo collega si voltava e tornava velocemente a lavorare sul suo computer.
-Dimmi qualcosa che non so, stupido Vulcaniano senza le orecchie a punta!- il mezzo Klingon riusciva a stento a controllare la preoccupazione e la paura, se si aggiungeva anche la razionale idiozia di quel Vulcaniano mancato che era il dottor Cooper, non era sicuro di poter reprimere l’istinto omicida e la sete di sangue che si stavano già arrampicando con unghie scarlatte lungo la gola.
L’uomo dietro il visore annuì
-Secondo il dottor Hofstader potrebbe essere stato un intervento esterno alla sezione di Seredok e io sono propenso a pensarla allo stesso modo-
-Un intervento esterno?- Berz’uk corrugò la fronte, mentre T’Lenna gli si affiancava e prendeva la parola
-Intendete dire che qualcuno ha deliberatamente manomesso il sistema per impedire alla Goldenhawk di partire?-
-Questa è la nostra ipotesi- annuì Cooper –Adesso il dottor Hofstader sta cercando di entrare nel sistema periferico Vulcaniano per avere la conferma-
-Non posso crederci- la Vulcaniana scosse la testa con forza –Ormai Romulus è distrutto! Che motivo c’è per impedire alla Goldenhawk di andare in aiuto di Spock?-
-Non è logico- sussurrò il mezzo Klingon.
-Sono entrato nel sistema periferico!- esultò la voce di Hofstader dall’altra parte dello schermo.
-Oh, ben fatto Leonard- sul volto di Cooper comparve una smorfia che secondo il suo metro di giudizio doveva essere un sorriso –Passami i codici. Mentre tu cerchi di capire cosa ha mandato in frantumi il sistema, io voglio controllare la situazione nell’hangar-
-Per quale motivo?- T’Lenna inarcò un sopracciglio, e Berz’uk, a quelle parole, alzò la testa.
-E’ proprio come ha detto lei, signore- spiegò il dottor Cooper, accennando al mezzo Klingon –Non è logico-
Berz’uk e la Vulcaniana si scambiarono uno sguardo confuso, poi tornarono a rivolgere la loro attenzione all’uomo dietro al pannello. Quando lo videro sbiancare, un brivido freddo gli corse lungo la schiena.
-La Goldenhawk…- deglutì a vuoto, con gli occhi sgranati –E’ sparita-
-Ma non è possibile!- ribatté T’Lenna –I permessi per l’apertura dei cancelli..-
-Secondo i dati- cominciò Cooper, mentre alcuni schemi gli nascondevano in parte il volto -I computer si sono bloccati non appena l’ultimo permesso è arrivato alla centralina dell’hangar. È stato quello a far scattare..-
-E’ un virus!- gridò Hofstader, togliendosi gli occhiali per poi pulirli con un lembo della maglia e rimetterli con un gesto veloce e goffo –Oh Grande Uccello della Galassia!- imprecò grattandosi la nuca con scatti nervosi delle dita –Non ho mai visto niente del genere!-
-I codici per il canale di comunicazione della Goldenhawk, presto!- gridò la Vulcaniana, quasi gettandosi contro il pannello –Intimate a quel figlio di puttana che ha rubato la Nave di mettersi in contatto con noi, ora!-
Cooper annuì
-Eccolo, trovat..-
Un crepitio e gli schermi si spensero.
-No!- urlò Berz’uk, furioso –Il virus!-
Dietro di lui, T’Lenna rimase immobile, gli occhi sgranati e una lacrima che scivolò silenziosa lungo la guancia.
-Kirk’kam- sussurrò -Paluntunauka ow’kan’hi17-

 

***

(Star Trek XI Original Soundtrack – Labour of Love)
L’ignoto lo chiamava.
Le stelle vibravano e danzavano al ritmo di una canzone senza voce, che disperdeva nel vento siderale le sue mute parole. Il gorgo nero turbinava e allungava verso di lui le lunghe spire d’oscurità che schioccavano come le mandibole di una belva dagli occhi scarlatti nel nero dell’Universo.
Spock sapeva, l’aveva sempre saputo.
Il suo destino era legato a quelle spire di tenebra che si stagliavano ringhianti e scure contro la densa oscurità dello spazio: un nero ancora più profondo della notte, punteggiato di stelle, ma privo del loro bianco palpitare, affiancato dalla luna, ma senza il suo bagliore argentato.
Non aveva altra scelta.
Una vita per una morte, una morte per una vita. Un eterno ciclo di rinascita che già una volta lui aveva ingannato, ma solo perché la sua morte, in quel momento, non sarebbe servita. La morte su Genesis, cosa avrebbe cambiato? No, lui doveva vivere per abbandonare la vita anni e anni dopo, quando il ricordo di quel pianeta pulsante di vita non sarebbe stato che un’immagine sfocata e dolorosa del passato, dove la sua stretta forte e disperata non sarebbe diventata altro che soffio sottile della memoria e la sua voce un’eco crepitante e debole in una nicchia dell’animo.
Ora era giunto il momento che il sacrificio di David Marcus giungesse alla fine. Solo con la morte avrebbe permesso ad altri di vivere. Se voleva la salvezza per gli altri, avrebbe dovuto rinunciare alla sua.
Chiuse gli occhi, stringendo forte la cloche tra le dita e respirando a fondo, raccogliendo attorno a sé l’energia che risplendeva invisibile, come scie di luce cristallina, nelle pieghe dello spazio.
Era pronto, pronto per quel gesto così irrazionale ed impulsivo da essere la massima espressione della logica.

Perché le esigenze di uno, Spock, contano più di quelle dei molti.Non in quel momento, o forse sì, anche in quello.
L’esigenza di salvare i molti avrebbe sopraffatto il desiderio di rimanere e vivere e invecchiare e morire con loro. Ci sarebbe stato il ricordo, il dolore, la disperazione, ma sarebbero stati salvi.
Era egoista, perché voleva salvarli ad ogni costo, anche se per farlo era necessaria la sua vita.
Aprì gli occhi e nella sua mente si stagliò con violenza il bianco tremolante delle stelle.
Le stelle..l’Universo..Casa.
L’ultima immagine che avrebbe visto prima di lasciarsi cadere nel buio, sarebbe stata quella. Perché era in mezzo alle stelle, avvolto nel manto dell’Universo, che lui poteva dire di aver davvero vissuto.
Nell’Universo, fra le stelle, aveva amato, aveva odiato, aveva sentito l’affondo bollente della disperazione dentro di sé e il calore rigenerativo di una mano sempre pronta a posarsi sulla sua spalla per dargli coraggio, a stringergli il braccio per fargli sentire la vicinanza, a sorreggerlo quando stava per cadere.
Fra le stelle aveva conosciuto lei e con la sua vita nello spazio aveva forgiato il nome e la mente di suo figlio.
Nell’Universo, essere Umano e essere Vulcaniano non importava: si era uno e si era mille, ogni cosa e nulla, si era soli e si era insieme, lì, nel biancheggiare degli astri.
Quella era stata la sua casa e lo sarebbe stata per sempre, nella vita, come nella morte.
Come lui, il suo ultimo respiro solitario si sarebbe perso senza rumore nel respiro universale della Galassia.
-Io sono stato- cominciò e non diede importanza alle due lacrime che scivolarono bollenti lungo le guance scavate –E sarò sempre..tuo amico- prese un altro respiro, mentre un ansimo rinchiuso tra due veli scarlatti e il pianto di un neonato, colmo di vita, gli esplodevano nella testa –La mia vita e la tua. Ora e per sempre- un altro respiro, l’ultimo, prima del gelo –Tai nasha no karosha-
L’ignoto lo chiamava.
E lui sarebbe accorso, senza più esitare.
Solo, nel buio freddo dell’Universo, avrebbe spinto la Narada verso il Buco Nero, perché la forza di gravità lo trascinasse via, e con essa, anche lui sarebbe stato catturato da quel vortice violento e gorgogliante che lo chiamava a sé.
Questa volta, avrebbe affrontato l’ignoto da solo.
Era giunto il momento.

 

***

 

-No!- l’Ambasciatrice si alzò di scatto e gettò via le lenzuola, balzando con uno scatto felino verso la grande finestra e aprendola, incurante del vento, della debolezza, di Lady Perrin che aveva scagliato a terra con un ringhio, quando aveva provato a fermarla.
Si accasciò senza forze sulla ringhiera del balcone, boccheggiando, priva di fiato, con l’ossigeno che le incendiava la gola e i polmoni. La testa pulsava per il dolore, mentre il Legame si spezzava con uno schiocco secco e la disperazione e la solitudine si riversavano in lei come una cascata di fiamme incandescenti.
-No..- le ginocchia cedettero e scivolò lentamente a terra, con le dita ancora artigliate sopra la testa e gli occhi, sgranati, rivolti al cielo.
Nemmeno il ruggito del vento poteva sovrastare il silenzio assordante che l’aveva sopraffatta.
-La mia anima e la tua- sussurrò, la voce flebile, roca, ma senza una lacrima a rigarle il viso pallido e tirato –Ora e per sempre-

 

***

-Di’Ranov! Di’Ranov!-
-Tenetelo fermo! Tenetelo fermo!-
-Di’Ranov! Di’Ranov!-
Shral rimava immobile, la spalla pulsante dove le unghie del compagno erano affondate senza pietà, inorridito dalla scena, dai cinque infermieri che lottavano in un ondeggiare furioso di lenzuola, tentando di bloccare il Romulano sul lettino, dal dottor Aartsengel che abbaiava e latrava come una cane, con una siringa di sedativo tra le dita grassocce, dal lampeggiare continuo dei segni vitali sul monitor, dalle grida di orrore degli altri pazienti, dagli occhi folli del Romulano, dalla sua bocca spalancata, dal suo sangue verde che ribolliva nelle guance e colava lungo le labbra, mista alla saliva, bianca e schiumosa, dai suoi denti affilati simili a quelli di una bestia, dalle vene che svettavano gonfie sul collo, sulle tempie e sulla fronte.
Ma più di tutto, lo inorridiva quel lamento, quell’urlo, quella preghiera che usciva a rantoli e a pezzi e a frammenti insensati dalla bocca sanguinante e deformata dalla follia.

Di’Ranov.
“Padre”..

 

***

-Addio-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1”Alzare gli scudi!”

2”Pilota Automatico. Disattivato.”

3”Scudi. 98%”

4”Scudi. 80%”

5”Velocità Warp. Impossibile attivare”

6Qui T’Lenna invece dell’onorifico –kam utilizza il suffisso –kan, più famigliare

7”Cosa fai? Va’ via da lì!”

8”Devo parlare con Wolowitz”

9”Non c’è più tempo”

10”Una chiamata da Starfleet, Seredok”

11”Schermo 7”

12 “Mettetemi in contatto con l’hangar”

13”Seruk, alla Goldenhawk fra uno punto cinque minuti”

14 “Cosa sta succedendo?”

15Una manomissione dall’interno”

16 Un programma sconosciuto ha corrotto il sistema. Le comunicazioni con l’hangar sono state interrotte”

17 “Kirk..Veglia su di lui”

 

 

 

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale 64188.4
Non so cosa dire di questo capitolo. Non so, boh, è uscito così, da solo, soprattutto l’ultima parte.
A voi giudicare XD
No, forse una cosa c’è. Mi sa che i capitoli che posto sono un po’..corti ecco. Non so..boh. Aaaaah! Basta! L’avvicinarsi della scuola mi rende apatica, non va bene.
Forse un po’ troppe frasi in Vulcaniano? Ho paura di sì..però volevo mantenere l’illusione scenica. Però è una fan fiction..in una fan fiction si può mantenere una illusione scenica? Me confusa.
Nuooooooo! Ultima cosa..Tampring e met'ke non esistono davvero in Vulcaniano. Ma non trovavo il loro corrispettivo, e così...

 

Angolo delle Recensioni
 

Lady Amber
: Awwww! Me arrossisce! Il carattere di Scotty nel’XI credo si difficile perché, per quelle poche volte che compare, è una macchietta acerba, molto divertente, ma con poco spessore psicologico. Oh bhè, attenderemo il XII per il prossimo anno! (Sì, credo che sia nel 2011 che uscirà il XII..le ultime notizie che avevo sentito parlavano del ritorno di un grande Villain della saga. Alcuni dicevano anche Khan. Oh Great Bird of the Galaxy, help us!)
Eh eh, adesso il nostro Kirk dovrà vedersela con McCoy e anche col nostro amichetto con le orecchie a punta! Chissà come se le caveranno insieme McCoy e Dante? Due medici nello stesso territorio, chissà l’Ufficiale alfa? XP
E conosci anche Kingdom Hearts!
Ho le lacrime agli occhi per la commozione ç_ç
Oddeo O_O Mi vuoi davvero dire che ho chiamato il marito di Ida proprio come Russia?!..ho solo una cosa da dire a mia discolpa..VODKAAAAAA!

 
Persefone Fuxia: Spock è libero come l’aere! Naa, non riesco a scrivere delle Uhura/Spock, non riesco a gestirla come coppia >.< (XP)
Quella è una delle mie scene preferite! Tra le altre cose, sul Tubo c’è un video-parodia con una scena con le battute di Spongebob in inglese (se cerchi Spock obsession with chocolate dovresti trovarlo subito) e ogni volta che vedo la faccina di Kirk (quando dice “Ah, la mia mancanza di rispetto la fa arrabbiare, non è vero?”) non riesco a trattenermi dal piegarmi in due dal ridere. E poi la scena è fAIga. Mi fa venire in mente The Naked Time e The Other Side of Paradise (Tiè, Leila! Tiè!!!)

 Thiliol: Evvai! La mia lotta contro l’OOC si sta rivelando vittoriosa! Sono la fanwriters Spirkiana, sono Nemeryal! Sono qui per punirti, in nome dell’IC! (Okay, basta sclerare per Sailor Moon..Milord!!! *BIOTT*)

Persefone Fuxia(II): Ma grazie! Chissà, se mi viene l’ispirazione ne potrei fare altri simili ^^

 
Risoluzioni al giochino del capitolo precedente!

 
Nota 3: “Non fidarti del Romulano che porta doni” – Leonard “Bones” McCoy, Star Trek II: The Wrath of Khan
Nota 7:  And the Children Shall Lead”, Episodio 5, Terza Stagione

 

Ringrazio inoltre Rei Hino, Pimplemi_Chan e Persefone Fuxia per aver commentato “Ten Songs Challenge: Kirk/Spock”                                 

 E RICORDATE! IL PROGETTO “WHERE NO MAN HAS GONE BEFORE” HA BISOGNO DI VOI! NESSUNO SI E’ ANCORA PRENOTATO PER IL NUOVO EPISODIO! PARTECIPATE NUMEROSI!
(questa pubblicità non alcun fine di lucro..XD)

 

Grazie a tutte!
Tai Nasha No Karosha!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Alea Iacta Est [Anno: 2261] ***


2261(3)

Diario di Nemeryal, Data Astrale 64338.5
Visto? Come vi avevo promesso, ecco il nuovo capitolo di The Time Has Come For Us e si ritorna nel 2261!
Ragazzi, speriamo che non vi venga il mal di mare!
Stranamente non ho nulla da dire riguardo questo capitolo, tranne il fatto che nei miei piani originali il titolo doveva essere in Vulcaniano, ma non mi piaceva, e così ho deciso per il latino XD
Dunque, via alle risposte alle recensioni!

 

Thiliol: sono contenta che lo scorso capitolo sia riuscita ad emozionarti! Questo è tranquillo, decisamente. Uno di quei capitoli di passaggio anche noiosi, ma indispensabili..eh vabbè! Questa volta meno frasi in Vulcaniano, ma vedrò di rifarmi col prossimo XD

 

Lady Amber: Evvai! Che bello sono felice sia piaciuto anche a te! Eh già, il tizio che è riuscito in questo o è un genio del male, oppure ha una conoscenza del mondo dei computer da far impallidire Bill Gates! O magari tutte e due le cose O.O
Piccino Shral, lui! Si deve cuccare un Romulano ammattito!
No no, tutta la storia si svolgerà sui due piani, anche perché per Spock sappiamo come è andata dopo il Buco Nero, ma cosa sarà mai accaduto nel 2387? E soprattutto, perché la faccenda dei due piani è così importante? *sorriso malefico*

 

Persefone Fuxia: Aaah, il nostro Berz’uk! Se non fosse un mio pg mi potrei anche prendere una cotta per lui..ma forse preferisco nettamente Shral. Sì, il nostro mezzo Andoriano mezzo Aenar lo batte in tutta la linea per i miei gusti.
Ho fatto tesoro del tuo consiglio ^^ Grazie mille! Va meglio, adesso?
Prendi pure il nu!Spock, cara, tutto tuo!
Per il 2012?! Bhè, speriamo prima del 21/12 XP
 

Fatanera: Una nuova lettrice! Grazie mille per l’attenzione che stai dando alla mia storia! Addirittura un libro?! Cavolo, non fatemi montare la testa però! XD Le frasi in Vulcaniano sono mooolto masochistiche da parte mia! XD

 
Inoltre ringrazio Fatanera, F l a n e Lady Amber per aver recensito la mia ultima Shot “Raggiungere la Vetta [I’ll Find You Somewhere]

 

Grazie a tutte!
Buona Lettura!
Tai Nasha no Karosha!

 

 

 

 

Capitolo 7
Alea Iacta Est

 
(Final Fantasy X-2 Original Soundtrack – Yuna’s Ballad)
La luce intensa del sole tagliava a metà il piccolo balcone, drappeggiato da rami e foglie e fiori intrecciati, simili ad una corona profumata. Accanto alla tenda della porta-finestra dormiva un cucciolo di Sehlat, ringhiando e sbuffando, spazzando il terreno con la coda cespugliosa, e al centro del balcone vi era un tavolo dalle gambe che terminavano in zampe di rapaci; sopra di esso un vaso dal collo aggraziato da cui pendeva un fiore scarlatto.
Su una delle sedie che circondavano il tavolo, stava un bambino, le gambe piegate sotto le cosce e la schiena china in avanti su un tomo antico, dalle pagine ingiallite; sillabava in silenzio le parole del libro, soffermandosi sui passi che gli sembravano più difficili e passandosi la lingua sulle labbra, assaporando ogni frase che si rincorreva sulle pagine. Ogni tanto si grattava la punta ricurva dell’orecchio sinistro, corrugando confuso la fronte e mormorando qualcosa nella sua lingua natale.
D’un tratto alzò il viso dal libro e si voltò verso la porta-finestra ed un sorriso brillò sul suo volto. Salutò in Vulcaniano, incespicando su alcune lettere e passandosi imbarazzato la punta della lingua sui denti traballanti. Le guance si colorarono di verde quando una risata allegra esplose col fragore di un fulmine nel balcone.
-Tai nasha no karosha..un’ottima pronuncia, mi complimento. Ma le erre sono ancora troppo marcate..un Vulcaniano non è un Sehlat da combattimento- ancora una risata e sentendosi chiamato in causa, l’animale alzò la testa e latrò, agitando felice la coda..

-Aicutlun variben k’sek’kam kevet-dutar Sarek’kam, Selek’kam-           [L’Ambasciatore Sarek desidera parlarvi, Selek]
A quella voce, Selek si voltò, girando la schiena a Gad-shen che scintillava di madreperla lungo la vallata che si stendeva sotto la finestra della stanza.
T’Pring, dietro la scrivania, lo fissava con un certo interesse, sebbene mascherato dalla tipica espressione distaccata dei Vulcaniani: a giudicare dal tono della voce, non doveva essere la prima volta che lo chiamava.
Selek si schiarì la gola, annuendo.
-Kal-mutor’ka svi’ aw’kam’hi-           [Fallo entrare]
La donna chinò il capo e lasciò la stanza con un palpito dell’abito color argento, facendosi di lato per permettere a Sarek di entrare.
-Mene sakk’h et ur-seveh, Selek’kam-      [Pace e Lunga Vita, Selek]

-Tai Nasha No Karosha, Sarek’kam- il Vulcaniano rimase un attimo in silenzio, poi chiuse gli occhi, sconfitto, e continuò –So per quale motivo siete qui-
-No, non lo sai- ribatté Sarek, adattandosi con facilità alla lingua terrestre –Tu speri di saperlo-
-E’ per la pace con Romulus, vero?- Selek si lasciò sfuggire un sorriso –A Gad-shen, oramai, non si parla d’altro-
-Su Rok non si parla d’altro- obbiettò Sarek duramente –Una pace con Romulus, dopo quello che è stato fatto al nostro popolo! Converrai con me che non c’è logica in questo-
-Invece vi è molta logica, in questo-
-Aiutami a comprenderla-
Selek sospirò e intrecciò le dita dietro la schiena.
-Stipulando una pace con Romulus, potremo metterli a conoscenza del grave pericolo che minaccerà il loro pianeta fra centoventisei anni. In questo modo, Romulus, Vulcano e Starfleet potrebbero impedire alla Supernova di distruggerlo; senza la scomparsa del pianeta, Nero non avrebbe motivo di vendicarsi della nostra gente e, almeno in un altro Universo, avremo ancora una patria-
-La tua logica è molto umana, figlio mio-
-Immaginavo che non sarei riuscito ad ingannarti per molto tempo- ammise il Vulcaniano, lasciando che un sorriso gli increspasse le labbra –Da quanto tempo sai?-
-Abbastanza- se non fosse stato suo padre, Selek avrebbe giurato di vedere un lampo divertito nei suoi occhi scuri –Tua..tua madre era solita dire che alcuni segnali sono in grado di riconoscerli solo i genitori-
-Amanda era una donna saggia-
Rimasero in silenzio alcuni istanti, col ricordo della donna che frusciava, sereno, accanto a loro.
-I Vulcaniani non te lo permetteranno, figlio mio. E i Romulani non vogliono il tuo aiuto. Non vogliono l’aiuto di nessuno-
Selek chiuse gli occhi e annuì, stanco.
-Lo so, ma devo tentare comunque-
-Tenteranno in ogni modo di fermarti-
-Chi? I Romulani o i Vulcaniani?-
-Entrambi-
-Io andrò comunque-
-Spock!- gridò Sarek, gli occhi accesi dallo sdegno –Hanno distrutto Vulcano! Hanno ucciso tua madre!-
-E’ proprio per impedire questo che devo stipulare una pace!- Selek strinse i pugni –Ma non capisci, padre? Solo in questo modo Amanda potrà vivere ancora!-
-Mai Vulcaniani vogliono la vendetta!-
-E io darò loro la pace! La vendetta non è logica, la pace sì!-
-Non in questo caso!- l’Ambasciatore Sarek batté i pugni sul lungo tavolo scuro, facendolo tremare –Rendere giustizia ai proprio morti, ora, è l’unica cosa che sembra logica a Vulcano! Nessun Romulano desidera la pace con Vulcano-
-Ma non è la via giusta..- sospirò Selek –Tu padre, non hai mai visto. Non hai mai visto nulla. Non ancora-
Sarek rimase in silenzio, riprendendosi dallo scatto avuto poco prima. Si schiarì la gola e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, aspettando che il figlio dicesse qualcosa per infrangere la tensione creatasi.
Ma quelle parole non vennero.
Selek gli dava le spalle, lo sguardo catturato dal sole di Rok che si perdeva lento dietro la foschia.

 

***

(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Roxas)
Kirk non si mosse.
Seduto sul lettino dell’Infermeria della Odysseus, le dita intrecciate davanti al viso, non intendeva muoversi: immobile, con McCoy che abbaiava ordini nella sala accanto e il respiro regolare dei pazienti fuori pericolo che cullavano dolcemente il silenzio imponente.
Dio, cosa aveva fatto?
L’aveva ucciso.
A pugni.
Come un animale..
Chiuse gli occhi e affondò le dita tra i capelli, tirandoli fino a sentire scosse brucianti farsi strada con un ruggito crepitante dalla testa alle dita. Nel buio emerse il viso tumefatto di Kharandel, il sangue grigio che grondava pastoso dalla bocca semiaperta in un ghigno di ribrezzo, sarcasmo e terrore. Gli occhi vitrei e freddi, ormai seccati nelle orbite incavate, il naso ridotto a carne maciullata, la pelle che pendeva dalle orecchie, i capelli strappati con un colpo secco dalla nuca.
La nausea gli affondò nel petto e Kirk si piegò in avanti, vomitando.
Cominciò ad ansimare, scosso dai contati e dai brividi di freddo, paura e orrore che ridevano della risata sguaiata del mercante.
-Capitano!-
Kirk alzò il viso e dovette sbattere più volte le palpebre prima di riconoscere la sagoma di una delle Infermiere. La donna, esile e dai capelli scuri, corse verso di lui e gli prese le spalle.
-Torni a letto, Capitano, non si è ancora ripreso-
Ma Jim non la stava più ascoltando: le piccole macchie di sangue scarlatto che lei aveva sulla divisa azzurra si ingigantirono e si tinsero del colore della pietra. Il viso ovale si disfece e l’immagine sciolta e liquefatta del volto di Kharandel tornò a fissarlo, a farsi beffe di lui.
Un’altra ondata di nausea e Kirk spinse l’Infermiera con tale forza da farla cadere a terra. Perse l’equilibrio e si ritrovò carponi a vomitare sangue.
Sangue grigio, grigio come quello di Kharandel, grigio, grigio, grigio, grigio, grigio, grigio!
-Capitano-
La voce di Spock, mista alla risata del Mercante, mista al gorgogliare del sangue, al ringhio di sfida, alle urla di dolore..
Una mano sulla spalla, una stretta leggera, poi il nulla, nero come l’Universo.
Spock allargò le braccia e accolse il corpo privo di sensi di Kirk, prima di posarlo con cura nel lettino.
Avvertì i movimenti dell’Infermiera accanto a sé, ma era più concentrato sul volto del Capitano, livido, con la pelle tirata sugli zigomi e gli occhi cerchiati di nero.
-Sta bene, Infermiera Ramirez?-
-Sì- rispose flebile quella, affiancandosi al lettino e consultando la cartella clinica di Kirk –Il dottor McCoy mi aveva avvertito, ma..- lasciò cadere la frase, annotando alcuni appunti sul Padd medico.
Il Vulcaniano, a quelle parole, alzò il viso verso l’ispanica.
-Di cosa l’aveva avvertita il dottore?-
L’Infermiera sgranò gli occhi, accortasi di essersi lasciata sfuggire più del necessario; si schiarì la gola e si morse il labbro inferiore, prima di assecondare lo sguardo insistente di Spock.
-Il Dottore aveva rilevato alcuni..sconvolgimenti a livello emotivo e psicologico da qualche settimana e..-
-Quante?-
-Come?-
-Da quante settimane- chiarì il Primo Ufficiale, il tono di voce più duro di quanto in realtà avrebbe voluto.
-Oh..- la Ramirez parve spaesata per alcuni istanti –Credo..credo almeno sei settimane, forse sette. Ma erano tutti lievi, nulla di cui preoccuparsi. Il Dottore li aveva collegati allo stress accumulato durante l’ultimo periodo trascorso nello spazio, decisamente più ampio rispetto a quanto eravamo abituati- si aggiustò la coda di cavallo, a disagio –Molto probabilmente l’episodio della morte del mercante non ha fatto altro che dare..una scossa in più, diciamo, al suo equilibrio. Nulla che non si possa ristabilire comunque-
Ma Spock non la stava più ascoltando.
Allora non si era immaginato nulla: quegli sguardi, quegli occhi opachi che sembravano perdersi, la voce rotta, gli scatti nervosi, il temperamento aggressivo, arrendevole..quegli sbalzi d’umore, sì lievi, o comunque nascosti, che aveva notato sulla plancia non erano frutto della sua immaginazione.
Da sei-sette settimane Jim perdeva frequentemente il controllo di se stesso, si lasciava andare, vagava dentro di sé senza poter uscire se non a costo di una grande fatica. Cosa lo assillava? Davvero era la missione? Davvero era lo stress per il troppo tempo passato nello spazio?
No, no, non era possibile.
Jim non era mai stato stressato nello spazio..c’era qualcosa di più, una muta richiesta di aiuto che il Capitano aveva sempre cercato di nascondere, ma che vibrava con forza attorno a lui, si tendeva con spasimi violenti, come a voler allungare una mano e dire “Non ce la faccio da solo. Aiutami”
Era lo stesso sguardo che aveva incontrato alcune ore prima, quando lo aveva afferrato di peso dal pavimento del mercante e lo aveva tirato in piedi a forza. Jim si era attaccato a lui come fosse la sua ancora di salvezza nel vasto e pericoloso mare di nebbia della mente, e gli occhi, così opachi, quasi lattiginosi, non fissavano sbigottiti la devastazione e la morte che li circondava, ma qualcosa, qualcuno al di là di Mukade, al di là dello spazio, al di là dell’Universo.
-Signor Spock..?-
La voce gentile dell’Infermeria lo fece sobbalzare.
La Ramirez gli sorrise e Spock annuì in risposta.
-Dica pure, Infermiera-
-Il signor Bellini si è svegliato- lo informò –Ha chiesto di lei. Dice di volerle parlare-
-Molto bene- accondiscese il Vulcaniano, che si costrinse a lasciare il letto del proprio Capitano, ad accantonare, anche solo per poco tempo, le sue labbra esangui e gli occhi distanti, la voce persa..
L’Infermeria lo guidò oltre alcuni lettini, dove stavano riposando alcuni membri della Enterprise, tre donne di Orione e due membri della Ifigenia.
La donna si fermò ad alcuni passi dal letto
-Io devo andare a controllare gli altri pazienti- spiegò –La pregherei di non rimanere troppo a lungo, signor Spock. Il signor Bellini deve riposare-
Il Primo Ufficiale annuì e l’Infermiera li lasciò soli.
Per un istante, Spock fu tentato di tornare al letto del Capitano, visto che Dante era disteso con gli occhi chiusi, il respiro regolare e profondo, ma non appena ebbe formulato quel pensiero, sentì lo sguardo del toscano incatenarlo dove si trovava.
-Ma grazie- sbottò l’uomo, inarcando un sopracciglio e cercando di sorridere –La prima cosa che dico dopo essermi svegliato è che voglio vederti e tu cosa fai? Arrivi e pensi subito di andartene-
-Deduco che il Contatto non sia ancora sparito del tutto-
-Deduci bene- annuì Dante, muovendosi a scatti sotto le coperte e facendo per mettersi seduto –Ti informo che è snervante avere ancora un pezzetto della tua testa bacata nella mia-
-Sono dispiaciuto che il Contatto le provochi disturbo, dottore-
Il toscano sbuffò divertito e si lasciò scivolare, sconfitto, sotto le coperte.
-Spock, non so se ti sei accorto che è dall’inizio della conversazione che ti sto dando del “tu”-
-Me ne sono accorto, certo- rispose il Vulcaniano –Dunque?-
-Dunque mi farebbe piacere se anche tu facessi lo stesso, bischero-
-Se preferisci-
-Preferisco- confermò il medico, voltandosi su un fianco –Vorrei mettermi seduto, ma queste lenzuola sono più strette delle bende di una mummia- rise della sua battuta, ma vedendo che Spock non sembrava dell’umore anche solo sollevare le labbra in un accenno di sorriso, si affrettò a smettere e tornò serio.
-Di cosa volermi parlarmi?- chiese il Primo Ufficiale
-Del ragazzo che avete trovato nella cella con me- rispose Dante –Come sta? Sai qualcosa, Spock?-
Il Vulcaniano scosse il capo
-So solo che è fuori pericolo, ma non si è svegliato e secondo il dottor McCoy nemmeno lo farà-
Il medico sospirò
-Il suo corpo non ha nulla, ma la sua mente è distrutta, vero?-
-Esatto-
-Hai provato con una Mind Meld?-
-Non ne ho avuto l’occasione e prima dovrei parlarne col dottor McCoy e col Capitano-
-Molto logico da parte tua-
Per un po’ ci fu solo silenzio, poi Dante ammise
-All’inizio credevo fosse in trance, che stesse cercando di autocurarsi- chiuse gli occhi e Spock vide la stanchezza gravargli sulle spalle –Ma non era così. Era in stato di shock, urlava e piangeva. C’erano dei momenti in cui tentava di parlare con me, ma io non capivo..non capivo nulla di quello che mi stava dicendo..-
Il Primo Ufficiale della Enterprise sbatté le palpebre, confuso
-Eppure parlavate correntemente il Vulcaniano, quando eravamo all’Accademia-
-Che senso aveva- mormorò l’altro con la voce impastata dal sonno –Continuare a parlare in Vulcaniano, quando non c’era più nessuno con cui poterlo fare?-
Spock fece per ribattere, ma il respiro profondo di Dante gli fece capire che la stanchezza alla fine aveva prevalso.
Gettò una rapida occhiata ai valori sullo schermo sopra al lettino e prese mentalmente nota del fatto che, a parte la pressione più bassa rispetto al normale, tutti gli altri valori biologici erano nella norma.
-Starà bene, deve solo riposare- la voce del dottor McCoy raggiunse il Vulcaniano alle spalle –Ed è quello che dovresti fare anche tu-
-Io sto bene, dottore- ribatté freddo il Primo Ufficiale, voltandosi per affrontare lo sguardo scettico del Medico Capo –Non necessito di riposo. Inoltre, la Odysseus ha bisogno di un Ufficiale Superiore che si occupi..-
-Sulu è assolutamente in grado di portarci fino alla Enterprise senza pericolo- rimbeccò McCoy, asciugandosi le mani con una pezza candida. Un rivolo di sudore gli correva lungo la tempia e i capelli erano arruffati, gli occhi arrossati.
-Non dubito delle capacità del Tenente Sulu, tuttavia..-
-Spock, vorrei parlare di quello che è successo nella dimora di Kharandel- lo interruppe il dottore senza troppe cerimonie.
Il Primo Ufficiale annuì
-Molto bene, Dottore. Arrivati al piano superiore, abbiamo trovato il Capitano che..-
-No, non quella parte!- sbottò il Medico Capo, storcendo le labbra –Quella in cui hai sei rimasto in stato catatonico dopo che era crollata l’entrata di uno dei corridoi sotterranei!-
-Non ricordo nulla del genere- ammise Spock, corrugando la fronte e osservando stupito l’Ufficiale Medico Capo –Chi le ha detto una cosa simile?-
-Il signor Marrow- rispose McCoy, incrociando le braccia al petto –Sei impallidito, ti sei irrigidito e hai sgranato gli occhi. Avevi anche le pupille quasi completamente dilatate e il respiro affannoso-
-Non ho registrato nessuno dei sintomi da lei appena descritti, Dottore-
-Non vuol dire che tu non li abbia avuti-
-Mi spiace contraddirla, Dottore- ribatté gentilmente Spock –Noi Vulcaniani abbiamo un controllo ottimale del nostro corpo e riusciamo a registrarne ogni minimo cambiamento anche a livello biologico. Se avessi avuto tali sintomi, lo saprei-
-Come spesso amo ricordati, Spock- disse il Medico Capo, socchiudendo gli occhi –Tu sei per metà umano-

 

***

-Signora, lei non dovrebbe alzarsi!- esclamò una delle Infermiere, cercando di rimettere Ida a letto –La prego, torni a riposare!-
La russa fece un debole tentativo per scacciarla e quando si rimise in piedi, le gambe tremarono e cedettero sotto il suo peso. Sarebbe crollata a terra se le mani ferme dell’Infermiera non l’avessero tenuta in piedi.
-Non mi faccia chiamare il Dottore!- la minacciò
-Zitta!- ansimò la donna, scuotendo la testa per dissipare la nebbia che l’offuscava -Vattene!-
-Dottore!- chiamò l’Infermiera –Dottor Herbert!-
Il medico, sostituto del Dottor M’Benga, rimasto sulla Enterprise, la raggiunse di corsa e la scostò, per poi mettere le mani sulle spalle di Ida.
-Si calmi, torni a letto-
-No!- replicò la russa, le labbra esangui e gli occhi opachi –Come stanno? Loro come stanno?-
-Sto bene, Ida, io sto bene..- mormorò una voce accanto al lettino.
-Anche lei!- squittì l’Infermiera, sull’orlo della crisi nervosa –Torni a letto, immediatamente!-
Ida alzò il viso dagli occhi del medico e si girò, incontrando lo sguardo quieto di Haleema che, contro ogni precauzione, si era alzata dal letto e ondeggiava, debole, accanto a lei.
-Signora, vada a risposarsi! Non può alzarsi così, dopo l’operazione!- abbaiò il dottor Herbert, gesticolando in direzione della paziente.
-Come sta Eleni?- chiese invece quella, lo sguardo tranquillo, seppur velato e sconvolto dalla recente operazione –Sta bene?-
-Torni a letto!-
-Come sta..- le fece eco la russa, assottigliando lo sguardo –Come sta Eleni? Era la più grave di noi!-
-Riposate e poi ve lo dirò! Adesso è importante che..-
-E’ importante sapere come sta il nostro Comandante, la nostra amica- la voce di Haleema era sempre bassa e tranquilla, ma venata dalla durezza. Non aveva gridato, ma gli occhi, freddi come lastre di ghiaccio, erano più eloquenti di qualsiasi azione.
-Dottor Herbert..- sussurrò l’Infermiera, ma il medico la zittì con un gesto della mano.
-Il vostro Comandante sta bene, è fuori pericolo- le rassicurò –Abbiamo salvato entrambi-
A quelle parole, Haleema e Ida si guardarono, confuse.
-Entrambi..?-

 

***

Fuoco. Dolore. Rabbia.
Basta, ti prego, basta.
Fiamme, fiamme che lambiscono il corpo, che distruggono, crepitano, ridono. Il respiro che affonda bollente nel petto, ansimi che si conficcano gelidi nella testa e nel cuore, il cuore che batte furioso contro il fianco, che preme per uscire.
La testa gonfia, stretta, pulsa, si contrae, si espande, e fa male, fa male davvero.
Dolore. Dolore. Dolore.
Ti prego, fallo smettere, fallo smettere, ti prego.
Dolore. Dolore. Dolore.
Fiamme, fiamme che lambiscono l’anima, lingue di fuoco che si alzano con un sibilo e uno schiocco e un crepitio nell’oscurità della mente, distruggono e deridono i ricordi, li spezzano, li inceneriscono uno a uno, e fa male, fa sempre male, non smette mai di fare male.
Basta, ti prego, ti prego, basta.
Fallo smettere, ti prego, fallo smettere.
Volti che appaiono e scompaiono, sorrisi che si sciolgono in ghigni e urli, e sempre il fuoco, il dolore che urla e abbaia e ringhia e sibila e ruggisce senza pace senza tregua, ancora, ancora e ancora, e morde, morde sempre, non smette, non c’è tregua, non c’è pace.
Fammi morire, ti prego! Voglio morire!

 

***

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Queen of the Abyss)
Un silenzio teso, cupo, premeva contro le colonne del lungo corridoio, immerso nelle tenebre.
Non c’era nessuno, tranne due persone, accanto ad uno dei bracieri posti lungo la navata, che spandevano il loro profumo intenso e palpitavano rosso-dorati contro il buio.
I due parlavano a voce bassa, gli occhi ridotti a fessure d’ossidiana e la lingua che schioccava, secca, contro il palato e le labbra taglienti.
La donna, vestita con una divisa militare di anelli bronzei e scarlatti, annuì e si allontanò veloce, in lampi di luce e ombra.
L’uomo, rimasto fermo nel corridoio, si lasciò sfuggire un ghigno e si passò la punta della lingua sulle labbra, come una belva che stesse assaporando il gusto dolce del sangue della sua vittima.
Gli occhi brillarono, vendicativi.

 
La nave era pronta, tutto era pronto.
La donna si avvicinò al Superiore, rigido accanto al portellone, e attese, immobile, i propri ordini.
Nell’hangar fremevano i preparativi: accanto all’Incrociatore Meret, una nave più elegante, quasi pesante nel suo essere così squisitamente formale, aspettava solo di essere affiancata da alcune navette di supporto e protezione.
La donna osservò con cipiglio superbo alcuni cadetti salire sulla nave d’ambasciata, vestiti con armature finemente lavorate, adatte solo per essere esibite per la loro bellezza, ma oltremodo inutili in battaglia; armi bianche di pregiata fattura, abbellite con gemme e simboli araldici, pendevano loro al fianco.
Le attività dell’hangar vennero interrotte al passaggio dell’Ambasciatrice, una figura snella e imperiosa, avvolta in un abito nero e scarlatto, con un fermaglio d’argento sui capelli scuri.
L’Ambasciatrice si fermò sulla piattaforma della Nave, per rivolgere uno sguardo all’Incrociatore Meret e annuire, come a dargli la sua benedizione, poi scomparve, inghiottita dallo sfarzo, dal lusso.
Dalla menzogna.

 

***

 -Spero tu sappia ciò che stai facendo- mormorò Sarek, mentre percorreva, insieme al figlio, i corridoi che dalla Sala dell’Ambasciatore Selek li avrebbe portati fino all’hangar.
-Naturalmente-
-Sarebbe illogico se io ti ripetessi quanto poco sia d’accordo con questa tua idea-
-Estremamente-
A Sarek non sfuggì la vena ironica nel tono di voce del figlio.
-Selek- cominciò, sforzandosi di chiamare Spock col nome che si era scelto –E’ una pazzia-
L’altro si limitò a sorridere, poi si fermò davanti alle porte chiuse dell’hangar; fece per digitare il codice che le avrebbe aperte, ma Sarek lo fermò.
-Sei ancora in tempo-
-No- ribatté Selek, alzando lo sguardo –Il dado è tratto-

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Un Freddo ed Infranto Hallelujah [Anno: 2387] ***


2387 (4)

Capitolo 8
Un Freddo ed Infranto Hallelujah

Anno: 2387

(Hallelujah – Jeff Buckley)

I lastroni di ghiaccio, accasciati l’uno sopra l’altro, si tendevano con sforzo verso il cielo, come le rovine di un tempio antico. Bianchi, contro il cielo terso, parevano frammenti di vetro, aguzzi, freddi, sospinti in alto dal vento; erano le dita gelate della Speranza, nel suo ultimo, agonizzante tentativo di raggiungere la lontana Utopia, la cupola di cristallo che svaniva, perduta, nella nebbia.1
T’Lenna si era chiesta più volte per quale motivo Spock le avesse regalato un quadro del genere e in quel momento il freddo intenso che irretiva i colori del quadro le appesantiva il cuore e lo alleggeriva al tempo stesso. Era come se il dolore che provava non fosse solo suo, ma qualcosa di condiviso..era come sentirsi meno soli. O almeno, essere soli in un insieme senza volto e senza voce, dove ci si poteva confortare a vicenda senza una parola, con la propria tristezza ed il proprio tormento.
La Vulcaniana chiuse gli occhi e piegò il capo, posandosi sulla fronte il bicchiere di Brandy Sauriano, l’ennesimo della serata.
Forse era ubriaca, forse no, non le interessava. Si sentiva accaldata, ma aveva freddo, voleva piangere, ma non aveva lacrime per farlo, la realtà fuori dalla grande finestra picchiava forte per entrare, ma lei non voleva darle ascolto.
Raccolse le ginocchia al petto e prese il bicchiere con entrambe le mani, facendone oscillare il contenuto e deglutendo a vuoto, sperando di sciogliere quel maledetto nodo che le serrava la gola.
C’erano tante cose che voleva fare in quel momento: urlare, piangere, ubriacarsi, gridare fino a sentire la voce rompersi, ringhiare, spaccare un vetro, rompere i piatti contro il muro, prendere il muro a pugni fino a quando il suo candore non fosse stato violato dal verde acido del sangue, strapparsi i capelli, cantare fino a farsi male, cantare fino a quando non avesse potuto percepire l’anima di Spock accanto a sé e guidarlo verso la sua vita futura.
Voleva fare molte cose, ma avrebbe significato alzarsi dal divano e distogliere lo sguardo dal quadro, immergersi in quel mare di dolore da cui stava fuggendo da troppe ore.
Che il silenzio e l’apatia la inghiottissero pure, in quel momento non se la sentiva di affrontare niente e nessuno.
-Lasciatemi in pace- sussurrò, ma la sua preghiera non venne esaudita.
Nella stanza saettò il ronzio che annunciava l’immissione del codice di accesso e tempo qualche istante le porte si stavano già aprendo, scorrendo sui propri cardini.
T’Lenna non alzò neppure il viso.
-In questa casi le persone nelle mie condizioni vengono lasciate sole- gracchiò, storcendo le labbra in un ghigno derisorio.
-Si da il caso che non ne abbia intenzione-
-Sei un idiota, Berz’uk-
Uno sbuffo e finalmente la Vulcaniana si girò a guardare l’altro.
-Ne vuoi parlare?- le chiese il mezzo Klingon, osservando con occhio critico la bottiglia oramai di finita di Brandy Sauriano posta sul tavolino in fronte al divano e quella ancora chiusa di Birra Romulana.
-Sai che quella roba è illegale, vero?-
-Credi me ne importi qualcosa?- lo sbeffeggiò la donna, bevendo d’un fiato quel poco di liquore che le era rimasto nel bicchiere.
Il mezzo Klingon non disse niente e si alzò da accanto a T’Lenna, che lo fissò portare via sia il Brandy che la Birra.
-Ehi, quelle mi servono!- piagnucolò tendendo le braccia verso di lui -Ridammele-
-Non credo proprio- commentò secco Berz’uk, tornando a sedersi e cercando di portar via il bicchiere alla Vulcaniana.
-Lasciami!- soffiò lei, allontanandosi con uno scatto felino e socchiudendo gli occhi scuri –Vattene-
L’altro si alzò e la raggiunse con passi lenti; come una belva messa all’angolo, la donna incassò la testa nelle spalle e mostrò i denti affilati, le dita talmente strette attorno al vetro del bicchiere da avere le nocche bianche.
-Vattene via!- ringhiò –Vattene via!-
Ma il mezzo Klingon non fece altro che fermarsi in mezzo alla stanza, gli occhi stanchi colpiti dalle luci pallide della città, lo sguardo intenso e malinconico.
-T’Lenna..- provò, ma quella emise un grido e gli lanciò contro il bicchiere; l’atmosfera irreale che li circondava si infranse con esso contro il muro, lasciando solo un rivolo di sangue rosa e pastoso colare dallo zigomo di Berz’uk.
-Non mi hai sentito?!- strillò T’Lenna, gli occhi che lampeggiavano, folli –Vattene!- e senza attendere una risposta, si gettò sul mezzo Klingon, cercando di graffiarlo, di morderlo..
Le braccia dell’altro la strinsero con forza e più lei cercava di divincolarsi, più si abbandonava nel suo calore, unendo dolore a dolore, lacrime non versate a lacrime non versate. Lo graffiava e lo accarezzava, lo respingeva e lo stringeva a sé, gli gridava di andarsene e gli sussurrava di rimanere, lo mordeva e lo baciava, si divincolava e poi ricadeva esausta contro il suo petto.
-T’nash-veh kaf-spol..- mormorava, mentre entrambi, lentamente, scivolavano, uno nelle braccia dell’altro, in ginocchio –T’nash-veh katra..T’nash-veh ashaya..-            [Mio cuore..mia anima..mio amore..]
T’Lenna carezzò con le dita il viso di Berz’uk e lui le sfiorò le labbra con le proprie e le baciò una lacrima caduta dagli occhi opachi e poi la fronte e le palpebre e il collo, mentre lei lo stringeva sempre più forte, sospirando e singhiozzando, le dita affondate fra i suoi capelli neri, le labbra macchiate di verde laddove aveva morso fino a far uscire il sangue.
Il mezzo Klingon le prese il volto fra le mani e la baciò ancora e lei gli sfiorò le tempie con le dita e si lasciò posare sul pavimento come fosse una goccia di cristallo, con lui che le faceva scivolare l’abito dalle spalle, scoprendole il petto, il ventre, le gambe,
E mentre i baci di lui erano come le carezze del vento, le dita di lei premevano e affondavano eterei nelle tempie e nella mente ed ogni traccia di pensiero era un sussulto del corpo di entrambi, uniti, abbracciati, esausti, insieme, lì, mente e carne, pensiero e passione, coi sospiri che si intrecciavano ai singhiozzi e i gemiti che si disperdevano nelle lacrime e nel silenzio.

 

***

-E questa cos’è, Leonard?- il dottor Cooper storse il naso, alzando la bottiglia e scuotendola in direzione del compagno.
-Dicesi birra, Sheldon- rispose afflitto quello, passando altre due bottiglie a Wolowitz e Koothrapali.
-Birra?!- esclamò schifato il fisico –Vuoi forse farmi ubriacare?-
-Ehi, amico- Koothrapali inarcò le sopracciglia, sovrastando le proteste di Sheldon –Perché la mia è analcolica?-
-Perché se non fosse così- spiegò paziente Leonard, sedendosi accanto ad un imbronciato dottor Cooper –Dovremmo spiegare a Berz’uk e a suo fratello perché ti sia messo a molestare qualche ragazza del dipartimento, Rajesh. E non ci tengo a finire come Howard- e indicò Wolowitz, che allargò le braccia
-Ehi, ma adesso io che centro?- protestò, sorseggiando la birra.
Leonard ghignò e si indicò la mascella.
-Provaci tu a prenderti un pugno da un mezzo Klingon, poi vediamo..- ringhiò, scoccandogli un’occhiata di fuoco.
Il dottor Hofstader fece per protestare, ma il sussurro di Rajesh li fece gelare entrambi.
-E’ stata colpa nostra, vero?-
Il silenzio piombò loro addosso.
Howard prese un altro sorso di birra, per poi massaggiarsi inconsciamente nel punto dove Berz’uk lo aveva colpito; Leonard si morse il labbro e abbandonò la bottiglia a terra; Koothrapali strinse forte la sua, con entrambe le mani. Fu Sheldon a parlare.
-In vero- cominciò, quasi stesse tenendo una conferenza a dei novelli cadetti –E’ stata colpa della Supernova. Noi potevamo prevedere solo fino ad un certo punto quando sarebbe cominciata la fusione del nocciolo, ma calcolarla con esattezza andava oltre i limiti della nostra scienza. Persino gli esimi colleghi dell’Accademia della Scienza Vulcaniana non hanno potuto fare qualcosa a riguardo. A conti fatti- concluse, ma nessun sorriso soddisfatto gli si delineò sul viso –Non siamo noi i responsabili-
Hofstader alzò il viso e fissò allibito il proprio compagno.
-Grazie..- mormorò incredulo.
-E di cosa?- domandò confuso il fisico, aggrottando la fronte –Ho solo detto la verità-
-Razionalmente idiota, come sempre!- rise Howard e fu subito seguito da Rajesh e Leonard, mentre Sheldon fissava tutti con lo sguardo di chi non ha capito nulla della complessità e duttilità emotiva dell’essere umano.
Le risate si spensero poco a poco, simili alle luci di una strada quando il mattino sorge lento oltre l’orizzonte, e il silenzio si fece spazio piano piano, com’era giusto che fosse. Non si impose,ma nacque da quelle stesse risate che prima lo avevano cancellato.
-Voglio fare un brindisi!- gridò d’un tratto Howard, alzandosi e mettendosi in piedi sulla sedia –A Romulus! E a Spock! Che vivano per sempre, morte o non morte!-
Gli altri tre lo guardarono, poi si fissarono tra loro.
-A Romulus! A Spock!-

 

***

-Come vi sentite, madre?-
Saavik carezzò il volto del figlio, sorridendo con amarezza.
-Questo dovrei chiederlo io a te, figlio mio-
Il Vulcaniano le prese la mano e la strinse forte.
-Madre, voi avete perso la vostra casa-
-Romulus era solo metà del mio cuore..tu hai perso tuo padre, Tveshu2-
Tveshu abbassò gli occhi e la stretta si fece più salda e ferma, nonostante il tremito della mano.
-No, madre- il Vulcaniano scosse il capo, con un sospiro –E’ come mi avete sempre detto. Mio padre è morto molti anni fa-
-Ma, figlio mio- sussurrò Saavik, lasciando le dita del figlio e prendendogli il volto fra le mani –Il tuo sangue..-
-Non mi importa!- esclamò Tveshu, liberandosi dalle mani della madre e alzandosi in piedi –Il sangue che scorre nelle mie vene è quello di Spock, ma dentro di me..-
-Agli altri Vulcaniani non interessa nulla di quello che fu il mio T’hy’la!- Saavik gettò le gambe oltre la sponda del letto e prese il figlio per le spalle –Adesso, per loro l’importante è che tu sia un discendente diretto di Spock, il primo discendente. Interamente Vulcaniano-
Tveshu girò lo sguardo, per non incontrare lo sguardo della madre.
-Non posso fare questo. Non a mio fratello!-
-Ma non dipende da te!- Saavik lo costrinse a girarsi –Per me sei figlio di David, ma questo!-  con uno scatto improvviso gli prese il polso, lo girò e vi affondò le unghie. Il Vulcaniano emise un ringhio di dolore e fece per ritrarre la mano, ma la madre la tenne ben stretta.
-Questo..- sibilò, mostrando il rivolo di sangue smeraldo –Questo è il sangue di Spock! Gli anziani lo sanno e quello che tu potrai dir loro non servirà! Per loro sei figlio di David a livello affettivo ed emotivo, non biologico! Tu sarai riconosciuto come legittimo erede di Spock, non tuo fratello!- Saavik liberò il polso del figlio e si strinse nelle spalle –Lui non sarà altro che una macchia da cancellare..non ci sarà posto per uno come tuo fratello nella storia di Spock di Vulcano. Non quella che gli Anziani intendono scrivere..-

 

***

Se fino a quel momento il Capitano Carons aveva avuto dei dubbi sulla parentela esistente fra Romulani e Vulcaniani, vennero spazzati via, tutti, dal primo all’ultimo.
Era andati a cozzare contro le iridi spente del Tenente Romulano, si erano spezzati, piegati da quegli occhi fissi e vuoti, privi di lacrime, di dolore, di rabbia, di qualsiasi emozione esistente.
Il Capitano aveva cercato di dargli la notizia nel modo più calmo possibile, senza girarci troppo intorno, ma senza nemmeno sembrare un perfetto idiota dal cuore di ghiaccio.
Si era aspettato di tutto, dal crollo di nervi al suo computer che dalla scrivania veniva scaraventato fra urla e gemiti contro il muro, ma mai e poi mai avrebbe immaginato..il freddo.
Era questo che aveva sentito fissando il Tenente negli occhi.
Gelo.
-Po..potete andare, siete congedato e siete esentato dai vostri compiti, almeno fino a quando non raggiungeremo la Terra per..- tossì, schiarendosi la gola –Per la Funzione-
Il Romulano non mutò l’espressione del viso e chinò il capo senza un parola; si voltò e uscì dalla stanza. Fu allora che il Capitano notò un guizzo azzurro fuori dal proprio alloggio.
-Tenente Shral!- tuonò e l’Andoriano fece capolino dalle porte –Dovreste essere sul Ponte!-
Shral entrò nella stanza con passo incerto, gettando uno sguardo veloce nella direzione in cui era sparito il Romulano, e cercò di spiegarsi
-Sì, ecco, io stavo andando a..come dire..-
Carons alzò la mano, intimandogli il silenzio.
-Niente scuse con me, Tenente. Ora tornate sul Ponte. Subito- chiarì, vedendo come, ancora una volta, gli occhi dell’altro fossero corsi verso gi alloggi del Romulano –Sappiate che questo vostro comportamento non verrà tralasciato nel mio rapporto..-
L’Andoriano annuì
-Non mi aspettavo il contrario- ammise con un’alzata di spalle –Col vostro permesso, Capitano, tornerei sul Ponte-
-Permesso accordato Tenente. E..- l’uomo si alzò da dietro la scrivania, raggiungendo Shral; gli mise una mano sulla spalla e lo fissò, cupo –Lo lasci un po’ da solo. Non può fare nulla per lui, ora come ora-

 

***

James Kirk, dalla cornice d’argento, sorrideva.
Le tempie spruzzate di grigio, qualche ruga attorno gli occhi e il braccio sulle spalle di una donna di venticinque anni, circondata dal sempre inflessibile Spock, da un ghignante McCoy ed una sorridente Janice Rand.
Miri, lasciò cadere il pennino sul PADD e prese la cornice fra le mani, togliendo un leggero velo di polvere che aveva ingrigito gli angoli della foto.
Era stata scattata molti anni prima, all’epoca della minaccia della Sonda3 che aveva quasi distrutto il pianeta, quando Kirk era ancora vivo e lei era appena diventata un membro della Sezione di Ricerca di Starfleet.
La donna poggiò la cornice e si accomodò meglio sulla sedia, mugolando soddisfatta mentre si scioglieva i muscoli indolenziti delle braccia e della schiena.
Era passato così tanto tempo..con la cura, il suo metabolismo era accelerato e l’aspetto da eterna bambina si era modificato, fino a scomparire del tutto. Dopo quasi cento anni, la vecchia Miri non dimostrava più di quarant’anni sebbene ne avesse quattrocento sulle spalle.
Qualche volta si chiedeva per quanto ancora sarebbe potuta vivere, quanti cambiamenti avrebbe visto, di quanti sarebbe stata partecipe, ma poi pensava al suo lavoro attuale e a come, se si fosse stancata del freddo e solitario Universo, non le sarebbe bastato altro che saltare e non tornare più indietro.
Non sarebbe stato poi così difficile, aveva così tante mete tra cui scegliere. E non sarebbe stata neanche la prima a sparire, lì alla Stazione di Ricerca.
Per ora, si limitava a rivivere dieci, cento volte la stessa scena quando ne aveva l’occasione e, non vista, a osservare di nuovo quegli occhi grandi e profondi, il sorriso impertinente e ascoltare quella voce calma e rassicurante che l’aveva chiamata con una tale dolcezza..
Miri scosse il capo e si diede mentalmente della sciocca.
Per quanto ancora avrebbe continuato a pensare a quella sua infatuazione di bambina, a quel prode ed eroico Capitano che le aveva preso la mano e le aveva detto che era bella, che aveva un bel nome, che l’aveva abbracciata, protetta..No, ecco, lo stava facendo di nuovo!
Rise e si chiese cosa avrebbe pensato il suo fidanzato se l’avesse scoperta ad abbandonarsi a simili fantasie.
-Su, Miri, smettila di far male a quel povero ragazzo che ti sopporta!- si disse, tornando a lavorare sul PADD –Jim non avrebbe certamente apprezzato!-
-Miri!-
La donna alzò la testa di scatto e corrugò la fronte.
-Aleksandr..?- chiese, vedendo l’uomo col il fiatone e una mano all’altezza del cuore –Che succede?-
-Un..un comunicato..da Starfleet- boccheggiò –L’Ambasciatore Spock..morto..Romulus..distrutto..-
Il pennino cadde, frantumando ripetutamente il silenzio.

 

***

 

 

Bianco, tutto bianco.
Il pavimento gli sfuggiva, non aveva presa sul mondo e sui muri, la realtà si disfaceva come fili su una tela millenaria. Sapeva di dover provare qualcosa, qualsiasi cosa, ma sentiva solo il bianco.
Un bianco infinito, una voragine cieca che dava su una luce pallida e spettrale, che non illuminava, ma rendeva le tenebre più buie.
Si sentiva inghiottire da quella marea vischiosa, da quel vuoto che gli si attaccava ai vestiti come il sangue rappreso, come braccia scheletriche che lo trascinavano con gemiti e pianti muti verso l’Abisso.
Se stava camminando o fosse fermo non avrebbe saputo dirlo.
Forse stava strisciando in quella melma candida, allungando le braccia per non essere sommerso, alla ricerca di un appiglio che non riusciva a trovare; il bianco gli impastava gli occhi, si incollava alle ciglia e alle palpebre, un velo lattiginoso e sporco che gli impediva la vista.
Scuotere il capo non serviva, sbattere le palpebre nemmeno, forse, forse cavandosi gli occhi, sì, forse allora, solo allora, il bianco se ne sarebbe andato. Avrebbe strappato via la cornea e il candore opaco che la ricopriva, avrebbe avanzato a tentoni nel buio, ma almeno il buio lo riconosceva, sapeva cosa fosse e non ne aveva paura, ma quel bianco, quel bianco pastoso e informe lo temeva più e peggio della morte, perché nella morte c’era solo il disfacimento, nel Nulla neanche quello.
Nel Nulla solo bianco, bianco infinito, bianco che preme, bianco che cancella..
In quel fiume di estremo candore, si avvicinò le mani al viso, si sfiorò la pelle accaldata, disegnò il contorno degli occhi, una, due, tre volte, dalle sopracciglia agli zigomi, dagli zigomi alle sopracciglia, poi sempre più vicino, sempre più vicino all’orbita, dove il bianco veniva risucchiato ed esplodeva con un gemito senza voce e si stendeva, si spandeva, ricopriva ogni cosa.
Sentì le unghie affondare nella carne e il sangue colare caldo dai tagli, ma non ne vide il colore. Doveva essere verde, sì, verde, intenso, scuro, brillante, ma no, no, anche il verde svaniva nel bianco, assorbito, inghiottito, scomposto in tante particelle, misere particelle di verde che scoppiavano come bolle, deboli nel candido, nel bianco, nel Nulla.

Tenente!
La voce di donna emerse longilinea come la sua figura, un bianco meno bianco, non nero, non un’ombra, solo un bagliore meno luminoso, non una sfumatura, non un colore, un semplice ripiegamento, un’ansa nel bianco curvo che lo sovrastava e lo schiacciava.
Tenente, stia fermo. Venga, venga la accompagno nei suoi alloggi.
Si mosse lento nel bianco, con una mano che gli teneva il polso.
Non sapeva dove stava andando. Nei suoi alloggi? Sì. No. Forse. Che importanza aveva? Nel bianco non c’erano contorni, non c’erano figure, non c’erano persone, non c’erano alloggi.
Lui era solo, solo nel candido bianco, e nessuno lo avrebbe salvato.
Anche il suo dolore era bianco.

 

***

Perrin strappò la gonna alle dita rinsecchite dei rami e poco mancò che cadesse; riuscì a mantenere l’equilibrio per pura fortuna, poi cadde in ginocchio, stremata dal caldo e dalla fatica.
L’Ambasciatrice sembrava sparita nel nulla: l’aveva lasciata per un momento e quando era rientrata nella stanza aveva trovato la finestra spalancata, il letto disfatto e il necessario per il viaggio verso la Terra gettato di malagrazia sul pavimento.
Dimentica dell’età e dei pericoli del deserto, Perrin era corsa dietro la Romulana, ma l’aveva persa di vista già da molto tempo.
Deglutì, la gola riarsa, e si rialzò a fatica, ondeggiando per la debolezza.
Camminò ancora e ancora e ancora, fino a quando il paesaggio non prese a rotearle davanti al viso e lei non cadde nel buio, priva di sensi.
Quando riaprì gli occhi, si accorse di essere in una delle rare e piccole oasi che punteggiavano la regione; si sedette sui ciuffi d’erba rossastra e il suo sguardo fu subito catturato dalla figura in piedi a pochi passi da lei, accanto ad una misera pozza d’acqua.
-Ambasciatrice!- ansimò Perrin, riconoscendola –Ma cosa..?-
La Romulana non diede segno di averla sentita; fece scivolare la mano sul fianco e scostò un lembo della veste, rivelando l’elsa lucente di un pugnale.
La donna sentì il respiro schiantarsi dolorosamente contro le costole e il cuore battere furioso contro il petto.
-Ambasciatrice!-
Quella non si voltò nemmeno, ma tese il braccio destro sopra lo specchio d’acqua e senza una parola, senza un gemito, conficcò il pugnale poco sopra il polso e lo trascinò fin quasi al gomito.
Il sangue smeraldo sbocciò dalla ferita e cominciò a gocciolare come pioggia nella pozza.
-Romulus non dimentica- sibilò la Romulana –Le lacrime dei Romulani non sono piante invano. Ora, la nostra morte contaminerà la vostra vita- strinse il pugno e il sangue colò più velocemente –Ciò che mio marito desiderava, io l’ho realizzato. Ora il sangue Romulano scorre nelle vene di Vulcano. Ma la sua speranza è divenuta maledizione-

 

***

Shral digitò talmente in fretta il codice di accesso, che le dita si intrecciarono tra loro e sbagliarono la combinazione; imprecò fra i denti, ma prima che potesse fare un altro tentativo, le porte si aprirono rivelando la figura del Primo Ufficiale.
-Comandante!- scattò Shral, con un salto all’indietro.
La donna lo squadrò con gli occhi color miele e disse solo
-Prenditi cura di lui. Stava per cavarsi gli occhi- e se ne andò.
L’Andoriano rimase agghiacciato per qualche secondo, poi entrò, titubante, nell’alloggio che divideva col Romulano; lui era lì, seduto sulla branda, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra schiuse e le mani intrecciate, abbandonate sulle ginocchia.
-Vedo che ti hanno dimesso dall’Infermeria!- tentò Shral con un largo sorriso, ma l’altro non fece un movimento. Forse, nemmeno l’aveva sentito.
-D’accordo- mormorò l’Andoriano, sfregandosi la nuca e sedendosi accanto al compagno –Ne vuoi parlare?-
Il Romulano scosse la testa, ma almeno aveva dato un segno di vita.
-Hai pianto?-
Altro cenno di diniego.
-Hai urlato?-
Silenzio.
-Hai rotto qualcosa?-
Non un movimento.
-Ascolta..- Shral prese un respiro profondo e cominciò a strofinare le dita fra loro –Io non sono un Vulcaniano, non posso cancellare il tuo dolore, ma..posso aiutarti a..farlo uscire fuori- e senza aspettare una risposta, gli appoggiò la mano sulla spalla.
Il dolore lo investì come un pugno alla bocca dello stomaco e si piegò in due, gemendo, urlando, rantolando; il cuore schizzò contro il petto, si ruppe in mille pezzi, gli graffiò l’anima, si aggrappò alla gola, stridette, strappò le corde vocali, si tramutò in fuoco, in ghiaccio, in tuono, straripò, squarciò le vene, gonfiò i polmoni, li restrinse, tuonò, rombò, crollò nella mente, si schiantò contro le palpebre, caldo, bollente, intollerabile, e le lacrime, le lacrime morsero le palpebre, strapparono le ciglia, acide, acide e incandescenti, scavarono un solco sul viso, dagli occhi resi azzurri dai capillari esplosi, e alle lacrime si mischiò al sangue, sangue cobalto misto a lacrime pallide, solchi neri di dolore, un dolore a pezzi, muto, rabbioso.
Ma l’Andoriano non cedette, rimase lì, a piangere le lacrime del compagno, consapevole di non poter sopportare nemmeno la metà del dolore che l’altro provava, ma con la determinazione e il desiderio di cancellarne anche solo un frammento.
Gridò, gridò e urlò.
Un unico, folle gemito.
Freddo.
Infranto.

 

 

 

 

 

 

1Si tratta de Il naufragio della Speranza di Friedrich. Ringrazio la mia grandiosa prof di Arte che spiega da Dio e su questo pittore ci ha fatto una lezione fantastica!
2”Genesi” in Vulcaniano. Devo dire altro? XD
3 La Sonda è quella del quarto film, “The Voyage Home" 

 

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale: 64424.2
Ecco a voi un altro capitolo! Nulla da dire a riguardo, tranne che il titolo è preso da un verso della canzone di sottofondo ^^ Cui richiamano anche le due parole finali.
Altamente inutile a prima vista, ma so cosa ho nascosto dentro *ghigna*

 

Risposta alle Recensioni!

 
Thiliol:
In effetti, eri da secoli che non aggiornavo! Chiedo venia XD Oh, poter dare del “bischero” a Spock è un’esperienza impagabile! Poi lui non l’avrà apprezzata, ma questi son dettagli su cui possiamo sorvolare!
Grazie mille! ^W^

 

Persefone Fuxia: Povero piccolo Sarek, lo manderemo da..Freud! Oui! Lo mandiamo dal padre della piSSicanalisi, poi vediamo come reagisce XD Sì, nu!Kirk è leggermente, ma solo leggermente, bada! Sbarellato..e così ci sarà mai stato/c’è ancora tra il nostro Spocky-pooh e il toscanaccio? Bah..muahahahaha!
Sono contenta che ti sia piaciuta!
Grazie!

 
Ringrazio Thiliol, BitterSweetSymphony, SpockMc, Persefone Fuxia e Lady Amber per aver commentato “Da Molto Tempo” e BitterSweetSymphony per averla inserita fra le preferite!

 

Alla Prossima!
Tai Nasha No Karosha!

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Ti Ho Trovato [Anno: 2261] ***


2261

Capitolo 9
Ti Ho Trovato

 

Anno: 2261

 

(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Organization XIII)
-Lei non è tenuto a credere, Comandante. Nemmeno io sono certo di credere... ma se c’è una sola possibilità che Spock abbia un’anima eterna, me ne assumo ogni responsabilità!-
Katra.
Lo Spirito Vivente di ogni Vulcaniano, la sua stessa essenza: quando il corpo muore e i tessuti di disfano, tornando alla terra, il Katra permane. I terrestri la chiamerebbero anima. È l’insieme dei ricordi, delle esperienze e delle emozioni che il Vulcaniano ha provato durante il corso della sua vita.

Katra? Intendi dire che ora il tuo Katra vive in me?
Neve, ghiaccio, freddo.
Paura, tanta paura, folle, da non riuscire a parlare.

Rispondimi!
Fuoco, fuoco e fiamme! Cenere, cenere in ogni dove! Il respiro, il respiro si ferma, fuoco, fuoco, fiamme e cenere!
Tu sei dentro alla mia testa! Vattene!
Oscurità, Oscurità illuminata dall’incendio. Solitudine. Vuoto.
Sento dei passi..o tu li stai sentendo?
Un corpo caldo, due mani che mi afferrano. Un volto che lampeggia, nero di cenere e scarlatto di fuoco..
Sono..sono..
Jim!
Kirk aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare la luce intensa del neon sopra la testa.
Emise un gemito e strizzò le palpebre, mentre il mal di testa martellava senza sosta contro la fronte; si passò una mano fra i capelli, sfregando il palmo contro la nuca, e inspirò l’aria fredda e asettica dell’Infermeria.
-Buongiorno, Capitano-
Jim si voltò e sorrise
-‘Giorno Bones!- rispose, con la bocca impastata dal sonno e, forse, anche dai tranquillanti –Come stai? Mi sembri un po’ sbattuto!- cercò di ridere, ma il suo mal di testa sembrava fortemente contrario all’idea.
Il medico inarcò un sopracciglio e storse le labbra, senza dire una parola.
-Sembri Spock quando fai così- lo prese in giro il Capitano, mettendosi a sedere con le spalle contro la sponda del lettino –Quanto ho dormito?-
-Abbastanza. Fra qualche ora saremo alla Base Stellare-
Jim fischiò di approvazione
-Non sarà l’Enterprise, ma anche questa bagnarola ci sa fare!-
Un silenzio freddo si fece spazio fra i due: il medico fissava Kirk con sguardo gelido e l’altro rispondeva con la fronte corrugata per la confusione.
-Bones..che hai?-
-Nulla, Capitano- detto questo, si alzò dalla sedia, facendola scivolare con un gran fracasso –Devo andare a controllare gli altri miei pazienti-
Si allontanò senza aggiungere altro, lasciando Jim ad osservare la sua schiena rigida allontanarsi nella corsia.

***

Con le dita andò a schiacciare alcuni bottoni accanto al lettino: un fischio metallico accompagnò il suono martellante delle funzioni vitali. Ci fu un sibilo e due aste metalliche, un metro e mezzo di lunghezza almeno, saettò fuori dalle parete, lasciando cadere una tendina dal colore indefinito tra l’azzurro ed il bianco.
Christine Chapel, dentro di essa, si soffermò a guardare per qualche istante il volto del paziente: gli occhi erano chiusi, serrati, e solo qualche lieve tremolio della palpebra denotava la presenza di impulsi elettrici al di là dello stato quasi di coma. I capelli, neri e lunghi fino alle spalle, rendevano i lineamenti del volto più affilati di quanto già non fossero e la pelle, smagrita, tirata sugli zigomi sporgenti, aveva una tinta appena più scura, quasi bronzea, rispetto a quella degli altri Vulcaniani.
Il collo svettava prepotente sul cuscino candido, tanta era rigida la sua postura, per poi perdersi sotto le lenzuola, che si abbassavano lente, ad un ritmo regolare seppur pesante e affaticato.
A vederlo così, con le orecchie appuntite nascoste da qualche ciocca scura, nessuno gli avrebbe dato più di una ventina di anni.
L’Infermeria posò la cartella clinica sul comodino accanto al letto, ma prima appose qualche firma e appuntò alcuni dati riguardanti le funzioni vitali, più o meno cambiate rispetto a quando il Vulcaniano era arrivato sulla Odysseus.
In otto giorno di viaggio i dati erano rimasti gli stessi. Il paziente non aveva aperto gli occhi, non si era mosso, nulla. Avevano fatto tutti gli esami possibili, o meglio, tutti quelli che fossero possibili con le macchine mediche installate a bordo della Nave. Per controlli più approfonditi, soprattutto a livello cerebrale, avrebbero dovuto attendere di arrivare sull’Enterprise.
Christine alzò la testa, attirata da un’ombra nera, alta, slanciata, che per un attimo era scivolata silenziosa tra le pieghe delle tendine, prima di sparire senza fare rumore.
La donna aveva visto spesso il Primo Ufficiale attardarsi davanti al letto del Vulcaniano e il più delle volte si era chiesta per quale motivo, nel guardarlo, strofinasse fra loro le mani, lentamente, fissando il volto immobile dell’altro. Ogni tanto fletteva le dita, le guardava alla luce asettica del neon, con i polpastrelli di una andava ad accarezzare il dorso dell’altra, senza mai staccare gli occhi da quelli chiusi del paziente. Era solo un momento, poi lasciava ricadere le braccia lungo i fianchi e se ne andava, scambiava qualche parola veloce col dottor Bellini, se questi era sveglio, e rimaneva a fissare il Capitano quando egli era ancora sotto l’effetto dei tranquillanti. Poi prendeva il suo posto in plancia e nessuno lo vedeva nell’Infermeria fino al cambio dei turni.
No, Christine davvero non riusciva a capire il comportamento del signor Spock.
Riprese la cartella clinica e la sfogliò ancora una volta; l’unico risultato che si sarebbe potuto definire “anomalo” era il gruppo sanguigno del Vulcaniano: T-Negativo. Era un gruppo molto raro, la donna lo sapeva, come sapeva che era lo stesso del Primo Ufficiale. Che il signor Spock fosse convinto di avere davanti un componente della sua famiglia?
Piegò la testa di lato, cercando nei tratti ferini del paziente una qualche somiglianza col Primo Ufficiale. No..non vi era nulla in lui che ricordasse il signor Spock. Un poco la forma del viso, forse, ma era qualcosa di vago, indistinto. L’aura del Vulcaniano vibrava di un che di selvaggio di cui il signor Spock era totalmente privo.

(Final Fantasy X Original Soundtrack – Crisis)
Il paziente si mosse con un gemito; Christine appoggiò subito la cartelletta e si chinò su di lui, controllando al contempo i valori sullo schermo: il battito cardiaco era aumentato vertiginosamente, così come la temperatura corporea; le labbra si storcevano per il dolore e masticavano suoni senza senso, smozzicati, triturati fra i denti tremanti e i muscoli erano come attraversati da scariche elettriche, si contraevano con tale forza che il lettino sbatteva con la testiera contro la parete della Nave.
Christine non fece in tempo a prendere la dose di calmante che sentì le lunghe dita del Vulcaniano artigliarle il polso: gridò e cercò di tirarsi indietro, ma la presa era salda, una morsa d’acciaio da cui era impossibile liberarsi. Gli afferrò le dita, facendo di tutto per aprirgli la mano, quando sentì il suo fiato caldo sul viso; sgranò gli occhi ed alzò la testa, scontrandosi con lo sguardo tagliente e furioso del Vulcaniano: il viso era livido, sconvolto, la mascella cadente e la bocca che vomitava grugniti, ringhi e suoni, forse parole, forse frasi cui l’Infermiera non sapeva dare un senso, mentre la stretta al polso si faceva sempre più forte.
-Lasciami!- ansimò la donna –Lasciami!-
-Signorina Chapel!- la tenda venne aperta di scatto, quasi strappata.
Christine ebbe solo il tempo di vedere la figura del Capitano lanciarsi sul Vulcaniano e colpirlo al viso con un pugno. All’orecchio le giunse lo scricchiolare inquietante delle dita contro la mascella.
Forse per la sorpresa, il paziente lasciò andare il polso dell’Infermiera, facendola cadere a terra. Christine si rialzò immediatamente, afferrò la dose di calmante e si portò accanto al Vulcaniano. La lotta di questi con Jim continuava tra pugni, morsi, ruggiti, grugniti e tentativi da parte di entrambi di prendere l’avversario per la gola.
La donna era già pronta ad iniettare il sedativo quando il paziente, allontanato con un calcio il Capitano, la colpì al viso con tale violenza da gettarla contro lo spigolo del lettino accanto. Christine avvertì solo qualcosa di caldo scivolarle lungo il collo, poi ogni cosa si fece buia.

 

-Christine!- gridò Kirk, ma prima che potesse anche solo pensare di correre in aiuto della donna avvertì il pugno del Vulcaniano cozzare contro la mascella, poi il piede piegargli qualche costola; si sentì sbalzato all’indietro e il freddo del pavimento creò uno spiacevole contrasto con la schiena bagnata di sudore.
Il Vulcaniano gli bloccò le gambe col proprio peso e gli afferrò la gola.
Jim ansimò, artigliando il polso dell’altro e tentando in ogni modo di divincolarsi dalla stretta soffocante; il buio agli angoli delle palpebre si frantumò in minuscoli cerchi rotanti, che andarono a coprirgli la visuale, mescolandosi allo sguardo folle dell’avversario e cancellandolo, tracciandovi linee scure sempre più ampie e pastose. Il respiro gli mordeva i polmoni e la gola, lasciandovi segni bollenti di sangue. Annaspava in cerca di aria, la testa ronzava, la vista non era più che una tavolozza informa di tinte livide.
-Kroikah!- [Basta!] la voce si insinuò nella nebbia, serpeggiò tra i suoi pensieri confusi -Sasu, kroikah!- [Ragazzo, smettila subito!]
La presa si allentò quel tanto che bastava da permettere a Kirk di prendere una boccata d’aria; tirò indietro la testa e la sbatté contro il petto del Vulcaniano, che si rialzò, gemendo e ringhiando per il dolore.
Ancora bocconi a terra, una mano al collo, sentì solo un rumore di colluttazione e vide con la coda dell’occhio l’ombra dell’avversario prima dibattersi e poi cadere pesantemente a terra.

(Kingdom Hearts I Original Soundtrack  Dearly Beloved)
-Capitano Kirk, state bene?-
Jim alzò lo sguardo, incontrando gli occhi del medico Bellini.
-Sì..- boccheggiò, mentre la mano dell’uomo gli dava alcuni colpetti sulla schiena –Grazie..grazie per l’aiuto..-
-Capitano!-
-Ah..- Kirk storse le labbra in un tentativo di sorriso –La stanza si sta facendo affollata-
-Christine!-
-Grazie per esserti preoccupato di me, Bones-
-Jim!- sbraitò McCoy –Non ti si può lasciare un istante senza sedativi che subito vai a farti ammazzare!-
-Ehi!- il Capitano si rialzò, pulendosi i pantaloni con alcune manate –Non è colpa mia se i Vulcaniani trovano il mio collo estremamente eccitante!-
Dante scoppiò a ridere, sostenendosi la fronte con la mano, McCoy sbuffò mentre aiutava Christine a rimettersi in piedi, l’unico che rimase in silenzio fu Spock, rigido accanto al Vulcaniano ancora a terra.
-Come avete fatto a fermarlo?- domandò il Primo Ufficiale, rivolgendosi al medico dell’Ifigenia. Questi fece spallucce
-Ho visto la siringa dell’Infermiera Chapel a terra. L’ho raccolta e approfittato della sua distrazione- indicò il Vulcaniano –Sono un medico, ho il permesso di iniettare sedativi, no?-
-Avete parlato in Vulcaniano- si intromise Kirk, mentre McCoy, aiutato da altri due Infermieri, rimetteva il paziente nel lettino e controllava le sue condizioni –E’ stato questo a distrarlo-
-Il Legame dunque non si è ancora del tutto cancellato- commentò Spock, corrugando la fronte –E’ molto strano-
-No- Dante scosse la testa e si avvicinò al paziente, dando le spalle al Primo Ufficiale – Vumukau ein zhite’hi’th’, Spohkhkan- [Ricordo ancora qualche parola, Spock]
Il Capitano alzò lo sguardo sul suo Primo Ufficiale, ma questi, per qualche strano motivo, lo fuggì, preferendo fissare i proprio sul volto aggressivo, seppur sedato, dell’altro Vulcaniano.

 

***

(Final Fantasy IX Original Soundtrack – You’re Not Alone)
Scesero dalla Nave sentendo tutti gli occhi puntati su di sé.
L’equipaggio dell’intera Enterprise era accorso ad accoglierli, chi cercando con lo sguardo un amico, chi solo per vedere il Capitano ed il Primo Ufficiale tornare illesi da una missione al limite del suicidio.
Chekov si fece largo tra la folla, ignorando le proteste e le occhiate lanciate da chi gli era accanto; continuò a spintonare fino a quando non sentì una mano afferrargli decisa il polso.
Si voltò, già pronto ad una scusa veloce per poi tuffarsi fra il mare di corpi, e sgranò gli occhi per la sorpresa: Scott sollevò le labbra in un ghigno
-Vieni con me, ragazzino- gli disse –Ingresso riservato- e lo trascinò con sé.
Se Pavel aveva fatto di tutto per evitare di dare troppo fastidio alle persone che lo circondavano, Scotty non sembrava essere dello stesso avviso: sgusciava fra la gente senza curarsi delle gomitate, degli spintoni e tanto meno dei commenti poco lusinghieri che gli altri mormoravano a mezza voce. Fino a quando James T. Kirk avesse messo di nuovo piede sulla Base Stellare, era lui il grande capo.
Arrivarono nel punto più vicino alla Odysseus e solo allora Scott lasciò andare il polso di Pavel.
-Scotty!-
Il Capo Ingegnere si voltò e agitò una mano
-Uhura! Siamo qui!-
La donna li raggiunse in pochi istanti, piegando il collo per meglio vedere tra le teste che occupavano la visuale: Chekov fece lo stesso, incassando un poco la testa fra le spalle e sporgendosi appena, guizzando con lo sguardo da una parte all’altra della passerella.
-Così pochi..?- mormorò Nyota, portandosi una mano a coprire il viso.
Pavel non capì se si stesse riferendo ai loro compagni di flotta o ai membri dell’Ifigenia che, ad essere ottimisti, non dovevano essere più di una decina.
Kirk e Spock aprivano la fila: nonostante sul volto del Capitano si leggesse il sollievo di essere rientrato sano e salvo dalla missione, il suo sguardo era opaco, gli occhi bassi ed il viso tirato, quasi livido.
Venivano gli altri membri scelti della Enterprise e Chekov tirò un sospiro di sollievo nell’incontrate gli occhi scuri di Sulu, ma il suo cuore non poté perdere un battito nel constatare che troppi dei suoi amici non erano tornati.
Sentì un nodo serrargli la gola ed abbassò il viso; una mano gli strinse la spalla
-Mi spiace, ragazzo- mormorò Scott –Fatti forza-
Il Guardiamarina annuì, passandosi velocemente una mano sul volto e tornando ad assumere una posa più composta; gli occhi non smettevano di pizzicare e bruciare.
Dalla passerella scese il dottor McCoy e dietro di lui alcuni Infermieri: alcuni trasportavano tre, no, quattro barelle. Una in particolare sembrò attirare l’attenzione dalla folla, ma Pavel era troppo lontano per capire chi vi fosse sopra.
Gli Infermieri che non trasportavano le barelle venivano per ultimi, insieme a quei membri dell’Ifigenia che faticavano a rimanere in piedi o dando una mano a quelli che, per testardaggine o solo per dimostrare a se stessi di non essere ancora stati piegati, ondeggiavano sulla passerella.
Fra di loro una donna dai capelli scuri e la carnagione olivastra, camminava accanto ad un’altra coi capelli biondi, e le faceva segno di stare indietro, che poteva farcela da sola, ma immediatamente arrancava e inciampava, e prima che potesse cadere, la donna bionda ed un’altra, mora e che si era tenuta silenziosamente dietro le due, la sostenevano fino a quando non tentava di nuovo di stare in piedi da sola.
Fu a quella donna coi capelli neri che il Capitano si rivolse, una volta scesi.

 

Kirk attese che la donna fosse scesa dalla passerella, poi alzò lo sguardo su di lei.
-Comandante Theokore-
Quella annuì
-Ditemi pure, Capitano Kirk-
E sebbene avesse sollevato le labbra in un sorriso incoraggiante, Jim non poté non notare gli occhi cerchiati di nero ed il pallore innaturale della carnagione olivastra; le cure ricostituenti di McCoy erano riuscite a farle recuperare il peso perso nelle settimane trascorse nella prigione del mercante, ma la pelle era ancora tirata sugli zigomi e le guance appena incavate. L’intera figura era piegata da un dolore più grande di quello puramente fisico: come Primo Ufficiale della Ifigenia, aveva assunto il ruolo di Facente Funzioni di Capitano in seguito alla morte di quest’ultimo, avvenuta per cause che Kirk doveva ancora accertare attraverso il racconto della donna. A quel lutto, come gli aveva riferito McCoy, si aggiungeva la scomparsa del Navigatore della Ifigenia, marito del Comandante. E poi c’era la mano di lei, che rifiutava l’aiuto altrui e andava a chiudersi quasi ossessiva sul ventre..
-Capitano..?.-
Jim si riscosse e tornò a fissare la donna negli occhi
-Vi chiederei, sempre che le vostre condizioni di salute ve lo permettano- precisò Kirk –Un resoconto il più possibile dettagliato circa i fatti che hanno portato alla distruzione della USS Ifigenia-
Il Comandante annuì, ma all’altro non sfuggì la tensione dei muscoli e l’occhiata preoccupata che si erano lanciate le due donne dietro di lei.
-Quando, precisamente?-
-Domani- rispose il Capitano –Dopo la commemorazione-
Stava per aggiungere qualcosa, una parola, un gesto, quando sentì una mano posarsi sulla propria spalla. Si voltò, corrugando la fronte
-Capitano Kirk..?- chiese l’uomo, scuro in volto.
-Sì, sono io- un brivido gli corse lungo la schiena.
-Abbiamo ricevuto un messaggio da Starfleet. Riguarda l’Ambasciatore Selek-

 

 

***

 

Poteva sentirlo.
Le immagini si dispiegavano nella sua mente, pennellate oniriche di ricordi perduti, gocce di suoni e note di colori che si intrecciavano simili a fiamme, si alzavano, sfrigolavano, crepitavano, sbuffavano refoli di fumo azzurrognolo, poi si ripiegavano su stesse e morivano.
Sentiva la presenza di Kirk, l’avvertiva in ogni respiro, in ogni gesto, nel buio che si accartocciava agli angoli delle sua mente e brillava di memoria nascoste, di ricordi incastonati come pietre preziose nel ventre sbozzato di una grotta: era lì, ma era un Legame diverso, nuovo, eppure consunto, quasi rifiutato.
Avvertiva con una stilettata al cuore i tentativi disperati di spezzare quel filo invisibile, ma ne comprese il motivo e questo gli fece ancora più male: era stata un’intrusione forzata, una violenza perpetrata ad insaputa di Jim e forse anche di se stesso. Avrebbe dovuto mostrargli unicamente le immagini relative a Nero, ma una parte della propria coscienza aveva riconosciuto, in uno slancio mnemonico, il katra di Kirk, o almeno una parte di esso, un’impronta, un fantasma dello Spirito Vitale che lo aveva sempre caratterizzato, e allora era successo. Quel Legame che la Morte aveva reciso senza pietà aveva sentito sulle labbra il sapore della sopravvivenza, di nuovo quel sussulto interno di coscienza, si era sollevato e come un’onda si era riversato nell’animo di Kirk, aveva riempito ogni anfratto, spumeggiando nei recessi più dimenticati della sua mente.
In un fiorire di flussi e ribollire di ricordi, il Legame era ricomparso.
Selek aggrottò la fronte e dalle labbra gli sfuggì un gemito.
Rabbia. Odio. Confusione.
Non erano di Kirk, quei sentimenti.
Perché, allora, li sentiva? Erano un fuoco che ruggendo gli stava devastando la mente, un incendio dalle fauci incandescenti che lo dilaniava, lacerandogli le carni, affondando le zanne irose nel suo petto.
Cos’erano, cos’erano quei sentimenti? Perché, perché avevano afferrato il Legame e adesso lo stringevano, tentando in ogni modo di spezzarlo?
No, no, non stavano tentando di spezzarlo. Seguivano quella linea invisibile, cavalcavano i venti della mente, veloci e impazienti, senza smettere di sbuffare e ruggire, cercavano di raggiungerlo, già vedeva i loro occhi di fuoco stagliarsi nell’oscurità autoimposta della Meditazione.
E quelle fiamme si fermarono ai limiti della coscienza, traballarono, si alzarono, si abbassarono, si attorcigliarono agitando la capocchia scarlatta, annuendo, negando, diventando d’improvviso più vive, poi perdendo luce e calore, arretrando e avanzando, soffiando e ribollendo.
Sarebbe dovuto fuggire da quelle lingue di fuoco, eppure avvertì un brivido incrinare la volta nera del suo pensiero, l’impulso di spingersi avanti, allungare le mani verso di loro, affondare le dita nel fuoco.
Le fiamme ondeggiarono, sembravano ridere, ma una risata malata, tra il divertimento, l’amarezza e la follia; sbuffarono e cominciarono a prendere una forma precisa, prima una testa, poi un corpo, due braccia, due gambe. I tratti del viso si fecero più netti, si delinearono le dita lunghe, le nocche arrossate, il dorso ferito, il braccio tremante, la spalla, il collo..
Sgranò gli occhi della mente: era…era! Era..!
-Selek’kam!-
Quella voce graffiò la volta scura del suo pensiero, la realtà colò in rivoli densi lungo le pareti della mente, spense quella fiamma dal volto ghignante.
Selek fece appena in tempo ad alzare lo sguardo che la Nave su cui stava viaggiando ebbe un sussulto improvviso. Uno scossone, il boato di una deflagrazione, un luccichio nello spazio, colto con la coda dell’occhio.
Il Vulcaniano sentì il corpo pizzicare, poi le fiamme invasero il suo alloggio.

 

-Takselal s’kan’hi th..’-
[Ti ho trovato..]

 

 

 

 

 

{~***~}

 

 

Diario di Nemeryal, Data Astrale 64785.
Non oso andare a guardare a quando risale il mio ultimo aggiornamento di questa long-fic, preferisco rimanere nell’ignoranza.
Sta di fatto che questo capitolo lo odio, con tutta me stessa. Dopo secoli di inattività nel fandom di Star Trek, mancanza di tempo, mancanza di ispirazione (tornata guardandomi uno speciale di Sky su Star Trek), questo è tutto ciò che riesco a scrivere. Mi dispiace, perché non è assolutamente all’altezza di quanto mi ero immaginata. E’ corto, è di passaggio, fa schifo. Mi dispiace, mi dispiace davvero.
Lato positivo, da adesso iniziano i casini, oh, eccome se iniziano! La situazione si sblocca sia nel 2261, sia (nel prossimo capitolo) nel 2387. Eh sì, perché quanto successo alla Nave di Selek/Spock (che poi…sarà morto? Sarà vivo? Mah!) sarà la causa scatenante di tutti i guai che capiteranno nei prossimi capitoli. E nel futuro, bhè, diciamo che abbiamo un Romulano testa di ghisa mentalmente instabile che lavora per dare una smossa anche lì XD
Oh! E prima che sorga qualche incomprensione di sorta: l’episodio dell’assalto del Vulcaniano e la Meditazione di Selek/Spock avvengono praticamente in contemporanea ^^ Verrà tutto chiarito in seguito, non preoccupatevi *ghigno sadico*
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, grazie delle parole, del sostegno, grazie davvero.
Scusate se quanto vi offro in questo capitolo è davvero misero.

Tai Nasha No Karosha,
Nemeryal

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