The Time Has Come For Us di LaMicheCoria (/viewuser.php?uid=53190)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo [Anno: 2264] ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Fuggire dall'Ombra di Se Stessi [Anno: 2261] ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387] ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Kal-tor ri nem-torcu iwe’ th’hi! [Anno: 2261] ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Urla nella Mente [Anno: 2387] ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Missione di Salvataggio [Anno: 2261] ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Di'Ranov! [Anno: 2387] ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Alea Iacta Est [Anno: 2261] ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Un Freddo ed Infranto Hallelujah [Anno: 2387] ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Ti Ho Trovato [Anno: 2261] ***
Capitolo 1 *** Prologo [Anno: 2264] ***
tthcfu
Autore: Nemeryal
Titolo: The Time Has Come for Us
Fandom:
Star
Trek [The Original Series – Star Trek XI: Il Futuro Ha Inizio]
Genere:
Generale
Avvertimenti:
Shonen-ai
(Canon e unilateralmente non-canon), Movieverse
Personaggi:
Spock,
James T. Kirk, Leonard “Bones” McCoy, Montgomery Scott, Pavel Chekov, Hikaru
Sulu, Nyota Uhura, Christine Chapel, Altri, Nuovo Personaggio.
Musica:
Varie
Note: Prima Long fic su
Star Trek! Alèèèèè!! Finalmente è arrivata, la Long di cui tanto vi avevo
parlato! Bon, iniziamo con le note basilari!
Questa Fiction avrà una struttura ad
anello, ovvero quello che andrete a leggere non sarà propriamente il prologo, ma l’epilogo o, almeno, parte di esso. E’
una struttura con cui mi ero trovata particolarmente bene per la mia prima
Long, lascia quel senso di “sospensione” che a me piace molto.
Piccola questione..la mia conoscenza
di Star Trek è circoscritta unicamente alla TOS, ai relativi 6 film e all’ultimo
di JJ Abrams, più qualche episodio della Serie Animata e alcuni dei romanzi.
Cercherò di informarmi il più possibile andando su Memory Alpha, ma vi chiedo
già in anticipo di perdonarmi se troverete qualche cosa di “strano”, un evento
aut similia, di cui si parla nella serie Enterprise o nella TNG e che nella fic
non viene citato.
Pooi..ah sì! Il pairing Nyota/Spock.
Ho pensato a lungo se inserire o no questo pairing all’interno della fiction, lo
giuro sulla cicatrice che Nimoy ha sulla guancia destra, analizzando i pro e i
contro della cosa e alla fine la mia decisione è questa: no. Non ci riesco, non
ce la faccio, se scritte bene posso apprezzare delle fiction con tale pairing,
ma io non riesco a sentirla “mia”, non so gestirla e quindi, sorry amanti delle
Nyota/Spock, in questa Long Fiction troverete solo un rapporto di amicizia fra
i due, nulla di più. È più forte di me..per quanto nell’ultimo film non ci
siano tutte quelle occhiate che tanto fanno palpitare il cuore alle Spirk fans
(Like me!) non riesco davvero a vedercelo Spock con Uhura.
Vediamo..ah, sì! Prima di alcuni pezzi
vedrete dei titoli di alcune Soundtrack fra parentesi. Senza dilungarsi troppo,
sono il sottofondo musicale che avevo pensato per quel pezzo. Lavoro moltissimo
con la musica.
E a proposito di questo, il titolo
“The Time Has Come For Us” è un verso del ritornello della canzone “Victoria
Speramus” dei Krypteria.
Calzante in un certo senso, no?
Okay, vi lascio alla lettura! Tai
Nasha no Karosha!
Dedica:
A Silentsky e a Pimplemi_chan il mio personale sostegno morale e scrittorio!
Ringraziamenti:
A tutti i Trekker della sezione che
continuano a seguire tutti i miei scleri scrittori su questa serie. Grazie,
grazie davvero. Questa Long Fiction è per voi.
Prologo
Anno:
2264
(Final Fantasy VII Advent Children Original Soundtrack
– Yakusoku no Chi –The Promise Land-)
Il fumo
violetto dell’incenso si levava lento dalle lunghe bacchette, disegnando
spirali e curve e forme sinuose, volteggiando nell’aria greve della stanza,
intrecciandosi l’uno con l’altro, per poi disperdersi con un palpito e svanire,
lasciando dietro di sé solo una scia di intenso profumo.
La
Sacerdotessa Anziana di Vulcano, vestita di porpora e argento, con veli d’un
bianco purissimo che le cadevano rigidi dalle spalle, stava al centro della
stanza buia; le labbra truccate di carminio, gli occhi dal taglio allungato,
con l’iride verde arabescata di grigio, il profilo severo e il naso adunco apparivano
e svanivano con un palpito nel lampeggiare continuo delle candele.
Attorno
a lei, alcune giovani donne di Vulcano, i lunghi capelli castani lasciati
sciolti sulle spalle, la fronte cinta da una tiara d’oro e il corpo flessuoso
avvolto da una veste candida, attendevano in piedi, in silenzio, gli occhi
rivolti verso terra, le dita intrecciate in grembo.
Il
silenzio nella stanza era tale da permettere ai presenti di percepire il roco
respiro dei membri più anziani, il crepitio dello stoppino divorato dalle
fiamme e le lacrime di cera che scivolavano pallide lungo il corpo affusolato
delle candele.
Un
giovane umano dai capelli castano chiaro, quasi biondo, si accostò lentamente
al vecchio Vulcaniano poco distante dalla Sacerdotessa, e chinò il viso nella
sua direzione
-Sono
sinceramente addolorato per la vostra perdita, Ambasciatore-
Sebbene
sussurrate, le parole parvero esplodere, spezzando inesorabilmente la strana
atmosfera di quiete ossessiva e sacra che permeava la Sala.
Il
vecchio alzò gli occhi, stranamente vuoti, verso il giovane e aprì la bocca,
come per parlare, ma la voce si dissolse non appena sfiorò le labbra secche e
pallide; uscì solo qualche frammento di suono, schegge di emozione che gli
costarono le occhiate di disapprovazione degli altri Vulcaniani presenti.
Il
giovane abbassò il viso, serrando la mascella e schiarendosi appena la gola,
quasi a voler cancellare il muto singhiozzo che gli aveva appena fatto
sussultare il petto. Fece per dire qualcosa, ma dei passi leggeri lo costrinsero
a voltarsi verso la porta,i cui stipiti, di vetro e cornalina, accoglievano il
bagliore danzante delle candele, riflettendolo tutto intorno.
Una
donna umana ed un Vulcaniano, fermi sulla soglia, chinarono la testa,
rivolgendo il gesto di saluto dapprima alla Sacerdotessa più anziana, poi alle
più giovani e infine agli altri presenti.
Gli
abitanti di Vulcano si scambiarono occhiate silenziose, ma ricche di astio
verso il loro fratello, per il suo sguardo così pieno, così toccato dal dolore,
dalla perdita, per la piega delle labbra e la mascella contratta, in un vano
tentativo di controllarne il tremore.
Il
giovane si scostò di lato, per permettere al vecchio Vulcaniano di avvicinarsi
ai nuovi arrivati: l’anziano chinò il capo verso la terrestre, che ricambiò il
saluto con occhi lucidi, per poi poggiare le mani sulle spalle dell’altro
figlio di Vulcano, stringendo talmente tanto la presa da far sbiancare le
nocche.
L’uomo
fece un rapido cenno alla giovane, che si diresse verso di lui con passo
incerto.
-Allora?
Novità?- le domandò, umettandosi le labbra secche e distogliendo lo sguardo dai
due Vulcaniani poco distante.
-Nessuna-
la donna scosse il capo e le spalle si abbassarono con un sospiro.
-Come
nessuna?- sibilò l’uomo, avvicinando ancora di più la testa verso di lei –Le
persone non spariscono nel nulla, Nyota!-
-Lo so-
fu la risposta secca –Ma..-
-Non
possiamo attendere oltre- la voce graffiante della Sacerdotessa fece alzare di
scatto la testa ad entrambi –La cerimonia deve cominciare-
Il
giovane sgranò gli occhi e voltò le spalle a Nyota, per rivolgersi alla
Vulcaniana.
-Vi
prego, Nobile T’Pen!- esclamò, allargando le braccia –Concedeteci ancora un
momento!-
-Non
abbiamo un momento, James Kirk- ribattè la Sacerdotessa, assottigliando lo
sguardo e arricciando le labbra –Abbiamo atteso anche troppo. È ora di dire
addio a nostro Fratello-
***
-Comandante-
il Romulano ai visori sollevò la testa, voltandosi verso il proprio superiore
–Una nave di piccole dimensioni è appena comparsa sullo schermo. Secondo i
nostri dati, proviene dalla Colonia Vulcaniana di Rok1-
Il
Comandante poggiò lentamente la schiena contro la poltrona, alzando appena il
mento e unendo fra le loro le dita, i gomiti rilassati sui braccioli.
-Molto
bene, tenente- si congratulò con un sorriso accennato sulle labbra –Ti stavo
aspettando- mormorò poi, socchiudendo gli occhi scuri –Sono pronta a
riceverti..-
1La parola rok in Vulcaniano significa “Speranza”
(Questo sito è oltremodo utile à http://www.starbase-10.de/vld/)
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Capitolo 2 *** Capitolo 1: Fuggire dall'Ombra di Se Stessi [Anno: 2261] ***
2261
Capitolo
1
Fuggire
dall’ombra di se stessi.
Anno: 2261
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Memories of
That Day)
La mattina, su Rok, era come il lento
aprirsi di un ventaglio: la luce tenue, tra il rosa e lo scarlatto, si snodava
dolcemente sulle creste rocciose e sulle valli, come lunghi nastri punteggiati
di stelle oramai offuscate.
L’alba si stendeva placida sulle case
e i villaggi, posandosi leggera sui fiumi argentini, fondendosi con essi,
crepandosi e infrangendosi a ritmo delle onde. Un vento caldo sollevava le foglie
pesanti degli arbusti e turbinava sulle distese di sabbia, colorandosi d’oro e
di rubino.
Immerso nel verde del Giardino di Vokaya1, Selek osservava il
quieto nascere del giorno in silenzio, le dita intrecciate dietro la schiena e
gli occhi scuri illanguiditi dalla luce del mattino; le labbra sottili erano
appena incurvate verso il basso, rendendo le rughe che le circondavano ancora
più profonde.
La veste nera, con ricami di filo
smeraldo, gli cadeva dritta dalle spalle piegate dalla vecchiaia, allargandosi
severa lungo i fianchi e sul selciato.
-Thol2 Selek- un sussurro,
dietro di lui, lo fece voltare, costringendolo a dare le spalle al sereno
sorgere dell’alba –Non mi aspettavo di
trovarvi qui-
-Ambasciatore Sarek- salutò
cordialmente Selek, chinando il capo –Desideravo vedere il mattino sorgere su
questo luogo colmo di ricordi- indicò con un ampio gesto del braccio le fontane
scintillanti, gli alberi dalle cortecce rosse e le foglie ricoperte di scaglie
nere, e i piccoli fiori che aprivano timidi le corolle scarlatte.
Sarek si avvicinò in silenzio, tenendo
le mani intrecciate al petto, e si accostò a Selek, chiudendo gli occhi e
respirando a fondo l’aria calda di Rok.
-Cosa vi ha portato qui, Selek?-
domandò, fissando l’altro Vulcaniano con aria grave –Perché indugiate nel
passato, tralasciando futuro?- e fece un gesto lento con le dita, spaziando
dalle cime aguzze dei monti alla città di Gad-shen3,
adagiata sulla valle.
Selek non rispose subito, limitandosi
a fissare il cielo con sguardo assente, prima di tornare a fissare Sarek.
-Vedete, Ambasciatore- mormorò,
schioccando le labbra rugose e inarcando le sopracciglia –Il futuro che voi dite,
per me è il passato. Eppure- si fermò un istante, corrugando la fronte –Questo
passato non sarà mai il mio futuro. Però, osservo l’alba sorgere in questo
luogo per ricordarmi che potrà sempre esserci un futuro, anche quando il
passato sembra distrutto-
-La logica del vostro ragionamento mi
sfugge- l’accenno di un sorriso si posò sulle labbra dell’Ambasciatore –Con tutto
il rispetto dovuto-
Selek si lasciò sfuggire una risata
roca e il sole comparve con un lampo dietro di lui, baluginando sui tratti severi
del viso, sulla fronte ampia e sul naso aquilino.
-A volte, bisogna saper essere logici
anche alla maniera degli essere umani- rispose –L’ho..imparato dal passato-
Sarek inarcò il sopracciglio destro,
poi chinò il capo e fece per andarsene.
-Nel tuo passato..lei è viva, vero?- domandò d’un tratto, girandosi appena ad
osservare Selek.
Quello prese un respiro profondo.
-Nel mio futuro..lei è morta, ma perché il tempo aveva fatto il suo corso-
-Shaya
tonat4- mormorò l’Ambasciatore, scendendo lungo il sentiero
acciottolato –Spock-
Dicono che la speranza sia sempre
l’ultima a morire, una forza, un fuoco che si spegne lentamente, poco a poco,
ma la cui più piccola fiamma continua ad ardere, dorata, sotto un sudario di
cenere.
Dicono che non bisogna mai arrendersi,
nemmeno davanti agli ostacoli più duri, ma solo lottare, lottare e lottare
ancora, afferrare il destino per le spalle e gettarlo a terra, schiacciandogli
la testa sotto i piedi.
Dicono che qualunque cosa accada,
tutto si risolverà per il meglio, che una soluzione ad un problema esiste ogni
volta, anche se all’inizio sembra impossibile.
Ad Eleni Theokore, rinchiusa in una
lurida cella, in compagnia di un cadavere in putrefazione, quelle sembravano
solo stronzate.
Erano parole prive di fondamento,
pronunciate da qualcuno cui forse erano venute in mente mentre era comodamente
seduto su una poltrona di velluto sanguigno, fra le mani un calice di cristallo
colmo di vino e lo sguardo rivolto verso una distesa di campi verdeggianti,
costeggiati da alti alberi dalle fronde nere e attraversati da un fiume
gorgheggiante, dalle acque d’argento.
Perché era sicura oltre ogni limite
che nessuno che aveva visto la propria vita, i propri diritti calpestati e
gettati al vento, i propri compagni cadere uno dopo l’altro, coperti di sangue,
o il proprio futuro sgretolarsi davanti agli occhi, in mille e più frammenti di
specchio, inutili e brillanti, nessuno che si fosse trovato in una situazione
del genere avrebbe mai potuto pronunciare parole simili.
Poggiò la nuca contro il freddo muro
della cella, lo sguardo cieco per l’oscurità in cui era costretta da..giorni?
settimane? Mesi? Scrollò il capo con un sospiro, per poi digrignare i denti a
causa della fitta che le aveva percorso come una scarica elettrica il petto,
infrangendosi contro le costole.
Si portò una mano all’altezza del
cuore, soffocando un gemito e mordendosi le labbra, coperte di sangue secco;
distese le gambe dolenti, sporche di polvere e coperte di escoriazioni,
scarlatti, sul pavimento incrostato di fango e continuò a massaggiarsi il
petto, sperando di mitigare il dolore.
-Dovrebbe riposarsi, Comandante- le
consigliò una voce femminile proveniente dalla cella accanto alla sua, una voce
arrochita dalla stanchezza e appesantita da un forte accento russo –Provare ad
allontanarsi almeno per un po’ da questo posto-
-A che servirebbe?- chiese Eleni,
poggiando la tempia destra contro le sbarre fredde della cella.
-Servirebbe..- la voce sbuffò e tossì,
rauca –Non si accorgerebbe di morire ogni istante di più-
-Haleema come sta?- chiese la donna,
stringendo l’anello dorato appeso alla catenella che portava al collo.
-Dorme-
-Fai attenzione che..-
-Non credi anche tu che possa essere
una liberazione?-
-Non perderò altri membri
dell’equipaggio- ringhiò Eleni, assottigliando lo sguardo.
-Mi spiace, Comandate- fu la risposta –Ma non dipende più da lei, ormai-
-Vorrei che lo fosse-
Il silenzio spiegò le ampie ali,
raccogliendo entrambe nel proprio abbraccio privo di voce.
-Tu pensa solo a rimanere in vita,
Eleni-
-Per quale motivo dovrei, a questi
punti? Non dipende da me, no?-
-La tua vita- cominciò l’altra -Non
dipenderà da altri che da te..e poi, hai una promessa da mantenere-
-Una promessa fatta ad un morto? Non
conta più..-
-Invece conta più di quella di un
vivo. Un vivo può scioglierla, un morto no-
Eleni si lasciò sfuggire un sorriso
sarcastico e prese il piccolo anello fra le dita, sfiorandolo con dolcezza.
-Oh certo. Gli ho promesso di vivere,
ma adesso sono come morta. Il legame era “fin che morte non ci separi”, giusto?
Se io adesso morissi, allora saremmo entrambi sullo stesso piano di esistenza e
potrei mantenere la mia promessa, vivendo nella morte-
-Hai ancora la forza di fare
speculazioni filosofiche?-
-Fa parte del mio corredo genetico-
-Greci- fu lo sbuffo un poco divertito
che la donna ricevette come risposta.
-Perché, voi russi cosa portate nel
corredo genetico?-
-Domanda facile, Comandante. Il
ghiaccio della Siberia, il fuoco dei Rivoluzionari..-
-E il veleno della Vodka- aggiunse una
voce bassa, un sussurro quieto, come il frullare d’ali di una colomba.
-Grazie, Haleema- soffiò la donna
russa ed Eleni sentì una piccola lacrima bruciare, appesa alle ciglia.
La asciugò con un gesto veloce, secco,
per poi riappoggiare la nuca alla parete. Portò le ginocchia al petto,
poggiandovi sopra il mento e circondando le gambe con le braccia.
-Sapete- mormorò la russa, sconfitta
–Mi sarebbe piaciuto rivedere Leningrado, una volta completata la missione..-
-La rivedrai, ne sono sicura, Ida- le
sussurrò dolcemente Haleema.
-No..nemmeno come cadavere..- fu la
risposta della donna.
-Dicono..- cominciò Eleni rialzando la
testa –Che la speranza sia sempre l’ultima a morire-
-Cazzate-
commentò con rabbia Ida –Solo emerite cazzate-
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Frontier
Village Dali)
-Un attacco di Klingon in arrivo,
Jim?- si informò McCoy, voltando le spalle al Capitano e rivolgendo la propria
attenzione allo scaffale che si trovava dietro di lui; cominciò a prendere
alcuni flaconi, più o meno alti, grossi e piccoli, storcendo ogni volta la bocca per poi mettere
il medicinale di nuovo sullo scaffale –Finirai per consumarle queste benedette
pillole, lo sai?-
-Non finché riuscirai a procurartele-
ribattè Kirk, seduto sul bordo dei uno dei letti dell’Infermeria; teneva la
testa piegata e con le dita andava a distendere e corrugare le sopracciglia,
massaggiando ritmicamente la fronte.
-Tieni- sbuffò il medico, aprendo una
confezione di pillole e lasciandone cadere due sul palmo aperto del Capitano
–Ma dovresti andarci piano-
-Sì sì, lo so- lo liquidò Jim,
ingoiando veloce le pastiglie e gettando la testa all’indietro, gli occhi
chiusi e una ruga profonda che gli solcava la fronte.
McCoy si sedette accanto al Capitano,
aspettando che quello tornasse a prestargli attenzione, e intrecciò le mani
sulle ginocchia, battendovi sopra le dita.
-Jim, che ti succede?- domandò,
vedendo che l’altro aveva assunto un colorito più sano rispetto a quando era
entrato in Infermeria –L’ultimo attacco Klingon risale a quattro mesi fa e non
saremo nel territorio circostante Mukade prima di una settimana. Escludo che il
tuo mal di testa sia dovuto ai nostri cari amici dalla fronte spaziosa-
Kirk gemette qualcosa in risposta,
passandosi una mano dietro la nuca e facendo scricchiolare le vertebre del
collo.
-Sputa il rospo, ordini del medico- lo
minacciò McCoy, inarcando il sopracciglio destro –Non sarà ancora per la storia
di Carol, vero?-
-Eh? Cosa?- Jim sgranò gli occhi e si
alzò di scatto dal letto, agitando le mani davanti al viso –No, no, no, che vai
a pensare? Con Carol è finita praticamente da un anno! No- storse la bocca in
un sorriso ironico –Non è per lei..-
-Lo spero!- Bones emise uno sbuffo che
sapeva più di risata e guardò l’altro di sottecchi –Deve essere stato un duro
colpo per lei, poverina, sapere di essere stata messa da parte per un’altra
donna-
Jim corrugò la fronte, schiudendo
appena le labbra e passandovi sopra la punta della lingua; poi inarcò le
sopracciglia e le iridi scure furono illuminate da un lampo divertito.
-Ah, ho capito, intendi lei..- si portò i pugni al fianchi e
alzò la testa –Come si fa a non esserne innamorati? Lei è tutta mia-
-Attento- lo ammonì il dottore –Scotty
è molto geloso della sua bambina-
-Scotty sa che non le farei mai del
male- gli ricordò Kirk, accarezzando con una mano le pareti candide
dell’Infermeria –Preferirei sacrificare la mia vita piuttosto che questa
Nave..-
-Ne sono sicuro- il medico inarcò un
sopracciglio, arricciando le labbra –Ora ho capito perché la Marcus ti ha
lasciato-
-Non mi ha propriamente lasciato- ribattè Jim, gesticolando con la mano –Ha
solo detto che non vedeva il motivo di continuare una relazione in cui una
delle componenti era sempre occupata a viaggiare in lungo e in largo per lo
spazio-
-E soprattutto perchè la componente
maschile è innamorata della propria Nave e la vezzeggia come fosse una donna in
carne, ossa e forme- completò McCoy con un sorriso sardonico sulle labbra.
-Divertente- commentò Kirk, sarcastico
–Almeno le ho lasciato un bel ricordo della nostra storia-
-Speriamo che il tuo ricordo non abbia
due gambe, due braccia e tanta voglia di piangere dalla mattina alla sera- commentò
il dottore, incrociando le braccia al petto.
-Un figlio? No, dai non scherzare su
queste cose, Bones!- esclamò Kirk, orripilato –Mi ci vedi con un figlio a
carico?-
-Io mi preoccuperei di più per il
bambino- lo corresse McCoy con uno sbuffo divertito –Sai che sfortuna avere
parte del tuo corredo genetico? Ehi, Jim..?-
Un’ombra scura era calata
improvvisamente sul viso del Capitano e gli occhi si era fatto cupi, distanti,
ma soprattutto lucidi; trattenendo il fiato, Kirk alzò la testa di scatto e
uscì in fretta dall’Infermeria, ignorando gli ordini dell’Ufficiale Medico di
tornare indietro.
(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Missing You)
Percorse i corridoi in fretta,
rispondendo solo con qualche veloce occhiata ai membri dell’equipaggio che si
mettevano sull’attenti quando passava, e ignorandoli completamente quando gli
bloccavano la strada per rivolgergli la parola.
Fu con un sospiro di sollievo che si
gettò dentro le porte aperte del TurboLift, sussurrando appena un “Ponte
cinque”, mentre macchie di colore, ricordi, suoni, odori gli colpivano
ripetutamente la fronte e lacrime bollenti premevano con forza contro le
palpebre serrate.
Prese un respiro profondo, tentando di
mantenere il controllo, ma più cercava di concentrare la mente su qualcos’altro
che non fosse il dolore muto e martellante alle tempie, più sentiva l’aria
farsi calda, soffocante, il terreno tremare, mentre l’odore acre del sangue gli
penetrava con forza nelle narici.
Si lanciò fuori dal TurboLift senza
nemmeno aspettare che le porte scorrevoli fossero aperte del tutto e si diresse
quasi di corsa ai suoi alloggi, entrandovi con un rantolo e gettandosi a terra
carponi, mentre il respiro si tramutava in singhiozzi strozzati, spezzati.
-Esci dalla mia testa- ringhiò,
mordendosi le labbra fino a sentire un sapore metallico sulla lingua –Vattene
dalla mia testa, cazzo!-
Si portò le mani alle tempie, ma già
dietro le palpebre chiuse poteva vedere il profilo rossastro di alcuni massi
ergersi dietro un velo di polvere rossa e grigia; un vento secco, sibilante,
frustava il terreno impervio e secco, sradicando i pochi arbusti che erano
riusciti a sopravvivere.
E poi vide un corpo, disteso a terra,
la consapevolezza di essere la causa della sua morte, una morte orribile, un
coltello Klingon, affilato e scintillante sotto le fiamme di Genesis, e il
sangue che colava a fiotti, impregnando di porpora la camicia altrimenti
bianca, e in due iridi scure –le sue,
erano le sue, vedeva se stesso, più vecchio, più lontano, sofferente!- il
volto di lui e un odio immenso, profondo, terribile, per
loro, i Klingon, loro che lo avevano
ucciso, ammazzato senza pietà, che lo sacrificato come un capretto sul loro
altare di teschi e ossa.
-David..- sussurrò, con le lacrime che
creavano solchi roventi lungo le guance –Maledetti Klingon, avete ucciso mio
figlio..-
Il morso della coscienza che riemerge,
un ringhio, un ruggito.
No, no, non era vero!
Prese un respiro profondo, annaspando
in cerca di aria, ma i suoi polmoni si riempierono all’istante di cenere e fumo,
facendolo piegare su se stesso, tossendo mentre le fiamme gli lambivano il
petto.
Il terreno tremava, squassato da un
ruggito di rabbia, da un ringhio vibrante sempre più forte.
-Esci dalla mia testa, Spock!- gridò,
al limite della sopportazione, inarcando la schiena e tendendo con sforzo
immane le braccia pesanti, sentendo i muscoli guizzare con un gemito di
protesta e i nervi spezzarsi con un crepitio assordante; si appigliò alla
realtà, la propria realtà, con tutta
la forza della disperazione, artigliando l’aria con le dita, stringendo i falsi
ricordi in una morsa ferrea e trascinandoli a terra, con un gesto secco,
furioso.
La piana si squarciò davanti ai suoi
occhi chiusi, le fiamme ebbero un ultimo guizzo, un ultimo scintillio, e si
accasciarono, morenti; il terreno si assestò con un poderoso colpo, per poi
rimanere silenzioso, muto, e il vento diminuì di intensità, fino a calare e
svanire come nebbia sottile; le piante alzarono i rami torti al cielo, le cortecce smembrate e le foglie
accartocciate, per poi essere spazzate via da un suono insistente, continuo, un
fastidioso ronzio.
Jim emise un gemito strozzato,
prendendo lunghi e profondi respiri, prima di stendersi completamente a terra,
supino, le braccia allargate, la schiena sudata contro il pavimento gelido, gli
occhi sgranati e rivoli di sudore freddo che gli colavano lungo il viso
pallido, mescolandosi alle lacrime già secche sulle guance.
Si portò una mano alla tempia,
strizzando le palpebre e maledicendo con ogni sorta di grugnito il suono sibilante
che gli stava perforando le orecchie e il cervello; gli ci volle qualche minuto
per capire che il ronzio altro non era che il segnale di chiamata
dell’intercom.
Si alzò di scatto, ignorando le urla
di protesta dei muscoli, barcollando fino all’apparecchio.
-Qui Kirk- balbettò, cercando di
riprendere il controllo.
-Jim!- l’esclamazione di McCoy investì
il Capitano con tutta la forza presente nelle corde vocali del medico –Buon
Dio, mi hai fatto prendere un colpo!-
-Bones..- sibilò Kirk, sfregandosi con
forza la fronte –Evita di urlare, ti prego-
-Evita di urlare? Evita di urlare? Sei
scappato dall’Infermeria senza una parola, come se avessi avuto dei Klingon
alle calcagna, reggendoti a malapena in piedi, bianco come uno straccio e mi
chiedi di non urlare?-
-No- il Capitano prese un altro
respiro –Te lo ordino-
Silenzio.
-Jim, come Medico Capo, ma soprattutto
come amico, vorrei che passassi la
notte in Infermeria, anche solo per un semplice controllo..-
-Bones, ne abbiamo già parlato- lo
interruppe Kirk, scuotendo la testa–Sto bene, te lo assicuro! Adesso mi faccio
una bella dormita e tornerò come nuovo, forse è solo tensione-
-Tensione? Questa scusa poteva andare
bene tre anni fa, o forse neanche quello, visto che allora avevi le energie
necessarie per farti prendere a pugni da un Vulcaniano emotivamente instabile
mentre rischiavamo di venire ammazzati da un Romulano altrettante instabile o
di finire dentro un buco nero per colpa del suddetto squilibrato - il crepitio
indicò che McCoy aveva appena ripreso fiato dopo la lunga arringa –Jim, questa
notte, solo per degli esami e..-
-No, Bones. Va tutto bene. Qui Kirk.
Chiudo- interruppe la comunicazione
senza nemmeno aspettare la protesta del medico e si gettò sul letto, chiudendo
gli occhi e coprendosi il viso con il braccio.
-Maledizione!- esclamò McCoy, colpendo
l’intercom con un pugno –Maledizione, Jim, che ti prende?
Solo in quel momento, avvolto dalle
tenebre, da una cecità voluta, Kirk si accorse di stare ancora tremando: il
corpo, bollente, era scosso da brividi gelati, e i denti continuavano a
battere, accompagnati dalle gocce di sudore che colavano fredde dalla fronte
aggrottata.
Si morse il labbro inferiore,
inspirando a fondo e ripensando alla conversazione appena avuta col medico.
Bones era preoccupato per lui, lo
capiva, certo, ma cosa poteva dirgli?
“Oh, non preoccuparti Bones, ho solo dei
ricordi di Spock, no, non il nostro Spock, quello vecchio che ora abita a Rok e
che viene dal futuro, sai quello che si fa chiamare Selek5? Sì,
proprio lui, ho i suoi ricordi che mi frullano nella testa come atomi impazziti
e mi stanno facendo diventare matto, perché ci sono momenti in cui non riesco
più a distinguere la mia realtà dalla mia
realtà, quella del me che abita dall’altra parte della staccionata del
paradosso temporale”
Oh sì, idea geniale. Perché non ci
aveva pensato prima? Ah sì, aveva già abbastanza problemi col suo Primo
Ufficiale, ecco perché.
La prima volta aveva anche trovato
divertente vedere il mondo come sarebbe dovuto essere in realtà, ma col tempo
la cosa gli era sfuggita di mano e a quel punto non poteva rivolgersi nemmeno
al suo Spock, al suo Primo Ufficiale, per chiedere aiuto, o un semplice consiglio.
Ma aveva bisogno, un bisogno disperato
di mettere un freno a quelle correnti di memorie, ricordi, rimpianti e
sentimenti che lo sorprendevano nei momenti più diversi, costringendolo ad una
lotta furiosa fra la propria coscienza e quella di un altro.
Non aveva nascosto nulla a Spock di
quanto era accaduto tre anni prima su Delta Vega, ma aveva volontariamente
tralasciato il dettaglio del Mind Meld: da quanto aveva appreso, soprattutto
dal Legame, il Contatto Telepatico era per i Vulcaniani qualcosa di personale,
troppo intimo perché ne si potesse parlare con scioltezza o indifferenza.
Con quel Contatto, si era
completamente fuso con l’anima di Spock, ne aveva sondato ogni piega, fatto suo
ogni lato, anche il più nascosto, fino a vedere
chi fosse davvero il suo Primo
Ufficiale. Aveva visto, scoperto il suo lato umano, era entrato in contatto con esso fino a comprenderne ogni
più intima sfumatura, e aveva troppo rispetto per Spock, il suo amico più che il suo sottoposto, per
ammettere di aver oltrepassato la sua maschera di rigore e freddezza, l’ unica
difesa contro il mondo che lo circondava, quella stessa maschera che persino
Nyota, col suo amore, non era riuscita a superare.
No, non avrebbe mai potuto fare una
cosa del genere. L’egoismo e la meschinità non erano fra i suoi difetti.
In verità, aveva anche pensato a
rivolgersi al diretto interessato, chiedergli perché, accidenti, oltre ai
ricordi della Supernova, avesse assorbito tutto il resto, costringendolo a condividere in silenzio una vita che non
era sua, a viverla attraverso gli occhi di un altro e vedersi, lì, sulla
Enterprise, come sarebbe dovuto essere in realtà se Nero non fosse mai arrivato
nel loro Universo6.
Affondò la nuca nel cuscino e
intrecciò le mani al petto, piegando il ginocchio destro e fissando il soffitto,
in silenzio.
Se l’altro Kirk era davvero tutto
quello che aveva visto, sentito, provato attraverso gli occhi di Spock, lui cos’era? Lui, così giovane,
strafottente, insofferente, con un quoziente intellettivo da genio, ma
l’istinto di sopravvivenza praticamente nullo, che si lanciava a testa bassa
nelle situazioni più difficili solo perché..bhè, perché esistevano, che non
credeva alle situazioni senza via di uscita e che infrangeva, senza nemmeno
troppi rimpianti, il regolamento di Starfleet?
Era come un piatto preparato dal
sintetizzatore? Con lo stesso aspetto, lo stesso gusto, ma completamente
diverso dal cibo originale?
Da bambino aveva sempre vissuto
nell’ombra di suo padre, affiancato dal suo fantasma pallido e silenzioso, e
aveva cercato in ogni modo di fuggire da quel gelo, ribellandosi a qualsiasi
cosa, a qualsiasi legge e qualsiasi costrizione, incapace trascorrere la sua
esistenza in catene, e con la sola voglia di vivere, vivere e vivere ancora, per
non essere morto prima del tempo, come lui.
Ci era riuscito, dopo sacrifici,
dubbi, lotte, alla fine aveva finalmente cessato di essere il figlio del
defunto salvatore della USS Kelvin, per diventare il Capitano della USS
Enterprise, il più giovane mai registrato negli archivi di Starfleet. Aveva
anche creduto, per qualche tempo, di essere completamente se stesso, ci aveva
creduto davvero e si era sentito..realizzato, pienamente se stesso, James
Tiberius Kirk.
Ma poi erano arrivati loro, i ricordi.
E allora la sua fuga era ricominciata,
una fuga contro qualcuno che era vivo e morto allo stesso tempo, che era lui e
non lo era, vecchio e giovane, saggio e ribelle, due Kirk diversi come la linea
temporale in cui esistevano, ma uniti da un unico legame: Spock.
Ma stava fuggendo da se stesso, dalla
propria ombra, un correre senza meta, tra bivi e curve che portavano sempre al
solito vicolo cieco, alla stessa domanda: cosa avrebbe fatto lui?
Perché era lui, ma non lui, era un Kirk diverso da Kirk, il nome era lo stesso, ma tutto il
resto era diverso, sbagliato.
Agiva e sceglieva credendo di essere
nel giusto, ma c’era sempre quella voce che lo faceva cadere nel dubbio, che
gli chiedeva “Ma lui avrebbe fatto lo
stesso?” avrebbe scelto sinistra invece di destra, bianco al posto del nero, la
fuga al sacrificio?
Era un tendere inutilmente la mano
verso qualcosa di necessario, verso la propria essenza, la propria esistenza,
ma senza riuscire mai, mai e poi mai a raggiungerla davvero, ostacolati sempre
da lui, dall’altro, dalla perfezione che non sarebbe mai potuto essere, perché
non poteva essere la perfezione, lei esisteva ed era già esistita, così diversa
da quella piccola e sciocca imitazione, che giocava ad essere qualcuno che non
sarebbe mai stato.
Il sedativo cominciò a fare effetto:
un calore diffuso, languido, lo avvolse lentamente, annebbiandogli i pensieri,
appesantendo le palpebre e il respiro.
La mente prese ad offuscarsi,
velandosi di nero, portando via con sé ogni dubbio e ogni domanda,
cancellandola, almeno per quella breve parentesi di riposo, di un sonno senza
sogni, senza ricordi, senza memorie.
Sarebbe stato solo lui, il pensiero, l’essenza di Kirk, passato, presente e futuro, e avrebbe galleggiato
in uno stato di quiete assoluta.
Avrebbe riposato e basta.
Avrebbe recuperato le forze e dato
anima e corpo per la missione che lo attendeva, perché non era contemplata
altra possibilità che la riuscita.
Non poteva permettersi di dubitare.
L’altro
l’avrebbe fatto e lui non era da meno.
Lui era James Tiberius Kirk e non
avrebbe permesso che qualcun altro prendesse il suo posto, nemmeno se stesso.
Lui era James Tiberius Kirk, e avrebbe
fatto le sue scelte, avrebbe preso le sue decisioni, giuste o sbagliate che
fossero, semplicemente perché era lui a volerlo.
Lui, James Tiberius Kirk.
Ma
anche l’altro è James Tiberius Kirk. Era
ed è, e tu? Tu cosa sei? Cosa sarai? Kirk o la sua scialba imitazione
parallela?
Un ultimo barlume di coscienza e poi
le tenebre.
1 “Ricordo” in Vulcaniano
2 “Nobile” in
Vulcaniano
3 ”Alba” in Vulcaniano
4 “Grazie” in
Vulcaniano
5 Il nome usato da
Spock nell’episodio della Serie Animata “Yesteryear”
6 E’ diventato
opinione comune tra i fan che, durante il Contatto avvenuto tra lo Spock del
Futuro e Kirk, la versione Reboot del nostro Capitano preferito abbia “assorbito”
anche gli altri ricordi di Spock, non solo quelli relativi alla Supernova. E,
ehi! Se c’è un modo per rendere ancora piSSicologicamente tormentato un pg come
il Kirk Reboot, sono pronta a cogliere la palla al balzo!
Angolo
di Nemeryal, Data Astrale 63962.8 (http://www.ussdragonstar.com/utilitycore/stardates.asp)
Nuovo
capitolo! E compaiono anche i primi OC!
Che dite, Kirk Reboot troppo OOC e mentalmente disturbato? Speremmu
de nu! XD Anche perché sarebbe fantastico rendere OOC un pg che è già
abbastanza OOC rispetto al pg cui fa riferimento!
E ora,
rispondiamo alle recensioni!
Maya891: Ecco il
seguito! Spero di non deluderti!
Lady Amber: Certo, se non fosse oscuro e incasinato non sarebbe nel
mio stile XD The Promise Land è una musica bellissima, ma è di Nobuo Uematsu,
un nome una garanzia!
Persefone Fuxia: Ah, i Romulani! Se non ci fossero dovrebbero
inventarli..che è poi è quello che ha fatto papà Roddenberry se ci pensiamo
bene..ehm! Frase comprensibilissima, invece, mi trovo d’accordo te! Infatti
Uhura sta bene solo con Chekov (quando lui non è impegnato con Sulu) oppure con
Scotty U.U
Sono
una scema, lo so! HyperTrek! Oh my dear Spock, ho
dimenticato di nominarlo! *si da cocco telematico sulla testa* Liberarmi di te?
Non sia mai!
Abdulla: Compagna
Spirkiana! Ebbene sì, sono anche io una Spirkiana convinta XD (Hai visto anche
il link che ti ho mandato per email, no? Tra un po’ cascavo dalla sedia mentre
leggevo!) Sono felicissima per la fiducia che riponi nella trama e i Romulani
DEVONO esserci, in qualche modo! Sono così teneri..più o meno!
Oh sì,
lo so quale collegamento sinaptico hanno fatto i tuoi neuroni *ghigno* Sarà
giusto, non sarà giusto? Solo il tempo ce lo dirà *svanisce in una polvere di
ghiaccio secco*
Thiliol: Speriamo
di non deludere nessuna aspettativa! Mi sento un poco sotto pressione XD
Romennim: Oh sì,
sono una Autrice sadica. E tanto anche! Spero di non deluderti!
6 Recensioni! Mi fate commuovere!
Ringrazio:
Lady Amber, Persefone Fuxia e Thiliol per aver inserito questa storia tra le seguite!
Al
prossimo capitolo!
Tai Nasha no Karosha!
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Capitolo 3 *** Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387] ***
2387
Capitolo
2
Mamu
lafot’hi ni th’
Anno:
2387
(Final Fantasy X Original Soundtrack – To Zanarkand)
La notte, su Vulcano, arrivava lenta.
Si alzava, come fiamme di nero
cobalto, a coprire il volto scintillante dei tre soli, racchiudendoli fra le
proprie spire, fino a cancellarli per quel poco che serviva loro a riposare e
risultare ancor più splendenti il mattino successivo.
Il tramonto era un lampo scarlatto,
che tingeva di sangue le creste aguzze dei Monti, per poi gettarsi come le
acque di una cascata sulle convalli, i villaggi, le case; riempiva le colline
con il proprio manto sanguigno, tinteggiandole delle più svariate tonalità di
rosso, e poi si ritirava, come un’onda, per lasciare il posto al cupo velluto
della notte, costellato di astri adamantini.
Dal balcone della vecchia dimora di
Sarek, l’Ambasciatrice di Romulus osservava il quieto morire del giorno, in
silenzio; il vento della sera ne faceva oscillare i capelli castani, soffici e
striati di grigio e le lunghe dita, ancora forti nonostante l’età, stringevano
la ringhiera in una morsa ferrea. Le vene svettavano verdi sul dorso, laddove
la tensione dei muscoli era più forte.
Le labbra erano strette, una linea
nera e sottile sul volto dai tratti severi, e gli occhi scuri, posati sulle
valle che si apriva dirimpetto al balcone, erano accesi dalla preoccupazione.
La veste, lunga fino ai piedi, bianca
con strisce nere che si avvolgevano intorno alla stoffa, era coperta da un
“velo” fatto di anelli di metallo, che le cadeva sulle spalle, tintinnando ad
ogni soffio di vento.
Dava la schiena alla grande finestra
del Salone e talvolta alzava il viso al cielo, schiudendo le labbra e sbattendo
le palpebre, stringendo sempre di più la presa attorno alla ringhiera del
balcone.
-Ambasciatrice- una voce gentile,
proveniente dalla casa, fece voltare la Romulana, che si concesse un sussulto
appena accennato –La notte su Vulcano è molto fredda. Prego, venite dentro-
-Lady Perrin- l’Ambasciatrice chinò un
poco il capo verso la donna bionda che la fissava dalla soglia del balcone –Non
datevi pena per me. Non sarà certo il freddo a piegarmi-
-Ne sono sicura- Perrin sorrise e
intrecciò le mani all’altezza del petto, raggiungendo la Romulana e chiudendo
gli occhi, assaporando l’aria bollente di Vulcano, attraversata dai soffi
gentili e delicati della sera.
-Qualcosa vi preoccupa,
Ambasciatrice?- domandò la vedova, spostando con un gesto aggraziato il velo candido
che le era andato a coprire il viso –Mi sembrate lontana da Vulcano, questa
sera-
La Romulana alzò viso verso il cielo,
prima di rispondere
-Il mio Pianeta sta correndo un grave
pericolo. I Vulcaniani troverebbero la mia preoccupazione logica-
-Ma Spock è corso in aiuto di Romulus-
le ricordò Perrin poggiandosi sulla ringhiera scura –Preoccuparsi è illogico-
All’Ambasciatrice non sfuggì il tono
amaro con cui la donna aveva pronunciato il nome del Vulcaniano. Un sorriso
tirato le apparve sulle labbra
-Voi non sembrate d’accordo su questo-
commentò la Romulana, voltandosi e tornando a fissare il cielo tinto di viola
–Provate ancora del rancore, della rabbia per il figlio di Sarek, non è vero?-
Perrin fece finta di non sentirla, ma
il contrarsi dei muscoli del viso e il defluire improvviso del sangue sulle
guance erano un chiaro segno del suo disagio.
Dopo alcuni istanti di silenzio,
l’Ambasciatrice lasciò cadere il braccio
destro lungo il fianco e si voltò lentamente verso la vedova
-Voi siete terrestre, non è vero Lady
Perrin?- domandò, mentre una scintilla di derisione le attraversava gli occhi
scuri.
-Naturalmente- la donna parve stupita
–Per quale motivo me lo chiedete?-
-Solo che..- la Romulana lasciò la
risposta in sospeso, volutamente –Mi chiedo per quale motivo siate ancora qui
su Vulcano, nonostante vostro marito sia morto da ben diciannove anni. Non
avete nostalgia della Terra?-
-La mia casa è qui- la vedova si soffermò con forza su “casa” e “qui” –Non ho più
nulla che mi leghi alla mia vecchia patria-
-Dite che la vostra casa è qui, ma
trovo che siate in torto..questa è la casa di Sarek, la casa di Spock. Il loro pianeta, la loro casa- accarezzò la ringhiera con le lunghe dita, mentre il suo
profilo si stagliava scuro contro le tenebre della notte imminente –Voi, qui,
non avete più nulla-
-Custodirò la dimora di Sarek e il suo
ricordo finché avrò vita- le labbra rugose di Perrin vibravano, scosse da quel
sussurro così simile ad un ringhio –Vulcano è la mia casa, anche ora che mio
marito è morto. Non mi importa cosa pensino tutti gli altri, nemmeno cosa
pensiate voi, Ambasciatrice-
-Io penso- rispose con un sorriso
sardonico la Romulana –Che voi vogliate difendere i diritti inesistenti che vi
legano a questa casa- e indicò con un gesto vago l’alta finestra, le mura
scarlatte, il giardino e le fontane, sfiorando con le dita il profilo aguzzo
dei monti –In fondo, voi non siete che una vedova, mentre Spock e la sua
discendenza..bhè, essi hanno dalla loro parte il diritto di sangue-
-Perché mi state dicendo questo?-
l’incredulità e la rabbia si mescolavano negli occhi sgranati della donna
–Perché ora?-
La Romulana sbuffò e tornò a fissare
il cielo
-Per farvi stare tranquilla, Lady
Perrin- le disse, scuotendo appena la testa –Avrete questa casa, finché avrete
vita. Fino ad allora, la dimora di Spock e dei suoi discendenti sarà su
Romulus-
-Per quale motivo siete ancora
convinta che io odi Spock?- la vedova si morse le labbra e strofinò fra loro i
palmi delle mani –Sarek amava suo figlio, era orgoglioso di lui, il suo ultimo
pensiero è stato per Spock! Perché dovrei odiare chi mio marito amava con tutto
se stesso?-
-Proprio perché il suo ultimo respiro
è stato per suo figlio, non per la sua seconda
moglie. Per tutti, Amanda era la moglie di Sarek, mentre voi siete solo
la vedova- il tono dell’Ambasciatrice
era gelido, non c’era alcuna soddisfazione in esso, nessun intento derisorio.
-Io non ero il fantasma di Amanda, non
lo sono ora e non lo sarò mai- replicò con rabbia Perrin, assottigliando lo
sguardo –Siete una sciocca se mi considerate tale-
La Romulana rimase in silenzio, lo
sguardo catturato dal candore delle stelle e avvolto dal blu cupo della notte.
-Perché, Ambasciatrice, perché ora?
Perché mi dite tutto questo su di me, su Spock, su Amanda? Non ne capisco il
motivo!-
-Voi siete umana, Perrin- mormorò la
Romulana, senza guardarla –Voi conoscete le emozioni, conoscete il turbamento.
Il vostro animo percepisce, sebbene in parte, i cambiamenti che regolano
l’equilibrio dell’Universo, siete in contatto, anche minimo, con tutti vostri
simili, con coloro che amate e se succede loro qualcosa, potete avvertirlo. È
quello che voi chiamate presentimento.
-Ho un presentimento, Lady Perrin, come un brivido che mi corre lungo la
schiena. Non so dargli un nome, una forma e nemmeno un volto. Sappiate solo
questo: voi siete umana, Vulcano non è il vostro mondo, sarete per sempre una
estranea qui e da tutti sarete ricordata come la “sostituta” di Amanda.
-Ma Spock, nonostante l’odio ed il
rancore che ancora provate nei suoi confronti, ha di voi tutt’altra
considerazione. Ricordatevelo.
-Vi darà aiuto se lo chiederete, anche
se voi, diciannove anni fa, non l’avreste fatto. Vi lascerà la casa, anche se,
per diritto di sangue, avrebbe la possibilità ed il potere per mandarvi via. La
discendenza di Sarek non si è estinta, ma finché Spock vivrà e voi camminerete
su queste terra, non permetterà a nessuno dei suoi eredi di allontanarvi.
-Ricordatevelo, Lady Perrin. Se mai
dovesse accadere qualcosa, ricordatevi di Spock non come lo avete creato nella
vostra mente, forgiato col vostro dolore, ma come è in realtà..e siate pronta
ad essere nobile quanto lui-
***
(Final Fantasy X-2 Original Soundtrack – Eterny. Memory of Lightwaves)
-M’Shien, passami i dati della Jellyfish sullo Schermo Quattro-
Berz’uk si allungò sulla sedia,
tendendo le braccia indolenzite dietro la schiena e strizzando le palpebre,
mentre un gemito gli usciva dalle labbra socchiuse.
Stava lavorando da ore, senza
riposarsi un momento, mentre formule, equazioni e calcoli gli vorticavano nella
testa e gli occhi, piccoli e scuri, bruciavano per la troppa esposizione alla
luce tagliente degli schermi computerizzati.
Si passò una mano sulla fronte,
sfregando con forza le creste ossee che apparivano appena sotto la pelle tesa:
esse, insieme alla corporatura massiccia e i capelli stopposi che gli
ricadevano selvaggi sulle spalle, partendo dalla nuca e lasciando nuda gran
parte della testa, erano i segni inequivocabili delle sue origini Klingon.
-Berz’uk- lo chiamò suo fratello
gemello, Yerzek, dalla postazione accanto alla sua –Stiamo ricevendo gli
aggiornamenti da Vulcano-
-Passali a T’Lenna- rispose, armeggiando
con la tastiera ed esaminando alcuni diagrammi –Mi chiedo perché quei
cervelloni dalle orecchie a punta non possano inviarglieli direttamente, senza
dover passare da noi-
-T’Lenna è una rinnegata per loro- gli
ricordò il gemello, grattandosi la nuca con il retro di un pennino –Hanno
permesso a Starfleet di farla collaborare con noi solo perché si tratta di
un’emergenza-
-Vulcaniani, valli a capire- sbuffò
Berz’uk, annotando alcuni calcoli sul Padd accanto a sé, per poi riportarli sul
computer.
-Signor Berz’uk?- una voce appesantita
da un forte accento terrestre, del sud est asiatico, lo chiamò dalla postazione
dietro alla sua –T’Lenna sullo Schermo
Sei, aggiornamento sulla Nana Bianca-
-Perfetto, grazie Koothrapali-
Berz’uk sfiorò lo schermo del computer
con le dita, aprendo una nuova finestra di comunicazione.
-Qui Berz’uk-
Il viso di una donna Vulcaniana
apparve sul pannello: i capelli castani le circondavano il viso squadrato e gli
occhi scuri erano un mescolarsi continuo di emozioni, che lei non cercava in
alcun modo di tenere nascoste.
Come sua madre prima di lei, T’Lenna
era cresciuta lontano dalla fredda logica Vulcaniana ed era entrata in armonia
con le proprie emozioni, vivendole appieno e senza contrastarle, ma non
sottomessa ad esse.
T’Lenèk, sua madre, aveva abbandonato
il marito con la cerimonia del Koon-ut-kal-if-fee,
per unirsi a Sybok e, come lui, lasciarsi alle spalle le leggi e la
serenità di Surak. Aveva avuto tutto quello cui i Vulcaniani avevano
rinunciato, era diventata pura emozione e si era lasciata guidare da essa,
attraverso la gioia, il dolore, la sofferenza e il piacere.
Il profondo rispetto che aveva avuto
per Sybok era diventato col tempo qualcosa di più profondo ed intimo, l’ultima
barriera che ancora si frapponeva fra lei e la completa negazione dei precetti
di Surak: la passione.
Si era lasciata andare, si era
abbandonata ad essa, rinunciando alla Logica, rinunciando ad una casa,
rinunciando a Vulcano.
Quando T’Lenna era nata e Sybok era
stato allontanato dal Pianeta, T’Lenèk aveva cresciuto sua figlia da sola,
lontano da quella che una volta era la sua famiglia e aveva continuato l’opera
che il suo amante aveva cominciato: diffondere su Vulcano l’ardore delle
emozioni.
La mente di T’Lenna, svelta, pronta,
adatta all’apprendimento, era stata notata da Spock al suo ritorno dalla
ricerca di Sha Ka Ree, e aveva
insistito con l’Alto Consiglio sulla necessità di istruire meglio quella che
era la sua unica nipote.
Ma nonostante l’impegno
dell’Ambasciatore, T’Lenna non era stata accettata.
I membri dell’Alto Consiglio potevano
anche tollerare la presenza di un mezzosangue nelle proprie scuole o nella loro
prestigiosa Accademia delle Scienze, ma non la figlia di rinnegati, soprattutto
la figlia di Sybok.
Spock aveva quindi portato T’Lenna
sulla Terra e aveva caldeggiato la sua entrata all’Accademia di Starfleet, dove
erano stati ben felici di accoglierla e dove lei aveva potuto approfondire
meglio le proprie capacità e le proprie conoscenze, fino, ma questo Berz’uk lo
pensava solo per spirito di vendetta nei confronti dell’Alto Consiglio, a far
pentire amaramente chi non l’aveva voluta nell’Accademia delle Scienze.
Tutto questo Berz’uk non l’aveva
saputo dalla diretta interessata, ma dall’Ambasciatore stesso.
Ed era stato proprio Spock a fargli il
nome della nipote quando Starfleet lo aveva messo a capo della squadra che
avrebbe supportato quella di Vulcano nella missione di “assorbire” la Supernova
e salvare Romulus.
-Signore, le sto inviando i dati
relativi alla Nana Bianca- lo informò la Vulcaniana e subito alcuni numeri
cominciarono a comparire sullo schermo –La fusione ancora non è iniziata, ma
sono più propensa a fidarmi di Yerzek quando è alla soglia del coma etilico a
causa della birra Romulana, piuttosto che di una stella che sta collassando-
-Grazie, dolcezza- disse Yerzek, senza
distogliere lo sguardo dal proprio computer e continuando ad inserirvi calcoli
ed equazioni.
-Passa i dati al dottor Hofstatder e
al dottor Cooper- le rispose Berz’uk, mentre sulle labbra si disegnava un
veloce sorriso –Voglio che calcolino nuovamente varie ipotesi su quando avverrà
l’esplosione-
-Devo poi comunicarla anche
all’Accademia delle Scienze Vulcaniana?- domandò T’Lenna –Avranno già calcolato
variabili su variabili mentre noi stiamo qui a passarci dati su dati-
-Mandali comunque- Berz’uk si passò
una mano sulla fronte –Non che non mi fidi dei nostri amici dalle orecchie a
punta, ma preferirei avere delle ipotesi in più che delle ipotesi in meno-
-Uh, molto logico da parte tua,
fratello- lo canzonò Yerzek, voltandosi appena e facendo l’occhiolino in
direzione di T’Lenna.
La Vulcaniana alzò gli occhi al cielo
-Riolozhikaik1-
-No, solo idiota- precisò Berz’uk con
un ghigno.
-Ti faccio presente che sono nella
postazione accanto alla tua, fratello- gli ricordo Yerzek, scoccandogli
un’occhiata gelida.
-Lo so. È per questo che l’ho detto-
T’Lenna sbuffò, mentre gli angoli
della bocca si sollevavano in un sorriso, poi corrugò le sopracciglia e schiuse
le labbra.
-Berz’uk- disse allarmata –Una
comunicazione urgente da Vulcano-
Il mezzo Klingon tornò immediatamente
serio.
-Cosa dice?-
-Sono nuovi dati sulla Nana Bianca-
Berz’uk avvertì un soffio gelido
insinuarsi lungo la colonna vertebrale e spandersi, maligno, in tutto il corpo.
-La fusione è appena iniziata - la
voce della Vulcaniana venne scossa da un tremito –La stella esploderà fra pochi
minuti-
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – A Face
Unforgotten)
-Jellyfish,
qui Vulcano-
L’Ambasciatore premette il pulsante
accanto alla cloche ed una piccola schermata si aprì sul visore accanto: un
Vulcaniano dalla pelle scura, che riconobbe subito come Seredok, colui che era
stato messo a capo del progetto che avrebbe permesso di salvare Romulus dalla
distruzione, comparve sul monitor.
A Spock bastò solo uno sguardo alle
labbra carnose, strette e tirate, per capire la situazione.
Le dita attorno alla cloche tremarono
appena, ma la voce rimase ferma quando chiese
-Quanto?-
-Quattro punto sette minuti-
Chiuse gli occhi, mentre le nocche
sbiancavano e il respiro si trasformava in un rantolo soffocato.
-Mettetemi in contatto con Starfleet
sullo schermo Due-
Seredok annuì e subito lo spazio sul
visore si divise a metà; sull’altra parte dello schermo apparve il viso tirato
e serio di Berz’uk.
-Vorrei parlare con l’ingegnere
Wolowitz-
Il mezzo Klingon annuì e la sua
immagine venne sostituita dal viso appuntito e pallido di un giovane terrestre
dai capelli castani, tagliati corti.
-Voi avete collaborato con i migliori
ingegneri di Vulcano per costruire la Jellyfish-
disse e la sua non era una domanda, ma un’affermazione, fredda e logica –A
massima curvatura..-
-I motori potrebbero non resistere
alla pressione, Ambasciatore. Potreste arrivare in tempo, oppure no, ma la Jellyfish rischierebbe comunque di
implodere e voi e la Materia Rossa con loro. Ambasciatore, Romulus..-
-Romulus può ancora essere salvato- lo
interruppe Spock, iniziando ad aumentare la velocità di curvatura.
-Ambasciatore, non siate illogico- la
voce di Seredok si fece più dura –Potete ancora assorbire la Supernova, ma
quella di Romulus è una situazione senza via di uscita-
-Non esistono le situazioni senza via
di uscita- l’Ambasciatore sorrise, mentre gli occhi si illuminavano,
illanguiditi da ricordi a stento offuscati dagli anni trascorsi –L’ho imparato
da un vecchio amico-
-Ambasciatore!- esclamarono
all’unisono il Vulcaniano ed il terrestre, ma il loro grido si spense, la loro
voce divenne muta non appena le dita rugose di Spock andarono ad interrompere
la comunicazione.
***
-Maledizione, si farà ammazzare!-
ringhiò T’Lenna, dopo aver sentito il resoconto di Wolowitz. Mentre la rabbia
le esplodeva nel cuore, infrangendosi contro il petto ed infiammandole l’animo,
la vista le si appannò per le lacrime che si stavano raccogliendo veloci ai
lati delle palpebre.
Serrò la mascella e le rigettò
indietro con un gesto feroce del capo, prima di sbattere il pugno contro uno
dei pannelli incassati sulla superficie del tavolo grigio-azzurro.
Un fischio la avvertì di una
comunicazione in arrivo e quando, dopo aver alzato la testa con disperazione,
lesse il nome dell’Accademia delle Scienze Vulcaniana, percepì le proprie mani
tremare per l’ira, come attraversate da scariche elettrice.
Aprì la comunicazione soffiando come
un gatto e come vide il volto di T’Len, la sua sorellastra, apparire serio e
composto sullo schermo, la vista le si velò di rosso.
-Sasaudauka!2-
gridò –Aitlura shroitor s’kan’hi ni
th3’!-
-Kayazo
Spokam’at nahr4- replicò
T’Len senza perdere la propria freddezza –Mamu
lafot’hi ni th’5-
-Due punto tre minuti- annunciò
funereo uno degli scienziati accanto a T’Lenna.
La Vulcaniana si portò le mani alle tempie
e quando la sorella fece per parlare, interruppe la comunicazione e aprì un
nuovo canale con Berz’uk
-Dimmi che siete riusciti a
contattarlo!- la voce si stava spezzando, era come una lastra di cristallo che
ad ogni istante si venava sempre di più, crepandosi irrimediabilmente –Fatelo
ragionare!-
-Ha chiuso ogni comunicazione- il
mezzo Klingon scosse la testa –Non vuole ascoltare-
T’Lenna affondò le dita nei capelli,
tirandoli fino a sentirli bruciare e sanguinare.
***
-Mandana6, dovresti
riposarti-
La Romulana si voltò, tenendosi una
mano sul ventre gonfio per la gravidanza, e piegò la testa in direzione del suo
interlocutore.
-Ti ringrazio, Ma’rib, ma intendo
aspettare qui-
-Mandana..- Ma’rib le si avvicinò e le
posò una mano sulla spalla –Tu hai fiducia nei Vulcaniani? Anche se non ci
hanno dato la tecnologia per creare la Materia Rossa?..Credi davvero che ci
salveranno?7-
-Nero ha fiducia in Spock e io in mio
marito- replicò la Romulana, socchiudendo gli occhi scuri - L’Ambasciatore
Spock vuole salvare Romulus..e lui è un Vulcaniano-
-Ma è in parte umano- le ricordò
Ma’rib –Forse è questo che lo rende diverso dai Vulcaniani e degno di fiducia-
-Forse- Mandana alzò il viso al cielo
–O forse, qui su Romulus ha trovato qualcosa
che vuole salvare ad ogni costo-
***
Quando Shral era nato, su Andoria,
tutti credevano che avrebbe ereditato le caratteristiche di Talel, sua madre,
una Aenar, ma il giovane aveva una
vista perfetta, il colorito della pelle era giusto un poco più pallido rispetto
agli altri Andoriani e non aveva alcun potere telepatico.
O almeno, tutti dicevano che ne fosse privo.
Shral era di un parere decisamente
opposto: più volte, infatti, aveva intavolato discussioni e litigi su quanto il
sangue di sua madre avesse influito sulle proprie capacità telepatiche.
Forse
non sono potenti come quelli degli Aenar purosangue, diceva, ma sono comunque consistenti per un
Andoriano comune.
Si vantava di saper percepire i
pensieri delle altre persone, che si accavallavano nella sua testa come zanzare
fastidiose e moleste, e di essere in grado di avvertire le emozioni di chi gli
si trovava davanti.
Sulla prima “dote” nessuno poteva dire
nulla -chi infatti avrebbe voluto entrare nella mente di Shral?-, ma sulla
seconda erano nate e morte varie scuole di pensiero, una più ridicola
dell’altra.
Certo è che quando Shral entrò nella
Sala Ricreativa Quattro e posò il proprio sguardo su un membro della Sezione
Scientifica seduto in disparte, in uno degli ultimi tavoli, capì subito che non
sarebbe servito alcun potere telepatico per indovinarne l’umore.
Il Romulano era infatti piegato su
stesso, la fronte poggiata sulle dita intrecciate e le braccia piegate sul
tavolo; il corpo sembrava scosso dai brividi e le mani tremavano,
incontrollate.
-Ehilà- salutò Shral, avvicinandosi e
ignorando l’aura di tensione che si era creata attorno all’altro -Brutta
giornata, eh?-
Il Romulano alzò lentamente la testa e
lo gelò con una semplice occhiata.
-Sto bene- rispose seccato, tornando
ad appoggiare la fronte sulle mani chiuse a pugno.
-Hn. Si vede- commentò l’Andoriano
grattandosi la guancia destra e poggiando il gomito sul tavolo –Hai una
bellissima cera-
- Areinnye'n-hnah8- ringhiò l’altro,
senza darsi la pena di sollevare il viso.
-Uh, siamo in quel periodo?- lo stuzzicò Shral, con un ghigno divertito sulle
labbra.
-I Romulani non sono soggetti al Pon
Farr- la risposta arrivò come un soffio irato –Confido che tu lo sappia-
-Io sono soggetto allo scherzo-
ribatté l’Andoriano, assottigliando appena lo sguardo –Confido che tu lo
sappia-
L’altro si lasciò sfuggire uno sbuffo
divertito e alzò la testa, poggiando la nuca contro la parete candida.
-Sei un idiota, Shral- gli disse,
schioccando la lingua contro il palato.
-Anche tu- gli sorrise l’Andoriano,
inarcando un sopracciglio –Ma ti voglio bene lo stesso-
Il Romulano non rispose, ma si limitò
a scuotere la testa, mentre gli angoli della bocca si sollevavano appena,
stanchi.
-No, davvero, che ti prende?- a Shral,
infatti, non erano sfuggiti il colorito pallido dell’altro, le borse sotto gli
occhi o il respiro che usciva tremulo e gorgogliante dalle labbra violette
–Faresti meglio ad andare in Infermeria-
-Sto bene, è solo che..- l’altro non
riuscì a terminare la frase che il corpo ebbe un tremito violento e le dita si
artigliarono ai capelli, tirandoli con forza, mentre gli occhi diventavano
opachi, la bocca si apriva ed un urlo agghiacciante veniva strappato con violenza
dalla gola.
Tutto il volto si trasfigurò,
divenendo una maschera pallida e grottesca di dolore e orrore.
Shral scattò in piedi e circondò il
Romulano con le braccia, mentre quello si gettava carponi a terra e vomitava
schiuma e sangue e bile, le labbra macchiate di verde e bianco.
-Non state lì impalati!- urlò
l’Andoriano rivolto agli altri membri dell’equipaggio, che fissavano la scena
increduli, con gli occhi sgranati e le mani a coprire la bocca –Chiamate
l’Infermeria! Presto!-
***
(Final Fantasy X Original Soundtrack – Song of Prayer
–Shiva-)
Avvolte dal nero del cielo, le stelle,
da lontano, sembrano immobili.
Fisse, nella loro eternità splendente,
niente pare possa toccarle; non un soffio di vento le sfiora, non una fiamma le
scalda, fredde e immobili osservano i pianeti con i loro occhi opalescenti, di
cristallo.
Ma quel giorno, quando la Supernova
trapassò Romulus con la sua onda incandescente, con la sua lingua di fuoco, oro
e scarlatta, le stelle parvero sgretolarsi e crollare, svanendo come sottile
polvere d’argento.
Simili a lacrime, scivolarono lungo la
volta del cielo.
E piansero.
1”Illogico” in
Vulcaniano
2”Sparisci!”
3”Non voglio
ascoltarti!”
4”E’ stata la scelta
di Spock”
5”Io non ho colpa”
6Nome della moglie di
Nero (Vedi Memory Alpha)
7Secondo quanto
raccontato nel fumetto Star Trek:
Countdown, Nero in un primo tempo avrebbe collaborato con Spock per salvare
Romulus, mentre Vulcano non avrebbe dato ai Romulani il materiale per creare la
Materia Rossa (vedi Memory Alpha)
8”Va all’Inferno” in
Romulano
Diario
di Nemeryal, Data Astrale 63990.4
No,
okay, io sono matta. Io sono completamente folle.
Ecco,
avete presente quelle frasi in Vulcaniano? E’ stato un casino farle
grammaticalmente giuste! Io sono idiota, ci ho perso mezz’ora fra il sito della
Fondazione Vulcaniana per vedere la grammatica, la sintassi, le declinazioni (I
Vulcaniani hanno le declinazioni! Lo capite?!? COME IN LATINO E IN GRECO! –e anche
in russo-), mentre sul sito Inglese-Vulcaniano, Vulcaniano-Inglese andavo a
cercare tutte le parole.
Sono
matta, punto.
Fine
della storia XD
Ah! Non
so quanti di voi seguano la seria “The Big Bang Theory” –fatelo! In inglese
sottotitolata in italiana, fatelo davvero- ma chi la segue avrà certamente
colto la citazione dei nomi Cooper, Hofstadter, Koothrapali e Wolowitz. Sono
dei geni quei quattro, non c’è bisogno di aggiungere altro, tranne che
un..BAZINGA! XD
Angolo delle Recensioni
Abdulla: Gita
sul Monte Biscia, doccia, gelato e niente di meglio che rispondere alla tua
recensione! PiSSicologicamente è bello! Ora dobbiamo solo vedere come riuscirà
a cavarsela il nostro caro Kirkuccio Reboot.
Ah..Kirk,
sempre nei nostri cuori di trekker XD –Lui ed il suo sguardo magnetico!-
Spero
davvero di non deludere le tue aspettative e che gli OC riescano a risultare
interessanti, anche quelli di loro che magari compariranno poche volte ^^
Lady Amber: Guarda che arrossisco, eh! Mi commuovo! Dovremmo fare
tutte una bella seduta piSSicologica al nuovo Kirk, che dite? (E lo stressiamo
a suon di giochi di parole!)
Ho iniziato anche io a vedere Hetalia..ma è puccio! E’ divertentissimo!
Ecco
qua il seguito, con altre colonne sonore! (Firmate Nobuo Uematsu!)
Thiliol: E zii!
Abbiamo anche una voce favorevole sul film di Abrams! (Non che lo detesti, solo
che ho trovato molto..come dire, forzati alcuni caratteri dei pg. Magari è
stata una sua scelta, ma mi ha fatto storcere un po’ il naso)
Quella
parte mi è venuta prima di pubblicare il capitolo, mentre correggevo. Prima
nemmeno doveva esserci, ma poi..mi è uscita naturalmente!
Persefone Fuxia: Urca, qui avrai giusto un paio di paragrafi da
analizzare! XD
D’oh, stupido
errore di battitura >.< Avranno a
che fare coi Romulani, non avranno a che fare coi Romulani..bah XD
Romennim: figurati!
Nessuno è mai in ritardo, è solo il mondo che è sempre in anticipo!
Ti
ringrazio, è stato alquanto difficile riuscire a rendere plausibile il tormento
interiore di Kirk e sono felice di esserci riuscita!
Al prossimo capitolo!
Tai Nasha no Karosha!
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Capitolo 4 *** Capitolo 3: Kal-tor ri nem-torcu iwe’ th’hi! [Anno: 2261] ***
2261(2)
Capitolo
3
Kal-tor
ri nem-torcu iwe’ th’hi!
Anno:
2261
(Saiyuki Original Soundtrack – Sanzo Kaisou)
-Riprenditi, forza!- il medico si
trascinò fino al corpo del Vulcaniano e gli accostò un orecchio al fianco.
Un brivido freddo gli percorse come
una scarica elettrica la spina dorsale, fino a conficcarsi con forza nelle
tempie: il battito del Vulcaniano, di solito più veloce rispetto a quello dei
un semplice terrestre, era lento persino per gli standard umani. Era fioco,
fragile, come se ogni contrazione degli atri fosse stato un movimento troppo
faticoso perché il cuore potesse sostenerlo ancora a lungo.
Passandosi una mano sulla fronte
sudata, il medico si chiese da quanto tempo il Vulcaniano si trovasse
effettivamente nella cella e a quali tipo di torture fosse stato sottoposto.
Quando lui, dopo essere stato diviso
dagli altri membri dell’equipaggio, era stato gettato a forza dentro quella
squallida e minuscola cella, il Vulcaniano si trovava già lì, in condizioni
critiche.
Ma i primi tempi il Vulcaniano aveva
qualche breve intervallo di lucidità, se tali si potevano chiamare i momenti in
cui si alzava di scatto, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta in un
ringhio spaventoso, con la saliva che colava bianca e schiumosa ai lati della
labbra. La voce gli usciva come rantoli incomprensibili dalla gola irritata, le
parole rotolavano via, sibilanti e spezzate, impregnate di sangue, mescolate in
frasi senza senso. Il medico, la cui conoscenza della lingua Vulcaniana era
alquanto limitata, distingueva appena qualche frase lacerata dalla febbre, ma
il più delle volte i suoni che l’altro emetteva mentre raschiava il terreno con
le dita lunghe e ricoperte di graffi, non erano altro che quello. Suoni.
Poi, con un tempo che il medico non era
riuscito a calcolare, quegli intervalli si erano fatti sempre più rari, fino a
scomparire del tutto.
Il Vulcaniano stava morendo e lui non
poteva fare nulla per impedirlo.
Se solo avesse avuto i suoi strumenti,
le sue macchine, allora sì, forse, avrebbe potuto salvarlo!
O almeno, sarebbe riuscito a salvare
il suo corpo, ma la sua mente..
Se si
vuole uccidere un Vulcaniano gli avevano detto una volta Non serve un phaser o un veleno. Distruggi
la sua mente e distruggerai lui.
Il medico posò una mano sulla fronte
sudata del Vulcaniano, scostandogli la frangia scura, scomposta e sporca, che
era andata a coprirgli occhi cerchiati di nero, incollandosi alla pelle.
Un rumore improvviso alle spalle lo
fece voltare di scatto.
Una guardia nerboruta, con due zanne
ricurve che partivano dal labbro superiore e arrivavano oltre il mento cadente,
stava aprendo la cella, il mazzo di chiavi ben stretto tra le dita callose,
coperte di bubboni verdi.
Aprì la porta con un cigolio ed entrò,
sbuffando come un toro inferocito.
Un ringhio uscì dalle labbra del
medico che, nonostante la debolezza, fece per alzarsi e sfidare la guardia aliena
a prenderlo e portarlo via, ma una stretta ferrea al polso lo trascinò di nuovo
a terra. Incredulo, il medico si voltò a fissare il Vulcaniano che, il viso
acceso dalla febbre, gli occhi sgranati e folli, lo stava chiamando.
Il medico corrugò le sopracciglia e
scosse la testa, senza capire cosa il Vulcaniano gli stesse urlando: dalle
labbra rotte, macchiate di verde e costellate da grumi di sangue ormai secco,
uscivano solo suoni gutturali, come se le parole, nel tentativo di liberarsi
dalla stretta della gola, stessero raschiando con prepotenza la bocca.
-Dante’kam1-
pregò e quel punto, sul volto del medico si dipinse un’espressione confusa,
stupita. -Kal-tor ri nem-torcu iwe’
th’hi!2-
Il Vulcaniano emise un altro gemito,
seguito da un rantolo, poi il suo corpo ebbe un ultimo spasimo e rimase
immobile; gli occhi, vuoti, spenti, fissavano attoniti il soffitto e il respiro
era tornato ad essere un flebile alzarsi del petto insanguinato.
Dante serrò la mascella e si rialzò,
barcollando di fronte al corpo del Vulcaniano, il sudore che gli rigava freddo
le tempie e la vista cosparsa di macchie nere.
-Non lo porterai via, hai capito?-
ringhiò, rivolto alla guardia –Ho già perso un Vulcaniano una volta, non
lascerò che accada di nuovo-
La guardia rimase un istante in
silenzio, poi scoppiò a ridere, un suono grottesco, un abbaiare rauco e
continuo, graffiante.
Prima che potesse ribellarsi, il
medico sentì le dita tozze della guardia chiudersi attorno al polso e venne
trascinato fuori dalla cella, con quella risata gorgogliante che gli palpitava
nelle orecchie.
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Queen of the
Abyss)
Kharandel, il mercante di schiavi,
soppesò per qualche istante il calice di vino che teneva fra gli artigli
ricurvi, prima di portarselo alle labbra e sorseggiarlo con cura.
Schioccò la lingua verde contro il
palato, con evidente soddisfazione, e tornò a rivolgere lo sguardo ai propri
clienti: quello che doveva essere il capo stava seduto con la schiena
rigidamente appoggiata contro il divano, mentre sotto il rigonfiamento del
mantello scuro, che ne celava i lineamenti, le mani erano poggiate sulle cosce.
Dietro di lui stavano altre sei figure incappucciate, immobili e silenziose.
Il mercante ghignò e accavallò le
gambe, facendo dondolare il largo piede, le cui dita, lunghe e sottili, erano
unite da una membrana sottile di pelle grigiastra.
Dalla sua sinistra arrivò il suono
pesante dei passi delle sue guardie, accompagnato dallo strascicare affaticato
della mercanzia. Si voltò, deliziato, mentre la porta di legno rosso si apriva
senza un cigolio e Kuy-Tahk-t’uhl, uno dei suoi sottoposti, strattonava, a suon
di ringhi e sbuffi, la catena d’argento e di rubini cui erano legati alcuni
schiavi.
Kharandel aveva ordinato che venissero
portati solo alcuni rappresentati delle specie su cui era riuscito a mettere le
mani sopra, lasciando la merce più preziosa in coda alla fila. Ci sarebbe stato
anche l’altro da portare, ma tanto
era ormai diventato una merce inutile, senza valore; sarebbe morto presto, diventando
uno dei cadaveri in più che marcivano sui pavimenti delle celle.
La prima a fare la sua comparsa fu
Vaaina, una femmina di Orione, dai lunghi capelli neri che le cadevano in
morbide pieghe sulle spalle, arricciandosi sui seni torniti e sollevandosi ad
ogni respiro; poi venne la volta di Anubereth, un giovane di Aset, un
pianetucolo ai confini del quadrante, sfuggito alla “tutela” della Federazione;
aveva la carnagione scura degli abitanti del deserto e gli occhi di un intenso
azzurro, resi ancor più lunghi e profondi dal pigmento naturale, scuro, che ne sottolineava
il profilo.
Poi Siye, la Deltana.
Kharandel l’aveva pagata fior di Crediti e
monete d’oro in un bordello della città, e non si era minimamente interessato
su come Siye ci fosse finita. L’importante era che, in una vendita, sarebbe
valsa il doppio, se non il triplo, di quello che aveva pagato nel comprarla.
Era una Deltana, e lui era l’unico a possedere una schiava del genere su tutto
Mukade.
Le labbra seriche del mercante si
piegarono in un ghigno astuto.
Sì, lei e l’ultimo esemplare non
venivano mostrati a tutti i suoi clienti, ma solo a quelli più facoltosi e che,
cosa più importante, dimostravano di essere tali. E a giudicare dal plico di
permessi e Crediti che il suo nuovo cliente gli aveva lasciato sul tavolino di
vetro come “piccolo anticipo” ..bhè non doveva certo passarsela male in quanto
a disponibilità economica.
E poi l’ultimo della fila, Kharandel
dovette trattenersi per non lasciarsi sfuggire una risata gorgogliante.
Un Essere Umano, ma non un Essere
Umano qualunque, no.
Era uno degli ultimi sopravvissuti al
terribile incidente che aveva portato le loro navette di salvataggio a finire
inesorabilmente catturate dalla gravità di Mukade e schiantarsi sulla sua
superficie.
Oh, sì. Uno schiavo umano, per di più
appartenente alla Federazione e poteva essere comprato, picchiato, seviziato,
ucciso senza che Starfleet potesse
alzare un dito. Non si potevano infrangere regole che non esistevano, e su
Mukade le leggi della Federazione non avevano alcun valore.
Solo una cosa infastidiva oltre ogni
immaginazione il mercante di schiavi: gli esseri umani erano deboli.
Molti, in quelle due settimane da
quando li aveva catturati, erano già morti, o per le ferite riportate nello
schianto o nel combattimento contro Kuy-Tahk-t’uhl e altri dei suoi, oppure per
inedia. E anche l’esemplare che aveva ordinato di portare non stava facendo
bella mostra di sé: i capelli fulvi gli circondavano scomposti il viso magro,
emaciato e pallido, e la barba gli era già ricresciuta, nascondendo, almeno, i
tagli che le guardie gli avevano fatto, se apposta o per pura casualità a
Kharandel non importava, quando l’avevano rasato; gli abiti, o meglio, la
tunica lunga e sporca che era andata a sostituire la divisa lacera e macchiata
di sangue, pendeva in modo grottesco dalle spalle e dal corpo smagrito. Gli occhi
offuscati, gonfi, e le incrostazioni di sporco non aiutavano a dare una visione
positiva di insieme, ma tant’è..le donne erano ridotte anche peggio.
Una voce dentro il mercante rise,
dicendogli che forse la colpa per quello era anche sua.
-Allora- iniziò Kharandel –Che cosa ne
pensate?-
Il cliente si alzò lentamente dal
divano e passò in rassegna i quattro schiavi, prima di fermarsi davanti
all’essere umano e prendergli il volto tra le dita, alzandogli appena il mento
e voltandolo un po’ a destra e un po’ a sinistra, quasi stesse controllando in
che stato versava un cavallo o un Burumin di Oridian VII.
-A quanto lo vendi?- domandò il cliente, lasciando andare l’umano, dal cui
viso era defluito il poco sangue rimasto e si reggeva a stento sulle gambe
tremanti.
-Seicentotrenta crediti o
settecentocinquanta monete d’oro3- rispose Kharandel, ghignando –Gli
Umani sono merce preziosa-
Il cliente annuì
-Quanti ve ne sono rimasti, ancora?-
-Una quindicina- il mercante si passò
la lingua sulle labbra –Gli Umano sono merce preziosa e..richiesta-
***
(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Organization
XIII)
-Una quindicina?- Kirk, seduto sul
bordo della cuccetta, sgranò gli occhi –Così pochi?-
-Considerate le condizioni igieniche e
di salute in cui sembrano trovarsi, e la richiesta di schiavi umani, il fatto
che quindici uomini si siano salvati è da considerarsi un inaspettato colpo di
fortuna-
-Un colpo di fortuna?- il Capitano
sbatté un pugno sul tavolo, facendo traballare lo schermo del visore –Spock,
vuol dire che dei centoventi membri della USS Ifigenia ne possiamo salvare solo
quindici! E forse nemmeno quelli- si prese la testa tra le mani, costringendosi
a riprendere la calma.
Il Vulcaniano, dall’altra parte dello
schermo, rimase in silenzio.
Kirk, dopo un paio di respiri
profondi, rialzò lo sguardo e fissò il suo Primo Ufficiale.
-E’ riuscito ad avere una visione,
seppur minima, della planimetria della prigione dove li tengono rinchiusi?-
Il Vulcaniano scosse la testa
-No, Capitano. Il Contatto non è
ancora del tutto stabile, non ricevo che qualche immagine sfocata e frasi senza
alcun senso logico- si interruppe, chiudendo un istante gli occhi. Una ruga
comparve sulla fronte di Spock, le labbra si schiusero appena e le palpebre
ebbero un fremito.
-Spock?- lo chiamò Jim –Allora?-
Quando il Vulcaniano riaprì gli occhi,
Kirk fu certo di aver visto le iridi scure del suo Primo Ufficiale tingersi per
un istante di un tenue azzurro.
-Il Contatto dovrebbe essere completo
in uno punto tre minuti, anche se è difficile assicurarlo con certezza, tenendo
conto del poco tempo che ho avuto a disposizione per instaurare il Legame e la
distanza che mi separa dal medico della USS Ifigenia-
-Medico?- il Capitano inarcò un
sopracciglio.
-Dante Bellini, Aiutante Medico sulla
USS Ifigenia- spiegò il Vulcaniano –Ho avuto l’occasione di conoscerlo durante
i primi anni dell’Accademia- di nuovo, una goccia azzurra si infranse sulle
iridi di Spock e il riflesso di un sorriso gli comparve sulle labbra.
Il tempo di un battito di ciglia, e
Kirk stava di nuovo fissando lo sguardo distaccato del suo Primo Ufficiale.
L’ombra dell’Aiutante Medico, Dante
Bellini, svanì come era apparsa, inghiottita dallo stesso Legame che l’aveva
fatta affiorare nella mente e nel corpo di Spock, come l’onda che si distende e
si ritira, increspandosi, sulla battigia.
-Mi tenga informato sulla situazione,
signor Spock- Jim emise un breve sospiro, prima di passarsi una mano sulla
fronte e stringersi la radice del naso fra le dita –Appena avrà la planimetria,
le manderò in aiuto altre due squadre, di cui farò parte io stesso-
-Non posso che trovarmi in disaccordo
con la sua ultima affermazione- lo avvisò il Vulcaniano, piegando appena la
testa –La sua incolumità è fondamentale. Se lei dovesse morire…-
-Il signor Scott è pienamente in grado
di prendere il mio posto sulla Enterprise e ricondurvi sani e salvi sulla
Terra-
-Non ho alcun dubbio a riguardo-
ribattè Spock, con assoluta calma –Ma la mia opinione rimane comunque la
stessa. Non dovrebbe scendere su Mukade e mettere a rischio la sua incolumità, Capitano-
-Sai che sono sempre disposto ad
ascoltare i tuoi consigli e le tue opinioni- Jim sorrise al suo Primo Ufficiale
–Ma ciò non toglie che scenderò io stesso con una delle prossime squadre di
soccorso-
-Dovrei sorprendermi della inefficienza nel consultarmi
costantemente su cose che hai già deciso?-
Kirk sorrise di nuovo.
-No, Spock- scosse la testa –Mi dà
sicurezza emozionale- e prima che il Vulcaniano potesse rispondere, a parole o
con un sopracciglio inarcato, il Capitano spense la comunicazione e si distese
sulla cuccetta della navetta non-registrata che avevano usato per avvicinarsi a
Mukade senza essere scoperti.
***
-Eleni! Eleni, rispondi!-
La donna emise un gemito strozzato,
mentre una scarica di dolore le partiva dal basso ventre fino alla gola,
lacerandole le corde vocali e strappandole un urlo.
Si mise a carponi, in preda agli
spasmi e ai conati di vomito, gli occhi che si gonfiavano senza controllo, il
volto livido, contratto, sofferente.
Un altro conato, ma dalle labbra le
colò solo un rivolo di saliva, mista al verde acido della bile e dei succhi
gastrici.
Si riappoggiò al muro della cella,
ansimando e con la sensazione che il ventre stesse palpitando per il dolore.
***
Dante portò le mani in avanti per
attutire l’impatto col terreno, poi si voltò di scatto e socchiuse gli occhi in
direzione della guardia che lo aveva gettato di nuovo nella cella.
L’energumeno abbaiò e se ne andò sulle
gambe grosse e tozze, facendo roteare l’anello col mazzo di chiavi; il medico
rimase girato verso l’entrata della cella fino a quando il loro tintinnare non
si perse in lontananza.
Chiuse un istante gli occhi,
portandosi una mano alla tempia, dove poteva ancora sentire il tocco caldo e
deciso delle dita del cliente incappucciato. Avvertiva inoltre una sorta di
ronzio nelle orecchie e una punta fissa di dolore dietro alla nuca, come se
qualcosa stesse cercando di forargli la cassa cranica con un phaser al massimo
della potenza.
Scosse la testa per liberarsi dalla
foschia che gli aveva velato gli occhi per un istante, prima di incespicare
verso il Vulcaniano, ancora disteso a terra. Sembrava non essersi mosso dacché
lo aveva pregato di proteggerlo dalla guardia.
Dante lo prese per le spalle e lo
scosse un poco, ma gli occhi rimanevano vuoti, fissi, le pupille talmente
dilatate da aver inghiottito il marrone dell’iride.
-Ehi, svegliati ragazzo- lo chiamò
–Sono io, sono Dante-
Il Vulcaniano non ebbe alcuna
reazione: non un respiro più veloce degli altri, non un movimento dei muscoli
facciali o un irrigidimento delle braccia o delle gambe. Nulla.
Il medico lo riappoggiò a terra e si
portò una mano alla fronte.
Sentì la rabbia e l’impotenza montare
come un’onda dentro di sé, poi un soffio, come una brezza gentile..un’idea.
Certo, il suo vocabolario era ridotto
ai minimi termini, però..
Si schiarì la gola secca, cercando di
mettere ordine nei suoi pensieri, quando si accorse di non dover fare alcuno
sforzo per ricordarsi la lingua Vulcaniana. Strano a dirsi, ma le parole
rilucevano nella sua mente come se il tempo non le avesse mai intaccate, come
se fossero state sempre lì a sua disposizione in attesa di essere riesumate dopo
una decina d’anni di attesa.
-Shroicu
s’kan th’hi?4- chiese e a quelle parole il Vulcaniano parve
riscuotersi. Gli occhi ebbero un guizzo e rotearono, increduli e folli, verso
Dante, che gli sorrise -Hal-tordu un’
yeht ek’ha5-
Il Vulcaniano annuì, lo sguardo
allucinato e attonito, poi alzò un braccio, facendo per posare le dita sul
volto di Dante, ma il medico si alzò in piedi di scatto, le mani che
stringevano con forza le tempie, e crollò a terra, con un gemito.
(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Missing You)
Bianco..
Bianche
le pareti, bianco il soffitto, bianchi i tavoli ordinatamente disposti sul
pavimento, bianco.
Avanzò
di un passo, chiedendosi dove fosse finito ed ecco che un fiume di persone,
candide e senza volto, si riversarono in quella stanza lucida e asettica,
passandogli accanto come il mormorare delle onde di un fiume e sfiorandolo col
soffio gentile di una brezza primaverile.
D’un
tratto, il suo sguardo si sentì guidato verso uno dei tavoli, quello al centro
esatto, se di centro si poteva parlare, della stanza.
Lì
stava seduto l’unica macchia di colore in un tutto quel bianco accecante,
l’unica persona che lui, Dante Bellini, avrebbe preferito non rivedere mai più.
Il
medico chiuse gli occhi e si diresse a passo svelto verso il tavolo, ignorando
le proiezioni mentali che si accavallavano fra le sedie. Oh sì, aveva capito.
Non appena i suoi occhi avevano incontrato quelli scuri dell’altro, aveva
capito ogni cosa.
-Non ti
avevo detto che il Contatto non mi garbava, Spock?- lo apostrofò duramente il
medico, rimanendo in piedi accanto al Vulcaniano e fissandolo con astio.
-Dottore,
non c’era altro modo per comunicare con lei-
Dante
sbuffò e roteò gli occhi, per poi stringersi la radice del naso fra le dita.
-Spock,
perché sei qui? E sappi che con “qui” non intendo la mia proiezione mentale
della mensa dell’Accademia, ma “qui” nella mia testa-
Il
Vulcaniano annuì e lo fissò col solito sguardo, acuto e distaccato.
-Ho
bisogno della planimetria della dimora di Kharandel- spiegò, posando le mani
sulle cosce e piegando la testa di lato –E lei è l’unico membro della Ifigenia
con cui sono riuscito a venire in contatto-
-Oh
certo!- esclamò il medico –Perché quando siamo arrivati quel figlio di una
cagna di Kharandel mi ha fatto fare un bel tour nei sotterranei, prima di
sbattermi in quella lurida cella- sospirò –Spock, quando ci hanno portati via a
forza, ero più concentrato a mantenermi in piedi, piuttosto che ad osservare il
paesaggio-
-Ma la
sua mente lo era- il Vulcaniano indicò con un ampio gesto della mano il luogo
in cui si trovavano, ora sgombro di tavoli e di persone, ad eccezione di loro
due –Tutto quello di cui necessitiamo per liberarvi, lei e tutti gli altri
membri dell’Ifigenia, sono le immagini registrate dal suo subconscio-
Dante
chiuse un istante gli occhi e avvertì uno spostamento d’aria intorno a lui,
subito colmato dal ruvido ondeggiare delle fronde sopra la testa, dal
cinguettare eccitato di qualche piccolo uccello e dal profumo, intenso,
dell’erba e dei fiori.
-La
foresta di Vallombrosa- la voce di Spock sembrò raggiungerlo da una lunga
distanza e quando Dante riaprì gli occhi lo vide in piedi, sotto un albero dal
tronco spesso e la corteccia scura, l’ombra dei rami che picchiettava sul suo
viso spigoloso.
-E’
così semplice?- domandò il medico –Devo solo concentrarmi e lasciare che le
immagini fluiscano libere? E ogni particolare, anche il più insignificante- e
indicò una farfalla cavolaia che ondeggiava pigramente sopra una margherita, e
una lucertola che saettava tra l’erba, tutti particolari cui, della sua ultima
visita a Vallombrosa,non prestato attenzione –Sarà a tua disposizione per la
planimetria?-
Spock
annuì.
-E sia,
allora-
Dante
emise un lungo sospiro e chiuse gli occhi.
***
-Qui Ponte. Capitano Kirk, risponda-
Jim si alzò di scatto dalla cuccetta e
premette il tasto di attivazione dell’intercom.
-Qui Kirk- rispose –Parli pure,
Tenente Maly'hi-
-Una chiamata criptata da parte del
Primo Ufficiale, il signor Spock, proveniente da Mukade-
La mano di Jim tremò appena.
-La passi sul visore-
Il Capitano tornò a sedersi e il viso
di Spock comparve, pallido e tirato, sullo schermo.
-Abbiamo la planimetria, Capitano- lo
informò.
Kirk annuì
-Molto bene, preparo altre due squadre
di soccorso, poi scenderemo e daremo il via alla missione di salvataggio. Rimanga
sulla navetta e attendi il mio arrivo-
Il Primo Ufficiale non tentò nemmeno
di fermarlo e questo mise Jim in allarme.
-Capitano?-
-Sì? Cosa c’è, signor Spock?-
-C’è un Vulcaniano tra i prigionieri-
1”Dante..” –’kam è un suffisso che la lingua Vulcaniana
usa per distinguere tra “titolo” onorifico e “titolo” familiare. In questo
caso, suonerebbe come un “Onorevole Dante” o qualcosa del genere..un po’ come
il –sama giapponese, per intenderci.
2”Non lasciare che mi portino
via!”
3Non ho idea del valore
effettivo della richiesta, ma non sono riuscita a trovare alcun dato per la
conversione Crediti della Federazione à Moneta. Se voi
sapete qualcosa riguardo, fatemelo sapere e cambierò subito^^
4”Mi senti?”
5”Andrà tutto bene”
Diario
di Nemerya, Data Astrale 64034.5.
Maru
Kaite Chikyuu! Maru Kaite Chikyuu! Maru Kaite Chikyuu! Boku Hetalia!!!
Yeehh!
Anche l’Italiano ha fatto la sua comparsa! Un altro connazionale, oltre al
polpo Paul! (Che se tanto mi da tanto, a questi punti sarà finito in un piatto
di patate in qualche ristorante extra-lusso in Germania)
Bhè,
che dire su questo capitolo?
Pseudo
di passaggio direi. Si prepara l’azione che darà il via a tutto e i nuovi
personaggi sono stati tutti presentati. A proposito..alzino la mano quanti
credevano che il Vulcaniano fosse Spock! XD
Vallombrosa.
Aaah, quanto mi piace la Toscana! In parte sono toscana anche io, ma forse sono
più emiliana (Ligure solo per ¼ e francese di adozione..mooolta adozione!) e
Vallombrosa è un paesello che mi è rimasto nel cuore! E’ così bello^^ In più il
mio prozio ci lavorava come Guardia Forestale e ancora adesso mi racconta tante
di quelle belle storie su di lui, sul bosco..mi sembra quasi di viverci (e la
cosa non mi dispiacerebbe affatto) Per il personaggio di Dante, c’è, fra le mie
Shot scritte e cestinate, una in cui compaiono lui e Spock, ma credo che la
pubblicherò solo quando sarò pienamente convinta del risultato, per ora,
limitatevi alla Long Fiction XD (Dai, che il personaggio toscano ci mancava!)
Pooi..Hn.
La questione Mukade – USS Ifigenia – Nave non Registrata.
Anche
se verrà spiegato meglio nei prossimi capitoli, solo una cosa. Kirk usa una
nave non registrata poiché il pianeta Mukade (di mia totale invenzione) ha
rifiutato di far parte della Federazione ed è, in aggiunta, talmente vicino
all’Impero Klingon che i nostri amici dalla fronte spaziosa farebbero carte
false (strano,eh?) per provocare una bella guerra intergalattica tra loro e la
Federazione. Scaricando ovviamente tutta la colpa su Kirkuccio, manco a dirlo
XD
Ultima
cosa! Facciamo tutti i nostri auguri ad Abdulla
e auguriamole un buona fortuna perché esca in modo fantasmagorico dall’esame di
Stato!E in più, ecco anche il mio primo video (comico) su Star Trek! http://www.youtube.com/watch?v=-mOyHL_fCjo
Angolo delle Recensioni
Lady Amber: T’Lenna è un personaggio di cui mi è piaciuto molto
scrivere e sono contenta che la sua caratterizzazione ti sia gradita^^ Visto che
ho esaudito il tuo desiderio? Spock è quiii! Cielo, per quello che
compare..*tossicchia*
Aspetto
tuoi commenti sulle musiche di questo capitolo!
PASTAAAAAHHHH
e anche VODKAAAAAAAA!
Thiliol: Cara,
ti ringrazio assai! Che bello, quante cose in comune! Anche qui un
po’ di
Vulcaniano, ma meno faticoso rispetto alla prima volta! Anche io
avevo iniziato a studiare l'elfico, tanto tempo fa,con un mio amico.
Poi abbiamo smesso non mi ricordo nemmeno per quale motivo, ma ho
ancora il quaderno con l'alfabeto e i primi tentativi di scrittura!
Io
adoro Big Bang Theory e stimo Sheldon alla follia! Ma non posso aspettare fino
a settembre per vedere la nuova serie, non posso! Non reggerò! *Modalità
melodrammatica: ON*
Spero
ti piacerà anche codesto capitolo!
Persefone Fuxia: I Romulani sanno essere belli acidi, ma credo che questo
sia uno dei motivi per cui li adoriamo tanto! Eh già, chissà cosa avrà voluto
dire *sorriso maligno*
PoFero
Sybok, a me fa impazzire come personaggio! Ci sarebbero così tante cose da
scrivere su di lui! (Suvvia cara, lo so che è difficile, ma dobbiamo farci
forza! Almeno nella TOS Vulcano c’è ancora..ma tutti quei Romulani!
BUAHAAAHAHAHAHAHAHAHA! *scoppia in lacrime*)
Uh, il
caro Shral! Mi piace come personaggio. Non ho idea di come mi sia uscito dalla
tastiera, ma prevedo per lui grandi cose (e lui spera anche grandi fan) e
chissà come mai ha quel rapporto col Romulano..bah!
Oh sì!
Vedrai, non lo lascerò riposare sugli allori della cara Enterprise!
Al prossimo capitolo! Ci vediamo tutti nel
2387!
Tai Nasha no Karosha!
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Capitolo 5 *** Capitolo 4: Urla nella Mente [Anno: 2387] ***
2387(2)
Capitolo
4
Urla
nella mente
Anno:
2387
(Final Fantasy X Original Soundtrack – The Truth Revealed)
Shral alzò il viso, incontrando gli
occhi ametista del Medico di Bordo, il dottor Michael Aartsengel.
L’uomo,
sulla quarantina e di carnagione olivastra, si avvicinò lentamente al lettino
dove il Romulano stava riposando, per poi rivolgersi all’Andoriano con un sospiro.
-Le sue
condizioni sono stabili- disse, incrociando le braccia al petto e fissando il
malato.
Shral
prese un respiro profondo, ringraziando mentalmente gli dei, ma una scossa di
amarezza vibrò un istante nella sua mente e si affrettò ad alzare il viso verso
Michael, riconoscendo in lui il proprietario di quella emanazione emotiva.
-Cosa
succede, Dottore?- chiese, alzandosi dalla sedia accanto al letto del compagno
–Perché ha avuto quell’attacco in Sala Ricreativa, prima?-
Il medico
si schiarì appena la gola e spostò il peso da un piede all’altro, a disagio.
L’Andoriano
colse quel movimento appena percettibile e avvertì l’insano bisogno di prendere
l’Umano per le spalle e scuoterlo, stringerlo fino a sentire le ossa spezzarsi
sotto le dita e un urlo di dolore schizzare via dalle sue labbra carnose. Si
trattenne a stento, cercando di dominare il sangue che gli ribolliva come
impazzito nelle vene. Conficcò le unghie nella carne e fissò Aartsengel col
volto contratto dall’ira.
Il medico
sospirò ancora, prima di parlare.
-Fisicamente
parlando, non ha nulla. Il suo corpo è sano, il suo organismo è perfetto, non
c’è nulla a livello biologico che possa spiegare l’attacco di poco fa- Michael
scosse il capo –Ma la sua mente, è quella a preoccuparmi. Si trova in stato di
shock, ma non ne capisco il motivo. E’ come se il suo cervello avesse subito
una trauma tale da riversane gli effetti anche sul corpo e provocare l’attacco
di poco fa-
Shral
aggrottò le sopracciglia e osservò il Romulano, ancora incosciente.
Il
respiro era irregolare, un ansimare faticoso e gorgogliante, il volto pallido,
gli occhi cerchiati di viola e i capelli incollati alla fronte sudata, ma il
pannello elettronico sopra la sua testa non segnalava nulla di anomalo tranne
il battito del cuore, un poco più accelerato del normale.
-Una
spiegazione deve esserci- mormorò l’Andoriano, più a se stesso che al dottore.
-Ma la
spiegazione c’è- rispose quello –Solo che non riusciamo a trovarla-
Il sibilo
dell’impotenza crepitò nella mente di Shral, che decise di ignorare quella
scarica emotiva da parte del medico per concentrarsi sulle onde emanate dal
cervello del Romulano.
Chiuse
gli occhi, estraniandosi dal mondo che lo circondava, cancellando l’Infermeria,
Michael, il letto, il colore delle pareti, il respiro del compagno, tutto, fino
a quando non si ritrovò a galleggiare nella propria mente, fino ad essere solo
un impulso nervoso in più.
Cercò di
intrecciare i proprio pensieri a quelli del Romulano, penetrando nelle scarse
difese mentali che il suo cervello aveva eretto come risposta allo shock di
poco prima. Filamenti dorati di emozioni e ricordi si alzarono nel buio e Shral
si allungò verso di essi, con le dita del pensiero tese verso di loro.
Come
serpenti, i filamenti emotivi del Romulano sfuggirono alla sua presa, ma
l’Andoriano fu abbastanza veloce da sfiorarne la punta.
La realtà
si infranse contro il suo petto con la forza di un macigno.
Shral
boccheggiò e cadde dalla sedia, portandosi le mani alle tempie e rischiando di
mordersi la lingua a causa del battito convulso dei denti; sentiva le lacrime
scorrere rapide e bollenti lungo le guance e la nausea chiudergli lo stomaco in
una morsa gelida. La schiena tremava per i singhiozzi e i conati di vomito e la
vista si oscurava a tratti, chiazzandosi di nero e facendogli perdere ogni contatto
con la realtà.
-Tenente!-
la voce di Michael rimbombò nella sua mente col fragore di un tuono –Shral!
Shral, per l’amor del cielo, riprenditi! Infermiera!-
Ma Shral
riusciva a fatica a concentrarsi su qualcosa che non fossero le urla che
cozzavano contro le tempie e si urtavano fra loro, prive senso, di logica, solo
urla, rumori, scoppi e grida che esplodevano e rombavano e ringhiavano senza
tregua.
Prese un
respiro talmente profondo da dargli la sensazione di star inghiottendo acqua e
non aria, portandolo al soffocamento; gli occhi bruciavano, il corpo tremava
come una foglia scossa dalla bufera e brividi gelidi si rincorrevano ghignando
lungo la schiena, le braccia, le gambe, il collo.
Dovette
fare appello agli ultimi, laceri brandelli di volontà rimastigli per
riaffiorare da quel baratro di morte e disperazione.
-Shral,
stai bene? Cosa è successo?-
L’Andoriano
alzò il viso verso Michael, chino su di lui, poi abbassò di nuovo gli occhi,
cercando di schiarirsi le idee.
-Loro..urlavano-
mormorò –Urlavano e piangevano-
-Loro
chi?- domandò ancora il dottore, scuotendolo.
-Non lo
so..io non lo so davvero-
***
-Ambasciatrice!
Ambasciatrice!-
La Romulana aprì gli occhi
di scatto e si alzò a sedere con un ringhio, snudando i denti come una belva in
procinto di attaccare.
Lady Perrin si ritrasse,
spaventata, il vecchio cuore che batteva frenetico sotto le dita.
Il medico Vulcaniano,
accanto al letto, scoccò all’Ambasciatrice un’occhiata piena di disprezzo,
prima di alzarsi e dirigersi senza una parola verso l’uscita.
La vedova strinse le
labbra e raggiunse il Vulcaniano, frapponendosi fra lui e la porta..
-Kal-torka hal-tor s’la se’kam th’hi1- le
disse il medico e non si diede nemmeno la pena di nascondere la nota di astio che
vibrava nella voce.
-Rai2- ringhiò Perrin, socchiudendo gli occhi chiari –Non
finché non mi avrete detto cosa è successo all’Ambasciatrice-
-Qualcosa che io non posso
curare- rispose il Vulcaniano, adattandosi alla lingua della donna –Sarà
l’Ambasciatrice stessa a parlarvene quando vorrà farlo-
Perrin fece per ribattere,
quando le parole della Romulana parvero emergere dal fondo della sua coscienza.
“Per tutti, Amanda
era la moglie di Sarek, mentre voi siete solo la vedova”
Abbassò il viso e si scostò dalla
porta, sentendo su di sé lo sguardo orgoglioso e trionfante del medico.
-Vi ringrazio per essere venuto,
nonostante l’ora tarda, dottore- mormorò –Lunga Vita e Prosperità-
-Lunga Vita e Prosperità, Lady Perrin-
La vedova attese che il Vulcaniano
fosse uscito dalla stanza, prima di mordersi con forza il labbro e serrare le
palpebre, quasi a voler negare la scena di cui era stata, suo malgrado,
protagonista.
Costretta ad abbassare lo sguardo, lei
che era stata moglie di uno dei più grandi personaggi della storia di Vulcano e
della Federazione!
Sapeva che Amanda aveva avuto un
posto, nel cuore di suo marito che lei non sarebbe mai riuscita ad occupare, ma
non una volta, durante la loro vita insieme, Sarek l’aveva guardata come se
fosse solo lo spettro della moglie defunta.
L’aveva sempre guardata con l’amore
riservato a Perrin, non al ricordo di Amanda Grayson.
Una donna straordinaria, Amanda, che
era riuscita a farsi ben volere, o almeno ad essere apprezzata, anche dai
freddi abitanti di quel pianeta così caldo; era riuscita ad elevarsi al di
sopra dei pregiudizi dei Vulcaniani, era stata moglie dell’Ambasciatore Sarek e
madre del Primo Ufficiale Spock, poi divenuto Capitano e in seguito
Ambasciatore come suo padre, e colui che aveva gettato le basi per una pace
duratura con i Romulani.
Moglie e madre di due figure che
sarebbero state ricordate per sempre nella storia del pianeta.
Lei, invece, cos’era?
Vedova di un Ambasciatore malato e
debole, matrigna di un ibrido che aveva rinunciato alla sua dimora su Vulcano
per trasferirsi su Romulus ed unirsi ad una delle loro donne, avere una
discendenza con lei invece che con una Vulcaniana di buona famiglia come la
tradizione avrebbe voluto!
Vedova e matrigna di due figure
distorte dal tempo, che avevano mandato in frantumi tradizioni vecchie di
secoli.
Lady Perrin si asciugò una lacrima e
rassettò la lunga veste con mani tremanti, prima di tornare a sedersi accanto
al letto dell’Ambasciatrice.
La Romulana non si era mossa dacché
aveva avuto il suo scatto, era ancora seduta, le dita artigliate alle lenzuola
candide, quasi fossero l’unico appiglio rimastole con la realtà; gli occhi,
sgranati, erano attraversati dal dolore, dalla rabbia, dalla confusione, ma
tutte quelle emozioni non si riflettevano sul suo viso, ancora pallido, reso
più duro e più tagliente dalla linea scura, serrata delle labbra e dalla
mascella contratta.
-Ambasciatrice..- la vedova provò a
poggiarle delicatamente una mano sopra le dita serrate, ma non ottenne alcuna
reazione se non un contrarsi improvviso dei muscoli –Che cosa vi è accaduto?
Cosa avete sentito?-
-Urla- rispose secca l’Ambasciatrice,
senza distogliere lo sguardo dal vuoto –Urla nelle mente-
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – The Sword of
Doubt)
Dolore sulla fronte, fiamme sottili
che lambiscono la pelle, ricordando la sofferenze, la rabbia, il desiderio di
vendetta.
Avrebbe pagato. Per ogni singola vita
che aveva spento. Avrebbe pagato.
Lui e il suo dannato popolo.
Li aveva ingannati, aveva mentito.
Aveva portato parole di pace, di
speranza, aveva promesso un futuro. Aveva promesso la salvezza.
E invece, aveva portato solo morte.
E morte sarebbe stata la loro
risposta, la loro vendetta.
Avrebbe pagato.
Doveva pagare.
Mentre il crepitio della Supernova si
perdeva nel silenzio cupo dell’Universo, Nero incise l’ultimo segno sulla
fronte e si voltò a guardare i proprio compagni.
C’era dolore nei loro occhi.
Dolore, sofferenza, rancore, rabbia,
terrore, solitudine, disperazione, ira. Nel loro sguardo, infiammato dalle
lacrime trattenute a stento, dalle urla che risuonavano nelle loro menti e che
mai sarebbero cessate, Nero colse un unico messaggio.
Vendetta.
C'era una tradizione
su Romulus che quando una persona cara moriva si usava dipingere il dolore
sulla propria pelle. Antichi simboli di amore e di perdita. Con il tempo il
disegno sarebbe sbiadito, e con esso il periodo del lutto. La vita sarebbe
continuata ugualmente. Noi dipingiamo questi simboli sulla nostra pelle, ora.
Ma noi bruciamo internamente in profondità. Così che non sbiadirà mai. Perchè
la vita non continua. Noi moriamo con i nostri amici. Noi moriamo con le nostre
famiglie. Noi moriamo con Romulus. E tutto ciò che ci rimane è la vendetta.3
***
-La Supernova è stata assorbita dal
Buco Nero- annunciò Berz’uk, scrollando il capo.
-Già, ma a quale prezzo?- Yerzek,
accanto a lui, si alzò dalla postazione e si avvicinò alla grande finestra che
dava su San Francisco –Romulus..- non completò la frase, incapace di
proseguire.
Il fratello avrebbe desiderato alzarsi
e dirgli qualcosa per confortarlo, ma le parole parevano fuggire dal suo
controllo. Si scioglievano e svanivano in un soffio di vento, prima che potesse
afferrarle e dare loro un senso, una possibilità di rendere meno doloroso quel
momento.
Ma non c’era nulla che lui, che altri
potessero fare.
Quello che era successo non poteva
essere cambiato.
Avevano salvato la Galassia, ma degli
innocenti avevano pagato per quello accadesse.
Berz’uk non credeva davvero negli dei,
ma in quel momento si infuriò con se stesso per non avere una fede contro cui
scagliarsi con tutta la rabbia che sentiva premere bollente contro il petto e
gli occhi. Avrebbe potuto maledire un dio qualsiasi, gridando al massacro,
quasi quella ipotetica divinità avesse chiesto un pegno di sangue perché le
loro vite fossero salve.
Ma Berz’uk non credeva in nessun dio,
in un alcuna entità benevola che viveva nel cielo e nemmeno in una maligna che
dimorava nelle viscere della terra. E questo lo faceva stare ancora peggio.
Non aveva nessuno cui scaricare le
colpe se non se stesso.
Era colpa sua se tutte quelle vite..
Si morse il labbro, soffocando un
ringhio di dolore e delusione, amarezza e sconforto.
Colpa sua, era solo colpa sua.
Era stato messo a carico di quel
progetto e non era riuscito a fare nulla! Nulla!
Tutte quelle persone, tutti loro..
Fece per colpire il lo schermo con il
pugno, quando una finestra del visore si illuminò, mostrandogli il viso
adombrato di T’Lenna, dall’altra parte.
-Berz’uk- disse la donna –Non è colpa
tua-
-E di chi, allora?- soffiò,
socchiudendo gli occhi scuri.
La Vulcaniana strinse le labbra e il
mezzo Klingon ne lesse la risposta nello sguardo adirato.
Vulcano.
T’Lenna dava a loro la colpa, per non
aver concesso a Romulus la tecnologia necessaria per salvarsi, per aver mandato
un solo uomo ad affrontare le fiamme ardenti della Supernova.
-T’Lenna..- la supplicò –T’Lenna..-
-A quest’ora quei cani staranno
festeggiando- la voce della Vulcaniana vibrò e lacrime d’ira le colmarono gli
occhi arrossati –Romulus, la piaga pulsante e viva del loro passato, ora..- si
bloccò, portandosi una mano al viso, tremando.
-Anche su Vulcano c’era chi sperava
che Spock riuscisse nell’intento di..-
-Oh sì!- ringhiò T’Lenna, mostrando i
denti –Io e lui! Nessun altro! Tutti speravano che i Romulani sparissero dalla
faccia dell’Universo ed è quello che hanno avuto! Luridi cani, falsi e
ipocriti!-
-T’Lenna!- la richiamò Berz’uk,
furioso –Smettila di parlare così! Ora è la rabbia e il rancore che parlano,
non tu!-
-Stai zitto, ibrido! Tu non sai..tu non sai nulla- ringhiò la Vulcaniana, ma
prima che il mezzo Klingon potesse replicare in qualsiasi modo, sullo schermo
del computer di Yerzek comparve un messaggio proveniente da Vulcano.
Riprendendo il controllo sulla rabbia
che gli vibrava nel petto e nella gola, Berz’uk si mise alla postazione di suo
fratello.
-La Narada..- mormorò, corrugando la fronte –Nero, cos’ hai intenzione
di fare?.-
***
-Shral..- il nome sussurrato, un
crepitio roco dalle labbra secche.
L’Andoriano si voltò e si chinò sul
lettino, mentre un falso sorriso di rassicurazione gli si dipingeva sul volto.
Il Romulano roteò gli occhi verso di
lui e gli artigliò la spalla con le lunghe dita, lo sguardo trapassato dalla
follia e dal dolore.
-Falli smettere!- esclamò con la voce
colma di orrore –Falli smettere Shral! Falli smettere di urlare!-
Un gemito di dolore scappò dalle
labbra dell’Andoriano, che cercò di togliere le dita dell’amico dalla spalla;
la loro presa, però, era troppo forte e le unghie non facevano che affondare ad
ogni ansimo.
-Falli smettere!- gridò ancora l’altro,
tentando di alzarsi –Falli smettere, Shral! Falli smettere di urlare!-
Shral urlò e strinse il polso del
Romulano con tutte le forze che aveva, cercando di allontanarne la mano.
L’Andoriano gridò ancora e la sua voce
si mescolò all’urlo sempre più insistente dell’altro.
-Falli smettere! Falli smettere,
Shral! Falli smettere di urlare!-
***
-Abbiamo la Jellyfish sullo schermo, prod4-
Nero socchiuse gli occhi e serrò la
mascella.
-Armate i phaser e state pronti a fare
fuoco-
Ayel annuì e si voltò
-Armate i phaser!-
Vendetta.
Avevano solo quello.
E solo quello avrebbero avuto.
***
Berz’uk sgranò gli occhi.
-Cercate di contattare la Jellyfish!- ruggì –Provate su qualsiasi
canale!-
Tornò a fissare lo schermo, incapace
di credere a quello che vedeva.
-BaQa’5-
***
(Wolf’s Rain Original Soundtrack – Shiro)
Spock si lasciò scivolare lentamente a
terra mentre, con un ultimo, biancheggiante palpito, la supernova veniva
inghiottita dal Buco Nero creato dalla Materia Rossa.
Per un istante, fu solamente la luce e
il crepitare della stella morta, poi..il silenzio.
Silenziose le stelle, silenzioso
l’Universo, silenzioso il Buco Nero da cui, seguendo una rotta prestabilita, si
stava allontanando la Jellyfish. Sempre
in silenzio.
L’Ambasciatore desiderò intensamente
che anche all’interno della navetta regnasse il silenzio, come un dittatore
incontrastato, ma sentiva i suoi ansimi disperati lacerare quel pesante drappo
di solitudine, quasi fossero pugnali.
Romulus, distrutto.
Aprì la bocca incapace di parlare,
boccheggiando, crollando in ginocchio.
Tutto quello per cui aveva lottato,
per cui aveva voltato le spalle al Consiglio degli Anziani di Vulcano, era
andato distrutto.
Aveva spinto la Jellyfish fino ai limiti delle sue possibilità ed era riuscito a
sopravvivere, i motori avevano resistito alla sforzo della velocità Warp, ma
non era servito.
Romulus, era stato distrutto.
Come in un incubo, aveva visto l’onda
scarlatta della Supernova avventarsi con un ruggito di belva contro il pianeta,
stringerlo fra le sue fauci fiammeggianti e ridurlo in cenere.
E quella polvere dorata, ricordo di
quella che per lui era diventata una seconda casa, sparì, portata via dal
soffio gelido del Buco Nero.
E Romulus era stato distrutto.
Si portò una mano alla tempia e chiuse
gli occhi, lasciando che altro dolore si mischiasse alla sua sofferenza, alla
sua anima squarciata dal rimorso.
Poteva sentirle, seppur flebili, urla
e grida e pianti nella mente, in un angolo recondito della sua testa, un
palpito continuo di disperazione, come un cuore che ancora non si era arreso,
che cercava di vivere, nonostante tutto, nonostante la distruzione e la morte.
Poteva avvertire quegli echi infiniti
di dolore grazie all’Unione con sua moglie, una donna di Romulus, con cui in
quel momento, almeno in una misera parte, poteva condividere la sofferenza.
Una parte di lui riuscì a tirare un
respiro di sollievo, che vibrò nella sua anima straziata, un sospiro egoista e
di gioia, al pensiero che, almeno loro,
erano in salvo.
Riaprì gli occhi e nella sua mente si
riaffacciarono all’istante le immagini, vivide e lucenti, di Romulus, con le
sue montagne, i giardini, le fontane, le case, le piazze..poteva ancora sentire
le risate di quei bambini cui si fermava spesso a parlare di Vulcano e del suo
passato comune con Romulus, rivide alcuni abitanti che gli sorridevano, felici
per la pace che era comparsa all’orizzonte, il saluto di alcuni Romulani che
avevano deciso di entrare a far parte di Starfleet,
nonostante la diffidenza non solo dei loro parenti e amici, ma anche della
stessa Federazione.
E anche se a quelle immagini si
sovrapponevano i sibili irati dei più conservatori, gli insulti loro e dei
Vulcaniani, tutto, gioia e dolore, bene e male, facevano parte di un ricordo
che sarebbe presto svanito, di un Pianeta di cui non rimaneva nemmeno più un
frammento di roccia o il petalo di un fiore.
La storia di Romulus si era conclusa,
la sua gente era morta in un doloroso abbraccio, crepitante di fiamme
scarlatte, le loro lacrime e i loro gemiti e le loro urla e i loro pianti
avrebbero per sempre accompagnato quei pochi sopravvissuti. E quando anch’essi
sarebbero scomparsi, e con loro ogni memoria, Romulus e la sua gente sarebbero
stati definitivamente distrutti.
Perché, Spock, aveva fallito.
Perché lui, Spock, li aveva
condannati.
Perché lui, Spock, li aveva uccisi
tutti.
1”Fatemi
passare” (Lett. “Fatemi uscire da qui”)
2”No”
3Vedi
Memory Alpha sotto la voce “Nero”
4 “Pretore”
è il modo in cui Ayel si rivolge a Nero
5Invettiva Klingon.
Traducetela nel modo più fantasioso vi venga in mente XD
Diario
di Nemeryal, Data Astrale 64053.3 (Oddeo! Mi sono accorta adesso che nell’Universo
di Star Trek quest’anno sarebbe il 2387 O_O E’ un segno!!! SPOOOCK!)
Ehm
*tossicchia*
Questo capitolo è stato abbastanza facile da scrivere (ovviamente, farà schifo
Uhuh! Legge dei grandi numeri!)..vedi Perrin, sono stata buona! Guarda, per
quanto ti odi ti ho dato uno spessore piSSicologico!
-Eh
certo. Il fatto che altrimenti avresti rischiato di cadere nel bashing più
basso e assurdo che esista non ha nulla a che fare con questo risvolto, vero?-
…Spock!
La tua matrigna insinua che io sia una persona brutta e cattiva!
-La
logica è dalla parte di Lady Perrin, Nemeryal-
Tu! Tu
brutto traditore, pusillanime e…e..illogico!
Oh no.
No, Spock non mi guardare così! No! No! Stai lontano! No! Mi fai paura!
SPOCK!!!
-Plak-tow!!!!!!!-
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!
*scappa*
Angolo delle Recensioni
Abdulla (Capitolo 2: Mamu lafot’hi ni th’ [Anno: 2387]) Stai tranquilla^^ Il tempo non è un problema!
Sono andata a
vedere la scheda sugli Andoriani presente su Memory Alpha e ho deciso che
doveva assolutamente esserci un Andoriano nella mia fan fiction..se poi è un
pazzoide come Shral (Ehi! Nd Shral) ancora meglio!
Sono contenta che
la narrazione ti sia piaciuta ^^ Purtroppo il cambio veloce di punti di vista è
un mio bel difettuccio XD E anche qui mi sa di aver fatto un po’ troppa
confusione..ops!
Ho trovato la
grammatica Romulana su internet O_O Oh mio santo Nimoy..E io che avevo trovato
complicato il Vulcaniano! Il Romulano è folle!!!! à http://www.freewebs.com/csdr/p3.html
Thiliol: Eh sì! Lo sapevo!!!
Muahahahahahaha! Sono malvagia, sono malvagia malvagia malvagia!
Devo leggere anche Nessuno
è Perfetto, ne ho letto alcuni pezzi e l’ho trovata assolutamente valida..solo
che le Spock/McCoy non mi fanno impazzire -_- Sono scema lo so..
Vedi Dante! Hai una
fan! XD
Abdulla: Eh già..adesso la
quindicina rimasta mi vuol fare la pelle..anche loro sulla già lunga lista nera
dei personaggi che mi vogliono uccidere. Sigh..troveranno man forte..eccome se
la troveranno..
Oh, ma l’Enterprise
è come il prezzemolo! E’ dappertutto! Credo che il suo equipaggio oramai sia
convinto di essere perseguitato dalla sfiga. E come dargli torto?
Oh! Piccino! Vedi
Dante? Piaci!
Lady Amber: Eeeeh sì! Ma sono un genio del male! Tutti pensavano fosse Spock!
Una fan di Saiyuki!
(Hakkaiiii! Goijoooo!!!
Okay, basta..contegno!) Douch! Un tempo c’erano tutte
le Soundtrack di Saiyuki! Ma nu!! Stupido Tubo >.<
Oh, Dante guarda!
Guarda come piaci! *si volta e vede Dante saltellare insieme a
Feliciano dietro
una farfallina*..eccolo lì. Almeno non grida
“Pastaaah” *si sente un urlo
“FIORENTINAAAAAAAHHHHH”*
No, okay, io gli
faccio male..
Persefone Fuxia: Muahahah! Anche tu caduta nella trappola..eccellente!
Vedi Dante, sei
anche “Fascinating” e il retroscena spero lo sarà altrettanto *ghigno* L’istinto
di conservazione di Kirkuccio temo sia pari a zero. Se non sotto.
Però se si mette
nei guai c’è Spock che si adopera per salvarlo..e poi..*scena tagliata per
rispetto nei confronti dei minorenni*
*esce fuori dal
nascondiglio*
Al prossimo capitolo! Si ritorna nel 2261!
Tai Nasha no Karosha!
-PLAK-TOW!!!!!-
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHH!
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Capitolo 6 *** Capitolo 5: Missione di Salvataggio [Anno: 2261] ***
2261-5-
Capitolo 5
Missione di Salvataggio
Anno: 2261
(Kingdom Hearts I Original Soundtrack – Treasured Memories)
I raggi lunari scivolavano argentei sulle cupole
splendenti della Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato1: le spire
azzurre e bianche che si rincorrevano sulla superficie curva e liscia della più
alta facevano a gara per raccogliere lo scintillio candido delle stelle. Accanto,
la cupola dorata risaltava, colpita dalle luci della città, e la sua compagna,
oltre le due arricchite di placche argentate, mostrava solo in parte il proprio
volto, nascosto nell’ombra.
Il fiume cantava sotto la Chiesa, accompagnando lo
scricchiolare delle scarpe dei passanti sulla neve fresca e le grida eccitate
dei bambini che si rincorrevano sotto la luce dei lampioni e l’imponente
facciata.
Sotto di essa, Ivan teneva in braccio il piccolo Rafail,
che si sporgeva dal petto del padre con la manina tesa ad indicare la guglia
più bassa, incantato dai riflessi dei fiocchi di neve che vi turbinavano
attorno.
Ivan rideva, piccoli cristalli di ghiaccio
incastonati come gemme preziose nell’accenno ispido di barba, sulla lunga
sciarpa nera o nel cappello blu notte, da cui uscivano alcune ciocche bionde,
bagnate per la neve.
Ida si strinse di più nel cappotto, sfregandosi le
palme delle mani e soffiandovi sopra per riscaldarle, nonostante fossero
protette da un paio di guanti di lana; il respiro si condensò davanti ai suoi
occhi, divenendo una macchia bianca contro il cielo notturno di Leningrado2.
Alzò lo sguardo su Ivan, nascondendo un sorriso
dietro la sciarpa, prima di chinarsi a terra e raccogliere un po’ di neve fra
le mani e appallottolarla. Cercando di non ridere, alzò il braccio e lanciò la
palla, che andò a schiantarsi con un sonoro tonfo contro la schiena di Ivan.
L’uomo emise un verso sorpreso e si voltò, sul volto un finto cipiglio
indignato.
La donna scoppiò a ridere, mentre Ivan poggiava Rafail
a terra e gli sussurrava qualcosa all’orecchio; il bambino, le guance arrossate
per il freddo e gli occhi lucidi per la stanchezza e la gioia, annuì, facendo
dondolare il pon pon rosso del cappellino.
-Stai pronta, mamma!- le gridò Rafail, inginocchiandosi
a terra e raccogliendo un po’ neve.
Ida sorrise in direzione di Ivan e non si scansò
quando si vide arrivare addosso la palla di neve; alzò le mani per proteggersi
il viso, i capelli che le aderivano bagnati alle tempie e le labbra livide per il
freddo.
Fece per abbassare le braccia, ma qualcuno, più
veloce, le cinse la vita, costringendola contro il suo petto.
La donna chiuse gli occhi. Sentiva il cuore di Ivan
pulsare caldo sotto le proprie guance e il suo respiro profondo, appena ansante
per la corsa che aveva fatto per raggiungerla. Le mani di lui erano forti, la
stringevano con dolcezza, ma decisione, come se non la volesse lasciare, per
paura di perderla.
Ida scostò il volto dal torace dell’uomo e gli
scostò una ciocca di capelli dalla fronte, per potersi perdere nei suoi occhi
così caldi e intensi. Ivan le accarezzò la schiena, poi le posò un lieve bacio
sulla fronte.
La donna sorrise, con le guance arrossate, alzandosi
in punta di piedi e sfiorando le labbra di lui con le proprie.
Ivan strofinò il naso contro il suo e sorrise,
rendendo più profonda la piccola cicatrice sotto l’occhio sinistro.
-Quanto starai via?- le chiese.
-Non sarà una missione lunga- rispose Ida, evitando
il suo sguardo e osservando il piccolo Rafail giocare con la neve poco più in
là –Si tratta solo di un anno-
-Un anno è lungo- le ricordò lui, prendendole il
mento fra le dita –E lo Spazio è pericoloso-
La donna sorrise
-Sì, ma è solo una missione di ricerca e studio-
disse, circondandogli il collo con le braccia –Staremo lontani dai territori
Klingon e i Romulani ci hanno dato un permesso particolare di transito quando
ci troveremo ai confini della zona Neutrale-
-Non ti fidare del Romulano che porta doni3-
annuì Ivan, aumentando la stretta attorno alla sua vita.
-I Romulani ora vogliono la pace- Ida sbatté le
palpebre, con la sensazione che l’abbraccio dell’uomo le stesse togliendo il
respiro –Dopo quello che è successo due anni fa..-
-Lo so. Fai attenzione comunque. Abbiamo bisogno di
te, qui- Ivan accennò al piccolo Rafail con un movimento del viso.
Ida ansimò, sentendosi intrappolata fra le braccia
dell’uomo. Il respiro le lacerava i polmoni e la gola, gli occhi bruciavano e
il cuore batteva impazzito contro il petto.
-Ivan..- gemette, facendo leva con le braccia per
allontanarsi da lui –Ivan, lasciami!-
Alzò lo sguardo, ma non era più Ivan a tenerla
stretta tra le braccia, ma l’Ombra. Nera, orribile, viscida, sinuosa e
pericolosa come un serpente. La Chiesa si sgretolò davanti ai suoi occhi, il
lampione si sciolse, la sua luce divenne nera come la pece e colò pesante sulla
neve candida, stendendosi su di essa come un corvo che dispiega le proprie ali
contro il sole.
Si voltò, terrorizzata, in direzione di Rafail, ma
del bambino non erano rimasti altro che gli occhi, grandi, supplichevoli, che
la chiamavano silenziosi, con un grido muto e straziante, che le affondava
bollente nel cuore, mentre la stretta dell’ombra si faceva più forte, sempre
più forte, mozzandole il fiato, impedendole di respirare.
Sentì dietro di sé il fiume ribollire e le sue acque
agitarsi melmose contro le caviglie, artigliandosi alla sua pelle e salendo,
salendo ghiacciato e pesante, avvolgendola, gambe, braccia, petto, fino ad
arrivare al collo e al viso e da lì riversarsi nelle labbra aperte in un urlo
di disperazione e di aiuto.
Boccheggiò, annaspando in cerchia di aria, ma stava
affogando, nelle tenebre e nelle acque melmose del fiume, col grido di Rafail
che schioccava e rimbalzava e rombava nella sua mente e nel suo cuore, con Ivan
che la teneva stretta, sempre più stretta, col fiato tenacemente aggrappato
alla gola, il respiro costretto nei polmoni brucianti, gli occhi che
lacrimavano e si appannavano, e il Padre Eterno che la fissava grave dallo
sfondo dorato della facciata, circondato dagli angeli, e la guardava senza fare
nulla, mentre lei affogava, stretta dalle tenebre, dall’ombra, dal fiume, da
Ivan e da Rafail che urlava senza voce, Rafail dagli occhi grandi e
supplichevoli.
-Ida!-
Riaprì gli occhi di scatto, inghiottendo l’aria
stantia della cella;boccheggiò e si gettò carponi a terra, scossa dai conati di
vomito. Sentì una mano accarezzarle la schiena per cercare di calmarla, mentre
tutto il corpo era attraversato da brividi di freddo e paura, e le braccia
tremavano, incontrollate.
La donna prese un respiro profondo e si asciugò le
labbra con il dorso della mano, chiudendo gli occhi e ignorando il tremito che
la stava attraversando come una scossa.
Tornò a sedersi, poggiando la schiena contro il muro
e prendendo qualche respiro profondo, poi si azzardò a riaprire gli occhi.
Dovette sbattere più volte le palpebre, perché la vista era appannata e i
contorni, seppure bui, immersi nell’oscurità, erano velati e parevano quasi
ondeggiare.
Si sfregò gli occhi con le mani e si accorse di
avere le guance bagnate di lacrime.
-Stai bene?- mormorò Haleema, affiancandosi a lei e
mettendole una mano sulla spalla.
Ida annuì, ancora incapace di parlare. Abbassò la
mano e i suoi occhi si posarono sulla fede d’oro che portava all’anulare: la
superficie era graffiata e il colore era opaco, freddo.
Chiuse le dita a pugno e le portò al petto.
-Hai sognato Ivan, vero?- le chiese Haleema,
lasciandole andare la spalla e raccogliendo le ginocchia al petto.
Ida non rispose, evitando di guardarla.
-Ida..- le sussurrò Eleni, la voce rotta dalla
fatica e dal dolore, dalla cella accanto –Se lui è..morto..né tu, né Ivan, né tuo figlio dovete..sentirvi
in..colpa-
La donna serrò la mascella per reprimere un
singhiozzo, sbattendo veloce le palpebre per cacciare via le lacrime che erano
andate a raccogliersi ai lati degli occhi.
Non si era nemmeno accorta di aver ceduto alla
stanchezza. L’ultima cosa che ricordava era di aver continuato a gridare fino a
quando Eleni non le aveva risposto di star bene, e poi il buio.
Si stava arrendendo. Stava scivolando nel passato,
nei ricordi, la sua mente stava iniziando a proteggersi dal dolore e dalla
sofferenza del presente e di un futuro che non avrebbe conosciuto.
Là, a Leningrado, nella neve che turbinava lenta,
sotto la luce dei lampioni e delle stelle, dove il piccolo Rafail non sarebbe
mai cresciuto e l’amore di Ivan non si sarebbe mai spento, là, la sua mente e
il suo corpo avrebbero trovato un rifugio da cui non sarebbero mai usciti.
Ma arrendersi, rifugiarsi in un mondo illusorio di
ricordi e memorie non era quello che desiderava.
Rafail, Ivan, Leningrado, l’avrebbero aiutata ad
andare avanti, come un obiettivo, una nuova missione che non le era permesso
fallire.
-Era la sera prima della mia partenza per San
Francisco- spiegò, poggiando la nuca contro il muro mentre un sorriso
malinconico le si posava sulle labbra.
***
(Final Fantasy VII Advent Children Original Soundtrack – Aeris No Theme)
Diario di Bordo,
parla il Tenente Comandante, Montgomery Scott.
Data Astrale: 53781.44
Il Capitano Kirk
insieme alla squadra di salvataggio, di cui fanno parte anche il Primo
Ufficiale, il signor Spock, l’Ufficiale Medico Capo, il signor McCoy e il
Tenente Sulu, sono partiti dalla Base Stellare K-9 da otto giorni punto cinque
ore.
Sono quattro giorni
punto nove ore che non riceviamo più alcun messaggio criptato da parte della
Nave non-registrata Odysseus.
Non è mi è comunque
concesso intervenire in nessun modo, né inviando un messaggio dalla stessa
Enterprise né lasciando la Base Stellare K-9. A conti fatti, non mi è neppure
permesso prendere una qualsivoglia decisione che vada contro gli ordini
precedentemente datimi dal Capitano Kirk.
L’unica cosa
possibile è aspettare.
Aspettare la
riuscita o aspettare la sconfitta, non ci è concesso altro.
Nonostante la
preoccupazione, nonostante la paura, devo aspettare. Un qualsiasi intervento di
Starfleet ai confini dell’Impero Klingon potrebbe essere usato da questi ultimi
come pretesto per una guerra intergalattica.
Tutto in segreto,
agire per Starfleet senza far sapere a nessuno che è Starfleet a muovere le
fila, usare Navi non-registrate concesse dalla Federazione per evitare che si
sappia del coinvolgimento della Federazione stessa nel piano di salvataggio.
Le trame di
Starfleet sono sottili e segrete e se qualcuno, alla fine, ci rimetterà, sono
pronto a scommetterci le gondole della Enterprise che quel qualcuno sarà proprio il Capitano Kirk.
Oh, certo. Se la guerra intergalattica dovesse davvero scoppiare, la colpa non
sarebbe di Starfleet, perché Starfleet, a tutti gli effetti, non è mai davvero
intervenuta per salvare i membri della Ifigenia, interferendo nelle leggi di un
mondo che a Starfleet ha candidamente mostrato il dito medio, e..
Scott si bloccò, riconsiderando a mente lucida
l’ultima parte che aveva appena registrato. Si lasciò sfuggire un sospiro
impotente e premette uno dei tasti sulla consolle della poltrona del Capitano.
-Computer, cancellare l’ultima parte- decise,
passandosi una mano sugli occhi –Anzi, cancella tutto a partire da “L’unica cosa
possibile è aspettare”-
Il Tenente Comandante si passò una mano sul collo, mentre i dati
venivano cancellati dal database con un sommesso crepitare del computer.
Certo, ci mancava solo che Starfleet ascoltasse quel rapporto e poi lo strapazzasse per bene
di conseguenza. Forse la Corte Marziale no, ma avrebbe sicuramente dovuto dire
addio alla Enterprise e a tutto quel ben di Dio che aveva al posto dei motori.
E, soprattutto, avrebbe dovuto dire addio al Capitano e all’equipaggio.
-Io non sono fatto per il comando!- sbottò,
allargando le braccia nel silenzio della plancia vuota –Io sono più un tipo da
motori e simili, che passa il suo tempo libero con un bicchiere di Scotch
Whiskey in una mano e un cacciavite nell’altra! Cosa ci sto a fare, io, sulla
poltrona di comando?-
Si strinse la radice del naso fra le dita,
soffocando un’imprecazione fra i denti.
Era preoccupato, diamine!
Preoccupato che quella combriccola di matti
capitanati di Kirk non facesse più ritorno, che la Enterprise dovesse lasciare
la Base Stellare K-9 senza il suo miglior capitano al comando e che Starfleet potesse perdere uno dei suoi
uomini più promettenti.
Nemmeno lavorare sui suoi adorati motori riusciva a
distoglierlo da quei pensieri cupi.
Solitamente, tutte i brutti presentimenti, il
pessimismo, la rabbia, il rancore, la preoccupazione, scorrevano dalla sua
mente fino alle dita, crepitavano come fiammelle nelle sue mani e svanivano in
un soffio caldo, trascinati via dal rombare delle turbine, persi nei condotti
che percorrevano simili ad un labirinto il corpo flessuoso della Nave. Se aveva
un problema tecnico da risolvere, ecco che anche quelli personali parevano
risolversi con una controllata al reattore, ai fusibili delle macchine, agli
schermi o agli scudi.
Tutto assumeva una connotazione più terrena e
manuale, e non c’era nulla di manuale che lui, Montgomery Scott, non sapesse
risolvere.
Eppure questa volta era diverso.
I presentimenti si rifiutavano categoricamente di
scomparire in uno sbuffo di fumo, cancellati da una macchia d’olio scuro e
appiccicoso, ma si aggrappavano con tenacia al suo animo, scalciando come
cavalli imbizzarriti e scalpitando inferociti dentro la sua testa.
Sfregò fra loro i palmi delle mani, sbuffando
contrariato, cercando di inventarsi qualcosa per tenersi occupato, quando la
porta del TurboLift si aprì con un ronzio sommesso.
Scott si voltò di scatto.
-Scotty!-
-Nyota!- esclamò sorpreso lui.
Il Tenente Uhura rimase per alcuni istanti ferma
sulla soglia del TurboLift, mordicchiandosi il labbro inferiore e schiarendosi
appena la gola.
Se oltre a loro ci fosse stata la plancia al
completo, Scott non avrebbe mai osato chiamare Nyota col suo nome, limitandosi
ad un neutro e professionale “Tenente Uhura” o, al massimo, ad un semplice
“Uhura”, ma lì, da soli, poteva anche tralasciare la freddezza del protocollo
lavorativo per qualcosa di più caldo e famigliare.
-Sei venuta a controllare se è arrivato qualche
messaggio?- le chiese Scotty, vedendola a disagio.
-Sì- ammise lei, avvicinandosi alla propria
postazione e prendendo l’auricolare metallico fra le dita.
Scott si limitò ad annuire, mentre la donna si
girava sulla sedia, dandogli le spalle, il viso piegato a sinistra e rivolto
verso l’alto, le mani posate sulla consolle delle comunicazioni e gli occhi
fissi, le labbra appena dischiuse e l’orecchio attento a captare anche il più
piccolo segnale da parte di Kirk e Spock.
Era bella, Scotty doveva ammetterlo.
Col corpo alto e flessuoso avvolto nella divisa
scarlatta della Sezione Tecnica, il viso triangolare dai tratti delicati, la
pelle d’ebano e gli occhi grandi e profondi, accentuati dal collo sottile e dalla
coda di cavallo che le ricadeva con grazia oltre le spalle5,Nyota
era fra le donne più belle che avesse incontrato.
Uhura dovette accorgersi del suo sguardo, perché
abbassò gli occhi scuri e gli rivolse un accenno di sorriso.
Scotty ricambiò, rivolgendole un cenno di
incoraggiamento.
La amava? No, ma gli sarebbe piaciuto.
Rispettava Uhura e voleva per lei tutto il bene
possibile, per lei, che sembrava così fragile con quel viso minuto e lo sguardo
limpido e aperto, ma col sangue ardente dell’Africa che le scorreva dentro come
fuoco, che le illuminava il volto e gli occhi, che riscaldava con dolcezza chi
si fosse avvicinato per tenerla stretta a sé e amarla come meritava, ma che
bruciava chiunque si fosse avvicinato solo per ferirla.
Scotty aveva visto più volte il fuoco ardere dentro
i suoi occhi e incendiarle lo sguardo, ma non lo aveva mai visto sciogliersi in
lacrime di cenere spenta e inutile.
Nemmeno quando il silenzio si era insinuato gelido
fra lei e Spock l’aveva vista piangere.
Non c’era stato nessun segno della disfatta della
loro relazione, forse per quel “legame” che gli altri membri dell’equipaggio,
soprattutto i più vicini ai due, dicevano esistesse fra loro. Un legame per cui
i pensieri dell’uno si fondevano, si abbracciavano e si univano con quelli
dell’altra, in una dolce assenza di parole, dove non c’era bisogno di voce, ma
solo del “legame” dei loro spiriti sempre in accordo, sempre per mano anche quando
c’erano piani e TurboLift e pianeti a dividerli nel mondo fisico.
Forse era proprio per quello che Uhura aveva
accettato tutto senza una sola lacrima a rigarle il volto.
Forse aveva sentito dentro di sé il filo della loro
relazione sfaldarsi lentamente, con un tendere sommesso del legame, fino a
quando non si era sciolto, lì, nel silenzio e nell’ombra dell’Universo. Era
scomparso come una goccia di pioggia che dal cielo si infrange sulla superficie
calma del mare. Era divenuto parte dell’Immenso, del Tutto, increspandone
appena la superficie, poi più nulla.
Ma quella goccia, anche se persa nell’Immenso,
continuava ad esistere.
Forse si stava solo lanciando in qualche ridicolo
volo pindarico sull’Essere, ma Scotty aveva la netta sensazione che il legame fra
i due esistesse ancora, ma si fosse trasformato. Le loro mani non era più
intrecciate, ma si sostenevano una con l’altra, là per darsi aiuto e conforto
ovunque e ogni volta che ce ne fosse stato bisogno.
Scotty scosse la testa, con un sorriso amaro a piegargli
le labbra.
Le voleva bene, ma non l’amava. Non ancora, almeno.
Magari chissà, col tempo..riusciva quasi a vederla,
più anziana, coi capelli striati d’argento, che si piegava su di lui,
accarezzandogli con dolcezza il viso; riusciva a scorgere nei suoi occhi quello
stesso calore che tante volte aveva visto avvolgere il gelo Vulcaniano nello
sguardo di Spock.
Ma erano solo sue illusioni, nulla di più. Voleva
bene a Nyota e la rispettava, desiderava per lei tutto il bene possibile, tutta
la felicità e l’amore che si meritava, nulla di più. E nel futuro..chi poteva
dirlo?
-Scotty, perché sorridi?-
-Come?- chiese lui.
-Stavi sorridendo- gli spiegò di nuovo Uhura,
scrollando il capo.
Il sorriso sul volto di Scott scomparve quando vide
l’espressione di Nyota.
-Ancora nessun messaggio, vero?-
La donna trattenne il respiro, gli occhi fattisi
lucidi per qualche istante, poi si tolse l’auricolare e l’appoggiò con un
sospiro sopra la consolle.
Scotty fece per avvicinarsi e metterle una mano
sulla spalla, ma esitò.
-Ascoltami, Nyota- le disse portandosi le mani ai
fianchi –Spock è riuscito a mirare ad un proiettile con un proiettile più
piccolo, con una benda sugli occhi e stando in groppa ad un cavallo6-
Uhura aggrottò le sopracciglia, confusa.
-Cosa?- domandò, con uno sbuffo divertito.
Scotty sorrise e le si avvicinò, posandole una mano
sulla spalla
-Per lui, questo è un gioco da ragazzi. Vedrai,
andrà tutto bene..- la rassicurò –Ora, vado! I miei bambini mi stanno aspettando!-
esclamò, raggiungendo con pochi balzi il TurboLift.
Nyota si alzò dalla postazione e si voltò verso di
lui, proprio mentre le porte cominciavano a scivolare sui cardini con un
ronzio.
-Grazie, Scotty-
-Di nulla, milady- la salutò l’Ingegnere, sfiorando
la tesa di un capello immaginario e rivolgendole un piccolo inchino.
***
(Kingdom Hearts I Original Soundtrack – Destiny’s Force)
Dante scattò in piedi e si accasciò contro la parete
per non cadere di nuovo.
La guardia, scaraventata davanti all’entrata della
sua cella da chissà quale forza, emise un grugnito e strabuzzò gli occhi, col
sangue violetto che scorreva denso lungo il labbro sporgente.
Il medico deglutì a vuoto, col cuore che pulsava
impazzito contro le costole e il respiro che usciva in ansimi brevi e
gorgoglianti.
Il corpo esanime della guardia crepitò e divenne
polvere rossa, che andò a mescolarsi il grigio del pavimento, brillando sopra
le chiazze scure di sangue secco e fango.
L’uomo cercò di rimettersi in piedi, ma la debolezza
gli attraversò le ginocchia come una scossa, costringendolo ad abbandonarsi
nuovamente contro il muro, mentre gli altri, pochi schiavi che erano rinchiusi
con lui in quell’ala dei sotterranei gridavano per la sorpresa ed il terrore.
Il medico si portò una mano alla nuca, laddove
sentiva ancora il Contatto con Spock pulsare e ardere come fosse una fiamma e
gemette, lasciando cadere la testa contro il petto e scivolando carponi a
terra.
Ignorò il rumore secco e stridente delle sbarre che
si piegavano, accartocciandosi su se stesse, troppo concentrato sul dolore
intenso che gli martellava contro la testa, sempre più forte, sempre più vicino.
Si raggomitolò su se stesso, con la ferita del
Legame che si propagava come lava incandescente lungo il collo, la schiena, gli
arti, ribollendo dietro le palpebre, nelle vene, gorgogliando dentro i polmoni,
incenerendogli il cuore.
Due mani lo afferrarono per le spalle e lo
costrinsero ad alzare gli occhi.
-Dottore, dobbiamo andare-
-Spoc..Spock!- boccheggiò Dante, portandosi le mani
al volto e affondandovi le unghie –Basta, ora…Basta!-
Il Vulcaniano annuì e gli posò le dita sulla tempia
sinistra.
Gli occhi del medico divennero opachi, poi si
rivoltarono dietro le orbite e il suo corpo, privo di sensi, si abbandonò
contro il petto del Primo Ufficiale.
Spock si alzò e affidò velocemente il dottore ad un
membro della squadra di sbarco, facendogli segno perché si sbrigasse ad uscire
da lì.
Si chinò sul
corpo del Vulcaniano ancora a terra, constatando che respirava ancora e che il
battito cardiaco, seppur debole e più lento del normale, non era cessato.
Si caricò il ferito sulle spalle e si gettò fuori
dalla cella; gli altri membri della squadra di sbarco incaricati di occuparsi
di quel settore lo avevano già preceduto, portando con loro anche gli schiavi
delle diverse razze rinchiusi nel sotterraneo.
Svoltò l’angolo e vide uno dei suoi compagni, il
phaser ben stretto tra le mani, che lo aspettava, come d’accordo.
Gli fece un cenno sbrigativo con la testa e lo seguì
lungo lo stretto corridoio, illuminato a tratti dalla luce traballante delle
lampade ad olio fissate sul soffitto. Arrivarono all’entrata dei sotterranei,
laddove varie strade si diramavano, perdendosi nel buio, verso gli altri
settori e celle.
Sopra di loro, in cima alla scalinata che portava al
piano superiore, Spock poteva sentire il crepitare dei phaser e del fuoco di
copertura, le urla dei suoi compagni e delle guardie di Kharandel, e l’odore intenso
e metallico del sangue.
A terra, davanti all’entrata di uno dei corridoi,
giacevano due membri della Sezione Tecnica; accanto a loro, con una ferita che
dal collo le arrivava fino al ventre scoperto, il corpo senza vita di una donna
di Orione, i cui occhi, vacui, fissavano il vuoto, sbigottiti, come a chiedersi
per quale motivo le fosse stata negata la salvezza.
Spock si tese, ogni senso all’erta per cogliere il
minimo segno dell’aggressore, quando, nel buio di una delle entrate dietro di
lui, udì un ringhio. Si voltò di scatto, giusto in tempo per vedere una delle
guardie balzare dalle tenebre, un’ascia bipenne tra le mani tozze.
Indietreggiò e l’avversario si piegò sulle gambe
bitorzolute, snudando le zanne impiastrate di saliva verdastra, per poi darsi
la spinta in avanti e spiccare un salto. Il Vulcaniano percepì il ronzio
sommesso di un phaser dietro di lui e si scansò.
Il flusso energetico gli sfiorò la guancia destra e
andò a schiantarsi contro il petto della guardia, che sgranò gli occhi
emettendo un ruggito incredulo. Il corpo massiccio venne sbalzato all’indietro,
contro i cardini e gli infissi di una delle entrate. Ci fu un boato tremendo e
il terreno franò, bloccando così l’accesso al corridoio.
-Signor Spock, state bene?-
Il Primo Ufficiale rimase qualche istante in
silenzio, osservando attonito le pietre che intrappolavano i suoi uomini e gli
altri schiavi: poteva sentirne le urla, i colpi di tosse dovuti alla polvere,
il rantolo di qualcuno rimasto sotto le macerie e il pianto di convulso di chi
si era visto strappare via la libertà ad un passo dal raggiungerla.
-Signor Spock, dobbiamo andare!-
-Sì..- rispose il Vulcaniano annuendo e voltandosi
verso il compagno, bianco in volto e con la mascella contratta –Avete ragione.
Andiamo, signor Marrow-
Fecero per
salire la scalinata, quando dal’ingresso davanti a loro uscì un altro membro
della squadra di sbarco: portava fra le braccia una donna sull’orlo
dell’incoscienza, col sangue che le scorreva lungo le gambe e la testa
abbandonata contro il petto. Dietro di lui, altre due donne, il volto e gli abiti
laceri chiazzati di rosso, gli occhi sgranati e le labbra livide.
Spock fissò il phaser che la più minuta teneva fra
le mani, poi alzò lo sguardo.
-Il Tenente Kane- mormorò l’uomo che teneva fra le
braccia la donna svenuta –Non ce l’ha fatta-
***
Kirk rotolò dietro il divano bitorzoluto, si
inginocchiò e si sporse dallo schienale, facendo fuoco.
Una delle guardie di Kharandel fece scudo al suo
signore col proprio corpo, muggendo come un toro inferocito e disintegrandosi
all’istante.
Il mercante schioccò la lingua contro il palato e si
gettò carponi sul pavimento, proprio mentre un altro colpo di phaser
proveniente da destra lo sfiorava al fianco.
Jim ringhiò e si lanciò fuori dalla sua barriera
improvvisata, ignorando le urla dei suoi compagni.
Tese le braccia, pronto a far partire il colpo,
quando si sentì afferrare alla caviglia e gettare a terra; gemette, il gusto
metallico del sangue che gli riempiva la bocca, e si voltò: una delle guardie,
che lui credeva, se non morta, almeno tramortita, lo stava fissando con occhi
di fuoco, il sangue violaceo che colava dalle zanne ricurve.
-Mollami!- gridò, puntandogli contro il phaser.
La scarica energetica lo raggiunse al centro della
fronte e la guardia rimase con gli occhi fissi ancora per qualche istante,
sbigottito, prima di lasciare la presa e polverizzarsi.
Kirk fece leva sulle braccia per tirarsi in piedi,
storcendo le labbra a causa del dolore che gli attanagliava la gamba.
Dovette cambiare strategia quando un’altra guardia
si erse davanti a lui, calando l’ascia con un sibilo: rotolò ancora, sfuggendo
al colpo altrimenti mortale, ma andò a cozzare contro il tavolino basso posto
al centro della stanza.
Alzò lo sguardo e vide la guardia ridere della sua
risata gutturale mentre alzava l’ascia per menare un altro fendente, poi un
lampo, un grugnito e divenne polvere.
-Tenente Heinrich!- ansimò Jim, rivolto all’uomo
davanti a lui –Mi avete salvato la vita..-
-State bene, Capi..-
-Heinrich!- gridò Kirk, inorridito.
Il Tenente, un rivolo di sangue che gli colava dalle
labbra, abbassò gli occhi velati e fissò incredulo la lama rossa che gli aveva
trafitto il petto. Il suo corpo ebbe un sussulto quando il pugnale venne
estratto con velocità e ferocia, poi cadde a terra, senza vita.
Jim boccheggiò, mentre Kharandel si portava l’arma
alle labbra e ne leccava il filo insanguinato.
-Bastardo!- gridò, alzandosi in piedi e gettandosi
goffamente contro il mercante.
Il dolore alla caviglia gli annebbiò la mentre per
qualche istante, proprio mentre atterrava l’avversario e cercava di tenere il
pugnale lontano da sé; dovette rinunciare al phaser per impedire all’altra mano
dell’avversario di chiudersi attorno alla sua gola.
-Maledetto- sibilò il Capitano, cercando di bloccare
le braccia di Kharandel –Maledetto!-
-Per ogni mio uomo ucciso- soffiò l’altro, gli occhi
ridotte a due fessure opalescenti –Sette dei tuoi dovranno morire!-
-Scordatelo!-
Kirk strinse la presa attorno ai polsi del mercante,
il pugnale talmente vicino al viso da potervi scorgere il proprio riflesso e
sentirne la punta fredda contro lo zigomo.
-Muori, cane!- abbaiò Kharandel, gonfiando le guance
e sputandogli in faccia.
Jim girò il viso e l’altro approfittò di
quell’attimo di distrazione, per ribaltare le posizioni.
-Ora sono io ad avere il coltello dalla parte del
manico- ridacchiò, librandosi con uno strattone dalla presa di Jim e
schiacciandogli la caviglia dolente con il piede palmato.
Il Capitano gridò, accecato dal dolore, ma tese in
alto le braccia, cercando di afferrare nuovamente i polsi del mercante e
salvarsi la vita. Il pugnale calò su di lui con uno scintillio, ma uno dei suoi
uomini apparve con un balzo alle spalle di Kharandel; il mercante, percepito lo
spostamento d’aria, si voltò e gli tagliò la gola con uno scatto repentino del
polso.
Seppur nauseato dall’odore del sangue e della morte,
Kirk prese un respiro affannoso e usò le ultime energie rimastegli per
ribaltare di nuovo le posizioni.
Il sacrificio di LeBoeuf non sarebbe stato vano..
Il mercante rise
-Ora due tuoi uomini sono morti Kirk! Altri cinque e
potrò ripagare la vita della guardia che mi hai ucciso!-
-Sogna pure, bastardo!- e Jim lo colpì al viso con
un pugno e poi un altro e un altro ancora.
Non aveva più la forza per trattenere le braccia di
Kharandel, ma avrebbe continuato a colpirlo senza tregua per impedirgli di
levare il pugnale contro di lui.
Colpiva per disperazione, per rabbia, con
l’incoscienza che montava come la marea, annebbiandogli la vista, oscurandogli
la mente, ma con le immagini di Heinrich e LeBoeuf che lampeggiavano senza
sosta davanti ai suoi occhi, che si frapponevano al volto tumefatto del
mercante e gli davano la forza di colpire ancora, e a ancora e ancora.
Il sangue grigiastro di Kharandel sulle nocche si
mischiò al suo e a quello dei suoi uomini e delle guardie, in un impiastro
denso, caldo, viscido.
Vedeva Kharandel, solo Kharandel, che lo scherniva,
lo derideva, agitava il pugnale, uccideva Heinrich e rideva, uccideva LeBoeuf e
ghignava, sibilava, coperto di sangue scarlatto, di sangue grigio, ma continuava
a ridere, oppure gemeva?, senza
sosta, rideva, rideva e rideva e lui non vedeva altro che il suo sporco
sorriso, ma era sangue quello che gli
colava dalle labbra?, e il suo volto contratto dalla ferocia, dallo
scherno, sembrava non avere più un volto,
i denti brillanti e aguzzi tra le labbra seriche, atteggiate al sorriso e al
ghigno, i denti macchiati di saliva
verdastra e sangue grigio, sparsi sulle labbra rotte e la faccia sfigurata dai
pugni, e vedeva lui, solo lui, il resto era nebbia, nebbia e sangue, sangue
e nebbia, grigio e scarlatto, scarlatto e grigio, e urla, urla, urla, solo
urla, urla, urla..
-Capitano!-
Un braccio forte lo trascinò via dalla nebbia di
sangue e follia che l’aveva avvolto, costringendolo in piedi, nonostante il
dolore, nonostante la rabbia.
-Jim!-
Un sussurro, forte e deciso, un richiamo disperato,
un appello alla coscienza.
-Ho perso il
comando. Non ho più il comando sui miei uomini!-
Due mani ferree
attorno alla gola, il respiro caldo, ansante, sul viso. Gli occhi vacui, persi
in un sogno, in un incubo.
-Capitano..-
Nebbia, ancora
nebbia, nei suoi occhi e nella sua mente, nel suo sguardo smarrito in
un’illusione, nella paranoia, nella paura, preda della sua Bestia.
-Jim-7
Kirk sbatté più volte le palpebre, la mente che
faticava a tornare lucida.
Spock era accanto a lui, poteva sentirne il fiato
caldo contro il viso, gli occhi scuri che cercavano il suo sguardo, le dita
strette al suo braccio, una presa salda, sicura.
Un appello alla coscienza.
-Sto..sto bene, Spock- mormorò deglutendo a vuoto e
fissando il viso martoriato di Kharandel ai suoi piedi.
Dio, con che rabbia si era accanito contro di lui..
-Capitano, dobbiamo andare- e sebbene il tono del
Vulcaniano fosse neutro come sempre, Jim non faticò a coglierne la nota d’allarme
e urgenza.
***
-Sulu! Mi senti, Sulu?-
-Capitano!- Hikaru raggiunse in fretta la consolle
per le comunicazioni della Odysseus –La sento, Capitano!-
-Dica..dica al dottor McCoy..nell’hangar, con..tutta
la squadra..sti..stiamo arrivando-
-Molto bene, Capitano-
Sulu si affrettò a chiamare l’Infermeria, incurante
degli sguardi che lo avevano seguito fino a quel momento.
Quando ebbe chiuso la comunicazione, rimase qualche
istante in silenzio.
La voce di Jim era..strana.
1Chiesa di San Pietroburgo
realmente esistente. Non è bellissima? http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/d/db/Chiesa_del_sangue_versato.JPG/300px-Chiesa_del_sangue_versato.JPG
2Sì, so che Leningrado è
l’odierna San Pietroburgo, però, dato che nella TOS Chekov parlandone la
chiama, ovviamente visto che il nome è stato cambiato nel 1991, “Leningrado”
(Episodi: Troubles With Tribbles” e “I, Mudd) e considerando che nell’XI è
cambiata solo la linea temporale degli eventi, ho voluto mantenere il vecchio
nome della città, come al tempo di papà Roddenberry ^_^
3Detto tipico dell’Universo
Trekker. Chi mi dice chi lo ha pronunciato, in che film e in quale occasione
vince un peluche di Spock XD
4La data è sparata beatamente a
caso. Ho provato con lo Stradate Calculator, ma inizia a contare gli anni dal
2284 e quindi..*sigh
5Ovviamente mi sto rifacendo
alla Uhura versione Zoe Saldana. Non che Nichelle Nichols fosse brutta XD Au
contraire!
6”Però, se anche io credessi che lei viene da un futuro ipotetico e che io
ho fatto quello che dice, cosa a cui io non credo, mi parla di teletrasportarci
sulla Enterprise mentre viaggia più veloce della luce, senza una piattaforma di
ricezione […] Il Teletrasporto a Transcurvatura è come mirare ad un proiettile
con un proiettile più piccolo, con una benda sugli occhi e stando in groppa ad
un cavallo!” (Star Trek XI: Il Futuro Ha Inizio)
7Se mi dite di che situazione
stiamo parlando e da quale episodio è presa, oltre al Peluche di Spock della
nota 3, vincente anche il peluche di Bones e Kirk!
Diario
di Nemeryal, Data Astrale: 64137.5
*arriva
trascinandosi e strisciando* Puff..pant..Oh per il santo Roddenberry! Scotty,
sei terribile da mantenere IC!! Anche perché non sei ancora Scotty, cioè, sei
Scotty, ma non sei Scotty, sei il prequel di Scotty, sulla buona strada per
diventare lo Scotty che tutti conosciamo..che casino @_@
Quella
e la parte con Kirk che combatte con Kharandel sono state le più difficili da
scrivere, non tanto per la situazione, quanto perché mi sono lasciata un po’
trascinare –un po’ tanto- e quindi ho paura di essere andata, come dire, sì,
ecco, OOC.
Soprattutto
con Kirk.
Ho
paura di averlo fatto un po’ sanguinario. Un po’ tanto. *deglutisce a vuoto*
Che
macello XD Tra guardie, schiavi e uomini muore un po’ di gente..a questi punti
mi viene il dubbio di essere io la sanguinaria e la sadica e non Kirk
piSSicologicamente andato.
Uhm.
Debbo ponderare su codesto punto.
Angolo delle Recensioni
Thiliol: Lo
ammetto, sono una pessimista cronica e ipercritica con i miei lavori XD Però
sono felice che non sia venuto uno schifo! Grazie ^_^
Sidereal
Space Seed: Ma che figata il tuo nuovo nick! Mi piace da impazzire *_* Complimenti
per la scelta!
Oggi, invece, la casa vi propone un piatto di
combattimenti, con contorno di tormenti interiori, con un pizzico di
interferenze mentali per dare più gusto al tutto *Modalità Cameriere: ON*
Non credo che riusciremo mai a perdonare Abrams per
quello che ha fatto ç_ç
Tra le altre cose ho scoperto non è la prima volta
che Vulcano viene distrutto! Mi sono vista la prima parte di Star Trek: Of Gods
and Men –il film fatto dai fan con un cast anche di vecchi personaggi, come
Uhura o Pavel –CHEKOOOOV!!!!..Ehm- e lì, badim e badàm, Vulcano viene distrutto
perché neutrale. –Anche lì, casini temporali a non finire e Charlie –sai,
quello di Charlie X?- che ne combina di tutti i colori-
Mi sa che i produttori Trekker sono un po’ maniaci
della distruzione di pianeti XD
Massì, dai, un punto a Perrin, dai!
Spero che il periodo nero sia migliorato ^_^
Lady
Amber: Sì, povero Nero! *tira su col naso* Adesso voglio un po’ cercarmi il
fumetto e vedere un po’ come l’han fatto..
Visto, c’è Dante! Anche se per poco, ma c’è! XD
Persefone
Fuxia: Grazie ^^ E’ stato abbastanza difficile e mi sono ispirata alla
reazione di Spock in non mi ricordo bene quale episodio della TOS. Anche se i
poteri mentali dei Romulani sono un poco più deboli dei Vulcaniani, credo che
l’esplosione di un pianeta e relativa morte degli abitanti abbia “leggermente”
mandato in tilt le loro sinapsi! Quindi, se la reazione di un Vulcaniano per la
morte di..quanti erano? Un centinaio o più di Vulcaniani, ho provato ad
immagine un Romulano con la morte di milioni e milioni di Romulani.
Muahahaha. E fra poco la cosa si farà ancora più
oscura!
MkBDiapason
[Recensione: Capitolo 1: Fuggire
dall'Ombra di Se Stessi [Anno: 2261]] Ma figurati, nessun problema!
Un recensore non è mai in ritardo, né in anticipo! Recensisce sempre quando
intende farlo!
Oh! Una fan di Final Fantasy! E del IX, anche! ç_ç
Mi commuovo! Anche io adoro il IX, è stato il primo cui io abbia mai giocato e
a cui mi sia così affezionata! (Il primo CD lo so praticamente a memoria..)
Evvai! Cercherò in ogni modo di evitare che il germe
Mary Sue, intacchi le mie povere creaturine!
Un misto di NuKirk e KirkPrima? Uhm. Fascinating!
Con il carisma del Prime, col suo sguardo e capelli, ma col fisico del Nu. Na,
ma che eresia vado dicendo? Kirk non sarebbe Kirk senza un po’ di quella
pancettina sul davanti che lo rende adorabile! XD
Sono contenta che questo Kirk ti sia piaciuto!
*inchino*
MkBDiapason
[Recensione: Capitolo 3: Capitolo 2: Mamu
lafot’hi ni th’ [Anno: 2387]] In effetti, avevo una villetta
accanto alla casetta di Spock, poi i Vulcaniani mi hanno cacciato e diffidato
perché non mi staccavo un secondo dal nostro Primo Ufficiale. E visto che non
si fidavano a mandarmi su di un altro pianeta, mi hanno spedita indietro nel
tempo. Eh, ma quando la mia macchina del tempo sarà pronta…XD
Grazie mille ^^
Più che pazienza, sono completamente matta! XD
Ringrazio inoltre: Pimplemi_chan, Persefone
Fuxia, Lady Amber e MkBDiapason per aver commentato la
mia ultima One-Shot: “’Cause She’s Loving Him Still, After All This
Time” [SaavikxDavid]
Bon, Spock non mi ha ancora scoperta dall’ultima
recensione! Ah-ah! Lo sapevo che travestirsi da ficus benjaminus sarebbe
servito!
Alla prossima!
Tai Nasha
No Karosha!
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Capitolo 7 *** Capitolo 6: Di'Ranov! [Anno: 2387] ***
2387(2)
Capitolo 6
Di’Ranov!
Anno: 2387
(Kingdom Hearts I Original
Soundtrack – Night Of Fate)
-Ambasciatore!
Ambasciatore Spock! Mi sentite?!-
La voce di
Berz’uk esplose nel silenzio irreale della Jellyfish.
Il tono era urgente, affettato e una lunga nota di terrore e incredulità
vibrava nella voce roca del mezzo Klingon.
Spock alzò
di scatto la testa, richiamato alla realtà, strappato via con forza dal suo
stato di nebbia e dolore, e si rimise in piedi, barcollando appena sulle gambe
rese deboli dalla disperazione. Raggiunse la cabina di pilotaggio, ma prima che
potesse aprire la comunicazione con Starfleet,
il visore accanto cominciò a lampeggiare come impazzito, segnalando che la Narada stava armando i phaser.
-Nero!-
boccheggiò, chiudendo il canale di Berz’uk per aprirne un altro con la nave del
Romulano.
Mandò la
richiesta di un confronto a voce su tutte le frequenze, mentre il pilota
automatico portava la Jellyfish a
distanza di sicurezza dal Buco Nero, in modo che non fosse attratta
inesorabilmente dalla sua forza di gravità.
-Ashenauka fo-dane’hi!1-
Una spia
rossa si accese sulla consolle di comando; palpitò per un istante, poi divenne
verde, ad indicare che gli scudi erano alzati e al massimo della potenza. Mentre
le comunicazioni venivano rifiutate una dopo l’altra, Spock armeggiava con gli
altri comandi.
Si preparò a
fare fuoco, anche se preferiva non dover ricorrere ai phaser, e spostò la
schermata con i dati relativi agli scudi su di un visore più vicino alla
cloche.
-Nero..-
mormorò –La rabbia ti distruggerà-
Premette un
altro pulsante.
Shati-hashek. Ska’at2.
Annunciò la
voce metallica della Jellyfish.
Nello stesso
istante in cui il primo colpo di phaser partiva dalla Narada, Spock riprese il comando della Nave e virò a destra
abbastanza in fretta da subire solo un lieve danno agli scudi.
Fo-dane. Te’to Sateh3.
Il visore
che teneva sotto controllo la Narada
cominciò a lampeggiare furioso, indicando che altri due colpi di phaser erano
stati lanciati dalla Nave.
Spock
strinse la cloche e si preparò a schivarne almeno uno.
Riuscì a
spostare la Jellyfish in modo da
evitare il primo phaser, ma la potenza del secondo lo mandò a cozzare contro la
consolle. Il sapore metallico del sangue gli riempì la bocca, colando denso
dalle labbra.
L’Ambasciatore
raddrizzò le spalle, asciugandosi il volto col dorso della mano e tornò a
stringere la cloche fra le dita, cercando di mettere una certa distanza fra sé
e la Narada.
Fo-dane. To’i’ Sateh.4
Virò a
destra, sempre tenendo sotto controllo il pannello della Nave Romulana che
aveva rinunciato ad attaccare per quel momento e cercava di raggiungerlo. Spock
si apprestò ad attivare la velocità Warp, ma la voce metallica lo informò,
crepitando
Tchas-threshan. Qilit’woi vitorau.5
-No..-
scrollò il capo, deglutendo a vuoto,e riaprì il canale delle comunicazioni con Starfleet.
Il volto
corrucciato di Berz’uk comparve sul visore, scosso a tratti da alcune
interferenze.
-Ambasciatore!-
esclamò il mezzo Klingon –Cosa sta succedendo?-
-Ho bisogno
di parlare con l’ingegnere Wolowitz- lo interruppe Spock, lasciando Berz’uk a
fissarlo con sguardo vacuo dal pannello.
-Ambasciatore..-provò,
ma la comunicazione venne interrotta e sostituita da uno degli altri computer
di Starfleet.
-Spohkhkan!6 – gridò T’Lenna,
gli occhi accesi da un biancheggiare continuo di emozioni contrastanti -Qa-ra tor-mu? Sahr-tor’ka sa-tra’!7- lo implorò.
-Bokelau th’ variben Wolowitzkam’ha8-
l’Ambasciatore vide lacrime di delusione scintillare sulle ciglia scure della
nipote, come piccoli cristalli di ghiaccio lucente -Nirsht-pon fanweht9-
T’Lenna
prese un respiro profondo, col labbro che tremava.
La donna
chiuse gli occhi e si girò, coprendo il visore con la mano e trasferendo la
chiamata.
Nel momento
stesso in cui il volto smunto e affilato dell’ingegnere tremolava sul pannello,
l’Ambasciatore ricevette una richiesta di comunicazione da parte della Narada, che troneggiava nera contro
l’oscuro Universo.
-Ambasciatore!-
ansimò Wolowitz, balbettando, ma Spock spense il visore, mentre la voce
tagliente e pregna di rancore di Nero si faceva strada nel silenzio carico di
attesa della Jellyfish.
-Ci avete
tradito, Spock- ringhiò il Romulano, un rivolo di sangue smeraldo che colava
dalla fronte, laddove si era inciso con ira e disperazione volute di inchiostro
nero –Voi e Vulcano-
-No!-
ribatté l’Ambasciatore, con un movimento deciso del capo –Il Nucleo della Nana
ha cominciato a fondersi prima di quanto ci fossimo immaginati, io ho
provato..-
-Tu hai
fallito- sibilò Nero –Per colpa tua Romulus è distrutto!-
Le urla, i
pianti, il dolore, la rabbia palpitarono nella mente di Spock, che sentiva il
proprio cuore strappare un battito egoista
per ogni Romulano morto a causa sua. Lui era sopravvissuto, gente
innocente aveva perso la vita. Uomini, donne e bambini..cosa avrebbe fatto se
anche sua moglie e suo figlio fossero stati sul pianeta?
-Tu non puoi
capire- l’astio e la disperazione si mescolavano nella voce di Nero,
impossibile capire quale sentimento prevalesse sull’altro –Ma forse..se anche
tu perdessi ciò che hai di più caro..tua moglie e tuo figlio, scampati alla
distruzione che tu hai provocato..forse capiresti-
A quelle
parole, Spock alzò la testa di scatto
-Non puoi
farlo, Nero!-
***
-Wolowitz,
ma cosa succede?- Berz’uk si gettò senza tante cerimonie sulla postazione
dell’ingegnere, prendendo l’uomo per le spalle e scuotendolo con forza –Perché
hai interrotto la comunicazione?-
-Non sono
stato io!- si difese l’altro, soffocando un gemito mentre il mezzo Klingon
aumentava la stretta –E’ stato l’Ambasciatore..-
-La Jellyfish ha armato i phaser!- gridò M’Shien,
alcune postazioni accanto a quella di Wolowitz –Si sta preparando ad attaccare
la Narada!-
-Attaccare?!-
Berz’uk lasciò andare di colpo le spalle dell’ingegnere, che cozzò con
malagrazia contro lo schienale della sedia.
–Perché non usa la velocità Warp?- domandò
confuso il mezzo Klingon, aggrottando la fronte e schiacciando alcune icone sul
pannello di M’Shien –Perché non si salva
la vita?-
-I motori
non possono sopportare la velocità Warp- ammise Wolowitz, barcollando verso la
postazione della Caithiana e massaggiando le spalle doloranti –L’Ambasciatore
ha preteso troppo usando la massima velocità per raggiungere Romulus.
Fortunatamente la Nave non è esplosa, ma alcuni circuiti sono fuori uso per il
sovraccarico-
-E me lo
dici adesso?- abbaiò Berz’uk, voltandosi di scatto e colpendo l’uomo alla
mascella, facendolo crollare a terra.
Wolowitz
gemette e cercò di rimettersi in piedi, sputando sangue scarlatto e pulendosi
le labbra rotte con il dorso della mano.
Un silenzio
irreale esplose assordante nella stanza. Gli occhi dei presenti erano tutti
fissi su Berz’uk che ansimava come una belva, lo sguardo opalescente per la
rabbia, con Wolowitz che, ancora a terra, lo guardava incredulo, le guance
arrossate per la vergogna e il colpo ricevuto, la bocca sporca di sangue.
Il mezzo
Klingon rimase ancora per qualche istante a ringhiare, poi si voltò di scatto e
corse via.
***
-Vi’proi fasei Yel-Halitra, Seredok’kam10-annunciò
T’Len, voltandosi a guardare il Vulcaniano che, alcune postazione più in là,
fissava con occhi freddi il pannello con i dati relativi alla Jellyfish.
-Kov-guhsh te’11- rispose
flemmatico quello, mentre la donna annuiva e premeva alcuni pulsanti sulla
consolle davanti a lei.
-Pace e
Lunga Vita, Berz’uk’kam- salutò
Seredok con voce neutra, senza nemmeno degnarsi di guardare chi ci fosse
effettivamente sullo schermo 7.
-Non sono
Berz’uk, Seredok-
Le narici
del Vulcaniano si dilatarono per l’ira e le labbra divennero solo una striscia
nera sul volto dagli zigomi alti; gli occhi avvamparono e si sgranarono appena,
con le dita che artigliavano il bordo del tavolo lucido e le nocche che
sbiancavano per la presa ferrea.
-T’Lenna- cominciò con voce tesa,
evitando qualsiasi suffisso, persino quello più famigliare. T’Lenna non era
nemmeno degna di mostrare il proprio volto agli abitanti di Vulcano, figurarsi
avere una qualche considerazione anche a livello sociale. -Qa-ra..-
-Cuciti le
labbra e ascoltami- lo zittì la Vulcaniana senza troppe cerimonie.
Seredok serrò
la mascella e assottigliò lo sguardo, facendo per controbattere, ma T’Lenna lo
interruppe ancora.
-L’Ambasciatore
non può più utilizzare la velocità Warp-
-Lo
sappiamo- le ricordò il Vulcaniano con un moto di sdegno e parlando come se
ogni parola nella lingua terrestre gli costasse un enorme sforzo –Teniamo noi la Jellyfish sotto controllo-
-Bene,
bravi- si complimentò con un ringhio T’Lenna –Dovete mandare delle navette di
supporto a Spock per aiutarlo contro Nero-
Seredok
premette alcuni pulsanti, confrontando i dati degli armamenti della Jellyfish con la potenza dei phaser
della Narada, poi attinse agli
archivi di Vulcano e calcolò le possibilità che avevano le più veloci di
raggiungere l’Ambasciatore in tempo utile.
-Nessuna
delle nostre navi potrebbe arrivare nel tempo necessario- ammise, scuotendo il
capo –Sono tutte troppo lente rispetto alla Jellyfish.
La più veloce delle nostre potrebbe arrivare al Buco Nero di Romulus entro
un’ora punto trenta-
Seredok
osservò senza parlare la giovane Vulcaniana che si mordeva il labbro inferiore
-Se questa
nave andasse al massimo consentito dalla velocità Warp?- chiese T’Lenna, ma il
Vulcaniano notò che non si stava riferendo a lui, ma ad una persona che la
donna aveva accanto a sé.
Decise
comunque di rispondere, visto che aveva i dati delle Navi sul pannello ed aveva
già fatto tutto i calcoli necessari.
-A massima
velocità Warp, la nostra Nave esploderebbe-
T’Lenna
sbatté più volte le palpebre, poi si girò e inarcò un sopracciglio.
-Esploderebbe
sicuramente o probabilmente?-
-C’è il
97.5% di possibilità. Il che significa..-
-Che c’è il
2.5% che non lo faccia- concluse la Vulcaniana –Quindi potrebbe farcela-
-Non può
farcela, è illogico-
-Il mondo
non è basato sulla logica. È fondato sul Caso-
-Non intendo
proseguire questa irrazionale discussione- sibilò Seredok –E’ ovvio che io non
possa fidarmi del tuo giudizio, così ottenebrato dalle tue emozioni e dal
desiderio di salvare a tutti i costi la vita di tuo zio-
T’Lenna fece
per replicare, ma una mano tozza le si posò sulla spalla e il Vulcaniano si
ritrovò ad affrontare lo sguardo ardente di Berz’uk.
-Allora
continui la discussione con me- replicò, con un ghigno di sfida sulle labbra
carnose –Io sono ottenebrato dal desiderio di salvare a tutti i costi una vita innocente-
Seredok non
disse nulla, ma si limitò a prendere un profondo respiro, le narici dilatate e
bianche per la rabbia e l’indignazione crescenti.
-Qual è la
vostra Nave più veloce?- chiese il mezzo Klingon e il Vulcaniano osservò
impassibile le dita tozze armeggiare contro il pannello.
-La Goldenhawk- rispose –Ma come vi ho già
detto..-
-Sfrutteremo
quel 2.5% di possibilità, allora- lo interruppe Berz’uk, alzando gli occhi
scuri –Con l’Ambasciatore ha funzionato-
-Ma si è
ritrovato senza la possibilità di usare la velocità Warp- gli ricordò Seredok,
tentando di mantenere la calma.
-Se Nero
venisse eliminato prima di poter creare problemi, la Goldenhawk e la Jellyfish
potrebbero arrivare alla prima Base Spaziale a velocità d’impulso e da lì
essere recuperati da altre navi-
-Il
ragionamento di per sé potrebbe avere una qualche logica, ma c’è solo il 2.5%
di possibilità che i motori della Goldenhawk
non esplodano e comunque la nave non potrebbe arrivare prima di venti punto
quattro minuti, anche a massima velocità Warp-
Era un
tentativo debole, Seredok lo sapeva: Berz’uk aveva già preso la sua decisione.
Ma lui, lui che era stato messo a capo della spedizione dell’Accademia
Vulcaniana, cosa avrebbe fatto?
La logica
gli gridava che non c’erano speranze, che l’Ambasciatore avrebbe dovuto
combattere Nero da solo e da solo arrivare alla Base Spaziale più vicina. Le
parole di T’Lenna erano, però, come il ronzare fastidioso di un insetto: fioco,
ma costante, continuava imperterrito a vibrare dentro di lui e già la sua mente
lavorava febbrile nel calcolare nuove funzioni ed equazioni per il possibile
intervento della Goldenhawk.
-E sia-
mormorò Seredok annuendo.
Lo schermo
gli restituì il sorriso stanco di Berz’uk e il lampo di soddisfazione di
T’Lenna.
-Shitau’ka mek’te hali-kel’te se’kan12-
ordinò secco il Vulcaniano, mentre inviava ai cancelli i permessi necessari
alla loro apertura al passaggio della Goldenhawk
-Seruk’kan, Goldenhawk’ha svi’ri’a sfek ru’a
lirt’ke 13-
Accadde all’improvviso.
Inviato
l’ultimo permesso, ci fu un crepitare e i visori si spensero, tutti nello
stesso momento.
Esclamazioni
di stupore si levarono dalle postazioni, unito al ticchettare frenetico delle
dita sui pannelli e sulle tastiere e al suono fastidioso e prepotente che
segnalava il negato accesso alle funzioni dei computer.
-Qa’ra pamuvesh-tor?14-
Seredok abbandonò la sua postazione, scivolando come un’ombra fra gli altri
Vulcaniani, gli occhi scuri che saettavano da uno schermo all’altro, confusi.
-Tampring fasei svi-udish’he- gli rispose
Syuker, scrollando il capo e provando ogni codice possibile per ripristinare le
funzioni del terminale -Vashauzo
torektra’hi ri-fainu tumak. Svi-shauzo hali-kel’te sviribaue.16-
***
-Cosa
succede?!- Berz’uk diede un colpo al visore, ma quello si limitò a tremolare,
con la scritta “Comunicazione Interrotta”
che lampeggiava scarlatta contro lo sfondo nero.
T’Lenna
premette alcuni pulsanti sulla consolle, tentando e ritentando codici e vie per
ripristinare il contatto con l’Accademia delle Scienze di Vulcano, ma ogni cosa
risultava inutile.
La scritta
non accennava a sparire, ma pareva quasi ridere del loro terrore e della loro
inefficienza.
-Non riesco
a rimettermi in contatto con Seredok- ringhiò la Vulcaniana, colpendo la
consolle con un pugno –Non capisco cosa sia successo!-
-Perché
hanno interrotto la comunicazione?- Berz’uk fece spostare T’Lenna di lato,
sperando di riuscire a ripristinare le comunicazioni, ma sapeva che se non
c’era riuscita lei, lui avrebbe avuto ben poche speranze.
Il mezzo
Klingon assottigliò lo sguardo, poi agguantò l’umano seduto alla postazione
accanto a quella di T’Lenna e lo spinse via, sedendosi al suo posto. Armeggiò
per alcuni istanti sul suo pannello, poi aprì un altro canale di comunicazione.
-Cooper!
Hofstader!- abbaiò, mentre il volto allungato del primo si affiancava a quello
occhialuto del secondo –Pena la corte marziale, ditemi cosa sta succedendo!-
-Sembra che
qualcosa abbia tagliato ogni comunicazione con l’Accademia di Vulcano- gli
rispose il dottor Cooper, mentre il suo collega si voltava e tornava
velocemente a lavorare sul suo computer.
-Dimmi
qualcosa che non so, stupido Vulcaniano senza le orecchie a punta!- il mezzo
Klingon riusciva a stento a controllare la preoccupazione e la paura, se si
aggiungeva anche la razionale idiozia di quel Vulcaniano mancato che era il
dottor Cooper, non era sicuro di poter reprimere l’istinto omicida e la sete di
sangue che si stavano già arrampicando con unghie scarlatte lungo la gola.
L’uomo dietro
il visore annuì
-Secondo il
dottor Hofstader potrebbe essere stato un intervento esterno alla sezione di
Seredok e io sono propenso a pensarla allo stesso modo-
-Un
intervento esterno?- Berz’uk corrugò la fronte, mentre T’Lenna gli si
affiancava e prendeva la parola
-Intendete
dire che qualcuno ha deliberatamente manomesso il sistema per impedire alla Goldenhawk di partire?-
-Questa è la
nostra ipotesi- annuì Cooper –Adesso il dottor Hofstader sta cercando di
entrare nel sistema periferico Vulcaniano per avere la conferma-
-Non posso
crederci- la Vulcaniana scosse la testa con forza –Ormai Romulus è distrutto!
Che motivo c’è per impedire alla Goldenhawk
di andare in aiuto di Spock?-
-Non è
logico- sussurrò il mezzo Klingon.
-Sono
entrato nel sistema periferico!- esultò la voce di Hofstader dall’altra parte
dello schermo.
-Oh, ben
fatto Leonard- sul volto di Cooper comparve una smorfia che secondo il suo
metro di giudizio doveva essere un sorriso –Passami i codici. Mentre tu cerchi
di capire cosa ha mandato in frantumi il sistema, io voglio controllare la
situazione nell’hangar-
-Per quale
motivo?- T’Lenna inarcò un sopracciglio, e Berz’uk, a quelle parole, alzò la
testa.
-E’ proprio
come ha detto lei, signore- spiegò il dottor Cooper, accennando al mezzo
Klingon –Non è logico-
Berz’uk e la
Vulcaniana si scambiarono uno sguardo confuso, poi tornarono a rivolgere la
loro attenzione all’uomo dietro al pannello. Quando lo videro sbiancare, un
brivido freddo gli corse lungo la schiena.
-La Goldenhawk…- deglutì a vuoto, con gli
occhi sgranati –E’ sparita-
-Ma non è
possibile!- ribatté T’Lenna –I permessi per l’apertura dei cancelli..-
-Secondo i
dati- cominciò Cooper, mentre alcuni schemi gli nascondevano in parte il volto
-I computer si sono bloccati non appena l’ultimo permesso è arrivato alla
centralina dell’hangar. È stato quello a far scattare..-
-E’ un
virus!- gridò Hofstader, togliendosi gli occhiali per poi pulirli con un lembo
della maglia e rimetterli con un gesto veloce e goffo –Oh Grande Uccello della
Galassia!- imprecò grattandosi la nuca con scatti nervosi delle dita –Non ho
mai visto niente del genere!-
-I codici
per il canale di comunicazione della Goldenhawk,
presto!- gridò la Vulcaniana, quasi gettandosi contro il pannello –Intimate
a quel figlio di puttana che ha
rubato la Nave di mettersi in contatto con noi, ora!-
Cooper annuì
-Eccolo,
trovat..-
Un crepitio
e gli schermi si spensero.
-No!- urlò
Berz’uk, furioso –Il virus!-
Dietro di
lui, T’Lenna rimase immobile, gli occhi sgranati e una lacrima che scivolò
silenziosa lungo la guancia.
-Kirk’kam- sussurrò -Paluntunauka ow’kan’hi17-
***
(Star Trek XI Original
Soundtrack – Labour of Love)
L’ignoto lo
chiamava.
Le stelle
vibravano e danzavano al ritmo di una canzone senza voce, che disperdeva nel
vento siderale le sue mute parole. Il gorgo nero turbinava e allungava verso di
lui le lunghe spire d’oscurità che schioccavano come le mandibole di una belva
dagli occhi scarlatti nel nero dell’Universo.
Spock
sapeva, l’aveva sempre saputo.
Il suo
destino era legato a quelle spire di tenebra che si stagliavano ringhianti e
scure contro la densa oscurità dello spazio: un nero ancora più profondo della
notte, punteggiato di stelle, ma privo del loro bianco palpitare, affiancato
dalla luna, ma senza il suo bagliore argentato.
Non aveva
altra scelta.
Una vita per
una morte, una morte per una vita. Un eterno ciclo di rinascita che già una
volta lui aveva ingannato, ma solo perché la sua morte, in quel momento, non
sarebbe servita. La morte su Genesis, cosa avrebbe cambiato? No, lui doveva
vivere per abbandonare la vita anni e anni dopo, quando il ricordo di quel
pianeta pulsante di vita non sarebbe stato che un’immagine sfocata e dolorosa
del passato, dove la sua stretta
forte e disperata non sarebbe diventata altro che soffio sottile della memoria
e la sua voce un’eco crepitante e
debole in una nicchia dell’animo.
Ora era
giunto il momento che il sacrificio di David Marcus giungesse alla fine. Solo
con la morte avrebbe permesso ad altri di vivere. Se voleva la salvezza per gli
altri, avrebbe dovuto rinunciare alla sua.
Chiuse gli
occhi, stringendo forte la cloche tra le dita e respirando a fondo,
raccogliendo attorno a sé l’energia che risplendeva invisibile, come scie di
luce cristallina, nelle pieghe dello spazio.
Era pronto,
pronto per quel gesto così irrazionale ed impulsivo da essere la massima
espressione della logica.
Perché le esigenze di uno, Spock, contano più di
quelle dei molti.Non in quel
momento, o forse sì, anche in quello.
L’esigenza
di salvare i molti avrebbe sopraffatto il desiderio di rimanere e vivere e
invecchiare e morire con loro. Ci sarebbe stato il ricordo, il dolore, la
disperazione, ma sarebbero stati salvi.
Era egoista,
perché voleva salvarli ad ogni costo, anche se per farlo era necessaria la sua
vita.
Aprì gli
occhi e nella sua mente si stagliò con violenza il bianco tremolante delle
stelle.
Le stelle..l’Universo..Casa.
L’ultima
immagine che avrebbe visto prima di lasciarsi cadere nel buio, sarebbe stata
quella. Perché era in mezzo alle stelle, avvolto nel manto dell’Universo, che
lui poteva dire di aver davvero vissuto.
Nell’Universo,
fra le stelle, aveva amato, aveva odiato, aveva sentito l’affondo bollente
della disperazione dentro di sé e il calore rigenerativo di una mano sempre
pronta a posarsi sulla sua spalla per dargli coraggio, a stringergli il braccio
per fargli sentire la vicinanza, a sorreggerlo quando stava per cadere.
Fra le
stelle aveva conosciuto lei e con la
sua vita nello spazio aveva forgiato il nome e la mente di suo figlio.
Nell’Universo,
essere Umano e essere Vulcaniano non importava: si era uno e si era mille, ogni
cosa e nulla, si era soli e si era insieme, lì, nel biancheggiare degli astri.
Quella era
stata la sua casa e lo sarebbe stata per sempre, nella vita, come nella morte.
Come lui, il suo ultimo respiro solitario si
sarebbe perso senza rumore nel respiro universale della Galassia.
-Io sono
stato- cominciò e non diede importanza alle due lacrime che scivolarono
bollenti lungo le guance scavate –E sarò sempre..tuo amico- prese un altro
respiro, mentre un ansimo rinchiuso tra due veli scarlatti e il pianto di un
neonato, colmo di vita, gli esplodevano nella testa –La mia vita e la tua. Ora e per sempre- un altro respiro, l’ultimo,
prima del gelo –Tai nasha no karosha-
L’ignoto lo
chiamava.
E lui sarebbe
accorso, senza più esitare.
Solo, nel
buio freddo dell’Universo, avrebbe spinto la Narada verso il Buco Nero, perché la forza di gravità lo
trascinasse via, e con essa, anche lui sarebbe stato catturato da quel vortice
violento e gorgogliante che lo chiamava a sé.
Questa
volta, avrebbe affrontato l’ignoto da solo.
Era giunto
il momento.
***
-No!- l’Ambasciatrice
si alzò di scatto e gettò via le lenzuola, balzando con uno scatto felino verso
la grande finestra e aprendola, incurante del vento, della debolezza, di Lady
Perrin che aveva scagliato a terra con un ringhio, quando aveva provato a
fermarla.
Si accasciò
senza forze sulla ringhiera del balcone, boccheggiando, priva di fiato, con l’ossigeno
che le incendiava la gola e i polmoni. La testa pulsava per il dolore, mentre
il Legame si spezzava con uno schiocco secco e la disperazione e la solitudine
si riversavano in lei come una cascata di fiamme incandescenti.
-No..- le
ginocchia cedettero e scivolò lentamente a terra, con le dita ancora artigliate
sopra la testa e gli occhi, sgranati, rivolti al cielo.
Nemmeno il
ruggito del vento poteva sovrastare il silenzio assordante che l’aveva
sopraffatta.
-La mia anima e la tua- sussurrò, la voce
flebile, roca, ma senza una lacrima a rigarle il viso pallido e tirato –Ora e per sempre-
***
-Di’Ranov! Di’Ranov!-
-Tenetelo
fermo! Tenetelo fermo!-
-Di’Ranov! Di’Ranov!-
Shral rimava
immobile, la spalla pulsante dove le unghie del compagno erano affondate senza
pietà, inorridito dalla scena, dai cinque infermieri che lottavano in un
ondeggiare furioso di lenzuola, tentando di bloccare il Romulano sul lettino,
dal dottor Aartsengel che abbaiava e latrava come una cane, con una siringa di
sedativo tra le dita grassocce, dal lampeggiare continuo dei segni vitali sul
monitor, dalle grida di orrore degli altri pazienti, dagli occhi folli del
Romulano, dalla sua bocca spalancata, dal suo sangue verde che ribolliva nelle
guance e colava lungo le labbra, mista alla saliva, bianca e schiumosa, dai
suoi denti affilati simili a quelli di una bestia, dalle vene che svettavano gonfie
sul collo, sulle tempie e sulla fronte.
Ma più di
tutto, lo inorridiva quel lamento, quell’urlo, quella preghiera che usciva a
rantoli e a pezzi e a frammenti insensati dalla bocca sanguinante e deformata
dalla follia.
Di’Ranov.
“Padre”..
***
-Addio-
1”Alzare gli scudi!”
2”Pilota Automatico. Disattivato.”
3”Scudi. 98%”
4”Scudi. 80%”
5”Velocità Warp. Impossibile attivare”
6Qui T’Lenna invece dell’onorifico –kam utilizza il
suffisso –kan, più famigliare
7”Cosa fai? Va’ via da lì!”
8”Devo parlare con Wolowitz”
9”Non c’è più tempo”
10”Una chiamata da Starfleet,
Seredok”
11”Schermo 7”
12 “Mettetemi in contatto con l’hangar”
13”Seruk,
alla Goldenhawk fra uno punto cinque minuti”
14 “Cosa sta succedendo?”
15 “Una manomissione dall’interno”
16” Un
programma sconosciuto ha corrotto il sistema. Le comunicazioni con l’hangar
sono state interrotte”
17 “Kirk..Veglia su di lui”
Diario di Nemeryal, Data Astrale 64188.4
Non so cosa dire di questo capitolo. Non so, boh, è
uscito così, da solo, soprattutto l’ultima parte.
A voi giudicare XD
No, forse una cosa c’è. Mi sa che i capitoli che posto
sono un po’..corti ecco. Non so..boh. Aaaaah! Basta! L’avvicinarsi della scuola
mi rende apatica, non va bene.
Forse un po’ troppe frasi in Vulcaniano? Ho paura di
sì..però volevo mantenere l’illusione scenica. Però è una fan fiction..in una
fan fiction si può mantenere una illusione scenica? Me confusa.
Nuooooooo! Ultima cosa..Tampring e met'ke non esistono davvero in
Vulcaniano. Ma non trovavo il loro corrispettivo, e così...
Angolo delle
Recensioni
Lady Amber: Awwww! Me arrossisce! Il carattere di Scotty nel’XI
credo si difficile perché, per quelle poche volte che compare, è una macchietta
acerba, molto divertente, ma con poco spessore psicologico. Oh bhè, attenderemo
il XII per il prossimo anno! (Sì, credo che sia nel 2011 che uscirà il XII..le
ultime notizie che avevo sentito parlavano del ritorno di un grande Villain
della saga. Alcuni dicevano anche Khan. Oh Great Bird of the Galaxy, help us!)
Eh eh, adesso il nostro Kirk dovrà vedersela con McCoy e
anche col nostro amichetto con le orecchie a punta! Chissà come se le caveranno
insieme McCoy e Dante? Due medici nello stesso territorio, chissà l’Ufficiale
alfa? XP
E conosci anche
Kingdom Hearts! Ho le lacrime agli
occhi per la commozione ç_ç
Oddeo O_O Mi vuoi davvero dire che ho chiamato il marito
di Ida proprio come Russia?!..ho solo una cosa da dire a mia discolpa..VODKAAAAAA!
Persefone Fuxia: Spock è libero come l’aere! Naa, non riesco a scrivere
delle Uhura/Spock, non riesco a gestirla come coppia >.< (XP)
Quella è una delle mie scene preferite! Tra le altre
cose, sul Tubo c’è un video-parodia con una scena con le battute di Spongebob
in inglese (se cerchi Spock obsession with chocolate dovresti trovarlo subito)
e ogni volta che vedo la faccina di Kirk (quando dice “Ah, la mia mancanza di
rispetto la fa arrabbiare, non è vero?”) non riesco a trattenermi dal piegarmi
in due dal ridere. E poi la scena è fAIga. Mi fa venire in mente The Naked Time
e The Other Side of Paradise (Tiè, Leila! Tiè!!!)
Thiliol: Evvai! La mia lotta contro l’OOC si sta rivelando
vittoriosa! Sono la fanwriters Spirkiana, sono Nemeryal! Sono qui per punirti,
in nome dell’IC! (Okay, basta sclerare per Sailor Moon..Milord!!! *BIOTT*)
Persefone Fuxia(II): Ma grazie! Chissà, se mi viene l’ispirazione ne potrei
fare altri simili ^^
Risoluzioni al
giochino del capitolo precedente!
Nota 3: “Non fidarti del Romulano che porta doni” – Leonard “Bones”
McCoy, Star Trek II: The Wrath of Khan
Nota 7: “And the
Children Shall Lead”, Episodio 5, Terza Stagione
Ringrazio inoltre Rei Hino,
Pimplemi_Chan e Persefone Fuxia per aver commentato “Ten Songs Challenge:
Kirk/Spock”
E RICORDATE! IL PROGETTO “WHERE NO MAN HAS
GONE BEFORE” HA BISOGNO DI VOI! NESSUNO SI E’ ANCORA PRENOTATO PER IL NUOVO
EPISODIO! PARTECIPATE NUMEROSI!
(questa
pubblicità non alcun fine di lucro..XD)
Grazie a tutte!
Tai Nasha No Karosha!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7: Alea Iacta Est [Anno: 2261] ***
2261(3)
Diario
di Nemeryal, Data Astrale 64338.5
Visto?
Come vi avevo promesso, ecco il nuovo capitolo di The Time Has Come For Us e si
ritorna nel 2261!
Ragazzi,
speriamo che non vi venga il mal di mare!
Stranamente
non ho nulla da dire riguardo questo capitolo, tranne il fatto che nei miei
piani originali il titolo doveva essere in Vulcaniano, ma non mi piaceva, e
così ho deciso per il latino XD
Dunque,
via alle risposte alle recensioni!
Thiliol: sono
contenta che lo scorso capitolo sia riuscita ad emozionarti! Questo è
tranquillo, decisamente. Uno di quei capitoli di passaggio anche noiosi, ma
indispensabili..eh vabbè! Questa volta meno frasi in Vulcaniano, ma vedrò di
rifarmi col prossimo XD
Lady Amber:
Evvai! Che bello sono felice sia piaciuto anche a te! Eh già, il tizio che è
riuscito in questo o è un genio del male, oppure ha una conoscenza del mondo
dei computer da far impallidire Bill Gates! O magari tutte e due le cose O.O
Piccino
Shral, lui! Si deve cuccare un Romulano ammattito!
No no,
tutta la storia si svolgerà sui due piani, anche perché per Spock sappiamo come
è andata dopo il Buco Nero, ma cosa sarà mai accaduto nel 2387? E soprattutto, perché
la faccenda dei due piani è così importante? *sorriso malefico*
Persefone Fuxia: Aaah, il nostro Berz’uk! Se non fosse un mio pg mi
potrei anche prendere una cotta per lui..ma forse preferisco nettamente Shral.
Sì, il nostro mezzo Andoriano mezzo Aenar lo batte in tutta la linea per i miei
gusti.
Ho
fatto tesoro del tuo consiglio ^^ Grazie mille! Va meglio, adesso?
Prendi
pure il nu!Spock, cara, tutto tuo!
Per il
2012?! Bhè, speriamo prima del 21/12 XP
Fatanera: Una
nuova lettrice! Grazie mille per l’attenzione che stai dando alla mia storia!
Addirittura un libro?! Cavolo, non fatemi montare la testa però! XD Le frasi in
Vulcaniano sono mooolto masochistiche da parte mia! XD
Inoltre
ringrazio Fatanera, F l a n e Lady Amber per aver recensito la mia ultima Shot “Raggiungere la Vetta [I’ll Find You
Somewhere]”
Grazie a tutte!
Buona Lettura!
Tai Nasha no Karosha!
Capitolo
7
Alea
Iacta Est
(Final
Fantasy X-2 Original Soundtrack – Yuna’s Ballad)
La luce
intensa del sole tagliava a metà il piccolo balcone, drappeggiato da rami e
foglie e fiori intrecciati, simili ad una corona profumata. Accanto alla tenda
della porta-finestra dormiva un cucciolo di Sehlat, ringhiando e sbuffando,
spazzando il terreno con la coda cespugliosa, e al centro del balcone vi era un
tavolo dalle gambe che terminavano in zampe di rapaci; sopra di esso un vaso
dal collo aggraziato da cui pendeva un fiore scarlatto.
Su una
delle sedie che circondavano il tavolo, stava un bambino, le gambe piegate
sotto le cosce e la schiena china in avanti su un tomo antico, dalle pagine
ingiallite; sillabava in silenzio le parole del libro, soffermandosi sui passi
che gli sembravano più difficili e passandosi la lingua sulle labbra, assaporando
ogni frase che si rincorreva sulle pagine. Ogni tanto si grattava la punta
ricurva dell’orecchio sinistro, corrugando confuso la fronte e mormorando
qualcosa nella sua lingua natale.
D’un
tratto alzò il viso dal libro e si voltò verso la porta-finestra ed un sorriso
brillò sul suo volto. Salutò in Vulcaniano, incespicando su alcune lettere e
passandosi imbarazzato la punta della lingua sui denti traballanti. Le guance
si colorarono di verde quando una risata allegra esplose col fragore di un
fulmine nel balcone.
-Tai
nasha no karosha..un’ottima pronuncia, mi complimento. Ma le erre sono ancora
troppo marcate..un Vulcaniano non è un Sehlat da combattimento- ancora una
risata e sentendosi chiamato in causa, l’animale alzò la testa e latrò,
agitando felice la coda..
-Aicutlun
variben k’sek’kam kevet-dutar Sarek’kam, Selek’kam- [L’Ambasciatore Sarek desidera parlarvi,
Selek]
A quella voce, Selek si voltò, girando
la schiena a Gad-shen che scintillava
di madreperla lungo la vallata che si stendeva sotto la finestra della stanza.
T’Pring, dietro la scrivania, lo
fissava con un certo interesse, sebbene mascherato dalla tipica espressione
distaccata dei Vulcaniani: a giudicare dal tono della voce, non doveva essere
la prima volta che lo chiamava.
Selek si schiarì la gola, annuendo.
-Kal-mutor’ka
svi’ aw’kam’hi- [Fallo entrare]
La donna chinò il capo e lasciò la
stanza con un palpito dell’abito color argento, facendosi di lato per
permettere a Sarek di entrare.
-Mene
sakk’h et ur-seveh, Selek’kam- [Pace
e Lunga Vita, Selek]
-Tai
Nasha No Karosha, Sarek’kam- il Vulcaniano rimase un attimo in silenzio,
poi chiuse gli occhi, sconfitto, e continuò –So per quale motivo siete qui-
-No, non lo sai- ribatté Sarek,
adattandosi con facilità alla lingua terrestre –Tu speri di saperlo-
-E’ per la pace con Romulus, vero?-
Selek si lasciò sfuggire un sorriso –A Gad-shen,
oramai, non si parla d’altro-
-Su Rok non si parla d’altro- obbiettò Sarek duramente –Una pace con
Romulus, dopo quello che è stato fatto al nostro popolo! Converrai con me che
non c’è logica in questo-
-Invece vi è molta logica, in questo-
-Aiutami a comprenderla-
Selek sospirò e intrecciò le dita
dietro la schiena.
-Stipulando una pace con Romulus,
potremo metterli a conoscenza del grave pericolo che minaccerà il loro pianeta
fra centoventisei anni. In questo modo, Romulus, Vulcano e Starfleet potrebbero impedire alla Supernova di distruggerlo; senza
la scomparsa del pianeta, Nero non avrebbe motivo di vendicarsi della nostra
gente e, almeno in un altro Universo, avremo ancora una patria-
-La tua logica è molto umana, figlio mio-
-Immaginavo che non sarei riuscito ad
ingannarti per molto tempo- ammise il Vulcaniano, lasciando che un sorriso gli
increspasse le labbra –Da quanto tempo sai?-
-Abbastanza- se non fosse stato suo
padre, Selek avrebbe giurato di vedere un lampo divertito nei suoi occhi scuri
–Tua..tua madre era solita dire che alcuni segnali sono in grado di
riconoscerli solo i genitori-
-Amanda era una donna saggia-
Rimasero in silenzio alcuni istanti,
col ricordo della donna che frusciava, sereno, accanto a loro.
-I Vulcaniani non te lo permetteranno,
figlio mio. E i Romulani non vogliono il tuo aiuto. Non vogliono l’aiuto di
nessuno-
Selek chiuse gli occhi e annuì,
stanco.
-Lo so, ma devo tentare comunque-
-Tenteranno in ogni modo di fermarti-
-Chi? I Romulani o i Vulcaniani?-
-Entrambi-
-Io andrò comunque-
-Spock!- gridò Sarek, gli occhi accesi
dallo sdegno –Hanno distrutto Vulcano! Hanno ucciso tua madre!-
-E’ proprio per impedire questo che
devo stipulare una pace!- Selek strinse i pugni –Ma non capisci, padre? Solo in
questo modo Amanda potrà vivere ancora!-
-Mai Vulcaniani vogliono la vendetta!-
-E io darò loro la pace! La vendetta
non è logica, la pace sì!-
-Non in questo caso!- l’Ambasciatore
Sarek batté i pugni sul lungo tavolo scuro, facendolo tremare –Rendere
giustizia ai proprio morti, ora, è l’unica cosa che sembra logica a Vulcano!
Nessun Romulano desidera la pace con Vulcano-
-Ma non è la via giusta..- sospirò
Selek –Tu padre, non hai mai visto. Non hai mai visto nulla. Non ancora-
Sarek rimase in silenzio,
riprendendosi dallo scatto avuto poco prima. Si schiarì la gola e lasciò cadere
le braccia lungo i fianchi, aspettando che il figlio dicesse qualcosa per
infrangere la tensione creatasi.
Ma quelle parole non vennero.
Selek gli dava le spalle, lo sguardo
catturato dal sole di Rok che si
perdeva lento dietro la foschia.
***
(Kingdom Hearts II Original
Soundtrack – Roxas)
Kirk non si mosse.
Seduto sul lettino dell’Infermeria
della Odysseus, le dita intrecciate
davanti al viso, non intendeva muoversi: immobile, con McCoy che abbaiava
ordini nella sala accanto e il respiro regolare dei pazienti fuori pericolo che
cullavano dolcemente il silenzio imponente.
Dio, cosa aveva fatto?
L’aveva ucciso.
A pugni.
Come un animale..
Chiuse gli occhi e affondò le dita tra
i capelli, tirandoli fino a sentire scosse brucianti farsi strada con un
ruggito crepitante dalla testa alle dita. Nel buio emerse il viso tumefatto di
Kharandel, il sangue grigio che grondava pastoso dalla bocca semiaperta in un
ghigno di ribrezzo, sarcasmo e terrore. Gli occhi vitrei e freddi, ormai
seccati nelle orbite incavate, il naso ridotto a carne maciullata, la pelle che
pendeva dalle orecchie, i capelli strappati con un colpo secco dalla nuca.
La nausea gli affondò nel petto e Kirk
si piegò in avanti, vomitando.
Cominciò ad ansimare, scosso dai
contati e dai brividi di freddo, paura e orrore che ridevano della risata
sguaiata del mercante.
-Capitano!-
Kirk alzò il viso e dovette sbattere più
volte le palpebre prima di riconoscere la sagoma di una delle Infermiere. La
donna, esile e dai capelli scuri, corse verso di lui e gli prese le spalle.
-Torni a letto, Capitano, non si è
ancora ripreso-
Ma Jim non la stava più ascoltando: le
piccole macchie di sangue scarlatto che lei aveva sulla divisa azzurra si
ingigantirono e si tinsero del colore della pietra. Il viso ovale si disfece e
l’immagine sciolta e liquefatta del volto di Kharandel tornò a fissarlo, a
farsi beffe di lui.
Un’altra ondata di nausea e Kirk
spinse l’Infermiera con tale forza da farla cadere a terra. Perse l’equilibrio
e si ritrovò carponi a vomitare sangue.
Sangue grigio, grigio come quello di
Kharandel, grigio, grigio, grigio, grigio, grigio, grigio!
-Capitano-
La voce di Spock, mista alla risata
del Mercante, mista al gorgogliare del sangue, al ringhio di sfida, alle urla
di dolore..
Una mano sulla spalla, una stretta
leggera, poi il nulla, nero come l’Universo.
Spock allargò le braccia e accolse il
corpo privo di sensi di Kirk, prima di posarlo con cura nel lettino.
Avvertì i movimenti dell’Infermiera
accanto a sé, ma era più concentrato sul volto del Capitano, livido, con la
pelle tirata sugli zigomi e gli occhi cerchiati di nero.
-Sta bene, Infermiera Ramirez?-
-Sì- rispose flebile quella,
affiancandosi al lettino e consultando la cartella clinica di Kirk –Il dottor
McCoy mi aveva avvertito, ma..- lasciò cadere la frase, annotando alcuni
appunti sul Padd medico.
Il Vulcaniano, a quelle parole, alzò
il viso verso l’ispanica.
-Di cosa l’aveva avvertita il
dottore?-
L’Infermiera sgranò gli occhi,
accortasi di essersi lasciata sfuggire più del necessario; si schiarì la gola e
si morse il labbro inferiore, prima di assecondare lo sguardo insistente di
Spock.
-Il Dottore aveva rilevato
alcuni..sconvolgimenti a livello emotivo e psicologico da qualche settimana
e..-
-Quante?-
-Come?-
-Da quante settimane- chiarì il Primo
Ufficiale, il tono di voce più duro di quanto in realtà avrebbe voluto.
-Oh..- la Ramirez parve spaesata per
alcuni istanti –Credo..credo almeno sei settimane, forse sette. Ma erano tutti
lievi, nulla di cui preoccuparsi. Il Dottore li aveva collegati allo stress accumulato
durante l’ultimo periodo trascorso nello spazio, decisamente più ampio rispetto
a quanto eravamo abituati- si aggiustò la coda di cavallo, a disagio –Molto
probabilmente l’episodio della morte del mercante non ha fatto altro che
dare..una scossa in più, diciamo, al suo equilibrio. Nulla che non si possa
ristabilire comunque-
Ma Spock non la stava più ascoltando.
Allora non si era immaginato nulla:
quegli sguardi, quegli occhi opachi che sembravano perdersi, la voce rotta, gli
scatti nervosi, il temperamento aggressivo, arrendevole..quegli sbalzi d’umore,
sì lievi, o comunque nascosti, che aveva notato sulla plancia non erano frutto
della sua immaginazione.
Da sei-sette settimane Jim perdeva
frequentemente il controllo di se stesso, si lasciava andare, vagava dentro di
sé senza poter uscire se non a costo di una grande fatica. Cosa lo assillava?
Davvero era la missione? Davvero era lo stress per il troppo tempo passato
nello spazio?
No, no, non era possibile.
Jim non era mai stato stressato nello
spazio..c’era qualcosa di più, una muta richiesta di aiuto che il Capitano
aveva sempre cercato di nascondere, ma che vibrava con forza attorno a lui, si
tendeva con spasimi violenti, come a voler allungare una mano e dire “Non ce la
faccio da solo. Aiutami”
Era lo stesso sguardo che aveva
incontrato alcune ore prima, quando lo aveva afferrato di peso dal pavimento
del mercante e lo aveva tirato in piedi a forza. Jim si era attaccato a lui
come fosse la sua ancora di salvezza nel vasto e pericoloso mare di nebbia
della mente, e gli occhi, così opachi, quasi lattiginosi, non fissavano
sbigottiti la devastazione e la morte che li circondava, ma qualcosa, qualcuno al di là di Mukade, al di là
dello spazio, al di là dell’Universo.
-Signor Spock..?-
La voce gentile dell’Infermeria lo
fece sobbalzare.
La Ramirez gli sorrise e Spock annuì
in risposta.
-Dica pure, Infermiera-
-Il signor Bellini si è svegliato- lo
informò –Ha chiesto di lei. Dice di volerle parlare-
-Molto bene- accondiscese il
Vulcaniano, che si costrinse a lasciare il letto del proprio Capitano, ad
accantonare, anche solo per poco tempo, le sue labbra esangui e gli occhi
distanti, la voce persa..
L’Infermeria lo guidò oltre alcuni
lettini, dove stavano riposando alcuni membri della Enterprise, tre donne di
Orione e due membri della Ifigenia.
La donna si fermò ad alcuni passi dal
letto
-Io devo andare a controllare gli
altri pazienti- spiegò –La pregherei di non rimanere troppo a lungo, signor
Spock. Il signor Bellini deve riposare-
Il Primo Ufficiale annuì e
l’Infermiera li lasciò soli.
Per un istante, Spock fu tentato di
tornare al letto del Capitano, visto che Dante era disteso con gli occhi
chiusi, il respiro regolare e profondo, ma non appena ebbe formulato quel
pensiero, sentì lo sguardo del toscano incatenarlo dove si trovava.
-Ma grazie- sbottò l’uomo, inarcando
un sopracciglio e cercando di sorridere –La prima cosa che dico dopo essermi
svegliato è che voglio vederti e tu cosa fai? Arrivi e pensi subito di
andartene-
-Deduco che il Contatto non sia ancora
sparito del tutto-
-Deduci bene- annuì Dante, muovendosi
a scatti sotto le coperte e facendo per mettersi seduto –Ti informo che è
snervante avere ancora un pezzetto della tua testa bacata nella mia-
-Sono dispiaciuto che il Contatto le
provochi disturbo, dottore-
Il toscano sbuffò divertito e si
lasciò scivolare, sconfitto, sotto le coperte.
-Spock, non so se ti sei accorto che è
dall’inizio della conversazione che ti sto dando del “tu”-
-Me ne sono accorto, certo- rispose il
Vulcaniano –Dunque?-
-Dunque mi farebbe piacere se anche tu
facessi lo stesso, bischero-
-Se preferisci-
-Preferisco- confermò il medico,
voltandosi su un fianco –Vorrei mettermi seduto, ma queste lenzuola sono più
strette delle bende di una mummia- rise della sua battuta, ma vedendo che Spock
non sembrava dell’umore anche solo sollevare le labbra in un accenno di
sorriso, si affrettò a smettere e tornò serio.
-Di cosa volermi parlarmi?- chiese il
Primo Ufficiale
-Del ragazzo che avete trovato nella
cella con me- rispose Dante –Come sta? Sai qualcosa, Spock?-
Il Vulcaniano scosse il capo
-So solo che è fuori pericolo, ma non
si è svegliato e secondo il dottor McCoy nemmeno lo farà-
Il medico sospirò
-Il suo corpo non ha nulla, ma la sua
mente è distrutta, vero?-
-Esatto-
-Hai provato con una Mind Meld?-
-Non ne ho avuto l’occasione e prima
dovrei parlarne col dottor McCoy e col Capitano-
-Molto logico da parte tua-
Per un po’ ci fu solo silenzio, poi
Dante ammise
-All’inizio credevo fosse in trance, che stesse cercando di autocurarsi-
chiuse gli occhi e Spock vide la stanchezza gravargli sulle spalle –Ma non era
così. Era in stato di shock, urlava e piangeva. C’erano dei momenti in cui
tentava di parlare con me, ma io non capivo..non capivo nulla di quello che mi
stava dicendo..-
Il Primo Ufficiale della Enterprise
sbatté le palpebre, confuso
-Eppure parlavate correntemente il
Vulcaniano, quando eravamo all’Accademia-
-Che senso aveva- mormorò l’altro con
la voce impastata dal sonno –Continuare a parlare in Vulcaniano, quando non
c’era più nessuno con cui poterlo fare?-
Spock fece per ribattere, ma il
respiro profondo di Dante gli fece capire che la stanchezza alla fine aveva
prevalso.
Gettò una rapida occhiata ai valori
sullo schermo sopra al lettino e prese mentalmente nota del fatto che, a parte
la pressione più bassa rispetto al normale, tutti gli altri valori biologici
erano nella norma.
-Starà bene, deve solo riposare- la
voce del dottor McCoy raggiunse il Vulcaniano alle spalle –Ed è quello che
dovresti fare anche tu-
-Io sto bene, dottore- ribatté freddo
il Primo Ufficiale, voltandosi per affrontare lo sguardo scettico del Medico
Capo –Non necessito di riposo. Inoltre, la Odysseus
ha bisogno di un Ufficiale Superiore che si occupi..-
-Sulu è assolutamente in grado di
portarci fino alla Enterprise senza pericolo- rimbeccò McCoy, asciugandosi le
mani con una pezza candida. Un rivolo di sudore gli correva lungo la tempia e i
capelli erano arruffati, gli occhi arrossati.
-Non dubito delle capacità del Tenente
Sulu, tuttavia..-
-Spock, vorrei parlare di quello che è
successo nella dimora di Kharandel- lo interruppe il dottore senza troppe
cerimonie.
Il Primo Ufficiale annuì
-Molto bene, Dottore. Arrivati al
piano superiore, abbiamo trovato il Capitano che..-
-No, non quella parte!- sbottò il
Medico Capo, storcendo le labbra –Quella in cui hai sei rimasto in stato
catatonico dopo che era crollata l’entrata di uno dei corridoi sotterranei!-
-Non ricordo nulla del genere- ammise
Spock, corrugando la fronte e osservando stupito l’Ufficiale Medico Capo –Chi
le ha detto una cosa simile?-
-Il signor Marrow- rispose McCoy,
incrociando le braccia al petto –Sei impallidito, ti sei irrigidito e hai
sgranato gli occhi. Avevi anche le pupille quasi completamente dilatate e il
respiro affannoso-
-Non ho registrato nessuno dei sintomi
da lei appena descritti, Dottore-
-Non vuol dire che tu non li abbia
avuti-
-Mi spiace contraddirla, Dottore-
ribatté gentilmente Spock –Noi Vulcaniani abbiamo un controllo ottimale del
nostro corpo e riusciamo a registrarne ogni minimo cambiamento anche a livello
biologico. Se avessi avuto tali sintomi, lo saprei-
-Come spesso amo ricordati, Spock-
disse il Medico Capo, socchiudendo gli occhi –Tu sei per metà umano-
***
-Signora, lei non dovrebbe alzarsi!-
esclamò una delle Infermiere, cercando di rimettere Ida a letto –La prego,
torni a riposare!-
La russa fece un debole tentativo per
scacciarla e quando si rimise in piedi, le gambe tremarono e cedettero sotto il
suo peso. Sarebbe crollata a terra se le mani ferme dell’Infermiera non
l’avessero tenuta in piedi.
-Non mi faccia chiamare il Dottore!-
la minacciò
-Zitta!- ansimò la donna, scuotendo la testa per dissipare la nebbia che
l’offuscava -Vattene!-
-Dottore!- chiamò l’Infermiera –Dottor
Herbert!-
Il medico, sostituto del Dottor
M’Benga, rimasto sulla Enterprise, la raggiunse di corsa e la scostò, per poi
mettere le mani sulle spalle di Ida.
-Si calmi, torni a letto-
-No!- replicò la russa, le labbra
esangui e gli occhi opachi –Come stanno? Loro come stanno?-
-Sto bene, Ida, io sto bene..- mormorò
una voce accanto al lettino.
-Anche lei!- squittì l’Infermiera,
sull’orlo della crisi nervosa –Torni a letto, immediatamente!-
Ida alzò il viso dagli occhi del
medico e si girò, incontrando lo sguardo quieto di Haleema che, contro ogni
precauzione, si era alzata dal letto e ondeggiava, debole, accanto a lei.
-Signora, vada a risposarsi! Non può
alzarsi così, dopo l’operazione!- abbaiò il dottor Herbert, gesticolando in
direzione della paziente.
-Come sta Eleni?- chiese invece
quella, lo sguardo tranquillo, seppur velato e sconvolto dalla recente
operazione –Sta bene?-
-Torni a letto!-
-Come sta..- le fece eco la russa,
assottigliando lo sguardo –Come sta Eleni? Era la più grave di noi!-
-Riposate e poi ve lo dirò! Adesso è
importante che..-
-E’ importante sapere come sta il
nostro Comandante, la nostra amica-
la voce di Haleema era sempre bassa e tranquilla, ma venata dalla durezza. Non
aveva gridato, ma gli occhi, freddi come lastre di ghiaccio, erano più
eloquenti di qualsiasi azione.
-Dottor Herbert..- sussurrò
l’Infermiera, ma il medico la zittì con un gesto della mano.
-Il vostro Comandante sta bene, è
fuori pericolo- le rassicurò –Abbiamo salvato entrambi-
A quelle parole, Haleema e Ida si
guardarono, confuse.
-Entrambi..?-
***
Fuoco.
Dolore. Rabbia.
Basta,
ti prego, basta.
Fiamme,
fiamme che lambiscono il corpo, che distruggono, crepitano, ridono. Il respiro
che affonda bollente nel petto, ansimi che si conficcano gelidi nella testa e
nel cuore, il cuore che batte furioso contro il fianco, che preme per uscire.
La
testa gonfia, stretta, pulsa, si contrae, si espande, e fa male, fa male
davvero.
Dolore.
Dolore. Dolore.
Ti
prego, fallo smettere, fallo smettere, ti prego.
Dolore.
Dolore. Dolore.
Fiamme,
fiamme che lambiscono l’anima, lingue di fuoco che si alzano con un sibilo e
uno schiocco e un crepitio nell’oscurità della mente, distruggono e deridono i
ricordi, li spezzano, li inceneriscono uno a uno, e fa male, fa sempre male,
non smette mai di fare male.
Basta,
ti prego, ti prego, basta.
Fallo
smettere, ti prego, fallo smettere.
Volti
che appaiono e scompaiono, sorrisi che si sciolgono in ghigni e urli, e sempre
il fuoco, il dolore che urla e abbaia e ringhia e sibila e ruggisce senza pace
senza tregua, ancora, ancora e ancora, e morde, morde sempre, non smette, non
c’è tregua, non c’è pace.
Fammi
morire, ti prego! Voglio morire!
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – Queen of the
Abyss)
Un silenzio teso, cupo, premeva contro
le colonne del lungo corridoio, immerso nelle tenebre.
Non c’era nessuno, tranne due persone,
accanto ad uno dei bracieri posti lungo la navata, che spandevano il loro
profumo intenso e palpitavano rosso-dorati contro il buio.
I due parlavano a voce bassa, gli
occhi ridotti a fessure d’ossidiana e la lingua che schioccava, secca, contro
il palato e le labbra taglienti.
La donna, vestita con una divisa
militare di anelli bronzei e scarlatti, annuì e si allontanò veloce, in lampi
di luce e ombra.
L’uomo, rimasto fermo nel corridoio,
si lasciò sfuggire un ghigno e si passò la punta della lingua sulle labbra,
come una belva che stesse assaporando il gusto dolce del sangue della sua
vittima.
Gli occhi brillarono, vendicativi.
La nave era pronta, tutto era pronto.
La donna si avvicinò al Superiore,
rigido accanto al portellone, e attese, immobile, i propri ordini.
Nell’hangar fremevano i preparativi:
accanto all’Incrociatore Meret, una
nave più elegante, quasi pesante nel suo essere così squisitamente formale,
aspettava solo di essere affiancata da alcune navette di supporto e protezione.
La donna osservò con cipiglio superbo
alcuni cadetti salire sulla nave d’ambasciata, vestiti con armature finemente
lavorate, adatte solo per essere esibite per la loro bellezza, ma oltremodo
inutili in battaglia; armi bianche di pregiata fattura, abbellite con gemme e
simboli araldici, pendevano loro al fianco.
Le attività dell’hangar vennero
interrotte al passaggio dell’Ambasciatrice, una figura snella e imperiosa, avvolta
in un abito nero e scarlatto, con un fermaglio d’argento sui capelli scuri.
L’Ambasciatrice si fermò sulla
piattaforma della Nave, per rivolgere uno sguardo all’Incrociatore Meret e annuire, come a dargli la sua benedizione, poi
scomparve, inghiottita dallo sfarzo, dal lusso.
Dalla menzogna.
***
-Spero tu sappia ciò che stai facendo- mormorò
Sarek, mentre percorreva, insieme al figlio, i corridoi che dalla Sala
dell’Ambasciatore Selek li avrebbe portati fino all’hangar.
-Naturalmente-
-Sarebbe illogico se io ti ripetessi
quanto poco sia d’accordo con questa tua idea-
-Estremamente-
A Sarek non sfuggì la vena ironica nel
tono di voce del figlio.
-Selek-
cominciò, sforzandosi di chiamare Spock col nome che si era scelto –E’ una
pazzia-
L’altro si limitò a sorridere, poi si
fermò davanti alle porte chiuse dell’hangar; fece per digitare il codice che le
avrebbe aperte, ma Sarek lo fermò.
-Sei ancora in tempo-
-No- ribatté Selek, alzando lo sguardo
–Il dado è tratto-
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Capitolo 9 *** Capitolo 8: Un Freddo ed Infranto Hallelujah [Anno: 2387] ***
2387 (4)
Capitolo
8
Un
Freddo ed Infranto Hallelujah
Anno:
2387
(Hallelujah
– Jeff Buckley)
I lastroni di ghiaccio, accasciati
l’uno sopra l’altro, si tendevano con sforzo verso il cielo, come le rovine di
un tempio antico. Bianchi, contro il cielo terso, parevano frammenti di vetro,
aguzzi, freddi, sospinti in alto dal vento; erano le dita gelate della
Speranza, nel suo ultimo, agonizzante tentativo di raggiungere la lontana
Utopia, la cupola di cristallo che svaniva, perduta, nella nebbia.1
T’Lenna si era chiesta più volte per
quale motivo Spock le avesse regalato un quadro del genere e in quel momento il
freddo intenso che irretiva i colori del quadro le appesantiva il cuore e lo
alleggeriva al tempo stesso. Era come se il dolore che provava non fosse solo
suo, ma qualcosa di condiviso..era come sentirsi meno soli. O almeno, essere
soli in un insieme senza volto e senza voce, dove ci si poteva confortare a
vicenda senza una parola, con la propria tristezza ed il proprio tormento.
La Vulcaniana chiuse gli occhi e piegò
il capo, posandosi sulla fronte il bicchiere di Brandy Sauriano, l’ennesimo
della serata.
Forse era ubriaca, forse no, non le
interessava. Si sentiva accaldata, ma aveva freddo, voleva piangere, ma non
aveva lacrime per farlo, la realtà fuori dalla grande finestra picchiava forte
per entrare, ma lei non voleva darle ascolto.
Raccolse le ginocchia al petto e prese
il bicchiere con entrambe le mani, facendone oscillare il contenuto e deglutendo
a vuoto, sperando di sciogliere quel maledetto nodo che le serrava la gola.
C’erano tante cose che voleva fare in
quel momento: urlare, piangere, ubriacarsi, gridare fino a sentire la voce
rompersi, ringhiare, spaccare un vetro, rompere i piatti contro il muro, prendere
il muro a pugni fino a quando il suo candore non fosse stato violato dal verde
acido del sangue, strapparsi i capelli, cantare fino a farsi male, cantare fino
a quando non avesse potuto percepire l’anima di Spock accanto a sé e guidarlo
verso la sua vita futura.
Voleva fare molte cose, ma avrebbe
significato alzarsi dal divano e distogliere lo sguardo dal quadro, immergersi
in quel mare di dolore da cui stava fuggendo da troppe ore.
Che il silenzio e l’apatia la
inghiottissero pure, in quel momento non se la sentiva di affrontare niente e
nessuno.
-Lasciatemi in pace- sussurrò, ma la
sua preghiera non venne esaudita.
Nella stanza saettò il ronzio che
annunciava l’immissione del codice di accesso e tempo qualche istante le porte
si stavano già aprendo, scorrendo sui propri cardini.
T’Lenna non alzò neppure il viso.
-In questa casi le persone nelle mie
condizioni vengono lasciate sole- gracchiò, storcendo le labbra in un ghigno
derisorio.
-Si da il caso che non ne abbia
intenzione-
-Sei un idiota, Berz’uk-
Uno sbuffo e finalmente la Vulcaniana
si girò a guardare l’altro.
-Ne vuoi parlare?- le chiese il mezzo
Klingon, osservando con occhio critico la bottiglia oramai di finita di Brandy
Sauriano posta sul tavolino in fronte al divano e quella ancora chiusa di Birra
Romulana.
-Sai che quella roba è illegale,
vero?-
-Credi me ne importi qualcosa?- lo
sbeffeggiò la donna, bevendo d’un fiato quel poco di liquore che le era rimasto
nel bicchiere.
Il mezzo Klingon non disse niente e si
alzò da accanto a T’Lenna, che lo fissò portare via sia il Brandy che la Birra.
-Ehi, quelle mi servono!- piagnucolò
tendendo le braccia verso di lui -Ridammele-
-Non credo proprio- commentò secco
Berz’uk, tornando a sedersi e cercando di portar via il bicchiere alla Vulcaniana.
-Lasciami!- soffiò lei, allontanandosi
con uno scatto felino e socchiudendo gli occhi scuri –Vattene-
L’altro si alzò e la raggiunse con
passi lenti; come una belva messa all’angolo, la donna incassò la testa nelle
spalle e mostrò i denti affilati, le dita talmente strette attorno al vetro del
bicchiere da avere le nocche bianche.
-Vattene via!- ringhiò –Vattene via!-
Ma il mezzo Klingon non fece altro che
fermarsi in mezzo alla stanza, gli occhi stanchi colpiti dalle luci pallide
della città, lo sguardo intenso e malinconico.
-T’Lenna..- provò, ma quella emise un
grido e gli lanciò contro il bicchiere; l’atmosfera irreale che li circondava
si infranse con esso contro il muro, lasciando solo un rivolo di sangue rosa e
pastoso colare dallo zigomo di Berz’uk.
-Non mi hai sentito?!- strillò
T’Lenna, gli occhi che lampeggiavano, folli –Vattene!- e senza attendere una
risposta, si gettò sul mezzo Klingon, cercando di graffiarlo, di morderlo..
Le braccia dell’altro la strinsero con
forza e più lei cercava di divincolarsi, più si abbandonava nel suo calore,
unendo dolore a dolore, lacrime non versate a lacrime non versate. Lo graffiava
e lo accarezzava, lo respingeva e lo stringeva a sé, gli gridava di andarsene e
gli sussurrava di rimanere, lo mordeva e lo baciava, si divincolava e poi
ricadeva esausta contro il suo petto.
-T’nash-veh
kaf-spol..- mormorava, mentre entrambi, lentamente, scivolavano, uno nelle
braccia dell’altro, in ginocchio –T’nash-veh
katra..T’nash-veh ashaya..-
[Mio cuore..mia anima..mio
amore..]
T’Lenna carezzò con le dita il viso di
Berz’uk e lui le sfiorò le labbra con le proprie e le baciò una lacrima caduta
dagli occhi opachi e poi la fronte e le palpebre e il collo, mentre lei lo
stringeva sempre più forte, sospirando e singhiozzando, le dita affondate fra i
suoi capelli neri, le labbra macchiate di verde laddove aveva morso fino a far
uscire il sangue.
Il mezzo Klingon le prese il volto fra
le mani e la baciò ancora e lei gli sfiorò le tempie con le dita e si lasciò
posare sul pavimento come fosse una goccia di cristallo, con lui che le faceva
scivolare l’abito dalle spalle, scoprendole il petto, il ventre, le gambe,
E mentre i baci di lui erano come le
carezze del vento, le dita di lei premevano e affondavano eterei nelle tempie e
nella mente ed ogni traccia di pensiero era un sussulto del corpo di entrambi,
uniti, abbracciati, esausti, insieme, lì, mente e carne, pensiero e passione,
coi sospiri che si intrecciavano ai singhiozzi e i gemiti che si disperdevano
nelle lacrime e nel silenzio.
***
-E questa cos’è, Leonard?- il dottor
Cooper storse il naso, alzando la bottiglia e scuotendola in direzione del
compagno.
-Dicesi birra, Sheldon- rispose
afflitto quello, passando altre due bottiglie a Wolowitz e Koothrapali.
-Birra?!- esclamò schifato il fisico
–Vuoi forse farmi ubriacare?-
-Ehi, amico- Koothrapali inarcò le
sopracciglia, sovrastando le proteste di Sheldon –Perché la mia è analcolica?-
-Perché se non fosse così- spiegò
paziente Leonard, sedendosi accanto ad un imbronciato dottor Cooper –Dovremmo
spiegare a Berz’uk e a suo fratello perché ti sia messo a molestare qualche
ragazza del dipartimento, Rajesh. E non ci tengo a finire come Howard- e indicò
Wolowitz, che allargò le braccia
-Ehi, ma adesso io che centro?- protestò,
sorseggiando la birra.
Leonard ghignò e si indicò la
mascella.
-Provaci tu a prenderti un pugno da un
mezzo Klingon, poi vediamo..- ringhiò, scoccandogli un’occhiata di fuoco.
Il dottor Hofstader fece per
protestare, ma il sussurro di Rajesh li fece gelare entrambi.
-E’ stata colpa nostra, vero?-
Il silenzio piombò loro addosso.
Howard prese un altro sorso di birra,
per poi massaggiarsi inconsciamente nel punto dove Berz’uk lo aveva colpito;
Leonard si morse il labbro e abbandonò la bottiglia a terra; Koothrapali
strinse forte la sua, con entrambe le mani. Fu Sheldon a parlare.
-In vero- cominciò, quasi stesse
tenendo una conferenza a dei novelli cadetti –E’ stata colpa della Supernova.
Noi potevamo prevedere solo fino ad un certo punto quando sarebbe cominciata la
fusione del nocciolo, ma calcolarla con esattezza andava oltre i limiti della
nostra scienza. Persino gli esimi colleghi dell’Accademia della Scienza
Vulcaniana non hanno potuto fare qualcosa a riguardo. A conti fatti- concluse,
ma nessun sorriso soddisfatto gli si delineò sul viso –Non siamo noi i
responsabili-
Hofstader alzò il viso e fissò
allibito il proprio compagno.
-Grazie..- mormorò incredulo.
-E di cosa?- domandò confuso il
fisico, aggrottando la fronte –Ho solo detto la verità-
-Razionalmente idiota, come sempre!-
rise Howard e fu subito seguito da Rajesh e Leonard, mentre Sheldon fissava
tutti con lo sguardo di chi non ha capito nulla della complessità e duttilità
emotiva dell’essere umano.
Le risate si spensero poco a poco,
simili alle luci di una strada quando il mattino sorge lento oltre l’orizzonte,
e il silenzio si fece spazio piano piano, com’era giusto che fosse. Non si
impose,ma nacque da quelle stesse risate che prima lo avevano cancellato.
-Voglio fare un brindisi!- gridò d’un
tratto Howard, alzandosi e mettendosi in piedi sulla sedia –A Romulus! E a
Spock! Che vivano per sempre, morte o non morte!-
Gli altri tre lo guardarono, poi si
fissarono tra loro.
-A Romulus! A Spock!-
***
-Come vi sentite, madre?-
Saavik carezzò il volto del figlio,
sorridendo con amarezza.
-Questo dovrei chiederlo io a te,
figlio mio-
Il Vulcaniano le prese la mano e la
strinse forte.
-Madre, voi avete perso la vostra
casa-
-Romulus era solo metà del mio
cuore..tu hai perso tuo padre, Tveshu2-
Tveshu abbassò gli occhi e la stretta
si fece più salda e ferma, nonostante il tremito della mano.
-No, madre- il Vulcaniano scosse il
capo, con un sospiro –E’ come mi avete sempre detto. Mio padre è morto molti
anni fa-
-Ma, figlio mio- sussurrò Saavik,
lasciando le dita del figlio e prendendogli il volto fra le mani –Il tuo
sangue..-
-Non mi importa!- esclamò Tveshu,
liberandosi dalle mani della madre e alzandosi in piedi –Il sangue che scorre
nelle mie vene è quello di Spock, ma dentro di me..-
-Agli altri Vulcaniani non interessa
nulla di quello che fu il mio T’hy’la!-
Saavik gettò le gambe oltre la sponda del letto e prese il figlio per le spalle
–Adesso, per loro l’importante è che tu sia un discendente diretto di Spock, il
primo discendente. Interamente Vulcaniano-
Tveshu girò lo sguardo, per non
incontrare lo sguardo della madre.
-Non posso fare questo. Non a mio fratello!-
-Ma non dipende da te!- Saavik lo
costrinse a girarsi –Per me sei figlio di David, ma questo!- con uno scatto improvviso gli prese il polso,
lo girò e vi affondò le unghie. Il Vulcaniano emise un ringhio di dolore e fece
per ritrarre la mano, ma la madre la tenne ben stretta.
-Questo..- sibilò, mostrando il rivolo
di sangue smeraldo –Questo è il sangue di Spock! Gli anziani lo sanno e quello che
tu potrai dir loro non servirà! Per loro sei figlio di David a livello
affettivo ed emotivo, non biologico! Tu
sarai riconosciuto come legittimo erede di Spock, non tuo fratello!- Saavik liberò il polso del figlio e si strinse nelle
spalle –Lui non sarà altro che una macchia da cancellare..non ci sarà posto per
uno come tuo fratello nella storia di Spock di Vulcano. Non quella che gli Anziani
intendono scrivere..-
***
Se fino a quel momento il Capitano
Carons aveva avuto dei dubbi sulla parentela esistente fra Romulani e
Vulcaniani, vennero spazzati via, tutti, dal primo all’ultimo.
Era andati a cozzare contro le iridi
spente del Tenente Romulano, si erano spezzati, piegati da quegli occhi fissi e
vuoti, privi di lacrime, di dolore, di rabbia, di qualsiasi emozione esistente.
Il Capitano aveva cercato di dargli la
notizia nel modo più calmo possibile, senza girarci troppo intorno, ma senza
nemmeno sembrare un perfetto idiota dal cuore di ghiaccio.
Si era aspettato di tutto, dal crollo
di nervi al suo computer che dalla scrivania veniva scaraventato fra urla e
gemiti contro il muro, ma mai e poi mai avrebbe immaginato..il freddo.
Era questo che aveva sentito fissando
il Tenente negli occhi.
Gelo.
-Po..potete andare, siete congedato e
siete esentato dai vostri compiti, almeno fino a quando non raggiungeremo la
Terra per..- tossì, schiarendosi la gola –Per la Funzione-
Il Romulano non mutò l’espressione del
viso e chinò il capo senza un parola; si voltò e uscì dalla stanza. Fu allora
che il Capitano notò un guizzo azzurro
fuori dal proprio alloggio.
-Tenente Shral!- tuonò e l’Andoriano
fece capolino dalle porte –Dovreste essere sul Ponte!-
Shral entrò nella stanza con passo
incerto, gettando uno sguardo veloce nella direzione in cui era sparito il
Romulano, e cercò di spiegarsi
-Sì, ecco, io stavo andando a..come
dire..-
Carons alzò la mano, intimandogli il
silenzio.
-Niente scuse con me, Tenente. Ora
tornate sul Ponte. Subito- chiarì,
vedendo come, ancora una volta, gli occhi dell’altro fossero corsi verso gi
alloggi del Romulano –Sappiate che questo vostro comportamento non verrà
tralasciato nel mio rapporto..-
L’Andoriano annuì
-Non mi aspettavo il contrario- ammise
con un’alzata di spalle –Col vostro permesso, Capitano, tornerei sul Ponte-
-Permesso accordato Tenente. E..-
l’uomo si alzò da dietro la scrivania, raggiungendo Shral; gli mise una mano
sulla spalla e lo fissò, cupo –Lo lasci un po’ da solo. Non può fare nulla per
lui, ora come ora-
***
James Kirk, dalla cornice d’argento,
sorrideva.
Le tempie spruzzate di grigio, qualche
ruga attorno gli occhi e il braccio sulle spalle di una donna di venticinque
anni, circondata dal sempre inflessibile Spock, da un ghignante McCoy ed una
sorridente Janice Rand.
Miri, lasciò cadere il pennino sul
PADD e prese la cornice fra le mani, togliendo un leggero velo di polvere che
aveva ingrigito gli angoli della foto.
Era stata scattata molti anni prima,
all’epoca della minaccia della Sonda3 che aveva quasi distrutto il
pianeta, quando Kirk era ancora vivo e lei era appena diventata un membro della
Sezione di Ricerca di Starfleet.
La donna poggiò la cornice e si
accomodò meglio sulla sedia, mugolando soddisfatta mentre si scioglieva i
muscoli indolenziti delle braccia e della schiena.
Era passato così tanto tempo..con la
cura, il suo metabolismo era accelerato e l’aspetto da eterna bambina si era
modificato, fino a scomparire del tutto. Dopo quasi cento anni, la vecchia Miri
non dimostrava più di quarant’anni sebbene ne avesse quattrocento sulle spalle.
Qualche volta si chiedeva per quanto
ancora sarebbe potuta vivere, quanti cambiamenti avrebbe visto, di quanti
sarebbe stata partecipe, ma poi pensava al suo lavoro attuale e a come, se si
fosse stancata del freddo e solitario Universo, non le sarebbe bastato altro
che saltare e non tornare più indietro.
Non sarebbe stato poi così difficile,
aveva così tante mete tra cui scegliere. E non sarebbe stata neanche la prima a
sparire, lì alla Stazione di Ricerca.
Per ora, si limitava a rivivere dieci,
cento volte la stessa scena quando ne aveva l’occasione e, non vista, a osservare
di nuovo quegli occhi grandi e profondi, il sorriso impertinente e ascoltare
quella voce calma e rassicurante che l’aveva chiamata con una tale dolcezza..
Miri scosse il capo e si diede
mentalmente della sciocca.
Per quanto ancora avrebbe continuato a
pensare a quella sua infatuazione di bambina, a quel prode ed eroico Capitano
che le aveva preso la mano e le aveva detto che era bella, che aveva un bel
nome, che l’aveva abbracciata, protetta..No, ecco, lo stava facendo di nuovo!
Rise e si chiese cosa avrebbe pensato
il suo fidanzato se l’avesse scoperta ad abbandonarsi a simili fantasie.
-Su, Miri, smettila di far male a quel
povero ragazzo che ti sopporta!- si disse, tornando a lavorare sul PADD –Jim non
avrebbe certamente apprezzato!-
-Miri!-
La donna alzò la testa di scatto e
corrugò la fronte.
-Aleksandr..?- chiese, vedendo l’uomo
col il fiatone e una mano all’altezza del cuore –Che succede?-
-Un..un comunicato..da Starfleet- boccheggiò –L’Ambasciatore
Spock..morto..Romulus..distrutto..-
Il pennino cadde, frantumando
ripetutamente il silenzio.
***
Bianco, tutto bianco.
Il pavimento gli sfuggiva, non aveva
presa sul mondo e sui muri, la realtà si disfaceva come fili su una tela
millenaria. Sapeva di dover provare qualcosa, qualsiasi cosa, ma sentiva solo
il bianco.
Un bianco infinito, una voragine cieca
che dava su una luce pallida e spettrale, che non illuminava, ma rendeva le
tenebre più buie.
Si sentiva inghiottire da quella marea
vischiosa, da quel vuoto che gli si attaccava ai vestiti come il sangue
rappreso, come braccia scheletriche che lo trascinavano con gemiti e pianti
muti verso l’Abisso.
Se stava camminando o fosse fermo non
avrebbe saputo dirlo.
Forse stava strisciando in quella
melma candida, allungando le braccia per non essere sommerso, alla ricerca di
un appiglio che non riusciva a trovare; il bianco gli impastava gli occhi, si
incollava alle ciglia e alle palpebre, un velo lattiginoso e sporco che gli
impediva la vista.
Scuotere il capo non serviva, sbattere
le palpebre nemmeno, forse, forse cavandosi gli occhi, sì, forse allora, solo
allora, il bianco se ne sarebbe andato. Avrebbe strappato via la cornea e il
candore opaco che la ricopriva, avrebbe avanzato a tentoni nel buio, ma almeno
il buio lo riconosceva, sapeva cosa fosse e non ne aveva paura, ma quel bianco,
quel bianco pastoso e informe lo temeva più e peggio della morte, perché nella
morte c’era solo il disfacimento, nel Nulla neanche quello.
Nel Nulla solo bianco, bianco infinito,
bianco che preme, bianco che cancella..
In quel fiume di estremo candore, si
avvicinò le mani al viso, si sfiorò la pelle accaldata, disegnò il contorno
degli occhi, una, due, tre volte, dalle sopracciglia agli zigomi, dagli zigomi
alle sopracciglia, poi sempre più vicino, sempre più vicino all’orbita, dove il
bianco veniva risucchiato ed esplodeva con un gemito senza voce e si stendeva,
si spandeva, ricopriva ogni cosa.
Sentì le unghie affondare nella carne
e il sangue colare caldo dai tagli, ma non ne vide il colore. Doveva essere
verde, sì, verde, intenso, scuro, brillante, ma no, no, anche il verde svaniva
nel bianco, assorbito, inghiottito, scomposto in tante particelle, misere
particelle di verde che scoppiavano come bolle, deboli nel candido, nel bianco,
nel Nulla.
Tenente!
La voce di donna emerse longilinea
come la sua figura, un bianco meno bianco, non nero, non un’ombra, solo un
bagliore meno luminoso, non una sfumatura, non un colore, un semplice
ripiegamento, un’ansa nel bianco curvo che lo sovrastava e lo schiacciava.
Tenente,
stia fermo. Venga, venga la accompagno nei suoi alloggi.
Si mosse lento nel bianco, con una
mano che gli teneva il polso.
Non sapeva dove stava andando. Nei
suoi alloggi? Sì. No. Forse. Che importanza aveva? Nel bianco non c’erano
contorni, non c’erano figure, non c’erano persone, non c’erano alloggi.
Lui era solo, solo nel candido bianco,
e nessuno lo avrebbe salvato.
Anche il suo dolore era bianco.
***
Perrin strappò la gonna alle dita
rinsecchite dei rami e poco mancò che cadesse; riuscì a mantenere l’equilibrio
per pura fortuna, poi cadde in ginocchio, stremata dal caldo e dalla fatica.
L’Ambasciatrice sembrava sparita nel
nulla: l’aveva lasciata per un momento e quando era rientrata nella stanza
aveva trovato la finestra spalancata, il letto disfatto e il necessario per il
viaggio verso la Terra gettato di malagrazia sul pavimento.
Dimentica dell’età e dei pericoli del
deserto, Perrin era corsa dietro la Romulana, ma l’aveva persa di vista già da
molto tempo.
Deglutì, la gola riarsa, e si rialzò a
fatica, ondeggiando per la debolezza.
Camminò ancora e ancora e ancora, fino
a quando il paesaggio non prese a rotearle davanti al viso e lei non cadde nel
buio, priva di sensi.
Quando riaprì gli occhi, si accorse di
essere in una delle rare e piccole oasi che punteggiavano la regione; si
sedette sui ciuffi d’erba rossastra e il suo sguardo fu subito catturato dalla
figura in piedi a pochi passi da lei, accanto ad una misera pozza d’acqua.
-Ambasciatrice!- ansimò Perrin,
riconoscendola –Ma cosa..?-
La Romulana non diede segno di averla
sentita; fece scivolare la mano sul fianco e scostò un lembo della veste,
rivelando l’elsa lucente di un pugnale.
La donna sentì il respiro schiantarsi dolorosamente
contro le costole e il cuore battere furioso contro il petto.
-Ambasciatrice!-
Quella non si voltò nemmeno, ma tese
il braccio destro sopra lo specchio d’acqua e senza una parola, senza un
gemito, conficcò il pugnale poco sopra il polso e lo trascinò fin quasi al
gomito.
Il sangue smeraldo sbocciò dalla
ferita e cominciò a gocciolare come pioggia nella pozza.
-Romulus non dimentica- sibilò la
Romulana –Le lacrime dei Romulani non sono piante invano. Ora, la nostra morte
contaminerà la vostra vita- strinse il pugno e il sangue colò più velocemente –Ciò
che mio marito desiderava, io l’ho realizzato. Ora il sangue Romulano scorre
nelle vene di Vulcano. Ma la sua speranza è divenuta maledizione-
***
Shral digitò talmente in fretta il
codice di accesso, che le dita si intrecciarono tra loro e sbagliarono la combinazione;
imprecò fra i denti, ma prima che potesse fare un altro tentativo, le porte si
aprirono rivelando la figura del Primo Ufficiale.
-Comandante!- scattò Shral, con un
salto all’indietro.
La donna lo squadrò con gli occhi
color miele e disse solo
-Prenditi cura di lui. Stava per cavarsi
gli occhi- e se ne andò.
L’Andoriano rimase agghiacciato per
qualche secondo, poi entrò, titubante, nell’alloggio che divideva col Romulano;
lui era lì, seduto sulla branda, lo sguardo perso nel vuoto, le labbra schiuse
e le mani intrecciate, abbandonate sulle ginocchia.
-Vedo che ti hanno dimesso dall’Infermeria!-
tentò Shral con un largo sorriso, ma l’altro non fece un movimento. Forse,
nemmeno l’aveva sentito.
-D’accordo- mormorò l’Andoriano,
sfregandosi la nuca e sedendosi accanto al compagno –Ne vuoi parlare?-
Il Romulano scosse la testa, ma almeno
aveva dato un segno di vita.
-Hai pianto?-
Altro cenno di diniego.
-Hai urlato?-
Silenzio.
-Hai rotto qualcosa?-
Non un movimento.
-Ascolta..- Shral prese un respiro
profondo e cominciò a strofinare le dita fra loro –Io non sono un Vulcaniano,
non posso cancellare il tuo dolore, ma..posso aiutarti a..farlo uscire fuori- e
senza aspettare una risposta, gli appoggiò la mano sulla spalla.
Il dolore lo investì come un pugno
alla bocca dello stomaco e si piegò in due, gemendo, urlando, rantolando; il
cuore schizzò contro il petto, si ruppe in mille pezzi, gli graffiò l’anima, si
aggrappò alla gola, stridette, strappò le corde vocali, si tramutò in fuoco, in
ghiaccio, in tuono, straripò, squarciò le vene, gonfiò i polmoni, li restrinse,
tuonò, rombò, crollò nella mente, si schiantò contro le palpebre, caldo,
bollente, intollerabile, e le lacrime, le lacrime morsero le palpebre,
strapparono le ciglia, acide, acide e incandescenti, scavarono un solco sul
viso, dagli occhi resi azzurri dai capillari esplosi, e alle lacrime si mischiò
al sangue, sangue cobalto misto a lacrime pallide, solchi neri di dolore, un dolore
a pezzi, muto, rabbioso.
Ma l’Andoriano non cedette, rimase lì,
a piangere le lacrime del compagno, consapevole di non poter sopportare nemmeno
la metà del dolore che l’altro provava, ma con la determinazione e il desiderio
di cancellarne anche solo un frammento.
Gridò, gridò e urlò.
Un unico, folle gemito.
Freddo.
Infranto.
1Si tratta de Il naufragio della Speranza di
Friedrich. Ringrazio la mia grandiosa prof di Arte che spiega da Dio e su
questo pittore ci ha fatto una lezione fantastica!
2”Genesi” in Vulcaniano.
Devo dire altro? XD
3 La Sonda è quella del quarto film, “The Voyage
Home"
Diario
di Nemeryal, Data Astrale: 64424.2
Ecco a
voi un altro capitolo! Nulla da dire a riguardo, tranne che il titolo è preso
da un verso della canzone di sottofondo ^^ Cui richiamano anche le due parole
finali.
Altamente
inutile a prima vista, ma so cosa ho nascosto dentro *ghigna*
Risposta alle Recensioni!
Thiliol: In
effetti, eri da secoli che non aggiornavo! Chiedo venia XD Oh, poter dare del “bischero”
a Spock è un’esperienza impagabile! Poi lui non l’avrà apprezzata, ma questi
son dettagli su cui possiamo sorvolare!
Grazie
mille! ^W^
Persefone Fuxia: Povero piccolo Sarek, lo manderemo da..Freud! Oui! Lo
mandiamo dal padre della piSSicanalisi, poi vediamo come reagisce XD Sì,
nu!Kirk è leggermente, ma solo leggermente, bada! Sbarellato..e così ci sarà
mai stato/c’è ancora tra il nostro Spocky-pooh e il toscanaccio?
Bah..muahahahaha!
Sono
contenta che ti sia piaciuta!
Grazie!
Ringrazio Thiliol, BitterSweetSymphony,
SpockMc, Persefone Fuxia e Lady Amber per aver commentato “Da Molto Tempo” e BitterSweetSymphony per averla inserita
fra le preferite!
Alla Prossima!
Tai Nasha No Karosha!
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Capitolo 10 *** Capitolo 9: Ti Ho Trovato [Anno: 2261] ***
2261
Capitolo
9
Ti Ho
Trovato
Anno:
2261
(Kingdom Hearts II Original Soundtrack – Organization
XIII)
-Lei
non è tenuto a credere, Comandante. Nemmeno io sono certo di credere... ma se
c’è una sola possibilità che Spock abbia un’anima eterna, me ne assumo ogni
responsabilità!-
Katra.
Lo
Spirito Vivente di ogni Vulcaniano, la sua stessa essenza: quando il corpo
muore e i tessuti di disfano, tornando alla terra, il Katra permane. I
terrestri la chiamerebbero anima. È l’insieme dei ricordi, delle esperienze e
delle emozioni che il Vulcaniano ha provato durante il corso della sua vita.
Katra? Intendi dire che ora il tuo
Katra vive in me?
Neve,
ghiaccio, freddo.
Paura,
tanta paura, folle, da non riuscire a parlare.
Rispondimi!
Fuoco,
fuoco e fiamme! Cenere, cenere in ogni dove! Il respiro, il respiro si ferma,
fuoco, fuoco, fiamme e cenere!
Tu sei dentro alla mia testa! Vattene!
Oscurità,
Oscurità illuminata dall’incendio. Solitudine. Vuoto.
Sento dei passi..o tu li stai sentendo?
Un
corpo caldo, due mani che mi afferrano. Un volto che lampeggia, nero di cenere
e scarlatto di fuoco..
Sono..sono..
Jim!
Kirk aprì gli occhi, ritrovandosi a
fissare la luce intensa del neon sopra la testa.
Emise un gemito e strizzò le palpebre,
mentre il mal di testa martellava senza sosta contro la fronte; si passò una
mano fra i capelli, sfregando il palmo contro la nuca, e inspirò l’aria fredda
e asettica dell’Infermeria.
-Buongiorno, Capitano-
Jim si voltò e sorrise
-‘Giorno Bones!- rispose, con la bocca
impastata dal sonno e, forse, anche dai tranquillanti –Come stai? Mi sembri un
po’ sbattuto!- cercò di ridere, ma il suo mal di testa sembrava fortemente
contrario all’idea.
Il medico inarcò un sopracciglio e
storse le labbra, senza dire una parola.
-Sembri Spock quando fai così- lo
prese in giro il Capitano, mettendosi a sedere con le spalle contro la sponda
del lettino –Quanto ho dormito?-
-Abbastanza. Fra qualche ora saremo
alla Base Stellare-
Jim fischiò di approvazione
-Non sarà l’Enterprise, ma anche
questa bagnarola ci sa fare!-
Un silenzio freddo si fece spazio fra
i due: il medico fissava Kirk con sguardo gelido e l’altro rispondeva con la
fronte corrugata per la confusione.
-Bones..che hai?-
-Nulla, Capitano- detto questo, si
alzò dalla sedia, facendola scivolare con un gran fracasso –Devo andare a
controllare gli altri miei pazienti-
Si allontanò senza aggiungere altro,
lasciando Jim ad osservare la sua schiena rigida allontanarsi nella corsia.
***
Con le dita andò a schiacciare alcuni
bottoni accanto al lettino: un fischio metallico accompagnò il suono
martellante delle funzioni vitali. Ci fu un sibilo e due aste metalliche, un metro
e mezzo di lunghezza almeno, saettò fuori dalle parete, lasciando cadere una
tendina dal colore indefinito tra l’azzurro ed il bianco.
Christine Chapel, dentro di essa, si
soffermò a guardare per qualche istante il volto del paziente: gli occhi erano chiusi,
serrati, e solo qualche lieve tremolio della palpebra denotava la presenza di
impulsi elettrici al di là dello stato quasi di coma. I capelli, neri e lunghi
fino alle spalle, rendevano i lineamenti del volto più affilati di quanto già
non fossero e la pelle, smagrita, tirata sugli zigomi sporgenti, aveva una
tinta appena più scura, quasi bronzea, rispetto a quella degli altri
Vulcaniani.
Il collo svettava prepotente sul
cuscino candido, tanta era rigida la sua postura, per poi perdersi sotto le lenzuola,
che si abbassavano lente, ad un ritmo regolare seppur pesante e affaticato.
A vederlo così, con le orecchie
appuntite nascoste da qualche ciocca scura, nessuno gli avrebbe dato più di una
ventina di anni.
L’Infermeria posò la cartella clinica
sul comodino accanto al letto, ma prima appose qualche firma e appuntò alcuni
dati riguardanti le funzioni vitali, più o meno cambiate rispetto a quando il
Vulcaniano era arrivato sulla Odysseus.
In otto giorno di viaggio i dati erano
rimasti gli stessi. Il paziente non aveva aperto gli occhi, non si era mosso,
nulla. Avevano fatto tutti gli esami possibili, o meglio, tutti quelli che
fossero possibili con le macchine mediche installate a bordo della Nave. Per
controlli più approfonditi, soprattutto a livello cerebrale, avrebbero dovuto
attendere di arrivare sull’Enterprise.
Christine alzò la testa, attirata da
un’ombra nera, alta, slanciata, che per un attimo era scivolata silenziosa tra
le pieghe delle tendine, prima di sparire senza fare rumore.
La donna aveva visto spesso il Primo
Ufficiale attardarsi davanti al letto del Vulcaniano e il più delle volte si
era chiesta per quale motivo, nel guardarlo, strofinasse fra loro le mani,
lentamente, fissando il volto immobile dell’altro. Ogni tanto fletteva le dita,
le guardava alla luce asettica del neon, con i polpastrelli di una andava ad
accarezzare il dorso dell’altra, senza mai staccare gli occhi da quelli chiusi
del paziente. Era solo un momento, poi lasciava ricadere le braccia lungo i
fianchi e se ne andava, scambiava qualche parola veloce col dottor Bellini, se
questi era sveglio, e rimaneva a fissare il Capitano quando egli era ancora
sotto l’effetto dei tranquillanti. Poi prendeva il suo posto in plancia e
nessuno lo vedeva nell’Infermeria fino al cambio dei turni.
No, Christine davvero non riusciva a
capire il comportamento del signor Spock.
Riprese la cartella clinica e la
sfogliò ancora una volta; l’unico risultato che si sarebbe potuto definire
“anomalo” era il gruppo sanguigno del Vulcaniano: T-Negativo. Era un gruppo
molto raro, la donna lo sapeva, come sapeva che era lo stesso del Primo
Ufficiale. Che il signor Spock fosse convinto di avere davanti un componente
della sua famiglia?
Piegò la testa di lato, cercando nei
tratti ferini del paziente una qualche somiglianza col Primo Ufficiale. No..non
vi era nulla in lui che ricordasse il signor Spock. Un poco la forma del viso,
forse, ma era qualcosa di vago, indistinto. L’aura del Vulcaniano vibrava di un
che di selvaggio di cui il signor Spock era totalmente privo.
(Final Fantasy X Original Soundtrack – Crisis)
Il paziente si mosse con un gemito;
Christine appoggiò subito la cartelletta e si chinò su di lui, controllando al
contempo i valori sullo schermo: il battito cardiaco era aumentato
vertiginosamente, così come la temperatura corporea; le labbra si storcevano
per il dolore e masticavano suoni senza senso, smozzicati, triturati fra i
denti tremanti e i muscoli erano come attraversati da scariche elettriche, si
contraevano con tale forza che il lettino sbatteva con la testiera contro la
parete della Nave.
Christine non fece in tempo a prendere
la dose di calmante che sentì le lunghe dita del Vulcaniano artigliarle il
polso: gridò e cercò di tirarsi indietro, ma la presa era salda, una morsa
d’acciaio da cui era impossibile liberarsi. Gli afferrò le dita, facendo di
tutto per aprirgli la mano, quando sentì il suo fiato caldo sul viso; sgranò
gli occhi ed alzò la testa, scontrandosi con lo sguardo tagliente e furioso del
Vulcaniano: il viso era livido, sconvolto, la mascella cadente e la bocca che
vomitava grugniti, ringhi e suoni, forse parole, forse frasi cui l’Infermiera
non sapeva dare un senso, mentre la stretta al polso si faceva sempre più
forte.
-Lasciami!- ansimò la donna
–Lasciami!-
-Signorina Chapel!- la tenda venne
aperta di scatto, quasi strappata.
Christine ebbe solo il tempo di vedere
la figura del Capitano lanciarsi sul Vulcaniano e colpirlo al viso con un pugno.
All’orecchio le giunse lo scricchiolare inquietante delle dita contro la
mascella.
Forse per la sorpresa, il paziente
lasciò andare il polso dell’Infermiera, facendola cadere a terra. Christine si
rialzò immediatamente, afferrò la dose di calmante e si portò accanto al
Vulcaniano. La lotta di questi con Jim continuava tra pugni, morsi, ruggiti,
grugniti e tentativi da parte di entrambi di prendere l’avversario per la gola.
La donna era già pronta ad iniettare
il sedativo quando il paziente, allontanato con un calcio il Capitano, la colpì
al viso con tale violenza da gettarla contro lo spigolo del lettino accanto.
Christine avvertì solo qualcosa di caldo scivolarle lungo il collo, poi ogni
cosa si fece buia.
-Christine!- gridò Kirk, ma prima che
potesse anche solo pensare di correre in aiuto della donna avvertì il pugno del
Vulcaniano cozzare contro la mascella, poi il piede piegargli qualche costola;
si sentì sbalzato all’indietro e il freddo del pavimento creò uno spiacevole
contrasto con la schiena bagnata di sudore.
Il Vulcaniano gli bloccò le gambe col
proprio peso e gli afferrò la gola.
Jim ansimò, artigliando il polso
dell’altro e tentando in ogni modo di divincolarsi dalla stretta soffocante; il
buio agli angoli delle palpebre si frantumò in minuscoli cerchi rotanti, che
andarono a coprirgli la visuale, mescolandosi allo sguardo folle
dell’avversario e cancellandolo, tracciandovi linee scure sempre più ampie e
pastose. Il respiro gli mordeva i polmoni e la gola, lasciandovi segni bollenti
di sangue. Annaspava in cerca di aria, la testa ronzava, la vista non era più
che una tavolozza informa di tinte livide.
-Kroikah!-
[Basta!] la voce si insinuò nella
nebbia, serpeggiò tra i suoi pensieri confusi -Sasu, kroikah!- [Ragazzo,
smettila subito!]
La presa si allentò quel tanto che
bastava da permettere a Kirk di prendere una boccata d’aria; tirò indietro la
testa e la sbatté contro il petto del Vulcaniano, che si rialzò, gemendo e
ringhiando per il dolore.
Ancora bocconi a terra, una mano al
collo, sentì solo un rumore di colluttazione e vide con la coda dell’occhio
l’ombra dell’avversario prima dibattersi e poi cadere pesantemente a terra.
(Kingdom Hearts I Original Soundtrack Dearly Beloved)
-Capitano Kirk, state bene?-
Jim alzò lo sguardo, incontrando gli
occhi del medico Bellini.
-Sì..- boccheggiò, mentre la mano
dell’uomo gli dava alcuni colpetti sulla schiena –Grazie..grazie per l’aiuto..-
-Capitano!-
-Ah..- Kirk storse le labbra in un
tentativo di sorriso –La stanza si sta facendo affollata-
-Christine!-
-Grazie per esserti preoccupato di me,
Bones-
-Jim!- sbraitò McCoy –Non ti si può
lasciare un istante senza sedativi che subito vai a farti ammazzare!-
-Ehi!- il Capitano si rialzò,
pulendosi i pantaloni con alcune manate –Non è colpa mia se i Vulcaniani
trovano il mio collo estremamente eccitante!-
Dante scoppiò a ridere, sostenendosi
la fronte con la mano, McCoy sbuffò mentre aiutava Christine a rimettersi in
piedi, l’unico che rimase in silenzio fu Spock, rigido accanto al Vulcaniano
ancora a terra.
-Come avete fatto a fermarlo?- domandò
il Primo Ufficiale, rivolgendosi al medico dell’Ifigenia.
Questi fece spallucce
-Ho visto la siringa dell’Infermiera
Chapel a terra. L’ho raccolta e approfittato della sua distrazione- indicò il
Vulcaniano –Sono un medico, ho il permesso di iniettare sedativi, no?-
-Avete parlato in Vulcaniano- si intromise
Kirk, mentre McCoy, aiutato da altri due Infermieri, rimetteva il paziente nel
lettino e controllava le sue condizioni –E’ stato questo a distrarlo-
-Il Legame dunque non si è ancora del
tutto cancellato- commentò Spock, corrugando la fronte –E’ molto strano-
-No- Dante scosse la testa e si
avvicinò al paziente, dando le spalle al Primo Ufficiale – Vumukau ein zhite’hi’th’, Spohkhkan- [Ricordo ancora qualche parola, Spock]
Il Capitano alzò lo sguardo sul suo
Primo Ufficiale, ma questi, per qualche strano motivo, lo fuggì, preferendo
fissare i proprio sul volto aggressivo, seppur sedato, dell’altro Vulcaniano.
***
(Final Fantasy IX Original Soundtrack – You’re Not
Alone)
Scesero dalla Nave sentendo tutti gli
occhi puntati su di sé.
L’equipaggio dell’intera Enterprise
era accorso ad accoglierli, chi cercando con lo sguardo un amico, chi solo per
vedere il Capitano ed il Primo Ufficiale tornare illesi da una missione al
limite del suicidio.
Chekov si fece largo tra la folla,
ignorando le proteste e le occhiate lanciate da chi gli era accanto; continuò a
spintonare fino a quando non sentì una mano afferrargli decisa il polso.
Si voltò, già pronto ad una scusa
veloce per poi tuffarsi fra il mare di corpi, e sgranò gli occhi per la
sorpresa: Scott sollevò le labbra in un ghigno
-Vieni con me, ragazzino- gli disse
–Ingresso riservato- e lo trascinò con sé.
Se Pavel aveva fatto di tutto per
evitare di dare troppo fastidio alle persone che lo circondavano, Scotty non
sembrava essere dello stesso avviso: sgusciava fra la gente senza curarsi delle
gomitate, degli spintoni e tanto meno dei commenti poco lusinghieri che gli
altri mormoravano a mezza voce. Fino a quando James T. Kirk avesse messo di
nuovo piede sulla Base Stellare, era lui il grande capo.
Arrivarono nel punto più vicino alla Odysseus e solo allora Scott lasciò
andare il polso di Pavel.
-Scotty!-
Il Capo Ingegnere si voltò e agitò una
mano
-Uhura! Siamo qui!-
La donna li raggiunse in pochi
istanti, piegando il collo per meglio vedere tra le teste che occupavano la
visuale: Chekov fece lo stesso, incassando un poco la testa fra le spalle e
sporgendosi appena, guizzando con lo sguardo da una parte all’altra della
passerella.
-Così pochi..?- mormorò Nyota,
portandosi una mano a coprire il viso.
Pavel non capì se si stesse riferendo
ai loro compagni di flotta o ai membri dell’Ifigenia che, ad essere ottimisti,
non dovevano essere più di una decina.
Kirk e Spock aprivano la fila:
nonostante sul volto del Capitano si leggesse il sollievo di essere rientrato
sano e salvo dalla missione, il suo sguardo era opaco, gli occhi bassi ed il
viso tirato, quasi livido.
Venivano gli altri membri scelti della
Enterprise e Chekov tirò un sospiro di sollievo nell’incontrate gli occhi scuri
di Sulu, ma il suo cuore non poté perdere un battito nel constatare che troppi
dei suoi amici non erano tornati.
Sentì un nodo serrargli la gola ed
abbassò il viso; una mano gli strinse la spalla
-Mi spiace, ragazzo- mormorò Scott
–Fatti forza-
Il Guardiamarina annuì, passandosi
velocemente una mano sul volto e tornando ad assumere una posa più composta;
gli occhi non smettevano di pizzicare e bruciare.
Dalla passerella scese il dottor McCoy
e dietro di lui alcuni Infermieri: alcuni trasportavano tre, no, quattro
barelle. Una in particolare sembrò attirare l’attenzione dalla folla, ma Pavel
era troppo lontano per capire chi vi fosse sopra.
Gli Infermieri che non trasportavano
le barelle venivano per ultimi, insieme a quei membri dell’Ifigenia che faticavano a rimanere in piedi o dando una mano a
quelli che, per testardaggine o solo per dimostrare a se stessi di non essere
ancora stati piegati, ondeggiavano sulla passerella.
Fra di loro una donna dai capelli
scuri e la carnagione olivastra, camminava accanto ad un’altra coi capelli
biondi, e le faceva segno di stare indietro, che poteva farcela da sola, ma
immediatamente arrancava e inciampava, e prima che potesse cadere, la donna
bionda ed un’altra, mora e che si era tenuta silenziosamente dietro le due, la
sostenevano fino a quando non tentava di nuovo di stare in piedi da sola.
Fu a quella donna coi capelli neri che
il Capitano si rivolse, una volta scesi.
Kirk attese che la donna fosse scesa
dalla passerella, poi alzò lo sguardo su di lei.
-Comandante Theokore-
Quella annuì
-Ditemi pure, Capitano Kirk-
E sebbene avesse sollevato le labbra
in un sorriso incoraggiante, Jim non poté non notare gli occhi cerchiati di
nero ed il pallore innaturale della carnagione olivastra; le cure ricostituenti
di McCoy erano riuscite a farle recuperare il peso perso nelle settimane
trascorse nella prigione del mercante, ma la pelle era ancora tirata sugli
zigomi e le guance appena incavate. L’intera figura era piegata da un dolore
più grande di quello puramente fisico: come Primo Ufficiale della Ifigenia, aveva assunto il ruolo di
Facente Funzioni di Capitano in seguito alla morte di quest’ultimo, avvenuta
per cause che Kirk doveva ancora accertare attraverso il racconto della donna.
A quel lutto, come gli aveva riferito McCoy, si aggiungeva la scomparsa del Navigatore
della Ifigenia, marito del Comandante. E poi c’era la mano di lei, che
rifiutava l’aiuto altrui e andava a chiudersi quasi ossessiva sul ventre..
-Capitano..?.-
Jim si riscosse e tornò a fissare la
donna negli occhi
-Vi chiederei, sempre che le vostre
condizioni di salute ve lo permettano- precisò Kirk –Un resoconto il più
possibile dettagliato circa i fatti che hanno portato alla distruzione della
USS Ifigenia-
Il Comandante annuì, ma all’altro non
sfuggì la tensione dei muscoli e l’occhiata preoccupata che si erano lanciate
le due donne dietro di lei.
-Quando, precisamente?-
-Domani- rispose il Capitano –Dopo la
commemorazione-
Stava per aggiungere qualcosa, una
parola, un gesto, quando sentì una mano posarsi sulla propria spalla. Si voltò,
corrugando la fronte
-Capitano Kirk..?- chiese l’uomo,
scuro in volto.
-Sì, sono io- un brivido gli corse
lungo la schiena.
-Abbiamo ricevuto un messaggio da Starfleet. Riguarda l’Ambasciatore
Selek-
***
Poteva sentirlo.
Le immagini si dispiegavano nella sua
mente, pennellate oniriche di ricordi perduti, gocce di suoni e note di colori
che si intrecciavano simili a fiamme, si alzavano, sfrigolavano, crepitavano,
sbuffavano refoli di fumo azzurrognolo, poi si ripiegavano su stesse e
morivano.
Sentiva la presenza di Kirk,
l’avvertiva in ogni respiro, in ogni gesto, nel buio che si accartocciava agli
angoli delle sua mente e brillava di memoria nascoste, di ricordi incastonati
come pietre preziose nel ventre sbozzato di una grotta: era lì, ma era un
Legame diverso, nuovo, eppure consunto, quasi rifiutato.
Avvertiva con una stilettata al cuore
i tentativi disperati di spezzare quel filo invisibile, ma ne comprese il
motivo e questo gli fece ancora più male: era stata un’intrusione forzata, una
violenza perpetrata ad insaputa di Jim e forse anche di se stesso. Avrebbe
dovuto mostrargli unicamente le immagini relative a Nero, ma una parte della
propria coscienza aveva riconosciuto, in uno slancio mnemonico, il katra di Kirk, o almeno una parte di
esso, un’impronta, un fantasma dello Spirito Vitale che lo aveva sempre
caratterizzato, e allora era successo. Quel Legame che la Morte aveva reciso
senza pietà aveva sentito sulle labbra il sapore della sopravvivenza, di nuovo
quel sussulto interno di coscienza, si era sollevato e come un’onda si era
riversato nell’animo di Kirk, aveva riempito ogni anfratto, spumeggiando nei
recessi più dimenticati della sua mente.
In un fiorire di flussi e ribollire di
ricordi, il Legame era ricomparso.
Selek aggrottò la fronte e dalle
labbra gli sfuggì un gemito.
Rabbia. Odio. Confusione.
Non erano di Kirk, quei sentimenti.
Perché, allora, li sentiva? Erano un
fuoco che ruggendo gli stava devastando la mente, un incendio dalle fauci
incandescenti che lo dilaniava, lacerandogli le carni, affondando le zanne
irose nel suo petto.
Cos’erano, cos’erano quei sentimenti?
Perché, perché avevano afferrato il Legame e adesso lo stringevano, tentando in
ogni modo di spezzarlo?
No, no, non stavano tentando di
spezzarlo. Seguivano quella linea invisibile, cavalcavano i venti della mente,
veloci e impazienti, senza smettere di sbuffare e ruggire, cercavano di
raggiungerlo, già vedeva i loro occhi di fuoco stagliarsi nell’oscurità
autoimposta della Meditazione.
E quelle fiamme si fermarono ai limiti
della coscienza, traballarono, si alzarono, si abbassarono, si attorcigliarono
agitando la capocchia scarlatta, annuendo, negando, diventando d’improvviso più
vive, poi perdendo luce e calore, arretrando e avanzando, soffiando e
ribollendo.
Sarebbe dovuto fuggire da quelle
lingue di fuoco, eppure avvertì un brivido incrinare la volta nera del suo
pensiero, l’impulso di spingersi avanti, allungare le mani verso di loro,
affondare le dita nel fuoco.
Le fiamme ondeggiarono, sembravano
ridere, ma una risata malata, tra il divertimento, l’amarezza e la follia;
sbuffarono e cominciarono a prendere una forma precisa, prima una testa, poi un
corpo, due braccia, due gambe. I tratti del viso si fecero più netti, si delinearono
le dita lunghe, le nocche arrossate, il dorso ferito, il braccio tremante, la
spalla, il collo..
Sgranò gli occhi della mente: era…era!
Era..!
-Selek’kam!-
Quella voce graffiò la volta scura del
suo pensiero, la realtà colò in rivoli densi lungo le pareti della mente,
spense quella fiamma dal volto ghignante.
Selek fece appena in tempo ad alzare
lo sguardo che la Nave su cui stava viaggiando ebbe un sussulto improvviso. Uno
scossone, il boato di una deflagrazione, un luccichio nello spazio, colto con
la coda dell’occhio.
Il Vulcaniano sentì il corpo
pizzicare, poi le fiamme invasero il suo alloggio.
-Takselal s’kan’hi th..’-
[Ti ho trovato..]
{~***~}
Diario
di Nemeryal, Data Astrale 64785.
Non oso
andare a guardare a quando risale il mio ultimo aggiornamento di questa
long-fic, preferisco rimanere nell’ignoranza.
Sta di
fatto che questo capitolo lo odio, con tutta me stessa. Dopo secoli di
inattività nel fandom di Star Trek, mancanza di tempo, mancanza di ispirazione
(tornata guardandomi uno speciale di Sky su Star Trek), questo è tutto ciò che
riesco a scrivere. Mi dispiace, perché non è assolutamente all’altezza di quanto
mi ero immaginata. E’ corto, è di passaggio, fa schifo. Mi dispiace, mi
dispiace davvero.
Lato
positivo, da adesso iniziano i casini, oh, eccome se iniziano! La situazione si
sblocca sia nel 2261, sia (nel prossimo capitolo) nel 2387. Eh sì, perché quanto
successo alla Nave di Selek/Spock (che poi…sarà morto? Sarà vivo? Mah!) sarà la
causa scatenante di tutti i guai che capiteranno nei prossimi capitoli. E nel
futuro, bhè, diciamo che abbiamo un Romulano testa di ghisa mentalmente
instabile che lavora per dare una smossa anche lì XD
Oh! E prima
che sorga qualche incomprensione di sorta: l’episodio dell’assalto del
Vulcaniano e la Meditazione di Selek/Spock avvengono praticamente in
contemporanea ^^ Verrà tutto chiarito in seguito, non preoccupatevi *ghigno
sadico*
Ringrazio
tutti coloro che hanno recensito, grazie delle parole, del sostegno, grazie
davvero.
Scusate
se quanto vi offro in questo capitolo è davvero misero.
Tai Nasha No Karosha,
Nemeryal
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