Il Mistero delle Lucciole.

di Thoas Pensiero
(/viewuser.php?uid=95952)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Rebecca Perliace - Novità. ***
Capitolo 3: *** Benifastu Torconto Nubifragio. ***
Capitolo 4: *** Rebecca Perliace - La figura. ***
Capitolo 5: *** Rebecca Perliace - azioni avventate ***
Capitolo 6: *** Il cimitero ***
Capitolo 7: *** Rebecca Perliace - I Querciarosa ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***




PROLOGO

A vederlo avreste tutti detto che era come voi, un ragazzo nella norma: scuola, sport e tutto il resto...ma agli occhi di Thoas non siete tutti uguali.
Tante piccole luci, come ogni faro nella sua nebbia per farsi notare.

L’altalena cigolava dopo il salto, Thoas si era lanciato facendo a gara con M.Z. mettendosi a correre per il parco: i suoi sette anni li stava vivendo con la stessa serenità di qualunque altro bambino.
Nella corsa non aveva notato un grosso buco sporco di fanghiglia scivolosa, era quasi gioco che ci cadesse dentro.
-Che schifo!- urlò quasi nuotando
M.Z. lo guardò allibito anche lui sorpreso, mentre Thoas senza successo tentava di tornare in superficie.
-Vado a chiamare il mio papà. Lui ti tirerà fuori. Torno subito.- disse M.Z. sparendo dalla sua vista
-Cavolo sei proprio incastrato! – era impossibile che fosse M.Z., non correva così veloce e quella non era né la sua voce né quella di suo padre.
Alzato lo sguardo incrociò quello di un omino alquanto particolare: aveva rossi capelli scompigliati, occhi color grigio vispi e furbi e i vestiti ricordavano un sacco di patate.
-…Non sarai mica Thoas, vero? Io sono lo gnomo Dolan- sobbalzò lui
Il ragazzo annuì timidamente tutto fradicio.
-Per i folletti di Othuk. Sei solo un giovincello e non parli neanche tanto… ma sei muto?-
-Mi hanno sempre detto di non parlare con gli sconosciuti!-
-Ah ma dovrai se vedrai le luci…-
-Cosa sono le luci?- chiese disorientato il piccolo Thoas sentendo delle voci in avvicinamento.
Ma lo gnomo se ne era già andato e al suo posto comparvero M.Z. e suo padre, che arrabbiato, lo sollevò tirandolo fuori:
-Vi avevo detto di non andare troppo lontano…-ma Thoas non gli stava prestando attenzione, seduta sulla panchina una donna stava leggendo. Nel petto le brillava una piccola luce.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rebecca Perliace - Novità. ***


Rebecca Perliace.

NOVITA’.

Mi chiamo Rebecca Perliace. Non sono mai stata brava nel fare amicizia, soprattutto perché mia madre doveva viaggiare per lavoro. Quindi evitavo di stringere amicizie che sarebbero proseguite a distanza, ed infine acconsentii di studiare in una scuola privata con la promessa di mia madre che ci saremmo stabilite permanentemente in una casa, non più hotel.
Oltretutto soffro le altezze da quando a cinque anni caddi dall’altalena dopo una spinta esagerata da parte di mio cugino Kayl, purtroppo le distanze dalle nostre residenze più recenti alle nuove mete il mezzo di trasporto più rapido era l’aereo. Volevo stare con i piedi per  terra. Cosa c’era di così sbagliato?                                                                                                                   
Dopo sei anni di viavai come manager, mia madre era riuscita ad ottenere un impiego lavorativo con un minimo di tre anni nella speranza che diventasse fisso.
Tornammo ad abitare a Canali, nella stessa casa in cui, anni prima, stavamo tutti insieme: io, mia madre e mio padre, morto di tumore quando avevo solo dodici anni.
Fuggire dall’amara realtà sembrava per mia madre l’unica soluzione per non pensarci troppo.
Alla fine se ne era fatta una ragione e non considerava nessun altro luogo tanto adatto da essere chiamato casa.
Arrivammo verso mezzogiorno dopo due ore di aereo e quattro di macchina.
Quando scesi dall’auto dubitai della mio equilibrio che fino ad allora mi aveva consentito di camminare tranquillamente senza alcuna difficoltà; respirai profondamente l’aria fresca ormai libera dallo smog di città, non che New York fosse un brutto posto in cui vivere, ma nei miei sogni restava la campagna. Vedere nuovamente la mia vera casa provocò  un insieme di emozioni, l’una la nemesi dell’altra, vaganti tra serenità e un’antica ferita mai rimarginata.
Con qualche difficoltà  riuscii a maneggiare le chiavi per aprire il cancelletto di casa: un sentiero di pietra conduceva alla porta di ingresso. Entrata in casa tastai la parete in cerca di un interruttore.
Accesa la luce mi adoperai  a spalancare le ante delle finestre, mia madre insieme a me squadrava il salotto da cima a fondo. Niente era cambiato: i divani, ricoperti da una fodera verde sbiadito, accoglievano nel loro grembo coperte  e i telecomandi della tv. Sulle pareti erano esposti diversi quadri di natura morta e altri di nobili personaggi a me totalmente sconosciuti. Agli angoli della casa, comodini di tinta verde, abbinati ai divani, con lampade.

-    Bhè non è così male. Per lo meno i mobili ci sono già. Ci resta solo da spolverare.- dissi cercando di essere convincente. Mia madre sospirò e con un ultimo sguardo alla casa mi sorrise

-    Proviamo a ricominciare da qui.- ricambiai il sorriso e la abbracciai

-    Ok. Incomincia a portare le tue cose dentro, ti raggiungo fra poco. Voglio accertarmi che la cucina sia ancora utilizzabile.-

Annuii e ripercorsi nuovamente il sentiero fino a tornare alla macchina.
Aprii  la portiera anteriore e con mio grande dispiacere non sapevo da dove iniziare:
I bagagli si incastravano  alla perfezione, sembravano poter crollare non appena fosse tolto un singolo oggetto.
Decisi di cominciare con qualcosa di semplice e misi la mia borsa a tracolla. Come mi aspettavo una reazione a catena fece cadere dal portabagagli metà del suo contenuto. Una valigia cadendo si era aperta liberando bottigliette di shampoo, balsamo e dentifricio.

-    Fantastico.- sussurrai  tra me iniziando a raccoglierli. Mentre stavo per  procedere una mano mi precedette prendendo uno shampoo “Dove”. Alzando lo sguardo vidi un giovane ragazzo forse della mia età, ma apparentemente più maturo. Indossava un cappotto nero che copriva una giacca a righe blu, jeans  e scarpe nere. Un abbigliamento molto eccentrico che però su di lui stava a pennello. Era moro, con  gli occhi marroni. Si era messo in ginocchio davanti a me e mi guardava con un sorriso sgargiante.

-    Serve aiuto?- mi chiese agguantando un altro prodotto per capelli. La sua voce era dolce e pacata, suonava come una melodia per le mie orecchie. Mi ci volle qualche secondo per recuperare la capacità di parlare.

-    Grazie.- riuscii infine a dire ritrovando la voce. In breve rimise tutto dentro la valigia e se la caricò in spalla, poi agguantò altre due borse come non pesassero nulla.

-    Grazie, ma non è necessario.- mi sorrire nuovamente ammaliandomi

-    Non è un problema. Non ho altro da fare e inoltre devo darvi il benvenuto come nuove vicine.-

A quella constatazione sorrisi impercettibilmente. Lo condussi in casa  cercando di rimuovere dal cammino possibili ostacoli. Arrivati in casa gli feci appoggiare i bagagli in salotto.

-    E’ davvero una bella casa. Molto accogliente.- disse guardandosi intorno e sorridendomi nuovamente. A quel punto mia madre tornò dal suo giro di controllo.

-    Ho controllato i fornelli, tre su cinque funzionano, direi che non è male- alla vista del nuovo presente si zittì.

-    E chi sarebbe questo bel giovanotto?-

-    Perdonate, mi chiamo Thoas, Thoas Pensiero. Sono vostro vicino. Volevo augurarvi buona permanenza e spero che vi troviate bene.-

-    Grazie mille per il benvenuto Thoas. Se tutti qui sono garbati e gentili come te non abbiamo motivo di preoccuparci. Che scuola frequenti  se posso chiederlo?-

-    Il liceo scentifico-tecnologico Aldo Moro.Sono al quinto anno.- rispose prontamente. Ebbi un sussulto, era li che avrei studiato anchio e come sospettavo aveva la mia stessa età.

-    Aldo Moro? Non è il tuo stesso indirizzo Rebecca?-  mi chiese mia madre come non lo sapessi già.
Da quando aveva deciso di tornare a casa non parlava altro che della sua scuola liceale. Naturalmente le sue descrizioni  paradisiache mi avevano talmente sedotto da farmi scegliere lo stesso indirizzo.

-    Si,  ineffetti.- dissi in un fil di voce

-    L’Aldo Moro è un ottima scuola. Non ti pentirai della scelta.- disse amiccando un sorriso

-    Bene, meglio se tolgo il disturbo. Arrivederci. Se avete bisogno di qualunque cosa, perfavore, chiedete; sono alla casa accanto.-

-    Certo. E grazie.- lo salutò mia madre facendomi l’occhiolino. Arrossii leggermente. Poi, girandomi verso Thoas  per salutarlo notai che zoppicava. Una chiazza scura ricopriva i jeans vicino al  ginocchio. Lo riconobbi come sangue. Sentii l’impulso di informarmi e così lo raggiunsi sul percorso di pietra.

-    Thoas- sentendomi si voltò immediatamente

-    Si Rebecca.- sorrise solare.

-    Cosa ti sei fatto al ginocchio?- chiesi indicandogli la grande chiazza nero-rossastra. Thoas si sbirciò il punto interessato e il suo umore vacillò per qualche istante per poi riequilibrarsi.

-    Niente, non è niente. Sono caduto dalla bicicletta- non ero convinta. Se mai era caduto dentro una fossa, su un sasso o un chiodo bello grosso. Vedevo che cercava di mantenere l’aria serena,ma c’era dell’altro. Ne ero sicura. Del liquido rosso scuro scese sulle scarpe.

-    Quando te la sei fatta? Sanguina ancora.-

-    Deve essersi rotta la bendatura…ci vediamo a scuola ok?- disse dileguandosi dalla conversazione uscendo rapidamente dal cancello.

-    Ok…ciao.- che tipo strano. Giacchè ero di strada raccolsi l’ultimo bagaglio e tornai in casa.
Non so dirvi perché, ma una grande sicurezza mi invadeva nei riguardi di Thoas, sapevo di potermi fidare di lui. Ma cosa mi prendeva? Da quando ero così estroversa da concedere tanta fiducia ad uno sconosciuto?
Eppure è così. Quando aveva detto di venire da lui per qualunque problema ho capito che parlava sul serio, in piena sincerità ogni parola che diceva. Credo che nessuno possa comprendere fino in fondo questo stato d’animo.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Benifastu Torconto Nubifragio. ***


Benifastu Torconto Nubifragio.

La stanza era illuminata da una singola piccola lampada posta su un tavolino, ai lati opposti di esso due poltrone. Thoas ne occupava una, con lo sguardo rivolto in un punto indeterminato nell’oscurità della casa.

- Cosa vi preoccupa giovane Thoas?- disse una voce a eco dall’oscurità.

Thoas riemerse dai suoi pensieri accendendo un sorriso misto a sorpresa e gioia.
- Salve signor Nubifragio.- dette queste parole sulla poltrona opposta si materializzò, in un amalgamento di luci, un uomo dai tratti anziani ma ben tenuti, rivestito anche lui di cappotto, scarpe e un lungo cilindro tutto nero. Tra le mani  teneva un bastone da passeggio decorato con gemme e strane scritte, l’impugnatura ricurva color bianco latte. La sua persona emanava una fievole aura luminosa.

- Perdonatemi, sono in ritardo.- chiese Nubifragio facendo echeggiare la sua voce imponente.

- Al contrario, è in perfetto orario come al solito.-

- Immagino che ti sia divertito questa settimana. Ci sono state delle novità?-

- Uno si chiama Matteo, ha trentatre anni. Vive a Cagliari con i genitori Samanta e Roberto Dutto e il fratello Andrea. Sa suonare il pianoforte incredibilmente bene, sembra imitare i canti degli angeli. Fu costretto a farsi amputare la mano destra perché era andata in cancrena. Quando gliel’ho ridata non praticava il piano da cinque anni, ma appena ci ha provato è stato come se non avesse mai smesso.-

- E’meraviglioso.- sorrise fiero Nubifragio. A quel punto Thoas si incupì e un’espressione di tristezza apparve sul suo viso.

- E poi…?- disse l’uomo cercando di decifrare l’espressione del ragazzo. Thoas continuava a guardare l’oscurità.

- Ho incontrato un sessantenne di nome Stefano Goggi, vive in Toscana. Gli è morto il figlio e dal dolore è andato in shock, lo tengono in un reparto psichiatrico. Dopo giorni di visite è riuscito a prendere il coraggio di parlarmi: “Sento di potermi fidare di te.” mi ha detto, “Se ciò che dici è vero, se il tuo scopo è di completarmi, ti prego…ridammi mio figlio.”- Thoas rivolse il suo sguardo a Nubifragio che mostrava un’aria di comprensione.

Senza aggiungere altro Thoas perlustrò le tasche interne del suo cappotto e ne prelevò un barattolo dal coperchio dorato. Al suo interno piccole luci si muovevano senza mai fermarsi cambiando continuamente percorso.
Il ragazzo appoggiò il contenitore sul tavolino, Nubifragio prese l’oggetto e guardandolo sorrise di sollievo. Thoas invece rimaneva nel suo cupo umore.
L’uomo osservò il ragazzo con compassione:

- Giovane Thoas, ci sono Lucciole che non puoi recuperare. Non hai tanto potere, nessuno ne ha.- disse facendo risuonare la saggia voce. Passò qualche attimo di silenzio.

- Anche se il tuo dovere non prende giorni di ferie penso che tu debba rilassarti questa settimana. Sei un bravo ragazzo, te lo meriti.- Thoas scosse lentamente il capo.

- No, non ancora. Tra le tante cose su cui hai ragione, c’è il magnetismo tra me e le Lucciole.-

Nubifragio aggrottò le sopracciglia; - Ne ho trovata un’altra-.



*********
Angolino Autore.
Salve a tutti! So che dovrei aggiornare domani, ma per problemi logistici - non sarò a casa - mi sono ritrovato costretto ad aggiornare oggi. E la cosa che sembrerà tanto positiva, in realtà ha i suoi difetti: lo sapete vero che adesso dovrete attendere un giorno in più per il prossimo martedì? ^^

I commenti fanno sempre piacere, quindi ve ne sarei grato.
Alla prossima!

Thoas Pensiero.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rebecca Perliace - La figura. ***


Rebecca Perliace

La figura.

Mi trovavo in una foresta, i raggi del sole penetravano a fatica attraverso la folta chioma degli alberi. Camminavo per un sentiero fangoso che mi obbligava a destreggiarmi in manovre assurde per evitare il grosso del pantano. Istintivamente mi guardai intorno alla ricerca di un riferimento che potesse illuminarmi sul luogo in cui stavo. Voltandomi vidi un cancello sprangato, contornato da ruggine, mi portai davanti ad esso e ne scrutai oltre: un’enorme parco si estendeva per un lungo tratto per essere delimitato da una strada in discesa e alcune case. Non fu difficile riconoscerlo, ero stata molte volte al parco Fola insieme a mio padre. Quando ero piccola mi divertivo a fingere che dentro il boschetto ci fossero spiritelli o altre creature fatate. Rivederlo dopo così tanti anni mi confuse leggermente. Come ero arrivata fino ad Albinea? Mia madre non avrebbe sicuramente proposto un’idea che le avrebbe causato altro inutile dolore per la memoria di mio padre. Certamente non potevo essere venuta a piedi da sola fino a li, sarebbe stato da incosciente. Un suono di rami che si spezzano mi distolse dai miei pensieri, mi voltai di scatto: - Chi c’è?-
Nessuna risposta. Vidi un movimento sospetto dietro un albero, qualcosa o qualcuno stava scappando verso il profondo della foresta. In quel momento la Rebecca saggia e giudiziosa che conoscevo mi imponeva di varcare il cancello e andarmene immediatamente, invece mi misi all’inseguimento della strana figura. Saltai radici, centrai pozzanghere sporcandomi i jeans, ma non interruppi la corsa. Il fuggitivo percorse una salita di asfalto e nella fretta caddi in avanti. Riuscii ad attutire la caduta con le mani per poi alzarmi e ripartire. Raggiunta la sommità della salita mi trovai in una zona anch’essa totalmente in asfalto.
Al centro di essa stava immobile la figura. Non riuscivo ad identificarne i tratti poiché era come immerso in un’irreale penombra personale. Passò qualche momento interminabile. Non parlava e rimaneva immobile nella sua posizione come una statua.

- Ciao- dissi con un filo di voce. Nessuna risposta.

- Scusa per la domanda indiscreta, ma perché sei scappato quando ti ho visto?- udii dei sussurri da ogni direzione, infine riuscii a distinguerne alcuni come “ pentimento “, “ delusione “ , ”paura del non vissuto ”.
Non capivo la connessione tra esse.

- Presto comprenderai il senso della Saudade e dei suoi benefici- disse una voce cavernosa proveniente dalla figura statuaria. Dalla paura mi pietrificai sul posto.

- Cosa scusa?- chiesi intimorita

- Capelli castani lunghezza spalle, occhi celesti, carnagione chiara. Sei Rebecca.- continuò lui

- Si, ma tu chi sei?- chiesi tremante

- Importa veramente? In breve puoi identificarmi come lo spirito della Saudade.-

- Cosa sarebbe questa Saudade?- il mio interlocutore si mosse  verso di me ad una velocità impressionante, in pochi secondi era riuscito a ridurre da trenta a circa cinque metri la distanza tra noi due.
Rimasi immobile attendendo che mi saltasse adosso, ma poco prima la figura arretrò bruscamente producendo versi stridenti. Sentii una presenza vicina a me, come un calore infinito e rinvigorente.

- Le presentazioni ad un’altra volta- disse Thoas accanto a me. Sentendolo mi voltai per guardarlo.
La sagoma che vidi era una figura luminescente astratta formata da migliaia di piccole luci che roteavano veloci intorno ad essa. La voce che avevo udito prima, ne avevo la certezza, era la voce di Thoas però non ci assomigliava per niente.

- C’è tempo, non ho fretta. Se tu dovessi fallire troverà me.- disse la figura oscura alzandosi parecchi metri da terra.

- Posso trattenerlo per poco tempo. Appena è il momento torna al cancello e varcalo.- sussurrò la voce di Thoas da un punto indeterminato. A quel punto la massa di luci vorticanti si scagliò contro la figura oscura che si dimenava per levarsele di dosso ed io, senza pensarci due volte cominciai a ripercorrere la strada da cui ero venuta. Sentivo le strida che si avvicinavano, il cancello era a meno di cento passi di distanza.
Mi concessi uno sguardo alle spalle: con la coda dell’occhio intravidi la figura oscura che mi raggiungeva in volo mentre sul suo cammino cancellava ogni cosa lasciando solo un manto nero pece. Restituii la mia attenzione al cancello, ma nella fretta scivolai sul pantano. Qualcuno mi aiutò a rialzarmi: Thoas afferrò il mio braccio e insieme percorremmo gli ultimi metri di distacco.

- Mi spieghi cosa succede?-

- Non adesso, prima devi svegliarti, qui non sei al sicuro.-

- Svegliarmi? Come fa ad essere un sogno?- eravamo davanti al cancello, in lui leggevo ansia. A     distanza la figura oscura si avvicinava minacciosa e lui mi tirava per il braccio,ma io rimasi ferma.

- Cosa stai aspettando, devi andare!-

- Se questo è veramente un sogno non ho nulla da temere. Le paure vanno affrontate non evitate.-

- Di norma sarei pienamente d’accordo, ma per questa volta credo che faremo un’eccezione.- e con una leggera pressione aprì il cancello e mi spinse oltre esso, poi sobbalzai sdraiata sul letto con ancora il fiatone della corsa.

Ero in pieno ritardo, dopo essermi fatta la doccia e cambiata corsi in cucina e ingurgitai un bicchiere di latte e un muffin. Dopo aver ricevuto un bacio sulla fronte e gli auguri di mia madre uscii come un fulmine da casa e mi diressi alla fermata del tram. La cosa negativa della strada da percorrere era che non c’erano marciapiedi, quindi si aveva una possibilità su due di venire investiti.

- Rebecca.-  mi chiamò Thoas poco più indietro. Rallentai per aspettarlo e quando mi raggiunse si illuminò in sorriso folgorante. Metteva il buon umore quella spensierata gioia che dimostrava.

- Pronta per il primo giorno di scuola?-

- Certo- dissi poco convinta. Mi guardò come per intuire le mie emozioni. Alla fine tirai un lungo sospiro e mi arresi:

- Va bene, sono terrorizzata.- rispose con una risata

- Non temere non mordono…non tutti almeno.- a quell’affermazione ridemmo entrambi.

- Spero che almeno tu abbia dormito bene, i banchi non sono adatti come cuscino.-

- Non ho dormito granchè questa notte.-

- Mi sembri molto stanca ineffetti. Come mai?-

- Incubi… in realtà uno solo…- Thoas guardava avanti pensieroso

- Sai, ho sentito dire che il modo migliore per scacciare i brutti pensieri è sfogarsi raccontandoli.-
Lo guardai con dubbio. Lui si voltò verso di me e mi sorrise di nuovo.

- Vuoi parlarne? Ti prometto che di qualunque cosa si tratti non farò commenti indesiderati.-
Ci riflettei un momento. Perché avrei dovuto raccontare del mio sogno proprio ad un ragazzo che conoscevo da un giorno? Eppure, non so perché ma mi fidavo. Oltretutto non era necessario informarlo di ogni cosa, soprattutto della sua apparizione nel mio sogno.

- D’accordo… ero al parco Fola, nel bosco e stavo camminando quando a un certo punto ho visto una strana figura che scappava sempre più al suo interno. Nel sogno la inseguivo fino ad una area asfaltata, mi ha parlato con quella voce cavernosa che mi mette i brividi tuttora.- tremai

- E poi cosa è successo?-

- Ha iniziato a parlare di una cosa chiamata Saudade…-

- Saudade dici? Il significato del termine non può essere espressa in una sola parola. Rappresenta pentimento, delusione. Hai mai letto “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi?-
Scossi il capo in segno di dissenso.

- Capperi.  Cercherò di prelevare solo il necessario. Pererira è un uomo portoghese anziano, malato di cuore, obeso e vedovo che dirige la pagina culturale del Lisboa il giornale per cui lavora; la storia si ambienta nel 1938 quando furono allestite le leggi razziali. Questo uomo aveva basato la sua vita sulla pagina culturale, sul non entrare in questioni politiche. Successivamente conosce due giovani che lo fanno riflettere. Ciò che temeva Pereira era di aver sprecato la parte più significativa della sua vita: la giovinezza.
Quindi delusione e pentimento, susseguiti poi dal timore di morire senza aver tentato di fare ciò che riteneva giusto, una morte “irrequieta”.-
Rimasi in silenzio fino alla fermata del tram per assimilare tutto ciò che avevo appena sentito.

- Quindi lo spirito della Saudade di cui parli potrebbe significare la vita sprecata, senza impegno.-
Lo interruppi all’istante al suono di quelle parole:

- Perdonami Thoas, ma…non credo di aver menzionato la parola spirito nella descrizione del mio sogno.- tenevo lo sguardo fisso su di lui e notai una leggera sorpresa sul suo volto.

- Si Rebecca…ho ripreso solo le tue parole. Hai detto spirito della Saudade…altrimenti come potrei saperlo? Il sogno non è il mio.- disse senza guardarmi negli occhi.

- Ho parlato di una strana figura, ma niente spiriti.- era agli sgoccioli e sembrava aver fretta di raggiungere la fermata del tram perché accelerò il passo. Non intendevo mollare, se esisteva un collegamento tra Thoas e il mio sogno volevo saperlo. Il pensiero era assolutamente folle e pensai più volte di tacere le domande, ma infine la curiosità prevalse.

- Thoas, so che per te sono solo un’estranea un po’ fuori di testa al momento, ma vorrei che rispondessi  sinceramente a una domanda.- raccolsi tutto il mio coraggio.

- Eri nel mio sogno la scorsa notte?- chiesi quando fummo alla fermata. Il suo sguardo era sempre rivolto in avanti: serio e pensieroso. Cominciavo a sentire caldo alle guance per l’imbarazzo sempre più imminente, quando arrivò l’autobus. Appena si aprirono le porte salii sopra sapendo che non poteva sfuggirmi da lì, ma lui aveva solo finto di salirvi sopra accostandosi ad esso e mi guardò negli occhi con gentilezza.

- Non sei pazza- mi disse un secondo prima che le porte si chiudessero tra di noi. Rimasi incredula appoggiata ad una sbarra dell’autobus mentre la sagoma di Thoas si allontanava sempre di più.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Rebecca Perliace - azioni avventate ***


Rebecca Perliace

Azioni avventate

L’autobus traballava ad ogni metro, l’odore di sudore aleggiava tra le sue file e io rimanevo pietrificata lì dove poco prima avevo parlato con Thoas.
“ Non sei pazza” con quelle semplici parole aveva risposto al mio grande dubbio: ciò a cui avevo assistito la notte scorsa non era soltanto un sogno, era molto di più, quasi reale.
Quindi ero davvero stata in pericolo come mi aveva detto Thoas nel mio sogno?
Se era vero, cosa avevo fatto per finire in mezzo a queste situazione alquanto assurda?
Tutte queste domande potevano trovare risposta solo da una persona, e quella persona mi aveva lasciata come un’idiota sull’autobus.
In quel momento sentii molta collera dentro di me e senza esitazione mi diressi verso il tramviere.

- Scusi, per favore, potrebbe accostare e aprire le porte? Ho sbagliato fermata.-
Grugnando qualcosa, l’uomo si fermò vicino a un marciapiede e mi lasciò scendere, poi con tutta l’energia in corpo cominciai a correre nella direzione di casa mia. Qualche istante dopo, riuscii a scorgere la fermata del tram dove poco prima c’era stato Thoas, ora invece senza nessuno.
Quando raggiunsi la casa di Thoas mi sentì quasi svenire per lo sforzo della corsa. Respirai a pieni polmoni e appoggiandomi al cancello scoprii che era aperto.
Potevo veramente varcare i confini determinati dalla proprietà privata? Ero disposta ad arrivare a tanto? Avevo già perso il tram per la scuola, era impossibile ormai rimediare. Ciò non significava che dovessi spingermi ancora più in basso. Chiamare mia madre e dirle ciò che avevo fatto, questa era la cosa giusta da fare. Eppure varcai il limite e attraversai rapida il giardino fino a giungere davanti alla porta di casa, anch’essa spalancata che cigolava mossa leggermente dal vento.
Mi sporsi per osservarne l’interno e bussai. Un ultimo senso di educazione  per dimostrarmi che non ero del tutto condannata alla prigione.
Dominava un’oscurità impressionante, ma di cosa potevo stupirmi dato che le finestre erano tutte chiuse?

- C’è nessuno? Thoas?- dissi avanzando di qualche passo fino a trovarmi in quello che immaginavo il salotto.

-Thoas, Thoas mi senti?-

- Credo che si stia nascondendo da lei Madam.- disse una voce a eco.
Poco dopo vidi una fievole luce contro il muro che prendeva sempre più rilievo: un signore anziano vestito di cappotto, scarpe e cilindro neri era appoggiato al muro e si sosteneva con un bastone di meravigliosa fattura. Era circondato da un bagliore che nonostante fosse fievole mi trasmetteva un grande senso di calore.

- Salve, ma voi chi siete?- il signore elegante si staccò dalla parete e mi porse un inchino togliendosi il cappello.

- Perdonate per la maleducazione Madam, il mio nome è Benifastu Torconto Nubifragio. Ma voi potete chiamarmi Ben- disse sorridendomi.
Non ci capivo più niente, chi era questo sconosciuto in casa di Thoas? Non osai domandarglielo, poiché ero anche io un’intrusa. Tanto valeva cercare di capirci qualcosa.

- Salve Ben. Scusami, perchè Thoas si sta nascondendo?- un altro sorriso illuminò il viso raggrinzito

- Perché crede di poterti proteggere maggiormente se tiene le distanze.-

- E… Da cosa dovrebbe proteggermi? La prego Ben mi spieghi cosa sta succedendo!-

- Non posso. Un discorso così interessante merita che gli sia dedicato un certo lasso di tempo e io non posso trattenermi troppo a lungo. Ma Thoas può spiegarti…- disse affievolendosi sempre di più e infine sparendo.
Rimasi così immobile a fissare il punto del muro appoggiato al quale, fino a qualche attimo prima, c’era stato un uomo.
Stavo forse diventando pazza?
Ero entrata senza permesso in una proprietà privata, avevo saltato il primo giorno di scuola e ora avevo delle visioni.
Sentii poi un rumore provenire dal piano di sopra; senza pensarci due volte salii le scale ritrovandomi in un corridoio con una porta a sinistra – la più vicina –, una porta centrale e un’altra nella parete opposta al cui fianco vi era una quarta porta.
Notai che quella centrale era accostata, poiché emise un leggero cigolio. Bussai, e lentamente la aprii.
La stanza era dominata dal disordine: circa un terzo dello spazio era occupato da un letto a castello. Dei due letti il più normale era quello sopra, al contrario quello sottostante era disfatto con paia di jeans e magliette amalgamate in una piccola montagnetta. Contro la parete adiacente era posizionato uno scaffale con quattro cassetti e sopra di esso un televisore con registratore, vecchio per la mia generazione.
L’aria puzzava di chiuso per colpa, probabilmente, delle finestre eternamente serrate. Mi avvicinai ad una di esse aprendo la vetrata e, con un cigolio, infine anche gli scuri.
La luce, pensavo, avrebbe reso la stanza più confortevole; al contrario sembrava ancor più disordinata in quanto il buio impediva la visione di tre grosse ragnatele agli angoli e dei libri accatastati uno sopra l’altro, posati senza riguardo su una scrivania verde chiaro. All’improvviso le ante del primo degli armadi affiancati alla porta si aprirono e Thoas precipitò fuori. In pochi istanti si rimise in piedi, scuotendosi un po’ ovunque il cappotto impolverato. Lo guardai sbalordita.

- Ciao Rebecca, come mai qui?- stavo per rispondergli per le rime a quella domanda insensata ma prima di ciò Thoas mi interruppe.

- Immagino che tu abbia altre cose da fare molto più interessanti che guardare il mio disordine quindi...- disse facendo un passo verso l’uscita. Gli impedii la fuga scattando verso la porta e chiudendola.

- No, al contrario sono curiosa. Perché ti stavi nascondendo? Cercavi di evitarmi dopo quello che mi hai detto neanche un quarto d’ora fa?- dissi in tono duro.
Il ragazzo abbassò il capo come segno di ammissione:

- In effetti, forse, avrei dovuto…- tutto in un colpo, come svegliatosi, rialzò la testa e alzò un sopracciglio.

- Aspetta un momento, questa è casa mia e sei tu l’intrusa. Io non devo proprio dire niente!-

- Spiegami la connessione tra te e il mio sogno, ho il diritto di sapere.-

- Forse c’è troppa polvere in questa camera, inizi a farneticare. Cosa c’entro io con il tuo sogno?-

- E’ quello che ti chiedo di spiegarmi!-

- Un sogno non è reale, io sono reale. Ciò dovrebbe bastarti. Probabilmente la nuova abitazione e tutto il resto ti avranno un po’ stressata.-
Volevo saltargli al collo e strozzarlo: in breve mi stava dando della pazza isterica.

- Adesso comunque non ho tempo devo… riordinare la stanza.- si arrampicava sugli specchi.

- Cos’è che non vuoi dirmi? Prima, alla domanda che ti ho fatto alla fermata, tu mi hai risposto che non sono pazza. Quindi un collegamento hai ammesso che esiste.- Thoas si strofinò agitatamente i capelli.

- Quale sarebbe la parte tanto complicata della faccenda? Tu eri nervosa e io ti ho risposto in modo da tranquillizzarti, niente di più!-

- Non sembrava solo questo. Tu credevi seriamente a ciò che dicevi. Come puoi dirmi questo adesso?-

- Devi andare a casa, tranquillizzarti e io devo assolutamente prendere le distanze da te per qualche giorno.-

- Ma se mi hai incontrata per la prima volta ieri!-
Si muoveva agitato per la stanza  senza una meta precisa.

- Poco fa ho incontrato un signore strano giù in sala, diceva di chiamarsi Benifragiu… O qualcosa del genere. Mi ha detto che avresti risposto alle mie domande.-
Thoas si era fermato non appena aveva udito quella formula bislacca del possibile nome. Passarono alcuni istanti interminabili, dopodiché scattò.

- Immaginiamo, per ipotesi, che io ritenga possibile ammettere reale una minima parte dell’affermazione che ho fatto prima… Saresti in grado, sempre per ipotesi, di mantenere un segreto?-
Lo guardavo perplessa.
Perché doveva per forza complicare le cose, solo per dirmi di non fare parola con nessuno di ciò che mi avrebbe svelato? Ma non commentai per evitare di metterlo ancora più in dubbio.

- Non dirò nulla a nessuno.- prima che potessi terminare la frase Thoas aprì la porta e, afferrandomi per un braccio, mi trascinò via con sé. Ripercorsi con lui le scale fino a ritornare nel soggiorno.

- La prossima volta prima di partire in quarta fai un fischio, ok?- gli dissi sarcastica.

- Ascolta Rebecca, ciò che ti dirò mi farà apparire pazzo, ma tu dovrai crederci.-

- Come faccio a sapere che mi dirai la verità?-

- Perché non ne ho altre da raccontare.- disse trattenendo una risata.
Non potendo fare altro feci cenno di sì e lo lasciai proseguire.

- E’ da parecchio tempo che mi preparo questo discorso, sai non ne ho fatto mai parola con nessun estraneo prima d’ora.- agitato contorse le mani -Dunque, quando avevo sette anni caddi in una buca fangosa giocando con un mio amico. Mentre lui andava a chiamare suo padre per tirarmi fuori, uno strano, basso uomo iniziò a parlarmi. Disse che era uno gnomo e che si chiamava Dolan, conosceva il mio nome. In quel nostro breve incontro mi avvertì che avrei dovuto vedere delle luci. Insomma, ero solo un bambino, non ci capivo assolutamente niente. Eppure, quando fui tirato fuori dalla fossa non riuscii a badare a niente intorno a me tranne che ad una signora su una panchina che tranquillamente si leggeva un libro. Sul suo petto splendeva una luce.- fece una pausa, probabilmente per darmi il tempo di assimilare un simile racconto.

-Iniziai da allora a vederne sempre di più e il mio istinto mi portava da loro, mi diceva di conoscerle meglio, e se non riuscivo da solo nell’intento erano loro a venire da me.-

- E questo cosa c’entra con me? Cosa c’entrano delle luci con il mio sogno?- dissi quell’ultima frase con poca convinzione.
Riflettei: avevo sognato Thoas o almeno qualcuno che aveva la sua voce. Quel vortice di migliaia di splendenti e piccole luci mi avevano salvato dalla figura oscura.

- Ci sto arrivando, non mi interrompere.- disse ciondolando le mani per aria -Quando sono venuto a casa tua, ieri, per darti il benvenuto, non sapevo neanche che foste qui, stavo tornando da… Un giro in bici. Sono queste luci che mi hanno attirato, una sola a dire il vero.- disse fissandomi serio.

- Cosa? Io? Perché?-

- Una domanda interessante. La stessa che mi pongo da… Dodici anni.- disse sarcastico. All’inizio pensai di rispondergli, ma mi resi conto che se ciò che diceva Thoas era vero, non doveva essere facile per lui conviverci.

- Quello che mi stupisce di te, rispetto a tutti gli altri, è che sei molto giovane.-

- In che senso?- chiesi preoccupata

- Più si è maturi di età, più il metodo per soddisfare il destino della lucciola è semplice da apprendere e parlo di un’età non al di sotto dei trent’anni, mentre tu ne hai solamente diciotto.-

- E come faccio a capire cosa mi aspetta?-

- Devi apprendere ciò che non sai, comprendere ciò che non capisci e vedere quello che ti è nascosto alla semplice vista.- riconobbi quella voce anche se l’avevo udita per una solo volta oltre quella nella mia vita. Dal centro della sala si mostrò luminescente il signor Nubifragio.

- Thoas, vedo che finalmente ti sei deciso a spiegarle la situazione. Direi che avete poco tempo ragazzi miei.- disse tirando fuori l’orologio da una tasca interna e aprendone il coperchio. Guardò qualche istante l’orologio e infine con un colpo secco chiuse nuovamente il coperchio rimettendolo infine nel taschino.

- Saranno qui fra breve. Devi portarla via Thoas, dal vecchio Ardol nel cimitero. Passando in mezzo a delle persone non interverranno.-

- E se ci manda i Fantokki?- Nubifragio corrugò la fronte e alzò un sopracciglio sorpreso.

- Ragazzo mio, da tutti questi anni di pratica speravo che avessi capito che sarà la prima mossa che eseguirà.- Thoas annuì pensoso.

- Ora basta smettetela! Non mi importa di luci o fantocosi, io non me ne vado senza dire niente a mia madre!- Thoas sorrise beffardo.

- Sei stata tu a chiedere chiarimenti, li avrai, dopo che sarai al sicuro.-

- Al sicuro da cosa?- Thoas mosse leggermente la mano in direzione della finestra che, come aperta da una forza invisibile, si spalanco assieme alle ante mostrando in lontananza nel panorama una piccola nuvola che sembrava muoversi a gran velocità verso casa. Pochi istanti e capii che non era affatto una nuvola, bensì uno stormo di uccelli neri. Forse corvi.

- Sono stati troppo veloci. Presto, non perdiamo altro tempo.- disse Thoas scattando verso la porta. Si fermò all’improvviso notando che non mi muovevo.

- Rebecca, prometto che ti spiegherò tutto, ma adesso fidati di me e andiamo.- disse avvicinandosi e prendendomi per il braccio.

- Ricorda hai promesso.- dissi infine seguendolo fuori dalla porta.

In pochi minuti avevamo raggiunto la fermata e per un soffio salimmo sul tram con ancora il fiatone.

- Appena arriviamo in centro dobbiamo subito prendere il quattro.- mi sussurò Thoas guardando fuori dal finestrino.

- Mentre andiamo potresti spiegarmi. Così potrei esserti più utile.- Thoas si girò verso di me con espressione seria.

- Per essere di utilità devi restare in vita e per restare in vita devi fare ciò che ti dico.-

- Un minimo dovrei sapere anch’io. Perché scappiamo? Per quegli uccelli? Cosa rappresentano? Ed io cosa rappresento per loro?-

- Non adesso. Ti ho promesso di spiegarti tutto, ma non adesso. Il tempo stringe.- detto questo chiuse gli occhi e abbassò leggermente il capo come per concentrarsi su un rumore, un suono che solo lui sentiva.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il cimitero ***


Il cimitero

Thoas fece un respiro profondo, poi cancellò dalla mente tutte le preoccupazioni, le indecisioni, rilassando la mente nel miglior modo che poteva in un tram. Il trambusto era sempre stato pesante, ma al ragazzo sembrava molto di più in quel momento. Aveva coinvolto Rebecca nel suo mondo proibito, decisamente anormale. Non aveva il coraggio di dirle che probabilmente sua madre sarebbe rimasta coinvolta e che la sua vita sarebbe cambiata in peggio. Si certo, un’esperienza del genere chiunque l’avrebbe considerata fantastica ed emozionante, ma l’idea era immediatamente abbandonata dal periodo in cui si svolge il tutto.
“Devo concentrarmi” si diceva Thoas, ma non era facile con tutta quella responsabilità che gli vorticava nella testa. All’improvviso intorno a lui percepiva solo luci, piccole e sfavillanti luci che volavano dentro il tram, solo che Thoas teneva gli occhi chiusi. Le persone erano rappresentate da sagome sulle quali le luci si posavano, chi di più, chi meno. Infine, lo vide, un bambino con la madre. Il piccolo era il piano d’appoggio di decine di luci, abbastanza da condurli direttamente dentro il cimitero. Thoas si concentrò sulle luci ed esse staccandosi dal bambino, avvolsero il giovane completamente che senza perder tempo afferrò il braccio della sagoma di Rebecca. Le luci aumentarono la luminosità fino a dominare tutto intorno ai due. Quando riaprì gli occhi si trovava in mezzo ad un verde prato pieno di lapidi.
Rebecca era al suo fianco, quando si rese conto del cambiamento di paesaggio si guardò attorno preoccupata e incredula.
- Che succede? Dove…come..?- tentò di domandare senza parole- Eravamo sul tram…invece adesso…-
Thoas la prese per le spalle e con delicatezza la scosse.
- Rebecca, calma. All’inizio può sorprendere, ma passa. Siamo al cimitero, abbiamo risparmiato tempo.- la ragazza guardò sospettosa l’orologio.
- Non è vero, sono le nove e cinque. Siamo saliti sul tram alle otto e un quarto. Quindi o mi spieghi che accade o non mi muovo da qua.- disse spazientita puntando i piedi nel terreno.
Thoas era impaziente, non c’era tempo di spiegarle tutto l’ambaradam degli avvenimenti che stavano per verificarsi.
- Il tempo è relativo.- disse il ragazzo voltandosi verso il  fulcro del cimitero
- Come sarebbe a dire? Cosa intendi con il tempo è relativo?- disse la ragazza non muovendosi di un passo.
- Qui sul mondo tutti vedono il tempo scorrere in maniera diversa. Chi si annoia crede passi più lentamente, viceversa il divertimento sembra finisca troppo presto. Io ho scambiato la mia visione con quella di un bambino euforico.-
- Ma è giusto?-  chiese dubbiosa la ragazza. Thoas sorrise.
- Ho fatto a quel bambino un favore, il suo divertimento, oltre a essere arrivato prima, durerà molto di più  prendendogli solo una mezz’oretta. Che per lui durerà circa il triplo percettibilmente parlando.- Rebecca lo guardava con stupore e allo stesso tempo affascinata.
- Perché mi guardi così?- chiese il ragazzo arrossendo sotto lo sguardo di Rebecca
- No niente, solo che…penso sia carino quello che hai fatto per quel bambino.-
- Chi meglio di noi può capire queste cose: sperare di restare in un momento speciale della nostra vita senza che passi mai?- disse sorridendo.
- Adesso cosa facciamo? Dobbiamo trovare il tuo amico…Ardol?- chiese Rebecca ricordandosene all’improvviso.
- Si esatto, e anche alla svelta, fra breve saranno qui.- disse ricominciando a camminare
- Parli sempre di quello stormo di uccellacci?- una risata di sarcasmo sfuggì al ragazzo per quella domanda.
- Quelli servono solo per individuarci, il vero pericolo sono i Fantokki.-
- I cosa?- chiese Rebecca tra le nuvole. Thoas spospirò.
- Capisco che ora tutto ciò sembra fuori dal tuo controllo e che ti sembra di impazzire, ma non temere…è assolutamente fuori dal tuo controllo non stai impazzendo.- disse sorridendo per il suo umor nero lasciando la ragazza senza parole.
- Andiamo. Ardol dovrebbe essere vicino adesso…- non fece in tempo a terminare la frase che un piccolo ometto  uscì da dietro una lapide urlando come un pazzo facendo balzare  sull’attenti Thoas.
- Che diamine!- disse il giovane mettendosi una mano sul cuore. Il piccoletto continuava a ridere e Rebecca tentava di trattenere le risate con scarso successo.
- In nome del cielo e di tutto ciò che è indiscreto a questo mondo ti prego di non rifarlo mai più!-
- Avresti dovuto fare l’assicurazione sulla vita, così almeno sarebbe meno facile farti venire un infarto.- disse il folletto continuando a deriderlo.
- Senti non abbiamo molto tempo. La mia amica Rebecca ed io dobbiamo nasconderci. Puoi farci sparire dalla loro visuale?-
- Quanta vuoi che ne abbiano? Il capo è uno spirito, i suoi servi sono dei tonti. Cosa succede Thoas? Ti sei fatto inseguire da uno stormo di Rapaluci?- Thoas si morse il labbro svelando allo sveglio ometto la verità.
- Oh per tutte i lumicosi di Gnuth, non vorrai dirmi che ti sei seriamente fatto inseguire da quelle bestiacce…fino a qui?- sussurrò incredulo il piccoletto
- Non è che ho molto con cui distrarli. Loro seguono le lucciole…e qui c’è una lucciola. Cosa pretendi?- l’ometto si mosse veloce e si arrampicò su di un albero spoglio. Si mise in posizione di avvistamento, o almeno così suppose Thoas poiché vide l’olivastra carnagione sbiancarsi per qualche istante. Quando tornò dai ragazzi era ancora più agitato.
- Che mi vai a combinare ragazzo? Uno stormo intero ti ha seguito fin qui!-
- Infatti abbiamo poco tempo prima che arrivino anche i Fantokki. Non credo sia necessario avere un colloquio con quelle marionette insensibili.-
- Seguitemi allora, presto.- strillò il piccoletto cominciando a correre tra le lapidi.
I ragazzi lo seguirono fino a giungere davanti ad un grosso tombino.
- E ora dove si va? Non è il momento di fare degli scherzi Ardol!- disse spazientito Thoas sentendo avvicinarsi il gracchiare dei rapaci.
- Quale scherzo, dovete andare per di qua.-
- Io non ci penso neanche.- informò Rebecca.
-Un conto è farsi un giro da Reggio a Coviolo, un altro è infilarsi in un puzzolente e stretto tombino.-
- Non è il momento di fare i permalosi.- la zittì Thoas fermando le lamentele sul nascere.
- Ardol, tu conosci la strada. Portala dai Querciarosa, loro sapranno proteggerla. Intanto cerco di distrarre i Fantokki il più possibile.- Ardol annuì con preoccupazione.
- Occhi aperti, non sappiamo fino a che punto sono capaci di arrivare quei mammalucchi.-


****************
Spazio dell'autore

Scusate per il ritardo impiegato per aggiornare la storia, ma ho avuto problemi con la storia e quindi vi informo che aggiornerò ogni Mercoledì.
Un solo giorno alla settimana è il prezzo da pagare a causa del mio scarso Pensare in queste due settimane.
Grazie per la pazienza e buona lettura.

Thoas Pensiero

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Rebecca Perliace - I Querciarosa ***


Rebecca Perliace
I Querciarosa

Feci saettare lo sguardo da Ardol a Thoas.
- Come sarebbe? Tu hai promesso di spiegarmi e ora cambi i programmi come se niente fosse. Hai appena detto che sono pericolosi quei cosi eppure ora credi di poterli tenere a bada.-
- L’unico modo per tenerti al sicuro è farti nascondere. Se trovano solo me non possono fare niente, ma se trovano te inventeranno una scusa e ti porteranno via per metterti immediatamente sotto anestetico e a quel punto niente impedirà al tuo amico spirito di eliminare un’altra lucciola.-
- Mi dici chi sono questi soggetti di cui avete tanto timore?-
- Sono…sono marionette che si nascondono tra le persone. Cercano quelli come te per consegnarli alla Saudade.-
- Ma se sono come noi  non c’è nessuno che li ferma? Non so…la polizia?- Thoas chinò il capo come segno di rammarico. A quel punto capii e farlo mi lasciò senza parole.
- Sono…sono loro la polizia.- Thoas annuì alla mia affermazione con sdegno, qualcosa di lontano catturò la sua attenzione.
- Mi dispiace Rebecca. Dovevo spiegarti tutto lo so, ma senza di me sarà più facile. Troverai qualcuno che ti aiuti e poi non è detto che non ci rivedremo.-
- No, avevi…avevi promesso, avevi promesso di spiegarmi.- non poteva rimanere da solo contro soggetti così pericolosi.
- Rebecca non mi faranno niente, ma dovete andare e subito.- Ardol non aspettò di farselo ripetere e in un attimo spostò il coperchio del tombino e vi ci si infilò dentro. Porsi uno sguardo incerto a Thoas che mi rivolgeva uno dei suoi sorrisi luminosi.
- Fidati.- disse lui tentando di convincermi.
- Non sono tranquilla. Voglio un’assicurazione, sincera questa volta.- delle sirene si facevano sempre più vicine emettendo il loro suono stridulo. Nonostante fosse combattuto alla fine decise di accontentarmi.
- Ti raggiungerò dai Querciarosa, ci rivedremo li. Ora vai, vai!- e con quelle parole mi feci forza ed entrai nel tombino e Thoas me lo richiuse sopra la testa lasciandomi nel buio totale.

Thoas aveva appena rimesso il coperchio sul tombino che era già pentito delle illusioni fatte a Rebecca. Se i Fantokki che lo inseguivano non erano sotto la veste ufficiale avrebbero anche potuto aggredirlo e nessuno avrebbe saputo niente. Poi si ricordò del rumore delle sirene e si concesse un sospiro di sollievo. Proprio in quel momento dall’entrata del cimitero due uomini in uniforme si mossero sicuri verso Thoas: il primo era snello e alto con capelli unti schiacciati dal cappello dell’uniforme e la camicia sembrava poterlo contenere due volte; il secondo era tozzo e dalle fattezze muscolose, con la fronte piena di rughe, occhietti vispi e capelli di un biondo sporco come la barba e i baffi.
- Guarda Mario, il giovane Thoas che gira in un cimitero. Un ragazzo come te non dovrebbe essere in luoghi più allegri?- disse il primo Fantokkio che dei due sembrava essere il capo.
- Non sapevo fosse vietato venire in un cimitero agente Slash, inoltre se posso essere indiscreto credo che mi stiate pedinando.- i due agenti a quell’affermazione si mostrarono sinceramente presi in contro piede, non se lo aspettavano così diretto.
- Sei molto duro nelle tue affermazioni. Pensaci bene, perché dovremmo pedinarti?- chiese il capo
- Perché siete qui?- la domanda li mise ancora di più alle strette. Il poliziotto si guardò attorno e con soddisfazione constatò che nessun altro a parte loro tre erano in quella zona.
- Sai bene perché siamo qui. Ci giunge voce che passi troppo il tuo tempo con persone estranee che non ti conoscono. Le importuni, crei a loro disagi o problemi.-
- Qualcuno si è lamentato di me?- chiese sereno Thoas. I due poliziotti si rivolsero uno sguardo veloce.
- No. Ciò nonostante ti teniamo d’occhio.-
- Mi mettete sotto sorveglianza quindi? Secondo la legge il vostro metodo potrebbe dirsi inappropriato.-
- Capisco Thoas che non ti stiamo simpatici, ma capirai che vedere qualcuno interessarsi alla vita di completi estranei senza uno scopo è alquanto sospetto. Non vederla come un minaccia, ci assicuriamo solo che tutti stiano bene anche dopo la tua visita.- Thoas lo fulminò con lo sguardo
- Certo agenti capisco, quindi posso andare?- il poliziotto che fino a quel momento era stato silente stava per ribattere ma il capo lo fermò con un gesto, mentre nello stesso istante un corvo passava sulle loro teste gracchiando e si dirigeva verso una nuova meta. Slash lo guardò di sfuggita trattenendo un ghigno.
- Certamente, sei libero di andare.-
- Grazie, vi lascio ai vostri affari.- detto questo, Thoas si allontanò a passi veloci fino a sparire dalla loro visuale.
- Perché lo lasciamo andare? Il capo non sarebbe d’accordo.- chiese impassibile Mario.
 Slash roteò gli occhi:- Il capo ha detto anche che vuole la ragazza, ma qui non c’è. Se lo lasciamo andare ci porterà dritti da lei, capito?- sospirò Slash in segno di superiorità, mentre il suo compagno annuiva soddisfatto del piano.

Il cunicolo era proprio come si poteva dedurre dall’esterno: stretto e maleodorante. Nonostante ciò Ardol non mostrava problemi per quel tanfo di marciume. Inoltre la luminosità era rarefatta ed io non vedevo a  da un palmo del naso. Seguivo i passi della guida e con le mani mi assicuravo di non andare a sbattere contro qualcosa. Nell’oscurità finalmente vidi un bagliore che si intensificava passo dopo passo fino a rivelarsi una torcia appesa nella parete destra all’altezza di Ardol. Il piccoletto senza esitare prese la torcia e ricominciò a percorrere il sudicio passaggio. “ Spero che ne valga la pena” pensavo mentre le mie scarpe si inzaccheravano di fanghiglia. Camminavamo silenziosi nella penombra per un tempo considerevole. Alla fine mi scocciai.
- Ma esattamente dove siamo?- chiesi curiosa
- Siamo nelle fognature. Pensavo che la puzza lo rendesse ovvio.-
- Precisamente sotto l’ospedale.-
- Sotto l’ospedale? Scusa se te lo chiedo, ma come fate a non farvi scoprire? Voglio dire, ci saranno dei controlli, dei lavori di restauro. Come fanno a non accorgersi che passate per questa galleria?-
- Non galleria, gallerie.- precisò Ardol – qui sotto ce ne saranno almeno una decina che portano a Albinea e Canali, ancora di più per Reggio Emilia. Questa è la via più breve da quando è crollata l’area sinistra. Come dicevo prima non veniamo scoperti, ma le ristrutturazioni a volte causano pesanti crolli.-
- Da quanto i Fantokki controllano la legge di sopra, la maggior parte di noi si rifugia in questi cunicoli. Temo che però durerà ancora per poco, poiché il progresso degli umani non ha mai termine.-
- Cioè chiesi confusa?-
- Più progresso uguale meno spazio. Finiranno per occupare anche tutto il sottosuolo.-
- Non credo che dovresti vederlo come un blocco il progresso, dopotutto senza di esso non sareste riusciti a nascondervi qui sotto.-
- Infatti, senza non saremmo qui. Hai descritto una bella prospettiva. E ora conserva il fiato, ne avrai bisogno.- disse sbuffando. Ricominciò il silenzio. Non volevo innervosire Ardol, ma speravo di ottenere qualche informazione in più. Resistetti alla tentazione il più che potevo, ma alla fine prevalse.
- Ardol, scusa se te lo chiedo, ma tu in questa storia che ruolo hai?- chiesi cercando di non inciampare.
- Ruolo? Io non ho un ruolo, ne ho parecchi. Contrabbandiere, guida, qualche volta spia e oggi persino babysitter.- disse sdegnato il piccoletto.
- Ehi! Io ho diciotto anni. So cavarmela perfettamente da sola.- Ardol scoppiò in una risata di cuore.
- Certo, infatti sei con una persona che non hai mai visto prima d’ora, nelle fognature, perché un ragazzo conosciuto da appena un giorno te lo ha consigliato.- a quelle considerazioni non potei ribattere, perché era tutto vero, io avevo infranto molte leggi morali che avevo sempre rispettato. Persino a cinque anni, l’età dove i normali bambini sono scatenati e distruttivi, necessitavo di ordine per concentrarmi e rimanere tranquilla, e in una giornata avevo verificato l’imprevedibile.
- Non deve essere facile per te immagino.- disse Ardol senza voltarsi.
- In che senso?- chiesi riemergendo dai miei pensieri.
- Abbandonare i propri principi per ascoltare Thoas. Mi sono sempre chiesto cosa provate voi Lucciole quando…succede.-
Cosa intendeva con “quando succede”?.
- Puoi spiegarti meglio perfavore?-
- Quando hai parlato con Thoas, prima di venire qui, immagino tu non fossi del suo parere. Cosa ti ha fatto cambiare idea?- chiese continuando nel percorso fangoso. Ci riflettevo sopra, ma nulla di sensato era una scusa sufficientemente valida. Decisi quindi di confidarmi con Ardol.
- Se ti dico la verità prometti di non farne parola con nessuno?-
- More in bocca. Non ne farò parola a nessuno, lo giuro sulla Gualchia Quercia.- anche se non sapevo minimamente di cosa stesse parlando non indugiai.
- E’ difficile da spiegare…sapevo che avrei dovuto chiamare mia madre e informarla, ma…qualcosa mi diceva che Thoas sapeva cosa era meglio per me e così l’ho seguito, come una gradevole sensazione di calore che ti avvolge. Mi sentivo protetta. Un po’ strano, no?- arrossii a quelle parole così significative.
“Ti prego, ti prego fa che mantenga la promessa e non dica niente a nessuno.”
- Immagino di si. Dopotutto è normale sentirsi a proprio agio con Thoas, è un bravo ragazzo.-
- Si, è questa l’idea che dà.-
- Perché, tu come lo vedi?- chiese ancora
- Credo che sia troppo caricato ti doveri, se ciò che mi ha detto è vero. I suoi genitori non si chiedono perché sia così assente da casa?- non rispondeva e continuava a camminare - Cosa ne pensi Ardol?- ancora silenzio.
- Che c’è? Anche su questo argomento ho divieto di conoscenza?-
- No, ma vedi…è al quanto delicato. Non sono sicuro che Thoas approverebbe.-
- E se non dicessi nulla? Un segreto a testa.- Ardol si fermò con la torcia che sfrigolava. Mi guardò pensoso, infine sospirò:
- Potrebbe andare. Allora ascoltami bene, le Lucciole danno la possibilità a ogni persona di esprimere un desiderio quando viene raggiunta la maturità. Per impedire di mettere in pericolo la sua famiglia Thoas, a diciassette anni, ha chiesto aiuto alle Lucciole. Esse hanno cambiato la memoria dei suoi parenti e la loro stessa vita. Tutto ciò tornerà alla normalità quando la Saudade verrà fermata. Non abitano più assieme a lui da sei mesi. Per Thoas è stato un brutto colpo. All’inizio può sembrare facile, ma l’ansia che prova deve essere enorme.- disse ricominciando a camminare lasciandomi sbalordita mentre le scarpe affondavano nella fanghiglia. Non riuscivo ad immaginare un dolore così insopportabile.
- Ma ha sempre…quell’atteggiamento cordiale, solare.- dissi risvegliandomi dal colpo.
- Thoas dice sempre “ solo perché la tua giornata si rivela nuvolosa non devi far piovere anche in quella degli altri”.- disse sorridendo.
- Solo? Solo?! Aprite gli occhi una buona volta? Nessuna persona può tenere tutte queste emozioni dentro.-
- Cosa pretendi che faccia? Che si metta a piangere per le strade e a picchiare nonnette a causa della sua “rabbia repressa”? Lui sa che cosa deve fare e ciò che fa è giusto per tutti quelli che lo circondano.-
- Capisco, ma nessuno si è mai chiesto tra voi se stesse bene. Non si confida con nessuno per sfogarsi.-
- No, e se non lo fa è perché non vuole farlo.- stavo per ribattere, ma un bagliore in fondo alla via puzzolente mi distolse da ogni pensiero. Quando fummo ad un'altra uscita stretta notai che era sotto qualcosa somigliante a uno spalto arrugginito. Uscii fuori dal buco e strisciando sull’erba mi ritrovai nel bel mezzo di un bosco con una strada asfaltata: il Parco Fola. Ardol uscì poco dopo di me senza la torcia che sicuramente aveva lasciato nel tombino.
- E ora che si fa?- chiesi impaziente. Il piccoletto mi guardò con espressione seria.
- Voi giovani d’oggi siete troppo impazienti e smemorati. Cosa avete per la testa?-
- Una vita serena e tranquilla, per me.- risposi sovrappensiero.
- Dobbiamo andare dai Querciarosa. Loro potranno proteggerti il tempo sufficiente per far si che tu impari a cavartela da sola.- disse in tono scocciato Ardol quasi parlasse con un bambino ignorante.
- E se non l’avessi intuito, quella di prima era una domanda retorica.- disse dirigendosi verso un grosso albero. Lo seguii immediatamente per il timore di essere lasciata indietro.
- Scusami se disturbo il tuo sonnellino, potresti farci passare?- chiese il follettò accarezzando il tronco.
- Cosa stai facendo? E’ solo un albero.- dissi sperando che non fosse impazzito.
- Per essere precisi, sono una quercia. Forse la più umile, ma son pur sempre una quercia.- non mi sarei sorpresa a sentire delle voci – credevo seriamente ormai di immaginarmi tutto - se non avessi visto comparire un volto sull’albero e parlarmi.
- I quercia rosa sono disponibili adesso?- chiese impaziente Ardol.
- Hanno sempre da fare. Ma trovano sempre tempo per motivi importanti.-
- Possono riceverci?-
- Avete un motivo importante?-
- Non vengo mai a trovarli, ci sarà una ragione per la quale sono qui, no?-
- Io non posso sapere i tuoi motivi, non leggo nel pensiero.-
- Senti testa di tubero, a meno che non vuoi vedere l’ultima zona verde di questo posto abbattuta e usata per fare soprammobili, ti consiglio di farci passare.- disse Ardol secco
- Una Quercia! Sono una quercia!- sbraitò mentre dietro di se gli alberi si posizionavano a fare un passaggio.
- Vieni svelta.- disse trascinandomi con se verso l’ignoto.
Percorremmo quel sentiero fino a giungere in un luogo che aveva dell’incredibile. Tre enormi alberi disposti a triangolo erano circondati da uno spesso manto rosato.
- Benvenuto Ardol, rasserenati poiché qui nessuno può turbare la quiete.- disse una voce melodiosa.
Ardol si inginocchiò all’improvviso, mentre una creatura dai tratti umani si avvicinava. Le braccia, le gambe, tutta l’anatomia era un groviglio di rami, mentre a sostituirne i capelli aveva enormi petali di rose. Il volto era formato da due fessure per gli occhi e una più grande per la bocca che sembrava sorridermi.
Si fermò a meno di due passi da noi e si inchinò leggermente.
- Benvenuti dai Querciarosa.- disse rivolgendoci uno sguardo benevolo.- Il mio nome è Lindora.-
Rimasi ferma, credendo di sognare. Ardol mi colpì leggermente con il gomito facendomi segno di inchinarmi a mia volta. Con un po’ di esitazione eseguii il suggerimento.
Era tutto vero.
***********************
Per due giorni il computer è  andato in panne. Speravo si riassettasse prima.
Scusate anche questo ritardo. Cercherò di non sfidare oltre la vostra pazienza.

Thoas Pensiero

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=517632