Another Baby Is Dawning di Irina_89 (/viewuser.php?uid=32402)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Even A Mother Should Know ***
Capitolo 2: *** Follow The Clues ***
Capitolo 3: *** May I Have A Little Brother? ***
Capitolo 4: *** Under Pressure ***
Capitolo 5: *** What Should We Do? ***
Capitolo 6: *** Right Things To Do ***
Capitolo 7: *** What If I'm Not Ready? ***
Capitolo 8: *** Superwoman ***
Capitolo 1 *** Even A Mother Should Know ***
Another Baby Is Dawning
Another Baby Is Dawning
Even A Mother Should Know
“Siamo a casa!”
esclamò allegro un esile ragazzo, entrando nell’ingresso della casa.
“E siamo
affamati.” Aggiunse un altro dietro di lui. Era la sua copia esatta, se non
fosse stato per quei vestiti in cui navigava esageratamente dentro, quei capelli
rasta, quell’andamento svogliato…
“E avete
ospiti.” Avvisò il terzo, entrando.
“E non mi viene
più niente da dire…” ridacchiò il quarto ed ultimo.
La ragazza,
sdraiata sul divano, si mise seduta e guardò alle sue spalle.
“E guai a voi se
lasciate tutte le borse a giro nell’ingresso!” Li salutò come sempre, mentre gli
altri – tranne uno –, che avevano appena posato tutto immancabilmente
nell’ingresso, ripresero le borse e le misero in un angolino tutte vicine. “Come
è andata?” aggiunse.
“Siamo
sopravvissuti anche oggi.” Commentò quello con i rasta, l’unico che non aveva
prestato attenzione alla minaccia della ragazza riguardo alla borsa. Si avvicinò
a lei e le si sedette accanto. Presto anche gli altri li raggiunsero e si
accomodarono nel salotto. “Ma, sai,” continuò, passandole un braccio intorno
alle spalle ed avvicinandola a sé. “David Jost non è mai facile da sopportare.”
La ragazza si
sottrasse a lui e lo guardò truce. “Se non togli la borsa dall’ingresso, la
tolgo io e non la rivedrai più.” Sorrise superiore.
Il ragazzo
sbuffò, dandole una leggera spinta sulla spalla e si alzò. Prese la borsa e
tornò verso la ragazza, che gli dava le spalle. Noncurante, fece cadere la borsa
sopra le gambe di lei, che trasalì spaventata e si voltò di scatto, riducendo
gli occhi a due fessure.
“Tom, sai dove
te la infilo la borsa, ora?” ringhiò.
“No, fammi
capire.” La sfidò lui, sedendosi accanto alla ragazza.
“In cu-”
Tom la zittì,
non come avrebbero fatto tutti gli altri miseri mortali, ma come avrebbe fatto
un Sex Gott: posò le sue labbra su quelle di lei e le mordicchiò leggermente. Ma
lei si allontanò subito. Certo, aveva aspettato un momento simile per tutta una
giornata, visto che lui e suo fratello avevano dovuto uscire presto quella
mattina, e lei era rimasta sola a casa. Aveva chiesto qualche giorno di ferie
perché si sentiva stanca, ma aveva nascosto tutto agli altri, dicendo che erano
ferie che doveva obbligatoriamente prendere per legge. Le avevano creduto,
lamentandosi sul motivo per cui a loro queste non erano concesse.
“Non puoi
sperare che ogni volta tu l’abbia vinta facendo così!” L’accusò, rovesciando la
borsa sul pavimento con una spinta. A Tom questo suo gesto risultò totalmente
indifferente.
“Ma ci riesco,
no?” le sorrise soddisfatto.
Lei lo guardò
truce. Sì, ci riusciva. E anche troppo bene. Si morse un labbro per non far
trapelare un sorriso – doveva mantenere la sua posizione – e si alzò per posare
la borsa del rasta insieme a quelle degli altri, quindi tornò al suo posto.
“E tu, Inge?” si
informò il ragazzo dai corti capelli biondi, seduto sulla poltrona affianco a
lei. “Cosa hai fatto?”
La ragazza si
allontanò leggermente dal Tom che l’aveva avvolta in un abbraccio, stringendola
stretta a sé e si sistemò i suoi lunghi capelli rossi e mossi in una coda.
“Be’, ho avuto
anch’io le mie grane.” Sorrise dolcemente, per poi roteare gli occhi fino al
soffitto, alludendo al piano di sopra. Non era vero, si divertiva con Alex, ma
un’eccessiva esposizione all’energia di quel bambino rischiava di provocare seri
danni, come un’immensa stanchezza che si propagava dalla punta dei piedi a
quella dei capelli.
“Ah, già!” si
ricordò il rasta, dandosi una pacca sulla fronte. “Dove è la peste?”
“C’è ancora tua
madre di sopra. È con lei.” Fortunatamente. Da quando Simone era
arrivata, aveva cercato di stare tutto il tempo a lei concesso con quel
diavoletto. La faceva ritornare giovane, le aveva confessato una volta a pranzo.
E chi era Inge per impedirle di distruggersi psicofisicamente a rincorrere un
demonio di cinque anni per la casa per una giornata intera? Nessuno. E infatti
la lasciava divertire con suo nipote, ottenendo in cambio delle preziose ore di
riposo, motivo per cui, in fondo, rimaneva a casa. Chissà, forse Simone
sapeva ed era tornata da loro in anticipo di un paio di settimane
dall’usuale visita successiva apposta. Dopotutto, non si poteva nascondere
niente a Simone. In un modo o nell’altro, quella donna riusciva sempre a
sorprenderla. Inge non sapeva cosa le passasse per la testa, ma si rendeva conto
che ciò che Simone faceva, l’aiutava sempre. In un modo o nell’altro.
***
Tom portò lo
sguardo al soffitto e sorrise, ricordandosi il modo in cui sua madre era venuta
a sapere dell’esistenza di quel piccolo diavolo in casa loro.
Arrivò un giorno
di Febbraio per fare una sorpresa a tutti loro. Aveva già saputo della presenza
della rossa in casa loro – e soprattutto del suo carattere – ma non aveva la
minima idea che quella casa si fosse espansa ulteriormente. La sorpresa, quindi,
la ricevette lei. Quando aveva suonato, suo fratello era andato ad aprire
zampettando dalla cucina, senza sospettare la sua visita. Non appena se l’era
ritrovata davanti, il tipico sorriso di circostanza che mostrava ad ogni ospite
si volatilizzò all’istante, lasciando il posto ad una mandibola pericolosamente
tendente al terreno.
“Mamma!” aveva
esclamato tra la sorpresa e la paura, aprendole il grande cancello di ferro.
“Cosa ci fai tu qui?”
“Sono venuta a
trovarvi, no?” aveva risposto lei ovvia, entrando e posando un paio di borse che
portava con sé. “Ci siamo visti pochissimo in questi anni, presi come eravate
dai vostri impegni!” e lo aveva abbracciato, stritolandolo in una morsa materna.
“Mi concedete solo telefonate.” Si era rattristita, guardandolo puoi
languidamente negli occhi. Da qualcuno Bill doveva pur aver preso… “Ma sono
vostra madre, no? Avevo voglia di vedere sia tu, Bill, che Tom. E naturalmente
anche Inge!” Gli aveva infine sorriso solo come una madre sapeva fare.
Il ragazzo si
era trovato a boccheggiare. Non sapeva che dirle, non avevano mai affrontato
“l’argomento Alex” con lei. Certo, sapevano che sarebbe arrivato il momento, ma
non avevano mai pensato che quel momento sarebbe saltato fuori così
improvvisamente e senza preavviso! Piuttosto si aspettavano la visita di qualche
loro fan, che da qualche tempo a quella parte avevano iniziato a sospettare
della loro collocazione e si aggiravano nei paraggi sfacciatamente. Bill aveva,
quindi, tossito per evitare di far cadere un silenzio pericolosamente e
spaventosamente imbarazzante e lo aveva chiamato.
Tom aveva
risposto svogliato come al solito, ed aveva sceso le scale. Sopra c’era Inge che
stava cercando di far fare il bagno al bambino, e in quel preciso momento lo
stava sciacquando con addosso una avventata maglietta bianca ormai bagnata, che
lasciava generosamente vedere al ragazzo il piccolo ma ben apprezzato reggiseno.
Era sceso contro la propria volontà – spronato da Inge –, prendendo nota mentale
che si sarebbe rifatto alla prima occasione, ma non aveva avuto il tempo di
crogiolarsi in quelle fantasie che i suoi occhi si trovarono fissi in quelli
della madre, a pochi metri da lui. Il suo cervello era andato in black-out e
tutto ciò che riusciva a pensare era il guaio che lo avrebbe indubbiamente
aspettato di lì a pochi minuti. Tutto il resto del corpo non esisteva più. Era
totalmente paralizzato.
Una saccente
vocina – per niente richiesta – dentro di lui lo stava sfacciatamente accusando
di essere un cretino. Dopotutto come aveva fatto in tutto questo tempo – tre
miseri mesi – a non dire niente alla madre? E proprio quell’accusa ebbe la
forza di far ricollegare il suo cervello: il primo pensiero fu l’immagine di se
stesso che strozzava suo fratello per non aver mai la testa di guardare prima
dallo schermo del citofono.
Nemmeno gli
costasse chissà quale spreco di calorie!
“Mamma!” aveva
esclamato dopo quegli istanti di silenzio. Purtroppo, la sua voce non era
riuscita a nascondere il terrore che già si stava impadronendo di lui, a partire
dalla testa fino alle gambe leggermente tremanti.
“Tom, che
succede?” si era insospettita lei, avvicinandosi a lui. Lo aveva analizzato da
capo a piedi e, sempre più sospettosa, gli si era fermata davanti.
“N–niente,
mamma.” Aveva sorriso nervoso. “Cosa dovrebbe succedere?”
Lei lo aveva
fissato ancora un po’, per poi essere interrotta dal rumore di alcuni passi che
goffamente scendevano le scale.
“Alex, no!”
aveva urlato Inge dal piano di sopra, scendendo pure lei. “Aspetta! Ti devo
ancora asciugare i capelli!”
Ma fu
impossibile fermarlo. Il bambino, infatti, aveva barcollato verso il ragazzo,
per poi soffermarsi dietro ed iniziare ad osservare la donna dai corti capelli
biondi che era entrata in casa loro. Aveva piegato la testa leggermente di lato,
inconsapevole del silenzio e della tensione che aleggiava nell’aria. Inge era
arrivata caoticamente nell’ingresso, sistemandosi meglio la maglietta asciutta
che aveva indossato, e si era immobilizzata a sua volta, trattenendo il fiato,
proprio come avevano già fatto loro due.
Il silenzio si
era fatto assordante.
Se Tom avesse
voluto piangere, quello sarebbe stato il momento giusto.
“Chi è lei?”
aveva, poi, chiesto Alex, tirando la lunga maglia di Tom per un lembo. La sua
voce era innocente e ovviamente inconscia del fatto che aveva appena acceso la
miccia di una bomba.
La donna gli si
era avvicinata, sgranando spaventosamente gli occhi ad ogni passo che
l’avvicinava al bambino. Aveva iniziato a balbettare parole incoerenti, che
avevano fatto capire a tutti i presenti che per nessun motivo avrebbe potuto non
riconoscere quei lineamenti. Si era poi inginocchiata davanti ad Alex, che
l’aveva guardata leggermente intimorito, nascondendosi dietro le gambe di Tom.
Poi aveva alzato gli occhi sul figlio che aveva vicino.
“Cosa vuol
dire?” aveva sussurrato in stato apatico.
Inge si era
seduta sugli ultimi scalini e si era iniziata a dare dell’idiota sommessamente
per aver permesso ad Alex di scappare al piano di sotto, coprendosi il viso con
le mani. Bill non aveva osato muoversi, osservando la scena con le gambe
tremanti. Tom aveva guardato sua madre negli occhi con tutta l’aria di voler
cambiare discorso al più presto, un sorriso tirato dei peggiori. La donna aveva,
poi, rivolto lo sguardo a Bill, che le aveva mostrato la stessa espressione del
fratello. Si era, quindi, alzata e con passo incerto si era diretta sul divano,
sprofondandoci dentro quasi fosse come privata di tutte le sue forze. Bill le
era corso dietro, impaurito per la sua reazione e Tom era rimasto nell’ingresso,
mentre Alex lo tirava per la maglia per avere una risposta.
Solo in quel
momento si era deciso a rispondere. E non solo ad Alex. Aveva preso il bambino
in braccio e si era avvicinato alla madre a passi decisi.
“Alex,” aveva
sorriso guardandolo, posizionandosi davanti alla madre. “Questa è la nonna.” E
gli aveva indicato Simone.
Il bambino aveva
sorriso. Non aveva mai avuto una nonna e per lui, evidentemente, quella era
stata senza dubbio una bella novità. La donna, invece, era rimasta apatica per
qualche istante prima di comprendere pienamente le parole del figlio. Infine,
però, si era alzata e aveva guardato il nipote. Tom non era riuscito subito a
decifrare il suo sguardo, sembrava, infatti, inespressivo.
E poi era
successo: Alex aveva allungato le piccole braccia verso di lei e si era
divincolato dalle braccia del padre per abbracciare la nonna. Il viso di Simone
si era illuminato e i suoi occhi erano tornati quelli di sempre, seppur con un
velo di tristezza negli occhi. Ma a guardarla meglio, Tom aveva capito che non
era tristezza, bensì dolcezza. Una rassicurante dolcezza.
Aveva preso Alex
in braccio e l’aveva stretto forte a sé, sorridendo come se stesse riprovando le
stesse sensazioni di quando poteva prendere in braccio i due gemelli. Lo aveva
guardato con soffice e delicata tenerezza e lasciato un piccolo bacio sulla
fronte.
“Ciao, Alex.” Lo
aveva accarezzato. “Sai che sei bellissimo?”
Il bambino aveva
riso, e tutta la tensione si era magicamente dissolta.
Ora, Simone
faceva loro visita almeno una volta al mese per un fine settimana. Alloggiava
nella stanza di fronte a quella di Tom, un tempo di Inge, mentre lei veniva
gentilmente ospitata da Tom nella sua. Solo qualche volta erano loro ad
andare a trovarla, supplicando Jost di concedere loro qualche week-end di
riposo.
“Vado a fare un
salto di sopra.” Annunciò Tom, alzandosi e dirigendosi verso le scale. “Potrebbe
essere svenuta a causa dell’iperattività di quel diavolo.” Aveva voglia di stare
un po’ con la madre, anche se avrebbe detto cazzate su cazzate prima di
confessarlo apertamente.
“Aspetta, vengo
pure io.” Disse Bill, inseguendo il fratello.
Gli altri tre
osservarono i due ragazzi salire le scale e sparire al piano superiore.
***
“Ehi,” mormorò
Gustav poco dopo, posando una grande mano sul braccio della ragazza. “Come
stai?” chiese preoccupato.
Inge lo guardò
confusa.
“Non capisco,”
gli rispose sospettosa. “Perché me lo chiedi? Sto bene.” E gli sorrise.
Purtroppo Gustav sapeva distinguere i suoi sorrisi. E quello era un sorriso di
cortesia che lasciava trapelare delle parole precise: “Non chiedermi altro”.
Il ragazzo la
guardò con uno sguardo eloquente senza dire più niente. Inge lo odiò per questa
sua capacità di capire gli altri. Con lui non riusciva mai a nascondere niente.
Non gli aveva mai detto niente riguardo i propri problemi – lei si teneva sempre
tutto dentro, raramente si apriva con qualcuno - tuttavia Gustav sembrava ancora
una volta aver capito.
“Allora?”
insistette il ragazzo.
Inge sospirò.
“Tranquillo. Sto bene.” Ripeté lei, portando i piedi sul divano e stendendosi
contro il bracciolo, le mani sulla pancia e gli occhi imploranti di chiudere la
conversazione.
“Sai,”
intervenne Georg, che era rimasto ad osservare il breve e silenzioso dialogo tra
di loro. “Penso di aver capito pure io.”
La ragazza,
subito si girò verso di lui, sgranando gli occhi.
C’è ancora
qualcuno che non ne sia al corrente?
Si domandò sarcastica. Possibile che contrariamente a tutto ciò che faceva,
riusciva solo ad ottenere il contrario? Sbuffò, afferrando un cuscino e
stringendoselo al petto.
“Siete
insopportabili quando fate così.” Borbottò. “Troppo saccenti per i miei gusti.”
I due
ridacchiarono e Georg, scivolando sul divano affianco a lei, spostandole i piedi
nudi per farsi spazio, le diede un pizzicotto sul braccio e sorrise
rassicurante.
“Tranquilla, non
diremo niente.”
Lei li guardò
minacciosa: “Sarà meglio per voi.”
Poi Gustav
sospirò, sempre con il suo gentile sorriso sulle labbra.
“Ci spieghi,
però, perché lo vuoi nascondere?” si appoggiò allo schienale e aspettò che Inge
smettesse di mordersi il labbro.
“Perché,” iniziò
titubante. “Ci sono… Complicazioni.”
Georg e Gustav
la guardarono perplessi.
“Vuoi forse…?”
mormorò Gustav, con una vena di timore nella voce.
“Inge!” la
ragazza trasalì, sentendo la voce di Tom che la chiamava dalla cima delle scale.
“Mia madre ti vuole parlare. Vieni?”
“Eh?” rispose
lei, prima che il cervello le metabolizzasse le parole di Tom. “Oh, sì…” e si
alzò, leggermente instabile, buttando il cuscino addosso a Gustav che si era
accorto dei suoi movimenti incerti e stava per aiutarla. Lo fissò per un
nanosecondo, rendendo esplicita la minaccia: guai a te! Camminò
velocemente verso Tom, che intanto stava scendendo, sempre seguito da Bill, e
salì le scale. Raggiunse la stanza di Alex ed entrò, trovando la donna seduta
sul letto del bambino che lo guardava dormire.
“Simone,”
sussurrò Inge. “Che c’è?” camminò verso il letto di Alex e fece per sedersi, ma
la donna la fermò e l’accompagnò nella propria camera, passandole un braccio
intorno alla vita per sostenerla. “Ehi!” si lamentò la rossa. “Che fai?”
Simone sorrise e
non la considerò.
“Guarda che sto
bene! Non sono moribonda!” e si tolse il braccio della donna dal fianco.
“Quanto sei
testarda.” Sospirò lei. “Volevo solo aiutarti.”
“A fare cosa,
scusa?” ribatté Inge. “Guarda,” e si indicò le gambe. “Le vedi? Penso servano
per camminare, sai?”
Simone sospirò
ancora. “Sì, sì. Proprio testarda.” Poi sorrise. “Sei uguale a Tom, sai?”
Questa volta fu
il turno di Inge per sospirare: non le piaceva ricevere così tante attenzioni.
Non era mica invalida! Anche se quel periodo era un periodo decisamente
particolare, non voleva dire che lei dovesse smettere ogni sua facoltà motoria.
Non c’era mica bisogno che tutti le stessero col fiato sul collo. Sapeva da sola
quando era stanca e sapeva da sola quando invece aveva la forza sufficiente per
fare ciò che voleva.
Entrarono
nell’altra stanza e si sedettero sul letto. Inge prese il cuscino e lo mise
contro la spalliera per appoggiarcisi sopra.
“Ecco, lo vedi?”
fece Simone.
“Cosa?” rispose
brusca lei. Non era sua intenzione rivolgersi a Simone con quel tono, ma non
sopportava che lei la trattasse così.
“Hai bisogno di
riposarti.”
“No, ho solo
bisogno di stendermi.” Replicò la rossa.
“E non è la
stessa cosa?” alzò un sopracciglio la donna.
“No.” rispose
decisa Inge. “Non è la stessa cosa.”
“Inge,” roteò
gli occhi. “Perché non metti da parte la tua testardaggine e lasci che ti si
aiuti?” il suo tono era leggermente più irritato.
“Perché non ne
ho bisogno!” insistette lei, muovendo le mani scocciata.
“Scommetto che
non l’hai ancora detto a nessuno.” Disse improvvisamente, senza, però, cambiare
il contesto del discorso.
“E allora?” si
stava arrabbiando. Le faceva sempre questo effetto stare con Simone a parlare di
queste cose. Anche due settimane fa, quando venne per stare un po’ con Alex, le
fece una paternale del genere ed Inge si dovette controllare per evitare di
tirarle qualcosa addosso. Non che fosse insopportabile, anzi! Simone era una
delle persone più belle al mondo. Disponibile, sempre carina… Insomma, era
fantastica, ma quando entrava in questo argomento – e il più delle volte anche
senza entrarci, bastavano i suoi occhi saccenti ed eloquenti in un qualunque
momento della giornata – la ragazza si sentiva messa alle strette, come se non
avesse altra scelta che fare come voleva lei.
Purtroppo Simone
non sapeva che in quella casa c’erano già abbastanza problemi: poco meno di un
mese fa, un giornalista che si era appostato presso la casa dei gemelli, aveva
scattato delle foto di Alex che giocava nel giardino della casa. Quando David lo
venne a sapere, fu terribile. Iniziarono a girare voci su un figlio di uno dei
due Kaulitz – cosa nemmeno sbagliata – ma sollevarono un tale polverone che per
qualche i ragazzi, Alex e Inge compresi, furono costretti a rimanere in casa. Ed
ancora oggi qualche giornalista che li intervistava chiedeva di quel bambino che
correva nel giardino con la palla in mano.
Poi era successo
che Bill si lasciò sfuggire un particolare su un ospite che viveva a casa loro,
e subito quelle sanguisughe di giornalisti collegarono l’ospite al bambino.
Insomma, quelli erano problemi! Non il suo!
Simone sorrise
dolcemente. Si avvicinò e le diede un piccolo bacio sulla fronte.
“Se avrai
bisogno, sai dove trovarmi.” Ed uscì dalla camera.
Inge la seguì
con lo sguardo, sentendosi in colpa per come l’aveva trattata. In fondo era
vero: lei voleva solo aiutarla. Ma Inge non voleva essere aiutata. Il motivo era
semplice: come aveva già detto, non ce n’era bisogno. Si strinse le mani sulla
pancia e abbassò lo sguardo colpevole. Alla fine, però, avrebbe davvero voluto
parlare di questa faccenda con qualcuno. Ma se poi fosse sfuggito qualche
particolare di troppo, bè… No, sarebbe stato meglio aspettare. Certo, ma quanto?
Il tempo non era un fidato amico.
***
“Inge?” chiese
Tom alla madre, vedendola scendere da sola.
“È in camera
mia. Era un po’ stanca.” Spiegò, sedendosi sul divano. Poi, sempre rivolta al
figlio aggiunse: “Perché non vai da lei?”
Il ragazzo
accettò il consiglio e salì le scale. Era qualche giorno – forse addirittura
settimane – che Inge era strana. Non eccessivamente, ma delle volte i suoi
comportamenti erano troppo calmi e cauti rispetto all’Inge ribelle che tutti
avevano imparato a conoscere. Bussò alla porta e l’aprì, facendo capolino nella
stanza. Inge era sdraiata contro la spalliera del letto e lo guardò. Lui quindi
le sorrise, ma notò che i propri occhi, più che sorridenti, si mostrarono
preoccupati.
“Ehi, posso
entrare?”
Inge annuì.
Lui entrò e
chiuse la porta alle sue spalle.
“Perché sei
qui?” gli chiese la ragazza, sedendosi sul letto.
“Se vuoi me ne
vado.” Rispose lui, fingendosi offeso.
“No, tranquillo,
rimani pure.” Fece lei.
Una reazione che
Tom non comprese. Di solito quando lui si mostrava in vena di battute lei non si
lasciava sfuggire l’occasione di stuzzicarlo. Questa volta, invece, non aveva
fatto niente. Anzi, aveva chiesto che restasse. Si sarebbe aspettato, invece,
una risposta del tipo: “e allora vattene, mica ti ho chiesto io di entrare!” E
lui avrebbe ribattuto: “Bene, allora se ti do fastidio, penso proprio che
rimarrò.”
Insomma, c’era
qualcosa che non andava.
“Ehi,” la
chiamò, vedendo che Inge aveva abbassato lo sguardo. “Cosa ti prende?” E si
sedette sul letto vicino a lei.
“È tua madre.”
Confessò la ragazza.
Lui sospirò. “Lo
so, delle volte è insopportabile, è appiccicosa, è fastidiosa, è -”
“No.” Lo fermò,
guardandolo negli occhi. “Non è quello che voglio dire.”
“E allora?” si
informò lui. “Cosa ti ha fatto?”
Inge sembrò
pensarci un po’ prima di rispondere, ma la risposta non fu quella che Tom si
sarebbe aspettato. Ancora.
“No, niente.” E
abbassò lo sguardo sul letto.
“Niente?”
alzò lui un sopracciglio scettico. “Ogni volta che dici che non è niente, è
sempre qualcosa.” La canzonò.
Lei sbuffò e lo
guardò truce, mentre lui le rispondeva con uno sguardo malizioso.
“Ah,” sorrise
scaltro. “Ora ho capito cosa volevi dire.”
Inge lo guardò
per sapere cosa avesse capito e lui mosse il suo piercing con la lingua,
avvicinandosi alla ragazza.
“Volevi dire che
da quando c’è mia madre non hai il coraggio di creare momenti intimi
ovunque come prima, eh?” le prese le spalle e la spinse delicatamente con la
schiena sul materasso.
Inge parve
sollevata da quella risposta e ribatté con il suo solito tono beffardo.
“O forse sei tu
che non ci riesci?” lo sfidò lei, sorridendo come il ragazzo.
“Credi davvero
che io possa imbarazzarmi per certe cose?”
Lei annuì
convinta.
Lui schioccò la
lingua. “Allora vuol dire che non mi conosci.”
“E ora?”
insistette Inge, fingendosi preoccupata.
“Bè,” sogghignò
lui. “Ora ti faccio vedere cosa sono capace di fare, visto che non mi conosci.”
E si tolse la maglietta, per poi chinarsi sopra di lei. Le tolse dei ciuffi
rossi dal viso con una mano e posò le proprie labbra sulle sue. Sembrò quasi che
per un attimo Inge stesse facendo resistenza, ma Tom non ebbe nemmeno il tempo
di pensare concretamente a quell’idea, che lei gli strinse le braccia intorno al
collo e prese l’iniziativa.
Lo baciò con
passione, per poi scendere sul collo. Lui, intanto, portava una mano sotto
l’enorme maglietta – tra l’altro sua – che Inge indossava e prese ad
accarezzarle il ventre. La ragazza ebbe un sussultò a quel tocco, ma presto si
rilassò, continuando a baciarlo, togliendogli l’elastico che teneva i rasta in
una coda.
“Ehi,” sussurrò
con voce calda il ragazzo, abbassando la testa per poterla baciare sul collo, la
mano sempre sul ventre. “Non sarai mica ingrassata.” E ridacchiò, per poi
portare la mano verso il seno.
Inge sembrò
trattenere il fiato per un istante, ma quando sentì la ristata del ragazzo sul
proprio petto, si calmò. Era tanto che loro due non si concedevano un momento di
così profonda intimità, per questo ora, niente e nessuno li avrebbe potuto
dividere.
Ovviamente,
furono le ultime parole famose: la porta cigolò e la persona meno adatta ad
osservare quella scena si presentò davanti a loro, assonnato.
“Alex!” urlò
Inge, spaventata. Diede un colpo a Tom, che rischiò di cadere dal letto e si
allontanò da lui.
“Alex!” ripeté
Tom. “Ma non stavi dormendo?”
“Mi sono
svegliato.” Biascicò il bambino. “Ho fatto un brutto sogno.” E allungò le
braccia per essere preso in braccio.
Tom lo
accontentò e lo mise seduto sulle proprie gambe.
“Allora che si
fa, ora?” gli chiese. “Vuoi venire giù a salutare gli altri?”
Alex annuì,
sbadigliando. Tom scese dal letto con Alex in braccio e si diresse verso le
scale, seguito da Inge.
Era strano. Non
si sarebbe mai aspettato che la sua vita da padre potesse essere così. Certo,
non si era nemmeno mai immaginato la sua vita da padre, ma se mai
l’avesse fatto, di certo si sarebbe aspettato di avere come minimo quarant’anni.
Ma poco importava, ormai. Nonostante la convivenza con suo figlio fosse iniziata
praticamente nel peggiore dei modi, ora tutto si era risolto. E anche bene.
L’unica inconvenienza erano i giornalisti, che ancora giravano intorno alla
casa. Ma prima o poi tutto questo sarebbe stato di pubblico dominio. Purtroppo.
______________________________
Bu! Sorprese,
vero? Ebbene, sì, sono tornata! :)
Momentaneamente
sto scrivendo insieme a Kit2007 anche "Making The Video", quindi questa storia
sarà molto lenta come aggiornamenti, ma qualcosa ho già scritto e quindi pronto
per la pubblicazione. Insomma, che dire? Questo è il seguito di "Just A Kid",
che a sua volta è il seguito di "Sopravvivere", e sebbene quest'ultima non sia
proprio fondamentale per capire le due storie successive, "Just A Kid", invece,
è abbastanza fondamentale, perché sarà proprio da lì che riprende la narrazione.
Be', spero che vi
piaccia. Il tema di cui tratterà questa nuova FF è abbastanza noto, visto come
si era conclusa quella precedente... Ma chissà cosa succederà! :)
Via, e ora vado a
mangiare, visto che la fame si fa sentire!
Al prossimo
aggiornamento!
Ps: il titolo
sarebbe preso da "Cats", con il verso di una delle canzoni più belle e famose: "Another
day is dawning", e in questo caso opportunamente modificato! :D
Ah, ovviamente:
i Tokio Hotel non
mi appartengono e con questo mio scritto non voglio dare rappresentazione
veritiera della loro personalità. No scopo di lucro. u.u
Irina
|
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Capitolo 2 *** Follow The Clues ***
Follow The Clues
Follow The
Clues
“Ragazzi!”
esclamò Bill, zampettando verso il frigorifero per prendere la bottiglia di
spumante che aveva portato Jost. “Dobbiamo festeggiare!”
“Prendi anche i
bicchieri, Bill!” gli disse suo fratello.
“Per tua
sfortuna ho solo due braccia, ne avessi anche solo quattro, però, sappi che
invece di prendere i bicchieri le userei per prenderti a schiaffi!”
“Uhm, credevo
che le donne in casa fossero mamma e Inge…” ridacchiò, dondolandosi sulla sedia.
“Tranquilli, li
prendo io.” Si offrì Inge, alzandosi dalla sedia a capotavola.
“No, aspetta,”
la bloccò per un braccio Simone. “Faccio io.”
“Mamma, tu sei
un’ospite, smettila di fare la padrona di casa!” le ordinò Bill, posando la
bottiglia su tavolo.
“Già, anche
perché fai fare brutta figura alle buone maniere che loro non hanno.” Li schernì
la ragazza.
“Sempre gentile,
eh?” la rimbeccò Tom, sporgendosi verso di lei.
Lei sorrise e si
alzò ugualmente per aiutare Simone a portare in tavola i sette bicchieri. Quella
sera a cena era rimasto anche David, perché aveva annunciato a tutti la critica
positiva che la rivista tedesca per eccellenza aveva pubblicato su di loro e il
loro nuovo video. Avevano mangiato come al solito delle pizze ordinate un’ora
prima e si erano dati all’alcool. Tutti tranne Inge, che diceva di avere mal di
pancia per le sue cose. Bill avrebbe giurato che quelle esatte sue cose
fossero già arrivate e andate via quel mese, ma non volle indagare.
“Forza, un
brindisi!” Georg prese la bottiglia e la stappò, facendo finire il tappo sul
soffitto con un rumore secco. Alex saltò dalla paura e tutti i presenti non
poterono che ridere per quella scena. Dovettero però smettere all’istante,
perché più cresceva, più Alex sembrava farsi permaloso, e non amava che
ridessero di lui. Più volte Tom gli aveva dato la colpa, dicendo che lo stava
influenzando con i suoi assurdi difetti, e Bill aveva reagito esattamente come
da copione: si era immusonito.
“Inge, allunga
il bicchiere, non ci arrivo.” Le disse Georg. La ragazza fece per afferrare il
bicchiere, ma si bloccò. Il ragazzo vide fin troppo bene lo sguardo della madre,
quel suo tipico sguardo: “ti conviene non fare ciò che hai in mente, o te ne
pentirai”, era uno sguardo che lui e Tom conoscevano benissimo per tutte le
volte che lei l’aveva usato con loro: il viso diventava inespressivo, tranne gli
occhi, che assumevano la forma di due piccole fessure minacciose, quasi come
quelle di Inge quando era arrabbiata.
“Oh, mamma!”
intervenne Tom, che si era accorto dello stesso sguardo. Ormai loro due non
potevano non cogliere ogni minimo movimento facciale della madre, la conoscevano
troppo bene. “Va bene che Inge non si sente molto bene, ma un brindisi per noi
potrebbe anche farlo!”
“No,” disse
Inge. “No. In effetti è meglio che io non lo faccia.” Sospirò, afferrando il
bicchiere con l’acqua davanti a sé. “Brindo con l’acqua.” Sorrise, versando con
l’altra un po’ d’acqua anche ad Alex, affianco a lei, che ridacchiò eccitato.
“Ma porta male!”
si allarmò Bill, togliendo di mano a loro due i bicchieri.
“Che palle! E
poi porterebbe male a me, non a te, quindi dammelo!” e gli tese la mano con un
gesto che non ammetteva evasioni.
E solo a quel
punto Jost allungò il suo bicchiere in aria: “A questo disastrato gruppo di
idioti!” E la cucina si riempì di vari tintinnii vetrati, che fecero sorridere
ognuno dei presenti. Quello non era solo un brindisi per i ragazzi, ma un
brindisi per tutti loro, per la felicità che avevano trovato in quel periodo e
che sarebbe destinata a durare ancora a lungo.
***
Simone aveva
lasciato casa da un giorno ormai, e si sentiva la sua mancanza. Soprattutto per
quanto riguardava il cibo. Appena poteva, lei si metteva in cucina e dava prova
delle sue qualità culinarie, preparando dei manicaretti davvero ottimi per tutti
loro. Ora che se n’era andata, loro erano tornati a mangiare pizze, roba
surgelata e appositamente scongelata… Al limite, ogni tanto qualcuno di loro tre
si impegnava per preparare una frittata, un piatto di pasta, ma non di più.
L’apice che potevano trovare in casa i ragazzi era quando Inge non andava a
lavorare e si metteva con Alex a preparare qualcosa come stufati e torte.
Quel giorno,
però, Inge doveva tornare in ufficio per finire un progetto che si portava
dietro ormai da un paio di settimane e che per un giorno di ferie e l’altro, non
era ancora riuscita a portare a termine. E il giorno della scadenza era vicina.
Quindi Tom era dovuto rimanere a casa per badare ad Alex, perché ancora non
avevano parlato a fondo di mandarlo in un qualche posto in cui potesse giocare
con gli altri bambini. Ma era questione di tempo, Inge era contraria per la
felicità che gli procurava avere un bambino in casa – da tempo ormai aveva
capito quanto stesse bene con Alex, quanto si divertisse – mentre Tom riteneva
che fosse anche giunto il momento. Però, fino a che anche Bill non gli avesse
dato man forte – e lui sembrava proprio non averne intenzione – la questione non
cambiava e a turno erano costretti a stare una giornata soli con lui, o al
limite a portarlo con loro allo studio di registrazione, per poi lasciarlo con
Ebel o Steffens, a seconda di chi aveva più tempo libero.
E proprio in
quel giorno che toccava a Tom, a Alex venne la brillante idea di fare una torta.
Ci aveva già provato una volta con Bill, che per poco non aveva dovuto chiamare
i pompieri per aver quasi dato fuoco alla cucina. Quella si era salvata,
fortunatamente, ma la torta no, perché una volta messa in forno, non ci era più
uscita come tale, ma come un impasto nero e totalmente carbonizzato. Tom, per
quanto il confronto potesse essere davvero pessimo, poteva almeno ritenersi un
cuoco autosufficiente. Non aveva mai provato a preparare cose così elaborate
come una torta, ma con una ricetta da seguire e confidando nella sapienza
infantile e perennemente in cerca di divertimento di Alex, magari qualcosa di
commestibile poteva seriamente venirne fuori.
Avevano
preparato tutti gli ingredienti segnati su quella pagina stampata da internet,
ora al centro del grande tavolo come se fosse oggetto di venerazione, per la sua
funzione essenziale, e presto si sarebbero apprestati a mescolarli insieme in
base alle indicazioni. Alex aveva già preso le uova e le stava agitando in aria,
quando Tom ebbe la prontezza di riflessi di toglierle di mano appena in tempo
perché non cadessero per terra, per poi dargli in mano il pacchetto della
farina, in modo che potesse agitarla quanto voleva: al massimo avrebbe creato
una nube bianca tutt’intorno a loro.
“Sali sulla
sedia e aiutami, dai.” E aprì le uova per poi versarne il contenuto nella grande
ciottola gialla. Diede poi il via ad Alex di versarne un po’ là dentro, ma non
fece in tempo a fermarlo, che il bambino vi versò l’intero contenuto, facendo
affogare le quattro uova in un mare di polvere bianca. “Ok, credo che ci servano
altre uova, sai Alex?”
Dopo una decina
di minuti Tom riuscì a togliere qualche strato di farina dalla ciottola senza il
bisogno di aggiungere altre uova, e la mise in un altro contenitore, e visto che
Alex si stava annoiando, non avendo più fatto niente, gli diede il permesso di
impossessarsi del cucchiaio e di girare insieme i due ingredienti. Inutile dire
che la maggior parte dell’impasto venne catapultato al di fuori del ciottolo in
nemmeno cinque minuti. Fu così che le dosi della torta si ridussero a dosi per
un bignè.
Passarono così
quasi due ore, ed infine la torta venne messa in forno. Tom prese, poi, Alex in
braccio e lo portò nel bagno superiore, dotato di vasca, per fargli un bagno,
vista la quantità di farina, uovo, zucchero – che se non fosse stato per il suo
tempismo, sarebbe stato sale – e altra roba che il bambino si trovava addosso,
non solo sui vestiti. Fare il bagno ad Alex, tra l’altro, non era nemmeno la sua
aspirazione maggiore, dal momento che ogni volta sembrava quasi più conveniente
buttarsi anche lui nella vasca: praticamente alla fine era più bagnato lui che
quella piccola peste. E quella volta non era differente. Solitamente ci pensava
Inge, che persino si divertiva, ma lui preferiva piuttosto farlo addormentare la
sera, leggendogli qualche libro di famose favole per bambini che Simone aveva
portato loro da casa.
La giornata si
concluse con una caccia al tesoro, certamente non voluta, visto che Alex gli
aveva rubato i nuovi spartiti a cui stava lavorando con i ragazzi – che
l’avrebbero soppresso, se non li avesse trovati entro quella sera. Purtroppo per
il ragazzo dopo un’ora di ricerca, Alex si addormentò e Tom non se la sentì di
svegliarlo per farsi restituire i fogli, così lo portò in camera e continuò la
sua ricerca da solo.
“Cercavi
questi?” Inge gli sventolò proprio i suoi preziosi fogli davanti agli occhi.
“Mi hai
salvato!” li prese lui, alzandosi dalla sua posizione china, assunta per cercare
sotto l’armadio di camera di Bill. “Quando sei arrivata? Non ti ho sentito.”
“Nel momento.”
Rispose lei, raggiungendo la camera di Tom, dove posò la borsa sulla sedia e si
tolse i vestiti seri che indossava per lavoro, sostituendoli con una comoda
maglietta del ragazzo.
“Dove li hai
trovati?” chiese lui, che l’aveva seguita in camera per osservare il suo rituale
come avveniva ogni volta.
“Erano nel
forno.” Rise lei. “Non voglio sapere il motivo.” E gli andò incontro,
abbracciandolo da dietro e baciandogli una spalla. Lui si girò e la prese tra le
braccia, sollevandola e sentendo le gambe della ragazza incrociarsi intorno alla
sua vita. Si baciarono per salutarsi dopo non essersi visti per una giornata
intera. Tom sapeva bene dove avrebbe portato quel caloroso saluto, ed infatti si
sedette sul letto, per poi stendersi con lei sopra. Ma proprio mentre stava
lavorando per toglierle il reggiseno, Inge si sollevò di scatto, lo sguardo
spaventato. Scese da sopra di lui e corse fuori dalla stanza. Tom sentì la porta
del bagno sbattere e ne dedusse la meta della ragazza. Quindi si alzò e
preoccupato andò a bussare.
“Ehi, tutto a
posto, Inge?”
Quello che sentì
non fu proprio rassicurante.
“S-sì…” rispose
con un lamento lei, da oltre la porta.
“Posso entrare?”
non aspettò nemmeno la sua risposta, che ruotò la maniglia, varcando la soglia.
Inge era in ginocchio davanti al water, che si stava pulendo la bocca con un
pezzo di carta igienica. Lo guardò impaurita, gli occhi lucidi e il respiro
affannato. Era pallida in viso. “Cosa hai?” le si avvicinò e le toccò la fronte
con la mano, mentre con l’altra si tastò la sua.
“Non sto molto
bene…” rispose lei, abbassando lo sguardo, per poi tentare di alzarsi con un po’
di fatica, le gambe sembravano tremarle.
“Vuoi che ti
porti in camera?” e fece per sollevarla.
“No, tranquillo,
ce la faccio.” Lo allontanò. Arrivò al lavandino e si sciacquò la faccia, per
poi lavarsi i denti. “Ho solo bisogno di riposare.”
“Da quanto stai
così?” le chiese. “È qualche giorno che mi sembri stanca.” Le posò le mani sui
fianchi, guardandola attraverso lo specchio con aria ansiosa. “Vuoi che chiami
un medico?”
“No, davvero.
Sto bene.” Continuò lei.
“Ma se fino a
pochi secondi fa dicevi il contrario!”
Lei gli sorrise,
ora più colorita in viso.
“Tom, sto bene.”
Quel sorriso lo
tranquillizzò e sorrise a sua volta.
“Non farmi più
preoccupare così, eh.” E le baciò una guancia.
“D’accordo.” E
gli carezzò il viso. “Vado a vedere come sta Alex.”
“Sì, è in camera
sua che dorme.” Le disse. “Tra l’altro, senti, volevo ancora parlarti di lui.”
Lei lo guardò, aspettando che le parlasse. “Lo so che non è il momento giusto,
però, penso che si debba seriamente mandare Alex in un asilo – privato,
s’intende. Ormai ha cinque anni, secondo me gli fa bene poter giocare con altri
bambini della sua età.”
“Tom, io non so
se è una buona idea.”
“Non capisco
Inge. E poi anche noi abbiamo i nostri impegni, come possiamo continuare così?
Tutti i bambini di quell’età hanno già le loro esperienze in luoghi del genere.”
“Sì, lo so cosa
intendi, però Alex non è come gli altri. Voglio dire, è tuo figlio!”
“Appunto per
questo vorrei che le mie scelte potessero essere prese come scelte che fanno il
suo bene, e non come quelle di una persona qualunque.”
“Ehi, io non ho
mai detto che sei una persona qualunque.” Si alterò, appoggiandosi al lavandino
del bagno. “Voglio solo dire che da un po’ di tempo i giornalisti hanno annusato
la sua presenza. Cosa credi che succederebbe, se lasciassimo che Alex se ne vada
in altri posti in cui qualcuno potrebbe anche infastidirlo per questo.”
“Ah, certo!
Quindi lasciamo che Alex viva per sempre dentro queste mura, non facciamolo mai
uscire! Qualcuno potrebbe sempre riconoscerlo!” alzò lui la voce, smanacciando
per aria.
“Tom, Alex sta
dormendo nella stanza accanto, per piacere controllati.”
“No, non mi
controllo, sono convinto che sei tu quella che dovrebbe controllarsi. Questo tuo
attaccamento a lui non gli fa bene. È il momento che lui stia anche con altri
bambini. È quasi un anno che non fa altro che stare dentro questa casa. Esce
solo per andare da mia madre o in ufficio con uno di noi due. Non ti sembra che
anche lui abbia diritto a conoscere altre persone?”
“Tom, Alex è un
bambino! Non sa ancora cosa sia il mondo! Lasciamolo crescere senza fretta!”
“No, mi sembra
che sia tu a non volerlo far crescere.” E si voltò per uscire.
“No, aspetta.”
Lo prese per un braccio. “Non andartene. Finiamo il discorso.” Fece lei,
determinata.
“Non finirà mai
questo discorso, Inge. Non finché tu non capirai che Alex è una persona, non un
gioco.”
“Cosa diavolo
significa questo? So benissimo che Alex è un bambino! Credi che sia idiota?”
“Quando ti
impunti così, sì.”
“Ah! Grazie per
avermelo fatto sapere!” e questa volta fu lei a cercare di andare via.
“No, ora aspetta
tu.” La bloccò. “Hai detto che volevi finire di parlare di questo discorso, no?
E allora parliamo.”
“No, sembra che
tu non voglia capire cosa mi preoccupa in tutta questa faccenda! Non sarai tu,
invece, ad essere idiota? Non è che sei tu che non te la senti di stare troppo
tempo con lui? Che c’è? Forse ti senti inadatto al ruolo di padre? Be’, sappi
che pronto o non pronto è tuo figlio e ti devi comportare come tale! Non è che
in questo modo vuoi scaricare tutte le responsabilità a qualcun altro?”
“Inge, ma ti
rendi conto di quello che stai dicendo? È praticamente un anno che Alex vive con
noi e tu a questo punto ancora pensi che io non sia adatto a fare il padre?”
“Io spererei
proprio di no! Anche perché sarebbe anche l’ora che tu crescessi! Dico solo che
dai tuoi discorsi si deduce questo.”
“Non dire
cazzate!” rise stizzito. “Io non sarò il padre più bravo del mondo, ma riesco a
capire quando a mio figlio manca qualcosa. Lui non ha amici, non ha nessuna
persona della sua età con cui possa giocare. E prima che tu dica qualcosa,” le
mise una mano sulla bocca, bloccando il fiume di parole che lei avrebbe iniziato
a far scorrere se lui non avesse avuto quella prontezza. “Sappi che tutti noi
che giochiamo attualmente con lui non possiamo sostituire dei bambini. Alex ha
bisogno seriamente di qualcuno come lui con cui stare.”
Inge sembrò
arrendersi e sospirò, così Tom le tolse la mano dalla bocca. Sapeva di essere
stato duro con lei, ma quella faccenda gli stava particolarmente a cuore. Capiva
benissimo che Inge era preoccupata per la sicurezza di Alex, ma se fosse andato
in un asilo privato, il problema dei giornalisti non si sarebbe verificato,
perché si sapeva: più pagavi, più attenzioni potevi ricevere. E di certo a lui i
soldi non mancavano. Sicuramente se avesse sborsato abbastanza denaro, sarebbe
riuscito ad avere anche un occhio di riguardo per Alex, facendo sì che
conducesse una vita normale di un bambino di cinque anni, senza risentire di
quegli insulsi uomini che come lavoro amavano distruggere la vita privata degli
altri.
“Vieni qui.”
Sapeva anche di aver scelto il momento meno adatto per parlarne con la ragazza –
si vedeva che non stava bene, che c’era qualcosa che non andava in lei – ma la
questione era importante, ed era importante anche che ne parlassero il prima
possibile. E nonostante tutte le altre volte avessero pure tirato in causa Bill
per avere un suo parere, che indubbiamente lui non voleva dare per evitare
inutili guai con uno di loro due, era ovvio che la questione in realtà
comprendeva solo loro due.
La ragazza si
lasciò avvolgere dalle sue braccia, ma ancora una volta sussultò e si allontanò
in fretta, tornando china su water.
E vomitò.
***
“Sicura che vuoi
andarci da sola?”
“Sì, certo, non
ti preoccupare troppo.”
“Ok, allora fai
come vuoi.” La salutò con un bacio sulla fronte. “Fammi sapere cosa ti dice.”
“Va bene, ora
vado, che ho l’appuntamento alle cinque.” Lo salutò Inge, avviandosi al garage
tramite il vialetto che tagliava il piccolo giardino davanti alla porta
d’ingresso. Mise in moto ed aspettò che il cancello automatico le permettesse di
passare, poi ingranò la prima e partì.
Il giorno prima
Tom si era talmente preoccupato di vederla ridotta così che l’aveva obbligata a
farle prendere un appuntamento dal medico. L’aveva minacciata di farlo lui al
posto suo, se non avesse preso all’istante il telefono in mano e avesse
chiamato, così l’aveva fatto. Aveva digitato il numero e si era segnata per una
visita proprio il giorno dopo. Il ragazzo le aveva sorriso soddisfatto e aveva
constatato che per quella notte, il sesso era fuori discussione. Quindi si erano
addormentati accoccolati, sebbene Tom si fosse lamentato un paio di volte per il
caldo di Luglio che già lo faceva sudare a cose normali. Inge però seppe
ribattere e Tom non trovò le parole per replicare a sua volta: “Ah, però il
sudore dovuto al sesso non ti dà fastidio, eh?”
L’unica cosa che
Tom ancora non sapeva, era che il medico che lei aveva chiamato non era
esattamente quello che intendeva lui, ma gliel’avrebbe detto a tempo debito. Ora
sarebbe stato meglio evitare certi argomenti, almeno finché non fosse arrivata
l’occasione giusta per rendere pubblica la cosa. Sempre che il momento fosse
seriamente arrivato.
La clinica non
era molto distante, bastò un quarto d’ora di macchina per raggiungerla.
Parcheggiò sotto l’edificio ed entrò, mettendosi seduta nella sala d’aspetto.
Mancava poco all’ora dell’appuntamento e oltre a lei c’erano solo un altro paio
di donne, entrambe accompagnate dai reciproci compagni. Lei invece era sola e
l’aria che respirava in quella stanza le sembrava sempre più tesa e pesante. Per
un attimo pensò di aver fatto una cazzata a dirgli di non venire, ma dovette
subito ricredersi perché se lui fosse venuto con lei avrebbe scoperto tutto una
volta sottoposta a qualsiasi visita. La sua pancia si stava pian piano
ingrossando e sinceramente trovava strano come Tom ancora non si fosse ancora
accorto di niente. Nemmeno a dire che non la vedeva mai nuda… Il fatto proprio
che il ragazzo sembrava del tutto ignaro della faccenda, mentre Georg, Gustav e
pesino sua madre se n’erano accorti, le dava da pensare: e se forse lui non
fosse pronto per avere un bambino? Un altro, ovviamente. Questo sarebbe statotroppo
piccolo, Alex almeno aveva superato la fase di allattamento, pianto notturno e
ogni altro problema che avrebbe dato un bambino in fasce, ma tutto questo per il
semplice fatto che Alex aveva già quattro anni quando entrò nella loro vita,
mentre questo sarebbe stato un bambino da accudire dalla nascita. Un bambino
loro.
“Inge Träne?”
La ragazza si
alzò alla voce della signora che l’aveva chiamata. Si diresse verso di lei, che
l’accolse con un sorriso cordiale e rassicurante, proprio quello di cui Inge
aveva bisogno: essere incoraggiata ad andare fino in fondo a questa storia.
“Prego.” Le aprì
la porta. L’interno della stanza era come se lo era sempre aspettato: bianco.
C’era un grosso macchinario in un angolo, a cui era collegato uno schermo. Un
lettino era posizionato lì vicino. “Vuole un camice? Sa, per non sporcarsi i
vestiti con il gel.” Le sorrise.
“No, grazie, non
importa.” Rispose la ragazza, timidamente. Si sentiva in soggezione in quella
stanza. Non aveva mai pensato a come sarebbe stata la sua prima ecografia, ma di
certo si sarebbe aspettata la presenza di qualcuno insieme a lei, e questo
qualcuno non doveva essere il ginecologo.
“Allora si sdrai
sul lettino e si scopra la pancia.”
Inge fece come
le era stato detto e osservò la donna sedersi su uno sgabello e prendere un
tubetto di gel dal cassetto di un mobile lì vicino. Il contatto con quella
sostanza gelatinosa sulla pelle le procurò dei brividi di freddo e lei si
contrasse.
“Stia
tranquilla, mia cara, vedrà che andrà tutto bene.” Era gentile quella donna e
Inge doveva ammettere di aver avuto fortuna a trovare un medico femminile,
perché l’imbarazzo sarebbe aumentato esponenzialmente se fosse stato un uomo a
doverla visitare. “Non c’è nessuno con lei, vedo. Posso chiederle il motivo?”
“Il padre non lo
sa ancora.” Confessò Inge. Era la prima persona con cui era così sincera nel
parlare di questa cosa. Nemmeno a Georg, Gustav o a Simone aveva parlato così
apertamente.
“Ah, capisco.”
Si pulì le mani dopo aver esteso il gel su tutta la pancia. “Forse però anche
lui vorrebbe sapere cosa sta succedendo qua dentro.” E sorrise, indicandole il
ventre.
“Purtroppo non
credo.” Si fece triste, ma anche realista.
“E perché no?
Tutti vorrebbero avere un bambino.”
“Dipende dai
casi. Potrebbe anche essere il momento sbagliato per averne uno.”
“E questo per
lei e il suo compagno è un momento sbagliato?” la stava guardando saccente, come
se sapesse così tante cose al riguardo che niente di quello che avrebbe potuto
dire Inge l’avrebbe fatta sbalordire. Be’, visto il lavoro che faceva, forse era
anche più che normale.
“Già. Entrambi
lavoriamo. E siamo giovani.”
“Magari l’età
non è un problema. Basta essere abbastanza maturi per volerlo.”
“Credo che
questo sia un altro problema.”
“Non mi piace
dirlo, ma crede che sia stato un incidente?” chiese distogliendo lo sguardo,
mentre afferrava uno strumento rotondo che poi appoggiò sulla sua pancia.
“Nemmeno a me
piace dirlo, ma credo di sì.” Ammise Inge, senza guardare la dottoressa,
fingendo di capire quello che veniva proiettato sullo schermo.
“Posso dirle il
mio parere personale?” la fece voltare verso di lei. “Secondo me non ci sono
incidenti. Gli incidenti ci sono solo se succede un aborto – quello sì che un
incidente – o altre disgrazie del genere. Ma un bambino non è mai un incidente.”
“È incredibile
come una persona che vede così tante donne incinte possa ancora pensare certe
cose. Credevo quasi che i medici fossero tutte delle persone ciniche.” Commentò
ironica Inge. “Scusi, con questo non volevo insinuare niente,” aggiunse, notando
il silenzio che si era imposto tra di loro, mentre lei aspettava una risposta da
parte della signora. “Ma vede, per certe persone i bambini portano solo guai.”
La donna la
guardò dolcemente e la fece tacere.
“Le faccio una
domanda: lei il bambino lo vuole?”
“Sì.” Inge si
sorprese per la velocità con cui aveva risposto. Tante volte ci aveva pensato a
questo bambino, ma mai aveva trovato una risposta a quella domanda, perché ogni
volta che se la poneva, vedeva Tom, il suo lavoro, il suo futuro… E non le
sembrava il caso di rovinare tutto con un bambino. Un bambino avrebbe voluto
dire un cambiamento repentino di tutto. Già Alex aveva stravolto ben bene la
loro vita, un altro bambino avrebbe complicato ulteriormente le cose.
“Allora il suo
non è un incidente.” Le sorrise. Era un sorriso di congratulazioni, un sorriso
che sembrava urlare quanto quella dottoressa fosse stata fiera di aver ricevuto
quella risposta. E quel sorriso, fece sentire fiera della situazione anche Inge.
“Anzi,” e si concentrò sullo schermò, muovendo un po’ la sonda sulla pancia.
“Credo proprio che la sorpresa per il suo compagno non sarà una sola!”
Inge guardò lo
schermo con quell’attenzione che ancora non aveva mostrato: tra tutta la
confusione che poteva vedere proiettata sullo schermo, c’erano due macchie nere
che pulsavano leggermente al centro. E il cuore della ragazza accelerò i battiti
a quella visione, mentre il naso iniziò a pizzicarle per l’immensa voglia che
aveva di piangere.
“Sono due?”
chiese con voce flebile. Non sapeva esattamente come distinguere i vari
sentimenti che stava provando: c’era della felicità per poter vedere per la
prima volta quello che aveva in grembo, ma anche della paura per il suo futuro.
E anche tanta voglia di piangere. Si sentiva il magone proprio in gola, pronto
ad accendere quella miccia che l’avrebbe portata a versare lacrime di gioia. Ma
un sentimento più di tutti si faceva strada dentro di lei: la voglia di avere
Tom vicino a sé per potergli far vedere tutta quella meraviglia.
***
“Inge non è
ancora tornata?” chiese Bill, affacciandosi dalla cucina.
“No, magari
c’era molta fila.” Rispose Tom, mettendo a posto le bottiglie di birra che tra
tutti avevano fatto fuori quel pomeriggio. Georg e Gustav se ne erano giusto
andati per cenare, visto che erano le sette. Avevano parlato della musica che
stavano componendo e Bill aveva provato a buttare giù le parole che quella
musica suscitava in lui. Non era altro che una bozza, ma era piacevole, dolce,
forse più per il fatto che fosse suonata con gli strumenti acustici, che con
quelli elettrici. Anche Alex, che ora stava aiutando Bill ad apparecchiare, ne
era entusiasta e aveva pregato Tom perché gli facesse suonare un po’ la chitarra
anche a lui.
“Ma aveva
appuntamento alle cinque, non credo che una visita possa durare così tanto.”
“Che sia
qualcosa di grave?” mormorò Bill, temendo il peggio.
“Ehi, calmati!
Non pensare nemmeno certe cose sulla mia donna! È solo stanca, tra poco varcherà
la porta e si andrà tutti e quattro a mangiare.”
E così successe.
La porta d’ingresso si aprì proprio in quel momento ed Inge entrò in casa di
fretta. Salutò fugacemente tutti i presenti e corse su per le scale, per poi
chiudere la porta dietro di sé.
Bill e Tom si
guardarono perplessi. Cosa diavolo era successo per farla reagire così? Tom
leggeva nello sguardo di Bill la sua stessa preoccupazione, così si precipitò al
piano superiore e bussò alla porta.
“Ehi, come è
andata? Cosa ti hanno detto?” chiese, entrando in camera. Inge si stava
cambiando e si girò di scatto verso di lui.
“Tutto a posto,
niente di grave, davvero!” e gli sorrise. Tom ebbe l’impressione che quel
sorriso fosse falso, ma allo stesso tempo sembrava seriamente un sorriso di
rassicurazione. “Il dottore mi ha detto che probabilmente mi sento così fiacca
per lo stress – sai, devo finire quel progetto e la scadenza è vicina…”
“Sicura che sia
tutto qui?” insistette Tom, andandole più vicino.
“Sì, te l’ho
detto.” E gli diede un bacio sulla guancia, per poi superarlo e incamminarsi
verso il corridoio. Ma fu quello l’errore di Inge: farsi vedere troppo da
vicino. Tom notò infatti che i suoi occhi erano gonfi, e il velo di trucco che
aveva prima di uscire ora non c’era più.
“Inge, sii
sincera: cosa è successo?” la inseguì, prendendola per un braccio a metà scala.
“Niente,
davvero.”
“Ti conosco da
due anni, so bene come sei fatta.” La sfidò a dire il contrario. “C’è qualcosa
che non vuoi dirmi, e per piacere fa che non sia qualcosa sulla tua salute.”
Lei si avvicinò
a lui, i suoi occhi erano lucidi, come se si stesse per mettere a piangere da un
momento all’altro. Alzò una mano e la posò sulla sua guancia, guardandolo negli
occhi con dolcezza.
“Davvero, non
c’è niente che non vada.” Gli sorrise. “Va tutto bene. Sto bene. Quindi
rilassati.” E lo baciò, per poi continuare a scendere le scale.
Tom la seguì
dopo qualche secondo, notando quanto in fretta si passò una mano sugli occhi,
come per asciugarli. Si domandò il motivo di quel suo atteggiamento, ma non
seppe rispondersi. Le era parsa totalmente sincera, così sincera che non poteva
non crederle. Ma se fosse andato tutto bene, se lei stava bene, quale era il
motivo delle sue lacrime?
_________________________________________
Eccomi!
Stranissimo, vero, vedere già un aggiornamento a distanza di pochi giorni, eh?
Be', purtroppo non fateci troppo la bocca perché non sarà sempre così...
Prendete questo capitolo come un'eccezione :)
Eh, insomma, qui
di vede un po' più da vicino i sentimenti della ragazza riguardo quello che sta
succedendo in lei. E Tom ancora non sa niente. Cosa succederà quando lei si
deciderà a parlare? Si vedrà...!
Ad ogni modo,
passo velocemente ai ringraziamenti:
_KyRa_:
Grazie infinite dei complimenti! Eh, sospettavo che a molti di voi venisse un
colpo nel vedere questo sequel... Era un po' il mio obiettivo, se vogliamo
essere sinceri XD E vedo che sono riuscita nell'intento! Mi domando come tu
abbia fatto a scoprire la sua gravidanza ;) Ok, battute a parte, la reazione di
Tom sarà... Non te lo dico: non voglio rovinarti la sorpresa, ma sappi che per
qualche punto ci hai azzeccato. (So che dal momento che hai scritto di tutte le
varie opzioni che ti sono venute in mente, la mia risposta ti ha lasciato
esattamente come prima u.u Però sappi che "ci sono complicazioni", come disse
Inge nel primo capitolo, quindi, a te l'interpretazione :3) Grazie ancora per la
recensione, mi ha fatto molto piacere!
memy881:
Eh, sì, anche tu hai magicamente scoperto il segreto della nostra
protagonista :) No, Tom non ne sapeva niente. Era stato lasciato appositamente
in sospeso quel punto in modo da permettere un eventuale seguito. Avevo
solamente lasciato intendere quello che sarebbe successo, facendo dire al
ragazzo delle parole su un probabile loro futuro del tutto casualmente. Mentre
Tom le pronunciava non aveva la minima idea di quanto in realtà fossero vere.
Era ignaro di tutto, e così sembra continuare ad essere. Comunque grazie mille
per il commento! Sono felice che ti piaccia! :)
_no sense_:
Oddio, sono onorata! Ma anche un pelino intimorita. Ho letto quanta fiducia
riversate in me e nelle mie storie: spero di non deludervi per tutto il resto
della vicenda! Farò del mio meglio! Per quanto riguarda il sequel, sarò sincera:
nemmeno io pensavo che sarebbe arrivato questo terzo episodio della saga. Mi
sono sorpresa quanto voi nel trovarmi a scrivere nuovamente delle avventure di
questa coppia.
Inoltre, mi ha
fatto uno strano effetto leggere che non sopportare Inge XD Ma in senso buono! E
forse mi rende ancora più felice! Voglio dire: è raro che certe persone
continuino a leggere delle storie sebbene uno dei protagonisti non sia per loro
tutto quel che. Mi rende fiera del mio lavoro questa vostra recensione! :)
Grazie mille! Per quanto mi riguarda, però, io sono più dalla parte dei tori
incazzati che dei cuccioli. Mi piace maggiormente creare personaggi testardi,
capaci di fare anche cazzate pur di difendere la propria posizione. Ad ogni
modo, sono contenta che il piccolo Alex abbia trovato altre persone che lo
adorano! ^^
Ahahaha, quando ho
letto che mi temevate per i miei aggiornamenti mostruosamente lenti, mi avete
fatto ridere per la verità che avete riversato in quelle parole! E' vero,
purtroppo sono un disastro: la puntualità non è mai stata il mio forte, e penso
proprio che mai lo sarà. Sorry... T.T Ma sappiate che mi metterò d'impegno anche
in questo caso per non deludere le vostre aspettative! :D
Ok, stasera sono
stata davvero logorroica! o.o Scusate, non era mia intenzione! Comunque, ora vi
lascio, che stasera mi aspetta una bella seratina al ristorante cinese! *-*
Mi raccomando,
lasciate dei commentini, eh? ;)
Bye bye!
Irina
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Capitolo 3 *** May I Have A Little Brother? ***
May I Have A Little Brother
May I Have A Little Brother?
Erano passati
due giorni dall’ecografia e ancora Inge non aveva avuto il coraggio di dire
niente a nessuno. Appena era uscita dalla clinica si era sentita felice come non
mai, ma allo stesso tempo atterrita, incapace di mettere ordine a questa
faccenda. Quando sarebbe arrivata a casa avrebbe dovuto fare finta di niente?
Questo dubbio l’aveva tormentata per tutto il viaggio di ritorno, poi aveva
parcheggiato la macchina in garage e mentre stava per prendere la stampa
dell’immagine dei due bambini sullo schermo, chiusa dentro una busta che aveva
posato sul sedile affianco a lei, si bloccò. Si trovava in un limbo tra la più
grande felicità e la più grande paura. Non sapeva come comportarsi e questo
conflitto di emozioni la portò a piangere quelle lacrime che non aveva pianto
durante la visita. Non era riuscita a farlo mentre osservava quelle due piccole
macchie nere sullo schermo, sebbene il suo cuore quasi scoppiasse dalla gioia
che stava provando, e sembrava che ora, invece, i suoi occhi non ce la facessero
più a sostenere tutto quel peso.
Pianse per
un’ora abbondante in macchina, il motore e i fari spenti, nel silenzio del
grande garage. Gli unici testimoni che poteva avere erano le macchine dei
ragazzi, oltre che alla sua. Nessun altro. Per questo prese quel pianto come uno
sfogo e pianse finché ne ebbe voglia e capacità. Prima di scendere dall’auto si
guardò allo specchietto per appurare che le sue condizioni non fossero troppo
sconvolgenti, ma dovette ricredersi. L’unica volta da un mese che metteva la
matita e il mascara agli occhi, si ritrovava a piangere. Aveva quindi preso un
fazzoletto dalla borsa e si era pulita il viso, oltre che asciugata le lacrime
ed infine anche soffiata il naso. Poi prese l’immagine di quelle due piccole
creature e la mise in borsa. Sì, con il tempo gliel’avrebbe detto – soprattutto
perché più il tempo passava, più non avrebbe potuto nascondere i fatti – ma
quello non sarebbe stato il giorno. Era quindi entrata in casa in fretta e furia
per non farsi vedere in quelle condizioni ed era scappata in camera per
cambiarsi e potersi rendere presentabile.
E poi era
arrivato Tom. La sua preoccupazione l’aveva resa felice. Aveva visto quanto
poteva tenere a lei, quanto era stato in pensiero. E il fatto che lui volesse a
tutti i costi sapere cosa c’era di strano in lei, il fatto che volesse
assicurarsi che stesse bene, Inge l’aveva presa come una dichiarazione implicita
d’amore. Lui le voleva bene, l’amava. E sebbene non era mai stato da lei pensare
certe sdolcinatezze, in quella situazione, in quel preciso momento, quello che
Tom le aveva detto ed aveva fatto l’avevano resa felice. Aveva capito che se mai
lui lo fosse venuto a sapere, non si sarebbe arrabbiato, perché lui le voleva
bene, e avrebbe accettato la situazione.
Anche a distanza
di due giorni, Inge non riusciva a non pensare alle parole di Tom, per questo
era sempre più decisa che una volta lasciato l’ufficio e tornata a casa
gliel’avrebbe detto. Purtroppo erano due giorni che lo pensava e ancora non
aveva fatto niente. Ogni volta che rientrava, Tom la accoglieva con un sorriso,
raccontandole le mille vicissitudini al lavoro e con i ragazzi. E Inge sapeva
fin troppo bene che se mai Tom avesse saputo dei bambini, tutto quello che di
più amava, per Tom sarebbe dovuto cambiare.
Aveva nascosto
la busta con quell’immagine in un cassetto della sua vera e propria stanza, in
modo che nessuno potesse trovarla e da due giorni, non poteva evitare di entrare
in quella camera – che ormai usava solo per tenere i vestiti, visto che si era
praticamente trasferita in quella di Tom – e guardare quei due piccoli esserini
dentro di lei, stampati su quel foglio, nella più completa segretezza. Ed
entrambe le volte non poteva far a meno di sorridere, per poi darsi della
stupida: lei non avrebbe mai fatto così, non si sarebbe mai entusiasmata per un
pezzo di carta. Eppure, l’idea che quel misero foglio di carta rappresentasse
l’immagine dei suoi futuri figli faceva di lei una madre, e sentirsi madre era
una sensazione meravigliosa, qualcosa che la lasciava quasi senza fiato, da
quanto irreale le sembrava.
“Ehi, Inge,
sicura che stai bene?” si informò Sophie, una sua collega di lavoro.
Certo, sentirsi
madre era una cosa talmente bella da sembrare irreale, ma c’erano fatti che la
rendevano più che reale, tipo il fatto che nelle ultime due ore era dovuta
correre in bagno a vomitare tre volte. E Sophie se n’era accorta.
“Sì, tutto a
posto.” Le sorrise, perché in effetti andava tutto benissimo, stava per
diventare madre. Cosa poteva esserci di più bello? Avere qualcuno con cui
dividere questa gioia e che al tempo stesso sia felice per te, le fece
notare la solita vocina saccente dentro la testa. E Inge sapeva fin troppo bene
chi fosse questo qualcuno. Tom.
“Sicura? Perché
è due volte che ti vedo andare in bagno…”
“Sì, è che credo
di aver preso un qualche virus.” Sviò, sistemandosi i capelli rossi dietro un
orecchio per poi digitare qualche informazione sulla tastiera del computer
davanti a lei.
“Certo, e questo
virus colpisce anche la pancia e le tette, facendoti gonfiare come un cocomero,
eh?” Sophie si appoggiò alla scrivania di Inge con un sorrisino che la diceva
lunga su quello che aveva in testa. “Allora? Hai niente da dirmi?”
“Ehm, no, non
credo.” Le sorrise tirata lei. Sapeva di essere stupida, ma si era messa in
testa che la prima persona che avesse ricevuto quella che sarebbe dovuta essere
la lieta novella, sarebbe stato Tom, nonché padre dei bambini. Per questo
si dimostrava così evasiva con l’amica, l’unica persona con cui era riuscita ad
instaurare un buon rapporto, nonostante continuasse a mentirle riguardo
l’identità di Tom. Per Sophie Tom era Philipp Schmidt, un impiegato in
un’agenzia di commercialisti, un ragioniere, insomma. Si sentiva meschina a
raccontarle balle con così tanta frequenza, visto che spesso e volentieri lei le
chiedeva di loro due, ma Inge aveva trovato il modo di nascondere quella colpa
mascherando solo il nome, mentre le parlava dei loro problemi, o dei loro
impegni, uscite… Un anno fa le dovette anche raccontare di Alex, perché scappò
di casa dopo una discussione con lui proprio riguardo il bambino. Quindi, alla
fin fine, Sophie sapeva quello che era necessario sapere per poterla conoscere.
“Inge, ti
conosco abbastanza e conosco fin troppo bene le corse al bagno per vomitare.”
Ridacchiò.
Inge sospirò:
era impossibile sviare, ora. Dopotutto lei aveva già un figlio – Lukas – quindi
era ovvio che riconoscesse certi campanelli d’allarme alla prima.
“Allora? A che
mese sei? A vedere dalla pancia, direi al secondo!” esclamò eccitata,
stringendosi le mani al petto con un atteggiamento tendente all’isterico.
“Zitta!” la
ammonì Inge. Ci sarebbe mancato che anche altre persone ne fossero venute a
conoscenza. “E comunque sono solo alla quinta settimana.”
“Solo? Ma la
pancia…” si interruppe, conscia della risposta al suo dubbio. “Gemelli?” sgranò
gli occhi entusiasta. “Cioè, due bambini? Oh, cavolo! Philipp ne sarà rimasto
felicemente sconvolto!” rise, aggirando la scrivania e abbracciando Inge con
vigore.
“No, aspetta,”
cercò di allontanarla lei. “Lui non lo sa ancora.” Confessò amareggiata.
“Cosa? E
perché?” si scandalizzò l’amica.
“Non credo sia
una buona idea farglielo sapere. Ora lui è preso dal suo lavoro, se avesse
questa notizia, soprattutto in questo periodo in cui è così impegnato, non so
cosa potrebbe fare. Magari il lavoro ne risentirebbe. E poi c’è la questione di
Alex. Dopo quello che è successo, dopo che Alex è arrivato inaspettatamente
nelle nostre vite, ho capito quanto sforzo gli ci è voluto per avvicinarlo, per
considerarlo effettivamente figlio proprio. Non voglio metterlo alle strette,
non voglio che torni a soffrire come tempo fa.”
“Ascolta, Inge,”
prese una sedia lì vicino e si mise comoda accanto a lei. “Un uomo non è mai
pronto ad avere un figlio. Fino alla fine è restio all’idea di doversi occupare
di un’altra persona che non sia lui stesso. Metti mio marito: lui è un pilota di
aerei, è sempre via, non c’è praticamente mai. Quando gli dissi di essere
rimasta incinta nemmeno ci credeva, ma quando siamo andati a fare la prima
ecografia si è emozionato quanto me.” Raccontò con una nostalgica luce negli
occhi. “Inoltre, devi sapere che gli uomini non si sentono effettivamente padri
finché non hanno il bambino tra le mani. Loro non possono capire cosa voglia
dire sentire il bambino dentro di sé, quindi per loro rimane per nove mesi una
cosa piuttosto astratta, ma quando nascono, vedi una trasformazione nel loro
comportamento.”
“E quindi io
dovrei aspettare nove mesi per far sì che Tom -” si interruppe. “Philipp, scusa,
mi sono confusa con il tizio per cui sto facendo questo progetto.” Sorrise,
sperando di aver riparato al danno fatto. “Cioè, solo dopo nove mesi Philipp
accetterà di essere padre dei bambini? Mi sembra un po’ troppo tempo. E nel
mentre che faccio? Scappo di casa? Non credo che non si accorgerebbe di niente:
visto che sono due, come minimo ingrasserò addirittura il doppio!”
“Non essere
stupida, Inge!” schioccò la lingua lei. “Voglio solo dire che per loro ci vuole
più tempo per metabolizzare la cosa. Tutto qui.” Alzò le spalle con naturalezza.
“Quindi se
glielo dico non si arrabbierà?”
“Perché dovrebbe
arrabbiarsi per una cosa talmente bella?” le sorrise. “Non ti preoccupare per il
futuro, ci sono nove mesi di tempo per organizzare le cose a dovere.” E le fece
l’occhiolino. “Su, forza! Non devi scoraggiarti, e non permetterti nemmeno di
pensare certe cose. Devi dirglielo, vedrai che ne sarà felice!” e si alzò,
accarezzandole una spalla per farle forza, poi la superò e tornò al lavoro.
Ovviamente Inge
da quel momento al resto della giornata in ufficio non riuscì più a lavorare,
tentennando sulle due opzioni da prendere. Infine, decise di affidare tutto al
caso. Se quella sera fossero entrati in argomento, anche solo per una battuta,
lei avrebbe confessato, altrimenti avrebbe continuato a far finta di niente.
***
“A che punto è
il progetto?” le domandò Bill, versandosi un po’ di birra nel bicchiere, per poi
concedere il liquido rimanente nella bottiglia al fratello, che ne offrì un
sorso a Inge. Lei dovette negare inscenando ancora un fastidioso mal di pancia.
“Ma il ciclo non
l’hai avuto qualche giorno fa?” chiese Bill.
“Be’, sì,
infatti questo è… Bruciore di stomaco, sì, me l’ha detto anche il dottore che
devo mangiare sano per un po’. Niente birra, niente alcool…” rispose.
Tom la guardò
perplesso. Fortuna che il bruciore di stomaco l’aveva lei. Lui non avrebbe
potuto resistere per un po’ senza alcool, anche perché solitamente il
“per un po’” dei medici era associabile a mesi e mesi di astinenza.
“Alex, lo vuoi
il succo, sennò lo rimetto in frigo.” Disse Inge, iniziando a sparecchiare.
Il bambino le
porse il bicchiere e se ne fece versare un po’, per poi berlo tutto d’un fiato.
“Ehi, con calma,
che è freddo. Poi viene anche a te mal di pancia.” Lo riprese Tom, abbassandogli
il bicchiere, in modo che capisse bene cosa volesse dire.
“Ma ho sete!”
protestò lui.
“Non ho detto
che non puoi bere, ho solo detto che non puoi farlo tutto insieme. Fai piccoli
sorsi.” Continuò Tom.
“Uffa, va bene.”
Aggrottò la fronte Alex, per poi scendere dalla sedia e prendere un piatto alla
volta da portare a Inge, che si era messa davanti all’acquaio per sciacquare le
posate prima di metterle nella lavastoviglie.
“Ehi, certo che
potreste dare una mano pure voi, eh!” brontolò la ragazza, afferrando un piatto
che Alex stava pericolosamente trasportando da una parte all’altra della grande
cucina.
“Sì, ora si
aiuta anche noi.” Sviò Tom, ridacchiando. Non aveva assolutamente voglia. Quel
giorno erano persino dovuti andare con un pullman a Berlino per fare
un’intervista e ancora risentiva del viaggio, visto che per buona parte del
tragitto Bill non aveva fatto altro che urlare contro la radio che non
supportava i suoi mp3, a causa del modello preistorico – come l’aveva definito
lui stesso – che era. Ancora si chiedeva il motivo per cui erano stati loro a
dover subire quel lungo e insopportabile viaggio, se erano quei giornalisti che
chiedevano di vederli. Erano quelli lì che sarebbero dovuti andare da loro, non
il contrario!
“Sì, ok, ho
capito, non hai voglia – come al solito.” Dedusse lei, senza alcuna esitazione.
“E vedo che anche per tuo fratello è lo stesso.” Disse, indicando Bill che stava
diligentemente leggendo la tabella nutrizionale di una scatola di biscotti.
“Perché io non
ho un fratello?”
Quella domanda
di Alex cadde come un fulmine a ciel sereno su tutti loro. Tom lo guardò
stupito, Bill posò la scatola e guardò il piccolo diavoletto con la sua stessa
espressione, mentre Inge si fece cadere di mano una forchetta, il cui rumore
echeggiò nel silenzio della cucina.
“Vorresti un
fratellino?” chiese Bill innocente.
“Ehi, zitto,
Bill! Lo dovrei fare io il figlio, non mettermi nel casini!” ribatté Tom,
tirandogli il tappo della bottiglia di birra.
“Guarda che
stavo solo chiedendo per capire!” rispose acido lui, tirandogli nuovamente il
tappo, che però cadde per terra senza nemmeno toccarlo.
“Se ho un
fratellino, posso giocare con lui?” domandò il bambino, arrampicandosi di nuovo
sulla sedia.
“Sì, ma sarà più
piccolo.” Rispose Bill.
“Allora va bene!
Posso avere un fratellino?” sorrise.
“Ecco, vedi?”
sbuffò Tom.
“Perché non può
avere un fratellino?” chiese scherzoso al fratello.
“Non è il caso
di parlare di certe cose ora. E poi anche Inge non sarebbe d’accordo,” obiettò
Tom, girandosi verso la ragazza. “Vero?”
Inge era
appoggiata all’acquaio con una mano, sembrava pietrificata. Non rispose, e solo
dopo essere stata chiamata di nuovo da Tom, preoccupato per il suo insolito
comportamento, lei alzò la testa di scatto e sorrise tiratissima, come se
qualcuno la stesse obbligando a mostrare quel falso sorriso di agonia.
“Scusate.”
Aggiunse poi, allontanandosi da loro e dirigendosi verso il piano superiore.
“Cosa le è
preso?” mormorò Bill, alzandosi per portare a termine ciò che Inge aveva
iniziato.
“Non lo so, ma
sono abbastanza convinto che non è un semplice bruciore di stomaco quello che la
fa stare così male.” Prese i bicchieri e li mise nella lavastoviglie. “Dice che
non mi devo preoccupare, ma se continua a fare così non posso evitare di stare
in pensiero.”
“Già, in questi
giorni è decisamente strana. Sembra stanca. Non mangia più tutta la pizza che
mangiava prima, non beve più…” commentò Bill.
“E sta male
anche fisicamente.” Aggiunse Tom. “Hai notato quante volte va in bagno a
vomitare?”
Ed
improvvisamente capì: il modo in cui si comportava con Alex, le sue
preoccupazioni per il bambino, il suo non voler più toccare l’alcool – o meglio
il non potere –, le occhiate severe di sua madre al riguardo… Poi c’erano
anche altri piccoli particolari che non aveva mai considerato troppo, o almeno
non fino a quel momento: il seno più sodo e poco più grande da quello che Tom
era solito toccare, e la pancia leggermente più rotonda.
Inge era
incinta.
***
Perché diavolo
era scappata così? Che fine aveva fatto il suo autocontrollo, la sua capacità di
mantenere il sangue freddo in ogni situazione? Odiava la gravidanza per questi
sbalzi ormonali: la facevano comportare diversamente da quello che lei era. Lei
non sarebbe mai scappata, non avrebbe mai sentito questo bisogno di rinchiudersi
in camera, abbracciando un cuscino per potervi nascondere il viso, rigato dalle
lacrime che non aveva potuto frenare.
Ma tutto questo
le aveva fatto capire esattamente quello che avrebbe dovuto fare: stare zitta.
Sì, Tom lo sarebbe venuto a sapere, ma al limite sarebbe andata via di casa per
qualche mese, e magari per il resto della vita. Quella sera Tom non poteva
essere stato più esplicito al riguardo: “Non mettermi nei casini!”, aveva detto.
E quelle parole avevano un solo significato: non voleva un altro figlio,
figuriamoci due gemelli!
“Ehi,” proprio
in quel momento Tom bussò alla porta. “Inge, posso entrare?” la ragazza non
sapeva come rispondergli. La sua parte che stava cedendo a tutte le emozioni
della gravidanza non ammetteva esitazione: voleva che lui entrasse,
l’abbracciasse e sorridessero insieme per quello che stava succedendo; ma
l’altra sua parte, quella realista, le sconsigliava vivamente di fargli
oltrepassare quella porta. Doveva asciugarsi le lacrime, tirare su con il naso e
fare la parte della persona matura, che non aveva niente da nascondere e
mentire, dicendo che era stato tutta colpa del suo bruciore di stomaco.
“Inge…” la sua
voce aveva un tono strano. Sembrava allo stesso tempo dolce, ma anche impaurita,
titubante. Si dispiacque per quello che stava facendo passare al ragazzo, si
vedeva che era preoccupato per la sua salute, ma non poteva assolutamente essere
sincera con lui. Decise di rimanere nel silenzio, almeno avrebbe guadagnato
qualche altro minuto per poter riordinare le idee e fare finta di niente, ma Tom
non sembrava dello stesso avviso. Ruotò la porta ed entrò lentamente nella
stanza buia. Non accese la luce e si sedette sul proprio letto, senza guardarla
né toccarla.
La ragazza
trattenne il fiato per qualche secondo, in modo da impedire alle lacrime e ai
singhiozzi di rovinare tutto, sebbene il naso le pizzicasse come non mai per la
voglia di piangere. Si passò velocemente una mano sugli occhi per asciugarli ed
evitò di soffiarsi il naso, nonostante ne avesse un urgente bisogno.
“Ehi, Inge.” Ora
la sua voce si era fatta più dura. Il suo era un tono che non ammetteva
menzogne, sembrava deciso ad andare fino in fondo alla sua missione, sebbene
Inge ne fosse del tutto ignara. Probabilmente lo strano comportamento da lei
tenuto in quei giorni l’aveva fatto preoccupare fin troppo e ora voleva capire
bene cosa le stesse succedendo. E lei che avrebbe dovuto fare? Continuare a
rispondere con bugie? “Non c’è niente che mi dovresti dire?” chiese solamente il
ragazzo.
Per un attimo la
ragazza sentì il suo cuore perdere un battito e lo stomaco le si rivoltò,
facendola sussultare. Tom le stava parlando come se sapesse esattamente quale
sarebbe stata la risposta.
“No, niente.”
Rispose lei, imponendosi una calma che nemmeno immaginava di poter mostrare.
“Sicura?” lei
gli dava le spalle, proprio come lui le dava a lei, non si stavano guardando in
faccia, ma il tono di Tom era molto peggio di tutti gli sguardi che avrebbero
potuto scambiarsi. Sembrava arrabbiato, stufo di quella situazione. Sembrava
pretendesse una spiegazione.
“Ti ho detto di
sì.” Continuò a rispondere lei. Avrebbe voluto scomparire, evitare che una scena
del genere potesse anche solo andare avanti per altri cinque minuti. Non sapeva
quanto avrebbe potuto resistere prima di scoppiare, mettersi a piangere con foga
e urlargli tutta la verità che anche lui sembrava voler sapere.
“Mi dispiace, ma
non ti credo.” Replicò lui. “E sappi che non me ne andrò da qui finché non mi
dirai come stanno le cose.”
Seguirono attimi
di silenzio, interminabile silenzio che per Inge era la condanna peggiore
potesse esserci. Se quello era il momento per dirlo, decisamente lei se lo
sarebbe aspettato del tutto differente. Ma in fondo sapeva che non sarebbe mai
potuto essere rose e fiori, dopotutto lui era Tom Kaulitz, e un altro bambino
per lui sarebbe stato troppo. E il fatto che i bambini fossero due era una
ragione in più per non dire niente. Tuttavia, più pensava a queste cose, più si
sentiva uno schifo, si sentiva una merda, come se la colpa fosse solo sua. Lei
non era stata capace di non rimanere incinta e non aveva avuto il coraggio di
abortire. Dire che non ci aveva pensato sarebbe stata una cazzata, ma ogni volta
che ci pensava, si sentiva ancora peggio. Aveva dentro di sé una creatura che le
avrebbe cambiato la vita, una creatura sua e lei cosa avrebbe fatto? L’avrebbe
uccisa. No, già dall’inizio non se l’era sentita di commettere un atto tanto
orribile. E l’aveva tenuto. Non aveva detto niente e quasi per magia o per una
schifosa legge del contrappasso, ora quel bambino era diventato solo metà di ciò
che cresceva nella sua pancia, e il problema invece di essere eliminato, si era
raddoppiato.
Tutta quella
marea di pensieri la sopraffecero e lei non resistette più: le lacrime tornarono
a scorrerle lungo il viso, i singhiozzi la facevano tremare e quello che era
peggio era che si incazzava ancora di più a vedere questa sua debolezza.
“Inge, cosa hai
ora?” questa volta Tom si voltò verso di lei e le sfiorò una gamba, sporgendosi
verso di lei, che ancora assumeva la sua solita posizione fetale. Non gli
rispose, continuava a piangere in silenzio, timorosa che se avesse aperto bocca
sarebbe stata la fine di tutto. “Cristo, Inge!” urlò Tom. “Lo vuoi capire o no
che ho capito tutto?” il tono duro di Tom la fece se possibile anche stare
peggio. Non sapeva a cosa fosse dovuto, se al fatto in sé o per il suo
comportamento, ma se era vero che aveva capito, in qualunque caso si sentì
ferita. “Perché cazzo non mi hai detto niente?” ringhiò.
“Io… Io non
volevo…” farfugliò Inge, cercando di nascondere ancor di più il viso contro il
cuscino.
“Non volevi
cosa? Avere un bambino?” era come se la stesse accusando e quelle accuse non
facevano altro che incrementare la sua consapevolezza di essere colpevole
dell’accaduto.
“No, non lo
volevo.” Soffiò piangendo.
“Perché cazzo
non mi hai detto niente?”
“Avevo paura.”
Gli occhi erano talmente serrati per la paura che quasi le facevano male.
“E di cosa?”
ruggì. “Se almeno ne parlassimo, potremmo cercare una soluzione a questo
problema insieme!”
E quella fu la
goccia che fece traboccare il vaso.
“Problema?”
scattò a sedere, allontanandolo con una spinta. “Chiarisci il punto del
problema.” Abbaiò. “E tanto perché tu lo sappia il problema in realtà sono
due problemi!”
“Sono… due?”
sgranò gli occhi il ragazzo, arretrando. “Perché?”
“Esatto!
Chiedilo ai tuoi schifosi geni!” sibilò velenosa. “E se questo per te è un
problema, allora sei un vero stronzo!” e gli tirò il cuscino su cui fino a
poco tempo fa stava tentando di soffocare il pianto.
“Vorresti dire
che li vuoi tenere?” sembrava sconvolto. Si alzò e si strusciò una mano sulla
fronte, appoggiandosi all’armadio come per fare mente locale.
“Mi sembra il
minimo!” rispose con voce acuta, rotta dal pianto imminente. “Come puoi anche
solo pensare di uccidere due bambini? Come… come puoi farlo?” lei, sebbene
ammetteva di averci pensato, non ci aveva messo nemmeno dieci minuti a capire
che non avrebbe mai potuto farlo, ma Tom sembrava invece di tutt’altra idea. E
questo non poteva far altro che alimentare le sue paure al riguardo. Tom non era
così maturo come aveva creduto.
Il ragazzo non
rispose e si rinchiuse in un silenzio troppo lungo per i gusti di Inge, visto
l’argomento di cui stavano parlando.
“Non dici più
niente?” lo spronò a parlare, senza riuscire ad evitare il tono distaccato nel
rivolgersi a lui.
“Io…” sospirò,
cercando di trovare le parole che però non trovava. “Davvero, Inge… non so cosa
dire.”
“Lo sapevo.”
Scosse la testa tristemente. “Tu non li vuoi questi bambini.” Era di nuovo
sull’orlo del pianto, il naso le pizzicava fastidiosamente. “Solo l’arrivo di
Alex ti turbò come non mai, lo sapevo che questi bambini ti avrebbero dato altri
problemi.”
“Inge…” Tom
tentò di ribattere, ma era chiaro che nemmeno lui sapeva come. “Ma guardami!”
disse infine, indicandosi: “Sono un ragazzo di ventun'anni! Come puoi pretendere
che sia padre non solo di uno, ma di tre figli?”
“Perché, quanti
anni credi che abbia io? Secondo te io sono pronta invece?” ruggì lei. “Non mi
sembra si fosse parlato seriamente di avere un bambino!”
“Appunto, Inge!
Non ne avevamo parlato!”
“Eh, allora
dillo a loro due che non ne avevamo parlato!” e si toccò la pancia. “Magari
spariscono e tornano tra qualche anno – sempre che tu poi ne voglia parlare.”
Ribatté con tutto il sarcasmo che era capace di esprimere in quel momento.
“Merda…” mormorò
Tom, accasciandosi ai piedi dell’armadio e nascondendosi la testa tra le mani. E
Inge capì che non c’era modo di continuare a parlare.
“D’accordo.”
Annunciò. “Tu potrai anche non volerli, ma io sì.” Si alzò dal letto e si
diresse vero la porta. “Non mi importa di quello che pensi tu. Se non li vuoi,
comprerò casa e li crescerò da sola. I soldi ora li ho e una casa posso trovarla
senza problemi.”
“Oh, Inge, non
essere così drastica!” sbottò Tom.
“Non devo essere
drastica? E cosa dovrei fare? Abbandonarli dopo la nascita?” replicò sarcastica.
“Abbandonarli
no, ma se ci ripensi, siamo ancora in tempo per…”
E Inge non ci
vide più: si avvicinò al ragazzo e iniziò a picchiarlo con calci e pugni, mentre
le lacrime tornarono ad annebbiarle la vista.
“Brutto stronzo
che non sei altro! Come pensi che io possa fare una cosa del genere!”
“Ferma, Inge!”
si difendeva lui, coprendosi dai colpi della ragazza.
“Ferma un
cazzo!” urlò lei. “Sappi che se siamo in questa situazione è anche colpa tua!
Cerca almeno di assumerti le tue responsabilità!” e lo graffiò sul braccio. “Vai
in culo, stronzo!” concluse tutto con un calcio all’altezza delle costole e uno
sputo in faccia, per poi correre nella sua vecchia camera e chiudersi a chiave
all’interno, la schiena contro la porta mentre piangeva senza vergognarsi del
rumore che avrebbe fatto. Perché era arrivata a questo punto? Perché si era
ritrovata ad amare un pezzo di merda come lui? Abortire? Mai! Le sue parole
avevano dimostrato apertamente che razza di immaturo fosse in realtà.
Tutti quei
discorsi seri sul fatto che fosse preoccupato, che voleva aiutarla… che andasse
in culo! Se veramente fosse stato preoccupato e voleva aiutarla, avrebbe dovuto
seriamente starle vicino, capirla! Non avrebbe mai e poi mai dovuto dire una
cosa del genere. Si sentiva uno schifo. Si sentiva abbandonata, odiata, in
colpa… Gattonò fino al cassetto dove aveva nascosto la stampa dell’ecografia e
la sfilò dalla busta che la proteggeva come un tesoro.
“Stronzo…”
pianse, esausta, strappando la foto in due parti e buttandole in mezzo alla
stanza, per poi accasciarsi per terra a piangere tutte quelle lacrime che
pensava non avrebbe mai smesso di versare, non solo per la sua condizione, ma
anche per quello che credeva fosse il suo rapporto con Tom. L’aveva ingannata
per tutto questo tempo, le aveva fatto credere che le sarebbe stato vicino in
qualunque momento, ma non era mai successo. Dopotutto, anche quando litigarono
per Alex, fu lei poi che tornò da lui, fu lei che tentò di risanare quella
ferita che si era aperta tra loro. Lui non aveva mai fatto niente, e ora come
ora se ne rendeva sempre più conto. Lui era un ragazzino cresciuto troppo in
fretta, un ragazzino viziato, la fama non gli aveva permesso di crescere! Come
poteva non essersene accorta per tutto questo tempo che stavano insieme? Come
poteva aver continuato in quello stato senza prenderne atto?
_______________________________
Et voilà! Un nuovo
capitolo per voi! Eh, sì, strano vedere con quanta velocità aggiorni questa
storia... Ma vi svelo un segreto: i primi capitoli, essendo già pronti, sono
quelli che per questo verranno aggiornati con più frequenza, più si va in là con
la storia, più dovrete aspettare ^^" Non uccidetemi per questo, siate clementi!
T.T
Ad ogni modo, ecco
a voi la risposta alla domanda più quotata: "quando glielo dirà?" La risposta
l'avete appena letta. Avreste mai pensato ad una cosa del genere? Be',
certamente non poteva essere tutto rosa e fiori... Un minimo di dramma ci stava
- non vogliatemene per questo, ma in effetti adoro inserire qualche vena
drammatica nella storia XD - Ora manca solo vedere cosa pensa Tom di questa
situazione. Abbiamo visto tutto dagli occhi di Inge, quindi non vi resta che
aspettare il prossimo capitolo per dare un'occhiata anche ai pensieri del nostro
protagonista.
E poi pensavo:
sapete, nello scrivere questi tre episodi, ho notato - era l'ora! - che solo Tom
ha trovato qualcuno, mentre gli altri tre sembrano siano scapoli a vita. Ora
sorge il dubbio: secondo voi dovrei inserire qualche cosa, anche se molto in
secondo piano, in modo da far vedere come anche gli altri si danno da fare o è
meglio continuare su questa linea, visto che dopotutto questa storia è
incentrata particolarmente su Tom e Inge? Boh, ci pensavo da un po', però il mio
timore è che poi la scena non appartenga più esclusivamente a loro, perché,
appunto, dovrebbero far spazio anche alle nuove conquiste degli altri...
Vabbè, meditazioni
pubbliche a parte, che ve ne è parso del capitolo? Piuttosto movimentato,
soprattutto per la reazione di Inge, eh? Be', c'è da capirla, poverina...
Orsuvvia, passo ai
ringraziamenti, visto che mi sto dilungando troppo:
memy881:
eheheh, quando Tom fa una cosa, la fa al meglio! u.u Ok, basta battute idiote...
alla fine proprio lui ha risposto alla tua domanda: ventun'anni. L'idea iniziale
era di far svolgere questa vicenda tra qualche annetto, tipo tra un paio d'anni,
ma questo perché quando pensai alla storia, l'avevo pensata a se stante e non
collegata a Just a Kid. Realizzando la trama più concretamente ho dovuto
riadattare l'anno a quello in cui mi ero fermata nella narrazione dell'episodio
precedente, visto che già dal suo ultimo capitolo era possibile intravedere
quello che sarebbe successo. E dato che quella storia la scrissi non ricordo
bene se uno o due anni fa, di conseguenza mi sono dovuta adattare a quello che
avevo lasciato in sospeso :)
TH susy TH:
Eccoti accontentata! Però è stato diverso da quello che ti aspettavi, o sbaglio?
;)
_KyRa_:
Be', con questo capitolo un po' avrai capito le complicazioni che
intendeva Inge, no? Per di più ora Tom l'ha anche scoperto. Ed era anche l'ora
che se ne accorgesse! Hai ragione, magari lui se ne sarebbe dovuto accorgere
prima, notando quante volte la ragazza andava in bagno per vomitare, ma ho
voluto giocare un po' con la sua ingenuità, la sua superficialità. Dopotutto lui
non se lo sarebbe mai aspettato e pensare subito ad una cosa del genere sarebbe
stato troppo paranoico, forse. Chissà, magari sospettava ma fino in fondo voleva
convincersi che era veramente solo una questione di bruciore di stomaco et
similia. (Da notare che è la stessa autrice che ti risponde con frasi
incerte XD)
Ed ora, passo e
chiudo, gente!
Al prossimo
aggiornamento! E lasciate pure tanti bei commentini, che mi fa sempre piacere
leggere le vostre impressioni riguardo la storia! :)
Irina
|
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Capitolo 4 *** Under Pressure ***
Under Pressure
Under
Pressure
“Ok, con te ho
chiuso! Te l’ho già detto ieri.” Girò sui tacchi e alzò il naso all’insù,
mostrando tutta la sua delusione per quello che aveva fatto. “Abbiamo rotto, non
venire più a chiedermi niente, da questo momento in poi non siamo più fratelli,
ricordatelo.”
“Bill, suvvia,
piantala e ascoltami.” Sospirò Tom, esausto di tutta la scenata di quell’idiota.
“Col cavolo che
la pianto!” si voltò di scatto lui. “Ma ti rendi conto di quello che hai detto?”
Tom annuì,
rassegnato. Se ne rendeva pienamente conto, ma cosa avrebbe potuto dire? Quella
notizia non era proprio richiesta. Per di più Inge non gli aveva detto niente al
riguardo. Pensava forse che sarebbe potuta andare avanti senza dire niente per
tutto il resto della gravidanza?
“È inutile che
ora tu annuisca, hai fatto un danno immenso! Se io fossi Inge, nemmeno ti
rivolgerei più la parola.”
“È proprio
quello che sta facendo.” Gli fece notare il ragazzo, stravaccandosi sul tavolo
della cucina e coprendosi la testa con le mani. “Come diavolo facciamo a parlare
della cosa se lei è due giorni che sta rinchiusa in camera sua?”
“Be’, dovevi
pensarci prima di chiamare il bambino “problema” e prima di consigliarle
l’aborto.” Ruggì Bill.
“Bill, Inge è
incinta di due bambini.”
La mandibola del
moro ebbe l’impulso di cascare a terra, proprio come gli occhi tentarono di
uscirgli fuori dalle orbite. Farfugliò qualche parola incomprensibile dovuta
alla dislessia del momento, poi tossì e si schiarì la voce per parlare di nuovo.
“E tu hai
aspettato due giorni prima di mettermi al corrente della storia?” lo guardò
sconvolto. “Solo questo fa raddoppiare il danno che hai combinato! Non solo hai
fatto la cazzata che hai fatto, ma l’hai estesa a ben due bambini! Ti rendi
conto?”
“Ascolta, che
avrei dovuto fare?” sbottò Tom, picchiando le mani sulla tavola, facendo
sobbalzare la lattina di birra su di esso. “Guardiamo in faccia la realtà: ho
ventun’anni, non sono pronto ad avere altri due bambini per casa!”
“Allora, questo
ti porta a concludere almeno due cose: primo, così impari a tenere il tuo coso
dentro le mutande. Secondo, scusa, ma quanti anni pensi che abbia Inge?”
“È la stessa
risposta che mi ha dato lei.” Dovette ammettere.
“Ecco, non ti fa
riflettere questo? Non pensi che per lei scoprirsi incinta sia stata una
sorpresa altrettanto grossa? Lo vedevi, no, come era strana.” Tornò vicino al
fratello e si sedette sulla sedia di fronte a lui.
“Lo so, ma come
potevo pensare che aspettasse dei bambini? Non l’ha mai detto apertamente!”
“Magari dovevi
essere più acuto tu a capirlo!”
“Guarda che
anche tu non lo sapevi finché non te ne ho parlato io.” Lo zittì. “Quindi non
venirmi a fare la paternale su quello che avrei dovuto capire e quello che avrei
dovuto fare. Scommetto che nemmeno tu sapresti cosa fare in una situazione del
genere!” alzò la testa e lo sfidò con lo sguardo.
“Ti sbagli! E
tanto per iniziare io non avrei mai detto a Inge quelle cose!” lo affrontò.
“Forse perché
sei più donna che uomo!”
“Non mi sembra
il momento di iniziare a prendermi per il culo, ma sappi che non lo avrei fatto
per un minimo di educazione, almeno. Se fossi io il padre di quei bambini, come
minimo avrei sorriso per la notizia, non le avrei consigliato un modo per
toglierseli di torno!”
“Ma tu non sei
me, non sai cosa voglia dire essere padre.”
“Se è per
questo, nemmeno tu lo sai, carissima testa di cazzo!” urlò sommesso, spingendosi
verso di lui per poterlo guardare negli occhi con aria truce.
“Ehi, piano con
gli insulti!” si ritrasse lui.
“Non me ne frega
se ti offendi, dovresti patire le pene dell’inferno per la totale mancanza di
tatto che hai avuto nei suoi confronti!”
“Se è per questo
sto già patendo come un cane per il livido che mi ha lasciato tra le costole e i
graffi sul braccio.”
“Te li sei
meritati!” si impuntò Bill. “Non hai nemmeno tentato di abbracciarla, di
chiederle come stesse! Non hai fatto assolutamente niente! Hai pensato solo a te
stesso!”
“No, pensavo a
noi!”
“Oh, non dire
stronzate, Tom!” ruotò gli occhi esasperato. “Lei ti ha detto che li vuole
tenere! Se tu avessi pensato a voi, a quest’ora come minimo ne stareste
parlando da persone civili!”
“Cosa ti fa
credere che sia io la persona incivile qui? Sbaglio o lei mi ha attaccato come
se fossi un saccone da boxe? Mi ha pure sputato!”
L’occhiata più
che eloquente di Bill lo fece tacere, o almeno cambiare discorso.
“Ascolta, Bill.”
Abbassò lo sguardo sulle sue mani, che teneva incrociate sul tavolo. “Sul serio,
io non credo di volere dei bambini. Guarda solo con Alex cosa ho dovuto passare.
Non credo che riuscirei a tirare su un bambino dall’inizio, figuriamoci due!
Sono troppo giovane per formare una famiglia.”
“E con questo?
Una famiglia a dir la verità ce l’hai già. Fino a prova contraria, Alex è tuo
figlio e Inge gli fa praticamente da madre, visto che Melanie è ancora dentro –
e anche se uscisse, non credo che i servizi sociali le restituirebbero il
bambino.”
“E se non fossi
all’altezza?” lo guardò di sottecchi.
“Tom,” addolcì
la voce il fratello. “Guarda che come ti abbiamo aiutato con Alex, lo faremo
senza problemi anche con questi due bambini.”
Il ragazzo
distolse lo sguardo dal fratello, sentendosi colpevole per le parole dette ad
Inge, certo, ma non ce la faceva a mettere da parte le sue ragioni. No, lui non
voleva dei bambini. Se fossero nati, lui avrebbe dovuto dire addio alla sua
carriera – sì, forse solo per qualche mese, tanto per aiutare Inge a crescerli
un minimo – ma già sapeva che tutto sarebbe cambiato.
“No, davvero,
Bill,” era più forte di lui, non riusciva a vedersi come padre, non riusciva a
capire come avrebbe potuto fare lui, un ragazzo, a prendersi cura di tre
bambini. “Io… io non ce la faccio.” Confessò. “Non riesco a pensare di dover far
crescere altri bambini. Già Alex mi porta via tante energie… io -”
“Smettila di
dire cazzate!” lo interruppe austero. “Pensa ad Inge! Lei non ha nessuno se non
noi. Lei si fida di te – o almeno, si fidava, visto come hai reagito.
Senza di te si sente persa.”
“E io che dovrei
dire, scusa? Mi sembra che stai un po’ troppo dalla sua parte, se proprio vuoi
saperlo!”
“Ah, e quindi io
dovrei compatire più te che lei, eh? Perché, sì, in effetti sei tu che hai
dentro di te due esserini che prima o poi verranno alla luce e inizieranno a
piangere… Sì, hai ragione, oh, povero Tom!” lo prese spudoratamente per il culo.
“Basta, Bill! Mi
hai rotto il cazzo!” soffiò, infuriato.
“Non me ne frega
un bel niente, Tom! Cresci per una buona volta! Quante cose devono ancora
succedere prima che tu impari a non pensare più a te stesso? Cosa deve
succedere? Ti deve colpire in testa un fulmine?”
“Lascia perdere,
Bill, non capisci niente.” Si arrese. Tanto se avesse continuato a parlare con
lui, avrebbe accumulato sono frustrazione. Era meglio togliersi dalle palle per
un po’, andare in camera sua, starsene da solo e calmarsi.
“No, sei tu che
non capisci niente! Ad iniziare da Inge! Quella povera ragazza sta soffrendo da
due giorni rinchiusa in camera sua! Nemmeno scende a mangiare!”
“Cazzi suoi! Non
doveva reagire così!”
“Potrei
rigirarti la tua affermazione!”
“Vorrà dire che
sarò io allora a rinchiudermi in camera, se ti fa più piacere avere lei in casa
che me!” urlò, riducendo gli occhi a due fessure.
“Certo, al
momento sarebbe anche di più compagnia, o comunque sarebbe più semplice
comunicare con lei.” E imitò lo sguardo del fratello.
“Solo perché tu
sei dalla sua parte!”
“Certo che sono
dalla sua parte!”
“Ok, per quanto
hai intenzione ancora di continuare a darmi dell’idiota?” sospirò, non ce la
faceva nemmeno più ad andare contro a suo fratello, sarebbe stato del tutto
inutile provare a fargli capire le sue ragioni.
“Fino a che non
capirai di esserlo!” continuò a provocarlo lui.
“Sei tu
l’idiota, Bill!” replicò a tono, sempre più scocciato della conversazione.
“Ed ecco che
torni alle offese. Senti, ma sai portare avanti un discorso civilmente?”
“No, perché tu
fai di tutto per farmi perdere la pazienza!”
“E ci credo, tu
fai di tutto per non capire cosa voglio dire!”
“No, sei tu che
non vuoi capire!” e sbatté ancora una volta le mani sulla tavola, facendo cadere
un pesante silenzio tra di loro, mentre si guardavano negli occhi, minacciosi.
Era tantissimo tempo che non litigava così con suo fratello. Forse era
addirittura la prima volta, perché questa, contrariamente a tutte le altre
discussioni che aveva con lui, che solitamente si risolvevano con un paio di
giorni di reciproco silenzio – o in alternativa, con un paio di giorni di
reciproci insulti – non avevano mai toccato argomenti così difficili. Erano
sempre state delle cazzate, ma niente che avesse a che fare con il loro futuro,
con il suo futuro. E per quanto Bill potesse dire che non pensava ad
Inge, in realtà lui lo faceva, purtroppo però non riusciva ancora ad entrare
nell’ottica della ragazza. Come poteva lei pensare che una notizia del genere
potesse essere accompagnata da una bella festa piena di regali, pasticcini e
champagne? Non si rendeva conto dei problemi che due bambini piccoli avrebbero
portato nella loro vita?
E non era
nemmeno vero che lui non faceva niente per andarle incontro. Per tutte e due le
notti che avevano passato in camere separate, Tom non era riuscito a chiudere
occhio, preoccupato per la ragazza. La sentiva andare in bagno a vomitare. La
notte scorsa si era pure alzato per andare a darle una mano, ma si era bloccato
davanti alla porta del bagno socchiusa: non aveva avuto il coraggio di andare
fino in fondo, e se n’era tornato in camera sua ancora più incazzato.
Proprio in quel
momento di riflessioni silenziose, il campanello suonò, ricordando ad entrambi i
ragazzi che Gustav sarebbe dovuto passare a portare la nuova traccia registrata
in modo che anche loro potessero lavorarci individualmente sopra. L’unica cosa
che l’amico non avrebbe potuto sapere era che quella traccia era diventata una
delle cose più insignificanti potessero esserci sulla faccia della terra, data
la situazione che si era venuta a creare in casa Kaulitz.
Bill andò ad
aprirgli e gli offrì un succo di mirtilli, che lui accettò senza problemi dopo
aver consegnato il cd al ragazzo.
“Ehi, cosa hai
Tom?” gli domandò raggiungendolo in cucina. Molto probabilmente le sue
condizioni fisiche erano peggiori di quello che pensava.
“Niente, ciao
Gustav.” Lo liquidò all’istante, coprendosi nuovamente la testa con le mani.
Sentì bisbigliare l’amico, per chiedere spiegazioni a Bill, ma il fratello restò
molto evasivo. Quella fu l’unica occasione in tutta la giornata in cui Tom
concordò con le parole di Bill, ma non glielo avrebbe detto per niente al mondo.
“Ah, forse ho
capito.” Sospirò Gustav, sedendosi intorno al tavolo. La sua voce aveva qualcosa
che la faceva risuonare rassegnata, come se veramente avesse capito cosa era
successo in quella casa. “Si tratta di Inge?”
“Come fai a
saperlo?” si incuriosì Bill, prendendo una bottiglietta di succo d’arancia dal
frigorifero alle sue spalle.
“Diciamo che ho
captato qualche indizio già da tempo, ma non so se quello che ho in mente io è
il vostro stesso problema.”
“Tu cosa hai in
mente?” gli chiese Bill.
“Forse è meglio
che mi diciate voi cosa sta succedendo, non vorrei rovinarvi qualcosa.”
“Tranquillo, so
già che è incinta.” Lo anticipò Tom, biascicando quelle parole senza sollevare
la testa.
“Sì, era
esattamente quello che sospettavo pure io.”
“Lo sapevi?”
sgranò gli occhi Bill.
“Sì, bastava
osservare un po’ meglio Inge per capirlo.” Sorseggiò il succo. “Ma non ve ne
faccio una colpa se voi non lo avevate capito. Si vedeva benissimo quanto si
sforzasse di far finta che fosse tutto a posto in vostra presenza. Soprattutto
con Tom. Quando infatti lui non c’era, i suoi atteggiamenti mutavano, quasi come
se si fosse sforzata così tanto a mettere in scena la quotidianità che nemmeno
si rendeva conto di avere ancora me e Georg attorno.”
“Ah, quindi lo
sa anche lui.” Dedusse Tom.
“Già.”
“Perfetto, chi
ancora non lo sa?” si informò esasperato.
“Penso solo Jost,
perché mi è sembrato che anche tua madre ne fosse a conoscenza.”
“Sì, questo
l’avevo sospettato da quando ho capito cosa stava succedendo.” Commentò Tom.
“Ottimo, quindi
quale è il problema?” chiese Gustav con tutta la sua positività, mostrando un
generoso sorriso.
Nemmeno gli
rispose, alzò solo la testa e lo fulminò con lo sguardo e l’espressione che il
ragazzo assunse subito dopo – un misto tra comprensione, delusione e stupore –
gli fece capire che aveva afferrato il concetto.
“Cosa è successo
esattamente?” domandò.
“Ti basta sapere
che Inge è rinchiusa in camera sua da due giorni.” Si limitò a rispondere il
ragazzo, tornando con la testa appoggiata al tavolo.
“Suppongo che
non le sia piaciuto il modo in cui hai affrontato la cosa, eh?”
Tom gli mostrò
solo il braccio con i tre graffi. “E ho anche un livido tra le costole.”
Aggiunse.
“Non è un buon
segno. Cosa le hai detto esattamente?”
“Di abortire.”
Rispose prontamente Bill al suo posto, facendo nascere in lui la voglia sempre
maggiore di mettergli le mani intorno al collo. “Te lo dico io perché tanto lui
avrebbe trovato mille modi per rigirare la frittata a suo vantaggio, quando ha
soltanto torto marcio, sebbene ancora non lo voglia ammettere.”
“Non lo voglio
ammettere solo per il semplice fatto che non è vero. Non dico di aver ragione,
ma, cazzo, provate un po’ a mettermi nei miei panni! Cosa avrei dovuto fare?”
“Sicuramente
essere più comprensivo nei suoi confronti. Ma scusate, sono due i bambini?
Gemelli?” si meravigliò Gustav, senza nascondere il sorriso entusiasta.
“Sì, ma mi
spiegate perché state tutti dalla sua padre? Com’è che non c’è nessuno che
invece si dimostra più comprensivo nei miei confronti? Anche io sono una
vittima della situazione.”
“No, tu non sei
una vittima nemmeno se mostrassi alla corte marziale quelle ferite.” Ribatté
Bill, indicandolo con l’indice e l’espressione delle più severe disegnate sul
viso. “Tu hai la sua stessa responsabilità! Non credo che sia rimasta incinta
per partenogenesi, Tom! Questa situazione si è verificata a causa della vostra
voglia irrefrenabile di fare sesso. Lei ora porta dentro di sé il risultato
della vostra bella notte di passione, mentre tu dovresti solo starle vicino.”
“In effetti Bill
ha ragione, Tom.” Constatò Gustav, sorseggiando altro succo violaceo.
“Ovvio, come al
solito sono io la testa di cazzo.” Sbuffò lui.
“Be’, diciamo
solo che secondo me non hai tutta quella ragione che pensi di avere, ma non
credo che tu debba essere trattato come una merda. Sicuramente avrai delle buone
ragioni – magari a te ancora sconosciute – che non ti permettono di
metabolizzare giustamente la situazione.”
“Nonostante tu
ci abbia provato, non mi sembra di essere stato difeso proprio come avrei
sperato. Praticamente hai detto sempre che è colpa mia.” Disse, mostrandogli la
sintesi di ciò che aveva detto.
“Non è vero. Ho
solo detto che anche tu hai le tue ragioni per aver detto quello che hai detto.
Tutto qui.” Fece spallucce Gustav.
Il telefonò
interruppe la loro conversazione con prepotenza, costringendo Tom ad andare a
rispondere, cosa che in realtà gli fece tirare un sospiro di sollievo, visto che
in questo modo aveva la possibilità di allontanarsi da loro due e pensare ad
altro. Ma si sbagliava, perché all’altro capo del telefono sua madre chiedeva
come stessero andando le cose.
“Sì, tutto a
posto, mamma. Perché hai chiamato?”
“Come sei
scorbutico oggi, cosa è successo?”
“Niente,
tranquilla. Va tutto bene.”
Quell’attimo di
silenzio che precedette la risposta della madre era inconfondibile: non l’aveva
bevuta e come sempre in questi casi, chiedeva di parlare con qualcun altro per
appurare i fatti. “Passami Inge, per piacere.”
“Perché proprio
lei? Non vuoi parlare anche con Bill?”
“No, credo che
parlare con Inge sia la strada più breve per capire cosa stia succedendo.”
Tagliò corto lei.
“Sta… sì, credo
stia riposando.” Farfugliò per dissuaderla.
“Ah, allora non
importa, passami tuo fratello.”
Tom non se lo
fece ripetere due volte e porse l’apparecchio al fratello, che stava ancora
discorrendo con Gustav sicuramente riguardo quello che era successo. Non appena
Tom gli fece notare che era la madre, lo fulminò con lo sguardo perché non
dicesse niente di quello che era successo.
“Ciao, mamma,
dimmi tutto.” Rispose cercando di risultare più allegro possibile, nonostante la
faccenda avesse fatto perdere le staffe pure a lui. “Sì, dovrebbe essere in
camera sua.” Tom si maledì, come poteva non aver pensato che sua madre non
avesse proposto la stessa domanda anche a lui? “Sì, te la passo.” Tom gli fece
segno che i suoi giorni erano contati, passandosi una mano sul collo, con
l’esplicito significato di una morte lenta e sanguinosa, ma Bill sospirò,
superandolo e salendo le scale.
Il ragazzo,
quindi, si fece cadere su una sedia e si accasciò sul tavolo. Ora che sua madre
aveva la possibilità di parlare con Inge, la sua vita era rovinata anche sul
lato familiare. Era assurdo come certe volte le notizie non venissero mai
scoperte anche a distanza di mesi – come appunto la presenza di Alex – mentre
questioni private come quella dei bambini si espandessero in un batter d’occhio.
Gustav gli posò
una mano sulla spalla, sorseggiando un altro po’ di succo ai mirtilli, ma il suo
gesto si dimostrò del tutto inutile, non era certo con una pacca sulla spalla
che tutto poteva sistemarsi, chissà quanto sarebbe passato prima che le cose si
fossero sistemate.
***
“Inge, c’è mia
madre al telefono che ti vuole parlare, mi apri?” bussò Bill alla porta. Non
appena Inge sentì la voce del ragazzo ebbe un sospiro di sollievo. Per tutto il
giorno aveva avuto il timore di doversi fronteggiare con Tom senza sapere cosa
dire, perché in effetti cosa avrebbe potuto replicare? Dopotutto aveva ragione
lui: quei bambini erano un problema, ma lei non se la sentiva proprio di
abortire, era una questione troppo delicata.
“Sì, aspetta.”
Gli rispose in un mormorio lamentoso, scendendo dal letto su cui ormai aveva
passato due giorni, facendogli praticamente prendere la sua forma, ed andando ad
aprire la porta. Bill entrò con un sorriso dolce e le offrì il telefono, per poi
salutarla e chiudere la porta alle sue spalle.
“Pronto?” fece
la ragazza, accostandosi l’apparecchio all’orecchio.
“Inge! Come
stai, tesoro?” si informò Simone. La voce faceva capire fin troppo bene quanto
era stata in pena, e Inge si chiese come avesse fatto a scoprirlo, ma si rispose
che visto che era Simone nemmeno c’era da chiedersi il perché, dato che lei
riusciva sempre a capire tutto da subito. “Avevo chiamato solo per un saluto
veloce, ma Tom mi ha insospettita. Cosa è successo?”
“No, Simone,
stai tranquilla, non è successo niente.”
“Inge, riesco a
vedere la tua faccia stanca e pallida da qui. Raccontami tutto senza omettere
niente. C’entra Tom, vero?”
Inge annuì con
un mormorio sommesso. “Ha detto che tutto questo è un problema.”
“Me lo sarei
aspettata, purtroppo.” Sospirò la donna. “Tom è troppo giovane per assumersi
delle responsabilità così grosse.”
“E cosa dovrei
fare, scusa? Sono giovane anche io! Non è che sforno figli come un coniglio!
Nemmeno io so come comportarmi!” si alterò Inge, calciando via un cuscino per la
rabbia che aveva in corpo.
“No, Inge, non
era questo quello che intendevo. La mia voleva essere una critica nei suoi
confronti.”
“Sì, scusa, è
che non so controllare bene le mie emozioni in questo momento. Sto altalenando
stati di rabbia a pianti senza nemmeno accorgermene.” Rispose con voce
strozzata.
“Immagino sia
colpa anche degli ormoni che hai in corpo, tesoro.”
“Lo so, ma io
non ce la faccio più!” biascicò. “Io vorrei essere come tutte le altre persone,
che quando scoprono di essere in attesa di un bambino iniziano a vivere la
situazione con il sorriso sulle labbra! Invece sulle mie labbra arrivano solo le
lacrime e il moccio!”
Simone ridacchiò
per sdrammatizzare, per poi informarsi un po’ della situazione: “Sei andata a
fare una visita?”
“Sì, qualche
giorno fa.”
“E cosa ti hanno
detto? A che mese sei? Il secondo?”
“No, al primo, a
dir la verità.”
“Strano, dalle
dimensioni della pancia avrei detto che…” quell’attimo di silenzio diede il
tempo a Simone di elaborare la risposta che stava cercando. “Sono gemelli?”
“Sì, deve essere
tuo figlio ad aver dato quel contributo che ha portato a raddoppiare il suo
problema.” Rispose acida.
“Quindi è ancora
troppo presto per avere notizie precise su di loro.” Chiese la donna, senza
badare a quella battuta sarcastica.
“Sì, la
ginecologa mi ha detto di tornare tra un mesetto per una prima vera e propria
ecografia.”
“E dimmi, cosa
ti ha detto precisamente?”
“Ha detto che
poteva al massimo dire a grandi linee la data di concepimento, niente di più. Da
quel che ha visto per ora sembra andare tutto abbastanza bene, ma è ancora
troppo presto per dare informazioni più dettagliate.”
“Ti ha dato la
stampa dell’ecografia?” chiese eccitata lei.
“Sì, ma al
momento non ricordo dove l’ho messa.” Mentì. Sapeva esattamente che fine avesse
fatto. Era strappata in due e buttata da prima in mezzo alla stanza, poi
strappata ancora una volta e appallottolata sotto il letto.
“Be’, cerca di
trovarla per la mia prossima visita, voglio proprio vedere i miei futuri
nipotini!”
L’eccitazione
che scaturiva dalla voce della donna impedì ad Inge di essere pienamente sincera
su quello che era successo tra lei e Tom. Come avrebbe potuto dirle che proprio
suo figlio le aveva detto di abortire? Le si sarebbe rotto il cuore, proprio
come era successo a lei stessa.
“Senti, ma
pensate che in futuro ci possa essere anche un matrimonio?” chiese titubante la
donna ed Inge non poté evitare di ridere con sarcasmo per quello che aveva
appena sentito. Dopo tutto quello che era successo, il matrimonio era davvero
l’ultimo dei suoi pensieri!
“Non credo
proprio, Simone, ora come ora la situazione è un po’ complicata. Non so nemmeno
se riusciremo più a parlarci, figuriamoci pensare al matrimonio!”
“Mi spieghi
esattamente cosa ti ha detto, Inge? Perché per un semplice disaccordo non credo
che tu possa ridurti così.”
Colpita ed
affondata, cara Inge.
Le fece notare la vocina arrogante nella testa, ma cosa poteva fare? Dirle
esattamente quello che le aveva detto Tom? No, piuttosto avrebbe dovuto dire che
lei se l’era presa più del dovuto per una questione di ormoni che lui non
riusciva a comprendere. Certamente non poteva far passare suo figlio per una
persona senza cuore e spietata, che pur di non rovinarsi il futuro da
chitarrista aveva avuto la faccia tosta di proporre l’aborto dei loro
bambini.
“N-niente,
Simone, seriamente.” Rispose Inge, pregando che i suoi versi evasivi potessero
passare inosservati. “Abbiamo solo discusso sull’argomento, ecco.”
“Ma lui cosa ti
ha detto precisamente?” si ostinò.
“Che i bambini
sono un problema.”
“E tu?”
“Be’, io non li
ritengo un problema. Certo, sono convinta che non sarà una situazione facilmente
gestibile, ma io non vedo tutta la negatività che ci ha visto lui.”
“Inge, prova,
però, a immaginare il suo punto di vista: è un maschio, e i maschi tendono
sempre a vedere compromessa la loro vita quando si parla di bambini. Pensano che
tutto cambierà, che tutto non sarà più lo stesso, ed infatti così sarà, ma non
per questo devono pensare che i giorni futuri saranno peggiori dei presenti.”
“Perfetto,
glielo fai capire tu a tuo figlio?” propose Inge velenosa.
“Suppongo che tu
gliel’abbia già detto, quindi.”
“Più o meno.” In
realtà non in questi termini, lei si era limitata a dargli dello stronzo per non
capire le sue ragioni, concludendo tutto con un paio di calci, pugni e sputi, ma
pensò che anche questo sarebbe stato un fatto da sorvolare in presenza di
Simone.
“Immagino che a
questo punto ci sia solo da aspettare e sperare che Tom capisca.”
“Ho paura che
questa attesa sarà un po’ troppo lunga per me.”
“Perché?”
“Simone, tu
avevi tuo marito accanto a te in quel periodo, io sono sola. Non ho nessuno.” E
il naso tornò a pizzicarle. Odiava quando succedeva. “Io amo tuo figlio, ma
questo suo comportamento mi sta facendo impazzire. Non mi sarei mai aspettata
che lui potesse pensare che la nascita di un nostro bambino – due in realtà –
sarebbe stato così problematico. Io mi sarei immaginata una situazione molto
diversa.”
“Certo, cara.
Tutte le donne se la immaginano diversa, ma è anche vero che Tom è un ragazzino
famoso. Si sente un po’ un Dio sceso in terra e come sai, gli Dei non hanno
limiti. Secondo te, chi, più di un bambino in fasce, potrebbe portargli certi
limiti.”
“Due
bambini in fasce.” Concluse Inge.
“Esatto. Già con
Alex, a quanto mi avete detto, la situazione è stata abbastanza complicata… Non
devi pretendere che lui ti possa accogliere con il sorriso sulle labbra dopo
aver ricevuto una notizia del genere.”
“Ho capito,
Simone, ma secondo te io dovrei continuare ad aspettare che lui capisca e venga
a cercarmi e dirmi: “Inge, ho cambiato idea, perché non mettiamo su famiglia,
anzi! Facciamone anche un altro paio, di bambini!””
“Credo che
questo sia un po’ troppo surreale, ma chissà che non venga seriamente a cercarti
per dire che ti sarà vicino.”
“No, io non
credo.” Disse con serietà la ragazza. “Stiamo insieme da due anni, e a questo
punto mi viene anche da dubitare di lui in quanto persona. Non mi sarei mai
aspettata che Tom potesse voltarmi le spalle in un momento come questo.”
“Non penso ti
abbia voltato le spalle volontariamente.”
“Be’, di certo
non gliel’ho chiesto io, anzi! Vorrei davvero averlo ora accanto a me, vorrei
davvero che in questo momento potesse dirmi che non sono sola, che posso contare
su di lui e che affronteremo insieme questa situazione, ma ancora non è successo
niente e sono due giorni che sono qui da sola in camera. Nemmeno è venuto su a
chiedermi se avessi fame o voglia di parlare. Esco solo quando devo andare in
bagno! Se non fosse per Bill che si preoccupa come un vero uomo, io potrei anche
morire di fame.”
“Tesoro, hai
ragione, Tom non si sta comportando nel migliore dei modi, ma credo che questa
situazione sia dura anche per lui.”
“Sì, molto
probabilmente hai ragione, ma questo non giustifica come mi ha trattata. O
meglio: per come non mi ha trattata.”
“Lo so, e ti
chiedo scusa per il suo comportamento da parte sua, ma -”
“Non accetto le
sue scuse finché non usciranno dalla sua bocca, Simone, quindi ti prego, a meno
che tu non sappia farlo ragionare come si deve, non parliamo più di questa
faccenda, anche se non credo sarà possibile visto che ogni notte devo alzarmi
almeno due volte per andare a vomitare in bagno, che sommata alle altre cinque
che regolarmente mi accompagnano per il resto della giornata sono ben sette
volte di vomito e motivo di stress. E in tutte queste volte lui nemmeno si è
preoccupato per me, mai una volta che si fosse affacciato alla porta del bagno
per chiedermi se avessi bisogno di aiuto.”
“Oh, Inge, non
so più che dire, mi sento tremendamente in colpa.” Mormorò Simone e la ragazza
si morse un labbro per l’impudenza che aveva mostrato nel farle notare tutte
quelle cose che la stavano pian piano mandando fuori di testa. Certamente se
avesse dovuto parlarne a qualcuno, non avrebbe dovuto farlo con la madre. Si
sentiva una merda per averlo fatto, ma non era riuscita a trattenersi e le
parole erano venute fuori prima ancora che lei se ne fosse resa conto.
“No, Simone, non
importa, sono questi cazzo di ormoni che mi fanno dire cose che non vorrei.”
“Senti, se vuoi
ti raggiungo domani, così puoi sfogarti quanto ti pare.”
“No, davvero!”
ci sarebbe solo mancata la madre di quell’idiota in casa, così sì che la
situazione sarebbe peggiorata in men che non si dica. “Simone, non darti pena,
non importa davvero che tu venga fin qua, anche perché spererei che la questione
si risolvesse il prima possibile e senza l’aiuto di nessuno. È Tom che deve
venire qui da me questa volta, non accetto più nessun compromesso per cui sia io
ad andare ancora una volta da lui a chiedere scusa. Questa volta non farò
niente.”
“D’accordo,
tesoro, come preferisci.” A Inge arrivò il suono di un sorriso, forse forzato,
ma comunque che sapeva di incoraggiamento. “Allora ti saluto. Ci si vede tra una
settimana, ok?”
“No, guarda,
preferirei che tu venissi solo una volta che le cose si siano sistemate.”
“Ah, allora
fammi sapere tu.”
“Sì, e scusa per
questa richiesta.”
“No, capisco il
tuo bisogno di chiarire, stai tranquilla.” Disse. “Ciao, e riposati, non
angosciarti, che lo stress fa male ai bambini.”
“Va bene,
grazie.” E la chiamata finì lì.
Il telefono
venne malamente gettato sul letto e lei tornò a stendersi, coprendosi gli occhi
con le mani per evitare che la voglia di piangere trovasse uno spiraglio nei
suoi occhi. Purtroppo tutto il tempo che passava chiusa lì non l’aiutava. Solo
la mattina, quando i ragazzi se ne andavano a lavorare e lei rimaneva a casa con
Alex aveva la possibilità di pensare ad altro, ma ben presto anche quella
soluzione sarebbe cessata, vista la decisione di Tom di mandare Alex in un asilo
privato.
Posò una mano
sulla pancia e chiuse gli occhi, respirando profondamente per riprendere il
controllo. Era strano come il corpo di una donna potesse mutare così tanto e
diventare un contenitore per la formazione di una nuova vita al suo interno. Ed
era ancora più strano pensare come presto anche dentro di lei si sarebbero
formati due piccoli esserini che le avrebbero cambiato la vita, sia nel bene che
nel male, perché se c’era una cosa che aveva capito in quei giorni era che non
avrebbe mai accettato di abbandonarne anche solo uno di loro due. Loro sarebbero
nati e lei li avrebbe cresciuti, con o senza Tom. Il con non avrebbe
portato troppe complicazioni, era il senza che la metteva in crisi, ma
indubbiamente sperava che quella opzione nemmeno si avvicinasse a quello che
sarebbe successo.
____________________________
Rieccomi con un
nuovo capitolozzo! Sì, lo so, è molto deprimente questo capitolo, però ci voleva
un trip dentro le testoline di quei due. Sapete, più scrivo, più Simone
mi sta simpatica. Sempre pronta ad intervenire nel caso le cose non vadano bene,
sempre pronta ad aiutare, e chissà come, sempre aggiornata su tutto! Eh, ma la
mamma è sempre la mamma :)
Allora, che dire
di più? Forse dovrei semplicemente fermarmi qui? Non so... Ma sì, per una volta
evito di presentarvi i miei sproloqui! Passo quindi subito ai ringraziamenti:
_Kyra_:
Davvero, t'immagini voler essere felice per il figlio - in questo caso i figli -
dell'uomo che ami, mentre lui non fa altro che cercare un modo per evitare di
averli! O.o La situazione non è proprio delle migliori, già... Abbiamo ora visto
cosa frulla in testa a Tom, che non è molto differente da quello che aveva già
detto a Inge, ma per lui la faccenda è enormemente enorme (passami il gioco di
parole)! Ps: questo non c'entra niente. Davvero ti chiami Sara? Avrei detto più
Chiara, visto il nick! Ad ogni modo, piacere, Silvia! ;)
memy881:
Sono super contenta che tu legga ancora "Just A Kid", per me è una notizia
strepitosa! Significa che sono riuscita nell'intento di creare qualcosa di
apprezzabile per voi! XD Passando alla tua recensione: certo, Tom non ha reagito
dicendo proprio ciò che una ragazza incinta vorrebbe sentirsi dire, però in
fondo bisogna capire anche lui. Non so, ma mi fa quasi pena il fatto che nella
storia praticamente nessuno lo voglia prendere sul serio quando cerca di
esprimere ciò che l'ha portato a pronunciare quelle parole...
_no
sense_: Ahahaha, be', questa volta purtroppo non sono stata proprio così
veloce, ma mi scuso raccontandovi brevemente cosa mi è successo: il mio
simpatico professore ha voluto anticiparmi di una settimana l'esame e quindi mi
sono vista costretta ad immergermi in un mondo a me sconosciuto di materiali per
la costruzione come calce, cemento, argilla, ecc... Però ho preso 30! :D Ad ogni
modo, spero di non arrivare a farvi fare la fine che mi avete descritto! Mi
sentirei troppo responsabile :( (Già che ci sono, vi dico subito che adoro il
vostro linguaggio! Mi diverto troppo a leggere! L'adorabile crucco nordico
alto come un lampione ha vinto il primo premio!) Tornando alla vostra
recensione: sì, sospettavo che la reazione di Inge vi potesse portare ad odiarla
ancora di più u.u Però lei ha sempre avuto un carattere terribile, molto
selvaggio... Ed è come se lei stessa - mentre scrivevo - avesse voluto che le
cose andassero così XD (Lo sputo l'ho volutamente inserito per riprendere
"Sopravvivere", infatti al loro primo incontro lei gli sputa in faccia senza
esitazione) Per il sesso dei bambini ci vorrà ancora qualche mese di gravidanza
;)
tittikaulitz:
Una nuova commentatrice! Che bello! :D Già, hai ragione, non poteva esserci una
reazione differente. O almeno, poteva esserci, ma in tal caso sarebbe stata
un'altra storia con altri personaggi ;) Grazie per il commento che hai lasciato!
Ps: ti ringrazio per aver preso le difese di Tom, secondo me anche lui te ne è
grato!
Ah, durante tutta
la vicenda, prenderò qualche battuta da vari telefilm - i miei preferiti, che
forse offenderò a citarli, però li adoro troppo e certe frasi sembrano proprio
per loro XD - come Friends e Scrubs, quindi ci tengo a ribadire
che ogni citazione, ogni menzione, non è a scopo di lucro u.u
E detto questo,
posso ritenermi soddisfatta per essere riuscita a postare un altro capitolo
prima della fine del mondo!
Alla prossima,
bella gente!
Irina
|
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Capitolo 5 *** What Should We Do? ***
What Should We Do
What Should
We Do?
E un altro
giorno era passato senza che nessuno dei due avesse avuto il coraggio di parlare
della questione. Bill stava seriamente pensando di prendere in mano la faccenda,
ma ancora non sapeva come, visto che suo fratello non sembrava avere la minima
intenzione di capire e, testardo come era, nemmeno sembrava voler provare un
approccio civile con la ragazza, che per il terzo giorno di seguito se ne stava
rinchiusa in camera. Per di più, sembrava quasi che Tom non vedesse l’ora di
andarsene di casa ad ogni occasione buona, infatti anche quella mattina, che
doveva invece rimanere con Alex, decise di andare al posto di Bill da Jost per
mettersi d’accordo riguardo alcuni incontri con gente famosa di cui nemmeno
ricordava il nome.
Riflettendo, non
sapeva chi dei due fosse il più testardo, perché anche Inge pur di non uscire da
quella stanza aveva chiesto dei permessi al suo capo, garantendo che avrebbe
portato a termine il lavoro a casa. Ed infatti lavorava, Alex gli aveva
raccontato che mentre lei disegnava, anche lui le faceva compagnia disegnando a
sua volta.
“Bill, perché
Inge e Tom non si baciano più?” chiese Alex, sistemandosi sul divano, pronto per
guardare un dvd in sua compagnia.
“Hanno litigato
ancora una volta.” Gli spiegò amareggiato lui.
“Perché litigano
tanto?”
Bill si trovò
incerto se raccontargli o meno quanto avvenisse in quella casa, dopotutto,
perché doveva essere sempre lui la persona a cui toccava spiegare i vari
avvenimenti al bambino? Anche quando litigarono riguardo la storia di Alex e
Inge scappò di casa, la spiegazione per Alex la dovette fornire lui.
“Be’, perché i
grandi non sempre pensano le stesse cose. È un po’ come quando tu vuoi mangiare
la cioccolata e Tom ti dice di no. Tu cosa fai?”
“Mi arrabbio!”
rispose lui, aggrottando la fronte, magari ricordandosi proprio un avvenimento
del genere.
“Ecco, lo stesso
è successo tra loro.”
“Papà non vuole
dare la cioccolata a Inge?”
“Diciamo…
Diciamo di sì, via.” Rispose Bill, trattenendo una risata. Era incredibile come
un bambino di cinque anni potesse portare tutta quell’allegria anche in una
situazione tragica come quella che tutti stavano affrontando.
“Ma se Inge
vuole la cioccolata gliela porto io!” si offrì il bambino, sorridendo,
evidentemente contento di essere riuscito a trovare la soluzione. “Così papà non
lo sa e tornano a darsi i baci!”
Bill rifletté un
momento sulle parole del bambino. Mica aveva torto quella piccola peste: e se
loro due si fossero organizzati per risolvere la situazione? Certo non avrebbero
dovuto portare nessuna tavoletta di cioccolata a Inge, ma avrebbero potuto
portare direttamente Tom, che era l’equivalente della cioccolata per lei: Tom
era la voglia di Inge. Avrebbero però dovuto trovare il modo per farlo
avvicinare a lei, visto che si era segregata in quella stanza e sembrava non
avere più la minima intenzione di uscirne. Oppure avrebbero dovuto tendere un
agguato alla ragazza, costringendola ad uscire.
Era dura sperare
di riuscire a portare a termine uno di quelle due imprese, ma con un po’ d’aiuto
magari ci sarebbero riusciti. Inoltre, il massimo sarebbe stato quello di
tenerli insieme finché non si fossero parlati, meglio ancora rinchiusi, perché
conoscendoli se non ci fosse stata questa variante, loro si sarebbero guardati
solo in cagnesco – o forse nemmeno – e si sarebbero allontanati come se niente
fosse successo. Cosa poteva tenerli insieme? Sicuramente Alex doveva far parte
del piano: era l’unica persona che al momento poteva avere la forza di muovere
entrambi, ma da solo non poteva riuscire a fare niente.
“Bill,” lo
chiamò Tom, salendo le scale. “Io me ne vado a letto, sono stanco e domani
dobbiamo stare tutta la giornata agli studi di registrazione.”
“Sì, lo so,
buonanotte!” disse lui, senza prestargli troppa attenzione, visto il piano che
si era imposto di architettare.
“Sì, ma anche tu
non fare troppo tardi, che sennò ti lascio a piedi.” Continuò lui. “E ricordati
di fare benzina alla tua macchina, sennò rimani a piedi.”
“In quel caso,
ti chiamo e mi torni a prendere.” Fece spallucce lui, premendo il tasto ‘play’
per iniziare la visione del Re Leone, il cartone preferito di Alex.
“Scordatelo,
nemmeno se ti mettessi a piangere.” Ribatté il fratello, dileguandosi su per le
scale.
E fu in quel
momento che Bill partorì quell’idea geniale che gli avrebbe permesso di aiutare
quei due cretini.
***
“Alex, muoviti
che è tardi!” lo chiamò Bill dall’ingresso. “Dove sei finito?”
“Eccomi,
aspetta!” urlò il bambino in risposta. “Mi stavo lavando i denti!” e zompettò
giù per le scale, raggiungendo Bill. Lo afferrò per la manica del giacchetto e
lo strattonò. “Quando devo andare a chiamare Inge?” chiese sottovoce.
“Aspetta, prima
dobbiamo uscire per far finta che la macchina non parta.” Gli ricordò,
strizzandogli l’occhio. Il bambino ridacchiò e lo seguì fuori dalla porta.
Andarono in garage e Bill tentò di accendere la macchina senza ruotare
completamente la chiave, in modo da far credere un guasto: la camera di Inge in
quel periodo che aveva iniziato a fare più caldo aveva sempre la finestra aperta
per far circolare un po’ d’aria. Per questo era necessario portare a termine con
minuziosità ogni cosa.
“Accidenti!”
alzò il tono della voce. “Non parte la macchina!”
Alex si mise a
ridere, essendo al corrente della trappola che stavano tendendo ai due ragazzi,
ma Bill lo guardò storto per fargli capire che Inge avrebbe potuto sentirlo,
quindi si tappò la bocca con le mani e aspettò che Bill gli desse il segnale per
agire.
“Vai a chiamare
Inge, chiedi se ci può accompagnare lei.” E Alex partì per portare a termine il
suo compito. Bill sapeva bene quanto quella ragazza avesse preso a cuore –
giustamente – la faccenda della gravidanza, ma sapeva altrettanto bene quanto
non potesse resistere agli occhioni lucidi di Alex, che era appunto andato a
convincerla. Lei avrebbe, quindi, preso la sua macchina e portato tutti loro
agli studi, dove avrebbe visto Tom e finalmente si sarebbero parlati, ovviamente
nella speranza che entrambi avessero il buon senso di parlare: questa era
l’unica pecca del piano.
“Bill,” tornò
Alex. Il suo tono era lamentoso e appena il ragazzo lo vide in viso, capì anche
il motivo: stava piangendo.
“Alex, cosa è
successo?” si preoccupò Bill, chinandosi di fronte a lui. “Perché stai
piangendo?”
“Perché Inge non
vuole venire.” Rispose, respirando a fatica tra un singhiozzo e l’altro. “Mi ha
dato le chiavi e ha detto di usare la sua macchina.” Gli porse il mazzo.
“Ma… Perché?”
fece Bill, sbalordito. Non pensava che la testardaggine di Inge potesse arrivare
a questi livelli. “Ma tu hai fatto finta di tirare su con il naso quando ti ha
detto di no?”
Il bambino
annuì, strusciandosi gli occhi. “Voglio papà!” pianse, stringendosi un lembo
della maglia mentre stringeva i denti.
Bill fu preso da
un momento di panico, incapace di elaborare pensieri coerenti che lo potessero
aiutare a sistemare la questione – anzi le questioni: calmare Alex e far lo
stesso incontrare gli altri due. Porse una mano ad Alex, che rifiutò scuotendo
la testa, quindi lo abbracciò e gli accarezzò la testa, dispiaciuto per il fatto
che ci fosse andato di mezzo anche lui. Dopotutto aveva sbagliato: non doveva
far entrare anche il bambino in quella faccenda, nonostante l’avesse fatto per
una buona causa. Fu quando Alex sembrò essersi calmato, che gli propose di
salire in macchina e andare da Tom allo studio, e lui accettò, asciugandosi gli
occhi e il naso alla manica del giacchetto.
Bill guidò con
la tristezza nello sguardo per tutto il tragitto, convinto sempre di più di
essere stato troppo insensibile per aver chiesto ad Alex di fare una cosa del
genere, e il fatto che per tutto quel tempo lui non avesse fatto altro che
chiedergli perché Inge e Tom non si parlassero più, gli procurava delle
sensazioni che avrebbe decisamente voluto evitare di provare.
Non fece in
tempo ad arrivare agli studi di registrazione che Alex scappò subito alla
ricerca di Tom. Bill dovette rincorrerlo per i vari corridoi per paura che si
potesse perdere, ed una volta raggiunto lo prese in braccio per portarlo dal
fratello. La vicinanza alla sala dove si erano dati appuntamento qualche giorno
fa con Jost lo metteva sempre più a disagio: si sentiva una vera merda ad aver
fatto piangere quel bambino, che era a tutti gli effetti suo nipote, nonché
figlio di suo fratello. Se Tom l’avesse visto in quello stato si sarebbe
infuriato come una bestia!
“Ehi, Tom è qua
dentro.” Gli disse, afferrando un pacchetto di fazzoletti dalla sua borsa.
“Tieni, asciugati il naso e gli occhi. Non vorrai che Tom ti veda in questo
stato, eh?” Ma Alex negò, e Bill non seppe se fosse per una ripicca per quello
che gli aveva fatto o per pura ostinazione infantile. “Dai, guarda qui: almeno
soffia il naso.” Il bambino accettò e si fece pulire il viso per poi insistere
per entrare nella stanza.
Bill sospirò e
accettò di aprire la porta. Tom, Gustav e Georg erano là dentro che parlavano
animatamente con Jost, seduti intorno ad un tavolino con dei fogli sparpagliati
sopra. Appena Alex vide il ragazzo si divincolò per poter scendere. Bill non lo
trattenne e lo lasciò andare. Tom, intanto, si era alzato e gli era andato
incontro, perplesso su quella scena che gli veniva proposta.
“Ehi, Alex, che
hai?” gli chiese preoccupato, prendendolo in braccio. Ma il piccolo non gli
rispose, continuando a piangere imperterrito, nascondendo ora il viso sul petto
del padre. “Ti sei fatto male?” ipotizzò, cercando di farsi guardare dal
bambino. Poi portò lo sguardo su Bill, chiedendogli spiegazioni.
“Be’, ecco…”
doveva confessare la sua mancanza di tatto? Oppure faceva prima ad ammettere che
tutto quello era successo per un suo capriccio nel voler far ritrovare loro due?
“Avevo mandato Alex da Inge per -”
“Voglio stare a
casa con te!” pianse Alex, interrompendolo.
“Ma ci siamo
stati l’altro giorno.” Replicò Tom. “Abbiamo pure fatto la torta ti ricordi?” e
provò a farlo sorridere.
Gli altri
presenti, intanto, osservavano la scena incuriositi, facendo vagare gli occhi da
Bill a Tom, passando su Alex. Bill nemmeno cercò di incrociare il loro sguardo,
guardando fisso il pavimento, alternandolo solo a piccole e fugaci occhiate ad
Alex.
“Ma io voglio
stare ora a casa con te.” Insistette lui.
“Be’, se non
volevi venire potevi stare con Inge.” Propose. “Bill, perché non l’hai lasciato
da lei?”
“Cosa?” trasalì
lui. “No, è che mi sarebbe piaciuto farlo venire con noi.” Farfugliò. “Sai, per
fargli sentire le nuove bozze…”
“Ma Inge è
sempre in camera sua!” si lamentò Alex, ora guardando il padre supplicante. “Io
invece voglio giocare!”
“Alex, vedi…”
borbottò Tom. “Inge in questo periodo non sta molto bene.” Tentò di spiegare, ma
si vedeva chiaramente la sua difficoltà anche solo nell’affrontare l’argomento
con il bambino. “Per questo sta sempre da sola.”
“Ma nemmeno tu
giochi più con lei!”
“Sì, è vero…”
sembrava stesse cercando una scusa per rispondergli in modo che lui non facesse
ulteriori domande al riguardo. “Ma vedi, lei vuole riposare da sola.”
“Ma non vuole
più giocare con me!” tornò a piangere con foga. “Non mi vuole più bene!”
“Oh, Alex!”
provò a calmarlo Tom, accarezzandolo impacciato sulla schiena. “Non è vero che
non ti vuole più bene!”
“Non è vero!”
obiettò lui. “Sennò giocava con me!”
“Tranquillo,
Alex, tra poco tornerà a giocare con te.” Sorrise tirato, come se stesse
cercando di rassicurarlo.
“No, io voglio
giocare con voi ora!”
“Ma ti ho detto
che ora non è possibile.” Ribatté Tom, rischiando di andare troppo forte con il
tono scocciato.
“No, sei tu che
non vuoi!”
Bill osservò la
scena in silenzio. La loro conversazione stava prendendo una piega diversa da
quella che si sarebbe aspettato. Pensava che Alex avrebbe pianto raccontando a
Tom che lui l’aveva usato per far incontrare i due, invece sembrava che
Alex fosse più arrabbiato proprio con loro due, piuttosto che con Bill. Era
strano, e il ragazzo non poté evitare di tirare un silenzioso sospiro di
sollievo.
“Alex, non
esagerare.” Lo rimproverò Tom. “Sono cose da grandi queste, ora basta!”
Ma quelle parole
furono troppo dure per il bambino, che tornò a piangere rumorosamente.
“Tom, vuoi una
mano?” chiese Gustav, alzandosi per andare verso di lui.
“Non sono affari
tuoi.” Gli ringhiò contro. “Per piacere non immischiatevi in questa faccenda.” E
con Alex in braccio uscì dalla stanza a grandi falcate, lasciando loro quattro a
fissare stupiti la porta che chiuse con violenza alle sue spalle.
***
E ora cosa
doveva fare? Era ovvio che Alex risentisse dell’aria pesante che tirava in casa
loro, ma lui era un bambino, non capiva che la situazione era più seria del
solito. Tom si rendeva perfettamente conto di come quella situazione potesse
essere difficile da sopportare per un bambino di cinque anni, ma non c’era una
soluzione immediata.
“Mi spieghi
perché continui a piangere?” fece Tom, scocciato, sedendosi su una sedia trovata
nella stanza di fronte, Alex sulle gambe che si strusciava gli occhi.
“Sei cattivo!”
pianse lui, scalciando e colpendo Tom alla gamba, che si chinò per massaggiarla
con una mano, mentre con l’altra si preoccupò di tenere Alex affinché non
cascasse per terra.
“Cosa vuoi che
faccia, insomma?” brontolò.
“Voglio andare a
casa!”
“Potevi rimanere
con Inge, allora!” ruggì Tom. Non riuscì a trattenersi in tempo per evitare di
rivolgersi ad Alex con così tanta rabbia nel tono, che il piccolo iniziò a
singhiozzare più forte. “Scusa, non volevo urlare.” E gli passò una mano sulla
schiena per tranquillizzarlo. Sapeva che non sarebbe stato sufficiente, ma era
sempre meglio che non fare niente. “Sono stato un idiota.” Ammise. “Dai,
smettila di piangere e dimmi cosa è successo.”
“Inge non vuole
giocare.” Ripeté lui.
“Lo so, tu hai
provato a chiederglielo con gentilezza?”
Alex annuì,
strusciandosi gli occhi con i pugni delle mani.
“E lei cosa ti
ha detto?”
“Di andare via
perché non voleva.”
Tom inarcò le
sopracciglia stupito. Da quando Inge rispondeva così ad Alex? Non era da lei
essere così brusca. Per quanto potesse essere arrabbiata con lui, non aveva
nessun diritto di trattare allo stesso modo Alex, che più di tutti sembrava
risentire della loro pessima situazione.
“Ti ha detto
questo?” chiese serio.
“Sì, ha detto
che dovevo andare via con Bill.”
Tom provò una
sensazione strana al petto: anche per lui questo era un periodo faticoso,
stancante, ma non si rivolgeva ad Alex così! Cosa pensava? Che essere incinta
desse la priorità dei propri bisogni anche su quelli di un bambino così piccolo?
E poi diceva che era lui quello immaturo, che era lui che doveva crescere,
quando in realtà lei si stava comportando da persona infantile! Essere
arrabbiata con lui non le dava alcun diritto di voltare le spalle anche ad Alex.
Il suo respiro
si fece più feroce. Voleva andare a difendere Alex per quello che gli aveva
detto, voleva farle capire che lei crede sempre di fare la scelta giusta, ma che
in realtà lei sbagliava come tutti gli altri miseri mortali. E voleva far
smettere Alex di piangere. Vedere quel bambino serrare gli occhi e versare
lacrime come in quel momento gli dava fastidio, si sentiva impotente, così
impotente che quasi sarebbe venuta voglia di piangere persino a lui. Proprio
come se a piangere fosse stato Bill. Era una cosa che non poteva sopportare e
avrebbe tentato di fare tutto ciò che era in potere per riparare al torto
subìto. Anche correre a casa ed affrontare la ragazza per farle capire che
questa volta aveva torto marcio.
“Alex, andiamo a
casa, ok?”
Il bambino lo
guardò negli occhi e parve calmarsi, per poi sorridergli e scendere dalle sue
gambe. Prese dalla tasca il fazzoletto che gli aveva lasciato Bill e con l’aiuto
di Tom si asciugò naso ed occhi. Il ragazzo, quindi, lo prese per mano e tornò
nella sala in cui stavano ancora seduti intorno al tavolino gli altri. Annunciò
che sarebbe tornato a casa con Alex e che non sapeva se poi li avrebbe potuti
raggiungere nel pomeriggio, quindi si voltò e chiuse la porta dietro di sé,
seguito da Alex, che gli andava dietro saltellando con un gran sorriso sulle
labbra.
Raggiunsero la
macchina nel parcheggio e viaggiarono in gran fretta verso casa, ma una volta
arrivati a destinazione, la determinazione di Tom sembrò essersi affievolita. Se
avesse avuto Inge davanti in quella stanza mentre parlava ad Alex, di certo non
le avrebbe lasciato nemmeno il tempo per poter ribattere alle sue accuse, ma ora
sembrava essersi raffreddato. Ora nemmeno sapeva come iniziare il discorso.
Anche se fosse piombato nella sua stanza, che le avrebbe detto? Di lasciare in
pace Alex? E cosa avrebbe risolto? Niente. Ci sarebbe voluto un discorso che le
potesse far capire che si era comportata come una vera stronza.
Aiutò Alex a
togliersi la cintura di sicurezza ed uscirono insieme dal garage, per poi
entrare in casa. Il ragazzo rimase qualche istante a domandarsi perché si era
lasciato convincere ad andare a parlare con lei, che sicuramente gli avrebbe
chiuso la porta in faccia senza pensarci due volte, ma dopo che Alex lo
strattonò per una manica della felpa con lo sguardo triste, si ricordò quello
che avrebbe dovuto fare: andare a difendere Alex.
“Ehi, tu rimani
qui in sala.” Gli disse, scarruffandogli i capelli biondi. “Io vado a parlare
con Inge, ok?”
Alex annuì e
corse verso il divano, prendendo il telecomando e accendendo il grande
televisore piatto attaccato alla parete di fronte a lui.
Tom, appurato
che il bambino non lo avrebbe seguito, si decise a salire le scale, un passo
dietro l’altro, pensando a come iniziare il discorso che lo avrebbe portato a
una sfuriata contro Inge. Ad ogni gradino che saliva, sentiva la sua
determinazione affievolirsi ancora una volta. Pensava a quello che le aveva
detto Inge, ai bambini che stava aspettando e litigare così pesantemente con lei
non gli sembrava la cosa più appropriata da fare in quel momento. Tuttavia, era
anche vero che lei si era comportato malissimo con Alex, e una cosa del genere
non era ammessa.
Fu con quella
determinazione che colpì la porta con un pugno.
“Inge, apri che
ti devo parlare.” Aveva volutamente usato un tono serio: non accettava rifiuti.
Passò, però,
qualche istante prima che lei gli rispondesse.
“Perché dovrei
fare come dici?”
“Perché non puoi
trattare così Alex!” sibilò lui. Come era prevedibile, non sarebbe stato facile
farsi aprire, ma non per questo si sarebbe dato per vinto.
“Io non ho fatto
niente ad Alex, quindi non venire fuori con queste cazzate.”
“Sei anche
bugiarda,” la accusò. “Alex ha pianto tutta la mattina per quello che gli hai
detto!” e picchiò un altro colpo contro la porta. “Quindi ora apri che voglio
mettere certe cose in chiaro.”
“Aspetti solo
questi momenti per fare la parte del padre?” lo schernì.
“Non dire certe
cose, io sono sempre il padre di Alex.” Replicò lui, iniziando a
perdere la pazienza.
“Certo, fatti un
esame di coscienza e poi torna a dirmelo.”
“Non fare la
saccente, che tanto non hai ragione!” urlò Tom. “È inutile che tu cerchi di
cambiare discorso! Non osare più trattare Alex come hai fatto oggi!” la minacciò
a denti stretti.
“Ma piantala!
L’unica cosa che gli ho chiesto oggi era se voleva rimanere a giocare a casa con
me!” urlò lei in risposta. “Non venirmi a raccontare cazzate quando nemmeno sai
come sono andate le cose!”
Cosa?
Tom si scoprì interdetto. Che poteva rispondergli ora? Di certo le versioni dei
due non combaciavano.
“No, aspetta…”
si calmò il ragazzo. “Spiegami cosa è successo stamani.”
Inge anche
questa volta non rispose subito.
“È venuto a
chiedermi le chiavi della macchina perché Bill era a secco.” Iniziò la ragazza.
“Gli ho poi proposto di rimanere qui con me, ma lui ha detto che preferiva stare
con voi. E se ne è andato.” Concluse. “Tutto qui. Se poi s’è messo a piangere,
chiediti il motivo, magari sei tu la causa.” Era velenosa, forse fatale, ma non
bugiarda. Dalle sue parole Tom non se la sentì di non crederle. Sembrava
sincera. Allora, cosa diavolo era successo?
E in un attimo,
il ragazzo capì: Alex l’aveva preso ben bene per il culo per farlo tornare a
casa. Eppure le lacrime erano vere, su questo non c’era dubbio.
“Ehi, ma ci sei
ancora?” chiese Inge, battendo qualche piccolo colpo contro la porta.
“Sì, ma
tranquilla, ora me ne vado.” Le rispose duro. “Ci mancherebbe solo che possa
disturbarti più del dovuto!” Ma si pentì delle sue parole, sebbene non avesse
intenzione di dirlo alla ragazza. In quel breve lasso di tempo, infatti, era
arrivato a conclusioni che nemmeno credeva potesse formulare: e se Alex avesse
fatto di tutto per farli riavvicinare? Non sarebbe la prima volta,
ricordò Tom. Dopotutto, se quelle lacrime erano vere, l’unico motivo era proprio
che lui stesse male per quella situazione che si era creata in casa loro. E si
sentì presto in colpa per questo. Se prima voleva difendere Alex a tutti i
costi, perché ora sarebbe stato differente? L’unica cosa che era cambiata era il
suo ruolo. Doveva parlare con Inge. E se non per se stesso, almeno per Alex.
***
“Alex, Tom!”
chiamò, entrando in casa caotico. Non aveva resistito ed era tornato a casa poco
dopo aver visto Tom arrabbiato. Gli aveva letto in faccia che avrebbe fatto una
cazzata e più il tempo passava, più Bill pensava che questa cazzata fosse
connessa con il bambino. Sperava con tutto se stesso, pregando tutti gli Dei a
lui noti di tutte le religioni conosciute che non fosse niente di grave, ma per
tutto il tempo che aveva guidato per tornare a casa, il volto scuro del fratello
non faceva altro che fargli pensare al peggio. Tom non era solito perdere le
staffe con Alex, ogni volta che sembrava essere sull’orlo di sbottare, infatti,
respirava profondamente e tentava di mantenere il controllo, in modo che potesse
parlare al piccolo senza sembrare aggressivo nei suoi confronti.
Tuttavia, Bill
poteva capire bene suo fratello: erano due giorni che non parlava con Inge.
Fosse stato il solito litigio, certo, avrebbero potuto continuare a non
rivolgersi parola per anche una settimana intera, ma questa volta la faccenda
era leggermente diversa. Era ovvio, quindi, che Tom si sentisse più
stressato del solito. Questo fu il motivo che più di tutti spinse Bill a farsi
tutte quelle paranoie.
Appena mise
piede in casa, però, trovò Alex seduto seraficamente sul divano che guardava un
cartone animato. Si era girato, sentendosi chiamare, e gli aveva rivolto un
grande sorriso che Bill classificò come trionfante, sebbene non ne
capisse il motivo. Si avvicinò a lui, calmandosi nel vederlo, e si sedette sul
divano al suo fianco.
“Dove è Tom?”
gli chiese.
“Su da Inge.”
Sorrise.
“Da Inge?”
ripeté impressionato. Sgranò gli occhi come se avesse appena sentito che la fine
del mondo sarebbe arrivata da un momento all’altro – cosa che poteva anche
essere, vista la notizia appena ricevuta.
Alex annuì
contento.
“Ma… Perché?
Cosa è successo per…?” E il sorrisino compiaciuto di Alex fece capire tutto al
ragazzo. “Sei stato tu, eh?” lo indicò sogghignando. “Sei stato tu che l’hai
convinto a parlare con Inge! Ammettilo!”
Il bambino
ridacchiò eccitato e saltò in braccio a Bill, che lo stritolò in un abbraccio.
“E io che sono
quasi morto dalla disperazione di averti fatto piangere! Dimmi come hai fatto,
peste!”
“Il tuo piano
faceva schifo!” esclamò il piccolo, come se lo stesse deridendo, e Bill si sentì
attaccato nella sua immagine di folle inventore di piani malefici.
“E hai voluto
fare di testa tua, eh?” concluse lui. “Raccontami cosa hai fatto, che da me sei
tornato in lacrime.”
“Ho detto a papà
che Inge non voleva più stare con me.”
“Ma Inge non
direbbe mai una cosa del genere, lo sai!” gli fece notare Bill, togliendoselo di
dosso e facendolo sedere accanto a lui sul divano.
Alex annuì.
“Però siccome piangevo, lui ci ha creduto! Poi siamo tornati a casa.”
“Ehi, ma così
hai rischiato che litigassero ancora di più.”
E Alex
improvvisamente si rattristì, gli occhi gli divennero lucidi e il labbro iniziò
a tremare lievemente.
“Vuoi dire che
ora stanno litigando per colpa mia?” Stava per mettersi a piangere, la voce era
flebile a causa dei singhiozzi che presto l’avrebbero portato a ridursi come
quella mattina.
“No, Alex, no!”
cercò di tranquillizzarlo. “Senti? Non stanno urlando!” disse speranzoso. “Se
non stanno urlando vuol dire che forse stanno parlando, no?” e gli sorrise
incoraggiante.
Alex sembrò
credere alle sue parole e tirò su con il naso, asciugandosi gli occhi umidi.
“Allora hanno
fatto la pace!” esclamò, tornando alla sua vivacità.
“Be’, speriamo.”
Gli sorrise Bill, abbracciandolo e dandogli un piccolo bacio in fronte. “Ma lo
sai che sei una mente diabolica?”
“Cosa vuol
dire?” domandò allegro.
“Che ti vengono
in mente dei piani incredibili per far fare agli altri quello che vuoi.” E gli
scarruffò i capelli.
“È una cosa
bella?” si informò, cercando di allontanare la mano del ragazzo con le sue,
mentre lui lo teneva con l’altra per la vita per evitare che cascasse dal divano
e si facesse male.
Bill ci pensò un
attimo. “Solo se usi questa tua capacità per fare delle belle cose.” Sorrise.
“Senti un po’, ma come facevi a piangere così bene?”
Alex si fermò e
la sua allegria sembrò scemare. Guardò serio Bill e gli cinse le mani intorno al
collo, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Non voglio più
vedere Inge e Tom litigare.” Mormorò. “Voglio tornare come prima, quando loro
ridevano e si davano i baci.”
Bill lo
abbracciò stretto e gli massaggiò la schiena per consolarlo.
“Sono sicuro che
grazie a te ora loro due stiano parlando.” Lo rassicurò. “Vedrai che tra un po’
li vedremo scendere insieme.”
Il bambino annuì
contro la sua spalla.
“Sì.”
_________________________________________
Adoro il piccolo
Alex, sappiatelo. U.U Ma credo che sia abbastanza evidente. Come è anche
evidente quanto lui stesse male per la situazione che si era venuta a creare.
Rileggendo il capitolo prima della pubblicazione mi ha fatto anche pena, povero
piccolo... Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto, lo so che la vicenda vera e
propria ancora non sembra smuoversi, però abbiamo intanto visto la realtà
intorno alla problematica coppia.
Passo subito ai
ringraziamenti onde evitare di parlare troppo e annoiarvi :)
memy881:
Scusa! Hai dovuto aspettare anche questo capitolo per un bel po', mi dispiace...
Posso provare a giustificarmi con il dire che nel frattempo sono andata avanti
con lo scrivere i capitoli successivi di questa e altre FF, ma sta a te se
prendere o meno in considerazione queste parole XD Comunque, per tornare alla
tua recensione... Già, il legame di Alex e Tom è molto forte, e un po' si è
visto anche in questo capitolo, sebbene i fini erano ben altri, ma la reazione
di Tom alla vista del piccolo pargoletto frignante secondo me è molto bella
(lasciamo perdere che poi degenera un pelino) :) Inoltre, mi è piaciuta molto la
tua difesa di Inge - certo, come dici tu, i bambini si fanno in due, ma mi è
sembrato di leggere una spinterella a Tom perché si faccia avanti e parli con
Inge, o in alternativa perché Inge prenda in mano la questione. Be', a questo
momento della storia ancora non sappiamo come andranno a finire le cose, però
secondo me in questo capitolo è appena apparso uno spiraglio... Tu che dici? ;)
_KyRa_:
Sara! Eheh, ora ti chiamerò così! Wow! Vedo che la discussione tra Kaulitz con
contorno di Schäfer
per quanto seria è piaciuta molto! Be', ne sono felice, anche perché tratta uno
degli argomenti fondamentali dell'intera vicenda... Io, vestendo i panni di
colei che ha partorito cotanta pazzia, posso dire che sto dalla parte di
entrambi - Tom e Inge, ovviamente - ma allo stesso tempo vorrei prenderli a
sberle. E visto che dici cose molto simili, be', ti ringrazio per aver afferrato
proprio quello che volevo si percepisse :D Inoltre, mi è piaciuto che tu abbia
citato anche un'altra persona fondamentale alla vicenda: Simone! Eh, sì, quella
donna è un mostro - in senso buono - e ovviamente la sua partecipazione come
Guest Star non è ancora finita! Ps: La scena in cui Tom si alzava ma si sentiva
bloccato ad andare seriamente ad aiutarla mi premeva molto descriverla, perché
ho voluto rendere evidente un po' il suo stato d'animo. È preoccupato, ma ancora
non riesce a capire cosa fare.
tly: Nataly...
Grazie! Ehehe, e grazie per tutto ciò che dici sulle storie! Questa coppia mi è
sempre stata a cuore, non so esattamente perché, ma non posso far a meno di
scrivere di loro. Purtroppo però non so quanto ancora possa andare avanti.
Immagino che questo episodio sia l'ultimo della serie, anche perché il terzo
capitolo solitamente non è mai all'altezza né del secondo né tantomeno del
primo... Spero comunque di non illudere le tue aspettative e farti leggere
qualcosa di non banale che possa essere considerato all'altezza degli altri :)
_no sense_:
Ahahaha, come al solito eccovi presenti! E scusate il ritardo nell'aggiornare,
spero che ciò che mi avevate descritto nella recensione precedente non stia
lentamente accadendo... Accidenti, però, mi istigate il povero Gustav alla
violenza! No, lui è una persona pacifica, sorridente, al limite vi manda
amabilmente a quel paese con il suo sorriso cordiale sulle labbra, ma non di
più! E figuriamoci se lo fa ad Inge, lei sarebbe capace di rivoltargli le parole
contro, senza dubbio u.u Sono contenta però che vi sia piaciuta la discussione
iniziale, ma credo che più di quella vi possa piacere questo capitolozzo, pieno
dell'innocenza di Alex. E per concludere con il rispondere alla vostra
recensione, sappiate che mamma Simone avrà in seguito un altro ruolo molto
importante da interpretare! Ma non dico nient'altro, avrete tempo per leggere ;)
tittikaulitz:
Un po' in ritardo, però ho fatto: aggiornato! Già, i tre personaggi sono
fondamentali, come anche Georg - che non era presente, ma che successivamente
apparirà - ma ti sei dimenticata di una personcina (ma proprio ina ina XD)
che saprà trovare un modo per avvicinare quei due testardi! Ehhh, il piccolo
Alex è terribilmente adorabile! *-* Ma ovviamente, ci saranno molti altri
problemi ad attendere la coppia... Chissà se anche in quel caso Alex saprà
aiutarli... Ma soprattutto, ora c'è da vedere cosa succederà tra Inge e Tom!
Gente, io ho
bisogno che mi si amputino le dita delle mani, perché non è possibile che arrivi
a scrivere paginate per rispondere ai commenti XD Cioè, in pratica creo uno
spazio per le note post-capitolo più lungo del capitolo stesso - che già non
scherza... In realtà scherzo, ci tengo troppo alle mie preziose ditina XD Non
potrei più scrivere, disegnare... T.T Ok, via, basta parlare di idiozie, è bene
che ora vi lasci e torni a partorire qualche bastardata per questi ragazzi.
Al prossimo
aggiornamento, gente!
Ps: Odio le
zanzare! Ora prendo lo spray e mi ci faccio la doccia, arrivando persino ad
intossicarmi se necessario, ma a quel punto, cavolo!, le zanzare smetteranno di
ronzarmi e pinzarmi, no? O sono animali così masochisti da rischiare il
suicidio?
Vabbè, baci!
Irina
|
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Capitolo 6 *** Right Things To Do ***
Right Things To Do
Right Things To Do
Era lì fermo,
davanti alla porta, senza sapere bene cosa sarebbe successo ora che aveva almeno
preso la decisione di andare in fondo alla questione.
“Inge,” la
chiamò. Non bussò questa volta, sperò solo nella sua comprensione. Ma la
risposta non arrivò. “Inge, per favore.” Disse con tono serio. Non sapeva
perché, ma l’idea di dover affrontare quell’argomento a cui per tutti quei
giorni non aveva nemmeno voluto pensare, gli aveva fatto tremare la voce.
“Possiamo parlare?”
E la chiave girò
nella toppa, mentre la porta si socchiuse e gli occhi verdi di Inge facevano
capitolino, sebbene con un velo di tristezza.
“Credevo non me
l’avresti mai chiesto.” E azzardò un timido sorriso. “Vuoi entrare?”
“Credevo non me
l’avresti mai chiesto.” Abbozzò un sorriso a sua volta. Era incredibile come in
questi pochi giorni le cose tra loro fossero cambiate. Entrambi sembravano
retrocessi all’età adolescenziale, in cui il primo appuntamento rappresenta uno
scoglio di imbarazzo quasi insormontabile.
Inge si sedette
sul letto, con un paio di cuscini dietro la schiena per stare più comoda, mentre
Tom si accomodò sulla sedia presso la scrivania, avvicinandosi al letto per
stare più vicino alla ragazza. Lei aveva le occhiaie sotto gli occhi di un
colore scuro, tendente al violaceo, e sembrava dimagrita – contrariamente alle
conseguenze della gravidanza.
“Come stai?” le
chiese.
“Bene.” Rispose
lei, mentre piegava le ginocchia e le cingeva con le braccia.
“Bene.” E portò
lo sguardo sulle proprie mani.
Il silenzio li
avvolse e sembrava non voler concedere loro nemmeno una tregua. Lei non parlava
e anche Tom si sentiva a secco di parole. Solo qualche minuto prima sembrava
sapere il fatto suo, sembrava quasi che le parole fossero addirittura troppe, ma
ora si era ritrovato paradossalmente senza niente da dire. O meglio, in realtà
c’era molto da dire, ma non trovava il coraggio per iniziare quella
conversazione che, finché non ci fosse stato dentro, non avrebbe saputo a cosa
avrebbe portato.
“Inge, io…”
tentò.
“Ho paura, Tom.”
Confessò lei. I suoi occhi ancora fuggivano dal suo sguardo.
“C-cosa?”
balbettò lui, colto alla sprovvista.
“Hai capito
bene.” Fece lei. “Ho paura.” Ripeté. “Per me – come per te – questa è una
situazione nuova, non so cosa fare… E tu non mi sei minimamente d’aiuto.” Erano
parole dure che Tom non poté far altro che incassare.
“Scusa.” Ora era
il suo turno di ammissione delle colpe. Era vero, lui era stato per tutti questi
due giorni completamente assente.
“Io lo so che
non vuoi questa responsabilità, ma io…” si zittì, come incapace di continuare.
“Davvero, io non ce la faccio a pensare che possa perderli.”
“Inge, anche
io…” Anche io cosa? Nemmeno sapeva cosa dire. Sentiva solo che doveva
fare qualcosa. Il punto era: cosa? L’idea di ritrovarsi con altri due bambini –
e questa volta sarebbero stati bambini veri, piccoli, suoi dall’inizio –
lo terrorizzava. Sarebbe cambiato tutto. E forse sarebbe dovuto cambiare anche
lui.
Inge lo guardò
negli occhi, speranzosa di poter ascoltare quelle parole che era palese volesse
sentire. Ma Tom non se la sentiva. Poteva anche dirgliele, ma non sarebbero
suonate sincere. Eppure, guardando Inge con quell’espressione quasi supplicante,
non riuscì a trattenerle.
“Inge, anche io
non vorrei perderli.”
Fu la reazione
della ragazza a non essere minimamente prevedibile: sbuffò, quasi come se
volesse deriderlo.
“Andiamo, Tom.
Non dire cazzate.” Lo riprese.
“Cosa?” si
alterò. Lui faceva di tutto per cercare di farla felice e lei lo scherniva?
“No, Tom, hai
ragione.” Si fece seria lei, guardandolo dritto negli occhi. “Pensaci: da quanto
tempo è che non ti comporti con Alex come un padre?” Tom non riuscì a
rispondere. Cosa voleva dire con questa domanda? Lui era un padre a tutti gli
effetti con Alex, anche biologicamente parlando. “Vedi? Non mi sai rispondere.”
Sorrise amareggiata. “Tu lo stai considerando come un fratellino. Quando è stata
l’ultima volta che l’hai preso in braccio e l’hai baciato dicendogli quanto bene
tu gli voglia?”
Il ragazzo si
trovò a boccheggiare in cerca di una risposta che non riusciva a trovare.
“Tom, questo
dovrebbe farti riflettere.” Proseguì la ragazza, distogliendo poi i suoi occhi
verdi e posandoli sulla sua pancia, mentre l’avvolgeva con le mani. “E dovrebbe
far riflettere pure me.” Aggiunse con un filo di voce. “Tu non sei pronto per
altri due figli. Sei troppo immaturo.”
“Ehi, aspetta un
po’!” ribatté il ragazzo. “Va bene rinfacciarmi tutti i miei difetti in quanto
padre, ma questa offesa gratuita potevi risparmiartela!”
“E perché? Ho
forse torto?” ridusse gli occhi a due fessure e aspettò che lui rispondesse, ma
ancora una volta si ritrovò a non sapere come ribattere. E questo lo faceva
irritare ancora di più. Avrebbe voluto dire molte cose per rispondere a
quell’offesa, ma tutte erano inopportune in una situazione del genere.
“Ascolta, Tom,”
continuò con tono più remissivo. “Solo perché tu lo sappia: io li voglio
tenere.” I suoi occhi verdi splendevano di una determinazione che li faceva
brillare, forse più per un pianto trattenuto che per altro. E Tom capì che Inge
non avrebbe cambiato idea nemmeno sotto tortura. Nel guardarla così combattiva,
così risoluta nel difendere il suo futuro, Tom non riuscì a nascondere a se
stesso quanto amasse quella ragazza. Per questo capì che qualunque fosse stata
la sua decisione, lui le sarebbe dovuto stare vicino.
Si alzò dalla
sedia e le si avvicinò, sistemandosi sul letto affianco a lei e la strinse forte
a sé, dandole un bacio in fronte.
“Inge,” le
sussurrò all’orecchio. “Io sono qui.” E sentì la ragazza che si abbandonò tra le
sue braccia. Nessuna parola poteva essere più esauriente di quel semplice gesto.
Lei si fidava di lui.
“Scusa per i
pugni e i calci.” Sussurrò contenta.
“E dello sputo
che mi dici?” sorrise lui, nonostante le paure non smettessero di ronzargli in
testa. “Quello è stato il colpo più umiliante per me.”
Questa volta
Inge rise di gusto e gli diede un bacio sulla guancia, per poi accoccolarsi
contro di lui. Tom la guardò mentre chiudeva gli occhi, il sorriso ancora sulle
labbra, e la strinse a sé, sentendosi una merda. Non sapeva quanto avrebbe
potuto resistere. Certo, le sarebbe stato accanto, l’aveva promesso, ma che
potere poteva avere una promessa di cui persino lui stesso non era convinto? Si
scoprì inadeguato per quel ruolo che aveva accettato di recitare, essendo lui
stesso il primo che dubitava delle sue parole.
***
Era incredibile
come quelle tre parole potessero averlo condizionato tanto. Da quando le aveva
pronunciate, Tom era totalmente cambiato. Ogni volta che Inge scendeva le scale,
o le saliva, o faceva qualsiasi altra azione quotidiana, lui era sempre lì a
chiederle se avesse bisogno di aiuto. Inizialmente Inge non poteva che essere
entusiasta del suo comportamento, sembrava che lui avesse seriamente compreso
quello di cui lei aveva bisogno, ma con il passare dei giorni si era ritrovata a
non sopportarlo più. Non la lasciava nemmeno un attimo da sola: le proponeva di
accompagnarla al lavoro, di aiutarla in cucina – non sempre con risultati
commestibili – di stare con Alex al suo posto per non farla stancare, di
portarle le borse con i documenti di qualche progetto… Era assillante, e Inge si
sentiva ogni giorno sempre più oppressa, come se non avesse più la possibilità
di essere libera, indipendente come era sempre stata.
Ogni tanto,
però si sforzava di guardare quella situazione da un altro punto di vista,
quello comico, ritrovando così il buon umore e la possibilità di schernire il
ragazzo tutte le volte che voleva e poteva, certe volte anche chiedendogli cose
inconcepibili per lui, come massaggiarle i piedi.
“Dimmi almeno
che te li sei lavati.” Supplicava lui.
“Certo che no!
Altrimenti dove sarebbe il divertimento?”
Solitamente
seguiva tutta una serie di battute maliziose che li portava ad abbracciarsi,
coccolarsi, baciarsi. Ma non capitava più che facessero sesso. Inge non sapeva
se dare la colpa alla trasformazione che stava subendo – sebbene non fosse molto
evidente, visto che era passata solo una settimana – o se fosse la parola
“incinta” a frenare i suoi istinti, ma ogni volta che entrambi si trovavano in
atteggiamenti intimi, Tom riusciva sempre a trovare una scusa per allontanarsi e
distruggere quell’atmosfera intrigante che veniva a crearsi tra loro, facendo
svanire tutta l’eccitazione che essa portava.
“Alex dove è?”
chiese Inge una mattina.
“Bill l’ha
portato allo studio.” Il ragazzo era stravaccato sul divano, dilettandosi in uno
dei suoi sport preferiti, lo zapping mattutino.
“E perché tu non
sei andato con loro?”
“E ti lasciavo
sola in casa?”
“Be’, credevo di
essere maggiorenne già da un po’.” Rifletté lei, sedendosi affianco al ragazzo,
poggiando la testa sulla sua spalla, mentre lui l’abbracciava e continuava a
fissare la tv.
“Io infatti mi
preoccupavo per i bambini.” Sorrise beffardo.
“Quindi sono più
importanti loro di me?” lo stuzzicò. Le piaceva quando Tom parlava di quei
piccoli esserini che giorno dopo giorno crescevano nella sua pancia. Tom si
limitò ad alzare le spalle e non rispose. Lei ridacchiò e chiuse gli occhi,
seguendo i respiri del petto del ragazzo. Se c’era qualcosa che le piaceva
ancora di più, era il suo imbarazzo.
“Senti, a
proposito di bambini,” iniziò Tom, schiarendosi la voce. Aveva ancora il viso
rivolto allo schermo. “Ho cercato qualche informazione sugli asili privati…”
buttò lì.
Inge non
rispose. Sapeva bene dove voleva andare a parare lui, ma non fiatò. Non le
piaceva l’idea che Alex potesse andare via di casa. Forse tra un annetto, ma non
in quel momento. Non era ancora convinta che i giornalisti avessero lasciato
perdere la faccenda, e gli asili erano per lei i luoghi meno sicuri che
potessero esserci. Alex aveva bisogno di qualcuno che gli stesse dietro tutto il
tempo, qualcuno solo per lui. In un asilo, invece, lui sarebbe stato solo uno
dei tanti che ogni tanto veniva adocchiato da una persona adulta. Poteva
succedere di tutto.
“Ce n’è uno
vicino a dove abitiamo che potrebbe fare al caso nostro.” Continuò lui. “Si
raggiunge in dieci minuti in macchina. Ce lo potremmo portare noi quando andiamo
la mattina allo studio e andarlo a prendere al ritorno, tu non dovresti fare
niente.”
“Tom,” mormorò
Inge. “Non è il fatto di andarlo a prendere o portarcelo.” Chiarì sospirando.
“Quello lo potrei fare tranquillamente, anche se immagino che tu mi seguiresti
per impedirlo e farmi rimanere a casa. E se si aspettasse ancora un po’ prima di
portarlo laggiù?”
“E quanto? Che
ne dici di mandarcelo per il suo diciottesimo compleanno?” fece Tom sarcastico.
“Tom, non
iniziare.” Sospirò.
“Io non inizio
proprio niente, sei tu che ogni volta che si entra in argomento cerchi sempre
delle scuse!” spense la televisione e la guardò negli occhi.
“E non pensi che
io abbia un motivo per farlo?”
“Sei troppo
attaccata a lui, ecco il motivo.”
“Io mi preoccupo
e basta!” ribatté lei, allontanandosi da lui, annusando aria di discussione.
“Ok,” respirò
profondamente. “Ti propongo un patto.” Inge aspettò che Tom gli esponesse quel
suo grande piano che avrebbe potuto sistemare la cosa, ma già sapeva che non le
sarebbe andato bene. Purtroppo, però, non se la sentiva di contrastarlo così
fortemente come avrebbe fatto qualche tempo fa, perché il timore di allontanarlo
ancora una volta da sé era sempre presente.
“Dimmi.” Fece
Inge, senza però gettare le armi.
“Facciamo andare
Alex una volta laggiù, solo per vedere come ci si trova. Se a lui piace
l’ambiente, allora provvederemo al resto.”
Inge non
rispose, riflettendo sulla cosa. Avrebbe voluto ribattere, dirgli che non le
andava bene, però in effetti sarebbe stata poi una decisione che doveva guardare
anche ad Alex, quindi il fatto che fosse poi lui a decidere, poteva andarle
bene, nonostante era molto probabile che un ambiente nuovo pieno di bambini gli
potesse piacere e farlo emozionare fin dal primo giorno, conoscendolo. Ad ogni
modo, Inge sapeva da tempo che il suo tentativo di lasciare Alex a casa, era una
guerra persa in partenza, quindi accettò, sebbene di malavoglia, il patto.
“Ok, vediamo
cosa ne penserà Alex.” Acconsentì, senza però tornare ad avvicinarsi a Tom.
“Non ti vedo
molto convinta.”
“Che ti devo
dire? Io preferirei che stesse a casa.”
“Pensa però che
così avremo tutta la casa libera.” Le sorrise. Inge scorse quella luce maliziosa
negli occhi e decise di sfruttarla più che poteva. Le mancavano molto quei
momenti di intimità in cui lei e Tom potevano tornare ad essere una cosa sola.
“E cosa avresti
intenzione di fare con la casa tutta libera?” lo invogliò, appoggiandosi con la
schiena sul cuscino del divano, attirando il ragazzo con gli occhi.
“Molte cose.”
Lui si lasciò trascinare dall’aria sensuale che li aveva avvolti con così tanta
fluidità che nemmeno sembrava di aver toccato l’orlo di una difficile
discussione proprio pochi minuti prima.
“Sai, vorrei
proprio vederle.” Inge cinse la schiena del ragazzo e lo baciò, mentre lui le
accarezzava i capelli, poi la guancia, il collo, la spalla. Quei movimenti erano
brividi lungo la sua schiena, e per Inge erano come una droga. Ma proprio quando
la ragazza pensava che quella volta sarebbe stata quella che li avrebbe riuniti,
Tom sospirò e si alzò, allontanandosi da lei, si mise seduto sul divano, le
sorrise senza convinzione e si alzò.
Come le altre
volte, non disse più niente. Si diresse in cucina e Inge lo sentì aprire il
frigorifero, stappare una bottiglia… Le sembravano tutti dei gesti intenti a
coprire quel silenzio che si era improvvisamente creato tra loro. Lei era ancora
sdraiata sul divano e non accennava a muoversi, domandandosi perché Tom si
comportasse così. Inconcepibilmente, si dava la colpa di ogni cosa, motivo per
cui era quasi arrivata ad odiarsi. Lei non avrebbe mai fatto una cosa del
genere. Da quando si era scoperta incinta, invece, i suoi comportamenti erano
completamente e profondamente cambiati. Quasi non si riconosceva più. E la
stessa cosa valeva anche per Tom.
“Tom,” non
riuscì a trattenere quelle parole. “Vieni qui.” Era atona.
Lui sbucò dietro
di lei con una bottiglia di birra in mano. Sembrava volesse far finta che tutto
andasse bene, ma i suoi occhi tradivano l’espressione del suo volto.
“Cosa ci
succede?” fece lei, abbassando la testa. “Cosa ti succede?”
Lui non rispose.
Prevedibile…
“Davvero, Tom.”
Riprese Inge. “Perché ti sei allontanato?” e lo guardò negli occhi. Voleva una
risposta e non ammetteva scuse. “Non riusciamo più a fare sesso da quando ti ho
detto che sono incinta.” Lui nascose il viso dietro la bottiglia che si portò
alle labbra, per poi appoggiarsi allo schienale del divano, dandole le spalle.
“Suppongo, allora, che le tue parole fossero solo balle.”
Il ragazzo
sospirò e il lamento che seguì era un misto tra esasperazione e frustrazione.
“Inge, non è
come pensi.” Disse infine.
“Allora dimmelo
tu come è.” Replicò lei, appoggiandosi allo schienale e sporgendosi per
poterlo vedere in faccia. “Cosa ti prende?”
“Inge,” iniziò
lui. La voce risuonava titubante, come se avesse paura a pronunciare le parole
che si stava sforzando di dire. “Sei incinta.” E sembrò aver concluso la sua
spiegazione.
“Be’, grazie di
averlo detto.” Inarcò le sopracciglia con sarcasmo. “Sai, non me ne ero
accorta.”
“Io sono serio.”
La riprese lui, senza distogliere lo sguardo dalla bottiglia che aveva tra le
mani.
“Anche io.” Gli
fece notare con durezza. “Quindi spiegami cosa c’è che non va. Nemmeno un paio
di mesi di gravidanza e mi trovi già orribile?” sbuffò.
“No, non è
quello.” Inge si sorprese nel vedere l’espressione assunta da Tom: sembrava
imbarazzato.
“Non mi dire che
non riesci più a -”
“No!” era quasi
scandalizzato da un’affermazione del genere. “Lui va alla grande!” mise in
chiaro. “È che, insomma… ci sono anche…” farfugliò, accompagnando il tutto con
eloquenti gesti in aria.
E Inge comprese,
senza poter evitare una risatina di derisione. “Ho capito, pensi che potrebbero
sentire, eh?”
“E che ne so io!
La mia conoscenza dell’anatomia femminile è molto superficiale, mi serve solo
per -”
“Sì, so a cosa
ti serve.” Lo sbeffeggiò Inge, sedendosi sul divano e continuando a guardare il
viso imbarazzato e rosso di Tom, che in tutta risposta si voltò dandole le
spalle.
“Non guardarmi
così!” borbottò. “Per quel che ne so io, potevo anche fare qualche danno.”
La ragazza
ridacchiò divertita, per poi alzarsi in piedi sul divano e raggiungere Tom. Lo
abbracciò da dietro e gli diede un bacio sulla guancia.
“Basta solo
essere più cauti.” Gli sussurrò all’orecchio. “E poi, lo sai che noi donne in
gravidanza siamo vogliose, no?”
Lui sorrise
malizioso, sempre voltato. “Interessante.”
“E sai di cosa
ho voglia, ora?” lui si voltò e la prese in braccio, per poi buttarsi sul divano
con lei.
Tornarono a
baciarsi, accarezzarsi, e questa volta nessuno dei due si sarebbe tirato
indietro.
***
“Sai, non
pensavo che potessi trasformarti così tanto in sole due settimane.”
Bill sorseggiò
entusiasta il suo succo di mirtilli, mentre Alex si stava impegnando a spalmare
della marmellata di fragole su una fetta di pane abbrustolita, oltre che sulla
tovaglia. Inge, intanto, si era rintanata nella camera di Tom per un motivo che
al momento sfuggiva al ragazzo.
“Perché lo
pensi?” chiese Tom, alzando lo sguardo su suo fratello, lasciando perdere
l’intervista riguardante loro che stava leggendo su una delle tante riviste che
ormai avevano affollato casa loro.
“Solo qualche
tempo fa l’aria era troppo tesa. Avevo il terribile presentimento che tu e Inge
vi sareste lasciati definitivamente.” Spiegò. Si sentiva cattivo ad aver solo
pensato una cosa del genere riguardo suo fratello e la sua ragazza, ma in
effetti era esattamente quello che si sarebbero aspettati tutti. Ora, però, Bill
doveva ricredersi: non solo lui e Inge erano ancora insieme, ma erano
addirittura tornati quasi come prima, teoria sostenuta dai mugolii che aveva
sentito provenire da camera loro la notte scorsa. Anche Alex li aveva sentiti e
il ragazzo fu costretto ad architettare una scusa che includeva battaglie di
cuscini e risate stridule per dissuadere il piccolo dalla realtà delle cose.
“Be’, dovesti
esserne contento, no?”
Contrariamente a
quello che avrebbe voluto pensare Bill, Tom non sembrava esattamente il ritratto
della felicità. A dirla tutta, Tom sembrava stanco, esausto. E forse anche
infelice. Tutto il contrario di quello che si sarebbe aspettato lui.
“E tu?” lo
interrogò. “Sei contento?”
“Perché non
dovrei esserlo?” rispose Tom dopo un attimo di pausa.
“Non so, ma me
lo fai pensare da come ti vedo.”
“Bill, papà è
felice!” replicò Alex, ammonendo il ragazzo con un dito sporco di marmellata.
“Ieri facevano la battaglia dei cuscini!”
“A questo
proposito, Tom,” sussurrò il ragazzo, avvicinandosi furtivamente al fratello.
“Per piacere, fate più piano la prossima volta.”
“Devi dirlo ad
Inge, non a me.”
“Be’, sembrava
che anche tu ti stessi impegnando.” Lo squadrò inquisitore.
“Ero solo
trasportato dal momento.” Sviò lui, tornando a nascondersi dietro la rivista.
“Ad ogni modo,
sono contento di come si siano sistemate le cose tra voi!” gli sorrise Bill.
Quello che però
non volle dirgli, tanto per non mettergli ulteriore agitazione addosso, era che
sebbene avesse intravisto anche la sua titubanza, Tom avrebbe dovuto mettere da
parte ogni lato negativo della faccenda, perché presto sarebbe stata l’ora della
prima ecografia, e non era ammissibile che lui non l’accompagnasse.
Tom annuì, senza
riuscire a nascondere un certo imbarazzo. Prima o poi Bill avrebbe preso il
fratello e gli avrebbe fatto un interrogatorio degno del migliore detective del
mondo, lampada accecante negli occhi compresa. Conosceva troppo bene suo
fratello per non preoccuparsi di quel suo silenzio. Solitamente avrebbe
scherzato, ribattuto. Invece annuiva solamente, talvolta sorrideva. Non era il
solito Tom e sembrava che la situazione proprio non lo aiutava ad essere se
stesso.
“Eccomi,
ragazzi.” Si annunciò Inge con un piccolo zaino tra le mani, mentre correva giù
per le scale. Si era anche cambiata. Aveva ora un paio di pantaloni a coprirle
le gambe che solitamente venivano coperte solo dalle maglie extra-large di Tom,
sopra i quali portava una maglietta a maniche lunga in tinta unita.
“E tu dove vuoi
andare?” fece Tom, andandole incontro e prendendole lo zaino.
“Ad accompagnare
Alex, mi sembra scontato.” Gli sorrise lei, baciandogli una guancia.
“Non se ne
parla, tu rimani qui. Torna a cambiarti, che oggi non devi nemmeno andare al
lavoro.” Ed indicò il piano superiore con l’indice. Aveva il viso duro, sebbene
in realtà non lo fosse minimamente. In quelle due settimane Bill aveva benissimo
notato come lui cercasse di fare ogni cosa affinché Inge non se la prendesse.
Sembrava che suo fratello le provasse tutte per evitare che lei si arrabbiasse.
“Nemmeno se mi
preghi in ginocchio. Voglio accompagnare questo diavoletto al suo primo giorno
di asilo.” Lo oltrepassò e raggiunse Alex, che le corse incontro con un
raggiante sorriso sulle labbra, sporche di marmellata. Inge lo prese in braccio
e lo portò nel bagno del piano terra, aiutandolo a lavarsi, poi gli diede un
grande bacio sulla fronte e lo lasciò andare su in camera sua a cambiarsi. Come
minimo gli aveva già preparato i vestiti sul letto, come faceva ogni volta che
Alex usciva di casa.
“Evita allora di
fare scene di pianti vari.” Le sorrise, prendendola per le spalle e
accompagnandola in sala, dove la fece sedere sul divano, lui affianco a lei. Il
gesto implicito che accompagnava quel suo insolito atto di galanteria era una
semplice preoccupazione: voleva che se ne stesse buona e seduta, senza
stancarsi. E da come aveva sbuffato Inge, molto probabilmente se ne era accorta
pure lei.
“Tom, non sono
moribonda.” Gli fece notare, scocciata.
“Mica ti ho
detto che lo sei!” si stizzì lui, allontanandosi in difesa.
“Ma ti si legge
in faccia!” gli sorrise strafottente.
“Allora non
leggere e fai finta di niente.” La schernì a sua volta.
E puntualmente,
come se quel suo sorriso sghembo e provocante fosse un magnete, Inge gli si
buttò addosso, abbracciandolo e ridendo. Solo i potenti colpi di tosse di Bill
riuscirono ad interrompere il loro rito d’accoppiamento, facendoli tornare
seduti sul divano con una minima parvenza di controllo, mentre Alex scendeva
trotterellando le scale, eccitato per quella novità che Tom gli aveva spiegato
la sera prima.
“Sei pronto
campione?” lo salutò Bill.
“Sì!”
“Bene, allora ci
si vede stasera.” Si accucciò. “Dai un bacio allo zio Bill.” Ridacchiò. Alex non
se lo fece ripetere e gli lasciò il segno del dentifricio su una guancia. Bill
lo prese e gli pulì la bocca con una mano, per poi salutarlo e vederlo uscire di
casa saltellando, seguito da Inge e Tom, mano nella mano.
La porta si
chiuse e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Per quanto le cose potessero
sembrare di essere tornate alla quotidianità, la sensazione che ci fosse
qualcosa che non andava ancora non abbandonava la testa di Bill, che però si
costrinse a non pensarci.
***
Per tutta la
mattinata Inge non aveva fatto altro che sospirare seduta sul divano, un libro
tra le mani che nemmeno toccava, presa com’era a pensare a Alex. Tom non le si
era avvicinato che una misera volta, tanto per appurare che non fosse sull’orlo
di una crisi, poi tornò nello studio con Bill per discutere del programma che
aveva fatto aver loro Jost, mentre Georg era in linea telefonica con loro –
Gustav era partito per stare il finesettimana dalla sua famiglia.
A pranzo aveva
parlato poco o niente, e Bill sembrava quasi più preoccupato di Tom al riguardo.
In effetti non era da Inge comportarsi così, ma in quell’ultimo periodo aveva
cambiato atteggiamento così tante volte che lui ormai nemmeno ci faceva troppo
caso, erano come al solito quei stramaledetti ormoni, che oltre che dare
fastidio a lei, provocavano seri danni alla loro relazione, visto che Tom non
sapeva neanche più come rispondere a semplici domande, intimorito dal fatto che
lei avesse potuto fraintendere e fargli una sfuriata. Era già successo: lei gli
aveva chiesto se poteva andare a prendere nell’armadio un paio di cuscini per
stare più comoda sul letto, e lui gli aveva risposto scherzosamente che poteva
anche andarseli a prendere da sola, visto che si lamentava di avere troppe
attenzioni addosso. Non ricordava come fosse successo, ma si era ritrovato giù
dal letto con l’impronta di un libro sul petto nudo.
Inge tornò in sé
solo quando verso le quattro Tom tornò a casa con Alex, che tutto eccitato corse
incontro a Inge – obbligata a rimanere a casa – e le iniziò a raccontare come si
fosse divertito. Aveva già conosciuto molto bambini e aveva giocato tantissimo,
disse.
“E poi Arthur ha
preso il pallone e abbiamo giocato in giardino!”
“Vi siete
coperti bene? Fa ancora un po’ freddo.” Lo ammonì Inge. “Avevate qualcuno che vi
guardava?”
“Sì, la
signorina Fischer è sempre stata con loro.” Rispose Tom, sospirando. La ragazza
stava sottoponendo il povero Alex ad un indiretto interrogatorio su tutta la
giornata, purtroppo per lei, lui dava solo dimostrazione di quanto
quell’esperienza gli fosse piaciuta.
“Non ho chiesto
a te, ho chiesto a lui.”
“D’accordo, Alex
rispondi a Inge, la signorina Fischer è sempre stata con voi?”
Il bambino annuì
sorridente e spiegò come anche lei fosse simpatica, gli raccontava anche delle
storie e inventava giochi divertentissimi.
“E poi siamo
andati a disegnare!” continuò il bambino. “Sai che sono il più bravo?” annunciò
con orgoglio. “Ho disegnato tanto e ho fatto un disegno anche alla signorina
Fischer!”
“E lei cosa ha
detto del disegno?”
“Ha detto che lo
attacca a casa sua!”
Tom non
sbagliava a pensare che Inge avrebbe preso fuoco da un momento all’altro. La sua
espressione si stava sempre più trasformando in una smorfia di intolleranza nei
confronti di quella donna, mentre cercava di mantenere il sorriso per
accontentare Alex. Non avrebbe sbagliato nemmeno a pensare che Inge iniziasse ad
odiare quella signorina Fischer anche senza averla conosciuta di persona.
“Bene, quindi ti
è piaciuto andare lì?”
“Sì, voglio
tornarci anche domani!”
“Alex, domani è
chiuso,” disse Tom, stravaccandosi meglio sulla poltrona. “Ci tornerai Lunedì,
se vuoi.”
“Sì, voglio
tornarci! Così posso giocare ancora con Arthur e Carl!”
Tom dovette
trattenersi dallo sfoderare la sua trionfante espressione di vittoria in
presenza di Inge. Sapeva che la ragazza non riusciva a digerire il fatto che
Alex si fosse divertito. Ma doveva accettare la situazione: Alex stava crescendo
e doveva iniziare anche lui a fare le sue esperienze. Purtroppo, per quanto Tom
potesse essere contento della meta raggiunta, non poteva che sentirsi
dispiaciuto per Inge. Dopotutto lei era molto affezionata al bambino e l’idea di
separarsene – lo sapeva – la faceva soffrire. Le avrebbe dovuto parlare al
riguardo, tanto per mettere in chiaro che quella decisione era stata presa, e
non da lui, ma da Alex stesso.
______________________________________
Bu! Rieccomi!
Premetto subito che questo capitolo non ha un vero e proprio tema principale.
Accade un po' di tutto... La prima parte doveva essere inserita nel capitolo
scorso, ma siccome era troppo lungo, allora l'ho fatta slittare in questo. Poi
c'è la parte della relazione tra Inge e Tom - che volendo avrei anche potuto
sorvolare, ma sono stata troppo attratta dalla prospettiva di descrivere un Tom
imbarazzato XD - e la parte finale. Sì, quella forse è l'unica che tiene unite
un po' la vicenda principale. Vabbè, tutto questo per dirvi che il titolo è
stato scelto praticamente a caso, pescandolo alla cieca da una decina di altri
titoli che mi erano venuti in mente. Boh, alla fine, essendo molto generale, si
potrebbe anche far andare bene per tutte e tre le scene.
Comuuuuuunque!
Domani avrei una revisione, e infatti sto facendo di tutto tranne che terminare
le tavole che mi rimangono, ma pace. Era troppo tempo che non pubblicavo e non
ce la facevo più a stare china sui fogli a rovinarmi la vista u.u Quindi eccomi
qui, pronta a rispondere anche ai vostri commenti:
memy881:
Be', da una parte Inge e Tom hanno fatto pace, ma dall'altro... Eh, il
loro rapporto dovrà sopportare molto altro, purtroppo. Nonostante tutto, però,
sembra che almeno per il momento siano tutti un po' più felici. Meglio così, no?
;) Prossimamente ci sarà la prima vera e propria ecografia... Chissà cosa
succederà in quel momento!
_KyRa_:
Sara cara! Ehh, ma chi non ama quel bambino? Alex è un'esplosione di vitalità
davvero incredibile! E poi io adoro scrivere di lui, con tutta l'innocenza che
può avere un bambino :) Per quanto riguardo il suo rapporto con Tom... Be', Inge
la pensa diversamente, e anche Tom si sente un po' attaccato su quel lato, senza
davvero sapere cosa rispondere. Ma avrà l'occasione per dimostrare il contrario,
questo è poco ma sicuro! E grazie per i complimenti, cara!
LoveEngland:
Ciao! Mi fa piacere che ti piaccia questa storia! Spero continuerai a seguirla,
perché ne devono ancora capitare di belle - e di brutte... (So che non c'entra
molto, ma anche io adoro l'Inghilterra! *-*)
Ehh, insomma,
possiamo anche concludere qui per questo aggiornamento, che dite? Così io torno
a torturarmi gli occhi sulle tavole - anche se tanto domani quando tornerò avrò
da rifare tutto, come vederlo -.- Ad ogni modo, prima di dileguarmi
definitivamente, voglio ringraziare anche quelle persone che hanno inserito
questa storia tra i preferiti, le seguite e le ricordate. Grazie! ;)
Besos! Alla
prossima, gente!
Irina
|
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Capitolo 7 *** What If I'm Not Ready? ***
What If I
What If I’m Not Ready?
“Tieni, guarda,
ti ho preso i cuscini che hai chiesto ieri sera.”
Lei sorrise e
Tom l’aiutò a metterli dietro la schiena.
“Potevo farlo
anche da sola, sai?”
Lui non rispose,
sapendo bene che tutte quelle attenzioni erano gesti superflui, trattenendosi
anche dal rinfacciarle che l’altra volta l’aveva colpito con un libro per non
averlo fatto. Più pensava alla situazione in cui si era trovato catapultato, più
non poteva fare a meno di tutto ciò. Si sentiva in colpa per quello che le aveva
detto, e soprattutto si sentiva in colpa perché ciò che aveva detto per lui non
aveva quasi peso. Per questo cercava di fare di tutto per poter “esserci”,
qualunque cosa volesse dire in un momento del genere. Lui c’era sempre per lei,
ma la gravidanza era una cosa che lui stesso non riusciva a concepire. Non
sapeva se avrebbe dovuto trattarla come prima o meno, e ammesso e non concesso
che fosse quella la strada che avrebbe dovuto imboccare, ancora non riusciva a
trovare il modo per ritornare al loro vecchio rapporto. Non era colpa sua né
colpa di Inge. Era la situazione che sembrava aver messo dei limiti tra loro.
Soprattutto dei limiti per lui, che ancora si ritrovava estraneo da tutta quella
faccenda. Fu così che decise di circondare di attenzioni Inge, in modo da
tentare di far svanire quel senso di colpa che non gli dava pace.
“Ti serve
altro?”
“Tom, lo sai che
ogni volta che fai così mi dai fastidio?” disse Inge, buttando lì l’affermazione
come se fosse una cosa del tutto naturale.
Per quanto Tom
cercasse di sottrarsi ai suoi problemi con tutte quelle attenzioni, non pensava
minimamente che potesse raggiungere un risultato così opposto a ciò che si era
prefissato.
“Eh?” alzò un
sopracciglio, colto alla sprovvista.
“Sì, voglio
dire, tutte queste attenzioni, sì, non nego che mi facciano piacere, ma mi metti
in una condizione in cui fra poco non potrò nemmeno andare in bagno da sola.”
Spiegò, sistemandosi comodamente sui cuscini, mentre lui si sedeva ai piedi del
letto per ascoltarla. “Non ti sembra di esagerare?”
“Ma scusa, non è
quello che volevi?”
“Io volevo che
tu mi stessi vicino, non che mi opprimessi.”
“Pensi che ti
stia opprimendo?”
Lei annuì, lo
sguardo eloquente che accompagnò la sua silenziosa risposta sembrava fargli
notare che chiunque si sarebbe sentito oppresso per il suo comportamento, e che
era impossibile che lui non si fosse accorto di niente.
“E cosa dovrei
fare allora? Non è questo ‘starti vicino’?” No, non era quello lo stare vicino
che intendeva lei, ma era come se il significato di quelle parole fosse a lui
incomprensibile. O almeno, sembrava che lui stesso non riuscisse a dare un senso
a quelle parole.
“Non lo so cosa
dovresti fare, però non questo.” Disse.
Per qualche
istante nessuno dei due disse più niente. Distolsero lo sguardo l’uno
dall’altro, come se per tornare a guardarsi avessero bisogno del permesso
dell’altro. Sembrava che ognuno dei due si sentisse in colpa per qualcosa, anche
se nessuno di loro sembrava avesse intenzione di parlarne.
“Senti,” iniziò
Inge. “Ho chiamato la ginecologa.” Tom non disse niente, attendendo il seguito
di ciò che voleva dire Inge, sebbene se lo potesse immaginare benissimo. “Dice
che sarebbe anche l’ora di fare la prima ecografia, quella vera e propria che
dovrebbe saperci dire qualcosa in più sui bambini.” Aggiunse. “Non è che
verresti con me?”
Tom si costrinse
a guardare la ragazza, sentendosi i suoi occhi addosso. Li incontrò e per un
attimo avrebbe voluto non averlo fatto, perché in quello sguardo c’era tutta la
responsabilità che avrebbe comportato una cosa del genere. Quelle responsabilità
che con il passare del tempo sarebbero anche raddoppiate, triplicate… Sentì
dentro di sé il bisogno di tirarsi indietro, di negare la sua presenza il giorno
dell’ecografia, ma poi pensò a come ci sarebbe rimasta lei, se avesse ricevuto
una risposta del genere. Quindi accettò, sebbene ancora una volta, le sue parole
gli risultassero false, come se lui non ci credesse profondamente. Ma dopotutto
questo era quello che voleva Inge, e lui non riuscì a dirle di no. O almeno, non
ora.
“Ehi, però mi
devi promettere una cosa.” Corrugò lei la fronte. “Comportati come prima. Basta
attenzioni, basta portarmi le borse o farmi sempre sedere. Basta tutto questo.
Voglio tornare alla vita di prima.”
Tom le sorrise
ed annuì, nascondendole che niente sarebbe più tornato come prima. Quella
situazione era irreversibile, sarebbe stato un cambiamento per tutti. Non
replicò chiedendole come pensava di fare, non disse nemmeno che lui non lo
credeva possibile. Soltanto, si spogliò e si mise sotto le coperte, facendosi
abbracciare da Inge, che si addormentò in pochi minuti.
Lui non riuscì a
chiudere occhio per l’intera nottata.
***
“Ho capito che
vuoi mantenere la privacy, ma pagare così tanto per un’ecografia in una
struttura privata, non ti sembra troppo?”
“No, meglio che
poche persone ne vengano a conoscenza.” Rispose Tom, mentre metteva la freccia
per poter entrare nel parcheggio dell’ospedale. Scesero e dopo aver chiesto
informazioni su dove trovare il reparto, salirono fino al quarto piano della
struttura. Solo qualche giorno prima Inge lo aveva informato che aveva preso
appuntamento nello stesso studio in cui l’aveva fatta la prima volta, ma Tom la
convinse a cambiare clinica. Ne era dispiaciuta, le stava simpatica la
ginecologa che aveva conosciuto, però pensò che lui avesse ragione: meglio
evitare di dare nell’occhio.
“Ah, non serve
che ti ricordi che io sono Philipp, vero?”
Inge lo guardò e
annuì, sebbene non ne fosse contenta. Avrebbe già speso troppo soldi per una
semplice ecografia, e poi c’era il segreto tra paziente e dottore, no? Far
credere anche di essere addirittura un’altra persona era eccessivo, ma evitò di
farglielo presente, non voleva iniziare a discutere proprio in un’occasione del
genere, e non lì, in mezzo a sconosciuti.
Dovettero
aspettare una decina di minuti prima di essere chiamati da un uomo alto e grosso
con i capelli bianchi. Non avrà avuto che una cinquantina d’anni, ma li portava
molto male. Aveva dei piccoli occhiali da vista sugli occhi e dei grandi baffi
bianchi che gli nascondevano la bocca. Inge si avviò seguita da Tom, che si era
infilato il cappuccio in testa e ancora non aveva intenzione di toglierselo.
Solo una volta dentro quella stanza bianca – non tanto diversa da quella
dell’altra clinica – Tom tirò un sospiro di sollievo, scoprendosi il volto.
“Allora,
ditemi,” iniziò l’uomo. “Questa è la prima ecografia?”
“Diciamo di sì.”
Rispose Inge, sistemandosi come da copione sul lettino e scoprendosi la pancia.
Lasciò che il ginecologo le spalmasse quel gel e guardò Tom, perché si
avvicinasse per vedere lo schermo, ma lui borbottò qualche parola,
giustificandosi che preferiva rimanere lì vicino alla finestra alla quale si era
appoggiato appena entrato e da cui non si sarebbe allontanato per il resto della
visita.
“Ah, che
scortese, non mi sono presentato.” Sorrise il medico, forse captando quell’aria
pesante che sembrava essersi creata in quella stanza. “Sono il Dottor Schreiber,
ma voi potete chiamarmi tranquillamente Herbert.”
“D’accordo.” Gli
sorrise di rimando Inge, sebbene il comportamento di Tom non le permettesse di
mostrarsi rilassata come avrebbe voluto.
Il dottor
Schreiber prese in mano la sonda e iniziò a passarla sulla pancia della ragazza,
che dopo un’ultima occhiata a Tom, che ancora non dava cenni di volersi
interessare seriamente alla visita, si concentrò sullo schermo. Tra la
confusione che vi vedeva proiettata, riuscì subito ad individuare quei due
puntini al centro dell’immagine e subito un sorriso le nacque sulle labbra per
l’emozione di vedere per la seconda volta i bambini.
“Oh!” si
rallegrò il dottore. “Ma guarda un po’! Ci sono addirittura due bambini qua
dentro!” e si voltò verso Tom. “Le sconvolgeranno la vita, ragazzo.” Gli
sorrise. “Ma non si allarmi troppo, i bambini sono sempre una benedizione del
Cielo.”
Inge poté
benissimo leggere sulla faccia di Tom quello che molto probabilmente stava
tentando di non dire all’uomo: “Ci mancava solo la tua opinione religiosa, come
se già io non sapessi cosa mi aspetta!” Però Tom tentò di ripagare il sorriso
del ginecologo con un semplice abbozzo e annuendo, mantenendo sempre quelle
stramaledette distanze da Inge e dai suoi figli. La ragazza provò la voglia di
alzarsi, prenderlo per il collo della felpa e trascinarlo vicino a sé, ma si
dovette controllare respirando profondamente.
“E lei,
signorina, si prepari a vedersi lievitare.” Ridacchiò. “Con due bambini,
inoltre la gravidanza diventerà sempre più pesante da affrontare, dovrà
sopportare il peso di due vite dentro di sé, sa?”
“Già.” Sorrise.
“Quindi, mi
raccomando: non si affatichi troppo durante i prossimi mesi, soprattutto gli
ultimi. Deve stare attenta a mantenere un alto livello di ferro nel sangue,
perché deve portare ossigeno ad entrambi i bambini, questo è molto importante!
Inoltre deve tenere sotto controllo il proprio peso. Saranno necessarie più
visite rispetto ad una normale gravidanza, ma non si preoccupi troppo, non è la
prima donna a cui succede una cosa del genere. È solamente necessaria un po’ più
di attenzione. E lei,” si rivolse a Tom. “Sia sempre presente. Ai bambini fa
bene sentire anche la presenza paterna. E anche alla madre, no?”
Tom annuì
silenziosamente, abbassando la testa sui propri piedi.
“Ad ogni modo,
ora vediamo di fare un esame più attento.” Disse il medico, concentrandosi
maggiormente sull’immagine che veniva proiettata sullo schermo. “Dunque, siamo
alla nona settimana…” iniziò. “Quindi la data di concepimento risale più o meno
all’ultima settimana di Aprile, da cui si può dedurre anche la data della
nascita, che sarà verso l’ultima settimana di Dicembre, perché il parto
gemellare stimola molto il collo dell’utero, inducendo il travaglio prima dei
normali nove mesi.” L’uomo poi si zittì per concentrarsi meglio e dopo qualche
minuto tornò a sorridere soddisfatto a Inge. “Gli embrioni non hanno alcun tipo
di problema, sono correttamente posizionati nell’utero e tutto sembra procedere
regolarmente.”
Inge sorrise,
grata dell’informazione. In quel periodo apprendere di un problema durante la
gravidanza sarebbe stata la ciliegina sulla torta per radere completamente al
suolo ogni tipo di rapporto. I giorni che precedettero quella visita, Inge
pensava seriamente che Tom avesse accettato la cosa – attenzioni eccessive a
parte – ma era da quella mattina che le sue certezze avevano iniziato a
vacillare. Tom era più silenzioso del solito, non si era avvicinato nemmeno ad
osservare quei due puntini e non dava il minimo accenno a voler anche solo
parere eccitato della gravidanza.
“La prossima
ecografia sarebbe opportuna farla tra la sedicesima e la ventesima settimana,
quindi penso proprio che ci rivedremo da qualche mesetto.” Offrì un pezzo di
stoffa alla ragazza per pulirsi e si mise a compilare dei fogli ad un tavolo
dall’altra parte della stanza.
La ragazza si
tolse il gel dalla pancia e se la ricoprì con la maglietta. Scese dal lettino e
si diresse verso Tom.
“Sei uno
stronzo.” Gli soffiò rabbiosa, mentre prendeva il giacchetto e la borsa, posati
su una sedia vicino a lui.
“Cosa?” balbettò
lui, impreparato a quell’accusa.
“Avevi detto che
mi saresti stato vicino.” Gli rinfacciò, guardandolo delusa, ma senza evitargli
il suo tipico sguardo truce. “E invece oggi – che ne avevo più bisogno che tutti
gli altri giorni – nemmeno ti sei avvicinato a me, non hai nemmeno guardato lo
schermo.” Tentava di non farsi sentire dall’uomo, ma la voce colma di rabbia
ogni tanto la tradiva e lei non riusciva a reprimere delle note più acute dovute
a quello che stava covando dentro.
“Scusa, ma non
sono riuscito ad avvicinarmi.” La sua voce aveva un tono indecifrabile. Era come
se volesse parere sincero, mostrandosi però al tempo stesso del tutto
disinteressato. E Inge intercettò questa sua indifferenza più che tutti gli
altri sentimenti che vi potevano essere celati dietro.
“Non raccontare
cazzate. Se tu l’avessi voluto, ti saresti avvicinato senza problemi!” ruggì
lei. “Purtroppo penso di aver capito: non te ne frega niente di tutto questo.”
“Ah, ora mi dici
anche cosa sto pensando?” tentò di ribattere lui, adirandosi a sua volta.
“Vaffanculo,
Tom.” Ruggì Inge. “Sai benissimo che questa visita è importante per me, e
avrebbe dovuto esserlo anche per te.”
“Mi dispiace,”
rispose acido. “Ma tutto questo non mi ha emozionato quanto te.”
“Quindi il tuo
‘stare vicino’ era una cazzata!” tuonò, dimenticandosi di non essere sola in
quella stanza. “Certo, come potevo pensare che in sole poche settimane tu
potessi essere cambiato a tal punto?” Soffiò una risata di delusione e gli voltò
le spalle. Andò verso il ginecologo, che si era allontanato, probabilmente per
dare la privacy di cui avevano bisogno, e prese una busta che doveva essere la
stampa dell’ecografia. Ringraziò, chiedendo scusa per la scenata a cui l’aveva
fatto assistere e uscì dalla stanza. Tom le stava dietro, il cappuccio di nuovo
a coprirgli la testa. Nessuno dei due parlava più, allontanandosi dalla clinica
in un silenzio assordante.
Salirono in
macchina e Inge puntò lo sguardo fuori dal finestrino per evitare di guardare
Tom. Era stata stupida a pensare che a lui potesse seriamente importare qualcosa
di quello che stava succedendo. Quella visita era stata la prova definitiva e
lui aveva fallito in pieno. Anche tutte quelle attenzioni… Non volevano dire
niente per lui.
“Inge, ascolta,”
tentò Tom, sospirando.
Lei non prestò
minimamente attenzione alle sue parole, continuando a fissare i palazzi che si
susseguivano per quella strada che stavano percorrendo. Avrebbe voluto tirargli
uno schiaffo, sapeva che non sarebbe cambiato nulla, ma almeno si sarebbe
sfogata, ma pensò che uno schiaffo soltanto non sarebbe stato sufficiente a
fargli capire come si sentisse lei in quel momento.
“Hai sentito?”
le chiese Tom, imboccando la strada per arrivare a casa.
Inge non lo
degnò nemmeno di un accenno ad una risposta. Per ora e per chissà quanto altro,
lui non esisteva più. Prima di meritarsi nuovamente il suo saluto, avrebbe
dovuto chiedere scusa in ginocchio e dichiarare di essere stato uno stronzo.
“Ascolta, Inge,
non volevo essere così duro.” Continuò lui. “Ma devi capirmi, non so come
comportarmi.”
“Ma provaci
almeno!” sbottò Inge, non riuscendo più a contenere la sua rabbia.
“Ti garantisco
che ci provo!”
“No, tu stai
solo cercando di non affrontare il problema!” lo accusò. “Non ti sei nemmeno
avvicinato a noi, stai facendo di tutto per evitare che tutto questo sia per te
totalmente vero. E non provare a negare, perché ti è impossibile!” Attese un
attimo, sperando che in realtà lui negasse, provasse a controbattere per farle
capire che invece per lui tutto questo era vero, che lui pensasse a loro…
Qualunque cosa che avrebbe potuto aggiustare quei pezzi del loro rapporto che
stava piano piano sgretolandosi sotto i loro occhi.
“Non hai nemmeno
chiesto come stessero…” aggiunse poi, prendendo atto della sua incapacità a
ribattere. Non era da lui lasciare che le accuse lo colpissero in pieno, quindi
significava che lei aveva ragione, e non poté far a meno di provare un’estrema
delusione.
“Sono ancora dei
gamberetti, Inge,” rispose lui. “Come vuoi che stiano?” quelle parole sembravano
tanto delle scuse per non precipitare nell’oscuro baratro senza ritorno a cui si
stava avvicinando sempre di più. Ma per Inge, lui era proprio sul bordo, e ci
sarebbe mancato pochissimo perché lui vi cadesse per non uscirne più.
“Saranno pure
dei gamberetti, ma sono tuoi figli.” Concluse lei. Tom non replicò nemmeno
questa volta.
“Credi che
potremo andare avanti così?” chiese Inge, dopo aver fatto trascorrere qualche
minuto di silenzio.
“Non lo so,
Inge.” Mormorò lui. “Non lo so davvero.”
***
Bill li aveva
osservati a lungo e a lungo aveva quasi sperato che fosse solo un brutto incubo,
ma la situazione tra i due era peggiorata. E tanto. Da quando erano rientrati da
quella loro prima ecografia, Inge e Tom si erano allontanati, ma non come poteva
essere successo tempo fa, che nemmeno si parlavano, semplicemente sembravano
essere diventati degli estranei, dei coinquilini che hanno in comune solo il
tetto sopra la testa. Inge era tornata a dormire nella sua camera, ogni tanto
Alex le andava a fare compagnia, e Tom era rimasto nella sua, in perfetta
solitudine. Ma si parlavano e Bill quasi trovava questa loro situazione più
snervante della totale indifferenza che avevano mostrato solo qualche settimana
prima. Era insopportabile come loro potessero continuare a parlarsi senza mai
affrontare quel problema che chiaramente li stava massacrando, perché Bill ne
era convinto: c’era qualcosa che entrambi avrebbero voluto dirsi, purtroppo
ancora una volta il loro orgoglio aveva creato troppi ostacoli.
O forse non era
l’orgoglio. Dovette passare un’altra settimana perché Bill capisse che non era
una semplice discussione, quella tra Inge e Tom. E il non volerne parlare non
era un semplice fatto di carattere, ma qualcosa di più profondo. Per gli ultimi
tre giorni era stato in procinto di chiedere spiegazioni all’uno o all’altro, ma
c’era sempre stato qualcosa che gliel’aveva impedito, come l’espressione triste
– quasi straziata – che Bill leggeva fin troppo chiaramente nei loro sguardi.
Indubbiamente
quella situazione non si sarebbe risolta tanto facilmente e lui si ritrovava a
non saper come gestire l’intera faccenda, oltre che Alex. Il bambino, infatti,
non faceva altro che tartassare Tom e Inge affinché giocassero insieme, ma
nessuno dei due gli dava troppa corda quando si trovavano insieme, per poi
passarci ore quando invece erano da soli. Talvolta sembrava però che Alex fosse
solo una difesa per non poter parlare dei propri problemi, e quindi gli stavano
dietro molto più spesso, a condizione, però, che l’altro stesse facendo altro, e
possibilmente in un’altra stanza.
Bill non seppe
per quale miracolo squillò il telefono, un venerdì sera, ma non poté che
ringraziare chiunque avesse messo la pulce nell’orecchio a sua madre.
“Ciao, mamma,
come stai?” si era rinchiuso in camera, quasi a voler prendersi un po’ di tempo
per parlare con persone che potessero capirlo. Certo, aveva parlato della
questione anche a Georg e Gustav, ma loro non seppero cosa pensare di diverso da
Bill. Tutti e tre si trovarono d’accordo sul fatto che Inge e Tom avrebbero
dovuto tornare a parlarsi, ma non sapendo cosa fosse successo tra di loro e
vedendo come le cose si erano incrinate, l’unica possibilità era effettivamente
confidare in un qualche miracolo.
“Oh, Bill, se
non chiamassi io, voi quasi vi dimentichereste di avere una madre!” sbuffò
Simone, dall’altro capo del telefono. Ovviamente Bill aveva passato così tanto
tempo con sua madre da capire l’ironia che spesso e volentieri faceva trapelare
anche nelle lamentele. “Comunque qui è tutto a posto. Gordon è in sala a
guardare la TV, e io smaniavo di sentire almeno uno di voi due,” spiegò.
“Soprattutto visto cosa sta succedendo in quella casa!” esclamò eccitata in
conclusione.
“Eh, già, se tu
sapessi cosa sta veramente succedendo qua, ti prenderebbe un colpo!” Le parole
gli fuggirono di bocca ancor prima che Bill potesse pensare a cosa aveva detto.
Sapeva che se sua madre avesse sentito anche solo un minimo campanello d’allarme
si sarebbe preoccupata come se le cose la riguardassero in prima persona, ma
ormai era troppo tardi, e Simone aveva un sesto senso per captare anche il
minimo tentennamento da parte dei figli.
“Non mi dire che
Inge e Tom ancora non si parlano!” piagnucolò. “Cristo, sono passate – quante?
Due settimane? Perché sono tutti e due così testardi?”
“No, mamma,
guarda che avevano ripreso a parlare,” chiarì subito. Si sistemò comodamente sul
letto e si preparò ad affrontare con sua madre tutti i suoi dubbi su quei due.
Tanto ormai era in ballo, tanto valeva ballare, no? E soprattutto, con Simone,
una volta in ballo, non potevi più tirarti indietro, era un obbligo dal quale
era impossibile scappare. “Sembravano quasi tornati al rapporto di sempre,”
iniziò a raccontare. “Però si vedeva che c’era qualcosa che non andava. Cioè, io
l’avevo sempre sospettato, ma allo stesso tempo speravo che fossero solo idee
infondate, perché che motivo ci sarebbe di continuare a essere così tesi anche
in un momento del genere?”
“Tesoro, Tom è
un ragazzo istintivo, lo sai quasi meglio di me,” disse la madre. “Si sente…
Come dire… Braccato, sì, imprigionato in questa situazione. È
comprendibile questo suo distaccamento. È questo quello che ti preoccupa?”
“Fosse solo
questo non sarebbe niente.” Sospirò Bill, passandosi una mano sugli occhi.
Improvvisamente si chiese quanto fosse giusto raccontare tutto alla madre.
Dopotutto queste erano faccende tra Inge e Tom, loro c’entravano il giusto.
“Bill, mi stai
facendo preoccupare fin troppo, quindi smettila con questi giri di parole e
arriva al punto.”
“Be’, più o meno
una settimana fa Inge ha fatto la prima ecografica e -”
“Davvero? Oddio,
che bello! Che le hanno detto? Aveva detto mi avrebbe chiamato, ma non ho più
avuto sue notizie.” Bill si sentì in colpa di dover abbattere così violentemente
l’euforia della madre, ma non vedeva alternativa.
“Penso che il
non averti chiamato dipenda da quello che è successo durante l’ecografia.”
“E cosa è
successo?”
“Eh, boh.” Bill
represse una triste risata. Cosa era successo… A saperlo, forse poteva capire
molte cose del loro atteggiamento. “Da quando sono tornati, non si sono più
rivolti parola. O almeno, si parlano, però è come se lo facessero per obbligo.
Non si guardano quasi più negli occhi, sono sempre quasi apatici… Mamma, è una
situazione di merda, ecco.”
“Apprezzo la
schiettezza – la finezza un po’ meno.” Commentò per sdrammatizzare. “Quello che
mi dici non mi piace per niente.”
“Nemmeno a me, e
il peggio è che non so proprio cosa fare!” si lamentò. Di certo tendere un
agguato ad entrambi per costringerli a parlare sarebbe stato troppo rischioso.
Avrebbero potuto trovarsi momentaneamente d’accordo per sbranarlo seduta stante.
Forse la metafora era un po’ troppo cruda e mal riuscita, ma il succo era
quello: Bill aveva paura ad immischiarsi nelle loro faccende, in primo luogo
perché non erano affari suoi, e poi perché sentiva che nel profondo aveva paura
di sapere il motivo del loro comportamento. E se avessero deciso di abortire? E
se Tom l’avesse convinta subdolamente ad una cosa del genere? E se avessero
deciso di lasciarsi? Certamente, dopo tutto questo tempo, la vita in casa
Kaulitz ne avrebbe risentito. Per non parlare di Alex.
Troppe erano le
domande, i se, e troppo poche erano le risposte concrete, quelle che
dovevano far capire esattamente cosa aveva portato ad una situazione del genere.
“Tesoro, vuoi
che venga lì da voi?” propose Simone, facendosi più apprensiva, molto
probabilmente comprendendo l’ansia e la paura di Bill.
“No, mamma, non
importa.” La fermò lui prima che lei si mettesse seriamente in testa di fare una
cosa simile. Molto probabilmente la sua presenza avrebbe solo peggiorato la
situazione. Entrambi si sarebbero ritrovati più tesi, messi più in soggezione e
più giudicati. Forse sarebbe stato meglio aspettare ancora un po’ e sperare che
le cose si smuovessero da sole.
“Allora volete
venire tu e Alex qui da noi?” offrì come seconda scelta.
“No, davvero.
Non voglio fare pressioni su nessuno dei due.”
“E che pressioni
dovresti fare? Dopotutto potresti solo dire che ho voglia di vedere mio nipote.”
“No, mamma, per
favore. È meglio lasciare le cose così come sono, sono loro che devono decidersi
a parlare.”
“Certo, ma se
nessuno fa notare loro quanto sono stupidi ad evitare il discorso, la questione,
insomma, qualunque cosa li abbia ridotti così, mi spieghi come possono pensare
di chiarirsi?”
“Be’,
semplicemente con un minimo di coscienza!” Ma mentre pronunciava quelle parole,
Bill già sapeva che non era vero. Inge e Tom erano molto probabilmente le
persone più testarde, cocciute, orgogliose e male assortite per questo, in tutto
il mondo, quindi era alquanto improbabile che di testa loro decidessero di
parlare, visto come si era evoluta la vicenda.
“Lo sai anche tu
che non è vero.” Replicò Simone, quasi deridendolo.
“Già.” Sospirò
Bill, sprofondando nel letto e chiudendo gli occhi. Eppure ci doveva essere
qualcosa che poteva fare per far migliorare almeno un minimo le cose tra di
loro. Ma cosa?
“Bill, tesoro,
Gordon mi sta chiamando.” Disse Simone quasi a voler chiudere la conversazione.
“Facciamo che ci sentiamo presto e vediamo di trovare una soluzione, d’accordo?”
“Ok, mamma.
Salutami Gordon.” Mormorò Bill. Aveva acconsentito alla proposta della madre
tanto per farla felice. Sapeva che meno ci sarebbero entrati, meglio sarebbe
stato per tutti. Quella faccenda non li riguardava.
La chiamata si
interruppe subito dopo e Bill affondò la testa nel cuscino. Era incredibile come
la gravidanza stesse distruggendo il rapporto tra Inge e Tom e allo stesso modo
distruggendo psicologicamente anche Bill. Magari lui esagerava, ma poteva
sentire la tensione sempre più densa tra di loro e certe volte quasi si sentiva
in imbarazzo a parlare con entrambi. Cosa avrebbe dovuto dire? Credevano forse
che nessuno si fosse accorto del loro cambiamento? Era assurdo. E quindi?
Avrebbe dovuto lo stesso far finta di niente?
Ma soprattutto,
se lui si sentiva così, Alex come avrebbe potuto reagire se la situazione fosse
ulteriormente peggiorata?
_______________________________________
Cavolo! Sono
passati due mesi dall'ultimo capitolo! Oddio, non pensavo così tanto! Ho
guardato la data di pubblicazione del capitolo precedente solo per scrupolo, ma
ora più che mai mi sento in dovere di farvi le mie scuse per il ritardo! Posso
solo dire due piccole paroline a mia discolpa: la prima è che ho dovuto studiare
per qualche esame che tutt'ora continua a perseguitarmi, e la seconda è che ho
avuto qualche problemino con l'account, ma tutto a posto, ora! E spero che voi
tutte mi possiate perdonare T.T
Be', che potrei
dire per intrattenervi un po' alla fine del capitolo, questa volta? Magari che
questo periodo di malinconia presto finirà, eh? Sì, dai, una bella notizia ci
vuole dopo tutti questi aggiornamenti di musi lunghi e paranoie. Diciamo poi che
quest'ultimo proprio non spicca per l'ilarità, ecco... Ad ogni modo, dal
prossimo potrete vedere un grandissimo personaggio in azione, capace di far
ragionare un po' questi due, che sembra proprio non sappiano dove andare a
parare con questa storia della gravidanza.
Vabbè, dai, passo
subito ai ringraziamenti, che prevedo mari di parole!
memy881:
Ehilà! Mi permetto di scusarmi nuovamente per il ritardo con cui ho
aggiornato... E detto questo, passo a rispondere al tuo commento: eh, sì,
l'orgoglio di entrambi è una brutta bestia, e in questo capitolo lo puoi vedere
molto bene, anche se - come dice Bill - c'è altro oltre all'orgoglio. Passando
al punto di Alex, penso che non ci sia bisogno di ripeterlo: è vero, Alex deve
fare le sue esperienze ed Inge gli è particolarmente attaccata. Secondo te si
capisce che un po' dipende anche dagli ormoni della gravidanza? ;) Ps: non hai
idea di quanto mi stia documentando sulla gravidanza per poter scrivere questa
storia! E certe volte sono convinta di continuare a lanciare ca**ate per quello
che dico! XD Vabbè, al limite passatemele! :D
_Nat_91:
Essì, c'è qualcosa che non va. In questo capitolo è abbastanza evidente.
Entrambi non riescono più a gestire il peso della situazione in cui si sono
trovati, ma forse è abbastanza normale, vista la vita che soprattutto Tom stava
conducendo fino a quel momento. Ad ogni modo grazie per i complimenti! E scusa
per il ritardo, mi sento una merdina T.T
_KyRa_:
Sara, carissima! Mi dispiace infinitamente per averti fatto aspettare così
tanto! Spero di non toccare più certi tempi, che sono davvero osceni! Tornando
alla recensione: dici bene, purtroppo, il fatto che Tom non sia pienamente
convinto delle promesse fatte ha portato davvero a qualcosa di molto grosso...
Più grosso di quel che forse possono sopportare come coppia. Sai, all'inizio
volevo che questo capitolo avesse un che di comico - tipo Tom che si imbacucca
tutto per non essere riconosciuto - ma alla fine è diventato un po' troppo serio
e tendente al triste. Però ho raggiunto l'obbiettivo che mi ero prefissata. Se
non avessi preso questa strada, chissà tra quanti altri capitoli sarebbero
scoppiati! Sono contenta, però, di averti almeno fatta ridere nel capitolo
precedente, perché troppa malinconia la reggo poco pure io. Mi sarebbe piaciuto
che anche questo aggiornamento fosse un po' più frizzante, ma è andata come è
andata, e forse è un bene... Cioè, alla fine questo doveva accadere, è giusto
quindi che l'allegria in questo momento si sia fatta da parte. Grazie ancora una
volta per i bellissimi complimenti - lo sai che mi piacciono tantissimo? XD E
allo stesso tempo ti faccio nuovamente le scuse per il ritardo u.u
nikky_cullen:
Ciao! Fa sempre piacere trovare nuovi commenti da persone che all'inizio
seguivano in silenzio, significa che la storia ha vi ha preso abbastanza da
indurvi a lasciare una traccia! XD Sai che sei l'unica che mi ha fatto notare
una cosa molto importante? Che dopo tutto quello che ha passato Tom negli
episodi precedenti, magari sarebbe (o avrebbe?) dovuto essere (mi sto così
incasinando con queste coniugazioni dei verbi che tu non ne hai idea! XD) più
maturo. Hai ragione. Però ho pensato che una cosa del genere a Tom non era mai
successa - ovvero dover accudire prima la "partner" e poi i propri bambini
dall'inizio - e quindi mi è sembrato quasi giusto presentarlo ancora una volta
immaturo, proprio perché non ha la più pallida idea di come comportarsi. E poi
non scordiamoci che ha solo vent'anni! E un'altra cosa te la devo assolutamente
dire! Quando mi hai detto del furto in casa Tokio, m'è preso un colpo! Sono
andata subito a documentarmi e non ho potuto far a meno di ridere - mi scuso
profondamente con quei quattro ragazzacci nordici u.u - ma mi è sembrato davvero
un dejà vu! XD Avvisami pure quando avvisti un bambino da loro! XD
_Princess_:
Consorte, non posso altro che concordare su ogni vostra parola. Avete compreso
ogni minimo risvolto di questa vicenda. Non per niente siete mia moglie, ci sarà
un motivo per cui vi ho sposata, no? ;) Ad ogni modo, sì, la svolta in peggio -
peggissimo! XD - deve ancora venire, e sai già quale sia, quindi non ti
resta che attendere!
tittikaulitz:
Non preoccuparti per il ritardo, come vedi, nessuno è in grado di battermi! (Non
credo però sia un motivo di vanto... XD) E la tregua dalla pausa incerta sembra
essere sfociata in un distaccamento quasi totale. Ho voluto parlare dal punto di
vista di Bill, in questa seconda parte del capitolo, per far capire come possa
sembrare da fuori la loro situazione. Per Tom e Inge i motivi sono spiegati in
varie occasioni, e diciamo che la loro pseudo-rottura è dovuta ad un accumulo di
questi motivi, mentre per Bill la questione è più complicata, come anche per
Alex... Non sanno davvero come affrontarli, e quindi tutti fanno quasi finta di
niente. Non è proprio una bella cosa, eh? Ad ogni modo, nel prossimo capitolo ci
sarà l'apparizione di un grande personaggio che li farà un po' ragionare, vedrai
;)
Oimmena,
sono incredibile! Riesco a scrivere chilometri di note d'autrice nonostante il
già immenso capitolo! Sono senza speranze -.- Ad ogni modo, visto che inizia ad
essere tardi e che domani dovrei svegliarmi presto, vedo di chiudere qui.
Alla prossima,
bella gente!
Irina
|
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Capitolo 8 *** Superwoman ***
Superwoman
Superwoman
Inge era ancora
a letto, inerme. Erano giorni che non parlava a Tom di come si sentiva. Certo,
era quasi una prassi non parlarsi quando erano arrabbiati, ma questa volta non
era una cazzata. Questa volta non avevano litigato per una qualsiasi minchiata
come decidere di mandare Alex all’asilo, oppure discutere sul fatto che Tom non
dava il minimo aiuto in casa nemmeno a chiederglielo, e nemmeno qualcosa
riguardo il non buttare le sue mutande sporche sul bordo della vasca invece che
nella cesta dei panni sudici. Al confronto, quelle sì che erano vere e proprie
cazzate, quasi Inge trovò da ridere sul come avessero potuto litigare per certe
cose.
I ragazzi quel
giorno erano andati agli studi dopo che Georg e Gustav erano andati a prenderli.
David doveva parlare loro di un futuro piccolo tour per la Germania, o almeno
così aveva detto Georg, che sembrava aver parlato con Jost proprio la sera prima
e si era preso l’incarico di radunare tutti gli altri. Inge aveva ascoltato
tutto dalla sala mentre giocava con Alex con le costruzioni, non aveva voluto
seguirli nello studio per pura testardaggine, ma Bill ebbe l’accortezza di
tenere la porta della stanza aperta, in modo da rendere indirettamente partecipe
anche lei.
Quella mattina,
infatti, Tom nemmeno si era fatto vivo nella sua vecchia camera, dove lei era
tornata a dormire per la seconda volta in quel mese. Solo Bill aveva fatto
capolino, avvisandola che avrebbero portato Alex all’asilo e poi sarebbero
andati allo studio. Lei lo aveva ringraziato e si era alzata per lasciare un
grosso bacio ad Alex, per poi scarruffandogli i capelli e salutarlo. Poi si era
rimessa a letto, le coperte tirate fin sul naso, gli occhi chiusi e le mani
intorno alla pancia. Non sentiva niente, era troppo presto per sentire la
presenza di quei due esserini dentro di sé, ma sapeva che loro erano lì. Sorrise
e si appallottolò su se stessa, come per abbracciarli, sussurrando domande a cui
non arrivavano risposte.
“Cosa dovrei
fare? È veramente finita? Perché non riusciamo nemmeno più a parlare?”
E suonò il
campanello. Inge non si mosse, non aveva voglia di alzarsi, era in una di quelle
fasi di depressione acuta che le impediva ogni movimento se non quello legato al
pianto, ma il suono elettrico del campanello era così insistente da trasformare
quella depressione in irritazione, costringendola a scoprirsi e scendere a piedi
scalzi al piano terra. Ci avrebbe scommesso: era uno dei ragazzi che si era
dimenticato qualcosa. Ma perché diavolo non si portavano dietro le chiavi? Lei
sarebbe potuta andare anche al lavoro! Peccato solo che Sophie l’aveva costretta
a starsene a casa dopo aver preso il suo posto “perché faresti meglio a
riposarti”, aveva detto. L’aveva riferito a Bill e di certo lui l’aveva ripetuto
anche agli altri.
Troppo facile
avermi in casa, eh?
Non guardò
nemmeno lo schermo del citofono, troppo sicura di chi si sarebbe trovata
davanti, pronta a urlargli il suo disappunto. Ma contrariamente alle sue
aspettative, non c’era nessun Bill irresponsabile davanti al cancello, né –
fortunatamente – nessun Tom indifferente. C’era solo Simone, armata di due
grosse valigie e un sorriso smagliante, che Inge avrebbe anche definito
trionfante. Forse l’unica cosa che poteva mancarle era un mantello rosso
svolazzante e una S si Superwoman cucita sul petto della giacca che
indossava, perché la sua visione ebbe un effetto rassicurante per Inge, quasi
come se inconsciamente lei la stesse aspettando.
“Simone!” le
aprì subito il cancello e fece per andarle incontro e prenderle le borse.
“No, guai a te
se provi a toccare qualcosa per aiutarmi. Primo perché non mi sembra di avere
ancora raggiunto l’età che mi impedisca di fare da me, e secondo perché se ti
azzardi a stancarti ti lego al letto, chiaro?”
Inge sorrise per
la prima volta da giorni, un sorriso riconoscente e caloroso. Accompagnò la
donna nella sala le offrì subito qualcosa. “Un bicchiere d’acqua, un po’ di
biscotti… Insomma, vuoi qualcosa?”
“No, sono a
posto così.” Le sorrise lei, stiracchiandosi. “Sai, in treno l’unica cosa che
non sopporto sono i sedili troppo rigidi, per il resto sono organizzatissima.”
“Ma… Perché sei
qua?” chiese Inge, sedendosi sul divano, seguita da lei.
“Tesoro, mica
potevo rimanere a casa dopo quello che mi ha detto Bill!” esclamò con tono
ovvio, mentre si toglieva il cappotto. “Immagino che tu non gradisca troppo la
mia visita, so che sei abbastanza testarda da credere di poter affrontare questa
situazione da sola, ma credimi, tutte le donne in questo periodo della loro vita
hanno bisogno di una mano, che sia quella del compagno, che della suocera. E tu
non fai davvero eccezione.”
“Oh, Simone, ma
non dovevi, davvero. Avevo detto che ti avrei chiamato io se ci sarebbe stato
bisogno.”
“E secondo te io
avrei dovuto aspettare una chiamata che non sarebbe mai arrivata?” la guardò
saccente. “Suvvia, non essere sciocca! So perfettamente quanto è il momento di
entrare in scena. Chiamalo istinto materno, se vuoi. O sesto senso, boh.” Inge
trattenne una risata. Era incredibile quanta vitalità potesse sprigionare quella
donna: era una bomba di energia e in quel periodo Inge la invidiava e adorava
allo stesso tempo, perché non ne poteva più di alternare stati di ansia a rabbia
funesta. “Volevo parlare anche con Tom, dove è cara? Mi stupisco che mi sia
dovuta venire ad aprire tu e non uno di quegli altri due.”
“Sono tutti agli
studi.” Rispose Inge, difendendoli.
“E Alex?”
“È all’asilo.”
“Oh, finalmente
ce l’avete portato!” sorrise allegra, battendo le mani sulle gambe con
soddisfazione. “Ottimo, così può fare nuove conoscenze. Sai, è una buona cosa
per i bambini iniziare a sapere come è fatto il mondo al di fuori delle mura di
casa.”
“Anche tu la
pensi così?” mormorò Inge, rassegnata.
“Certamente!
Perché non dovrei?”
“No, è che penso
sia un po’ troppo presto.” Spiegò lei, sospirando. Non volle aggiungere il fatto
poi che fosse figlio di uno dei Kaulitz, una delle persone più famose della
Germania. Non lo fece tanto per non incrementare la dose di paranoie che con il
tempo avrebbe svelato a Simone, che sicuramente non si sarebbe risparmiata di
tirarle fuori.
“Affatto, Cara.”
Le sorrise dolcemente. “Ma tranquilla, ti ci abituerai. In questi casi dobbiamo
solo pensare al bene dei bambini, non a quello che vorremo noi. Sai, quando
dobbiamo crescere un bambino, quando abbiamo delle responsabilità su questa
piccola creatura, si impara a capire i suoi bisogni e quello che dovrebbe
imparare a conoscere piano piano con il nostro aiuto.”
“E perché io non
riesco a pensarla così, mentre Tom sì?” si rattristò Inge, già immaginando la
risposta di Simone. Tentò con tutta se stessa di mantenere un tono calmo, forse
distaccato, ma la voce le uscì più fragile del previsto e lei finse un colpo di
tosse per nascondere quell’incerta vibrazione.
“Non vorrei
sembrarti scortese, tesoro, però potrebbe essere perché non è tuo figlio.” Inge
la guardò cercando di controllare il suo respiro più del solito. “Tom deve aver
metabolizzato – volente o nolente – questo fatto, quindi ha imparato a
comportarsi di conseguenza, magari sulla base dei suoi ricordi dell’infanzia,
chissà.”
“I miei ricordi
dell’infanzia sono che mia madre beveva e mio padre la riempiva di botte,”
mormorò ironica, ricordando quel passato a cui non pensava da anni, ormai. “E io
me ne stavo rinchiusa in camera con mio fratello.”
“Immagino che
questo potrebbe essere un motivo ancora più valido per capire perché tu cerchi
di far provare ad Alex quello che a te è mancato… L’amore di una famiglia.” Le
rispose con calma. Inge non le disse che quella tristezza che per un attimo
attraversò il suo sguardo le aveva dato un po’ fastidio. A lei non piaceva
suscitare la pietà negli altri, tanto meno a Simone, che più di altre persone
teneva a lei quasi come ad una figlia. “Però visto che vi occupare tutti del
bambino eccellentemente, penso che portarlo a far conoscere nuove persone non
possa altro che fargli bene.” Le sorrise, allungano una mano verso di lei e
posandogliela sulla spalla con l’amore di una madre che a lei era sempre
mancata.
Forse fu perché
Simone si accorse delle lacrime che avrebbero potuto sgorgarle dagli occhi senza
ritegno, oppure per semplice curiosità irrefrenabile, che cambiò discorso con un
sorriso eccitato.
“Ma dimmi, ora,
che ti ha detto il ginecologo?”
Inge si rimangiò
le lacrime che aveva imparato ad odiare e scacciò quel fastidioso prurito al
naso e le sorrise, invitandola a salire nella sua camera per mostrarle le
immagini e per metterla al corrente di ogni cosa. Quella fu la prima volta in
cui Inge poté sentirsi libera di mostrare tutta la sua felicità riguardo la
gravidanza, senza sentirsi in colpa per portare dentro di sé il frutto di una
notte di passione che l’uomo che lei amava considerava un “problema”.
***
“Inge, siamo
tornati tutti e tre!” urlò Bill appena varcata la soglia d’ingresso.
“Sta dormendo
su, vedi di abbassare la voce!”
“Mamma?!” due
mandibole rischiarono di toccare terra non appena videro Simone comparire
davanti a loro dalla cucina.
“Nonna!” esclamò
Alex euforico, invece, correndole incontro e salutandola con un bel bacio sulla
guancia, facendo sorridere la donna.
“Ehi, amore, ti
sei divertito all’asilo?”
“Sì! Ho giocato
con Carl a nascondino! Ho vinto io perché Carl è più grande di me e io lo
trovavo sempre!” le raccontò divertito il bambino, smanacciando per aria per
l’eccitazione. “Guarda, nonna, ti voglio far vedere un disegno bellissimo che ho
fatto con la signorina Fischer!” il piccolo sgambettò per poter scendere e andò
a prendere lo zaino che Tom gli aveva portato in casa.
“Mamma! Co-Cosa
ci fai tu qui?” farfugliò Bill, mentre Tom si racchiudeva nel suo tipico
silenzio che l’aveva accompagnato in tutti quei giorni. La presenza di sua madre
in casa non era un buon segno. Che Inge l’avesse chiamata? E perché? Cosa
sperava di ottenere? Che lei gli facesse il culo come ad un bambino?
“Dopo quello che
mi avevi detto non potevo non -” Bill sgranò gli occhi e fece segno alla madre
di smettere di parlare, ma i suoi sgraziati e indelicati balzi per attirare la
sua attenzione, attirarono anche quella di Tom, che si ricredette e incolpò il
fratello per la presenza della madre in casa loro. Trucidò Bill con uno sguardo,
che deglutì a fatica e sospirò, ormai rassegnato al suo infelice destino.
“Mamma, ti avevo
detto di non venire, però.” Si lamentò Bill, come se tanto ormai non contava più
quel che era successo, visto che Tom aveva capito tutto.
“Lo so, ma non
potevo rimanere con le mani in mano.”
“Certo che
potevi, mamma. Questi non sono affari tuoi.” Si intromise Tom. “Non ti
immischiare in questa faccenda, perché tanto lo so cosa sei venuta a fare.”
Simone sospirò e
si mise le mani ai fianchi, per poi essere assalita da un Alex raggiante che
sventolava un foglio colorato tra le mani, cercando di farsi considerare da lei.
Tom ringraziò il tempismo del bambino e decise che era giunto il momento di
rinchiudersi in camera per poter avere pace, perché se sua madre era lì, non
voleva dire altro che una ramanzina era in arrivo. E se non era una ramanzina,
era sempre un qualche discorso che includeva un tête-à-tête tra loro due, cosa
che lui non aveva la minima voglia di affrontare. Come se lui non avesse già
abbastanza problemi da risolvere.
“Ehi, Tom, dove
stai andando?” tentò di fermarlo sua madre, invano. Alex era un ottimo diversivo
e raramente lasciava sfuggire le sue prede. Contando che erano almeno un paio di
settimane che non vedeva sua nonna, la possibilità che la lasciasse in pace
anche per soli cinque minuti tendeva strettamente a zero.
“Lascia stare,
mamma.” Tom sentì Bill intervenire per rassicurarla. “È meglio fare come vuole,
te l’avevo detto anche per telefono.”
Tom si rinchiuse
in camera sua prima di sentire la risposta della madre, ma già sapeva che non
sarebbe finita lì. Era ovvio – lui lo sapeva, era da sempre stato così – che lei
sarebbe tornata all’attacco per cercare di strappargli di bocca delle parole che
lui nemmeno sapeva pronunciare. Era per questo che scappava da lei: che avrebbe
dovuto dirle? Pensava davvero che in tutto questo tempo, che dopo tutto quello
che era successo, lui stesse davvero cercando di allontanare Inge da sé? Non era
minimamente vero. Purtroppo era successo, si erano allontanati, ma non era stata
una cosa volontaria. Era successo. E lui non sapeva nemmeno da dove cominciare
per avvicinarsi nuovamente a lei. Sua madre sicuramente avrebbe voluto sentire
le sue ragioni, perché se c’era qualcosa che aveva sempre apprezzato di Simone
era il voler sentire sempre tutte le versioni, prima di farsi un’idea
dell’accaduto, ma cosa poteva dirle di più di quel che aveva già detto e ridetto
in tutti quei giorni? Lui non se la sentiva di avere altri bambini, non voleva
che la sua vita venisse stravolta ulteriormente. E tutto questo sicuramente era
già giunto alle sue orecchie, quindi qualunque altra cosa sarebbe stata inutile
da dire.
Eppure,
nonostante facesse il duro, l’indifferente, era anche vero che aveva bisogno di
sua madre, una delle poche persone che avrebbe potuto capire il suo punto di
vista e che l’avrebbe sicuramente ascoltato senza giudicare, contrariamente a
quello che aveva fatto Bill, che non si era saputo trattenere. Tuttavia non
aveva il coraggio di ammetterlo, non era mai stato in grado di confessare il suo
bisogno di parlare, e anche questa volta, in sua presenza, si sarebbe tenuto
tutto dentro, fintantoché non sarebbe scoppiato. Sperò solo che quando sarebbe
successo, Inge non fosse nelle vicinanze, perché non voleva che la situazione
potesse peggiorare più di quel che già era.
Si sedette,
infine, sul letto, al buio, non volle né aprire la finestra né accendere la
luce. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si nascose il viso tra le mani. Cosa
doveva fare? Era davvero tutto finito? Perché non riusciva più a parlare con
Inge?
***
“Tom, posso
entrare?”
Il bussare alla
porta lo distrasse dalle corde della sua Gibson. Sospirò e si passò una mano sul
viso, per poi posare la chitarra sul suo sostegno e aprire la porta alla madre.
“Entra, tanto
non potrei fare diversamente.” Disse ironico. “Alex?”
“È arrivata Inge
e sta giocando con lei in sala.” Si sedette sul letto e gli rivolse uno sguardo
soddisfatto. “Allora, finalmente ci incontriamo, Tom.” Annunciò cambiando
totalmente tono, quasi a prendersi gioco di lui.
Il ragazzo si
sedette affianco a lei e senza guardarla lasciò sfuggire una amara risata.
“Mamma, sai spiegarmi perché questa frase mi sa tanto di imminente apocalissi?”
“Coda di paglia,
tesoro?” gli diede una debole spallata, mentre gli sorrideva.
“No, solo paura
di quello che mi stai per dire, perché non promette niente di buono.” Replicò
lui.
“Oh, Tom, lo sai
che io voglio solo aiutarti.”
“Ma io non ho
chiesto il tuo aiuto, quindi torna pure da Gordon.”
“Tesoro, come
puoi pensare che tua madre non capisca anche il tuo più insignificante
atteggiamento?” lo stuzzicò. “Più fai così, più mostri il tuo lato testardo. E
questo significa solo che stai nascondendo qualcosa, magari qualcosa che sai non
sia giusto fare, e non vuoi che qualcuno possa farti notare certi tuoi errori.”
“Non sono errori
e non sono testardo.” Si impuntò lui.
“Allora perché
non vuoi raccontarmi niente e non mi permetti di aiutarti?”
“Perché non c’è
niente da raccontarti e non c’è niente di cui chiedere aiuto.” Sì, era testardo
e aveva bisogno di aiuto. Eccome se aveva bisogno di raccontarle quello che
pensava. Guardò con la coda dell’occhio sua madre, che lo guardava a sua volta,
le mani in grembo, uno sguardo dolce, ma al tempo stesso di chi sa che prima o
poi avrebbe ottenuto ciò che voleva.
“Ti ho già detto
che sei una rottura di palle?” borbottò stizzito, girandosi verso di lei.
“Ogni volta che
avevo ragione.” Gli sorrise, passandogli una mano sulle spalle e dandogli una
piccola pacca. “Dai, sputa il rospo.”
Tom tornò a
guardare i suoi piedi e pensò da dove iniziare. Aveva così poco da dire, eppure
gli sembrava un discorso senza fine, e tutte quelle parole che ogni volta gli
morivano in gola, quel peso che si portava sulla schiena, gli sembravano
diventare sempre più opprimenti. Era vero, doveva parlarne a qualcuno, e se non
a Inge, almeno a sua madre. Deglutì e soffiò via tutti gli ostacoli che gli
impedivano di parlare.
“Io non sono
sicuro di poter continuare così.” Iniziò.
“Mi ha detto
Inge, però, che sei cambiato.”
“Mamma… Io devo
essere quello che Inge vuole che sia. Lo faccio per lei. Lo facevo.”
“Non credi che
così tu la stessi prendendo solo in giro? Lei voleva seriamente che tu le stessi
vicino in questo periodo. Voleva che tu fossi sincero con lei.” Lo scosse
dolcemente per le spalle.
“Ma io ho
cercato di esserle più vicino!”
“Circondarla di
attenzioni non è essere vicini.”
“Lo so,
purtroppo.” Sospirò tristemente. Si passò una mano sul viso, poi si voltò verso
di lei, guardandola serio negli occhi. “Ma che devo fare, mamma?”
Simone lo guardò
dapprima seriamente, ma piano piano il suo sguardo si addolcì, proprio come
faceva quando lui era piccolo e si trovava in un guaio. Sua madre era sempre
stata una donna meravigliosa, era capace di dire sempre le parole giuste al
momento giusto, di rendere tutti i problemi più semplici da affrontare, di
razionalizzare le cose. Anche per questo aveva bisogno di parlare con lei.
“Tom,” gli
sorrise. “Ci siamo passati tutti. Anche io, cosa credi? Con tuo padre abbiamo
passato molti momenti brutti, lo sai purtroppo, ma devi sapere che quando ci
siamo resi conto che saremo diventati una famiglia molto più grande, be’, devi
sapere che la cosa ha reso entrambi entusiasti.”
“È questo che
non riesco a capire. Perché allora io non riesco a vedere la cosa sotto questo
punto di vista? Perché io non ne sono entusiasta come dovrebbe essere per
tutti?” Non stava per piangere. No. Odiava piangere e soprattutto farsi vedere
piangere, ma, sì, stava cedendo. Sentiva che se non si fosse imposto di
mantenere un certo contegno, sarebbe crollato, per questo prese un profondo
respiro e continuò a guardare sua madre dritto negli occhi, mentre il respiro di
faceva involontariamente più affannoso. “Eh, mamma, perché?”
“Perché sei
troppo legato alla tua carriera, tesoro.” Gli sorrise, cercando di avvicinarlo a
sé. Tom fece però un minimo di resistenza e sua madre capì, togliendo la mano
dalle sue spalle e posandola sul suo braccio. “Ma guarda un po’ il mondo fuori,”
si sporse per farsi vedere meglio in viso, mostrandogli un’espressione felice,
positiva e ottimista. “Quante persone famose hanno figli? Quante persone famose
vanno avanti con la loro carriera con una famiglia alle spalle che li ama? Ce ne
sono tantissime, tesoro, non sei l’unico. Sei soltanto un po’ più giovane degli
altri, senza esperienza. Sei spaventato.” Sua madre gli stava ripetendo
esattamente ciò che già sapeva, ma il suo volto quasi orgoglioso di lui, gli
seppe sollevare – anche se in minima parte – quel peso che si sentiva addosso.
“Ovviamente non ti era mai capitata una cosa del genere, anche se alla fine è
molto simile alla situazione che si è creata con Alex. Perché, cosa gli fai?”
Tom la guardò senza rispondere. “Gli fai da padre, no? Forse nemmeno te ne
accorgi, ma per un bambino è importante la presenza di una persona da prendere
come modello. E tu sei il modello di Alex. E lo sarai anche i gemelli che
nasceranno.” Gli carezzò una guancia. Sembrava quasi che lei ora si sarebbe
messa a piangere. Aveva gli occhi lucidi, ma non per tristezza. No, Simone
sembrava stesse per piangere per felicità. Aveva il sorriso orgoglioso, fiero,
sulle labbra tremanti e gli occhi un po’ rossi e Tom ebbe l’impulso di
abbracciarla, perché grazie a quelle parole, sembrava aver diradato la nebbia
che gli offuscava la vista. “L’unica differenza,” continuò lei. “È che Alex era
già indipendente quando l’avete accolto, mentre coi bambini dovrai avere più
pazienza. Dovrai crescerli, prenderti cura di loro e delle loro fragilità dal
momento in cui verranno alla luce.”
Ci fu un attimo
di silenzio in cui Tom continuava a ripetersi le parole della madre come per
farsi coraggio, come per dare una spiegazione a quelle sue paure, per
giustificarle e renderle più concrete e affrontabili.
Poi Simone
riprese, stringendo la propria mano nella sua. “E poi ricordati che Inge ti
aspetta. Lei vuole averti accanto.”
Tom si trovò
davanti agli occhi l’immagine di Inge arrabbiata, delusa, e provò una
fitta al petto. Dopo tutto quello che avevano passato insieme, per trovarsi,
ritrovarsi, perché erano arrivati a quel punto? I suoi occhi verdi lo odiavano,
e ormai non lo guardavano nemmeno più. Ci stava male. E le parole della madre
gli fecero capire che forse avrebbe dovuto fare qualcosa di più, pur di non far
degenerare il loro rapporto. O almeno, per non farlo degenerare ulteriormente.
Si ricordò della determinazione del suo sguardo, di quello che aveva provato
quando lei gli aveva detto di voler tenere i bambini a scapito di tutti e di
tutto. E nuovamente quella determinazione lo conquistò, quella determinazione
gli fece capire che si era comportato da idiota. Lui non aveva avuto quella
determinazione, lui si era solamente tirato indietro, timoroso di prendere
qualunque decisione. Aveva paura di perdere Inge e aveva paura di quei due
esserini che in nemmeno nove mesi gli avrebbero cambiato radicalmente la vita.
Aveva paura del cambiamento. Aveva paura di molte cose. Ma Inge no. Lei era più
forte di lui, e solo ora Tom l’aveva capito. Quando mai era successo che lui
fosse stato così determinato nei confronti di Inge? Forse solo quando l’aveva
ritrovata e non era stato più disposto a perderla, due anni fa. E forse anche
l’anno scorso, per non perderla di nuovo. Era assurdo, ma era anche vero: Inge
gli aveva fatto perdere la testa. Perché, allora, rovinare tutto? Certo, la
paura ancora non lo abbandonava, ancora Tom sentiva che il timore del
cambiamento l’avrebbe accompagnato per chissà quanto altro tempo, ma forse,
proprio per questo, aveva bisogno di avere Inge affianco a sé, per poter aver la
determinazione di affrontare il futuro.
Guardò sua madre
negli occhi e le si avvicinò, abbracciandola.
“Grazie, mamma.”
Poi le lasciò un bacio in fronte e uscì di camera, lasciando Simone sul letto a
guardarlo con lo sguardo di una madre fiera del proprio figlio.
***
Alex si era
addormentato sul divano mentre Phil Collins ancora cantava il prologo di
Tarzan, molto probabilmente all’asilo aveva giocato fino allo sfinimento.
Inge si ritrovò invidiosa della signorina Fischer ancora una volta: da quando
andava laggiù, Alex ogni pomeriggio si addormentava per un paio di orette,
orette che solitamente passava insieme a lei. Certo, forse era un bene,
dopotutto tutti le dicevano che lei doveva riposarsi, e giocare con Alex era
tutto fuorché riposante, ma le mancava.
“Si è
addormentato?”
Inge sobbalzò
nel sentire quella voce alle sue spalle, non tanto per il tono – che tra l’altro
era anche basso e caldo, gentile – quanto per di chi era quella voce. Non
si erano rivolti una parola per giorni, e ora Tom stava appoggiato allo
schienale del divano dietro di lei, con un mezzo sorriso sulle labbra, mentre la
guardava. Inge sembrò volerlo scrutare a fondo prima di rispondergli, la bocca
aperta per lo stupore, e Tom distolse lo sguardo, evidentemente messo a disagio,
portandolo su Alex, che dormiva con la testa appoggiata al bracciolo del divano.
Gli accarezzò la testa, sfiorandogli con delicatezza i capelli e poi tornò a
guardare Inge negli occhi, che ancora non sapeva che espressione assumere.
Avrebbe voluto sputargli in faccia che dopo quello che aveva detto – o meglio,
che non aveva detto – sarebbe dovuto tornare da lei strisciando, ma
qualcosa le impedì di essere così dura. E forse quel qualcosa altro non era
stato che quel piccolo gesto nei confronti di Alex. Una fitta allo stomaco le
fece almeno chiudere la bocca, e lei sperò tanto che non fosse un altro attacco
di vomito.
“Inge,” iniziò
lui, offrendole una mano, mentre nell’altra teneva due bottiglie di birra piene.
Lei gliela guardò come se fosse sporca. Non riusciva ancora a fidarsi, sebbene
fosse paradossale la sua voglia di saltargli addosso per solo il fatto di averla
chiamata per nome dopo tutto quel periodo di silenzio reciproco. “Senti, ti va
di andare in camera a parlare?”
Lei ancora non
rispose, combattuta tra il dubbio e la paura delle parole che avrebbe potuto
dirle, ma quel suo sorriso di incoraggiamento, seppure incerto, seppe almeno
farle articolare mezzo discorso.
“Perché… Cosa
vuoi?”
“Parlare, Inge.”
“Come al solito,
sei sempre tu a decidere quando, eh?” gli fece notare con tono duro, rifiutando
la sua mano.
“Sì, lo so,
scusami. Scusami ancora.” Chiuse gli occhi e sospirò. “Ma vedi,” tornò a
fissarla intensamente. “Non sono stato per niente sincero con te.” Iniziò.
Sembrava che facesse fatica a trovare le parole per continuare a spiegarsi.
“Tom,” lo
interruppe lei, senza sbilanciarsi troppo in gesti eclatanti come il prenderlo
per mano, oppure abbracciarlo. “Andiamo di sopra a parlare, Alex dorme.”
Il ragazzo
acconsentì e la seguì a qualche passo di distanza. Inge avrebbe tanto voluto
fermarsi ad aspettarlo, prenderlo davvero per mano, ma si sentiva troppo
vulnerabile. In un solo mese avevano litigato ben due volte senza riserve, se
n’erano dette senza indugiare e altrettante le avevano lasciate trapelare con il
loro silenzio. Non poteva far finta che fosse nuovamente tutto normale. Il suo
orgoglio non lo permetteva.
Tom la superò e
la condusse nella sua camera. Era da quando avevano smesso di parlare che Inge
non vi entrava più, nemmeno per prendere le sue magliette per dormire. Aveva
voluto dare un taglio secco ai suoi rapporti con Tom, o almeno ci aveva provato,
perché ovviamente continuando a vivere sotto lo stesso tetto, era impossibile
rompere tutti i ponti. E lei nemmeno lo voleva.
“Inge, io volevo
chiederti scusa.” Lei si sedette sul letto e lui accanto a lei. “Ho parlato con
mia madre. Mi ha fatto ragionare, capire cosa ho sbagliato.” La ragazza
l’ascoltava divisa tra due sentimenti: la voglia crescente di saltargli addosso
e la voglia di continuare a fare l’algida regina dei ghiacci. Pensando di essere
più razionale nel suo atteggiamento algido, dovette pensare di calmare i suoi
bollenti spiriti ed ascoltare Tom in silenzio, magari anche senza guardarlo.
Indubbiamente non mancò dall’imprecare contro i suoi cavoli di ormoni, che certe
volte la facevano ragionare quasi come se lei fosse un’altra persona. “Tutta
questa storia mi è caduta addosso come una doccia fredda e forse non ho ancora
assimilato bene cosa voglia dire tutto questo, cosa fare… Ma ti garantisco che
ci sarò. Non come prima, ci sarò come ci sono sempre stato.” Lei non poté più
resistere oltre e i suoi occhi raggiunsero i suoi, come se fossero una calamita.
Da quanto non vi ci specchiava dentro? Così tanto tempo che vi poté leggere la
sincerità delle sue parole, i suoi occhi erano sinceri, dispiaciuti e risoluti,
determinati come non li aveva più visti da tempo. “Capito?” concluse con soffiò,
mentre Inge si scoprì incerta su cosa rispondergli.
Gli era mancato,
Dio se gli era mancato! E ora che l’aveva di nuovo davanti cosa doveva fare?
Doveva dare un bel calcio a quel suo orgoglio e lasciarsi dominare dagli
istinti, oppure fargli pesare tutte le seghe mentali che nel frattempo che lui
cercava di capire i suoi sbagli avevano colonizzato la sua testa?
“Perché questa
volta dovrei fidarmi?” gli chiese.
“Perché credo di
non essere mai stato più sincero di così.” Sussurrò lui.
“E secondo te
questo basta?”
“Io non posso
fare di più. La fiducia si basa su questo. Sta a te decidere.”
Inge non seppe
che cosa rispondere e boccheggiò per qualche istante. “Tom,” mormorò. “Mi dici
come posso fidarmi? Le tue sono delle parole bellissime, ti giuro che non
aspettavo altro, ma io ho bisogno di sicurezza, ho bisogno di sapere che sarai
veramente sempre qui.”
“Sì, lo so.”
“Quindi?”
“Inge, cosa vuoi
che ti dica di più? Io non so prevedere il futuro, non so cosa succederà.” I
suoi occhi bruciavano, erano talmente intensi che Inge si sentì scottare. “Ma ti
giuro che farò il possibile per starti vicino.”
E cosa avrebbe
potuto fare? Come poteva resistere a tutta quella determinazione, a quegli
occhi. A lui? Forse se ne sarebbe pentita, forse no. Come aveva detto
Tom, nemmeno lei sapeva prevedere il futuro. Doveva fidarsi? Sì, aveva deciso di
farlo, si sarebbe fidata. Allargò le braccia e le avvolse al collo del ragazzo,
per poi avvicinarsi a lui, ritrovando quel contatto che da giorni le mancava.
Lui l’abbracciò stretta a sua volta, stendendosi sul letto con lei sopra e
lasciando cadere sul materasso quelle due bottiglie di birra che si era portato
dietro e che si erano scontrate, producendo un rumore vitreo che catturò
l’attenzione di Inge.
“E queste?
Sapevi già che avremmo festeggiato?” lo punzecchiò, tirandosi su e prendendone
una in mano.
“Ci speravo,
diciamo.” Sorrise, prendendo in mano l’altra.
“Lo sai, vero,
che non posso berla?”
Tom si allungò
per lasciare un bacio a fior di labbra alla ragazza, prendendo nel mentre
l’altra bottiglia con la mano libera, ridendo.
“Sì, infatti
sono tutte e due per me. Ne ho bisogno.”
Anche Inge rise,
ritrovando nelle parole di Tom la loro naturale sfacciataggine, e mentre
l’abbracciava nuovamente, per poi mordergli il labbro inferiore all’altezza del
piercing, pensò che non avrebbe mai potuto ringraziare Simone abbastanza per
quello che era riuscita a fare.
__________________________________
Pensavate che non
avrei più aggiornato? Be', posso capirlo, praticamente sono scomparsa per due
mesi! Ma ora sono tornata con un altro capitolo! E che capitolo! Non so se avete
capito che io adoro Simone, non so se sia veramente così in realtà, ma questa
sua immagine mi piace parecchio! Una donna forte, determinata! La adoro! *-* Tra
l'altro scrivere il dialogo tra lei e Tom è stato bellissimo, perché mi ha
permesso di vedere una sfaccettatura di Tom che da tempo volevo far venire fuori
ma non avrei saputo come, perché penso che se mai lui si facesse vedere
vulnerabile, lo farebbe solo in presenza di sua madre - o Bill, ma in casi
estremi :) Non lo pensate anche voi? E anche se non fosse vero, è appagante
pensare però che la situazione possa anche solo sembrare verosimile!
Ad ogni modo, ora
s'è tutto risolto, o così pare, no? Che bello! Sono contenta pure io, perché
detto sinceramente non ce la facevo più a sopportare capitoli deprimenti come
quelli passati, cioè, dopotutto Tom e Inge sono una coppia frizzante, forse
divertente, una di quelle che solitamente si prende per il culo a vicenda, non
di certo una di quelle sdolcinate e piagnucolanti XD E proprio per questo era
anche l'ora che le cose si aggiustassero un po'! Oh, se io ero la prima a
volerli nuovamente vedere insieme, nella loro arroganza, sfacciataggine, mi
immagino voi!
E visto che è
tantissimo che non mi faccio viva, ora passo a ringraziare le tre sostenitrici
di questa storia!
memy881:
Ahahahah, ma hai visto che Super Simone è entrata in scena e ha fatto ragionare
tutti? È stata miticissima, sopratutto nel far ragionare Tom, nel fargli
accettare la situazione e il tutto con una tranquilla chiacchierata, ovviamente
seria, densa di significato, ma senza urla, schiaffi e sputi - ogni riferimento
ad Inge è puramente casuale u.u Per quanto riguarda Alex, be', il capitolo che
ti sarebbe piaciuto leggere non l'ho scritto, sinceramente perché non volevo
entrare nella testa del piccolo Alex, visto che pensare come lui mi metterebbe
ancora più tristezza, quindi ho solo un po' accennato al suo stato d'animo nello
scorso capitolo e aggiungerò qualcos'altro nel prossimo, ma tutto qui. Mi
dispiace far soffrire quel bambino! T.T E comunque la visita della nonna, in
questo aggiornamento un po' l'ha distratto e l'ha riportato alla sua naturale
vivacità. Meglio così, no? ;) E concludo scusandomi di essermi fatta viva così
tardi. Di nuovo................ T.T
nikky_cullen:
Povero Tom, tutti i torti però non li ha, dài :) Voglio dire - magari lo dico
solo perché scrivendo dei suoi sentimenti, entro perfettamente nella sua testa
XD - sì, non si è impegnato minimamente, ma penso che sia davvero difficile
accettare che la propria vita venga sconvolta ancora una volta ad un'età così
giovane - tra l'altro aggiungo che questa storia è un po' in ritardo rispetto
all'attuale età dei ragazzi perché dovevo legarmi all'episodio precedente, ma
vabbè, pace! XD - e oltretutto in maniera così drastica, perché i bambini che
nasceranno dovranno essere accuditi dall'inizio, non come successe per Alex... E
questo Simone glielo spiega :) Grazie per il commento e scusa anche a te per il
mostruoso ritardo!
tittikauliz:
Mi è piaciuto un sacco il tuo commento! E sono del tuo stesso parere: i bambini
hanno un potere incredibile con la loro innocenza. Però in questo caso, non è
stato l'aiuto di un bambino come Alex, a far riavvicinare questi due testardi,
ma bensì la saggissima e potentissima Simone, arrivata proprio per dare una mano
:D Nessuno se lo sarebbe aspettato, eh? Be', spero proprio di avervi un po'
tutti colti di sorpresa con questa sua apparizione! Magari in questo caso così
difficile da affrontare per Tom, più che l'aiuto di un bambino, ci voleva
proprio la madre che gli infondesse forza e lo facesse ragionare seriamente. Mi
è piaciuto molto quella parte, sai? XD Spero sia così anche per voi!
Via, gente, ora mi
eclisso nuovamente e intanto scriverò, andrò avanti e cercherò di pubblicare il
prima possibile! Purtroppo questo è periodo di esami, quindi non posso garantire
niente, mi dispiace, ma non preoccupatevi troppo, prima o poi torno sempre! ;)
Alla prossima!
Irina
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